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Full text of "ORLANDO FURIOSO"

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1-851  A?loc      55-01853 


1-851  A7ioe    55-61853 

Ariosto 

Orlando  Furioso. 


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Kansas  City,  Mo. 


TENSION     ENVELOPE    CORP. 


TUTTI    I   DIRITTI    RISERVATI   -  ALL   RIGHTS   RESERVED 
PRINTED   IN   ITALY 


AVVERTENZA  DELL'EDITORE 


La  divisions  delle  opere  di  Ludovico  Ariosto  in  due  volumi  ha 
presentato  all'editore  una  particolare  difficoltd. 

U((0rlando  furiosov  ha  tali  dimension!  che,  da  solo,  richiede 
un  volume  di  din  1200  pagine.  Non  era  da  pensare  a  com- 
porlo  su  due  colonne  —  come  e  stato  fatto  in  tutte  le  edizioni  an- 
teriori  in  un  sol  volume  — ,  guastando  Varmonia  tipografica  detta 
pagina  e  rendendo  fastidiosa  la  lettura,  ne  —  evidentemente  —  a 
stamparlo  in  un  corpo  pin  piccolo  degli  altri  volumi  della  collana. 

Si  e  quindi  preferito  accogliere  in  questo  primo  volume  il  te- 
sto  integrate  e  nudo  del  fa  Orlando  i>,  e  rimandarne  le  note  alia 
fine  del  secondo  volume,  che  contiene  tutti  gli  scritti  minori  del 
Poeta,  ciascuno  con  le  note  a  pie  di  pagina  secondo  le  consuetu- 
dini  della  nostra  collana. 

Anche  I'introduzione  generale  alle  opere  del  Nostro  si  trova 
in  testa  al  secondo  volume. 


ORLANDO  FURIOSO 

DI  MESSER  LUDOVICO  ARIOSTO  ALLO 

ILLUSTRISSIMO  E  REVERENDISSIMO 

CARDINALE  DONNO  IPPOLITO  DA  ESTE 

SUO  SIGNORE 


CANTO    PRIMO 


I 

Le  donne,  i  cavallier,  Tarme,  gli  amori, 
le  cortesie,  1'audaci  imprese  io  canto, 
che  furo  al  tempo  che  passaro  i  Mori 
d'Africa  il  mare,  e  in  Francia  nocquer  tanto, 
seguendo  Tire  e  i  giovenil  furori 
d'Agramante  lor  re,  che  si  die  vanto 
di  vendicar  la  morte  di  Troiano 
sopra  re  Carlo  imperator  romano. 

II 

Dir6  d' Orlando  in  un  medesmo  tratto 
cosa  non  detta  in  prosa  mai  ne  in  rima: 
che  per  amor  venne  in  furore  e  matto, 
d'uom  che  si  saggio  era  stimato  prima; 
se  da  colei  che  tal  quasi  m'ha  fatto, 
che  '1  poco  ingegno  ad  or  ad  or  mi  lima, 
me  ne  sara  per6  tanto  concesso, 
che  mi  basti  a  finir  quanto  ho  promesso. 

in 

Piacciavi,  generosa  Erculea  prole, 
ornamento  e  splendor  del  secol  nostro, 
Ippolito,  aggradir  questo  che  vuole 
e  darvi  sol  puo  1'umil  servo  vostro. 
Quel  ch'io  vi  debbo,  posso  di  parole 
pagare  in  parte  e  d'opera  d'inchiostro ; 
n6  che  poco  io  vi  dia  da  imputar  sono, 
che  quanto  io  posso  dar,  tutto  vi  dono. 


ORLANDO   FURIOSO 
IV 

Voi  sentirete  fra  i  piu  degni  eroi, 
che  nominar  con  laude  m'apparecchio, 
ricordar  quel  Ruggier,  che  fu  di  voi 
e  de'  vostri  avi  illustri  il  ceppo  vecchio. 
L'alto  valore  e5  chiari  gesti  suoi 
vi  faro  udir,  se  voi  mi  date  orecchio, 
e  vostri  alti  pensier  cedino  un  poco, 
si  che  tra  lor  miei  versi  abbiano  loco. 

v 

Orlando,  che  gran  tempo  inamorato 
fu  de  la  bella  Angelica,  e  per  lei 
in  India,  in  Media,  in  Tartaria  lasciato 
avea  infiniti  et  immortal  trofei, 
in  Ponente  con  essa  era  tomato, 
dove  sotto  i  gran  monti  Pirenei 
con  la  gente  di  Francia  e  de  Lamagna 
re  Carlo  era  attendato  alia  campagna, 

vi 

per  far  al  re  Marsilio  e  al  re  Agramante 
battersi  ancor  del  folle  ardir  la  guancia, 
d'aver  condotto,  Tun,  d' Africa  quante 
genti  erano  atte  a  portar  spada  e  lancia; 
1'altro,  d'aver  spinta  la  Spagna  inante 
a  destruzion  del  bel  regno  di  Francia. 
E  cosi  Orlando  arrivo  quivi  a  punto: 
ma  tosto  si  penti  d'esservi  giunto; 

VII 

che  vi  fu  tolta  la  sua  donna  poi: 
ecco  il  giudicio  uman  come  spesso  erra! 
Quella  che  dagli  esperii  ai  liti  eoi 
avea  difesa  con  si  lunga  guerra, 
or  tolta  gli  e  fra  tanti  amici  suoi, 
senza  spada  adoprar,  ne  la  sua  terra. 
II  savio  imperator,  ch'estinguer  volse 
un  grave  incendio,  fu  che  gli  la  tolse. 


CANTO    PRIMO 
VIII 

Nata  pochi  di  inanzi  era  una  gara 
tra  il  conte  Orlando  e  il  suo  cugin  Rinaldo, 
che  ambi  avean  per  la  bellezza  rara 
d'amoroso  disio  Tanimo  caldo. 
Carlo,  che  non  avea  tal  lite  cara, 
che  gli  rendea  Faiuto  lor  men  saldo, 
questa  donzella,  che  la  causa  n'era, 
tolse,  e  die  in  mano  al  duca  di  Bavera; 

IX 

in  premio  promettendola  a  quel  d'essi 
ch'in  quel  conflitto,  in  quella  gran  giornata, 
degli  infideli  piu  copia  uccidessi, 
e  di  sua  man  prestassi  opra  piu  grata. 
Contrari  ai  voti  poi  furo  i  successi; 
ch'in  fuga  ando  la  gente  battezzata, 
e  con  molti  altri  fu  '1  duca  prigione, 
e  rest6  abbandonato  il  padiglione. 

x 

Dove,  poi  che  rimase  la  donzella 
ch'esser  dovea  del  vincitor  mercede, 
inanzi  al  caso  era  salita  in  sella, 
e  quando  bisogn6  le  spalle  diede, 
presaga  che  quel  giorno  esser  rubella 
dovea  Fortuna  alia  cristiana  fede: 
entr6  in  un  bosco,  e  ne  la  stretta  via 
rincontro  un  cavallier  ch'a  pie  venia. 

XI 

Indosso  la  corazza,  Pelmo  in  testa, 

la  spada  al  fianco,  e  in  braccio  avea  lo  scudo; 

e  piu  leggier  correa  per  la  foresta, 

ch'al  pallio  rosso  il  villan  mezzo  ignudo. 

Timida  pastorella  mai  si  presta 

non  volse  piede  inanzi  a  serpe  crudo, 

come  Angelica  tosto  il  freno  torse, 

che  del  guerrier,  ch'a  pie  venia,  s'accorse. 


ORLANDO    FURIOSO 
XII 

Era  costui  quel  paladin  gagliardo, 
figliuol  d'Amon,  signer  di  Montalbano, 
a  cui  pur  dianzi  il  suo  destrier  Baiardo 
per  strano  caso  uscito  era  di  mano. 
Come  alia  donna  egli  drizz6  lo  sguardo, 
riconobbe,  quantunque  di  lontano, 
Pangelico  sembiante  e  quel  bel  volto 
ch'all'amorose  reti  il  tenea  in  volto. 

XIII 

La  donna  il  palafreno  a  dietro  volta, 
e  per  la  selva  a  tutta  briglia  il  caccia; 
ne"  per  la  rara  piu  che  per  la  folta, 
la  piu  sicura  e  miglior  via  procaccia: 
ma  pallida,  tremando,  e  di  se  tolta, 
lascia  cura  al  destrier  che  la  via  faccia. 
Di  su  di  giu,  ne  1'alta  selva  fiera 
tanto  giro,  che  venne  a  una  riviera. 

XIV 

Su  la  riviera  Ferrau  trovosse 
di  sudor  pieno  e  tutto  polveroso. 
Da  la  battaglia  dianzi  lo  rimosse 
un  gran  disio  di  bere  e  di  riposo; 
e  poi,  mal  grado  suo,  quivi  fermosse, 
perche,  de  1'acqua  ingordo  e  frettoloso, 
1'elmo  nel  fiume  si  Iasci6  cadere, 
ne  1'avea  potuto  anco  riavere. 

xv 

Quanto  potea  piu  forte,  ne  veniva 
gridando  la  donzella  ispaventata. 
A  quella  voce  salta  in  su  la  riva 
il  Saracino,  e  nel  viso  la  guata; 
e  la  conosce  subito  ch'arriva, 
ben  che  di  timor  pallida  e  turbata, 
e  sien  piu  di  che  non  n'udi  novella, 
che  senza  dubbio  elPe  Angelica  bella. 


CANTO   PRIMO 
XVI 

E  perche  era  cortese,  e  n'avea  forse 
non  men  del  dui  cugini  il  petto  caldo, 
Faiuto  che  potea  tutto  le  porse, 
pur  come  avesse  1'elmo,  ardito  e  baldo: 
trasse  la  spada,  e  minacciando  corse 
dove  poco  di  lui  temea  Rinaldo. 
Piu  volte  s'eran  gia  non  pur  veduti, 
m'  al  paragon  de  Tarme  conosciuti. 

XVII 

Cominciar  quivi  una  crudel  battaglia, 
come  a  pie  si  trovar,  coi  brandi  ignudi: 
non  che  le  piastre  e  la  minuta  maglia, 
ma  ai  colpi  lor  non  reggerian  gPincudi. 
Or,  mentre  Tun  con  Faltro  si  travaglia, 
bisogna  al  palafren  che  '1  passo  studi; 
che  quanto  puo  menar  de  le  calcagna, 
colei  lo  caccia  al  bosco  e  alia  campagna. 

XVIII 

Poi  che  s'affaticar  gran  pezzo  invano 
i  duo  guerrier  per  por  Tun  Taltro  sotto, 
quando  non  meno  era  con  Tarme  in  mano 
questo  di  quel,  ne  quel  di  questo  dotto; 
fu  primiero  il  signer  di  Montalbano, 
ch'al  cavallier  di  Spagna  fece  motto, 
si  come  quel  c'ha  nel  cor  tanto  fuoco, 
che  tutto  n'arde  e  non  ritrova  loco. 

XIX 

Disse  al  pagan: —  Me  sol  creduto  avrai, 
e  pur  avrai  te  meco  ancora  offeso: 
se  questo  awien  perche*  i  fulgenti  rai 
del  nuovo  sol  t'abbino  il  petto  acceso, 
di  farmi  qui  tardar  che  guadagno  hai  ? 
che  quando  ancor  tu  m'abbi  morto  o  preso, 
non  per6  tua  la  bella  donna  fia, 
che,  mentre  noi  tardian,  se  ne  va  via. 


ORLANDO   FURIOSO 
XX 

Quanto  fia  meglio,  amandola  tu  ancora, 
che  tu  le  venga  a  traversar  la  strada, 
a  ritenerla  e  farle  far  dimora, 
prima  che  piu  lontana  se  ne  vada! 
Come  Tavremo  in  potestate,  allora 
di  ch'esser  dej  si  provi  con  la  spada: 
non  so  altrimenti,  dopo  un  lungo  affanno, 
che  possa  riuscirci  altro  che  danno.  — 

XXI 

Al  pagan  la  proposta  non  dispiacque: 

cosi  fu  differita  la  tenzone; 

e  tal  tregua  tra  lor  subito  nacque, 

si  Podio  e  Fira  va  in  oblivione, 

che  '1  pagano  al  partir  da  le  fresche  acque 

non  Iasci6  a  piedi  il  buon  figliol  d' Amone : 

con  preghi  invita,  et  al  fin  toglie  in  groppa, 

e  per  1'orme  d' Angelica  galoppa. 

XXII 

Oh  gran  bonta  de'  cavallieri  antiqui! 
Eran  rivali,  eran  di  fe  diversi, 
e  si  sentian  degli  aspri  colpi  iniqui 
per  tutta  la  persona  anco  dolersi; 
e  pur  per  selve  oscure  e  calli  obliqui 
insieme  van  senza  sospetto  aversi. 
Da  quattro  sproni  il  destrier  punto  arriva 
ove  una  strada  in  due  si  dipartiva. 

XXIII 

E  come  quei  che  non  sapean  se  Tuna 
o  1'altra  via  facesse  la  donzella 
(per6  che  senza  differenzia  alcuna 
apparia  in  amendue  Forma  novella), 
si  messero  ad  arbitrio  di  fortuna, 
Rinaldo  a  questa,  il  Saracino  a  quella. 
Pel  bosco  Ferrau  molto  s'awolse, 
e  ritrovossi  al  fine  onde  si  tolse. 


CANTO    PRIMO 
XXIV 

Pur  si  ritrova  ancor  su  la  riviera, 
la  dove  1'elmo  gli  casco  ne  Fonde. 
Poi  che  la  donna  ritrovar  non  spera, 
per  aver  Feline  che  '1  fiume  gli  asconde, 
in  quella  parte  onde  caduto  gli  era 
discende  ne  Testreme  umide  sponde: 
ma  quello  era  si  fitto  ne  la  sabbia, 
che  molto  avra  da  far  prima  che  Pabbia. 

xxv 

Con  un  gran  ramo  d'albero  rimondo, 
di  ch'avea  fatto  una  pertica  lunga, 
tenta  il  fiume  e  ricerca  sino  al  fondo, 
ne  loco  lascia  ove  non  batta  e  punga. 
Mentre  con  la  maggior  stizza  del  mondo 
tanto  Findugio  suo  quivi  prolunga, 
vede  di  mezzo  il  fiume  un  cavalliero 
insino  al  petto  uscir,  d'aspetto  fiero. 

XXVI 

Era,  fuor  che  la  testa,  tutto  armato, 
et  avea  un  elmo  ne  la  destra  mano : 
avea  il  medesimo  elmo  che  cercato 
da  Ferrau  fu  lungamente  invano. 
A  Ferrau  par!6  come  adirato, 
e  disse:  —  Ah  mancator  di  fe",  marano! 
perche  di  lasciar  1'elmo  anche  t'aggrevi, 
che  render  gia  gran  tempo  mi  dovevi  ? 

XXVII 

Ricordati,  pagan,  quando  uccidesti 
d' Angelica  il  fratel  (che  son  quelPio), 
dietro  all'altr'arme  tu  mi  promettesti 
gittar  fra  pochi  di  Pelmo  nel  rio. 
Or  se  Fortuna  (quel  che  non  volesti 
far  tu)  pone  ad  effetto  il  voler  mio, 
non  ti  turbare;  e  se  turbar  ti  dei, 
turbati  che  di  fe  mancato  sei. 


10  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

Ma  $e  desir  pur  hai  cTun  elmo  fino, 
trovane  un  altro,  et  abbil  con  piu  onore; 
un  tal  ne  porta  Orlando  paladino, 
un  tal  Rinaldo,  e  forse  anco  migliore: 
1'un  fu  d'Amonte,  e  1'altro  di  Mambrino: 
acquista  un  di  quei  duo  col  tuo  valore; 
e  questo,  c'hai  gia  di  lasciarmi  detto, 
farai  bene  a  lasciarmi  con  effetto. — 

XXIX 

AlFapparir  che  fece  alPimproviso 

de  1'acqua  1'ombra,  ogni  pelo  arricciossi, 

e  scolorossi  al  Saracino  il  viso; 

la  voce,  ch'era  per  uscir,  fermossi. 

Udendo  poi  da  PArgalia,  ch'ucciso 

quivi  avea  gia  (che  TArgalia  nomossi), 

la  rotta  fede  cosi  improverarse, 

di  scorno  e  d'ira  dentro  e  di  fuor  arse. 

xxx 

Ne  tempo  avendo  a  pensar  altra  scusa, 
e  conoscendo  ben  che  '1  ver  gli  disse, 
resto  senza  risposta  a  bocca  chiusa; 
ma  la  vergogna  il  cor  si  gli  traffisse, 
che  giur6  per  la  vita  di  Lanfusa 
non  voler  mai  ch'altro  elmo  lo  coprisse, 
se  non  quel  buono  che  gia  in  Aspramonte 
trasse  del  capo  Orlando  al  fiero  Almonte. 

XXXI 

E  serv6  meglio  questo  giuramento, 
che  non  avea  quell' altro  fatto  prima. 
Quindi  si  parte  tanto  malcontento, 
che  molti  giorni  poi  si  rode  e  lima. 
Sol  di  cercare  &  il  paladino  intento 
di  qua  di  la,  dove  trovarlo  stima. 
Altra  ventura  al  buon  Rinaldo  accade, 
che  da  costui  tenea  diverse  strade. 


CANTO    PRIMO  II 

XXXII 

Non  molto  va  Rinaldo,  che  si  vede 
saltare  inanzi  il  suo  destrier  feroce: 
—  Ferma,  Baiardo  mio,  deh,  ferma  il  piede! 
che  Fesser  senza  te  troppo  mi  nuoce.  — 
Per  questo  il  destrier  sordo  a  lui  non  riede, 
anzi  piu  se  ne  va  sempre  veloce. 
Segue  Rinaldo,  e  d'ira  si  distrugge: 
ma  seguitiamo  Angelica  che  fugge. 

XXXIII 

Fugge  tra  selve  spaventose  e  scure, 

per  lochi  inabitati,  ermi  e  selvaggi. 

II  mover  de  le  frondi  e  di  verzure, 

che  di  cerri  sentia,  d'olmi  e  di  faggi, 

fatto  le  avea  con  subite  paure 

trovar  di  qua  di  la  strani  viaggi; 

ch'ad  ogni  ombra  veduta  o  in  monte  o  in  valle, 

temea  Rinaldo  aver  sempre  alle  spalle. 

xxxiv 

Qual  pargoletta  o  damma  o  capriuola, 
che  tra  le  fronde  del  natio  boschetto 
alia  madre  veduta  abbia  la  gola 
stringer  dal  par  do,  o  aprirle  '1  fianco  o  '1  petto, 
di  selva  in  selva  dal  crudel  s'invola, 
e  di  paura  triema  e  di  sospetto: 
ad  ogni  sterpo  che  passando  tocca, 
esser  si  crede  all'empia  fera  in  bocca. 

xxxv 

Quel  di  e  la  notte  e  mezzo  Paltro  giorno 
s'and6  aggirando,  e  non  sapeva  dove: 
trovossi  al  fine  in  un  boschetto  adorno, 
che  lievemente  la  fresca  aura  muove. 
Duo  chiari  rivi,  mormorando  intorno, 
sempre  Terbe  vi  fan  tenere  e  nuove; 
e  rendea  ad  ascoltar  dolce  concento, 
rotto  tra  picciol  sassi,  il  correr  lento. 


12  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

Quivi  parendo  a  lei  d'esser  sicura 

e  lontana  a  Rinaldo  mille  miglia, 

da  la  via  stanca  e  da  Pestiva  arsura, 

di  riposare  alquanto  si  consiglia: 

tra'  fiori  smonta,  e  lascia  alia  pastura 

andare  il  palafren  senza  la  briglia; 

e  quel  va  errando  intorno  alle  chiare  onde, 

che  di  fresca  erba  avean  piene  le  sponde. 

XXXVII 

Ecco  non  lungi  un  bel  cespuglio  vede 

di  prun  fioriti  e  di  vermiglie  rose, 

che  de  le  liquide  onde  al  specchio  siede, 

chiuso  dal  sol  fra  Talte  quercie  ombrose; 

cosi  voto  nel  mezzo,  che  concede 

fresca  stanza  fra  1'ombre  piu  nascose: 

e  la  foglia  coi  rami  in  modo  e  mista, 

che  '1  sol  non  v'entra,  non  che  minor  vista. 

XXXVIII 

Dentro  letto  vi  fan  tenere  erbette, 
ch'invitano  a  posar  chi  s'appresenta. 
La  bella  donna  in  mezzo  a  quel  si  mette, 
ivi  si  corca  et  ivi  s'addormenta. 
Ma  non  per  lungo  spazio  cosi  stette, 
che  un  calpestio  le  par  che  venir  senta: 
cheta  si  leva,  e  appresso  alia  riviera 
vede  ch'armato  un  cavallier  giunt'era. 

XXXIX 

Se  gli  e  amico  o  nemico  non  comprende: 
tema  e  speranza  il  dubbio  cor  le  scuote; 
e  di  quella  aventura  il  fine  attende, 
ne  pur  d'un  sol  sospir  1'aria  percuote. 
II  cavalliero  in  riva  al  fiume  scende 
sopra  1'un  braccio  a  riposar  le  gote; 
e  in  un  suo  gran  pensier  tanto  penetra, 
che  par  cangiato  in  insensibil  pietra. 


CANTO    PRIMO  13 

XL 

Pensoso  piii  d'un'ora  a  capo  basso 
stette,  Signore,  il  cavallier  dolente; 
poi  comincio  con  suono  afflitto  e  lasso 
a  lamentarsi  si  soavemente, 
ch'avrebbe  di  pieta  spezzato  un  sasso, 
una  tigre  crudel  fatta  clemente. 
Sospirando  piangea,  tal  ch'un  ruscello 
parean  le  guancie,  e  '1  petto  un  Mongibello. 

XLI 

—  Pensier  —  dicea—  die  1  cor  m'aggiacci  et  ardi, 

e  causi  il  duol  che  sempre  il  rode  e  lima, 

che  debbo  far,  poi  ch'io  son  giunto  tardi, 

e  ch'altri  a  corre  il  frutto  e  andato  prima? 

a  pena  avuto  io  n'ho  parole  e  sguardi, 

et  altri  n'ha  tutta  la  spoglia  opima. 

Se  non  ne  tocca  a  me  frutto  ne  fiore, 

perche  affliger  per  lei  mi  vuo'  piu  il  core  ? 

XLII 

La  verginella  e  simile  alia  rosa, 
ch'in  bel  giardin  su  la  nativa  spina 
mentre  sola  e  sicura  si  riposa, 
ne  gregge  n£  pastor  se  le  avicina; 
Taura  soave  e  Talba  rugiadosa, 
1'acqua,  la  terra  al  suo  favor  s'inchina: 
gioveni  vaghi  e  donne  inamorate 
amano  averne  e  seni  e  tempie  ornate. 

XLIII 

Ma  non  si  tosto  dal  materno  stelo 
rimossa  viene,  e  dal  suo  ceppo  verde, 
che  quanto  avea  dagli  uomini  e  dal  cielo 
favor,  grazia  e  bellezza,  tutto  perde. 
La  vergine  che  '1  fior,  di  che  piu  zelo 
che  de'  begli  occhi  e  de  la  vita  aver  de', 
lascia  altrui  corre,  il  pregio  ch'avea  inanti 
perde  nel  cor  di  tutti  gli  altri  amanti. 


14  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Sia  vile  agli  altri,  e  da  quel  solo  amata 
a  cui  di  se"  fece  si  larga  copia. 
Ah,  Fortuna  crudel,  Fortuna  ingrata! 
trionfan  gli  altri,  e  ne  moro  io  d'inopia. 
Dunque  esser  pu6  che  non  mi  sia  piii  grata? 
dunque  io  posso  lasciar  mia  vita  propia? 
Ah  piu  tosto  oggi  manchino  i  di  miei, 
ch'io  viva  piu,  s'amar  non  debbo  lei!  — 

XLV 

Se  mi  domanda  alcun  chi  costui  sia 
che  versa  sopra  il  rio  lacrime  tante, 
io  dir6  ch'egli  e  il  re  di  Circassia, 
quel  d'amor  travagliato  Sacripante ; 
io  diro  ancor  che  di  sua  pena  ria 
sia  prima  e  sola  causa  essere  amante, 
e  pur  un  degli  amanti  di  costei: 
e  ben  riconosciuto  fa  da  lei. 

XLVI 

Appresso  ove  il  sol  cade,  per  suo  amore 
venuto  era  dal  capo  d'Oriente; 
che  seppe  in  India  con  suo  gran  dolore, 
come  ella  Orlando  sequit6  in  Ponente: 
poi  seppe  in  Francia  che  Pimperatore 
sequestrata  Tavea  da  Taltra  gente, 
per  darla  alTun  dej  duo  che  contra  il  Moro 
piu  quel  giorno  aiutasse  i  Gigli  d'oro. 

XL  VII 

Stato  era  in  campo,  e  inteso  avea  di  quella 
rotta  crudel  che  dianzi  ebbe  re  Carlo: 
cerco  vestigio  d' Angelica  bella, 
ne  potuto  avea  ancora  ritrovarlo. 
Questa  e  dunque  la  trista  e  ria  novella 
che  d'amorosa  doglia  fa  penarlo, 
affligger,  lamentare  e  dir  parole 
che  di  pieta  potrian  fermare  il  sole. 


CANTO    PRIMO  15 

XLVIII 

Mentre  costui  cosi  s'affligge  e  duole, 
e  fa  degli  occhi  suoi  tepida  fonte, 
e  dice  queste  e  molte  altre  parole, 
die  non  mi  par  bisogno  esser  racconte; 
Taventurosa  sua  fortuna  vuole 
ch'alle  orecchie  d' Angelica  sian  conte: 
e  cosi  quel  ne  viene  a  un'ora,  a  un  punto, 
ch'in  mille  anni  o  mai  piu  non  e  raggiunto. 

XLIX 

Con  molta  attenzion  la  bella  donna 
al  pianto,  alle  parole,  al  modo  attende 
di  colui  ch'in  amarla  non  assonna; 
ne  questo  e  il  primo  di  ch'ella  Tintende: 
ma  dura  e  fredda  piu  d'una  colonna, 
ad  averne  pieta  non  per6  scende, 
come  colei  c'ha  tutto  il  mondo  a  sdegno, 
e  non  le  par  ch'alcun  sia  di  lei  degno. 

L 

Pur  tra  quei  boschi  il  ritrovarsi  sola 
le  fa  pensar  di  tor  costui  per  guida; 
che  chi  ne  Facqua  sta  fin  alia  gola, 
ben  e  ostinato  se  merce  non  grida. 
Se  questa  occasione  or  se  Finvola, 
non  trovera  mai  piu  scorta  si  fida; 
ch'a  lunga  prova  conosciuto  inante 
s'avea  quel  re  fedel  sopra  ogni  amante. 

LI 

Ma  non  pero  disegna  de  Faffanno 
che  lo  distrugge  alleggierir  chi  Tama, 
e  ristorar  d'ogni  passato  danno 
con  quel  piacer  ch'ogni  amator  piu  brama: 
ma  alcuna  finzione,  alcuno  inganno 
di  tenerlo  in  speranza  ordisce  e  trama; 
tanto  ch'a  quel  bisogno  se  ne  serva, 
poi  torni  all'uso  suo  dura  e  proterva. 


l6  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

E  fuor  di  quel  cespuglio  oscuro  e  cieco 
fa  di  se  bella  et  improvisa  mostra, 
come  di  selva  o  fuor  d'ombroso  speco 
Diana  in  scena  o  Citerea  si  mostra; 
e  dice  alPapparir:  —  Pace  sia  teco; 
teco  difenda  Dio  la  fama  nostra, 
e  non  comporti,  contra  ogni  ragione, 
ch'abbi  di  me  si  falsa  opinione.  — 

LIU 

Non  mai  con  tanto  gaudio  o  stupor  tanto 
levo  gli  occhi  al  figliuolo  alcuna  madre, 
ch'avea  per  morto  sospirato  e  pianto, 
poi  che  senza  esso  udi  tornar  le  squadre; 
con  quanto  gaudio  il  Saracin,  con  quanto 
stupor  1'alta  presenza  e  le  leggiadre 
maniere  e  il  vero  angelico  sembiante, 
improviso  apparir  si  vide  inante. 

LIV 

Pieno  di  dolce  e  d'amoroso  affetto, 
alia  sua  donna,  alia  sua  diva  corse, 
che  con  le  braccia  al  collo  il  tenne  stretto, 
quel  ch'al  Catai  non  avria  fatto  forse. 
Al  patrio  regno,  al  suo  natio  ricetto, 
seco  avendo  costui,  1'animo  torse: 
subito  in  lei  s'awiva  la  speranza 
di  tosto  riveder  sua  ricca  stanza. 

LV 

Ella  gli  rende  conto  pienamente 
dal  giorno  che  mandate  fu  da  lei 
a  domandar  soccorso  in  Oriente 
al  re  de'  Sericani  Nabatei; 
e  come  Orlando  la  guard6  so  vent  e 
da  morte,  da  disnor,  da  casi  rei: 
e  che  '1  fior  virginal  cosi  avea  salvo, 
come  se  lo  porto  del  materno  alvo. 


CANTO    PRIMO  17 

LVI 

Forse  era  ver,  ma  non  pero  credibile 
a  chi  del  senso  suo  fosse  signore; 
ma  parve  facilmente  a  lui  possibile, 
ch'era  perduto  in  via  piu  grave  errore. 
Quel  che  Tuom  vede,  Amor  gli  fa  invisibile, 
e  1'invisibil  fa  vedere  Amore. 
Questo  creduto  fa;  che  Jl  miser  suole 
dar  facile  credenza  a  quel  che  vuole. 

LVII 

«  Se  mal  si  seppe  il  cavallier  d'Anglante 
pigliar  per  sua  sciochezza  il  tempo  buono, 
il  danno  se  ne  avra;  che  da  qui  inante 
nol  chiamera  Fortuna  a  si  gran  dono : » 
tra  se  tacito  parla  Sacripante 
«ma  io  per  imitarlo  gia  non  sono, 
che  lasci  tanto  ben  che  m'e  concesso, 
e  ch'a  doler  poi  m'abbia  di  me  stesso. 

LVIII 

Corr6  la  fresca  e  matutina  rosa, 
che,  tardando,  stagion  perder  potria. 
So  ben  ch'a  donna  non  si  pu6  far  cosa 
che  piu  soave  e  piu  piacevol  sia, 
ancor  che  se  ne  mostri  disdegnosa, 
e  talor  mesta  e  flebil  se  ne  stia: 
non  staro  per  repulsa  o  finto  sdegno, 
ch'io  non  adombri  e  incarni  il  mio  disegno.» 

LIX 

Cosi  dice  egli;  e  mentre  s'apparecchia 
al  dolce  assalto,  un  gran  rumor  che  suona 
dal  vicin  bosco  gl'intruona  1'orecchia, 
si  che  mal  grado  Timpresa  abbandona, 
e  si  pon  Telmo  (ch'avea  usanza  vecchia 
di  portar  sempre  armata  la  persona). 
Viene  al  destriero,  e  gli  ripon  la  briglia: 
rimonta  in  sella  e  la  sua  lancia  piglia. 


l8  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

Ecco  pel  bosco  un  cavallier  venire, 
il  cui  sembiante  e  d'uom  gagliardo  e  fiero: 
candido  come  nieve  e  il  suo  vestire, 
un  bianco  pennoncello  ha  per  cimiero. 
Re  Sacripante,  che  non  puo  patire 
che  quel  con  rimportuno  suo  sentiero 
gli  abbia  interrotto  il  gran  piacer  ch'avea, 
con  vista  il  guarda  disdegnosa  e  rea. 

LXI 

Come  e  piii  presso,  lo  sfida  a  battaglia; 
che  crede  ben  fargli  votar  Tarcione. 
Quel  che  di  lui  non  stimo  gia  che  vaglia 
un  grano  meno,  e  ne  fa  paragone, 
1'orgogliose  minaccie  a  mezzo  taglia, 
sprona  a  un  tempo,  e  la  lancia  in  resta  pone. 
Sacripante  ritorna  con  tempesta, 
e  corronsi  a  ferir  testa  per  testa. 

LXII 

Non  si  vanno  i  leoni  o  i  tori  in  salto 
a  dar  di  petto,  ad  accozzar  si  crudi, 
si  come  i  duo  guerrieri  al  fiero  assalto, 
che  parimente  si  passar  gli  scudi. 
Fe'  lo  scontro  tremar  dal  basso  alPalto 
1'erbose  valli  insino  ai  poggi  ignudi; 
e  ben  giov6  che  fur  buoni  e  perfetti 
gli  osberghi  si,  che  lor  salvaro  i  petti. 

LXIII 

Gia  non  fero  i  cavalli  un  correr  torto, 
anzi  cozzaro  a  guisa  di  montoni: 
quel  del  guerrier  pagan  mori  di  corto, 
ch'era  vivendo  in  numero  de*  buoni; 
quell'altro  cadde  ancor,  ma  fu  risorto 
tosto  ch'al  fianco  si  senti  gli  sproni. 
Quel  del  re  saracin  rest6  disteso 
adosso  al  suo  signor  con  tutto  il  peso. 


CANTO    PRIMO  19 

LXIV 

L'incognito  campion  che  rest6  ritto, 
e  vide  Taltro  col  cavallo  in  terra, 
stimando  avere  assai  di  quel  conflitto, 
non  si  cur6  di  rinovar  la  guerra; 
ma  dove  per  la  selva  e  il  camin  dritto, 
correndo  a  tutta  briglia  si  disserra; 
e  prima  che  di  briga  esca  il  pagano, 
un  miglio  o  poco  meno  e  gia  lontano. 

LXV 

Qual  istordito  e  stupido  aratore, 
poi  ch'e  passato  il  fulmine,  si  leva 
di  la  dove  Taltissimo  fragore 
appresso  ai  morti  buoi  steso  Paveva; 
che  mira  senza  fronde  e  senza  onore 
il  pin  che  di  lontan  veder  soleva: 
tal  si  Iev6  il  pagano  a  pie  rimaso, 
Angelica  presente  al  duro  caso. 

LXVI 

Sospira  e  geme,  non  perche  Tannoi 
che  piede  o  braccia  s'abbi  rotto  o  mosso, 
ma  per  vergogna  sola,  ohde  a'  di  suoi 
ne  pria  ne  dopo  il  viso  ebbe  si  rosso : 
e  piu,  ch'oltre  al  cader,  sua  donna  poi 
fu  che  gli  tolse  il  gran  peso  d'adosso. 
Muto  restava,  mi  cred'io,  se  quella 
non  gli  rendea  la  voce  e  la  favella. 

LXVII 

—  Deh!  —  diss'ella —  signor,  non  vi  rincresca! 

che  del  cader  non  e  la  colpa  vostra, 

ma  del  cavallo,  a  cui  riposo  et  esca 

meglio  si  convenia  che  nuova  giostra. 

N6  percid  quel  guerrier  sua  gloria  accresca; 

che  d'esser  stato  il  perditor  dimostra: 

cosi,  per  quel  ch'io  me  ne  sappia,  stimo, 

quando  a  lasciare  il  campo  e  stato  primo.  — 


20  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

Mentre  costei  conforta  il  Saracino, 
ecco  col  corno  e  con  la  tasca  al  fianco, 
galoppando  venir  sopra  un  ronzino 
un  messaggier  che  parea  afflitto  e  stance; 
che  come  a  Sacripante  fu  vicino, 
gli  domand6  se  con  un  scudo  bianco 
e  con  un  bianco  pennoncello  in  testa 
vide  un  guerrier  passar  per  la  foresta. 

LXIX 

Rispose  Sacripante :  —  Come  vedi, 
m'ha  qui  abbattuto,  e  se  ne  parte  or  ora; 
e  perch'io  sappia  chi  m'ha  messo  a  piedi, 
fa  che  per  nome  io  lo  conosca  ancora.  — 
Et  egli  a  lui :  —  Di  quel  che  tu  mi  chiedi, 

10  ti  satisfar6  senza  dimora: 

tu  dei  saper  che  ti  Iev6  di  sella 
Talto  valor  d'una  gentil  donzella. 

LXX 

Ella  e  gagliarda  et  e  piii  bella  molto ; 
ne  il  suo  famoso  nome  anco  t'ascondo: 
fu  Bradamante'quella  che  t'ha  tolto 
quanto  onor  mai  tu  guadagnasti  al  mondo. 
Poi  ch'ebbe  cosi  detto,  a  freno  sciolto 

11  Saracin  Iasci6  poco  giocondo, 

che  non  sa  che  si  dica  o  che  si  faccia, 
tutto  awampato  di  vergogna  in  faccia. 

LXXI 

Poi  che  gran  pezzo  al  caso  intervenuto 
ebbe  pensato  invano,  e  finalmente 
si  trov6  da  una  femina  abbattuto, 
che  pensandovi  piu,  piii  dolor  sente; 
mont6  1'altro  destrier,  tacito  e  muto: 
e  senza  far  parola,  chetamente 
tolse  Angelica  in  groppa,  e  differilla 
a  piu  lieto  uso,  a  stanza  piu  tranquilla. 


CANTO    PRIMO 
LXXII 

Non  furo  iti  duo  miglia,  che  sonare 
odon  la  selva  che  li  cinge  intorno, 
con  tal  rumore  e  strepito,  che  pare 
che  triemi  la  foresta  d'ogn'intorno ; 
e  poco  dopo  un  gran  destrier  n'appare, 
d'oro  guernito  e  riccamente  adorno, 
che  salta  macchie  e  rivi,  et  a  fracasso 
arbori  mena  e  cio  che  vieta  il  passo. 

LXXIII 

—  Se  Tintricati  rami  e  1'aer  fosco  — 
disse  la  donna  —  agli  occhi  non  contende, 
Baiardo  e  quel  destrier  ch'in  mezzo  il  bosco 
con  tal  rumor  la  chiusa  via  si  fende. 
Questo  e  certo  Baiardo,  io  '1  riconosco: 
deh,  come  ben  nostro  bisogno  intende! 
ch'un  sol  ronzin  per  dui  saria  mal  atto, 
e  ne  viene  egli  a  satisfarci  ratto.  — 

LXXIV 

Smonta  il  Circasso  et  al  destrier  s'accosta, 
e  si  pensava  dar  di  mano  al  freno. 
Colle  groppe  il  destrier  gli  fa  risposta, 
che  fu  presto  a  girar  come  un  baleno; 
ma  non  arriva  dove  i  calci  apposta: 
misero  il  cavallier  se  giungea  a  pieno! 
che  nei  calci  tal  possa  avea  il  cavallo, 
ch/avria  spezzato  un  monte  di  metallo. 

LXXV 

Indi  va  mansueto  alia  donzella, 
con  umile  sembiante  e  gesto  umano, 
come  intorno  al  padrone  il  can  saltella, 
che  sia  duo  giorni  o  tre  stato  lontano. 
Baiardo  ancora  avea  memoria  d'ella, 
ch'in  Albracca  il  servia  gia  di  sua  mano 
nel  tempo  che  da  lei  tanto  era  amato 
Rinaldo,  allor  crudele,  allor  ingrato. 


22  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Con  la  sinistra  man  prende  la  briglia, 
con  Paltra  tocca  e  palpa  il  collo  e  '1  petto; 
quel  destrier,  ch'avea  ingegno  a  maraviglia, 
a  lei,  come  un  agnel,  si  fa  suggetto. 
Intanto  Sacripante  il  tempo  piglia: 
monta  Baiardo,  e  Purta  e  lo  tien  stretto. 
Del  ronzin  disgravato  la  donzella 
lascia  la  groppa,  e  si  ripone  in  sella. 

LXXVII 

Poi  rivolgendo  a  caso  gli  occhi,  mira 
venir  sonando  d'arme  un  gran  pedone. 
Tutta  s'awampa  di  dispetto  e  d'ira, 
che  conosce  il  figliuol  del  duca  Amone. 
Piu  che  sua  vita  Pama  egli  e  desira; 
1'odia  e  fugge  ella  piu  che  gru  falcone, 
Gia  fu  ch'esso  odi6  lei  piu  che  la  morte; 
ella  am6  lui:  or  han  cangiato  sorte. 

LXXVIII 

E  questo  hanno  causato  due  fontane 
che  di  diverso  effetto  hanno  liquore, 
ambe  in  Ardenna,  e  non  sono  lontane : 
d'amoroso  disio  Tuna  empie  il  core; 
chi  bee  de  1'altra,  senza  amor  rimane, 
e  volge  tutto  in  ghiaccio  il  primo  ardore. 
Rinaldo  gust6  d'una,  e  amor  lo  strugge: 
Angelica  de  1'altra,  e  Podia  e  fugge. 

LXXIX 

Quel  liquor  di  secreto  venen  misto, 
che  muta  in  odio  1'amorosa  cura, 
fa  che  la  donna  che  Rinaldo  ha  visto, 
nei  sereni  occhi  subito  s'oscura; 
e  con  voce  tremante  e  viso  tristo 
supplica  Sacripante  e  lo  scongiura 
che  quel  guerrier  piu  appresso  non  attenda, 
ma  ch'insieme  con  lei  la  fuga  prenda. 


CANTO   PRIMO  23 

LXXX 

—  Son  dunque,  —  disse  il  Saracino  —  sono 

dmxque  in  si  poco  credito  con  vui, 

che  mi  stimiate  inutile,  e  non  buono 

da  potervi  difender  da  costui  ? 

Le  battaglie  d'Albracca  gia  yi  sono 

di  mente  uscite,  e  la  notte  ch'io  fui 

per  la  salute  vostra,  solo  e  nudo, 

contra  Agricane  e  tutto  il  campo,  scudo  ?  — 

LXXXI 

Non  risponde  ella,  e  non  sa  che  si  faccia, 
perche  Rinaldo  ormai  Pe  troppo  appresso, 
che  da  lontano  al  Saracin  minaccia, 
come  vide  il  cavallo  e  conobbe  esso, 
e  riconobbe  Pangelica  faccia 
che  P  amoroso  incendio  in  cor  gli  ha  messo. 
Quel  che  segui  tra  questi  duo  superbi 
vo'  che  per  Faltro  canto  si  riserbi. 


24  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO  SECONDO 


I 

Ingiustissimo  Amor,  perche  si  raro 
corrispondenti  fai  nostri  desiri  ? 
onde,  perfido,  awien  che  t'e  si  caro 
il  discorde  voler  ch'in  duo  cor  miri  ? 
Gir  non  mi  lasci  al  facil  guado  e  chiaro, 
e  nel  piu  cieco  e  maggior  fondo  tin: 
da  chi  disia  il  mio  amor  tu  mi  richiami, 
e  chi  m'ha  in  odio  vuoi  ch'adori  et  ami. 

ii 

Fai  ch'a  Rinaldo  Angelica  par  bella, 
quando  esso  a  lei  brutto  e  spiacevol  pare: 
quando  le  parea  bello  e  I'amava  ella, 
egli  odio  lei  quanto  si  pu6  piu  odiare. 
Ora  s'affigge  indarno  e  si  flagella; 
cosi  renduto  ben  gli  e  pare  a  pare: 
ella  1'ha  in  odio,  e  1'odio  e  di  tal  sorte, 
che  piu  tosto  che  lui  vorria  la  morte. 

Ill 

Rinaldo  al  Saracin  con  molto  orgoglio 
grid6 :  —  Scendi,  ladron,  del  mio  cavallo ! 
Che  mi  sia  tolto  il  mio,  patir  non  soglio, 
ma  ben  fo,  a  chi  lo  vuol,  caro  costallo: 
e  levar  questa  donna  anco  ti  voglio, 
che  sarebbe  a  lasciartela  gran  fallo. 
Si  perfetto  destrier,  donna  si  degna 
a  un  ladron  non  mi  par  che  si  convegna.  - 


CANTO    SECONDO  25 

IV 

—  Tu  te  ne  menti  che  ladrone  io  sia  — 
rispose  il  Saracin  non  meno  altiero 

—  chi  dicesse  a  te  ladro,  lo  diria 
(quanto  io  n'odo  per  fama)  piu  con  vero. 
La  pruova  or  si  vedra,  chi  di  noi  sia 
piu  degno  de  la  donna  e  del  destriero; 
ben  che,  quanto  a  lei,  teco  io  mi  convegna 
che  non  e  cosa  al  mondo  altra  si  degna.  — 

v 

Come  soglion  talor  duo  can  mordenti, 
o  per  invidia  o  per  altro  odio  mossi, 
avicinarsi  digrignando  i  denti, 
con  occhi  bieci  e  piu  che  bracia  rossi; 
indi  a'  morsi  venir,  di  rabbia  ardenti, 
con  aspri  ringhi  e  ribuffati  dossi: 
cosi  alle  spade  e  dai  gridi  e  da  Tonte 
venne  il  Circasso  e  quel  di  Chiaramonte. 

VI 

A  piedi  e  Tun,  Paltro  a  cavallo:  or  quale 
credete  ch'abbia  il  Saracin  vantaggio  ? 
Ne  ve  n'ha  pero  alcun;  che  cosi  vale 
forse  ancor  men  ch'uno  inesperto  paggio; 
che  '1  destrier  per  instinto  naturale 
non  volea  fare  al  suo  signore  oltraggio: 
ne  con  man  ne  con  spron  potea  il  Circasso 
farlo  a  volunta  sua  muover  mai  passo. 

VII 

Quando  crede  cacciarlo,  egli  s'arresta; 
e  se  tener  lo  vuole,  o  corre  o  trotta: 
poi  sotto  il  petto  si  caccia  la  testa, 
giuoca  di  schiene  e  mena  calci  in  frotta. 
Vedendo  il  Saracin  ch'a  domar  questa 
bestia  superba  era  mal  tempo  allotta, 
ferma  le  man  sul  primo  arcione  e  s'alza, 
e  dal  sinistro  fianco  in  piede  sbalza. 


26  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Sciolto  che  fu  il  pagan  con  leggier  salto 

da  1'ostinata  furia  di  Baiardo, 

si  vide  cominciar  ben  degno  assalto 

d'un  par  di  cavallier  tanto  gagliardo. 

Suona  Tun  brando  e  1'altro,  or  basso  or  alto: 

il  martel  di  Vulcano  era  piii  tardo 

ne  la  spelunca  affumicata,  dove 

battea  all'incude  i  folgori  di  Giove. 

IX 

Fanno  or  con  lunghi,  ora  con  finti  e  scarsi 
colpi  veder  che  mastri  son  del  giuoco: 
or  li  vedi  ire  altieri,  or  rannicchiarsi, 
ora  coprirsi,  ora  mostrarsi  un  poco, 
ora  crescere  inanzi,  ora  ritrarsi, 
ribatter  colpi,  e  spesso  lor  dar  loco, 
girarsi  intorno ;  e  donde  1'uno  cede, 
1'altro  aver  posto  immantinente  il  piede. 


Ecco  Rinaldo'  con  la  spada  adosso 

a  Sacripante  tutto  s'abbandona; 

e  quel  porge  lo  scudo,  ch'era  d'osso, 

con  la  piastra  d'acciar  temprata  e  buona. 

Taglial  Fusberta,  ancor  che  molto  grosso : 

ne  geme  la  foresta  e  ne  risuona. 

L'osso  e  Pacciar  ne  va  che  par  di  ghiaccio, 

e  lascia  al  Saracin  stordito  il  braccio. 

XI 

Quando  vide  la  timida  donzella 
dal  fiero  colpo  uscir  tanta  ruina, 
per  gran  timor  cangi6  la  faccia  bella, 
qual  il  reo  ch'al  supplicio  s'awicina; 
ne  le  par  che  vi  sia  da  tar  dar,  s'ella 
non  vuol  di  quel  Rinaldo  esser  rapina, 
di  quel  Rinaldo  ch'ella  tanto  odiava, 
quanto  esso  lei  miseramente  amava. 


CANTO    SECONDO  27 

XII 

Volta  il  cavallo,  e  ne  la  selva  folta 

10  caccia  per  un  aspro  e  stretto  calle: 
e  spesso  il  viso  smorto  a  dietro  volta; 
che  le  par  che  Rinaldo  abbia  alle  spalle. 
Fuggendo  non  avea  fatto  via  molta, 
che  scontr6  un  eremita  in  una  valle, 
ch'avea  lunga  la  barba  a  mezzo  il  petto, 
devoto  e  venerabile  d'aspetto. 

XIII 

Dagli  anni  e  dal  digiuno  attenuato, 
sopra  un  lento  asinel  se  ne  veniva; 
e  parea,  piu  ch'alcun  fosse  mai  stato, 
di  conscienza  scrupulosa  e  schiva. 
Come  egli  vide  il  viso  delicato 
de  la  donzella  che  sopra  gli  arriva, 
debil  quantunque  e  mal  gagliarda  fosse, 
tutta  per  carita  se  gli  commosse. 

XIV 

La  donna  al  fraticel  chiede  la  via 
che  la  conduca  ad  un  porto  di  mare, 
perche  levar  di  Francia  si  vorria 
per  non  udir  Rinaldo  nominare. 

11  frate,  che  sapea  negromanzia, 
non  cessa  la  donzella  confortare 
che  presto  la  trarra  d'ogni  periglio; 
et  ad  una  sua  tasca  die  di  piglio. 

xv 

Trassene  un  libro,  e  mostr6  grande  effetto; 
che  legger  non  fini  la  prima  faccia, 
ch'uscir  fa  un  spirto  in  forma  di  valletto, 
e  gli  commanda  quanto  vuol  ch'el  faccia. 
Quel  se  ne  va,  da  la  scrittura  astretto, 
dove  i  dui  cavallieri  a  faccia  a  faccia 
eran  nel  bosco,  e  non  stavano  al  rezzo; 
fra'  quali  entr6  con  grande  audacia  in  mezzo. 


28  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

—  Per  cortesia,  —  disse  —  un  di  voi  mi  mostre, 

quando  anco  uccida  1'altro,  che  gli  vaglia: 

che  merto  avrete  alle  fatiche  vostre, 

finita  che  tra  voi  sia  la  battaglia, 

se  31  conte  Orlando,  senza  liti  o  giostre, 

e  senza  pur  aver  rotta  una  maglia, 

verso  Parigi  mena  la  donzella 

che  v'ha  condotti  a  questa  pugna  fella? 

XVII 

Vicino  un  miglio  ho  ritrovato  Orlando 
che  ne  va  con  Angelica  a  Parigi, 
di  voi  ridendo  insieme,  e  mottegiando 
che  senza  frutto  alcun  siate  in  litigi. 
II  meglio  forse  vi  sarebbe,  or  quando 
non  son  piu  lungi,  a  seguir  lor  vestigi; 
che  s'in  Parigi  Orlando  la  puo  avere, 
non  ve  la  lascia  mai  piu  rivedere.  — 

XVIII 

Veduto  avreste  i  cavallier  turbarsi 
a  quel  annunzio,  e  mesti  e  sbigottiti, 
senza  occhi  e  senza  mente  nominarsi, 
che  gli  avesse  il  rival  cosi  scherniti; 
ma  il  buon  Rinaldo  al  suo  cavallo  trarsi 
con  sospir  che  parean  del  fuoco  usciti, 
e  giurar  per  isdegno  e  per  furore, 
se  giungea  Orlando,  di  cavargli  il  core. 

XIX 

E  dove  aspetta  il  suo  Baiardo,  passa, 
e  sopra  vi  si  lancia,  e  via  galoppa, 
ne  al  cavallier,  ch'a  pie  nel  bosco  lassa, 
pur  dice  a  Dio,  non  che  lo  'nviti  in  groppa. 
L'animoso  cavallo  urta  e  fracassa, 
punto  dal  suo  signor,  cio  ch'egli  'ntoppa: 
non  ponno  fosse  o  fiumi  o  sassi  o  spine 
far  che  dal  corso  il  corridor  decline. 


CANTO    SECONDO  29 

XX 

Signer,  non  voglio  che  vi  paia  strano 
se  Rinaldo  or  si  tosto  il  destrier  piglia, 
che  gia  piu  giorni  ha  seguitato  invano, 
ne  gli  ha  possuto  mai  toccar  la  briglia. 
Fece  il  destrier,  ch'avea  intelletto  umano, 
non  per  vizio  seguirsi  tante  miglia, 
ma  per  guidar  dove  la  donna  giva, 
il  suo  signor,  da  chi  bramar  Pudiva. 

XXI 

Quando  ella  si  fuggi  dal  padiglione, 
la  vide  et  appostolla  il  buon  destriero, 
che  si  trovava  aver  v6to  Tarcione, 
pero  che  n'era  sceso  il  cavalliero 
per  combatter  di  par  con  un  barone, 
che  men  di  lui  non  era  in  arme  fiero; 
poi  ne  seguit6  Forme  di  lontano, 
bramoso  porla  al  suo  signor e  in  mano. 

XXII 

Bramoso  di  ritrarlo  ove  fosse  ella, 
per  la  gran  selva  inanzi  se  gli  messe; 
ne  lo  volea  lasciar  montare  in  sella, 
perche  ad  altro  camin  non  lo  volgesse. 
Per  lui  trov6  Rinaldo  la  donzella 
una  e  due  volte,  e  mai  non  gli  successe; 
che  fu  da  Ferrau  prima  impedito, 
poi  dal  Circasso,  come  avete  udito. 

XXIII 

Ora  al  demonio  che  mostro  a  Rinaldo 

de  la  donzella  li  falsi  vestigi, 

credette  Baiardo  anco,  e  stette  saldo 

e  mansueto  ai  soliti  servigL 

Rinaldo  il  caccia,  d'ira  e  d'amor  caldo, 

a  tutta  briglia,  e  sempre  inver  Parigi; 

e  vola  tanto  col  disio,  che  lento, 

non  ch'un  destrier,  ma  gli  parrebbe  il  vento. 


30  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

La  notte  a  pena  di  seguir  rimane, 
per  affrontarsi  col  signor  cTAnglante: 
tanto  ha  creduto  alle  parole  vane 
del  messaggier  del  cauto  negromante, 
Non  cessa  cavalcar  sera  e  dimane, 
che  si  vede  apparir  la  terra  avante, 
dove  re  Carlo,  rotto  e  mal  condutto, 
con  le  reliquie  sue  s'era  ridutto: 

xxv 

e  perche  dal  re  dj  Africa  battaglia 
et  assedio  v'aspetta,  usa  gran  cura 
a  raccor  buona  gente  e  vettovaglia, 
far  cavamenti  e  riparar  le  mura. 
Cio  ch'a  difesa  spera  che  gli  vaglia, 
senza  gran  diferir,  tutto  procura: 
pensa  mandare  in  Inghilterra,  e  trarne 
gente  onde  possa  un  novo  campo  fame; 

XXVI 

che  vuole  uscir  di  nuovo  alia  campagna, 
e  ritentar  la  sorte  de  la  guerra. 
Spaccia  Rinaldo  subito  in  Bretagna, 
Bretagna  che  fu  poi  detta  Inghilterra. 
Ben  de  Fandata  il  paladin  si  lagna: 
non  ch'abbia  cosi  in  odio  quella  terra; 
ma  perch6  Carlo  il  manda  allora  allora, 
ne  pur  lo  lascia  un  giorno  far  dimora. 

XXVII 

Rinaldo  mai  di  ci6  non  fece  meno 

volentier  cosa;  poi  che  fu  distolto 

di  gir  cercando  il  bel  viso  sereno 

che  gli  avea  il  cor  di  mezzo  il  petto  tolto: 

ma,  per  ubidir  Carlo,  nondimeno 

a  quella  via  si  fu  subito  volto, 

et  a  Calesse  in  poche  ore  trovossi; 

e  giunto,  il  di  medesimo  imbarcossi. 


CANTO    SECONDO  31 

XXVIII 

Contra  la  volunta  d'ogni  nocchiero, 
pel  gran  desir  che  di  tornare  avea, 
entr6  nel  mar  ch'era  turbato  e  fiero, 
e  gran  procella  minacciar  parea. 
II  Vento  si  sdegn6,  che  da  1'altiero 
sprezzar  si  vide;  e  con  tempesta  rea 
sollevb  il  mar  intorno,  e  con  tal  rabbia, 
che  gli  mandc-  a  bagnar  sino  alia  gabbia. 

XXIX 

Calano  tosto  i  marinari  accorti 

le  maggior  vele,  e  pensano  dar  volta, 

e  ritornar  ne  li  medesmi  porti 

donde  in  mal  punto  avean  la  nave  sciolta. 

—  Non  convien  —  dice  il  Vento  —  ch'io  comporti 

tanta  licenzia  che  v'avete  tolta  — ; 

e  soffia  e  grida  e  naufragio  minaccia, 

s'altrove  van,  che  dove  egli  li  caccia. 

xxx 

Or  a  poppa,  or  all'orza  hann'  il  crudele, 
che  mai  non  cessa,  e  vien  piu  ognor  crescendo: 
essi  di  qua  di  la  con  umil  vele 
vansi  aggirando,  e  Talto  mar  scorrendo. 
Ma  perch6  varie  fila  a  varie  tele 
uopo  mi  son,  che  tutte  ordire  intendo, 
lascio  Rinaldo  e  Fagitata  prua, 
e  torno  a  dir  di  Bradamante  sua. 

XXXI 

lo  parlo  di  quella  inclita  donzella, 
per  cui  re  Sacripante  in  terra  giacque, 
che  di  questo  signer  degna  sorella, 
del  duca  Amone  e  di  Beatrice  nacque. 
La  gran  possanza  e  il  molto  ardir  di  quella 
non  meno  a  Carlo  e  tutta  Francia  piacque 
(che  piu  d'un  paragon  ne  vide  saldo), 
che  '1  lodato  valor  del  buon  Rinaldo. 


32  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

La  donna  amata  fu  da  un  cavalliero 
che  d' Africa  passo  col  re  Agramante, 
che  partori  del  seme  di  Ruggiero 
la  disperata  figlia  d'Agolante: 
e  costei,  che  ne  d'orso  ne  di  fiero 
leone  usci,  non  sdegno  tal  amante; 
ben  che  concesso,  fuor  che  vedersi  una 
volta  e  parlarsi,  non  ha  lor  Fortuna. 

XXXIII 

Quindi  cercando  Bradamante  gia 

Pamante  suo,  ch'avea  nome  dal  padre, 

cosi  sicura  senza  compagnia, 

come  avesse  in  sua  guardia  mille  squadre: 

e  fatto  ch'ebbe  il  re  di  Circassia 

battere  il  volto  de  1'antiqua  madre, 

travers6  un  bosco,  e  dopo  il  bosco  un  monte, 

tanto  che  giunse  ad  una  bella  fonte. 

xxxiv 

La  fonte  discorrea  per  mezzo  un  prato, 
d'arbori  antiqui  e  di  belPombre  adorno, 
ch'i  viandanti  col  mormorio  grato 
a  ber  invita  e  a  far  seco  soggiorno : 
un  culto  monticel  dal  manco  lato 
le  difende  il  calor  del  mezzo  giorno. 
Quivi,  come  i  begli  occhi  prima  torse, 
d'un  cavallier  la  giovane  s'accorse; 

xxxv 

d'un  cavallier,  ch'alPombra  d'un  boschetto, 
nel  margin  verde  e  bianco  e  rosso  e  giallo 
sedea  pensoso,  tacito  e  soletto 
sopra  quel  chiaro  e  liquido  cristallo. 
Lo  scudo  non  lontan  pende  e  1'elmetto 
dal  faggio,  ove  legato  era  il  cavallo ; 
et  avea  gli  occhi  molli  e  '1  viso  basso, 
e  si  mostrava  addolorato  e  lasso. 


CANTO    SECONDO  33 

XXXVI 

Questo  disir,  ch'a  tutti  sta  nel  core, 

de'  fatti  altrui  sempre  cercar  novella, 

fece  a  quel  cavallier  del  suo  dolore 

la  cagion  domandar  da  la  donzella. 

Egli  Taperse  e  tutta  mostrb  fuore, 

dal  cortese  parlar  mosso  di  quella, 

e  dal  sembiante  altier,  ch'al  primo  sguardo 

gli  sembr6  di  guerrier  molto  gagliardo. 

XXXVII 

E  cominci6 :  —  Signor,  io  conducea 

pedoni  e  cavallieri,  e  venia  in  campo 

la  dove  Carlo  Marsilio  attendea, 

perch'al  scender  del  monte  avesse  inciampo; 

e  una  giovane  bella  meco  avea, 

del  cui  fervido  amor  nel  petto  avampo: 

e  ritrovai  presso  a  Ro  donna  armato 

un  che  frenava  un  gran  destriero  alato. 

XXXVIII 

Tosto  che  '1  ladro,  o  sia  mortale,  o  sia 
una  de  1'infernali  anime  orrende, 
vede  la  bella  e  cara.  donna  mia; 
come  falcon  che  per  ferir  discende, 
cala  e  poggia  in  uno  atimo,  e  tra  via 
getta  le  mani,  e  lei  smarrita  prende. 
Ancor  non  m'era  accbrto  de  1'assalto, 
che  de  la  donna  io  senti'  il  grido  in  alto. 

xxxix 

Cosi  il  rapace  nibio  furar  suole 
il  misero  pulcin  presso  alia  chioccia, 
che  di  sua  inawertenza  poi  si  duole, 
e  invan  gli  grida  e  invan  dietro  gli  croccia. 
Io  non  posso  seguir  un  uom  che  vole, 
chiuso  tra'  monti,  a  pie  d'un'erta  roccia: 
stanco  ho  il  destrier,  che  muta  a  pena  i  passi 
ne  Taspre  vie  de'  faticosi  sassi. 


34  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Ma,  come  quel  che  men  curato  avrei 
vedermi  trar  di  mezzo  il  petto  il  core, 
lasciai  lor  via  seguir  quegli  altri  miei, 
senza  mia  guida  e  senza  alcun  rettore: 
per  gli  scoscesi  poggi  e  manco  rei 
presi  la  via  che  mi  mostrava  Amore, 
e  dove  mi  parea  che  quel  rapace 
portassi  il  mio  conforto  e  la  mia  pace. 

XLI 

Sei  giorni  me  n'andai  matina  e  sera 
per  baize  e  per  pendici  orride  e  strane, 
dove  non  via,  dove  sentier  non  era, 
dove  ne  segno  di  vestigie  umane; 
poi  giunse  in  una  valle  inculta  e  fiera, 
di  ripe  cinta  e  spaventose  tane, 
che  nel  mezzo  s'un  sasso  avea  un  castello 
forte  e  ben  posto,  a  maraviglia  bello. 

XLII 

Da  lungi  par  che  come  fiamma  lustri, 
ne  sia  di  terra  cotta,  ne  di  marmi. 
Come  piu  m'avicino  ai  muri  illustri, 
Popra  piu  bella  e  piu  mirabil  parmi. 
E  seppi  poi,  come  i  demoni  industri, 
da  suffumigi  tratti  e  sacri  carmi, 
tutto  d'acciaio  avean  cinto  il  bel  loco, 
temprato  alPonda  et  allo  stigio  foco. 

XLIII 

Di  si  forbito  acciar  luce  ogni  torre, 
che  non  vi  pu6  n6  ruggine  n6  macchia. 
Tutto  il  paese  giorno  e  notte  scorre, 
e  poi  la  dentro  il  rio  ladron  s'immacchia. 
Cosa  non  ha  ripar  che  voglia  t6rre: 
sol  dietro  invan  se  li  bestemia  e  gracchia. 
Quivi  la  donna,  anzi  il  mio  cor  mi  tiene, 
che  di  mai  ricovrar  lascio  ogni  spene. 


CANTO    SECONDO  35 

XLIV 

Ah  lasso!  che  poss'io  piu  che  mirare 
la  rocca  lungi,  ove  il  mio  ben  m'&  chiuso  ? 
come  la  volpe,  che  '1  figlio  gridare 
nel  nido  oda  de  Faquila  di  giuso, 
s'aggira  intorno,  e  non  sa  che  si  fare, 
poi  che  Tali  non  ha  da  gir  la  suso. 
Erto  &  quel  sasso  si,  tale  e  il  castello, 
che  non  vi  puo  salir  chi  non  e  augello. 

XLV 

Mentre  io  tardava  quivi,  ecco  venire 
duo  cavallier  ch'avean  per  guida  un  nano, 
che  la  speranza  aggiunsero  al  desire; 
ma  ben  fu  la  speranza  e  il  desir  vano. 
Ambi  erano  guerrier  di  sommo  ardire: 
era  Gradasso  Tun,  re  sericano; 
era  1'altro  Ruggier,  giovene  forte, 
pregiato  assai  ne  Tafricana  corte. 

XLVI 

((Vengon»  mi  disse  il  nano  «per  far  pruova 
di  lor  virtu  col  sir  di  quel  castello, 
che  per  via  strana,  inusitata  e  nuova 
cavalca  armato  il  quadrupede  augello.» 
«Deh,  signor,)>  dissi  io  lor  «pieta  vi  muova 
del  duro  caso  mio  spietato  e  fello! 
Quando,  come  ho  speranza,  voi  vinciate, 
vi  prego  la  mia  donna  mi  rendiate. » 

XLVII 

E  come  mi  fu  tolta  lor  narrai, 
con  lacrime  affermando  il  dolor  mio. 
Quei,  lor  merce,  mi  proferiro  assai, 
e  giu  calaro  il  poggio  alpestre  e  rio. 
Di  lontan  la  battaglia  io  riguardai, 
pregando  per  la  lor  vittoria  Dio. 
Era  sotto  il  castel  tanto  di  piano, 
quanto  in  due  volte  si  puo  trar  con  mano. 


36  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

Poi  che  fur  giunti  a  pie  de  Palta  rocca, 
Puno  e  Faltro  volea  combatter  prima; 
pur  a  Gradasso,  o  fosse  sorte,  tocca, 
o  pur  che  non  ne  fe'  Ruggier  piu  stima. 
Quel  Serican  si  pone  il  corno  a  bocca: 
rimbomba  il  sasso  e  la  fortezza  in  cima. 
Ecco  apparire  il  cavalliero  armato 
fuor  de  la  porta,  e  sul  cavallo  alato. 

XLIX 

Comincio  a  poco  a  poco  indi  a  levarse, 
come  suol  far  la  peregrina  grue, 
che  corre  prima,  e  poi  vediamo  alzarse 
alia  terra  vicina  un  braccio  o  due; 
e  quando  tutte  sono  alParia  sparse, 
velocissime  mostra  Tale  sue. 
Si  ad  alto  il  negromante  batte  Tale, 
ch'a  tanta  altezza  a  pena  aquila  sale. 

L 

Quando  gli  parve  poi,  volse  il  destriero, 
che  chiuse  i  vanni  e  venne  a  terra  a  piombo, 
come  casca  dal  ciel  falcon  maniero 
che  levar  veggia  1'anitra  o  il  Colombo. 
Con  la  lancia  arrestata  il  cavalliero 
1'aria  fendendo  vien  d'orribil  rombo. 
Gradasso  a  pena  del  calar  s'avede, 
che  se  lo  sente  addosso  e  che  lo  fiede. 

Li 

Sopra  Gradasso  il  mago  Pasta  roppe; 
feri  Gradasso  il  vento  e  Tana  vana: 
per  questo  il  volator  non  interroppe 
il  batter  1'ale,  e  quindi  s'allontana. 
II  grave  scontro  fa  chinar  le  groppe 
sul  verde  prato  alia  gagliarda  alfana. 
Gradasso  avea  una  alfana,  la  piu  bella 
e  la  miglior  che  mai  portasse  sella. 


CANTO    SECONDO  37 

LII 

Sin  alle  stelle  il  volator  trascorse; 
indi  girossi  e  torno  in  fretta  al  basso, 
e  percosse  Ruggier  che  non  s'accorse, 
Ruggier  che  tutto  intento  era  a  Gradasso. 
Ruggier  del  grave  colpo  si  distorse, 
e  '1  suo  destrier  piu  rinculo  d'un  passo: 
e  quando  si  volto  per  hii  ferire, 
da  se  lontano  il  vide  al  ciel  salire. 

LIII 

Or  su  Gradasso,  or  su  Ruggier  percote 
ne  la  fronte,  nel  petto  e  ne  la  schiena, 
e  le  botte  di  quei  lascia  ognor  vote, 
per  che  e  si  presto,  che  si  vede  a  pena. 
Girando  va  con  spaziose  rote, 
e  quando  all'uno  accenna,  all'altro  mena: 
alPuno  e  alPaltro  si  gli  occhi  abbarbaglia, 
che  non  ponno  veder  donde  gli  assaglia. 

LIV 

Fra  duo  guerrieri  in  terra  et  uno  in  cielo 

la  battaglia  duro  sin  a  quella  ora 

che  spiegando  pel  mondo  oscuro  velo 

tutte  le  belle  cose  discolora. 

Fu  quel  ch'io  dico,  e  non  v'aggiungo  un  pelo: 

io  '1  vidi,  i'  Jl  so:  ne  m'assicuro  ancora 

di  dirlo  altrui;  che  questa  maraviglia 

al  falso  piu  ch'al  ver  si  rassimiglia. 

LV 

D'un  bel  drappo  di  seta  avea  coperto 
lo  scudo  in  braccio  il  cavallier  celeste. 
Come  avesse,  non  so,  tanto  sofferto 
di  tenerlo  nascosto  in  quella  veste; 
ch'immantinente  che  lo  mostra  aperto, 
forza  e  chi  '1  mira  abbarbagliato  reste, 
e  cada  come  corpo  morto  cade, 
e  venga  al  negromante  in  potestade. 


38  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Splende  lo  scudo  a  guisa  di  piropo, 

e  luce  altra  non  e  tanto  lucente. 

Cadere  in  terra  allo  splendor  fu  d'uopo 

con  gli  occhi  abbacinati,  e  senza  mente. 

Perdei  da  lungi  anch'io  li  sensi,  e  dopo 

gran  spazio  mi  riebbi  finalmente; 

ne  piu  i  guerrier  ne  piii  vidi  quel  nano, 

ma  v6to  il  campo,  e  scuro  il  monte  e  il  piano. 

LVII 

Pensai  per  questo  che  Tincantatore 
avesse  amendui  colti  a  un  tratto  insieme, 
e  tolto  per  virtu  de  lo  splendore 
la  libertade  alloro,  e  a  me  la  speme. 
Cosi  a  quel  loco,  che  chiudea  il  mio  core, 
dissi,  partendo,  le  parole  estreme. 
Or  giudicate  s'altra  pena  ria, 
che  causi  Amor,  pu6  pareggiar  la  mia.  — 

LVIII 

Ritorn6  il  cavallier  nel  primo  duolo, 
fatta  che  n'ebbe  la  cagion  palese. 
Questo  era  il  conte  Pinabel,  figliuolo 
d'Anselmo  d'Altaripa,  maganzese; 
che  tra  sua  gente  scelerata,  solo 
leale  esser  non  volse  ne  cortese, 
ma  ne  li  vizii  abominandi  e  brutti 
non  pur  gli  altri  adegu6,  ma  passo  tutti. 

LIX 

La  bella  donna  con  diverso  aspetto 
stette  ascoltando  il  Maganzese  cheta; 
che  come  prima  di  Ruggier  fu  detto, 
nel  viso  si  mostr6  piu  che  mai  lieta: 
ma  quando  senti  poi  ch'era  in  distretto, 
turbossi  tutta  d'amorosa  pieta; 
ne  per  una  o  due  volte  contentosse 
che  ritornato  a  replicar  le  fosse. 


CANTO   SECONDO  39 

LX 

E  poi  ch'al  fin  le  parve  esserne  chiara, 
gli  disse :  —  Cavallier,  datti  riposo, 
che  ben  puo  la  mia  giunta  esserti  cara, 
parerti  questo  giorno  aventuroso. 
Andiam  pur  tosto  a  quella  stanza  avara 
che  si  ricco  tesor  ci  tiene  ascoso; 
n6  spesa  sara  invan  questa  fatlca, 
se  Fortuna  non  m'e  troppo  nemica.  — 

LXI 

Rispose  il  cavallier:  —  Tu  v6i  ch'io  passi 
di  nuovo  i  monti,  e  mostriti  la  via? 
A  me  molto  non  e  perdere  i  passi, 
perduta  avendo  ogni  altra  cosa  mia; 
ma  tu"  per  baize  e  ruinosi  sassi 
cerchi  entrar  in  pregione;  e  cosi  sia. 
Non  hai  di  che  dolerti  di  me  poi 
ch'io  tel  predico,  e  tu  pur  gir  vi  v6i.  — 

LXII 

Cosi  dice  egli,  e  torna  al  suo  destriero, 
e  di  quella  animosa  si  fa  guida, 
che  si  mette  a  periglio  per  Ruggiero, 
che  la  pigli  quel  mago  o  che  la  ancida. 
In  questo,  ecco  alle  spalle  il  messaggiero, 
ch' :  —  Aspetta,  aspetta!  —  a  tutta  voce  grida, 
il  messaggier  da  chi  il  Circasso  intese 
che  costei  fu  ch'alPerba  lo  distese. 

LXIII 

A  Bradamante  il  messaggier  novella 
di  Mompolier  e  di  Narbona  porta, 
ch'alzato  li  stendardi  di  Castella 
avean,  con  tutto  il  lito  d'Acquamorta; 
e  che  Marsilia,  non  v'essendo  quella 
che  la  dovea  guardar,  mal  si  conforta, 
e  consiglio  e  soccorso  le  domanda 
per  questo  messo,  e  se  le  raccomanda. 


40  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Questa  cittade,  e  intorno  a  molte  miglia 
cio  che  fra  Varo  e  Rodano  al  mar  siede, 
avea  Fimperator  dato  alia  figlia 
del  duca  Amon,  in  ch'avea  speme  e  fede; 
pero  che  '1  suo  valor  con  maraviglia 
riguardar  suol,  quando  armeggiar  la  vede. 
Or,  com'io  dico,  a  domandar  aiuto 
quel  messo  da  Marsilia  era  venuto. 

LXV 

Tra  si  e  no  la  giovane  suspesa, 
di  voler  ritornar  dubita  un  poco  : 
quinci  1'onore  e  il  debito  le  pesa, 
quindi  Pincalza  T amoroso  foco. 
Fermasi  al  fin  di  seguitar  I'impresa, 
e  trar  Ruggier  de  1'incantato  loco ; 
e  quando  sua  virtu  non  possa  tanto, 
almen  restargli  prigionera  a  canto. 

LXVI 

E  fece  iscusa  tal,  che  quel  messaggio 
parve  contento  rimanere  e  cheto. 
Indi  giro  la  briglia  al  suo  viaggio, 
con  Pinabel  che  non  ne  parve  lieto; 
che  seppe  esser  costei  di  quel  lignaggio 
che  tanto  ha  in  odio  in  publico  e  in  secreto: 
e  gia  s'avisa  le  future  angosce, 
se  lui  per  maganzese  ella  conosce. 

LXVII 

Tra  casa  di  Maganza  e  di  Chiarmonte 
era  odio  antico  e  inimicizia  intensa; 
e  piu  volte  s'avean  rotta  la  fronte, 
e  sparso  di  lor  sangue  copia  immensa: 
e  pero  nel  suo  cor  1'iniquo  conte 
tradir  1'incauta  giovane  si  pensa; 
o,  come  prima  commodo  gli  accada, 
lasciarla  sola,  e  trovar  altra  strada. 


CANTO    SECONDO  41 

LXVIII 

E  tanto  gli  occup6  la  fantasia 

il  native  odio,  il  dubbio  e  la  paura, 

ch'inavedutamente  usci  di  via, 

e  ritrovossi  in  una  selva  oscura, 

che  nel  mezzo  avea  un  monte  che  finia 

la  nuda  cima  in  una  pietra  dura; 

e  la  figlia  del  duca  di  Dor  dona 

gli  e  sempre  dietro,  e  mai  non  Pabandona. 

LXIX 

Come  si  vide  il  Maganzese  al  bosco, 
pens6  torsi  la  donna  da  le  spalle. 
Disse:  —  Prima  che  '1  ciel  torni  piu  fosco, 
verso  uno  albergo  e  meglio  farsi  il  calle. 
Oltra  quel  monte,  s'io  lo  riconosco, 
siede  un  ricco  castel  giu  ne  la  valle. 
Tu  qui  m'aspetta;  che  dal  nudo  scoglio 
certificar  con  gli  occhi  me  ne  voglio,  — 

LXX 

Cosi  dicendo,  alia  cima  superna 
del  solitario  monte  il  destrier  caccia, 
mirando  pur  s'alcuna  via  discerna, 
come  lei  possa  tor  da  la  sua  traccia. 
Ecco  nel  sasso  truova  una  caverna, 
che  si  profonda  piu  di  trenta  braccia. 
Tagliato  a  picchi  et  a  scarp elli  il  sasso 
scende  giu  al  dritto,  et  ha  una  porta  al  basso. 

LXXI 

Nel  fondo  avea  una  porta  ampla  e  capace, 
ch'in  maggior  stanza  largo  adito  dava; 
e  fuor  n'uscia  splendor,  come  di  face 
ch'ardesse  in  mezzo  alia  montana  cava. 
Mentre  quivi  il  fellon  suspeso  tace, 
la  donna,  che  da  lungi  il  seguitava 
(perche*  perderne  Forme  si  temea), 
alia  spelonca  gli  sopragiungea. 


42  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

Poi  che  si  vide  il  traditore  uscire, 
quel  ch'avea  prima  disegnato,  invano, 
o  da  se  torla,  o  di  farla  morire, 
nuovo  argumento  imaginossi  e  strano. 
Le  si  fe'  incontra,  e  su  la  fe'  salire 
la  dove  il  monte  era  forato  e  vano; 
e  le  disse  ch'avea  visto  nel  fondo 
una  donzella  di  viso  giocondo, 

LXXIII 

chj  a'  bei  sembianti  et  alia  ricca  vesta 
esser  parea  di  non  ignobil  grade; 
ma  quanto  piu  potea  turbata  e  mesta, 
mostrava  esservi  chiusa  suo  mal  grado : 
e  per  saper  la  condizion  di  questa, 
ch'avea  gia  cominciato  a  entrar  nel  guado; 
e  che  era  uscito  de  Tmterna  grotta 
un  che  dentro  a  furor  Favea  ridotta. 

LXXIV 

Bradamante,  che  come  era  animosa, 
cosl  malcauta,  a  Pinabel  die  fede; 
e  d'aiutar  la  donna,  disiosa, 
si  pensa  come  por  cola  giu  il  piede. 
Ecco  d'un  olmo  alia  cima  frondosa 
volgendo  gli  occhi,  un  lungo  ramo  vede; 
e  con  la  spada  quel  subito  tronca, 
e  lo  declina  giu  ne  la  spelonca. 

LXXV 

Dove  e  tagliato,  in  man  lo  raccomanda 
a  Pinabello,  e  poscia  a  quel  s'apprende: 
prima  giu  i  piedi  ne  la  tana  manda, 
e  su  le  braccia  tutta  si  suspende. 
Sorride  Pinabello,  e  le  domanda 
come  ella  salti;  e  le  man  apre  e  stende, 
dicendole :  —  Qui  fosser  teco  insieme 
tutti  li  tuoi,  ch'io  ne  spegnessi  il  seme!  — 


CANTO   SECONDO  43 

LXXVI 

Non  come  volse  Pinabello  avenue 
de  Pinnocente  giovane  la  sorte; 
perche,  gru  diroccando,  a  ferir  venne 
prima  nel  fondo  il  ramo  saldo  e  forte. 
Ben  si  spezzo,  ma  tanto  la  sostenne, 
che  '1  suo  favor  la  libero  da  morte. 
Giacque  stordita  la  donzella  alquanto, 
come  io  vi  seguiro  ne  Paltro  canto. 


44  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO   TERZO 


I 

Chi  mi  dara  la  voce  e  le  parole 
convenient!  a  si  nobil  suggetto  ? 
chi  Tale  al  verso  prestera,  che  vole 
tanto  ch'arrivi  all'alto  mio  concetto? 
Molto  maggior  di  quel  furor  che  suole, 
ben  or  convien  che  mi  riscaldi  il  petto; 
che  questa  parte  al  mio  signer  si  debbe, 
che  canta  gli  avi  onde  1'origine  ebbe: 

ii 

di  cui  fra  tutti  li  signori  illustri, 

dal  ciel  sortiti  a  governar  la  terra, 

non  vedi,  o  Febo,  che  '1  gran  mondo  lustri, 

piu  gloriosa  stirpe  o  in  pace  o  in  guerra; 

ne  che  sua  nobiltade  abbia  piu  lustri 

servata,  e  servara  (s'in  me  non  erra 

quel  profetico  lume  che  m'inspiri) 

fin  che  d'intorno  al  polo  il  ciel  s'aggiri. 

in 

E  volendone  a  pien  dicer  gli  onori, 
bisogna  non  la  mia,  ma  quella  cetra 
con  che  tu  dopo  i  gigantei  furori 
rendesti  grazia  al  regnator  de  Petra. 
S'instrumenti  avro  mai  da  te  migliori, 
atti  a  sculpire  in  cosi  degna  pietra, 
in  queste  belle  imagini  disegno 
porre  ogni  mia  fatica,  ogni  mio  ingegno. 


CANTO    TERZO  45 

IV 

Levando  intanto  queste  prime  rudi 
scaglie  n'andr6  con  lo  scarpello  inetto: 
forse  ch'ancor  con  piu  solerti  studi 
poi  ridurr6  questo  lavor  perfetto. 
Ma  ritorniamo  a  quello,  a  cui  ne  scudi 
potran  ne  usberghi  assicurare  il  petto: 
parlo  di  Pinabello  di  Maganza, 
che  d'uccider  la  donna  ebbe  speranza. 


II  traditor  pens6  che  la  donzella 
fosse  ne  Talto  precipizio  morta; 
e  con  pallida  faccia  lascio  quella 
trista  e  per  lui  contaminata  porta, 
e  torn6  presto  a  rimontare  in  sella: 
e  come  quel  ch'avea  ranima  torta, 
per  giunger  colpa  a  colpa  e  fallo  a  fallo, 
di  Bradamante  ne  men6  il  cavallo. 

VI 

Lascian  costui,  che  mentre  aH'altrui  vita 
ordisce  inganno,  il  suo  morir  procura; 
e  torniamo  alia  donna,  che  tradita 
quasi  ebbe  a  un  tempo  e  morte  e  sepoltura. 
Poi  ch'ella  si  Iev6  tutta  stordita, 
ch'avea  percosso  in  su  la  pietra  dura, 
dentro  la  porta  and6,  ch'adito  dava 
ne  la  seconda  assai  piu  larga  cava. 

VII 

La  stanza,  quadra  e  spaziosa,  pare 
una  devota  e  venerabil  chiesa, 
che  su  colonne  alabastrine  e  rare 
con  bella  architettura  era  suspesa. 
Surgea  nel  mezzo  un  ben  locato  altare, 
ch'avea  dinanzi  una  lampada  accesa; 
e  quella  di  splendente  e  chiaro  foco 
rendea  gran  lume  alPuno  e  all'altro  loco. 


46  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Di  devota  umilta  la  donna  tocca, 
come  si  vide  in  loco  sacro  e  pio, 
incominci6  col  core  e  con  la  bocca, 
inginocchiata,  a  mandar  prieghi  a  Dio. 
Un  picciol  uscio  intanto  stride  e  crocca, 
ch'era  all'mcontro,  onde  una  donna  uscio 
discinta  e  scalza,  e  sciolte  avea  le  chiome, 
che  la  donzella  saluto  per  nome. 

IX 

E  disse :  —  O  generosa  Bradamante, 
non  giunta  qui  senza  voler  divino, 
di  te  piu  giorni  m'ha  predetto  inante 
il  profetico  spirto  di  Merlino, 
che  visitar  le  sue  reliquie  sante 
dovevi  per  insolito  camino: 
e  qui  son  stata  acci6  ch'io  ti  riveli 
quel  c'han  di  te  gia  statuito  i  cieli. 

x 

Questa  e  1'antiqua  e  memorabil  grotta 
ch'edific6  Merlino,  il  savio  mago 
che  forse  ricordare  odi  talotta, 
dove  ingannollo  la  Donna  del  Lago. 
II  sepolcro  e  qui  giu,  dove  corrotta 
giace  la  carne  sua;  dove  egli  vago 
di  sodisfare  a  lei,  che  glil  suase, 
vivo  corcossi,  e  morto  ci  rimase. 

XI 

Col  corpo  morto  il  vivo  spirto  alberga, 
sin  ch'oda  il  suon  de  1'angelica  tromba 
che  dal  ciel  lo  bandisca  o  che  ve  Perga, 
secondo  che  sara  corvo  o  colomba. 
Vive  la  voce;  e  come  chiara  emerga 
udir  potrai  da  la  marmorea  tomba, 
che  le  passate  e  le  future  cose 
a  chi  gli  domand6,  sempre  rispose. 


CANTO    TERZO  47 

XII 

Piu  giorni  son  ch'in  questo  cimiterio 

venni  di  remotissimo  paese, 

perch£  circa  il  mio  studio  alto  misterio 

mi  facesse  Merlin  meglio  palese: 

e  perche  ebbi  vederti  desiderio, 

poi  ci  son  stata  oltre  il  disegno  un  mese; 

che  Merlin,  che  '1  ver  sempre  mi  predisse, 

termine  al  venir  tuo  questo  di  fisse.  —  - 

XIII 

Stassi  d'Amon  la  sbigottita  figlia 
tacita  e  fissa  al  ragionar  di  questa; 
et  ha  si  pieno  il  cor  di  maraviglia, 
che  non  sa  s'ella  dorme  o  s'ella  &  desta: 
e  con  rimesse  e  vergognose  ciglia 
(come  quella  che  tutta  era  mo  desta) 
rispose :  —  Di  che  merito  son  io, 
ch'antiveggian  profeti  il  venir  mio  ?  — 

XIV 

E  lieta  de  Finsolita  aventura, 
dietro  alia  maga  subito  fu  mossa, 
che  la  condusse  a  quella  sepoltura 
che  chiudea  di  Merlin  Tamma  e  Fossa. 
Era  quella  area  d'una  pietra  dura, 
lucida  e  tersa,  e  come  fiamma  rossa; 
tal  ch'alla  stanza,  ben  che  di  sol  priva, 
dava  splendore  il  lume  che  n'usciva. 

XV 

O  che  natura  sia  d'alcuni  marmi 
che  muovin  Tombre  a  guisa  di  facelle, 
o  forza  pur  di  suffumigi  e  carmi 
e  segni  impressi  all'osservate  stelle 
(come  piu  questo  verisimil  parmi), 
discopria  lo  splendor  piu  cose  belle 
e  di  scultura  e  di  color,  ch'intorno 
il  venerabil  luogo  aveano  adorno. 


48  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

A  pena  ha  Bradamante  da  la  soglia 

levato  il  pie  ne  la  secreta  cella, 

che  '1  vivo  spirto  da  la  morta  spoglia 

con  chiarissima  voce  le  favella: 

—  Favorisca  Fortuna  ogni  tua  voglia, 

0  casta  e  nobilissima  donzella, 

del  cui  ventre  uscira  il  seme  fecondo 
che  onorar  deve  Italia  e  tutto  il  mondo. 

XVII 

L'antiquo  sangue  che  venne  da  Troia, 
per  li  duo  miglior  rivi  in  te  commisto, 
produrra  1'ornamento,  il  fior,  la  gioia 
d'ogni  lignaggio  ch'abbi  il  sol  mai  visto 
tra  1'Indo  e  '1  Tago  e  }1  Nilo  e  la  Danoia, 
tra  quanto  e  'n  mezzo  Antartico  e  Calisto. 
Ne  la  progenie  tua  con  sommi  onori 
saran  marchesi,  duci  e  imperatori. 

XVIII 

1  capitani  e  i  cavallier  robusti 

quindi  usciran,  che  col  ferro  e  col  senno 
ricuperar  tutti  gli  onor  vetusti 
de  Tarme  invitte  alia  sua  Italia  denno. 
Quindi  terran  lo  scettro  i  signer  giusti, 
che,  come  il  savio  Augusto  e  Numa  fenno, 
sotto  il  benigno  e  buon  governo  loro 
ritorneran  la  prima  eta  de  Toro. 

XIX 

Acci6  dunque  il  voler  del  ciel  si  metta 
in  effetto  per  te,  che  di  Ruggiero 
t'ha  per  moglier  fin  da  principio  eletta, 
segue  animosamente  il  tuo  sentiero; 
che  cosa  non  sara  che  s'intrometta 
da  poterti  turbar  questo  pensiero, 
si  che  non  mandi  al  primo  assalto  in  terra 
quel  rio  ladron  ch'ogni  tuo  ben  ti  serra.  — 


CANTO    TERZO  49 

XX 

Tacque  Merlino  avendo  cosi  detto, 
et  agio  alPopre  de  la  maga  diede, 
ch'a  Bradamante  dimostrar  1'aspetto 
si  preparava  di  ciascun  suo  erede. 
Avea  de  spirti  un  gran  numero  eletto, 
non  so  se  da  1'inferno  o  da  qual  sede, 
e  tutti  quelli  in  un  luogo  raccolti 
sotto  abiti  diversi  e  varii  volti. 

XXI 

Poi  la  donzella  a  se  richiama  in  chiesa, 
la  dove  prima  avea  tirato  un  cerchio 
die  la  potea  capir  tutta  distesa, 
et  avea  un  palmo  ancora  di  superchio. 
E  perche  da  li  spirti  non  sia  offesa, 
le  fa  d'un  gran  pentacolo  coperchio, 
e  le  dice  che  taccia  e  stia  a  mirarla: 
poi  scioglie  il  libro,  e  coi  demoni  park. 

XXII 

Eccovi  fuor  de  la  prima  spelonca, 
che  gente  intorno  al  sacro  cerchio  ingrossa; 
ma  come  vuole  entrar,  la  via  l'&  tronca, 
come  lo  cinga  intorno  muro  e  fossa. 
In  quella  stanza,  ove  la  bella  conca 
in  se  chiudea  del  gran  profeta  Fossa, 
entravan  Pombre,  poi  ch'avean  tre  volte 
fatto  d'intorno  lor  debite  volte. 

XXIII 

—  Se  i  nomi  e  i  gesti  di  ciascun  voj  dirti,  — 
dicea  Tincantatrice  a  Bradamante 

—  di  questi  ch'or  per  gl'incantati  spirti, 
prima  che  nati  sien,  ci  sono  avante, 
non  so  veder  quando  abbia  da  espedirti; 
che  non  basta  una  notte  a  cose  tante: 

si  ch'io  te  ne  verr6  scegliendo  alcuno, 
secondo  il  tempo,  e  che  sara  oportuno. 


50  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Vedi  quel  primo  che  ti  rassimiglia 

ne'  bei  sembianti  e  nel  giocondo  aspetto: 

capo  in  Italia  fia  di  tua  famiglia, 

del  seme  di  Ruggiero  in  te  concetto. 

Veder  del  sangue  di  Pontier  vermiglia 

per  mano  di  costui  la  terra  aspetto, 

e  vendicato  il  tradimento  e  il  torto 

contra  quei  che  gli  avranno  il  padre  morto. 

xxv 

Per  opra  di  costui  sara  deserto 
il  re  de'  Longobardi  Desiderio: 
d'Este  e  di  Calaon  per  questo  merto 
il  bel  domino  avra  dal  sommo  Imperio. 
Quel  che  gli  e  dietro,  e  il  tuo  nipote  Uberto, 
onor  de  1'arme  e  del  paese  esperio: 
per  costui  contra  barbari  difesa 
piu  d'una  volta  fia  la  santa  Chiesa. 

XXVI 

Vedi  qui  Alberto,  invitto  capitano 
ch'ornera  di  trofei  tanti  delubri: 
Ugo  il  figlio  e  con  lui,  che  di  Milano 
fara  1'acquisto,  e  spieghera  i  colubri. 
Azzo  e  quell'altro,  a  cui  restera  in  mano, 
dopo  il  fratello,  il  regno  degl'Insubri. 
Ecco  Albertazzo,  il  cui  savio  consiglio 
torra  d'ltalia  Beringario  e  il  figlio; 

XXVII 

e  sara  degno  a  cui  Cesare  Otone 
Alda  sua  figlia  in  matrimonio  aggiunga. 
Vedi  un  altro  Ugo:  oh  bella  successione, 
che  dal  patrio  valor  non  si  dislunga! 
Costui  sara,  che  per  giusta  cagione 
ai  superbi  Roman  1'orgoglio  emunga, 
che  '1  terzo  Otone  e  il  pontefice  tolga 
de  le  man  loro,  e  '1  grave  assedio  sciolga. 


CANTO   TERZO  SI 

XXVIII 

Vedi  Folco,  che  par  ch'al  suo  germane, 
cio  che  in  Italia  avea,  tutto  abbi  dato, 
e  vada  a  possedere  indi  lontano 
in  mezzo  agli  Alamanni  un  gran  ducato; 
e  dia  alia  casa  di  Sansogna  mano, 
che  caduta  sara  tutta  da  un  lato, 
e  per  la  linea  de  la  madre  erede 
con  la  progenie  sua  la  terra  in  piede. 

XXIX 

Questo  ch'or  a  nui  viene  e  il  secondo  Azzo, 
di  cortesia  phi  che  di  guerre  amico, 
tra  dui  figli,  Bertoldo  et  Albertazzo: 
vinto  da  Tun  sara  il  secondo  Enrico, 
e  del  sangue  tedesco  orribil  guazzo 
Parma  vedra  per  tutto  il  campro  aprico ; 
de  Taltro  la  contessa  gloriosa, 
saggia  e  casta  Matilde,  sara  sposa. 

xxx 

Virtu  il  fara  di  tal  connubio  degno; 
ch'a  quella  eta  non  poca  laude  estimo 
quasi  di  mezza  Italia  in  dote  il  regno, 
e  la  nipote  aver  d'Enrico  primo. 
Ecco  di  quel  Bertoldo  il  caro  pegno, 
Rinaldo  tuo,  ch'avra  Ponor  opimo 
d'aver  la  Chiesa  de  le  man  riscossa 
de  1'empio  Federico  Barbarossa. 

XXXI 

Ecco  un  altro  Azzo,  et  e  quel  che  Verona 
avra  in  poter  col  suo  bel  tenitorio; 
e  sara  detto  marchese  d'Ancona 
dal  quarto  Otone  e  dal  secondo  Onorio. 
Lungo  sara  s'io  mostro  ogni  persona 
del  sangue  tuo,  ch'avra  del  consistorio 
il  confalone,  e  s'io  narro  ogni  impresa 
vinta  da  lor  per  la  romana  Chiesa. 


52  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

Obizzo  vedi  e  Folco,  altri  Azzi,  altri  Ughi, 
ambi  gli  Enrichi,  il  figlio  al  padre  a  canto; 
duo  Guelfi,  di  quai  1'uno  Umbria  suggiughi, 
e  vesta  di  Spoleti  il  ducal  manto. 
Ecco  die  '1  sangue  e  le  gran  piaghe  asciughi 
d'ltalia  afflitta,  e  volga  in  riso  il  pianto: 
di  costui  parlo  (e  mostrolle  Azzo  quinto) 
onde  Ezellin  fia  rotto,  preso,  estinto. 

XXXIII 

Ezellino,  immanissimo  tiranno, 

che  fia  creduto  figlio  del  demonio, 

fara,  troncando  i  sudditi,  tal  danno, 

e  distruggendo  il  bel  paese  ausonio, 

che  pietosi  apo  lui  stati  saranno 

Mario,  Silla,  Neron,  Caio  et  Antonio. 

E  Federico  imperator  secondo 

fia  per  questo  Azzo  rotto  e  messo  al  fondo. 

xxxiv 

Terra  costui  con  piu  felice  scettro 
la  bella  terra  che  siede  sul  flume, 
dove  chiamo  con  lacrimoso  plettro 
Febo  il  figliuol  ch'avea  mal  retto  il  lume, 
quando  fu  pianto  il  fabuloso  elettro 
e  Cigno  si  vesti  di  bianche  piume; 
e  questa  di  mille  oblighi  mercede 
gli  donera  1'Apostolica  sede. 

xxxv 

Dove  lascio  il  fratel  Aldrobandino  ? 
che  per  dar  al  pontefice  soccorso 
contra  Oton  quarto,  e  il  campo  ghibellino 
che  sara  presso  al  Campidoglio  corso, 
et  avra  preso  ogni  luogo  vicino, 
e  posto  agli  Umbri  e  alii  Piceni  il  morso, 
ne  potendo  prestargli  aiuto  senza 
molto  tesor,  ne  chiedera  a  Fiorenza; 


CANTO    TERZO  53 

XXXVI 

e  non  avendo  gioia  o  miglior  pegni, 
per  sicurta  daralle  il  frate  in  mano; 
spieghera  i  suoi  vittoriosi  segni, 
e  rompera  1'esercito  germano; 
in  seggio  riporra  la  Chiesa,  e  degni 
dara  supplicii  ai  conti  di  Celano; 
et  al  servizio  del  sommo  Pastore 
finira  gli  anni  suoi  nel  piu  bel  fiore. 

XXXVII 

Et  Azzo,  il  suo  fratel,  lasciera  erede 
del  dominio  d'Ancona  e  di  Pisauro, 
d'ogni  citta  che  da  Troento  siede 
tra  il  mare  e  PApenin  fin  all'Isauro, 
e  di  grandezza  d'animo  e  di  fede, 
e  di  virtu,  miglior  che  gemme  et  auro: 
che  dona  e  tolle  ogn'altro  ben  Fortuna; 
sol  in  virtu  non  ha  possanza  alcuna. 

XXXVIII 

Vedi  Rinaldo,  in  cui  non  minor  raggio 
splendera  di  valor,  pur  che  non  sia 
a  tanta  essaltazion  del  bel  lignaggio 
Morte  o  Fortuna  invidiosa  e  ria. 
Udirne  il  duol  fin  qui  da  Napoli  aggio, 
dove  del  padre  allor  statico  fia. 
Or  Obizzo  ne  vien,  che  giovinetto 
dopo  Favo  sara  principe  eletto. 

xxxix 

Al  bel  dominio  accrescera  costui 
Reggio  giocondo  e  Modona  feroce. 
Tal  sara  il  suo  valor,  che  signor  lui 
domanderanno  i  populi  a  una  voce. 
Vedi  Azzo  sesto,  un  de*  figliuoli  sui, 
confalonier  de  la  cristiana  croce: 
avra  il  ducato  d'Andria  con  la  figlia 
del  secondo  re  Carlo  di  Siciglia. 


54  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Vedi  in  un  bello  et  amichevol  groppo 
de  li  principi  illustri  Teccellenza: 
Obizzo,  Aldrobandin,  Nicolo  zoppo, 
Alberto,  d'amor  pieno  e  di  clemenza. 

10  tacer6,  per  non  tenerti  troppo, 
come  al  bel  regno  aggiungeran  Favenza, 
e  con  maggior  fermezza  Adria,  che  valse 
da  se  nomar  Tindomite  acque  salse; 

XLI 

come  la  terra,  il  cui  produr  di  rose 
le  die  piacevol  nome  in  greche  voci, 
e  la  citta  ch'in  mezzo  alle  piscose 
paludi,  del  Po  teme  ambe  le  foci, 
dove  abitan  le  genti  disiose 
che  1  mar  si  turbi  e  sieno  i  venti  atroci. 
Taccio  d'Argenta,  di  Lugo  e  di  mille 
altre  castella  e  populose  ville. 

XLII 
Ve'  Nicolo,  che  tenero  fanciullo 

11  popul  crea  signer  de  la  sua  terra, 

e  di  Tideo  fa  il  pensier  vano  e  nullo, 
che  contra  hii  le  civil  arme  afferra. 
Sara  di  questo  il  pueril  trastullo 
sudar  nel  ferro  e  travagliarsi  in  guerra; 
e  da  lo  studio  del  tempo  primiero 
il  fior  riuscira  d'ogni  guerriero. 

XLIII 

Fara  de'  suoi  ribelli  uscire  a  v6to 
ogni  disegno,  e  lor  tornare  in  danno ; 
et  ogni  stratagema  avra  si  noto, 
che  sara  duro  il  poter  fargli  inganno. 
Tardi  di  questo  s'avedra  il  Terzo  Oto, 
e  di  Reggio  e  di  Parma  aspro  tiranno, 
che  da  costui  spogliato  a  un  tempo  fia 
e  del  dominio  e  de  la  vita  ria. 


CANTO    TERZO  55 

XLIV 

Avra  il  bel  regno  poi  sempre  augumento 
senza  torcer  mai  pie  dal  camin  dritto; 
n6  ad  alcuno  fara  mai  nocumento, 
da  cui  prima  non  sia  d'ingiuria  afflitto: 
et  e  per  questo  il  gran  Motor  contento 
che  non  gli  sia  alcun  termine  prescritto, 
ma  duri  prosperando  in  meglio  sempre, 
fin  che  si  volga  il  ciei  ne  le  sue  tempre. 

XLV 

Vedi  Leonello,  e  vedi  il  primo  duce, 
fama  de  la  sua  eta,  Tinclito  Borso, 
che  siede  in  pace,  e  piu  trionfo  adduce 
di  quanti  in  altrui  terre  abbino  cor  so. 
Chiudera  Matte  ove  non  veggia  luce, 
e  stringera  al  Furor  le  mani  al  dorso. 
Di  questo  signor  splendido  ogni  intento 
sara  che  Jl  popul  suo  viva  contento. 

XLVI 

Ercole  or  vien,  ch'al  suo  vicin  rinfaccia, 
col  pie  mezzo  arso  e  con  quei  debol  passi, 
come  a  Budrio  col  petto  e  con  la  faccia 
il  campo  volto  in  fuga  gli  fermassi, 
non  perche  in  premio  poi  guerra  gli  faccia, 
ne  per  cacciarlo  fin  nel  Barco  passi: 
questo  e  il  signor,  di  cui  non  so  esplicarme 
se  fia  maggior  la  gloria  o  in  pace  o  in  arme. 

XLVII 

Terran  Pugliesi,  Calabri  e  Lucani 
de*  gesti  di  costui  lunga  memoria, 
la  dove  avra  dal  re  de'  Catalani 
di  pugna  singular  la  prima  gloria; 
e  nome  tra  gl'invitti  capitani 
s'acquistera  con  piu  d'una  vittoria: 
avra  per  sua  virtu  la  signoria, 
piu  di  trenta  anni  a  lui  debita  pria. 


56  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

E  quanto  piu  aver  oblige  si  possa 
a  principe,  sua  terra  avra  a  costui; 
non  perche  fia  de  le  paludi  mossa 
tra  campi  fertilissimi  da  lui; 
non  perche  la  fara  con  muro  e  fossa 
meglio  capace  a'  cittadini  sui, 
e  1'ornara  di  templi  e  di  palagi, 
di  piazze,  di  teatri  e  di  mille  agi; 

XLIX 

non  perche*  dagli  artigli  de  Paudace 
aligero  Leon  terra  difesa; 
non  perche,  quando  la  gallica  face 
per  tutto  avra  la  bella  Italia  accesa, 
si  stara  sola  col  suo  stato  in  pace, 
e  dal  timore  e  dai  tributi  illesa; 
non  si  per  questi  et  altri  benefici 
saran  sue  genti  ad  Ercol  debitrici  : 


quanto  che  dara  lor  1'inclita  prole, 
il  giusto  Alfonso  e  Ippolito  benigno, 
che  saran  quai  1'antiqua  fama  suole 
narrar  de'  figli  del  Tindareo  cigno, 
ch'alternamente  si  privan  del  sole 
per  trar  Tun  1'altro  de  1'aer  maligno. 
Sara  ciascuno  d'essi  e  pronto  e  forte 
1'altro  salvar  con  sua  perpetua  morte. 

LI 

II  grande  amor  di  questa  bella  coppia 
rendera  il  popul  suo  via  piu  sicuro, 
che  se,  per  opra  di  Vulcan,  di  doppia 
cinta  di  ferro  avesse  intorno  il  muro. 
Alfonso  e  quel  che  col  saper  accoppia 
si  la  bonta,  ch'al  secolo  futuro 
la  gente  credera  che  sia  dal  cielo 
tornata  Astrea  dove  puo  il  caldo  e  il  gielo. 


CANTO    TERZO  57 

LII 

A  grande  uopo  gli  fia  1'esser  prudente, 
e  di  valore  assimigliarsi  al  padre; 
che  si  ritrovera,  con  poca  gente, 
da  un  lato  aver  le  veneziane  squadre, 
colei  da  1'altro,  che  pm  giustamente 
non  so  se  devra  dir  matrigna  o  madre; 
ma  se  pur  madre,  a  lui  poco  piu  pia, 
che  Medea  ai  figli  o  Progne  stata  sia. 

Lin 

E  quant  e  volte  uscira  giorno  o  notte 
col  suo  popul  fedel  fuor  de  la  terra, 
tante  sconfitte  e  memorabil  rotte 
dara  a'  nimici  o  per  acqua  o  per  terra. 
Le  genti  di  Romagna  mal  condotte, 
contra  i  vicini  e  lor  gia  amici,  in  guerra, 
se  n'avedranno,  insanguinando  il  suolo 
che  serra  il  Po,  Santerno  e  Zanniolo. 

Liv 

Nei  medesmi  confini  anco  saprallo 
del  gran  Pastore  il  mercenario  Ispano, 
che  gli  avra  dopo  con  poco  intervallo 
la  Bastia  tolta,  e  morto  il  castellano, 
quando  Favra  gia  preso;  e  per  tal  fallo 
non  fia,  dal  minor  fante  al  capitano, 
che  del  racquisto  e  del  presidio  ucciso 
a  Roma  riportar  possa  Paviso. 

LV 

Costui  sara,  col  senno  e  con  la  lancia, 
ch'avra  1'onor,  nei  campi  di  Romagna, 
d'aver  dato  all'esercito  di  Francia 
la  gran  vittoria  contra  lulio  e  Spagna. 
Nuoteranno  i  destrier  fin  alia  pancia 
nei  sangue  uman  per  tutta  la  campagna; 
ch'a  sepelire  il  popul  verra  manco 
tedesco,  ispano,  greco,  italo  e  franco. 


58  ORLANDO  FURIOSO 

LVI 

Quel  ch'in  pontificate  abito  imprime 

del  purpureo  capel  la  sacra  chioma, 

e  il  liberal,  magnanimo,  sublime, 

gran  cardinal  de  la  Chiesa  di  Roma, 

Ippolito,  ch'a  prose,  a  versi,  a  rime 

dara  materia  eterna  in  ogni  idioma; 

la  cui  fiorita  eta  vuol  il  ciel  iusto 

ch'abbia  un  Maron,  come  un  altro  ebbe  Augusto, 

LVII 

Adornera  la  sua  progenie  bella, 
come  orna  il  sol  la  machina  del  mondo 
molto  piu  de  la  luna  e  d'ogni  Stella; 
ch'ogn'altro  lume  a  lui  sempre  e  secondo. 
Costui  con  pochi  a  piedi  e  meno  in  sella 
veggio  uscir  mesto,  e  poi  tornar  iocondo; 
che  quindici  galee  mena  captive, 
oltra  milTaltri  legni,  alle  sue  rive. 

LVIII 

Vedi  poi  Funo  e  1'altro  Sigismondo. 
Vedi  d'Alfonso  i  cinque  figli  can, 
alia  cui  fama  ostar,  che  di  s6  il  mondo 
non  empia,  i  monti  non  potran  ne  i  mari  : 
gener  del  re  di  Francia,  Ercol  secondo 
e  Tun;  quest'altro  (acci6  tutti  gPimpari) 
Ippolito  e,  che  non  con  minor  raggio 
che  '1  zio,  risplendera  nel  suo  lignaggio ; 

LIX 

Francesco,  il  terzo;  Alfonsi  gli  altri  dui 
ambi  son  detti.  Or,  come  io  dissi  prima, 
s'ho  da  mostrarti  ogni  tuo  ramo,  il  cui 
valor  la  stirpe  sua  tanto  sublima, 
bisognera  che  si  rischiari  e  abbui 
piu  volte  prima  il  ciel,  ch'io  te  li  esprima: 
e  sara  tempo  ormai,  quando  ti  piaccia, 
ch'io  dia  licenzia  all'ombre,  e  ch'io  mi  taccia.  — 


CANTO    TERZO  59 

LX 

Cosi  con  volunta  de  la  donzella 
la  dotta  incantatrice  il  libro  chiuse. 
Tutti  gli  spirti  allora  ne  la  cella 
spariro  in  fretta,  ove  eran  Fossa  chiuse. 
Qui  Bradamante,  poi  che  la  favella 
le  fu  concessa  usar,  la  bocca  schiuse, 
e  domand6 :  —  Chi  son  li  dua  si  tristi, 
che  tra  Ippolito  e  Alfonso  abbiamo  visti? 

LXI 

Veniano  sospirando,  e  gli  occhi  bassi 
parean  tener  d'ogni  baldanza  privi; 
e  gir  lontan  da  loro  io  vedea  i  passi 
dei  frati  si,  che  ne  pareano  schivL  — 
Parve  ch'a  tal  domanda  si  cangiassi 
la  maga  in  viso,  e  fe'  degli  occhi  rivi, 
e  grid6 :  —  Ah  sfortunati,  a  quanta  pena 
lungo  instigar  d'uomini  rei  vi  mena! 

LXII 

O  bona  prole,  o  degna  d'Ercol  buono, 
non  vinca  il  lor  fallir  vostra  bontade: 
di  vostro  sangue  i  miseri  pur  sono: 
qui  ceda  la  iustizia  alia  pietade.  — 
Indi  soggiunse  con  piu  basso  suono: 
—  Di  cio  dirti  piu  inanzi  non  accade. 
Statti  col  dolcie  in  bocca,  e  non  ti  doglia 
ch'amareggiare  al  fin  non  te  la  voglia. 

LXIII 

Tosto  che  spunti  in  ciel  la  prima  luce, 
piglierai  meco  la  piu  dritta  via 
ch'al  lucente  castel  d'acciai'  conduce, 
dove  Ruggier  vive  in  altrui  balia. 
Io  tanto  ti  sar6  compagna  e  duce, 
che  tu  sia  fuor  de  1'aspra  selva  ria: 
t}insegner6,  poi  che  saren  sul  mare, 
si  ben  la  via,  che  non  potresti  err  are.  — 


60  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Quivi  1'audace  giovane  rimase 
tutta  la  notte,  e  gran  pezzo  ne  spese 
a  parlar  con  Merlin,  che  le  suase 
renders!  tosto  al  suo  Ruggier  cortese. 
Lascio  di  poi  le  sotterranee  case, 
che  di  nuovo  splendor  Paria  s'accese, 
per  un  camin  gran  spazio  oscuro  e  cieco, 
avendo  la  spirtal  femina  seco. 

LXV 

E  riusciro  in  un  burrone  ascoso 
tra  monti  inaccessibili  alle  genti ; 
e  tutto  '1  di  senza  pigliar  riposo 
saliron  baize  e  traversar  torrenti. 
E  perche  men  Pandar  fosse  noioso, 
di  piacevoli  e  bei  ragionamenti, 
di  quel  che  fu  piu  conferir  soave, 
1'aspro  camin  facean  parer  men  grave: 

LXVI 

di  quali  era  per6  la  maggior  parte, 

ch'a  Bradamante  vien  la  dotta  maga 

mostrando  con  che  astuzia  e  con  qual  arte 

proceder  de',  se  di  Ruggiero  e  vaga. 

—  Se  tu  fossi  —  dicea  —  Pallade  o  Marte, 

e  conducessi  gente  alia  tua  paga 

piu  che  non  ha  il  re  Carlo  e  il  re  Agramante, 

non  dureresti  contra  il  negromante; 

LXVII 

che  oltre  che  d'acciar  murata  sia 
la  rocca  inespugnabile  e  tant'alta 
oltre  che  51  suo  destrier  si  faccia  via 
per  mezzo  1'aria  ove  galoppa  e  salta, 
ha  lo  scudo  mortal  che,  come  pria 
si  scopre,  il  suo  splendor  si  gli  occhi  assalta, 
la  vista  tolle,  e  tanto  occupa  i  sensi, 
che  come  morto  rimaner  conviensi. 


CANTO    TERZO  6l 

LXVIII 

E  se  forse  ti  pensi  che  ti  vaglia 
combattendo  tener  serrati  gli  occhi, 
come  potrai  saper  ne  la  battaglia 
quando  ti  schivi,  o  Paversario  tocchi? 
Ma  per  fuggire  il  lume  ch'abbarbaglia, 
e  gli  altri  incanti  di  colui  far  sciocchi, 
ti  mostrer6  xm  rimedio,  una  via  presta; 
ne  altra  in  tutto  '1  mondo  e  se  non  questa. 

LXIX 

II  re  Agramante  d' Africa  uno  annello, 
che  fu  rubato  in  India  a  una  regina, 
ha  dato  a  un  suo  baron  detto  Brunello, 
che  poche  miglia  inanzi  ne  camina; 
di  tal  virtu,  che  chi  nel  dito  ha  quello, 
contra  il  mal  degPincanti  ha  medicina. 
Sa  de  furti  e  d'inganni  Brunei  quanto 
colui  che  tien  Ruggier  sappia  d'incanto. 

LXX 

Questo  Brunei  si  pratico  e  si  astuto, 
come  io  ti  dico,  e  dal  suo  re  mandato 
accio  che  col  suo  ingegno  e  con  Taiuto 
di  questo  annello,  in  tal  cose  provato, 
di  quella  rocca  dove  e  ritenuto 
traggia  Ruggier,  che  cosi  s'e  vantato, 
et  ha  cosi  promesso  al  suo  signore, 
a  cui  Ruggiero  e  phi  d'ogn'altro  a  core. 

LXXI 

Ma  perch6  il  tuo  Ruggiero  a  te  sol  abbia, 
e  non  al  re  Agramante,  ad  obligarsi 
che  tratto  sia  de  Tincantata  gabbia, 
t'insegnero  il  remedio  che  de'  usarsi. 
Tu  te  n'andrai  tre  di  lungo  la  sabbia 
del  mar,  ch'e  oramai  presso  a  dimostrarsi; 
il  terzo  giorno  in  un  albergo  teco 
arrivera  costui  c'ha  1'annel  seco. 


62  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

La  sua  statura,  accio  tu  lo  conosca, 
non  e  sei  palmi,  et  ha  il  capo  ricciuto; 
le  chiome  ha  nere,  et  ha  la  pelle  fosca; 
pallido  il  viso,  oltre  il  dover  barbuto ; 
gli  occhi  gonfiati  e  guardatura  losca; 
schiacciato  il  naso,  e  ne  le  ciglia  irsuto; 
Pabito,  acci6  ch'io  lo  dipinga  intero, 
e  stretto  e  corto,  e  sembra  di  corriero. 

LXXIII 

Con  esso  lui  t'accadera  soggetto 
di  ragionar  di  quelli  incanti  strani: 
mostra  d'aver,  come  tu  avra*  in  effetto, 
disio  che  '1  mago  sia  teco  alle  mani; 
ma  non  monstrar  che  ti  sia  stato  detto 
di  quel  suo  annel  che  fa  gl'incanti  vani. 
Egli  t'offerira  mostrar  la  via 
fin  alia  r6cca,  e  farti  compagnia. 

LXXIV 

Tu  gli  va  dietro:  e  come  t'avicini 
a  quella  r6cca  si  ch'ella'  si  scopra, 
dagli  la  morte;  n6  pieta  t'inchini 
che  tu  non  metta  il  mio  consiglio  in  opra. 
N6  far  ch'egli  il  pensier  tuo  s'indovini, 
e  ch'abbia  tempo  che  Tannel  lo  copra; 
perche  ti  spariria  dagli  occhi,  tosto 
ch'in  bocca  il  sacro  annel  s'avesse  posto. 

LXXV 

Cosi  parlando,  giunsero  sul  mare, 
dove  presso  a  Bordea  mette  Garonna. 
Quivi,  non  senza  alquanto  lagrimare, 
si  diparti  Tuna  da  1'altra  donna. 
La  figliuola  d'Amon,  che  per  slegare 
di  prigione  il  suo  amante  non  assonna, 
camin6  tanto,  che  venne  una  sera 
ad  uno  albergo  ove  Brunei  prim'era. 


CANTO   TERZO  63 

LXXVI 

Conosce  ella  Brunei  come  lo  vede, 
di  cui  la  forma  avea  sculpita  in  mente. 
Onde  ne  viene,  ove  ne  va,  gli  chiede: 
quel  le  risponde,  e  d'ogni  cosa  mente. 
La  donna,  gia  prevista,  non  gli  cede 
in  dir  menzogne,  e  simula  ugualmente 
e  patria  e  stirpe  e  setta  e  nome  e  sesso; 
e  gli  volta  alle  man  pur  gli  occhi  spesso. 

LXXVII 

Gli  va  gli  occhi  alle  man  spesso  voltando, 
in  dubbio  sempre  esser  da  lui  rubata; 
ne  lo  lascia  venir  troppo  accostando, 
di  sua  condizion  bene  iriformata. 
Stavano  insieme  in  questa  guisa,  quando 
Porecchia  da  un  rumor  lor  fu  intruonata. 
Poi  vi  dir6,  Signor,  che  ne  fu  causa, 
ch'avro  fatto  al  cantar  debita  pausa. 


64'  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO    QUARTO 


I 

Quantunque  il  simular  sia  le  phi  volte 
ripreso,  e  dia  di  mala  mente  indici, 
si  truova  pur  in  molte  cose  e  molte 
aver  fatti  evidenti  benefici, 
e  danni  e  biasmi  e  morti  aver  gia  tolte; 
che  non  conversiam  sempre  con  gli  amici 
in  questa  assai  piu  oscura  che  serena 
vita  mortal,  tutta  d'invidia  piena. 

II 

Se,  dopo  lunga  prova,  a  gran  fatica 
trovar  si  pub  chi  ti  sia  amico  vero, 
et  a  chi  senza  alcun  sospetto  dica 
e  discoperto  mostri  il  tuo  pensiero; 
che  de'  far  di  Ruggier  la  bella  arnica 
con  quel  Brunei  non  puro  e  non  sincero, 
ma  tutto  simulate  e  tutto  finto, 
come  la  maga  le  Pavea  dipinto  ? 

in 

Simula  anch'ella;  e  cosi  far  conviene 
con  esso  lui  di  finzioni  padre; 
e,  come  io  dissi,  spesso  ella  gli  tiene 
gli  occhi  alle  man,  ch'eran  rapaci  e  ladre. 
Ecco  all'orecchie  un  gran  rumor  lor  viene. 
Disse  la  donna:  —  O  gloriosa  Madre, 
o  Re  del  ciel,  che  cosa  sara  questa  ?  — 
E  dove  era  il  rumor  si  trovo  presta. 


CANTO    QUARTO  65 

IV 

E  vede  Poste  e  tutta  la  famiglia, 
e  chi  a  finestre  e  chi  fuor  ne  la  via, 
tener  levati  al  ciel  gli  occhi  e  le  ciglia, 
come  Fecclisse  o  la  cometa  sia. 
Vede  la  donna  un'alta  maraviglia, 
che  di  leggier  creduta  non  saria: 
vede  passar  un  gran  destriero  alato, 
che  porta  in  aria  un  cavaliero  armato. 

v 

Grandi  eran  Tale  e  di  color  diverso, 
e  vi  sedea  nel  mezzo  un  cavalliero, 
di  ferro  armato  luminoso  e  terso; 
e  ver  ponente  avea  dritto  il  sentiero. 
Calossi,  e  fu  tra  le  montagne  immerso : 
e,  come  dicea  Foste  (e  dicea  il  vero), 
quel  era  un  negromante,  e  facea  spesso 
quel  varco,  or  piu  da  lungi,  or  piu  da  presso^ 

VI 

Volando,  talor  s'alza  ne  le  stelle, 
e  poi  quasi  talor  la  terra  rade; 
e  ne  porta  con  lui  tutte  le  belle 
donne  che  trova  per  quelle  contrade: 
talmente  che  le  misere  donzelle 
ch'abbino  o  aver  si  credano  beltade 
(come  affatto  costui  tutte  le  invole) 
non  escon  fuor  si  che  le  veggia  il  sole. 

VII 

—  Egli  sul  Pireneo  tiene  un  castello  — 

narrava  Toste  —  fatto  per  incanto, 

tutto  d'acciaio,  e  si  lucente  e  bello, 

ch'altro  al  mondo  non  e  mirabil  tanto. 

Gia  molti  cavallier  sono  iti  a  quello, 

e  nessun  del  ritorno  si  da  vanto : 

si  ch'io  penso,  signore,  e  temo  forte, 

o  che  sian  presi,  o  sian  condotti  a  morte.  — 


66  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

La  donna  il  tutto  ascolta,  e  le  ne  giova, 
credendo  far,  come  fara  per  certo, 
con  1'annello  mirabile  tal  prova, 
che  ne  fia  il  mago  e  il  suo  castel  deserto; 
e  dice  a  1'oste :  —  Or  un  de'  tuoi  mi  trova, 
che  piu  di  me  sia  del  viaggio  esperto; 
ch'io  non  posso  durar,  tanto  ho  il  cor  vago 
di  far  battaglia  contra  a  questo  mago.  — 

IX 

—  Non  ti  manchera  guida,  —  le  rispose 
Brunello  allora  —  e  ne  verr6  teco  io: 
meco  ho  la  strada  in  scritto,  et  altre  cose 
che  ti  faran  piacere  il  venir  mio.  — 
Volse  dir  de  Tannel,  ma  non  Tespose, 

ne  chiari  piu,  per  non  pagarne  il  fio. 

—  Grato  mi  fia  —  disse  ella  —  il  venir  tuo  — , 
volendo  dir  ch'indi  1'annel  fia  suo. 


Quel  ch'era  utile  a  dir,  disse;  e  quel  tacque 

che  miocer  le  potea  col  Saracino. 

Avea  1'oste  un  destrier  ch'a  costei  piacque, 

ch'era  buon  da  battaglia  e  da  camino: 

comperollo,  e  partissi  come  nacque 

del  bel  giorno  seguente  il  matutino. 

Prese  la  via  per  una  stretta  valle, 

con  Brunello  era  inanzi,  ora  alle  spalle. 

XI 

Di  monte  in  monte  e  d'uno  in  altro  bosco 
giuhseno  ove  1'altezza  di  Pirene 
pu6  dimostrar,  se  non  e  1'aer  fosco, 
e  Francia  e  Spagna  e  due  diverse  arene, 
come  Apennin  scopre  il  mar  schiavo  e  il  tosco 
dal  giogo  onde  a  Camaldoli  si  viene. 
Quindi  per  aspro  e  faticoso  calle 
si  discendea  ne  la  profonda  valle. 


CANTO    QUARTO  67 

XII 

Vi  sorge  in  mezzo  un  sasso  che  la  cima 
d'un  bel  muro  d'acciar  tutta  si  fascia; 
e  quella  tanto  inverse  il  ciel  sublima, 
che  quanto  ha  intorno,  inferior  si  lascia. 
Non  faccia,  chi  non  vola,  andarvi  stima, 
che  spesa  indarno  vi  saria  ogni  ambascia. 
Brunei  disse :  —  Ecco  dove  prigionieri 
il  mago  tien  le  donne  e  i  cavallieri.  — 

XIII 

Da  quattro  canti  era  tagliato,  e  tale 
che  parea  dritto  a  fil  de  la  sinopia. 
Da  nessun  lato  ne  sentier  ne  scale 
v'eran,  che  di  salir  facesser  copia: 
e  ben  appar  che  d'animal  ch'abbia  ale 
sia  quella  stanza  nido  e  tana  propia. 
Quivi  la  donna  esser  conosce  1'ora 
di  tor  Tannello  e  far  che  Brunei  rnora. 

XIV 

Ma  le  par  atto  vile  a  insanguinarsi 

d'un  uom  senza  arme  e  di  si  ignobil  sorte; 

che  ben  potra  posseditrice  farsi 

del  ricco  annello,  e  lui  non  porre  a  morte. 

Brunei  non  avea  mente  a  riguardarsi; 

si  ch'ella  il  prese,  e  lo  Ieg6  ben  forte 

ad  uno  abete  ch'alta  avea  la  cima: 

ma  di  dito  Pannel  gli  trasse  prima. 

xv 

Ne  per  lacrime,  gemiti  o  lamenti 
che  facesse  Brunei,  lo  volse  sciorre. 
Smonto  de  la  montagna  a  passi  lenti, 
tanto  che  fu  nel  pian  sotto  la  torre. 
E  perche  alia  battaglia  s'appresenti 
il  negromante,  al  corno  suo  ricorre; 
e  dopo  il  suon,  con  minacciose  grida 
lo  chiama  al  campo,  et  alia  pugna  '1  sfida. 


68  ORLANDO    FURIOSO 

XVI 

Non  stette  molto  a  uscir  fuor  de  la  porta 
Tincantator,  ch'udi  Jl  suono  e  la  voce. 
L'alato  corridor  per  1'aria  il  porta 
contra  costei,  che  sembra  uomo  feroce, 
La  donna  da  principio  si  conforta, 
che  vede  che  colui  poco  le  nuoce: 
non  porta  lancia  ne  spada  ne  mazza, 
ch'a  forar  Fabbia  o  romper  la  corazza. 

XVII 

Da  la  sinistra  sol  lo  scudo  avea, 

tutto  coperto  di  seta  vermiglia; 

ne  la  man  destra  un  libro,  onde  facea 

nascer,  leggendo,  1'alta  maraviglia: 

che  la  lancia  talor  correr  parea, 

e  fatto  avea  a  piu  d'un  batter  le  ciglia; 

talor  parea  ferir  con  mazza  o  stocco, 

e  lontano  era,  e  non  avea  alcun  tocco. 

XVIII 

Non  e  finto  il  destrier,  ma  naturale, 
ch'una  giumenta  genero  d'un  grifo : 
simile  al  padre  avea  la  piuma  e  Pale, 
li  piedi  anteriori,  il  capo  e  il  grifo; 
in  tutte  Paltre  membra  parea  quale 
era  la  madre,  e  chiamasi  ippogrifo; 
che  nei  monti  Rifei  vengon,  ma  rari, 
molto  di  la  dagli  aghiacciati  mari. 

XIX 

Quivi  per  forza  lo  tir6  d'incanto ; 
e  poi  che  Pebbe,  ad  altro  non  attese, 
e  con  studio  e  fatica  opero  tanto, 
ch'a  sella  e  briglia  il  cavalco  in  un  mese: 
cosi  ch'in  terra  e  in  aria  e  in  ogni  canto 
lo  facea  volteggiar  senza  contese. 
Non  finzion  d'incanto,  come  il  resto, 
ma  vero  e  natural  si  vedea  questo. 


CANTO    QUARTO  69 

XX 

Del  mago  ogn'altra  cosa  era  figmento, 
che  comparir  facea  pel  rosso  il  giallo ; 
ma  con  la  donna  non  fu  di  momento, 
che  per  1'annel  non  puo  vedere  in  fallo. 
Piu  colpi  tuttavia  diserra  al  vento, 
e  quinci  e  quindi  spinge  il  suo  cavallo; 
e  si  dibatte  e  si  travaglia  tutta, 
come  era,  inanzi  che  venisse,  instrutta. 

XXI 

E  poi  che  esercitata  si  fu  alquanto 

sopra  il  destrier,  smontar  volse  anco  a  piede, 

per  poter  meglio  al  fin  venir  di  quanto 

la  cauta  maga  instruzion  le  diede. 

II  mago  vien  per  far  Festremo  incanto; 

che  del  fatto  ripar  ne  sa  ne  crede : 

scuopre  lo  scudo,  e  certo  si  prosume 

farla  cader  con  Pincantato  lume. 

XXII 

Potea  cosi  scoprirlo  al  primo  tratto, 
senza  tenere  i  cavallieri  a  bada; 
ma  gli  piacea  veder  qualche  bel  tratto 
di  correr  1'asta  o  di  girar  la  spada: 
come  si  vede  ch'aU'astuto  gatto 
scherzar  col  topo  alcuna  volta  aggrada; 
e  poi  che  quel  piacer  gli  viene  a  noia, 
dargli  di  morso,  e  al  fin  voler  che  muoia. 

XXIII 

Dico  che  '1  mago  al  gatto,  e  gli  altri  al  topo 
s'assimigliar  ne  le  battaglie  dianzi; 
ma  non  s'assimigliar  gia  cosi,  dopo 
che  con  Fannel  si  fe'  la  donna  inanzi. 
Attenta  e  fissa  stava  a  quel  ch'era  uopo, 
accio  che  nulla  seco  il  mago  avanzi; 
e  come  vide  che  lo  scudo  aperse, 
chiuse  gli  occhi,  e  lascio  quivi  caderse. 


70  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Non  die  il  fulgor  del  lucido  metallo, 
come  soleva  agli  altri,  a  lei  nocesse; 
ma  cosi  fece  acci6  che  dal  cavallo 
contra  se  il  vano  incantator  scendesse : 
ne  parte  ando  del  suo  disegno  in  fallo; 
che  tosto  ch'ella  il  capo  in  terra  messe, 
accelerando  il  volator  le  penne, 
con  larghe  ruote  in  terra  a  por  si  venne. 

xxv 

Lascia  alParcion  lo  scudo,  che  gia  posto 
avea  ne  la  coperta,  e  a  pie  discende 
verso  la  donna  che,  come  reposto 
lupo  alia  macchia  il  capriolo,  attende. 
Senza  piu  indugio  ella  si  leva  tosto 
che  Tha  vicino,  e  ben  stretto  lo  prende. 
Avea  lasciato  quel  misero  in  terra 
il  libro  che  facea  tutta  la  guerra: 

XXVI 

e  con  una  catena  ne  correa, 

che  solea  portar  cinta  a  simil  uso; 

perche  non  men  legar  colei  credea, 

che  per  adietro  altri  legare  era  uso. 

La  donna  in  terra  posto  gia  Favea: 

se  quel  non  si  difese,  io  ben  Pescuso ; 

che  troppo  era  la  cosa  differente 

tra  un  debol  vecchio  e  lei  tanto  possente. 

XXVII 

Disegnando  levargli  ella  la  testa, 

alza  la  man  vittoriosa  in  fretta; 

ma  poi  che  '1  viso  mira,  il  colpo  arresta, 

quasi  sdegnando  si  bassa  vendetta, 

Un  venerabil  vecchio  in  faccia  mesta 

vede  esser  quel  ch'ella  ha  giunto  alia  stretta, 

che  mostra  al  viso  crespo  e  al  pelo  bianco 

eta  di  settanta  anni  o  poco  manco. 


CANTO    QUARTO  71 

XXVIII 

—  Tommi  la  vita,  giovene,  per  Dlo  — , 
dicea  il  vecchio  pien  d'ira  e  di  dispetto; 
ma  quella  a  torla  avea  si  il  cor  restio, 
come  quel  di  lasciarla  avria  diletto. 

La  donna  di  sapere  ebbe  disio 

chi  fosse  il  negromante,  et  a  che  effetto 

edificasse  in  quel  luogo  selvaggio 

la  r6cca,  e  faccia  a  tutto  il  mondo  oltraggio. 

XXIX 

—  Ne  per  maligna  intenzione,  ahi  lasso!  — 
disse  piangendo  il  vecchio  incantatore 

—  feci  la  bella  rocca  in  cima  al  sasso, 
ne  per  avidita  son  rubatore; 

ma  per  ritrar  sol  da  Pestremo  passo 
un  cavallier  gentil,  mi  mosse  amore, 
che,  come  il  ciel  mi  mostra,  in  tempo  breve 
morir  cristiano  a  tradimento  deye. 

xxx 

Non  vede  il  sol  tra  questo  e  il  polo  austrino 
un  giovene  si  bello  e  si  prestante: 
Ruggiero  ha  nome,  il  qual  da  piccolino 
da  me  nutrito  fu,  ch'io  sono  Atlante. 
Disio  d'onore  e  suo  fiero  destino 
Than  tratto  in  Francia  dietro  al  re  Agramante; 
et  io,  che  Pamai  sempre  piu  che  figlio, 
lo  cerco  trar  di  Francia  e  di  periglio. 

XXXI 

La  bella  rocca  solo  edificai 
per  tenervi  Ruggier  sicuramente, 
che  preso  fu  da  me,  come  sperai 
che  fossi  oggi  tu  preso  similmente; 
e  donne  e  cavallier,  che  tu  vedrai, 
poi  ci  ho  ridotti,  et  altra  nobil  gente, 
acci6  che,  quando  a  voglia  sua  non  esca, 
avendo  compagnia  men  gli  rincresca. 


72  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

Pur  ch'uscir  di  la  su  non  si  domande, 
d'ogn'altro  gaudio  lor  cura  mi  tocca; 
che  quanto  averne  da  tutte  le  bande 
si  puo  del  mondo,  e  tutto  in  quella  rocca: 
suoni,  canti,  vestir,  giuochi,  vivande, 
quanto  puo  cor  pensar,  puo  chieder  bocca. 
Ben  seminato  avea,  ben  cogliea  il  frutto; 
ma  tu  sei  giunto  a  disturb armi  il  tutto. 

XXXIII 

Deh,  se  non  hai  del  viso  il  cor  men  bello, 
non  impedir  il  mio  consiglio  onesto! 
Piglia  lo  scudo  (ch'io  tel  dono)  e  quello 
destrier  che  va  per  Paria  cosi  presto; 
e  non  t'impacciar  oltra  nel  castello, 
o  tranne  uno  o  duo  amici,  e  lascia  il  resto ; 
o  tranne  tutti  gli  altri,  e  piu  non  chero 
se  non  che  tu  mi  lasci  il  mio  Ruggiero. 

xxxiv 

E  se  disposto  sei  volermel  torre, 
deh,  prima  almen  che  tu  '1  rimeni  in  Francia, 
piacciati  questa  afflitta  anima  sciorre 
de  la  sua  scorza  ormai  putrida  e  rancia!  — 
Rispose  la  donzella:  —  Lui  vo'  porre 
in  liberta:  tu,  se  sai,  gracchia  e  ciancia; 
ne  mi  offerir  di  dar  lo  scudo  in  dono 
o  quel  destrier,  che  miei  non  piu  tuoi  sono  : 

xxxv 

ne  s'anco  stesse  a  te  di  torre  e  darli, 
mi  parrebbe  che  '1  cambio  convenisse, 
Tu  di'  che  Ruggier  tieni  per  vietarli 
il  male  influsso  di  sue  stelle  fisse. 
0  che  non  puoi  saperlo,  o  non  schivarli, 
sappiendol,  cio  che  '1  ciel  di  lui  prescrisse: 
ma  se  '1  mal  tuo,  c'hai  si  vicin,  non  vedi, 
peggio  Paltrui  c'ha  da  venir  prevedi. 


CANTO    QUARTO  73 

XXXVI 

Non  pregar  ch'io  t'uccida,  ch'i  tuoi  preghi 
sariano  indarno ;  e  se  pur  vuoi  la  morte, 
ancor  che  tutto  il  mondo  dar  la  nieghi, 
da  se  la  puo  aver  sempre  animo  forte. 
Ma  pria  che  1'alma  da  la  carne  sleghi, 
a  tutti  i  tuoi  prigioni  apri  le  porte.  — 
Cosi  dice  la  donna,  e  tuttavia 
il  mago  preso  incontra  al  sasso  invia. 

XXXVII 

Legato  de  la  sua  propria  catena 
andava  Atlante,  e  la  donzella  appresso, 
che  cosi  ancor  se  ne  fidava  a  pena, 
ben  che  in  vista  parea  tutto  rimesso. 
Non  molti  passi  dietro  se  la  mena, 
ch'a  pie  del  monte  han  ritrovato  il  fesso, 
e  li  scaglioni  onde  si  monta  in  giro, 
fin  ch'alla  porta  del  castel  saliro. 

XXXVIII 

Di  su  la  soglia  Atlante  un  sasso  tolle, 

di  caratteri  e  strani  segni  insculto. 

Sotto,  vasi  vi  son  che  chiamano  olle, 

che  fuman  sempre,  e  dentro  han  foco  occulto. 

L'incantator  le  spezza;  e  a  un  tratto  il  colle 

riman  deserto,  inospite  et  inculto ; 

ne  muro  appar  ne  torre  in  alcun  lato, 

come  se  mai  castel  non  vi  sia  stato. 

xxxix 

Sbrigossi  da  la  donna  il  mago  allora, 
come  fa  spesso  il  tordo  da  la  ragna; 
e  con  lui  sparve  il  suo  castello  a  un'ora, 
e  lascio  in  liberta  quella  compagna. 
Le  donne  e  i  cavallier  si  trovar  fuora 
de  le  superbe  stanze  alia  campagna: 
e  furon  di  lor  molte  a  chi  ne  dolse, 
che  tal  franchezza  un  gran  piacer  lor  tolse. 


74  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Quivi  e  Gradasso,  quivi  e  Sacripante, 
quivi  e  Prasildo,  il  nobil  cavalliero 
che  con  Rinaldo  venne  di  Levante, 
e  seco  Iroldo,  il  par  d'amici  vero. 
Al  fin  trovo  la  bella  Bradamante 
quivi  il  desiderate  suo  Ruggiero, 
che,  poi  che  n'ebbe  certa  conoscenza, 
le  fej  buona  e  gratissima  accoglienza; 

XLI 

come  a  colei  che  piu  che  gli  occhi  sui, 
piu  che  '1  suo  cor,  piu  che  la  propria  vita 
Ruggiero  amo  dal  di  ch'essa  per  lui 
si  trasse  1'elmo,  onde  ne  fu  ferita. 
Lungo  sarebbe  a  dir  come,  e  da  cui, 
e  quanto  ne  la  selva  aspra  e  romita 
si  cercar  poi  la  notte  e  il  giorno  chiaro; 
ne,  se  non  qui,  mai  piu  si  ritrovaro. 

XLII 

Or  che  quivi  la  vede,  e  sa  ben  ch'ella 

e  stata  sola  la  sua  redentrice, 

di  tanto  gaudio  ha  pieno  il  cor,  che  appella 

se  fortunato  et  unico  felice. 

Scesero  il  monte,  e  dismontaro  in  quella 

valle,  ove  fu  la  donna  vincitrice, 

e  dove  1'ippogrifo  trovaro  anco, 

ch'avea  lo  scudo,  ma  coperto,  al  fianco. 

XLIII 

La  donna  va  per  prenderlo  nel  freno, 
e  quel  Paspetta  fin  che  se  gli  accosta; 
poi  spiega  Tale  per  Paer  sereno, 
e  si  ripon  non  lungi  a  mezza  costa. 
Ella  lo  segue;  e  quel  ne  piu  ne  meno 
si  leva  in  aria,  e  non  troppo  si  scosta; 
come  fa  la  cornacchia  in  secca  arena, 
che  dietro  il  cane  or  qua  or  Ik  si  mena. 


CANTO    QUARTO  75 

XLIV 

Ruggier,  Gradasso,  Sacripante,  e  tutti 
quei  cavallier  che  scesi  erano  insieme, 
chi  di  su,  chi  di  giu,  si  son  ridutti 
dove  che  torni  il  volatore  han  speme. 
Quel,  poi  che  gli  altri  invaxio  ebbe  condutti 
piu  volte  e  sopra  le  cime  supreme 
e  negli  umidi  fondi  tra  quei  sassi, 
presso  a  Ruggiero  al  fin  ritenne  i  passi. 

XLV 

E  questa  opera  fu  del  vecchio  Atlante, 
di  cui  non  cessa  la  pietosa  voglia 
di  trar  Ruggier  del  gran  periglio  instante : 
di  cio  sol  pensa  e  di  ci6  solo  ha  doglia. 
Pero  gli  manda  or  Pippogrifo  avante, 
perch6  d'Europa  con  questa  arte  il  toglia. 
Ruggier  lo  piglia,  e  seco  pensa  trarlo, 
ma  quei  s'arretra  e  non  vuol  seguitarlo. 

XLVI 

Or  di  Frontin  quei  animoso  smonta 
(Frontino  era  nomato  il  suo  destriero), 
e  sopra  quei  che  va  per  1'aria  monta, 
e  con  li  spron  gli  adizza  il  core  altiero. 
Quel  corre  alquanto,  et  indi  i  piedi  ponta, 
e  sale  inverso  il  ciel,  via  piu  leggiero 
che  '1  girifalco,  a  cui  lieva  il  capello 
il  mastro  a  tempo,  e  fa  veder  Taugello. 

XLVII 

La  bella  donna,  che  si  in  alto  vede 
e  con  tanto  periglio  il  suo  Ruggiero, 
resta  attonita  in  modo,  che  non  riede 
per  lungo  spazio  al  sentimento  vero. 
Ci6  che  gia  inteso  avea  di  Ganimede 
ch'al  ciel  fu  assunto  dal  paterno  impero, 
dubita  assai  che  non  accada  a  quello, 
non  men  gentil  di  Ganimede  e  bello. 


76  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

Con  gli  occhi  fissi  al  ciel  lo  segue  quanto 
basta  il  veder;  ma  poi  che  si  dilegua 
si,  che  la  vista  non  puo  correr  tanto, 
lascia  che  sempre  1'animo  lo  segua. 
Tuttavia  con  sospir,  gemlto  e  pianto 
non  ha,  ne  vuol  aver  pace  ne  triegua. 
Poi  che  Ruggier  di  vista  se  le  tolse, 
al  buon  destrier  Frontin  gli  occhi  rivolse: 

XLIX 

e  si  deliber6  di  non  lasciarlo, 

che  fosse  in  preda  a  chi  venisse  prima; 

ma  di  condurlo  seco,  e  di  poi  darlo 

al  suo  signer  ch'anco  veder  pur  stima. 

Poggia  Paugel,  ne  pu6  Ruggier  frenarlo: 

di  sotto  rimaner  vede  ogni  cima 

et  abbassarsi  in  guisa,  che  non  scorge 

dove  e.  piano  il  terren  ne  dove  sorge. 


Poi  che  si  ad  alto  vien,  ch'un  picciol  punto 

10  puo  stimar  chi  da  la  terra  il  mira, 
prende  la  via  verso  ove  cade  a  punto 

11  sol,  quando  col  Granchio  si  raggira: 
e  per  Faria  ne  va  come  legno  unto 

a  cui  nel  mar  propizio  vento  spira. 
Lascianlo  andar,  che  fara  buon  camino, 
e  torniamo  a  Rinaldo  paladino. 

LI 

Rinaldo  1'altro  e  Paltro  giorno  scorse, 
spinto  dal  vento,  un  gran  spazio  di  mare, 
quando  a  ponente  e  quando  contra  TOrse, 
che  notte  e  di  non  cessa  mai  soffiare. 
Sopra  la  Scozia  ultimamente  sorse, 
dove  la  selva  Calidonia  appare, 
che  spesso  fra  gli  antiqui  ombrosi  cerri 
s'ode  sonar  di  bellicosi  ferri. 


CANTO    QUARTO  77 

LII 

Vanno  per  quella  i  cavallieri  erranti, 
incliti  in  arme,  di  tutta  Bretagna, 
e  de'  prossimi  luoghi  e  de'  distant!, 
di  Francia,  di  Norvegia  e  de  Lamagna. 
Chi  non  ha  gran  valor,  non  vada  inanti, 
che  dove  cerca  onor,  morte  guadagna. 
Gran  cose  in  essa  gia  fece  Tristano, 
Lancilotto,  Galasso,  Artu  e  Galvano, 

LIII 

et  altri  cavallieri  e  de  la  nuova 
e  de  la  vecchia  Tavola  famosi: 
restano  ancor  di  piu  d'una  lor  pruova 
li  monumenti  e  li  trofei  pomposi. 
L'arme  Rinaldo  e  il  suo  Baiardo  truova, 
e  tosto  si  fa  por  nei  liti  ombrosi, 
et  al  nochier  comanda  che  si  spicche 
e  lo  vada  aspettar  a  Beroicche. 

LIV 

Senza  scudiero  e  senza  compagnia 
va  il  cavallier  per  quella  selva  immensa, 
facendo  or  una  et  or  un'altra  via, 
dove  piu  aver  strane  aventure  pensa. 
Capit6  il  primo  giorno  a  una  badia 
che  buona  parte  del  suo  aver  dispensa 
in  onorar  nel  suo  cenobio  adorno 
le  donne  e  i  cavallier  che  vanno  attorno. 

LV 

Bella  accoglienza  i  monachi  e  1'abbate 
fero  a  Rinaldo,  il  qual  domand6  loro 
(non  prima  gia  che  con  vivande  grate 
avesse  avuto  il  ventre  amplo  ristoro) 
come  dai  cavallier  sien  ritrovate 
spesso  aventure  per  quel  tenitoro, 
dove  si  possa  in  qualche  fatto  eggregio 
1'uom  dimostrar,  se  merta  biasmo  o  pregio. 


78  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Risposongli  ch'errando  in  quelli  boschi, 
trovar  potria  strane  aventure  e  molte  : 
ma  come  i  luoghi,  i  fatti  ancor  son  foschi; 
che  non  se  n'ha  notizia  le  piu  volte. 
—  Cerca  —  diceano  —  andar  dove  conoschi 
che  Popre  tue  non  restino  sepolte, 
accio  dietro  al  periglio  e  alia  fatica 
segua  la  fama,  e  il  debito  ne  dica. 

LVII 

E  se  del  tuo  valor  cerchi  far  prova, 
t'e  preparata  la  piu  degna  impresa 
che  ne  1'antiqua  etade  o  ne  la  nova 
giamai  da  cavallier  sia  stata  presa. 
La  figlia  del  re  nostro  or  se  ritrova 
bisognosa  d'aiuto  e  di  difesa 
contra  un  baron  che  Lurcanio  si  chiama, 
che  tor  le  cerca  e  la  vita  e  la  fama. 

LVIII 

Questo  Lurcanio  al  padre  Pha  accusata 
(forse  per  odio  piu  che  per  ragione) 
averla  a  mezza  notte  ritrovata 
trarr'un  suo  amante  a  se  sopra  un  verrone. 
Per  le  leggi  del  regno  condannata 
al  fuoco  fia,  se  non  truova  campione 
che  fra  un  mese,  oggimai  presso  a  finire, 
Finiquo  accusator  faccia  mentire. 

LIX 

L'aspra  legge  di  Scozia,  empia  e  severa, 
vuol  ch'ogni  donna,  e  di  ciascuna  sorte, 
ch'ad  uom  si  giunga,  e  non  gli  sia  mogliera, 
s'accusata  ne  viene,  abbia  la  morte. 
Ne  riparar  si  puo  ch'ella  non  pera, 
quando  per  lei  non  venga  un  guerrier  forte 
che  tolga  la  difesa,  e  che  sostegna 
che  sia  innocente  e  di  morire  indegna. 


CANTO    QUARTO  79 

LX 

II  re,  dolente  per  Ginevra  bella 
(che  cosi  nominata  e  la  sua  figlia), 
ha  publicato  per  citta  e  castella, 
che  s'alcun  la  diffesa  di  lei  piglia, 
e  che  1'estingua  la  calunnia  fella 
(pur  che  sia  nato  di  nobil  famiglia), 
Favra  per  moglie,  et  uno  stato,  quale 
fia  convenevol  dote  a  donna  tale. 

LXI 

Ma  se  fra  un  mese  alcun  per  lei  non  viene, 
o  venendo  non  vince,  sara  uccisa. 
Simile  impresa  meglio  ti  conviene, 
ch'andar  pei  boschi  errando  a  questa  guisa: 
oltre  ch'onor  e  fama,  te  n'aviene 
ch'in  eterno  da  te  non  fia  divisa, 
guadagni  il  fior  di  quante  belle  donne 
da  Tlndo  sono  all'Atlantee  colonne; 

LXII 

e  una  ricchezza  appresso,  et  uno  stato 

che  sempre  far  ti  pu6  viver  contento; 

e  la  grazia  del  re,  se  suscitato 

per  te  gli  fia  il  suo  onor,  che  e  quasi  spento. 

Poi  per  cavalleria  tu  se'  ubligato 

a  vendicar  di  tanto  tradimento 

costei,  che  per  commune  opinione, 

di  vera  pudicizia  e  un  paragone.  — 

LXIII 

Pens6  Rinaldo  alquanto,  e  poi  rispose: 
—  Una  donzella  dunque  de'  morire 
perche  lascio  sfogar  ne  Pamorose 
sue  braccia  al  suo  amator  tanto  desire? 
Sia  maladetto  chi  tal  legge  pose, 
e  maladetto  chi  la  pu6  patire! 
Debitamente  muore  una  crudele, 
non  chi  da  vita  al  suo  amator  fedele. 


8o  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Sia  vero  o  falso  che  Ginevra  tolto 

s'abbia  il  suo  amante,  io  non  riguardo  a  questo : 

d'averlo  fatto  la  loderei  molto, 

quando  non  fosse  stato  manifesto. 

Ho  in  sua  diffesa  ogni  pensier  rivolto: 

datemi  pur  un  chi  mi  guidi  presto, 

e  dove  sia  1'accusator  mi  mene; 

ch'io  spero  in  Dio  Ginevra  trar  di  pene. 

LXV 

Non  vo*  gia  dir  ch'ella  non  1'abbia  fatto; 

che  nol  sappiendo,  il  falso  dir  potrei: 

diro  ben  che  non  de'  per  simil  atto 

punizion  cadere  alcuna  in  lei; 

e  diro  che  fu  ingiusto  o  che  fu  matto 

chi  fece  prima  li  statuti  rei; 

e  come  iniqui  rivocar  si  denno, 

e  nuova  legge  far  con  miglior  senno. 

LXVI 

S'un  medesimo  ardor,  s'un  disir  pare 
inchina  e  sforza  Puno  e  1'altro  sesso 
a  quel  suave  fin  d'amor,  che  pare 
all'ignorante  vulgo  un  grave  eccesso; 
perche  si  de'  punir  donna  o  biasmare, 
che  con  uno  o  piu  d'uno  abbia  commesso 
quel  che  1'uom  fa  con  quante  n'ha  appetito, 
e  lodato  ne  va,  non  che  impunito  ? 

LXVII 

Son  fatti  in  questa  legge  disuguale 
veramente  alle  donne  espressi  torti; 
e  spero  in  Dio  mostrar  che  gli  e  gran  male 
che  tanto  lungamente  si  comporti.  — 
Rinaldo  ebbe  il  consenso  universaie, 
che  fur  gli  antiqui  ingiusti  e  mali  accorti, 
che  consentiro  a  cosi  iniqua  legge, 
e  mal  fa  il  re  che  puo  ne  la  corregge. 


CANTO    QUARTO  8l 

LXVIII 

Poi  die  la  luce  Candida  e  vermiglia 
de  1'altro  giorno  aperse  1'emispero, 
Rinaldo  1'arme  e  il  suo  Baiardo  piglia, 
e  di  quella  badia  tolle  un  scudiero, 
che  con  lui  viene  a  molte  leghe  e  miglia, 
sempre  nel  bosco  orribilrnente  fiero, 
verso  la  terra  ove  la  lite  nupva 
de  la  donzella  de'  venir  in  pruova. 

LXIX 

Avean,  cercando  abbreviar  camino, 
lasciato  pel  sentier  la  maggior  via; 
quando  un  gran  pianto  udir  sonar  vicino, 
che  la  foresta  d'ogn'intorno  empia. 
Baiardo  spinse  Tun,  1'altro  il  ronzino 
verso  una  valle  onde  quel  grido  uscia: 
e  fra  dui  mascalzoni  una  donzella 
vider,  che  di  lontan  parea  assai  bella; 

LXX 

ma  lacrimosa  e  addolorata  quanto 
donna  o  donzella  o  mai  persona  fosse. 
Le  sono  dui  col  ferro  nudo  a  canto, 
per  farle  far  Terbe  di  sangue  rosse. 
Ella  con  preghi  differendo  alquanto 
giva  il  morir,  sin  che  pieta  si  mosse. 
Venne  Rinaldo ;  e  come  se  n'accorse, 
con  alti  gridi  e  gran  minaccie  accorse. 

LXXI 

Voltaro  i  malandrin  tosto  le  spalle, 
che  '1  soccorso  lontan  vider  venire, 
e  se  appiattar  ne  la  profonda  valle. 
II  paladin  non  li  cur6  seguire : 
venne  a  la  donna,  e  qual  gran  colpa  dalle 
tanta  punizion,  cerca  d'udire; 
e  per  tempo  avanzar,  fa  allo  scudiero 
levarla  in  groppa,  e  torna  al  suo  sentiero. 


82  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

E  cavalcando  poi  meglio  la  guata 
molto  esser  bella  e  di  maniere  accorte, 
ancor  che  fosse  tutta  spaventata 
per  la  paura  ch'ebbe  de  la  morte. 
Poi  ch'ella  fu  di  nuovo  domandata 
chi  Pavea  tratta  a  si  infelice  sorte, 
incominci6  con  umil  voce  a  dire 
quel  ch'io  vo'  all'altro  canto  differire. 


CANTO    QUINTO  83 


CANTO   QUINTO 


I 

Tutti  gli  altri  animal  che  sono  in  terra, 
o  che  vivon  quieti  e  stanno  in  pace, 
o  se  vengono  a  rissa  e  si  fan  guerra, 
alia  femina  il  maschio  non  la  face: 
1'orsa  con  Torso  al  bosco  sicura  erra, 
la  leonessa  appresso  il  leon  giace; 
col  lupo  vive  la  lupa  sicura, 
n6  la  iuvenca  ha  del  torel  paura. 

II 

Ch'abominevol  peste,  che  Megera 
e  venuta  a  turbar  gli  umani  petti? 
che  si  sente  il  marito  e  la  mogliera 
sempre  garrir  d'ingiuriosi  detti, 
stracciar  la  faccia  e  far  livida  e  nera, 
bagnar  di  pianto  i  geniali  letti; 
e  non  di  pianto  sol,  ma  alcuna  volta 
di  sangue  gli  ha  bagnati  Tira  stolta. 

in 

Parmi  non  sol  gran  mal,  ma  che  Tuom  faccia 
contra  natura  e  sia  di  Dio  ribello, 
che  s'induce  a  percuotere  la  faccia 
di  bella  donna,  o  romperle  un  capello; 
ma  chi  le  da  veneno,  o  chi  le  caccia 
Talma  del  corpo  con  laccio  o  coltello, 
ch'uomo  sia  quel  non  creder6  in  eterno, 
ma  in  vista  umana  un  spirto  de  Tinferno. 


84  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

Cotali  esser  doveano  i  duo  ladroni 
che  Rinaldo  caccio  da  la  donzella, 
da  lor  condotta  in  quei  scuri  valloni 
perche  non  se  n'udisse  piu  novella. 

10  lasciai  ch'ella  render  le  cagioni 
s'apparechiava  di  sua  sorte  fella 

al  paladin,  che  le  fu  buono  amico: 
or,  seguendo  Pistoria,  cosi  dico. 

v 

La  donna  incominci6 :  —  Tu  intenderai 
la  maggior  crudeltade  e  la  piu  espressa, 
ch'in  Tebe  o  in  Argo  o  ch'in  Micene  mai, 
o  in  loco  piu  crudel  fosse  commessa. 
E  se  rotando  il  sole  i  chiari  rai, 
qui  men  ch'all'altre  region  s'appressa, 
credo  ch'a  noi  malvolentieri  arrivi, 
perche  veder  si  crudel  gente  schivi. 

VI 

Ch'agli  nemici  gli  uomini  sien  crudi, 
in  ogni  eta  se  n'e  veduto  esempio; 
ma  dar  la  morte  a  chi  procuri  e  studi 

11  tuo  ben  sempre,  e  troppo  ingiusto  et  empio. 
E  acci6  che  meglio  il  vero  io  ti  denudi, 
perche  costor  volessero  far  scempio 

degli  anni  verdi  miei  contra  ragione, 
ti  dir6  da  principio  ogni  cagione. 

VII 

Voglio  che  sappi,  signer  mio,  ch'essendo 
ten  era  ancora,  alii  servigi  venni 
de  la  figlia  del  re,  con  cui  crescendo, 
buon  luogo  in  corte  et  onorato  tenni. 
Crudele  Amore,  al  mio  stato  invidendo, 
fe*  che  seguace,  ahi  lassa!  gli  divenni: 
fe*  d'ogni  cavallier,  d'ogni  donzello 
parermi  il  duca  d' Albania  piu  bello. 


CANTO    QUINTO  85 

VIII 

Perche  egli  mostro  amarmi  piu  che  molto, 
io  ad  amar  lui  con  tutto  il  cor  mi  mossi. 
Ben  s'ode  il  ragionar,  si  vede  il  volto, 
ma  dentro  il  petto  mal  giudicar  possi. 
Credendo,  amando,  non  cessai  che  tolto 
1'ebbi  nel  letto,  e  non  guardai  ch'io  fossi 
di  tutte  le  real  camere  in  quella 
che  piu  secreta  avea  Ginevra  bella; 

IX 

dove  tenea  le  sue  cose  piu  care, 

e  dove  le  piu  volte  ella  dormia. 

Si  pu6  di  quella  in  s'un  verrone  entrare, 

che  fuor  del  muro  al  discoperto  uscia. 

Io  facea  il  mio  amator  quivi  montare, 

e  la  scala  di  corde,  onde  salia, 

10  stessa  dal  verron  giu  gli  mandai 
qual  volta  meco  aver  Io  desiai: 

x 

che  tante  volte  ve  Io  fei  venire, 
quanto  Ginevra  me  ne  diede  I5  agio, 
che  solea  mutar  letto,  or  per  fuggire 

11  tempo  ardente,  or  il  brumal  malvagio. 
Non  fu  veduto  d'alcun  mai  salire, 

per6  che  quella  parte  del  palagio 
risponde  verso  alcune  case  rotte, 
dove  nessun  mai  passa  o  giorno  o  notte. 

XI 

Continu6  per  molti  giorni  e  mesi 
tra  noi  secreto  Tamoroso  gioco: 
sempre  crebbe  1'amore;  e  si  m'accesi, 
che  tutta  dentro  io  mi  sentia  di  foco : 
e  cieca  ne  fui  si,  ch'io  non  compresi 
ch'egli  fingeva  molto,  e  amava  poco; 
ancor  che  li  suo?  inganni  discoperti 
esser  doveanmi  a  mille  segni  certi. 


86  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Dopo  alcun  di  si  mostro  nuovo  amante 
de  la  bella  Ginevra.  lo  non  so  appunto 
s'allora  cominciasse,  o  pur  inante 
de  Famor  mio  n'avesse  il  cor  gia  punto. 
Vedi  s'in  me  venuto  era  arrogante, 
s'imperio  nel  mio  cor  s'aveva  assunto; 
che  mi  scoperse,  e  non  ebbe  rossore 
chiedermi  aiuto  in  questo  nuovo  amore. 

XIII 

Ben  mi  dicea  ch'uguale  al  mio  non  era, 
ne  vero  amor  quel  ch'egli  avea  a  costei ; 
ma  simulando  esserne  acceso,  spera 
celebrarne  i  legitimi  imenei. 
Dal  re  ottenerla  fia  cosa  leggiera, 
qualor  vi  sia  la  volonta  di  lei ; 
che  di  sangue  e  di  stato  in  tutto  il  regno 
non  era,  dopo  il  re,  di  lu'  il  piii  degno. 

XIV 

Mi  persuade,  se  per  opra  mia 

potesse  al  suo  signor  genero  farsi 

(che  veder  posso  che  se  n'alzeria 

a  quanto  presso  al  re  possa  uomo  alzarsi), 

che  me  n'avria  bon  merto,  e  non  saria 

mai  tanto  beneficio  per  scordarsi; 

e  ch'alla  moglie  e  ch'ad  ogn'altro  inante 

mi  porrebbe  egli  in  sempre  essermi  amante. 

xv 

lo  ch'era  tutta  a  satisfargli  intenta, 
ne  seppi  o  volsi  contradirgli  mai, 
e  sol  quei  giorni  io  mi  vidi  contenta, 
ch'averlo  compiaciuto  mi  trovai; 
piglio  1'occasion  che  s'appresenta 
di  parlar  d'esso  e  di  lodarlo  assai; 
et  ogni  industria  adopro,  ogni  fatica, 
per  far  del  mio  amator  Ginevra  arnica. 


CANTO    QUINTO  87 

XVI 

Feci  col  core  e  con  Feffetto  tutto 
quel  che  far  si  poteva,  e  sallo  Idio ; 
ne  con  Ginevra  mai  potei  far  frutto, 
ch'io  le  ponessi  in  grazia  il  duca  mio: 
e  questo,  che  ad  amar  ella  avea  indutto 
tutto  il  pensiero  e  tutto  il  suo  disio 
un  gentil  cavallier,  bello  e  cortese, 
venuto  in  Scozia  di  lontan  paese; 

XVII 

che  con  un  suo  fratel  ben  giovinetto 
venne  d'  Italia  a  stare  in  questa  corte; 
si  fe'  ne  Farme  poi  tanto  perfetto, 
che  la  Bretagna  non  avea  il  piu  forte. 
II  re  Famava,  e  ne  mostro  Feffetto; 
che  gli  dono  di  non  picciola  sorte 
castella  e  ville  e  iuridizioni, 
e  lo  fe'  grande  al  par  dei  gran  baroni. 

XVIII 

Grato  era  al  re,  piu  grato  era  alia  figlia 
quel  cavallier  chiamato  Ariodante, 
per  esser  valoroso  a  maraviglia; 
ma  piu,  ch'ella  sapea  che  Fera  amante. 
Ne  Vesuvio,  ne  il  monte  di  Siciglia, 
ne  Troia  avamp6  mai  di  fiamme  tante, 
quante  ella  conoscea  che  per  suo  amore 
Ariodante  ardean  per  tutto  il  core. 

XIX 

L'amar  che  dunque  ella  facea  colui 
con  cor  sincere  e  con  perfetta  fede, 
fe5  che  pel  duca  male  udita  fui; 
ne  mai  risposta  da  sperar  mi  diede: 
anzi  quanto  io  pregava  piu  per  lui 
e  gli  studiava  d'impetrar  mercede, 
ella,  biasmandol  sempre  e  dispregiando, 
se  gli  venia  piu  sempre  inimicando. 


ORLANDO   FURIOSO 
XX 

lo  confortai  Tamator  mio  sovente, 

che  volesse  lasciar  la  vana  impresa; 

ne  si  sperasse  mai  volger  la  mente 

di  costei,  troppo  ad  altro  amore  intesa: 

e  gli  feci  conoscer  chiaramente 

come  era  si  d'Ariodante  accesa, 

che  quanta  acqua  e  nel  mar  piccola  dramma 

non  spegneria  de  la  sua  immensa  fiamma. 

XXI 

Questo  da  me  piii  volte  Polinesso 
(che  cosi  nome  ha  il  duca)  avendo  udito, 
e  ben  compreso  e  visto  per  se  stesso 
che  molto  male  era  il  suo  amor  gradito ; 
non  pur  di  tanto  amor  si  fu  rimesso, 
ma  di  vedersi  un  altro  preferito, 
come  superbo,  cosi  mal  sofferse, 
che  tutto  in  ira  e  in  odio  si  converse. 

XXII 

E  tra  Ginevra  e  Famator  suo  pensa 
tanta  discordia  e  tanta  lite  porre, 
e  farvi  inimicizia  cosi  intensa, 
che  mai  piu  non  si  possino  comporre; 
e  por  Ginevra  in  ignominia  immensa 
donde  non  s'abbia  o  viva  o  morta  a  torre: 
ne  de  1'iniquo  suo  disegno  meco 
volse  o  con  altri  ragionar  che  seco. 

XXIII 

Fatto  il  pensier:  ((Dalinda  mia,»  mi  dice 
(che  cosi  son  nomata)  « saper  dei, 
che  come  suol  tornar  da  la  radice 
arbor  che  tronchi  e  quattro  volte  e  sei, 
cosi  la  pertinacia  mia  infelice, 
ben  che  sia  tronca  dai  successi  rei, 
di  germogliar  non  resta;  che  venire 
pur  vorria  a  fin  di  questo  suo  desire. 


CANTO    QUINTO 
XXIV 

E  non  lo  bramo  tanto  per  diletto, 
quanto  perche  vorrei  vincer  la  pruova; 
e  non  possendo  farlo  con  effetto, 
s'io  lo  fo  imaginando,  anco  mi  giova. 
Voglio,  qual  volta  tu  mi  dai  ricetto, 
quando  allora  Ginevra  si  ritruova 
nuda  nel  letto,  che  pigli  ogni  vesta 
ch'ella  posta  abbia,  e  tutta  te  ne  vesta. 

XXV 

Come  ella  s'orna  e  come  il  crin  dispone 
studia  imitarla,  e  cerca  il  phi  che  sai 
di  parer  dessa,  e  poi  sopra  il  verrone 
a  mandar  giu  la  scala  ne  verrai. 

10  verr6  a  te  con  imaginazione 

che  quella  sii,  di  cui  tu  i  panni  avrai: 
e  cosi  spero,  me  stesso  ingannando, 
venir  in  breve  il  mio  desir  sciemando. » 

XXVI 

Cosi  disse  egli.  lo  che  divisa  e  sevra 
e  lungi  era  da  me,  non  posi  mente 
che  questo  in  che  pregando  egli  persevra, 
era  una  fraude  pur  troppo  evidente; 
e  dal  verron,  coi  panni  di  Ginevra, 
mandai  la  scala  onde  sali  sovente; 
e  non  m'accorsi  prima  de  1'inganno, 
che  n'era  gia  tutto  accaduto  il  danno. 

XXVII 

Fatto  in  quel  tempo  con  Ariodante 

11  duca  avea  queste  parole  o  tali 
(che  grandi  amici  erano  stati  inante 
che  per  Ginevra  si  fesson  rivali): 

«Mi  maraviglio»  incomincio  il  mio  amante 
« ch'avendoti  io  fra  tutti  li  mie'  uguali 
sempre  avuto  in  rispetto  e  sempre  amato, 
ch'io  sia  da  te  si  mal  rimunerato. 


90  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

lo  son  ben  certo  che  comprendi  e  sai 
di  Ginevra  e  di  me  1'antiquo  amore; 
e  per  sposa  legitima  oggimai 
per  impetrarla  son  dal  mio  signore. 
Perche  mi  turbi  tu  ?  perche  pur  vai 
senza  frutto  in  costei  ponendo  il  core  ? 
lo  ben  a  te  rispetto  avrei,  per  Dio, 
s'io  nel  tuo  grado  fossi,  e  tu  nel  mio. » 

XXIX 

«Et  io»  rispose  Ariodante  a  lui 

ccdi  te  mi  maraviglio  maggiormente; 

che  di  lei  prima  inamorato  fui, 

che  tu  Tavessi  vista  solamente: 

e  so  che  sai  quanto  e  1'amor  tra  nui, 

ch'esser  non  puo,  di  quel  che  sia,  piu  ardente; 

e  sol  d'essermi  moglie  intende  e  brama: 

e  so  che  certo  sai  ch'ella  non  t'ama. 

xxx 

Perche  non  hai  tu  dunque  a  me  il  rispetto 
per  1'amicizia  nostra  che  domande 
ch'a  te  aver  debba,  e  ch'io  t'avre'  in  efFetto, 
se  tu  fossi  con  lei  di  me  piu  grande  ? 
Ne  men  di  te  per  moglie  averla  aspetto, 
se  ben  tu  sei  piu  ricco  in  queste  bande: 
io  non  son  meno  al  re,  che  tu  sia,  grato, 
ma  piu  di  te  da  la  sua  figlia  amato. » 

XXXI 

«0h,»  disse  il  duca  a  lui  « grande  e  cotesto 
errore  a  che  t'ha  il  folle  amor  condutto! 
Tu  credi  esser  piu  amato;  io  credo  questo 
medesmo:  ma  si  pu6  vedere  al  frutto. 
Tu  fammi  cio  c'hai  seco  manifesto, 
et  io  il  secreto  mio  t'apriro  tutto; 
e  quel  di  noi  che  manco  aver  si  veggia, 
ceda  a  chi  vince,  e  d'altro  si  proveggia. 


CANTO    QUINTO 
XXXII 

E  sar6  pronto,  se  tu  vuoi  ch'io  giuri 
di  non  dir  cosa  mai  che  mi  riveli: 
cosi  voglio  ch'ancor  tu  m'assicuri 
che  quel  ch'io  ti  dir6,  sempre  mi  celi. » 
Venner  dunque  d'accordo  alii  scongiuri, 
e  posero  le  man  sugli  Evangeli: 
e  poi  che  di  tacer  fede  si  diero, 
Ariodante  incomincio  primiero. 

XXXIII 

E  disse  per  lo  giusto  e  per  lo  dritto 

come  tra  se  e  Ginevra  era  la  cosa; 

ch'ella  gli  avea  giurato,  e  a  bocca  e  in  scritto, 

che  mai  non  saria  ad  altri  ch'allui  sposa; 

e  se  dal  re  le  venia  contraditto, 

gli  promettea  di  sempre  esser  ritrosa 

da  tutti  gli  altri  maritaggi  poi, 

e  viver  sola  in  tutti  i  giorni  suoi  : 

XXXIV 

e  ch'esso  era  in  speranza,  pel  valore 
ch'avea  mostrato  in  arme  a  piu  d'un  segno, 
et  era  per  mostrare  a  laude,  a  onore, 
a  beneficio  del  re  e  del  suo  regno, 
di  crescere  tanto  in  grazia  al  suo  signore, 
che  sarebbe  da  lui  stimato  degno 
che  la  figliuola  sua  per  moglie  avesse, 
poi  che  piacer  a  lei  cosl  intendesse. 

xxxv 

Poi  disse:  «A  questo  termine  son  io, 
ne  credo  gia  ch'alcun  mi  venga  appresso; 
ne  cerco  piu  di  questo,  ne  desio 
de  1'amor  d'essa  aver  segno  piu  espresso; 
ne  piu  vorrei,  se  non  quanto  da  Dio 
per  connubio  legitimo  e  concesso: 
e  saria  invano  il  domandar  piu  inanzi, 
che  di  bonta  so  come  ogn'altra  avanzi. » 


92  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

Poi  ch'ebbe  il  vero  Ariodante  esposto 
de  la  merce  ch'aspetta  a  sua  fatica, 
Polinesso,  che  gia  s'avea  proposto 
di  far  Ginevra  al  suo  amator  nemica, 
cominci6 :  «  Sei  da  me  molto  discosto, 
e  vo'  che  di  tua  bocca  anco  tu  '1  dica; 
e  del  mio  ben  veduta  la  radice, 
che  confess!  me  solo  esser  felice. 

XXXVII 

Finge  ella  teco,  ne  t'ama  ne  prezza; 

che  ti  pasce  di  speme  e  di  parole: 

oltra  questo,  il  tuo  amor  sempre  a  sciochezza, 

quando  meco  ragiona,  imputar  suole. 

lo  ben  d'esserle  caro  altra  certezza 

veduta  n'ho,  che  di  promesse  e  fole; 

e  tel  diro  sotto  la  fe  in  secreto, 

ben  che  farei  piu  il  debito  a  star  cheto. 

XXXVIII 

Non  passa  mese,  che  tre,  quattro  e  sei 
e  talor  diece  notti  io  non  mi  truovi 
nudo  abbracciato  in  quel  piacer  con  lei, 
ch'alP amoroso  ardor  par  che  si  giovi: 
si  che  tu  puoi  veder  s'a'  piacer  miei 
son  d'aguagliar  le  ciance  che  tu  pruovi. 
Cedimi  dunque  e  d'altro  ti  provedi, 
poi  che  si  inferior  di  me  ti  vedi. » 

xxxix 

«Non  ti  vo'  creder  questo,))  gli  rispose 
Ariodante  «e  certo  so  che  menti; 
e  composto  fra  te  t'hai  queste  cose 
accio  che  da  Pimpresa  io  mi  spaventi: 
ma  perche  a  lei  son  troppo  ingiuriose, 
questo  c'hai  detto  sostener  convienti; 
che  non  bugiardo  sol,  ma  voglio  ancora 
che  tu  sei  traditor  mostrarti  or  ora. » 


CANTO    QUINTO  93 

XL 

Suggiunse  il  duca:  «Non  sarebbe  onesto 

che  noi  volessen  la  battaglia  torre 

di  quel  che  t'offerisco  manifesto, 

quando  ti  piaccia,  inanzi  agli  occhi  porre. » 

Resta  smarrito  Ariodante  a  questo, 

e  per  Fossa  un  tremor  freddo  gli  scorre; 

e  se  creduto  ben  gli  avesse  a  pieno, 

venia  sua  vita  allora  allora  meno. 

XLI 

Con  cor  trafitto  e  con  pallida  faccia, 
e  con  voce  tremante  e  bocca  amara 
rispose :  «  Quando  sia  che  tu  mi  faccia 
veder  questa  aventura  tua  si  rara, 
prometto  di  costei  lasciar  la  traccia, 
a  te  si  liberale,  a  me  si  avara: 
ma  ch'io  tel  voglia  creder,  non  far  stima, 
s'io  non  lo  veggio  con  questi  occhi  prima. » 

XLII 

<c  Quando  ne  sara  il  tempo,  avisarotti », 
suggiunse  Polinesso,  e  dipartisse. 
Non  credo  che  passar  piu  di  due  notti, 
ch'ordine  fu  che  '1  duca  a  me  venisse. 
Per  scoccar  dunque  i  lacci  che  condotti 
avea  si  cheti,  and6  al  rivale,  e  disse 
che  s'ascondesse  la  notte  seguente 
tra  quelle  case  ove  non  sta  mai  gente: 

XLIII 

e  dimostrc-gli  un  luogo  a  dirimpetto 
di  quel  verrone  ove  solea  salire. 
Ariodante  avea  preso  sospetto 
che  lo  cercasse  far  quivi  venire, 
come  in  un  luogo  dove  avesse  eletto 
di  por  gli  aguati,  e  farvelo  morire, 
sotto  questa  finzion,  che  vuol  mostrargli 
quel  di  Ginevra  ch'impossibil  pargli. 


94  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Di  volervi  venir  prese  partito, 
ma  in  guisa  che  di  lui  non  sia  men  forte; 
perche  accadendo  che  fosse  assalito, 
si  truovi  si,  che  non  tema  di  morte. 
Un  suo  fratello  avea  saggio  et  ardito, 
il  piu  famoso  in  arme  de  la  corte, 
detto  Lurcanio;  e  avea  piu  cor  con  esso, 
che  se  dieci  altri  avesse  avuto  appresso. 

XLV 

Seco  chiamollo,  e  volse  che  prendesse 
rarme;  e  la  notte  lo  men6  con  lui: 
non  che  '1  secreto  suo  gia  gli  dicesse; 
n6  Favria  detto  ad  esso  ne  ad  altrui. 
Da  se  lontano  un  trar  di  pietra  il  messe : 
«Se  mi  senti  chiamar,  vien»  disse  «a  nui; 
ma  se  non  senti,  prima  ch'io  ti  chiami, 
non  ti  partir  di  qui,  frate,  se  m'ami. » 

XL  VI 

« Va  pur,  non  dubitar»,  disse  il  fratello: 
e  cosi  venne  Ariodante  cheto, 
e  si  ce!6  nel  solitario  ostello 
ch'era  d'incontro  al  mio  verron  secreto. 
Vien  d'altra  parte  il  fraudolente  e  fello, 
che  d'infamar  Ginevra  era  si  Heto; 
e  fa  il  segno,  tra  noi  solito  inante, 
a  me  che  de  Finganno  era  ignorante. 

XL  VII 

Et  io  con  veste  Candida  e  fregiata 
per  mezzo  a  liste  d'oro  e  d'ogn'intorno, 
e  con  rete  pur  d'or,  tutta  adombrata 
di  bei  fiocchi  vermigli,  al  capo  intorno 
(foggia  che  sol  fu  da  Ginevra  usata, 
non  d'alcun'altra),  udito  il  segno,  torno 
sopra  il  verron,  ch'in  modo  era  locato, 
che  mi  scopria  dinanzi  e  d'ogni  lato. 


CANTO    QUINTO  95 

XL  VIII 

Lurcanio  in  questo  mezzo  dubitando 
die  '1  fratello  a  pericolo  non  vada, 
o  come  e  pur  commun  disio,  cercando 
di  spiar  sempre  cio  che  ad  altri  accada; 
1'era  plan  plan  venuto  seguitando, 
tenendo  I'ombre  e  la  piu  oscura  strada: 
e  a  men  di  dieci  passi  a  lui  discosto, 
nel  medesimo  ostel  s'era  riposto. 

XLIX 

Non  sappiendo  io  di  questo  cosa  alcuna, 
venni  al  verron  ne  1'abito  c'ho  detto, 
si  come  gia  venuta  era  piu  d'una 
e  piu  di  due  fiate  a  buono  effetto. 
Le  veste  si  vedean  chiare  alia  luna; 
ne  dissimile  essendo  anch'io  d'aspetto 
ne  di  persona  da  Ginevra  molto, 
fece  parere  un  per  un  altro  il  volto: 

L 

e  tanto  piu,  ch'era  gran  spazio  in  mezzo 
fra  dove  io  venni  e  quelle  inculte  case, 
ai  dui  fratelli,  che  stavano  al  rezzo, 
il  duca  agevolmente  persuase 
quel  ch'era  falso.  Or  pensa  in  che  ribrezzo 
Ariodante,  in  che  dolor  rimase. 
Vien  Polinesso,  e  alia  scala  s'appoggia 
che  giu  manda'gli,  e  monta  in  su  la  loggia. 

LI 

A  prima  giunta  io  gli  getto  le  braccia 
al  collo,  ch'io  non  penso  esser  veduta; 
Io  bacio  in  bocca  e  per  tutta  la  faccia, 
come  far  soglio  ad  ogni  sua  venuta. 
Egli  piu  de  1'usato  si  procaccia 
d'accarezzarmi,  e  la  sua  fraude  aiuta. 
Quell' altro  al  rio  spettacolo  condutto, 
misero  sta  lontano,  e  vede  il  tutto. 


96  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

Cade  in  tanto  dolor,  che  si  dispone 
allora  allora  di  voler  morire; 
e  il  pome  de  la  spada  in  terra  pone, 
che  su  la  punta  si  volea  ferire. 
Lurcanio  che  con  grande  ammirazione 
avea  veduto  il  duca  a  me  salire, 
ma  non  gia  conosciuto  chi  si  fosse, 
scorgendo  Tatto  del  fratel,  si  mosse; 

LIII 

e  gli  viet6  che  con  la  propria  mano 
non  si  passasse  in  quel  furore  il  petto. 
S'era  piu  tardo  o  poco  piu  lontano, 
non  giugnea  a  tempo,  e  non  faceva  effetto. 
ccAh  misero  fratel,  fratello  msano,» 
grido  «perc'hai  perduto  Fintelletto, 
ch'una  femina  a  morte  trar  ti  debbia? 
ch'ir  possan  tutte  come  al  vento  nebbia! 

LIV 

Cerca  far  morir  lei,  che  morir  merta, 
e  serva  a  piu  tuo  onor  tu  la  tua  morte. 
Fu  d'amar  lei,  quando  non  t'era  aperta 
•  la  fraude  sua:  or  e  da  odiar  ben  forte, 
poi  che  con  gli  occhi  tuoi  tu  vedi  certa 
quanto  sia  meretrice,  e  di  che  sorte. 
Serba  quest'arme  che  volti  in  te  stesso, 
a  far  dinanzi  al  re  tal  fallo  espresso. » 

LV 

Quando  si  vede  Ariodante  giunto 
sopra  il  fratel,  la  dura  impresa  lascia; 
ma  la  sua  intension  da  quel  ch'assunto 
avea  gia  di  morir,  poco  s'accascia. 
Quindi  si  leva,  e  porta  non  che  punto, 
ma  trapassato  il  cor  d'estrema  ambascia; 
pur  finge  col  fratel,  che  quel  furore 
non  abbia  piu  che  dianzi  avea  nel  core. 


CANTO    QUINTO  97 

LVI 

II  seguente  matin,  senza  far  motto 

al  suo  fratello  o  ad  altri,  in  via  si  messe 

da  la  mortal  disperazion  condotto; 

ne  di  lui  per  piu  di  fu  chi  sapesse. 

Fuor  che  '1  duca  e  il  fratello,  ogn'altro  indbtto 

era  chi  mosso  al  dipartir  Favesse. 

Ne  la  casa  del  re  di  lui  diversi 

ragionamenti  e  in  tutta  Scozia  fersi. 

LVII 

In  capo  d'otto  o  di  piu  giorni  in  corte 
venne  inanzi  a  Ginevra  un  viandante, 
e  novelle  arreco  di  mala  sorter 
che  s'era  in  mar  summerso  Ariodante 
di  volontaria  sua  libera  morte, 
non  per  colpa  di  borea  o  di  levante. 
D'un  sasso  che  sul  mar  sporgea  molt' alto 
avea  col  capo  in  giu  preso  un  gran  salto. 

LVIII 

Colui  dicea:  «Pria  che  venisse  a  questo, 
a  me  che  a  caso  riscontro  per  via, 
disse:  "Vien  meco,  accio  che  manifesto 
per  te  a  Ginevra  il  mio  successo  sia; 
e  dille  poi,  che  la  cagion  del  resto 
che  tu  vedrai  di  me,  ch'or  ora  fia, 
e  stato  sol  perc'ho  troppo  veduto: 
felice,  se  senza  occhi  io  fossi  suto!" 

LIX 

Eramo  a  caso  sopra  Capobasso, 
che  verso  Irlanda  alquanto  sporge  in  mare. 
Cosi  dicendo,  di  cima  d'un  sasso 
lo  vidi  a  capo  in  giu  sott'acqua  andare. 
Io  lo  lasciai  nel  mare,  et  a  gran  passo 
ti  son  venuto  la  nuova  a  portare. » 
Ginevra,  sbigottita  e  in  viso  smorta, 
rimase  a  quello  annunzio  mezza  morta. 


ORLANDO    FURIOSO 
LX 

Oh  Dio,  che  disse  e  fece  poi  che  sola 
si  ritrov6  nel  suo  fidato  letto! 
percosse  il  seno,  e  si  straccio  la  stola, 
e  fece  all'aureo  crin  dan.no  e  dispetto; 
ripetendo  sovente  la  parola 
ch'Ariodante  avea  in  estremo  detto: 
che  la  cagion  del  suo  caso  empio  e  tristo 
tutta  venia  per  aver  troppo  visto. 

LXI 

II  rumor  scorse  di  costui  per  tutto, 
che  per  dolor  s'avea  dato  la  morte. 
Di  questo  il  re  non  tenne  il  viso  asciutto, 
n£  cavallier  ne*  donna  de  la  corte. 
Di  tutti  il  suo  fratel  mostr6  piu  lutto ; 
e  si  sommerse  nel  dolor  si  forte, 
ch'ad  essempio  di  lui,  contra  se  stesso 
volt6  quasi  la  man  per  irgli  appresso. 

LXII 

E  molte  volte  ripetendo  seco 
che  fu  Ginevra  che  '1  fratel  gli  estinse, 
e  che  non  fu  se  non  quelPatto  bieco 
che  di  lei  vide,  ch'a  morir  lo  spinse; 
di  voler  vendicarsene  si  cieco 
venne,  e  si  1'ira  e  si  il  dolor  lo  vinse, 
che  di  perder  la  grazia  vilipese, 
et  aver  1'odio  del  re  e  del  paese. 

LXIII 

E  inanzi  al  re,  quando  era  piu  di  gente 
la  sala  plena,  se  ne  venne,  e  disse: 
«  Sappi,  signor,  che  di  levar  la  mente 
al  mio  fratel,  si  ch'a  morir  ne  gisse, 
stata  &  la  figlia  tua  sola  nocente; 
ch'a  lui  tanto  dolor  Talma  trafisse 
d'aver  veduta  lei  poco  pudica, 
che  piu  che  vita  ebbe  la  morte  arnica. 


CANTO    QUINTO  99 

LXIV 

Erane  amante,  e  perche  le  sue  voglie 
disoneste  non  fur,  nol  vo'  coprire: 
per  virtu  meritarla  aver  per  moglie 
da  te  sperava  e  per  fedel  servire; 
ma  mentre  il  lasso  ad  odorar  le  foglie 
stava  lontano,  altrui  vide  salire, 
salir  su  1'arbor  riserbato,  e  tutto 
essergli  tolto  il  disiato  frutto. » 

LXV 

E  seguito,  come  egli  avea  veduto 
venir  Ginevra  sul  verrone,  e  come 
mand6  la  scala,  onde  era  a  lei  venuto 
un  drudo  suo  di  chi  egli  non  sa  il  nome, 
che  s'avea,  per  non  esser  conosciuto, 
cambiati  i  panni  e  nascose  le  chiome. 
Suggiunse  che  con  Parme  egli  volea 
provar  tutto  esser  ver  cio  che  dicea. 

LXVI 

Tu  puoi  pensar  se  '1  padre  addolorato 
riman,  quando  accusar  sente  la  figlia; 
si  perche  ode  di  lei  quel  che  pensato 
mai  non  avrebbe,  e  n'ha  gran  maraviglia; 
si  perche  sa  che  fia  necessitate 
(se  la  difesa  alcun  guerrier  non  piglia, 
il  qual  Lurcanio  possa  far  mentire) 
di  condannarla  e  di  farla  morire. 

LXVII 

lo  non  credo,  signor,  che  ti  sia  nuova 
la  legge  nostra  che  condanna  a  morte 
ogni  donna  e  donzella  che  si  pruova 
di  se  far  copia  altrui  ch'al  suo  consorte. 
Morta  ne  vien,  s'in  un  mese  non  truova 
in  sua  difesa  un  cavallier  si  forte, 
che  contra  il  falso  accusator  sostegna 
che  sia  innocente  e  di  morire  indegna. 


100  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

Ha  fatto  il  re  bandir,  per  liberarla 
(che  pur  gli  par  ch'a  torto  sia  accusata), 
che  vuol  per  moglie  e  con  gran  dote  darla 
a  chi  torra  1'infamia  che  l'e  data. 
Chi  per  lei  comparisca  non  si  parla 
guerriero  ancora,  anzi  Fun  1'altro  guata; 
che  quel  Lurcanio  in  arme  e  cosi  fiero, 
che  par  che  di  lui  tema  ogni  guerriero, 

LXIX 

Atteso  ha  Tempia  sorte  che  Zerbino, 
fratel  di  lei,  nel  regno  non  si  truove; 
che  va  gia  molti  mesi  peregrino, 
mostrando  di  se  in  arme  inclite  pruove : 
che  quando  si  trovasse  piu  vicino 
quel  cavallier  gagliardo,  o  in  luogo  dove 
potesse  avere  a  tempo  la  novella, 
non  mancheria  d'aiuto  alia  sorella. 

LXX 

II  re,  ch'intanto  cerca  di  sapere 
per  altra  pruova,  che  per  arme,  ancora 
se  sono  queste  accuse  o  false  o  vere, 
se  dritto  o  torto  e  che  sua  figlia  mora; 
ha  fatto  prender  certe  cameriere 
che  lo  dovrian  saper,  se  vero  fora: 
ond'io  previdi  che  se  presa  era  io, 
troppo  periglio  era  del  duca  e  mio. 

LXXI 

E  la  notte  medesima  mi  trassi 
fuor  de  la  corte,  e  al  duca  mi  condussi; 
e  gli  feci  veder  quanto  importassi 
al  capo  d'amendua,  se  presa  io  fussi. 
Lodommi,  e  disse  ch'io  non  dubitassi: 
aj  suoi  conforti  poi  venir  m'indussi 
ad  una  sua  fortezza  ch'e  qui  presso, 
in  compagnia  di  dui  che  mi  diede  esso. 


CANTO    QUINTO  IOI 

LXXII 

Hai  sentito,  signer,  con  quanti  effetti 
de  Famor  mio  fei  Polinesso  certo; 
e  s'era  debitor  per  tai  rispetti 
d'avermi  cara  o  no,  tu  '1  vedi  aperto. 
Or  senti  il  guidardon  che  io  ricevetti, 
vedi  la  gran  merce"  del  mio  gran  merto; 
vedi  se  deve,  per  amare  assai, 
donna  sperar  d'essere  amata  mai, 

LXXIII 

che  questo  ingrato,  perfido  e  crudele, 
de  la  mia  fede  ha  preso  dubbio  al  fine : 
venuto  e  in  sospizion  ch'io  non  rivele 
al  lungo  andar  le  fraudi  sue  volpine. 
Ha  finto,  acci6  che  m'allontane  e  cele 
fin  che  Tira  e  il  furor  del  re  decline, 
voler  mandarmi  ad  un  suo  luogo  forte; 
e  mi  volea  mandar  dritto  alia  morte; 

LXXIV 

che  di  secreto  ha  commesso  alia  guida, 
che  come  m'abbia  in  queste  selve  tratta, 
per  degno  premio  di  mia  fe  m'uccida. 
Cosi  Tintenzion  gli  venia  fatta, 
se  tu  non  eri  appresso  alle  mie  grida. 
Ve'  come  Amor  ben  chi  lui  segue,  tratta!  — 
Cosi  narr6  Dalinda  al  paladino, 
seguendo  tuttavolta  il  lor  camino; 

LXXV 

a  cui  fu  sopra  ogn'aventura,  grata 

questa  d'aver  trovata  la  donzella, 

che  gli  avea  tutta  1'istoria  narrata 

de  1'innocenzia  di  Ginevra  bella. 

E  se  sperato  avea,  quando  accusata 

ancor  fosse  a  ragion,  d'aiutar  quella, 

via  con  maggior  baldanza  or  viene  in  prova, 

poi  che  evidente  la  calunnia  truova. 


102  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

E  verso  la  citta  di  Santo  Andrea, 

dove  era  il  re  con  tutta  la  famiglia, 

e  la  battaglia  singular  dovea 

esser  de  la  querela  de  la  figlia, 

and6  Rinaldo  quanto  andar  potea, 

fin  die  vicino  giunse  a  poche  miglia; 

alia  citta  vicino  giunse,  dove 

trovo  un  scudier  ch'avea  piu  fresche  nuove: 

LXXVII 

ch'un  cavallier  istrano  era  venuto, 
ch'a  difender  Ginevra  s'avea  tolto, 
con  non  usate  insegne,  e  sconoscmto, 
per6  che  sempre  ascoso  andava  molto; 
e  che  dopo  che  v'era,  ancor  veduto 
non  gli  avea  alcuno  al  discoperto  il  volto; 
e  che  1  proprio  scudier  che  gli  servia 
dicea  giurando:  —  lo  non  so  dir  chi  sia.  — 

LXXVIII 

Non  cavalcaro  molto,  ch'alle  mura 
si  trovar  de  la  terra  e  in  su  la  porta. 
Dalinda  andar  piu  inanzi  avea  paura; 
pur  va,  poi  che  Rinaldo  la  conforta. 
La  porta  e  chiusa,  et  a  chi  n'avea  cura 
Rinaldo  domand6:  —  Questo  ch'importa?  — 
E  fugli  detto:  perche  '1  popul  tutto 
a  veder  la  battaglia  era  ridutto, 

LXXIX 

che  tra  Lurcanio  e  un  cavallier  istrano 
si  fa  ne  1'altro  capo  de  la  terra, 
ove  era  un  prato  spazioso  e  piano; 
e  che  gia  cominciata  hanno  la  guerra. 
Aperto  fu  al  signor  di  Montealbano, 
e  tosto  il  portinar  dietro  gli  serra. 
Per  la  vota  citta  Rinaldo  passa, 
ma  la  donzella  al  primo  albergo  lassa. 


CANTO    QUINTO  103 

LXXX 

E  dice  che  sicura  ivi  si  stia 
fin  che  ritorni  allei,  che  sara  tosto; 
e  verso  il  campo  poi  ratto  s'invia, 
dove  li  dui  guerrier  dato  e  risposto 
molto  s'aveano  e  davan  tuttavia. 
Stava  Lurcanio  di  mal  cor  disposto 
contra  Ginevra;  e  1'altro  in  sua  difesa 
ben  sostenea  la  favorita  impresa. 

LXXXI 

Sei  cavallier  con  lor  ne  lo  steccato 
erano  a  piedi,  armati  di  corazza, 
col  duca  dj  Albania,  ch'era  montato 
s'un  possente  corsier  di  buona  razza. 
Come  a  gran  contestabile,  a  lui  dato 
la  guardia  fu  del  campo  e  de  la  piazza: 
e  di  veder  Ginevra  in  gran  periglio 
avea  il  cor  lieto,  et  orgoglioso  il  ciglio. 

LXXXII 

Rinaldo  se  ne  va  tra  gente  e  gente; 
fassi  far  largo  il  buon  destrier  Baiardo: 
chi  la  tempesta  del  suo  venir  sente, 
a  dargli  via  non  par  zoppo  ne  tardo. 
Rinaldo  vi  compar  sopra  eminente, 
e  ben  rassembra  il  fior  d'ogni  gagliardo; 
poi  si  ferma  all'incontro  ove  il  re  siede: 
ognun  s'accosta  per  udir  che  chiede. 

LXXXIII 

Rinaldo  disse  al  re:—  Magno  signore, 
non  lasciar  la  battaglia  piu  seguire; 
perche*  di  questi  dua  qualunche  more, 
sappi  ch'a  torto  tu  '1  lasci  morire. 
L'un  crede  aver  ragione,  et  e  in  errore, 
e  dice  il  falso,  e  non  sa  di  mentire; 
ma  quel  medesmo  error  che  '1  suo  germano 
a  morir  trasse,  a  lui  pon  1'arme  in  mano. 


104  ORLANDO  FURIOSO 

LXXXIV 

L'altro  non  sa  se  n'abbia  dritto  o  torto; 

ma  sol  per  gentilezza  e  per  bontade 

in  pericol  si  e  posto  d'esser  morto, 

per  non  lasciar  morir  tanta  beltade. 

lo  la  salute  all'innocenzia  porto ; 

porto  il  contrario  a  chi  usa  falsitade. 

Ma,  per  Dio,  questa  pugna  prima  parti, 

poi  mi  da  audienza  a  quel  ch'io  vo'  narrarti.  — 

LXXXV 

Fu  da  1'autorita  d'un  uom  si  degno, 
come  Rinaldo  gli  parea  al  sembiante, 
si  mosso  il  re,  che  disse  e  fece  segno 
che  non  andasse  piu  la  pugna  inante; 
al  quale  insieme  et  ai  baron  del  regno, 
e  ai  cavallieri  e  all'altre  turbe  tante, 
Rinaldo  fej  1'inganno  tutto  espresso 
ch'avea  ordito  a  Ginevra  Polinesso. 

LXXXVI 

Indi  s'offerse  di  voler  provare 
coU'arme,  ch'era  ver  quel  ch'avea  detto. 
Chiamasi  Polinesso;  et  ei  compare, 
ma  tutto  conturbato  ne  Paspetto: 
pur  con  audacia  comincio  a  negare. 
Disse  Rinaldo:  —  Or  noi  vedrem  1'efTetto.  — 
L'uno  e  1'altro  era  armato,  il  campo  fatto, 
si  che  senza  indugiar  vengono  al  fatto. 

LXXXVII 

Oh  quanto  ha  il  re,  quanto  ha  il  suo  popul  caro 
che  Ginevra  a  provar  s'abbi  innocent  e! 
tutti  han  speranza  che  Dio  mostri  chiaro 
ch'impudica  era  detta  ingiustamente. 
Crudel,  superbo  e  riputato  avaro 
fu  Polinesso,  iniquo  e  fraudolente; 
si  che  ad  alcun  miracolo  non  fia, 
che  Pinganno  da  lui  tramato  sia. 


CANTO    QUINTO  105 

LXXXVIII 

Sta  Polinesso  con  la  faccia  mesta, 
col  cor  tremante  e  con  pallida  guancia; 
e  al  terzo  suon  mette  la  lancia  in  resta. 
Cosi  Rinaldo  inverso  lui  si  lancia, 
che  disioso  di  finir  la  festa, 
mira  a  passargli  il  petto  con  la  lancia: 
ne  discorde  al,  disir  segui  Feffetto; 
che  mezza  Pasta  gli  cacci6  nel  petto. 

LXXXIX 

Fisso  nel  tronco  lo  transporta  in  terra 
lontan  dal  suo  destrier  piu  di  sei  braccia. 
Rinaldo  smonta  subito,  e  gli  afferra 
Felmo,  pria  che  si  levi,  e  gli  lo  slaccia: 
ma  quel,  che  non  pu6  far  piu  troppa  guerra, 
gli  domanda  merce  con  umil  faccia, 
e  gli  confessa,  udendo  il  re  e  la  corte, 
la  fraude  sua  che  Pha  condutto  a  morte. 

xc 

Non  fini  il  tutto,  e  in  mezzo  la  parola 
e  la  voce  e  la  vita  Pabandona. 
II  re,  che  liberata  la  figliuola 
vede  da  morte  e  da  fama  non  buona, 
piu  s'allegra,  gioisce  e  raconsola, 
che  s'avendo  perduta  la  corona 
ripor  se  la  vedesse  allora  allora: 
si  che  Rinaldo  unicamente  onora. 

xci 

E  poi  ch'al  trar  de  Felmo  conosciuto 
Febbe,  perch' altre  volte  Favea  visto, 
Iev6  le  mani  a  Dio,  che  d'un  aiuto 
come  era  quel,  gli  avea  si  ben  provisto. 
QuelPaltro  cavallier  che,  sconosciuto, 
soccorso  avea  Ginevra  al  caso  tristo, 
et  armato  per  lei  s'era  condutto, 
stato  da  parte  era  a  vedere  il  tutto. 


106  ORLANDO   FURIOSO 

XCII 

Dal  re  pregato  fu  di  dire  il  nome, 
o  di  lasciarsi  almen  veder  scoperto, 
accio  da  lui  fosse  premiato,  come 
di  sua  buona  intension  chiedeva  il  merto. 
Quel,  dopo  lunghi  preghi,  da  le  chiome 
si  levo  Telmo,  e  fe7  palese  e  certo 
quel  che  ne  Taltro  canto,  ho  da  seguire, 
se  grata  vi  sara  1'istoria  udire. 


CANTO    SESTO  107 


CANTO  SESTO 


I 

Miser  chi  mal  oprando  si  confida 
ch'ognor  star  debbia  il  maleficio  occulto ; 
che  quando  ogn'altro  taccia,  intorno  grida 
1'aria  e  la  terra  istessa  in  ch'e  sepulto: 
e  Dio  fa  spesso  che  '1  peccato  guida 
il  peccator,  poi  ch'alcun  di  gli  ha  indulto, 
che  se*  medesmo,  senza  altrui  richiesta, 
innavedutamente  manifesta. 

ii 

Avea  creduto  il  miser  Polinesso 
totalmente  il  delitto  suo  coprire, 
Dalinda  consapevole  d'appresso 
levandosi,  che  sola  il  potea  dire: 
e  aggiungendo  il  secondo  al  primo  eccesso, 
affretto  il  mal  che  potea  differire, 
e  potea  differire  e  schivar  forse; 
ma  se  stesso  spronando,  a  morir  corse. 

in 

E  perde  amici  a  un  tempo  e  vita  e  stato, 
e  onor,  che  fu  molto  piu  grave  danno. 
Dissi  di  sopra,  che  fu  assai  pregato 
il  cavallier,  ch'ancor  chi  sia  non  sanno. 
Al  fin  si  trasse  1'elmo,  e  '1  viso  amato 
scoperse,  che  piu  volte  veduto  hanno : 
e  dimostr6  come  era  Ariodante, 
per  tutta  Scozia  lacrimato  inante; 


108  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

Ariodante,  che  Ginevra  pianto 
avea  per  morto,  e  '1  fratel  pianto  avea, 
il  re,  la  corte,  il  popul  tutto  quanto: 
di  tal  bonta,  di  tal  valor  splendea. 
Adunque  il  peregrin  mentir  di  quanto 
dianzi  di  lui  narro,  quivi  apparea; 
e  fu  pur  ver  che  dal  sasso  marino 
gittarsi  in  mar  lo  vide  a  capo  chino. 


Ma  (come  aviene  a  un  disperato  spesso, 
che  da  lontan  brama  e  disia  la  morte, 
e  Fodia  poi  che  se  la  vede  appresso, 
tanto  gli  pare  il  passo  acerbo  e  forte) 
Ariodante,  poi  ch'in  mar  fu  messo, 
si  penti  di  morire:  e  come  forte 
e  come  destro  e  piu  d'ogn'altro  ardito, 
si  messe  a  nuoto  e  ritornossi  al  lito ; 

VI 

e  dispregiando  e  nominando  folle 
il  desir  ch'ebbe  di  lasciar  la  vita, 
si  messe  a  caminar  bagnato  e  molle, 
e  capit6  all'ostel  d'un  eremita. 
Quivi  secretamente  indugiar  voile 
tanto,  che  la  novella  avesse  udita, 
se  del  caso  Ginevra  s'allegrasse, 
o  pur  mesta  e  pietosa  ne  restasse. 

VII 

Intese  prima  che  per  gran  dolore 
ella  era  stata  a  rischio  di  morire 
(la  fama  ando  di  questo  in  modo  fuore, 
che  ne  fu  in  tutta  1'isola  che  dire): 
contrario  effetto  a  quel  che  per  errore 
credea  aver  visto  con  suo  gran  martire. 
Intese  poi  come  Lurcanio  avea 
fatta  Ginevra  appresso  il  padre  rea. 


CANTO    SESTO  109 

VIII 

Contra  il  fratel  d'ira  minor  non  arse, 
che  per  Ginevra  gia  d'amore  ardesse; 
che  troppo  empio  e  crudele  atto  gli  parse, 
ancora  che  per  lui  fatto  Favesse. 
Sentendo  poi  che  per  lei  non  comparse 
cavallier  che  difender  la  volesse 
(che  Lurcanio  si  forte  era  e  gagliardo, 
ch'ognun  d'andargli  contra  avea  riguardo; 

IX 

e  chi  n'avea  notizia,  il  riputava 
tanto  discreto,  e  si  saggio  et  accorto, 
che  se  non  fosse  ver  quel  che  narrava, 
non  si  porrebbe  a  rischio  d'esser  morto; 
per  questo  la  piu  parte  dubitava 
di  non  pigliar  questa  difesa  a  torto); 
Ariodante,  dopo  gran  discorsi, 
penso  aH'accusa  del  fratello  opporsi. 

x 

«Ah  lasso!  io  non  potrei»  seco  dicea 
asentir  per  mia  cagion  perir  costei: 
troppo  mia  morte  fora  acerba  e  rea, 
se  inanzi  a  me  morir  vedessi  lei. 
Ella  e  pur  la  mia  donna  e  la  mia  dea, 
questa  e  la  luce  pur  degli  occhi  miei: 
convien  ch'a  dritto  e  a  torto,  per  suo  scampo 
pigli  Timpresa,  e  resti  morto  in  campo. 

XI 

So  ch'io  m'appiglio  al  torto;  e  al  torto  sia: 
e  ne  morro;  ne  questo  mi  sconforta, 
se  non  ch'io  so  che  per  la  morte  mia 
si  bella  donna  ha  da  restar  poi  morta. 
Un  sol  conforto  nel  morir  mi  fia, 
che  se  '1  suo  Polinesso  amor  le  porta, 
chiaramente  veder  avra  potuto 
che  non  s'e  mosso  ancor  per  darle  aiuto; 


110  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

e  me,  che  tanto  espressamente  ha  offeso, 
vedra,  per  lei  salvare,  a  morir  giunto. 
Di  mio  fratello  insieme,  il  quale  acceso 
tanto  fuoco  ha,  vendicherommi  a  un  punto ; 
ch'io  lo  faro  doler,  poi  che  compreso 
il  fine  avra  del  suo  crudele  assunto: 
creduto  vendicar  avra  il  germane, 
e  gli  avra  dato  morte  di  sua  mano. » 

XIII 

Concluso  ch'ebbe  questo  nel  pensiero, 
nuove  arme  ritrovo,  nuovo  cavallo; 
e  sopraveste  nere,  e  scudo  nero 
porto,  fregiato  a  color  verdegiallo. 
Per  aventura  si  trov6  un  scudiero 
ignoto  in  quel  paese,  e  menato  hallo; 
e  sconosciuto  (come  ho  gia  narrato) 
s'appresento  contra  il  fratello  armato. 

XIV 

Narrato  v'ho  come  il  fatto  successe, 

come  fu  conosciuto  Ariodante. 

Non  minor  gaudio  n'ebbe  il  re,  ch'avesse 

de  la  figliuola  liberata  inante. 

Seco  pens6  che  mai  non  si  potesse 

trovar  un  piii  fedele  e  vero  amante; 

che  dopo  tanta  ingiuria,  la  difesa 

di  lei  contra  il  fratel  proprio  avea  presa. 

xv 

E  per  sua  inclinazion  (ch'assai  1'amava) 
e  per  li  preghi  di  tutta  la  corte, 
e  di  Rinaldo  che  piu  d'altri  instava, 
de  la  bella  figliuola  il  fa  consorte. 
La  duchea  d' Albania,  ch'al  re  tornava 
dopo  che  Polinesso  ebbe  la  morte, 
in  miglior  tempo  discader  non  puote, 
poi  che  la  dona  alia  sua  figlia  in  dote. 


CANTO    SESTO  III 

XVI 

Rinaldo  per  Dalinda  impetr6  grazia, 
che  se  n'and6  di  tanto  error e  esente; 
la  qual  per  voto,  e  perche  molto  sazia 
era  del  mondo,  a  Dio  volse  la  mente: 
monaca  s'ando  a  render  fin  in  Dazia, 
e  si  Iev6  di  Scozia  immantinente. 
Ma  tempo  £  omai  di  ritrovar  Ruggiero, 
che  scorre  il  ciel  su  P  animal  leggiero. 

XVII 

Ben  che  Ruggier  sia  d'animo  constante, 
n6  cangiato  abbia  il  solito  colore, 
io  non  gli  voglio  creder  che  tremante 
non  abbia  dentro  piu  che  foglia  il  core. 
Lasciato  avea  di  gran  spazio  distante 
tutta  FEuropa,  et  era  uscito  fuore 
per  molto  spazio  il  segno  che  prescritto 
avea  gia  a*  naviganti  Ercole  invitto. 

XVIII 

Quello  ippogrifo,  grande  e  strano  augello, 
lo  porta  via  con  tal  prestezza  d'ale, 
che  lascieria  di  lungo  tratto  quello 
celer  ministro  del  fulmineo  strale. 
Non  va  per  Faria  altro  animal  si  snello, 
che  di  velocita  gli  fosse  uguale: 
credo  ch'a  pena  il  tuono  e  la  saetta 
venga  in  terra  dal  ciel  con  maggior  fretta. 

XIX 

Poi  che  Faugel  trascorso  ebbe  gran  spazio 
per  linea  dritta  e  senza  mai  piegarsi, 
con  larghe  ruote,  omai  de  Taria  sazio, 
cominci6  sopra  una  isola  a  calarsi, 
pari  a  quella  ove,  dopo  lungo  strazio 
far  del  suo  amante  e  lungo  a  lui  celarsi, 
la  vergine  Aretusa  passo  invano 
di  sotto  il  mar  percamin  cieco  e  strano. 


ORLANDO  FURIOSO 
XX 

Non  vide  ne  '1  piu  bel  ne  '1  piu  giocondo 

da  tutta  1'aria  ove  le  penne  stese; 

ne  se  tutto  cercato  avesse  il  mondo, 

vedria  di  questo  il  piu  gentil  paese, 

ove,  dopo  un  girarsi  di  gran  tondo, 

con  Ruggier  seco  il  grande  augel  discese: 

culte  piamire  e  delicati  colli, 

chiare  acque,  ombrose  ripe  e  prati  molli. 

XXI 

Vaghi  boschetti  di  soavi  allori, 
di  palme  e  d'amenissime  mortelle, 
cedri  et  aranci  ch'avean  frutti  e  fiori 
contesti  in  varie  forme  e  tutte  belle, 
facean  riparo  ai  fervidi  calori 
de'  giorni  estivi  con  lor  spesse  ombrelle; 
e  tra  quei  rami  con  sicuri  voli 
cantando  se  ne  giano  i  rosignuoli. 

XXII 

Tra  le  purpuree  rose  e  i  bianchi  gigli, 
che  tiepida  aura  freschi  ognora  serba, 
sicuri  si  vedean  lepri  e  conigli, 
e  cervi  con  la  fronte  alta  e  superba, 
senza  temer  ch'alcun  gli  uccida  o  pigli, 
pascano  o  stiansi  rominando  1'erba; 
saltano  i  daini  e  i  capri  isnelli  e  destri, 
che  sono  in  copia  in  quei  luoghi  campestri. 

XXIII 

Come  si  presso  e  1'ippogrifo  a  terra, 

ch'esser  ne  pu6  men  periglioso  il  salto, 

Ruggier  con  fretta  de  Farcion  si  sferra, 

e  si  ritruova  in  su  1'erboso  smalto ; 

tuttavia  in  man  le  redine  si  serra, 

che  non  vuol  che  '1  destrier  piu  vada  in  alto: 

poi  lo  lega  nel  margine  marine 

a  un  verde  mirto  in  mezzo  un  lauro  e  un  pino. 


CANTO    SESTO  113 

XXIV 

E  quivi  appresso  ove  surgea  una  fonte 
cinta  di  cedri  e  di  feconde  palme, 
pose  lo  scudo,  e  Pelmo  da  la  fronte 
si  trasse,  e  disarmossi  ambe  le  palme; 
et  ora  alia  marina  et  ora  al  monte 
volgea  la  faccia  all'aure  fresche  et  alme, 
che  Falte  cime  con  mormorii  Ueti 
fan  tremolar  dei  faggi  e  degH  abeti. 

xxv 

Bagna  talor  ne  la  chiara  onda  e  fresca 
I'asciutte  labra,  e  con  le  man  diguazza, 
acci6  che  de  le  vene  il  calore  esca 
che  gli  ha  acceso  il  portar  de  la  corazza. 
Ne  maraviglia  e  gia  ch'ella  gl'incresca, 
che  non  e  stato  un  far  vedersi  in  piazza; 
ma  senza  mai  posar,  d'arme  guernito, 
tremila  miglia  ognor  correndo  era  ito. 

XXVI 

Quivi  stando,  il  destrier  ch'avea  lasciato 

tra  le  phi  dense  frasche  alia  fresca  ombra, 

per  fuggir  si  rivolta,  spaventato 

di  non  so  che,  che  dentro  al  bosco  adombra; 

e  fa  crollar  si  il  mirto  ove  e  legato, 

che  de  le  frondi  intorno  il  pie  gli  ingombra: 

crollar  fa  il  mirto  e  fa  cader  la  foglia, 

ne  succede  pero  che  se  ne  scioglia. 

XXVII 

Come  ceppo  talor,  che  le  medolle 
rare  e  vote  abbia,  e  posto  al  fuoco  sia, 
poi  che  per  gran  calor  quell' aria  molle 
resta  consunta  ch'in  mezzo  Pempia, 
dentro  risuona  e  con  strepito  bolle 
tanto  che  quel  furor  truovi  la  via; 
cosi  murmura  e  stride  e  si  comccia 
quel  mirto  offeso,  e  al  fine  apre  la  buccia. 


114  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

Onde  con  mesta  e  flebil  voce  uscio 
espedita  e  chiarissima  favella, 
e  disse :  — -  Se  tu  sei  cortese  e  pio, 
come  dimostri  alia  presenza  bella, 
lieva  questo  animal  da  1'arbor  mio: 
basti  che  Jl  mio  mal  proprio  mi  flagella, 
senza  altra  pena,  senza  altro  dolore 
ch'a  tormentarmi  ancor  venga  di  fuore.  - 

XXIX 

Al  primo  suon  di  quella  voce  torse 
Ruggiero  il  viso,  e  subito  levosse; 
e  poi  ch'uscir  da  Tarbore  s'accorse, 
stupefatto  rest6  piu  che  mai  fosse. 
A  levarne  il  destrier  subito  corse; 
e  con  le  guancie  di  vergogna  rosse: 

—  Qual  che  tu  sii,  perdonami,  —  dicea 

—  o  spirto  umano,  o  boschereccia  dea. 

xxx 

II  non  aver  saputo  che  s'asconda 
sotto  ruvida  scorza  umano  spirto, 
m'ha  lasciato  turbar  la  bella  fronda 
e  far  ingiuria  al  tuo  vivace  mirto : 
ma  non  restar  per6,  che  non  risponda 
chi  tu  ti  sia,  ch'in  corpo  orrido  et  irto, 
con  voce  e  razionale  anima  vivi; 
se  da  grandine  il  ciel  sempre  ti  schivi. 

XXXI 

E  s'ora  o  mai  potro  questo  dispetto 
con  alcun  beneficio  compensarte, 
per  quella  bella  donna  ti  prometto, 
quella  che  di  me  tien  la  miglior  parte, 
ch'io  faro  con  parole  e  con  effetto, 
ch'avrai  giusta  cagion  di  me  lodarte.  — 
Come  Ruggiero  al  suo  parlar  fin  diede, 
tremo  quel  mirto  da  la  cima  al  piede. 


CANTO   SESTO  115 

XXXII 

Poi  si  vide  sudar  su  per  la  scorza, 
come  legno  dal  bosco  allora  tratto, 
che  del  fuoco  venir  sente  la  forza, 
poscia  ch'invano  ogni  ripar  gli  ha  fatto; 
e  comincio :  —  Tua  cortesia  mi  sforza 
a  discoprirti  in  un  medesmo  tratto 
ch'io  fossi  prima,  e  chi  converse  m'aggia 
in  questo  mirto  in  su  1'amena  spiaggia. 

XXXIII 

II  nome  mio  fu  Astolfo;  e  paladino 
era  di  Francia,  assai  temuto  in  guerra: 
d' Orlando  e  di  Rinaldo  era  cugino, 
la  cui  fama  alcun  termine  non  serra; 
e  si  spettava  a  me  tutto  il  domino, 
dopo  il  mio  padre  Oton,  de  Flnghilterra. 
Leggiadro  e  bel  fui  si,  che  di  me  accesi 
piu  d'una  donna;  e  al  fin  me  solo  ofFesi. 

xxxrv 

Ritornando  io  da  quelle  isole  estreme 
che  da  Levante  il  mar  Indico  lava, 
dove  Rinaldo  et  alcun' altri  insieme 
meco  fur  chiusi  in  parte  oscura  e  cava, 
et  onde  liberate  le  supreme 
forze  n'avean  del  cavallier  di  Brava; 
ver  ponente  io  venia  lungo  la  sabbia 
che  del  settentrion  sente  la  rabbia. 

xxxv 

E  come  la  via  nostra  e  il  duro  e  fello 
distin  ci  trasse,  uscimmo  una  matina 
sopra  la  bella  spiaggia  ove  un  castello 
siede  sul  mar  de  la  possente  Alcina. 
Trovammo  lei  ch'uscita  era  di  quello, 
e  stava  sola  in  ripa  alia  marina; 
e  senza  rete  e  senza  amo  traea 
tutti  li  pesci  al  lito,  che  volea. 


Il6  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

Veloci  vi  correvano  i  delfini, 

vi  venia  a  bocca  aperta  il  grosso  tonno; 

i  capidogli  coi  vecchi  marini 

vengon  turbati  dal  lor  pigro  sonno; 

muli,  salpe,  salmon!  e  coracini 

nuotano  a  schiere,  in  piu  fretta  che  ponno ; 

pistrici,  fisiteri,  orche  e  balene 

escon  del  mar  con  monstruose  schiene. 

XXXVII 

Veggiamo  una  balena,  la  maggiore 
che  mai  per  tutto  il  mar  veduta  fosse: 
undeci  passi  e  piu  dimostra  fuore 
de  Ponde  salse  le  spallaccie  grosse. 
Caschiamo  tutti  insieme  in  uno  errore, 
perch' era  ferma  e  che  mai  non  si  scosse: 
ch'ella  sia  una  isoletta  ci  credemo, 
cosi  distante  ha  Tun  da  Faltro  estremo. 

XXXVIII 

Alcina  i  pesci  uscir  facea  de  Pacque 
con  semplici  parole  e  puri  incanti. 
Con  la  fata  Morgana  Alcina  nacque, 
io  non  so  dir  s'a  un  parto  o  dopo  o  inanti. 
Guardommi  Alcina;  e  subito  le  piacque 
Paspetto  mio,  come  mostro  ai  sembianti: 
e  penso  con  astuzia  e  con  ingegno 
tormi  ai  compagni;  e  riusci  il  disegno. 

xxxix 

Ci  venne  incontra  con  allegra  faccia, 
con  modi  graziosi  e  riverenti, 
e  disse:  «Cavallier,  quando  vi  piaccia 
far  oggi  meco  i  vostri  alloggiamenti, 
io  vi  far6  veder,  ne  la  mia  caccia, 
di  tutti  i  pesci  sorti  different! : 
chi  scaglioso,  chi  molle  e  chi  col  pelo; 
e  saran  piu  che  non  ha  stelle  il  cielo. 


CANTO    SESTO 
XL 

E  volendo  vedere  una  sirena 

che  col  suo  dolce  canto  acheta  il  mare, 

passian  di  qui  fin  su  quelFaltra  arena, 

dove  a  quest'ora  suol  sempre  tornare.» 

E  ci  mostro  quella  maggior  balena 

che,  come  io  dissi,  una  isoletta  pare. 

lo  che  sempre  fui  troppo  (e  me  n'incresce) 

volonteroso,  andai  sopra  quel  pesce. 

XLI 

Rinaldo  m'accennava,  e  similmente 
Dudon,  ch'io  non  v'andassi;  e  poco  valse. 
La  fata  Alcina  con  faccia  ridente, 
lasciando  gli  altri  dua,  dietro  mi  salse. 
La  balena,  airufficio  diligente, 
nuotando  se  n'ando  per  Ponde  salse. 
Di  mia  sciochezza  tosto  fui  pentito, 
ma  troppo  mi  trovai  lungi  dal  lito. 

XLII 

Rinaldo  si  cacci6  ne  1'acqua  a  nuoto 
per  aiutarmi,  e  quasi  si  sommerse, 
perche  levossi  un  furioso  Noto 
che  d'ombra  il  cielo  e  '1  pelago  coperse. 
Quel  che  di  lui  segui  poi,  non  m'e  noto. 
Alcina  a  confortarmi  si  converse; 
e  quel  di  tutto  e  la  notte  che  venne, 
sopra  quel  mostro  in  mezzo  il  mar  mi  tenne. 

XLIII 

Fin  che  venimmo  a  questa  isola  bella, 
di  cui  gran  parte  Alcina  ne  possiede, 
e  Fha  usurpata  ad  una  sua  sorella 
che  '1  padre  gia  Iasci6  del  tutto  erede, 
perche  sola  legitima  avea  quella; 
e,  come  alcun  notizia  me  ne  diede 
che  pienamente  instrutto  era  di  questo, 
sono  quest' altre  due  nate  d'incesto. 


Il8  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

E  come  sono  inique  e  scelerate 
e  piene  d'ogni  vizio  infame  e  brutto, 
cosi  quella,  vivendo  in  castitate, 
posto  ha  ne  le  virtuti  il  suo  cor  tutto. 
Contra  lei  queste  due  son  congiurate; 
e  gia  piu  d'uno  esercito  hanno  instrutto 
per  cacciarla  de  1'isola,  e  in  piu  volte 
piu  di  cento  castella  Phanno  tolte : 

XLV 

ne  ci  terrebbe  ormai  spanna  di  terra 
colei  che  Logistilla  e  nominata, 
se  non  che  quinci  un  golfo  il  passo  serra, 
e  quindi  una  montagna  inabitata,1 
si  come  tien  la  Scozia  e  Tlnghilterra 
il  monte  e  la  riviera,  separata; 
ne  per6  Alcina  n6  Morgana  resta 
che  non  le  voglia  tor  ci6  che  le  resta. 

XLVI 

Perche  di  vizii  e  questa  coppia  rea, 
odia  colei,  perche  e  pudica  e  santa. 
Ma  per  tornare  a  quel  ch'io  ti  dicea, 
e  seguir  poi  com'io  divenni  pianta, 
Alcina  in  gran  delizie  mi  tenea, 
e  del  mio  amore  ardeva  tutta  quanta; 
ne  minor  fiamma  nel  mio  core  accese 
il  veder  lei  si  bella  e  si  cortese. 

XLVII 

lo  mi  godea  le  delicate  membra: 
pareami  aver  qui  tutto  il  ben  raccolto 
che  fra  i  mortali  in  piu  parti  si  smembra, 
a  chi  piii  et  a  chi  meno  e  a  nessun  molto; 
ne  di  Francia  ne  d'altro  mi  rimembra: 
stavomi  sempre  a  contemplar  quel  volto: 
ogni  pensiero,  ogni  mio  bel  disegno 
in  lei  finia,  ne  passava  oltre  il  segno. 


CANTO    SESTO 
XLVIII 

10  da  lei  altretanto  era  o  piu  amato: 
Alcina  piu  non  si  curava  d' altri; 

ella  ogn'altro  suo  amante  avea  lasciato, 
ch'inanzi  a  me  ben  ce  ne  fur  degli  altri. 
Me  consiglier,  me  avea  di  e  notte  a  lato, 
e  me  fe'  quel  che  commandava  agli  altri: 
a  me  credeva,  a  me  si  riportava; 
ne  notte  o  di  con  altri  mai  parlava. 

XLIX 

Deh!  perche  vo  le  mie  piaghe  toccando, 
senza  speranza  poi  di  medicina? 
perche  Favuto  ben  vo  rimembrando, 
quando  io  patisco  estrema  disciplina? 
Quando  credea  d'esser  felice,  e  quando 
credea  ch'amar  piu  mi  dovesse  Alcina, 

11  cor  che  m'avea  dato  si  ritolse, 

e  ad  altro  nuovo  amor  tutta  si  volse. 


Conobbi  tardi  il  suo  mobil  ingegno, 
usato  amare  e  disamare  a  un  punto. 
Non  era  stato  oltre  a  duo  mesi  in  regno, 
ch'un  novo  amante  al  loco  mio  fu  assunto. 
Da  se  cacciommi  la  fata  con  sdegno, 
e  da  la  grazia  sua  m'ebbe  disgiunto: 
e  seppi  poi,  che  tratti  a  simil  porto 
avea  mill' altri  amanti,  e  tutti  a  torto. 

LI 

E  perche  essi  non  vadano  pel  mondo 
di  lei  narrando  la  vita  lasciva, 
chi  qua  chi  la,  per  lo  terren  fecondo 
li  muta,  altri  in  abete,  altri  in  oliva, 
altri  in  palma,  altri  in  cedro,  altri  secondo 
che  vedi  me  su  questa  verde  riva; 
altri  in  liquido  fonte,  alcuni  in  fiera, 
come  piu  agrada  a  quella  fata  altiera. 


120  ORLANDO  FURIOSO 

LII 

Or  tu  che  sei  per  non  usata  via, 

signor,  venuto  all'isola  fatale, 

accio  ch'alcuno  amante  per  te  sia 

converse  in  pietra  o  in  onda,  o  fatto  tale; 

avrai  cTAlcina  scettro  e  signoria, 

e  sarai  lieto  sopra  ogni  mortale: 

ma  certo  sii  di  giunger  tosto  al  passo 

d'entrar  o  in  fiera  o  in  fonte  o  in  legno  o  in  sasso. 

LIII 

lo  te  n'ho  dato  volentieri  aviso: 
non  ch'io  mi  creda  che  debbia  giovarte; 
pur  meglio  fia  che  non  vadi  improvise, 
e  de'  costumi  suoi  tu  sappia  parte; 
che  forse,  come  e  differente  il  viso, 
e  differente  ancor  1'ingegno  e  1'arte. 
Tu  saprai  forse  riparare  al  danno, 
quel  che  saputo  mill'altri  non  hanno.  — 

LIV 

Ruggier,  che  conosciuto  avea  per  fama 
ch'Astolfo  alia  sua  donna  cugin  era, 
si  dolse  assai  che  in  steril  pianta  e  grama 
mutato  avesse  la  sembianza  vera; 
e  per  amor  di  quella  che  tanto  ama 
(pur  che  saputo  avesse  in  che  maniera) 
gli  avria  fatto  servizio:  ma  aiutarlo 
in  altro  non  potea,  ch'in  confortarlo. 

LV 

Lo  fe5  al  meglio  che  seppe;  e  domandolli 
poi  se  via  c'era,  ch'al  regno  guidassi 
di  Logistilla,  o  per  piano  o  per  colli, 
si  che  per  quel  d'Alcina  non  andassi. 
Che  ben  ve  n'era  un'altra,  ritornolli 
Tarbore  a  dir,  ma  piena  d'aspri  sassi, 
s'andando  un  poco  inanzi  alia  man  destra, 
salisse  il  poggio  inver  la  cima  alpestra. 


CANTO    SESTO  121 

LVI 

Ma  che  non  pensi  gia  che  seguir  possa 
il  suo  camin  per  quella  strada  troppo : 
incontro  avra  di  gente  ardita,  grossa 
e  fiera  compagnia,  con  duro  intoppo. 
Alcina  ve  li  tien  per  muro  e  fossa 
a  chi  volesse  uscir  fuor  del  suo  groppo. 
Ruggier  quel  mirto  ringrazi6  del  tutto, 
poi  da  lui  si  parti  dotto  et  instrutto. 

LVII 

Venne  al  cavallo,  e  lo  disciolse  e  prese 
per  le  redine,  e  dietro  se  lo  trasse; 
ne,  come  fece  prima,  piu  Tascese, 
perche  mal  grado  suo  non  lo  portasse. 
Seco  pensava  come  nel  paese 
di  Logistilla  a  salvamento  andasse. 
Era  disposto  e  fermo  usar  ogni  opra, 
che  non  gli  avesse  imperio  Alcina  sopra. 

LVIII 

Pens6  di  rimontar  sul  suo  cavallo, 
e  per  Faria  spronarlo  a  nuovo  corso; 
ma  dubit6  di  far  poi  maggior  fallo, 
che  troppo  mal  quel  gli  ubidiva  al  morso. 
« lo  passer6  per  forza,  s'io  non  fallo », 
dicea  tra  se,  ma  vano  era  il  discorso. 
Non  fu  duo  miglia  lungi  alia  marina, 
che  la  bella  citta  vide  d' Alcina. 

LIX 

Lontan  si  vide  una  muraglia  lunga 
che  gira  intorno,  e  gran  paese  serra; 
e  par  che  la  sua  altezza  al  ciel  s'aggiunga, 
e  d'oro  sia  da  1'alta  cima  a  terra. 
Alcun  dal  mio  parer  qui  si  dilunga, 
e  dice  ch'elFe  alchimia;  e  forse  ch'erra, 
et  anco  forse  meglio  di  me  intende: 
a  me  par  oro,  poi  che  si  risplende. 


122  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

Come  fu  presso  alle  si  ricche  mura, 
che  1  mondo  altre  non  ha  de  la  lor  sorte, 
lascio  la  strada  che  per  la  pianura 
ampla  e  diritta  andava  alle  gran  porte; 
et  a  man  destra,  a  quella  piu  sicura, 
ch'al  monte  gia,  piegossi  il  guerrier  forte: 
ma  tosto  ritrov6  1'iniqua  frotta, 
dal  cui  furor  gli  fu  turbata  e  rotta. 

LXI 

Non  fu  veduta  mai  piu  strana  torma, 
piti  monstruosi  volti  e  peggio  fatti : 
alcun  dal  collo  in  giii  d'uomini  han  forma, 
col  viso  altri  di  simie,  altri  di  gatti; 
stampano  alcun  con  pie  caprigni  Forma; 
alcuni  son  centauri  agili  et  atti; 
son  gioveni  impudenti  e  vecchi  stolti, 
chi  nudi  e  chi  di  strane  pelli  involti. 

LXII 

Chi  senza  freno  in  s'un  destrier  galoppa, 
chi  lento  va  con  1'asino  o  col  hue, 
altri  salisce  ad  un  centauro  in  groppa, 
struzzoli  molti  han  sotto,  aquile  e  grue; 
ponsi  altri  a  bocca  il  corno,  altri  la  coppa; 
chi  femina  e,  chi  maschio,  e  chi  amendue; 
chi  porta  uncino  e  chi  scala  di  corda, 
chi  pal  di  ferro  e  chi  una  lima  sorda. 

LXIII 

Di  questi  il  capitano  si  vedea 
aver  gonfiato  il  ventre,  e  Jl  viso  grasso ; 
il  qual  su  una  testuggine  sedea, 
che  con  gran  tardita  mutava  il  passo. 
Avea  di  qua  e  di  la  chi  lo  reggea, 
perche  egli  era  ebro,  e  tenea  il  ciglio  basso ; 
altri  la  fronte  gli  asciugava  e  il  mento, 
altri  i  panni  scuotea  per  fargli  vento. 


CANTO    SESTO  123 

LXIV 

Un  ch'avea  umana  forma  i  piedi  e  '1  ventre, 
e  collo  avea  di  cane,  orecchie  e  testa, 
contra  Ruggiero  abaia,  acci6  ch'egli  entre 
ne  la  bella  citta  ch'a  dietro  resta. 
Rispose  il  cavallier:—  Nol  faro,  mentre 
avra  forza  la  man  di  regger  questa!  — 
e  gli  mostra  la  spada,  di  cui  volta 
avea  1'aguzza  punta  alia  sua  volta. 

LXV 

Quel  monstro  lui  ferir  vuol  d'una  lancia, 
ma  Ruggier  presto  se  gli  aventa  addosso : 
una  stoccata  gli  trasse  alia  pancia, 
e  la  fe*  un  palmo  riuscir  pel  dosso. 
Lo  scudo  imbraccia,  e  qua  e  la  si  lancia, 
ma  Pinimico  stuolo  e  troppo  grosso: 
Tun  quinci  il  punge,  e  1'altro  quindi  afferra; 
egli  s'arrosta,  e  fa  lor  aspra  guerra. 

LXVI 

L'un  sin  a'  denti,  e  Paltro  sin  al  petto 
partendo  va  di  quella  iniqua  razza; 
ch'alla  sua  spada  non  s'oppone  elmetto, 
ne  scudo,  ne  panziera,  ne  corazza: 
ma  da  tutte  le  parti  e  cosi  astretto, 
che  bisogno  saria,  per  trovar  piazza 
e  tener  da  se  largo  il  popul  reo, 
d'aver  phi  braccia  e  man  che  Briareo. 

LXVII 

Se  di  scoprire  avesse  avuto  aviso 
lo  scudo  che  gia  fu  del  negromante 
(io  dico  quel  ch'abbarbagliava  il  viso, 
quel  ch'alljarcione  avea  lasciato  Atlante), 
subito  avria  quel  brutto  stuol  conquiso 
e  f attosel  cader  cieco  davante ; 
e  forse  ben,  che  disprezz6  quel  modo, 
perche  virtude  usar  volse  e  non  frodo. 


124  ORLANDO  FURIOSO 

LXVIII 

Sia  quel  che  puo,  piu  tosto  vuol  morire, 
che  rendersi  prigione  a  si  vil  gente. 
Eccoti  intanto  da  la  porta  uscire 
del  muro,  ch'io  dicea  d'oro  lucente, 
due  giovani  ch'ai  gesti  et  al  vestire 
non  eran  da  stimar  nate  umilmente, 
ne  da  pastor  nutrite  con  disagi, 
ma  fra  delizie  di  real  palagi. 

LXIX 

L'una  e  1'altra  sedea  s'un  liocorno, 
candido  piu  che  candido  armelino; 
1'una  e  1'altra  era  bella,  e  di  si  adorno 
abito,  e  modo  tanto  pellegrino, 
che  a  Fuom,  guardando  e  contemplando  intorno, 
bisognerebbe  aver  occhio  divino 
per  far  di  lor  giudizio :  e  tal  saria 
Belta,  s'avesse  corpo,  e  Leggiadria. 

LXX 

L'una  e  Taltra  n'andc-  dove  nel  prato 
Ruggiero  e  oppresso  da  lo  stuol  villano. 
Tutta  la  turba  si  levo  da  lato ; 
e  quelle  al  cavallier  porser  la  mano, 
che  tinto  in  viso  di  color  rosato, 
le  donne  ringrazi6  de  1'atto  umano: 
e  fu  contento,  compiacendo  loro, 
di  ritornarsi  a  quella  porta  d'oro. 

LXXI 

L'adornamento  che  s'aggira  sopra 
la  bella  porta  e  sporge  un  poco  avante, 
parte  non  ha  che  tutta  non  si  cuopra 
de  le  piu  rare  gemme  di  Levante, 
Da  quattro  parti  si  riposa  sopra 
grosse  colonne  d'integro  diamante. 
0  vero  o  falso  ch'aU'occhio  risponda, 
non  e  cosa  piu  bella  o  piu  gioconda. 


CANTO    SESTO  125 

LXXII 

Su  per  la  soglia  e  fuor  per  le  colonne 
corron  scherzando  lascive  donzelle, 
che  se  i  rispetti  debiti  alle  donne 
servasser  piu,  sarian  forse  piu  belle. 
Tutte  vestite  eran  di  verdi  gonne, 
e  coronate  di  frondi  novelle. 
Queste,  con  molte  ofFerte  e  con  buon  viso, 
Ruggier  fecero  entrar  nel  paradiso  : 

LXXIII 

che  si  puo  ben  cosi  nornar  quel  loco, 
ove  mi  credo  che  nascesse  Amore. 
Non  vi  si  sta  se  non  in  danza  e  in  giuoco, 
e  tutte  in  festa  vi  si  spendon  Tore: 
pensier  canuto  ne  molto  ne  poco 
si  puo  quivi  albergare  in  alcun  core: 
non  entra  quivi  disagio  ne"  inopia, 
ma  si  sta  ognor  col  corno  pien  la  Copia. 

LXXIV 

Qui,  dove  con  serena  e  lieta  fronte 
par  ch'ognor  rida  il  grazioso  aprile, 
gioveni  e  donne  son:  qual  presso  a  fonte 
canta  con  dolce  e  dilettoso  stile; 
qual  d'un  arbore  all'ombra  e  qual  d'un  monte 
o  giuoca  o  danza  o  fa  cosa  non  vile; 
e  qual,  lungi  dagli  altri,  a  un  suo  fedele 
discuopre  Pamorose  sue  querele. 

LXXV 

Per  le  cime  dei  pini  e  degli  allori, 
degli  alti  faggi  e  degl'irsuti  abeti, 
volan  scherzando  i  pargoletti  Amori: 
di  lor  vittorie  altri  godendo  lieti, 
altri  pigliando  a  saettare  i  cori 
la  mira  quindi,  altri  tendendo  reti; 
chi  tempra  dardi  ad  un  ruscel  piu  basso, 
e  chi  gH  aguzza  ad  un  volubil  sasso. 


126  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Quivi  a  Ruggier  un  gran  corsier  fu  dato, 
forte,  gagliardo,  e  tutto  di  pel  sauro, 
ch'avea  il  bel  guernimento  ricamato 
di  preziose  gemme  e  di  fin  auro ; 
e  fu  lasciato  in  guardia  quello  alato, 
quel  che  solea  ubidire  al  vecchio  Mauro, 
a  un  giovene  che  dietro  lo  menassi 
al  buon  Ruggier  con  men  frettosi  passi. 

LXXVII 

Quelle  due  belle  giovani  amorose 
ch'avean  Ruggier  da  1'empio  stuol  difeso, 
da  1'empio  stuol  che  dianzi  se  gli  oppose 
su  quel  camin  ch'avea  a  man  destra  preso, 
gli  dissero :  —  Signor,  le  virtuose 
op  ere  vostre  che  gia  abbiamo  inteso, 
ne  fan  si  ardite,  che  1'aiuto  vostro 
vi  chiederemo  a  beneficio  nostro. 

LXXVIII 

Noi  troveren  tra  via  tosto  una  lama, 
che  fa  due  parti  di  questa  pianura. 
Una  crudel,  che  Erifilla  si  chiama, 
difende  il  ponte,  e  sforza  e  inganna  e  fura 
chiunque  andar  ne  1'altra  ripa  brama; 
et  ella  e  gigantessa  di  statura, 
li  denti  ha  lunghi  e  velenoso  il  morso, 
acute  Tugne,  e  graffia  come  un  orso. 

LXXIX 

Oltre  che  sempre  ci  turbi  il  camino, 
che  libero  saria,  se  non  fosse  ella, 
spesso  correndo  per  tutto  il  giardino, 
va  disturbando  or  questa  cosa  or  quella. 
Sappiate  che  del  populo  assassino 
che  vi  assali  fuor  de  la  porta  bella, 
molti  suoi  figli  son,  tutti  seguaci, 
empii,  come  ella,  inospiti  e  rapaci.  — 


CANTO    SESTO  127 

LXXX 

Ruggier  rispose:  —  Non  ch'una  battaglia, 
ma  per  voi  saro  pronto  a  fame  cento: 
di  mia  persona,  in  tutto  quel  che  vaglia, 
fatene  voi  secondo  il  vostro  intento: 
che  la  cagion  ch'io  vesto  piastra  e  maglia 
non  e  per  guadagnar  terre  n6  argento, 
ma  sol  per  fame  beneficio  altmi, 
tanto  piu  a  belle  donne  come  vui.  — 

LXXXI 

Le  donne  molte  grazie  riferiro 
degne  d'un  cavallier,  come  quell* era: 
e  cosi  ragionando  ne  veniro 
dove  videro  il  ponte  e  la  riviera; 
e  di  smeraldo  ornata  e  di  zafiro 
su  Parme  d'or,  vider  la  donna  altiera. 
Ma  dir  ne  Paltro  canto  differisco, 
come  Ruggier  con  lei  si  pose  a  risco. 


128  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO    SETTIMO 


I 

Chi  va  lontan  da  la  sua  patria,  vede 
cose  da  quel  che  gia  credea  lontane; 
che  narrandole  poi,  non  se  gli  crede, 
e  stimato  bugiardo  ne  rimane: 
che  '1  sciocco  vulgo  non  gli  vuol  dar  fede, 
se  non  le  vede  e  tocca  chiare  e  piane. 
Per  questo  io  so  che  1'inesperienza 
fara  al  mio  canto  dar  poca  credenza. 

ii 

Poca  o  molta  ch'io  ci  abbia,  non  bisogna 
ch'io  ponga  mente  al  vulgo  sciocco  e  ignaro. 
A  voi  so  ben  che  non  parra  menzogna, 
che  1  lume  del  discorso  avete  chiaro; 
et  a  voi  soli  ogni  mio  intento  agogna 
che  1  frutto  sia  di  mie  fatiche  caro. 
Io  vi  lasciai  che  '1  ponte  e  la  riviera 
vider,  che  Jn  guardia  avea  Erifilla  altiera. 

in 

QuelPera  armata  del  piii  fin  metallo, 
ch'avean  di  piu  color  gemme  distinto: 
rubin  vermiglio,  crisolito  giallo, 
verde  smeraldo,  con  flavo  iacinto. 
Era  montata,  ma  non  a  cavallo; 
invece  avea  di  quello  un  lupo  spinto: 
spinto  avea  un  lupo  ove  si  passa  il  flume, 
con  ricca  sella  fuor  d'ogni  costume. 


CANTO    SETTIMO  129 

IV 

Non  credo  ch'un  si  grande  Apulia  n'abbia: 
egli  era  grosso  et  alto  piu  d'un  hue. 
Con  fren  spurnar  non  gli  facea  le  labbia, 
n6  so  come  lo  rega  a  voglie  sue. 
La  sopravesta  di  color  di  sabbia 
su  1'arrne  avea  la  maledetta  lue: 
era,  fuor  che  '1  color,  di  quella  sorte 
ch'i  vescovi  e  i  prelati  usano  in  corte. 

v 

Et  avea  ne  lo  scudo  e  sul  cimiero 

una  gonfiata  e  velenosa  botta. 

Le  donne  la  mostraro  al  cavalliero, 

di  qua  dal  ponte  per  giostrar  ridotta, 

e  fargli  scorno  e  rompergli  il  sentiero, 

come  ad  alcuni  usata  era  talotta. 

Ella  a  Ruggier,  che  torni  a  dietro,  grida: 

quel  piglia  un'asta,  e  la  minaccia  e  sfida. 

VI 

Non  men  la  gigantessa  ardita  e  presta 
sprona  il  gran  lupo  e  ne  Tarcion  si  serra, 
e  pon  la  lancia  a  mezzo  il  corso  in  resta, 
e  fa  tremar  nel  suo  venir  la  terra. 
Ma  pur  sul  prato  al  fiero  incontro  resta; 
che  sotto  Telmo  il  buon  Ruggier  1'afferra, 
e  de  Parcion  con  tal  furor  la  caccia, 
che  la  riporta  indietro  oltra  sei  braccia. 

VII 

E  gia,  tratta  la  spada  ch'avea  cinta, 
venia  a  levarne  la  testa  superba: 
e  ben  lo  potea  far,  che  come  estinta 
Erifilla  giacea  tra'  fiori  e  Ferba. 
Ma  le  donne  gridar:  —  Basti  sia  vinta, 
senza  pigliarne  altra  vendetta  acerba. 
Ripon,  cortese  cavallier,  la  spada; 
passiamo  il  ponte  e  seguitian  la  strada.  — 


130 


ORLANDO   FURIOSO 
VIII 

Alquanto  malagevole  et  aspretta 

per  mezzo  un  bosco  presero  la  via, 

che  oltra  che  sassosa  fosse  e  stretta, 

quasi  su  dritta  alia  collina  gia. 

Ma  poi  che  furo  ascesi  in  su  la  vetta, 

usciro  in  spaziosa  prateria, 

dove  il  piu  bel  palazzo  e  '1  piu  giocondo 

vider,  che  mai  fosse  veduto  al  mondo. 

IX 

La  bella  Alcina  venne  un  pezzo  inante 
verso  Ruggier  fuor  de  le  prime  porte, 
e  lo  raccolse  in  signoril  sembiante, 
in  mezzo  bella  et  onorata  corte. 
Da  tutti  gli  altri  tanto  onore  e  tante 
riverenzie  fur  fatte  al  guerrier  forte, 
che  non  ne  potrian  far  piu,  se  tra  loro 
fosse  Dio  sceso  dal  superno  coro. 


Non  tanto  il  bel  palazzo  era  escellente 
perche  vincesse  ogn'altro  di  ricchezza, 
quanto  ch'avea  la  piu  piacevol  gente 
che  fosse  al  mondo  e  di  piu  gentilezza. 
Poco  era  Fun  da  Taltro  differente 
e  di  fiorita  etade  e  di  bellezza: 
sola  di  tutti  Alcina  era  piu  bella, 
si  come  e  bello  il  sol  piu  d'ogni  Stella. 

XI 

Di  persona  era  tanto  ben  formata, 
quanto  me'  finger  san  pittori  industri; 
con  bionda  chioma  lunga  et  annodata: 
oro  non  e  che  piu  risplenda  e  lustri. 
Spargeasi  per  la  guancia  delicata 
misto  color  di  rose  e  di  ligustri; 
di  terso  avorio  era  la  fronte  lieta, 
che  lo  spazio  fmia  con  giusta  rneta. 


CANTO    SETTIMO 
XII 

Sotto  duo  negri  e  sottilissimi  archi 
son  duo  negri  occhi,  anzi  duo  chiari  soli, 
pietosi  a  riguardare,  a  mover  parchi, 
intorno  cui  par  ch'Amor  scherzi  e  voli, 
e  ch'indi  tutta  la  faretra  search! 
e  che  visibilmente  i  cori  involi: 
quindi  il  naso  per  mezzo  il  viso  scende, 
che  non  truova  1'Invidia  ove  Pemende. 

XIII 

Sotto  quel  sta,  quasi  fra  due  vallette, 

la  bocca  sparsa  di  natio  cinabro: 

quivi  due  filze  son  di  perle  elette, 

che  chiude  et  apre  un  bello  e  dolce  labro, 

quindi  escon  le  cortesi  parolette 

da  render  molle  ogni  cor  rozzo  e  scabro, 

quivi  si  forma  quel  suave  riso, 

ch'apre  a  sua  posta  in  terra  il  paradiso. 

XIV 

Bianca  nieve  e  il  bel  collo,  e  Jl  petto  latte; 
il  collo  e  tondo,  il  petto  colmo  e  largo: 
due  pome  acerbe,  e  pur  d'avorio  fatte, 
vengono  e  van  come  onda  al  primo  margo, 
quando  piacevole  aura  il  mar  combatte. 
Non  potria  Faltre  parti  veder  Argo: 
ben  si  puo  giudicar  che  corrisponde 
a  quel  ch'appar  di  fuor  quel  che  s'asconde. 

xv 

Mostran  le  braccia  sua  misura  giusta; 
e  la  Candida  man  spesso  si  vede 
lunghetta  alquanto  e  di  larghezza  angusta, 
dove  n6  no  do  appar,  n6  vena  escede. 
Si  vede  al  fin  de  la  persona  augusta 
il  breve,  asciutto  e  ritondetto  piede. 
Gli  angelici  sembianti  nati  in  cielo 
non  si  ponno  celar  sotto  alcun  velo. 


132  ORLANDO    FURIOSO 

XVI 

Avea  in  ogni  sua  parte  un  laccio  teso, 
o  parli  o  rida  o  canti  o  passo  muova: 
ne  maraviglia  e  se  Ruggier  n'e  preso, 
poi  che  tanto  benigna  se  la  truova. 
Quel  che  di  lei  gia  avea  dal  mirto  inteso, 
com'e  perfida  e  ria,  poco  gli  giova; 
ch'inganno  o  tradimento  non  gli  e  aviso 
che  possa  star  con  si  soave  riso. 

XVII 

Anzi  pur  creder  vuol  che  da  costei 
fosse  converso  Astolfo  in  su  1'arena 
per  li  suoi  portamenti  ingrati  e  rei, 
e  sia  degno  di  questa  e  di  piu  pena: 
e  tutto  quel  ch'udito  avea  di  lei, 
stima  esser  falso,  e  che  vendetta  mena, 
e  mena  astio  et  invidia  quel  dolente 
a  lei  biasmare,  e  che  del  tutto  mente. 

XVIII 

La  bella  donna  che  cotanto  amava, 
novellamente  gli  e  dal  cor  partita; 
che  per  incanto  Alcina  gli  lo  lava 
d'ogni  antica  amorosa  sua  ferita; 
e  di  se  sola  e  del  suo  amor  lo  grava, 
e  in  quello  essa  riman  sola  sculpita: 
si  che  scusar  il  buon  Ruggier  si  deve, 
se  si  mostro  quivi  inconstante  e  lieve. 

XIX 

A  quella  mensa  citare,  arpe  e  lire, 
e  diversi  altri  dilettevol  suoni 
faceano  intorno  Taria  tintinire 
d'armonia  dolce  e  di  concenti  buoni. 
Non  vi  mancava  chi,  cantando,  dire 
d'amor  sapesse  gaudii  e  passioni, 
o  con  invenzioni  e  poesie 
rappresentasse  grate  fantasie. 


CANTO    SETTIMO  133 

XX 

Qual  mensa  trionfante  e  suntuosa 
di  qualsivoglia  successor  di  Nino, 
o  qual  mai  tanto  celebre  e  famosa 
di  Cleopatra  al  vincitor  latino, 
potria  a  questa  esser  par,  che  Tamorosa 
fata  avea  posta  inanzi  al  paladino  ? 
Tal  non  cred'io  che  s'apparecchi  dove 
ministra  Ganimede  al  sornmo  Giove. 

XXI 

Tolte  che  fur  le  mense  e  le  vivande, 
facean,  sedendo  in  cerchio,  un  giuoco  lieto: 
che  ne  1'orecchio  Tun  Taltro  domande, 
come  piu  piace  lor,  qualche  secreto; 
il  che  agli  amanti  fu  commodo  grande 
di  scoprir  1'amor  lor  senza  divieto: 
e  furon  lor  conclusioni  estreme 
di  ritrovarsi  quella  notte  insieme. 

XXII 

Finir  quel  giuoco  tosto,  e  molto  inanzi 
che  non  solea  la  dentro  esser  costume: 
con  torchi  allora  i  paggi  entrati  inanzi, 
le  tenebre  cacciar  con  molto  lume. 
Tra  bella  compagnia  dietro  e  dinanzi 
and6  Ruggiero  a  ritrovar  le  piume 
in  una  adorna  e  fresca  cameretta, 
per  la  miglior  di  tutte  Taltre  eletta. 

XXIII 

E  poi  che  di  confetti  e  di  buon  vini 
di  nuovo  fatti  fur  debiti  inviti, 
e  partir  gli  altri  riverenti  e  chini, 
et  alle  stanze  lor  tutti  sono  iti; 
Ruggiero  entro  ne'  profumati  lini 
che  pareano  di  man  d'Aracne  usciti, 
tenendo  tuttavia  Torecchie  attente, 
s'ancor  venir  la  bella  donna  sente. 


134  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Ad  ogni  piccol  moto  ch'egli  udiva, 
sperando  die  fosse  ella,  il  capo  alzava: 
sentir  credeasi,  e  spesso  non  sentiva; 
poi  del  suo  errore  accorto  sospirava. 
Talvolta  uscia  del  letto  e  Fuscio  apriva, 
guatava  fuori,  e  nulla  vi  trovava: 
e  maledi  ben  mille  volte  Fora 
che  facea  al  trapassar  tanta  dimora. 

xxv 

Tra  se  dicea  sovente :  «  Or  si  parte  ella » ; 
e  cominciava  a  noverare  i  passi 
ch'esser  potean  da  la  sua  stanza  a  quella 
donde  aspettando  sta  che  Alcina  passi; 
e  questi  et  altri,  prima  che  la  bella 
donna  vi  sia,  vani  disegni  fassi. 
Teme  di  qualche  impedimento  spesso, 
che  tra  il  frutto  e  la  man  non  gli  sia  messo. 

XXVI 

Alcina,  poi  chV  preziosi  odori 
dopo  gran  spazio  pose  alcuna  meta, 
venuto  il  tempo  che  piu  non  dimori, 
ormai  ch'in  casa  era  ogni  cosa  cheta, 
de  la  camera  sua  sola  usci  fuori; 
e  tacita  njand6  per  via  secreta 
dove  a  Ruggiero  avean  timore  e  speme 
gran  pezzo  intorno  al  cor  pugnato  insieme. 

XXVII 

Come  si  vide  il  successor  d'Astolfo 
sopra  apparir  quelle  ridenti  stelle, 
come  abbia  ne  le  vene  acceso  zolfo, 
non  par  che  capir  possa  ne  la  pelle. 
Or  sino  agli  occhi  ben  nuota  nel  golfo 
de  le  delizie  e  de  le  cose  belle: 
salta  del  letto,  e  in  braccio  la  raccoglie, 
ne  pu6  tanto  aspettar  ch'ella  si  spoglie; 


CANTO    SETTIMO  135 

XXVIII 

ben  che  ne  gonna  ne  faldiglia  avesse; 
che  venne  avolta  in  un  leggier  zendado 
che  sopra  una  camicia  ella  si  messe, 
bianca  e  suttil  nel  piu  escellente  grado. 
Come  Ruggiero  abbracci6  lei,  gli  cesse 
il  manto:  e  resto  il  vel  suttile  e  rado, 
che  non  copria  dinanzi  ne  di  dietro, 
piu  che  le  rose  o  i  gigli  un  chiaro  vetro. 

XXIX 

Non  cosi  strettamente  edera  preme 
pianta  ove  intorno  abbarbicata  s'abbia, 
come  si  stringon  li  dui  amanti  insieme, 
cogliendo  de  lo  spirto  in  su  le  labbia 
suave  fior,  qual  non  produce  seme 
indo  o  sabeo  ne  Fodorata  sabbia. 
Del  gran  piacer  ch'avean,  lor  dicer  tocca; 
che  spesso  avean  piu  d'una  lingua  in  bocca. 

xxx 

Queste  cose  la  dentro  eran  secrete, 
o  se  pur  non  secrete,  almen  taciute; 
che  raro  fu  tener  le  labra  chete 
biasmo  ad  alcun,  ma  ben  spesso  virtute. 
Tutte  proferte  et  accoglienze  liete 
fanno  a  Ruggier  quelle  persone  astute: 
ognun  lo  reverisce  e  se  gli  inchina; 
che  cosi  vuol  1'innamorata'  Alcina. 

XXXI 

Non  e  diletto  alcun  che  di  fuor  reste; 
che  tutti  son  ne  Tamorosa  stanza. 
E  due  e  tre  volte  il  di  mutano  veste, 
fatte  or  ad  una  ora  ad  un'altra  usanza. 
Spesso  in  conviti,  e  sempre  stanno  in  feste, 
in  giostre,  in  lotte,  in  scene,  in  bagno,  in  danza: 
or  presso  ai  fonti,  all'ombre  de'  poggietti, 
leggon  d'antiqui  gli  amorosi  detti. 


136  ORLANDO    FURIOSO 

XXXII 

Or  per  I'ombrose  valli  e  lieti  colli 
vanno  cacciando  le  paurose  lepri; 
or  con  sagaci  cani  i  fagian  folli 
con  strepito  uscir  fan  di  stoppie  e  vepri; 
or  a'  tordi  lacciuoli,  or  veschi  molli 
tendon  tra  gli  odoriferi  ginepri; 
or  con  ami  inescati  et  or  con  reti 
turbano  a*  pesci  i  grati  lor  secreti. 

XXXIII 

Stava  Ruggiero  in  tanta  gioia  e  festa, 
mentre  Carlo  in  travaglio  et  Agramante, 
di  cui  1'istoria  io  non  vorrei  per  questa 
porre  in  oblio,  ne  lasciar  Bradamante, 
die  con  travaglio  e  con  pena  molesta 
pianse  piu  giorni  il  disiato  amante, 
ch'avea  per  strade  disusate  e  nuove 
veduto  portar  via,  ne  sapea  dove. 

xxxiv 

Di  costei  prima  che  degli  altri  dico, 
che  molti  giorni  and6  cercando  invano 
pei  boschi  ombrosi  e  per  lo  campo  aprico, 
per  ville,  per  citta,  per  monte  e  piano ; 
ne  mai  pote  saper  del  caro  amico, 
che  di  tanto  intervallo  era  lontano. 
Ne  1'oste  saracin  spesso  venia, 
ne  mai  del  suo  Ruggier  ritrovo  spia. 

xxxv 

Ogni  di  ne  domanda  a  piu  di  cento, 
ne  alcun  le  ne  sa  mai  render  ragioni. 
D'alloggiamento  va  in  alloggiamento, 
cercandone  e  trabacche  e  padiglioni : 
e  lo  pu6  far;  che  senza  impedimento 
passa  tra  cavallieri  e  tra  pedoni, 
merce  all'annel  che  fuor  d'ogni  uman  uso 
la  fa  sparir  quando  1'e  in  bocca  chiuso. 


CANTO    SETTIMO  137 

XXXVI 

Ne  puo  ne  creder  vuol  che  morto  sia; 

perche  di  si  grande  uom  1'alta  ruina 

da  Ponde  Idaspe  udita  si  saria 

fin  dove  il  sole  a  riposar  declina. 

Non  sa  ne  dir  ne  imaginar  che  via 

far  possa  o  in  cielo  o  in  terra;  e  pur  meschina 

lo  va  cercando,  e  per  compagni  mena 

sospiri  e  pianti  et  ogni  acerb  a  pena. 

XXXVII 

Penso  al  fin  di  tornare  alia  spelonca 
dove  eran  Fossa  di  Merlin  prof  eta, 
e  gridar  tanto  intorno  a  quella  conca, 
che  '1  freddo  marmo  si  movesse  a  pieta; 
che  se  vivea  Ruggiero,  o  gli  avea  tronca 
1'alta  necessita  la  vita  lieta, 
si  sapria  quindi,  e  poi  s'appiglierebbe 
a  quel  miglior  consiglio  che  n'avrebbe. 

XXXVIII 

Con  questa  intenzion  prese  il  camino 
verso  le  selve  prossime  a  Pontiero, 
dove  la  vocal  tomba  di  Merlino 
era  nascosa  in  loco  alpestro  e  fiero. 
Ma  quella  maga  che  sempre  vicino 
tenuto  a  Bradamante  avea  il  pensiero, 
quella,  dico  io,  che  nella  bella  grotta 
1'avea  de  la  sua  stirpe  instrutta  e  dotta; 

XXXIX 

quella  benigna  e  saggia  incantatrice, 
la  quale  ha  sempre  cura  di  costei, 
sappiendo  ch'esser  de'  progenitrice 
d'uomini  invitti,  anzi  di  semidei; 
ciascun  di  vuol  saper  che  fa,  che  dice, 
e  getta  ciascun  di  sorte  per  lei. 
Di  Ruggier  liberate  e  poi  perduto, 
e  dove  in  India  and6,  tutto  ha  saputo. 


138  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Ben  veduto  1'avea  su  quel  cavallo 
che  reggier  non  potea,  ch'era  sfrenato, 
scostarsi  di  lunghissimo  intervallo 
per  sentier  periglioso  e  non  usato ; 
e  ben  sapea  che  stava  in  giuoco  e  in  ballo 
e  in  cibo  e  in  ozio  molle  e  delicate, 
ne  piu  memoria  avea  del  suo  signore, 
ne  de  la  donna  sua,  ne  del  suo  onore. 

XLI 

E  cosi  il  fior  de  li  begli  anni  suoi 
in  lunga  inerzia  aver  potria  consunto 
si  gentil  cavallier,  per  dover  poi 
perdere  il  corpo  e  Tanima  in  un  punto; 
e  quel  odor,  che  sol  riman  di  noi 
poscia  che  Jl  resto  fragile  e  defunto, 
che  tra'  Tuom  del  sepulcro  e  in  vita  il  serba, 
gli  saria  stato  o  tronco  o  svelto  in  erba. 

XLII 

Ma  quella  gentil  maga,  che  piu  cura 
n'avea  ch'egli  medesmo  di  se  stesso, 
penso  di  trarlo  per  via  alpestre  e  dura 
alia  vera  virtu,  mal  grado  d'esso: 
come  escellente  medico,  che  cura 
con  ferro  e  fuoco  e  con  veneno  spesso, 
che  se  ben  molto  da  principio  offende, 
poi  giova  al  fine,  e  grazia  se  gli  rende. 

XLIII 

Ella  non  gli  era  facile,  e  talmente 
fattane  cieca  di  superchio  amore, 
che,  come  facea  Atlante,  solamente 
a  darli  vita  avesse  posto  il  core. 
Quel  piu  tosto  volea  che  lungamente 
vivesse  e  senza  fama  e  senza  onore, 
che,  con  tutta  la  laude  che  sia  al  mondo, 
mancasse  un  anno  al  suo  viver  giocondo. 


CANTO   SETTIMO  139 

XLIV 

L'avea  mandate  all'isola  d'Alcina, 
perche  obliasse  1'arme  in  quella  corte; 
e  come  mago  di  somma  dottrina, 
ch'usar  sapea  gl'incanti  d'ogni  sorte, 
avea  il  cor  stretto  di  quella  regina 
ne  Tamor  d'esso  d'un  laccio  si  forte, 
che  non  se  ne  era  mai  per  poter  sciorre, 
s'invechiasse  Ruggier  piu  di  Nestorre. 

XLV 

Or  tornando  a  colei  ch'era  presaga 
di  quanto  de'  awenir,  dico  che  tenne 
la  dritta  via  dove  Terrante  e  vaga 
figlia  d'Amon  seco  a  incontrar  si  venne. 
Bradamante  vedendo  la  sua  maga, 
muta  la  pena  che  prima  sostenne, 
tutta  in  speranza;  e  quella  Papre  il  vero, 
ch'ad  Alcina  e  condotto  il  suo  Ruggiero. 

XLVI 

La  giovane  riman  presso  che  morta, 
quando  ode  che  '1  suo  amante  e  cosi  lunge; 
e  piu,  che  nel  suo  amor  periglio  porta, 
se  gran  rimedio  e  subito  non  giunge: 
ma  la  benigna  maga  la  conforta, 
e  presta  pon  Pimpiastro  ove  il  duol  punge; 
e  le  promette  e  giura  in  pochi  giorni 
far  che  Ruggiero  a  riveder  lei  torni. 

XLVII 

—  Da  che,  donna,  —  dicea  —  Pannello  hai  teco, 
che  val  contra  ogni  magica  fattura, 
io  non  ho  dubbio  alcun,  che  s'io  Parreco 
la  dove  Alcina  ogni  tuo  ben  ti  fura, 
ch'io  non  le  rompa  il  suo  disegno,  e  meco 
non  ti  rimeni  la  tua  dolce  cura. 
Me  n'andro  questa  sera  alia  prim'ora, 
e  sar6  in  India  al  nascer  de  1*  aurora.  — 


140  ORLANDO    FURIOSO 

XLVIII 

E  seguitando,  del  mo  do  narrolle 
che  disegnato  avea  d'adoperarlo, 
per  trar  del  regno  effeminate  e  molle 
il  caro  amante,  e  in  Francia  rimenarlo. 
Bradamante  Fannel  del  dito  tolle; 
ne  solamente  avria  voluto  darlo, 
ma  dato  il  core  e  dato  avria  la  vita, 
pur  che  n'avesse  il  suo  Ruggiero  aita. 

XLIX 

Le  da  1'annello  e  se  le  raccomanda; 
e  piu  le  raccomanda  il  suo  Ruggiero, 
a  cui  per  lei  mille  saluti  manda: 
poi  prese  ver  Provenza  altro  sentiero. 
Ando  Fincantatrice  a  un'altra  banda; 
e  per  porre  in  effetto  il  suo  pensiero, 
un  palafren  fece  apparir  la  sera, 
ch'avea  un  pie  rosso,  e  ogn'altra  parte  nera. 

L 

Credo  fusse  un  Alchino  o  un  Farfarello, 
che  da  I'inferno  in  quella  forma  trasse; 
e  scinta  e  scalza  mont6  sopra  a  quello, 
a  chiome  sciolte  e  orribilmente  passe: 
ma  ben  di  dito  si  Iev6  1'annello, 
perche  gl'mcanti  suoi  non  le  vietasse. 
Poi  con  tal  fretta  ando,  che  la  matina 
si  ritrovo  ne  1'isola  d'Alcina. 

LI 

Quivi  mirabilmente  transmutosse: 
s'accrcbbe  piu  d'un  palmo  di  statura, 
e  fe*  le  membra  a  proporzion  piu  grosse, 
e  resto  a  punto  di  quella  misura 
che  si  penso  che  Jl  negromante  fosse, 
quel  che  nutri  Ruggier  con  si  gran  cura. 
Vesti  di  lunga  barba  le  mascelle, 
e  fe'  crespa  la  fronte  e  1'altra  pelle. 


CANTO    SETTIMO  141 

LII 

Di  faccia,  di  parole  e  di  sembiante 
si  lo  seppe  imitar,  che  totalmente 
potea  parer  1'incantatore  Atlante. 
Poi  si  nascose;  e  tanto  pose  mente, 
che  da  Ruggiero  allontanar  1'amante 
Alcina  vide  un  giorno  fmalmente : 
e  fu  gran  sorte;  che  di  stare  o  d'ire 
senza  esso  un'ora  potea  mal  patire. 

LIII 

Soletto  lo  trovo,  come  lo  voile, 
che  si  godea  il  matin  fresco  e  sereno 
lungo  un  bel  rio  che  discorrea  d'un  colle 
verso  un  laghetto  limpido  et  ameno. 
II  suo  vestir  delizioso  e  molle 
tutto  era  d'ozio  e  di  lascivia  pieno, 
che  de  sua  man  gli  avea  di  seta  e  d'oro 
tessuto  Alcina  con  sottil  lavoro. 

LIV 

Di  ricche  gemme  un  splendido  monile 
gli  discendea  dal  collo  in  mezzo  il  petto; 
e  ne  1'uno  e  ne  1'altro  gia  virile 
braccio  girava  un  lucido  cerchietto. 
Gli  avea  forato  un  fil  d'oro  sottile 
ambe  1'orecchie,  in  forma  d'annelletto; 
e  due  gran  perle  pendevano  quindi, 
qua'  mai  non  ebbon  gli  Arabi  n6  gl'Indi. 

LV 

Umide  avea  1'innanellate  chiome 
de'  piu  suavi  odor  che  sieno  in  prezzo: 
tutto  ne'  gesti  era  amoroso,  come 
fosse  in  Valenza  a  servir  donne  avezzo. 
Non  era  in  lui  di  sano  altro  che  '1  no  me; 
corrotto  tutto  il  resto,  e  piu  che  mezzo. 
Cosi  Ruggier  fu  ritrovato,  tanto 
da  1'esser  suo  mutato  per  incanto. 


142  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Ne  la  forma  d'Atlante  se  gli  affaccia 

colei  che  la  sembianza  ne  tenea, 

con  quella  grave  e  venerabil  faccia 

che  Ruggier  sempre  riverir  solea, 

con  quello  occhio  pien  d'ira  e  di  minaccia, 

che  si  temuto  gia  fanciullo  avea; 

dicendo :  —  6  questo  dunque  il  frutto  ch'io 

lungamente  atteso  ho  del  sudor  mio  ? 

LVII 

Di  medolle  gia  d'orsi  e  di  leoni 
ti  porsi  io  dunque  li  primi  alimenti; 
t'ho  per  caverne  et  orridi  burroni 
fanciullo  avezzo  a  strangolar  serpenti, 
pantere  e  tigri  disarmar  d'ungioni 
et  a  vivi  cingial  trar  spesso  i  denti, 
acci6  che  dopo  tanta  disciplina 
tu  sii  1'Adone  o  FAtide  d'Alcina? 

LVIII 

fi  questo  quel  che  1'osservate  stelle, 
le  sacre  fibre  e  gli  accoppiati  punti, 
responsi,  auguri,  sogni  e  tutte  quelle 
sorti  ove  ho  troppo  i  miei  studi  consunti, 
di  te  promesso  sin  da  le  mammelle 
m'avean,  come  quest'anni  fusser  giunti, 
ch'in  arme  1'opre  tue  cosi  preclare 
esser  dovean,  che  sarian  senza  pare? 

LIX 

Questo  e  ben  veramente  alto  principio 
onde  si  puo  sperar  che  tu  sia  presto 
a  farti  un  Alessandro,  un  lulio,  un  Scipio! 
Chi  potea,  ohime!  di  te  mai  creder  questo, 
che  ti  facessi  d'Alcina  mancipio  ? 
E  perch6  ognun  lo  veggia  manifesto, 
al  collo  et  alle  braccia  hai  la  catena 
con  che  ella  a  voglia  sua  preso  ti  mena. 


CANTO    SETTIMO  143 

LX 

Se  non  ti  muovon  le  tue  proprie  laudi, 

e  Topre  escelse  a  chi  t'ha  il  cielo  eletto, 

la  tua  succession  perche  defraudi 

del  ben  che  mille  volte  io  t'ho  predetto? 

deh,  perche  il  ventre  eternamente  claudi, 

dove  il  ciel  vuol  che  sia  per  te  concetto 

la  gloriosa  e  soprumana  prole 

ch'esser  de'  al  rnondo  piu  chiara  che  '1  sole? 

LXI 

Deh  non  vietar  che  le  piu  nobil  alme, 
che  sian  formate  ne  Feterne  idee, 
di  tempo  in  tempo  abbian  corporee  saline 
dal  ceppo  che  radice  in  te  aver  dee! 
deh  non  vietar  mille  trionfi  e  palme, 
con  che,  dopo  aspri  danni  e  piaghe  ree, 
tuoi  figli,  tuoi  nipoti  e  successori 
Italia  torneran  nei  primi  onori! 

LXII 

Non  ch'a  piegarti  a  questo  tante  e  tante 
anime  belle  aver  dovesson  pondo, 
che  chiare,  illustri,  inclite,  invitte  e  sante 
son  per  fiorir  da  Parbor  tuo  fecondo; 
ma  ti  dovria  una  coppia  esser  bastante : 
Ippolito  e  il  fratel;  che  pochi  il  mondo 
ha  tali  avuti  ancor  fin  al  dl  d'oggi, 
per  tutti  i  gradi  onde  a  virtu  si  poggi. 

LXIII 

Io  solea  piu  di  questi  dui  narrarti, 
ch'io  non  facea  di  tutti  gli  altri  insieme; 
si  perch<§  essi  terran  le  maggior  parti, 
che  gli  altri  tuoi,  ne  le  virtu  supreme; 
si  perche  al  dir  di  lor  mi  vedea  darti 
piu  attenzion,  che  cT altri  del  tuo  seme: 
vedea  goderti  che  si  chiari  eroi 
esser  dovessen  dei  nipoti  tuoi. 


144  ORLANDO    FURIOSO 

LXIV 

Che  ha  costei  che  t'hai  fatto  regina, 
che  non  abbian  milPaltre  meretrici? 
costei  che  di  tant'altri  e  concubina, 
ch'al  fin  sai  ben  s'ella  suol  far  felici. 
Ma  perche  tu  conosca  chi  sia  Alcina, 
levatone  le  fraudi  e  gli  artifici, 
tien  questo  annello  in  dito,  e  torna  ad  ella, 
ch'aveder  ti  potrai  come  sia  bella.  — 

LXV 

Ruggier  si  stava  vergognoso  e  muto 
mirando  in  terra,  e  mal  sapea  che  dire; 
a  cui  la  maga  nel  dito  minuto 
pose  1' annello,  e  lo  fe'  risentire. 
Come  Ruggiero  in  se  fu  rivenuto, 
di  tanto  scorno  si  vide  assalire, 
ch'esser  vorria  sotterra  mille  braccia, 
ch'alcun  veder  non  lo  potesse  in  faccia. 

LXVI 

Ne  la  sua  prima  forma  in  uno  instante, 
cosi  parlando,  la  maga  rivenne; 
ne  bisognava  piii  quella  d*  Atlanta, 
seguitone  1'effetto  per  che  venne. 
Per  dirvi  quel  ch'io  non  vi  dissi  inante, 
costei  Melissa  nominata  venne, 
ch'or  die  a  Ruggier  di  se  notizia  vera, 
e  dissegli  a  che  effetto  venuta  era; 

LXVII 

mandata  da  colei,  che  d'amor  piena 
sempre  il  disia,  ne  piu  pu6  starne  senza, 
per  liberarlo  da  quella  catena 
di  che  lo  cinse  magica  violenza: 
e  preso  avea  d'Atlante  di  Carena 
la  forma,  per  trovar  meglio  credenza. 
Ma  poi  ch'a  sanita  1'ha  omai  ridutto, 
gli  vuole  aprire  e  far  che  veggia  il  tutto. 


CANTO    SETTIMO  145 

LXVIII 

—  Quella  donna  gentil  che  t'ama  tanto, 
quella  che  del  tuo  amor  degna  sarebbe, 
a  cui,  se  non  ti  scorda,  tu  sai  quanto 
tua  liberta,  da  lei  servata,  debbe; 
questo  annel  che  ripara  ad  ogni  incanto 
ti  manda:  e  cosl  il  cor  mandato  avrebbe, 
s'avesse  avuto  il  cor  cosi  virtute, 
come  Fannello,  atta  alia  tua  salute.  — 

LXIX 

E  seguitfr  narrandogli  1'amore 
che  Bradamante  gli  ha  portato  e  porta; 
di  quella  insieme  comend6  il  valore, 
in  quanto  il  vero  e  Faffezion  comporta; 
et  uso  modo  e  termine  migliore 
che  si  convenga  a  messaggiera  accorta: 
et  in  quel  odio  Alcina  a  Ruggier  pose, 
in  che  soglionsi  aver  1'orribil  cose. 

LXX 

In  odio  gli  la  pose,  ancor  che  tanto 
Famasse  dianzi;  e  non  vi  paia  strano, 
quando  il  suo  amor  per  forza  era  d'incanto, 
ch'essendovi  Fannel,  rimase  vano. 
Fece  Fannel  palese  ancor,  che  quanto 
di  belta  Alcina  avea,  tutto  era  estrano; 
estrano  avea,  e  non  suo,  dal  pie  alia  treccia: 
il  bel  ne  sparve,  e  le  rest6  la  feccia. 

LXXI 

Come  fanciullo  che  maturo  frutto 
ripone,  e  poi  si  scorda  ove  e  riposto, 
e  dopo  molti  giorni  e  ricondutto 
la  dove  truova  a  caso  il  suo  deposto, 
si  maraviglia  di  vederlo  tutto 
putrido  e  guasto,  e  non  come  fu  posto; 
e  dove  amarlo  e  caro  aver  solia, 
Fodia,  sprezza,  n'ha  schivo,  e  getta  via: 


146  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

cosi  Ruggier,  poi  che  Melissa  fece 

ch'a  riveder  se  ne  torn6  la  fata 

con  quelFannello  inanzi  a  cui  non  lece, 

quando  s'ha  in  dito,  usare  opra  incantata, 

ritruova,  contra  ogni  sua  stima,  invece 

de  la  bella  che  dianzi  avea  lasciata, 

donna  si  laida,  che  la  terra  tutta 

ne  la  piu  vecchia  avea  ne  la  piu  brutta. 

LXXIII 

Pallido,  crespo  e  macilente  avea 
Alcina  il  viso,  il  crin  raro  e  canuto, 
sua  statura  a  sei  palmi  non  giungea, 
ogni  dente  di  bocca  era  caduto; 
che  piu  d'Ecuba  e  piu  de  la  Cumea, 
et  avea  piu  d'ogn'altra  mai  vivuto. 
Ma  si  Farti  usa  al  nostro  tempo  ignote, 
che  bella  e  giovanetta  parer  puote. 

LXXIV 

Giovane  e  bella  ella  si  fa  con  arte, 
si  che  molti  inganno  come  Ruggiero; 
ma  Tannel  venne  a  interpretar  le  carte, 
che  gia  molti  anni  avean  celato  il  vero. 
Miracol  non  e  dunque,  se  si  parte 
de  1'animo  a  Ruggiero  ogni  pensiero 
ch'avea  d'amare  Alcina,  or  che  la  truova 
in  guisa,  che  sua  fraude  non  le  giova. 

LXXV 

Ma  come  F  aviso  Melissa,  stette 

senza  mutare  il  solito  sembiante, 

fin  che  de  1'arme  sue,  piu  di  neglette, 

si  fu  vestito  dal  capo  alle  piante; 

e  per  non  farle  ad  Alcina  suspette, 

finse  provar  s'in  esse  era  aiutante, 

finse  provar  se  gli  era  fatto  grosso, 

dopo  alcun  di  che  non  Pha  avute  indosso. 


CANTO    OTTAVO  147 

LXXVI 

E  Balisarda'  poi  si  messe  al  fianco 

(che  cosi  nome  la  sua  spada  avea); 

e  lo  scudo  mirabile  tolse  anco, 

che  non  pur  gli  occhi  abbarbagliar  solea, 

ma  Tanima  facea  si  venir  manco, 

che  dal  corpo  esalata  esser  parea. 

Lo  tolse,  e  col  zendado  in  che  trovollo, 

che  tutto  lo  copria,  sel  messe  al  collo. 

LXXVII 

Venne  alia  stalla,  e  fece  briglia  e  sella 
porre  a  un  destrier  piu  che  la  pece  nero: 
cosi  Melissa  1'avea  instrutto;  ch'ella 
sapea  quanto  nel  corso  era  leggiero. 
Chi  lo  conosce,  Rabican  Tappella; 
et  e  quel  proprio  che  col  cavalliero, 
del  quale  i  venti  or  presso  al  mar  fan  gioco, 
porto  gia  la  balena  in  questo  loco. 

LXXVIII 

Potea  aver  I'ippogrifo  similmente, 
che  presso  a  Rabicano  era  legato; 
ma  gli  avea  detto  la  maga:  —  Abbi  mente, 
ch'egli  e  (come  tu  sai)  troppo  sfrenato.  — 
E  gli  diede  intenzion  che  '1  di  seguente 
gli  lo  trarrebbe  fuor  di  quello  state, 
la  dove  ad  agio  poi  sarebbe  instrutto 
come  frenarlo  e  farlo  gir  per  tutto. 

LXXIX 

Ne  sospetto  dara,  se  non  lo  tolle, 
de  la  tacita  fuga  ch'apparecchia. 
Fece  Ruggier  come  Melissa  voile, 
ch'invisibile  ognor  gli  era  alPorecchia. 
Cosi  fingendo,  del  lascivo  e  molle 
palazzo  usci  de  la  puttana  vecchia; 
e  si  venne  accostando  ad  una  porta, 
donde  e  la  via  ch'a  Logistilla  il  porta. 


148  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

Assalt6  li  guardian!  alPimproviso, 
e  si  cacci6  tra  lor  col  ferro  in  mano : 
e  qual  lascio  ferito,  e  quale  ucciso; 
e  corse  fuor  del  ponte  a  mano  a  mano, 
e  prima  che  n'avesse  Alcina  aviso, 
di  molto  spazio  fu  Ruggier  lontano. 
Diro  ne  1'altro  canto  che  via  tenne; 
poi  come  a  Logistilla  se  ne  venne. 


CANTO    OTTAVO  149 


CANTO    OTTAVO 


I 

Oh  quante  sono  incantatrici,  oh.  quanti 
incantator  tra  noi,  che  non  si  sanno! 
che  con  lor  arti  uomini  e  donne  amanti 
di  se,  cangiando  i  visi  lor,  fatto  hanno. 
Non  con  spirti  constretti  tali  incanti, 
ne  con  osservazion  di  stelle  fanno; 
ma  con  simulazion,  menzogne  e  frodi 
legano  i  cor  d'indissolubil  nodi. 

II 

Chi  Fannello  d' Angelica,  o  piu  tosto 
chi  avesse  quel  de  la  ragion,  potria 
veder  a  tutti  il  viso  che  nascosto 
da  finzione  e  d'arte  non  saria. 
Tal  ci  par  bello  e  buono  che,  deposto 
il  liscio,  brutto  e  rio  forse  parria. 
Fu  gran  ventura  quella  di  Ruggiero, 
ch'ebbe  1'annel  che  gli  scoperse  il  vero. 

in 

Ruggier  (come  io  dicea)  dissimulando, 
su  Rabican  venne  alia  porta  armato: 
trov6  le  guardie  sprovedute,  e  quando 
giunse  tra  lor,  non  tenne  il  bran  do  a  lato. 
Chi  morto  e  chi  a  mal  termine  lasciando, 
esce  del  ponte,  e  il  rastrello  ha  spezzato: 
prende  al  bosco  la  via;  ma  poco  corre, 
ch'ad  un  de'  send  de  la  fata  occorre. 


150  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

II  servo  in  pugno  avea  un  augel  grifagno 
che  volar  con  placer  facea  ogni  giorno, 
ora  a  campagna,  ora  a  un  vicino  stagno 
dove  era  sempre  da  far  preda  intorno; 
avea  da  lato  il  can  fido  compagno : 
cavalcava  un  ronzin  non  troppo  adorno. 
Ben  penso  che  Ruggier  dovea  fuggire, 
quando  lo  vide  in  tal  fretta  venire. 


Se  gli  fe'  incontra,  e  con  sembiante  altiero 

gli  domandb  perche  in  tal  fretta  gisse. 

Risponder  non  gli  volse  il  buon  Ruggiero : 

perci6  colui,  piu  certo  che  fuggisse, 

di  volerlo  arrestar  fece  pensiero ; 

e  distendendo  il  braccio  manco,  disse: 

—  Che  dirai  tu,  se  subito  ti  fermo? 

se  contra  questo  augel  non  avrai  schermo  ?  — 

VI 

Spinge  1'augello:  e  quel  batte  si  Pale, 

che  non  Pavanza  Rabican  di  corso. 

Del  palafreno  il  cacciator  giu  sale, 

e  tutto  a  un  tempo  gli  ha  levato  il  morso. 

Quel  par  da  Parco  uno  aventato  strale, 

di  calci  formidabile  e  di  morso; 

e  '1  servo  dietro  si  veloce  viene, 

che  par  ch'il  vento,  anzi  che  il  fuoco  il  mene. 

VII 

Non  vuol  parere  il  can  d'esser  piu  tardo, 
ma  segue  Rabican  con  quella  fretta 
con  che  le  lepri  suol  seguire  il  pardo. 
Vergogna  a  Ruggier  par,  se  non  aspetta. 
Voltasi  a  quel  che  vien  si  a  pie  gagliardo ; 
ne  gli  vede  arme,  fuor  ch'una  bacchetta, 
quella  con  che  ubidire  al  cane  insegna: 
Ruggier  di  trar  la  spada  si  disdegna. 


CANTO    OTTAVO  151 

VIII 

Quel  se  gli  appressa,  e  forte  lo  percuote; 
lo  morde  a  un  tempo  il  can  nel  piede  manco. 
Lo  sfrenato  destrier  la  groppa  scuote 
tre  volte  e  piu,  ne  falla  il  destro  fianco. 
Gira  Faugello  e  gli  fa  mille  mote, 
e  con  1'ugna  sovente  il  ferisce  anco  : 
si  il  destrier  collo  strido  impaurisce, 
ch'alla  mano  e  allo  spron  poco  ubidisce. 

IX 

Ruggiero,  al  fin  constretto,  il  ferro  caccia; 
e  perch6  tal  molestia  se  ne  vada, 
or  gli  animali,  or  quel  villan  minaccia 
col  taglio  e  con  la  punta  de  la  spada. 
Quella  importuna  turba  piu  Pimpaccia: 
presa  ha  chi  qua  chi  la  tutta  la  strada. 
Vede  Ruggiero  il  disonore  e  il  danno 
che  gli  averra,  se  piu  tardar  lo  fanno. 


Sa  ch'ogni  poco  piu  ch'ivi  rimane, 

Alcina  avra  col  populo  alle  spalle : 

di  trombe,  di  tamburi  e  di  campane 

gia  s'ode  alto  rumore  in  ogni  valle. 

Contra  un  servo  senza  arme  e  contra  un  cane 

gli  par  ch'a  usar  la  spada  troppo  falle: 

meglio  e  piu  breve  e  dunque  che  gli  scopra 

10  scudo  che  d'Atlante  era  stato  opra. 

XI 

Levo  il  drappo  vermiglio  in  che  coperto 
gia  molti  giorni  lo  scudo  si  tenne. 
Fece  Peffetto  mille  volte  esperto 

11  lume,  ove  a  ferir  negli  occhi  venne: 
resta  dai  sensi  il  cacciator  deserto, 
cade  il  cane  e  il  ronzin,  cadon  le  penne 
ch'in  aria  sostener  1'augel  non  ponno; 
lieto  Ruggier  li  lascia  in  preda  al  sonno. 


152  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Alcina,  ch'avea  intanto  avuto  aviso 
di  Ruggier,  che  sforzato  avea  la  porta, 
e  de  la  guardia  buon  numero  ucciso, 
fu,  vinta  dal  dolor,  per  restar  morta. 
Squarciossi  i  panni  e  si  percosse  il  viso, 
e  sciocca  nominossi  e  malaccorta; 
e  fece  dar  aU'arme  immantinente, 
e  intorno  a  se  raccor  tutta  sua  gente. 

XIII 

E  poi  ne  fa  due  parti,  e  manda  Tuna 
per  quella  strada  ove  Ruggier  camina; 
al  porto  Faltra  subito  raguna, 
imbarca,  et  uscir  fa  ne  la  marina: 
sotto  le  vele  aperte  il  mar  s'imbruna. 
Con  questi  va  la  disperata  Alcina, 
che  '1  desiderio  di  Ruggier  si  rode, 
che  lascia  sua  citta  senza  custode. 

XIV 

Non  lascia  alcuno  a  guardia  del  palagio  : 
il  che  a  Melissa,  che  stava  alia  posta 
per  liberar  di  quel  regno  malvagio 
la  gente  ch'in  miseria  v'era  posta, 
diede  commodita,  diede  grande  agio 
di  gir  cercando  ogni  cosa  a  sua  posta, 
imagini  abbruciar,  suggelli  t6rre, 
e  nodi  e  rombi  e  turbini  disciorre. 

xv 

Indi  pei  campi  accelerando  i  passi, 
gli  antiqui  amanti  ch'erano  in  gran  torma 
conversi  in  fonti,  in  fere,  in  legni,  in  sassi, 
fe'  ritornar  ne  la  lor  prima  forma. 
E  quei,  poi  ch'allargati  furo  i  passi, 
tutti  del  buon  Ruggier  seguiron  Forma: 
a  Logistilla  si  salvaro;  et  indi 
tornaro  a  Sciti,  a  Persi,  a  Greci,  ad  Indi. 


CANTO    OTTAVO  153 

XVI 

Li  rimando  Melissa  in  lor  paesi, 
con  obligo  di  mai  non  esser  sciolto. 
Fu  inanzi  agli  altri  il  duca  degl'Inglesi 
ad  esser  ritornato  in  uman  volto; 
che  '1  parentado  in  questo  e  li  cortesi 
prieghi  del  bon  Ruggier  gli  giovar  molto : 
oltre  i  prieghi,  Ruggier  le  die  Tannello, 
accio  meglio  potesse  aiutar  quello. 

XVII 

A'  prieghi  dunque  di  Ruggier,  rifatto 

fu  '1  paladin  ne  la  sua  prima  faccia. 

Nulla  pare  a  Melissa  d'aver  fatto, 

quando  ricovrar  Tarme  non  gli  faccia, 

e  quella  lancia  d'or,  ch'al  primo  tratto 

quanti  ne  tocca  de  la  sella  caccia: 

de  FArgalia,  poi  fu  d'Astolfo  lancia, 

e  molto  onor  fe'  a  Funo  e  a  1'altro  in  Francia. 

XVIII 

Trovo  Melissa  questa  lancia  d'oro, 
ch'Alcina  avea  reposta  nel  palagio, 
e  tutte  Parme  che  del  duca  foro, 
e  gli  fur  tolte  ne  1'ostel  malvagio. 
Monto  il  destrier  del  negromante  moro, 
e  fe'  montar  Astolfo  in  groppa  ad  agio; 
e  quindi  a  Logistilla  si  condusse 
d'un'ora  prima  che  Ruggier  vi  fusse. 

XIX 

Tra  duri  sassi  e  folte  spine  gia 

Ruggiero  intanto  inver  la  fata  saggia, 

di  balzo  in  balzo,  e  d'una  in  altra  via 

aspra,  solinga,  inospita  e  selvaggia; 

tanto  ch'a  gran  fatica  riuscia 

su  la  fervida  nona  in  una  spiaggia 

tra  Jl  mare  e  '1  monte,  al  mezzodi  scoperta, 

arsiccia,  nuda,  sterile  e  deserta. 


154  ORLANDO  FURIOSO 

XX 

Percuote  il  sole  ardente  il  vicin  colle; 

e  del  calor  che  si  riflette  a  dietro, 

in  modo  1'aria  e  1'arena  ne  bolle, 

che  saria  troppo  a  far  liquido  il  vetro. 

Stassi  cheto  ogni  augello  all'ombra  molle: 

sol  la  cicala  col  noioso  metro 

fra  i  densi  rami  del  fronzuto  stelo 

le  valli  e  i  monti  assorda,  e  il  mare  e  il  cielo. 

XXI 

Quivi  il  caldo,  la  sete,  e  la  fatica 
ch'era  di  gir  per  quella  via  arenosa, 
facean,  lungo  la  spiaggia  erma  et  aprica, 
a  Ruggier  compagnia  grave  e  noiosa. 
Ma  perche  non  convien  che  sempre  io  dica, 
ne  ch'io  vi  occupi  sempre  in  una  cosa, 
io  lascero  Ruggiero  in  questo  caldo, 
e  gir6  in  Scozia  a  ritrovar  Rinaldo. 

XXII 

Era  Rinaldo  molto  ben  veduto 
dal  re,  da  la  figliola  e  dal  paese. 
Poi  la  cagion  che  quivi  era  venuto, 
piu  ad  agio  il  paladin  fece  palese: 
ch'in  nome  del  suo  re  chiedeva  aiuto 
e  dal  regno  di  Scozia  e  da  Finglese; 
et  ai  preghi  suggiunse  anco  di  Carlo 
giustissime  cagion  di  dover  farlo. 

xxni 

Dal  re  senza  indugiar  gli  fu  risposto 
che  di  quanto  sua  forza  s'estendea, 
per  utile  et  onor  sempre  disposto 
di  Carlo  e  de  rimperio  esser  volea; 
e  che  fra  pochi  di  gli  avrebbe  posto 
piu  cavallieri  in  punto  che  potea; 
e  se  non  ch'esso  era  oggimai  pur  vecchio, 
capitano  verria  del  suo  apparecchio. 


CANTO    OTTAVO  155 

XXIV 

Ne  tal  rispetto  ancor  gli  parria  degno 
di  farlo  rimaner,  se  non  avesse 
il  figlio,  che  di  forza,  e  piu  d'ingegno, 
dignissimo  era  a  chi  '1  governo  desse, 
ben  che  non  si  trovasse  allor  nel  regno ; 
ma  che  sperava  che  venir  dovesse 
mentre  ch'insieme  aduneria  lo  stuolo; 
e  ch'adunato  il  troveria  il  figliuolo. 

XXV 

Cosi  mand6  per  tutta  la  sua  terra 
suoi  tesorieri  a  far  cavalli  e  gente; 
navi  apparecchia  e  iminizion  da  guerra, 
vettovaglia  e  danar  maturamente. 
Venne  intanto  Rinaldo  in  Inghilterra, 
e  '1  re  nel  suo  partir  cortesemente 
insino  a  Beroicche  accompagnollo ; 
e  visto  pianger  fu  quando  lasciollo. 

XXVI 

Spirando  il  vento  prospero  alia  poppa, 

monta  Rinaldo,  et  a  Dio  dice  a  tutti ; 

la  fune  indi  al  viaggio  il  nocchier  sgroppa, 

tanto  che  giunge  ove  nei  salsi  flutti 

il  bel  Tamigi  amareggiando  intoppa. 

Col  gran  flusso  del  mar  quindi  condutti 

i  naviganti  per  camin  sicuro 

a  vela  e  remi  insino  a  Londra  furo. 

XXVII 

Rinaldo  avea  da  Carlo  e  dal  re  Otone, 
che  con  Carlo  in  Parigi  era  assediato, 
al  principe  di  Vallia  commissione 
per  contrasegni  e  lettere  portato, 
che  cio  che  potea  far  la  regione 
di  fanti  e  di  cavalli  in  ogni  lato, 
tutto  debba  a  Calesio  traghitarlo, 
si  che  aiutar  si  possa  Francla  e  Carlo. 


156  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

II  principe  ch'io  dico,  ch'era,  in  vece 
d'Oton,  rimaso  nel  seggio  reale, 
a  Rinaldo  d'Amon  tanto  onor  fece, 
die  non  Tavrebbe  al  suo  re  fatto  uguale: 
indi  alle  sue  domande  satisfece; 
perch6  a  tutta  la  gente  marziale 
e  di  Bretagna  e  de  1'isole  intorno 
di  ritrovarsi  al  mar  prefisse  il  giorno. 

XXIX 

Signer,  far  mi  convien  come  fa  il  buono 
senator  sopra  il  suo  instrumento  arguto, 
che  spesso  muta  corda,  e  varia  suono, 
ricercando  ora  il  grave,  ora  Facuto. 
Mentre  a  dir  di  Rinaldo  attento  sono, 
d' Angelica  gentil  m'e  sovenuto, 
di  che  lasciai  ch'era  da  lui  fuggita, 
e  ch'avea  riscontrato  uno  eremita. 

xxx 

Alquanto  la  sua  istoria  io  vo'  seguire. 
Dissi  che  domandava  con  gran  cura, 
come  potesse  alia  marina  gire; 
che  di  Rinaldo  avea  tanta  paura, 
che,  non  passando  il  mar,  credea  morire, 
ne  in  tutta  Europa  si  tenea  sicura: 
ma  Peremita  a  bada  la  tenea, 
perche  di  star  con  lei  piacere  avea. 

XXXI 

Quella  rara  bellezza  il  cor  gli  accese, 
e  gli  scaldo  le  frigide  medolle: 
ma  poi  che  vide  che  poco  gli  attese, 
e  ch'oltra  soggiornar  seco  non  voile, 
di  cento  punte  Pasinello  ofFese; 
ne  di  sua  tardita  per6  lo  tolle  : 
e  poco  va  di  passo  e  men  di  trotto, 
ne  stender  gli  si  vuol  la  bestia  sotto. 


CANTO    OTTAVO  157 

XXXII 

E  perche  molto  dilungata  s'era, 
e  poco  piu,  n'avria  perduta  1'orma, 
ricorse  il  frate  alia  spelonca  nera, 
e  di  demoni  uscir  fece  una  torma: 
e  ne  sceglie  uno  di  tutta  la  schiera, 
e  del  bisogno  suo  prima  1'informa; 
poi  lo  fa  entrare  adosso  al  corridore, 
che  via  gli  porta  con  la  donna  il  core. 

XXXIII 

E  qual  sagace  can,  nel  monte  usato 

a  volpi  o  lepri  dar  spesso  la  caccia, 

che  se  la  fera  andar  vede  da  un  lato, 

ne  va  da  un  altro,  e  par  sprezzi  la  traccia, 

al  varco  poi  lo  senteno  arrivato, 

che  1'ha  gia  in  bocca,  e  Fapre  il  fianco  e  straccia: 

tal  I'eremita  per  diversa  strada 

aggiugnera  la  donna  ovunque  vada. 

xxxiv 

Che  sia  il  disegno  suo,  ben  io  comprendo: 
e  dirollo  anco  a  voi,  ma  in  altro  loco. 
Angelica  di  cio  nulla  temendo, 
cavalcava  a  giornate,  or  molto  or  poco. 
Nel  cavallo  il  demon  si  gia  coprendo, 
come  si  cuopre  alcuna  volta  il  fuoco, 
che  con  si  grave  incendio  poscia  avampa, 
che  non  si  estingue,  e  a  pena  se  ne  scampa. 

xxxv 

Poi  che  la  donna  preso  ebbe  il  sentiero 
dietro  il  gran  mar  che  li  Guasconi  lava, 
tenendo  appresso  alFonde  il  suo  destriero, 
dove  Tumor  la  via  piu  ferma  dava; 
quel  le  fu  tratto  dal  demonio  fiero 
ne  1'acqua  si,  che  dentro  vi  nuotava. 
Non  sa  che  far  la  timida  donzella, 
se  non  tenersi  ferma  in  su  la  sella. 


158  ORLANDO  FURIOSO 

-XXXVI 

Per  tirar  briglia,  non  gli  puo  dar  volta: 
piu  e  piu  sempre  quel  si  caccia  in  alto. 
Ella  tenea  la  vesta  in  su  raccolta 
per  non  bagnarla,  e  traea  i  piedi  in  alto. 
Per  le  spalle  la  chioma  iva  disciolta, 
e  1'aura  le  facea  lascivo  assalto. 
Stavano  cheti  tutti  i  maggior  venti, 
forse  a  tanta  belta  col  mare  attend. 

XXXVII 

Ella  volgea  i  begli  occhi  a  terra  invano, 
che  bagnavan  di  pianto  il  viso  e  }1  seno, 
e  vedea  il  lito  andar  sempre  lontano 
e  decrescer  piu  sempre  e  venir  meno. 
II  destrier,  che  nuotava  a  destra  mano, 
dopo  un  gran  giro  la  porto  al  terreno 
tra  scuri  sassi  e  spaventose  grotte, 
gia  cominciando  ad  oscurar  la  notte. 

XXXVIII 

Quando  si  vide  sola  in  quel  deserto, 
che  a  riguardarlo  sol  mettea  paura, 
ne  1'ora  che  nel  mar  Febo  coperto 
1'aria  e  la  terra  avea  lasciata  oscura, 
fermossi  in  atto  ch'avria  fatto  incerto 
chiunque  avesse  vista  sua  figura, 
s'ella  era  donna  sensitiva  e  vera, 

0  sasso  colorito  in  tal  maniera. 

xxxix 

Stupida  e  fissa  nella  incerta  sabbia, 
coi  capelli  disciolti  e  rabuffati, 
con  le  man  giunte  e  con  rimmote  labbia, 

1  languidi  occhi  al  ciel  tenea  levati, 
come  accusando  il  gran  Motor  che  1'abbia 
tutti  inclinati  nel  suo  danno  i  fati. 
Immota  e  come  attonita  ste  alquanto ; 

poi  sciolse  al  duol  la  lingua,  e  gli  occhi  al  pianto. 


CANTO    OTTAVO  159 

XL 

Dicea :  —  Fortuna,  che  piu  a  far  ti  resta 
acci6  di  me  ti  sazii  e  ti  disfami? 
che  dar  ti  posso  omai  piu,  se  non  questa 
misera  vita?  ma  tu  non  la  brami; 
ch'ora  a  trarla  del  mar  sei  stata  presta, 
quando  potea  finir  suoi  giorni  grami: 
perche  ti  parve  di  voler  piu  ancora 
vedermi  tormentar  prima  ch'io  muora. 

XLI 

Ma  che  mi  possi  nuocere  non  veggio, 
piu  di  quel  che  sin  qui  nociuto  nVhai. 
Per  te  cacciata  son  del  real  seggio, 
dove  piu  ritornar  non  spero  mai: 
ho  perduto  1'onor,  ch'e  stato  peggio; 
che  se  ben  con  effetto  io  non  peccai, 
io  do  pero  materia  ch'ognun  dica 
ch'essendo  vagabonda  io  sia  impudica. 

XLII 

Ch'aver  puo  donna  al  mondo  piu  di  buono, 
a  cui  la  castita  levata  sia? 
Mi  nuoce,  ahime!  ch'io  son  giovane,  e  sono 
tenuta  bella,  o  sia  vero  o  bugia. 
Gia  non  ringrazio  il  ciel  di  questo  dono; 
che  di  qui  nasce  ogni  ruina  mia: 
morto  per  questo  fu  Argalia  mio  frate, 
che  poco  gli  giovar  Parme  incantate: 

XLIII 

per  questo  il  re  di  Tartaria  Agricane 
disfece  il  genitor  mio  Galafrone, 
ch'in  India  del  Cataio  era  gran  Cane; 
onde  io  son  giunta  a  tal  condizione, 
che  muto  albergo  da  sera  a  dimane. 
Se  1'aver,  se  1'onor,  se  le  persone 
m'hai  tolto,  e  fatto  il  mal  che  far  mi  puoi, 
a  che  piu  doglia  anco  serbar  mi  vuoi  ? 


l6o  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Se  Taffogarmi  in  mar  morte  non  era 
a  tuo  senno  crudel,  pur  ch'io  ti  sazii, 
non  recuso  che  mandi  alcuna  fera 
che  mi  divori,  e  non  mi  tenga  in  strazii. 
D'ogni  martir  che  sia,  pur  ch'io  ne  pera, 
esser  non  puo  ch'assai  non  ti  ringrazii.  — 
Cosi  dicea  la  donna  con  gran  pianto, 
quando  le  apparve  1'eremita  accanto. 

XLV 

Avea  mirato  da  Testrema  cima 
d'un  rilevato  sasso  1'eremita 
Angelica,  che  giunta  alia  parte  ima 
e  de  lo  scoglio,  affitta  e  sbigottita. 
Era  sei  giorni  egli  venuto  prima; 
ch'un  demonio  il  porto  per  via  non  trita: 
e  venne  a  lei  fingendo  divozione 
quanta  avesse  mai  Paulo  o  Ilarione. 

XLVI 

Come  la  donna  il  comincio  a  vedere, 
prese,  non  conoscendolo,  conforto; 
e  cesso  a  poco  a  poco  il  suo  temere, 
ben  che  ella  avesse  ancora  il  viso  smorto. 
Come  fu  presso,  disse :  —  Miserere, 
padre,  di  me,  chT  son  giunta  a  mal  porto. 
E  con  voce  interrotta  dal  singulto 
gli  disse  quel  ch'a  lui  non  era  occulto. 

XLVII 

Comincia  Teremita  a  confortarla 
con  alquante  ragion  belle  e  divote ; 
e  pon  Paudaci  man,  mentre  che  parla, 
or  per  lo  seno,  or  per  Pumide  gote: 
poi  piu  sicuro  va  per  abbracciarla; 
et  ella  sdegnosetta  lo  percuote 
con  una  man  nel  petto,  e  lo  rispinge, 
e  d'onesto  rossor  tutta  si  tinge. 


CANTO    OTTAVO  l6l 

XLVIII 

Egli,  ch'allato  avea  una  tasca,  aprilla, 
&  trassene  una  ampolla  di  liquore; 
e  negli  occhi  possenti,  onde  sfavilla 
la  piu  cocente  face  ch'abbia  Amore, 
spruzzo  di  quel  leggiermente  una  stilla, 
che  di  farla  dormire  ebbe  valore, 
Gia  resupina  ne  F  arena  giace 
a  tutte  voglie  del  vecchio  rapace. 

XLIX 

Egli  Tabbraccia  et  a  piacer  la  tocca, 
et  ella  dorme  e  non  puo  fare  ischermo. 
Or  le  bacia  il  bel  petto,  ora  la  bocca; 
non  e  ch'il  veggia  in  quel  loco  aspro  et  ermo. 
Ma  ne  1'incontro  il  suo  destrier  trabocca, 
ch'al  disio  non  risponde  il  corpo  infermo: 
era  mal  atto,  perche  avea  troppi  anni; 
e  potra  peggio,  quanto  piu  TarTanni. 

L 

Tutte  le  vie,  tutti  li  modi  tenta, 
ma  quel  pigro  rozzon  non  pero  salta. 
Indarno  il  fren  gli  scuote,  e  lo  tormenta; 
e  non  pub  far  che  tenga  la  testa  alta. 
Al  fin  presso  alia  donna  s'addormenta; 
e  nuova  altra  sciagura  anco  1'assalta: 
non  comincia  Fortuna  mai  per  poco, 
quando  un  mortal  si  piglia  a  scherno  e  a  gioco. 

LI 

Bisogna,  prima  ch'io  vi  narri  il  caso, 
ch'un  poco  dal  sentier  dritto  mi  torca. 
Nel  mar  di  tramontana  inver  1'occaso, 
oltre  Tlrlanda  una  isola  si  corca, 
Ebuda  nominata;  ove  e  rimaso 
il  popul  raro,  poi  che  la  brutta  orca 
e  Paltro  marin  gregge  la  distrusse, 
ch'  in  sua  vendetta  Proteo  vi  condusse. 


162  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

Narran  1' antique  istorie,  o  vere  o  false, 
che  tenne  gia  quel  luogo  un  re  possente, 
ch'ebbe  una  figlia,  in  cui  bellezza  valse 
e  grazia  si,  che  pote*  facilmente, 
poi  che  mostrossi  in  su  1'arene  salse, 
Proteo  lasciare  in  mezzo  Facque  ardente; 
e  quello,  un  di  che  sola  ritrovolla, 
compresse,  e  di  se  gravida  lasciolla. 

LIII 

La  cosa  fu  gravissima  e  molesta 
al  padre,  piu  d'ogn'altro  empio  e  severo: 
ne  per  iscusa  o  per  pieta,  la  testa 
le  perdon6:  si  pu6  lo  sdegno  fiero.. 
Ne  per  vederla  gravida,  si  resta 
di  subito  esequire  il  crudo  impero: 
e  '1  nipotin  che  non  avea  peccato, 
prima  fece  morir  che  fosse  nato. 

LIV 

Proteo  marin,  che  pasce  il  fiero  armento 
di  Nettunno  che  Fonda  tutta  regge, 
sente  de  la  sua  donna  aspro  tormento, 
e  per  grand'ira,  rompe  ordine  e  legge; 
si  che  a  mandare  in  terra  non  e  lento 
Forche  e  le  foche,  e  tutto  il  marin  gregge, 
che  distruggon  non  sol  pecore  e  buoi, 
ma  ville  e  borghi  e  li  cultori  suoi  : 

LV 

e  spesso  vanno  alle  citta  murate, 
e  d'ogn'iritorno  lor  mettono  assedio. 
Notte  e  di  stanno  le  persone  armate, 
con  gran  timore  e  dispiacevol  tedio  : 
tutte  hanno  le  campagne  abbandonate; 
e  per  trovarvi  al  fin  qualche  rimedio, 
andarsi  a  consigliar  di  queste  cose 
alPoracol,  che  lor  cosi  rispose: 


CANTO    OTTAVO  163 

LVI 

che  trovar  bisognava  una  donzella 
che  fosse  all'altra  di  bellezza  pare, 
et  a  Proteo  sdegnato  offerir  quella, 
in  cambio  de  la  morta,  in  lito  al  mare. 
S'a  sua  satisfazion  gli  parra  bella, 
se  la  terra,  ne  li  verra  a  sturbare: 
se  per  questo  non  sta,  se  gli  appresenti 
una  et  un'altra,  fin  che  si  content!. 

LVII 

E  cosi  cominci6  la  dura  sorte 
tra  quelle  che  piu  grate  eran  di  faccia, 
ch'a  Proteo  ciascun  giorno  una  si  porte, 
fin  che  trovino  donna  che  gli  piaccia. 
La  prima  e  tutte  Taltre  ebbeno  morte; 
che  tutte  giu  pel  ventre  se  le  caccia 
un'orca,  che  resto  presso  alia  foce 
poi  che  Jl  resto  parti  del  gregge  atroce. 

LVIII 

O  vera  o  falsa  che  fosse  la  cosa 
di  Proteo  (ch'io  non  so  che  me  ne  dica), 
servosse  in  quella  terra,  con  tal  chiosa, 
contra  le  donne  un'empia  lege  antica: 
che  di  lor  carne  Forca  monstruosa 
che  viene  ogni  di  al  lito,  si  notrica. 
Ben  ch'esser  donna  sia  in  tutte  le  bande 
danno  e  sciagura,  quivi  era  pur  grande. 

LIX 

Oh  misere  donzelle  che  trasporte 
fortuna  ingiuriosa  al  lito  infausto! 
dove  le  genti  stan  sul  mare  accorte 
per  far  de  le  straniere  empio  olocausto; 
che,  come  piu  di  fuor  ne  sono  morte, 
il  numer  de  le  loro  e  meno  esausto: 
ma  perche  il  vento  ognor  preda  non  mena, 
ricercando  ne  van  per  ogni  arena. 


164  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

Van  discorrendo  tutta  la  marina 
con  fuste  e  grippi  et  altri  legni  loro, 
e  da  lontana  parte  e  da  vicina 
portan  sollevamento  al  lor  martoro. 
Molte  donne  han  per  forza  e  per  rapina, 
alcune  per  lusinghe,  altre  per  oro; 
e  sempre  da  diverse  region! 
n'hanno  piene  le  torn  e  le  prigioni. 

LXI 

Passando  una  lor  fusta  a  terra  a  terra 
inanzi  a  quella  solitaria  riva 
dove  fra  sterpi  in  su  Terbosa  terra 
la  sfortunata  Angelica  dormiva, 
smontaro  alquanti  galeotti  in  terra 
per  riportarne  e  legna  et  acqua  viva; 
e  di  quante  mai  fur  belle  e  leggiadre 
trovaro  il  fiore  in  braccio  al  santo  padre. 

LXII 

Oh  troppo  cara,  oh  troppo  escelsa  preda 
per  si  barbare  genti  e  si  villane! 
O  Fortuna  crudel,  chi  fia  ch'il  creda 
che  tanta  forza  hai  ne  le  cose  umane, 
che  per  cibo  d'un  mostro  tu  conceda 
la  gran  belta,  ch'in  India  il  re  Agricane 
fece  venir  da  le  caucasee  porte 
con  mezza  Scizia  a  guadagnar  la  morte? 

LXIII 

La  gran  belta,  che  fu  da  Sacripante 
posta  inanzi  al  suo  onore  e  al  suo  bel  regno; 
la  gran  belta,  ch'al  gran  signer  d'Anglante 
macchio  la  chiara  fama  e  Palto  ingegno; 
la  gran  belta  che  fe*  tutto  Levante 
sottosopra  voltarsi  e  stare  al  segno, 
ora  non  ha  (cosi  e  rimasa  sola) 
chi  le  dia  aiuto  pur  d'una  parola. 


CANTO    OTTAVO  165 

LXIV 

La  bella  donna,  di  gran  sonno  oppressa, 
incatenata  fu  prima  che  desta. 
Portaro  il  frate  incantator  con  essa 
nel  legno  pien  di  turba  afHitta  e  mesta. 
La  vela,  in  cima  all'arbore  rimessa, 
rende  la  nave  all'isola  funesta, 
dove  chiuser  la  donna  in  rocca  forte, 
fin  a  quel  di  ch'a  lei  tocco  la  sorte. 

LXV 

Ma  pote  si,  per  esser  tanto  bella, 
la  fiera  gente  muovere  a  pietade, 
che  molti  di  le  differiron  quella 
morte,  e  serbarla  a  gran  necessitade; 
e  fin  ch'ebber  di  fuore  altra  donzella, 
perdonaro  all* angelica  beltade. 
Al  mostro  fu  condotta  finalmente, 
piangendo  dietro  a  lei  tutta  la  gente. 

LXVI 

Chi  narrera  1'angoscie,  i  pianti,  i  gridi, 
1'alta  querela  che  nel  ciel  penetra? 
maraviglia  ho  che  non  s'apriro  i  lidi, 
quando  fu  posta  in  su  la  fredda  pietra, 
dove  in  catena,  priva  di  sussidi, 
morte  aspettava  abominosa  e  tetra. 
lo  nol  dir6 ;  che  si  il  dolor  mi  muove, 
che  mi  sforza  voltar  le  rime  altrove, 

LXVII 

e  trovar  versi  non  tanto  lugubri, 
fin  che  '1  mio  spirto  stanco  si  riabbia; 
che  non  potrian  li  squalidi  colubri, 
ne  Porba  tigre  accesa  in  maggior  rabbia, 
ne  ci6  che  da  TAtlante  ai  liti  rubri 
venenoso  erra  per  la  calda  sabbia, 
ne  veder  n6  pensar  senza  cordoglio, 
Angelica  legata  al  nudo  scoglio. 


l66  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

Oh  se  Pavesse  il  suo  Orlando  saputo, 
ch'era  per  ritrovarla  ito  a  Parigi; 
o  li  dui  ch'ingann6  quel  vecchio  astuto 
col  messo  che  venia  dai  luoghi  stigi! 
fra  mille  morti,  per  donarle  aiuto, 
cercato  avrian  gli  angelici  vestigi: 
ma  che  fariano,  avendone  anco  spia, 
poi  che  distant!  son  di  tanta  via? 

LXIX 

Parigi  intanto  avea  Tassedio  intorno 
dal  famoso  figliuol  del  re  Troianp; 
e  venne  a  tanta  estremitade  un  giorno, 
che  n'ando  quasi  al  suo  nimico  in  manor 
e  se  non  che  li  voti  il  ciel  placorno, 
che  dilag6  di  pioggia  oscura  il  piano, 
cadea  quel  di  per  Tafricana  lancia 
il  santo  Ijnperio  e  '1  gran  nome  di  Francia. 

LXX 

II  sommo  Creator  gli  occhi  rivolse 
al  giusto  lamentar  del  vecchio  Carlo; 
e  con  subita  pioggia  il  fuoco  tolse : 
ne  forse  uman  saper  potea  smorzarlo. 
Savio  chiunque  a  Dio  sempre  si  volse; 
ch'altri  non  pote  mai  meglio  aiutarlo. 
Ben  dal  devoto  re  fu  conosciuto, 
che  si  salv6  per  lo  divino  aiuto. 

LXXI 

La  notte  Orlando  alle  noiose  piume 
del  veloce  pensier  fa  parte  assai. 
Or  quinci  or  quindi  il  volta,  or  lo  rassume 
tutto  in  un  loco,  e  non  I'afferma  mai: 
qual  d'acqua  chiara  il  tremolante  lume, 
dal  sol  percossa  o  da'  notturni  rai, 
per  gli  ampli  tetti  va  con  lungo  salto 
a  destra  et  a  sinistra,  e  basso  et  alto. 


CANTO    OTTAVO  167 

LXXII 

La  donna  sua,  che  gli  ritorna  a  mente, 
anzi  che  mai  non  era  indi  partita, 
gli  raccende  nel  core  e  fa  piu  ardente 
la  fiamma  che  nel  di  parea  sopita. 
Costei  venuta  seco  era  in  Ponente 
fin  dal  Cataio;  e  qui  Favea  smarrita, 
ne  ritrovato  poi  vestigio  d'ella 
che  Carlo  rotto  fu  presso  a  Bordella. 

LXXIII 

Di  questo  Orlando  avea  gran  doglia,  e  seco 
indarno  a  sua  sciochezza  ripensava. 
—  Cor  mio,  —  dicea  —  come  vilmente  teco 
mi  son  portato!  ohime,  quanto  mi  grava 
che  potendoti  aver  notte  e  di  meco, 
quando  la  tua  bonta  non  mel  negava, 
t'abbia  lasciato  in  "man  di  Namo  porre, 
per  non  sapermi  a  tanta  ingmria  opporre! 

LXXIV 

Non  aveva  ragione  io  di  scusarme? 
e  Carlo  non  m'avria  forse  disdetto: 
se  pur  disdetto,  e  chi  potea  sforzarme  ? 
chi  ti  mi  volea  t6rre  al  mio  dispetto  ? 
non  poteva  io  venir  piu  tosto  alFarme  ? 
lasciar  piu  tosto  trarmi  il  cor  del  petto  ? 
Ma  ne  Carlo  n6  tutta  la  sua  gente 
di  tormiti  per  forza  era  possente. 

LXXV 

Almen  Favesse  posta  in  guardia  buona 
dentro  a  Parigi  o  in  qualche  r6cca  forte. 
Che  Fabbia  data  a  Namo  mi  consona, 
sol  perch6  a  perder  Fabbia  a  questa  sorte. 
Chi  la  dovea  guardar  meglio  persona 
di  me?  ch'io  dovea  farlo  fino  a  morte; 
guardarla  piu  che  '1  cor,  che  gli  occhi  miei: 
e  dovea  e  potea  farlo,  e  pur  nol  fei. 


l68  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Deh,  dpve  senza  me,  dolce  mia  vita, 
rimasa  sei  si  giovane  e  si  bella? 
come,  poi  che  la  luce  e  dipartita, 
riman  tra'  boschi  la  smarrita  agnella, 
che  dal  pastor  sperando  essere  udita, 
si  va  laganando  in  questa  parte  e  in  quella; 
tanto  che  '1  lupo  1'ode  da  lontano, 
e  '1  misero  pastor  ne  piagne  invano. 

LXXVII 

Dove,  speranza  mia,  dove  ora  sei? 
vai  tu  soletta  forse  ancor  errando  ? 
o  pur  t'hanno  trovata  i  lupi  rei 
senza  la  guardia  del  tuo  fido  Orlando  ? 
e  il  fior  ch'in  ciel  potea  pormi  fra  i  dei, 
il  fior  ch'intatto  io  mi  venia  serbando 
per  non  turbarti,  ohime!  1'animo  casto, 
ohime!  per  forza  avranno  colto  e  guasto. 

LXXVIII 

Oh  infelice!  oh  misero!  che  voglio 
se  non  morir,  se  '1  mio  bel  fior  colto  hanno? 
0  sommo  Dio,  fammi  sentir  cordoglio 
prima  d'ogn'altro,  che  di  questo  danno. 
Se  questo  e  ver,  con  le  mie  man  mi  toglio 
la  vita,  e  Talma  disperata  danno.  — 
Cosi,  piangendo  forte  e  sospirando, 
seco  dicea  Faddolorato  Orlando. 

LXXIX 

Gia  in  ogni  parte  gli  animanti  lassi 
davan  riposo  ai  travagliati  spirti, 
chi  su  le  piume,  e  chi  sui  duri  sassi, 
e  chi  su  1'erbe,  e  chi  su  faggi  o  mirti: 
tu  le  palpebre,  Orlando,  a  pena  abbassi, 
punto  da'  tuoi  pensieri  acuti  et  irti; 
ne  quel  si  breve  e  fuggitivo  sonno 
godere  in  pace  anco  lasciar  ti  ponno. 


CANTO    OTTAVO  169 

LXXX 

Parea  ad  Orlando,  s'una  verde  riva 
d'odoriferi  fior  tutta  dipinta, 
mirare  il  bello  avorio,  e  la  nativa 
purpura  ch'avea  Amor  di  sua  man  tinta, 
e  le  due  chiare  stelle  onde  nutriva 
ne  le  reti  d'Amor  Panima  avinta: 
io  parlo  de'  begli  occhi  e  del  bel  volto, 
che  gli  hanno  il  cor  di  mezzo  il  petto  tolto. 

LXXXI 

Sentia  il  maggior  piacer,  la  maggior  festa 
che  sentir  possa  alcun  felice  amante: 
ma  ecco  intanto  uscire  una  tempest  a 
che  struggea  i  fiori,  et  abbatea  le  piante. 
Non  se  ne  suol  veder  simile  a  questa, 
quando  giostra  aquilone,  austro  e  levante. 
Parea  che  per  trovar  qualche  coperto, 
andasse  errando  invan  per  un  deserto. 

•    LXXXII 

Intanto  I'infelice  (e  non  sa  come) 
perde  la  donna  sua  per  1'aer  fosco; 
onde  di  qua  e  di  la  del  suo  bel  nome 
fa  risonare  ogni  campagna  e  bosco. 
E  mentre  dice  indarno:  —  Misero  me! 
chi  ha  cangiata  mia  dolcezza  in  tosco  ?  — 
ode  la  donna  sua  che  gli  domanda 
piangendo  aiuto,  e  se  gli  raccomanda. 

LXXXIII 

Onde  par  ch'esca  il  grido,  va  veloce 
e  quinci  e  quindi  s'afTatica  assai. 
Oh  quanto  e  il  suo  dolore  aspro  et  atroce, 
che  non  pu6  rivedere  i  dolci  rai! 
Ecco  ch'altronde  ode  da  un'altra  voce: 
—  Non  sperar  piu  gioirne  in  terra  mai.  — 
A  questo  orribil  grido  risvegliossi, 
e  tutto  pien  di  lacrime  trovossi. 


170  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXIV 

Senza  pensar  che  sian  Timagin  false 
quando  per  tema  o  per  disio  si  sogna, 
de  la  donzella  per  modo  gli  calse, 
che  stim6  giunta  a  danno  od  a  vergogna, 
che  fulminando  fuor  del  letto  salse. 
Di  piastra  e  maglia,  quanto  gli  bisogna, 
tutto  guarnissi,  e  Brigliadoro  tolse; 
ne*  di  scudiero  alcun  servigio  volse. 

LXXXV 

E  per  potere  entrare  ogni  sentiero, 
che  la  sua  dignita  macchia  non  pigli, 
non  Tonorata  insegna  del  quartiero, 
distinta  di  color  bianchi  e  vermigli, 
ma  portar  volse  un  ornamento  nero; 
e  forse  accio  ch'al  suo  dolor  simigli: 
e  quello  avea  gia  tolto  a  uno  amostante, 
ch'uccise  di  sua  man  pochi  anni  inante. 

LXXXVI 

Da  mezza  notte  tacito  si  parte, 
e  non  saluta  e  non  fa  motto  al  zio; 
ne  al  fido  suo  compagno  Brandimarte, 
che  tanto  amar  solea,  pur  dice  a  Dio. 
Ma  poi  che  '1  Sol  con  1'auree  chiome  sparte 
del  ricco  albergo  di  Titone  uscio 
e  fe'  Tombra  fugire  umida  e  nera, 
s'avide  il  re  che  '1  paladin  non  v'era. 

LXXXVII 

Con  suo  gran  dispiacer  s'avede  Carlo 
che  partito  la  notte  e  '1  suo  nipote, 
quando  esser  dovea  seco  e  piu  aiutarlo; 
e  ritener  la  colera  non  puote, 
,  ch'a  lamentarsi  d'esso,  et  a  gravarlo 
non  incominci  di  biasmevol  note; 
e  minacciar,  se  non  ritorna,  e  dire 
che  lo  faria  di  tanto  error  pentire. 


CANTO    OTTAVO  171 

LXXXVIII 

Brandimarte,  chj  Orlando  amava  a  pare 
di  se  medesmo,  non  fece  soggiorno; 
o  che  sperasse  farlo  ritornare, 
o  sdegno  avesse  udirne  biasmo  e  scorno: 
e  volse  a  pena  tanto  dimorare, 
ch'uscisse  fuor  ne  Poscurar  del  giorno. 
A  Fiordiligi  sua  nulla  ne  disse, 
perche  Jl  disegno  suo  non  gl'impedisse. 

LXXXIX 

Era  questa  una  donna  che  fa  molto 
da  lui  diletta,  e  ne  fu  raro  senza; 
di  costumi,  di  grazia  e  di  bel  volto 
dotata  e  d'accortezza  e  di  prudenza: 
e  se  licenzia  or  non  n'aveva  tolto, 
fu  che  spero  tornarle  alia  presenza 
il  di  medesmo;  ma  gli  accade  poi, 
che  lo  tardo  piu  dei  disegni  suoi. 

xc 

E  poi  ch'ella  aspettato  quasi  un  mese 
indarno  1'ebbe,  e  che  tornar  nol  vide, 
di  desiderio  si  di  lui  s'accese, 
che  si  parti  senza  compagni  o  guide; 
e  cercandone  and6  molto  paese, 
come  1'istoria  al  luogo  suo  dicide. 
Di  questi  dua  non  vi  dico  or  piu  in  ante; 
che  piu  m'importa  il  cavallier  d'Anglante. 

xci 

II  qual,  poi  che  mutato  ebbe  d' Almonte 
le  gloriose  insegne,  ando  alia  porta, 
e  disse  ne  Forecchio :  —  lo  sono  il  conte  — 
a  un  capitan  che  vi  facea  la  scorta; 
e  fattosi  abassar  subito  il  ponte, 
per  quella  strada  che  piu  breve  porta 
agPinimici,  se  n'and6  diritto. 
Quel  che  segui,  ne  1'altro  canto  e  scritto. 


172  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO   NONO 


I 

Che  non  puo  far  d'un  cor  ch'abbia  suggetto 
questo  crudele  e  traditore  Amore, 
poi  ch'ad  Orlando  puo  levar  del  petto 
la  tanta  fe  che  debbe  al  suo  signore  ? 
Gia  savio  e  pieno  fu  d'ogni  rispetto, 
e  de  la  santa  Chiesa  difensore: 
or  per  un  vano  amor,  poco  del  zio, 
e  di  se  poco,  e  men  cura  di  Dio. 

II 

Ma  Pescuso  io  pur  troppo,  e  mi  rallegro 
nel  mio  difetto  aver  compagno  tale; 
ch'anch'io  sono  al  mio  ben  languido  et  egro, 
sano  e  gagliardo  a  seguitare  il  male. 
Quel  se  ne  va  tutto  vestito  a  negro, 
ne  tanti  amici  abandonar  gli  cale; 
e  passa  dove  d' Africa  e  di  Spagna 
la  gente  era  attendata  alia  campagna: 

in 

anzi  non  attendata,  perche  sotto 
alberi  e  tetti  Fha  sparsa  la  pioggia 
a  dieci,  a  venti,  a  quattro,  a  sette,  ad  otto; 
chi  piu  distante  e  chi  piu  presso  alloggia. 
Ognuno  dorme  travagliato  e  rotto : 
chi  steso  in  terra,  e  chi  alia  man  s'appoggia. 
Dormono;  e  il  conte  uccider  ne  puo  assai: 
n6  pero  stringe  Durindana  mai. 


CANTO    NONO  173 

IV 

Di  tanto  core  e  il  generoso  Orlando, 
che  non  degna  ferir  gente  che  dorma. 
Or  questo  e  quando  quel  luogo  cercando 
va,  per  trovar  de  la  sua  donna  1'orma. 
Se  truova  alcun  che  veggi,  sospirando 
gli  ne  dipinge  Tabito  e  la  forma; 
e  poi  lo  priega  che  per  cortesia 
gl'insegni  andar  in  parte  ove  ella  sia. 

V 

E  poi  che  venne  il  di  chiaro  e  lucente, 
tutto  cerco  Fesercito  moresco: 
e  ben  lo  potea  far  sicuramente, 
avendo  indosso  Tabito  arabesco; 
et  aiutollo  in  questo  parimente, 
che  sapeva  altro  idiorna  che  francesco, 
e  Tafricano  tanto  avea  espedito, 
che  parea  nato  a  Tripoli  e  nutrito. 

VI 

Quivi  il  tutto  cerco,  dove  dimora 
fece  tre  giorni,  e  non  per  altro  effetto; 
poi  dentro  alle  cittadi  e  a*  borghi  fuora 
non  spio  sol  per  Francia  e  suo  distretto, 
ma  per  Uvernia  e  per  Guascogna  ancora 
rivide  sin  aH'ultimo  borghetto: 
e  cerco  da  Provenza  alia  Bretagna, 
e  dai  Picardi  ai  termini  di  Spagna. 


Tra  il  fin  d'ottobre  e  il  capo  di  novembre, 
ne  la  stagion  che  la  frondosa  vesta 
vede  levarsi  e  discoprir  le  membre 
trepida  pianta,  fin  che  nuda  resta, 
e  van  gH  augelli  a  strette  schiere  insembre, 
Orlando  entro  ne  Pamorosa  inchiesta: 
n6  tutto  il  verno  appresso  Iasci6  quella, 
ne  la  lascio  ne  la  stagion  novella. 


174  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Passando  un  giorno,  come  avea  costume, 
d'un  paese  in  un  altro,  arriv6  dove 
parte  i  Normandi  dai  Britoni  un  fiume, 
e  verso  il  vicin  mar  cheto  si  muove; 
ch'allora  gonfio  e  bianco  gia  di  spume 
per  nieve  sciolta  e  per  montane  piove: 
e  Timpeto  de  1'acqua  avea  disciolto 
e  tratto  seco  il  ponte,  e  il  passo  tolto. 

IX 

Con  gli  occhi  cerca  or  questo  lato  or  quello, 
lungo  le  ripe  il  paladin,  se  vede 
(quando  ne  pesce  egli  non  e,  ne  augello) 
come  abbia  a  por  ne  Taltra  ripa  il  piede  : 
et  ecco  a  se  venir  vede  un  battello, 
ne  la  cui  poppe  una  donzella  siede, 
che  di  volere  a  lui  venir  fa  segno; 
ne  lascia  poi  ch'arrivi  in  terra  il  legno. 


Prora  in  terra  non  pon;  che  d'esser  carca 
contra  sua  volonta  forse  sospetta. 
Orlando  priega  lei  che  ne  la  barca 
seco  lo  tolga,  et  oltre  il  fiume  il  metta. 
Et  ella  lui:  —  Qui  cavallier  non  varca, 
il  qual  su  la  sua  fe  non  mi  prometta 
di  fare  una  battaglia  a  mia  richiesta, 
la  piu  giusta  del  mondo  e  la  piu  onesta. 

XI 

Si  che  s'avete,  cavallier,  desire 

di  por  per  me  ne  Faltra  ripa  i  passi, 

promettetemi,  prima  che  finire 

quest'altro  mese  prossimo  si  lassi, 

ch'al  re  d'Ibernia  v'anderete  a  unire, 

appresso  al  qual  la  bella  armata  fassi 

per  distrugger  quelPisola  d'Ebuda, 

che  di  quante  il  mar  cinge,  e  la  piu  cruda. 


CANTO    NONO  175 

XII 

Voi  dovete  saper  ch'oltre  Plrlanda, 
fra  molte  che  vi  son,  Pisola  giace 
nomata  Ebuda,  che  per  legge  manda 
rubando  intorno  il  suo  popul  rapace; 
e  quante  donne  puo  pigliar,  vivanda 
tutte  destina  a  un  animal  vorace 
che  viene  ogni  di  al  lito,  e  sempre  nuova 
donna  o  donzella,  onde  si  pasca,  truova; 

XIII 

che  mercanti  e  corsar  che  vanno  attorno, 
ve  ne  fan  copia,  e  piu  de  le  piu  belle. 
Ben  potete  contare,  una  per  giorno, 
quante  morte  vi  sian  donne  e  donzelle. 
Ma  se  pietade  in  voi  truova  soggiorno, 
se  non  sete  d'Amor  tutto  ribelle, 
siate  contento  esser  tra  questi  eletto, 
che  van  per  far  si  fruttuoso  effetto.  — 

XIV 

Orlando  volse  a  pena  udire  il  tutto, 
che  giuro  d' esser  primo  a  quella  impresa, 
come  quel  ch'alcun  atto  iniquo  e  brutto 
non  puo  sentire,  e  d'ascoltar  gli  pesa: 
e  f u  a  pensare,  indi  a  temere  indutto, 
che  quella  gente  Angelica  abbia  presa; 
poi  che  cercata  Fha  per  tanta  via, 
ne  potutone  ancor  ritrovar  spia. 

XV 

Questa  imaginazion  .si  gli  confuse 
e  si  gli  tolse  ogni  primier  disegno, 
che,  quanto  in  fretta  piu  potea,  conchiuse 
di  navigare  a  quello  iniquo  regno. 
Ne  prima  Paltro  sol  nel  mar  si  chiuse, 
che  presso  a  San  Mal6  ritrov6  un  legno, 
nel  qual  si  pose;  e  fatto  alzar  le  vele, 
pass6  la  notte  il  monte  San  Michele. 


176  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

Breaco  e  Landriglier  lascia  a  man  manca, 
e  va  radendo  il  gran  lito  britone; 
e  poi  si  drizza  inver  P  arena  bianca, 
onde  Ingleterra  si  nom6  Albione; 
ma  il  vento,  ch'era  da  meriggie,  manca, 
e  sofSa  tra  il  ponente  e  Taquilone 
con  tanta  forza,  die  fa  al  basso  porre 
tutte  le  vele,  e  se  per  poppa  torre. 

XVII 

Quanto  il  navilio  inanzi  era  venuto 

in  quattro  giorni,  in  un  ritorno  indietro, 

ne  Talto  mar  dal  buon  nochier  tenuto, 

che  non  dia  in  terra  e  sembri  un  fragil  vetro. 

II  vento,  poi  che  furioso  suto 

fu  quattro  giorni,  il  quinto  cangio  metro: 

Iasci6  senza  contrasto  il  legno  entrare 

dove  il  fiume  d'Anversa  ha  foce  in  mare. 

XVIII 

Tosto  che  ne  la  foce  entro  lo  stanco 
nochier  col  legno  afflitto,  e  il  lito  prese, 
fuor  d'una  terra  che  sul  destro  franco 
di  quel  fiume  sedeva,  un  vecchio  scese, 
di  molta  eta,  per  quanto  il  crine  bianco 
ne  dava  indicio;  il  qual  tutto  cortese, 
dopo  i  saluti,  al  conte  rivoltosse, 
che  capo  giudic6  che  di  lor  fosse. 

XIX 

E  da  parte  il  preg6  d'una  donzella 
ch'a  lei  venir  non  gli  paresse  grave, 
la  qual  ritroverebbe,  oltre  che  bella, 
piu  ch'altra  al  mondo  affabile  e  soave; 
over  fosse  contento  aspettar,  ch'ella 
verrebbe  a  trovar  lui  fin  alia  nave: 
ne  piu  restio  volesse  esser  di  quanti 
quivi  eran  giunti  cavallieri  erranti; 


CANTO    NONO  177 

XX 

che  nessun  altro  cavallier  ch'arriva 
o  per  terra  o  per  mare  a  questa  foce, 
di  ragionar  con  la  donzella  schiva, 
per  consigliarla  in  un  suo  caso  atroce. 
Udito  questo,  Orlando  in  su  la  riva 
senza  punto  indugiarsi  usci  veloce; 
e  come  umano  e  pien  di  cortesia, 
dove  il  vecchio  il  meno,  prese  la  via. 

XXI 

Fu  ne  la  terra  il  paladin  condutto 
dentro  un  palazzo,  ove  al  salir  le  scale, 
una  donna  trovo  piena  di  lutto, 
per  quanto  il  viso  ne  facea  segnale, 
e  i  negri  panni  che  coprian  per  tutto 
e  le  loggie  e  le  camere  e  le  sale; 
la  qual,  dopo  accoglienza  grata  e  onesta 
fattol  seder,  gli  disse  in  voce  mesta: 

XXII 

—  lo  voglio  che  sappiate  che  figliuola 
fui  del  conte  d'Olanda,  a  lui  si  grata 
(quantunque  prole  io  non  gli  fossi  sola, 
ch'era  da  dui  fratelli  accompagnata), 
ch'a  quanto  io  gli  chiedea,  da  lui  parola 
contraria  non  mi  fu  mai  replicata. 
Standomi  lieta  in  questo  stato,  avenne 
che  ne  la  nostra  terra  un  duca  venne. 

XXIII 

Duca  era  di  Selandia,  e  se  ne  giva 
verso  Biscaglia  a  guerreggiar  coi  Mori. 
La  bellezza  e  Peta  ch'in  lui  fioriva, 
e  li  non  piu  da  me  sentiti  amori 
con  poca  guerra  me  gli  fer  captiva; 
tanto  piu  che,  per  quel  ch'apparea  fuori, 
io  credea  e  credo,  e  creder  credo  il  vero, 
ch'amassi  et  ami  me  con  cor  sincero. 


178  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Quei  giorni  che  con  noi  contrario  vento, 
contrario  agli  altri,  a  me  propizio,  il  tenne 
(ch'agli  altri  fur  quaranta,  a  me  un  momenta: 
cosi  al  fuggire  ebbon  veloci  penne), 
fummo  piu  volte  insieme  a  parlamento, 
dove  che  '1  matrimonio  con  solenne 
rito  al  ritorno  suo  saria  tra  nui 
mi  promise  egli,  et  io  Jl  promisi  a  lui. 

xxv 

Bireno  a  pena  era  da  noi  partita 
(che  cosi  ha  nome  il  mio  fedele  amante), 
che  Jl  re  di  Frisa  (la  qual,  quanta  il  lito 
del  mar  divide  il  flume,  e  a  noi  distante), 
disegnando  il  figliuol  farmi  marito, 
ch'unico  al  mondo  avea,  nomato  Arbante, 
per  li  piu  degni  del  suo  stato  manda 
a  domandarmi  al  mio  padre  in  Olanda. 

XXVI 

10  chj all1  amante  mio  di  quella  fede 
mancar  non  posso,  che  gli  aveva  data; 

e  ancor  ch'io  possa,  Amor  non  mi  conciede 
che  poter  voglia,  e  ch'io  sia  tanto  ingrata; 
per  ruinar  la  pratica  ch'in  piede 
era  gagliarda,  e  presso  al  fin  guidata, 
dico  a  mio  padre  che  prima  ch'in  Frisa 
mi  dia  marito,  io  voglio  essere  uccisa. 

XXVII 

11  mio  buon  padre,  al  qual  sol  piacea  quanto 
a  me  piacea,  ne  mai  turbar  mi  volse, 

per  consolarmi  e  far  cessare  il  pianto 
ch'io  ne  facea,  la  pratica  disciolse: 
di  che  il  superbo  re  di  Frisa  tanto 
isdegno  prese  e  a  tanto  odio  si  volse, 
ch'entr6  in  Olanda,  e  cominci6  la  guerra 
che  tutto  il  sangue  mio  cacci6  sotterra. 


CANTO    NONO  179 

XXVIII 

Oltre  che  sia  robusto  e  si  possente, 
che  pochi  pari  a  nostra  eta  ritruova, 
e  si  astuto  in  mal  far,  ch'altrui  niente 
la  possanza,  1'ardir,  1'mgegno  giova; 
porta  alcun'arme  che  Fantica  gente 
non  vide  mai,  ne  fuor  ch'a  lui  la  nuova: 
un  ferro  bugio,  lungo  da  dua  braccia, 
dentro  a  cui  polve  et  una  palla  caccia. 

XXIX 

Col  fuoco  dietro  ove  la  canna  e  chiusa, 
tocca  un  spiraglio  che  si  vede  a  pena; 
a  guisa  che  toccare  il  medico  usa 
dove  e  bisogno  d'allacciar  la  vena: 
onde  vien  con  tal  suon  la  palla  esclusa, 
che  si  pu6  dir  che  tuona  e  che  balena; 
ne  men  che  soglia  il  fulmine  ove  passa, 
ci6  che  tocca,  arde,  abatte,  apre  e  fracassa. 

xxx 

Pose  due  volte  il  nostro  campo  in  rotta 
con  questo  inganno,  e  i  miei  fratelli  uccise : 
nel  primo  assalto  il  primo;  che  la  botta, 
rotto  Tusbergo,  in  mezzo  il  cor  gli  mise; 
ne  Paltra  zuffa  a  1'altro,  il  quale  in  frotta 
fuggia,  dal  corpo  Fanima  divise; 
e  lo  feri  lontan  dietro  la  spalla, 
e  fuor  del  petto  uscir  fece  la  palla. 

XXXI 

Difendendosi  poi  mio  padre  un  giorno 
dentro  un  castel  che  sol  gli  era  rimaso, 
che  tutto  il  resto  avea  perduto  intorno, 
lo  fe*  con  simil  colpo  ire  all'occaso; 
che  mentre  andava  e  che  facea  ritorno, 
provedendo  or  a  questo  or  a  quel  caso, 
dal  traditor  fu  in  mezzo  gli  occhi  colto, 
che  Pavea  di  lontan  di  mira  tolto. 


l8o  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

Morto  i  fratelli  e  il  padre,  e  rimasa  io 

de  Fisola  d'Olanda  unica  erede, 

il  re  di  Frisa,  perche  avea  disio 

di  ben  fermare  in  quello  stato  il  piede, 

mi  fa  sapere,  e  cosi  al  popul  mio, 

che  pace  e  che  riposo  mi  conciede, 

quando  io  vogli  or  quel  che  non  volsi  inante, 

tor  per  marito  il  suo  figliuolo  Arbante. 

XXXIII 

10  per  Podio  non  si,  che  grave  porto 
a  lui  e  a  tutta  la  sua  iniqua  schiatta, 

11  qual  m'ha  dui  fratelli  e  '1  padre  morto, 
saccheggiata  la  patria,  arsa  e  disfatta; 
come  perche  a  colui  non  voj  far  torto, 

a  cui  gia  la  promessa  aveva  fatta, 
ch'altr'uomo  non  saria  che  mi  sposasse, 
fin  che  di  Spagna  a  me  non  ritornasse: 

XXXIV 

«Per  un  mal  ch'io  patisco,  ne  vo'  cento 
patir, »  rispondo  <c  e  far  di  tutto  il  resto ; 
esser  morta,  arsa  viva,  e  che  sia  al  vento 
la  cener  sparsa,  inanzi  che  far  questo.» 
Studia  la  gente  mia  di  questo  intento 
tormi:  chi  priega,  e  chi  mi  fa  protesto 
di  dargli  in  mano  me  e  la  terra,  prima 
che  la  mia  ostinazion  tutti  ci  opprima. 

xxxv 

Cosi,  poi  che  i  protesti  e  i  prieghi  invano 
vider  gittarsi,  e  che  pur  stava  dura, 
presero  accordo  col  Frisone,  e  in  mano, 
come  avean  detto,  gli  dier  me  e  le  mura. 
Quel,  senza  farmi  alcuno  atto  villano, 
de  la  vita  e  del  regno  m'assicura, 
pur  ch'io  indolcisca  1'indurate  voglie, 
e  che  d' Arbante  suo  mi  faccia  moglie. 


CANTO    NONO  l8l 

XXXVI 

10  che  sforzar  cosi  mi  veggio,  voglio, 
per  uscirgli  di  man,  perder  la  vita; 
ma  se  pria  non  mi  vendico,  mi  doglio 
piu  che  di  quanta  ingiuria  abbia  patita. 

Fo  pensier  molti;  e  veggio  al  mio  cordoglio 
che  solo  il  simular  puo  dare  aita: 
fingo  ch'io  brami,  non  che  non  mi  piaccia, 
che  mi  perdoni  e  sua  nuora  mi  faccia. 

XXXVII 

Fra  molti  ch'al  servizio  erano  stati 
gia  di  mio  padre,  io  scelgo  dui  fratelli 
di  grande  ingegno  e  di  gran  cor  dotati, 
ma  piu  di  vera  fede,  come  quelli 
che  cresciutici  in  corte  et  allevati 
si  son  con  noi  da  teneri  citelli; 
e  tanto  miei,  che  poco  lor  parria 
la  vita  por  per  la  salute  mia. 

XXXVIII 

Communico  con  loro  il  mio  disegno : 

essi  prometton  d'essermi  in  aiuto. 

L'un  viene  in  Fiandra,  e  v'apparecchia  un  legno; 

1'altro  meco  in  Olanda  ho  ritenuto. 

Or  mentre  i  forestieri  e  quei  del  regno 

s'invitano  alle  nozze,  fu  saputo 

che  Bireno  in  Biscaglia  avea  una  armata, 

per  venire  in  Olanda,  apparecchiata. 

xxxix 

Per6  che,  fatta  la  prima  battaglia 
dove  fu  rotto  un  mio  fratello  e  ucciso, 
spacciar  tosto  un  corrier  feci  in  Biscaglia, 
che  portassi  a  Bireno  il  tristo  aviso; 

11  qual  mentre  che  s'arma  e  si  travaglia, 
dal  re  di  Frisa  il  resto  fu  conquiso. 
Bireno,  che  di  cio  nulla  sapea, 

per  darci  aiuto  i  legni  sciolti  avea. 


1 82  ORLANDO    FURIOSO 

XL 

Di  questo  avuto  aviso  il  re  frisone, 
de  le  nozze  al  figliuol  la  cura  lassa; 
e  con  Farmata  sua  nel  mar  si  pone: 
truova  il  duca,  lo  rompe,  arde  e  fracassa, 
e,  come  vuol  Fortuna,  il  fa  prigione; 
ma  di  ci6  ancor  la  nuova  a  noi  non  passa. 
Mi  sposa  intanto  il  giovene,  e  si  vuole 
meco  corcar  come  si  corchi  il  sole, 

XLI 

lo  dietro  alle  cortine  avea  nascoso 
quel  mio  fedele,  il  qual  nulla  si  mosse 
prima  che  a  me  venir  vide  lo  sposo; 
e  non  Tattese  che  corcato  fosse, 
ch'alz6  un'accetta,  e  con  si  valoroso 
braccio  dietro  nel  capo  lo  percosse, 
che  gli  Iev6  la  vita  e  la  parola: 

10  saltai  presta,  e  gli  segai  la  gola. 

XLII 

Come  cadere  il  hue  suole  al  macello, 
cade  il  malnato  giovene,  in  dispetto 
del  re  Cimosco,  il  piu  d'ogn'altro  fello; 
che  Pempio  re  di  Frisa  e  cosi  detto, 
che  morto  Puno  e  Paltro  mio  fratello 
m'avea  col  padre,  e  per  meglio  suggetto 
farsi  il  mio  stato,  mi  volea  per  nuora; 
e  forse  un  giorno  uccisa  avria  me  ancora. 

XLIII 

Prima  ch'altro  disturbo  vi  si  metta, 
tolto  quel  che  piu  vale  e  meno  pesa, 

11  mio  compagno  al  mar  mi  cala  in  fretta 
da  la  finestra,  a  un  canape  sospesa, 

la  dove  attento  il  suo  fratello  aspetta 
sopra  la  barca  ch'avea  in  Fiandra  presa. 
Demmo  le  vele  ai  venti  e  i  remi  alPacque, 
e  tutti  ci  salvian,  come  a  Dio  piacque. 


CANTO   NONO  183 

XLIV 

Non  so  se  '1  re  di  Frisa  piu  dolente 
del  figliol  morto,  o  se  piu  d'ira  acceso 
fosse  contra  di  me,  che  '1  di  seguente 
giunse  la  dove  si  trovo  si  offeso. 
Superbo  ritornava  egli  e  sua  gente 
de  la  vittoria  e  di  Bireno  preso; 
e  credendo  venire  a  nozze  e  a  festa, 
ogni  cosa  trovo  scura  e  funesta. 

XLV 

La  pieta  del  figliuol,  Todio  ch'aveva 
a  me,  ne  dl  ne  notte  il  lascia  mai. 
Ma  perche  il  pianger  morti  non  rileva, 
e  la  vendetta  sfoga  Todio  assai, 
la  parte  del  pensier,  ch'esser  doveva 
de  la  pietade  in  sospirare  e  in  guai, 
vuol  che  con  1'odio  a  investigar  s'unisca, 
come  egli  m'abbia  in  mano  e  mi  punisca. 

XLVI 

Quei  tutti  che  sapeva  e  gli  era  detto 
che  mi  fossino  amici,  o  di  quei  miei 
che  m'aveano  aiutata  a  far  1'effetto, 
uccise,  o  lor  beni  arse,  o  li  fe'  rei. 
Volse  uccider  Bireno  in  mio  dispetto; 
che  d'altro  si  doler  non  mi  potrei: 
gli  parve  poi,  se  vivo  lo  tenesse, 
che  per  pigliarmi  in  man  la  rete  avesse. 

XLVII 

Ma  gli  propone  una  crudele  e  dura 
condizion:  gli  fa  termine  un  anno, 
al  fin  del  qual  gli  dara  morte  oscura, 
se  prima  egli  per  forza  o  per  inganno, 
con  amici  e  parenti  non  procura, 
con  tutto  ci6  che  ponno  e  ci6  che  sanno, 
di  darmigli  in  prigion:  si  che  la  via 
di  lui  salvare  e  sol  la  morte  mia. 


184  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

Ci6  che  si  possa  far  per  sua  salute, 

fuor  che  perder  me  stessa,  il  tutto  ho  fatto. 

Sel  castella  ebbi  in  Fiandra,  e  1'ho  vendute: 

e  '1  poco  o  '1  molto  prezzo  ch'io  n'ho  tratto, 

parte,  tentando  per  persone  astute 

i  guardiani  corrumpere,  ho  distratto; 

e  parte,  per  far  muovere  alii  danni 

di  quelPempio  or  gl'Inglesi,  or  gli  Alamanni. 

XLIX 

I  mezzi,  o  che  non  abbiano  potuto, 
o  che  non  abbian  fatto  il  dover  loro, 
m'hanno  dato  parole  e  non  aiuto; 
e  sprezzano  or  che  n'han  cavato  1'oro : 
e  presso  al  fine  il  termine  e  venuto, 
dopo  il  qual  ne  la  forza  ne  '1  tesoro 
potra  giunger  piu  a  tempo,  si  che  morte 
e  strazio  schivi  al  mio  caro  consorte. 

L 

Mio  padre  e'  miei  fratelli  mi  son  stati 
morti  per  lui ;  per  lui  toltomi  il  regno ; 
per  lui  quei  pochi  beni  che  restati 
m'eran,  del  viver  mio  soli  sostegno, 
per  trarlo  di  prigione  ho  disipati: 
ne  mi  resta  ora  in  che  piu  far  disegno, 
se  non  d'andarmi  io  stessa  in  mano  a  porre 
di  si  crudel  nimico,  e  lui  disciorre. 

LI 

Se  dunque  da  far  altro  non  mi  resta, 
ne  si  truova  al  suo  scampo  altro  riparo 
che  per  lui  por  questa  mia  vita,  questa 
mia  vita  per  lui  por  mi  sara  caro. 
Ma  sola  una  paura  mi  molesta, 
che  non  sapro  far  patto  cosi  chiaro, 
che  m'assicuri  che  non  sia  il  tiranno, 
poi  ch'avuta  m'avra,  per  fare  inganno. 


CANTO    NONO  185 

LII 

lo  dubito  che  poi  che  m'avra  in  gabbia 
e  fatto  avra  di  me  tutti  li  strazii, 
ne  Bireno  per  questo  a  lasciare  abbia, 
si  ch'esser  per  me  sciolto  mi  ringrazii ; 
come  periuro,  e  pien  di  tanta  rabbia, 
che  di  me  sola  uccider  non  si  sazii : 
e  quel  ch'avra  di  me,  ne  piu  ne  meno 
faccia  di  poi  del  misero  Bireno. 

LIII 

Or  la  cagion  che  conferir  con  voi 
mi  fa  i  miei  casi,  e  ch'io  li  dico  a  quanti 
signori  e  cavallier  vengono  a  noi, 
e  solo  accio,  parlandone  con  tanti, 
m'insegni  alcun  d'assicurar  che  poi 
ch'a  quel  cnidel  mi  sia  condotta  avanti, 
non  abbia  a  ritener  Bireno  ancora, 
ne  voglia,  morta  me,  ch'esso  poi  mora. 

LIV 

Pregato  ho  alcun  guerrier,  che  meco  sia 
quando  io  mi  daro  in  mano  al  re  di  Frisa; 
ma  mi  prometta,  e  la  sua  fe  mi  dia, 
che  questo  cambio  sara  fatto  in  guisa, 
ch'a  un  tempo  io  data,  e  liberate  fia 
Bireno:  si  che  quando  io  saro  uccisa, 
morro  contenta,  poi  che  la  mia  morte 
avra  dato  la  vita  al  mio  consorte. 

LV 

Ne  fino  a  questo  di  truovo  chi  toglia 

sopra  la  fede  sua  d'assicurarmi 

che  quando  io  sia  condotta,  e  che  mi  voglia 

aver  quel  re,  senza  Bireno  darmi, 

egli  non  lasciera  contra  mia  voglia 

che  presa  io  sia:  si  teme  ognun  quelParmi; 

teme  quell'  armi,  a  cui  par  che  non  possa 

star  piastra  incontra,  e  sia  quanto  vuol  grossa. 


l86  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Or,  s'in  voi  la  virtu  non  e  diforme 
dal  fier  sembiante  e  da  1'erculeo  aspetto, 
e  credete  poter  darmegli,  e  t6rme 
anco  da  lui,  quando  non  vada  retto; 
siate  contento  d'esser  meco  a  porme 
ne  le  man  sue:  ch'io  non  avro  sospetto, 
quando  voi  siate  meco,  se  ben  io 
poi  ne  morr6,  che  muora  il  signor  mio.  — 

LVII 

Qui  la  donzella  il  suo  parlar  conchiuse, 
che  con  pianto  e  sospir  spesso  interroppe. 
Orlando,  poi  ch'ella  la  bocca  chiuse, 
le  cui  voglie  al  ben  far  mai  non  fur  zoppe, 
in  parole  con  lei  non  si  diffuse; 
che  di  natura  non  usava  troppe: 
ma  le  promise,  e  la  sua  fe  le  diede, 
che  faria  piu  di  quel  ch'ella  gli  chiede. 

LVIII 

Non  e  sua  intenzion  ch'ella  in  man  vada 
del  suo  nimico  per  salvar  Bireno : 
ben  salvera  amendui,  se  la  sua  spada 
e  1'usato  valor  non  gli  vien  meno. 
II  medesimo  di  piglian  la  strada, 
poi  c'hanno  il  vento  prospero  e  sereno. 
II  paladin  s'affretta;  che  di  gire 
all'isola  del  mostro  avea  desire. 

LIX 

Or  volta  alPuna,  or  volta  alPaltra  banda 
per  gli  alti  stagni  il  buon  nochier  la  vela: 
scuopre  un'isola  e  un'altra  di  Zilanda; 
scuopre  una  inanzi,  e  un'altra  a  dietro  cela. 
Orlando  smonta  il  terzo  di  in  Olanda; 
ma  non  smonta  colei  che  si  querela 
del  re  di  Frisa:  Orlando  vuol  che  intenda 
la  morte  di  quel  rio,  prima  che  scenda. 


CANTO    NONO  187 

LX 

Nel  lito  armato  il  paladino  varca 
sopra  un  corsier  di  pel  tra  bigio  e  nero, 
nutrito  in  Fiandra  e  nato  in  Danismarca, 
grande  e  possente  assai  piu  che  leggiero; 
pero  ch'avea,  quando  si  messe  in  barca, 
in  Bretagna  lasciato  il  suo  destriero, 
quel  Brigliador  si  bello  e  si  gagliardo, 
che  non  ha  paragon,  fuor  che  Baiardo. 

LXI 

Giunge  Orlando  a  Dordreche,  e  quivi  truova 
di  molta  gente  armata  in  su  la  porta; 
si  perche  sempre,  ma  piu  quando  e  nuova, 
seco  ogni  signoria  sospetto  porta; 
si  perche"  dianzi  giunta  era  una  nuova, 
che  di  Selandia  con  armata  scorta 
di  navilii  e  di  gente  un  cugin  viene 
di  quel  signor  che  qui  prigion  si  tiene. 

LXII 

Orlando  prega  uno  di  lor,  che  vada 
e  dica  al  re  ch'un  cavalliero  errante 
disia  con  lui  provarsi  a  lancia  e  a  spada; 
ma  che  vuol  che  tra  lor  sia  patto  inante: 
che  se  '1  re  fa  che,  chi  lo  sfida,  cada, 
la  donna  abbia  d'aver  ch'uccise  Arbante, 
che  '1  cavallier  1'ha  in  loco  non  lontano 
da  poter  sempremai  darglila  in  mano; 

LXIII 

et  all'incontro  vuol  che  '1  re  prometta 
ch'ove  egli  vinto  ne  la  pugna  sia, 
Bireno  in  liberta  subito  metta, 
e  che  lo  lasci  andare  alia  sua  via. 
II  fante  al  re  fa  Timbasciata  in  fretta: 
ma  quel  che  ne  virtu  ne  cortesia 
conobbe  mai,  drizz6  tutto  il  suo  intento 
alia  fraude,  alPinganno,  al  tradimento. 


l88  ORLANDO    FURIOSO 

LXIV 

Gli  par  ch'avendo  in  mano  il  cavalliero, 
avra  la  donna  ancor,  che  si  Fha  ofFeso, 
s'in  possanza  di  lui  la  donna  e  vero 
che  se  ritruovi,  e  il  fante  ha  ben  inteso. 
Trenta  uomini  pigliar  fece  sentiero 
di  verso  da  la  porta  ov'era  atteso, 
che  dopo  occulto  et  assai  lungo  giro, 
dietro  alle  spall  e  al  paladino  usciro. 

LXV 

II  traditore  intanto  dar  parole 
fatto  gli  avea,  sin  che  i  cavalli  e  i  fanti 
vede  esser  giunti  al  loco  ove  gli  vuole: 
da  la  porta  esce  poi  con  altretanti. 
Come  le  fere  e  il  bosco  cinger  suole 
perito  cacciator  da  tutti  i  canti; 
come  appresso  a  Volana  i  pesci  e  1'onda 
con  lunga  rete  il  pescator  circonda: 

LXVI 

cosi  per  ogni  via  dal  re  di  Frisa, 
che  quel  guerrier  non  fugga,  si  provede. 
Vivo  lo  vuole,  e  non  in  altra  guisa: 
e  questo  far  si  facilmente  crede, 
che  '1  fulmine  terrestre,  con  che  uccisa 
ha  tanta  e  tanta  gente,  ora  non  chiede; 
che  quivi  non  gli  par  che  si  convegna, 
dove  pigliar,  non  far  morir,  disegna. 

LXVII 

Qual  cauto  ucellator  che  serba  vivi, 
intento  a  maggior  preda,  i  primi  augelli, 
accio  in  piu  quantitade  altri  captivi 
faccia  col  giuoco  e  col  zimbel  di  quelli; 
tal  esser  volse  il  re  Cimosco  quivi: 
ma  gia  non  volse  Orlando  esser  di  quelli 
che  si  lascin  pigliare  al  primo  tratto; 
e  tosto  roppe  il  cerchio  ch'avean  fatto. 


CANTO    NONO  189 

LXVIII 

II  cavallier  cTAnglante,  ove  piu  spesse 
vide  le  genti  e  Farme,  abbasso  Fasta; 
et  uno  in  quella  e  poscia  un  altro  messe, 
e  un  altro  e  un  altro,  che  sembrar  di  pasta; 
e  fin  a  sei  ve  n'infilzo,  e  li  resse 
tutti  una  lancia:  e  perch'ella  non  basta 
a  piu  capir,  lascio  il  settimo  fuore 
ferito  si,  che  di  quel  colpo  muore. 

LXIX 

Non  altrimente  ne  Festrema  arena 
veggian  le  rane  de  canali  e  fosse 
dal  cauto  arcier  nei  fianchi  e  ne  la  schiena, 
Funa  vicina  alFaltra,  esser  percosse; 
ne  da  la  freccia,  fin  che  tutta  piena 
non  sia  da  un  capo  alF altro,  esser  rimosse. 
La  grave  lancia  Orlando  da  se  scaglia, 
e  con  la  spada  entro  ne  la  battaglia. 

LXX 

Rotta  la  lancia,  quella  spada  strinse, 
quella  che  mai  non  fu  menata  in  fallo; 
e  ad  ogni  colpo,  o  taglio  o  punta,  estinse 
quando  uomo  a  piedi,  e  quando  uomo  a  cavallo: 
dove  tocco,  sempre  in  vermiglio  tinse 
Fazzurro,  il  verde,  il  bianco,  il  nero,  il  giallo. 
Duolsi  Cimosco  che  la  canna  e  il  fuoco 
seco  or  non  ha,  quando  v'avrian  piu  loco. 

LXXI 

E  con  gran  voce  e  con  minaccie  chiede 
che  portati  gli  sian,  ma  poco  e  udito; 
che  chi  ha  ritratto  a  salvamento  il  piede 
ne  la  citta,  non  e  d'uscir  piu  ardito. 
II  re  frison  che  fuggir  gli  altri  vede, 
d'esser  salvo  egli  ancor  piglia  partito : 
corre  alia  porta,  e  vuole  alzare  il  ponte; 
ma  troppo  e  presto  ad  arrivare  il  conte. 


ORLANDO   FURIOSO 
LXXII 

II  re  volta  le  spalle,  e  signer  lassa 
del  ponte  Orlando  e  d'amendue  le  porte ; 
e  fugge,  e  inanzi  a  tutti  gli  altri  passa, 
merc6  die  '1  suo  destrier  corre  piii  forte. 
Non  mira  Orlando  a  quella  plebe  bassa: 
vuole  il  fellon,  non  gli  altri,  porre  a  morte; 
ma  il  suo  destrier  si  al  corso  poco  vale, 
che  restio  sembra,  e  chi  fugge  abbia  1'ale. 

LXXIII 

D'una  in  un'altra  via  si  leva  ratto 
di  vista  al  paladin;  ma  indugia  poco, 
che  torna  con  nuove  armi;  che  s'ha  fatto 
portare  intanto  il  cavo  ferro  e  il  fuoco : 
e  dietro  un  canto  postosi  di  piatto, 
Tattende,  come  il  cacciatore  al  loco, 
coi  cani  armati  e  con  lo  spiedo,  attende 
il  fier  cingial  che  ruinoso  scende; 

LXXIV 

che  spezza  i  rami  e  fa  cadere  i  sassi, 
e  ovunque  drizzi  Forgogliosa  fronte, 
sembra  a  tanto  rumor  che  si  fracassi 
la  selva  intorno,  e  che  si  svella  il  monte. 
Sta  Cimosco  alia  posta,  acci6  non  passi 
senza  pagargli  il  fio  Taudace  conte : 
tosto  ch'appare,  allo  spiraglio  tocca 
col  fuoco  il  ferro,  e  quel  subito  scocca. 

LXXV 

Dietro  lampeggia  a  guisa  di  Baleno, 
dinanzi  scoppia,  e  manda  in  aria  il  tuono. 
Trieman  le  mura,  e  sotto  i  pie  il  terreno; 
il  ciel  ribomba  al  paventoso  suono. 
L'ardente  stral,  che  spezza  e  venir  meno 
fa  cio  ch'incontra,  e  da  a  nessun  perdono, 
sibila  e  stride;  ma,  come  e  il  desire 
di  quel  brutto  assassin,  non  va  a  ferire. 


CANTO    NONO  191 

LXXVI 

O  sia  la  fretta,  o  sia  la  troppa  voglia 
cf  uccider  quel  baron,  ch'errar  lo  faccia; 
o  sia  che  il  cor,  tremando  come  foglia, 
faccia  insieme  tremare  e  mani  e  braccia; 
o  la  bonta  divina  che  non  voglia 
che  '1  suo  fedel  campion  si  tosto  giaccia; 
quel  colpo  al  ventre  del  destrier  si  torse; 
lo  caccio  in  terra,  onde  mai  piii  non  sorse. 

LXXVII 

Cade  a  terra  il  cavallo  e  il  cavalliero  : 
la  preme  1'un;  la  tocca  1'altro  a  pena, 
che  si  leva  si  destro  e  si  leggiero, 
come  cresciuto  gli  sia  possa  e  lena. 
Quale  il  libico  Anteo  sempre  piu  fiero 
surger  solea  da  la  percossa  arena, 
tal  surger  parve,  e  che  la  forza,  quando 
tocco  il  terren,  si  radoppiasse  a  Orlando. 

LXXVIII 

Chi  vide  mai  dal  ciel  cadere  il  foco 
che  con  si  orrendo  suon  Giove  disserra, 
e  penetrare  ove  un  richiuso  loco 
carbon  con  zolfo  e  con  salnitro  serra; 
ch'a  pena  arriva,  a  pena  tocca  un  poco, 
che  par  ch'avampi  il  ciel,  non  che  la  terra; 
spezza  le  mura,  e  i  gravi  marmi  svelle, 
e  f a  i  sassi  volar  sin  alle  stelle; 

LXXIX 

s'imagini  che  tal,  poi  che  cadendo 
tocc6  la  terra,  il  paladino  fosse: 
con  si  fiero  sembiante  aspro  et  orrendo, 
da  far  tremar  nel  ciel  Marte,  si  mosse. 
Di  che  smarito  il  re  frison,  torcendo 
la  briglia  indietro,  per  fuggir  voltosse; 
ma  gli  fu  dietro  Orlando  con  piu  fretta 
che  non  esce  da  Parco  una  saetta: 


192  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

e  quel  che  non  avea  potuto  prima 
fare  a  cavallo,  or  fara  essendo  a  piede. 
Lo  seguita  si  ratto,  ch'ogni  stima 
di  chi  nol  vide,  ogni  credenza  eccede. 
Lo  giunse  in  poca  strada;  et  alia  cima 
de  Telmo  alza  la  spada,  e  si  lo  fiede, 
che  gli  parte  la  testa  fin  al  collo, 
e  in  terra  il  manda  a  dar  rultimo  crollo. 

LXXXI 

Ecco  levar  ne  la  citta  si  sente 
nuovo  rumor,  nuovo  menar  di  spade; 
che  ?1  cugin  di  Bireno  con  la  gente 
ch'avea  condutta  da  le  sue  contrade, 
poi  che  la  porta  ritrovo  patente, 
era  venuto  dentro  alia  cittade, 
dal  paladino  in  tal  timor  ridutta, 
che  senza  intoppo  la  pu6  scorrer  tutta. 

LXXXII 

Fugge  il  populo  in  rotta,  che  non  scorge 
chi  questa  gente  sia,  ne  che  domandi; 
ma  poi  ch'uno  et  un  altro  pur  s'accorge, 
all'abito  e  al  parlar,  che  son  Selandi, 
chiede  lor  pace,  e  il  foglio  bianco  porge; 
e  dice  al  capitan  che  gli  comandi, 
e  dar  gli  vuol  contra  i  Frisoni  aiuto, 
che  '1  suo  duca  in  prigion  gli  ha  ritenuto. 

LXXXIII 

Quel  popul  sempre  stato  era  nimico 
del  re  di  Frisa  e  d'ogni  suo  seguace, 
perche  morto  gli  avea  il  signore  antico, 
ma  piu  perch' era  ingiusto,  empio  e  rap  ace. 
Orlando  s 'interpose  come  amico 
d'ambe  le  parti,  e  fece  lor  far  pace; 
le  quali  unite,  non  lasciar  Frisone 
che  non  morisse  o  non  fosse  prigione. 


CANTO    NONO  193 

LXXXIV 

Le  porte  de  le  carcere  gittate 
a  terra  sono,  e  non  si  cerca  chiave. 
Bireno  al  conte  con  parole  grate 
mostra  conoscer  Fobligo  che  gli  have. 
Indi  insieme  e  con  molte  altre  brigate 
se  ne  vanno  ove  attende  Olimpia  in  nave : 
cosi  la  donna,  a  cui  di  ragion  spetta 
il  dominio  de  1'isola,  era  detta; 

LXXXV 

quella  che  quivi  Orlando  avea  condutto 
non  con  pensier  che  far  dovesse  tanto; 
che  le  parea  bastar,  che  posta  in  lutto 
sol  lei,  lo  sposo  avesse  a  trar  di  pianto. 
Lei  riverisce  e  onora  il  popul  tutto. 
Lungo  sarebbe  a  ricontarvi  quanto 
lei  Bireno  accarezzi,  et  ella  lui; 
quai  grazie  al  conte  rendano  ambidui. 

LXXXVI 

II  popul  la  donzella  nel  paterno 
seggio  rimette,  e  fedelta  le  giura. 
Ella  a  Bireno,  a  cui  con  no  do  eterno 
la  Ieg6  Amor  d'una  catena  dura, 
de  lo  stato  e  di  se  dona  il  governo. 
Et  egli,  tratto  poi  da  un'altra  cura, 
de  le  fortezze  e  di  tutto  il  domino 
de  Fisola  guardian  lascia  il  cugino; 

LXXXVII 

che  tornare  in  Selandia  avea  disegno, 
e  menar  seco  la  fedel  consorte: 
e  dicea  voler  fare  indi  nel  regno 
di  Frisa  esperienzia  di  sua  sorte; 
perche  di  cio  Passicurava  un  pegno 
ch'egli  avea  in  mano,  e  lo  stimava  forte: 
la  figliuola  del  re,  che  fra  i  captivi, 
che  vi  fur  molti,  avea  trovata  quivi. 


194  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

E  dice  ch'egli  vuol  ch'un  suo  germane, 
ch'era  minor  d'eta,  Fabbia  per  moglie. 
Quindi  si  parte  il  senator  romano 
il  di  medesmo  che  Bireno  scioglie. 
Non  volse  porre  ad  altra  cosa  mano, 
fra  tante  e  tante  guadagnate  spoglie, 
se  non  a  quel  tormento  ch'abbian  detto 
ch'al  fulmine  assimiglia  in  ogni  effetto. 

LXXXIX 

L'intenzion  non  gia,  perche  lo  tolle, 
fu  per  voglia  d'usarlo  in  sua  difesa; 
che  sempre  atto  stim6  d'animo  molle 
gir  con  vantaggio  in  qualsivoglia  impresa: 
ma  per  gittarlo  in  parte,  onde  non  voile 
che  mai  potesse  ad  uom  piu  fare  offesa; 
e  la  polve  e  le  palle  e  tutto  il  resto 
seco  porto,  ch'apperteneva  a  questo. 

xc 

E  cosi,  poi  che  fuor  de  la  marea 
nel  piu  profondo  mar  si  vide  uscito, 
si  che  segno  lontan  non  si  vedea 
del  destro  piu  n6  del  sinistro  lito; 

10  tolse,  e  disse:  —  Acci6  piu  non  istea 
mai  cavallier  per  te  d'essere  ardito, 

ne  quanto  il  buono  val,  mai  piu  si  vanti 

11  rio  per  te  valer,  qui  giu  rimanti. 

xci 

O  maledetto,  o  abominoso  ordigno, 
che  fabricato  nel  tartareo  fondo 
fosti  per  man  di  Belzebu  maligno 
che  ruinar  per  te  disegn6  il  mondo, 
airinferno,  onde  uscisti,  ti  rasigno.  — 
Cosi  dicendo,  lo  gitto  in  profondo. 
II  vento  intanto  le  gonfiate  vele 
spinge  alia  via  de  Fisola  crudele. 


CANTO    NONO 
XCII 

Tanto  desire  il  paladino  preme 

di  saper  se  la  donna  ivi  si  truova, 

ch'ama  assai  piu  che  tutto  il  mondo  insieme, 

ne  un'ora  senza  lei  viver  gli  giova; 

che  s'in  Ibernia  mette  il  piede,  teme 

di  non  dar  tempo  a  qualche  cosa  nuova, 

si  ch'abbia  poi  da  dir  invano:  —  Ahi  lasso! 

ch'al  venir  mio  non  affrettai  piu  il  passo.  — 

XCIII 

Ne  scala  in  Inghelterra  ne  in  Irlanda 
mai  Iasci6  far,  ne  sul  contrario  lito. 
Ma  lasciamolo  andar  dove  lo  manda 
il  nudo  arcier  che  Pha  nel  cor  ferito. 
Prima  che  piu  io  ne  parli,  io  vo'  in  Olanda 
tornare,  e  voi  meco  a  tornarvi  invito ; 
che,  come  a  me,  so  spiacerebbe  a  voi, 
che  quelle  nozze  fosson  senza  noi, 

xciv 

Le  nozze  belle  e  sontuose  fanno; 
ma  non  si  sontuose  ne  si  belle, 
come  in  Selandia  dicon  che  faranno. 
Pur  non  disegno  che  vegnate  a  quelle; 
perche  nuovi  accidenti  a  nascere  hanno 
per  disturbarle,  de*  quai  le  novelle 
all'altro  canto  vi  faro  sentire, 
s'all'altro  canto  mi  verrete  a  udire. 


196  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO  DECIMO 


I 

Fra  quanti  amor,  fra  quante  fede  al  mondo 
mai  si  trovar,  fra  quanti  cor  constant!, 
fra  quante,  o  per  dolente  o  per  iocondo 
stato,  fer  prove  mai  famosi  amanti; 
piu  tosto  il  primo  loco  ch'il  secondo 
daro  ad  Olimpia:  e  se  pur  non  va  inanti, 
ben  voglio  dir  che  fra  gli  antiqui  e  nuovi 
maggior  de  Pamor  suo  non  si  ritruovi; 

II 

e  che  con  tante  e  con  si  chiare  note 
di  questo  ha  fatto  il  suo  Bireno  certo, 
che  donna  piu  far  certo  uomo  non  puote, 
quando  anco  il  petto  e  Jl  cor  mostrasse  aperto. 
E  s'anime  si  fide  e  si  devote 
d'un  reciproco  amor  denno  aver  merto, 
dico  ch'  Olimpia  e  degna  che  non  meno, 
anzi  piu  che  se  ancor,  Pami  Bireno: 

in 

e  che  non  pur  non  1'abandoni  mai 
per  altra  donna,  se  ben  fosse  queUa 
ch'Europa  et  Asia  messe  in  tanti  guai, 
o  s'altra  ha  maggior  titolo  di  bella; 
ma  piu  tosto  che  lei,  lasci  coi  rai 
del  sol  1'udita  e  il  gusto  e  la  favella 
e  la  vita  e  la  fama,  e  s'altra  cosa 
dire  o  pensar  si  puo  piu  preciosa. 


CANTO    DECIMO  197 

IV 

Se  Bireno  am6  lei  come  ella  amato 
Bireno  avea,  se  fu  si  a  lei  fedele 
come  ella  a  lui,  se  mai  non  ha  voltato 
ad  altra  via,  che  a  seguir  lei,  le  vele: 

0  pur  s'a  tanta  servitu  fu  ingrato, 

a  tanta  fede  e  a  tanto  amor  cnidele, 
io  vi  vo}  dire,  e  far  di  maraviglia 
stringer  le  labra  et  inarcar  le  ciglia. 

v 

E  poi  che  nota  1'impieta  vi  fia, 
che  di  tanta  bonta  fu  a  lei  mercede, 
donne,  alcuna  di  voi  mai  piu  non  sia, 
ch'a  parole  d'amante  abbia  a  dar  fede. 
L'amante,  per  aver  quel  che  desia, 
senza  guardar  che  Dio  tutto  ode  e  vede, 
aviluppa  promesse  e  giuramenti, 
che  tutti  spargon  poi  per  1'aria  i  venti. 

VI 

1  giuramenti  e  le  promesse  vanno 
dai  venti  in  aria  disipate  e  sparse, 
tosto  che  tratta  questi  amanti  s'harmo 
1'avida  sete  che  gli  accese  et  arse. 

Siate  a'  prieghi  et  a'  pianti  che  vi  fanno, 
per  questo  esempio,  a  credere  piu  scarse. 
Bene  e  felice  quel,  donne  mie  care, 
ch'essere  accorto  all'altrui  spese  impare. 

VII 

Guardatevi  da  questi  che  sul  fiore 

de'  lor  begli  anni  il  viso  han  si  polito; 

che  presto  nasce  in  loro  e  presto  muore, 

quasi  un  foco  di  paglia,  ogni  appetite. 

Come  segue  la  lepre  il  cacciatore 

al  freddo,  al  caldo,  alia  montagna,  al  lito, 

ne  piu  Testima  poi  che  presa  vede; 

e  sol  dietro  a  chi  fugge  affretta  il  piede: 


198  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

cosi  fan  questi  gioveni,  che  tanto 
che  vi  mostrate  lor  dure  e  proterve, 
v'amano  e  riveriscono  con  quanto 
studio  de'  far  chi  fedelmente  serve; 
ma  non  si  tosto  si  potran  dar  vanto 
de  la  vittoria,  che  di  donne,  serve 
vi  dorrete  esser  fatte;  e  da  voi  tolto 
vedrete  il  falso  amore,  e  altrove  volto. 

IX 

Non  vi  vieto  per  questo  (ch'avrei  torto) 
che  vi  lasciate  amar;  che  senza  amante 
sareste  come  inculta  vite  in  orto, 
che  non  ha  palo  ove  s'appoggi  o  piante. 
Sol  la  prima  lanugine  vi  esorto 
tutta  a  fuggir,  volubile  e  inconstante, 
e  c6rre  i  frutti  non  acerbi  e  duri, 
ma  che  non  sien  per6  troppo  maturi. 

x 

Di  sopra  io  vi  dicea  ch'una  figliuola 
del  re  di  Frisa  quivi  hanno  trovata, 
che  fia,  per  quanto  n'han  rnosso  parola, 
da  Bireno  al  fratel  per  moglie  data. 
Ma,  a  dire  il  vero,  esso  v'avea  la  gola; 
che  vivanda  era  troppo  delicata: 
e  riputato  avria  cortesia  sciocca, 
per  darla  altrui,  levarsela  di  bocca. 

XI 

La  damigella  non  passava  ancora 
quattordici  anni,  et  era  bella  e  fresca, 
come  rosa  che  spunti  alora  alora 
fuor  de  la  buccia  e  col  sol  nuovo  cresca. 
Non  pur  di  lei  Bireno  s'inamora, 
ma  fuoco  mai  cosi  non  accese  esca, 
ne  se  lo  pongan  1'invide  e  nimiche 
mani  talor  ne  le  mature  spiche; 


CANTO    DECIMO 
XII 

come  egli  se  n'accese  immantinente, 
come  egli  n'arse  fin  ne  le  medolle, 
che  sopra  il  padre  morto  lei  dolente 
vide  di  pianto  il  bel  viso  far  molle. 
E  come  suol,  se  Facqua  fredda  sente, 
quella  restar  che  prima  al  fuoco  bolle; 
cosi  F  ardor  ch'accese  Olimpia,  vinto 
dal  nuovo  successore,  in  lui  fu  estinto. 

XIII 

Non  pur  sazio  di  lei,  ma  fastidito 

n'e  gia  cosi,  che  pu6  vederla  a  pena; 

e  si  de  Faltra  acceso  ha  Fappetito, 

che  ne  morra  se  troppo  in  lungo  il  mena; 

pur  fin  che  giunga  il  di  c'ha  statuito 

a  dar  fine  al  disio,  tanto  Faffrena, 

che  par  ch'adori  Olimpia,  non  che  Fami, 

e  quel  che  piace  a  lei,  sol  voglia  e  brami. 

XIV 

E  se  accarezza  1'altra  (che  non  puote 
far  che  non  Faccarezzi  piu  del  dritto), 
non  e  chi  questo  in  mala  parte  note; 
anzi  a  pietade,  anzi  a  bonta  gli  e  ascritto : 
che  rilevare  un  che  Fortuna  ruote 
talora  al  fondo,  e  consolar  rafHitto, 
mai  non  fu  biasmo,  ma  gloria  sovente; 
tanto  piu  una  fanciulla,  una  innocente. 

xv 

Oh  sommo  Dio,  come  i  giudicii  umani 
spesso  offuscati  son  da  un  nembo  oscuro! 
i  modi  di  Bireno  empii  e  profani, 
pietosi  e  santi  riputati  furo. 
I  marinari,  gia  messo  le  mani 
ai  remi,  e  sciolti  dal  lito  sicuro, 
portavan  lieti  pei  salati  stagni 
verso  Selandia  il  duca  e  i  suoi  compagni. 


200  ORLANDO  FURIOSO 

XVI 

Gia  dietro  rimasi  erano  e  perduti 
tutti  di  vista  i  termini  d'Olanda; 
che  per  non  toccar  Frisa,  piu  tenuti 
s'eran  ver  Scozia  alia  sinistra  banda: 
quando  da  un  vento  fur  sopravenuti, 
ch'errando  in  alto  mar  tre  di  li  manda. 
Sursero  il  terzo,  gia  presso  alia  sera, 
dove  inculta  e  deserta  un'isola  era. 

XVII 

Tratti  che  si  fur  dentro  un  picciol  seno, 
Olimpia  venne  in  terra;  e  con  diletto 
in  compagnia  de  1'infedel  Bireno 
cen6  contenta  e  fuor  d'ogni  sospetto  : 
indi  con  lui,  la  dove  in  loco  ameno 
teso  era  un  padiglione,  entr6  nel  letto. 
Tutti  gli  altri  compagni  ritornaro, 
e  sopra  i  legni  lor  si  riposaro. 

XVIII 

II  travaglio  del  mare  e  la  paura 

che  tenuta  alcun  di  Taveano  desta, 

il  ritrovarsi  al  lito  ora  sicura, 

lontana  da  rumor  ne  la  foresta, 

e  che  nessun  pensier,  nessuna  cura, 

poi  che  '1  suo  amante  ha  seco,  la  molesta; 

fur  cagion  ch'ebbe  Olimpia  si  gran  sonno, 

che  gli  orsi  e  i  ghiri  aver  maggior  nol  ponno. 

XIX 

II  falso  amante  che  i  pensati  inganni 
veggiar  facean,  come  dormir  lei  sente, 
pian  piano  esce  del  letto,  e  de'  suoi  panni 
fatto  un  fastel,  non  si  veste  altrimente; 
e  lascia  il  padiglione;  e  come  i  vanni 
nati  gli  sian,  rivola  alia  sua  gente, 
e  li  risveglia;  e  senza  udirsi  un  grido, 
fa  entrar  ne  1'alto  e  abandonare  il  lido. 


CANTO    DECIMO  2OI 

XX 

Rimase  a  dietro  il  lido  e  la  meschina 
Olimpia,  che  dormi  senza  destarse, 
fin  che  1' Aurora  la  gelata  brina 
da  le  do  rate  mote  in  terra  sparse, 
e  s'udir  le  alcione  alia  marina 
de  1'antico  infortunio  lamentarse. 
Ne  desta  ne  dormendo,  ella  la  mano 
per  Bireno  abbracciar  stese,  ma  invano. 

XXI 

Nessuno  truova:  a  se  la  man  ritira; 

di  nuovo  tenta,  e  pur  nessuno  truova. 

Di  qua  1'un  braccio,  e  di  la  Taltro  gira, 

or  Tuna  or  1'altra  gamba;  e  nulla  giova. 

Caccia  il  sonno  il  timor;  gli  occhi  apre,  e  mira: 

non  vede  alcuno.  Or  gia  non  scalda  e  cova 

piu  le  vedove  piume,  ma  si  getta 

del  letto  e  fuor  del  padiglione  in  fretta: 

XXII 

e  corre  al  mar,  graffiandosi  le  gote, 
presaga  e  certa  ormai  di  sua  fortuna. 
Si  straccia  i  crini,  e  il  petto  si  percuote, 
e  va  guardando  (che  splendea  la  luna) 
se  veder  cosa,  fuor  che  '1  lito,  puote; 
ne,  fuor  che  '1  lito,  vede  cosa  alcuna. 
Bireno  chiama;  e  al  nome  di  Bireno 
rispondean  gli  Antri  che  pieta  n'avieno. 

XXIII 

Quivi  surgea  nel  lito  estremo  un  sasso, 
ch'aveano  Tonde,  col  picchiar  frequente, 
cavo  e  ridutto  a  guisa  d'arco  al  basso; 
e  stava  sopra  il  mar  curvo  e  pendente. 
Olimpia  in  cima  vi  sali  a  gran  passo 
(cosi  la  facea  Tammo  possente), 
e  di  lontano  le  gonfiate  vele 
vide  fuggir  del  suo  signor  cm  dele: 


202  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

vide  lontano,  o  le  parve  vedere; 

che  Taria  chiara  ancor  non  era  molto. 

Tutta  tremante  si  lascio  cadere, 

piu  bianca  e  piu  che  nieve  fredda  in  volto; 

ma  poi  che  di  levarsi  ebbe  potere, 

al  camin  de  le  navi  il  grido  volto, 

chiam6,  quanta  potea  chiamar  piu  forte, 

piu  volte  il  nome  del  crudel  consorte: 

XXV 

e  dove  non  potea  la  debil  voce, 

supliva  il  pianto  e  '1  batter  palrna  a  palma. 

—  Dove  fuggi,  crudel,  cosi  veloce  ? 
Non  ha  il  tuo  legno  la  debita  salma. 
Fa  che  lievi  me  ancor:  poco  gli  nuoce 
che  porti  il  corpo,  poi  che  porta  Talma.  — 
E  con  le  braccia  e  con  le  vesti  segno 

fa  tuttavia,  perche  ritorni  il  legno. 

XXVI 

Ma  i  venti  che  portavano  le  vele 
per  Palto  mar  di  quel  giovene  infido, 
portavano  anco  i  prieghi  e  le  querele 
de  1'infelice  Olimpia,  e  '1  pianto  e  51  grido ; 
la  qual  tre  volte,  a  se  stessa  crudele, 
per  affogarsi  si  spicc6  dal  lido: 
pur  al  fin  si  levo  da  mirar  Tacque, 
e  ritorn6  dove  la  notte  giacque. 

XXVII 

E  con  la  faccia  in  giu  stesa  sul  letto, 
bagnandolo  di  pianto,  dicea  lui: 

—  lersera  desti  insieme  a  dui  ricetto ; 
perche  insieme  al  levar  non  siamo  dui  ? 
0  perfido  Bireno,  o  maladetto 

giorno  ch'al  mondo  generata  fui! 

Che  debbo  far?  che  poss'io  far  qui  sola? 

chi  mi  da  aiuto  ?  ohime,  chi  mi  consola  ? 


CANTO    DECIMO  203 

XXVIII 

Uomo  non  veggio  qui,  non  ci  veggio  opra 
donde  io  possa  stimar  ch'uomo  qui  sia; 
nave  non  veggio,  a  cui  salendo  sopra, 
speri  allo  scampo  mio  ritrovar  via. 
Di  disagio  morro;  ne  che  mi  cuopra 
gli  occhi  sara,  ne  chi  sepolcro  dia, 
se  forse  in  ventre  lor  non  me  lo  danno 
i  lupi,  ohime,  ch'in  queste  selve  stanno. 

XXIX 

Io  sto  in  sospetto,  e  gia  di  veder  parmi 
di  questi  boschi  orsi  o  leoni  uscire, 
o  tigri  o  fiere  tal,  che  natura  armi 
d'aguzzi  denti  e  d'ugne  da  ferire. 
Ma  quai  fere  crudel  potriano  farmi, 
fera  crudel,  peggio  di  te  morire? 
darmi  una  morte,  so,  lor  parra  assai; 
e  tu  di  mille,  ohime,  morir  mi  fai. 

xxx 

Ma  presupongo  ancor  ch'or  ora  arrivi 
nochier  che  per  pieta  di  qui  mi  porti; 
e  cosi  lupi,  orsi,  leoni  schivi, 
strazi,  disagi  et  altre  orribil  morti: 
mi  port  era  fofse  in  Olanda,  s'ivi 
per  te  si  guardan  le  fortezze  e  i  porti  ? 
mi  portera  alia  terra  ove  son  nata, 
se  tu  con  fraude  gia  me  Thai  levata? 

XXXI 

Tu  m'hai  lo  stato  mio,  sotto  pretesto 

di  parentado  e  d'amicizia,  tolto. 

Ben  fosti  a  porvi  le  tue  genti  presto, 

per  aver  il  dominio  a  te  rivolto. 

Tornero  in  Fiandra?  ove  ho  venduto  il  resto 

di  che  io  vivea,  ben  che  non  fossi  molto, 

per  sovenirti  e  di  prigione  trarte. 

Mischina!  dove  andr6  ?  non  so  in  qual  parte. 


204  ORLANDO  FURIOSO 

XXXII 

Debbo  forse  ire  in  Frisa,  ove  io  potei, 
e  per  te  non  vi  volsi  esser  regina? 
il  che  del  padre  e  dei  fratelli  miei 
e  d'ogn'altro  mio  ben  fu  la  ruina. 
Quel  c'ho  fatto  per  te,  non  ti  vorrei, 
ingrato,  improverar,  ne  disciplina 
dartene;  che  non  men  di  me  lo  sai: 
or  ecco  il  guiderdon  che  me  ne  dai. 

XXXIII 

Deh,  pur  che  da  color  che  vanno  in  cOrso 
io  non  sia  presa,  e  poi  venduta  schiava! 
prima  che  questo,  il  lupo,  il  leon,  Torso 
venga,  e  la  tigre  e  ogn'altra  fera  brava, 
di  cui  1'ugna  mi  stracci,  e  franga  il  morso; 
e  morta  mi  strascini  alia  sua  cava.  — 
Cosi  dicendo,  le  mani  si  caccia 
ne'  capei  d'oro,  e  a  chiocca  a  chiocca  straccia. 

xxxiv 

Corre  di  nuovo  in  su  1'estrema  sabbia, 
e  ruota  il  capo  e  sparge  alTaria  il  crine; 
e  sembra  forsennata,  e  ch'adosso  abbia 
non  un  demonio  sol,  ma  le  decine; 
o,  qual  Ecuba,  sia  conversa  in  rabbia, 
vistosi  morto  Polidoro  al  fine. 
Or  si  ferma  s'un  sasso,  e  guarda  il  mare 
ne  men  d'un  vero  sasso,  un  sasso  pare. 

xxxv 

Ma  lascianla  doler  fin  ch'io  ritorno, 
per  voler  di  Ruggier  dirvi  pur  anco, 
che  nel  piu  intense  ardor  del  mez2o  giorno 
cavalca  il  lito,  aflaticato  e  stanco. 
Percuote  il  sol  nel  colle  e  fa  ritorno: 
di  sotto  bolle  il  sabbion  trito  e  bianco. 
Mancava  alTarme  ch'avea  indosso,  poco 
ad  esser,  come  gia,  tutte  di  fuoco. 


CANTO    DECIMO  205 

XXXVI 

Mentre  la  sete,  e  de  1'andar  fatica 
per  Talta  sabbia  e  la  solinga  via 
gli  faceaxi,  lungo  quella  spiaggia  aprica, 
noiosa  e  dispiacevol  compagnia; 
trov6  ch'alPombra  d'una  torre  antica, 
che  fuor  de  Ponde  appresso  il  lito  uscia, 
de  la  corte  d'Alcina  eran  tre  donne, 
che  le  conobbe  ai  gesti  et  alle  gonne. 

XXXVII 

Corcate  su  tapeti  allessandrini 
godeansi  il  fresco  rezzo  in  gran  diletto, 
fra  molti  vasi  di  diversi  vini 
e  d'ogni  buona  sorte  di  confetto. 
Presso  alia  spiaggia,  coi  flutti  marini 
scherzando,  le  aspettava  un  lor  legnetto 
fin  che  la  vela  empiesse  agevol  6ra; 
ch'un  fiato  pur  non  ne  spirava  allora. 

XXXVIII 

Queste,  ch'andar  per  la  non  ferma  sabbia 
vider  Ruggiero  al  suo  viaggio  dritto, 
che  sculta  avea  la  sete  in  su  le  labbia, 
tutto  pien  di  sudore  il  viso  afflitto, 
gli  cominciaro  a  dir  che  si  non  abbia 
il  cor  voluntaroso  al  camin  fitto, 
ch'alla  fresca  e  dolce  ombra  non  si  pieghi 
e  ristorar  lo  stanco  corpo  nieghi. 

XXXIX 

E  di  lor  una  s'accosto  al  cavallo 
per  la  staffa  tener,  che  ne  scendesse; 
1'altra  con  una  coppa  di  cristallo 
di  vin  spumante,  piu  sete  gli  messe: 
ma  Ruggiero  a  quel  suon  non  entro  in  ballo; 
perche  d'ogni  tardar  che  fatto  avesse, 
tempo  di  granger  dato  avria  ad  Alcina, 
che  venia  dietro  et  era  omai  vicina. 


206  ORLANDO  FURIOSO 

XL 

Non  cosi  fin  salnitro  e  zolfo  puro, 
tocco  dal  fuoco,  subito  s'avampa; 
ne  cosi  freme  il  mar  quando  1'oscuro 
turbo  discende  e  in  mezzo  se  gli  accampa: 
come,  vedendo  che  Ruggier  sicuro 
al  suo  dritto  camin  Tarena  stampa, 
e  che  le  sprezza  (e  pur  si  tenean  belle), 
d'ira  arse  e  di  furor  la  terza  d'elle. 

XLI 

—  Tu  non  sei  ne  gentil  ne  cavalliero,  — 
dice  gridando  quanto  pu6  piu  forte 

—  et  hai  rubate  Farme;  e  quel  destriero 
non  saria  tuo  per  veruna  altra  sorter 

e  cosi,  come  ben  m'appongo  al  vero, 
ti  vedessi  punir  di  degna  morte; 
che  fossi  fatto  in  quarti,  arso  o  impiccato, 
brutto  ladron,  villan,  superbo,  ingrato.  — 

XLII 

Oltr'a  queste  e  molt'altre  ingiuriose 
parole  che  gli  uso  la  donna  altiera, 
ancor  che  mai  Ruggier  non  le  rispose, 
che  de  si  vil  tenzon  poco  onor  spera; 
con  le  sorelle  tosto  ella  si  pose 
sul  legno  in  mar,  che  al  lor  servigio  v'era: 
et  affrettando  i  remi,  lo  seguiva, 
vedendol  tuttavia  dietro  alia  riva. 

XLIII 

Minaccia  sempre,  maledice  e  incarca; 
che  1'onte  sa  trovar  per  ogni  punto. 
Intanto  a  quello  stretto,  onde  si  varca 
alia  fata  piu  bella,  e  Ruggier  giunto; 
dove  un  vecchio  nochiero  una  sua  barca 
scioglier  da  1'altra  ripa  vede,  a  punto 
come  avisato,  e  gia  provisto,  quivi 
si  stia  aspettando  che  Ruggiero  arrivi. 


CANTO    DECIMO  207 

XLIV 

Scioglie  il  nochier,  come  venir  lo  vede, 
di  trasportarlo  a  miglior  ripa  lieto ; 
che,  se  la  faccia  pu6  del  cor  dar  fede, 
tutto  benigno  e  tutto  era  discrete. 
Pose  Ruggier  sopra  il  navilio  il  piede, 
Dio  ringraziando ;  e  per  lo  mar  quieto 
ragionando  venia  col  galeotto, 
saggio  e  di  lunga  esperienzia  dotto. 

XLV 

Quel  lodava  Ruggier,  che  si  se  avesse 
saputo  a  tempo  tor  da  Alcina,  e  inanti 
che  '1  calice  incantato  ella  gli  desse, 
ch'avea  al  fin  dato  a  tutti  gli  altri  amanti ; 
e  poi  che  a  Logistilla  si  traesse, 
dove  veder  potria  costumi  santi, 
bellezza  eterna  et  infinita  grazia 
che  '1  cor  notrisce  e  pasce,  e  mai  non  sazia. 

XLVI 

—  Costei  —  dicea  —  stupore  e  riverenza 
induce  alTalma,  ove  si  scuopre  prima. 
Contempla  meglio  poi  1'alta  presenza: 
ogn'altro  ben  ti  par  di  poca  stima. 
II  suo  amore  ha  dagli  altri  differenza: 
speme  o  timor  negli  altri  il  cor  ti  lima; 
in  questo  il  desiderio  piu  non  chiede, 
e  contento  riman  come  la  vede. 

XLVII 

Ella  t'insegnera  studii  piu  grati, 
che  suoni,  danze,  odori,  bagni  e  cibi; 
ma  come  i  pensier  tuoi  meglio  formati 
poggin  piu  ad  alto  che  per  1'aria  i  nibi, 
e  come  de  la  gloria  de'  beati 
nel  mortal  corpo  parte  si  delibi.  — 
Cosi  parlando  il  marinar  veniva, 
lontano  ancora  alia  sicura  riva; 


208  ORLANDO   FURIOSO 

XL  VIII 

quando  vide  scoprire  alia  marina 
molti  navili,  e  tutti  alia  sua  volta. 
Con  quei  ne  vien  Tingiuriata  Alcina; 
e  molta  di  sua  gente  have  raccolta 
per  por  lo  stato  e  se  stessa  in  ruina, 
o  racquistar  la  cara  cosa  tolta. 
E  bene  e  amor  di  ci6  cagion  non  lieve, 
ma  Fingiuria  non  men  che  ne  riceve. 

XLIX 

Ella  non  ebbe  sdegno,  da  che  nacque, 
di  questo  il  maggior  mai  ch'ora  la  rode; 
onde  fa  i  remi  si  affrettar  per  Tacque, 
che  la  spuma  ne  sparge  ambe  le  prode. 
Al  gran  rumor  ne  mar  ne  ripa  tacque, 
et  Ecco  risonar  per  tutto  s'ode. 
—  Scuopre,  Ruggier,  lo  scudo,  che  bisogna; 
se  non,  sei  morto,  o  preso  con  vergogna.  — 


Cosi  disse  il  nocchier  di  Logistilla; 
et  oltre  il  detto,  egli  medesmo  prese 
la  tasca  e  da  lo  scudo  dipartilla, 
e  fe'  il  lume  di  quel  chiaro  e  palese. 
L'incantato  splendor  che  ne  sfavilla, 
gli  occhi  degli  aversari  cosi  offese, 
che  li  fe'  restar  ciechi  allora  allora, 
e  cader  chi  da  poppa  e  chi  da  prora. 

LI 

Un  ch'era  alia  veletta  in  su  la  r6cca, 
de  1'armata  dj  Alcina  si  fu  accorto; 
e  la  campana  martellando  tocca, 
onde  il  soccorso  vien  subito  al  porto. 
L'artegliaria,  come  tempesta,  fiocca 
contra  chi  vuole  al  buon  Ruggier  far  torto : 
si  che  gli  venne  d'ogni  parte  aita, 
tal  che  salv6  la  liberta  e  la  vita. 


CANTO    DECIMO 
LII 

Giunte  son  quattro  donne  in  su  la  spiaggia, 
che  subito  ha  mandate  Logistilla: 
la  valorosa  ^Andronica  e  la  saggia 
Fronesia  e  1'onestissima  Dicilla 
e  Sofrosina  casta,  che,  come  aggia 
quivi  a  far  piu  che  1'altre,  arde  e  sfavilla. 
L'esercito  ch'al  mondo  e  senza  pare, 
del  castello  esce,  e  si  distende  al  mare. 

LIII 

Sotto  il  castel  ne  la  tranquilla  foce 
di  molti  e  grossi  legni  era  una  armata, 
ad  un  botto  di  squilla,  ad  una  voce 
giorno  e  notte  a  battaglia  apparecchiata. 
E  cosi  fu  la  pugna  aspra  et  atroce, 
e  per  acqua  e  per  terra,  mcominciata; 
per  cui  fu  il  regno  sottosopra  volto, 
ch'avea  gia  Alcina  alia  sorella  tolto. 

LIV 

Oh  di  quante  battaglie  il  fin  successe 
diverse  a  quel  che  si  credette  inante! 
Non  sol  ch' Alcina  alor  non  riavesse, 
come  stimossi,  il  fugitivo  amante; 
ma  de  le  navi  che  pur  dianzi  spesse 
fur  si,  ch'a  pena  il  mar  ne  capia  tante, 
fuor  de  la  fiamma  che  tutt'altre  avampa, 
con  un  legnetto  sol  misera  scamp  a. 

LV 

Fuggesi  Alcina,  e  sua  misera  gente 
arsa  e  presa  riman,  rotta  e  sommersa. 
D'aver  Ruggier  perduto  ella  si  sente 
via  piu  doler  che  d'altra  cosa  aversa: 
notte  e  di  per  lui  geme  amaramente, 
e  lacrime  per  lui  dagli  occhi  versa; 
e  per  dar  fine  a  tanto  aspro  martire, 
spesso  si  duol  di  non  poter  morire. 


210  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Morir  non  puote  alcuna  fata  mai, 

fin  die  '1  sol  gira,  o  il  ciel  non  muta  stilo. 

Se  ci6  non  fosse,  era  il  dolore  assai 

per  muover  Cloto  ad  inasparle  il  filo; 

o  qual  Didon  finia  col  ferro  i  guai, 

o  la  regina  splendida  del  Nilo 

avria  imitata  con  mortifer  sonno : 

ma  le  fate  morir  sempre  non  ponno. 

LVII 

Torniamo  a  quel  di  eterna  gloria  degno 
Ruggiero ;  e  Alcina  stia  ne  la  sua  pena. 
Dico  di  lui,  che  poi  che  fuor  del  legno 
si  fu  condutto  in  piu  sicura  arena, 
Dio  ringraziando  che  tutto  il  disegno 
gli  era  successo,  al  mar  volto  la  schena; 
et  affrettando  per  1'asciutto  il  piede, 
alia  r6cca  ne  va  che  quivi  siede. 

LVIII 

Ne  la  piu  forte  ancor  n6  la  piu  bella 
mai  vide  occhio  mortal  prima  ne  dopo. 
Son  di  piu  prezzo  le  mura  di  quella, 
che  se  diamante  fossino  o  piropo, 
Di  tai  gemme  qua  giu  non  si  favella:     • 
et  a  chi  vuol  notizia  averne,  e  d'uopo 
che  vada  quivi,  che  non  credo  altrove, 
se  non  forse  su  in  ciel,  se  ne  ritruove. 

LIX 

Quel  che  piu  fa  che  lor  si  inchina  e  cede 
ogn'altra  gemma,  e  che  mirando  in  esse, 
Puom  sin  in  mezzo  alFanima  si  vede; 
vede  suoi  vizii  e  sue  virtudi  espresse, 
si  che  a  lusinghe  poi  di  s6  non  crede, 
ne  a  chi  dar  biasmo  a  torto  gli  volesse: 
fassi,  mirando  allo  specchio  lucente 
se  stesso  conoscendosi,  prudente. 


CANTO    DECIMO  211 

LX 

II  chiaro  lume  lor,  ch'imita  il  sole, 
manda  splendore  in  tanta  copia  intorno, 
che  chi  1'ha,  ovunque  sia,  sempre  che  vuole, 
Febo,  mal  grado  tuo,  si  puo  far  giorno. 
Ne  mirabil  vi  son  le  pietre  sole; 
ma  la  materia  e  I'artificio  adorno 
contendon  si,  che  mal  giudicar  puossi 
qual  de  le  due  eccellenze  maggior  fossi. 

LXI 

Sopra  gli  altissimi  archi,  che  puntelli 
parean  che  del  ciel  fossino  a  vederli, 
eran  giardin  si  spaziosi  e  belli, 
che  saria  al  piano  anco  fatica  averli. 
Verdeggiar  gli  odoriferi  arbuscelli 
si  puon  veder  fra  i  luminosi  merli, 
ch'adorni  son  Testate  e  il  verno  tutti 
di  vaghi  fiori  e  di  maturi  frutti. 

LXII 

Di  cosi  nobili  arbori  non  suole 
prodursi  fuor  di  questi  bei  giardini, 
ne  di  tai  rose  o  di  simil  viole, 
di  gigli,  di  amaranti  o  di  gesmini. 
Altrove  appar  come  a  un  medesmo  sole 
e  nasca  e  viva,  e  morto  il  capo  inchini, 
e  come  lasci  vedovo  il  suo  stelo 
il  fior  suggetto  al  variar  del  cielo : 

LXIII 

ma  quivi  era  perpetua  la  verdura, 
perpetua  la  belta  de'  fiori  eterni: 
non  che  benignita  de  la  Natura 
si  temperatamente  li  governi; 
ma  Logistilla  con  suo  studio  e  cura, 
senza  bisogno  de'  moti  superni 
(quel  che  agli  altri  impossible  parea), 
sua  primavera  ognor  ferma  tenea. 


212  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Logistllla  mostro  molto  aver  grato 
ch'a  lei  venisse  un  si  gentil  signore; 
e  comando  che  fosse  accarezzato, 
e  che  studiasse  ognun  di  fargli  onore. 
Gran  pezzo  inanzi  Astolfo  era  arrivato, 
che  visto  da  Ruggier  fa  di  buon  core. 
Fra  pochi  giorni  venner  gli  altri  tutti, 
ch'a  1'esser  lor  Melissa  avea  ridutti. 

LXV 

Poi  che  si  fur  posati  un  giorno  e  dui, 
venne  Ruggiero  alia  fata  prudente 
col  duca  Astolfo,  che  non  men  di  lui 
avea  desir  di  riveder  Ponente. 
Melissa  le  par!6  per  amendui; 
e  supplica  la  fata  umilemente, 
che  li  consigli,  favorisca  e  aiuti, 
si  che  ritornin  donde  eran  venuti. 

LXVI 

Disse  la  fata:  —  lo  ci  porro  il  pensiero, 
e  fra  dui  di  te  li  daro  espediti.  — 
Discorre  poi  tra  se,  come  Ruggiero, 
e  dopo  lui,  come  quel  duca  aiti: 
conchiude  infin  che  '1  volator  destriero 
ritorni  il  primo  agli  aquitani  liti; 
ma  prima  vuol  che  se  gli  faccia  un  morso, 
con  che  lo  volga,  e  gli  raffreni  il  corso. 

LXVII 

Gli  mostra  come  egli  abbia  a  far,  se  vuole 
che  poggi  in  alto,  e  come  a  far  che  cali; 
e  come,  se  vorra  che  in  giro  vole, 
o  vada  ratto,  o  che  si  stia  su  Tali: 
e  quali  effetti  il  cavallier  far  suole 
di  buon  destriero  in  piana  terra,  tali 
facea  Ruggier  che  mastro  ne  divenne, 
per  1'aria,  del  destrier  ch'avea  le  penne. 


CANTO   DECIMO  213 

LXVIII 

Poi  che  Ruggier  fu  d'ogni  cosa  in  punto, 
da  la  fata  gentil  comiato  prese, 
alia  qual  resto  poi  sempre  congiunto 
di  grande  amore;  e  usci  di  quel  paese. 
Prima  di  lui  che  se  n'ando  in  buon  punto, 
e  poi  dir6  come  il  guerriero  inglese 
tornasse  con  piu  tempo  e  piu  fatica 
al  magno  Carlo  et  alia  corte  arnica. 

LXIX 

Quindi  parti  Ruggier,  ma  non  rivenne 
per  quella  via  che  fe'  gia  suo  mal  grado, 
allor  che  sempre  Tippogrifo  il  tenne 
sopra  il  mare,  e  terren  vide  di  rado : 
ma  potendogli  or  far  batter  le  penne 
di  qua  di  la,  dove  piu  gli  era  a  grado, 
volse  al  ritorno  far  nuovo  sentiero, 
come,  schivando  Erode,  i  Magi  fero. 

LXX 

Al  venir  quivi,  era  lasciando  Spagna 
venuto  India  a  trovar  per  dritta  riga, 
la  dove  il  mare  oriental  la  bagna, 
dove  una  fata  avea  con  Taltra  briga. 
Or  veder  si  dispose  altra  campagna, 
che  quella  dove  i  venti  Eolo  instiga, 
e  finir  tutto  il  cominciato  tondo, 
per  aver,  come  il  sol,  girato  il  mondo. 

LXXI 

Quinci  il  Cataio,  e  quindi  Mangiana 
sopra  il  gran  Quinsai  vide  passando: 
volo  sopra  Hmavo,  e  Sericana 
lascio  a  man  destra;  e  sempre  declinando 
da  1'iperborei  Sciti  a  Fonda  ircana, 
giunse  alle  parti  di  Sarmazia:  e  quando 
fu  dove  Asia  da  Europa  si  divide, 
Russi  e  Pruteni  e  la  Pomeria  vide. 


214  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

Ben  che  di  Ruggier  fosse  ogni  desire 
di  ritornare  a  Bradamante  presto; 
pur,  gustato  il  piacer  ch'avea  di  gire 
cercando  il  mondo,  non  resto  per  questo, 
ch'alli  Pollacchi,  agli  Ungari  venire 
non  volesse  anco,  alii  Germani,  e  al  resto 
di  quella  boreale  orrida  terra; 
e  venne  al  fin  ne  Fultima  Inghilterra. 

LXXIII 

Non  crediate,  Signor,  che  per6  stia 
per  si  lungo  camin  sempre  su  Tale: 
ogni  sera  all'albergo  se  ne  gia, 
schivando  a  suo  poter  d'alloggiar  male. 
E  spese  giorni  e  mesi  in  questa  via, 
si  di  veder  la  terra  e  il  mar  gli  cale. 
Or  presso  a  Londra  giunto  una  matina, 
sopra  Tamigi  il  volator  declina. 

LXXIV 

Dove  ne'  prati  alia  citta  vicini 
vide  adunati  uomini  d'arme  e  fanti, 
ch'a  suon  di  trombe  e  a  suon  di  tamburini 
venian,  partiti  a  belle  schiere,  avanti 
il  buon  Rinaldo,  onor  de'  paladini; 
del  qual,  se  vi  ricorda,  io  dissi  inanti, 
che  mandato  da  Carlo,  era  venuto 
in  queste  parti  a  ricercare  aiuto. 

LXXV 

Giunse  a  punto  Ruggier,  che  si  facea 
la  bella  mostra  fuor  di  quella  terra; 
e  per  sapere  il  tutto,  ne  chiedea 
un  cavallier,  ma  scese  prima  in  terra: 
e  quel,  ch'affabil  era,  gli  dicea 
che  di  Scozia  e  d'Irlanda  e  d'Inghilterra 
e  de  Tisole  intorno  eran  le  schiere 
che  quivi  alzate  avean  tante  bandiere: 


CANTO   DECIMO  215 

LXXVI 

e  finita  la  mostra  che  faceano, 
alia  marina  se  distenderanno, 
dove  aspettati  per  solcar  TOceano 
son  dai  navili  che  nel  porto  stanno. 

I  Franceschi  assediati  si  ricreano, 
sperando  in  questi  che  a  salvar  li  vanno. 
—  Ma  acci6  tu  te  n'informi  pienamente, 

10  ti  distinguer6  tutta  la  gente. 

LXXVII 

Tu  vedi  ben  quella  bandiera  grande, 
ch'insieme  pon  la  fiordaligi  e  i  pardi: 
quella  il  gran  capitano  all' aria  spande, 
e  quella  han  da  seguir  gli  altri  stendardi. 

II  suo  nome,  famoso  in  queste  bande, 
e  Leonetto,  il  fior  de  li  gagliardi, 

di  consigHo  e  d'ardire  in  guerra  mastro, 
del  re  nipote,  e  duca  di  Lincastro. 

LXXVIII 

La  prima,  appresso  il  gonfalon  reale, 
che  '1  vento  tremolar  fa  verso  il  monte, 
e  tien  nel  campo  verde  tre  bianche  ale, 
porta  Ricardo,  di  Varvecia  conte. 
Del  duca  di  Glocestra  e  quel  segnale, 
c'ha  duo  corna  di  cervio  e  mezza  fronte. 
Del  duca  di  Chiarenza  e  quella  face : 
quel  arbore  e  del  duca  d'Eborace. 

LXXIX 

Vedi  in  tre  pezzi  una  spezzata  lancia: 
gli  e  '1  gonfalon  del  duca  di  Nortfozia. 
La  fulgure  e  del  buon  conte  di  Cancia; 

11  grifone  e  del  conte  di  Pembrozia. 
II  duca  di  Sufolcia  ha  la  bilancia. 
Vedi  quel  giogo  che  due  serpi  assozia: 
e  del  conte  d'Esenia;  e  la  ghirlanda 

in  campo  azzurro  ha  quel  di  Norbelanda. 


2l6  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

II  conte  d'Arindelia  e  quel  c'ha  messo 
in  mar  quella  barchetta  che  s'affonda. 
Vedi  il  marchese  di  Barclei,  e  appresso 
di  Marchia  il  conte  e  il  conte  di  Ritmonda: 
il  primo  porta  in  bianco  un  monte  fesso, 
1'altro  la  palma,  il  terzo  un  pin  ne  Fonda, 
Quel  di  Dorsezia  e  conte,  e  quel  d'Antona, 
che  1'uno  ha  il  carro,  e  1'altro  la  corona. 

LXXXI 

II  falcon  che  sul  nido  i  vanni  inchina, 
porta  Raimondo,  il  conte  di  Devonia. 
II  giallo  e  negro  ha  quel  di  Vigorina; 
il  can  quel  d'Erbia;  un  orso  quel  d'Osonia. 
La  croce  che  la  vedi  cristallina, 
e  del  ricco  prelato  di  Battonia. 
Vedi  nel  bigio  una  spezzata  sedia: 
e  del  duca  Ariman  di  Sormosedia. 

LXXXII 

Gli  uomini  d'arme  e  gli  arcieri  a  cavallo 
di  quarantaduomila  numer  fanno. 
Sono  duo  tanti,  o  di  cento  non  fallo, 
quelli  ch'a  pie  ne  la  battaglia  vanno. 
Mira  quel  segni,  un  bigio,  un  verde,  un  giallo, 
e  di  nero  e  d'azzur  listato  un  panno: 
Gofredo,  Enrigo,  Ermante  et  Odoardo 
guidan  pedoni,  ognun  col  suo  stendardo. 

LXXXIII 

Duca  di  Bocchingamia  e  quel  dinante; 
Enrigo  ha  la  contea  di  Sarisberia; 
signoreggia  Burgenia  il  vecchio  Ermante; 
quello  Odoardo  e  conte  di  Croisberia. 
Questi  alloggiati  piu  verso  levante 
sono  gl'Inglesi.  Or  volgeti  alPEsperia, 
dove  si  veggion  trentamila  Scotti, 
da  Zerbin,  figlio  del  lor  re,  condotti. 


CANTO    DECIMO  2iy 

LXXXIV 

Vedi  tra  duo  unicorni  il  gran  leone, 
che  la  spada  d'argento  ha  ne  la  zampa: 
quell'e  del  re  di  Scozia  II  gonfalone; 
il  suo  figliol  Zerbino  ivi  s'accampa. 
Non  e  un  si  bello  in  tante  altre  persone: 
Natura  il  fece,  e  poi  roppe  la  stampa. 
Non  e  in  cui  tal  virtu,  tal  grazia  luca, 
o  tal  possanza:  et  e  di  Roscia  duca. 

LXXXV 

Porta  in  azzurro  una  dorata  sbarra 
il  conte  d'Ottonlei  ne  lo  stendardo. 
L'altra  bandiera  &  del  duca  di  Marra, 
che  nel  travaglio  porta  il  leopardo. 
Di  piu  colori  e  di  piu  augei  bizzarra 
mira  1'insegna  d'Alcabrun  gagliardo, 
che  non  e  duca,  conte,  ne  marchese, 
ma  primo  nel  salvatico  paese. 

LXXXVI 

Del  duca  di  Trasfordia  e  quella  insegna, 
dove  e  Paugel  ch'al  son  tien  gli  occhi  franchi. 
Lurcanio  conte,  ch'in  Angoscia  regna, 
porta  quel  tauro  c'ha  duo  veltri  ai  fianchi. 
Vedi  la  il  duca  d'Albania,  che  segna 
il  campo  di  colori  azzurri  e  bianchi. 
Quel  avoltor,  ch'un  drago  verde  lania, 
e  1'insegna  del  conte  di  Boccania. 

LXXXVII 

Signoreggia  Forbesse  il  forte  Armano, 
che  di  bianco  e  di  nero  ha  la  bandiera; 
et  ha  il  conte  d'Erelia  a  destra  mano, 
che  porta  in  campo  verde  una  lumiera. 
Or  guarda  gribernesi  appresso  il  piano: 
sono  duo  squadre;  e  il  conte  duChildera 
mena  la  prima,  e  il  conte  di  Desmonda 
da  fieri  monti  ha  tratta  la  seconda. 


2l8  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

Ne  lo  stendardo  il  primo  ha  un  pino  ardente; 
Paltro  nel  bianco  una  vermiglia  banda. 
Non  da  soccorso  a  Carlo  solamente 
la  terra  inglese  e  la  Scozia  e  Tlrlanda; 
ma  vien  di  Svezia  e  di  Norvegia  gente, 
da  Tile,  e  fin  da  la  remota  Islanda: 
da  ogni  terra,  insomma,  che  la  giace, 
nimica  naturalmente  di  pace. 

LXXXIX 

Sedicimila  sono,  o  poco  manco, 
de  le  spelonche  usciti  e  de  le  selve; 
hanno  piloso  il  viso,  il  petto,  il  fianco, 
e  dossi  e  braccia  e  gambe,  come  belve. 
Intorno  allo  stendardo  tutto  bianco 
par  che  quel  pian  di  lor  lance  s'inselve: 
cosi  Moratto  il  porta,  il  capo  loro, 
per  dipingerlo  poi  di  sangue  Moro.  — 

xc 

Mentre  Ruggier  di  quella  gente  bella, 
che  per  soccorrer  Francia  si  prepara, 
mira  le  varie  insegne  e  ne  favella, 
e  dei  signor  britanni  i  nomi  impara; 
uno  et  un  altro  a  lui,  per  mirar  quella 
bestia  sopra  cui  siede,  unica  o  rara, 
maraviglioso  corre  e  stupefatto; 
e  tosto  il  cerchio  intorno  gli  fu  fatto. 

xci 

Si  che  per  dare  ancor  piu  maraviglia, 
e  per  pigliarne  il  buon  Ruggier  piu  gioco, 
al  volante  corsier  scuote  la  briglia, 
e  con  gli  sproni  ai  fianchi  il  tocca  un  poco: 
quel  verso  il  ciel  per  1'aria  il  camin  piglia, 
e  lascia*  ognuno  attonito  in  quel  loco. 
Quindi  Ruggier,  poi  che  di  banda  in  banda 
vide  gl'Inglesi,  and6  verso  1'Irlanda. 


CANTO    DECIMO  219 

XCII 

E  vide  Ibernia  fabulosa,  dove 
il  santo  vecchiarel  fece  la  cava, 
in  che  tanta  merce  par  che  si  truove, 
che  ruom  vi  purga  ogni  sua  colpa  prava. 
Quindi  poi  sopra  il  mare  il  destrier  muove 
la  dove  la  minor  Bretagna  lava; 
e  nel  passar  vide,  mirando  a  basso, 
Angelica  legata  al  nudo  sasso. 

XCIII 

Al  nudo  sasso,  alPIsola  del  pianto; 

che  Flsola  del  pianto  era  nomata 

quella  che  da  crudele  e  fiera  tanto 

et  inumana  gente  era  abitata, 

che  (come  io  vi  dicea  sopra  nel  canto) 

per  varii  liti  sparsa  iva  in  armata 

tutte  le  belle  donne  depredando, 

per  fame  a  un  mostro  poi  cibo  nefando. 

xciv 

Vi  fa  legata  pur  quella  matina, 
dove  venia  per  trangugiarla  viva 
quel  smisurato  mostro,  orca  marina, 
che  di  aborrevole  esca  si  nutriva. 
Dissi  di  sopra,  come  fu  rapina 
di  quei  che  la  trovaro  in  su  la  riva 
dormire  al  vecchio  incantatore  a  canto, 
ch'ivi  Favea  tirata  per  incanto. 

xcv 

La  fiera  gente  inospitale  e  cruda 
alia  bestia  crudel  nel  lito  espose 
la  bellissima  donna,  cosi  ignuda 
come  Natura  prima  la  compose. 
Un  velo  non  ha  pure,  in  che  richiuda 
i  bianchi  gigli  e  le  vermiglie  rose, 
da  non  cader  per  luglio  o  per  dicembre, 
di  che  son  sparse  le  polite  membre. 


220  ORLANDO   FURIOSO 

XCVI 

Creduto  avria  che  fosse  statua  finta  * 
o  d'alabastro  o  d'altri  marmi  illustri 
Ruggiero,  e  su  lo  scoglio  cosi  avinta 
per  artificio  di  scultori  industri; 
se  non  vedea  la  lacrima  distinta 
tra  fresche  rose  e  candidi  ligustri 
far  rugiadose  le  crudette  pome, 
e  Faura  sventolar  1'aurate  chiome. 

XCVII 

E  come  ne'  begli  occhi  gli  occhi  affisse, 
de  la  sua  Bradamante  gli  sovenne. 
Pietade  e  amore  a  un  tempo  lo  traffisse, 
e  di  piangere  a  pena  si  ritenne; 
e  dolcemente  alia  donzella  disse, 
poi  che  del  suo  destrier  freno  le  penne: 
—  0  donna,  degna  sol  de  la  catena 
con  chi  i  suoi  send  Amor  legati  mena, 

XCVIII 

e  ben  di  questo  e  d'ogni  male  indegna, 
chi  e  quel  crudel  che  con  voler  perverso 
d'importuno  livor  stringendo  segna 
di  quest  e  belle  man  1'avorio  terso  ?  — 
Forza  e  ch'a  quel  parlare  ella  divegna 
quale  e  di  grana  un  bianco  avorio  asperso, 
di  se  vedendo  quelle  parte  ignude, 
ch'ancor  che  belle  sian,  vergogna  chiude. 

xcix 

E  coperto  con  man  s'avrebbe  il  volto, 
se  non  eran  legate  al  duro  sasso; 
ma  del  pianto,  ch'almen  non  1'era  tolto, 

10  sparse,  e  si  sforzo  di  tener  basso. 

E  dopo  alcun'  signozzi  il  parlar  sciolto, 
incomincio  con  fioco  suono  e  lasso: 
ma  non  segui;  che  dentro  il  fe'  restare 

11  gran  rumor  che  si  senti  nel  mare. 


CANTO    DECIMO  221 

C 

Ecco  apparir  lo  smisurato  mostro 
mezzo  ascoso  ne  Fonda  e  mezzo  sorto. 
Come  sospinto  suol  da  borea  o  d'ostro 
venir  lungo  navilio  a  pigliar  porto, 
cosi  ne  viene  al  cibo  che  Pe  mostro 
la  bestia  orrenda;  e  Pintervallo  e  corto. 
La  donna  e  mezza  morta  di  paura; 
ne  per  conforto  altrui  si  rassicura. 

ci 

Tenea  Ruggier  la  lancia  non  in  resta, 
ma  sopra  mano,  e  percoteva  Forca. 
Altro  non  so  che  s'assimigli  a  questa, 
ch'una  gran  massa  che  s'aggiri  e  torca; 
ne  forma  ha  d' animal,  se  non  la  testa, 
c'ha  gli  occhi  e  i  denti  fuor,  come  di  porca, 
Ruggier  in  fronte  la  feria  tra  gli  occhi; 
ma  par  che  un  ferro  o  un  duro  sasso  tocchi. 

en 

Poi  che  la  prima  botta  poco  vale, 
ritorna  per  far  meglio  la  seconda. 
L'orca,  che  vede  sotto  le  grandi  ale 
1'ombra  di  qua  e  di  la  correr  su  Fonda, 
lascia  la  preda  certa  litorale, 
e  quella  vana  segue  furibonda: 
dietro  quella  si  volve  e  si  raggira. 
Ruggier  giu  cala,  e  spessi  colpi  tira. 

cm 

Come  d'alto  venendo  aquila  suole, 
ch'errar  fra  Ferbe  visto  abbia  la  biscia, 
o  che  stia  sopra  un  nudo  sasso  al  sole, 
dove  le  spoglie  d'oro  abbella  e  liscia; 
non  assalir  da  quel  lato  la  vuole 
onde  la  velenosa  e  soffia  e  striscia, 
ma  da  tergo  la  adugna,  e  batte  i  vanni, 
acci6  non  se  le  volga  e  non  la  azzanni: 


222  ORLANDO   FURIOSO 

CIV 

cosi  Ruggier  con  1'asta  e  con  la  spada, 
non  dove  era  dej  denti  armato  il  muso, 
ma  vuol  che  '1  colpo  tra  1'orecchie  cada, 
or  su  le  schene,  or  ne  la  coda  giuso. 
Se  la  fera  si  volta,  ei  muta  strada, 
et  a  tempo  giu  cala,  e  poggia  in  suso : 
ma  come  sempre  giunga  in  un  diaspro, 
non  puo  tagliar  lo  scoglio  duro  et  aspro. 

cv 

Simil  battaglia  fa  la  mosca  audace 
contra  il  mastin  nel  polveroso  agosto, 
o  nel  mese  dinanzi  o  nel  seguace, 
Funo  di  spiche  e  Faltro  pien  di  mosto: 
negli  occhi  il  punge  e  nel  grifo  mordace, 
volagli  intorno  e  gli  sta  sempre  accosto; 
e  quel  suonar  fa  spesso  il  dente  asciutto: 
ma  un  tratto  che  gli  arrivi,  appaga  il  tutto. 

cvi 

Si  forte  ella  nel  mar  batte  la  coda, 
che  fa  vicino  al  ciel  Facqua  inalzare; 
tal  che  non  sa  se  Tale  in  aria  snoda, 
o  pur  se  *1  suo  destrier  nuota  nel  mare. 
Gli  e  spesso  che  disia  trovarsi  a  proda; 
che  se  lo  sprazzo  in  tal  mo  do  ha  a  durare, 
teme  si  Tale  inaffi  alFippogrifo, 
che  brami  invano  avere  o  zucca  o  schifo. 

cvn 

Prese  nuovo  consiglio,  e  fu  il  migliore, 
di  vincer  con  altre  arme  il  mostro  crudo : 
abbarbagliar  lo  vuol  con  lo  splendore 
ch'era  incantato  nel  coperto  scudo. 
Vola  nel  lito;  e  per  non  fare  errore, 
alia  donna  legata  al  sasso  nudo 
lascia  nel  minor  dito  de  la  mano 
Fannel,  che  potea  far  Fincanto  vano : 


CANTO   DECIMO  22$ 

CVIII 

dico  Pannel  che  Bradamante  avea 
per  liberar  Ruggier  tolto  a  Brunello, 
poi  per  trarlo  di  man  d'Alcina  rea, 
mandate  in  India  per  Melissa  a  quello. 
Melissa  (come  dianzi  io  vi  dicea) 
in  ben  di  molti  adoper6  1'annello ; 
indi  Tavea  a  Ruggier  restituito, 
dal  qual  poi  sempre  fu  portato  in  dito. 

cix 

Lo  da  ad  Angelica  era,  perche  teme 
che  del  suo  scudo  il  fulgurar  non  viete, 
e  perche  a  lei  ne  sien  difesi  insieme 
gli  occhi  che  gia  Pavean  preso  alia  rete. 
Or  viene  al  lito  e  sotto  il  ventre  preme 
ben  mezzo  il  mar  la  smisurata  cete. 
Sta  Ruggiero  alia  posta,  e  lieva  il  velo ; 
e  par  ch'aggiunga  un  altro  sole  al  cielo. 

ex 

Feri  negli  occhi  Pincantato  lume 
di  quella  fera,  e  fece  al  mo  do  usato. 
Quale  o  trota  o  scaglion  va  giu  pel  flume 
c'ha  con  calcina  il  montanar  turbato, 
tal  si  vedea  ne  le  marine  schiume 
il  mostro  orribilmente  riversciato. 
Di  qua  di  la  Ruggier  percuote  assai, 
ma  di  ferirlo  via  non  truova  mai. 

CXI 

La  bella  donna  tuttavolta  priega 
ch'invan  la  dura  squama  oltre  non  pesti. 
—  Torna,  per  Dio,  signor;  prima  mi  slega  — 
dicea  piangendo  —  che  Porca  si  desti: 
portami  teco  e  in  mezzo  il  mar  mi  anniega; 
non  far  ch'in  ventre  al  brutto  pesce  io  resti.  — 
Ruggier,  commosso  dunque  al  giusto  grido, 
slego  la  donna,  e  la  levo  dal  lido. 


224  ORLANDO   FURIOSO 

CXII 

II  destrier  punto,  ponta  i  pie  all' arena 
e  sbalza  in  aria,  e  per  lo  ciel  galoppa; 
e  porta  il  cavalliero  in  su  la  schena, 
e  la  donzella  dietro  in  su  la  groppa. 
Cosi  privo  la  fera  de  la  cena 
per  lei  soave  e  delicata  troppa. 
Ruggier  si  va  volgendo,  e  mille  baci 
figge  nel  petto  e  negli  occhi  vivaci. 

CXIII 

Non  piu  tenne  la  via,  come  propose 
prima,  di  circundar  tutta  la  Spagna; 
ma  nel  propinquo  lito  il  destrier  pose, 
dove  entra  in  mar  piu  la  minor  Bretagna. 
Sul  lito  un  bosco  era  di  querce  ombrose, 
dove  ognor  par  che  Filomena  piagna, 
ch'in  mezzo  avea  un  pratel  con  una  fonte, 
e  quinci  e  quindi  un  solitario  monte. 

cxiv 

Quivi  il  bramoso  cavallier  ritenne 
1'audace  corso,  e  nel  pratel  discese; 
e  fej  raccorre  al  suo  destrier  le  penne, 
ma  non  a  tal  che  piu  le  avea  distese. 
Del  destrier  sceso,  a  pena  si  ritenne 
di  salir  altri;  ma  tennel  Tarnese: 
1'arnese  il  tenne,  che  bisogn6  trarre, 
e  contra  il  suo  disir  messe  le  sbarre. 

cxv 

Frettoloso,  or  da  questo  or  da  quel  canto 
confusamente  Farme  si  levava. 
Non  gli  parve  altra  volt  a  mai  star  tanto; 
che  s'un  laccio  sciogliea,  dui  n'annodava. 
Ma  troppo  e  lungo  ormai,  Signor,  il  canto, 
e  forse  ch'anco  Tascoltar  vi  grava: 
si  ch'io  differiro  1'istoria  mia 
in  altro  tempo  che  piu  grata  sia. 


CANTO    UNDECIMO  225 


CANTO   UNDECIMO 


I 

Quantunque  debil  freno  a  mezzo  il  corso 
animoso  destrier  spesso  raccolga, 
raro  e  per6  che  di  ragione  il  morso 
libidinosa  furia  a  dietro  volga, 
quando  il  piacere  ha  in  pronto;  a  guisa  d'orso 
che  dal  mel  non  si  tosto  si  distolga, 
poi  che  gli  n'e  venuto  odore  al  naso, 
o  qualche  stilla  ne  gusto  sul  vaso. 

ii 

Qual  raggion  fia  che  'I  buon  Ruggier  raffrene, 
si  che  non  vogfia  ora  pigliar  diletto 
d' Angelica  gentil  che  nuda  tiene 
nel  solitario  e  commodo  boschetto? 
Di  Bradamante  piu  non  gli  soviene, 
che  tanto  aver  solea  fissa  nel  petto: 
e  se  gli  ne  sovien  pur  come  prima, 
pazzo  e  se  questa  ancor  non  prezza  e  stima; 

in 

con  la  qual  non  saria  stato  quel  crudo 
Zenocrate  di  lui  piu  continente. 
Gittato  avea  Ruggier  Pasta  e  lo  scudo, 
e  si  traea  Taltre  arme  impaziente; 
quando  abbassando  pel  bel  corpo  ignudo 
la  donna  gli  occhi  vergognosamente, 
si  vide  in  dito  il  prezioso  annello 
che  gia  le  tolse  ad  Albracca  Brunello. 


226  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

Questo  e  1'annel  ch'ella  porto  gia  in  Francia 

la  prima  volta  che  fe'  quel  camino 

col  fratel  suo,  che  v'arreco  la  lancia, 

la  qual  fu  poi  d'Astolfo  paladino. 

Con  questo  fe'  gFincanti  uscire  in  ciancia 

di  Malagigi  al  petron  di  Merlino; 

con  questo  Orlando  et  altri  una  matina 

tolse  di  servitu  di  Dragontina; 

v 

con  questo  usci  invisibil  de  la  torre 
dove  Tavea  richiusa  un  vecchio  no. 
A  che  voglio  io  tutte  sue  prove  acc6rre, 
se  le  sapete  voi  cosi  come  io  ? 
Brunei  sin  nel  giron  lei  venne  a  torre'; 
ch'Agramante  d'averlo  ebbe  disio. 
Da  indi  in  qua  sempre  Fortuna  a  sdegno 
ebbe  costei,  fin  che  le  tolse  il  regno. 

VI 

Or  che  sel  vede,  come  ho  detto,  in  mano, 

si  di  stupore  e  d'allegrezza  e  piena, 

che  quasi  dubbia  di  sognarsi  invano, 

agli  occhi,  alia  man  sua  da  fede  a  pena. 

Del  dito  se  Io  leva,  e  a  mano  a  mano 

sel  chiude  in  bocca;  e  in  men  che  non  balena, 

cosi  dagli  occhi  di  Ruggier  si  cela, 

come  fa  il  sol  quando  la  nube  il  vela. 

VII 

Ruggier  pur  d'ogn'intorno  riguardava, 
e  s'aggirava  a  cerco  come  un  matto; 
ma  poi  che  de  1'annel  si  ricordava, 
scornato  vi  rimase  e  stupefatto; 
e  la  sua  inawertenza  bestemiava, 
e  la  donna  accusava  di  quello  atto 
ingrato  e  discortese,  che  renduto 
in  ricompensa  gli  era  del  suo  aiuto. 


CANTO    UNDECIMO  227 

VIII 

—  Ingrata  damigella,  e  questo  quello 
guiderdone  —  dicea  —  che  tu  mi  rendi  ? 
che  piu  tosto  involar  vogli  1'annello, 
ch'averlo  in  don.  Perche  da  me  nol  prendi? 
Non  pur  quel,  ma  lo  scudo  e  il  destrier  snello 
e  me  ti  dono,  e  come  vuoi  mi  spendi; 
sol  che  '1  bel  viso  tuo  non  mi  nascondi. 
lo  so,  crudel,  che  m'odi,  e  non  rispondi.  — 

IX 

Cosi  dicendo,  intorno  alia  fontana 
brancolando  n'andava  come  cieco. 
Oh  quant  e  volte  abbraccio  Taria  vana, 
sperando  la  donzella  abbracciar  seco! 
Quella,  che  s'era  gia  fatta  lontana, 
mai  non  cesso  d'andar,  che  giunse  a  un  speco 
che  sotto  un  monte  era  capace  e  grande, 
dove  al  bisogno  suo  trov6  vivande. 


Quivi  un  vecchio  pastor,  che  di  cavalle 
un  grande  armento  avea,  facea  soggiorno. 
Le  iumente  pascean  giu  per  la  valle 
le  ten  ere  erbe  ai  freschi  rivi  intorno. 
Di  qua  di  la  da  Pantro  erano  stalle, 
dove  fuggiano  il  sol  del  mezzo  giorno. 
Angelica  quel  di  lunga  dimora 
la  dentro  fece,  e  non  fu  vista  ancora. 

XI 

E  circa  il  vespro,  poi  che  rifrescossi, 
e  le  fu  aviso  esser  posata  assai, 
in  certi  drappi  rozzi  aviluppossi, 
dissimil  troppo  ai  portamenti  gai, 
che  verdi,  gialli,  persi,  azzurri  e  rossi 
ebbe,  e  di  quante  foggie  furon  mai. 
Non  le  puo  tor  pero  tanto  umil  gonna, 
che  bella  non  rassembri  e  nobil  donna. 


228  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Taccia  chi  loda  Fillide,  o  Neera, 
o  Amarilli,  o  Galatea  fugace; 
che  d'esse  alcuna  si  bella  non  era, 
Titiro  e  Melibeo,  con  vostra  pace. 
La  bella  donna  tra'  fuor  de  la  schiera 
de  le  iumente  una  che  piu  le  place. 
Allora  allora  se  le  fece  inante 
un  pensier  di  tornarsene  in  Levante. 

XIII 

Ruggiero  intanto,  poi  ch'ebbe  gran  pezzo 
indarno  atteso  s'ella  si  scopriva, 
e  che  s'avide  del  suo  error  da  sezzo, 
che  non  era  vicina  e  non  1'udiva; 
dove  lasciato  avea  il  cavallo,  avezzo 
in  cielo  e  in  terra,  a  rimontar  veniva: 
e  ritrov6  che  s'avea  tratto  il  morso, 
e  salia  in  aria  a  piu  libero  corso. 

XIV 

Fu  grave  e  mala  aggiunta  all'altro  danno 
vedersi  anco  restar  senza  Faugello. 
Questo,  non  men  che  '1  feminile  inganno, 
gli  preme  al  cor;  ma  piu  che  questo  e  quello, 
gli  preme  e  fa  sentir  noioso  aflanno 
1'aver  perduto  il  prezioso  annello; 
per  le  virtu  non  tanto  ch'in  lui  sono, 
quanto  che  fu  de  la  sua  donna  dono. 

xv 

Oltremodo  dolente  si  ripose 
indosso  1'arme,  e  lo  scudo  alle  spalle; 
dal  mar  slungossi,  e  per  le  piaggie  erbose 
prese  il  camin  verso  una  larga  valle, 
dove  per  mezzo  all'alte  selve  ombrose 
vide  il  piu  largo  e  '1  piu  segnato  calle. 
Non  molto  va,  ch'a  destra,  ove  piu  folta 
e  quella  selva,  un  gran  strepito  ascolta. 


CANTO    UNDECIMO  229 

XVI 

Strepito  ascolta  e  spaventevol  suono 
d'arme  percosse  insieme;  onde  s'affretta 
tra  pianta  e  pianta,  e  truova  dui  che  sono 
a  gran  battaglia  in  poca  piazza  e  stretta. 
Non  s'hanno  alcun  riguardo  ne  perdono, 
per  far,  non  so  di  che,  dura  vendetta. 
L'uno  e  gigante,  alia  sembianza  fiero ; 
ardito  Paltro  e  franco  cavalliero. 

XVII 

E  questo  con  lo  scudo  e  con  la  spada, 

di  qua  di  la  saltando,  si  difende, 

perche  la  mazza  sopra  non  gli  cada, 

con  che  il  gigante  a  due  man  sempre  offende. 

Giace  morto  il  cavallo  in  su  la  strada. 

Ruggier  si  ferma,  e  alia  battaglia  attende; 

e  tosto  inchina  1'animo,  e  disia 

che  vincitore  il  cavallier  ne  sia. 

XVIII 

Non  che  per  questo  gli  dia  alcuno  aiuto; 
ma  si  tira  da  parte,  e  sta  a  vedere. 
Ecco  col  baston  grave  il  piu  membruto 
sopra  Pelmo  a  due  man  del  minor  fere. 
De  la  percossa  e  il  cavallier  caduto: 
Taltro,  che  '1  vide  attonito  giacere, 
per  dargli  morte  Telmo  gli  dislaccia; 
e  fa  si  che  Ruggier  lo  vede  in  faccia. 

XIX 

Vede  Ruggier  de  la  sua  dolce  e  bella 
e  carissima  donna  Bradamante 
scoperto  il  viso;  e  lei  vede  esser  quella 
a  cui  dar  morte  vuol  Tempio  gigante: 
si  che  a  battaglia  subito  Tappella, 
e  con  la  spada  nuda  si  fa  inante; 
ma  quel,  che  nuova  pugna  non  attende, 
la  donna  tramortita  in  braccio  prende; 


230  ORLANDO   FURIOSO 


e  se  Parreca  in  spalla,  e  via  la  porta, 
come  lupo  talor  piccolo  agnello, 
o  Faquila  portar  ne  Pugna  torta 
suole  o  Colombo  o  simile  altro  augello. 
Vede  Ruggier  quanto  il  suo  aiuto  importa, 
e  vien  correndo  a  piu  poter;  ma  quello 
con  tanta  fretta  i  lunghi  passi  mena, 
che  con  gli  occhi  Ruggier  lo  segue  a  pena. 

XXI 

Cosi  correndo  Funo,  e  seguitando 

P  altro,  per  un  sentiero  ombroso  e  fosco, 

che  sempre  si  venia  piu  dilatando, 

in  un  gran  prato  uscir  fuor  di  quel  bosco. 

Non  piu  di  questo;  ch'io  ritorno  a  Orlando, 

che  '1  fulgur  che  porto  gia  il  re  Cimosco 

avea  gittato  in  mar  nel  maggior  fondo, 

accio  mai  piu  non  si  trovasse  al  mondo. 

XXII 

Ma  poco  ci  giovo:  che  '1  nimico  empio 
de  Fumana  natura,  il  qual  del  telo 
fu  Finventor,  ch'ebbe  da  quel  Fesempio, 
ch'apre  le  nubi  e  in  terra  vien  dal  cielo; 
con  quasi  non  minor  di  quello  scempio 
che  ci  die  quando  Eva  ingann6  col  melo, 

10  fece  ritrovar  da  un  negromante, 

al  tempo  de'  nostri  avi,  o  poco  inante. 

XXIII 

La  machina  infernal,  di  piu  di  cento 
passi  d'acqua  ove  ste  ascosa  molt'anni, 
al  sommo  tratta  per  incantamento, 
prima  portata  fu  tra  gli  Alamanni; 

11  quali  uno  et  un  altro  esperimento 
facendone,  e  il  demonio  a'  nostri  danni 
assutigliando  lor  via  piu  la  mente, 

ne  ritrovaro  Fuso  finalmente. 


CANTO    UNDECIMO  231 

XXIV 

Italia  e  Francia,  e  tutte  Taltre  bande 

del  mondo  han  poi  la  cm  dele  arte  appresa. 

Alcuno  il  bronzo  in  cave  forme  spande, 

che  liquefatto  ha  la  fornace  accesa; 

bugia  altri  il  ferro;  e  chi  picciol,  chi  grande 

il  vaso  forma,  che  piu  e  meno  pesa: 

e  qual  bombarda  e  qual  nomina  scoppio, 

qual  semplice  cannon,  qual  cannon  doppio; 

xxv 

qual  sagra,  qual  falcon,  qual  colubrina 
sento  nomar,  come  al  suo  autor  piu  agrada; 
che  '1  ferro  spezza,  e  i  marmi  apre  e  ruina, 
e  ovunque  passa  si  fa  dar  la  strada. 
Rendi,  miser  soldato,  alia  fucina 
pur  tutte  Tarme  c'hai,  fin  alia  spada; 
e  in  spalla  un  scoppio  o  un  arcobugio  prendi; 
che  senza,  io  so,  non  toccherai  stipendi. 

XXVI 

Come  trovasti,  o  scelerata  e  brutta 
invenzion,  mai  loco  in  uman  core  ? 
Per  te  la  militar  gloria  e  distrutta, 
per  te  il  mestier  de  Tarrne  e  senza  onore; 
per  te  e  il  valore  e  la  virtu  ridutta, 
che  spesso  par  del  buono  il  rio  migliore: 
non  piu  la  gagliardia,  non  piu  Par  dire 
per  te  pu6  in  campo  al  paragon  venire. 

XXVII 

Per  te  son  giti  et  anderan  sotterra 
tanti  signori  e  cavallieri  tanti, 
prima  che  sia  finita  questa  guerra, 
che  Jl  mondo,  ma  piu  Italia  ha  messo  in  pianti; 
che  s'io  v'ho  detto,  il  detto  mlo  non  erra, 
che  ben  fu  il  piu  crudele  e  il  piu  di  quanti 
mai  furo  al  mondo  ingegni  empii  e  maligni, 
ch'imagino  si  abominosi  ordigni. 


232  ORLANDO  FURIOSO 

XXVIII 

E  credere  che  Dio,  perche  vendetta 
ne  sia  in  eterno,  nel  profondo  chiuda 
del  cieco  abisso  quella  maladetta 
anima,  appresso  al  maladetto  Giuda. 
Ma  seguitiamo  il  cavallier  ch'in  fretta 
brama  trovarsi  all'isola  d'Ebuda, 
dove  le  belle  donne  e  delicate 
son  per  vivanda  a  un  marin  mostro  date. 

XXIX 

Ma  quanto  avea  piu  fretta  il  paladino, 
tanto  parea  che  men  1'avesse  il  vento. 
Spiri  o  dal  lato  destro  o  dal  mancino, 
o  ne  le  poppe,  sempre  e  cosi  lento, 
che  si  pu6  far  con  lui  poco  camino; 
e  rimanea  talvolta  in  tutto  spento : 
soffia  talor  si  averso,  che  gli  e  forza 
o  di  tornare,  o  d'ir  girando  alPorza. 

xxx 

Fu  volonta  di  Dio  che  non  venisse 
prima  che  '1  re  d'Ibernia  in  quella  parte, 
accio  con  piu  facilita  seguisse 
quel  ch'udir  vi  faro  fra  poche  carte. 
Sopra  Fisola  sorti,  Orlando  disse 
al  suo  nochiero :  —  Or  qui  potrai  fermarte, 
e  '1  battel  darmi;  che  portar  mi  voglio 
senz'altra  compagnia  sopra  lo  scoglio. 

XXXI 

E  voglio  la  maggior  gomona  meco, 
e  Tancora  maggior  ch'abbi  sul  legno : 
io  ti  faro  veder  perche  Farreco, 
se  con  quel  mostro  ad  affrontar  mi  vegno.  - 
Gittar  fe'  in  mare  il  palischermo  seco, 
con  tutto  quel  ch'era  atto  al  suo  disegno. 
Tutte  Parme  lascio,  fuor  che  la  spada; 
e  ver  lo  scoglio  sol  prese  la  strada. 


CANTO    UNDECIMO  233 

XXXII 

Si  tira  i  remi  al  petto,  e  tien  le  spalle 
volte  alia  parte  ove  discender  vuole; 
a  guisa  che  del  mare  o  de  la  valle 
uscendo  al  lito,  il  salso  granchio  suole. 
Era  ne  Fora  che  le  chiome  gialle 
la  bella  Aurora  avea  spiegate  al  Sole, 
mezzo  scoperto  ancora  e  mezzo  ascoso, 
non  senza  sdegno  di  Titon  geloso. 

XXXIII 

Fattosi  appresso  al  nudo  scoglio,  quanto 

potria  gagliarda  man  gittare  un  sasso, 

gli  pare  udire  e  non  udire  un  pianto ; 

si  alForecchie  gli  vien  debole  e  lasso. 

Tutto  si  volta  sul  sinistro  canto; 

e  posto  gli  occhi  appresso  all'onde  al  basso, 

vede  una  donna,  nuda  come  nacque, 

legata  a  un  tronco;  e  i  pie  le  bagnan  Pacque. 

xxxiv 

Perche  gli  e  ancor  lontana,  e  perche  china 
la  faccia  tien,  non  ben  chi  sia  discerne. 
Tira  in  fretta  ambi  i  remi,  e  s'avicina 
con  gran  disio  di  piu  notizia  averne. 
Ma  muggiar  sente  in  questo  la  marina, 
e  rimbombar  le  selve  e  le  caverne : 
gonfiansi  Ponde;  et  ecco  il  mostro  appare, 
che  sotto  il  petto  ha  quasi  ascoso  il  mare. 

xxxv 

Come  d'oscura  valle  umida  ascende 
nube  di  pioggia  e  di  tempesta  pregna, 
che  piu  che  cieca  notte  si  distende 
per  tutto  '1  mondo,  e  par  che  Jl  giorno  spegna; 
cosi  nuota  la  fera,  e  del  mar  prende 
tanto,  che  si  puo  dir  che  tutto  il  tegna: 
fremono  Fonde.  Orlando  in  se  raccolto, 
la  mira  altier,  ne  cangia  cor  ne  volto. 


234  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

E  come  quel  ch'avea  il  pensier  ben  fermo 
di  quanto  volea  far,  si  mosse  ratto; 
e  perche  alia  donzella  essere  schermo, 
e  la  fera  assalir  potesse  a  un  tratto, 
entro  fra  Porca  e  lei  col  palischermo, 
nel  fodero  lasciando  il  brando  piatto: 
Pancora  con  la  gomona  in  man  prese; 
poi  con  gran  cor  Porribil  mostro  attese. 

XXXVII 

Tosto  che  Porca  s'accost6,  e  scoperse 
nel  schifo  Orlando  con  poco  intervallo, 
per  inghiottirlo  tanta  bocca  aperse, 
ch'entrato  un  uomo  vi  saria  a  cavallo. 
Si  spinse  Orlando  inanzi,  e  se  gPimmerse 
con  quella  ancora  in  gola,  e  s'io  non  fallo 
col  battello  anco;  e  Pancora  attaccolle 
e  nel  palato  e  ne  la  lingua  molle: 

XXXVIII 

si  che  ne  'piu  si  puon  calar  di  sopra, 
ne  alzar  di  sotto  le  mascelle  orrende. 
Cosi  chi  ne  le  mine  il  ferro  adopra, 
la  terra,  ovunque  si  fa  via,  suspende, 
che  subita  ruina  non  lo  cuopra, 
mentre  malcauto  al  suo  lavoro  intende. 
Da  un  amo  alPaltro  Pancora  e  tanto  alta, 
che  non  v'arriva  Orlando,  se  non  salta. 

XXXIX 

Messo  il  puntello,  e  fattosi  sicuro 
che  '1  mostro  piu  serrar  non  pu6  la  bocca, 
stringe  la  spada,  e  per  quel  antro  oscuro 
di  qua  e  di  la  con  tagli  e  punte  tocca. 
Come  si  puo,  poi  che  son  dentro  al  muro 
giunti  i  nimici,  ben  difender  r6cca; 
cosi  difender  Porca  si  potea 
dal  paladin  che  ne  la  gola  avea. 


CANTO    UNDECIMO  235 

XL 

Dal  dolor  vinta,  or  sopra  il  mar  si  lancia, 
e  mostra  i  fianchi  e  le  scagliose  schene; 
or  dentro  vi  s'attufa,  e  con  la  pancia 
muove  dal  fondo  e  fa  salir  Farene. 
Sentendo  Facqua  il  cavallier  di  Francia, 
che  troppo  abonda,  a  nuoto  fuor  ne  viene : 
lascia  Fancora  fitta,  e  in  mano  prende 
la  fime  che  da  Fancora  depende. 

XLI 

E  con  quella  ne  vien  nuotando  in  fretta 
verso  lo  scoglio;  ove  fermato  il  piede, 
tira  Fancora  a  se,  ch'in  bocca  stretta 
con  le  due  punte  il  brutto  mostro  fiede. 
L'orca  a  seguire  il  canape  e  constretta 
da  quella  forza  ch'ogni  forza  eccede, 
da  quella  forza  che  piu  in  una  scossa 
tira,  ch'in  died  un  argano  far  possa. 

XLII 

Come  toro  salvatico  ch'al  corno 
gittar  si  senta  un  improviso  laccio, 
salta  di  qua  di  la,  s'aggira  intorno, 
si  colca  e  lieva,  e  non  pu6  uscir  d'impaccio; 
cosi  fuor  del  suo  antico  almo  soggiorno 
Forca  tratta  per  forza  di  quel  braccio, 
con  mille  guizzi  e  mille  strane  ruote 
segue  la  fune,  e  scior  non  se  ne  puote. 

XLIII 

Di  bocca  il  sangue  in  tanta  copia  fonde, 
che  questo  oggi  il  mar  Rosso  si  pu6  dire, 
dove  in  tal  guisa  ella  percuote  Fonde, 
ch'insino  al  fondo  le  vedreste  aprire; 
et  or  ne  bagna  il  cielo,  e  il  lume  asconde 
del  chiaro  sol:  tanto  le  fa  salire. 
Rimbombano  al  rumor  ch'intorno  s'ode, 
le  selve,  i  monti  e  le  lontane  prode. 


236  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Fuor  de  la  grotta  il  vecchio  Proteo,  quando 
ode  tanto  rumor,  sopra  il  mare  esce; 
e  visto  entrare  e  uscir  de  1'orca  Orlando, 
e  al  lito  trar  si  smisurato  pesce, 
fugge  per  Palto  occeano,  obliando 
lo  sparse  gregge:  e  si  il  tumulto  cresce, 
che  fatto  al  carro  i  suoi  delfini  porre, 
quel  di  Nettunno  in  Etiopia  corre. 

XLV 

Con  Melicerta  in  collo  Ino  piangendo, 
e  le  Nereide  coi  capelli  sparsi, 
Glauci  e  Tritoni  e  gli  altri,  non  sappiendo 
dove,  chi  qua  chi  la  van  per  salvarsi. 
Orlando  al  lito  trasse  il  pesce  orrendo, 
col  qual  non  bisogno  piu  affaticarsi; 
che  pel  travaglio  e  per  1'avuta  pena, 
prima  mori  che  fosse  in  su  P  arena. 

XL  VI 

De  Tisola  non  pochi  erano  corsi 
a  riguardar  quella  battaglia  strana; 
i  quai  da  vana  religion  rimorsi, 
cosi  sant'opra  riputar  profana: 
e  dicean  che  sarebbe  un  nuovo  torsi 
Proteo  nimico,  e  attizzar  Pira  insana, 
da  farli  porre  il  marin  gregge  in  terra, 
e  tutta  rinovar  Pantica  guerra; 

XL  VII 

e  che  meglio  sara  di  chieder  pace 
prima  alPoffeso  dio,  che  peggio  accada; 
e  questo  si  fara,  quando  Paudace 
gittato  in  mare  a  placar  Proteo  vada. 
Come  da  fuoco  Tuna  a  Paltra  face, 
e  tosto  alluma  tutta  una  contrada, 
cosi  d'un  cor  ne  Paltro  si  difonde 
Pira  ch'Orlando  vuol  gittar  ne  Ponde. 


CANTO    UNDECIMO  237 

XLVIII 

Chi  d'una  fromba  e  chi  d'un  arco  armato, 
chi  d'asta,  chi  di  spada,  al  lito  scende; 
e  dinanzi  e  di  dietro  e  d'ogni  lato, 
lontano  e  appresso,  a  piu  poter  Toffende. 
Di  si  bestiale  insulto  e  troppo  ingrato 
gran  meraviglia  il  paladin  si  prende : 
pel  mostro  ucciso  ingiuria  far  si  vede, 
dove  aver  ne  spero  gloria  e  mercede. 

XLIX 

Ma  come  Torso  suol,  che  per  le  fiere 
menato  sia  da  Rusci  o  da  Lituani, 
passando  per  la  via,  poco  temere 
Timportuno  abbaiar  di  picciol  cani, 
che  pur  non  se  li  degna  di  vedere; 
cosi  poco  temea  di  quei  villani 
il  paladin,  che  con  un  soffio  solo 
ne  potra  fracassar  tutto  lo  stuolo. 


E  ben  si  fece  far  subito  piazza 
che  lor  si  volse,  e  Durindana  prese. 
S'avea  creduto  quella  gente  pazza 
che  le  dovesse  far  poche  contese, 
quando  ne  indosso  gli  vedea  corazza, 
ne  scudo  in  braccio,  ne  alcun  altro  arnese; 
ma  non  sapea  che  dal  capo  alle  piante 
dura  la  pelle  avea  piu  che  diamante. 

LI 

Quel  che  d' Orlando  agli  altri  far  non  lece, 
di  far  degli  altri  a  lui  gia  non  e  tolto. 
Trenta  n'uccise,  e  furo  in  tutto  diece 
botte,  o  se  piu,  non  le  passo  di  molto. 
Tosto  intorno  sgombrar  F  arena  fece; 
e  per  slegar  la  donna  era  gia  volto, 
quando  nuovo  tumulto  e  nuovo  grido 
fe'  risuonar  da  un'altra  parte  il  lido. 


238  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

Mentre  avea  il  paladin  da  questa  banda 
.    cosi  tenuto  i  barbari  impediti, 
eran  senza  contrasto  quei  d'Irlanda 
da  piu  parte  ne  Tisola  saliti; 
e  spenta  ogni  pieta,  strage  nefanda 
di  quel  popul  facean  per  tutti  i  liti : 
fosse  iustizia,  o  fosse  crudeltade, 
ne  sesso  riguardavano  ne  etade. 

LIII 

Nessun  ripar  fan  gl'isolani,  o  poco: 
parte,  ch'accolti  son  troppo  improviso, 
parte,  che  poca  gente  ha  il  picciol  loco, 
e  quella  poca  e  di  nessuno  aviso. 
L'aver  fu  messo  a  sacco;  messo  fuoco 
fu  ne  le  case;  il  populo  fu  ucciso; 
le  mura  fur  tutte  adeguate  al  suolo: 
non  fu  lasciato  vivo  un  capo  solo. 

LIV 

Orlando,  come  gli  appertenga  nulla 
1'alto  rumor,  le  stride  e  la  ruin  a, 
viene  a  colei  che  su  la  pietra  brulla 
avea  da  divorar  Porca  marina. 
Guarda,  e  gli  par  conoscer  la  fanciulla; 
e  piu  gli  pare,  e  piu  che  s'avicina: 
gli  pare  Olimpia;  et  era  Olimpia  certo, 
che  di  sua  fede  ebbe  si  iniquo  merto. 

LV 

Misera  Olimpia!  a  cui  dopo  lo  scorno 
che  gli  fe}  Amore,  anco  Fortuna  cruda 
mando  i  corsari  (e  fu  il  medesmo  giorno), 
che  la  portaro  all'isola  d'Ebuda. 
Riconosce  ella  Orlando  nel  ritorno 
che  fa  allo  scoglio:  ma  perch'ella  e  nuda, 
tien  basso  il  capo;  e  non  che  non  gli  parli, 
ma  gli  occhi  non  ardisce  al  viso  alzarli. 


CANTO    UNDECIMO  239 

LVI 

Orlando  domand6  ch'iniqua  sorte 

Tavesse  fatta  all'isola  venire 

di  la  dove  lasciata  col  consorte 

lieta  1'avea  quanto  si  pu6  piu  dire. 

—  Non  so  —  disse  —  ella  s'io  v'ho,  che  la  morte 

voi  mi  schivaste,  grazie  a  riferire, 

o  da  dolermi  che  per  voi  non  sia 

oggi  finita  la  miseria  mia. 

LVII 

lo  v'ho  da  ringraziar  ch'una  maniera 
di  morir  mi  schivaste  troppo  enorme; 
che  troppo  saria  enorme,  se  la  fera 
nel  brutto  ventre  avesse  avuto  a  porme. 
Ma  gia  non  vi  ringrazio  ch'io  non  pera; 
che  morte  sol  pu6  di  miseria  tonne: 
ben  vi  ringrazier6,  se  da  voi  darmi 
quella  vedr6  che  d'ogni  duol  pu6  trarmi.  — 

LVIII 

Poi  con  gran  pianto  seguit6,  dicendo 
come  lo  sposo  suo  Pavea  tradita; 
che  la  Iasci6  su  Tisola  dormendo, 
donde  ella  poi  fu  dai  corsar  rapita. 
E  mentre  ella  parlava,  rivolgendo 
s'andava  in  quella  guisa  che  scolpita 
o  dipinta  e  Diana  ne  la  fonte, 
che  getta  1'acqua  ad  Ateone  in  fronte; 

LIX 

che,  quanto  puo,  nasconde  il  petto  e  '1  ventre, 
piu  liberal  dei  fianchi  e  de  le  rene. 
Brama  Orlando  ch'in  porto  il  suo  legno  entre; 
che  lei,  che  sciolta  avea  da  le  catene, 
vorria  coprir  d'alcuna  veste.  Or  mentre 
ch'a  questo  e  intento,  Oberto  sopraviene, 
Oberto  il  re  d'Ibernia,  ch'avea  inteso 
che  '1  matin  mostro  era  sul  lito  steso; 


240  ORLANDO    FURIOSO 

LX 

e  che  nuotando  un  cavallier  era  ito 
a  porgli  in  gola  un'ancora  assai  grave; 
e  che  1'avea  cosi  tlrato  al  lito, 
come  si  suol  tirar  contr'acqua  nave. 
Oberto,  per  veder  se  riferito 
colui  da  chi  1'ha  inteso,  il  vero  gli  have, 
se  ne  vien  quivi;  e  la  sua  gente  intanto 
arde  e  distrugge  Ebuda  in  ogni  canto. 

LXI 

II  re  d'Ibernia,  ancor  che  fosse  Orlando 
di  sangue  tinto,  e  d'acqua  molle,  e  brutto, 
brutto  del  sangue  che  si  trasse  quando 
usci  de  Torca  in  ch'era  entrato  tutto, 
pel  conte  I'and6  pur  raffigurando ; 
tanto  piu  che  ne  Fanimo  avea  indutto, 
tosto  che  del  valor  senti  la  nuova, 
ch'altri  ch' Orlando  non  faria  tal  pruova. 

LXII 

Lo  conoscea,  perch* era  stato  infante 
d'onore  in  Francia,  e  se  n'era  partito 
per  pigliar  la  corona,  Tanno  inante, 
del  padre  suo  ch'era  di  vita  uscito. 
Tante  volte  veduto,  e  tante  e  tante 
gli  avea  parlato,  ch'era  in  infmito. 
Lo  corse  ad  abbracciare  e  a  fargli  festa, 
trattasi  la  celata  ch'avea  in  testa. 

LXIII 

Non  meno  Orlando  di  veder  contento 
si  mostro  il  re,  che  '1  re  di  veder  lui. 
Poi  che  furo  a  iterar  Tabbracciamento 
una  o  due  volte  tornati  amendui, 
narro  ad  Oberto  Orlando  il  tradimento 
che  fu  fatto  alia  giovane,  e  da  cui 
fatto  le  fu,  dal  perfido  Bireno, 
che  via  d'ofjn'altro  lo  dovea  far  meno. 


CANTO    UNDECIMO  241 

LXIV 

Le  pruove  gli  narro,  che  tante  volte 
ella  d'amarlo  dimostrato  avea: 
come  i  parent!  e  le  sustanzie  tolte 
le  furo,  e  al  fin  per  lui  morir  volea; 
e  ch'esso  testimonio  era  di  molte, 
e  renderne  buon  conto  ne  potea. 
Mentre  parlava,  i  begli  occhi  sereni  . 
de  la  donna  di  lagrime  eran  pieni. 

LXV 

Era  il  bel  viso  suo,  quale  esser  suole 

da  primavera  alcuna  volta  il  cielo, 

quando  la  pioggia  cade,  e  a  un  tempo  il  sole 

si  sgombra  intorno  il  nubiloso  velo. 

E  come  il  rosignuol  dolci  carole 

mena  nei  rami  alor  del  verde  stelo, 

cosi  alle  belle  lagrime  le  piume 

si  bagna  Amore,  e  gode  al  chiaro  lume. 

LXVI 

E  ne  la  face  de'  begli  occhi  accende 

Taurato  strale,  e  nel  ruscello  amorza, 

che  tra  vermigli  e  bianchi  fieri  scende: 

e  temprato  che  1'ha,  tira  di  forza 

contra  il  garzon,  che  ne  scudo  difende 

ne  maglia  doppia  ne  ferigna  scorza; 

che  mentre  sta  a  mirar  gli  occhi  e  le  chiome, 

si  sente  il  cor  ferito,  e  non  sa  come. 

LXVII 

Le  bellezze  d'Olimpia  eran  di  quelle 
che  son  pm  rare:  e  non  la  fronte  sola, 
gli  occhi  e  le  guancie  e  le  chiome  avea  belle, 
la  bocca,  il  naso,  gli  omeri  e  la  gola; 
ma  discendendo  giu  da  le  mammelle, 
le  parti  che  solea  coprir  la  stola, 
fur  di  tanta  escellenzia,  ch'anteporse 
a  quante  n'avea  il  mondo  potean  forse. 


242  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

Vinceano  di  candor  le  nievi  intatte, 
et  eran  piu  ch'avorio  a  toccar  molli: 
le  poppe  ritondette  parean  latte 
che  fuor  dei  giunchi  allora  allora  tolli. 
Spazio  fra  lor  tal  discendea,  qual  fatte 
esser  veggian  fra  piccolini  colli 
1'ombrose  valli,  in  sua  stagione  amene, 
che  '1  verno  abbia  di  nieve  allora  piene. 

LXIX 

I  rilevati  fianchi  e  le  belle  anche, 
e  netto  piu  che  specchio  il  ventre  piano, 
pareano  fatti,  e  quelle  coscie  bianche, 
da  Fidia  a  torno,  o  da  piu  dotta  mano. 
Di  quelle  parti  debbovi  dir  anche, 
che  pur  celare  ella  bramava  invano  ? 
Diro  insomma  ch'in  lei  dal  capo  al  piede, 
quant'esser  pu6  belta,  tutta  si  vede. 

LXX 

Se  fosse  stata  ne  le  valli  Idee 
vista  dal  pastor  frigio,  io  non  so  quanto 
Vener,  se  ben  vincea  quell'altre  dee, 
portato  avesse  di  bellezza  il  vanto : 
n£  forse  ito  saria  ne  le  Amiclee 
contrade  esso  a  violar  1'ospizio  santo; 
ma  detto  avria:  —  Con  Menelao  ti  resta, 
Elena  pur;  ch'altra  io  non  voj  che  questa.  • 

LXXI 

E  se  fosse  costei  stata  a  Crotone, 
quando  Zeusi  rimagine  far  volse, 
che  por  dovea  nel  tempio  di  lunone, 
e  tante  belle  nude  insieme  accolse; 
e  che,  per  una  fame  in  perfezione, 
da  chi  una  parte  e  da  chi  un'altra  tolse; 
non  avea  da  t6rre  altra  che  costei, 
che  tutte  le  bellezze  erano  in  lei. 


CANTO    UNDECIMO  243 

LXXII 

lo  non  credo  che  mai  Bireno,  nudo 
vedesse  quel  bel  corpo;  ch'io  son  certo 
che  stato  non  saria  mai  cosi  crudo, 
che  1'avesse  lasciata  in  quel  deserto. 
Ch'Oberto  se  n'accende,  io  vi  conclude, 
tanto  che  '1  fuoco  non  pu6  star  coperto. 
Si  studia  consolarla,  e  darle  speme 
ch'uscira  in  bene  il  mai  ch'ora  la  preme: 

LXXIII 

e  le  promette  andar'seco  in  Olanda; 
ne  fin  che  ne  lo  stato  la  rimetta, 
e  ch'abbia  fatto  iusta  e  memoranda 
di  quel  periuro  e  traditor  vendetta, 
non  cessara  con  cio  che  possa  Irlanda, 
e  lo  fara  quanto  potra  piu  in  fretta. 
Cercare  intanto  in  quelle  case  e  in  queste 
facea  di  gonne  e  di  feminee  veste. 

LXXIV 

Bisogno  non  sara,  per  trovar  gonne, 
ch'a  cercar  fuor  de  Pisola  si  mande ; 
ch'ogni  di  se  n'avea  da  quelle  donne 
che  de  Pavido  mostro  eran  vivande. 
Non  fe'  molto  cercar,  che  ritrovonne 
di  varie  foggie  Oberto  copia  grande; 
e  fe'  vestir  Olimpia,  e  ben  gPincrebbe 
non  la  poter  vestir  come  vorrebbe. 

LXXV 

Ma  ne  si  bella  seta  o  si  fin'oro 
mai  Fiorentini  industri  tesser  fenno ; 
ne  chi  ricama  fece  mai  lavoro, 
postovi  tempo,  diligenzia  e  senno, 
che  potesse  a  costui  parer  decoro, 
se  lo  fesse  Minerva  o  il  dio  di  Lenno, 
e  degno  di  coprir  si  belle  membre, 
che  forza  e  ad  or  ad  or  se  ne  rimembre. 


244  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Per  piu  rispetti  il  paladino  molto 
si  dimostro  di  questo  amor  contento: 
ch'oltre  che  '1  re  non  lasciarebbe  asciolto 
Bireno  andar  di  tanto  tradimento, 
sarebbe  anch'esso  per  tal  mezzo  tolto 
di  grave  e  di  noioso  impedimento, 
quivi  non  per  Olimpia,  ma  venuto 
per  dar,  se  v'era,  alia  sua  donna  aiuto. 

LXXVII, 

Ch'ella  non  v'era  si  chiarl  di  corto, 
ma  gia  non  si  chiari  se  v'era  stata; 
perche  ogn'uomo  ne  Fisola  era  morto, 
ne  un  sol  rimaso  di  si  gran  brigata. 
II  di  seguente  si  partir  del  porto, 
e  tutti  insieme  andaro  in  una  armata. 
Con  loro  ando  in  Irlanda  il  paladino; 
che  fix  per  gire  in  Francia  il  suo  camino. 

LXXVIII 

A  pena  un  giorno  si  fermo  in  Irlanda; 
non  valser  preghi  a  far  che  piu  vi  stesse: 
Amor,  che  dietro  alia  sua  donna  il  manda, 
di  fermarvisi  piu  non  gli  concesse. 
Quindi  si  parte;  e  prima  raccomanda 
Olimpia  al  re,  che  send  le  promesse: 
ben  che  non  bisognassi;  che  gli  attenne 
molto  piu,  che  di  far  non  si  convenne. 

LXXIX 

Cosi  fra  pochi  di  gente  raccolse; 
e  fatto  lega  col  re  d'Inghilterra 
e  con  Taltro  di  Scozia,  gli  ritolse 
Olanda,  e  in  Frisa  non  gli  lascio  terra; 
et  a  ribellione  anco  gli  volse 
la  sua  Selandia:  e  non  fini  la  guerra, 
che  gli  die  morte;  ne  pero  fu  tale 
la  pena,  ch'al  delitto  andasse  eguale. 


CANTO    UNDECIMO  245 

LXXX 

Olimpia  Oberto  si  piglio  per  moglie, 
e  di  contessa  la  fe5  gran  regina. 
Ma  ritorniamo  al  paladin  che  scioglie 
nel  mar  le  vele,  e  notte  e  di  camina; 
poi  nel  medesmo  porto  le  raccoglie, 
donde  pria  le  spiego  ne  la  marina: 
e  sul  suo  Brigliadoro  armato  salse, 
e  lascic-  dietro  i  venti  e  Ponde  salse. 

LXXXI 

Credo  che  '1  resto  di  quel  verno  cose 
facesse  degne  di  tenerne  conto; 
ma  fur  sin  a  quel  tempo  si  nascose, 
che  non  e  colpa  mia  s'or  non  le  conto; 
perche  Orlando  a  far  Popre  virtuose, 
piu  che  a  narrarle  poi,  sempre  era  pronto: 
ne  mai  fu  alcun  de  li  suoi  fatti  espresso, 
se  non  quando  ebbe  i  testimonii  appresso. 

LXXXII 

Pass6  il  resto  del  verno  cosi  cheto, 
che  di  lui  non  si  seppe  cosa  vera: 
ma  poi  che  '1  sol  ne  P  animal  discrete 
che  porto  Friso,  illumin6  la  sfera, 
e  Zefiro  torno  soave  e  lieto 
a  rimenar  la  dolce  primavera; 
d' Orlando  usciron  le  mirabil  pruove 
coi  vaghi  fiori  e  con  1'erbette  nuove. 

LXXXIII 

Di  piano  in  monte,  e  di  campagna  in  lido, 
pien  di  travaglio  e  di  dolor  ne  gia; 
quando  all'entrar  d'un  bosco,  un  lungo  grido, 
un  alto  duol  Porecchie  gli  feria. 
Spinge  il  cavallo,  e  piglia  il  bran  do  fido, 
e  donde  viene  il  suon,  ratto  s'invia: 
ma  diferisco  un'altra  volta  a  dire 
quel  che  segui,  se  mi  vorrete  udire. 


246  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO    DUODECIMO 


I 

Cerere,  poi  che  da  la  madre  Idea 
tornando  in  fretta  alia  solinga  valle, 
la  dove  calca  la  montagna  Etnea 
al  fulminate  Encelado  le  spalle, 
la  figlia  non  trov6  dove  Tavea 
lasciata  fuor  d'ogni  segnato  calle; . 
fatto  ch'ebbe  alle  guancie,  al  petto,  ai  crini 
e  agli  occhi  danno,  al.fin  svelse  duo  pini; 

ii 

e  nel  fuoco  gli  accese  di  Vulcano, 
e  die  lor  non  potere  esser  mai  spenti: 
e  portandosi  questi  uno  per  mano 
sul  carro  che  tiravan  dui  serpenti, 
cerco  le  selve,  i  campi,  il  monte,  il  piano, 
le  valli,  i  fiumi,  li  stagni,  i  torrenti, 
la  terra  e  '1  mare;  e  poi  che  tutto  il  mondo 
cerco  di  sopra,  and6  al  tartareo  fondo. 

in 

S'in  poter  fosse  stato  Orlando  pare 
alPEleusina  dea,  come  in  disio, 
non  avria,  per  Angelica  cercare, 
lasciato  o  selva  o  campo  o  stagno  o  rio 
o  valle  o  monte  o  piano  o  terra  o  mare, 
il  cielo  e  '1  fondo  de  Peterno  oblio; 
ma  poi  che  '1  carro  e  i  draghi  non  avea, 
la  gia  cercando  al  meglio  che  potea. 


CANTO    DUODECIMO  247 

IV 

L'ha  cercata  per  Francia:  or  s'apparecchia 
per  Italia  cercarla  e  per  Lamagna, 
per  la  nuova  Castiglia  e  per  la  vecchia, 
e  poi  passare  in  Libia  il  mar  di  Spagna. 
Mentre  pensa  cosi,  sente  all'orecchia 
una  voce  venir  che  par  che  piagna: 
si  spinge  inanzi;  e  sopra  un  gran  destriero 
trottar  si  vede  inanzi  un  cavalliero, 


che  porta  in  braccio  e  su  1'arcion  davante 
per  forza  una  mestissima  donzella. 
Piange  ella  e  si  dibatte  e  fa  sembiante 
di  gran  dolore,  et  in  soccorso  appella 
il  valoroso  principe  d'Anglante, 
che  come  mira  alia  giovane  bella, 
gli  par  colei,  per  cui  la  notte  e  il  giorno 
cercato  Francia  avea  dentro  e  d'intorno. 

VI 

Non  dico  ch'ella  fosse,  ma  parea 
Angelica  gentil  ch'egli  tant'ama. 
Egli,  che  la  sua  donna  e  la  sua  dea 
vede  portar  si  addolorata  e  grama, 
spinto  da  Pira  e  da  la  furia  rea, 
con  voce  orrenda  il  cavallier  richiama: 
richiama  il  cavalliero  e  gli  minaccia, 
e  Brigliadoro  a  tutta  briglia  caccia. 

VII 

Non  resta  quel  fellon,  ne  gli  risponde, 
alFalta  preda,  al  gran  guadagno  intento, 
e  si  ratto  ne  va  per  quelle  fronde, 
che  saria  tar  do  a  seguitarlo  il  vento. 
L/un  fugge,  e  Taltro  caccia;  e  le  profonde 
selve  s'odon  sonar  d'alto  lamento. 
Correndo  usciro  in  un  gran  prato;  e  quello 
avea  nel  mezzo  un  grande  e  ricco  ostello. 


248  ORLANDO  FURIOSO 

VIII 

Di  van  marmi  con  suttil  lavoro 
edificato  era  il  palazzo  altiero. 
Corse  dentro  alia  porta  messa  d'oro 
con  la  donzella  in  braccio  il  cavalliero. 
Dopo  non  molto  giunse  Brigliadoro, 
che  porta  Orlando  disdegnoso  e  fiero. 
Orlando,  come  e  dentro,  gli  occhi  gira, 
ne  piu  il  guerrier,  ne  la  donzella  mira. 

IX 

Subito  smonta,  e  fulminando  passa 
dove  piu  dentro  il  bel  tetto  s'alloggia: 
corre  di  qua,  corre  di  la,  ne  lassa 
che  non  vegga  ogni  camera,  ogni  loggia. 
Poi  che  i  segreti  d'ogni  stanza  bassa 
ha  cerco  invan,  su  per  le  scale  poggia; 
e  non  men  perde  anco  a  cercar  di  sopra, 
che  perdessi  di  sotto  il  tempo  e  1'opra. 

x 

D'oro  e  di  seta  i  letti  ornati  vede: 
nulla  de  muri  appar  ne  de  pareti; 
che  quelle,  e  il  suolo  ove  si  mette  il  piede, 
son  da  cortine  ascose  e  da  tapeti. 
Di  su  di  giu  va  il  conte  Orlando,  e  riede; 
ne  per  questo  puo  far  gli  occhi  mai  lieti 
che  riveggiano  Angelica,  o  quel  ladro 
che  n'ha  portato  il  bel  viso  leggiadro. 

XI 

E  mentre  or  quinci  or  quindi  invano  il  passo 

movea,  pien  di  travaglio  e  di  pensieri, 

Ferrau,  Brandimarte  e  il  re  Gradasso, 

re  Sacripante  et  altri  cavallieri 

vi  ritrovo,  ch'andavano  alto  e  basso, 

ne  men  facean  di  lui  vani  sentieri; 

e  si  ramaricavan  del  malvagio 

invisibil  signer  di  quel  palagio. 


CANTO    DUODECIMO  249 

XII 

Tutti  cercando  il  van,  tutti  gli  danno 
colpa  di  furto  alcun  che  lor  fatt'abbia: 
del  destrier  che  gli  ha  tolto,  altri  e  in  affanno; 
ch'abbia  perduta  altri  la  donna,  arrabbia; 
altri  d'altro  Paccusa:  e  cosi  stanno, 
che  non  si  san  partir  di  quella  gabbia; 
e  vi  son  molti,  a  questo  inganno  presi, 
stati  le  settimane  intiere  e  i  mesi, 

XIII 

Orlando,  poi  che  quattro  volte  e  sei 
tutto  cercato  ebbe  il  palazzo  strano, 
disse  fra  se:  «Qui  dimorar  potrei, 
gittare  il  tempo  e  la  fatica  invano: 
e  potria  il  ladro  aver  tratta  costei 
da  un'altra  uscita,  e  molto  esser  lontano. » 
Con  tal  pensiero  usci  nel  verde  prato, 
dal  qual  tutto  il  palazzo  era  aggirato. 

XIV 

Mentre  circonda  la  casa  silvestra, 
tenendo  pur  a  terra  il  viso  chino, 
per  veder  s'orma  appare,  o  da  man  destra 
o  da  sinistra,  di  nuovo  camino; 
si  sente  richiamar  da  una  finestra: 
e  leva  gli  occhi;  e  quel  parlar  divino 
gli  pare  udire,  e  par  che  miri  il  viso, 
che  Tha  da  quel  che  fu,  tanto  diviso. 

xv 

Pargli  Angelica  udir,  che  supplicando 
e  piangendo  gli  dica:  —  Aita,  aita! 
la  mia  virginita  ti  raccomando 
piu  che  Tanima  mia,  piu  che  la  vita. 
Dunque  in  presenzia  del  mio  caro  Orlando 
da  questo  ladro  mi  sara  rapita? 
Piu  tosto  di  tua  man  dammi  la  morte, 
che  venir  lasci  a  si  infelice  sorte.  — 


250  ORLANDO  FURIOSO 

XVI 

Quest e  parole  una  et  un'altra  volta 
fanno  Orlando  tornar  per  ogni  stanza, 
con  passione  e  con  fatica  molta, 
ma  temperata  pur  d'alta  speranza. 
Talor  si  ferma,  et  una  voce  ascolta, 
che  di  quella  d' Angelica  ha  sembianza 
(e  s'egli  e  da  una  parte,  suona  altronde), 
che  chieggia  amto;  e  non  sa  trovar  donde. 

XVII 

Ma  tornando  a  Ruggier,  ch'io  lasciai  quando 
dissi  che  per  sentiero  ombroso  e  fosco 
il  gigante  e  la  donna  seguitando, 
in  un  gran  prato  uscito  era  del  bosco; 
io  dico  ch'arriv6  qui  dove  Orlando 
dianzi  arrivo,  se  Jl  loco  riconosco. 
Dentro  la  porta  il  gran  gigante  passa: 
Ruggier  gli  e  appresso,  e  di  seguir  non  lassa. 

XVIII 

Tosto  che  pon  dentro  alia  soglia  il  piede, 

per  la  gran  corte  e  per  le  loggie  mira; 

ne  piu  il  gigante  ne  la  donna  vede, 

e  gli  occhi  indarno  or  quinci  or  quindi  aggira. 

Di  su  di  giu  va  molte  volte,  e  riede; 

ne  gli  succede  mai  quel  che  desira: 

ne  si  sa  imaginar  dove  si  tosto 

con  la  donna  il  fellon  si  sia  nascosto. 

XIX 

Poi  che  revisto  ha  quattro  volte  e  cinque 
di  su  di  giu  camere  e  loggie  e  sale, 
pur  di  nuovo  ritorna,  e  non  relinque 
che  non  ne  cerchi  fin  sotto  le  scale. 
Con  speme  al  fin  che  sian  ne  le  propinque 
selve,  si  parte ;  ma  una  voce,  quale 
richiamo  Orlando,  lui  cbiam6  non  manco, 
e  nel  palazzo  il  fe'  ritornar  anco. 


CANTO    DUODECIMO  251 

XX 

Una  voce  medesma,  una  persona 
che  paruta  era  Angelica  ad  Orlando, 
parve  a  Ruggier  la  donna  di  Dordona, 
che  lo  tenea  di  se  medesmo  in  ban  do. 
Se  con  Gradasso  o  con  alcun  ragiona 
di  quei  ch'andavan  nel  palazzo  errando, 
a  tutti  par  che  quella  cosa  sia, 
che  piu  ciascun  per  se  brama  e  desia. 

XXI 

Questo  era  un  nuovo  e  disusato  incanto 
ch'avea  composto  Atlante  di  Carena, 
perche*  Ruggier  fosse  occupato  tanto 
in  quel  travaglio,  in  quella  dolce  pena, 
che  '1  maPinflusso  n'andasse  da  canto, 
Tinflusso  ch'a  morir  giovene  il  metia. 
Dopo  il  castel  d'acciar,  che  nulla  giova, 
e  dopo  Alcina,  Atlante  ancor  fa  pruova. 

XXII 

Non  pur  costui,  ma  tutti  gli  altri  ancora, 
che  di  valore  in  Francia  han  maggior  fama, 
acci6  che  di  lor  man  Ruggier  non  mora, 
condurre  Atlante  in  questo  incanto  trama. 
E  mentre  fa  lor  far  quivi  dimora, 
perche  di  cibo  non  patischin  brama, 
si  ben  fornito  avea  tutto  il  palagio, 
che  donne  e  cavallier  vi  stanno  ad  agio. 

XXIII 

Ma  torniamo  ad  Angelica,  che  seco 

avendo  quell' annel  mirabil  tanto, 

ch/in  bocca  a  veder  lei  fa  Pocchio  cieco, 

nel  dito  1'assicura  da  Pincanto; 

e  ritrovato  nel  montano  speco 

cibo  avendo  e  cavalla  e  veste  e  quanto 

le  fu  bisogno,  avea  fatto  il'disegno 

di  ritornare  in  India  al  suo  bel  regno. 


252  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Orlando  volentieri  o  Sacripante 

voluto  avrebbe  in  compagnia:  non  ch'ella 

piu  caro  avesse  1'un  che  1  altro  amante; 

anzi  di  par  fu  a'  lor  disii  ribella: 

ma  dovendo,  per  girsene  in  Levante, 

passar  tante  citta,  tante  castella, 

di  compagnia  bisogno  avea  e  di  guida, 

ne  potea  aver  con  altri  la  piu  fida. 

xxv 

Or  Funo  or  T  altro  an  do  molto  cercando, 
prima  ch'indizio  ne  trovasse  o  spia, 
quando  in  cittade,  e  quando  in  ville,  e  quando 
in  alti  boschi,  e  quando  in  altra  via. 
Fortuna  al  fin  la  dove  il  conte  Orlando, 
Ferrau  e  Sacripante  era,  la  invia, 
con  Ruggier,  con  Gradasso  et  altri  molti 
che  v'avea  Atlante  in  strano  intrico  avolti. 

XXVI 

Quivi  entra,  che  veder  non  la  puo  il  mago, 
e  cerca  il  tutto,  ascosa  dal  suo  annello, 
e  truova  Orlando  e  Sacripante  vago 
di  lei  cercare  invan  per  quello  ostello. 
Vede  come  fingendo  la  sua  imago 
Atlante  usa  gran  fraude  a  questo  e  a  quello. 
Chi  tor  debba  di  lor,  molto  rivolve 
nel  suo  pensier,  n6  ben  se  ne  risolve. 

XXVII 

Non  sa  stimar  chi  sia  per  lei  migliore, 
il  conte  Orlando  o  il  re  dei  fier  Circassi. 
Orlando  la  potra  con  piu  valore 
meglio  salvar  nei  perigliosi  passi ; 
ma  se  sua  guida  il  fa,  sel  fa  signore, 
ch'ella  non  vede  come  poi  Pabbassi, 
qualunque  volta,  di  lui  sazia,  farlo 
voglia  minore,  o  in  Francia  rimandarlo. 


CANTO    DUODECIMO  253 

XXVIII 

Ma  11  Circasso  depor,  quando  le  piaccia, 
potra,  se  ben  Tavesse  posto  in  cielo. 
Questa  sola  cagion  vuol  ch'ella  il  faccia 
sua  scorta,  e  mostri  avergli  fede  e  zelo. 
L'annel  trasse  di  bocca,  e  di  sua  faccia 
levo  dagli  occhi  a  Sacripante  il  velo. 
Credette  a  lui  sol  dimostrarsi,  e  avenne 
ch*  Orlando  e  Ferrau  le  sopravenne. 

XXIX 

Le  sopravenne  Ferrau  et  Orlando; 
che  1'uno  e  Taltro  parimente  giva 
di  su  di  giu,  dentro  e  di  fuor  cercando 
del  gran  palazzo  lei,  ch'era  lor  diva. 
Corser  di  par  tutti  alia  donna,  quando 
nessuno  incantamento  gli  impediva; 
perche  1'annel  ch'ella  si  pose  in  mano, 
fece  d'Atlante  ogni  disegno  vano. 

xxx 

L'usbergo  indosso  aveano  e  Pelmo  in  testa 
dui  di  questi  guerrier,  dei  quali  io  canto; 
ne  notte  o  di,  dopo  ch'entraro  in  questa 
stanza,  Taveano  mai  messi  da  canto; 
che  facile  a  portar,  come  la  vesta, 
era  lor,  perche  in  uso  1'avean  tanto. 
Ferrau  il  terzo  era  anco  armato,  eccetto 
che  non  avea,  ne  volea  avere  elmetto, 

XXXI 

fin  che  quel  non  avea  che  '1  paladino 
tolse  Orlando  al  fratel  del  re  Troiano; 
ch'allora  lo  giurb,  che  1'elmo  fmo 
cerco  de  PArgalia  nel  fiume  invano: 
e  se  ben  quivi  Orlando  ebbe  vicino, 
ne  pero  Ferrau  pose  in  lui  mano; 
avenne  che  conoscersi  tra  loro 
non  si  poter,  mentre  la  dentro  foro. 


254  ORLANDO  FURIOSO 

XXXII 

Era  cosi  incantato  quello  albergo, 
ch'insieme  riconoscer  non  poteansi. 
Ne  notte  mai  ne  di,  spada  ne  usbergo 
ne  scudo  pur  dal  braccio  rimoveansi. 
I  lor  cavalli  con  la  sella  al  tergo, 
pendendo  i  morsi  da  1'arcion,  pasceansi 
in  una  stanza  che,  presso  alPuscita, 
d'orzo  e  di  paglia  sempre  era  fornita. 

XXXIII 

Atlanta  riparar  non  sa  ne  puote, 
ch'in  sella  non  rimontino  i  guerrieri 
per  correr  dietro  alle  vermiglie  gote, 
all'auree  chiome  et  a'  begli  occhi  neri 
de  la  donzella  ch'in  fuga  percuote 
la  sua  iumenta,  perche  volentieri 
non  vede  li  tre  amanti  in  compagnia, 
che  forse  tolti  un  dopo  1'altro  avria. 

XXXIV 

E  poi  che  dilungati  dal  palagio 
gli  ebbe  si,  che  temer  piu  non  dovea 
che  contra  lor  Pincantator  malvagio 
potesse  oprar  la  sua  fallacia  rea; 
1'annel  che  le  schiv6  piu  d'un  disagio 
tra  le  rosate  labra  si  chiudea: 
donde  lor  sparve  subito  dagli  occhi, 
e  gli  lascio  come  insensati  e  sciocchi. 

xxxv 

Come  che  fosse  il  suo  primier  disegno 
di  voler  seco  Orlando  o  Sacripante, 
ch'a  ritornar  1'avessero  nel  regno 
di  Galafron  ne  1'ultimo  Levante; 
le  vennero  amendua  subito  a  sdegno, 
e  si  muto  di  voglia  in  uno  instante: 
e  senza  piu  obligarsi  o  a  questo  o  a  quello, 
pens6  bastar  per  amendua  il  suo  annello. 


CANTO    DUODECIMO  255 

XXXVI 

Volgon  pel  bosco  or  quinci  or  quindi  in  fretta 

quelli  scherniti  la  stupida  faccia; 

come  il  cane  talor,  se  gli  e  intercetta 

o  lepre  o  volpe  a  cui  dava  la  caccia, 

che  d'improviso  in  qualche  tana  stretta 

o  in  folta  macchia  o  in  un  fosso  si  caccia. 

Di  lor  si  ride  Angelica  proterva, 

che  non  e  vista,  e  i  lor  progress!  osserva. 

XXXVII 

Per  mezzo  il  bosco  appar  sol  una  strada: 

credono  i  cavallier  che  la  donzella 

inanzi  a  lor  per  quella  se  ne  vada; 

che  non  se  ne  pu6  andar,  se  non  per  quella. 

Orlando  corre,  e  Ferrau  non  bada, 

ne  Sacripante  men  sprona  e  puntella. 

Angelica  la  briglia  piu  ritiene, 

e  dietro  lor  con  minor  fretta  viene. 

XXXVIII 

Giunti  che  fur,  correndo,  ove  i  sentieri 
a  perder  si  venian  ne  la  foresta, 
e  cominciar  per  1'erba  i  cavallieri 
a  riguardar  se  vi  trovavan  pesta, 
Ferrau  che  potea,  fra  quanti  altieri 
mai  fosser,  gir  con  la  corona  in  testa, 
si  volse  con  mal  viso  agli  altri  dui, 
e  grid6  lor :  —  Dove  venite  vui  ? 

xxxix 

Tornate  a  dietro,  o  pigliate  altra  via, 
se  non  volete  rimaner  qui  morti: 
ne  in  amar  ne  in  seguir  la  donna  mia 
si  creda  alcun,  che  compagnia  comporti.  — 
Disse  Orlando  al  Circasso :  —  Che  potria 
piu  dir  costui,  s'ambi  ci  avesse  scorti 
per  le  piu  vili  e  timide  puttane 
che  da  conocchie  mai  traesser  lane  ?  — 


256  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Poi  volto  a  Ferrau,  disse:  —  Uom  bestiale, 

s'io  non  guardassi  che  senza  elmo  sei, 

di  quel  c'hai  detto,  s'hai  ben  detto  o  male, 

senz'altra  indugia  accorger  ti  farei.  — 

Disse  il  Spagnuol:  —  Di  quel  ch'a  me  non  cale, 

perche  pigliarne  tu  cura  ti  dei  ? 

lo  sol  contra  ambidui  per  far  son  buono 

quel  che  detto  ho,  senza  elmo  come  sono. 

XLI 

—  Deh,  —  disse  Orlando  al  re  di  Circassia 

—  in  mio  servigio  a  costui  Felmo  presta, 
tanto  ch'io  gli  abbia  tratta  la  pazzia; 
ch'altra  non  vidi  mai  simile  a  questa.  — 
Rispose  il  re:  —  Chi  piu  pazzo  saria? 
Ma  se  ti  par  pur  la  domanda  onesta, 
prestagli  il  tuo;  ch'io  non  saro  men  atto, 
che  tu  sia  forse,  a  castigare  un  matto.  — 

XLII 

Suggiunse  Ferrau:—  Sciocchi  voi,  quasi 
che  se  mi  fosse  il  portar  elmo  a  grado, 
voi  senza  non  ne  fosse  gia  rimasi; 
che  tolti  i  vostri  avrei,  vostro  mal  grado. 
Ma  per  narrarvi  in  parte  li  miei  casi, 
per  voto  cosi  senza  me  ne  vado, 
et  anderc-,  fin  ch'io  non  ho  quel  fino 
che  porta  in  capo  Orlando  paladino. 

XLIII 

—  Dunque  —  rispose  sorridendo  il  conte 

—  ti  pensi  a  capo  nudo  esser  bastante 
far  ad  Orlando  quel  che  in  Aspramonte 
egli  gia  fece  al  figlio  d'Agolante? 

Anzi  credo  io,  se  tel  vedessi  a  fronte, 
ne  tremeresti  dal  capo  alle  piante; 
non  che  volessi  1'elmo,  ma  daresti 
Taltre  arme  a  lui  di  patto,  che  tu  vesti.  — 


CANTO    DUODECIMO  257 

XLIV 

II  vantator  Spagnuol  disse :  —  Gia  molte 
fiate  e  molte  ho  cosi  Orlando  astretto, 
che  facilmente  Parme  gli  avrei  tolte, 
quante  indosso  n'avea,  non  che  Felmetto; 
e  s'io  nol  feci,  occorrono  alle  volte 
pensier  che  prima  non  s'aveano  in  petto: 
non  n'ebbi,  gia  fa,  voglia;  or  Faggio,  e  spero 
che  mi  potra  succeder  di  leggiero.  — 

XLV 

Non  pote  aver  piu  pazienzia  Orlando, 
e  grido :  —  Mentitor,  brutto  marrano, 
in  che  paese  ti  trovasti,  e  quando, 
a  poter  piu  di  me  con  Farme  in  mano  ? 
Quel  paladin,  di  che  ti  vai  vantando, 
son  io,  che  ti  pensavi  esser  lontano. 
Or  vedi  se  tu  puoi  Telmo  levarme, 
o  s'io  son  buon  per  torre  a  te  Faltre  arme. 

XLVI 

N6  da  te  voglio  un  minimo  vantaggio.  — 
Cosi  dicendo,  Felmo  si  disciolse, 
e  lo  suspese  a  un  ramuscel  di  faggio; 
e  quasi  a  un  tempo  Durindana  tolse. 
Ferrau  non  perde  di  ci6  il  coraggio: 
trasse  la  spada,  e  in  atto  si  raccolse, 
onde  con  essa  e  col  levato  scudo 
potesse  ricoprirsi  il  capo  nudo. 

XLVII 

Cosi  li  duo  guerrieri  incominciaro, 
lor  cavalli  aggirando,  a  volteggiarsi ; 
e  dove  Farme  si  giungeano,  e  raro 
era  piu  il  ferro,  col  ferro  a  tentarsi. 
Non  era  in  tutto  '1  mondo  un  altro  paro 
che  piu  di  questo  avessi  ad  accopiarsi: 
pari  eran  di  vigor,  pari  d'ardire; 
ne  Fun  n6  F altro  si  potea  ferire. 


258  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

Ch'abbiate,  Signor  mio,  gia  inteso  estimo 
che  Ferrau  per  tutto  era  fatato, 
fuor  che  la  dove  Falimento  primo 
piglia  il  bambin  nel  ventre  ancor  serrato: 
e  fin  che  del  sepolcro  il  tetro  limo 
la  faccia  gli  coperse,  il  luogo  armato 
us6  portar,  dove  era  il  dubbio,  sempre 
di  sette  piastre  fatte  a  buone  temp  re. 

XLIX 

Era  ugualmente  il  principe  d'Anglante 
tutto  fatato,  fuor  che  in  una  parte: 
ferito  esser  potea  sotto  le  piante; 
ma  le  guard6  con  ogni  studio  et  arte. 
Duro  era  il  resto  lor  piu  che  diamante 
(se  la  fama  dal  ver  non  si  diparte); 
e  1'uno  e  Paltro  ando  piu  per  ornato, 
che  per  bisogno,  alle  sue  imprese  armato. 

L 

S'incrudelisce  e  inaspra  la  battaglia, 
d'orrore  in  vista  e  di  spavento  piena. 
Ferrau,  quando  punge  e  quando  taglia, 
n6  mena  botta  che  non  vada  piena: 
ogni  colpo  d' Orlando  o  piastra  o  maglia 
e  schioda  e  rompe  et  apre  e  a  straccio  mena. 
Angelica  invisibil  lor  pon  mente, 
sola  a  tanto  spettacolo  presente. 

LI 

Intanto  il  re  di  Circassia,  stimando 
che  poco  inanzi  Angelica  corresse, 
poi  ch'attaccati  Ferrau  et  Orlando 
vide  restar,  per  quella  via  si  messe, 
che  si  credea  che  la  donzella,  quando 
da  lor  disparve,  seguitata  avesse: 
si  che  a  quella  battaglia  la  figliuola 
di  Galafron  fu  testimonia  sola. 


CANTO    DUODECIMO  259 

LII 

Poi  che,  orribil  come  era  e  spaventosa, 
1'ebbe  da  parte  ella  mirata  alquanto, 
e  che  le  parve  assai  pericolosa 
cosi  da  Tun  come  da  Paltro  canto; 
di  veder  novita  voluntarosa, 
disegn6  Felmo  tor  per  mirar  quanto 
fariano  i  duo  guerrier,  vistosel  tolto; 
ben  con  pensier  di  non  tenerlo  molto. 

LIU 

Ha  ben  di  darlo  al  conte  intenzione; 
ma  se  ne  vuole  in  prima  pigliar  gioco. 
L'elmo  dispicca,  e  in  grembio  se  lo  pone, 
e  sta  a  mirare  i  cavallieri  un  poco. 
Di  poi  si  parte,  e  non  fa  lor  sermone; 
e  lontana  era  un  pezzo  da  quel  loco, 
prima  ch'alcun  di  lor  v'avesse  mente: 
si  1'uno  e  Taltro  era  ne  1'ira  ardente. 

LIV 

Ma  Ferrau,  che  prima  v'ebbe  gli  occhi, 
si  dispiccc-  da  Orlando,  e  disse  a  lui: 
—  Deh  come  n'ha  da  male  accorti  e  sciocchi 
trattati  il  cavallier  ch'era  con  nui! 
Che  premio  fia  ch'al  vincitor  piu  tocchi, 
se  1  bel  elmo  involato  n'ha  costui  ?  — 
Ritrassi  Orlando,  e  gli  occhi  al  ramo  gira: 
non  vede  Pelmo,  e  tutto  avampa  d'ira. 

LV 

E  nel  parer  di  Ferrau  concorse, 
che  '1  cavallier  che  dianzi  era  con  loro 
se  lo  portasse;  onde  la  briglia  torse, 
e  fej  sentir  gli  sproni  a  Brigliadoro. 
Ferrau  che  del  campo  il  vide  t6rse, 
gli  venne  dietro;  e  poi  che  giunti  foro 
dove  ne  Perba  appar  Forma  novella 
ch'avea  fatto  il  Circasso  e  la  donzella; 


260  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

prese  la  strada  alia  sinistra  il  conte 
verso  una  valle,  ove  il  Circasso  era  ito : 
si  tenne  Ferrau  piu  presso  al  monte, 
dove  il  sentiero  Angelica  avea  trito. 
Angelica  in  quel  mezzo  ad  una  fonte 
giunta  era,  ombrosa  e  di  giocondo  sito, 
ch'ognun  che  passa  alle  fresche  ombre  invita, 
ne  senza  ber  mai  lascia  far  partita. 

LVII 

Angelica  si  ferma  alle  chiare  onde, 
non  pensando  ch'alcun  le  sopravegna; 
e  per  lo  sacro  annel  che  la  nasconde, 
non  puo  temer  che  caso  rio  le  avegna. 
A  prima  giunta  in  su  Terbose  sponde 
del  rivo  I'elmo  a  un  ramuscel  consegna; 
poi  cerca,  ove  nel  bosco  e  miglior  frasca, 
la  iumenta  legar,  perche  si  pasca. 

LVIII 

II  cavallier  di  Spagna,  che  venuto 
era  per  Tonne,  alia  fontana  giunge. 
Non  Tha  si  tosto  Angelica  veduto, 
che  gli  dispare,  e  la  cavalla  punge. 
L'elmo,  che  sopra  1'erba  era  caduto, 
ritor  non  pu6,  che  troppo  resta  lunge. 
Come  il  pagan  d' Angelica  s'accorse, 
tosto  ver  lei  pien  di  letizia  corse. 

LIX 

Gli  sparve,  come  io  dico,  ella  davante, 
come  fantasma  al  dipartir  del  sonno. 
Cercando  egli  la  va  per  quelle  piante, 
ne  i  miseri  occhi  piu  veder  la  ponno. 
Bestemiando  Macone  e  Trivigante, 
e  di  sua  legge  ogni  maestro  e  donno, 
ritorn6  Ferrau  verso  la  fonte, 
u'  ne  Terba  giacea  Pelmo  del  conte. 


CANTO    DUODECIMO  261 

LX 

Lo  riconobbe,  tosto  che  mirollo, 
per  lettere  ch'avea  scritte  ne  Torlo ; 
che  dicean  dove  Orlando  guadagnollo, 
e  come  e  quando,  et  a  chi  fe'  deporlo. 
Armossene  il  pagano  il  capo  e  il  collo, 
che  non  lascio,  pel  duol  ch'avea,  di  torlo ; 
pel  duol  ch'avea  di  quella  che  gli  sparve, 
come  sparir  soglion  notturne  larve. 

LXI 

Poi  ch'allacciato  s'ha  il  buon  elmo  in  testa, 
aviso  gli  e  che  a  contentarsi  a  pieno, 
sol  ritrovare  Angelica  gli  resta, 
che  gli  appar  e  dispar  come  baleno. 
Per  lei  tutta  cerco  1'alta  foresta: 
e  poi  ch'ogni  speranza  venne  meno 
di  piu  poterne  ritrovar  vestigi, 
torno  al  campo  spagnuol  verso  Parigi; 

LXII 

temperando  il  dolor  che  gli  ardea  il  petto, 
di  non  aver  si  gran  disir  sfogato, 
col  refrigerio  di  portar  relmetto 
che  £u  d'Orlando,  come  avea  giurato. 
Dal  conte,  poi  che  Jl  certo  gli  fu  detto, 
fu  lungamente  Ferrau  cercato, 
ne  fin  quel  di  dal  capo  gli  lo  sciolse, 
che  fra  duo  ponti  la  vita  gli  tolse. 

LXIII 

Angelica  invisibile  e  soletta 
via  se  ne  va,  ma  con  turbata  fronte; 
che  de  Telmo  le  duol,  che  troppa  fretta 
le  avea  fatto  lasciar  presso  alia  fonte. 
« Per  voler  far  quel  ch'a  me  far  non  spetta, » 
tra  s6  dicea  alevato  ho  1'elmo  al  conte: 
questo,  pel  primo  merito,  e  assai  buono 
di  quanto  a  lui  pur  ubligata  sono. 


262  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Con  buona  intenzione  (e  sallo  Idio), 
ben  che  diverse  e  tristo  effetto  segua, 
io  levai  1'elmo:  e  solo  il  pensier  mio 
fu  di  ridur  quella  battaglia  a  triegua; 
e  non  che  per  mio  mezzo  il  suo  disio 
questo  brutto  Spagnuol  oggi  consegua. » 
Cosi  di  se  s'andava  lamentando 
d'aver  de  1'elmo  suo  privato  Orlando. 

LXV 

Sdegnata  e  malcontenta,  la  via  prese 
che  le  parea  miglior,  verso  Oriente. 
Piu  volte  ascosa  and6,  talor  palese, 
secondo  era  oportuno,  infra  la  gente. 
Dopo  molto  veder  molto  paese, 
giunse  in  un  bosco,  dove  iniquamente 
fra  duo  compagni  morti  un  giovinetto 
trovo,  ch'era  ferito  in  mezzo  il  petto. 

LXVI 

Ma  non  diro  d' Angelica  or  piu  inante; 
che  molte  cose  ho  da  narrarvi  prima: 
ne  sono  a  Ferrau  ne  a  Sacripante, 
sin  a  gran  pezzo,  per  donar  piu  rima. 
Da  lor  mi  leva  il  principe  d'Anglante, 
che  di  s6  vuol  che  inanzi  agli  altri  esprima 
le  fatiche  e  gli  affanni  che  sostenne 
nel  gran  disio,  di  che  a  fin  mai  non  venne. 

LXVII 

Alia  prima  citta  ch'egli  ritruova 
(perch6  d'andare  occulto  avea  gran  cura) 
si  pone  in  capo  una  barbuta  nuova, 
senza  mirar  s'ha  debil  tempra  o  dura. 
Sia  qual  si  vuol,  poco  gli  nuoce  o  giova: 
si  ne  la  fatagion  si  rassicura. 
Cosi  coperto,  seguita  Tinchiesta; 
ne  notte  o  giorno,  o  pioggia  o  sol  1'arresta. 


CANTO    DUODECIMO  263 

LXVIII 

Era  ne  1'ora  che  traea  i  cavalli 
Febo  del  mar  con  rugiadoso  pelo, 
e  1'Aurora  di  fior  vermigli  e  gialli 
venia  spargendo  d'ogn'intorno  il  cielo; 
e  lasciato  le  stelle  aveano  i  balli, 
e  per  partirsi  postosi  gia  il  velo: 
quando  appresso  a  Parigi  un  di  passando, 
mostr6  di  sua  virtu  gran  segno  Orlando. 

LXIX 

In  dua  squadre  incontrossi:  e  Manilardo 
ne  reggea  1'una,  il  Saracin  canuto, 
re  di  Norizia,  gia  fiero  e  gagliardo, 
or  miglior  di  consiglio  che  d'aiuto; 
guidava  1'altra  sotto  il  suo  stendardo 
il  re  di  Tremisen,  ch'era  tenuto 
tra  gli  Africani  cavallier  perfetto: 
Alzirdo  fu,  da  chi  '1  conobbe,  detto. 

LXX 

Questi  con  1'altro  esercito  pagano 
quella  invernata  avean  fatto  soggiorno, 
chi  presso  alia  citta,  chi  piu  lontano, 
tutti  alle  ville  o  alle  castella  intorno : 
ch'avendo  speso  il  re  Agramante  invano, 
per  espugnar  Parigi,  piu  d'un  giorno, 
volse  tentar  Tassedio  finalmente, 
poi  che  pigliar  non  lo  potea  altrimente. 

LXXI 

E  per  far  questo  avea  gente  infinita; 
che  oltre  a  quella  che  con  lui  giunt'era, 
e  quella  che  di  Spagna  avea  seguita 
del  re  Marsilio  la  real  bandiera, 
molta  di  Francia  n'avea  al  soldo  unita; 
che  da  Parigi  insino  alia  riviera 
d'Arli,  con  parte  di  Guascogna  (eccetto 
alcune  rocche)  avea  tutto  suggetto. 


264  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

Or  cominciando  i  trepidi  ruscelli 
a  sciorre  il  freddo  giaccio  in  tiepide  onde, 
e  i  prati  di  nuove  erbe,  e  gli  arbuscelli 
a  rivestirsi  di  tenera  fronde; 
raguno  il  re  Agramante  tutti  quelli 
che  seguian  le  fortune  sue  seconde, 
per  farsi  rassegnar  1'armata  torma; 
indi  alle  cose  sue  dar  miglior  forma. 

LXXIII 

A  questo  effetto  il  re  di  Tremisenne 
con  quel  de  la  Norizia  ne  venia, 
per  la  giungere  a  tempo,  ove  si  tenne 
poi  conto  d'ogni  squadra  o  buona  o  ria. 
Orlando  a  caso  ad  incontrar  si  venne 
(come  io  v'ho  detto)  in  questa  compagnia, 
cercando  pur  colei,  come  egli  era  uso, 
che  nel  career  d'Amor  lo  tenea  chiuso. 

LXXIV 

Come  Alzirdo  appressar  vide  quel  conte 
che  di  valor  non  avea  pari  al  mondo, 
in  tal  sembiante,  in  si  superba  fronte, 
che  '1  dio  de  I'arme  a  lui  parea  secondo ; 
rest6  stupito  alle  fattezze  conte, 
al  fiero  sguardo,  al  viso  furibondo: 
e  lo  stim6  guerrier  d'alta  prodezza; 
ma  ebbe  del  provar  troppa  vaghezza. 

LXXV 

Era  giovane  Alzirdo,  et  arrogante 
per  molta  forza,  e  per  gran  cor  pregiato. 
Per  giostrar  spinse  il  suo  cavallo  inante : 
meglio  per  lui,  se  fosse  in  schiera  stato ; 
che  ne  lo  scontro  il  principe  d'Anglante 
lo  fej  cader  per  mezzo  il  cor  passato. 
Giva  in  fuga  il  destrier  di  timor  pieno, 
che  su  non  v'era  chi  reggesse  il  freno. 


CANTO    DUODECIMO  265 

LXXVI 

Levasi  un  grido  subito  et  orrendo, 
che  d'ogn'intorno  n'ha  1'aria  ripiena, 
come  si  vede  il  giovene,  cadendo, 
spicciar  il  sangue  di  si  larga  vena. 
La  turba  verso  il  conte  vien  fremendo 
disordinata,  e  tagli  e  punte  mena; 
ma  quella  e  piu,  che  con  pennuti  dardi 
tempesta  il  fior  dei  cavallier  gagliardi. 

LXXVII 

Con  qual  rumor  la  setolosa  frotta 
correr  da  monti  suole  o  da  campagne, 
se  '1  lupo  uscito  di  nascosa  grotta, 
o  Torso  sceso  alle  minor  montagne, 
un  tener  porco  preso  abbia  talotta, 
che  con  grugnito  e  gran  stridor  si  lagne; 
con  tal  lo  stuol  barbarico  era  mosso 
verso  il  conte,  gridando :  —  Adosso,  adosso !  — 

LXXVIII 

Lance,  saette  e  spade  ebbe  Fusbergo 
a  un  tempo  mille,  e  lo  scudo  altretante: 
chi  gli  percuote  con  la  mazza  il  tergo, 
chi  minaccia  da  lato,  e  chi  davante. 
Ma  quel,  ch'al  timor  mai  non  diede  albergo 
estima  la  vil  turba  e  Tarme  tante 
quel  che  dentro  alia  mandra,  alPaer  cupo, 
il  numer  de  Tagnelle  estimi  il  lupo. 

LXXIX 

Nuda  avea  in  man  quella  fulminea  spada 
che  posti  ha  tanti  Saracini  a  morte: 
dunque  chi  vuol  di  quanta  turba  cada 
tenere  il  conto,  ha  impresa  dura  e  forte. 
Rossa  di  sangue  gia  correa  la  strada, 
capace  a  pena  a  tante  genti  morte; 
perche  ne  targa  ne  capel  difende 
la  fatal  Durindana,  ove  discende, 


266  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

n6  vesta  plena  di  cotone,  o  tele 
che  circondino  il  capo  in  mille  v61ti. 
Non  pur  per  1'aria  gemiti  e  querele, 
ma  volan  braccia  e  spalle  e  capi  sciolti. 
Pel  campo  errando  va  Morte  cnidele 
in  molti,  varii,  e  tutti  orribil  volti; 
e  tra  s6  dice:  «In  man  d' Orlando  valci 
Durindana  per  cento  de  mie  falci.» 

LXXXI 

Una  percossa  a  pena  Paltra  aspetta. 
Ben  tosto  cominciar  tutti  a  fuggire; 
e  quando  prima  ne  veniano  in  fretta 
(perch* era  sol,  credeanselo  inghiottire), 
non  e  chi  per  levarsi  de  la  stretta 
Tamico  aspetti,  e  cerchi  insieme  gire: 
chi  fugge  a  piedi  in  qua,  chi  cola  sprona; 
nessun  domanda  se  la  strada  e  buona. 

LXXXII 

Virtude  andava  intorno  con  lo  speglio 
che  fa  veder  ne  1'anima  ogni  ruga: 
nessun  vi  si  miro,  se  non  un  veglio 
a  cui  il  sangue  1'eta,  non  Pardir,  sciuga. 
Vide  costui  quanto  il  morir  sia  meglio, 
che  con  suo  disonor  mettersi  in  fuga: 
dico  il  re  di  Norizia;  onde  la  lancia 
arrest6  contra  il  paladin  di  Francia. 

LXXXIII 

E  la  roppe  alia  penna  de  lo  scudo 
del  fiero  conte,  che  nulla  si  mosse. 
Egli  ch'avea  alia  posta  il  brando  nudo, 
re  Manilardo  al  trapassar  percosse. 
Fortuna  I'aiuto,  che  '1  ferro  crudo 
in  man  d' Orlando  al  venir  giu  voltosse: 
tirare  i  colpi  a  filo  ognor  non  lece; 
ma  pur  di  sella  stramazzar  lo  fece. 


CANTO    DUODECIMO  267 

LXXXIV 

Stordito  de  Tarcion  quel  re  stramazza: 
non  si  rivolge  Orlando  a  rivederlo; 
che  gli  altri  taglia,  tronca,  fende,  amazza: 
a  tutti  pare  in  su  le  spalle  averlo. 
Come  per  Tana,  ove  ban  si  larga  piazza, 
fuggon  li  storni  da  Taudace  smerlo, 
cosi  di  quella  squadra  onnai  disfatta 
altri  cade,  altri  fugge,  altri  s'appiatta. 

LXXXV 

Non  cesso  pria  la  sanguinosa  spada, 
che  fu  di  viva  gente  il  campo  v6to. 
Orlando  e  in  dubbio  a  ripigliar  la  strada, 
ben  che  gli  sia  tutto  il  paese  noto. 
O  da  man  destra  o  da  sinistra  vada, 
il  pensier  da  Pandar  sempre  e  remoto: 
d' Angelica  cercar,  fuor  ch'ove  sia, 
teme,  e  di  far  sempre  contraria  via. 

LXXXVI 

II  suo  camin  (di  lei  chiedendo  spesso) 
or  per  li  campi  or  per  le  selve  tenne: 
e  si  come  era  uscito  di  se  stesso, 
usci  di  strada,  e  a  pie  d'un  monte  venne, 
dove  la  notte  fuor  d'un  sasso  fesso 
lontan  vide  un  splendor  batter  le  penne. 
Orlando  al  sasso  per  veder  s'accosta, 
se  quivi  fosse  Angelica  reposta. 

LXXXVII 

Come  nel  bosco  de  Fumil  ginepre, 
o  ne  la  stoppia  alia  campagna  aperta, 
quando  si  cerca  la  paurosa  lepre 
per  traversati  solchi  e  per  via  incerta, 
si  va  ad  ogni  cespuglio,  ad  ogni  vepre, 
se  per  ventura  vi  fosse  coperta; 
cosi  cercava  Orlando  con  gran  pena 
la  donna  sua,  dove  speranza  il  mena. 


268  ORLANDO  FURIOSO 

LXXXVIII 

Verso  quel  raggio  andando  in  fretta  il  conte, 
giunse  ove  ne  la  selva  si  difTonde 
da  Tangusto  spiraglio  di  quel  monte, 
ch'una  capace  grotta  in  s6  nasconde; 
e  truova  inanzi  ne  la  prima  fronte 
spine  e  virgulti,  come  mura  e  sponde, 
per  celar  quei  che  ne  la  grotta  stanno, 
da  chi  far  lor  cercasse  oltraggio  e  danno. 


Di  giorno  ritrovata  non  sarebbe, 
ma  la  facea  di  notte  il  lume  aperta. 
Orlando  pensa  ben  quel  ch'esser  debbe; 
pur  vuol  saper  la  cosa  anco  piu  certa. 
Poi  che  legato  fuor  Brigliadoro  ebbe, 
tacito  viene  alia  grotta  coperta; 
e  fra  li  spessi  rami  ne  la  buca 
entra,  senza  chiamar  chi  1'introduca. 

xc 

Scende  la  tomba  molti  gradi  al  basso, 
dove  la  viva  gente  sta  sepolta. 
Era  non  poco  spazioso  il  sasso 
tagliato  a  punte  di  scarpelli  in  volta; 
ne  di  luce  diurna  in  tutto  casso, 
ben  che  Fentrata  non  ne  dava  molta; 
ma  ve  ne  venia  assai  da  una  finestra 
che  sporgea  in  un  pertugio  da  man  destra. 

xci 

In  mezzo  la  spelonca,  appresso  a  un  fuoco, 
era  una  donna  di  giocondo  viso ; 
quindici  anni  passar  dovea  di  poco, 
quanto  fu  al  conte,  al  primo  sguardo,  aviso: 
et  era  bella  si,  che  facea  il  loco 
salvatico  parere  un  paradiso; 
ben  ch'avea  gli  occhi  di  lacrime  pregni, 
del  cor  dolente  manifesti  segni. 


CANTO   DUODECIMO  269 

XCII 

V'era  una  vecchia,  e  facean  gran  contese 
(come  uso  feminil  spesso  esser  suole); 
ma  come  il  conte  ne  la  grotta  scese, 
finiron  le  dispute  e  le  parole. 
Orlando  a  salutarle  fu  cortese 
(come  con  donne  sempre  esser  si  vuole), 
et  elle  si  levaro  immantinente, 
e  lui  risalutar  benignamente. 

XCIII 

Gli  e  ver  che  si  smarriro  in  faccia  alquanto, 
come  improviso  udiron  quella  voce, 
e  insieme  entrare  armato  tutto  quanto 
vider  la  dentro  un  uom  tanto  feroce. 
Orlando  domando  qual  fosse  tanto 
scortese,  ingiusto,  barbaro  et  atroce, 
che  ne  la  grotta  tenesse  sepolto 
un  si  gentile  et  amoroso  volto. 

xciv 

La  vergine  a  fatica  gli  rispose, 
interrotta  da  fervidi  signiozzi, 
che  dai  coralli  e  da  le  preziose 
perle  uscir  fanno  i  dolci  accenti  mozzi. 
Le  lacrime  scendean  tra  gigli  e  rose, 
la  dove  avien  ch'alcuna  se  n'inghiozzi. 
Piacciavi  udir  ne  Paltro  canto  il  resto, 
Signor,  che  tempo  e  omai  di  finir  questo. 


270  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO  TERZODECIMO 


I 

Ben  furo  aventurosi  i  cavallieri 
ch'erano  a  quella  eta,  che  nei  valloni, 
ne  le  scure  spelonche  e  boschi  fieri, 
tane  di  serpi,  d'orsi  e  di  leoni, 
trovavan  quel  che  nei  palazzi  altieri 
a  pena  or  trovar  puon  giudici  buoni: 
donne,  che  ne  la  lor  piu  fresca  etade 
sien  degne  d'aver  titol  di  beltade. 

II 

Di  sopra  vi  narrai  che  ne  la  grotta 
avea  trovato  Orlando  una  donzella, 
e  che  le  dimando  ch'ivi  condotta 
1'avesse:  or  seguitando,  dico  ch'ella, 
poi  che  piu  d'un  signiozzo  1'ha  interrotta, 
con  dolce  e  suavissima  favella 
al  conte  fa  le  sue  sciagure  note, 
con  quella  brevita  che  meglio  puote. 

in 

—  Ben  che  io  sia  certa,  —  dice  —  o  cavalliero, 

ch'io  porter6  del  mio  parlar  supplizio, 

perche  a  colui  che  qui  m'ha  chiusa,  spero 

che  costei  ne  dara  subito  indizio ; 

pur  son  disposta  non  celarti  il  vero, 

e  vada  la  mia  vita  in  precipizio. 

E  ch'aspettar  poss'io  da  lui  piu  gioia, 

che  Jl  si  disponga  un  dl  voler  ch'io  muoia? 


CANTO    TERZODECIMO  271 

IV 

Isabella  sono  io,  che  figlia  fui 
del  re  mal  fortunate  di  Gallizia. 
Ben  dissi  fui;  ch'or  non  son  piu  di  lui, 
ma  di  dolor,  d'affanno  e  di  mestizia. 
Colpa  d'Amor;  ch'io  non  saprei  di  cui 
dolermi  piu  che  de  la  sua  nequizia, 
che  dolcemente  nei  principii  applaude, 
e  tesse  di  nascosto  inganno  e  fraude, 

v 

Gia  mi  vivea  di  mia  sorte  felice, 
gentil,  giovane,  ricca,  onesta  e  bella: 
vile  e  povera  or  sono,  or  infelice; 
e  s'altra  e  peggior  sorte,  io  sono  in  quella. 
Ma  voglio  sappi  la  prima  radice 
che  produsse  quel  mal  che  mi  flagella; 
e  ben  ch'aiuto  poi  da  te  non  esca, 
poco  non  mi  parra  che  te  n'incresca. 

VI 

Mio  patre  fe'  in  Baiona  alcune  giostre, 

esser  denno  oggimai  dodici  mesi. 

Trasse  la  fama  ne  le  terre  nostre 

cavallieri  a  giostrar  di  piu  paesi. 

Fra  gli  altri  (o  sia  ch'Amor  cosi  mi  mostre, 

o  che  virtu  pur  se  stessa  palesi) 

mi  parve  da  lodar  Zerbino  solo, 

che  del  gran  re  di  Scozia  era  figliuolo. 

VII 

II  qual  poi  che  far  pruove  in  campo  vidi 

miracolose  di  cavalleria, 

fui  presa  del  suo  amore;  e  non  m'avidi, 

ch'io  mi  conobbi  piu  non  esser  mia. 

E  pur,  ben  che  '1  suo  amor  cosi  mi  guidi, 

mi  giova  sempre  avere  in  fantasia 

ch'io  non  misi  il  mio  core  in  luogo  immondo, 

ma  nel  piu  degno  e  bel  ch'oggi  sia  al  mondo. 


272  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Zerbino  di  bellezza  e  di  valore 
sopra  tutti  i  signori  era  eminente. 
Mostrommi,  e  credo  mi  portasse  amore, 
e  die  di  me  non  fosse  meno  ardente. 
Non  ci  manc6  chi  del  commune  ardore 
interprete  fra  noi  fosse  sovente, 
poi  che  di  vista  an  cor  fummo  disgiunti; 
che  gli  animi  restar  sempre  congiunti. 

IX 

Per6  che  dato  fine  alia  gran  festa, 
il  mio  Zerbino  in  Scozia  fe'  ritorno. 
Se  sai  che  cosa  e  amor,  ben  sai  che  mesta 
restai,  di  lui  pensando  notte  e  giorno; 
et  era  certa  che  non  men  molesta 
fiamma  intorno  il  suo  cor  facea  soggiorno. 
Egli  non  fece  al  suo  disio  piu  schermi, 
se  non  che  cerc6  via  di  seco  avermi. 

x 

E  perche  vieta  la  diversa  fede 
(essendo  egli  cristiano,  io  saracina) 
ch'al  mio  padre  per  moglie  non  mi  chiede, 
per  furto  indi  levarmi  si  destina. 
Fuor  de  la  ricca  mia  patria,  che  siede 
tra  verdi  campi  allato  alia  marina, 
aveva  un  bel  giardin  sopra  una  riva, 
che  colli  intorno  e  tutto  il  mar  scopriva. 

XI 

Gli  parve  il  luogo  a  fornir  ci6  disposto, 
che  la  diversa  religion  ci  vieta; 
e  mi  fa  saper  Tordine  che  posto 
avea  di  far  la  nostra  vita  lieta. 
Appresso  a  Santa  Marta  avea  nascosto 
con  gente  armata  una  galea  secreta, 
in  guardia  d'Odorico  di  Biscaglia, 
in  mare  e  in  terra  mastro  di  battaglia. 


CANTO    TERZODECIMO  273 

XII 

Ne  potendo  in  persona  far  Feffetto, 
perch' egli  allora  era  dal  padre  antico 
a  dar  soccorso  al  re  di  Francia  astretto, 
manderia  in  vece  sua  questo  Odorico, 
che  fra  tutti  i  fedeli  amici  eletto 
s'avea  pel  piu  fedele  e  pel  piu  amico: 
e  bene  esser  dovea,  se  i  benefici 
sempre  hanno  forza  d'acquistar  gli  amici. 

XIII 

Verria  costui  sopra  un  navilio  armato, 

al  terminate  tempo  indi  a  levarmi. 

E  cosi  venne  il  giorno  disiato, 

che  dentro  il  mio  giardin  lasciai  trovarmi. 

Odorico  la  notte,  accompagnato 

di  gente  valorosa  alPacqua  e  aH'arnii, 

smont6  ad  un  flume  alia  citta  vicino, 

e  venne  chetamente  al  mio  giardino. 

XIV 

Quindi  fui  tratta  alia  galea  spalmata, 
prima  che  la  citta  n'avesse  avisi. 
De  la  famiglia  ignuda  e  disarmata 
altri  fuggiro,  altri  restaro  uccisi, 
parte  captiva  meco  fu  menata. 
Cosi  da  la  mia  terra  io  mi  divisi, 
con  quanto  gaudio  non  ti  potrei  dire, 
sperando  in  breve  il  mio  Zerbin  fruire. 

xv 

Voltati  sopra  Mongia  eramo  a  pena, 
quando  ci  assalse  alia  sinistra  sponda 
un  vento  che  turbo  Taria  serena, 
e  turbo  il  mare,  e  al  ciel  gli  Iev6  Tonda. 
Salta  un  maestro  ch'a  traverso  mena, 
e  cresce  ad  ora  ad  ora,  e  soprabonda; 
e  cresce  e  soprabonda  con  tal  forza, 
che  val  poco  alternar  poggia  con  orza. 


274  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

Non  giova  calar  vele,  e  P  arbor  sopra 
corsia  legar,  ne  ruinar  castella; 
che  ci  veggian  mal  grado  portar  sopra 
acuti  scogli,  appresso  alia  Rocella. 
Se  non  ci  aiuta  quel  che  sta  di  sopra, 
ci  spinge  in  terra  la  crudel  procella. 
II  vento  rio  ne  caccia  in  maggior  fretta, 
che  d'arco  mai  non  si  avento  saetta. 

XVII 

Vide  il  periglio  il  Biscaglino,  e  a  quello 
us6  un  rimedio  che  fallir  suol  spesso: 
ebbe  ricorso  subito  al  battello; 
calossi,  e  me  calar  fece  con  esso. 
Sceser  dui  altri,  e  ne  scendea  un  drapello, 
se  i  primi  scesi  1'avesser  concesso; 
ma  con  le  spade  li  tenner  discosto, 
tagliar  la  fune,  e  ci  allargamo  tosto. 

XVIII 

Fummo  gittati  a  salvamento  al  lito 
noi  che  nel  palischermo  eramo  scesi; 
periron  gli  altri  col  legno  sdrucito: 
in  preda  al  mare  andar  tutti  gli  arnesi. 
AlPeterna  Bontade,  alFinfinito 
Amor,  rendendo  grazie,  le  man  stesi, 
che  non  m'avessi  dal  furor  marino 
lasciato  tor  di  riveder  Zerbino. 

XIX 

Come  ch'io  avessi  sopra  il  legno  e  vesti 
lasciato  e  gioie  e  1'altre  cose  care, 
pur  che  la  speme  di  Zerbin  mi  resti, 
contenta  son  che  s'abbi  il  resto  il  mare. 
Non  sono,  ove  scendemo,  i  liti  pesti 
d'alcun  sentier,  ne  intorno  albergo  appare, 
ma  solo  il  monte,  al  qual  mai  serhpre  fiede 
Tombroso  capo  il  vento,  e  Jl  mare  il  piede. 


CANTO   TERZODECIMO  275 

XX 

Quivi  il  crude  tiranno  Amor,  che  sempre 

d'ogni  promessa  sua  fu  disleale, 

e  sempre  guarda  come  involva  e  stempre 

ogni  nostro  disegno  razionale, 

mut6  con  triste  e  disoneste  tempre 

mio  conforto  in  dolor,  mio  bene  in  male; 

che  quelTamico,  in  chi  Zerbin  si  crede, 

di  desire  arse,  et  agghiacci6  di  fede. 

XXI 

O  che  m'avesse  in  mar  bramata  ancora, 
ne  fosse  stato  a  dimostrarlo  ardito, 
o  cominciassi  il  desiderio  allora 
che  Tagio  v'ebbe  dal  solingo  lito; 
disegno  quivi  senza  piu  dimora 
condurre  a  fin  1'ingordo  suo  appetito; 
ma  prima  da  se  torre  un  de  li  dui 
che  nel  battel  campati  eran  con  mii. 

XXII 

Quell' era  omo  di  Scozia,  Almonio  detto, 
che  mostrava  a  Zerbin  portar  gran  fede; 
e  commendato  per  guerrier  perfetto 
da  lui  fu,  quando  ad  Odorico  il  diede. 
Disse  a  costui  che  biasmo  era  e  difetto, 
se  mi  traeano  alia  Rocella  a  piede; 
e  lo  preg6  ch'inanti  volesse  ire 
a  farmi  incontra  alcun  ronzin  venire. 

XXIII 

Almonio,  che  di  ci6  nulla  temea, 
immantinente  inanzi  il  camin  piglia 
alia  citta  che  31  bosco  ci  ascondea, 
e  non  era  lontana  oltra  sei  miglia. 
Odorico  scoprir  sua  voglia  rea 
alTaltro  finalmente  si  consiglia: 
si  perch6  tor  non  se  lo  sa  d'appresso, 
si  perche  avea  gran  confidenzia  in  esso. 


276  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Era  Corebo  di  Bilbao  nomato 
quel  di  ch'io  parlo,  die  con  noi  rimase; 
che  da  fanciullo  picciolo  allevato 
s'era  con  lui  ne  le  medesme  case. 
Poter  con  lui  communicar  Pingrato 
pensiero  il  traditor  si  persuase, 
sperando  ch'ad  amar  saria  piii  presto 
il  piacer  de  Pamico,  che  1'onesto. 

xxv 

Corebo,  che  gentile  era  e  cortese, 
non  lo  pote  ascoltar  senza  gran  sdegno ; 
lo  chiamo  traditore,  e  gli  contese 
con  parole  e  con  fatti  il  rio  disegno. 
Grande  ira  alPuno  e  alPaltro  il  core  accese, 
e  con  le  spade  nude  ne  fer  segno. 
Al  trar  de'  ferri,  io  fui  da  la  paura 
volta  a  fuggir  per  Palta  selva  oscura. 

XXVI 

Odorico,  che  mastro  era  di  guerra, 
in  pochi  colpi  a  tal  vantaggio  venne, 
che  per  morto  lascio  Corebo  in  terra, 
e  per  le  mie  vestigie  il  camin  tenne. 
Prestbgli  Amor  (se  '1  mio  creder  non  erra), 
accio  potesse  giungermi,  le  penne; 
e  gPinsegn6  molte  lusinghe  e  prieghi, 
con  che  ad  amarlo  e  compiacer  mi  pieghi. 

XXVII 

Ma  tutto  e  indarno;  che  fermata  e  certa 
piu  tosto  era  a  morir,  ch'a  satisfarli. 
Poi  ch'ogni  priego,  ogni  lusinga  esperta 
ebbe  e  minaccie,  e  non  potean  giovarli, 
si  ridusse  alia  forza  a  faccia  aperta. 
Nulla  mi  val  che  supplicando  parli 
de  la  fe  ch'avea  in  lui  Zerbino  avuta, 
e  ch'io  ne  le  sue  man  m'era  creduta. 


CANTO    TERZODECIMO  277 

XXVIII 

Poi  che  gittar  mi  vidi  i  prieghi  invano, 
ne  mi  sperare  altronde  altro  soccorso, 
e  che  piu  sempre  cupido  e  villano 
a  me  venia,  come  famelico  orso; 
io  mi  difesi  con  piedi  e  con  mano, 
et  adopra'vi  sin  a  Fugne  e  il  morso: 
pela'gli  il  mento,  e  gli  graffiai  la  pelle, 
con  stridi  che  n'andavano  alle  stelle. 

XXIX 

Non  so  se  fosse  caso,  o  li  miei  gridi 
che  si  doveano  udir  lungi  una  lega, 
o  pur  ch'usati  sian  correre  ai  lidi 
quando  navilio  alcun  si  rompe  o  anniega; 
sopra  il  monte  una  turba  apparir  vidi, 
e  questa  al  mare  e  verso  noi  si  piega. 
Come  la  vede  il  Biscaglin  venire, 
lascia  Fimpresa,  e  voltasi  a  fuggire. 

xxx 

Contra  quel  disleal  mi  fu  adiutrice 
questa  turba,  signer;  ma  a  quella  image 
che  sovente  in  proverbio  il  vulgo  dice : 
cader  de  la  padella  ne  le  brage. 
Gli  e  ver  ch'io  non  son  stata  si  infelice, 
ne  le  lor  menti  ancor  tanto  malvage, 
ch'abbino  violata  mia  persona: 
non  che  sia  in  lor  virtu,  ne  cosa  buona; 

XXXI 

ma  perch6  se  mi  serban,  come  io  sono, 
vergine,  speran  vendermi  piu  molto. 
Finito  e  il  mese  ottavo  e  viene  il  nono, 
che  fu  il  mio  vivo  corpo  qui  sepolto. 
Del  mio  Zerbino  ogni  speme  abbandono; 
che  gia,  per  quanto  ho  da  lor  detti  accolto, 
m'han  promessa  e  venduta  a  un  mercadante, 
che  portare  al  soldan  mi  de*  in  Levante.  — 


278  ORLANDO  FURIOSO 

XXXII 

Cosi  parlava  la  gentil  donzella; 

e  spesso  con  signozzi  e  con  sospiri 

interrompea  1*  angelica  favella, 

da  muovere  a  pietade  aspidi  e  tiri. 

Mentre  sua  doglia  cosi  rinovella, 

o  forse  disacerba  i  suoi  martiri, 

da  venti  uomini  entrar  ne  la  spelonca, 

armati  chi  di  spiedo  e  chi  di  ronca. 

XXXIII 

II  primo  d'essi,  uom  di  spietato  viso, 

ha  solo  un  occhio,  e  sguardo  scuro  e  bieco; 

1'altro,  d'un  colpo  che  gli  aveva  reciso 

il  naso  e  la  mascella,  e  fatto  cieco. 

Costui  vedendo  il  cavalliero  assiso 

con  la  vergine  bella  entro  allo  speco, 

volto  a'  compagni,  disse:  —  Ecco  augel  nuovo, 

a  cui  non  tesi,  e  ne  la  rete  il  truovo.  — 

XXXIV 

Poi  disse  al  conte :  —  Uomo  non  vidi  mai 
piu  commodo  di  te,  ne  piu  oportuno. 
Non  so  se  ti  se'  apposto,  o  se  lo  sai 
perche  te  Tabbia  forse  detto  alcuno, 
che  si  beHJarme  io  desiava  assai, 
e  questo  tuo  leggiadro  abito  bruno. 
Venuto  a  tempo  veramente  sei, 
per  riparare  agli  bisogni  miei.  — 

XXXV 

Sorrise  amaramente,  in  pie  salito, 
Orlando,  e  fe'  risposta  al  mascalzone: 
—  Io  ti  vendero  1'arme  ad  an  partito 
che  non  ha  mercadante  in  sua  ragione.  — 
Del  fuoco,  ch'avea  appresso,  indi  rapito 
pien  di  fuoco  e  di  fumo  uno  stizzone, 
trasse,  e  percosse  il  malandrino  a  caso, 
dove  confina  con  le  ciglia  il  naso. 


CANTO    TERZODECIMO  279 

XXXVI 

Lo  stizzone  ambe  le  palpebre  coke, 
ma  maggior  danno  fej  ne  la  sinistra; 
che  quella  parte  misera  gli  tolse, 
che  de  la  luce,  sola,  era  ministra. 
Ne  d'acciecarlo  contentar  si  volse 
il  colpo  fier,  s'ancor  non  lo  registra 
tra  quelli  spirti  che  con  suoi  compagni 
fa  star  Chiron  dentro  ai  bollenti  stagni. 

XXXVII 

Ne  la  spelonca  una  gran  mensa  siede 
grossa  duo  palmi,  e  spaziosa  in  quadro, 
che  sopra  un  mal  pulito  e  grosso  piede, 
cape  con  tutta  la  famiglia  il  ladro. 
Con  quelPagevolezza  che  si  vede 
gittar  la  canna  lo  Spagnuol  leggiadro, 
Orlando  il  grave  desco  da  se  scaglia 
dove  ristretta  insieme  e  la  canaglia. 

XXXVIII 

A  ch'il  petto,  a  ch'il  ventre,  a  chi  la  testa, 
a  chi  rompe  le  gambe,  a  chi  le  braccia; 
di  ch'altri  muore,  altri  storpiato  resta: 
chi  meno  e  offeso,  di  fuggir  procaccia. 
Cosi  talvolta  un  grave  sasso  pesta 
e  fianchi  e  lombi,  e  spezza  capi  e  schiaccia, 
gittato  sopra  un  gran  drapel  di  biscie, 
che  dopo  il  verno  al  sol  si  go  da  e  liscie. 

xxxix 

Nascono  casi,  e  non  saprei  dir  quanti: 
una  muore,  una  parte  senza  coda, 
un'altra  non  si  pu6  muover  davanti, 
e  '1  deretano  indarno  aggira  e  snoda; 
un'altra,  ch'ebbe  piu  propizii  i  santi, 
striscia  fra  1'erbe,  e  va  serpendo  a  proda. 
II  colpo  orribil  fu,  ma  non  mirando, 
poi  che  lo  fece  il  valoroso  Orlando. 


280  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Quei  che  la  mensa  o  nulla  o  poco  offese 
(e  Turpin  scrive  a  punto  che  fur  sette), 
ai  piedi  raccomandan  sue  difese: 
ma  ne  Puscita  il  paladin  si  mette; 
e  poi  che  presi  gli  ha  senza  contese, 
le  man  lor  lega  con  la  fune  istrette, 
con  una  fune  al  suo  bisogno  destra, 
che  ritrov6  ne  la  casa  silvestra. 

XLI 

Poi  li  strascina  fuor  de  la  spelonca, 
dove  facea  grande  ombra  un  vecchio  sorbo. 
Orlando  con  la  spada  i  rami  tronca, 
e  quelli  attacca  per  vivanda  al  corbo. 
Non  bisogn6  catena  in  capo  adonca; 
che  per  purgare  il  mondo  di  quel  morbo, 
1' arbor  medesmo  gli  uncini  prestolli, 
con  che  pel  mento  Orlando  ivi  attacolli. 

XLII 

La  donna  vecchia,  arnica  a*  malandrini, 
poi  che  restar  tutti  li  vide  estinti, 
fuggi  piangendo,  e  con  le  mani  ai  crini, 
per  selve  e  boscherecci  labirinti. 
Dopo  aspri  e  malagevoli  camini, 
a  gravi  passi  e  dal  timor  sospinti, 
in  ripa  un  fiume  in  un  guerrier  scontrosse; 
ma  diferisco  a  ricontar  chi  fosse. 

XLIII 

E  torno  alPaltra,  che  si  raccomanda 
al  paladin  che  non  la  lasci  sola; 
e  dice  di  seguirlo  in  ogni  banda. 
Cortesemente  Orlando  la  consola; 
e  quindi,  poi  ch'uscl  con  la  ghirlanda 
di  rose  adorna  e  di  purpurea  stola 
la  bianca  Aurora  al  solito  camino, 
parti  con  Isabella  il  paladino. 


CANTO   TERZODECIMO  281 

XLIV 

Senza  trovar  cosa  che  degna  sia 
d'istoria,  molti  giorni  insieme  andaro; 
e  finalmente  un  cavallier  per  via, 
che  prigione  era  tratto,  riscontraro. 
Chi  fosse,  diro  poi;  ch'or  me  ne  svia 
tal,  di  chi  udir  non  vi  sara  men  caro: 
la  figliuola  d'Amon,  la  qual  lasciai 
languida  dianzi  in  amorosi  guai. 

XLV 

La  bella  donna,  disiando  invano 
ch'a  lei  facesse  il  suo  Ruggier  ritorno, 
stava  a  Marsilia,  ove  allo  stuol  pagano 
dava  da  travagliar  quasi  ogni  giorno; 
il  qual  scorrea,  rubando  in  monte  e  in  piano, 
per  Linguadoca  e  per  Provenza  intorno: 
et  ella  ben  facea  Tufficio  vero 
di  savio  duca  e  d'ottimo  guerriero. 

XLVI 

Standosi  quivi,  e  di  gran  spazio  essendo 

passato  il  tempo  che  tornare  a  lei 

il  suo  Ruggier  dovea,  ne  lo  vedendo, 

vivea  in  timor  di  mille  casi  rei. 

Un  di  fra  gli  altri,  che  di  ci6  piangendo 

stava  solinga,  le  arriv6  colei 

che  port6  ne  Tannel  la  medicina 

che  sano  il  cor  ch'avea  ferito  Alcina. 

XLVII 

Come  a  se  ritornar  senza  il  suo  amante, 
dopo  si  lungo  termine,  la  vede, 
resta  pallida  e  smorta,  e  si  tremante, 
che  non  ha  forza  di  tenersi  in  piede: 
ma  la  maga  gentil  le  va  davante 
ridendo,  poi  che  del  timor  s'avede; 
e  con  viso  giocondo  la  conforta, 
qual  aver  suol  chi  buone  nuove  apporta. 


282  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

—  Non  temer  —  disse  —  di  Ruggier,  donzella, 
ch'6  vivo  e  sano,  e  come  suol  t'adora; 

ma  non  &  gia  in  sua  liberta,  che  quella 
pur  gli  ha  levata  il  tuo  nemico  ancora: 
et  e  bisogno  che  tu  monti  in  sella, 
se  brami  averlo,  e  che  mi  segui  or  ora; 
che  se  mi  segui,  io  t'aprir6  la  via 
donde  per  te  Ruggier  libero  fia.  — 

XLIX 

E  seguit6,  narrandole  di  quello 
magico  error  che  gli  avea  ordito  Atlante: 
che  simulando  d'essa  il  viso  bello, 
che  captiva  parea  del  rio  gigante, 
tratto  1'avea  ne  rincantato  ostello, 
dove  sparito  poi  gli  era  davante; 
e  come  tarda  con  simile  inganno 
le  donne  e  i  cavallier  che  di  la  vanno. 

L 

A  tutti  par,  1'incantator  mirando, 
mirar  quel  che  per  se  brama  ciascuno, 
donna,  scudier,  compagno,  amico,  quando 
il  desiderio  uman  non  e  tutto  uno. 
Quindi  il  palagio  van  tutti  cercando 
con  lungo  affanno,  e  senza  frutto  alcuno ; 
e  tanta  &  la  speranza  e  il  gran  disire 
del  ritrovar,  che  non  ne  san  partire. 

LI 

—  Come  tu  giungi  —  disse  —  in  quella  parte 
che  giace  presso  all'incantata  stanza, 

verrk  1'incantatore  a  ritrovarte, 

che  terra  di  Ruggiero  ogni  sembianza; 

e  ti  fara  parer,  con  sua  maTarte, 

ch'ivi  lo  vinca  alcun  di  piu  possanza, 

accio  che  tu  per  aiutarlo  vada 

dove  con  gli  altri  poi  ti  tenga  a  bada. 


CANTO   TERZODECIMO  283 

LII 

Accio  Tinganni,  in  che  son  tanti  e  tanti 
caduti,  non  ti  colgan,  sie  avertita, 
che  se  ben  di  Ruggier  viso  e  sembianti 
ti  parra  di  veder,  che  chieggia  aita, 
non  gli  dar  fede  tu;  ma,  come  avanti 
ti  vien,  fagli  lasciar  1'indegna  vita: 
ne  dubitar  percio  che  Ruggier  muoia, 
ma  ben  colui  che  ti  da  tanta  noia. 

LIII 

Ti  parra  duro  assai,  ben  lo  conosco, 
uccidere  un  che  sembri  il  tuo  Ruggiero: 
pur  non  dar  fede  alPocchio  tuo,  che  losco 
fara  Fincanto,  e  celeragli  il  vero. 
Fermati,  pria  ch'io  ti  conduca  al  bosco, 
si  che  poi  non  si  cangi  il  tuo  pensiero; 
che  sempre  di  Ruggier  rimarrai  priva, 
se  lasci  per  vilta  che  '1  mago  viva.  — 

LIV 

La  valorosa  giovane,  con  questa 
intenzion  che  Jl  fraudolente  uccida, 
a  pigliar  Farme,  et  a  seguire  e  presta 
Melissa;  che  sa  ben  quanto  Fe  fida. 
Quella,  or  per  terren  culto,  or  per  foresta, 
a  gran  giornate  e  in  gran  fretta  la  guida, 
cercando  alleviarle  tuttavia 
con  parlar  grato  la  noiosa  via. 

LV 

E  piu  di  tutti  i  bei  ragionamenti, 
spesso  le  repetea  ch'uscir  di  lei 
e  di  Ruggier  doveano  gli  eccellenti 
principi  e  gloriosi  semidei. 
Come  a  Melissa  fossino  presenti 
tutti  i  secreti  degli  eterni  dei, 
tutte  le  cose  ella  sapea  predire, 
ch'avean  per  molti  seculi  a  venire. 


284  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

—  Deh,  come,  o  prudentissima  mia  scorta,  • 
dicea  alia  maga  Pinclita  donzella 

—  molti  anni  prima  tu  m'hai  fatto  accorta 
di  tanta  mia  viril  progenie  bella; 

cosl  d'alcuna  donna  mi  conforta, 
che  di  mia  stirpe  sia,  s'alcuna  in  quella 
matter  si  puo  tra  belle  e  virtuose.  — 
E  la  cortese  maga  le  rispose: 

LVII 

—  Da  te  uscir  veggio  le  pudiche  donne, 
madri  d'imperatori  e  di  gran  regi, 
reparatrici  e  solide  colonne 

de  case  illustri  e  di  domini  egregi; 
che  men  degne  non  son  ne  le  lor  gonne, 
ch'in  arme  i  cavallier,  di  sommi  pregi, 
di  pieta,  di  gran  cor,  di  gran  prudenza, 
di  somma  e  incomparabil  continenza. 

LVIII 

E  s'io  avr6  da  narrarti  di  ciascuna 
che  ne  la  stirpe  tua  sia  d'onor  degna, 
troppo  sara;  ch'io  non  ne  veggio  alcuna 
che  passar  con  silenzio  mi  convegna. 
Ma  ti  faro,  tra  mille,  scelta  d'una 
o  di  due  coppie,  acci6  ch'a  fin  ne  vegna. 
Ne  la  spelonca  perche  nol  dicesti? 
che  Timagini  ancor  vedute  avresti. 

LIX 

De  la  tua  chiara  stirpe  uscira  quella 
d'opere  illustri  e  di  bei  studii  arnica, 
ch'io  non  so  ben  se  piii  leggiadra  e  bella 
mi  debba  dire,  o  piu  saggia  e  pudica, 
liberale  e  magnanima  Isabella, 
che  del  bel  lume  suo  di  e  notte  aprica 
fara  la  terra  che  sul  Menzo  siede, 
a  cui  la  madre  d'Ocno  il  nome  diede: 


CANTO    TERZODECIMO  285 

LX 

dove  onorato  e  splendido  certame 
avra  col  suo  dignissimo  consorte, 
chi  di  lor  piu  le  virtu  prezzi  et  arne, 
e  chi  meglio  apra  a  cortesia  le  porte. 
S'un  narrera  ch'al  Taro  e  nel  Reame 
fu  a  liberar  da'  Galli  Italia  forte; 
1'altra  dira:  «Sol  perche  casta  visse 
Penelope,  non  fu  minor  d'Ulisse.» 

LXI 

Gran  cose  e  molte  in  brevi  detti  accolgo 
di  questa  donna,  e  piu  dietro  ne  lasso, 
che  in  quelli  di  ch'io  mi  levai  dal  volgo, 
mi  fe'  chiare  Merlin  dal  cavo  sasso. 
E  s'in  questo  gran  mar  la  vela  sciolgo, 
di  lunga  Tifi  in  navigar  trapasso. 
Conchiudo  in  somma  ch'ella  avra,  per  dono 
de  la  virtu  e  del  ciel,  cio  ch'e  di  buono. 

LXII 

Seco  avra  la  sorella  Beatrice, 
a  cui  si  converra  tal  nome  a  punto; 
ch'essa  non  sol  del  ben  che  qua  giu  lice, 
per  quel  che  vivera,  tocchera  il  punto; 
ma  avra  forza  di  far  seco  felice 
fra  tutti  i  ricchi  duci  il  suo  congiunto, 
il  qual,  come  ella  poi  lasciera  il  mondo, 
cosi  de  Tinfelici  andra  nel  fondo. 

LXIII 

E  Moro  e  Sforza  e  Viscontei  colubri, 

lei  viva,  formidabili  saranno 

da  Tiperboree  nievi  ai  lidi  rubri, 

da  1'Indo  ai  monti  ch'al  tuo  mar  via  danno: 

lei  morta,  andran  col  regno  degl'Insubri, 

e  con  grave  di  tutta  Italia  danno, 

in  servitute;  e  fia  stimata,  senza 

costei,  ventura  la  somma  prudenza. 


286  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Vi  saranno  altre  ancor,  ch'avranno  il  nome 
medesmo,  e  nasceran  molt'anni  prima: 
di  ch'una  s'ornera  le  sacre  chiome 
de  la  corona  di  Pannonia  opima; 
un'altra,  poi  che  le  terrene  some 
lasciate  avra,  fia  ne  Tausonio  clima 
collocata  nel  numer  de  le  dive, 
et  avra  incensi  e  imagini  votive. 

LXV 

De  P  altre  tacer6;  che,  come  ho  detto, 
lungo  sarebbe  a  ragionar  di  tante; 
ben  che  per  se  ciascuna  abbia  suggetto 
degno  ch'eroica  e  chiara  tuba  cante. 
Le  Blanche,  le  Lucrezie  io  terr6  in  petto, 
e  le  Costanze  e  1'altre,  che  di  quante 
splendide  case  Italia  reggeranno, 
reparatrici  e  madri  ad  esser  hanno. 

LXVI 

Piu  chj altre  fosser  mai,  le  tue  famiglie 
saran  ne  le  lor  donne  aventurose; 
non  dico  in  quella  piu  de  le  lor  figlie, 
che  ne  Talta  onesta  de  le  lor  spose. 
E  acci6  da  te  notizia  anco  si  piglie 
di  questa  parte  che  Merlin  mi  espose, 
forse  perch'io  '1  dovessi  a  te  ridire, 
ho  di  parlarne  non  poco  desire. 

LXVII 

E  diro  prima  di  Ricciarda,  degno 
esempio  di  fortezza  e  d'onestade: 
vedova  rimarra,  giovane,  a  sdegno 
di  Fortuna;  il  che  spesso  ai  buoni  accade. 
I  figli,  privi  del  paterno  regno, 
esuli  andar  vedra  in  strane  contrade, 
fanciulli  in  man  degli  aversari  loro; 
ma  infine  avra  il  suo  male  amplo  ristoro. 


CANTO    TERZODECIMO  287 

LXVIII 

De  1'alta  stirpe  d'Aragone  antica 
non  tacer6  la  splendida  regina, 
di  cui  ne  saggia  si,  ne  si  pudica 
veggio  istoria  lodar  greca  o  latina, 
ne  a  cui  Fortuna  piu  si  mostri  arnica; 
poi  che  sara  da  la  Bonta  divina 
elletta  madre  a  parturir  la  bella 
progenie,  Alfonso,  Ippolito  e  Isabella. 

LXIX 

Costei  sara  la  saggia  Leonora, 
che  nel  tuo  felice  arbore  s'inesta. 
Che  ti  dir6  de  la  seconda  nuora, 
succeditrice  prossima  di  questa? 
Lucrezia  Borgia,  di  cui  d'ora  in  ora 
la  belta,  la  virtu,  la  fama  onesta 
e  la  fortuna  crescera,  non  meno 
che  giovin  pianta  in  morbido  terreno. 

LXX 

Qual  lo  stagno  all'argento,  il  rame  alPoro, 
il  campestre  papavere  alia  rosa, 
pallido  salce  al  sempre  verde  alloro, 
dipinto  vetro  a  gemma  preziosa; 
tal  a  costei,  ch'ancor  non  nata  onoro, 
sara  ciascuna  insino  a  qui  famosa 
di  singular  belta,  di  gran  prudenzia, 
e  d'ogni  altra  lodevole  eccellenzia. 

LXXI 

E  sopra  tutti  gli  altri  incliti  pregi 
che  le  saranno  e  a  viva  e  a  morta  dati, 
si  lodera  che  di  costumi  regi 
Ercole  e  gli  altri  figli  avra  dotati, 
e  dato  gran  principio  ai  ricchi  fregi 
di  che  poi  s'orneranno  in  toga  e  armati; 
perche  Podor  non  se  ne  va  si  in  fretta, 
ch'in  nuovo  vaso,  o  buono  o  rio,  si  metta. 


288  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

Non  voglio  ch'in  silenzio  anco  Renata 
di  Francia,  nuora  di  costei,  rimagna, 
di  Luigi  il  duodecimo  Re  nata, 
e  de  Peterna  gloria  di  Bretagna. 
Ogni  virtu  ch'in  donna  mai  sia  stata, 
di  poi  die  *1  fuoco  scalda  e  Pacqua  bagna, 
e  gira  intorno  il  cielo,  insieme  tutta 
per  Renata  adornar  veggio  ridutta. 

LXXIII 

Lungo  sara  che  d'Alda  di  Sansogna 
narri,  o  de  la  contessa  di  Celano, 
o  di  Bianca  Maria  di  Catalogna, 
o  de  la  figlia  del  re  Sicigliano, 
o  de  la  bella  Lippa  da  Bologna, 
e  d'altre;  che  s'io  vo'  di  mano  in  mano 
venirtene  dicendo  le  gran  lode, 
entro  in  un  alto  mar  che  non  ha  prode.  — 

LXXIV 

Poi  che  le  racconto  la  maggior  parte 
de  la  futura  stirpe  a  suo  grand' agio, 
piu  volte  e  piu  le  replic6  de  1'arte 
ch'avea  tratto  Ruggier  dentro  al  palagio. 
Melissa  si  ferm6,  poi  che  fu  in  parte 
vicina  al  luogo  del  vecchio  malvagio; 
e  non  le  parve  di  venir  piu  inante, 
accio  veduta  non  fosse  da  Atlante. 

LXXV 

E  la  donzella  di  nuovo  consiglia 
di  quel  che  mille  volte  ormai  1'ha  detto. 
La  lascia  sola;  e  quella  oltre  a  dua  miglia 
non  cavalco  per  un  sentiero  istretto, 
che  vide  quel  ch'al  suo  Ruggier  simiglia; 
e  dui  giganti  di  crudele  aspetto 
intorno  avea,  che  lo  stringean  si  forte, 
ch'era  vicino  esser  condotto  a  morte. 


CANTO    TERZODECIMO  289 

LXXVI 

Come  la  donna  in  tal  periglio  vede 
colui  che  di  Ruggiero  ha  tutti  i  segni, 
subito  cangia  in  sospizion  la  fede, 
subito  oblia  tutti  i  suoi  bei  disegni. 
Che  sia  in  odio  a  Melissa  Ruggier  crede, 
per  miova  ingiuria  e  non  intesi  sdegni, 
e  cerchi  far  con  disusata  trama 
che  sia  morto  da  lei  che  cosi  Tama. 

LXXVII 

Seco  dicea:  «Non  e  Ruggier  costui, 
che  col  cor  sempre,  et  or  con  gli  occhi  veggio  ? 
e  s'or  non  veggio  e  non  conosco  lui, 
che  mai  veder  o  mai  conoscer  deggio? 
perche  voglio  io  de  la  credenza  altrui 
che  la  veduta  mia  giudichi  peggio  ? 
che  senza  gli  occhi  ancor,  sol  per  se  stesso 
pu6  il  cor  sentir  se  gli  e  lontano  o  appresso. » 

LXXVIII 

Mentre  che  cosi  pensa,  ode  la  voce 
che  le  par  di  Ruggier,  chieder  soccorso; 
e  vede  quello  a  un  tempo,  che  veloce 
sprona  il  cavallo  e  gli  ralenta  il  morso, 
e  Tun  nemico  e  Paltro  suo  feroce, 
che  lo  segue  e  lo  caccia  a  tutto  corso. 
Di  lor  seguir  la  donna  non  rimase, 
che  si  condusse  all'mcantate  case. 

LXXIX 

De  le  quai  non  piu  tosto  entro  le  porte, 
che  fu  sommersa  nel  commune  errore. 
Lo  cerc6  tutto  per  vie  dritte  e  torte 
invan  di  su  e  di  giu,  dentro  e  di  fuore; 
ne  cessa  notte  o  di,  tanto  era  forte 
Tincanto:  e  fatto  avea  Pincantatore, 
che  Ruggier  vede  sempre,  e  gli  favella, 
ne  Ruggier  lei,  ne  lui  riconosce  ella. 


ORLANDO   FURIOSO 
LXXX 

Ma  lascian  Bradamante,  e  non  v'incresca 
udir  che  cosi  resti  in  quello  incanto; 
che  quando  sara  il  tempo  ch'ella  n'esca, 
la  faro  uscire,  e  Ruggiero  altretanto. 
Come  raccende  il  gusto  il  mutar  esca, 
cosi  mi  par  che  la  mia  istoria,  quanto 
or  qua  or  la  piu  variata  sia, 
meno  a  chi  1'udira  noiosa  fia. 

LXXXI 

Di  molte  fila  esser  bisogno  parme 
a  condur  la  gran  tela  ch'io  lavoro. 
E  per6  non  vi  spiaccia  d'ascoltarme, 
come  fuor  de  le  stanze  il  popul  Moro 
davanti  al  re  Agramante  ha  preso  Tarme, 
che,  molto  minacciando  ai  Gigli  d'oro, 
lo  fa  assembrare  ad  una  mostra  nuova, 
per  saper  quanta  gente  si  ritruova. 

LXXXII 

Perch' oltre  i  cavallieri,  oltre  i  pedoni 
ch'al  mimero  sottratti  erano  in  copia, 
mancavan  capitani,  e  pur  de'  buoni, 
e  di  Spagna  e  di  Libia  e  d'Etiopia: 
e  le  diverse  squadre  e  le  nazioni 
givano  errando  senza  guida  propia. 
Per  dare  e  capo  et  ordine  a  ciascuna, 
tutto  il  campo  alia  mostra  si  raguna. 

LXXXIII 

In  supplimento  de  le  turbe  uccise 
ne  le  battaglie  e  ne'  fieri  conflitti, 
Tun  signore  in  Ispagna,  e  Taltro  mise 
in  Africa,  ove  molti  n'eran  scritti; 
e  tutti  alii  lor  ordini  divise, 
e  sotto  i  duci  lor  gli  ebbe  diritti. 
Differir6,  Signor,  con  grazia  vostra, 
ne  Taltro  canto  1'ordine  e  la  mostra. 


CANTO    QUARTODECIMO 


CANTO   QUARTODECIMO 


I 

Nei  molti  assalti  e  nei  crudel  conflitti, 
ch'avuti  avea  con  Francia,  Africa  e  Spagna, 
morti  erano  infiniti,  e  derelitti 
al  lupo,  al  corvo,  alTaquila  griffagna; 
e  ben  che  i  Franchi  fossero  piu  afflitti, 
che  tutta  avean  perduta  la  campagna, 
piu  si  doleano  i  Saracin,  per  molti 
principi  e  gran  baron  ch'eran  lor  tolti. 

II 

Ebbon  vittorie  cosi  sanguinose, 
che  lor  poco  avanz6  di  che  allegrarsL 
E  se  alle  antique  le  moderne  cose, 
invitto  Alfonso,  denno  assimigliarsi ; 
la  gran  vittoria,  onde  alle  virtuose 
opere  vostre  puo  la  gloria  darsi, 
di  ch'aver  sempre  lacrimose  ciglia 
Ravenna  debbe,  a  queste  s'assimiglia: 

in 

quando  cedendo  Morini  e  Picardi, 
Fesercito  normando  e  1'aquitano, 
voi  nei  mezzo  assaliste  li  stendardi 
del  quasi  vincitor  nimico  ispano, 
seguendo  voi  quei  gioveni  gagliardi, 
che  meritar  con  valorosa  mano 
quel  di  da  voi,  per  onorati  doni, 
Telse  indorate  e  gFindorati  sproni. 


ORLANDO   FURIOSO 
IV 

Con  si  animosi  petti  che  vi  foro 
vicini  o  poco  lungi  al  gran  periglio, 
crollaste  si  le  ricche  Giande  d'oro, 
si  rompeste  il  baston  giallo  e  vermiglio, 
ch'a  voi  si  deve  il  trionfale  alloro, 
che  non  fu  guasto  ne  sfiorato  il  Giglio. 
D'un'altra  fronde  v'orna  anco  la  chioma 
Faver  servato  il  suo  Fabrizio  a  Roma. 

v 

La  gran  Colonna  del  nome  romano, 
che  voi  prendeste,  e  che  servaste  intera, 
vi  da  piu  onor  che  se  di  vostra  mano 
fosse  caduta  la  milizia  fiera, 
quanta  n'ingrassa  il  campo  ravegnano, 
e  quanta  se  n'and6  senza  bandiera 
d'Aragon,  di  Castiglia  e  di  Navarra, 
veduto  non  giovar  spiedi  n6  carra. 

VI 

Quella  vittoria  fu  piu  di  conforto 
che  d'allegrezza;  perche  troppo  pesa 
contra  la  gioia  nostra  il  veder  morto 
il  capitan  di  Francia  e  de  Pimpresa; 
e  seco  avere  una  procella  absorto 
tanti  principi  illustri,  ch'a  difesa 
dei  regni  lor,  dei  lor  confederati, 
di  qua  da  le  fredd'Alpi  eran  passati. 

VII 

Nostra  salute,  nostra  vita  in  questa 
vittoria  suscitata  si  conosce, 
che  difende  che  '1  verno  e  la  tempesta 
di  Giove  irato  sopra  noi  non  crosce: 
ma  ne  goder  potiam,  ne  fame  festa, 
sentendo  i  gran  ramarichi  e  Tangosce, 
ch'in  veste  bruna  e  lacrimosa  guancia 
le  vedovelle  fan  per  tutta  Francia. 


CANTO    QUARTODECIMO  293 

VIII 

Bisogna  che  proveggia  il  re  Luigi 
di  nuovi  capitani  alle  sue  squadre, 
che  per  onor  de  1'aurea  Fiordaligi 
castighino  le  man  rapaci  e  ladre, 
che  suore,  e  frati  e  bianchi  e  neri  e  bigi 
violate  hanno,  e  sposa  e  figlia  e  madre ; 
gittato  in  terra  Cristo  in  sacramento, 
per  torgli  un  tabernaculo  d'argento. 

IX 

O  misera  Ravenna,  t'era  meglio 
ch'al  vincitor  non  fessi  resist enza; 
far  ch'a  te  fosse  inanzi  Brescia  speglio, 
che  tu  lo  fossi  a  Arimino  e  a  Faenza. 
Manda,  Luigi,  il  buon  Traulcio  veglio, 
ch'insegni  a  questi  tuoi  piu  continenza, 
e  conti  lor  quanti  per  simil  torti 
stati  ne  sian  per  tutta  Italia  morti. 


Come  di  capitani  bisogna  ora 

che  '1  re  di  Francia  al  campo  suo  proveggia, 

cosi  Marsilio  et  Agramante  allora, 

per  dar  buon  reggimento  alia  sua  greggia, 

dai  lochi  dove  il  verno  fe'  dimora 

vuol  ch'in  campagna  all'ordine  si  veggia; 

perche  vedendo  ove  bisogno  sia, 

guida  e  governo  ad  ogni  schiera  dia. 

XI 

Marsilio  prima,  e  poi  fece  Agramante 
passar  la  gente  sua  schiera  per  schiera. 
I  Catalani  a  tutti  gli  altri  inante 
di  Dorifebo  van  con  la  bandiera. 
Dopo  vien,  senza  il  suo  re  Folvirante, 
che  per  man  di  Rinaldo  gia  morto  era, 
la  gente  di  Navarra;  e  lo  re  ispano 
halle  dato  Isolier  per  capitano. 


294  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Balugante  del  popul  di  Leone, 
Grandonio  cura  degli  Algarbi  piglia; 
il  fratel  di  Marsilio,  Falsirone, 
ha  seco  armata  la  minor  Castiglia. 
Seguon  di  Madarasso  il  gonfalone 
quei  che  lasciato  han  Malaga  e  Siviglia, 
dal  mar  di  Gade  a  Cordova  feconda 
le  verdi  ripe  ovunque  il  Beti  inonda. 

XIII 

Stordilano  e  Tesira  e  Baricondo, 
Tun  dopo  Paltro,  mostra  la  sua  gente: 
Granata  al  primo,  Ulisbona  al  secondo, 
e  Maiorica  al  terzo  e  ubidiente. 
Fu  dj  Ulisbona  re  (tolto  dal  mondo 
Larbin)  Tesira,  di  Larbin  parente. 
Poi  vien  Gallizia,  che  sua  guida,  in  vece 
di  Maricoldo,  Serpentino  fece. 

XIV 

Quei  di  Tolledo  e  quei  di  Calatrava, 
di  ch'ebbe  Sinagon  gia  la  bandiera, 
con  tutta  quella  gente  che  si  lava 
in  Guadiana  e  bee  de  la  riviera, 
Paudace  Matalista  governava; 
Bianzardin  quei  d'Asturga  in  una  schiera 
con  quei  di  Salamanca  e  di  Piagenza, 
d'Avila,  di  Zamora  e  di  Palenza. 

XV 

Di  quei  di  Saragosa  e  de  la  corte 
del  re  Marsilio  ha  Ferrau  il  governo: 
tutta  la  gente  e  ben  armata  e  forte. 
In  questi  e  Malgarino,  Balinverno, 
Malzarise  e  Morgante,  ch'una  sorte 
avea  fatto  abitar  paese  esterno; 
che  poi  che  i  regni  lor  lor  furon  tolti, 
gli  avea  Marsilio  in  corte  sua  raccolti. 


CANTO    QUARTODECIMO  295 

XVI 

In  questa  e  di  Marsilio  il  gran  bastardo, 
Follicon  d'Almeria,  con  Doriconte, 
Bavarte  e  Largalifa  et  Analardo, 
et  Archidante  il  sagontino  conte, 
e  PAmirante  e  Langhiran  gagliardo, 
e  Malagur  ch'avea  1'astuzie  pronte, 
et  altri  et  altri,  di  quai  penso,  dove 
tempo  sara,  di  far  veder  le  pruove. 

XVII 

Poi  che  pass6  Fesercito  di  Spagna 
con  bella  mostra  inanzi  al  re  Agramante, 
con  la  sua  squadra  apparve  alia  campagna 
il  re  d'Oran,  che  quasi  era  gigante. 
L'altra  che  vien,  per  Martasin  si  lagna, 
il  qual  morto  le  fu  da  Bradamante; 
e  si  duol  ch'una  femina  si  vanti 
d'aver  ucciso  il  re  de'  Garamanti. 

XVIII 

Segue  la  terza  schiera  di  Marmonda, 
ch'Argosto  morto  abbandon6  in  Guascogna: 
a  questa  un  capo,  come  alia  seconda 
e  come  anco  alia  quarta,  dar  bisogna. 
Quantunque  il  re  Agramante  non  abonda 
di  capitani,  pur  ne  finge  e  sogna: 
dunque  Buraldo,  Ormida,  Arganio  elesse, 
e  dove  uopo  ne  fu,  guida  li  messe. 

XIX 

Diede  ad  Arganio  quei  di  Libicana, 
che  piangean  morto  il  negro  Dudrinasso. 
Guida  Brunello  i  suoi  di  Tingitana, 
con  viso  nubiloso  e  ciglio  basso; 
che,  poi  che  ne  la  selva  non  lontana 
dal  castel  ch'ebbe  Atlante  in  cima  al  sasso, 
gli  fu  tolto  Tannel  da  Bradamante, 
caduto  era  in  disgrazia  al  re  Agramante: 


296  ORLANDO   FURIOSO 

XX 

e  se  *1  fratel  di  Ferrau,  Isoliero, 

ch'a  Parbore  legato  ritrovollo, 

non  facea  fede  inanzi  al  re  del  vero, 

avrebbe  dato  in  su  le  forche  un  crollo. 

Muto,  a'  prieghi  di  molti,  il  re  pensiero, 

gia  avendo  fatto  porgli  il  laccio  al  collo: 

gli  lo  fece  levar,  ma  riserbarlo 

pel  primo  error,  che  poi  giuro  impiccarlo. 

XXI 

Si  ch'avea  causa  di  venir  Brunello 
col  viso  mesto  e  con  la  testa  china. 
Seguia  poi  Farurante,  e  dietro  a  quello 
eran  cavalli  e  fanti  di  Maurina. 
Venia  Libanio  appresso,  il  re  novello: 
la  gente  era  con  lui  di  Constantina; 
per6  che  la  corona  e  il  baston  d'oro 
gli  ha  dato  il  re,  che  fu  di  Pinadoro. 

XXII 

Con  la  gente  d'Esperia  Soridano, 

e  Dorilon  ne  vien  con  quei  di  Setta; 

ne  vien  coi  Nasamoni  Puliano. 

Quelli  d'Amonia  il  re  Agricalte  affretta; 

Malabuferso  quelli  di  Fizano. 

Da  Finadurro  e  1'altra  s quadra  retta, 

che  di  Canaria  viene  e  di  Marocco; 

Balastro  ha  quei  che  fur  del  re  Tardocco. 

XXIII 

Due  squadre,  una  di  Mulga,  una  d'Arzilla, 
seguono :  e  questa  ha  '1  suo  signore  antico ; 
quella  n}e  priva;  e  pero  il  re  sortilla, 
e  diella  a  Corineo  suo  fido  amico. 
E  cosi  de  la  gente  d'Almansilla, 
ch'ebbe  Tanfirion,  fe'  re  Caico; 
die  quella  di  Getulia  a  Rimedonte. 
Poi  vien  con  quei  di  Cosca  Balinfronte. 


CANTO    QUARTODECIMO 
XXIV 

QuelTaltra  schiera  e  la  gente  di  Bolga: 
suo  re  e  Clarindo,  e  gia  fu  Mirabaldo. 
Vien  Baliverzo,  il  qual  vuo5  che  tu  tolga 
di  tutto  il  gregge  pel  maggior  ribaldo. 
Non  credo  in  tutto  il  campo  si  disciolga 
bandiera  ch'abbia  esercito  piu  saldo 
de  1'altra,  con  che  segue  il  re  Sobrino, 
ne  piu  di  lui  prudente  Saracino. 

xxv 

Quei  di  Bellamarina,  che  Gualciotto 
solea  guidare,  or  guida  il  re  d'Algieri 
Rodomonte  e  di  Sarza,  che  condotto 
di  miovo  avea  pedoni  e  cavallieri; 
che  rnentre  il  sol  fu  nubiloso  sotto 
il  gran  centauro  e  i  corni  orridi  e  fieri, 
fu  in  Africa  mandato  da  Agramante, 
onde  venuto  era  tre  giorni  inante. 

XXVI 

Non  avea  il  campo  d* Africa  piu  forte, 
ne  Saracin  piu  audace  di  costui; 
e  piu  temean  le  parigine  porte, 
et  avean  piu  cagion  di  temer  lui, 
che  Marsilio,  Agramante,  e  la  gran  corte 
ch'avea  seguito  in  Francia  questi  dui: 
e  piu  d'ogni  altro  che  facesse  mostra, 
era  nimico  de  la  fede  nostra. 

XXVII 

Vien  Prusione,  il  re  de  1' Alvaracchie ; 
poi  quel  de  la  Zumara,  Dardinello. 
Non  so  s'abbiano  o  nottole  o  cornacchie, 
o  altro  manco  et  importune  augello, 
il  qual  dai  tetti  e  da  le  fronde  gracchie 
futuro  mal,  predetto  a  questo  e  a  quello; 
che  fissa  in  ciel  nel  di  seguente  e  1'ora, 
che  1'uno  e  F  altro  in  quella  pugna  muora. 


298  ORLANDO  FURIOSO 

XXVIII 

In  campo  non  aveano  altri  a  venire, 
che  quei  di  Tremisenne  e  di  Norizia; 
ne  si  vedea  alia  mostra  comparire 
il  segno  lor,  ne  dar  di  se  notizia. 
Non  sapendo  Agramante  che  si  dire, 
ne  che  pensar  di  questa  lor  pigrizia, 
uno  scudiero  al  fin  gli  fu  condutto 
del  re  di  Tremisen,  che  narro  il  tutto. 

XXIX 

E  gli  narro  ch'Alzirdo  e  Manilardo 

con  molti  altri  de'  suoi  giaceano  al  campo. 

—  Signor,  —  diss'egli  —  il  cavallier  gagliardo 

ch'ucciso  ha  i  nostri,  ucciso  avria  il  tuo  campo, 

se  fosse  stato  a  torsi  via  piu  tardo 

di  me,  ch'a  pena  ancor  cosi  ne  scamp o. 

Fa  quel  dej  cavallieri  e  dej  pedoni, 

che  '1  lupo  fa  di  capre  e  di  montoni.  — 

xxx 

Era  venuto  pochi  giorni  avante 
nel  campo  del  re  d' Africa  un  signore; 
ne  in  Ponente  era,  ne  in  tutto  Levante, 
di  piu  forza  di  lui,  ne  di  piu  core. 
Gli  facea  grande  onore  il  re  Agramante, 
per  esser  costui  figlio  e  successore 
in  Tartaria  del  re  Agrican  gagliardo : 
suo  nome  era  il  feroce  Mandricardo. 

XXXI 

Per  molti  chiari  gesti  era  famoso, 
e  di  sua  fama  tutto  il  mondo  empia; 
ma  lo  facea  piu  d'altro  glorioso, 
ch'al  castel  de  la  fata  di  Soria 
Tusbergo  avea  acquistato  luminoso 
ch'Ettor  troian  port6  mille  anni  pria, 
per  strana  e  formidabile  aventura, 
che  }1  ragionarne  pur  mette  paura. 


CANTO    QUARTODECIMO  299 

XXXII 

Trovandosi  costui  dunque  presente 
a  quel  parlar,  alz6  Pardita  faccia; 
e  si  dispose  andare  immantinente, 
per  trovar  quel  guerrier,  dietro  alia  traccia. 
Ritenne  occulto  il  suo  pensiero  in  mente, 
o  sia  perche  d'alcun  stima  non  faccia, 
o  perche  tema,  se  '1  pensier  palesa, 
ch'un  altro  inanzi  a  lui  pigli  Pimpresa. 

XXXIII 

Allo  scudier  fe'  dimandar  come  era 
la  sopravesta  di  quel  cavalliero. 
Colui  rispose :  —  Quella  e  tutta  nera, 
lo  scudo  nero,  e  non  ha  alcun  cimiero.  — 
E  fu,  Signor,  la  sua  risposta  vera, 
perche  lasciato  Orlando  avea  il  quartiero; 
che  come  dentro  Panimo  era  in  doglia, 
cosi  imbrunir  di  fuor  volse  la  spoglia. 

xxxiv 

Marsilio  a  Mandricardo  avea  donato 
un  destrier  baio  a  scorza  di  castagna, 
con  gambe  e  chiome  nere;  et  era  nato 
di  frisa  madre  e  d'un  villan  di  Spagna. 
Sopra  vi  salta  Mandricardo  armato, 
e  galoppando  va  per  la  campagna; 
e  giura  non  tornare  a  quelle  schiere, 
se  non  truova  il  campion  da  Parme  nere. 

xxxv 

Molta  incontr6  de  la  paurosa  gente 
che  da  le  man  d' Orlando  era  fuggita, 
chi  del  figliuol,  chi  del  fratel  dolente, 
ch'inanzi  agli  occhi  suoi  perd6  la  vita. 
Ancora  la  codarda  e  trista  mente 
ne  la  pallida  faccia  era  sculpita; 
ancor  per  la  paura  che  avuta  hanno 
pallidi,  muti  et  insensati  vanno. 


300  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

Non  fe'  lungo  camin,  che  venne  dove 
cnidel  spettaculo  ebbe  et  inumano, 
ma  testimonio  alle  mirabil  pruove 
che  fur  raconte  inanzi  al  re  africano. 
Or  mira  questi,  or  quelli  morti,  e  muove, 
e  vuol  le  piaghe  misurar  con  mano, 
mosso  da  strana  invidia  ch'egli  porta 
al  cavallier  ch'avea  la  gente  morta. 

XXXVII 

Come  lupo  o  mastin  ch'ultimo  giugne 

al  bue  lasciato  morto  da5  villani, 

che  truova  sol  le  corna,  Tossa  e  1'ugne, 

del  resto  son  sfamati  augelli  e  cani; 

riguarda  invano  il  teschio  che  non  ugne: 

cosi  fa  il  crudel  barbaro  in  que'  piani. 

Per  duol  bestemmia,  e  mostra  invidia  immensa, 

che  venne  tardi  a  cosi  ricca  mensa. 

xxxvni 

Quel  giorno  e  mezzo  Paltro  segue  incerto 
il  cavallier  dal  negro,  e  ne  domanda. 
Ecco  vede  un  pratel  d'ombre  coperto, 
che  si  d'un  alto  fiume  si  ghirlanda, 
che  lascia  a  pena  un  breve  spazio  aperto, 
dove  Facqua  si  torce  ad  altra  banda. 
Un  simil  luogo  con  girevol  onda 
sotto  Ocricoli  il  Tevere  circonda. 

XXXIX 

Dove  entrar  si  potea,  con  1'arme  indosso 

stavano  molti  cavallieri  armati. 

Chiede  il  pagan  chi  gli  avea  in  stuol  si  grosso, 

et  a  che  effetto  insieme  ivi  adunati. 

Gli  fej  risposta  il  capitano,  mosso 

dal  signoril  sembiante  e  da'  fregiati 

d'oro  e  di  gemme  arnesi  di  gran  pregio, 

che  lo  mostravan  cavalliero  egfegio. 


CANTO    QUARTODECIMO  3OI 

XL 

—  Dal  nostro  re  sian  —  disse  —  di  Granata 
chiamati  in  compagnia  de  la  figliuola, 

la  quale  al  re  di  Sarza  ha  rnaritata, 

ben  che  di  ci6  la  fama  ancor  non  vola. 

Come  appresso  la  sera  racchetata 

la  cicaletta  sia,  ch'or  s'ode  sola, 

avanti  al  padre  fra  Tispane  torme 

la  condurremo :  intanto  ella  si  dorme.  — 

XLI 

Colui,  che  tutto  il  mondo  vilipende, 
disegna  di  veder  tosto  la  praova, 
se  quella  gente  o  bene  o  mal  difende 
la  donna,  alia  cui  guardia  si  ritruova. 
Disse :  —  Costei,  per  quanto  se  n'intende, 
e  bella;  e  di  saperlo  ora  mi  giova. 
Allei  mi  mena,  o  falla  qui  venire; 
ch'altrove  mi  convien  subito  gire. 

XLII 

—  Esser  per  certo  dei  pazzo  solenne  — , 
rispose  il  Granatin,  n6  piu  gli  disse. 
Ma  il  Tartaro  a  ferir  tosto  lo  venne 
con  1'asta  bassa,  e  il  petto  gli  trafisse; 
che  la  corazza  il  colpo  non  sostenne, 

e  forza  fu  che  morto  in  terra  gisse. 
L'asta  ricovra  il  figlio  d'Agricane, 
perch6  altro  da  ferir  non  gli  rimane. 

XLIII 

Non  porta  spada  ne  baston;  che  quando 
Farme  acquisto,  che  fur  d'Ettor  troiano, 
perche  trovo  che  lor  mancava  il  brando, 
gli  convenne  giurar  (ne  giuro  invano) 
che  fin  che  non  togliea  quella  d' Orlando, 
mai  non  porrebbe  ad  altra  spada  mano : 
Durindana  ch' Almonte  ebbe  in  gran  stima, 
e  Orlando  or  porta,  Ettor  portava  prima. 


302  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Grande  e  Pardir  del  Tartaro,  che  vada 
con  disvantaggio  tal  contra  coloro, 
gridando :  —  Chi  mi  vuol  vietar  la  strada  ?  — 
E  con  la  lancia  si  cacci6  tra  loro. 
Chi  1'asta  abbassa,  e  chi  tra'  fuor  la  spada; 
e  d'ogn'intorno  subito  gli  foro. 
Egli  ne  fece  morire  una  frotta, 
prima  che  quella  lancia  fosse  rotta. 

XLV 

Rotta  che  se  la  vede,  il  gran  troncone, 

che  resta  intero,  ad  ambe  mani  afferra; 

e  fa  morir  con  quel  tante  persone, 

che  non  fu  vista  mai  piu  crudel  guerra. 

Come  tra'  Filistei  1'ebreo  Sansone 

con  la  mascella  che  levo  di  terra, 

scudi  spezza,  elmi  schiaccia,  e  un  colpo  spesso 

spenge  i  cavalli  ai  cavallieri  appresso. 

XLVI 

Correno  a  morte  que'  miseri  a  gara, 
ne  perche  cada  1'un,  Paltro  andar  cessa; 
che  la  maniera  del  morire,  amara 
lor  par  piu  assai  che  non  e  morte  istessa. 
Patir  non  ponno  che  la  vita  cara 
tolta  lor  sia  da  un  pezzo  d'asta  fessa, 
e  sieno  sotto  alle  picchiate  strane 
a  morir  giunti,  come  biscie  o  rane. 

XLVII 

Ma  poi  ch'a  spese  lor  si  furo  accord 
che  male  in  ogni  guisa  era  morire, 
sendo  gia  presso  alii  duo  terzi  morti, 
tutto  1'avanzo  comincio  a  fuggire. 
Come  del  proprio  aver  via  se  gli  porti, 
il  Saracin  crudel  non  pu6  patire 
ch'alcun  di  quella  turba  sbigottita 
da  lui  partir  si  debba  con  la  vita. 


CANTO    QUARTODECIMO  303 

XLVIII 

Come  in  palude  asciutta  dura  poco 
stridula  canna,  o  in  campo  arrida  stoppia 
contra  il  soffio  di  borea  e  contra  il  fuoco 
che  '1  cauto  agricultore  insieme  accoppia, 
quando  la  vaga  fiamma  occupa  il  loco, 
e  scorre  per  li  solchi,  e  stride  e  scoppia; 
cosi  costor  contra  la  furia  accesa 
di  Mandricardo  fan  poca  difesa. 

XLIX 

Poscia  ch'egli  restar  vede  1'entrata, 
che  mal  guardata  fu,  senza  custode ; 
per  la  via  che  di  nuovo  era  segnata 
ne  Ferba,  e  al  suono  dei  ramarchi  ch'ode, 
viene  a  veder  la  donna  di  Granata, 
se  di  bellezze  e  pan  alle  sue  lode: 
passa  tra  i  corpi  de  la  gente  morta, 
dove  gli  da,  torcendo,  il  fiume  porta. 

L 

E  Doralice  in  mezzo  il  prato  vede 
(che  cosi  nome  la  donzella  avea), 
la  qual,  sufrblta  da  Pantico  piede 
d'un  frassino  silvestre,  si  dolea. 
II  pianto,  come  un  rivo  che  succede 
di  viva  vena,  nel  bel  sen  cadea; 
e  nel  bel  viso  si  vedea  che  insieme 
de  1'altrui  mal  si  duole,  e  del  suo  teme. 

LI 

Crebbe  il  timor,  come  venir  lo  vide 
di  sangue  brutto  e  con  faccia  empia  e  oscura, 
e  '1  grido  sin  al  ciel  Taria  divide, 
di  se  e  de  la  sua  gente  per  paura; 
che,  oltre  i  cavallier,  v'erano  guide, 
che  de  la  bella  infante  aveano  cura, 
maturi  vecchi,  e  assai  donne  e  donzelle 
del  regno  di  Granata,  e  le  piu  belle. 


304  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

Come  il  Tartaro  vede  quel  bel  viso 

che  non  ha  paragone  in  tutta  Spagna, 

e  c'ha  nel  pianto  (or  ch'esser  de'  nel  riso  ?) 

tesa  d'Amor  I'inestricabil  ragna; 

non  sa  se  vive  o  in  terra  o  in  paradiso: 

ne  de  la  sua  vittoria  altro  guadagna, 

se  non  che  in  man  de  la  sua  prigioniera 

si  da  prigione,  e  non  sa  in  qual  maniera. 

LIII 

Allei  per6  non  si  concede  tanto, 
che  del  travaglio  suo  le  doni  il  frutto; 
ben  che  piangendo  ella  dimostri,  quanta 
possa  donna  mostrar,  dolore  e  lutto. 
Egli,  sperando  volgerle  quel  pianto 
in  sommo  gaudio,  era  disposto  al  tutto 
menarla  seco;  e  sopra  un  bianco  ubino 
montar  la  fece,  e  torn6  al  suo  camino. 

LIV 

Donne  e  donzelle  e  vecchi  et  altra  gente, 
ch'eran  con  lei  venuti  di  Granata, 
tutti  Iicenzi6  benignamente, 
dicendo:  —  Assai  da  me  fia  accompagnata; 

10  mastro,  io  balia,  io  le  sar6  sergente 
in  tutti  i  suoi  bisogni:  a  Dio,  brigata.  — 
Cosi,  non  gli  possendo  far  riparo, 
piangendo  e  sospirando  se  n'andaro; 

LV 

tra  lor  dicendo :  —  Quanto  doloroso 
ne  sara  il  padre,  come  il  caso  intenda! 
quanta  ira,  quanto  duol  ne  avra  il  suo  sposo! 
oh  come  ne  fara  vendetta  orrenda! 
Deh,  perche  a  tempo  tanto  bisognoso 
non  e  qui  presso  a  far  che  costui  renda 

11  sangue  illustre  del  re  Stordilano, 
prima  che  se  Io  porti  piu  lontano  ?  — 


CANTO    QUARTODECIMO  305 

LVI 

De  la  gran  preda  il  Tartaro  contento, 
che  fortuna  e  valor  gli  ha  posta  inanzi, 
di  trovar  quel  dal  negro  vestimento 
non  par  ch'abbia  la  fretta  ch'avea  dianzi. 
Correva  dianzi:  or  viene  adagio  e  lento; 
e  pensa  tuttavia  dove  si  stanzi, 
dove  ritruovi  alcun  commodo  loco, 
per  esalar  tanto  amoroso  foco. 

LVII 

Tuttavolta  conforta  Doralice, 
ch'avea  di  pianto  e  gli  occhi  e  '1  viso  molle: 
compone  e  finge  molte  cose,  e  dice 
che  per  fama  gran  tempo  ben  le  voile; 
e  che  la  p atria,  e  il  suo  regno  felice 
che  Jl  nome  di  grandezza  agli  altri  tolle, 
Iasci6,  non  per  vedere  o  Spagna  o  Francia, 
ma  sol  per  contemplar  sua  bella  guancia. 

LVIII 

—  Se  per  amar,  Puom  debbe  essere  amato, 
merito  il  vostro  amor;  che  v'ho  amat'io: 
se  per  stirpe,  di  me  chi  e  meglio  nato? 
che  '1  possente  Agrican  fu  il  padre  mio: 
se  per  richezza,  chi  ha  di  me  piu  stato  ? 
che  di  dominio  io  cedo  solo  a  Dio: 
se  per  valor,  credo  oggi  aver  esperto 
ch' essere  amato  per  valore  io  merto.  — 

LIX 

Queste  parole  et  altre  assai,  ch'Amore 
a  Mandricardo  di  sua  bocca  ditta, 
van  dolcemente  a  consolare  il  core 
de  la  donzella  di  paura  afflitta. 
II  timor  cessa,  e  poi  cessa  il  dolore 
che  le  avea  quasi  Panima  trafitta. 
Ella  comincia  con  piu  pazienza 
a  dar  piu  grata  al  nuovo  amante  udienza; 


306  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

poi  con  risposte  piu  benigne  molto 
a  mostrarsegli  affabile  e  cortese, 
e  non  negargli  di  fermar  nel  volto 
talor  le  luci  di  pietade  accese: 
onde  il.  pagan,  che  da  lo  stral  fu  colto 
altre  volte  d'Amor,  certezza  prese, 
non  che  speranza,  che  la  donna  bella 
non  saria  a'  suo'  desir  sempre  ribella. 

LXI 

Con  questa  compagnia  lieto  e  gioioso, 
che  si  gli  satisfa,  si  gli  diletta, 
essendo  presso  alPora  ch'a  riposo 
la  fredda  notte  ogni  animale  alletta, 
vedendo  il  sol  gia  basso  e  mezzo  ascoso, 
commincic-  a  cavalcar  con  maggior  fretta; 
tanto  ch'udi  sonar  zuffoli  e  canne, 
e  vide  poi  fumar  ville  e  capanne. 

LXII 

Erano  pastorali  alloggiamenti, 
miglior  stanza  e  piu  commoda,  che  bella. 
Quivi  il  guardian  cortese  degli  armenti 
onor6  il  cavalliero  e  la  donzella, 
tanto  che  si  chiamar  da  lui  contenti; 
che  non  pur  per  cittadi  e  per  castella, 
ma  per  tugurii  ancora  e  per  fenili 
spesso  si  trovan  gli  uomini  gentili. 

LXIII 

Quel  che  fosse  dipoi  fatto  alPoscuro 
tra  Doralice  e  il  figlio  d'Agricane, 
a  punto  raccontar  non  m'assicuro; 
si  ch'al  giudicio  di  ciascun  rimane. 
Creder  si  pu6  che  ben  d'accordo  furo; 
che  si  levar  piu  allegri  la  dimane, 
e  Doralice  ringrazio  il  pastore, 
che  nel  suo  alb  ergo  Favea  fatto  onore. 


CANTO    QUARTODECIMO  307 

LXIV 

Indi  cTuno  In  un  altro  luogo  errando, 
si  ritruovaro  al  fin  sopra  un  bel  fiume 
che  con  silenzio  al  mar  va  declinando, 
e  se  vada  o  se  stia,  mal  si  presume; 
limpido  e  chiaro  si,  ch'in  lui  mirando, 
senza  contesa  al  fondo  porta  il  lume. 
In  ripa  a  quello,  a  una  fresca  ombra  e  bella, 
trovar  dui  cavallieri  e  una  donzella. 

LXV 

Or  Talta  fantasia,  ch'un  sentier  solo 
non  vuol  ch'i'  segua  ognor,  quindi  mi  guida, 
e  mi  ritorna  ove  il  moresco  stuolo 
assorda  di  rumor  Francia  e  di  grida, 
d'intorno  il  padiglione  ove  il  figliuolo 
del  re  Troiano  il  santo  Imperio  sfida, 
e  Rodomonte  audace  se  gli  vanta 
arder  Parigi  e  spianar  Roma  santa. 

LXVI 

Venuto  ad  Agramante  era  alTorecchio, 
che  gia  Tlnglesi  avean  passato  il  mare: 
per6  Marsilio  e  il  re  del  Garbo  vecchio 
e  gli  altri  capitan  fece  chiamare. 
Consiglian  tutti  a  far  grande  apparecchio, 
si  che  Parigi  possino  espugnare. 
Ponno  esser  certi  che  piii  non  s'espugna, 
se  nol  fan  prima  che  Taiuto  giugna. 

LXVII 

Gia  scale  innumerabili  per  questo 
da'  luoghi  intorno  avea  fatto  raccorre, 
et  asse  e  travi,  e  vimine  contesto, 
che  lo  poteano  a  diversi  usi  porre; 
e  navi  e  ponti:  e  piu  facea  che  '1  resto, 
il  primo  e  il  secondo  ordine  disporre 
a  dar  Tassalto ;  et  egli  vuol  venire 
tra  quei  che  la  citta  denno  assalire. 


308  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

L'imperatore  il  di  che  '1  di  precesse 
de  la  battaglia,  fe'  dentro  a  Parigi 
per  tutto  celebrare  uffici  e  messe 
a  preti,  a  frati  bianchi,  neri  e  bigi; 
e  le  gente  che  dianzi  eran  confesse, 
e  di  man  tolte  agl'inimici  stigi, 
tutti  communicar,  non  altramente 
ch'avessino  a  morire  il  di  seguente. 

LXIX 

Et  egli  tra  baroni  e  paladini, 

principi  et  oratori,  al  maggior  tempio 

con  molta  religione  a  quei  divini 

atti  intervenne,  e  ne  die  agli  altri  esempio. 

Con  le  man  giunte  e  gli  occhi  al  ciel  supini, 

disse:—  Signor,  ben  ch'io  sia  iniquo  et  empio, 

non  voglia  tua  bonta,  pel  mio  fallire, 

che  '1  tuo  popul  fedele  abbia  a  patire. 

LXX 

E  se  gli  e  tuo  voler  ch'egli  patisca, 
e  ch' abbia  il  nostro  error  degni  supplici, 
almen  la  punizion  si  differisca 
si,  che  per  man  non  sia  dej  tuoi  nemici; 
che  quando  lor  d'uccider  noi  sortisca, 
che  nome  avemo  pur  d'esser  tuo'  amici, 
i  pagani  diran  che  nulla  puoi, 
che  perir  lasci  i  partigiani  tuoi. 

LXXI 

E  per  un  che  ti  sia  fatto  ribelle, 
cento  ti  si  faran  per  tutto  il  mondo ; 
tal  che  la  legge  falsa  di  Babelle 
cacciera  la  tua  fede  e  porra  al  fondo. 
Difendi  queste  genti,  che  son  quelle 
che  '1  tuo  sepulcro  hanno  purgato  e  mondo 
da'  brutti  cani,  e  la  tua  santa  Chiesa 
con  li  vicarii  suoi  spesso  difesa. 


CANTO    QUARTODECIMO  309 

LXXII 

So  che  I  meriti  nostri  atti  non  sono 
a  satisfare  al  debito  d'un'oncia; 
ne  dovemo  sperar  da  te  perdono, 
se  riguardiamo  a  nostra  vita  sconcia: 
ma  se  vi  aggiugni  di  tua  grazia  il  dono, 
nostra  ragion  fia  ragguagliata  e  concia; 
ne  del  tuo  aiuto  disperar  possiamo, 
qualor  di  tua  pieta  ci  ricordiamo.  — 

LXXIII 

Cosi  dicea  1'imperator  devoto, 
con  umiltade  e  contrizion  di  core. 
Giunse  altri  prieghi  e  convenevol  voto 
al  gran  bisogno  e  alTalto  suo  splendore. 
Non  fu  il  caldo  pregar  d'effetto  voto; 
per6  che  '1  genio  suo,  1' angel  migliore, 
i  prieghi  tolse  e  spieg6  al  ciel  le  penne, 
et  a  narrare  al  Salvator  li  venne. 

LXXIV 

E  furo  altri  infmiti  in  quello  instante 
da  tali  messaggier  portati  a  Dio ; 
che  come  gli  ascoltar  Tanime  sante, 
dipinte  di  pietade  il  viso  pio, 
tutte  miraro  il  sempiterno  Amante, 
e  gli  mostraro  il  commun  lor  disio, 
che  la  giusta  orazion  fosse  esaudita 
del  populo  cristian  che  chiedea  aita. 

LXXV 

E  la  Bonta  ineffabile,  ch'invano 
non  fu  pregata  mai  da  cor  fedele, 
leva  gli  occhi  pietosi,  e  fa  con  mano 
cenno  che  venga  a  se  T angel  Michele. 
—  Va  —  gli  disse  —  all'esercito  cristiano 
che  dianzi  in  Picardia  ca!6  le  vele, 
e  al  muro  di  Parigi  Fappresenta 
si,  che  ?1  campo  nimico  non  lo  senta. 


310  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Truova  prima  il  Silenzio,  e  da  mia  parte 
gli  di'  che  teco  a  questa  impresa  venga; 
ch'egli  ben  proveder  con  ottlma  arte 
sapra  di  quanto  proveder  convenga. 
Fornito  questo,  subito  va  in  parte 
dove  il  suo  seggio  la  Discordia  tenga: 
dille  che  Fesca  e  il  fucil  seco  prenda, 
e  nel  campo  de'  Mori  il  fuoco  accenda; 

LXXVII 

e  tra  quei  che  vi  son  detti  piu  forti 
sparga  tante  zizzanie  e  tante  liti, 
che  combattano  insieme;  et  altri  morti, 
altri  ne  sieno  presi,  altri  feriti, 
e  fuor  del  campo  altri  lo  sdegno  porti, 
si  che  il  lor  re  poco  di  lor  s'aiti.  — 
Non  replica  a  tal  detto  altra  parola 
il  benedetto  augel,  ma  dal  ciel  vola. 

LXXVIII 

Dovunque  drizza  Michel  angel  Tale, 
fuggon  le  nubi,  e  torna  il  ciel  sereno. 
Gli  gira  intorno  un  aureo  cerchio,  quale 
veggian  di  notte  lampeggiar  baleno. 
Seco  pensa  tra  via,  dove  si  cale 
il  celeste  corrier  per  fallir  meno 
a  trovar  quel  nimico  di  parole, 
a  cui  la  prima  commission  far  vuole. 

LXXIX 

Vien  scorrendo  ov'egli  abiti,  ov'egli  usi; 
e  se  accordano  infin  tutti  i  pensieri, 
che  de  frati  e  de  monachi  rinchiusi 
lo  pu6  trovare  in  chiese  e  in  monasteri, 
dove  sono  i  parlari  in  modo  esclusi, 
che  '1  Silenzio,  ove  cantano  i  salteri, 
ove  dormeno,  ove  hanno  la  piatanza, 
e  finalmente  e  scritto  in  ogni  stanza. 


CANTO    QUARTODECIMO  31! 

LXXX 

Credendo  quivi  ritrovarlo,  mosse 
con  maggior  fretta  le  derate  penne; 
e  di  veder  ch'ancor  Pace  vi  fosse, 
Quiete  e  Carita,  sicuro  tenne. 
Ma  da  la  opinion  sua  ritrovosse 
tosto  ingannato,  che  nel  chiostro  venne: 
non  e  Silenzio  quivi;  e  gli  £u  ditto 
che  non  v'abita  piu,  fuor  che  in  iscritto. 

LXXXI 

Ne  Pieta,  ne  Quiete,  ne  Umiltade, 
ne  quivi  Amor,  ne  quivi  Pace  mira. 
Ben  vi  fur  gia,  ma  ne  Tantiqua  etade; 
che  le  cacciar  Gola,  Avarizia  et  Ira, 
Superbia,  Invidia,  Inerzia  e  Crudeltade. 
Di  tanta  no  vita  1'  angel  si  ammira: 
and6  guardando  quella  brutta  schiera, 
e  vide  ch'anco  la  Discordia  v'era. 

LXXXI  I 

Quella  che  gli  avea  detto  il  Padre  eterno, 
dopo  il  Silenzio,  che  trovar  dovesse. 
Pensato  avea  di  far  la  via  d'Averno, 
che  si  credea  che  tra'  dannati  stesse; 
e  ritrovolla  in  questo  nuovo  inferno 
(ch'il  crederia?)  tra  santi  ufficii  e  messe. 
Par  di  strano  a  Michel  ch'ella  vi  sia, 
che  per  trovar  credea  di  far  gran  via. 

LXXXIII 

La  conobbe  al  vestir  di  color  cento, 
fatto  a  liste  inequali  et  infinite, 
ch'or  la  cuoprono  or  no;  che  i  passi  e  '1  vento 
le  giano  aprendo,  ch'erano  sdrucite. 
I  crini  avea  qual  d'oro  e  qual  d'argento, 
e  neri  e  bigi,  e  aver  pareano  lite; 
altri  in  treccia,  altri  in  nastro  eran  raccolti, 
molti  alle  spalle,  alcuni  al  petto  sciolti. 


312  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXIV 

Di  citatorie  piene  e  di  libelli, 
d'essamine  e  di  carte  di  procure 
avea  le  mani  e  il  seno,  e  gran  fastelli 
di  chiose,  di  consigli  e  di  letture; 
per  cui  le  faculta  de'  poverelli 
non  sono  mai  ne  le  citta  sicure. 
Avea  dietro  e  dinanzi  e  d'ambi  i  lati, 
notai,  procurator!  et  avocati. 

LXXXV 

La  chiama  a  se  Michele,  e  le  commanda 
che  tra  i  piu  forti  Saracini  scerida, 
e  cagion  truovi,  che  con  memoranda 
ruina  insieme  a  guerreggiar  gli  accenda. 
Poi  del  Silenzio  nuova  le  domanda: 
facilmente  esser  puo  ch'essa  n'intenda, 
si  come  quella  ch'accendendo  fochi 
di  qua  e  di  la,  va  per  diversi  lochi. 

LXXXVI 

Rispose  la  Discordia:  —  lo  non  ho  a  mente 
in  alcun  loco  averlo  mai  veduto: 
udito  Fho  ben  nominar  sovente, 
e  molto  commendarlo  per  astuto. 
Ma  la  Fraude,  una  qui  di  nostra  gente, 
che  compagnia  talvolta  gli  ha  tenuto, 
penso  che  dir  te  ne  sapra  novella  — ; 
e  verso  una  alzo  il  dito,  e  disse:  —  £  quella. 

LXXXVII 

Avea  piacevol  viso,  abito  onesto, 
un  umil  volger  d'occhi,  un  andar  grave, 
un  parlar  si  benigno  e  si  modesto, 
che  parea  Gabriel  che  dicesse:  Ave. 
Era  brutta  e  deforme  in  tutto  il  resto: 
ma  nascondea  queste  fattezze  prave 
con  lungo  abito  e  largo;  e  sotto  quello, 
attosicato  avea  sempre  il  coltello. 


CANTO    QUARTODECIMO  313 

LXXXVIII 

Domanda  a  costei  Fangelo  che  via 
debba  tener,  si  che  '1  Silenzio  truove. 
Disse  la  Fraude :  —  Gia  costui  solia 
fra  virtudi  abitare,  e  non  altrove, 
con  Benedetto  e  con  quelli  d'Elia 
ne  le  badie,  quando  erano  ancor  nuove: 
fe'  ne  le  scuole  assai  de  la  sua  vita 
al  tempo  di  Pitagora  e  d'Arctuta. 

LXXXIX 

Mancati  quei  filosofi  e  quei  santi 
che  lo  solean  tener  pel  camin  ritto, 
dagli  onesti  costumi  ch'avea  inanti, 
fece  alle  sceleraggini  tragitto. 
Commincio  andar  la  notte  con  gli  amanti, 
indi  coi  ladri,  e  fare  ogni  delitto. 
Molto  col  Tradimento  egli  dimora: 
veduto  1'ho  con  FOmicidio  ancora. 

xc 

Con  quei  che  falsan  le  monete,  ha  usanza 
di  ripararsi  in  qualche  buca  scura. 
Cosi  spesso  compagni  muta  e  stanza, 
che  '1  ritrovarlo  ti  saria  ventura. 
Ma  pur  ho  d'insegnartelo  speranza, 
se  d'arrivare  a  mezza  notte  hai  cura 
alia  casa  del  Sonno:  senza  fallo 
potrai  (che  quivi  dorrne)  ritrovallo.  — 

xci 

Ben  che  soglia  la  Fraude  esser  bugiarda, 
pur  e  tanto  il  suo  dir  simile  al  vero, 
che  1'angelo  le  crede;  indi  non  tarda 
a  volarsene  fuor  del  monastero. 
Tempra  il  batter  de  Tale,  e  studia  e  guarda 
giungere  in  tempo  al  fin  del  suo  sentiero, 
ch'alla  casa  del  Sonno,  che  ben  dove 
era  sapea,  questo  Silenzio  truove. 


314  ORLANDO   FURIOSO 

XCII 

Giace  in  Arabia  una  Valletta  amena, 
lontana  da  cittadi  e  da  villaggi, 
ch'aH'ombra  di  duo  monti  e  tutta  piena 
d'antiqui  abeti  e  di  robusti  faggi. 
II  sole  indarno  il  chiaro  di  vi  mena; 
che  non  vi  puo  mai  penetrar  coi  raggi, 
si  gli  e  la  via  da  folti  rami  tronca: 
e  quivi  entra  sotterra  una  spelonca. 

XCIII 

Sotto  la  negra  selva  una  capace 

e  spaziosa  grotta  entra  nel  sasso, 

di  cui  la  fronte  Tedera  seguace 

tutta  aggirando  va  con  storto  passo. 

In  questo  albergo  il  grave  Sonno  giace; 

FOzio  da  un  canto  corpulento  e  grasso, 

da  Taltro  la  Pigrizia  in  terra  siede, 

che  non  puo  andare,  e  mal  reggersi  in  piede. 

xcrv 

Lo  smemorato  Oblio  sta  su  la  porta: 
non  lascia  entrar,  ne  riconosce  alcuno; 
non  ascolta  imbasciata,  ne  riporta; 
e  parimente  tien  cacciato  ognuno. 
II  Silenzio  va  intorno,  e  fa  la  scorta: 
ha  le  scarpe  di  feltro,  e  1  mantel  bruno; 
et  a  quanti  n'incontra,  di  lontano, 
che  non  debban  venir,  cenna  con  mano. 

xcv 

Se  gli  accosta  all'orecchio  e  pianamente 
1'angel  gli  dice:  —  Dio  vuol  che  tu  guidi 
a  Parigi  Rinaldo  con  la  gente 
che  per  dar,  mena,  al  suo  signor  sussidi; 
ma  che  lo  facci  tanto  chetamente, 
ch'alcun  de'  Saracin  non  oda  i  gridi; 
si  che  piu  tosto  che  ritruovi  il  calle 
la  Fama  d'avisar,  gli  abbia  alle  spalle.  — 


CANTO    QUARTODECIMO  315 

XCVI 

Altrimente  il  Silenzio  non  rispose, 
che  col  capo  accennando  che  faria; 
e  dietro  ubidiente  se  gli  pose; 
e  furo  al  primo  volo  in  Picardia. 
Michel  mosse  le  squadre  coraggiose, 
e  fe'  lor  breve  un  gran  tratto  di  via; 
si  che  in  un  di  a  Parigi  le  condusse, 
ne  alcun  s'avide  che  miracol  fusse. 

xcvn 

Discorreva  il  Silenzio,  e  tuttavolta,  , 
e  dinanzi  alle  squadre  e  d'ogn'intorno, 
facea  girare  un'alta  nebbia  in  volta, 
et  avea  chiaro  ogn'altra  parte  il  giorno; 
e  non  lasciava  questa  nebbia  folta, 
che  s'udisse  di  fuor  tromba  ne  corno : 
poi  n'and6  tra'  pagani,  e  men6  seco 
un  non  so  che,  ch'ognun  fe'  sordo  e  cieco. 

XCVIII 

Mentre  Rinaldo  in  tal  fretta  venia, 
che  ben  parea  da  Tangelo  condotto, 
e  con  silenzio  tal,  che  non  s'udia 
nel  campo  saracin  farsene  motto; 
il  re  Agramante  avea  la  fanteria 
messo  ne'  borghi  di  Parigi,  e  sotto 
le  minacciate  mura  in  su  la  fossa, 
per  far  quel  di  I'estremo  di  sua  possa. 

xcix 

Chi  pu6  contar  Tesercito  che  mosso 
quest o  di  contra  Carlo  ha  '1  re  Agramante, 
contera  ancora  in  su  Pombroso  dosso 
del  silvoso  Apennin  tutte  le  piante; 
dira  quante  onde,  quando  e  il  mar  piu  grosso, 
bagnano  i  piedi  al  mauritano  Atlante; 
e  per  quanti  occhi  il  ciel  le  furtive  op  re 
degli  amatori  a  mezza  notte  scuopre. 


316  ORLANDO   FURIOSO 

C 

Le  campane  si  sentono  a  martello 
di  spessi  colpi  e  spaventosi  tocche; 
si  vede  molto,  in  questo  tempio  e  in  quello, 
alzar  di  mano  e  dimenar  di  bocche. 
Se  '1  tesoro  paresse  a  Dio  si  bello, 
come  alle  nostre  openioni  sciocche, 
questo  era  il  di  che  '1  santo  consistoro 
fatto  avria  in  terra  ogni  sua  statua  d'oro. 

ci 

S'odon  ramaricare  i  vecchi  giusti, 
che  s'erano  serbati  in  quelli  affanni, 
e  norninar  felici  i  sacri  busti 
composti  in  terra  gia  molti  e  molt'anni. 
Ma  gli  animosi  gioveni  robusti 
che  miran  poco  i  lor  propinqui  danni, 
sprezzando  le  ragion  de'  piu  maturi, 
di  qua  di  la  vanno  correndo  aj  muri. 

en 

Quivi  erano  baroni  e  paladini, 
re,  duci,  cavallier,  marchesi  e  conti, 
soldati  forestieri  e  cittadini, 
per  Cristo  e  pel  suo  onore  a  morir  pronti; 
che  per  uscire  adosso  ai  Saracini, 
pregan  Fimperator  ch'abbassi  i  ponti. 
Gode  egli  di  veder  Tanimo  audace, 
ma  di  lasciarli  uscir  non  li  compiace. 

cm 

E  li  dispone  in  oportuni  lochi, 
per  impedire  ai  barbari  la  via: 
la  si  contenta  che  ne  vadan  pochi, 
qua  non  basta  una  grossa  compagnia; 
alcuni  han  cura  maneggiare  i  fuochi, 
le  machine  altri,  ove  bisogno  sia. 
Carlo  di  qua  di  la  non  sta  mai  fermo: 
va  soccorrendo,  e  fa  per  tutto  schermo. 


CANTO    QUARTODECIMO  317 

CIV 

Siede  Parigi  in  una  gran  pianura, 
ne  Tombilico  a  Francia,  anzi  nel  core; 
gli  passa  la  riviera  entro  le  mura, 
e  corre,  et  esce  in  altra  parte  fuore. 
Ma  fa  un'isola  prima,  e  v'assicura 
de  la  citta  una  parte,  e  la  migliore; 
Paltre  due  (ch'in  tre  parti  e  la  gran  terra) 
di  fuor  la  fossa,  e  dentro  il  flume  serra. 

cv 

Alia  citta,  che  molte  miglia  gira, 
da  molte  parti  si  pu6  dar  battaglia; 
ma  perche  sol  da  un  canto  assalir  mira, 
ne  volentier  Tesercito  sbarraglia, 
oltre  il  flume  Agramante  si  ritira 
verso  ponente,  acci6  che  quindi  assaglia: 
per6  che  ne  cittade  ne  campagna 
ha  dietro,  se  non  sua,  fin  alia  Spagna. 

cvi 

Dovunque  intorno  il  gran  muro  circonda, 
gran  munizioni  avea  gia  Carlo  fatte, 
fortificando  d'argine  ogni  sponda 
con  scannafossi  dentro  e  case  matte; 
onde  entra  ne  la  terra,  onde  esce  Fonda, 
grossissime  catene  aveva  tratte: 
ma  fece,  piu  ch'altrove,  prove dere 
la  dove  avea  piu  causa  di  temere. 

cvn 

Con  occhi  d'Argo  il  figlio  di  Pipino 
previde  ove  assalir  dovea  Agramante; 
e  non  fece  disegno  il  Saracino, 
a  cui  non  fosse  riparato  inante. 
Con  Ferrau,  Isoliero,  Serpentino, 
Grandonio,  Falsirone  e  Balugante, 
e  con  ci6  che  di  Spagna  avea  menato, 
rest6  Marsilio  alia  campagna  armato. 


318  ORLANDO   FURIOSO 

CVIII 

Sobrin  gli  era  a  man  manca  in  ripa  a  Senna, 
con  Pulian,  con  Dardinel  d' Almonte, 
col  re  d'Oran,  ch'esser  gigante  accenna, 
lungo  sei  braccia  dai  piedi  alia  fronte. 
Deh  perche  a  muover  men  son  io  la  penna, 
che  quelle  genti  a  muover  Tanne  pronte? 
che  '1  re  di  Sarza,  pien  d'ira  e  di  sdegno, 
grida  e  bestemmia,  e  non  pu6  star  piii  a  segno. 

cix 

Come  assalire  o  vasi  pastorali, 
o  le  dolci  reliquie  de'  convivi 
soglion  con  rauco  suon  di  stridule  ali 
le  impronte  mosche  a'  caldi  giorni  estivi; 
come  li  storni  a  rosseggianti  pali 
vanno  de  mature  uve:  cosi  quivi, 
empiendo  il  ciel  di  grida  e  di  rumori, 
veniano  a  dare  il  fiero  assalto  i  Mori. 

ex 

L'esercito  cristian  sopra  le  mura 
con  lancie,  spade  e  scure  e  pietre  e  fuoco 
difende  la  citta  senza  paura, 
e  il  barbarico  orgoglio  estima  poco; 
e  dove  Morte  uno  et  un  altro  fura, 
non  e  chi  per  vilta  ricusi  il  loco. 
Tornano  i  Saracin  giu  ne  le  fosse 
a  furia  di  ferite  e  di  percosse. 

CXI 

Non  ferro  solamente  vi  s'adopra, 
ma  grossi  massi,  e  merli  integri  e  saldi, 
e  muri  dispiccati  con  molt'opra, 
tetti  di  torn,  e  gran  pezzi  di  spaldi. 
L'acque  bollenti  che  vengon  di  sopra, 
portano  a'  Mori  insupportabil  caldi; 
e  male  a  questa  pioggia  si  resiste, 
ch'entra  per  gli  elmi,  e  fa  acciecar  le  viste. 


CANTO    QUARTODECIMO  319 

CXII 

E  questa  piu  nocea  che  '1  ferro  quasi: 
or  che  de'  far  la  nebbia  di  calcine  ? 
or  che  doveano  far  li  ardenti  vasi 
con  olio  e  zolfo  e  peci  e  trementine  ? 
I  cerchii  in  munizion  non  son  rimasi, 
che  d'ogn'intorno  hanno  di  fiamma  il  crine : 
questi,  scagliati  per  diverse  bande, 
mettono  a*  Saracini  aspre  ghirlande. 

CXIII 

Intanto  il  re  di  Sarza  avea  cacciato 
sotto  le  mura  la  schiera  seconda, 
da  Buraldo,  da  Ormida  accompagnato, 
quel  Garamante,  e  questo  di  Marmonda. 
Clarindo  e  Soridan  gli  sono  allato, 
n6  par  che  Jl  re  di  Setta  si  nasconda: 
segue  il  re  di  Marocco  e  quel  di  Cosca, 
ciascun  perche  il  valor  suo  si  conosca. 

cxiv 

Ne  la  bandiera,  ch'e  tutta  vermiglia, 
Rodomonte  di  Sarza  il  leon  spiega, 
che  la  feroce  bocca  ad  una  briglia 
che  gli  pon  la  sua  donna,  aprir  non  niega. 
Al  leon  se  medesimo  assimiglia; 
e  per  la  donna  che  lo  frena  e  lega, 
la  bella  Doralice  ha  figurata, 
figlia  di  Stordilan  re  di  Granata: 

cxv 

quella  che  tolto  avea,  come  io  narrava, 
re  Mandricardo,  e  dissi  dove  e  a  cui. 
Era  costei  che  Rodomonte  amava 
piu  che  '1  suo  regno  e  piu  che  gli  occhi  sui; 
e  cortesia  e  valor  per  lei  mostrava, 
non  gia  sapendo  ch'era  in  forza  altrui: 
se  saputo  Tavesse,  allora  allora 
fatto  avria  quel  che  fe'  quel  giorno  ancora. 


320  ORLANDO   FURIOSO 

CXVI 

Sono  appoggiate  a  un  tempo  mille  scale, 
che  non  han  men  di  dua  per  ogni  grado. 
Spinge  il  secondo  quel  ch'inanzi  sale; 
che  '1  terzo  lui  montar  fa  suo  mal  grado. 
Chi  per  virtu,  chi  per  paura  vale: 
convien  ch'ogruin  per  forza  entri  nel  guado; 
che  qualunche  s'adagia,  il  re  d'Algiere, 
Rodomonte  crudele,  uccide  o  fere. 

cxvn 

Ognun  dunque  si  sforza  di  salire 
tra  il  fuoco  e  le  mine  in  su  le  mura. 
Ma  tutti  gli  altri  guardano,  se  aprire 
veggiano  passo  ove  sia  poca  cura: 
sol  Rodomonte  sprezza  di  venire, 
se  non  dove  la  via  meno  e  sicura. 
Dove  nel  caso  disperato  e  rio 
gli  altri  fan  voti,  egli  bestemmia  Dio. 

CXVIII 

Armato  era  d'un  forte  e  duro  usbergo, 

che  fu  di  drago  una  scagliosa  pelle. 

Di  questo  gia  si  cinse  il  petto  e  '1  tergo 

quello  avol  suo  ch'edific6  Babelle, 

e  si  pens6  cacciar  de  1'aureo  albergo, 

e  torre  a  Dio  il  governo  de  le  stelle: 

1'elmo  e  lo  scudo  fece  far  perfetto, 

e  il  brando  insieme;  e  solo  a  questo  effetto. 

cxix 

Rodomonte  non  gia  men  di  Nembrotte 
indomito,  superbo  e  furibondo, 
che  d'ire  al  ciel  non  tarderebbe  a  notte, 
quando  la  strada  si  trovasse  al  mondo, 
quivi  non  sta  a  mirar  s'intere  o  rotte 
sieno  le  mura,  o  s'abbia  Pacqua  fondo: 
passa  la  fossa,  anzi  la  corre  e  vola, 
ne  Pacqua  e  nel  pantan  fin  alia  gola. 


CANTO    QUARTODECIMO  321 

CXX 

Dl  fango  brutto,  e  molle  d'acqua  vanne 

tra  il  foco  e  i  sassi  e  gli  archi  e  le  balestre, 

come  andar  suol  tra  le  palustri  canne 

de  la  nostra  Mallea  porco  silvestre, 

che  col  petto,  col  grifo  e  con  le  zanne 

fa,  dovunque  si  volge,  ample  finestre. 

Con  lo  scudo  alto  il  Saracin  sicuro 

ne  vien  sprezzando  il  ciel,  non  che  quel  muro. 

CXXI 

Non  si  tosto  alPasciutto  e  Rodomonte, 
che  giunto  si  senti  su  le  bertresche 
che  dentro  alia  muraglia  facean  ponte 
capace  e  largo  alle  squadre  francesche. 
Or  si  vede  spezzar  piu  d'una  fronte, 
far  chieriche  maggior  de  le  fratesche, 
braccia  e  capi  volare,  e  ne  la  fossa 
cade  da*  muri  una  fiumana  rossa. 

cxxu 

Getta  il  pagan  lo  scudo,  e  a  duo  man  prende 
la  crudel  spada,  e  giunge  il  duca  Arnolfo. 
Costui  venia  di  la  dove  discende 
1'acqua  del  Reno  nel  salato  golfo. 
Quel  miser  contra  lui  non  si  difende 
meglio  che  faccia  contra  il  fuoco  il  zolfo; 
e  cade  in  terra,  e  da  Pultimo  crollo, 
dal  capo  fesso  un  palmo  sotto  il  collo. 

CXXIII 

Uccise  di  rovescio  in  una  volta 
Anselmo,  Oldrado,  Spineloccio  e  Prando: 
il  luogo  stretto  e  la  gran  turba  folta 
fece  girar  si  pienamente  il  brando. 
Fu  la  prima  metade  a  Fiandra  tolta, 
Faltra  scemata  al  populo  normando. 
Divise  appresso  da  la  fronte  al  petto, 
et  indi  al  ventre,  il  maganzese  Orghetto. 


322  ORLANDO   FURIOSO 

CXXIV 

Getta  da'  merli  Andropono  e  Moschino 
giu  ne  la  fossa:  il  primo  e  sacerdote; 
non  adora  il  secondo  altro  che  '1  vino, 
e  le  bigonce  a  un  sorso  n'ha  gia  vuote. 
Come  veneno  e  sangue  viperino 
Facque  fuggia  quanto  fuggir  si  puote: 
or  quivi  muore;  e  quel  che  piu  1'annoia, 
e  '1  sentir  che  ne  Facqua  se  ne  muoia. 

cxxv 

Taglio  in  due  parti  il  provenzal  Luigi, 
e  passo  il  petto  al  tolosano  Arnaldo. 
Di  Torse  Oberto,  Claudio,  Ugo  e  Dionigi 
mandar  lo  spirto  fuor  col  sangue  caldo ; 
e  presso  a  questi,  quattro  da  Parigi, 
Gualtiero,  Satallone,  Odo  et  Ambaldo, 
et  altri  molti;  et  io  non  saprei  come 
di  tutti  nominar  la  patria  e  il  nome. 

cxxvi 

La  turba  dietro  a  Rodomonte  presta 
le  scale  appoggia,  e  monta  in  piu  d'un  loco. 
Quivi  non  fanno  i  Parigin  piu  testa; 
che  la  prima  difesa  lor  val  poco. 
San  ben  ch'agli  nemici  assai  phi  resta 
dentro  da  fare,  e  non  Favran  da  gioco ; 
perche  tra  il  muro  e  Fargine  secondo 
discende  il  fosso  orribile  e  profondo. 

cxxvn 

Oltra  che  i  nostri  facciano  difesa 
dal  basso  all' alto,  e  mostrino  valore; 
nuova  gente  succede  alia  contesa 
sopra  Ferta  pen  dice  interiore, 
che  fa  con  lancie  e  con  saette  offesa 
alia  gran  moltitudine  di  fuore, 
che  credo  ben,  che  saria  stata  meno, 
se  non  v'era  il  figliuol  del  re  Ulieno. 


CANTO    QUARTODECIMO  323 

CXXVIII 

Egli  questi  conforta,  e  quei  riprende, 
e  lor  mal  grade  inanzi  se  gli  caccia: 
ad  altri  il  petto,  ad  altri  il  capo  fende, 
che  per  fuggir  veggia  voltar  la  faccia. 
Molti  ne  spinge  et  urta;  alcuni  prende 
pei  capelli,  pel  collo  e  per  le  braccia: 
e  sozzopra  la  giu  tanti  ne  getta, 
che  quella  fossa  a  caplr  tutti  e  stretta. 

cxxix 

Mentre  lo  stuol  de'  barbari  si  cala, 
anzi  trabocca  al  periglioso  fondo, 
et  indi  cerca  per  diversa  scala 
di  salir  sopra  Fargine  secondo; 
il  re  di  Sarza  (come  avesse  un'ala 
per  ciascun  de'  suoi  mernbri)  levo  il  pondo 
di  si  gran  corpo,  e  con  tant'arme  indosso, 
e  netto  si  lancio  di  la  dal  fosso. 

cxxx 

Poco  era  men  di  trenta  piedi,  o  tanto, 
et  egli  il  passo  destro  come  un  veltro, 
e  fece  nel  cader  strepito,  quanto 
avesse  avuto  sotto  i  piedi  il  feltro: 
et  a  questo  et  a  quello  affrappa  il  manto, 
come  sien  1'arme  di  tenero  peltro, 
e  non  di  ferro,  anzi  pur  sien  di  scorza: 
tal  la  sua  spada,  e  tanta  e  la  sua  forza! 

cxxxi 

In  questo  tempo  i  nostri,  da  chi  tese 
Finsidie  son  ne  la  cava  profonda, 
che  v'han  scope  e  fascine  in  copia  stese, 
intorno  a  quai  di  molta  pece  abonda 
(ne  per6  alcuna  si  vede  palese, 
ben  che  n'e  piena  Tuna  e  Paltra  sponda 
dal  fondo  cupo  insino  all'orlo  quasi), 
e  senza  fin  v'hanno  appiatati  vasi, 


324  ORLANDO  FURIOSO 

CXXXII 

qual  con  salnitro,  qual  con  oglio,  quale 
con  zolfo,  qual  con  altra  simil  esca: 
i  nostri  in  questo  tempo,  perch6  male 
ai  Saracini  il  folle  ardir  riesca 
ch'eran  nel  fosso,  e  per  diverse  scale 
credean  montar  su  Tultima  bertresca, 
udito  il  segno  da  oportuni  lochi, 
di  qua  e  di  la  fenno  avampare  i  fochi. 

CXXXIII 

Torn6  la  fiamma  sparsa  tutta  in  una, 
che  tra  una  ripa  e  1'altra  ha  '1  tutto  pieno; 
e  tanto  ascende  in  alto,  ch'alla  luna 
pu6  d'appresso  asciugar  Pumido  seno. 
Sopra  si  volve  oscura  nebbia  e  bruna, 
che  '1  sole  adombra,  e  spegne  ogni  sereno. 
Sentesi  un  scoppio  in  un  perpetuo  suono, 
simile  a  un  grande  e  spaventoso  tuono. 

cxxxiv 

Aspro  concento,  orribile  armonia 

d'alte  querele,  d'ululi  e  di  strida 

de  la  misera  gente  che  peria 

nel  fondo  per  cagion  de  la  sua  guida, 

istranamente  concordar  s'udia 

col  fiero  suon  de  la  fiamma  omicida. 

Non  piu,  Signer,  non  piu  di  questo  canto ; 

ch'io  son  gia  rauco,  e  vo'  posarmi  alquanto. 


CANTO    QUINTODECIMO  325 


CANTO    QUINTODECIMO 


I 

Fu  il  vincer  sempremai  laudabil  cosa, 
vincasi  o  per  fortuna  o  per  ingegno: 
gli  e  ver  che  la  vittoria  sanguinosa 
spesso  far  suole  il  capitan  men  degno; 
e  quella  eternamente  e  gloriosa, 
e  del  divini  onori  arriva  al  segno, 
quando,  servando  i  suoi  senza  alcun  danno, 
si  fa  che  grinimici  in  rotta  vanno. 

ii 

La  vostra,  Signer  mio,  fu  degna  loda, 
quando  al  Leone,  in  mar  tanto  feroce, 
ch'avea  occupata  Tuna  e  Paltra  proda 
del  Po,  da  Francolin  sin  alia  foce, 
faceste  si,  ch'ancor  che  ruggir  Toda, 
s'io  vedr6  voi,  non  tremer6  alia  voce. 
Come  vincer  si  de',  ne  dimostraste ; 
ch'uccideste  i  nemici,  e  noi  salvaste. 

in 

Questo  il  pagan,  troppo  in  suo  danno  audace, 
non  seppe  far;  che  i  suoi  nel  fosso  spinse, 
dove  la  fiamma  subita  e  vorace 
non  perdono  ad  alcun,  ma  tutti  estinse. 
A  tanti  non  saria  stato  capace 
tutto  il  gran  fosso,  ma  il  fuoco  restrinse, 
restrinse  i  corpi  e  in  polve  li  ridusse, 
accio  ch'abile  a  tutti  il  luogo  fusse. 


326  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

Undicimila  et  otto  sopra  venti 
si  ritrovar  ne  Faffocata  buca, 
che  v'erano  discesi  malcontent!; 
ma  cosi  voile  il  poco  saggio  duca. 
Quivi  fra  tanto  lume  or  sono  spenti, 
e  la  vorace  fiamma  li  manuca: 
e  Rodomonte,  causa  del  mal  loro, 
se  ne  va  esente  da  tanto  martoro; 


che  tra'  nemici  alia  ripa  piu  interna 
era  passato  d'un  mirabil  salto. 
Se  con  gli  altri  scendea  ne  la  caverna, 
questo  era  ben  il  fin  d'ogni  suo  assalto. 
Rivolge  gli  occhi  a  quella  valle  inferna; 
e  quando  vede  il  fuoco  andar  tanfalto, 
e  di  sua  gente  il  pianto  ode  e  lo  strido, 
bestemmia  il  ciel  con  spaventoso  grido. 

vi 

Intanto  il  re  Agramante  mosso  avea 
impetuoso  assalto  ad  una  porta; 
che,  mentre  la  crudel  battaglia  ardea 
quivi  ove  e  tanta  gente  afflitta  e  morta, 
quella  sprovista  forse  esser  credea 
di  guardia,  che  bastasse  alia  sua  scorta. 
Seco  era  il  re  d'Arzilla  Bambirago, 
e  Baliverzo  d'ogni  vizio  vago; 

VII 

e  Corineo  di  Mulga,  e  Prusione, 

il  ricco  re  de  1'Isole  beate; 

Malabuferso  che  la  regione 

tien  di  Fizan  sotto  continua  estate; 

altri  signori  et  altre  assai  persone 

esperte  ne  la  guerra  e  bene  armate; 

e  molti  ancor  senza  valore  e  nudi, 

che  '1  cor  non  s'armerian  con  mille  scudi. 


CANTO    QUINTODECIMO  327 

VIII 

Trovo  tutto  il  contrario  al  suo  pensiero 

in  questa  parte  il  re  de'  Saracini: 

perche  in  persona  il  capo  de  1'Impero 

v'era,  re  Carlo,  e  de'  suoi  paladini, 

re  Salamone  et  il  danese  Ugiero, 

et  ambo  i  Guidi  et  ambo  gli  Angelini, 

e  '1  duca  di  Bavera  e  Ganelone, 

e  Berlengier  e  Avolio  e  Avino  e  Otone; 

IX 

gente  infinita  poi  di  minor  conto, 

de*  Franchi,  de5  Tedeschi  e  de'  Lombardi, 

presente  il  suo  signer,  ciascuno  pronto 

a  farsi  riputar  fra  i  piu  gagliardi, 

Di  questo  altrove  io  vo'  rendervi  conto; 

ch'ad  un  gran  duca  e  forza  ch'io  riguardi, 

il  qual  mi  grida,  e  di  lontano  accenna, 

e  priega  ch'io  nol  lasci  ne  la  penna. 

x 

Gli  e  tempo  ch'io  ritorni  ove  lasciai 
I'aventuroso  Astolfo  d'Inghilterra, 
che  '1  lungo  esilio  avendo  in  odio  ormai, 
di  desiderio  ardea  de  la  sua  terra; 
come  gli  n'avea  data  pur  assai 
speme  colei  ch'Alcina  vinse  in  guerra. 
Ella  di  rimandarvilo  avea  cura 
per  la  via  piu  espedita  e  piu  sicura. 

XI 

E  cosi  una  galea  fu  apparechiata, 
di  che  miglior  mai  non  solco  marina; 
e  perche  ha  dubbio  per  tutta  fiata, 
che  non  gli  turbi  il  suo  viaggio  Alcina, 
vuol  Logistilla  che  con  forte  armata 
Andronica  ne  vada  e  Sofrosina, 
tanto  che  nel  mar  d'Arabi,  o  nel  golfo 
de5  Persi,  giunga  a  salvamento  Astolfo. 


328  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Pin  tosto  vuol  che  volteggiando  rada 
gli  Sciti  e  gl'Indi  e  i  regni  nabatei, 
e  torni  poi  per  cosi  lunga  strada 
a  ritrovare  i  Persi  e  gli  Eritrei, 
che  per  quel  boreal  pelago  vada, 
che  turban  sempre  iniqui  venti  e  rei, 
e  si  qualche  stagion  pover  di  sole, 
che  stare  senza  alcuni  mesi  suole. 

XIII 

La  fata,  poi  che  vide  acconcio  il  tutto, 
diede  licenzia  al  duca  di  partire, 
avendol  prima  ammaestrato  e  instrutto 
di  cose  assai,  che  fora  lungo  a  dire; 
e  per  schivar  che  non  sia  piu  ridutto 
per  arte  maga,  onde  non  possa  uscire, 
un  bello  et  util  libro  gli  avea  dato, 
che  per  suo  amore  avesse  ognora  allato. 

XIV 

Come  1'uom  riparar  debba  agl'incanti 
mostra  il  libretto  che  costei  gli  diede: 
dove  ne  tratta  o  piu  dietro  o  piu  inanti, 
per  rubrica  e  per  indice  si  vede. 
Un  altro  don  gli  fece  ancor,  che  quanti 
doni  fur  mai,  di  gran  vantaggio  accede; 
e  questo  fu  d'orribil  suono  un  corno, 
che  fa  fugire  ognun  che  Fode  intorno. 

xv 

Dico  che  '1  corno  e  di  si  orribil  suono, 
ch'ovunque  s'oda,  fa  fuggir  la  gente; 
non  pu6  trovarsi  al  mondo  un  cor  si  buono, 
che  possa  non  fuggir  come  lo  sente: 
rumor  di  vento  e  di  termuoto,  e  '1  tuono, 
a  par  del  suon  di  questo,  era  niente. 
Con  molto  riferir  di  grazie,  prese 
da  la  fata  licenzia  il  buono  Inglese. 


CANTO    QUINTODECIMO  329 

XVI 

Lasciando  il  porto  e  Tonde  piu  tranquille, 
con  felice  aura  ch'alla  poppa  spira, 
sopra  le  ricche  e  populose  ville 
de  Podorifera  India  il  duca  gira, 
scoprendo  a  destra  et  a  sinistra  mille 
isole  sparse;  e  tanto  va,  che  mira 
la  terra  di  Tomaso,  onde  il  nocchiero 
piu  a  tramontana  poi  volge  il  sentiero. 

XVII 

Quasi  radendo  Paurea  Chersonesso, 
la  bella  armata  il  gran  pelago  f range: 
e  costeggiando  i  ricchi  liti,  spesso 
vede  come  nel  mar  biancheggi  il  Gauge; 
e  Traprobane  vede  e  Cori  appresso; 
e  vede  il  mar  che  fra  i  duo  liti  s'ange. 
Dopo  gran  via  furo  a  Cochino,  e  quindi 
usciro  fuor  dei  termini  degPIndi. 

XVIII 

Scorrendo  il  duca  il  mar  con  si  fedele 

e  si  sicura  scorta,  intender  vuole, 

e  ne  domanda  Andronica,  se  de  le 

parti  c'han  nome  dal  cader  del  sole, 

mai  legno  alcun  che  vada  a  remi  e  a  vele 

nel  mare  orientale  apparir  suole; 

e  s'andar  pu6  senza  toccar  mai  terra, 

chi  d' India  scioglia,  in  Francia  o  in  Inghilterra. 

XIX 

—  Tu  dei  sapere  —  Andronica  risponde 

—  che  d'ogn'intorno  il  mar  la  terra  abbraccia; 
e  van  Tuna  ne  Paltra  tutte  Ponde, 

sia  dove  bolle  o  dove  il  mar  s'aggiaccia; 

ma  perche  qui  davante  si  difonde, 

e  sotto  il  mezzo  di  molto  si  caccia 

la  terra  d'Etiopia,  alcuno  ha  detto 

ch'a  Nettunno  ir  piu  inanzi  ivi  e  interdetto. 


330  ORLANDO    FURIOSO 

XX 

Per  questo  dal  nostro  indico  levante 
nave  non  e  che  per  Europa  scioglia; 
ne  si  muove  d'Europa  navigante 
ch'in  queste  nostre  parti  arrivar  voglia. 
II  ritrovarsi  questa  terra  avante, 
e  questi  e  quelli  al  ritornare  invoglia; 
che  credeno,  veggendola  si  lunga, 
che  con  1'altro  emisperio  si  congiunga. 

XXI 

Ma  volgendosi  gli  anni,  io  veggio  uscire 
da  1'estreme  contrade  di  ponente 
nuovi  Argonauti  e  nuovi  Tifi,  e  aprire 
la  strada  ignota  infin  al  di  presenter 
altri  volteggiar  1' Africa,  e  seguire 
tanto  la  costa  de  la  negra  gente, 
che  passino  quel  segno  onde  ritorno 
fa  il  sole  a  noi,  lasciando  il  Capricorno; 

XXII 

e  rftrovar  del  lungo  tratto  il  fine, 
che  questo  fa  parer  dui  mar  diversi; 
e  scorrer  tutti  i  liti  e  le  vicine 
isole  d'Indi,  d'Arabi  e  di  Persi: 
altri  lasciar  le  destre  e  le  mancine 
rive  che  due  per  opra  Erculea  fersi; 
e  del  sole  imitando  il  carnin  tondo, 
ritrovar  nuove  terre  e  nuovo  mondo. 

XXIII 

Veggio  la  santa  croce,  e  veggio  i  segni 
imperial  nel  verde  lito  eretti: 
veggio  altri  a  guardia  dei  battuti  legni, 
altri  all'acquisto  del  paese  eletti: 
veggio  da  dieci  cacciar  mille,  e  i  regni 
di  la  da  PIndia  ad  Aragon  suggetti; 
e  veggio  i  capitan  di  Carlo  quinto, 
dovunque  vanno,  aver  per  tutto  vinto. 


CANTO    QUINTODECIMO  331 

XXIV 

Dio  vuol  ch'ascosa  antiquamente  questa 
strada  sia  stata,  e  an  cor  gran  tempo  stia; 
ne  che  prima  si  sappla  che  la  sesta 
e  la  settima  eta  passata  sia: 
e  serba  a  farla  al  tempo  manifesta, 
che  vorra  porre  il  mondo  a  monarchia, 
sotto  il  piu  saggio  imperatore  e  giusto 
che  sia  o  sara  mai  dopo  Augusto. 

xxv 

Del  sangue  d' Austria  e  d'Aragon  io  veggio 
nascer  sul  Reno  alia  sinistra  riva 
un  principe,  al  valor  del  qual  pareggio 
nessun  valor,  di  cui  si  parli  o  scriva. 
Astrea  veggio  per  lui  riposta  in  seggio, 
anzi  di  morta  ritornata  viva; 
e  le  virtu  che  caccio  il  mondo,  quando 
lei  caccio  ancora,  uscir  per  lui  di  bando. 

XXVI 

Per  questi  merti  la  Bonta  suprema 

non  solamente  di  quel  grande  impero 

ha  disegnato  ch'abbia  diadema 

ch'ebbe  Augusto,  Traian,  Marco  e  Severo, 

ma  d'ogni  terra  e  quinci  e  quindi  estrema, 

che  mai  ne  al  sol  ne  all'anno  apre  il  sentiero: 

e  vuol  che  sotto  a  questo  imperatore 

solo  un  ovile  sia,  solo  un  pastore. 

XXVII 

E  perch' abbian  piu  facile  successo 

gli  ordini  in  cielo  eternamente  scritti, 

gli  pon  la  somma  Providenzia  appresso 

in  mare  e  in  terra  capitani  invittL 

Veggio  Ernando  Cortese,  il  quale  ha  messo 

nuove  citta  sotto  i  cesarei  editti, 

e  regni  in  Oriente  si  remoti, 

ch'a  noi,  che  siamo  in  India,  non  son  noti. 


332  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

Veggio  Prosper  Colonna,  e  di  Pescara 
veggio  un  marchese,  e  veggio  dopo  loro 
un  giovene  del  Vasto,  che  fan  cara 
parer  la  bella  Italia  ai  Gigli  d'oro: 
veggio  ch'entrare  inanzi  si  prepara 
quel  terzo  agli  altri  a  guadagnar  Falloro, 
come  buon  corridor  ch'ultimo  lassa 
le  mosse,  e  giunge,  e  inanzi  a  tutti  passa. 

XXIX 

Veggio  tanto  il  valor,  veggio  la  fede 

tanta  d* Alfonso  (che  '1  suo  nome  e  questo), 

ch'in  cosi  acerba  eta,  che  non  eccede 

dopo  il  vigesimo  anno  ancora  il  sesto, 

Timperator  1'esercito  gli  crede, 

il  qual  salvando,  salvar  non  che  *1  resto, 

ma  farsi  tutto  il  mondo  ubidiente 

con  questo  capitan  sara  possente. 

xxx 

Come  con  questi,  ovunque  andar  per  terra 
si  possa,  accrescera  rimperio  antico; 
cosi  per  tutto  il  mar,  ch'in  mezzo  serra 
di  la  1'Europa  e  di  qua  1'Afro  aprico, 
sara  vittorioso  in  ogni  guerra, 
poi  ch' Andrea  Doria  s'avra  fatto  amico. 
Questo  e  quel  Doria  che  fa  dai  pirati 
sicuro  il  vostro  mar  per  tutti  i  lati. 

XXXI 

Non  fu  Pompeio  a  par  di  costui  degno, 
se  ben  vinse  e  caccio  tutti  i  corsari; 
per6  che  quelli  al  piu  possente  regno 
che  fosse  mai,  non  poteano  esser  pari: 
ma  questo  Doria  sol  col  proprio  ingegno 
e  proprie  forze  purghera  quei  mari; 
si  che  da  Calpe  al  Nilo,  ovunque  s'oda 
il  nome  suo,  tremar  veggio  ogni  proda. 


CANTO    QUINTODECIMO  333 

XXXII 

Sotto  la  fede  entrar,  sotto  la  scorta 
di  questo  capitan  di  ch'io  ti  parlo, 
veggio  in  Italia,  ove  da  lui  la  porta 
gli  sara  aperta,  alia  corona  Carlo. 
Veggio  che  1  premio  che  di  ci6  riporta, 
non  tien  per  se,  ma  fa  alia  patria  darlo: 
con  prieghi  ottien  ch'in  liberta  la  metta, 
dove  altri  a  se  Pavria  forse  suggetta. 

XXXIII 

Questa  pieta  ch'egli  alia  patria  mostra, 
e  degna  di  piu  onor  d'ogni  battaglia 
ch'in  Francia  o  in  Spagna  o  ne  la  terra  vostra 
vincesse  lulio,  o  in  Africa  o  in  Tessaglia. 
Ne  il  grande  Ottavio,  ne  chi  seco  giostra 
di  par,  Antonio,  in  piu  onoranza  saglia 
pei  gesti  suoi;  ch'ogni  lor  laude  amorza 
Pavere  usato  alia  lor  patria  forza. 

XXXIV 

Questi  et  ogn'altro  che  la  patria  tenta 
di  libera  far  serva,  si  arrosisca; 
ne  dove  il  nome  d' Andrea  Doria  senta, 
di  levar  gli  occhi  in  viso  d'uomo  ardisca. 
Veggio  Carlo  che  '1  premio  gli  augumenta; 
ch'oltre  quel  ch'in  commun  vuol  che  fruisca, 
gli  da  la  ricca  terra  ch'ai  Normandi 
sara  principio  a  farli  in  Puglia  grandi. 

xxxv 

A  questo  capitan  non  pur  cortese 
il  magnanimo  Carlo  ha  da  mostrarsi, 
ma  a  quauti  avra  ne  le  cesaree  imprese 
del  sangue  lor  non  ritrovati  scarsi. 
D'aver  citta,  d'aver  tutto  un  paese 
donato  a  un  suo  fedel,  piu  ralegrarsi 
lo  veggio,  e  a  tutti  quei  che  ne  son  degni, 
che  d'acquistar  nuov'altri  imperil  e  regni.  — 


334  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

Cosi  de  le  vittorie  le  qual,  poi 
ch'tm  gran  numero  d'anni  sara  corso, 
daranno  a  Carlo  i  capitani  suoi, 
facea  col  duca  Andronica  discorso: 
e  la  compagna  intanto  ai  venti  eoi 
viene  allentando  e  raccogliendo  il  morso; 
e  fa  ch'or  questo  or  quel  propizio  1'esce, 
e  come  vuol  li  minuisce  e  cresce. 

XXXVII 

Veduto  aveano  intanto  il  mar  de'  Persi 
come  in  si  largo  spazio  si  dilaghi; 
onde  vicini  in  pochi  giorni  fersi 
al  golfo  che  nomar  gli  antiqui  Maghi. 
Quivi  pigliaro  il  porto,  e  fur  conversi 
con  la  poppa  alia  ripa  i  legni  vaghi; 
quindi,  sicur  d'Alcina  e  di  sua  guerra, 
Astolfo  il  suo  camin  prese  per  terra. 

XXXVIII 

Passo  per  piu  d'un  campo  e  piu  d'un  bosco, 
per  piu  d'un  monte  e  per  piu  d'una  valle, 
ove  ebbe  spesso,  all'aer  chiaro  e  al  fosco, 
i  ladroni  or  inanzi  or  alle  spalle. 
Vide  leoni,  e  draghi  pien  di  t6sco, 
et  altre  fere  attraversarsi  il  calle; 
ma  non  si  tosto  avea  la  bocca  al  corno, 
che  spaventati  gli  fuggian  d'intorno. 

XXXIX 

Vien  per  1' Arabia  ch'e  delta  Felice, 
ricca  di  mirra  e  d'odorato  incenso, 
che  per  suo  albergo  Tunica  fenice 
eletto  s'ha  di  tutto  il  mondo  immenso; 
fin  che  Fonda  trovo  vendicatrice 
gia  d' Israel,  che  per  divin  consenso 
Faraone  sommerse  e  tutti  i  suoi: 
e  poi  venne  alia  terra  degli  Eroi. 


CANTO    QUINTODECIMO  335 

XL 

Lungo  il  flume  Traiano  egli  cavalca 
su  quel  destrier  ch'al  mondo  e  senza  pare, 
che  tanto  leggiermente  e  corre  e  valca, 
che  ne  P  arena  1'orma  non  n'appare: 
1'erba  non  pur,  non  pur  la  nieve  calca; 
coi  piedi  asciutti  andar  potria  sul  mare; 
e  si  si  stende  al  corso,  e  si  s'affretta, 
che  passa  e  vento  e  folgore  e  saetta. 

XLI 

Questo  e  il  destrier  che  fu  de  PArgalia, 
che  di  fiamma  e  di  vento  era  concetto; 
e  senza  fieno  e  biada,  si  nutria 
de  1'aria  pura,  e  Rabican  fu  detto. 
Venne,  seguendo  il  duca  la  sua  via, 
dove  da  il  Nilo  a  quel  fiume  ricetto; 
e  prima  che  giugnesse  in  su  la  foce, 
vide  un  legno  venire  a  se  veloce. 

XLII 

Naviga  in  su  la  poppa  uno  eremita 
con  bianca  barba,  a  mezzo  il  petto  lunga, 
che  sopra  il  legno  il  paladino  invita, 
e :  —  Figliuol  mio,  —  gli  grida  da  la  lunga 
—  se  non  t'e  in  odio  la  tua  propria  vita, 
se  non  brami  che  morte  oggi  ti  giunga, 
venir  ti  piaccia  su  quest' altra  arena; 
ch'a  morir  quella  via  dritto  ti  mena. 

XLIII 

Tu  non  andrai  piu  che  sei  miglia  inante, 
che  troverai  la  sanguinosa  stanza 
dove  s'alberga  un  orribil  gigante 
che  d'otto  piedi  ogni  statura  avanza. 
Non  abbia  cavallier  ne  viandante 
di  partirsi  da  lui,  vivo,  speranza: 
ch'altri  il  crudel  ne  scanna,  altri  ne  scuoia, 
molti  ne  squarta,  e  vivo  alcun  ne  'ngoia. 


336  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Placer,  fra  tanta  crudelta,  si  prende 
d'una  rete  ch'egli  ha,  molto  ben  fatta; 
poco  lontana  al  tetto  suo  la  tende, 
e  ne  la  trita  polve  in  modo  appiatta, 
che  chi  prima  nol  sa,  non  la  comprende, 
tanto  e  sottil,  tanto  egli  ben  Fadatta: 
e  con  tai  gridi  i  peregrin  minaccia, 
che  spaventati  dentro  ve  li  caccia. 

XLV 

E  con  gran  risa,  aviluppati  in  quella 
se  li  strascina  sotto  il  suo  coperto; 
ne  cavallier  riguarda  n6  donzella, 
o  sia  di  grande  o  sia  di  piccipl  merto; 
e  mangiata  la  carne,  e  le  cervella 
succhiate  e  '1  sangue,  da  1'ossa  al  deserto; 
e  de  1'umane  pelli  intorno  intorno 
fa  il  suo  palazzo  orribilmente  adorno. 

XL  VI 

Prendi  quest'altra  via,  prendila,  figlio, 
che  fin  al  mar  ti  fia  tutta  sicura. 

—  lo  ti  ringrazio,  padre,  del  consiglio,  — 
rispose  il  cavallier  senza  paura 

—  ma  non  istimo  per  Fonor  periglio, 
di  ch'assai  piu  che  de  la  vita  ho  cura. 
Per  far  ch'io  passi,  in  van  tu  parli  meco; 
anzi  vo  al  dritto  a  ritrovar  lo  speco. 

XLVII 

Fuggendo,  posso  con  disnor  salvarmi; 
ma  tal  salute  ho  piu  che  morte  a  schivo. 
S'io  vi  vo,  al  peggio  che  potra  incontrarmi, 
fra  molti  restero  di  vita  privo; 
ma  quando  Dio  cosi  mi  drizzi  Farmi, 
che  colui  morto,  et  io  rimanga  vivo, 
sicura  a  mille  render6  la  via; 
si  che  Putil  maggior  che  *1  danno  fia. 


CANTO    QUINTODECIMO  337 

XLVIII 

Metto  alPincontro  la  morte  d'un  solo 
alia  salute  di  gente  infinita. 
—  Vattene  in  pace,  —  rispose  —  figliuolo ; 
Dio  mandi  in  difension  de  la  tua  vita 
Farcangelo  Michel  dal  sommo  polo  — : 
e  benedillo  il  semplice  eremita. 
Astolfo  lungo  il  Nil  tenne  la  strada, 
sperando  piu  nel  suon  che  ne  la  spada. 

XLIX 

Giace  tra  1'alto  fiume  e  la  palude 
picciol  sentier  ne  Tarenosa  riva: 
la  solitaria  casa  lo  richiude, 
d'umanitade  e  di  commercio  priva. 
Son  fisse  intorno  teste  e  membra  nude 
de  1'infelice  gente  che  v'arriva. 
Non  v'e  finestra,  non  v'e  merlo  alcuno, 
onde  penderne  almen  non  si  veggia  uno. 

L 

Qual  ne  le  alpine  ville  o  ne'  castelli 
suol  cacciator  che  gran  perigli  ha  scorsi, 
su  le  porte  attaccar  1'irsute  pelli, 
Torride  zampe  e  i  grossi  capi  d'orsi; 
tal  dimostrava  il  fier  gigante  quelli 
che  di  maggior  virtu  gli  erano  occorsi. 
D'altri  infiniti  sparse  appaion  Fossa; 
et  e  di  sangue  uman  piena  ogni  fossa. 

LI 

Stassi  Caligorante  in  su  la  porta; 
che  cosi  ha  nome  il  dispietato  mostro 
ch'orna  la  sua  magion  di  gente  morta, 
come  alcun  suol  de  panni  d'oro  o  d'ostro. 
Costui  per  gaudio  a  pena  si  comporta, 
come  il  duca  lontan  se  gli  e  dimostro ; 
ch'eran  duo  mesi,  e  il  terzo  ne  venia, 
che  non  fu  cavallier  per  quella  via. 


338  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

Ver  la  palude,  ch'era  scura  e  folta 
di  verdi  canne,  in  gran  fretta  ne  viene; 
che  disegnato  avea  correre  in  volta, 
e  uscire  al  paladin  dietro  alle  schene ; 
che  ne  la  rete,  che  tenea  sepolta 
sotto  la  polve,  di  cacciarlo  ha  spene, 
come  avea  fatto  gli  altri  peregrini 
che  quivi  tratto  avean  lor  rei  destini. 

LIII 

Come  venire  il  paladin  lo  vede, 
ferma  il  destrier,  non  senza  gran  sospetto 
che  vada  in  quelli  lacci  a  dar  del  piede, 
di  che  il  buon  vecchiarel  gli  avea  predetto. 
Quivi  il  soccorso  del  suo  corno  chiede, 
e  quel  sonando  fa  1'usato  effetto: 
nel  cor  fere  il  gigante  che  Fascolta 
di  tal  timor,  ch'a  dietro  i  passi  volta. 

LIV 

Astolfo  suona,  e  tuttavolta  bada; 
che  gli  par  sempre  che  la  rete  scocchi. 
Fugge  il  fellon,  ne  vede  ove  si  vada; 
che,  come  il  core,  avea  perduti  gli  occhi. 
Tanta  e  la  tema,  che  non  sa  far  strada, 
che  ne  li  proprii  aguati  non  trabocchi: 
va  ne  la  rete;  e  quella  si  disserra, 
tutto  1'annoda,  e  lo  distende  in  terra. 

LV 

Astolfo,  ch'andar  giu  vede  il  gran  peso, 
gia  sicuro  per  se,  v'accorre  in  fretta; 
e  con  la  spada  in  man,  d'arcion  disceso, 
va  per  far  di  miiranime  vendetta. 
Poi  gli  par  che  s'uccide  un  che  sia  preso, 
vilta,  piu  che  virtu,  ne  sara  detta: 
che  legate  le  braccia,  i  piedi  e  il  collo 
gli  vede  si,  che  non  pu6  dare  un  crollo. 


CANTO    QUINTODECIMO  339 

LVI 

Avea  la  rete  gia  fatta  Vulcano 

di  sottil  fil  d'acciar,  ma  con  tal  arte, 

che  saria  stata  ogni  fatica  invano 

per  ismagliarne  la  piu  debol  parte; 

et  era  quella  che  gia  piedi  e  mano 

avea  legate  a  Venere  et  a  Marte. 

La  fe'  il  geloso,  e  non  ad  altro  effetto, 

che  per  pigliarli  insieme  ambi  nel  letto. 

LVII 

Mercurio  al  fabbro  poi  la  rete  invola; 
che  Cloride  pigliar  con  essa  vuole, 
Cloride  bella  che  per  Faria  vola 
dietro  all' Aurora,  alPapparir  del  sole, 
e  dal  raccolto  lembo  de  la  stola 
gigli  spargendo  va,  rose  e  viole. 
Mercurio  tanto  questa  ninfa  attese, 
che  con  la  rete  in  aria  un  di  la  prese. 

LVIII 

Dove  entra  in  mare  il  gran  fiume  etiopo, 
par  che  la  dea  presa  volando  fosse. 
Poi  nel  tempio  d'Anubide  a  Canopo 
la  rete  molti  seculi  serbosse. 
Caligorante  tremila  anni  dopo, 
di  la,  dove  era  sacra,  la  rimosse: 
se  ne  port6  la  rete  il  ladrone  empio, 
et  arse  la  cittade,  e  rub6  il  tempio. 

LIX 

Quivi  adattolla  in  modo  in  su  1'arena, 
che  tutti  quei  ch'avean  da  lui  la  caccia 
vi  davan  dentro ;  et  era  tocca  a  pena, 
che  lor  legava  e  collo  e  piedi  e  braccia. 
Di  questa  Iev6  Astolfo  una  catena, 
e  le  man  dietro  a  quel  fellon  n'allaccia: 
le  braccia  e  '1  petto  in  guisa  gli  ne  fascia, 
che  non  pu6  sciorsi;  indi  levar  lo  lascia. 


340  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

Dagli  altri  nodi  avendol  sciolto  prima, 
ch'era  tomato  uman  piu  che  donzella, 
di  trarlo  seco  e  di  mostrarlo  stima 
per  ville,  per  cittadi  e  per  castella. 
Vuol  la  rete  anco  aver,  di  che  ne  lima 
ne  martel  fece  mai  cosa  piu  bella: 
ne  fa  somier  colui  ch'alla  catena 
con  pompa  trionfal  dietro  si  mena. 

LXI 

L'elmo  e  lo  scudo  anche  a  portar  gli  diede, 
come  a  valletto,  e  seguit6  il  camino, 
di  gaudio  empiendo,  ovunque  metta  il  piede, 
ch'ir  possa  ormai  sicuro  il  peregrino. 
Astolfo  se  ne  va  tanto,  che  vede 
ch'ai  sepolcri  di  Memfi  e  gia  vicino, 
Memfi  per  le  piramidi  famoso: 
vede  alFincontro  il  Cairo  populoso, 

LXII 

Tutto  il  popul  correndo  si  traea 
per  vedere  il  gigante  smisurato. 

—  Come  e  possibil  —  Tun  Taltro  dicea 

—  che  quel  piccolo  il  grande  abbia  legato  ?  — 
Astolfo  a  pena  inanzi  andar  potea, 

tanto  la  calca  il  preme  da  ogni  lato; 

e  come  cavallier  d'alto  valore 

ognun  rammira,  e  gli  fa  grande  onore. 

LXIII 

Non  era  grande  il  Cairo  cosi  allora, 
come  se  ne  ragiona  a  nostra  etade: 
che  '1  populo  capir,  che  vi  dimora, 
non  puon  diciottomila  gran  contrade; 
e  che  le  case  hanno  tre  palchi,  e  ancora 
ne  dormono  infiniti  in  su  le  strade; 
e  che  1  soldano  v'abita  un  castello 
mirabil  di  grandezza,  e  ricco  e  bello; 


CANTO    QUINTODECIMO  341 

LXIV 

e  che  quindicimila  suoi  vasalli, 
che  son  cristiani  rinegati  tutti, 
con  mogli,  con  famiglie  e  con  cavalli 
ha  sotto  un  tetto  sol  quivi  ridutti. 
Astolfo  veder  vuole  ove  s'avalli, 
e  quanto  il  Nilo  entri  nei  salsi  flutti 
a  Damiata;  ch'avea  quivi  inteso, 
qualunque  passa  restar  morto  o  preso. 

LXV 

Pero  ch'in  ripa  al  Nilo  in  su  la  foce 
si  ripara  un  ladron  dentro  una  torre, 
ch'a  paesani  e  a  peregrini  nuoce, 
e  fin  al  Cairo,  ognun  rubando,  scorre. 
Non  gli  pu6  alcun  resistere;  et  ha  voce 
che  Tuom  gli  cerca  invan  la  vita  t6rre: 
centomila  ferite  egli  ha  gia  avuto, 
ne  ucciderlo  pero  mai  s'e  potuto. 

LXVI 

Per  veder  se  puo  far  rompere  il  filo 
alia  Parca  di  lui,  si  che  non  viva, 
Astolfo  viene  a  ritrovare  Orrilo 
(cosi  avea  nome),  e  a  Damiata  arriva; 
et  indi  passa  ove  entra  in  mare  il  Nilo, 
e  vede  la  gran  torre  in  su  la  riva, 
dove  s'alberga  Tanima  incantata 
che  d'un  folletto  nacque  e  d'una  fata. 

LXVII 

Quivi  ritruova  che  crudel  battaglia 
era  tra  Orrilo  e  dui  guerrieri  accesa. 
Orrilo  e  solo;  e  si  quej  dui  travaglia, 
ch'a  gran  fatica  gli  puon  far  difesa: 
e  quanto  in  arme  Tuno  e  Taltro  vaglia, 
a  tutto  il  mondo  la  fama  palesa. 
Questi  erano  i  dui  figli  d'Oliviero, 
Grifone  il  bianco  et  Aquilante  il  nero. 


342  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

Gli  e  ver  che  '1  negromante  venuto  era 
alia  battaglia  con  vantaggio  grande; 
che  seco  tratto  in  campo  avea  una  fera, 
la  qual  si  truova  solo  in  quelle  bande: 
vive  sul  lito  e  dentro  alia  rivera; 
e  i  corpi  umani  son  le  sue  vivande, 
de  le  persone  misere  et  incaute 
de  viandanti  e  d'infelici  naute. 

LXIX 

La  bestia  ne  T arena  appresso  al  porto 
per  man  dei  duo  fratei  morta  giacea; 
e  per  questo  ad  Orril  non  si  fa  torto, 
s'a  un  tempo  Puno  e  1'altro  gli  nocea. 
Piu  volte  Than  smembrato  e  non  mai  morto, 
ne,  per  smembrarlo,  uccider  si  potea; 
che  se  tagliato  o  mano  o  gamba  gli  era, 
la  rapiccava,  che  parea  di  cera. 

LXX 

Or  fin  a'  denti  il  capo  gli  divide 
Grifone,  or  Aquilante  fin  al  petto. 
Egli  dei  colpi  lor  sempre  si  ride: 
s'adiran  essi,  che  non  hanno  effetto. 
Chi  mai  d'alto  cader  1'argento  vide, 
che  gli  alchimisti  hanno  mercurio  detto, 
e  spargere  e  raccor  tutti  i  suo'  membri, 
sentendo  di  costui,  se  ne  rimembri. 

LXXI 

Se  gli  spiccano  il  capo,  Orrilo  scende, 
ne  cessa  brancolar  fin  che  lo  truovi; 
et  or  pel  crine  et  or  pel  naso  il  prende, 
lo  salda  al  collo,  e  non  so  con  che  chiovi. 
Piglial  talor  Grifone,  e  '1  braccio  stende, 
nel  fiume  il  getta,  e  non  par  ch'anco  giovi ; 
che  nuota  Orriio  al  fondo  come  un  pesce, 
e  col  suo  capo  salvo  alia  ripa  esce. 


CANTO    QUINTODECIMO  343 

LXXII 

Due  belle  donne  onestamente  ornate, 
Tuna  vestita  a  bianco  e  Taltra  a  nero, 
che  de  la  pugna  causa  erano  state, 
stavano  a  riguardar  1'assalto  fiero. 
Queste  eran  quelle  due  benigne  fate 
ch'avean  notriti  i  figli  d'Oliviero, 
poi  che  li  trasson  teneri  citelli 
dai  curvl  artigli  di  duo  grandi  augelli, 

LXXIII 

che  rapiti  gli  avevano  a  Gismonda, 
e  portati  lontan  dal  suo  paese. 
Ma  non  bisogna  in  cio  ch'io  mi  diffonda; 
ch'a  tutto  il  mondo  e  1'istoria  palese, 
ben  che  Tautor  nel  padre  si  confonda, 
ch'im  per  un  altro  (io  non  so  come)  prese. 
Or  la  battaglia  i  duo  gioveni  fanno, 
che  le  due  donne  ambi  pregati  n'hanno. 

LXXIV 

Era  in  quel  clima  gia  sparito  il  giorno, 
alFisole  ancor  alto  di  Fortuna: 
Tombre  avean  tolto  ogni  vedere  a  torno 
sotto  1'incerta  e  mal  compresa  luna; 
quando  alia  rocca  Orril  fece  ritorno, 
poi  ch'alla  bianca  e  alia  sorella  bruna 
piacque  di  differir  1'aspra  battaglia 
fin  che  '1  sol  nuovo  all'orizzonte  saglia. 

LXXV 

Astolfo,  che  Grifone  et  Aquilante, 
et  all'insegne  e  piu  al  ferir  gagliardo, 
riconosciuto  avea  gran  pezzo  inante, 
lor  non  fu  altiero  a  salutar  ne  tar  do. 
Essi  vedendo  che  quel  che  Jl  gigante 
traea  legato,  era  il  baron  dal  pardo 
(che  cosi  in  corte  era  quel  duca  detto), 
raccolser  lui  con  non  minore  arTetto. 


344  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Le  donne  a  riposare  i  cavallieri 
menaro  a  un  lor  palagio  indi  vicino. 
Donzelle  incontra  vennero  e  scudieri 
con  torchi  accesi,  a  mezzo  del  camino: 
diero  a  chi  n'ebbe  cura,  i  lor  destrieri, 
trassonsi  Tarme;  e  dentro-un  bel  giardino 
trovar  ch'apparechiata  era  la  cena 
ad  una  fonte  limpida  et  amena. 

LXXVII 

Fan  legare  il  gigante  alia  verdura 
con  un'altra  catena  molto  grossa 
ad  una  quercia  di  molt'anni  dura, 
che  non  si  rompera  per  una  scossa; 
e  da  dieci  sergenti  averne  cura, 
che  la  notte  discior  non  se  ne  possa, 
et  assalirli,  e  forse  far  lor  danno, 
mentre  sicuri  e  senza  guardia  stanno. 

LXXVIII 

AlTabondante  e  sontuosa  mensa, 
dove  il  manco  piacer  fur  le  vivande, 
del  ragionar  gran  parte  si  dispensa 
sopra  d'Orrilo  e  del  miracol  grande, 
che  quasi  par  un  sogno  a  chi  vi  pensa, 
ch'or  capo  or  braccio  a  terra  se  gli  mande, 
et  egli  lo  raccolga  e  lo  raggiugna, 
e  piu  feroce  ognor  torni  alia  pugna. 

LXXIX 

Astolfo  nel  suo  libro  avea  gia  letto 
(quel  ch'agPincanti  riparare  insegna) 
ch'ad  Orril  non  trarra  Talma  del  petto 
fin  ch'un  crine  fatal  nel  capo  tegna; 
ma  se  lo  svelle  o  tronca,  fia  constretto 
che  suo  mal  grado  fuor  Talma  ne  vegna. 
Questo  ne  dice  il  libro;  ma  non  come 
conosca  il  crine  in  cosi  folte  chiome. 


CANTO    QUINTODECIMO  345 

LXXX 

Non  men  de  la  vittoria  si  godea, 
che  se  n'avesse  Astolfo  gia  la  palma; 
come  chi  speme  in  pochi  colpi  avea 
svellere  il  crine  al  negromante  e  Talma. 
Per6  di  quella  impresa  promettea 
tor  sugli  omeri  suoi  tutta  la  salma: 
Orril  fara  morir,  quando  non  spiaccia 
ai  duo  fratei  ch'egli  la  pugna  faccia. 

LXXXI 

Ma  quei  gli  danno  volentier  1'impresa, 
certi  che  debbia  affaticarsi  invano. 
Era  gia  Faltra  aurora  in  cielo  ascesa, 
quando  calo  dai  muri  Orrilo  al  piano. 
Tra  il  duca  e  lui  fu  la  battaglia  accesa: 
la  mazza  1'un,  Paltro  ha  la  spada  in  mano. 
Di  mille  attende  Astolfo  un  colpo  trarne, 
che  lo  spirto  gli  sciolga  da  la  came. 

LXXXII 

Or  cader  gli  fa  il  pugno  con  la  mazza, 
or  1'uno  or  Taltro  braccio  con  la  mano; 
quando  taglia  a  traverso  la  corazza, 
e  quando  il  va  troncando  a  brano  a  brano : 
ma  ricogliendo  sempre  de  la  piazza 
va  le  sue  membra  Orrilo,  e  si  fa  sano. 
S'in  cento  pezzi  ben  Tavesse  fatto, 
redintegrarsi  il  vedea  Astolfo  a  un  tratto. 

LXXXIII 

Al  fin  di  mille  colpi  un  gli  ne  colse 
sopra  le  spalle  ai  termini  del  mento : 
la  testa  e  1'elmo  dal  capo  gli  tolse, 
ne  fu  d* Orrilo  a  dismontar  piu  lento. 
La  sanguinosa  chioma  in  man  s'avolse, 
e  risalse  a  cavallo  in  un  momento; 
e  la  porto  correndo  incontra  51  Nilo, 
che  riaver  non  la  potesse  Orrilo. 


346  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXIV 

Quel  sciocco,  che  del  fatto  non  s'accorse, 
per  la  polve  cercando  iva  la  testa: 
ma  come  intese  il  corridor  via  torse, 
portare  il  capo  suo  per  la  foresta; 
immantinente  al  suo  destrier  ricorse, 
sopra  vi  sale,  e  di  seguir  non  resta. 
Volea  gridare:  —  Aspetta,  volta,  volta!  — 
ma  gli  avea  il  duca  gia  la  bocca  tolta. 

LXXXV 

Pur  che  non  gli  ha  tolto  anco  le  calcagna 
si  riconforta,  e  segue  a  tutta  briglia. 
Dietro  il  lascia  gran  spazio  di  campagna 
quel  Rabican  che  corre  a  maravigKa. 
Astolfo  intanto  per  la  cuticagna 
va  da  la  nuca  fin  sopra  le  ciglia 
cercando  in  fretta,  se  '1  crine  fatale 
conoscer  puo,  ch'Orril  tiene  immortale. 

LXXXVI 

Fra  tanti  e  innumerabili  capelli, 
un  piu  de  Taltro  non  si  tende  o  torce: 
qual  dunque  Astolfo  scegliera  di  quelli, 
che  per  dar  morte  al  rio  ladron  raccorce? 
—  Meglio  e—  disse—  che  tutti  io  tagli  o  svelli  - 
ne  si  trovando  aver  rasoi  ne  force, 
ricorse  immantinente  alia  sua  spada, 
che  taglia  si,  che  si  puo  dir  che  rada. 

LXXXVII 

E  tenendo  quel  capo  per  lo  naso, 
dietro  e  dinanzi  lo  dischioma  tutto. 
Trov6  fra  gli  altri  quel  fatale  a  caso : 
si  fece  il  viso  allor  pallido  e  brutto, 
travolse  gli  occhi,  e  dimostro  all'occaso 
per  manifesti  segni  esser  condutto; 
e  31  busto  che  seguia  troncato  al  collo, 
di  sella  cadde,  e  die  Pultimo  crollo. 


CANTO    QUINTODECIMO  347 

LXXXVIII 

Astolfo,  ove  le  donne  e  i  cavallieri 
lasciato  avea,  torno  col  capo  in  mano, 
che  tutti  avea  di  morte  i  segni  veri, 
e  mostro  il  tronco  ove  giacea  lontano. 
Non  so  ben  se  lo  vider  volentieri, 
ancor  che  gli  mostrasser  viso  umano; 
che  la  intercetta  lor  vittoria  forse 
d'invidia  ai  duo  germani  il  petto  morse. 

LXXXIX 

Ne  che  tal  fin  quella  battaglia  avesse, 
credo  piu  fosse  alle  due  donne  grato. 
Queste,  perche  piu  in  lungo  si  traesse 
de'  duo  fratelli  il  doloroso  fato 
ch'in  Francia  par  ch'in  breve  esser  dovesse, 
con  loro  Orrilo  avean  quivi  azzuffato, 
con  speme  di  tenerli  tanto  a  bada, 
che  la  trista  influenzia  se  ne  vada. 

xc 

Tosto  che  '1  castellan  di  Damiata 
certificossi  ch'era  morto  Orrilo, 
la  columba  lascio,  ch'avea  legata 
'sotto  1'ala  la  lettera  col  filo. 
•Quella  and6  al  Cairo;  et  indi  fu  lasciata 
un'altra  altrove,  come  quivi  e  stilo: 
si  che  in  pochissime  ore  ando  1' aviso 
per  tutto  Egitto  ch'era  Orrilo  ucciso. 

xci 

II  duca,  come  al  fin  trasse  Timpresa, 
conforto  molto  i  nobili  garzoni, 
ben  che  da  se  v'avean  la  voglia  intesa, 
n6  bisognavan  stimuli  ne  sproni, 
che  per  difender  de  la  santa  Chiesa 
e  del  romano  Imperio  le  ragioni, 
lasciasser  le  battaglie  d'Oriente, 
e  cercassino  onor  ne  la  lor  gente. 


348  ORLANDO   FURIOSO 

XCII 

Cosi  Grifone  et  Aquilante  tolse 

ciascuno  da  la  sua  donna  licenzia; 

le  quali,  ancor  che  lor  ne  'ncrebbe  e  dolse, 

non  vi  seppon  per6  far  resistenzia. 

Con  essi  Astolfo  a  man  destra  si  volse ; 

che  si  deliberar  far  riverenzia 

ai  santi  luoghi  ove  Dio  in  carne  visse, 

prima  che  verso  Francia  si  venisse. 

XCIII 

Potuto  avrian  pigliar  la  via  mancina, 
ch'era  piu  dilettevole  e  piu  piana, 
e  mai  non  si  scostar  da  la  marina; 
ma  per  la  destra  andaro  orrida  e  strana, 
perch6  Falta  citta  di  Palestina 
per  questa  sei  giornate  e  men  lontana. 
Acqua  si  truova  et  erba  in  questa  via: 
di  tutti  gli  altri  ben  v'e  carestia. 

xciv 

Si  che  prima  ch'entrassero  in  viaggio, 
ci6  che  lor  bisogno,  fecion  raccorre, 
e  carcar  sul  gigante  il  carriaggio, 
ch'avria  portato  in  collo  anco  una  torre. 
Al  finir  del  camino  aspro  e  selvaggio, 
da  Palto  monte  alia  lor  vista  occorre 
la  santa  terra,  ove  il  superno  Amore 
Iav6  col  proprio  sangue  il  nostro  errore. 

xcv 

Trovano  in  su  Pentrar  de  la  cittade 
un  giovene  gentil,  lor  conoscente, 
Sansonetto  da  Meca,  oltre  1'etade, 
ch'era  nel  primo  fior,  molto  prudente; 
d'alta  cavalleria,  d'alta  bontade 
famoso,  e  riverito  fra  la  gente. 
Orlando  lo  converse  a  nostra  fede, 
e  di  sua  man  battesmo  anco  gli  diede. 


CANTO    QUINTODECIMO  349 

XCVI 

Quivi  lo  trovan  che  disegna  a  fronte 
del  calife  d'Egitto  una  fortezza; 
e  circondar  vuole  il  Calvario  monte 
di  muro  di  duo  miglia  di  lunghezza. 
Da  lui  raccolti  fur  con  quella  fronte 
che  pu6  d'interno  amor  dar  piu  chiarezza, 
e  dentro  accompagnati,  e  con  grande  agio 
fatti  alloggiar  nel  suo  real  palagio. 

xcvn 

Avea  in  governo  egli  la  terra,  e  in  vece 
di  Carlo  vi  reggea  1'irnperio  giusto. 
II  duca  Astolfo  a  costui  dono  fece 
di  quel  si  grande  e  smisurato  busto, 
ch'a  portar  pesi  gli  varra  per  diece 
bestie  da  soma,  tanto  era  robusto. 
Diegli  Astolfo  il  gigante,  e  diegli  appresso 
la  rete  ch'in  sua  forza  Favea  messo. 

xcvm 

Sansonetto  all'mcontro  al  duca  diede 
per  la  spada  una  cinta  ricca  e  bella; 
e  diede  spron  per  Tuno  e  Faltro  piede, 
che  d'oro  avean  la  fibbia  e  la  girella; 
ch'esser  del  cavallier  stati  si  crede, 
che  Iiber6  dal  drago  la  donzella: 
al  ZafTo  avuti  con  molt'altro  arnese 
Sansonetto  gli  avea,  quando  lo  prese. 

xcix 

Purgati  de  lor  colpe  a  un  monasterio 
che  dava  di  se  odor  di  buoni  esempii, 
de  la  passion  di  Cristo  ogni  misterio 
contemplando  n'  an  dar  per  tutti  i  tempii 
ch'or  con  eterno  obbrobrio  e  vituperio 
agli  cristiani  usurpano  i  Mori  empii. 
L'Europa  e  in  arme,  e  di  far  guerra  agogna 
in  ogni  parte,  fuor  ch'ove  bisogna. 


350  ORLANDO    FURIOSO 

C 

Mentre  avean  quivi  Tanimo  divoto, 
a  perdonanze  e  a  cerimonie  intend, 
un  peregrin  di  Grecia,  a  Grifon  noto, 
novelle  gli  areco  gravi  e  pungenti, 
dal  suo  primo  disegno  e  lungo  voto 
troppo  diverse  e  troppo  difTerenti; 
e  quelle  il  petto  gl'mfiammaron  tanto, 
che  gli  scacciar  1'orazion  da  canto. 

Cl 

Amava  il  cavallier,  per  sua  sciagura, 
una  donna  ch'avea  nome  Orrigille: 
di  piu  bel  volto  e  di  miglior  statura 
non  se  ne  sceglierebbe  una  fra  mille; 
ma  disleale  e  di  si  rea  natura, 
che  potresti  cercar  cittadi  e  ville, 
la  terra  ferma  e  1'isole  del  mare, 
ne  credo  ch'una  le  trovassi  pare. 

en 

Ne  la  citta  di  Constantin  lasciata 
grave  Pavea  di  febbre  acuta  e  fiera. 
Or  quando  rivederla  alia  tornata 
piu  che  mai  bella,  e  di  goderla  spera, 
ode  il  meschin,  ch'in  Antiochia  andata 
dietro  un  suo  nuovo  amante  ella  se  n'era, 
non  le  parendo  ormai  di  piu  patire 
ch'abbia  in  si  fresca  eta  sola  a  dormire. 

cm 

Da  indi  in  qua  ch'ebbe  la  trista  nuova, 
sospirava  Grifon  notte  e  di  sempre. 
Ogni  piacer  ch'agli  altri  aggrada  e  giova, 
par  ch'a  costui  piu  Tanimo  distempre: 
pensilo  ognun,  ne  li  cui  danni  pruova 
Amor,  se  li  suoi  strali  han  buone  tempre. 
Et  era  grave  sopra  ogni  martire, 
che  '1  mal  ch'avea  si  vergognava  a  dire. 


CANTO    QUINTODECIMO  351 

CIV 

Questo,  perche  mille  fiate  inante 
gia  ripreso  1'avea  di  quello  amore, 
di  lui  piii  saggio,  il  fratello  Aquilante, 
e  cercato  colei  trargli  del  core: 
colei  ch'al  suo  giudicio  era  di  quante 
femine  rie  si  trovin  la  peggiore. 
Grifon  1'escusa,  se  '1  fratel  la  danna; 
e  le  piu  volte  il  parer  proprio  inganna. 

cv 

Pero  fece  pensier,  senza  parlarne 
con  Aquilante,  girsene  soletto 
sin  dentro  d'Antiochia,  e  quindi  trarne 
colei  che  tratto  il  cor  gli  avea  del  petto ; 
trovar  colui  che  gli  Tha  tolta,  e  fame 
vendetta  tal,  che  ne  sia  sempre  detto. 
Dir6  come  ad  effetto  il  pensier  messe 
nelPaltro  canto,  e  ci6  che  ne  successe. 


352  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO   SESTODECIMO 


I 

Gravi  pene  in  amor  si  provan  molte, 
di  che  patito  io  n'ho  la  maggior  parte, 
e  quelle  in  danno  mio  si  ben  raccolte, 
ch'io  ne  posso  parlar  come  per  arte. 
Pero  s'io  dico  e  s'ho  detto  altre  volte, 
e  quando  in  voce  e  quando  in  vive  carte, 
ch'un  mal  sia  lieve,  un  altro  acerbo  e  fiero, 
date  credenza  al  mio  giudicio  vero. 

II 

Io  dico  e  dissi,  e  dir6  fin  ch'io  viva, 
che  chi  si  truova  in  degno  laccio  preso, 
se  ben  di  se  vede  sua  donna  schiva, 
se  in  tutto  aversa  al  suo  desire  acceso; 
se  bene  Amor  d'ogni  mercede  il  priva, 
poscia  che  1  tempo  e  la  fatica  ha  speso; 
pur  ch'altamente  abbia  locato  il  core, 
pianger  non  de',  se  ben  languisce  e  muore. 

in 

Pianger  de'  quel  che  gia  sia  fatto  servo 
di  duo  vaghi  occhi  e  d'una  bella  treccia, 
sotto  cui  si  nasconda  un  cor  protervo, 
che  poco  puro  abbia  con  molta  feccia. 
Vorria  il  miser  fuggire;  e  come  cervo 
ferito,  ovunque  va,  porta  la  freccia: 
ha  di  se  stesso  e  del  suo  amor  vergogna, 
ne  1'osa  dire,  e  in  van  sanarsi  agogna. 


CANTO    SESTODECIMO  353 

IV 

In  questo  caso  e  il  giovene  Grifone, 

che  non  si  pu6  emendare,  e  il  suo  error  vede, 

vede  quanto  vilmente  il  suo  cor  pone 

in  Orrigille  iniqua  e  senza  fede; 

pur  dal  mal  uso  e  vinta  la  ragione, 

e  pur  Tarbitrio  alFappetito  cede: 

perfida  sia  quantunque,  ingrata  e  ria, 

sforzato  e  di  cercar  dove  ella  sia. 

v 

Dico,  la  bella  istoria  ripigliando, 
ch'usci  de  la  citta  secretamente, 
ne  parlarne  s'ardi  col  fratel,  quando 
ripreso  invan  da  lui  ne  fu  sovente. 
Verso  Rama,  a  sinistra  declinando, 
prese  la  via  piu  piana  e  piu  corrente. 
Fu  in  sei  giorni  a  Darnasco  di  Soria; 
indi  verso  Antiochia  se  ne  gia. 

VI 

Scontr6  presso  a  Darnasco  il  cavalliero 
a  cui  donate  avea  Orrigille  il  core: 
e  convenian  di  rei  costumi  in  vero, 
come  ben  si  convien  Terba  col  fiore; 
che  Puno  e  Paltro  era  di  cor  leggiero, 
perfido  Puno  e  Paltro  e  traditore; 
e  cop  ria  Funo  e  Faltro  il  suo  difetto, 
con  danno  altrui,  sotto  cortese  aspetto. 

VII 

Come  io  vi  dico,  il  cavallier  venia 

s'un  gran  destrier  con  molta  pompa  armato: 

la  perfida  Orrigille  in  compagnia, 

in  un  vestire  azzur  d'oro  fregiato, 

e  duo  valletti,  donde  si  servia 

a  portar  elmo  e  scudo,  aveva  allato; 

come  quel  che  volea  con  bella  mostra 

comparire  in  Darnasco  ad  una  giostra. 


354  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Una  splendida  festa  che  bandire 

fece  il  re  di  Damasco  in  quelli  giorni, 

era  cagion  di  far  quivi  venire 

i  cavallier  quanto  potean  piu  adorni. 

Tosto  che  la  puttana  comparire 

vede  Grifon,  ne  teme  oltraggi  e  scorni: 

sa  che  1'amante  suo  non  e  si  forte, 

che  contra  lui  Pabbia  a  campar  da  morte. 

IX 

Ma  si  come  audacissima  e  scaltrita, 
ancor  che  tutta  di  paura  trema, 
s'acconcia  il  viso,  e  si  la  voce  aita, 
che  non  appar  in  lei  segno  di  tema. 
Col  drudo  avendo  gia  1'astuzia  ordita, 
corre,  e  fingendo  una  letizia  estrema, 
verso  Grifon  Taperte  braccia  tende, 

10  stringe  al  collo,  e  gran  pezzo  ne  pende. 

x 

Doppo,  accordando  affettuosi  gesti 
alia  suavita  de  le  parole, 
dicea  piangendo :  —  Signor  mio,  son  questi 
debiti  premii  a  chi  fadora  e  cole  ? 
che  sola  senza  te  gia  un  anno  resti, 
e  va  per  1'altro,  e  ancor  non  te  ne  duole  ? 
E  s'io  stava  aspettare  il  tuo  ritorno, 
non  so  se  mai  veduto  avrei  quel  giorno! 

XI 

Quando  aspettava  che  di  Nicosia, 
dove  tu  te  n'andasti  alia  gran  corte, 
tornassi  a  me  che  con  la  febbre  ria 
lasciata  avevi  in  dubbio  de  la  morte, 
intesi  che  passato  eri  in  Soria: 

11  che  a  patir  mi  fu  si  duro  e  forte, 
che  non  sapendo  come  io  ti  seguissi, 
quasi  il  cor  di  man  propria  mi  traffissi. 


CANTO    SESTODECIMO  355 

XII 

Ma  Fortuna  di  me  con  doppio  dono 
mostra  d'aver,  quel  che  non  hai  tu,  cura: 
mandommi  il  fratel  mio,  col  quale  io  sono 
sin  qui  venuta  del  mio  oner  sicura; 
et  or  mi  manda  questo  incontro  buono 
di  te,  ch'io  stimo  sopra  ogni  aventura: 
e  bene  a  tempo  il  fa;  che  piu  tardando, 
morta  sarei,  te,  signor  mio,  bramando.  — 

XIII 

E  seguit6  la  donna  fraudolente, 

di  cui  Top  ere  fur  piu  che  di  volpe, 

la  sua  querela  cosi  astutamente, 

che  riverso  in  Grifon  tutte  le  colpe. 

Gli  fa  stimar  colui,  non  che  parente, 

ma  che  d'un  padre  seco  abbia  ossa  e  polpe: 

e  con  tal  modo  sa  tesser  gPinganni, 

che  men  verace  par  Luca  e  Giovanni. 

XIV 

Non  pur  di  sua  perfidia  non  riprende 
Grifon  la  donna  iniqua  piu  che  bella; 
non  pur  vendetta  di  colui  non  prende, 
che  fatto  s'era  adultero  di  quella: 
ma  gli  par  far  assai,  se  si  difende 
che  tutto  il  biasmo  in  lui  non  riversi  ella; 
e  come  fosse  suo  cognato  vero, 
d'accarezzar  non  cessa  il  cavalliero. 

xv 

E  con  lui  se  ne  vien  verso  le  porte 
di  Damasco,  e  da  lui  sente  tra  via, 
che  la  dentro  dovea  splendida  cotte 
tenere  il  ricco  re  de  la  Soria; 
e  ch'ognun  quivi,  di  qualunque  sorte, 
o  sia  cristiano,  o  d'altra  legge  sia, 
dentro  e  di  fuori  ha  la  citta  sicura 
per  tutto  il  tempo  che  la  festa  dura. 


356  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

Non  pero  son  di.seguitar  si  intento 
Tistoria  de  la  perfida  Orrigille, 
ch'a'  giorni  suoi  non  pur  un  tradimento 
fatto  agli  amanti  avea,  ma  mille  e  mille; 
ch'io  non  ritorni  a  riveder  dugento 
mila  persone,  o  piu  de  le  scintille 
del  fuoco  stuzzicato,  ove  alle  mura 
di  Parigl  facean  danno  e  paura. 

XVII 

10  vi  lasciai,  come  assaltato  avea 
Agramante  una  porta  de  la  terra, 
che  trovar  senza  guardia  si  credea: 
ne  piu  riparo  altrove  il  passo  serra; 
perche  in  persona  Carlo  la  tenea, 
et  avea  seco  i  mastri  de  la  guerra, 

duo  Guidi,  duo  Angelmi,  uno  Angeliero, 
Avino,  Avolio,  Otone  e  Berlingiero. 

XVIII 

Inanzi  a  Carlo,  inanzi  al  re  Agramante 
Tun  stuolo  e  Paltro  si  vuol  far  vedere, 
ove  gran  loda,  ove  merce  abondante 
si  puo  acquistar,  facendo  il  suo  dovere. 
I  Mori  non  per6  fer  pruove  tante, 
che  par  ristoro  al  danno  abbiano  avere; 
perch6  ve  ne  restar  morti  parecchi, 
ch'agli  altri  fur  di  folle  audacia  specchi. 

XIX 

Grandine  sembran  le  spesse  sa$tte 
dal  muro  sopra  gli  nimici  sparte. 

11  grido  insin  al  ciel  paura  mette, 
che  fa  la  nostra  e  la  contraria  parte. 

Ma  Carlo  un  poco  et  Agramante  aspette; 
ch'io  vo'  cantar  de  Tafricano  Marte, 
Rodomonte  terribile  et  orrendo, 
che  va  per  mezzo  la  citta  correndo. 


CANTO    SESTODECIMO  357 

XX 

Non  so,  Signor,  se  phi  vi  ricordiate 
di  questo  Saracin  tanto  sicuro, 
che  morte  le  sue  genti  avea  lasciate 
tra  il  secondo  riparo  e  '1  primo  muro, 
da  la  rapace  fiamma  devorate, 
che  non  fu  mai  spettacolo  piu  oscuro. 
Dissi  ch'entro  d'un  salto  ne  la  terra 
sopra  la  fossa  che  la  cinge  e  serra. 

XXI 

Quando  fu  noto  il  Saracino  atroce 
alParme  istrane,  alia  scagliosa  pelle, 
la  dove  i  vecchi  e  '1  popul  men  feroce 
tendean  Forecchie  a  tutte  le  novelle, 
levossi  un  pianto,  un  grido,  un'alta  voce, 
con  un  batter  di  man  ch'and6  alle  stelle; 
e  chi  pote  fuggir  non  vi  rimase, 
per  serrarsi  ne5  templi  e  ne  le  case, 

XXII 

Ma  questo  a  pochi  il  brando  rio  conciede, 

ch'intorno  ruota  il  Saracin  robusto. 

Qui  fa  restar  con  mezza  gamba  un  piede, 

la  fa  un  capo  sbalzar  lungi  dal  busto: 

Tun  tagliare  a  traverse  se  gli  vede, 

dal  capo  alFanche  un  altro  fender  giusto ; 

e  di  tanti  ch'uccide,  fere  e  caccia, 

non  se  gli  vede  alcun  segnare  in  faccia. 

XXIII 

Quel  che  la  tigre  de  Parmento  imbelle 
ne'  campi  ircani  o  la  vicino  al  Gange, 
o  '1  lupo  de  le  capre  e  de  Pagnelle 
nel  monte  che  Tifeo  sotto  si  f range; 
quivi  il  crudel  pagan  facea  di  quelle 
non  diro  squadre,  non  dir6  falange, 
ma  vulgo  e  populazzo  voglio  dire, 
degno,  prima  che  nasca,  di  morire. 


358  ORLANDO  FURIOSO 

XXIV 

Non  ne  trova  un  che  veder  possa  in  fronte, 
fra  tanti  che  ne  taglia,  fora  e  svena. 
Per  quella  strada  che  vien  dritto  al  ponte 
di  san  Michel,  si  popolata  e  piena, 
corre  il  fiero  e  terribil  Rodomonte, 
e  la  sanguigna  spada  a  cerco  mena: 
non  riguarda  ne  al  servo  n6  al  signore, 
ne  al  giusto  ha  piu  pieta  ch'al  peccatore. 

xxv 

Religion  non  giova  al  sacerdote, 
n6  la  innocenzia  al  pargoletto  giova: 
per  sereni  occhi  o  per  vermiglie  gote 
merce  n6  donna  n6  donzella  truova: 
la  vecchiezza  si  caccia  e  si  percuote; 
ne  quivi  il  Saracin  fa  maggior  pruova 
di  gran  valor,  che  di  gran  crudeltade; 
che  non  discerne  sesso,  ordine,  etade. 

XXVI 

Non  pur  nel  sangue  uman  1'ira  si  stende 
de  Tempio  re,  capo  e  signer  degli  empi, 
ma  contra  i  tetti  ancor,  si  che  n'incende 
le  belle  case  e  i  profanati  tempi. 
Le  case  eran,  per  quel  che  se  n'intende, 
quasi  tutte  di  legno  in  quelli  tempi: 
e  ben  creder  si  pu6;  ch'in  Parigi  ora 
de  le  diece  le  sei  son  cosi  ancora. 

XXVII 

Non  par,  quantunque  il  fuoco  ogni  cosa  arda, 
che  si  grande  odio  ancor  saziar  si  possa. 
Dove  s'aggrappi  con  le  mani,  guarda, 
si  che  mini  un  tetto  ad  ogni  scossa. 
Signer,  avete  a  creder  che  bombarda 
mai  non  vedeste  a  Padova  si  grossa, 
che  tanto  muro  possa  far  cadere, 
quanto  fa  in  una  scossa  il  re  d'Algiere. 


CANTO   SESTODECIMO  359 

XXVIII 

Mentre  quivi  col  ferro  il  maledetto 
e  con  le  fiamme  facea  tanta  guerra, 
se  di  fuor  Agramante  avesse  astretto, 
perduta  era  quel  di  tutta  la  terra: 
ma  non  v'ebbe  agio;  che  gli  fu  interdetto 
dal  paladin  che  venia  d'Inghilterra 
col  populo  alle  spalle  inglese  e  scotto, 
dal  Silenzio  e  da  1'angelo  condotto. 

XXIX 

Dio  volse  che  alFentrar  che  Rodomonte 
fe'  ne  la  terra,  e  tanto  fuoco  accese, 
che  presso  ai  muri  il  fior  di  Chiaramonte, 
Rinaldo,  giunse,  e  seco  il  campo  inglese. 
Tre  leghe  sopra  avea  gittato  il  ponte, 
e  torte  vie  da  man  sinistra  prese; 
che  disegnando  i  barbari  assalire, 
il  fmme  non  1'  avesse  ad  impedire. 

xxx 

Mandate  avea  seimila  fanti  arcieri 
sotto  Paltiera  insegna  d'Odoardo, 
e  duomila  cavalli,  e  piu,  leggieri 
dietro  alia  guida  d'Ariman  gagliardo; 
e  mandati  gli  avea  per  li  sentieri 
che  vanno  e  vengon  dritto  al  mar  picardo, 
ch'a  porta  San  Martino  e  San  Dionigi 
entrassero  a  soccorso  di  Parigi. 

XXXI 

I  cariaggi  e  gli  altri  impedimenti 
con  lor  fece  drizzar  per  questa  strada. 
Egli  con  tutto  il  resto  de  le  genti 
piu  sopra  ando  girando  la  contrada. 
Seco  avean  navi  e  ponti  et  argument! 
da  passar  Senna  che  non  ben  si  guada. 
Passato  ognuno,  e  dietro  i  ponti  rotti, 
ne  le  lor  schiere  ordino  Inglesi  e  Scotti. 


360  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

Ma  prima  quei  baroni  e  capitani 
Rinaldo  intorno  avendosi  ridutti, 
sopra  la  riva  ch'alta  era  dai  piani 
si,  che  poteano  udirlo  e  veder  tutti, 
disse :  —  Signer,  ben  a  levar  le  mani 
avete  a  Dio,  che  qui  v'abbia  condutti, 
acci6,  dopo  un  brevissimo  sudore, 
sopra  ogni  nazion  vi  doni  onore. 

XXXIII 

Per  voi  saran  dui  principi  salvati, 

se  levate  Passedio  a  quelle  porte: 

il  vostro  re,  che  voi  sete  ubligati 

da  servitu  difendere  e  da  morte; 

et  uno  imperator  dej  piu  lodati 

che  mai  tenuto  al  mondo  abbiano  corte; 

e  con  loro  altri  re,  duci  e  marchesi, 

signori  e  cavallier  di  piu  paesi. 

xxxiv 

Si  che  salvando  una  citta,  non  sol  i 
Parigini  ubligati  vi  saranno, 
che  molto  piu  che  per  li  proprii  duoli, 
timidi,  afflitti  e  sbigottiti  stanno 
per  le  lor  mogli  e  per  li  lor  figliuoli 
ch'a  un  medesmo  pericolo  seco  hanno, 
e  per  le  sante  vergini  richiuse, 
ch'oggi  non  sien  dei  voti  lor  deluse : 

xxxv 

dico,  salvando  voi  questa  cittade, 
v'ubligate  non  solo  i  Parigini, 
ma  d'ogn'intorno  tutte  le  contrade. 
Non  parlo  sol  dei  populi  vicini; 
ma  non  e  terra  per  Cristianitade, 
che  non  abbia  qua  dentro  cittadini: 
si  che,  vincendo,  avete  da  tenere 
che  piu  che  Francia  v'abbia  obligo  avere. 


CANTO   SESTODECIMO  361 

XXXVI 

Se  donavan  gli  antiqui  una  corona 
a  chi  salvasse  a  un  cittadin  la  vita, 
or  che  degna  mercede  a  voi  si  dona, 
salvando  multitudine  infinita? 
Ma  se  da  invidia,  o  da  vilta,  si  buona 
e  si  santa  opra  rimarra  impedita, 
credetemi  che,  prese  quelle  mura, 
ne  Italia  ne  Lamagna  anco  e  sicura; 

xxxvn 

ne  qualunque  altra  parte  ove  s'adori 
quel  che  volse  per  noi  pender  sul  legno. 
Ne  voi  crediate  aver  lontani  i  Mori, 
ne  che  pel  mar  sia  forte  il  vostro  regno: 
che  s'altre  volte  quelli,  uscendo  fuori 
di  Zibeltaro  e  de  FErculeo  segno, 
riportar  prede  da  Pisole  vostre, 
che  faranno  or,  s'avran  le  terre  nostre? 

XXXVIII 

Ma  quando  ancor  nessuno  onor,  nessuno 
util  v'inanimasse  a  questa  impresa, 
commun  debito  e  ben  soccorrer  Puno 
1'altro,  che  militian  sotto  una  Chiesa. 
Ch'io  non  vi  dia  rotti  i  nemici,  alcuno 
non  sia  chi  tema,  e  con  poca  contesa; 
che  gente  male  esperta  tutta  parmi, 
senza  possanza,  senza  cor,  senz'armi.  — 

xxxix 

Pote  con  queste  e  con  miglior  ragioni, 
con  parlare  espedito  e  chiara  voce 
eccitar  quei  magnanimi  baroni 
Rinaldo,  e  quello  esercito  feroce: 
e  fu,  com'e  in  proverbio,  aggiunger  sproni 
al  buon  corsier  che  gia  ne  va  veloce. 
Finite  il  ragionar,  fece  le  schiere 
muover  pian  pian  sotto  le  lor  bandiere. 


362  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Senza  strepito  alcun,  senza  rumore 
fa  il  tripartite  esercito  venire: 
lungo  il  fiume  a  Zerbin  dona  Fonore 
di  dover  prima  i  barbari  assalire; 
e  fa  quelli  d'Irlanda  con  maggiore 
volger  di  via  piu  tra  campagna  gire; 
e  i  cavallieri  e  i  fanti  d'Inghilterra 
col  duca  di  Lincastro  in  mezzo  serra. 

XLI 

Drizzati  die  gli  ha  tutti  al  lor  camino, 

cavalca  il  paladin  lungo  la  riva, 

e  passa  inanzi  al  buon  duca  Zerbino 

e  a  tutto  il  campo  che  con  lui  veniva; 

tanto  ch'al  re  d'Orano  e  al  re  Sobrino 

e  agli  altri  lor  compagni  soprarriva, 

che  mezzo  miglio  appresso  a  quei  di  Spagna 

guardavan  da  quel  canto  la  campagna. 

XLII 

L' esercito  cristian  che  con  si  fida 
e  si  sicura  scorta  era  venuto, 
ch'ebbe  il  Silenzio  e  1'angelo  per  guida, 
non  pote  ormai  patir  piu  di  star  muto. 
Sentiti  gli  nimici,  alz6  le  grida, 
e  de  le  trombe  udir  fe'  il  suono  arguto; 
e  con  1'alto  rumor  ch'arrivb  al  cielo, 
mand6  ne  Fossa  a'  Saracini  il  gelo. 

XLIII 

Rinaldo  inanzi  agli  altri  il  destrier  punge; 
e  con  la  lancia  per  cacciarla  in  resta 
lascia  gli  Scotti  un  tratto  d'arco  lunge, 
ch'ogni  indugio  a  ferir  si  lo  molesta. 
Come  groppo  di  vento  talor  giunge, 
che  si  tra'  dietro  un'orrida  tempesta, 
tal  fuor  di  squadra  il  cavallier  gagliardo 
venia  spronando  il  corridor  Baiardo. 


CANTO    SESTODECIMO  363 

XLIV 

Al  comparir  del  paladin  di  Francia, 
dan  segno  i  Mori  alle  future  angosce: 
tremare  a  tutti  in  man  vedi  la  lancia, 
i  piedi  in  staifa,  e  ne  Parcion  le  cosce. 
Re  Puliano  sol  non  muta  guancia, 
che  questo  esser  Rinaldo  non  conosce; 
ne  pensando  trovar  si  duro  intoppo, 
gli  muove  il  destrier  contra  di  galoppo: 

XLV 

e  su  la  lancia  nel  partir  si  stringe, 
e  tutta  in  se  raccoglie  la  persona; 
poi  con  ambo  gli  sproni  il  destrier  spinge, 
e  le  redine  inanzi  gli  abandona. 
Da  Taltra  parte  il  suo  valor  non  finge, 
e  mostra  in  fatti  quel  ch'in  nome  suona, 
quanto  abbia  nel  giostrare  e  grazia  et  arte 
il  figliuolo  d'Amone,  anzi  di  Marte. 

XL  VI 

Furo,  al  segnar  degli  aspri  colpi,  pari, 
che  si  posero  i  ferri  ambi  alia  testa: 
ma  furo  in  arme  et  hi  virtu  dispari, 
che  Tun  via  passa,  e  1'altro  morto  resta. 
Bisognan  di  valor  segni  piu  chiari, 
che  por  con  leggiadria  la  lancia  in  resta: 
ma  fortuna  anco  piu  bisogna  assai; 
che  senza,  val  virtu  raro  o  non  mai. 

XL  VII 

La  buona  lancia  il  paladin  racquista, 
e  verso  il  re  d'Oran  ratto  si  spicca, 
che  la  persona  avea  povera  e  trista 
di  cor,  ma  d'ossa  e  di  gran  polpe  ricca. 
Questo  por  tra  bei  colpi  si  pu6  in  lista, 
ben  ch'in  fondo  allo  scudo  gli  1'appicca: 
e  chi  non  vuol  lodarlo,  abbialo  escuso, 
perche  non  si  potea  giunger  piu  in  suso. 


364  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

Non  lo  ritien  lo  scudo,  che  non  entre, 
ben  che  fuor  sia  d'acciar,  dentro  di  palma; 
e  che  da  quel  gran  corpo  uscir  pel  ventre 
non  faccia  1'inequale  e  piccola  alma. 
II  destrier  che  portar  si  credea,  mentre 
durasse  il  lungo  di,  si  grave  salma, 
riferi  in  mente  sua  grazie  a  Rinaldo, 
ch'a  quello  incontro  gli  schivo  un  gran  caldo. 

XLIX 

Rotta  Fasta,  Rinaldo  il  destrier  volta 
tanto  leggier,  che  fa  sembrar  ch'abbia  ale; 
e  dove  la  piu  stretta  e  maggior  folta 
stiparsi  vede,  impetuoso  assale. 
Mena  Fusberta  sanguinosa  in  volta, 
che  fa  1'arme  parer  di  vetro  frale: 
tempra  di  ferro  il  suo  tagliar  non  schiva, 
che  non  vada  a  trovar  la  carne  viva. 

L 

Ritrovar  poche  tempre  e  pochi  ferri 
pub  la  tagliente  spada,  ove  s'incappi; 
ma  targhe,  altre  di  cuoio,  altre  di  cerri, 
giupe  trapunte  e  attorcigliati  drappi. 
Giusto  e  ben  dunque  che  Rinaldo  atterri 
qualunque  assale,  e  fori  e  squarci  e  afTrappi; 
che  non  piu  si  difende  da  sua  spada, 
ch'erba  da  falce,  o  da  tempesta  biada. 

LI 

La  prima  schiera  era  gia  messa  in  rotta, 
quando  Zerbin  con  1'antiguardia  arriva. 
II  cavallier  inanzi  alia  gran  frotta 
con  la  lancia  arrestata  ne  veniva. 
La  gente  sotto  il  suo  pennon  condotta, 
con  non  minor  fierezza  lo  seguiva: 
tanti  lupi  parean,  tanti  leoni 
ch'andassero  assalir  capre  o  montoni. 


CANTO    SESTODECIMO  365 

LII 

Spinse  a  un  tempo  ciascuno  il  suo  cavallo, 
poi  che  fur  presso;  e  spari  immantinente 
quel  breve  spazio,  quel  poco  intervallo 
che  si  vedea  fra  Tuna  e  1'altra  gente. 
Non  fu  sentito  mai  piu  strano  ballo; 
che  ferian  gli  Scozzesi  solamente: 
solamente  i  pagani  eran  distrutti, 
come  sol  per  morir  fosser  conduttL 

LIII 

Parve  piu  freddo  ogni  pagan  che  ghiaccio; 
parve  ogni  Scotto  piu  che  fiamma  caldo. 
I  Mori  si  credean  ch'avere  il  braccio 
dovesse  ogni  cristian,  ch'ebbe  Rinaldo. 
Mosse  Sobrino  i  suoi  schierati  avaccio, 
senza  aspettar  che  lo  'nvitasse  araldo: 
de  Paltra  squadra  questa  era  migliore 
di  capitano,  d'arme  e  di  valore. 

LIV 

D' Africa  v'era  la  men  trista  gente; 
ben  che  ne  questa  ancor  gran  prezzo  vaglia. 
Dardinel  la  sua  mosse  incontinente, 
e  male  armata,  e  peggio  usa  in  battaglia; 
ben  ch'egli  in  capo  avea  Telmo  lucente, 
e  tutto  era  coperto  a  piastra  e  a  maglia. 
lo  credo  che  la  quarta  miglior  sia, 
con  la  qual  Isolier  dietro  venia. 

LV 

Trasone  intanto,  il  buon  duca  di  Marra, 
che  ritrovarsi  all'alta  impresa  gode, 
ai  cavallieri  suoi  leva  la  sbarra, 
e  seco  invita  alle  famose  lode, 
poi  ch'  Isolier  con  quelli  di  Navarra 
entrar  ne  la  battaglia  vede  et  ode. 
Poi  mosse  Ariodante  la  sua  schiera, 
che  nuovo  duca  dj Albania  fatt'era. 


366  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

L/alto  rumor  de  le  sonore  trombe, 
de'  timpani  e  de'  barbari  stromenti, 
giunti  al  continue  suon  d'archi,  di  frombe, 
di  macliine,  di  ruote  e  di  tormenti; 
e  quel  di  che  piu  par  che  '1  ciel  ribombe, 
gridi,  tumulti,  gemiti  e  lamenti: 
rendeno  un  alto  suon,  ch'a  quel  s'accorda 
con  che  i  vicin  cadendo  il  Nilo  assorda. 

LVII 

Grande  ombra  d'ogn'intorno  il  cielo  involve, 
nata  dal  saettar  de  li  duo  campi: 
1'alito,  il  fumo  del  sudor,  la  polve 
par  che  ne  1'aria  oscura  nebbia  stampi. 
Or  qua  Tun  campo,  or  1'altro  la  si  volve: 
vedresti  or  come  un  segua,  or  come  scampi ; 
et  ivi  alcuno,  o  non  troppo  diviso, 
rimaner  morto  ove  ha  il  nimico  ucciso. 

LVIII 

Dove  una  squadra  per  stanchezza  e  mossa, 
un'altra  si  fa  tosto  andare  inanti. 
Di  qua  di  la  la  gente  d'arme  ingrossa: 
la  cavallieri,  e  qua  si  metton  fanti. 
La  terra  che  sostien  1'assalto,  e  rossa: 
mutato  ha  il  verde  ne'  sanguigni  manti; 
e  dov'erano  i  fiori  azzurri  e  gialli, 
giaceno  uccisi  or  gli  uomini  e  i  cavalli. 

LIX 

Zerbin  facea  le  piu  mirabil  pruove 
che  mai  facesse  di  sua  eta  garzone: 
1'esercito  pagan  che  'ntorno  piove, 
taglia  et  uccide  e  mena  a  destruzione. 
Ariodante  alle  sue  genti  nuove 
mostra  di  sua  virtu  gran  paragone; 
e  da  di  se  timore  e  meraviglia 
a  quelli  di  Navarra  e  di  Castiglia. 


CANTO   SESTODECIMO  367 

LX 

Chelindo  e  Mosco,  i  duo  figli  bastardi 
del  morto  Calabrun  re  d'Aragona, 
et  un  che  reputato  fra'  gagliardi 
era,  Calamidor  da  Barcelona, 
s'avean  lasciato  a  dietro  gli  stendardi; 
e  credendo  acquistar  gloria  e  corona 
per  uccider  Zerbin,  gli  furo  adosso; 
e  ne'  fianchi  il  destrier  gli  hanno  percosso. 

LXI 

Passato  da  tre  lance  il  destrier  morto 
cade;  ma  il  buon  Zerbin  subito  e  in  piede; 
ch'a  quei  ch'al  suo  cavallo  han  fatto  torto, 
per  vendicarlo  va  dove  gli  vede: 
e  prima  a  Mosco,  al  giovene  inaccorto, 
che  gli  sta  sopra,  e  di  pigliar  sel  crede, 
mena  di  punta,  e  lo  passa  nel  fianco, 
e  fuor  di  sella  il  caccia  freddo  e  bianco. 

LXII 

Poi  che  si  vide  tor,  come  di  furto, 
Chelindo  il  f rat  el  suo,  di  furor  pieno 
venne  a  Zerbino,  e  pens6  dargli  d'urto; 
ma  gli  prese  egli  il  corridor  pel  freno: 
trasselo  in  terra,  onde  non  e  mai  surto, 
e  non  mangi6  mai  piu  biada  ne  fieno ; 
che  Zerbin  si  gran  forza  a  un  colpo  mise, 
che  lui  col  suo  signor  d'un  taglio  uccise. 

LXIII 

Come  Calamidor  quel  colpo  mira, 
volta  la  briglia  per  levarsi  in  fretta; 
ma  Zerbin  dietro  un  gran  fendente  tira, 
dicendo:  —  Traditore,  aspetta,  aspetta !  — 
Non  va  la  botta  ove  n'ando  la  mira, 
non  che  per6  lontana  vi  si  metta; 
lui  non  pote  arrivar,  ma  il  destrier  prese 
sopra  la  groppa,  e  in  terra  lo  distese. 


368  ORLANDO    FURIOSO 

LXIV 

Colui  lascia  il  cavallo,  e  via  carpone 
va  per  campar,  ma  poco  gli  successe; 
che  venne  caso  che  '1  duca  Trasone 
gli  pass6  sopra,  e  col  peso  1'oppresse. 
Ariodante  e  Lurcanio  si  pone 
dove  Zerbino  e  fra  le  genti  spesse ; 
e  seco  hanno  altri  e  cavallieri  e  conti, 
che  fanno  ogn'opra  che  Zerbin  rimonti. 

LXV 

Menava  Ariodante  il  brando  in  giro, 
e  ben  lo  seppe  Artalico  e  Margano; 
ma  molto  piu  Etearco  e  Casimiro 
la  possanza  sentir  di  quella  manor 
i  primi  duo  feriti  se  ne  giro, 
rimaser  gli  altri  duo  morti  sul  piano. 
Lurcanio  fa  veder  quanto  sia  forte; 
che  fere,  urta,  riversa  e  mette  a  motte. 

LXVI 

Non  crediate,  Signor,  che  fra  campagna 
pugna  minor  che  presso  al  flume  sia, 
n6  ch'a  dietro  Pesercito  rimagna, 
che  di  Lincastro  il  buon  duca  seguia. 
Le  bandiere  assali  questo  di  Spagna, 
e  molto  ben  di  par  la  cosa  gia; 
che  fanti,  cavallieri  e  capitani 
di  qua  e  di  la  sapean  menar  le  mani. 

LXVII 

Dinanzi  vien  Oldrado  e  Fieramonte, 
un  duca  di  Glocestra,  un  d'Eborace; 
con  lor  Ricardo,  di  Varvecia  conte, 
e  di  Chiarenza  il  duca,  Enrigo  audace. 
Han  Matalista  e  Follicone  a  fronte, 
e  Baricondo  et  ogni  lor  seguace. 
Tiene  il  primo  Almeria,  tiene  il  secondo 
Granata,  tien  Maiorca  Baricondo. 


CANTO    SESTODECIMO  369 

LXVIII 

La  fiera  pugna  un  pezzo  and6  di  pare, 
che  vi  si  discernea  poco  vantaggio. 
Vedeasi  or  Funo  or  1'altro  ire  e  tornare, 
come  le  biade  al  ventolin  di  maggio, 
o  come  sopra  '1  lito  un  mobil  mare 
or  viene  or  va,  ne  mai  tiene  un  viaggio. 
Poi  che  Fortuna  ebbe  scherzato  un  pezzo, 
dannosa  ai  Mori  ritorno  da  sezzo. 

LXIX 

Tutto  in  un  tempo  il  duca  di  Glocestra 
a  Matalista  fa  votar  Farcione; 
ferito  a  un  tempo  ne  la  spalla  destra 
Fieramonte  riversa  Follicone: 
e  Fun  pagano  e  1'altro  si  sequestra, 
e  tra  gl'Inglesi  se  ne  va  prigione. 
E  Baricondo  a  un  tempo  riman  senza 
vita  per  man  del  duca  di  Chiarenza. 

LXX 

Indi  i  pagani  tanto  a  spaventarsi, 
indi  i  fedeli  a  pigliar  tanto  ardire, 
che  quei  non  facean  altro  che  ritrarsi 
e  partirsi  da  Fordine  e  fuggire, 
e  questi  andar  inanzi  et  avanzarsi 
sempre  terreno,  e  spingere  e  seguire: 
e  se  non  vi  giungea  chi  lor  die  aiuto, 
il  campo  da  quel  lato  era  perduto. 

LXXI 

Ma  Ferrau,  che  sin  qui  mai  non  s'era 
dal  re  Marsilio  suo  troppo  disgiunto, 
quando  vide  fuggir  quella  bandiera, 
e  Fesercito  suo  mezzo  consunto, 
spronc-  il  cavallo,  e  dove  ardea  piu  fiera 
la  battaglia,  lo  spinse;  e  arriv6  a  punto 
che  vide  dal  destrier  cadere  in  terra 
col  capo  fesso  Olimpio  da  la  Serra; 


370  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

un  giovinetto  che  col  dolce  canto, 
Concorde  al  suon  de  la  cornuta  cetra, 
d'intenerire  un  cor  si  dava  vanto, 
ancor  che  fosse  piu  duro  che  pietra. 
Felice  lui,  se  contentar  di  tanto 
onor  sapeasi,  e  scudo,  arco  e  faretra 
aver  in  odio,  e  scimitarra  e  lancia, 
che  lo  fecer  morir  giovine  in  Francia! 

LXXIII 

Quando  lo  vide  Ferrau  cadere, 
che  solea  amarlo  e  avere  in  molta  estima, 
si  sente  di  lui  sol  via  piu  dolere, 
che  di  milPaltri  che  periron  prima: 
e  sopra  chi  Puccise  in  modo  fere, 
che  gli  divide  1'elmo  da  la  cima 
per  la  fronte,  per  gli  occhi  e  per  la  faccia, 
per  mezzo  il  petto,  e  motto  a  terra  il  caccia. 

LXXIV 

Ne  qui  s'indugia;  e  il  brando  intorno  ruota, 
ch'ogni  elmo  rompe,  ogni  lorica  smaglia; 
a  chi  segna  la  fronte,  a  chi  la  gota, 
ad  altri  il  capo,  ad  altri  il  braccio  taglia: 
or  questo  or  quel  di  sangue  e  d'alma  v6ta; 
e  ferma  da  quel  canto  la  battaglia, 
onde  la  spaventata  ignobil  frotta 
senza  ordine  fuggia  spezzata  e  rotta. 

LXXV 

Entro  ne  la  battaglia  il  re  Agramante, 
d'uccider  gente  e  di  far  pruove  vago; 
e  seco  ha  Baliverzo,  Farurante, 
Prusion,  Soridano  e  Bambirago. 
Poi  son  le  genti  senza  nome  tante, 
che  del  lor  sangue  oggi  faranno  un  lago, 
che  meglio  conterei  ciascuna  foglia, 
quando  1'autunno  gli  arbori  ne  spoglia. 


CANTO    SESTODECIMO  371 

LXXVI 

Agramante  dal  muro  una  gran  ban  da 
di  fanti  avendo  e  di  cavalli  tolta, 
col  re  di  Feza  subito  li  manda, 
che  dietro  ai  padiglion  piglin  la  volta, 
e  vadano  ad  opporsi  a  quei  d'Irlanda, 
le  cui  squadre  vedea  con  fretta  molta, 
dopo  gran  giri  e  larghi  avolgimenti, 
venlr  per  occupar  gli  alloggiamenti. 

LXXVII 

Fu  51  re  di  Feza  ad  esequir  ben  presto; 
ch'ogni  tardar  troppo  nociuto  avria. 
Raguna  intanto  il  re  Agramante  il  resto; 
parte  le  squadre,  e  alia  battaglia  invia. 
Egli  va  al  fiume;  che  gli  par  ch'in  questo 
luogo  del  suo  venir  bisogno  sia: 
e  da  quel  canto  un  messo  era  venuto 
del  re  Sobrino  a  domandare  aiuto. 

LXXVIII 

Menava  in  una  squadra  piu  di  mezzo 
il  campo  dietro;  e  sol  del  gran  rumore 
tremar  gli  Scotti,  e  tanto  fu  il  ribrezzo, 
ch'abbandonavan  Tordine  e  Fonore. 
Zerbin,  Lurcanio  e  Ariodante  in  mezzo 
vi  restar  soli  incontra  a  quel  furore: 
e  Zerbin,  ch'era  a  pie,  vi  peria  forse, 
ma  '1  buon  Rinaldo  a  tempo  se  n'accorse. 

LXXIX 

Altrove  intanto  il  paladin  s'avea 
fatto  inanzi  fuggir  cento  bandiere. 
Or  che  Torecchie  la  novella  rea 
del  gran  periglio  di  Zerbin  gli  fere, 
ch'a  piedi  fra  la  gente  cirenea 
lasciato  solo  aveano  le  sue  schiere, 
volta  il  cavallo,  e  dove  il  campo  scotto 
vede  fuggir,  prende  la  via  di  botto. 


372  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

Dove  gli  Scotti  ritornar  fuggendo 
vede,  s'appara;  e  grida:—  Or  dove  andate? 
perche  tanta  viltade  in  voi  comprendo, 
che  a  si  vil  gente  il  campo  abbandonate  ? 
Ecco  le  spoglie,  de  le  quali  intendo 
ch'esser  dovean  le  vostre  chiese  ornate. 
Oh  che  laude,  oh  che  gloria,  che  '1  figliuolo 
del  vostro  re  si  lasci  a  piedi  e  solo!  — 

LXXXI 

D'un  suo  scudier  una  grossa  asta  afferra, 
e  vede  Prusion  poco  lontano, 
re  d'Alvaracchie,  e  adosso  se  gli  serra, 
e  de  1'arcion  lo  porta  morto  al  piano. 
Morto  Agricalte  e  Bambirago  atterra: 
dopo  fere  aspramente  Soridano; 
e  come  gli  altri  1'avria  messo  a  morte, 
se  nel  ferir  la  lancia  era  piii  forte. 

LXXXII 

Stringe  Fusberta,  poi  che  1'asta  e  rotta, 
e  tocca  Serpentin,  quel  da  la  Stella. 
Fatate  1'arme  avea,  ma  quella  botta 
pur  tramortito  il  manda  fuor  di  sella. 
E  cosi  al  duca  de  la  gente  scotta 
fa  piazza  intorno  spaziosa  e  bella; 
si  che  senza  contesa  un  destrier  puote 
salir  di  quei  che  vanno  a  selle  v6te. 

LXXXIII 

E  ben  si  ritrov6  salito  a  tempo, 
che  forse  nol  facea  se  phi  tardava; 
perche  Agramante  e  Dardinello  a  un  tempo, 
Sobrin  col  re  Balastro  v'arrivava. 
Ma  egli,  che  montato  era  per  tempo, 
di  qua  e  di  la  col  brando  s'aggirava, 
mandando  or  questo  or  quel  giu  ne  Tinferno 
a  dar  notizia  del  viver  moderno. 


CANTO    SESTODECIMO  373 

LXXXIV 

II  buon  Rinaldo,  il  quale  a  porre  in  terra 
i  piu  dannosi  avea  sempre  riguardo, 
la  spada  contra  il  re  Agramante  afFerra, 
che  troppo  gli  parea  fiero  e  gagliardo 
(facea  egli  sol  piu  che  mille  altri  guerra) ; 
e  se  gli  spinse  adosso  con  Baiardo: 

10  fere  a  un  tempo  et  urta  di  traverso, 
si  che  lui  col  destrier  rnanda  riverso. 

LXXXV 

Mentre  di  fuor  con  si  crudel  battaglia, 
odio,  rabia,  furor  Tun  Faltro  offende, 
Rodomonte  in  Parigi  il  popul  taglia, 
le  belle  case  e  i  sacri  templi  accende. 
Carlo,  ch'in  altra  arte  si  travaglia, 
questo  non  vede,  e  nulla  ancor  ne  'ntende: 
Odoardo  raccoglie  et  Arimanno 
ne  la  citta,  col  lor  popul  britanno. 

LXXXVI 

Allui  venne  un  scudier  pallido  in  volto, 
che  potea  a  pena  trar  del  petto  il  fiato. 

—  Ahime!  signor,  ahime!  —  replica  molto, 
prirna  ch'abbia  a  dir  altro  mcominciato : 

—  Oggi  il  romano  Imperio,  oggi  e  sepolto; 
oggi  ha  il  suo  popul  Cristo  abandonato: 

11  demonio  dal  cielo  e  piovuto  oggi, 
perche  in  questa  citta  piu  non  s'alloggi. 

LXXXVII 

Satanasso  (perch* altri  esser  non  puote) 
strugge  e  ruina  la  citta  infelice. 
Volgiti  e  mira  le  fumose  mote 
de  la  rovente  fiamma  predatrice; 
ascolta  il  pianto  che  nel  ciel  percuote; 
e  faccian  fede  a  quel  che  '1  servo  dice. 
Un  solo  e  quel  ch'a  ferro  e  a  fuoco  strugge 
la  bella  terra,  e  inanzi  ognun  gli  fugge.  — 


374  ORLANDO  FURIOSO 

LXXXVIII 

Quale  e  colui  che  prima  oda  il  tumulto, 
e  de  le  sacre  squille  il  batter  spesso, 
che  vegga  il  fuoco  a  nessun  altro  occulto 
ch'a  se,  che  piu  gli  tocca,  e  gli  e  piii  presso; 
tal  e  il  re  Carlo,  udendo  il  nuovo  insulto, 
e  conoscendol  poi  con  Pocchio  istesso ; 
onde  lo  sforzo  di  sua  miglior  gente 
al  grido  drizza  e  al  gran  rumor  che  sente. 

LXXXIX 

Dei  paladini  e  dei  guerrier  piu  degni 
Carlo  si  chiama  dietro  una  gran  parte, 
e  ver  la  piazza  fa  drizzare  i  segni; 
che  *1  pagan  s'era  tratto  in  quella  parte. 
Ode  il  rumor,  vede  gli  orribil  segni 
di  crudelta,  Pumane  membra  sparte. 
Ora  non  piu:  ritorni  un'altra  volta 
chi  voluntier  la  bella  istoria  ascolta. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  375 


CANTO  DECIMOSETTIMO 


I 

II  giusto  Dio,  quando  i  peccati  nostri 
hanno  di  remission  passato  il  segno, 
acci6  che  la  giustizia  sua  dimostri 
uguale  alia  pieta,  spesso  da  regno 
a  tiranni  atrocissimi  et  a  mostri, 
e  da  lor  forza  e  di  mal  fare  ingegno. 
Per  questo  Mario  e  Silla  pose  al  mondo, 
e  duo  Neroni  e  Caio  faribondo, 

II 

Domiziano  e  Pultimo  Antonino; 
e  tolse  da  la  immonda  e  bassa  plebe, 
et  esalt6  alFimperio  Massimino; 
e  nascer  prima  fe*  Creonte  a  Tebe; 
e  die  Mezenzio  al  populo  Agilino, 
che  fes  di  sangue  uman  grasse  le  glebe; 
e  diede  Italia  a  tempi  men  remoti 
in  preda  agli  Unni,  ai  Longobardi,  ai  Goti. 

in 

Che  d'Atila  dir6  ?  che  de  Piniquo 
Ezellin  da  Roman  ?  che  d'altri  cento  ? 
che  dopo  un  lungo  andar  sempre  in  obliquo, 
ne  manda  Dio  per  pena  e  per  tormento. 
Di  questo  abbian  non  pur  al  tempo  antique, 
ma  ancora  al  nostro,  chiaro  esperimento, 
quando  a  noi,  greggi  inutili  e  malnati, 
ha  dato  per  guardian  lupi  arrabbiati : 


376  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

a  cui  non  par  ch'abbi  a  bastar  lor  fame, 
ch'abbi  il  lor  ventre  a  capir  tanta  carne; 
e  chiaman  lupi  di  piu  ingorde  brame 
da  boschi  oltramontani  a  dlvorarne. 
Di  Trasimeno  Tinsepulto  ossame 
e  di  Canne  e  di  Trebia  poco  parne 
verso  quel  che  le  ripe  e  i  campi  ingrassa, 
dov'Ada  e  Mella  e  Ronco  e  Tarro  passa. 

v 

Or  Dio  consente  che  noi  sian  puniti 
da  populi  di  noi  forse  peggiori, 
per  li  multiplicati  et  infiniti 
nostri  nefandi,  obbrobriosi  errori. 
Tempo  verra  ch'a  depredar  lor  liti 
andremo  noi,  se  mai  saren  migliori, 
e  che  i  peccati  lor  giungano  al  segno, 
che  Feterna  Bonta  muovano  a  sdegno. 

VI 

Doveano  allora  aver  gli  eccessi  loro 

di  Dio  turbata  la  serena  fronte, 

che  scorse  ogni  lor  luogo  il  Turco  e  '1  Moro 

con  stupri,  uccision,  rapine  et  onte: 

ma  piu  di  tutti  gli  altri  danni,  foro 

gravati  dal  furor  di  Rodomonte. 

Dissi  ch'ebbe  di  lui  la  nuova  Carlo, 

e  che  'n  piazza  venia  per  ritrovarlo. 

VII 

Vede  tra  via  la  gente  sua  troncata, 

arsi  i  palazzi,  e  ruinati  i  templi, 

gran  parte  de  la  terra  desolata: 

mai  non  si  vider  si  crudeli  esempli. 

—  Dove  fuggite,  turba  spaventata? 

Non  e  tra  voi  chi  '1  danno  suo  contempli  ? 

Che  citta,  che  refugio  piu  vi  resta, 

quando  si  perda  si  vilmente  questa  ? 


CANTO    DECIMOSETTIMO  377 

VIII 

Dunque  un  uom  solo  in  vostra  terra  preso, 
cinto  di  mura  onde  non  puo  fuggire, 
si  partira  che  non  Favrete  offeso, 
quando  tutti  v'avra  fatto  morire  ?  — 
Cosi  Carlo  dicea,  che  d'ira  acceso 
tanta  vergogna  non  potea  patire. 
E  giunse  dove  inanti  alia  gran  corte 
vide  il  pagan  por  la  sua  gente  a  morte. 

IX 

Quivi  gran  parte  era  del  populazzo, 
sperandovi  trovare  aiuto,  ascesa; 
perche  forte  di  mura  era  il  palazzo, 
con  munizion  da  far  lunga  difesa. 
Rodomonte,  d'orgoglio  e  d*ira  pazzo, 
solo  s'avea  tutta  la  piazza  presa: 
e  Tuna  man,  che  prezza  il  mondo  poco, 
ruota  la  spada,  e  Paltra  getta  il  fuoco. 

x 

E  de  la  regal  casa,  alta  e  sublime, 
percuote  e  risuonar  fa  le  gran  porte. 
Gettan  le  turbe  da  le  eccelse  cime 
e  merli  e  torri,  e  si  metton  per  morte. 
Guastare  i  tetti  non  e  alcun  che  stime; 
e  legne  e  pietre  vanno  ad  una  sorte, 
lastre  e  colonne,  e  le  dorate  travi 
che  mro  in  prezzo  agli  lor  padri  e  agli  avi. 

XI 

Sta  su  la  porta  il  re  d'Algier,  lucente 

di  chiaro  acciar  che  '1  capo  gli  arma  e  '1  busto, 

come  uscito  di  tenebre  serpente, 

poi  c'ha  lasciato  ogni  squalor  vetusto, 

del  nuovo  scoglio  altiero,  e  che  si  sente 

ringiovenito  e  piu  che  mai  robusto: 

tre  lingue  vibra,  et  ha  negli  occhi  foco; 

dovunque  passa,  ogn'animal  da  loco. 


378  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Non  sasso,  merlo,  trave,  arco  o  balestra, 
ne  cio  che  sopra  il  Saracin  percuote, 
ponno  allentar  la  sanguinosa  destra 
che  la  gran  porta  taglia,  spezza  e  scuote: 
e  dentro  fatto  v'ha  tanta  finestra, 
che  ben  vedere  e  veduto  esser  puote 
dai  visi  impress!  di  color  di  morte, 
che  tutta  plena  quivi  hanno  la  corte. 

XIII 

Suonar  per  gli  alti  e  spaziosi  tetti 
s'odono  gridi  e  feminil  lament!: 
Tafflitte  donne,  percotendo  i  petti, 
corron  per  casa  pallide  e  dolenti; 
e  abbraccian  gli  usci  e  i  geniali  letti 
che  tosto  hanno  a  lasciare  a  strane  genti. 
Tratta  la  cosa  era  in  periglio  tanto, 
quando  '1  re  giunse,  e  suoi  baroni  accanto. 

XIV 

Carlo  si  volse  a  quelle  man  robuste 
ch'ebbe  altre  volte  a  gran  bisogni  pronte. 
—  Non  sete  quelli  voi,  che  meco  fuste 
contra  Agolante  —  disse  —  in  Aspramonte  ? 
Sono  le  forze  vostre  ora  si  fruste, 
che,  s'uccideste  lui,  Troiano  e  Almonte 
con  centomila,  or  ne  temete  un  solo 
pur  di  quel  sangue  e  pur  di  quello  stuolo  ? 

xv 

Perch6  debbo  vedere  in  voi  fortezza 
ora  minor  ch'io  la  vedessi  allora  ? 
Mostrate  a  questo  can  vostra  prodezza, 
a  questo  can  che  gli  uomini  devora. 
Un  magnanimo  cor  morte  non  prezza, 
presta  o  tarda  che  sia,  pur  che  ben  muora. 
Ma  dubitar  non  posso  ove  voi  sete, 
che  fatto  sempre  vincitor  m'avete.  — 


CANTO    DECIMOSETTIMO  379 

XVI 

Al  fin  de  le  parole  urta  il  destriero, 
con  1'asta  bassa,  al  Saracino  adosso. 
Mossesi  a  un  tratto  il  paladino  Ugiero, 
a  un  tempo  Namo  et  Ulivier  si  e  mosso, 
Avino,  Avolio,  Otone  e  Berlingiero, 
ch'un  senza  Paltro  mai  veder  non  posso : 
e  ferir  tutti  sopra  a  Rodomonte 
e  nel  petto  e  nei  fianchi  e  ne  la  fronte. 

XVII 

Ma  lasciamo,  per  Dio,  Signore,  ormai 
di  parlar  d'ira  e  di  cantar  di  morte; 
e  sia  per  questa  volta  detto  assai 
del  Saracin  non  men  crudel  che  forte: 
che  tempo  e  ritornar  dov'io  lasciai 
Grifon,  giunto  a  Damasco  in  su  le  porte 
con  Orrigille  perfida,  e  con  quello 
ch'adulter  era,  e  non  di  lei  fratello. 

XVIII 

De  le  piu  ricche  terre  di  Levante, 
de  le  piu  populose  e  meglio  ornate 
si  dice  esser  Damasco,  che  distante 
siede  a  Jerusalem  sette  giornate, 
in  un  piano  fruttifero  e  abondante, 
non  men  giocondo  il  verno  che  Testate. 
A  questa  terra  il  primo  raggio  tolle 
de  la  nascente  aurora  un  vicin  colle. 

XIX 

Per  la  citta  duo  fiumi  cristallini 
vanno  inaffiando  per  diversi  rivi 
un  numero  infinito  di  giardini, 
non  mai  di  fior,  non  mai  di  fronde  privi. 
Dicesi  ancor,  che  macinar  molini 
potrian  far  Facque  lanfe  che  son  quivi; 
e  chi  va  per  le  vie  vi  sente  fuore 
di  tutte  quelle  case  uscire  odore. 


380  ORLANDO   FURIOSO 

XX 

Tutta  coperta  e  la  strada  maestra 
di  panni  di  diversi  color  lieti, 
e  d'odorifera  erba,  e  di  silvestra 
fronda  la  terra  e  tutte  le  pareti. 
Adorna  era  ogni  porta,  ogni  finestra 
di  finissimi  drappi  e  di  tapeti, 
ma  piu  di  belle  e  ben  ornate  donne 
di  ricche  gemme  e  di  superbe  gonne. 

XXI 

Vedeasi  celebrar  dentr'alle  porte, 

in  molti  lochi,  solazzevol  balli; 

il  popul,  per  le  vie,  di  miglior  sorte 

maneggiar  ben  guarniti  e  bei  cavalli : 

facea  piu  bel  veder  la  ricca  corte 

de'  signor,  de'  baroni  e  de'  vasalli, 

con  ci6  che  d'India  e  d'eritree  maremme 

di  perle  aver  si  puo,  d'oro  e  di  gemme. 

XXII 

Venia  Grifone  e  la  sua  compagnia 
mirando  e  quinci  e  quindi  il  tutto  ad  agio, 
quando  fermolli  un  cavalliero  in  via, 
e  gli  fece  smontare  a  un  suo  palagio; 
e  per  Tusanza  e  per  sua  cortesia 
di  nulla  Iasci6  lor  patir  disagio. 
Li  fe'  nel  bagno  entrar,  poi  con  serena 
fronte  gli  accolse  a  sontuosa  cena. 

XXIII 

E  narro  lor  come  il  re  Norandino, 
re  di  Damasco  e  di  tutta  Soria, 
fatto  avea  il  paesano  e  '1  peregrino 
ch'ordine  avesse  di  cavalleria, 
alia  giostra  invitar,  ch'al  matutino 
del  di  sequente  in  piazza  si  faria; 
e  che  s'avean  valor  pari  al  sembiante, 
potrian  mostrarlo  senza  andar  piu  inante. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  381 

XXIV 

Ancor  che  quivi  non  venne  Grifone 
a  questo  effetto,  pur  lo  'nvito  tenne; 
che  qual  volta  se  n'abbia  occasione, 
mostrar  virtude  mai  non  disconvenne. 
Interrogollo  poi  de  la  cagione 
di  quella  festa,  e  s'ella  era  solenne 
usata  ogn'anno,  o  pure  impresa  nuova 
del  re  ch'i  suoi  veder  volesse  in  pruova. 

xxv 

Rispose  il  cavallier:  —  La  bella  festa 
s'ha  da  far  sempre  ad  ogni  quarta  luna; 
de  Paltre  che  verran,  la  prima  e  questa: 
ancora  non  se  n'e  fatta  piu  alcuna. 
Sara  in  memoria  che  salvo  la  testa 
il  re  in  tal  giorno  da  una  gran  fortuna, 
dopo  che  quattro  mesi  in  doglie  e  'n  pianti 
sempre  era  stato,  e  con  la  morte  inanti. 

XXVI 

Ma  per  dirvi  la  cosa  pienamente, 
il  nostro  re,  che  Norandin  s'appella, 
molti  e  molt'anni  ha  avuto  il  core  ardente 
de  la  leggiadra  e  sopra  ogn'altra  bella 
figlia  del  re  di  Cipro:  e  finalmente 
avutala  per  moglie,  iva  con  quella, 
con  cavallieri  e  donne  in  compagnia; 
e  dritto  avea  il  camin  verso  Soria. 

XXVII 

Ma  poi  che  fummo  tratti  a  piene  vele 
lungi  dal  porto  nel  Carpazio  iniquo, 
la  tempesta  salto  tanto  crudele, 
che  sbigotti  sin  al  padrone  antiquo. 
Tre  di  e  tre  notti  andammo  errando  ne  le 
minacciose  onde  per  camino  obliquo. 
Uscimo  al  fin  nel  lito  stanchi  e  molli, 
tra  freschi  rivi,  ombrosi  e  verdi  colli. 


382  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

Piantare  i  padiglioni,  e  le  cortine 
fra  gli  arbori  tirar  facemo  lieti. 
S'apparechiano  i  fuochi  e  le  cucine; 
le  mense  d'altra  parte  in  su  tapeti. 
Intanto  il  re  cercando  alle  vicine 
valli  era  andato  e  a1  boschi  piu  secreti, 
se  ritrovasse  capre  o  daini  o  cervi; 
e  Tarco  gli  portar  dietro  duo  send. 

XXIX 

Mentre  aspettamo,  in  gran  placer  sedendo, 
che  da  cacciar  ritorni  il  signor  nostro, 
vedemo  1'Orco  a  noi  venir  correndo 
lungo  il  Hto  del  mar,  terribil  mostro. 
Dio  vi  guardi,  signor,  che  '1  viso  orrendo 
de  TOrco  agli  ocelli  mai  vi  sia  dimostro: 
meglio  e  per  fama  aver  notizia  d'esso, 
ch'andargli,  si  che  lo  veggiate,  appresso. 

xxx 

Non  gli  puo  comparir  quanto  sia  lungo, 
si  smisuratamente  e  tutto  grosso. 
In  luogo  d'occhi,  di  color  di  fungo 
sotto  la  fronte  ha  duo  coccole  d'osso. 
Verso  noi  vien  (come  vi  dico)  lungo 
il  Hto,  e  par  ch'un  monticel  sia  mosso. 
Mostra  le  zanne  fuor,  come  fa  il  porco ; 
ha  lungo  il  naso,  il  sen  bavoso  e  sporco. 

XXXI 

Correndo  viene,  e  1  muso  a  guisa  porta 

che  '1  bracco  suol,  quando  entra  in  su  la  traccia. 

Tutti  che  lo  veggiam,  con  faccia  smorta 

in  fuga  andamo  ove  il  timor  ne  caccia. 

Poco  il  veder  lui  cieco  ne  conforta, 

quando,  fiutando  sol,  par  che  piu  faccia, 

ch'altri  non  fa  ch'abbia  odorato  e  lume: 

e  bisogno  al  fuggire  eran  le  piume. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  383 

XXXII 

Corron  chi  qua  chi  la;  ma  poco  lece 
da  lui  fuggir,  veloce  piii  che  71  Note. 
Di  quaranta  persone,  a  pena  diece 
sopra  il  navilio  si  salvaro  a  nuoto. 
Sotto  il  braccio  un  fastel  d'alcuni  fece, 
ne  il  grembio  si  lascio  ne  il  seno  voto: 
un  suo  capace  zaino  empissene  anco, 
che  gli  pendea,  come  a  pastor,  dal  fianco. 

XXXIII 

Portoci  alia  sua  tana  il  mostro  cieco, 
cavata  in  lito  al  mar  dentr'uno  scoglio. 
Di  marmo  cosi  bianco  e  quello  speco, 
come  esser  soglia  ancor  non  scritto  foglio 
Quivi  abitava  una  matrona  seco, 
di  dolor  piena  in  vista  e  di  cordoglio; 
et  avea  in  compagnia  donne  e  donzelle 
d'ogni  eta,  d'ogni  sorte,  e  brutte  e  belle. 

xxxiv 

Era  presso  alia  grotta  in  ch'egli  stava, 
quasi  alia  cima  del  giogo  superno, 
un'altra  non  minor  di  quella  cava, 
dove  del  gregge  suo  facea  governo. 
Tanto  n'avea,  che  non  si  numerava; 
e  n'era  egli  il  pastor  Testate  e  '1  verno. 
Ai  tempi  suoi  gli  apriva  e  tenea  chiuso, 
per  spasso  che  n'avea,  piu  che  per  uso. 

xxxv 

L'umana  carne  meglio  gli  sapeva, 
e  prima  il  fa  veder  ch'alPantro  arrivi; 
che  tre  de'  nostri  giovini  ch'aveva, 
tutti  li  mangia,  anzi  trangugia  vivi. 
Viene  alia  stalla,  e  un  gran  sasso  ne  leva: 
ne  caccia  il  gregge,  e  noi  riserra  quivi. 
Con  quel  sen  va  dove  il  suol  far  satollo, 
sonando  una  zampogna  ch'avea  in  collo. 


384  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

II  signor  nostro  intanto  ritornato 
alia  marina,  il  suo  danno  comprende; 
che  truova  gran  silenzio  in  ogni  lato, 
voti  frascati,  padiglioni  e  tende. 
Ne  sa  pensar  chi  si  1'abbia  nibato ; 
e  pien  di  gran  timore  al  lito  scende, 
onde  i  nocchieri  suoi  vede  in  disparte 
sarpar  lor  ferri  e  in  opra  por  le  sarte. 

XXXVII 

Tosto  ch'essi  lui  veggiono  sul  lito, 
il  palischermo  mandano  a  levarlo : 
ma  non  si  tosto  ha  Norandino  udito 
de  1'Orco  che  venuto  era  a  rubarlo, 
che,  senza  piu  pensar,  piglia  partito, 
dovunque  andato  sia,  di  seguitarlo. 
Vedersi  tor  Lucina  si  gli  duole, 
ch'o  racquistarla,  o  non  piu  viver  vuole. 

XXXVIII 

Dove  vede  apparir  lungo  la  sabbia 
la  fresca  orma,  ne  va  con  quella  fretta 
con  che  lo  spinge  1'amorosa  rabbia, 
fin  che  giunge  alia  tana  ch'io  v'ho  detta, 
ove,  con  tema  la  maggior  che  s'abbia 
a  patir  mai,  POrco  da  noi  s'aspetta: 
ad  ogni  suono  di  sentirlo  parci, 
ch'affamato  ritorni  a  divorarci. 

xxxix 

Quivi  Fortuna  il  re  da  tempo  guida, 
che  senza  I3 Oreo  in  casa  era  la  moglie. 
Come  ella  '1  vede:  «Fuggine!»  gli  grida 
«misero  te,  se  TOrco  ti  ci  coglie!» 
«Coglia»  disse  «o  non  coglia,  o  salvi  o  uccida, 
che  miserrimo  i'  sia  non  mi  si  toglie. 
Disir  mi  mena,  e  non  error  di  via, 
c'ho  di  morir  presso  alia  moglie  mia. » 


CANTO    DECIMOSETTIMO  385 

XL 

Poi  segui,  diman  dan  dole  novella 

di  quei  che  prese  TOrco  in  su  la  riva; 

prima  degli  altri,  di  Lucina  bella, 

se  Favea  morta,  o  la  tenea  captiva. 

La  donna  umanamente  gli  favella, 

e  lo  conforta  che  Lucina  e  viva, 

e  che  non  e  alcun  dubbio  ch'ella  muora; 

che  mai  femina  1'Orco  non  divora. 

XLI 

ccEsser  di  cio  argumento  ti  poss'io, 
e  tutte  queste  donne  che  son  meco : 
ne  a  me  ne  a  lor  mai  POrco  e  stato  rio, 
pur  che  non  ci  scostian  da  questo  speco. 
A  chi  cerca  fuggir,  pon  grave  fio ; 
ne  pace  mai  puon  ritrovar  piu  seco : 
o  le  sotterra  vive,  o  Pincatena, 
o  fa  star  nude  al  sol  sopra  1' arena. 

XLII 

Quando  oggi  egli  port6  qui  la  tua  gente, 
le  femine  dai  maschi  non  divise; 
ma,  si  come  gli  avea,  confusamente 
dentro  a  quella  spelonca  tutti  mise. 
Sentira  a  naso  il  sesso  differente. 
Le  donne  non  temer  che  sieno  uccise: 
gli  uomini,  siene  certo;  et  empieranne 
di  quattro,  il  giorno,  o  sei  Tavide  canne. 

XLIII 

Di  levar  lei  di  qui  non  ho  consiglio 
che  dar  ti  possa;  e  contentar  ti  puoi 
che  ne  la  vita  sua  non  e  periglio: 
stara  qui  al  ben  e  al  mai  ch'avremo  noi. 
Ma  vattene,  per  Dio,  vattene,  figlio, 
che  TOrco  non  ti  senta  e  non  t'ingoi. 
Tosto  che  giunge,  d'ogn'intorno  annasa, 
e  sente  sin  a  un  topo  che  sia  in  casa. » 


386  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Rispose  il  re,  non  si  voler  partire, 

se  non  vedea  la  sua  Lucina  prima; 

e  che  piu  tosto  appresso  a  lei  morire, 

che  viverne  Ionian,  faceva  stima. 

Quando  vede  ella  non  potergli  dire 

cosa  che  '1  muova  da  la  voglia  prima, 

per  aiutarlo  fa  nuovo  disegno, 

e  ponvi  ogni  sua  industria,  ogni  suo  ingegno. 

XLV 

Morte  avea  in  casa,  e  d'ogni  tempo  appese, 
con  lor  mariti,  assai  capre  et  agnelle, 
onde  a  se  et  alle  sue  facea  le  spese ; 
e  dal  tetto  pendea  piu  d'una  pelle. 
Le  donna  fe*  che  '1  re  del  grasso  prese, 
ch'avea  un  gran  becco  intorno  alle  budelle, 
e  che  se  n'unse  dal  capo  alle  piante, 
fin  che  1'odor  caccio  ch'egli  ebbe  inante. 

XLVI 

E  poi  che  '1  tristo  puzzo  aver  le  parve, 
di  che  il  fetido  becco  ognora  sape, 
piglia  Firsuta  pelle,  e  tutto  entrarve 

10  fe' ;  ch'ella  e  si  grande  che  lo  cape. 
Coperto  sotto  a  cosi  strane  larve, 
facendol  gir  carpon,  seco  lo  rape 

la  dove  chiuso  era  d'un  sasso  grave 
de  la  sua  donna  il  bel  viso  soave. 

XLVII 

Norandino  ubidisce;  et  alia  buca 
de  la  spelonca  ad  aspettar  si  mette, 
acci6  col  gregge  dentro  si  conduca; 
e  fin  a  sera  disiando  stette. 
Ode  la  sera  il  suon  de  la  sambuca, 
con  che  'nvita  a  lassar  Pumide  erbette, 
e  ritornar  le  pecore  all'albergo 

11  fier  pastor  che  lor  venia  da  tergo. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  387 

XLVIII 

Pensate  voi  se  gli  tremava  il  core, 
quando  1'Orco  senti  che  ritornava, 
e  che  Jl  viso  crudel  pieno  d'orrore 
vide  appressare  alFuscio  de  la  cava: 
ma  pote  la  pieta  piu  che  '1  timore; 
s'ardea,  vedete,  o  se  fingendo  amava. 
Vien  1'Orco  inanzi,  e  leva  il  sasso,  et  apre: 
Norandino  entra  fra  pecore  e  capre. 

XLIX 

Entrato  il  gregge,  TOrco  a  noi  descende; 
ma  prima  sopra  se  Fuscio  si  chiude. 
Tutti  ne  va  fiutando:  al  fin  duo  prende; 
che  vuol  cenar  de  le  lor  carni  crude. 
Al  rimembrar  di  quelle  zanne  orrende, 
non  posso  far  ch'ancor  non  trieme  e  sude. 
Partito  1'Orco,  il  re  getta  la  gonna 
ch'avea  di  becco,  e  abbraccia  la  sua  donna. 

L 

Dove  averne  piacer  deve  e  conforto, 
vedendol  quivi,  ella  n'ha  affanno  e  noia: 
lo  vede  giunto  ov'ha  da  restar  morto ; 
e  non  puo  far  pero  ch'essa  non  muoia. 
«Con  tutto  71  mal»  diceagli  «ch'io  supporto, 
signor,  sentia  non  mediocre  gioia, 
che  ritrovato  non  t'eri  con  nui 
quando  da  FOrco  oggi  qui  tratta  fui. 

LI 

Che  se  ben  il  trovarmi  ora  in  procinto 
d'uscir  di  vita  m'era  acerbo  e  forte; 
pur  mi  sarei,  come  e  commune  instinto, 
dogliuta  sol  de  la  mia  trista  sorter 
ma  ora,  o  prima  o  poi  che  tu  sia  estinto, 
piu  mi  dorra  la  tua  che  la  mia  morte. » 
E  seguito,  mostrando  assai  piu  afFanno 
di  quel  di  Norandin,  che  del  suo  danno. 


388  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

((La  speme»  disse  il  re  «mi  fa  venire, 
c'ho  di  salvarti,  e  tutti  quest!  teco: 
e  s'io  nol  posso  far,  meglio  e  morire, 
che  senza  te,  mio  sol,  viver  poi  cieco. 
Come  io  ci  venni,  mi  potro  partire; 
e  voi  tutt'altri  ne  verrete  meco, 
se  non  avrete,  come  io  non  ho  avuto, 
schivo  a  pigliare  odor  d'animal  bruto. » 

LIII 

La  fraude  insegno  a  noi,  che  contra  il  naso 
de  FOrco  insegno  allui  la  moglie  d'esso; 
di  vestirci  le  pelli,  in  ogni  caso 
ch'egli  ne  palpi  ne  Tuscir  del  fesso. 
Poi  che  di  questo  ognun  fu  persuaso, 
quanti  de  Tun,  quanti  de  Paltro  sesso 
ci  ritroviamo,  uccidian  tanti  becchi, 
quelli  che  piu  fetean,  ch'eran  piu  vecchi. 

LIV 

Ci  ungemo  i  corpi  di  quel  grasso  opimo 
che  ritroviamo  alFintestina  intorno, 
e  de  1'orride  pelli  ci  vestimo: 
intanto  usci  da  Faureo  albergo  il  giorno. 
Alia  spelonca,  come  apparve  il  primo 
raggio  del  sol,  fece  il  pastor  ritorno; 
e  dando  spirto  alle  sonore  canne, 
chiamo  il  suo  gregge  fuor  de  le  capanne. 

LV 

Tenea  la  mano  al  buco  de  la  tana, 
accio  col  gregge  non  uscissin  noi: 
ci  prendea  al  varco ;  e  quando  pelo  o  lana 
sentia  sul  dosso,  ne  lasciava  poi. 
Uomini  e  donne  uscimmo  per  si  strana 
strada,  coperti  dagl'irsuti  cuoi: 
e  TOrco  alcun  di  noi  mai  non  ritenne, 
fin  che  con  gran  timor  Lucina  venne. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  389 

LVI 

Lucina,  o  fosse  perch'ella  non  voile 
ungersi  come  noi,  che  schivo  n'ebbe; 
o  ch'avesse  1'andar  phi  lento  e  molle, 
che  I'imitata  bestia  non  avrebbe; 
o  quando  1'Orco  la  groppa  toccolle, 
gridasse  per  la  tema  che  le  accrebbe ; 
o  che  se  le  sciogliessero  le  chiome; 
sentita  fu,  ne  ben  so  dirvi  come. 

LVII 

Tutti  eravam  si  intent i  al  caso  nostro, 
che  non  avemrno  gli  occhi  agli  altrui  fatti. 
lo  mi  rivolsi  al  grido;  e  vidi  il  mostro 
che  gia  gl'irsuti  spogli  le  avea  tratti, 
e  fattola  tornar  nel  cavo  chiostro. 
Noi  altri  dentro  a  nostre  gonne  piatti 
col  gregge  andamo  ove  '1  pastor  ci  mena, 
tra  verdi  colli  in  una  piaggia  amena. 

LVIII 

Quivi  attendiamo  infin  che  steso  all'ombra 
d'un  bosco  opaco  il  nasuto  Oreo  dorma. 
Chi  lungo  il  mar,  chi  verso  '1  monte  sgombra  : 
sol  Norandin  non  vuol  seguir  nostr'orma. 
L'amor  de  la  sua  donna  si  lo  'ngombra, 
ch'alla  grotta  tornar  vuol  fra  la  torma, 
ne  partirsene  mai  sin  alia  morte, 
se  non  racquista  la  f edel  consorte : 

LIX 

che  quando  dianzi  avea  all'uscir  del  chiuso 
vedutala  restar  captiva  sola, 
fu  per  gittarsi,  dal  dolor  confuso, 
spontaneamente  al  vorace  Oreo  in  gola; 
e  si  mosse,  e  gli  corse  infino  al  muso, 
ne  fu  lontano  a  gir  sotto  la  mola: 
ma  pur  lo  tenne  in  mandra  la  speranza 
ch'avea  di  trarla  ancor  di  quella  stanza. 


390  ORLANDO    FURIOSO 

LX 

La  sera,  quando  alia  spelonca  mena 
il  gregge  1'Orco,  e  noi  fuggiti  sente, 
e  c'ha  da  rimaner  privo  di  cena, 
chiama  Lucina  d'ogni  mal  nocente, 
e  la  condanna  a  star  sempre  in  catena 
allo  scoperto  in  sul  sasso  eminente. 
Vedela  il  re  per  sua  cagion  patire, 
e  si  distrugge,  e  sol  non  puo  morire. 

LXI 

Matina  e  sera  Tinfelice  amante 

la  puo  veder  come  s'affliga  e  piagna; 

che  le  va  misto  fra  le  capre  avante, 

torni  alia  stalla  o  torni  alia  campagna. 

Ella  con  viso  mesto  e  supplicante 

gli  accenna  che  per  Dio  non  vi  rimagna, 

perche  vi  sta  a  gran  rischio  de  la  vita, 

ne  pero  allei  pu6  dare  alcuna  aita. 

LXII 

Cosi  la  moglie  ancor  de  POrco  priega 
il  re  che  se  ne  vada,  ma  non  giova; 
che  d'andar  mai  senza  Lucina  niega, 
e  sempre  piii  constante  si  ritruova. 
In  questa  servitude,  in  che  lo  lega 
Pietate  e  Amor,  stette  con  lunga  pruova 
tanto,  ch'a  capitar  venne  a  quel  sasso 
il  figlio  d'Agricane  e  '1  re  Gradasso. 

LXIII 

Dove  con  loro  audacia  tanto  fenno, 
che  liberaron  la  bella  Lucina; 
ben  che  vi  fu  aventura  piu  che  senno : 
e  la  portar  correndo  alia  marina; 
e  al  padre  suo,  che  quivi  era,  la  denno: 
e  questo  fu  ne  Fora  matutina, 
che  Norandin  con  Paltro  gregge  stava 
a  ruminar  ne  la  montana  cava. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  391 

LXIV 

Ma  poi  che  '1  giorno  aperta  fu  la  sbarra, 
e  seppe  il  re  la  donna  esser  partita 
(che  la  moglie  de  Is  Oreo  gli  lo  narra), 
e  come  a  punto  era  la  cosa  gita; 
grazie  a  Dio  rende,  e  con  voto  n'inarra, 
ch'essendo  fuor  di  tal  miseria  uscita, 
faccia  che  giunga  onde  per  arme  possa, 
per  prieghi  o  per  tesoro,  esser  riscossa. 

LXV 

Pien  di  letizia  va  con  Taltra  schiera 
del  simo  gregge,  e  viene  ai  verdi  paschi; 
e  quivi  aspetta  fin  ch'alPombra  nera 
il  mostro  per  dormir  ne  Terba  caschi. 
Poi  ne  vien  tutto  il  giorno  e  tutta  sera; 
e  al  fin  sicur  che  POrco  non  lo  'ntaschi, 
sopra  un  navilio  monta  in  Satalia; 
e  son  tre  mesi  ch'arrivb  in  Soria. 

LXVI 

In  Rodi,  in  Cipro,  e  per  citta  e  castella 
e  d' Africa  e  d'Egitto  e  di  Turchia, 
il  re  cercar  fe'  di  Lucina  bella; 
ne  fin  Paltr'ieri  aver  ne  pote  spia. 
L'altr'ier  n'ebbe  dal  suocero  novella, 
che  seco  1'avea  salva  in  Nicosia, 
dopo  che  molti  di  vento  crudele 
era  stato  contrario  alle  sue  vele. 

LXVII 

Per  allegrezza  de  la  buona  nuova 

prepara  il  nostro  re  la  ricca  festa; 

e  vuol  ch'ad  ogni  quarta  luna  nuova, 

una  se  n'abbia  a  far  simile  a  questa: 

che  la  memoria  rifrescar  gli  giova 

dei  quattro  mesi  che  'n  irsuta  vesta 

fu  tra  il  gregge  de  TOrco;  e  un  giorno,  quale 

sara  dimane,  usci  di  tanto  male. 


392  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

Questo  ch'io  v'ho  narrate,  in  parte  vidi, 

in  parte  udij  da  chi  trovossi  al  tutto; 

dal  re,  vi  dico,  che  calende  et  idi 

vi  stette,  fin  che  volse  in  riso  il  lutto : 

e  se  n'udite  mai  far  altri  gridi, 

direte  a  chi  gli  fa,  che  mal  n'e  instrutto.  - 

II  gentiluomo  in  tal  modo  a  Grifone 

de  la  festa  narro  1'alta  cagione. 

LXIX 

Un  gran  pezzo  di  notte  si  dispensa 
dai  cavallieri  in  tal  ragionamento ; 
e  conchiudon  ch'amore  e  pieta  immensa 
mostr6  quel  re  con  grande  esperimento. 
Andaron,  poi  che  si  levar  da  mensa, 
ove  ebbon  grato  e  buono  alloggiamento. 
Nel  seguente  matin  sereno  e  chiaro, 
al  suon  de  1'allegrezze  si  destaro. 

LXX 

Vanno  scorrendo  timpani  e  trombette, 
e  ragunando  in  piazza  la  cittade. 
Or,  poi  che  de  cavalli  e  de  carrette 
e  ribombar  de  gridi  odon  le  strade, 
Grifon  le  lucide  arme  si  rimette, 
che  son  di  quelle  che  si  trovan  rade; 
che  1'avea  impenetrabili  e  incantate 
la  Fata  bianca  di  sua  man  temprate. 

LXXI 

Quel  d'Antiochia,  piu  d'ogn'altro  vile, 
armossi  seco,  e  compagnia  gli  tenne. 
Preparate  avea  lor  1'oste  gentile 
nerbose  lance,  e  salde  e  grosse  antenne, 
e  del  suo  parentado  non  umile 
compagnia  tolta;  e  seco  in  piazza  venne; 
e  scudieri  a  cavallo,  e  alcuni  a  piede, 
a  tal  servigi  attissimi,  lor  diede. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  393 

LXXII 

Giunsero  in  piazza,  e  trassonsi  in  disparte, 
ne  pel  campo  curar  far  di  se  mostra, 
per  veder  meglio  il  bel  popul  di  Marte, 
ch'ad  uno,  o  a  dua,  o  a  tre,  veniano  in  giostra. 
Chi  con  colon  accompagnati  ad  arte 
letizia  o  doglia  alia  sua  donna  mostra; 
chi  nel  cimier,  chi  nel  dipinto  scudo 
disegna  Amor,  se  Pha  benigno  o  crudo. 

LXXIII 

Soriani  in  quel  tempo  aveano  usanza 
d'armarsi  a  questa  guisa  di  Ponente. 
Forse  ve  gli  inducea  la  vicinanza 
che  de?  Franceschi  avean  contimiamente, 
che  quivi  allor  reggean  la  sacra  stanza 
dove  in  carne  abito  Dio  onnipotente; 
ch'ora  i  superbi  e  miseri  cristiani, 
con  biasmi  lor,  lasciano  in  man  dej  cani. 

LXXIV 

Dove  abbassar  dovrebbono  la  lancia 
in  augumento  de  la  santa  fede, 
tra  lor  si  dan  nel  petto  e  ne  la  pancia 
a  destruzion  del  poco  che  si  crede. 
Voi,  gente  ispana,  e  voi,  gente  di  Francia, 
volgete  altrove,  e  voi,  Svizzeri,  il  piede, 
e  voi,  Tedeschi,  a  far  piu  degno  acquisto; 
che  quanto  qui  cercate  e  gia  di  Cristo. 

LXXV 

Se  Cristianissimi  esser  voi  volete, 

e  voi  altri  Catolici  nomati, 

perche  di  Cristo  gli  uomini  uccidete? 

perche  de'  beni  lor  son  dispogliati? 

Perche  Jerusalem  non  riavete, 

che  tolto  e  stato  a  voi  da'  rinegati? 

Perche  Constantinopoli,  e  del  mondo 

la  miglior  parte  occupa  il  Turco  immondo? 


394  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Non  hai  tu,  Spagna,  F  Africa  vicina, 
che  t'ha  via  piu  di  questa  Italia  offesa? 
E  pur,  per  dar  travaglio  alia  meschina, 
lasci  la  prima  tua  si  bella  impresa. 
O  d'ogni  vizio  fetida  sentina, 
dormi,  Italia  imbriaca,  e  non  ti  pesa 
ch'ora  di  questa  gente,  ora  di  quella 
che  gia  serva  ti  fu,  sei  fatta  ancella  ? 

LXXVII 

Se  '1  dubbio  di  morir  ne  le  tue  tane, 
Svizzer,  di  fame,  in  Lombardia  ti  guida, 
e  tra  noi  cerchi  o  chi  ti  dia  del  pane, 
o  per  uscir  d'inopia  chi  t'uccida; 
le  richezze  del  Turco  hai  non  lontane : 
caccial  d'Europa,  o  almen  di  Grecia  snida; 
cosi  potrai  o  del  digiuno  trarti, 
o  cader  con  piu  merto  in  quelle  parti. 

LXXVIII 

Quel  ch'a  te  dico,  io  dico  al  tuo  vicino 
tedesco  ancor:  la  le  richezze  sono, 
che  vi  porto  da  Roma  Constantino : 
portonne  il  meglio,  e  fej  del  resto  dono. 
Pattolo  et  Ermo,  onde  si  tra'  Tor  fino, 
Migdonia  e  Lidia,  e  quel  paese  buono 
per  tante  laudi  in  tante  istorie  noto, 
non  e,  s'andar  vi  vuoi,  troppo  remoto. 

LXXIX 

Tu,  gran  Leone,  a  cui  premon  le  terga 
de  le  chiavi  del  ciel  le  gravi  some, 
non  lasciar  che  nel  sonno  si  sommerga 
Italia,  se  la  man  Thai  ne  le  chiome. 
Tu  sei  Pastore ;  e  Dio  t'ha  quella  verga 
data  a  portare,  e  scelto  il  fiero  nome, 
perche  tu  niggi,  e  che  le  braccia  stenda, 
si  che  dai  lupi  il  grege  tuo  difenda. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  395 

LXXX 

Ma  d'un  parlar  ne  Paltro,  ove  sono  ito 
si  lungi  dal  camin  ch'io  faceva  ora? 
Non  lo  credo  pero  si  aver  smarrito, 
ch'io  non  lo  sappia  ritrovare  ancora. 

10  dicea  ch'in  Soria  si  tenea  il  rito 
d'armarsi,  che  i  Franceschi  aveano  allora: 
si  che  bella  in  Damasco  era  la  piazza. 

di  gente  armata  d'elmo  e  di  corazza. 

LXXXI 

Le  vaghe  donne  gettano  dai  palchi 
sopra  i  giostranti  fior  vermigli  e  gialli, 
mentre  essi  fanno  a  suon  degli  oricalchi 
levare  assalti  et  aggirar  cavalli. 
Ciascuno,  o  bene  o  mal  ch'egli  cavalchi, 
vuol  far  quivi  vedersi,  e  sprona  e  dalli: 
di  ch'altri  ne  riporta  pregio  e  lode; 
muove  altri  a  riso,  e  gridar  dietro  s'ode. 

LXXXII 

De  la  giostra  era  il  prezzo  un'armatura 
che  fu  donata  al  re  pochi  di  inante, 
che  su  la  strada  ritrov6  a  ventura, 
ritornando  d*  Armenia,  un  mercatante. 

11  re  di  nobilissima  testura 

le  sopraveste  alParme  aggiunse,  e  tante 
perle  vi  pose  intorno  e  gemme  et  oro, 
che  la  fece  valer  molto  tesoro. 

LXXXIII 

Se  conosciute  il  re  quell' arm  e  avesse, 

care  avute  1'avria  sopra  ogni  arnese; 

ne  in  premio  de  la  giostra  Favria  messe, 

come  che  liberal  fosse  e  cortese. 

Lungo  saria  chi  raccontar  volesse 

chi  Pavea  si  sprezzate  e  vilipese, 

che  Jn  mezzo  de  la  strada  le  lasciasse, 

preda  a  chiunque  o  inanzi  o  indietro  andasse. 


396  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXIV 

Di  questo  ho  da  contarvi  piu  di  sotto: 
or  diro  di  Grifon,  ch'alla  sua  giunta 
un  paio  e  piu  di  lancie  trovo  rotto, 
menato  piu  d'un  taglio  e  d'una  punta. 
Dei  piu  cari  e  piu  fidi  al  re  fur  otto 
che  quivi  insieme  avean  lega  congiunta; 
gioveni,  in  arme  pratichi  et  industri, 
tutti  o  signori  o  di  famiglie  illustri. 

LXXXV 

Quei  rispondean  ne  la  sbarrata  piazza 
per  un  di,  ad  uno  ad  uno,  a  tutto  '1  mondo, 
prima  con  lancia,  e  poi  con  spada  o  mazza, 
fin  ch'al  re  di  guardarli  era  giocondo; 
e  si  foravan  spesso  la  corazza: 
per  giuoco  in  somma  qui  facean,  secondo 
fan  gli  nimici  capitali,  eccetto 
che  potea  il  re  partirli  a  suo  diletto. 

LXXXVI 

Quel  d'Antiochia,  un  uom  senza  ragione, 
che  Martano  il  codardo  nominosse, 
come  se  de  la  forza  di  Grifone, 
poi  ch'era  seco,  participe  fosse, 
audace  entro  nel  marziale  agone; 
e  poi  da  canto  ad  aspettar  fermosse, 
sin  che  finisce  una  battaglia  fiera 
che  tra  duo  cavallier  cominciata  era. 

LXXXVII 

II  signor  di  Seleucia,  di  quell'uno, 
ch'a  sostener  Pimpresa  aveano  tolto, 
combattendo  in  quel  tempo  con  Ombruno, 
lo  feri  d'una  punta  in  mezzo  '1  volto, 
si  che  Tuccise:  e  pieta  n'ebbe  ognuno, 
perche  buon  cavallier  lo  tenean  molto; 
et  oltra  la  bontade,  il  piu  cortese 
non  era  stato  in  tutto  quel  paese. 


CANTO   DECIMOSETTIMO  397 

LXXXVIII 

Veduto  cio,  Martano  ebbe  paura 

che  parimente  a  se  non  awenisse; 

e  ritornando  ne  la  sua  natura, 

a  pensar  comincio  come  fugisse. 

Grifon,  che  gli  era  appresso  e  n'avea  cura, 

10  spinse  pur,  poi  ch'assai  fece  e  disse, 
contra  un  gentil  guerrier  che  s'era  mosso, 
come  si  spinge  il  cane  al  lupo  adosso; 

LXXXIX 

che  dleci  passi  gli  va  dietro  o  venti, 
e  poi  si  ferma,  et  abbaiando  guarda 
come  digrigni  i  minacciosi  denti, 
come  negli  occhi  orribil  fuoco  gli  arda. 
Quivi  ov'erano  e  principi  present! 
e  tanta  gente  nobile  e  gagliarda, 
fuggi  lo  'ncontro  il  timido  Martano, 
e  torse  '1  freno  e  '1  capo  a  destra  mano. 

xc 

Pur  la  colpa  potea  dar  al  cavallo, 
chi  di  scusarlo  avesse  tolto  il  peso; 
ma  con  la  spada  poi  fe*  si  gran  fallo, 
che  non  Pavria  Demostene  difeso. 
Di  carta  armato  par,  non  di  metallo; 
si  teme  da  ogni  colpo  essere  offeso. 
Fuggesi  al  fine,  e  gli  ordini  disturba, 
ridendo  intorno  allui  tutta  la  turba. 

xci 

11  batter  de  le  mani,  il  grido  intorno 
se  gli  levo  del  populazzo  tutto. 
Come  lupo  cacciato,  fe'  ritorno 
Martano  in  molta  fretta  al  suo  ridutto. 
Resta  Grifone;  e  gli  par  de  lo  scorno 

del  suo  compagno  esser  macchiato  e  brutto: 
esser  vorrebbe  stato  in  mezzo  il  foco, 
piu  tosto  che  trovarsi  in  questo  loco. 


398  ORLANDO    FUJUOSO 

XCII 

Arde  nel  core,  e  fuor  nel  viso  avampa, 
come  sia  tutta  sua  quella  vergogna; 
perche  1'opere  sue  di  quella  stampa 
vedere  aspetta  il  populo  et  agogna: 
si  che  rifulga  chiara  piu  che  lampa 
sua  virtu,  questa  volta  gli  bisogna; 
ch'un'oncia,  un  dito  sol  d'error  che  faccia, 
per  mala  impression  parra  sei  braccia. 

xcm 

Gia  la  lancia  avea  tolta  su  la  coscia 
Grifon,  ch'errare  in  arme  era  poco  uso : 
spinse  il  cavallo  a  tutta  briglia,  e  poscia 
ch'alquanto  andato  fu,  la  messe  suso, 
e  potto  nel  ferire  estrema  angoscia 
al  baron  di  Sidonia,  ch'ando  giuso. 
Ognun  maravigliando  in  pie  si  leva; 
che  '1  contrario  di  cio  tutto  attendeva. 

xciv 

Torno  Grifon  con  la  medesma  antenna, 
che  'ntiera  e  ferma  ricovrata  avea, 
et  in  tre  pezzi  la  roppe  alia  penna 
de  lo  scudo  al  signer  di  Lodicea. 
Quel  per  cader  tre  volte  e  quattro  accenna, 
che  tutto  steso  alia  groppa  giacea: 
pur  rilevato  al  fin  la  spada  strinse, 
volto  il  cavallo,  e  ver  Grifon  si  spinse. 

xcv 

Grifon,  che  '1  vede  in  sella,  e  che  non  basta 
si  fiero  incontro  perche  a  terra  vada, 
dice  fra  se:  «Quel  che  non  pote  1'asta, 
in  cinque  colpi  o  'n  sei  fara  la  spada. » 
E  su  la  tempia  subito  Tattasta 
d'un  dritto  tal,  che  par  che  dal  ciel  cada; 
e  un  altro  gli  accompagna  e  un  altro  appresso, 
tanto  che  1'ha  stordito  e  in  terra  messo. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  399 

XCVI 

Quivi  erano  d'Apamia  duo  germani, 
soliti  in  giostra  rimaner  di  sopra, 
Tirse  e  Corimbo;  et  ambo  per  le  mani 
del  figlio  d'Uliver  cader  sozzopra. 
L'uno  gli  arcion  lascia  allo  scontro  vani; 
con  Faltro  messa  fu  la  spada  in  opra. 
Gia  per  commun  giudicio  si  tien  certo 
che  di  costui  fia  de  la  giostra  il  merto. 

XCVII 

Ne  la  lizza  era  entrato  Salinterno, 
gran  diodarro  e  maliscalco  regio, 
e  che  di  tutto  51  regno  avea  il  governo, 
e  di  sua  mano  era  guerriero  egregio. 
Costui,  sdegnoso  ch'un  guerriero  esterno 
debba  portar  di  quella  giostra  il  pregio, 
piglia  una  lancia,  e  verso  Grifon  grida, 
e  molto  minacciandolo  lo  sfida. 

xcvm 

Ma  quel  con  un  lancion  gli  fa  risposta, 
ch'avea  per  lo  miglior  fra  dieci  eletto, 
e  per  non  far  error,  lo  scudo  apposta, 
e  via  lo  passa  e  la  corazza  e  '1  petto: 
passa  il  ferro  crudel  tra  costa  e  costa, 
e  fuor  pel  tergo  un  palrno  esce  di  netto. 
II  colpo,  eccetto  al  re,  fu  a  tutti  caro; 
ch'ognuno  odiava  Salinterno  avaro. 

XCIX 

Grifone,  appresso  a  questi,  in  terra  getta 
duo  di  Damasco,  Ermofilo  e  Carmondo. 
La  milizia  del  re  dal  primo  e  retta; 
del  mar  grande  almiraglio  e  quel  secondo. 
Lascia  allo  scontro  Tun  la  sella  in  fretta: 
adosso  alFaltro  si  riversa  il  pondo 
del  rio  destrier,  che  sostener  non  puote 
Palto  valor  con  che  Grifon  percuote. 


400  ORLANDO   FURIOSO 

C 

II  signer  di  Seleucia  ancor  restava, 
miglior  guerrier  di  tutti  gli  altri  sette; 
e  ben  la  sua  possanza  accompagnava 
con  destrier  buono  e  con  arme  perfette. 
Dove  de  Pelmo  la  vista  si  chiava, 
Pasta  allo  scontro  1'uno  e  Paltro  mette: 
pur  Grifon  maggior  colpo  al  pagan  diede, 
che  lo  fe'  staffeggiar  dal  manco  piede. 

ci 

Gittaro  i  tronchi,  e  si  tornaro  adosso 
pieni  di  molto  ardir  coi  brandi  nudi. 
Fu  il  pagan  prima  da  Grifon  percosso 
d'un  colpo  che  spezzato  avria  gPincudi. 
Con  quel  fender  si  vide  e  ferro  et  osso 
d'un  ch'eletto  s'avea  tra  mille  scudi; 
e  se  non  era  doppio  e  fin  Parnese, 
feria  la  coscia  ove  cadendo  scese. 

CII 

Feri  quel  di  Seleucia  alia  visera 

Grifone  a  un  tempo;  e  fu  quel  colpo  tanto, 

che  Pavria  aperta  e  rotta,  se  non  era 

fatta,  come  Paltr'arme,  per  incanto. 

Gli  e  un  perder  tempo  che  '1  pagan  piii  fera; 

cosi  son  Parme  dure  in  ogni  canto: 

e  Jn  piu  parti  Grifon  gia  fessa  e  rotta 

ha  1'armatura  a  lui,  ne  perde  botta. 

cm 

Ognun  potea  veder  quanto  di  sotto 
il  signor  di  Seleucia  era  a  Grifone; 
e  se  partir  non  li  fa  il  re  di  botto, 
quel  che  sta  peggio,  la  vita  vi  pone. 
Fe'  Norandino  alia  sua  guardia  motto 
ch'entrasse  a  distaccar  Paspra  tenzone. 
Quindi  fu  Puno,  e  quindi  Paltro  tratto; 
e  fu  lodato  il  re  di  si  buon  atto. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  401 

CIV 

Gli  otto  che  dianzi  avean  col  mondo  impresa, 

e  non  potuto  durar  poi  contra  uno, 

avendo  mal  la  parte  lor  difesa, 

usciti  eran  del  campo  ad  uno  ad  uno. 

Gli  altri  ch'eran  venuti  allor  contesa, 

quivi  restar  senza  contrasto  alcuno, 

avendo  lor  Grifon,  solo,  interrorto 

quel  che  tutti  essi  avean  da  far  contra  otto. 

cv 

E  duro  quella  festa  cosi  poco, 
ch'in  men  d'un'ora  il  tutto  fatto  s'era: 
ma  Norandin,  per  far  piu  lungo  il  giuoco 
e  per  continuarlo  infino  a  sera, 
dal  palco  scese,  e  fej  sgombrare  il  loco; 
e  poi  divise  in  due  la  grossa  schiera; 
indi,  secondo  il  sangue  e  la  lor  prova, 
gli  ando  accoppiando,  e  fe'  una  giostra  nova. 

cvi 

Grifone  intanto  avea  fatto  ritorno 
alia  sua  stanza,  pien  d'ira  e  di  rabbia: 
e  piu  gli  preme  di  Martan  lo  scorno, 
che  non  giova  Tenor  ch'esso  vinto  abbia. 
Quivi  per  tor  I'obbrobrio  ch'avea  intorno, 
Martano  adopra  le  mendaci  labbia: 
e  Tastuta  e  bugiarda  meretrice, 
come  meglio  sapea,  gli  era  adiutrice. 

evil 

O  si  o  no  che  '1  giovin  gli  credesse, 
pur  la  scusa  accetto,  come  discrete; 
e  pel  suo  meglio  allora  allora  elesse 
quindi  levarsi  tacito  e  secreto, 
per  tema  che  se  '1  populo  vedesse 
Martano  comparir,  non  stesse  cheto. 
Cosi  per  una  via  nascosa  e  corta 
usciro  al  camin  lor  fuor  de  la  porta. 


402  ORLANDO   FURIOSO 

CVIII 

Grifone,  o  ch'egli  o  che  Jl  cavallo  fosse 
stance,  o  gravasse  il  sonno  pur  le  ciglia, 
al  primo  albergo  che  trovar,  fermosse, 
che  non  erano  andati  oltre  a  dua  miglia. 
Si  trasse  Felmo,  e  tutto  disarmosse, 
e  trar  fece  a'  cavalli  e  sella  e  briglia; 
e  poi  serrossi  in  camera  soletto, 
e  nudo  per  dormire  entro  nel  letto. 

cix 

Non  ebbe  cosi  tosto  il  capo  basso, 
che  chiuse  gli  occhi,  e  fu  dal  sonno  oppresso 
cosi  profundamente,  che  mai  tasso 
ne  ghiro  mai  s'addormento  quanto  esso. 
Martano  intanto  et  Orrigille  a  spasso 
entraro  in  un  giardin  ch'era  li  appresso ; 
et  un  inganno  ordir,  che  fu  il  piu  strano 
che  mai  cadesse  in  sentimento  umano. 

ex 

Martano  disegno  torre  il  destriero, 
i  panni  e  Parme  che  Grifon  s'ha  tratte; 
e  andare  inanzi  al  re  pel  cavalliero 
che  tante  pruove  avea  giostrando  fatte. 
L'effetto  ne  segui,  fatto  il  pensiero  : 
tolle  il  destrier  piu  candido  che  latte, 
scudo  e  cimiero  et  arme  e  sopraveste, 
e  tutte  di  Grifon  Pinsegne  veste. 

CXI 

Con  gli  scudieri  e  con  la  donna,  dove 
era  il  popolo  ancora,  in  piazza  venne; 
e  giunse  a  tempo  che  finian  le  pruove 
di  girar  spade  e  d'arrestare  antenne. 
Commanda  il  re  che  '1  cavallier  si  truove, 
che  per  cimier  avea  le  bianche  penne, 
bianche  le  vesti  e  bianco  il  corridore; 
che  '1  nome  non  sapea  del  vincitore. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  403 

CXII 

Colui  ch'indosso  il  non  suo  cuoio  aveva, 
come  Pasino  gia  quel  del  leone, 
chiamato  se  n'ando,  come  attendeva, 
a  Norandino,  in  loco  di  Grifone. 
Quel  re  cortese  incontro  se  gli  leva, 
Tabbraccia  e  bacia,  e  allato  se  lo  pone: 
ne  gli  basta  onorarlo  e  dargli  loda, 
che  vuol  che  '1  suo  valor  per  tutto  s'oda. 

cxni 

E  fa  gridarlo  al  suon  degli  oricalchi 
vincitor  de  la  giostra  di  quel  giorno. 
L/alta  voce  ne  va  per  tutti  i  palchi, 
che  '1  nome  indegno  udir  fa  d'ogn'intorno. 
Seco  il  re  vuol  ch'a  par  a  par  cavalchi, 
quando  al  palazzo  suo  poi  fa  ritorno; 
e  di  sua  grazia  tanto  gli  compart  e, 
che  basteria,  se  fosse  Ercole  o  Marte. 

cxiv 

Bello  et  ornato  allogiamento  dielli 
in  corte,  et  onorar  fece  con  lui 
Orrigille  anco;  e  nobili  donzelli 
mand6  con  essa,  e  cavallieri  sui. 
Ma  tempo  e  ch'anco  di  Grifon  favelli, 
il  qual  ne  dal  compagno  ne  d'altrui 
temendo  inganno,  addormentato  s'era, 
ne  mai  si  riveglio  fin  alia  sera. 

cxv 

Poi  che  fu  desto,  e  che  de  Fora  tarda 
s'accorse,  usci  di  camera  con  fretta, 
dove  il  falso  cognato  e  la  bugiarda 
Orrigille  lascio  con  Faltra  setta; 
e  quando  non  gli  truova,  e  che  riguarda 
non  v'esser  Parme  ne  i  panni,  sospetta; 
ma  il  veder  poi  phi  sospettoso  il  fece 
Tinsegne  del  compagno  in  quella  vece. 


404  ORLANDO   FURIOSO 

CXVI 

Sopravien  Poste,  e  di  colui  I'mforma 
che  gia  gran  pezzo,  di  bianch'arme  adorno, 
con  la  donna  e  col  resto  de  la  torma 
avea  ne  la  citta  fatto  ritorno. 
Truova  Grifone  a  poco  a  poco  Forma 
ch'ascosa  gli  avea  Amor  fin  a  quel  giorno ; 
e  con  suo  gran  dolor  vede  esser  quello 
adulter  d'Orrigille,  e  non  fratello. 

cxvn 

Di  sua  sciochezza  indarno  ora  si  duole, 
ch'avendo  il  ver  dal  peregrino  udito, 
lasciato  mutar  s'abbia  alle  parole 
di  chi  Tavea  piii  volte  gia  tradito. 
Vendicar  si  potea,  ne  seppe:  or  vuole 
rinimico  punir,  che  gli  e  fuggito; 
et  e  constretto  con  troppo  gran  fallo 
a  tor  di  quel  vil  uom  Parme  e  '1  cavallo. 

CXVIII 

Eragli  meglio  andar  senz'arme  e  nudo, 
che  porsi  indosso  la  corazza  indegna, 
o  ch'imbracciar  Pabominato  scudo, 

0  por  su  1'elmo  la  beffata  insegna; 
ma  per  seguir  la  meretrice  e  '1  drudo, 
ragione  in  lui  pari  al  disio  non  regna. 
A  tempo  venne  alia  citta,  ch'ancora 

il  giorno  avea  quasi  di  vivo  un'ora. 

cxix 

Presso  alia  porta  ove  Grifon  venia, 
siede  a  sinistra  un  splendido  castello, 
che,  piu  che  forte  e  ch'a  guerre  atto  sia, 
di  ricche  stanze  e  accommodato  e  bello. 

1  re,  i  signori,  i  primi  di  Soria 

con  alte  donne  in  un  gentil  drappello 
celebravano  quivi  in  loggia  amena 
la  real  sontuosa  e  lieta  cena. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  405 

CXX 

La  bella  loggia  sopra  '1  muro  usciva 
con  1'alta  rocca  fuor  de  la  cittade; 
e  lungo  tratto  di  lontan  scopriva 
i  larghi  campi  e  le  diverse  strade. 
Or  che  Grifon  verso  la  porta  arriva 
con  quell'arme  d'obbrobrio  e  di  viltade, 
fu  con  non  troppa  aventurosa  sorte 
dal  re  veduto  e  da  tutta  la  corte: 

cxxi 

e  riputato  quel  di  ch'avea  insegna, 
mosse  le  donne  e  i  cavallieri  a  riso. 
II  vil  Martano,  come  quel  che  regna 
in  gran  favor,  dopo  '1  re  e  '1  primo  assiso, 
e  presso  allui  la  donna  di  se  degna; 
dai  quali  Norandin  con  lieto  viso 
volse  saper  chi  fosse  quel  codardo 
che  cosi  avea  al  suo  onor  poco  riguardo; 

cxxn 

che  dopo  una  si  trista  e  brutta  pruova, 
con  tanta  fronte  or  gli  tornava  inante. 
Dicea:  —  Questa  mi  par  cosa  assai  nuova, 
ch'essendo  voi  guerrier  degno  e  prestante, 
costui  compagno  abbiate,  che  non  truova, 
di  vilta,  pari  in  terra  di  Levante. 
II  fate  forse  per  mostrar  maggiore, 
per  tal  contrario,  il  vostro  alto  valore. 

cxxin 

Ma  ben  vi  giuro  per  gli  eterni  dei, 
che  se  non  fosse  ch'io  riguardo  a  vui, 
la  publica  ignominia  gli  farei, 
ch'io  soglio  fare  agli  altri  pari  a  lui. 
Perpetua  ricordanza  gli  darei, 
come  ognor  di  vilta  nimico  fui. 
Ma  sappia,  s'impunito  se  ne  parte, 
grado  a  voi  che  *1  menaste  in  questa  parte.  — 


406  ORLANDO   FURIOSO 

CXXIV 

Colui  che  fu  de  tutti  i  vizii  il  vaso, 
rispose :  —  Alto  signer,  dir  non  sapria 
chi  sia  costui;  ch'io  Tho  trovato  a  caso, 
venendo  d'Antiochia,  in  su  la  via. 
II  suo  sembiante  m'avea  persuaso 
che  fosse  degno  di  mia  compagnia; 
ch'intesa  non  avea  pruova  ne  vista, 
se  non  quella  che  fece  oggi  assai  trista. 

cxxv 

La  qual  mi  spiacque  si,  che  resto  poco 
che  per  punir  Pestrema  sua  viltade 
non  gli  facessi  allora  allora  un  gioco, 
che  non  toccasse  piii  lance  ne  spade: 
ma  ebbi,  piu  ch'allui,  rispetto  al  loco, 
e  riverenzia  a  vostra  maestade. 
Ne  per  me  voglio  che  gli  sia  guadagno 
ressermi  stato  un  giorno  o  dua  compagno: 

cxxvi 

di  che  contaminate  anco  esser  parme; 
e  sopra  il  cor  mi  sara  eterno  peso, 
se,  con  vergogna  del  mestier  de  Farme, 
io  lo  vedro  da  noi  partire  illeso: 
e  meglio  che  lasciarlo,  satisfarme 
potrete,  se  sara  d'un  merlo  impeso; 
e  fia  lodevol  opra  e  signorile, 
perch' el  sia  esempio  e  specchio  ad  ogni  vile.  - 

CXXVII 

Al  detto  suo  Martano  Orrigille  have, 
senza  accennar,  confermatrice  presta. 
—  Non  son  —  rispose  il  re  —  Fopre  si  prave, 
ch'al  mio  parer  v'abbia  d'andar  la  testa. 
Voglio  per  pena  del  peccato  grave, 
che  sol  rinuovi  al  populo  la  festa.  — 
E  tosto  a  un  suo  baron,  che  fe'  venire, 
impose  quanto  avesse  ad  esequire. 


CANTO    DECIMOSETTIMO  407 

CXXVIII 

Quel  baron  molti  armati  seco  tolse, 

et  alia  porta  della  terra  scese; 

e  quivi  con  silenzio  li  raccolse, 

e  la  vemita  di  Grifone  attese: 

e  ne  1'entrar  si  d'improviso  il  colse, 

che  fra  i  duo  ponti  a  salvamento  il  prese ; 

e  lo  ritenne  con  beffe  e  con  scorno 

in  una  oscura  stanza  insin  al  giorno. 

cxxix 

II  Sole  a  pena  avea  il  dorato  crine 
tolto  di  grembio  alia  nutrice  antica, 
e  cominciava  da  le  piagge  alpine 
a  cacciar  Tombre  e  far  la  cima  aprica; 
quando  temendo  il  vil  Martan  ch'al  fine 
Grifone  ardito  la  sua  causa  dica, 
e  ritorni  la  colpa  ond'era  uscita, 
tolse  licenzia,  e  fece  indi  partita, 

cxxx 

trovando  idonia  scusa  al  priego  regio, 
che  non  stia  allo  spettacolo  ordinato. 
Altri  doni  gli  avea  fatto,  col  pregio 
de  la  non  sua  vittoria,  il  signor  grato; 
e  sopra  tutto  un  ample  privilegio, 
dov'era  d'alti  onori  al  sommo  ornato. 
Lascianlo  andar;  ch'io  vi  prometto  certo, 
che  la  mercede  avra  secondo  il  merto. 

cxxxi 

Fu  Grifon  tratto  a  gran  vergogna  in  piazza, 
quando  piu  si  trov6  piena  di  gente, 
Gli  avean  levato  Pelmo  e  la  corazza, 
e  lasciato  in  farsetto  assai  vilmente; 
e  come  il  conducessero  alia  mazza, 
posto  Tavean  sopra  un  carro  eminente, 
che  lento  lento  tiravan  due  vacche 
da  lunga  fame  attenuate  e  fiacche. 


ORLANDO    FURIOSO 
CXXXII 

Venian  d'intorno  alia  ignobil  quadriga 
vecchie  sfacciate  e  disoneste  putte, 
di  che  n'era  una  et  or  un'altra  auriga, 
e  con  gran  biasmo  lo  mordeano  tutte. 
Lo  poneano  i  fanciulli  in  maggior  briga, 
che,  oltre  le  parole  infami  e  brutte, 
Tavrian  coi  sassi  insino  a  morte  offeso, 
se  dai  piu  saggi  non  era  difeso. 

CXXXIII 

L'arme  che  del  suo  male  erano  state 
cagion,  che  di  lui  fer  non  vero  indicio, 
da  la  coda  del  carro  strascinate 
patian  nel  fango  debito  supplicio. 
Le  mote  inanzi  a  un  tribunal  fermate 
gli  fero  udir  de  Paltrui  maleficio 
la  sua  ignominia,  che  'n  sugli  occhi  detta 
gli  fu,  gridando  un  publico  trombetta. 

cxxxiv 

Lo  levar  quindi,  e  lo  mostrar  per  tutto 
dinanzi  a  templi,  ad  officine  e  a  case, 
dove  alcun  nome  scelerato  e  brutto, 
che  non  gli  fosse  detto,  non  rimase. 
Fuor  de  la  terra  all'ultimo  condutto 
fu  da  la  turba,  che  si  persuase 
bandirlo  e  cacciare  indi  a  suon  di  busse, 
non  conoscendo  ben  ch'egli  si  fusse. 

cxxxv 

Si  tosto  a  pena  gli  sferraro  i  piedi 
e  liberargli  Tuna  e  Paltra  mano, 
che  tor  lo  scudo,  et  impugnar  gli  vedi 
la  spada  che  rigo  gran  pezzo  il  piano. 
Non  ebbe  contra  se  lance  ne  spiedi; 
che  senz'arme  venia  il  populo  insano. 
Ne  1'altro  canto  diferisco  il  resto; 
che  tempo  e  omai,  Signor,  di  finir  questo. 


CANTO    DECIMOTTAVO  409 


CANTO    DECIMOTTAVO 


I 

Magnanimo  Signore,  ogni  vostro  atto 
ho  sempre  con  ragion  laudato  e  laudo; 
ben  che  col  rozzo  stil  duro  e  mal  atto 
gran  parte  de  la  gloria  vi  defraudo. 
Ma  piu  de  Paltre  una  virtu  mjha  tratto, 
a  cui  col  core  e  con  la  lingua  applaudo; 
che  s'ognun  truova  in  voi  ben  grata  udienza, 
non  vi  truova  pero  facil  credenza. 

ii 

Spesso  in  difesa  del  biasmato  absente 
indur  vi  sento  una  et  un'altra  scusa, 
o  riserbargli  almen,  fin  che  presente 
sua  causa  dica,  1'altra  orecchia  chiusa; 
e  sempre,  prima  che  dannar  la  gente, 
vederla  in  faccia,  e  udir  la  ragion  ch'usa; 
differir  anco  e  giorni  e  mesi  et  anni, 
prima  che  giudicar  negli  altrui  danni. 

in 

Se  Norandino  il  simil  fatto  avesse, 
fatto  a  Grifon  non  avria  quel  che  fece. 
A  voi  utile  e  onor  sempre  successe: 
denigr6  sua  fama  egli  piu  che  pece. 
Per  lui  sue  genti  a  morte  furon  messe; 
che  fej  Grifone  in  dieci  tagli,  e  in  diece 
punte  che  trasse  pien  d'ira  e  bizzarro, 
che  trenta  ne  cascaro  appresso  al  carro. 


410  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

Van  gli  altri  in  rotta  ove  il  timor  li  caccia, 
chi  qua  chi  la,  pei  campi  e  per  le  strade; 
e  chi  d'entrar  ne  la  citta  procaccia, 
e  Fun  su  Taltro  ne  la  porta  cade. 
Grifon  non  fa  parole  e  non  minaccia; 
ma  lasciando  lontana  ogni  pietade, 
mena  tra  il  vulgo  inert  e  il  ferro  intorno, 
e  gran  vendetta  fa  d'ogni  suo  scorno. 


Di  quei  che  primi  giunsero  alia  porta, 
che  le  piante  a  levarsi  ebbeno  pronte, 
parte,  al  bisogno  suo  molto  piu  accorta 
che  degli  amici,  alzo  subito  il  ponte: 
piangendo  parte,  o  con  la  faccia  smorta 
fuggendo  ando  senza  mai  volger  fronte, 
e  ne  la  terra  per  tutte  le  bande 
levo  grido  e  tumulto  e  rumor  grande. 

VI 

Grifon  gagliardo  duo  ne  piglia  in  quella 
che  '1  ponte  si  levo  per  lor  sciagura. 
Sparge'  de  1'uno  al  campo  le  cervella, 
che  lo  percuote  ad  una  cote  dura: 
prende  Taltro  nel  petto,  e  Parrandella 
in  mezzo  alia  citta  sopra  le  mura. 
Sc6rse  per  1'ossa  ai  terrazzani  il  gelo, 
quando  vider  colui  venir  dal  cielo. 

VII 

Fur  molti  che  temer  che  '1  fier  Grifone 

sopra  le  mura  avesse  preso  un  salto. 

Non  vi  sarebbe  piu  confusione, 

s'a  Damasco  il  soldan  desse  Fassalto. 

Un  muover  d'arme,  un  correr  di  persone, 

e  di  talacimanni  un  gridar  d'alto, 

e  di  tamburi  un  suon  misto  e  di  trombe 

il  mondo  assorda,  e  '1  ciel  par  ne  ribombe. 


CANTO    DECIMOTTAVO  4!! 

VIII 

Ma  voglio  a  un'altra  volta  differire 
a  ricontar  cio  che  di  questo  avenne. 
Del  buon  re  Carlo  mi  convien  seguire, 
che  contra  Rodomonte  in  fretta  venne, 
il  qual  le  genti  gli  facea  morire. 

10  vi  dissi  ch'al  re  compagnia  tenne 

11  gran  Danese  e  Namo  et  Oliviero 

e  Avino  e  Avolio  e  Otone  e  Berlingiero. 

IX 

Otto  scontri  di  lance,  che  da  forza 
di  tali  otto  guerrier  cacciati  foro, 
sostenne  a  un  tempo  la  scagliosa  scorza 
di  ch'avea  armato  il  petto  il  crudo  Moro. 
Come  legno  si  drizza,  poi  che  1'orza 
lenta  il  nochier  che  crescer  sente  il  Coro, 
cosi  presto  rizzossi  Rodomonte 
dai  colpi  che  gittar  doveano  un  monte. 


Guido,  Ranier,  Ricardo,  Salamone, 
Ganelon  traditor,  Turpin  fedele, 
Angioliero,  Angiolino,  Ughetto,  Ivone, 
Marco  e  Matteo  dal  pian  di  San  Michele, 
e  gli  otto  di  che  dianzi  fei  menzione, 
son  tutti  intorno  al  Saracin  crudele, 
Arimanno  e  Odoardo  d'Inghilterra, 
ch'entrati  eran  pur  dianzi  ne  la  terra. 

XI 

Non  cosi  freme  in  su  lo  scoglio  alpino 
di  ben  fondata  rocca  alta  parete, 
quando  il  furor  di  borea  o  di  garbino 
svelle  dai  monti  il  frassino  e  Fabete, 
come  freme  d'orgoglio  il  Saracino, 
di  sdegno  acceso  e  di  sanguigna  sete: 
e  com' a  un  tempo  e  il  tuono  e  la  saetta, 
cosi  1'ira  de  Pempio  e  la  vendetta. 


412  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Mena  alia  testa  a  quel  che  gli  e  phi  presso, 
che  gli  e  il  misero  Ughetto  di  Dordona: 
lo  pone  in  terra  insino  ai  denti  fesso, 
come  che  Pelmo  era  di  tempra  buona. 
Percosso  fu  tutto  in  un  tempo  anch'esso 
da  molti  colpi  in  tutta  la  persona; 
ma  non  gli  fan  piu  ch'alPincude  Pago : 
si  duro  intorno  ha  lo  scaglioso  drago. 

XIII 

Furo  tutti  i  ripar,  fu  la  cittade 
d'intorno  intorno  abandonata  tutta; 
che  la  gente  alia  piazza,  dove  accade 
maggior  bisogno,  Carlo  avea  ridutta. 
Corre  alia  piazza  da  tutte  le  strade 
la  turba,  a  chi  il  fuggir  si  poco  frutta. 
La  persona  del  re  si  i  cori  accende, 
ch'ognun  prend'arme,  ognun  animo  prende. 

XIV 

Come  se  dentro  a  ben  rinchiusa  gabbia 
d'antiqua  leonessa  usata  in  guerra, 
perch' averne  piacere  il  popul  abbia, 
talvolta  il  tauro  indomito  si  serra; 
i  leoncin  che  veggion  per  la  sabbia 
come  altiero  e  mugliando  animoso  erra, 
e  veder  si  gran  corna  non  son  usi, 
stanno  da  parte  timidi  e  confusi: 

xv 

ma  se  la  fiera  madre  a  quel  si  lancia, 
e  ne  Porecchio  attacca  il  crudel  dente, 
vogliono  anch'essi  insanguinar  la  guancia, 
e  vengono  in  soccorso  arditamente; 
chi  morde  al  tauro  il  dosso  e  chi  la  pancia: 
cosi  contra  il  pagan  fa  quella  gente. 
Da  tetti  e  da  finestre  e  piu  d'appresso 
sopra  gli  piove  un  nembo  d'arme  e  spesso. 


CANTO    DECIMOTTAVO  413 

XVI 

Dei  cavallieri  e  de  la  fanteria 
tanta  e  la  calca,  ch'a  pena  vi  cape. 
La  turba  che  vi  vien  per  ogni  via, 
v'abbonda  ad  or  ad  or  spessa  come  ape; 
che  quando,  disarmata  e  nuda,  sia 
piu  facile  a  tagliar  che  torsi  o  rape, 
non  la  potria,  legata  a  monte  a  monte, 
in  venti  giorni  spenger  Rodomonte. 

XVII 

Al  pagan,  che  non  sa  come  ne  possa 
venir  a  capo,  omai  quel  gioco  incresce. 
Poco,  per  far  di  mille,  o  di  piii,  rossa 
la  terra  intorno,  il  populo  discresce. 
II  fiato  tuttavia  piu  se  gl'ingrossa, 
si  che  comprende  al  fin  che,  se  non  esce 
or  c'ha  vigore  e  in  tutto  il  corpo  e  sano, 
vorra  da  tempo  uscir  che  sara  invano. 

XVIII 

Rivolge  gli  occhi  orribili,  e  pon  mente 

che  d'ogn'intorno  sta  chiusa  Tuscita; 

ma  con  ruina  d'infinita  gente 

Faprira  tosto,  e  la  fara  espedita. 

Ecco,  vibrando  la  spada  tagliente, 

che  vien  quel  empio,  ove  il  furor  lo  Jnvita, 

ad  assalire  il  nuovo  stuol  britanno, 

che  vi  trass  e  Odoardo  et  Arimanno. 

XIX 

Chi  ha  visto  in  piazza  romp  ere  steccato, 
a  cui  la  folta  turba  ondeggi  intorno, 
immansueto  tauro  accaneggiato, 
stimulato  e  percosso  tutto  '1  giorno ; 
che  '1  popul  se  ne  fugge  ispaventato, 
et  egli  or  questo  or  quel  leva  sul  corno: 
pensi  che  tale  o  piu  terribil  fosse 
il  crudele  African  quando  si  mosse. 


4H  ORLANDO   FURIOSO 

XX 

Quindici  o  venti  ne  taglio  a  traverse, 
altritanti  lascio  del  capo  tronchi, 
ciascun  d'un  colpo  sol  dritto  o  riverso; 
che  viti  o  salci  par  che  poti  e  tronchi. 
Tutto  di  sangue  il  fier  pagano  asperso, 
lasciando  capi  fessi  e  bracci  monchi, 
e  spalle  e  gambe  et  altre  membra  sparte, 
ovunque  il  passo  volga,  al  fin  si  parte. 

XXI 

De  la  piazza,  si  vede  in  guisa  torre, 
che  non  si  puo  notar  ch'abbia  paura; 
ma  tuttavolta  col  pensier  discorre 
dove  sia  per  uscir  via  piu  sicura. 
Capita  al  fin  dove  la  Senna  corre 
sotto  alPisola,  e  va  fuor  de  le  mura. 
La  gente  d'arme  e  il  popul  fatto  audace 
lo  stringe  e  incalza,  e  gir  nol  lascia  in  pace. 

XXII 

Qual  per  le  selve  nomade  o  massile 
cacciata  va  la  generosa  belva, 
ch'ancor  fuggendo  mostra  il  cor  gentile, 
e  minacciosa  e  lenta  si  rinselva; 
tal  Rodomonte,  in  nessun  atto  vile, 
da  strana  circondata  e  fiera  selva 
d'aste  e  di  spade  e  di  volanti  dardi, 
si  tira  al  fiume  a  passi  lunghi  e  tardi. 

XXIII 

E  si  tre  volte  e  piu  Pira  il  sospinse, 

ch'essendone  gia  fuor,  vi  torno  in  mezzo, 

ove  di  sangue  la  spada  ritinse, 

e  piu  di  cento  ne  levo  di  mezzo. 

Ma  la  ragione  al  fin  la  rabbia  vinse 

di  non  far  si,  ch'a  Dio  n'andasse  il  lezzo ; 

e  da  la  ripa,  per  miglior  consiglio, 

si  gitto  all'acqua,  e  usci  di  gran  periglio. 


CANTO    DECIMOTTAVO  415 

XXIV 

Con  tutte  1'arme  ando  per  mezzo  1'acque, 
come  s'intorno  avesse  tante  galle. 
Africa,  in  te  pare  a  costui  non  nacque, 
ben  che  d'Anteo  ti  vanti  e  d'Anniballe. 
Poi  che  fu  giunto  a  proda,  gli  dispiacque, 
che  si  vide  restar  dopo  le  spalle 
quella  citta  ch'avea  trascorsa  tutta, 
e  non  1'avea  tutta  arsa  ne  distmtta. 

XXV 

E  si  lo  rode  la  superbia  e  1'ira, 

che  per  tornarvi  un'altra  volta  guarda, 

e  di  profondo  cor  geme  e  sospira, 

ne  vuolne  uscir,  che  non  la  spiani  et  arda. 

Ma  lungo  il  flume,  in  questa  furia,  mira 

venir  chi  Podio  estingue  e  1'ira  tarda. 

Chi  fosse  io  vi  faro  ben  tosto  udire; 

ma  prima  un'altra  cosa  v'ho  da  dire. 

XXVI 

Io  v'ho  da  dir  de  la  Discordia  altiera, 
a  cui  F  angel  Michele  avea  commesso 
ch'a  battaglia  accendesse  e  a  lite  fiera 
quei  che  piii  forti  avea  Agramante  appresso. 
Usci  de*  frati  la  medesma  sera, 
avendo  altrui  TufEcio  suo  commesso: 
lascio  la  Fraude  a  guerreggiare  il  loco, 
fin  che  tornasse,  e  a  mantenervi  il  fuoco. 

XXVII 

E  le  parve  ch'andria  con  piu  possanza, 
se  la  Superbia  ancor  seco  menasse; 
e  perche  stavan  tutte  in  una  stanza, 
non  fu  bisogno  ch'a  cercar  1'andasse. 
La  Superbia  v'ando,  ma  non  che  sanza 
la  sua  vicaria  il  monaster  lasciasse: 
per  pochi  di  che  credea  starne  absente, 
lascio  Flpocrisia  locotenente. 


416  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

L'implacabil  Discordfa  in  compagnia 
de  la  Superbia  si  messe  in  camino, 
e  ritrovo  che  la  medesma  via 
facea,  per  gire  al  campo  saracino, 
1'afflitta  e  sconsolata  Gelosia; 
e  venia  seco  un  nano  piccolino, 
il  qual  mandava  Doralice  bella 
al  re  di  Sarza  a  dar  di  se  novella. 

XXIX 

Quando  ella  venne  a  Mandricardo  in  mano 
(ch'io  v'ho  gia  raccontato  e  come  e  dove), 
tacitamente  avea  commesso  al  nano 
che  ne  portasse  a  questo  re  le  nuove. 
Ella  spero  che  nol  saprebbe  invano, 
ma  che  far  si  vedria  mirabil  pruove, 
per  riaverla  con  crudel  vendetta 
da  quel  ladron  che  gli  1'avea  intercetta. 

xxx 

La  Gelosia  quel  nano  avea  trovato; 
e  la  cagion  del  suo  venir  compresa, 
a  caminar  se  gli  era  messa  allato, 
parendo  d'aver  luogo  a  questa  impresa. 
Alia  Discordia  ritrovar  fu  grato 
la  Gelosia;  ma  piii  quando  ebbe  intesa 
la  cagion  del  venir,  che  le  potea 
molto  valere  in  quel  che  far  volea. 

XXXI 

D'inimicar  con  Rodomonte  il  figlio 
del  re  Agrican  le  pare  aver  suggetto : 
trovera  a  sdegnar  gli  altri  altro  consiglio; 
a  sdegnar  questi  duo  questo  e  perfetto. 
Col  nano  se  ne  vien  dove  Partiglio 
del  fier  pagano  avea  Parigi  astretto ; 
e  capitaro  a  punto  in  su  la  riva, 
quando  il  crudel  del  fiume  a  nuoto  usciva. 


CANTO    DECIMOTTAVO  417 

XXXII 

Tosto  che  riconobbe  Rodomonte 
costui  de  la  sua  donna  esser  messaggio, 
estinse  ogn'ira,  e  sereno  la  fronte, 
e  si  senti  brillar  dentro  il  coraggio. 
Ogn'altra  cosa  aspetta  che  gli  conte, 
prima  ch'alcuno  abbia  a  lei  fatto  oltraggio. 
Va  contra  il  nano,  e  lieto  gli  domanda: 
—  Ch'e  de  la  donna  nostra?  ove  ti  manda?  — 

XXXIII 

Rispose  il  nano:  —  Ne  piu  tua  ne  mia 
donna  diro  quella  ch'e  serva  altrui. 
leri  scontrammo  un  cavallier  per  via 
che  ne  la  tolse,  e  la  meno  con  lui.  — 
A  quello  annunzio  entrd  la  Gelosia, 
fredda  come  aspe,  et  abbraccio  costui. 
Seguita  il  nano,  e  narragli  in  che  guisa 
un  sol  Tha  presa,  e  la  sua  gente  uccisa. 

xxxiv 

L'acciaio  allora  la  Discordia  prese, 
e  la  pietra  focaia,  e  picchio  un  poco, 
e  1'esca  sotto  la  Superbia  stese, 
e  fu  attaccato  in  un  momento  il  fuoco; 
e  si  di  questo  1'anima  s'accese 
del  Saracin,  che  non  trovava  loco: 
sospira  e  freme  con  si  orribil  faccia, 
che  gli  elementi  e  tutto  il  ciel  minaccia. 

xxxv 

Come  la  tigre,  poi  ch'invan  discende 
nel  voto  albergo,  e  per  tutto  s'aggira, 
e  i  can  figli  alPultimo  comprende 
essergli  tolti,  avampa  di  tant'ira, 
a  tanta  rabbia,  a  tal  furor  s'estende, 
che  ne  a  monte  ne  a  rio  ne  a  notte  mira, 
ne  lunga  via,  ne  grandine  raffrena 
Todio  che  dietro  al  predator  la  mena: 


4*8  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

cosi  furendo  il  Saracin  bizzarre 

si  volge  al  nano,  e  dice :  —  Or  la  t'invia  — ; 

e  non  aspetta  ne  destrier  ne  carro, 

e  non  fa  motto  alia  sua  compagnia. 

Va  con  piu  fretta  che  non  va  il  ramarro, 

quando  il  ciel  arde,  a  traversar  la  via. 

Destrier  non  ha,  ma  il  primo  tor  disegna, 

sia  di  chi  vuol,  ch'ad  incontrar  lo  vegna. 

XXXVII 

La  Discordia,  ch'udi  questo  pensiero, 
guardo  ridendo  la  Superbia,  e  disse 
che  volea  gire  a  trovare  un  destriero 
che  gli  apportasse  altre  contese  e  risse; 
e  far  volea  sgombrar  tutto  il  sentiero, 
ch'altro  che  quello  in  man  non  gli  venisse: 
e  gia  pensato  avea  dove  trovarlo. 
Ma  costei  Iasci6,  e  torno  a  dir  di  Carlo. 

XXXVIII 

Poi  ch'al  partir  del  Saracin  si  estinse 
Carlo  d'intorno  il  periglioso  fuoco, 
tutte  le  genti  all'ordine  ristrinse. 
Lascionne  parte  in  qualche  debol  loco  : 
adosso  il  resto  ai  Saracini  spinse, 
per  dar  lor  scacco,  e  guadagnarsi  il  giuoco; 
e  gli  mand6  per  ogni  porta  fuore, 
da  San  Germane  infin  a  San  Vittore. 

xxxix 

E  command6  ch'a  porta  San  Marcello, 
dov'era  gran  spianata  di  campagna, 
aspettasse  Fun  1'altro,  e  in  un  drappello 
si  ragunasse  tutta  la  compagna. 
Quindi  animando  ognuno  a  far  macello 
tal,  che  sempre  ricordo  ne  rimagna, 
ai  lor  ordini  andar  fe'  le  bandiere, 
e  di  battaglia  dar  segno  alle  schiere. 


CANTO    DECIMOTTAVO  419 

XL 

II  re  Agramante  in  questo  mezzo  in  sella, 
mal  grado  dei  cristian,  rimesso  s'era; 
e  con  Pinamorato  d1  Isabella 
facea  battaglia  perigliosa  e  fiera: 
col  re  Sobrin  Lurcanio  si  martella; 
Rinaldo  incontra  avea  tutta  una  schiera, 
e  con  virtude  e  con  fortuna  molta 
Purta,  Papre,  ruina  e  mette  in  volta. 

XLI 

Essendo  la  battaglia  in  questo  stato, 
Pimperatore  assalse  il  retroguardo 
dal  canto  ove  Marsilio  avea  fermato 
il  fior  di  Spagna  intorno  al  suo  stendardo. 
Con  fanti  in  mezzo  e  cavallieri  allato, 
re  Carlo  spinse  il  suo  popul  gagliardo 
con  tal  rumor  di  timpani  e  di  trombe, 
che  tutto  '1  mondo  par  che  ne  rimbombe. 

XLII 

Cominciavan  le  schiere  a  ritirarse 
de'  Saracini,  e  si  sarebbon  volte 
tutte  a  fuggir,  spezzate,  rotte  e  sparse, 
per  mai  piu  non  potere  esser  raccolte; 
ma  }1  re  Grandonio  e  Falsiron  comparse, 
che  stati  in  maggior  briga  eran  piu  volte, 
e  Balugante  e  Serpentin  feroce, 
e  Ferrau  che  lor  dicea  a  gran  voce: 

XLIII 

—  Ah  —  dicea  —  valentuomini,  ah  compagni, 
ah  fratelli,  tenete  il  luogo  vostro. 
I  nimici  faranno  opra  di  ragni, 
se  non  manchiamo  noi  del  dover  nostro. 
Guardate  Palto  onor,  gli  ampli  guadagni 
che  Fortuna,  vincendo,  oggi  ci  ha  mostro: 
guardate  la  vergogna  e  il  danno  estremo, 
ch'essendo  'vinti,  a  patir  sempre  avremo.  — 


420  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Tolto  in  quel  tempo  una  gran  lancia  avea, 
e  contra  Berlingier  venne  di  botto, 
che  sopra  Largaliffa  combattea, 
e  1'elmo  ne  la  fronte  gli  avea  rotto: 
gittollo  in  terra,  e  con  la  spada  rea 
appresso  a  lui  ne  fe'  cader  forse  otto. 
Per  ogni  botta  almanco,  che  disserra, 
cader  fa  sempre  un  cavalliero  in  terra. 

XLV 

In  altra  parte  ucciso  avea  Rinaldo 
tanti  pagan,  ch'io  non  potrei  contarli. 
Dinanzi  a  lui  non  stava  ordine  saldo : 
vedreste  piazza  in  tutto  '1  campo  darli. 
Non  men  Zerbin,  non  men  Lurcanio  e  caldo; 
per  modo  fan,  ch'ognun  sempre  ne  parli: 
questo  di  punta  avea  Balastro  ucciso, 
e  quello  a  Finadur  1'elmo  diviso, 

XL  VI 

L'esercito  d'Alzerbe  avea  il  primiero, 
che  poco  inanzi  aver  solea  Tardocco ; 
1'altro  tenea  sopra  le  squadre  impero 
di  Zamor  e  di  Saffi  e  di  Marocco. 
—  Non  e  tra  gli  Africani  un  cavalliero 
che  di  lancia  ferir  sappia  o  di  stocco  ?  — 
mi  si  potrebbe  dir:  ma  passo  passo 
nessun  di  gloria  degno  a  dietro  lasso. 

XLVII 

Del  re  de  la  Zumara  non  si  scorda 
il  nobil  Dardinel  figlio  d'Almonte, 
che  con  la  lancia  Uberto  da  Mirforda, 
Claudio  dal  Bosco,  Elio  e  Dulfin  dal  Monte, 
e  con  la  spada  Anselmo  da  Stanforda, 
e  da  Londra  Raimondo  e  Pinamonte 
getta  per  terra  (et  erano  pur  forti), 
dui  storditi,  un  piagato,  e  quattro  morti. 


CANTO    DECIMOTTAVO  421 

XLVIII 

Ma  con  tutto  '1  valor  che  di  se  mostra, 
non  puo  tener  si  ferma  la  sua  gente, 
si  ferma,  ch'aspettar  voglia  la  nostra 
di  numero  minor,  ma  piu  valente. 
Ha  piu  ragion  di  spada  e  piu  di  giostra 
e  d'ogni  cosa  a  guerra  appertinente. 
Fugge  la  gente  maura,  di  Zumara, 
di  Setta,  di  Marocco  e  di  Canara. 

XLIX 

Ma  piu  degli  altri  fuggon  quei  d'Alzerbe, 
a  cui  s'oppose  il  nobil  giovinetto; 
et  or  con  prieghi,  or  con  parole  acerbe 
ripor  lor  cerca  Tammo  nel  petto. 
—  S'Almonte  merito  ch'in  voi  si  serbe 
di  lui  memoria,  or  ne  vedro  Feffetto: 
io  vedro  —  dicea  lor  —  se  me,  suo  figlio, 
lasciar  vorrete  in  cosi  gran  periglio. 

L 

State,  vi  priego  per  mia  verde  etade, 
in  cui  solete  aver  si  larga  speme: 
deh  non  vogliate  andar  per  fil  di  spade, 
ch'in  Africa  non  torni  di  noi  seme. 
Per  tutto  ne  saran  chiuse  le  strade, 
se  non  andiam  raccolti  e  stretti  insieme : 
troppo  alto  muro  e  troppo  larga  fossa 
e  il  monte  e  il  mar,  pria  che  tornar  si  possa. 

LI 

Molto  e  meglio  morir  qui,  ch'ai  supplici 

darsi  e  alia  discrezion  di  questi  cani. 

State  saldi,  per  Dio,  fedeli  amici; 

che  tutti  son  gli  altri  rimedii  vani, 

Non  han  di  noi  piu  vita  gli  nimici; 

piu  d'un'alma  non  han,  piu  di  due  mani.  — 

Cosi  dicendo,  il  giovinetto  forte 

al  conte  d'Otonlei  diede  la  morte. 


422  ORLANDO    FURIOSO 

LII 

II  rimembrare  Almonte  cosi  accese 
Tesercito  african  che  fuggia  prima, 
che  le  braccia  e  le  mani  in  sue  difese 
meglio,  che  rivoltar  le  spalle,  estima. 
Guglielmo  da  Burnich  era  uno  Inglese 
maggior  di  tutti,  e  Dardinello  il  cima, 
e  lo  pareggia  agli  altri;  e  apresso  taglia 
il  capo  ad  Aramon  di  Cornovaglia. 

LIII 

Morto  cadea  questo  Aramone  a  valle; 
e  v'accorse  il  fratel  per  dargli  aiuto: 
ma  Dardinel  1'aperse  per  le  spalle 
fin  giu  dove  lo  stomaco  e  forcuto. 
Poi  for6  il  ventre  a  Bogio  da  Vergalle, 
e  lo  mando  del  debito  assoluto: 
avea  promesso  alia  moglier  fra  sei 
mesi,  vivendo,  di  tornare  a  lei. 

LIV 

Vide  non  lungi  Dardinel  gagliardo 
venir  Lurcanio,  ch'avea  in  terra  messo 
Dorchin,  passato  ne  la  gola,  e  Gardo 
per  mezo  il  capo  e  insin  ai  denti  fesso ; 
e  ch'Alteo  fuggir  volse,  ma  fu  tardo, 
Alteo  ch'amc-  quanto  il  suo  core  istesso ; 
che  dietro  alia  collottola  gli  mise 
il  fier  Lurcanio  un  colpo  che  Puccise. 

LV 

Piglia  una  lancia,  e  va  per  far  vendetta, 
dicendo  al  suo  Macon  (s'udir  lo  puote), 
che  se  morto  Lurcanio  in  terra  getta, 
ne  la  moschea  ne  porra  Parme  vote. 
Poi  traversando  la  campagna  in  fretta, 
con  tanta  forza  il  fiance  gli  percuote, 
che  tutto  il  passa  sin  alPaltra  banda; 
et  ai  suoi,  che  lo  spoglino,  commanda. 


CANTO    DECIMOTTAVO  423 

LVI 

Non  e  da  domandarmi,  se  dolere 
se  ne  dovesse  Ariodante  il  frate; 
se  desiasse  di  sua  man  potere 
por  Dardinel  fra  I'anime  dannate: 
ma  nol  lascian  le  genti  adito  avere, 
non  men  de  le  'nfedel  le  battezzate. 
Vorria  pur  vendicarsi,  e  con  la  spada 
di  qua  di  la  spianando  va  la  strada. 

LVII 

Urta,  apre,  caccia,  atterra,  taglia  e  fende 
qualunque  lo  'mpedisce  o  gli  contrasta. 
E  Dardinel  che  quel  desire  intende, 
a  volerlo  saziar  gia  non  sovrasta: 
ma  la  gran  moltitudine  contende 
con  questo  ancora,  e  i  suoi  disegni  guasta. 
Se  Mori  uccide  1'un,  Taltro  non  manco 
gli  Scotti  uccide  e  il  campo  inglese  e  '1  franco. 

LVIII 

Fortuna  sempremai  la  via  lor  tolse, 
che  per  tutto  quel  di  non  s'accozzaro. 
A  piu  famosa  man  serbar  Fun  volse; 
che  Tuomo  il  suo  destin  fugge  di  raro. 
Ecco  Rinaldo  a  questa  strada  volse, 
perch' alia  vita  d'un  non  sia  riparo; 
ecco  Rinaldo  vien:  Fortuna  il  guida 
per  dargli  onor  che  Dardinello  uccida. 

LIX 

Ma  sia  per  questa  volta  detto  assai 
dei  gloriosi  fatti  di  Ponente. 
Tempo  e  ch'io  torni  ove  Grifon  lasciai, 
che  tutto  d'ira  e  di  disdegno  ardente 
facea,  con  piu  timor  ch'avesse  mai, 
tumultuar  la  sbigottita  gente. 
Re  Norandino  a  quel  rumor  corso  era 
con  piu  di  mille  armati  in  una  schiera. 


424  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

Re  Norandin  con  la  sua  corte  armata, 
vedendo  tutto  '1  populo  fuggire, 
venne  alia  porta  in  battaglia  ordinata, 
e  quella  fece  alia  sua  giunta  aprire. 
Grifone  intanto  avendo  gia  cacciata 
da  se  la  turba  sciocca  e  senza  ardire, 
la  sprezzata  armatura  in  sua  difesa 
(qual  la  si  fosse)  avea  di  nuovo  presa; 

LXI 

e  presso  a  un  tempio  ben  murato  e  forte, 
che  circondato  era  d'un'alta  fossa, 
in  capo  un  ponticel  si  fece  forte, 
perche  chiuderlo  in  mezzo  alcun  non  possa. 
Ecco,  gridando  e  minacciando  forte, 
fuor  de  la  porta  esce  una  squadra  grossa. 
L'animoso  Grifon  non  muta  loco, 
e  fa  sembiante  che  ne  tema  poco. 

LXII 

E  poi  ch'avicinar  questo  drappello 

si  vide,  ando  a  trovarlo  in  su  la  strada; 

e  molta  strage  fattane  e  macello 

(che  menava  a  due  man  sempre  la  spada), 

ricorso  avea  allo  stretto  ponticello, 

e  quindi  li  tenea  non  troppo  a  bada: 

di  nuovo  usciva  e  di  nuovo  tornava; 

e  sempre  orribil  segno  vi  lasciava. 

LXIII 

Quando  di  dritto  e  quando  di  riverso 
getta  or  pedoni  or  cavallieri  in  terra. 
II  popul  contra  lui  tutto  converse 
piu  e  piu  sempre  inaspera  la  guerra. 
Teme  Grifone  al  fin  restar  sommerso: 
si  cresce  il  mar  che  d'ogn'intorno  il  serra; 
e  ne  la  spalla  e  ne  la  coscia  manca 
e  gia  ferito,  e  pur  la  lena  manca. 


CANTO   DECIMOTTAVO  425 

LXIV 

Ma  la  virtu,  ch'ai  suoi  spesso  soccorre, 
gli  fa  appo  Norandin  trovar  perdono. 
II  re,  mentre  al  tumulto  in  dubbio  corre, 
vede  che  morti  gia  tanti  ne  sono; 
vede  le  piaghe  che  di  man  d'Ettorre 
pareano  uscite:  un  testimonio  buono, 
che  dianzi  esso  avea  fatto  indegnamente 
vergogna  a  un  cavallier  molto  eccellente. 

LXV 

Poi,  come  gli  e  piu  presso,  e  vede  in  fronte 
quel  che  la  gente  a  morte  gli  ha  condutta, 
e  fattosene  avanti  orribil  monte, 
e  di  quel  sangue  il  fosso  e  Pacqua  brutta; 
gli  e  aviso  di  veder  proprio  sul  ponte 
Orazio  sol  contra  Toscana  tutta: 
e  per  suo  onore,  e  perche  gli  ne  'ncrebbe, 
ritrasse  i  suoi,  ne  gran  fatica  v'ebbe. 

LXVI 

Et  alzando  la  man  nuda  e  senz'arme, 
antico  segno  di  tregua  o  di  pace, 
disse  a  Grifon:  —  Non  so,  se  non  chiamarme 
d'avere  il  torto,  e  dir  che  mi  dispiace: 
ma  il  mio  poco  giudicio,  e  lo  instigarme 
altrui,  cadere  in  tanto  error  mi  face. 
Quel  che  di  fare  io  mi  credea  al  piu  vile 
guerrier  del  mondo,  ho  fatto  al  piu  gentile. 

LXVII 

E  se  bene  alia  ingiuria  et  a  quelPonta 
ch'oggi  fatta  ti  fu  per  ignoranza, 
1'onor  che  ti  fai  qui  s'adegua  e  sconta, 
o  (per  piu  vero  dir)  supera  e  avanza; 
la  satisfazion  ci  sera  pronta 
a  tutto  mio  sap  ere  e  mia  possanza, 
quando  io  conosca  di  poter  far  quella 
per  oro  o  per  cittadi  o  per  castella. 


426  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

Chiedimi  la  meta  di  questo  regno, 
ch'io  son  per  fartene  oggi  possessore; 
che  1'alta  tua  virtu  non  ti  fa  degno 
di  questo  sol,  ma  ch'io  ti  doni  il  core: 
e  la  tua  mano,  in  questo  mezzo,  pegno 
di  fe  mi  dona  e  di  perpetuo  amore.  — 
Cosi  dicendo,  da  cavallo  scese, 
e  ver  Grifon  la  destra  mano  stese. 

LXIX 

Grifon,  vedendo  il  re  fatto  benigno 
venirgli  per  gittar  le  braccia  al  collo, 
lascio  la  spada  e  1'animo  maligno, 
e  sotto  Panche  et  umile  abbracciollo. 
Lo  vide  il  re  di  due  piaghe  sanguigno, 
e  tosto  fej  venir  chi  medicollo; 
indi  portar  ne  la  cittade  adagio, 
e  riposar  nel  suo  real  palagio. 

LXX 

Dove  ferito,  alquanti  giorni,  inante 
che  si  potesse  armar,  fece  soggiorno. 
Ma  lascio  lui,  ch'al  suo  frate  Aquilante 
et  ad  Astolfo  in  Palestina  torno, 
che  di  Grifon,  poi  che  Iasci6  le  sante 
mura,  cercare  han  fatto  piu  d'un  giorno 
in  tutti  i  lochi  in  Solima  devoti, 
e  in  molti  ancor  da  la  citta  remoti. 

LXXI 

Or  ne  Puno  ne  Paltro  e  si  indovino, 
che  di  Grifon  possa  saper  che  sia: 
ma  venne  lor  quel  Greco  peregrino, 
nel  ragionare,  a  caso  a  darne  spia, 
dicendo  ch'Orrigille  avea  il  camino 
verso  Antiochia  preso  di  Soria, 
d'un  nuovo  drudo,  ch'era  di  quel  loco, 
di  subito  arsa  e  d'improviso  fuoco. 


CANTO    DECIMOTTAVO  427 

LXXII 

Dimandogli  Aquilante,  se  di  questo 
cosi  notizia  avea  data  a  Grifone; 
e  come  Paffermo,  s'aviso  il  resto, 
perche  fosse  partite,  e  la  cagione. 
Ch'Orrigille  ha  seguito  e  manifesto 
in  Antiochia  con  intenzione 
di  levarla  di  man  del  suo  rivale 
con  gran  vendetta  e  memorabil  male. 

LXXIII 

Non  tolero  Aquilante  che  '1  fratello 
solo  e  senz'esso  a  queirimpresa  andasse; 
e  prese  Parme,  e  venne  dietro  a  quello: 
ma  prima  prego  il  duca  che  tardasse 
1'andata  in  Francia  et  al  paterno  ostello, 
fin  ch'esso  d'Antiochia  ritornasse. 
Scende  al  Zaffo  e  s'imbarca,  che  gli  pare 
e  piu  breve  e  miglior  la  via  del  mare. 

LXXIV 

Ebbe  un  ostro-silocco  allor  possente 
tanto  nel  mare,  e  si  per  lui  disposto, 
che  la  terra  del  Surro  il  di  seguente 
vide  e  SafTetto,  un  dopo  Taltro  tosto. 
Passa  Barutti  e  il  Zibeletto,  e  sente 
che  da  man  manca  gli  e  Cipro  discosto. 
A  Tortosa  da  Tripoli,  e  alia  Lizza 
e  al  golfo  di  Laiazzo  il  camin  drizza. 

LXXV 

Quindi  a  levante  fe'  il  nocchier  la  fronte 
del  navilio  voltar  snello  e  veloce; 
et  a  sorger  n'and6  sopra  FOronte, 
e  colse  il  tempo,  e  ne  piglio  la  foce. 
Gittar  fece  Aquilante  in  terra  il  ponte, 
e  n'usci  armato  sul  destrier  feroce; 
e  contra  il  fiume  il  camin  dritto  tenne, 
tanto  ch'in  Antiochia  se  ne  venne. 


428  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Di  quel  Martano  ivi  ebbe  ad  informarse; 
et  udi  ch'a  Darnasco  se  n'era  ito 
con  Orrigille,  ove  ima  giostra  farse 
dovea  solenne  per  reale  invito. 
Tanto  d'andargli  dietro  il  desir  1'arse, 
certo  che  '1  suo  german  1'abbia  seguito, 
che  d'Antiochia  anco  quel  di  si  tolle; 
ma  gia  per  mar  piu  ritornar  non  voile. 

LXXVII 

Verso  Lidia  e  Larissa  il  camin  piega: 
resta  piu  sopra  Aleppe  ricca  e  piena. 
Dio  per  mostrar  ch'ancor  di  qua  non  niega 
mercede  al  bene,  et  al  contrario  pena, 
Martano  appresso  a  Mamuga  una  lega 
ad  incontrarsi  in  Aquilante  mena. 
Martano  si  facea  con  bella  mostra 
portare  inanzi  il  pregio  de  la  giostra. 

LXXVIII 

Penso  Aquilante,  al  primo  comparire, 
che  '1  vil  Martano  il  suo  fratello  fosse; 
che  1'ingannaron  1'arme,  e  quel  vestire 
candido  piu  che  nievi  ancor  non  mosse: 
e  con  quelPoh!  che  d'allegrezza  dire 
si  suole,  incominci6;  ma  poi  cangiosse 
tosto  di  faccia  e  di  parlar,  ch' appresso 
s'avide  meglio  che  non  era  desso. 

LXXIX 

Dubito  che  per  fraude  di  colei 
ch'era  con  lui,  Grifon  gli  avesse  ucciso; 
e:  —  Dimmi,  —  gli  grido  —  tu  ch'esser  dei 
un  ladro  e  un  traditor,  come  n'hai  viso, 
onde  hai  quest'arme  avute?  onde  ti  sei 
sul  buon  destrier  del  mio  fratello  assiso  ? 
Dimmi  se  '1  mio  fratello  e  morto  o  vivo ; 
come  de  1'arme  e  del  destrier  Thai  privo.  — 


CANTO    DECIMOTTAVO  429 

LXXX 

Quando  Orrigille  udi  1'irata  voce, 
a  dietro  il  palafren  per  fuggir  volse; 
ma  di  lei  fu  Aquilante  piii  veloce, 
e  fecela  fermar,  volse  o  non  volse. 
Martano  al  minacciar  tanto  feroce 
del  cavallier,  che  si  improvise  il  colse, 
pallido  triema,  come  al  vento  fronda, 
ne  sa  quel  che  si  faccia  o  che  risponda. 

LXXXI 

Grida  Aquilante,  e  fulminar  non  resta, 
e  la  spada  gli  pon  dritto  alia  strozza; 
e  giurando  minaccia  che  la  testa 
ad  Orrigille  e  a  lui  rimarra  mozza, 
se  tutto  il  fatto  non  gli  manifesta. 
II  mal  giunto  Martano  alquanto  ingozza, 
e  tra  se  volve  se  puo  sminuire 
sua  grave  colpa,  e  poi  comincia  a  dire: 

LXXXII 

—  Sappi,  signor,  che  mia  sorella  e  questa, 
nata  di  buona  e  virtuosa  gente, 
ben  che  temita  in  vita  disonesta 
1'abbia  Grifone  obbrobriosamente : 
e  tale  infamia  essendomi  molesta, 
ne  per  forza  sentendomi  possente 
di  torla  a  si  grande  uom,  feci  disegno 
d'averla  per  astuzia  e  per  ingegno. 

LXXXIII 

Tenni  modo  con  lei,  ch'avea  desire 
di  ritornare  a  piu  lodata  vita, 
ch'essendosi  Grifon  messo  a  dormire, 
chetamente  da  lui  fesse  partita. 
Cosi  fece  ella;  e  perche  egli  a  seguire 
non  n'abbia,  et  a  turbar  la  tela  ordita, 
noi  lo  lasciammo  disarmato  e  a  piedi; 
e  qua  venuti  sian,  come  tu  vedi.  — 


430  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXIV 

Poteasi  dar  di  somma  astuzia  vanto, 

che  colui  facilmente  gli  credea; 

e  fuor  che  'n  torgli  arme  e  destrier  e  quanto 

tenesse  di  Grifon,  non  gli  nocea; 

se  non  volea  pulir  sua  scusa  tanto, 

che  la  facesse  di  menzogna  rea: 

buona  era  ogn'altra  parte,  se  non  quella 

che  la  femina  allui  fosse  sorella. 

LXXXV 

Avea  Aquilante  in  Antiochia  inteso 
essergli  concubina  da  piu  genti; 
onde  gridando,  di  furore  acceso: 
—  Falsissimo  ladron,  tu  te  ne  menti!  — 
un  pugno  gli  tiro  di  tanto  peso, 
che  ne  la  gola  gli  cacci6  duo  denti; 
e  senza  piu  contesa,  arnbe  le  braccia 
gli  volge  dietro,  e  d'una  fune  allaccia; 

LXXXVI 

e  parimente  fece  ad  Orrigille, 
ben  che  in  sua  scusa  ella  dicesse  assai. 
Quindi  li  trasse  per  casali  e  ville, 
n6  li  Iasci6  fin  a  Damasco  mai; 
e  de  le  miglia  mille  volte  mille 
tratti  gli  avrebbe  con  pene  e  con  guai, 
fin  ch'avesse  trovato  il  suo  fratello, 
per  fame  poi  come  piacesse  a  quello. 

LXXXVII 

Fece  Aquilante  lor  scudieri  e  some 
seco  tornare,  et  in  Damasco  venne, 
e  trovo  di  Grifon  celebre  il  nome 
per  tutta  la  citta  batter  le  penne: 
piccoli  e  grandi,  ognun  sapea  gia  come 
egli  era,  che  si  ben  corse  1'antenne, 
et  a  cui  tolto  fu  con  falsa  mostra 
dal  compagno  la  gloria  de  la  giostra. 


CANTO    DECIMOTTAVO  43! 

LXXXVIII 

II  popul  tutto  al  vil  Martano  infesto, 

Funo  all'altro  additandolo,  lo  scuopre. 

—  Non  e,  —  dicean  —  non  e  il  ribaldo  questo, 

che  si  fa  laude  con  Faltrui  buone  opre  ? 

e  la  virtu  di  chi  non  e  ben  desto, 

con  la  sua  infamia  e  col  suo  obbrobrio  copre  ? 

Non  e  1'ingrata  femina  costei, 

la  qual  tradisce  i  buoni  e  aiuta  i  rei  ?  — 

LXXXIX 

Altri  dicean :  —  Come  stan  bene  insieme 
segnati  ambi  d'un  marchio  e  d'una  razza!  — 
Chi  li  bestemmia,  chi  lor  dietro  freme, 
chi  grida:  —  Impicca,  abrucia,  squarta,  amazza!  — 
La  turba  per  veder  s'urta,  si  preme, 
e  corre  inanzi  alle  strade,  alia  piazza. 
Venne  la  nuova  al  re,  che  mostro  segno 
d'averla  cara  piu  ch'un  altro  regno. 

xc 

Senza  molti  scudier  dietro  o  davante, 
come  si  ritrovo,  si  mosse  in  fretta, 
e  venne  ad  incontrarsi  in  Aquilante, 
ch'avea  del  suo  Grifon  fatto  vendetta; 
e  quello  onora  con  gentil  sembiante, 
seco  lo  'nvita,  e  seco  lo  ricetta; 
di  suo  consenso  avendo  fatto  porre 
i  duo  prigioni  in  fondo  d'una  torre. 

xci 

Andaro  insieme  ove  del  letto  mosso 
Grifon  non  s'era,  poi  che  fu  ferito, 
che  vedendo  il  fratel,  divenne  rosso ; 
che  ben  stimo  ch'avea  il  suo  caso  udito. 
E  poi  che  motteggiando  un  poco  adosso 
gli  ando  Aquilante,  messero  a  partito 
di  dare  a  quelli  duo  iusto  martoro, 
venuti  in  man  degli  awersari  loro. 


432  ORLANDO    FURIOSO 

XCII 

Vuole  Aquilante,  vuole  il  re  che  mille 
strazii  ne  sieno  fatti;  ma  Grifone 
(perche  non  osa  dir  sol  d'Orrigille) 
all'uno  e  all'altro  vuol  che  si  perdone. 
Disse  assai  cose,  e  molto  ben  ordille; 
fugli  risposto:  or  per  conclusione 
Martano  e  disegnato  in  mano  al  boia, 
ch'abbia  a  scoparlo,  e  non  pero  che  moia. 

XCIII 

Legar  lo  fanno,  e  non  tra'  fiori  e  Ferba, 

e  per  tutto  scopar  Taltra  matina. 

Orrigille  captiva  si  riserba 

fin  che  ritorni  la  bella  Lucina, 

al  cui  saggio  parere,  o  lieve  o  acerba, 

rimetton  quei  signor  la  disciplina. 

Quivi  stette  Aquilante  a  ricrearsi 

fin  che  '1  fratel  fu  sano  e  pote  armarsi. 

xciv 

Re  Norandin,  che  temperato  e  saggio 
divenuto  era  dopo  un  tanto  errore, 
non  potea  non  aver  sempre  il  coraggio 
di  penitenzia  pieno  e  di  dolore, 
d'aver  fatto  a  colui  danno  et  oltraggio, 
che  degno  di  mercede  era  e  d'onore: 
si  che  di  e  notte  avea  il  pensiero  intento 
per  farlo  rimaner  di  se  contento. 

xcv 

E  statui  nel  publico  conspetto 
de  la  citta,  di  tanta  ingiuria  rea, 
con  quella  maggior  gloria  ch'a  perfetto 
cavallier  per  un  re  dar  si  potea, 
di  rendergli  quel  premio  ch'intercetto 
con  tanto  inganno  il  traditor  gli  avea: 
e  percio  fe'  bandir  per  quel  paese, 
che  faria  un'altra  giostra  indi  ad  un  mese. 


CANTO    DECIMOTTAVO  433 

XCVI 

Di  ch'apparecchio  fa  tanto  solenne, 
quanto  a  pompa  real  possibil  sia: 
onde  la  Fama  con  veloci  penne 
porto  la  nuova  per  tutta  Soria; 
et  in  Fenicia  e  in  Palestina  venne, 
e  tanto,  ch'ad  Astolfo  ne  die  spia, 
il  qual  col  vicere  deliberosse 
che  quella  giostra  senza  lor  non  fosse. 

xcvn 

Per  guerrier  valoroso  e  di  gran  nome 
la  vera  istoria  Sansonetto  vanta. 
Gli  die  battesmo  Orlando,  e  Carlo  (come 
v'ho  detto)  a  governar  la  Terra  Santa. 
Astolfo  con  costui  Iev6  le  some, 
per  ritrovarsi  ove  la  Fama  canta, 
si  che  d'intorno  n'ha  piena  ogni  orecchia, 
ch'in  Damasco  la  giostra  s'apparecchia. 

XCVIII 

Or  cavalcando  per  quelle  contrade 
con  non  lunghi  viaggi,  agiati  e  lenti, 
per  ritrovarsi  freschi  alia  cittade 
poi  di  Damasco  il  di  dej  torniamenti, 
scontraro  in  una  croce  di  due  strade 
persona  ch'al  vestire  e  a3  movimenti 
avea  sembianza  d'uomo,  e  femin'era, 
ne  le  battaglie  a  maraviglia  fiera. 

xcix 

La  vergine  Marfisa  si  nomava, 
di  tal  valor,  che  con  la  spada  in  mano 
fece  piu  volte  al  gran  signor  di  Brava 
sudar  la  fronte  e  a  quel  di  Montalbano ; 
e  '1  di  e  la  notte  armata  sempre  andava 
di  qua  di  la  cercando  in  monte  e  in  piano 
con  cavallieri  erranti  riscontrarsi, 
et  immortale  e  gloriosa  farsi. 


434  ORLANDO   FURIOSO 

C 

Com'ella  vide  Astolfo  e  Sansonetto, 
ch'appresso  le  venian  con  1'arme  indosso, 
prodi  guerrier  le  parvero  all'aspetto ; 
ch'erano  ambeduo  grandi  e  di  buono  osso: 
e  perche  di  provarsi  avria  diletto, 
per  isfidarli  avea  il  destrier  gia  mosso; 
quando,  affissando  1'occhio  piu  vicino, 
conosciuto  ebbe  il  duca  paladino. 

ci 

De  la  piacevolezza  le  sovenne 
del  cavallier,  quando  al  Catai  seco  era: 
e  lo  chiam6  per  nome,  e  non  si  tenne 
la  man  nel  guanto,  e  alzossi  la  visiera; 
e  con  gran  festa  ad  abbracciarlo  venne, 
come  che  sopra  ogn'altra  fosse  altiera. 
Non  men  da  Paltra  parte  riverente 
fu  il  paladino  alia  donna  eccellente. 

en 

Tra  lor  si  domandaron  di  lor  via: 
e  poi  ch' Astolfo,  che  prima  rispose, 
narr6  come  a  Damasco  se  ne  gia, 
dove  le  genti  in  arme  valorose 
avea  invitato  il  re  de  la  Soria 
a  dimostrar  lor  opre  virtuose; 
Marfisa,  sempre  a  far  gran  pruove  accesa, 
—  Voglio  esser  con  voi  —  disse  —  a  questa  impresa. 

cm 

Sommamente  ebbe  Astolfo  grata  questa 
compagna  d'arme,  e  cosi  Sansonetto. 
Furo  a  Damasco  il  di  inanzi  la  festa, 
e  di  fuora  nel  borgo  ebbon  ricetto: 
e  sin  all'ora  che  dal  sonno  desta 
1' Aurora  il  vecchiarel  gia  suo  diletto, 
quivi  si  riposar  con  maggior  agio, 
che  se  smontati  fossero  al  palagio. 


CANTO    DECIMOTTAVO  435 

CIV 

E  poi  che  '1  nuovo  sol  lucido  e  chiaro 
per  tutto  sparsi  ebbe  i  fulgent!  raggi, 
la  bella  donna  e  i  duo  guerrier  s'armaro, 
mandato  avendo  alia  citta  messaggi; 
che,  come  tempo  fu,  lor  rapportaro 
che  per  veder  spezzar  frassini  e  faggi 
re  Norandino  era  venuto  al  loco 
ch'avea  constituito  al  fiero  gioco. 

cv 

Senza  phi  indugio  alia  citta  ne  vanno, 
e  per  la  via  maestra  alia  gran  piazza, 
dove  aspettando  il  real  segno  stanno 
quinci  e  quindi  i  guerrier  di  buona  razza. 
I  premii  che  quel  giorno  si  daranno 
a  chi  vince,  e  uno  stocco  et  una  mazza 
guerniti  riccamente,  e  un  destrier  quale 
sia  convenevol  dono  a  un  signer  tale. 

cvi 

Avendo  Norandin  fermo  nel  core 
che,  come  il  primo  pregio,  il  secondo  anco, 
e  d'ambedue  le  giostre  il  sommo  onore 
si  debba  guadagnar  Grifone  il  bianco; 
per  dargli  tutto  quel  ch'uom  di  valore 
dovrebbe  aver,  ne  debbe  far  con  manco, 
posto  con  Tarme  in  questo  ultimo  pregio 
ha  stocco  e  mazza  e  destrier  molto  egregio. 

cvn 

L'arme  che  ne  la  giostra  fatta  dianzi 
si  doveano  a  Grifon  che  '1  tutto  vinse, 
e  che  usurpate  avea  con  tristi  avanzi 
Martano  che  Grifone  esser  si  finse, 
quivi  si  fece  il  re  pendere  inanzi, 
e  il  ben  guernito  stocco  a  quelle  cinse, 
e  la  mazza  all'arcion  del  destrier  messe, 
perche  Grifon  Tun  pregio  e  Paltro  avesse. 


436  ORLANDO  FURIOSO 

CVIII 

Ma  che  sua  intenzione  avesse  effetto 
vieto  quella  magnanima  guerriera, 
che  con  Astolfo  e  col  buon  Sansonetto 
in  piazza  nuovamente  venuta  era. 
Costei,  vedendo  Tarme  ch'io  v'ho  detto, 
subito  n'ebbe  conoscenza  vera: 
pero  che  gia  sue  furo,  e  Pebbe  care 
quanto  si  suol  le  cose  ottime  e  rare; 

cix 

ben  che  1'avea  lasciate  in  su  la  strada 
a  quella  volta  che  le  fur  d'impaccio, 
quando  per  riaver  sua  buona  spada 
correa  dietro  a  Brunei  degno  di  laccio. 
Questa  istoria  non  credo  che  m'accada 
altrimenti  narrar;  per6  la  taccio. 
Da  me  vi  basti  intendere  a  che  guisa 
quivi  trovasse  Parme  sue  Marfisa. 

ex 

Intenderete  ancor  che  come  Febbe 
riconosciute  a  manifeste  note, 
per  altro  che  sia  al  mondo  non  le  avrebbe 
lasciate  un  di  di  sua  persona  vote. 
Se  piu  tenere  un  modo  o  un  altro  debbe 
per  racquistarle,  ella  pensar  non  puote; 
ma  se  gli  accosta  a  un  tratto,  e  la  man  stende, 
e  senz'altro  rispetto  se  le  prende: 

CXI 

e  per  la  fretta  ch'ella  n'ebbe,  avenne 
ch'altre  ne  prese,  altre  mandoline  in  terra. 
II  re,  che  troppo  offeso  se  ne  tenne, 
con  uno  sguardo  sol  le  mosse  guerra; 
che  '1  popul,  che  ringiuria  non  sostenne, 
per  vendicarlo  e  lance  e  spade  afferra, 
non  rammentando  ci6  ch'i  giorni  inanti 
nocque  il  dar  noia  ai  cavallieri  erranti. 


CANTO    DECIMOTTAVO  437 

CXII 

Ne  fra  vermigli  fiori,  azzurri  e  gialli 
vago  fanciullo  alia  stagion  novella, 
ne  mai  si  ritrovo  fra  suoni  e  balli 
piu  volentieri  ornata  donna  e  bella; 
che  fra  strepito  d'arme  e  di  cavalli, 
e  fra  punte  di  lance  e  di  quadrella, 
dove  si  sparga  sangue  e  si  dia  morte, 
costei  si  truovi,  oltre  ogni  creder  forte. 

CXIII 

Spinge  il  cavallo,  e  ne  la  turba  sciocca 

con  Pasta  bassa  impetuosa  fere; 

e  chi  nel  collo  e  chi  nel  petto  imbrocca, 

e  fa  con  1'urto  or  questo  or  quel  cadere: 

poi  con  la  spada  uno  et  un  altro  tocca, 

e  fa  qual  senza  capo  rimanere, 

e  qual  con  rotto,  e  qual  passato  al  fiance, 

e  qual  del  braccio  privo  o  destro  o  manco. 

cxiv 

L'ardito  Astolfo  e  il  forte  Sansonetto, 
ch'avean  con  lei  vestita  e  piastra  e  maglia, 
ben  che  non  venner  gia  per  tale  effetto, 
pur,  vedendo  attaccata  la  battaglia, 
abbassan  la  visiera  de  Felmetto, 
e  poi  la  lancia  per  quella  canaglia; 
et  indi  van  con  la  tagliente  spada 
di  qua  di  la  facendosi  far  strada. 

cxv 

I  cavallieri  di  nazion  diverse, 
ch'erano  per  giostrar  quivi  ridutti, 
vedendo  Tarme  in  tal  furor  converse, 
e  gli  aspettati  giuochi  in  gravi  lutti 
(che  la  cagion  ch'avesse  di  dolerse 
la  plebe  irata  non  sapeano  tutti, 
ne  ch'al  re  tanta  ingiuria  fosse  fatta), 
stavan  con  dubbia  mente  e  stupefatta. 


438  ORLANDO   FURIOSO 

CXVI 

Di  ch'altri  a  favorir  la  turba  venne, 
che  tardi  poi  non  se  ne  fu  a  pentire; 
altri,  a  cui  la  citta  piu  non  attenne 
che  gli  stranieri,  accorse  a  dipartire; 
altri,  piu  saggio,  in  man  la  briglia  tenne, 
mirando  dove  questo  avesse  a  uscire. 
Di  quelli  fu  Grifone  et  Aquilante, 
che  per  vendicar  Tarme  andaro  inante. 

CXVII 

Essi,  vedendo  il  re  che  di  veneno 
avea  le  luci  inebriate  e  rosse, 
et  essendo  da  molti  instrutti  a  pieno 
de  la  cagion  che  la  discordia  mosse, 
e  parendo  a  Grifon  che  sua,  non  meno 
che  del  re  Norandin,  ringiuria  fosse; 
s'avean  le  lance  fatte  dar  con  fretta, 
e  venian  fulminando  alia  vendetta. 

cxvm 

Astolfo  d'altra  parte  Rabicano 
venia  spronando  a  tutti  gli  altri  inante, 
con  Tincantata  lancia  d'oro  in  mano, 
ch'al  fiero  scontro  abbatte  ogni  giostrante. 
Feri  con  essa  e  lascio  steso  al  piano 
prima  Grifone,  e  poi  trovo  Aquilante; 
e  de  lo  scudo  tocco  Porlo  a  pena, 
che  lo  gitt6  riverso  in  su  1'arena. 

cxix 

I  cavallier  di  pregio  e  di  gran  pruova 
votan  le  selle  inanzi  a  Sansonetto. 
L'uscita  de  la  piazza  il  popul  truova: 
il  re  n'arrabbia  d'ira  e  di  dispetto. 
Con  la  prima  corazza  e  con  la  nuova 
Marfisa  intanto,  e  1'uno  e  Paltro  elmetto, 
poi  che  si  vide  a  tutti  dare  il  tergo, 
vincitrice  venia  verso  Palbergo. 


CANTO    DECIMOTTAVO  439 

CXX 

Astolfo  e  Sansonetto  non  fur  lenti 
a  seguitarla,  e  seco  a  ritornarsi 
verso  la  porta  (che  tutte  le  genti 
gli  davan  loco),  et  al  rastrel  fermarsi. 
Aquilante  e  Grifon,  troppo  dolenti 
di  vedersi  a  uno  incontro  riversarsi, 
tenean  per  gran  vergogna  il  capo  chino, 
ne  ardian  venire  inanzi  a  Norandino. 

cxxi 

Presi  e  montati  c'hanno  i  lor  cavalli, 
spronano  dietro  agli  nirnici  in  fretta. 
Li  segue  il  re  con  molti  suoi  vasalli, 
tutti  pronti  o  alia  morte  o  alia  vendetta. 
La  sciocca  turba  grida:  —  Dalli  dalli!  — 
e  sta  lontana,  e  le  novelle  aspetta. 
Grifone  arriva  ove  volgean  la  fronte 
i  tre  compagni,  et  avean  preso  il  ponte. 

CXXII 

A  prima  giunta  Astolfo  raffigura, 
ch'avea  quelle  medesime  divise, 
avea  il  cavallo,  avea  quella  armatura 
ch'ebbe  dal  di  ch'Orril  fatale  uccise. 
Ne  miratol,  ne  posto  gli  avea  cura, 
quando  in  piazza  a  giostrar  seco  si  rnise: 
quivi  il  conobbe,  e  salutollo;  e  poi 
gli  domand6  de  li  compagni  suoi, 

CXXIII 

e  perche  tratto  avean  quell'arme  a  terra, 
portando  al  re  si  poca  riverenza. 
Di  suoi  compagni  il  duca  d'Inghilterra 
diede  a  Grifon  non  falsa  conoscenza: 
de  Tarme  ch'attaccate  avean  la  guerra, 
disse  che  non  n'avea  troppa  scienza; 
ma  perche  con  Marfisa  era  venuto, 
dar  le  volea  con  Sansonetto  aiuto. 


44°  ORLANDO   FURIOSO 

CXXIV 

Quivi  con  Grifon  stando  il  paladino, 
viene  Aquilante,  e  lo  conosce  tosto 
che  parlar  col  fratel  1'ode  vicino, 
e  il  voler  cangia,  ch'era  mal  disposto. 
Giungean  molti  di  quei  di  Norandino, 
ma  troppo  non  ardian  venire  accosto; 
e  tanto  piu,  vedendo  i  parlamenti, 
stavano  cheti,  e  per  udire  intenti. 

cxxv 

Alcun  ch'intende  quivi  esser  Marfisa, 
che  tiene  al  mondo  il  vanto  in  esser  forte, 
volta  il  cavallo,  e  Norandino  avisa 
che  s'oggi  non  vuol  perder  la  sua  corte, 
proveggia,  prima  che  sia  tutta  uccisa, 
di  man  trarla  a  Tesifone  e  alia  Morte; 
perche  Marfisa  veramente  e  stata, 
che  1'armatura  in  piazza  gli  ha  levata. 

cxxvi 

Come  re  Norandino  ode  quel  nome 
cosi  temuto  per  tutto  Levante, 
che  facea  a  molti  anco  arricciar  le  chiome, 
ben  che  spesso  da  lor  fosse  distante, 
e  certo  che  ne  debbia  venir  come 
dice  quel  suo,  se  non  provede  inante; 
pero  gli  suoi,  che  gia  mutata  1'ira 
hanno  in  timore,  a  se  richiama  e  tira. 

cxxvn 

Da  Paltra  parte  i  figli  d'Oliviero 
con  Sansonetto  e  col  figliuol  d'Otone, 
supplicando  a  Marfisa,  tanto  fero, 
che  si  die  fine  alia  crudel  tenzone. 
Marfisa,  giunta  al  re,  con  viso  altiero 
disse :  —  lo  non  so,  signor,  con  che  ragione 
vogli  quest'arme  dar,  che  tue  non  sono, 
al  vincitor  de  le  tue  giostre  in  dono. 


CANTO    DECIMOTTAVO  441 

CXXVIII 

Mie  sono  Parme,  e  'n  mezzo  de  la  via 
che  vien  d'Armenia,  un  giorno  le  lasciai, 
perche  seguire  a  pie  mi  convenia 
un  rubator  che  m'avea  offesa  assai: 
e  la  mia  insegna  testimon  ne  fia, 
che  qui  si  vede,  se  notizia  n'hai.  — 
E  la  mostro  ne  la  corazza  impressa, 
ch'era  in  tre  parti  una  corona  fessa. 

cxxix 

—  Gli  e  ver  —  rispose  il  re  —  che  mi  fur  date, 
son  pochi  di,  da  un  mercatante  armeno; 
e  se  voi  me  Tavesse  domandate, 
1'avreste  avute,  o  vostre  o  no  che  sieno; 
ch'avenga  ch'a  Grifon  gia  Pho  donate, 
ho  tanta  fede  in  lui,  che  nondimeno, 
accio  a  voi  darle  avessi  anche  potuto, 
volentieri  il  mio  don  m'avria  renduto. 

cxxx 

Non  bisogna  allegar,  per  farmi  fede 
che  vostre  sien,  che  tengan  vostra  insegna : 
basti  il  dirmelo  voi;  che  vi  si  crede 
piu  ch'a  qual  altro  testimonio  vegna. 
Che  vostre  sian  vostr'arme  si  conciede 
alia  virtu  di  maggior  premio  degna. 
Or  ve  Pabbiate,  e  piu  non  si  contenda; 
e  Grifon  maggior  premio  da  me  prenda.  — 

cxxxi 

Grifon  che  poco  a  cor  avea  queirarme, 
ma  gran  disio  che  '1  re  si  satisfaccia, 
gli  disse :  —  Assai  potete  compensarme, 
se  mi  fate  saper  ch'io  vi  compiaccia.  — 
Tra  se  disse  Marfisa:  ccEsser  qui  parme 
Tonor  mio  in  tutto»,  e  con  benigna  faccia 
voile  a  Grifon  de  Farme  esser  cortese; 
e  fmalmente  in  don  da  lui  le  prese. 


442  ORLANDO   FURIOSO 

CXXXII 

Ne  la  citta  con  pace  e  con  amore 
tornaro,  ove  le  feste  raddoppiarsi. 
Poi  la  giostra  si  fej,  di  che  1'onore 
e  Jl  pregio  Sansonetto  fece  darsi; 
ch'Astolfo  e  i  duo  fratelli  e  la  migliore 
di  lor,  Marfisa,  non  volson  provarsi, 
cercando,  com'amici  e  buon  compagni, 
che  Sansonetto  il  pregio  ne  guadagni. 

CXXXIII 

Stati  che  sono  in  gran  piacere  e  in  festa 
con  Norandino  otto  giornate  o  diece, 
perche  Tamor  di  Francia  gli  molesta, 
che  lasciar  senza  lor  tanto  non  lece, 
tolgon  licenzia;  e  Marfisa,  che  questa 
via  disiava,  compagnia  lor  fece. 
Marfisa  avuto  avea  lungo  disire 
al  paragon  dei  paladin  venire, 

CXXXIV 

e  far  esperienzia  se  Teffetto 

si  pareggiava  a  tanta  nominanza. 

Lascia  un  altro  in  suo  loco  Sansonetto, 

che  di  Jerusalem  regga  la  stanza. 

Or  questi  cinque  in  un  drappello  eletto, 

che  pochi  pari  al  mondo  han  di  possanza, 

licenziati  dal  re  Norandino, 

vanno  a  Tripoli  e  al  mar  che  v'e  vicino. 

cxxxv 

E  quivi  una  caracca  ritrovaro, 
che  per  Ponente  mercanzie  raguna. 
Per  loro  e  pei  cavalli  s'accordaro 
con  un  vecchio  patron  ch'era  da  Luna. 
Mostrava  d'ogn'intorno  il  tempo  chiaro, 
ch'avrian  per  molti  di  buona  fortuna. 
Sciolser  dal  lito,  avendo  aria  serena, 
e  di  buon  vento  ogni  lor  vela  piena. 


CANTO    DECIMOTTAVO  443 

CXXXVI 

L'isola  sacra  alPamorosa  dea 
diede  lor  sotto  un'aria  il  prime  porto, 
che  non  ch'a  offender  gli  uornini  sia  rea, 
ma  stempra  il  ferro,  e  quivi  e  '1  viver  corto. 
Cagion  n'e  un  stagno:  e  certo  non  dovea 
Natura  a  Famagosta  far  quel  torto 
d'appressarvi  Costanza  acre  e  malign  a, 
quando  al  resto  di  Cipro  e  si  benigna. 

cxxxvn 

II  grave  odor  che  la  palude  esala 
non  lascia  al  legno  far  troppo  soggiorno. 
Quindi  a  un  greco-levante  spiego  ogni  ala, 
volando  da  man  destra  a  Cipro  intorno, 
e  surse  a  Pafo,  e  pose  in  terra  scala; 
e  i  naviganti  uscir  nel  lito  adorno, 
chi  per  merce  levar,  chi  per  vedere 
la  terra  d'amor  piena  e  di  piacere. 

CXXXVIII 

Dal  mar  sei  miglia  o  sette,  a  poco  a  poco 
si  va  salendo  inverso  il  colle  ameno. 
Mirti  e  cedri  e  naranci  e  lauri  il  loco, 
e  mille  altri  soavi  arbori  ban  pieno. 
Serpillo  e  persa  e  rose  e  gigli  e  croco 
sp argon  da  Podorifero  terreno 
tanta  suavita,  ch'in  mar  sentire 
la  fa  ogni  vento  cbe  da  terra  spire. 

cxxxix 

Da  limpida  fontana  tutta  quella 
piaggia  rigando  va  un  ruscel  fecondo. 
Ben  si  pu6  dir  che  sia  di  Vener  bella 
il  luogo  dilettevole  e  giocondo; 
che  v'e  ogni  donna  affatto,  ogni  donzella 
piacevol  piu  ch'altrove  sia  nel  mondo: 
e  fa  la  dea  che  tutte  ardon  d'amore, 
giovani  e  vecchie,  infino  alPultime  ore. 


444  ORLANDO   FURIOSO 

CXL 

Quivi  odono  il  medesimo  ch'udito 
di  Lucina  e  de  1'Orco  hanno  in  Soria, 
e  come  di  tornare  ella  a  marito 
facea  nuovo  apparecchio  in  Nicosia. 
Quindi  il  padrone  (essendosi  espedito, 
e  spirando  buon  vento  alia  sua  via) 
1'ancore  sarpa,  e  fa  girar  la  proda 
verso  ponente,  et  ogni  vela  snoda. 

CXLI 

Al  vento  di  maestro  alz6  la  nave 
le  vele  all'orza,  et  allargossi  in  alto. 
Un  ponente-libecchio,  che  soave 
parve  a  principio  e  fin  che  '1  sol  stette  alto, 
e  poi  si  fe'  verso  la  sera  grave, 
le  leva  incontra  il  mar  con  fiero  assalto, 
con  tanti  tuoni  e  tanto  ardor  di  lampi, 
che  par  che  '1  ciel  si  spezzi  e  tutto  avampi. 

CXLII 

Stendon  le  nubi  un  tenebroso  velo 
che  ne  sole  apparir  lascia  ne*  Stella. 
Di  sotto  il  mar,  di  sopra  mugge  il  cielo, 
il  vento  d'ogn'intorno,  e  la  procella 
che  di  pioggia  oscurissima  e  di  gelo 
i  naviganti  miseri  flagella: 
e  la  notte  piu  sempre  si  diffonde 
sopra  1'irate  e  formidabil  onde. 

CXLIII 

I  naviganti  a  dimostrare  effetto 

vanno  de  Parte  in  che  lodati  sono : 

chi  discorre  fischiando  col  fraschetto, 

e  quanto  han  gli  altri  a  far,  mostra  col  suono; 

chi  Fancore  apparechia  da  rispetto, 

e  chi  al  mainare  e  chi  alia  scotta  e  buono; 

chi  '1  timone,  chi  1'arbore  assicura, 

chi  la  coperta  di  sgombrare  ha  cura. 


CANTO    DECIMOTTAVO  445 

CXLIV 

Crebbe  il  tempo  crudel  tutta  la  notte, 
caliginosa  e  piu  scura  ch'inferno. 
Tien  per  Palto  il  padrone,  ove  men  rotte 
crede  1'onde  trovar,  dritto  il  governo; 
e  volta  ad  or  ad  or  contra  le  botte 
del  mar  la  proda,  e  de  Tombi!  verno, 
non  senza  speme  mai  che,  come  aggiorni, 
cessi  fortuna,  o  piu  placabil  torni. 

CXLV 

Non  cessa  e  non  si  placa,  e  piu  furore 
mostra  nel  giorno,  se  pur  giorno  e  questo, 
che  si  conosce  al  numerar  de  Tore, 
non  che  per  lume  gia  sia  manifesto. 
Or  con  minor  speranza  e  piu  timore 
si  da  in  poter  del  vento  il  padron  mesto: 
volta  la  poppa  alPonde,  e  il  mar  crudele 
scorrendo  se  ne  va  con  umil  vele. 

CXLVI 

Mentre  Fortuna  in  mar  questi  travaglia, 
non  lascia  anco  posar  quegli  altri  in  terra, 
che  sono  in  Francia,  ove  s'uccide  e  taglia 
coi  Sar acini  il  popul  d'Inghilterra. 
Quivi  Rinaldo  assale,  apre  e  sbaraglia 
le  schiere  awerse,  e  le  bandiere  atterra. 
Dissi  di  lui,  che  *1  suo  destrier  Baiardo 
mosso  avea  contra  a  Dardinel  gagliardo. 

CXLVII 

Vide  Rinaldo  il  segno  del  quartiero, 
di  che  superbo  era  il  figliuol  d' Almonte; 
e  lo  stimo  gagliardo  e  buon  guerriero, 
che  concorrer  d'insegna  ardia  col  conte. 
Venne  piu  appresso,  e  gli  parea  piu  vero; 
ch'avea  d'intorno  uomini  uccisi  a  monte. 
—  Meglio  e  —  grido  —  che  prima  io  svella  e  spenga 
questo  mal  germe,  che  maggior  divenga.  — 


446  ORLANDO   FURIOSO 

CXLVIII 

Dovunque  il  viso  drizza  il  paladino, 
levasi  ognuno,  e  gli  da  larga  strada; 
ne  men  sgombra  il  fedel  che  '1  Saracino, 
si  reverita  e  la  famosa  spada. 
Rinaldo,  fuor  che  Dardinel  meschino, 
non  vede  alcuno,  e  lui  seguir  non  bada. 
Grida:  —  Fanciullo,  gran  briga  ti  diede 
chi  ti  lascio  di  questo  scudo  erede. 

CXLIX 

Vengo  a  te  per  provar,  se  tu  m'attendi, 
come  ben  guardi  il  quartier  rosso  e  bianco; 
che  s'ora  contra  me  non  lo  difendi, 
difender  contra  Orlando  il  potrai  manco.  — 
Rispose  Dardinello :  —  Or  chiaro  apprendi 
che  s'io  lo  porto,  il  so  difender  anco; 
e  guadagnar  phi  onor  che  briga  posso 
del  paterno  quartier  candido  e  rosso. 

CL 

Perche  fanciullo  io  sia,  non  creder  farme 

pero  ruggire,  o  che  '1  quartier  ti  dia: 

la  vita  mi  torrai,  se  mi  toi  Parme; 

ma  spero  in  Dio  ch'anzi  il  contrario  fia. 

Sia  quel  che  vuol,  non  potra  alcun  biasmarme 

che  mai  traligni  alia  progenie  mia.  — 

Cosi  dicendo,  con  la  spada  in  mano 

assalse  il  cavallier  da  Montalbano. 

CLI 

Un  timor  freddo  tutto  '1  sangue  oppresse 

che  gli  Africani  aveano  intorno  al  core, 

come  vider  Rinaldo  che  si  messe 

con  tanta  rabbia  incontra  a  quel  signore, 

con  quanta  andria  un  leon  ch'al  prato  avesse 

visto  un  torel  ch'ancor  non  senta  amore. 

II  primo  che  feri,  fu  '1  Saracino; 

ma  picchi6  invan  su  1'elmo  di  Mambrino. 


CANTO    DECIMOTTAVO  447 

CLU 

Rise  Rinaldo,  e  disse:—  lo  vo'  tu  senta, 

s'io  so  meglio  di  te  trovar  la  vena.  — 

Sprona,  e  a  un  tempo  al  destrier  la  briglia  allenta, 

e  d'una  punta  con  tal  forza  mena, 

d'una  punta  ch'al  petto  gli  appresenta, 

che  gli  la  fa  apparir  dietro  alia  schena. 

Quella  trasse,  al  tornar,  Talma  col  sangue  : 

di  sella  il  corpo  usci  freddo  et  esangue. 

CLIII 

Come  purpureo  fior  languendo  muore, 
che  'I  vomere  al  passar  tagliato  lassa ; 
o  come  carco  di  superchio  umore 
il  papaver  ne  Porto  il  capo  abbassa: 
cosi,  giu  de  la  faccia  ogni  colore 
cadendo,  Dardinel  di  vita  passa; 
passa  di  vita,  e  fa  passar  con  lui 
Tardire  e  la  virtu  de  tutti  i  sui. 

CLIV 

Qual  soglion  Facque  per  umano  ingegno 
stare  ingorgate  alcuna  volta  e  chiuse, 
che  quando  lor  vien  poi  rotto  il  sostegno, 
cascano,  e  van  con  gran  rumor  difuse; 
tal  gli  African,  ch'avean  qualche  ritegno 
mentre  virtu  lor  Dardinello  infuse, 
ne  vanno  or  sparti  in  questa  parte  e  in  quella, 
che  Than  veduto  uscir  morto  di  sella. 

CLV 

Chi  vuol  fuggir,  Rinaldo  fuggir  lassa, 
et  attende  a  cacciar  chi  vuol  star  saldo. 
Si  cade  ovunque  Ariodante  passa, 
che  molto  va  quel  di  presso  a  Rinaldo. 
Altri  Lionetto,  altri  Zerbin  fracassa, 
a  gara  ognuno  a  far  gran  prove  caldo. 
Carlo  fa  il  suo  dover,  lo  fa  Oliviero, 
Turpino  e  Guido  e  Salamone  e  Ugiero. 


448  ORLANDO    FURIOSO 

CLVI 

I  Mori  fur  quel  giorno  in  gran  periglio 
che  Jn  Pagania  non  ne  tornasse  testa; 
ma  '1  saggio  re  di  Spagna  da  di  piglio, 
e  se  ne  va  con  quel  che  in  man  gli  resta. 
Restar  in  danno  tien  miglior  consiglio, 
che  tutti  i  denar  perdere  e  la  vesta: 
meglio  e  ritrarsi,  e  salvar  qualche  schiera, 
che  stando  esser  cagion  che  '1  tutto  pera. 

CLVII 

Verso  gli  alloggiamenti  i  segni  invia, 
ch'eron  serrati  d'argine  e  di  fossa, 
con  Stordilan,  col  re  d'Andologia, 
col  Portughese  in  una  squadra  grossa. 
Manda  a  pregar  il  re  di  Barb  aria 
che  si  cerchi  ritrar  meglio  che  possa; 
e  se  quel  giorno  la  persona  e  '1  loco 
potra  salvar,  non  avra  fatto  poco. 

CLVIII 

Quel  re  che  si  tenea  spacciato  al  tutto, 
ne  mai  credea  piii  riveder  Biserta, 
che  con  viso  si  orribile  e  si  brutto 
unquanco  non  avea  Fortuna  esperta, 
s'allegro  che  Marsilio  avea  ridutto 
parte  del  campo  in  sicurezza  certa: 
et  a  ritrarsi  comincio,  e  a  dar  volta 
alle  bandiere,  e  fej  sonar  raccolta. 

CLIX 

Ma  la  piu  parte  de  la  gente  rotta 
ne  tromba  ne  tambur  ne  segno  ascolta: 
tanta  fu  la  vilta,  tanta  la  dotta, 
ch'in  Senna  se  ne  vide  affogar  molta. 
II  re  Agramante  vuol  ridur  la  frotta: 
seco  ha  Sobrino,  e  van  scorrendo  in  volta; 
e  con  lor  s'affatica  ogni  buon  duca, 
che  nei  ripari  il  campo  si  riduca. 


CANTO    DECIMOTTAVO  449 

CLX 

Ma  ne  il  re,  ne  Sobrin,  ne  duca  alcuno 
con  prieghi,  con  minaccie,  con  affanno 
ritrar  puo  il  terzo,  non  ch'io  dica  ognuno, 
dove  I'insegne  mal  seguite  vanno. 
Morti  o  fuggiti  ne  son  dua  per  uno 
che  ne  rimane,  e  quel  non  senza  danno: 
ferito  e  chi  di  dietro  e  chi  davanti; 
ma  travagliati  e  lassi  tutti  quanti. 

CLXI 

E  con  gran  tema  fin  dentro  alle  porte 
dei  forti  allogiamenti  ebbon  la  caccia: 
et  era  lor  quel  luogo  anco  mal  forte, 
con  ogni  proveder  che  vi  si  faccia 
(che  ben  pigliar  nel  crin  la  buona  sorte 
Carlo  sapea,  quando  volgea  la  faccia), 
se  non  venia  la  notte  tenebrosa, 
che  stacc6  il  fatto,  et  acquetb  ogni  cosa, 

CLXII 

dal  Creator  accelerata  forse, 
che  de  la  sua  fattura  ebbe  pietade. 
Ondeggio  il  sangue  per  campagna,  e  corse 
come  un  gran  flume,  e  dilago  le  strade. 
Ottantamila  corpi  numerorse, 
che  fur  quel  di  messi  per  fil  di  spade. 
Villani  e  lupi  uscir  poi  de  le  grotte 
a  dispogliargli  e  a  devorar  la  notte. 

CLXIII 

Carlo  non  torna  piu  dentro  alia  terra, 

ma  contra  gli  nimici  fuor  s'accampa, 

et  in  assedio  le  lor  tende  serra, 

et  alti  e  spessi  fuochi  intorno  avampa. 

II  pagan  si  provede,  e  cava  terra, 

fossi  e  ripari  e  bastioni  stampa; 

va  rivedendo,  e  tien  le  guardie  deste, 

ne  tutta  notte  mai  Tarme  si  sveste. 


450  ORLANDO   FURIOSO 

CLXIV 

Tutta  la  notte  per  gli  alloggiamenti 
dei  malsicuri  Saracini  oppress! 
si  versan  pianti,  gemiti  e  lamenti, 
ma  quanto  piu  si  puo,  cheti  e  soppressi. 
Altri,  perche  gli  amici  hanno  e  i  parenti 
lasciati  morti,  et  altri  per  se  stessi, 
che  son  feriti,  e  con  disagio  stanno: 
ma  piu  e  la  tema  del  futuro  danno. 

CLXV 

Duo  Mori  ivi  fra  gli  altri  si  trovaro, 
d'oscura  stirpe  nati  in  Tolomitta; 
de'  quai  I'istoria,  per  esempio  raro 
di  vero  amore,  e  degna  esser  descritta. 
Cloridano  e  Medor  si  nominaro, 
ch'alla  fortuna  prospera  e  alia  afflitta 
aveano  sempre  amato  Dardinello, 
et  or  passato  in  Francia  il  mar  con  quello. 

CLXVI 

Cloridan,  cacciator  tutta  sua  vita, 
di  robusta  persona  era  et  isnella; 
Medoro  avea  la  guancia  colorita 
e  bianca  e  grata  ne  la  eta  novella, 
e  fra  la  gente  a  quella  impresa  uscita 
non  era  faccia  piu  gioconda  e  bella. 
Occhi  avea  neri,  e  chioma  crespa  d'oro: 
angel  parea  di  quei  del  sommo  coro. 

CLXVII 

Erano  questi  duo  sopra  i  ripari 

con  molti  altri  a  guardar  gli  alloggiamenti, 

quando  la  Notte  fra  distanzie  pari 

mirava  il  ciel  con  gli  occhi  sonnolenti. 

Medoro  quivi  in  tutti  i  suoi  parlari 

non  pu6  far  che  '1  signer  suo  non  rammenti, 

Dardinello  d' Almonte,  e  che  non  piagna 

che  resti  senza  onor  ne  la  campagna. 


CANTO    DECIMOTTAVO  45! 

CLXVIII 

Volto  al  compagno,  disse :  —  O  Cloridano, 
io  non  ti  posso  dir  quanto  m'incresca 
del  mio  signor,  che  sia  rimaso  al  piano, 
per  lupi  e  corbi,  ohime!  troppo  degna  esca. 
Pensando  come  sempre  mi  fu  umano, 
mi  par  che  quando  ancor  questa  anima  esca 
in  onor  di  sua  fama,  io  non  compensi 
ne  sciolga  verso  lui  gli  oblighi  immensi. 

CLXIX 

Io  voglio  andar,  perche  non  stia  insepulto 
in  mezzo  alia  campagna,  a  ritrovarlo: 
e  forse  Dio  vorra  ch'io  vada  occulto 
la  dove  tace  il  campo  del  re  Carlo. 
Tu  rimarrai;  che  quando  in  ciel  sia  sculto 
ch'io  vi  debba  morir,  potrai  narrarlo: 
che  se  Fortuna  vieta  si  belP op ra, 
per  fama  almeno  il  mio  buon  cor  si  scuopra.  — 

CLXX 

Stupisce  Cloridan,  che  tanto  core, 
tanto  amor,  tanta  fede  abbia  un  fanciullo  : 
e  cerca  assai,  perche  gli  porta  amore, 
di  fargli  quel  pensiero  irrito  e  nullo; 
ma  non  gli  val,  perch'un  si  gran  dolore 
non  riceve  conforto  ne  trastullo. 
Medoro  era  disposto  o  di  morire, 
o  nella  tomba  il  suo  signor  coprire, 

CLXXI 

Veduto  che  nol  piega  e  che  nol  muove, 
Cloridan  gli  risponde :  —  E  verro  anch'io, 
anch'io  vuo'  pormi  a  si  lodevol  pruove, 
anch'io  famosa  morte  amo  e  disio. 
Qual  cosa  sara  mai  che  piu  mi  giove, 
s'io  resto  senza  te,  Medoro  mio  ? 
Morir  teco  con  Tarme  e  meglio  molto, 
che  poi  di  duol,  s'awien  che  mi  sii  tolto.  — 


452  ORLANDO   FURIOSO 

CLXXII 

Cosi  disposti,  messero  in  quel  loco 
le  successive  guardie,  e  se  ne  vanno. 
Lascian  fosse  e  steccati,  e  dopo  poco 
tra'  nostri  son,  che  senza  cura  stanno. 
II  campo  dorme,  e  tutto  e  spento  il  fuoco, 
perche  dei  Saracin  poca  tema  hanno. 
Tra  1'arme  e'  carriaggi  stan  roversi, 
nel  vin,  nel  sonno  insino  agli  occhi  immersi. 

CLXXIII 

Fermossi  alquanto  Cloridano,  e  disse: 
—  Non  son  mai  da  lasciar  1'occasioni. 
Di  questo  stuol  che  '1  mio  signer  trafisse, 
non  debbo  far,  Medoro,  occisioni? 
Tu,  perche  sopra  alcun  non  ci  venisse, 
gli  occhi  e  1'orecchi  in  ogni  parte  poni; 
ch'io  nVofferisco  farti  con  la  spada 
tra  gli  nimici  spaziosa  strada.  — 

CLXXIV 

Cosi  disse  egli,  e  tosto  il  parlar  tenne, 
et  entro  dove  il  dotto  Alfeo  dormia, 
che  Panno  inanzi  in  corte  a  Carlo  venne, 
medico  e  mago  e  pien  d'astrologia: 
ma  poco  a  questa  volta  gli  sovenne, 
anzi  gli  disse  in  tutto  la  bugia, 
Predetto  egli  s'avea  che  d'anni  pieno 
dovea  morire  alia  sua  moglie  in  seno : 

CLXXV 

et  or  gli  ha  messo  il  cauto  Saracino 
la  punta  de  la  spada  ne  la  gola. 
Quattro  altri  uccide  appresso  all'mdovino, 
che  non  han  tempo  a  dire  una  parola: 
menzion  dei  nomi  lor  non  fa  Turpino, 
e  '1  lungo  andar  le  lor  notizie  invola; 
dopo  essi  Palidon  da  Moncalieri, 
che  sicuro  dormia  fra  duo  destrieri. 


CANTO    DECIMOTTAVO  453 

CLXXVI 

Poi  se  ne  vien  dove  col  capo  giace 
appoggiato  al  barile  II  miser  Grillo: 
avealo  voto,  e  avea  creduto  in  pace 
godersi  un  sonno  placido  e  tranquillo. 
Troncogli  il  capo  il  Saracino  audace: 
esce  col  sangue  il  vin  per  uno  spillo, 
di  che  n'ha  in  corpo  phi  d'una  bigoncia; 
e  di  ber  sogna,  e  Cloridan  lo  sconcia. 

CLXXVII 

E  presso  a  Grillo,  un  Greco  et  un  Tedesco 
spenge  in  dui  colpi,  Andropono  e  Conrado, 
che  de  la  notte  avean  goduto  al  fresco 
gran  parte,  or  con  la  tazza,  ora  col  dado: 
felici,  se  vegghiar  sapeano  a  desco 
fin  che  de  Tlndo  il  sol  passassi  il  guado. 
Ma  non  potria  negli  uomini  il  destino, 
se  del  futuro  ognun  fosse  in  do  vino. 

CLXXVIII 

Come  impasto  leone  in  stalla  piena, 
che  lunga  fame  abbia  smacrato  e  asciutto, 
uccide,  scanna,  mangia,  a  strazio  mena 
Tinfermo  gregge  in  sua  balia  condutto; 
cosi  il  crudel  pagan  nel  sonno  svena 
la  nostra  gente,  e  fa  macel  per  tutto. 
La  spada  di  Medoro  anco  non  ebe ; 
ma  si  sdegna  ferir  1'ignobil  plebe. 

CLXXIX 

Venuto  era  ove  il  duca  di  Labretto 
con  una  dama  sua  dormia  abbracciato; 
e  Fun  con  Taltro  si  tenea  si  stretto, 
che  non  saria  tra  lor  Paere  entrato. 
Medoro  ad  ambi  taglia  il  capo  netto. 
Oh  felice  morire!  oh  dolce  fato! 
che  come  erano  i  corpi,  ho  cosi  fede 
ch'andar  Talme  abbracciate  alia  lor  sede. 


454  ORLANDO   FURIOSO 

CLXXX 

Malindo  uccise  e  Ardalico  il  fratello, 

che  del  conte  di  Fiandra  erano  figli ; 

e  1'uno  e  1'altro  cavallier  novello 

fatto  avea  Carlo,  e  aggiunto  alParme  i  gigli, 

perche*  il  giorno  amendui  d'ostil  macello 

con  gli  stocchi  tornar  vide  vermigli: 

e  terre  in  Frisa  avea  promesso  loro, 

e  date  avria;  ma  lo  viet6  Medoro. 

CLXXXI 

Grinsidiosi  ferri  eran  vicmi 
ai  padiglioni  che  tiraro  in  volta 
al  padigHon  di  Carlo  i  paladini, 
facendo  ognun  la  guardia  la  sua  volta; 
quando  da  Pempia  strage  i  Saracini 
trasson  le  spade,  e  diero  a  tempo  volta; 
ch'impossibil  lor  par,  tra  si  gran  torma, 
che  non  s'abbia  a  trovar  un  che  non  dorma. 

CLXXXII 

E  ben  che  possan  gir  di  preda  carchi, 
salvin  pur  se,  che  fanno  assai  guadagno. 
Ove  piu  creda  aver  sicuri  i  varchi 
va  Cloridano,  e  dietro  ha  il  suo  compagno. 
Vengon  nel  campo,  ove  fra  spade  et  archi 
e  scudi  e  lance  in  un  vermiglio  stagno 
giaccion  poveri  e  ricchi,  e  re  e  vassalli, 
e  sozzopra  con  gli  uomini  i  cavalli. 

CLXXXIII 

Quivi  dei  corpi  Porrida  mistura, 
che  piena  avea  la  gran  campagna  intorno, 
potea  far  vaneggiar  la  fedel  cura 
dei  duo  compagni  insino  al  far  del  giorno, 
se  non  traea  fuor  d'una  nube  oscura, 
a*  prieghi  di  Medor,  la  Luna  il  corno. 
Medoro  in  ciel  divotamente  fisse 
verso  la  Luna  gli  occhi,  e  cosi  disse: 


CANTO    DECIMOTTAVO  455 

CLXXXIV 

—  O  santa  dea,  che  dagli  antiqui  nostri 
debitamente  sei  detta  triforme; 
ch'in  cielo,  in  terra  e  ne  1'inferno  rnostri 
Talta  bellezza  tua  sotto  piu  forme, 
e  ne  le  selve,  di  fere  e  di  mostri 
vai  cacciatrice  seguitando  Forme; 
mostrami  ove  51  mio  re  giaccia  fra  tanti, 
che  vivendo  imito  tuoi  studi  santi.  — 

CLXXXV 

La  Luna  a  quel  pregar  la  nube  aperse 

(o  fosse  caso  o  pur  la  tanta  fede), 

bella  come  fu  allor  ch'ella  s'offerse, 

e  nuda  in  braccio  a  Endimion  si  diede. 

Con  Parigi  a  quel  lume  si  scoperse 

Tun  campo  e  1'altro;  e  Jl  monte  e  '1  pian  si  vede: 

si  videro  i  duo  colH  di  lontano, 

Martire  a  destra,  e  Leri  alPaltra  mano. 

CLXXXVI 

Rifulse  lo  splendor  molto  piu  chiaro 
ove  d' Almonte  giacea  morto  il  figlio. 
Medoro  and6  piangendo  al  signor  caro; 
che  conobbe  il  quartier  bianco  e  vermiglio: 
e  tutto  '1  viso  gli  bagn6  d'amaro 
pianto,  che  n'avea  un  rio  sotto  ogni  ciglio, 
in  si  dolci  atti,  in  si  dolci  lamenti, 
che  potea  ad  ascoltar  fermare  i  ventL 

CLXXXVII 

Ma  con  sommessa  voce  e  a  pena  udita; 
npn  che  riguardi  a  non  si  far  sentire, 
perch' abbia  alcun  pensier  de  la  sua  vita, 
piu  tosto  Todia,  e  ne  vorrebbe  uscire: 
ma  per  timor  che  non  gli  sia  impedita 
T opera  pia  che  quivi  il  fe'  venire. 
Fu  il  morto  re  sugli  omeri  sospeso 
di  tramendui,  tra  lor  partendo  il  peso. 


456  ORLANDO   FURIOSO 

CLXXXVIII 

Vanno  affrettando  i  passi  quanto  ponno, 
sotto  1'amata  soma  che  gFingombra. 
E  gia  venia  chi  de  la  luce  e  donno 
le  stelle  a  tor  del  ciel,  di  terra  1'ombra; 
quando  Zerbino,  a  cui  del  petto  il  sonno 
1'alta  virtude,  ove  e  bisogno,  sgombra, 
cacciato  avendo  tutta  notte  i  Mori, 
al  campo  si  traea  nei  primi  albori. 

CLXXXIX 

E  seco  alquanti  cavallieri  avea, 
che  videro  da  lunge  i  dui  compagni. 
Ciascuno  a  quella  parte  si  traea, 
sperandovi  trovar  prede  e  guadagni. 

—  Frate,  bisogna  -—  Cloridan  dicea 

—  gittar  la  soma,  e  dare  opra  ai  calcagni ; 
che  sarebbe  pensier  non  troppo  accorto, 
perder  duo  vivi  per  salvar  un  morto.  — 

cxc 

E  gitto  il  carco,  perch6  si  pensava 
che  Jl  suo  Medoro  il  simil  far  dovesse: 
ma  quel  meschin,  che  Jl  suo  signor  piu  amava, 
sopra  le  spalle  sue  tutto  lo  resse. 
L'altro  con  molta  fretta  se  n'andava, 
come  1'amico  a  paro  o  dietro  avesse: 
se  sapea  di  lasciarlo  a  quella  sorte, 
mille  aspettate  avria,  non  ch'una  morte. 

CXCI 

Quei  cavallier,  con  animo  disposto 
che  questi  a  render  s'abbino  o  a  morire, 
chi  qua  chi  la  si  spargono,  et  han  tosto 
preso  ogni  passo  onde  si  possa  uscire. 
Da  loro  il  capitan  poco  discosto, 
piu  degli  altri  e  sollicito  a  seguire; 
ch'in  tal  guisa  vedendoli  temere, 
certo  e  che  sian  de  le  nimiche  schiere. 


CANTO    DECIMOTTAVO  457 

CXCII 

Era  a  quel  tempo  ivi  una  selva  antica, 
d'ombrose  piante  spessa  e  di  virgulti, 
che  come  labirinto  entro  s'intrica 
di  stretti  calli  e  sol  da  bestie  culti. 
Speran  d'averla  i  duo  pagan  si  arnica, 
ch'abbi  a  tenerli  entro  a'  suoi  rami  occulti. 
Ma  chi  del  canto  mio  piglia  diletto, 
un'altra  volta  ad  ascoltarlo  aspetto. 


458  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO   DECIMONONO 


I 

Alcun  non  pu6  saper  da  chi  sia  amato, 
quando  felice  in  su  la  ruota  siede; 
pero  c'ha  i  veri  e  i  finti  amici  a  lato, 
che  mostran  tutti  una  medesma  fede. 
Se  poi  si  cangia  in  tristo  il  lieto  stato, 
volta  la  turba  adulatrice  il  piede; 
e  quel  che  di  cor  ama  riman  forte, 
et  ama  il  suo  signor  dopo  la  morte. 

n 

Se,  come  il  viso,  si  mostrasse  il  core, 
tal  ne  la  corte  e  grande  e  gli  altri  preme, 
e  tal  e  in  poca  grazia  al  suo  signore, 
che  la  lor  sorte  muteriano  insieme. 
Questo  umil  diverria  tosto  il  maggiore: 
staria  quel  grande  infra  le  turbe  estreme. 
Ma  torniamo  a  Medor  fedele  e  grato, 
che  'n  vita  e  in  morte  ha  il  suo  signore  amato. 

ill 

Cercando  gia  nel  piii  intricate  calle 
il  giovine  infelice  di  salvarsi; 
ma  il  grave  peso  ch'avea  su  le  spalle, 
gli  facea  uscir  tutti  i  partiti  scarsi. 
Non  conosce  il  paese,  e  la  via  falle, 
e  torna  fra  le  spine  a  invilupparsi. 
Lungi  da  lui  tratto  al  sicuro  s'era 
1'altro,  ch'avea  la  spalla  piu  leggiera. 


CANTO    DECIMONONO  459 

IV 

Cloridan  s'e  ridutto  ove  non  sente 
di  chi  segue  lo  strepito  e  il  rumore: 
ma  quando  da  Medor  si  vede  absente, 
gli  pare  aver  lasciato  a  dietro  il  core. 
—  Deh,  come  fui  —  dicea  —  si  negligente, 
deh,  come  fui  si  di  me  stesso  fuore, 
che  senza  te,  Medor,  qui  mi  ritrassi, 
ne  sappia  quando  o  dove  io  ti  lasciassi!  — 

v 

Cosi  dicendo,  ne  la  torta  via 
de  Tintricata  selva  si  ricaccia; 
et  onde  era  venuto  si  rawia, 
e  torna  di  sua  morte  in  su  la  traccia. 
Ode  i  cavalli  e  i  gridi  tuttavia, 
e  la  nimica  voce  che  minaccia: 
alPultimo  ode  il  suo  Medoro,  e  vede 
che  tra  molti  a  cavallo  e  solo  a  piede. 

VI 

Cento  a  cavallo,  e  gli  son  tutti  intorno : 
Zerbin  commanda  e  grida  che  sia  preso. 
L'infelice  s'aggira  com'un  torno, 
e  quanto  pu6  si  tien  da  lor  difeso, 
or  dietro  quercia,  or  olmo,  or  faggio,  or  orno, 
ne  si  discosta  mai  dal  caro  peso. 
L'ha  riposato  al  fin  su  Ferba,  quando 
regger  nol  puote,  e  gli  va  intorno  errando: 

VII 

come  orsa,  che  1'alpestre  cacciatore 

ne  la  pietrosa  tana  assalita  abbia, 

sta  sopra  i  figli  con  incerto  core, 

e  freme  in  suono  di  pieta  e  di  rabbia: 

ira  la  'nvita  e  natural  furore 

a  spiegar  Tugne  e  a  insanguinar  le  labbia; 

amor  la  'ntenerisce,  e  la  ritira 

a  riguardare  ai  figli  in  mezzo  Pira. 


460  ORLANDO  FURIOSO 

VIII 

Cloridan,  che  non  sa  come  Taiuti, 
e  ch'esser  vuole  a  morir  seco  ancora, 
ma  non  ch'in  morte  prima  il  viver  muti, 
che  via  non  truovi  ove  piu  d'un  ne  mora; 
mette  su  1'arco  un  de'  suoi  strali  acuti, 
e  nascoso  con  quel  si  ben  lavora, 
che  fora  ad  uno  Scotto  le  cervella, 
e  senza  vita  il  fa  cader  di  sella. 

IX 

Volgonsi  tutti  gli  altri  a  quella  banda 
ond'era  uscito  il  calamo  omicida. 
Intanto  un  altro  il  Saracin  ne  manda, 
perche  31  secondo  a  lato  al  primo  uccida; 
che  mentre  in  fretta  a  questo  e  a  quel  domanda 
chi  tirato  abbia  Farco,  e  forte  grida, 

10  strale  arriva  e  gli  passa  la  gola, 
e  gli  taglia  pel  mezzo  la  parola. 

x 

Or  Zerbin,  ch'era  il  capitano  loro, 
non  pote  a  questo  aver  pm  pazienza. 
Con  ira  e  con  furor  venne  a  Medoro, 
dicendo:  —  Ne  farai  tu  penitenza.  — 
Stese  la  mano  in  quella  chioma  d'oro, 
e  strascinollo  a  se  con  violenza: 
ma  come  gli  occhi  a  quel  bel  volto  mise, 
gli  ne  venne  pietade,  e  non  1'uccise. 

XI 

11  giovinetto  si  rivolse  a'  prieghi, 

e  disse:—  Cavallier,  per  lo  tuo  Dio, 
non  esser  si  crudel,  che  tu  mi  nieghi 
ch'io  sepelisca  il  corpo  del  re  mio. 
Non  voj  ch'altra  pieta  per  me  ti  pieghi, 
ne  pensi  che  di  vita  abbi  disio: 
ho  tanta  di  mia  vita,  e  non  piu,  cura, 
quanta  ch'al  mio  signor  dia  sepultura. 


CANTO    DECIMONONO  461 

XII 

E  se  pur  pascer  voi  fiere  et  augelH, 
che  'n  te  il  furor  sia  del  teban  Creonte, 
fa  lor  convito  di  miei  membri,  e  quelli 
sepelir  lascia  del  figliuol  d' Almonte.  — 
Cosi  dicea  Medor  con  modi  belli, 
e  con  parole  atte  a  voltare  un  monte; 
e  si  commosso  gia  Zerbino  avea, 
che  d'amor  tutto  e  di  pietade  ardea. 

XIII 

In  questo  mezzo  un  cavallier  villano, 
avendo  al  suo  signer  poco  rispetto, 
feri  con  una  lancia  sopra  mano 
al  supplicante  il  delicato  petto. 
Spiacque  a  Zerbin  Fatto  crudele  e  strano; 
tanto  piu,  che  del  colpo  il  giovinetto 
vide  cader  si  sbigottito  e  smorto, 
che  'n  tutto  giudic6  che  fosse  morto. 

XIV 

E  se  ne  sdegno  in  guisa  e  se  ne  dolse, 
che  disse:  —  Invendicato  gia  non  fia!  — 
e  pien  di  mal  talento  si  rivolse 
al  cavallier  che  fe5  Fimpresa  ria: 
ma  quel  prese  vantaggio,  e  se  gli  tolse 
dinanzi  in  un  momento,  e  fuggi  via. 
Cloridan,  che  Medor  vede  per  terra, 
salta  del  bosco  a  discoperta  guerra. 

xv 

E  getta  Parco,  e  tutto  pien  di  rabbia 
tra  gli  nimici  il  ferro  intorno  gira, 
piu  per  morir,  che  per  pensier  ch'egli  abbia 
di  far  vendetta  che  pareggi  1'ira. 
Del  proprio  sangue  rosseggiar  la  sabbia 
fra  tante  spade,  e  al  fin  venir  si  mira; 
e  tolto  che  si  sente  ogni  potere, 
si  lascia  a  canto  al  suo  Medor  cadere. 


462  ORLANDO    FURIOSO 

XVI 

Seguon  gli  Scotti  ove  la  guida  loro 
per  1'alta  selva  alto  disdegno  mena, 
poi  che  lasciato  ha  Puno  e  Paltro  Moro, 
1'un  morto  in  tutto,  e  1'altro  vivo  a  pena. 
Giacque  gran  pezzo  il  giovine  Medoro, 
spicciando  il  sangue  da  si  larga  vena, 
che  di  sua  vita  al  fin  saria  venuto, 
se  non  sopravenia  chi  gli  die  aiuto. 

XVII 

Gli  sopravenne  a  caso  una  donzella, 
avolta  in  pastorale  et  umil  veste, 
ma  di  real  presenzia  e  in  viso  bella, 
d'alte  maniere  e  accortamente  oneste. 
Tanto  e  ch'io  non  ne  dissi  piu  novella, 
ch'a  pena  riconoscer  la  dovreste: 
questa,  se  non  sapete,  Angelica  era, 
del  gran  Can  del  Catai  la  figlia  altiera. 

XVIII 

Poi  che  '1  suo  annello  Angelica  riebbe, 
di  che  Brunei  Tavea  tenuta  priva, 
in  tanto  fasto,  in  tanto  orgoglio  crebbe, 
ch'esser  parea  di  tutto  Jl  mondo  schiva. 
Se  ne  va  sola,  e  non  si  degnerebbe 
compagno  aver  qual  piu  famoso  viva: 
si  sdegna  a  rimembrar  che  gia  suo  amante 
abbia  Orlando  nomato,  o  Sacripante. 

XIX 

E  sopra  ogn'altro  error  via  piu  pentita 
era  del  ben  che  gia  a  Rinaldo  volse, 
troppo  parendole  essersi  avilita, 
ch'a  riguardar  si  basso  gli  occhi  volse. 
Tant'arroganzia  avendo  Amor  sentita, 
piu  lungamente  comportar  non  volse: 
dove  giacea  Medor,  si  pose  al  varco, 
e  Taspetto,  posto  lo  strale  alParco. 


CANTO    DECIMONONO  463 

XX 

Quando  Angelica  vide  il  giovinetto 
languir  ferito,  assai  vicmo  a  rnorte, 
che  del  suo  re  che  giacea  senza  tetto, 
piii  che  del  proprio  mal  si  dolea  forte; 
insolita  pietade  in  mezzo  al  petto 
si  senti  entrar  per  disusate  porte, 
che  le  fe'  il  duro  cor  tenero  e  molle : 
e  piu,  quando  il  suo  caso  egli  narrolle. 

XXI 

E  rivocando  alia  memoria  Tarte 
ch'in  India  imparo  gia  di  chimgia 
(che  par  che  questo  studio  in  quella  parte 
nobile  e  degno  e  di  gran  laude  sia; 
e  senza  molto  rivoltar  di  carte, 
che  '1  patre  ai  figli  ereditario  il  dia), 
si  dispose  operar  con  succo  d'erbe, 
ch'a  piu  matura  vita  lo  riserbe. 

XXII 

E  ricordossi  che  passando  avea 
veduta  un'erba  in  una  piaggia  amena; 
fosse  dittamo,  o  fosse  panacea, 
o  non  so  qual,  di  tal  effetto  piena, 
che  stagna  il  sangue,  e  de  la  piaga  rea 
leva  ogni  spasmo  e  perigliosa  pena. 
La  trov6  non  lontana,  e  quella  colta, 
dove  lasciato  avea  Medor,  die  volta. 

XXIII 

Nel  ritornar  s'incontra  in  un  pastore 
ch'a  cavallo  pel  bosco  ne  veniva 
cercando  una  iuvenca,  che  gia  fuore 
duo  di  di  mandra  e  senza  guardia  giva. 
Seco  lo  trasse  ove  perdea  il  vigore 
Medor  col  sangue  che  del  petto  usciva; 
e  gia  n'avea  di  tanto  il  terren  tinto, 
ch'era  omai  presso  a  rimanere  estinto. 


464  ORLANDO    FURIOSO 

XXIV 

Del  palafreno  Angelica  giii  scese, 

e  scendere  il  pastor  seco  fece  anche. 

Pesto  con  sassi  Ferba,  indi  la  prese, 

e  succo  ne  cav6  fra  le  man  bianche: 

ne  la  piaga  n'infuse,  e  ne  distese 

e  pel  petto  e  pel  ventre  e  fin  a  Fanche; 

e  fu  di  tal  virtu  questo  liquore, 

che  stagno  il  sangue,  e  gli  torno  il  vigore; 

xxv 

e  gli  die  forza,  che  pote  salire 
sopra  il  cavallo  che  '1  pastor  condusse. 
Non  per6  volse  indi  Medor  partire 
prima  ch'in  terra  il  suo  signor  non  fusse. 
E  Cloridan  col  re  fe'  sepelire; 
e  poi  dove  a  lei  piacque  si  ridusse. 
Et  ella  per  pieta  ne  Fumil  case 
del  cortese  pastor  seco  rimase. 

XXVI 

Ne  fin  che  nol  tornasse  in  sanitade, 
volea  partir:  cosi  di  lui  fe'  stima, 
tanto  se  inteneri  de  la  pietade 
che  n'ebbe,  come  in  terra  il  vide  prima. 
Poi  vistone  i  costumi  e  la  beltade, 
roder  si  senti  il  cor  d'ascosa  lima; 
roder  si  senti  il  core,  e  a  poco  a  poco 
tutto  infiammato  d?  amoroso  fuoco. 

XXVII 

Stava  il  pastore  in  assai  buona  e  bella 
stanza,  nel  bosco  infra  duo  monti  piatta, 
con  la  moglie  e  coi  figli;  et  avea  quella 
tutta  di  nuovo  e  poco  inanzi  fatta. 
Quivi  a  Medoro  fu  per  la  donzella 
la  piaga  in  breve  a  sanita  ritratta: 
ma  in  minor  tempo  si  senti  maggiore 
piaga  di  questa  avere  ella  nel  core. 


CANTO    DECIMONONO  465 

XXVIII 

Assai  piu  larga  piaga  e  piu  profonda 
nel  cor  senti  da  non  veduto  strale, 
che  da1  begli  occhi  e  da  la  testa  bionda 
di  Medoro  avento  1'Arcier  c'ha  Tale. 
Arder  si  sente,  e  sempre  il  fuoco  abonda; 
e  piu  cura  Paltrui  che  '1  proprio  male: 
di  se  non  cura,  e  non  e  ad  altro  intenta, 
ch'a  risanar  chi  lei  fere  e  tormenta. 

XXIX 

La  sua  piaga  piu  s'apre  e  piu  incrudisce, 
quanto  piu  Taltra  si  ristrmge  e  salda. 
II  giovine  si  sana:  ella  languisce 
di  nuova  febbre,  or  agghiacciata,  or  calda. 
Di  giorno  in  giorno  in  lui  belta  fiorisce: 
la  misera  si  strugge,  come  falda 
strugger  di  nieve  intempestiva  suole, 
ch'in  loco  aprico  abbia  scoperta  il  sole. 

xxx 

Se  di  disio  non  vuol  morir,  bisogna 
che  senza  indugio  ella  se  stessa  aiti: 
e  ben  le  par  che  di  quel  ch'essa  agogna, 
non  sia  tempo  aspettar  ch'altri  la  'nviti. 
Dunque,  rotto  ogni  freno  di  vergogna, 
la  lingua  ebbe  non  men  che  gli  occhi  arditi; 
e  di  quel  colpo  domando  mercede, 
che,  forse  non  sapendo,  esso  le  diede. 

XXXI 

0  conte  Orlando,  o  re  di  Circassia, 
vostra  inclita  virtu,  dite,  che  giova? 
Vostro  alto  onor,  dite,  in  che  prezzo  sia, 
o  che  merce  vostro  servir  ritruova? 
Mostratemi  una  sola  cortesia 
che  mai  costei  v'usasse,  o  vecchia  o  nuova, 
per  ricompensa  e  guidardone  e  merto 
di  quanto  avete  gia  per  lei  sofferto. 


466  ORLANDO    FURIOSO 

XXXII 

Oh  se  potessi  ritornar  mai  vivo, 

quanto  ti  parria  duro,  o  re  Agricane! 

che  gia  mostro  costei  si  averti  a  schivo 

con  repulse  cnideli  et  inumane. 

O  Ferrau,  o  mille  altri  ch'io  non  scrivo, 

ch'avete  fatto  mille  pruove  vane 

per  questa  ingrata,  quanto  aspro  vi  fora, 

s'a  costu'  in  braccio  voi  la  vedeste  ora! 

XXXIII 

Angelica  a  Medor  la  prima  rosa 
coglier  Iasci6,  non  ancor  tocca  inante: 
ne  persona  fu  mai  si  aventurosa, 
ch'in  quel  giardin  potesse  por  le  piante. 
Per  adombrar,  per  onestar  la  cosa, 
si  celebr6  con  cerimonie  sante 
il  matrimonio,  ch'auspice  ebbe  Amore, 
e  pronuba  la  moglie  del  pastore. 

xxxiv 

Fersi  le  nozze  sotto  all'umil  tetto 
le  piu  solenni  che  vi  potean  farsi; 
e  piu  d'un  mese  poi  stero  a  diletto 
i  duo  tranquilli  amanti  a  ricrearsi. 
Piu  lunge  non  vedea  del  giovinetto 
la  donna,  ne  di  lui  potea  saziarsi; 
ne,  per  mai  sempre  pendergli  dal  collo, 
il  suo  disir  sentia  di  lui  satollo. 

XXXV 

Se  stava  all'ombra  o  se  del  tetto  usciva, 
avea  di  e  notte  il  bel  giovine  a  lato : 
matino  e  sera  or  questa  or  quella  riva 
cercando  andava,  o  qualche  verde  prato: 
nel  mezzo  giorno  un  antro  li  copriva, 
forse  non  men  di  quel  commodo  e  grato, 
ch'ebber,  fuggendo  Tacque,  Enea  e  Dido 
de'  lor  secreti  testimonio  fido. 


CANTO    DECIMONONO  467 

XXXVI 

Fra  piacer  tanti,  ovunque  un  arbor  dritto 
vedesse  ombrare  o  fonte  o  rivo  puro, 
v'avea  spillo  o  coltel  subito  fitto; 
cosi,  se  v'era  alcun  sasso  men  duro: 
et  era  fuori  in  mille  luoghi  scritto, 
e  cosi  in  casa  in  altritanti  il  muro, 
Angelica  e  Medoro,  in  varii  modi 
legati  insieme  di  diversi  nodi. 

XXXVII 

Poi  che  le  parve  aver  fatto  soggiorno 
quivi  piu  ch'a  bastanza,  fe'  disegno 
di  fare  in  India  del  Catai  ritorno, 
e  Medor  coronar  del  suo  bel  regno. 
Portava  al  braccio  un  cercliio  d'oro,  adorno 
di  ricche  gemme,  in  testimonio  e  segno 
del  ben  che  '1  conte  Orlando  le  volea; 
e  portato  gran  tempo  ve  Pavea. 

xxxvni 

Quel  don6  gia  Morgana  a  Ziliante, 
nel  tempo  che  nel  lago  ascoso  il  tenne; 
et  esso,  poi  ch'al  padre  Monodante 
per  opra  e  per  virtu  d' Orlando  venne, 
lo  diede  a  Orlando:  Orlando  ch'era  amante, 
di  porsi  al  braccio  il  cerchio  d'or  sostenne, 
avendo  disegnato  di  donarlo 
alia  regina  sua  di  ch'io  vi  parlo. 

xxxix 

Non  per  amor  del  paladino,  quanto 
perch' era  ricco  e  d'artificio  egregio, 
caro  avuto  Pavea  la  donna  tanto, 
che  piu  non  si  puo  aver  cosa  di  pregio. 
Se  lo  serb6  ne  Tlsola  del  pianto, 
non  so  gia  dirvi  con  che  privilegio, 
la  dove  esposta  al  marin  mostro  nuda 
fu  da  la  gente  inospitale  e  cruda. 


468  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Quivi  non  si  trovando  altra  mercede 
ch'al  buon  pastore  et  alia  moglie  dessi, 
che  serviti  gli  avea  con  si  gran  fede 
dal  di  che  nel  suo  albergo  si  fur  messi, 
levo  dal  braccio  il  cerchio  e  gli  lo  diede, 
e  volse  per  suo  amor  che  lo  tenessi. 
Indi  saliron  verso  la  montagna 
che  divide  la  Francia  da  la  Spagna. 

XLI 

Dentro  a  Valenza  o  dentro  a  Barcellona 
per  qualche  giorno  avean  pensato  porsi, 
fin  che  accadesse  alcuna  nave  buona 
che  per  Levante  apparecchiasse  a  sciorsi. 
Videro  il  mare  scoprir  sotto  a  Girona 
ne  lo  smontar  giu  dei  montani  dorsi; 
e  costeggiando  a  man  sinistra  il  lito, 
a  Barcellona  andar  pel  camin  trito. 

XLII 

Ma  non  vi  giunser  prima,  ch'un  uom  pazzo 
giacer  trovaro  in  su  Testreme  arene, 
che,  come  porco,  di  loto  e  di  guazzo 
tutto  era  brutto  e  volto  e  petto  e  schene. 
Costui  si  scaglio  lor  come  cagnazzo 
ch'assalir  forestier  subito  viene; 
e  die  lor  noia,  e  fu  per  far  lor  scorno. 
Ma  di  Marfisa  a  ricontarvi  torno. 

XLIII 

Di  Marfisa,  d'Astolfo,  d'Aquilante, 
di  Grifone  e  degli  altri  io  vi  vuo'  dire, 
che  travagliati,  e  con  la  morte  inante, 
mal  si  poteano  incontra  il  mar  schermire: 
che  sempre  piu  superba  e  piu  arrogante 
crescea  fortuna  le  minaccie  e  Tire; 
e  gia  durato  era  tre  di  lo  sdegno, 
ne  di  placarsi  ancor  mostrava  segno. 


CANTO    DECIMONONO  469 

XLIV 

Castello  e  ballador  spezza  e  fraccassa 

Fonda  nimica  e  '1  vento  ognor  pm  fiero : 

se  parte  ritta  il  verno  pur  ne  lassa, 

la  taglia  e  dona  al  mar  tutta  il  nocchiero. 

Chi  sta  col  capo  chino  in  una  cassa 

su  la  carta  appuntando  il  suo  sentiero 

a  lume  di  lanterna  piccolina, 

e  chi  col  torchio  giu  ne  la  sentina. 

XLV 

Un  sotto  poppe,  un  altro  sotto  prora 
si  tiene  inanzi  Foriuol  da  polve; 
e  torna  a  rivedere  ogni  mezz'ora 
quanto  e  gia  corso,  et  a  che  via  si  volve: 
indi  ciascun  con  la  sua  carta  fuora 
a  mezza  nave  il  suo  parer  risolve, 
la  dove  a  un  tempo  i  marinari  tutti 
sono  a  consiglio  dal  padron  ridutti. 

XLVI 

Chi  dice :  —  Sopra  Limisso  venuti 
siamo,  per  quel  ch'io  trovo,  alle  seccagne  — ; 
chi :  —  Di  Tripoli  appresso  i  sassi  acuti, 
dove  il  mar  le  piu  volte  i  legni  fragne  — ; 
chi  dice:  —  Siamo  in  Satalia  perduti, 
per  cui  piu  d'un  nocchier  sospira  e  piagne.  — 
Ciascun  secondo  il  parer  suo  argomenta, 
ma  tutti  ugual  timor  preme  e  sgomenta. 

XLVII 

II  terzo  giorno  con  maggior  dispetto 
gli  assale  il  vento,  e  il  mar  piu  irato  freme; 
e  Fun  ne  spezza  e  portane  il  trinchetto, 
e  '1  timon  Faltro,  e  chi  lo  volge  insieme. 
Ben  e  di  forte  e  di  marmoreo  petto 
e  piu  duro  ch'acciar,  ch'ora  non  teme. 
Marfisa,  che  gia  fu  tanto  sicura, 
non  neg6  che  quel  giorno  ebbe  paura. 


470  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

Al  monte  Sinai  fu  peregrine, 

a  Gallizia  promesso,  a  Cipro,  a  Roma, 

al  Sepolcro,  alia  Vergine  d'Ettino, 

e  se  celebre  luogo  altro  si  noma. 

Sul  mare  intanto,  e  spesso  al  ciel  vicino 

Fafflitto  e  conquassato  legno  toma, 

di  cui  per  men  travaglio  avea  il  padrone 

fatto  1'arbor  tagliar  de  rartimone. 

XLIX 

E  colli  e  casse  e  cio  che  v'e  di  grave 
gitta  da  prora  e  da  poppe  e  da  sponde ; 
e  fa  tutte  sgombrar  camere  e  giave, 
e  dar  le  ricche  merci  alTavide  onde. 
Altri  attende  alle  trombe,  e  a  tor  di  nave 
1'acque  importune,  e  il  mar  nel  mar  rifonde; 
soccorre  altri  in  sentina,  ovanque  appare 
legno  da  legno  aver  sdnicito  il  mare. 

L 

Stero  in  questo  travaglio,  in  questa  pena 
ben  quattro  giorni,  e  non  avean  piu  schermo; 
e  n'avria  avuto  il  mar  vittoria  piena, 
poco  piu  che  '1  furor  tenesse  fermo: 
ma  diede  speme  lor  d'aria  serena 
la  disiata  luce  di  santo  Ermo, 
ch'in  prua  s'una  cocchina  a  por  si  venne; 
che  piu  non  v'erano  arbori  ne  antenne. 

LI 

Veduto  fiammeggiar  la  bella  face, 
s'inginocchiaro  tutti  i  naviganti, 
e  domandaro  il  mar  tranquillo  e  pace 
con  umidi  occhi  e  con  voci  tremanti. 
La  tempesta  crudel,  che  pertinace 
fu  sin  allora,  non  ando  piu  inanti: 
maestro  e  traversia  piu  non  molesta, 
e  sol  del  mar  tiran  libecchio  resta. 


CANTO    DECIMONONO  47! 

LII 

Questo  resta  sul  mar  tanto  possente, 

e  da  la  negra  bocca  in  modo  esala, 

et  e  con  lui  si  il  rapido  corrente 

de  T agitato  mar  ch'in  fretta  cala, 

che  porta  il  legno  piu  velocemente 

che  pelegrin  falcon  mai  facesse  ala, 

con  timor  del  nocchier  ch'al  fin  del  mondo 

non  lo  trasporti,  o  romp  a,  o  cacci  al  fondo. 

LIII 

Rimedio  a  questo  il  buon  nocchier  ritruova, 
che  commanda  gittar  per  poppa  spere; 
e  caluma  la  gommona,  e  fa  pruova 
di  duo  terzi  del  corso  ritenere. 
Questo  consiglio,  e  piu  1'augurio  giova 
di  chi  avea  acceso  in  proda  le  lumiere: 
questo  il  legno  salv6,  che  peria  forse, 
e  fe'  ch'in  alto  mar  sicuro  corse. 

LIV 

Nel  golfo  di  Laiazzo  inver  Soria 
sopra  una  gran  citta  si  trov6  sorto, 
e  si  vicino  al  lito,  che  scopria 
Tuno  e  Paltro  cast  el  che  serra  il  porto. 
Come  il  padron  s'accorse  de  la  via 
che  fatto  avea,  ritorn6  in  viso  smorto; 
che  ne  porto  pigliar  quivi  volea, 
n6  stare  in  alto,  ne  fuggir  potea. 

LV 

Ne  potea  stare  in  alto,  ne  fuggire, 
che  gli  arbori  e  Tantenne  avea  perdute: 
eran  tavole  e  travi  pel  ferire 
del  mar  sdrucite,  macere  e  sbattute. 
E  '1  pigliar  porto  era  un  voler  morire, 
o  perpetuo  legarsi  in  servitute; 
che  riman  serva  ogni  persona,  o  morta, 
che  quivi  errore  o  ria  fortuna  porta. 


472  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

E  '1  stare  in  dubbio  era  con  gran  periglio 

che  non  salisser  genti  de  la  terra 

con  legni  armati,  e  al  suo  desson  di  piglio, 

mal  atto  a  star  sul  mar,  non  ch'a  far  guerra. 

Mentre  il  padron  non  sa  pigliar  consiglio, 

fu  domandato  da  quel  d'Inghilterra 

chi  gli  tenea  si  Panimo  suspeso, 

e  perche  gia  non  avea  il  porto  preso. 

LVII 

II  padron  narro  lui  che  quella  riva 

tutta  tenean  le  femine  omicide, 

di  quai  Pantiqua  legge  ognun  ch'arriva 

in  perpetuo  tien  servo,  o  che  1'uccide; 

e  questa  sorte  solamente  schiva 

chi  nel  campo  dieci  uomini  conquide, 

e  poi  la  notte  puo  assaggiar  nel  letto 

diece  donzelle  con  carnal  diletto. 

LVIII 

E  se  la  prima  pruova  gli  vien  fatta, 
e  non  fornisca  la  seconda  poi, 
egli  vien  morto,  e  chi  e  con  lui  si  tratta 
da  zappatore  o  da  guardian  di  buoi. 
Se  di  far  1'uno  e  Paltro  e  persona  atta, 
impetra  libertade  a  tutti  i  suoi; 
a  se  non  gia,  c'ha  da  restar  marito 
di  diece  donne,  elette  a  suo  appetito. 

LIX 

Non  pote  udire  Astolfo  senza  risa 
de  la  vicina  terra  il  rito  strano. 
Sopravien  Sansonetto,  e  poi  Marfisa, 
indi  Aquilante,  e  seco  il  suo  germano. 
II  padron  parimente  lor  divisa 
la  causa  che  dal  porto  il  tien  lontano: 
—  Voglio  —  dicea—  che  inanzi  il  mar  m'affoghi, 
ch'io  senta  mai  di  servitude  i  gioghi.  — 


CANTO   DECIMONONO  473 

LX 

Del  parer  del  padrone  i  marinari 
e  tutti  gli  altri  naviganti  furo; 
ma  Marfisa  e'  compagni  eran  contrari, 
che  piu  che  1'acque  il  lito  avean  sicuro. 
Via  piu  il  vedersi  intorno  irati  i  mari, 
che  centomila  spade,  era  lor  duro. 
Parea  lor  questo  e  ciascun  altro  loco 
dov'arme  usar  potean,  da  temer  poco. 

LXI 

Bramavano  i  guerrier  venire  a  pro  da, 
ma  con  maggior  baldanza  il  duca  inglese; 
che  sa,  come  del  corno  il  rumor  s'oda, 
sgombrar  d'intorno  si  fara  il  paese. 
Pigliare  il  porto  Tuna  parte  loda, 
e  Taltra  il  biasma,  e  sono  alle  contese; 
ma  la  piu  forte  in  guisa  il  padron  stringe, 
ch'al  porto,  suo  malgrado,  il  legno  spinge. 

LXII 

Gia,  quando  prima  s'erano  alia  vista 
de  la  citta  crudel  sul  mar  scoperti, 
veduto  aveano  una  galea  provista 
di  molt  a  ciurma  e  di  nochieri  esperti 
venire  al  dritto  a  ritrovar  la  trista 
nave,  confusa  di  consigli  incerti; 
che,  Talta  prora  alle  sua  poppe  basse 
legando,  fuor  de  1'empio  mar  la  trasse. 

LXIII 

Entrar  nel  porto  remorchiando,  e  a  forza 
di  remi  piu  che  per  favor  di  vele; 
pero  che  Talternar  di  poggia  e  d'orza 
avea  levato  il  vento  lor  crudele. 
Intanto  ripigliar  la  dura  scorza 
i  cavallieri  e  il  brando  lor  fedele; 
et  al  padrone  et  a  ciascun  che  teme 
non  cessan  dar  con  lor  conforti  speme. 


474  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Fatto  e  '1  porto  a  sembianza  d'una  luna, 
e  gira  piu  di  quattro  miglia  intorno: 
seicento  passi  e  in  bocca,  et  in  ciascuna 
parte  una  rocca  ha  nel  finir  del  corno. 
Non  teme  alcuno  assalto  di  fortuna, 
se  non  quando  gli  vien  dal  mezzogiorno. 
A  guisa  di  teatro  se  gli  stende 
la  citta  a  cerco,  e  verso  il  poggio  ascende. 

LXV 

Non  fu  quivi  si  tosto  il  legno  sorto 
(gia  1' aviso  era  per  tutta  la  terra), 
che  fur  seimila  femine  sul  porto, 
con  gli  archi  in  mano,  in  abito  di  guerra; 
e  per  tor  de  la  fuga  ogni  conforto, 
tra  Tuna  r6cca  e  Faltra  il  mar  si  serra: 
da  navi  e  da  catene  fu  rinchiuso, 
che  tenean  sempre  instrutte  a  cotal  uso. 

LXVI 

Una  che  d'anni  alia  Cumea  d' Apollo 
pote  uguagliarsi  e  alia  madre  d'Ettorre, 
fe'  chiamare  il  padrone,  e  domandollo 
se  si  volean  lasciar  la  vita  t6rre, 
o  se  volcano  pur  al  giogo  il  collo, 
secondo  la  costuma,  sottoporre. 
Degli  dua  1'uno  aveano  a  t6rre:  o  quivi 
tutti  morire,  o  rimaner  captivi. 

LXVII 

—  Gli  e  ver  —  dicea  —  che  s'uom  si  ritrovasse 
tra  voi  cosi  animoso  e  cosi  forte, 
che  contra  dieci  nostri  uomini  osasse 
prender  battaglia,  e  desse  lor  la  morte, 
e  far  con  diece  femine  bastasse 
per  una  notte  ufficio  di  consorte; 
egli  si  rimarria  principe  nostro, 
e  gir  voi  ne  potreste  al  camin  vostro. 


CANTO    DECIMONONO  475 

LXVIII 

E  sara  in  vostro  arbitrio  il  restar  anco, 
vogliate  o  tutti  o  parte;  ma  con  patto 
che  chi  vorra  restare,  e  restar  franco, 
marito  sia  per  diece  fernine  atto. 
Ma  quando  il  guerrier  vostro  possa  manco 
dei  dieci  che  gli  fian  nimici  a  un  tratto, 
o  la  seconda  pruova  non  fornisca, 
voglian  voi  siate  schiavi,  egli  perisca.  — 

LXIX 

Dove  la  vecchia  ritrovar  timore 
credea  nei  cavallier,  trovo  baldanza; 
che  ciascun  si  tenea  tal  feritore, 
che  fornir  Funo  e  Faltro  avea  speranza: 
et  a  Marfisa  non  mancava  il  core, 
ben  che  mal  atta  alia  seconda  danza; 
ma  dove  non  Paitasse  la  natura, 
con  la  spada  supplir  stava  sicura. 

LXX 

Al  padron  fu  commessa  la  risposta, 
prima  conchiusa  per  commun  consiglio: 
ch'avean  chi  lor  potria  di  se  a  lor  posta 
ne  la  piazza  e  nel  letto  far  periglio. 
Levan  Toffese,  et  il  nocchier  s'accosta, 
getta  la  fune  e  le  fa  dar  di  piglio; 
e  fa  acconciare  il  ponte,  onde  i  guerrieri 
escono  armati,  e  tranno  i  lor  destrieri. 

LXXI 

E  quindi  van  per  mezzo  la  cittade, 
e  vi  ritruovan  le  donzelle  altiere, 
succinte  cavalcar  per  le  contrade, 
et  in  piazza  armeggiar  come  guerriere. 
Ne  calciar  quivi  spron,  ne  cinger  spade, 
ne  cosa  d'arme  puon  gli  uomini  avere, 
se  non  dieci  alia  volta,  per  rispetto 
de  Tantiqua  costuma  ch'io  v'ho  detto. 


476  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

Tutti  gli  altri  alia  spola,  alPaco,  al  fuso, 

al  pettine  et  all'aspo  sono  intend, 

con  vesti  feminil  che  vanno  giuso 

insin  al  pie,  che  gli  fa  molli  e  lenti. 

Si  tengono  in  catena  alcuni  ad  uso 

d'arar  la  terra  o  di  guardar  gli  armenti. 

Son  pochi  i  maschi;  e  non  son  ben,  per  mille 

femine,  cento,  fra  cittadi  e  ville. 

LXXIII 

Volendo  torre  i  cavallieri  a  sorte 
chi  di  lor  debba  per  commune  scampo 
1'una  decina  in  piazza  porre  a  morte, 
e  poi  1'altra  ferir  ne  Faltro  campo; 
non  disegnavan  di  Marfisa  forte, 
stimando  che  trovar  dovesse  inciampo 
ne  la  seconda  giostra  de  la  sera, 
ch'  ad  averne  vittoria  abil  non  era. 

LXXIV 

Ma  con  gli  altri  esser  volse  ella  sortita: 
or  sopra  lei  la  sorte  in  somma  cade. 
Ella  dicea:  —  Prima  v'ho  a  por  la  vita, 
che  v'abbiate  a  por  voi  la  libertade: 
ma  questa  spada  —  e  lor  la  spada  addita, 
che  cinta  avea  —  vi  do  per  securtade 
ch'io  vi  sciorro  tutti  gPintrichi  al  modo 
che  fe*  Alessandro  il  gordiano  nodo. 

LXXV 

Non  vuo'  mai  piu  che  forestier  si  lagni 
di  questa  terra,  fin  che  '1  mondo  dura.  — 
Cosi  disse;  e  non  potero  i  compagni 
torle  quel  che  le  dava  sua  aventura. 
Dunque,  o  ch'in  turto  perda,  o  lor  guadagni 
la  liberta,  le  lasciano  la  cura. 
Ella  di  piastre  gia  guernita  e  maglia, 
s'appresento  nel  campo  alia  battaglia. 


CANTO    DECIMONONO  477 

LXXVI 

Gira  una  piazza  al  sommo  de  la  terra, 
di  gradi  a  seder  atti  intorno  chiusa; 
che  solamente  a  giostre,  a  simil  guerra, 
a  caccie,  a  lotte,  e  non  ad  altro  s'usa: 
quattro  porte  ha  di  bronzo,  onde  si  serra. 
Quivi  la  moltitudine  confusa 
de  Parmigere  femine  si  trasse; 
e  poi  fu  detto  a  Marfisa  ch'entrasse. 

LXXVII 

Entro  Marfisa  s'un  destrier  leardo, 
tutto  sparse  di  macchie  e  di  rotelle, 
di  piccol  capo  e  d'animoso  sguardo, 
d'andar  superbo  e  di  fattezze  belle. 
Pel  maggiore  e  piu  vago  e  piu  gagliardo, 
di  mille  che  n'avea  con  briglie  e  selle, 
scelse  in  Damasco,  e  realmente  ornollo, 
et  a  Marfisa  Norandin  donollo. 

LXXVIII 

Da  mezzogiorno  e  da  la  porta  d'austro 
entro  Marfisa;  e  non  vi  stette  guari, 
ch'appropinquare  e  risonar  pel  claustro 
udi  di  trombe  acuti  suoni  e  chiari: 
e  vide  poi  di  verso  il  freddo  plaustro 
entrar  nel  campo  i  died  suoi  contrari. 
II  primo  cavallier  ch'apparve  inante, 
di  valer  tutto  il  resto  avea  sembiante. 

LXXIX 

Quel  venne  in  piazza  sopra  un  gran  destriero, 
che  fuor  ch'in  fronte  e  nel  pie  dietro  manco 
era,  piu  che  mai  corbo,  oscuro  e  nero: 
nel  pie  e  nel  capo  avea  alcun  pelo  bianco. 
Del  color  del  cavallo  il  cavalliero 
vestito,  volea  dir  che,  come  manco 
del  chiaro  era  Poscuro,  era  altretanto 
il  riso  in  lui  verso  1'oscuro  pianto. 


478  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

Dato  che  fu  de  la  battaglia  il  segno, 

nove  guerrier  Taste  chinaro  a  un  tratto: 

ma  quel  dal  nero  ebbe  il  vantaggio  a  sdegno; 

si  ritiro,  ne  di  giostrar  fece  atto. 

Vuol  ch'alle  leggi  inanzi  di  quel  regno, 

ch'alla  sua  cortesia,  sia  contrafatto. 

Si  tra'  da  parte  e  sta  a  veder  le  pruove 

ch'una  sola  asta  fara  contra  a  nove. 

LXXXI 

II  destrier,  ch'avea  andar  trito  e  soave, 
porto  alTincontro  la  donzella  in  fretta, 
che  nel  corso  arrest6  lancia  si  grave, 
che  quattro  uomini  avriano  a  pena  retta. 
L'avea  pur  dianzi  al  dismontar  di  nave 
per  la  piu  salda  in  molte  antenne  eletta. 
II  fier  sembiante  con  ch'ella  si  mosse, 
mille  faccie  imbianc6,  mille  cor  scosse. 

LXXXII 

Aperse  al  primo  che  trovo  si  il  petto, 
che  fora  assai  che  fosse  stato  nudo: 
gli  passo  la  corazza  e  il  soprapetto, 
ma  prima  un  ben  ferrato  e  grosso  scudo. 
Dietro  le  spalle  un  braccio  il  ferro  netto 
si  vide  uscir:  tanto  fu  il  colpo  crudo. 
Quel  fitto  ne  la  lancia  a  dietro  lassa, 
e  sopra  gli  altri  a  tutta  briglia  passa. 

LXXXIII 

E  diede  d'urto  a  chi  venia  secondo, 
et  a  chi  terzo  si  terribil  botta, 
che  rotto  ne  la  schena  uscir  del  mondo 
fe'  Puno  e  1'altro,  e  de  la  sella  a  un'otta: 
si  duro  fu  l'incontro  e  di  tal  pondo, 
si  stretta  insieme  ne  venia  la  frotta. 
Ho  veduto  bombarde  a  quella  guisa 
le  squadre  aprir,  che  fe'  lo  stuol  Marfisa. 


CANTO    DECIMONONO 
LXXXIV 

Sopra  di  lei  piu  lance  rotte  furo; 
ma  tanto  a  quelli  colpi  ella  si  mosse, 
quanto  nel  giuoco  de  le  caccie  un  muro 
si  muova  aj  colpi  de  le  palle  grosse. 
L'usbergo  suo  di  tempra  era  si  duro, 
che  non  gli  potean  contra  le  percosse; 
e  per  incanto  al  fuoco  de  Flnferno 
cotto,  e  temprato  alPacque  fu  d'Averno. 

LXXXV 

Al  fin  del  campo  il  destrier  tenne  e  volse, 
e  fermo  alquanto;  e  in  fretta  poi  lo  spinse 
incontra  gli  altri,  e  sbarragliolli  e  sciolse, 
e  di  lor  sangue  insin  alPelsa  tinse. 
AlPuno  il  capo,  alPaltro  il  braccio  tolse; 
e  un  altro  in  guisa  con  la  spada  cinse, 
che  '1  petto  in  terra  and6  col  capo  et  ambe 
le  braccia,  e  in  sella  il  ventre  era  e  le  gambe. 

LXXXVI 

Lo  parti,  dico,  per  dritta  misura, 
de  le  coste  e  de  1'anche  alle  confine, 
e  lo  fe*  rimaner  mezza  figura, 
qual  dinanzi  alTimagini  divine, 
poste  d'argento,  e  piu  di  cera  pura 
son  da  genti  lontane  e  da  vicine, 
ch'a  ringraziarle  e  sciorre  il  voto  vanno 
de  le  domande  pie  ch'ottenute  hanno. 

LXXXVII 

Ad  uno  che  fuggia,  dietro  si  mise, 
ne  fu  a  mezzo  la  piazza,  che  lo  giunse; 
e  '1  capo  e  '1  collo  in  modo  gli  divise, 
che  medico  mai  piu  non  lo  raggiunse, 
In  somma  tutti  un  dopo  P altro  uccise, 
o  feri  si  ch'ogni  vigor  n'emunse; 
e  fu  sicura  che  levar  di  terra 
mai  piu  non  si  potrian  per  farle  guerra. 


479 


480  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

Stato  era  il  cavallier  sempre  in  un  canto, 
die  la  decina  in  piazza  avea  condutta; 
pero  che  contra  un  solo  andar  con  tanto 
vantaggio  opra  gli  parve  iniqua  e  brutta. 
Or  che  per  una  man  torsi  da  canto 
vide  si  tosto  la  compagna  tutta, 
per  dimostrar  che  la  tardanza  fosse 
cortesia  stata  e  non  timor,  si  mosse. 

LXXXIX 

Con  man  fej  cenno  di  volere,  inanti 
che  facesse  altro,  alcuna  cosa  dire; 
e  non  pensando  in  si  viril  sembianti 
che  s'avesse  una  vergine  a  coprire, 
le  disse :  —  Cavalliero,  omai  di  tanti 
esser  dei  stance,  c'hai  fatto  morire; 
e  s'io  volessi,  piu  di  quel  che  sei, 
stancarti  ancor,  discortesia  farei. 

xc 

Che  ti  riposi  insino  al  giorno  nuovo, 
e  doman  torni  in  campo,  ti  concede. 
Non  mi  fia  onor  se  teco  oggi  mi  pruovo, 
che  travagliato  e  lasso  esser  ti  credo. 
—  II  travagliare  in  arme  non  m'e  nuovo, 
ne  per  si  poco  alia  fatica  cedo ;  — 
disse  Marfisa  —  e  spero  ch'a  tuo  costo 
io  ti  fare-  di  questo  aveder  tosto. 

xci 

De  la  cortese  offerta  ti  ringrazio, 
ma  riposare  ancor  non  mi  bisogna; 
e  ci  avanza  del  giorno  tanto  spazio, 
ch'a  porlo  tutto  in  ozio  e  pur  vergogna.  — 
Rispose  il  cavallier:—  Fuss'io  si  sazio 
d'ogn'altra  cosa  che  Jl  mio  core  agogna, 
come  t'ho  in  questo  da  saziar;  ma  vedi 
che  non  ti  manchi  il  di  piu  che  non  credi. 


CANTO   DECIMONONO  481 

XCII 

Cosi  disse  egli,  e  fe*  portare  in  fretta 
due  grosse  lance,  anzi  due  gravi  antenne; 
et  a  Marfisa  dar  ne  fe'  1'eletta: 
tolse  Taltra  per  se  ch'indietro  venne. 
Gia  sono  in  punto,  et  altro  non  s'aspetta 
ch'un  alto  suon  che  lor  la  giostra  accenne. 
Ecco  la  terra  e  Paria  e  il  mar  rimbomba 
nel  mover  loro  al  primo  suon  di  tromba. 

XCIII 

Trar  fiato,  bocca  aprir,  o  battere  occhi 
non  si  vedea  de'  riguardanti  alcuno: 
tanto  a  mirare  a  chi  la  palma  tocchi 
dei  duo  campioni,  intento  era  ciascuno. 
Marfisa  accio  che  de  Tarcion  trabocchi, 
si  che  mai  non  si  levi,  il  guerrier  bruno, 
drizza  la  lancia;  e  il  guerrier  bruno  forte 
studia  non  men  di  por  Marfisa  a  morte. 

xciv 

Le  lancie  ambe  di  secco  e  suttil  salce, 
non  di  cerro  sembrar  grosso  et  acerbo, 
cosi  n'andaro  in  tronchi  fin  al  calce; 
e  Pincontro  ai  destrier  fu  si  superbo, 
che  parimente  parve  da  una  falce 
de  le  gambe  esser  lor  tronco  ogni  nerbo. 
Cadero  ambi  ugualmente;  ma  i  campioni 
fur  presti  a  disbrigarsi  dagli  arcioni. 

xcv 

A  mille  cavallieri,  alia  sua  vita, 
al  primo  incontro  avea  la  sella  tolta 
Marfisa,  et  ella  mai  non  n'era  uscita; 
e  n'usci,  come  udite,  a  questa  volta. 
Del  caso  strano  non  pur  sbigottita, 
ma  quasi  fu  per  rimanerne  stolta. 
Parve  anco  strano  al  cavallier  dal  nero, 
che  non  solea  cader  gia  di  leggiero. 


482  ORLANDO   FURIOSO 

XCVI 

Tocca  avean  nel  cader  la  terra  a  pena, 
che  furo  in  piedi  e  rinovar  Passalto. 
Tagli  e  punte  a  furor  quivi  si  mena, 
quivi  ripara  or  scudo,  or  lama,  or  salto. 
Vada  la  botta  vota  o  vada  piena, 
1'aria  ne  stride  e  ne  risuona  in  alto. 
Quelli  elmi,  quelli  usberghi,  quelli  scudi 
mostrar  ch'erano  saldi  phi  ch'incudi. 

XCVII 

Se  de  1'aspra  donzella  il  braccio  e  grave, 
ne  quel  del  cavallier  nimico  e  lieve. 
Ben  la  misura  ugual  ljun  da  Taltro  have: 
quanto  a  punto  Fun  da,  tanto  riceve. 
Chi  vol  due  fiere  audaci  anime  brave, 
cercar  piu  la  di  quest  e  due  non  deve, 
ne  cercar  piu  destrezza  ne  piu  possa; 
che  n'han  tra  lor  quanto  piu  aver  si  possa. 

XCVIII 

Le  donne,  che  gran  pezzo  mirato  hanno 

continuar  tante  percosse  orreade, 

e  che  nei  cavallier  segno  d'affanno 

e  di  stanchezza  ancor  non  si  comprende; 

dei  duo  miglior  guerrier  lode  lor  danno, 

che  sien  tra  quanto  il  mar  sua  braccia  estende. 

Par  lor  che  se  non  fosser  piu  che  forti, 

esser  dovrian  sol  del  travaglio  morti. 

xcix 

Ragionando  tra  se,  dicea  Marfisa: 
«Buon  fu  per  me  che  costui  non  si  mosse; 
ch'andava  a  risco  di  restarne  uccisa, 
se  dianzi  stato  coi  compagni  fosse, 
quando  io  mi  truovo  a  pena  a  questa  guisa 
di  potergli  star  contra  alle  percosse. » 
Cosi  dice  Marfisa;  e  tuttavolta 
non  resta  di  menar  la  spada  in  volta. 


CANTO   DECIMONONO  483 

C 

«  Buon  fu  per  me, »  dicea  quelPaltro  ancora 
«  che  riposar  costui  non  ho  lasciato. 
Difender  me  ne  posso  a  fatica  ora 
che  de  la  prima  pugna  e  travagliato. 
Se  fin  al  nuovo  di  facea  dimora 
a  ripigliar  vigor,  che  saria  stato  ? 
Ventura  ebbi  io,  quanto  piu  possa  aversi, 
che  non  volesse  tor  quel  ch'io  gli  ofFersi. » 

Ci 

La  battaglia  duro  fin  alia  sera, 
ne  chi  avesse  anco  il  meglio  era  palese; 
ne  Fun  ne  Paltro  piu  senza  lumiera 
saputo  avria  come  schivar  Poffese. 
Giunta  la  notte,  all'inclita  guerriera 
fu  primo  a  dir  il  cavallier  cortese : 
—  Che  faren,  poi  che  con  ugual  fortuna 
n'ha  sopragiunti  la  notte  importuna? 

en 

Meglio  mi  par  che  *1  viver  tuo  prolunghi 
almeno  insino  a  tanto  che  s'aggiorni. 
Io  non  posso  concederti  che  aggiunghi 
fuor  ch'una  notte  picciola  ai  tua  giorni. 
E  di  cio  che  non  gli  abbi  aver  piu  lunghi, 
la  colpa  sopra  me  non  vuo'  che  torni: 
torni  pur  sopra  alia  spietata  legge 
del  sesso  feminil  che  '1  loco  regge. 

cm 

Se  di  te  duolmi  e  di  quest'altri  tuoi, 
Io  sa  colui  che  nulla  cosa  ha  oscura. 
Con  tuoi  compagni  star  meco  tu  puoi: 
con  altri  non  avrai  stanza  sicura; 
perche  la  turba,  a  cu'  i  mariti  suoi 
oggi  uccisi  hai,  gia  contra  te  congiura. 
Ciascun  di  questi  a  cui  dato  hai  la  morte, 
era  di  diece  femine  consorte. 


484  ORLANDO   FURIOSO 

CIV 

Del  danno  c'han  da  te  ricevut'oggi, 
disian  novanta  femine  vendetta; 
si  che  se  meco  ad  albergar  non  poggi, 
questa  notte  assalito  esser  t'aspetta.  — 
Disse  Marfisa:  —  Accetto  che  m'alloggi, 
con  sicurta  che  non  sia  men  perfetta 
in  te  la  fede  e  la  bonta  del  core, 
che  sia  1'ardire  e  il  corporal  valore. 

cv 

Ma  che  t'incresca  che  m'abbi  ad  uccidere, 
ben  ti  puo  increscere  anco  del  contrario. 
Fin  qui  non  credo  che  Pabbi  da  ridere, 
perch'io  sia  men  di  te  duro  awersario. 
0  la  pugna  seguir  vogli  o  dividere, 
o  farla  alPuno  o  all'altro  luminario: 
ad  ogni  cenno  pronta  tu  m'avrai, 
e  come  et  ogni  volta  che  vorrai.  — 

cvi 

Cosi  fu  differita  la  tenzone, 
fin  che  di  Gange  uscisse  il  nuovo  albore, 
e  si  resto  senza  conclusione 
chi  d'essi  duo  guerrier  fosse  il  migliore. 
Ad  Aquilante  venne  et  a  Grifone 
e  cosi  agli  altri  il  liberal  signore, 
e  li  preg6  che  fin  al  nuovo  giorno 
piacesse  lor  di  far  seco  soggiorno. 

CVII 

Tenner  lo  'nvito  senza  alcun  sospetto: 
indi,  a  splendor  de  bianchi  torch!  ardenti, 
tutti  saliro  ov'era  un  real  tetto, 
distinto  in  molti  adorni  alloggiamenti. 
Stupefatti  al  levarsi  de  Pelmetto, 
mirandosi,  restaro  i  combattenti; 
che  '1  cavallier,  per  quanto  apparea  fuora, 
non  eccedeva  i  diciotto  anni  ancora. 


CANTO   DECIMONONO  485 

CVIII 

Si  maraviglia  la  donzella,  come 
in  arme  tanto  un  giovinetto  vaglia; 
si  maraviglia  Paltro,  ch'alle  chiome 
s'avede  con  chi  avea  fatto  battaglia: 
e  si  domandan  Fun  con  Paltro  il  nome; 
e  tal  debito  tosto  si  ragguaglia. 
Ma  come  si  nomasse  il  giovinetto, 
ne  Taltro  canto  ad  ascoltar  v'aspetto. 


486  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO    VENTESIMO 


I 

Le  donne  antique  hanno  mirabil  cose 
fatto  ne  Tarme  e  ne  le  sacre  muse; 
e  di  lor  opre  belle  e  gloriose 
gran  lume  in  tutto  il  mondo  si  diffuse. 
Arpalice  e  Camilla  son  famose, 
perche  in  battaglia  erano  esperte  et  use; 
Safo  e  Corinna,  perche  furon  dotte, 
splendono  illustri,  e  mai  non  veggon  notte. 

II 

Le  donne  son  venute  in  eccellenza 
di  ciascun'arte  ove  hanno  posto  cura; 
e  qualunque  alPistorie  abbia  awertenza, 
ne  sente  ancor  la  fama  non  oscura. 
Se  '1  mondo  n'e  gran  tempo  stato  senza, 
non  pero  sempre  il  mal  influsso  dura; 
e  forse  ascosi  han  lor  debiti  onori 
Pinvidia  o  il  non  saper  degli  scrittorL 

in 

Ben  mi  par  di  veder  ch'al  secol  nostro 
tanta  virtu  fra  belle  donne  emerga, 
che  pu6  dare  opra  a  carte  et  ad  inchiostro, 
perche"  nei  futuri  anni  si  disperga, 
e  perche,  odiose  lingue,  il  mal  dir  vostro 
con  vostra  eterna  infamia  si  sommerga: 
e  le  lor  lode  appariranno  in  guisa, 
che  di  gran  lunga  avanzeran  Marfisa. 


CANTO    VENTESIMO  487 

IV 

Or  pur  tornando  a  lei,  questa  donzella 

al  cavallier  che  I'us6  cortesia, 

de  Fesser  suo  non  niega  dar  novella, 

quando  esso  a  lei  voglia  contar  chi  sia. 

Sbrigossi  tosto  del  suo  debito  ella: 

tanto  il  nome  di  lui  saper  disia. 

—  lo  son  —  disse  —  Marfisa  — :  e  fu  assai  questo; 

che  si  sapea  per  tutto  '1  mondo  il  resto. 


L'altro  comincia,  poi  che  tocca  a  lui, 
con  piu  proemio  a  darle  di  se  conto, 
dicendo :  —  lo  credo  che  ciascun  di  vui 
abbia  de  la  mia  stirpe  il  nome  in  pronto; 
che  non  pur  Francia  e  Spagna  e  i  vicin  sui, 
ma  T  India,  FEtiopia  e  il  freddo  Ponto 
han  chiara  cognizion  di  Chiaramonte, 
onde  usci  il  cavallier  ch'uccise  Almonte, 

VI 

e  quel  ch'a  Chiariello  e  al  re  Mambrino 
diede  la  morte,  e  il  regno  lor  disfece. 
Di  questo  sangue,  dove  ne  FEusino 
Tlstro  ne  vien  con  otto  corna  o  diece, 
al  duca  Amone,  il  qua!  gia  peregrino 
vi  capito,  la  madre  mia  mi  fece: 
e  Fanno  e  ormai  ch'io  la  lasciai  dolente, 
per  gire  in  Francia  a  ritrovar  mia  gente. 

vn 

Ma  non  potei  finire  il  mio  viaggio, 
che  qua  mi  spinse  un  tempestoso  Noto. 
Son  died  mesi  o  piu  che  stanza  v'aggio, 
che  tutti  i  giorni  e  tutte  Fore  noto. 
Nominate  son  io  Guidon  Selvaggio, 
di  poca  pruova  ancora  e  poco  noto. 
Uccisi  qui  Argilon  da  Melibea 
con  dieci  cavallier  che  seco  avea. 


488  ORLANDO    FURIOSO 

VIII 

Feci  la  pruova  ancor  de  le  donzelle: 
cosi  n'ho  diece  a'  mlei  piaceri  allato; 
et  alia  scelta  mia  son  le  piu  belle, 
e  son  le  piu  gentil  di  questo  stato. 
E  queste  reggo  e  tutte  1'altre;  ch'elle 
di  se  m'hanno  governo  e  scettro  dato: 
cosi  daranno  a  qualunque  altro  arrida 
Fortuna  si,  che  la  decina  ancida.  — 

IX 

I  cavallier  domandano  a  Guidone, 
com'ha  si  pochi  maschi  il  tenitoro, 
e  s'alle  moglie  hanno  suggezione, 
come  esse  Than  negli  altri  lochi  a  loro. 
Disse  Guidon :  —  Piu  volte  la  cagione 
udita  n'ho  da  poi  che  qui  dimoro ; 
e  vi  sara,  secondo  ch'io  1'ho  udita, 
da  me,  poi  che  v'aggrada,  riferita. 

x 

Al  tempo  che  tornar  dopo  anni  venti 
da  Troia  i  Greci  (che  duro  1'assedio 
dieci,  e  dieci  altri  da  contrari  venti 
furo  agitati  in  mar  con  troppo  tedio), 
trovar  che  le  lor  donne  agli  tormenti 
di  tanta  absenzia  avean  preso  rimedio: 
tutte  s' avean  gioveni  amanti  eletti, 
per  non  si  raffreddar  sole  nei  letti. 

XI 

Le  case  lor  trovaro  i  Greci  piene 
de  Faltrui  figli;  e  per  parer  commune 
perdonano  alle  mogli,  che  san  bene 
che  tanto  non  potean  viver  digiune. 
Ma  ai  figli  degli  adulteri  conviene 
altrove  procacciarsi  altre  fortune; 
che  tolerar  non  vogliono  i  mariti 
che  piu  alle  spese  lor  sieno  notriti. 


CANTO   VENTESIMO  489 

XII 

Sono  altri  esposti,  altri  tenuti  occulti 

da  le  lor  madri  e  sostenuti  in  vita. 

In  varie  squadre  quei  ch'erano  adulti 

feron,  chi  qua  chi  la,  tutti  partita. 

Per  altri  Farme  son,  per  altri  culti 

gli  studi  e  1'arti;  altri  la  terra  trita; 

serve  altri  in  corte;  altri  e  guardian  di  gregge, 

come  piace  a  colei  che  qua  giu  regge. 

XIII 

Parti  fra  gli  altri  un  giovinetto,  figlio 

di  Clitemnestra,  la  crudel  regina, 

di  diciotto  anni,  fresco  come  un  giglio, 

0  rosa  colta  allor  di  su  la  spina. 

Questi,  armato  un  suo  legno,  a  dar  di  piglio 

si  pose  e  a  depredar  per  la  marina 

in  compagnia  di  cento  giovinetti 

del  tempo  suo,  per  tutta  Grecia  eletti. 

XIV 

1  Cretesi,  in  quel  tempo  che  cacciato 
il  crudo  Idomeneo  del  regno  aveano, 
e  per  assicurarsi  il  nuovo  stato, 
d'uomini  e  d'arme  adunazion  faceano; 
fero  con  bon  stipendio  lor  soldato 
Falanto  (cosi  al  giovine  diceano), 

e  lui  con  tutti  quei  che  seco  avea 
poser  per  guardia  alia  citta  Dictea. 

xv 

Fra  cento  alme  citta  ch'erano  in  Greta, 
Dictea  phi  ricca  e  piu  piacevol  era, 
di  belle  donne  et  amorose  lieta, 
lieta  di  giochi  da  matino  a  sera: 
e  com' era  ogni  tempo  consueta 
d'accarezzar  la  gente  forestiera, 
fe*  a  costor  si,  che  molto  non  rimase 
a  fargli  anco  signor  de  le  lor  case. 


490  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

Eran  gioveni  tutti  e  belli  affatto 
(che  '1  fior  di  Grecia  avea  Falanto  eletto): 
si  ch'alle  belle  donne,  al  primo  tratto 
che  v'apparir,  trassero  i  cor  del  petto. 
Poi  che  non  men  che  belli,  ancora  in  fatto 
si  dimostrar  buoni  e  gagliardi  al  letto, 
si  fero  ad  esse  in  pochi  di  si  grati, 
che  sopra  ogn'altro  ben  n'erano  amati. 

XVII 

Finita  che  d'accordo  e  poi  la  guerra 
per  cui  stato  Falanto  era  condutto, 
e  lo  stipendio  militar  si  serra, 
si  che  non  v'hanno  i  gioveni  piu  frutto, 
e  per  questo  lasciar  voglion  la  terra; 
fan  le  donne  di  Creta  maggior  lutto, 
e  per  cio  versan  piu  dirotti  pianti, 
che  se  i  lor  padri  avesson  morti  avanti. 

XVIII 

Da  le  lor  donne  i  gioveni  assai  foro, 
ciascun  per  se,  di  rimaner  pregati: 
ne  volendo  restare,  esse  con  loro 
n'andar,  lasciando  e  padri  e  figli  e  frati, 
di  ricche  gemme  e  di  gran  summa  d'oro 
avendo  i  lor  dimestici  spogliati; 
che  la  pratica  fu  tanto  secreta, 
che  non  senti  la  fuga  uomo  di  Creta. 

XIX 

Si  fu  propizio  il  vento,  si  fu  Fora 
commoda,  che  Falanto  a  fuggir  colse, 
che  molte  miglia  erano  usciti  fuora, 
quando  del  danno  suo  Creta  si  dolse. 
Poi  questa  spiaggia,  inabitata  allora, 
trascorsi  per  fortuna  li  raccolse. 
Qui  si  posaro,  e  qui  sicuri  tutti 
meglio  del  furto  lor  videro  i  frutti. 


CANTO   VENTESIMO  491 

XX 

Questa  lor  fu  per  died  giorni  stanza 
di  piaceri  amorosi  tutta  plena. 
Ma  come  spesso  awien  che  1'abondanza 
seco  in  cor  giovenil  fastidio  mena, 
tutti  d'accordo  fur  di  restar  sanza 
femine,  e  liberarsi  di  tal  pena; 
che  non  e  soma  da  portar  si  grave 
come  aver  donna,  quando  a  noia  s'have. 

XXI 

Essi  che  di  guadagno  e  di  rapine 
eran  bramosi,  e  di  dispendio  parchi, 
vider  ch'a  pascer  tante  concubine, 
d'altro  che  d'aste  avean  bisogno  e  d'archi: 
si  che  sole  lasciar  qui  le  meschine, 
e  se  n'andar  di  lor  ricchezze  carchi 
la  dove  in  Puglia  in  ripa  al  mar  poi  sento 
ch'edificar  la  terra  di  Tarento. 

XXII 

Le  donne,  che  si  videro  tradite 

dai  loro  amanti  in  che  piii  fede  aveano, 

restar  per  alcun  di  si  sbigotite, 

che  statue  immote  in  lito  al  mar  pareano. 

Visto  poi  che  da  gridi  e  da  infinite 

lacrime  alcun  profitto  non  traeano, 

a  pensar  cominciaro  e  ad  aver  cura 

come  aiutarsi  in  tanta  lor  sciagura. 

XXIII 

E  proponendo  in  mezzo  i  lor  pareri, 
altre  diceano:  in  Greta  e  da  tornarsi; 
e  piu  tosto  all'arbitrio  de'  seven 
padri  e  d'offesi  lor  mariti  darsi, 
che  nei  deserti  liti  e  boschi  fieri, 
di  disagio  e  di  fame  consumarsi. 
Altre  dicean  che  lor  saria  piu  onesto 
affogarsi  nel  mar,  che  mai  far  questo; 


492  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

e  che  manco  mal  era  meretrici 

andar  pel  mondo,  andar  mendiche  o  schiave, 

che  se  stesse  offerire  agli  supplici 

di  ch'eran  degne  Popere  lor  prave. 

Questi  e  simil  partiti  le  infelici 

si  proponean,  ciascun  piu  duro  e  grave. 

Tra  loro  al  fine  una  Orontea  levosse, 

ch'origine  traea  dal  re  Minosse; 

xxv 

la  piu  gioven  de  Paltre  e  la  piu  bella 
e  la  piu  accorta,  e  ch'avea  meno  errato: 
amato  avea  Falanto,  e  a  lui  pulzella 
datasi,  e  per  lui  il  padre  avea  lasciato. 
Costei  mostrando  in  viso  et  in  favella 
il  magnanimo  cor  d'ira  infiammato, 
redarguendo  di  tutte  altre  il  detto, 
suo  parer  disse,  e  fej  seguirne  effetto. 

XXVI 

Di  questa  terra  a  lei  non  parve  t6rsi, 
che  conobbe  feconda  e  d'aria  sana, 
e  di  limpidi  fiumi  aver  discorsi, 
di  selve  opaca,  e  la  piu  parte  piana; 
con  porti  e  foci,  ove  dal  mar  ricorsi 
per  ria  fortuna  avea  la  gente  estrana, 
ch'or  d' Africa  portava,  ora  d'Egitto 
cose  diverse  e  necessarie  al  vitto. 

XXVII 

Qui  parve  a  lei  fermarsi,  e  far  vendetta 
del  viril  sesso  che  le  avea  si  offese: 
vuol  ch'ogni  nave,  che  da  venti  astretta 
a  pigliar  venga  porto  in  suo  paese, 
a  sacco,  a  sangue,  a  fuoco  al  fin  si  metta; 
ne  de  la  vita  a  un  sol  si  sia  cortese. 
Cosi  fu  detto  e  cosi  fu  concluso, 
e  fu  fatta  la  legge  e  messa  in  uso. 


CANTO    VENTESIMO  493 

XXVIII 

Come  turbar  1'aria  sentiano,  armate 

le  femine  correan  su  la  marina, 

da  Timplacabile  Orontea  guidate, 

che  die  lor  legge  e  si  fej  lor  regina: 

e  de  le  navi  ai  liti  lor  cacciate 

faceano  incendi  orribili  e  rapina, 

uom  non  lasciando  vivo,  che  novella 

dar  ne  potesse  o  in  questa  parte  o  in  quella. 

XXIX 

Cosi  solinghe  vissero  qualch'anno, 
asp  re  nimiche  del  sesso  virile. 
Ma  conobbero  poi  che  Jl  proprio  danno 
procaccierian,  se  non  mutavan  stile: 
che  se  di  lor  propagine  non  fanno, 
sara  lor  legge  in  breve  irrita  e  vile, 
e  manchera  con  Pinfecondo  regno, 
dove  di  farla  eterna  era  il  disegno. 

xxx 

Si  che,  temprando  il  suo  rigore  un  poco, 
scelsero,  in  spazio  di  quattro  anni  interi, 
di  quanti  capitaro  in  questo  loco 
dieci  belli  e  gagliardi  cavallieri, 
che  per  durar  ne  1'amoroso  gioco 
contr'esse  cento  fosser  buon  guerrieri. 
Esse  in  tutto  eran  cento;  e  statuito 
ad  ogni  lor  decina  fu  un  marito. 

XXXI 

Prima  ne  fur  decapitati  molti 
che  riusciro  al  paragon  mal  forti. 
Or  questi  dieci  a  buona  pruova  tolti, 
del  letto  e  del  governo  ebbon  consorti; 
facendo  lor  giurar  che  se  piu  colti 
altri  uomini  verriano  in  questi  porti, 
essi  sarian  che,  spenta  ogni  pietade, 
li  porriano  ugualmente  a  fil  di  spade. 


494  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

Ad  ingrossare,  et  a  figliar  appresso 
le  donne,  indi  a  temere  incominciaro 
che  tanti  nascerian  del  viril  sesso, 
che  contra  lor  non  avrian  poi  riparo; 
e  al  fine  in  man  degli  uomini  rimesso 
saria  il  governo  ch'elle  avean  si  caro: 
si  ch'ordinar,  mentre  eran  gli  anni  imbelli, 
far  si,  che  mai  non  fosson  lor  ribelli. 

xxxin 

Accio  il  sesso  viril  non  le  soggioghi, 
uno  ogni  madre  vuol  la  legge  orrenda 
che  tenga  seco ;  gli  altri,  o  li  suffoghi, 
o  fuor  del  regno  li  permuti  o  venda. 
Ne  mandano  per  questo  in  varii  luoghi: 
e  a  chi  gli  porta  dicono  che  prenda 
femine,  se  a  baratto  aver  ne  puote; 
se  non,  non  torni  almen  con  le  man  v6te. 

XXXIV 

Ne  uno  ancora  alleverian,  se  senza 
potesson  fare,  e  mantenere  il  gregge. 
Questa  e  quanta  pieta,  quanta  clemenza 
piu  ai  suoi  ch'agli  altri  usa  1'iniqua  legge: 
gli  altri  condannan  con  ugual  sentenza; 
e  solamente  in  questo  si  corregge, 
che  non  vuol  che  secondo  il  primiero  uso 
le  femine  gli  uccidano  in  confuso. 

xxxv 

Se  dieci  o  venti  o  piu  persone  a  un  tratto 
vi  fosser  giunte,  in  carcere  eran  messe: 
e  d'una  al  giorno,  e  non  di  piu,  era  tratto 
il  capo  a  sorte,  che  perir  dovesse 
nel  tempio  orrendo  ch'Orontea  avea  fatto, 
dove  un  altare  alia  Vendetta  eresse; 
e  dato  all'un  de'  dieci  il  crudo  ufficio 
per  sorte  era  di  fame  sacrificio. 


CANTO    VENTESIMO  495 

XXXVI 

Dopo  molt'anni  alle  ripe  omicide 

a  dar  venne  di  capo  un  giovinetto, 

la  cui  stirpe  scendea  dal  buono  Alcide3 

di  gran  valor  ne  Tarrne,  Elbanio  detto. 

Qui  preso  fu,  ch'a  pena  se  n'avide, 

come  quel  che  venia  senza  sospetto; 

e  con  gran  guardia  in  stretta  parte  chiuso, 

con  gli  altri  era  serbato  al  crudel  xiso. 

XXXVII 

Di  viso  era  costui  bello  e  giocondo, 
e  di  maniere  e  di  costumi  ornato, 
e  di  parlar  si  dolce  e  si  facondo, 
ch'un  aspe  volentier  1'avria  ascoltato: 
si  che,  come  di  cosa  rara  al  mondo, 
de  1'esser  suo  fu  tosto  rapportato. 
ad  Alessandra  figlia  d'Orontea, 
che  di  molt'anni  grave  anco  vivea. 

XXXVIII 

Orontea  vivea  ancora;  e  gia  mancate 

tutt'eran  Faltre  ch'abitar  qui  prima: 

e  diece  tante  e  piu  n'erano  nate, 

e  in  forza  eran  cresciute  e  in  maggior  stima; 

ne  tra  diece  fucine  che  serrate 

stavan  pur  spesso,  avean  piu  d'una  lima; 

e  dieci  cavallieri  anco  avean  cura 

di  dare  a  chi  venia  fiera  aventura. 

xxxrx 

Alessandra,  bramosa  di  vedere 
il  giovinetto  ch'avea  tante  locle, 
da  la  sua  matre  in  singular  piacere 
impetra  si,  ch'Elbanio  vede  et  ode; 
e  quando  vuol  partirne,  rimanere 
si  sente  il  core  ove  e  chi  1  punge  e  rode: 
legar  si  sente,  e  non  sa  far  contesa, 
e  al  fin  dal  suo  prigion  si  trova  presa. 


496  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Elbanio  disse  a  lei :  « Se  di  pietade 
s'avesse,  donna,  qui  notlzia  ancora, 
come  se  n'ha  per  tutt'altre  contrade, 
dovunque  il  vago  sol  luce  e  colora; 
io  vi  osarei,  per  vostr'alma  beltade 
ch'ogn'animo  gentil  di  se  inamora, 
chiedervi  in  don  la  vita  mia,  che  poi 
saria  ognor  presto  a  spenderla  per  voi. 

XLI 

Or  quando  fuor  d'ogni  ragion  qui  sono 
privi  d'umanitade  i  cori  umani, 
non  vi  domander6  la  vita  in  dono, 
che  i  prieghi  miei  so  ben  che  sarian  vani; 
ma  che  da  cavalliero,  o  tristo  o  buono 
ch'io  sia,  possi  morir  con  Parme  in  mani, 
e  non  come  dannato  per  giudicio, 
o  come  animal  bruto  in  sacrificio. » 

XLII 

Alessandra  gentil,  ch'umidi  avea, 
per  la  pieta  del  giovinetto,  i  rai, 
rispose:  «Ancor  che  piu  crudele  e  rea 
sia  questa  terra,  ch'altra  fosse  mai; 
non  concedo  per6  che  qui  Medea 
ogni  femina  sia,  come  tu  fai; 
e  quando  ogn'altra  cosi  fosse  ancora, 
me  sola  di  tant'altre  io  vo*  trar  fuora. 

XLIII 

E  se  ben  per  adietro  io  fossi  stata 
empia  e  citadel,  come  qui  sono  tante, 
dir  posso  che  suggetto  ove  mostrata 
per  me  fosse  pieta,  non  ebbi  avante. 
Ma  ben  sarei  di  tigre  piu  arrabbiata, 
e  piu  duro  avre'  il  cor  che  di  diamante, 
se  non  m'avesse  tolto  ogni  durezza 
tua  belta,  tuo  valor,  tua  gentilezza. 


CANTO    VENTESIMO  497 

XLIV 

Cosi  non  fosse  la  legge  piu  forte, 
che  contra  i  peregrin!  e  statuita, 
come  io  non  schiverei  con  la  mia  morte 
di  ricomprar  la  tua  piu  degna  vita. 
Ma  non  e  grado  qui  di  si  gran  sorte, 
che  ti  potesse  dar  libera  aita; 
e  quel  che  chiedi  ancor,  ben  che  sia  poco, 
difficile  ottener  fia  in  questo  loco. 

XLV 

Pur  io  vedro  di  far  che  tu  1'ottenga, 
ch'abbi  inanzi  al  morir  questo  contento; 
ma  mi  dubito  ben  che  te  n'avenga, 
tenendo  il  morir  lungo  piu  tormento. » 
Suggiunse  Elbanio :  «  Quando  incontra  io  venga 
a  dieci  armato,  di  tal  cor  mi  sento, 
che  la  vita  ho  speranza  di  salvarme, 
e  uccider  lor,  se  tutti  fosser  arme. » 

XL  VI 

Alessandra  a  quel  detto  non  rispose 
se  non  un  gran  sospiro,  e  dipartisse, 
e  porto  nel  partir  mille  amorose 
punte  nel  cor,  mai  non  sanabil,  fisse. 
Venne  alia  madre,  e  volunta  le  pose 
di  non  lasciar  che  '1  cavallier  morisse, 
quando  si  dimostrasse  cosi  forte, 
che,  solo,  avesse  posto  i  dieci  a  morte. 

XL  VII 

La  regina  Orontea  fece  raccorre 
il  suo  consiglio,  e  disse:  «A  noi  conviene 
sempre  il  miglior  che  ritroviamo,  porre 
a  guardar  nostri  porti  e  nostre  arene; 
e  per  saper  chi  ben  lasciar,  chi  t6rre, 
prova  e  sempre  da  far,  quando  gli  awiene; 
per  non  patir  con  nostro  danno  a  torto, 
che  regni  il  vile,  e  chi  ha  valor  sia  morto. 


498  ORLANDO  FURIOSO 

XLVIII 

A  me  par,  se  a  voi  par,  che  statuito 

sia  ch'ogni  cavallier  per  lo  awenire, 

che  fortuna  abbia  tratto  al  nostro  lito, 

prima  ch'al  tempio  si  faccia  morire, 

possa  egli  sol,  se  gli  place  il  partito, 

incontra  i  dieci  alia  battaglia  uscire; 

e  se  di  tutti  vincerli  e  possente, 

guardi  egli  il  porto,  e  seco  abbia  altra  gente. 

XLIX 

Parlo  cosi,  perche  abbian  qui  un  prigione 
che  par  che  vincer  dieci  s'offerisca. 
Quando,  sol,  vaglia  tante  altre  persone, 
dignissimo  e,  per  Dio,  che  s'esaudisca. 
Cosi  in  contrario  avra  punizione, 
quando  vaneggi  e  temerario  ardisca. » 
Orontea  fine  al  suo  parlar  qui  pose, 
a  cui  de  le  piu  antique  una  rispose: 

L 

« La  principal  cagion  ch'a  far  disegno 
sul  comercio  degli  uomini  ci  mosse, 
non  fa  perch' a  difender  questo  regno 
del  loro  aiuto  alcun  bisogno  fosse; 
che  per  far  questo  abbiamo  ardire  e  ingegno 
da  noi  medesme,  e  a  sufficienzia  posse: 
cosi  senza  sapessimo  far  anco, 
che  non  venisse  il  propagarci  a  manco! 

LI 

Ma  poi  che  senza  lor  questo  non  lece, 
tolti  abbian,  ma  non  tanti,  in  compagnia, 
che  mai  ne  sia  piu  d'uno  incontra  diece, 
si  ch'aver  di  noi  possa  signoria. 
Per  conciper  di  lor  questo  si  fece, 
non  che  di  lor  difesa  uopo  ci  sia. 
La  lor  prodezza  sol  ne  vaglia  in  questo, 
e  sieno  ignavi  e  inutili  nel  resto. 


CANTO   VENTESIMO  499 

LII 

Tra  noi  tenere  un  uom  che  sia  si  forte, 
contrario  e  in  tutto  al  principal  disegno. 
Se  puo  un  solo  a  died  uomini  dar  morte, 
quante  donne  fara  stare  egli  al  segno? 
Se  i  dieci  nostri  fosser  di  tal  sorte, 
il  primo  di  n'avrebbon  tolto  il  regno. 
Non  e  la  via  di  dominar,  se  vuoi 
por  1'arme  in  mano  a  chi  puo  piu  di  noi. 

LIII 

Pon  mente  ancor,  che  quando  cosi  aiti 
Fortuna  questo  tuo,  che  i  dieci  uccida, 
di  cento  donne  che  de'  lor  mariti 
rimarran  prive,  sentirai  le  grida. 
Se  vuol  campar,  proponga  altri  partiti, 
ch'esser  di  dieci  gioveni  omicida. 
Pur,  se  per  far  con  cento  donne  e  buono 
quel  che  dieci  fariano,  abbi  perdono.» 

LIV 

Fu  d'Artemia  crudel  questo  il  parere 
(cosi  avea  nome),  e  non  manc6  per  lei 
di  far  nel  tempio  Elbanio  rimanere 
scannato  inanzi  agli  spietati  deL 
Ma  la  madre  Orontea  che  compiacere 
volse  alia  figlia,  replic6  a  colei 
altre  et  altre  ragioni,  e  modo  tenne 
che  nel  senato  il  suo  parer  s'ottenne. 

LV 

L'aver  Elbanio  di  bellezza  il  vanto 
sopra  ogni  cavallier  che  fosse  al  mondo, 
fu  nei  cor  de  le  giovani  di  tanto, 
ch'erano  in  quel  consiglio,  e  di  tal  pondo, 
che  '1  parer  de  le  vecchie  and6  da  canto, 
che  con  Artemia  volean  far  secondo 
Fordine  antique;  ne  lontan  fu  molto 
ad  esser  per  favore  Elbanio  assolto. 


500  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Di  perdonargli  in  somma  fu  concluso, 
ma  poi  che  la  decina  avesse  spento, 
e  che  ne  1'altro  assalto  fosse  ad  uso 
di  diece  donne  buono,  e  non  di  cento. 
Di  career  Taltro  giorno  fu  dischiuso; 
e  avuto  arme  e  cavallo  a  suo  talento, 
contra  dieci  guerrier,  solo,  si  mise, 
e  1'uno  appresso  all'altro  in  piazza  uccise. 

LVII 

Fu  la  notte  seguente  a  prova  messo 
contra  diece  donzelle  ignudo  e  solo, 
dove  ebbe  alPardir  suo  si  buon  successo, 
che  fece  il  saggio  di  tutto  lo  stuolo. 
E  questo  gli  acquisto  tal  grazia  appresso 
ad  Orontea,  che  Tebbe  per  figliuolo; 
e  gli  diede  Alessandra  e  Taltre  nove 
con  ch'avea  fatto  le  notturne  prove. 

LVIII 

E  lo  lascio  con  Alessandra  bella, 
che  poi  die  nome  a  questa  terra,  erede, 
con  patto  ch'a  servare  egli  abbia  quella 
legge,  et  ogn'altro  che  da  lui  succede: 
che  ciascun  che  gia  mai  sua  fiera  Stella 
fara  qui  por  lo  sventurato  piede, 
elegger  possa,  o  in  sacrificio  darsi, 
o  con  dieci  guerrier,  solo,  provarsi. 

LIX 

E  se  gli  awien  che  '1  di  gli  uomini  uccida, 
la  notte  con  le  femine  si  provi; 
e  quando  in  questo  ancor  tanto  gli  arrida 
la  sorte  sua,  che  vincitor  si  trovi, 
sia  del  femineo  stuol  principe  e  guida, 
e  la  decina  a  scelta  sua  rinovi, 
con  la  qual  regni,  fin  ch'un  altro  arrivi, 
che  sia  piu  forte,  e  lui  di  vita  privi. 


CANTO    VENTESIMO  SOI 

LX 

Appresso  a  duamila  anni  il  costume  empio 
si  e  mantenuto,  e  si  mantiene  ancora; 
e  sono  pochi  giorni  che  nel  tempio 
uno  infelice  peregrin  non  mora. 
Se  contra  dieci  alcun  chiede,  ad  esempio 
d'Elbanio,  armarsi  (che  ve  n'e  talora), 
spesso  la  vita  al  primo  assalto  lassa; 
ne  di  mille  uno  all'altra  prova  passa. 

LXI 

Pur  ci  passano  alcuni,  ma  si  rari, 
che  su  le  dita  annoverar  si  ponno. 
Uno  di  questi  fu  Argilon:  ma  guari 
con  la  decina  sua  non  fu  qui  donno; 
che  cacciandomi  qui  venti  contrari, 
gli  occhi  gli  chiusi  in  sempiterno  sonno. 
Cosi  fossi  io  con  lui  morto  quel  giorno, 
prima  che  viver  servo  in  tanto  scorno. 

LXII 

Che  piaceri  amorosi  e  riso  e  gioco, 
che  suole  amar  ciascun  de  la  mia  etade, 
le  purpure  e  le  gemme,  e  Taver  loco 
inanzi  agli  altri  ne  la  sua  cittade, 
potuto  hanno,  per  Dio,  mai  giovar  poco 
aH'uom  che  privo  sia  di  libertade: 
e  '1  non  poter  mai  pm  di  qui  levarmi, 
servitu  grave  e  intolerabil  parmi. 

LXIII 

II  vedermi  lograr  dei  miglior  anni 
il  piu  bel  fiore  in  si  vile  opra  e  molle, 
tiemmi  il  cor  sempre  in  stimulo  e  in  affanni, 
et  ogni  gusto  di  piacer  mi  tolle. 
La  fama  del  mio  sangue  spiega  i  vanni 
per  tutto  '1  mondo,  e  fin  al  ciel  s'estolle: 
che  forse  buona  parte  anch'io  n'avrei, 
s'esser  potessi  coi  fratelli  miei. 


502  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Parmi  ch'ingiuria  il  mio  destin  mi  faccia, 
avendomi  a  si  vil  servigio  eletto; 
come  chi  ne  1'armento  il  destrier  caccia, 
il  qual  d'occhi  o  di  piedi  abbia  difetto, 
o  per  altro  accidente  che  dispiaccia, 
sia  fatto  all'arme  e  a  miglior  uso  inetto: 
ne  sperando  io,  se  non  per  morte,  uscire 
di  si  vil  servitu,  bramo  morire.  — 

LXV 

Guidon  qui  fine  alle  parole  pose, 
e  maledi  quel  giorno  per  isdegno, 
il  qual  dei  cavallieri  e  de  le  spose 
gli  die  vittoria  in  acquistar  quel  regno. 
Astolfo  stette  a  udire,  e  si  nascose 
tanto,  che  si  fe'  certo  a  piu  d'un  segno 
che,  come  detto  avea,  questo  Guidone 
era  figliuol  del  suo  parente  Amone. 

LXVI 

Poi  gli  rispose:—  Io  sono  il  duca  inglese, 
il  tuo  cugino  Astolfo  — ;  et  abbracciollo, 
e  con  atto  amorevole  e  cortese, 
non  senza  sparger  lagrime,  baciollo. 
—  Caro  parente  mio,  non  piu  palese 
tua  madre  ti  potea  por  segno  al  collo ; 
ch'a  farne  fede  che  tu  sei  de'  nostri, 
basta  il  valor  che  con  la  spada  mostri.  — 

LXVII 

Guidon,  ch'altrove  avria  fatto  gran  festa 
d'aver  trovato  un  si  stretto  parente, 
quivi  Paccolse  con  la  faccia  mesta, 
perch6  fu  di  vedervilo  dolente. 
Se  vive,  sa  chj Astolfo  schiavo  resta, 
n£  il  termine  e  piu  la  che  '1  di  seguente; 
se  fia  libero  Astolfo,  ne  more  esso: 
si  che  '1  ben  d'uno  e  il  mal  de  Paltro  espresso, 


CANTO    VENTESIMO  503 

LXVIII 

Gli  duol  che  gli  altri  cavallieri  ancora 
abbia,  vincendo,  a  far  sempre  captivi; 
ne  piu,  quando  esso  in  quel  contrasto  mora, 
potra  giovar  che  servitu  lor  schivi: 
che  se  d'un  fango  ben  gli  porta  fuora, 
e  poi  s'inciampi  come  alPaltro  arrivi, 
avra  lui  senza  pro  vinto  Marfisa; 
ch'essi  pur  ne  fien  schiavi,  et  ella  uccisa. 

LXIX 

Da  Faltro  canto  avea  I5  acerb  a  etade, 
la  cortesia  e  il  valor  del  giovinetto 
d'amore  intenerito  e  di  pietade 
tanto  a  Marfisa  et  ai  compagni  il  petto, 
che  con  morte  di  lui  lor  libertade 
esser  dovendo  avean  quasi  a  dispetto: 
e  se  Marfisa  non  puo  far  con  manco 
ch'uccider  lui,  vuol  essa  morir  anco. 

LXX 

Ella  disse  a  Guidon:  —  Vientene  insieme 
con  noi,  ch'a  viva  forza  usciren  quinci. 
—  Deh  —  rispose  Guidon  —  lascia  ogni  speme 
di  mai  piu  uscirne,  o  perdi  meco  o  vinci.  — 
Ella  suggiunse:  —  II  mio  cor  mai  non  teme 
di  non  dar  fine  a  cosa  che  cominci; 
n6  trovar  so  la  piu  sicura  strada 
di  quella  ove  mi  sia  guida  la  spada. 

LXXI 

Tal  ne  la  piazza  ho  il  tuo  valor  provato, 
che,  s'io  son  teco,  ardisco  ad  ogn'impresa. 
Quando  la  turba  intorno  allo  steccato 
sara  domani  in  sul  teatro  ascesa, 
io  vo'  che  Puccidian  per  ogni  lato, 
o  vada  in  fuga  o  cerchi  far  difesa, 
e  ch'agli  lupi  e  agli  avoltoi  del  loco 
lasciamo  i  corpi,  e  la  cittade  al  fuoco. — 


504  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

Suggiunse  a  lei  Guidon:  —  Tu  m'avrai  pronto 

a  seguitarti  et  a  morirti  a  canto ; 

ma  vivi  rimaner  non  faccian  conto ; 

bastar  ne  puo  di  vendicarci  alquanto: 

che  spesso  diecimila  in  piazza  conto 

del  popul  feminile,  et  altretanto 

resta  a  guardare  e  porto  e  rocca  e  mura, 

ne  alcuna  via  d'uscir  trovo  sicura.  — 

LXXIII 

Disse  Marfisa:  —  E  molto  piu  sieno  elle 
degli  uomini  che  Serse  ebbe  gia  intorno, 
e  sieno  piu  de  Panime  ribelle 
ch'uscir  del  ciel  con  lor  perpetuo  scorno: 
se  tu  sei  meco,  o  almen  non  sie  con  quelle, 
tutte  le  voglio  uccidere  in  un  giorno.  — 
Guidon  suggiunse :  —  lo  non  ci  so  via  alcuna 
ch'a  valer  n'abbia,  se  non  val  quest'una. 

LXXIV 

Ne  puo  sola  salvar,  se  ne  succede, 
quest'una  ch'io  diro,  ch'or  mi  soviene. 
Fuor  ch'alle  donne,  uscir  non  si  concede, 
ne  metter  piede  in  su  le  salse  arene: 
e  per  questo  commettermi  alia  fede 
d'una  de  le  mie  donne  mi  conviene, 
del  cui  perfetto  amor  fatta  ho  sovente 
piu  pruova  ancor,  ch'io  non  faro  al  presente. 

LXXV 

Non  men  di  me  tormi  costei  disia 
di  servitu,  pur  che  ne  venga  meco; 
che  cosi  spera,  senza  compagnia 
de  le  rivali  sue,  ch'io  viva  seco. 
Ella  nel  porto  o  fuste  o  saettia 
fara  or  dinar,  mentre  e  ancor  1'aer  cieco, 
che  i  marinari  vostri  troveranno 
acconcia  a  navigar,  come  vi  vanno. 


CANTO    VENTESIMO  505 

LXXVI 

Dietro  a  me  tutti  in  un  drappel  ristretti, 
cavallieri,  mercanti  e  galeotti, 
ch'ad  albergarvi  sotto  a  questi  tetti 
meco,  vostra  merce,  sete  ridotti, 
avrete  a  farvi  ample  sentier  coi  petti, 
se  del  nostro  camin  siamo  interrotti: 
cosi  spero,  aiutandoci  le  spade, 
ch'io  vi  trarro  de  la  crudel  cittade. 

LXXVII 

—  Tu  fa  come  ti  par,  —  disse  Marfisa  — 
ch'io  son  per  me  d'uscir  di  qui  sicura. 
Piu  facil  fia  che  di  mia  mano  uccisa 
la  gente  sia,  che  e  dentro  a  queste  mura, 
che  mi  veggi  fuggire,  o  in  altra  guisa 
alcun  possa  notar  ch'abbi  paura. 
Vo'  uscir  di  giorno,  e  sol  per  forza  d'arme; 
che  per  ogn'altro  modo  obbrobrio  parme. 

LXXVIII 

S'io  ci  fossi  per  donna  conosciuta, 
so  ch'avrei  da  le  donne  onore  e  pregio; 
e  volentieri  io  ci  sarei  tenuta, 
e  tra  le  prime  forse  del  collegio: 
ma  con  costoro  essendoci  venuta, 
non  ci  vo'  d'essi  aver  piu  privilegio. 
Troppo  error  fora  ch'io  mi  stessi  o  andassi 
libera,  e  gli  altri  in  servitii  lasciassi.  — 

LXXIX 

Queste  parole  et  altre  seguitando, 
mostro  Marfisa  che  Jl  rispetto  solo 
ch'avea  al  periglio  de*  compagni  (quando 
potria  loro  il  suo  ardir  tornare  in  duolo), 
la  tenea  che  con  alto  e  memorando 
segno  d'ardir  non  assalia  lo  stuolo : 
e  per  questo  a  Guidon  lascia  la  cura 
d'usar  la  via  che  piu  gH  par  sicura. 


506  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

Guidon  la  notte  con  Aleria  parla 
(cosi  avea  nome  la  piu  fida  moglie): 
ne  bisogno  gli  fu  molto  pregarla, 
che  la  trovo  disposta  alle  sue  voglie. 
Ella  tolse  una  nave  e  fece  armarla, 
e  v'arreco  le  sue  piu  ricche  spoglie, 
fingendo  di  volere  al  nuovo  albore 
con  le  compagne  uscire  in  corso  fuore. 

LXXXI 

Ella  avea  fatto  nel  palazzo  inanti 
spade  e  lancie  arrecar,  corazze  e  scudi, 
onde  armar  si  potessero  i  mercanti 
e  i  galeotti  ch'eran  mezzo  nudi. 
Altri  dormiro,  et  altri  ster  vegghianti, 
compartendo  tra  lor  gli  ozii  e  gli  studi; 
spesso  guardando,  e  pur  con  I'arme  indosso, 
se  Toriente  ancor  si  facea  rosso. 

LXXXII 

Dal  duro  volto  de  la  terra  il  sole 
non  tollea  ancora  il  velo  oscuro  et  atro ; 
a  pena  avea  la  licaonia  prole 
per  li  solchi  del  ciel  volto  Taratro: 
quando  il  femineo  stuol,  che  veder  vuole 
il  fin  de  la  battaglia,  empi  il  teatro, 
come  ape  del  suo  claustro  empie  la  soglia, 
che  mutar  regno  al  nuovo  tempo  voglia. 

LXXXIII 

Di  trombe,  di  tambur,  di  suon  de  corni 
il  popul  risonar  fa  cielo  e  terra, 
cosi  citando  il  suo  signer,  che  torni 
a  terminar  la  cominciata  guerra. 
Aquilante  e  Grifon  stavano  adorni 
de  le  lor  arme,  e  il  duca  d'Inghilterra, 
Guidon,  Marfisa,  Sansonetto  e  tutti 
gli  altri,  chi  a  piedi  e  chi  a  cavallo  instrutti. 


CANTO   VENTESIMO  507 

LXXXIV 

Per  scender  dal  palazzo  al  mare  e  al  porto, 
la  piazza  traversar  si  convenia; 
ne  v'era  altro  camin  lungo  ne  corto: 
cosi  Guidon  disse  alia  compagnia. 
E  poi  che  di  ben  far  molto  conforto 
lor  diede,  entro  senza  rumore  in  via; 
e  ne  la  piazza,  dove  il  popul  era, 
s'appresento  con  piu  di  cento  in  schiera. 

LXXXV 

Molto  affrettando  i  suoi  compagni,  andava 
Guidone  all'altra  porta  per  uscire: 
ma  la  gran  moltitudine  che  stava 
intorno  armata,  e  sempre  atta  a  ferire, 
penso,  come  lo  vide  che  menava 
seco  quegli  altri,  che  volea  fuggire; 
e  tutta  a  un  tratto  agli  archi  suoi  ricorse, 
e  parte,  onde  s'uscia,  venne  ad  opporse. 

LXXXVI 

Guidone  e  gli  altri  cavallier  gagliardi, 
e  sopra  tutti  lor  Marfisa  forte, 
al  menar  de  le  man  non  furon  tardi, 
e  molto  fer  per  isforzar  le  porte: 
ma  tanta  e  tanta  copia  era  dei  dardi 
che  con  ferite  dei  compagni  e  morte 
pioveano  lor  di  sopra  e  d'ogn'intorno, 
ch'al  fin  temean  d'averne  danno  e  scorno. 

LXXXVII 

D'ogni  guerrier  Fusbergo  era  perfetto; 
che  se  non  era,  avean  piu  da  temere. 
Fu  morto  il  destrier  sotto  a  Sansonetto: 
quel  di  Marfisa  v'ebbe  a  rimanere. 
Astolfo  tra  se  disse:  «Ora,  ch'aspetto 
che  mai  mi  possa  il  corno  piu  valere? 
lo  vo'  veder,  poi  che  non  giova  spada, 
s'io  so  col  corno  assicurar  la  strada. » 


508  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

Come  aiutar  ne  le  fortune  estreme 
sempre  si  suol,  si  pone  il  corno  a  bocca. 
Par  che  la  terra  e  tutto  '1  mondo  trieme, 
quando  Torribil  suon  ne  1'aria  scocca. 
Si  nel  cor  de  la  gente  il  timor  preme, 
che  per  disio  di  fuga  si  trabocca 
giu  del  teatro  sbigottita  e  smorta, 
non  che  lasci  la  guardia  de  la  porta. 

LXXXIX 

Come  talor  si  getta  e  si  periglia 
e  da  finestra  e  da  sublime  loco 
1'esterrefatta  subito  famiglia, 
che  vede  appresso  e  d'ogn'intorno  il  fuoco, 
che,  mentre  le  tenea  gravi  le  ciglia 
il  pigro  sonno,  crebbe  a  poco  a  poco; 
cosi,  messa  la  vita  in  abandono, 
ognun  fuggia  lo  spaventoso  suono. 

xc 

Di  qua  di  la,  di  su  di  giu  smarrita 
surge  la  turba,  e  di  fuggir  procaccia. 
Son  piu  di  mille  a  un  tempo  ad  ogni  uscita: 
cascano  a  monti,  e  Tuna  1'altra  impaccia. 
In  tanta  calca  perde  altra  la  vita; 
da  palchi  e  da  finestre  altra  si  schiaccia: 
piu  d'un  braccio  si  rompe  e  d'una  testa, 
di  ch' altra  morta,  altra  storpiata  resta. 

xci 

II  pianto  e  '1  grido  insino  al  ciel  saliva, 
d'alta  ruina  misto  e  di  fraccasso. 
Affretta,  ovunque  il  suon  del  corno  arriva, 
la  turba  spaventata  in  fuga  il  passo. 
Se  udite  dir  che  d'ardimento  priva 
la  vil  plebe  si  mostri  e  di  cor  basso, 
non  vi  maravigliate,  che  natura 
e  de  la  lepre  aver  sempre  paura. 


CANTO    VENTESIMO  509 

XCII 

Ma  che  direte  del  gia  tanto  fiero 

cor  di  Marfisa  e  di  Guidon  Selvaggio  ? 

del  dua  giovini  figli  d'Oliviero, 

che  gia  tanto  onoraro  il  lor  lignaggio? 

Gia  centomila  avean  stimato  un  zero; 

e  in  fuga  or  se  ne  van  senza  coraggio, 

come  conigli  o  timidi  colombi 

a  cui  vicino  alto  rumor  rimbombi. 

xcm 

Cosi  noceva  ai  suoi  come  agli  strani 
la  forza  che  nel  corno  era  incantata. 
Sansonetto,  Guidone  e  i  duo  germani 
fuggon  dietro  a  Marfisa  spaventata; 
ne  fuggendo  ponno  ir  tanto  lontani, 
che  lor  non  sia  1'orecchia  anco  intronata. 
Scorre  Astolfo  la  terra  in  ogni  lato, 
dando  via  sempre  al  corno  maggior  fiato. 

xciv 

Chi  scese  al  mare,  e  chi  poggio  su  al  monte, 
e  chi  tra  i  boschi  ad  occultar  si  venne: 
alcuna,  senza  mai  volger  la  fronte, 
fuggir  per  dieci  di  non  si  ritenne: 
uscl  in  tal  punto  alcuna  fuor  del  ponte, 
ch'in  vita  sua  mai  piu  non  vi  rivenne. 
Sgombraro  in  modo  e  piazze  e  templi  e  case, 
che  quasi  vota  la  citta  rimase. 

xcv 

Marfisa  e  '1  bon  Guidone  e  i  duo  fratelli 
e  Sansonetto,  pallidi  e  tremanti, 
fuggiano  inverse  il  mare,  e  dietro  a  quelli 
fuggiano  i  marinari  e  i  mercatanti; 
ove  Aleria  trovar,  che  fra  i  castelli 
loro  avea  un  legno  apparechiato  inanti. 
Quindi,  poi  ch'in  gran  fretta  li  raccolse, 
die  i  remi  alPacqua  et  ogni  vela  sciolse. 


510  ORLANDO   FURIOSO 

XCVI 

Dentro  e  d'intorno  il  duca  la  cittade 
avea  scorsa  dai  colli  insino  all'onde; 
fatto  avea  vote  rimaner  le  strade: 
ognun  lo  fugge,  ognun  se  gli  nasconde. 
Molte  trovate  fur,  che  per  viltade 
s'eran  gittate  in  parti  oscure  e  immonde; 
e  molte,  non  sappiendo  ove  s'andare, 
messesi  a  nuoto  et  affogate  in  mare. 

xcvn 

Per  trovare  i  compagni  il  duca  viene, 
che  si  credea  di  riveder  sul  molo. 
Si  volge  intorno,  e  le  deserte  arene 
guarda  per  tutto,  e  non  v'appare  un  solo. 
Leva  piu  gli  occhi,  e  in  alto  a  vele  piene 
da  se  lontani  andar  li  vede  a  volo : 
si  che  gli  convien  fare  altro  disegno 
al  suo  camin,  poi  che  partito  e  il  legno. 

XCVIII 

Lasciamolo  andar  pur  (ne  vi  rincresca 

che  tanta  strada  far  debba  soletto 

per  terra  d'infedeli  e  barbaresca, 

dove  mai  non  si  va  senza  sospetto : 

non  e  periglio  alcuno,  onde  non  esca 

con  quel  suo  corno,  e  n'ha  mostrato  effetto); 

e  dei  compagni  suoi  pigliamo  cura, 

ch'al  mar  fuggian  tremando  di  paura. 

xcix 

A  piena  vela  si  cacciaron  lunge 

da  la  crudele  e  sanguinosa  spiaggia: 

e  poi  che  di  gran  lunga  non  li  giunge 

Porribil  suon  ch'a  spaventar  piu  gli  aggia, 

insolita  vergogna  si  gli  punge, 

che  com'un  fuoco  a  tutti  il  viso  raggia. 

L'un  non  ardisce  a  mirar  1'altro,  e  stassi 

tristo,  senza  parlar,  con  gli  occhi  bassi. 


CANTO    VENTESIMO  511 

C 

Passa  il  nocchiero,  al  suo  viaggio  intento, 
e  Cipro  e  Rodi,  e  giu  per  Fonda  egea 
da  se  vede  fuggire  isole  cento 
col  periglioso  capo  di  Malea; 
e  con  propizio  et  immutabil  vento 
asconder  vede  la  greca  Morea; 
volta  Sicilia,  e  per  lo  mar  Tirreno 
costeggia  de  1' Italia  il  lito  ameno: 

ci 

e  sopra  Luna  ultimamente  sorse, 
dove  lasciato  avea  la  sua  famiglia. 
Dio  ringraziando  che  1  pelago  corse 
senza  piii  danno,  il  noto  lito  piglia. 
Quindi  un  nochier  trovar  per  Francia  sciorse, 
il  qual  di  venir  seco  li  consiglia: 
e  nel  suo  legno  ancor  quel  di  montaro, 
et  a  Marsilia  in  breve  si  trovaro. 

en 

Quivi  non  era  Bradamante  allora, 
ch'aver  solea  governo  del  paese; 
che  se  vi  fosse,  a  far  seco  dimora 
gli  avria  sforzati  con  parlar  cortese. 
Sceser  nel  lito,  e  la  medesima  ora 
dai  quattro  cavallier  congedo  prese 
Marfisa,  e  da  la  donna  del  Selvaggio; 
e  pigll6  alia  ventura  il  suo  viaggio, 

cm 

dicendo  che  lodevole  non  era 
ch'andasser  tanti  cavallieri  insieme: 
che  gli  storm  e  i  colombi  vanno  in  schiera, 
i  daini  e  i  cervi  e  ogn'animal  che  teme; 
ma  1'audace  falcon,  Paquila  altiera, 
che  ne  Paiuto  altrui  non  metton  speme, 
orsi,  tigri,  leon,  soli  ne  vanno; 
che  di  piu  forza  alcun  timor  non  hanno. 


512  ORLANDO    FURIOSO 

CIV 

Nessun  degli  altri  fu  di  quel  pensiero; 
si  ch'a  lei  sola  tocco  a  far  partita. 
Per  mezzo  i  boschi  e  per  strano  sentiero 
dunque  ella  se  n'ando  sola  e  romita. 
Grifone  il  bianco  et  Aquilante  il  nero 
pigliar  con  gli  altri  duo  la  via  piu  trita, 
e  giunsero  a  un  castello  il  di  seguente, 
dove  albergati  fur  cortesemente. 

cv 

Cortesemente  dico  in  apparenza, 
ma  tosto  vi  sentir  contrario  effetto ; 
che  51  signor  del  castel,  benivolenza 
fingendo  e  cortesia,  lor  de  ricetto: 
e  poi  la  notte,  che  sicuri  senza 
timor  dormian,  gli  fe'  pigliar  nel  letto; 
ne  prima  li  lascio,  che  d'osservare 
una  costuma  ria  li  fe'  giurare. 

cvi 

Ma  vo'  seguir  la  bellicosa  donna, 
prima,  Signor,  che  di  costor  piu  dica. 
Passo  Druenza,  il  Rodano  e  la  Sonna, 
e  venne  a  pie  d'una  montagna  aprica. 
Quivi  lungo  un  torrente,  in  negra  gonna 
vide  venire  una  femina  antica, 
che  stanca  e  lassa  era  di  lunga  via, 
ma  via  piu  afflitta  di  malenconia. 

evil 

Questa  e  la  vecchia  che  solea  servire 
ai  malandrin  nel  cavernoso  monte, 
la  dove  alta  giustizia  fe'  venire 
e  dar  lor  morte  il  paladino  conte. 
La  vecchia,  che  timore  ha  di  morire 
per  le  cagion  che  poi  vi  saran  conte, 
gia  molti  di  va  per  via  oscura  e  fosca, 
fuggendo  ritrovar  chi  la  conosca. 


CANTO    VENTESIMO  513 

CVIII 

Quivi  d'estrano  cavallier  sembianza 
Pebbe  Marfisa  all'abito  e  all'arnese; 
e  percio  non  fuggi,  com'avea  usanza 
fuggir  dagli  altri  ch'eran  del  paese; 
anzi  con  sicurezza  e  con  baldanza 
si  fermo  al  guado,  e  di  lontan  Tattese: 
al  guado  del  torrente,  ove  trovolla, 
la  vecchia  le  usci  incontra  e  salutolla. 

cix 

Poi  la  prego  che  seco  oltr'a  quell'acque 
ne  1'altra  ripa  in  groppa  la  portasse. 
Marfisa,  che  gentil  fu  da  che  nacque, 
di  la  dal  fiumicel  seco  la  trasse; 
e  portarla  anch'un  pezzo  non  le  spiacque, 
fin  ch'a  miglior  camin  la  ritornasse, 
fuor  d'un  gran  fango;  e  al  fin  di  quel  sentiero 
si  videro  all'mcontro  un  cavalliero. 

ex 

II  cavallier  su  ben  guernita  sella, 
di  lucide  arme  e  di  bei  panni  ornato, 
verso  il  fiume  venia,  da  una  donzella 
e  da  un  solo  scudiero  accompagnato. 
La  donna  ch'avea  seco  era  assai  bella, 
ma  d'altiero  sembiante  e  poco  grato, 
tutta  d'orgoglio  e  di  fastidio  piena, 
del  cavallier  ben  degna  che  la  mena. 

CXI 

Pinabello,  un  de}  conti  maganzesi, 
era  quel  cavallier  ch'ella  avea  seco; 
quel  medesmo  che  dianzi  a  pochi  mesi 
Bradamante  gitt6  nel  cavo  speco. 
Quei  sospir,  quei  singulti  cosi  accesi, 
quel  pianto  che  lo  fe'  gia  quasi  cieco, 
tutto  fu  per  costei  ch'or  seco  avea, 
che  *1  negromante  allor  gli  ritenea. 


514  ORLANDO   FURIOSO 

CXII 

Ma  poi  che  fu  levato  di  sul  colle 
Tincantato  castel  del  vecchio  Atlante, 
e  che  pote  ciascuno  ire  ove  voile, 
per  opra  e  per  virtu  di  Bradamante; 
costei,  ch'agli  disii  facile  e  molle 
di  Pinabel  sempre  era  stata  inante, 
si  torno  a  lui,  et  in  sua  compagnia 
da  tin  castello  ad  un  altro  or  se  ne  gia. 

CXIII 

E  si  come  vezzosa  era  e  mal  usa, 
quando  vide  la  vecchia  di  Marfisa, 
non  si  pote  tenere  a  bocca  chiusa 
di  non  la  motteggiar  con  beffe  e  risa. 
Marfisa  altiera,  appresso  a  cui  non  s'usa 
sentirsi  oltraggio  in  qualsivoglia  guisa, 
rispose  d'ira  accesa  alia  donzella 
che  di  lei  quella  vecchia  era  piu  bella; 

cxiv 

e  ch'al  suo  cavallier  volea  provallo, 
con  patto  dl  poi  t6rre  a  lei  la  gonna 
e  il  palafren  ch'avea,  se  da  cavallo 
gittava  il  cavallier  di  ch'era  donna. 
Pinabel  che  faria,  tacendo,  fallo, 
di  risponder  con  Farme  non  assonna: 
piglia  lo  scudo  e  Tasta,  e  il  destrier  gira, 
poi  vien  Marfisa  a  ritrovar  con  ira. 

cxv 

Marfisa  incontra  una  gran  lancia  afferra, 
e  ne  la  vista  a  Pinabel  Farresta, 
e  si  stordito  lo  riversa  in  terra, 
che  tarda  un'ora  a  rilevar  la  testa. 
Marfisa,  vincitrice  de  la  guerra, 
fe'  trarre  a  quella  giovane  la  vesta, 
et  ogn'altro  ornamento  le  fe'  porre, 
e  ne  fej  il  tutto  alia  sua  vecchia  t6rre: 


CANTO    VENTESIMO  515 

CXVI 

e  di  quel  giovenile  abito  volse 
che  si  vestisse  e  se  n'ornasse  tutta; 
e  fe'  che  '1  palafreno  anco  si  tolse, 
che  la  giovane  avea  quivi  condutta. 
Indi  al  preso  camin  con  lei  si  volse, 
che  quant' era  piu  ornata,  era  piu  brutta. 
Tre  giorni  se  n'andar  per  lunga  strada, 
senza  far  cosa  onde  a  parlar  m'accada. 

cxvn 

II  quarto  giorno  un  cavallier  trovaro, 
che  venia  in  fretta  galoppando  solo. 
Se  di  saper  chi  sia  forse  v'e  caro, 
dicovi  ch'e  Zerbin,  di  re  figliuolo, 
di  virtu  esempio  e  di  bellezza  raro, 
che  se  stesso  rodea  d'ira  e  di  duolo 
di  non  aver  potuto  far  vendetta 
d'un  che  gli  avea  gran  cortesia  interdetta. 

CXVIII 

Zerbino  indarno  per  la  selva  corse 

dietro  a  quel  suo  che  gli  avea  fatto  oltraggio; 

ma  si  a  tempo  colui  seppe  via  torse, 

si  seppe  nel  fuggir  prender  vantaggio, 

si  il  bosco  e  si  una  nebbia  lo  soccorse, 

ch'avea  offuscato  il  matutmo  raggio, 

che  di  man  di  Zerbin  si  levo  netto, 

fin  che  Pira  e  il  furor  gli  usci  del  petto. 

cxix 

Non  pote,  ancor  che  Zerbin  fosse  irato, 
tener,  vedendo  quella  vecchia,  il  riso; 
che  gli  parea  dal  giovenile  ornato 
troppo  diverso  il  brutto  antiquo  viso; 
et  a  Marfisa,  che  le  venia  a  lato, 
disse:  —  Guerrier,  tu  sei  pien  d'ogni  aviso, 
che  damigella  di  tal  sorte  guidi, 
che  non  temi  trovar  chi  te  la  invidi.  — 


516  ORLANDO   FURIOSO 

CXX 

Avea  la  donna  (se  la  crespa  buccia 

puo  darne  indicio)  piu  de  la  Sibilla, 

e  parea,  cosi  ornata,  una  bertuccia, 

quando  per  muover  riso  alcun  vestilla; 

et  or  piu  brutta  par,  che  si  coruccia, 

e  che  dagli  occhi  1'ira  le  sfavilla: 

ch'a  donna  non  si  fa  maggior  dispetto, 

che  quando  o  vecchia  o  brutta  le  vien  detto. 

cxxi 

Mostro  turbarse  1'inclita  donzella, 
per  prenderne  piacer,  come  si  prese; 
e  rispose  a  Zerbin :  —  Mia  donna  e  bella, 
per  Dio,  via  piu  che  tu  non  sei  cortese; 
come  ch'io  creda  che  la  tua  favella 
da  quel  che  sente  Panimo  non  scese: 
tu  fingi  non  conoscer  sua  beltade, 
per  escusar  la  tua  somma  viltade. 

cxxn 

E  chi  saria  quel  cavallier  che  questa 
si  giovane  e  si  bella  ritrovasse 
senza  piu  compagnia  ne  la  foresta, 
e  che  di  farla  sua  non  si  provasse? 
—  Si  ben  —  disse  Zerbin  —  teco  s'assesta, 
che  saria  mal  ch'alcun  te  la  levasse; 
et  io  per  me  non  son  cosi  indiscreto, 
che  te  ne  privi  mai:  stanne  pur  lieto. 

CXXIII 

S'in  altro  conto  aver  vuoi  a  far  meco, 
di  quel  ch'io  vaglio  son  per  farti  mostra; 
ma  per  costei  non  mi  tener  si  cieco, 
che  solamente  far  voglia  una  giostra. 
0  brutta  o  bella  sia,  restisi  teco : 
non  vo'  partir  tanta  amicizia  vostra. 
Ben  vi  sete  accoppiati:  io  giurerei, 
com'ella  e  bella,  tu  gagliardo  sei.  — 


CANTO    VENTESIMO  517 

CXXIV 

Suggiunse  a  lui  Marfisa:  —  Al  tuo  dispetto 
di  levarmi  costei  provar  convienti. 
Non  vo'  patir  ch'un  si  leggiadro  aspetto 
abbi  veduto,  e  guadagnar  nol  tenti.  — 
Rispose  a  lei  Zerbin:  —  Non  so  a  ch'effetto 
1'uom  si  metta  a  periglio  e  si  tormenti, 
per  riportarne  una  vittoria  poi 
che  giovi  al  vinto,  e  al  vincitor  annoi. 

cxxv 

—  Se  non  ti  par  questo  partito  buono, 
te  ne  do  un  altro,  e  ricusar  nol  dei:  — 
disse  a  Zerbin  Marfisa  —  che  s'io  sono 
vinto  da  te,  m'abbia  a  restar  costei; 
ma  s'io  te  vinco,  a  forza  te  la  dono. 
Dunque  provian  chi  de'  star  senza  lei: 
se  perdi,  converra  che  tu  le  faccia 
compagnia  sempre,  ovunque  andar  le  piaccia. 

cxxvi 

—  E  cosi  sia — ,  Zerbin  rispose;  e  volse 
a  pigliar  campo  subito  il  cavallo. 

Si  levo  su  le  staffe  e  si  raccolse 
fermo  in  arcione;  e  per  non  dare  in  fallo, 
lo  scudo  in  mezzo  alia  donzella  colse; 
ma  parve  urtasse  un  monte  di  metallo: 
et  ella  in  guisa  a  lui  tocco  Telmetto, 
che  stordito  il  man  do  di  sella  netto. 

CXXVII 

Troppo  spiacque  a  Zerbin  Pesser  caduto, 
ch'in  altro  scontro  mai  piu  non  gli  awenne, 
e  n'avea  mille  e  mille  egli  abbattuto; 
et  a  perpetuo  scorno  se  lo  tenne. 
Stette  per  lungo  spazio  in  terra  muto; 
e  piu  gli  dolse  poi  che  gli  sovenne 
ch'avea  promesso  e  che  gli  convenia 
aver  la  brutta  vecchia  in  compagnia. 


jig  ORLANDO  FURIOSO 

CXXVIII 

Tornando  a  lui  la  vincitrice  in  sella, 

disse  ridendo:  —  Questa  t'appresento; 

e  quanto  piii  la  veggio  e  grata  e  bella, 

tanto  ch'ella  sia  tua  piu  mi  contento. 

Or  tu  in  mio  loco  sei  campion  di  quella; 

ma  la  tua  fe  non  se  ne  porti  il  vento, 

die  per  sua  guida  e  scorta  tu  non  vada 

(come  hai  promesso)  ovunque  andar  1'aggrada.  — 

cxxix 

Senza  aspettar  risposta  urta  il  destriero 
per  la  foresta,  e  subito  s'imbosca. 
Zerbin,  che  la  stimava  un  cavalliero, 
dice  alia  vecchia:  —  Fa  ch'io  lo  conosca.  — 
Et  ella  non  gli  tiene  ascoso  il  vero, 
onde  sa  che  lo  'ncende  e  che  Tattosca: 
—  II  colpo  fu  di  man  d'una  donzella, 
che  t'ha  fatto  votar  —  disse  —  la  sella. 

cxxx 

Pel  suo  valor  costei  debitamente 
usurpa  a'  cavallieri  e  scudo  e  lancia; 
e  venuta  e  pur  dianzi  d'Oriente 
per  assaggiare  i  paladin  di  Francia.  — 
Zerbin  di  questo  tal  vergogna  sente, 
che  non  pur  tinge  di  rossor  la  guancia, 
ma  rest6  poco  di  non  farsi  rosso 
seco  ogni  pezzo  d'arme  ch'avea  indosso. 

cxxxi 

Monta  a  cavallo,  e  se  stesso  rampogna 
che  non  seppe  tener  strette  le  cosce. 
Tra  se  la  vecchia  ne  sorride,  e  agogna 
di  stimularlo  e  di  piu  dargli  angosce. 
Gli  ricorda  ch' andar  seco  bisogna: 
e  Zerbin,  ch'ubligato  si  conosce, 
1'orecchie  abbassa,  come  vinto  e  stanco 
destrier  c'ha  in  bocca  il  fren,  gli  sproni  al  fianco. 


CANTO    VENTESIMO  519 

CXXXII 

E  sospirando :  —  Ohime,  Fortuna  fella,— 
dicea  —  che  cambio  e  questo  che  tu  fai  ? 
Colei  che  fu  sopra  le  belle  bella, 
ch'esser  meco  dovea,  levata  m'hai. 
Ti  par  ch'in  luogo  et  in  ristor  di  quella 
si  debba  por  costei  ch'ora  mi  dai? 
Stare  in  danno  del  tutto  era  men  male, 
che  fare  un  cambio  tanto  diseguale. 

CXXXIII 

Colei  che  di  bellezze  e  di  virtuti 
unqua  non  ebbe  e  non  avra  mai  pare, 
sommersa  e  rotta  tra  gli  scogli  acuti 
hai  data  ai  pesci  et  agli  augei  del  mare; 
e  costei  che  dovria  gia  aver  pasciuti 
sotterra  i  vermi,  hai  tolta  a  perservare 
dieci  o  venti  anni  piu  che  non  devevi, 
per  dar  piu  peso  agli  miej  affanni  grevi.  — 

cxxxiv 

Zerbin  cosi  parlava;  ne  men  tristo 
in  parole  e  in  sembianti  esser  parea 
di  questo  nuovo  suo  si  odioso  acquisto, 
che  de  la  donna  che  perduta  avea. 
La  vecchia,  ancor  che  non  avesse  visto 
mai  piu  Zerbin,  per  quel  ch'ora  dicea 
s'awide  esser  colui  di  che  notizia 
le  diede  gia  Issabella  di  Galizia. 

cxxxv 

Se  '1  vi  ricorda  quel  ch'avete  udito, 
costei  da  la  spelonca  ne  veniva, 
dove  Issabella,  che  d'amor  ferito 
Zerbino  avea,  fu  molti  di  captiva. 
Piu  volte  ella  le  avea  gia  riferito 
come  lasciasse  la  paterna  riva, 
e  come  rotta  in  mar  da  la  procella 
si  salvasse  alia  spiaggia  di  Rocella. 


520 


ORLANDO   FURIOSO 
CXXXVI 

E  si  spesso  dipinto  di  Zerbino 
le  avea  il  bel  viso  e  le  fattezze  conte, 
ch'ora  udendol  parlare,  e  piii  vicino 
gli  occhi  alzandogli  meglio  ne  la  fronte, 
vide  esser  quel  per  cui  sempre  meschino 
fu  d'Issabella  il  cor  nel  cavo  monte; 
che  di  non  veder  lui  piu  si  lagnava, 
che  d'esser  fatta  ai  malandrini  schiava. 

CXXXVII 

La  vecchia,  dando  alle  parole  udienza, 
che  con  sdegno  e  con  duol  Zerbino  versa, 
s'avede  ben  ch'egli  ha  falsa  credenza 
che  sia  Issabella  in  mar  rotta  e  sommersa: 
e  ben  ch'ella  del  certo  abbia  scienza, 
per  non  lo  rallegrar,  pur  la  perversa 
quel  che  far  lieto  lo  potria,  gli  tace, 
e  sol  gli  dice  quel  che  gli  dispiace. 

CXXXVIII 

—  Odi  tu,  —  gli  disse  —  ella  tu  che  sei 
cotanto  altier,  che  si  mi  scherni  e  sprezzi, 
se  sapessi  che  nuova  ho  di  costei 
che  morta  piangi,  mi  faresti  vezzi: 
ma  piu  tosto  che  dirtelo,  torrei 
che  mi  strozzassi  o  fessi  in  mille  pezzi; 
dove,  s'eri  ver  me  piu  mansueto, 
forse  aperto  t'avrei  questo  secreto.  — 

cxxxix 

Come  il  mastin  che  con  furor  s'aventa 
adosso  al  ladro,  ad  achetarsi  e  presto, 
che  quello  o  pane  o  cacio  gli  appresenta, 
o  che  fa  incanto  appropriate  a  questo; 
cosi  tosto  Zerbino  umil  diventa, 
e  vien  bramoso  di  sapere  il  resto, 
che  la  vecchia  gli  accenna  che  di  quella, 
che  morta  piange,  gli  sa  dir  novella. 


CANTO    VENTESIMO  521 


E  volto  a  lei  con  piu  piacevol  faccia, 
la  supplica,  la  prega,  la  scongiura 
per  gli  uomini,  per  Dio,  che  non  gli  taccia 
quanto  ne  sappia,  o  buona  o  ria  ventura. 

—  Cosa  non  udirai  che  pro  ti  faccia:  — 
disse  la  vecchia  pertinace  e  dura 

—  non  e  Issabella,  come  credi,  morta; 
ma  viva  si,  chV  morti  invidia  porta. 

CXLI 

£  capitata  in  quest!  pochi  giorni 
che  non  n'udisti,  in  man  di  piu  di  venti: 
si  che,  qualora  anco  in  man  tua  ritorni, 
vej  se  sperar  di  corre  il  fior  convienti.  — 
Ah  vecchia  maladetta,  come  adorni 
la  tua  menzogna!  e  tu  sai  pur  se  menti. 
Se  ben  in  man  de  venti  elPera  stata, 
non  Favea  alcun  per6  mai  violata. 

CXLII 

Dove  1'avea  veduta  domandolle 
Zerbino,  e  quando;  ma  nulla  n'invola, 
che  la  vecchia  ostinata  piu  non  voile 
a  quel  c'ha  detto  aggiungere  parola. 
Prima  Zerbin  le  fece  un  parlar  molle, 
poi  minacciolle  di  tagliar  la  gola: 
ma  tutto  e  invan  cio  che  minaccia  e  prega; 
che  non  puo  far  parlar  la  brutta  Strega. 

CXLIII 

Lasci6  la  lingua  airultimo  in  riposo 
Zerbin,  poi  che  '1  parlar  gli  giovo  poco; 
per  quel  ch'udito  avea,  tanto  geloso, 
che  non  trovava  il  cor  nel  petto  loco; 
d'Issabella  trovar  si  disioso, 
che  saria  per  vederla  ito  nel  fuoco: 
ma  non  poteva  andar  piu  che  volesse 
colei,  poi  ch'a  Marfisa  lo  promesse. 


522  ORLANDO   FURIOSO 

CXLIV 

E  quindi  per  solingo  e  strano  calle, 
dove  a  lei  piacque,  fu  Zerbin  condotto ; 
ne  per  o  poggiar  monte  o  scender  valle 
mai  si  guardaro  in  faccia  o  si  fer  motto. 
Ma  poi  ch'al  mezzodi  volse  le  spalle 
il  vago  sol,  fu  il  lor  silenzio  rotto 
da  un  cavallier  che  nel  camin  scontraro. 
Quel  che  segui,  ne  Paltro  canto  e  chiaro. 


CANTO    VENTESIMOPRIMO  523 


CANTO    VENTESIMOPRIMO 


I 

Ne  fune  intorto  credero  che  stringa 

soma  cosi,  ne  cosi  legno  chiodo, 

come  la  fe  ch'una  bella  alma  cinga 

del  suo  tenace  indissolubil  nodo. 

Ne  dagli  antiqui  par  che  si  dipinga 

la  santa  Fe  vestita  in  altro  modo, 

che  d'un  vel  bianco  che  la  cuopra  tutta: 

ch'un  sol  punto,  un  sol  neo  la  pu6  far  brutta. 

II 

La  fede  unqua  non  debbe  esser  corrotta, 
o  data  a  un  solo,  o  data  insieme  a  milie; 
e  cosi  in  una  selva,  in  una  grotta, 
lontan  da  le  cittadi  e  da  le  ville, 
come  dinanzi  a  tribunali,  in  frotta 
di  testimon,  di  scritti  e  di  postille, 
senza  giurare  o  segno  altro  piu  espresso, 
basti  una  volta  che  s'abbia  promesso. 

in 

Quella  serv6,  come  servar  si  debbe 
in  ogni  impresa,  il  cavallier  Zerbino : 
e  quivi  dimostr6  che  conto  n'ebbe, 
quando  si  tolse  dal  proprio  camino 
per  andar  con  costei,  la  qual  gl'increbbe, 
come  s'avesse  il  morbo  si  vicino, 
o  pur  la  morte  istessa;  ma  potea, 
piu  che  '1  disio,  quel  che  promesso  avea. 


524  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

Dissi  di  lui,  che  di  vederla  sotto 

la  sua  condotta  tanto  al  cor  gli  preme, 

che  n'arrabbia  di  duol,  ne  le  fa  motto; 

e  vanno  muti  e  taciturni  insieme: 

dissi  che  poi  fu  quel  silenzio  rotto, 

ch'al  mondo  il  sol  mostr6  le  mote  estreme, 

da  un  cavalliero  aventuroso  errante, 

ch'in  mezzo  del  camin  lor  si  fe*  inante. 

v 

La  vecchia  che  conobbe  il  cavalliero, 
ch'era  nomato  Ermonide  d'Olanda, 
che  per  insegna  ha  ne  lo  scudo  nero 
attraversata  una  vermiglia  banda, 
posto  1'orgoglio  e  quel  sembiante  altiero, 
umilmente  a  Zerbin  si  raccomanda, 
e  gli  ricorda  quel  ch'esso  promise 
alia  guerriera  ch'in  sua  man  la  mise. 

VI 

Perche  di  lei  nimico  e  di  sua  gente 
era  il  guerrier  che  contra  lor  venia: 
ucciso  ad  essa  avea  il  padre  innocente, 
e  un  fratello  che  solo  al  mondo  avia; 
e  tuttavolta  far  del  rimanente, 
come  degli  altri,  il  traditor  disia. 

—  Fin  ch'alla  guardia  tua,  donna,  mi  senti,  - 
dicea  Zerbin  —  non  vo'  che  tu  paventi.  — 

vn 

Come  piu  presso  il  cavallier  si  specchia 
in  quella  faccia  che  si  in  odio  gli  era: 

—  0  di  combatter  meco  t'apparecchia,  — 
grid6  con  voce  minacciosa  e  fiera 

—  o  lascia  la  difesa  de  la  vecchia, 

che  di  mia  man  secondo  il  merto  pera. 

Se  combatti  per  lei,  rimarrai  morto: 

che  cosi  awiene  a  chi  s'appiglia  al  torto.  — 


CANTO    VENTESIMOPRIMO  525 

VIII 

Zerbin  cortesemente  a  lui  risponde 
che  gli  e  desir  di  bassa  e  mala  sorte, 
et  a  cavalleria  non  corrisponde 
che  cerchi  dare  ad  una  donna  morte: 
se  pur  combatter  vuol,  non  si  nasconde; 
ma  che  prima  consider!  ch'importe 
ch'un  cavallier  com' era  egli  gentile 
voglia  por  man  nel  sangue  feminile. 

IX 

Queste  gli  disse  e  piu  parole  invano; 
e  fu  bisogno  al  fin  venire  a'  fatti. 
Poi  che  preso  a  bastanza  ebbon  del  piano, 
tornarsi  incontra  a  tutta  briglia  ratti. 
Non  van  si  presti  i  razzi  fuor  di  mano, 
ch'al  tempo  son  de  le  allegrezze  tratti, 
come  andaron  veloci  i  duo  destrieri 
ad  incontrare  insieme  i  cavallieri. 


Ermonide  d'Olanda  segno  basso, 
che  per  passare  il  destro  fianco  attese: 
ma  la  sua  debol  lancia  ando  in  fracasso, 
e  poco  il  cavallier  di  Scozia  ofTese. 
Non  fu  gia  1'altro  colpo  vano  e  casso; 
roppe  lo  scudo,  e  si  la  spalla  prese, 
che  la  for6  da  1'uno  all'altro  lato, 
e  riversar  fe*  Ermonide  sul  prato. 

XI 

Zerbin  che  si  penso  d'averlo  ucciso, 

di  pieta  vinto,  scese  in  terra  presto, 

e  levo  Felmo  da  lo  smorto  viso; 

e  quel  guerrier,  come  dal  sonno  desto, 

senza  parlar  guard6  Zerbino  fiso; 

e  poi  gli  disse:  —  Non  m'e  gia  molesto 

ch'io  sia  da  te  abbattuto,  ch'ai  sembianti 

mostri  esser  fior  de'  cavallieri  erranti; 


526  ORLANDO  FURIOSO 

XII 

ma  ben  mi  duol  che  questo  per  cagione 
d'una  femina  perfida  m'awiene, 
a  cui  non  so  come  tu  sia  campione, 
che  troppo  al  tuo  valor  si  disconviene. 
E  quando  tu  sapessi  la  cagione 
ch'a  vendicarmi  di  costei  mi  mene, 
avresti,  ognor  che  rimembrassi,  aflanno 
d'aver,  per  campar  lei,  fatto  a  me  danno. 

XIII 

E  se  spirto  a  bastanza  avro  nel  petto 
ch'io  il  possa  dir  (ma  del  contrario  temo), 
io  ti  far6  veder  ch'in  ogni  effetto 
scelerata  e  costei  piu  ch'in  estremo. 
Io  ebbi  gia  un  fratel  che  giovinetto 
d'Olanda  si  parti,  donde  noi  semo, 
e  si  fece  d'Eraclio  cavalliero, 
ch'allor  tenea  de}  Greci  il  sommo  impero. 

XIV 

Quivi  divenne  intrinseco  e  fratello 
d'un  cortese  baron  di  quella  corte, 
che  nei  confin  di  Servia  avea  un  castello 
di  sito  ameno  e  di  muraglia  forte. 
Nomossi  Argeo  colui  di  ch'io  favello, 
di  questa  iniqua  femina  consorte, 
la  quale  egli  am.6  si,  che  passo  il  segno 
ch'a  un  uom  si  convenia  come  lui  degno. 

xv 

Ma  costei,  piu  volubile  che  foglia 
quando  Pautunno  e  piu  priva  d'umore, 
che  Jl  freddo  vento  gli  arbori  ne  spoglia, 
e  le  soffia  dinanzi  al  suo  furore; 
verso  il  marito  cangi6  tosto  voglia, 
che  fisso  qualche  tempo  ebbe  nel  core; 
e  volse  ogni  pensiero,  ogni  disio 
d'acquistar  per  amante  il  fratel  mio. 


CANTO   VENTESIMOPRIMO  527 

XVI 

Ma  ne  si  saldo  alPimpeto  marino 
FAcrocerauno  d'infamato  nome, 
ne  sta  si  duro  incontra  borea  il  pino 
che  rinovato  ha  piu  di  cento  chiome, 
che  quanto  appar  fuor  de  lo  scoglio  alpino, 
tanto  sotterra  ha  le  radici;  come 
il  mio  fratello  a5  prieghi  di  costei, 
nido  de  tutti  i  vizii  infandi  e  rei. 

XVII 

Or  come  awiene  a  un  cavallier  ardito 
che  cerca  briga  e  la  ritrova  spesso, 
fu  in  una  impresa  il  mio  fratel  ferito, 
molto  al  castel  del  suo  compagno  appresso, 
dove  venir  senza  aspettare  invito 
solea,  fosse  o  non  fosse  Argeo  con  esso; 
e  dentro  a  quel  per  riposar  fermosse 
tanto  che  del  suo  mal  libero  fosse. 

XVIII 

Mentre  egli  quivi  si  giacea,  convenne 
ch'in  certa  sua  bisogna  andasse  Argeo. 
Tosto  questa  sfacciata  a  tentar  venne 
il  mio  fratello,  et  a  sua  usanza  feo; 
ma  quel  fedel  non  oltre  piu  sostenne 
avere  ai  fianchi  un  stimulo  si  reo : 
elesse,  per  servar  sua  fede  a  pieno, 
di  molti  mal  quel  che  gli  parve  meno. 

XIX 

Tra  molti  mal  gli  parve  elegger  questo: 
lasciar  d' Argeo  Pintrinsichezza  antiqua; 
lungi  andar  si,  che  non  sia  manifesto 
mai  piu  il  suo  nome  alia  femina  iniqua. 
Ben  che  duro  gli  fosse,  era  piu  onesto 
che  satisfare  a  quella  voglia  obliqua, 
o  ch'accusar  la  moglie  al  suo  signore, 
da  cui  fu  amata  a  par  del  proprio  core. 


528  ORLANDO   FURIOSO 

XX 

E  de  le  sue  ferite  ancora  infermo 
Tarme  si  veste,  e  del  castel  si  parte; 
e  con  animo  va  constante  e  fermo 
di  non  mai  piii  tornare  in  quella  parte. 
Ma  che  gli  val?  ch'ogni  difesa  e  schermo 
gli  disipa  Fortuna  con  nuova  arte: 
ecco  il  marito  che  ritorna  intanto, 
e  trova  la  moglier  che  fa  gran  pianto, 

XXI 

e  scapigliata  e  con  la  faccia  rossa; 
e  le  domanda  di  che  sia  turbata. 
Prima  ch'ella  a  rispondere  sia  mossa, 
pregar  si  lascia  piu  d'una  fiata, 
pensando  tuttavia  come  si  possa 
vendicar  di  colui  che  1'ha  lasciata: 
e  ben  convenne  al  suo  mobile  ingegno 
cangiar  Pamore  in  subitano  sdegno. 

xxn 

«Deh,»  disse  al  fine  «a  che  Terror  nascondo 
c'ho  commesso,  signor,  ne  la  tua  absenzia? 
che  quando  ancora  io  '1  celi  a  tutto  '1  mondo, 
celar  nol  posso  alia  mia  conscienzia. 
L'alma  che  sente  il  suo  peccato  immondo, 
pate  dentro  da  se  tal  penitenzia, 
ch'avanza  ogn'altro  corporal  martire 
che  dar  mi  possa  alcun  del  mio  fallire; 

XXIII 

quando  fallir  sia  quel  che  si  fa  a  forza. 
Ma  sia  quel  che  si  vuol,  tu  sappil'  anco; 
poi  con  la  spada  da  la  immonda  scorza 
scioglie  lo  spirto  imaculato  e  bianco, 
e  le  mie  luci  eternamente  ammorza; 
che  dopo  tanto  vituperio,  almanco 
tenerle  basse  ognor  non  mi  bisogni, 
e  di  ciascun  ch'io  vegga,  io  mi  vergogni. 


CANTO    VENTESIMOPRIMO  529 

XXIV 

II  tuo  compagno  ha  1'onor  mio  distrutto: 
questo  corpo  per  forza  ha  violate; 
e  perche  teme  ch'io  ti  narri  il  tutto, 
or  si  parte  il  villan  senza  commiato. » 
In  odio  con  quel  dir  gli  ebbe  ridutto 
colui  che  piu  d'ogn'altro  gli  fu  grato. 
Argeo  lo  crede,  et  altro  non  aspetta; 
ma  pigHa  1'arme  e  corre  a  far  vendetta. 

xxv 
E  come  quel  ch'avea  il  paese  noto, 

10  giunse  che  non  fu  troppo  lontano; 
che  '1  mio  fratello,  debole  et  egroto, 
senza  sospetto  se  ne  gia  pian  piano : 
e  brevemente,  in  un  loco  remoto 
pose,  per  vendicarsene,  in  lui  mano. 
Non  trova  il  fratel  mio  scusa  che  vaglia; 
ch'in  somma  Argeo  con  lui  vuol  la  battaglia. 

XXVI 

Era  Tun  sano  e  pien  di  nuovo  sdegno, 
infermo  Faltro,  et  alFusanza  amico: 
si  ch'ebbe  il  fratel  mio  poco  ritegno 
contra  il  compagno  fattogli  nimico. 
Dunque  Filandro  di  tal  sorte  indegno 
(de  Finfelice  giovene  ti  dico: 
cosi  avea  nome),  non  sofrendo  il  peso 
di  si  fiera  battaglia,  resto  preso. 

XXVII 

«Non  piaccia  a  Dio  che  mi  conduca  a  tale 

11  mio  giusto  furore  e  il  tuo  demerto, » 
gli  disse  Argeo  ache  mai  sia  omicidiale 
di  te  ch'amava;  e  me  tu  amavi  certo, 
ben  che  nel  fin  me  Thai  mostrato  male: 
pur  voglio  a  tutto  il  mondo  fare  aperto 
che,  come  fui  nel  tempo  de  Pamore, 
cosi  ne  Todio  son  di  te  migliore. 


530  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

Per  altro  modo  puniro  il  tuo  fallo, 
che  le  mie  man  piu  nel  tuo  sangue  porre. 
Cosi  dicendo,  fece  sul  cavallo 
di  verdi  rami  una  bara  comporre, 
e  quasi  morto  in  quella  riportallo 
dentro  al  castello  in  una  chiusa  torre, 
dove  in  perpetuo  per  punizione 
condanno  Pinnocente  a  star  prigione. 

XXIX 

Non  pero  ch'altra  cosa  avesse  manco, 
che  la  liberta  prima  del  partire; 
perche  nel  resto,  come  sciolto  e  franco 
vi  commandava  e  si  facea  ubidire. 
Ma  non  essendo  ancor  Fanimo  stance 
di  questa  ria  del  suo  pensier  fornire, 
quasi  ogni  giorno  alia  prigion  veniva; 
ch'avea  le  chiavi,  e  a  suo  piacer  Tapriva: 

xxx 

e  movea  sempre  al  mio  fratello  assalti, 
e  con  maggiore  audacia  che  di  prima. 
«  Questa  tua  fedelta»  dicea  «che  valti, 
poi  che  perfidia  per  tutto  si  stima? 
Oh  che  trionfi  gloriosi  et  alti! 
oh  che  superbe  spoglie  e  preda  opima! 
o  che  merito  al  fin  te  ne  risulta, 
se,  come  a  traditore,  ognun  t'insulta! 

XXXI 

Quanto  utilmente,  quanto  con  tuo  onore 
m'avresti  dato  quel  che  da  te  volli! 
Di  questo  si  ostinato  tuo  rigore 
la  gran  merce  che  tu  guadagni,  or  tolli: 
in  prigion  sei,  ne  crederne  uscir  fuore, 
se  la  durezza  tua  prima  non  molli. 
Ma  quando  mi  compiacci,  io  far6  trama 
di  racquistarti  e  libertade  e  fama. » 


CANTO    VENTESIMOPRIMO  531 

XXXII 

<(  No,  no »  disse  Filandro  «  aver  mai  spene 
che  non  sia,  come  suol,  mia  vera  fede, 
se  ben  contra  ogni  debito  mi  awiene 
ch'io  ne  riporti  si  dura  mercede, 
e  di  me  creda  il  mondo  men  che  bene: 
basta  che  inanti  a  quel  che  '1  tutto  vede 
e  mi  puo  ristorar  di  grazia  eterna, 
chiara  la  mia  innocenzia  si  discerna. 

XXXIII 

Se  non  basta  ch'Argeo  mi  tenga  preso, 
tolgami  ancor  questa  noiosa  vita. 
Forse  non  mi  fia  il  premio  in  ciel  conteso 
de  la  buona  opra,  qui  poco  gradita. 
Forse  egli,  che  da  me  si  chiama  offeso, 
quando  sara  quest' anima  partita, 
s'avedra  poi  d'avermi  fatto  torto, 
e  piangera  il  fedel  compagno  morto. » 

XXXIV 

Cosi  piu  volte  la  sfacciata  donna 
tenta  Filandro,  e  torna  senza  frutto. 
Ma  il  cieco  suo  desir,  che  non  assonna 
del  scelerato  amor  traer  construtto, 
cercando  va  piu  dentro  ch'alla  gonna 
suoi  vizii  antiqui,  e  ne  discorre  il  tutto. 
Mille  pensier  fa  d'uno  in  altro  mo  do, 
prima  che  fermi  in  alcun  d'essi  il  chiodo. 

xxxv 

Stette  sei  mesi  che  non  messe  piede, 
come  prima  facea,  ne  la  prigione; 
di  che  il  miser  Filandro  e  spera  e  crede 
che  costei  piu  non  gli  abbia  affezione. 
Ecco  Fortuna,  al  mal  propizia,  diede 
a  questa  scelerata  occasione 
di  metter  fin  con  memorabil  male 
al  suo  cieco  appetito  irrazionale. 


532  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

Antiqua  nimicizia  avea  il  marito 
con  un  baron,  detto  Morando  il  bello, 
che  non  v'essendo  Argeo  spesso  era  ardito 
di  correr  solo,  e  sin  dentro  al  castello; 
ma  s'Argeo  v'era,  non  tenea  lo  'nvito, 
ne  s'accostava  a  died  miglia  a  quello. 
Or  per  poterlo  indur  che  ci  venisse, 
d'ire  in  Jerusalem  per  voto  disse. 

XXXVII 

Disse  d'andare;  e  partesi  ch'ognuno 

lo  vede,  e  fa  di  cio  sparger  le  grida: 

ne  il  suo  pensier,  fuor  che  la  moglie,  alcuno 

puote  saper;  che  sol  di  lei  si  fida. 

Torna  poi  nel  castello  all'aer  bruno, 

ne  mai,  se  non  la  notte,  ivi  s'annida; 

e  con  mutate  insegne  al  nuovo  alb6re, 

senza  vederlo  alcun,  sempre  esce  fuore. 

XXXVIII 

Se  ne  va  in  questa  e  in  quella  parte  errando, 
e  volteggiando  al  suo  castello  intorno, 
pur  per  veder  se  credulo  Morando 
volesse  far,  come  solea,  ritorno. 
Stava  il  di  tutto  alia  foresta;  e  quando 
ne  la  marina  vedea  ascoso  il  giorno, 
venia  al  castello,  e  per  nascose  porte 
lo  togliea  dentro  1'infedel  consorte. 

xxxix 

Crede  ciascun,  fuor  che  1'iniqua  moglie, 
che  molte  miglia  Argeo  lontan  si  trove. 
Dunque  il  tempo  oportuno  ella  si  toglie: 
al  fratel  mio  va  con  malizie  nuove. 
Ha  di  lagrime  a  tutte  le  sue  voglie 
un  nembo  che  dagli  occhi  al  sen  le  piove. 
«Dove  potro»  dicea  «trovare  aiuto, 
che  in  tutto  Ponor  mio  non  sia  perduto  ? 


CANTO   VENTESIMOPRIMO  533 

XL 

E  col  mio  quel  del  mio  marito  insieme, 
il  qual  se  fosse  qui,  non  temerei. 
Tu  conosci  Morando,  e  sai  se  teme, 
quando  Argeo  non  ci  sente,  omini  e  dei. 
Quest!  or  pregando,  or  mmacciando,  estreme 
prove  fa  tuttavia,  ne  alcun  de'  miei 
lascia  che  non  contamini,  per  trarmi 
a'  suoi  disii,  ne  so  s'io  potro  aitarmi. 

XLI 

Or  c'ha  inteso  il  partir  del  mio  consorte, 
e  ch'al  ritorno  non  sara  si  presto, 
ha  avuto  ardir  d'entrar  ne  la  mia  corte 
senza  altra  scusa  e  senz'altro  pretesto; 
che  se  ci  fosse  il  mio  signor  per  sorte, 
non  sol  non  avria  audacia  di  far  questo, 
ma  non  si  terria  ancor,  per  Dio,  sicuro 
d'appressarsi  a  tre  migKa  a  questo  muro. 

XLII 

E  quel  che  gia  per  messi  ha  ricercato, 
oggi  me  Tha  richiesto  a  fronte  a  fronte, 
e  con  tai  modi,  che  gran  dubbio  e  stato 
de  lo  awenirmi  disonore  et  onte; 
e  se  non  che  parlar  dolce  gli  ho  usato, 
e  finto  le  mie  voglie  alle  sue  pronte, 
saria  a  forza  di  quel  suto  rapace 
che  spera  aver  per  mie  parole  in  pace. 

XLIII 

Promesso  gli  ho,  non  gia  per  osservargli 
(che  fatto  per  timor,  nullo  e  il  contratto) ; 
ma  la  mia  intenzion  fu  per  vietargli 
quel  che  per  forza  avrebbe  allora  fatto. 
II  caso  e  qui :  tu  sol  poi  rimediargli ; 
del  mio  onor  altrimenti  sara  tratto, 
e  di  quel  del  mio  Argeo,  che  gia  m'hai  detto 
aver  o  tanto  o  piu  che  '1  proprio  a  petto* 


534  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

E  se  questo  mi  nieghi,  io  diro  dunque 
ch'in  te  non  sia  la  fe  di  che  ti  vanti; 
ma  che  fu  sol  per  crudelta,  qualunque 
volta  hai  sprezzati  i  miei  supplici  pianti; 
non  per  rispetto  alcun  d'Argeo,  quantunque 
m'hai  questo  scudo  ognora  opposto  inanti. 
Saria  stato  tra  noi  la  cosa  occulta; 
ma  di  qui  aperta  infamia  mi  risulta.» 

XLV 

«Non  si  convien»  disse  Filandro  «tale 
prologo  a  me,  per  Argeo  mio  disposto. 
Narrami  pur  quel  che  tu  vuoi,  che  quale 
sempre  fui,  di  sempre  essere  ho  proposto ; 
e  ben  ch'a  torto  io  ne  riporti  male, 
a  lui  non  ho  questo  peccato  imposto. 
Per  lui  son  pronto  andare  anco  alia  morte, 
e  siami  contra  il  mondo  e  la  mia  sorte. » 

XLVI 

Rispose  Pempia:  (do  voglio  che  tu  spenga 
colui  che  '1  nostro  disonor  procura. 
Non  temer  ch' alcun  mal  di  cio  t'avenga; 
ch'io  te  ne  mostrero  la  via  sicura. 
Debbe  egli  a  me  tornar  come  rivenga 
su  1'ora  terza  la  notte  piu  scura; 
e  fatto  un  segno  de  ch'io  1'ho  awertito, 

10  Tho  a  tor  dentro,  che  non  sia  sentito. 

XLVII 

A  te  non  gravera  prima  aspettarme 
ne  la  camera  mia  dove  non  luca, 
tanto  che  dispogliar  gli  faccia  Parme, 
e  quasi  nudo  in  man  te  lo  conduca. » 
Cosi  la  moglie  conducesse  parme 

11  suo  marito  alia  tremenda  buca; 
se  per  dritto  costei  moglie  s'appella, 
piu  che  furia  infernal  crudele  e  fella. 


CANTO   VENTESIMOPRIMO  535 

XLVIII 

Poi  che  la  notte  scelerata  venne, 

fuor  trasse  il  mio  fratel  con  Parme  in  mano; 

e  ne  Foscura  camera  lo  tenne, 

fin  che  tornasse  il  miser  castellano. 

Come  ordine  era  dato,  il  tutto  awenne; 

che  '1  consiglio  del  mal  va  raro  invano. 

Cosi  Filandro  il  buono  Argeo  percosse, 

che  si  penso  che  quel  Morando  fosse. 

XLIX 

Con  esso  un  colpo  il  capo  fesse  e  il  collo; 
ch'elmo  non  v'era,  e  non  vi  fu  riparo. 
Pervenne  Argeo,  senza  pur  dare  un  crollo, 
de  la  misera  vita  al  fine  amaro: 
e  tal  Tuccise,  che  mai  non  pensollo, 
ne  mai  Tavria  creduto:  oh  caso  raro! 
che  cercando  giovar,  fece  alFamico 
quel  di  che  peggio  non  si  fa  al  nimico. 

L 

Poscia  ch' Argeo  non  conosciuto  giacque, 
rende  a  Gabrina  il  mio  fratel  la  spada. 
Gabrina  e  il  nome  di  costei,  che  nacque 
sol  per  tradire  ognun  che  in  man  le  cada. 
Ella,  che  sl  ver  fin  a  quell'ora  tacque, 
vuol  che  Filandro  a  riveder  ne  vada 
col  lume  in  mano  il  morto  ond'egli  e  reo: 
e  gli  dimostra  il  suo  compagno  Argeo. 

LI 

E  gli  minaccia  poi,  se  non  consente 
all* amoroso  suo  lungo  desire, 
di  palesare  a  tutta  quella  gente 
quel  ch'egli  ha  fatto,  e  nol  puo  contradire; 
e  lo  fara  vituperosamente 
come  assassino  e  traditor  morire: 
e  gli  ricorda  che  sprezzar  la  fama 
non  de',  se  ben  la  vita  si  poco  ama. 


536  ORLANDO  FURIOSO 

LII 

Pien  di  paura  e  di  dolor  rimase 
Filandro,  poi  che  del  suo  error  s'accorse. 
Quasi  il  primo  furor  gli  persuase 
d'uccider  questa,  e  stette  un  pezzo  in  forse: 
e  se  non  che  ne  le  nimiche  case 
si  ritrovo  (che  la  ragion  soccorse), 
non  si  trovando  avere  altr'arme  in  mano, 
coi  denti  la  stracciava  a  brano  a  brano. 

LIII 

Come  ne  1'alto  mar  legno  talora, 
che  da  duo  venti  sia  percosso  e  vinto, 
ch'ora  uno  inanzi  1'ha  mandato,  et  ora 
un  altro  al  primo  termine  respinto, 
e  Than  girato  da  poppa  e  da  prora, 
dal  piu  possente  al  fin  resta  sospinto; 
cosi  Filandro,  tra  molte  contese 
de'  duo  pensieri,  al  manco  rio  s'apprese. 

LIV 

Ragion  gli  dimostro  il  pericol  grande, 
oltre  il  morir,  del  fine  infame  e  sozzo, 
se  Pomicidio  nel  castel  si  spande; 
e  del  pensare  il  termine  gli  e  mozzo. 
Voglia  o  non  voglia,  al  fin  convien  che  mande 
ramarissimo  calice  nel  gozzo. 
Pur  finalmente  ne  Faffiitto  core 
piu  de  Postinazion  pote  il  timore. 

LV 

II  timor  del  supplicio  infame  e  brutto 
prometter  fece,  con  mille  scongiuri, 
che  faria  di  Gabrina  il  voler  tutto, 
se  di  quel  luogo  se  partian  sicuri. 
Cosi  per  forza  colse  1'empia  il  frutto 
del  suo  disire,  e  poi  lasciar  quei  muri. 
Cosi  Filandro  a  noi  fece  ritorno, 
di  se  lasciando  in  Grecia  infamia  e  scorno. 


CANTO    VENTESIMOPRIMO  537 

LVI 

E  porto  nel  cor  fisso  il  suo  compagno 

che  cosi  scioccamente  ucciso  avea, 

per  far  con  sua  gran  noia  empio  guadagno 

(Tuna  Progne  crudel,  d'una  Medea. 

E  se  la  fede  e  il  giuramento,  magno 

e  duro  freno,  non  lo  ritenea, 

come  al  sicuro  fu,  morta  1'avrebbe; 

ma  quanto  piu  si  puote  in  odio  Tebbe. 

LVII 

Non  fu  da  indi  in  qua  rider  mai  visto: 
tutte  le  sue  parole  erano  meste, 
sempre  sospir  gli  uscian  dal  petto  tristo; 
et  era  divenuto  un  nuovo  Oreste, 
poi  che  la  madre  uccise  e  il  sacro  Egisto, 
e  che  1'ultrice  Furie  ebbe  moleste. 
E  senza  mai  cessar,  tanto  Pafflisse 
questo  dolor,  ch'infermo  al  letto  il  fisse. 

LVIII 

Or  questa  meretrice,  che  si  pensa 
quanto  a  quest'altro  suo  poco  sia  grata, 
muta  la  fiamma  gia  d'amore  intensa 
in  odio,  in  ira  ardente  et  arrabbiata; 
ne  meno  e  contra  al  mio  fratello  accensa, 
che  fosse  contra  Argeo  la  scelerata: 
e  dispone  tra  se  levar  dal  mondo, 
come  il  primo  marito,  anco  il  secondo. 

LIX 

Un  medico  trovo  d'inganni  pieno, 
sufficiente  et  atto  a  simil  uopo, 
che  sapea  meglio  uccider  di  veneno, 
che  risanar  gPinfermi  di  silopo; 
e  gli  promesse  inanzi  piu  che  meno 
di  quel  che  domand6  donargli,  dopo 
ch'avesse  con  mortifero  liquore 
levatole  dagli  occhi  il  suo  signore. 


538  ORLANDO  FURIOSO 

LX 

Gia  in  mia  presenza  e  d'altre  piu  persone 
venia  col  tosco  in  mano  il  vecchio  ingiusto, 
dicendo  ch'era  buona  pozione 
da  ritornare  il  mio  fratel  robusto. 
Ma  Gabrina  con  nuova  intenzione, 
pria  che  1'infermo  ne  turbasse  il  gusto, 
per  torsi  il  consapevole  d'appresso, 
o  per  non  dargli  quel  ch'avea  promesso, 

LXI 

la  man  gli  prese,  quando  a  punto  dava 
la  tazza  dove  il  tbsco  era  celato, 
dicendo :  « Ingiustamente  e  se  Jl  ti  grava 
ch'io  tema  per  costui  c'ho  tanto  amato. 
Voglio  esser  certa  che  bevanda  prava 
tu  non  gli  dia,  ne  succo  avelenato; 
e  per  questo  mi  par  che  '1  beveraggio 
non  gli  abbi  a  dar,  se  non  ne  fai  tu  il  saggio. » 

LXII 

Come  pensi,  signor,  che  rimanesse 
il  miser  vecchio  conturbato  allora? 
La  brevita  del  tempo  si  Toppresse, 
che  pensar  non  pote  che  meglio  fora; 
pur,  per  non  dar  maggior  sospetto,  elesse 
il  calice  gustar  senza  dimora: 
e  Pinfermo,  seguendo  una  tal  fede, 
tutto  il  resto  pigli6,  che  si  gli  diede. 

LXIII 

Come  sparvier  che  nel  piede  grifagno 
tenga  la  starna  e  sia  per  trarne  pasto, 
dal  can  che  si  tenea  fido  compagno, 
ingordamente  e  sopragiunto  e  guasto; 
cosi  il  medico  intento  al  rio  guadagno, 
donde  sperava  aiuto  ebbe  contrasto. 
Odi  di  summa  audacia  esempio  raro! 
e  cosi  awenga  a  ciascun  altro  avaro. 


CANTO   VENTESIMOPRIMO  539 

LXIV 

Fornito  questo,  il  vecchio  s'era  messo, 
per  ritornare  alia  sua  stanza,  in  via, 
et  usar  qualche  medicina  appresso, 
che  lo  salvasse  da  la  peste  ria; 
ma  da  Gabrina  non  gli  fu  concesso, 
dicendo  non  voler  ch'andasse  pria 
che  Jl  succo  ne  lo  stomaco  digesto 
il  suo  valor  facesse  manifesto. 

LXV 

Pregar  non  val,  ne  far  di  premio  offerta, 
che  lo  voglia  lasciar  quindi  partire. 
II  disperato,  poi  che  vede  certa 
la  morte  sua,  ne  la  poter  fuggire, 
ai  circonstanti  fa  la  cosa  aperta; 
ne  la  seppe  costei  troppo  coprire. 
E  cosi  quel  che  fece  agH  altri  spesso, 
quel  buon  medico  al  fin  fece  a  se  stesso : 

LXVI 

e  sequit6  con  Talma  quella  ch'era 
gia  de  mio  frate  caminata  inanzi. 
Noi  circonstanti,  che  la  cosa  vera 
del  vecchio  udimmo,  che  fe'  pochi  avanzi, 
pigliammo  questa  abominevol  fera, 
piu  crudel  di  qualunque  in  selva  stanzi; 
e  la  serrammo  in  tenebroso  loco, 
per  condannarla  al  meritato  fuoco.  — 

LXVII 

Questo  Ermonide  disse,  e  piu  voleva 
seguir,  com'ella  di  prigion  levossi; 
ma  il  dolor  de  la  piaga  si  Taggreva, 
che  pallido  ne  Ferba  riversossi. 
Intanto  duo  scudier,  che  seco  aveva, 
fatto  una  bara  avean  di  rami  grossi : 
Ermonide  si  fece  in  quella  porre; 
ch'indi  altrimente  non  si  potea  torre. 


54°  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

Zerbin  col  cavallier  fece  sua  scusa, 
che  gl'increscea  d'averli  fatto  offesa; 
ma,  come  pur  tra  cavallieri  s'usa, 
colei  che  venia  seco  avea  difesa: 
ch'altrimente  sua  fe  saria  confusa; 
perche,  quando  in  sua  guardia  Favea  presa, 
promesse  a  sua  possanza  di  salvarla 
contra  ognun  che  venisse  a  disturb  aria. 

LXIX 

E  s'in  altro  potea  gratificargli, 
prontissimo  ofFeriase  alia  sua  voglia. 
Rispose  il  cavallier,  che  ricordargli 
sol  vuol  che  da  Gabrina  si  discioglia 
prima  ch'ella  abbia  cosa  a  machinargli, 
di  ch'esso  indarno  poi  si  penta  e  doglia. 
Gabrina  tenne  sempre  gli  occhi  bassi, 
perche  non  ben  risposta  al  vero  dassi. 

LXX 

Con  la  vecchia  Zerbin  quindi  partisse 
al  gia  promesso  debito  viaggio; 
e  tra  se  tutto  il  di  la  maledisse, 
che  far  gli  fece  a  quel  barone  oltraggio. 
Et  or  che  pel  gran  mal  che  gli  ne  disse 
chi  lo  sapea,  di  lei  fu  instrutto  e  saggio, 
se  prima  1'avea  a  noia  e  a  dispiacere, 
or  1'odia  si  che  non  la  pu6  vedere. 

LXXI 

Ella  che  di  Zerbin  sa  1'odio  a  pieno, 
ne  in  mala  volunta  vuole  esser  vinta, 
un'oncia  a  lui  non  ne  riporta  meno: 
la  tien  di  quarta,  e  la  rifa  di  quinta. 
Nel  cor  era  gonfiata  di  veneno, 
e  nel  viso  altrimente  era  dipinta. 
Dunque  ne  la  concordia  ch'io  vi  dico, 
tenean  lor  via  per  mezzo  il  bosco  antico. 


CANTO   VENTESIMOPRIMO  54! 

LXXII 

Ecco,  volgendo  il  sol  verso  la  sera, 

udiron  gridi  e  strepiti  e  percosse, 

che  facean  segno  di  battaglia  fiera 

che,  quanto  era  il  rumor,  vicina  fosse. 

Zerbino,  per  veder  la  cosa  ch'era, 

verso  il  rumore  in  gran  fretta  si  mosse: 

non  fu  Gabrina  lenta  a  seguitarlo. 

Di  quel  ch'awenne,  all'altro  canto  io  parlo. 


542  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO    VENTESIMOSECONDO 


I 

Cortesi  donne  e  grate  al  vostro  amante, 
voi  che  d'un  solo  amor  sete  contente, 
come  che  certo  sia,  fra  tante  e  tante, 
che  rarissime  siate  in  questa  mente; 
non  vi  dispiaccia  quel  ch'io  dissi  inante, 
quando  contra  Gabrina  fui  si  ardente, 
e  s'ancor  son  per  spendervi  alcun  verso, 
di  lei  biasmando  1'animo  perverso. 

II 

Ella  era  tale;  e  come  imposto  fummi 
da  chi  puo  in  me,  non  preterisco  il  vero. 
Per  questo  io  non  oscuro  gli  onor  summi 
d'una  e  d'un'altra  ch'abbia  il  cor  sincere. 
Quel  che  Jl  Maestro  suo  per  trenta  nummi 
diede  a'  ludei,  non  nocque  a  lanni  o  a  Piero; 
ne  d'Ipermestra  e  la  fama  men  bella, 
se  ben  di  tante  inique  era  sorella. 

in 

Per  una  che  biasmar  cantando  ardisco 
(che  1'ordinata  istoria  cosi  vuole), 
lodarne  cento  incontra  m'offerisco, 
e  far  lor  virtu  chiara  piu  che  '1  sole. 
Ma  tornando  al  lavor  che  vario  ordisco, 
ch'a  molti,  lor  merce,  grato  esser  suole, 
del  cavallier  di  Scozia  io  vi  dicea, 
ch'un  alto  grido  appresso  udito  avea. 


CANTO    VENTESIMOSECONDO  543 

IV 

Fra  due  montagne  entro  in  un  stretto  calle 
onde  uscia  il  grido,  e  non  fu  molto  inante, 
che  giunse  dove  in  una  chiusa  valle 
si  vide  un  cavallier  morto  davante. 
Chi  sia  diro ;  ma  prima  dar  le  spalle 
a  Francia  voglio,  e  girmene  in  Levante, 
tanto  ch'io  trovi  Astolfo  paladino, 
che  per  Ponente  avea  preso  il  camino. 

v 

lo  lo  lasciai  ne  la  citta  crudele, 
onde  col  suon  del  formidabil  corno 
avea  cacciato  il  populo  infedele, 
e  gran  periglio  toltosi  d'intorno, 
et  a'  compagni  fatto  alzar  le  vele, 
e  dal  lito  fuggir  con  grave  scorno. 
Or  seguendo  di  lui,  dico  che  prese 
la  via  d' Armenia,  e  usci  di  quel  paese. 

VI 

E  dopo  alquanti  giorni  in  Natalia 

trovossi,  e  inverso  Bursia  il  camin  tenne; 

onde,  continuando  la  sua  via 

di  qua  dal  mare,  in  Tracia  se  ne  venne. 

Lungo  il  Danubio  ando  per  PUngaria; 

e  come  avesse  il  suo  destrier  le  penne, 

i  Moravi  e  i  Boemi  passo  in  meno 

di  venti  giorni,  e  la  Franconia  e  il  Reno. 

VII 

Per  la  selva  d'Ardenna  in  Aquisgrana 

giunse  e  in  Barbante,  e  in  Fiandra  al  fin  s'imbarca. 

L'aura  che  soffia  verso  tramontana 

la  vela  in  guisa  in  su  la  prora  carca, 

ch'a  mezzo  giorno  Astolfo  non  lontana 

vede  Inghilterra,  ove  nel  lito  varca. 

Salta  a  cavallo,  e  in  tal  modo  lo  punge, 

ch'a  Londra  quella  sera  ancora  giunge. 


544  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Quivi  sentendo  poi  che  '1  vecchio  Otone 
gia  molti  mesi  inanzi  era  in  Parigi, 
e  che  di  nuovo  quasi  ogni  barone 
avea  imitate  i  suoi  degni  vestigi; 
d'andar  subito  in  Francia  si  dispone : 
e  cosi  torna  al  potto  di  Tamigi, 
onde  con  le  vele  alte  uscendo  fuora, 
verso  Calessio  fe5  drizzar  la  prora. 

IX 

Un  ventolin  che  leggiermente  all'orza 
ferendo  avea  adescato  il  legno  aironda, 
a  poco  a  poco  cresce  e  si  rinforza; 
poi  vien  si,  ch'al  nocchier  ne  soprabonda. 
Che  li  volti  la  poppa  al  fine  e  forza; 
se  non,  gli  cacciera  sotto  la  sponda. 
Per  la  schena  del  mar  tien  dritto  il  legno, 
e  fa  camin  diverso  al  suo  disegno. 

x 

Or  corre  a  destra,  or  a  sinistra  mano, 
di  qua  di  la,  dove  fortuna  spinge, 
e  piglia  terra  al  fin  presso  a  Roano ; 
e  come  prima  il  dolce  lito  attinge, 
fa  rimetter  la  sella  a  Rabicano, 
e  tutto  s'arma  e  la  spada  si  cinge. 
Prende  il  camino,  et  ha  seco  quel  corno 
che  gli  val  phi  che  mille  uomini  intorno. 

XI 

E  giunse,  traversando  una  foresta, 
a  pie  d'un  colle  ad  una  chiara  fonte, 
ne  Fora  che  '1  monton  di  pascer  resta, 
chiuso  in  capanna,  o  sotto  un  cavo  monte. 
E  dal  gran  caldo  e  da  la  sete  infesta 
vinto,  si  trasse  I'elmo  da  la  fronte; 
Ieg6  il  destrier  tra  le  piu  spesse  fronde, 
e  poi  venne  per  here  alle  fresche  onde. 


CANTO    VENTESIMOSECONDO  545 

XII 

Non  avea  messo  ancor  le  labra  in  molle, 
ch'un  villanel  che  v'era  ascoso  appresso, 
sbuca  fuor  d'una  macchia,  e  il  destrier  tolle, 
sopra  vi  sale,  e  se  ne  va  con  esso. 
Astolfo  il  rumor  sente,  e  '1  capo  estolle; 
e  poi  che  '1  danno  suo  vede  si  espresso, 
lascia  la  fonte,  e  sazio  senza  here, 
gli  va  dietro  correndo  a  piu  potere. 

XIII 

Quel  ladro  non  si  stende  a  tutto  corso, 

che  dileguato  si  saria  di  botto: 

ma  or  lentando  or  raccogliendo  il  morso, 

se  ne  va  di  galoppo  e  di  buon  trotto. 

Escon  del  bosco  dopo  un  gran  discorso ; 

e  1'uno  e  Taltro  al  fin  si  fu  ridotto 

la  dove  tanti  nobili  baroni 

eran  senza  prigion  piu  che  prigioni. 

XIV 

Dentro  il  palagio  il  villanel  si  caccia 

con  quel  destrier  che  i  venti  al  corso  adegua. 

Forza  e  ch' Astolfo,  il  qual  lo  scudo  impaccia, 

1'elmo  e  Faltr'arme,  di  lontan  lo  segua. 

Pur  giunge  anch'egli,  e  tutta  quella  traccia 

che  fin  qui  avea  seguita,  si  dilegua; 

che  piu  ne  Rabican  ne  1  ladro  vede, 

e  gira  gli  occhi,  e  indarno  affretta  il  piede: 

XV 

afFretta  il  piede  e  va  cercando  invano 
e  le  loggie  e  le  camere  e  le  sale; 
ma  per  trovare  il  perfido  villano, 
di  sua  fatica  nulla  si  prevale. 
Non  sa  dove  abbia  ascoso  Rabicano, 
quel  suo  veloce  sopra  ogni  animale; 
e  senza  frutto  alcun  tutto  quel  giorno 
cerc6  di  su  di  giu,  dentro  e  djintorno. 


546  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

Confuso  e  lasso  d'aggirarsi  tanto, 
s'awide  che  quel  loco  era  incantato; 
e  del  libretto  ch'avea  sempre  a  canto, 
che  Logistilla  in  India  gli  avea  dato, 
accio  che  ricadendo  in  nuovo  incanto 
potessi  aitarsi,  si  fu  ricordato : 
all'indice  ricorse,  e  vide  tosto 
a  quante  carte  era  il  rimedio  posto. 

XVII 

Del  palazzo  incantato  era  difuso 

scritto  nel  libro;  e  v'eran  scritti  i  modi 

di  fare  il  mago  rimaner  confuso, 

e  a  tutti  quei  prigion  di  sciorre  i  nodi. 

Sotto  la  soglia  era  uno  spirto  chiuso, 

che  facea  questi  inganni  e  queste  frodi: 

e  levata  la  pietra  ov'e  sepolto, 

per  lui  sara  il  palazzo  in  fumo  sciolto. 

XVIII 

Desideroso  di  condurre  a  fine 

il  paladin  si  gloriosa  impresa, 

non  tarda  piu  che  '1  braccio  non  inchine 

a  provar  quanto  il  grave  marmo  pesa. 

Come  Atlante  le  man  vede  vicine 

per  far  che  Parte  sua  sia  vilipesa, 

sospettoso  di  quel  che  pub  awenire, 

10  va  con  nuovi  incanti  ad  assalire. 

XIX 

Lo  fa  con  diaboliche  sue  larve 

parer  da  quel  diverso  che  solea: 

gigante  ad  altri,  ad  altri  un  villan  parve, 

ad  altri  un  cavallier  di  faccia  rea. 

Ognuno  in  quella  forma  in  che  gli  apparve 

nel  bosco  il  mago,  il  paladin  vedea; 

si  che  per  riaver  quel  che  gli  tolse 

11  mago,  ognuno  al  paladin  si  volse. 


CANTO    VENTESIMOSECONDO  547 

XX 

Ruggier,  Gradasso,  Iroldo,  Bradamante, 
Brandimarte,  Prasildo,  altri  guerrieri 
in  questo  nuovo  error  si  fero  inante, 
per  distruggere  il  duca  accesi  e  fieri. 
Ma  ricordossi  il  corno  in  quello  instante, 
che  fe'  loro  abbassar  gli  animi  altieri. 
Se  non  si  soccorrea  col  grave  suono, 
morto  era  il  paladin  senza  perdono. 

XXI 

Ma  tosto  che  si  pon  quel  corno  a  bocca 
e  fa  sentire  intorno  il  suono  orrendo, 
a  guisa  dei  colombi,  quando  scocca 
lo  scoppio,  vanno  i  cavallier  fuggendo. 
Non  meno  al  negromante  fuggir  tocca, 
non  men  fuor  de  la  tana  esce  temendo 
pallido  e  sbigottito,  e  se  ne  slunga 
tanto,  che  '1  suono  orribil  non  lo  giunga. 

XXII 

Fuggi  il  guardian  coi  suo5  prigioni;  e  dopo 

de  le  stalle  fuggir  molti  cavalli, 

ch'altro  che  fune  a  ritenerli  era  uopo, 

e  seguiro  i  patron  per  varii  calli. 

In  casa  non  resto  gatta  ne  topo 

al  suon  che  par  che  dica:  Dalli,  dalli. 

Sarebbe  ito  con  gli  altri  Rabicano, 

se  non  ch'alPuscir  venne  al  duca  in  mano. 

XXIII 

Astolfo,  poi  ch'ebbe  cacciato  il  mago, 
levo  di  su  la  soglia  il  grave  sasso, 
e  vi  ritrovb  sotto  alcuna  imago, 
et  altre  cose  che  di  scriver  lasso: 
e  di  distrugger  quello  incanto  vago, 
di  cio  che  vi  trovo  fece  fraccasso, 
come  gli  mostra  il  libro  che  far  debbia; 
e  si  sciolse  il  palazzo  in  fumo  e  in  nebbia. 


548  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Quivi  trovo  die  di  catena  d'oro 
di  Ruggiero  il  cavallo  era  legato, 
parlo  di  quel  che  'I  negromante  moro 
per  mandarlo  ad  Alcina  gli  avea  dato; 
a  cui  poi  Logistilla  fe'  il  lavoro 
del  freno,  ond'era  in  Francia  ritornato, 
e  girato  da  Tlndia  alTInghilterra 
tutto  avea  il  lato  destro  de  la  terra. 

xxv 

Non  so  se  vi  ricorda  che  la  briglia 
lascio  attacata  all'arbore  quel  giorno 
che  nuda  da  Ruggier  spari  la  figlia 
di  Galafrone,  e  gli  fe'  Palto  scorno. 
FeJ  il  volante  destrier,  con  maraviglia 
di  chi  lo  vide,  al  mastro  suo  ritorno; 
e  con  lui  stette  infin  al  giorno  sempre, 
che  de  Fincanto  fur  rotte  le  tempre. 

XXVI 

Non  potrebbe  esser  stato  piu  giocondo 
d'altra  aventura  Astolfo,  che  di  questa; 
che  per  cercar  la  terra  e  il  mar,  secondo 
ch'avea  desir,  quel  ch'a  cercar  gli  resta, 
e  girar  tutto  in  pochi  giorni  il  mondo, 
troppo  venia  questo  ippogrifo  a  sesta. 
Sapea  egli  ben  quanto  a  portarlo  era  atto, 
che  Tavea  altrove  assai  provato  in  fatto. 

XXVII 

Quel  giorno  in  India  lo  prov6,  che  tolto 

da  la  savia  Melissa  fu  di  mano 

a  quella  scelerata  che  travolto 

gli  avea  in  mirto  silvestre  il  viso  umano : 

e  ben  vide  e  noto  come  raccolto 

gli  fu  sotto  la  briglia  il  capo  vano 

da  Logistilla,  e  vide  come  instrutto 

fosse  Ruggier  di  farlo  andar  per  tutto. 


CANTO    VENTESIMOSECONDO  549 

XXVIII 

Fatto  disegno  I'ippogrifo  torsi, 
la  sella  sua,  ch'appresso  avea,  gli  messe; 
e  gli  fece,  levando  da  piii  morsi 
una  cosa  et  un'altra,  un  che  lo  resse; 
che  dei  destrier  ch'in  fuga  erano  corsi, 
quivi  attaccate  eran  le  briglie  spesse. 
Ora  un  pensier  di  Rabicano  solo 
lo  fa  tardar  che  non  si  leva  a  volo. 

XXIX 

D'amar  quel  Rabicano  avea  ragione; 
che  non  v'era  un  miglior  per  correr  lancia, 
e  Tavea  da  1'estrema  regione 
de  T  India  cavalcato  insin  in  Francia. 
Pensa  egli  molto;  e  in  somma  si  dispone 
darne  piu  tosto  ad  un  suo  amico  mancia, 
che  lasciandolo  quivi  in  su  la  strada, 
se  Tabbia  il  primo  ch'a  passarvi  accada. 

xxx 

Stava  mirando  se  vedea  venire 
pel  bosco  o  cacciatore  o  alcun  villano, 
da  cui  far  si  potesse  indi  seguire 
a  qualche  terra,  e  trarvi  Rabicano. 
Tutto  quel  giorno  e  sin  all'apparire 
de  Paltro  stette  riguardando  invano. 
L'altro  matin,  ch'era  ancor  Paer  fosco, 
veder  gli  parve  un  cavallier  pel  bosco. 

XXXI 

Ma  mi  bisogna,  s'io  vo'  dirvi  il  resto, 
ch'io  trovi  Ruggier  prima  e  Bradamante. 
Poi  che  si  tacque  il  corno,  e  che  da  questo 
loco  la  bella  coppia  fu  distante, 
guard6  Ruggiero,  e  f u  a  conoscer  presto 
quel  che  fin  qui  gli  avea  nascoso  Atlante: 
fatto  avea  Atlante  che  fin  a  queH'ora 
tra  lor  non  s'eran  conosciuti  ancora. 


550  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

Ruggier  riguarda  Bradamante,  et  ella 
riguarda  lui  con  alta  maraviglia, 
che  tanti  di  Pabbia  offuscato  quella 
illusion  si  1'animo  e  le  ciglia. 
Ruggiero  abbraccia  la  sua  donna  bella, 
che  piu  che  rosa  ne  divien  vermiglia; 
e  poi  di  su  la  bocca  i  primi  fiori 
cogliendo  vien  dei  suoi  beati  amori. 

xxxin 

Tornaro  ad  iterar  gli  abbracciamenti 
mille  fiate,  et  a  tenersi  stretti 
i  duo  felici  amanti,  e  si  content!, 
ch'a  pena  i  gaudii  lor  capiano  i  petti. 
Molto  lor  duol  che  per  incantamenti, 
mentre  che  fur  negli  errabondi  tetti, 
tra  lor  non  s'eran  mai  riconosciuti, 
e  tanti  lieti  giorni  eran  perduti. 

xxxiv 

Bradamante,  disposta  di  far  tutti 
i  piaceri  che  far  vergine  saggia 
debbia  ad  un  suo  amator,  si  che  di  lutti, 
senza  il  suo  onore  offendere,  il  sottraggia; 
dice  a  Ruggier,  se  a  dar  gli  ultimi  frutti 
lei  non  vuol  sempre  aver  dura  e  selvaggia, 
la  faccia  domandar  per  buoni  mezzi 
al  padre  Amon;  ma  prima  si  battezzi. 

xxxv 

Ruggier,  che  tolto  avria  non  solamente 
viver  cristiano  per  amor  di  questa, 
com* era  stato  il  padre,  e  antiquamente 
1'avolo  e  tutta  la  sua  stirpe  onesta; 
ma  per  farle  piacere,  immantinente 
data  le  avria  la  vita  che  gli  resta: 
—  Non  che  ne  1'acqua,  —  disse  —  ma  nel  fuoco 
per  tuo  amor  porre  il  capo  mi  fia  poco.  — 


CANTO    VENTESIMOSECONDO  551 

XXXVI 

Per  battezzarsi  dunque,  indi  per  sposa 
la  donna  aver,  Ruggier  si  messe  in  via, 
guidando  Bradamante  a  Vallombrosa 
(cosi  fu  nominata  una  badia 
ricca  e  bella,  ne  men  religiosa 
e  cortese  a  chiunque  vi  venia); 
e  trovaro  all'uscir  de  la  foresta 
donna  che  molto  era  nel  viso  mesta. 

XXXVII 

Ruggier,  che  sempre  uman,  sempre  cortese 
era  a  ciascun,  ma  phi  alle  donne  molto, 
come  le  belle  lacrime  comprese 
cader  rigando  il  delicato  volto, 
n'ebbe  pietade,  e  di  disir  s'accese 
di  saper  il  suo  affanno;  et  a  lei  volto, 
dopo  onesto  saluto,  domandolle 
perch'avea  si  di  pianto  il  viso  molle. 

XXXVIII 

Et  ella  alzando  i  begli  umidi  rai 
umanissimamente  gli  rispose, 
e  la  cagion  de'  suoi  penosi  guai, 
poi  che  le  domando,  tutta  gli  espose. 
—  Gentil  signer,  —  disse  ella  —  intenderai 
che  queste  guancie  son  si  lacrimose 
per  la  pieta  ch'a  un  giovinetto  porto, 
ch'in  un  castel  qui  presso  oggi  fia  morto. 

xxxix 

Amando  una  gentil  giovane  e  bella, 
che  di  Marsilio  re  di  Spagna  e  figlia, 
sotto  un  vel  bianco  e  in  feminil  gonella, 
finta  la  voce  e  il  volger  de  le  ciglia, 
egli  ogni  notte  si  giacea  con  quella, 
senza  darne  sospetto  alia  famiglia: 
ma  si  secreto  alcuno  esser  non  puote, 
ch'al  lungo  andar  non  sia  chi  '1  vegga  e  note. 


552  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Se  n'accorse  uno,  e  ne  parlo  con  dui; 
gli  dui  con  altri,  insin  ch'al  re  fu  detto. 
Venne  un  fedel  del  re  I'altr'ieri  a  nui, 
che  questi  amanti  fe*  pigliar  nel  letto; 
e  ne  la  rocca  gli  ha  fatto  ambedui 
divisamente  chiudere  in  distretto: 
ne  credo  per  tutto  oggi  ch'abbia  spazio 
il  gioven,  che  non  mora  in  pena  e  in  strazio. 

XLI 

Fuggita  me  ne  son  per  non  vedere 
tal  crudelta;  che  vivo  Tarderanno: 
ne  cosa  mi  potrebbe  piii  dolere, 
che  faccia  di  si  bel  giovine  il  danno; 
ne  potro  aver  giamai  tanto  piacere, 
che  non  si  volga  subito  in  affanno, 
che  de  la  crudel  fiamma  mi  rimembri, 
ch'abbia  arsi  i  belli  e  delicati  membri.  — 

XLII 

Bradamante  ode,  e  par  ch'assai  le  prema 
questa  novella,  e  molto  il  cor  rannoi; 
ne  par  che  men  per  quel  dannato  tema, 
che  se  fosse  uno  dei  fratelli  suoi. 
Ne*  certo  la  paura  in  tutto  scema 
era  di  causa,  come  io  dir6  poi. 
Si  volse  ella  a  Ruggiero,  e  disse:  —  Parme 
ch'in  favor  di  costui  sien  le  nostr'arme.  — 

XLIII 

E  disse  a  quella  mesta:  —  Io  ti  conforto 
che  tu  vegga  di  porci  entro  alle  mura; 
che  se  Jl  giovine  ancor  non  avran  morto, 
piu  non  1'uccideran,  stanne  sicura.  — 
Ruggiero,  avendo  il  cor  benigno  scorto 
de  la  sua  donna  e  la  pietosa  cura, 
senti  tutto  infiammarsi  di  desire 
di  non  lasciare  il  giovine  morire. 


CANTO    VENTESIMOSECONDO  553 

XLIV 

Et  alia  donna,  a  cui  dagli  occhi  cade 
un  rio  di  pianto,  dice:  —  Or  che  s'aspetta? 
Soccorrer  qui,  non  lacrimare  accade: 
fa  ch'ove  e  questo  tuo,  pur  tu  ci  metta. 
Di  mille  lancie  trar,  di  mille  spade 
tel  promettian,  pur  che  ci  meni  in  fretta: 
ma  studia  il  passo  piii  che  puoi,  che  tarda 
non  sia  1'aita,  e  intanto  il  fuoco  Parda.  — 

XLV 

L'alto  parlare  e  la  fiera  sembianza 
di  quella  coppia  a  maraviglia  ardita, 
ebbon  di  tornar  forza  la  speranza 
cola  dond'era  gia  tutta  fuggita; 
ma  perch' ancor,  piu  che  la  lontananza, 
temeva  il  ritrovar  la  via  impedita, 
e  che  saria  per  questo  indarno  presa, 
stava  la  donna  in  se  tutta  sospesa. 

XLVI 

Poi  disse  lor:—  Facendo  noi  la  via 
che  dritta  e  piana  va  fin  a  quel  loco, 
credo  ch'a  tempo  vi  si  giungeria, 
che  non  sarebbe  ancora  acceso  il  fuoco: 
ma  gir  convien  per  cosi  torta  e  ria, 
che  Jl  termine  d'un  giorno  saria  poco 
a  riuscirne;  e  quando  vi  saremo, 
che  troviam  morto  il  giovine  mi  temo.  — 

XLVII 

—  E  perche  non  andian  —  disse  Ruggiero 

—  per  la  piu  corta?  —  E  la  donna  rispose: 

—  Perche  un  castel  de'  conti  da  Pontiero 
tra  via  si  trova,  ove  un  costume  pose, 
non  son  tre  giorni  ancora,  iniquo  e  fiero 
a  cavallieri  e  a  donne  aventurose, 
Pinabello,  il  peggior  uomo  che  viva, 
figliuol  del  conte  Anselmo  d'Altariva. 


554  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

Quindi  ne  cavallier  ne  donna  passa, 
che  se  ne  vada  senza  ingiuria  e  danni: 
1'uno  e  1'altro  a  pie  resta;  ma  vi  lassa 
il  guerrier  1'arme,  e  la  donzella  i  panni. 
Miglior  cavallier  lancia  non  abbassa, 
e  non  abbasso  in  Francia  gia  molt'anni, 
di  quattro  che  giurato  hanno  al  castello 
la  legge  mantener  di  Pinabello. 

XLIX 

Come  Pusanza  (che  non  e  piii  antiqua 
di  tre  di)  comincio,  vi  vo'  narrare; 
e  sentirete  se  fu  dritta  o  obliqua 
cagion  che  i  cavallier  fece  giurare. 
Pinabello  ha  una  donna  cosi  iniqua, 
cosi  bestial,  ch'al  mondo  e  senza  pare; 
che  con  lui,  non  so  dove,  andando  un  giorno, 
ritrovo  un  cavallier  che  le  fe*  scorno. 


II  cavallier,  perche  da  lei  beffato 
fu  d'una  vecchia  che  portava  in  groppa, 
giostr6  con  Pinabel  ch'era  dotato 
di  poca  forza  e  di  superbia  troppa; 
et  abbattello,  e  lei  smontar  nel  prato 
fece,  e  prov6  s'andava  dritta  o  zoppa: 
lasciolla  a  piede,  e  fej  de  la  gonella 
di  lei  vestir  1'antiqua  damigella. 

LI 

Quella  ch'a  pie  rimase,  dispettosa, 
e  di  vendetta  ingorda  e  sitibonda, 
congiunta  a  Pinabel  che  d'ogni  cosa 
dove  sia  da  mal  far,  ben  la  seconda, 
ne  giorno  mai,  ne  notte  mai  riposa, 
e  dice  che  non  fia  mai  piu  gioconda, 
se  mille  cavallieri  e  mille  donne 
non  mette  a  piedi,  e  lor  tolle  arme  e  gonne. 


CANTO   VENTESIMOSECONDO  555 

LIT 

Giunsero  il  di  medesmo,  come  accade, 
quattro  gran  cavallieri  ad  un  suo  loco, 
li  quai  di  rimotissime  contrade 
venuti  a  queste  parti  eran  di  poco; 
di  tal  valor,  che  non  ha  nostra  etade 
tant'altri  buoni  al  bellicoso  gioco : 
Aquilante,  Grifone  e  Sansonetto, 
et  un  Guidon  Selvaggio  giovinetto. 

LIII 

Pinabel  con  sembiante  assai  cortese 
al  castel  ch'io  v'ho  detto  gli  raccolse. 
La  notte  poi  tutti  nel  letto  prese, 
e  presi  tenne;  e  prima  non  li  sciolse, 
che  li  fece  giurar  ch'un  anno  e  un  mese 
(questo  fu  a  punto  il  termine  che  tolse) 
stariano  quivi,  e  spogliarebbon  quanti 
vi  capitasson  cavallieri  erranti; 

LIV 

e  le  donzelle  ch'avesson  con  loro 

porriano  a  piedi,  e  torrian  lor  le  vesti. 

Cosi  giurar,  cosi  constretti  foro 

ad  osservar,  ben  che  turbati  e  mesti. 

Non  par  che  fin  a  qui  contra  costoro 

alcun  possa  giostrar,  ch'a  pie  non  resti : 

e  capitati  vi  sono  infiniti, 

ch'a  pie  e  senz'arme  se  ne  son  partiti. 

LV 

£  ordine  tra  lor  che  chi  per  sorte 
esce  fuor  prima,  vada  a  correr  solo: 
ma  se  trova  il  nimico  cosi  forte, 
che  resti  in  sella,  e  getti  lui  nel  suolo, 
sono  ubligati  gli  altri  infin  a  morte 
pigliar  Timpresa  tutti  in  uno  stuolo. 
Vedi  or,  se  ciascun  d'essi  e  cosi  buono, 
quel  ch'esser  de',  se  tutti  insieme  sono. 


556  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Poi  non  conviene  all'importanzia  nostra 
che  ne  vieta  ogni  indugio,  ogni  dimora, 
che  punto  vi  fermiate  a  quella  giostra; 
e  presuppongo  che  vinciate  ancora, 
che  vostra  alta  presenzia  lo  dimostra; 
ma  non  e  cosa  da  fare  in  un'ora: 
et  e  gran  dubbio  che  '1  giovine  s'arda, 
se  tutto  oggi  a  soccorrerlo  si  tarda.  — 

LVII 

Disse  Ruggier:  —  Non  riguardiamo  a  questo: 
faccian  nui  quel  che  si  pu6  far  per  nui; 
abbia  chi  regge  il  ciel  cura  del  resto, 
o  la  Fortuna,  se  non  tocca  a  luL 
Ti  fia  per  questa  giostra  manifesto, 
se  buoni  siamo  d'aiutar  colui 
che  per  cagion  si  debole  e  si  lieve, 
come  n'hai  detto,  oggi  bruciar  si  deve.  — 

LVIII 

Senza  risponder  altro,  la  donzella 
si  messe  per  la  via  ch'era  piu  corta. 
Piu  di  tre  miglia  non  andar  per  quella, 
che  si  trovaro  al  ponte  et  alia  porta 
dove  si  perdon  1'arme  e  la  gonnella, 
e  de  la  vita  gran  dubbio  si  porta. 
Al  primo  apparir  lor,  di  su  la  rocca 
e  chi  duo  botti  la  campana  tocca. 

LIX 

Et  ecco  de  la  porta  con  gran  fretta, 
trottando  s'un  ronzino,  un  vecchio  uscio; 
e  quel  venia  gridando:  —  Aspetta,  aspetta: 
restate  ola,  che  qui  si  paga  il  fio; 
e  se  1'usanza  non  v'e  stata  detta, 
che  qui  si  tiene,  or  ve  la  voj  dir  io.  — 
E  contar  loro  incomincio  di  quello 
costume,  che  servar  fa  Pinabello. 


CANTO   VENTESIMOSECONDO  557 

LX 

Poi  seguito,  volendo  dar  consigli, 
com' era  usato  agli  altri  cavallieri: 

—  Fate  spogliar  la  donna,  —  dicea  —  figli, 
e  voi  1'arme  lasciateci  e  i  destrieri; 

e  non  vogliate  mettervi  a  perigli 
d'andare  incontra  a  tai  quattro  guerrieri. 
Per  tutto  vesti,  arme  e  cavalli  s'hanno : 
la  vita  sol  mai  non  ripara  it  danno.  — 

LXI 

—  Non  piu,  —  disse  Ruggier  —  non  piu ;  ch'io  sono 
del  tutto  informatissimo,  e  qui  venni 

per  far  prova  di  me,  se  cosi  buono 
in  fatti  son,  come  nel  cor  mi  tenni. 
Arme,  vesti  e  cavallo  altrui  non  dono, 
s'altro  non  sento  che  minaccie  e  cenni; 
e  son  ben  certo  ancor  che  per  parole 
il  mio  compagno  le  sue  dar  non  vuole. 

LXII 

Ma,  per  Dio,  fa  ch'io  vegga  tosto  in  fronte 
quei  che  ne  voglion  t6rre  arme  e  cavallo; 
ch'abbiamo  da  passar  anco  quel  monte, 
e  qui  non  si  pu6  far  troppo  intervallo.  — 
Rispose  il  vecchio :  —  Eccoti  fuor  del  ponte 
chi  vien  per  f arlo  — :  e  non  lo  disse  in  fallo ; 
ch'un  cavallier  n'usci,  che  sopraveste 
vermiglie  avea,  di  bianchi  fior  conteste. 

LXIII 

Bradamante  prego  molto  Ruggiero 
che  le  lasciasse  in  cortesia  1'assunto 
di  gittar  de  la  sella  il  cavalliero, 
ch'avea  di  fiori  il  bel  vestir  trapunto; 
ma  non  pote  impetrarlo,  e  fu  mestiero 
a  lei  far  cio  che  Ruggier  volse  a  punto. 
Egli  volse  I'impresa  tutta  avere, 
e  Bradamante  si  stesse  a  vedere. 


558  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Ruggiero  al  vecchio  domando  chi  fosse 
questo  primo  ch'uscia  fuor  de  la  porta. 
—  £  Sansonetto ;  —  disse  —  che  le  rosse 
veste  conosco  e  i  bianchi  fior  che  porta.  - 
L'uno  di  qua,  1'altro  di  la  si  mosse 
senza  parlarsi,  e  fu  Tindugia  corta; 
che  s'andaro  a  trovar  coi  ferri  bassi, 
molto  affrettando  i  lor  destrieri  i  passi. 

LXV 

In  questo  mezzo  de  la  rocca  usciti 
eran  con  Finabel  molti  pedoni, 
presti  per  levar  Tanne  et  espediti 
ai  cavallier  ch'uscian  fuor  degli  arcioni. 
Veniansi  incontra  i  cavallieri  arditi, 
fermando  in  su  le  reste  i  gran  lancioni, 
grossi  duo  palmi,  di  native  cerro, 
che  quasi  erano  uguali  insino  al  ferro. 

LXVI 

Di  tali  n'avea  piu  d'una  decina 
fatto  tagliar  di  su  lor  ceppi  vivi 
Sansonetto  a  una  selva  indi  vicina, 
e  portatone  duo  per  giostrar  quivi. 
Aver  scudo  e  corazza  adamantina 
bisogna  ben,  che  le  percosse  schivi. 
Aveane  fatto  dar,  tosto  che  venne, 
Puno  a  Ruggier,  Taltro  per  se  ritenne. 

LXVII 

Con  questi,  che  passar  dovean  gl'incudi 
(si  ben  ferrate  avean  le  punte  estreme), 
di  qua  e  di  la  fermandoli  agli  scudi, 
a  mezzo  il  corso  si  scontraro  insieme. 
Quel  di  Ruggiero,  che  i  dem6ni  ignudi 
fece  sudar,  poco  del  colpo  teme: 
de  lo  scudo  vo'  dir  che  fece  Atlante, 
de  le  cui  forze  io  v'ho  gia  detto  inante. 


CANTO    VENTESIMOSECONDO  559 

LXVIII 

10  v'ho  gia  detto  che  con  tanta  forza 
Tincantato  splendor  negli  occhi  fere, 
ch'al  discoprirsi  ogni  veduta  ammorza, 
e  tramortito  Puom  fa  rimanere: 
percio,  s'un  gran  bisogno  non  lo  sforza, 
d'un  vel  coperto  lo  solea  tenere. 

Si  crede  ch'anco  impenetrabil  fosse, 
poi  ch'a  questo  incontrar  nulla  si  mosse. 

LXIX 
L'altro,  ch'ebbe  Fartefice  men  dotto, 

11  gravissimo  colpo  non  sofferse. 
Come  tocco  da  fulmine,  di  botto 

die  loco  al  ferro,  e  pel  mezzo  s'aperse; 
die  loco  al  ferro,  e  quel  trovo  di  sotto 
il  braccio  ch'assai  mal  si  ricoperse; 
si  che  ne  fu  ferito  Sansonetto, 
e  de  la  sella  tratto  al  suo  dispetto. 

LXX 

E  questo  il  primo  fu  di  quei  compagni 
che  quivi  mantenean  1'usanza  fella, 
che  de  le  spoglie  altrui  non  fe'  guadagni, 
e  ch'alla  giostra  usci  fuor  de  la  sella. 
Convien  chi  ride  anco  talor  si  lagni, 
e  Fortuna  talor  trovi  ribella. 
Quel  da  la  rocca,  replicando  il  botto, 
ne  fece  agli  altri  cavallieri  motto. 

LXXI 

S'era  accostato  Pinabello  intanto 
a  Bradamante,  per  saper  chi  fusse 
colui  che  con  prodezza  e  valor  tanto 
il  cavallier  del  suo  castel  percusse. 
La  giustizia  di  Dio,  per  dargli  quanto 
era  il  merito  suo,  vi  lo  condusse 
su  quel  destrier  medesimo  ch'inante 
tolto  avea  per  inganno  a  Bradamante. 


560  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

Fornito  a  punto  era  Fottavo  mese 
che  con  lei  ritrovandosi  a  camino 
(se  1  vi  raccorda)  questo  Maganzese 
la  gitto  ne  la  tomba  di  Merlino, 
quando  da  morte  un  ramo  la  difese, 
che  seco  cadde,  anzi  il  suo  buon  destino; 
e  trassene,  credendo  ne  lo  speco 
ch'ella  fosse  sepolta,  il  destrier  seco. 

LXXIII 

Bradamante  conosce  il  suo  cavallo, 
e  conosce  per  lui  Piniquo  conte; 
e  poi  ch'ode  la  voce,  e  vicino  hallo 
con  maggiore  attenzion  mirato  in  fronte: 
—  Questo  e  il  traditor  —  disse  —  senza  fallo 
che  procacci6  di  farmi  oltraggio  et  onte: 
ecco  il  peccato  suo,  che  1'ha  condutto 
ove  avra  de'  suoi  merti  il  premio  tutto.  — 

LXXIV 

II  minacciare  e  il  por  mano  alia  spada 
fu  tutto  a  un  tempo,  e  lo  aventarsi  a  quello; 
ma  inanzi  tratto  gli  levo  la  strada, 
che  non  pote  fuggir  verso  il  castello. 
Tolta  e  la  speme  ch'a  salvar  si  vada, 
come  volpe  alia  tana,  Pinabello. 
Egli  gridando  e  senza  mai  far  testa, 
fuggendo  si  caccid  ne  la  foresta. 

LXXV 

Pallido  e  sbigottito  il  miser  sprona, 
che  posto  ha  nel  fuggir  Fultima  speme. 
L'animosa  donzella  di  Dordona 
gli  ha  il  ferro  ai  fianchi,  e  lo  percuote  e  preme: 
vien  con  lui  sempre,  e  mai  non  1'abbandona. 
Grande  e  il  rumore,  e  il  bosco  intorno  geme. 
Nulla  al  castel  di  questo  ancor  s'intende, 
pero  ch'ognuno  a  Ruggier  solo  attende. 


CANTO    VENTESIMOSECONDO  561 

LXXVI 

Gli  altri  tre  cavallier  de  la  fortezza 

intanto  erano  usciti  in  su  la  via; 

et  avean  seco  quella  male  avezza 

che  v'avea  posta  la  costuma  ria. 

A  ciascun  di  lor  tre,  che  '1  morir  prezza 

piu  ch'aver  vita  che  con  biasrno  sia, 

di  vergogna  arde  il  viso,  e  il  cor  di  duolo, 

che  tanti  ad  assalir  vadano  un  solo. 

LXXVII 

La  crudel  meretrice  ch'avea  fatto 
por  quella  iniqua  usanza  et  osservarla, 
il  giuramento  lor  ricorda  e  il  patto 
ch'essi  fatti  F avean  di  vendicarla. 
—  Se  sol  con  questa  lancia  te  gli  abbatto, 
perche  mi  voi  con  altre  accompagnarla  ?  — 
dicea  Guidon  Selvaggio  —  e  s'io  ne  mento, 
levami  il  capo  poi,  ch'io  son  contento.  — 

LXXVIII 

Cosi  dicea  Grifon,  cosi  Aquilante. 
Giostrar  da  sol  a  sol  volea  ciascuno, 
e  preso  e  morto  rimanere  inante 
ch'incontra  un  sol  volere  andar  piu  d'uno. 
La  donna  dicea  loro :  —  A  che  far  tante 
parole  qui  senza  profitto  alcuno? 
Per  torre  a  colui  Parme  io  v'ho  qui  tratti, 
non  per  far  nuove  leggi  e  nuovi  patti. 

LXXIX 

Quando  io  v'avea  in  prigione  era  da  farme 
queste  escuse  e  non  ora,  che  son  tarde. 
Voi  dovete  il  preso  ordine  servarme, 
non  vostre  lingue  far  vane  e  bugiarde.  — 
Ruggier  gridava  lor:  —  Eccovi  Tarme, 
ecco  il  destrier  c'ha  nuovo  e  sella  e  barde; 
i  panni  de  la  donna  eccovi  ancora: 
se  li  volete,  a  che  piu  far  dimora  ?  — 


562  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

La  donna  del  castel  da  un  lato  preme, 
Ruggier  da  Taltro  li  chiama  e  rampogna, 
tanto  ch'a  forza  si  spiccaro  insieme, 
ma  nel  viso  infiammati  di  vergogna. 
Dinanzi  apparve  Funo  e  Taltro  seme 
del  marchese  onorato  di  Borgogna; 
ma  Guidon,  che  piu  grave  ebbe  il  cavallo, 
venia  lor  dietro  con  poco  intervallo. 

LXXXI 

Con  la  medesima  asta  con  che  avea 
Sansonetto  abbattuto,  Ruggier  viene, 
coperto  da  lo  scudo  che  solea 
Atlante  aver  sui  monti  di  Pirene: 
dico  quello  incantato,  che  splendea 
tanto,  ch'urnana  vista  nol  sostiene; 
a  cui  Ruggier  per  Pultimo  soccorso 
nei  piu  gravi  perigli  avea  ricorso. 

LXXXII 

Ben  che  sol  tre  fiate  bisognolli, 
e  certo  in  gran  perigli,  usarne  il  lume: 
le  prime  due,  quando  dai  regni  molli 
si  trasse  a  piu  lodevole  costume; 
la  terza,  quando  i  denti  mal  satolli 
Iasci6  de  1'orca  alle  marine  spume, 
che  dovean  devorar  la  bella  nuda 
che  fu  a  chi  la  campo  poi  cosi  cruda. 

LXXXIII 

Fuor  che  queste  tre  volte,  tutto  }1  resto 
lo  tenea  sotto  un  velo  in  mo  do  ascoso, 
ch'a  discoprirlo  esser  potea  ben  presto, 
che  del  suo  aiuto  fosse  bisognoso. 
Quivi  alia  giostra  ne  venia  con  questo, 
come  io  v'ho  detto  ancora,  si  animoso, 
che  quei  tre  cavallier  che  vedea  inanti, 
manco  temea  che  pargoletti  infanti. 


CANTO   VENTESIMOSECONDO  563 

LXXXIV 

Ruggier  scontra  Grifone,  ove  la  penna 
de  lo  scudo  alia  vista  si  congiunge. 
Quel  di  cader  da  ciascun  lato  accenna, 
et  al  fin  cade,  e  resta  al  destrier  lunge. 
Mette  allo  scudo  a  lui  Grifon  Fantenna; 
ma  pel  traverse  e  non  pel  dritto  giunge: 
e  perche  lo  trov6  forbito  e  netto, 
Fando  strisciando,  e  fej  contrario  effetto. 

LXXXV 

Roppe  il  velo  e  squarcio  che  gli  copria 
lo  spaventoso  et  incantato  lampo, 
al  cui  splendor  cader  si  convenia 
con  gli  occhi  ciechi,  e  non  vi  s'ha  alcun  scampo. 
Aquilante,  ch'a  par  seco  venia, 
stracci6  Favanzo,  e  fe'  lo  scudo  vampo. 
Lo  splendor  feri  gli  occhi  ai  duo  fratelli 
et  a  Guidon,  che  correa  doppo  quelli. 

LXXXVI 

Chi  di  qua,  chi  di  la  cade  per  terra: 
lo  scudo  non  pur  lor  gli  occhi  abbarbaglia, 
ma  fa  che  ogn'altro  senso  attonito  erra. 
Ruggier,  che  non  sa  il  fin  de  la  battaglia, 
volta  il  cavallo ;  e  nel  voltare  afferra 
la  spada  sua  che  si  ben  punge  e  taglia: 
e  nessun  vede  che  gli  sia  alFincontro; 
che  tutti  eran  caduti  a  quello  scontro. 

LXXXVII 

I  cavallieri  e  insieme  quei  ch'a  piede 
erano  usciti,  e  cosi  le  donne  anco, 
e  non  meno  i  destrieri  in  guisa  vede, 
che  par  che  per  morir  battano  il  fianco. 
Prima  si  maraviglia,  e  poi  s'awede 
che  '1  velo  ne  pendea  dal  lato  manco: 
dico  il  velo  di  seta,  in  che  solea 
chiuder  la  luce  di  quel  caso  rea. 


564  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

Presto  si  volge,  e  nel  voltar  cercando 
con  gli  occhi  va  1'amata  sua  guerriera; 
e  vien  la  dove  era  rimasa,  quando 
la  prima  giostra  cominciata  s'era. 
Pensa  ch'andata  sia  (non  la  trovando) 
a  vietar  che  quel  giovine  non  pera, 
per  dubbio  ch'ella  ha  forse  che  non  s'arda 
in  questo  mezzo  ch'a  giostrar  si  tarda. 

LXXXIX 

Fra  gli  altri  che  giacean  vede  la  donna, 
la  donna  che  Pavea  quivi  guidato. 
Dinanzi  se  la  pon,  si  come  assonna, 
e  via  cavalca  tutto  conturbato. 
D'un  manto  ch'essa  avea  sopra  la  gonna, 
poi  ricoperse  lo  scudo  incantato; 
e  i  sensi  riaver  le  fece,  tosto, 
che  '1  nocivo  splendore  ebbe  nascosto. 

xc 

Via  se  ne  va  Ruggier  con  faccia  rossa 
che  per  vergogna  di  levar  non  osa: 
gli  par  ch'ognuno  improverar  gli  possa 
quella  vittoria  poco  gloriosa. 
«  Ch'emenda  poss'io  fare,  onde  rimossa 
mi  sia  una  colpa  tanto  obbrobriosa? 
che  cio  ch'io  vinsi  mai,  fu  per  favore, 
diran,  d'incanti,  e  non  per  mio  valore. » 

xci 

Mentre  cosi  pensando  seco  giva, 
venne  in  quel  che  cercava  a  dar  di  cozzo; 
che  'n  mezzo  de  la  strada  soprarriva 
dove  profondo  era  cavato  un  pozzo. 
Quivi  Parmento  alia  calda  ora  estiva 
si  ritraea,  poi  ch'avea  pieno  il  gozzo. 
Disse  Ruggiero:  —  Or  proveder  bisogna 
che  non  mi  facci,  o  scudo,  piu  vergogna. 


CANTO    VENTESIMOSECONDO  565 

XCII 

Piu  non  starai  tu  meco;  e  questo  sia 

Fultimo  biasmo  c'ho  d'averne  al  mondo.  — 

Cosi  dicendo,  smonta  ne  la  via: 

piglia  una  grossa  pietra  e  di  gran  pondo, 

e  la  lega  allo  scudo,  et  ambi  invia 

per  Palto  pozzo  a  ritrovarne  il  fondo; 

e  dice :  —  Costa  giu  statti  sepulto, 

e  teco  stia  sempre  il  mio  obbrobrio  occulto.  — 

XCIII 

II  pozzo  e  cavo,  e  pieno  al  sommo  d'acque: 
grieve  e  lo  scudo,  e  quella  pietra  grieve. 
Non  si  fermo  fin  che  nel  fondo  giacque: 
sopra  si  chiuse  il  liquor  molle  e  lieve. 
II  nobil  atto  e  di  splendor  non  tacque 
la  vaga  Fama,  e  divulgollo  in  breve; 
e  di  rumor  n'empi,  suonando  il  corno, 
e  Francia  e  Spagna  e  le  provincie  intorno. 

xciv 

Poi  che  di  voce  in  voce  si  fe'  questa 
strana  aventura  in  tutto  il  mondo  nota, 
molti  guerrier  si  missero  all'inchiesta 
e  di  parte  vicina  e  di  remota: 
ma  non  sapean  qual  fosse  la  foresta 
dove  nel  pozzo  il  sacro  scudo  nuota; 
che  la  donna  che  fe'  1'atto  palese, 
dir  mai  non  volse  il  pozzo  ne  il  paese. 

xcv 

Al  partir  che  Ruggier  fe'  dal  castello, 
dove  avea  vinto  con  poca  battaglia; 
che  i  quattro  gran  campion  di  Pinabello 
fece  restar  come  uomini  di  paglia; 
tolto  lo  scudo,  avea  levato  quello 
lume  che  gli  occhi  e  gli  animi  abbarbaglia: 
e  quei  che  giaciuti  eran  come  morti, 
pieni  di  meraviglia  eran  risorti. 


566  ORLANDO   FURIOSO 

XCVI 

Ne  per  tutto  quel  giorno  si  favella 
altro  fra  lor  che  de  lo  strano  caso, 
e  come  fu  che  ciascun  d'essi  a  quella 
orribil  luce  vinto  era  rimaso. 
Mentre  parlan  di  questo,  la  novella 
vien  lor  di  Pinabel  giunto  alPoccaso: 
che  Pinabello  e  morto  hanno  P  aviso, 
ma  non  sanno  pero  chi  Pabbia  ucciso. 

XCVII 

L'ardita  Bradamante  in  questo  mezzo 

giunto  avea  Pinabello  a  un  passo  stretto; 

e  cento  volte  gli  avea  fin  a  mezzo 

messo  il  brando  pei  fianchi  e  per  lo  petto. 

Tolto  ch'ebbe  dal  mondo  il  puzzo  e  Jl  lezzo 

che  tutto  intorno  avea  il  paese  infetto, 

le  spalle  al  bosco  testimonio  volse 

con  quel  destrier  che  gia  il  fellon  le  tolse. 

XCVIII 

Volse  tornar  dove  lasciato  avea 
Ruggier;  ne  seppe  mai  trovar  la  strada. 
Or  per  valle  or  per  monte  s'awolgea: 
tutta  quasi  cerc6  quella  contrada. 
Non  volse  mai  la  sua  fortuna  rea 
che  via  trovasse  onde  a  Ruggier  si  vada. 
Questo  altro  canto  ad  ascoltare  aspetto 
chi  de  1'istoria  mia  prende  diletto. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  567 


CANTO    VENTESIMOTERZO 


I 

Studisi  ognun  giovare  altrui;  che  rade 
volte  11  ben  far  senza  il  suo  premio  fia: 
e  se  pur  senza,  almen  non  te  ne  accade 
morte  ne  danno  ne  ignommia  ria. 
Chi  mioce  altrui,  tardi  o  per  tempo  cade 
il  debito  a  scontar,  che  non  s'oblia. 
Dice  il  proverbio,  ch'a  trovar  si  vanno 
gli  uomini  spesso,  e  i  monti  fermi  stanno. 

il 

Or  vedi  quel  ch'a  Pinabello  awiene 
per  essersi  portato  iniquamente : 
e  giunto  in  somma  alle  dovute  pene, 
dovute  e  giuste  alia  sua  ingiusta  mente. 
E  Dio,  che  le  piu  volte  non  sostiene 
veder  patire  a  torto  uno  innocent  e, 
salv6  la  donna;  e  salvera  ciascuno 
che  d'ogni  fellonia  viva  digiuno. 

Ill 

Credette  Pinabel  questa  donzella 
gia  d'aver  morta,  e  cola  giu  sepulta; 
ne  la  pensava  rnai  veder,  non  ch'ella 
gli  avesse  a  tor  degli  error  suoi  la  multa. 
Ne  il  ritrovarsi  in  mezzo  le  castella 
del  padre,  in  alcun  util  gli  risulta. 
Quivi  Altaripa  era  tra  monti  fieri 
vicina  al  tenitorio  di  Pontieri. 


568  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

Tenea  quell' Altaripa  il  vecchio  conte 
Anselmo,  di  ch'usci  questo  malvagio, 
che  per  fuggir  la  man  di  Chiaramonte, 
d'amici  e  di  soccorso  ebbe  disagio. 
La  donna  al  traditore  a  pie  d'un  monte 
tolse  1'indegna  vita  a  suo  grande  agio; 
che  d'altro  aiuto  quel  non  si  provede, 
che  d'alti  gridi  e  di  chiamar  mercede. 

v 

Morto  ch'ella  ebbe  il  falso  cavalliero 
che  lei  voluto  avea  gia  porre  a  morte, 
volse  tornare  ove  lascio  Ruggiero; 
ma  non  lo  consent!  sua  dura  sorte, 
che  la  fej  traviar  per  un  sentiero 
che  la  porto  dov'era  spesso  e  forte, 
dove  piu  strano  e  piu  solingo  il  bosco, 
lasciando  il  sol  gia  il  mondo  all'aer  fosco. 

VI 

Ne  sappiendo  ella  ove  potersi  altrove 
la  notte  riparar,  si  fermo  quivi 
sotto  le  frasche  in  su  1'erbette  nuove, 
parte  dormendo  fin  che  '1  giorno  arrivi, 
parte  mirando  ora  Saturno  or  Giove, 
Venere  e  Marte  e  gli  altri  erranti  divi; 
ma  sempre,  o  vegli  o  dorma,  con  la  mente 
contemplando  Ruggier  come  presente. 

VII 

Spesso  di  cor  profondo  ella  sospira, 

di  pentimento  e  di  dolor  compunta, 

ch'abbia  in  lei,  piu  ch'amor,  potuto  1'ira. 

—  L'ira  —  dicea—  m'ha  dal  mio  amor  disgiunta: 

almen  ci  avessi  io  posta  alcuna  mira, 

poi  ch'avea  pur  la  mala  impresa  assunta, 

di  saper  ritornar  donde  io  veniva; 

che  ben  fui  d'occhi  e  di  memoria  priva.  — 


CANTO   VENTESIMOTERZO  569 

VIII 

Queste  et  altre  parole  ella  non  tacque, 
e  molto  piu  ne  ragiono  col  core. 
II  vento  intanto  di  sospiri,  e  Pacque 
di  pianto  facean  pioggia  di  dolore. 
Dopo  una  lunga  aspettazion  pur  nacque 
in  oriente  il  disiato  albore: 
et  ella  prese  il  suo  destrier  ch'intorno 
giva  pascendo,  et  ando  contra  il  giorno. 

rx 

Ne  molto  ando,  che  si  trovo  all'uscita 
del  bosco,  ove  pur  dianzi  era  il  palagio, 
la  dove  molti  di  Pavea  schernita 
con  tanto  error  1'incantator  malvagio. 
Ritrovo  quivi  Astolfo  che  fornita 
la  briglia  alFippogrifo  avea  a  grande  agio, 
e  stava  in  gran  pensier  di  Rabicano, 
per  non  sap  ere  a  chi  lasciarlo  in  mano. 

x 

A  caso  si  trovo  che  fuor  di  testa 
Pelmo  allor  s'avea  tratto  il  paladino; 
si  che  tosto  ch'usci  de  la  foresta, 
Bradamante  conobbe  il  suo  cugino. 
Di  lontan  salutollo,  e  con  gran  festa 
gli  corse,  e  I'abbraccio  poi  piu  vicino; 
e  nominossi,  et  alzo  la  visiera, 
e  chiaramente  fe'  veder  ch'eU'era. 

XI 

Non  potea  Astolfo  ritrovar  persona 
a  chi  il  suo  Rabican  meglio  lasciasse, 
perche  dovesse  averne  guardia  buona 
e  renderglielo  poi  come  tornasse, 
de  la  figlia  del  duca  di  Dordona; 
e  parvegli  che  Dio  gli  la  mandasse, 
Vederla  volentier  sempre  solea, 
ma  pel  bisogno  or  piu  ch'egli  n'avea. 


570  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Da  poi  che  due  e  tre  volte  ritornati 
fraternamente  ad  abbracciar  si  foro, 
e  si  for  1'uno  a  1'altro  domandati 
•  con  molta  affezion  de  Tesser  loro; 
Astolfo  disse :  —  Ormai,  se  dei  pennati 
vo*  '1  paese  cercar,  troppo  dimoro  — : 
et  aprendo  alia  donna  il  suo  pensiero, 
veder  le  fece  il  volator  destriero. 

XIII 

A  lei  non  fa  di  molta  maraviglia 
veder  spiegare  a  quel  destrier  le  penne; 
ch'altra  volta,  reggendogli  la  briglia 
Atlante  incantator,  contra  le  venne; 
e  le  fece  doler  gli  occhi  e  le  ciglia: 
si  fisse  dietro  a  quel  volar  le  tenne 
quel  giorno,  che  da  lei  Ruggier  lontano 
portato  fu  per  camin  lungo  e  strano. 

XIV 

Astolfo  disse  a  lei  che  le  volea 

dar  Rabican,  che  si  nel  corso  affretta, 

che  se  scoccando  1'arco  si  movea, 

si  solea  lasciar  dietro  la  saetta; 

e  tutte  Tarme  ancor,  quante  n'avea: 

che  vuol  che  a  Montalban  gli  le  rimetta, 

e  gli  le  serbi  fin  al  suo  ritorno ; 

che  non  gli  fanno  or  di  bisogno  intorno. 

XV 

Volendosene  andar  per  1'aria  a  volo, 
aveasi  a  far  quanto  potea  piu  lieve. 
Tiensi  la  spada  e  Jl  corno,  ancor  che  solo 
bastargli  il  corno  ad  ogni  risco  deve. 
Bradamante  la  lancia  che  '1  figliuolo 
port6  di  Galafrone,  anco  riceve; 
la  lancia  che  di  quanti  ne  percuote 
fa  le  selle  restar  subito  vote. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  571 

XVI 

Salito  Astolfo  sul  destrier  volante, 

10  fa  mover  per  Faria  lento  lento; 
indi  lo  caccia  si,  che  Bradamante 
ogni  vista  ne  perde  in  un  momento. 
Cosi  si  parte  col  pilota  inante 

11  nochier  che  gli  scogli  teme  e  '1  vento; 
e  poi  che  '1  porto  e  i  liti  a  dietro  lassa, 
spiega  ogni  vela  e  inanzi  ai  venti  passa. 

XVII 

La  donna,  poi  che  fu  partito  il  duca, 
rirnase  in  gran  travaglio  de  la  mente: 
che  non  sa  come  a  Montalban  conduca 
Parmatura  e  il  destrier  del  suo  parente; 
pero  che  51  cor  le  cuoce  e  le  manuca 
Tingorda  voglia  e  il  desiderio  ardente 
di  riveder  Ruggier,  che,  se  non  prima, 
a  Vallombrosa  ritrovar  lo  stima. 

XVIII 

Stando  quivi  suspesa,  per  ventura 
si  vede  inanzi  giungere  un  villano, 
dal  qual  fa  rassettar  quella  armatura, 
come  si  puote,  e  por  su  Rabicano; 
poi  di  menarsi  dietro  gli  die  cura 
i  duo  cavalli,  un  carco  e  Taltro  a  mano: 
ella  n'avea  duo  prima;  ch'avea  quello 
sopra  il  qual  Iev6  1'altro  a  Pinabello. 

XIX 

Di  Vallombrosa  penso  far  la  strada, 
che  trovar  quivi  il  suo  Ruggier  ha  speme; 
ma  qual  piu  breve  o  qual  miglior  vi  vada, 
poco  discerne,  e  d'ire  errando  teme, 
II  villan  non  avea  de  la  contrada 
pratica  molta;  et  erreranno  insieme. 
Pur  andare  a  ventura  ella  si  messe, 
dove  pensb  che  }1  loco  esser  dovesse. 


572  ORLANDO    FURIOSO 

XX 

Di  qua  di  la  si  volse,  ne  persona 
incontro  mai  da  domandar  la  via. 
Si  trovo  uscir  del  bosco  in  su  la  nona, 
dove  un  castel  poco  lontan  scopria, 
il  qual  la  cima  a  un  monticel  corona. 
Lo  mira,  e  Montalban  le  par  che  sia: 
et  era  certo  Montalbano;  e  in  quello 
avea  la  rnatre  et  alcun  suo  fratello. 

XXI 

Come  la  donna  conosciuto  ha  il  loco, 
nel  cor  s'attrista,  e  piu  chT  non  so  dire: 
sara  scoperta,  se  si  ferma  un  poco, 
ne  piu  le  sara  lecito  a  partire; 
se  non  si  parte,  P  amoroso  foco 
Pardera  si,  che  la  fara  morire: 
non  vedra  piu  Ruggier,  ne  fara  cosa 
di  quel  ch'era  ordinato  a  Vallombrosa. 

xxn 

Stette  alquanto  a  pensar;  poi  si  risolse 
di  voler  dar  a  Montalban  le  spalle: 
e  verso  la  badia  pur  si  rivolse, 
che  quindi  ben  sapea  qual  era  il  calle. 
Ma  sua  fortuna,  o  buona  o  trista,  volse 
che  prima  ch'ella  uscisse  de  la  valle, 
scontrasse  Alardo,  un  de'  fratelli  sui; 
ne  tempo  di  celarsi  ebbe  da  lui. 

XXIII 

Veniva  da  partir  gli  alloggiamenti 
per  quel  contado  a  cavallieri  e  a  fanti; 
ch'ad  instanzia  di  Carlo  nuove  genti 
fatto  avea  de  le  terre  circonstanti. 
I  saluti  e  i  fraterni  abbracciamenti 
con  le  grate  accoglienze  andaro  inanti; 
e  poi,  di  molte  cose  a  paro  a  paro 
tra  lor  parlando,  in  Montalban  tornaro. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  573 

XXIV 

Entro  la  bella  donna  in  Montalbano, 
dove  Favea  con  lacrimosa  guancia 
Beatrice  molto  desiata  invano, 
e  fattone  cercar  per  tutta  Francia. 
Or  quivi  i  baci  e  il  giunger  mano  a  mano 
di  matre  e  di  fratelli  estimo  ciancia 
verso  gii  avuti  con  Ruggier  complessi, 
ch'avra  ne  Talma  eternamente  impressi. 

xxv 

Non  potendo  ella  andar,  fece  pensiero 
ch'a  Vallombrosa  altri  in  suo  nome  andasse 
immantinente  ad  avisar  Ruggiero 
de  la  cagion  ch' andar  lei  non  lasciasse; 
e  lui  pregar  (s'era  pregar  mistero) 
che  quivi  per  suo  amor  si  battezzasse, 
e  poi  venisse  a  far  quanto  era  detto, 
si  che  si  desse  al  matrimonio  effetto. 

XXVI 

Pel  medesimo  messo  fe'  disegno 

di  mandar  a  Ruggiero  il  suo  cavallo, 

che  gli  solea  tanto  esser  caro :  e  degno 

d'essergli  caro  era  ben  senza  fallo; 

che  non  s'avria  trovato  in  tutto  Jl  regno 

dei  Saracin,  ne  sotto  il  signor  Gallo, 

piu  bel  destrier  di  questo  o  piu  gagliardo, 

eccetti  Brigliador  soli  e  Baiardo. 

XXVII 

Ruggier,  quel  di  che  troppo  audace  ascese 
su  1'ippogrifo,  e  verso  il  ciel  levosse, 
lascio  Frontino,  e  Bradamante  il  prese 
(Frontino,  che  *1  destrier  cosi  nomosse); 
mandollo  a  Montalbano,  e  a  buone  spese 
tener  lo  fece,  e  mai  non  cavalcosse, 
se  non  per  breve  spazio  e  a  picciol  passo; 
si  ch'era  piu  che  mai  lucido  e  grasso. 


574  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

Ogni  sua  donna  tosto,  ogni  donzella 
pon  seco  in  opra,  e  con  suttil  lavoro 
fa  sopra  seta  Candida  e  morella 
tesser  ricamo  di  finissimo  oro; 
e  di  quel  cuopre  et  orna  briglia  e  sella 
del  buon  destrier:  poi  sceglie  una  di  loro, 
figiia  di  Callitrefia  sua  nutrice, 
d'ogni  secrete  suo  fida  uditrice. 

XXIX 

Quanto  Ruggier  Tera  nel  core  impresso, 
mille  volte  narrato  avea  a  costei: 
la  belta,  la  virtude,  i  modi  d'esso 
esaltato  1'avea  fin  sopra  i  dei. 
A  se  chiamolla,  e  disse :  —  Miglior  messo 
a  tal  bisogno  elegger  non  potrei; 
che  di  te  ne  piu  fido  ne  phi  saggio 
imbasciator,  Ippalca  mia,  non  aggio.  — 

xxx 

Ippalca  la  donzella  era  nomata. 
—  Va— ,  le  dice,  e  1'insegna  ove  de'  gire; 
e  pienamente  poi  Tebbe  informata 
di  quanto  avesse  al  suo  signore  a  dire; 
e  far  la  scusa  se  non  era  andata 
al  monaster:  che  non  fu  per  mentire; 
ma  che  Fortuna,  che  di  noi  potea 
piu  che  noi  stessi,  da  imputar  s'avea. 

XXXI 

Montar  la  fece  s'un  ronzino,  e  in  mano 
la  ricca  briglia  di  Frontin  le  messe: 
e  se  si  pazzo  alcuno  o  si  villano 
trovasse,  che  levar  le  lo  volesse, 
per  fargli  a  una  parola  il  cervel  sano, 
di  chi  fosse  il  destrier  sol  gli  dicesse; 
che  non  sapea  si  ardito  cavalliero, 
che  non  tremasse  al  nome  di  Ruggiero. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  575 

XXXII 

Di  molte  cose  rammonisce  e  rnolte, 

che  trattar  con  Ruggier  abbia  in  sua  vece; 

le  qual  poi  ch'ebbe  Ippalca  ben  raccolte, 

si  pose  in  via,  ne  piu  dimora  fece. 

Per  strade  e  campi  e  selve  oscure  e  folte 

cavalco  de  le  migHa  piu  di  diece; 

che  non  fu  a  darle  noia  chi  venisse, 

ne  a  domandarla  pur  dove  ne  gisse. 

XXXIII 

A  mezzo  il  giorno,  nel  calar  d'un  monte, 

in  una  stretta  e  malagevol  via 

si  venne  ad  incontrar  con  Rodomonte, 

ch'armato  un  piccol  nano  e  a  pie  seguia. 

II  Moro  alzo  ver  lei  1'altiera  fronte, 

e  bestemmi6  Feterna  lerarchia, 

poi  che  si  bel  destrier,  si  bene  ornato, 

non  avea  in  man  d'un  cavallier  trovato. 

XXXIV 

Avea  giurato  che  '1  primo  cavallo 
torria  per  forza,  che  tra  via  incontrasse. 
Or  questo  e  stato  il  primo;  e  trovato  hallo 
piu  bello  e  piu  per  lui,  che  mai  trovasse: 
ma  torlo  a  una  donzella  gli  par  fallo ; 
e  pur  agogna  averlo,  e  in  dubbio  stasse. 
Lo  mira,  lo  contempla,  e  dice  spesso: 

—  Deh  perche  il  suo  signor  non  e  con  esso! 

xxxv 

—  Deh  ci  fosse  egli!  —  gli  rispose  Ippalca 

—  che  ti  faria  cangiar  forse  pensiero. 
Assai  piu  di  te  val  chi  lo  cavalca, 

ne  lo  pareggia  al  mondo  altro  guerriero. 

—  Chi  e  —  le  disse  il  Moro  —  che  si  calca 
Fonore  altrui  ?  —  Rispose  ella:  —  Ruggiero.  — 

E  quel  suggiunse :  —  Adunque  il  destrier  voglio, 
poi  ch'a  Ruggier,  si  gran  campion,  lo  toglio. 


576  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

II  qual,  se  sara  ver,  come  tu  parli, 
che  sia  si  forte,  e  piu  d'ogn'altro  vaglia, 
non  che  il  destrier,  ma  la  vettura  darli 
converrammi,  e  in  suo  albitrio  fia  la  tagHa. 
Che  Rodomonte  io  sono,  hai  da  narrarli, 
e  che,  se  pur  vorra  meco  battaglia, 
mi  trovera;  ch'ovunque  io  vada  o  stia, 
mi  fa  sempre  apparir  la  luce  mia. 

XXXVII 

Dovunque  io  vo,  si  gran  vestigio  resta, 
che  non  Io  lascia  il  fulmine  maggiore.  — 
Cosi  dicendo,  avea  tornate  in  testa 
le  redine  dorate  al  corridore: 
sopra  gli  salta;  e  lacrimosa  e  mesta 
rimane  Ippalca,  e  spinta  dal  dolore 
minaccia  Rodomonte  e  gli  dice  onta: 
non  Tascolta  egli,  e  su  pel  poggio  monta. 

XXXVIII 

Per  quella  via  dove  Io  guida  il  nano 
per  trovar  Mandricardo  e  Doralice, 
gli  viene  Ippalca  dietro  di  lontano, 
e  Io  bestemmia  sempre  e  maledice. 
Cio  che  di  questo  awenne,  altrove  e  piano. 
Turpin,  che  tutta  questa  istoria  dice, 
fa  qui  digresso,  e  torna  in  quel  paese 
dove  fu  dianzi  morto  il  Maganzese. 

xxxix 

Dato  avea  a  pena  a  quel  loco  le  spalle 
la  figliuola  d'Amon,  ch'in  fretta  gia, 
che  v'arrivo  Zerbin  per  altro  calle 
con  la  fallace  vecchia  in  compagnia: 
e  giacer  vide  il  corpo  ne  la  valle 
del  cavallier,  che  non  sa  gia  chi  sia; 
ma  come  quel  ch'era  cortese  e  pio, 
ebbe  pieta  del  caso  acerbo  e  rio. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  577 

XL 

Giaceva  Pinabello  in  terra  spento, 
versando  il  sangue  per  tante  ferite, 
ch'esser  doveano  assai,  se  piu  di  cento 
spade  in  sua  morte  si  fossero  unite. 
II  cavalier  di  Scozia  non  fu  lento 
per  Forme  che  di  fresco  eran  scolpite 
a  porsi  in  awentura,  se  potea 
saper  chi  Fomicidio  fatto  avea. 

XLI 

Et  a  Gabrina  dice  che  1'aspette; 

che  senza  indugio  a  lei  fara  ritorno. 

Ella  presso  al  cadavero  si  mette, 

e  fissamente  vi  pon  gli  occhi  intorno; 

perche,  se  cosa  v'ha  che  le  dilette, 

non  vuol  ch'un  morto  invan  piu  ne  sia  adorno, 

come  colei  che  fu,  tra  Faltre  note, 

quanto  avara  esser  piu  femina  puote. 

XLII 

Se  di  portarne  il  furto  ascosamente        * 
avesse  avuto  modo  o  alcuna  speme, 
la  sopravesta  fatta  riccamente 
gli  avrebbe  tolta,  e  le  belParme  insieme. 
Ma  quel  che  puo  celarsi  agevolmente, 
si  piglia,  e  '1  resto  fin  al  cor  le  preme. 
Fra  Faltre  spoglie  un  bel  cinto  levonne, 
e  se  ne  Ieg6  i  fianchi  infra  due  gonne. 

XLIII 

Poco  dopo  arrive  Zerbin,  ch'avea 
seguito  invan  di  Bradamante  i  passi, 
perche  trovo  il  sentier  che  si  torcea 
in  molti  rami  ch'ivano  alti  e  bassi: 
e  poco  omai  del  giorno  rimanea, 
ne  volea  al  buio  star  fra  quelli  sassi; 
e  per  trovare  albergo  die  le  spalle 
con  Fempia  vecchia  alia  funesta  valle. 


578  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Quindi  presso  a  dua  miglia  ritrovaro 
un  gran  castel  che  fu  detto  Altariva, 
dove  per  star  la  notte  si  fermaro, 
che  gia  a  gran  volo  inverse  il  ciel  saliva. 
Non  vi  ster  molto,  ch'un  lamento  amaro 
1'orecchie  d'ogni  parte  lor  feriva; 
e  veggon  lacrimar  da  tutti  gli  occhi, 
come  la  cosa  a  tutto  il  popul  tocchi. 

XLV 

Zerbino  dimandonne,  e  gli  fu  detto 
che  venut'era  al  cont'Anselmo  aviso 
che  fra  duo  monti  in  un  sentiero  istretto 
giacea  il  suo  figlio  Pinabello  ucciso. 
Zerbin,  per  non  ne  dar  di  se  sospetto, 
di  cio  si  finge  nuovo,  e  abbassa  il  viso; 
ma  pensa  ben,  che  senza  dubbio  sia 
quel  ch'egli  trov6  morto  in  su  la  via. 

XLVI 

*  Dopo  non  molto  la  bara  funebre 
giunse,  a  splendor  di  torchi  e  di  facelle, 
la  dove  fece  le  strida  piu  crebre 
con  un  batter  di  man  gire  alle  stelle, 
e  con  piu  vena  fuor  de  le  palpebre 
le  lacrime  inundar  per  le  mascelle: 
ma  piu  de  1'altre  nubilose  et  atre 
era  la  faccia  del  misero  patre. 

XLVII 

Mentre  apparecchio  si  facea  solenne 
di  grandi  essequie  e  di  funebri  pompe, 
secondo  il  modo  et  ordine  che  tenne 
Fusanza  antiqua  e  ch'ogni  eta  corrompe; 
da  parte  del  signore  un  bando  venne, 
che  tosto  il  popular  strep ito  rompe, 
e  promette  gran  premio  a  chi  dia  aviso 
chi  stato  sia  che  gli  abbia  il  figlio  ucciso. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  579 

XLVIII 

Di  voce  in  voce  e  d'una  in  altra  orecchia 
il  grido  e  '1  bando  per  la  terra  scorse, 
fin  che  Pudi  la  scelerata  vecchia 
che  di  rabbia  avanzo  le  tigri  e  Torse; 
e  quindi  alia  ruina  s'apparecchia 
di  Zerbino,  o  per  1'odio  che  gli  ha  forse, 
o  per  vantarsi  pur,  che  sola  priva 
d'umanitade  in  uman  corpo  viva; 

XLIX 

o  fosse  pur  per  guadagnarsi  il  premio: 
a  ritrovar  n'and6  quel  signor  mesto; 
e  dopo  un  verisimil  suo  proemio, 
gli  disse  che  Zerbin  fatto  avea  questo: 
e  quel  bel  cinto  si  Iev6  di  gremio, 
che  *1  miser  padre  a  riconoscer  presto, 
appresso  il  testimonio  e  tristo  uffizio 
de  Fempia  vecchia,  ebbe  per  chiaro  indizio. 


E  lacrimando  al  ciel  leva  le  mani, 
che  3l  figliuol  non  sara  senza  vendetta. 
Fa  circundar  Talbergo  ai  terrazzani; 
che  tutto  Jl  popul  s'e  levato  in  fretta. 
Zerbin  che  gli  nimici  aver  lontani 
si  crede,  e  questa  ingiuria  non  aspetta, 
dal  conte  Anselmo,  che  si  chiama  offeso 
tanto  da  lui,  nel  primo  sonno  e  preso; 

LI 

e  quella  notte  in  tenebrosa  parte 
incatenato,  e  in  gravi  ceppi  messo. 
II  sole  ancor  non  ha  le  luci  sparte, 
che  Tingiusto  supplicio  e  gia  commesso: 
che  nel  loco  medesimo  si  squarte, 
dove  fu  il  mal  c'hanno  imputato  ad  esso. 
Altra  esamina  in  ci6  non  si  facea: 
bastava  che  '1  signor  cosi  credea. 


580  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

Poi  che  Paltro  matin  la  bella  Aurora 
Taer  seren  fe'  bianco  e  rosso  e  giallo, 
tutto  '1  popul  gridando:  —  Mora,  mora,  — 
vien  per  punir  Zerbin  del  non  suo  fallo. 
Lo  sciocco  vulgo  1'accompagna  fuora, 
senz'ordine,  chi  a  piede  e  chi  a  cavallo; 
e  '1  cavallier  di  Scozia  a  capo  chino 
ne  vien  legato  in  s'un  piccol  ronzino. 

LIII 

Ma  Dio  che  spesso  gl'innocenti  aiuta, 
ne  lascia  mai  ch'in  sua  bonta  si  fida, 
tal  difesa  gli  avea  gia  proveduta, 
che  non  v'e  dubbio  piu  ch'oggi  s'uccida. 
Quivi  Orlando  arrivo,  la  cui  venuta 
alia  via  del  suo  scampo  gli  fu  guida. 
Orlando  giu  nel  pian  vide  la  gente 
che  traea  a  morte  il  cavallier  dolente. 

LIV 

Era  con  lui  quella  fanciulla,  quella 
che  ritrovo  ne  la  selvaggia  grotta, 
del  re  galego  la  figlia  Issabella, 
in  poter  gia  de'  malandrin  condotta, 
poi  che  lasciato  avea  ne  la  procella 
del  truculento  mar  la  nave  rotta: 
quella  che  piu  vicino  al  core  avea 
questo  Zerbin,  che  Talma  onde  vivea. 

LV 

Orlando  se  Pavea  fatta  compagna, 
poi  che  de  la  caverna  la  riscosse. 
Quando  costei  li  vide  alia  campagna, 
domandb  Orlando  chi  la  turba  fosse. 
—  Non  so—,  diss'egli;  e  poi  su  la  montagna 
lasciolla,  e  verso  il  pian  ratto  si  mosse. 
Guard6  Zerbino,  et  alia  vista  prima 
lo  giudico  baron  di  molta  stima. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  581 

LVI 

E  fattosegli  appresso,  domandollo 
per  che  cagione  e  dove  il  menin  preso. 
Levo  il  dolente  cavalliero  il  collo, 
e  megHo  avendo  il  paladino  inteso, 
rispose  il  vero;  e  cosi  ben  narrollo, 
che  merito  dal  conte  esser  difeso. 
Bene  avea  il  conte  alle  parole  scorto 
ch'era  innocente,  e  che  moriva  a  torto. 

LVII 

E  poi  che  'ntese  che  commesso  questo 
era  dal  conte  Anselmo  d'Altariva, 
fu  certo  ch'era  torto  manifesto; 
ch'altro  da  quel  fellon  mai  non  deriva. 
Et  oltre  acci6,  Puno  era  alPaltro  infesto 
per  Tantiquissimo  odio  che  bolliva 
tra  il  sangue  di  Maganza  e  di  Chiarmonte; 
e  tra  lor  eran  morti  e  danni  et  onte. 

LVIII 

—  Slegate  il  cavallier,  —  grido  —  canaglia,  — 
il  conte  a'  masnadieri  —  o  ch'io  v'uccido. 

—  Chi  e  costui  che  si  gran  colpi  taglia?  — 
rispose  un  che  parer  voile  il  piu  fido. 

—  Se  di  cera  noi  fussimo  o  di  paglia, 

e  di  fuoco  egli,  assai  fora  quel  grido.  — 
E  venne  contra  il  paladin  di  Francia: 
Orlando  contra  lui  chino  la  lancia. 

LIX 

La  lucente  armatura  il  Maganzese, 
che  levata  la  notte  avea  a  Zerbino, 
e  postasela  indosso,  non  difese 
contra  Faspro  incontrar  del  paladino. 
Sopra  la  destra  guancia  il  ferro  prese: 
Telmo  non  pass6  gia,  perch' era  fino; 
ma  tanto  fu  de  la  percossa  il  crollo, 
che  la  vita  gli  tolse  e  roppe  il  collo. 


582  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

Tutto  in  un  corso,  senza  tor  di  resta 
la  lancia,  passo  un  altro  in  mezzo  '1  petto: 
quivi  lasciolla,  e  la  mano  ebbe  presta 
a  Durindana;  e  nel  drappel  piu  stretto 
a  chi  fece  due  parti  de  la  testa, 
a  chi  levo  dal  busto  il  capo  netto; 
foro  la  gola  a  molti;  e  in  un  memento 
n'uccise  e  messe  in  rotta  piu  di  cento. 

LXI 

Piu  del  terzo  n'ha  morto,  e  '1  resto  caccia 
e  taglia  e  fende  e  Here  e  fora  e  tronca. 
Chi  lo  scudo,  e  chi  Pelmo  che  lo  'mpaccia, 
e  chi  lascia  lo  spiedo  e  chi  la  ronca; 
chi  al  lungo,  chi  al  traverse  il  camin  spaccia: 
altri  s'appiatta  in  bosco,  altri  in  spelonca. 
Orlando,  di  pieta  questo  di  privo, 
a  suo  poter  non  vuol  lasciarne  un  vivo. 

LXII 

Di  cento  venti  (che  Turpin  sottrasse 
il  conto),  ottanta  ne  periro  almeno. 
Orlando  finalmente  si  ritrasse 
dove  a  Zerbin  tremava  il  cor  nel  seno. 
S'al  ritornar  d'Orlando  s'allegrasse, 
non  si  potria  contare  in  versi  a  pieno. 
Se  gli  saria  per  onorar  prostrate, 
ma  si  trovo  sopra  il  ronzin  legato. 

LXIII 

Mentre  chs Orlando,  poi  che  lo  disciolse, 
Paiutava  a  ripor  Parme  sue  intorno, 
ch'al  capitan  de  la  sbirraglia  tolse, 
che  per  suo  mal  se  n'era  fatto  adorno; 
Zerbino  gli  occhi  ad  Issabella  volse, 
che  sopra  il  colle  avea  fatto  soggiorno, 
e  poi  che  de  la  pugna  vide  il  fine, 
port6  le  sue  bellezze  piu  vicine. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  583 

LXIV 

Quando  apparir  Zerbin  si  vide  appresso 
la  donna  che  da  lui  fu  amata  tanto3 
la  bella  donna  che  per  falso  messo 
credea  sommersa,  e  n'ha  piu  volte  pianto; 
com'un  ghiaccio  nel  petto  gli  sia  messo, 
sente  dentro  aggelarsi,  e  triema  alquanto: 
ma  tosto  il  freddo  manca,  et  in  quel  loco 
tutto  s'avampa  d'amoroso  fuoco. 

LXV 

Di  non  tosto  abbracciarla  lo  ritiene 
la  riverenza  del  signor  d'Anglante; 
perche  si  pensa,  e  senza  dubbio  tiene 
ch'  Orlando  sia  de  la  donzella  amante. 
Cosi  cadendo  va  di  pene  in  pene, 
e  poco  dura  il  gaudio  ch'ebbe  inante ; 
il  vederla  d'altnti  peggio  sopporta, 
che  non  fe'  quando  udi  ch'ella  era  morta. 

LXVI 

E  molto  piu  gli  duol  che  sia  in  podesta 
del  cavalliero  a  cui  cotanto  debbe; 
perche  volerla  a  lui  levar  ne  onesta 
ne  forse  impresa  facile  sarebbe. 
Nessuno  altro  da  se  lassar  con  questa 
preda  partir  senza  romor  vorrebbe : 
ma  verso  il  conte  il  suo  debito  chiede 
che  se  lo  lasci  por  sul  collo  il  piede. 

LXVII 

Giunsero  taciturn!  ad  una  fonte, 
dove  smontaro  e  fer  qualche  dimora. 
Trassesi  Pelmo  il  travagliato  conte, 
et  a  Zerbin  lo  fece  trarre  ancora. 
Vede  la  donna  il  suo  amatore  in  fronte, 
e  di  subito  gaudio  si  scolora; 
poi  torna  come  fiore  umido  suole 
dopo  gran  pioggia  all'apparir  del  sole. 


584  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

E  senza  indugio  e  senza  altro  rispetto 

corre  al  suo  caro  amante,  e  il  collo  abbraccia; 

e  non  puo  trar  parola  fuor  del  petto, 

ma  di  lacrime  il  sen  bagna  e  la  faccia. 

Orlando  attento  all'amoroso  affetto, 

senza  che  piu  chiarezza  se  gli  faccia, 

vide  a  tutti  gl'indizii  manifesto 

ch'altri  esser  che  Zerbin  non  potea  questo. 

LXIX 

Come  la  voce  aver  pote  Issabella, 
non  bene  asciutta  ancor  1'umida  guancia, 
sol  de  la  molta  cortesia  favella 
che  Pavea  usata  il  paladin  di  Francia. 
Zerbino,  che  tenea  questa  donzella 
con  la  sua  vita  pare  a  una  bilancia, 
si  getta  a'  pie  del  conte,  e  quello  adora 
come  a  chi  gli  ha  due  vite  date  a  un'ora. 

LXX 

Molti  ringraziamenti  e  molte  offerte 
erano  per  seguir  tra  i  cavallieri, 
se  non  udian  sonar  le  vie  coperte 
dagli  arbori  di  frondi  oscuri  e  neri. 
Presti  alle  teste  lor,  ch'eran  scoperte, 
posero  gli  elmi,  e  presero  i  destrieri: 
et  ecco  un  cavalliero  e  una  donzella 
lor  sopravien,  ch'a  pena  erano  in  sella. 

LXXI 

Era  questo  guerrier  quel  Mandricardo 
che  dietro  Orlando  in  fretta  si  condusse 
per  vendicar  Alzirdo  e  Manilardo, 
che  '1  paladin  con  gran  valor  percusse: 
quantunque  poi  lo  seguito  piu  tardo ; 
che  Doralice  in  suo  poter  ridusse, 
la  quale  avea  con  un  troncon  di  cerro 
tolta  a  cento  guerrier  carchi  di  ferro. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  585 

LXXII 

Non  sapea  il  Saracin  pero  che  questo, 
ch'egli  seguia,  fosse  il  signer  d'Anglante: 
ben  n'avea  indizio  e  segno  manifesto 
ch'esser  dovea  gran  cavalliero  errante. 
A  lui  miro  piu  ch'a  Zerbino,  e  presto 
gli  ando  con  gli  occhi  dal  capo  alle  piante; 
e  i  dati  contrasegni  ritrovando, 
disse :  —  Tu  sej  colui  ch'io  vo  cercando. 

LXXIII 
Sono  omai  dieci  giorni  —  gli  soggiunse 

—  che  di  cercar  non  lascio  i  tuo'  vestigi: 
tanto  la  fama  stimolommi  e  punse, 

che  di  te  venne  al  campo  di  Parigi, 
quando  a  fatica  un  vivo  sol  vi  giunse 
di  mille  che  mandasti  ai  regni  stigi; 
e  la  strage  contb,  che  da  te  venne 
sopra  i  Norizii  e  quei  di  Tremisenne. 

LXXIV 

Non  fui,  come  lo  seppi,  a  seguir  lento, 
e  per  vederti  e  per  provarti  appresso: 
e  perche  m}  informal  del  guernimento 
c'hai  sopra  Tarme,  io  so  che  tu  sei  desso; 
e  se  non  1'avessi  anco,  e  che  fra  cento 
per  celarti  da  me  ti  fossi  messo, 
il  tuo  fiero  sembiante  mi  faria 
chiaramente  veder  che  tu  quel  sia, 

LXXV 

—  Non  si  pu6  —  gli  rispose  Orlando  —  dire 
che  cavallier  non  sii  d'alto  valore; 

pero  che  si  magnanimo  desire 

non  mi  credo  albergasse  in  umil  core. 

Se  '1  volermi  veder  ti  fa  venire, 

vo'  che  mi  veggi  dentro,  come  fuore: 

mi  levero  questo  elmo  da  le  tempie, 

acci6  ch'a  punto  il  tuo  desire  adempie. 


586  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Ma  poi  che  ben  m'avrai  veduto  in  faccia, 
alPaltro  desideno  ancora  attend! : 
resta  ch'alla  cagion  tu  satisfaccia, 
che  fa  che  dietro  questa  via  mi  prendi; 
che  veggi  se  '1  valor  mio  si  confaccia 
a  quel  sembiante  fier  che  si  commendi. 
—  Orsu,  —  disse  il  pagano  —  al  rimanente; 
ch'al  primo  ho  satisfatto  interamente.  — 

LXXVII 

II  conte  tuttavia  dal  capo  al  piede 
va  cercando  il  pagan  tutto  con  gli  occhi: 
mira  ambi  i  fianchi,  indi  Farcion;  ne  vede 
pender  ne  qua  ne  la  mazze  ne  stocchi. 
Gli  domanda  di  ch'arme  si  pro  vede, 
s'awien  che  con  la  lancia  in  fallo  tocchi. 
Rispose  quel:  —  Non  ne  pigliar  tu  cura: 
cosi  a  molt'altri  ho  ancor  fatto  paura. 

LXXVIII 

Ho  sacramento  di  non  cinger  spada, 
fin  ch'io  non  tolgo  Durindana  al  conte; 
e  cercando  lo  vo  per  ogni  strada, 
acci6  piu  d'una  posta  meco  sconte. 
Lo  giurai  (se  d'intenderlo  t'aggrada) 
quando  mi  posi  quest' elmo  alia  fronte, 
il  qual  con  tutte  Faltr'arme  chjio  porto, 
era  d'Ettor,  che  gia  mill'anni  e  morto. 

LXXIX 

La  spada  sola  manca  alle  buone  arme : 
come  rubata  fu,  non  ti  so  dire. 
Or  che  la  porti  il  paladino,  parme; 
e  di  qui  vien  ch'egli  ha  si  grande  ardire. 
Ben  penso,  se  con  lui  posso  accozzarme, 
fargli  il  mal  tolto  ormai  ristituire. 
Cercolo  ancor,  che  vendicar  disio 
il  famoso  Agrican  genitor  mio. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  587 

LXXX 

Orlando  a  tradimento  gli  die  morte: 
ben  so  che  non  potea  farlo  altrimente.  — 
II  conte  piu  non  tacque,  e  grido  forte: 
—  E  tu  e  qualunque  il  dice,  se  ne  mente. 
Ma  quel  che  cerchi  t'e  venuto  in  sorte: 
io  sono  Orlando,  e  uccisil  giustamente ; 
e  questa  e  quella  spada  che  tu  cerchi, 
che  tua  sara,  se  con  virtu  la  merchi. 

LXXXI 

Quantunque  sia  debitamente  mia, 
tra  noi  per  gentilezza  si  contenda: 
n£  voglio  in  questa  pugna  ch'ella  sia 
piu  tua  che  mia;  ma  a  un  arbore  s'appenda. 
Levala  tu  liberamente  via, 
s'awien  che  tu  m'uccida  o  che  mi  prenda.  — 
Cosi  dicendo,  Durindana  prese, 
e  'n  mezzo  il  campo  a  un  arbuscel  Pappese. 

LXXXII 

Gia  Fun  da  Taltro  e  dipartito  lunge, 
quanto  sarebbe  un  mezzo  tratto  d'arco; 
gia  Funo  contra  1'altro  il  destrier  punge, 
n6  de  le  lente  redine  gli  e  parco; 
gia  1'uno  e  Faltro  di  gran  colpo  aggiunge 
dove  per  Pelmo  la  veduta  ha  varco. 
Parveno  Taste,  al  rompersi,  di  gielo; 
e  in  mille  scheggie  andar  volando  al  cielo. 

LXXXIII 

L'una  e  Paltra  asta  e  forza  che  si  spezzi; 
che  non  voglion  piegarsi  i  cavallieri, 
i  cavallier  che  tornano  coi  pezzi 
che  son  restati  appresso  i  calci  interi. 
Quelli,  che  sempre  fur  nel  ferro  avezzi, 
or,  come  duo  villan  per  sdegno  fieri 
nel  partir  acque  o  termini  de  prati, 
fan  crudel  zuffa  di  duo  pali  armati. 


588  ORLANDO  FURIOSO 

LXXXIV 

Non  stanno  Taste  a  quattro  colpi  salde, 
e  mancan  nel  furor  di  quella  pugna. 
Di  qua  e  di  la  si  fan  Fire  piu  calde; 
ne  da  ferir  lor  resta  altro  che  pugna. 
Schiodano  piastre,  e  straccian  maglie  e  falde, 
pur  che  la  man,  dove  s'aggraffi,  giugna. 
Non  desideri  alcun,  perche  piu  vaglia, 
martel  piu  grave  o  piu  dura  tanaglia. 

LXXXV 

Come  puo  il  Saracin  ritrovar  sesto 
di  finir  con  suo  onore  il  fiero  invito  ? 
Pazzia  sarebbe  11  perder  tempo  in  questo, 
che  nuoce  al  feritor  piu  ch'al  ferito. 
Ando  alle  strette  Tuno  e  1' altro,  e  presto 
il  re  pagano  Orlando  ebbe  ghermito: 

10  strigne  al  petto;  e  crede  far  le  prove 
che  sopra  Anteo  fe'  gia  il  figliol  di  Giove. 

LXXXVI 

Lo  piglia  con  molto  impeto  a  traverso: 
quando  lo  spinge,  e  quando  a  se  lo  tira; 
et  e  ne  la  gran  colera  si  immerso, 
ch'ove  resti  la  briglia  poco  mira. 
Sta  in  se  raccolto  Orlando,  e  ne  va  verso 

11  suo  vantaggio,  e  alia  vittoria  aspira: 
gli  pon  la  cauta  man  sopra  le  ciglia 
del  cavallo,  e  cader  ne  fa  la  briglia. 

LXXXVII 

II  Saracino  ogni  poter  vi  mette, 
che  lo  soffoghi,  o  de  Pardon  lo  svella: 
negli  urti  il  conte  ha  le  ginocchia  strette; 
ne  in  questa  parte  vuol  piegar  ne  in  quella. 
Per  quel  tirar  che  fa  il  pagan,  constrette 
le  cingie  son  d'abandonar  la  sella. 
Orlando  e  in  terra,  e  a  pena  sel  conosce; 
ch'i  piedi  ha  in  staffa,  e  stringe  ancor  le  cosce. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  589 

LXXXVIII 

Con  quel  rumor  ch'un  sacco  d'arme  cade, 
risuona  il  conte,  come  il  campo  tocca. 
II  destrier  c'ha  la  testa  in  libertade, 
quello  a  chi  tolto  il  freno  era  di  bocca, 
non  piu  mirando  i  boschi  che  le  strade, 
con  ruinoso  corso  si  trabocca, 
spinto  di  qua  e  di  la  dal  timor  cieco; 
e  Mandricardo  se  ne  porta  seco. 

LXXXIX 

Doralice  che  vede  la  sua  guida 
uscir  del  campo  e  torlesi  d'appresso, 
e  mal  restarne  senza  si  confida, 
dietro  correndo  il  suo  ronzin  gli  ha  messo. 
II  pagan  per  orgoglio  al  destrier  grida, 
e  con  mani  e  con  piedi  il  batte  spesso; 
e  come  non  sia  bestia  lo  minaccia 
perche  si  fermi,  e  tuttavia  piu  il  caccia. 

xc 

La  bestia  ch'era  spaventosa  e  poltra, 
senza  guardarsi  ai  pie,  corre  a  traverso. 
Gia  corso  avea  tre  miglia,  e  seguiva  oltra, 
s'un  fosso  a  quel  desir  non  era  awerso; 
che,  sanza  aver  nel  fondo  o  letto  o  coltra, 
riceve  Funo  e  Taltro  in  se  ri verso. 
Die  Mandricardo  in  terra  aspra  percossa; 
ne  per6  si  fiacco  ne  si  roppe  ossa. 

xci 

Quivi  si  ferma  il  corridore  al  fine; 
ma  non  si  pu6  guidar,  che  non  ha  freno, 
II  Tartaro  lo  tien  preso  nel  crine, 
e  tutto  e  di  furore  e  d'ira  pieno. 
Pensa,  e  non  sa  quel  che  di  far  destine. 
—  Pongli  la  briglia  del  mio  palafreno;  — 
la  donna  gli  dicea —  che  non  e  molto 
il  mio  feroce,  o  sia  col  freno  o  sciolto.  — 


590  ORLANDO   FURIOSO 

XCII 

Al  Saracin  parea  discortesia 
la  proferta  accettar  di  Doralice; 
ma  fren  gli  fara  aver  per  altra  via 
Fortuna  a'  suoi  disii  molto  fautrice. 
Quivi  Gabrina  scelerata  invia, 
che,  poi  che  di  Zerbin  fu  traditrice, 
fuggia,  come  la  lupa  che  lontani 
oda  venire  i  cacciatori  e  i  cani. 

XCIII 

Ella  avea  ancora  indosso  la  gonnella, 
e  quei  medesmi  giovenili  ornati 
che  furo  alia  vezzosa  damigella 
di  Pinabel,  per  lei  vestir,  levati; 
et  avea  il  palafreno  anco  di  quella, 
dei  buon  del  mondo  e  degli  avantaggiati. 
La  vecchia  sopra  il  Tartaro  trovosse, 
ch'ancor  non  s'era  accorta  che  vi  fosse. 

xciv 

L'abito  giovenil  mosse  la  figlia 
di  Stordilano,  e  Mandricardo  a  riso, 
vedendolo  a  colei  che  rassimiglia 
a  un  babuino,  a  un  bertuccione  in  viso. 
Disegna  il  Saracin  torle  la  briglia 
pel  suo  destriero,  e  riusci  P  aviso. 
Toltogli  il  morso,  il  palafren  minaccia, 
gli  grida,  lo  spaventa,  e  in  fuga  il  caccia. 

xcv 

Quel  fugge  per  la  selva,  e  seco  porta 
la  quasi  morta  vecchia  di  paura 
per  valli  e  monti  e  per  via  dritta  e  torta, 
per  fossi  e  per  pendici  alia  ventura. 
Ma  il  parlar  di  costei  si  non  m'importa, 
ch'io  non  debba  d' Orlando  aver  piu  cura, 
ch'alla  sua  sella  cio  ch'era  di  guasto, 
tutto  ben  racconci6  sanza  contrasto. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  591 

XCVI 

Rimont6  sul  destriero,  e  ste'  gran  pezzo 
a  riguardar  che  '1  Saracin  tornasse. 
Nol  vedendo  apparir,  volse  da  sezzo 
egli  esser  quel  ch'a  ritrovarlo  andasse: 
ma,  come  costumato  e  bene  avezzo, 
non  prima  il  paladin  quindi  si  trasse, 
con  che  dolce  parlar  grato  e  cortese 
buona  Hcenzia  dagli  amanti  prese. 

xcvn 

Zerbin  di  quel  partir  molto  si  dolse; 
di  tenerezza  ne  piangea  Issabella: 
voleano  ir  seco,  ma  il  conte  non  volse 
lor  compagnia,  ben  ch'era  e  buona  e  bella; 
e  con  questa  ragion  se  ne  disciolse, 
ch'a  guerrier  non  e  infamia  sopra  quella 
che,  quando  cerchi  un  suo  nimico,  prenda 
compagno  che  Paiuti  e  che  Jl  difenda. 

xcvni 

Li  preg6  poi  che  quando  il  Saracino, 
prima  ch'in  lui,  si  riscontrasse  in  loro, 
gli  dicesser  chj  Orlando  avria  vicino 
ancor  tre  giorni  per  quel  tenitoro; 
ma  dopo,  che  sarebbe  il  suo  camino 
verso  le  'nsegne  dei  bei  gigli  d'oro, 
per  esser  con  Pesercito  di  Carlo, 
accio,  volendol,  sappia  onde  chiamarlo. 

xcix 

Quelli  promiser  farlo  volentieri, 
e  questa  e  ogn'altra  cosa  al  suo  comando. 
Feron  carnin  diverso  i  cavallieri, 
di  qua  Zerbino,  e  di  la  il  conte  Orlando. 
Prima  che  pigli  il  conte  altri  sentieri, 
all' arbor  tolse,  e  a  s£  ripose  il  bran  do; 
e  dove  meglio  col  pagan  pensosse 
di  potersi  incontrare,  il  destrier  mosse. 


592  ORLANDO   FURIOSO 

C 

Lo  strano  corso  che  tenne  il  cavallo 
del  Saracin  pel  bosco  senza  via, 
fece  ch' Orlando  ando  duo  giorni  in  fallo, 
ne  lo  trovo,  ne  pote  averne  spia. 
Giimse  ad  un  rivo  che  parea  cristallo, 
ne  le  cui  sponde  un  bel  pratel  fioria, 
di  nativo  color  vago  e  dipinto, 
e  di  molti  e  belli  arbori  distinto. 

Ci 

II  merigge  facea  grato  1'orezzo 
al  duro  armento  et  al  pastore  ignudo; 
si  che  ne  Orlando  sentia  alcun  ribrezzo, 
che  la  corazza  avea,  Telmo  e  lo  scudo. 
Quivi  egli  entro  per  riposarvi  in  mezzo; 
e  v'ebbe  travaglioso  albergo  e  crudo, 
e  piu  che  dir  si  possa  empio  soggiorno, 
queirinfelice  e  sfortunato  giorno. 

CII 

Volgendosi  ivi  intorno,  vide  scritti 
molti  arbuscelli  in  su  1'ombrosa  riva. 
Tosto  che  fermi  v'ebbe  gli  occhi  e  fitti, 
fu  certo  esser  di  man  de  la  sua  diva. 
Questo  era  un  di  quei  lochi  gia  descritti, 
ove  sovente  con  Medor  veniva 
da  casa  del  pastore  indi  vicina 
la  bella  donna  del  Catai  regina. 

cm 

Angelica  e  Medor  con  cento  nodi 
legati  insieme,  e  in  cento  lochi  vede. 
Quante  lettere  son,  tanti  son  chiodi 
coi  quali  Amore  il  cor  gli  punge  e  fiede. 
Va  col  pensier  cercando  in  mille  modi 
non  creder  quel  ch'al  suo  dispetto  crede: 
ch'altra  Angelica  sia  creder  si  sforza, 
ch'abbia  scritto  il  suo  nome  in  quella  scorza. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  593 

CIV 

Poi  dice :  —  Conosco  io  pur  queste  note : 
di  taPio  n'ho  tante  vedute  e  lette. 
Finger  questo  Medoro  ella  si  puote: 
forse  ch'a  me  questo  cognome  mette.  — 
Con  tali  opinion  dal  ver  remote 
usando  fraude  a  se  medesmo,  stette 
ne  la  speranza  il  malcontento  Orlando, 
die  si  seppe  a  se  stesso  ir  procacciando, 

cv 

Ma  sempre  piu  raccende  e  piu  rinuova, 
quanto  spenger  piu  cerca,  il  rio  sospetto: 
come  Tincauto  augel  che  si  ritrova 
in  ragna  o  in  visco  aver  dato  di  petto, 
quanto  piu  batte  Tale  e  piu  si  prova 
di  disbrigar,  piu  vi  si  lega  stretto. 
Orlando  viene  ove  s'incurva  il  monte 
a  guisa  d'arco  in  su  la  chiara  fonte. 

cvi 

Aveano  in  su  1'entrata  il  luogo  adorno 
coi  piedi  storti  edere  e  viti  erranti. 
Quivi  soleano  al  piu  cocente  giorno 
stare  abbracciati  i  duo  felici  amantL 
V'aveano  i  nomi  lor  dentro  e  d'intorno, 
piu  che  in  altro  dei  luoghi  circonstanti, 
scritti  qual  con  carbone  e  qua!  con  gesso, 
e  qual  con  punte  di  coltelli  impresso. 

evil 

II  mesto  conte  a  pie  quivi  discese; 
e  vide  in  su  Fentrata  de  la  grotta 
parole  assai,  che  di  sua  man  distese 
Medoro  avea,  che  parean  scritte  allotta. 
Del  gran  piacer  che  ne  la  grotta  prese, 
questa  sentenzia  in  versi  avea  ridotta. 
Che  fosse  culta  in  suo  linguaggio  io  penso; 
et  era  ne  la  nostra  tale  il  senso: 


594  ORLANDO  FURIOSO 

CVIII 

«Liete  piante,  verdi  erbe,  limpide  acque, 
spelunca  opaca  e  di  fredde  ombre  grata, 
dove  la  bella  Angelica  die  nacque 
di  Galafron,  da  molti  invano  amata, 
spesso  ne  le  mie  braccia  nuda  giacque; 
de  la  commodita  che  qui  m'e  data, 
io  povero  Medor  ricompensarvi 
d'altro  non  posso,  che  d'ognior  lodarvi; 

cix 

e  di  pregare  ogni  signore  amante, 
e  cavalieri  e  damigelle,  e  ognuna 
persona,  o  paesana  o  viandante, 
che  qui  sua  volonta  meni  o  Fortuna; 
ch'all'erbe,  all'ombre,  all'antro,  al  rio,  alle  piante 
dica:  benigno  abbiate  e  sole  e  luna, 
e  de  le  ninfe  il  coro,  che  proveggia 
che  non  conduca  a  voi  pastor  mai  greggia. » 

ex 

Era  scritto  in  arabico,  che  '1  conte 

intendea  cosi  ben  come  latino: 

fra  molte  lingue  e  molte  ch'avea  pronte, 

prontissima  avea  quella  il  paladino ; 

e  gli  schivo  piu  volte  e  danni  et  onte, 

che  si  trovo  tra  il  popul  saracino : 

ma  non  si  vanti,  se  gia  n'ebbe  frutto, 

ch'un  danno  or  n'ha,  che  pu6  scontargli  il  tutto. 

CXI 

Tre  volte  e  quattro  e  sei  lesse  lo  scritto 
quello  infelice,  e  pur  cercando  invano 
che  non  vi  fosse  quel  che  v'era  scritto; 
e  sempre  lo  vedea  piu  chiaro  e  piano: 
et  ogni  volta  in  mezzo  il  petto  afflitto 
stringersi  il  cor  sentia  con  fredda  mano. 
Rimase  al  fin  con  gli  occhi  e  con  la  mente 
fissi  nel  sasso,  al  sasso  indifferente. 


CANTO    VENTESIMOTERZO  595 

CXI  I 

Fu  allora  per  uscir  del  sentimento, 

si  tutto  in  preda  del  dolor  si  lassa. 

Credete  a  chi  n'ha  fatto  esperimento, 

che  questo  e  '1  duol  che  tutti  gli  altri  passa. 

Caduto  gli  era  sopra  il  petto  il  mento, 

la  fronte  priva  di  baldanza  e  bassa; 

ne  pote  aver  (che  '1  duol  1'occupo  tanto) 

alle  querele  voce,  o  umore  al  pianto. 

CXIII 

L'impetuosa  doglia  entro  rimase, 

che  volea  tutta  uscir  con  troppa  fretta. 

Cosi  veggian  restar  Facqua  nel  vase, 

che  largo  il  ventre  e  la  bocca  abbia  stretta; 

che  nel  voltar  che  si  fa  in  su  la  base, 

Tumor  che  vorria  uscir,  tanto  s'affretta, 

e  ne  Tangusta  via  tanto  s'intrica, 

ch'a  goccia  a  goccia  fuore  esce  a  fatica. 

cxiv 

Poi  ritorna  in  se  alquanto,  e  pensa  come 
possa  esser  che  non  sia  la  cosa  vera: 
che  voglia  alcun  cosi  infamare  il  nome 
de  la  sua  donna  e  crede  e  brama  e  spera, 
o  gravar  lui  d'insopportabil  some 
tanto  di  gelosia,  che  se  ne  pera; 
et  abbia  quel,  sia  chi  si  voglia  stato, 
molto  la  man  di  lei  bene  imitato. 

cxv 

In  cosi  poca,  in  cosi  debol  speme 
sveglia  gli  spirti  e  gli  rifranca  un  poco ; 
indi  al  suo  Brigliadoro  il  dosso  preme, 
dando  gia  il  sole  alia  sorella  loco. 
Non  molto  va,  che  da  le  vie  supreme 
dei  tetti  uscir  vede  il  vapor  del  fuoco, 
sente  cani  abbaiar,  muggiare  armento: 
viene  alia  villa,  e  piglia  alloggiamento. 


59^  ORLANDO   FURIOSO 

CXVI 

Languido  smonta,  e  lascia  Brigliadoro 
a  un  discrete  garzon  che  n'abbia  cura: 
altri  il  disarma,  altri  gli  sproni  d'oro 
gli  leva,  altri  a  forbir  va  1'armatura. 
Era  questa  la  casa  ove  Medoro 
giacque  ferito,  e  v'ebbe  alta  awentura. 
Corcarsi  Orlando  e  non  cenar  domanda, 
di  dolor  sazio  e  non  d'altra  vivanda. 

cxvn 

Quanto  piu  cerca  ritrovar  quiete, 
tanto  ritrova  piu  travaglio  e  pena; 
che  de  Podiato  scritto  ogni  p arete, 
ogni  uscio,  ogni  finestra  vede  piena. 
Chieder  ne  vuol:  poi  tien  le  labra  chete; 
che  teme  non  si  far  troppo  serena, 
troppo  chiara  la  cosa  che  di  nebbia 
cerca  offuscar  perche  men  nuocer  debbia. 

CXVI  1 1 

Poco  gli  giova  usar  fraude  a  se  stesso; 
che  senza  domandarne,  e  chi  ne  parla. 
II  pastor  che  lo  vede  cosi  oppresso 
da  sua  tristizia,  e  che  voria  levarla, 
Tistoria  nota  a  se,  che  dicea  spesso 
di  quei  duo  amanti  a  chi  volea  ascoltarla, 
ch'a  molti  dilettevole  fu  a  udire, 
gl'incomincio  senza  rispetto  a  dire: 

cxix 

come  esso  a  prieghi  d' Angelica  bella 
portato  avea  Medoro  alia  sua  villa, 
ch'era  ferito  gravemente;  e  ch'ella 
euro  la  piaga,  e  in  pochi  di  guarilla: 
ma  che  nel  cor  d'una  maggior  di  quella 
lei  feri  Amor;  e  di  poca  scintilla 
Paccese  tanto  e  si  cocente  fuoco, 
che  n'ardea  tutta,  e  non  trovava  loco: 


CANTO    VENTESIMOTERZO  597 

CXX 

e  sanza  aver  rispetto  ch'ella  fusse 
figlia  del  maggior  re  ch'abbia  il  Levant  e, 
da  troppo  amor  constretta  si  condusse 
a  farsi  moglie  d'un  povero  fante. 
AlPultimo  Tistoria  si  ridusse, 
che  '1  pastor  fe'  portar  la  gemma  inante, 
ch'aila  sua  dipartenza,  per  mercede 
del  buono  albergo,  Angelica  gli  diede. 

cxxi 

Questa  conclusion  fu  la  secure 
che  '1  capo  a  un  colpo  gli  Iev6  dal  collo, 
poi  che  d'innumerabil  battiture 
si  vide  il  manigoldo  Amor  satollo. 
Celar  si  studia  Orlando  il  duolo;  e  pure 
quel  gli  fa  forza,  e  male  asconder  polio: 
per  lacrime  e  suspir  da  bocca  e  d'occhi 
convien,  voglia  o  non  voglia,  al  fin  che  scocchi. 

CXXII 

Poi  ch'allargare  il  freno  al  dolor  puote 
(che  resta  solo  e  senza  altrui  rispetto), 
giu  dagli  occhi  rigando  per  le  gote 
sparge  un  fiume  di  lacrime  sul  petto: 
sospira  e  geme,  e  va  con  spesse  ruote 
di  qua  di  la  tutto  cercando  il  letto ; 
e  piu  duro  ch'un  sasso,  e  piu  pungente 
che  se  fosse  d'urtica,  se  lo  sente. 

cxxin 

In  tanto  aspro  travaglio  gli  soccorre 
che  nel  medesmo  letto  in  che  giaceva, 
Tingrata  donna  venutasi  a  porre 
col  suo  drudo  piu  volte  esser  doveva. 
Non  altrimenti  or  quella  piuma  abborre, 
ne  con  minor  prestezza  se  ne  leva, 
che  de  1'erba  il  villan  che  s'era  messo 
per  chiuder  gli  occhi,  e  vegga  il  serpe  appresso. 


598  ORLANDO   FURIOSO 

CXXIV 

Quel  letto,  quella  casa,  quel  pastore 
immantinente  in  tant'odio  gli  casca, 
che  senza  aspettar  luna,  o  che  Palbore 
che  va  dinanzi  al  nuovo  giorno  nasca, 
plglia  1'arme  e  il  destriero,  et  esce  fuore 
per  mezzo  il  bosco  alia  piu  oscura  frasca; 
e  quando  poi  gli  e  aviso  d'esser  solo, 
con  gridi  et  urli  apre  le  porte  al  duolo. 

cxxv 

Di  pianger  mai,  mai  di  gridar  non  resta; 
ne  la  notte  ne  '1  di  si  da  mai  pace. 
Fugge  cittadi  e  borghi,  e  alia  foresta 
sul  terren  duro  al  discoperto  giace. 
Di  s6  si  maraviglia  ch'abbia  in  testa 
una  fontana  d'acqua  si  vivace, 
e  come  sospirar  possa  mai  tanto; 
e  spesso  dice  a  se  cosi  nel  pianto: 

cxxvi 

—  Queste  non  son  piu  lacrime,  che  fuore 
stillo  dagli  occhi  con  si  larga  vena. 
Non  suppKron  le  lacrime  al  dolore: 
finir,  ch'a  mezzo  era  il  dolore  a  pena. 
Dal  fuoco  spinto  ora  il  vitale  umore 
fugge  per  quella  via  ch'agli  occhi  mena; 
et  e  quel  che  si  versa,  e  trarra  insieme 
e  '1  dolore  e  la  vita  alPore  estreme. 

cxxvn 

Questi  ch'indizio  fan  del  mio  tormento, 
sospir  non  sono,  ne  i  sospir  son  tali. 
Quelli  han  triegua  talora;  io  mai  non  sento 
che  '1  petto  mio  men  la  sua  pena  esali. 
Amor  che  m'arde  il  cor,  fa  questo  vento, 
mentre  dibatte  intorno  al  fuoco  Tali. 
Amor,  con  che  miracolo  lo  fai, 
che  Jn  fuoco  il  tenghi,  e  nol  consumi  mai  ? 


CANTO    VENTESIMOTERZO  599 

CXXVIII 

Non  son,  non  sono  io  quel  che  paio  in  viso: 
quel  ch'era  Orlando  e  morto  et  e  sotterra; 
la  sua  donna  ingratlssima  Pha  ucciso: 
si,  mancando  di  fe,  gli  ha  fatto  guerra, 
Io  son  lo  spirto  suo  da  lui  diviso, 
ch'in  questo  inferno  tormentandosi  erra, 
accio  con  1'ombra  sia,  che  sola  avanza, 
esempio  a  chi  in  Amor  pone  speranza.  — 

cxxix 

Pel  bosco  errb  tutta  la  notte  il  conte; 
e  allo  spuntar  della  diurna  fiamma 
lo  torno  il  suo  destin  sopra  la  fonte 
dove  Medoro  insculse  Tepigramma. 
Veder  Pingiuria  sua  scritta  nel  monte 
Paccese  si,  ch'in  lui  non  rest6  dramma 
che  non  fosse  odio,  rabbia,  ira  e  furore; 
ne  piu  indugi6,  che  trasse  il  brando  fuore. 

cxxx 

Tagli6  lo  scritto  e  '1  sasso,  e  sin  al  cielo 
a  volo  alzar  fe'  le  minute  schegge. 
Infelice  quelFantro,  et  ogni  stelo 
in  cui  Medoro  e  Angelica  si  legge! 
Cosi  restar  quel  di,  ch'ombra  ne  gielo 
a  pastor  mai  non  daran  piu,  ne  a  gregge: 
e  quella  fonte,  gia  si  chiara  e  pura, 
da  cotanta  ira  fu  poco  sicura; 

cxxxi 

che  rami  e  ceppi  e  tronchi  e  sassi  e  zolle 
non  cess6  di  gittar  ne  le  belPonde, 
fin  che  da  sommo  ad  imo  si  turbolle, 
che  non  furo  mai  piu  chiare  ne  monde. 
E  stanco  al  fin,  e  al  fin  di  sudor  molle, 
poi  che  la  lena  vinta  non  risponde 
allo  sdegno,  al  grave  odio,  alPardente  ira, 
cade  sul  prato,  e  verso  il  ciel  sospira. 


600  ORLANDO   FURIOSO 

CXXXII 

Afflitto  e  stanco  al  fin  cade  ne  1'erba, 
e  ficca  gli  occhi  al  cielo,  e  non  fa  motto. 
Senza  cibo  e  dormir  cosi  si  serba, 
che  '1  sole  esce  tre  volte  e  torna  sotto. 
Di  crescer  non  cesso  la  pena  acerba, 
che  fuor  del  senno  al  fin  1'ebbe  condotto. 
II  quarto  di,  da  gran  furor  commosso, 
e  maglie  e  piastre  si  straccio  di  dosso. 

CXXXIII 

Qui  riman  1'elmo,  e  la  riman  lo  scudo, 
lontan  gli  arnesi,  e  piu  lontan  Tusbergo: 
Tarme  sue  tutte,  in  somma  vi  conclude, 
avean  pel  bosco  diiferente  albergo. 
E  poi  si  squarcio  i  panni,  e  mostr6  ignudo 
Tispido  ventre  e  tutto  '1  petto  e  '1  tergo; 
e  comincio  la  gran  follia,  si  orrenda, 
che  de  la  piu  non  sara  mai  ch'intenda. 

cxxxiv 

In  tanta  rabbia,  in  tanto  furor  venne, 
che  rimase  offuscato  in  ogni  senso. 
Di  tor  la  spada  in  man  non  gli  sovenne; 
che  fatte  avria  mirabil  cose,  penso. 
Ma  ne  quella,  ne  scure,  ne  bipenne 
era  bisogno  al  suo  vigore  immenso. 
Quivi  fe'  ben  de  le  sue  prove  eccelse, 
ch'un  alto  pino  al  primo  crollo  svelse: 

cxxxv 

e  svelse  dopo  il  primo  altri  parecchi, 
come  fosser  finocchi,  ebuli  o  aneti; 
e  fej  il  simil  di  querce  e  d'olmi  vecchi, 
di  faggi  e  d'orni  e  d'illici  e  d'abeti. 
Quel  ch'un  ucellator,  che  s'apparecchi 
il  campo  mondo,  fa  per  por  le  reti 
dei  giunchi  e  de  le  stoppie  e  de  1'urtiche, 
facea  de  cerri  e  d'altre  piante  antiche. 


CANTO   VENTESIMOTERZO  6oi 

CXXXVI 

I  pastor  che  sentito  hanno  il  fracasso, 

lasciando  il  gregge  sparse  alia  foresta, 

chi  di  qua,  chi  di  la,  tutti  a  gran  passo 

vi  vengono  a  veder  che  cosa  e  questa. 

Ma  son  giunto  a  quel  segno  il  qual  s'io  passo 

vi  potria  la  mia  istoria  esser  molesta; 

et  io  la  vo'  piii  tosto  diferire, 

che  v'abbia  per  lunghezza  a  fastidire. 


602  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO   VENTESIMOQUARTO 


I 

Chi  mette  il  pie  su  Pamorosa  pania, 
cerchi  ritrarlo,  e  non  v'mveschi  Tale; 
che  non  e  in  somma  amor,  se  non  insania, 
a  giudizio  de*  savi  universale: 
e  se  ben  come  Orlando  ogmm  non  smania, 
suo  furor  mostra  a  qualch'altro  segnale. 
E  quale  e  di  pazzia  segno  piu  espresso 
che,  per  altri  voler,  perder  se  stesso? 

II 

Varii  gli  effetti  son,  ma  la  pazzia 
e  tutt'una  per6,  che  li  fa  uscire. 
Gli  e  come  una  gran  selva,  ove  la  via 
conviene  a  forza,  a  chi  vi  va,  fallire: 
chi  su,  chi  giu,  chi  qua,  chi  la  travia. 
Per  concludere  in  somma,  io  vi  vo'  dire: 
a  chi  in  amor  s'invecchia,  oltr'ogni  pena, 
si  convengono  i  ceppi  e  la  catena. 

in 

Ben  mi  si  potria  dir:  —  Frate,  tu  vai 
Taltrui  mostrando,  e  non  vedi  il  tuo  fallo.  — 
Io  vi  rispondo  che  cornprendo  assai, 
or  che  di  mente  ho  lucido  intervallo; 
et  ho  gran  cura  (e  spero  farlo  ormai) 
di  riposarmi  e  d'uscir  fuor  di  ballo: 
ma  tosto  far,  come  vorrei,  nol  posso; 
che  '1  male  i  penetrate  infin  all'osso. 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  603 

IV 

Signer,  ne  Taltro  canto  io  vi  dicea 
che  '1  forsennato  e  furioso  Orlando 
trattesi  Tarme  e  sparse  al  campo  avea, 
squarciati  i  panni,  via  gittato  il  brando, 
svelte  le  piante,  e  risonar  facea 
i  cavi  sassi  e  Palte  selve;  quando 
alcun5  pastori  al  suon  trasse  in  quel  lato 
lor  Stella,  o  qualche  lor  grave  peccato. 


Viste  del  pazzo  Pincredibil  prove 

poi  piu  d'appresso  e  la  possanza  estrema, 

si  voltan  per  fuggir,  ma  non  sanno  ove, 

si  come  awiene  in  subitana  tema. 

II  pazzo  dietro  lor  ratto  si  muove: 

uno  ne  piglia,  e  del  capo  lo  scema 

con  la  facilita  che  torria  alcuno 

da  I5 arbor  pome,  o  vago  fior  dal  pruno. 

VI 

Per  una  gamba  il  grave  tronco  prese, 
e  quello  us6  per  mazza  adosso  al  resto: 
in  terra  un  paio  addormentato  stese, 
ch'al  novissimo  di  forse  fia  desto. 
Gli  altri  sgombraro  subito  il  paese, 
ch'ebbono  il  piede  e  il  buono  aviso  presto. 
Non  saria  stato  il  pazzo  al  seguir  lento, 
se  non  ch'era  gia  volto  al  loro  armento. 

VII 

Gli  agricultori,  accord  agli  altru'  esempli, 
lascian  nei  campi  aratri  e  marre  e  falci: 
chi  monta  su  le  case  e  chi  sui  templi 
(poi  che  non  son  sicuri  olmi  n6  salci), 
onde  Porrenda  furia  si  contempli, 
ch'a  pugni,  ad  urti,  a  morsi,  a  graffi,  a  calci, 
cavalli  e  buoi  rompe,  fraccassa  e  strugge; 
e  ben  e  corridor  chi  da  lui  fugge. 


604  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Gia  potreste  sentir  come  ribombe 

1'alto  rumor  ne  le  propinque  ville 

d'urli  e  di  corni,  rusticane  trombe, 

e  piu  spesso  che  d'altro,  il  suon  di  squille; 

e  con  spuntoni  et  archi  e  spied!  e  frombe 

veder  dai  monti  sdrucciolarne  mille, 

et  altritanti  andar  da  basso  ad  alto, 

per  fare  al  pazzo  un  villanesco  assalto. 

IX 

Qual  venir  suol  nel  salso  lito  Fonda 
mossa  da  Faustro  ch'a  principio  scherza, 
che  maggior  de  la  prima  e  la  seconda, 
e  con  piu  forza  poi  segue  la  terza, 
et  ogni  volta  piu  Fumore  abonda, 
e  ne  Farena  piu  stende  la  sferza; 
tal  contra  Orlando  Fempia  turba  cresce, 
che  giu  da  baize  scende  e  di  valli  esce. 

x 

Fece  morir  diece  persone  e  diece, 
che  senza  ordine  alcun  gli  andaro  in  manor 
e  questo  chiaro  esperimento  fece 
ch'era  assai  piu  sicur  starne  lontano. 
Trar  sangue  da  quel  corpo  a  nessun  lece, 
che  lo  fere  e  percuote  il  ferro  invano. 
Al  conte  il  re  del  ciel  tal  grazia  diede, 
per  porlo  a  guardia  di  sua  santa  fede. 

XI 

Era  a  periglio  di  morire  Orlando, 
se  fosse  di  morir  stato  capace. 
Potea  imparar  ch'era  a  gittare  il  brando, 
e  poi  voler  senz'arme  essere  audace. 
La  turba  gia  s'andava  ritirando, 
vedendo  ogni  suo  colpo  uscir  fallace. 
Orlando,  poi  che  piu  nessun  Fattende, 
verso  un  borgo  di  case  il  camin  prende. 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  605 

XII 

Dentro  non  vi  trov6  piccol  ne"  grande, 
che  '1  borgo  ognun  per  tema  avea  lasciato. 
V'erano  in  copia  povere  vivande, 
convenient!  a  un  pastorale  stato. 
Senza  il  pane  discerner  da  le  giande, 
dal  digmno  e  da  1'impeto  cacciato, 
le  mani  e  il  dente  lascio  andar  di  botto 
in  quel  che  trov6  prima,  o  crudo  o  cotto. 

XIII 

E  quindi  errando  per  tutto  il  paese, 
dava  la  caccia  e  agli  uomini  e  alle  fere; 
e  scorrendo  pei  boschi  talor  prese 
i  capri  isnelli  e  le  damme  leggiere. 
Spesso  con  orsi  e  con  cingiai  contese, 
e  con  man  nude  li  pose  a  giacere; 
e  di  lor  carne  con  tutta  la  spoglia 
piu  volte  il  ventre  empi  con  fiera  voglia. 

XIV 

Di  qua,  di  la,  di  su,  di  giu  discorre 

per  tutta  Francia;  e  un  giorno  a  un  ponte  arriva, 

sotto  cui  largo  e  pieno  d'acqua  corre 

un  flume  d'alta  e  di  scoscesa  riva. 

Edificato  accanto  avea  una  torre 

che  d'ogn'intorno  e  di  lontan  scopriva. 

Quel  che  fe5  quivi,  avete  altrove  a  udire; 

che  di  Zerbin  mi  convien  prima  dire. 

xv 

Zerbin,  da  poi  ch' Orlando  fu  partito, 
dimor6  alquanto,  e  poi  prese  il  sentiero 
che  '1  paladino  inanzi  gli  avea  trito, 
e  mosse  a  passo  lento  il  suo  destriero. 
Non  credo  che  duo  miglia  anco  fosse  ito, 
che  trar  vide  legato  un  cavalliero 
sopra  un  picciol  ronzino,  e  d'ogni  lato 
la  guardia  aver  d'un  cavalliero  armato. 


606  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

Zerbin  questo  prigion  conobbe  tosto 
che  gli  fu  appresso,  e  cosi  fe'  Issabella: 
era  Odorico  il  Biscaglin,  che  posto 
fu  come  lupo  a  guardia  de  1'agnella. 
L'avea  a  tutti  gli  amici  suoi  preposto 
Zerbino  in  confidargli  la  donzella, 
sperando  che  la  fede  che  nel  resto 
sempre  avea  avuta,  avesse  ancora  in  questo. 

XVII 

Come  era  a  punto  quella  cosa  stata, 
venia  Issabella  raccontando  allotta: 
come  nel  palischermo  fu  salvata, 
prima  ch'avesse  il  mar  la  nave  rotta, 
la  forza  che  Tavea  Odorico  usata, 
e  come  tratta  poi  fosse  alia  grotta. 
Ne  giunt'era  anco  al  fin  di  quel  sermone, 
che  trarre  il  malfattor  vider  prigione. 

XVIII 

I  duo  ch'in  mezzo  avean  preso  Odorico, 

d'Issabella  notizia  ebbeno  vera; 

e  s'avisaro  esser  di  lei  Famico, 

e  '1  signer  lor,  colui  ch'appresso  1'era; 

ma  piu,  che  ne  lo  scudo  il  segno  antico 

vider  dipinto  di  sua  stirpe  altiera: 

e  trovar  poi,  che  guardar  meglio  al  viso, 

che  s'era  al  vero  apposto  il  loro  aviso. 

XIX 

Saltaro  a  piedi,  e  con  aperte  braccia 
correndo  se  n'andar  verso  Zerbino, 
e  1'abbracciaro  ove  il  maggior  s'abbraccia, 
col  capo  nudo  e  col  ginocchio  chino. 
Zerbin,  guardando  1'uno  e  1'altro  in  faccia, 
vide  esser  Tun  Corebo  il  Biscaglino, 
Almonio  Faltro,  ch'egli  avea  mandati 
con  Odorico  in  sul  'navilio  armati. 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  607 

XX 

Almonio  disse :  —  Pol  che  place  a  Dio 
(la  sua  merce)  che  sia  Issabella  teco, 
io  posso  ben  comprender,  signer  mio, 
che  nulla  cosa  nuova  ora  t'arreco, 
s'io  vo'  dir  la  cagion  che  questo  rio 
fa  che  cosi  legato  vedi  meco; 
che  da  costei,  che  piu  senti  Toffesa, 
a  punto  avrai  tutta  1'istoria  intesa. 

XXI 

Come  dal  traditore  io  fui  schernito 

quando  da  se  levommi,  saper  dei; 

e  come  poi  Corebo  fu  ferito, 

ch'a  difender  s'avea  tolto  costei. 

Ma  quanto  al  mio  ritorno  sia  seguito, 

ne  veduto  ne  inteso  fu  da  lei, 

che  te  1'abbia  potuto  riferire: 

di  questa  parte  dunque  io  ti  vo'  dire. 

XXII 

Da  la  cittade  al  mar  ratto  io  veniva 
con  cavalli  ch'in  fretta  avea  trovati, 
sempre  con  gli  occhi  intenti  s'io  scopriva 
costor  che  molto  a  dietro  eran  restati. 
Io  vengo  inanzi,  io  vengo  in  su  la  riva 
del  mare,  al  luogo  ove  io  gli  avea  lasciati: 
io  guardo,  n6  di  loro  altro  ritrovo, 
che  ne  P arena  alcun  vestigio  nuovo. 

XXIII 

La  pesta  seguitai,  che  mi  condusse 
nel  bosco  fier;  ne  molto  adentro  foi, 
che  dove  il  suon  Torecchie  mi  percusse, 
giacere  in  terra  ritrovai  costui. 
Gli  domandai  che  de  la  donna  fusse, 
che  d'Odorico,  e  chi  avea  offeso  lui. 

10  me  n'andai,  poi  che  la  cosa  seppi, 

11  traditor  cercando  per  quei  greppi. 


608  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Molto  aggirando  vommi,  e  per  quel  giorno 
altro  vestigio  ritrovar  non  posso. 
Dove  giacea  Corebo  al  fin  ritorno, 
che  fatto  appresso  avea  il  terren  si  rosso, 
che  poco  pm  che  vi  facea  soggiorno, 
gli  saria  stato  di  bisogno  il  fosso 
e  i  preti  e  i  frati  piu  per  sotterrarlo, 
ch'  i  medici  e  che  Jl  letto  per  sanarlo. 

xxv 

Dal  bosco  alia  citta  feci  portallo, 
e  posi  in  casa  d'uno  ostier  mio  amico, 
che  fatto  sano  in  poco  termine  hallo 
per  cura  et  arte  d'un  chirurgo  antico, 
Poi  d'arme  proveduti  e  di  cavallo 
Corebo  et  io  cercammo  d'Odorico, 
ch'in  corte  del  re  Alfonso  di  Biscaglia 
trovammo;  e  quivi  fui  seco  a  battaglia. 

XXVI 

La  giustizia  del  re,  che  il  loco  franco 
de  la  pugna  mi  diede,  e  la  ragione, 
et  oltre  alia  ragion  la  Fortima  anco, 
che  spesso  la  vittoria,  ove  vuol,  pone, 
mi  giovar  si,  che  di  me  pote  manco 
il  traditore;  onde  fu  mio  prigione. 
II  re,  udito  il  gran  fallo,  mi  concesse 
di  poter  fame  quanto  mi  piacesse. 

XXVII 

Non  Pho  voluto  uccider  ne  lasciarlo, 
ma,  come  vedi,  trarloti  in  catena; 
perche  vo}  ch'a  te  stia  di  giudicarlo, 
se  morire  o  tener  si  deve  in  pena. 
L'avere  inteso  ch'eri  appresso  a  Carlo, 
e  '1  desir  di  trovarti  qui  mi  mena. 
Ringrazio  Dio  che  mi  fa  in  questa  parte, 
dove  lo  sperai  meno,  ora  trovarte. 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  609 

XXVIII 

Ringraziolo  anco,  che  la  tua  Issabella 

10  veggo  (e  non  so  come)  che  teco  hai: 
di  cui,  per  opra  del  fellon,  novella 
pensai  che  non  avessi  ad  udir  mai.  — 
Zerbino  ascolta  Almonio  e  non  favella, 
fermando  gli  occhi  in  Odorico  assai; 
non  si  per  odio,  come  che  gPincresce 
ch'a  si  mal  fin  tanta  amicizia  gli  esce. 

XXIX 

Finito  ch'ebbe  Almonio  il  suo  sermone, 
Zerbin  riman  gran  pezzo  sbigottito, 
che  chi  d'ogn'altro  men  n'avea  cagione 
si  espressamente  il  possa  aver  tradito. 
Ma  poi  che  d'una  lunga  ammirazione 
fu  sospirando  finalmente  uscito, 
al  prigion  domand6  se  fosse  vero 
quel  ch'avea  di  lui  detto  il  cavalliero. 

xxx 

11  disleal  con  le  ginocchia  in  terra 
Iasci6  cadersi,  e  disse:—  Signor  mio, 
ognun  che  vive  al  mondo  pecca  et  erra: 
ne  differisce  in  altro  il  buon  dal  rio, 

se  non  che  Tuno  e  vinto  ad  ogni  guerra 
che  gli  vien  mossa  da  un  piccol  disio; 
1'altro  ricorre  alParme  e  si  difende, 
ma  se  '1  nimico  e  forte,  anco  ei  si  rende. 

XXXI 

Se  tu  m'avessi  posto  alia  difesa 
d'una  tua  r6cca,  e  ch'al  primiero  assalto 
alzate  avessi,  senza  far  contesa, 
degrinimici  le  bandiere  in  alto; 
di  vilta  o  tradimento,  che  piu  pesa, 
sugli  occhi  por  mi  si  potria  uno  smalto: 
ma  s'io  cedessi  a  forza,  son  ben  certo 
che  biasmo  non  avrei,  ma  gloria  e  merto. 


6lO  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

Sempre  che  1'mimico  e  piu  possente, 
piu  chi  perde  accettabile  ha  la  scusa. 
Mia  fe  guardar  dovea  non  altrimente 
ch'una  fortezza  d'ogn'intorno  chiusa: 
cosi,  con  quanto  seruio  e  quanta  mente 
da  la  somma  Prudenzia  m'era  infusa, 

10  mi  sforzai  guardarla;  ma  al  fin  vinto 
da  intolerando  assalto,  ne  fui  spinto.  — 

xxxm 

Cosi  disse  Odorico,  e  poi  soggiunse 
(che  saria  lungo  a  ricontarvi  il  tutto) 
mostrando  che  gran  stimolo  lo  punse, 
e  non  per  lieve  sferza  s'era  indutto. 
Se  mai  per  prieghi  ira  di  cor  si  emunse, 
s'umilta  di  parlar  fece  mai  frutto, 
quivi  far  lo  dovea;  che  cio  che  muova 
di  cor  durezza,  ora  Odorico  trova. 

xxxiv 

Pigliar  di  tanta  ingiuria  alta  vendetta, 
tra  il  si  Zerbino  e  il  no  resta  confuso  : 

11  vedere  il  demerito  lo  alletta 

a  far  che  sia  il  fellon  di  vita  escluso ; 

il  ricordarsi  1'amicizia  stretta 

ch'era  stata  tra  lor  per  si  lungo  uso, 

con  Pacqua  di  pieta  Taccesa  rabbia 

nel  cor  gli  spegne,  e  vuol  che  merce  n'abbia. 

xxxv 

Mentre  stava  cosi  Zerbino  in  forse 
di  liberare,  o  di  menar  captivo, 
o  pur  il  disleal  dagli  occhi  t6rse 
per  morte,  o  pur  tenerlo  in  pena  vivo ; 
quivi  rignando  il  palafreno  corse, 
che  Mandricardo  avea  di  briglia  privo ; 
e  vi  port6  la  vecchia  che  vicino 
a  morte  dianzi  avea  tratto  Zerbino. 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  6ll 

XXXVI 

II  palafren,  ch'udito  di  lontano 
avea  quest'altri,  era  tra  lor  venuto, 
e  la  vecchia  portatavi,  ch'invano 
venia  piangendo  e  domandando  aiuto. 
Come  Zerbin  lei  vide,  alz6  la  mano 
al  ciel  che  si  benigno  gli  era  suto, 
che  datogli  in  arbitrio  avea  que5  dui 
che  soli  odiati  esser  dovean  da  lui. 

XXXVII 

Zerbin  fa  ritener  la  mala  vecchia, 
tanto  che  pensi  quel  che  debba  fame : 
tagliarle  il  naso  e  Tuna  e  Paltra  orecchia 
pensa,  et  esempio  a'  malfattori  darne; 
poi  gli  par  assai  meglio,  s'apparecchia 
un  pasto  agli  avoltoi  di  quella  carne. 
Punizion  diversa  tra  se  volve; 
e  cosi  finalmente  si  risolve. 

XXXVIII 

Si  rivolta  ai  compagni,  e  dice :  —  lo  sono 
di  lasciar  vivo  il  disleal  contento; 
che  s'in  tutto  non  merita  perdono, 
non  merita  anco  si  crudel  tormento. 
Che  viva  e  che  slegato  sia  gli  dono, 
per6  ch'esser  d'Amor  la  colpa  sento; 
e  facilmente  ogni  scusa  s'ammette, 
quando  in  Amor  la  colpa  si  reflette. 

xxxix 

Amore  ha  volto  sottosopra  spesso 
senno  piu  saldo  che  non  ha  costui, 
et  ha  condotto  a  via  maggiore  eccesso 
di  questo,  ch'oltraggiato  ha  tutti  nui. 
Ad  Odorico  debbe  esser  rimesso: 
punito  esser  debbo  io  che  cieco  fui, 
cieco  a  dargline  impresa,  e  non  por  mente 
che  '1  fuoco  arde  la  paglia  facilmente.  — 


6l2  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Poi  mirando  Ocjorico :  —  lo  vo'  che  sia  — 
gli  disse  —  del  tuo  error  la  penitenza, 
che  la  vecchia  abbi  un  anno  in  compagnia, 
ne  di  lasciarla  mai  ti  sia  licenza; 
ma  notte  e  giorno,  ove  tu  vada  o  stia, 
un'ora  mai  non  te  ne  trovi  senza; 
e  fin  a  morte  sia  da  te  difesa 
contra  ciascun  che  voglia  farle  offesa. 

XLI 

VoJ,  se  da  lei  ti  sara  commandato, 
che  pigli  contra  ognun  contesa  e  guerra: 
vo*  in  questo  tempo  che  tu  sia  ubligato 
tutta  Francia  cercar  di  terra  in  terra.  — 
Cosl  dicea  Zerbin;  che  pel  peccato 
meritando  Odorico  andar  sotterra, 
questo  era  porgli  inanzi  un'alta  fossa, 
che  fia  gran  sorte  che  schivar  la  possa. 

XLII 

Tante  donne,  tanti  uomini  traditi 
avea  la  vecchia,  e  tanti  offesi  e  tanti, 
che  chi  sara  con  lei  non  senza  liti 
potra  passar  de'  cavallieri  erranti. 
Cosi  di  par  saranno  ambi  puniti: 
ella  de'  suoi  commessi  errori  inanti, 
egli  di  torne  la  difesa  a  torto; 
ne  molto  potra  andar  che  non  sia  morto. 

XLIII 

Di  dover  servar  questo,  Zerbin  diede 
ad  Odorico  un  giuramento  forte, 
con  patto  che  se  mai  rompe  la  fede, 
e  ch' inanzi  gli  capiti  per  sorte, 
senza  udir  prieghi  e  averne  piu  mercede, 
lo  debba  far  morir  di  cruda  morte. 
Ad  Almonio  e  a  Corebo  poi  rivolto, 
fece  Zerbin  che  fu  Odorico  sciolto. 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  613 

XLIV 

Corebo,  consentendo  Almonio,  sciolse 
il  traditore  al  fin,  ma  non  in  fretta; 
ch'alPuno  e  all'altro  esser  turbato  dolse 
da  si  desiderata  sua  vendetta. 
Quindi  partissi  il  disleale,  e  tolse 
in  compagnia  la  vecchia  maledetta. 
Non  si  legge  in  Turpin  che  n'awenisse; 
ma  vidi  gia  un  autor  che  piu  ne  scrisse. 

XLV 

Scrive  1'autore,  il  cui  nome  mi  taccio, 
che  non  furo  lontani  una  giornata, 
che  per  torsi  Odorico  quello  impaccio, 
contra  ogni  patto  et  ogni  fede  data, 
al  collo  di  Gabrina  gitt6  un  laccio, 
e  che  ad  un  olmo  la  Iasci6  rmpiccata; 
e  ch'indi  a  un  anno  (ma  non  dice  il  loco) 
Almonio  a  lui  fece  il  medesmo  giuoco. 

XLVI 

Zerbin  che  dietro  era  venuto  aU'orma 
del  paladin,  ne  perder  la  vorrebbe, 
manda  a  dar  di  se  nuove  alia  sua  torma, 
che  star  senza  gran  dubbio  non  ne  debbe: 
Almonio  manda,  e  di  piu  cose  informa, 
che  lungo  il  tutto  a  ricontar  sarebbe; 
Almonio  manda,  e  a  lui  Corebo  appresso; 
ne  tien,  fuor  ch'Issabella,  altri  con  esso. 

XLVII 

Tant'era  1'amor  grande  che  Zerbino, 
e  non  minor  del  suo  quel  che  Issabella 
portava  al  virtuoso  paladino; 
tanto  il  desir  d'intender  la  novella 
ch'egli  avesse  trovato  il  Saracino 
che  del  destrier  lo  trasse  con  la  sella; 
che  non  fara  all'esercito  ritorno, 
se  non  finito  che  sia  il  terzo  giorno; 


614  ORLANDO   FURIOSO 

XL  VIII 

il  termine  ch' Orlando  aspettar  disse 
il  cavallier  ch'ancor  non  porta  spada. 
Non  e  alcun  luogo  dove  il  conte  gisse, 
che  Zerbin  pel  medesimo  non  vada. 
Giunse  al  fin  tra  quegli  arbori  che  scrisse 
Fingrata  donna,  un  poco  fuor  di  strada; 
e  con  la  fonte  e  col  vicino  sasso 
tutti  li  ritrovo  messi  in  fracasso. 

XLIX 

Vede  lontan  non  sa  che  luminoso, 
e  trova  la  corazza  esser  del  conte; 
e  trova  Pelmo  poi,  non  quel  famoso 
ch'arm6  gia  il  capo  all'africano  Almonte. 
II  destrier  ne  la  selva  piu  nascoso 
sente  anitrire,  e  leva  al  suon  la  fronte; 
e  vede  Brigliador  pascer  per  1'erba, 
che  dall'arcion  pendente  il  freno  serba. 

L 

Durindana  cerc6  per  la  foresta, 
e  fuor  la  vide  del  fodero  starse. 
Trovo,  ma  in  pezzi,  ancor  la  sopravesta 
ch'in  cento  lochi  il  miser  conte  sparse. 
Issabella  e  Zerbin  con  faccia  mesta 
stanno  mirando,  e  non  san  che  pensarse: 
pensar  potrian  tutte  le  cose,  eccetto 
che  fosse  Orlando  fuor  deH'mtelletto. 

LI 

Se  di  sangue  vedessino  una  goccia, 
creder  potrian  che  fosse  stato  morto. 
Intanto  lungo  la  corrente  doccia 
vider  venire  un  pastorello  smorto. 
Costui  pur  dianzi  avea  di  su  la  roccia 
Talto  furor  de  Tinfelice  scorto, 
come  1'arme  gitto,  squarciossi  i  panni, 
pastori  uccise,  e  fe'  miU'altri  danni. 


CANTO   VENTESIMOQUARTO  615 

LII 

Costui,  richiesto  da  Zerbin,  gli  diede 
vera  informazion  di  tutto  questo. 
Zerbin  si  maraviglia,  e  a  pena  il  crede; 
e  tuttavia  n'ha  indizio  manifesto. 
Sia  come  vuole,  egli  discende  a  piede, 
pien  di  pietade,  lacrimoso  e  mesto; 
e  ricogliendo  da  diversa  parte 
le  reliquie  ne  va  ch'erano  sparte. 

LIII 

Del  palafren  discende  anco  Issabella, 
e  va  queirarme  riducendo  insieme. 
Ecco  lor  sopraviene  una  donzella 
dolente  in  vista,  e  di  cor  spesso  geme. 
Se  mi  domanda  alcun  chi  sia,  perch' ella 
cosi  s'affligge,  e  che  dolor  la  preme, 
io  gli  risponder6  che  e  Fiordiligi 
che  de  Tamante  suo  cerca  i  vestigi. 

LIV 

Da  Brandimarte  senza  farle  motto 
lasciata  fu  ne  la  citta  di  Carlo, 
dov'ella  Faspetto  sei  mesi  od  otto; 
e  quando  al  fin  non  vide  ritornarlo, 
da  un  mare  all'altro  si  mise,  fin  sotto 
Pirene  e  TAlpe,  e  per  tutto  a  cercarlo: 
Fando  cercando  in  ogni  parte,  fuore 
ch'al  palazzo  d'Atlante  incantatore. 

LV 

Se  fosse  stata  a  quelFostel  d'Atlante, 
veduto  con  Gradasso  andare  errando 
Tavrebbe,  con  Ruggier,  con  Bradamante, 
e  con  Ferrau  prima  e  con  Orlando; 
ma  poi  che  cacci6  Astolfo  il  negromante 
col  suon  del  corno  orribile  e  mirando, 
Brandimarte  torn6  verso  Parigi : 
ma  non  sapea  gia  questo  Fiordiligi. 


6l6  ORLANDO  FURIOSO 

LVI 

Come  io  vi  dico,  sopraggiunta  a  caso 
a  quei  duo  amanti  Fiordiligi  bella, 
conobbe  Tarme,  e  Brigliador  rimaso 
senza  il  patrone  e  col  freno  alia  sella. 
Vide  con  gli  occhi  il  miserabil  caso, 
e  n'ebbe  per  udita  anco  novella; 
che  similmente  il  pastorel  narrolle 
aver  veduto  Orlando  correr  folle. 

LVII 

Quivi  Zerbin  tutte  raguna  Tarme, 
e  ne  fa  come  un  bel  trofeo  su  'n  pino; 
e  volendo  vietar  che  non  se  n'arme 
cavallier  paesan  ne  peregrino, 
scrive  nel  verde  ceppo  in  breve  carme: 
«Armatura  d' Orlando  paladino»; 
come  volesse  dir:  nessun  la  muova, 
che  star  non  possa  con  Orlando  a  prova. 

LVIII 

Fimto  ch'ebbe  la  lodevol  opra, 
tornava  a  rimontar  sul  suo  destriero ; 
et  ecco  Mandricardo  arrivar  sopra, 
che  visto  il  pin  di  quelle  spoglie  altiero, 
lo  priega  che  la  cosa  gli  discuopra: 
e  quel  gli  narra,  come  ha  inteso,  il  vero. 
Allora  il  re  pagan  lieto  non  bada, 
che  viene  al  pino,  e  ne  leva  la  spada, 

LIX 

dicendo :  —  Alcun  non  me  ne  puo  riprendere ; 
non  e  pur  oggi  ch'io  Tho  fatta  mia, 
et  il  possesso  giustamente  prendere 
ne  posso  in  ogni  parte,  ovunque  sia. 
Orlando  che  temea  quella  difendere, 
s'ha  finto  pazzo,  e  1'ha  gittata  via; 
ma  quando  sua  vilta  pur  cosi  scusi, 
non  debbe  far  ch'io  mia  ragion  non  usi.  — 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  617 

LX 

Zerbino  a  lui  gridava:  —  Non  la  torre, 
o  pensa  non  Faver  senza  questione. 
Se  togliesti  cosi  Farme  d'Ettorre, 
tu  Thai  di  furto,  piu  che  di  ragione.  — 
Senz'altro  dir  Tun  sopra  Faltro  corre, 
d'animo  e  di  virtu  gran  paragone. 
Di  cento  colpi  gia  rimbomba  il  suono, 
ne  bene  ancor  ne  la  battaglia  sono. 

LXI 

Di  prestezza  Zerbin  pare  una  fiamma 
a  torsi  ovunque  Durindana  cada: 
di  qua  di  la  saltar  come  una  damma 
fa  '1  suo  destrier  dove  e  miglior  la  strada. 
E  ben  convien  che  non  ne  perda  dramma; 
ch'andra,  s'un  tratto  il  coglie  quella  spada, 
a  ritrovar  grinnamorati  spirti 
ch'empion  la  selva  degli  ombrosi  mirti. 

LXII 

Come  il  veloce  can  che  '1  porco  assalta 
che  fuor  del  gregge  errar  vegga  nei  campi, 
lo  va  aggirando,  e  quinci  e  quindi  salta; 
ma  quello  attende  ch'una  volta  inciampi: 
cosi,  se  vien  la  spada  o  bassa  od  alta, 
sta  mirando  Zerbin  come  ne  scampi; 
come  la  vita  e  Tonor  salvi  a  un  tempo, 
tien  sempre  1'occhio,  e  Here  e  fugge  a  tempo. 

LXIII 

Da  Faltra  parte,  ovunque  il  Saracino 
la  fiera  spada  vibra  o  piena  o  vota, 
sembra  fra  due  montagne  un  vento  alpino 
ch'una  frondosa  selva  il  marzo  scuota; 
ch'ora  la  caccia  a  terra  a  capo  chino, 
or  gli  spezzati  rami  in  aria  ruota. 
Ben  che  Zerbin  piu  colpi  e  fuggia  e  schivi, 
non  pu6  schivare  al  fin,  ch'un  non  gli  arrivi. 


6l8  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Non  puo  schivare  al  fine  un  gran  fendente 
che  tra  '1  brando  e  lo  scudo  entra  sul  petto. 
Grosso  1'usbergo,  e  grossa  parimente 
era  la  piastra,  e  '1  panziron  perfetto: 
pur  non  gli  steron  contra,  et  ugualmente 
alia  spada  crudel  dieron  ricetto. 
Quella  calo  tagliando  do  che  prese, 
la  corazza  e  Farcion  fin  su  1'arnese. 

LXV 

E  se  non  che  fu  scarso  il  colpo  alquanto, 
per  mezzo  lo  fendea  come  una  canna; 
ma  penetra  nel  vivo  a  pena  tanto, 
che  poco  phi  che  la  pelle  gli  danna: 
la  non  profunda  piaga  e  lunga  quanto 
non  si  misureria  con  una  spanna. 
Le  lucid'arme  il  caldo  sangue  irriga 
per  sino  al  pie  di  rubiconda  riga. 

LXVI 

Cosi  talora  un  bel  purpureo  nastro 
ho  veduto  partir  tela  d'argento 
da  quella  bianca  man  piii  ch'alabastro, 
da  cui  partire  il  cor  spesso  mi  sento. 
Quivi  poco  a  Zerbin  vale  esser  mastro 
di  guerra,  et  aver  forza  e  piu  ardimento; 
che  di  finezza  d'arme  e  di  possanza 
il  re  di  Tartaria  troppo  1'avanza.' 

LXVII 

Fu  questo  colpo  del  pagan  maggiore 
in  apparenza,  che  fosse  in  effetto; 
tal  ch'Issabella  se  ne  sente  il  core 
fendere  in  mezzo  alPagghiacciato  petto. 
Zerbin  pien  d'ardimento  e  di  valore 
tutto  s'infiamma  d'ira  e  di  dispetto; 
e  quanto  piu  ferire  a  due  man  puote, 
in  mezzo  Pelmo  il  Tartaro  percuote. 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  619 

LXVIII 

Quasi  sul  collo  del  destrier  piegosse 
per  Paspra  botta  il  Saracin  superbo; 
e  quando  Pelmo  senza  incanto  fosse, 
partito  il  capo  gli  avria  il  colpo  acerbo. 
Con  poco  differir  ben  vendicosse, 
ne  disse:  A  un'altra  volta  io  te  la  serbo; 
e  la  spada  gli  alzo  verso  Pelmetto, 
sperandosi  tagliarlo  infin  al  petto. 

LXIX 

Zerbin  che  tenea  Pocchio  ove  la  mente, 
presto  il  cavallo  alia  man  destra  volse; 
non  si  presto  pero,  che  la  tagliente 
spada  fuggisse,  che  lo  scudo  colse. 
Da  sommo  ad  imo  ella  il  parti  ugualmente, 
e  di  sotto  il  braccial  roppe  e  disciolse; 
e  lui  feri  nel  braccio,  e  poi  Parnese 
spezzogli,  e  ne  la  coscia  anco  gli  scese. 

LXX 

Zerbin  di  qua  di  la  cerca  ogni  via, 

ne  mai  di  quel  che  vuol,  cosa  gli  avviene; 

che  1'armatura  sopra  cui  feria, 

un  piccol  segno  pur  non  ne  ritiene. 

Da  1'altra  parte  il  re  di  Tartaria 

sopra  Zerbino  a  tal  vantaggio  viene, 

che  Pha  ferito  in  sette  parti  o  in  otto, 

tolto  lo  scudo,  e  mezzo  1'elmo  rotto. 

LXXI 

Quel  tuttavia  piu  va  perdendo  il  sangue; 
manca  la  forza,  e  ancor  par  che  nol  senta: 
il  vigoroso  cor  che  nulla  langue, 
val  si,  che  '1  debol  corpo  ne  sostenta. 
La  donna  sua,  per  timor  fatta  esangue, 
intanto  a  Doralice  s'appresenta, 
e  la  priega  e  la  supplica  per  Dio 
che  partir  voglia  il  fiero  assalto  e  rio. 


620  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

Cortese  come  bella  Doralice, 

ne  ben  sicura  come  il  fatto  segua, 

fa  volentier  quel  ch'Issabella  dice, 

e  dispone  il  suo  amante  a  pace  e  a  triegua. 

Cosi  a'  prieghi  de  1'altra  1'ira  ultrice 

di  cor  fugge  a  Zerbino  e  si  dilegua: 

et  egli,  ove  a  lei  par,  piglia  la  strada, 

senza  fmir  1'impresa  de  la  spada. 

LXXIII 

Fiordiligi,  che  mal  vede  difesa 
la  buona  spada  del  misero  conte, 
tacita  duolsi;  e  tanto  le  ne  pesa, 
che  d'ira  piange  e  battesi  la  fronte. 
Vorria  aver  Brandimarte  a  quella  impresa; 
e  se  mai  lo  ritrova  e  gli  lo  conte, 
non  crede  poi  che  Mandricardo  vada 
lunga  stagione  altier  di  quella  spada. 

LXXIV 

Fiordiligi  cercando  pure  invano 
va  Brandimarte  suo  matina  e  sera; 
e  fa  camin  da  lui  molto  lontano, 
da  lui  che  gia  tomato  a  Parigi  era. 
Tanto  elk  se  n'ando  per  monte  e  piano, 
che  giunse  ove,  al  passar  d'una  riviera, 
vide  e  conobbe  il  miser  paladino; 
ma  dician  quel  ch'avvenne  di  Zerbino: 

LXXV 

che  '1  lasciar  Durindana  si  gran  fallo 
gli  par,  che  piu  d'ogn'altro  mal  gl'incresce, 
quantunque  a  pena  star  possa  a  cavallo 
pel  molto  sangue  che  gli  e  uscito  et  esce. 
Or  poi  che  dopo  non  troppo  intervallo 
cessa  con  1'ira  il  caldo,  il  dolor  cresce : 
cresce  il  dolor  si  impetuosamente, 
che  mancarsi  la  vita  se  ne  sente. 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  621 

LXXVI 

Per  debolezza  piu  non  potea  gire; 
si  che  fermossi  appresso  una  fontana. 
Non  sa  che  far  ne  che  si  debba  dire 
per  aiutarlo  la  donzella  umana. 
Sol  di  disagio  lo  vede  morire; 
che  quindi  e  troppo  ogni  citta  lontana, 
dove  in  quel  punto  al  medico  ricorra, 
che  per  pietade  o  premio  gli  soccorra. 

LXXVII 

Ella  non  sa  se  non  invan  dolersi, 
chiamar  fortuna  e  il  cielo  empio  e  crudele. 

—  Perche,  ahi  lassa!  —  dicea —  non  mi  sommersi 
quando  levai  ne  T Ocean  le  vele?  — 

Zerbin  che  i  languidi  occhi  ha  in  lei  conversi, 

sente  piu  doglia  ch'ella  si  querele, 

che  de  la  passion  tenace  e  forte 

che  1'ha  condutto  omai  vicino  a  morte. 

LXXVI  n 

—  Cosi,  cor  mio,  vogliate,  —  le  diceva, 

—  dopo  ch'io  saro  morto,  amarmi  ancora, 
come  solo  il  lasciarvi  e  che  m'aggreva 
qui  senza  guida,  e  non  gia  perch'io  mora: 
che  se  in  sicura  parte  m'accadeva 

finir  de  la  mia  vita  1'ultima  ora, 
lieto  e  contento  e  fortunate  a  pieno 
morto  sarei,  poi  ch'io  vi  moro  in  seno. 

LXXIX 

Ma  poi  che  '1  mio  destino  iniquo  e  duro 
vol  ch'io  vi  lasci,  e  non  so  in  man  di  cui; 
per  questa  bocca  e  per  questi  occhi  giuro, 
per  queste  chiome  onde  allacciato  fui, 
che  disperato  nel  profondo  oscuro 
vo  de  lo  'nferno,  onde  il  pensar  di  vui 
ch'abbia  cosi  lasciata,  assai  piu  ria 
sara  d'ogn'altra  pena  che  vi  sia.  — 


622  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

A  questo  la  mestissima  Issabella, 
declinando  la  faccia  lacrimosa 
e  congiungendo  la  sua  bocca  a  quella 
di  Zerbin,  languidetta  come  rosa, 
rosa  non  colta  in  sua  stagion,  si  ch'ella 
impallidisca  in  su  la  siepe  ombrosa, 
disse :  —  Non  vi  pensate  gia,  mia  vita, 
far  senza  me  quest 'ultima  partita. 

LXXXI 

Di  cio,  cor  mio,  nessun  timor  vi  tocchi; 
ch'io  vo?  seguirvi  o  in  cielo  o  ne  lo  'nferno. 
Convien  che  Tuno  e  1'altro  spirto  scocchi, 
insieme  vada,  insieme  stia  in  eterno. 
Non  si  tosto  vedro  chiudervi  gli  occhi, 
o  che  m'uccidera  il  dolore  interne, 
o  se  quel  non  pu6  tanto,  io  vi  prometto 
con  questa  spada  oggi  passarmi  il  petto. 

LXXXII 

De'  corpi  nostri  ho  ancor  non  poca  speme, 
che  me'  morti  che  vivi  abbian  ventura. 
Qui  forse  alcun  capitera,  ch'insieme, 
mosso  a  pieta,  dara  lor  sepoltura.  — 
Cosi  dicendo,  le  reliquie  estreme 
de  lo  spirto  vital  che  morte  fura, 
va  ricogliendo  con  le  labra  meste, 
fin  ch'una  minima  aura  ve  ne  reste. 

LXXXIII 

Zerbin  la  debol  voce  riforzando, 
disse: —  Io  vi  priego  e  supplico,  mia  diva, 
per  quello  amor  che  mi  mostraste,  quando 
per  me  lasciaste  la  paterna  riva; 
e  se  commandar  posso,  io  vel  commando, 
che  fin  che  piaccia  a  Dio  restiate  viva; 
ne  mai  per  caso  pogniate  in  oblio 
che  quanto  amar  si  puo,  v'abbia  amato  io. 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  623 

LXXXIV 

Dio  vi  provedera  d'aiuto  forse, 
per  liberarvi  d'ogni  atto  villano, 
come  fe*  quando  alia  spelonca  torse, 
per  indi  trarvi,  il  senator  romano. 
Cosi  (la  sua  merce)  gia  vi  soccorse 
nel  mare  e  contra  il  Biscaglin  profano: 
e  se  pure  awerra  che  poi  si  deggia 
morire,  allora  il  minor  mal  s'elleggia.  — 

LXXXV 

Non  credo  che  quest'ultime  parole 
potesse  esprimer  si,  che  fosse  inteso; 
e  fini  come  il  debol  lume  suole, 
cui  cera  manchi  od  altro  in  che  sia  acceso. 
Chi  potra  dire  a  pien  come  si  duole, 
poi  che  si  vede  pallido  e  disteso, 
la  giovanetta,  e  freddo  come  ghiaccio 
il  suo  caro  Zerbin  restare  in  braccio? 

LXXXVI 

Sopra  il  sanguigno  corpo  s'abbandona, 
e  di  copiose  lacrime  lo  bagna, 
e  stride  si,  ch'intorno  ne  risuona 
a  molte  miglia  il  bosco  e  la  campagna. 
Ne  alle  guancie  ne  al  petto  si  perdona, 
che  Funo  e  Paltro  non  percuota  e  fragna; 
e  straccia  a  torto  Tauree  crespe  chiome, 
chiamando  sempre  invan  Pamato  nome. 

LXXXVII 

In  tanta  rabbia,  in  tal  furor  somrnersa 
Favea  la  doglia  sua,  che  facilmente 
avria  la  spada  in  se  stessa  conversa, 
poco  al  suo  amante  in  questo  ubidiente; 
s'uno  eremita  ch'alla  fresca  e  tersa 
fonte  avea  usanza  di  tornar  sovente 
da  la  sua  quindi  non  lontana  cella, 
non  s'opponea,  venendo,  al  voler  d'ella. 


624  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

II  venerabile  uom,  ch'alta  bontade 

avea  congiunta  a  natural  prudenzia, 

et  era  tutto  pien  di  caritade, 

di  buoni  esempi  ornato  e  d'eloquenzia, 

alia  giovan  dolente  persuade 

con  ragioni  efficaci  pazienzia; 

et  inanzi  le  puon,  come  uno  specchio, 

donne  del  Testamento  e  nuovo  e  vecchio. 

LXXXIX 

Poi  le  fece  veder,  come  non  fusse 
alcun,  se  non  in  Dio,  vero  contento, 
e  ch'eran  1'altre  transitorie  e  fiusse 
speranze  umane,  e  di  poco  momento; 
e  tanto  seppe  dir,  che  la  ridusse 
da  quel  crudele  et  ostmato  intento, 
che  la  vita  sequente  ebbe  disio 
tutta  al  servigio  dedicar  di  Dio. 

xc 

Non  che  lasciar  del  suo  signor  voglia  unque 
ne  '1  grand'amor,  ne  le  reliquie  morte: 
convien  che  1'abbia  ovunque  stia  et  ovunque 
vada,  e  che  seco  e  notte  e  di  le  porte. 
Quindi  aiutando  Teremita  dunque, 
ch'era  de  la  sua  eta  valido  e  forte, 
sul  mesto  suo  destrier  Zerbin  posaro, 
e  molti  di  per  quelle  selve  andaro. 

xci 

Non  volse  il  cauto  vecchio  ridur  seco, 
sola  con  solo,  la  giovane  bella 
la  dove  ascosa  in  un  selvaggio  speco 
non  lungi  avea  la  solitaria  cella; 
fra  se  dicendo :  «  Con  periglio  arreco 
in  una  man  la  paglia  e  la  facella. » 
Ne  si  fida  in  sua  eta  ne  in  sua  prudenzia, 
che  di  se  faccia  tanta  esperienzia. 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  625 

XCII 

Di  condurla  in  Provenza  ebbe  pensiero, 
non  lontano  a  Marsilia  in  un  castello, 
dove  di  sante  donne  un  monastero 
ricchissimo  era,  e  di  edificio  bello: 
e  per  portarne  il  morto  cavalliero, 
composto  in  una  cassa  aveano  quello, 
che  'n  un  castel  ch'era  tra  via,  si  fece 
lunga  e  capace,  e  ben  chiusa  di  pece. 

XCIII 

Piu  e  piu  giorni  gran  spazio  di  terra 
cercaro,  e  sempre  per  lochi  piu  inculti; 
che  pieno  essendo  ogni  cosa  di  guerra, 
volcano  gir  piu  che  poteano  occulti. 
Al  fine  un  cavallier  la  via  lor  serra, 
che  lor  fe'  oltraggi  e  disonesti  insulti; 
di  cui  diro  quando  il  suo  loco  fia; 
ma  ritorno  ora  al  re  di  Tartaria. 

xciv 

Avuto  ch'ebbe  la  battaglia  il  fine 
che  gia  v'ho  detto,  il  giovin  si  raccolse 
alle  fresche  ombre  e  all'onde  cristalline; 
et  al  destrier  la  sella  e  '1  freno  tolse, 
e  lo  lascio  per  1'erbe  tenerine 
del  prato  andar  pascendo  ove  egli  volse: 
ma  non  ste'  molto,  che  vide  lontano 
calar  dal  monte  un  cavalliero  al  piano. 

xcv 

Conobbel,  come  prima  alzo  la  fronte, 
Doralice,  e  mostrollo  a  Mandricardo, 
dicendo :  —  Ecco  il  superbo  Rodomonte, 
se  non  m'inganna  di  lontan  lo  sguardo. 
Per  far  teco  battaglia  cala  il  monte: 
or  ti  potra  giovar  Tesser  gagliardo. 
Perduta  avermi  a  grande  ingiuria  tiene, 
ch'era  sua  sposa,  e  a  vendicar  si  viene.  — 


626  ORLANDO   FURIOSO 

XCVI 

Qual  buono  astor  che  Panitra  o  Tacceggia, 
starna  o  Colombo  o  slmil  altro  augello 
venirsi  incontra  di  lontano  veggia, 
leva  la  testa  e  si  fa  lieto  e  bello; 
tal  Mandricardo,  come  certo  deggia 
di  Rodomonte  far  strage  e  macello, 
con  letizia  e  baldanza  il  destrier  piglia, 
le  staffe  ai  piedi,  e  da  alia  man  la  briglia. 

xcvn 

Quando  vicini  fur  si,  ch'udir  chiare 
tra  lor  poteansi  le  parole  altiere, 
con  le  mani  e  col  capo  a  minacciare 
incomincio  gridando  il  re  d'Algiere, 
ch'a  penitenza  gli  faria  tornare, 
che  per  un  temerario  suo  piacere 
non  avesse  rispetto  a  provocarsi 
lui  ch'altamente  era  per  vendicarsi. 

xcvm 

Rispose  Mandricardo :  —  Indarno  tenta 
chi  mi  vuol  impaurir  per  minacciarme: 
cosi  fanciulli  o  femine  spaventa, 
o  altri  che  non  sappia  che  sieno  arme ; 
me  non  cui  la  battaglia  piu  talenta 
d'ogni  riposo;  e  son  per  adoprarme 
a  pie,  a  cavallo,  armato  e  disarmato, 
sia  alia  campagna,  o  sia  ne  lo  steccato.  — 

XCIX 

Ecco  sono  agli  oltraggi,  al  grido,  all'ire, 
al  trar  de'  brandi,  al  crudel  suon  de5  ferri; 
come  vento  che  prima  a  pena  spire, 
poi  cominci  a  crollar  frassini  e  cerri, 
et  indi  oscura  polve  in  cielo  aggire, 
indi  gli  arbori  svella  e  case  atterri, 
sommerga  in  mare,  e  porti  ria  tempesta 
che  '1  gregge  sparso  uccida  alia  foresta. 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  627 

C 

De5  duo  pagani  senza  pari  in  terra 
gli  audacissimi  cor,  le  forze  estreme 
parturiscono  colpi,  et  una  guerra 
conveniente  a  si  feroce  seme. 
Del  grande  e  orribil  suon  triema  la  terra, 
quando  le  spade  son  percosse  insieme: 
gettano  1'arme  insin  al  ciel  scintille, 
anzi  lampadi  accese  a  mille  a  mille. 

ci 

Senza  mai  riposarsi  o  pigliar  fiato 
dura  fra  quei  duo  re  Faspra  battaglia, 
tentando  ora  da  questo,  or  da  quel  lato 
aprir  le  piastre  e  penetrar  la  rnaglia. 
Ne  perde  1'un,  ne  1'altro  acquista  il  prato, 
ma  come  intorno  sian  fosse  o  muraglia, 
o  troppo  costi  ogn'oncia  di  quel  loco, 
non  si  parton  d'un  cerchio  angusto  e  poco. 

CII 

Fra  mille  colpi  il  Tartaro  una  volta 
colse  a  duo  mani  in  fronte  il  re  d'Algiere; 
che  gli  fece  veder  girare  in  volta 
quante  mai  furon  fiacole  e  lumiere. 
Come  ogni  forza  alP African  sia  tolta, 
le  groppe  del  destrier  col  capo  fere: 
perde  la  staffa,  et  e,  presente  quella 
che  cotant'ama,  per  uscir  di  sella. 

cm 

Ma  come  ben  composto  e  valido  arco 
di  fmo  acciaio  in  buona  somma  greve, 
quanto  si  china  piu,  quanto  e  piu  carco, 
e  piu  lo  sforzan  martinelli  e  lieve; 
con  tanto  piu  furor,  quanto  e  poi  scarco, 
ritorna,  e  fa  piu  mai  che  non  riceve: 
cosi  quello  African  tosto  risorge, 
e  doppio  il  colpo  all'inimico  porge. 


628  ORLANDO   FURIOSO 

CIV 

Rodomonte  a  quel  segno  ove  fu  colto, 
colse  a  ptmto  il  figliol  del  re  Agricane. 
Per  questo  non  pote  nuocergli  al  volto, 
ch'in  difesa  trovo  1'arme  troiane; 
ma  stordi  in  mo  do  il  Tartaro,  che  molto 
non  sapea  s'era  vespero  o  dimane. 
L'irato  Rodomonte  non  s'arresta, 
che  mena  1'altro,  e  pur  segna  alia  testa. 

cv 

II  cavallo  del  Tartaro,  ch'aborre 
la  spada  che  fischiando  cala  d'alto, 
al  suo  signor  con  suo  gran  mal  soccorre, 
perche  s'arretra  per  fuggir  d'un  salto: 
il  brando  in  mezzo  il  capo  gli  trascorre, 
ch'al  signor,  non  a  lui,  movea  Tassalto. 
II  miser  non  avea  1'elmo  di  Troia, 
come  il  patrone;  onde  convien  che  muoia. 

cvi 

Quel  cade,  e  Mandricardo  in  piedi  guizza, 
non  piu  stordito,  e  Durindana  aggira. 
Veder  morto  il  cavallo  entro  gli  adizza, 
e  fuor  divampa  un  grave  incendio  d'ira. 
L' African,  per  urtarlo,  il  destrier  drizza; 
ma  non  piu  Mandricardo  si  ritira, 
che  scoglio  far  soglia  da  Ponde:  e  awenne 
che  1  destrier  cadde,  et  egli  in  pie  si  tenne. 

cvn 

L' African  che  mancarsi  il  destrier  sente, 
lascia  le  staffe  e  sugli  arcion  si  ponta, 
e  resta  in  piedi  e  sciolto  agevolmente: 
cosi  Tun  1'altro  poi  di  pari  affronta. 
La  pugna  piu  che  mai  ribolle  ardente, 
e  1'odio  e  Tira  e  la  superbia  monta: 
et  era  per  seguir;  ma  quivi  giunse 
in  fretta  un  messaggier  che  gli  disgiunse. 


CANTO    VENTESIMOQUARTO  629 

CVIII 

Vi  giunse  un  messaggier  del  popul  Moro, 
di  molti  che  per  Francia  eran  mandati 
a  richiamare  agli  stendardi  loro 
i  capitani  e  i  cavallier  privati; 
perche  1'imperator  dai  gigli  d'oro 
gli  avea  gli  alloggiamenti  gia  assediati; 
e  se  non  e  il  soccorso  a  venir  presto, 
1'eccidio  suo  conosce  manifesto. 

cix 

Riconobbe  il  messaggio  i  cavallieri, 
oltre  alPinsegne,  oltre  alle  sopraveste, 
al  girar  de  le  spade,  e  ai  colpi  fieri 
ch'altre  man  non  farebbeno  che  queste. 
Tra  lor  pero  non  osa  entrar,  che  speri 
che  fra  tant'ira  sicurta  gli  preste 
Fesser  messo  del  re;  ne  si  conforta 
per  dir  ch'imbasciator  pena  non  porta. 

ex 

Ma  viene  a  Doralice,  et  a  lei  narra 
ch'Agramante,  Marsilio  e  Stordilano, 
con  pochi  dentro  a  mal  sicura  sbarra 
sono  assediati  dal  popul  cristiano. 
Narrato  il  caso,  con  prieghi  ne  inarra 
che  faccia  il  tutto  ai  duo  guerrieri  piano, 
e  che  gli  accordi  insieme,  e  per  lo  scampo 
del  popul  saracin  li  meni  in  campo. 

CXI 

Tra  i  cavallier  la  donna  di  gran  core 
si  mette,  e  dice  loro:  —  lo  vi  comando, 
per  quanto  so  che  mi  portate  amore, 
che  riserbiate  a  miglior  uso  il  brando, 
e  ne  vegnate  subito  in  favore 
del  nostro  campo  saracino,  quando 
si  trova  ora  assediato  ne  le  tende, 
e  presto  aiuto  o  gran  ruina  attende.  — 


630  ORLANDO   FURIOSO 

CXII 

Indi  il  messo  soggiunse  il  gran  periglio 
dei  Saracini,  e  narro  il  fatto  a  pieno; 
e  diede  insieme  lettere  del  figlio 
del  re  Troiano  al  figlio  d'Ulieno. 
Si  piglia  finalmente  per  consiglio 
che  i  duo  guerrier,  deposto  ogni  veneno, 
facciano  insieme  triegua  fin  al  giorno 
che  sia  tolto  Tassedio  ai  Mori  intorno; 

CXIII 

e  senza  pm  dimora,  come  pria 
liberate  d'assedio  abbian  lor  gente, 
non  s'intendano  aver  piu  compagnia, 
ma  crudel  guerra  e  inimicizia  ardente, 
fin  che  con  1'arme  diffinito  sia 
chi  la  donna  aver  de*  meritamente. 
Quella,  ne  le  cui  man  giurato  fue, 
fece  la  sicurta  per  amendue. 

cxiv 

Quivi  era  la  Discordia  impaziente, 
inimica  di  pace  e  d'ogni  triegua; 
e  la  Superbia  v'e,  che  non  consente 
ne  vuol  patir  che  tale  accordo  segua. 
Ma  piu  di  lor  puo  Amor  quivi  presente, 
di  cui  1'alto  valor  nessuno  adegua; 
e  fe'  ch'indietro,  a  colpi  di  saette, 
e  la  Discordia  e  la  Superbia  stette. 

cxv 

Fu  conclusa  la  triegua  fra  costoro, 
si  come  piacque  a  chi  di  lor  potea. 
Vi  mancava  uno  dei  cavalli  loro, 
che  morto  quel  del  Tartaro  giacea: 
per6  vi  venne  a  tempo  Brigliadoro, 
che  le  fresche  erbe  lungo  il  rio  pascea. 
Ma  al  fin  del  canto  io  mi  trovo  esser  giunto ; 
si  ch'io  faro,  con  vostra  grazia,  punto. 


CANTO    VENTESIMOQUINTO  631 


CANTO   VENTESIMOQUINTO 


I 

Oh  gran  contrasto  in  giovenil  pensiero, 
desir  di  laude  et  impeto  d'amore! 
ne  chi  piu  vaglia,  ancor  si  trova  il  vero; 
che  resta  or  questo  or  quel  superiore. 
Ne  1'uno  ebbe  e  ne  Taltro  cavalliero 
quivi  gran  forza  il  debito  e  1'onore; 
che  Famorosa  lite  s'intermesse, 
fin  che  soccorso  il  campo  lor  s'avesse. 

II 

Ma  piu  ve  Febbe  Amor:  che  se  non  era 
che  cosi  commando  la  donna  loro, 
non  si  sciogliea  quella  battaglia  fiera, 
che  Fun  n'avrebbe  il  triunfale  alloro; 
et  Agramante  invan  con  la  sua  schiera 
Faiuto  avria  aspettato  di  costoro. 
Dunque  Amor  sempre  rio  non  si  ritrova: 
se  spesso  nuoce,  anco  talvolta  giova. 

in 

Or  Funo  e  Faltro  cavallier  pagano, 
che  tutti  ha  differiti  i  suoi  litigi, 
va  per  salvar  Fesercito  africano 
con  la  donna  gentil  verso  Parigi; 
e  va  con  essi  ancora  il  piccol  nano 
che  seguit6  del  Tartaro  i  vestigi, 
fin  che  con  lui  condotto  a  fronte  a  fronte 
avea  quivi  il  geloso  Rodomonte. 


632  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

Capitaro  in  un  prato  ove  a  diletto 
erano  cavallier  sopra  un  ruscello, 
duo  disarmati  e  duo  ch'avean  1'elmetto, 
e  una  donna  con  lor  di  viso  bello. 
Chi  fosser  quelli,  altrove  vi  fia  detto; 
or  no,  che  di  Ruggier  prima  favello, 
del  buon  Ruggier  di  cui  vi  fu  narrato 
che  lo  scudo  nel  pozzo  avea  gittato. 

v 

Non  e  dal  pozzo  ancor  lontano  un  miglio, 
che  venire  un  corrier  vede  in  gran  fretta, 
di  quei  che  manda  di  Troiano  il  figlio 
ai  cavallieri  onde  soccorso  aspetta; 
dal  qual  ode  che  Carlo  in  tal  periglio 
la  gente  saracina  tien  ristretta, 
che  se  non  e  chi  tosto  le  dia  aita, 
tosto  1'onor  vi  lasciera  o  la  vita. 

vi 

Fu  da  molti  pensier  ridutto  in  forse 
Ruggier,  che  tutti  1'assaliro  a  un  tratto; 
ma  qual  per  lo  miglior  dovesse  torse, 
ne  luogo  avea  ne  tempo  a  pensar  atto. 
Lascio  andare  il  messaggio,  e  '1  freno  torse 
la  dove  fu  da  quella  donna  tratto, 
ch'ad  or  ad  or  in  modo  egli  affrettava, 
che  nessun  tempo  d'indugiar  le  dava. 

VII 

Quindi  seguendo  il  camin  preso  venne 
(gia  declinando  il  sole)  ad  una  terra 
che  '1  re  Marsilio  in  mezzo  Francia  tenne, 
tolta  di  man  di  Carlo  in  quella  guerra. 
Ne  al  ponte  ne  alia  porta  si  ritenne, 
che  non  gli  niega  alcuno  il  passo  o  serra, 
ben  ch'intorno  al  rastrello  e  in  su  le  fosse 
gran  quantita  d'uomini  e  d'arme  fosse. 


CANTO    VENTESIMOQUINTO  633 

VIII 

Perch'era  conosciuta  da  la  gente 
quella  donzella  ch'avea  in  compagnia, 
fu  lasciato  passar  liberamente, 
ne  domandato  pure  onde  venia. 
Giunse  alia  piazza,  e  di  fuoco  lucente 
e  plena  la  trovo  di  gente  ria; 
e  vide  in  mezzo  star  con  viso  smorto 
il  giovine  dannato  ad  esser  morto. 

IX 

Ruggier  come  gli  alzo  gli  occhi  nel  viso, 
che  chino  a  terra  e  lacrimoso  stava, 
di  veder  Bradamante  gli  fu  aviso, 
tanto  il  giovine  a  lei  rassimigliava. 
Piu  dessa  gli  parea,  quanto  piu  fiso 
al  volto  e  alia  persona  il  riguardava; 
e  fra  se  disse :  «  O  questa  e  Bradamante, 
o  ch'io  non  son  Ruggier  com' era  inante. 

x 

Per  troppo  ardir  si  sara  forse  messa 
del  garzon  condennato  alia  difesa; 
e  poi  che  mal  la  cosa  1'e  successa, 
ne  sara  stata,  come  io  veggo,  presa. 
Deh  perche  tanta  fretta,  che  con  essa 
io  non  potei  trovarmi  a  questa  impresa? 
Ma  Dio  ringrazio  che  ci  son  venuto, 
ch'a  tempo  ancora  io  potro  darle  aiuto.» 

XI 

E  sanza  piu  indugiar  la  spada  stringe 
(ch'avea  all'altro  castel  rotta  la  lancia), 
e  adosso  il  vulgo  inerme  il  destrier  spinge 
per  Io  petto,  pei  fianchi  e  per  la  pancia. 
Mena  la  spada  a  cerco,  et  a  chi  cinge 
la  fronte,  a  chi  la  gola,  a  chi  la  guancia. 
Fugge  il  popul  gridando;  e  la  gran  frotta 
resta  o  sciancata  o  con  la  testa  rotta. 


634  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Come  stormo  d'augei  ch'in  ripa  a  un  stagno 

vola  sicuro  e  a  sua  pastura  attende, 

s'improviso  dal  ciel  falcon  grifagno 

gli  da  nel  mezzo  et  un  ne  batte  o  prende, 

si  sparge  in  fuga,  ognun  lascia  il  compagno, 

e  de  lo  scampo  suo  cura  si  prende; 

cosi  veduto  avreste  far  costoro, 

tosto  che  Jl  buon  Ruggier  diede  fra  loro. 

XIII 

A  quattro  o  sei  dai  colli  i  capi  netti 
Iev6  Ruggier,  ch'indi  a  fuggir  fur  lenti; 
ne  divise  altretanti  infin  ai  petti, 
fin  agli  occhi  infiniti  e  fin  ai  denti. 
Conciedero  che  non  trovasse  elmetti, 
ma  ben  di  ferro  assai  cuffie  lucenti: 
e  s'elmi  fini  anco  vi  fosser  stati, 
cosi  gli  avrebbe,  o  poco  men,  tagliati. 

XIV 

La  forza  di  Ruggier  non  era  quale 
or  si  ritrovi  in  cavallier  moderno, 
ne  in  orso  ne  in  leon  ne  in  animale 
altro  piu  fiero,  o  nostrale  od  esterno. 
Forse  il  tremuoto  le  sarebbe  uguale, 
forse  il  gran  diavol;  non  quel  de  lo  'nferno, 
ma  quel  del  mio  signor,  che  va  col  fuoco 
ch'a  cielo  e  a  terra  e  a  mar  si  fa  dar  loco. 

xv 

D'ogni  suo  colpo  mai  non  cadea  manco 
d'un  uomo  in  terra,  e  le  piu  volte  un  paio ; 
e  quattro  a  un  colpo  e  cinque  n'uccise  anco, 
si  che  si  venne  tosto  al  centinaio. 
Tagliava  il  brando  che  trasse  dal  fianco, 
come  un  tenero  latte,  il  duro  acciaio. 
Falerina,  per  dar  morte  ad  Orlando, 
fe'  nel  giardin  d'Orgagna  il  crudel  brando. 


CANTO    VENTESIMOQUINTO  635 

XVI 

Averlo  fatto  poi  ben  le  rincrebbe, 
che  '1  suo  giardin  disfar  vide  con  esso. 
Che  strazio  dunque,  che  ruina  debbe 
far  or  ch'in  man  di  tal  guerriero  e  messo? 
Se  mai  Ruggier  furor,  se  mai  forza  ebbe, 
se  mai  fu  Falto  suo  valore  espresso, 
qui  Tebbe,  il  pose  qui,  qui  fu  veduto, 
sperando  dare  alia  sua  donna  aiuto. 

XVII 

Qual  fa  la  lepre  contra  i  cani  sciolti, 

facea  la  turba  contra  lui  riparo. 

Quei  che  restaro  uccisi,  furo  molti; 

furo  infiniti  quei  ch'in  fuga  andaro. 

Avea  la  donna  intanto  i  lacci  tolti, 

ch'ambe  le  mani  al  giovine  legaro; 

e  come  pote  meglio,  presto  armollo, 

gli  die  una  spada  in  mano  e  un  scudo  al  collo. 

XVIII 

Egli  che  molto  e  offeso,  piu  che  puote 
si  cerca  vendicar  di  quella  gente: 
e  quivi  son  si  le  sue  forze  note, 
che  riputar  si  fa  prode  e  valente. 
Gia  avea  attufato  le  dorate  mote 
il  Sol  ne  la  marina  d'occidente, 
quando  Ruggier  vittorioso  e  quello 
giovine  seco  uscir  fuor  del  castello. 

XIX 

Quando  il  garzon  sicuro  de  la  vita 
con  Ruggier  si  trov6  fuor  de  le  porte, 
gli  rende"  molta  grazia  et  infmita 
con  gentil  modi  e  con  parole  accorte, 
che  non  lo  conoscendo  a  dargli  aita 
si  fosse  messo  a  rischio  de  la  morte; 
e  preg6  che  '1  suo  nome  gli  dicesse, 
per  sapere  a  chi  tanto  obligo  avesse. 


636  ORLANDO   FURIOSO 

XX 

«  Veggo »  dicea  Ruggier  « la  faccia  bella 
e  le  belle  fattezze  e  '1  bel  sembiante, 
ma  la  suavita  de  la  favella 
non  odo  gia  de  la  mia  Bradamante; 
ne  la  relazion  di  grazie  e  quella 
ch'ella  usar  debba  al  suo  fedele  amante. 
Ma  se  pur  questa  e  Bradamante,  or  come 
ha  si  tosto  in  oblio  messo  il  mio  nome?» 

XXI 

Per  ben  saperne  il  certo,  accortamente 
Ruggier  le  disse:—  lo  v'ho  veduto  altrove; 
et  ho  pensato  e  penso,  e  finalmente 
non  so  ne"  posso  ricordarmi  dove. 
Ditemel  voi,  se  vi  ritorna  a  mente, 
e  fate  che  '1  nome  anco  udir  mi  giove, 
acci6  che  saper  possa  a  cui  mia  aita 
dal  fuoco  abbia  salvata  oggi  la  vita. 

XXII 

—  Che  voi  m'abbiate  visto  esser  potria,  — 
rispose  quel  —  che  non  so  dove  o  quando : 
ben  vo  pel  mondo  anch'io  la  parte  mia, 
strane  aventure  or  qua  or  la  cercando. 
Forse  una  mia  sorella  stata  fia, 
che  veste  Parme  e  porta  al  lato  il  brando ; 
che  nacque  meco,  e  tanto  mi  somiglia, 
che  non  ne  puo  discerner  la  famiglia. 

XXIII 

N6  primo  ne  secondo  ne  ben  quarto 
sete  di  quei  ch'errore  in  ci6  preso  hanno : 
ne  '1  padre  ne  i  fratelli  ne  chi  a  un  parto 
ci  produsse  ambi,  scernere  ci  sanno. 
Gli  e  ver  che  questo  crin  raccorcio  e  sparto 
ch'io  porto,  come  gli  altri  uomini  fanno, 
et  il  suo  lungo  e  in  treccia  al  capo  awolta 
ci  solea  far  gia  differenzia  molta: 


CANTO    VENTESIMOQUINTO  637 

XXIV 

ma  poi  ch'un  giorno  ella  ferita  fu 

ixel  capo  (lungo  saria  a  dirvi  come), 

e  per  sanarla  un  servo  di  lesu 

a  mezza  orecchia  le  tagli6  le  chiome, 

alcun  segno  tra  noi  non  resto  piu 

di  differenzia,  fuor  che  '1  sesso  e  '1  nome. 

Ricciardetto  son  io,  Bradamante  ella; 

io  fratel  di  Rinaldo,  essa  sorella. 

xxv 

E  se  non  v'increscesse  I'ascoltarmi, 
cosa  direi  che  vi  faria  stupire, 
la  qual  m'occorse  per  assimigliarmi 
a  lei:  gioia  al  principio  e  al  fin  martire.  — 
Ruggiero  il  qual  piu  graziosi  carmi, 
piu  dolce  istoria  non  potrebbe  udire, 
che  dove  alcun  ricordo  intervenisse 
de  la  sua  donna,  il  prego  si,  che  disse. 

XXVI 

—  Accadde  a  questi  di,  che  pei  vicini 
boschi  passando  la  sorella  mia, 
ferita  da  uno  stuol  de  Saracini 
che  senza  Telmo  la  trovar  per  via, 
fu  di  scorciarsi  astretta  i  lunghi  crini, 
se  sanar  volse  d'una  piaga  ria 
ch'avea  con  gran  periglio  ne  la  testa; 
e  cosi  scorcia  err6  per  la  foresta. 

XXVII 

Errando  giunse  ad  una  ombrosa  fonte; 
e  perche  afHitta  e  stanca  ritrovosse, 
dal  destrier  scese  e  disarm6  la  fronte, 
e  su  le  tenere  erbe  addormentosse. 
Io  non  credo  che  fabula  si  conte, 
che  piu  di  questa  istoria  bella  fosse. 
Fiordispina  di  Spagna  soprarriva, 
che  per  cacciar  nel  bosco  ne  veniva. 


638  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

E  quando  ritrovo  la  mia  sirocchia 
tutta  coperta  d'arme,  eccetto  il  viso, 
ch'avea  la  spada  in  luogo  di  conocchia, 
le  fu  vedere  un  cavalliero  aviso. 
La  faccia  e  le  viril  fattezze  adocchia 
tanto,  che  se  ne  sente  il  cor  conquiso; 
la  invita  a  caccia,  e  tra  Fombrose  fronde 
lunge  dagli  altri  al  fin  seco  s'asconde. 

XXIX 

Poi  che  Tha  seco  in  solitario  loco 
dove  non  teme  d'esser  sopraggiunta, 
con  atti  e  con  parole  a  poco  a  poco 
le  scopre  il  fisso  cuor  di  grave  punta. 
Con  gli  occhi  ardenti  e  coi  sospir  di  fuoco 
le  mostra  Talma  di  disio  consunta. 
Or  si  scolora  in  viso,  or  si  raccende; 
tanto  s'arrischia,  ch'un  bacio  ne  prende. 

xxx 

La  mia  sorella  avea  ben  conosciuto 
che  questa  donna  in  cambio  Tavea  tolta: 
ne  dar  poteale  a  quel  bisogno  aiuto, 
e  si  trovava  in  grande  impaccio  awolta. 
«Gli  e  meglio»  dicea  seco  «s'io  rifiuto 
questa  avuta  di  me  credenza  stolta, 
e  s'io  mi  mostro  ferrxina  gentile, 
che  lasciar  riputarmi  un  uomo  vile. » 

XXXI 

E  dicea  il  ver;  ch'era  viltade  espressa, 
conveniente  a  un  uom  fatto  di  stucco, 
con  cui  si  bella  donna  fosse  messa, 
piena  di  dolce  e  di  nettareo  succo, 
e  tuttavia  stesse  a  parlar  con  essa, 
tenendo  basse  Tale  come  il  cucco. 
Con  modo  accorto  ella  il  parlar  ridusse, 
che  venne  a  dir  come  donzella  fusse; 


CANTO   VENTESIMOQXJINTO  639 

XXXII 

che  gloria,  qual  gia  Ippolita  e  Camilla, 
cerca  ne  Farme;  e  in  Africa  era  nata 
in  lito  al  mar  ne  la  citta  d'Arzilla, 
a  scudo  e  a  lancia  da  fanciulla  usata. 
Per  questo  non  si  smorza  una  scintilla 
del  fuoco  de  la  donna  inamorata. 
Questo  rimedio  alFalta  piaga  e  tardo: 
tant'avea  Amor  cacciato  inanzi  il  dardo. 

XXXIII 

Per  questo  non  le  par  men  bello  il  viso, 
men  bel  lo  sguardo  e  men  belli  i  costumi; 
per  ci6  non  torna  il  cor,  che  gia  diviso 
da  lei  godea  dentro  gli  amati  lumi. 
Vedendola  in  quelFabito,  1'e  aviso 
che  puo  far  che  '1  desir  non.  la  consuml; 
e  quando  ch'ella  e  pur  femina  pensa, 
sospira  e  piange  e  mostra  doglia  'imrnensa. 

xxxiv 

Chi  avesse  il  suo  ramarico  e  '1  suo  pianto 
quel  giorno  udito,  avria  pianto  con  lei. 
«  Quai  tormenti »  dicea  « furon  rnai  tanto 
crudel,  che  phi  non  sian  crudeli  i  miei? 
D'ogn'altro  amore,  o  scelerato  o  santo, 
il  desiato  fin  sperar  potrei; 
saprei  partir  la  rosa  da  le  spine: 
solo  il  mio  desiderio  &  senza  fine! 

xxxv 

Se  pur  volevi,  Amor,  darmi  tormento 
che  t'increscesse  il  mio  felice  stato, 
d'alcun  martir  dovevi  star  contento, 
che  fosse  ancor  negli  altri  amanti  usato. 
Ne  tra  gli  uomini  mai  ne  tra  Tarrneiito, 
che  femina  ami  femina  ho  trovato : 
non  par  la  donna  all'altre  donne  bella, 
ne  a  cervie  cervia,  n<§  all'agnelle  agnella. 


640  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

In  terra,  in  aria,  in  mar,  sola  son  io 
che  patisco  da  te  si  duro  scempio ; 
e  questo  hai  fatto  accio  che  Terror  mio 
sia  ne  Pimperio  tuo  Fultimo  esempio. 
La  moglie  del  re  Nino  ebbe  disio, 
il  figlio  amando,  scelerato  et  empio, 
e  Mirra  il  padre,  e  la  Cretense  il  toro: 
ma  gli  e  phi  folle  il  mio,  ch'alcun  dei  loro. 

XXXVII 

La  femina  nel  maschio  fe'  disegno, 
speronne  il  fine,  et  ebbelo,  come  odo: 
Pasife  ne  la  vacca  entro  del  legno, 
altre  per  altri  mezzi  e  vario  modo. 
Ma  se  volasse  a  me  con  ogni  ingegno 
Dedalo,  non  potria  scioglier  quel  nodo 
che  fece  il  mastro  troppo  diligente, 
Natura  d'ogni  cosa  piu  possente. » 

XXXVIII 

Cosi  si  duole  e  si  consuma  et  ange 
la  bella  donna,  e  non  s'accheta  in  fretta. 
Talor  si  batte  il  viso  e  il  capel  frange, 
e  di  se  contra  se  cerca  vendetta. 
La  mia  sorella  per  pieta  ne  piange, 
et  e  a  sentir  di  quel  dolor  constretta. 
Del  folle  e  van  disio  si  studia  trarla; 
ma  non  fa  alcun  profitto,  e  invano  parla. 

XXXIX 

Ella  ch'aiuto  cerca  e  non  conforto, 
sempre  piu  si  lamenta  e  piu  si  duole. 
Era  del  giorno  il  t ermine  ormai  corto, 
che  rosseggiava  in  occidente  il  sole, 
ora  oportuna  da  ritrarsi  in  porto 
a  chi  la  notte  al  bosco  star  non  vuole: 
quando  la  donna  invit6  Bradamante 
a  questa  terra  sua  poco  distante. 


CANTO    VENTESIMOQUINTO  641 

XL 

Non  le  seppe  negar  la  mia  sorella: 

e  cosi  insieme  ne  vennero  al  loco, 

dove  la  turba  scelerata  e  fella 

posto  m'avria,  se  tu  non  v'eri,  al  fuoco. 

Fece  la  dentro  Fiordispina  bella 

la  mia  sirocchia  accarezzar  non  poco: 

e  rivestita  di  feminil  gonna, 

conoscer  fej  a  ciascun  ch'ella  era  donna. 

XLI 

Pero  che  conoscendo  che  nessuno 
util  traea  da  quel  virile  aspetto, 
non  le  parve  anco  di  voler  ch'alcuno 
biasmo  di  se  per  questo  fosse  detto: 
fello  anco,  accio  che  '1  mal  ch'avea  da  1'uno 
virile  abito  errando  gia  concetto, 
ora  con  Taltro,  discoprendo  il  vero, 
provassi  di  cacciar  fuor  del  pensiero. 

XLII 

Commune  il  letto  ebbon  la  notte  insieme, 
ma  molto  differente  ebbon  riposo; 
che  1'una  dorme,  e  Paltra  piange  e  geme 
che  sempre  il  suo  desir  sia  piu  focoso. 
E  se  '1  sonno  talor  gli  occhi  le  preme, 
quel  breve  sonno  e  tutto  imaginoso: 
le  par  veder  che  Jl  ciel  Tabbia  concesso 
Bradamante  cangiata  in  miglior  sesso. 

XLI  1 1 

Come  Tinfermo  acceso  di  gran  sete, 
s'in  quella  ingorda  voglia  s'addormenta, 
ne  Pinterrotta  e  turbida  quiete, 
d'ogn'acqua  che  mai  vide  si  ramenta; 
cosi  a  costei  di  far  sue  voglie  liete 
Timagine  del  sonno  rappresenta. 
Si  desta;  e  nel  destar  mette  la  mano, 
e  ritrova  pur  sempre  il  sogno  vano. 


642  ORLANDO    FURIOSO 

XLIV 

Quanti  prieghi  la  notte,  quanti  voti, 
ofFerse  al  suo  Macone  e  a  tutti  i  dei, 
che  con  miracoli  apparent!  e  noti 
mutassero  in  miglior  sesso  costei! 
ma  tutti  vede  andar  d'effetto  voti, 
e  forse  ancora  il  ciel  ridea  di  lei. 
Passa  la  notte;  e  Febo  il  capo  biondo 
traea  del  mare,  e  dava  luce  al  mondo. 

XLV 

Poi  che  '1  di  venne  e  che  lasciaro  il  letto, 
a  Fiordispina  s'augumenta  doglia; 
che  Bradamante  ha  del  partir  gia  detto, 
ch'uscir  di  questo  impaccio  avea  gran  voglia. 
La  gentil  donna  un  ottimo  ginetto 
in  don  da  lei  vuol  che  partendo  toglia, 
guernito  d'oro,  et  una  sopravesta 
che  riccamente  ha  di  sua  man  contesta. 

XLVI 

Accompagnolla  un  pezzo  Fiordispina, 
poi  fe*  piangendo  al  suo  castel  ritorno. 
La  mia  sorella  si  ratto  camina, 
che  venne  a  Montalbano  anco  quel  giorno. 
Noi  suoi  fratelli  e  la  madre  meschina 
tutti  le  siamo  festeggiando  intorno; 
che  di  lei  non  sentendo,  avuto  forte 
dubbio  e  tema  avevan  de  la  sua  morte. 

XL  VII 

Mirammo  (al  trar  de  Pelmo)  al  mozzo  crine, 

ch'intorno  al  capo  prima  s'avolgea; 

cosi  le  sopraveste  peregrine 

ne  fer  maravigliar,  ch'indosso  avea. 

Et  elk  il  tutto  dal  principio  al  fine 

narronne,  come  dianzi  io  vi  dicea: 

come  ferita  fosse  al  bosco,  e  come 

lasciasse,  per  guarir,  le  belle  chiome; 


CANTO    VENTESIMOQUINTO  643 

XLVIII 

e  come  poi  dormendo  in  ripa  alPacque, 
la  bella  cacciatrice  sopragiunse, 
a  cui  la  falsa  sua  sembianza  piacque; 
e  come  da  la  schiera  la  disgiunse. 
Del  lamento  di  lei  poi  nulla  tacque, 
che  di  pietade  I'anima  ci  punse; 
e  come  alloggio  seco,  e  tutto  quello 
che  fece  fin  che  ritorn6  al  castello. 

XLIX 

Di  Fiordispina  gran  notizia  ebb'io, 
ch'in  Siragozza  e  gia  la  vidi  in  Francia; 
e  piacquer  molto  alFappetito  mio 
i  suoi  begli  occhi  e  la  polita  guancia: 
ma  non  lasciai  fermarvisi  il  disio, 
che  Pamar  senza  speme  e  sogno  e  ciancia. 
Or  quando  in  tal  ampiezza  mi  si  porge, 
Pantiqua  fiamma  subito  risorge. 

L 

Di  questa  speme  Amore  ordisce  i  nodi; 
che  d'altre  fila  ordir  non  li  potea: 
onde  mi  piglia,  e  mostra  insieme  i  modi 
che  da  la  donna  avrei  quel  ch'io  chiedea. 
A  succeder  saran  facil  le  frodi; 
che  come  spesso  altri  ingannato  avea 
la  simiglianza  c'ho  di  mia  sorella, 
forse  anco  ingannera  questa  donzella. 

LI 

Faccio  o  nol  faccio?  Al  fin  mi  par  che  buono 

sempre  cercar  quel  che  diletti  sia. 

Del  mio  pensier  con  altri  non  ragiono, 

n6  voj  ch'in  ci6  consiglio  altri  mi  dia. 

lo  vo  la  notte  ove  quelFarme  sono 

che  s'avea  tratte  la  sorella  mia: 

tolgole,  e  col  destrier  suo  via  camino; 

ne  sto  aspettar  che  luca  il  matutino. 


644  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

lo  me  ne  vo  la  notte  (Amore  e  duce) 
a  ritrovar  la  bella  Fiordispina; 
e  v'arrivai  che  non  era  la  luce 
del  sole  ascosa  ancor  ne  la  marina. 
Beato  e  chi  correndo  si  conduce 
prima  degli  altri  a  dirlo  alia  regina, 
da  lei  sperando  per  1'annunzio  buono 
acquistar  grazia  e  riportarne  dono. 

LIII 

Tutti  m'aveano  tolto  cosi  in  fallo, 
com'hai  tu  fatto  ancor,  per  Bradamante; 
tanto  piu  che  le  vesti  ebbi  e  '1  cavallo 
con  che  partita  era  ella  il  giorno  inante. 
Vien  Fiordispina  di  poco  intervallo 
con  feste  incontra  e  con  carezze  tante, 
e  con  si  allegro  viso  e  si  giocondo, 
che  piu  gioia  mostrar  non  potria  al  mondo. 

LIV 

Le  belle  braccia  al  collo  indi  mi  getta, 
e  dolcemente  stringe,  e  bacia  in  bocca. 
Tu  puoi  pensar  s'allora  la  saetta 
dirizzi  Amor,  s'in  mezzo  il  cor  mi  tocca. 
Per  man  mi  piglia,  e  in  camera  con  fretta 
mi  mena;  e  non  ad  altri  ch'a  lei  tocca 
che  da  Felmo  allo  spron  Parme  mi  slacci; 
e  nessun  altro  vuol  che  se  n'impacci. 

LV 

Poi  fattasi  arrecare  una  sua  veste 
adorna  e  ricca,  di  sua  man  la  spiega, 
e  come  io  fossi  femina  mi  veste, 
e  in  reticella  d'oro  il  crin  mi  lega. 
Io  muovo  gli  occhi  con  maniere  oneste, 
ne  ch'io  sia  donna  alcun  mio  gesto  niega. 
La  voce  ch'accusar  mi  potea  forse, 
si  ben  usai,  ch'alcun  non  se  n'accorse. 


CANTO    VENTESIMOQUINTO  645 

LVI 

Uscimmo  poi  la  dove  erano  molte 
persone  in  sala,  e  cavallieri  e  donne, 
dai  quali  fummo  con  1'onor  raccolte, 
ch'alle  regine  fassi  e  gran  madonne. 
Quivi  d'alcuni  mi  risi  io  piu  volte, 
che  non  sappiendo  cio  che  sotto  gonne 
si  nascondesse  valido  e  gagliardo, 
mi  vagheggiavan  con  lascivo  sguardo. 

LVII 

Poi  che  si  fece  la  notte  piu  grande, 
e  gia  un  pezzo  la  mensa  era  levata, 
la  mensa  che  fu  d'ottime  vivande, 
secondo  la  stagione,  apparecchiata; 
non  aspetta  la  donna  ch'io  domande 
quel  che  m'era  cagion  del  venir  stata: 
ella  m'invita,  per  sua  cortesia, 
che  quella  notte  a  giacer  seco  io  stia, 

LVIII 

Poi  che  donne  e  donzelle  ormai  levate 
si  furo,  e  paggi  e  camerieri  intorno, 
essendo  ambe  nel  letto  dispogliate, 
coi  torchi  accesi  che  parea  di  giorno, 
io  cominciai:  «Non  vi  maravigliate, 
madonna,  se  si  tosto  a  voi  ritorno; 
che  forse  v'andavate  imaginando 
di  non  mi  riveder  fin  Dio  sa  quando. 

LIX 

Dir6  prima  la  causa  del  partire, 
poi  del  ritorno  Tudirete  ancora. 
Se  '1  vostro  ardor,  madonna,  intiepidire 
potuto  avessi  col  mio  far  dimora, 
vivere  in  vostro  servizio  e  morire 
voluto  avrei,  ne"  starne  senza  un'ora; 
ma  visto  quanto  il  mio  star  vi  nocessi, 
per  non  poter  far  meglio,  andare  elessi. 


646  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

Fortuna  mi  tiro  fuor  del  camino 
in  mezzo  un  bosco  d'intricati  rami, 
dove  odo  un  grido  risonar  vicino, 
come  di  donna  che  soccorso  chiami. 
Vaccorro,  e  sopra  un  lago  cristallino 
ritrovo  un  fauno  ch'avea  preso  agli  ami 
in  mezzo  1'acqua  una  donzella  nuda, 
e  mangiarsi,  il  crudel,  la  volea  cruda. 

LXI 

Cola  mi  trassi,  e  con  la  spada  in  mano 
(perch5 aiutar  non  la  potea  altrimente) 
tolsi  di  vita  il  pescator  villano : 
ella  salto  ne  Pacqua  immantinente. 
"Non  m'avrai"  disse  "dato  aiuto  invano: 
ben  ne  sarai  premiato  e  riccamente 
quanto  chieder  saprai,  perche  son  ninfa 
che  vivo  dentro  a  questa  chiara  linfa; 

LXII 

et  ho  possanza  far  cose  stupende, 
e  sforzar  gli  element!  e  la  natura. 
Chiedi  tu,  quanto  il  mio  valor  s'estende, 
poi  lascia  a  me  di  satisfarti  cura. 
Dal  ciel  la  luna  al  mio  cantar  discende, 
s'agghiaccia  il  fuoco,  e  Taria  si  fa  dura; 
et  ho  talor  con  semplici  parole 
mossa  la  terra,  et  ho  fermato  il  sole." 

LXIII 

Non  le  domando  a  questa  offerta  unire 
tesor,  ne  dominar  populi  e  terre, 
ne  in  piu  virtu  ne  in  piu  vigor  salire, 
ne  vincer  con  onor  tutte  le  guerre; 
ma  sol  che  qualche  via  donde  il  desire 
vostro  s'adempia,  mi  schiuda  e  disserre: 
ne  piu  le  domando  un  ch'un  altro  effetto, 
ma  tutta  al  suo  giudicio  mi  rimetto. 


CANTO    VENTESIMOQUINTO  647 

LXIV 

Ebbile  a  pena  mia  domanda  esposta, 
ch'un'altra  volta  la  vidi  attuffata; 
ne  fece  al  mio  parlare  altra  risposta, 
che  di  spruzzar  ver  me  Facqua  incantata: 
la  qual  non  prima  al  viso  mi  s'accosta, 
ch'io  (non  so  come)  son  tutta  mutata. 
lo  '1  veggo,  io  '1  sento,  e  a  pena  vero  parmi: 
sento  in  maschio  di  femina  mutarmi. 

LXV 

E  se  non  fosse  che  senza  dimora 
vi  potete  chiarir,  nol  credereste : 
e  qual  nell'altro  sesso,  in  questo  ancora 
ho  le  mie  voglie  ad  ubbidirvi  preste. 
Commandate  lor  pur,  che  fieno  or  ora 
e  sempremai  per  voi  vigile  e  deste.» 
Cosi  le  dissi;  e  feci  ch'ella  istessa 
trov6  con  man  la  veritade  espressa. 

LXVI 

Come  interviene  a  chi  gia  fuor  di  speme 
di  cosa  sia  che  nel  pensier  molt'abbia, 
che  mentre  piu  d'esserne  privo  geme, 
piu  se  n'afflige  e  se  ne  strugge  e  arrabbia; 
se  ben  la  trova  poi,  tanto  gli  preme 
Paver  gran  tempo  seminato  in  sabbia, 
e  la  disperazion  Pha  si  male  uso, 
che  non  crede  a  se  stesso,  e  sta  confuso: 

LXVII 

cosi  la  donna,  poi  che  tocca  e  vede 
quel  di  ch'avuto  avea  tanto  desire, 
agli  occhi,  al  tatto,  a  se  stessa  non  crede, 
e  sta  dubbiosa  ancor  di  non  dormire; 
e  buona  prova  bisogn6  a  far  fede 
che  sentia  quel  che  le  parea  sentire. 
«Fa,  Dio,)>  disse  ella  ccse  son  sogni  questi, 
ch'io  dorma  sempre,  e  mai  piu  non  mi  desti. » 


648  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

Non  rumor  di  tamburi  o  suon  di  trombe 
furon  principio  all' amoroso  assalto, 
ma  baci  ch'imitavan  le  colombe, 
davan  segno  or  di  gire,  or  di  fare  alto. 
Usammo  altr'arme  che  saette  o  frombe. 
lo  senza  scale  in  su  la  rocca  salto 
e  lo  stendardo  piantovi  di  botto, 
e  la  nimica  mia  mi  caccio  sotto. 

LXIX 

Se  fu  quel  letto  la  notte  dinanti 

pien  di  sospiri  e  di  querele  gravi, 

non  stette  1'altra  poi  senza  altretanti 

risi,  feste,  gioir,  giochi  soavi. 

Non  con  piu  nodi  i  flessuosi  acanti 

le  colonne  circondano  e  le  travi, 

di  quelli  con  che  noi  legammo  stretti 

e  colli  e  fianchi  e  braccia  e  gambe  e  petti. 

LXX 

La  cosa  stava  tacita  fra  noi, 
si  che  duro  il  piacer  per  alcun  mese: 
pur  si  trovo  chi  se  n'accorse  poi, 
tanto  che  con  mio  danno  il  re  lo  'ntese. 
Voi  che  mi  liberaste  da  quei  suoi 
che  ne  la  piazza  avean  le  fiamme  accese, 
comprendere  oggimai  potete  il  resto; 
ma  Dio  sa  ben  con  che  dolor  ne  resto.  — 

LXXI 

Cosi  a  Ruggier  narrava  Ricciardetto, 
e  la  notturna  via  facea  men  grave, 
salendo  tuttavia  verso  un  poggietto 
cinto  di  ripe  e  di  pendici  cave. 
Un  erto  calle  e  pien  di  sassi  e  stretto 
apria  il  camin  con  faticosa  chiave. 
Sedea  al  sommo  un  castel  detto  Agrismonte, 
ch'ave'  in  guardia  Aldigier  di  Chiaramonte. 


CANTO    VENTESIMOQUINTO  649 

LXXII 

Di  Buovo  era  costui  figliuol  bastardo, 
fratel  di  Malagigi  e  di  Viviano: 
chi  legitimo  dice  di  Gherardo, 
e  testimonio  temerario  e  vano. 
Fosse  come  si  voglia,  era  gagliardo, 
prudente,  liberal,  cortese,  umano; 
e  facea  quivi  le  fraterne  mura 
la  notte  e  il  di  guardar  con  buona  cura. 

LXXIII 

Raccolse  il  cavallier  cortesemente, 
come  dovea,  il  cugin  suo  Ricciardetto, 
ch'amo  come  fratello;  e  parimente 
fu  ben  visto  Ruggier  per  suo  rispetto. 
Ma  non  gli  usci  gia  incontra  allegramente, 
come  era  usato,  anzi  con  tristo  aspetto, 
perch'uno  aviso  il  giorno  avuto  avea, 
che  nel  viso  e  nel  cor  mesto  il  facea. 

LXXIV 

A  Ricciardetto  in  cambio  di  saluto 
disse: —  Fratello,  abbian  nuova  non  buona. 
Per  certissimo  messo  oggi  ho  saputo 
che  Bertolagi  iniquo  di  Baiona 
con  Lanfusa  crudel  s'e  convenuto, 
che  preziose  spoglie  esso  a  lei  dona, 
et  essa  a  lui  pon  nostri  frati  in  mano, 
il  tuo  bon  Malagigi  e  il  tuo  Viviano. 

LXXV 

Ella  dal  di  che  Ferrau  li  prese, 

gli  ha  ognor  tenuti  in  loco  oscuro  e  fello, 

fin  che  '1  brutto  contratto  e  discortese 

n'ha  fatto  con  costui  di  ch'io  favello. 

Gli  des  mandar  domane  al  Maganzese 

nei  confin  tra  Baiona  e  un  suo  castello. 

Verra  in  persona  egli  a  pagar  la  mancia 

che  compra  il  miglior  sangue  che  sia  in  Francia. 


650  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Rinaldo  nostro  n'ho  avisato  or  ora, 
et  ho  cacciato  il  messo  di  galoppo; 
ma  non  mi  par  ch'arrivar  possa  ad  ora 
che  non  sia  tarda,  che  '1  camino  e  troppo. 
lo  non  ho  meco  gente  da  uscir  fuora: 
1'animo  e  pronto,  ma  il  potere  e  zoppo. 
Se  gli  ha  quel  traditor,  li  fa  morire: 
si  che  non  so  che  far,  non  so  che  dire.  — 

LXXVII 

La  dura  nuova  a  Ricciardetto  spiace; 
e  perche  spiace  a  lui,  spiace  a  Ruggiero, 
che  poi  che  questo  e  quel  vede  che  tace, 
ne  tra'  profitto  alcun  del  suo  pensiero, 
disse  con  grande  ardir: —  Datevi  pace: 
sopra  me  quest'impresa  tutta  chero; 
e  questa  mia  varra  per  mille  spade 
a  riporvi  i  fratelli  in  libertade. 

LXXVIII 

lo  non  voglio  altra  gente,  altri  sussidi, 
ch'io  credo  bastar  solo  a  questo  fatto; 
io  vi  domando  solo  un  che  mi  guidi 
al  luogo  ove  si  dee  fare  il  baratto. 
Io  vi  far6  sin  qui  sentire  i  gridi 
di  chi  sara  presente  al  rio  contratto.  — 
Cosi  dicea;  ne  dicea  cosa  nuova 
all'un  dej  dui,  che  n'avea  visto  pruova. 

LXXIX 

L'altro  non  1'ascoltava,  se  non  quanto 
s'ascolti  un  ch'assai  parli  e  sappia  poco: 
ma  Ricciardetto  gli  narro  da  canto 
come  fu  per  costui  tratto  del  fuoco; 
e  ch'era  certo  che  maggior  del  vanto 
faria  veder  1'erTetto  a  tempo  e  a  loco. 
Gli  diede  allor  udienza  piu  che  prima, 
e  riverillo,  e  fe'  di  lui  gran  stima. 


CANTO    VENTESIMOQUINTO  651 

LXXX 

Et  alia  mensa,  ove  la  Copia  fuse 
il  corno,  Tonor6  come  suo  donno. 
Quivi  senz'altro  aiuto  si  concluse 
che  liberare  i  duo  fratelli  ponno. 
Intanto  sopravenne  e  gli  occhi  chiuse 
ai  signori  e  ai  sergenti  il  pigro  Sonno, 
fuor  ch'a  Ruggier;  che  per  tenerlo  desto 
gli  punge  il  cor  sempre  un  pensier  molesto. 

LXXXI 

L'assedio  d'Agramante  ch'avea  il  giorno 
udito  dal  corrier,  gli  sta  nel  core. 
Ben  vede  ch'ogni  minimo  soggiorno 
che  faccia  d'aiutarlo,  e  suo  disnore. 
Quanta  gli  sara  infamia,  quanto  scorno, 
se  coi  nemici  va  del  suo  signore! 
Oh  come  a  gran  viltade,  a  gran  delitto, 
battezzandosi  alor,  gli  sara  ascritto! 

LXXXII 

Potria  in  ogn'altro  tempo  esser  creduto 
che  vera  religion  Pavesse  mosso; 
ma  ora  che  bisogna  col  suo  aiuto 
Agramante  d'assedio  esser  riscosso, 
piu  tosto  da  ciascun  sara  tenuto 
che  timore  e  vilta  1'abbia  percosso, 
ch'alcuna  opinion  di  miglior  fede: 
questo  il  cor  di  Ruggier  stimula  e  fiede. 

LXXXIII 

Che  s'abbia  da  partire  anco  lo  punge 

senza  licenzia  de  la  sua  regina. 

Quando  questo  pensier,  quando  quel  giunge, 

che  '1  dubio  cor  diversamente  inchina. 

Gli  era  F  aviso  riuscito  lunge 

di  trovarla  al  castel  di  Fiordispina, 

dove  insieme  dovean,  come  ho  gia  detto, 

in  soccorso  venir  di  Ricciardetto. 


652  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXIV 

Poi  gli  sovien  ch'egli  le  avea  promesso 
di  seco  a  Vallombrosa  ritrovarsi. 
Pensa  ch'andar  v'abbi  ella,  e  quivi  d'esso 
che  non  vi  trovi  poi,  maravigliarsi. 
Potesse  almen  mandar  lettera  o  messo, 
si  ch'ella  non  avesse  a  lamentarsi 
che,  oltre  ch'egli  mal  le  avea  ubbidito, 
senza  far  motto  ancor  fosse  partito. 

LXXXV 

Poi  che  piu  cose  imaginate  s'ebbe, 
pensa  scriverle  al  fin  quanto  gli  accada; 
e  ben  ch'egli  non  sappia  come  debbe 
la  lettera  inviar,  si  che  ben  vada, 
non  per6  vuol  restar;  che  ben  potrebbe 
alcun  messo  fedel  trovar  per  strada. 
Piu  non  s'indugia,  e  salta  de  le  piume: 
si  fa  dar  carta,  inchiostro,  penna  e  lume. 

LXXXVI 

I  camarier  discreti  et  aveduti 
arrecano  a  Ruggier  cio  che  commanda. 
Egli  comincia  a  scrivere,  e  i  saluti 
(come  si  suol)  nei  primi  versi  manda: 
poi  narra  degli  avisi  che  venuti 
son  dal  suo  re,  ch'aiuto  gli  domanda; 
e  se  Pandata  sua  non  e  ben  presta, 
o  morto  o  in  man  degli  nimici  resta. 

LXXXVII 

Poi  seguita,  ch'essendo  a  tal  partito, 
e  ch'a  lui  per  aiuto  si  volgea, 
vedesse  ella  che  '1  biasmo  era  infinite 
s'a  quel  punto  negar  gli  lo  volea; 
e  ch'esso,  a  lei  dovendo  esser  marito, 
guardarsi  da  ogni  macchia  si  dovea; 
che  non  si  convenia  con  lei,  che  tutta 
era  sincera,  alcuna  cosa  brutta. 


CANTO    VENTESIMOQUINTO  653 

LXXXVIII 

E  se  mai  per  adietro  un  nome  chiaro, 
ben  oprando,  cerco  di  guadagnarsi; 
e  guadagnato  poi,  se  avuto  caro, 
se  cercato  1'avea  di  conservarsi; 
or  lo  cercava,  e  n'era  fatto  avaro, 
poi  che  dovea  con  lei  participarsi, 
la  qual  sua  moglie,  e  totalmente  in  dui 
corpi  esser  dovea  un'anima  con  lui. 

LXXXIX 

E  si  come  gia  a  bocca  le  avea  detto, 
le  ridicea  per  questa  carta  ancora: 
finito  il  tempo  in  che  per  fede  astretto 
era  al  suo  re,  quando  non  prima  muora, 
che  si  fara  cristian  cosi  d'effetto, 
come  di  buon  voler  stato  era  ogni  ora; 
e  ch'al  padre  e  a  Rinaldo  e  agli  altri  suoi 
per  moglie  domandar  la  fara  poi. 

xc 

(c  Voglio, »  le  soggiungea  «  quando  vi  piaccia, 
1'assedio  al  mio  signor  levar  d'intorno, 
accio  che  1'ignorante  vulgo  taccia, 
il  qual  direbbe,  a  mia  vergogna  e  scorno : 
*  'Ruggier,  mentre  Agramante  ebbe  bonaccia, 
mai  non  1'abandono  notte  ne  giorno; 
or  che  Fortuna  per  Carlo  si  piega, 
egli  col  vincitor  Finsegna  spiega." 

xci 

Voglio  quindici  di  t ermine  o  venti, 
tanto  che  comparir  possa  una  volta, 
si  che  degli  africani  alloggiamenti 
la  grave  ossedion  per  me  sia  tolta. 
Intanto  cercher6  convenienti 
cagioni,  e  che  sian  giuste,  di  dar  volta. 
lo  vi  domando  per  mio  onor  sol  questo: 
tutto  poi  vostro  e  di  mia  vita  il  resto. » 


654  ORLANDO   FURIOSO 

XCII 

In  simili  parole  si  diffuse 

Ruggier,  che  tutte  non  so  dirvi  a  pieno ; 

e  segui  con  molt'altre,  e  non  concluse 

fin  che  non  vide  tutto  il  foglio  pieno; 

e  poi  piego  la  lettera  e  la  chiuse, 

e  suggellata  se  la  pose  in  seno, 

con  speme  che  gli  occorra  il  di  seguente 

chi  alia  donna  la  dia  secretamente. 

XCIII 

Chiusa  ch'ebbe  la  lettera,  chiuse  anco 

gli  occhi  sul  letto,  e  ritrovc-  quiete; 

che  '1  Sonno  venne,  e  sparse  il  corpo  stanco 

col  ramo  intinto  nel  liquor  di  Lete:- 

e  pos6  fin  ch'un  nembo  rosso  e  bianco 

di  fiori  sparse  le  contrade  liete 

del  lucido  oriente  d'ogn'intorno, 

et  indi  usci  de  1'aureo  albergo  il  giorno. 

xciv 

E  poi  ch'a  salutar  la  nuova  luce 
pei  verdi  rarai  incominciar  gli  augelli, 
Aldigier  che  voleva  essere  il  duce 
di  Ruggiero  e  de  Taltro,  e  guidar  quelli 
ove  faccin  che  dati  in  mano  al  truce 
Bertolagi  non  siano  i  duo  fratelli, 
fu  71  primo  in  piede;  e  quando  sentir  lui, 
del  letto  usciro  anco  quegli  altri  dui. 

xcv 

Poi  che  vestiti  furo  e  bene  armati, 
coi  duo  cugin  Ruggier  si  mette  in  via, 
gia  molto  indarno  avendoli  pregati 
che  questa  impresa  a  lui  tutta  si  dia; 
ma  essi,  pel  desir  c'han  de'  lor  frati, 
e  perch6  lor  parea  discortesia, 
steron  negando  piu  duri  che  sassi, 
ne  consentiron  mai  che  solo  andassi. 


CANTO   VENTESIMOQUINTO  655 

XCVI 

Giunsero  al  loco  il  di  che  si  dovea 

Malagigi  mutar  nei  carriaggi. 

Era  un'ampla  campagna  che  giacea 

tutta  scoperta  agli  apollinei  raggi. 

Quivi  ne  allot  ne  mirto  si  vedea, 

ne  cipressi  ne  frassini  ne  faggi, 

ma  nuda  ghiara,  e  qualche  umil  virgulto 

non  mai  da  marra  o  mai  da  vomer  culto. 

xcvu 

I  tre  guerrieri  arditi  si  fermaro 
dove  un  sentier  fendea  quella  pianura; 
e  giunger  quivi  un  cavallier  miraro 
ch'avea  d'oro  fregiata  Farmatura, 
e  per  insegna  in  campo  verde  il  raro 
e  bello  augel  che  piu  d'un  secol  dura. 
Signer,  non  piu,  che  giunto  al  fin  mi  veggio 
di  questo  canto,  e  riposarmi  chieggio. 


656  ORLANDO    FURIOSO 


CANTO   VENTESIMOSESTO 


I 

Cortesi  donne  ebbe  1'antiqua  etade, 
che  le  virtu,  non  le  ricchezze,  amaro: 
al  tempo  nostro  si  ritrovan  rade 
a  cui  piu  del  guadagno  altro  sia  caro. 
Ma  quelle  che  per  lor  vera  bontade 
non  seguon  de  le  piu  lo  stile  avaro, 
vivendo  degne  son  d'esser  contente; 
gloriose  e  immortal  poi  che  fian  spente. 

II 

Degna  d'eterna  laude  e  Bradamante, 
che  non  amo  tesor,  non  am6  impero, 
ma  la  virtu,  ma  l'animo  prestante, 
ma  Talta  gentilezza  di  Ruggiero; 
e  merito  che  ben  le  fosse  amante 
un  cosi  valoroso  cavalliero, 
e  per  piacere  a  lei  facesse  cose 
nei  secoli  avenir  miracolose. 

in 

Ruggier,  come  di  sopra  vi  fu  detto, 
coi  duo  di  Chiaramonte  era  venuto, 
dico  con  Aldigier,  con  Ricciardetto, 
per  dare  ai  duo  fratei  prigioni  aiuto. 
Vi  dissi  ancor  che  di  superbo  aspetto 
venire  un  cavalliero  avean  veduto, 
che  portava  Paugel  che  si  rinuova, 
e  sempre  unico  al  mondo  si  ritrova. 


CANTO   VENTESIMOSESTO  657 

IV 

Come  di  questi  il  cavalier  s'accorse, 
che  stavan  per  ferir  quivi  su  1'ale, 
in  prova  disegn6  di  voler  porse, 
s'alla  sembianza  avean  virtude  uguale. 

—  £  di  voi  —  disse  loro  —  alcuno  forse 
che  provar  voglia  chi  di  noi  piu  vale 

a'  colpi  o  de  la  lancia  o  de  la  spada, 
fin  che  Tun  resti  in  sella  e  Faltro  cada? 

v 

—  Farei  —  disse  Aldigier  —  teco,  o  volessi 
menar  la  spada  a  cerco,  o  correr  Pasta; 
ma  un'altra  impresa,  che  se  qui  tu  stessi 
veder  potresti,  questa  in  modo  guasta, 
ch'a  parlar  teco,  non  che  ci  traessi 

a  correr  giostra,  a  pena  tempo  basta: 
seicento  uomini  al  varco,  o  piu,  attendiamo, 
coi  qua'  d'oggi  provarci  obligo  abbiamo. 

VI 

Per  tor  lor  duo  de'  nostri  che  prigioni 
quinci  trarran,  pietade  e  amor  n'ha  mosso.  — 
E  seguit6  narrando  le  cagioni 
che  li  fece  venir  con  1'arme  indosso. 

—  Si  giusta  e  questa  escusa  che  m'opponi,  — 
disse  il  guerrier  —  che  contradir  non  posso; 
e  fo  certo  giudicio  che  voi  siate 

tre  cavallier  che  pochi  pari  abbiate. 

VII 

lo  chiedea  un  colpo  o  dui  con  voi  scontrarme, 

per  veder  quanto  fosse  il  valor  vostro; 

ma  quando  all'altrui  spese  dimostrarme 

lo  vogliate,  mi  basta,  e  piu  non  giostro. 

Vi  priego  ben,  che  por  con  le  vostr'arme 

^uest'elmo  io  possa  e  questo  scudo  nostro; 

e  spero  dimostrar,  se  con  voi  vegno, 

che  di  tal  compagnia  non  sono  indegno.  — 


658  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Parmi  veder  ch'alcun  saper  desia 
il  nome  di  costui,  che  quivi  giunto 
a  Ruggiero  e  a'  compagni  si  offeria 
compagno  d'arme  al  periglioso  punto. 
Costei  (non  piu  costui  detto  vi  sia) 
era  Marfisa  che  diede  Passunto 
al  misero  Zerbin  de  la  ribalda 
vecchia  Gabrina  ad  ogni  mal  si  calda. 

IX 

I  duo  di  Chiaramonte  e  il  buon  Ruggiero 
Paccettar  volentier  ne  la  lor  schiera, 
ch'esser  credeano  certo  un  cavalliero, 
e  non  donzella,  e  non  quella  ch'ella  era. 
Non  molto  dopo  scoperse  Aldigiero 
e  veder  fe'  ai  compagni  una  bandiera 
che  facea  Paura  tremolare  in  volta, 
e  molta  gente  intorno  avea  raccolta. 


E  poi  che  piu  lor  fur  fatti  vicini, 
e  che  meglio  notar  Pabito  moro, 
conobbero  che  gli  eran  Saracini, 
e  videro  i  prigioni  in  mezzo  a  loro 
legati  e  tratti  su  piccol  ronzini 
aj  Maganzesi,  per  cambiarli  in  oro. 
Disse  Marfisa  agli  altri :  —  Ora  che  resta, 
poi  che  son  qui,  di  cominciar  la  festa?  — 

XI 

Ruggier  rispose :  —  GPinvitati  ancora 
non  ci  son  tutti,  e  manca  una  gran  parte. 
Gran  ballo  s'apparecchia  di  fare  ora; 
e  perche  sia  solenne,  usiamo  ogn'arte: 
ma  far  non  ponno  omai  lunga  dimora.  — 
Cosi  dicendo,  veggono  in  disparte 
venire  i  traditori  di  Maganza: 
si  ch'eran  presso  a  cominciar  la  danza. 


CANTO   VENTESIMOSESTO  659 

XII 

Giungean  da  1'una  parte  i  Maganzesi, 
e  conducean  con  loro  i  muli  carchi 
d'oro  e  di  vesti  e  d'altri  ricchi  arnesi; 
da  1'altra  in  mezzo  a  lance,  spade  et  archi, 
venian  dolenti  i  duo  germani  presi, 
che  si  vedeano  essere  attesi  ai  varchi: 
e  Bertolagi,  empio  inimico  loro, 
udian  parlar  col  capitano  Moro. 

XIII 

Ne  di  Buovo  il  figliuol  ne  quel  d'Amone, 
veduto  il  Maganzese,  indugiar  puote: 
la  lancia  in  resta  Tuno  e  1'altro  pone, 
e  Puno  e  Taltro  il  traditor  percuote. 
L'un  gli  passa  la  pancia  e  '1  primo  arcione, 
e  1'altro  il  viso  per  mezzo  le  gote. 
Cosi  n'andasser  pur  tutti  i  malvagi, 
come  a  quei  colpi  n'and6  Bertolagi. 

XIV 

Marfisa  con  Ruggiero  a  questo  segno 
si  muove,  e  non  aspetta  altra  trombetta; 
n6  prima  rompe  1'arrestato  legno, 
che  tre  Tun  dopo  1'altro  in  terra  getta. 
De  1'asta  di  Ruggier  fu  il  pagan  degno, 
che  guid6  gli  altri,  e  usci  di  vita  in  fretta; 
e  per  quellst  medesima  con  lui 
uno  et  un  altro  and6  nei  regni  bui. 

xv 

Di  qui  nacque  un  error  tra  gli  assaliti, 
che  lor  caus6  lor  ultima  ruina. 
Da  un  lato  i  Maganzesi  esser  traditi 
credeansi  da  la  squadra  saracina; 
da  1'altro  i  Mori  in  tal  modo  feriti, 
1'altra  schiera  chiamavano  assassina: 
e  tra  lor  cominciar  con  fiera  clade 
a  tirare  archi  e  a  menar  lancie  e  spade. 


660  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

Salta  ora  in  questa  squadra  et  ora  in  quella 
Ruggiero,  e  via  ne  toglie  or  dieci  or  venti: 
altritanti  per  man  de  la  donzella 
di  qua  e  di  la  ne  son  scemati  e  spenti. 
Tanti  si  veggon  gir  morti  di  sella, 
quanti  ne  toccan  le  spade  taglienti, 
a  cui  dan  gli  elmi  e  le  corazze  loco, 
come  nel  bosco  i  secchi  legni  al  fuoco. 

XVII 

Se  mai  d'aver  veduto  vi  raccorda, 
o  rapportato  v'ha  fama  aU'orecchie, 
come  allor  che  '1  collegio  si  discorda, 
e  vansi  in  aria  a  far  guerra  le  pecchie, 
entri  fra  lor  la  rondinella  ingorda, 
e  mangi  e  uccida  e  guastine  parecchie ; 
dovete  imaginar  che  similmente 
Ruggier  fosse  e  Marfisa  in  quella  gente. 

XVIII 

Non  cosi  Ricciardetto  e  il  suo  cugino 
tra  le  due  genti  variavan  danza, 
per  che,  lasciando  il  campo  saracino, 
sol  tenean  1'occhio  all'altro  di  Maganza. 
II  fratel  di  Rinaldo  paladino 
con  molto  animo  avea  molta  possanza, 
e  quivi  raddoppiar  glie  la  facea 
Todio  che  contra  ai  Maganzesi  avea. 

XIX 

Facea  parer  questa  medesma  causa 
un  leon  fiero  il  bastardo  di  Buovo, 
che  con  la  spada  senza  indugio  e  pausa 
fende  ogn'elmo,  o  lo  schiaccia  come  un  ovo. 
E  qual  persona  non  saria  stata  ausa, 
non  saria  comparita  un  Ett6r  nuovo, 
Marfisa  avendo  in  compagnia  e  Ruggiero, 
ch'eran  la  scelta  e  '1  fior  d'ogni  guerriero  ? 


CANTO    VENTESIMOSESTO  66l 

XX 

Marfisa  tuttavolta  combattendo, 
spesso  ai  compagni  gli  occhi  rivoltava; 
e  di  lor  forza  paragon  vedendo, 
con  maraviglia  tutti  li  lodava: 
ma  di  Ruggier  pur  il  valor  stupendo 
e  senza  pari  al  mondo  le  sembrava; 
e  talor  si  credea  che  fosse  Marte 
sceso  dal  quinto  cielo  in  quella  parte. 

XXI 

Mirava  quelle  orribili  percosse, 
miravale  non  mai  calare  in  fallo: 
parea  che  contra  Balisarda  fosse 
il  ferro  carta  e  non  duro  metallo. 
Gli  elmi  tagliava  e  le  corazze  grosse, 
e  gli  uomini  fendea  fin  sul  cavallo, 
e  li  mandava  in  parte  uguali  al  prato, 
tanto  da  Fun  quanto  da  Faltro  lato. 

XXII 

Continuando  la  medesma  botta, 
uccidea  col  signore  il  cavallo  anche. 

I  capi  dalle  spalle  alzava  in  frotta, 
e  spesso  i  busti  dipartia  da  Tanche. 
Cinque  e  piu  a  un  colpo  ne  tagli6  talotta: 
e  se  non  che  pur  dubito  che  manche 
credenza  al  ver  c'ha  faccia  di  menzogna, 
di  piu  direi;  ma  di  men  dir  bisogna. 

XXIII 

II  buon  Turpin,  che  sa  che  dice  il  vero, 
e  lascia  creder  poi  quel  ch'a  Puom  piace, 
narra  mirabil  cose  di  Ruggiero, 
ch'udendolo  il  direste  voi  mendace. 
Cosi  parea  di  ghiaccio  ogni  guerriero 
contra  Marfisa,  et  ella  ardente  face; 

e  non  men  di  Ruggier  gli  occhi  a  s6  trasse, 
ch'ella  di  lui  Falto  valor  mirasse. 


662  ORLANDO    FURIOSO 

XXIV 

E  s'ella  lui  Marte  stimato  avea, 
stimato  egli  avria  lei  forse  Bellona, 
se  per  donna  cosi  la  conoscea, 
come  parea  il  contrario  alia  persona. 
E  forse  emulazion  tra  lor  nascea 
per  quella  gente  misera,  non  buona, 
ne  la  cui  carne  e  sangue  e  nervi  et  ossa 
fan  prova  chi  di  loro  abbia  piu  possa. 

xxv 

Basto  di  quattro  Tanimo  e  il  valore 
a  far  ch'un  campo  e  1'altro  andasse  rotto. 
Non  restava  arme,  a  chi  fuggia,  migliore 
che  quella  che  si  porta  piu  di  sotto. 
Beato  chi  il  cavallo  ha  corridore, 
ch'in  prezzo  non  e  quivi  ambio  ne  trotto; 
e  chi  non  ha  destrier,  quivi  s'avede 
quanto  il  mestier  de  1'arme  e  tristo  a  piede. 

XXVI 

Riman  la  preda  e  '1  campo  ai  vincitori, 
che  non  e  fante  o  mulatier  che  resti. 
La  Maganzesi,  e  qua  fuggono  i  Mori : 
quei  lasciano  i  prigion,  le  some  questi. 
Furon,  con  lieti  visi  e  piu  coi  cori, 
Malagigi  e  Viviano  a  scioglier  presti ; 
non  fur  men  diligenti  a  sciorre  i  paggi, 
e  por  le  some  in  terra  e  i  carriaggi. 

XXVII 

Oltre  una  buona  quantita  d'argento 
ch'in  diverse  vasella  era  formato, 
et  alcun  muliebre  vestimento 
di  lavoro  bellissimo  fregiato, 
e  per  stanze  reali  un  paramento 
d'oro  e  di  seta  in  Fiandra  lavorato, 
et  altre  cose  ricche  in  copia  grande; 
fiaschi  di  vin  trovar,  pane  e  vivande. 


CANTO   VENTESIMOSESTO  663 

XXVIII 

Al  trar  degli  elmi,  tutti  vider  come 
avea  lor  dato  aiuto  una  donzella: 
fu  conosciuta  all'auree  crespe  chiorne 
et  alia  faccia  delicata  e  bella. 
L'onoran  molto,  e  pregano  che  Jl  nome 
di  gloria  degno  non  asconda;  et  ella, 
che  sempre  tra  gli  amici  era  cortese, 
a  dar  di  se  notizia  non  contese. 

XXIX 

Non  si  ponno  saziar  di  riguardarla; 
che  tal  vista  Favean  ne  la  battaglia. 
Sol  mira  ella  Ruggier,  sol  con  lui  parla: 
altri  non  prezza,  altri  non  par  che  vaglia. 
Vengono  i  send  intanto  ad  invitarla 
coi  compagni  a  goder  la  vettovaglia, 
ch'apparecchiata  avean  sopra  una  fonte 
che  difendea  dal  raggio  estivo  un  monte. 

XXX 

Era  una  de  le  fonti  di  Merlino, 
de  le  quattro  di  Francia  da  lui  fatte, 
d'intorno  cinta  di  bel  marmo  fino, 
lucido  e  terso,  e  bianco  piu  che  latte. 
Quivi  d' intaglio  con  lavor  divino 
avea  Merlino  imagini  ritratte: 
direste  che  spiravano  e,  se  prive 
non  fossero  di  voce,  ch'eran  vive. 

XXXI 

Quivi  una  bestia  uscir  de  la  foresta 
.  parea,  di  crudel  vista,  odiosa  e  brutta, 
ch'avea  Porecchie  d'asino,  e  la  testa 
di  lupo  e  i  denti,  e  per  gran  fame  asciutta: 
branche  avea  di  leon;  Taltro  che  resta, 
tutto  era  volpe;  e  parea  scorrer  tutta 
e  Francia  e  Italia  e  Spagna  et  Inghelterra, 
TEuropa  e  PAsia,  e  al  fin  tutta  la  terra. 


664  ORLANDO    FURIOSO 

XXXII 

Per  tutto  avea  genti  ferite  e  morte, 
la  bassa  plebe  e  i  piu  superbi  capi: 
anzi  nuocer  parea  molto  piu  forte 
a  re,  a  signori,  a  principi,  a  satrapi. 
Peggio  facea  ne  la  romana  corte, 
che  v'avea  uccisi  cardinali  e  papi: 
contaminate  avea  la  bella  sede 
di  Pietro,  e  messo  scandol  ne  la  fede. 

xxxni 

Par  che  dinanzi  a  questa  bestia  orrenda 
cada  ogni  muro,  ogni  ripar  che  tocca. 
Non  si  vede  citta  che  si  difenda: 
se  Papre  incontra  ogni  castello  e  rocca. 
Par  che  agli  onor  divini  anco  s'estenda, 
e  sia  adorata  da  la  gente  sciocca, 
e  che  le  chiavi  s'arroghi  d'avere 
del  cielo  e  de  Fabisso  in  suo  potere. 

xxxiv 

Poi  si  vedea  d'imperiale  alloro 
cinto  le  chiome  un  cavallier  venire 
con  tre  giovini  a  par,  che  i  gigli  d'oro 
tessuti  avean  nel  lor  real  vestire; 
e  con  insegna  simile  con  loro 
parea  un  leon  contra  quel  mostro  uscire  : 
avean  lor  nomi  chi  sopra  la  testa, 
e  chi  nel  lembo  scritto  de  la  vesta. 

xxxv 

L'un  ch'avea  fin  a  1'elsa  ne  la  pancia 
la  spada  immersa  alia  maligna  fera, 
Francesco  primo  avea  scritto  di  Francia; 
Massimigliano  d' Austria  a  par  seco  era; 
e  Carlo  quinto  imperator  di  lancia 
avea  passato  il  mostro  alia  gorgiera; 
e  1'altro,  che  di  stral  gli  fige  il  petto, 
Fottavo  Enrigo  d'Inghilterra  e  detto. 


CANTO    VENTESIMOSESTO  665 

XXXVI 

Decimo  ha  quel  Leon  scritto  sul  dosso, 
ch'al  brutto  mostro  i  denti  ha  ne  Torecchi; 
e  tanto  Tha  gia  travagliato  e  scosso, 
che  vi  sono  arrivati  altri  parecchi. 
Parea  del  mondo  ogni  timor  rimosso; 
et  in  emenda  degli  errori  vecchi 
nobil  gente  accorrea,  non  per6  molta, 
onde  alia  belva  era  la  vita  tolta. 

XXXVII 

I  cavallieri  stavano  e  Marfisa 
con  desiderio  di  conoscer  questi, 
per  le  cui  mani  era  la  bestia  uccisa, 
che  fatti  avea  tanti  luoghi  atri  e  mesti. 
Avenga  che  la  pietra  fosse  incisa 
dei  nomi  lor,  non  eran  manifesti. 
Si  pregavan  tra  lor  che  se  sapesse 
Tistoria  alcuno,  agli  altri  la  dicesse. 

XXXVIII 

Volto  Viviano  a  Malagigi  gli  occhi, 

che  stava  a  udire,  e  non  facea  lor  motto: 

—  A  te  —  disse  —  narrar  Pistoria  tocchi, 

ch'esser  ne  dei,  per  quel  ch'io  vegga,  dotto. 

Chi  son  costor  che  con  saette  e  stocchi 

e  lance  a  morte  han  Panimal  condojto  ?  — 

Rispose  Malagigi :  —  Non  e  istoria 

di  ch'abbia  autor  fin  qui  fatto  memoria. 

xxxix 

Sappiate  che  costor  che  qui  scritto  hanno 
nel  marmo  i  nomi,  al  mondo  mai  non  furo; 
ma  fra  settecento  anni  vi  saranno 
con  grande  onor  del  secolo  futuro. 
Merlino,  il  savio  incantator  britanno, 
fe'  far  la  fonte  al  tempo  del  re  Arturo; 
e  di  cose  ch'al  mondo  hanno  a  venire, 
la  fe'  da  buoni  artefici  scolpire. 


666  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Questa  bestia  crudele  usci  del  fondo 

de  lo  'nferno  a  quel  tempo  che  fur  fatti 

alle  campagne  i  termini,  e  fu  il  pondo 

trovato  e  la  misura,  e  scritti  i  patti. 

Ma  non  and6  a  principio  in  tutto  '1  mondo : 

di  se  lascio  molti  paesi  intatti. 

Al  tempo  nostro  in  molti  lochi  sturba; 

ma  i  populari  offende  e  la  vil  turba. 

XLI 

Dal  suo  principio  infin  al  secol  nostro 
sempre  e  cresciuto,  e  sempre  andra  crescendo: 
sempre  crescendo,  al  lungo  andar  fia  il  mostro 
il  maggior  che  mai  fosse  e  lo  piu  orrendo. 
Quel  Fiton  che  per  carte  e  per  inchiostro 
s'ode  che  fu  si  orribile  e  stupendo, 
alia  meta  di  questo  non  fu  tutto, 
ne  tanto  abominevol  ne  si  brutto. 

XLII 

Fara  strage  crudel,  ne  sara  loco 
che  non  guasti,  contamini  et  infetti: 
e  quanto  mostra  la  scultura,  e  poco 
de'  suoi  nefandi  e  abominosi  effetti. 
Al  mondo,  di  gridar  merce  gia  roco, 
questi  dei  quali  i  nomi  abbiamo  letti, 
che  chiari  splenderan  piu  che  piropo, 
verranno  a  dare  aiuto  al  maggior  uopo. 

XLIII 

Alia  fera  crudele  il  piu  molesto 
non  sara  di  Francesco  il  re  dej  Franchi: 
e  ben  convien  che  molti  ecceda  in  questo, 
e  nessun  prima  e  pochi  n'abbia  a'  fianchi; 
quando-  in  splendor  real,  quando  nel  resto 
di  virtu  fara  molti  parer  manchi, 
che  gia  parver  compiuti;  come  cede 
tosto  ogn'altro  splendor  che  '1  sol  si  vede. 


CANTO    VENTESIMOSESTO  667 

XLIV 

L'anno  primier  del  fortunate  regno, 
non  ferma  ancor  ben  la  corona  in  fronte, 
passera  1'Alpe,  e  rompera  il  disegno 
di  chi  alFincontro  avra  occupato  il  monte, 
da  giusto  spinto  e  generoso  sdegno, 
che  vendicate  ancor  non  sieno  Tonte 
che  dal  furor  da  paschi  e  mandre  uscito 
1'esercito  di  Francia  avra  patito. 

XLV 

E  quindi  scendera  nel  ricco  piano 
di  Lombardia,  col  fior  di  Francia  intorno, 
e  si  PElvezio  spezzera,  ch'invano 
fara  mai  piu  pensier  d'alzare  il  corno. 
Con  grande  e  de  la  Chiesa  e  de  1'ispano 
campo  e  del  fiorentin  vergogna  e  scorno 
espugnera  il  castel  che  prima  stato 
sara  non  espugnabile  stimato. 

XLVI 

Sopra  ogn'altr'arme,  ad  espugnarlo  molto 
piii  gli  varra  quella  onorata  spada 
con  la  qual  prima  avra  di  vita  tolto 
il  monstro  corruttor  d'ogni  contrada. 
Convien  ch'inanzi  a  quella  sia  rivolto 
in  fuga  ogni  stendardo,  o  a  terra  vada; 
n6  fossa,  ne  ripar,  ne  grosse  mura 
possan  da  lei  tener  citta  sicura. 

XLVII 

Questo  principe  avra  quanta  ecccellenza 

aver  felice  imperator  rnai  debbia: 

Fanimo  del  gran  Cesar,  la  prudenza 

di  chi  mostrolla  a  Transimeno  e  a  Trebbia, 

con  la  fortuna  d'Alessandro,  senza 

cui  saria  fumo  ogni  disegno,  e  nebbia. 

Sara  si  liberal,  ch'io  lo  contemplo 

qui  non  aver  ne  paragon  ne  esemplo.  — 


668  ORLANDO  FURIOSO 

XLVIII 

Cosi  diceva  Malagigi,  e  messe 
desire  a'  cavalier  d'aver  contezza 
del  nome  d'alcun  altro  ch'uccidesse 
1'infernal  bestia,  uccider  gli  altri  avezza. 
Quivi  un  Bernardo  tra'  primi  si  lesse, 
che  Merlin  molto  nel  suo  scritto  apprezza. 
—  Fia  nota  per  costui  —  dicea  —  Bibiena, 
quanto  Fiorenza  sua  vicina  e  Siena.  — 

XLIX 

Non  mette  piede  inanzi  ivi  persona 
a  Sismondo,  a  Giovanni,  a  Ludovico: 
un  Gonzaga,  un  Salviati,  un  d'Aragona, 
ciascuno  al  brutto  mostro  aspro  nimico. 
V'e  Francesco  Gonzaga,  ne  abandona 
le  sue  vestigie  il  figlio  Federico; 
et  ha  il  cognato  e  il  genero  vicino, 
quel  di  Ferrara,  e  quel  duca  d'Urbino. 

L 

De  1'un  di  questi  il  figlio  Guidobaldo 
non  vuol  che  '1  padre  o  ch'altri  a  dietro  il  metta. 
Con  Otobon  dal  Flisco,  Sinibaldo 
caccia  la  fera,  e  van  di  pari  in  fretta. 
Luigi  da  Gazolo  il  ferro  caldo 
fatto  nel  collo  le  ha  d'una  saetta 
che  con  Farco  gli  die  Febo,  quando  anco 
Marte  la  spada  sua  gli  messe  al  fianco. 

LI 

Duo  Erculi,  duo  Ippoliti  da  Este, 
un  altro  Ercule,  un  altro  Ippolito  anco, 
da  Gonzaga,  de'  Medici,  le  peste 
seguon  del  mostro,  e  Fhan  cacciando  stanco. 
Ne  Giuliano  al  figliuol,  ne  par  che  reste 
Ferrante  al  fratel  dietro ;  ne  che  manco 
Andrea  Doria  sia  pronto;  ne  che  lassi 
Francesco  Sforza  ch'ivi  uomo  lo  passi. 


CANTO   VENTESIMOSESTO  669 

LII 

Del  generoso,  illustre  e  chiaro  sangue 
d'Avalo  vi  son  dui  c'han  per  insegna 
lo  scoglio,  che  dal  capo  ai  piedi  d'angue 
par  che  Fempio  Tifeo  sotto  si  tegna. 
Non  e  di  questi  duo,  per  fare  esangue 
Torribil  mostro,  che  piii  inanzi  vegna: 
Tuno  Francesco  di  Pescara  invitto, 
Paltro  Alfonso  del  Vasto  ai  piedi  ha  scritto. 

LIII 

Ma  Consalvo  Ferrante  ove  ho  lasciato, 
Fispano  onor,  ch'in  tanto  pregio  v'era, 
che  fu  da  Malagigi  si  lodato, 
che  pochi  il  pareggiar  di  quella  schiera? 
Guglielmo  si  vedea  di  Monferrato 
fra  quei  che  morto  avean  la  brutta  fera; 
et  eran  pochi  verso  gPinfiniti 
ch'ella  v'avea  chi  morti  e  chi  feriti. 

LIV 

In  giuochi  onesti  e  parlamenti  lieti, 

dopo  mangiar,  spesero  il  caldo  giorno, 

corcati  su  fimssimi  tapeti 

tra  gli  arbuscelli  ond'era  il  rivo  adorno. 

Malagigi  e  Vivian,  perche  quieti 

piu  fosser  gli  altri,  tenean  1'arrne  intorno; 

quando  una  donna  senza  compagnia 

vider,  che  verso  lor  ratto  venia. 

LV 

Questa  era  quella  Ippalca  a  cui  fu  tolto 
Frontino,  il  bon  destrier,  da  Rodomonte. 
L'avea  il  di  inanzi  ella  seguito  molto, 
pregandolo  ora,  ora  dicendogli  onte; 
ma  non  giovando,  avea  il  camin  rivolto 
per  ritrovar  Ruggiero  in  Agrismonte. 
Tra  via  le  fu  (non  so  gia  come)  detto 
che  quivi  il  troveria  con  Ricciardetto. 


ORLANDO    FURIOSO 
LVI 

E  perche  il  luogo  ben  sapea  (che  v'era 
stata  altre  volte),  se  ne  venne  al  dritto 
alia  fontana;  et  in  quella  maniera 
ve  lo  trovo,  ch'io  v'ho  di  sopra  scritto. 
Ma  come  buona  e  cauta  messaggiera 
che  sa  meglio  esequir  che  non  Pe  ditto, 
quando  vide  il  fratel  di  Bradamante, 
non  conoscer  Ruggier  fece  sembiante. 

LVII 

A  Ricciardetto  tutta  rivoltosse, 
si  come  drittamente  a  lui  venisse ; 
e  quel  che  la  conobbe,  se  le  mosse 
incontra,  e  domand6  dove  ne  gisse. 
Ella  ch'ancora  avea  le  luci  rosse 
del  pianger  lungo,  sospirando  disse; 
ma  disse  forte,  accio  che  fosse  espresso 
a  Ruggiero  il  suo  dir,  che  gli  era  presso. 

LVIII 

—  Mi  traea  dietro  —  disse  —  per  la  briglia, 
come  imposto  m'avea  la  tua  sorella, 
un  bel  cavallo  e  buono  a  maraviglia, 
ch'ella  molto  ama  e  che  Frontino  appella; 
e  Pavea  tratto  piu  di  trenta  miglia 
verso  Marsilia,  ove  venir  debbe  ella 
fra  pochi  giorni,  e  dove  ella  mi  disse 
ch'io  Paspetassi  fin  che  vi  venisse. 

LIX 

Era  si  baldanzoso  il  creder  mio, 
ch'io  non  stimava  alcim  di  cor  si  saldo, 
che  me  Pavesse  a  tor,  dicendogli  io 
ch'era  de  la  sorella  di  Rinaldo. 
Ma  vano  il  mio  disegno  ieri  m'uscio, 
che  me  lo  tolse  un  Saracin  ribaldo; 
ne  per  udir  di  chi  Frontino  fusse, 
a  volermelo  rendere  s'indusse. 


CANTO    VENTESIMOSESTO  671 

LX 

Tutto  leri  et  oggi  1'ho  pregato;  e  quando 
ho  visto  uscir  prieghi  e  minaccie  invano, 
maledicendol  molto  e  bestemmiando, 
Tho  lasciato  di  qui  poco  lontano, 
dove  il  cavallo  e  se  molto  affannando, 
s'aiuta  quant o  pub  con  Tarme  in  mano 
contra  un  guerrier  ch'in  tal  travaglio  il  mette, 
che  spero  ch'abbia  a  far  le  mie  vendette.  — 

LXI 

Ruggiero  a  quel  parlar  salito  in  piede, 
ch'avea  potuto  a  pena  il  tutto  udire, 
si  volta  a  Ricciardetto,  e  per  mercede 
e  premio  e  guidardon  del  ben  servire 
(prieghi  aggiungendo  senza  fin)  gli  chiede 
che  con  la  donna  solo  il  lasci  gire, 
tanto  che  '1  Saracin  gli  sia  mostrato 
ch'a  lei  di  mano  ha  il  buon  destrier  levato. 

LXII 

A  Ricciardetto,  ancor  che  disco rtese 
il  conciedere  altrui  troppo  paresse 
di  terminar  le  a  s6  debite  imprese, 
al  voler  di  Ruggier  pur  si  rimesse: 
e  quel  licenzia  dai  compagni  prese, 
e  con  Ippalca  a  ritornar  si  messe, 
lasciando  a  quei  che  rimanean  stupore, 
non  maraviglia  pur  del  suo  valore. 

LXIII 

Poi  che  dagli  altri  allontanato  alquanto 
Ippalca  Tebbe,  gli  narro  ch'ad  esso 
era  mandata  da  colei  che  tanto 
avea  nel  core  il  suo  valore  impresso; 
e  senza  finger  piu,  seguit6  quanto 
la  sua  donna  al  partir  le  avea  commesso, 
e  che  se  dianzi  avea  altrimente  detto, 
per  la  presenzia  fu  di  Ricciardetto. 


672  ORLANDO  FURIOSO 

LXIV 

Disse  che  chi  le  avea  tolto  il  destriero 
ancor  detto  Pavea  con  molto  orgoglio: 
—  Perche  so  che  '1  cavallo  e  di  Ruggiero, 
piu  volontier  per  questo  te  lo  toglio. 
S'egli  di  racquistarlo  avra  pensiero, 
fagli  saper  (ch'asconder  non  gli  voglio) 
ch'io  son  quel  Rodomonte  il  cui  valore 
mostra  per  tutto  '1  mondo  il  suo  splendore.  — 

LXV 

Ascoltando,  Ruggier  mostra  nel  volto 
di  quanto  sdegno  acceso  il  cor  gli  sia, 
si  perche  caro  avria  Frontino  molto, 
si  perche  venia  il  dono  onde  venia, 
si  perche  in  suo  dispregio  gli  par  tolto. 
Vede  che  biasmo  e  disonor  gli  fia, 
se  t6rlo  a  Rodomonte  non  s'affretta, 
e  sopra  lui  non  fa  degna  vendetta. 

LXVI 

La  donna  Ruggier  guida,  e  non  soggiorna, 
che  por  lo  brama  col  Pagano  a  fronte; 
e  giunge  ove  la  strada  fa  dua  corna: 
1'un  va  giu  al  piano,  e  1'altro  va  su  al  monte; 
e  questo  e  quel  ne  la  vallea  ritorna, 
dov'ella  avea  lasciato  Rodomonte. 
Aspra,  ma  breve  era  la  via  del  colle; 
1'altra  piu  lunga  assai,  ma  piana  e  molle. 

LXVII 

II  desiderio  che  conduce  Ippalca 
d'aver  Frontino  e  vendicar  1'oltraggio, 
fa  che  '1  sentier  de  la  montagna  calca, 
onde  molto  piu  corto  era  il  viaggio. 
Per  Taltra  intanto  il  re  d'Algier  cavalca 
col  Tartaro  e  cogli  altri  che  detto  aggio; 
e  giu  nel  pian  la  via  piu  facil  tiene, 
ne  con  Ruggiero  ad  incontrar  si  viene. 


CANTO    VENTESIMOSESTO  673 

LXVIII 

Gia  son  le  lor  querele  differite 
fin  che  soccorso  ad  Agramante  sia 
(questo  sapete);  et  han  d'ogni  lor  lite 
la  cagion,  Doralice,  in  compagnia. 
Ora  il  successo  de  Pistoria  udite. 
Alia  fontana  e  la  lor  dritta  via, 
ove  Aldigier,  Marfisa,  Ricciardetto, 
Malagigi  e  Vivian  stanno  a  diletto. 

LXIX 

Marfisa  a'  prieghi  de'  compagni  avea 
veste  da  donna  et  ornamenti  presi, 
di  quelli  ch'a  Lanfusa  si  credea 
mandare  il  traditor  de5  Maganzesi; 
e  ben  che  veder  raro  si  solea 
senza  1'osbergo  e  gli  altri  buoni  arnesi, 
pur  quel  di  se  li  trasse;  e  come  donna, 
a'  prieghi  lor  Iasci6  vedersi  in  gonna. 

LXX 

Tosto  che  vede  il  Tartaro  Marfisa, 
per  la  credenza  c'ha  di  guadagnarla, 
in  ricompensa  e  in  cambio  ugual  s'avisa 
di  Doralice,  a  Rodomonte  darla; 
si  come  Amor  si  regga  a  questa  guisa, 
che  vender  la  sua  donna  o  permutarla 
possa  Pamante,  ne  a  ragion  s'attrista, 
se  quando  una  ne  perde,  una  n'acquista. 

LXXI 

Per  dunque  provedergli  di  donzella, 
acci6  per  se  quest'altra  si  ritegna, 
Marfisa,  che  gli  par  leggiadra  e  bella, 
e  d'ogni  cavallier  femina  degna, 
come  abbia  ad  aver  questa,  come  quella, 
subito  cara,  a  lui  donar  disegna; 
e  tutti  i  cavallier  che  con  lei  vede, 
a  giostra  seco  et  a  battaglia  chiede. 


674  ORLANDO  FURIOSO 

LXXII 

Malagigi  e  Vivian,  che  1'arme  aveano 
come  per  guardia  e  sicurta  del  resto, 
si  mossero  dal  luogo  ove  sedeano, 
Tun  come  Paltro  alia  battaglia  presto, 
perche  giostrar  con  amenduo  credeano; 
ma  I1  African  che  non  venia  per  questo, 
non  ne  fe'  segno  o  movimento  alcuno: 
si  che  la  giostra  rest6  lor  contra  uno. 

LXXIII 

Viviano  6  il  primo,  e  con  gran  cor  si  muove, 
e  nel  venire  abbassa  un'asta  grossa: 
e  '1  re  pagan  da  le  famose  pruove 
da  1'altra  parte  vien  con  maggior  possa. 
Dirizza  Funo  e  1'altro,  e  segna  dove 
crede  meglio  fermar  1'aspra  percossa. 
Viviano  indarno  a  1'elmo  il  pagan  fere; 
che  non  lo  fa  piegar,  non  che  cadere. 

LXXIV 

II  re  pagan,  ch'avea  piu  Tasta  dura, 
fe'  lo  scudo  a  Vivian  parer  di  ghiaccio; 
e  fuor  di  sella  in  mezzo  alia  verdura, 
all'erbe  e  ai  fiori  il  fe'  cadere  in  braccio. 
Vien  Malagigi,  e  ponsi  in  aventura 
di  vendicare  il  suo  fratello  avaccio; 
ma  poi  d'andargli  appresso  ebbe  tal  fretta, 
che  gli  fe'  compagnia  piu  che  vendetta. 

LXXV 

L'altro  fratel  fu  prima  del  cugino 
colParme  indosso,  e  sul  destrier  salito; 
e  disfidato  contra  il  Saracino 
venne  a  scontrarlo  a  tutta  briglia  ardito, 
Rison6  il  colpo  in  mezzo  a  1'elmo  fino 
di  quel  pagan  sotto  la  vista  un  dito : 
volo  al  ciel  1'asta  in  quattro  tronchi  rotta; 
ma  non  mosse  il  pagan  per  quella  botta. 


CANTO   VENTESIMOSESTO  675 

LXXVI 

II  pagan  ferl  lui  dal  lato  manco; 

e  perche  il  colpo  fu  con  troppa  forza, 

poco  lo  scudo  e  la  corazza  manco 

gli  valse,  che  s'aprir  come  una  scorza. 

Pass6  il  ferro  crudel  Tomero  bianco: 

pieg6  Aldigier  ferito  a  poggia  e  ad  orza; 

tra  fiori  et  erbe  al  fin  si  vide  avolto, 

rosso  su  Parme  e  pallido  nel  volto. 

LXXVII 

Con  molto  ardir  vien  Ricciardetto  appresso; 
e  nel  venire  arresta  si  gran  lancia, 
che  mostra  ben,  come  ha  mostrato  spesso, 
che  degnamente  e  paladin  di  Francia: 
et  al  pagan  ne  facea  segno  espresso, 
se  fosse  stato  pari  alia  bilancia; 
ma  sozzopra  n'and6,  perche  il  cavallo 
gli  cadde  adosso,  e  non  gia  per  suo  fallo. 

LXXVIII 

Poi  ch'altro  cavallier  non  si  dimostra, 
ch'al  pagan  per  giostrar  volti  la  fronte, 
pensa  aver  guadagnato  de  la  giostra 
la  donna,  e  venne  a  lei  presso  alia  fonte; 
e  disse :  —  Damigella,  sete  nostra, 
s'altri  non  e  per  voi  ch'in  sella  monte. 
Nol  potete  negar,  ne  fame  iscusa; 
che  di  ragion  di  guerra  cosi  s'usa.  — 

LXXIX 

Marfisa,  alzando  con  un  viso  altiero 
la  faccia,  disse :  —  II  tuo  parer  molto  erra. 
lo  ti  concedo  che  diresti  il  vero, 
ch'io  sarei  tua  per  la  ragion  di  guerra, 
quando  mio  signor  fosse  o  cavalliero 
alcun  di  questi  c'hai  gittato  in  terra, 
lo  sua  non  son,  ne  d'altri  son  che  mia: 
dunque  me  tolga  a  me  chi  mi  desia. 


676  ORLANDO  FURIOSO 

LXXX 

So  scudo  e  lancia  adoperare  anch'io, 
e  piu  d'un  cavalliero  in  terra  ho  posto. 
Datemi  Parme,  —  disse  —  e  il  destrier  mio  — , 
agli  scudier  che  Pubbidiron  tosto. 
Trasse  la  gonna,  et  in  farsetto  uscio ; 
e  le  belle  fattezze  e  il  ben  disposto 
corpo  mostro,  ch'in  ciascuna  sua  parte, 
fuor  che  nel  viso,  assimigliava  a  Marte. 

LXXXI 

Poi  che  fu  armata,  la  spada  si  cinse 
e  sul  destrier  monto  d'un  leggier  salto ; 
e  qua  e  la  tre  volte  e  piu  lo  spinse, 
e  quinci  e  quindi  fe'  girare  in  alto; 
e  poi  sfidando  il  Saracino  strinse 
la  grossa  lancia,  e  cominci6  1'assalto. 
Tal  nel  campo  troian  Pentesilea 
contra  il  tessalo  Achille  esser  dovea. 

LXXXII 

Le  lance  infin  al  calce  si  fiaccaro 
a  quel  superbo  scontro,  come  vetro; 
ne  per6  chi  le  corsero,  piegaro, 
che  si  notasse,  un  dito  solo  a  dietro. 
Marfisa  che  volea  conoscer  chiaro 
s'a  piu  stretta  battaglia  simil  metro 
le  serverebbe  contra  il  fier  pagano, 
se  gli  rivolse  con  la  spada  in  mano. 

LXXXIII 

Bestemmi6  il  cielo  e  gli  elementi  il  crudo 
pagan,  poi  che  restar  la  vide  in  sella: 
ella,  che  gli  pens6  romper  lo  scudo, 
non  men  sdegnosa  contra  il  ciel  favella. 
Gia  Tuno  e  Paltro  ha  in  mano  il  ferro  nudo, 
e  su  le  fatal  arme  si  martella: 
1'arme  fatali  han  parimente  intorno, 
che  mai  non  bisognar  piu  di  quel  giorno. 


CANTO   VENTESIMOSESTO  677 

LXXXIV 

Si  buona  e  quella  piastra  e  quella  maglia, 
che  spada  o  lancia  non  le  taglia  o  fora; 
si  che  potea  seguir  1'aspra  battaglia 
tutto  quel  giorno  e  1'altro  appresso  ancora. 
Ma  Rodomonte  in  mezzo  lor  si  scaglia, 
e  riprende  il  rival  de  la  dimora, 
dicendo:  —  Se  battaglia  pur  far  vuoi, 
finian  la  cominciata  oggi  fra  noi. 

LXXXV 

Facemmo,  come  sai,  triegua  con  patto 
di  dar  soccorso  alia  milizia  nostra. 
Non  debbian,  prima  che  sia  questo  fatto, 
incominciare  altra  battaglia  o  giostra.  — 
Indi  a  Marfisa,  riverente  in  atto 
si  volta,  e  quel  messaggio  le  dimostra; 
e  le  racconta  come  era  venuto 
a  chieder  lor  per  Agramante  aiuto. 

LXXXVI 

La  priega  poi  che  le  piaccia  non  solo 
lasciar  quella  battaglia  o  differire, 
ma  che  voglia  in  aiuto  del  figliuolo 
del  re  Troian  con  essi  lor  venire; 
onde  la  fama  sua  con  maggior  volo 
potra  far  meglio  infin  al  ciel  salire, 
che  per  querela  di  poco  momento 
dando  a  tanto  disegno  impedimento. 

LXXXVII 

Marfisa,  che  fu  sempre  disiosa 
di  provar  quei  di  Carlo  a  spada  e  a  lancia, 
ne  1'avea  indotta  a  venire  altra  cosa 
di  si  lontana  regione  in  Francia, 
se  non  per  esser  certa  se  famosa 
lor  nominanza  era  per  vero  o  ciancia, 
tosto  d'andar  con  lor  partito  prese 
che  d' Agramante  il  gran  bisogno  intese. 


678  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

Ruggiero  in  questo  mezzo  avea  seguito 
indarno  Ippalca  per  la  via  del  monte; 
e  trov6,  giunto  al  loco,  che  partito 
per  altra  via  se  n'era  Rodomonte: 
e  pensando  che  lungi  non  era  ito, 
e  che  '1  sentier  tenea  dritto  alia  fonte, 
trottando  in  fretta  dietro  gli  venia 
per  Forme  ch'eran  fresche  in  su  la  via. 

LXXXIX 

Volse  che  Ippalca  a  Montalban  pigliasse, 
la  via,  ch'una  giornata  era  vicino; 
perche  s'alla  fontana  ritornasse, 
si  torria  troppo  dal  dritto  camino. 
E  disse  a  lei  che  gia  non  dubitasse 
che  non  s'avesse  a  ricovrar  Frontino: 
ben  le  farebbe  a  Montalbano,  o  dove 
ella  si  trovi,  udir  tosto  le  miove. 

xc 

E  le  diede  la  lettera  che  scrisse 
in  Agrismonte,  e  che  si  port6  in  seno; 
e  molte  cose  a  bocca  anco  le  disse, 
e  la  prego  che  1'escusasse  a  pieno. 
Ne  la  memoria  Ippalca  il  tutto  fisse, 
prese  licenzia  e  volt6  il  palafreno; 
e  non  cess6  la  buona  messaggiera 
ch'in  Montalban  si  ritrov6  la  sera. 

xci 

Seguia  Ruggiero  in  fretta  il  Saracino 
per  Tonne  ch'apparian  ne  la  via  piana, 
ma  non  lo  giunse  prima  che  vicino 
con  Mandricardo  il  vide  alia  fontana. 
Gia  promesso  s'avean  che  per  camino 
Tun  non  farebbe  all'altro  cosa  strana, 
ne  fin  ch'al  campo  si  fosse  soccorso, 
a  cui  Carlo  era  appresso  a  porre  il  morso. 


CANTO    VENTESIMOSESTO  679 

XCII 

Quivi  giunto  Ruggier  Frontin  conobbe, 
e  conobbe  per  lui  chi  adosso  gli  era; 
e  su  la  lancla  fe'  le  spalle  gobbe, 
e  sfido  1?  African  con  voce  altiera. 
Rodomonte  quel  di  fe*  piu  che  lobbe, 
poi  che  dom6  la  sua  superbia  fiera; 
e  ricus6  la  pugna  ch'avea  usanza 
di  sempre  egli  cercar  con  ogni  instanza. 

XCIII 

II  primo  giorno  e  Tultimo,  che  pugna 
mai  ricusasse  il  re  d'Algier,  fu  questo; 
ma  tanto  il  desiderio  che  si  giugna 
in  soccorso  al  suo  re  gli  pare  onesto, 
che  se  credesse  aver  Ruggier  ne  1'ugna 
piu  che  mai  lepre  il  pardo  isnello  e  presto, 
non  se  vorria  fermar  tanto  con  lui, 
che  fesse  un  colpo  de  la  spada  o  dui. 

xciv 

Aggiungi  che  sapea  ch'era  Ruggiero 
che  seco  per  Frontin  facea  battaglia, 
tanto  famoso,  ch'altro  cavalliero 
non  e  ch'a  par  di  lui  di  gloria  saglia, 
Puom  che  bramato  ha  di  saper  per  vero 
esperimento  quanto  in  arme  vaglia; 
e  pur  non  vuol  seco  accettar  Timpresa: 
tanto  Passedio  del  suo  re  gli  pesa. 

xcv 

Trecento  miglia  sarebbe  ito  e  mille, 
se  cio  non  fosse,  a  comperar  tal  lite; 
ma  se  Tavesse  oggi  sfidato  Achille, 
piu  fatto  non  avria  di  quel  ch'udite: 
tanto  a  quel  punto  sotto  le  faville 
le  fiamme  avea  del  suo  furor  sopite. 
Narra  a  Ruggier  perch<§  pugna  rifiuti ; 
et  anco  il  priega  che  1'impresa  aiuti: 


68o  ORLANDO   FURIOSO 

XCVI 

che  facendol,  fark  quel  che  far  deve 
al  suo  signore  un  cavallier  fedele. 
Sempre  che  questo  assedio  poi  si  leve, 
avra  ben  tempo  da  finir  querele. 
Ruggier  rispose  a  lui:  —  Mi  sara  lieve 
differir  questa  pugna,  fin  che  de  le 
forze  di  Carlo  si  traggia  Agramante, 
pur  che  mi  rendi  il  mio  Frontino  inante. 

xcvn 

Se  di  provarti  c'hai  fatto  gran  fallo, 
e  fatto  hai  cosa  indegna  ad  un  uom  forte, 
d'aver  tolto  a  una  donna  il  mio  cavallo, 
vuoi  ch'io  prolunghi  fin  che  siamo  in  corte, 
lascia  Frontino,  e  nel  mio  arbitrio  dallo. 
Non  pensare  altrimente  ch'io  sopporte 
che  la  battaglia  qui  tra  noi  non  segua, 
o  ch'io  ti  faccia  sol  d'un'ora  triegua.  — 

XCVIII 

Mentre  Ruggiero  all' African  domanda 
o  Frontino  o  battaglia  allora  allora; 
e  quello  in  lungo  e  Funo  e  1'altro  manda, 
ne"  vuol  dare  il  destrier,  ne  far  dimora; 
Mandricardo  ne  vien  da  un'altra  banda, 
e  mette  in  campo  un'altra  lite  ancora, 
poi  che  vede  Ruggier  che  per  insegna 
porta  Faugel  che  sopra  gli  altri  regna. 

xcix 

Nel  campo  azzur  1'aquila  bianca  avea, 
che  de'  Troiani  fu  Pinsegna  bella: 
perche  Ruggier  Porigine  traea 
dal  fortissimo  Ett6r,  portava  quella. 
Ma  questo  Mandricardo  non  sapea; 
ne  vuol  patire,  e  grande  ingiuria  appella, 
che  ne  lo  scudo  un  altro  debba  porre 
1'aquila  bianca  del  famoso  Ettorre. 


CANTO    VENTESIMOSESTO  68l 

C 

Portava  Mandricardo  similmente 
1'augel  che  rapi  in  Ida  Ganimede. 
Come  Febbe  quel  di  che  fu  vincente 
al  castel  periglioso,  per  mercede, 
credo  vi  sia  con  1'altre  istorie  a  mente, 
e  come  quella  fata  gli  lo  diede 
con  tutte  le  bell'arme  che  Vulcano 
avea  gia  date  al  cavallier  troiano. 

ci 

Altra  volta  a  battaglia  erano  stati 
Mandricardo  e  Ruggier  solo  per  questo; 
e  per  che  caso  fosser  distornati, 
io  nol  dir6;  che  gia  v'&  manifesto. 
Dopo  non  s'eran  mai  piu  raccozzati, 
se  non  quivi  ora;  e  Mandricardo  presto, 
visto  lo  scudo,  alz6  il  superbo  grido 
minacciando,  e  a  Ruggier  disse: —  Io  ti  sfido. 

en 

Tu  la  mia  insegna,  temerario,  porti; 
ne  questo  e  il  primo  di  ch'io  te  1'ho  detto. 
E  credi,  pazzo,  ancor  ch'io  tel  comporti, 
per  una  volta  ch'io  t'ebbi  rispetto  ? 
Ma  poi  che  ne  minaccie  ne  conforti 
ti  pon  questa  follia  levar  del  petto, 
ti  mostrer6  quanto  miglior  partito 
t'era  d'avermi  subito  ubbidito.  — 

cm 

Come  ben  riscaldato  arrido  legno 
a  piccol  soffio  subito  s'accende, 
cosi  s'avampa  di  Ruggier  lo  sdegno 
al  primo  motto  che  di  questo  intende. 
—  Ti  pensi  disse  farmi  stare  al  segno, 
perche  quest'altro  ancor  meco  contende? 
Ma  mostrerotti  ch'io  son  buon  per  t6rre 
Frontino  a  lui,  lo  scudo  a  te  d'Ettorre. 


682  ORLANDO    FURIOSO 

CIV 

Un'altra  volta  pur  per  questo  venni 
teco  a  battaglia,  e  non  e  gran  tempo  anco; 
ma  d'ucciderti  allora  mi  contenni, 
perche  tu  non  avevi  spada  al  fianco. 
Questi  fatti  saran,  quelli  fur  cenni; 
e  mal  sara  per  te  quelPaugel  bianco, 
ch'antiqua  insegna  e  stata  di  mia  gente: 
tu  te  Pusurpi,  io  '1  porto  giustamente. 

cv 

—  Anzi  t'usurpi  tu  1'insegna  mia!  — 
rispose  Mandricardo ;  e  trasse  il  brando, 
quello  che  poco  inanzi  per  follia 

avea  gittato  alia  foresta  Orlando. 
II  buon  Ruggier,  che  di  sua  cortesia 
non  puo  non  sempre  ricordarsi,  quando 
vide  il  Pagan  ch'avea  tratta  la  spada, 
Iasci6  cader  la  lancia  ne  la  strada. 

cvi 

E  tutto  a  un  tempo  Balisarda  stringe, 
la  buona  spada,  e  me'  lo  scudo  imbraccia: 
ma  FAfricano  in  mezzo  il  destrier  spinge, 
e  Marfisa  con  lui  presta  si  caccia; 
e  1'uno  questo,  e  Paltro  quel  respinge, 
e  priegano  amendui  che  non  si  faccia. 
Rodomonte  si  duol  che  rotto  il  patto 
due  volte  ha  Mandricardo  che  fu  fatto, 

evil 

Prima,  credendo  d'acquistar  Marfisa, 
fermato  s'era  a  far  piu  d'una  giostra; 
or  per  privar  Ruggier  d'una  divisa, 
di  curar  poco  il  re  Agramante  mostra. 

—  Se  pur  dicea  dei  fare  a  questa  guisa, 
finian  prima  tra  noi  la  lite  nostra, 
conveniente  e  piu  debita  assai, 
ch'alcuna  di  quest'altre  che  prese  hai. 


CANTO    VENTESIMOSESTO  683 

CVIII 

Con  tal  condizion  fu  stabilita 
la  triegua  e  questo  accordo  ch'e  fra  nui. 
Come  la  pugna  teco  avr6  finita, 
poi  del  destrier  risponder6  a  costui. 
Tu  del  tuo  scudo,  rimanendo  in  vita, 
al  lite  avrai  da  terminar  con  lui; 
ma  ti  dar6  da  far  tanto,  mi  spero, 
che  non  n'avanzara  troppo  a  Ruggiero. 

cix 

—  La  parte  che  ti  pensi,  non  n'avrai:  — 
rispose  Mandricardo  a  Rodomonte 

—  io  te  ne  daro  piu  che  non  vorrai, 
e  ti  faro  sudar  dal  pie  alia  fronte : 

e  me  ne  rimarra  per  darne  assai 

(come  non  manca  mai  1'acqua  del  fonte) 

et  a  Ruggiero  et  a  milPartri  seco, 

e  a  tutto  il  mondo  che  la  voglia  meco.  — 

ex 

Moltiplicavan  Tire  e  le  parole 
quando  da  questo  e  quando  da  quel  lato: 
con  Rodomonte  e  con  Ruggier  la  vuole 
tutto  in  un  tempo  Mandricardo  irato; 
Ruggier,  ch'oltraggio  sopportar  non  suole, 
non  vuol  piii  accordo,  anzi  litigio  e  piato; 
Marfisa  or  va  da  questo  or  da  quel  canto 
per  riparar,  ma  non  pu6  sola  tanto. 

CXI 

Come  il  villan,  se  fuor  per  Palte  sponde 

trapela  il  fiume  e  cerca  nuova  strada, 

frettoloso  a  vietar  che  non  affonde 

i  verdi  paschi  e  la  sperata  biada, 

chiude  una  via  et  un'altra,  e  si  confonde; 

che  se  ripara  quinci  che  non  cada, 

quindi  vede  lassar  gli  argini  molli, 

e  fuor  1'acqua  spicciaf  con  piu  rampolli: 


684  ORLANDO    FURIOSO 

CXII 

cosi,  mentre  Ruggiero  e  Mandricardo 
e  Rodomonte  son  tutti  sozzopra, 
ch'ognun  vuol  dimostrarsi  piu  gagliardo 
et  ai  compagni  rimaner  di  sopra, 
Marfisa  ad  acchetarli  have  riguardo, 
e  s'affatica,  e  perde  il  tempo  e  Topra; 
che  come  ne  spicca  uno  e  lo  ritira, 
gli  altri  duo  risalir  vede  con  ira. 

CXIII 

Marfisa,  che  volea  porgli  d'accordo, 
dicea:—  Signori,  udite  il  mio  consiglio: 
differire  ogni  lite  e  buon  ricordo 
fin  ch'Agramante  sia  fuor  di  periglio. 
S'ognun  vuole  al  suo  fatto  essere  ingordo, 
anch'io  con  Mandricardo  mi  ripiglio; 
e  vo'  vedere  al  fin  se  guadagnarme, 
come  egli  ha  detto,  e  buon  per  forza  d'arme. 

cxiv 

Ma  se  si  de'  soccorrere  Agramante, 
soccorrasi,  e  tra  noi  non  si  contenda. 
—  Per  me  non  si  stara  d'andare  inante,  — 
disse  Ruggier  —  pur  che  Jl  destrier  si  renda. 
0  che  mi  dia  il  cavallo,  a  far  di  tante 
una  parola,  o  che  da  me  il  difenda: 
o  che  qui  morto  ho  da  restare,  o  ch'io 
in  campo  ho  da  tornar  sul  destrier  mio.  — 

cxv 

Rispose  Rodomonte :  —  Ottener  questo 
non  fia  cosi,  come  quell' altro,  lieve.  — 
E  seguit6  dicendo :  —  lo  ti  protesto 
che  s'alcun  danno  il  nostro  re  riceve, 
fia  per  tua  colpa;  ch'io  per  me  non  resto 
di  fare  a  tempo  quel  che  far  si  deve.  — 
Ruggiero  a  quel  protesto  poco  bada; 
ma  stretto  dal  furor  stringe  la  spada. 


CANTO    VENTESIMOSESTO  685 

CXVI 

Al  re  d'Algier  come  cingial  si  scaglia, 
e  1'urta  con  lo  scudo  e  con  la  spalla; 
e  in  mo  do  lo  disordina  e  sbarraglia, 
che  fa  che  d'una  staffa  il  pie  gli  falla. 
Mandricardo  gli  grida:  —  O  la  battaglia 
differisci,  Ruggiero,  o  meco  falla  — ; 
e  crudele  e  fellon  phi  che  mai  fosse, 
Ruggier  su  Felmo  in  questo  dir  percosse. 

CXVII 

Fin  sul  collo  al  destrier  Ruggier  s'inchina, 
ne  quando  vuolsi  rilevar  si  puote; 
perche  gli  sopragiunge  la  ruina 
del  figlio  d'Ulien  che  lo  percuote. 
Se  non  era  di  tempra  adamantina, 
fesso  Pelmo  gli  avria  fin  tra  le  gote. 
Apre  Ruggier  le  mani  per  Pambascia, 
e  Tuna  il  fren,  Taltra  la  spada  lascia. 

CXVIII 

Se  lo  porta  il  destrier  per  la  campagna: 
dietro  gli  resta  in  terra  Balisarda. 
Marfisa  che  quel  di  fatta  compagna 
se  gli  era  d'arme,  par  ch'avampi  et  arda, 
che  solo  fra  que'  duo  cosi  rimagna: 
e  come  era  magnanima  e  gagliarda, 
si  drizza  a  Mandricardo,  e  col  potere 
ch'avea  maggior  sopra  la  testa  il  fiere. 

cxix 

Rodomonte  a  Ruggier  dietro  si  spinge: 
vinto  e  Frontin,  s'un'altra  gli  n'appicca; 
ma  Ricciardetto  con  Vivian  si  stringe, 
e  tra  Ruggiero  e  '1  Saracin  si  ficca. 
L'uno  urta  Rodomonte  e  lo  rispinge, 
e  da  Ruggier  per  forza  lo  dispicca; 
Faltro  la  spada  sua,  che  fa  Viviano, 
pone  a  Ruggier,  gia  risentito,  in  mano. 


686  ORLANDO   FURIOSO 

CXX 

Tosto  che  '1  buon  Ruggiero  in  se  ritorna, 
e  che  Vivian  la  spada  gli  appresenta, 
a  vendicar  I'ingiuria  non  soggiorna, 
e  verso  il  re  d'Algier  ratto  s'aventa, 
come  il  leon  che  tolto  su  le  corna 
dal  hue  sia  stato,  e  che  '1  dolor  non  senta: 
si  sdegno  et  ira  et  impeto  Taffretta, 
stimula  e  sferza  a  far  la  sua  vendetta. 

CXXI 

Ruggier  sul  capo  al  Saracin  tempesta: 
e  se  la  spada  sua  si  ritrovasse, 
che,  come  ho  detto,  al  comminciar  di  questa 
pugna,  di  man  gran  fellonia  gli  trasse, 
mi  credo  ch'a  difendere  la  testa 
di  Rodomonte  Felmo  non  bastasse, 
Pelmo  che  fece  il  re  far  di  Babelle 
quando  muover  pens6  guerra  alle  stelle. 

cxxn 

La  Discordia,  credendo  non  potere 
altro  esser  quivi  che  contese  e  risse, 
ne  vi  dovesse  mai  piu  luogo  avere 

0  pace  o  triegua,  alia  sorella  disse 
ch'omai  sicuramente  a  rivedere 

1  monachetti  suoi  seco  venisse. 
Lascianle  andare,  e  stian  noi  dove  in  fronte 
Ruggiero  avea  ferito  Rodomonte. 

CXXIII 

Fu  il  colpo  di  Ruggier  di  si  gran  forza, 
che  fece  in  su  la  groppa  di  Frontino 
percuoter  1'elmo  e  quella  dura  scorza 
di  ch'avea  armato  il  dosso  il  Saracino, 
e  lui  tre  volte  e  quattro  a  poggia  e  ad  orza 
piegar  per  gire  in  terra  a  capo  chino; 
e  la  spada  egli  ancora  avria  perduta, 
se  legata  alia  man  non  fosse  suta. 


CANTO    VENTESIMOSESTO  687 

CXXIV 

Avea  Marfisa  a  Mandricardo  intanto 
fatto  sudar  la  fronte,  il  viso  e  il  petto, 
et  egli  aveva  a  lei  fatto  altretanto ; 
ma  si  Tosbergo  d'ambi  era  perfetto, 
che  mai  poter  falsarlo  in  nessun  canto, 
e  stati  eran  sin  qui  pari  in  effetto: 
ma  in  un  voltar  che  fece  il  suo  destriero, 
bisogno  ebbe  Marfisa  di  Ruggiero. 

cxxv 

II  destrier  di  Marfisa  in  un  voltarsi 
che  fece  stretto,  ov'era  molle  il  prato, 
sdrucciolb  in  guisa,  che  non  pote  aitarsi 
di  non  tutto  cader  sul  destro  lato; 
e  nel  volere  in  fretta  rilevarsi, 
da  Brigliador  fu  pel  traverse  urtato, 
con  che  il  pagan  poco  cortese  venne; 
si  che  cader  di  nuovo  gli  convenne. 

cxxvi 

Ruggier  che  la  donzella  a  mal  partito 

vide  giacer,  non  differ!  il  soccorso, 

or  che  1'agio  n'avea,  poi  che  stordito 

da  se  lontan  quell'altro  era  trascorso: 

feri  su  1'elmo  il  Tartaro;  e  partito 

quel  colpo  gli  avria  il  capo,  come  un  torso, 

se  Ruggier  Balisarda  avesse  avuta, 

o  Mandricardo  in  capo  altra  barbuta. 

cxxvn 

II  re  d'Algier  che  si  risente  in  questo, 
si  volge  intorno,  e  Ricciardetto  vede; 
e  si  ricorda  che  gli  fu  molesto 
dianzi,  quando  soccorso  a  Ruggier  diede. 
A  lui  si  drizza,  e  saria  stato  presto 
a  darli  del  ben  fare  aspra  mercede, 
se  con  grande  arte  e  nuovo  incanto  tosto 
non  se  gli  fosse  Malagigi  opposto. 


688  ORLANDO   FURIOSO 

CXXVIII 

Malagigi,  che  sa  d'ogni  malia 
quel  che  ne  sappia  alcun  mago  eccellente, 
ancor  che  '1  libro  suo  seco  non  sia, 
con  che  fermare  il  sole  era  possente, 
pur  la  scongiurazione  onde  solia 
commandare  ai  demonii  aveva  a  mente: 
tosto  in  corpo  al  ronzino  un  ne  constringe 
di  Doralice,  et  in  furor  lo  spinge. 

cxxix 

Nel  mansueto  ubino  che  sul  dosso 
avea  la  figlia  del  re  Stordilano, 
fece  entrar  un  degli  angel  di  Minosso 
sol  con  parole  il  frate  di  Viviano: 
e  quel  che  dianzi  mai  non  s'era  mosso, 
se  non  quanto  ubidito  avea  alia  mano, 
or  d'improviso  spicc6  in  aria  un  salto, 
che  trenta  pie  fu  lungo  e  sedeci  alto. 

cxxx 

Fu  grande  il  salto,  non  per6  di  sorte 
che  ne  dovesse  alcun  perder  la  sella. 
Quando  si  vide  in  alto,  grid6  forte 
(che  si  tenne  per  morta)  la  donzella. 
Quel  ronzin,  come  il  diavol  se  lo  porte, 
dopo  un  gran  salto  se  ne  va  con  quella, 
che  pur  grida  soccorso,  in  tanta  fretta, 
che  non  1'avrebbe  giunto  una  saetta. 

cxxxi 

Da  la  battaglia  il  figlio  d'Ulieno 
si  Iev6  al  primo  suon  di  quella  voce; 
e  dove  furiava  il  palafreno, 
per  la  donna  aiutar  n'ando  veloce. 
Mandricardo  di  lui  non  fece  meno, 
ne  piu  a  Ruggier,  ne  piu  a  Marfisa  n6ce; 
ma  senza  chieder  loro  o  paci  o  tregue, 
e  Rodomonte  e  Doralice  segue. 


CANTO    VENTESIMOSESTO  689 

CXXXII 

Marfisa  intanto  si  levo  di  terra, 
e  tutta  ardendo  di  disdegno  e  d'ira, 
credesi  far  la  sua  vendetta,  et  erra; 
che  troppo  lungi  il  suo  nimico  mira. 
Ruggier,  ch'aver  tal  fin  vede  la  guerra, 
mgge  come  un  leon,  non  che  sospira. 
Ben  sanno  che  Frontino  e  Brigliadoro 
giunger  non  ponno  coi  cavalli  loro. 

cxxxin 

Ruggier  non  vuol  cessar  fin  che  decisa 
col  re  d'Algier  non  Pabbia  del  cavallo: 
non  vuol  quietar  il  Tartaro  Marfisa, 
che  provato  a  suo  senno  anco  non  hallo. 
Lasciar  la  sua  querela  a  questa  guisa 
parrebbe  all'uno  e  alPaltro  troppo  fallo. 
Di  commune  parer  disegno  fassi 
di  chi  offesi  gli  avea  seguire  i  passi. 

cxxxiv 

Nel  campo  saracin  li  troveranno, 
quando  non  possan  ritrovarli  prima; 
che  per  levar  Fassedio  iti  seranno, 
prima  che  *1  re  di  Francia  il  tutto  opprima. 
Cosi  dirittamente  se  ne  vanno 
dove  averli  a  man  salva  fanno  stima. 
Gia  non  and6  Ruggier  cos!  di  botto, 
che  non  facesse  ai  suoi  compagni  motto. 

cxxxv 

Ruggier  se  ne  ritorna  ove  in  disparte 
era  il  fratel  de  la  sua  donna  bella, 
e  se  gli  proferisce  in  ogni  parte 
amico,  per  fortuna  e  buona  e  fella: 
indi  lo  priega  (e  lo  fa  con  bella  arte) 
che  saluti  in  suo  nome  la  sorella; 
e  questo  cosi  ben  gli  venne  detto, 
che  ne  a  lui  die  ne  agli  altri  alcun  sospetto. 


69°  ORLANDO   FURIOSO 

CXXXVI 

E  da  lui,  da  Vivian,  da  Malagigi, 
dal  ferito  Aldigier  tolse  commiato. 
Si  proferiro  anch'essi  alii  servigi 
di  lui,  debitor  sempre  in  ogni  lato. 
Marfisa  avea  si  il  cor  d'ire  a  Parigi, 
che  '1  salutar  gli  amici  avea  scordato; 
ma  Malagigi  and6  tanto  e  Viviano, 
che  pur  la  salutaron  di  lontano; 

cxxxvu 

e  cosi  Ricciardetto ;  ma  Aldigiero 
giace,  e  convien  che  suo  mal  grado  resti. 
Verso  Parigi  avean  preso  il  sentiero 
quelli  duo  prima,  et  or  lo  piglian  questi. 
Dirvi,  Signer,  ne  1'altro  canto  spero 
miracolosi  e  sopraumani  gesti, 
che  con  danno  degli  uomini  di  Carlo 
ambe  le  coppie  fer  di  ch'io  vi  parlo. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  691 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO 


I 

Molti  consigll  de  le  donne  sono 
meglio  improvise,  ch'a  pensarvi,  usciti; 
che  questo  e  speziale  e  proprio  dono 
fra  tanti  e  tanti  lor  dal  ciel  largiti. 
Ma  pu6  mal  quel  degli  uomini  esser  buono, 
che  mature  discorso  non  aiti, 
ove  non  s'abbia  a  ruminarvi  sopra 
speso  alcun  tempo  e  molto  studio  et  opra. 

ii 

Parve,  e  non  fu  per6  buono  il  consiglio 
di  Malagigi,  ancor  che  (come  ho  detto) 
per  questo  di  grandissimo  periglio 
liberassi  il  cugin  suo  Ricciar detto. 
A  levare  indi  Rodomonte  e  il  figlio 
del  re  Agrican,  lo  spirto  avea  constretto, 
non  awertendo  che  sarebbon  tratti 
dove  i  cristian  ne  rimarrian  disfatti. 

in 

Ma  se  spazio  a  pensarvi  avesse  avuto, 
creder  si  pu6  che  dato  similmente 
al  suo  cugino  avria  debito  aiuto, 
ne  fatto  danno  alia  cristiana  gente. 
Commandare  allo  spirto  avria  potuto, 
ch'alla  via  di  levante  o  di  ponente 
si  dilungata  avesse  la  donzella, 
che  non  n'udisse  Francia  piu  novella. 


692  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

Cosi  gli  amanti  suoi  1'avrian  seguita, 
come  a  Parigi,  anco  in  ogn'altro  loco; 
ma  fu  questa  awertenza  inawertita 
da  Malagigi,  per  pensarvi  poco : 
e  la  Malignita  dal  ciel  bandita, 
che  sempre  vorria  sangue  e  strage  e  fuoco, 
prese  la  via  donde  piu  Carlo  afflisse, 
poi  che  nessuna  il  mastro  gli  prescrisse. 


II  palafren  ch'avea  il  demonio  al  fianco, 

porto  la  spaventata  Doralice, 

che  non  pote  arrestarla  fiume,  e  manco 

fossa,  bosco,  parade,  erta  o  pen  dice: 

fin  che  per  mezzo  il  campo  inglese  e  franco, 

e  Taltra  moltitudine  fautrice 

de  Tinsegne  di  Cristo,  rassegnata 

non  1'ebbe  al  padre  suo  re  di  Granata. 

VI 

Rodomonte  col  figlio  d'Agricane 
la  seguitaro  il  primo  giorno  im  pezzo, 
che  le  vedean  le  spalle,  ma  lontane: 
di  vista  poi  perderonla  da  sezzo, 
e  venner  per  la  traccia,  come  il  cane 
la  lepre  o  il  capriol  trovare  avezzo; 
ne  si  fermar,  iche  furo  in  parte  dove 
di  lei  ch'era  col  padre  ebbono  nuove. 

VII 

Guardati,  Carlo,  che  '1  ti  viene  adosso 
tanto  furor,  ch'io  non  ti  veggo  scampo : 
ne  questi  pur,  ma  '1  re  Gradasso  e  mosso 
con  Sacripante  a  danno  del  tuo  campo. 
Fortuna,  per  toccarti  fin  alPosso, 
ti  tolle  a  un  tempo  Tuno  e  Paltro  lampo 
di  forza  e  di  saper,  che  vivea  teco; 
e  tu  rimaso  in  tenebre  sei  cieco. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  693 

VIII 

lo  ti  dico  d*  Orlando  e  di  Rinaldo; 
che  1'uno  al  tutto  furioso  e  folle, 
al  sereno,  alia  pioggia,  al  freddo,  al  caldo, 
nudo  va  discorrendo  il  piano  e  Jl  colle: 
Taltro,  con  senno  non  troppo  phi  saldo, 
d'appresso  al  gran  bisogno  ti  si  tolle; 
che  non  trovando  Angelica  in  Parigi, 
si  parte,  e  va  cercandone  vestigi. 

IX 

Un  fraudolente  vecchio  incantatore 
gli  fe*  (come  a  principio  vi  si  disse) 
creder  per  un  fantastico  suo  errore 
che  con  Orlando  Angelica  vemsse: 
onde  di  gelosia  tocco  nel  core, 
de  la  maggior  ch'amante  mal  sentisse, 
venne  a  Parigi,  e  come  apparve  in  corte, 
d'ire  in  Bretagna  gli  tocco  per  sorte. 

x 

Or  fatta  la  battaglia  onde  portonne 
egli  1'onor  d'aver  chiuso  Agramante, 
torno  a  Parigi,  e  monister  di  donne 
e  case  e  rocche  cerco  tutte  quante. 
Se  murata  non  e  tra  le  colonne, 
Favria  trovata  il  curioso  amante. 
Vedendo  al  fin  ch'ella  non  v'e  n6  Orlando, 
amenduo  va  con  gran  disio  cercando. 

XI 

Pens6  che  dentro  Anglante  o  dentro  a  Brava 

se  la  godesse  Orlando  in  festa  e  in  giuoco; 

e  qua  e  la  per  ritrovarla  andava, 

ne  in  quel  la  ritrov6  ne  in  questo  loco. 

A  Parigi  di  nuovo  ritornava, 

pensando  che  tardar  dovesse  poco 

di  capitare  il  paladino  al  varco; 

che  '1  suo  star  fuor  non  era  senza  incarco. 


694  ORLANDO  FURIOSO 

XII 

Un  giorno  o  duo  ne  la  citta  soggiorna 
Rinaldo;  e  poi  ch'  Orlando  non  arriva, 
or  verso  Anglante,  or  verso  Brava  torna, 
cercando  se  di  lui  novella  udiva. 
Cavalca  e  quando  annotta  e  quando  aggiorna, 
alia  fresca  alba  e  all'ardente  ora  estiva; 
e  fa  al  lume  del  sole  e  de  la  luna 
dugento  volte  questa  via,  non  ch'una. 

XIII 

Ma  Pantiquo  aversario,  il  qua!  fece  Eva 
alFinterdetto  pome  alzar  la  mano, 
a  Carlo  un  giorno  i  lividi  occhi  leva, 
che  '1  buon  Rinaldo  era  da  lui  lontano; 
e  vedendo  la  rotta  che  poteva 
darsi  in  quel  punto  al  populo  cristiano, 
quanta  eccellenzia  d'arme  al  mondo  fusse 
fra  tutti  i  Saracini,  ivi  condusse. 

XIV 

Al  re  Gradasso  e  al  buon  re  Sacripante, 
ch'eran  fatti  compagni  all'uscir  fuore 
de  la  piena  d}  error  casa  d'Atlante, 
di  venire  in  soccorso  messe  in  core 
alle  genti  assediate  d'Agramante, 
e  a  distruzion  di  Carlo  imperatore: 
et  egli  per  1'incognite  contrade 
fe'  lor  la  scorta  e  agevolo  le  strade. 

xv 

Et  ad  un  altro  suo  diede  negozio 
d'affrettar  Rodomonte  e  Mandricardo 
per  le  vestigie  donde  P  altro  sozio 
a  condur  DoraKce  non  e  tardo. 
Ne  manda  ancora  un  altro,  perche*  in  ozio 
non  stia  Marfisa  ne  Ruggier  gagliardo: 
ma  chi  guid6  1'ultima  coppia  tenne 
la  briglia  piii,  n6  quando  gli  altri  venne. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  695 

XVI 

La  coppia  di  Marfisa  e  di  Ruggiero 
di  mezza  ora  plu  tarda  si  condusse; 
per6  ch'astutamente  P  angel  nero, 
volendo  agli  cristian  dar  de  le  busse, 
provide  che  la  lite  del  destriero 
per  impedire  il  suo  desir  non  fusse, 
che  rinovata  si  saria,  se  giunto 
fosse  Ruggiero  e  Rodomonte  a  un  punto. 

XVII 

I  quattro  primi  si  trovaro  insieme 
onde  potean  veder  gli  alloggiamenti 
de  1'esercito  oppresso  e  di  chi  '1  preme, 
e  le  bandiere  in  che  feriano  i  venti. 
Si  consigliaro  alquanto;  e  fur  1'estreme 
conclusion  dei  lor  ragionamenti 
di  dare  aiuto,  mal  grado  di  Carlo, 
al  re  Agramante,  e  de  Tassedio  trarlo. 

XVIII 

Stringonsi  insieme,  e  prendono  la  via 
per  mezzo  ove  s'alloggiano  i  cristiani, 
gridando  Africa  e  Spagna  tuttavia; 
e  si  scopriro  in  tutto  esser  pagani. 
Pel  campo,  arme,  arme  risonar  s'udia; 
ma  menar  si  sentir  prima  le  mani: 
e  de  la  retroguardia  una  gran  frotta, 
non  ch'assalita  sia,  ma  fugge  in  rotta. 

XIX 

L'esercito  cristian  mosso  a  tumulto 
sozzopra  va  senza  sapere  il  fatto. 
Estima  alcun  che  sia  un  usato  insulto 
che  Svizzari  o  Guasconi  abbino  fatto. 
Ma  perch' alia  piu  parte  e  il  caso  occulto, 
s'aduna  insieme  ogni  nazion  di  fatto, 
altri  a  suon  di  tamburo,  altri  di  tromba: 
grande  6  Jl  rumore,  e  fin  al  ciel  rimbomba. 


696  ORLANDO   FURIOSO 

XX 

II  magno  imperator,  fuor  che  la  testa, 
e  tutto  armato,  e  i  paladini  ha  presso; 
e  domandando  vien  che  cosa  e  questa 
che  le  squadre  in  disordine  gli  ha  messo; 
e  minacciando,  or  questi  or  quelli  arresta; 
e  vede  a  molti  il  viso  o  il  petto  fesso, 
ad  altri  insanguinare  o  il  capo  o  il  gozzo, 
alcim  tornar  con  mano  o  braccio  mozzo. 

XXI 

Giunge  piu  inanzi,  e  ne  ritrova  molti 
giacere  in  terra,  anzi  in  vermiglio  lago 
nel  proprio  sangue  orribilmente  involti, 
ne  giovar  lor  pub  medico  ne  mago; 
e  vede  dagli  busti  i  capi  sciolti 
e  braccia  e  gambe  con  crudele  imago; 
e  ritrova  dai  primi  alloggiamenti 
agli  ultimi  per  tutto  uornini  spenti. 

XXII 

Dove  passato  era  il  piccol  drappello, 
di  chiara  fama  eternamente  degno, 
per  lunga  riga  era  rimaso  quello 
al  mondo  sempre  memorabil  segno. 
Carlo  mirando  va  il  crudel  macello, 
maraviglioso,  e  pien  d'ira  e  di  sdegno, 
come  alcuno,  in  cui  danno  il  fulgur  venne, 
cerca  per  casa  ogni  sentier  che  tenne. 

XXIII 

Non  era  agli  ripari  anco  arrivato 
del  re  african  questo  primiero  aiuto, 
che  con  Marfisa  fu  da  un  altro  lato 
I'animoso  Ruggier  sopravenuto. 
Poi  ch'una  volta  o  due  Tocchio  aggirato 
ebbe  la  degna  coppia,  e  ben  veduto 
qual  via  piu  breve  per  soccorrer  fosse 
1'assediato  signor,  ratto  si  mosse. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  697 

XXIV 

Come  quando  si  da  fuoco  alia  mina, 

pel  lungo  solco  de  la  negra  polve 

licenziosa  fiamma  arde  e  camina 

si  ch'occhio  a  dietro  a  pena  se  le  volve; 

e  qual  si  sente  poi  1'alta  ruina 

che  '1  duro  sasso  o  il  grosso  muro  solve: 

cosi  Ruggiero  e  Marfisa  veniro, 

e  tai  ne  la  battaglia  si  sentiro. 

xxv 

Per  lungo  e  per  traverse  a  fender  teste 
incominciaro,  e  tagliar  braccia  e  spalle 
de  le  turbe  che  male  erano  preste 
ad  espedire  e  sgombrar  loro  ilcalle. 
C'ha  notato  il  passar  de  le  tempeste, 
ch'una  parte  d'un  monte  o  d'una  valle 
offende,  e  1'altra  lascia,  s'appresenti 
la  via  di  questi  duo  fra  quelle  genti. 

XXVI 

Molti  che  dal  furor  di  Rodomonte 
e  di  quegli  altri  primi  eran  ftiggiti, 
Dio  ringraziavan  ch'avea  lor  si  pronte 
gambe  concesse,  e  piedi  si  espediti; 
e  poi  dando  del  petto  e  de  la  fronte 
in  Marfisa  e  in  Ruggier,  vedean  scherniti, 
come  1'uom  ne  per  star  ne  per  fuggire, 
al  suo  fisso  destin  puo  contradire. 

XXVII 

Chi  fugge  Tun  pericolo,  rimane 
ne  Taltro,  e  paga  il  fio  d'ossa  e  di  polpe. 
Cosi  cader  coi  figli  in  bocca  al  cane 
suol,  sperando  fuggir,  timida  volpe, 
poi  che  la  caccia  de  T antique  tane 
il  suo  vicin  che  le  da  mille  colpe, 
e  cautamente  con  fumo  e  con  fuoco 
turbata  Tha  da  non  temuto  loco. 


698  ORLANDO    FURIOSO 

XXVIII 

Negli  ripari  entro  de'  Saracini 
Marfisa  con  Ruggiero  a  salvamento. 
Quivi  tutti  con  gli  occhi  al  ciel  supini 
Dio  ringraziar  del  buono  awenimento. 
Or  non  v'e  piii  timor  de'  paladini : 
il  piu  tristo  pagan  ne  sfida  cento; 
et  e  concluso  che  senza  riposo 
si  torni  a  fare  il  campo  sanguinoso. 

XXIX 

Corni,  bussoni,  timpani  moreschi 
empieno  il  ciel  di  formidabil  suoni: 
ne  Paria  tremolare  ai  venti  freschi 
si  veggon  le  bandiere  e  i  gonfaloni. 
Da  Taltra  parte  i  capitan  carleschi 
stringon  con  Alamanni  e  con  Britoni 
quei  di  Francia,  d'ltalia  e  d'Inghilterra; 
e  si  mesce  aspra  e  sanguinosa  guerra. 

XXX 

La  forza  del  terribil  Rodomonte, 
quella  di  Mandricardo  furibondo, 
quella  del  buon  Ruggier,  di  virtu  fonte, 
del  re  Gradasso,  si  famoso  al  mondo, 
e  di  Marfisa  Pintrepida  fronte, 
col  re  circasso  a  nessun  mai  secondo, 
feron  chiamar  san  Gianni  e  san  Dionigi 
al  re  di  Francia,  e  ritrovar  Parigi. 

XXXI 

Di  questi  cavallieri  e  di  Marfisa 
Far  dire  invitto  e  la  mirabil  possa 
non  fu,  Signer,  di  sorte,  non  fu  in  guisa 
ch'imaginar,  non  che  descriver  possa. 
Quindi  si  pub  stimar  che  gente  uccisa 
fosse  quel  giorno,  e  che  crudel  percossa 
avesse  Carlo.  Arroge  poi  con  loro 
con  Ferrau  piu  d'un  famoso  Moro. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  699 

XXXII 

Molti  per  fretta  s'affogaro  in  Senna 
(che  '1  ponte  non  potea  supplire  a  tanti), 
e  desiar,  come  Icaro,  la  penna, 
perche  la  morte  avean  dietro  e  davanti. 
Eccetto  Uggieri  e  il  marchese  di  Vienna, 
i  paladin  fur  presi  tutti  quanti. 
Olivier  ritorn6  ferito  sotto 
la  spalla  destra,  Uggier  col  capo  rotto. 

XXXIII 

E  se,  come  Rinaldo  e  come  Orlando, 
lasciato  Brandimarte  avesse  il  giuoco, 
Carlo  n'andava  di  Parigi  in  bando, 
se  potea  vivo  uscir  di  si  gran  fuoco. 
Ci6  che  pote,  fej  Brandimarte,  e  quando 
non  pote  piu,  diede  alia  furia  loco. 
Cosi  Fortuna  ad  Agramante  arrise, 
ch'un'altra  volta  a  Carlo  assedio  mise. 

XXXIV 

Di  vedovelle  i  gridi  e  le  querele, 
e  d'orfani  fanciulli  e  di  vecchi  orbi, 
ne  Teterno  seren  dove  Michele 
sedea,  salir  fuor  di  questi  aer  torbi; 
e  gli  fecion  veder  come  il  fedele 
popul  preda  de'  lupi  era  e  de'  corbi, 
di  Francia,  d'Inghilterra  e  di  Lamagna, 
che  tutta  avea  coperta  la  campagna. 

xxxv 

Nel  viso  s'arrossi  P  angel  beato, 
parendogli  che  mal  fosse  ubidito 
al  Creatore,  e  si  chiamo  ingannato 
da  la  Discordia  perfida  e  tradito. 
D'accender  liti  tra  i  pagani  dato 
le  avea  1'assunto,  e  mal  era  esequito; 
anzi  tutto  il  contrario  al  suo  disegno 
parea  aver  fatto,  a  chi  guardava  al  segno. 


700  ORLANDO    FURIOSO 

XXXVI 

Come  servo  fedel,  che  piu  d'amore 
che  di  memoria  abondi,  e  che  s'aveggia 
aver  messo  in  oblio  cosa  ch'a  core 
quanto  la  vita  e  Tanima  aver  deggia, 
studia  con  fretta  d'emendar  1'errore, 
ne  vuol  che  prima  il  suo  signor  lo  veggia; 
cosi  Fangelo  a  Dio  salir  non  volse, 
se  de  Tobligo  prima  non  si  sciolse. 

XXXVII 

Al  monister,  dove  altre  volte  avea 
la  Discordia  veduta,  drizz6  Tali. 
Trovolla  ch'in  capitulo  sedea 
a  nuova  elezion  degli  ufficiali; 
e  di  veder  diletto  si  prendea 
volar  pel  capo  aj  frati  i  breviali. 
Le  man  le  pose  1'angelo  nel  crine, 
e  pugna  e  calci  le  die  senza  fine. 

XXXVIII 

Indi  le  roppe  un  manico  di  croce 
per  la  testa,  pel  dosso  e  per  le  braccia. 
Merce  grida  la  misera  a  gran  voce, 
e  le  ginocchia  al  divin  nunzio  abbraccia. 
Michel  non  1'abandona,  che  veloce 
nel  campo  del  re  d' Africa  la  caccia; 
e  poi  le  dice:  —  Aspettati  aver  peggio, 
se  fuor  di  questo  campo  piu  ti  veggio.  — 

xxxix 

Come  che  la  Discordia  avesse  rotto 
tutto  il  dosso  e  le  braccia,  pur  temendo 
un'altra  volta  ritrovarsi  sotto 
a  quei  gran  colpi,  a  quel  furor  tremendo, 
corre  a  pigliare  i  mantici  di  botto, 
et  agli  accesi  fuochi  esca  aggiungendo, 
et  accendendone  altri,  fa  salire 
da  molti  cori  un  alto  incendio  d'ire. 


CANTO   VENTESIMOSETTIMO 
XL 

E  Rodomonte  e  Mandricardo  e  insieme 
Ruggier  n'infiamma  si,  che  inanzi  al  Moro 
li  fa  tutti  venire,  or  che  non  preme 
Carlo  i  pagani,  anzi  il  vantaggio  e  loro. 
Le  differenzie  narrano,  et  il  seme 
fanno  saper,  da  cui  produtte  foro ; 
poi  del  re  si  rimettono  al  parere, 
chi  di  lor  prima  il  campo  debba  avere. 

XLI 

Marfisa  del  suo  caso  anco  favella, 

e  dice  che  la  pugna  vuol  finire 

che  comincio  col  Tartaro;  perch' ella 

provocata  da  lui  vi  fu  a  venire: 

ne,  per  dar  loco  alPaltre,  volea  quella 

un'ora,  non  che  un  giorno,  differire; 

ma  d'esser  prima  fa  Pinstanzia  grande, 

ch'alla  battaglia  il  Tartaro  domande. 

XLII 

Non  men  vuol  Rodomonte  il  primo  campo 
da  terminar  col  suo  rival  1'impresa, 
che  per  soccorrer  Fafricano  campo 
ha  gia  interrotta,  e  fin  a  qui  sospesa. 
Mette  Ruggier  le  sue  parole  a  campo, 
e  dice  che  patir  troppo  gli  pesa 
che  Rodomonte  il  suo  destrier  gli  tenga, 
e  ch'a  pugna  con  lui  prima  non  venga. 

XLIII 

Per  piu  intricarla  il  Tartaro  viene  anche, 
e  niega  che  Ruggiero  ad  alcun  patto 
debba  Faquila  aver  da  Tale  bianche; 
e  d'ira  e  di  furore  &  cosi  matto, 
che  vuol,  quando  dagli  altri  tre  non  manche, 
combatter  tutte  le  querele  a  un  tratto. 
Ne  piu  dagli  altri  ancor  saria  mancato, 
se  Jl  consenso  del  re  vi  fosse  stato. 


702  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Con  prieghi  il  re  Agramante  e  buon  ricordi 
fa  quanto  puo,  perche  la  pace  segua; 
e  quando  al  fin  tutti  li  vede  sordi 
non  volere  assentire  a  pace  o  a  triegua, 
va  discorrendo  come  almen  gli  accordi 
si,  che  Tun  dopo  Taltro  il  campo  assegua: 
e  pel  miglior  partito  al  fin  gli  occorre 
ch'ognuno  a  sorte  il  campo  s'abbia  a  t6rre. 

XLV 

Fe'  quattro  brevi  porre:  un  Mandricardo 
e  Rodomonte  insieme  scritto  ayea; 
ne  1'altro  era  Ruggiero  e  Mandricardo; 
Rodomonte  e  Ruggier  Paltro  dicea; 
dicea  1'altro  Marfisa  e  Mandricardo. 
Indi  alParbitrio  de  Pinstabil  dea 
li  fece  trarre:  e  1  primo  fu  il  signore 
di  Sarza  a  uscir  con  Mandricardo  fuore. 

XLVI 

Mandricardo  e  Ruggier  fu  nel  secondo; 
nel  terzo  fu  Ruggiero  e  Rodomonte; 
rest6  Marfisa  e  Mandricardo  in  fondo, 
di  che  la  donna  ebbe  turbata  fronte. 
Ne  Ruggier  piu  di  lei  parve  giocondo : 
sa  che  le  forze  dei  duo  primi  pronte 
han  tra  lor  da  finir  le  liti  in  guisa, 
che  non  ne  fia  per  se  ne  per  Marfisa. 

XL  VII 

Giacea  non  lungi  da  Parigi  un  loco, 
che  volgea  un  miglio  o  poco  meno  intorno: 
lo  cingea  tutto  un  argine  non  poco 
sublime,  a  guisa  d'un  teatro  adorno. 
Un  castel  gia  vi  fu,  ma  a  ferro  e  a  fuoco 
le  mura  e  i  tetti  et  a  ruina  andorno. 
Un  simil  pu6  vederne  in  su  la  strada, 
qual  volta  a  Borgo  il  Parmigiano  vada. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  703 

XL  VIII 

In  questo  loco  fu  la  lizza  fatta, 
di  brevi  legni  d'ogn'intorno  chiusa, 
per  giusto  spazio  quadra,  al  bisogno  atta, 
con  due  capaci  porte,  come  s'usa. 
Giunto  il  di  ch'al  re  par  che  si  comb  atta 
tra  i  cavallier  che  non  ricercan  scusa, 
furo  appresso  alle  sbarre  in  ambi  i  lati 
contra  i  rastrelli  i  padiglion  tirati. 

XLIX 

Nel  padiglion  ch'e  piu  verso  ponente 
sta  il  re  d'Algier,  c'ha  membra  di  gigante. 
Gli  pon  lo  scoglio  indosso  del  serpente 
1'ardito  Ferrau  con  Sacripante. 
II  re  Gradasso  e  Falsiron  possente 
sono  in  quell5  altro  al  lato  di  levante, 
e  metton  di  sua  man  Tarme  troiane 
indosso  al  successor  del  re  Agricane. 

L 

Sedeva  in  tribunale  amplo  e  sublime 
il  re  d' Africa,  e  seco  era  1'Ispano; 
poi  Stordilano,  e  1'altre  genti  prime 
che  riveria  Fesercito  pagano. 
Beato  a  chi  pon  dare  argini  e  cime 
d'arbori  stanza  che  gli  alzi  dal  piano! 
Grande  e  la  calca,  e  grande  in  ogni  lato 
populo  ondeggia  intorno  al  gran  steccato. 

LI 

Eran  con  la  regina  di  Castiglia 
regine  e  principesse  e  nobil  donne 
d'Aragon,  di  Granata  e  di  Siviglia, 
e  fin  di  presso  all'atlantee  colonne: 
tra  quai  di  Stordilan  sedea  la  figlia, 
che  di  duo  drappi  avea  le  ricche  gonne, 
Tun  d'un  rosso  mal  tinto,  e  Paltro  verde; 
ma  '1  primo  quasi  imbianca  e  il  color  perde. 


704  ORLANDO    FURIOSO 

LII 

In  abito  succinta  era  Marfisa, 
qual  si  convenne  a  donna  et  a  guerriera. 
Termoodonte  forse  a  quella  guisa 
vide  Ippolita  ornarsi  e  la  sua  schiera. 
Gia,  con  la  cotta  d'arme  alia  divisa 
del  re  Agramante,  in  campo  venut'era 
Taraldo  a  far  divieto  e  metter  leggi, 
che  n£  in  fatto  ne  in  detto  alcun  parteggi. 

LIII 

La  spessa  turba  aspetta  disiando 
la  pugna,  e  spesso  incolpa  il  venir  tar  do 
dei  duo  famosi  cavallieri;  quando 
sjode  dal  padiglion  di  Mandricardo 
alto  rumor  che  vien  moltiplicando. 
Or  sappiate,  Signor,  che  '1  re  gagliardo 
di  Sericana  e  '1  Tartaro  possente 
fanno  il  tumulto  e  '1  grido  che  si  sente. 

LIV 

Avendo  armato  il  re  di  Sericana 
di  sua  man  tutto  il  re  di  Tartaria, 
per  porgli  al  fianco  la  spada  soprana 
che  gia  d' Orlando  fu,  se  ne  venia; 
quando  nel  pome  scritto  Durindana 
vide,  e  1  quartier  ch' Almonte  aver  solia, 
ch'a  quel  meschin  fu  tolto  ad  una  fonte 
dal  giovenetto  Orlando  in  Aspramonte. 

LV 

Vedendola,  fu  certo  ch'era  quella 
tanto  famosa  del  signer  d'Anglante, 
per  cui  con  grand  e  armata,  e  la  piu  bella 
che  giamai  si  partisse  di  Levante, 
soggiogato  avea  il  regno  di  Castella, 
e  Francia  vinta  esso  pochi  anni  inante: 
ma  non  pu6  imaginarsi  come  avenga 
ch'or  Mandricardo  in  suo  poter  la  tenga. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  705 

LVI 

E  dimand6gli  se  per  forza  o  patto 
Pavesse  tolta  al  conte,  e  dove  e  quando, 
E  Mandricardo  disse  ch'avea  fatto 
gran  battaglia  per  essa  con  Orlando; 
e  come  finto  quel  s'era  poi  matto, 
cosi  coprire  il  suo  timor  sperando, 
ch'era  d'aver  continua  guerra  meco, 
fin  che  la  buona  spada  avesse  seco. 

LVII 

E  dicea  ch'imitato  avea  il  castore, 
il  qual  si  strappa  i  genitali  sui, 
vedendosi  alle  spalle  il  cacciatore, 
che  sa  che  non  ricerca  altro  da  lui. 
Gradasso  non  udi  tutto  il  tenore, 
che  disse:  —  Non  vo'  darla  a  te  ne  altrui: 
tanto  oro,  tanto  affanno  e  tanta  gente 
ci  ho  speso,  che  e  ben  mia  debitamente. 

LVIII 

Cercati  pur  fornir  d'un'altra  spada, 
ch'io  voglio  questa,  e  non  ti  paia  nuovo. 
Pazzo  o  saggio  ch' Orlando  se  ne  vada, 
averla  intendo,  ovunque  io  la  ritrovo. 
Tu  senza  testimoni  in  su  la  strada 
te  Tusurpasti:  io  qui  lite  ne  muovo. 
La  mia  ragion  dira  mia  scimitarra, 
e  faremo  ii  giudicio  ne  la  sbarra. 

LIX 

Prima  di  guadagnarla  t'apparecchia, 
che  tu  Fadopri  contra  a  Rodomonte. 
Di  comprar  prima  Tarme  e  usanza  vecchia, 
ch'alla  battaglia  il  cavallier  s'aflronte. 

—  Piu  dolce  suon  non  mi  viene  alForecchia,  — 
rispose  alzando  il  Tartaro  la  fronte 

—  che  quando  di  battaglia  alcun  mi  tenta; 
ma  fa  che  Rodomonte  Io  consenta. 


706  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

Fa  che  sia  tua  la  prima,  e  che  si  tolga 
11  re  di  Sarza  la  tenzon  seconda; 
e  non  ti  dubitar  ch'io  non  mi  volga, 
e  ch'a  te  et  ad  ogni  altro  io  non  risponda.  - 
Ruggier  grido :  —  Non  vo'  che  si  disciolga 
il  patto,  o  phi  la  sorte  si  confonda: 
o  Rodomonte  in  campo  prima  saglia, 
o  sia  la  sua  dopo  la  mia  battaglia. 

LXI 

Se  di  Gradasso  la  ragion  prevale, 
prima  acquistar  che  porre  in  opra  1'arme; 
ne  tu  1'aquila  mia  da  le  bianche  ale 
prima  usar  dei,  che  non  me  ne  disarme: 
ma  poi  ch'e  stato  il  mio  voler  gia  tale, 
di  mia  sentenza  non  voglio  appellarme, 
che  sia  seconda  la  battaglia  mia, 
quando  del  re  d'Algier  la  prima  sia. 

LXII 

Se  turbarete  voi  1'ordine  in  parte, 
io  totalmente  turbarollo  ancora. 
Io  non  intendo  il  mio  scudo  lasciarte, 
se  contra  me  non  Io  combatti  or  ora. 

—  Se  Puno  e  Paltro  di  voi  fosse  Marte,  — 
rispose  Mandricardo  irato  allora 

—  non  saria  Tun  ne"  1'altro  atto  a  vietarme 
la  buona  spada  o  quelle  nobili  arme.  — 

LXIII 

E  tratto  da  la  colera,  aventosse 
col  pugno  chiuso  al  re  di  Sericana; 
e  la  man  destra  in  modo  gli  percosse, 
ch'abandonar  gli  fece  Durindana. 
Gradasso,  non  credendo  ch'egli  fosse 
di  cosi  folle  audacia  e  cosi  insana, 
colto  improviso  fu,  che  stava  a  bada, 
e  tolta  si  trov6  la  buona  spada. 


CANfO    VENTESIMOSETTIMO  707 

LXIV 

Cosi  scornato,  di  vergogna  e  d'ira 
nel  viso  avampa,  e  par  che  getti  fuoco; 
e  piu  PafHige  il  caso  e  lo  martira, 
poi  che  gli  accade  in  si  palese  loco. 
Bramoso  di  vendetta  si  ritira, 
a  trar  la  scimitarra,  a  dietro  un  poco. 
Mandricardo  in  se  tanto  si  confida, 
che  Ruggiero  anco  alia  battaglia  sfida. 

LXV 

—  Venite  pure  inanzi  amenduo  insieme, 
e  vengane  pel  terzo  Rodomonte, 
Africa  e  Spagna  e  tutto  Tuman  seme; 
ch'io  son  per  sempremai  volger  la  fronte.  — 
Cosi  dicendo,  quel  che  nulla  teme, 

mena  d'intorno  la  spada  d' Almonte; 
lo  scudo  imbraccia,  disdegnoso  e  fiero, 
contra  Gradasso  e  contra  il  buon  Ruggiero. 

LXVI 

—  Lascia  la  cura  a  me,  —  dicea  Gradasso 

—  ch'io  guarisca  costui  de  la  pazzia. 

—  Per  Dio,  —  dicea  Ruggier  —  non  te  la  lasso, 
ch'esser  convien  questa  battaglia  mia. 

—  Va  indietro  tu!  —  Vawi  pur  tu!  —  ne  passo 
per6  tornando,  gridan  tuttavia; 

et  attaccossi  la  battaglia  in  terzo, 
et  era  per  uscirne  un  strano  scherzo, 

LXVII 

se  molti  non  si  fossero  interposti 

a  quel  furor,  non  con  troppo  consiglio; 

ch'a  spese  lor  quasi  imparar  che  costi 

voler  altri  salvar  con  suo  periglio. 

Ne  tutto  '1  mondo  mai  gli  avria  composti, 

se  non  venia  col  re  d'Ispagna  il  figlio 

del  famoso  Troiano,  al  cui  conspetto 

tutti  ebb  on  river  enzia  e  gran  rispetto. 


70S  ORLANDO    FURIOSO 

LXVIII 

Si  fe'  Agramante  la  cagione  esporre 
di  questa  nuova  lite  cosi  ardente: 
poi  molto  affaticossi  per  disporre 
che  per  quella  giornata  solamente 
a  Mandricardo  la  spada  d'Ettorre 
concedesse  Gradasso  umanamente, 
tanto  ch'avesse  fin  1'aspra  contesa 
ch'avea  gia  incontra  a  Rodomonte  presa. 

LXIX 

Mentre  studia  placarli  il  re  Agramante, 
et  or  con  questo  et  or  con  quel  ragiona; 
da  1'altro  padiglion  tra  Sacripante 
e  Rodomonte  un'altra  lite  suona. 
II  re  circasso  (come  e  detto  inante) 
stava  di  Rodomonte  alia  persona, 
et  egli  e  Ferrau  gli  aveano  indotte 
Tarme  del  suo  progenitor  Nembrotte. 

LXX 

Et  eran  poi  venuti  ove  il  destriero 
facea  mordendo  il  ricco  fren  spumoso; 
io  dico  il  buon  Frontin,  per  cui  Ruggiero 
stava  iracondo  e  piu  che  mai  sdegnoso. 
Sacripante  ch'a  por  tal  cavalliero 
in  campo.avea,  mirava  curioso 
se  ben  ferrato  e  ben  guernito  e  in  punto 
era  il  destrier,  come  doveasi  a  punto. 

LXXI 

E  venendo  a  guardargli  piu  a  minuto 
i  segni,  le  fattezze  isnelle  et  atte, 
ebbe,  fuor  d'ogni  dubbio,  conosciuto 
che  questo  era  il  destrier  suo  Frontalatte, 
che  tanto  caro  gia  s'avea  tenuto, 
per  cui  gia  avea  mille  querele  fatte; 
e  poi  che  gli  fu  tolto,  un  tempo  volse 
sempre  ire  a  piedi:  in  modo  gliene  dolse. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  709 

LXXII 

Inanzi  Albracca  glie  Tavea  Brunello 
tolto  di  sotto  quel  medesmo  giorno 
ch'ad  Angelica  ancor  tolse  Pannello, 
al  conte  Orlando  Balisarda  e  '1  corno, 
e  la  spada  a  Marfisa:  et  avea  quello, 
dopo  che  fece  in  Africa  ritorno, 
con  Balisarda  insieme  a  Ruggier  dato, 
il  qual  Tavea  Frontin  poi  nominate. 

LXXIII 

Quando  conobbe  non  si  apporre  in  fallo, 
disse  il  Circasso,  al  re  d'Algier  rivolto: 
—  Sappi,  signor,  che  questo  e  mio  cavallo, 
ch'ad  Albracca  di  furto  mi  fu  tolto. 
Bene  avrei  testimoni  da  provallo; 
ma  perche  son  da  noi  lontani  molto, 
s'alcun  lo  niega,  io  gli  vo'  sostenere 
con  Parme  in  man  le  mie  parole  vere. 

LXXIV 

Ben  son  contento,  per  la  compagnia 
in  questi  pochi  di  stata  fra  noi, 
che  prestato  il  cavallo  oggi  ti  sia, 
ch'io  veggo  ben  che  senza  far  non  puoi; 
per6  con  patto,  se  per  cosa  mia 
e  prestata  da  me  conoscer  vuoi: 
altrimente  d'averlo  non  far  stima, 
o  se  non  lo  combatti  meco  prima.  — 

LXXV 

Rodomonte,  del  quale  un  pin  orgoglioso 
non  ebbe  mai  tutto  il  mestier  de  Parme; 
al  quale  in  esser  forte  e  coraggioso 
alcuno  antico  d'uguagliar  non  panne; 
rispose: —  Sacripante,  ogn'altro  ch/oso, 
fuor  che  tu,  fosse  in  tal  modo  a  parlarme, 
con  suo  mal  si  saria  tosto  aweduto 
che  meglio  era  per  lui  di  nascer  muto. 


710  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Ma  per  la  compagnia  che,  come  hai  detto, 
novellamente  insieme  abbiamo  presa, 
ti  son  contento  aver  tanto  rispetto, 
ch'io  t'ammonisca  a  tardar  questa  impresa, 
fin  che  de  la  battaglia  veggi  efFetto, 
che  fra  il  Tartaro  e  me  tosto  fia  accesa: 
dove  porti  uno  esempio  inanzi  spero, 
ch'avrai  di  grazia  a  dirmi:  Abbi  il  destriero. 

LXXVII 

—  Gli  e  teco  cortesia  1'esser  villano;  — 
disse  il  Circasso  pien  d'ira  e  di  isdegno 

—  ma  piu  chiaro  ti  dico  ora  e  piu  piano, 
che  tu  non  faccia  in  quel  destrier  disegno : 
che  te  lo  defendo  io,  tanto  ch'in  mano 
questa  vindice  mia  spada  sostegno ; 

e  metter6vi  insino  1'ugna  e  il  dente, 
se  non  potro  difenderlo  altrimente.  — 

LXXVIII 

Venner  da  le  parole  alle  contese, 
ai  gridi,  alle  minaccie,  alia  battaglia, 
che  per  molt'ira  in  piu  fretta  s'accese, 
che  s'accendesse  mai  per  fuoco  paglia. 
Rodomonte  ha  1'osbergo  et  ogni  arnese, 
Sacripante  non  ha  piastra  ne  maglia; 
ma  par  (si  ben  con  lo  schermir  s'adopra) 
che  tutto  con  la  spada  si  ricuopra. 

LXXIX 

Non  era  la  possanza  e  la  fierezza 
di  Rodomonte,  ancor  ch'era  infinita, 
piu  che  la  providenza  e  la  destrezza 
con  che  sue  forze  Sacripante  aita. 
Non  volto  ruota  mai  con  piu  prestezza 
il  macigno  sovran  che  '1  grano  trita, 
che  faccia  Sacripante  or  mano  or  piede 
di  qua  di  la,  dove  il  bisogno  vede. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  JII 

LXXX 

Ma  Ferrau,  ma  Serpentine  arditi 
trasson  le  spade,  e  si  cacciar  tra  loro, 
dal  re  Grandonio,  da  Isolier  seguiti, 
da  molt'altri  signor  del  popul  Moro. 
Questi  erano  i  romori,  i  quali  uditi 
ne  Paltro  padiglion  fur  da  costoro, 
quivi  per  accordar  venuti  invano 
col  Tartaro,  Ruggiero  e  '1  Sericano. 

LXXXI 

Venne  chi  la  novella  al  re  Agramante 
riport6  certa,  come  pel  destriero 
avea  con  Rodomonte  Sacripante 
incominciato  un  aspro  assalto  e  fiero. 
II  re,  confuso  di  discordie  tante, 
disse  a  Marsilio :  —  Abbi  tu  qui  pensiero 
die  fra  questi  guerrier  non  segua  peggio, 
mentre  all'altro  disordine  io  proveggio.  — 

LXXXII 

Rodomonte,  che  '1  re,  suo  signor,  mira, 
frena  Porgoglio,  e  torna  indietro  il  passo; 
ne  con  minor  rispetto  si  ritira 
al  venir  dj  Agramante  il  re  circasso. 
Quel  domanda  la  causa  di  tant'ira 
con  real  viso  e  parlar  grave  e  basso: 
e  cerca,  poi  che  n'ha  compreso  il  tutto, 
porli  d'accordo;  e  non  vi  fa  alcun  frutto. 

LXXXIII 

II  re  circasso  il  suo  destrier  non  vuole 
ch'al  re  d'Algier  piu  lungamente  resti, 
se  non  s'umilia  tanto  di  parole, 
che  lo  venga  a  pregar  che  glie  lo  presti. 
Rodomonte,  superbo  come  suole, 
gli  risponde:  —  Ne  1  ciel,  ne  tu  faresti 
che  cosa  che  per  forza  aver  potessi, 
da  altri  che  da  me  mai  conoscessi.  — 


712  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXIV 

II  re  chiede  al  Circasso  che  ragione 
ha  nel  cavallo,  e  come  gli  fu  tolto: 
e  quel  di  parte  in  parte  il  tutto  espone, 
et  esponendo  s'arrossisce  in  volto, 
quando  gli  narra  che  '1  sottil  ladrone, 
ch'in  un  alto  pensier  1'aveva  colto, 
la  sella  su  quattro  aste  gli  suffolse, 
e  di  sotto  il  destrier  nudo  gli  tolse. 

LXXXV 

Marfisa  che  tra  gli  altri  al  grido  venne, 
tosto  che  '1  furto  del  cavallo  udi, 
in  viso  si  turb6,  che  le  sovenne 
che  perde  la  sua  spada  ella  quel  di: 
e  quel  destrier  che  parve  aver  le  penne 
da  lei  fuggendo,  riconobbe  qui: 
riconobbe  anco  il  buon  re  Sacripante, 
che  non  avea  riconosciuto  inante. 

LXXXVI 

Gli  altri  ch'erano  intorno,  e  che  vantarsi 
Brunei  di  questo  aveano  udito  spesso, 
verso  lui  cominciaro  a  rivoltarsi, 
e  far  palesi  cenni  ch'era  desso; 
Marfisa  sospettando,  ad  informarsi 
da  questo  e  da  quell'altro  ch'avea  appresso, 
tanto  che  venne  a  ritrovar  che  quello 
che  le  tolse  la  spada  era  Brunello: 

LXXXVII 

e  seppe  che  pel  furto  onde  era  degno 
che  gli  annodasse  il  collo  un  capestro  unto, 
dal  re  Agramante  al  tingitano  regno 
fu,  con  esempio  inusitato,  assunto. 
Marfisa,  rinfrescando  il  vecchio  sdegno, 
disegno  vendicarsene  a  quel  punto, 
e  punir  scherni  e  scorni  che  per  strada 
fatti  Pavea  sopra  la  tolta  spada. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  713 

LXXXVIII 

Dal  suo  scudier  1'elmo  allacciar  si  fece; 
che  del  resto  de  Farme  era  guernita. 
Senza  osbergo  io  non  trovo  che  mai  diece 
volte  fosse  veduta  alia  sua  vita, 
dal  giorno  ch'a  portarlo  assuefece 
la  sua  persona,  oltre  ogni  fede  ardita. 
Con  1'elmo  in  capo  ando  dove  fra  i  primi 
Brunei  sedea  negli  argini  sublimi. 

LXXXIX 

Gli  diede  a  prima  giunta  ella  di  piglio 
in  mezzo  il  petto,  e  da  terra  levollo, 
come  levar  suol  col  falcato  artiglio 
talvolta  la  rapace  aquila  il  polio; 
e  la  dove  la  lite  inanzi  al  figlio 
era  del  re  Troian,  cosi  portollo. 
Brunei,  che  giunto  in  male  man  si  vede, 
pianger  non  cessa  e  domandar  mercede. 

xc 

Sopra  tutti  i  rumor,  strepiti  e  gridi, 
di  che  '1  campo  era  pien  quasi  ugualmente, 
Brunei,  ch'ora  pietade  ora  sussidi 
domandando  venia,  cosi  si  sente, 
ch'al  suono  dej  ramarichi  e  de'  stridi 
si  fa  d'intorno  accor  tutta  la  gente. 
Giunta  inanzi  al  re  d'Africa,  Marfisa 
con  viso  altier  gli  dice  in  questa  guisa: 

xci 

—  Io  voglio  questo  ladro  tuo  vasallo 
con  le  mie  mani  impender  per  la  gola, 
perche  il  giorno  medesmo  che  '1  cavallo 
a  costui  tolle,  a  me  la  spada  invola. 
Ma  se  gli  e  alcun  che  voglia  dir  ch'io  fallo, 
facciasi  inanzi  e  dica  una  parola; 
ch'in  tua  presenzia  gli  voj  sostenere 
che  se  ne  mente,  e  ch'io  fo  il  mio  dovere. 


714  ORLANDO   FURIOSO 

XCII 

Ma  perche*  si  potria  forse  imputarme 
c'ho  atteso  a  farlo  in  mezzo  a  tante  liti, 
mentre  che  questi  piu  famosi  in  arme 
d'altre  querele  son  tutti  impediti; 
tre  giorni  ad  impiccarlo  io  voj  indugiarme: 
intanto  o  vieni,  o  manda  chi  Paiti; 
che  dopo,  se  non  fia  chi  me  lo  vieti, 
far6  di  lui  mille  uccellacci  lieti. 

XCIII 

Di  qui  presso  a  tre  leghe  a  quella  torre 
che  siede  inanzi  ad  un  piccol  boschetto, 
senza  piu  compagnia  mi  vado  a  porre 
che  d'una  mia  donzella  e  d'un  valletto. 
S'alcuno  ardisce  di  venirmi  a  t6rre 
questo  ladron,  la  venga,  ch'io  1'aspetto.  — 
Cosi  disse  ella;  e  dove  disse,  prese 
tosto  la  via,  ne  piu  risposta  attese. 

xciv 

Sul  collo  inanzi  del  destrier  si  pone 
Brunei,  che  tuttavia  tien  per  le  chiome. 
Piange  il  misero  e  grida,  e  le  persone, 
in  che  sperar  solia,  chiama  per  nome. 
Resta  Agramante  in  tal  confusione 
di  questi  intrichi,  che  non  vede  come 
poterli  sciorre;  e  gli  par  via  piu  greve 
che  Marfisa  Brunei  cosi  gli  leve. 

xcv 

Non  che  Fapprezzi  o  che  gli  porti  amore, 
anzi  piu  giorni  son  che  Podia  molto ; 
e  spesso  ha  d'impiccarlo  avuto  in  core, 
dopo  che  gli  era  stato  Pannel  tolto. 
Ma  questo  atto  gli  par  contra  il  suo  onore, 
si  che  n'avampa  di  vergogna  in  volto. 
Vuole  in  persona  egli  seguirla  in  fretta, 
e  a  tutto  suo  poter  fame  vendetta. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  715 

XCVI 

Ma  il  re  Sobrino,  il  quale  era  presente, 
da  questa  impresa  molto  il  dissuade, 
dicendogli  che  mal  conveniente 
era  all'altezza  di  sua  maestade, 
se  ben  avesse  d'esserne  vincente 
ferma  speranza  e  certa  sicurtade: 
piu  ch'onor,  gli  fia  biasmo  che  si  dica 
ch'abbia  vinta  una  femina  a  fatica. 

xcvn 

Poco  Ponore,  e  molto  era  il  periglio 
d'ogni  battaglia  che  con  lei  pigliasse; 
e  che  gli  dava  per  miglior  consiglio, 
che  Brunello  alle  forche  aver  lasciasse; 
e  se  credesse  ch'uno  alzar  di  ciglio 
a  torlo  dal  capestro  gli  bastasse, 
non  dovea  alzarlo,  per  non  contradire 
che  s'abbia  la  giustizia  ad  esequire. 

XCVIII 

—  Potrai  mandare  un  che  Marfisa  prieghi  — 
dicea  —  ch'in  questo  giudice  ti  faccia, 
con  promission  ch'al  ladroncel  si  leghi 
il  laccio  al  collo,  e  a  lei  si  sodisfaccia; 
e  quando  anco  ostinata  te  lo  nieghi, 
se  1'abbia,  e  il  suo  desir  tutto  compiaccia: 
pur  che  da  tua  amicizia  non  si  spicchi, 
Brunello  e  gli  altri  ladri  tutti  impicchi.  — 

xcix 

II  re  Agramante  volentier  s'attenne 
al  parer  di  Sobrin  discrete  e  saggio; 
e  Marfisa  lascio,  che  non  le  venne, 
ne  pati  ch'altri  andasse  a  farle  oltraggio, 
n6  di  farla  pregare  anco  sostenne: 
e  toler6,  Dio  sa  con  che  coraggio, 
per  poter  acchetar  liti  maggiori, 
e  del  suo  campo  tor  tanti  romori. 


716  ORLANDO   FURIOSO 


Di  ci6  si  ride  la  Discordia  pazza, 
che  pace  o  triegua  omai  piu  teme  poco. 
Scorre  di  qua  e  di  la  tutta  la  piazza, 
ne  puo  trovar  per  allegrezza  loco. 
La  Superbia  con  lei  salta  e  gavazza, 
e  legne  et  esca  va  aggiungendo  al  fuoco: 
e  grida  si,  che  fin  ne  1'alto  regno 
manda  a  Michel  de  la  vittoria  segno. 

Cl 

Trem6  Parigi  e  turbidossi  Senna 
alFalta  voce,  a  quello  orribil  grido; 
rimbombo  il  suon  fin  alia  selva  Ardenna 
si  che  lasciar  tutte  le  fiere  il  nido. 
Udiron  1'Alpi  e  il  monte  di  Gebenna, 
di  Blaia  e  d' Arli  e  di  Roano  il  lido ; 
Rodano  e  Sonna  udi,  Garonna  e  il  Reno; 
si  strinsero  le  madri  i  figli  al  seno. 

en 

Son  cinque  cavallier  c'han  fisso  il  chiodo 
d'essere  i  primi  a  terminar  sua  lite, 
1'una  ne  1'altra  aviluppata  in  modo, 
che  non  1'avrebbe  Apolline  espedite. 
Commincia  il  re  Agramante  a  sciorre  il  no  do 
de  le  prime  tenzon  ch'aveva  udite, 
che  per  la  figlia  del  re  Stordilano 
eran  tra  il  re  di  Scizia  e  il  suo  African  o. 

cm 

II  re  Agramante  and6  per  porre  accordo 
di  qua  e  di  la  piu  volte  a  questo  e  a  quello, 
e  a  questo  e  a  quel  piu  volte  die  ricordo 
da  signor  giusto  e  da  fedel  fratello : 
e  quando  parimente  trova  sordo 
Tun  come  Paltro,  indomito  e  rubello 
di  volere  esser  quel  che  resti  senza 
la  donna  da  cui  vien  lor  differenza; 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  717 

CIV 

s'appiglia  al  fin,  come  a  miglior  partite, 

di  che  amendui  si  contentar  gli  amanti, 

che  de  la  bella  donna  sia  marito 

1'uno  de5  duo,  quel  che  vuole  essa  inanti; 

e  da  quanto  per  lei  sia  stabilito, 

piu  non  si  possa  andar  dietro  ne  avanti. 

All'uno  e  alPaltro  piace  il  compromesso, 

sperando  ch'esser  debbia  a  favor  d'esso. 

cv 

II  re  di  Sarza,  che  gran  tempo  prima 
di  Mandricardo  amava  Doralice, 
et  ella  Pavea  posto  in  su  la  cima 
d'ogni  favor  ch'a  donna  casta  lice; 
che  debba  in  util  suo  venire  estima 
la  gran  sentenzia  che  1  puo  far  felice: 
ne  egli  avea  questa  credenza  solo, 
ma  con  lui  tutto  il  barbaresco  stuolo. 

cvi 

Ognun  sapea  ci6  ch'egli  avea  gia  fatto 
per  essa  in  giostre,  in  torniamenti,  in  guerra; 
e  che  stia  Mandricardo  a  questo  patto, 
dicono  tutti  che  vaneggia  et  erra. 
Ma  quel  che  piu  fiate  e  piu  di  piatto 
con  lei  fu  mentre  il  sol  stava  sotterra, 
e  sapea  quanto  avea  di  certo  in  mano, 
ridea  del  popular  giudicio  vano. 

cvn 

Poi  lor  convenzion  ratificaro 
in  man  del  re  quei  duo  prochi  famosi, 
et  indi  alia  donzella  se  n'andaro. 
Et  ella  abbasso  gli  occhi  vergognosi, 
e  disse  che  piu  il  Tartaro  avea  caro: 
di  che  tutti  restar  maravigliosi ; 
Rodomonte  si  attonito  e  smarrito, 
che  di  levar  non  era  il  viso  ardito. 


ORLANDO   FURIOSO 
CVIII 

Ma  poi  che  1'usata  ira  caccio  quella 
vergogna  che  gli  avea  la  faccia  tinta, 
ingiusta  e  falsa  la  sentenzia  appella; 
e  la  spada  impugnando,  ch'egli  ha  cinta, 
dice,  udendo  il  re  e  gli  altri,  che  vuol  ch'ella 
gli  dia  perduta  questa  causa  o  vinta, 
e  non  Parbitrio  di  femina  lieve 
che  sempre  inchina  a  quel  che  men  far  deve. 

cix 

Di  nuovo  Mandricardo  era  risorto, 
dicendo :  —  Vada  pur  come  ti  pare  — : 
si  che  prima  che  '1  legno  entrasse  in  porto, 
v'era  a  solcare  un  gran  spazio  di  mare: 
se  non  che  '1  re  Agramante  diede  torto 
a  Rodomonte,  che  non  puo  chiamare 
phi  Mandricardo  per  quella  querela; 
e  fe5  cadere  a  quel  furor  la  vela. 

ex 

Or  Rodomonte  che  notar  si  vede 
dinanzi  a  quei  signor  di  doppio  scorno: 
dal  suo  re,  a  cui  per  riverenzia  cede, 
e  da  la  donna  sua,  tutto  in  un  giorno; 
quivi  non  volse  phi  fermare  il  piede, 
e  de  la  molta  turba  ch'avea  intorno 
seco  non  tolse  piu  che  duo  sergenti, 
et  usci  dei  moreschi  alloggiamenti. 

CXI 

Come  partendo  afflitto  tauro  suole, 
che  la  giuvenca  al  vincitor  cesso  abbia, 
cercar  le  selve  e  le  rive  piu  sole 
lungi  dai  paschi,  o  qualche  arrida  sabbia; 
dove  muggir  non  cessa  all'ombra  e  al  sole, 
ne  per6  scema  1'amorosa  rabbia: 
cosi  sen  va  di  gran  dolor  confuso 
il  re  d'Algier  da  la  sua  donna  escluso. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  719 

CXII 

Per  riavere  il  buon  destrier  si  mosse 
Ruggier,  che  gia  per  questo  s'era  armato; 
ma  poi  di  Mandricardo  ricordosse, 
a  cui  de  la  battaglia  era  ubligato : 
non  segui  Rodomonte,  e  ritornosse 
per  entrar  col  re  tartaro  in  steccato 
prima  che  'ntrasse  il  re  di  Sericana, 
che  Paltra  lite  avea  di  Durindana. 

CXIII 

Veder  torsi  Frontin  troppo  gli  pesa 
dinanzi  agli  occhi,  e  non  poter  vietarlo; 
ma  dato  ch'abbia  fine  a  questa  impresa, 
ha  ferma  intenzion  di  ricovrarlo. 
Ma  Sacripante  che  non  ha  contesa, 
come  Ruggier,  che  possa  distornarlo, 
e  che  non  ha  da  far  altro  che  questo, 
per  1'orrne  vien  di  Rodomonte  presto. 

cxrv 

E  tosto  1'avria  giunto,  se  non  era 
un  caso  strano  che  trovo  tra  via, 
che  lo  fe'  dimorar  fin  alia  sera, 
e  perder  le  vestigie  che  seguia. 
Trovo  una  donna  che  ne  la  riviera 
di  Senna  era  caduta,  e  vi  peria, 
s'a  darle  tosto  aiuto  non  veniva: 
salto  ne  1'acqua  e  la  ritrasse  a  riva. 

cxv 

Poi  quando  in  sella  volse  risalire, 
aspettato  non  fu  dal  suo  destriero, 
che  fin  a  sera  si  fece  seguire, 
e  non  si  lascio  prender  di  leggiero: 
preselo  al  fin,  ma  non  seppe  venire 
piu  donde  s'era  tolto  dal  sentiero: 
ducento  miglia  erro  tra  piano  e  monte, 
prima  che  ritrovasse  Rodomonte. 


72°  ORLANDO    FURIOSO 

CXVI 

Dove  trovollo,  e  come  fu  conteso 
con  disvantaggio  assai  di  Sacripante, 
come  perde  il  cavallo  e  resto  preso, 
or  non  diro;  c'ho  da  narrarvi  inante 
di  quanto  sdegno  e  di  quanta  ira  acceso 
contra  la  donna  e  contra  il  re  Agramante 
del  campo  Rodomonte  si  partisse, 
e  ci6  che  contra  aH'uno  e  alPaltro  disse. 

CXVII 

Di  cocenti  sospir  Paria  accendea 
dovunque  andava  il  Saracin  dolente: 
Ecco  per  la  pieta  che  gli  n'avea, 
da'  cavi  sassi  rispondea  sovente. 

—  Oh  feminile  ingegno,  —  egli  dicea 

—  come  ti  volgi  e  muti  facilmente, 
contrario  oggetto  proprio  de  la  fede! 
Oh  infelice,  oh  miser  chi  ti  crede! 

CXVIII 

Ne  lunga  servitu,  ne  grand'amore 
che  ti  fu  a  mille  prove  manifesto, 
ebbono  forza  di  tenerti  il  core, 
che  non  fossi  a  cangiarsi  almen  si  presto. 
Non  perch' a  Mandricardo  inferiore 
io  ti  paressi,  di  te  privo  resto; 
n6  so  trovar  cagione  ai  casi  miei, 
se  non  quest'una:  che  femina  sei. 

cxix 

Credo  che  t'abbia  la  Natura  e  Dio 
produtto,  o  scelerato  sesso,  al  mondo 
per  una  soma,  per  un  grave  fio 
de  1'uom,  che  senza  te  saria  giocondo : 
come  ha  produtto  anco  il  serpente  rio 
e  il  lupo  e  Torso,  e  fa  Paer  fecondo 
e  di  mosche  e  di  vespe  e  di  tafani, 
e  loglio  e  avena  fa  nascer  tra  i  grani. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  721 

cxx 

Perche  fatto  non  ha  Talma  Natura, 
che  senza  te  potesse  nascer  Fuomo, 
come  s'inesta  per  umana  cura 
Tun  sopra  1'altro  il  pero,  il  sorbo  e  '1  porno? 
Ma  quella  non  pu6  far  sempre  a  misura: 
anzi,  s'io  vo'  guardar  come  io  la  nomo, 
veggo  che  non  puo  far  cosa  perfetta, 
poi  che  Natura  femina  vien  detta. 

cxxi 

Non  siate  pero  tumide  e  fastose, 
donne,  per  dir  che  Tuom  sia  vostro  figlio; 
che  de  le  spine  ancor  nascon  le  rose, 
e  d'una  fetida  erba  nasce  il  giglio : 
importune,  superbe,  dispettose, 
prive  d'amor,  di  fede  e  di  consiglio, 
temerarie,  crudeli,  inique,  ingrate, 
per  pestilenzia  eterna  al  mondo  nate.  — 

cxxn 

Con  queste  et  altre  et  infinite  appresso 
querele  il  re  di  Sarza  se  ne  giva, 
or  ragionando  in  un  parlar  sommesso, 
quando  in  un  suon  che  di  lontan  s'udiva, 
in  onta  e  in  biasmo  del  femineo  sesso: 
e  certo  da  ragion  si  dipartiva; 
che  per  una  o  per  due  che  trovi  ree, 
che  cento  buone  sien  creder  si  dee. 

CXXIII 

Se  ben  di  quante  io  n'abbia  fin  qui  amate, 
non  n'abbia  mai  trovata  una  fedele, 
perfide  tutte  io  non  voj  dir  ne  ingrate, 
ma  darne  colpa  al  mio  destin  crudele. 
Molte  or  ne  sono,  e  piu  gia  ne  son  state, 
che  non  dan  causa  ad  uom  che  si  querele; 
ma  mia  fortuna  vuol  che  s'una  ria 
ne  sia  tra  cento,  io  di  lei  preda  sia. 


722  ORLANDO   FURIOSO 

CXXIV 

Pur  vo'  tanto  cercar  prima  ch'io  mora, 
anzi  prima  che  '1  crin  piu  mi  s'imbianchi, 
che  forse  diro  un  di  che  per  me  ancora 
alcuna  sia  che  di  sua  fe  non  manchi. 
Se  questo  awien  (che  di  speranza  fuora 

10  non  ne  son),  non  fia  mai  ch'io  mi  stanchi 
di  farla,  a  mia  possanza,  gloriosa 

con  lingua  e  con  inchiostro,  e  in  verso  e  in  prosa. 

cxxv 

11  Saracin  non  avea  manco  sdegno 
contra  il  suo  re,  che  contra  la  donzella; 
e  cosi  di  ragion  passava  il  segno, 
biasmando  lui,  come  biasmando  quella. 
Ha  disio  di  veder  che  sopra  il  regno 
gli  cada  tanto  mal,  tanta  procella, 
ch'in  Africa  ogni  cosa  si  funesti, 

ne  pietra  salda  sopra  pietra  resti; 

CXXVI 

e  che  spinto  del  regno,  in  duolo  e  in  lutto 
viva  Agramante  misero  e  mendico : 
e  ch'esso  sia  che  poi  gli  renda  il  tutto, 
e  lo  riponga  nel  suo  seggio  antico, 
e  de  la  fede  sua  produca  il  frutto; 
e  gli  faccia  veder  ch'un  vero  amico 
a  dritto  e  a  torto  esser  dovea  preposto, 
se  tutto  '1  mondo  se  gli  fosse  opposto. 

CXXVII 

E  cosi  quando  al  re,  quando  alia  donna 
volgendo  il  cor  turbato,  il  Saracino 
cavalca  a  gran  giornate,  e  non  assonna, 
e  poco  riposar  lascia  Frontino. 
II  di  seguente  o  Paltro  in  su  la  Sonna 
si  ritrovo,  ch'avea  dritto  il  camino 
verso  il  mar  di  Provenza,  con  disegno 
di  navigare  in  Africa  al  suo  regno. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  723 

CXXVIII 

Di  barche  e  di  sottil  legni  era  tutto 
fra  Tuna  ripa  e  Faltra  il  fiume  pieno, 
ch'ad  uso  de  Tesercito  condutto 
da  molti  lochi  vettovaglie  avieno; 
perche  in  poter  des  Mori  era  ridutto, 
venendo  da  Parigi  al  lito  ameno 
d'Acquamorta,  e  voltando  inver  la  Spagna, 
ci6  che  v'e  da  man  destra  di  campagna. 

cxxix 

Le  vettovaglie  in  carra  et  in  iumenti, 
tolte  fuor  de  le  navi,  erano  carche, 
e  tratte  con  la  scorta  de  le  genti, 
ove  venir  non  si  potea  con  barche. 
Avean  piene  le  ripe  i  grassi  armenti 
quivi  condotti  da  diverse  marche; 
e  i  conduttori  intorno  alia  riviera 
per  varii  tetti  albergo  avean  la  sera. 

cxxx 

II  re  d'Algier,  perche"  gli  sopravenne 
quivi  la  notte  e  1'aer  nero  e  cieco, 
d'un  ostier  paesan  lo  'nvito  tenne, 
che  lo  preg6  che  rimanesse  seco. 
Adagiato  il  destrier,  la  mensa  venne 
di  varii  cibi  e  di  vin  corso  e  greco; 
che  '1  Saracin  nel  resto  alia  moresca, 
ma  volse  far  nel  bere  alia  francesca. 

cxxxi 

L'oste  con  buona  mensa  e  miglior  viso 
studi6  di  fare  a  Rodomonte  onore; 
che  la  presenzia  gli  die  certo  aviso 
ch'era  uomo  ilhjstre  e  pien  d'alto  valore: 
ma  quel  che  da  se  stesso  era  diviso, 
ne  quella  sera  avea  ben  seco  il  core 
(che  mal  suo  grado  s'era  ricondotto 
alia  donna  gia  sua),  non  facea  motto. 


724  ORLANDO   FURIOSO 

CXXXII 

II  buono  ostier,  che  fu  del  dillgenti 
che  mai  si  sien  per  Francia  ricordati, 
quando  tra  le  nimiche  e  strane  genti 
Talbergo  e'  beni  suoi  s'avea  salvati; 
per  servir  quivi,  alcuni  suoi  parenti, 
a  tal  servigio  pronti,  avea  chiamati ; 
de'  quai  non  era  alcun  di  parlar  oso, 
vedendo  il  Saracin  muto  e  pensoso. 

cxxxm 

Di  pensiero  in  pensiero  and6  vagando 
da  se  stesso  lontano  il  pagan  molto, 
col  viso  a  terra  chino,  ne  levando 
si  gli  occhi  mai,  ch'alcun  guardasse  in  volto. 
Dopo  un  lungo  star  cheto,  suspirando, 
si  come  d'un  gran  sonno  allora  sciolto, 
tutto  si  scosse,  e  insieme  alzo  le  ciglia, 
e  volto  gli  occhi  all'oste  e  alia  famiglia. 

cxxxiv 

Indi  roppe  il  silenzio,  e  con  sembianti 
piu  dolci  un  poco  e  viso  men  turbato, 
domandc-  all'oste  e  agli  altri  circonstanti 
se  d'essi  alcuno  avea  mogliere  a  lato. 
Che  1'oste  e  che  quegli  altri  tutti  quanti 
Taveano,  per  risposta  gli  fu  dato. 
Domanda  lor  quel  che  ciascun  si  crede 
de  la  sua  donna  nel  servargli  fede,  • 

cxxxv 

Eccetto  Foste,  fer  tutti  risposta 
che  si  credeano  averle  e  caste  e  buone. 
Disse  1'oste:  —  Ognun  pur  creda  a  sua  posta; 
ch'io  so  ch'avete  falsa  opinione. 
II  vostro  sciocco  credere  vi  costa 
ch'io  stimi  ognun  di  voi  senza  ragione; 
e  cosi  far  questo  signor  deve  anco, 
se  non  vi  vuol  mostrar  nero  per  bianco. 


CANTO    VENTESIMOSETTIMO  725 

CXXXVI 

Perche,  si  come  e  sola  la  fenice, 

ne  mai  piu  d'una  in  tutto  il  mondo  vive, 

cosi  ne  mai  piu  d'uno  esser  si  dice, 

che  de  la  moglie  i  tradimenti  schive. 

Ognun  si  crede  d'esser  quel  felice, 

d'esser  quel  sol  ch'a  questa  palma  arrive. 

Come  e  possibil  che  v'arrivi  ognuno, 

se  non  ne  pu6  nel  mondo  esser  piu  d'uno  ? 

cxxxvn 

lo  fui  gia  ne  Terror  che  siete  voi, 
che  donna  casta  anco  piu  d'una  fusse. 
Un  gentilomo  di  Vinegia  poi, 
che  qui  mia  buona  sorte  gia  condusse, 
seppe  far  si  con  veri  esempi  suoi, 
che  fuor  de  1'ignoranza  mi  ridusse. 
Gian  Francesco  Valerio  era  nomato; 
che  '1  nome  suo  non  mi  s'e  mai  scordato. 

CXXXVIII 

Le  fraudi  che  le  mogli  e  che  Famiche 
sogliano  usar,  sapea  tutte  per  conto: 
e  sopra  ci6  moderne  istorie  e  antiche, 
e  proprie  esperienze  avea  si  in  pronto, 
che  mi  mostr6  che  mai  donne  pudiche 
non  si  trovaro,  o  povere  o  di  conto; 
e  s'una  casta  piu  de  1'altra  parse, 
venia,  perche  piu  accorta  era  a  celarse. 

cxxxix 

E  fra  1'altre  (che  tante  me  ne  disse, 
che  non  ne  posso  il  terzo  ricordarmi), 
si  nel  capo  una  istoria  mi  si  scrisse, 
che  non  si  scrisse  mai  piu  saldo  in  marmi: 
e  ben  parria  a  ciascuno  che  1'udisse, 
di  quest  e  rie  quel  ch'a  me  parve  e  parmi. 
E  se,  signor,  a  voi  non  spiace  udire, 
a  lor  confusion  ve  la  vo'  dire.  — 


7^6  ORLANDO   FURIOSO 

CXL 

Rispose  il  Saracin:  —  Che  puoi  tu  farmi, 
che  piu  al  presente  mi  diletti  e  piaccia, 
che  dirmi  istoria  e  qualche  esempio  darmi 
che  con  1'opinion  mia  si  confaccia? 
Perch'io  possa  udir  meglio,  e  tu  narrarmi, 
siedemi  incontra,  ch'io  ti  vegga  in  faccia,  — 
Ma  nel  canto  che  segue  io  v'ho  da  dire 
quel  che  fe'  1'oste  a  Rodomonte  udire. 


CANTO  •  VENTESIMOTTAVO  727 


CANTO   VENTESIMOTTAVO 


Donne,  e  voi  che  le  donne  avete  in  pregio, 
per  Dio,  non  date  a  questa  istoria  orecchia, 
a  questa  che  To.stier  dire  in  dispregio 
e  in  vostra  infamia  e  biasmo  s'apparecchia; 
ben  che  ne  macchia  vi  puo  dar  ne  fregio 
lingua  si  vile,  e  sia  Fusanza  vecchia 
che  '1  volgare  ignorante  ognun  riprenda, 
e  parli  piu  di  quel  che  meno  intenda. 

II 

Lasciate  questo  canto,  che  senza  esso 
puo  star  Tistoria,  e  non  sara  men  chiara. 
Mettendolo  Turpino,  anch'io  Fho  messo, 
non  per  malivolenzia  ne  per  gara. 
Ch'io  v'ami,  oltre  mia  lingua  che  Tha  espresso, 
che  mai  non  fu  di  celebrarvi  avara, 
n'ho  fatto  mille  prove;  e  v'ho  dimostro 
ch'io  son,  ne  potrei  esser  se  non  vostro. 

in 

Passi,  chi  vuol,  tre  carte  o  quattro,  senza 
leggerne  verso,  e  chi  pur  legger  vuole, 
gli  dia  quella  medesima  credenza 
che  si  suol  dare  a  finzioni  e  a  fole. 
Ma  tornando  al  dir  nostro,  poi  ch'udienza 
apparecchiata  vide  a  sue  parole, 
e  darsi  luogo  incontra  al  cavalliero, 
cosi  Tistoria  incominci6  Fostiero. 


728  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

—  Astolfo,  re  de'  Longobardi,  quello 
a  cui  Iasci6  il  fratel  monaco  il  regno, 
fu  ne  la  giovinezza  sua  si  bello, 
che  mai  poch'altri  giunsero  a  quel  segno. 
N'avria  a  fatica  un  tal  fatto  a  penello 
Apelle,  o  Zeusi,  o  se  v'e  alcun  piu  degno. 
Bello  era,  et  a  ciascun  cosi  parea: 
ma  di  molto  egli  ancor  piu  si  tenea. 

v 

Non  stimava  egli  tanto  per  Faltezza 
del  grado  suo  d'avere  ognim  minore; 
ne  tanto  che  di  genti  e  di  ricchezza 
di  tutti  i  re  vicini  era  il  maggiore; 
quanto  che  di  presenzia  e  di  bellezza 
avea  per  tutto  Jl  mondo  il  primo  onore. 
Godea  di  questo  udendosi  dar  loda, 
quanto  di  cosa  volentier  piu  s'oda. 

VI 

Tra  gli  altri  di  sua  corte  avea  assai  grato 
Fausto  Latini,  un  cavallier  romano: 
con  cui  sovente  essendosi  lodato 
or  del  bel  viso  or  de  la  bella  mano, 
et  avendolo  un  giorno  domandato 
se  mai  veduto  avea,  presso  o  lontano, 
altro  uom  di  forma  cosi  ben  composto; 
contra  quel  che  credea,  gli  fu  risposto. 

VII 

«Dico»  rispose  Fausto  «che  secondo 
ch'io  veggo  e  che  parlarne  odo  a  ciascuno, 
ne  la  bellezza  hai  pochi  pari  al  mondo; 
e  questi  pochi  io  li  restringo  in  uno. 
Quest'uno  e  un  fratel  mio,  detto  locondo. 
Eccetto  lui,  ben  creder6  ch'ognuno 
di  belta  molto  a  dietro  tu  ti  lassi; 
ma  questo  sol  credo  t'adegui  e  passi. » 


CANTO    VENTESIMOTTAVO  729 

VIII 

Al  re  parve  impossibil  cosa  udire, 
che  sua  la  palma  infin  allora  tenne ; 
e  d'aver  conoscenza  alto  desire 
di  si  lodato  giovene  gli  venne. 
Fe*  si  con  Fausto,  che  di  far  venire 
quivi  il  fratel  prometter  gli  convenne; 
ben  ch'a  poterlo  indur  che  ci  venisse, 
saria  fatica,  e  la  cagion  gli  disse: 

IX 

che  Jl  suo  fratello  era  uom  che  mosso  il  piede 

mai  non  avea  di  Roma  alia  sua  vita, 

che  del  ben  che  Fortuna  gli  concede, 

tranquilla  e  senza  affanni  avea  notrita: 

la  roba  di  che  51  padre  il  Iasci6  erede, 

ne  mai  cresciuta  avea  ne  minuita; 

e  che  parrebbe  a  lui  Pavia  lontana 

piu  che  non  parria  a  un  altro  ire  alia  Tana. 


E  la  difficulta  saria  maggiore 
a  poterlo  spiccar  da  la  mogliere, 
con  cui  legato  era  di  tanto  amore, 
che  non  volendo  lei  non  pu6  volere. 
Pur  per  ubbidir  lui  che  gli  e  signore, 
disse  d'andare  e  fare  oltre  il  pot  ere. 
Giunse  il  re  a'  prieghi  tali  ofFerte  e  doni, 
che  di  negar  non  gli  lascio  ragioni. 

XI 

Partisse,  e  in  pochi  giorni  ritrovosse 
dentro  di  Roma  alle  paterne  case. 
Quivi  tanto  prego,  che  '1  fratel  mosse 
si  ch'a  venire  al  re  gli  persuase; 
e  fece  ancor  (ben  che  difficil  fosse) 
che  la  cognata  tacita  rimase, 
proponendole  il  ben  che  n'usciria, 
oltre  ch'obligo  sempre  egli  Tavria. 


730  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Fisse  locondo  alia  partita  il  giorno: 
trovo  cavalli  e  servitori  intanto; 
vesti  fe'  far  per  comparire  adorno, 
che  talor  cresce  una  belta  un  bel  manto. 
La  notte  a  lato,  e  '1  di  la  moglie  intorno, 
con  gli  occhi  ad  or  ad  or  pregni  di  pianto, 
gli  dice  che  non  sa  come  patire 
potra  tal  lontananza  e  non  morire; 

XIII 

che  pensandovi  sol,  da  la  radice 
sveller  si  sente  il  cor  nel  lato  manco. 
«Deh,  vita  mia,  non  piagnere;»  le  dice 
locondo,  e  seco  piagne  egli  non  manco 
«cosi  mi  sia  questo  camin  felice, 
come  tornar  vo'  fra  duo  mesi  almanco: 
ne  mi  faria  passar  d'un  giorno  il  segno, 
se  mi  donasse  il  re  mezzo  il  suo  regno. » 

XIV 

Ne  la  donna  percio  si  riconforta: 
dice  che  troppo  terrnine  si  piglia; 
e  s'al  ritorno  non  la  trova  morta, 
esser  non  pu6  se  non  gran  maraviglia. 
Non  lascia  il  duol  che  giorni  e  notte  porta, 
che  gustar  cibo,  e  chiuder  possa  ciglia; 
tal  che  per  la  pieta  locondo  spesso 
si  pente  ch'al  fratello  abbia  promesso. 

xv 

Dal  collo  un  suo  monile  ella  si  sciolse, 
ch'una  crocetta  avea  ricca  di  gemme, 
e  di  sante  reliquie  che  raccolse 
in  molti  luoghi  un  peregrin  boemme; 
et  il  padre  di  lei,  ch'in  casa  il  tolse 
tornando  infermo  di  lerusalemme, 
venendo  a  morte  poi  ne  lascio  erede : 
questa  levossi  et  al  marito  diede. 


CANTO    VENTESIMOTTAVO  731 

XVI 

E  che  la  porti  per  suo  amore  al  collo 
lo  prega,  si  che  ognor  gli  ne  sovenga. 
Piacque  il  dono  al  marito,  et  accettollo; 
non  perche  dar  ricordo  gli  convenga: 
che  ne  tempo  ne  absenzia  mai  dar  crollo, 
ne  buona  o  ria  fortuna  che  gli  avenga, 
potra  a  quella  memoria  salda  e  forte 
c'ha  di  lei  sempre,  e  avra  dopo  la  morte. 

XVII 

La  notte  ch'and6  inanzi  a  quella  aurora 
che  fu  il  termine  estremo  alia  partenza, 
al  suo  locondo  par  ch'in  braccio  muora 
la  moglie,  che  n'ha  tosto  da  star  senza. 
Mai  non  si  dorme;  e  inanzi  al  giorno  un'ora 
viene  il  marito  all'ultima  licenza. 
Monto  a  cavallo,  e  si  parti  in  effetto; 
e  la  moglier  si  ricorco  nel  letto. 

XVIII 

locondo  ancor  duo  miglia  ito  non  era, 
che  gli  venne  la  croce  raccordata, 
ch'avea  sotto  il  guancial  messo  la  sera, 
poi  per  oblivion  1'avea  lasciata. 
"Lasso!"  dicea  tra  se  "di  che  maniera 
trovero  scusa  che  mi  sia  accettata, 
che  mia  moglie  non  creda  che  gradito 
poco  da  me  sia  Tamor  suo  infmito  ?" 

XIX 

Pensa  la  scusa,  e  poi  gli  cade  in  mente 
che  non  sara  accettabile  ne  buona, 
mandi  famigli,  mandivi  altra  gente, 
s'egli  medesmo  non  vi  va  in  persona. 
Si  ferma,  e  al  fratel  dice :  «  Or  pianamente 
fin  a  Baccano  al  primo  albergo  sprona; 
che  dentro  a  Roma  e  forza  ch'io  rivada: 
e  credo  anco  di  giugnerti  per  strada. 


732  ORLANDO   FURIOSO 

XX 

Non  potria  fare  altri  il  bisogno  mio: 
ne  dubitar,  ch'io  sar6  tosto  teco.» 
Volto  il  ronzin  di  trotto,  e  disse  «a  Dio»; 
ne  de'  famigli  suoi  volse  alcun  seco. 
Gia  coirdnciava,  quando  pass6  il  rio, 
dinanzi  al  sole  a  fuggir  Paer  cieco. 
Smonta  in  casa,  va  al  letto,  e  la  consorte 
quivi  ritrova  addormentata  forte. 

XXI 

La  cortina  Iev6  senza  far  motto, 
e  vide  quel  che  men  veder  credea: 
che  la  sua  casta  e  fedel  moglie,  sotto 
la  coltre,  in  braccio  a  xm  giovene  giacea. 
Riconobbe  Padultero  di  botto, 
per  la  pratica  lunga  che  n'avea; 
ch'era  de  la  farmglia  sua  un  garzone, 
allevato  da  lui,  d'umil  nazione. 

XXII 

S'attonito  restasse  e  malcontento, 
meglio  e  pensarlo  e  fame  fede  altrui, 
ch'esserne  mai  per  far  1'esperimento 
che  con  suo  gran  dolor  ne  fe'  costui. 
Da  lo  sdegno  assalito,  ebbe  talento 
di  trar  la  spada  e  uccidergli  ambedui : 
ma  da  Pamor  che  porta,  al  suo  dispetto, 
alPingrata  moglier,  gli  fu  interdetto. 

XXIII 

Ne  lo  Iasci6  questo  ribaldo  Amore 
(vedi  se  si  Tavea  fatto  vasallo) 
destarla  pur,  per  non  le  dar  dolore 
che  fosse  da  lui  colta  in  si  gran  fallo. 
Quanto  pote  piu  tacito  usci  fuore, 
scese  le  scale,  e  rimont6  a  cavallo; 
e  punto  egli  d'amor,  cosi  lo  punse, 
ch'all'albergo  non  fu,  che  '1  fratel  giunse. 


CANTO    VENTESIMOTTAVO  733 

XXIV 

Cambiato  a  tutti  parve  esser  nel  volto; 
vider  tutti  che  Jl  cor  non  avea  lieto : 
ma  non  v'e  chi  s'apponga  gia  di  molto, 
e  possa  penetrar  nel  suo  secreto. 
Credeano  che  da  lor  si  fosse  tolto 
per  gire  a  Roma,  e  gito  era  a  Corneto. 
Ch'amor  sia  del  mal  causa  ognun  s'avisa; 
ma  non  e  gia  chi  dir  sappia  in  che  guisa. 

xxv 

Estimasi  il  fratel  che  dolor  abbia 
d'aver  la  moglie  sua  sola  lasciata; 
e  pel  contrario  duolsi  egli  et  arrabbia 
che  rimasa  era  troppo  accompagnata. 
Con  fronte  crespa  e  con  gonfiate  labbia 
sta  Tinfelice,  e  sol  la  terra  guata. 
Fausto  ch'a  confortarlo  usa  ogni  prova, 
perche  non  sa  la  causa,  poco  giova. 

XXVI 

Di  contrario  liquor  la  piaga  gli  unge, 
e  dove  tor  dovria,  gli  accresce  doglie; 
dove  dovria  saldar,  piu  1'apre  e  punge: 
questo  gli  fa  col  ricordar  la  moglie. 
Ne  posa  di  ne  notte:  il  sonno  lunge 
fugge  col  gusto,  e  mai  non  si  raccoglie: 
e  la  faccia,  che  dianzi  era  si  bella, 
si  cangia  si,  che  piu  non  sembra  quella. 

XXVII 

Par  che  gli  occhi  se  ascondin  ne  la  testa; 
cresciuto  il  naso  par  nel  viso  scarno: 
de  la  belta  si  poca  gli  ne  resta, 
che  ne  potra  far  paragone  indarno. 
Col  duol  venne  una  febbre  si  molesta, 
che  lo  fe'  soggiornar  all'Arbia  e  airArno: 
e  se  di  bello  avea  serbata  cosa, 
tosto  rest6  come  al  sol  colta  rosa. 


734  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

Oltre  ch'a  Fausto  incresca  del  fratello 
che  veggia  a  simil  termine  condutto, 
via  piu  gl'incresce  che  bugiardo  a  quello 
principe,  a  chl  lodollo,  parra  in  tutto: 
mostrar  di  tutti  gli  uomini  il  piii  bello 
gli  avea  promesso,  e  niostrera  il  piu  brutto. 
Ma  pur  continuando  la  sua  via, 
seco  lo  trasse  al  fin  dentro  a  Pavia. 

XXIX 

Gia  non  vuol  che  lo  vegga  il  re  improvise, 
per  non  mostrarsi  di  giudicio  privo : 
ma  per  lettere  inanzi  gli  da  aviso 
che  '1  suo  fratel  ne  viene  a  pena  vivo ; 
e  ch'era  stato  alParia  del  bel  viso 
un  affanno  di  cor  tanto  nocivo, 
accompagnato  da  una  febbre  ria, 
che  piu  non  parea  quel  ch'esser  solia. 

xxx 

Grata  ebbe  la  venuta  di  locondo 
quanto  potesse  il  re  d'amico  avere; 
che  non  avea  desiderato  al  mondo 
cosa  altretanto,  che  di  lui  vedere. 
Ne  gli  spiace  vederselo  secondo, 
e  di  bellezza  dietro  rimanere; 
ben  che  conosca,  se  non  fosse  il  male, 
che  gli  saria  superiore  o  uguale. 

XXXI 

Giunto,  lo  fa  alloggiar  nel  suo  palagio, 
lo  visita  ogni  giorno,  ogni  ora  n'ode; 
fa  gran  provision  che  stia  con  agio, 
e  d'onorarlo  assai  si  studia  e  gode. 
Langue  locondo,  che  '1  pensier  malvagio 
c'ha  de  la  ria  moglier  sempre  lo  rode: 
ne  '1  veder  giochi,  ne  musici  udire, 
dramma  del  suo  dolor  puo  minuire. 


CANTO    VENTESIMOTTAVO  735 

XXXII 

Le  stanze  sue,  che  sono  appresso  al  tetto 
Pultime,  inanzi  hanno  una  sala  antica. 
Quivi  solingo  (perche  ogni  diletto, 
perch' ogni  compagnia  prova  nimica) 
si  ritraea,  sempre  aggiungendo  al  petto 
di  piu  gravi  pensier  nuova  fatica: 
e  trovo  quivi  (or  chi  lo  crederia  ?) 
chi  lo  san6  de  la  sua  piaga  ria. 

XXXIII 

In  capo  de  la  sala,  ove  e  piu  scuro 
(che  non  vi  s'usa  le  finestre  aprire), 
vede  che  '1  palco  mal  si  giunge  al  muro, 
e  fa  d'aria  piu  chiara  un  raggio  uscire. 
Pon  Pocchio  quindi,  e  vede  quel  che  duro 
a  creder  fora  a  chi  Tudisse  dire: 
non  1'ode  egli  d'altrui,  ma  se  lo  vede; 
et  anco  agli  occhi  suoi  proprii  non  crede. 

xxxiv 

Quindi  scopria  de  la  regina  tutta 
la  piu  secreta  stanza  e  la  piu  bella, 
ove  persona  non  verria  introdutta, 
se  per  molto  fedel  non  Favesse  ella. 
Quindi  mirando  vide  in  strana  lutta 
ch'un  nano  aviticchiato  era  con  quella: 
et  era  quel  piccin  stato  si  dotto, 
che  la  regina  avea  messa  di  sotto. 

xxxv 

Attonito  locondo  e  stupefatto, 
e  credendo  sognarsi,  un  pezzo  stette; 
e  quando  vide  pur  che  gli  era  in  fatto 
e  non  in  sogno,  a  se  stesso  credette. 
"A  uno  sgrignuto  mostro  e  contrafatto 
dunque"  disse  "costei  si  sottomette, 
che  '1  maggior  re  del  mondo  ha  per  marito, 
piu  bello  e  piu  cortese?  oh  che  appetite!" 


736  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

E  de  la  moglie  sua,  che  cosi  spesso 
piu  d'ogn'altra  biasmava,  ricordosse, 
perche  '1  ragazzo  s'avea  tolto  appresso: 
et  or  gli  parve  che  escusabil  fosse. 
Non  era  colpa  sua  piu  che  del  sesso, 
che  d'un  solo  uomo  mai  non  contentosse: 
e  s'han  tutte  una  macchia  d'uno  inchiostro, 
almen  la  sua  non  s'avea  tolto  un  mostro. 

XXXVII 

II  di  seguente,  alia  medesima  ora, 
al  medesimo  loco  fa  ritorno; 
e  la  regina  e  il  nano  vede  ancora, 
che  fanno  al  re  pur  il  medesmo  scorno. 
Trova  1'altro  di  ancor  che  si  lavora, 
e  1'altro;  e  al  fin  non  si  fa  festa  giorno: 
e  la  regina  (che  gli  par  piu  strano) 
sempre  si  duol  che  poco  1'ami  il  nano-. 

XXXVIII 

Stette  fra  gli  altri  un  giorno  a  veder,  ch'ella 
era  turbata  e  in  gran  malenconia, 
che  due  volte  chiamar  per  la  donzella 
il  nano  fatto  avea,  n'ancor  venia. 
Mand6  la  terza  volta,  et  udl  quella 
che:  ((Madonna,  egli  giuoca;»  riferia 
«e  per  non  stare  in  perdita  d'un  soldo, 
a  voi  niega  venire  il  manigoldo. » 

xxxix 

A  si  strano  spettacolo  locondo 
raserena  la  fronte  e  gli  occhi  e  il  viso; 
e  quale  in  nome,  divento  giocondo 
d'efFetto  ancora,  e  torno  il  pianto  in  riso. 
Allegro  torna  e  grasso  e  rubicondo, 
che  sembra  un  cherubin  del  paradise; 
che  '1  re,  il  fratello  e  tutta  la  famiglia 
di  tal  mutazion  si  maraviglia. 


CANTO    VENTESIMOTTAVO  737 

XL 

Se  da  locondo  il  re  bramava  udire 
onde  venisse  il  subito  conforto, 
non  men  locondo  lo  bramava  dire, 
e  fare  il  re  di  tanta  ingiuria  accorto; 
ma  non  vorria  che  piu  di  se  punire 
volesse  il  re  la  moglie  di  quel  torto; 
si  che  per  dirlo  e  non  far  danno  a  lei, 
il  re  fece  giurar  su  Fagnusdei. 

XLI 

Giurar  lo  fe'  che  ne  per  cosa  detta, 
n£  che  gli  sia  mostrata  che  gli  spiaccia, 
ancor  ch'egli  conosca  che  diretta- 
mente  a  sua  Maesta  danno  si  faccia, 
tardi  o  per  tempo  mai  fara  vendetta; 
e  di  piu  vuole  ancor  che  se  ne  taccia, 
si  che  ne  il  malfattor  giamai  comprenda, 
in  fatto  o  in  detto,  che  '1  re  il  caso  intenda. 

XLII 

II  re,  ch'ogn'altra  cosa,  se  non  questa, 

creder  potria,  gli  giur6  largamente. 

locondo  la  cagion  gli  manifesta, 

ond'era  molti  di  stato  dolente: 

perche  trovata  avea  la  disonesta 

sua  moglie  in  braccio  d'un  suo  vil  sergente; 

e  che  tal  pena  al  fin  Tavrebbe  morto, 

se  tardato  a  venir  fosse  il  conforto. 

XLIII 

Ma  in  casa  di  sua  Altezza  avea  veduto 
cosa  che  molto  gli  scemava  il  duolo; 
che  se  bene  in  obbrobrio  era  caduto, 
era  almen  certo  di  non  v'esser  solo. 
Cosi  dicendo,  e  al  bucolin  venuto, 
gli  dimostr6  il  bruttissimo  omiciuolo 
che  la  giumenta  altrui  sotto  si  tiene. 
tocca  di  sproni  e  fa  giuocar  di  schene. 


738  ORLANDO    FURIOSO 

XLIV 

Se  parve  al  re  vituperoso  Fatto, 

10  crederete  ben,  senza  ch'io  '1  giuri. 
Ne  fu  per  arrabbiar,  per  venir  matto; 
ne  fu  per  dar  del  capo  in  tutti  i  muri; 
fu  per  gridar,  fu  per  non  stare  al  patto: 
ma  forza  e  che  la  bocca  al  fin  si  turi, 

e  che  1'ira  trangugi  amara  et  acra, 
poi  che  giurato  avea  su  Fostia  sacra. 

XLV 

«  Che  debbo  far,  che  mi  consigli,  frate, » 
disse  a  locondo  «poi  che  tu  mi  tolli 
che  con  degna  vendetta  e  crudeltate 
questa  giustissima  ira  io  non  satolli?» 
«Lascian»  disse  locondo  «queste  ingrate, 
e  proviam  se  son  1'altre  cosi  molli: 
faccian  de  le  lor  femine  ad  altmi 
quel  ch'altri  de  le  nostre  han  fatto  a  nui. 

XLVI 

Ambi  gioveni  siamo,  e  di  bellezza, 
che  facilmente  non  troviamo  pari. 
Qual  femina  sara  che  n'usi  asprezza, 
se  contra  i  brutti  ancor  non  han  ripari  ? 
Se  belta  non  varra  ne  giovinezza, 
varranne  almen  Faver  con  noi  danari. 
Non  vo'  che  torni,  che  non  abbi  prima 
di  mille  moglie  altrui  la  spoglia  opima. 

XLVII 

La  lunga  absenzia,  il  veder  van  luoghi, 
praticare  altre  femine  di  fuore, 
par  che  so  vent  e  disacerbi  e  sfoghi 
de  Famorose  passioni  il  core.» 
Lauda  il  parer,  n6  vuol  che  si  pror6ghi 

11  re  Fandata;  e  fra  pochissime  ore, 
con  duo  scudieri,  oltre  alia  compagnia 
del  cavallier  roman,  si  mette  in  via. 


CANTO    VENTESIMOTTAVO  739 

XLVIII 

Travestiti  cercaro  Italia,  Francia, 
le  terre  de'  Fiaminghi  e  de  Tingles! ; 
e  quante  ne  vedean  di  bella  guancia, 
trovavan  tutte  ai  prieghi  lor  cortesi. 
Davano,  e  dato  loro  era  la  mancia; 
e  spesso  rimetteano  i  danar  spesi. 
Da  lor  pregate  foro  molte,  e  foro 
anch'altretante  die  pregaron  loro, 

XLIX 

In  questa  terra  un  mese,  in  quella  dui 
soggiornando,  accertarsi  a  vera  prova 
che  non  men  ne  le  lor,  che  ne  Faltrui 
femine,  fede  e  castita  si  trova. 
Dopo  aicun  tempo  increbbe  ad  ambedui 
di  sempre  procacciar  di  cosa  nuova; 
che  mal  poteano  entrar  ne  1'altrui  porte, 
senza  mettersi  a  rischio  de  la  morte. 

L 

Gli  e  meglio  una  trovarne  che  di  faccia 
e  di  costumi  ad  ambi  grata  sia; 
che  lor  communemente  sodisfaccia, 
e  non  n'abbin  d'aver  mai  gelosia. 
«E  perche»  dicea  il  re  ccvo'  che  mi  spiaccia 
aver  piu  te  ch'un  altro  in  compagnia? 
So  ben  ch'in  tutto  il  gran  femineo  stuolo 
una  non  e  che  stia  contenta  a  un  solo. 

LI 

Una,  senza  sforzar  nostro  potere, 
ma  quando  il  natural  bisogno  inviti, 
in  festa  goderemoci  e  in  piacere, 
che  mai  contese  non  avren  ne  liti. 
N<§  credo  che  si  debba  ella  dolere: 
che  s'anco  ogn'altra  avesse  duo  mariti, 
piu  ch'ad  un  solo,  a  duo  saria  fedele; 
ne  forse  s'udirian  tante  querele. » 


740  ORLANDO    FURIOSO 

LII 

Di  quel  die  disse  il  re,  molto  contento 
rimaner  parve  il  giovine  romano. 
Dunque  fermati  in  tal  proponimento, 
cercar  molte  montagne  e  molto  piano: 
trovaro  al  fin,  secondo  il  loro  intento, 
una  figliuola  d'uno  ostiero  ispano, 
che  tenea  albergo  al  porto  di  Valenza, 
bella  di  modi  e  bella  di  presenza. 

LIII 

Era  ancor  sul  fiorir  di  primavera 
sua  tenerella  e  quasi  acerba  etade. 
Di  molti  figli  il  padre  aggravat'era, 
e  nimico  mortal  di  povertade; 
si  ch'a  disporlo  fu  cosa  leggiera, 
che  desse  lor  la  figlia  in  potestade; 
ch'ove  piacesse  lor  potesson  trarla, 
poi  che  promesso  avean  di  ben  trattarla. 

LIV 

Pigliano  la  fanciulla,  e  piacer  n'hanno 
or  Tun  or  Paltro  in  caritade  e  in  pace, 
come  a  vicenda  i  mantici  che  danno, 
or  Funo  or  Taltro,  fiato  alia  fornace. 
Per  veder  tutta  Spagna  indi  ne  vanno, 
e  passar  poi  nel  regno  di  Siface; 
e  '1  di  che  da  Valenza  si  partiro, 
ad  albergare  a  Zattiva  veniro. 

LV 

I  patroni  a  veder  strade  e  palazzi 
ne  vanno,  e  lochi  publici  e  divini; 
ch'usanza  han  di  pigliar  simil  solazzi 
in  ogni  terra  ove  entran  peregrini; 
e  la  fanciulla  resta  coi  ragazzi. 
Altri  i  letti,  altri  acconciano  i  ronzini, 
altri  hanno  cura-  che  sia  alia  tornata 
dei  signor  lor  la  cena  apparecchiata. 


CANTO    VENTESIMOTTAVO  741 

LVI 

Ne  Falbergo  un  garzon  stava  per  fante, 
ch'in  casa  de  la  giovene  gia  stette 
a'  servigi  del  padre,  e  d'essa  amante 
fu  da'  prirni  anni,  e  del  suo  amor  godette. 
Ben  s'adocchiar,  ma  non  ne  fer  sembiante, 
ch'esser  notato  ognun  di  lor  temette: 
ma  tosto  ch'i  patroni  e  la  famiglia 
lor  dieron  luogo,  alzar  tra  lor  le  ciglia. 

LVII 

II  fante  domando  dove  ella  gisse, 

e  qual  del  duo  signor  Pavesse  seco. 

A  punto  la  Fiammetta  il  fatto  disse 

(cosi  avea  nome,  e  quel  garzone  il  Greco). 

«Quando  sperai  che  '1  tempo,  ohime!  venisse» 

il  Greco  le  dicea  «  di  viver  teco, 

Fiammetta,  anima  mia,  tu  te  ne  vai, 

e  non  so  piu  di  rivederti  mai. 

LVIII 

Fannosi  i  dolci  miei  disegni  amari, 
poi  che  sei  d'altri,  e  tanto  mi  ti  scosti. 
lo  disegnava,  avendo  alcun  danari 
con  gran  fatica  e  gran  sudor  riposti, 
ch'avanzato  m'avea  de'  miei  salari 
e  de  le  bene  andate  di  molti  osti, 
di  tornare  a  Valenza,  e  domandarti 
al  padre  tuo  per  moglie,  e  di  sposarti. » 

LIX 

La  fanciulla  negli  omeri  si  stringe, 
e  risponde  che  fu  tardo  a  venire. 
Piange  il  Greco  e  sospira,  e  parte  finger 
«Vuommi»  dice  dasciar  cosi  morire? 
Con  le  tuo  braccia  i  fianchi  almen  mi  cinge, 
lasciami  disfogar  tanto  desire: 
ch'inanzi  che  tu  parta,  ogni  momento 
che  teco  io  stia  mi  fa  morir  contento. » 


742  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

La  pietosa  fanciulla  rispondendo: 
«Credi»  dicea  «che  men  di  te  nol  bramo; 
ma  n6  luogo  ne  tempo  ci  comprendo 
qul,  dove  in  mezzo  di  tanti  occhi  siamo. » 
II  Greco  soggiungea:  «Certo  mi  rendo, 
che  s'un  terzo  ami  me  di  quel  ch'io  t'amo, 
in  questa  notte  almen  troverai  loco 
che  ci  potren  godere  insieme  un  poco. » 

LXI 

«Come  potr6,»  diceagli  la  fanciulla 
« che  sempre  in  mezzo  a  duo  la  notte  giaccio  ? 
e  meco  or  1'uno  or  1'altro  si  trastulla, 
e  sempre  a  Tun  di  lor  mi  trovo  in  braccio  ? » 
«Questo  ti  fia»  suggiunse  il  Greco  «nulla; 
che  ben  ti  saprai  tor  di  questo  impaccio, 
e  uscir  di  mezzo  lor,  pur  che  tu  voglia: 
e  dei  voler,  quando  di  me  ti  doglia.» 

LXII 

Pensa  ella  alquanto,  e  poi  dice  che  vegna 
quando  creder  potra  ch'ognuno  dorma; 
e  pianamente  come  far  convegna, 
e  de  Pandare  e  del  tornar  1'informa. 
II  Greco,  si  come  ella  gli  disegna, 
quando  sente  dormir  tutta  la  torma, 
viene  all'uscio  e  lo  spinge,  e  quel  gli  cede: 
entra  pian  piano,  e  va  a  tenton  col  piede. 

LXIII 

Fa  lunghi  i  passi,  e  sempre  in  quel  di  dietro 
tutto  si  ferma,  e  Taltro  par  che  muova 
a  guisa  che  di  dar  tema  nel  vetro, 
non  che  '1  terreno  abbia  a  calcar,  ma  Tuova; 
e  tien  la  mano  inanzi  simil  metro, 
va  brancolando  infin  che  }1  letto  trova: 
e  di  la  dove  gli  altri  avean  le  piante, 
tacito  si  caccio  col  capo  inante. 


CANTO    VENTESIMOTTAVO  743 

LXIV 

Fra  Tuna  e  1'altra  gamba  di  Fiammetta, 
che  supina  giacea,  diritto  venne; 
e  quando  le  fu  a  par,  Pabbracci6  stretta, 
e  sopra  lei  sin  presso  al  di  si  tenne. 
Cavalco  forte,  e  non  ando  a  staff etta; 
che  mai  bestia  mutar  non  gli  con  venne: 
che  questa  pare  a  lui  che  si  ben  trotte, 
che  scender  non  ne  vuol  per  tutta  notte. 

LXV 

Avea  locondo  et  avea  il  re  sentito 
il  calpestio  che  sempre  il  letto  scosse; 
e  1'uno  e  1'altro,  d'uno  error  schernito, 
s'avea  creduto  che  '1  compagno  fosse. 
Poi  ch'ebbe  il  Greco  il  suo  camin  fornito, 
si  come  era  venuto,  anco  tornosse. 
Saett6  il  sol  da  1'orizzonte  i  raggi; 
sorse  Fiammetta,  e  fece  entrare  i  paggi. 

LXVI 

II  re  disse  al  compagno  mottegiando: 
«Frate,  molto  camin  fatto  aver  dei; 
e  tempo  e  ben  che  ti  riposi,  quando 
stato  a  cavallo  tutta  notte  sei. » 
locondo  a  lui  rispose  di  rimando, 
e  disse:  «Tu  di'  quel  ch'io  a  dire  avrei. 
A  te  tocca  posare,  e  pro  ti  faccia, 
che  tutta  notte  hai  cavalcato  a  caccia. » 

LXVII 

(cAnch'io))  suggiunse  il  re  «senza  alcun  fallo 
lasciato  avria  il  mio  can  correre  un  tratto, 
se  m'avessi  prestato  un  po'  il  cavallo, 
tanto  che  '1  mio  bisogno  avessi  fatto. » 
locondo  replic6 :  «  Son  tuo  vasallo, 
e  puoi  far  meco  e  rompere  ogni  patto : 
si  che  non  convenia  tal  cenni  usare; 
ben  mi  potevi  dir:  lasciala  stare. » 


744  ORLANDO    FURIOSO 

LXVIII 

Tanto  replica  Tun,  tanto  soggiunge 
Paltro,  che  sono  a  grave  lite  insieme. 
Vengon  da'  motti  ad  un  parlar  che  punge, 
ch'ad  amenduo  1'esser  beffato  preme. 
Chiaman  Fiammetta  (che  non  era  lunge, 
e  de  la  fraude  esser  scoperta  teme) 
per  fare  in  viso  Tuno  all'altro  dire 
quel  che  negando  ambi  parean  mentire. 

LXIX 

« Dimmi, » le  disse  il  re  con  fiero  sguardo 
«e  non  temer  di  me  ne  di  costui; 
chi  tutta  notte  fu  quel  si  gagliardo, 
che  ti  gode  senza  far  parte  altrui  ? » 
Credendo  Tun  provar  Taltro  bugiardo, 
la  risposta  aspettavano  ambedui. 
Fiammetta  a'  piedi  lor  si  gitt6,  incerta 
di  viver  piu,  vedendosi  scoperta. 

LXX 

Domando  lor  perdono,  che  d'amore 
ch'a  un  giovinetto  avea  portato,  spinta, 
e  da  pieta  d'un  tormentato  core 
che  molto  avea  per  lei  patito,  vinta, 
caduta  era  la  notte  in  quello  errore; 
e  seguit6,  senza  dir  cosa  finta, 
come  tra  lor  con  speme  si  condusse, 
ch'ambi  credesson  che  '1  compagno  fusse. 

LXXI 

II  re  e  locondo  si  guardaro  in  viso, 
di  maraviglia  e  di  stupor  confusi; 
ne  d'aver  anco  udito  lor  fu  aviso, 
ch'altri  duo  fusson  mai  cosi  delusi. 
Poi  scoppiaro  ugualmente  in  tanto  riso, 
che  con  la  bocca  aperta  e  gli  occhi  chiusi, 
potendo  a  pena  il  fiato  aver  del  petto, 
a  dietro  si  lasciar  cader  sul  letto. 


CANTO    VENTESIMOTTAVO  745 

LXXII 

Poi  ch'ebbon  tanto  riso,  che  dolere 
se  ne  sentiano  il  petto,  e  pianger  gli  occhi, 
disson  tra  lor:  «Come  potremo  avere 
guardia,  che  la  moglier  non  ne  Paccocchi, 
se  non  giova  tra  duo  questa  tenere, 
e  stretta  si,  che  1'uno  e  1'altro  tocchi? 
Se  piu  che  crini  avesse  occhi  il  rnarito, 
non  potria  far  che  non  fosse  tradito. 

LXXIII 

Provate  mille  abbiamo,  e  tutte  belle; 
ne  di  tante  una  e  ancor  che  ne  contraste. 
Se  provian  1'altre,  fian  simili  anch'elle; 
ma  per  ultima  prova  costei  baste. 
Dunque  possiamo  creder  che  piu  felle 
non  sien  le  nostre,  o  men  de  Faltre  caste: 
e  se  son  come  tutte  Faltre  sono, 
che  torniamo  a  godercile  fia  buono. » 

LXXIV 

Conchiuso  ch'ebbon  questo,  chiamar  fero 
per  Fiammetta  medesima  il  suo  amante; 
e  in  presenzia  di  molti  gli  la  diero 
per  moglie,  e  dote  che  gli  fu  bastante. 
Poi  montaro  a  cavallo,  e  il  lor  sentiero 
ch'era  a  ponente,  volsero  a  levante; 
et  alle  mogli  lor  se  ne  tornaro, 
di  ch'affanno  mai  piu  non  si  pigliaro.  — 

LXXV 

L'ostier  qui  fine  alia  sua  istoria  pose, 
che  fu  con  molta  attenzione  udita. 
Udilla  il  Saracin,  ne  gli  rispose 
parola  mai,  fin  che  non  fu  finita. 
Poi  disse :  —  lo  credo  ben  che  de  Tascose 
feminil  frode  sia  copia  infinita; 
ne  si  potria  de  la  millesma  parte 
tener  memoria  con  tutte  le  carte.  — 


746  ORLANDO    FURIOSO 

LXXVI 

Quivi  era  un  uom  d'eta,  ch'avea  piu  retta 
opinion  degli  altri,  e  ingegno  e  ardire; 
e  non  potendo  ormai,  che  si  negletta 
ogni  femina  fosse,  piu  patire, 
si  volse  a  quel  ch'avea  1'istoria  detta, 
e  gli  disse :  —  Assai  cose  udimo  dire, 
che  veritade  in  se  non  hanno  alcuna: 
e  ben  di  queste  e  la  tua  favola  una. 

LXXVII 

A  chi  te  la  narr6  non  do  credenza, 
s'evangelista  ben  fosse  nel  resto; 
ch'opinione,  piu  ch'esperienza 
ch'abbia  di  donne,  lo  facea  dir  questo. 
L'avere  ad  una  o  due  malivolenza, 
fa  ch'odia  e  biasma  1'altre  oltre  all'onesto ; 
ma  se  gli  passa  Pira,  io  vo'  tu  1'oda, 
piu  ch'ora  biasmo,  anco  dar  lor  gran  loda. 

LXXVIII 

E  se  vorra  lodarne,  avra  maggiore 
il  campo  assai,  ch'a  dime  mal  non  ebbe: 
di  cento  potra  dir  degne  d'onore 
verso  una  trista  che  biasmar  si  debbe. 
Non  biasmar  tutte,  ma  serbarne  fuore 
la  bonta  d'infinite  si  dovrebbe; 
e  se  '1  Valerio  tuo  disse  altrimente, 
disse  per  ira,  e  non  per  quel  che  sente. 

LXXIX 

Ditemi  un  poco:  e  di  voi  forse  alcuno 
ch'abbia  servato  alia  sua  moglie  fede  ? 
che  nieghi  andar,  quando  gli  sia  oportuno, 
all'altrui  donna,  e  darle  ancor  mercede? 
credete  in  tutto  '1  mondo  trovarne  uno  ? 
chi  '1  dice,  mente;  e  folk  e  ben  chi  '1  crede. 
Trovatene  vo'  alcuna  che  vi  chiami? 
(non  parlo  de  le  publiche  et  infami). 


CANTO    VENTESIMOTTAVO  747 

LXXX 

Conoscete  alcun  voi,  che  non  lasciasse 
la  moglie  sola,  ancor  che  fosse  bella, 
per  seguire  altra  donna,  se  sperasse 
in  breve  e  facilmente  ottener  quella? 
Che  farebbe  egli,  quando  lo  pregasse 
o  desse  premio  a  lui  donna  o  donzella  ? 
Credo,  per  compiacere  or  queste  or  quelle, 
che  tutti  lasciaremmovi  la  pelle. 

LXXXI 

Quelle  che  i  lor  mariti  hanno  lasciati, 
le  piu  volte  cagione  avuta  n'hanno. 
Del  suo  di  casa  li  veggon  svogliati, 
e  che  fuor,  de  1'altnii  bramosi,  vanno. 
Dovriano  amar,  volendo  essere  amati, 
e  tor  con  la  misura  ch'allor  danno. 
lo  farei  (se  a  me  stesse  il  darla  e  t6rre) 
tal  legge,  ch'uom  non  vi  potrebbe  opporre. 

LXXXII 

Saria  la  legge  ch'ogni  donna  colta 
in  adulterio  fosse  messa  a  morte, 
se  provar  non  potesse  ch'una  volta 
avesse  adulterate  il  suo  consorte: 
se  provar  lo  potesse,  andrebbe  asciolta, 
ne  temeria  il  marito  ne  la  corte. 
Cristo  ha  lasciato  nei  precetti  suoi: 
«non  far  altrui  quel  che  patir  non  vuoi.» 

LXXXIII 

La  incontinenza  e  quanto  mal  si  puote 
imputar  lor,  non  gia  a  tutto  lo  stuolo. 
Ma  in  questo  chi  ha  di  noi  piu  brutte  note  ? 
che  continent  e  non  si  trova  un  solo. 
E  molto  piu  n'ha  ad  arrossir  le  gote, 
quando  bestemmia,  ladroneccio,  dolo, 
usura  et  omicidio,  e  se  v'e  peggio, 
raro,  se  non  dagli  uomini,  far  veggio.  — 


ORLANDO   FURIOSO 
LXXXIV 

Appresso  alle  ragioni  avea  il  sincere 
e  giusto  vecchio  in  pronto  alcuno  esempio 
di  donne,  che  n6  in  fatto  ne  in  pensiero 
mai  di  lor  castita  patiron  scempio. 
Ma  il  Saracin,  che  fuggia  udire  il  vero, 
lo  minaccio  con  viso  crudo  et  empio, 
si  che  lo  fece  per  timor  tacere; 
ma  gia  non  lo  mut6  di  suo  parere. 

LXXXV 

Posto  ch'ebbe  alle  liti  e  alle  contese 
termine  il  re  pagan,  Iasci6  la  mensa; 
indi  nel  letto  per  dormir  si  stese 
fin  al  partir  de  Paria  scura  e  densa: 
ma  de  la  notte,  a  sospirar  1'ofTese 
piu  de  la  donna  ch'a  dormir,  dispensa. 
Quindi  parte  alTuscir  del  nuovo  raggio, 
e  far  disegna  in  nave  il  suo  viaggio. 

LXXXVI 

Perc-  ch'avendo  tutto  quel  rispetto 
ch'a  buon  cavallo  dee  buon  cavalliero, 
a  quel  suo  bello  e  buono,  ch'a  dispetto 
tenea  di  Sacripante  e  di  Ruggiero; 
vedendo  per  duo  giorni  averlo  stretto 
piu  che  non  si  dovria  si  buon  destriero, 
lo  pon,  per  riposarlo,  e  lo  rassetta 
in  una  barca,  e  per  andar  piu  in  fretta. 

LXXXVII 

Senza  indugio  al  nocchier  varar  la  barca, 
e  dar  fa  i  remi  all'acqua  da  la  sponda. 
Quella,  non  molto  grande  e  poco  carca, 
se  ne  va  per  la  Sonna  giu  a  seconda. 
Non  fugge  il  suo  pensier  ne  se  ne  scarca 
Rodomonte  per  terra  ne  per  onda: 
lo  trova  in  su  la  proda  e  in  su  la  poppa; 
e  se  cavalca,  il  porta  dietro  in  groppa. 


CANTO    VENTESIMOTTAVO  749 

LXXXVIII 

Anzi  nel  capo,  o  sia  nel  cor  gli  siede, 
e  di  fuor  caccia  ogni  conforto  e  serra. 
Di  ripararsi  il  misero  non  vede, 
da  poi  che  gli  nimici  ha  ne  la  terra. 
Non  sa  da  chi  sperar  possa  mercede, 
se  gli  fanno  i  domestici  suoi  guerra: 
la  notte  e  '1  giorno  e  sempre  e  combattuto 
da  quel  crudel  che  dovria  dargli  aiuto. 

LXXXIX 

Naviga  il  giorno  e  la  notte  seguente 
Rodomonte  col  cor  d'affanni  grave; 
e  non  si  pu6  ringiuria  tor  di  mente, 
che  da  la  donna  e  dal  suo  re  avuto  have; 
e  la  pena  e  il  dolor  medesmo  sente, 
che  sentiva  a  cavallo,  axicora  in  nave: 
ne  spegner  pu6,  per  star  ne  1'acqua,  il  fuoco, 
ne*  pu6  stato  mutar,  per  mutar  loco. 

xc 

Come  rinfermo,  che  dirotto  e  stanco 
di  febbre  ardente,  va  cangiando  lato ; 
o  sia  su  1'uno  o  sia  su  Paltro  franco 
spera  aver,  se  si  volge,  miglior  stato ; 
ne  sul  destro  riposa  ne*  sul  manco, 
e  per  tutto  ugualmente  e  travagliato : 
cosi  il  pagano  al  male  ond'era  infermo 
mal  trova  in  terra  e  male  in  acqua  schermo. 

xci 

Non  puote  in  nave  aver  piu  pazienza, 
e  si  fa  porre  in  terra  Rodomonte. 
Lion  passa  e  Vienna,  indi  Valenza, 
e  vede  in  Avignone  il  ricco  ponte; 
che  queste  terre  et  altre  ubidienza, 
che  son  tra  il  flume  e  '1  celtibero  monte, 
rendean  al  re  Agramante  e  al  re  di  Spagna 
dal  di  che  fur  signer  de  la  campagna. 


750  ORLANDO    FURIOSO 

XCII 

Verso  Acquamorta  a  man  dritta  si  tenne 
con  animo  in  Algier  passare  in  fretta; 
e  sopra  un  fiume  ad  una  villa  venne 
e  da  Bacco  e  da  Cerere  diletta, 
che  per  le  spesse  ingiurie  che  sostenne 
dai  soldati,  a  votarsi  fu  constretta. 
Quinci  il  gran  mare,  e  quindi  ne  1'apriche 
valli  vede  ondeggiar  le  bionde  spiche. 

XCIII 

Quivi  ritrova  una  piccola  chiesa 
di  nuovo  sopra  un  monticel  murata, 
che  poi  ch'intorno  era  la  guerra  accesa, 
i  sacerdoti  v6ta  avean  lasciata. 
Per  stanza  fu  da  Rodomonte  presa; 
che  pel  sito,  e  perch' era  sequestrata 
dai  campi,  onde  avea  in  odio  udir  novella, 
gli  piacque  si,  che  mut6  Algieri  in  quella. 

xciv 

Mut6  d'andare  in  Africa  pensiero, 
si  commodo  gli  parve  il  luogo  e  bello. 
Famigli  e  carriaggi  e  il  suo  destriero 
seco  alloggiar  fe*  nel  medesmo  ostello. 
Vicino  a  poche  leghe  a  Mompoliero 
e  ad  alcun  altro  ricco  e  buon  castello 
siede  il  villaggio  allato  alia  riviera; 
si  che  d'avervi  ogn'agio  il  mo4o  v'era. 

xcv 

Standovi  un  giorno  il  Saracin  pensoso 
(come  pur  era  il  piu  del  tempo  usato), 
vide  venir  per  mezzo  un  prato  erboso, 
che  d'un  piccol  sentiero  era  segnato, 
una  donzella  di  viso  amoroso 
in  compagnia  d'un  monaco  barbato ; 
e  si  traeano  dietro  un  gran  destriero 
sotto  una  soma  coperta  di  nero. 


CANTO   VENTESIMOTTAVO  751 

XCVI 

Chi  la  donzella,  chi  sl  monaco  sia, 
chi  portin  seco,  vi  debbe  esser  chiaro. 
Conoscere  Issabella  si  dovria, 
che  '1  corpo  avea  del  suo  Zerbino  caro. 
Lasciai  che  ver  Provenza  ne  venia 
sotto  la  scorta  del  vecchio  preclaro, 
che  le  avea  persuaso  tutto  il  resto 
dicare  a  Dio  del  suo  vivere  onesto. 

XCVII 

Come  ch'in  viso  pallida  e  smarrita 

sia  la  donzella  et  abbia  i  crini  inconti; 

e  facciano  i  sospir  continua  uscita 

del  petto  acceso,  e  gli  occhi  sien  duo  fonti; 

et  altri  testimoni  d'una  vita 

mis  era  e  grave  in  lei  si  veggan  pronti; 

tanto  per6  di  bello  anco  le  avanza, 

che  con  le  Grazie  Amor  vi  puo  aver  stanza. 

XCVIII 

Tosto  che  '1  Saracin  vide  la  bella 
donna  apparir,  messe  il  pensiero  al  fondo 
ch'avea  di  biasmar  sempre  e  d'odiar  quella 
schiera  gentil  che  pur  adorna  il  mondo. 
E  ben  gli  par  dignissima  Issabella, 
in  cui  locar  debba  il  suo  amor  secondo, 
e  spenger  totalmente  il  primo,  a  modo 
che  da  1'asse  si  trae  chiodo  con  chiodo. 

xcix 

Incontra  se  le  fece,  e  col  piu  molle 
parlar  che  seppe,  e  col  miglior  sembiante, 
di  sua  condizione  domandolle: 
et  ella  ogni  pensier  gli  spiego  inante; 
come  era  per  lasciare  il  mondo  folle, 
e  farsi  arnica  a  Dio  con  opre  sante. 
Ride  il  pagano  altier  ch'in  Dio  non  crede, 
d'ogni  legge  nimico  e  d'ogni  fede. 


752  ORLANDO   FURIOSO 

C 

E  chiama  intenzione  erronea  e  lieve, 
e  dice  che  per  certo  ella  troppo  erra; 
ne  men  biasmar  che  Tavaro  si  deve, 
che  '1  suo  ricco  tesor  metta  sotterra: 
alcuno  util  per  se  non  ne  riceve, 
e  da  1'uso  degli  altri  uomini  il  serra. 
Chiuder  leon  si  denno,  orsi  e  serpenti, 
e  non  le  cose  belle  et  innocenti. 

ci 

II  monaco,  ch'a  questo  avea  Porecchia, 
e  per  soccorrer  la  giovane  incauta, 
che  ritratta  non  sia  per  la  via  vecchia, 
sedea  al  governo  qual  pratico  nauta, 
quivi  di  spiritual  cibo  apparecchia 
tosto  una  mensa  sontuosa  e  lauta. 
Ma  il  Saracin,  che  con  mal  gusto  nacque, 
non  pur  la  sapor6,  che  gli  dispiacque: 

CII 

e  poi  ch'invano  il  monaco  interroppe, 
e  non  pot6  mai  far  si  che  tacesse, 
e  che  di  pazienza  il  freno  roppe, 
le  mani  adosso  con  furor  gli  messe. 
Ma  le  parole  mie  parervi  troppe 
potriano  omai,  se  piii  se  ne  dicesse: 
si  che  finiro  il  canto;  e  rni  fia  specchio 
quel  che  per  troppo  dire  accade  al  vecchio. 


CANTO    VENTESIMONONO  753 


CANTO    VENTESIMONONO 


I 

O  degli  uomini  inferma  e  instabil  mente! 
come  sian  presti  a  variar  disegno! 
Tutti  i  pensier  mutamo  facilmente, 
piu  quei  che  nascon  d'amoroso  sdegno. 
lo  vidi  dianzi  il  Saracin  si  ardente 
contra  le  donne,  e  passar  tanto  il  segno, 
che  non  che  spegner  1'odio,  ma  pensai 
che  non  dovesse  intiepidirlo  mai. 

II 

Donne  gentil,  per  quel  ch'a  biasmo  vostro 
par!6  contra  il  dover,  si  offeso  sono, 
che  sin  che  col  suo  mal  non  gli  dimostro 
quanto  abbia  fatto  error,  non  gli  perdono. 
lo  far6  si  con  penna  e  con  inchiostro, 
ch'ognun  vedra  che  gli  era  utile  e  buono 
aver  taciuto,  e  mordersi  anco  poi 
prima  la  lingua,  che  dir  mal  di  voi. 

in 

Ma  che  par!6  come  ignorante  e  sciocco, 
ve  lo  dimostra  chiara  esperienzia* 
Incontra  tutte  trass  e  fuor  lo  stocco 
de  1'ira,  senza  farvi  differenzia: 
poi  d'Issabella  un  sguardo  si  Tha  tocco, 
che  subito  gli  fa  mutar  sentenzia. 
Gia  in  cambio  di  quelPaltra  la  disia, 
1'ha  vista  a  pena,  e  non  sa  ancor  chi  sia. 


754  ORLANDO    FURIOSO 

IV 

E  come  il  nuovo  amor  lo  punge  e  scalda, 
muove  alcune  ragion  di  poco  frutto, 
per  romper  quella  mente  intera  e  salda 
ch'ella  avea  fissa  al  Creator  del  tutto. 
Ma  Feremita  che  1'e  scudo  e  falda, 
perche  il  casto  pensier  non  sia  distrutto, 
con  argument!  phi  validi  e  fermi, 
quanto  piu  puo,  le  fa  ripari  e  schermi. 


Poi  che  Tempio  pagan  molto  ha  sofferto 
con  lunga  noia  quel  monaco  audace, 
e  che  gli  ha  detto  invan  ch'al  suo  deserto 
senza  lei  pu6  tornar  quando  gli  piace; 
e  che  nuocer  si  vede  a  viso  aperto, 
e  che  seco  non  vuol  triegua  ne  pace: 
la  mano  al  mento  con  furor  gli  stese, 
e  tanto  ne  pe!6,  quanto  ne  prese. 

VI 

E  si  crebbe  la  furia,  che  nel  collo 
con  man  lo  stringe  a  guisa  di  tanaglia; 
e  poi  ch'una  e  due  volte  raggirollo, 
da  se  per  Paria  e  verso  il  mar  lo  scaglia. 
Che  n'avenisse,  ne  dico  ne  sollo: 
varia  fama  e  di  lui,  ne  si  raguaglia. 
Dice  alcun  che  si  rotto  a  un  sasso  resta, 
che  '1  pie  non  si  discerne  da  la  testa; 

VII 

et  altri,  ch'a  cadere  and6  nel  mare, 
ch'era  piu  di  tre  miglia  indi  lontano, 
e  che  mori  per  non  saper  notare, 
fatti  assai  prieghi  e  orazioni  invano; 
altri,  ch'un  santo  lo  venne  aiutare, 
lo  trasse  al  lito  con  visibil  mano. 
Di  queste,  qual  si  vuol,  la  vera  sia: 
di  lui  non  parla  piu  Tistoria  rnia. 


CANTO    VENTESIMONONO  755 

VIII 

Rodomonte  crudel,  poi  che  levato 
s'ebbe  da  canto  il  garnilo  eremita, 
si  ritorno  con  viso  men  turbato 
verso  la  donna  mesta  e  sbigottita; 
e  col  parlar  ch'e  fra  gli  amanti  usato, 
dicea  ch'era  il  suo  core  e  la  sua  vita 
e  '1  suo  conforto  e  la  sua  cara  speme, 
et  altri  norni  tai  che  vanno  insieme. 

IX 

E  si  mostro  si  costumato  allora, 
che  non  le  fece  alcun  segno  di  forza. 
II  sembiante  gentil  che  Pinnamora, 
1'usato  orgoglio  in  lui  spegne  et  ammorza: 
e  ben  che  *1  frutto  trar  ne  possa  fuora, 
passar  non  per6  vuole  oltre  a  la  scorza; 
che  non  gli  par  che  potesse  esser  buono, 
quando  da  lei  non  lo  accettasse  in  dono. 

x 

E  cosl  di  disporre  a  poco  a  poco 
a'  suoi  piaceri  Issabella  credea. 
Ella,  che  in  si  solingo  e  strano  loco 
qual  topo  in  piede  al  gatto  si  vedea, 
vorria  trovarsi  inanzi  in  mezzo  il  fuoco; 
e  seco  tuttavolta  rivolgea 
s' alcun  partito,  alcuna  via  fosse  atta 
a  trarla  quindi  immaculata  e  intatta. 

XI 

Fa  ne  Panimo  suo  proponimento 

di  darsi  con  sua  man  prima  la  morte, 

che  '1  barbaro  crudel  n'abbia  il  suo  intento, 

e  che  le  sia  cagion  d'errar  si  forte 

contra  quel  cavallier  ch'in  braccio  spento 

Pavea  crudele  e  dispietata  sorte; 

a  cui  fatto  have  col  pensier  devoto 

de  la  sua  castita  perpetuo  voto. 


756  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Crescer  piu  sempre  Pappetito  cieco 
vede  del  re  pagan,  ne  sa  che  farsi. 
Ben  sa  che  vuol  venire  all'atto  bieco, 
ove  i  contrast!  suoi  tutti  fien  scarsi. 
Pur  discorrendo  molte  cose  seco, 
il  mo  do  trov6  al  fin  di  ripararsi, 
e  di  salvar  la  castita  sua,  come 
io  vi  diro,  con  lungo  e  chiaro  nome. 

XIII 

Al  brutto  Saracin,  che  le  venia 

gia  contra  con  parole  e  con  effetti 

privi  di  tutta  quella  cortesia 

che  mostrata  le  avea  ne'  primi  detti: 

—  Se  fate  che  con  voi  sicura  io  sia 

del  mio  onor  —  disse  —  e  ch'io  non  ne  sospetti, 

cos  a  alPincontro  vi  dar6  che  molto 

piu  vi  varra,  ch'avermi  1'onor  tolto. 

XIV 

Per  un  piacer  di  si  poco  momento, 

di  che  n'ha  si  abondanza  tutto  '1  mondo, 

non  disprezzate  un  perpetuo  contento, 

un  vero  gaudio  a  nullo  altro  secondo. 

Potrete  tuttavia  ritrovar  cento 

e  mille  donne  di  viso  giocondo; 

ma  chi  vi  possa  dar  questo  mio  dono, 

nessuno  al  mondo,  o  pochi  altri  ci  sono. 

xv 

Ho  notizia  d'un'erba,  e  Tho  veduta 
venendo,  e  so  dove  trovarne  appresso, 
che  bollita  con  elera  e  con  ruta 
ad  un  fuoco  di  legna  di  cipresso, 
e  fra  mano  innocenti  indi  premuta, 
manda  un  liquor  che  chi  si  bagna  d'esso 
tre  volte  il  corpo,  in  tal  modo  1'indura, 
che  dal  ferro  e  dal  fuoco  1'assicura. 


CANTO    VENTESIMONONO  757 

XVI 

lo  dico,  se  tre  volte  se  n'immolla, 
un  mese  invulnerabile  si  trova. 
Oprar  conviensi  ogni  mese  Tampolla; 
che  sua  virtu  piu  termine  non  giova. 
lo  so  far  Facqua,  et  oggi  ancor  farolla, 
et  oggi  ancor  voi  ne  vedrete  prova: 
e  vi  puo,  s'io  non  fallo,  esser  piu  grata, 
che  d'aver  tutta  Europa  oggi  acquistata. 

XVII 

Da  voi  domando  in  guiderdon  di  questo, 
che  su  la  fede  vostra  mi  giuriate 
che  ne  in  detto  ne  in  opera  molesto 
mai  piu  sarete  alia  mia  castitate.  — 
Cosi  dicendo,  Rodomonte  onesto 
fe'  ritornar;  ch'in  tanta  voluntate 
venne  ch'inviolabil  si  facesse, 
che  piu  ch'ella  non  disse,  le  promesse: 

XVIII 

e  servaralle  fin  che  vegga  fatto 

de  la  mirabil  acqua  esperienzia; 

e  sforzerasse  intanto  a  non  fare  atto, 

a  non  far  segno  alcun  di  violenzia. 

Ma  pensa  poi  di  non  tenere  il  patto, 

perche  non  ha  timor  ne  riverenzia 

di  Dio  o  di  santi;  e  nel  mancar  di  fede 

tutta  a  lui  la  bugiarda  Africa  cede. 

XIX 

Ad  Issabella  il  re  d'Algier  scongiuri 

di  non  la  molestar  fe'  piu  di  mille, 

pur  ch'essa  lavorar  1'acqua  procuri, 

che  far  lo  pu6  qual  fu  gia  Cigno  e  Achille. 

Ella  per  baize  e  per  valloni  oscuri 

da  le  citta  lontana  e  da  le  ville 

ricoglie  di  molte  erbe;  e  il  Saracino 

non  1'abandona,  e  1'e  sempre  vicino. 


75$  ORLANDO   FURIOSO 

XX 

Poi  ch'in  piu  parti  quant'era  a  bastanza 
colson  de  1'erbe  e  con  radici  e  senza, 
tardi  si  ritornaro  alia  lor  stanza; 
dove  quel  paragon  di  continenza 
tutta  la  notte  spende  che  Tavanza 
a  bollir  erbe  con  molta  avertenza: 
e  a  tutta  1'opra  e  a  tutti  quei  misteri 
si  trova  ognor  present  e  il  re  d'Algieri. 

XXI 

Che  producendo  quella  notte  in  giuoco 
con  quelli  pochi  send  ch'eran  seco, 
sentia,  per  lo  calor  del  vicin  fuoco 
ch'era  rinchiuso  in  quello  angusto  speco, 
tal  sete,  che  bevendo  or  molto  or  poco 
duo  barili  votar  pieni  di  greco, 
ch'aveano  tolto  uno  o  duo  giorni  inanti 
i  suoi  scudieri  a  certi  viandanti. 

XXII 

Non  era  Rodomonte  usato  al  vino, 

perche  la  legge  sua  lo  vieta  e  danna: 

e  poi  che  lo  gusto,  liquor  divino 

gli  par,  miglior  che  '1  nettare  o  la  manna; 

e  riprendendo  il  rito  saracino, 

gran  tazze  e  pieni  fiaschi  ne  tracanna. 

Fece  il  buon  vino,  ch'ando  spesso  intorno, 

girare  il  capo  a  tutti  come  un  torno. 

XXIII 

La  donna  in  questo  mezzo  la  caldaia 
dal  fuoco  tolse,  ove  quell' erbe  cosse; 
e  disse  a  Rodomonte :  —  Accio  che  paia 
che  mie  parole  al  vento  non  ho  mosse, 
quella  che  '1  ver  da  la  bugia  dispaia, 
e  che  pu6  dotte  far  le  genti  grosse, 
te  ne  far6  1'esperienzia  ancora, 
non  ne  1'altrui,  ma  nel  mio  corpo  or  ora. 


CANTO   VENTESIMONONO  759 

XXIV 

lo  voglio  a  far  il  saggio  esser  la  prima 

del  felice  liquor  di  virtu  pieno, 

accio  tu  forse  non  facessi  stima 

che  ci  fosse  mortifero  veneno. 

Di  questo  bagnerommi  da  la  cima 

del  capo  giu  pel  collo  e  per  lo  seno: 

tu  poi  tua  forza  in  me  prova  e  tua  spada, 

se  questo  abbia  vigor,  se  quella  rada.  — 

xxv 

Bagnossi,  come  disse,  e  lieta  porse 
alPincauto  pagano  il  collo  ignudo, 
incauto,  e  vinto  anco  dal  vino  forse, 
incontra  a  cui  non  vale  elmo  ne  scudo. 
Quel  uom  bestial  le  presto  fede,  e  scorse 
si  con  la  mano  e  si  col  ferro  crudo, 
che  del  bel  capo,  gia  d'Amore  albergo, 
fe'  tronco  rimanere  il  petto  e  il  tergo. 

XXVI 

Quel  fe5  tre  balzi;  e  funne  udita  chiara 
voce  ch'uscendo  nomino  Zerbino, 
per  cui  seguire  ella  trov6  si  rara 
via  di  fuggir  di  man  del  Saracino. 
Alma,  ch'avesti  piu  la  fede  cara, 
e  '1  nome  quasi  ignoto  e  peregrino 
al  tempo  nostro,  de  la  castitade, 
che  la  tua  vita  e  la  tua  verde  etade, 

XXVII 

vattene  in  pace,  alma  beata  e  bellal 
Cosi  i  miei  versi  avesson  forza,  come 
ben  m'affaticherei  con  tutta  quella 
arte  che  tanto  il  parlar  orna  e  come, 
perche  mille  e  muTanni  e  piu  novella 
sentisse  il  mondo  del  tuo  chiaro  nome. 
Vattene  in  pace  alia  superna  sede, 
e  lascia  alPaltre  esempio  di  tua  fede. 


760  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

All'atto  incomparabile  e  stupendo, 
dal  cielo  il  Creator  giu  gli  occhi  volse, 
e  disse :  —  Piii  di  quella  ti  commendo, 
la  cui  morte  a  Tarquimo  il  regno  tolse; 
e  per  questo  una  legge  fare  intendo 
tra  quelle  mie  che  mai  tempo  non  sciolse, 
la  qual  per  le  inviolabil'  acque  giuro 
che  non  mutera  seculo  futuro. 

XXIX 

Per  Fawenir  vo'  che  ciascuna  ch'aggia 
il  nome  tuo,  sia  di  sublime  ingegno, 
e  sia  bella,  gentil,  cortese  e  saggia, 
e  di  vera  onestade  arrivi  al  segno: 
onde  materia  agli  scrittori  caggia 
di  celebrare  il  nome  inclito  e  degno; 
tal  che  Parnasso,  Pindo  et  EKcone 
sempre  Issabella,  Issabella  risuone.  — 

xxx 

Dio  cosi  disse,  e  fe'  serena  intorno 
1'aria,  e  tranquillo  il  mar  piu  che  mai  fusse. 
Fe'  Talma  casta  al  terzo  ciel  ritorno, 
e  in  braccio  al  suo  Zerbin  si  ricondusse. 
Rimase  in  terra  con  vergogna  e  scorno 
quel  fier  senza  pieta  nuovo  Breusse; 
che  poi  che  1  troppo  vino  ebbe  digesto, 
biasmb  il  suo  errore,  e  ne  rest6  funesto. 

XXXI 

Placare  o  in  parte  satisfar  pensosse 
a  Fanima  beata  d'Issabella, 
se,  poi  ch'a  morte  il  corpo  le  percosse, 
desse  almen  vita  alia  memoria  d'ella. 
Trovo  per  mezzo,  accio  che  cosi  fosse, 
di  convertirle  quella  chiesa,  quella 
dove  abitava  e  dove  ella  fu  uccisa, 
in  un  sepolcro;  e  vi  dir6  in  che  guisa. 


CANTO    VENTESIMONONO  761 

XXXII 

Di  tutti  i  lochi  intorno  fa  venire 

mastri,  chi  per  amore  e  chi  per  tema; 

e  fatto  ben  seimila  uomini  unire, 

de'  gravi  sassi  i  vicin  monti  scema, 

e  ne  fa  una  gran  massa  stabilire, 

che  da  la  cima  era  alia  parte  estrema 

novanta  braccia;  e  vi  rmchiude  dentro 

la  chiesa,  che  i  duo  amanti  have  nel  centro. 

XXXIII 

Imita  quasi  la  superb  a  mole 
che  fe'  Adriano  alFonda  tiberina. 
Presso  al  sepolcro  una  torre  alta  vuole; 
ch'abitarvi  alcun  tempo  si  destina. 
Un  ponte  stretto  e  di  due  braccia  sole 
fece  su  Tacqua  che  correa  vicina. 
Lungo  il  ponte,  ma  largo  era  si  poco, 
che  dava  a  pena  a  duo  cavalli  loco; 

xxxiv 

a  duo  cavalli  che  venuti  a  paro, 
o  ch'insieme  si  fossero  scontrati: 
e  non  avea  ne  sponda  ne  riparo, 
e  si  potea  cader  da  tutti  i  lati. 
II  passar  quindi  vuol  che  costi  caro 
a  guerrieri  o  pagani  o  battezzati; 
che  de  le  spoglie  lor  mille  trofei 
promette  al  cimiterio  di  costei. 

xxxv 

In  dieci  giorni  e  in  manco  fu  perfetta 
Topra  del  ponticel  che  passa  il  fiume; 
ma  non  fu  gia  il  sepolcro  cosi  in  fretta, 
ne  la  torre  condutta  al  suo  cacume: 
pur  fu  levata  si,  ch'alla  veletta 
starvi  in  cima  una  guardia  avea  costume, 
che  d'ogni  cavallier  che  venia  al  ponte, 
col  corno  facea  segno  a  Rodomonte. 


762  ORLANDO    FURJOSO 

XXXVI 

E  quel  s'armava,  e  se  gli  venia  a  opporre 
ora  su  1'una,  ora  su  1'altra  riva; 
che  se  '1  guerrier  venia  di  ver  la  torre, 
su  Taltra  proda  il  re  d'Algier  veniva. 
II  ponticello  e  il  campo  ove  si  corre; 
e  se  '1  destrier  poco  del  segno  usciva, 
cadea  nel  flume,  ch'alto  era  e  profondo: 
ugual  periglio  a  quel  non  avea  il  mondo. 

XXXVII 

Aveasi  imaginato  il  Saracino, 

che  per  gir  spesso  a  rischio  di  cadere 

dal  ponticel  nel  fiume  a  capo  chino, 

dove  gli  converria  molt'acqua  here, 

del  fallo  a  che  Tindusse  il  troppo  vino, 

dovesse  netto  e  mondo  rimanere; 

come  Pacqua,  non  men  che  '1  vino,  estingua 

Terror  che  fa  pel  vino  o  mano  o  lingua. 

XXXVIII 

Molti  fra  pochi  di  vi  capitaro: 

alcuni  la  via  dritta  vi  condusse, 

ch'a  quei  che  verso  Italia  o  Spagna  andaro 

altra  non  era  che  phi  trita  fusse ; 

altri  1'ardire  e,  piu  che  vita  caro, 

1'onore,  a  farvi  di  se  prova  indusse. 

E  tutti,  ove  acquistar  credean  la  palma, 

lasciavan  Tarme,  e  molti  insieme  Talma. 

XXXIX 

Di  quelli  ch'abbattea,  s'eran  pagani, 
si  contentava  d'aver  spoglie  et  armi; 
e  di  chi  prima  furo,  i  nomi  piani 
vi  facea  sopra,  e  sospendeale  ai  marmi: 
ma  ritenea  in  prigion  tutti  i  cristiani; 
e  che  in  Algier  poi  li  mandasse  parmi. 
Finita  ancor  non  era  Topra,  quando 
vi  venne  a  capitare  il  pazzo  Orlando. 


CANTO    VENTESIMONONO  763 

XL 

A  caso  venne  il  furioso  conte 

a  capitar  su  questa  gran  riviera, 

dove,  come  io  vi  dico,  Rodomonte 

fare  in  fretta  facea,  ne  finito  era 

la  torre  ne  il  sepolcro,  e  a  pena  il  ponte: 

e  di  tutte  arme,  fuor  che  di  visiera, 

a  quell' ora  il  pagan  si  trovo  in  punto, 

ch'  Orlando  al  nume  e  al  ponte  e  sopragiunto. 

XLI 

Orlando  (come  il  suo  furor  lo  caccia) 
salta  la  sbarra  e  sopra  il  ponte  corre. 
Ma  Rodomonte  con  turbata  faccia, 
a  pie,  com5 era  inanzi  a  la  gran  torre, 
gli  grida  di  lontano  e  gli  minaccia, 
ne  se  gli  degna  con  la  spada  opporre: 

—  Indiscreto  villan,  ferma  le  piante, 
temerario,  importune  et  arrogante. 

XLII 

Sol  per  signori  e  cavallieri  e  fatto 
il  ponte,  non  per  te,  bestia  balorda.  — 
Orlando,  ch'era  in  gran  pensier  distratto, 
vien  pur  inanzi  e  fa  Porecchia  sorda. 

—  Bisogna  ch'io  castighi  questo  matto  — 
disse  il  pagano ;  e  con  la  voglia  ingorda 
venia  per  traboccarlo  giu  ne  1'onda, 
non  pensando  trovar  chi  gli  risponda. 

XLIII 

In  questo  tempo  una  gentil  donzella, 
per  passar  sovra  il  ponte,  al  fiume  arriva, 
leggiadramente  ornata  e  in  viso  bella, 
e  nei  sembianti  accortamente  schiva. 
Era  (se  vi  ricorda,  Signor)  quella 
che  per  ogni  altra  via  cercando  giva 
di  Brandimarte,  il  suo  amator,  vestigi, 
fuor  che,  dove  era,  dentro  da  Parigi. 


764  ORLANDO    FURIOSO 

XLIV 

Ne  Tarrivar  di  Fiordiligi  al  ponte 
(che  cosi  la  donzella  nomata  era), 
Orlando  s'attacco  con  Rodomonte 
che  lo  volea  gittar  ne  la  riviera. 
La  donna,  ch'avea  pratica  del  conte, 
subito  n'ebbe  conoscenza  vera: 
e  rest6  d'alta  maraviglia  piena, 
de  la  follia  che  cosi  nudo  il  mena. 

XLV 

Fermasi  a  riguardar  che  fine  avere 
debba  il  furor  dei  duo  tanti  possenti. 
Per  far  del  ponte  Tun  Taltro  cadere 
a  por  tutta  lor  forza  sono  intenti. 
—  Come  e  ch'un  pazzo  debba  si  valere  ?  — 
seco  il  fiero  pagan  dice  tra'  denti; 
e  qua  e  la  si  volge  e  si  raggira, 
pieno  di  sdegno  e  di  superbia  e  d'ira. 

XL  VI 

Con  1'una  e  1'altra  man  va  ricercando 
far  nuova  presa,  ove  il  suo  meglio  vede; 
or  tra  le  gambe,  or  fuor  gli  pone,  quando 
con  arte  il  destro,  e  quando  il  manco  piede. 
Simiglia  Rodomonte  intorno  a  Orlando 
lo  stolido  orso  che  sveller  si  crede 
1'arbor  onde  e  caduto;  e  come  n'abbia 
quello  ogni  colpa,  odio  gli  porta  e  rabbia. 

XLVII 

Orlando,  che  Tingegno  avea  sommerso, 
io  non  so  dove,  e  sol  la  forza  usava, 
Testrema  forza  a  cui  per  1'universo 
nessuno  o  raro  paragon  si  dava, 
cader  del  ponte  si  lascio  riverso 
col  pagano  abbracciato  come  stava. 
Cadon  nel  fiume,  e  vanno  al  fondo  insieme : 
ne  salta  in  aria  Tonda,  e  il  lito  geme. 


CANTO    VENTESIMONONO  765 

XLVIII 

L'acqua  gli  fece  distaccare  in  fretta. 
Orlando  e  nudo,  e  nuota  com'un  pesce: 
di  qua  le  braccia,  e  di  la  i  piedi  getta, 
e  viene  a  proda;  e  come  di  fuor  esce, 
correndo  va,  ne  per  mirare  aspetta 
se  in  biasmo  o  in  loda  questo  gli  riesce. 
Ma  il  pagan,  che  da  Tarme  era  impedito, 
torn6  piu  tar  do  e  con  piu  affanno  al  lito. 

XLIX 

Sicuramente  Fiordiligi  intanto 
avea  passato  il  ponte  e  la  riviera; 
e  guardato  il  sepolcro  in  ogni  canto, 
se  del  suo  Brandimarte  insegna  v'era: 
poi  che  ne  1'arme  sue  vede  ne  il  manto, 
di  ritrovarlo  in  altra  parte  spera. 
Ma  ritorniamo  a  ragionar  del  conte, 
che  lascia  a  dietro  e  torre  e  flume  e  ponte. 

L 

Pazzia  sara,  se  le  pazzie  d5 Orlando 
prometto  raccontarvi  ad  una  ad  una; 
che  tante  e  tante  fur,  ch'io  non  so  quando 
finir:  ma  ve  n'andro  scegliendo  alcuna 
solenne  et  atta  da  narrar  cantando, 
e  ch'all'istoria  mi  parra  oportuna; 
ne  quella  tacero  miraculosa 
che  fu  nei  Pirenei  sopra  Tolosa. 

LI 

Trascorso  avea  molto  paese  il  conte, 
come  dal  grave  suo  furor  fu  spinto; 
et  al  fin  capito  sopra  quel  monte 
per  cui  dal  Franco  e  il  Tarracon  distinto; 
tenendo  tuttavia  volta  la  fronte 
verso  la  dove  il  sol  ne  viene  estinto: 
e  quivi  giunse  in  uno  angusto  calle, 
che  pendea  sopra  una  profonda  valle. 


766  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

Si  vennero  a  incontrar  con  esso  al  varco 
duo  boscherecci  gioveni,  ch'inante 
avean  di  legna  un  loro  asino  carco; 
e  perche  ben  s'accorsero  al  sembiante 
ch'avea  di  cervel  sano  il  capo  scarce, 
gli  gridano  con  voce  minacciante 
o  ch'a  dietro  o  da  parte  se  ne  vada, 
e  che  si  levi  di  mezzo  la  strada. 

LIII 

Orlando  non  risponde  altro  a  quel  detto, 
se  non  che  con  furor  tira  d'un  piede, 
e  giunge  a  punto  1' asino  nel  petto 
con  quella  forza  che  tutte  altre  eccede; 
et  alto  il  leva  si,  ch'uno  augelletto 
che  voli  in  aria  sembra  a  chi  lo  vede. 
Quel  va  a  cadere  alia  cima  d'un  colle, 
ch'un  miglio  oltre  la  valle  il  giogo  estolle. 

LIV 

Indi  verso  i  duo  gioveni  s'aventa, 
dei  quali  un,  piu  che  senno,  ebbe  aventura, 
che  da  la  balza,  che  due  volte  trenta 
braccia  cadea,  si  gitt6  per  paura. 
A  mezzo  il  tratto  trovo  molle  e  lenta 
una  macchia  di  rubi  e  di  verzura, 
a  cui  bast6  graffiargli  un  poco  il  volto : 
del  resto  lo  mand6  libero  e  sciolto. 

LV 

L'altro  s'attacca  ad  un  scheggion  ch'usciva 
fuor  de  la  roccia,  per  salirvi  sopra; 
perche  si  spera,  s'alla  cima  arriva, 
di  trovar  via  che  dal  pazzo  lo  cuopra. 
Ma  quel  nei  piedi  (che  non  vuol  che  viva) 
lo  piglia,  mentre  di  salir  s'adopra: 
e  quanto  piu  sbarrar  puote  le  braccia, 
le  sbarra  si,  ch'in  duo  pezzi  lo  straccia; 


CANTO    VENTESIMONONO  767 

LVI 

a  quella  guisa  che  veggian  talora 
farsl  cTuno  aeron,  farsi  d'un  polio, 
quando  si  vuol  de  le  calde  interiora 
che  falcone  o  ch'astor  resti  satollo. 
Quanto  e  bene  accaduto  che  non  muora 
quel  che  fu  a  risco  di  fiaccarsi  il  collo! 
ch'ad  altri  poi  questo  miracol  disse, 
si  che  1'udi  Turpino,  e  a  noi  lo  scrisse. 

LVII 

E  queste  et  altre  assai  cose  stupende 
fece  nel  traversar  de  la  montagna. 
Dopo  molto  cercare,  al  fin  discende 
verso  meriggie  alia  terra  di  Spagna; 
e  lungo  la  marina  il  carnin  prende, 
ch'intorno  a  Taracona  il  lito  bagna: 
e  come  vuol  la  furia  che  lo  mena, 
pensa  farsi  uno  alb  ergo  in  quella  arena, 

LVIII 

dove  dal  sole  alquanto  si  ricuopra; 
e  nel  sabbion  si  caccia  arrido  e  trito. 
Stando  cosi,  gli  venne  a  caso  sopra 
Angelica  la  bella  e  il  suo  marito, 
ch'eran  (si  come  io  vi  narrai  di  sopra) 
scesi  dai  monti  in  su  Tispano  lito. 
A  men  d'un  braccio  ella  gli  giunse  appresso, 
perche  non  s'era  accorta  ancora  d'esso. 

LIX 

Che  fosse  Orlando,  nulla  le  soviene: 
troppo  e  diverso  da  quel  ch'esser  suole. 
Da  indi  in  qua  che  quel  furor  lo  tiene, 
e  sempre  andato  nudo  all'ombra  e  al  sole: 
se  fosse  nato  all'aprica  Siene, 
o  dove  Ammone  il  Garamante  cole, 
o  presso  ai  monti  onde  il  gran  Nilo  spiccia, 
non  dovrebbe  la  carne  aver  piu  arsiccia. 


768  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

Quasi  ascosi  avea  gli  occhi  ne  la  testa, 
la  faccia  macra,  e  come  un  osso  asciutta, 
la  chioma  rabuffata,  orrida  e  rnesta, 
la  barba  folta,  spaventosa  e  brutta. 
Non  piu  a  vederlo  Angelica  fu  presta, 
che  fosse  a  ritornar,  tremando  tutta: 
tutta  tremando,  e  empiendo  il  ciel  di  grida, 
si  volse  per  aiuto  alia  sua  guida. 

LXI 

Come  di  lei  s'accorse  Orlando  stolto, 
per  ritenerla  si  levo  di  botto: 
cosi  gli  piacque  il  delicato  volto, 
cosi  ne  venne  immantinente  giotto. 
D'averla  amata  e  riverita  molto 
ogni  ricordo  era  in  lui  guasto  e  rotto. 
Gli  corre  dietro,  e  tien  quella  maniera 
che  terria  il  cane  a  seguitar  la  fera. 

LXII 

II  giovine  che  '1  pazzo  seguir  vede 
la  donna  sua,  gli  urta  il  cavallo  adosso, 
e  tutto  a  un  tempo  lo  percuote  e  fiede, 
come  lo  trova  che  gli  volta  il  dosso. 
Spiccar  dal  busto  il  capo  se  gli  crede: 
ma  la  pelle  trovo  dura  come  osso, 
anzi  via  piu  ch'acciar;  ch'  Orlando  nato 
impenetrabile  era  et  affatato. 

LXIII 

Come  Orlando  senti  battersi  dietro, 
girossi,  e  nel  girare  il  pugno  strinse, 
e  con  la  forza  che  passa  ogni  metro, 
feri  il  destrier  che  '1  Saracino  spinse. 
Peril  sul  capo,  e  come  fosse  vetro 
lo  spezzo  si,  che  quel  cavallo  estinse: 
e  rivoltosse  in  un  medesmo  instante 
dietro  a  colei  che  gli  fuggiva  inante. 


CANTO   VENTESIMONONO  769 

LXIV 

Caccia  Angelica  in  fretta  la  giumenta, 
e  con  sferza  e  con  spron  tocca  e  ritocca; 
che  le  parrebbe  a  quel  bisogno  lenta, 
se  ben  volasse  piu  che  stral  da  cocca. 
De  Tannel  c'ha  nel  dito  si  ramenta, 
che  puo  salvarla,  e  se  lo  getta  in  bocca: 
e  I'annel,  che  non  perde  il  suo  costume, 
la  fa  sparir  come  ad  un  soffio  il  lume. 

LXV 

O  fosse  la  paura,  o  che  pigliasse 
tanto  disconcio  nel  mutar  1'annello, 
o  pur,  che  la  giumenta  traboccasse, 
che  non  posso  affermar  questo  n6  quello; 
nel  medesmo  momento  che  si  trasse 
Pannello  in  bocca  e  ce!6  il  viso  bello, 
Iev6  le  gambe  et  usci  de  Tarcione, 
e  si  trov6  ri versa  in  sul  sabbione. 

LXVI 

Piu  corto  che  quel  salto  era  dua  dita, 
aviluppata  rimanea  col  matto, 
che  con  1'urto  le  avria  tolta  la  vita; 
ma  gran  ventura  Taiuto  a  queLtratto. 
Cerchi  pur  ch'altro  furto  le  dia  aita 
d'un'altra  bestia,  come  prima  ha  fatto ; 
che  piu  non  e  per  riaver  mai  questa 
ch'inanzi  al  paladin  1'arena  pesta. 

LXVII 

Non  dubitate  gia  ch'ella  non  s'abbia 
a  provedere;  e  seguitiamo  Orlando, 
in  cui  non  cessa  1'impeto  e  la  rabbia 
perche  si  vada  Angelica  celando. 
Segue  la  bestia  per  la  nuda  sabbia, 
e  se  le  vien  piu  sempre  approssimando : 
gia  gia  la  tocca,  et  ecco  Fha  nel  crine, 
indi  nel  freno,  e  la  ritiene  al  fine. 


77°  ORLANDO    FURIOSO 

LXVIII 

Con  quella  festa  il  paladin  la  piglia, 
ch'un  altro  avrebbe  fatto  una  donzella: 
le  rassetta  le  redine  e  la  briglia, 
e  spicca  un  salto  et  entra  ne  la  sella; 
e  correndo  la  caccia  molte  miglia, 
senza  riposo,  in  questa  parte  e  in  quella: 
mai  non  le  leva  ne  sella  ne  freno, 
ne  le  lascia  gustare  erba  n6  fieno. 

LXIX 

Volendosi  cacciare  oltre  una  fossa, 
sozzopra  se  ne  va  con  la  cavalla. 
Non  nocque  a  lui,  ne  senti  la  percossa; 
ma  nel  fondo  la  misera  si  spalla. 
Non  vede  Orlando  come  trar  la  possa; 
e  finalmente  se  1'arreca  in  spalla, 
e  su  ritorna,  e  va  con  tutto  il  carco, 
quanto  in  tre  volte  non  trarrebbe  un  arco. 

LXX 

Sentendo  poi  che  gli  gravava  troppo, 
la  pose  in  terra,  e  volea  trarla  a  mano. 
Ella  il  seguia  con  passo  lento  e  zoppo; 
dicea  Orlando:  —  Carnina!  —  e  dicea  invano. 
Se  Pavesse  seguito  di  galoppo, 
assai  non  era  al  desiderio  insano. 
Al  fin  dal  capo  le  levo  il  capestro, 
e  dietro  la  Ieg6  sopra  il  pie  destro ; 

LXXI 

e  cosi  la  strascina,  e  la  conforta 
che  lo  potra  seguir  con  maggior  agio. 
Qual  leva  il  pelo,  e  quale  il  cuoio  porta, 
dei  sassi  ch'eran  nel  camin  malvagio. 
La  mal  condotta  bestia  rest6  morta 
finalmente  di  strazio  e  di  disagio. 
Orlando  non  le  pensa  e  non  la  guarda, 
e  via  correndo  il  suo  camin  non  tarda. 


CANTO    VENTESIMONONO  771 

LXXII 

Di  trarla,  anco  che  morta,  non  rimase, 
continoando  il  corso  ad  occidente; 
e  tuttavia  saccheggia  ville  e  case, 
se  bisogno  di  cibo  aver  si  sente; 
e  frutte  e  carne  e  pan,  pur  ch'egli  in  vase, 
rapisce ;  et  usa  forza  ad  ogni  gente : 
qual  lascia  morto  e  qual  storpiato  lassa; 
poco  si  ferma,  e  sempre  inanzi  passa. 

LXXIII 

Avrebbe  cosi  fatto,  o  poco  manco, 
alia  sua  donna,  se  non  s'ascondea; 
perche  non  discernea  il  nero  dal  bianco, 
e  di  giovar  nocendo  si  credea. 
Deh  maledetto  sia  Tannello  et  anco 
il  cavallier  che  dato  le  Tavea! 
che  se  non  era,  avrebbe  Orlando  fatto 
di  se  vendetta  e  di  miU'altri  a  un  tratto. 

LXXIV 

Ne  questa  sola,  ma  fosser  pur  state 
in  man  d'Orlando  quante  oggi  ne  sono; 
ch'ad  ogni  modo  tutte-sono  ingrate, 
ne  si  trova  tra  loro  oncia  di  buono. 
Ma  prima  che  le  corde  rallentate 
al  canto  disugual  rendano  il  suono, 
fia  meglio  difFerirlo  a  un'altra  volta, 
accio  men  sia  noioso  a  chi  Tascolta. 


772  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO   TRENTESIMO 


Quando  vincer  da  1'impeto  e  da  1'ira 

si  lascia  la  ragion,  ne  si  difende, 

e  che  '1  cieco  furor  si  inanzi  tira 

o  mano  o  lingua,  che  gli  amici  offende; 

se  ben  dipoi  si  piange  e  si  sospira, 

non  e  per  questo  che  Terror  s'emende. 

Lasso!  io  mi  doglio  e  affligo  in  van  di  quanto 

dissi  per  ira  al  fin  de  Faltro  canto. 

n 

Ma  simile  son  fatto  ad  uno  infermo, 
che  dopo  molta  pazienzia  e  molta, 
quando  contra  il  dolor  non  ha  piu  schermo, 
cede  alia  rabbia  e  a  bestemmiar  si  volta. 
Manca  il  dolor,  ne  1'impeto  sta  fermo, 
che  la  lingua  al  dir  mal  facea  si  sciolta; 
e  si  ravvede  e  pente  e  n'ha  dispetto: 
ma  quel  c'ha  detto,  non  puo  far  non  detto. 

in 

Ben  spero,  donne,  in  vostra  cortesia 
aver  da  voi  perdon,  poi  ch'io  vel  chieggio. 
Voi  scusarete,  che  per  frenesia, 
vinto  da  1'aspra  passion,  vaneggio. 
Date  la  colpa  alia  nimica  mia, 
che  mi  fa  star  ch'io  non  potrei  star  peggio, 
e  mi  fa  dir  quel  di  ch'io  son  poi  gramo: 
sallo  Idio,  s'ella  ha  il  torto;  essa,  s'io  Tamo. 


CANTO    TRENTESIMO  773 

IV 

Non  men  son  fuor  di  me,  che  fosse  Orlando; 
e  non  son  men  di  lui  di  scusa  degno, 
ch'or  per  li  monti,  or  per  le  piagge  errando, 
scorse  in  gran  parte  di  Marsilio  il  regno, 
molti  di  la  cavalla  strascinando 
morta,  come  era,  senza  alcun  ritegno; 
ma  giunto  ove  un  gran  fiume  entra  nel  mare, 
gli  fu  forza  il  cadavero  lasciare. 

v 

E  perche  sa  nuotar  come  una  lontra, 
entra  nel  fiume,  e  surge  all'altra  riva. 
Ecco  un  pastor  sopra  un  cavallo  incontra, 
che  per  abeverarlo  al  fiume  arriva. 
Colui,  ben  che  gli  vada  Orlando  incontra, 
perche  egli  e  solo  e  nudo,  non  lo  schiva. 

—  Vorrei  del  tuo  ronzin  —  gli  disse  il  matto 

—  con  la  giumenta  mia  far  un  baratto. 

VI 

10  te  la  mostrero  di  qui,  se  vuoi; 
che  morta  la  su  1'altra  ripa  giace: 
la  potrai  far  tu  medicar  dipoi; 
altro  difTetto  in  lei  non  mi  displace. 

Con  qualche  aggiunta  il  ronzin  dar  mi  puoi: 
smontane  in  cortesia,  perche  mi  piace.  — 

11  pastor  ride,  e  senz'altra  risposta 

va  verso  il  guado,  e  dal  pazzo  si  scosta. 

VII 

—  lo  voglio  il  tuo  cavallo :  ola  non  odi  ?  — 
suggiunse  Orlando,  e  con  furor  si  mosse. 
Avea  un  baston  con  nodi  spessi  e  sodi 
quel  pastor  seco,  e  il  paladin  percosse. 
La  rabbia  e  1'ira  passo  tutti  i  modi 

del  conte;  e  parve  fier  piu  che  mai  fosse. 

Sul  capo  del  pastore  un  pugno  serra, 

che  spezza  Posso,  e  morto  il  caccia  in  terra. 


774  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Salta  a  cavallo,  e  per  diversa  strada 
va  discorrendo,  e  molti  pone  a  sacco. 
Non  gusta  il  ronzin  mai  fieno  ne  biada, 
tanto  ch'in  pochi  di  ne  riman  fiacco: 
ma  non  pero  ch' Orlando  a  piedi  vada, 
che  di  vetture  vuol  vivere  a  macco; 
e  quante  ne  trov6,  tante  ne  mise 
in  uso,  poi  che  i  lor  patroni  uccise. 

IX 

Capito  al  fin  a  Malega,  e  piu  danno 
vi  fece,  ch'egli  avesse  altrove  fatto: 
che  oltre  che  ponesse  a  saccomanno 
il  popul  si,  che  ne  resto  disfatto, 
ne  si  pote  rifar  quel  ne  Faltr'anno; 
tanti  n'uccise  il  periglioso  matto, 
vi  spiano  tante  case  e  tante  accese, 
che  disfe'  piu  che  '1  terzo  del  paese. 

x 

Quindi  partito,  venne  ad  una  terra, 
Zizera  detta,  che  siede  allo  stretto 
di  Zibeltarro,  o  vuoi  di  Zibelterra, 
che  Puno  e  1'altro  nome  le  vien  detto; 
ove  una  barca  che  sciogliea  da  terra 
vide  piena  di  gente  da  diletto, 
che  solazzando  all'aura  matutina 
gia  per  la  tranquillissima  marina, 

XI 

Cominci6  il  pazzo  a  gridar  forte:  —  Aspetta!  - 
che  gli  venne  disio  d'andare  in  barca. 
Ma  bene  invano  e  i  gridi  e  gli  urli  getta; 
che  volentier  tal  merce  non  si  carca. 
Per  1'acqua  il  legno  va  con  quella  fretta 
che  va  per  1'aria  irondine  che  varca. 
Orlando  urta  il  cavallo  e  batte  e  stringe, 
e  con  un  mazzafrusto  all'acqua  spinge. 


CANTO   TRENTESIMO  775 

XII 

Forza  e  ch'al  fin  nelFacqua  il  cavallo  entre, 
ch'invan  contrasta,  e  spende  invano  ogni  opra: 
bagna  i  genocchi,  e  poi  la  groppa  e  '1  ventre, 
indi  la  testa,  e  a  pena  appar  di  sopra. 
Tornare  a  dietro  non  si  speri,  mentre 
la  verga  tra  Forecchie  se  gli  adopra. 
Misero!  o  si  convien  tra  via  affogare, 
o  nel  lito  african  passare  il  mare. 

XIII 

Non  vede  Orlando  piu  poppe  ne  sponde 
che  tratto  in  mar  1'avean  dal  lito  asciutto; 
che  son  troppo  lontane,  e  le  nasconde 
agli  occhi  bassi  Falto  e  mobil  fhitto: 
e  tuttavia  il  destrier  caccia  tra  1'onde, 
ch'andar  di  la  dal  mar  dispone  in  tutto. 
II  destrier,  d'acqua  pieno  e  d'alma  v6to, 
finalmente  fini  la  vita  e  il  nuoto. 

XIV 

Ando  nel  fondo,  e  vi  traea  la  salma, 
se  non  si  tenea  Orlando  in  su  le  braccia. 
Mena  le  gambe  e  Tuna  e  Paltra  palma, 
e  soffia,  e  Fonda  spinge  da  la  faccia. 
Era  Taria  soave  e  il  mare  in  calma: 
e  ben  vi  bisogno  piu  che  bonaccia; 
ch'ogni  poco  che  '1  mar  fosse  piu  sorto, 
restava  il  paladin  ne  Pacqua  morto. 

xv 

Ma  la  Fortuna,  che  dei  pazzi  ha  cura, 
del  mar  lo  trasse  nel  lito  di  Setta, 
in  una  spiaggia,  lungi  da  le  mura 
quanto  sarian  duo  tratti  di  saetta. 
Lungo  il  mar  molti  giorni  alia  ventura 
verso  levante  ando  correndo  in  fretta; 
fin  che  trov6,  dove  tendea  sul  lito, 
di  nera  gente  esercito  infinite. 


776  ORLANDO    FURIOSO 

XVI 

Lasciamo  il  paladin  ch'errando  vada: 
ben  di  parlar  di  lui  tornera  tempo. 
Quanto,  Signore,  ad  Angelica  accada, 
dopo  ch'usci  di  man  del  pazzo  a  tempo, 
e  come  a  ritornare  in  sua  contrada 
trovasse  e  buon  navilio  e  miglior  tempo, 
e  de  Tlndia  a  Medor  desse  lo  scettro, 
forse  altri  cantera  con  miglior  plettro. 

XVII 

lo  sono  a  dir  tante  altre  cose  intento, 
che  di  seguir  phi  questa  non  mi  cale. 
Volger  conviemmi  il  bel  ragionamento 
al  Tartaro,  che  spinto  il  suo  rivale 
quella  bellezza  si  godea  contento, 
a  cui  non  resta  in  tutta  Europa  uguale, 
poscia  che  se  n'e  Angelica  partita, 
e  la  casta  Issabella  al  ciel  salita. 

XVIII 

De  la  sentenzia  Mandricardo  altiero, 
ch'in  suo  favor  la  bella  donna  diede, 
non  puo  fruir  tutto  il  diletto  intero ; 
che  contra  lui  son  altre  liti  in  piede. 
L'una  gli  muove  il  giovene  Ruggiero, 
perche  Faquila  bianca  non  gli  cede; 
1'altra  il  famoso  re  di  Sericana, 
che  da  lui  vuol  la  spada  Durindana. 

XIX 

S'afFatica  Agramante,  ne  disciorre, 
ne  Marsilio  con  lui,  sa  questo  intrico: 
ne  solamente  non  li  puo  disporre 
che  voglia  Tun  de  Faltro  essere  amico ; 
ma  che  Ruggiero  a  Mandricardo  t6rre 
lasci  lo  scudo  del  Troiano  antico, 
o  Gradasso  la  spada  non  gli  vieti, 
tanto  che  questa  o  quella  lite  accheti. 


CANTO    TRENTESIMO  777 

XX 

Ruggier  non  vuol  ch'in  altra  pugna  vada 
con  lo  suo  scudo;  ne  Gradasso  vuole 
che  fuor  che  contra  se  porti  la  spada 
che  Jl  glorioso  Orlando  portar  suole. 
—  Al  fin  veggiamo  in  cui  la  sorte  cada,  — 
disse  Agramante  —  e  non  sian  piu  parole ; 
veggian  quel  che  Fortuna  ne  disponga, 
e  sia  preposto  quel  ch'ella  preponga. 

XXI 

E  se  compiacer  meglio  mi  volete, 
onde  d'aver  ve  n'abbia  oblige  ognora, 
chi  de'  di  voi  combatter,  sortirete; 
ma  con  patto,  ch'al  primo  ch'esca  fuora 
amendue  le  querele  in  man  porrete: 
si  che  per  se  vincendo,  vinca  ancora 
pel  compagno;  e  perdendo  Tun  di  vui, 
cosi  perduto  abbia  per  ambidui. 

XXII 

Tra  Gradasso  e  Ruggier  credo  che  sia 

di  valor  nulla  o  poca  differenza; 

e  di  lor  qual  si  vuol  venga  fuor  pria, 

so  ch'in  arme  fara  per  eccellenza. 

Poi  la  vittoria  da  quel  canto  stia, 

che  vorra  la  divina  providenza. 

II  cavallier  non  avra  colpa  alcuna, 

ma  il  tutto  imputerassi  alia  Fortuna.  — 

XXIII 

Steron  taciti  al  detto  d' Agramante 
e  Ruggiero  e  Gradasso;  et  accordarsi 
che  qualunque  di  loro  uscira  inante, 
e  Tuna  briga  e  1'altra  abbia  a  pigliarsi. 
Cosi  in  duo  brevi,  ch'avean  simigliante 
et  ugual  forma,  i  nomi  lor  notarsi; 
e  dentro  un'urna  quelli  hanno  rinchiusi, 
versati  molto,  e  sozzopra  confusi. 


778  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Un  semplice  fanciul  nell'urna  messe 

la  mano,  e  prese  un  breve;  e  venne  a  caso 

ch'in  questo  il  nome  di  Ruggier  si  lesse, 

essendo  quel  del  Serican  rimaso. 

Non  si  pu6  dir  quanta  allegrezza  avesse, 

quando  Ruggier  si  senti  trar  del  vaso, 

e  d'altra  parte  il  Sericano  doglia; 

ma  quel  che  manda  il  del,  forza  e  die  toglia. 

xxv 

Ogni  suo  studio  il  Sericano,  ogni  opra 
a  favorire,  ad  aiutar  converte 
perche  Ruggiero  abbia  a  restar  di  sopra: 
e  le  cose  in  suo  pro,  ch'avea  gia  esperte, 
come  or  di  spada,  or  di  scudo  si  cuopra, 
qual  sien  botte  fallaci  e  qual  sien  certe, 
quando  tentar,  quando  schivar  fortuna 
si  dee,  gli  torna  a  mente  ad  una  ad  una. 

xxvr 

II  resto  di  quel  di,  che  da  1'accordo 
e  dal  trar  de  le  sorti  sopravanza, 
e  speso  dagli  amici  in  dar  ricordo, 
chi  a  1'un  guerrier  chi  a  Paltro,  come  e  usanza. 
II  popul,  di  veder  la  pugna  ingordo, 
s'affretta  a  gara  d'occupar  la  stanza: 
ne  basta  a  molti  inanzi  giorno  andarvi, 
che  voglion  tutta  notte  anco  veggiarvi. 

XXVII 

La  sciocca  turba  disiosa  attende 
ch'i  duo  buon  cavallier  vengano  in  prova; 
che  non  mira  piu  lungi  ne  comprende 
di  quel  ch'inanzi  agli  occhi  si  ritrova. 
Ma  Sobrino  e  Marsilio,  e  chi  piu  intende 
e  vede  cio  che  nuoce  e  cio  che  giova, 
biasma  questa  battaglia,  et  Agramante, 
che  voglia  comportar  che  vada  inante. 


CANTO    TRENTESIMO  779 

XXVIII 

Ne  cessan  raccordargli  il  grave  danno 
che  n'ha  d'avere  il  popul  saracino, 
muora  Ruggiero  o  il  tartaro  tiranno, 
quel  che  prefisso  e  dal  suo  fier  destine : 
d'un  sol  di  lor  via  piu  bisogno  avranno 
per  contrastare  al  figlio  di  Pipino, 
che  di  dieci  altri  mila  che  ci  sono, 
tra5  quai  fatica  e  ritrovare  un  buono. 

XXIX 

Conosce  il  re  Agramante  che  gli  e  vero, 
ma  non  pu6  piu  negar  cio  c'ha  promesso. 
Ben  prega  Mandricardo  e  il  buon  Ruggiero, 
che  gli  ridonin  quel  c'ha  lor  concesso; 
e  tanto  piu  che  '1  lor  litigio  e  un  zero, 
ne  degno  in  prova  d'arme  esser  rimesso: 
e  s'in  cio  pur  nol  vogliono  ubbidire, 
voglino  almen  la  pugna  differire. 

xxx 

Cinque  o  sei  mesi  il  singular  certame, 
o  meno  o  piu,  si  differisca,  tanto 
che  cacciato  abbin  Carlo  del  reame, 
tolto  lo  scettro,  la  corona  e  il  manto. 
Ma  Tun  e  Faltro,  ancor  che  voglia  e  brame 
il  re  ubbidir,  pur  sta  duro  da  canto; 
che  tale  accordo  obbrobrioso  stima 
a  chi  '1  consenso  suo  vi  dara  prima. 

XXXI 

Ma  piu  del  re,  ma  piu  d'ognun  ch'invano 
spenda  a  placare  il  Tartaro  parole, 
la  bella  figlia  del  re  Stordilano 
supplice  il  priega,  e  si  lamenta  e  duole: 
lo  prega  che  consenta  al  re  africano 
e  voglia  quel  che  tutto  il  campo  vuole; 
si  lamenta  e  si  duol  che  per  lui  sia 
timida  sempre  e  piena  d'angonia. 


780  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

—  Lassa!  —  dicea  —  che  ritrovar  poss'io 
rimedio  mai  ch'a  riposar  mi  vaglia, 
s'or  contra  questo  or  quel,  nuovo  disio 
vi  trarra  sempre  a  vestir  piastra  e  maglia? 
C'ha  potuto  giovare  al  petto  mio 
il  gaudio  che  sia  spenta  la  battaglia 
per  me  da  voi  contra  quelPaltro  presa, 
se  un'altra  non  minor  se  n'e  gia  accesa? 

xxxni 

Ohime!  ch'invano  i}  me  n'andava  altiera 
ch'un  re  si  degno,  un  cavallier  si  forte 
per  me  volesse  in  perigliosa  e  fiera 
battaglia  porsi  al  risco  de  la  morte; 
ch'or  veggo  per  cagion  tanto  leggiera 
non  meno  esporvi  alia  medesma  sorte. 
Fu  natural  ferocita  di  core 
ch'a  quella  v'instigo,  piu  che  '1  mio  amore. 

XXXIV 

Ma  se  gli  e  ver  che  '1  vostro  amor  sia  quello 
che  vi  sforzate  di  mostrarmi  ognora, 
per  lui  vi  prego,  e  per  quel  gran  flagello 
che  mi  percuote  Talma  e  che  m'accora, 
che  non  vi  caglia  se  '1  candido  augello 
ha  ne  lo  scudo  quel  Ruggiero  ancora. 
Utile  o  danno  a  voi  non  so  ch'importi, 
che  lasci  quella  insegna  o  che  la  porti. 

xxxv 

Poco  guadagno,  e  perdita  uscir  molta 
de  la  battaglia  puo,  che  per  far  sete: 
quando  abbiate  a  Ruggier  Faquila  tolta, 
poca  merce  d'un  gran  travaglio  avrete; 
ma  se  Fortuna  le  spalle  vi  volta 
(che  non  pero  nel  crin  presa  tenete), 
causate  un  danno,  ch'a  pensarvi  solo 
mi  sento  il  petto  gia  sparrar  di  duolo. 


CANTO    TRENTESIMO  781 

XXXVI 

Quando  la  vita  a  voi  per  voi  non  sia 
cara,  e  piu  amate  un'aquila  dipinta, 
vi  sia  almen  cara  per  la  vita  rma: 
non  sara  Tuna  senza  1'altra  estinta. 
Non  gia  morir  con  voi  grave  mi  fia: 
son  di  seguirvi  in  vita  e  in  morte  accinta; 
ma  non  vorrei  morir  si  malcontenta 
come  io  morro,  se  dopo  voi  son  spenta.  — 

XXXVII 

Con  tai  parole  e  simili  altre  assai, 
che  lacrime  accompagnano  e  sospiri, 
pregar  non  cessa  tutta  notte  mai 
perch'alla  pace  il  suo  amator  ritiri; 
e  quel,  suggendo  dagli  umidi  rai 
quel  dolce  pianto,  e  quei  dolci  martiri 
da  le  vermiglie  labra  piu  che  rose, 
lacrimando  egli  ancor,  cosi  rispose: 

XXXVIII 

—  Deh,  vita  mia,  non  vi  mettete  afFanno, 
deh  non,  per  Dio,  di  cosi  lieve  cosa; 
che  se  Carlo  e  '1  re  d5 Africa,  e  cio  c'hanno 
qui  di  gente  moresca  e  di  franciosa, 
spiegasson  le  bandiere  in  mio  sol  danno, 
voi  pur  non  ne  dovreste  esser  pensosa. 
Ben  mi  mostrate  in  poco  conto  avere, 
se  per  me  un  Ruggier  sol  vi  fa  temere. 

xxxix 

E  vi  dovria  pur  ramentar  che,  solo 
(e  spada  io  non  avea  ne  scimitarra), 
con  un  troncon  di  lancia  a  un  grosso  stuolo 
d'armati  cavallier  tolsi  la  sbarra. 
Gradasso,  ancor  che  con  vergogna  e  duolo 
Io  dica,  pure  a  chi  Jl  domanda  narra 
che  fu  in  Soria  a  un  castel  mio  prigioniero ; 
et  e  pur  d'altra  fama  che  Ruggiero. 


782  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Non  mega  similmente  il  re  Gradasso, 
e  sallo  Isolier  vostro  e  Sacripante, 
io  dico  Sacripante,  il  re  circasso, 
e  '1  famoso  Grifone  et  Aquilante, 
cent'altri  e  piu,  che  pure  a  questo  passo 
stati  eran  presi  alcuni  giorni  inante, 
macometani  e  gente  di  battesmo, 
che  tutti  liberai  quel  di  medesmo. 

XLI 

Non  cessa  ancor  la  maraviglia  loro 
de  la  gran  prova  ch'io  feci  quel  giorno, 
maggior,  che  se  1'esercito  del  Moro 
e  del  Franco  inimici  avessi  intorno. 
Et  or  potra  Ruggier,  giovine  soro, 
farmi  da  solo  a  solo  o  danno  o  scorno  ? 
Et  or  c'ho  Durindana  e  1'armatura 
d'Ettor,  vi  de'  Ruggier  metter  paura? 

XLII 

Den,  perche  dianzi  in  prova  non  venni  io, 
se  far  di  voi  con  Tarme  io  potea  acquisto? 
So  che  v'avrei  si  aperto  il  valor  mio, 
ch'avresti  il  fin  gia  di  Ruggier  previsto. 
Asciugate  le  lacrime,  e  per  Dio 
non  mi  fate  uno  augurio  cosi  tristo; 
e  siate  certa  che  '1  mio  onor  rn'ha  spinto, 
non  ne  Io  scudo  il  bianco  augel  dipinto.  — 

XLIII 

Cosi  disse  egli;  e  molto  ben  risposto 
gli  fu  da  la  mestissima  sua  donna, 
che  non  pur  lui  mutato  di  proposto, 
ma  di  luogo  avria  mossa  una  colonna. 
Ella  era  per  dover  vincer  lui  tosto, 
ancor  ch'armato,  e  ch'ella  fosse  in  gonna; 
e  Tavea  indutto  a  dir,  se  '1  re  gli  parla 
d'accordo  piu,  che  volea  contentarla. 


CANTO    TRENTESIMO  783 

XLIV 

E  lo  facea;  se  non,  tosto  ch'al  Sole 
la  vaga  Aurora  fe'  1'usata  scorta, 
Tanimoso  Ruggier,  che  mostrar  vuole 
che  con  ragion  la  bella  aquila  porta, 
per  non  udir  piu  d'atti  e  di  parole 
dilazion,  ma  far  la  lite  corta, 
dove  circonda  il  popul  lo  steccato, 
sonando  il  corno  s'appresenta  armato. 

XLV 

Tosto  che  sente  il  Tartaro  superbo, 
ch'alla  battaglia  il  suono  altier  lo  sfida, 
non  vuol  piu  de  Taccordo  intender  verbo, 
ma  si  lancia  del  letto,  et  arme  grida; 
e  si  dimostra  si  nel  viso  acerbo, 
che  Doralice  istessa  non  si  fida 
di  dirgli  piu  di  pace  ne  di  triegua: 
e  forza  e  infin  che  la  battaglia  segua. 

XLVI 

Subito  s'arma,  et  a  fatica  aspetta 
da'  suoi  scudieri  i  debiti  servigi; 
poi  monta  sopra  il  buon  cavallo  in  fretta, 
che  del  gran  difensor  fu  di  Parigi; 
e  vien  correndo  inver  la  piazza  eletta 
a  terminar  con  Tarme  i  gran  litigi. 
Vi  giunse  il  re  e  la  corte  allora  allora; 
si  ch'alFassalto  fu  poca  dimora. 

XLVII 

Posti  lor  furo  et  allacciati  in  testa 
i  lucidi  elmi,  e  date  lor  le  lance. 
Siegue  la  tromba  a  dare  il  segno  presta, 
che  fece  a  mille  impallidir  le  guance. 
Posero  Taste  i  cavallieri  in  resta, 
e  i  corridori  punsero  alle  pance ; 
e  venner  con  tale  impeto  a  ferirsi, 
che  parve  il  ciel  cader,  la  terra  aprirsi. 


784  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

Quinci  e  quindi  venir  si  vede  il  bianco 
augel  che  Giove  per  1'aria  sostenne; 
come  ne  la  Tessalia  si  vide  anco 
venir  piu  volte,  ma  con  altre  penne. 
Quanto  sia  Puno  e  Taltro  ardito  e  franco, 
mostra  il  portar  de  le  massiccie  antenne; 
e  molto  piii,  ch'a  quello  incontro  duro, 
quai  torri  ai  venti,  o  scogli  alPonde  furo. 

XLIX 

I  tronchi  fin  al  ciel  ne  sono  ascesi: 
scrive  Turpin,  verace  in  questo  loco, 
che  dui  o  tre  giii  ne  tornaro  accesi, 
ch'eran  saliti  alia  sfera  del  fuoco. 
I  cavallieri  i  brandi  aveano  presi: 
e  come  quei  che  si  temeano  poco, 
si  ritornaro  incontra;  e  a  prima  giunta 
ambi  alia  vista  si  ferir  di  punta. 

L 

Ferirsi  alia  visiera  al  primo  tratto ; 
e  non  miraron,  per  mettersi  in  terra, 
dare  ai  cavalli  morte,  ch'e  mal  atto, 
perch' essi  non  han  colpa  de  la  guerra. 
Chi  pensa  che  tra  lor  fosse  tal  patto, 
non  sa  1'usanza  antiqua,  e  di  molto  erra: 
senz'altro  patto,  era  vergogna  e  fallo 
e  biasmo  eterno  a  chi  feria  il  cavallo. 

LI 

Ferirsi  alia  visiera,  ch'era  doppia, 
et  a  pena  anco  a  tanta  furia  resse. 
L'un  colpo  appresso  all'altro  si  raddoppia: 
le  botte  piu  che  grandine  son  spesse, 
che  spezza  fronde  e  rami  e  grano  e  stoppia, 
e  uscir  invan  fa  la  sperata  messe. 
Se  Durindana  e  Balisarda  taglia, 
sapete,  e  quanto  in  queste  mani  vaglia. 


CANTO   TRENTESIMO  785 

LII 

Ma  degno  di  se  colpo  ancor  non  fanno, 
si  Puno  e  Paltro  ben  sta  su  P  aviso. 
Usci  da  Mandricardo  il  primo  danno, 
per  cui  fu  quasi  il  buon  Ruggiero  ucciso: 
d'uno  di  quei  gran  colpi  che  far  sanno, 
gli  fu  lo  scudo  pel  mezzo  diviso, 
e  la  corazza  apertagli  di  sotto; 
e  fin  sul  vivo  il  crudel  brando  ha  rotto. 

LIII 

L'aspra  percossa  agghiaccio  il  cor  nel  petto, 
per  dubbio  di  Ruggiero,  ai  circonstanti, 
nel  cui  favor  si  conoscea  lo  affetto 
dei  piu  inchinar,  se  non  di  tutti  quanti. 
E  se  Fortuna  ponesse  ad  effetto 
quel  che  la  maggior  parte  vorria  inanti, 
gia  Mandricardo  saria  morto  o  preso: 
si  che  Jl  suo  colpo  ha  tutto  il  campo  offeso. 

LIV 

lo  credo  che  qualche  agnol  $' interpose 
per  salvar  da  quel  colpo  il  cavalliero. 
Ma  ben  senza  piu  indugio  gli  rispose, 
terribil  piu  che  mai  fosse,  Ruggiero. 
La  spada  in  capo  a  Mandricardo  pose; 
ma  si  lo  sdegno  fu  subito  e  fiero, 
e  tal  fretta  gli  fe',  ch'io  men  Fincolpo 
se  non  mando  a  ferir  di  taglio  il  colpo. 

LV 

Se  Balisarda  lo  giungea  pel  dritto, 
1'elmo  d'Ettorre  era  incantato  invano. 
Fu  si  del  colpo  Mandricardo  afflitto, 
che  si  lascic-  la  briglia  uscir  di  mano. 
D'andar  tre  volte  accenna  a  capo  fitto, 
mentre  scorrendo  va  d'intorno  il  piano 
quel  Brigliador  che  conoscete  al  nome, 
dolente  ancor  de  le  mutate  some. 


786  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Calcata  serpe  mai  tanto  non  ebbe, 
ne  ferito  leon,  sdegno  e  furore, 
quanto  il  Tartaro,  poi  che  si  riebbe 
dal  colpo  che  di  se  lo  trasse  fuore. 
E  quanto  1'ira  e  la  superbia  crebbe, 
tanto  e  piu  crebbe  in  lui  forza  e  valore: 
fece  spiccare  a  Brigliadoro  un  salto 
verso  Ruggiero,  e  alzo  la  spada  in  alto. 

LVII 

Levossi  in  su  le  staffe,  et  aU'elmetto 
segnolli;  e  si  credette  veramente 
partirlo  a  quella  volta  fin  al  petto : 
ma  fu  di  lui  Ruggier  piu  diligente; 
che,  pria  che  '1  braccio  scenda  al  duro  effetto, 
gli  caccia  sotto  la  spada  pungente, 
e  gli  fa  ne  la  maglia  ampla  finestra, 
che  sotto  difendea  1'ascella  destra. 

LVIII 

E  Balisarda  al  suo  ritorno  trasse 
di  fuori'  il  sangue  tiepido  e  vermiglio, 
e  viet6  a  Durindana  che  calasse 
impetuosa  con  tanto  periglio; 
ben  che  fin  su  la  groppa  si  piegasse 
Ruggiero,  e  per  dolor  strignesse  il  ciglio: 
e  s'elmo  in  capo  avea  di  peggior  tempre, 
gli  era  quel  colpo  memorabil  sempre. 

LIX 

Ruggier  non  cessa,  e  spinge  il  suo  cavallo, 
e  Mandricardo  al  destro  fianco  trova. 
Quivi  scelta  finezza  di  metallo 
e  ben  condutta  tempra  poco  giova 
contra  la  spada  che  non  scende  in  fallo, 
che  fu  incantata  non  per  altra  prova, 
che  per  far  chV  suoi  colpi  nulla  vaglia 
piastra  incantata  et  incantata  maglia. 


CANTO    TRENTESIMO  787 

LX 

Taglionne  quanto  ella  ne  prese,  e  insieme 
lascio  ferito  il  Tartaro  nel  fianco, 
che  Jl  ciel  bestemmia,  e  di  tant'ira  fretne, 
che  51  tempestoso  mare  e  orribil  manco. 
Or  s'apparecchia  a  por  le  forze  estreme: 

10  scudo  ove  in  azzurro  e  1'augel  bianco, 
vinto  da  sdegno,  si  gitt6  lontano, 

e  messe  al  brando  e  Tuna  e  1'altra  mano. 

LXI 

—  Ah,  —  disse  a  lui  Ruggier  —  senza  piu  basti 
a  mostrar  che  non  merti  quella  insegna, 
ch'or  tu  la  getti,  e  dianzi  la  tagliasti; 
n£  potrai  dir  mai  piu  che  ti  convegna.  — 
Cosi  dicendo,  forza  e  ch'egli  attasti 
con  quanta  furia  Durindana  vegna; 
che  si  gli  grava  e  si  gli  pesa  in  fronte, 
che  piu  leggier  potea  cadervi  un  monte. 

LXII 

E  per  mezzo  gli  fende  la  visiera; 
buon  per  lui  che  dal  viso  si  discosta: 
poi  calo  su  Pardon  che  ferrato  era, 
ne  lo  difese  averne  doppia  crosta: 
giunse  al  fin  su  Tamese,  e  come  cera 
Taperse  con  la  falda  sopraposta; 
e  feri  gravemente  ne  la  coscia 
Ruggier,  si  ch'assai  stette  a  guarir  poscia. 

LXIII 
De  Tun,  come  de  Paltro,  fatte  rosse 

11  sangue  Tarme  avea  con  doppia  riga; 
tal  che  diverse  era  il  parer  chi  fosse 

di  lor  ch'avesse  il  meglio  in  quella  briga. 
Ma  quel  dubbio  Ruggier  tosto  rimosse 
con  la  spada  che  tanti  ne  castiga: 
mena  di  punta,  e  drizza  il  colpo  crudo 
onde  gittato  avea  colui  lo  scudo. 


788  ORLANDO    FURIOSO 

LXIV 

Fora  de  la  corazza  il  lato  manco, 

e  di  venire  al  cor  trova  la  strada, 

che  gli  entra  piu  d'un  palmo  sopra  il  fianco: 

si  che  convien  che  Mandricardo  cada 

d'ogni  ragion  che  pu6  ne  1'augel  bianco, 

o  che  puo  aver  ne  la  famosa  spada; 

e  da  la  cara  vita  cada  insieme, 

che  piu  che  spada  e  scudo  assai  gli  preme. 

LXV 

Non  mori  quel  meschin  senza  vendetta; 
ch'a  quel  medesmo  tempo  che  fu  colto, 
la  spada,  poco  sua,  meno  di  fretta; 
et  a  Ruggier  avria  partito  il  volto, 
se  gia  Ruggier  non  gli  avesse  intercetta 
prima  la  forza,  e  assai  del  vigor  tolto : 
di  forza  e  di  vigor  troppo  gli  tolse 
dianzi,  che  sotto  il  destro  braccio  il  colse. 

LXVI 

Da  Mandricardo  fu  Ruggier  percosso 
nel  punto  ch'egli  a  lui  tolse  la  vita; 
tal  ch'un  cerchio  di  ferro,  anco  che  grosso, 
e  una  cuffia  d'acciar  ne  fu  partita. 
Durindana  taglio  cotenna  et  osso, 
e  nel  capo  a  Ruggiero  entro  due  dita. 
Ruggier  stordito  in  terra  si  riversa, 
e  di  sangue  un  ruscel  dai  capo  versa. 

LXVII 

II  primo  fu  Ruggier,  ch'ando  per  terra; 
e  dipoi  stette  1'altro  a  cader  tanto, 
che  quasi  crede  ognun  che  de  la  guerra 
riporti  Mandricardo  il  pregio  e  il  vanto: 
e  Doralice  sua,  che  con  gli  altri  erra, 
e  che  quel  di  piu  volte  ha  riso  e  pianto, 
Dio  ringrazi6  con  mani  al  ciel  supine, 
ch'avesse  avuta  la  pugna  tal  fine. 


CANTO   TRENTESIMO  789 

LXVIII 

Ma  poi  ch'appare  a  manifest!  segni 
vivo  chi  vive,  e  senza  vita  il  morto, 
nei  petti  dei  fautor  mutano  regni: 
di  la  mestizia,  e  di  qua  vien  conforto. 
I  re,  i  signori,  i  cavallier  piu  degni, 
con  Ruggier  ch'a  fatica  era  risorto 
a  rallegrarsi  et  abbracciarsi  vanno, 
e  gloria  senza  fine  e  onor  gli  danno. 

LXIX 

Ognun  s'allegra  con  Ruggiero,  e  sente 
il  medesmo  nel  cor  c'ha  nella  bocca. 
Sol  Gradasso  il  pensiero  ha  differ ente 
tutto  da  quel  che  fuor  la  lingua  scocca: 
mostra  gaudio  nel  viso,  e  occultamente 
del  glorioso  acquisto  invidia  il  tocca; 
e  maledice  o  sia  destino  o  caso, 
il  qual  trasse  Ruggier  prima  del  vaso. 

LXX 

Che  dir6  del  favor,  che  de  le  tante 
carezze  e  tante,  affettuose  e  vere, 
che  fece  a  quel  Ruggiero  il  re  Agramante, 
senza  il  qual  dare  al  vento  le  bandiere, 
ne  volse  muover  d' Africa  le  piante, 
ne  senza  lui  si  fido  in  tante  schiere? 
Or  che  del  re  Agricane  ha  spento  il  seme, 
prezza  piu  lui,  che  tutto  il  mondo  insieme. 

LXXI 

Ne  di  tal  volonta  gli  uomini  soli 
eran  verso  Ruggier,  ma  le  donne  anco, 
che  d'Africa  e  di  Spagna  fra  gli  stuoli 
eran  venute  al  tenitorio  franco. 
E  Doralice  istessa,  che  con  duoli 
piangea  1'amante  suo  pallido  e  bianco, 
forse  con  Paltre  ita  sarebbe  in  schiera, 
se  di  vergogna  un  duro  fren  non  era. 


790  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

10  dico  forse,  non  ch'io  ve  1'accerti, 
ma  potrebbe  esser  stato  di  leggiero: 
tal  la  bellezza  e  tali  erano  i  merti, 

i  costumi  e  i  sembianti  di  Ruggiero. 
Ella,  per  quel  die  gia  ne  siamo  esperti, 
si  facile  era  a  variar  pensiero, 
che  per  non  si  veder  priva  d'amore, 
avria  potuto  in  Ruggier  porre  il  core. 

LXXIII 

Per  lei  buono  era  vivo  Mandricardo : 
ma  che  ne  volea  far  dopo  la  morte? 
Proveder  le  convien  d'un  che  gagliardo 
sia  notte  e  di  ne?  suoi  bisogni,  e  forte. 
Non  era  stato  intanto  a  venir  tardo 

11  piu  perito  medico  di  corte, 
che  di  Ruggier  veduta  ogni  ferita, 
gia  Pavea  assicurato  de  la  vita. 

LXXIV 

Con  molta  diligenzia  il  re  Agramante 
fece  colcar  Ruggier  ne  le  sue  tende; 
che  notte  e  di  veder  sel  vuole  inante: 
si  Pama,  si  di  lui  cura  si  prende. 
Lo  scudo  al  letto  e  Parme  tutte  quante, 
che  fur  di  Mandricardo,  il  re  gli  appende; 
tutte  le  appende,  eccetto  Durindana, 
che  fu  lasciata  al  re  di  Sericana. 

LXXV 

Con  Parme  Paltre  spoglie  a  Ruggier  sono 
date  di  Mandricardo,  e  insieme  dato 
gli  e  Brigliador,  quel  destrier  bello  e  buono, 
che  per  furore  Orlando  avea  lasciato. 
Poi  quello  al  re  diede  Ruggiero  in  dono, 
che  s'avide  ch'assai  gli  saria  grato. 
Non  piu  di  questo;  che  tornar  bisogna 
a  chi  Ruggiero  invan  sospira  e  agogna. 


CANTO   TRENTESIMO 
LXXVI 

Gli  amorosi  torment!  che  sostenne 
Bradamante  aspettando,  io  v'ho  da  dire. 
A  Montalbano  Ippalca  a  lei  riverine, 
e  nuova  le  arreco  del  suo  desire. 
Prima,  di  quanto  di  Frontin  le  avenne 
con  Rodomonte,  Pebbe  a  riferire; 
poi  di  Ruggier,  che  ritrovo  alia  fonte 
con  Ricciardetto  e'  frati  d5 Agrismonte : 

LXXVII 

e  che  con  esso  lei  s'era  partito 
con  speme  di  trovare  il  Saracino, 
e  punirlo  di  quanto  avea  fallito 
d'aver  tolto  a  una  donna  il  suo  Frontino; 
e  che  '1  disegno  poi  non  gli  era  uscito, 
perche  diverso  avea  fatto  il  camino. 
La  cagione  anco,  perche  non  venisse 
a  Montalban  Ruggier,  tutta  le  disse; 

LXXVIII 

e  riferille  le  parole  a  pieno, 
ch'in  sua  scusa  Ruggier  le  avea  commesse. 
Poi  si  trasse  la  lettera  di  seno, 
ch'egli  le  die  perch' ella  a  lei  la  desse. 
Con  viso  piu  turbato  che  sereno 
prese  la  carta  Bradamante,  e  lesse; 
che,  se  non  fosse  la  credenza  stata 
gia  di  veder  Ruggier,  fora  piu  grata. 

LXXIX 

L'aver  Ruggiero  ella  aspettato,  e  invece 
di  lui,  vedersi  ora  appagar  d'un  scritto, 
del  bel  viso  turbar  1'aria  le  fece 
di  timor,  di  cordoglio  e  di  despitto. 
Baci6  la  carta  diece  volte  e  diece, 
avendo  a  chi  la  scrisse  il  cor  diritto. 
Le  lacrime  vietar,  che  su  vi  sparse, 
che  con  sospiri  ardenti  ella  non  Parse. 


ORLANDO   FURIOSO 
LXXX 

Lesse  la  carta  quattro  volte  e  sei, 
e  volse  ch'altretante  Pimbasciata 
replicata  le  fosse  da  colei 
che  1'una  e  Paltra  avea  quivi  arrecata, 
pur  tuttavia  piangendo :  e  crederei 
che  mai  non  si  saria  piu  racchetata, 
se  non  avesse  avuto  pur  conforto 
di  rivedere  il  suo  Ruggier  di  corto. 

LXXXI 

Termine  a  ritornar  quindici  o  venti 
giorni  avea  Ruggier  tolto,  et  affermato 
Pavea  ad  Ippalca  poi  con  giuramenti 
da  non  temer  che  mai  fosse  mancato. 
—  Chi  m'assicura,  ohime!  degli  accidenti,  - 
ella  dicea  —  c'han  forza  in  ogni  lato, 
ma  ne  le  guerre  piu,  che  non  distorni 
alcun  tanto  Ruggier,  che  piu  non  torni  ? 

LXXXII 

Ohime!  Ruggiero,  ohime!  chi  aria  creduto 
ch'avendoti  amato  io  piu  di  me  stessa, 
tu  piu  di  me,  non  ch'altri,  ma  potuto 
abbi  amar  gente  tua  inimica  espressa  ? 
A  chi  opprimer  dovresti,  doni  aiuto: 
chi  tu  dovresti  aitare,  e  da  te  oppressa. 
Non  so  se  biasmo  o  laude  esser  ti  credi, 
ch'al  premiar  e  al  punir  si  poco  vedi. 

LXXXIII 

Fu  morto  da  Troian  (non  so  se  '1  sai) 
il  padre  tuo ;  ma  fin  ai  sassi  il  sanno : 
e  tu  del  figlio  di  Troian  cura  hai 
che  non  riceva  alcun  disnor  ne  danno. 
£  questa  la  vendetta  che  ne  fai, 
Ruggiero  ?  e  a  quei  che  vendicato  Phanno, 
rendi  tal  premio,  che  del  sangue  loro 
me  fai  morir  di  strazio  e  di  martoro  ?  — 


CANTO    TRENTESIMO  793 

LXXXIV 

Dicea  la  donna  al  suo  Ruggiero  absente 
queste  parole  et  altre  lacrimando, 
non  una  sola  volta,  ma  sovente. 
Ippalca  la  venia  pur  confortando, 
che  Ruggier  servarebbe  interamente 
sua  fede,  e  ch'ella  1'aspetasse,  quando 
altro  far  non  potea,  fin  a  quel  giorno 
ch'avea  Ruggier  prescritto  al  suo  ritorno. 

LXXXV 

I  conforti  d'lppalca,  e  la  speranza 
che  degli  amanti  suole  esser  compagna, 
alia  tema  e  al  dolor  tolgon  possanza 
di  far  che  Bradamante  ognora  piagna; 
in  Montalban  senza  mutar  mai  stanza 
voglion  che  fin  al  termine  rimagna, 
fin  al  promesso  termine  e  giurato, 
che  poi  fu  da  Ruggier  male  osservato. 

LXXXVI 

Ma  ch'egH  alia  promessa  sua  mancasse, 
non  per6  debbe  aver  la  colpa  affatto ; 
ch'una  causa  et  un'altra  si  lo  trasse, 
che  gli  fu  forza  preterire  il  patto. 
Convenne  che  nel  letto  si  colcasse, 
e  piu  d'un  mese  si  stesse  di  piatto 
in  dubbio  di  morir,  si  il  dolor  crebbe 
dopo  la  pugna  che  col  Tartaro  ebbe. 

LXXXVII 

L'inamorata  giovane  Pattese 
tutto  quel  giorno  e  desiollo  invano, 
ne  mai  ne  seppe,  fuor  quanto  ne  'ntese 
ora  da  Ippalca,  e  poi  dal  suo  germane, 
che  le  narro  che  Ruggier  lui  difese, 
e  Malagigi  libero  e  Viviano. 
Questa  novella,  ancor  ch'avesse  grata, 
pur  di  qualche  amarezza  era  turbata; 


794  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

che  di  Marfisa  in  quel  discorso  udito 

1'alto  valore  e  le  bellezze  avea: 

udi  come  Ruggier  s'era  partito 

con  esso  lei,  e  che  d'andar  dicea 

la  dove  con  disagio  in  debol  sito 

malsicuro  Agramante  si  tenea. 

Si  degna  compagma  la  donna  lauda, 

ma  non  che  se  n'allegri,  o  che  Fapplauda. 

LXXXIX 

Ne  picciolo  e  il  sospetto  che  la  preme; 
che  se  Marfisa  e  bella,  come  ha  fama, 
e  che  fin  a  quel  di  sien  giti  insieme, 
e  maraviglia,  se  Ruggier  non  Tama. 
Pur  non  vuol  creder  anco,  e  spera  e  teme; 
e  '1  giorno  che  la  puo  far  lieta  e  grama, 
misera  aspetta;  e  sospirando  stassi, 
da  Montalban  mai  non  movendo  i  passi. 

xc 

Stando  ella  quivi,  il  principe,  il  signore 
del  bel  castello,  il  primo  de'  suoi  frati 
(io  non  dico  d'etade,  ma  d'onore, 
che  di  lui  prima  dui  n'erano  nati), 
Rinaldo,  che  di  gloria  e  di  splendore 
gli  ha,  come  il  sol  le  stelle,  illuminati, 
giunse  al  castello  un  giorno  in  su  la  nona; 
ne,  fuor  ch'un  paggio,  era  con  lui  persona. 

xci 

Cagion  del  suo  venir  fu,  che  da  Brava 
ritornandosi  un  di  verso  Parigi 
(come  v'ho  detto  che  sovente  andava 
per  ritrovar  d' Angelica  vestigi), 
avea  sentita  la  novella  prava 
del  suo  Viviano  e  del  suo  Malagigi, 
ch'eran  per  esser  dati  al  Maganzese; 
e  perci6  ad  Agrismonte  la  via  prese. 


CANTO    TRENTESIMO  795 

XCII 

Dove  intendendo  poi  ch'eran  salvati, 
e  gli  aversarii  lor  morti  e  distrutti, 
e  Marfisa  e  Ruggiero  erano  stati, 
che  gli  aveano  a  quei  termini  ridutti; 
e  suoi  fratelli  e  suoi  cugin  tornati 
a  Montalbano  insieme  erano  tutti; 
gli  parve  un'ora  un  anno  di  trovarsi 
con  esso  lor  la  dentro  ad  abbracciarsi. 

XCIII 

Venne  Rinaldo  a  Montalbano,  e  quivi 
madre,  moglie  abbraccib,  figli  e  fratelli 
e  i  cugini  che  dianzi  eran  captivi; 
e  parve,  quando  egli  arrivo  tra  quelli, 
dopo  gran  fame  irondine  ch'arrivi 
col  cibo  in  bocca  ai  pargoletti  augelli. 
E  poi  ch'un  giorno  vi  fu  stato  o  dui, 
partissi,  e  fej  partire  altri  con  lui. 

xciv 

Ricciardo,  Alardo,  Ricciardetto,  e  d'essi 
figli  d'Amone,  il  piu  vecchio  Guicciardo, 
Malagigi  e  Vivian,  si  furon  messi 
in  arme  dietro  al  paladin  gagliardo. 
Bradamante  aspettando  che  s'appressi 
il  tempo  ch'al  disio  suo  ne  vien  tardo, 
inferma  disse  agli  fratelli  ch'era, 
e  non  volse  con  lor  venire  in  schiera. 

xcv 

E  ben  lor  disse  il  ver,  ch'ella  era  inferma, 
ma  non  per  febbre  o  corporal  dolore: 
era  il  disio  che  Talma  dentro  inferma, 
e  le  fa  alterazion  patir  d'amore. 
Rinaldo  in  Montalban  piu  non  si  ferma, 
e  seco  mena  di  sua  gente  il  fiore. 
Come  a  Parigi  appropinquosse,  e  quanto 
Carlo  aiut6,  vi  dira  1'altro  canto. 


796  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO   TRENTESIMOPRIMO 


I 

Che  dolce  piu,  che  piu  giocondo  stato 
saria  di  quel  d'un  amoroso  core? 
che  viver  piu  felice  e  piu  beato, 
che  ritrovarsi  in  servitu  d'Amore? 
se  non  fosse  Tuom  sempre  stimulato 
da  quel  sospetto  rio,  da  quel  timore, 
da  quel  martir,  da  quella  frenesia, 
da  quella  rabbia  delta  gelosia. 

ii 

Pero  ch'ogni  altro  amaro  che  si  pone 
tra  questa  soavissima  dolcezza, 
e  un  augumento,  una  perfezione, 
et  e  un  condurre  amore  a  piu  fmezza. 
L'acque  parer  fa  saporite  e  buone 
la  sete,  e  il  cibo  pel  digiun  s'apprezza: 
non  conosce  la  pace  e  non  Testima 
chi  provato  non  ha  la  guerra  prima. 

in 

Se  ben  non  veggon  gli  occhi  cio  che  vede 
ognora  il  core,  in  pace  si  sopporta. 
Lo  star  lontano,  poi  quando  si  riede, 
quanto  piu  lungo  fu,  piu  riconforta. 
Lo  stare  in  servitu  senza  mercede 
(pur  che  non  resti  la  speranza  morta) 
patir  si  pu6:  che  premio  al  ben  servire 
pur  viene  al  fin,  se  ben  tarda  a  venire. 


CANTO    TRENTESIMOPRIMO  797 

IV 

Gli  sdegni,  le  repulse,  e  finalmente 
tutti  i  martir  d'amor,  tutte  le  pene, 
fan  per  lor  rimembranza,  che  si  sente 
con  miglior  gusto  un  piacer  quando  viene. 
Ma  se  Tinfernal  peste  una  egra  mente 
awien  ch'infetti,  ammorbi  et  avelene; 
se  ben  segue  poi  festa  et  allegrezza, 
non  la  cura  Pamante  e  non  Fapprezza. 

v 

Questa  e  la  cruda  e  avelenata  piaga 
a  cui  non  val  liquor,  non  vale  impiastro, 
ne  murmure,  ne  imagine  di  saga, 
ne  val  lungo  osservar  di  benigno  astro, 
ne  quanta  esperienzia  d'arte  maga 
fece  mai  1' inventor  suo  Zoroastro  : 
piaga  crudel  che  sopra  ogni  dolore 
conduce  1'uom,  che  disperato  muore. 

VI 

Oh  incurabil  piaga  che  nel  petto 
d'un  amator  si  facile  s'imprime, 
non  men  per  falso  che  per  ver  sospetto! 
piaga  che  Tuom  si  crudelmente  opprime, 
che  la  ragion  gli  offusca  e  Pintelletto, 
e  lo  tra'  fuor  de  le  sembianze  prime! 
Oh  iniqua  gelosia,  che  cosi  a  torto 
levasti  a  Bradamante  ogni  conforto! 

VII 

Non  di  questo  ch'Ippalca  e  che  51  fratello 
le  avea  nel  core  amaramente  impresso, 
ma  dico  d'uno  annunzio  crudo  e  fello 
che  le  fu  dato  pochi  giorni  appresso. 
Questo  era  nulla  a  paragon  di  quello 
ch'io  vi  diro,  ma  dopo  alcun  digresso. 
Di  Rinaldo  ho  da  dir  primieramente, 
che  ver  Parigi  vien  con  la  sua  gente. 


798  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Scontraro  il  di  seguente  inver  la  sera 
un  cavallier  ch'avea  una  donna  al  fianco, 
con  scudo  e  sopravesta  tutta  nera, 
se  non  che  per  traverso  ha  un  fregio  bianco. 
Sfido  alia  giostra  Ricciardetto,  ch'era 
dinanzi,  e  vista  avea  di  guerrier  franco: 
e  quel,  che  mai  nessun  ricusar  volse, 
gir6  la  briglia  e  spazio  a  correr  tolse. 

IX 

Senza  dir  altro,  o  piu  notizia  darsi 
de  1'esser  lor,  si  vengono  alFincontro. 
Rinaldo  e  gli  altri  cavallier  fermarsi 
per  veder  come  seguiria  lo  scontro. 
ccTosto  costui  per  terra  ha  da  versarsi, 
se  in  luogo  fermo  a  mio  modo  lo  incontro» 
dicea  tra  se  medesmo  Ricciardetto; 
ma  contrario  al  pensier  segui  1'effetto: 

x 

per6  che  lui  sotto  la  vista  offese 
di  tanto  colpo  il  cavalliero  istrano, 
che  lo  levo  di  sella,  e  lo  distese 
piu  di  due  lance  al  suo  destrier  lontano. 
Di  vendicarlo  incontinente  prese 
1'assunto  Alardo,  e  ritrovossi  al  piano 
stordito  e  male  acconcio :  si  fu  crudo 
lo  scontro  fier,  che  gli  spezzo  lo  scudo. 

XI 

Guicciardo  pone  incontinente  in  resta 
Pasta,  che  vede  i  duo  germani  in  terra, 
ben  che  Rinaldo  gridi:—  Resta,  resta: 
che  mia  convien  che  sia  la  terza  guerra  —  : 
ma  Telmo  ancor  non  ha  allacciato  in  testa, 
si  che  Guicciardo  al  corso  si  disserra; 
ne  piu  degli  altri  si  seppe  tenere, 
e  ritrovossi  subito  a  giacere. 


CANTO    TRENTESIMOPRIMO  799 

XII 

Vuol  Ricciardo,  Viviano  e  Malagigi, 
e  Tun  prima  de  1'altro  essere  in  giostra; 
ma  Rinaldo  port  fine  ai  lor  litigi; 
ch'inanzi  a  tutti  armato  si  dimostra, 
dicendo  loro :  —  6  tempo  ire  a  Parigi ; 
e  saria  troppo  la  tardanza  nostra, 
s'io  volesse  aspettar  fin  die  ciascuno 
di  voi  fosse  abbattuto  ad  uno  ad  uno.  — 

XIII 

Dissel  tra  se,  ma  non  che  fosse  inteso, 
che  saria  stato  agli  altri  ingiuria  e  scorno. 
L'uno  e  Faltro  del  campo  avea  gia  preso, 
e  si  faceano  incontra  aspro  ritorno. 
Non  fu  Rinaldo  per  terra  disteso, 
che  valea  tutti  gli  altri  ch'avea  intorno; 
le  lance  si  fiaccar,  come  di  vetro, 
ne  i  cavallier  si  piegar  oncia  a  dietro. 

XIV 

L'uno  e  1'altro  cavallo  in  guisa  urtosse, 
che  gli  fu  forza  in  terra  a  por  le  groppe. 
Baiardo  immantinente  ridrizzosse, 
tanto  ch'a  pena  il  correre  interroppe. 
Sinistramente  si  Taltro  percosse, 
che  la  spalla  e  la  schena  insieme  roppe. 
II  cavallier  che  '1  destrier  morto  vede, 
lascia  le  staffe  et  e  subito  in  piede. 

xv 

Et  al  figlio  d'Amon,  che  gia  rivolto 
tornava  a  lui  con  la  man  v6ta,  disse: 
—  Signore,  il  buon  destrier  che  tu  m'hai  tolto, 
perche  caro  mi  fu  mentre  che  visse, 
mi  faria  uscir  del  mio  debito  molto, 
se  cosi  invendicato  si  morisse: 
si  che  vientene,  e  fa  ci6  che  tu  puoi, 
perche  battaglia  esser  convien  tra  noi.  — 


800  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

Disse  Rinaldo  a  lui :  —  Se  '1  destrier  morto, 
e  non  altro  ci  de*  porre  a  battaglia, 
un  de'  miei  ti  daro,  piglia  conforto, 
che  men  del  tuo  non  credero  che  vaglia.  — 
Colui  soggiimse :  —  Tu  sei  malaccorto, 
se  creder  vuoi  che  d'un  destrier  mi  caglia. 
Ma  poi  che  non  comprendi  cio  ch'io  voglio, 
ti  spiegherb  piu  chiaramente  il  foglio. 

xvn 

Vo*  dir  che  mi  parria  commetter  fallo, 
se  con  la  spada  non  ti  provassi  anco, 
e  non  sapessi  s'in  quest'altro  ballo 
tu  mi  sia  pari,  o  se  piu  vali  o  manco. 
Come  ti  piace,  o  scendi,  o  sta  a  cavallo: 
pur  che  le  man  tu  non  ti  tegna  al  fianco, 

10  son  contento  ogni  vantaggio  darti: 
tanto  alia  spada  bramo  di  provarti.  — 

XVIII 

Rinaldo  molto  non  lo  tenne  in  lunga, 
e  disse:  —  La  battaglia  ti  prometto; 
e  perche  tu  sia  ardito,  e  non  ti  punga 
di  questi  c'ho  d'intorno  alcun  sospetto, 
andranno  inanzi  fin  ch'io  gli  raggiunga; 
ne  meco  restera  fuor  ch'un  valletto 
che  mi  tenga  il  cavallo  — :  e  cosi  disse 
alia  sua  compagnia  che  se  ne  gisse. 

XIX 

La  cortesia  del  paladin  gagliardo 
commendo  molto  il  cavalliero  estrano. 
Smonto  Rinaldo,  e  del  destrier  Baiardo 
diede  al  valletto  le  redine  in  manor 
e  poi  che  piu  non  vede  il  suo  stendardo, 

11  qual  di  lungo  spazio  e  gia  lontano, 

lo  scudo  imbraccia  e  stringe  il  brando  fiero, 
e  sfida  alia  battaglia  il  cavalliero. 


CANTO   TRENTESIMOPRIMO  8oi 

XX 

E  quivi  s'incomincia  una  battaglia 
di  ch'altra  mai  non  fu  piu  fiera  in  vista. 
Non  crede  Fun  che  tanto  Taltro  vaglia, 
che  troppo  lungamente  gli  resista. 
Ma  poi  che  '1  paragon  ben  gli  ragguaglia, 
ne  Tun  de  Paltro  piu  s'allegra  o  attrista, 
pongon  1'orgoglio  et  il  furor  da  parte, 
et  al  vantaggio  loro  usano  ogn'arte. 

XXI 

S'odon  lor  colpi  dispietati  e  crudi 

intorno  rim.bom.bar  con  suono  orrendo, 

ora  i  canti  levando  a*  grossi  scudi, 

schiodando  or  piastre,  e  quando  maglie  aprendo. 

Ne  qui  bisogna  tanto  che  si  studi 

a  ben  ferir,  quanto  a  parar,  volendo 

star  Puno  a  1'altro  par;  ch'eterno  danno 

lor  pu6  causar  il  primo  error  che  fanno. 

XXII 

Dur6  Tassalto  un'ora  e  piu  che  '1  mezzo 
d'un'altra;  et  era  il  sol  gia  sotto  Ponde, 
et  era  sparso  il  tenebroso  rezzo 
de  Porizzon  fin  alPestreme  sponde; 
ne  riposato  o  fatto  altro  intermezzo 
aveano  alle  percosse  furibonde 
questi  guerrier,  che  non  ira  o  rancore, 
ma  tratto  alParme  avea  disio  d'onore. 

XXIII 

Rivolve  tuttavia  tra  se  Rinaldo 
chi  sia  Pestrano  cavallier  si  forte, 
che  non  pur  gli  sta  contra  ardito  e  saldo, 
ma  spesso  il  mena  a  risco  de  la  morte; 
e  gia  tanto  travaglio  e  tanto  caldo 
gli  ha  posto,  che  del  fin  dubita  forte; 
e  volentier,  se  con  suo  onor  potesse, 
vorria  che  quella  pugna  rimanesse. 


802  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Da  Paltra  parte  il  cavallier  estrano, 

che  similmente  non  avea  notizia 

che  quel  fosse  il  signer  di  Montalbano, 

quel  si  famoso  in  tutta  la  milizia, 

che  gli  avea  incontra  con  la  spada  in  mano 

condotto  cosi  poca  nimicizia, 

era  certo  che  d'uom  di  phi  eccellenza 

non  potesson  dar  Tarme  esperienza. 

xxv 

Vorrebbe  de  I'impresa  esser  digiuno, 
ch'avea  di  vendicare  il  suo  cavallo; 
e  se  potesse  senza  biasmo  alcuno, 
si  trarria  fuor  del  periglioso  ballo. 
II  mondo  era  gia  tanto  oscuro  e  bruno, 
che  tutti  i  colpi  quasi  ivano  in  fallo. 
Poco  ferire  e  men  parar  sapeano, 
ch'a  pena  in  man  le  spade  si  vedeano. 

XXVI 

Fu  quel  da  Montalbano  il  primo  a  dire 
che  far  battaglia  non  denno  allo  scuro, 
ma  quella  indugiar  tanto  e  dirferire, 
ch'avesse  dato  volta  il  pigro  Arturo; 
e  che  pu6  intanto  al  padiglion  venire, 
ove  di  se  non  sara  men  sicuro, 
ma  servito,  onorato  e  ben  veduto, 
quanto  in  loco  ove  mai  fosse  venuto. 

XXVII 

Non  bisogn6  a  Rinaldo  pregar  molto, 
che  '1  cortese  baron  tenne  lo  'nvito. 
Ne  vanno  insieme  ove  il  drappel  raccolto 
di  Montalbano  era  in  sicuro  sito. 
Rinaldo  al  suo  scudiero  avea  gia  tolto 
un  bel  cavallo  e  molto  ben  guernito, 
a  spada  e  a  lancia  e  ad  ogni  prova  buono, 
et  a  quel  cavallier  fattone  dono. 


CANTO    TRENTESIMOPRIMO  803 

XXVIII 

II  guerrier  peregrin  conobbe  quello 
esser  Rinaldo,  che  venia  con  esso; 
che  prima  che  giungessero  alPostello, 
venuto  a  caso  era  a  nomar  se  stesso : 
e  perche  Tun  de  1'altro  era  fratello, 
si  sentir  dentro  di  dolcezza  oppresso, 
e  di  pietoso  affetto  tocco  il  core; 
e  lacrimar  per  gaudio  e  per  amore. 

XXIX 

Questo  guerriero  era  Guidon  Selvaggio, 
che  dianzi  con  Marfisa  e  Sansonetto 
e'  figli  d' Olivier  molto  viaggio 
avea  fatto  per  mar,  come  v'ho  detto. 
Di  non  veder  piu  tosto  il  suo  lignaggio 
il  fellon  Pinabel  gli  avea  interdetto, 
avendol  preso  e  a  bada  poi  tenuto 
alia  <difesa  del  suo  rio  statute. 

xxx 

Guidon,  che  questo  esser  Rinaldo  udio, 
famoso  sopra  ogni  famoso  duce, 
ch'avuto  avea  piu  di  veder  disio, 
che  non  ha  il  cieco  la  perduta  luce, 
con  molto  gaudio  disse:  —  O  signor  mio, 
qual  fortuna  a  combatter  mi  conduce 
con  voi,  che  lungamente  ho  amato  et  amo, 
e  sopra  tutto  il  mondo  onorar  bramo  ? 

XXXI 

Mi  partori  Costanza  ne  le  estreme 
ripe  del  mar  Eusino:  io  son  Guidone, 
concetto  de  lo  illustre  inclito  seme, 
come  ancor  voi,  del  generoso  Amone. 
Di  voi  vedere  e  gli  altri  nostri  insieme 
il  desiderio  e  del  venir  cagione; 
e  dove  mia  intenzion  fu  d'onorarvi, 
mi  veggo  esser  venuto  a  ingiuriarvi. 


804  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

Ma  scusimi  apo  voi  d'un  error  tanto, 
ch'io  non  ho  voi  ne  gli  altri  conosciuto ; 
e  s'emendar  si  puo,  ditemi  quanto 
far  debbo,  ch'in  ci6  far  nulla  rifiuto.  — 
Poi  che  si  fu  da  questo  e  da  quel  canto 
de'  complessi  iterati  al  fin  vemito, 
rispose  a  lui  Rinaldo :  —  Non  vi  caglia 
meco  scusarvi  piu  de  la  battaglia: 

xxxm 

che  per  certificarne  che  voi  sete 
di  nostra  antiqua  stirpe  un  vero  ramo, 
dar  miglior  testimonio  non  potete, 
che  '1  gran  valor  ch'in  voi  chiaro  proviamo. 
Se  piu  pacifiche  erano  e  quiete 
vostre  maniere,  mal  vi  credevamo; 
che  la  damma  non  genera  il  leone, 
ne  le  colombe  1'aquila  o  il  falcone.  — 

xxxiv 

Non,  per  andar,  di  ragionar  lasciando, 
non  di  seguir,  per  ragionar,  lor  via, 
vermero  ai  padiglioni;  ove  narrando 
il  buon  Rinaldo  alia  sua  compagnia 
che  questo  era  Guidon,  che  disiando 
veder,  tanto  aspettato  aveano  pria, 
molto  gaudio  apport6  ne  le  sue  squadre; 
e  parve  a  tutti  assimigliarsi  al  padre. 

xxxv 

Non  dir6  1'accoglienze  che  gli  fero 
Alardo,  Ricciardetto  e  gli  altri  dui; 
che  gli  fece  Viviano  et  Aldigiero, 
e  Malagigi,  frati  e  cugin  sui; 
ch'ogni  signor  gli  fece  e  cavalliero ; 
ci6  ch'egli  disse  a  loro,  et  essi  a  lui: 
ma  vi  concludero  che  finalmente 
fu  ben  veduto  da  tutta  la  gente. 


CANTO    TRENTESIMOPRIMO  805 

XXXVI 

Caro  Guldone  a}  suoi  fratelli  stato 
credo  sarebbe  in  ogni  tempo  assai; 
ma  lor  fu  al  gran  bisogno  ora  piu  grato, 
ch'esseir  potesse  in  altro  tempo  mai. 
Poscia  che  '1  nuovo  sole  incoronato 
del  mare  usci  di  luminosi  rai, 
Guidon  coi  frati  e  coi  parenti  in  schiera 
se  ne  torno  sotto  la  lor  bandiera. 

XXXVII 

Tanto  un  giorno  et  un  altro  se  n'andaro, 
che  di  Parigi  alle  assediate  porte 
a  men  di  dieci  miglia  s'accostaro 
in  ripa  a  Senna;   ove  per  buona  sorte 
Grifone  et  Aquilante  ritrovaro, 
i  duo  guerrier  da  Tarmatura  forte: 
Grifone  il  bianco  et  Aquilante  il  nero, 
che  partori  Gismonda  d'Oliviero. 

XXXVIII 

Con  essi  ragionava  una  donzella, 
non  gia  di  vil  condizione  in  vista, 
che  di  sciamito  bianco  la  gonnella 
fregiata  intorno  avea  d'aurata  lista; 
molto  leggiadra  in  apparenza  e  bella, 
fosse  quantunque  lacrimosa  e  trista: 
e  mostrava  ne'  gesti  e  nel  sembiante 
di  cosa  ragionar  molto  importante. 

xxxix 

Conobbe  i  cavallier,  come  essi  lui, 
Guidon,  che  fu  con  lor  pochi  di  inanzi; 
et  a  Rinaldo  disse :  —  Eccovi  dui 
a  cui  van  pochi  di  valore  inanzi; 
e  se  per  Carlo  ne  verran  con  nui, 
non  ne  staranno  i  Saracini  inanzi.  — 
Rinaldo  di  Guidon  conferma  il  detto, 
che  Funo  e  P  altro  era  guerrier  perfetto. 


806  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Gli  avea  riconosciuti  egli  non  manco ; 
per6  che  quelli  sempre  erano  usati, 
Pun  tutto  nero,  e  Taltro  tutto  bianco 
vestir  su  1'arme,  e  molto  andare'ornati. 
Da  1'altra  parte  essi  conobbero  anco 
e  salutar  Guidon,  Rinaldo  e  i  frati; 
et  abbracciar  Rinaldo  come  amico, 
naesso  da  parte  ogni  lor  odio  antico. 

XLI 

S'ebbero  un  tempo  in  urta  e  in  gran  dispetto 
per  Truffaldin,  che  fora  lungo  a  dire; 
ma  quivi  insieme  con  fraterno  affetto 
s'accarezzar,  tutte  obliando  Tire. 
Rinaldo  poi  si  volse  a  Sansonetto, 
ch'era  tardato  un  poco  piu  a  venire, 
e  lo  raccolse  col  debito  onore, 
a  pieno  instrutto  del  suo  gran  valore. 

XLII 

Tosto  che  la  donzella  piu  vicino 
vide  Rinaldo,  e  conosciuto  1'ebbe 
(ch'avea  notizia  d'ogni  paladino), 
gli  disse  una  novella  che  gl'increbbe; 
e  cominci6 :  —  Signore,  il  tuo  cugino 
a  cui  la  chiesa  e  1'alto  imperio  debbe, 
quel  gia  si  saggio  et  onorato  Orlando 
e  fatto  stolto,  e  va  pel  mondo  errando. 

XLIII 

Onde  causato  cosi  strano  e  rio 
accidente  gli  sia,  non  so  narrarte. 
La  sua  spada  e  Paltr'arme  ho  vedute  io, 
che  per  li  campi  avea  gittate  e  sparte; 
e  vidi  un  cavallier  cortese  e  pio 
che  le  and6  raccogliendo  da  ogni  parte, 
e  poi  di  tutte  quelle  un  arbuscello 
fej,  a  guisa  di  trofeo,  pomposo  e  bello. 


CANTO    TRENTESIMOPRIMO  807 

XLIV 

Ma  la  spada  ne  fu  tosto  levata 
dal  figliuol  d'Agricane  il  di  medesmo. 
Tu  poi  considerar  quanto  sia  stata 
gran  perdita  alia  gente  del  battesmo 
Tessere  un'altra  volta  ritornata 
Durindana  in  poter  del  paganesmo. 
Ne  Brigliadoro  men,  ch'errava  sciolto 
intorno  airarme,  fu  dal  pagan  tolto. 

XLV 

Son  pochi  di  ch' Orlando  correr  vidi 
senza  vergogna  e  senza  senno,  ignudo, 
con  urli  spaventevoli  e  con  gridi : 
ch'e  fatto  pazzo  in  somma  ti  conchmdo; 
e  non  avrei,  fuor  ch'a  questi  occhi  fidi, 
creduto  mai  si  acerbo  caso  e  crudo.  — 
Poi  narro  che  lo  vide  giu  dal  ponte 
abbracciato  cader  con  Rodomonte. 

XLVI 

—  A  qualunque  io  non  creda  esser  nimico 
d5 Orlando  —  soggiungea  —  di  ci6  favello, 
accio  ch'alcun  di  tanti  a  ch'io  lo  dico, 
mosso  a  pieta  del  caso  strano  e  fello, 
cerchi  o  a  Parigi  o  in  altro  luogo  amico 
ridurlo,  fin  che  si  purghi  il  cervello. 
Ben  so,  se  Brandimarte  n'avra  nuova, 
sara  per  fame  ogni  possibil  prova.  — 

XLVII 

Era  costei  la  bella  Fiordiligi, 
piu  cara  a  Brandimarte  che  se  stesso, 
la  qual,  per  lui  trovar,  venia  a  Parigi: 
e  de  la  spada  ella  suggiunse  appresso, 
che  discordia  e  contesa  e  gran  litigi 
tra  il  Sericano  e  '1  Tartaro  avea  messo; 
e  ch'avuta  1'avea,  poi  che  fu  casso 
di  vita  Mandricardo,  al  fin  Gradasso. 


808  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

Di  cosi  strano  e  misero  accidente 
Rinaldo  senza  fin  si  lagna  e  duole; 
ne  il  core  intenerir  men  se  ne  sente, 
che  soglia  intenerirsi  il  ghiaccio  al  sole: 
e  con  disposta  et  immutabil  mente, 
ovunque  Orlando  sia,  cercar  lo  vuole, 
con  speme,  poi  che  ritrovato  Pabbia, 
di  farlo  risanar  di  quella  rabbia. 

XLIX 

Ma  gia  lo  stuolo  avendo  fatto  unire, 
sia  volonta  del  cielo  o  sia  aventura, 
vuol  fare  i  Saracin  prima  fuggire, 
e  liberar  le  parigine  mura. 
Ma  consiglia  1'assalto  differire, 
che  vi  par  gran  vantaggio,  a  notte  scura, 
ne  la  terza  vigilia  o  ne  la  quarta,. 
ch'avra  1'acqua  di  Lete  il  Sonno  sparta. 

L 

Tutta  la  gente  alloggiar  fece  al  bosco, 
e  quivi  la  poso  per  tutto  Jl  giorno ; 
ma  poi  che  '1  sol,  lasciando  il  mondo  fosco, 
alia  nutrice  antiqua  fe'  ritorno, 
et  orse  e  capre  e  serpi  senza  tosco 
e  1'altre  fere  ebbeno  il  cielo  adorno, 
che  state  erano  ascose  al  maggior  lampo, 
mosse  Rinaldo  il  taciturno  campo: 

LI 

e  venne  con  Grifon,  con  Aquilante, 
con  Vivian,  con  Alardo  e  con  Guidone, 
con  Sansonetto,  agli  altri  un  miglio  inante, 
a  cheti  passi  e  senza  alcun  sermone. 
Trovo  dormir  1'ascolta  d' Agramante : 
tutta  1'uccise,  e  non  ne  fe'  un  prigione. 
Indi  arriv6  tra  1'altra  gente  Mora, 
che  non  fu  visto  ne  sentito  ancora. 


CANTO   TRENTESIMOPRIMO  809 

LII 

Del  campo  d'infedeli  a  prima  giunta 
la  ritrovata  guardia  all'improviso 
lascio  Rinaldo  si  rotta  e  consunta, 
ch'un  sol  non  ne  rest6,  se  non  ucciso. 
Spezzata  che  lor  fu  la  prima  punta, 
i  Saracin  non  1'avean  piu  da  riso; 
che  sonnolenti,  timidi  et  inermi, 
poteano  a  tai  guerrier  far  pochi  schermi. 

LIII 

Fece  Rinaldo  per  maggior  spavento 
dei  Saracini,  al  mover  de  Tassalto, 
a  trombe  e  a  corni  dar  subito  vento, 
•  e  gridando  il  suo  nome  alzar  in  alto. 
Spinse  Baiardo,  e  quel  non  parve  lento; 
che  dentro  all'alte  sbarre  entr6  d'un  salto, 
e  vers6  cavallier,  pest6  pedoni, 
et  atterr6  trabacche  e  padiglioni. 

LIV 

Non  fu  si  ardito  tra  il  popul  pagano, 
a  cui  non  s'arricciassero  le  chiome, 
quando  senti  Rinaldo  e  Montalbano 
sonar  per  1'aria,  il  formidato  nome. 
Fugge  col  campo  d'Africa  Tispano, 
ne  perde  tempo  a  caricar  le  some; 
ch'aspettar  quella  furia  piu  non  vuole, 
ch'aver  provata  anco  si  piagne  e  duole. 

LV 

Guidon  lo  segue,  e  non  fa  men  di  lui; 
ne  men  fanno  i  duo  figli  d'Oliviero, 
Alardo  e  Ricciardetto,  e  gli  altri  dui: 
col  brando  Sansonetto  apre  il  sentiero: 
Aldigiero  e  Vivian  provar  altrui 
fan  quanto  in  arme  1'uno  e  Paltro  e  fiero. 
Cosi  fa  ognun  che  segue  lo  stendardo 
di  Chiaramonte,  da  guerrier  gagliardo. 


8lO  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Settecento  con  lui  tenea  Rinaldo 
in  Montalbano  e  intorno  a  quelle  ville, 
usati  a  portar  Parme  al  freddo  e  al  caldo, 
non  gia  piu  rei  del  Mirmidon  d'Achille. 
Ciascun  d'essi  al  bisogno  era  si  saldo, 
che  cento  insieme  non  fuggian  per  mille; 
e  se  ne  potean  molti  sceglier  fuori, 
che  d'alcun  del  famosi  eran  migliori. 

LVII 

E  se  Rinaldo  ben  non  era  molto 
ricco  ne  di  citta  ne  di  tesoro, 
facea  si  con  parole  e  con  buon  volto, 
e  ci6  ch'avea  partendo  ognor  con  loro, 
ch'un  di  quel  numer  mai  non  gli  fu  tolto 
per  offerire  altrui  piu  somma  d'oro. 
Questi  da  Montalban  mai  non  rimuove, 
se  non  lo  stringe  un  gran  bisogno  altrove. 

LVIII 

Et  or  perch' abbia  il  Magno  Carlo  aiuto, 
Iasci6  con  poca  guardia  il  suo  castello. 
Tra  gli  African  questo  drappel  venuto, 
questo  drappel  del  cui  valor  favello, 
ne  fece  quel  che  del  gregge  lanuto 
sul  falanteo  Galeso  il  lupo  fello, 
o  quel  che  soglia  del  barbato,  appresso 
il  barbaro  Cinifio,  il  leon  spesso. 

LIX 

Carlo,  ch'aviso  da  Rinaldo  avuto 
avea  che  presso  era  a  Parigi  giunto, 
e  che  la  notte  il  campo  sproveduto 
volea  assalir,  stato  era  in  arme  e  in  punto; 
e  quando  bisogn6,  venne  in  aiuto 
coi  paladini;  e  ai  paladini  aggiunto 
avea  il  figliol  del  ricco  Monodante, 
di  Fiordiligi  il  fido  e  saggio  amante; 


CANTO   TRENTESIMOPRIMO  8ll 

LX 

ch'ella  piu  giorni  per  si  lunga  via 
cercato  avea  per  tutta  Francia  invano. 
Quivi  all'insegne  che  portar  solia, 
fu  da  lei  conosciuto  di  lontano. 
Come  lei  Brandimarte  vide  pria, 
lascio  la  guerra,  e  torno  tutto  umano, 
e  corse  ad  abbracciarla;  e  d'amor  pieno, 
mille  volte  baciolla  o  poco  meno. 

LXI 

De  le  lor  donne  e  de  le  lor  donzelle 
si  fidar  molto  a  quella  antica  etade. 
Senz'altra  scorta  andar  lasciano  quelle 
per  piani  e  monti  e  per  strane  contrade; 
et  al  ritorno  Than  per  buone  e  belle, 
ne  mai  tra  lor  suspizione  accade. 
Fiordiligi  narro  quivi  al  suo  amante 
che  fatto  stolto  era  il  signer  d'Anglante. 

LXII 

Brandimarte  si  strana  e  ria  novella 
credere  ad  altri  a  pena  avria  potuto; 
ma  lo  credette  a  Fiordiligi  bella, 
a  cui  gia  maggior  cose  avea  creduto. 
Non  pur  d'averlo  udito  gli  dice  ella, 
ma  che  con  gli  occhi  proprii  Fha  veduto 
(c'ha  conoscenza  e  pratica  d' Orlando 
quanto  alcun  altro),  e  dice  dove  e  quando. 

LXIII 

E  gli  narra  del  ponte  periglioso, 
che  Rodomonte  ai  cavallier  difende, 
ove  un  sepolcro  adorna  e  fa  pomposo 
di  sopraveste  e  d'arme  di  chi  prende. 
Narra  c'ha  visto  Orlando  furioso 
far  cose  quivi  orribili  e  stupende; 
che  nel  fiume  il  pagan  mand6  riverso, 
con  gran  periglio  di  restar  summerso. 


8l2  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Brandimarte,  che  '1  conte  amava  quanto 
si  puo  compagno  amar,  fratello  o  figlio, 
disposto  di  cercarlo,  e  di  far  tanto, 
non  ricusando  affanno  ne  periglio, 
che  per  opra  di  medico  o  d'incanto 
si  ponga  a  quel  furor  qualche  consiglio, 
cosi  come  trovossi  armato  in  sella, 
si  mise  in  via  con  la  sua  donna  bella. 

LXV 

Verso  la  parte  ove  la  donna  il  conte 
avea  veduto,  il  lor  camin  drizzaro, 
di  giornata  in  giornata,  fin  ch'al  ponte 
che  guarda  il  re  d'Algier,  si  ritrovaro. 
La  guardia  ne  fe'  segno  a  Rodomonte; 
e  gli  scudieri  a  un  tempo  gli  arrecaro 
Parme  e  il  cavallo:  e  quel  si  trov6  in  punto, 
quando  fu  Brandimarte  al  passo  giunto. 

LXVI 

Con  voce  qual  conviene  al  suo  furore 
il  Saracino  a  Brandimarte  grida: 
—  Qualunque  tu  ti  sia,  che,  per  errore 
di  via  o  di  mente,  qui  tua  sorte  guida, 
scendi  e  spogliati  Farme,  e  fanne  onore 
al  gran  sepolcro,  inanzi  ch'io  t'uccida, 
e  che  vittima  all'ombre  tu  sia  offerto: 
ch'io  '1  far6  poi,  ne  te  n'avr6  alcun  merto.  — 

LXVII 

Non  volse  Brandimarte  a  quelPaltiero 
altra  risposta  dar,  che  de  la  lancia. 
Sprona  Batoldo,  il  suo  gentil  destriero, 
e  inverso  quel  con  tanto  ardir  si  lancia, 
che  mostra  che  pu6  star  d'animo  fiero 
con  qual  si  voglia  al  mondo  alia  bilancia: 
e  Rodomonte,  con  la  lancia  in  resta, 
lo  stretto  ponte  a  tutta  briglia  pesta. 


CANTO    TRENTESIMOPRIMO  813 

LXVIII 

II  suo  destrier  ch'avea  continuo  uso 
d'andarvi  sopra,  e  far  di  quel  sovente 
quando  uno  e  quando  un  altro  cader  giuso, 
alia  giostra  correa  sicuramente ; 
Taltro,  del  corso  insolito  confuso, 
venia  dubbioso,  timido  e  tremente. 
Trema  anco  il  ponte,  e  par  cader  ne  Fonda, 
oltre  che  stretto  e  che  sia  senza  sponda. 

LXIX 

I  cavallier,  di  giostra  ambi  maestri, 
che  le  lance  avean  grosse  come  travi, 
tali  qual  fur  nei  lor  ceppi  silvestri, 
si  dieron  colpi  non  troppo  soavi. 
Ai  lor  cavalli  esser  possenti  e  destri 
non  giov6  molto  agli  aspri  colpi  e  gravi; 
che  si  versar  di  pari  ambi  §ul  ponte, 
e  seco  i  signor  lor  tutti  in  un  monte. 

LXX 

Nel  volersi  levar  con  quella  fretta 
che  lo  spronar  de'  fianchi  insta  e  richiede, 
Tasse  del  ponticel  lor  fu  si  stretta, 
che  non  trovaro  ove  fermare  il  piede; 
si  che  una  sorte  uguale  ambi  li  getta 
ne  1'acqua;  e  gran  rimbombo  al  ciel  ne  riede, 
simile  a  quel  ch'usci  del  nostro  fiume, 
quando  ci  cadde  il  mal  rettor  del  lume. 

LXXI 

I  duo  cavalli  andar  con  tutto  '1  pondo 
dei  cavallier,  che  steron  fermi  in  sella, 
a  cercar  la  rivera  insin  al  fondo, 
se  v'era  ascosa  alcuna  ninfa  bella. 
Non  e  gia  il  primo  salto  ne  '1  secondo, 
che  giu  del  ponte  abbia  il  pagano  in  quella 
onda  spiccato  col  destrero  audace; 
per6  sa  ben  come  quel  fondo  giace: 


814  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

sa  dove  e  saldo  e  sa  dove  e  piii  molle, 

sa  dove  e  1'acqua  bassa  e  dove  e  1'alta. 

Dal  fiume  il  capo  e  il  petto  e  i  fianchi  estolle, 

e  Brandimarte  a  gran  vantaggio  assalta. 

Brandimarte  il  corrente  in  giro  tolle: 

ne  la  sabbia  il  destrier,  che  '1  fondo  smalta, 

tutto  si  ficca,  e  non  pu6  riaversi, 

con  rischio  di  restarvi  ambi  sommersi. 

LXXIII 

L'onda  si  leva  e  li  fa  andar  sozzopra, 
e  dove  e  piu  profonda  li  trasporta: 
va  Brandimarte  sotto,  e  '1  destrier  sopra. 
Fiordiligi  dal  ponte  afflitta  e  smorta 
e  le  lacrime  e  i  voti  e  i  prieghi  adopra: 
—  Ah  Rodomonte,  per  colei  che  morta 
tu  riverisci,  non  esser  si  fiero, 
ch'affogar  lasci  un  tanto  cavalliero! 

LXXIV 

Deh,  cortese  signer,  s'unque  tu  amasti, 
di  me,  ch'amo  costui,  pieta  ti  vegna. 
Di  farlo  tuo  prigion,  per  Dio,  ti  basti; 
che  s'orni  il  sasso  tuo  di  quella  insegna, 
di  quante  spoglie  mai  tu  gli  arrecasti 
questa  fia  la  piu  bella  e  la  piu  degna.  — 
E  seppe  si  ben  dir,  ch'ancor  che  fosse 
si  crudo  il  re  pagan,  pur  lo  commosse; 

LXXV 

e  fe'  che  '1  suo  amator  ratto  soccorse, 
che  sotto  acqua  il  destrier  tenea  sepolto, 
e  de  la  vita  era  venuto  in  forse, 
e  senza  sete  avea  bevuto  molto. 
Ma  aiuto  non  per6  prima  gli  porse, 
che  gli  ebbe  il  brando  e  dipoi  1'elmo  tolto. 
De  Tacqua  mezzo  morto  il  trasse,  e  porre 
con  molti  altri  lo  fej  ne  la  sua  torre. 


CANTO    TRENTESIMOPRIMO  815 

LXXVI 

Fu  ne  la  donna  ogni  allegrezza  spenta, 
quando  prigion  vide  il  suo  amante  gire; 
ma  di  questo  pur  megEo  si  contenta, 
che  di  vederlo  nel  fiume  perire. 
Di  se  stessa,  e  non  d'altri,  si  lamenta, 
che  fu  cagion  di  farlo  ivi  venire, 
per  averli  narrate  ch'avea  il  conte 
riconosciuto  al  periglioso  ponte. 

LXXVII 

Quindi  si  parte,  avendo  gia  concetto 
di  menarvi  Rinaldo  paladino, 
o  il  Selvaggio  Guidone,  o  Sansonetto, 
o  altri  de  la  corte  di  Pipino, 
in  acqua  e  in  terra  cavallier  perfetto 
da  poter  contrastare  col  Saracino; 
se  non  piu  forte,  almen  piu  fortunato 
che  Brandimarte  suo  non  era  stato. 

LXXVIII 

Va  molti  giorni  prima  che  s'abbatta 
in  alcun  cavallier  ch'abbia  sembiante 
d'esser  come  lo  vuol,  perche  combatta 
col  Saracino  e  liberi  il  suo  amante. 
Dopo  rnolto  cercar  di  persona  atta 
al  suo  bisogno,  un  le  vien  pur  avante, 
che  sopravesta  avea  ricca  et  ornata, 
a  tronchi  di  cipressi  ricamata. 

LXXIX 

Chi  costui  fosse,  altrove  ho  da  narrarvi; 
che  prima  ritornar  voglio  a  Parigi, 
e  de  la  gran  sconfitta  seguitarvi, 
ch'a'  Mori  die  Rinaldo  e  Malagigi. 
Quei  che  fuggiro  io  non  saprei  contarvi, 
ne  quei  che  fur  cacciati  ai  fiumi  stigi. 
Levo  a  Turpino  il  conto  1'aria  oscura, 
che  di  contarli  s'avea  preso  cura. 


8l6  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

Nel  primo  sonno  dentro  al  padiglione 
dormia  Agramante;  e  un  cavallier  lo  desta, 
dicendogli  che  fia  fatto  prigione, 
se  la  fuga  non  e  via  piu  che  presta. 
Guarda  il  re  intorno,  e  la  confusione 
vede  del  suoi,  che  van  senza  far  testa 
chi  qua  chi  la  fuggendo  inermi  e  nudi, 
che  non  han  tempo  di  pur  tor  gli  scudi. 

LXXXI 

Tutto  confuso  e  privo  di  consiglio 
si  facea  porre  indosso  la  corazza, 
quando  con  Falsiron  vi  giunse  il  figlio, 
Grandonio  e  Balugante  e  quella  razza; 
e  al  re  Agramante  mostrano  il  periglio 
di  restar  morto  o  preso  in  quella  piazza; 
e  che  puo  dir,  se  salva  la  persona, 
che  Fortuna  gli  sia  propizia  e  buona. 

LXXXII 

Cosi  Marsilio  e  cosi  il  buon  Sobrino, 
e  cosi  dicon  gli  altri  ad  una  voce, 
ch'a  sua  distruzion  tanto  e  vicino, 
quanto  a  Rinaldo  il  qual  ne  vien  veloce ; 
che  s'aspetta  che  giunga  il  paladino 
con  tanta  gente,  e  un  uom  tanto  feroce, 
render  certo  si  pu6  ch'egli  e  i  suo5  amici 
rimarran  morti,  o  in  man  degli  nimici. 

LXXXIII 

Ma  ridur  si  pu6  in  Arli  o  sia  in  Narbona 
con  quella  poca  gente  c'ha  d'intorno; 
che  Tuna  e  Taltra  terra  e  forte  e  buona 
da  mantener  la  guerra  piu  d'un  giorno: 
e  quando  salva  sia  la  sua  persona, 
si  potra  vendicar  di  questo  scorno, 
rifacendo  Tesercito  in  un  tratto, 
onde  al  fin  Carlo  ne  sara  disfatto. 


CANTO    TRENTESIMOPRIMO  817 

LXXXIV 

II  re  Agramante  al  parer  lor  s'attenne, 
ben  che  '1  partito  fosse  acerb o  e  duro. 
Ando  verso  Arli,  e  parve  aver  le  penne, 
per  quel  camin  che  piu  trovo  sicuro. 
Oltre  alle  guide,  in  gran  favor  gli  venne 
che  la  partita  fu  per  1'aer  scuro. 
Ventirnila  tra  d} Africa  e  di  Spagna 
fur  ch'a  Rinaldo  uscir  fuor  de  la  ragna. 

LXXXV 

Quei  ch'egli  uccise  e  quei  che  i  suoi  fratelli, 
quei  che  i  duo  figli  del  signor  di  Vienna, 
quei  che  provaro  empi  nimici  e  felli 
i  settecento  a  cui  Rinaldo  accenna, 
e  quei  che  spense  Sansonetto,  e  quelli 
che  ne  la  fuga  s'afTogaro  in  Senna, 
chi  potesse  contar,  conteria  ancora 
ci6  che  sparge  d'april  Favonio  e  Flora. 

LXXXVI 

Istima  alcun  che  Malagigi  parte 
ne  la  vittoria  avesse  de  la  notte; 
non  che  di  sangue  le  campagne  sparte 
fosser  per  lui,  ne  per  lui  teste  rotte:     , 
ma  che  gl'infernali  angeli  per  arte 
facesse  uscir  da  le  tartaree  grotte, 
e  con  tante  bandiere  e  tante  lance, 
ch'insieme  piu  non  ne  porrian  due  France; 

LXXXVII 

e  che  facesse  udir  tanti  metalli, 
tanti  tamburi  e  tanti  varii  suoni, 
tanti  anitriri  in  voce  di  cavalli, 
tanti  gridi  e  tumulti  di  pedoni, 
che  risonare  e  piani  e  monti  e  valli 
dovean  de  le  longique  regioni: 
et  ai  Mori  con  questo  un  timor  diede, 
che  li  fece  voltare  in  fuga  il  piede. 


8l8  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

Non  si  scordo  il  re  d'Africa  Ruggiero, 
ch'era  ferito  e  stava  ancora  grave. 
Quanto  pote  piu  acconcio  s'un  destriero 
lo  fece  por,  ch'avea  1'andar  soave ; 
e  poi  che  1'ebbe  tratto  ove  il  sentiero 
fu  piu  sicuro,  il  fe'  posar  in  nave, 
e  verso  Arli  portar  commodamente, 
dove  s'avea  a  raccor  tutta  la  gente. 

LXXXIX 

Quei  ch'a  Rinaldo  e  a  Carlo  dier  le  spalle 
(fur,  credo,  centomila  o  poco  manco), 
per  campagne,  per  boschi  e  monte  e  valle 
cercaro  uscir  di  man  del  popul  franco; 
ma  la  piu  parte  trov6  chiuso  il  calle, 
e  fece  rosso  ov'era  verde  e  bianco. 
Cosi  non  fece  il  re  di  Sericana, 
ch'avea  da  lor  la  tenda  piu  lontana: 

xc 

anzi,  come  egli  sente  che  '1  signore 
di  Montalbano  e  questo  che  gli  assalta, 
gioisce  di  tal  iubilo  nel  core, 
che  qua  e  la  per  allegrezza  salta. 
Loda  e  ringrazia  il  suo  sommo  Fattore, 
che  quella  notte  gli  occorra  tant'alta 
e  si  rara  aventura  d'acquistare 
Baiardo,  quel  destrier  che  non  ha  pare. 

xci 

Avea  quel  re  gran  tempo  desiato 
(credo  ch'altrove  voi  Pabbiate  letto) 
d'aver  la  buona  Durindana  a  lato, 
e  cavalcar  quel  corridor  perfetto. 
E  gia  con  piii  di  centomila  armato 
era  venuto  in  Francia  a  questo  effetto ; 
e  con  Rinaldo  gia  sfidato  s'era 
per  quel  cavallo  alia  battaglia  fiera; 


CANTO    TRENTESIMOPRIMO  819 

XCII 

e  sul  lito  del  mar  s'era  condutto 
ove  dovea  la  pugna  diffinire; 
ma  Malagigi  a  turbar  venne  il  tutto, 
che  fe'  il  cugin,  mal  grado  suo,  partire, 
avendol  sopra  un  legno  in  mar  ridutto. 
Lungo  saria  tutta  Tistoria  dire. 
Da  indi  in  qua  stimo  timido  e  vile 
sempre  Gradasso  il  paladin  gentile. 

XCIII 

Or  che  Gradasso  esser  Rinaldo  intende 
costui  ch'assale  il  campo,  se  n'allegra. 
Si  veste  Tarme,  e  la  sua  alfana  prende, 
e  cercando  lo  va  per  Taria  negra: 
e  quanti  ne  riscontra,  a  terra  stende; 
et  in  confuso  lascia  afHitta  et  egra 
la  gente,  o  sia  di  Libia  o  sia  di  Francia: 
tutti  li  mena  a  un  par  la  buona  lancia. 

xciv 

Lo  va  di  qua  di  la  tanto  cercando, 
chiamando  spesso  e  quanto  pu6  piu  forte, 
e  sempre  a  quella  parte  declinando, 
ove  piu  folte  son  le  genti  morte, 
ch'al  fin  s'incontra  in  lui  brando  per  brando 
poi  che  le  lancie  loro  ad  una  sorte 
eran  salite  in  mille  scheggie  rotte 
sin  al  carro  stellato  de  la  Notte. 

xcv 

Quando  Gradasso  il  paladin  gagliardo 
conosce,  e  non  perche  ne  vegga  insegna, 
ma  per  gli  orrendi  colpi  e  per  Baiardo, 
che  par  che  sol  tutto  quel  campo  tegna; 
non  e  gridando  a  improverargli  tardo 
la  prova  che  di  s6  fece  non  degna: 
ch'al  dato  campo  il  giorno  non  comparse, 
che  tra  lor  la  battaglia  dovea  farse. 


820  ORLANDO   FURIOSO 

XCVI 

Suggiunse  poi :  —  Tu  forse  avevi  speme, 
se  potevi  nasconderti  quel  punto, 
che  non  mai  piu  per  raccozzarci  insieme 
fossimo  al  mondo:  or  vedi  ch'io  t'ho  giunto. 
Sie  certo,  se  tu  andassi  ne  Testreme 
fosse  di  Stigie,  o  fossi  in  cielo  assunto, 
ti  seguirb,  quando  abbi  il  destrier  teco, 
ne  1'alta  luce  e  giu  nel  mondo  cieco. 

XCVII 

Se  d'aver  meco  a  far  non  ti  da  il  core, 
e  vedi  gia  che  non  puoi  starmi  a  paro, 
e  piu  stimi  la  vita  che  Tonore, 
senza  periglio  ci  puoi  far  riparo, 
quando  mi  lasci  in  pace  il  corridore ; 
e  viver  puoi,  se  si  t'e  il  viver  caro: 
ma  vivi  a  pie,  che  non  merti  cavallo, 
s'alla  cavalleria  fai  si  gran  fallo.  — 

xcvin 

A  quel  parlar  si  ritrovo  presente 
con  Ricciardetto  il  cavallier  Selvaggio; 
e  le  spade  ambi  trassero  ugualmente, 
per  far  parere  il  Serican  mal  saggio. 
Ma  Rinaldo  s'oppose  immantinente, 
e  non  pati  che  se  gli  fesse  oltraggio, 
dicendo :  —  Senza  voi  dunque  non  sono 
a  chi  m'oltraggia  per  risponder  buono  ?  — 

xcix 

Poi  se  ne  ritorno  verso  il  pagano, 
e  disse:—  Odi,  Gradasso;  io  voglio  farte, 
se  tu  m'ascolti,  manifesto  e  piano 
ch'io  venni  alia  marina  a  ritrovarte: 
e  poi  ti  sosterro  con  1'arme  in  mano, 
che  t'avro  detto  il  vero  in  ogni  parte; 
e  sempre  che  tu  dica  mentirai, 
ch'alla  cavalleria  mancass'io  mai. 


CANTO    TRENTESIMOPRIMO  821 

C 

Ma  ben  ti  priego  che  prima  che  sia 
pugna  tra  noi,  che  pianamente  intenda 
la  giustissima  e  vera  scusa  mia, 
acci6  ch'a  torto  piu  non  mi  riprenda; 
e  poi  Baiardo  al  termine  di  pria 
tra  noi  vorr6  ch'a  piedi  si  contenda 
da  solo  a  solo  in  solitario  lato, 
si  come  a  punto  fu  da  te  ordinato.  — 

ci 

Era  cortese  il  re  di  Sericana, 
come  ogni  cor  magnanimo  esser  suole; 
et  e  content o  udir  la  cosa  piana, 
e  come  il  paladin  scusar  si  vuole. 
Con  ltd  ne  viene  in  ripa  alia  fiumana, 
ove  Rinaldo  in  semplici  parole 
alia  sua  vera  istoria  trasse  il  velo, 
e  chiamo  in  testimonio  tutto  51  cielo : 

CII 

e  poi  chiamar  fece  il  figliuol  di  Buovo, 
Tuom  che  di  questo  era  informato  a  pieno, 
ch'a  parte  a  parte  replied  di  nuovo 
Tincanto  suo,  ne  disse  piu  ne  meno. 
Soggiunse  poi  Rinaldo :  —  Ci6  ch'io  provo 
col  testimonio,  io  vo'  che  Parme  sieno, 
che  ora  e  in  ogni  tempo  che  ti  piace, 
te  n'abbiano  a  far  prova  piu  verace.  — 

cm 

II  re  Gradasso,  che  lasciar  non  voile 
per  la  seconda  la  querela  prima, 
le  scuse  di  Rinaldo  in  pace  tolle, 
ma  se  son  vere  o  false  in  dubbio  stima. 
Non  tolgon  campo  piu  sul  lito  molle 
di  Barcelona,  ove  lo  tolser  prima; 
ma  s'accordaro  per  1'altra  matina 
trovarsi  a  una  fontana  indi  vicina: 


822  ORLANDO    FURIOSO 

CIV 

ove  Rinaldo  seco  abbia  il  cavallo, 
che  posto  sia  communemente  in  mezzo: 
se  '1  re  uccide  Rinaldo  o  il  fa  vassallo, 
se  ne  pigli  il  destrier  senz'altro  mezzo; 
ma  se  Gradasso  e  quel  che  faccia  fallo, 
che  sia  condotto  air  ultimo  ribrezzo, 
o  per  piu  non  poter  che  gli  si  renda, 
da  lui  Rinaldo  Durindana  prenda. 

cv 

Con  maraviglia  molta  e  piu  dolore 
(come  v'ho  detto)  avea  Rinaldo  udito 
da  Fiordiligi  bella  ch'era  fuore 
de  Pintelletto  il  suo  cugino  uscito. 
Avea  de  1'arme  inteso  anco  il  tenore, 
e  del  litigio  che  n'era  seguito; 
e  ch'in  somma  Gradasso  avea  quel  brando 
ch'orn6  di  mille  e  mille  palme  Orlando. 

cvi 

Poi  che  furon  d'accordo,  ritornosse 
il  re  Gradasso  ai  servitori  sui; 
ben  che  dal  paladin  pregato  fosse 
che  ne  venisse  ad  alloggiar  con  lui. 
Come  fu  giorno,  il  re  pagano  armosse ; 
cosi  Rinaldo:  e  giunsero  ambedui 
ove  dovea  non  lungi  alia  fontana 
combattersi  Baiardo  e  Durindana. 

cvn 

De  la  battaglia  che  Rinaldo  avere 
con  Gradasso  dovea  da  solo  a  solo, 
parean  gli  amici  suoi  tutti  temere, 
e  inanzi  il  caso  ne  faceano  il  duolo. 
Molto  ardir,  molta  forza,  alto  sapere 
avea  Gradasso;  et  or  che  del  figliuolo 
del  gran  Milone  avea  la  spada  al  fianco, 
di  timor  per  Rinaldo  era  ognun  bianco. 


CANTO   TRENTESIMOPRIMO  823 

CVIII 

E  piu  degli  altri  il  frate  di  Viviano 

stava  di  questa  pugna  in  dubbio  e  in  tema, 

et  anco  volentier  vi  porria  mano 

per  farla  rimaner  d'effetto  scema: 

ma  non  vorria  che  quel  da  Montalbano 

seco  venisse  a  inimicizia  estrema; 

ch'anco  avea  di  quell' altra  seco  sdegno, 

che  gli  turbo,  quando  il  levo  sul  legno. 

Cix 

Ma  stiano  gli  altri  in  dubbio,  in  tema,  in  doglia: 
Rinaldo  se  ne  va  lieto  e  sicuro, 
sperando  ch'ora  il  biasmo  se  gli  toglia, 
ch'avere  a  torto  gli  parea  pur  duro; 
si  che  quei  da  Pontieri  e  d'Altafoglia 
faccia  cheti  restar,  come  mai  furo. 
Va  con  baldanza  e  sicurta  di  core 
di  riportarne  il  trionfale  onore. 

ex 

Poi  che  Pun  quinci  e  Paltro  quindi  giunto 
fu  quasi  a  un  tempo  in  su  la  chiara  fonte, 
s'accarezzaro,  e  fero  a  punto  a  punto 
cosi  serena  et  amichevol  fronte, 
come  di  sangue  e  d'amista  congiunto 
fosse  Gradasso  a  quel  di  Chiaramonte. 
Ma  come  poi  s'andassero  a  ferire, 
vi  voglio  a  un1  altra  volta  differire. 


824  ORLANDO    FURIOSO 


CANTO   TRENTESIMOSECONDO 


I 

Soviemmi  che  cantare  io  vi  dovea 
(gia  lo  promisi,  e  poi  m'usci  di  mente) 
d'una  sospizion  che  fatto  avea 
la  bella  donna  di  Ruggier  dolente, 
de  1'altra  piu  spiacevole  e  piu  rea, 
e  di  piu  acuto  e  venenoso  dente, 
che,  per  quel  ch'ella  udi  da  Ricciardetto, 
a  devorare  il  cor  Tentro  nel  petto. 

II 

Dovea  cantarne,  et  altro  incominciai, 
perche  Rinaldo  in  mezzo  sopravenne; 
e  poi  Guidon  mi  die  che  fare  assai, 
che  tra  camino  a  bada  un  pezzo  il  tenne. 
D'una  cosa  in  un'altra  in  modo  entrai, 
che  mal  di  Bradamante  mi  sovenne: 
sovienmene  ora,  e  vo'  narrarne  inanti 
che  di  Rinaldo  e  di  Gradasso  io  canti. 

in 

Ma  bisogna  anco,  prima  ch'io  ne  parli, 
che  d'Agramante  io  vi  ragioni  un  poco, 
ch'avea  ridutte  le  reliquie  in  Arli 
che  gli  restar  del  gran  notturno  fuoco, 
quando  a  raccor  lo  sparso  campo  e  a  darli 
soccorso  e  vettovaglie  era  atto  il  loco: 
1'Africa  incontra,  e  la  Spagna  ha  vicina, 
et  e  in  sul  flume  assiso  alia  marina. 


CANTO    TRENTESIMOSECONDO  825 

IV 

Per  tutto  '1  regno  fa  scriver  Marsilio 
gente  a  piedi  e  a  cavallo,  e  trista  e  buona. 
Per  forza  e  per  amore  ogni  navilio 
atto  a  battaglia  s'arma  in  Barcelona. 
Agramante  ogni  di  chiama  a  concilio; 
ne  a  spesa  ne  a  fatica  si  per  dona. 
Intanto  gravi  esazioni  e  spesse 
tutte  hanno  le  citta  d'Africa  oppresse. 

v 

Egli  ha  fatto  offerire  a  Rodomonte, 
perche  ritorni  (et  impetrar  nol  puote), 
una  cugina  sua,  figlia  d'Almonte, 
e  '1  bel  regno  d'Oran  dargli  per  dote. 
Non  si  volse  1'altier  muover  dal  ponte, 
ove  tant'arme  e  tante  selle  vote 
di  quei  che  son  gia  capitati  al  passo 
ha  ragunate,  che  ne  cuopre  il  sasso. 

VI 

Gia  non  volse  Marfisa  imitar  1'atto 
di  Rodomonte:  anzi  com'ella  intese 
ch' Agramante  da  Carlo  era  disfatto, 
sue  genti  morte,  saccheggiate  e  prese, 
e  che  con  pochi  in  Arli  era  ritratto, 
senza  aspettare  invito,  il  camin  prese: 
venne  in  aiuto  de  la  sua  corona, 
e  Taver  gli  proferse  e  la  persona. 

VII 

E  gli  meno  Brunello,  e  gli  ne  fece 
libero  dono,  il  qual  non  avea  offeso: 
1'avea  tenuto  dieci  giorni  e  diece 
notti  sempre  in  timor  d'essere  appeso; 
e  poi  che  ne  con  forza  n6  con  prece 
da  nessun  vide  il  patrocinio  preso, 
in  si  sprezzato  sangue  non  si  volse 
bruttar  Taltiere  mani,  e  lo  disciolse. 


826  ORLANDO    FURIOSO 

VIII 

Tutte  I' antique  ingiurie  gli  remesse, 
e  seco  in  Arli  ad  Agramante  il  trasse. 
Ben  dovete  pensar  che  gaudio  avesse 
il  re  di  lei  ch'ad  aiutarlo  andasse: 
e  del  gran  conto  ch'egli  ne  facesse, 
volse  che  Brunei  prova  le  mostrasse; 
che  quel  di  ch'ella  gli  avea  fatto  cenno, 
di  volerlo  impiccar,  fej  da  buon  senno. 

IX 

II  manigoldo,  in  loco  inculto  et  ermo, 
pasto  di  corvi  e  d'avoltoi  lasciollo. 
Ruggier  ch'un  altra  volta  gli  fu  schermo, 
e  che  '1  laccio  gli  avria  tolto  dal  collo, 
la  giustizia  di  Dio  fa  ch'ora  infermo 
s'e  ritrovato,  et  aiutar  non  puollo: 
e  quando  il  seppe,  era  gia  il  fatto  occorso ; 
si  che  resto  Brunei  senza  soccorso. 

x 

Intanto  Bradamante  iva  accusando 
che  cosi  lunghi  sian  quei  venti  giorni, 
li  quai  finiti,  il  termine  era  quando 
a  lei  Ruggiero  et  alia  fede  torni. 
A  chi  aspetta  di  carcere  o  di  bando 
uscir,  non  par  che  '1  tempo  piu  soggiorni 
a  dargli  libertade,  o  de  Pamata 
p atria  vista  gioconda  e  disiata. 

XI 

In  quel  duro  aspettare  ella  talvolta 
pensa  ch'Eto  e  Piroo  sia  fatto  zoppo; 
o  sia  la  ruota  guasta,  ch'a  dar  volta 
le  par  che  tardi,  oltr'all'usato,  troppo. 
Piu  lungo  di  quel  giorno  a  cui  per  molta 
fede  nel  cielo  il  giusto  Ebreo  fej  intoppo, 
piu  de  la  notte  ch'Ercole  produsse, 
parea  lei  ch'ogni  notte,  ogni  di  fusse. 


CANTO    TRENTESIMOSECONDO  827 

XII 

Oh  quante  volte  da  invidiar  le  diero 
e  gli  orsi  e  i  ghiri  e  i  sonnacchiosi  tassi! 
che  quel  tempo  voluto  avrebbe  intero 
tutto  dormir,  che  mai  non  si  destassi; 
ne  pot  ere  altro  udir,  fin  che  Ruggiero 
dal  pigro  sonno  lei  non  richiamassi. 
Ma  non  pur  questo  non  puo  far,  ma  ancora 
non  puo  dormir  di  tutta  notte  un'ora. 

XIII 

Di  qua  di  la  va  le  noiose  piume 

tutte  premendo,  e  mai  non  si  riposa. 

Spesso  aprir  la  finestra  ha  per  costume, 

per  veder  s'anco  di  Titon  la  sposa 

sparge  dinanzi  al  matutino  lume 

il  bianco  giglio  e  la  vermiglia  rosa: 

non  meno  ancor,  poi  che  nasciuto  e  51  giorno, 

brama  vedere  il  ciel  di  stelle  adorno. 

XIV 

Poi  che  fu  quattro  o  cinque  giorni  appresso 

il  termine  a  finir,  piena  di  spene 

stava  aspettando  d'ora  in  ora  il  messo 

che  le  apportasse :  —  Ecco  Ruggier  che  viene.  — 

Montava  sopra  un'alta  torre  spesso, 

ch'i  folti  boschi  e  le  campagne  amene 

scopria  d'intorno,  e  parte  de  la  via 

onde  di  Francia  a  Montalban  si  gia. 

xv 

Se  di  lontano  o  splendor  d'arme  vede, 
o  cosa  tal  ch'a  cavallier  simiglia, 
che  sia  il  suo  disiato  Ruggier  crede, 
e  rasserena  i  begli  occhi  e  le  ciglia; 
se  disarmato  o  viandante  a  piede, 
che  sia  messo  di  lui  speranza  piglia: 
e  se  ben  poi  fallace  la  ritrova, 
pigliar  non  cessa  una  et  un'altra  nuova. 


828  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

Credendolo  incontrar,  talora  armossi, 
scese  dal  monte  e  giii  calo  nel  piano; 
ne  lo  trovando,  si  spero  che  fossi 
per  altra  strada  giunto  a  Montalbano : 
e  col  disir  con  ch'avea  i  piedi  mossi 
fuor  del  castel,  ritorno  dentro  invano. 
Ne  qua  ne  la  trovollo;  e  passo  intanto 
il  termine  aspettato  da  lei  tanto. 

XVII 

II  termine  passo  d'uno,  di  dui, 
di  tre  giorni,  di  sei,  d'otto  e  di  venti; 
ne*  vedendo  il  suo  sposo,  ne  di  lui 
sentendo  nuova,  incomincio  lamenti 
ch'avrian  mosso  a  pieta  nei  regni  bui 
quelle  Furie  crinite  di  serpenti; 
e  fece  oltraggio  a'  begli  occhi  divini, 
al  bianco  petto,  all'aurei  crespi  crini. 

xvin 

—  Dunque  fia  ver  —  dicea  —  che  mi  convegna 
cercare  un  che  mi  fugge  e  mi  s'asconde  ? 
Dunque  debbo  prezzare  un  che  mi  sdegna? 
Debbo  pregar  chi  mai  non  mi  risponde? 
Patiro  che  chi  m'odia,  il  cor  mi  tegna? 
un  che  si  stima  sue  virtu  profonde, 
che  bisogno  sara  che  dal  ciel  scenda 
immortal  dea  che  '1  cor  d'amor  gli  accenda? 

XIX 

Sa  questo  altier  ch'io  Tamo  e  ch'io  1'adoro, 

ne  mi  vuol  per  amante  ne  per  serva. 

II  crudel  sa  che  per  lui  spasmo  e  moro, 

e  dopo  morte  a  darmi  aiuto  serva. 

E  perch6  io  non  gli  narri  il  mio  martoro 

atto  a  piegar  la  sua  voglia  proterva, 

da  me  s'asconde,  come  aspide  suole, 

che  per  star  empio  il  canto  udir  non  vuole. 


CANTO    TRENTESIMOSECONDO  829 

XX 

Deh  ferma,  Amor,  costui  che  cosi  sciolto 
dinanzi  al  lento  mio  correr  s'affretta; 
o  tornami  nel  grado  onde  m'hai  tolto 
quando  ne  a  te  ne  ad  altri  era  suggetta! 
Deh,  corae  e  il  mio  sperar  fallace  e  stolto, 
ch'in  te  con  prieghi  mai  pieta  si  metta; 
che  ti  diletti,  anzi  ti  pasci  e  vivi 
di  trar  dagli  occhi  lacrimosi  rivi! 

XXI 

Ma  di  che  debbo  lamentarmi,  ahi  lassa 
fuor  che  del  mio  desire  irrazionale? 
ch'alto  mi  leva,  e  si  ne  1'aria  passa, 
ch'arriva  in  parte  ove  s'abbrucia  Tale; 
poi  non  potendo  sostener,  mi  lassa 
dal  ciel  cader:  ne  qui  finisce  il  male; 
che  le  rimette,  e  di  nuovo  arde:  ond'io 
non  ho  mai  fine  al  precipizio  mio. 

XXII 

Anzi  via  piu  che  del  disir,  mi  deggio 
di  me  doler,  che  si  gli  apersi  il  seno; 
onde  cacciata  ha  la  ragion  di  seggio, 
et  ogni  mio  poter  puo  di  lui  meno. 
Quel  mi  trasporta  ognior  di  male  in  peggio, 
ne  lo  posso  frenar,  che  non  ha  freno: 
e  mi  fa  certa  che  mi  mena  a  morte, 
perch5 aspettando  il  mai  noccia  piu  forte. 

XXIII 

Deh  perche  voglio  anco  di  me  dolermi? 
Ch'error,  se  non  d'amarti,  unqua  commessi? 
Che  maraviglia,  se  fragili  e  infermi 
feminil  sensi  fur  subito  oppressi? 
Perche  dovev'io  usar  ripari  e  schermi 
che  la  somma  belta  non  mi  piacessi, 
gli  alti  sembianti  e  le  saggie  parole  ? 
Misero  e  ben  chi  veder  schiva  il  sole! 


830  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Et  oltre  al  mio  destine,  io  ci  fui  spinta 
da  le  parole  altnii  degne  di  fede: 
somma  felicita  mi  fa  dipinta, 
ch'esser  dovea  di  questo  amor  mercede. 
Se  la  persuasione,  ohime!  fu  finta, 
se  fu  inganno  il  consiglio  che  mi  diede 
Merlin,  posso  di  lui  ben  lamentarmi, 
ma  non  d'amar  Ruggier  posso  ritrarmi. 

XXV 

Di  Merlin  posso  e  di  Melissa  insieme 
dolermi,  e  mi  dorro  d'essi  in  eterno, 
che  dimostrare  i  frutti  del  mio  seme 
mi  fero  dagli  spirti  de  lo  'nferno, 
per  pormi  sol  con  questa  falsa  speme 
in  servitu;  ne  la  cagion  discerno, 
se  non  ch'erano  forse  invidiosi 
dei  miei  dolci,  sicuri,  almi  riposi.  — 

XXVI 

Si  1'occupa  il  dolor,  che  non  avanza 
loco  ove  in  lei  conforto  abbia  ricetto; 
ma,  mal  grado  di  quel,  vien  la  speranza 
e  vi  vuole  alloggiare-  in  mezzo  il  petto, 
rifrescandole  pur  la  rimembranza 
di  quel  ch'al  suo  partir  1'ha  Ruggier  detto: 
e  vuol,  contra  il  parer  degli  altri  affetti, 
che  d'ora  in  ora  il  suo  ritorno  aspetti. 

XXVII 

Questa  speranza  dunque  la  sostenne, 
finito  i  venti  giorni,  un  mese  appresso; 
si  che  il  dolor  si  forte  non  le  tenne, 
come  tenuto  avria,  1'animo  oppresso. 
Un  di  che  per  la  strada  se  ne  venne, 
che  per  trovar  Ruggier  solea  far  spesso, 
novella  udi  la  misera,  ch'insieme 
fe'  dietro  alFaltro  ben  fuggir  la  speme. 


CANTO    TRENTESIMOSECONDO  831 

XXVIII 

Venne  a  incontrare  un  cavallier  guascone 
che  dal  campo  african  venia  diritto, 
ove  era  state  da  quel  di  prigione 
che  fu  inanzi  a  Parigi  il  gran  conflitto. 
Da  lei  fu  molto  posto  per  ragione, 
fin  che  si  venne  al  termine  prescritto. 
Domando  di  Ruggiero,  e  in  lui  fermosse; 
ne  fuor  di  quest o  segno  piu  si  mosse. 

XXIX 

II  cavallier  buon  conto  ne  rendette, 
che  ben  conoscea  tutta  quella  corte: 
e  narr6  di  Ruggier,  che  contrastette 
da  solo  a  solo  a  Mandricardo  forte; 
e  come  egli  Puccise,  e  poi  ne  stette 
ferito  piu  d'un  mese  presso  a  morte: 
e  s'era  la  sua  istoria  qui  conclusa, 
fatto  avria  di  Ruggier  la  vera  escusa. 

xxx 

Ma  come  poi  soggiunse  una  donzella 
esser  nel  campo,  nomata  Marfisa, 
che  men  non  era  che  gagliarda,  bella, 
ne  meno  esperta  d'arme  in  ogni  guisa; 
che  lei  Ruggiero  amava  e  Ruggiero  ella, 
ch'egli  da  lei,  ch'ella  da  lui  divisa 
si  vedea  raro,  e  ch'ivi  ognuno  crede 
che  s'abbiano  tra  lor  data  la  fede; 

XXXI 

e  che  come  Ruggier  si  faccia  sano, 

il  matrimonio  publicar  si  deve; 

e  ch'ogni  re,  ogni  principe  pagano 

gran  piacere  e  letizia  ne  riceve, 

che  de  Puno  e  de  Taltro  sopraumano 

conoscendo  il  valor,  sperano  in  breve 

far  una  razza  d'uomini  da  guerra 

la  piu  gagliarda  che  mai  fosse  in  terra. 


832  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

Credea  il  Guascon  quel  che  dicea,  non  senza 

cagion;  che  ne  Fesercito  de'  Mori 

openione  e  universal  credenza, 

e  publico  parlar  n'era  di  fuori. 

I  molti  segni  di  benivolenza 

stati  tra  lor  facean  questi  romori; 

che  tosto  o  buona  o  ria  che  la  fama  esce 

fuor  d'una  bocca,  in  infinite  cresce. 

XXXIII 

L'esser  venuta  a'  Mori  ella  in  aita 
con  lui,  ne  senza  lui  comparir  mai, 
avea  questa  credenza  stabilita; 
ma  poi  Tavea  accresciuta  pur  assai, 
ch'essendosi  del  campo  gia  partita 
portandone  Brunei  (come  io  contai), 
senza  esservi  d'alcuno  richiamata, 
sol  per  veder  Ruggier  v'era  tornata. 

xxxiv 

Sol  per  lui  visitar,  che  gravemente 
languia  ferito,  in  campo  venuta  era, 
non  una  sola  volta,  ma  sovente; 
vi  stava  il  giorno  e  si  partia  la  sera: 
e  molto  piu  da  dir  dava  alia  gente, 
ch'essendo  conosciuta  cosi  altiera, 
che  tutto  '1  mondo  a  se  le  parea  vile, 
solo  a  Ruggier  fosse  benigna  e  umile. 

xxxv 

Come  il  Guascon  questo  affermb  per  vero, 
fu  Bradamante  da  cotanta  pena, 
da  cordoglio  assalita  cosi  fiero, 
che  di  quivi  cader  si  tenne  a  pena. 
Volt6  senza  far  motto  il  suo  destriero, 
di  gelosia,  d'ira  e  di  rabbia  piena; 
e  da  s6  discacciata  ogni  speranza, 
ritorno  furibonda  alia  sua  stanza. 


CANTO   TRENTESIMOSECONDO  833 

XXXVI 

E  senza  disarmarsi,  sopra  il  letto, 
col  viso  volta  in  giu,  tutta  si  stese, 
ove  per  non  gridar,  si  che  sospetto 
di  se  facesse,  i  panni  in  bocca  prese; 
e  ripetendo  quel  che  Pavea  detto 
il  cavalliero,  in  tal  dolor  discese, 
che  phi  non  lo  potendo  sofferire, 
fu  forza  a  disfogarlo,  e  cosi  a  dire: 

XXXVII 

«Misera!  a  chi  mai  piu  creder  debb'io? 
Vo'  dir  ch'ognuno  e  perfido  e  crudele, 
se  perfido  e  crudel  sei,  Ruggier  mio, 
che  si  pietoso  tenni  e  si  fedele. 
Qual  crudelta,  qual  tradimento  rio 
unqua  s'udi  per  tragiche  querele, 
che  non  trovi  minor,  se  pensar  mai 
al  mio  merto  e  al  tuo  debito  vorai  ? 

XXXVIII 

Perche,  Ruggier,  come  di  te  non  vive 
cavallier  di  piu  ardir,  di  piu  bellezza, 
ne  che  a  gran  pezzo  al  tuo  valore  arrive, 
ne  a'  tuoi  costumi,  ne  a  tua  gentilezza; 
perch6  non  fai  che  fra  tue  illustri  e  dive 
virtu,  si  dica  ancor  ch'abbi  fermezza? 
si  dica  ch'abbi  inviolabil  fede  ? 
a  chi  ogn'altra  virtu  s'inchina  e  cede. 

xxxix 

Non  sai  che  non  compar,  se  non  v'e  quella, 
alcun  valore,  alcun  nobil  costume? 
come  n6  cosa  (e  sia  quanto  vuol  bella) 
si  puo  vedere  ove  non  splenda  lume. 
Facil  ti  fu  ingannare  una  donzella 
di  cui  tu  signore  eri,  idolo  e  nume, 
a  cui  potevi  far  con  tue  parole 
creder  che  fosse  oscuro  e  freddo  il  sole. 


834  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Crudel,  di  che  peccato  a  doler  t'hai, 
se  d'uccider  chi  t'ama  non  ti  penti  ? 
Se  '1  mancar  di  tua  fe  si  leggier  fai, 
di  ch'altro  peso  il  cor  gravar  ti  senti? 
Come  tratti  il  nimico,  se  tu  dai 
a  me,  che  t'amo  si,  questi  tormenti  ? 
Ben  diro  che  giustizia  in  ciel  non  sia, 
s'a  veder  tardo  la  vendetta  mia. 

XLI 

Se  d'ogn'altro  peccato  assai  piu  quello 
de  1'empia  ingratitudine  Tuom  grava, 
e  per  questo  dal  ciel  P angel  piu  bello 
fu  relegato  in  parte  oscura  e  cava; 
e  se  gran  fallo  aspetta  gran  flagello 
quando  debita  emenda  il  cor  non  lava; 
guarda  ch'aspro  flagello  in  te  non  scenda, 
che  mi  se'  ingrato  e  non  vuoi  fame  emenda. 

XLII 

Di  furto  ancora,  oltre  ogni  vizio  rio, 
di  te,  crudele,  ho  da  dolermi  molto. 
Che  tu  mi  tenga  il  cor,  non  ti  dico  io ; 
di  questo  io  vo'  che  tu  ne  vada  assolto: 
dico  di  te,  che  t'eri  fatto  mio, 
e  poi  contra  ragion  mi  ti  sei  tolto. 
Renditi,  iniquo,  a  me;  che  tu  sai  bene 
che  non  si  pu6  salvar  chi  1'altrui  tiene. 

XLIII 

Tu  m'hai,  Ruggier,  lasciata:  io  te  non  voglio, 

ne  lasciarti  volendo  anco  potrei; 

ma  per  uscir  d'aifanno  e  di  cordoglio, 

posso  e  voglio  finire  i  giorni  miei. 

Di  non  morirti  in  grazia  sol  mi  doglio; 

che  se  concesso  m'avessero  i  dei 

ch'io  fossi  morta  quando  t'era  grata, 

morte  non  fu  giamai  tanto  beata.» 


CANTO    TRENTESIMOSECONDO  835 

XLIV 

Cosi  dicendo,  di  morir  disposta, 
salta  del  letto,  e  di  rabbia  infiammata 
si  pon  la  spada  alia  sinistra  costa; 
ma  si  rawede  poi  che  tutta  e  armata. 
II  miglior  spirto  in  questo  le  s'accosta, 
e  nel  cor  le  ragiona :  «  O  donna  nata 
di  tant'alto  lignaggio,  adunque  vuoi 
iinir  con  si  gran  biasmo  i  giorni  tuoi? 

XLV 

Non  e  meglio  ch'al  campo  tu  ne  vada, 
ove  morir  si  puo  con  laude  ognora? 
Quivi,  s'awien  ch'inanzi  a  Ruggier  cada, 
del  morir  tuo  si  dorra  forse  ancora: 
ma  s'a  morir  t'awien  per  la  sua  spada, 
chi  sara  mai  che  phi  contenta  muora? 
Ragione  e  ben  che  di  vita  ti  privi, 
poi  ch'e  cagion  ch'in  tanta  pena  vivi. 

XLVI 

Verra  forse  anco  che  prima  che  muori 
farai  vendetta  di  quella  Marfisa 
che  t'ha  con  fraudi  e  disonesti  amori 
da  te  Ruggiero  alienando  uccisa. » 
Questi  pensieri  parveno  migliori 
alia  donzella;  e  tosto  una  divisa 
si  fe'  su  Farme,  che  volea  inferire 
disperazione  e  voglia  di  morire. 

XLVII 

Era  la  sopraveste  del  colore 
in  che  riman  la  foglia  che  s'imbianca 
quando  del  ramo  e  tolta,  o  che  1'umore 
che  facea  vivo  1'arbore  le  manca. 
Ricamata  a  tronconi  era,  di  fuore, 
di  cipresso  che  mai  non  si  rinfranca, 
poi  c'ha  sentita  la  dura  bipenne: 
Fabito  al  suo  dolor  molto  convenne. 


836  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

Tolse  il  destrier  ch'Astolfo  aver  solea, 
e  quella  lancia  d'or,  che  sol  toccando 
cader  di  sella  i  cavallier  facea. 
Perche  la  le  die  Astolfo,  e  dove  e  quando, 
e  da  chi  prima  avuta  egli  Pavea, 
non  credo  che  bisogni  ir  replicando. 
Ella  la  tolse,  non  per6  sapendo 
che  fosse  del  valor  ch'era  stupendo. 

XLIX 

Senza  scudiero  e  senza  compagnia 
scese  dal  monte,  e  si  pose  in  camino 
verso  Parigi  alia  piu  dritta  via, 
ove  era  dianzi  il  campo  saracino; 
che  la  novella  ancora  non  s'udia 
che  Pavesse  Rinaldo  paladino, 
aiutandolo  Carlo  e  Malagigi, 
fatto  tor  da  1'assedio  di  Parigi. 

L 

Lasciati  avea  i  Cadurci  e  la  cittade 
di  Caorse  alle  spalle,  e  tutto  Jl  monte 
ove  nasce  Dordona,  e  le  contrade 
scopria  di  Monferrante  e  di  Clarmonte, 
quando  venir  per  le  medesme  strade 
vide  una  donna  di  benigna  fronte, 
ch'uno  scudo  alParcione  avea  attaccato; 
e  le  venian  tre  cavallieri  a  lato. 

LI 

Altre  donne  e  scudier  venivano  anco, 
qual  dietro  e  qual  dinanzi,  in  lunga  schiera. 
Domand6  ad  un  che  le  passo  da  fianco, 
la  figliola  d'Amon,  chi  la  donna  era; 
e  quel  le  disse :  —  Al  re  del  popul  franco 
questa  donna,  mandata  messaggiera 
fin  di  la  dal  polo  artico,  e  venuta 
per  lungo  mar  da  Flsola  Perduta. 


CANTO   TRENTESIMOSECONDO  837 

LII 

Altri  Perduta,  altri  ha  nomata  Islanda 
Fisola,  donde  la  regina  d'essa, 
di  belta  sopra  ogni  belta  miranda, 
dal  ciel  non  mai,  se  non  a  lei,  concessa, 

10  scudo  che  vedete,  a  Carlo  manda; 
ma  ben  con  patto  e  condizione  espressa, 
ch'al  miglior  cavallier  lo  dia,  secondo 

11  suo  parer,  ch'oggi  si  trovi  al  mondo. 

LIII 

Ella,  come  si  stima,  e  come  in  vero 
e  la  piu  bella  donna  che  mai  fosse, 
cosi  vorria  trovare  un  cavalliero 
che  sopra  ogn'altro  avesse  ardire  e  posse: 
perche  fondato  e  fisso  e  il  suo  pensiero, 
da  non  cader  per  centomila  scosse, 
che  sol  chi  terra  in  arme  il  primo  onore, 
abbia  d'esser  suo  amante  e  suo  signore. 

LIV 

Spera  ch'in  Francia,  alia  famosa  corte 
di  Carlo  Magno,  il  cavallier  si  trove, 
che  d'esser  piu  d'ogn'altro  ardito  e  forte 
abbia  fatto  veder  con  mille  prove. 
I  tre  che  son  con  lei  come  sue  scorte, 
re  sono  tutti,  e  dirowi  anco  dove: 
uno  in  Svezia,  uno  in  Gotia,  in  Norveggia  uno, 
che  pochi  pari  in  arme  hanno  o  nessuno. 

LV 

Questi  tre,  la  cui  terra  non  vicina, 
ma  men  lontana  e  all'Isola  Perduta 
(detta  cosi,  perche  quella  marina 
da  pochi  naviganti  e  conosciuta), 
erano  amanti  e  son  de  la  regina, 
e  a  gara  per  moglier  1'hanno  voluta; 
e  per  aggradir  lei,  cose  fatt' hanno, 
che  fin  che  giri  il  ciel  dette  saranno. 


838  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Ma  ne  quest!  elk,  ne  alcun  altro  vuole, 

ch'al  mondo  in  arme  esser  non  creda  il  primo. 

«Ch'abbiate  fatto  prove»  lor  dir  suole 

«in  questi  luoghi  appresso,  poco  istimo; 

e  s'un  di  voi,  qual  fra  le  stelle  il  sole, 

fra  gli  altri  duo  sara,  ben  lo  sublimo: 

ma  non  pero  che  tenga  il  vanto  parme 

del  miglior  cavallier  ch'oggi  port'arme. 

LVII 

A  Carlo  Magno,  il  quale  io  stimo  e  onoro 
pel  piu  savio  signor  ch'al  mondo  sia, 
son  per  mandare  un  ricco  scudo  d'oro, 
con  patto  e  condizion  ch'esso  lo  dia 
al  cavalliero  il  quale  abbia  fra  loro 
il  vanto  e  il  primo  onor  di  gagliardia. 
Sia  il  cavalliero  o  suo  vasallo  o  d'altri, 
il  parer  di  quel  re  vo'  che  mi  scaltri. 

LVIII 

Se  poi  che  Carlo  avra  lo  scudo  avuto, 
e  Tavra  dato  a  quel  si  ardito  e  forte, 
che  d'ogn'altro  migliore  abbia  creduto, 
che  'n  sua  si  trovi  o  in  alcun' altra  corte, 
uno  di  voi  sara,  che  con  Taiuto 
di  sua  virtu  lo  scudo  mi  riporte; 
porr6  in  quello  ogni  amore,  ogni  disio, 
e  quel  sara  il  marito  e  '1  signor  mio. » 

LIX 

Queste  parole  han  qui  fatto  venire 
questi  tre  re  dal  mar  tanto  discosto, 
che  riportarne  lo  scudo,  o  morire 
per  man  di  chi  Favra,  s'hanno  proposto.  — 
Ste'  molto  attenta  Bradamante  a  udire 
quanto  le  fu  da  lo  scudier  risposto; 
il  qual  poi  I'entr6  inanzi,  e  cosi  punse 
il  suo  cavallo,  che  i  compagni  giunse. 


CANTO    TRENTESIMOSECONDO  839 

LX 

Dietro  non  gli  galoppa  ne  gli  corre 
ella;  ch'  adagio  il  suo  camin  dispensa, 
e  molte  cose  tuttavia  discorre, 
che  son  per  accadere:  e  in  somma  pensa 
che  questo  scudo  in  Francia  sia  per  porre 
discordia  e  rissa  e  nimicizia  iminensa 
fra  paladini  et  altri,  se  vuol  Carlo 
chiarir  chi  sia  il  miglior,  e  a  colui  darlo. 

LXI    - 

Le  preme  il  cor  questo  pensier;  ma  molto 
piu  le  lo  preme  e  strugge  in  peggior  guisa 
quel  ch'ebbe  prima,  di  Ruggier,  che  tolto 
il  suo  amor  le  abbia  e  datolo  a  Marfisa. 
Ogni  suo  senso  in  questo  e  si  sepolto, 
che  non  mira  la  strada,  ne  divisa 
ove  arrivar,  ne  se  trovera  inanzi 
commodo  albergo  ove  la  notte  stanzi. 

LXII 

Come  nave,  che  vento  da  la  riva 
o  qualch'altro  accidente  abbia  disciolta, 
va  di  nochiero  e  di  governo  priva 
ove  la  porti  o  meni  il  fiume  in  volta; 
cosi  1'amante  giovane  veniva, 
tutta  a  pensare  al  suo  Ruggier  rivolta, 
ove  vuol  Rabican;  che  molte  miglia 
lontano  e  il  cor  che  de'  girar  la  briglia. 

LXIII 

Leva  al  fin  gli  occhi,  e  vede  il  sol  che  Jl  tergo 
avea  mostrato  alle  citta  di  Bo  ceo, 
e  poi  s'era  attuffato,  come  il  mergo, 
in  grembo  alia  nutrice  oltr'a  Marocco: 
e  se  disegna  che  la  frasca  albergo 
le  dia  ne'  campi,  fa  pensier  di  sciocco ; 
che  soffia  un  vento  freddo,  e  Faria  grieve 
pioggia  la  notte  le  minaccia  o  nieve. 


840  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Con  maggior  fretta  fa  movere  il  piede 
al  suo  cavallo;  e  non  fece  via  molta, 
che  lasciar  le  campagne  a  un  pastor  vede 
che  s'avea  la  sua  gregge  inanzi  tolta. 
La  donna  lui  con  molta  instanzia  chiede 
che  le  'nsegni  ove  possa  esser  raccolta 

0  ben  o  mal;  che  mal  si  non  s'alloggia, 
che  non  sia  peggio  star  fuori  alia  pioggia. 

LXV 

Disse  il  pastore :  —  lo  non  so  loco  alcuno 
ch'io  vi  sappia  insegnar,  se  non  lontano 
piu  di  quattro  o  di  sei  leghe,  for  ch'uno 
che  si  chiama  la  r6cca  di  Tristano. 
Ma  d'alloggiarvi  non  succede  a  ognuno; 
perche  bisogna  con  la  lancia  in  mano 
che  se  Facquisti  e  che  se  la  difenda 
il  cavallier  che  d'alloggiarvi  intenda. 

LXVI 

Se  quando  arriva  un  cavallier,  si  trova 
v6ta  la  stanza,  il  castellan  Faccetta; 
ma  vuol,  se  sopravien  poi  gente  nuova, 
ch'uscir  fuori  alia  giostra  gli  prometta. 
Se  non  vien,  non  accade  che  si  mova: 
se  vien,  forza  e  che  Farme  si  rimetta 
e  con  lui  giostri,  e  chi  di  lor  val  meno, 
ceda  Falbergo,  et  esca  al  ciel  sereno. 

LXVII 

Se  duo,  tre,  quattro  o  piu  guerrieri  a  un  tratto 
vi  giungon  prima,  in  pace  albergo  v'hanno; 
e  chi  di  poi  vien  solo,  ha  peggior  patto, 
perche  seco  giostrar  quei  piu  lo  fanno. 
Cosi,  se  prima  un  sol  si  sara  fatto 
quivi  alloggiar,  con  lui  giostrar  voranno 

1  duo,  tre,  quattro  o  piu  che  verran  dopo; 
si  che  s'avra  valor,  gli  fia  a  grande  uopo. 


CANTO    TRENTESIMOSECONDO  841 

LXVIII 

Non  men  se  donna  capita  o  donzella, 
accompagnata  o  sola  a  questa  rocca, 
e  poi  v'arrivi  un'altra,  alia  piu  bella 
1'albergo,  et  alia  men  star  di  fuor  tocca.  — 
Domanda  Bradamante  ove  sia  quella; 
e  il  buon  pastor  non  pur  dice  con  bocca, 
ma  le  dimostra  il  loco  anco  con  mano 
da  cinque  o  da  sei  miglia  indi  lontano. 

LXIX 

La  donna,  ancor  che  Rabican  ben  trotte, 
solecitar  pero  non  lo  sa  tanto, 
per  quelle  vie  tutte  fangose  e  rotte 
da  la  stagion  ch'era  piovosa  alquanto, 
che  prima  arrivi  che  la  cieca  notte 
fatt'abbia  oscuro  il  mondo  in  ogni  canto. 
Trovo  chiusa  la  porta;  e  a  chi  n'avea 
la  guardia  disse  ch'alloggiar  volea. 

LXX 

Rispose  quel  ch'era  occupato  il  loco 
da  donne  e  da  guerrier  che  venner  dianzi, 
e  stavano  aspettando  intorno  al  fuoco 
che  posta  fosse  lor  la  cena  inanzi. 
—  Per  lor  non  credo  Tavra  fatta  il  cuoco, 
s'ella  v'e 'ancor,  ne  Than  mangiata  inanzi:  — 
disse  la  donna  —  or  va,  che  qui  gli  attendo ; 
che  so  1'usanza,  e  di  servarla  intendo.  — 

LXXI 

Parte  la  guardia,  e  porta  Timbasciata 
la  dove  i  cavallier  stanno  a  grand'agio, 
la  qual  non  pote  lor  troppo  esser  grata, 
ch'all'aer  li  fa  uscir  freddo  e  malvagio; 
et  era  una  gran  pioggia  incomminciata. 
Si  levan  pure,  e  piglian  Parme  adagio: 
restano  gli  altri;  e  quei  non  troppo  in  fretta 
escono  insieme  ove  la  donna  aspetta. 


ORLANDO    FURIOSO 
LXXII 

Eran  tre  cavallier  che  valean  tanto, 
che  pochi  al  mondo  valean  piu  di  loro; 
et  eran  quei  che  51  di  medesmo  a  canto 
veduti  a  quella  messaggiera  foro; 
quei  ch'in  Islanda  s'avean  dato  vanto 
di  Francia  riportar  lo  scudo  d'oro: 
e  perche  avean  meglio  i  cavalli  punti, 
prima  di  Bradamante  erano  giiinti. 

LXXIII 

Di  loro  in  arme  pochi  eran  migliori, 
ma  di  quei  pochi  ella  sara  ben  Tuna; 
ch'a  nessun  patto  rimaner  di  fuori 
quella  notte  intendea  molle  e  digiuna. 
Quei  dentro  alle  finestre  e  ai  corridori 
miran  la  giostra  al  lume  de  la  luna, 
che  mal  grado  de5  nugbli  lo  spande 
e  fa  veder,  ben  che  la  pioggia  e  grande. 

LXXIV 

Come  s'allegra  un  bene  acceso  amante 
ch'ai  dolci  furti  per  entrar  si  trova, 
quando  al  fin  senta,  dopo  indugie  tante, 
che  '1  taciturno  chiavistel  si  muova; 
cosi  volontarosa  Bradamante 
di  far  di  se  coi  cavallieri  prova, 
s'allegro  quando  udl  le  porte  aprire, 
calare  il  ponte,  e  fuor  li  vide  uscire. 

LXXV 

Tosto  che  fuor  del  ponte  i  guerrier  vede 
uscire  insieme  o  con  poco  intervallo, 
si  volge  a  pigliar  campo,  e  di  poi  riede 
cacciando  a  tutta  briglia  il  buon  cavallo, 
e  la  lancia  arrestando,  che  le  diede 
il  suo  cugin,  che  non  si  corre  in  fallo, 
che  fuor  di  sella  e  forza  che  trabocchi, 
se  fosse  Marte,  ogni  guerrier  che  tocchi. 


CANTO    TRENTESIMOSECONDO  843 

LXXVI 

II  re  di  Svezia,  che  primier  si  mosse, 
fu  primier  anco  a  riversciarsi  al  piano: 
con  tanta  forza  Telmo  gli  percosse 
1'asta  che  mai  non  fu  abbassata  invano. 
Poi  corse  il  re  di  Gotia,  e  ritrovosse 
coi  piedi  in  aria  al  suo  destrier  lontano. 
Rimase  il  terzo  sottosopra  volto, 
ne  1'acqua  e  nel  pantan  mezzo  sepolto. 

LXXVII 

Tosto  ch'ella  ai  tre  colpi  tutti  gli  ebbe 
fatto  andar  coi  piedi  alti  e  i  capi  bassi, 
alia  rc-cca  ne  va,  dove  aver  debbe 
la  notte  albergo;  ma  prima  che  passi, 
v'e  chi  la  fa  giurar  che  n'uscirebbe, 
sempre  ch'a  giostrar  fuori  altri  chiamassi. 
II  signor  de  la  dentro,  che  '1  valore 
ben  n'ha  veduto,  le  fa  grande  onore. 

LXXVIII 

Cosi  le  fa  la  donna  che  venuta 
era  con  quegli  tre  quivi  la  sera, 
come  io  dicea,  da  1'Isola  Perduta, 
mandata  al  re  di  Francia  messaggiera. 
Cortesemente  a  lei  che  la  saluta, 
si  come  graziosa  e  affabil  era, 
si  leva  incontra,  e  con  faccia  serena 
piglia  per  mano,  e  seco  al  fuoco  mena. 

LXXIX 

La  donna,  cominciando  a  disarmarsi, 
s'avea  lo  scudo  e  dipoi  1'elmo  tratto; 
quando  una  cufEa  d'oro,  in  che  celarsi 
soleano  i  capei  lunghi  e  star  di  piatto, 
usci  con  Felmo;  onde  caderon  sparsi 
giu  per  le  spalle,  e  la  scopriro  a  tin  tratto 
e  la  feron  conoscer  per  donzella, 
non  men  che  fiera  in  arme,  in  viso  bella. 


844  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

Quale  al  cader  de  le  cortine  suole 
parer  fra  mille  lampade  la  scena, 
d'archi  e  di  phi  d'una  superba  mole, 
d'oro  e  di  statue  e  di  pitture  piena; 
o  come  suol  fuor  de  la  nube  il  sole 
scoprir  la  faccia  limpida  e  serena: 
cosi,  1'elmo  levandosi  dal  viso, 
mostr6  la  donna  aprisse  il  paradiso. 

LXXXI 

Gia  son  cresciute  e  fatte  lunghe  in  modo 
le  belle  chiome  che  tagliolle  il  frate, 
che  dietro  al  capo  ne  pu6  fare  un  nodo, 
ben  che  non  sian  come  son  prima  state. 
Che  Bradamante  sia,  tien  ferino  e  sodo 
(che  ben  Tavea  veduta  altre  fiate) 
il  signor  de  la  rocca ;  e  piu  che  prima 
or  1'accarezza  e  mostra  fame  stima. 

LXXXII 

Siedono  al  fuoco,  e  con  giocondo  e  onesto 
ragionamento  dan  cibo  alForecchia, 
mentre,  per  ricreare  ancora  il  resto 
del  corpo,  altra  vivanda  s'apparecchia. 
La  donna  all'oste  domand6  se  questo 
rnodo  d'albergo  e  nuova  usanza  o  vecchia, 
e  quando  ebbe  principio,  e  chi  la  pose; 
e  '1  cavalliero  a  lei  cosi  rispose: 

LXXXIII 

—  Nel  tempo  che  regnava  Fieramonte, 
Clodione,  il  figliuolo,  ebbe  una  arnica 
leggiadra  e  bella  e  di  maniere  conte 
quant'altra  fosse  a  quella  etade  antica; 
la  quale  amava  tanto,  che  la  fronte 
non  rivolgea  da  lei,  piu  che  si  dica 
che  facesse  da  lone  il  suo  pastore, 
perch'avea  ugual  la  gelosia  alPamore. 


CANTO    TRENTESIMOSECONDO  845 

LXXXIV 

Qui  la  tenea;  che  51  luogo  avuto  in  dono 

avea  dal  padre,  e  raro  egli  n'uscia; 

e  con  lui  dieci  cavallier  ci  sono, 

e  del  miglior  di  Francia  tuttavia. 

Qui  stando,  venne  a  capitarci  il  buono 

Tristano,  et  una  donna  in  compagnia, 

liberata  da  lui  poch'ore  inante, 

che  traea  presa  a  forza  un  fier  gigante. 

LXXXV 

Tristano  ci  arrivo  che  '1  sol  gia  volto 
avea  le  spalle  ai  liti  di  Siviglia; 
e  domando  qui  dentro  esser  raccolto, 
perche  non  c'e  altra  stanza  a  dieci  miglia, 
Ma  Clodion,  che  molto  amava  e  molto 
era  geloso,  in  somma  si  consiglia 
che  forestier,  sia  chi  si  voglia,  mentre 
ci  stia  la  bella  donna,  qui  non  entre. 

LXXXVI 

Poi  che  con  lunghe  et  iterate  preci 
non  pote  aver  qui  albergo  il  cavalliero: 
«  Or  quel  che  far  con  prieghi  io  non  ti  feci, 
che  '1  facci»  disse  «tuo  mal  grado,  spero, » 
E  sfid6  Clodion  con  tutti  i  dieci 
che  tenea  appresso,  e  con  un  grido  altiero 
se  gli  ofFerse  con  lancia  e  spada  in  mano 
provar  che  discortese  era  e  villano; 

LXXXVII 

con  patto  che  se  fa  che  con  lo  stuolo 
suo  cada  in  terra,  et  ei  stia  in  sella  forte, 
ne  la  rocca  alloggiar  vuole  egli  solo, 
e  vuol  gli  altri  serrar  fuor  de  le  porte. 
Per  non  patir  quest'onta,  va  il  figliuolo 
del  re  di  Francia  a  rischio  de  la  morte; 
ch'aspramente  percosso  cade  in  terra, 
e  cadon  gli  altri,  e  Tristan  fuor  li  serra. 


846  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

Entrato  ne  la  rocca,  trova  quella 
la  qual  v'ho  detta  a  Clodion  si  cara, 
e  ch'avea  a  par  d'ogn'altra  fatto  bella 
Natura,  a  dar  bellezze  cosi  avara. 
Con  lei  ragiona:  intanto  arde  e  martella 
di  fuor  1'amante  aspra  passione  amara; 
il  qual  non  differisce  a  mandar  prieghi 
al  cavallier,  che  dar  non  gli  la  nieghi. 

LXXXIX 

Tristano,  ancor  che  lei  molto  non  prezze, 
ne  prezzar,  fuor  ch'Isotta,  altra  potrebbe 
(ch'altra  ne  ch'ami  vuol  ne  ch'accarezze 
la  pozion  che  gia  incantata  bebbe), 
pur,  perche  vendicarsi  de  1'asprezze 
che  Clodion  gli  ha  usate  si  vorebbe: 
«Di  far  gran  torto  mi  parria»  gli  disse 
«che  tal  bellezza  del  suo  albergo  uscisse. 

xc 

E  quando  a  Clodion  dormire  incresca 
solo  alia  frasca,  e  compagnia  domandi, 
una  giovane  ho  meco  bella  e  fresca, 
non  per6  di  bellezze  cosi  grandi. 
Questa  saro  contento  che  fuor  esca, 
e  ch'ubbidisca  a  tutti  i  suoi  comandi ; 
ma  la  piu  bella  mi  par  dritto  e  giusto 
che  stia  con  quel  di  noi  ch'e  piu  robusto.  x 

xci 

Escluso  Clodione  e  malcontento, 
and6  sbuffando  tutta  notte  in  volta, 
come  s'a  quei  che  ne  I'alloggiamento 
dormiano  ad  agio,  fesse  egli  1'ascolta; 
e  molto  piu  che  del  freddo  e  del  vento, 
si  dolea  de  la  donna  che  gli  e  tolta. 
La  mattina  Tristano  a  cui  ne  'ncrebbe, 
gli  la  rende,  donde  il  dolor  fin  ebbe: 


CANTO    TRENTESIMOSECONDO  847 

XCII 

perche  gli  disse,  e  lo  fe7  chiaro  e  certo, 

che  qual  trovolla,  tal  gli  la  rendea; 

e  ben  che  degno  era  d'ogni  onta  in  merto 

de  la  discortesia  ch'usata  avea, 

pur  contentar  d'averlo  allo  scoperto 

fatto  star  tutta  notte  si  volea: 

ne  Tescusa  accetto  che  fosse  Amore 

stato  cagion  di  cosl  grave  errore; 

XCIII 

ch'Amor  de'  far  gentile  un  cor  villano, 
e  non  far  d'un  gentil  contrario  effetto. 
Partito  che  si  fu  di  qui  Tristano, 
Clodion  non  ste'  molto  a  mutar  tetto ; 
ma  prima  consegno  la  rocca  in  mano 
a  un  cavallier  che  molto  gli  era  accetto, 
con  patto  ch'egli  e  chi  da  lui  venisse 
quest'uso  in  albergar  sempre  seguisse: 

xciv 

che  sl  cavallier  ch'abbia  maggior  possanza, 
e  la  donna  belta,  sempre  ci  alloggi; 
e  chi  vinto  riman,  voti  la  stanza, 
dorma  sul  prato,  o  altrove  scenda  e  poggi. 
E  fmalmente  ci  fe'  por  1'usanza 
che  vedete  durar  fin  al  di  d'oggi.  — 
Or  mentre  il  cavallier  questo  dicea, 
lo  scalco  por  la  mensa  fatto  avea. 

xcv 

Fatto  Tavea  ne  la  gran  sala  porre, 
di  che  non  era  al  mondo  la  piu  bella; 
indi  con  torchi  accesi  venne  a  torre 
le  belle  donne,  e  le  condusse  in  quella. 
Bradamante,  alPentrar,  con  gli  occhi  scorre, 
e  similmente  fa  Faltra  donzella; 
e  tutte  piene  le  superbe  mura 
veggon  di  nobilissima  pittura. 


848  ORLANDO   FURIOSO 

XCVI 

Di  si  belle  figure  e  adorno  il  loco, 
che  per  mirarle  oblian  la  cena  quasi, 
ancor  che  ai  corpi  non  bisogni  poco, 
pel  travaglio  del  di  lassi  rimasi, 
e  lo  scalco  si  doglia  e  doglia  il  coco 
che  i  cibi  lascin  raffreddar  nei  vasi. 
Pur  fu  chi  disse :  —  Meglio  fia  che  voi 
pasciate  prima  il  ventre,  e  gli  occhi  poi.  — 

XCVII 

S'erano  assisi,  e  porre  alle  vivande 
volevano  man,  quando  il  signor  s'avide 
che  Talloggiar  due  donne  e  un  error  grande: 
Tuna  ha  da  star,  1'altra  convien  che  snide. 
Stia  la  piu  bella,  e  la  men  fuor  si  mande, 
dove  la  pioggia  bagna  e  '1  vento  stride. 
Perche  non  vi  son  giunte  amendue  a  un'ora, 
Tuna  ha  a  partire,  e  1'altra  a  far  dimora. 

XCVIII 

Chiama  duo  vecchi,  e  chiama  alcune  sue 
donne  di  casa,  a  tal  giudizio  buone; 
e  le  donzelle  mira,  e  di  lor  due 
chi  la  piu  bella  sia  fa  paragone. 
Finalmente  parer  di  tutti  fue 
ch'era  piu  bella  la  figlia  d'Amone; 
e  non  men  di  belta  1'altra  vincea, 
che  di  valore  i  guerrier  vinti  avea. 

xcix 

Alia  donna  d'Islanda,  che  non  sanza 
molta  sospizion  stava  di  questo, 
il  signor  disse:  —  Che  Servian  1'usanza, 
non  v'ha,  donna,  a  parer  se  non  onesto. 
A  voi  convien  procacciar  d'altra  stanza, 
quando  a  noi  tutti  e  chiaro  e  manifesto 
che  costei  di  bellezze  e  di  sembianti, 
ancor  ch'inculta  sia,  vi  passa  inanti.  — 


CANTO    TRENTESIMOSECONDO  849 

C 

Come  si  vede  in  un  memento  oscura 
mibe  salir  d'umida  valle  al  cielo, 
che  la  faccia  che  prima  era  si  pura 
cuopre  del  sol  con  tenebroso  velo; 
cosi  la  donna  alia  sentenzia  dura 
che  fuor  la  caccia  ove  e  la  pioggia  e  '1  gielo, 
cangiar  si  vide,  e  non  parer  piu  quella 
che  fu  pur  dianzi  si  gioconda  e  bella. 

ci 

S'impallidisce  e  tutta  cangia  in  viso, 
che  tal  sentenza  udir  poco  le  aggrada. 
Ma  Bradamante  con  un  saggio  aviso, 
che  per  pieta  non  vuol  che  se  ne  vada, 
rispose :  —  A  me  non  par  che  ben  deciso, 
ne  che  ben  giusto  alcun  giudicio  cada, 
ove  prima  non  s'oda  quanto  nieghi 
la  parte  o  affermi,  e  sue  ragioni  alleghi. 

en 

lo  ch'a  difender  questa  causa  toglio, 
dico,  o  piu  bella  o  men  ch'io  sia  di  lei, 
non  venni  come  donna  qui,  n6  voglio 
che  sian  di  donna  ora  i  progress!  mieL 
Ma  chi  dira,  se  tutta  non  mi  spoglio, 
s'io  sono  o  s'io  non  son  quel  ch'e  costei? 
E  quel  che  non  si  sa  non  si  de'  dire, 
e  tanto  men,  quando  altri  n'ha  a  patire. 

cm 

Ben  son  degli  altri  ancor  c'hanno  le  chiome 
lunghe,  com'io,  ne  donne  son  per  questo. 
Se  come  cavallier  la  stanza,  o  come 
donna  acquistata  m'abbia,  e  manifesto: 
perche  dunque  volete  darmi  nome 
di  donna,  se  di  maschio  e  ogni  mio  gesto? 
La  legge  vostra  vuol  che  ne  sian  spinte 
donne  da  donne,  e  non  da  guerrier  vinte. 


850  ORLANDO   FURIOSO 

CIV 

Poniamo  ancor  che,  come  a  voi  pur  pare, 
io  donna  sia  (che  non  pero  il  concede), 
ma  che  la  mia  belta  non  fosse  pare 
a  quella  di  costei;  non  pero  credo 
che  mi  vorreste  la  merce  levare 
di  mia  virtu,  se  ben  di  viso  io  cedo. 
Perder  per  men  belta  giusto  non  parmi 
quel  c'ho  acquistato  per  virtu  con  Farmi. 

cv 

E  quando  ancor  fosse  1'usanza  tale, 
che  chi  perde  in  belta  ne  dovesse  ire, 
io  ci  vorrei  restare,  o  bene  o  male 
che  la  mia  ostinazion  dovesse  uscire. 
Per  questo,  che  contesa  diseguale 
e  tra  me  e  quest  a  donna,  voj  inferire 
che  contendendo  di  belta  pu6  assai 
perdere,  e  meco  guadagnar  non  mai. 

cvi 

E  se  guadagni  e  perdite  non  sono 
in  tutto  pari,  ingiusto  e  ogni  partito : 
si  ch'a  lei  per  ragion,  si  ancor  per  dono 
spezial,  non  sia  Palbergo  proibito. 
E  s'alcuno  di  dir  che  non  sia  buono 
e  dritto  il  mio  giudizio  sara  ardito, 
saro  per  sostenergli  a  suo  piacere 
che  51  mio  sia  vero,  e  falso  il  suo  parere.  — 

evil 

La  figliuola  d'Amon,  mossa  a  pietade 
che  questa  gentil  donna  debba  a  torto 
esser  cacciata  ove  la  pioggia  cade, 
ove  ne  tetto,  ove  ne  pure  e  un  sporto, 
al  signor  de  Palbergo  persuade 
con  ragion  molte  e  con  parlare  accorto, 
ma  molto  piu  con  quel  ch'al  fin  concluse, 
che  resti  cheto  e  accetti  le  sue  scuse. 


CANTO   TRENTESIMOSECONDO  851 

CVIII 

Qual  sotto  ii  piu  cocente  ardore  estivo, 
quando  di  her  piu  desiosa  e  1'erba, 
il  fior  ch'era  vicino  a  restar  privo 
di  tutto  quell'umor  ch'in  vita  il  serba, 
sente  1'amata  pioggia  e  si  fa  vivo; 
cosi,  poi  che  difesa  si  superba 
si  vide  apparecchiar  la  messaggiera, 
lieta  e  bella  torno  come  prim' era. 

cix 

La  cena,  stata  lor  buon  pezzo  avante, 

ne  ancor  pur  tocca,  al  fin  godersi  in  festa, 

senza  che  piu  di  cavalliero  errante 

nuova  venuta  fosse  lor  molesta. 

La  goder  gli  altri,  ma  non  Bradamante, 

pure  all'usanza  addolorata  e  mesta; 

che  quel  timor,  che  quel  sospetto  ingiusto 

che  sempre  avea  nel  cor,  le  tollea  il  gusto. 

ex 

Finita  ch'ella  fu  (che  saria  forse 
stata  piu  lunga,  se  '1  desir  non  era 
di  cibar  gli  occhi),  Bradamante  sorse, 
e  sorse  appresso  a  lei  la  messaggiera. 
Accenn6  quel  signore  ad  un  che  corse 
e  prestamente  allum6  molta  cera, 
che  splender  fe'  la  sala  in  ogni  canto. 
Quel  che  segui  diro  ne  1'altro  canto. 


ORLANDO    FURIOSO 


CANTO   TRENTESIMOTERZO 


Timagora,  Parrasio,  Polignoto, 
Protogene,  Timante,  Apollodoro, 
Apelle,  piu  di  tutti  quest!  noto, 
e  Zeusi,  e  gli  altri  ch'a  quei  tempi  foro; 
di  quai  la  fama  (mal  grado  di  Cloto, 
che  spinse  i  corpi  e  dipoi  1'opre  loro) 
sempre  stara,  fin  che  si  legga  e  scriva, 
merce  degli  scrittori,  al  mondo  viva: 

II 

e  quei  che  furo  a*  nostri  dl,  o  sono  ora, 
Leonardo,  Andrea  Mantegna,  Gian  Bellino, 
duo  Dossi,  e  quei  ch'a  par  sculpe  e  colora, 
Michel,  piu  che  mortale,  Angel  divino; 
Bastiano,  Rafael,  Tizian,  ch'onora 
non  men  Cador  che  quei  Venezia  e  Urbino; 
e  gli  altri  di  cui  tal  Popra  si  vede, 
qual  de  la  prisca  eta  si  legge  e  crede: 

in 

questi  che  noi  veggian  pittori,  e  quelli 
che  gia  mille  e  miiranni  in  pregio  furo, 
le  cose  che  son  state,  coi  pennelli 
fatt'hanno,  altri  su  Passe,  altri  sul  muro. 
Non  per6  udiste  antiqui,  ne  novelli 
vedeste  mai  dipingere  il  futuro: 
e  pur  si  sono  istorie  anco  trovate 
che  son  dipinte  inanzi  che  sian  state. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  853 

IV 

Ma  di  saperlo  far  non  si  dia  vanto 
pittore  antico  ne  pittor  moderno; 
e  ceda  pur  quest' arte  al  solo  incanto, 
del  qual  trieman  gli  spirti  de  lo  'nferno. 
La  sala  ch'io  dicea  ne  Paltro  canto, 
Merlin  col  libro,  o  fosse  al  lago  Averno, 
o  fosse  sacro  alle  Nursine  grotte, 
fece  far  dai  demonii  in  una  notte. 


Quest 'arte,  con  che  i  nostri  antiqui  fenno 
mirande  prove,  a  nostra  etade  e  estinta. 
Ma  ritornando  ove  aspettar  mi  denno 
quei  che  la  sala  hanno  a  veder  dipinta, 
dico  ch'a  uno  scudier  fu  fatto  cenno, 
ch'accese  i  torchi;  onde  la  notte  vinta 
dal  gran  splendor  si  dilegu6  d'intorno; 
ne  piu  vi  si  vedria,  se  fosse  giorno. 

VI 

Quel  signer  disse  lor:—  VoJ  che  sappiate, 
che  de  le  guerre  che  son  qui  ritratte, 
fin  al  di  d'oggi  poche  ne  son  state; 
e  son  prima  dipinte,  che  sian  fatte. 
Chi  Tha  dipinte,  ancor  1'ha  indovinate. 
Quando  vittoria  avran,  quando  disfatte 
in  Italia  saran  le  genti  nostre, 
potrete  qui  veder  come  si  mostre. 

VII 

Le  guerre  ch'i  Franceschi  da  far  hanno 
di  la  da  1'Alpe,  o  bene  o  mal  successe, 
dal  tempo  suo  fin  al  millesim'anno, 
Merlin  prof  eta  in  questa  sala  messe; 
il  qual  mandato  fu  dal  re  britanno 
al  franco  re  ch'a  Marcomir  successe: 
e  perche  lo  mandassi,  e  perche*  fatto 
da  Merlin  fu  il  lavor,  vi  diro  a  un  tratto. 


854  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Re  Fieramonte,  che  passo  primiero 
con  Tesercito  franco  in  Gallia  il  Reno, 
poi  che  quella  occupo,  facea  pensiero 
di  porre  alia  superba  Italia  il  freno. 
Faceal  perci6,  che  piu  '1  romano  Impero 
vedea  di  giorno  in  giorno  venir  meno: 
e  per  tal  causa  col  britanno  Arturo 
volse  far  lega;  ch'ambi  a  un  tempo  furo. 

IX 

Artur  ch'impresa  ancor  senza  consiglio 
del  profeta  Merlin  non  fece  mai, 
di  Merlin,  dico,  del  demonio  figlio, 
che  del  future  antivedeva  assai, 
per  lui  seppe,  e  saper  fece  il  periglio 
a  Fieramonte,  a  che  di  molti  guai 
porra  sua  gente,  s'entra  ne  la  terra 
ch'Apenin  parte,  e  il  mare  e  PAlpe  serra. 


Merlin  gli  fe'  veder  che  quasi  tutti 

gli  altri  che  poi  di  Francia  scettro  avranno, 

o  di  ferro  gli  eserciti  distrutti, 

o  di  fame  o  di  peste  si  vedranno; 

e  che  brevi  allegrezze  e  lunghi  lutti, 

poco  guadagno  et  infinite  danno 

riporteran  dj Italia;  che  non  lice 

che  '1  Giglio  in  quel  terreno  abbia  radice. 

XI 

Re  Fieramonte  gli  prest6  tal  fede, 

ch'altrove  disegn6  volger  Tarmata; 

e  Merlin,  che  cosi  la  cosa  vede 

ch'  abbia  a  venir,  come  se  gia  sia  stata, 

avere  a'  prieghi  di  quel  re  si  crede 

la  sala  per  incanto  istoriata, 

ove  dei  Franchi  ogni  futuro  gesto, 

come  gia  stato  sia,  fa  manifesto. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  855 

XII 

Acci6  chi  poi  succedera,  comprenda 

che  come  ha  d'acquistar  vittoria  e  onore, 

qualor  d' Italia  la  difesa  prenda 

incontra  ogn'altro  barbaro  furore; 

cosi  s'awien  ch'a  danneggiarla  scenda, 

per  porle  il  giogo  e  farsene  signore, 

comprenda,  dico,  e  rendasi  ben  certo 

ch'oltre  a  quei  monti  avra  il  sepulcro  aperto.  — 

XIII 

Cosi  disse;  e  meno  le  donne  dove 
incomincian  Fistorie:  e  Singiberto 
fa  lor  veder  che  per  tesor  si  muove, 
che  gli  ha  Maurizio  imperatore  ofFerto. 
—  Ecco  che  scende  dal  monte  di  Giove 
nel  pian  da  FAmbra  e  dal  Ticino  aperto. 
Vedete  Eutar,  che  non  pur  Tha  respinto, 
ma  volto  in  fuga  e  fracassato  e  vinto. 

XIV 

Vedete  Clodoveo,  ch'a  piu  di  cento 

mila  persone  fa  passare  il  monte: 

vedete  il  duca  la  di  Benevento, 

che  con  numer  dispar  vien  loro  a  fronte. 

Ecco  finge  lasciar  Palloggiamento, 

e  pon  gli  aguati:  ecco,  con  morti  et  onte, 

al  vin  lombardo  la  gente  francesca 

corre,  e  riman  come  la  lasca  all'esca. 

xv 

Ecco  in  Italia  Childiberto  quanta 
gente  di  Francia  e  capitani  invia: 
ne  piu  che  Clodoveo  si  gloria  e  vanta 
ch'abbia  spogliata  o  vinta  Lombardia; 
che  la  spada  del  ciel  scende  con  tanta 
strage  de'  suoi,  che  n'e  piena  ogni  via, 
morti  di  caldo  e  di  profluvio  d'alvo; 
si  che  di  dieci  un  non  ne  torna  salvo.  — 


856  ORLANDO  FURIOSO 

XVI 

Mostra  Pipino,  e  mostra  Carlo  appresso, 
come  in  Italia  un  dopo  Paltro  scenda, 
e  v'abbia  questo  e  quel  lieto  successo, 
che  venuto  non  v'e  perche  Poffenda; 
ma  1'uno,  accio  il  pastor  Stefano  oppresso, 
Taltro  Adriano,  e  poi  Leon  difenda: 
Tun  doma  Aistulfo,  e  1'altro  vince  e  prende 
il  successore,  e  al  papa  il  suo  onor  rende. 

XVII 

Lor  mostra  appresso  un  giovene  Pipino, 

che  con  sua  gente  par  che  tutto  cuopra 

da  le  Fornaci  al  lito  pelestino; 

e  faccia  con  gran  spesa  e  con  lung'opra 

il  ponte  a  Malamocco,  e  che  vicino 

giunga  a  Rialto,  e  vi  combatta  sopra. 

Poi  fuggir  sembra,  e  che  i  suoi  lasci  sotto 

1'acque;  che  '1  ponte  il  vento  e  '1  mar  gli  han  rotto. 

XVIII 

—  Ecco  Luigi  Borgognon,  che  scende 
la  dove  par  che  resti  vinto  e  preso, 
e  che  giurar  gli  faccia  chi  lo  prende 
che  piu  da  1'arme  sue  non  sara  offeso. 
Ecco  che  '1  giuramento  vilipende; 
ecco  di  nuovo  cade  al  laccio  teso; 
ecco  vi  lascia  gli  occhi,  e  come  talpe 
lo  riportano  i  suoi  di  qua  da  1'Alpe. 

XIX 

Vedete  un  Ugo  d'Arli  far  gran  fatti, 
e  che  d'ltalia  caccia  i  Berengari; 
e  due  o  tre  volte  gli  ha  rotti  e  disfatti, 
or  dagli  Unni  rimessi,  or  dai  Bavari. 
Poi  da  piu  forza  e  stretto  di  far  patti 
con  1'inimico,  e  non  sta  in  vita  guari; 
ne  guari  dopo  lui  vi  sta  Ferede, 
e  '1  regno  intero  a  Berengario  cede. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  857 

XX 

Vedete  un  altro  Carlo,  che  a'  conforti 
del  buon  Pastor  fuoco  in  Italia  ha  messo; 
e  in  due  Here  battaglie  ha  duo  re  morti, 
Manfredi  prima,  e  Coradino  appresso. 
Poi  la  sua  gente,  che  con  mille  torti 
sembra  tenere  il  nuovo  regno  oppresso, 
di  qua  e  di  la  per  le  citta  divisa, 
vedete  a  un  suon  di  vespro  tutta  uccisa.  — 

XXI 

Lor  mostra  poi  (ma  vi  parea  intervallo 
di  molti  e  molti,  non  ch'anni,  ma  lustri) 
scender  dai  monti  un  capitano  Gallo, 
e  romper  guerra  ai  gran  Visconti  illustri; 
e  con  gente  francesca  a  pie  e  a  cavallo 
par  ch' Alessandria  intorno  cinga  e  lustri; 
e  che  Jl  duca  il  presidio  dentro  posto, 
e  fuor  abbia  1'aguato  un  po'  discosto; 

xxir 

e  la  gente  di  Francia  malaccorta, 
tratta  con  arte  ove  la  rete  e  tesa, 
col  conte  Armeniaco,  la  cui  scorta 
Favea  condotta  all'infelice  impresa, 
giaccia  per  tutta  la  campagna  morta, 
parte  sia  tratta  in  Alessandria  presa: 
e  di  sangue  non  men  che  d'acqua  grosso, 
il  Tanaro  si  vede  il  Po  far  rosso. 

XXIII 

Un,  detto  de  la  Marca,  e  tre  Angioini 
mostra  Tun  dopo  Paltro,  e  dice: —  Questi 
a  Bruci,  a  Dauni,  a  Marsi,  a  Salentini 
vedete  come  son  spesso  molesti. 
Ma  ne  de'  Franchi  val  ne  de'  Latini 
aiuto  si,  ch'alcun  di  lor  vi  resti: 
ecco  li  caccia  fuor  del  regno,  quante 
volte  vi  vanno,  Alfonso  e  poi  Ferrante. 


858  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Vedete  Carlo  ottavo,  die  discende 
da  1'Alpe,  e  seco  ha  il  fior  di  tutta  Francia, 
che  passa  il  Liri  e  tutto  '1  regno  prende 
senza  mai  stringer  spada  o  abbassar  lancia, 
fuor  che  lo  scoglio  ch'a  Tifeo  si  stende 
su  le  braccia,  sul  petto  e  su  la  panda; 
che  del  buon  sangue  d'Avalo  al  contrasto 
la  virtu  trova  d'Inico  del  Vasto.  — 

xxv 

II  signer  de  la  rocca,  che  venia 
quest'istoria  additando  a  Bradamante, 
mostrato  che  1'ebbe  Ischia,  disse:  —  Pria 
ch'a  vedere  altro  piu  vi  meni  avante, 

10  vi  dir6  quel  ch'a  me  dir  solia 

11  bisavolo  mio,  quand'io  era  infante, 
e  quel  che  similmente  mi  dicea 

che  da  suo  padre  udito  anch'esso  avea; 

XXVI 

e  '1  padre  suo  da  un  altro,  o  padre  o  fosse 
avolo,  e  1'un  da  F  altro  sin  a  quello 
ch'a  udirlo  da  quel  proprio  ritrovosse 
che  Timagini  fe'  senza  pennello, 
che  qui  vedete  bianche,  azzurre  e  rosse: 
udi  che,  quando  al  re  mostr6  il  castello 
ch'or  mostro  a  voi  su  quest'altiero  scoglio, 
gli  disse  quel  ch'a  voi  riferir  voglio. 

XXVII 

Udi  che  gli  dicea  ch'in  questo  loco 
di  quel  buon  cavallier  che  lo  difende 
con  tanto  ardir,  che  par  disprezzi  il  fuoco 
che  d'ogn'intorno  e  sino  al  Faro  incende, 
nascer  debbe  in  quei  tempi  o  dopo  poco 
(e  ben  gli  disse  1'anno  e  le  calende) 
un  cavalliero,  a  cui  sara  secondo 
ogn' altro  che  sin  qui  sia  stato  al  mondo. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  859 

XXVIII 

Non  fu  Nireo  si  bel,  non  si  eccellente 
di  forze  Achilla,  e  non  si  ardito  Ulisse, 
non  si  veloce  Lada,  non  prudente 
Nestor,  che  tanto  seppe  e  tanto  visse, 
non  tanto  liberal,  tanto  clemente, 
1'antica  fama  Cesare  descrisse; 
che  verso  Fuom  ch'in  Ischia  nascer  deve, 
non  abbia  ogni  lor  vanto  a  restar  lieve. 

XXIX 

E  se  si  glorio  1'antiqua  Greta, 
quando  il  nipote  in  lei  nacque  di  Celo, 
se  Tebe  fece  Ercole  e  Bacco  lieta, 
se  si  vanto  dei  duo  gemelli  Delo; 
ne  questa  isola  avra  da  starsi  cheta, 
che  non  s'esalti  e  non  si  levi  in  cielo, 
quando  nascera  in  lei  quel  gran  marchese 
ch'avra  si  d'ogni  grazia  il  ciel  cortese. 

xxx 

Merlin  gli  disse,  e  replicogli  spesso, 
ch'era  serbato  a  nascere  alPetade 
che  piu  il  romano  Imperio  saria  oppresso, 
acci6  per  lui  tornasse  in  libertade. 
Ma  perche  alcuno  de'  suoi  gesti  appresso 
vi  mostrer6,  predirli  non  accade.  — 
Cosi  disse;  e  torn6  all'istoria  dove 
di  Carlo  si  vedean  Pinclite  prove. 

XXXI 

—  Ecco  —  dicea  —  si  pente  Ludovico 
d'aver  fatto  in  Italia  venir  Carlo; 
che  sol  per  travagliar  Temulo  antico 
chiamato  ve  Tavea,  non  per  cacciarlo; 
e  se  gli  scuopre  al  ritornar  nimico 
con  Veneziani  in  lega,  e  vuol  pigliarlo. 
Ecco  la  lancia  il  re  animoso  abbassa, 
apre  la  strada,  e  lor  mal  grado  passa. 


860  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

Ma  la  sua  gente  ch'a  difesa  resta 

del  nuovo  regno,  ha  ben  contraria  sorte; 

che  Ferrante,  con  1'opra  che  gli  presta 

il  signer  mantuan,  torna  si  forte, 

ch'in  pochi  mesi  non  ne  lascia  testa, 

o  in  terra  o  in  mar,  che  non  sia  messa  a  morte: 

poi  per  un  uom  che  gli  e  con  fraude  estinto, 

non  par  che  senta  il  gaudio  d'aver  vinto.  — 

XXXIII 

Cosi  dicendo,  mostragli  il  marchese 
Alfonso  di  Pescara,  e  dice :  —  Dopo 
che  costui  comparito  in  mille  imprese 
sara  piu  risplendente  che  piropo, 
ecco  qui  ne  1'insidie  che  gli  ha  tese 
con  un  trattato  doppio  il  rio  Etiopo, 
come  scannato  di  saetta  cade 
il  miglior  cavallier  di  quella  etade. 

xxxiv 

Poi  mostra  ove  il  duodecimo  Luigi 
passa  con  scorta  italiana  i  monti, 
e  svelto  il  Moro,  pon  la  Fiordaligi 
nel  fecondo  terren  gia  de'  Visconti. 
Indi  manda  sua  gente  pei  vestigi 
di  Carlo,  a  far  sul  Garigliano  i  ponti; 
la  quale  appresso  andar  rotta  e  dispersa 
si  vede  e  morta,  e  nel  flume  summersa. 

xxxv 

Vedete  in  Puglia  non  minor  macello 
de  1'esercito  franco  in  fuga  volto; 
e  Consalvo  Ferrante  ispano  e  quello 
che  due  volte  alia  trappola  1'ha  colto. 
E  come  qui  turbato,  cosi  bello 
mostra  Fortuna  al  re  Luigi  il  volto 
nel  ricco  pian  che  fin  dove  Adria  stride 
tra  PApenino  e  FAlpe  il  Po  divide.  — 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  86l 

XXXVI 

Cosi  dicendo,  se  stesso  riprende 
che  quel  ch'avea  a  dir  prima  abbia  lasciato; 
e  torna  a  dietro,  e  mostra  uno  che  vende 
il  castel  che  '1  signor  suo  gli  avea  dato ; 
mostra  il  perfido  Svizzero  che  prende 
colui  ch'a  sua  difesa  1'ha  assoldato: 
le  quai  due  cose,  senza  abbassar  lancia, 
han  dato  la  vittoria  al  re  di  Francia. 

XXXVII 

Pol  mostra  Cesar  Borgia  col  favore 
di  questo  re  farsi  in  Italia  grande; 
ch'ogni  baron  di  Roma,  ogni  signore 
suggietto  a  lei,  par  ch'in  esilio  mande. 
Poi  mostra  il  re  che  di  Bologna  fuore 
leva  la  Sega,  e  vi  fa  entrar  le  Giande; 
poi  come  volge  i  Genovesi  in  fuga 
fatti  ribelli,  e  la  citta  suggiuga. 

XXXVIII 

—  Vedete  —  dice  poi  —  di  gente  morta 
coperta  in  Giaradada  la  campagna. 
Par  ch'apra  ogni  cittade  al  re  la  porta, 
e  che  Venezia  a  pena  vi  rimagna. 
Vedete  come  al  papa  non  comporta 
che,  passati  i  confini  di  Romagna, 
Modana  al  duca  di  Ferrara  toglia, 
ne  qui  si  fermi,  e  '1  resto  tor  gli  voglia: 

xxxix 

e  fa,  airincontro,  a  lui  Bologna  t6rre; 
che  v'entra  la  Bentivola  famiglia. 
Vedete  il  campo  dej  Francesi  porre 
a  sacco  Brescia,  poi  che  la  ripiglia; 
e  quasi  a  un  tempo  Felsina  soccorre, 
e  '1  campo  ecclesiastico  sgombiglia: 
e  1'uno  e  Taltro  poi  nei  luoghi  bassi 
par  si  riduca  del  lito  de  Chiassi. 


862  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Di  qua  la  Francia,  e  di  la  il  campo  ingrossa 
la  gente  ispana;  e  la  battaglia  e  grande. 
Cader  si  vede  e  far  la  terra  rossa 
la  gente  d'arme  in  amendua  le  bande. 
Piena  di  sangue  uman  pare  ogni  fossa: 
Marte  sta  in  dubbio  u'  la  vittoria  mande. 
Per  virtu  d'un  Alfonso  al  fin  si  vede 
che  resta  il  Franco  e  che  Tlspano  cede, 

XLI 

e  che  Ravenna  saccheggiata  resta. 
Si  morde  il  papa  per  dolor  le  labbia, 
e  fa  da'  monti,  a  guisa  di  tempesta, 
scendere  m  fretta  una  tedesca  rabbia, 
ch'ogni  Francese,  senza  mai  far  testa, 
di  qua  da  PAlpe  par  che  cacciat'abbia, 
e  che  posto  un  rampollo  abbia  del  Moro 
nel  giardino  onde  svelse  i  Gigli  d'oro. 

XLII 

Ecco  torna  il  Francese:  eccolo  rotto 
da  Tinfedele  Elvezio  ch'in  suo  aiuto 
con  trpppo  rischio  ha  il  giovine  condotto, 
del  quale  il  padre  avea  preso  e  venduto. " 
Vedete  poi  1'esercito,  che  sotto 
la  niota  di  Fortuna  era  caduto, 
creato  il  novo  re,  che  si  prepara 
de  Ponta  vendicar  ch'ebbe  a  Novara: 

XLIII 

e  con  migliore  auspizio  ecco  ritorna. 
Vedete  il  re  Francesco  inanzi  a  tutti, 
che  cosi  rompe  aj  Svizzeri  le  corna, 
che  poco  resta  a  non  gli  aver  distrutti : 
si  che  51  titolo  mai  piu  non  gli  adorna, 
ch'usurpato  s'avran  quei  villan  brutti, 
che  domator  de'  principi,  e  difesa 
si  nomeran  de  la  cristiana  Chiesa. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  863 

XLIV 

Ecco,  mal  grado  de  la  lega,  prende 
Milano,  e  accorda  il  giovene  Sforzesco. 
Ecco  Borbon  che  la  citta  difende 
pel  re  di  Francia  dal  furor  tedesco. 
Eccovi  poi  che  mentre  altrove  attende 
ad  altre  magne  imprese  il  re  Francesco, 
ne  sa  quanta  superbia  e  crudeltade 
usino  i  suoi,  gli  e  tolta  la  cittade. 

XLV 

Ecco  un  altro  Francesco  ch'assimiglia 
di  virtu  all'avo,  e  non  di  nome  solo; 
che,  fatto  uscirne  i  Galli,  si  ripiglia 
col  favor  de  la  Chiesa  il  patrio  suolo. 
Francia  anco  torna,  ma  ritien  la  briglia, 
ne  scorre  Italia,  come  suole,  a  volo; 
che  '1  bon  duca  di  Mantua  sul  Ticino 
le  chiude  il  passo,  e  le  taglia  il  camino. 

XL  VI 

Federico,  ch'ancor  non  ha  la  guancia 
de'  primi  fiori  sparsa,  si  fa  degno 
di  gloria  eterna,  ch'abbia  con  la  lancia, 
ma  piu  con  diligenzia  e  con  ingegno, 
Pavia  difesa  dal  furor  di  Francia, 
e  del  Leon  del  mar  rotto  il  disegno. 
Vedete  duo  marchesi,  ambi  terrore 
di  nostre  genti,  ambi  d' Italia  onore; 

XLVII 

ambi  d'un  sangue,  ambi  in  un  nido  nati. 
Di  quel  marchese  Alfonso  il  primo  e  figlio, 
il  qual  tratto  dal  Negro  negli  aguati, 
vedeste  il  terren  far  di  se*  vermiglio. 
Vedete  quante  volte  son  cacciati 
d' Italia  i  Franchi  pel  costui  consiglio. 
L'altro  di  si  benigno  e  lieto  aspetto 
il  Vasto  signoreggia,  e  Alfonso  e  detto. 


864  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

Questo  e  il  buon  cavallier  di  cui  dicea, 
quando  Pisola  d'Ischia  vi  mostrai, 
che  gia  profetizzando  detto  avea 
Merlino  a  Fieramonte  cose  assai: 
che  differire  a  nascere  dovea 
nel  tempo  che  d'amto  piu  che  mai 
Pafflitta  Italia,  la  Chiesa  e  PImpero 
contra  ai  barbari  insulti  avria  mistiero. 

XLIX 

Costui  dietro  al  cugin  suo  di  Pescara 
con  Pauspicio  di  Prosper  Colonnese, 
vedete  come  la  Bicocca  cara 
fa  parere  alPElvezio  e  piu  al  Francese. 
Ecco  di  nuovo  Francia  si  prepara 
di  ristaurar  le  mal  successe  imprese: 
scende  il  re  con  un  campo  in  Lombardia, 
un  altro  per  pigliar  Napoli  invia. 

L 

Ma  quella  che  di  noi  fa  come  il  vento 
d'arida  polve,  che  Paggira  in  volta, 
la  leva  fin  al  cielo,  e  in  un  momento 
a  terra  la  ricaccia,  onde  Pha  tolta; 
fa  ch'intorno  a  Pavia  crede  di  cento 
mila  persone  aver  fatto  raccolta 
il  re,  che  mira  a  quel  che  di  man  gH  esce, 
non  se  la  gente  sua  si  scema  o  cresce. 

LI 

Cosi  per  colpa  de'  ministri  avari, 
e  per  bonta  del  re  che  se  ne  fida, 
sotto  Pinsegne  si  raccoglion  rari, 
quando  la  notte  il  campo  alParme  grida, 
che  si  vede  assalir  dentro  ai  ripari 
dal  sagace  Spagnuol,  che  con  la  guida 
di  duo  del  sangue  d'Avalo  ardiria 
farsi  nel  cielo  e  ne  lo  'nferno  via. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  865 

LII 

Vedete  il  meglio  de  la  nobiltade 
di  tutta  Francia  alia  campagna  estinto. 
Vedete  quante  lance  e  quante  spade 
han  d'ogn'intorno  il  re  animoso  cinto; 
vedete  che  '1  destrier  sotto  gli  cade: 
ne  per  questo  si  rende  o  chiama  vinto, 
ben  ch'a  lui  solo  attenda,  a  lui  sol  corra 

10  stuol  nimico,  e  non  e  chi  '1  soccorra. 

LIII 

11  re  gagliardo  si  difende  a  piede, 
e  tutto  de  Fostil  sangue  si  bagna: 
ma  virtu  al  fine  a  troppa  forza  cede. 
Ecco  il  re  preso,  et  eccolo  in  Ispagna; 
et  a  quel  di  Pescara  dar  si  vede, 

et  a  chi  mai  da  lui  non  si  scompagna, 

a  quel  del  Vasto,  le  prime  corone 

del  campo  rotto  e  del  gran  re  prigione. 

LIV 

Rotto  a  Pavia  Tun  campo,  1'altro  ch'era, 
per  dar  travaglio  a  Napoli,  in  camino, 
restar  si  vede  come,  se  la  cera 
gli  manca  o  Toglio,  resta  il  lumicino. 
Ecco  che  '1  re  ne  la  prigione  ibera 
lascia  i  figliuoli,  e  torna  al  suo  domino: 
ecco  fa  a  un  tempo  egli  in  Italia  guerra; 
ecco  altri  la  fa  a  lui  ne  la  sua  terra. 

LV 

Vedete  gli  omicidii  e  le  rapine 
in  ogni  parte  far  Roma  dolente; 
e  con  incendi  e  stupri  le  divine 
e  le  profane  cose  ire  ugualmente. 
II  campo  de  la  lega  le  mine 
mira  d'appresso,  e  '1  pianto  e  '1  grido  sente; 
e  dove  ir  dovria  inanzi,  torna  indietro, 
e  prender  lascia  il  successor  di  Pietro. 


866  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Manda  Lotrecco  il  re  con  nuove  squadre, 
non  piu  per  fare  in  Lombardia  1'impresa, 
ma  per  levar  de  le  mani  empie  e  ladre 
il  capo  e  1'altre  membra  de  la  Chiesa; 
che  tarda  si,  che  trova  al  Santo  Padre 
non  esser  piu  la  liberta  contesa. 
Assedia  la  cittade  ove  sepolta 
e  la  sirena,  e  tutto  il  regno  volta. 

LVII 

Ecco  1'armata  imperial  si  scioglie 
per  dar  soccorso  alia  citta  assediata; 
et  ecco  il  Doria  che  la  via  le  toglie, 
e  1'ha  nel  mar  sommersa,  arsa  e  spezzata. 
Ecco  Fortuna  come  cangia  voglie, 
sin  qui  a5  Francesi  si  propizia  stata; 
che  di  febbre  gli  uccide,  e  non  di  lancia, 
si  che  di  mille  un  non  ne  torna  in  Francia. 

LVIII 

La  sala  queste  et  altre  istorie  molte, 
che  tutte  saria  lungo  riferire, 
in  varii  e  bei  colori  avea  raccolte; 
ch'era  ben  tal  che  le  potea  capire. 
Tornano  a  rivederle  due  e  tre  volte, 
ne  par  che  se  ne  sappiano  partire; 
e  rilegon  piu  volte  quel  ch'in  oro 
si  vedea  scritto  sotto  il  bel  lavoro. 

LIX 

Le  belle  donne  e  gli  altri  quivi  stati 
mirando  e  ragionando  insieme  un  pezzo, 
fur  dal  signore  a  riposar  menati, 
ch'onorar  gli  osti  suoi  molt 'era  avezzo. 
Gia  sendo  tutti  gli  altri  addormentati, 
Bradamante  a  corcar  si  va  da  sezzo, 
e  si  volta  or  su  questo  or  su  quel  fianco, 
ne  puo  dormir  sul  destro  ne  sul  manco. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  867 

LX 

Pur  chiude  alquanto  appresso  air  alba  i  lumi, 
e  di  veder  le  pare  il  suo  Ruggiero, 
il  qual  le  dica:  —  Perche  ti  consumi, 
dando  credenza  a  quel  che  non  e  vero? 
Tu  vedrai  prima  all'erta  andare  i  fiumi, 
ch'ad  altri  mai  ch'a  te  volga  il  pensiero. 
S'io  non  amassi  te,  n6  il  cor  potrei 
ne  le  pupille  amar  degli  occhi  miei.  — 

LXI 

E  par  che  le  suggiunga:  —  lo  son  venuto 
per  battezzarmi  e  far  quanto  ho  promesso; 
e  s'io  son  stato  tardi,  m'ha  tenuto 
altra  ferita  che  d'amore  oppresso.  — 
Fuggesi  in  questo  il  sonno,  ne  veduto 
e  piu  Ruggier  che  se  ne  va  con  esso. 
Rinuova  allora  i  pianti  la  donzella, 
e  ne  la  mente  sua  cosi  favella: 

LXII 

«Fu  quel  che  piacque,  un  falso  sogno;  e  questo 
che  mi  tormenta,  ahi  lassa!  e  un  veggiar  vero. 
II  ben  fu  sogno  a  dileguarsi  presto, 
ma  non  e  sogno  il  martire  aspro  e  fiero. 
Perch'or  non  ode  e  vede  il  senso  desto 
quel  ch'udire  e  veder  parve  al  pensiero  ? 
A  che  condizione,  occhi  miei,  sete, 
che  chiusi  il  ben,  e  aperti  il  mal  vedete  ? 

LXIII 

II  dolce  sonno  mi  promise  pace, 
ma  Tamaro  veggiar  mi  torna  in  guerra: 
il  dolce  sonno  e  ben  stato  fallace, 
ma  Tamaro  veggiare,  ohime!  non  erra. 
Se  '1  vero  annoia,  e  il  falso  si  mi  piace, 
non  oda  o  vegga  mai  piu  vero  in  terra: 
se  '1  dormir  mi  da  gaudio,  e  il  veggiar  guai, 
possa  io  dormir  senza  destarmi  mai. 


868  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

0  felice  animal  ch'un  sonno  forte 
sei  mesi  tien  senza  mai  gli  occhi  aprire! 
Che  s'assimigli  tal  sonno  alia  morte, 
tal  veggiare  alia  vita,  io  non  vo'  dire; 
ch'a  tutt'altre  contraria  la  mia  sorte 
sente  morte  a  veggiar,  vita  a  dormire : 
ma  s'a  tal  sonno  morte  s'assimiglia, 
deh,  Morte,  or  ora  chiudimi  le  ciglia!» 

LXV 

De  Porizzonte  il  sol  fatto  avea  rosse 
Testreme  parti,  e  dileguato  intorno 
s'eran  le  nubi,  e  non  parea  che  fosse 
simile  all'altro  il  cominciato  giorno; 
quando  svegliata  Bradamante  armosse 
per  fare  a  tempo  al  suo  camin  ritorno, 
rendute  avendo  grazie  a  quel  signore 
del  buono  alb  ergo  e  de  Favuto  onore. 

LXVI 

E  trove-  che  la  donna  rnessaggiera, 
con  damigelle  sue,  con  suoi  scudieri 
uscita  de  la  r6cca,  venut'era 
la  dove  1'attendean  quei  tre  guerrieri; 
quei  che  con  Tasta  d'oro  essa  la  sera 
fatto  avea  riversar  giu  dei  destrieri, 
e  che  patito  avean  con  gran  disagio 
la  notte  Tacqua  e  il  vento  e  il  ciel  malvagio. 

LXVII 

Arroge  a  tanto  mal  ch'a  corpo  v6to 
et  essi  e  i  lor  cavalli  eran  rimasi, 
battendo  i  denti  e  calpestando  il  loto: 
ma  quasi  lor  piu  incresce,  e  senza  quasi 
incresce  e  preme  piu,  che  fara  noto 
la  messaggiera,  appresso  agli  altri  casi, 
alia  sua  donna  che  la  prima  lancia 
gli  abbia  abbattuti  c'han  trovata  in  Francia. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  869 

LXVIII 

E  presti  o  di  morire,  o  di  vendetta 
subito  far  del  ricevuto  oltraggio, 
accio  la  messaggiera,  che  fu  detta 
Ullania,  che  nomata  piu  non  aggio, 
la  mala  opinion  ch'avea  concetta 
forse  di  lor,  si  tolga  del  coraggio, 
la  figliuola  d'Amon  sfidano  a  giostra, 
tosto  che  fuor  del  ponte  ella  si  mostra; 

LXIX 

non  pensando  per6  che  sia  donzella, 
che  nessun  gesto  di  donzella  avea. 
Bradamante  ricusa,  come  quella 
ch'in  fretta  gia,  ne  soggiornar  volea. 
Pur  tanto  e  tanto  fur  molesti,  ch'ella, 
che  negar  senza  biasmo  non  potea, 
abbass6  1'asta,  et  a  tre  colpi  in  terra 
li  mando  tutti;  e  qui  fini  la  guerra: 

LXX 

che  senza  piu  voltarsi  mostr6  loro 
lontan  le  spalle,  e  dileguossi  tosto. 
Quei  che  per  guadagnar  lo  scudo  d'oro 
di  paese  venian  tanto  discosto, 
poi  che  senza  parlar  ritti  si  foro, 
che  ben  Tavean  con  ogni  ardir  deposto, 
stupefatti  parean  di  maraviglia, 
ne  verso  Ullania  ardian  d'alzar  le  ciglia; 

LXXI 

che  con  lei  molte  volte  per  carnino 
dato  s'avean  troppo  orgogliosi  vanti: 
che  non  e  cavallier  ne  paladino 
ch'al  minor  di  lor  tre  durasse  avanti. 
La  donna,  perche  ancor  piu  a  capo  chino 
vadano,  e  piu  non  sian  cosi  arroganti, 
fa  lor  saper  che  fu  femina  quella, 
non  paladin,  che  li  levo  di  sella. 


870  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

—  Or  che  dovete,  —  diceva  ella  —  quando 
cosi  v'abbia  una  femina  abbattuti, 
pensar  che  sia  Rinaldo  o  che  sia  Orlando, 
non  senza  causa  in  tant'onore  avuti? 
S'un  d'essi  avra  lo  scudo,  io  vi  domando 
se  migliori  di  quel  che  siate  suti 
contra  una  donna,  contra  lor  sarete  ? 
Nol  credo  io  gia,  ne  voi  forse  il  credete. 

LXXIII 

Questo  vi  pub  bastar;  ne  vi  bisogna 
del  valor  vostro  aver  piu  chiara  prova: 
e  quel  di  voi  che  temerario  aggogna 
far  di  se  in  Francia  esperienzia  nuova, 
cerca  giungere  il  danno  alia  vergogna 
in  che  ieri  et  oggi  s'e  trovato  e  trova; 
se  forse  egli  non  stima  utile  e  onore, 
qualor  per  man  di  tai  guerrier  si  muore.  — 

LXXIV 

Poi  che  ben  certi  i  cavallieri  fece, 
Ullania,  che  quell' era  una  donzella, 
la  qual  fatto  avea  nera  piu  che  pece 
la  fama  lor,  ch'esser  solea  si  bella; 
e  dove  una  bastava,  piu  di  diece 
persone  il  detto  confermar  di  quella; 
essi  fur  per  voltar  1'arme  in  se  stessi, 
da  tal  dolor,  da  tanta  rabbia  oppressi. 

LXXV 

E  da  lo  sdegno  e  da  la  furia  spinti, 
Tarme  si  spoglian,  quante  n'hanno  indosso; 
ne  si  lascian  la  spada  onde  eran  cinti, 
e  del  castel  la  gittano  nel  fosso : 
e  giuran,  poi  che  gli  ha  una  donna  vinti, 
e  fatto  sul  terren  battere  il  dosso, 
che  per  purgar  si  grave  error  saranno 
senza  mai  vestir  Parme  intero  un  anno : 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  871 

LXXVI 

e  che  n'andranno  a  pie  pur  tuttavia, 

0  sia  la  strada  piana,  o  scenda  e  saglia; 
ne,  poi  che  1'anno  anco  finite  sia, 
saran  per  cavalcare  o  vestir  maglia, 
s'altr'arme,  altro  destrier  da  lor  non  fia 
guadagnato  per  forza  di  battaglia. 
Cosi  senz'arme,  per  punir  lor  fallo, 
essi  a  pie  se  n'andar,  gli  altri  a  cavallo. 

LXXVII 

Bradamante  la  sera  ad  un  castello 
ch'alla  via  di  Parigi  si  ritrova, 
di  Carlo  e  di  Rinaldo  suo  fratello, 
ch'avean  rotto  Agramante,  udi  la  nuova. 
Quivi  ebbe  buona  rnensa  e  buono  ostello: 
ma  questo  et  ogn' altro  agio  poco  giova; 
che  poco  mangia  e  poco  dorme,  e  poco, 
non  che  posar,  ma  ritrovar  pu6  loco. 

LXXVIII 

Non  per6  di  costei  voglio  dir  tanto, 
ch'io  non  ritorni  a  quei  duo  cavallieri 
che  d'accordo  legato  aveano  a  canto 
la  solitaria  fonte  i  duo  destrieri. 
La  pugna  lor,  di  che  vo7  dirvi  alquanto, 
non  e  per  acquistar  terre  ne  imperi, 
ma  perche  Durindana  il  piu  gagliardo 
abbia  ad  avere,  e  a  cavalcar  Baiardo. 

LXXIX 

Senza  che  tromba  o  segno  altro  accennasse 
quando  a  muover  s'avean,  senza  maestro 
che  lo  schermo  e  '1  ferir  lor  ricordasse, 
e  lor  pungesse  il  cor  d'animoso  estro, 
Puno  e  Taltro  d'accordo  il  ferro  trasse, 
e  si  venne  a  trovare  agile  e  destro. 

1  spessi  e  gravi  colpi  a  farsi  udire 
incominciaro,  et  a  scaldarsi  Fire. 


872  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

Due  spade  altre  non  so  per  prova  elette 
ad  esser  ferine  e  solide  e  ben  dure, 
ch'a  tre  colpi  di  quei  si  fosser  rette, 
ch'erano  fuor  di  tutte  le  misure: 
ma  quelle  fur  di  tempre  si  perfette, 
per  tante  esperienzie  si  sicure, 
che  ben  poteano  insieme  riscontrarsi 
con  mille  colpi  e  piu,  senza  spezzarsi. 

LXXXI 

Or  qua  Rinaldo  or  la  mutando  il  passo, 
con  gran  destrezza  e  molta  industria  et  arte 
fuggia  di  Durindana  il  gran  fracasso, 
che  sa  ben  come  spezza  il  ferro  e  parte. 
Feria  maggior  percosse  il  re  Gradasso ; 
ma  quasi  tutte  al  vento  erano  sparte: 
se  coglieva  talor,  coglieva  in  loco 
ove  potea  gravare  e  miocer  poco. 

LXXXII 

L'altro  con  piu  ragion  sua  spada  inchina, 
e  fa  spesso  al  pagan  stordir  le  braccia; 
e  quando  ai  fianchi  e  quando  ove  confina 
la  corazza  con  1'elmo,  gli  la  caccia: 
ma  trova  I'armatura  adamantina, 
si  ch'una  maglia  non  ne  rompe  o  straccia. 
Se  dura  e  forte  la  ritrova  tanto, 
awien  perch'ella  6  fatta  per  incanto. 

LXXXIII 

Senza  prender  riposo  erano  stati 
gran  pezzo  tanto  alia  battaglia  fisi, 
che  volti  gli  occhi  in  nessun  mai  de*  lati 
aveano,  fuor  che  nei  turbati  visi ; 
quando  da  un'altra  zuffa  distornati, 
e  da  tanto  furor  furon  divisi. 
Ambi  voltaro  a  un  gran  strepito  il  ciglio, 
e  videro  Baiardo  in  gran  periglio. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  873 

LXXXIV 

Vider  Baiardo  a  zuffa  con  un  mostro 
ch'era  phi  di  lui  grande,  et  era  augello: 
avea  piu  lungo  di  tre  braccia  il  rostro; 
Taltre  fattezze  avea  di  vipistrello; 
avea  la  piuma  negra  come  inchiostro; 
avea  1'artiglio  grande,  acuto  e  fello; 
occhi  di  fuoco,  e  sguardo  avea  crudele; 
Tale  avea  grandi,  che  parean  due  vele. 

LXXXV 

Forse  era  vero  augel,  ma  non  so  dove 
o  quando  un  altro  ne  sia  stato  tale. 
Non  ho  veduto  mai,  ne  letto  altrove, 
fuor  ch'in  Turpin,  d'un  si  fatto  animale. 
Questo  rispetto  a  credere  mi  muove 
che  F  augel  fosse  un  diavolo  infernale 
che  Malagigi  in  quella  forma  trasse, 
accio  che  la  battaglia  disturbasse. 

LXXXVI 

Rinaldo  il  credette  anco,  e  gran  parole 
e  sconcie  poi  con  Malagigi  n'ebbe. 
Egli  gia  confessar  non  glielo  vuole; 
e  perche  tor  di  colpa  si  vorrebbe, 
giura  pel  lume  che  da  lume  al  sole, 
che  di  questo  imputato  esser  non  debbe. 
Fosse  augello  o  demonio,  il  mostro  scese 
sopra  Baiardo,  e  con  1'artiglio  il  prese. 

LXXXVII 

Le  redine  il  destrier  ch'era  possente 
subito  rompe,  e  con  sdegno  e  con  ira 
contra  Taugello  i  calci  adopra  e  '1  dente; 
ma  quel  veloce  in  aria  si  ritira: 
indi  ritorna,  e  con  Tugna  pungente 
lo  va  battendo,  e  d'ogn'intorno  aggira. 
Baiardo  offeso,  e  che  non  ha  ragione 
di  schermo  alcun,  ratto  a  fuggir  si  pone. 


874  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

Fugge  Baiardo  alia  vicina  selva, 
e  va  cercando  le  piu  spesse  fronde. 
Segue  di  sopra  la  pennuta  belva 
con  gli  occhi  fisi  ove  la  via  seconde; 
ma  pure  il  buon  destrier  tanto  s'inselva, 
ch'al  fin  sotto  una  grotta  si  nasconde. 
Poi  che  1'alato  ne  perde  la  traccia, 
ritorna  in  cielo,  e  cerca  nuova  caccia. 

LXXXIX 

Rinaldo  e  51  re  Gradasso,  che  partire 
veggono  la  cagion  de  la  lor  pugna, 
rest  an  d'accordo  quella  differire 
fin  che  Baiardo  salvino  da  1'ugna 
che  per  la  scura  selva  il  fa  fuggire; 
con  patto  che  qual  d'essi  lo  raggiugna, 
a  quella  fonte  lo  restituisca 
ove  la  lite  lor  poi  si  finisca. 

xc 

Seguendo  si  partir  da  la  font  ana 
1'erbe  novellamente  in  terra  peste. 
Molto  da  lor  Baiardo  s'allontana, 
ch'ebbon  le  piante  in  seguir  lui  mal  preste. 
Gradasso,  che  non  lungi  avea  1'alfana, 
sopra  vi  salse,  e  per  quelle  foreste 
molto  lontano  il  paladin  lasciosse, 
tristo  e  peggio  contento  che  mai  fosse. 

xci 

Rinaldo  perde  Tonne  in  pochi  passi 
del  suo  destrier,  che  fe'  strano  viaggio; 
ch'and6  rivi  cercando,  arbori  e  sassi, 
il  piu  spinoso  luogo,  il  piu  selvaggio, 
acci6  che  da  quella  ugna  si  celassi, 
che  cadendo  dal  ciel  gli  facea  oltraggio. 
Rinaldo,  dopo  la  fatica  vana, 
ritorno  ad  aspettarlo  alia  fontana, 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  875 

XCII 

se  da  Gradasso  vi  fosse  condutto, 
si  come  tra  lor  dianzi  si  convenne. 
Ma  poi  che  far  si  vide  poco  frutto, 
dolente  e  a  piedi  in  campo  se  ne  venne. 
Or  torniamo  a  quell'altro,  al  quale  in  tutto 
diverso  da  Rinaldo  il  caso  awenne. 
Non  per  ragion,  ma  per  suo  gran  destino 
senti  anitrire  il  buon  destrier  vicino; 

XCIII 

e  lo  trov6  ne  la  spelonca  cava, 
da  1'avuta  paura  anco  si  oppresso, 
ch'uscire  allo  scoperto  non  osava: 
perci6  Fha  in  suo  potere  il  pagan  messo. 
Ben  de  la  convenzion  si  raccordava, 
ch'alla  fonte  tornar  dovea  con  esso; 
ma  non  e  piu  disposto  d'osservarla, 
e  cosi  in  mente  sua  tacito  parla: 

xciv 

(cAbbial  chi  aver  lo  vuol  con  lite  e  guerra: 
io  d/averlo  con  pace  piu  disio. 
Da  Tuno  alPaltro  capo  de  la  terra 
gia  venni,  e  sol  per  far  Baiardo  mio. 
Or  ch'io  Tho  in  mano,  ben  vaneggia  et  erra 
chi  crede  che  depor  lo  volesse  io. 
Se  Rinaldo  lo  vuol,  non  disconviene, 
come  io  gia  in  Francia,  or  s'egli  in  India  viene. 

xcv 

Non  men  sicura  a  lui  fia  Sericana, 
che  gia  due  volte  Francia  a  me  sia  stata. » 
Cosi  dicendo,  per  la  via  piu  piana 
ne  venne  in  Arli,  e  vi  trov6  Tarmata; 
e  quindi  con  Baiardo  e  Durindana 
si  parti  sopra  una  galea  spalmata. 
Ma  questo  a  un'altra  volta;  ch'or  Gradasso, 
Rinaldo  e  tutta  Francia  a  dietro  lasso. 


876  ORLANDO   FURIOSO 

XCVI 

Voglio  Astolfo  seguir,  ch'a  sella  e  a  morso, 
a  uso  facea  andar  di  palafreno 
Tippogrifo  per  1'aria  a  si  gran  corso, 
che  Paquila  e  il  falcon  vola  assai  meno. 
Poi  che  de'  GalU  ebbe  il  paese  scorso 
da  tin  mare  a  1'altro  e  da  Pirene  al  Reno, 
torn6  verso  ponente  alia  montagna 
che  separa  la  Francia  da  la  Spagna. 

xcvn 

Passo  in  Navarra,  et  indi  in  Aragona, 
lasciando  a  chi  Jl  vedea  gran  maraviglia. 
Rest6  lungi  a  sinistra  Taracona, 
Biscaglia  a  destra,  et  arriv6  in  Castiglia. 
Vide  Gallizia  e  1  regno  d'Ulisbona, 
poi  volse  il  corso  a  Cordova  e  Siviglia; 
ne  Iasci6  presso  al  mar  n6  fra  campagna 
citta,  che  non  vedesse  tutta  Spagna. 

XCVIII 

Vide  le  Gade  e  la  meta  che  pose 
ai  primi  naviganti  Ercole  invitto. 
Per  PAfrica  vagar  poi  si  dispose 
dal  mar  d'Atlante  ai  termini  d'Egitto. 
Vide  le  Baleariche  famose, 
e  vide  Eviza  appresso  al  camin  dritto. 
Poi  volse  il  freno,  e  torn6  verso  Arzilla 
sopra  '1  mar  che  da  Spagna  dipartilla. 

xcix 

Vide  Marocco,  Feza,  Orano,  Ippona, 
Algier,  Buzea,  tutte  citta  superbe, 
c'hanno  d'altre  citta  tutte  corona, 
corona  d'oro,  e  non  di  fronde  o  d'erbe. 
Verso  Biserta  e  Tunigi  poi  sprona: 
vide  Capisse  e  1'isola  d'Alzerbe 
e  Tripoli  e  Bernicche  e  Tolomitta, 
sin  dove  il  Nilo  in  Asia  si  tragitta. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  877 

C 

Tra  la  marina  e  la  silvosa  schena 

del  fiero  Atlanta  vide  ogni  contrada. 

Poi  die  le  spalle  ai  monti  di  Carena, 

e  sopra  i  Cirenei  prese  la  strada; 

e  traversando  i  campi  de  T arena, 

venne  a'  confin  di  Nubia  in  Albaiada. 

Rimase  dietro  il  cimiter  di  Batto 

e  '1  gran  tempio  d'Amon,  ch'oggi  e  disfatto. 

ci 

Indi  giunse  ad  un'altra  Tremisenne, 
che  di  Maumetto  pur  segue  lo  stilo. 
Poi  volse  agli  altri  Etiopi  le  penne, 
che  contra  questi  son  di  la  dal  Nilo. 
Alia  citta  di  Nubia  il  camin  tenne 
tra  Dobada  e  Coalle  in  aria  a  filo. 
Questi  cristiani  son,  quei  saracini; 
e  stan  con  Tarrne  in  man  sempre  a'  confmi. 

en 

Senapo  imperator  de  la  Etiopia, 
ch'in  loco  tien  di  scettro  in  man  la  croce, 
di  gente,  di  cittadi  e  d'oro  ha  copia 
quindi  fin  la  dove  il  mar  Rosso  ha  foce; 
e  serva  quasi  nostra  fede  propia, 
che  pu6  salvarlo  da  Tesilio  atroce. 
Gli  e,  s'io  non  piglio  errore,  in  questo  loco 
ove  al  battesmo  loro  usano  il  fuoco. 

cm 

Dismont6  il  duca  Astolfo  alia  gran  corte 
dentro  di  Nubia,  e  visito  il  Senapo. 
II  castello  e  piu  ricco  assai  che  forte, 
ove  dimora  d'Etiopia  il  capo. 
Le  catene  dei  ponti  e  de  le  porte, 
gangheri  e  chiavistei  da  piedi  a  capo, 
e  finalmente  tutto  quel  lavoro 
che  noi  di  ferro  usiamo,  ivi  usan  d'oro. 


878  ORLANDO   FURIOSO 

CIV 

Ancor  che  del  finissimo  metallo 

vi  sia  tale  abondanza,  e  pur  in  pregio. 

Colonnate  di  limpido  cristallo 

son  le  gran  loggie  del  palazzo  regio. 

Fan  rosso,  bianco,  verde,  azzurro  e  giallo 

sotto  i  bei  palchi  un  relucente  fregio, 

divisi  tra  proporzionati  spazii, 

rubin,  smeraldi,  zafiri  e  topazii. 

cv 

In  mura,  in  tetti,  in  pavimenti  sparte 
eran  le  perle,  eran  le  ricche  gemme. 
Quivi  il  balsamo  nasce;  e  poca  parte 
n'ebbe  appo  questi  mai  lerusalemme. 
II  muschio  ch'a  noi  vien,  quindi  si  parte; 
quindi  vien  1'ambra,  e  cerca  altre  maremme: 
vengon  le  cose  in  somma  da  quel  canto 
che  nei  paesi  nostri  vaglion  tanto. 

cvi 

Si  dice  che  '1  soldan,  re  de  1'Egitto, 
a  quel  re  da  tribute  e  sta  suggetto, 
perch'e  in  poter  di  lui  dal  camin  dritto 
levare  il  Nilo,  e  dargli  altro  ricetto, 
e  per  questo  lasciar  subito  afflitto 
di  fame  il  Cairo  e  tutto  quel  distretto. 
Senapo  detto  e  dai  sudditi  suoi; 
gli  dician  Presto  o  Preteianni  noi. 

cvn 

Di  quanti  re  mai  d'Etiopia  foro, 
il  piu  ricco  fu  questi  e  il  piu  possente; 
ma  con  tutta  sua  possa  e  suo  tesoro, 
gli  occhi  perduti  avea  miseramente. 
E  questo  era  il  minor  d'ogni  martoro: 
molto  era  piu  noioso  e  piu  spiacente 
che,  quantunque  ricchissimo  si  chiame, 
cruciato  era  da  perpetua  fame. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  879 

CVIII 

Se  per  mangiare  o  her  quello  infelice 
venia  cacciato  dal  bisogno  grande, 
tosto  apparia  Tinfernal  schiera  ultrice, 
le  monstruose  arpie  brutte  e  nefande, 
che  col  griffo  e  con  1'ugna  predatrice 
spargeano  i  vasi,  e  rapian  le  vivande; 
e  quel  che  non  capia  lor  ventre  ingordo, 
vi  rimanea  contaminato  e  lordo. 

cix 

E  questo,  perch'essendo  d'anni  acerbo, 
e  vistosi  levato  in  tanto  onore, 
che  oltre  alle  ricchezze  di  piu  nerbo 
era  di  tutti  gli  altri,  e  di  piu  core; 
divenne  come  Lucifer  superbo, 
e  pens6  muover  guerra  al  suo  Fattore. 
Con  la  sua  gente  la  via  prese  al  dritto 
al  monte  onde  esce  il  gran  flume  d'Egitto. 

ex 

Inteso  avea  che  su  quel  monte  alpestre, 
ch' oltre  alle  nubi  e  presso  al  del  si  leva, 
era  quel  paradiso  che  terrestre 
si  dice,  ove  abit6  gia  Adamo  et  Eva. 
Con  camelli,  elefanti,  e  con  pedestre 
esercito,  orgoglioso  si  moveva 
con  gran  desir,  se  v'abitava  gente, 
di  farla  alle  sue  leggi  ubbidiente. 

CXI 

Dio  gli  ripresse  il  temerario  ardire, 
e  mand6  1' angel  suo  tra  quelle  frotte, 
che  centomila  ne  fece  morire, 
e  condann6  lui  di  perpetua  notte. 
Alia  sua  mensa  poi  fece  venire 
Torrendo  mostro  da  1'infernal  grotte, 
che  gli  rapisce  e  contamina  i  cibi, 
ne  lascia  che  ne  gusti  o  ne  delibL 


880  ORLANDO    FURIOSO 

CXII 

Et  in  desperazion  continua  il  messe 
uno  che  gia  gli  avea  profetizzato 
che  le  sue  mense  non  sariano  oppresse 
da  la  rapina  e  da  1'odore  ingrato, 
quando  venir  per  1'aria  si  vedesse 
un  cavallier  sopra  un  cavallo  alato. 
Perche  dunque  impossibil  parea  questo, 
privo  d'ogni  speranza  vivea  mesto. 

CXIII 

Or  che  con  gran  stupor  vede  la  gente 
sopra  ogni  muro  e  sopra  ogn'alta  torre 
entrare  il  cavalliero,  immantinente 
e  chi  a  narrarlo  al  re  di  Nubia  corre, 
a  cui  la  profezia  ritorna  a  mente; 
et  obliando  per  letizia  torre 
la  fedel  verga,  con  le  mani  inante 
vien  brancolando  al  cavallier  volante. 

CXIV 

Astolfo  ne  la  piazza  del  castello 

con  spaziose  ruote  in  terra  scese. 

Poi  che  fu  il  re  condotto  inanzi  a  quello, 

inginochiossi,  e  le  man  giunte  stese, 

e  disse:  —  Angel  di  Dio,  Messia  novello, 

s'io  non  merto  perdono  a  tante  offese, 

mira  che  proprio  e  a  noi  peccar  so  vent  e, 

a  voi  perdonar  sempre  a  chi  si  pente. 

cxv 

Del  mio  error  consapevole,  non  chieggio 
ne  chiederti  ardirei  gli  antiqui  lumi. 
Che  tu  lo  possa  far,  ben  creder  deggio, 
che  sei  de'  cari  a  Dio  beati  numi. 
Ti  basti  il  gran  martir  ch'io  non  ci  veggio, 
senza  ch'ognior  la  fame  mi  consumi: 
almen  discaccia  le  fetide  arpie, 
che  non  rapiscan  le  vivande  mie. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  88l 

CXVI 

E  di  marmore  un  tempio  ti  prometto 
edificar  de  1'alta  regia  mia, 
che  tutte  d'oro  abbia  le  porte  e  '1  tetto, 
e  dentro  e  fuor  di  gemme  ornato  sia; 
e  dal  tuo  santo  nome  sara  detto, 
e  del  miracol  tuo  scolpito  fia.  — 
Cosi  dicea  quel  re  che  nulla  vede, 
cercando  invan  baciare  al  duca  il  piede. 

cxvn 

Rispose  Astolfo:—  Ne  Pangel  di  Dio, 
ne  son  Messia  novel,  ne  dal  ciel  vegno; 
ma  son  mortale  e  peccatore  anch'io, 
di  tanta  grazia  a  me  concessa  indegno. 

10  faro  ogn'opra  acci6  che  '1  mostro  rio, 
per  morte  o  fuga,  io  ti  levi  del  regno. 
S'io  il  fo,  me  non,  ma  Dio  ne  loda  solo, 
che  per  tuo  aiuto  qui  mi  drizz6  il  volo. 

CXVIII 

Fa  questi  voti  a  Dio,  debiti  a  lui; 
a  lui  le  chiese  edifica  e  gli  altari.  — 
Cosi  parlando,  andavano  ambidui 
verso  il  castello  fra  i  baron  preclari. 

11  re  commanda  ai  servitori  sui 
che  subito  il  convito  si  prepari, 
sperando  che  non  debba  essergli  tolta 
la  vivanda  di  mano  a  questa  volta. 

cxix 

Dentro  una  ricca  sala  immantinente 
apparecchiossi  il  convito  solenne. 
Col  Senapo  s'assise  solamente 
il  duca  Astolfo,  e  la  vivanda  venne. 
Ecco  per  1'aria  lo  stridor  si  sente, 
percossa  intorno  da  1'orribil  penne; 
ecco  venir  Tarpie  brutte  e  nefande, 
tratte  dal  cielo  a  odor  de  le  vivande. 


882  ORLANDO    FURIOSO 

CXX 

Erano  sette  in  una  schiera,  e  tutte 
volto  di  donne  avean,  pallide  e  smorte, 
per  lunga  fame  attenuate  e  asciutte, 
orribili  a  veder  pm  che  la  morte. 
L'alaccie  grand!  avean,  deformi  e  brutte; 
le  man  rapaci,  e  1'ugne  incurve  e  torte; 
grande  e  fetido  il  ventre,  e  lunga  coda, 
come  di  serpe  che  s'aggira  e  snoda. 

cxxi 

Si  sentono  venir  per  1'aria,  e  quasi 
si  veggon  tutte  a  un  tempo  in  su  la  mensa 
rapire  i  cibi  e  riversare  i  vasi: 
e  molta  feccia  il  ventre  lor  dispensa, 
tal  che  gli  e  forza  d'atturare  i  nasi; 
che  non  si  pu6  patir  la  puzza  immensa. 
Astolfo,  come  Pira  lo  sospinge, 
contra  gli  ingordi  augelli  il  ferro  stringe. 

cxxn 

Uno  sul  collo,  un  altro  su  la  groppa 
percuote,  e  chi  nel  petto,  e  chi  ne  1'ala; 
ma  come  fera  in  su  5n  sacco  di  stoppa, 
poi  langue  il  colpo,  e  senza  effetto  cala: 
e  quei  non  vi  lasciar  piatto  ne  coppa 
che  fosse  intatta,  ne  sgombrar  la  sala, 
prima  che  le  rapine  e  il  fiero  pasto 
contaminato  il  tutto  avesse  e  guasto. 

CXXIII 

Avuto  avea  quel  re  ferma  speranza 
nel  duca,  che  Farpie  gli  discacciassi ; 
et  or  che  nulla  ove  sperar  gli  avanza, 
sospira  e  geme,  e  disperato  stassi. 
Viene  al  duca  del  corno  rimembranza, 
che  suole  aitarlo  ai  perigliosi  passi; 
e  conchiude  tra  s6  che  questa  via 
per  discacciare  i  mostri  ottima  sia. 


CANTO    TRENTESIMOTERZO  883 

CXXIV 

E  prima  fa  che  71  re  con  suoi  baroni 
di  calda  cera  Forecchia  si  serra, 
acci6  che  tutti,  come  il  corno  suoni, 
non  abbiano  a  fuggir  fuor  de  la  terra. 
Prende  la  briglia,  e  salta  sugli  arcioni 
de  Fippogrifo,  et  il  bel  corno  afferra; 
e  con  cenni  allo  scalco  poi  commanda 
che  riponga  la  mensa  e  la  vivanda. 

cxxv 

E  cosi  in  una  loggia  s'apparecchia 
con  altra  mensa  altra  vivanda  miova. 
Ecco  Farpie  che  fan  Fusanza  vecchia: 
Astolfo  il  corno  subito  ritrova. 
Gli  augelli,  che  non  han  chiusa  Forecchia, 
udito  il  suon,  non  puon  stare  alia  prova; 
ma  vanno  in  fuga  pieni  di  paura, 
ne  di  cibo  ne  d'altro  hanno  piu  cura. 

cxxvi 

Subito  il  paladin  dietro  lor  sprona: 
volando  esce  il  destrier  fuor  de  la  loggia, 
e  col  castel  la  gran  citta  abandona, 
e  per  Faria,  cacciando  i  mostri,  poggia. 
Astolfo  il  corno  tuttavolta  suona: 
fuggon  Farpie  verso  la  zona  roggia, 
tanto  che  sono  alFaltissimo  monte 
ove  il  Nilo  ha,  se  in  alcun  luogo  ha,  fonte. 

cxxvn 

Quasi  de  la  montagna  alia  radice 
entra  sotterra  una  profonda  grotta, 
che  certissima  porta  esser  si  dice 
di  ch'allo  'nferno  vuol  scender  talotta. 
Quivi  s'&  quella  turba  predatrice, 
come  in  sicuro  albergo,  ricondotta, 
e  giu  sin  di  Cocito  in  su  la  proda 
scesa,  e  piu  la,  dove  quel  suon  non  oda. 


884  ORLANDO   FURIOSO 

CXXVIII 

AlPinfernal  caliginosa  buca 

ch'apre  la  strada  a  chi  abandona  il  lume, 

finl  1'orribil  suon  1'inclito  duca, 

e  fe'  raccorre  al  suo  destrier  le  piume. 

Ma  prima  che  piu  inanzi  io  lo  conduca, 

per  non  mi  dipartir  dal  mio  costume, 

poi  che  da  tutti  i  lati  ho  pieno  il  foglio, 

finire  il  canto,  e  riposar  mi  voglio. 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO  885 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO 


I 

Oh  famelice,  inique  e  fiere  arpie 
ch'alPaccecata  Italia  e  (Terror  plena, 
per  punir  forse  antique  colpe  rie, 
in  ogni  mensa  alto  giudicio  mena! 
Innocenti  fanciulli  e  madri  pie 
cascan  di  fame,  e  veggon  ch'una  cena 
di  questi  mostri  rei  tutto  divora 
cio  che  del  viver  lor  sostegno  fora. 

ii 

Troppo  fallo  chi  le  spelonche  aperse, 
che  gia  molt'anni  erano  state  chiuse; 
onde  il  fetore  e  1'ingordigia  emerse, 
ch'ad  ammorbare  Italia  si  diffuse. 
II  bel  vivere  allora  si  summerse; 
e  la  quiete  in  tal  modo  s'escluse, 
ch'in  guerre,  in  poverta  sempre  e  in  affanni 
e  dopo  stata,  et  e  per  star  molt'anni: 

in 

fin  ch'ella  un  giorno  ai  neghitosi  figli 
scuota  la  chioma,  e  cacci  fuor  di  Lete, 
gridando  lor:  —  Non  fia  chi  rassimigli 
alia  virtu  di  Calai  e  di  Zete? 
che  le  mense  dal  puzzo  e  dagli  artigli 
liberi,  e  torni  a  lor  mondizia  liete, 
come  essi  gia  quelle  di  Fineo,  e  dopo 
fe'  il  paladin  quelle  del  re  etiopo.  — 


886  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

II  paladin  col  suono  orribil  venne 

le  brutte  arpie  cacciando  in  fuga  e  in  rotta, 

tanto  ch'a  pie  d'un  monte  si  ritenne, 

ove  esse  erano  entrate  in  una  grotta. 

L'orecchie  attente  allo  spiraglio  tenne, 

e  1'aria  ne  sent!  percossa  e  rotta 

da  pianti  e  d'urli  e  da  lamento  eterno : 

segno  evidente  quivi  esser  lo  'nferno. 


Astolfo  si  penso  d'entrarvi  dentro, 

e  veder  quei  c'hanno  perduto  il  giorno, 

e  penetrar  la  terra  fin  al  centre, 

e  le  bolgie  infernal  cercare  intorno. 

—  Di  che  debbo  temer  —  dicea  —  s'io  v'entro, 

che  mi  posso  aiutar  sempre  col  corno  ? 

Far6  fuggir  Plutone  e  Satanasso, 

e  1  can  trifauce  levero  dal  passo.  — 

VI 

De  1'alato  destrier  presto  discese, 
e  lo  lascio  legato  a  un  arbuscello  : 
poi  si  ca!6  ne  Fantro,  e  prima  prese 
il  corno,  avendo  ogni  sua  speme  in  quello. 
Non  and6  molto  inanzi,  che  gli  offese 
il  naso  e  gli  occhi  un  fumo  oscuro  e  fello, 
piu  che  di  pece  grave  e  che  di  zolfo : 
non  sta  d'andar  per  questo  inanzi  Astolfo. 

VII 

Ma  quanto  va  piu  inanzi,  piu  s'ingrossa 
il  fumo  e  la  caligine,  e  gli  pare 
ch'andare  inanzi  piu  troppo  non  possa; 
che  sara  forza  a  dietro  ritornare. 
Ecco,  non  sa  che  sia,  vede  far  mossa 
da  la  volta  di  sopra,  come  fare 
il  cadavero  appeso  al  vento  suole, 
che  molti  di  sia  stato  alPacqua  e  al  sole. 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO  887 

VIII 

Si  poco,  e  quasi  nulla  era  di  luce 

in  quella  affumicata  e  nera  strada, 

che  non  comprende  e  non  discerne  il  duce 

cbi  questo  sia  che  si  per  Paria  vada; 

e  per  notizia  averne  si  conduce 

a  dargli  uno  o  duo  colpi  de  la  spada. 

Stima  poi  ch'uno  spirto  esser  quel  debbia; 

che  gli  par  di  ferir  sopra  la  nebbia. 

IX 

Allor  senti  parlar  con  voce  mesta: 

—  Deh,  senza  fare  altrui  danno,  giu  cala! 

Pur  troppo  il  negro  fumo  mi  molesta, 

che  dal  fuoco  infernal  qui  tutto  esala.  — 

II  duca  stupefatto  allor  s'arresta, 

e  dice  airombra:  —  Se  Dio  tronchi  ogni  ala 

al  fumo,  si  ch'a  te  piu  non  ascenda, 

non  ti  dispiaccia  che  '1  tuo  stato  intenda. 

x 

E  se  vuoi  che  di  te  porti  novella 
nel  mondo  su,  per  satisfarti  sono.  — 
L'ombra  rispose :  —  Alia  luce  alma  e  bella 
tornar  per  fama  ancor  si  mi  par  buono, 
che  le  parole  e  forza  che  mi  svella 
il  gran  desir  c'ho  d'aver  poi  tal  dono, 
e  che  '1  mio  nome  e  Pesser  mio  ti  dica, 
ben  che  '1  parlar  mi  sia  noia  e  fatica.  — 

XI 

E  cominci6 :  —  Signor,  Lidia  sono  io, 
del  re  di  Lidia  in  grande  altezza  nata, 
qui  dal  giudicio  altissimo  di  Dio 
al  fumo  eternamente  condannata, 
per  esser  stata  al  fido  amante  mio, 
mentre  io  vissi,  spiacevole  et  ingrata. 
D'altre  infinite  e  questa  grotta  piena, 
poste  per  simil  fallo  in  simil  pena. 


ORLANDO   FURIOSO 
XII 

Sta  la  cruda  Anassarete  piu  al  basso, 
ove  e  maggiore  il  fumo  e  piu  martire. 
Resto  converse  al  mondo  il  corpo  in  sasso, 
e  Tanima  qua  giu  venne  a  patire, 
poi  che  veder  per  lei  Pafflitto  e  lasso 
suo  amante  appeso  pote  sofferire. 
Qui  presso  e  Dafne,  ch'or  s'awede  quanto 
errasse  a  fare  Apollo  correr  tanto. 

XIII 

Lungo  saria  se  gl'infelici  spirti 

de  le  femine  ingrate,  che  qui  stanno, 

volesse  ad  uno  ad  uno  riferirti; 

che  tanti  son,  ch'in  infinite  vanno. 

Piu  lungo  ancor  saria  gli  uomini  dirti, 

a*  quai  Tessere  ingrato  ha  fatto  danno, 

e  che  puniti  sono  in  peggior  loco, 

ove  il  fumo  gli  accieca,  e  cuoce  il  fuoco. 

XIV 

Perche  le  donne  piu  facili  e  prone 
a  creder  son,  di  piu  supplicio  e  degno 
chi  lor  fa  inganno.  II  sa  Teseo  e  lasone 
e  chi  turb6  a  Latin  1'antiquo  regno; 
sallo  ch'incontra  se  il  frate  Absalone 
per  Tamar  trasse  a  sanguinoso  sdegno; 
et  altri  et  altre:  che  sono  infmiti 
che  lasciato  han  chi  moglie  e  chi  mariti. 

xv 

Ma  per  narrar  di  me  piu  che  d'altrui, 
e  palesar  Terror  che  qui  mi  trasse, 
bella,  ma  altiera  piu,  si  in  vita  fui, 
che  non  so  s'altra  mai  mi  s'aguagliasse: 
ne  ti  saprei  ben  dir,  di  questi  dui, 
s'in  me  Torgoglio  o  la  belta  avanzasse ; 
quantunque  il  fasto  e  Palterezza  nacque 
da  la  belta  ch'a  tutti  gli  occhi  piacque. 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO  889 

XVI 

Era  in  quel  tempo  in  Tracia  un  cavalliero 
estimato  il  miglior  del  mondo  in  arme, 
il  qual  da  piu  d'un  testimomo  vero 
di  singular  belta  senti  lodarme; 
tal  che  spontaneamente  fe'  pensiero 
di  volere  il  suo  amor  tutto  donarme, 
stimando  meritar  per  suo  valore 
che  caro  aver  di  lui  dovessi  il  core. 

XVII 

In  Lidia  venne;  e  d'un  laccio  piu  forte 
vinto  rest6,  poi  che  veduta  m'ebbe. 
Con  gli  altri  cavallier  si  messe  in  corte 
del  padre  mio,  dove  in  gran  fama  crebbe. 
L'alto  valore  e  le  piu  d'una  sorte 
prodezze  che  mostr6,  lungo  sarebbe 
a  raccontarti,  e  il  suo  merto  infinite, 
quando  egli  avesse  a  piu  grato  uom  servito. 

XVIII 

Panfilia  e  Caria  e  il  regno  de'  Cilici 
per  opra  di  costui  mio  padre  vinse; 
che  Tesercito  mai  contra  i  nimici, 
se  non  quanto  volea  costui,  non  spinse. 
Costui,  poi  che  gli  parve  i  benefici 
suoi  meritarlo,  un  di  col  re  si  strinse 
a  domandargli,  in  premio  de  le  spoglie 
tante  arrecate,  ch'io  fossi  sua  moglie. 

XIX 

Fu  repulso  dal  re,  ch'in  grande  stato 
maritar  disegnava  la  figliuola, 
non  a  costui  che  cavallier  private 
altro  non  tien  che  la  virtude  sola: 
e  '1  padre  mio  troppo  al  guadagno  dato, 
e  all'avarizia,  d'ogni  vizio  scuola, 
tanto  apprezza  costumi,  o  virtu  ammira, 
quanto  Tasino  fa  il  suon  de  la  lira. 


890  ORLANDO   FURIOSO 

XX 

Alceste,  il  cavallier  di  ch'io  ti  parlo 
(che  cosi  nome  avea),  poi  che  si  vede 
repulse  da  chi  piii  gratificarlo 
era  piu  debitor,  commiato  chiede ; 
e  lo  minaccia,  nel  partir,  di  farlo 
pentir  che  la  figliuola  non  gli  diede. 
Se  n'and6  al  re  d' Armenia,  emulo  antico 
del  re  di  Lidia  e  capital  nimico; 

XXI 

e  tanto  stimulb,  che  lo  dispose 
a  pigliar  1'arme  e  far  guerra  a  mio  padre. 
Esso  per  Popre  sue  chiare  e  famose 
fu  fatto  capitan  di  quelle  squadre. 
Pel  re  d' Armenia  tutte  1'altre  cose 
disse  ch'acquisteria:  sol  le  leggiadre 
e  belle  membra  mie  volea  per  frutto 
de  Popra  sua,  vinto  ch'avesse  il  tutto. 

XXII 

lo  non  ti  potre'  sprimere  il  gran  danno 
ch' Alceste  al  padre  mio  fa  in  quella  guerra. 
Quattro  eserciti  rompe,  e  in  men  d'un  anno 
lo  mena  a  tal,  che  non  gli  lascia  terra, 
fuor  ch'un  castel  ch'alte  pendici  fanno 
fortissimo;  e  la  dentro  il  re  si  serra 
con  la  famiglia  che  piu  gli  era  accetta, 
e  col  tesor  che  trar  vi  puote  in  fretta. 

XXIII 

Quivi  assedionne  Alceste;  et  in  non  molto 
termine  a  tal  disperazion  ne  trasse, 
che  per  buon  patto  avria  mio  padre  tolto 
che  moglie  e  serva  ancor  me  gli  lasciasse 
con  la  meta  del  regno,  s'indi  assolto 
restar  d'ogni  altro  danno  si  sperasse. 
Vedersi  in  breve  de  1'avanzo  privo 
era  ben  certo,  e  poi  morir  captivo. 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO  891 

XXIV 

Tentar,  prima  ch'accada,  si  dispone 
ogni  rimedio  che  possibil  sia; 
e  me,  che  d'ogni  male  era  cagione, 
fuor  de  la  rocca,  ov'era  Alceste  invia. 
lo  vo  ad  Alceste  con  intenzione 
di  dargli  in  preda  la  persona  mia, 
e  pregar  che  la  parte  che  vuol  tolga 
del  regno  nostro,  e  1'ira  in  pace  volga. 

xxv 

Come  ode  Alceste  ch'io  vo  a  ritrovarlo, 
mi  viene  incontra  pallido  e  tremante: 
di  vinto  e  di  prigione,  a  riguardarlo, 
piu  che  di  vincitore,  have  sembiante. 
lo  che  conosco  ch'arde,  non  gli  parlo 
si  come  avea  gia  disegnato  inante: 
vista  Foccasion,  fo  pensier  nuovo 
conveniente  al  grado  in  ch'io  lo  trovo. 

XXVI 

A  maledir  comincio  Pamor  d'esso, 
e  di  sua  crudelta  troppo  a  dolermi, 
ch'iniquamente  abbia  mio  padre  oppresso, 
e  che  per  forza  abbia  cercato  avermi; 
che  con  piu  grazia  gli  saria  successo 
indi  a  non  molti  di,  se  tener  fermi 
saputo  avesse  i  modi  cominciati, 
ch'al  re  et  a  tutti  noi  si  furon  grati. 

xxvn 

E  se  ben  da  principio  il  padre  mio 
gli  avea  negata  la  domanda  onesta 
(per6  che  di  natura  e  un  poco  rio, 
ne  mai  si  piega  alia  prima  richiesta), 
farsi  per  ci6  di  ben  servir  restio 
non  doveva  egli,  e  aver  1'ira  si  presta; 
anzi,  ognor  meglio  oprando,  tener  certo 
venire  in  breve  al  desiato  merto. 


892  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

E  quando  anco  mio  padre  a  lui  ritroso 
stato  fosse,  io  1'avrei  tanto  pregato, 
ch'avria  1'amante  mio  fatto  mio  sposo. 
Pur  se  veduto  io  1'avessi  ostinato, 
avrei  fatto  tal  opra  di  nascoso, 
che  di  me  Alceste  si  saria  lodato. 
Ma  poi  ch'a  lui  tentar  parve  altro  modo, 

10  di  mai  non  Famar  fisso  avea  il  chiodo. 

XXIX 

E  se  ben  era  a  lui  venuta,  mossa 
da  la  pieta  ch'al  mio  padre  portava, 
sia  certo  che  non  molto  fruir  possa 

11  piacer  ch'al  dispetto  mio  gli  dava; 
ch'era  per  far  di  me  la  terra  rossa, 
tosto  ch'io  avessi  alia  sua  voglia  prava 
con  questa  mia  persona  satisfatto 

di  quel  che  tutto  a  forza  saria  fatto. 

xxx 

Queste  parole  e  simili  altre  usai, 
poi  che  potere  in  lui  mi  vidi  tanto; 
e  '1  piu  pentito  Io  rendei,  che  mai 
si  trovasse  ne  1'eremo  alcun  santo. 
Mi  cadde  a'  piedi,  e  supplicommi  assai 
che  col  coltel  che  si  Iev6  da  canto 
(e  volea  in  ogni  modo  ch'io  '1  pigliassi) 
di  tanto  fallo  suo  mi  vendicassi. 

XXXI 

Poi  ch'io  Io  trovo  tale,  io  fo  disegno 

la  gran  vittoria  insin  al  fin  seguire: 

gli  do  speranza  di  farlo  anco  degno 

che  la  persona  mia  potra  fruire, 

s'emendando  il  suo  error,  Pantiquo  regno 

al  padre  mio  fara  restituire; 

e  nel  tempo  a  venir  vorra  acquistarme 

servendo,  amando,  e  non  mai  piu  per  arme. 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO  893 

XXXII 

Cosi  far  mi  promesse,  e  ne  la  rocca 
intatta  mi  mand6,  come  a  lui  venni, 
ne  di  baciarmi  pur  s'ardi  la  bocca: 
vedi  s'al  collo  il  giogo  ben  gli  tenni; 
vedi  se  bene  Amor  per  me  lo  tocca, 
se  convien  che  per  lui  piu  strali  impenni. 
Al  re  d' Armenia  ando,  di  cui  dovea 
esser  per  patto  ci6  che  si  prendea: 

xxxm 

e  con  quel  miglior  modo  ch'usar  puote, 
lo  priega  ch'al  mio  padre  il  regno  lassi, 
del  qual  le  terre  ha  depredate  e  vote, 
et  a  goder  T  ami  qua  Armenia  passi. 
Quel  re,  d'ira  infiammando  ambe  le  gote, 
disse  ad  Alceste  che  non  vi  pensassi; 
che  non  si  volea  tor  da  quella  guerra, 
fin  che  mio  padre  avea  palmo  di  terra. 

xxxiv 

E  s'Alceste  e  mutato  alle  parole 
d'una  vil  feminella,  abbiasi  il  danno. 
Gia  a'  prieghi  esso  di  lui  perder  non  vuole 
quel  ch'a  fatica  ha  preso  in  tutto  un  anno. 
Di  nuovo  Alceste  il  priega,  e  poi  si  duole 
che  seco  effetto  i  prieghi  suoi  non  fanno. 
AH'ultimo  s'adira,  e  lo  minaccia 
che  vuol  per  forza  o  per  amor  lo  faccia. 

xxxv 

L'ira  multiplico  si,  che  li  spinse 
da  le  male  parole  ai  peggior  fatti. 
Alceste  contra  il  re  la  spada  strinse 
fra  mille  ch'in  suo  aiuto  s'eran  tratti, 
e  mal  grado  lor  tutti  ivi  1'estinse; 
e  quel  di  ancor  gli  Armeni  ebbe  disfatti, 
con  Paiuto  de'  Cilici  e  de'  Traci 
che  pagava  egli,  e  d'altri  suoi  seguaci. 


894  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

Seguito  la  vittoria,  et  a  sue  spese, 
senza  dispendio  alcun  del  padre  mio, 
ne  rende  tutto  il  regno  in  men  d'un  mese. 
Poi  per  ricompensarne  il  danno  rio, 
oltr'alle  spoglie  che  ne  diede,  prese 
in  parte,  e  grav6  in  parte  di  gran  fio 
Armenia  e  Capadocia  che  confina, 
e  scorse  Ircania  fin  su  la  marina. 

xxxvir 

In  luogo  di  trionfo,  al  suo  ritorno, 
facemmo  noi  pensier  dargli  la  morte. 
Restammo  poi,  per  non  ricever  scorno ; 
che  lo  veggian  troppo  d'amici  forte. 
Fingo  d'amarlo,  e  piu  di  giorno  in  giorno 
gli  do  speranza  d'essergli  consorte; 
ma  prima  contra  altri  nimici  nostri 
dico  voler  che  sua  virtu  dimostri. 

xxxvur 

E  quando  sol,  quando  con  poca  gente 
lo  mando  a  strane  imprese  e  perigliose, 
da  fame  morir  mille  agevolmente: 
ma  lui  successer  ben  tutte  le  cose; 
che  torno  con  vittoria,  e  fa  sovente 
con  orribil  persone  e  monstruose, 
con  Giganti  a  battaglia  e  Lestrigoni, 
ch'erano  infesti  a  nostre  regioni. 

xxxix 

Non  fu  da  Euristeo  mai,  non  fu  mai  tanto 
da  la  matrigna  esercitato  Alcide 
in  Lerna,  in  Nemea,  in  Tracia,  in  Erimanto, 
alle  valli  d'Etolia,  alle  Numide, 
sul  Tevre,  su  Flbero  e  altrove;  quanto 
con  prieghi  finti  e  con  voglie  omicide 
esercitato  fu  da  me  il  mio  amante, 
cercando  io  pur  di  torlomi  davante. 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO  895 

XL 

Ne  potendo  venire  al  primo  intento, 
vengone  ad  un  di  non  minore  effetto: 
gli  fo  quei  tutti  ingiuriar  ch'io  sento 
che  per  lui  sono,  e  a  tutti  in  odio  il  metto. 
Egli  che  non  sentia  maggior  contento 
che  d'ubbidirmi,  senza  alcun  rispetto 
le  mani  ai  cenni  miei  sempre  avea  pronte, 
senza  guardare  un  piu  d'un  altro  in  fronte. 

XLI 

Poi  che  mi  fu,  per  questo  mezzo,  aviso 
spento  aver  del  mio  padre  ogni  nimico, 
e  per  lui  stesso  Alceste  aver  conquiso, 
che  non  si  avea  per  noi  lasciato  amico; 
quel  ch'io  gli  avea  con  simulate  viso 
celato  fin  allor,  chiaro  gli  esplico: 
che  grave  e  capitale  odio  gli  porto, 
e  pur  tuttavia  cerco  che  sia  morto. 

XLII 

Considerando  poi,  s'io  lo  facessi, 
ch'in  publica  ignominia  ne  verrei 
(sapeasi  troppo  quanto  io  gli  dovessi, 
e  crudel  detta  sempre  ne  sarei), 
mi  parve  fare  assai  ch'io  gli  togliessi 
di  mai  venir  piu  inanzi  agli  occhi  miei, 
Ne  veder  ne  parlar  mai  piu  gli  volsi, 
ne  messo  udi',  ne  lettera  ne  tolsi. 

XLIII 

Questa  mia  ingratitudine  gli  diede 
tanto  martir,  ch'al  fin  dal  dolor  vinto, 
e  dopo  un  lungo  domandar  mercede, 
infermo  cadde,  e  ne  rimase  estinto. 
Per  pena  ch'al  fallir  mio  si  richiede, 
or  gli  occhi  ho  lacrimosi,  e  il  viso  tinto 
del  negro  fumo:  e  cosi  avr6  in  eterno; 
che  nulla  redenzione  e  ne  Tinferno.  — 


896  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Poi  die  non  park  piu  Lidia  infelice, 
va  il  duca  per  saper  s'altri  vi  stanzi: 
ma  la  caligine  alta  ch'era  ultrice 
de  Topre  ingrate,  si  gl'ingrossa  inanzi, 
ch'andare  un  palmo  sol  piu  non  gli  lice. 
Anzi  a  forza  tornar  gli  conviene;  anzi, 
per  che  la  vita  non  gli  sia  intercetta 
dal  fumo,  i  passi  accelerar  con  fretta. 

XLV 

II  mutar  spesso  de  le  piante  ha  vista 

di  corso,  e  non  di  chi  passeggia  o  trotta. 

Tanto,  salendo  inverse  Ferta,  acquista, 

che  vede  dove  aperta  era  la  grotta; 

e  1'aria,  gia  caliginosa  e  trista, 

dal  lume  cominciava  ad  esser  rotta. 

Al  fin  con  molto  affanno  e  grave  ambascia 

esce  de  Tantro,  e  dietro  il  fumo  lascia. 

XLVI 

E  perch6  del  tornar  la  via  sia  tronca 
a  quelle  bestie  c'han  si  ingorde  1'epe, 
raguna  sassi,  e  molti  arbori  tronca, 
che  v'eran  qual  d'amomo  e  qual  di  pepe; 
e  come  pu6,  dinanzi  alia  spelonca 
fabrica  di  sua  man  quasi  una  siepe: 
e  gli  succede  cosi  ben  quell'opra, 
che  piu  1'arpie  non  torneran  di  sopra. 

XLVII 

II  negro  fumo  de  la  scura  pece, 
mentre  egli  fu  ne  la  caverna  tetra, 
non  macchio  sol  quel  ch'apparia,  et  infece; 
ma  sotto  i  panni  ancora  entra  e  penetra: 
si  che  per  trovare  acqua  andar  lo  fece 
cercando  un  pezzo;  e  al  fin  fuor  d'una  pietra 
vide  una  fonte  uscir  ne  la  foresta, 
ne  la  qual  si  Iav6  dal  pie  alia  testa. 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO  897 

XL  VIII 

Pol  monta  il  volatore,  e  in  aria  s'alza 
per  giunger  di  quel  monte  in  su  la  cima 
che  non  lontan  con  la  superna  balza 
dal  cerchio  de  la  luna  esser  si  stima. 
Tanto  e  il  desir  che  di  veder  lo  'ncalza, 
ch'al  cielo  aspira,  e  la  terra  non  stima. 
De  Taria  piu  e  piu  sempre  guadagna, 
tanto  ch'al  giogo  va  de  la  montagna. 

XLIX 

Zafir,  rubini,  oro,  topazi  e  perle, 
e  diamanti  e  crisoliti  e  iacinti 
potriano  i  fiori  assimigliar,  che  per  le 
liete  piaggie  v'avea  Taura  dipinti: 
si  verdi  1'erbe,  che  possendo  averle 
qua  giu,  ne  foran  gli  smeraldi  vinti; 
n6  men  belle  degli  arbori  le  frondi, 
e  di  frutti  e  di  fior  sempre  fecondi. 


Cantan  fra  i  rami  gli  augelletti  vaghi 
azzurri  e  bianchi  e  verdi  e  rossi  e  gialli. 
Murmuranti  ruscelli  e  cheti  laghi 
di  limpidezza  vincono  i  cristalli. 
Una  dolce  aura  che  ti  par  che  vaghi 
a  un  modo  sempre  e  dal  suo  stil  non  falli, 
facea  si  1'aria  tremolar  d'intorno, 
che  non  potea  noiar  calor  del  giorno: 

LI 

e  quella  ai  fiori,  ai  pomi  e  alia  verzura 
gli  odor  diversi  depredando  giva, 
e  di  tutti  faceva  una  mistura 
che  di  soavita  Talma  notriva. 
Surgea  un  palazzo  in  mezzo  alia  pianura, 
ch'acceso  esser  parea  di  fiamma  viva: 
tanto  splendore  intorno  e  tanto  lume 
raggiava,  fuor  d'ogni  mortal  costume. 


898  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

Astolfo  il  suo  destrier  verso  il  palagio, 
che  piu  di  trenta  miglia  intorno  aggira, 
a  passo  lento  fa  muovere  ad  agio, 
e  quinci  e  quindi  il  bel  paese  ammira; 
e  giudica,  appo  quel,  brutto  e  malvagio, 
e  che  sia  al  cielo  et  a  natura  in  ira, 
questo  ch'abitian  noi  fetido  mondo: 
tanto  e  soave  quel,  chiaro  e  giocondo. 

LIII 

Come  egli  e  presso  al  luminoso  tetto, 
attonito  riman  di  maraviglia; 
che  tutto  d'una  gemma  e  '1  muro  schietto, 
piu  che  carbonchio  lucida  e  vermiglia. 

0  stupenda  opra,  o  dedalo  architetto! 
Qual  fabrica  tra  noi  le  rassimiglia? 
Taccia  qualunque  le  mirabil  sette 
moli  del  mondo  in  tanta  gloria  mette. 

LIV 

Nel  lucente  vestibule  di  quella 
felice  casa  un  vecchio  al  duca  occorre, 
che  '1  manto  ha  rosso,  e  bianca  la  gonnella, 
che  Fun  pu6  al  latte,  e  1'altro  al  minio  opporre. 

1  crini  ha  bianchi,  e  bianca  la  mascella 
di  folta  barba  ch'al  petto  discorre; 

et  e  si  venerabile  nel  viso, 

ch'un  degli  eletti  par  del  paradiso. 

LV 

Costui  con  lieta  faccia  al  paladino, 
che  riverente  era  d'arcion  disceso, 
disse :  —  0  baron,  che  per  voler  divino 
sei  nel  terrestre  paradiso  asceso; 
come  che  ne  la  causa  del  camino, 
ne  il  fin  del  tuo  desir  da  te  sia  inteso ; 
pur  credi  che  non  senza  alto  misterio 
venuto  sei  da  I'artico  emisperio. 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO  899 

LVI 

Per  imparar  come  soccorrer  dei 
Carlo,  e  la  santa  fe  tor  di  periglio, 
venuto  meco  a  consigliar  ti  sei 
per  cosi  lunga  via  senza  consiglio. 
Ne  a  tuo  saper,  ne  a  tua  virtu  vorrei 
ch'esser  qui  giunto  attribuissi,  o  figlio; 
che  ne  il  tuo  corno,  ne  il  cavallo  alato 
ti  valea,  se  da  Dio  non  t'era  dato. 

LVII 

Ragionerem  piu  ad  agio  insieme  poi, 
e  ti  diro  come  a  procedere  hai: 
ma  prima  vienti  a  ricrear  con  noi; 
che  '1  digiun  lungo  de'  noiarti  ormai.  — 
Continuando  il  vecchio  i  detti  suoi, 
fece  maravigliare  il  duca  assai, 
quando,  scoprendo  il  nome  suo,  gli  disse 
esser  colui  che  Fevangelio  scrisse: 

LVIII 

quel  tanto  al  Redentor  caro  Giovanni, 
per  cui  il  sermone  tra  i  fratelli  uscio, 
che  non  dovea  per  morte  finir  gli  anni; 
si  che  fu  causa  che  '1  figliuol  di  Dio 
a  Pietro  disse:  —  Per  che  pur  t'affanni, 
s'io  vo'  che  cosi  aspetti  il  venir  mio  ?  — 
Ben  che  non  disse:  —  egli  non  de'  morire — , 
si  vede  pur  che  cosi  volse  dire. 

LIX 

Quivi  fu  assunto,  e  trovo  compagnia, 
che  prima  Enoch,  il  patriarca,  v'era; 
eravi  insieme  il  gran  profeta  EHa, 
che  non  han  vista  ancor  Tultima  sera; 
e  fuor  de  1'aria  pestilente  e  ria 
si  goderan  Peterna  primavera, 
fin  che  dian  segno  1'angeliche  tube 
che  torni  Cristo  in  su  la  bianca  nube. 


QOO  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

Con  accoglienza  grata  il  cavalliero 
fu  dai  santi  alloggiato  in  una  stanza; 
fu  provisto  in  un'altra  al  suo  destriero 
di  buona  biada,  che  gli  fu  a  bastanza. 
De'  fmtti  a  lui  del  paradise  diero, 
di  tal  sapor,  ch'a  suo  giudicio,  sanza 
scusa  non  sono  i  duo  primi  parenti, 
se  per  quei  fur  si  poco  ubbidienti. 

LXI 

Poi  ch'a  natura  il  duca  aventuroso 
satisfece  di  quel  che  se  le  debbe, 
come  col  cibo,  cosi  col  riposo, 
che  tutti  e  tutti  i  commodi  quivi  ebbe; 
lasciando  gia  P  Aurora  il  vecchio  sposo, 
ch'ancor  per  lunga  eta  mai  non  Tincrebbe, 
si  vide  incontra  ne  Tuscir  del  letto 
il  discipul  da  Dio  tanto  diletto; 

LXII 

che  lo  prese  per  mano,  e  seco  scorse 

di  molte  cose  di  silenzio  degne: 

e  poi  disse:  —  Figliuol,  tu  non  sai  forse 

che  in  Francia  accada,  ancor  che  tu  ne  vegne. 

Sappi  che  1  vostro  Orlando,  perch6  torse 

dal  camin  dritto  le  commesse  insegne, 

e  punito  da  Dio,  che  piu  s'accende 

contra  chi  egli  ama  piu,  quando  s'offende. 

LXIII 

II  vostro  Orlando,  a  cui  nascendo  diede 
somma  possanza  Dio  con  sommo  ardire, 
e  fuor  de  1'uman  uso  gli  concede 
che  ferro  alcun  non  lo  puo  mai  ferire; 
perche  a  difesa  di  sua  santa  fede 
cosi  voluto  Tha  constituire, 
come  Sansone  incontra  a'  Filistei 
constitui  a  difesa  degli  Ebrei: 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO  90! 

LXIV 

renduto  ha  il  vostro  Orlando  al  suo  Signore 

di  tanti  benefici  iniquo  merto; 

che  quanto  aver  piu  lo  dovea  in  favore, 

n'e  stato  il  fedel  popul  piu  deserto. 

Si  accecato  Tavea  Fincesto  amore 

d'una  pagana,  ch'avea  gia  sofferto 

due  volte  e  piu  venire  empio  e  crudele, 

per  dar  la  morte  al  suo  cugin  fedele. 

LXV 

E  Dio  per  questo  fa  ch'egli  va  folle, 
e  mostra  nudo  il  ventre,  il  petto  e  il  fiance; 
e  Fintelletto  si  gli  offusca  e  tolle, 
che  non  puo  altrui  conoscere,  e  se  manco. 
A  questa  guisa  si  legge  che  voile 
Nabuccodonosor  Dio  punir  anco, 
che  sette  anni  il  mand6  di  furor  pieno, 
si  che  qual  bue  pasceva  1'erba  e  il  fieno. 

LXVI 

Ma  perch' assai  minor  del  paladino, 
che  di  Nabucco,  e  stato  pur  Teccesso, 
sol  di  tre  mesi  dal  voler  divino 
a  purgar  questo  error  termine  e  messo. 
Ne  ad  altro  effetto  per  tanto  camino 
salir  qua  su  t'ha  il  Redentor  concesso, 
se  non  perche  da  noi  modo  tu  apprenda 
come  ad  Orlando  il  suo  senno  si  renda. 

LXVII 

Gli  e  ver  che  ti  bisogna  altro  viaggio 
far  meco,  e  tutta  abbandonar  la  terra. 
Nel  cerchio  de  la  luna  a  menar  t'aggio, 
che  dei  pianeti  a  noi  piu  prossima  erra, 
perche  la  medicina  che  pu6  saggio 
rendere  Orlando,  la  dentro  si  serra. 
Come  la  luna  questa  notte  sia 
sopra  noi  giunta,  ci  porremo  in  via.  — 


902  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

Di  questo  e  d'altre  cose  fu  diffuse 

il  parlar  de  Tapostolo  quel  giorno. 

Ma  poi  che  '1  sol  s'ebbe  nel  mar  rinchiuso, 

e  sopra  lor  levo  la  luna  il  corno, 

un  carro  apparecchi6si,  ch'era  ad  uso 

d'andar  scorrendo  per  quei  cieli  intorno: 

quel  gia  ne  le  montagne  di  Giudea 

da'  mortali  occhi  Elia  levato  avea. 

LXIX 

Quattro  destrier  via  phi  che  fiamma  rossi 
al  giogo  il  santo  evangelista  aggiunse; 
e  poi  che  con  Astolfo  rassettossi, 
e  prese  il  freno,  inverse  il  ciel  li  punse. 
Ruotando  il  carro  per  Paria  levossi, 
e  tosto  in  mezzo  il  fuoco  eterno  giunse; 
che  '1  vecchio  fe*  miracolosamente, 
che  mentre  lo  passar  non  era  ardente. 

LXX 

Tutta  la  sfera  varcano  del  fuoco, 
et  indi  vanno  al  regno  de  la  luna. 
Veggon  per  la  piu  parte  esser  quel  loco 
come  un  acciar  che  non  ha  macchia  alcuna; 
e  lo  trovano  uguale,  o  minor  poco 
di  ci6  ch'in  questo  globo  si  raguna, 
in  questo  ultimo  globo  de  la  terra, 
mettendo  il  mar  che  la  circonda  e  serra. 

LXXI 

Quivi  ebbe  Astolfo  doppia  maraviglia: 
che  quel  paese  appresso  era  si  grande, 
il  quale  a  un  picciol  tondo  rassimiglia 
a  noi  che  lo  miriam  da  queste  bande; 
e  ch'aguzzar  conviengli  ambe  le  ciglia, 
s'indi  la  terra  e  '1  mar  ch'intorno  spande 
discerner  vuol ;  che  non  avendo  luce, 
1'imagin  lor  poco  alta  si  conduce. 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO  903 

LXXII 

Altri  fiumi,  altri  laghi,  altre  camp  ague 
sono  la  su,  che  non  son  qui  tra  noi; 
altri  piani,  altre  valli,  altre  montagne, 
c'han  le  cittadi,  hanno  i  castelli  suoi, 
con  case  de  le  quai  mai  le  piu  magne 
non  vide  il  paladin  prima  ne  poi : 
e  vi  sono  ample  e  solitarie  selve, 
ove  le  ninfe  ognor  cacciano  belve. 

LXXIII 

Non  stette  il  duca  a  ricercare  il  tutto; 
che  la  non  era  asceso  a  quello  effetto. 
Da  Fapostolo  santo  fu  condutto 
in  un  vallon  fra  due  montagne  istretto, 
ove  mirabilmente  era  ridutto 
cio  che  si  perde  o  per  nostro  diffetto, 

0  per  colpa  di  tempo  o  di  Fortuna: 
ci6  che  si  perde  qui,  la  si  raguna. 

LXXIV 

Non  pur  di  regni  o  di  ricchezze  parlo, 
in  che  la  ruota  instabile  lavora; 
ma  di  quel  ch'in  poter  di  tor,  di  darlo 
non  ha  Fortuna,  intender  voglio  ancora. 
Molta  fama  e  la  su,  che  come  tarlo 
il  tempo  al  lungo  andar  qua  giu  divora: 
la  su  infmiti  prieghi  e  voti  stanno, 
che  da  noi  peccatori  a  Dio  si  fanno. 

LXXV 

Le  lacrime  e  i  sospiri  degli  amanti, 
1'inutil  tempo  che  si  perde  a  giuoco, 
e  1'ozio  lungo  d'uomini  ignoranti, 
vani  disegni  che  non  han  mai  loco, 

1  vani  desideri  sono  tanti, 

che  la  piu  parte  ingombran  di  quel  loco: 
ci6  che  in  somma  qua  giu  perdesti  mai, 
la  su  salendo  ritrovar  potrai. 


904  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Passando  il  paladin  per  quelle  biche, 
or  di  questo  or  di  quel  chiede  alia  guida. 
Vide  un  monte  di  tumide  vesiche, 
che  dentro  parea  aver  tumulti  e  grida; 
e  seppe  ch'eran  le  corone  antiche 
e  degli  Assirii  e  de  la  terra  lida, 
e  de'  Persi  e  de'  Greci,  che  gia  furo 
incliti,  et  or  n'e  quasi  il  nome  oscuro. 

LXXVII 

Ami  d'oro  e  d'argento  appresso  vede 
in  una  massa,  ch'erano  quei  doni 
che  si  fan  con  speranza  di  mercede 
ai  re,  agli  avari  principi,  ai  patroni. 
Vede  in  ghirlande  ascosi  lacci;  e  chiede, 
et  ode  che  son  tutte  adulazioni. 
Di  cicale  scoppiate  imagine  hanno 
versi  ch'in  laude  dei  signor  si  fanno. 

LXXVIII 

Di  nodi  d'oro  e  di  gemmati  ceppi 
vede  c'han  forma  i  mal  seguiti  amori. 
V'eran  d'aquile  artigli;  e  che  fur,  seppi, 
Pautorita  ch'ai  suoi  danno  i  signori. 
I  mantici  ch'intorno  han  pieni  i  greppi, 
sono  i  fumi  dei  principi  e  i  favori 
che  danno  un  tempo  ai  ganimedi  suoi, 
che  se  ne  van  col  fior  degli  anni  poi. 

LXXIX 

Ruine  di  cittadi  e  di  castella 
stavan  con  gran  tesor  quivi  sozzopra. 
Domanda,  e  sa  che  son  trattati,  e  quella 
congiura  che  si  mal  par  che  si  cuopra. 
Vide  serpi  con  faccia  di  donzella, 
di  monetieri  e  di  ladroni  Popra: 
poi  vide  boccie  rotte  di  piu  sorti, 
ch'era  il  servir  de  le  misere  corti. 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO  905 

LXXX 

Di  versate  minestre  una  gran  massa 
vede,  e  domanda  al  suo  dottor  ch'importe. 
—  L'elemosina  e  —  dice  —  che  si  lassa 
alcun,  che  fatta  sia  dopo  la  morte.  — 
Di  varii  fiori  ad  un  gran  monte  passa 
ch'ebbe  gia  buono  odore,  or  putia  forte. 
Questo  era  il  dono  (se  pero  dir  lece) 
che  Constantino  al  buon  Silvestro  fece. 

LXXXI 

Vide  gran  copia  di  panie  con  visco, 
ch'erano,  o  donne,  le  bellezze  vostre. 
Lungo  sara,  se  tutte  in  verso  ordisco 
le  cose  che  gli  fur  quivi  dimostre; 
che  dopo  mille  e  mille  io  non  finisco, 
e  vi  son  tutte  Toccurrenzie  nostre: 
sol  la  pazzia  non  v'e  poca  ne  assai; 
che  sta  qua  giu,  n6  se  ne  parte  mai. 

LXXXII 

Quivi  ad  alcuni  giorni  e  fatti  sui, 
ch'egli  gia  avea  perduti,  si  converse; 
che  se  non  era  interprete  con  lui, 
non  discernea  le  forme  lor  diverse. 
Poi  giunse  a  quel  che  par  si  averlo  a  nui, 
che  mai  per  esso  a  Dio  voti  non  ferse; 
io  dico  il  senno:  e  n'era  quivi  un  monte, 
solo  assai  piii  che  1'altre  cose  conte. 

LXXXIII 

Era  come  un  liquor  suttile  e  molle, 
atto  a  esalar,  se  non  si  tien  ben  chiuso; 
e  si  vedea  raccolto  in  varie  ampolle, 
qual  piu,  qual  men  capace,  atte  a  quelPuso. 
Quella  e  maggior  di  tutte,  in  che  del  folle 
signor  d'Anglante  era  il  gran  senno  infuso; 
e  fu  da  1'altre  conosciuta,  quando 
avea  scritto  di  fuor:  «  Senno  dj  Orlando  ». 


906  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXIV 

E  cosi  tutte  1'altre  avean  scritto  anco 
il  nome  di  color  di  chi  fu  il  senno. 
Del  suo  gran  parte  vide  il  duca  franco; 
ma  molto  piu  maravigliar  lo  fenno 
molti  ch'egli  credea  che  dramma  manco 
non  dovessero  averne,  e  quivi  denno 
chiara  notizia  che  ne  tenean  poco; 
che  molta  quantita  n'era  in  quel  loco. 

LXXXV 

Altri  in  amar  lo  perde,  altri  in  onori, 
altri  in  cercar,  scorrendo  il  mar,  richezze; 
altri  ne  le  speranze  de'  signori, 
altri  dietro  alle  magiche  sciocchezze; 
altri  in  gemme,  altri  in  opre  di  pittori, 
et  altri  in  altro  che  piu  d'altro  aprezze. 
Di  sofisti  e  d'astrologhi  raccolto, 
e  di  poeti  ancor  ve  n'era  molto. 

LXXXVI 

Astolfo  tolse  il  suo;  che  gliel  concesse 

10  scrittor  de  1'oscura  Apocalisse. 
L'ampolla  in  ch'era  al  naso  sol  si  messe, 
e  par  che  quello  al  luogo  suo  ne  gisse: 

e  che  Turpin  da  indi  in  qua  confesse 
ch' Astolfo  lungo  tempo  saggio  visse; 
ma  chjuno  error  che  fece  poi,  fu  quello 
ch'un'altra  volta  gli  Iev6  il  cervello. 

LXXXVII 
La  piu  capace  e  piena  ampolla,  ov'era 

11  senno  che  solea  far  savio  il  conte, 
Astolfo  tolle;  e  non  e  si  leggiera, 

come  stimo,  con  1'altre  essendo  a  monte. 
Prima  che  '1  paladin  da  quella  sfera 
piena  di  luce  alle  piu  basse  smonte, 
menato  fu  da  1'apostolo  santo 
in  un  palagio  ov'era  un  flume  a  canto; 


CANTO    TRENTESIMOQUARTO  907 

LXXXVIII 

ch'ogni  sua  stanza  avea  piena  di  velli 
di  lin,  di  seta,  di  coton,  di  lana, 
tinti  in  varii  colori  e  brutti  e  belli. 
Nel  primo  chiostro  una  femina  cana 
fila  a  un  aspo  traea  da  tutti  quelli, 
come  veggian  Testate  la  villana 
traer  dai  bachi  le  bagnate  spoglie, 
quando  la  nuova  seta  si  raccoglie. 

LXXXIX 

V'e  chi,  finite  un  vello,  rimettendo 
ne  viene  un  altro,  e  chi  ne  porta  altronde: 
un'altra  de  le  filze  va  scegliendo 
il  bel  dal  brutto  che  quella  confonde. 

—  Che  lavor  si  fa  qui,  ch'io  non  Nintendo  ?  — 
dice  a  Giovanni  Astolfo;  e  quel  risponde: 

—  Le  vecchie  son  le  Parche,  che  con  tali 
stami  filano  vite  a  voi  mortali. 

xc 

Quanto  dura  un  de5  velli,  tanto  dura 
Pumana  vita,  e  non  di  piu  un  momento. 
Qui  tien  Tocchio  e  la  Morte  e  la  Natura, 
per  saper  Tora  ch'un  debba  esser  spento. 
Sceglier  le  belle  fila  ha  Taltra  cura, 
perche  si  tesson  poi  per  ornamento 
del  paradiso;  e  dei  piu  brutti  stami 
si  fan  per  li  dannati  aspri  legami.  — 

xci 

Di  tutti  i  velli  ch'erano  gia  messi 
in  aspo,  e  scelti  a  fame  altro  lavoro, 
erano  in  brevi  piastre  i  nomi  impressi, 
altri  di  ferro,  altri  d'argento  o  d'oro: 
e  poi  fatti  n'avean  cumuli  spessi, 
de'  quali,  senza  mai  farvi  ristoro, 
portarne  via  non  si  vedea  mai  stanco 
un  vecchio,  e  ritornar  sempre  per  anco. 


908  ORLANDO   FURIOSO 

XCII 

Era  quel  vecchio  si  espedito  e  snello, 
che  per  correr  parea  che  fosse  nato; 
e  da  quel  monte  il  lembo  del  mantello 
portava  pien  del  nome  altrui  segnato. 
Ove  n'andava,  e  perche  facea  quello, 
ne  1'altro  canto  vi  sara  narrato, 
se  d'averne  piacer  segno  farete 
con  quella  grata  udienza  che  solete. 


CANTO    TRENTESIMOQUINTO  909 


CANTO    TRENTESIMOQUINTO 


I 

Chi  salira  per  me,  madonna,  in  cielo 
a  riportarne  il  mio  perduto  ingegno? 
ch§  poi  ch'usci  da'  bei  vostri  occhi  il  telo 
che  '1  cor  mi  fisse,  ognior  perdendo  vegno. 
Ne  di  tanta  iattura  mi  querelo, 
pur  che  non  cresca,  ma  stia  a  questo  segno; 
ch'io  dubito,  se  piu  si  va  sciemando, 
di  venir  tal,  qual  ho  descritto  Orlando. 

ii 

Per  riaver  Pingegno  mio  m'e  aviso 
che  non  bisogna  che  per  Taria  io  poggi 
nel  cerchio  de  la  luna  o  in  paradiso; 
che  '1  mio  non  credo  che  tanto  alto  alloggi. 
Ne'  bei  vostri  occhi  e  nel  sereno  viso, 
nel  sen  d'avorio  e  alabastrini  poggi 
se  ne  va  errando ;  et  io  con  queste  labbia 
lo  corr6,  se  vi  par  ch'io  Io  riabbia. 

in 

Per  gli  ampli  tetti  andava  il  paladino 
tutte  mirando  le  future  vite, 
poi  ch'ebbe  visto  sul  fatal  molino 
volgersi  quelle  ch'erano  gia  ordite: 
e  scorse  un  vello  che  piu  che  d'or  fino 
splender  parea;  ne  sarian  gemme  trite, 
s'in  jfilo  si  tirassero  con  arte, 
da  comparargH  alia  millesma  parte. 


910  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

Mirabilmente  il  bel  vello  gli  piacque, 
che  tra  infiniti  paragon  non  ebbe; 
e  di  sapere  alto  disio  gli  nacque, 
quando  sara  tal  vita,  e  a  chi  si  debbe. 
L'evangelista  nulla  gliene  tacque: 
che  venti  anni  principio  prima  avrebbe 
che  col  .M.  e  col  .D.  fosse  notato 
1'anno  corrente  dal  Verbo  incarnato. 


E  come  di  splendore  e  di  beltade 
quel  vello  non  avea  simile  o  pare, 
cosi  saria  la  fortunata  etade  * 

che  dovea  uscirne  al  mondo  singulare; 
perche  tutte  le  grazie  inclite  e  rade 
ch'alma  Natura,  o  proprio  studio  dare, 
o  benigna  Fortuna  ad  uomo  puote, 
avra  in  perpetua  et  infallibil  dote. 

VI 

—  Del  re  des  fiumi  tra  1'altiere  corna 

or  siede  umil  —  diceagli  —  e  piccol  borgo : 

dinanzi  il  Po,  di  dietro  gli  soggiorna 

d'alta  palude  un  nebuloso  gorgo; 

che  volgendosi  gli  anni  la  piii  adorna 

di  tutte  le  citta  d' Italia  scorgo, 

non  pur  di  mura  e  d'ampli  tetti  regi, 

ma  di  bei  studi  e  di  costumi  egregi. 

VII 

Tanta  esaltazione  e  cosi  presta, 

non  fortuita  o  d'aventura  casca; 

ma  1'ha  ordinata  il  ciel,  perche  sia  questa 

degna  in  che  1'uom  di  ch'io  ti  parlo  nasca: 

che  dove  il  frutto  ha  da  venir,  s'inesta 

e  con  studio  si  fa  crescer  la  frasca; 

e  1'artefice  1'oro  affinar  suole, 

in  che  legar  gemma  di  pregio  vuole. 


CANTO    TRENTESIMOQUINTO  911 

VIII 

Ne  si  leggiadra  ne  si  bella  veste 

unque  ebbe  altr'alma  in  quel  terrestre  regno; 

e  raro  e  sceso  e  scendera  da  queste 

sfere  superne  un  spirito  si  degno, 

come  per  fame  Ippolito  da  Este 

n'have  Teterna  mente  alto  disegno. 

Ippolito  da  Este  sara  detto 

Tuom  a  chi  Dio  si  ricco  dono  ha  eletto. 

IX 

Quegli  ornamenti  che  divisi  in  molti, 

a  molti  basterian  per  tutti  ornarli, 

in  suo  ornamento  avra  tutti  raccolti 

costui,  di  c'hai  voluto  ch'io  ti  parli. 

Le  virtudi  per  lui,  per  lui  soffolti 

saran  gli  studi;  e  s'io  vorro  narrar  li 

alti  suoi  merti,  al  fin  son  si  lontano, 

ch' Orlando  il  senno  aspetterebbe  invano.  — 

x 

Cosi  venia  Timitator  di  Cristo 
ragionando  col  duca:  e  poi  che  tutte 
le  stanze  del  gran  luogo  ebbono  visto, 
onde  1'umane  vite  eran  condutte, 
sul  fiume  usciro,  che  d' arena  misto 
con  1'onde  discorrea  turbide  e  brutte; 
e  vi  trovar  quel  vecchio  in  su  la  riva, 
che  con  gPimpressi  nomi  vi  veniva. 

XI 

Non  so  se  vi  sia  a  mente,  io  dico  quello 
ch'al  fin  de  Faltro  canto  vi  lasciai, 
vecchio  di  faccia,  e  si  di  membra  snello, 
che  d'ogni  cervio  e  piu  veloce  assai. 
Degli  altrui  nomi  egli  si  empia  il  mantello; 
scemava  il  monte,  e  non  finiva  mai : 
et  in  quel  fiume  che  Lete  si  noma 
scarcava,  anzi  perdea  la  ricca  soma. 


912  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Dlco  che  come  arriva  in  su  la  sponda 
del  fiume,  quel  prodigo  vecchio  scuote 
il  lembo  pieno,  e  ne  la  turbida  onda 
tutte  lascia  cader  Timpresse  note. 
Un  numer  senza  fin  se  ne  profonda, 
ch'un  minimo  uso  aver  non  se  ne  puote; 
e  di  cento  migliaia  che  Farena 
sul  fondo  involve,  un  se  ne  serva  a  pena. 

XIII 

Lungo  e  d'intorno  quel  fiume  volando 
givano  corvi  et  avidi  avoltori, 
mulacchie  e  varii  augelli,  che  gridando 
facean  discordi  strepiti  e  romori; 
et  alia  preda  correan  tutti,  quando 
sparger  vedean  gli  amplissimi  tesori: 
e  chi  nel  becco,  e  chi  ne  Tugna  torta 
ne  prende;  ma  lontan  poco  li  porta. 

XIV 

Come  vogliono  alzar  per  Taria  i  voli, 
non  han  poi  forza  che  '1  peso  sostegna; 
si  che  convien  che  Lete  pur  involi 
de'  ricchi  nomi  la  memoria  degna. 
Fra  tanti  augelli  son  duo  cigni  soli, 
bianchi,  Signer,  come  e  la  vostra  insegna, 
che  vengon  lieti  riportando  in  bocca 
sicuramente  il  nome  che  lor  tocca. 

xv 

Cosi  contra  i  pensieri  empi  e  maligni 
del  vecchio  che  donar  li  vorria  al  fiume, 
alcun  ne  salvan  gli  augelli  benigni: 
tutto  Favanzo  oblivion  consume. 
Or  se  ne  van  notando  i  sacri  cigni, 
et  or  per  Taria  battendo  le  piume, 
fin  che  presso  alia  ripa  del  fiume  empio 
trovano  un  colle,  e  sopra  il  colle  un  tempio. 


CANTO    TRENTESIMOQUINTO  913 

XVI 

Airimmortalitade  il  luogo  e  sacro, 

ove  una  bella  ninfa  giu  del  colle 

viene  alia  ripa  del  leteo  lavacro, 

e  di  bocca  del  cigni  i  nomi  tolle; 

e  quelli  afEge  intorno  al  simulacro 

ch'in  mezzo  il  tempio  una  colonna  estolle: 

quivi  li  sacra,  e  ne  fa  tal  governo, 

che  vi  si  pon  veder  tutti  in  eterno. 

XVII 

Chi  sia  quel  vecchio,  e  perche  tutti  al  rio 
senza  alcun  frutto  i  bei  nomi  dispensi, 
e  degli  augelli,  e  di  quel  luogo  pio 
onde  la  bella  ninfa  al  flume  viensi, 
aveva  Astolfo  di  saper  desio 
i  gran  misteri  e  grincogniti  sensi; 
e  domandb  di  tutte  queste  cose 
Fuomo  di  Dio,  che  cosi  gli  rispose: 

XVIII 

—  Tu  dei  saper  che  non  si  muove  fronda 
la  giu,  che  segno  qui  non  se  ne  faccia. 
Ogni  effetto  convien  che  corrisponda 
in  terra  e  in  del,  ma  con  diversa  faccia. 
Quel  vecchio,  la  cui  barba  il  petto  inonda, 
veloce  si  che  mai  nulla  Pimpaccia, 
gli  effetti  pari  e  la  medesima  opra 
che  '1  Tempo  fa  la  giu,  fa  qui  di  sopra. 

XIX 

Volte  che  son  le  fila  in  su  la  ruota, 
la  giu  la  vita  umana  arriva  al  fine. 
La  fama  la,  qui  ne  riman  la  nota; 
ch'immortali  sariano  ambe  e  divine, 
se  non  che  qui  quel  da  la  irsuta  gota, 
e  la  giu  il  Tempo  ognior  ne  fa  rapine: 
questi  le  getta,  come  vedi,  al  rio; 
e  quel  Timmerge  ne  Peterno  oblio. 


914  ORLANDO   FURIOSO 

XX 

E  come  qua  su  i  corvi  e  gli  avoltori 

e  le  mulacchie  e  gli  altri  varii  augelli 

s'affaticano  tutti  per  trar  fuori 

de  1'acqua  i  nomi  che  veggion  piu  belli: 

cosi  la  giu  ruffiani,  adulatori, 

buffon,  cinedi,  accusatori,  e  quelli 

che  viveno  alle  corti  e  che  vi  sono 

piu  grati  assai  che  '1  virtuoso  e  '1  buono, 

XXI 

e  son  chiamati  cortigian  gentili, 
perche  sanno  imitar  1'asino  e  '1  ciacco; 
de'  lor  signer,  tratto  che  n'abbia  i  fili 
la  giusta  Parca,  anzi  Venere  e  Bacco, 
questi  di  ch'io  ti  dico,  inerti  e  vili, 
nati  solo  ad  empir  di  cibo  il  sacco, 
portano  in  bocca  qualche  giorno  il  nome; 
poi  ne  1'oblio  lascian  cader  le  some. 

XXII 

Ma  come  i  cigni  che  cantando  lieti 
rendeno  salve  le  medaglie  al  tempio, 
cosi  gli  uomini  degni  da'  poeti 
son  tolti  da  1'oblio,  piu  che  morte  empio. 
Oh  bene  accorti  principi  e  discreti, 
che  seguite  di  Cesare  1'esempio, 
e  gli  scrittor  vi  fate  amici,  donde 
non  avete  a  temer  di  Lete  1'onde! 

XXIII 

Son,  come  i  cigni,  anco  i  poeti  rari, 
poeti  che  non  sian  del  nome  indegni  ; 
si  perche  il  ciel  degli  uomini  preclari 
non  pate  mai  che  troppa  copia  regni, 
si  per  gran  colpa  dei  signori  avari 
che  lascian  mendicare  i  sacri  ingegni; 
che  le  virtu  premendo,  et  esaltando 
i  vizii,  caccian  le  buone  arti  in  bando. 


CANTO    TRENTESIMOQUINTO  915 

XXIV 

Credi  che  Dio  quest!  ignoranti  ha  privi 
de  lo  'ntelletto,  e  loro  offusca  i  lumi; 
che  de  la  poesia  gli  ha  fatto  schivi, 
acci6  che  morte  il  tutto  ne  consumi. 
Oltre  che  del  sepolcro  uscirian  vivi, 
ancor  ch'avesser  tutti  i  rei  costumi, 
pur  che  sapesson  farsi  arnica  Cirra, 
piu  grato  odore  avrian  che  nardo  o  mirra. 

XXV 

Non  si  pietoso  Enea,  ne  forte  Achille 
fu,  come  e  fama,  n6  si  fiero  Ettorre; 
e  ne  son  stati  e  mille  e  mille  e  mille 
che  lor  si  puon  con  verita  anteporre: 
ma  i  donati  palazzi  e  le  gran  ville 
dai  descendenti  lor,  gli  ha  fatto  porre 
in  questi  senza  fin  sublimi  onori 
da  Tonorate  man  degli  scrittori. 

XXVI 

Non  fu  si  santo  ne  benign  o  Augusto 
come  la  tuba  di  Virgilio  suona. 
L'aver  avuto  in  poesia  buon  gusto 
la  proscrizion  iniqua  gli  perdona. 
Nessun  sapria  se  Neron  fosse  ingiusto, 
ne  sua  fama  saria  forse  men  buona, 
avesse  avuto  e  terra  e  ciel  nimici, 
se  gli  scrittor  sapea  tenersi  amici. 

XXVII 

Omero  Agamennon  vittorioso 
e  fe'  i  Troian  parer  vili  et  inerti; 
e  che  Penelopea  fida  al  suo  sposo 
dai  Prochi  mille  oltraggi  avea  sofferti. 
E  se  tu  vuoi  che  '1  ver  non  ti  sia  ascoso, 
tutta  al  contrario  Tistoria  converti: 
che  i  Greci  rotti,  e  che  Troia  vittrice, 
e  che  Penelopea  fu  meretrice. 


Ql6  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

Da  1'altra  parte  odi  che  fama  lascia 
Elissa,  ch'ebbe  il  cor  tanto  pudico; 
che  riputata  viene  una  bagascia, 
solo  perche  Maron  non  le  fu  amico. 
Non  ti  maravigliar  ch'io  n'abbia  ambascia, 
e  se  di  ci6  diifusamente  io  dico. 
Gli  scrittori  amo,  e  fo  il  debito  mio; 
ch'al  vostro  mondo  fui  scrittore  anch'io. 

XXIX 

E  sopra  tutti  gli  altri  io  feci  acquisto 
che  non  mi  pu6  levar  tempo  ne  morte : 
e  ben  convenne  al  mio  lodato  Cristo 
rendermi  guidardon  di  si  gran  sorte. 
Duolmi  di  quei  che  sono  al  tempo  tristo, 
quando  la  cortesia  chiuso  ha  le  porte; 
che  con  pallido  viso  e  macro  e  asciutto 
la  notte  e  '1  di  vi  picchian  senza  frutto. 

xxx 

Si  che  continuando  il  primo  detto, 
sono  i  poeti  e  gli  studiosi  pochi; 
che  dove  non  han  pasco  ne  ricetto, 
insin  le  fere  abbandonano  i  lochi.  — 
Cosi  dicendo  il  vecchio  benedetto 
gli  occhi  infiammo,  che  parveno  duo  fuochi; 
poi  volto  al  duca  con  un  saggio  riso 
torno  sereno  il  conturbato  viso. 

XXXI 

Resti  con  Io  scrittor  de  1'evangelo 
Astolfo  ormai,  ch'io  voglio  far  un  salto, 
quanto  sia  in  terra  a  venir  fin  dal  cielo; 
ch'io  non  posso  piu  star  su  Tali  in  alto. 
Torno  alia  donna  a  cui  con  grave  telo 
mosso  avea  gelosia  crudele  assalto. 
Io  la  lasciai  ch'avea  con  breve  guerra 
tre  re  gittati,  un  dopo  Faltro,  in  terra; 


CANTO    TRENTESIMOQUINTO  917 

XXXII 

e  che  giunta  la  sera  ad  un  castello 
ch'alla  via  di  Parigi  si  ritrova, 
d'Agramante,  che  rotto  dal  fratello 
s'era  ridotto  in  Arli,  ebbe  la  nuova. 
Certa  che  1  suo  Ruggier  fosse  con  quello, 
tosto  ch'apparve  in  ciel  la  luce  nuova, 
verso  Provenza,  dove  ancora  intese 
che  Carlo  lo  seguia,  la  strada  prese. 

XXXIII 

Verso  Provenza  per  la  via  piu  dritta 
andando,  s'incontro  in  una  donzella, 
ancor  che  fosse  lacrimosa  e  afflitta, 
bella  di  faccia  e  di  maniere  bella. 
Questa  era  quella  si  d'amor  traffitta 
per  lo  figliuol  di  Monodante,  quella 
donna  gentil  ch'avea  lasciato  al  ponte 
Pamante  suo  prigion  di  Rodomonte. 

xxxiv 

Ella  venia  cercando  un  cavalliero, 
ch'a  far  battaglia  usato  come  lontra 
in  acqua  e  in  terra  fosse,  e  cosi  fiero, 
che  lo  potesse  al  pagan  porre  incontra. 
La  sconsolata  arnica  di  Ruggiero, 
come  quest* altra  sconsolata  incontra, 
cortesemente  la  saluta,  e  poi 
le  chiede  la  cagion  dei  dolor  suoi. 

xxxv 

Fiordiligi  lei  mira,  e  veder  parle 
un  cavallier  ch'al  suo  bisogno  fia; 
e  comincia  del  ponte  a  ricontarle, 
ove  impedisce  il  re  d'Algier  la  via; 
e  ch'era  stato  appresso  di  levarle 
Pamante  suo:  non  che  piu  forte  sia, 
ma  sapea  darsi  il  Saracino  astuto 
col  ponte  stretto  e  con  quel  flume  aiuto. 


918  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

—  Se  sei  —  dicea  —  si  ardito  e  si  cortese, 

come  ben  mostri  1'uno  e  1'altro  in  vista, 

mi  vendica,  per  Dio,  di  chi  mi  prese 

il  mio  signore,  e  mi  fa  gir  si  trista; 

o  consigliami  almeno  in  che  paese 

possa  io  trovare  un  ch'a  colui  resista, 

e  sappia  tanto  d'arme  e  di  battaglia, 

che  '1  fiume  e  '1  ponte  al  pagan  poco  vaglia. 

XXXVII 

Oltre  che  tu  farai  quel  che  conviensi 
ad  uom  cortese  e  a  cavalliero  errante, 
in  beneficio  il  tuo  valor  dispensi 
del  piu  fedel  d'ogni  fedele  amante. 
De  Taltre  sue  virtu  non  appertiensi 
a  me  narrar;  che  sono  tante  e  tante, 
che  chi  non  n'ha  notizia  si  puo  dire 
che  sia  del  veder  privo  e  de  1'udire.  — 

XXXVIII 

La  magnanima  donna,  a  cui  fu  grata 

sempre  ogni  impresa  che  pu6  farla  degna 

d'esser  con  laude  e  gloria  nominata, 

subito  al  ponte  di  venir  disegna: 

et  ora  tanto  piu,  ch'e  disperata, 

vien  volentier,  quando  anco  a  morir  vegna; 

che  credendosi,  misera!  esser  priva 

del  suo  Ruggiero,  ha  in  odio  d'esser  viva. 

xxxix 

— -  Per  quel  ch'io  vaglio,  giovane  amorosa,  — • 
rispose  Bradamante  —  io  m'offerisco 
di  far  Pimpresa  dura  e  perigliosa, 
per  altre  cause  ancor  ch'io  preterisco; 
ma  piu,  che  del  tuo  amante  narri  cosa 
che  narrar  di  pochi  uomini  awertisco: 
che  sia  in  amor  fedel;  ch'a  fe  ti  giuro 
ch'in  ci6  pensai  ch'ognun  fosse  pergiuro.  — 


CANTO    TRENTESIMOQUINTO  919 

XL 

Con  un  sospir  quest'ultime  parole 

fini,  con  un  sospir  ch'usci  dal  core; 

poi  disse :  —  Andiamo  — ;  e  nel  seguente  sole 

giunsero  al  Hume,  al  passo  pien  d'orrore. 

Scoperte  da  la  guardia  che  vi  suole 

fame  segno  col  corno  al  suo  signore, 

il  pagan  s'arma;  e  quale  e  Jl  suo  costume, 

sul  ponte  s'apparecchia  in  ripa  al  fiume: 

XLI 

e  come  vi  compar  quella  guerriera, 
di  porla  a  morte  subito  minaccia, 
quando  de  1'arme  e  del  destrier  su  ch'era 
al  gran  sepolcro  oblazion  non  faccia. 
Bradamante  che  sa  Pistoria  vera, 
come  per  lui  morta  Issabella  giaccia, 
che  Fiordiligi  detto  le  1'avea, 
al  Saracin  superbo  rispondea: 

XLII 

—  Perche  vuoi  tu,  bestial,  che  gli  innocenti 
facciano  penitenzia  del  tuo  fallo? 
Del  sangue  tuo  placar  costei  convienti: 
tu  Puccidesti,  e  tutto  '1  mondo  sallo. 
Si  che  di  tutte  Parme  e  guernimenti 
di  tanti  che  gittati  hai  da  cavallo, 
oblazione  e  vittima  piu  accetta 
avra,  ch'io  te  1'uccida  in  sua  vendetta. 

XLIII 

E  di  mia  man  le  fia  piu  grato  il  dono, 

quando,  come  ella  fu,  son  donna  anch'io : 

ne  qui  venuta  ad  altro  effetto  sono, 

ch'a  vendicarla;  e  questo  sol  disio. 

Ma  far  tra  noi  prima  alcun  patto  e  buono, 

che  '1  tuo  valor  si  compari  col  mio. 

S'abbattuta  sar6,  di  me  farai 

quel  che  degli  altri  tuoi  prigion  fatt'hai: 


920  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

ma  s'io  t'abbatto,  come  io  credo  e  spero, 

guadagnar  voglio  il  tuo  cavallo  e  1'armi, 

e  quelle  offerir  sole  al  cimitero, 

e  tutte  Paltre  distaccar  da'  marmi; 

e  voglio  che  tu  lasci  ogni  guerriero.  — 

Rispose  Rodornonte :  —  Giusto  parmi 

che  sia  come  tu  di' ;  ma  i  prigion  darti 

gia  non  potrei,  ch'io  non  gli  ho  in  queste  parti. 

XLV 

Io  gli  ho  al  mio  regno  in  Africa  mandati : 
ma  ti  prometto,  e  ti  do  ben  la  fede, 
che  se  m'awien  per  casi  inopinati 
che  tu  stia  in  sella  e  ch'io  rimanga  a  piede, 
far6  che  saran  tutti  liberati 
in  tanto  tempo  quanto  si  richiede 
di  dare  a  un  messo  ch'in  fretta  si  mandi 
a  far  quel  che,  s'io  perdo,  mi  commandi. 

XLVI 

Ma  s'a  te  tocca  star  di  sotto,  come 
piu  si  conviene,  e  certo  so  che  fia, 
non  vo'  che  lasci  Panne,  ne  il  tuo  nome, 
come  di  vinta,  sottoscritto  sia: 
al  tuo  bel  viso,  a'  begli  occhi,  alle  chiome, 
che  spiran  tutti  amore  e  leggiadria, 
voglio  donar  la  mia  vittoria;  e  basti 
che  ti  disponga  amarmi,  ove  m'odiasti. 

XL  VII 

Io  son  di  tal  valor,  son  di  tal  nerbo, 
ch'aver  non  dei  d'andar  di  sotto  a  sdegno.  — 
Sorrise  alquanto,  ma  d'un  riso  acerbo 
che  fece  d'ira  piu  che  d'altro  segno, 
la  donna,  ne  rispose  a  quel  superbo; 
ma  torno  in  capo  al  ponticel  di  legno, 
sprono  il  cavallo,  e  con  la  lancia  d'oro 
venne  a  trovar  quelPorgoglioso  Moro. 


CANTO    TRENTESIMOQUINTO  921 

XLVIII 

Rodomonte  alia  giostra  s'apparecchia: 
viene  a  gran  corso:  et  e  si  grande  il  suono 
che  rende  il  ponte,  ch'intronar  Torecchia 
puo  forse  a  molti  che  lontan  ne  sono. 
La  lancia  d'oro  fe'  Fusanza  vecchia; 
che  quel  pagan,  si  dianzi  in  giostra  buono, 
Iev6  di  sella,  e  in  aria  to  sospese, 
indi  sul  ponte  a  capo  in  giu  lo  stese. 

XLIX 

Nel  trapassar  ritrov6  a  pena  loco 
ove  entrar  col  destrier  quella  guerriera; 
e  f u  a  gran  risco,  e  ben  vi  manco  poco, 
ch'ella  non  trabocc6  ne  la  riviera: 
ma  Rabicano,  il  quale  il  vento  e  '1  fuoco 
concetto  avean,  si  destro  et  agil  era, 
che  nel  margine  estremo  trov6  strada; 
e  sarebbe  ito  anco  su  Jn  fil  di  spada. 

L 

Ella  si  volta,  e  contra  Tabbattuto 
pagan  ritorna;  e  con  leggiadro  motto: 
—  Or  puoi  —  disse  —  veder  chi  abbia  perduto, 
e  a  chi  di  noi  tocchi  di  star  di  sotto.  — 
Di  maraviglia  il  pagan  resta  muto, 
ch'una  donna  a  cader  P  abbia  condotto; 
e  far  risposta  non  pote  o  non  voile, 
e  fu  come  uom  pien  di  stupore  e  folle. 

LI 

Di  terra  si  levo  tacito  e  mesto; 
e  poi  ch'andato  fu  quattro  o  sei  passi, 
lo  scudo  e  Telmo,  e  de  Faltre  arme  il  resto 
tutto  si  trasse,  e  gitt6  contra  i  sassi; 
e  solo  e  a  pie  fu  a  dileguarsi  presto: 
non  che  commission  prima  non  lassi 
a  un  suo  scudier,  che  vada  a  far  Teffetto 
dei  prigion  suoi,  secondo  che  fu  detto. 


922  ORLANDO    FURIOSO 

LII 

Partissi;  e  nulla  poi  piu  se  n'intese, 
se  non  che  stava  in  una  grotta  scura. 
Intanto  Bradamante  avea  sospese 
di  costui  Parme  all'alta  sepoltura, 
e  fattone  levar  tutto  Parnese, 
il  qual  dei  cavallieri  alia  scrittura 
conobbe  de  la  corte  esser  di  Carlo; 
non  Iev6  il  resto,  e  non  lascio  levarlo. 

Lin 

Oltr'a  quel  del  figliuol  di  Monodante, 
v'e  quel  di  Sansonetto  e  d'Oliviero, 
che  per  trovare  il  principe  d'Anglante, 
quivi  condusse  il  piu  dritto  sentiero. 
Quivi  fur  presi,  e  furo  il  giorno  inante 
mandati  via  dal  Saracino  altiero. 
Di  questi  1'arme  fe*  la  donna  torre 
da  Talta  mole,  e  chiuder  ne  la  torre. 

LIV 

Tutte  1'altre  Iasci6  pender  dai  sassi, 
che  fur  spogliate  ai  cavallier  pagani. 
V'eran  1'arme  d'un  re,  del  quale  i  passi 
per  Frontalatte  mal  fur  spesi  e  vani: 

10  dico  Tarme  del  re  de'  Circassi, 
che  dopo  lungo  errar  per  colli  e  piani 
venne  quivi  a  lasciar  Taltro  destriero; 
e  poi  senz'arme  andossene  leggiero. 

LV 

S'era  partito  disarmato  e  a  piede 
quel  re  pagan  dal  periglioso  ponte, 
si  come  gli  altri  ch'eran  di  sua  fede 
partir  da  se  lasciava  Rodomonte. 
Ma  di  tornar  piu  al  campo  non  gli  diede 

11  cor;  ch'ivi  apparir  non  avria  fronte: 
che  per  quel  che  vantossi,  troppo  scorno 
gli  saria  farvi  in  tal  guisa  ritorno. 


CANTO    TRENTESIMOQUINTO  933 

LVI 

Di  pur  cercar  nuovo  desir  lo  prese 

colei  che  sol  avea  fissa  nel  core. 

Fu  Taventura  sua,  che  tosto  intese 

(io  non  vi  saprei  dir  chi  ne  fu  autore) 

ch'ella  tornava  verso  il  suo  paese: 

onde  esso,  come  il  punge  e  sprona  Amore, 

dietro  alia  pesta  subito  si  pone. 

Ma  tornar  voglio  alia  figlia  d'Amone. 

LVII 

Poi  che  narrato  ebbe  con  altro  scritto 
come  da  lei  fu  liberate  il  passo; 
a  Fiordiligi  ch'avea  il  core  afflitto, 
e  tenea  il  viso  lacrimoso  e  basso, 
domando  umanamente  ov'ella  dritto 
volea  che  fosse,  indi  partendo,  il  passo. 
Rispose  Fiordiligi: —  II  mio  camino 
vo5  che  sia  in  Arli  al  campo  saracino, 

LVIII 

ove  navilio  e  buona  compagnia 
spero  trovar  da  gir  ne  T altro  lito. 
Mai  non  mi  fermer6  fin  ch'io  non  sia 
venuta  al  mio  signore  e  mio  marito. 
Voglio  tentar,  perche"  in  prigion  non  stia, 
piu  modi  e  piu;  che  se  mi  vien  fallito 
questo  che  Rodomonte  t'ha  promesso, 
ne  voglio  avere  uno  et  un  altro  appresso. 

LIX 

—  Io  m'offerisco  —  disse  Bradamante 

—  d'accompagnarti  un  pezzo  de  la  strada, 
tanto  che  tu  ti  vegga  Arli  davante, 

ove  per  amor  mio  vo'  che  tu  vada 
a  trovar  quel  Ruggier  del  re  Agramante 
che  del  suo  nome  ha  piena  ogni  contrada; 
e  che  gli  rendi  questo  buon  destriero, 
onde  abbattuto  ho  il  Saracino  altiero. 


9^4  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

Voglio  ch'a  punto  tu  gli  dica  questo : 
«Un  cavallier  che  di  provar  si  crede, 
e  fare  a  tutto  '1  mondo  manifesto 
che  contra  lui  sei  mancator  di  fede; 
acci6  ti  trovi  apparecchiato  e  presto, 
questo  destrier,  perch'io  tel  dia,  mi  diede. 
Dice  che  trovi  tua  piastra  e  tua  maglia, 
e  che  Faspetti  a  far  teco  battaglia. » 

LXI 

Digli  questo,  e  non  altro ;  e  se  quel  vuole 
saper  da  te  ch'io  son,  di'  che  nol  sai.  — 
Quella  rispose  umana  come  suole: 
—  Non  saro  stanca  in  tuo  servizio  mai 
spender  la  vita,  non  che  le  parole; 
che  tu  ancora  per  me  cosi  fatto  hai.  — 
Grazie  le  rende  Bradamante,  e  piglia 
Frontino,  e  le  lo  porge  per  la  briglia. 

LXII 

Lungo  il  flume  le  belle  e  pellegrine 
giovani  vanno  a  gran  giornate  insieme, 
tanto  che  veggono  Arli,  e  le  vicine 
rive  odon  risonar  del  mar  che  freme. 
Bradamante  si  ferma  alle  confine 
quasi  de'  borghi  et  alle  sbarre  estreme, 
per  dare  a  Fiordiligi  atto  intervallo, 
che  condurre  a  Ruggier  possa  il  cavallo. 

LXIII 

Vien  Fiordiligi,  et  entra  nel  rastrello, 
nel  ponte  e  nella  porta;  e  seco  prende 
chi  le  fa  compagnia  fin  alPostello 
ove  abita  Ruggiero,  e  quivi  scende; 
e  secondo  il  mandate  al  damigello 
fa  1'imbasciata,  e  il  buon  Frontin  gli  rende: 
indi  va,  che  risposta  non  aspetta, 
ad  esequire  il  suo  bisogno  in  fretta. 


CANTO    TRENTESIMOQUINTO  925 

LXIV 

Ruggier  riman  confuso  e  in  pensier  grande, 

e  non  sa  ritrovar  capo  ne  via 

di  saper  chi  lo  sfide,  e  chi  gli  mande 

a  dire  oltraggio  e  a  fargli  cortesia. 

Che  costui  senza  fede  lo  domande, 

o  possa  domandar  uomo  che  sia, 

non  sa  veder  ne  imaginare;  e  prima 

ch'ogn'altro  sia  che  Bradamante  istima. 

LXV 

Che  fosse  Rodomonte,  era  piu  presto 
ad  aver,  che  fosse  altri,  opinione; 
e  perche  ancor  da  lui  debba  udir  questo, 
pensa,  ne  imaginar  puo  la  cagione. 
Fuor  che  con  lui,  non  sa  di  tutto  '1  resto 
del  mondo,  con  chi  lite  abbia  e  tenzone. 
Intanto  la  donzella  di  Dordona 
chiede  battaglia,  e  forte  il  corno  suona. 

LXVI 

Vien  la  nuova  a  Marsilio  e  ad  Agramante, 
ch'un  cavallier  di  fuor  chiede  battaglia. 
A  caso  Serpentin  loro  era  avante, 
et  impetro  di  vestir  piastra  e  maglia, 
e  promesse  pigliar  questo  arrogante. 
II  popul  venne  sopra  la  muraglia; 
ne  fanciullo  resto,  ne  rest6  veglio, 
che  non  fosse  a  veder  chi  fesse  meglio. 

LXVII 

Con  ricca  sopravesta  e  bello  arnese 
Serpentin  da  la  Stella  in  giostra  venne. 
Al  primo  scontro  in  terra  si  distese: 
il  destrier  aver  parve  a  fuggir  penne. 
Dietro  gli  corse  la  donna  cortese, 
e  per  la  briglia  al  Saracin  lo  tenne, 
e  disse :  —  Monta,  e  fa  che  '1  tuo  signore 
mi  mandi  un  cavallier  di  te  migliore.  — 


926  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

II  re  african,  ch'era  con  gran  famiglia 
sopra  le  mura  alia  giostra  vicino, 
del  cortese  atto  assai  si  maraviglia 
ch'usato  ha  la  donzella  a  Serpentine. 

—  Di  ragion  puo  pigliarlo,  e  non  lo  piglia— , 
diceva,  udendo  il  popul  saracino. 
Serpentin  giunge,  e  come  ella  commanda, 
un  miglior  da  sua  parte  al  re  domanda. 

LXIX 

Grandonio  di  Volterna  furibondo, 
il  piu  superbo  cavallier  di  Spagna, 
pregando  fece  si,  che  fu  il  secondo, 
et  usci  con  minaccie  alia  campagna. 

—  Tua  cortesia  nulla  ti  vaglia  al  mondo ; 
che  quando  da  me  vinto  tu  rimagna, 

al  mio  signer  menar  preso  ti  voglio: 
ma  qui  morrai,  s'io  posso  come  soglio.  — 

LXX 

La  donna  disse  lui:  —  Tua  villania 
non  vo'  che  men  cortese  far  mi  possa, 
ch'io  non  ti  dica  che  tu  torni  pria 
che  sul  duro  terren  ti  doglian  Tossa. 
Ritorna,  e  di'  al  tuo  re  da  parte  mia 
che  per  simile  a  te  non  mi  son  mossa; 
ma  per  trovar  guerrier  che  '1  pregio  vaglia, 
son  qui  venuta  a  domandar  battaglia.  — 

LXXI 

II  mordace  parlare,  acre  et  acerbo, 
gran  fuoco  al  cor  del  Saracino  attizza; 
si  che  senza  poter  replicar  verbo, 
volta  il  destrier  con  colera  e  con  stizza. 
Volta  la  donna,  e  contra  quel  superbo 
la  lancia  d'oro  e  Rabicano  drizza. 
Come  Pasta  fatal  lo  scudo  tocca, 
coi  piedi  al  cielo  il  Saracin  trabocca. 


CANTO    TRENTESIMOQUINTO  927 

LXXII 

II  destrier  la  magnanima  guerriera 
gli  prese,  e  disse:—  Pur  tel  prediss'io, 
che  far  la  mia  imbasciata  meglio  t'era, 
che  de  la  giostra  aver  tanto  disio. 
Di'  al  re,  ti  prego,  che  fuor  de  la  schiera 
elegga  un  cavallier  che  sia  par  mio ; 
ne  voglia  con  voi  altri  affaticarme, 
ch'avete  poca  esperienzia  d'arme.  — 

LXXIII 

Quei  da  le  mura,  che  stimar  non  sanno 
chi  sia  il  guerriero  in  su  1'arcion  si  saldo, 
quei  piu  famosi  nominando  vanno, 
che  tremar  li  fan  spesso  al  maggior  caldo. 
Che  Brandimarte  sia,  molti  detto  hanno; 
la  piu  parte  s'accorda  esser  Rinaldo; 
molti  su  Orlando  avrian  fatto  disegno, 
ma  il  suo  caso  sapean  di  pieta  degno. 

LXXIV 

La  terza  giostra  il  figlio  di  Lanfusa 
chiedendo,  disse:—  Non  che  vincer  speri, 
ma  perche  di  cader  piu  degna  scusa 
abbian,  cadendo  anch'io,  questi  guerrieri.  — 
E  poi  di  tutto  quei  ch'in  giostra  s'usa 
si  messe  in  punto;  e  di  cento  destrieri 
che  tenea  in  stalla,  d'un  tolse  Peletta, 
ch'avea  il  correre  acconcio,  e  di  gran  fretta. 

LXXV 

Contra  la  donna  per  giostrar  si  fece ; 
ma  prima  salutolla,  et  ella  lui. 
Disse  la  donna:  —  Se  saper  mi  lece, 
ditemi  in  cortesia  che  siate  vui.  — 
Di  questo  Ferrau  le  satisfece, 
ch'uso  di  rado  di  celarsi  altrui. 
Ella  soggiunse:  —  Voi  gia  non  rifiuto, 
ma  avria  piu  volentieri  altri  voluto. 


928  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

—  E  chi  ?  —  Ferrau  disse.  Ella  rispose : 

—  Ruggiero  — ;  e  a  pena  il  pote  proferire, 
e  sparse  d'un  color  come  di  rose 

la  bellissima  faccia  in  questo  dire. 
Soggiunse  al  detto  poi :  —  Le  cui  famose 
lode  a  tal  prova  m'han  fatto  venire. 
Altro  non  bramo,  e  d'altro  non  mi  cale, 
che  di  provar  come  egli  in  giostra  vale.  — 

LXXVII 

Semplicemente  disse  le  parole 
che  forse  alcuno  ha  gia  prese  a  malizia. 
Rispose  Ferrau :  —  Prima  si  vuole 
provar  tra  noi  chi  sa  piu  di  milizia. 
Se  di  me  avvien  quel  che  di  molti  suole, 
poi  verra  ad  emendar  la  mia  tristizia 
quel  gentil  cavallier  che  tu  dimostri 
aver  tanto  desio  che  teco  giostri.  — 

LXXVIII 

Parlando  tuttavolta  la  donzella 
teneva  la  visiera  alta  dal  viso. 
Mirando  Ferrau  la  faccia  bella, 
si  sente  rimaner  mezzo  conquiso, 
e  taciturno  dentro  a  se  favella: 
«  Questo  un  angel  mi  par  del  paradiso ; 
e  ancor  che  con  la  lancia  non  mi  tocchi, 
abbattuto  son  gia  da'  suoi  begli  occhi. » 

LXXIX 

Preson  del  campo;  e  come  agli  altri  avvenne, 
Ferrau  se  n'usci  di  sella  netto. 
Bradamante  il  destrier  suo  gli  ritenne, 
e  disse:  —  Torna,  e  serva  quel  c'hai  detto.  — 
Ferrau  vergognoso  se  ne  venne, 
e  ritrovo  Ruggier  ch'era  al  conspetto 
del  re  Agramante;  e  gli  fece  sapere 
ch'alla  battaglia  il  cavallier  lo  chere. 


CANTO    TRENTESIMOQUINTO  929 

LXXX 

Ruggier  non  conoscendo  ancor  chi  fosse 
chi  a  sfidar  lo  mandava  alia  battaglia, 
quasi  certo  di  vincere,  allegrosse; 
e  le  piastre  arrecar  fece  e  la  maglia: 
ne  1'aver  visto  alle  gravi  percosse 
che  gli  altri  sian  caduti,  il  cor  gli  smaglia. 
Come  s'armasse,  e  come  uscisse,  e  quanto 
poi  ne  segui,  lo  serbo  all'altro  canto. 


93°  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO   TRENTESIMOSESTO 


I 

Convien  ch'ovunque  sia,  sempre  cortese 
sia  un  cor  gentil,  ch'esser  non  puo  altrimente; 
che  per  natura  e  per  abito  prese 
quel  che  di  mutar  poi  non  e  possente. 
Convien  ch'ovunque  sia,  sempre  palese 
un  cor  villan  si  mostri  similmente. 
Natura  inchina  al  male,  e  viene  a  farsi 
1'abito  poi  difficile  a  mutarsi. 

ii 

Di  cortesia,  di  gentilezza  esempii 
fra  gli  antiqui  guerrier  si  vider  molti, 
e  pochi  fra  i  moderni;  ma  degli  empii 
costumi  awien  ch'assai  ne  vegga  e  ascolti 
in  quella  guerra,  Ippolito,  che  i  tempii 
di  segni  ornaste  agli  nimici  tolti, 
e  che  traeste  lor  galee  captive 
di  preda  carche  alle  paterne  rive. 

ni 

Tutti  gli  atti  crudeli  et  inumani 
ch'usasse  mai  Tartaro  o  Turco  o  Moro, 
(non  gia  con  volonta  de'  Veneziani, 
che  sempre  esempio  di  giustizia  foro), 
usaron  Pempie  e  scelerate  mani 
di  rei  soldati,  mercenarii  loro. 
lo  non  dico  or  di  tanti  accesi  fuochi 
ch'arson  le  ville  e  i  nostri  ameni  lochi: 


CANTO    TRENTESIMOSESTO  931 

IV 

ben  che  fu  quella  ancor  brutta  vendetta, 
massimamente  contra  voi,  ch'appresso 
Cesare  essendo,  mentre  Padua  stretta 
era  d'assedio,  ben  sapea  che  spesso 
per  voi  piu  d'una  fiamma  fu  interdetta, 
e  spento  il  fuoco  ancor,  poi  che  fu  messo, 
da  villaggi  e  da  templi,  come  piacque 
all'alta  cortesia  che  con  voi  nacque. 

v 

lo  non  parlo  di  questo  ne  di  tanti 
altri  lor  discortesi  e  crudeli  atti; 
ma  sol  di  quel  che  trar  dai  sassi  i  pianti 
debbe  poter,  qual  volta  se  ne  tratti: 
quel  di,  Signor,  che  la  famiglia  inanti 
vostra  mandaste  la  dove  ritratti 
dai  legni  lor  con  importuni  auspici 
s'erano  in  luogo  forte  grinimici. 

VI 

Qual  Ettorre  et  Enea  sin  dentro  ai  flutti, 
per  abbruciar  le  navi  greche,  andaro; 
un  Ercol  vidi  e  un  Alessandro,  indutti 
da  troppo  ardir,  partirsi  a  paro  a  paro, 
e  spronando  i  destrier  passarci  tutti, 
e  i  nemici  turbar  fin  nel  riparo, 
e  gir  si  inanzi,  ch'al  secondo  molto 
aspro  fu  il  ritornare,  e  al  primo  tolto. 

VII 

Salvossi  il  FerrufEn,  rest6  il  Cantelmo. 

Che  cor,  duca  di-Sora,  che  consiglio 

fu  allora  il  tuo,  che  trar  vedesti  Telmo 

fra  mille  spade  al  generoso  figlio, 

e  menar  preso  a  nave,  e  sopra  un  schelmo 

troncargli  il  capo?  Ben  mi  maraviglio 

che  darti  morti  lo  spettacol  solo 

non  pote,  quanto  il  ferro  a  tuo  figliuolo. 


932  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Schiavon  crudele,  onde  hai  tu  il  modo  appreso 
de  la  milizia?  In  qual  Scizia  s'intende 
ch'uccider  si  debba  un,  poi  che  gli  e  preso, 
che  rende  1'arme,  e  piu  non  si  difende? 
Dunque  uccidesti  lui,  perche  ha  difeso 
la  patria?  II  sole  a  torto  oggi  risplende, 
crudel  seculo,  poi  che  pieno  sei 
di  Tiesti,  di  Tantali  e  di  Atrei. 

IX 

Festi,  barbar  crudel,  del  capo  scemo 
il  piu  ardito  garzon  che  di  sua  etade 
fosse  da  un  polo  a  1'altro,  e  da  1'estremo 
Hto  degl'Indi  a  quello  ove  il  sol  cade. 
Potea  in  Antropofago,  in  Polifemo 
la  belta  e  gli  anni  suoi  trovar  pietade; 
ma  non  in  te,  piu  crudo  e  piu  fellone 
d'ogni  Ciclope  e  d'ogni  Lestrigone. 

x 

Simile  esempio  non  credo  che  sia 

fra  gli  antiqui  guerrier,  di  quai  li  studi 

tutti  fur  gentilezza  e  cortesia; 

ne  dopo  la  vittoria  erano  crudi. 

Bradamante  non  sol  non  era  ria 

a  quei  ch'avea,  toccando  lor  gli  scudi, 

fatto  uscir  de  la  sella,  ma  tenea 

loro  i  cavalli,  e  rimontar  facea. 

XI 

Di  questa  donna  valorosa  e  bella 
io  vi  dissi  di  sopra,  che  -abbattuto 
aveva  Serpentin  quel  da  la  Stella, 
Grandonio  di  Volterna  e  Ferrauto, 
e  ciascun  d'essi  poi  rimesso  in  sella; 
e  dissi  ancor  che  '1  terzo  era  venuto, 
da  lei  mandate  a  disfidar  Ruggiero, 
la  dove  era  stimata  un  cavalliero. 


CANTO    TRENTESIMOSESTO  933 

XII 

Ruggier  tenne  lo  'nvito  allegramente, 
e  Farmatura  sua  fece  venire. 
Or  mentre  che  s'armava  al  re  presente, 
tornaron  quei  signer  di  nuovo  a  dire 
chi  fosse  il  cavallier  tanto  eccellente, 
che  di  lancia  sapea  si  ben  ferire ; 
e  Ferrau,  che  parlato  gli  avea, 
fu  domandato  se  lo  conoscea. 

XIII 

Rispose  Ferrau :  —  Tenete  certo 

che  non  e  alcun  di  quei  ch'avete  detto. 

A  me  parea,  ch'il  vidi  a  viso  aperto, 

il  fratel  di  Rinaldo  giovinetto: 

ma  poi  ch'io  n'ho  Falto  valore  esperto, 

e  so  che  non  puo  tanto  Ricciardetto, 

penso  che  sia  la  sua  sorella,  molto 

(per  quei  ch'io  n'odo)  a  lui  simil  di  volto. 

XIV 

Ella  ha  ben  fama  d'esser  forte  a  pare 
del  suo  Rinaldo  e  d'ogni  paladino; 
ma,  per  quanto  io  ne  veggo  oggi,  mi  pare 
che  val  piu  del  fratel,  piu  del  cugino.  — 
Come  Ruggier  lei  sente  ricordare, 
del  vermiglio  color  che  }1  matutino 
sparge  per  Faria,  si  dipinge  in  faccia, 
e  nel  cor  triema,  e  non  sa  che  si  faccia. 

xv 

A  questo  annunzio,  stimulate  e  punto 
da  1'amoroso  stral,  dentro  infiammarse, 
e  per  Fossa  senti  tutto  in  un  punto 
correr  un  giaccio  che  '1  timor  vi  sparse, 
timor  ch'un  nuovo  sdegno  abbia  consunto 
quei  grande  amor  che  gia  per  lui  si  Farse. 
Di  cio  confuso  non  si  risolveva 
s'incontra  uscirle,  o  pur  restar  doveva. 


934  ORLANDO    FURIOSO 

XVI 

Or  quivi  ritrovandosi  Marfisa, 
che  d'uscire  alia  giostra  avea  gran  voglia, 
et  era  armata,  perche  in  altra  guisa 
e  raro,  o  notte  o  di,  che  tu  la  coglia; 
sentendo  che  Ruggier  s'arma,  s'avisa 
che  di  quella  vittoria  ella  si  spoglia 
se  lascia  che  Ruggiero  esca  fuor  prima: 
pensa  ire  inanzi,  e  averne  il  pregio  stima. 

XVII 

Salta  a  cavallo,  e  vien  spronando  in  fretta 
ove  nel  campo  la  figlia  d'Amone 
con  palpitante  cor  Ruggiero  aspetta, 
desiderosa  farselo  prigione, 
e  pensa  solo  ove  la  lancia  metta, 
perche  del  colpo  abbia  minor  lesione. 
Marfisa  se  ne  vien  fuor  de  la  porta, 
e  sopra  Telmo  una  fenice  porta; 

XVIII 

o  sia  per  sua  superbia,  dinotando 
se  stessa  unica  al  mondo  in  esser  forte, 
o  pur  sua  casta  intenzion  lodando 
di  viver  sempremai  senza  consorte. 
La  figliuola  d'Amon  la  mira;  e  quando 
le  fattezze  ch'amava  non  ha  scorte, 
come  si  nomi  le  domanda,  et  ode 
esser  colei  che  del  suo  amor  si  gode; 

XIX 

o  per  dir  meglio,  esser  colei  che  crede 
che  goda  del  suo  amor,  colei  che  tanto 
ha  in  odio  e  in  ira,  che  morir  si  vede 
se  sopra  lei  non  vendica  il  suo  pianto. 
Volta  il  cavallo,  e  con  gran  furia  riede, 
non  per  desir  di  porla  in  terra,  quanto 
di  passarle  con  Pasta  in  mezzo  il  petto, 
e  libera  restar  d'ogni  suspetto. 


CANTO    TRENTESIMOSESTO  935 

XX 

Forza  e  a  Marfisa  ch'a  quel  colpo  vada 
a  provar  se  '1  terreno  e  duro  o  molle; 
e  cosa  tanto  insolita  le  accada, 
ch'ella  n'e  per  venir  di  sdegno  folle. 
Fu  in  terra  a  pena,  che  trasse  la  spada, 
e  vendicar  di  quel  cader  si  voile. 
La  figliuola  d'Amon  non  meno  altiera 
grido :  —  Che  fai  ?  tu  sei  mia  prigioniera. 

XXI 

Se  bene  uso  con  gli  altri  cortesia, 

usar  teco,  Marfisa,  non  la  voglio, 

come  a  colei  che  d'ogni  villania 

odo  che  sei  dotata  e  d'ogni  orgoglio.  — 

Marfisa  a  quel  parlar  fremer  s'udia 

come  un  vento  marino  in  uno  scoglio. 

Grida,  ma  si  per  rabbia  si  confonde, 

che  non  puo  esprimer  fuor  quel  che  risponde. 

XXII 

Mena  la  spada,  e  piu  ferir  non  mira 

lei,  che  '1  destrier,  nel  petto  e  ne  la  pancia: 

ma  Bradamante  al  suo  la  briglia  gira, 

e  quel  da  parte  subito  si  lancia; 

e  tutto  a  un  tempo  con  isdegno  et  ira 

la  figliuola  d'Amon  spinge  la  lancia, 

e  con  quella  Marfisa  tocca  a  pena, 

che  la  fa  riversar  sopra  1* arena. 

XXIII 

A  pena  ella  fu  in  terra,  che  rizzosse, 
cercando  far  con  la  spada  mal'opra. 
Di  nuovo  1'asta  Bradamante  mosse, 
e  Marfisa  di  nuovo  and6  sozzopra. 
Ben  che  possente  Bradamante  fosse, 
non  per6  si  a  Marfisa  era  di  sopra, 
che  1'avesse  ogni  colpo  riversata; 
ma  tal  virtu  ne  Tasta  era  incantata. 


936  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Alcuni  cavallieri  in  questo  mezzo, 
alcuni,  dico,  de  la  parte  nostra, 
se  n'erano  venuti  dove,  in  mezzo 
1'un  campo  e  Paltro,  si  facea  la  giostra 
(che  non  eran  lontani  un  miglio  e  mezzo), 
veduta  la  virtu  che  '1  suo  dimostra; 
il  suo  che  non  conoscono  altrimente 
che  per  un  cavallier  de  la  lor  gente. 

xxv 

Questi  vedendo  il  generoso  figlio 
di  Troiano  alle  mura  approssimarsi, 
per  ogni  caso,  per  ogni  periglio 
non  volse  sproveduto  ritrovarsi; 
e  fe'  che  molti  alParme  dier  di  piglio, 
e  che  fuor  dei  ripari  appresentarsi. 
Tra  questi  fu  Ruggiero,  a  cui  la  fretta 
di  Marfisa  la  giostra  avea  intercetta. 

XXVI 

L' inamorato  giovene  mirando 
stava  il  successo,  e  gli  tremava  il  core, 
de  la  sua  cara  moglie  dubitando ; 
che  di  Marfisa  ben  sapea  il  valore. 
Dubito,  dico,  nel  principio,  quando 
si  mosse  1'una  e  1'altra  con  furore; 
ma  visto  poi  come  successe  il  fatto, 
resto  maraviglioso  e  stupefatto: 

XXVII 

e  poi  che  fin  la  lite  lor  non  ebbe, 
come  avean  1'altre  avute,  al  primo  incontro, 
nel  cor  profundamente  gli  ne  'ncrebbe, 
dubbioso  pur  di  qualche  strano  incontro. 
De  Tuna  egli  e  de  1'altra  il  ben  vorrebbe, 
ch'ama  amendue;  non  che  da  porre  incontro 
sien  questi  amori:  e  1'un  fiamma  e  furore, 
1'altro  benivolenza  piu  ch'amore. 


CANTO    TRENTESIMOSESTO 
XXVIII 

Partita  volentier  la  pugna  avria, 
se  con  suo  onor  potuto  avesse  farlo. 
Ma  quei  ch'egli  avea  seco  in  compagnia, 
perche  non  vinca  la  parte  di  Carlo, 
che  gia  lor  par  che  superior  ne  sia, 
saltan  nel  campo,  e  vogliono  turbarlo. 
Da  1'altra  parte  i  cavallier  cristiani 
si  fanno  inanzi,  e  son  quivi  alle  mani. 

XXIX 

Di  qua  di  la  gridar  si  sente  alFarme, 
come  usati  eran  far  quasi  ogni  giorno. 
Monti  chi  e  a  pie,  chi  non  e  armato  s'arme, 
alia  bandiera  ognun  faccia  ritorno! 
dicea  con  chiaro  e  bellicoso  carme 
piu  d'una  tromba  che  scorrea  d'intorno: 
e  come  quelle  svegliano  i  cavalli, 
svegliano  i  fanti  i  timpani  e  i  taballi. 

xxx 

La  scaramuccia  fiera  e  sanguinosa, 
quanto  si  possa  imaginar,  si  mesce. 
La  donna  di  Dordona  valorosa, 
a  cui  mirabilmente  aggrava  e  incresce 
che  quel  di  ch'era  tanto  disiosa, 
di  por  Marfisa  a  morte,  non  riesce; 
di  qua  di  la  si  volge  e  si  raggira, 
se  Ruggier  puo  veder,  per  cui  sospira. 

XXXI 

Lo  riconosce  alPaquila  d'argento 
c'ha  nello  scudo  azzurro  il  giovinetto. 
Ella  con  gli  occhi  e  col  pensiero  intento 
si  ferma  a  contemplar  le  spalle  e  '1  petto, 
le  leggiadre  fattezze,  e  '1  movimento 
pieno  di  grazia;  e  poi  con  gran  dispetto, 
imaginando  ch'altra  ne  gioisse, 
da  furore  assalita  cosi  disse: 


937 


938  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

—  Dunque  baciar  si  belle  e  dolce  labbia 
deve  altra,  se  baciar  non  le  poss'io? 

Ah  non  sia  vero  gia  ch'altra  mai  t'abbia; 
che  d'altra  esser  non  dei,  se  non  sei  mio. 
Piu  tosto  che  morir  sola  di  rabbia, 
che  meco  di  mia  man  mori,  disio; 
che  se  ben  qui  ti  perdo,  almen  Finferno 
poi  mi  ti  renda,  e  stii  meco  in  eterno. 

XXXIII 

Se  tu  m'occidi,  e  ben  ragion  che  deggi 
darmi  de  la  vendetta  anco  conforto; 
che  voglion  tutti  gli  ordini  e  le  leggi, 
che  chi  da  morte  altrui  debba  esser  morto. 
Ne  par  ch'anco  il  tuo  danno  il  mio  pareggi; 
che  tu  mori  a  ragione,  io  moro  a  torto. 
Faro  morir  chi  brama,  ohime!  ch'io  muora; 
ma  tu,  crudel,  chi  t'ama  e  chi  t'adora. 

xxxiv 

Perche  non  dei  tu,  mano,  essere  ardita 
d'aprir  col  ferro  al  mio  nimico  il  core? 
che  tante  volte  a  morte  m'ha  ferita 
sotto  la  pace  in  sicurta  d'amore, 
et  or  puo  consentir  tormi  la  vita, 
ne  pur  aver  pieta  del  mio  dolore. 
Contra  questo  empio  ardisci,  animo  forte: 
vendica  mille  mie  con  la  sua  morte.  — 

XXXV 

Gli  sprona  contra  in  questo  dir,  ma  prima: 

—  Guardati,  —  grida  —  perfido  Ruggiero : 
tu  non  andrai,  s'io  posso,  de  la  opima 
spoglia  del  cor  d'una  donzella  altiero.  — 
Come  Rugggiero  ode  il  parlare,  estima 
che  sia  la  moglie  sua,  com' era  in  vero, 

la  cui  voce  in  memoria  si  bene  ebbe, 
ch'in  mille  riconoscer  la  potrebbe. 


CANTO    TRENTESIMOSESTO  939 

XXXVI 

Ben  pensa  quel  che  le  parole  denno 
volere  inferir  piu;  ch'ella  Taccusa 
che  la  convenzion  ch'insieme  fenno, 
non  le  osservava:  onde  per  fame  iscusa, 
di  volerle  parlar  le  fece  cenno; 
ma  quella  gia  con  la  visiera  chiusa 
venia  dal  dolor  spinta  e  da  la  rabbia, 
per  porlo,  e  forse  ove  non  era  sabbia. 

XXXVII 

Quando  Ruggier  la  vede  tanto  accesa, 
si  ristringe  ne  1'arme  e  ne  la  sella: 
la  lancia  arresta;  ma  la  tien  sospesa, 
piegata  in  parte  ove  non  nuoccia  a  quella. 
La  donna,  ch'a  ferirlo  e  a  fargli  offesa 
venia  con  mente  di  pieta  rubella, 
non  pote  sofferir,  come  fu  appresso, 
di  porlo  in  terra  e  fargli  oltraggio  espresso. 

XXXVIII 

Cosi  lor  lancie  van  d'effetto  vote- 
a  quello  incontro;  e  basta  ben  s'Amore 
con  Fun  giostra  e  con  Taltro,  e  gli  percuote 
d'una  amorosa  lancia  in  mezzo  il  core. 
Poi  che  la  donna  sofferir  non  puote 
di  far  onta  a  Ruggier,  volge  il  furore 
che  Tarde  il  petto  altrove;  e  vi  fa  cose 
che  saran,  fin  che  giri  il  ciel,  famose. 

xxxix 

In  poco  spazio  ne  gitto  per.  terra 
trecento  e  piu  con  quella  lancia  d'oro. 
Ella  sola  quel  di  vinse  la  guerra, 
messe  ella  sola  in  fuga  il  popul  Moro. 
Ruggier  di  qua  di  la  s'aggira  et  erra 
tanto,  che  se  le  accosta  e  dice:  —  lo  moro, 
s'io  non  ti  parlo:  ohime!  che  t'ho  fatto  io, 
che  mi  debbi  fuggire?  Odi,  per  Dio!  — 


94°  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Come  ai  meridional  tiepidi  venti, 

che  spirano  dal  mare  il  fiato  caldo, 

le  nievi  si  disciolveno  e  i  torrenti 

e  il  ghiaccio  che  pur  dianzi  era  si  saldo; 

cosi  a  quei  prieghi,  a  quei  brevi  lament! 

il  cor  de  la  sorella  di  Rinaldo 

subito  ritorno  pietoso  e  molle, 

che  1'ira,  piu  che  marmo,  indurar  voile. 

XLI 

Non  vuol  dargli,  o  non  puote,  altra  risposta; 
ma  da  traverse  sprona  Rabicano, 
e  quanto  pu6  dagli  altri  si  discosta, 
et  a  Ruggiero  accenna  con  la  mano. 
Fuor  de  la  moltitudme  in  reposta 
valle  si  trasse,  ov'era  un  piccol  piano 
ch'in  mezzo  avea  un  boschetto  di  cipressi 
che  parean  d'una  stampa  tutti  impressi. 

XLII 

In  quei  boschetto  era  di  bianchi  marmi 
fatta  di  nuovo  un'alta  sepoltura. 
Chi  dentro  giaccia,  era  con  brevi  carmi 
notato  a  chi  saperlo  avesse  cura. 
Ma  quivi  giunta  Bradamante,  parmi 
che  gia  non  pose  mente  alia  scrittura. 
Ruggier  dietro  il  cavallo  affretta  e  punge 
tanto,  ch'al  bosco  e  alia  donzella  giunge. 

XLIII 

Ma  ritorniamo  a  Marfisa  che  s'era 

in  questo  mezzo  in  sul  destrier  rimessa, 

e  venia  per  trovar  quella  guerriera 

che  1'avea  al  primo  scontro  in  terra  messa: 

e  la  vide  partir  fuor  de  la  schiera, 

e  partir  Ruggier  vide  e  seguir  essa; 

ne  si  penso  che  per  amor  seguisse, 

ma  per  finir  con  Parme  ingiurie  e  risse. 


CANTO    TRENTESIMOSESTO  941 

XLIV 

Urta  il  cavallo,  e  vien  dietro  alia  pesta 
tanto,  ch'a  un  tempo  con  lor  quasi  arriva. 
Quanto  sua  giunta  ad  ambi  sia  molesta, 
chi  vive  amando,  il  sa,  senza  ch'io  '1  scriva. 
Ma  Bradamante  offesa  piu  ne  resta, 
che  colei  vede  onde  il  suo  mal  deriva. 
Chi  le  puo  tor  che  non  creda  esser  vero 
che  Tamor  ve  la  sproni  di  Ruggiero? 

XLV 
E  perfido  Ruggier  di  nuovo  chiama. 

—  Non  ti  bastava,  perfido,  —  disse  ella 

—  che  tua  perfidia  sapessi  per  fama, 
se  non  mi  facevi  anco  veder  quella? 
Di  cacciarmi  da  te  veggo  c'hai  brama: 
e  per  sbramar  tua  voglia  iniqua  e  fella, 

10  vo'  morir;  ma  sforzerommi  ancora 

che  muora  meco  chi  e  cagion  ch'io  mora.  — 

XLVI 

Sdegnosa  piu  che  vipera,  si  spicca 
cosi  dicendo,  e  va  contra  Marfisa; 
et  allo  scudo  Pasta  si  le  appicca, 
che  la  fa  a  dietro  riversare  in  guisa, 
che  quasi  mezzo  1'elmo  in  terra  ficca; 
ne  si  puo  dir  che  sia  colta  improvisa: 
anzi  fa  incontra  cio  che  far  si  puote; 
e  pure  in  terra  del  capo  percuote. 

XLVII 

La  figliuola  d'Amon,  che  vuol  morire 
o  dar  morte  a  Marfisa,  e  in  tanta  rabbia, 
che  non  ha  mente  di  nuovo  a  ferire 
con  Fasta,  onde  a  gittar  di  nuovo  Pabbia; 
ma  le  pensa  dal  busto  dipartire 

11  capo  mezzo  fitto  ne  la  sabbia: 
getta  da  se  la  lancia  d'oro,  e  prende 
la  spada,  e  del  destrier  subito  scende. 


942  ORLANDO    FURIOSO 

XLVIII 

Ma  tarda  e  la  sua  giunta;  che  si  trova 
Marfisa  incontra,  e  di  tanta  ira  piena 
(poi  che  s'ha  vista  alia  seconda  prova 
cader  si  facilmente  su  T arena), 
che  pregar  nulla,  e  nulla  gridar  giova 
a  Ruggier  che  di  questo  avea  gran  pena: 
si  1'odio  e  1'ira  le  guerriere  abbaglia, 
che  fan  da  disperate  la  battaglia. 

XLIX 

A  mezza  spada  vengono  di  botto ; 
e  per  la  gran  superbia  che  Tha  accese, 
van  pur  inanzi,  e  si  son  gia  si  sotto, 
ch'altro  non  puon  che  venire  alle  prese. 
Le  spade,  il  cui  bisogno  era  interrotto, 
lascian  cadere,  e  cercan  nuove  offese. 
Priega  Ruggiero  e  supplica  amendue, 
ma  poco  frutto  han  le  parole  sue. 


Quando  pur  vede  che  Jl  pregar  non  vale, 
di  partirle  per  forza  si  dispone: 
leva  di  mano  ad  amendua  il  pugnale, 
et  al  pie  d'un  cipresso  li  ripone. 
Poi  che  ferro  non  han  piu  da  far  male, 
con  prieghi  e  con  minaccie  s'interpone : 
ma  tutto  e  invan;  che  la  battaglia  fanno 
a  pugni  e  a  calci,  poi  ch'altro  non  hanno. 

LI 

Ruggier  non  cessa:  or  Tuna  or  Faltra  prende 
per  le  man,  per  le  braccia,  e  la  ritira; 
e  tanto  fa,  che  di  Marfisa  accende 
contra  di  se,  quanto  si  pu6  piu,  1'ira. 
Quella  che  tutto  il  mondo  vilipende, 
alia  amicizia  di  Ruggier  non  mira. 
Poi  che  da  Bradamante  si  distacca, 
corre  alia  spada,  e  con  Ruggier  s'attacca. 


CANTO    TRENTESIMOSESTO  943 

LII 

—  Tu  fai  da  discortese  e  da  villano, 
Ruggiero,  a  disturbar  la  pugna  altrui; 
ma  ti  far6  pentir  con  questa  mano 
che  vo'  che  basti  a  vincervi  ambedui.  — 
Cerca  Ruggier  con  parlar  molto  umano 
Marfisa  mitigar;  ma  contra  lui 
la  trova  in  modo  disdegnosa  e  fiera, 
ch'un  perder*  tempo  ogni  parlar  seco  era. 

LIII 

AlPultimo  Ruggier  la  spada  trasse, 
poi  che  Tira  anco  lui  fej  rubicondo. 
Non  credo  che  spettacolo  mirasse 
Atene  o  Roma  o  luogo  altro  del  mondo, 
che  cosi  aj  riguardanti  dilettasse, 
come  dilett6  questo  e  fu  giocondo 
alia  gelosa  Bradamante,  quando 
questo  le  pose  ogni  sospetto  in  bando. 

LIV 

La  sua  spada  avea  tqlta  ella  di  terra, 
e  tratta  s'era  a  riguardar  da  parte; 
e  le  parea  veder  che  '1  dio  di  guerra 
fosse  Ruggiero  alia  possanza  e  aH'arte. 
Una  furia  infernal  quando  si  sferra 
sembra  Marfisa,  se  quel  sembra  Marte. 
Vero  e  ch'un  pezzo  il  giovene  gagliardo 
di  non  far  il  potere  ebbe  riguardo. 

LV 

Sapea  ben  la  virtu  de  la  sua  spada; 
che  tante  esperienze  n'ha  gia  fatto. 
Ove  giunge,  convien  che  se  ne  vada 
Fincanto,  o  nulla  giovi,  e  stia  di  piatto: 
si  che  ritien  che  '1  colpo  suo  non  cada 
di  taglio  o  punta,  ma  sempre  di  piatto. 
Ebbe  a  questo  Ruggier  lunga  awertenza: 
ma  perde  pure  un  tratto  la  pazienza; 


944  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

perche  Marfisa  una  percossa  orrenda 
gli  mena  per  dividergli  la  testa. 
Leva  lo  scudo  che  31  capo  difenda 
Ruggiero,  e  '1  colpo  in  su  Faquila  pesta. 
Vieta  lo  'ncanto  che  lo  spezzi  o  fenda; 
ma  di  stordir  non  per6  il  braccio  resta: 
e  s'avea  altr'arme  che  quelle  d'Ettorre, 
gli  potea  il  fiero  colpo  il  braccio  torre: 

LVII 

e  saria  sceso  indi  alia  testa,  dove 
disegno  di  ferir  Paspra  donzella. 
Ruggiero  il  braccio  manco  a  pena  muove, 
a  pena  piii  sostien  Taquila  bella. 
Per  questo  ogni  pieta  da  se  rimuove ; 
par  che  negli  occhi  avampi  una  facella: 
e  quanto  puo  cacciar,  caccia  una  punta. 
Marfisa,  mal  per  te,  se  n'eri  giunta! 

LVIII 

lo  non  vi  so  ben  dir  come  si  fosse: 
la  spada  ando  a  ferire  in  un  cipresso, 
e  un  palmo  e  piu  ne  1'arbore  cacciosse: 
in  modo  era  piantato  il  luogo  spesso. 
In  quel  momento  il  monte  e  il  piano  scosse 
un  gran  tremuoto;  e  si  sent!  con  esso 
da  quell'avel  ch'in  mezzo  il  bosco  siede, 
gran  voce  uscir  ch'ogni  mortaie  eccede. 

LIX 

Grida  la  voce  orribile :  —  Non  sia 
lite  tra  voi:  gli  e  ingiusto  et  inumano 
ch'alla  sorella  il  fratel  morte  dia, 
o  la  sorella  uccida  il  suo  germano. 
Tu,  mio  Ruggiero,  e  tu,  Marfisa  mia, 
credete  al  mio  parlar  che  non  e  vano: 
in  un  medesimo  utero  d'un  seme 
foste  concetti,  e  usciste  al  mondo  insieme. 


CANTO    TRENTESIMOSESTO  945 

LX 

Concetti  foste  da  Ruggier  secondo: 

vi  fu  Galaciella  genitrice, 

i  cui  fratelli  avendole  dal  mondo 

cacciato  il  genitor  vostro  infelice, 

senza  guardar  ch'avesse  in  corpo  il  pondo 

di  voi,  ch'usciste  pur  di  lor  radice, 

la  fer,  perche  s'avesse  ad  affogare, 

s'un  debol  legno  porre  in  mezzo  al  mare. 

LXI 

Ma  Fortuna  che  voi,  ben  che  non  nati, 
avea  gia  eletti  a  gloriose  imprese, 
fece  che  '1  legno  ai  liti  inabitati 
sopra  le  Sirti  a  salvamento  scese; 
ove,  poi  che  nel  mondo  v'ebbe  dati, 
Panima  eletta  al  paradiso  ascese. 
Come  Dio  volse  e  fu  vostro  destino, 
a  questo  caso  io  mi  trovai  vicino. 

LXII 

Diedi  alia  madre  sepoltura  onesta, 
qual  potea  darsi  in  si  deserta  arena; 
e  voi  teneri  avolti  ne  la  vesta 
meco  portai  sul  monte  di  Carena; 
e  mansueta  uscir  de  la  foresta 
feci  e  lasciare  i  figli  una  leena, 
de  le  cui  poppe  dieci  mesi  e  dieci 
ambi  nutrir  con  molto  studio  feci. 

LXIII 

Un  giorno  che  d'andar  per  la  contrada 
e  da  la  stanza  allontanar  m'occorse, 
vi  sopravenne  a  caso  una  masnada 
d'Arabi  (e  ricordarvene  de5  forse), 
che  te,  Marfisa,  tolser  ne  la  strada; 
ma  non  poter  Ruggier,  che  meglio  corse. 
Restai  de  la  tua  perdita  dolente, 
e  di  Ruggier  guardian  piu  diligente. 


946  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Ruggier,  se  ti  guardo,  mentre  che  visse, 
il  tuo  maestro  Atlante,  tu  lo  sai. 
Di  te  senti'  predir  le  stelle  fisse 
che  tra'  cristiani  a  tradigion  morrai; 
e  perche  il  male  influsso  non  seguisse, 
tenertene  lontan  m'affaticai: 
ne  ostare  al  fin  potendo  alia  tua  voglia, 
infermo  caddi,  e  mi  mori'  di  doglia. 

LXV 

Ma  inanzi  a  morte,  qui  dove  previdi 

che  con  Marfisa  aver  pugna  dovevi, 

feci  raccor  con  infernal  sussidi 

a  formar  questa  tomba  i  sassi  grevi; 

et  a  Caron  dissi  con  alti  gridi: 

« Dopo  morte  non  voj  lo  spirto  levi 

di  questo  bosco,  fin  che  non  ci  giugna 

Ruggier  con  la  sorella  per  far  pugna. » 

LXVI 

Cosi  lo  spirto  mio  per  le  belle  ombre 
ha  molti  di  aspettato  il  venir  vostro : 
si  che  mai  gelosia  piu  non  t'ingombre, 
o  Bradamante,  ch'ami  Ruggier  nostro. 
Ma  tempo  e  ormai  che  de  la  luce  io  sgombre, 
e  mi  conduca  al  tenebroso  chiostro.  — 
Qui  si  tacque;  e  a  Marfisa  et  alia  figlia 
d'Amon  Iasci6  e  a  Ruggier  gran  maraviglia. 

LXVII 

Riconosce  Marfisa  per  sorella 
Ruggier  con  molto  gaudio,  et  ella  lui; 
e  ad  abbracciarsi,  senza  offender  quella 
che  per  Ruggiero  ardea,  vanno  ambidui: 
e  ramentando  de  Feta  novella 
alcune  cose:  i'  feci,  io  dissi,  io  fui; 
vengon  trovando,  con  piu  certo  effetto, 
tutto  esser  ver  quel  c'ha  lo  spirto  detto. 


CANTO    TRENTESIMOSESTO  947 

LXVIII 

Ruggiero  alia  sorella  non  ascose 
quanto  avea  nel  cor  fissa  Bradamante; 
e  narro  con  parole  affettuose 
de  le  obligazion  die  le  avea  tante: 
e  non  cesso,  ch'in  grand'amor  compose 
le  discordie  ch'insieme  ebbono  avante; 
e  fe',  per  segno  di  pacificarsi, 
ch'umanamente  andaro  ad  abbracciarsi. 

LXIX 

A  domandar  poi  ritorn6  Marfisa 
chi  stato  fosse,  e  di  che  gente  il  padre; 
e  chi  1'avesse  morto,  et  a  che  guisa, 
s'in  campo  chiuso  o  fra  Tarmate  squadre; 
e  chi  commesso  avea  che  fosse  uccisa 
dal  mar  atroce  la  misera  madre: 
che  se  gia  1'avea  udito  da  fanciulla, 
or  ne  tenea  poca  memoria  o  nulla. 

LXX 

Ruggiero  incominci6,  che  da'  Troiani 
per  la  linea  d'Ettorre  erano  scesi; 
che  poi  che  Astianatte  de  le  mani 
campo  d'Ulisse  e  da  li  aguati  tesi, 
avendo  un  de'  fanciulli  coetani 
per  lui  lasciato,  usci  di  quei  paesi; 
e  dopo  un  lungo  errar  per  la  marina, 
venne  in  Sicilia  e  domin6  Messina. 

LXXI 

—  I  descendenti  suoi  di  qua  dal  Faro 
signoreggiar  de  la  Calabria  parte; 
e  dopo  piu  succession!  andaro 
ad  abitar  ne  la  citta  di  Marte. 
Piu  d'uno  imperatore  e  re  preclaro 
fu  di  quel  sangue  in  Roma  e  in  altra  parte, 
cominciando  a  Costante  e  a  Costantino, 
sino  a  re  Carlo  figlio  de  Pipino. 


948  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

Fu  Ruggier  primo  e  Gianbaron  di  questi, 
Buovo,  Rambaldo,  al  fin  Ruggier  secondo, 
che  fej,  come  d'Atlante  udir  potesti, 
di  nostra  madre  1'utero  fecondo. 
De  la  progenie  nostra  i  chiari  gesti 
per  Tistorie  vedrai  celebri  al  mondo.  — 
Segui  poi  come  venne  il  re  Agolante 
con  Almonte  e  col  padre  d'Agramante; 

LXXIII 

e  come  meno  seco  una  donzella 
ch'era  sua  figlia,  tanto  valorosa, 
che  molti  paladin  gitto  di  sella; 
e  di  Ruggiero  al  fin  venne  amorosa, 
e  per  suo  amor  del  padre  fu  ribella, 
e  battezzossi,  e  diventogli  sposa. 
Narro  come  Beltramo  traditore 
per  la  cognata  arse  d'incesto  amore; 

LXXIV 

e  che  la  patria  e  '1  padre  e  duo  fratelli 
tradi,  cosi  sperando  acquistar  lei; 
aperse  Risa  agli  nimici,  e  quelli 
fer  di  lor  tutti  i  poitamenti  rei; 
come  Agolante  e  i  figli  iniqui  e  felli 
poser  Galaciella,  che  di  sei 
mesi  era  grave,  in  mar  senza  governo, 
quando  fu  tempestoso  al  maggior  verno. 

LXXV 

Stava  Marfisa  con  serena  fronte 
fisa  al  parlar  che  '1  suo  german  facea; 
et  esser  scesa  da  la  bella  fonte 
ch'avea  si  chiari  rivi,  si  godea. 
Quinci  Mongrana  e  quindi  Chiaramonte 
le  due  progenie  derivar  sapea, 
ch'al  mondo  fur  molti  e  molt'anni  e  lustri 
splendide,  e  senza  par  d'uomini  illustri. 


CANTO    TRENTESIMOSESTO  949 

LXXVI 

Poi  che  Jl  fratello  al  fin  le  venne  a  dire 
che  '1  padre  dj  Agramante  e  Pavo  e  '1  zio 
Ruggiero  a  tradigion  feron  morire, 
e  posero  la  moglie  a  caso  rio; 
non  lo  pole"  piu  la  sorella  udire, 
che  lo  'nterroppe,  e  disse: —  Fratel  mio 
(salva  tua  grazia),  avuto  hai  troppo  torto 
a  non  ti  vendicar  del  padre  morto. 

LXXVII 

Se  in  Almonte  e  in  Troian  non  ti  potevi 
insanguinar,  ch'erano  morti  inante, 
dei  figli  vendicar  tu  ti  dovevi. 
Perche,  vivendo  tu,  vive  Agramante? 
Questa  e  una  macchia  che  mai  non  ti  levi 
dal  viso;  poi  che  dopo  offese  tante 
non  pur  posto  non  hai  questo  re  a  morte, 
ma  vivi  al  soldo  suo  ne  la  sua  corte. 

LXXVIII 

lo  fo  ben  voto  a  Dio  (ch'adorar  voglio 
Cristo  Dio  vero,  ch'ador6  mio  padre) 
che  di  questa  armatura  non  mi  spoglio, 
fin  che  Ruggier  non  vendico  e  mia  madre. 
E  vo'  dolermi,  e  fin  ora  mi  doglio, 
di  te,  se  piu  ti  veggo  fra  le  squadre 
del  re  Agramante  o  d'altro  signer  Moro, 
se  non  col  ferro  in  man  per  danno  loro.  — 

LXXIX 

Oh  come  a  quel  parlar  leva  la  faccia 
la  bella  Bradamante,  e  ne  gioisce! 
E  conforta  Ruggier  che  cosi  faccia 
come  Marfisa  sua  ben  Pammonisce ; 
e  venga  a  Carlo,  e  conoscer  si  faccia, 
che  tanto  onora,  lauda  e  riverisce 
del  suo  padre  Ruggier  la  chiara  fama, 
ch'ancor  guerrier  senza  alcun  par  lo  chiama. 


950  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

Ruggiero  accortamente  le  rispose 
che  da  principio  questo  far  dovea; 
ma  per  non  bene  aver  note  le  cose, 
come  ebbe  poi,  tardato  troppo  avea, 
Ora,  essendo  Agramante  che  gli  pose 
la  spada  al  fianco,  farebbe  opra  rea 
dandogli  morte,  e  saria  traditore; 
che  gia  tolto  1'avea  per  suo  signore. 

LXXXI 

Ben,"  come  a  Bradamante  gia  promesse, 
promettea  a  lei  di  tentare  ogni  via, 
tanto  ch'occasione,  onde  potesse 
levarsi  con  suo  onor,  nascer  faria. 
E  se  gia  fatto  non  Favea,  non  desse 
la  colpa  a  lui,  m'al  re  di  Tartaria, 
dal  qual  ne  la  battaglia  che  seco  ebbe 
lasciato  fu,  come  saper  si  debbe. 

LXXXII 

Et  ella  ch'ogni  di  gli  venia  al  letto, 
buon  testimon,  quanto  alcun  altro,  n'era. 
Fu  sopra  questo  assai  risposto  e  detto 
da  Tuna  e  da  1'altra  inclita  guerriera. 
L'ultima  conclusion,  Fultimo  effetto 
e  che  Ruggier  ritorni  alia  bandiera 
del  suo  signor,  fin  che  cagion  gli  accada, 
che  giustamente  a  Carlo  se  ne  vada. 

LXXXIII 

—  Lascialo  pur  andar,  —  dicea  Marfisa 
a  Bradamante  —  e  non  aver  timore: 
fra  pochi  giorni  io  far6  bene  in  guisa 
che  non  gli  fia  Agramante  piu  signore.  — 
Cosi  dice  ella,  ne  per6  devisa 
quanto  di  voler  fare  abbia  nel  core. 
Tolta  da  lor  licenzia,  al  fin  Ruggiero 
per  tornare  al  suo  re  volgea  il  destriero ; 


CANTO    TRENTESIMOSESTO  951 

LXXXIV 

quando  un  pianto  s'udi  da  le  vicine 
valli  sonar,  che  li  fe'  tutti  attenti. 
A  quella  voce  fan  Porecchie  chine, 
che  di  femina  par  che  si  lamenti. 
Ma  voglio  questo  canto  abbia  qui  fine, 
e  di  quel  che  voglio  io,  siate  content! ; 
che  miglior  cose  vi  prometto  dire, 
s'all'altro  canto  mi  verrete  a  udlre. 


952  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO 


I 

Se  come  in  acquistar  qualch'altro  dono 
che  senza  industria  non  puo  dar  Natura, 
affaticate  notte  e  di  si  sono 
con  somma  diligenzia  e  lunga  cura 
le  valorose  donne,  e  se  con  buono 
successo  n'e  uscit'opra  non  oscura; 
cosi  si  fosson  poste  a  quelli  studi 
ch'immortal  fanno  le  mortal  virtudi; 

ii 

e  che  per  se  medesime  potuto 
avesson  dar  memoria  alle  sue  lode, 
non  mendicar  dagli  scrittori  aiuto, 
ai  quali  astio  et  invidia  il  cor  si  rode, 
che  '1  ben  che  ne  puon  dir  spesso  e  taciuto, 
e  '1  mal,  quanto  ne  san,  per  tutto  s'ode; 
tanto  il  lor  nome  sorgeria,  che  forse 
viril  fama  a  tal  grado  unqua  non  sorse. 

in 

Non  basta  a  molti  di  prestarsi  1'opra 
in  far  Tun  1'altro  glorioso  al  mondo, 
ch'anco  studian  di  far  che  si  discuopra 
cio  che  le  donne  hanno  fra  lor  d'immondo. 
Non  le  vorrian  lasciar  venir  di  sopra, 
e  quanto  puon  fan  per  cacciarle  al  fondo : 
dico  gli  antiqui;  quasi  1'onor  debbia 
d'esse  il  lor  oscurar,  come  il  sol  nebbia. 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  953 

IV 

Ma  non  ebbe  e  non  ha  mano  ne  lingua, 

formando  in  voce  o  discrivendo  in  carte 

(quantunque  il  mal  quanto  pu6  accresce  e  impingua, 

e  minuendo  il  ben  va  con  ogni  arte), 

poter  pero,  che  de  le  donne  estingua 

la  gloria  si,  che  non  ne  resti  parte; 

ma  non  gia  tal,  che  presso  al  segno  giunga, 

ne  ch'anco  se  gli  accosti  di  gran  lunga: 

v 

ch'Arpalice  non  fu,  non  fu  Torniri, 
non  fu  chi  Turno,  non  chi  Ettor  soccorse; 
non  chi  seguita  da  Sidonii  e  Tiri 
and6  per  lungo  mare  in  Libia  a  porse; 
non  Zenobia,  non  quella  che  gli  Assiri, 
i  Persi  e  gPIndi  con  vittoria  scorse: 
non  fur  queste  e  poch'altre  degne  sole, 
di  cui  per  arme  eterna  fama  vole. 

VI 

E  di  fedeli  e  caste  e  saggie  e  forti 

stato  ne  son  non  pur  in  Grecia  e  in  Roma, 

ma  in  ogni  parte  ove  fra  gl'Indi  e  gli  Orti 

de  le  Esperide  il  Sol  spiega  la  chioma: 

de  le  quai  sono  i  pregi  agli  onor  morti, 

si  ch'a  pena  di  mille  una  si  noma; 

e  questo,  perche  avuto  hanno  ai  lor  tempi 

gli  scrittori  bugiardi,  invidi  et  empi. 

VII 

Non  restate  pero,  donne,  a  cui  giova 
il  bene  oprar,  di  seguir  vostra  via; 
ne  da  vostra  alta  impresa  vi  rimuova 
tema  che  degno  onor  non  vi  si  dia: 
che  come  cosa  buona  non  si  trova 
che  duri  sempre,  cosi  ancor  ne  ria. 
Se  le  carte  sin  qui  state  e  grinchiostri 
per  voi  non  sono,  or  sono  a'  tempi  nostri. 


954  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Dianzi  Manillo  et  il  Pontan  per  vui 
sono,  e  duo  Strozzi,  il  padre  e  '1  figlio,  stati : 
c'e  il  Bembo,  c'e  il  Capel,.c'e  chi,  qual  lui 
vediamo,  ha  tali  i  cortigian  formati: 
c'e  un  Luigi  Alaman:  ce  ne  son  dui, 
di  par  da  Matte  e  da  le  Muse  amati, 
ambi  del  sangue  che  regge  la  terra 
che  '1  Menzo  fende  e  d'alti  stagni  serra. 

IX 

Di  questi  1'uno,  oltre  che  '1  proprio  instinto 
ad  onorarvi  e  a  riverirvi  inchina, 
e  far  Parnasso  risonare  e  Cinto 
di  vostra  laude,  e  porla  al  ciel  vicina ; 
Tamor,  la  fede,  il  saldo  e  non  mai  vinto 
per  minacciar  di  strazii  e  di  ruina, 
animo  ch'Issabella  gli  ha  dimostro, 
lo  fa,  assai  piu  che  di  se  stesso,  vostro: 

x 

si  che  non  e  per  mai  trovarsi  stance 
di  farvi  onor  nei  suoi  vivaci  carmi: 
e  s'altri  vi  da  biasmo,  non  e  ch'anco 
sia  piu  pronto  di  lui  per  pigliar  1'armi : 
e  non  ha  il  mondo  cavallier  che  manco 
la  vita  sua  per  la  virtu  rispiarmi. 
Da  insieme  egli  materia  ond'altri  scriva, 
e  fa  la  gloria  altrui  scrivendo  viva. 

XI 

Et  e  ben  degno  che  si  ricca  donna, 
ricca  di  tutto  quel  valor  che  possa 
esser  fra  quante  al  mondo  portin  gonna, 
mai  non  si  sia  di  sua  constanzia  mossa; 
e  sia  stata  per  lui  vera  colonna, 
sprezzando  di  Fortuna  ogni  percossa: 
di  lei  degno  egli,  e  degna  ella  di  lui; 
ne  meglio  s'accoppiaro  unque  altri  dui. 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  955 

XII 

Nuovi  trofei  pon  su  la  riva  d'Oglio; 
ch'in  mezzo  a  ferri,  a  fuochi,  a  navi,  a  ruote 
ha  sparse  alcun  tanto  ben  scritto  foglio, 
che  '1  vicin  flume  invidia  aver  gli  puote. 
Appresso  a  questo  un  Ercol  Bentivoglio 
fa  chiaro  il  vostro  onor  con  chiare  note, 
e  Renato  Trivulcio,  e  '1  mio  Guidetto, 
e  }1  Molza,  a  dir  di  voi  da  Febo  eletto. 

XIII 

C'e  51  duca  de'  Carnuti  Ercol,  figliuolo 
del  duca  mio,  che  spiega  Tali  come 
canoro  cigno,  e  va  cantando  a  volo, 
e  fin  al  cielo  udir  fa  il  vostro  nome. 
C'e  il  mio  signor  del  Vasto,  a  cui  non  solo 
di  dare  a  mille  Atene  e  a  mille  Rome 
di  se  materia  basta,  ch'anco  accenna 
volervi  eterne  far  con  la  sua  penna. 

XIV 

Et  oltre  a  questi  et  altri  ch'oggi  avete, 
che  v'hanno  dato  gloria  e  ve  la  danno, 
voi  per  voi  stesse  dar  ve  la  potete; 
poi  che  molte,  lasciando  Pago  e  '1  panno, 
son  con  le  Muse  a  spegnersi  la  sete 
al  fonte  d' Aganippe  andate,  e  vanno; 
e  ne  ritornan  tai,  che  1'opra  vostra 
e  piu  bisogno  a  noi  ch'a  voi  la  nostra. 

xv 

Se  chi  sian  queste,  e  di  ciascuna  voglio 
render  buon  conto,  e  degno  pregio  darle, 
bisognera  ch'io  verghi  piu  d'un  foglio, 
e  ch'oggi  il  canto  mio  d'altro  non  parle: 
e  s'a  lodarne  cinque  o  sei  ne  toglio, 
io  potrei  1'altre  offendere  e  sdegnarle. 
Che  far6  dunque  ?  Ho  da  tacer  d'ognuna, 
o  pur  fra  tante  sceglierne  sol  una? 


956  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

Sceglieronne  una;  e  sceglierolla  tale, 
che  superato  avra  Finvidia  in  modo, 
che  nessun'altra  potra  avere  a  male 
se  Taltre  taccio,  e  se  lei  sola  lodo. 
Quest'una  ha  non  pur  se  fatta  immortale 
col  dolce  stil  di  che  il  meglior  non  odo; 
ma  puo  qualunque  di  cui  parli  o  scriva 
trar  del  sepolcro,  e  far  ch'eterno  viva. 

XVII 

Come  Febo  la  Candida  sorella 
fa  piu  di  luce  adorna,  e  piu  la  mira, 
che  Venere  o  che  Maia  o  ch'altra  Stella 
che  va  col  cielo  o  che  da  se  si  gira: 
cosi  facundia  piu  ch'all'altre  a  quella 
di  ch'io  vi  parlo,  e  piu  dolcezza  spira; 
e  da  tal  forza  all'alte  sue  parole, 
ch'orna  a'  di  nostri  il  ciel  d'un  altro  sole. 

XVIII 

Vittoria  e  '1  nome;  e  ben  conviensi  a  nata 
fra  le  vittorie,  et  a  chi  o  vada  o  stanzi, 
di  trofei  sempre  e  di  trionfi  ornata, 
la  vittoria  abbia  seco,  o  dietro  o  inanzi. 
Questa  e  un'altra  Artemisia,  che  lodata 
fu  di  pieta  verso  il  suo  Mausolo;  anzi 
tanto  maggior,  quanto  e  piu  assai  belFopra 
che  por  sotterra  un  uom,  trarlo  di  sopra. 

XIX 

Se  Laodamia,  se  la  moglier  di  Bruto, 
s'Arria,  s'Argia,  s'Evadne,  e  s'altre  molte 
meritar  laude  per  aver  voluto, 
morti  i  mariti,  esser  con  lor  sepolte; 
quanto  onore  a  Vittoria  e  piu  dovuto, 
che  di  Lete,  e  del  rio  che  nove  volte 
1'ombre  circonda,  ha  tratto  il  suo  consorte 
mal  grado  de  le  Parche  e  de  la  Morte! 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  957 

XX 

S'al  fiero  Achille  invidia  de  la  chiara 
meonia  tromba  il  Macedonico  ebbe, 
quanto,  invitto  Francesco  di  Pescara, 
maggiore  a  te,  se  vivesse  or,  1'avrebbe! 
che  si  casta  mogliere  e  a  te  si  cara 
canti  Teterno  onor  che  ti  si  debbe, 
e  che  per  lei  si  ?1  nome  tuo  rimbombe, 
che  da  bramar  non  hai  piu  chiare  trombe. 

XXI 

Se  quanto  dir  se  ne  potrebbe,  o  quanto 

10  n'ho  desir,  volessi  porre  in  carte, 
ne  direi  lungamente;  ma  non  tanto, 
ch'a  dir  non  ne  restasse  anco  gran  parte: 
e  di  Marfisa  e  dei  compagni  intanto 

la  bella  istoria  rimarria  da  parte, 
la  quale  io  vi  promisi  di  seguire, 
s'in  questo  canto  mi  verreste  a  udire. 

XXII 

Ora  essendo  voi  qui  per  ascoltarmi, 
et  io  per  non  mancar  de  la  promessa, 
serbero  a  maggior  ozio  di  provarmi 
ch'ogni  laude  di  lei  sia  da  me  espressa; 
non  perch'io  creda  bisognar  miei  carmi 
a  chi  se  ne  fa  copia  da  se  stessa; 
ma  sol  per  satisfare  a  questo  mio, 
c'ho  d'onorarla  e  di  lodar,  disio. 

XXIII 

Donne,  io  conchiudo  in  somma  ch'ogni  etate 
molte  ha  di  voi  degne  d'istoria  avute; 
ma  per  invidia  di  scrittori  state 
non  sete  dopo  morte  conosciute: 

11  che  piu  non  sara,  poi  che  voi  fate 
per  voi  stesse  immortal  vostra  virtute. 
Se  far  le  due  cognate  sapean  questo, 
si  sapria  meglio  ogni  lor  degno  gesto. 


95$  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Di  Bradamante  e  di  Marfisa  dico, 
le  cui  vittoriose  inclite  prove 
di  ritornare  in  luce  m'affatico; 
ma  de  le  diece  mancanmi  le  nove. 
Queste  ch'io  so,  ben  volentieri  esplico ; 
si  perche  ogni  bell'opra  si  de',  dove 
occulta  sia,  scoprir,  si  perche  bramo 
a  voi,  donne,  aggradir,  ch'onoro  et  amo. 

xxv 

Stava  Ruggier,  com'io  vi  dissi,  in  atto 
di  partirsi,  et  avea  commiato  preso, 
e  da  1'arbore  il  brando  gia  ritratto, 
che  come  dianzi  non  gli  fu  conteso ; 
quando  un  gran  pianto,  che  non  lungo  tratto 
era  lontan,  lo  fe'  restar  sospeso ; 
e  con  le  donne  a  quella  via  si  mosse, 
per  aiutar,  dove  bisogno  fosse. 

XXVI 

Spingonsi  inanzi,  e  via  piu  chiaro  il  suon  ne 
viene,  e  via  piu  son  le  parole  intese. 
Giunti  ne  la  vallea,  trovan  tre  donne 
che  fan  quel  duolo,  assai  strane  in  arnese; 
che  fin  alFombilico  ha  lor  le  gonne 
scorciate  non  so  chi  poco  cortese : 
e  per  non  saper  meglio  elle  celarsi, 
sedeano  in  terra,  e  non  ardian  levarsi. 

XXVII 

Come  quel  figlio  di  Vulcan,  che  venne 
fuor  de  la  polve  senza  madre  in  vita, 
e  Pallade  nutrir  fe'  con  solenne 
cura  d'Aglauro,  al  veder  troppo  ardita, 
sedendo  ascosi  J  brutti  piedi  tenne 
su  la  quadriga  da  lui  prima  ordita; 
cosi  quelle  tre  giovani  le  cose 
secrete  lor  tenean  sedendo  ascose. 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  959 

XXVIII 

Lo  spettacolo  enorme  e  disonesto 
1'una  e  Paltra  magnanima  guerriera 
fe'  del  color  die  nei  giardin  di  Pesto 
esser  la  rosa  suol  da  primavera. 
Riguardo  Bradamante,  e  manifesto 
tosto  le  fu  ch' Ullania  una  d'esse  era, 
Ullania  che  da  1'Isola  Perduta 
in  Francia  messaggiera  era  vemita: 

XXIX 

e  riconobbe  non  men  Taltre  due; 

che  dove  vide  lei,  vide  esse  ancora. 

Ma  se  n'andaron  le  parole  sue 

a  quella  de  le  tre  ch'ella  piu  onora; 

e  le  domanda  chi  si  iniquo  fue, 

e  si  di  legge  e  di  costumi  fuora, 

che  quei  segreti  agli  occhi  altrui  riveli, 

che  quanto  pu6  par  che  Natura  celi. 

XXX 

Ullania  che  conosce  Bradamante, 
non  meno  ch'alle  insegne,  alia  favella, 
esser  colei  che  pochi  giorni  inante 
avea  gittati  i  tre  guerrier  di  sella, 
narra  che  ad  un  castel  poco  distante 
una  ria  gente  e  di  pieta  ribella, 
oltre  airingiuria  di  scorciarle  i  panni, 
Pavea  battuta  e  fattoP  altri  danni. 

XXXI 

Ne  le  sa  dir  che  de  lo  scudo  sia, 
ne  dei  tre  re  che  per  tanti  paesi 
fatto  le  avean  si  lunga  compagnia: 
non  sa  se  morti,  o  sian  restati  presi; 
e  dice  c'ha  pigliata  questa  via, 
ancor  ch'andare  a  pie  molto  le  pesi, 
per  richiamarsi  de  Foltraggio  a  Carlo, 
sperando  che  non  sia  per  tolerarlo. 


960  ORLANDO   FURIOSO 

XXXII 

Alle  guerriere  et  a  Ruggier,  che  meno 
non  han  pietosi  i  cor  ch'audaci  e  forti, 
de'  bei  visi  turbo  1'aer  sereno 
1'udire,  e  pm  il  veder  si  gravi  torti: 
et  obliando  ogn'altro  affar  che  avieno, 
e  senza  che  li  prieghi  o  che  gli  esorti 
la  donna  afflitta  a  far  la  sua  vendetta, 
piglian  la  via  verso  quel  luogo  in  fretta. 

XXXIII 

Di  commune  parer  le  sopraveste, 
mosse  da  gran  bonta,  s'aveano  tratte, 
ch'a  ricoprir  le  parti  meno  oneste 
di  quelle  sventurate  assai  furo  atte. 
Bradamante  non  vuol  ch'Ullania  peste 
le  strade  a  pie,  ch'avea  a  piede  anco  fatte, 
e  se  la  leva  in  groppa  del  destriero; 
Paltra  Marfisa,  1'altra  il  buon  Ruggiero. 

XXXIV 

Ullania  a  Bradamante  che  la  porta 
mostra  la  via  che  va  al  castel  piu  dritta: 
Bradamante  alPincontro  lei  conforta, 
che  la  vendichera  di  chi  Pha  afflitta. 
Lascian  la  valle,  e  per  via  lunga  e  torta 
sagliono  un  colle  or  a  man  manca  or  ritta; 
e  prima  il  sol  fu  dentro  il  mare  ascoso 
che  volesser  tra  via  prender  riposo. 

xxxv 

Trovaro  una  villetta  che  la  schena 
d'un  erto  colle  aspro  a  salir  tenea; 
ove  ebbon  buono  albergo  e  buona  cena, 
quale  avere  in  quel  loco  si  potea. 
Si  mirano  d'intorno,  e  quivi  piena 
ogni  parte  di  donne  si  vedea, 
quai  giovani,  quai  vecchie;  e  in  tanto  stuolo 
faccia  non  v'apparia  d'un  uomo  solo. 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  961 

XXXVI 

Non  piu  a  lason  di  maraviglia  denno, 

ne  agli  Argonaut!  che  venian  con  lui, 

le  donne  che  i  mariti  morir  fenno 

e  i  figli  e  i  padri  coi  fratelli  sui, 

si  che  per  tutta  1'isola  di  Lenno 

di  viril  faccia  non  si  vider  dui; 

che  Ruggier  quivi,  e  chi  con  Ruggier  era 

maraviglia  ebbe  all'alloggiar  la  sera. 

XXXVII 

Fero  ad  Ullania  et  alle  damigelle 
che  venivan  con  lei,  le  due  guerriere 
la  sera  proveder  di  tre  gonnelle, 
se  non  cosi  polite,  almeno  intere. 
A  se  chiama  Ruggiero  una  di  quelle 
donne  ch'abitan  quivi,  e  vuol  sapere 
ove  gli  uomini  sian,  ch'un  non  ne  vede; 
et  ella  a  lui  questa  risposta  diede: 

XXXVIII 

—  Questa  che  forse  e  maraviglia  a  voi, 
che  tante  donne  senza  uomini  siamo, 
6  grave  e  intolerabil  pena  a  noi, 
che  qui  bandite  misere  viviamo. 
E  perche  il  duro  esilio  piu  ci  annoi, 
padri,  figli  e  mariti,  che  si  amiamo, 
aspro  e  lungo  divorzio  da  noi  fanno, 
come  piace  al  crudel  nostro  tiranno. 

xxxix 

Da  le  sue  terre,  le  quai  son  vicine 
a  noi  due  leghe,  e  dove  noi  sian  nate, 
qui  ci  ha  mandato  il  barbaro  in  confine, 
prima  di  mille  scorni  ingiuriate; 
et  ha  gli  uomini  nostri  e  noi  meschine 
di  morte  e  d'ogni  strazio  minacciate, 
se  quelli  a  noi  verranno,  o  gli  fia  detto 
che  noi  dian  lor,  venendoci,  ricetto. 


962  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Nimico  e  si  costui  del  nostro  nome, 
che  non  ci  vuol,  piu  ch'io  vi  dico,  appresso, 
ne  ch'a  noi  venga  alcun  de'  nostri,  come 
1'odor  Fammorbi  del  femineo  sesso. 
Gia  due  volte  1'onor  de  le  lor  chiome 
s'hanno  spogliato  gli  alberi  e  rimesso, 
da  indi  in  qua  che  '1  rio  signor  vaneggia 
in  furor  tanto:  e  non  e  chi  51  correggia; 

XLI 

che  '1  populo  ha  di  lui  quella  paura 
che  maggior  aver  puo  1'uom  de  la  morte; 
ch'aggiunto  al  mal  voler  gli  ha  la  natura 
una  possanza  fuor  d'umana  sorte. 
II  corpo  suo  di  gigantea  statura 
e  piu  che  di  cent'altri  insieme  forte. 
Ne  pur  a  noi  sue  suddite  e  molesto, 
ma  fa  alle  strane  ancor  peggio  di  questo. 

XLII 

Se  Ponor  vostro,  e  quest  e  tre  vi  sono 
punto  care  ch'avete  in  compagnia, 
piu  vi  sara  sicuro,  utile  e  buono 
non  gir  piu  inanzi,  e  trovar  altra  via. 
Questa  al  cast  el  de  1'uom  di  ch'io  ragiono, 
a  provar  mena  la  costuma  ria 
che  v'ha  posta  il  crudel  con  scorno  e  danno 
di  donne  e  di  guerrier  che  di  la  vanno. 

XLIII 

Marganor  il  fellon  (cosi  si  chiama 
il  signore,  il  tiran  di  quel  castello), 
del  qual  Nerone,  o  s'altri  e  ch'abbia  fama 
di  crudelta,  non  fu  piu  iniquo  e  fello, 
il  sangue  uman,  ma  '1  feminil  piu  brama 
che  '1  lupo  non  lo  brama  de  1'agnello. 
Fa  con  onta  scacciar  le  donne  tutte 
da  lor  ria  sorte  a  quel  castel  condutte.  — 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  963 

XLIV 

Perch6  quelFempio  in  tal  furor  venisse, 
volson  le  donne  intendere  e  Ruggiero: 
pregar  colei  ch'in  cortesia  seguisse, 
anzi  che  cominciasse  il  conto  intero. 

—  Fu  il  signer  del  castel  —  la  donna  disse 

—  sempre  crudel,  sempre  inumano  e  fiero; 
ma  tenne  un  tempo  il  cor  maligno  ascosto, 
ne  si  lascio  conoscer  cosi  tosto: 

XLV 

che  mentre  duo  suoi  figli  erano  vivi, 
molto  diversi  dai  paterni  stili, 
ch'amavan  forestieri,  et  eran  schivi 
di  crudeltade  e  degli  altri  atti  vili; 
quivi  le  cortesie  fiorivan,  quivi 
i  bei  costumi  e  Popere  gentili: 
che  '1  padre  mai,  quantunque  avaro  fosse, 
da  quel  che  lor  piacea  non  li  rimosse. 

XL  VI 

Le  donne  e  i  cavallier  che  questa  via 
facean  talor,  venian  si  ben  raccolti, 
che  si  partian  de  Palta  cortesia 
dei  duo  germani  inamorati  molti. 
Amendui  questi  di  cavalleria 
parimente  i  santi  ordini  avean  tolti: 
Cilandro  Tun,  1'altro  Tanacro  detto, 
gagliardi,  arditi  e  di  reale  aspetto. 

XLVII 

Et  eran  veramente,  e  sarian  stati 
sempre  di  laude  degni  e  d'ogni  onore, 
s'in  preda  non  si  fossino  si  dati 
a  quel  desir  che  nominiamo  amore; 
per  cui  dal  buon  sentier  fur  traviati 
al  labirinto  et  al  camin  d'errore; 
e  ci6  che  mai  di  buono  aveano  fatto, 
resto  contaminato  e  brutto  a  un  tratto. 


964  ORLANDO   FURIOSO 

XLVIII 

Capito  quivi  un  cavallier  di  corte 
del  greco  imperator,  che  seco  avea 
una  sua  donna  di  maniere  accorte, 
bella  quanto  bramar  piu  si  potea. 
Cilandro  in  lei  s'inamoro  si  forte, 
che  morir,  non  1'avendo,  gli  parea: 
gli  parea  che  dovesse,  alia  partita 
di  lei,  partire  insieme  la  sua  vita. 

XLIX 

E  perche  i  prieghi  non  v'avriano  loco, 
di  volerla  per  forza  si  dispose. 
Armossi,  e  dal  cast  el  lontano  un  poco, 
ove  passar  dovean,  cheto  s'ascose. 
L'usata  audacia  e  P  amoroso  fuoco 
non  gli  lascio  pensar  troppo  le  cose: 
si  che  vedendo  il  cavallier  venire, 
Pando  lancia  per  lancia  ad  assalire. 

L 

Al  primo  incontro  credea  porlo  in  terra, 
portar  la  donna  e  la  vittoria  indietro ; 
ma  '1  cavallier,  che  mastro  era  di  guerra, 
Tosbergo  gli  spezz6  come  di  vetro. 
Venne  la  nuova  al  padre  ne  la  terra, 
che  lo  fej  riportar  sopra  un  feretro; 
e  ritrovandol  morto,  con  gran  pianto 
gli  die  sepulcro  agli  antiqui  avi  a  canto. 

LI 

Ne  piu  per6  ne  manco  si  contese 
Talbergo  e  1'accoglienza  a  questo  e  a  quello, 
perche  non  men  Tanacro  era  cortese, 
ne  meno  era  gentil  di  suo  fratello. 
L'anno  medesmo  di  lontan  paese 
con  la  moglie  un  baron  venne  al  castello, 
a  maraviglia  egli  gagliardo,  et  ella 
quanto  si  possa  dir  leggiadra  e  bella; 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  965 

LII 

ne  men  che  bella,  onesta  e  valorosa, 
e  degna  veramente  d'ogni  loda: 
il  cavallier,  di  stirpe  generosa, 
di  tanto  ardir  quanto  piu  d'altri  s'oda. 
E  ben  conviensi  a  tal  valor,  che  cosa 
di  tanto  prezzo  e  si  eccellente  goda. 
Olindro  il  cavallier  da  Lungavilla, 
la  donna  nominata  era  Drusilla. 

LIII 

Non  men  di  questa  il  giovene  Tanacro 
arse,  che  '1  suo  fratel  di  quella  ardesse 
che  gli  fe'  gustar  fine  acerb o  et  aero 
del  desiderio  ingiusto  ch'in  lei  messe. 
Non  men  di  lui  di  violar  del  sacro 
e  santo  ospizio  ogni  ragione  ellesse, 
piu  tosto  che  patir  che  Jl  duro  e  forte 
nuovo  desir  lo  conducesse  a  morte. 

LIV 

Ma  perch'avea  dinanzi  agli  occhi  il  tema 
del  suo  fratel,  che  n'era  stato  morto, 
pensa  di  torla  in  guisa,  che  non  tema 
ch' Olindro  s'abbia  a  vendicar  del  torto. 
Tosto  s'estingue  in  lui,  non  pur  si  scema 
quella  virtu  su  che  solea  star  sorto; 
che  non  lo  sommergean  dei  vizii  Pacque, 
de  le  quai  sempre  al  fondo  il  padre  giacque. 

LV 

Con  gran  silenzio  fece  quella  notte 
seco  raccor  da  vent'uomini  armati; 
e  lontan  dal  castel,  fra  certe  grotte 
che  si  trovan  tra  via,  messe  gli  aguati. 
Quivi  ad  Olindro  il  di  le  strade  rotte, 
e  chiusi  i  passi  fur  da  tutti  i  lati; 
e  ben  che  fe'  lunga  difesa  e  molta, 
pur  la  moglie  e  la  vita  gli  fu  tolta. 


ORLANDO    FURIOSO 
LVI 

Ucciso  Olindro,  ne  meno  captiva 
la  bella  donna,  addolorata  in  guisa, 
ch'a  patto  alcun  restar  non  volea  viva, 
e  di  grazia  chiedea  d'essere  uccisa. 
Per  morir  si  gitto  giu  d'una  riva 
che  vi  trovo  sopra  un  vallone  assisa; 
e  non  pote  morir,  ma  con  la  testa 
rotta  rimase,  e  tutta  fiacca  e  pesta. 

LVII 

Altrimente  Tanacro  riportarla 
a  casa  non  pote  che  s'una  bara. 
Fece  con  diligenzia  medicarla; 
che  perder  non  volea  preda  si  cara. 
E  mentre  che  s'indugia  a  risanarla, 
di  celebrar  le  nozze  si  prepara: 
ch'aver  si  bella  donna  e  si  pudica 
debbe  nome  di  moglie,  e  non  d'amica. 

LVIII 

Non  pensa  altro  Tanacro,  altro  non  brama, 
d' altro  non  cura,  e  d' altro  mai  non  parla. 
Si  vede  averla  offesa,  e  se  ne  chiama 
in  colpa,  e  cio  che  pu6  fa  d'emendarla, 
Ma  tutto  e  invano:  quanto  egli  piu  Tama, 
quanto  piu  s'affatica  di  placarla, 
tant'ella  odia  piu  lui,  tanto  e  piu  forte, 
tanto  e  piu  ferma  in  voler  porlo  a  morte. 

LIX 

Ma  non  per6  quest'odio  cosi  ammorza 
la  conoscenza  in  lei,  che  non  comprenda 
che  se  vuol  far  quanto  disegna,  e  forza 
che  simuli,  et  occulte  insidie  tenda; 
e  che  '1  desir  sotto  contraria  scorza 
(il  quale  e  sol  come  Tanacro  offenda) 
veder  gli  faccia;  e  che  si  mostri  tolta 
dal  primo  amore,  e  tutto  a  lui  rivolta. 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  967 

LX 

Simula  il  viso  pace;  ma  vendetta 

chiama  il  cor  dentro,  e  ad  altro  non  attende: 

molte  cose  rivolge,  alcune  accetta, 

altre  ne  lascia,  et  altre  in  dubbio  appende. 

Le  par  che  quando  essa  a  morir  si  metta, 

avra  il  suo  intento;  e  quivi  al  fin  s'apprende. 

E  dove  meglio  puo  morire,  o  quando, 

che  '1  suo  caro  marito  vendicando? 

LXI 

Ella  si  mostra  tutta  lieta,  e  finge 
di  queste  nozze  aver  sommo  disio; 
e  cio  che  puo  indugiarle  a  dietro  spinge, 
non  ch'ella  mostri  averne  il  cor  restio. 
Piu  de  Paltre  s'adorna  e  si  dipinge: 
OHndro  al  tutto  par  messo  in  oblio. 
Ma  che  sian  fatte  queste  nozze  vuole, 
come  ne  la  sua  patria  far  si  suole. 

LXII 

Non  era  per6  ver  che  questa  usanza 
che  dir  volea,  ne  la  sua  patria  fosse: 
ma  perche  in  lei  pensier  mai  non  avanza 
che  spender  possa  altrove,  imaginosse 
una  bugia,  la  qual  le  die  speranza 
di  far  morir  chi  '1  suo  signor  percosse: 
e  disse  di  voler  le  nozze  a  guisa 
de  la  sua  patria,  e  Jl  mo  do  gli  devisa. 

LXIII 

ccLa  vedovella  che  marito  prende, 
deve,  prima»  dicea  «ch'a  lui  s'appresse, 
placar  Talma  del  morto  ch'ella  offende, 
facendo  celebrargli  offici  e  messe, 
in  remission  de  le  passate  mende, 
nel  tempio  ove  di  quel  son  Fossa  messe; 
e  dato  fin  ch'al  sacrificio  sia, 
alia  sposa  1'annel  lo  sposo  dia: 


968  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

ma  ch'abbia  in  questo  mezzo  il  sacerdote, 
sul  vino  ivi  portato  a  tale  effetto, 
appropriate  orazion  devote 
sempre  il  liquor  benedicendo  detto; 
indi  che  '1  fiasco  in  una  coppa  vote, 
e  dia  alii  sposi  il  vino  benedetto: 
ma  portare  alia  sposa  il  vino  tocca, 
et  esser  prima  a  porvi  su  la  bocca.» 

LXV 

Tanacro,  che  non  mira  quanto  importe 
ch'ella  le  nozze  alia  sua  usanza  faccia, 
le  dice:  «Pur  che  Jl  termine  si  scorte 
d'essere  insieme,  in  questo  si  compiaccia. » 
Ne  s'avede  il  meschin  ch'essa  la  morte 
d'Olindro  vendicar  cosi  procaccia, 
e  si  la  voglia  ha  in  uno  oggetto  intensa, 
che  sol  di  quello,  e  mai  d'altro  non  pensa. 

LXVI 

Avea  seco  Drusilla  una  sua  vecchia, 
che  seco  presa,  seco  era  rimasa. 
A  se  chiamolla,  e  le  disse  all'orecchia, 
si  che  non  pote  udire  uomo  di  casa: 
«Un  subitano  t6sco  m'apparecchia, 
qual  so  che  sai  comporre,  e  me  lo  invasa; 
c'ho  trovato  la  via  di  vita  t6rre 
il  traditor  figliuol  di  Marganorre. 

LXVII 

E  me  so  come,  e  te  salvar  non  meno : 
ma  diferisco  a  dirtelo  piu  ad  agio.» 
And6  la  vecchia,  e  apparecchi6  il  veneno, 
et  acconciollo,  e  ritorno  al  palagio. 
Di  vin  dolce  di  Candia  un  fiasco  pieno 
trov6  da  por  con  quel  succo  malvagio, 
e  lo  serb6  pel  giorno  de  le  nozze; 
ch'omai  tutte  Findugie  erano  mozze. 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  969 

LXVIII 

Lo  statuito  giorno  al  tempio  venne, 
di  gemme  ornata  e  di  leggiadre  gonne, 
ove  d'Olindro,  come  gli  convenne, 
fatto  Pavea  Parca  alzar  su  due  colonne. 
Quivi  Pofficio  si  canto  solenne: 
trasseno  a  udirlo  tutti,  uomini  e  donne; 
e  lieto  Marganor  phi  de  Pusato, 
venne  col  figlio  e  con  gli  amicl  a  lato. 

LXIX 

Tosto  ch'al  fin  le  sante  esequie  foro, 
e  fu  col  tosco  il  vino  benedetto, 
il  sacerdote  in  una  coppa  d'oro 

10  verso,  come  avea  Brasilia  detto. 
Ella  ne  bebbe  quanto  al  suo  decoro 
si  conveniva,  e  potea  far  Peffetto: 
poi  die  allo  sposo  con  viso  giocondo 

11  nappo;  e  quel  gli  fe*  apparire  il  fondo. 

LXX 

Renduto  il  nappo  al  sacerdote,  lieto 
per  abbracciar  Drusilla  apre  le  braccia. 
Or  quivi  il  dolce  stile  e  mansueto 
in  lei  si  cangia,  e  quella  gran  bonaccia. 
Lo  spinge  a  dietro,  e  gli  ne  fa  divieto, 
e  par  ch'arda  negli  occhi  e  ne  la  faccia; 
e  con  voce  terribile  e  incomposta 
gli  grida:  «Traditor,  da  me  ti  scosta! 

LXXI 

Tu  dunque  avrai  da  me  solazzo  e  gioia, 
io  lagrime  da  te,  martiri  e  guai? 
lo  vo*  per  le  mie  man  ch'ora  tu  muoia: 
questo  e  stato  venen,  se  tu  nol  sai. 
Ben  mi  duol  c'hai  troppo  onorato  boia, 
che  troppo  lieve  e  facil  morte  fai; 
che  mani  e  pene  io  non  so  si  nefande, 
che  fosson  pari  al  tuo  peccato  grande. 


970  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

Mi  duol  di  non  vedere  in  questa  morte 
il  sacrificio  mio  tutto  perfetto: 
che  s'io  '1  poteva  far  di  quella  sorte 
ch'era  il  disio,  non  avria  alcun  difetto. 
Di  cio  mi  scusi  il  dolce  mio  consorte: 
riguardi  al  buon  volere,  e  1'abbia  accetto; 
che  non  potendo  come  avrei  voluto, 

10  t'ho  fatto  morir  come  ho  potuto. 

LXXIII 
E  la  punizion  che  qui,  secondo 

11  desiderio  mio,  non  posso  darti, 
spero  Tanima  tua  ne  1'altro  mondo 
veder  patire;  et  io  staro  a  mirarti.» 
Poi  disse,  alzando  con  viso  giocondo 
i  turbidi  occhi  alle  superne  parti: 
«Questa  vittima,  Olindro,  in  tua  vendetta 
col  buon  voler  de  la  tua  moglie  accetta; 

LXXIV 

et  impetra  per  me  dal  Signor  nostro 
grazia,  ch'in  paradiso  oggi  io  sia  teco. 
Se  ti  dira  che  senza  merto  al  vostro 
regno  anima  non  vien,  di'  ch'io  Pho  meco; 
che  di  questo  empio  e  scelerato  mostro 
le  spoglie  opime  al  santo  tempio  arreco. 
E  che  merti  esser  puon  maggior  di  questi, 
spenger  si  brutte  e  abominose  pesti?» 

LXXV 

Fini  il  parlare  insieme  con  la  vita; 

e  morta  anco  parea  lieta  nel  volto 

d'aver  la  crudelta  cosi  punita 

di  chi  il  caro  marito  le  avea  tolto. 

Non  so  se  prevenuta,  o  se  seguita 

fu  da  Io  spirto  di  Tanacro  sciolto: 

fu  prevenuta,  credo;  ch'effetto  ebbe 

prima  il  veneno  in  lui,  perche  piu  bebbe. 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  971 

LXXVI 

Marganor  che  cader  vede  il  figliuolo, 
e  poi  restar  ne  le  sue  braccia  estinto, 
fu  per  morir  con  lui,  dal  grave  duolo 
ch'alla  sprovista  lo  trafisse,  vinto. 
Duo  n'ebbe  un  tempo,  or  si  ritrova  solo: 
due  femine  a  quel  termine  Than  spinto. 
La  morte  a  1'un  da  Tuna  fu  causata; 
e  Faltra  alFaltro  di  sua  man  1'ha  data. 

LXXVI  I 

Amor,  pieta,  sdegno,  dolore  et  ira, 
disio  di  morte  e  di  vendetta  insieme 
quell'infelice  et  orbo  padre  aggira, 
che  come  il  mar  che  turbi  il  vento  freme. 
Per  vendicarsi  va  a  Drusilla,  e  mira 
che  di  sua  vita  ha  chiuse  Tore  estreme; 
e  come  il  punge  e  sferza  Fodio  ardente, 
cerca  offendere  il  corpo  che  non  sente. 

LXXVI  n 

Qual  serpe  che  ne  Pasta  ch'alla  sabbia 
la  tenga  flssa,  indarno  i  denti  metta; 
o  qual  mastin  ch'al  ciottolo  che  gli  abbia 
gittato  il  viandante,  corra  in  fretta, 
e  morda  invano  con  stizza  e  con  rabbia, 
ne  se  ne  voglia  andar  senza  vendetta: 
tal  Marganor  d'ogni  mastin,  d'ogni  angue 
via  piu  crudel,  fa  contra  il  corpo  esangue. 

LXXIX 

E  poi  che  per  stracciarlo  e  fame  scempio 
non  si  sfoga  il  fellon  ne  disacerba, 
vien  fra  le  donne  di  che  e  pieno  il  tempio, 
ne  piu  Tuna  de  Paltra  ci  riserba; 
ma  di  noi  fa  col  brando  crudo  et  empio 
quel  che  fa  con  la  falce  il  villan  d'erba. 
Non  vi  fu  alcun  ripar,  ch'in  un  momento 
trenta  n'uccise,  e  ne  feri  ben  cento. 


972  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

Egli  da  la  sua  gente  e  si  temuto, 
ch'uomo  non  fu  ch'ardisse  alzar  la  testa. 
Fuggon  le  donne  col  popul  minuto 
fuor  de  la  chiesa,  e  chi  puo  uscir,  non  resta. 
Quel  pazzo  impeto  al  fin  fu  ritemito 
dagli  amici  con  prieghi  e  forza  onesta, 
e  lasciando  ogni  cosa  in  pianto  al  basso, 
fatto  entrar  ne  la  rocca  in  cima  al  sasso. 

LXXXI 

E  tuttavia  la  colera  durando, 
di  cacciar  tutte  per  partito  prese; 
poi  che  gli  amici  e  31  populo  pregando, 
che  non  ci  uccise  a  fatto,  gli  contese:- 
e  quel  medesmo  di  fe*  andare  un  bando, 
che  tutte  gli  sgombrassimo  il  paese; 
e  darci  qui  gli  piacque  le  confine. 
Misera  chi  al  castel  piu  s'avvicinei 

LXXXII 

Da  le  mogli  cosi  furo  i  mariti, 
da  le  madri  cosi  i  figli  divisi. 
S'alcuni  sono  a  noi  venire  arditi, 
nol  sappia  gia  chi  Marganor  n'avisi; 
che  di  multe  gravissime  puniti 
n'ha  molti,  e  molti  crudelmente  uccisi. 
Al  suo  castello  ha  poi  fatto  una  legge, 
di  cui  peggior  non  s'ode  n6  si  legge. 

LXXXIII 

Ogni  donna  che  trovin  ne  le  valle, 
la  legge  vuol  (ch'alcuna  pur  vi  cade) 
che  percuotan  con  vimini  alle  spalle, 
e  la  faccian  sgombrar  queste  contrade: 
ma  scorciar  prima  i  panni,  e  mostrar  falle 
quel  che  Natura  asconde  et  Onestade; 
e  s'alcuna  vi  va,  ch'armata  scorta 
abbia  di  cavallier,  vi  resta  morta. 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  973 

LXXXIV 

Quelle  c'hanno  per  scorta  cavallieri, 
son  da  questo  nimico  di  pietate, 
come  vittime,  tratte  ai  cimiteri 
dei  morti  figli,  e  di  sua  man  scannate. 
Leva  con  ignominia  arme  e  destrieri, 
e  poi  caccia  in  prigion  chi  Tha  guidate: 
e  lo  puo  far;  che  sempre  notte  e  giorno 
si  trova  piu  di  mille  uomini  intorno. 

LXXXV 

E  dir  di  piu  vi  voglio  ancora,  ch'esso, 
s'alcun  ne  lascia,  vuol  che  prirna  giuri 
su  Fostia  sacra  che  '1  femineo  sesso 
in  odio  avra  fin  che  la  vita  duri. 
Se  perder  queste  donne  e  voi  appresso 
dunque  vi  pare,  ite  a  veder  quei  muri 
ove  alberga  il  fellone,  e  fate  prova 
s'in  lui  piu  forza  o  crudelta  si  trova.  — 

LXXXVI 

Cosi  dicendo,  le  guerriere  mosse 
prima  a  pietade,  e  poscia  a  tanto  sdegno, 
che  se  come  era  notte,  giorno  fosse, 
sarian  corse  al  castel  senza  ritegno. 
La  bella  compagnia  quivi  pososse; 
e  tosto  che  r Aurora  fece  segno 
che  dar  dovesse  al  Sol  loco  ogni  Stella, 
ripigH6  1'arme  e  si  rimesse  in  sella. 

,LXXXVII 

Gia  sendo  in  atto  di  partir,  s'udiro 
le  strade  risonar  dietro  le  spalle 
d'un  lungo  calpestio,  che  gli  occhi  in  giro 
fece  a  tutti  voltar  giu  ne  la  valle. 
E  lungi  quanto  esser  potrebbe  un  tiro 
di  mano,  andar  per  uno  istretto  calle 
vider  da  forse  venti  armati  in  schiera, 
di  che  parte  in  arcion,  parte  a  pied'era; 


974  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

e  che  traean  con  lor  sopra  un  cavallo 
donna  ch'al  viso  aver  parea  molt'anni, 
a  guisa  che  si  mena  un  che  per  fallo 
a  fuoco  o  a  ceppo  o  a  laccio  si  condanni: 
la  qual  fu,  non  ostante  Fintervallo, 
tosto  riconosciuta  al  viso  e  ai  panni. 
La  riconobber  queste  de  la  villa 
esser  la  cameriera  di  Drusilla: 

LXXXIX 

la  cameriera  che  con  lei  fu  presa 
dal  rap  ace  Tanacro,  come  ho  detto, 
et  a  chi  fu  dipoi  data  Pimpresa 
di  quel  venen  che  fe'  '1  crudele  effetto. 
Non  era  entrata  ella  con  Paltre  in  chiesa; 
che  di  quel  che  segui  stava  in  sospetto: 
anzi  in  quel  tempo,  de  la  villa  uscita, 
ove  esser  spero  salva,  era  fugita. 

xc 

Avuto  Marganor  poi  di  lei  spia, 
la  qual  s'era  ridotta  in  Ostericche, 
non  ha  cessato  mai  di  cercar  via 
come  in  man  1'abbia,  acci6  Fabruci  o  impicche: 
e  finalmente  PAvarizia  ria, 
mossa  da  doni  e  da  proferte  ricche, 
ha  fatto  ch'un  baron,  ch'assicurata 
Pavea  in  sua  terra,  a  Marganor  Pha  data: 

xci    , 

e  mandata  glie  Pha  fin  a  Costanza 
sopra  un  somier,  come  la  merce  s'usa, 
legata  e  stretta,  e  toltole  possanza 
di  far  parole,  e  in  una  cassa  chiusa: 
onde  poi  questa  gente  Pha  ad  instanza 
de  Puom  ch'ogni  pietade  ha  da  se  esclusa, 
quivi  condotta  con  disegno  ch'abbia 
Pempio  a  sfogar  sopra  di  lei  sua  rabbia. 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  975 

XCII 

Come  il  gran  frame  che  di  Vesulo  esce, 
quanto  piu  inanzi  e  verso  il  mar  discende, 
e  che  con  lui  Lambra  e  Ticin  si  mesce, 
et  Ada  e  gli  altri  onde  tributo  prende, 
tanto  piu  altiero  e  impetuoso  cresce; 
cosi  Ruggier,  quante  piu  colpe  intende 
di  Marganor,  cosi  le  due  guerriere 
se  gli  fan  contra  piu  sdegnose  e  fiere. 

XCIII 

Elle  fur  d'odio,  elle  fur  d'ira  tanta 
contra  il  crudel,  per  tante  colpe,  accese, 
che  di  punirlo,  mal  grado  di  quanta 
gente  egli  avea,  conclusion  si  prese. 
Ma  dargli  presta  morte  troppo  santa 
pena  lor  parve  e  indegna  a  tante  offese; 
et  era  meglio  fargliela  sentire, 
fra  strazio  prolungandola  e  martire. 

xciv 

Ma  prima  liberar  la  donna  e  onesto, 
che  sia  condotta  da  quei  birri  a  morte. 
Lentar  di  briglia  col  calcagno  presto 
fece  a'  presti  destrier  far  le  vie  corte. 
Non  ebbon  gli  assaliti  mai  di  questo 
uno  incontro  piu  acerbo  n6  piu  forte; 
si  che  han  di  grazia  di  lasciar  gli  scudi 
e  la  donna  e  Parnese,  e  fuggir  nudi: 

xcv 

si  come  il  lupo  che  di  preda  vada 
carco  alia  tana,  e  quando  piu  si  crede 
d'esser  sicur,  dal  cacciator  la  strada 
e  da*  suoi  cani  attraversar  si  vede, 
getta  la  soma,  e  dove  appar  men  rada 
la  scura  macchia  inanzi,  affretta  il  piede. 
Gia  men  presti  non  fur  quelli  a  fuggire, 
che  li  fusson  quest'altri  ad  assalire. 


976  ORLANDO   FURIOSO 

XCVI 

Non  pur  la  donna  e  Parme  vi  lasciaro, 
ma  de'  cavalli  ancor  lasciaron  molti, 
e  da  rive  e  da  grotte  si  lanciaro, 
parendo  lor  cosi  d'esser  piu  sciolti. 
II  che  alle  donne  et  a  Ruggier  fu  caro; 
che  tre  di  quei  cavalli  ebbono  tolti 
per  portar  quelle  tre  che  '1  giorno  d'ieri 
feron  sudar  le  groppe  ai  tre  destrieri. 

xcvn 

Quindi  espediti  segueno  la  strada 
verso  1'infame  e  dispietata  villa. 
Voglion  che  seco  quella  vecchia  vada, 
per  veder  la  vendetta  di  Drusilla. 
Ella  che  teme  che  non  ben  le  accada, 
lo  niega  indarno,  e  piange  e  grida  e  strilla; 
ma  per  forza  Ruggier  la  leva  in  groppa 
del  buon  Frontino,  e  via  con  lei  galoppa. 

xcvin 

Giunseno  in  somma  onde  vedeano  al  basso 
di  molte  case  un  ricco  borgo  e  grosso, 
che  non  serrava  d'alcun  lato  il  passo, 
perche  ne  muro  intorno  avea  ne  fosso. 
Avea  nel  mezzo  un  rilevato  sasso 
ch'un'alta  rocca  sostenea  sul  dosso. 
A  quella  si  drizzar  con  gran  baldanza, 
ch'esser  sapean  di  Marganor  la  stanza. 

xcix 

Tosto  che  son  nel  borgo,  alcuni  fanti 
che  v'erano  alia  guardia  de  Pentrata, 
dietro  chiudon  la  sbarra,  e  gia  davanti 
veggion  che  1'altra  uscita  era  serrata: 
et  ecco  Marganorre,  e  seco  alquanti 
a  pie  e  a  cavallo,  e  tutta  gente  armata; 
che  con  brevi  parole,  ma  orgogliose, 
la  ria  costuma  di  sua  terra  espose. 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  977 

C 

Marfisa,  la  qual  prima  avea  composta 

con  Bradamante  e  con  Ruggier  la  cosa, 

gli  sprono  incontro  in  cambio  di  risposta; 

e  com' era  possente  e  valorosa, 

senza  ch'abbassi  lancia,  o  che  sia  posta 

In  opra  quella  spada  si  famosa, 

col  pugno  in  guisa  Pelmo  gli  martella, 

che  lo  fa  tramortir  sopra  la  sella. 

ci 

Con  Marfisa  la  giovane  di  Francia 
spinge  a  un  tempo  il  destrier,  ne  Ruggier  resta, 
ma  con  tanto  valor  corre  la  lancia, 
che  sei,  senza  levarsela  di  resta, 
n'uccide,  uno  ferito  ne  la  pancia, 
duo  nel  petto,  un  nel  collo,  un  ne  la  testa; 
nel  sesto  che  fuggia  Fasta  si  roppe, 
ch'entro  alle  schene  e  riusci  alle  poppe. 

en 

La  figliuola  d'Amon  quanti  ne  tocca 
con  la  sua  lancia  d'or,  tanti  n'atterra: 
fulmine  par  che  '1  cielo  ardendo  scocca, 
che  ci6  ch'incontra,  spezza  e  getta  a  terra. 
II  popul  sgornbra,  chi  verso  la  r6cca, 
chi  verso  il  piano;  altri  si  chiude  e  serra, 
chi  ne  ie  chiese  e  chi  ne  le  sue  case; 
ne  fuor  che  morti  in  piazza  uomo  rimase. 

cm 

Marfisa  Marganorre  avea  legato 
intanto  con  le  man  dietro  alle  rene, 
et  alia  vecchia  di  Drusilla  dato, 
ch'appagata  e  contenta  se  ne  tiene. 
D'arder  quel  borgo  poi  fu  ragionato, 
s'a  penitenzia  del  suo  error  non  viene: 
levi  la  legge  ria  di  Marganorre, 
e  questa  accetti  ch'essa  vi  vuol  porre. 


978  ORLANDO  FURIOSO 

CIV 

Non  fu  gia  d'ottener  questo  fatica; 

die  quella  gente,  oltre  al  timor  ch'avea 

die  piu  faccia  Marfisa  che  non  dica, 

ch'uccider  tutti  et  abbruciar  volea, 

di  Marganorre  affatto  era  nimica 

e  de  la  legge  sua  crudele  e  rea. 

Ma  '1  populo  facea  come  i  piu  fanno, 

ch'ubbidiscon  piu  a  quei  che  piu  in  odio  hanno. 

cv 

Per6  che  Tun  de  Paltro  non  si  fida, 
e  non  ardisce  conferir  sua  voglia, 
lo  lascian  ch'un  bandisca,  un  altro  uccida, 
a  quel  1'avere,  a  questo  Fonor  toglia. 
Ma  il  cor  che  tace  qui,  su  nel  ciel  grida, 
fin  che  Dio  e  santi  alia  vendetta  invoglia; 
la  qual,  se  ben  tarda  a  venir,  compensa 
1'indugio  poi  con  punizione  immensa. 

cvi 

Or  quella  turba  d'ira  e  d'odio  pregna 
con  fatti  e  con  mal  dir  cerca  vendetta: 
com'e  in  proverbio,  ognun  corre  a  far  legna 
alParbore  che  '1  vento  in  terra  getta. 
Sia  Marganorre  essempio  di  chi  regna; 
che  chi  mal  opra,  male  al  fine  aspetta. 
Di  vederlo  punir  de'  suoi  nefandi 
peccati,  avean  piacer  piccioli  e  grandi. 

cvn 

Molti  a  chi  fur  le  mogli  o  le  sorelle 
o  le  figlie  o  le  madri  da  lui  morte, 
non  piu  celando  Panimo  ribelle, 
correan  per  dargli  di  lor  man  la  morte: 
e  con  fatica  lo  difeser  quelle 
magnanime  guerriere  e  Ruggier  forte; 
che  disegnato  avean  farlo  morire 
d'affanno,  di  disagio  e  di  martlre. 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  979 

CVIII 

A  quella  vecchia  che  1'odiava  quanto 
femina  odiare  alcun  nimico  possa, 
nudo  in  mano  lo  dier,  legato  tanto, 
che  non  si  sciogliera  per  una  scossa; 
et  ella,  per  vendetta  del  suo  pianto, 
gli  ando  facendo  la  persona  rossa 
con  un  stimulo  aguzzo  ch'un  villano, 
che  quivi  si  trov6,  le  pose  in  mano. 

cix 

La  messaggiera  e  le  sue  giovani  anco, 
che  quell'onta  non  son  mai  per  scordarsi, 
non  s'hanno  piu  a  tener  le  mani  al  fianco, 
ne  meno  che  la  vecchia,  a  vendicarsi; 
ma  si  e  il  desir  d'offenderlo,  che  manco 
viene  il  potere,  e  pur  vorrian  sfogarsi: 
chi  con  sassi  il  percuote,  chi  con  Punge; 
altra  lo  morde,  altra  cogli  aghi  il  punge. 

ex 

Come  torrente  che  superbo  faccia 
lunga  pioggia  talvolta  o  nievi  sciolte, 
va  ruinoso,  e  giu  day  monti  caccia 
gli  arbori  e  i  sassi  e  i  campi  e  le  ricolte; 
vien  tempo  poi  che  Porgogliosa  faccia 
gli  cade,  e  si  le  forze  gli  son  tolte, 
ch'un  fanciullo,  una  femina  per  tutto 
passar  lo  puote,  e  spesso  a  piede  asciutto: 

CXI 

cosi  gia  fu  che  Marganorre  intorno 
fece  tremar,  dovunque  udiasi  il  nome; 
or  venuto  e  chi  gli  ha  spezzato  il  corno 
di  tanto  orgoglio,  e  si  le  forze  dome, 
che  gli  puon  far  sin  a'  bambini  scorno, 
chi  pelargli  la  barba  e  chi  le  chiome. 
Quindi  Ruggiero  e  le  donzelle  il  passo 
alia  r6cca  voltar  ch'era  sul  sasso. 


980  ORLANDO   FURIOSO 

CXII 

La  die  senza  contrasto  in  poter  loro 
chi  v'era  dentro,  e  cosi  i  ricchi  arnesi, 
ch'in  parte  messi  a  sacco,  in  parte  foro 
dati  ad  Ullania  et  a1  compagni  offesi. 
Ricovrato  vi  fu  lo  scudo  d'oro, 
e  quei  tre  re  ch'avea  il  tiranno  presi, 
li  quai  venendo  quivi,  come  parmi 
d'avervi  detto,  erano  a  pie  senz'armi; 

CXIII 

perche  dal  di  che  fur  tolti  di  sella 
da  Bradamante,  a  pie  sempre  eran  iti 
senz'arme,  in  compagnia  de  la  donzella 
la  qual  venla  da  si  lontani  liti. 
Non  so  se  meglio  o  peggio  fu  di  quella, 
che  di  lor  armi  non  fusson  guerniti. 
Era  ben  meglio  esser  da  lor  difesa; 
ma  peggio  assai,  se  ne  perdean  1'impresa: 

cxiv 

perche  stata  saria,  com' eran  tutte 
quelle  ch'armate  avean  seco  le  scorte, 
al  cimitero  misere  condutte 
dei  duo  fratelli,  e  in  sacriflcio  morte. 
Gli  e  pur  men  che  morir,  rnostrar  le  brutte 
e  disoneste  parti,  duro  e  forte; 
e  sempre  questo  e  ogn'altro  obbrobrio  amorza 
il  poter  dir  che  le  sia  fatto  a  forza. 

cxv 

Prima  ch'indi  si  partan  le  guerriere, 
fan  venir  gli  abitanti  a  giuramento, 
che  daranno  i  mariti  alle  mogliere 
de  la  terra  e  del  tutto  il  reggimento ; 
e  castigato  con  pene  severe 
sara  chi  contrastare  abbia  ardimento. 
In  somma  quel  ch'altrove  e  del  marito, 
che  sia  qui  de  la  moglie  e  statuito. 


CANTO    TRENTESIMOSETTIMO  981 

CXVI 

Poi  si  feccion  promettere  ch'a  quanti 
mai  verrian  quivi,  non  darian  ricetto, 
o  fosson  cavallieri,  o  fosson  fanti, 
ne  'ntrar  li  lascerian  pur  sotto  un  tetto, 
se  per  Dio  non  giurassino  e  per  santi, 
o  s'altro  giuramento  v'e  piii  stretto, 
che  sarian  sempre  de  le  donne  amici, 
e  dei  nimici  lor  sempre  nimici; 

CXVII 

e  s'avranno  in  quel  tempo,  e  se  saranno, 
tardi  o  piu  tosto,  mai  per  aver  moglie, 
che  sempre  a  quelle  sudditi  saranno, 
e  ubbidienti  a  tutte  le  lor  voglie. 
Tornar  Marflsa,  prima  ch'esca  1'anno, 
disse,  e  che  perdan  gli  arbori  le  foglie; 
e  se  la  legge  in  uso  non  trovasse, 
fuoco  e  ruina  il  borgo  s'aspetasse. 

CXVII  I 

Ne  quindi  si  partir,  che  de  Pimmondo 
luogo  do v 'era,  fer  Drusilla  torre, 
e  col  marito  in  uno  avel,  secondo 
ch'ivi  potean  piu  riccamente  porre. 
La  vecchia  facea  intanto  rubicondo 
con  lo  stimulo  il  dosso  a  Marganorre: 
sol  si  dolea  di  non  aver  tal  lena, 
che  potesse  non  dar  triegua  alia  pena. 

ex  ix 

L'animose  guerriere  a  lato  un  tempio 
videno  quivi  una  colonna  in  piazza, 
ne  la  qual  fatt'avea  quel  tiranno  empio 
scriver  la  legge  sua  crudele  e  pazza. 
Elle  imitando  d'un  trofeo  Pesempio, 
lo  scudo  v'attaccaro  e  la  corazza 
di  Marganorre  e  Pelmo;  e  scriver  fenno 
la  legge  appresso  ch'esse  al  loco  denno. 


982  ORLANDO  FURIOSO 

CXX 

Quivi  s'indugiar  tanto,  che  Marfisa 
fe5  por  la  legge  sua  ne  la  colonna, 
contraria  a  quella  che  gia  v'era  incisa 
a  morte  et  ignominia  d'ogni  donna. 
Da  questa  compagnia  resto  divisa 
quella  d'Islanda,  per  rifar  la  gonna; 
che  comparire  in  corte  obbrobrio  stima, 
se  non  si  veste  et  orna  come  prima. 

cxxi 

Quivi  rimase  Ullania;  e  Marganorre 
di  lei  rest6  in  potere:  et  essa  poi, 
perche  non  s'abbia  in  qualche  modo  a  sciorre, 
e  le  donzelle  un'altra  volta  annoi, 
lo  fe'  un  giorno  saltar  gift  d'una  torre, 
che  non  fe'  il  maggior  salto  a'  giorni  suoi. 
Non  piu  di  lei,  ne  piii  dei  suoi  si  parli, 
ma  de  la  compagnia  che  va  verso  Arli. 

cxxn 

Tutto  quel  giorno,  e  Taltro  fin  appresso 
1'ora  di  terza  andaro;  e  poi  che  furo 
giunti  dove  in  due  strade  6  il  camin  fesso 
(1'una  va  al  campo,  e  1'altra  d'Arli  al  muro), 
tornar  gli  amanti  ad  abbracciarsi,  e  spesso 
a  tor  commiato,  e  sempre  acerbo  e  duro. 
Al  fin  le  donne  in  campo,  e  in  Arli  e  gito 
Ruggiero;  et  io  il  mio  canto  ho  qui  finite. 


CANTO    TRENTESIMOTTAVO  983 


CANTO   TRENTESIMOTTAVO 


I 

Cortesi  donne,  che  benigna  udienza 
date  a'  miei  versi,  io  vi  veggo  al  sembiante, 
che  quest'altra  si  subita  partenza 
che  fa  Ruggier  da  la  sua  fida  amante, 
vi  da  gran  noia,  e  avete  displicenza 
poco  minor  ch'avesse  Bradamante; 
e  fate  anco  argumento  ch'esser  poco 
in  lui  dovesse  Tamoroso  fuoco. 

II 

Per  ogni  altra  cagion  ch'allontanato 
contra  la  voglia  d'essa  se  ne  fusse, 
ancor  ch'avesse  piu  tesor  sperato 
che  Creso  o  Crasso  insieme  non  ridusse, 
io  crederia  con  voi  che  penetrato 
non  fosse  al  cor  Io  stral  che  Io  percusse; 
ch'un  almo  gaudio,  un  cosl  gran  contento 
non  potrebbe  comprare  oro  n£  argento. 

in 

Pur  per  salvar  Fonor,  non  solamente 
d'escusa,  ma  di  laude  e  degno  ancora; 
per  salvar,  dico,  in  caso  ch'altrimente 
facendo,  biasmo  et  ignominia  fora: 
e  se  la  donna  fosse  renitente 
et  ostinata  in  fargli  far  dimora, 
darebbe  di  se"  indizio  e  chiaro  segno 
o  d'amar  poco  o  d'aver  poco  ingegno. 


984  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

Che  se  Tamante  de  Famato  deve 
la  vita  amar  piii  de  la  propria,  o  tanto 
(io  parlo  d'uno  amante  a  cui  non  lieve 
colpo  d'Amor  passo  piu  la  del  manto); 
al  placer  tanto  piu  ch'esso  riceve 
1'onor  di  quello  antepor  deve,  quanto 
Ponore  e  di  piu  pregio  che  la  vita, 
ch'a  tutti  altri  piaceri  e  preferita. 

v 

Fece  Ruggiero  il  debito  a  seguire 
il  suo  signer,  che  non  se  ne  potea 
se  non  con  ignominia  dipartire; 
che  ragion  di  lasciarlo  non  avea. 
E  s' Almonte  gli  fe'  il  padre  morire, 
tal  colpa  in  Agramante  non  cadea; 
ch'in  molti  effetti  avea  con  Ruggier  poi 
emendato  ogni  error  dei  maggior  suoi. 

VI 

Fara  Ruggiero  il  debito  a  torn  are 
al  suo  signore;  et  ella  ancor  lo  fece, 
che  sforzar  non  lo  volse  di  restare, 
come  potea,  con  iterata  prece. 
Ruggier  potra  alia  donna  satisfare 
a  un  altro  tempo,  s'or  non  satisfece: 
ma  alFonor,  chi  gli  manca  d'un  momento, 
non  pu6  in  cento  anni  satisfar  ne  in  cento. 

VII 

Torna  Ruggiero  in  Arli,  ove  ha  ritratta 
Agramante  la  gente  che  gli  avanza. 
Bradamante  e  Marfisa,  che  contratta 
col  parentado  avean  grande  amistanza, 
andaro  insieme  ove  re  Carlo  fatta 
la  maggior  prova  avea  di  sua  possanza, 
sperando,  o  per  battaglia  o  per  assedio, 
levar  di  Francia  cosi  lungo  tedio. 


CANTO    TRENTESIMOTTAVO  985 

VIII 

Di  Bradamante,  poi  che  conosciuta 
in  campo  fu,  si  fej  letizia  e  festa: 
ogniun  la  riverisce  e  la  saluta; 
et  ella  a  questo  e  a  quel  china  la  testa. 
Rinaldo,  come  udi  la  sua  venuta, 
le  venne  incontra;  ne  Ricciardo  resta 
ne  Ricciardetto  od  altri  di  sua  gente, 
e  la  raccoglion  tutti  allegramente. 

IX 

Come  s'intese  poi  che  la  compagna 

era  Marfisa,  in  arme  si  famosa, 

che  dal  Cataio  ai  termini  di  Spagna 

di  mille  chiare  palme  iva  pomposa; 

non  e  povero  o  ricco  che  rimagna 

nel  padiglion:  la  turba  disiosa 

vien  quinci  e  quindi,  e  s'urta,  storpia  e  preme 

sol  per  veder  si  bella  coppia  insieme. 

x 

A  Carlo  riverenti  appresentarsi. 
Questo  fu  il  primo  di  (scrive  Turpino) 
che  fu  vista  Marfisa  inginocchiarsi ; 
che  sol  le  parve  il  figlio  di  Pipino 
degno,  a  cui  tanto  onor  dovesse  farsi, 
tra  quanti,  o  mai  nel  popul  saracino 
o  nel  cristiano,  imperatori  e  regi 
per  virtu  vide  o  per  ricchezza  egregi. 

XI 

Carlo  benignamente  la  raccolse, 
e  le  usci  incontra  fuor  dei  padiglioni; 
e  che  sedesse  a  lato  suo  poi  volse 
sopra  tutti  re,  principi  e  baroni. 
Si  die  iicenzia  a  chi  non  se  la  tolse; 
si  che  tosto  restaro  in  pochi  e  buoni: 
restaro  i  paladini  e  i  gran  signori; 
la  vilipesa  plebe  ando  di  fuori. 


9§6  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Marfisa  comincio  con  grata  voce: 

—  Eccelso,  invitto  e  glorioso  Augusto, 

che  dal  mar  Indo  alia  Tirinzia  foce, 

dal  bianco  Scita  alPEtiope  adusto 

riverir  fai  la  tua  Candida  croce, 

ne  di  te  regna  il  piu  saggio  o  '1  piu  giusto; 

tua  fama,  ch'alcun  termine  non  serra, 

qui  tratto  m'ha  fin  da  1'estrema  terra. 

XIII 

E  (per  narrarti  il  ver)  sola  mi  mosse 
invidia,  e  sol  per  farti  guerra  io  venni, 
accio  che  si  possente  un  re  non  fosse, 
che  non  tenesse  la  legge  ch'io  tenni. 
Per  questo  ho  fatto  le  campagne  rosse 
del  cristian  sangue;  et  altri  fieri  cenni 
era  per  farti  da  crudel  nimica, 
se  non  cadea  chi  mi  t'ha  fatto  arnica. 

XIV 

Quando  nuocer  pensai  piu  alle  tue  squadre, 
io  trovo  (e  come  sia  dir6  piu  ad  agio) 
che  '1  bon  Ruggier  di  Risa  fu  mio  padre, 
tradito  a  torto  dal  fratel  malvagio. 
Portommi  in  corpo  mia  misera  madre 
di  la  dal  mare,  e  nacqui  in  gran  disagio. 
Nutrimmi  un  mago  infin  al  settimo  anno, 
a  cui  gli  Arabi  poi  rubata  m'hanno. 

XV 

E  mi  vendero  in  Persia  per  ischiava 
a  un  re  che  poi  cresciuta  io  posi  a  inorte; 
che  mia  virginita  tor  mi  cercava. 
Uccisi  lui  con  tutta  la  sua  corte; 
tutta  cacciai  la  sua  progenie  prava, 
e  presi  il  regno;  e  tal  fu  la  mia  sorte, 
che  diciotto  anni  d'uno  o  di  duo  mesi 
io  non  passai,  che  sette  regni  presi. 


CANTO    TRENTESIMOTTAVO  987 

XVI 

E  di  tua  fama  invidiosa,  come 

10  t'ho  gia  detto,  avea  fermo  nel  core 

la  grande  altezza  abbatter  del  tuo  nome : 
forse  il  faceva,  o  forse  era  in  errore. 
Ma  ora  avvien  che  questa  voglia  dome, 
e  faccia  cader  Tale  al  mio  furore, 
Taver  inteso,  poi  che  qui  son  giunta, 
come  io  ti  son  d'affinita  congiunta. 

XVII 

E  come  il  padre  mio  parente  e  servo 
ti  fu,  ti  son  parente  e  serva  anch'io: 
e  quella  invidia  e  quelFodio  protervo 

11  qual  io  t'ebbi  un  tempo,  or  tutto  oblio; 
anzi  contra  Agramante  io  Io  riservo, 

e  contra  ogn'altro  che  sia  al  padre  o  al  zio 
di  lui  stato  parente,  che  fur  rei 
di  porre  a  morte  i  genitori  miei.  — 

XVIII 

E  seguito  voler  cristiana  farsi, 

e  dopo  ch'avra  estinto  il  re  Agramante, 

voler,  piacendo  a  Carlo,  ritornarsi 

a  battezzare  il  suo  regno  in  Levante; 

et  indi  contra  tutto  ii  mondo  armarsi, 

ove  Macon  s'adori  e  Trivigante; 

e  con  promission  ch'ogni  suo  acquisto 

sia  de  Flmperio  e  de  la  fe"  di  Cristo. 

XIX 

L'imperator  che  non  meno  eloquente 

era,  che  fosse  valoroso  e  saggio, 

molto  esaltando  la  donna  eccellente, 

e  molto  il  padre  e  molto  il  suo  lignaggio, 

rispose  ad  ogni  parte  umanamente, 

e  mostr6  in  fronte  aperto  il  suo  coraggio; 

e  conchiuse  ne  Tultima  parola 

per  parente  accettarla,  e  per  figliuola. 


988  ORLANDO    FURIOSO 

XX 

E  qui  si  leva,  e  di  nuovo  Fabbraccia, 
e  come  figlia  bacia  ne  la  fronte. 
Vengono  tutti  con  allegra  faccia 
quei  di  Mongrana  e  quei  di  Chiaramonte. 
Lungo  a  dir  fora  quanto  onor  le  faccia 
Rinaldo,  che  di  lei  le  prove  conte 
vedute  avea  piu  volte  al  paragone, 
quando  Albracca  assediar  col  suo  girone. 

XXI 

Lungo  a  dir  fora  quanto  il  giovinetto 
Guidon  s'allegri  di  veder  costei, 
Aquilante  e  Grifone  e  Sansonetto 
ch'alla  citta  crudel  furon  con  lei; 
Malagigi  e  Viviano  e  Ricciardetto, 
ch'all'occision  de'  Maganzesi  rei 
e  di  quei  venditori  empii  di  Spagna 
1'aveano  avuta  si  fedel  compagna. 

XXII 

Apparecchiar  per  lo  seguente  giorno, 
et  ebbe  cura  Carlo  egli  medesmo, 
che  fosse  un  luogo  riccamente  adorno, 
ove  prendesse  Marfisa  battesmo. 
I  vescovi  e  gran  chierici  d'intorno, 
che  le  leggi  sapean  del  cristianesmo, 
fece  raccorre,  acci6  da  loro  in  tutta 
la  santa  fe  fosse  Marfisa  instrutta. 

xxm 

Venne  in  pontificale  abito  sacro 
1'arcivesco  Turpino,  e  battizzolla: 
Carlo  dal  salutifero  lavacro 
con  cerimonie  debite  levolla. 
Ma  tempo  e  ormai  ch'al  capo  voto  e  macro 
di  senno  si  soccorra  con  Tampolla, 
con  che  dal  ciel  piu  basso  ne  venia 
il  duca  Astolfo  sul  carro  d'Elia. 


CANTO    TRENTESIMOTTAVO  989 

XXIV 

Sceso  era  Astolfo  dal  giro  lucente 
alia  maggiore  altezza  de  la  terra, 
con  la  felice  ampolla  che  la  mente 
dovea  sanare  al  gran  mastro  di  guerra. 
Un'erba  quivi  di  virtu  eccellente 
mostra  Giovanni  al  duca  d'lnghilterra: 
con  essa  vuol  ch'al  suo  ritorno  tocchi 
al  re  di  Nubia  e  gli  risani  gli  occhi; 

xxv 

accid  per  questi  e  per  li  primi  merti 
gente  gli  dia  con  che  Biserta  assaglia. 
E  come  poi  quei  populi  inesperti 
armi  et  acconci  ad  uso  di  battaglia, 
e  senza  danno  passi  pei  desert! 
ove  P  arena  gli  uomini  abbarbaglia, 
a  punto  a  punto  Tordine  che  tegna, 
tutto  il  vecchio  santissimo  gl'insegna. 

XXVI 

Poi  lo  fes  rimontar  su  quello  alato 
che  di  Ruggiero,  e  fu  prima  d'Atlante. 
II  paladin  Iasci6,  licenziato 
da  San  Giovanni,  le  contrade  sante; 
e  secondando  il  Nilo  a  lato  a  lato, 
tosto  i  Nubi  apparir  si  vide  inante; 
e  ne  la  terra  che  del  regno  e  capo 
scese  da  1'aria,  e  ritrov6  il  Senapo. 

xxvn 

Molto  fu  il  gaudio  e  molta  fu  la  gioia 
che  porto  a  quel  signer  nel  suo  ritorno; 
che  ben  si  raccordava  de  la  noia 
che  gli  avea  tolta  de  Parpie  d'intorno. 
Ma  poi  che  la  grossezza  gli  discuoia 
di  quello  umor  che  gia  gli  tolse  il  giorno, 
e  che  gli  rende  la  vista  di  prima, 
1'adora  e  cole,  e  come  un  Dio  sublima: 


990  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

si  che  non  pur  la  gente  che  gli  chiede 
per  muover  guerra  al  regno  di  Biserta, 
ma  centomila  sopra  gli  ne  diede, 
e  gli  fe'  ancor  di  sua  persona  offerta. 
La  gente  a  pena,  ch'era  tutta  a  piede, 
potea  capir  ne  la  campagna  aperta; 
che  di  cavalli  ha  quel  paese  inopia, 
ma  d'elefanti  e  de  camelli  copia. 

XXIX 

La  notte  inanzi  il  di  che  a  suo  camino 
Fesercito  di  Nubia  dovea  porse, 
mont6  su  Fippogrifo  il  paladino, 
e  verso  mezzodi  con  fretta  corse, 
tanto  che  giunse  al  monte  che  Faustrino 
vento  produce,  e  spira  contra  FOrse. 
Trov6  la  cava,  onde  per  stretta  bocca, 
quando  si  desta,  il  furioso  scocca. 

xxx 

E  come  raccord6gli  il  suo  maestro, 
avea  seco  arrecato  un  utre  v6to, 
il  qual,  mentre  ne  Fantro  oscuro  e  alpestro, 
affaticato  dorme  il  fiero  No  to, 
allo  spiraglio  pon  tacito  e  destro: 
et  e  Faguato  in  modo  al  vento  ignoto, 
che,  credendosi  uscir  fuor  la  dimane, 
preso  e  legato  in  quello  utre  rimane. 

XXXI 

Di  tanta  preda  il  paladino  allegro, 

ritorna  in  Nubia,  e  la  medesma  luce 

si  pone  a  caminar  col  popul  negro, 

e  vettovaglia  dietro  si  conduce. 

A  salvamento  con  lo  stuolo  integro 

verso  FAtlante  il  glorioso  duce 

pel  mezzo  vien  de  la  minuta  sabbia, 

senza  temer  che  '1  vento  a  nuocer  gli  abbia. 


CANTO    TRENTESIMOTTAVO  991 

XXXII 

E  giunto  poi  di  qua  dal  giogo,  in  parte 

onde  il  plan  si  discuopre  e  la  marina, 

Astolfo  elegge  la  piu  nobil  parte 

del  campo,  e  la  meglio  atta  a  disciplina; 

e  qua  e  la  per  ordine  la  parte 

a  pie  d'un  colle,  ove  nel  pian  confina. 

Quivi  la  lascia,  e  su  la  cima  ascende 

in  vista  d'uom  ch'a  gran  pensieri  intende. 

XXXIII 

Poi  che  inchinando  le  ginocchia  fece 

al  santo  suo  maestro  orazione, 

sicuro  che  sia  udita  la  sua  prece, 

copia  di  sassi  a  far  cader  si  pone. 

Oh  quanto  a  chi  ben  crede  in  Cristo,  lece! 

I  sassi,  fuor  di  natural  ragione 

crescendo,  si  vedean  venire  in  giuso, 

e  formar  ventre  e  gambe  e  collo  e  muso: 

XXXIV 

e  con  chiari  anitrir  giu  per  quei  calli 
venian  saltando,  e  giunti  poi  nel  piano 
scuotean  le  groppe,  e  fatti  eran  cavalli, 
chi  baio  e  chi  leardo  e  chi  rovano. 
La  turba  ch'aspettando  ne  le  valli 
stava  alia  posta,  lor  dava  di  manor 
si  che  in  poche  ore  fur  tutti  montati; 
che  con  sella  e  con  freno  erano  nati. 

xxxv 

Ottantamila  cento  e  dua  in  un  giorno 
fe'  di  pedoni  Astolfo  cavallieri. 
Con  questi  tutta  scorse  Africa  intorno, 
facendo  prede,  incendi  e  prigionieri. 
Posto  Agramante  avea  fin  al  ritorno 
il  re  di  Fersa  e  '1  re  degli  Algazeri, 
col  re  Branzardo  a  guardia  del  paese: 
e  questi  si  fer  contra  al  duca  inglese ; 


ORLANDO   FURIOSO 
XXXVI 

prima  avendo  spacciato  un  suttil  legno 

ch'a  vele  e  a  remi  ando  battendo  Tali, 

ad  Agramante  aviso,  come  il  regno 

patia  dal  re  de'  Nubi  oltraggi  e  mali. 

Giorno  e  notte  ando  quel  senza  ritegno, 

tanto  che  giunse  ai  liti  provenzali; 

e  trovo  in  Arli  il  suo  re  mezzo  oppresso, 

che  '1  campo  avea  di  Carlo  un  miglio  appresso. 

XXXVII 

Sentendo  il  re  Agramante  a  che  periglio, 
per  guadagnare  il  regno  di  Pipino, 
lasciava  il  suo,  chiamar  fece  a  consiglio 
principi  e  re  del  popul  saracino. 
E  poi  ch'una  o  due  volte  giro  il  ciglio 
quinci  a  Marsilio  e  quindi  al  re  Sobrino, 
i  quai  d'ogni  altro  fur  che  vi  venisse 
i  duo  piu  antiqui  e  saggi,  cosi  disse: 

xxxvin 

—  Quantunque  io  sappia  come  mal  convegna 
a  un  capitano  dir:  non  mel  pensai, 
pur  lo  dir6;  che  quando  un  danno  vegna 
da  ogni  discorso  uman  lontano  assai, 
a  quel  fallir  par  che  sia  escusa  degna: 
e  qui  si  versa  il  caso  mio;  ch'errai 
a  lasciar  d'arme  P Africa  sfornita, 
se  da  li  Nubi  esser  dovea  assalita. 

xxxix 

Ma  chi  pensato  avria,  fuor  che  Dio  solo, 
a  cui  non  e  cosa  futura  ignota, 
che  dovesse  venir  con  si  gran  stuolo 
a  fame  danno  gente  si  remota? 
tra  i  quali  e  noi  giace  Pinstabil  suolo 
di  quella  arena  ognior  da'  venti  mota. 
Pur  e  venuta  ad  assediar  Biserta, 
et  ha  in  gran  parte  P  Africa  deserta. 


CANTO    TRENTESIMOTTAVO  993 

XL 

Or  sopra  cio  vostro  consiglio  chieggio: 
se  partirmi  di  qui  senza  far  frutto, 
o  pur  seguir  tanto  I'impresa  deggio, 
che  prigion  Carlo  meco  abbi  condutto; 
o  come  insieme  io  salvi  il  nostro  seggio, 
e  questo  imperial  lasci  distnitto. 
S'alcun  di  voi  sa  dir,  priego  nol  taccia, 
accio  si  trovi  il  meglio,  e  quel  si  faccia.  — 

XLI 

Cosi  disse  Agramante;  e  volse  gli  occhi 
al  re  di  Spagna,  che  gli  sedea  appresso, 
come  mostrando  di  voler  che  tocchi 
di  quel  c'ha  detto,  la  risposta  ad  esso. 
E  quel,  poi  che  surgendo  ebbe  i  ginocchi 
per  riverenzia,  e  cosi  il  capo  flesso, 
nel  suo  onorato  seggio  si  raccolse; 
indi  la  lingua  a  tai  parole  sciolse : 

XLII 

—  O  bene  o  mal  che  la  Fama  ci  apporti, 
signor,  di  sempre  accrescere  ha  in  usanza. 
Perci6  non  sara  mai  ch'io  mi  sconforti, 
o  mai  piu  del  dover  pigli  baldanza 
per  casi  o  buoni  o  rei  che  sieno  sorti: 
ma  sempre  avr6  di  par  tema  e  speranza 
ch'esser  debban  minori,  e  non  del  modo 
ch'a  noi  per  tante  lingue  venir  odo. 

xun 

E  tanto  men  prestar  gli  debbo  fede, 
quanto  piu  al  verisimile  s'oppone. 
Or  se  gli  e  verisimile  si  vede, 
ch'abbia  con  tanto  numer  di  persone 
posto  ne  la  pugnace  Africa  il  piede 
un  re  di  si  lontana  regione, 
traversando  Tarene  a  cui  Cambise 
con  male  augurio  il  popul  suo  commise. 


994  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Credero  ben,  che  sian  gli  Arabi  scesi 
da  le  montagne,  et  abbian  dato  il  guasto, 
e  saccheggiato,  e  morti  uomini  e  presi, 
ove  trovato  avran  poco  contrasto; 
e  che  Branzardo  che  di  quei  paesi 
luogotenente  e  vicere  e  rimasto, 
per  le  decine  scriva  le  migliaia, 
accio  la  scusa  sua  piu  degna  paia. 

XLV 

Vo'  concedergli  ancor  che  sieno  i  Nubi 
per  miracol  dal  ciel  forse  piovuti: 
o  forse  ascosi  venner  ne  le  nubi; 
poi  che  non  fur  mai  per  camin  veduti. 
Temi  tu  che  tal  gente  Africa  rubi, 
se  ben  di  piu  soccorso  non  Tahiti? 
II  tuo  presidio  avria  ben  trista  pelle, 
quando  temesse  un  populo  si  irnbelle. 

XLVI 

Ma  se  tu  mandi  ancor  che  poche  navi, 
pur  che  si  veggan  gli  stendardi  tuoi, 
non  scioglieran  di  qua  si  tosto  i  cavi, 
che  fuggiranno  nei  confini  suoi 
questi,  o  sien  Nubi  o  sieno  Arabi  ignavi, 
ai  quali  il  ritrovarti  qui  con  noi, 
separate  pel  mar  da  la  tua  terra, 
ha  dato  ardir  di  romperti  la  guerra. 

XLVII 

Or  piglia  il  tempo  che,  per  esser  senza 
il  suo  nipote  Carlo,  hai  di  vendetta: 
poi  ch* Orlando  non  c'e,  far  resistenza 
non  ti  puo  alcun  de  la  nimica  setta. 
Se  per  non  veder  lasci  o  negligenza 
Tonorata  vittoria  che  t'aspetta, 
voltera  il  calvo,  ove  ora  il  crin  ne  mostra, 
con  molto  danno  e  lunga  infamia  nostra.  — 


CANTO    TRENTESIMOTTAVO  995 

XLVIII 

Con  questo  et  altri  detti  accortamente 
Tlspano  persuader  vuol  nel  concilio 
che  non  esca  di  Francia  questa  gente, 
fin  che  Carlo  non  sia  spinto  in  esilio. 
Ma  il  re  Sobrin,  che  vide  apertamente 
il  camino  a  che  andava  il  re  Marsilio, 
che  piu  per  Putil  proprio  queste  cose 
che  pel  commun  dicea,  cosi  rispose: 

XLIX 

—  Quando  io  ti  confortava  a  stare  in  pace, 
fosse  io  stato,  signor,  falso  indovino; 
o  tu,  se  io  dovea  pure  esser  verace, 
creduto  avessi  al  tuo  fedel  Sobrino, 
e  non  piu  tosto  a  Rodomonte  audace, 
a  Marbalusto,  a  Alzirdo  e  a  Martasino, 
li  quali  ora  vorrei  qui  avere  a  fronte: 
ma  vorrei  piu  degli  altri  Rodomonte, 

L 

per  rinfacciargli  che  volea  di  Francia 
far  quel  che  si  faria  d'un  fragil  vetro, 
e  in  cielo  e  ne  Io  'nferno  la  tua  lancia 
seguire,  anzi  lasciarsela  di  dietro; 
poi  nel  bisogno  si  gratta  la  pancia 
ne  1'ozio  immerso  abominoso  e  tetro: 
et  io,  che  per  predirti  il  vero  allora 
codardo  detto  fui,  son  teco  ancora; 

LI 

e  sar6  sempremai,  fin  ch'io  finisca 
questa  vita  ch'ancor  che  d'anni  grave, 
porsi  incontra  ogni  di  per  te  s'arrisca 
a  qualunque  di  Francia  piu  nome  have. 
Ne  sara  alcun,  sia  chi  si  vuol,  ch'ardisca 
di  dir  che  Topre  mie  mai  fosser  prave: 
e  non  han  piu  di  me  fatto,  n6  tanto, 
molti  che  si  donar  di  me  piu  vanto. 


996  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

Dico  cosi  per  dimostrar  che  quello 
ch'io  dissi  allora,  e  che  ti  voglio  or  dire, 
ne  da  viltade  vien  ne  da  cor  fello, 
ma  d'amor  vero  e  da  fedel  servire. 
lo  ti  conforto  ch'al  paterno  ostello, 
piu  tosto  che  tu  poi,  vogli  redire; 
che  poco  saggio  si  puo  dir  colui 
che  perde  il  suo  per  acquistar  Paltrui. 

LIII 

S'acquisto  c'e,  tu  '1  sai.  Trentadui  fummo 
re  tuoi  vassalli  a  uscir  teco  del  porto: 
or  se  di  nuovo  il  conto  ne  rassummo, 
c'e  a  pena  il  terzo,  e  tutto  '1  resto  e  morto. 
Che  non  ne  cadan  piu,  piaccia  a  Dio  summo: 
ma  se  tu  vuoi  seguir,  temo  di  corto, 
che  non  ne  rimarra  quarto  ne  quinto; 
e  '1  miser  popul  tuo  fia  tutto  estinto. 

LIV 

Ch' Orlando  non  ci  sia,  ne  aiuta;  ch'ove 
sian  pochi,  forse  alcun  non  ci  saria. 
Ma  per  questo  il  periglio  non  rimuove, 
se  ben  prolunga  nostra  sorte  ria. 
Ecci  Rinaldo,  che  per  molte  prove 
mostra  che  non  minor  d' Orlando  sia: 
c'e  il  suo  lignaggio  e  tutti  i  paladini, 
timore  eterno  a'  nostri  Saracini. 

LV 

Et  hanno  appresso  quel  secondo  Marte 
(ben  che  i  nimici  al  mio  dispetto  lodo), 
io  dico  il  valoroso  Brandimarte, 
non  men  d'Orlando  ad  ogni  prova  sodo; 
del  qual  provata  ho  la  virtude  in  parte, 
parte  ne  veggo  aH'altnii  spese  et  odo. 
Poi  son  piu  dl  che  non  c'e  Orlando  stato; 
e  piu  perduto  abbian  che  guadagnato. 


CANTO    TRENTESIMOTTAVO  997 

LVI 

Se  per  adietro  abbian  perduto,  io  temo 
che  da  qui  inanzi  perderen  piu  in  grosso. 
Del  nostro  campo  Mandricardo  e  scemo, 
Gradasso  il  suo  soccorso  n'ha  rimosso, 
Marfisa  n'ha  lasciata  al  punto  estremo, 
e  cosi  il  re  d'Algier,  di  cui  dir  posso 
che  se  fosse  fedel  come  gagliardo, 
poco  uopo  era  Gradasso  o  Mandricardo. 

LVII 

Ove  sono  a  noi  tolti  questi  aiuti, 
e  tante  mila  son  dei  nostri  morti; 
e  quei  ch'a  venir  han,  son  gia  venuti, 
ne  s'aspetta  altro  legno  che  n'apporti: 
quattro  son  giunti  a  Carlo,  non  tenuti 
manco  d'Orlando  o  di  Rinaldo  forti; 
e  con  ragion;  che  da  qui  sino  a  Battro 
potresti  mal  trovar  tali  altri  quattro. 

LVIII 

Non  so  se  sai  chi  sia  Guidon  Selvaggio 
e  Sansonetto  e  i  figli  d'Oliviero. 
Di  questi  fo  piu  stima  e  piu  tema  aggio, 
che  d'ogni  altro  lor  duca  e  cavalliero 
che  di  Lamagna  o  d' altro  stran  linguaggio 
sia  contra  noi  per  aiutar  PImpero: 
ben  ch'importa  anco  assai  la  gente  nuova 
ch'a*  nostri  danni  in  campo  si  ritrova. 

LIX 

Quante  volte  uscirai  alia  campagna, 

tanto  avrai  la  peggiore,  o  sarai  rotto. 

Se  spesso  perde  il  campo  Africa  e  Spagna, 

quando  sian  stati  sedici  per  otto, 

che  sara  poi  ch?  Italia  e  che  Lamagna 

con  Francia  e  unita,  e  *1  populo  anglo  e  scotto, 

e  che  sei  contra  dodici  saranno  ? 

Ch'altro  si  puo  sperar,  che  biasmo  e  danno? 


998  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

La  gente  qui,  la  perdi  a  un  tempo  il  regno, 
s'in  questa  impresa  piu  duri  ostinato; 
ove,  s'al  ritornar  muti  disegno, 
1'avanzo  di  noi  send  con  lo  state. 
Lasciar  Marsilio  e  di  te  caso  indegno, 
ch'ognun  te  ne  terrebbe  molto  ingrato: 
ma  c'e  rimedio,  far  con  Carlo  pace; 
ch'a  lui  deve  piacer,  se  a  te  pur  place. 

LXI 

Pur  se  ti  par  che  non  ci  sia  il  tuo  onore, 
se  tu,  che  prima  offeso  sei,  la  chiedi ; 
e  la  battagiia  piu  ti  sta  nel  core, 
che  come  sia  fin  qui  successa  vedi ; 
studia  almen  di  restarne  vincitore: 
il  che  forse  averra,  se  tu  mi  credi; 
se  d'ogni  tua  querela  a  un  cavalliero 
darai  1'assunto,  e  se  quel  fia  Ruggiero. 

LXII 

lo  ?1  so,  e  tu  '1  sai  che  Ruggier  nostro  e  tale, 
che  gia  da  solo  a  sol  con  Parme  in  mano 
non  men  d' Orlando  o  di  Rinaldo  vale, 
ne  d'alcun  altro  cavallier  cristiano. 
Ma  se  tu  vuoi  far  guerra  universale, 
ancor  che  '1  valor  suo  sia  sopraumano, 
egli  per6  non  sara  piu  ch'un  solo, 
et  avra  di  par  suoi  contra  uno  stuolo. 

LXIII 

A  me  par,  s'a  te  par,  ch'a  dir  si  mandi 

al  re  cristian  che  per  finir  le  liti, 

e  perche  cessi  il  sangue  che  tu  spandi 

ognior  de'  suoi,  egli  de'  tuo'  infiniti; 

che  contra  un  tuo  guerrier  tu  gli  domandi 

che  metta  in  campo  uno  dei  suoi  piu  arditi; 

e  faccian  questi  duo  tutta  la  guerra, 

fin  che  Fun  vinca,  e  Faltro  resti  in  terra: 


CANTO    TRENTESIMOTTAVO  999 

LXIV 

con  patto  che  qual  d'essi  perde,  faccia 
che  '1  suo  re  all'altro  re  tribute  dia. 
Questa  condizion  non  credo  spiaccia 
a  Carlo,  ancor  che  sul  vantaggio  sia. 
Mi  fido  si  ne  le  robuste  braccia 
poi  di  Ruggier,  che  vincitor  ne  fia; 
e  ragion  tanta  e  da  la  nostra  parte, 
che  vincera,  s'avesse  incontra  Marte.  — 

LXV 

Con  questi  et  altri  piu  efficaci  detti 
fece  Sobrin  si,  che  '1  partito  ottenne; 
e  gPinterpreti  fur  quel  giorno  eletti, 
e  quel  di  a  Carlo  Pimbasciata  venne. 
Carlo  ch'avea  tanti  guerrier  perfetti, 
vinta  per  se  quella  battaglia  tenne, 
di  cui  1'impresa  al  buon  Rinaldo  diede, 
in  ch'avea,  dopo  Orlando,  maggior  fede. 

LXVI 

Di  questo  accordo  lieto  parimente 
Puno  esercito  e  Paltro  si  godea; 
che  '1  travaglio  del  corpo  e  de  la  mente 
tutti  avea  stanchi  e  a  tutti  rincrescea. 
Ognun  di  riposare  il  rimanente 
de  la  sua  vita  disegnato  avea; 
ogniun  maledicea  Pire  e  i  furori 
ch'a  risse  e  a  gare  avean  lor  desti  i  cori. 

LXVII 

Rinaldo  che  esaltar  molto  si  vede, 
che  Carlo  in  lui  di  quel  che  tanto  pesa, 
via  piu  ch'in  tutti  gli  altri,  ha  avuto  fede, 
lieto  si  mette  alPonorata  impresa. 
Ruggier  non  stima;  e  veramente  crede 
che  contra  se  non  potra  far  difesa: 
che  suo  pari  esser  possa  non  gli  e  aviso, 
se  ben  in  campo  ha  Mandricardo  ucciso. 


1000  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

Ruggier  da  1'altra  parte,  ancor  che  molto 
onor  gli  sia  che  '1  suo  re  Pabbia  eletto, 
e  pel  miglior  di  tutti  i  buoni  tolto, 
a  cui  commetta  un  si  importante  efFetto; 
pur  mostra  affanno  e  gran  mestizia  in  volto, 
non  per  paura  che  gli  turbi  il  petto; 
che  non  ch'un  sol  Rinaldo,  ma  non  teme 
se  fosse  con  Rinaldo  Orlando  insieme: 

LXIX 

ma  perche  vede  esser  di  lui  sorella 
la  sua  cara  e  fidissima  consorte 
ch'ognior  scrivendo  stimula  e  martella, 
come  colei  ch'e  ingiuriata  forte. 
Or  s'alle  vecchie  offese  aggiunge  quella 
d'entrare  in  campo  a  porle  il  frate  a  morte, 
se  la  fara,  d'amante,  cosi  odiosa, 
ch'a  placarla  mai  piu  fia  dura  cosa. 

LXX 

Se  tacito  Ruggier  s'affligge  et  ange 
de  la  battaglia  che  mal  grado  prende, 
la  sua  cara  moglier  lacrima  e  piange, 
come  la  nuova  indi  a  poche  ore  intende. 
Batte  il  bel  petto,  e  Pauree  chiome  frange, 
e  le  guancie  innocenti  irriga  e  offende; 
e  chiama  con  ramarichi  e  querele 
Ruggiero  ingrato,  e  il  suo  destin  crudele. 

LXXI 

D'ogm  fin  che  sortisca  la  contesa, 
a  lei  non  pu6  venirne  altro  che  doglia. 
Ch'abbia  a  morir  Ruggiero  in  questa  impresa, 
pensar  non  vuol;  che  par  che  Jl  cor  le  toglia. 
Quando  anco,  per  punir  piu  d'una  offesa, 
la  ruina  di  Francia  Cristo  voglia, 
oltre  che  sara  morto  il  suo  fratello, 
seguira  un  danno  a  lei  piu  acerbo  e  fello: 


CANTO    TRENTESIMOTTAVO  IOOI 

LXXII 

che  non  potra,  se  non  con  biasmo  e  scorno, 

e  nimicizia  di  tutta  sua  gente, 

fare  al  marito  suo  mai  piu  ritorno, 

si  che  lo  sappia  ognun  publicamente, 

come  s'avea,  pensando  notte  e  giorno, 

piu  volte  disegnato  ne  la  mente: 

e  tra  lor  era  la  promessa  tale, 

che  '1  ritrarsi  e  il  pentir  piu  poco  vale. 

LXXIII 

Ma  quella  usata  ne  le  cose  avverse 
di  non  mancarle  di  soccorsi  fidi, 
dico  Melissa  maga,  non  sofferse 
udirne  il  pianto  e  i  dolorosi  gridi; 
e  vennc  a  consolarla,  e  le  proferse, 
quando  ne  fosse  il  tempo,  alti  sussidi, 
e  disturbar  quella  pugna  futura 
di  ch'ella  piange  e  si  pon  tanta  cura. 

LXXIV 

Rinaldo  intanto  e  1'inclito  Ruggiero 
apparechiavan  Parme  alia  tenzone, 
di  cui  dovea  Feletta  al  cavalliero 
che  del  romano  Imperio  era  campione: 
e  come  quel  che,  poi  che  Jl  buon  destriero 
perde  Baiardo,  and6  sempre  pedone, 
si  elesse  a  pie,  coperto  a  piastra  e  a  maglia, 
con  Fazza  e  col  pugnal  far  la  battaglia. 

LXXV 

O  fosse  caso,  o  fosse  pur  ricordo 
di  Malagigi  suo  provido  e  saggio, 
che  sapea  quanto  Balisarda  ingordo 
il  taglio  avea  di  fare  alParme  oltraggio; 
combatter  senza  spada  fur  d'accordo 
Funo  e  Faltro  guerrier,  come  detto  aggio. 
Del  luogo  s'accordar  presso  alle  mura 
de  P  antique  Arli,  in  una  gran  pianura. 


1002  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

A  pena  avea  la  vigilante  Aurora 
da  1'ostel  di  Titon  fuor  messo  il  capo, 
per  dare  al  giorno  terminate,  e  all'ora 
ch'era  prefissa  alia  battaglia,  capo; 
quando  di  qua  e  di  la  vennero  fuora 
i  deputati;  e  questi  in  ciascun  capo 
degli  steccati  i  padiglion  tiraro, 
appresso  ai  quali  ambi  un  altar  fermaro. 

LXXVII 

Non  molto  dopo,  instrutto  a  schiera  a  schiera, 

si  vide  uscir  1'esercito  pagano. 

In  mezzo  armato  e  suntuoso  v'era 

di  barbarica  pompa  il  re  africano; 

e  s'un  baio  corsier  di  chioma  nera, 

di  fronte  bianca,  e  di  duo  pie  balzano, 

a  par  a  par  con  lui  venia  Ruggiero, 

a  cui  servir  non  e  Marsilio  altiero. 

Lxxvin 

L'elmo,  che  dianzi  con  travaglio  tanto 
trasse  di  testa  al  re  di  Tartaria, 
1'elmo,  che  celebrate  in  maggior  canto 
port6  il  troiano  Ettor  mill'anni  pria, 
gli  porta  il  re  Marsilio  a  canto  a  canto : 
altri  principi  et  altra  baronia 
s'hanno  partite  1'altr'arme  fra  loro, 
ricche  di  gioie  e  ben  fregiate  d'oro. 

LXXIX 

Da  Taltra  parte  fuor  dei  gran  ripari 
re  Carlo  usci  con  la  sua  gente  d'arme, 
con  gli  ordini  medesmi  e  modi  pari 
che  terria  se  venisse  al  fatto  d'armc. 
Cingonlo  intorno  i  suoi  famosi  pari; 
e  Rinaldo  e  con  lui  con  tutte  1'arme, 
fuor  che  1'elmo  che  fu  del  re  Mambrino, 
che  porta  Ugier  Danese  paladino. 


CANTO    TRENTESIMOTTAVO  1003 

LXXX 

E  di  due  azze  ha  il  duca  Namo  Tuna, 
e  Faltra  Salamon  re  di  Bretagna. 
Carlo  da  un  lato  i  suoi  tutti  raguna; 
da  1'altro  son  quei  d' Africa  e  di  Spagna. 
Nel  mezzo  non  appar  persona  alcima: 
v6to  rirnan  gran  spazio  di  campagna, 
che  per  bando  commune  a  chi  vi  sale, 
eccetto  ai  duo  guerrieri,  e  capitale. 

LXXXI 

Poi  che  de  Farme  la  seconda  eletta 
si  die  al  campion  del  populo  pagano, 
duo  sacerdoti,  Tun  de  Tuna  setta, 
Taltro  de  Paltra,  uscir  coi  libri  in  mano. 
In  quel  del  nostro  e  la  vita  perfetta 
scritta  di  Cristo;  e  1'altro  6  FAlcorano. 
Con  quel  de  FEvangelio  si  fej  inante 
Timperator,  con  1'altro  il  re  Agramante. 

LXXXII 

Giunto  Carlo  air  altar  che  statuito 
i  suoi  gli  aveano,  al  ciel  levo  le  palme, 
e  disse:  —  O  Dio,  c'hai  di  morir  patito 
per  redimer  da  morte  le  nostr'alme; 
o  Donna,  il  cui  valor  fu  si  gradito, 
che  Dio  prese  da  te  1'umane  salme, 
e  nove  mesi  fu  nel  tuo  santo  alvo, 
sempre  serbando  il  fior  virgineo  salvo: 

LXXXIII 

siatemi  testimoni,  ch'io  prometto 
per  me  e  per  ogni  mia  successione 
al  re  Agramante,  et  a  chi  dopo  eletto 
sara  al  governo  di  sua  regione, 
dar  venti  some  ogni  anno  d'oro  schietto, 
s'oggi  qui  riman  vinto  il  mio  campione; 
e  ch'io  prometto  subito  la  triegua 
incominciar,  che  poi  perpetua  segua: 


1004  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXIV 

e  se  'n  cio  manco,  subito  s'accenda 
la  formidabil  ira  d'ambidui, 
la  qual  me  solo  e  i  miei  figliuoli  offenda, 
non  alcun  altro  che  sia  qui  con  nui; 
si  che  in  brevissima  ora  si  comprenda 
che  sia  il  mancar  de  la  promessa  a  vui.  — 
Cosi  dicendo,  Carlo  sul  Vangelo 
tenea  la  mano,  e  gli  occhi  fissi  al  cielo. 

LXXXV 

Si  levan  quindi,  e  poi  vanno  alPaltare 
che  riccamente  avean  pagani  adorno; 
ove  giuro  Agramante,  ch'oltre  al  mare 
con  Tesercito  suo  faria  ritorno, 
et  a  Carlo  daria  tributo  pare, 
se  restasse  Ruggier  vinto  quel  giorno ; 
e  perpetua  tra  lor  triegua  saria, 
coi  patti  ch'avea  Carlo  detti  pria. 

LXXXVI 

E  similmente  con  parlar  non  basso, 
chiamando  in  testimonio  il  gran  Maumette, 
sul  libro  ch'in  man  tiene  il  suo  papasso, 
cio  che  detto  ha,  tutto  osservar  promette. 
Poi  del  campo  si  partono  a  gran  passo, 
e  tra  i  suoi  1'uno  e  Taltro  si  rimette: 
poi  quel  par  di  campioni  a  giurar  venne; 
e  Jl  giuramento  lor  questo  contenne: 

LXXXVII 

Ruggier  promette,  se  de  la  tenzone 
il  suo  re  viene  o  manda  a  disturbarlo, 
che  ne  suo  guerrier  piu,  ne"  suo  barone 
esser  mai  vuol,  ma  darsi  tutto  a  Carlo. 
Giura  Rinaldo  ancor,  che  se  cagione 
sara  del  suo  signor  quindi  levarlo, 
fin  che  non  resti  vinto  egli  o  Ruggiero, 
si  fara  d' Agramante  cavalliero. 


CANTO   TRENTESIMOTTAVO  1005 

LXXXVIII 

Poi  che  le  cerimonie  finite  hanno, 
si  ritorna  ciascun  da  la  sua  parte; 
ne  v'indugiano  molto,  che  lor  danno 
le  chiare  trombe  segno  al  fiero  marte. 
Or  gli  animosi  a  ritrovar  si  vanno, 
con  senno  i  passi  dispensando  et  arte. 
Ecco  si  vede  incominciar  Passalto, 
sonar  il  ferro,  or  girar  basso,  or  alto. 

LXXXIX 

Or  inanzi  col  calce,  or  col  martello 
accenna  quando  al  capo  e  quando  al  piede, 
con  tal  destrezza  e  con  modo  si  snello, 
ch'ogni  credenza  il  raccontarlo  eccede. 
Ruggier  che  combattea  contra  il  fratello 
di  chi  la  misera  alma  gli  possiede, 
a  ferir  lo  venia  con  tal  riguardo, 
che  stimato  ne  fu  manco  gagliardo. 

xc 

Era  a  parar,  piu  ch'a  ferire,  intento, 
e  non  sapea  egli  stesso  il  suo  desire: 
spegner  Rinaldo  saria  malcontento, 
n6  vorria  volentieri  egli  morire. 
Ma  ecco  giunto  al  termine  mi  sento, 
ove  convien  Tistoria  diferire. 
Ne  Paltro  canto  il  resto  intenderete, 
s'udir  ne  1'altro  canto  mi  vorrete. 


1006  ORLANDO   FURIOSO 


CANTO   TRENTESIMONOKO 


L'affanno  di  Ruggier  ben  veramente 
e  sopra  ogn'altro  duro,  acerbo  e  forte, 
di  cui  travaglia  il  corpo,  e  piu  la  mente, 
poi  che  di  due  fuggir  non  puo  una  morte; 
o  da  Rinaldo,  se  di  lui  possente 
fia  meno,  o  se  fia  piu,  da  la  consorte : 
che  se  '1  fratel  le  uccide,  sa  ch'incorre 
ne  Todio  suo,  che  piu  che  morte  aborre. 

II 

Rinaldo,  che  non  ha  simil  pensiero, 
in  tutti  i  modi  alia  vittoria  aspira: 
mena  de  1'azza  dispettoso  e  fiero; 
quando  alle  braccia  e  quando  al  capo  mira. 
Volteggiando  con  1'asta  il  buon  Ruggiero 
ribatte  il  colpo,  e  quinci  e  quindi  gira; 
e  se  percuote  pur,  disegna  loco 
ove  possa  a  Rinaldo  nuocer  poco. 

in 

Alia  piu  parte  dei  signer  pagani 
troppo  par  disegual  esser  la  zuffa: 
troppo  &  Ruggier  pigro  a  menar  le  mani, 
troppo  Rinaldo  il  giovine  ribuffa. 
Smarrito  in  faccia  il  re  degli  Africani 
mira  1'assalto,  e  ne  sospira  e  sbuffa: 
et  accusa  Sobrin,  da  cui  precede 
tutto  Terror,  che  yl  mal  consiglio  diede. 


CANTO    TRENTESIMONONO  IOOJ 

IV 

Melissa  in  questo  tempo,  ch'era  fonte 
di  quanto  sappia  incantatore  o  mago, 
avea  cangiata  la  feminil  fronte, 
e  del  gran  re  d'Algier  presa  Timago: 
sembrava  al  viso,  ai  gesti  Rodomonte, 
e  parea  armata  di  pelle  di  drago; 
e  tal  lo  scudo  e  tal  la  spada  al  fianco 
avea,  quale  usava  egli,  e  nulla  manco. 


Spinse  il  demonic  inanzi  al  mesto  figlio 
del  re  Troiano,  in  forma  di  cavallo; 
e  con  gran  voce  e  con  turbato  ciglio 
disse :  —  Signor,  questo  e  pur  troppo  fallo, 
ch'un  giovene  inesperto  a  far  periglio 
contra  un  si  forte  e  si  famoso  Gallo 
abbiate  eletto  in  cosa  di  tal  sorte, 
che  '1  regno  e  Ponor  d'Africa  n'importe. 

VI 

Non  si  lassi  seguir  questa  battaglia, 
che  ne  sarebbe  in  troppo  detrimento. 
Su  Rodomonte  sia,  n6  ve  ne  caglia, 
Favere  il  patto  rotto  e  '1  gmramento, 
Dimostri  ognun  come  sua  spada  taglia: 
poi  ch'io  ci  sono,  ognun  di  voi  val  cento.  — 
Pote  questo  parlar  si  in  Agramante, 
che  senza  piu  pensar  si  cacci6  inante. 

VII 

II  creder  d'aver  seco  il  re  d*Algieri 
fece  che  si  cur6  poco  del  patto; 
e  non  avria  di  mille  cavallieri 
giunti  in  suo  aiuto  si  gran  stima  fatto. 
Perci6  lancie  abbassar,  spronar  destrieri 
di  qua  di  la  veduto  fu  in  un  tratto. 
Melissa,  poi  che  con  sue  fmte  larve 
la  battaglia  attacc6,  subito  sparve. 


I0o8  ORLANDO    FURIOSO 

VIII 

I  duo  campion  che  vedeno  turbarsi 
contra  ogni  accordo,  contra  ogni  promessa, 
senza  piii  Tun  con  1'altro  travagliarsi, 
anzi  ogni  ingiuria  avendosi  rimessa, 
fede  si  dan,  ne  qua  ne  la  impacciarsi, 
fin  che  la  cosa  non  sia  meglio  espressa, 
chi  stato  sia  che  i  patti  ha  rotto  inante, 
o  '1  vecchio  Carlo,  o  '1  giovene  Agramante. 

IX 

E  replican  con  nuovi  giuramenti 

d'esser  nimici  a  chi  manco  di  fede. 

Sozzopra  se  ne  van  tutte  le  genti: 

chi  porta  inanzi  e  chi  ritorna  il  piede. 

Chi  sia  fra  i  vili,  e  chi  tra  i  phi  valenti 

in  un  atto  medesimo  si  vede: 

son  tutti  parimente  al  correr  presti; 

ma  quei  corrono  inanzi,  e  indietro  questi, 

x 

Come  levrier  che  la  fugace  fera 
correre  intorno  et  aggirarsi  mira, 
ne  puo  con  gli  altri  cani  andare  in  schiera, 
che  '1  cacciator  lo  tien,  si  strugge  d'ira, 
si  tormenta,  s'affligge  e  si  dispera, 
schiattisce  indarno,  e  si  dibatte  e  tira; 
cosi  sdegnosa  infm  allora  stata 
Marfisa  era  quel  di  con  la  cognata. 

XI 

Fin  a  quell'ora  avean  quel  di  vedute 

si  ricche  prede  in  spazioso  piano; 

e  che  fosser  dal  patto  ritenute 

di  non  poter  seguirle  e  porvi  mano, 

ramaricate  s'erano  e  dolute, 

e  n'avean  molto  sospirato  invano. 

Or  che  i  patti  e  le  triegue  vider  rotte, 

liete  saltar  ne  Pafricane  frotte. 


CANTO    TRENTESIMONONO 


XII 

Marfisa  caccio  1'asta  per  lo  petto 

al  primo  che  scontro,  due  braccia  dietro: 

poi  trasse  il  brando,  e  in  men  che  non  Tho  detto, 

spezzo  quattro  elmi,  che  sembrar  di  vetro. 

Bradamante  non  fe}  minore  effetto; 

ma  Tasta  d'or  tenne  diverso  metro: 

tutti  quei  che  tocco,  per  terra  mise; 

duo  tanti  fur,  ne  pero  alcuno  uccise. 

XIII 

Questo  si  presso  1'una  all'altra  fero, 
che  testimonie  se  ne  fur  tra  loro; 
poi  si  scostaro,  et  a  ferir  si  diero, 
ove  le  trasse  Pira,  il  popul  Moro. 
Chi  potra  conto  aver  d'ogni  guerriero 
ch'a  terra  mandi  quella  lancia  d'oro  ? 
o  d'ogni  testa  che  tronca  o  divisa 
sia  da  la  orribil  spada  di  Marfisa? 

XIV 

Come  al  soffiar  de'  piu  benigni  venti, 
quando  Apennin  scuopre  Terbose  spalle, 
muovonsi  a  par  duo  turbidi  torrenti 
che  nel  cader  fan  poi  diverso  calle; 
svellono  i  sassi  e  gli  arbori  eminent! 
da  Talte  ripe,  e  portan  ne  la  valle 
le  biade  e  i  campi;  e  quasi  a  gara  fanno 
a  chi  far  pu6  nel  suo  camin  piu  danno: 

xv 

cosi  le  due  magnanime  guerriere, 
scorrendo  il  campo  per  diversa  strada, 
gran  strage  fan  ne  Tafricane  schiere, 
Tuna  con  Tasta,  e  Taltra  con  la  spada. 
Tiene  Agramante  a  pena  alle  bandiere 
la  gente  sua,  ch'in  fuga  non  ne  vada. 
Invan  domanda,  invan  volge  la  fronte; 
ne  pu6  saper  che  sia  di  Rodomonte. 


1010  ORLANDO    FURIOSO 

XVI 

A  conforto  di  lui  rotto  avea  il  patto 
(cosi  credea)  che  fu  solennemente, 
i  dei  chiamando  in  testimonio,  fatto; 
poi  s'era  dileguato  si  repente. 
Ne  Sobrin  vede  ancor:  Sobrin  ritratto 
in  Arli  s'era,  e  dettosi  innocente; 
perche  di  quel  pergiuro  aspra  vendetta 
sopra  Agramante  il  di  medesmo  aspetta. 

XVII 

Marsilio  anco  e  fuggito  ne  la  terra: 
si  la  religion  gli  preme  il  core. 
Percio  male  Agramante  il  passo  serra 
a  quei  che  mena  Carlo  imperatore, 
d'ltalia,  di  Lamagna  e  d'Inghilterra, 
che  tutte  gente  son  d'alto  valore; 
et  hanno  i  paladin  sparsi  tra  loro, 
*  come  le  gemme  in  un  riccamo  d'oro : 

XVIII 

e  presso  ai  paladini  alcun  perfetto 
quanto  esser  possa  al  mondo  cavalliero, 
Guidon  Selvaggio,  1'intrepido  petto, 
e  i  duo  famosi  figli  d'Oliviero. 
lo  non  voglio  ridir,  ch'io  Pho  gia  detto, 
di  quel  par  di  donzelle  ardito  e  fiero. 
Questi  uccidean  di  genti  saracine 
tanto,  che  non  v'e  numero  ne*  fine. 

XIX 

Ma  differendo  questa  pugna  alquanto, 
io  vo'  passar  senza  navilio  il  mare. 
Non  ho  con  quei  di  Francia  da  far  tanto, 
ch'io  non  m'abbia  d'Astolfo  a  ricordare. 
La  grazia  che  gli  die  Fapostol  santo 
io  v'ho  gia  detto,  e  detto  aver  mi  pare, 
che  '1  re  Branzardo  e  il  re  de  PAlgazera 
per  girli  incontra  armasse  ogni  sua  schiera. 


CANTO    TRENTESIMONONO  IOII 

XX 

Furon  di  quei  ch'aver  poteano  in  fretta 
le  schiere  di  tutta  Africa  raccolte, 
non  men  d'inferma  eta  che  di  perfetta; 
quasi  ch'ancor  le  femine  fur  tolte. 
Agramante  ostinato  alia  vendetta 
avea  gia  vota  1' Africa  due  volte. 
Poche  genti  rimase  erano,  e  quelle 
esercito  facean  timido  e  imbelle. 

XXI 

Ben  lo  mostrar;  che  gli  nimici  a  pena 
vider  lontan,  che  se  n'andaron  rotti. 
Astolfo  come  pecore  li  mena 
dinanzi  ai  suoi  di  guerreggiar  piu  dotti, 
e  fa  restarne  la  campagna  piena: 
pochi  a  Biserta  se  ne  son  ridotti. 
Prigion  rimase  Bucifar  gagliardo; 
salvossi  ne  la  terra  il  re  Branzardo, 

XXII 

via  piu  dolente  sol  di  Bucifaro, 
che  se  tutto  perduto  avesse  il  resto. 
Biserta  &  grande,  e  farle  gran  riparo 
bisogna,  e  senza  lui  mal  pu6  far  questo: 
poterlo  riscattar  molto  avria  caro. 
Mentre  vi  pensa  e  ne  sta  afflitto  e  mesto, 
gli  viene  in  mente  come  tien  prigione 
gia  molti  mesi  il  paladin  Dudone. 

XXIII 

Lo  prese  sotto  a  Monaco  in  riviera 
il  re  di  Sarza  nel  primo  passaggio. 
Da  indi  in  qua  prigion  sempre  stato  era 
Dudon  che  del  Danese  fu  lignaggio. 
Mutar  costui  col  re  de  FAlgazera 
pens6  Branzardo,  e  ne  mand6  messaggio 
al  capitan  de'  Nubi,  perch6  intese 
per  vera  spia  ch'egli  era  Astolfo  inglese. 


1012  ORLANDO    FURIOSO 

XXIV 

Essendo  Astolfo  paladin,  comprende 
che  dee  aver  caro  un  paladino  sciorre. 
II  gentil  duca,  come  il  caso  intende, 
col  re  Branzardo  in  un  voler  concorre. 
Liberate  Dudon,  grazie  ne  rende 
al  duca,  e  seco  si  mette  a  disporre 
le  cose  che  appertengono  alia  guerra, 
cosi  quelle  da  mar,  come  da  terra. 

xxv 

Avendo  Astolfo  esercito  infinite 
da  non  gli  far  sette  Afriche  difesa; 
e  rammentando  come  fu  ammonite 
dal  santo  vecchio  che  gli  die  I'impresa 
di  tor  Provenza  e  d'Acquamorta  il  Hto 
di  man  di  Saracin  che  Favean  presa; 
d'una  gran  turba  fece  nuova  eletta, 
quella  ch'al  mar  gli  parve  manco  inetta. 

XXVI 

Et  avendosi  piene  ambe  le  palme, 
quanto  potean  capir,  di  varie  fronde 
a  lauri,  a  cedri  tolte,  a  olive,  a  palme, 
venne  sul  mare,  e  le  gitto  ne  1'onde. 
Oh  felici,  e  dal  ciel  ben  dilette  alme! 
Grazia  che  Dio  raro  a'  mortali  infonde! 
Oh  stupendo  miracolo  che  nacque 
di  quelle  frondi,  come  fur  ne  1'acque! 

xxvn 

Crebbero  in  quantita  fuor  d'ogni  stima; 
si  feron  curve  e  grosse  e  lunghe  e  gravi; 
le  vene  ch'attraverso  aveano  prima, 
mutaro  in  dure  spranghe  e  in  grosse  travi: 
e  rimanendo  acute  inver  la  cima, 
tutte  in  un  tratto  diventaro  navi 
di  differenti  qualitadi,  e  tante 
quante  raccolte  fur  da  varie  piante. 


CANTO    TRENTESIMONONO  1013 

XXVIII 

Miracol  fu  veder  le  fronde  sparte 
produr  fuste,  galee,  navi  da  gabbia. 
Fu  mirabile  ancor,  che  vele  e  sarte 
e  remi  avean,  quanto  alcun  legno  n'abbia. 
Non  manco  al  duca  poi  chi  avesse  Tarte 
di  governarsi  alia  ventosa  rabbia; 
che  di  Sardi  e  di  Corsi  non  remoti, 
nocchier,  padron,  pennesi  ebbe  e  piloti. 

XXIX 

Quelli  che  entraro  in  mar,  contati  foro 
ventiseimila,  e  gente  d'ogni  sorte. 
Dudon  ando  per  capitano  loro, 
cavallier  saggio,  e  in  terra  e  in  acqua  forte. 
Stava  Farmata  ancora  al  lito  moro, 
miglior  vento  aspettando  che  la  porte, 
quando  un  navilio  giunse  a  quella  riva, 
che  di  presi  guerrier  carco  veniva. 

xxx 

Portava  quei  ch'al  periglioso  ponte, 
ove  alle  giostre  il  campo  era  si  stretto, 
pigliato  avea  Taudace  Rodomonte, 
come  piu  volte  io  v'ho  di  sopra  detto. 
II  cognato  tra  questi  era  del  conte, 
e  '1  fedel  Brandimarte  e  Sansonetto, 
et  altri  ancor,  che  dir  non  mi  bisogna, 
d'Alemagna,  d* Italia  e  di  Guascogna. 

XXXI 

Quivi  il  nocchier,  ch'ancor  non  s'era  accorto 
degli  inimici,  entro  con  la  galea, 
lasciando  molte  miglia  a  dietro  il  porto 
d'Algieri,  ove  calar  prima  volea, 
per  un  vento  gagliardo  ch'era  sorto, 
e  spinto  oltre  il  dover  la  poppa  avea. 
Venir  tra  i  suoi  credette  e  in  loco  fido, 
come  vien  Progne  al  suo  loquace  nido. 


1014  ORLANDO    FURIOSO 

XXXII 

Ma  come  poi  Fimperiale  augello, 

i  gigli  d'oro  e  i  pardi  vide  appresso, 

resto  pallido  in  faccia,  come  quello 

che  '1  piede  incauto  d'improviso  ha  messo 

sopra  il  serpente  venenoso  e  fello, 

dal  pigro  sonno  in  mezzo  Perbe  oppresso; 

che  spaventato  e  smorto  si  ritira, 

fuggendo  quel,  ch'e  pien  di  tosco  e  d'ira. 

XXXIII 

Gia  non  pote  fuggir  quindi  il  nocchiero, 
ne  tener  seppe  i  prigion  suoi  di  piatto. 
Con  Brandimarte  fu,  con  Oliviero, 
con  Sansonetto  e  con  mold  altri  tratto 
ove  dal  duca  e  dal  figliuol  d'Uggiero 
fu  lieto  viso  agli  suo*  amici  fatto; 
e  per  mercede  lui  che  li  condusse, 
volson  che  condannato  al  remo  fusse. 

xxxiv 

Come  io  vi  dico,  dal  figliuol  d'Otone 
i  cavallier  cristian  furon  ben  visti, 
e  di  mensa  onorati  al  padiglione, 
d'arme  e  di  cio  che  bisogn6  provisti. 
Per  amor  d'essi  differ!  Dudone 
1'andata  sua;  che  non  minori  acquisti 
di  ragionar  con  tai  baroni  estima, 
che  d'esser  gito  uno  o  duo  giorni  prima. 

xxxv 

In  che  stato,  in  che  termine  si  trove 
e  Francia  e  Carlo,  instruzion  vera  ebbe; 
e  dove  piu  sicuramente,  e  dove, 
per  far  miglior  effetto,  calar  debbe. 
Mentre  da  lor  venia  intendendo  nuove, 
s'udi  un  rumor  che  tuttavia  piu  crebbe; 
e  un  dar  alParme  ne  segui  si  fiero, 
che  fece  a  tutti  far  piu  d'un  pensiero. 


CANTO    TRENTESIMONONO  1015 

XXXVI 

II  duca  Astolfo  e  la  compagnia  bella, 
che  ragionando  insieme  si  trovaro, 
in  un  memento  armati  furo  e  in  sella, 
e  verso  il  maggior  grido  in  fretta  andaro, 
di  qua  di  la  cercando  pur  novella 
di  quel  romore;  e  in  loco  capitaro 
ove  videro  un  uom  tanto  feroce, 
che  nudo  e  solo  a  tutto  Jl  campo  nuoce. 

XXXVII 

Menava  un  suo  baston  di  legno  in  volta, 
che  era  si  duro  e  si  grave  e  si  fermo, 
che  declinando  quel,  facea  ogni  volta 
cader  in  terra  un  uom  peggio  ch'infermo. 
Gia  a  piu  di  cento  avea  la  vita  tolta; 
ne  piu  se  gli  facea  riparo  o  schermo, 
se  non  tirando  di  lontan  saette: 
d'appresso  non  e  alcun  gia  che  Faspette. 

xxxvni 

Dudone,  Astolfo,  Brandimarte,  essendo 
corsi  in  fretta  al  romore,  et  Oliviero, 
de  la  gran  forza  e  del  valor  stupendo 
stavan  maravigliosi  di  quel  fiero; 
quando  venir  s'un  palafren  correndo 
videro  una  donzella  in  vestir  nero, 
che  corse  a  Brandimarte  e  salutollo, 
e  gli  alz6  a  un  tempo  ambe  le  braccia  al  collo. 

XXXIX 

Questa  era  Fiordiligi,  che  si  acceso 
avea  d'amor  per  Brandimarte  il  core, 
che  quando  al  ponte  stretto  il  Iasci6  preso, 
vicina  ad  impazzar  fu  di  dolore. 
Di  la  dal  mare  era  passata,  inteso 
avendo  dal  pagan  che  ne  fu  autore, 
che  mandato  con  molti  cavallieri 
era  prigion  ne  la  citta  d'AIgieri. 


I0l6  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Quando  fu  per  passare,  avea  trovato 
a  Marsilia  una  nave  di  Levante, 
ch'un  vecchio  cavalliero  avea  portato 
de  la  famiglia  del  re  Monodante; 
il  quale  molte  provincie  avea  cercato, 
quando  per  mar,  quando  per  terra  errante, 
per  trovar  Brandimarte ;  che  nuova  ebbc 
tra  via  di  lui,  ch'in  Francia  il  troverebbe. 

XLI 

Et  ella,  conosciuto  che  Bardino 
era  costui,  Bardino  che  rapito 
al  padre  Brandimarte  piece-lino, 
et  a  Rocca  Silvana  avea  notrito, 
e  la  cagione  intesa  del  camino, 
seco  fatto  1'avea  scioglier  dal  lito, 
avendogli  narrato  in  che  maniera 
Brandimarte  passato  in  Africa  era. 

XLII 

Tosto  che  furo  a  terra,  udir  le  nuove, 
ch'assediata  d'Astolfo  era  Biserta: 
che  seco  Brandimarte  si  ritrove 
udito  avean,  ma  non  per  cosa  certa. 
Or  Fiordiligi  in  tal  fretta  si  muove, 
come  lo  vede,  che  ben  mostra  aperta 
quella  allegrezza  ch'i  precessi  guai 
le  fero  la  maggior  ch'avesse  mai. 

XLIII 

II  gentil  cavallier,  non  men  giocondo 
di  veder  la  diletta  e  fida  moglie 
ch'amava  piu  che  cosa  altra  del  mondo, 
1'abraccia  e  stringe  e  dolcemente  accoglie: 
ne  per  saziare  al  primo  ne  al  secondo 
ne  al  terzo  bacio  era  1'accese  voglie; 
se  non  ch'alzando  gli  occhi  ebbe  veduto 
Bardin  che  con  la  donna  era  venuto. 


CANTO    TRENTESIMONONO 
XLIV 

Stese  le  mani,  et  abbracciar  lo  voile, 

e  insieme  domandar  perche  venia; 

ma  di  poterlo  far  tempo  gli  tolle 

il  campo  ch'in  disordine  fuggia 

dinanzi  a  quel  baston  che  '1  nudo  folle 

menava  intorno,  e  gli  facea  dar  via. 

Fiordiligi  miro  quel  nudo  in  fronte, 

e  grido  a  Brandimarte:  —  Eccovi  il  conte!  — 

XLV 

Astolfo  tutto  a  un  tempo,  ch'era  quivi, 
che  questo  Orlando  fosse  ebbe  palese 
per  alcun  segno  che  dai  vecchi  divi 
su  nel  terrestre  paradiso  intese. 
Altrimente  restavan  tutti  privi 
di  cognizion  di  quel  signor  cortese; 
che  per  lungo  sprezzarsi,  come  stolto, 
avea  di  fera  piu  che  d'uomo  il  volto. 

XLVI 

Astolfo  per  pieta  che  gli  traffisse 
il  petto  e  il  cor,  si  volse  lacrimando; 
et  a  Dudon  (che  gli  era  appresso)  disse, 
et  indi  ad  Oliviero:  —  Eccovi  Orlando!  — 
Quei  gli  occhi  alquanto  e  le  palpebre  fisse 
tencndo  in  lui,  Pandar  raffigurando; 
e  Jl  ritrovarlo  in  tal  calamitade, 
gli  empi  di  maraviglia  e  di  pietade. 

LXVII 

Piangeano  quei  signor  per  la  piu  parte: 
si  lor  ne  dolse,  e  lor  ne  'ncrebbe  tanto. 
—  Tempo  e  —  lor  disse  Astolfo  —  trovar  arte 
di  risanarlo,  e  non  di  fargli  il  pianto.  — 
E  salt6  a  piedi,  e  cosi  Brandimarte, 
Sansonetto,  Oliviero  e  Dudon  santo; 
e  s'aventaro  al  nipote  di  Carlo 
tutti  in  un  tempo;  che  volean  pigliarlo. 


I0l8  ORLANDO    FURIOSO 

XLVIII 

Orlando  che  si  vide  fare  il  cerchio, 
meno  il  baston  da  disperato  e  folle; 
et  a  Dudon  che  si  facea  coperchio 
al  capo  de  lo  scudo  et  entrar  voile, 
fe'  sentir  ch'era  grave  di  soperchio: 
e  se  non  che  Olivier  col  brando  tolle 
parte  del  colpo,  avria  il  bastone  ingiusto 
rotto  lo  scudo,  Pelmo,  il  capo  e  il  busto. 

XLIX 

Lo  scudo  roppe  solo,  e  su  Pelmetto 
tempesto  si,  che  Dudon  cadde  in  terra. 
Men6  la  spada  a  un  tempo  Sansonetto; 
e  del  baston  piu  di  duo  braccia  afferra 
con  valor  tal,  che  tutto  il  taglia  netto. 
Brandimarte  ch'adosso  se  gli  serra, 
gli  cinge  i  fianchi,  quanto  puo,  con  ambe 
le  braccia,  e  Astolfo  il  piglia  ne  le  gambe. 

L 

Scuotesi  Orlando,  e  lungi  dieci  passi 
da  se  PInglese  fej  cader  ri verso: 
non  fa  pero  che  Brandimarte  il  lassi, 
che  con  piu  forza  Pha  preso  a  traverse. 
Ad  Olivier  che  troppo  inanzi  fassi, 
meno  un  pugno  si  duro  e  si  perverso, 
che  lo  fe*  cader  pallido  et  esangue, 
e  dal  naso  e  dagli  occhi  uscirgli  il  sangue. 

LI 

E  se  non  era  Pelmo  piu  che  buono, 
ch'avea  Olivier,  Tavria  quel  pugno  ucciso: 
cadde  per6,  come  se  fatto  dono 
avesse  de  lo  spirto  al  paradiso. 
Dudone  e  Astolfo  che  levati  sono, 
ben  che  Dudone  abbia  gonfiato  il  viso, 
e  Sansonetto  che  '1  bel  colpo  ha  fatto, 
adosso  a  Orlando  son  tutti  in  un  tratto. 


CANTO    TRENTESIMONONO  IOig 

LII 

Dudon  con  gran  vigor  dietro  Pabbraccia, 
pur  tentando  col  pie  farlo  cadere : 
Astolfo  e  gli  altri  gli  han  prese  le  braccia, 
ne  lo  puon  tutti  insieme  anco  tenere. 
C'ha  visto  toro  a  cui  si  dia  la  caccia, 
e  ch'alle  orecchie  abbia  le  zanne  fiere, 
correr  mugliando,  e  trarre  ovunque  corre 
i  cani  seco,  e  non  potersi  sciorre; 

LIII 

imagini  ch'  Orlando  fosse  tale, 
che  tutti  quei  guerrier  seco  traea. 
In  quel  tempo  Olivier  di  terra  sale, 
la  dove  steso  il  gran  pugno  Tavea; 
e  visto  che  cosi  si  potea  male 
far  di  lui  quel  ch' Astolfo  far  volea, 
si  pens6  un  modo,  et  ad  effetto  il  messe, 
di  far  cader  Orlando,  e  gli  successe. 

LIV 

Si  fej  quivi  arrecar  piu  d'una  fune, 
e  con  nodi  correnti  adatto  presto; 
et  alle  gambe  et  alle  braccia  alcune 
fe'  porre  al  conte,  et  a  traverso  il  resto. 
Di  quelle  i  capi  poi  parti  in  commune, 
e  li  diede  a  tenere  a  quello  e  a  questo. 
Per  quella  via  che  maniscalco  atterra 
cavallo  o  bue,  fu  tratto  Orlando  in  terra. 

LV 

Come  egli  e  in  terra,  gli  son  tutti  adosso, 
e  gli  legan  piu  forte  e  piedi  e  mani. 
Assai  di  qua  di  la  s'e  Orlando  scosso, 
ma  so  no  i  suoi  risforzi  tutti  vani. 
Commanda  Astolfo  che  sia  quindi  mosso, 
che  dice  voler  far  che  si  risani, 
Dudon  ch'e  grande,  il  leva  in  su  le  schene, 
e  porta  al  mar  sopra  Pestreme  arene. 


1020  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Lo  fa  lavar  Astolfo  sette  volte, 
e  sette  volte  sotto  acqua  1'attuffa; 
si  che  dal  viso  e  da  le  membra  stolte 
leva  la  bmtta  rugine  e  la  muffa: 
poi  con  certe  erbe,  a  questo  effetto  colte, 
la  bocca  chiuder  fa,  che  soffia  e  buffa; 
che  non  volea  ch'avesse  altro  meato 
onde  spirar,  che  per  lo  naso,  il  flato. 

LVII 

Aveasi  Astolfo  apparecchiato  il  vaso 
in  che  il  senno  d' Orlando  era  rinchiuso; 
e  quello  in  modo  appropinquogli  al  naso, 
che  nel  tirar  che  fece  il  fiato  in  suso, 
tutto  il  voto:  maraviglioso  caso! 
che  ritorno  la  mente  al  primier  uso; 
e  nej  suoi  bei  discorsi  1'intelletto 
rivenne,  piu  che  mai  lucido  e  netto. 

LVI  II 

Come  chi  da  noioso  e  grave  sonno, 

ove  o  vedere  abominevol  forme 

di  mostri  che  non  son,  ne  ch'esser  ponno, 

o  gli  par  cosa  far  strana  et  enorme, 

ancor  si  maraviglia,  poi  che  donno 

e  fatto  dej  suoi  sensi,  e  che  non  dorme; 

cosi,  poi  che  fu  Orlando  d'error  tratto, 

rest6  maraviglioso  e  stupefatto. 

UX 

E  Brandimarte,  e  il  fratel  d'Aldabella, 
e  quel  che  '1  senno  in  capo  gli  ridusse, 
pur  pensando  riguarda,  e  non  favella, 
come  egli  quivi  e  quando  si  condusse. 
Girava  gli  occhi  in  questa  parte  e  in  quclla, 
ne  sapea  imaginar  dove  si  fusse. 
Si  maraviglia  che  nudo  si  vede, 
e  tante  funi  ha  da  le  spalle  al  piede. 


CANTO    TRENTESIMONONO  IO2I 

LX 

Poi  disse,  come  gia  disse  Sileno 
a  quei  che  lo  legar  nel  cavo  speco: 
Solvite  me,  con  viso  si  sereno, 
con  guardo  si  men  de  Fusato  bieco, 
che  fu  slegato;  e  dej  panni  ch'avieno 
fatti  arrecar  participaron  seco, 
consolandolo  tutti  del  dolore 
che  lo  premea  di  quel  passato  errore. 

LXI 

Poi  che  fu  alPesser  primo  ritornato 
Orlando  piu  che  mai  saggio  e  virile, 
d'amor  si  trovo  insieme  liberato; 
si  che  colei  che  si  bella  e  gentile 
gli  parve  dianzi,  e  ch'avea  tanto  amato, 
non  stima  piu  se  non  per  cosa  vile. 
Ogni  suo  studio,  ogni  disio  rivolse 
a  racquistar  quanto  gia  amor  gli  tolse. 

LXII 

Narro  Bardino  intanto  a  Brandimarte 
che  morto  era  il  suo  padre  Monodante; 
e  che  a  chiamarlo  al  regno  egli  da  parte 
veniva  prima  del  fratel  Gigliante, 
poi  de  le  genti  ch'abitan  le  sparte 
isole  in  mare,  e  Tultime  in  Levante; 
di  che  non  era  un  altro  regno  al  mondo 
si  ricco,  populoso,  o  si  giocondo. 

LXIII 

Disse  tra  piu  ragion  che  dovea  farlo, 
che  dolce  cosa  era  la  patria;  e  quando 
si  disponesse  di  voler  gustarlo, 
avria  poi  sempre  in  odio  andare  errando. 
Brandimarte  rispose  voler  Carlo 
servir  per  tutta  questa  guerra  e  Orlando ; 
e  se  potea  vederne  il  fin,  che  poi 
penseria  meglio  sopra  i  casi  suoi. 


1022  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

II  di  seguente  la  sua  armata  spinse 
verso  Provenza  il  figlio  del  Danese. 
Indi  Orlando  col  duca  si  ristrinse, 
et  in  che  stato  era  la  guerra  intese: 
tutta  Biserta  poi  d'assedio  cinse, 
dando  pero  1'onore  al  duca  inglese 
d'ogni  vittoria;  ma  quel  duca  il  tutto 
facea,  come  dal  conte  venia  instrutto. 

LXV 

Ch'ordine  abbian  tra  lor,  come  s'assaglia 
la  gran  Biserta,  e  da  che  lato  e  quando, 
come  fu  presa  alia  prima  battaglia, 
chi  ne  1'onor  parte  ebbe  con  Orlando, 
s'io  non  vi  seguito  ora,  non  vi  caglia; 
ch'io  non  me  ne  vo  molto  dilungando. 
In  questo  mezzo  di  saper  vi  piaccia 
come  dai  Franchi  i  Mori  hanno  la  caccia. 

LXVI 

Fu  quasi  il  re  Agramante  abbandonato 
nel  pericol  maggior  di  quella  guerra; 
che  con  molti  pagani  era  tomato 
Marsilio  e  '1  re  Sobrin  dentro  alia  terra, 
poi  su  Tarmata  e  questo  e  quel  montato, 
che  dubbio  avean  di  non  salvarsi  in  terra; 
e  duci  e  cavallier  del  popul  Moro 
molti  seguito  avean  1'esempio  loro. 

LXVII 

Pure  Agramante  la  pugna  sostiene; 
e  quando  finalmente  piu  non  puote, 
volta  le  spalle,  e  la  via  dritta  tiene 
alle  porte  non  troppo  indi  remote. 
Rabican  dietro  in  gran  fretta  gli  viene, 
che  Bradamante  stimola  e  percuote: 
d'ucciderlo  era  disiosa  molto; 
che  tante  volte  il  suo  Ruggier  le  ha  tolto. 


CANTO    TRENTESIMONONO  1023 

LXVIII 

II  medesmo  desir  Marfisa  avea, 

per  far  del  padre  suo  tarda  vendetta; 

e  con  gli  sproni,  quanto  piu  potea, 

facea  il  destrier  sentir  ch'ella  avea  fretta. 

Ma  ne  1'una  ne  1'altra  vi  giungea 

si  a  tempo,  che  la  via  fosse  intercetta 

al  re  d'entrar  ne  la  citta  serrata, 

et  indi  poi  salvarsi  in  su  Tarmata. 

LXIX 

Come  due  belle  e  generose  parde 
che  fuor  del  lascio  sien  di  pari  uscite, 
poscia  ch'i  cervi  o  le  capre  gagliarde 
indarno  aver  si  veggano  seguite, 
vergognandosi  quasi,  che  fur  tarde, 
sdegnose  se  ne  tornano  e  pentite; 
cosi  tornar  le  due  donzelle,  quando 
videro  il  pagan  salvo,  sospirando. 

LXX 

Non  per6  si  fermar;  ma  ne  la  frotta 
degli  altri  che  fuggivano  cacciarsi, 
di  qua  di  la  facendo  ad  ogni  botta 
molti  cader  senza  mai  piu  levarsi. 
A  mal  partito  era  la  gente  rotta, 
che  per  fuggir  non  potea  ancor  salvarsi; 
ch'Agramante  avea  fatto  per  suo  scampo 
chiuder  la  porta  ch'uscia  verso  il  campo, 

LXXI 

e  fatto  sopra  il  Rodano  tagliare 
i  ponti  tutti.  Ah  sfortunata  plebe, 
che  dove  del  tiranno  utile  appare, 
sempre  e  in  conto  di  pecore  e  di  zebe! 
Chi  s'affoga  nel  flume  e  chi  nel  mare, 
chi  sanguinose  fa  di  s6  le  glebe. 
Molti  perir,  pochi  restar  prigioni; 
che  pochi  a  farsi  taglia  erano  buoni. 


1024  ORLANDO    FURIOSO 

LXXII 

De  la  gran  moltitudine  ch'uccisa 
fu  da  ogni  parte  in  questa  ultima  guerra 
(ben  che  la  cosa  non  fu  ugual  divisa; 
ch'assai  piu  andar  dei  Saracin  sotterra 
per  man  di  Bradamante  e  di  Marfisa), 
se  ne  vede  ancor  segno  in  quella  terra; 
che  presso  ad  Arli,  ove  il  Rodano  stagna, 
piena  di  sepolture  e  la  campagna. 

LXXIII 

Fatto  avea  intanto  il  re  Agramante  sciorre 
e  ritirar  in  alto  i  legni  gravi, 
lasciando  alcuni,  e  i  piu  leggieri,  a  torre 
quei  che  volean  salvarsi  in  su  le  navi. 
Vi  ste?  duo  di  per  chi  fuggia  raccorre, 
e  perche  venti  eran  contrari  e  pravi: 
fece  lor  dar  le  vele  il  terzo  giorno; 
ch'in  Africa  credea  di  far  ritorno. 

LXXIV 

II  re  Marsilio  che  sta  in  gran  paura 
ch'alla  sua  Spagna  il  fio  pagar  non  tocche, 
e  la  tempesta  orribilmente  oscura 
sopra  suoi  campi  all'ultimo  non  scocche; 
si  fe'  porre  a  Valenza,  e  con  gran  cura 
comincio  a  riparar  castella  e  r6cche, 
e  preparar  la  guerra  che  fu  poi 
la  sua  ruina  e  degli  amici  suoi. 

LXXV 

Verso  Africa  Agramante  alzo  le  vele 
de'  legni  male  armati,  e  voti  quasi; 
d'uomini  voti,  e  pieni  di  querele, 
perch'in  Francia  i  tre  quarti  eran  rimasi. 
Chi  chiama  il  re  superbo,  chi  crudelc, 
chi  stolto;  e  come  avviene  in  simil  casi, 
tutti  gli  voglion  mal  ne'  lor  secreti; 
ma  timor  n'hanno,  e  stan  per  forza  cheti. 


CANTO    TRENTESIMONONO  IO25 

LXXVI 

Pur  duo  talora  o  tre  schiudon  le  labbia, 
ch'amici  sono,  e  che  tra  lor  s'han  fede, 
e  sfogano  la  colera  e  la  rabbla; 
e  '1  misero  Agramante  ancor  si  crede 
ch'ognun  gli  porti  amore,  e  pieta  gli  abbia: 
e  questo  gl'intervien  perche  non  vede 
mai  visi  se  non  finti,  e  mai  non  ode 
se  non  adulazion,  menzogne  e  frode. 

LXXVI  I 

Erasi  consigliato  il  re  africano 
di  non  smontar  nel  porto  di  Biserta, 
pero  ch'avea  del  popul  nubiano, 
che  quel  lito  tenea,  novella  certa; 
ma  tenersi  di  sopra  si  lontano, 
che  fosse  acre  la  discesa  et  erta; 
mettersi  in  terra,  e  ritornare  al  dritto 
a  dar  soccorso  al  suo  populo  afflitto. 

LXXVIII 

Ma  il  suo  fiero  destin,  che  non  risponde 
a  quella  intenzion  provida  e  saggia, 
vuol  che  Farmata  che  nacque  di  fronde 
miracolosamente  ne  la  spiaggia, 
e  vien  solcando  inverso  Francia  1'onde, 
con  questa  ad  incontrar  di  notte  s'aggia, 
a  nubiloso  tempo,  oscuro  e  tristo, 
perche  sia  in  phi  disordine  sprovisto. 

LXXIX 

Non  ha  avuto  Agramante  ancora  spia 
ch'Astolfo  mandi  una  armata  si  grossa; 
ne  creduto  anco,  a  chi  '1  dicesse,  avria 
che  cento  navi  un  ramuscel  far  possa: 
e  vien  senza  temer  ch'intorno  sia 
che  contra  lui  s'ardisca  di  far  mossa; 
n6  pone  guardie  ne"  veletta  in  gabbia, 
che  di  ci6  che  si  scuopre  avisar  abbia. 


1026  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

Si  che  i  navili  che  d'Astolfo  avuti 
avea  Dudon,  di  buona  gente  armati, 
e  che  la  sera  avean  questi  veduti, 
et  alia  volta  lor  s'eran  drizzati, 
assalir  gli  nimici  sproveduti, 
gittaro  i  ferri,  e  sonsi  incatenati, 
poi  ch'al  parlar  certificati  foro 
ch'erano  Mori,  e  gli  nimici  loro. 

LXXXI 

Ne  Parrivar  che  i  gran  navili  fenno 
(spirando  il  vento  a*  lor  desir  secondo), 
nei  Saracin  con  tale  impeto  denno, 
che  molti  legni  ne  cacciaro  al  fondo. 
Poi  cominciaro  oprar  le  mani  e  il  senno, 
e  ferro  e  fuoco  e  sassi  di  gran  pondo 
tirar  con  tanta  e  si  fiera  tempesta, 
che  mai  non  ebbe  il  mar  simile  a  questa, 

LXXXII 

Quei  di  Dudone,  a  cui  possanza  e  ardire 
piu  del  solito  e  lor  dato  di  sopra 
(che  venuto  era  il  tempo  di  punire 
i  Saracin  di  piu  d'una  mal'opra), 
sanno  appresso  e  lontan  si  ben  ferire, 
che  non  trova  Agramante  ove  si  cuopra. 
Gli  cade  sopra  un  nembo  di  saette; 
da  lato  ha  spade  e  graffi  e  picche  e  accette. 

LXXXIII 

D'alto  cader  sente  gran  sassi  e  gravi 
da  machine  cacciati  e  da  tormenti; 
e  prore  e  poppe  fraccassar  de  navi, 
et  aprire  usci  al  mar  larghi  e  patenti ; 
e  '1  maggior  danno  e  de  Fincendi  pravi, 
a  nascer  presti,  ad  ammorzarsi  lenti. 
La  sfortunata  ciurma  si  vuol  torre 
del  gran  periglio,  e  via  piu  ognor  vi  corre. 


CANTO    TRENTESIMONONO  1027 

LXXXIV 

Altri  che  '1  ferro  e  rinimico  caccia, 
nel  mar  si  getta,  e  vi  s'affoga  e  resta: 
altri  che  muove  a  tempo  piedi  e  braccia, 
va  per  salvarsi  o  in  quella  barca  o  in  questa; 
ma  quella,  grave  oltre  il  dover,  lo  scaccia, 
e  la  man,  per  salir  troppo  molesta, 
fa  restare  attaccata  ne  la  sponda: 
ritorna  il  resto  a  far  sanguigna  Fonda. 

LXXXV 

Altri  che  spera  in  mar  salvar  la  vita, 
o  perderlavi  almen  con  minor  pena, 
poi  che  notando  non  ritrova  aita, 
e  mancar  sente  1'animo  e  la  lena, 
alia  vorace  fiamma  c'ha  fuggita 
la  tema  di  annegarsi  anco  rimena: 
s'abbraccia  a  un  legno  ch'arde,  e  per  timore 
c'ha  di  due  morte,  in  ambe  se  ne  muore, 

LXXXVI 

Altri  per  tema  di  spiedo  o  d'accetta 
che  vede  appresso,  al  mar  ricorre  invano, 
perche  dietro  gli  vien  pietra  o  saetta 
che  non  lo  lascia  andar  troppo  lontano. 
Ma  saria  forse,  mentre  che  diletta 
il  mio  cantar,  consiglio  utile  e  sano 
di  finirlo  piu  tosto  che  seguire 
tanto,  che  v'annoiasse  il  troppo  dire. 


1028  ORLANDO    FURIOSO 


CANTO   QUARANTESIMO 


I 

Lungo  sarebbe  se  i  diversi  casi 
volessi  dir  di  quel  naval  conflitto; 
e  raccontarlo  a  voi  mi  parria  quasi, 
magnanimo  figliuol  d'Ercole  invitto, 
portar,  come  si  dice,  a  Samo  vasi, 
nottole  'Atene,  e  crocodili  a  Egitto; 
che  quanto  per  udita  io  ve  ne  parlo, 
Signor,  miraste,  e  feste  altrui  mirarlo. 

II 

Ebbe  lungo  spettacolo  il  fedele 
vostro  popul  la  notte  e  '1  di  che  stette, 
come  in  teatro,  Tinimiche  vele 
mirando  in  Po  tra  ferro  e  fuoco  astrette. 
Che  gridi  udir  si  possano  e  querele, 
ch'onde  veder  di  sangue  umano  infette, 
per  quanti  modi  in  tal  pugna  si  muora, 
vedeste,  e  a  molti  dimostraste  allora. 

m 

No!  vide  io  gia,  ch'era  sei  giorni  inanti, 
mutando  ogn'ora  altre  vetture,  corso 
con  molta  fretta  e  molta  ai  piedi  santi 
del  gran  Pastore  a  domandar  soccorso: 
poi  ne  cavalli  bisognar  ne  fanti; 
ch'intanto  al  Leon  d'or  1'artiglio  e  '1  morso 
fu  da  voi  rotto  si,  che  piu  molesto 
non  1'ho  sentito  da  quel  giorno  a  questo. 


CANTO    QUARANTESIMO  IO2<) 

IV 

Ma  Alfonsin  Trotto  il  qual  si  trovo  in  fatto, 
Annibal  e  Pier  Moro  e  Afranio  e  Alberto, 
e  tre  Ariosti,  e  il  Bagno  e  il  Zerbinatto 
tanto  me  ne  contar,  ch'io  ne  fui  certo: 
me  ne  chiarir  poi  le  bandiere  affatto, 
vistone  al  tempio  il  gran  numero  offerto, 
e  quindice  galee  ch'a  queste  rive 
con  mille  legni  star  vidi  captive. 

v 

Chi  vide  quelli  incendii  e  quei  naufragi, 
le  tante  uccisioni  e  si  diverse, 
che  vendicando  i  nostri  arsi  palagi, 
fin  che  fu  preso  ogni  navilio,  ferse; 
potra  veder  le  morti  anco  e  i  disagi 
che  '1  miser  popul  d'Africa  sofferse 
col  re  Agramante  in  mezzo  Fonde  salse, 
la  scura  notte  che  Dudon  Tassalse. 

VI 

Era  la  notte,  e  non  si  vedea  lume, 

quando  s'incominciar  1'aspre  contese: 

ma  poi  che  '1  zolfo,  e  la  pece,  e  '1  bitume 

sparso  in  gran  copia,  ha  prore  e  sponde  accese, 

e  la  vorace  fiamma  arde  e  consume 

le  navi  e  le  galee  poco  difese; 

si  chiaramente  ognun  si  vedea  intorno, 

che  la  notte  parea  mutata  in  giorno. 

VII 

Onde  Agramante  che  per  Taer  scuro 
non  avea  Pinimico  in  si  gran  stima, 
ne  aver  contrasto  si  credea  si  duro, 
che  resistendo  al  fin  non  lo  reprima; 
poi  che  rimosse  le  tenebre  furo, 
e  vide  quel  che  non  credeva  in  prima, 
che  le  navi  nimiche  eran  duo  tante, 
fece  pensier  diverso  a  quel  d'avante. 


1030  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Smonta  con  pochi,  ove  in  piu  lieve  barca 

ha  Brigliadoro  e  Taltre  cose  care. 

Tra  legno  e  legno  taciturno  varca, 

fin  che  si  trova  in  piu  sicuro  mare 

da'  suoi  lontan,  che  Dudon  preme  e  carca, 

e  mena  a  condizioni  acri  et  amare. 

Gli  arde  il  foco,  il  mar  sorbe,  il  ferro  strugge: 

egli  che  n'e  cagion  via  se  ne  fugge. 

IX 

Fugge  Agramante,  et  ha  con  lui  Sobrino, 

con  cui  si  duol  di  non  gli  aver  creduto, 

quando  previde  con  occhio  divino, 

e  '1  mal  gli  annunzio  ch'or  gli  e  avvenuto, 

Ma  torniamo  ad  Orlando  paladino, 

che  prima  che  Biserta  abbia  altro  aiuto, 

consiglia  Astolfo  che  la  getti  in  terra, 

si  che  a  Francia  mai  piu  non  faccia  guerra. 

x 

E  cosi  fu  publicamente  detto 
che  '1  campo  in  arme  al  terzo  di  sia  instrutto. 
Molti  navili  Astolfo  a  questo  effetto 
tenuti  avea,  ne"  Dudon  n'ebbe  il  tutto; 
di  quai  diede  il  governo  a  Sansonetto, 
si  buon  guerrier  al  mar  come  all'asciutto: 
e  quel  si  pose,  in  su  Tancore  sorto, 
contra  a  Biserta,  un  miglio  appresso  al  porto. 

XI 

Come  veri  cristiani  Astolfo  e  Orlando, 
che  senza  Dio  non  vanno  a  rischio  alcuno, 
ne  1'esercito  fan  publico  bando 
che  sieno  orazion  fatte  e  digiuno; 
e  che  si  trovi  il  terzo  giorno,  quando 
si  dara  il  segno,  apparecchiato  ogniuno 
per  espugnar  Biserta,  che  data  hanno, 
vinta  che  s'abbia,  a  fuoco  e  a  saccomanno. 


CANTO    QUARANTESIMO  1031 

XII 

E  cosi,  poi  che  le  astinenzie  e  i  voti 
devotamente  celebrati  foro, 
parenti,  amici,  e  gli  altri  insieme  noti 
si  cominciaro  a  convitar  tra  loro. 
Dato  restauro  a'  corpi  esausti  e  voti, 
abbracciandosi  insieme  lacrimoro, 
tra  loro  usando  i  modi  e  le  parole 
che  tra  i  pin  cari  al  dipartir  si  suole. 

XIII 

Dentro  a  Biserta  i  sacerdoti  santi 
supplicando  col  populo  dolente, 
battonsi  il  petto,  e  con  dirotti  pianti 
chiamano  il  lor  Macon  che  nulla  sente. 
Quanta  vigilie,  quante  offerte,  quanti 
doni  promessi  son  privatamente! 
quanto  in  publico  templi,  statue,  altari, 
memoria  eterna  de'  lor  casi  amari! 

XIV 

E  poi  che  dal  Cadi  fu  benedetto, 
prese  il  populo  1'arme,  e  torn6  al  muro. 
Ancor  giacea  col  suo  Titon  nel  letto 
la  bella  Aurora,  et  era  il  cielo  oscuro, 
quando  Astolfo  da  un  canto,  e  Sansonetto 
da  un  altro,  armati  agli  ordini  lor  furo: 
e  poi  che  '1  segno  che  die  il  conte  udiro, 
Biserta  con  grande  impeto  assaliro. 

xv 

Avea  Biserta  da  duo  canti  il  mare, 
sedea  dagli  altri  duo  nel  lito  asciutto. 
Con  fabrica  eccellente  e  singulare 
fu  antiquamente  il  suo  muro  construtto. 
Poco  altro  ha  che  Tahiti  o  la  ripare; 
che  poi  che  '1  re  Branzardo  fu  ridutto 
dentro  da  quella,  pochi  mastri,  e  poco 
pote  aver  tempo  a  riparare  il  loco. 


1032  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

Astolfo  da  1'assunto  al  re  de'  Nerl, 
che  faccia  a'  merli  tanto  nocumento 
con  falariche,  fonde  e  con  arcieri, 
che  levi  d'afTacciarsi  ogni  ardimento; 
si  che  passin  pedoni  e  cavallieri 
fin  sotto  la  muraglia  a  salvamento, 
che  vengon  chi  di  pietre  e  chi  di  travi, 
chi  d'asce  e  chi  d'altra  materia  gravi. 

xvir 

Chi  questa  cosa  e  chi  quelPaltra  getta 
dentro  alia  fossa,  e  vien  di  mano  in  mano; 
di  cui  Pacqua  il  di  inanzi  fu  intercetta, 
si  che  in  piu  parti  si  scopria  il  pantano. 
Ella  fu  piena  et  atturata  in  fretta, 
e  fatto  uguale  insin  al  muro  il  piano. 
Astolfo,  Orlando  et  Olivier  procura 
di  far  salir  i  fanti  in  su  le  mura. 

XVIII 

I  Nubi  d'ogni  indugio  impazienti, 
da  la  speranza  del  guadagno  tratti, 
non  mirando  a'  pericoli  imminenti, 
coperti  da  testuggini  e  da  gatti, 
con  arieti  e  loro  altri  instrument! 
a  forar  torri,  e  porte  rompere  atti, 
tosto  si  fero  alia  citta  vicini; 
n6  trovaro  sprovisti  i  Saracini: 

XIX 

che  ferro  e  fuoco  e  merli  e  tetti  gravi 
cader  facendo  a  guisa  di  tempeste, 
per  forza  aprian  le  tavole  e  le  travi 
de  le  machine  in  lor  danno  conteste. 
Ne  Paria  oscura  e  nei  principii  pravi 
molto  patir  le  battezzate  teste; 
ma  poi  che  '1  sole  usci  del  ricco  albergo, 
volt6  Fortuna  ai  Saracini  il  tergo. 


CANTO    QUARANTESIMO  1033 

XX 

Da  tutti  i  canti  risforzar  Tassalto 
fe'  il  conte  Orlando  e  da  mare  e  da  terra. 
Sansonetto  ch'avea  Tarmata  in  alto 
entro  nel  porto  e  s'accosto  alia  terra; 
e  con  frombe  e  con  archi  facea  d'alto, 
e  con  varii  tormenti  estrema  guerra; 
e  facea  insieme  espedir  lance  e  scale, 
ogni  apparecchio  e  munizion  navale. 

XXI 

Facea  Oliviero,  Orlando  e  Brandimarte, 

e  quel  che  fu  si  dianzi  in  aria  ardito, 

aspra  e  fiera  battaglia  da  la  parte 

che  lungi  al  mare  era  pm  dentro  al  lito. 

Ciascun  d'essi  venia  con  una  parte 

de  1'oste  che  s'avean  quadripartito. 

Quale  a  mur,  quale  a  porte,  e  quale  altrove, 

tutti  davan  di  se"  lucide  prove. 

xxn 

II  valor  di  ciascun  meglio  si  puote 
veder  cosi,  che  se  fosser  confusi: 
chi  sia  degno  di  premio  e  chi  di  note, 
appare  inanzi  a  milFocchi  non  chiusi. 
Torri  di  legno  trannosi  con  ruote, 
e  gli  elefanti  altre  ne  portano  usi, 
che  su  lor  dossi  cosi  in  alto  vanno, 
che  i  merli  sotto  a  molto  spazio  stanno. 

XXIII 

Vien  Brandimarte,  e  pon  la  scala  a1  muri, 
e  sale,  e  di  salir  altri  conforta: 
lo  seguon  molti  intrepidi  e  sicuri; 
che  non  pu6  dubitar  chi  Pha  in  sua  scorta. 
Non  e  chi  miri,  o  chi  mirar  si  curi, 
se  quella  scala  il  gran  peso  comporta. 
Sol  Brandimarte  agli  nimici  attende; 
pugnando  sale,  e  al  fine  un  merlo  prende. 


1034  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

E  con  mano  e  con  pie  quivi  s'attacca, 
salta  sui  merli,  e  mena  il  Brando  in  volta, 
urta,  riversa  e  fende  e  fora  e  ammacca, 
e  di  se  mostra  esperienzia  molta. 
Ma  tutto  a  un  tempo  la  scala  si  fiacca, 
che  troppa  soma  e  di  soperchio  ha  tolta: 
e  for  che  Brandimarte,  giu  nel  fosso 
vanno  sozzopra,  e  Tuno  all'altro  adosso. 

xxv 

Per  cio  non  perde  il  cavallier  Pardire, 
ne  pensa  riportare  a  dietro  il  piede; 
ben  che  de*  suoi  non  vede  alcun  seguirc, 
ben  che  berzaglio  alia  citta  si  vede. 
Pregavan  molti  (e  non  volse  egli  udire) 
che  ritornasse;  ma  dentro  si  diede: 
dico  che  giu  ne  la  citta  d'un  salto 
dal  muro  entr6,  che  trenta  braccia  era  alto. 

XXVI 

Come  trovato  avesse  o  pmme  o  paglia, 
presse  il  duro  terren  senza  alcun  danno; 
e  quei  c'ha  intorno  affrappa  e  fora  e  taglia, 
come  s'affrappa  e  taglia  e  fora  il  panno. 
Or  contra  questi  or  contra  quei  si  scaglia; 
e  quelli  e  questi  in  fuga  se  ne  vanno. 
Pensano  quei  di  fuor,  che  Than  veduto 
dentro  saltar,  che  tardo  fia  ogni  aiuto. 

XXVII 

Per  tutto  '1  campo  alto  rumor  si  spande 
di  voce  in  voce,  e  '1  mormorio  e  '1  bisbiglio. 
La  vaga  Fama  intorno  si  fa  grande, 
e  narra,  et  accrescendo  va  il  periglio. 
Ove  era  Orlando  (perch6  da  piu  bande 
si  dava  assalto),  ove  d'Otone  il  figlio, 
ove  Olivier,  quella  volando  venne, 
senza  posar  mai  le  veloci  penne. 


CANTO    QUARANTESIMO  1035 

XXVIII 

Quest!  guerrier,  e  piii  di  tutti  Orlando, 
ch'amano  Brandimarte  e  Phanno  in  pregio, 
udendo  che  se  van  troppo  indugiando, 
perderanno  un  compagno  cosi  egregio, 
piglian  le  scale,  e  qua  e  la  montando, 
mostrano  a  gara  animo  altiero  e  regio, 
con  si  audace  sembiante  e  si  gagliardo, 
che  i  nimici  tremar  fan  con  lo  sguardo. 

XXIX 

Come  nel  mar  che  per  tempesta  freme, 
assaglion  Tacque  il  temerario  legno, 
ch'or  da  la  prora,  or  da  le  parti  estreme 
cercano  entrar  con  rabbia  e  con  isdegno; 
il  pallido  nocchier  sospira  e  geme, 
ch'aiutar  deve,  e  non  ha  cor  ne  ingegno; 
una  onda  viene  al  fin  ch'occupa  il  tutto, 
e  dove  quella  entr6  segue  ogni  flutto: 

xxx 

cosi  dipoi  ch'ebbono  presi  i  muri 
questi  tre  primi,  fu  si  largo  il  passo, 
che  gli  altri  ormai  seguir  ponno  sicuri, 
che  mille  scale  hanno  fermate  al  basso. 
Aveano  intanto  gli  arieti  duri 
rotto  in  piu  lochi,  e  con  si  gran  fraccasso, 
che  si  poteva  in  piu  che  in  una  parte 
soccorrer  ranimoso  Brandimarte. 

XXXI 

Con  quel  furor  che  '1  re  dej  fiumi  altiero, 
quando  rompe  talvolta  argini  e  sponde, 
e  che  nei  campi  Ocnei  s'apre  il  sentiero, 
e  i  grassi  solchi  e  le  biade  feconde, 
e  con  le  sue  capanne  il  gregge  intero, 
e  coi  cani  i  pastor  porta  ne  Tonde; 
guizzano  i  pesci  agli  olmi  in  su  la  cima, 
ove  solean  volar  gli  augelli  in  prima: 


1036  ORLANDO    FURIOSO 

XXXII 

con  quel  furor  Timpetuosa  gente, 
la  dove  avea  in  piu  parti  il  muro  rotto, 
entro  col  ferro  e  con  la  face  ardente 
a  distrugere  il  popul  mal  condotto. 
Omicidio,  rapina  e  man  violente 
nel  sangue  e  ne  Faver,  trasse  di  botto 
la  ricca  e  trionfal  citta  a  ruina, 
che  fu  di  tutta  r Africa  regina. 

xxxm 

D'uomini  morti  pieno  era  per  tutto; 
e  de  le  innumerabili  ferite 
fatto  era  un  stagno  piu  scuro  e  piu  brutto 
di  quel  che  cinge  la  citta  di  Dite. 
Di  casa  in  casa  un  lungo  incendio  indutto 
ardea  palagi,  portici  e  meschite. 
Di  pianti  e  d'urli  e  di  battuti  petti 
suonano  i  v6ti  e  depredati  tetti, 

XXXIV 

I  vincitori  uscir  de  le  funeste 
porte  vedeansi  di  gran  preda  onusti, 
chi  con  bei  vasi  e  chi  con  ricche  veste, 
chi  con  rapiti  argenti  a*  dei  vetusti: 
chi  traea  i  figli,  e  chi  le  madri  meste. 
Fur  fatti  stupri  e  mille  altri  atti  ingiusti, 
dei  quali  Orlando  una  gran  parte  intese, 
ne  lo  pot£  vietar,  n6  '1  duca  inglese. 

xxxv 

Fu  Bucifar  de  PAlgazera  morto 
con  esso  un  colpo  da  Olivier  gagliardo. 
Perduta  ogni  speranza,  ogni  conforto, 
s'uccise  di  sua  mano  il  re  Branzardo* 
Con  tre  ferite,  onde  mori  di  corto, 
fu  preso  Folvo  dal  duca  dal  Pardo. 
Questi  eran  tre  ch'al  suo  partir  lasciato 
avea  Agramante  a  guardia  de  lo  stato. 


CANTO    QUARANTESIMO  1037 

XXXVI 

Agramante  ch'intanto  avea  deserta 
1'armata,  e  con  Sobrin  n'era  fuggito, 
pianse  da  lungi  e  sospiro  Biserta, 
veduto  si  gran  fiamma  arder  sul  lito. 
Poi  piu  d'appresso  ebbe  novella  certa 
come  de  la  sua  terra  il  caso  era  ito: 
e  d'uccider  se  stesso  in  pensier  venne, 
e  lo  facea;  ma  II  re  Sobrin  lo  tenne. 

XXXVII 

Dicea  Sobrin:—  Che  piu  vittoria  lieta, 
signor,  potrebbe  il  tuo  inimico  avere, 
che  la  tua  morte  udire,  onde  quieta 
si  speraria  poi  TAfrica  godere  ? 
Questo  contento  il  viver  tuo  gli  vieta: 
quindi  avra  cagion  sempre  di  temere. 
Sa  ben  che  lungamente  Africa  sua 
esser  non  pu6,  se  non  per  morte  tua. 

XXXVIII 

Tutti  i  sudditi  tuoi,  morendo,  privi 
de  la  speranza,  un  ben  che  sol  ne  rest  a. 
Spero  che  n'abbi  a  liberar,  se  vivi, 
e  trar  d'affanno  e  ritornarne  in  festa. 
So  che  se  muori,  sian  sempre  captivi, 
Africa  sempre  tributaria  e  mesta. 
Dunque,  s'in  util  tuo  viver  non  vuoi, 
vivi,  signer,  per  non  far  danno  ai  tuoi. 

xxxix 

Dal  soldano  d'Egitto,  tuo  vicino, 
certo  esser  puoi  d'aver  danari  e  gente: 
malvolentieri  il  figlio  di  Pipino 
in  Africa  vedra  tanto  potente. 
Verra  con  ogni  sforzo  Norandino 
per  ritornarti  in  regno,  il  tuo  parente: 
Armeni,  Turchi,  Persi,  Arabi  e  Medi, 
tutti  in  soccorso  avrai,  se  tu  li  chiedi.  — 


1038  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Con  tali  e  simil  detti  il  vecchio  accorto 

studia  tornare  il  suo  signore  in  speme 

di  racquistarsi  F Africa  di  corto; 

ma  nel  suo  cor  forse  il  contrario  teme: 

sa  ben  quanto  e  a  mal  termine  e  a  mal  porto, 

e  come  spesso  invan  sospira  e  geme 

chiunque  il  regno  suo  si  lascia  torre, 

e  per  soccorso  aj  barbari  ricorre. 

XLI 

Annibal  e  lugurta  di  ci6  foro 

buon  testimoni,  et  altri  al  tempo  antico: 

al  tempo  nostro  Ludovico  il  Moro, 

dato  in  poter  d'un  altro  Ludovico. 

Vostro  fratello  Alfonso  da  costoro 

ben  ebbe  esempio  (a  voi,  Signor  mio,  dico), 

che  sempre  ha  riputato  pazzo  espresso 

chi  piu  si  fida  in  altri  ch'in  se  stesso. 

XLII 

E  per6  ne  la  guerra  che  gli  mosse 
del  pontefice  irato  un  duro  sdegno, 
ancor  che  ne  le  deboli  sue  posse 
non  potessi  egli  far  molto  disegno, 
e  chi  lo  difendea,  d*  Italia  fosse 
spinto,  e  n'avesse  il  suo  nimico  il  regno; 
ne  per  minaccie  mai  ne  per  promesse 
s'indusse  che  lo  stato  altrui  cedesse. 

XLIJI 

II  re  Agramante  aU'oriente  avea 
volta  la  prora,  e  s'era  spinto  in  alto, 
quando  da  terra  una  tempesta  rea 
mosse  da  banda  impetuoso  assalto. 
II  nocchier  ch'al  governo  vi  sedea: 

—  lo  veggo  —  disse  alzando  gli  occhi  ad  alto 

—  una  procella  apparecchiar  si  grave, 
che  contrastar  non  le  potra  la  nave. 


CANTO    QUARANTESIMO  1039 

XLIV 

S'attendete,  signori,  al  mio  consiglio, 
qui  da  man  manca  ha  un'isola  vicina, 
a  cui  mi  par  ch'abbiamo  a  dar  di  piglio, 
fin  che  passi  il  furor  de  la  marina.  — 
Consent!  il  re  Agramante;  e  di  periglio 
usci,  pigliando  la  spiaggia  mancina, 
che  per  salute  de?  nocchieri  giace 
tra  gli  Afri  e  di  Vulcan  Falta  fornace. 

XLV 

D'abitazioni  e  Pisoletta  vota, 
piena  d'umil  mortelle  e  di  ginepri, 
ioconda  solitudine  e  remota 
a  cervi,  a  daini,  a  capriuoli,  a  lepri; 
e  fuor  ch'a  piscatori,  e  poco  nota, 
ove  sovente  a  rimondati  vepri 
sospendon  per  seccar  Tumide  reti: 
dormeno  intanto  i  pesci  in  mar  quieti. 

XLVI 

Quivi  trovar  che  s'era  un  altro  legno, 
cacciato  da  fortuna,  gia  ridutto: 
il  gran  guerrier  ch'in  Sericana  ha  regno, 
levato  d'Arli,  avea  quivi  condutto. 
Con  modo  riverente  e  di  se  degno 
Tun  re  con  Taltro  s'abbracci6  all'asciutto; 
ch'erano  amici,  e  poco  inanzi  furo 
compagni  d'arme  al  parigino  muro. 

XLVII 

Con  molto  dispiacer  Gradasso  intese 
del  re  Agramante  le  fortune  awerse: 
poi  confortollo,  e  come  re  cortese, 
con  la  propria  persona  se  gli  ofFerse: 
ma  che  egli  andasse  airinfedel  paese 
d'Egitto,  per  aiuto,  non  sofferse. 
—  Che  vi  sia  —  disse  —  periglioso  gire, 
dovria  Pompeio  i  profugi  ammonire. 


1040 


ORLANDO   FURIOSO 
XLVIII 

E  perche  detto  m'hai  che  con  1'aiuto 
degli  Etiopi,  sudditi  ai  Senapo, 
Astolfo  a  torti  1' Africa  e  venuto, 
e  ch'arsa  ha  la  citta  che  n'era  capo; 
e  ch'Orlando  e  con  lui,  che  diminuto 
poco  inanzi  di  senno  aveva  il  capo; 
mi  pare  al  tutto  un  ottimo  rimedio 
aver  pensato  a  farti  uscir  di  tedio. 

XLIX 

10  pigliero  per  amor  tuo  Pimpresa 
d'entrar  col  conte  a  singular  certame. 
Contra  me  so  che  non  avra  difesa, 

se  tutto  fosse  di  ferro  o  di  rame. 
Morto  lui,  stimo  la  cristiana  Chiesa, 
quel  che  1'agnelle  il  lupo  ch'abbia  fame. 
Ho  poi  pensato  (e  mi  fia  cosa  lieve) 
di  fare  i  Nubi  uscir  d' Africa  in  breve. 

L 
Far6  che  gli  altri  Nubi  che  da  loro 

11  Nilo  parte  e  la  diversa  legge, 

e  gli  Arabi  e  i  Macrobi,  questi  d'oro 
ricchi  e  di  gente,  e  quei  d'equino  gregge, 
Persi  e  Caldei  (perche  tutti  costoro 
con  altri  molti  il  mio  scettro  corregge); 
far6  ch'in  Nubia  lor  faran  tal  guerra, 
che  non  si  fermeran  ne  la  tua  terra.  — 

LI 

Al  re  Agramante  assai  parve  oportuna 

del  re  Gradasso  la  seconda  offerta; 

e  si  chiamo  obligato  alia  Fortuna, 

che  1'avea  tratto  alPisola  deserta: 

ma  non  vuol  torre  a  condizione  alcuna, 

se  racquistar  credesse  indi  Biserta, 

che  battaglia  per  lui  Gradasso  prenda; 

che  'n  cio  gli  par  che  Ponor  troppo  offenda. 


CANTO    QUARANTESIMO  1041 

LII 

—  S'a  disfidar  s'ha  Orlando,  son  quell'io  — 
rispose  —-  a  cui  la  pugna  piu  conviene: 

e  pronto  vi  saro;  poi  faccia  Dio 

di  me,  come  gli  pare,  o  male  o  bene. 

—  Faccian  —  disse  Gradasso  —  al  modo  mio, 
a  un  nuovo  modo  ch'in  pensier  mi  viene: 
questa  battaglia  pigliamo  ambedui 
incontra  Orlando,  e  un  altro  sia  con  lui. 

LIII 

—  Pur  ch'io  non  resti  fuor,  non  me  ne  lagno,  — 
disse  Agramante  —  o  sia  primo  o  secondo: 
ben  so  ch'in  arme  ritrovar  compagno 

di  te  miglior  non  si  puo  in  tutto  '1  mondo. 

—  Et  io  —  disse  Sobrin  —  dove  rimagno  ? 
E  se  vecchio  vi  paio,  vi  rispondo 

ch'io  debbo  esser  piia  esperto;  e  nel  periglio 
presso  alia  forza  &  buono  aver  consiglio.  — 

LIV 

D'una  vecchiezza  valida  e  robusta 
era  Sobrino,  e  di  famosa  prova; 
e  dice  ch'in  vigor  1'eta  vetusta 
si  sente  pari  alia  gia  verde  e  nuova. 
Stimata  fu  la  sua  domanda  giusta; 
e  senza  indugio  un  messo  si  ritrova, 
il  qual  si  mandi  agli  africani  lidi, 
e  da  lor  parte  il  conte  Orlando  sfidi; 

LV 

che  s'abbia  a  ritrovar  con  numer  pare 
di  cavallieri  armati  in  Lipadusa. 
Una  isoletta  e  questa,  che  dal  mare 
medesmo  che  li  cinge  e  circonfusa. 
Non  cessa  il  messo  a  vela  e  a  remi  andare, 
come  quel  che  prestezza  al  bisogno  usa, 
che  fu  a  Biserta;  e  trov6  Orlando  quivi, 
ch'a'  suoi  le  spoglie  dividea  e  i  captivi. 


1042  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Lo  'nvito  di  Gradasso  e  d'Agramante 
e  di  Sobrino  in  publico  fu  espresso, 
tanto  giocondo  al  principe  d'Anglante, 
che  d'ampli  doni  onorar  fece  il  messo. 
Avea  dai  suoi  compagni  udito  inante 
che  Durindana  al  franco  s'avea  messo 
il  re  Gradasso:  onde  egli  per  desire 
di  racquistarla  in  India  volea  gire, 

LVI  I 

stimando  non  aver  Gradasso  altrove, 
poi  ch'udi  che  di  Francia  era  partito. 
Or  piu  vicin  gli  e  offerto  luogo,  dove 
spera  che  '1  suo  gli  fia  restituito. 
II  bel  corno  d' Almonte  anco  io  muove 
ad  accettar  si  volentier  lo  'nvito, 
e  Brigliador  non  men;  che  sapea  in  mano 
esser  venuti  al  figlio  di  Troiano. 

LVIII 

Per  compagno  s'elegge  alia  battaglia 
il  fedel  Brandimarte  e  '1  suo  cognate. 
Provato  ha  quanto  Puno  e  Taltro  vaglia; 
sa  che  da  trambi  e  sommamente  amato. 
Buon  destrier,  buona  piastra  e  buona  maglia, 
e  spade  cerca  e  lancie  in  ogni  lato 
a  s£  e  a'  compagni:  che  sappiate  panne 
che  nessun  d'essi  avea  le  solite  arme. 

LIX 

Orlando  (come  io  v'ho  detto  piti  volte) 
de  le  sue  sparse  per  furor  la  terra: 
agli  altri  ha  Rodomonte  le  lor  tolte, 
ch'or  alta  torre  in  ripa  un  fiume  serra. 
Non  se  ne  pu6  per  Africa  aver  molte; 
si  perche"  in  Francia  avea  tratto  alia  guerra 
il  re  Agramante  cio  ch'era  di  buono, 
si  perche  poche  in  Africa  ne  sono. 


CANTO    QUARANTESIMO  1043 

LX 

Cio  che  di  ruginoso  e  di  brunito 

aver  si  pu6,  fa  ragunare  Orlando; 

e  coi  compagni  intanto  va  pel  lito 

de  la  futura  pugna  ragionando. 

Gli  avvien  ch'essendo  fuor  del  campo  uscito 

piu  di  tre  miglia,  e  gli  occhi  al  mare  alzando, 

vide  calar  con  le  vele  alte  un  legno 

verso  il  lito  african  senza  ritegno. 

LXI 

Senza  nocchieri  e  senza  naviganti, 
sol  come  il  vento  e  sua  fortuna  il  mena, 
venia  con  le  vele  alte  il  legno  avanti, 
tanto  che  se  ritenne  in  su  Farena. 
Ma  prima  che  di  questo  piu  vi  canti, 
1'amor  ch'a  Ruggier  porto  mi  rimena 
alia  sua  istoria,  e  vuol  ch'io  vi  racconte 
di  lui  e  del  guerrier  di  Chiaramonte. 

LXII 

Di  questi  duo  guerrier  dissi  che  tratti 
s'erano  fuor  del  marziale  agone, 
viste  convenzion  rompere  e  patti, 
e  turbarsi  ogni  squadra  e  legione. 
Chi  prima  i  giuramenti  abbia  disfatti, 
e  stato  sia  di  tanto  mal  cagione, 
o  Pimperator  Carlo,  o  il  re  Agramante, 
studian  saper  da  chi  lor  passa  avante. 

LXIII 

Un  servitor  intanto  di  Ruggiero, 
ch'era  fedel  e  pratico  et  astuto, 
ne"  pel  conflitto  dei  duo  campi  fiero 
avea  di  vista  il  patron  mai  perduto, 
venne  a  trovarlo,  e  la  spada  e  '1  destriero 
gli  diede,  perche  a'  suoi  fosse  in  aiuto. 
Mont6  Ruggiero  e  la  sua  spada  tolse, 
ma  ne  la  zuffa  entrar  non  per6  volse. 


1044  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Quindi  si  parte;  ma  prima  rinuova 

la  convenzion  che  con  Rinaldo  avea; 

che  se  pergiuro  il  suo  Agramante  trova, 

lo  lasciera  con  la  sua  setta  rea. 

Per  quel  giorno  Ruggier  fare  altra  prova 

d'arme  non  volse;  ma  solo  attendea 

a  fermar  questo  e  quello,  e  a  domandarlo 

chi  prima  roppe,  o  '1  re  Agramante,  o  Carlo. 

LXV 

Ode  da  tutto  Jl  mondo  che  la  parte 
del  re  Agramante  fu  che  roppe  prima. 
Ruggiero  ama  Agramante,  e  se  si  parte 
da  lui  per  questo,  error  non  lieve  stima. 
Fur  le  gente  africane  e  rotte  e  sparte 
(questo  ho  gia  detto  inanzi),  e  da  la  cima 
de  la  volubil  ruota  tratte  ai  fondo, 
come  piacque  a  colei  ch'aggira  ii  mondo. 

LXVI 

Tra  se  volve  Ruggiero  e  fa  discorso, 
se  restar  deve,  o  il  suo  signor  seguire. 
Gli  pon  Pamor  de  la  sua  donna  un  morso 
per  non  lasciarlo  in  Africa  piu  gire: 
lo  volta  e  gira,  et  a  contrario  corso 
lo  sprona,  e  lo  minaccia  di  punire, 
se  '1  patto  e  '1  giuramento  non  tien  saldo 
che  fatto  avea  col  paladin  Rinaldo. 

LXVII 

Non  men  da  P altra  parte  sferza  e  sprona 
la  vigilante  e  stimulosa  cura, 
che  s'Agramante  in  quel  caso  abbandona, 
a  vilta  gli  sia  ascritto  et  a  paura. 
Se  del  restar  la  causa  parra  buona 
a  molti,  a  molti  ad  accettar  fia  dura. 
Molti  diran  che  non  si  de'  osservare 
quel  ch'era  ingiusto  e  illicito  a  giurare. 


CANTO    QUARANTESIMO  1045 

LXVIII 

Tutto  quel  giorno  e  la  notte  seguente 
stette  solingo,  e  cosi  1'altro  giorno, 
pur  travagliando  la  dubbiosa  mente, 
se  partir  deve  o  far  quivi  soggiorno. 
Pel  signor  suo  conclude  finalmente 
di  fargli  dietro  in  Africa  ritorno. 
Potea  in  lui  molto  il  coniugale  amore, 
ma  vi  potea  piu  il  debito  e  1'onore. 

LXIX 

Torna  verso  Arli ;  che  trovarvi  spera 
1'armata  ancor,  ch'in  Africa  il  transport!: 
ne  legno  in  mar  ne  dentro  alia  rivera, 
ne  Saracini  vede  se  non  morti. 
Seco  al  partire  ogni  legno  che  v'era 
trasse  Agramante,  e  '1  resto  arse  nei  porti. 
Fallitogli  il  pensier,  prese  il  camino 
verso  Marsilia  pel  lito  marine. 

LXX 

A  qualche  legno  pensa  dar  di  piglio, 
ch'a  prieghi  o  forza  il  porti  all'altra  riva. 
Gia  v'era  giunto  del  Danese  il  figlio 
con  1'armata  de'  barbari  captiva. 
Non  si  avrebbe  potuto  un  gran  di  miglio 
gittar  ne  1'acqua:  tanto  la  copriva 
la  spessa  moltitudine  de  navi, 
di  vincitori  e  di  prigioni  gravi. 

LXXI 

Le  navi  de'  pagani,  ch'avanzaro 
dal  fuoco  e  dal  naufragio  quella  notte, 
eccetto  poche  ch'in  fuga  n'andaro, 
tutte  a  Marsilia  avea  Dudon  condotte. 
Sette  di  quei  ch'in  Africa  regnaro, 
che,  poi  che  le  lor  genti  vider  rotte, 
con  sette  legni  lor  s'eran  renduti, 
stavan  dolenti,  lacrimosi  e  muti. 


1046  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

Era  Dudon  sopra  la  spiaggia  uscito, 

ch'a  trovar  Carlo  andar  volea  quel  giorno; 

e  de'  captivi  e  de  lor  spoglie  ordito 

con  lunga  pompa  avea  un  trionfo  adorno. 

Eran  tutti  i  prigion  stesi  nel  lito, 

e  i  Nubi  vincitori  allegri  intorno, 

che  faceano  del  nome  di  Dudone 

intorno  risonar  la  region  e. 

LXXHI 

Venne  in  speranza  di  lontan  Ruggiero 
che  questa  fosse  armata  cP Agramante ; 
e  per  saperne  il  vero  urt6  il  destriero: 
ma  riconobbe,  come  fu  piu  inante, 
il  re  de  Nasamona  prigionero, 
Bambirago,  Agricalte  e  Farurante, 
Manilardo  e  Balastro  e  Rimedonte, 
che  piangendo  tenean  bassa  la  fronte. 

LXXIV 

Ruggier  che  gli  ama,  sofferir  non  puote 
che  stian  ne  la  miseria  in  che  li  trova. 
Quivi  sa  ch'a  venir  con  le  man  vote, 
senza  usar  forza,  il  pregar  poco  giova. 
La  lancia  abbassa,  e  cM  li  tien  percuote; 
e  fa  del  suo  valor  1'usata  prova: 
stringe  la  spada,  e  in  un  piccol  momento 
ne  fa  cadere  intorno  piu  di  cento. 

LXXV 

Dudone  ode  il  rumor,  la  strage  vede 
che  fa  Ruggier,  ma  chi  sia  non  conosce. 
Vede  i  suoi  c'hanno  in  fuga  volto  il  piede 
con  gran  timor,  con  pianto  e  con  angosce. 
Presto  il  destrier,  lo  scudo  e  1'elmo  chiede; 
che  gia  avea  armato  e  petto  e  braccia  e  cosce: 
salta  a  cavailo  e  si  fa  dar  la  lancia, 
e  non  oblia  ch'e  paladin  di  Francia. 


CANTO    QUARANTESIMO  1047 

LXXVI 

Grida  che  si  ritiri  ognun  da  canto, 
spinge  il  cavallo  e  fa  sentir  gli  sproni. 
Ruggier  cent'altri  n'avea  uccisi  intanto, 
e  gran  speranza  dato  a  quei  prigioni: 
e  come  venir  vide  Dudon  santo 
solo  a  cavallo,  e  gli  altri  esser  pedoni, 
stirno'  che  capo  e  che  signer  lor  fosse ; 
e  contra  lui  con  gran  desir  si  mosse. 

LXXVII 

Gia  mosso  prima  era  Dudon;  ma  quando 
senza  lancia  Ruggier  vide  venire, 
lunge  da  se  la  sua  gitto,  sdegnando 
con  tal  vantaggio  il  cavallier  ferire. 
Ruggiero,  al  cortese  atto  riguardando, 
disse  fra  se:  «Costui  non  puo  mentire, 
ch'uno  non  sia  di  quei  guerrier  perfetti 
che  paladin  di  Francia  sono  detti. 

LXXVIII 

S'impetrar  lo  potro,  vo'  che  Jl  suo  nome, 
inanzi  che  segua  altro,  mi  palese»; 
e  cosi  domandollo:  e  seppe  come 
era  Dudon  figliuol  d'Uggier  danese. 
Dudon  gravo  Ruggier  poi  d'ugual  some, 
e  parimente  lo  trovo  cortese, 
Poi  che  i  nomi  tra  lor  s'ebbono  detti, 
si  disfidaro,  e  vennero  agli  effetti. 

LXXIX 

Avea  Dudon  quella  ferrata  mazza 
ch'in  mille  imprese  gli  die  eterno  onore: 
con  essa  mostra  ben  ch'egli  e  di  razza 
di  quei  Danese  pien  d'alto  valore. 
La  spada  ch'apre  ogni  elmo,  ogni  corazza, 
di  che  non  era  al  mondo  la  migliore, 
trasse  Ruggiero,  e  fece  paragone 
di  sua  virtude  al  paladin  Dudone. 


1048  ORLANDO    FURIOSO 

LXXX 

Ma  perche  in  mente  ogniora  avea  di  meno 
offender  la  sua  donna,  che  potea; 
et  era  certo,  se  spargea  il  terreno 
del  sangue  di  costui,  che  la  offendea 
(de  le  case  di  Francia  instrutto  a  pieno, 
la  madre  di  Dudone  esser  sapea 
Armelina  sorella  di  Beatrice, 
ch'era  di  Bradamante  genitrice) : 

LXXXI 

per  questo  mai  di  punta  non  gli  trasse, 
e  di  taglio  rarissimo  feria. 
Schermiasi,  ovunque  la  mazza  calasse, 
or  ribattendo,  or  dandole  la  via. 
Crede  Turpin  che  per  Ruggier  restasse, 
che  Dudon  morto  in  pochi  colpi  avria: 
ne  mai,  qualunque  volta  si  scoperse, 
ferir  se  non  di  piatto  lo  sofferse. 

LXXXII 

Di  piatto  usar  potea,  come  di  taglio, 
Ruggier  la  spada  sua  ch'avea  gran  schena; 
e  quivi  a  strano  giuoco  di  sonaglio 
sopra  Dudon  con  tanta  forza  mena, 
che  spesso  agli  occhi  gli  pon  tal  barbaglio, 
che  si  ritien  di  non  cadere  a  pena. 
Ma  per  esser  piu  grato  a  chi  m'ascolta, 
io  differisco  il  canto  a  un'altra  volta. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO  1049 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO 


I 

L'odor,  che  sparse  in  ben  notrita  e  bella 
o  chioma  o  barba  o  delicata  vesta 
di  giovene  leggiadro  o  di  donzella, 
ch'Amor  sovente  lacrimando  desta, 
se  spira  e  fa  sentir  di  se*  novella, 
e  dopo  molti  giorni  ancora  resta; 
mostra  con  chiaro  et  evidente  effetto, 
come  a  principio  buono  era  e  perfetto. 

II 

L'almo  Hquor  che  ai  meditori  suoi 
fece  Icaro  gustar  con  suo  gran  danno, 
e  che  si  dice  che  gia  Celte  e  Boi 
fe*  passar  PAlpe  e  non  sentir  Paffanno; 
mostra  che  dolce  era  a  principio,  poi 
che  si  serva  ancor  dolce  al  fin  de  Panno. 
L'arbor  ch'al  tempo  rio  foglia  non  perde, 
mostra  ch'a  primavera  era  ancor  verde. 

ni 

L'inclita  stirpe  che  per  tanti  lustri 
mostro  di  cortesia  sempre  gran  lume, 
e  par  ch'ognor  piu  ne  risplenda  e  lustri, 
fa  che  con  chiaro  indizio  si  presume, 
che  chi  progener6  gli  Estensi  illustri, 
dovea  d'ogni  laudabile  costume 
che  sublimar  al  ciel  gli  uomini  suole, 
splender  non  men  che  fra  le  stelle  il  sole. 


1050  ORLANDO    FURIOSO 

IV 

Ruggier,  come  in  ciascun  suo  degno  gesto, 

d'alto  valor,  di  cortesia  solea 

dimostrar  chiaro  segno  e  manifesto, 

e  sempre  piu  magnanimo  apparea; 

cosi  verso  Dudon  lo  mostro  in  questo, 

col  qual  (come  di  sopra  io  vi  dicea) 

dissimulate  avea  quanto  era  forte, 

per  pieta  che  gli  avea  di  porlo  a  morte. 


Avea  Dudon  ben  conosciuto  certo, 
ch'ucciderlo  Ruggier  non  1'ha  voluto; 
perch'or  s'ha  ritrovato  allo  scoperto, 
or  stanco  si,  che  piu  non  ha  potuto. 
Poi  che  chiaro  comprende,  e  vede  aperto 
che  gli  ha  rispetto,  e  che  va  ritenuto ; 
quando  di  forza  e  di  vigor  val  mono, 
di  cortesia  non  vuol  cedergli  almeno. 

VI 

—  Per  Dio,  —  dice  —  signor,  pace  facciamo; 
ch'esser  non  puo  piu  la  vittoria  mia: 
esser  non  puo  piu  mia;  che  gia  mi  chiamo 
vinto  e  prigion  de  la  tua  cortesia.  — 
Ruggier  rispose :  —  Et  io  la  pace  bramo 
non  men  di  te;  ma  che  con  patto  sia, 
che  questi  sette  re  c'hai  qui  legati 
lasci  ch'in  liberta  mi  sieno  dati.  — 

vn 

E  gli  mostr6  quei  sette  re  ch'io  clissi 
che  stavano  legati  a  capo  chino; 
e  gli  soggiunse  che  non  gli  impedissi 
pigliar  con  essi  in  Africa  il  camino. 
E  cosi  furo  in  liberta  remissi 
quei  re;  che  gliel  concesse  il  paladino; 
e  gli  concesse  ancor  ch'un  legno  tolse, 
quei  ch'a  lui  parve,  e  verso  Africa  sciolse. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO  1051 

VIII 

II  legno  sciolse,  e  fe'  scioglier  la  vela, 
e  se  die  al  vento  perfido  in  possanza, 
che  da  principio  la  gonfiata  tela 
drizzo  a  camino,  e  die  al  nocchier  baldanza. 
II  lito  fugge,  e  in  tal  modo  si  cela, 
che  par  che  ne  sia  il  mar  rimaso  sanza. 
Ne  1'oscurar  del  giorno  fece  il  vento 
chiara  la  sua  perfidia  e  }1  tradimento. 

IX 

Mutossi  da  la  poppa  ne  le  sponde, 
indi  alia  prora,  e  qui  non  rimase  anco: 
ruota  la  nave,  et  i  nocchier  confonde; 
ch'or  di  dietro  or  dinanzi  or  loro  e  al  fianco. 
Surgono  altiere  e  minacciose  Tonde: 
mugliando  sopra  il  mar  va  il  gregge  bianco. 
Di  tante  morti  in  dubbio  e  in  pena  stanno, 
quanto  son  1'acque  ch'a  ferir  li  vanno. 

x 

Or  da  fronte  or  da  tergo  il  vento  spira; 
e  questo  inanzi,  e  quello  a  dietro  caccia: 
un  altro  da  traverso  il  legno  aggira; 
e  ciascun  pur  naufragio  gli  minaccia. 
Quel  che  siede  al  governo,  alto  sospira 
pallido  e  sbigottito  ne  la  faccia; 
e  grida  invano,  e  invan  con  mano  accenna 
or  di  voltare,  or  di  calar  F  antenna. 

XI 

Ma  poco  il  cenno,  e  '1  gridar  poco  vale: 

tolto  e  '1  veder  da  la  piovosa  notte. 

La  voce,  senza  udirsi,  in  aria  sale, 

in  aria  che  feria  con  maggior  botte 

de'  naviganti  il  grido  universale, 

e  }1  fremito  de  1'onde  insieme  rotte: 

e  in  prora  e  in  poppa  e  in  amendue  le  bande 

non  si  pu6  cosa  udir  che  si  commande. 


1052  ORLANDO    FURIOSO 

XII 

Da  la  rabbia  del  vento  che  si  fende 
ne  le  ritorte,  escono  orribil  suoni: 
di  spessi  lampi  Faria  si  raccende, 
risuona  '1  ciel  di  spaventosi  tuoni. 
V'e  chi  corre  al  timon,  chi  i  remi  premie ; 
van  per  uso  agli  uffici  a  che  son  buoni: 
chi  s'affatica  a  sciorre  e  chi  a  legare; 
vota  altri  Facqua,  e  torna  il  mar  nel  mare. 

XIII 

Ecco  stridendo  Forribil  procella, 
che  '1  repentin  furor  di  borea  spinge, 
la  vela  contra  Farbore  flagella: 
il  mar  si  leva,  e  quasi  il  cielo  attinge. 
Frangonsi  i  remi;  e  di  fortuna  fella 
tanto  la  rabbia  impetuosa  stringe, 
che  la  prora  si  volta,  e  verso  Fonda 
fa  rimaner  la  disarmata  sponda. 

XIV 

Tutta  sotto  acqua  va  la  destra  banda, 
e  sta  per  riversar  di  sopra  il  fondo. 
Ognun  gridando  a  Dio  si  raccomanda; 
che  piu  che  certi  son  gire  al  profondo. 
D'uno  in  un  altro  ma!  fortuna  manda: 
il  primo  scorre,  e  vien  dietro  il  secondo. 
II  legno  vinto  in  piu  parti  si  lassa, 
e  dentro  Finimica  onda  vi  passa. 

XV 

Muove  crudele  e  spaventoso  assalto 
da  tutti  i  lati  il  tempestoso  verno. 
Veggon  talvolta  il  mar  venir  tant'alto, 
che  par  ch'arrivi  insin  al  ciel  superno. 
Talor  fan  sopra  Fonde  in  su  tal  salto, 
ch'a  mirar  giu  par  lor  veder  lo  'nferno. 
0  nulla  o  poca  speme  e  che  conforte; 
e  sta  presente  inevitabil  morte. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO  1053 

XVI 

Tutta  la  notte  per  diverse  mare 
scorsero  errando  ove  cacciolli  il  vento; 
il  fiero  vento  che  dovea  cessare 
nascendo  il  giorno,  e  ripiglio  augumento. 
Ecco  dinanzi  un  nudo  scoglio  appare: 
voglion  schivarlo,  e  non  v'hanno  argumento. 
Li  porta,  lor  mal  grado,  a  quella  via 
il  crudo  vento  e  la  tempesta  ria. 

XVII 

Tre  volte  e  quattro  il  pallido  nocchiero 

mette  vigor  perche  '1  timon  sia  volto 

e  trovi  piu  sicuro  altro  sentiero; 

ma  quel  si  rompe,  e  poi  dal  mar  gli  e  tolto. 

Ha  si  la  vela  piena  il  vento  fiero, 

che  non  si  puo  calar  poco  n6  molto: 

ne  tempo  han  di  riparo  o  di  consiglio; 

che  troppo  appresso  e  quel  mortal  periglio. 

XVIII 

Poi  che  senza  rimedio  si  comprende 
la  irreparabil  rotta  de  la  nave, 
ciascuno  al  suo  privato  utile  attende, 
ciascun  salvar  la  vita  sua  cura  have. 
Chi  pu6  piu  presto  al  palischermo  scende; 
ma  quello  e  fatto  subito  si  grave 
per  tanta  gente  che  sopra  v'abbonda, 
che  poco  avanza  a  gir  sotto  la  sponda. 

XIX 

Ruggier  che  vide  il  comite  e  '1  padrone 
e  gli  altri  abbandonar  con  fretta  il  legno, 
come  senz'arme  si  trovd  in  giubbone, 
campar  su  quel  battel  fece  disegno : 
ma  lo  trov6  si  carco  di  persone, 
e  tante  venner  poi,  che  Pacque  il  segno 
passaro  in  guisa,  che  per  troppo  pondo 
con  tutto  il  carco  and6  il  legnetto  al  fondo: 


1054  ORLANDO  FURIOSO 

XX 

del  mare  al  fondo;  e  seco  trasse  quanti 
lasciaro  a  sua  speranza  il  maggior  legno. 
Allor  s'udi  con  dolorosi  pianti 
chiamar  soccorso  dal  celeste  regno: 
ma  quelle  voci  andaro  poco  inanti, 
che  venne  il  mar  pien  d'ira  e  di  disdegno, 
e  subito  occupo  tutta  la  via 
onde  il  lamento  e  il  flebil  grido  uscia. 

XXI 

Altri  la  giii,  senza  apparir  piu,  resta; 

altri  risorge  e  sopra  Fonde  sbalza; 

chi  vien  nuotando  e  mostra  fuor  la  testa, 

chi  mostra  un  braccio,  e  chi  una  gamba  seaha. 

Ruggier  che  '1  minacciar  de  la  tempesta 

temer  non  vuol,  dal  fondo  al  sommo  s'alza, 

e  vede  il  nudo  scoglio  non  lontano 

ch'egli  e  i  compagni  avean  fuggito  invano. 

XXII 

Spera,  per  forza  di  piedi  e  di  braccia 
nuotando,  di  salir  sul  lito  asciutto. 
Soffiando  viene,  e  lungi  da  la  faccia 
Tonda  respinge  e  Timportuno  flutto. 
II  vento  intanto  e  la  tempesta  caccia 
il  legno  v6to,  e  abbandonato  in  tutto 
da  quelli  che  per  lor  pessima  sorte 
il  disio  di  campar  trasse  alia  morte. 

XXIII 

Oh  fallace  degli  uomini  credenza! 
campd  la  nave  che  dovea  perire; 
quando  il  padrone  e  i  galleotti  senza 
governo  alcun  F avean  lasciata  gire. 
Parve  che  si  mutasse  di  sentenza 
il  vento,  poi  che  ogni  uom  vide  fuggire: 
fece  che  '1  legno  a  miglior  via  si  torse, 
ne~  tocc6  terra,  e  in  sicura  onda  corse. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO  1055 

XXIV 

E  dove  col  nocchier  tenne  via  incerta; 

poi  che  non  Febbe,  ando  in  Africa  al  dritto, 

e  venne  a  capitar  presso  a  Biserta 

tre  miglia  o  due,  dal  lato  verso  Egitto; 

e  ne  1'arena  sterile  e  deserta 

resto,  mancando  il  vento  e  Pacqua,  fitto. 

Or  quivi  sopravenne  a  spasso  andando, 

come  di  sopra  io  vi  narrava,  Orlando. 

xxv 

E  disioso  di  saper  se  fusse 
la  nave  sola,  e  fusse  o  v6ta  o  carca, 
con  Brandimarte  a  quella  si  condusse 
e  col  cognato,  in  su  una  lieve  barca. 
Poi  che  sotto  coverta  s'introdusse, 
tutta  la  ritrov6  d'uomini  scarca: 
vi  trovo  sol  Frontino  il  buon  destriero, 
Parmatura  e  la  spada  di  Ruggiero ; 

XXVI 

di  cui  fu  per  campar  tanto  la  fretta, 
ch'a  tor  la  spada  non  ebbe  pur  tempo. 
Conobbe  quella  il  paladin,  che  detta 
fu  Balisarda,  e  che  gik  sua  fu  un  tempo. 
So  che  tutta  1'istoria  avete  letta, 
come  la  tolse  a  Falerina,  al  tempo 
che  le  distrusse  anco  il  giardin  si  bello, 
e  come  a  lui  poi  la  rub6  Brunello; 

XXVII 

e  come  sotto  il  monte  di  Carena 
Brunei  ne  fe'  a  Ruggier  libero  dono. 
Di  che  taglio  ella  fosse  e  di  che  schena, 
n'avea  gi£  fatto  esperimento  buono; 
io  dico  Orlando:  e  per6  n'ebbe  piena 
letizia,  e  ringrazionne  il  sommo  Trono; 
e  si  credette  (e  spesso  il  disse  dopo) 
che  Dio  gliele  mandasse  a  si  grande  uopo: 


1056  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

a  si  grande  uopo,  come  era,  dovendo 
condursi  col  signor  di  Sericana; 
ch'oltre  che  di  valor  fosse  tremendo, 
sapea  ch'avea  Baiardo  e  Durindana. 
L'altra  armatura,  non  la  conoscendo, 
non  apprezzo  per  cosa  si  soprana, 
come  chi  ne  fe'  prova  apprezzo  quella 
per  buona  si,  ma  per  piu  ricca  e  bella. 

XXIX 

E  perche  gli  facean  poco  mestiero 
Tarme  (ch'era  inviolabile  e  affatato), 
contento  fu  che  1'avesse  Oliviero; 
il  brando  no,  che  sel  pose  egli  a  lato: 
a  Brandimarte  consegn6  il  destriero, 
Cosi  diviso  et  ugualmente  dato 
volse  che  fosse  a  ciaschedun  compagno, 
ch'insieme  si  trovar,  di  quel  guadagno. 

xxx 

Pel  di  de  la  battaglia  ogni  guerriero 
studia  aver  ricco  e  nuovo  abito  indosso. 
Orlando  riccamar  fa  nel  quartiero 
Palto  Babel  dal  fulmine  percosso. 
Un  can  d'argento  aver  vuole  Oliviero, 
che  giaccia,  e  che  la  lassa  abbia  sul  dosso, 
con  un  motto  che  dica:  «Fin  che  vegna»; 
e  vxiol  d'oro  la  vesta  e  di  se  degna. 

XXXI 

Fece  disegno  Brandimarte,  il  giorno 
de  la  battaglia,  per  amor  del  padre 
e  per  suo  onor,  di  non  andare  adorno 
se  non  di  sopraveste  oscure  et  adre. 
Fiordiligi  le  fe'  con  fregio  intorno, 
quanto  piu  seppe  far,  belle  e  leggiadre. 
Di  ricche  gemme  il  fregio  era  contesto; 
d'un  schietto  drappo  e  tutto  nero  il  resto. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO  1057 

XXXII 

Fece  la  donna  di  sua  man  le  sopra- 
vesti  a  cui  Parme  converrian  piu  fine, 
de'  quai  1'osbergo  il  cavallier  si  cuopra, 
e  la  groppa  al  cavallo  e  '1  petto  e  '1  crine. 
Ma  da  quel  di  che  cominci6  quest5  opra, 
continuando  a  quel  che  le  die  fine, 
e  dopo  ancora,  mai  segno  di  riso 
far  non  pote,  ne  d'allegrezza  in  viso. 

XXXIII 

Sempre  ha  timor  nel  cor,  sempre  tormento 

che  Brandimarte  suo  non  le  sia  tolto. 

Gia  Tha  veduto  in  cento  lochi  e  cento 

in  gran  battaglie  e  perigliose  avvolto; 

n6  mai,  come  ora,  simile  spavento 

le  agghiacci6  il  sangue  e  impallidille  il  volto: 

e  questa  no  vita  d'aver  timor  e 

le  fa  tremar  di  doppia  tema  il  core. 

xxxiv 

Poi  che  son  d'arme  e  d'ogni  arnese  in  punto, 
alzano  al  vento  i  cavallier  le  vele. 
Astolfo  e  Sansonetto  con  Tassunto 
riman  del  grande  esercito  fedele. 
Fiordiligi  col  cor  di  timor  punto, 
empiendo  il  ciel  di  voti  e  di  querele, 
quanto  con  vista  seguitar  le  puote, 
segue  le  vele  in  alto  mar  remote. 

xxxv 

Astolfo  a  gran  fatica  e  Sansonetto 
pote*  levarla  da  mirar  ne  Fonda, 
e  ritrarla  al  palagio,  ove  sul  letto 
la  lasciaro  affannata  e  tremebonda. 
Portava  intanto  il  bel  numero  eletto 
dei  tre  buon  cavallier  Taura  seconda. 
And6  il  legno  a  trovar  1'isola  al  dritto, 
ove  far  si  dovea  tanto  conflitto. 


1058  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

Sceso  nel  lito  il  cavallier  d'Anglante, 
il  cognato  Oliviero  e  Brandimarte, 
col  padiglione  il  lato  di  levante 
primi  occupar;  ne  forse  il  fer  senz'arte. 
Giunse  quel  di  medesimo  Agramante, 
e  s'accampo  da  la  contraria  parte; 
ma  perche  molto  era  inchinata  Tora, 
differir  la  battaglia  ne  P  aurora. 

XXXVII 

Di  qua  e  di  la  sin  alia  nuova  luce 
stanno  alia  guardia  i  servitori  armati. 
La  sera  Brandimarte  si  conduce 
la  dove  i  Saracin  sono  alloggiati, 
e  parla,  con  licenzia  del  suo  duce, 
al  re  african;  ch'amici  erano  stati; 
e  Brandimarte  gia  con  la  bandiera 
del  re  Agramante  in  Francia  passato  era. 

XXXVIII 

Dopo  i  saluti  e  '1  giunger  mano  a  mano, 

molte  ragion  si  come  amico  disse 

il  fedel  cavalliero  al  re  pagano, 

perche  a  questa  battaglia  non  venisse: 

e  di  riporgli  ogni  cittade  in  mano, 

che  sia  tra  '1  Nilo  e  'I  segno  ch'Ercol  fisse, 

con  volonta  d' Orlando  gli  offeria, 

se  creder  volea  al  Figlio  di  Maria. 

XXXIX 

—  Perche*  sempre  v'ho  amato  et  amo  molto, 
questo  consiglio  —  gli  dicea  —  vi  dono; 
e  quando  gia,  signor,  per  me  Fho  tolto, 
creder  potete  ch'io  Festimo  buono, 
Cristo  conobbi  Dio,  Maumette  stolto; 
e  bramo  voi  por  ne  la  via  in  ch'io  sono: 
ne  la  via  di  salute,  signor,  bramo 
che  siate  meco,  e  tutti  gli  altri  ch'amo. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO  1059 

XL 

Qui  consiste  il  ben  vostro;  ne  consiglio 
altro  potete  prender,  che  vi  vaglia; 
e  men  di  tutti  gli  altri,  se  col  figlio 
di  Milon  vi  mettete  alia  battaglia; 
che  '1  guadagno  del  vincere  al  periglio 
de  la  perdita  grande  non  si  agguaglia. 
Vincendo  voi,  poco  acquistar  potete; 
ma  non  perder  gia  poco,  se  perdete. 

XLI 

Quando  uccidiate  Orlando,  e  noi  venuti 
qui  per  morire  o  vincere  con  lui, 
io  non  veggo  per  questo  che  i  perduti 
dominii  a  racquistar  s'abbian  per  vui. 
Ne  dovete  sperar  che  si  si  muti 
lo  stato  de  le  cose,  morti  nui, 
ch'uomini  a  Carlo  manchino  da  porre 
quivi  a  guardar  fin  all'estrema  torre.  — 

XLII 

Cosi  parlava  Brandimarte,  et  era 
per  suggiungere  ancor  molte  altre  cose; 
ma  fu  con  voce  irata  e  faccia  altiera 
dal  pagano  interrotto,  che  rispose: 
—  Temerita  per  certo  e  pazzia  vera 
e  la  tua,  e  di  qualunque  che  si  pose 
a  consigliar  mai  cosa  o  buona  o  ria, 
ove  chiamato  a  consigliar  non  sia. 

XLIII 

E  che  '1  consiglio  che  mi  dai,  proceda 
da  ben  che  m'hai  voluto  e  vuommi  ancora, 
io  non  so,  a  dire  il  ver,  come  io  tel  creda, 
quando  qui  con  Orlando  ti  veggo  ora. 
Creder6  ben,  tu  che  ti  vedi  in  preda 
di  quel  dragon  che  Tanime  devora, 
che  brami  teco  nel  dolore  eterno 
tutto  '1  mondo  poter  trarre  alPinferno. 


1060  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Ch'io  vinca  o  perda,  o  debba  ne!  mio  regno 
tornare  antique,  o  sempre  starne  in  bando, 
in  mente  sua  n'ha  Dio  fatto  disegno, 
il  qual  ne  io,  ne  tu,  ne  vede  Orlando. 
Sia  quel  che  vuol,  non  potra  ad  atto  indegno 
di  re  inchinarmi  mai  timor  nefando. 
S'io  fossi  certo  di  morir,  vo'  morto 
prima  restar,  ch'al  sangue  mio  far  torto, 

XLV 

Or  ti  puoi  ritornar;  che  se  migliore 
non  sei  dimani  in  questo  campo  armato, 
che  tu  mi  sia  paruto  oggi  oratore, 
mal  troverassi  Orlando  accompagnato.  — 
Queste  ultime  parole  usciron  fuore 
del  petto  acceso  d'Agramante  irato. 
Ritorn6  Puno  e  1'altro,  e  ripososse, 
fin  che  del  mare  il  giorno  uscito  fosse. 

XLVI 

Nel  biancheggiar  de  la  nuova  alba  armati, 
e  in  un  momento  fur  tutti  a  cavallo, 
Pochi  sermon  si  son  tra  loro  usati: 
non  vi  fu  indugio,  non  vi  fu  intervallo, 
che  i  ferri  de  le  lancie  hanno  abbassati, 
Ma  mi  parria,  Signor,  far  troppo  fallo, 
se,  per  voler  di  costor  dir,  lasciassi 
tan  to  Ruggier  nel  mar,  che  v'affogassi, 

XLVH 

II  giovinetto  con  piedi  e  con  braccia 
percotendo  venia  Forribil  onde. 
II  vento  e  la  tempesta  gli  minaccia; 
ma  piu  la  conscienzia  lo  confonde. 
Teme  che  Cristo  ora  vendetta  faccia; 
che  poi  che  battezzar  ne  Facque  monde, 
quando  ebbe  tempo,  si  poco  gli  calse, 
or  si  battezzi  in  queste  amare  e  salse. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO  Io6l 

XLVIII 

Gli  ritornano  a  mente  le  promesse 

che  tante  volte  alia  sua  donna  fece; 

quel  che  giurato  avea  quando  si  messe 

contra  Rinaldo,  e  nulla  satisfece. 

A  Dio,  ch'ivi  punir  non  lo  volesse, 

pentito  disse  quattro  volte  e  diece; 

e  fece  voto  di  core  e  di  fede 

d'esser  cristian,  se  ponea  in  terra  il  piede: 

XLIX 

e  mai  piu  non  pigliar  spada  n6  lancia 
contra  ai  fedeli  in  aiuto  de'  Mori; 
ma  che  ritorneria  subito  in  Francia, 
e  a  Carlo  renderia  debiti  onori; 
n6  Bradamante  piu  terrebbe  a  ciancia, 
e  verria  a  fine  onesto  dei  suo'  amori. 
Miracol  fu,  che  senti  al  fin  del  voto 
crescersi  forza  e  agevolarsi  il  nuoto. 

L 

Cresce  la  forza  e  Tanimo  indefesso: 
Ruggier  percuote  Tonde  e  le  respinge, 
Tonde  che  seguon  Tuna  all'altra  presso, 
di  che  una  il  leva,  un'altra  lo  sospinge. 
Cosi  montando  e  discendendo  spesso 
con  gran  travaglio,  al  fin  F  arena  attinge; 
e  da  la  parte  onde  s'inchina  il  colle 
piu  verso  il  mar,  esce  bagnato  e  molle. 

LI 

Fur  tutti  gli  altri  che  nel  mar  si  diero, 
vinti  da  Tonde,  e  al  fin  restar  ne  Facque. 
Nel  solitario  scoglio  usci  Ruggiero, 
come  all'alta  Bonta  divina  piacque. 
Poi  che  fu  sopra  il  monte  inculto  e  fiero 
sicur  dal  mar,  nuovo  timor  gli  nacque 
d'avere  esilio  in  si  strette  confine, 
e  di  morirvi  di  disagio  al  fine. 


1062  ORLANDO    FURIOSO 

LII 

Ma  pur  col  core  indomito,  e  constante 
di  patir  quanto  e  in  del  di  lui  prcscritto, 
pei  duri  sassi  Tintrepide  piante 
mosse,  poggiando  inver  la  cima  al  dritto. 
Non  era  cento  passi  andato  inante, 
che  vide  d'anni  e  d'astinenzie  afflitto 
uom  ch'avea  d'eremita  abito  e  segno, 
di  molta  riverenzia  e  d'onor  degno; 

LIII 

che  come  gli  fu  presso :  —  Saulo,  Saulo,  — 
grid6  —  perch6  persegui  la  mia  fede  ?  — 
come  allor  il  Signer  disse  a  san  Paulo, 
che  '1  colpo  salutifero  gli  diede* 
—  Passar  credesti  il  mar,  ne  pagar  naulo, 
e  defraudare  altrui  dc  la  mercede. 
Vedi  che  Dio,  c'ha  lunga  man,  ti  giunge 
quando  tu  gli  pensasti  esser  piu  lunge.  — 

LIV 

E  seguit6  il  santissimo  eremita, 
il  qual  la  notte  inanzi  avuto  avea 
in  vision  da  Dio,  che  con  sua  aita 
allo  scoglio  Ruggier  giunger  dovea: 
e  di  lui  tutta  la  passata  vita, 
e  la  futura,  e  ancor  la  morte  rea, 
figli  e  nipoti  et  ogni  discendente 
gli  avea  Dio  rivelato  interamente. 

LV 

Seguit6  Peremita  riprendendo 
prima  Ruggiero;  e  al  fin  poi  confortollo. 
Lo  riprendea  ch'era  ito  differendo 
sotto  il  soave  giogo  a  porre  il  collo; 
e  quel  che  dovea  far  libero  essendo, 
mentre  Cristo  pregando  a  se*  chiamollo, 
fatto  avea  poi  con  poca  grazia  quando 
venir  con  sferza  il  vide  minacciando. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO  1063 

LVI 

Poi  confortollo  che  non  niega  il  cielo 
tardi  o  per  tempo  Cristo  a  chi  gliel  chiede; 
e  di  quelli  operarii  del  Vangelo 
narro,  che  tutti  ebbono  ugual  mercede. 
Con  caritade  e  con  devoto  zelo 
lo  venne  ammaestrando  ne  la  fede, 
verso  la  cella  sua  con  lento  passo, 
ch'era  cavata  a  mezzo  il  duro  sasso. 

LVII 

Di  sopra  siede  alia  devota  cella 
una  piccola  chiesa  che  risponde 
aU'oriente,  assai  commoda  e  bella: 
di  sotto  un  bosco  scende  sin  all'onde, 
di  lauri  e  di  ginepri  e  di  mortella, 
e  di  palme  fruttifere  e  feconde; 
che  riga  sempre  una  liquida  fonte, 
che  mormorando  cade  giu  dal  monte. 

LVIII 

Eran  degli  anni  ormai  presso  a  quaranta 
che  su  lo  scoglio  il  fraticel  si  messe; 
ch'a  menar  vita  solitaria  e  santa 
luogo  oportuno  il  Salvator  gli  elesse. 
Di  frutte  colte  or  d'una  or  d'altra  pianta, 
e  d'acqua  pura  la  sua  vita  resse, 
che  valida  e  robusta  e  senza  affanno 
era  venuta  aH'ottantesimo  anno. 

LIX 

Dentro  la  cella  il  vecchio  accese  il  fuoco, 
e  la  mensa  ingombro  di  varii  frutti, 
ove  si  ricre6  Ruggiero  un  poco, 
poscia  ch'i  panni  e  i  capelli  ebbe  asciutti. 
Impar6  poi  piu  ad  agio  in  questo  loco 
de  nostra  fede  i  gran  misterii  tutti; 
et  alia  pura  fonte  ebbe  battesmo 
il  di  seguente  dal  vecchio  medesmo. 


1064  ORLANDO    FURIOSO 

LX 

Secondo  il  luogo,  assai  contento  stava 
quivi  Ruggier;  che  *1  buon  servo  di  Dio 
fra  pochi  giorni  intenzion  gli  dava 
di  rimandarlo  ove  piu  avea  disio. 
Di  molte  cose  intanto  ragionava 
con  lui  sovente,  or  al  regno  di  Dio, 
or  agli  proprii  casi  appertinenti, 
or  del  suo  sangue  alle  future  genti. 

LXI 

Avea  il  Signor,  che  '1  tutto  intende  e  vede, 
rivelato  al  santissimo  eremita 
che  Ruggier  da  quel  di  ch'ebbe  la  fede 
dovea  sette  anni,  e  non  piu,  stare  in  vita; 
che  per  la  morte  che  sua  donna  diede 
a  Pinabel,  ch'allui  fia  attribuita, 
saria,  e  per  quella  ancor  di  Bertolagi, 
morto  dai  Maganzesi  empi  e  malvagi, 

LXII 

E  che  quel  tradimento  andra  si  occulto, 
che  non  se  n'udira  di  fuor  novella; 
perche  nel  proprio  loco  fia  sepulto 
ove  anco  ucciso  da  la  gente  fella; 
per  questo  tardi  vendicato  et  ulto 
fia  da  la  moglie  e  da  la  sua  sorella; 
e  che  col  ventre  pien  per  lunga  via 
da  la  moglie  fedel  cercato  fia. 

LXII  I 

Fra  PAdice  e  la  Brenta  a  pi&  de'  colli 
ch'al  troiano  Antendr  piacqueno  tanto, 
con  le  sulfuree  vene  e  rivi  molli, 
con  lieti  solchi  e  prati  ameni  a  canto, 
che  con  Palta  Ida  volentier  mutolli, 
col  sospirato  Ascanio  e  caro  Xanto, 
a  parturir  verra  ne  le  foreste 
che  son  poco  lontane  al  frigio  Ateste. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO  1065 

LXIV 

E  ch'in  bellezza  et  in  valor  cresciuto 
il  parto  suo,  che  pur  Ruggier  fia  detto, 
e  del  sangue  troian  riconosciuto 
da  quei  Troiani,  in  lor  signer  fia  elletto; 
e  poi  da  Carlo,  a  cui  sara  in  aiuto 
incontra  i  Longobardi  giovinetto, 
dominio  giusto  avra  del  bel  paese, 
e  titolo  onorato  di  marchese. 

LXV 

E  perch£  dira  Carlo  in  latino :  —  Este 
signori  qui— ,  quando  faragli  il  dono, 
nel  secolo  futur  nominato  Este 
sara  il  bel  luogo  con  augurio  buono; 
e  cosi  lasciera  il  nome  d'Ateste 
de  le  due  prime  note  il  vecchio  suono. 
Avea  Dio  ancora  al  servo  suo  predetta 
di  Ruggier  la  futura  aspra  vendetta: 

LXVI 

ch'in  visione  alia  fedel  consorte 
apparira  dinanzi  al  giorno  un  poco; 
e  le  dira  chi  Tavra  messo  a  morte, 
e  dove  giacera  mostrera  il  loco: 
onde  ella  poi  con  la  cognata  forte 
distruggera  Pontieri  a  ferro  e  a  fuoco; 
ne  fara  a'  Maganzesi  minor  danni 
il  figlio  suo  Ruggiero,  ov'abbia  gli  anni. 

Lxvir 

D'Azzi,  d'Alberti,  d'Obici  discorso 
fatto  gli  aveva,  e  di  lor  stirpe  bella, 
insino  a  Nicol6,  Leonello,  Borso, 
Ercole,  Alfonso,  Ippolito  e  Issabella. 
Ma  il  santo  vecchio,  ch'alla  lingua  ha  il  morso, 
non  di  quanto  egli  sa  per6  favella: 
narra  a  Ruggier  quel  che  narrar  conviensi; 
e  quel  ch'in  se  dej  ritener,  ritiensi. 


1066  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

In  questo  tempo  Orlando  e  Brandimarte 
e  '1  marchese  Olivier  col  ferro  basso 
vanno  a  trovare  il  saracino  Marte 
(che  cosi  nominar  si  puo  Gradasso) 
e  gli  altri  duo  che  da  contraria  parte 
han  mosso  i  buon  destrier  piu  che  di  passo; 
io  dico  il  re  Agramante  e  '1  re  Sobrino: 
rimbomba  al  corso  il  lito  e  'I  mar  vicino. 

LXIX 

Quando  allo  scontro  vengono  a  trovarsi, 
e  in  tronchi  vola  al  ciel  rotta  ogni  lancia, 
del  gran  rumor  fu  visto  il  mar  gonfiarsi, 
del  gran  rumor  che  s'udi  sino  in  Francia. 
Venne  Orlando  e  Gradasso  a  riscontrarsi ; 
e  potea  stare  ugual  questa  bilancia, 
se  non  era  il  vantaggio  di  Baiardo, 
che  fe'  parer  Gradasso  piu  gagliardo. 

LXX 

Percosse  egli  il  destrier  di  minor  forza 
ch*  Orlando  avea,  d'un  urto  cosi  strano, 
che  lo  fece  piegare  a  poggia  e  ad  orza, 
e  poi  cader,  quanto  era  lungo,  al  piano. 
Orlando  di  levarlo  si  risforza 
tre  volte  e  quattro,  e  con  sproni  e  con  mano; 
e  quando  al  fin  nol  pu6  levar,  ne  scende, 
lo  scudo  imbraccia,  e  Balisarda  prende. 

LXXI 

Scontrossi  col  re  d' Africa  Oliviero; 
e  fur  di  quello  incontro  a  paro  a  paro. 
Brandimarte  restar  senza  destriero 
fece  Sobrin:  ma  non  si  seppe  chiaro 
se  v'ebbe  il  destrier  colpa  o  il  cavalliero; 
ch'avezzo  era  cader  Sobrin  di  raro. 
O  del  destriero  o  suo  pur  fosse  il  fallo, 
Sobrin  si  ritrovb  giu  del  cavallo. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO  1067 

LXXII 

Or  Brandimarte  che  vide  per  terra 
il  re  Sobrin,  non  Fassali  altrimente, 
ma  contra  il  re  Gradasso  si  disserra, 
ch'avea  abbattuto  Orlando  parimente. 
Tra  il  marchese  e  Agramante  ando  la  guerra 
come  fu  cominciata  primamente: 
poi  che  si  roppon  Taste  negli  scudi, 
s'eran  tornati  incontra  a  stocchi  ignudi. 

LXXIII 

Orlando  che  Gradasso  in  atto  vede 
che  par  ch'a  lui  tornar  poco  gli  caglia; 
ne  tornar  Brandimarte  gli  concede, 
tanto  lo  stringe  e  tanto  lo  travaglia; 
si  volge  intorno,  e  similmente  a  piede 
vede  Sobrin  che  sta  senza  battaglia. 
Ver  lui  s'aventa;  e  al  muover  de  le  piante 
fa  il  ciel  tremar  del  suo  fiero  sembiante. 

LXXIV 

Sobrin  che  di  tanto  uom  vede  Fassalto, 
stretto  ne  Farme  s'apparecchia  tutto: 
come  nocchiero  a  cui  vegna  a  gran  salto 
muggendo  incontra  il  minaccioso  flutto, 
drizza  la  prora;  e  quando  il  mar  tant'alto 
vede  salire,  esser  vorria  alFasciutto, 
Sobrin  lo  scudo  oppone  alia  ruina 
che  da  la  spada  vien  di  Falerina. 

LXXV 

Di  tal  finezza  e  quella  Balisarda, 
che  Farme  le  puon  far  poco  riparo ; 
in  man  poi  di  persona  si  gagliarda, 
in  man  d'Orlando,  unico  al  mondo  o  raro, 
taglia  lo  scudo ;  e  nulla  la  ritarda, 
perche  cerchiato  sia  tutto  d'acciaro: 
taglia  lo  scudo  e  sino  al  fondo  fende, 
e  sotto  a  quello  in  su  la  spalla  scende. 


1068  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Scende  alia  spalla;  e  perche  la  ritrovi 
di  doppia  lama  e  di  maglia  coperta, 
non  vuol  pero  che  molto  ella  le  giovi, 
che  di  gran  piaga  non  la  lasci  aperta. 
Mena  Sobrin;  ma  indarno  e  che  si  provi 
ferire  Orlando,  a  cui  per  grazia  ceita 
diede  il  Motor  del  cielo  e  de  le  stelle, 
che  mai  forar  non  se  gli  puo  la  pelle. 

LXXVII 

Radoppia  il  colpo  il  valoroso  conte, 
e  pensa  da  le  spalle  il  capo  torgli, 
Sobrin  che  sa  il  valor  di  Chiaramonte, 
e  che  poco  gli  val  lo  scudo  opporgli, 
s'arretra,  ma  non  tanto  che  la  fronte 
non  venisse  anco  Balisarda  a  corgli. 
Di  piatto  fu>  ma  il  colpo  tanto  fello, 
ch'amacco  1'elmo,  e  gl'introno  il  cervello. 

LXXVIII 

Cadde  Sobrin  del  fiero  colpo  in  terra, 
onde  a  gran  pezzo  poi  non  e  risorto. 
Crede  finita  aver  con  lui  la  gxierra 
il  paladino,  e  che  si  giaccia  morto; 
e  verso  il  re  Gradasso  si  disserra, 
che  Brandimarte  non  meni  a  mal  porto: 
che  '1  pagan  d'arme  e  di  spada  1'avanza 
e  di  destriero,  e  forse  di  possanza. 

LXXIX 

L'ardito  Brandimarte  in  su  Frontino, 
quel  buon  destrier  che  di  Ruggier  fu  dianzi, 
si  porta  cosi  ben  col  Saracino, 
che  non  par  gia  che  quel  troppo  Pavanzi : 
e  s'egli  avesse  osbergo  cosi  fino 
come  il  pagan,  gli  staria  meglio  inanzi; 
ma  gli  convien  (che  mal  si  sente  armato) 
spesso  dar  luogo  or  d'tmo  or  d'altro  lato. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO  1069 

LXXX 

Altro  destrier  non  e  che  meglio  intenda 

di  quel  Frontino  il  cavalliero  a  cenno: 

par  che  dovunque  Durindana  scenda, 

or  quinci  or  quindi  abbia  a  schivarla  senno. 

Agramante  e  Olivier  battaglia  orrenda 

altrove  fanno,  e  giudicar  si  denno 

per  duo  guerrier  di  pari  in  arme  accorti, 

e  pochi  different!  in  esser  forti. 

LXXXI 

Avea  lasciato,  come  io  dissi,  Orlando 

Sobrino  in  terra;  e  contra  il  re  Gradasso, 

soccorrer  Brandimarte  disiando, 

come  si  trov6  a  pie,  venia  a  gran  passo. 

Era  vicin  per  assalirlo,  quando 

vide  in  mezzo  del  campo  andare  a  spasso 

il  buon  cavallo  onde  Sobrin  fu  spinto; 

e  per  averlo,  presto  si  fu  accinto. 

LXXXII 

Ebbe  il  destrier,  che  non  trov6  contesa, 
e  Iev6  un  sal  to,  et  entr6  ne  la  sella. 
Ne  Tuna  man  la  spada  tien  sospesa, 
mette  1'altra  alia  briglia  ricca  e  bella. 
Gradasso  vede  Orlando,  e  non  gli  pesa, 
ch'a  lui  ne  viene,  e  per  nome  1'appella. 
Ad  esso  e  a  Brandimarte  e  all'altro  spera 
far  parer  notte,  e  che  non  sia  ancor  sera. 

LXXXIII 

Voltasi  al  conte,  e  Brandimarte  lassa, 
e  d'una  punta  lo  trova  al  camaglio: 
fuor  che  la  carne,  ogni  altra  cosa  passa: 
per  forar  quella  e  vano  ogni  travaglio. 
Orlando  a  un  tempo  Balisarda  abbassa: 
non  vale  incanto  ov'ella  mette  il  taglio. 
L'elmo,  lo  scudo,  1'osbergo  e  Tarnese, 
venne  fendendo  in  giii  ci6  ch'ella  prese; 


1070  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXIV 

e  nel  volto  e  nel  petto  e  ne  la  coscia 

lascio  ferito  il  re  di  Sericana, 

di  cui  non  fu  mai  tratto  sangue,  poscia 

ch'ebbe  quell'arme:  or  gli  par  cosa  strana 

che  quella  spada  (e  n'ha  dispetto  e  angoscia) 

le  tagli  or  si;  ne  pur  e  Durindana. 

E  se  piu  lungo  il  colpo  era  o  piu  apprcsso, 

1'avria  dal  capo  insino  al  ventre  fesso. 

LXXXV 

Non  bisogna  piu  aver  ne  Parme  fecle, 
come  avea  dianzi;  che  la  prova  e  fatta. 
Con  piu  riguardo  e  piu  ragion  precede, 
che  non  soiea;  meglio  al  parar  si  adatta. 
Brandimarte  ch' Orlando  entrato  vede, 
che  gli  ha  di  man  quella  battaglia  tratta, 
si  pone  in  mezzo  all'una  e  all'altra  pugna, 
perche  in  aiuto,  ove  e  bisogno,  giugna. 

LXXXVI 

Essendo  la  battaglia  in  tale  istato, 
Sobrin,  ch'era  giaciuto  in  terra  molto, 
si  Iev6,  poi  ch'in  se"  fu  ritornato; 
e  molto  gli  dolca  la  spalla  e  '1  volto: 
alzo  la  vista  e  mir6  in  ogni  lato ; 
poi  dove  vide  il  suo  signor,  rivolto, 
per  dargli  aiuto  i  lunghi  passi  torse 
tacito  si,  ch'alcun  non  se  n'accorse. 

LXXXVII 

Vien  dietro  ad  Olivier  che  tenea  gli  occhi 
al  re  Agramante  e  poco  altro  attendea; 
e  gli  feri  nei  deretan  ginocchi 
il  destrier  di  percossa  in  modo  rea, 
che  senza  indugio  e  forza  che  trabocchi. 
Cade  Olivier,  n£  '1  piede  aver  potea, 
il  manco  pie,  ch'al  non  pensato  caso 
sotto  il  cavallo  in  staffa  era  rimaso. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO 
LXXXVIII 

Sobrin  radoppia  il  colpo,  e  di  riverso 
gli  mena,  e  se  gli  crede  il  capo  torre; 
ma  lo  vieta  1'acciar  lucido  e  terso, 
che  tempro  gia  Vulcan,  porto  gia  Ettorre. 
Vede  il  periglio  Brandimarte,  e  verso 
il  re  Sobrino  a  tutta  briglia  corre; 
e  lo  fere  in  sul  capo,  e  gli  da  d'urto: 
ma  il  fiero  vecchio  e  tosto  in  pie  risurto; 

LXXXIX 

e  torna  ad  Olivier  per  dargli  spaccio, 
si  ch'espedito  all'altra  vita  vada; 
o  non  lasciare  almen  ch'esca  d'impaccio, 
ma  che  si  stia  sotto  '1  cavallo  a  bada. 
Olivier  c'ha  di  sopra  il  miglior  braccio, 
si  che  si  pu6  difender  con  la  spada, 
di  qua  di  la  tanto  percuote  e  punge, 
che  quanta  e  lunga  fa  Sobrin  star  lunge. 

xc 

Spera,  s'alquanto  il  tien  da  s6  rispinto, 
in  poco  spazio  uscir  di  quella  pena. 
Tutto  di  sangue  il  vede  mblle  e  tinto, 
e  che  ne  versa  tanto  in  su  1' arena, 
che  gli  par  ch'abbia  tosto  a  restar  vinto: 
debole  e  si,  che  si  sostiene  a  pena. 
Fa  per  levarsi  Olivier  molte  prove, 
n6  da  dosso  il  destrier  per6  si  muove. 

xci 

Trovato  ha  Brandimarte  il  re  Agramante, 
e  cominciato  a  tempestargli  intorno  : 
or  con  Frontin  gli  e  al  fianco,  or  gli  e  davante, 
con  quel  Frontin  che  gira  come  un  torno. 
Buon  cavallo  ha  il  figliuol  di  Monodante: 
non  1'ha  peggiore  il  re  di  Mezzogiorno; 
ha  Brigliador  che  gli  don6  Ruggiero 
poi  che  lo  tolse  a  Mandricardo  altiero. 


1072  ORLANDO   FURIOSO 

XCII 

Vantaggio  ha  bene  assai  de  Farmatura; 
a  tutta  prova  1'ha  buona  e  perfetta. 
Brandimarte  la  sua  tolse  a  venture, 
qual  pote  avere  a  tal  bisogno  in  fretta: 
ma  sua  animosita  si  Passicura, 
ch'in  miglior  tosto  di  cangiarla  aspetta; 
come  che  }1  re  african  djaspra  percossa 
la  spalla  destra  gli  avea  fatta  rossa; 

XCIII 

e  serbi  da  Gradasso  anco  nel  fianco 
piaga  da  non  pigliar  per6  da  giuoco. 
Tanto  1'attese  al  varco  il  guerrier  franco, 
che  di  cacciar  la  spada  trov6  loco. 
Spezz6  lo  scudo,  e  feri  il  braccio  manco, 
e  poi  ne  la  man  destra  il  tocc6  un  poco. 
Ma  questo  un  scherzo  si  pu6  dire  e  un  spasso 
verso  quel  che  fa  Orlando  e  '1  re  Gradasso. 

xciv 

Gradasso  ha  mezzo  Orlando  disarmato; 
Felmo  gli  ha  in  cima  e  da  dui  lati  rotto, 
e  fattogli  cader  lo  scudo  al  prato, 
osbergo  e  maglia  apertagli  di  sotto: 
non  Tha  ferito  gia,  ch'era  affatato. 
Ma  il  paladino  ha  lui  peggio  condotto: 
in  faccia,  ne  la  gola,  in  mezzo  il  petto 
1'ha  ferito,  oltre  a  quel  che  gfe  v'ho  detto. 

xcv 

Gradasso  disperato,  che  si  vede 
del  proprio  sangue  tutto  molle  e  brutto, 
e  ch'Orlando  del  suo  dal  capo  al  piede 
sta  dopo  tanti  colpi  ancora  asciutto; 
leva  il  brando  a  due  mani,  e  ben  si  crede 
partirgli  il  capo,  il  petto,  il  ventre  e  '1  tutto: 
e  a  punto,  come  vuol,  sopra  la  fronte 
percuote  a  mezza  spada  il  fiero  conte. 


CANTO    QUARANTESIMOPRIMO  1073 

XCVI 

E  s'era  altro  ch'Orlando,  Tavria  fatto, 
Favria  sparato  fin  sopra  la  sella: 
ma  come  colto  1'avesse  di  piatto, 
la  spada  ritorno  lucida  e  bella. 
De  la  percossa  Orlando  stupefatto, 
vide  mirando  in  terra  alcuna  stellar 
lascio  la  briglia,  e  Jl  brando  avria  lasciato; 
ma  di  catena  al  braccio  era  legato. 

xcvn 

Del  suon  del  colpo  fu  tanto  smarrito 
il  corridor  ch' Orlando  avea  sul  dorso, 
che  discorrendo  il  polveroso  lito, 
mostrando  gia  quanto  era  buono  al  corso. 
De  la  percossa  il  conte  tramortito, 
non  ha  valor  di  ritenergli  il  morso. 
Segue  Gradasso,  e  Tavria  tosto  giunto, 
poco  piu  che  Baiardo  avesse  punto. 

XCVIII 

Ma  nel  voltar  degli  occhi,  il  re  Agramante 
vide  condotto  airultimo  periglio: 
che  ne  1'elmo  il  figliuol  di  Monodante 
col  braccio  manco  gli  ha  dato  di  piglio; 
e  glie  1'ha  dislacciato  gia  davante, 
e  tenta  col  pugnal  nuovo  consiglio: 
ne"  gli  pub  far  quel  re  difesa  molta, 
perche  di  man  gli  ha  ancor  la  spada  tolta. 

xcix 

Volta  Gradasso,  e  piu  non  segue  Orlando, 
ma  dove  vede  il  re  Agramante  accorre. 
L'incauto  Brandimarte,  non  pensando 
ch'Orlando  costui  lasci  da  se  t6rre, 
non  gli  ha  n6  gli  occhi  n6  '1  pensiero,  instando 
il  colt  el  ne  la  gola  al  pagan  porre. 
Giunge  Gradasso,  e  a  tutto  suo  potere 
con  la  spada  a  due  man  Telmo  gli  fere. 


1074  ORLANDO   FURIOSO 

C 

Padre  del  ciel,  da  fra  gli  eletti  tuoi 
spiriti  luogo  al  martir  tuo  fedeie, 
che  giunto  al  fin  de5  ternpestosi  suoi 
viaggi,  in  porto  ormai  lega  le  vele. 
Ah  Durindana,  dunque  esser  tu  puoi 
al  tuo  signore  Orlando  si  crudele, 
che  la  piu  grata  compagnia  e  piu  fida 
ch'egli  abbia  al  mondo,  inanzi  tu  gli  uccida? 

ci 

Di  ferro  un  cerchio  grosso  era  duo  dita 
intorno  alPelmo,  e  fu  tagliato  e  rotto 
dal  gravissimo  colpo,  e  fu  partita 
la  cuffia  de  Pacciar  ch'era  di  sotto. 
Brandimarte  con  faccia  sbigottita 
giu  del  destrier  si  riverscio  di  botto; 
e  fuor  del  capo  fe*  con  larga  vena 
correr  di  sangue  un  flume  in  su  Parena. 

cn 

II  conte  si  risente,  e  gli  occhi  gira, 
et  ha  il  suo  Brandimarte  in  terra  scorto ; 
e  sopra  in  atto  il  Serican  gli  mira, 
che  ben  conoscer  puo  che  glie  Pha  morto. 
Non  so  se  in  lui  pote"  piu  il  duolo  o  Pira; 
ma  da  piangere  il  tempo  avea  si  corto, 
che  resto  il  duolo,  e  Pira  usci  piu  in  fretta. 
Ma  tempo  e  omai  che  fine  al  canto  io  metta. 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  1075 


CANTO   QUARANTESIMOSECONDO 


I 

Qual  duro  freno  o  qual  ferrigno  nodo, 
qual,  s'esser  puo,  catena  di  diamante 
fara  che  Pira  servi  ordine  e  modo, 
che  non  trascorra  oltre  al  prescritto  inante, 
quando  persona  che  con  saldo  chiodo 
t'abbia  gia  fissa  Amor  nel  cor  constante, 
tu  vegga  o  per  violenzia  o  per  inganno 
patire  o  disonore  o  mortal  danno? 

n 

E  s'a  crudel,  s'ad  inumano  effetto 
queH'impeto  talor  1'animo  svia, 
merita  escusa,  perche  allor  del  petto 
non  ha  ragione  imperio  ne  balia. 
Achille,  poi  che  sotto  il  falso  elmetto 
vide  Patroclo  insanguinar  la  via, 
d'uccider  chi  Puccise  non  fu  sazio, 
se  nol  traea,  se  non  ne  facea  strazio. 

ill 

Invitto  Alfonso,  simile  ira  accese 
la  vostra  gente  il  di  che  vi  percosse 
la  fronte  il  grave  sasso,  e  si  v'offese, 
ch'ognun  pens6  che  Talma  gita  fosse: 
1'accese  in  tal  furor,  che  non  difese 
vostri  inimici  argini  o  mura  o  fosse, 
che  non  fossino  insieme  tutti  morti, 
senza  lasciar  chi  la  novella  porti. 


1076  ORLANDO    FURIOSO 

IV 

II  vedervi  cader  causo  il  dolore 

che  i  vostri  a  furor  mosse  e  a  crudeltade. 

S'eravate  in  pie  voi,  forse  minore 

licenzia  avriano  avute  le  lor  spade. 

Eravi  assai  che  la  Bastia  in  manche  ore 

v'aveste  ritornata  in  potestade, 

che  tolta  in  giorni  a  voi  non  era  stata 

da  gente  cordovese  e  di  Granata. 

v 

Forse  fu  da  Dio  vindice  permesso 
che  vi  trovaste  a  quel  caso  impedito, 
accio  che  '1  crudo  e  scelerato  eccesso 
che  dianzi  fatto  avean,  fosse  punito: 
che  poi  ch'in  lor  man  vinto  si  fu  messo 
il  miser  Vestidel,  lasso  e  ferito, 
senz'arme  fu  tra  cento  spade  ucciso 
dal  popul  la  piii  parte  circonciso. 

VI 

Ma  perch' io  voj  concludere,  vi  dico 
che  nessun'altra  quell'ira  pareggia, 
quando  signor,  parente,  o  sozio  antico 
dinanzi  agli  occhi  ingiuriar  ti  veggia. 
Dunque  e  ben  dritto  per  si  caro  amico, 
che  subit'ira  il  cor  d'Orlando  feggia; 
che  de  Forribil  colpo  che  gli  diede 
il  re  Gradasso,  morto  in  terra  il  vede. 

vn 

Qual  Nomade  pastor  che  vedut'abbia 
fuggir  strisciando  Porrido  serpente 
che  il  figliuol  che  giocava  ne  la  sabbia 
ucciso  gli  ha  col  venenoso  dente, 
stringe  il  baston  con  colera  e  con  rabbia; 
tal  la  spada  d'ogni  altra  piu  tagliente 
stringe  con  ira  il  cavallier  d'Anglante: 
il  primo  che  trovo  fu  '1  re  Agramante; 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  1077 

VIII 

che  sanguinoso  e  de  la  spada  privo, 
con  mezzo  scudo  e  con  Telmo  disciolto, 
e  ferito  in  piu  parti  ch'io  non  scrivo, 
s'era  di  man  di  Brandimarte  tolto, 
come  di  pie  all'astor  sparvier  mal  vivo, 
a  cui  lascio  alia  coda  invido  o  stolto. 
Orlando  giunse,  e  messe  il  colpo  giusto 
ove  il  capo  si  termina  col  busto. 

IX 

Sciolto  era  1'elmo  e  disarmato  il  collo, 
si  che  lo  tagK6  netto  come  un  giunco. 
Cadde,  e  die  nel  sabbion  1'ultimo  crollo 
del  regnator  di  Libia  il  grave  trunco. 
Corse  lo  spirto  all'acque,  onde  tirollo 
Caron  nel  legno  suo  col  graffio  adunco. 
Orlando  sopra  lui  non  si  ritarda, 
ma  trova  il  Serican  con  Balisarda. 


Come  vide  Gradasso  d'Agramante 
cadere  il  busto  dal  capo  diviso; 
quel  ch'accaduto  mai  non  gH  era  inante, 
trem.6  nel  core  e  si  smarri  nel  viso; 
e  alFarrivar  del  cavallier  d'Anglante, 
presago  del  suo  mat,  parve  conquiso. 
Per  schermo  suo  partito  alcun  non  prese, 
quando  il  colpo  mortal  sopra  gli  scese. 

XI 

Orlando  lo  feri  nel  destro  fianco 
sotto  Pultima  costa;  e  il  ferro,  irnmerso 
nel  ventre,  un  palmo  usci  dal  lato  manco, 
di  sangue  sin  all'elsa  tutto  asperso. 
Mostrd  ben  che  di  man  fu  del  phi  franco 
e  del  meglior  guerrier  de  Tuniverso 
il  colpo,  ch'un  signor  condusse  a  morte 
di  cui  non  era  in  Pagania  il  piu  forte. 


1078  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Di  tal  vittoria  non  troppo  gioioso, 
presto  di  sella  il  paladin  si  getta; 
e  col  viso  turbato  e  lacrimoso 
a  Brandimarte  suo  corre  a  gran  fretta. 
Gli  vede  intorno  il  campo  sanguinoso: 
1'elmo  che  par  ch'aperto  abbia  una  accctta, 
se  fosse  stato  fral  piu  che  di  scorza, 
difeso  non  1'avria  con  minor  forza. 

XIII 

Orlando  1'elmo  gli  levo  dal  viso, 
e  ritrov6  che  71  capo  sino  al  naso 
fra  1'uno  e  Faltro  ciglio  era  divisor 
ma  pur  gli  e  tanto  spirto  anco  rimaso, 
che  de'  suoi  falli  al  Re  del  paradiso 
pu6  domandar  perdono  anzi  1'occaso; 
e  confortare  il  conte,  che  le  gote 
sparge  di  pianto,  a  pazienzia  puote; 

XIV 

e  dirgli :  —  Orlando,  fa  che  ti  raccordi 

di  me  ne  1'orazion  tue  grate  a  Dio; 

ne  men  ti  raccomando  la  mia  Fiordi  .  .  .  — - 

ma  dir  non  pote  ligi,  e  qui  finio. 

E  voci  e  suoni  d'angeli  concordi 

tosto  in  aria  s'udir  che  1'alma  uscio; 

la  qual  disciolta  dal  corporeo  velo 

fra  dolce  melodia  sail  nel  cielo. 

xv 

Orlando,  ancor  che  far  dovea  allegrezza 
di  si  devoto  fine,  e  sapea  certo 
che  Brandimarte  alia  suprema  altezza 
salito  era;  che  '1  ciel  gli  vide  aperto; 
pur  da  la  umana  volontade,  avezza 
coi  fragil  sensi,  male  era  sofferto 
ch'un  tal  piu  che  fratel  gli  fosse  tolto, 
e  non  aver  di  pianto  umido  il  volto. 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  1079 

XVI 

Sobrin  che  molto  sangue  avea  perduto, 
che  gli  piovea  sul  franco  e  su  le  gote, 
riverso  gia  gran  pezzo  era  caduto, 
e  aver  ne  dovea  ormai  le  vene  v6te. 
Ancor  giacea  Olivier,  ne  riavuto 
il  piede  avea,  ne  riaver  lo  puote 
se  non  ismosso,  e  de  lo  star  che  tanto 
gli  fece  il  destrier  sopra,  mezzo  infranto : 

XVII 

e  se  '1  cognato  non  venia  ad  aitarlo 
(si  come  lacrimoso  era  e  dolente), 
per  s6  medesmo  non  potea  ritrarlo ; 
e  tanta  doglia  e  tal  martir  ne  sente, 
che  ritratto  che  Pebbe,  n£  a  mutarlo 
ne  a  fermarvisi  sopra  era  possente; 
e  n'ha  insieme  la  gamba  si  stordita, 
che  muover  non  si  pu6  se  non  si  aita. 

XVIII 

De  la  vittoria  poco  rallegrosse 
Orlando;  e  troppo  gli  era  acerbo  e  duro 
veder  che  morto  Brandimarte  fosse, 
ne  del  cognato  molto  esser  sicuro. 
Sobrin,  che  vivea  ancora,  ritrovosse, 
ma  poco  chiaro  avea  con  molto  oscuro; 
che  la  sua  vita  per  Fuscito  sangue 
era  vicina  a  rimanere  esangue. 

XIX 

Lo  fece  tor,  che  tutto  era  sanguigno, 
il  conte,  e  medicar  discretamente ; 
e  confortollo  con  parlar  benigno, 
come  se  stato  gli  fosse  parente; 
che  dopo  il  fatto  nulla  di  maligno 
in  s6  tenea,  ma  tutto  era  clemente. 
Fece  dei  morti  arme  e  cavalli  t6rre; 
del  resto  a'  servi  lor  Iasci6  disporre. 


loSo  ORLANDO   FURIOSO 

XX 

Qui  de  la  istoria  mia,  che  non  sia  vera, 
Federico  Fulgoso  e  in  dubbio  alquanto; 
che  con  1'armata  avendo  la  riviera 
di  Barberia  trascorsa  in  ogni  canto, 
capito  quivi,  e  1'isola  si  fiera, 
montuosa  e  inegual  ritrovo  tanto, 
che  non  e,  dice,  in  tutto  il  luogo  strano, 
ove  un  sol  pie  si  possa  metter  piano: 

XXI 

ne  verisimil  tien  che  ne  Palpestre 
scoglio  sei  cavallieri,  il  fior  del  mondo, 
potesson  far  quella  battaglia  equestrc. 
Alia  quale  obiezion  cosi  rispondo: 
ch'a  quel  tempo  una  piazza  de  le  destre, 
che  sieno  a  questo,  avea  lo  scoglio  al  fondo; 
ma  poi  ch'un  sasso  che  '1  tremuoto  apcrse 
le  cadde  sopra,  e  tutta  la  coperse, 

XXII 

Si  che,  o  chiaro  fulgor  de  la  Fulgosa 
stirpe,  o  serena,  o  sempre  viva  luce, 
se  mai  mi  riprendeste  in  questa  cosa, 
e  forse  inanti  a  quello  invitto  duce 
per  cui  la  vostra  patria  or  si  riposa, 
lascia  ogni  odio,  e  in  amor  tutta  s'induce; 
vi  priego  che  non  siate  a  dirgli  tardo 
ch'esser  puo  che  ne  in  questo  io  sia  bugiardo. 

xxin 

In  questo  tempo,  alzando  gli  occhi  al  mare, 
vide  Orlando  venire  a  vela  in  fretta 
un  naviiio  leggier,  che  di  calare 
facea  sembiante  sopra  Pisoletta. 
Di  chi  si  fosse,  io  non  voglio  or  contare, 
perc'ho  piu  d'uno  altrove  che  m'aspetta. 
Veggiamo  in  Francia,  poi  che  spinto  n'hanno 
i  Saracin,  se  mesti  o  lieti  stanno. 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  Io8l 

XXIV 

Veggian  che  fa  quella  fedele  amante  ' 

che  vede  il  suo  contento  ir  si  lontano; 
dico  la  travagliata  Bradamante, 
poi  che  ritrova  il  giuramento  vano, 
ch'avea  fatto  Ruggier  pochi  di  inante, 
udendo  il  nostro  e  Faltro  stuol  pagano. 
Poi  ch'in  questo  ancor  manca,  non  le  avanza 
in  ch'ella  debba  piu  metier  speranza. 

xxv 

E  ripetendo  i  pianti  e  le  querele 
che  pur  troppo  domestiche  le  furo, 
torno  a  sua  usanza  a  nominar  crudele 
Ruggiero,  e  '1  suo  destin  spietato  e  duro. 
Indi  sciogliendo  al  gran  dolor  le  vele, 
il  ciel  che  consentia  tanto  pergiuro, 
ne  fatto  n'avea  ancor  segno  evidente, 
ingiusto  chiama,  debole  e  impotente. 

XXVI 

Ad  accusar  Melissa  si  converse, 
e  maledir  Poracol  de  la  grotta; 
ch'a  lor  mendace  suasion  s'immerse 
nel  mar  d'amore,  ov'e  a  morir  condotta. 
Poi  con  Marfisa  ritorn6  a  dolerse 
del  suo  fratel  che  le  ha  la  fede  rotta: 
con  lei  grida  e  si  sfoga,  e  le  domanda 
piangendo  aiuto,  e  se  le  raccomanda. 

XXVII 

Marfisa  si  ristringe  ne  le  spalle 
e,  quel  sol  che  p6  far,  le  da  conforto; 
ne  crede  che  Ruggier  mai  cosi  falle, 
ch'a  lei  non  debba  ritornar  di  corto. 
E  se  non  torna  pur,  sua  fede  dalle, 
ch'ella  non  patira  si  grave  torto ; 
o  che  battaglia  pigliera  con  esso, 
o  gli  fara  osservar  ci6  c'ha  promesso. 


1082  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

Cosi  fa  ch'ella  un  poco  il  duol  raffrena; 
ch'avendo  ove  sfogarlo,  e  meno  acerbo. 
Or  ch'abbiam  vista  Bradamante  in  pena, 
chiamar  Ruggier  pergiuro,  empio  e  superho; 
veggiamo  ancor,  se  miglior  vita  mena 
il  fratel  suo  che  non  ha  polso  o  nerbo, 
osso  o  medolla  che  non  senta  caldo 
de  le  fiamme  d'amor;  dico  Rinaldo. 

XXIX 

Dico  Rinaldo,  il  qual,  corne  sapete, 
Angelica  la  bella  amava  tanto; 
ne  Favea  tratto  all'amorosa  rete 
si  la  belta  di  lei,  come  Fincanto. 
Aveano  gli  altri  paladin  quiete, 
essendo  ai  Mori  ogni  vigore  affranto: 
tra  i  vincitori  era  rimaso  solo 
egli  captivo  in  amoroso  duolo. 

XXX 

Cento  messi  a  cercar  che  cli  lei  fusse 
avea  mandato,  e  cerconne  egli  stcsso. 
Al  fine  a  Malagigi  si  ridusse, 
che  ne:  bisogni  suoi  Faiuto  spesso, 
A  narrar  il  suo  amor  se  gli  condusse 
col  viso  rosso  e  col  ciglio  demesso; 
indi  lo  priega  che  gli  insegni  dove 
la  desiata  Angelica  si  trove. 

XXXI 

Gran  maraviglia  di  si  strano  caso 
va  rivolgendo  a  Malagigi  il  petto. 
Sa  che  sol  per  Rinaldo  era  rimaso 
d'averla  cento  volte  e  piii  nel  letto: 
et  egli  stesso,  accio  che  persuaso 
fosse  di  questo,  avea  assai  fatto  e  detto 
con  prieghi  e  con  minaccie  per  piegarlo; 
ne  mai  avuto  avea  poter  di  farlo: 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  1083 

XXXII 

e  tanto  piu,  ch'allor  Rinaldo  avrebbe 

tratto  fuor  Malagigi  di  prigione. 

Fare  or  spontaneamente  lo  vorrebbe, 

che  nulla  giova,  e  n'ha  minor  cagione. 

Poi  priega  lui  che  ricordar  si  debbe 

pur  quanto  ha  offeso  in  questo  oltr'a  ragione; 

che  per  negargli  gia,  vi  manco  poco 

di  non  farlo  morire  in  scuro  loco. 

XXXIII 

Ma  quanto  a  Malagigi  le  domande 
di  Rinaldo  importune  piii  pareano, 
tanto  che  Tamor  suo  fosse  piu  grande 
indizio  manifesto  gli  faceano. 
I  prieghi  che  con  lui  vani  non  spande, 
fan  che  subito  immerge  ne  1'oceano 
ogni  memoria  de  la  ingiuria  vecchia, 
e  che  a  dargli  soccorso  s'apparecchia. 

xxxiv 

Termine  tolse  alia  risposta,  e  spene 
gli  die  che  favorevol  gli  saria, 
e  che  gli  sapra  dir  la  via  che  tiene 
Angelica,  o  sia  in  Francia  o  dove  sia. 
E  quindi  Malagigi  al  luogo  viene 
ove  i  demoni  scongiurar  solia, 
ch'era  fra  monti  inaccessibil  grotta: 
apre  il  libro,  e  li  spirti  chiama  in  frotta. 

xxxv 

Poi  ne  sceglie  un  che  dej  casi  d'amore 
avea  notizia,  e  da  lui  saper  voile, 
come  sia  che  Rinaldo  ch'avea  il  core 
dianzi  si  duro,  or  1'abbia  tanto  molle: 
e  di  quelle  due  fonti  ode  il  tenore, 
di  che  Tuna  da  il  fuoco,  e  Faltra  il  tolle; 
e  al  mal  che  Tuna  fa,  nulla  soccorre, 
se  non  Taltra  acqua  che  contraria  corre. 


1084  ORLANDO    Fl'RIOSO 

XXXVI 

Et  ode  come  avendo  gia  di  quella 

che  I'amor  caccia,  beuto  Rinaldo, 

ai  lunghi  prieghi  d' Angelica  bella 

si  dimostro  cosi  ostinato  e  saldo; 

e  che  poi  giunto  per  sua  iniqua  Stella 

a  her  ne  1'altra  1'amoroso  caldo, 

torno  ad  amar,  per  forza  di  quelle  aequt\ 

lei  che  pur  dianzi  oltr'al  dover  gli  spiacque. 

xxxvn 

Da  iniqua  Stella  e  fier  destin  fu  giunto 
a  ber  la  fiamma  in  qucl  ghiacciato  rivo; 
perche  Angelica  venne  quasi  a  un  punto 
a  ber  ne  Paltro  di  dolcezza  privo, 
che  d'ogni  amor  le  lascio  il  cor  si  emunto, 
ch'indi  ebbe  lui  piu  che  !c  serpi  a  schivo: 
egli  amo  lei,  e  I'amor  giunse  al  segno 
in  ch'era  gia  di  lei  Fodio  e  lo  sdegno. 

xxxvrn 

Del  caso  strano  di  Rinaklo  a  pieno 
fu  Malagigi  dal  demonio  instrutto, 
che  gli  narro  d'Angelica  non  mono, 
ch'a  un  giovine  african  si  don6  in  tutto; 
e  come  poi  lasciato  avca  il  terreno 
tutto  d'Europa,  e  per  1'instabil  flutto 
verso  India  sciolto  avea  dai  liti  ispani 
su  1'audaci  galee  de'  Catallani. 

xxxix 

Poi  che  venne  il  cugin  per  la  risposta, 
molto  gli  disuasc  Malagigi 
di  piu  Angelica  amar,  che  s'era  posta 
d'un  vilissimo  barbaro  ai  servigi; 
et  ora  si  da  Francia  si  discosta, 
che  mal  seguir  se  ne  potria  i  vestigi: 
ch'era  oggimai  piu  la  ch*a  mezza  strada, 
per  andar  con  Medoro  in  sua  contrada. 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  1085 

XL 

La  partita  d' Angelica  non  molto 
sarebbe  grave  alFanimoso  amante; 
ne  pur  gli  avria  turbato  il  sonno,  o  tolto 
il  pensier  di  tornarsene  in  Levante: 
ma  sentendo  ch'avea  del  suo  amor  colto 
un  Saracino  le  primizie  inante, 
tal  passione  e  tal  cordoglio  sente, 
che  non  fu  in  vita  sua  mai  piu  dolente. 

XLI 

Non  ha  poter  d'una  risposta  sola; 
triema  il  cor  dentro,  e  trieman  fuor  le  labbia; 
non  pu6  la  lingua  disnodar  parola; 
la  bocca  ha  amara,  e  par  che  tosco  v'abbia. 
Da  Malagigi  subito  s'invola; 
e  come  il  caccia  la  gelosa  rabbia, 
dopo  gran  pianto  e  gran  ramaricarsi, 
verso  Levante  fa  pensier  tornarsi. 

XLII 

Chiede  licenzia  al  figlio  di  Pipino: 
e  trova  scusa  che  '1  destrier  Baiardo, 
che  ne  mena  Gradasso  saracino 
contra  il  dover  di  cavallier  gagliardo, 
lo  muove  per  suo  onore  a  quel  camino, 
acci6  che  vieti  al  Serican  bugiardo 
di  mai  vantarsi  che  con  spada  o  lancia 
Tabbia  levato  a  un  paladin  di  Francia. 

XLIII 

Lasciollo  andar  con  sua  Hcenzia  Carlo, 
ben  che  ne  fu  con  tutta  Francia  mesto; 
ma  fmalmente  non  seppe  negarlo, 
tanto  gli  parve  il  desiderio  onesto. 
Vuol  Dudon,  vuol  Guidone  accompagnarlo ; 
ma  lo  niega  Rinaldo  a  quello  e  a  questo. 
Lascia  Parigi,  e  se  ne  va  via  solo, 
pien  di  sospiri  e  d' amoroso  duolo. 


1086  ORLANDO    FURIOSO 

XLIV 

Sempre  ha  in  memoria,  e  mai  non  se  gli  tollc, 

ch'averla  mille  volte  avea  potuto, 

e  mille  volte  avea  ostinato  e  folle 

di  si  rara  belta  fatto  rifiuto; 

e  di  tanto  piacer  ch'aver  non  voile, 

si  bello  e  si  buon  tempo  era  perduto: 

et  ora  eleggerebbe  un  giorno  corto 

averne  solo,  e  rimaner  poi  morto. 

XLV 

Ha  sempre  in  mente,  e  mai  non  se  ne  partt% 
come  esser  puote  ch'un  povero  fante 
abbia  del  cor  di  lei  spinto  da  parte 
merito  e  amor  d'ogni  altro  primo  amante. 
Con  tal  pensier  che  '1  cor  gli  straccia  e  parte, 
Rinaldo  se  ne  va  verso  Levante; 
e  dritto  al  Reno  e  a  Basilea  si  tiene, 
fin  che  d'Ardenna  alia  gran  selva  viene. 

XLVI 

Poi  che  fu  dentro  a  molte  miglia  andato 
ii  paladin  pel  bosco  aventuroso, 
da  ville  e  da  castella  allontanato, 
ove  aspro  era  piu  il  luogo  e  periglioso, 
tutto  in  un  tratto  vide  il  ciel  turbato, 
sparito  il  sol  tra  nuvoli  nascoso, 
et  uscir  fuor  d'una  caverna  oscura 
un  strano  mostro  in  feminil  figura. 

XLVII 

Miil'occhi  in  capo  avea  senza  palpebre; 
non  pu6  serrarli,  e  non  credo  che  dorma: 
non  men  che  gli  occhi,  avea  Porecchie  crebrc; 
avea  in  loco  de  crin  serpi  a  gran  torma. 
Fuor  de  le  diaboliche  tenebre 
nel  mondo  usci  la  spaventevol  forma. 
Un  fiero  e  maggior  serpe  ha  per  la  coda, 
che  pel  petto  si  gira  e  che  1'annoda. 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  1087 

XLVIII 

Quel  ch'a  Rinaldo  in  mille  e  mille  irnprese 
piu  non  avvenne  mai,  quivi  gli  avviene; 
che  come  vede  il  mostro  ch'all'offese 
se  gli  apparecchia,  e  ch'a  trovar  lo  viene, 
tanta  paura,  quanta  mai  non  scese 
in  altri  forse,  gli  entra  ne  le  vene: 
ma  pur  Tusato  ardir  simula  e  finge, 
e  con  trepida  man  la  spada  stringe. 

XLIX 

S'acconcia  il  mostro  in  guisa  al  fiero  assalto, 
che  si  pu6  dir  che  sia  mastro  di  guerra: 
vibra  il  serpente  venenoso  in  alto, 
e  poi  contra  Rinaldo  si  disserra; 
di  qua  di  la  gli  vien  sopra  a  gran  salto. 
Rinaldo  contra  lui  vaneggia  et  erra: 
colpi  a  dritto  e  a  riverso  tira  assai, 
ma  non  ne  tira  alcun  che  fera  mai. 


II  mostro  al  petto  il  serpe  ora  gli  appicca, 

che  sotto  1'arme  e  sin  nel  cor  1'agghiaccia; 

ora  per  la  visiera  gliele  ficca, 

e  fa  ch'erra  pel  collo  e  per  la  faccia. 

Rinaldo  da  1'impresa  si  dispicca, 

e  quanto  pu6  con  sproni  il  destrier  caccia: 

ma  la  Furia  infernal  gia  non  par  zoppa, 

che  spicca  un  salto,  e  gli  e  subito  in  groppa. 

LI 

Vada  al  traverso,  al  dritto,  ove  si  voglia, 
sempre  ha  con  lui  la  maledetta  peste; 
n6  sa  modo  trovar,  che  se  ne  scioglia, 
ben  che  '1  destrier  di  calcitrar  non  reste. 
Triema  a  Rinaldo  il  cor  come  una  foglia: 
non  ch'altrimente  il  serpe  lo  moleste; 
ma  tanto  orror  ne  sente  e  tanto  schivo, 
che  stride  e  geme,  e  duolsi  ch'egli  e  vivo. 


1088  ORLANDO    FURIOSO 

LII 

Nel  piu  tristo  sender,  nel  peggior  calle 

scorrendo  va,  nel  piu  intricate  bosco, 

ove  ha  piu  asprezza  il  balzo,  ove  la  valle 

e  piu  spinosa,  ov'e  1'aer  piu  fosco, 

cosi  sperando  torsi  da  le  spalle 

quel  brutto,  abominoso,  orrido  tosco; 

e  ne  sari  a  mal  capitate  forse, 

se  tosto  non  giungea  chi  lo  soccorse. 

LIII 

Ma  lo  soccorse  a  tempo  un  cavalliero 
di  bello  armato  e  lucido  metallo, 
che  porta  un  giogo  rotto  per  cimiero, 
di  rosse  fiamme  ha  pien  lo  scudo  giallo; 
cosi  trapunto  il  suo  vestire  altiero, 
cosi  la  sopravesta  del  cavallo: 
la  lancia  ha  in  pugno,  e  la  spada  al  suo  loco, 
e  la  mazza  all'arcion  che  getta  foco. 

LIV 

Piena  d'un  foco  eterno  e  quella  mazza, 
che  senza  consumarsi  ognora  avampa: 
ne  per  buon  scudo  o  tempra  di  corazza 
o  per  grossezza  d'elmo  se  ne  scampa. 
Dunque  si  debbe  ii  cavallier  far  piazza, 
giri  ove  vuol  Finestinguibil  lampa: 
ne  manco  bisognava  al  guerrier  nostro, 
per  levarlo  di  man  del  crudel  mostro. 

LV 

E  come  cavallier  d'animo  saldo, 
ove  ha  udito  il  rumor,  corre  e  galoppa, 
tanto  che  vede  il  mostro  che  Rinaldo 
col  brutto  serpe  in  mille  nodi  agroppa, 
e  sentir  fagli  a  un  tempo  freddo  e  caldo; 
che  non  ha  via  di  torlosi  di  groppa. 
Va  il  cavalliero,  e  fere  il  mostro  al  franco, 
e  lo  fa  trabboccar  dal  lato  manco. 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  1089 

LVI 

Ma  quello  e  a  pena  in  terra  che  si  rizza, 
e  il  lungo  serpe  intorno  aggira  e  vibra. 
Quest'altro  piu  con  Pasta  non  1'attizza; 
ma  di  farla  col  fuoco  si  delibra. 
La  mazza  impugna,  e  dove  il  serpe  guizza, 
spessi  come  tempesta  i  colpi  libra; 
ne  lascia  tempo  a  quel  brutto  animale, 
che  possa  fame  un  solo  o  bene  o  male: 

LVII 

e  mentre  a  dietro  il  caccia  o  tiene  a  bada, 
e  lo  percuote,  e  vendica  mille  onte, 
consiglia  il  paladin  che  se  ne  vada 
per  quella  via  che  s'alza  verso  il  monte. 
Quel  s'appiglia  al  consiglio  et  alia  strada; 
e  senza  dietro  mai  volger  la  fronte, 
non  cessa,  che  di  vista  se  gli  tolle, 
ben  che  molto  aspro  era  a  salir  quel  colle. 

LVIII 

II  cavallier,  poi  ch'alla  scura  buca 
fece  tornare  il  mostro  da  Tinferno, 
ove  rode  se  stesso  e  si  manuca, 
e  da  mille  occhi  versa  il  pianto  eterno; 
per  esser  di  Rinaldo  guida  e  duca 
gli  sali  dietro,  e  sul  giogo  superno 
gli  fu  alle  spalle,  e  si  mise  con  lui 
per  trarlo  fuor  de'  luoghi  oscuri  e  bui. 

LIX 

Come  Rinaldo  il  vide  ritornato, 
gli  disse  che  gli  avea  grazia  infinita, 
e  ch'era  debitore  in  ogni  lato 
di  porre  a  beneficio  suo  la  vita. 
Poi  lo  domanda  come  sia  nomato, 
acci6  dir  sappia  chi  gli  ha  dato  aita, 
e  tra  guerrieri  possa  e  inanzi  a  Carlo 
de  Palta  sua  bonta  sempre  esaltarlo. 


ORLANDO    FURIOSO 
LX 

Rispose  il  cavallier:  —  Non  ti  rincresca 
se  Jl  nome  mio  scoprir  non  ti  voglfora: 
ben  tel  diro  prima  ch'un  passo  cresca 
Fombra;  che  ci  sara  poca  dimora. — 
Trovaro,  andando  insicmc,  un'acqua  frcsca 
che  col  suo  mormorio  facea  talora 
pastori  e  viandanti  al  chiaro  rio 
venire,  e  berne  1'amoroso  oblio. 

LXI 

Signer,  queste  eran  quelle  gelide  acque, 
quelle  che  spengon  Famoroso  cakio, 
di  cut  bevendo  ad  Angelica  nacque 
Podio  ch'ebbe  dipoi  sempre  a  Rinaldo. 
E  s'ella  un  tempo  a  lui  prima  dispiacque, 
e  se  ne  Podio  il  ritrov6  si  saldo, 
non  derivd,  Signor,  la  causa  altronde, 
se  non  d'aver  beuto  di  queste  onde. 

LXII 

II  cavallier  che  con  Rinaldo  viene, 
come  si  vede  inanzi  al  chiaro  rivo, 
caldo  per  la  fatica  il  destrier  tiene, 
e  dice :  —  II  posar  qui  non  fia  nocivo. 
—  Non  fia  —  disse  Rinaldo  —  se  non  bene; 
ch'oltre  che  prema  il  mezzogiorno  estivo, 
m'ha  cosi  il  brutto  mostro  travagliato, 
che  '1  riposar  mi  fia  commodo  e  grato.  — 

LXIH 

L'un  e  Paltr6  smontd  del  suo  cavallo, 
e  pascer  lo  Iasci6  per  la  foresta; 
e  nel  fiorito  verde  a  rosso  e  a  giallo 
ambi  si  trasson  I'elmo  de  la  testa. 
Corse  Rinaldo  al  liquido  cristallo, 
spinto  da  caldo  e  da  sete  molesta, 
e  caccid,  a  un  sorso  del  freddo  liquore, 
dal  petto  ardente  e  la  sete  e  Tamore. 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO 
LXIV 

Quando  lo  vide  Taltro  cavalliero 

la  bocca  sollevar  de  Tacqua  mo  lie, 

e  ritrarne  pentito  ogni  pensiero 

di  quel  desir  ch'ebbe  d'amor  si  folle; 

si  levo  ritto,  e  con  sembiante  altiero 

gli  disse  quel  che  dianzi  dir  non  voile  : 

—  Sappi,  Rinaldo,  il  nome  mio  e  lo  Sdegno, 

venuto  sol  per  sciorti  il  giogo  indegno.  — 

LXV 

Cosi  dicendo,  subito  gli  sparve, 
e  sparve  insieme  il  suo  destrier  con  lui. 
Questo  a  Rinaldo  un  gran  miracol  parve; 
s'aggiro  intorno,  e  disse :  —  Ove  e  costui  ?  — 
Stimar  non  sa  se  sian  magiche  larve, 
che  Malagigi  un  dej  ministri  sui 
gli  abbia  mandato  a  romper  la  catena 
che  lungamente  1'ha  tenuto  in  pena: 

LXVI 

o  pur  che  Dio  da  Talta  ierarchia 
gli  abbia  per  ineffabil  sua  bontade 
mandato,  come  gia  mand6  a  Tobia, 
un  angelo  a  levar  di  cecitade. 
Ma  buono  o  rio  demonio,  o  quel  che  sia, 
che  gli  ha  renduta  la  sua  libertade, 
ringrazia  e  loda;  e  da  lui  sol  conosce 
che  sano  ha  il  cor  da  I'amorose  angosce. 

LXVII 

Gli  fu  nel  primier  odio  ritornata 
Angelica;  e  gli  parve  troppo  indegna 
d'esser,  non  che  si  lungi  seguitata, 
ma  che  per  lei  pur  mezza  lega  vegna. 
Per  Baiardo  riaver  tutta  fiata 
verso  India  in  Sericana  andar  disegna, 
si  perche  1'onor  suo  lo  stringe  a  farlo, 
si  per  averne  gia  parlato  a  Carlo. 


1092  ORLANDO  FURIOSO 

LXVIII 

Giunse  il  giorno  seguente  a  Basilea, 
ove  la  nuova  era  venuta  inante, 
che  '1  conte  Orlando  aver  pugna  dovea 
contra  Gradasso  e  contra  il  re  Agramante, 
Ne  questo  per  aviso  si  sapea, 
ch'avesse  dato  il  cavallier  d'Anglantc; 
ma  di  Sicilia  in  fretta  venut'era 
chi  la  novella,  v'apporto  per  vera. 

LXIX 

Rinaldo  vuol  trovarsi  con  Orlando 
alia  battaglia,  e  se  ne  vede  lunge. 
Di  dieci  in  dieci  miglia  va  mutando 
cavalli  e  guide,  e  corre  e  sferza  e  pungc. 
Passa  il  Reno  a  Costanza,  e  in  su  volando, 
traversa  1'Alpe,  et  in  Italia  giunge. 
Verona  a  dietro,  a  dietro  Mantua  lassa; 
sul  Po  si  trova,  e  con  gran  fretta  il  passa. 

LXX 

Gia  s'inchinava  il  sol  molto  alia  sera, 
e  gia  apparia  nel  ciel  la  prima  Stella, 
quando  Rinaldo  in  ripa  alia  riviera 
stando  in  pensier  s'avea  da  mutar  sella, 
o  tanto  soggiornar,  che  1'aria  nera 
fuggisse  inanzi  alPaltra  aurora  bella, 
venir  si  vede  un  cavalliero  inanti 
cortese  ne  Paspetto  e  nei  sembianti. 

LXXI 

Costui,  dopo  il  saluto,  con  bel  modo 
gli  domandd  s'aggiunto  a  moglie  fosse, 
Disse  Rinaldo :  —  lo  son  nel  giugai  nodo  — ; 
ma  di  tal  domandar  maravigliosse. 
Soggiunse  quel:  —  Che  sia  cosl,  ne  godo.  — 
Poi,  per  chiarir  perch^  tal  detto  mosse, 
disse:  —  lo  ti  priego  che  tu  sia  contento 
ch'io  ti  dia  questa  sera  alloggiamento ; 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  1093 

LXXII 

che  ti  far6  veder  cosa  che  debbe 
ben  volentier  veder  chi  ha  moglie  a  lato.  — 
Rinaldo,  si  perche  posar  vorrebbe, 
ormai  di  correr  tanto  affaticato ; 
si  perche"  di  vedere  e  d'udire  ebbe 
sempre  aventure  un  desiderio  innato; 
accetto  I'ofTerir  del  cavalliero, 
e  dietro  gli  piglio  nuovo  sentiero. 

LXXIII 

Un  tratto  d'arco  fuor  di  strada  usciro, 
e  inanzi  un  gran  palazzo  si  trovaro, 
onde  scudieri  in  gran  frotta  veniro 
con  torchi  accesi,  e  fero  intorno  chiaro. 
Entr6  Rinaldo,  e  volt6  gli  occhi  in  giro, 
e  vide  loco  il  qual  si  vede  raro, 
di  gran  fabrica  e  bella  e  bene  intesa; 
ne  a  privato  uom  convenia  tanta  spesa. 

LXXIV 

Di  serpentin,  di  porfido  le  dure 
pietre  fan  de  la  porta  il  ricco  vc-lto. 
Quel  che  chiude  e  di  bronzo,  con  figure 
che  sembrano  spirar,  muovere  il  volto. 
Sotto  un  arco  poi  s'entra,  ove  misture 
di  bel  musaico  ingannan  Tocchio  molto. 
Quindi  si  va  in  un  quadro  ch'ogni  faccia 
de  le  sue  loggie  ha  lunga  cento  braccia. 

LXXV 

La  sua  porta  ha  per  se  ciascuna  loggia, 
e  tra  la  porta  e  s6  ciascuna  ha  un  arco : 
d'ampiezza  pari  son,  ma  varia  foggia 
fe?  d'ornamenti  il  mastro  lor  non  parco. 
Da  ciascuno  arco  s'entra,  ove  si  poggia 
si  facil,  ch'un  somier  vi  pu6  gir  carco. 
Un  altro  arco  di  su  trova  ogni  scala; 
e  s'entra  per  ogni  arco  in  una  sala. 


1094  ORLANDO    FURIOSO 

LXXVI 

Gli  archi  di  sopra  escono  fuor  del  segno 
tanto,  che  fan  coperchio  alle  gran  porte; 
e  ciascun  due  colonne  ha  per  sostegno, 
altre  di  bronzo,  altre  di  pietra  forte. 
Lungo  sara,  se  tutti  vi  disegno 
gli  ornati  alloggiamenti  de  la  corte; 
e  oltr'a  quel  ch'appar,  quanti  agi  sotto 
la  cava  terra  il  mastro  avea  ridotto. 

LXXVII 

L'alte  colonne  e  i  capitelli  d'oro, 
da  che  i  gemmati  palchl  eran  suffulti, 
i  peregrini  marmi  che  vi  foro 
da  dotta  mano  in  varie  forme  sculti, 
pitture  e  getti,  e  tanfaltro  lavoro 
(ben  che  la  notte  agli  occhi  il  piu  ne  occulti), 
mostran  che  non  bastaro  a  tanta  mole 
di  duo  re  insieme  le  ricchezze  sole. 

LXXVIII 

Sopra  gli  altri  ornamenti  ricchi  e  belli, 
ch'erano  assai  ne  la  gioconda  stanza, 
v'era  una  fonte  che  per  piu  ruscelli 
spargea  freschissime  acque  in  abondanza. 
Poste  le  mense  avean  quivi  i  donzelli; 
ch'era  nel  mezzo  per  ugual  distanza: 
vedeva,  e  parimente  veduta  era 
da  quattro  porte  de  la  casa  altiera. 

LXXIX 

Fatta  da  mastro  diligente  e  dotto 
la  fonte  era  con  molta  e  suttil  opra, 
di  loggia  a  guisa,  o  padiglion  ch'in  otto 
faccie  distinto  intorno  adombri  e  cuopra. 
Un  ciel  d'oro,  che  tutto  era  di  sotto 
colorito  di  smalto,  le  sta  sopra; 
et  otto  statue  son  di  marmo  bianco, 
che  sostengon  quel  ciel  col  braccio  manco. 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  IOQ5 

LXXX 

Ne  la  man  destra  il  corno  d'Amaltea 
sculto  avea  lor  Pingenioso  mastro, 
onde  con  grato  murmure  cadea 
Pacqua  di  fuore  in  vaso  d'alabastro; 
et  a  sembianza  di  gran  donna  avea 
ridutto  con  grande  arte  ogni  pilastro. 
Son  d'abito  e  di  faccia  differente, 
ma  grazia  hanno  e  belta  tutte  ugualmente. 

LXXXI 

Fermava  il  pi&  ciascun  di  questi  segni 
sopra  due  belle  imagini  piu  basse, 
che  con  la  bocca  aperta  facean  segni 
che  '1  canto  e  Tarmonia  lor  dilettasse; 
e  quell'atto  in  che  son,  par  che  disegni 
che  1'opra  e  studio  lor  tutto  lodasse 
le  belle  donne  che  sugli  omeri  hanno, 
se  fosser  quei  di  cu'  in  sembianza  stanno. 

LXXXII 

I  simulacri  inferiori  in  mano 
avean  lunghe  et  amplissime  scritture, 
ove  facean  con  molta  laude  piano 
i  nomi  de  le  piu  degne  figure; 
e  mostravano  ancor  poco  lontano 
i  propri  loro  in  note  non  oscure. 
Miro  Rinaldo  a  lume  di  doppieri 
le  donne  ad  una  ad  una  e  i  cavallieri. 

LXXXIII 

La  prima  inscrizion  ch'agli  occhi  occorre 
con  lungo  onor  Lucrezia  Borgia  noma, 
la  cui  bellezza  et  onesta  preporre 
debbe  all'antiqua  la  sua  patria  Roma. 
I  duo  che  voluto  han  sopra  se  t6rre 
tanto  eccellente  et  onorata  soma, 
noma  lo  scritto,  Antonio  Tebaldeo, 
Ercole  Strozza:  un  Lino  et  uno  Orfeo. 


1096  ORL'ANDO  FURIOSO 

LXXXIV 

Non  men  gioconda  statua  ne  men  Bella 
si  vede  appresso,  e  la  scrittura  dice: 
«Ecco  la  figlia  d'Ercole,  Issabella, 
per  cui  Ferrara  si  terra  felice 
via  piu,  perche  in  lei  nata  sara  quella, 
che  d'altro  ben  che  prospera  e  fau trice 
e  benigna  Fortuna  dar  le  dcvc, 
volgendo  gli  anni  nel  suo  corso  lieve. » 

LXXXV 

I  duo  che  mostran  disiosi  affetti 
che  la  gloria  di  lei  sempre  risuonc, 
Gian  lacobi  ugualmente  erano  detti, 
Puno  Calandra,  e  Paltro  Bardelone. 
Nel  terzo  e  quarto  loco  ove  per  stretti 
rivi  Pacqua  esce  fuor  del  padiglione, 
due  donne  son,  che  patria,  stirpe,  onore 
hanno  di  par,  di  par  belta  e  valore, 

LXXXVI 

Elisabetta  Tuna,  e  Leonora 
nominata  era  Paltra:  e  fia,  per  quanto 
narrava  il  marmo  sculto,  d'esse  ancora 
si  gloriosa  la  terra  di  Manto, 
che  di  Vergilio,  che  tanto  Tonora, 
piu  che  di  queste,  non  si  dara  vanto. 
Avea  la  prima  a  pie  del  sacro  lembo 
lacobo  Sadoletto  e  Pietro  Bembo, 

LXXXVII 

Uno  elegante  Castiglione,  e  un  culto 
Muzio  Arelio  de  Taltra  eran  sostegni. 
Di  questi  nomi  era  il  bel  marmo  sculto, 
ignoti  allora,  or  si  famosi  e  degni. 
Veggon  poi  quella  a  cui  dal  cielo  indulto 
tanta  virtu  sara,  quanta  ne  regni, 
o  mai  regnata  in  alcun  tempo  sia, 
versata  da  Fortuna  or  buona  or  ria. 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  1097 

LXXXVIII 

Lo  scritto  cToro  esser  costei  dichiara 

Lucrezia  Bentivoglia;  e  fra  le  lode 

pone  di  lei,  che  '1  duca  di  Ferrara 

d'esserle  padre  si  rallegra  e  gode. 

Di  costei  canta  con  soave  e  .chiara 

voce  un  Camil  che  '1  Reno  e  Felsina  ode 

con  tanta  attention,  tanto  stupore, 

con  quanta  Anfriso  udi  gia  il  suo  pastore; 

LXXXIX 

et  un  per  cui  la  terra,  ove  Tlsauro 
le  sue  dolci  acque  insala  in  maggior  vase, 
nominata  sara  da  1'Indo  al  Mauro, 
e  da  1'austrine  all'iperboree  case, 
via  piu  che  per  pesare  il  romano  auro, 
di  che  perpetuo  nome  le  rimase; 
Guido  Postumo,  a  cui  doppia  corona 
Pallade  quinci,  e  quindi  Febo  dona. 

xc 

L'altra  che  segue  in  ordine  e  Diana. 
«Non  guardar»  dice  il  marmo  scritto  ccch'ella 
sia  altiera  in  vista;  che  nel  core  umana 
non  sara  per6  men  ch'in  viso  bella. » 
II  dotto  Celio  Calcagnin  lontana 
fara  la  gloria  e  '1  bel  nome  di  quella 
nel  regno  di  Monese,  in  quel  di  luba, 
in  India  e  Spagna  udir  con  chiara  tuba: 

xci 

et  un  Marco  Cavallo,  che  tal  fonte 
fara  di  poesia  nascer  d'Ancona, 
qual  fe'  il  cavallo  alato  uscir  del  monte, 
non  so  se  di  Parnasso  o  d'Elicona. 
Beatrice  appresso  a  questo  alza  la  fronte, 
di  cui  lo  scritto  suo  cosi  ragiona: 
((Beatrice  bea,  vivendo,  il  suo  consorte, 
e  lo  lascia  infelice  alia  sua  morte; 


1098  ORLANDO    FURIOSO 

XCII 

anzi  tutta  P  Italia,  che  con  lei 
fia  triunfante,  e  senza  lei  captiva. » 
Un  signer  di  Coreggio  di  costei 
con  alto  stil  par  che  cantando  scriva, 
e  Timoteo,  1'onor  de*  Bendedci: 
ambi  faran  tra  Tuna  e  Paltra  riva 
fermare  al  suon  dej  lor  soavi  plcttri 
il  flume  ore  sudar  gli  antiqui  elettri. 

xcin 

Tra  questo  loco  e  quel  de  la  colonna 
che  fu  sculpita  in  Borgia,  com'e  detto, 
formata  in  alabastro  una  gran  donna 
era  di  tanto  e  si  sublime  aspetto, 
che  sotto  puro  velo,  in  nera  gonna, 
senza  oro  e  gemme,  in  un  vestire  schietto, 
tra  le  piu  adorne  non  parea  men  bella, 
che  sia  tra  Paltre  la  ciprigna  Stella, 

xciv 

Non  si  potea,  ben  contemplando  fiso, 
conoscer  se  piu  grazia  o  piu  beltade, 
o  maggior  maesta  fosse  nel  viso, 
o  piu  indizio  d'ingegno  o  d'onestade, 
«  Chi  vorra  di  costei »  dicea  Pinciso 
marmo  tcparlar,  quanto  parlar  n'accade, 
ben  torra  impresa  piu  d'ogn'altra  degna; 
ma  non  pero  ch'a  fin  mai  se  ne  vegna, » 

xcv 

Dolce  quantunque  e  pien  di  grazia  tanto 
fosse  il  suo  bello  e  ben  formato  segno, 
parea  sdegnarsi  che  con  umil  canto 
ardisse  lei  lodar  si  rozzo  ingegno? 
com'era  quel  che  sol,  senz'altri  a  canto 
(non  so  perche"),  le  fu  fatto  sostegno. 
Di  tutto  *1  resto  erano  i  nomi  sculti; 
sol  questi  duo  1'artefice  avea  occulti. 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  1099 

XCVI 

Fanno  le  statue  in  mezzo  un  luogo  ton  do, 

che  '1  pavimento  asciutto  ha  di  corallo, 

di  freddo  soavissimo  giocondo, 

che  rendea  il  puro  e  liquido  cristallo, 

che  di  fuor  cade  in  un  canal  fecondo, 

che  '1  prato  verde,  azzurro,  bianco  e  giallo 

rigando,  scorre  per  vari  ruscelli, 

grato  alle  morbide  erbe  e  agli  arbuscelli. 

XCVII 

Col  cortese  oste  ragionando  stava 
il  paladino  a  mensa;  e  spesso  spesso, 
senza  piti  differir,  gli  ricordava 
che  gli  attenesse  quanto  avea  promesso: 
e  ad  or  ad  or  mirandolo,  osservava 
ch'avea  di  grande  affanno  il  core  oppresso; 
che  non  pu6  star  momento  che  non  abbia 
un  cocente  sospiro  in  su  le  labbia. 

XCVIII 

Spesso  la  voce  dal  disio  cacciata 
viene  a  Rinaldo  sin  presso  alia  bocca 
per  domandarlo ;  e  quivi,  raffrenata 
da  cortese  modestia,  fuor  non  scocca. 
Ora  essendo  la  cena  terminata, 
ecco  un  donzello  a  chi  I'ufficio  tocca, 
pon  su  la  mensa  un  bel  nappo  d'or  fino, 
di  fuor  di  gemme,  e  dentro  pien  di  vino. 

xcix 

II  signor  de  la  casa  allora  alquanto 
sorridendo,  a  Rinaldo  Iev6  il  viso; 
ma  chi  ben  lo  notava,  piu  di  pianto 
parea  ch'avesse  voglia  che  di  riso. 
Disse :  —  Ora  a  quel  che  mi  ricordi  tanto, 
che  tempo  sia  di  sodisfar  m'e  aviso ; 
mostrarti  un  paragon  ch'esser  de'  grato 
di  vedere  a  ciascun  c'ha  moglie  allato. 


1 100  ORLANDO    FURIOSO 

C 

Ciascun  marito,  a  mio  giudizio,  deve 

sempre  spiar  se  la  sua  donna  I'arna; 

saper  s'onore  o  blasmo  ne  riceve, 

se  per  lei  bestia,  o  se  pur  uom  si  chiania. 

L'incarco  de  le  corna  e  lo  piu  lieve 

ch'al  mondo  sia,  se  ben  I'uom  tanto  infama: 

10  vede  quasi  tutta  Taltra  gente; 

e  chi  Tha  in  capo,  mai  non  se  lo  sente. 

cr 

Se  tu  sai  che  fedel  la  moglie  sia, 
hai  di  piu  amarla  e  d'onorar  ragione, 
che  non  ha  quel  che  la  conosce  ria, 

0  quel  che  ne  sta  in  dubbio  e  in  passionc. 
Di  molte  n'hanno  a  torto  gelosia 

1  lor  mariti,  che  son  caste  e  buone: 
molti  di  molte  anco  sicuri  stanno, 
che  con  le  corna  in  capo  se  ne  vanno. 

en 

Se  vuoi  saper  se  la  tua  sia  pudica 
(come  io  credo  che  credi,  e  creder  dei ; 
ch'altrimente  far  credere  e  fatica, 
se  chiaro  gia  per  prova  non  ne  set), 
tu  per  te  stesso,  senza  ch'altri  il  dica, 
te  n'avvedrai,  s'in  questo  vaso  bei; 
che  per  altra  cagion  non  e  qui  messo, 
che  per  mostrarti  quanto  io  t'ho  promesso. 

cm 

Se  bei  con  questo,  vedrai  grande  effetto; 
che  se  porti  il  cimier  di  Cornovaglia, 

11  vin  ti  spargerai  tutto  sul  petto, 
ne  gocciola  sara  ch'in  bocca  saglia: 
ma  s'hai  moglie  fedel,  tu  berai  netto. 
Or  di  veder  tua  sorte  ti  travaglia.  — 
Cosi  dicendo,  per  mirar  tien  gli  occhi, 
ch'in  seno  il  vin  Rinaldo  si  trabbocchi. 


CANTO    QUARANTESIMOSECONDO  IIOI 

CIV 

Quasi  Rinaldo  di  cercar  suaso 
quel  che  poi  ritrovar  non  vorria  forse, 
messa  la  mano  inanzi,  e  preso  il  vaso, 
fu  presso  di  volere  in  prova  p6rse : 
poi,  quanto  fosse  periglioso  il  caso 
a  porvi  i  labri,  col  pensier  discorse. 
Ma  lasciate,  Signer,  ch'io  mi  ripose; 
poi  dir6  quel  che  Jl  paladin  rispose. 


1102  ORLANDO    FURIOSO 


CANTO   QUARANTKSIMOTKRZO 


I 

O  esecrabile  Avarizia,  o  ingorda 
fame  d'avere,  io  non  mi  maraviglio 
ch'ad  alma  vile  c  d'altre  macchic  lorda, 
si  facilmente  dar  possi  di  pigHo ; 
ma  che  meni  legato  In  una  corda, 
e  che  tu  impiaghi  del  medesmo  artigHo 
alcun,  che  per  altezza  era  d'ingegno, 
se  te  schivar  potea,  d'ogni  onor  degno. 

ii 

Alcun  la  terra  e  '1  mare  e  '1  ciel  misura, 
e  render  sa  tutte  le  cause  a  pieno 
d'ogni  opra,  d'ogni  effetto  di  Natura, 
e  poggia  si  ch'a  Die  riguarda  in  seno; 
e  non  pud  aver  piu  ferma  e  maggior  cura» 
morso  dal  tuo  mortifero  velcno, 
ch'unir  tesoro :  e  questo  sol  gli  prcmc, 
e  ponvi  ogni  salute,  ogni  sua  speme. 

in 

Rompe  eserciti  alcuno,  e  ne  le  porte 
si  vede  entrar  di  bellicose  terre, 
et  esser  primo  a  porre  il  petto  forte, 
ultimo  a  trarre,  in  perigliose  guerre; 
e  non  pu6  riparar  che  sino  a  morte 
tu  nel  tuo  cieco  carcere  nol  serre. 
Altri  d'altre  arti  e  d'altri  studi  industri, 
oscuri  fai,  che  sarian  chiari  e  illustri. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1103 

IV 

Che  d'alcune  dir6  belle  e  gran  donne 

ch'a  bellezza,  a  virtu  de  fidi  amanti, 

a  lunga  servitu,  piu  che  colonne 

io  veggo  dure,  immobili  e  constant!  ? 

Veggo  venir  poi  1'Avarizia,  e  ponne 

far  si,  che  par  che  subito  le  incanti: 

in  un  di,  senza  amor  (chi  fia  che  Jl  creda?) 

a  un  vecchio,  a  un  brutto,  a  un  mostro  le  da  in  preda. 


Non  e  senza  cagion  s'io  me  ne  doglio: 

intendami  chi  pu6,  che  m'intend'io. 

Ne  pero  di  proposito  mi  toglio, 

ne  la  materia  del  mio  canto  oblio; 

ma  non  piu  a  quel  c'ho  detto  adattar  voglio, 

ch'a  quel  ch'io  v'ho  da  dire,  il  parlar  mio. 

Or  torniamo  a  contar  del  paladino 

ch'ad  assaggiare  il  vaso  fu  vicino. 

VI 

Io  vi  dicea  ch'alquanto  pensar  voile, 
prima  ch'ai  labri  il  vaso  s'appressasse. 
Pens6,  e  poi  disse :  —  Ben  sarebbe  folle 
chi  quel  che  non  vorria  trovar,  cercasse. 
Mia  donna  e  donna,  et  ogni  donna  e  molle: 
lascian  star  mia  credenza  come  stasse. 
Sin  qui  m'ha  il  creder  mio  giovato,  e  giova: 
che  poss'io  megliorar  per  fame  prova  ? 

VII 

Potria  poco  giovare  e  nuocer  molto; 
che  '1  tentar  qualche  volta  Idio  disdegna. 
Non  so  s'in  questo  io  mi  sia  saggio  o  stolto ; 
ma  non  voj  piu  saper,  che  mi  convegna. 
Or  questo  vin  dinanzi  mi  sia  tolto: 
sete  non  n'ho,  ne  vo*  che  me  ne  vegna; 
che  tal  certezza  ha  Dio  piia  proibita, 
ch'al  primo  padre  Farbor  de  la  vita. 


1 104  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Che  come  Adam,  poi  che  gusto  del  porno 
che  Dio  con  propria  bocca  gFinterdisse, 
da  la  letizia  al  pianto  fece  un  tomo, 
onde  in  miseria  poi  sempre  s'afflisse; 
cosi  se  de  la  moglie  sua  vuol  1'uomo 
tutto  saper  quanto  ella  fece  e  disse, 
cade  de  1'allegrezze  in  pianti  e  in  guai, 
onde  non  puo  piu  rilevarsi  mai.  — 

IX 

Cosi  dicendo  il  buon  Rinaldo,  e  intanto 
respingendo  da  se  1'odiato  vase, 
vide  abondare  un  gran  rivo  di  pianto 
dagli  occhi  del  signor  di  quelle  case, 
che  disse,  poi  che  racchetossi  al  quanto: 
—  Sia  maledetto  chi  mi  persuase 
ch'io  facesse  la  prova,  ohime!  di  sorte, 
che  mi  Iev6  la  dolce  mia  consorte. 

x 

Perche"  non  ti  conobbi  gia  dieci  anni, 
si  che  io  mi  fossi  consigliato  teco, 
prima  che  cominciassero  gli  affanni, 
e  *l  lungo  pianto  onde  io  son  quasi  cieco? 
Ma  vo*  levarti  da  la  scena  i  panni ; 
che  'I  mio  mal  vegghi,  e  te  ne  dogli  meco: 
e  ti  dir6  ii  principio  e  Fargumento 
del  mio  non  comparabile  tormento. 

XI 

Qua  su  lasciasti  una  cittk  vicina, 
a  cui  fa  intorno  un  chiaro  fiume  laco, 
che  poi  si  stende  e  in  questo  Po  declina, 
e  1'origine  sua  vien  di  Benaco. 
Fu  fatta  la  citta,  quando  a  ruina 
le  mura  andar  de  Fagenoreo  draco. 
Quivi  nacque  io  di  stirpe  assai  gentile, 
ma  in  pover  tetto  e  in  facultade  umile. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1105 

XII 

Se  Fortuna  di  me  non  ebbe  cura 

si  che  mi  desse  al  nascer  mio  ricchezza, 

al  diffetto  di  lei  suppli  Natura, 

che  sopra  ogni  mio  ugual  mi  die  bellezza. 

Donne  e  donzelle  gia  di  mia  figura 

arder  piu  d'una  vidi  in  giovanezza; 

ch'io  ci  seppi  accoppiar  cortesi  modi; 

ben  che  stia  mal  che  1'uom  se  stesso  lodi. 

XIII 

Ne  la  nostra  cittade  era  un  uom  saggio, 
di  tutte  Tarti  oltre  ogni  creder  dotto, 
che  quando  chiuse  gli  occhi  al  febeo  raggio, 
contava  gli  anni  suoi  cento  e  ventotto. 
Yisse  tutta  sua  eta  solo  e  selvaggio, 
se  non  Pestrema;  che  d'Amor  condotto, 
con  premio  ottenne  una  matrona  bella, 
e  n'ebbe  di  nascosto  una  cittella. 

XIV 

E  per  vietar  che  simil  la  figliuola 
alia  matre  non  sia,  che  per  mercede 
vende  sua  castita  che  valea  sola 
piu  che  quanto  oro  al  mondo  si  possiede, 
fuor  del  commercio  popular  la  invola; 
et  ove  piu  solingo  il  luogo  vede, 
questo  amplo  e  bel  palagio  e  ricco  tanto 
fece  fare  a'  demonii  per  incanto. 

xv 

A  vecchie  donne  e  caste  fe'  nutrire 
la  figlia  qui,  ch'in  gran  belta  poi  venne; 
ne  che  potesse  altr'uom  veder,  ne  udire 
pur  ragionarne  in  quella  eta,  sostenne. 
E  perch' avesse  esempio  da  seguire, 
ogni  pudica  donna  che  mai  tenne 
contra  illicito  amor  chiuse  le  sbarre, 
ci  fe'  d'intaglio  o  di  color  ritrarre: 


II06  ORLANDO    FURIOSO 

XVI 

non  quelle  sol  che  di  vlrtude  aniiche 
hanno  si  il  mondo  all'eta  prisca  adorno; 
di  quai  la  fama  per  Fistorie  antichc 
non  e  per  veder  mai  Fultimo  giorno: 
ma  nel  futuro  ancora  altre  pudiche 
che  faran  bella  Italia  d'ogn'intorno, 
ci  fe'  ritrarre  in  lor  fattezze  conte, 
come  otto  che  ne  vedi  a  questa  fonte. 

xvn 

Poi  che  la  figlia  al  vecchio  par  matura 
si,  che  ne  possa  1'uom  cogliere  i  frutti; 

0  fosse  mia  disgrazia  o  mia  aventura, 
eletto  fui  degno  di  lei  fra  tutti. 

1  lati  campi  oltre  alle  belle  mura, 
non  meno  i  pescarecci  che  gli  asciutti 
che  ci  son  d'ogn'intorno  a  venti  miglia, 
mi  consegno  per  dote  de  la  figlia. 

XVIII 

Ella  era  bella  e  costumata  tanto, 

che  piu  desiderar  non  si  potea. 

Di  bei  trapunti  e  di  riccami,  quanto 

mai  ne  sapesse  Pallade,  sapea, 

Vedila  andare,  odine  il  suono  e  '1  canto: 

celeste  e  non  mortal  cosa  parea. 

E  in  modo  aU*arti  liberal?  attese, 

che  quanto  il  padre,  o  poco  men  n'intese. 

XIX 

Con  grande  ingcgno,  e  non  minor  bellezza 
che  fatta  Tavria  amabil  fin  ai  sassi, 
era  giunto  un  amore,  una  doicezza, 
che  par  ch'a  rimembrarnc  il  cor  mi  passi. 
Non  avca  piu  piacer  no*  piu  vaghezza, 
che  d'esser  meco  ov'io  mi  stessi  o  andassi. 
Senza  aver  lite  mai  stemmo  gran  pezzo: 
ravemmo  poi,  per  colpa  mia,  da  sezzo. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1107 

XX 

Morto  il  suocero  mio  dopo  cinque  anni 
ch'io  sottoposi  il  collo  al  giugal  nodo, 
non  stero  molto  a  cominciar  gli  affanni 
ch'io  sento  ancora,  e  ti  diro  in  che  modo. 
Mentre  mi  richiudea  tutto  coi  vanni 
1'amor  di  questa  mia  che  si  ti  lodo, 
una  femina  nobil  del  paese, 
quanto  accender  si  puo,  di  me  s'accese. 

XXI 

Ella  sapea  d'incanti  e  di  malie 
quel  che  saper  ne  possa  alcuna  maga: 
rendea  la  notte  chiara,  oscuro  il  die, 
fermava  il  sol,  facea  la  terra  vaga. 
Non  potea  trar  per6  le  voglie  mie, 
che  le  sanassin  Famorosa  piaga 
col  rimedio  che  dar  non  le  potria 
senza  alta  ingiuria  de  la  donna  mia. 

XXII 

Non  perche  fosse  assai  gentile  e  bella, 
n6  perche  sapess'io  che  si  me  amassi, 
ne  per  gran  don,  ne  per  promesse  ch'ella 
mi  fesse  molte,  e  di  continue  instassi, 
ottener  pote  mai  ch'una  fiammella, 
per  dark  a  lei,  del  primo  amor  levassi ; 
ch'a  dietro  ne  traea  tutte  mie  voglie 
il  conoscermi  fida  la  mia  moglie. 

XXIII 

La  speme,  la  credenza,  la  certezza 
che  de  la  fede  di  mia  moglie  avea, 
m'avria  fatto  sprezzar  quanta  bellezza 
avesse  mai  la  giovane  ledea, 
o  quanto  offerto  mai  senno  e  ricchezza 
fu  al  gran  pastor  de  la  montagna  Idea. 
Ma  le  repulse  mie  non  valean  tanto, 
che  potesson  levarmela  da  canto. 


II08  ORLANDO    FURIOSO 

XXIV 

Un  di  che  mi  trovo  fuor  del  palagio 
la  maga,  che  nomata  era  Melissa, 
e  mi  pote  parlare  a  suo  grande  agio, 
modo  trovo  da  por  mia  pace  in  rissa, 
e  con  lo  spron  di  gelosia  malvagio 
cacciar  del  cor  la  fe  che  v'era  iissa. 
Comincia  a  comendar  la  intension  mia, 
ch'io  sia  fedele  a  chi  fedel  mi  sia. 

xxv 

«  Ma  che  ti  sia  fedel,  tu  non  puoi  dire, 
prima  che  di  sua  fe  prova  non  vedi. 
S'ella  non  falle,  e  che  potria  fallire, 
che  sia  fedel,  che  sia  puclica  credi. 
Ma  se  mai  senza  te  non  la  lasci  ire, 
se  mai  vedere  altr'uom  non  le  conciedi, 
onde  hai  questa  baldanza,  che  tu  dica 
e  mi  vogli  affermar  che  sia  pudica  ? 

XXVI 

Scostati  un  poco,  scostati  da  casa; 
fa  che  le  cittadi  odano  e  i  villaggi 
che  tu  sia  andato,  e  ch'ella  sia  rimasa; 
agli  amanti  da  commodo  e  ai  messaggi. 
S'a  prieghi,  a  doni  non  fia  persuasa 
di  fare  al  letto  maritale  oltraggi, 
e  che  facendol  creda  che  si  cele, 
allora  dir  potrai  che  sia  fedele. » 

xxvn 

Con  tal  parole  e  simili  non  cessa 
Pincantatrice,  fin  che  mi  dispone 
che  de  la  donna  mia  la  fede  esprt\ssa 
veder  voglia  e  provare  a  paragone. 
«Ora  pogniamo»  le  soggiungo  ttch'essa 
sia  qual  non  posso  averne  opinione: 
come  potr6  di  lei  poi  farmi  certo 
che  sia  di  punizion  degna  o  di  merto?» 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  IIOQ 

XXVIII 

Disse  Melissa:  «Io  ti  dar6  un  vasello 
fatto  da  her,  di  virtu  rara  e  strana; 
qual  gia  per  fare  accorto  il  suo  fratello 
del  fallo  di  Genevra,  fe5  Morgana. 
Chi  la  moglie  ha  pudica,  bee  con  quello: 
ma  non  vi  pub  gia  her  chi  1'ha  puttana; 
che  '1  vin,  quando  lo  crede  in  bocca  porre, 
tutto  si  sparge,  e  fuor  nel  petto  scorre. 

XXIX 

Prima  che  parti,  ne  farai  la  prova, 
e  per  lo  creder  mio  tu  berai  netto ; 
che  credo  ch'ancor  netta  si  ritrova 
la  moglie  tua:  pur  ne  vedrai  FefTetto. 
Ma  s'al  ritorno  esperienza  nuova 
poi  ne  farai,  non  t'assicuro  il  petto: 
che  se  tu  non  lo  immolli,  e  netto  bei, 
d'ogni  marito  il  phi  felice  sei. » 

xxx 

L'oiferta  accetto;  il  vaso  ella  mi  dona: 
ne  fo  la  prova,  e  mi  succede  a  punto; 
che,  com' era  il  disio,  pudica  e  buona 
la  cara  moglie  mia  trovo  a  quel  punto. 
Dice  Melissa:  «Un  poco  1'abbandona; 
per  un  mese  o  per  duo  stanne  disgiunto: 
poi  torna;  poi  di  nuovo  il  vaso  tolli; 
prova  se  bevi,  o  pur  se  '1  petto  immolli. » 

XXXI 

A  me  duro  parea  pur  di  partire; 
non  perch£  di  sua  fe  si  dubitassi, 
come  ch'io  non  potea  duo  di  patire, 
ne  un'ora  pur,  che  senza  me  restassi. 
Disse  Melissa:  «Io  ti  far6  venire 
a  conoscere  il  ver  con  altri  passi. 
Vo'  che  muti  il  parlare  e  i  vestimenti, 
e  sotto  viso  altrui  te  Fappresenti. » 


IIIO  ORLANDO    FURIOSO 

XXXII 

Signer,  qui  presso  una  citta  difende 
il  Po  fra  minacciose  e  fiere  corna; 
la  cui  iuridizion  di  qui  si  stende 
fin  dove  il  mar  fugge  dal  lito  e  torna. 
Cede  d'antiquita,  ma  ben  contende 
con  le  vicine  in  esser  ricca  e  adorna. 
Le  reliquie  troiane  la  fondaro 
che  dal  fiagello  d'Attila  camparo. 

xxxnr 

Astringe  e  lenta  a  questa  terra  il  morso 
un  cavalHer  giovene,  ricco  e  bello, 
che  dietro  un  giorno  a  un  suo  falcone  iseorso, 
essendo  capitato  entro  il  mio  ostelio, 
vide  la  donna,  e  si  nel  primo  occorso 
gli  piacque,  che  nel  cor  porto  il  suggello; 
ne  cesso  molte  pratice  far  poi 
per  inchinarla  ai  desiderii  suoi, 

XXXIV 

Ella  gli  fece  dar  tante  repulse, 
che  piu  tentarla  al  fine  egli  non  volse; 
ma  la  belta  di  lei,  ch'Amor  vi  sculse, 
di  memoria  pero  non  se  gli  tolse. 
Tanto  Melissa  aliosingommi  e  mulse, 
ch'a  tor  la  forma  di  colui  mi  volse; 
e  mi  muto  (n6  so  ben  dirti  come) 
di  faccia,  di  parlar,  d*occhi  e  di  chiome. 

XXXV 

Gia  con  mia  moglie  avendo  simulato 
d' esser  partito  e  gitone  in  Levant  e, 
nel  giovene  amator  cosi  mutato 
Fandar,  la  voce,  Fabito  e  *1  sembiante, 
me  ne  ritorno,  et  ho  Melissa  a  lato, 
che  s'era  trasformata,  e  parea  un  fante; 
e  le  piu  ricche  gemme  avea  con  lei, 
che  mai  mandassin  gFIndi  o  gli  EritreL 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  IIII 

XXXVI 

lo  che  1'uso  sapea  del  mio  palagio, 

entro  sicuro,  e  vien  Melissa  meco; 

e  madonna  ritrovo  a  si  grande  agio, 

che  non  ha  ne  scudier  ne  donna  seco. 

I  miei  prieghi  le  espongo,  indi  il  malvagio 

stimulo  inanzi  del  mal  far  le  arreco : 

i  rubini,  i  diamanti  e  gli  smeraldi, 

che  mosso  arebbon  tutti  i  cor  piu  saldi. 

XXXVII 

E  le  dico  che  poco  e  questo  dono 
verso  quel  che  sperar  da  me  dovea: 
de  la  commodita  poi  le  ragiono 
che,  non  v'essendo  il  suo  marito,  avea: 
e  le  ricordo  che  gran  tempo  sono 
stato  suo  amante,  com'ella  sapea; 
e  che  1'amar  mio  lei  con  tanta  fede 
degno  era  avere  al  fin  qualche  mercede. 

XXXVIII 

Turbossi  nel  principio  ella  non  poco, 
divenne  rossa,  et  ascoltar  non  voile; 
ma  il  veder  fiammeggiar  poi  come  fuoco 
le  belle  gemme,  il  duro  cor  fe'  molle: 
e  con  parlar  rispose  breve  e  fioco, 
quel  che  la  vita  a  rimembrar  mi  tolle; 
che  mi  compiaceria,  quando  credesse 
ch'altra  persona  mai  nol  risapesse. 

xxxix 

Fu  tal  risposta  un  venenato  telo 
di  che  me  ne  send'  Talma  traffissa; 
per  Fossa  andommi  e  per  le  vene  un  gielo: 
ne  le  fauci  rest6  la  voce  fissa. 
Levando  allora  del  suo  incanto  il  velo, 
ne  la  mia  forma  mi  torn6  Melissa. 
Pensa  di  che  color  dovesse  farsi, 
ch'in  tanto  error  da  me  vide  trovarsi. 


III2  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Divenimmo  ambi  di  color  di  morte, 

muti  ambi,  ambi  restian  con  gli  occchi  bassi. 

Potei  la  lingua  a  pena  aver  si  forte, 

e  tanta  voce  a  pena,  ch'io  gridassi: 

«Me  tradiresti  dunque  tu,  consort  e, 

quando  tu  avessi  chi  '1  mio  onor  comprassi  ? » 

Altra  risposta  darmi  ella  non  puotc, 

che  di  rigar  di  lacrime  le  gote. 

XLI 

Ben  la  vergogna  e  assai,  ma  piu  lo  sdegno 

ch'ella  ha  da  me  veder  farsi  quclla  onta; 

e  multiplica  si  senza  ritegno, 

ch'in  ira  al  fine  e  in  crudelc  odio  monta. 

Da  me  fuggirsi  tosto  fa  disegno; 

e  ne  1'ora  che  '1  Sol  del  carro  smonta, 

al  fiume  corre,  e  in  una  sua  barchetta 

si  fa  calar  tutta  la  notte  in  fretta: 

XLII 

e  la  matina  s'appresenta  avante 
al  cavallier  che  1'avea  un  tempo  amata, 
sotto  il  cui  viso,  sotto  il  cui  sembiante 
fu  contra  1'onor  mio  da  me  tentata. 
A  lui  che  n'era  stato  et  era  amante, 
creder  si  pub  che  fu  la  giunta  grata. 
Quindi  ella  mi  fe*  dir  ch'io  non  sperassi 
che  mai  piu  fosse  mia,  ne  piu  m'amassi. 

XLIII 

Ah  lasso!  da  quel  di  con  lui  dimora 
in  gran  piaccre,  e  di  me  prende  giuoco; 
et  5o  del  mal  che  procacciammi  allora, 
ancor  languisco,  e  non  ritrovo  loco. 
Cresce  il  mal  sempre,  e  giusto  e  ch'io  ne  muora; 
e  resta  omai  da  consumarci  poco. 
Ben  credo  che  '1  primo  anno  sarei  morto, 
se  non  mi  dava  aiuto  un  sol  conforto. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  .    III3 

XLIV 

II  conforto  ch'io  prendo,  e  che  di  quanti 
per  dieci  anni  mai  fur  sotto  al  mio  tetto 
(ch'a  tutti  questo  vaso  ho  messo  inanti), 
non  ne  trovo  un  che  non  s'immolli  il  petto. 
Aver  nel  caso  mio  compagni  tanti 
mi  da  fra  tanto  mal  qualche  diletto. 
Tu  tra  infmiti  sol  sei  stato  saggio, 
che  far  negasti  il  periglioso  saggio. 

XLV 

II  mio  voler  cercare  oltre  alia  meta 
che  de  la  donna  sua  cercar  si  deve, 
fa  che  mai  piu  trovare  ora  quieta 
non  pu6  la  vita  mia,  sia  lunga  o  breve. 
Di  cio  Melissa  fu  a  principio  lieta: 
ma  cesso  tosto  la  sua  gioia  lieve; 
ch'essendo  causa  del  mio  mal  stata  ella, 
io  Fodiai  si,  che  non  potea  vedella. 

XLVI 

Ella  d'esser  odiata  impaziente 
da  me  che  dicea  amar  piu  che  sua  vita, 
ove  donna  restarne  immantinente 
creduto  avea,  che  Paltra  ne  fosse  ita; 
per  non  aver  sua  doglia  si  presente, 
non  tard6  molto  a  far  di  qui  partita ; 
e  in  modo  abbandono  questo  paese, 
che  dopo  mai  per  me  non  se  n'intese.  — 

XLVII 

Cosi  narrava  il  mesto  cavalliero : 
e  quando  fine  alia  sua  istoria  pose, 
Rinaldo  alquanto  ste'  sopra  pensiero, 
da  pieta  vinto,  e  poi  cosi  rispose: 
—  Mai  consiglio  ti  die  Melissa  in  vero, 
che  d'attizzar  le  vespe  ti  propose ; 
e  tu  fusti  a  cercar  poco  aweduto 
quel  che  tu  avresti  non  trovar  voluto. 


III4  ORLANDO    FURIOSO 

XLVIII 

Se  d'avarizia  la  tua  donna  vinta 
a  voler  fede  romperti  fu  indutta, 
non  t'ammirar:  ne  prima  ella  ne  quinta 
fu  de  le  donne  prese  in  si  gran  lutta; 
e  mente  via  piu  salda  ancora  e  spinta 
per  minor  prezzo  a  far  cosa  piu  brutta. 
Quanti  uomini  odi  tu  che  gia  per  oro 
han  traditi  padroni  e  amici  loro  ? 

XLIX 

Non  dovevi  assalir  con  si  fiere  armi, 
se  bramavi  veder  farle  difesa, 
Non  sai  tu,  contra  Tore,  che  ne  i  marmi 
ne"  '1  durissimo  acciar  sta  alia  contcsa? 
Che  piu  fallasti  tu  a  tentarla  parmi, 
di  lei  che  cosi  tosto  resto  presa. 
Se  te  altretanto  avesse  ella  tentato, 
non  so  se  tu  piu  saldo  fossi  stato.  — 

L 

Qui  Rinaldo  fe*  fine,  e  da  la  mensa 
levossi  a  un  tempo,  e  domando  dormire; 
che  riposare  un  poco,  e  poi  si  pensa 
inanzi  al  di  d'un'ora  o  due  partire. 
Ha  poco  tempo,  e  *1  poco  c'ha  dispensa 
con  gran  misura,  e  invan  nol  lascia  giro. 
II  signor  di  la  dentro,  a  suo  piacere 
disse  che  si  potea  porre  a  giacere; 

LI 

ch'apparecchlata  era  la  stanza  e  '1  letto: 
ma  che  se  volea  far  per  suo  consiglio, 
tutta  notte  dormir  potria  a  diletto, 
e  dormendo  avanzarsi  qualche  miglio. 
—  Acconciar  ti  faro  —  disse  —  un  legnetto, 
con  che  volando,  e  senz'aicun  periglio 
tutta  notte  dormendo  vo'  che  vada, 
e  una  giornata  avanzi  de  la  strada.  — 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1115 

LII 

La  proferta  a  Rinaldo  accettar  piacque, 
e  molto  ringrazi6  1'oste  cortese: 
poi  senza  indugio  la  dove  ne  Facque 
da'  naviganti  era  aspettato,  scese. 
Quivi  a  grande  agio  riposato  giacque, 
mentre  il  corso  del  fiume  il  legno  prese, 
che  da  sei  remi  spinto,  lieve  e  snello 
pel  fiume  ando,  come  per  Taria  augello. 

Lin 

Cosi  tosto  come  ebbe  il  capo  chino, 
il  cavallier  di  Francia  adormentosse ; 
imposto  avendo  gia,  come  vicino 
giungea  a  Ferrara,  che  svegliato  fosse. 
Resto  Melara  nel  lito  mancino; 
nel  lito  destro  Sermide  festosse: 
Figarolo  e  Stellata  il  legno  passa, 
ove  le  corna  il  Po  iracondo  abbassa. 

LIV 

De  le  due  corna  il  nocchier  prese  il  destro, 
e  Iasci6  andar  verso  Vinegia  il  manco; 
passo  il  Bondeno:  e  gia  il  color  cilestro 
si  vedea  in  oriente  venir  manco, 
che  votando  di  fior  tutto  il  canestro 
T Aurora  vi  facea  vermiglio  e  bianco; 
quando,  lontan  scoprendo  di  Tealdo 
ambe  le  r6cche,  il  capo  alz6  Rinaldo. 

LV 

—  O  citta  bene  aventurosa,  —  disse 

—  di  cui  gia  Malagigi,  il  mio  cugino, 
contemplando  le  stelle  erranti  e  fisse, 
e  constringendo  alcun  spirto  indovino, 
nei  secoli  futuri  mi  predisse 

(gia  ch'io  facea  con  lui  questo  camino) 

ch'ancor  la  gloria  tua  salira  tanto, 

ch'avrai  di  tutta  Italia  il  pregio  e  1  vanto.  — 


IIl6  ORLANDO    FURIOSO 

LVI 

Cosi  dicendo,  e  pur  tuttavia  in  fretta 
su  quel  battel  che  parea  aver  le  penne, 
scorrendo  il  re  de'  fiumi,  all'isoletta 
ch'alla  cittade  e  piu  propinqua,  vefine: 
e  ben  che  fosse  allora  erma  e  negletta, 
pur  s'allegr6  di  rivederla,  e  fenne 
non  poca  festa;  che  sapea  quanto  ella, 
volgendo  gli  anni,  saria"  ornata  e  bella. 

LVII 

Altra  fiata  che  fej  questa  via, 
udi  da  Malagigi,  il  qual  seco  era, 
che  settecento  volte  che  si  sia 
girata  col  monton  la  quarta  sfera, 
questa  la  piu  ioconda  isola  fia 
di  quante  cinga  mar,  stagno  o  riviera; 
si  che,  veduta  lei,  non  sara  ch'oda 
dar  piu  alia  patria  di  Nausicaa  loda. 

LVIII 

Udi  che  di  bei  tetti  posta  inante 

sarebbe  a  quella  si  a  Tiberio  cara; 

che  cederian  PEsperide  alle  piante 

ch'avria  il  bel  loco,  d'ogni  sorte  rara; 

che  tante  spezie  d'animali,  quante 

vi  fien,  ne  in  mandra  Circe  ebbe  ne  in  hara; 

che  v'avria  con  le  Grazie  e  con  Cupido 

Venere  stanza,  e  non  piu  in  Cipro  o  in  Gnido: 

LIX 

e  che  sarebbe  tal  per  studio  e  cura 
di  chi  al  sap  ere  et  al  potere  unita 
la  voglia  avendo,  d'argini  e  di  mura 
avria  si  ancor  la  sua  citta  munita, 
che  contra  tutto  il  mondo  star  sicura 
potria,  senza  chiamar  di  fuori  aita; 
e  che  d'Ercol  figliuol,  d'Ercol  sarebbe 
padre  il  signor  che  questo  e  quel  far  debbe. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO 
LX 

Cosi  venia  Rinaldo  ricordando 

quel  che  gia  il  suo  cugin  detto  gli  avea, 

de  le  future  cose  divinando, 

che  spesso  conferir  seco  solea. 

E  tuttavia  Pumil  citta  mirando : 

aCome  esser  puo  ch'ancor»  seco  dicea 

adebban  cosi  fiorir  queste  paludi 

de  tutti  i  liberal!  e  degni  studi  ? 

LXI 

e  crescer  abbia  di  si  piccol  borgo 
ampla  cittade  e  di  si  gran  bellezza? 
e  cio  ch'intorno  e  tutto  stagno  e  gorgo, 
sien  lieti  e  pieni  campi  di  ricchezza? 
Citta,  sin  ora  a  riverire  assorgo 
Tamor,  la  cortesia,  la  gentilezza 
de'  tuoi  signori,  e  gli  onorati  pregi 
dei  cavallier,  dei  cittadini  egregi. 

LXII 

L'ineffabil  bonta  del  Redentore, 
dej  tuoi  principi  il  senno  e  la  iustizia, 
sempre  con  pace,  sempre  con  amore 
ti  tenga  in  abondanzia  et  in  letizia; 
e  ti  difenda  contra  ogni  furore 
de'  tuoi  nimici,  e  scuopra  lor  malizia: 
del  tuo  contento  ogni  vicino  arrabbi, 
piu  tosto  che  tu  invidia  ad  alcuno  abbi.» 

LXIII 

Mentre  Rinaldo  cosi  parla,  fende 
con  tanta  fretta  il  suttil  legno  1'onde, 
che  con  maggiore  a  logoro  non  scende 
falcon  ch'al  grido  del  padron  risponde. 
Del  destro  corno  il  destro  ramo  prende 
quindi  il  nocchiero,  e  mura  e  tetti  asconde: 
San  Georgio  a  dietro,  a  dietro  s'allontana 
la  torre  e  de  la  Fossa  e  di  Gaibana. 


1117 


IIl8  ORLANDO    FURIOSO 

LXIV 

Rinaldo,  come  accade  ch'un  pensiero 
un  altro  dietro,  e  quello  un  altro  mena, 
si  venne  a  ricordar  del  cavalliero 
nel  cui  palagio  fu  la  sera  a  cena; 
che  per  questa  cittade,  a  dire  il  vero, 
avea  giusta  cagion  di  stare  in  pena: 
e  ricordossi  del  vaso  da  here, 
che  mostra  altrui  Terror  de  la  mogliere; 

LXV 

e  ricordossi  insieme  de  la  prova 
che  d'aver  fatta  il  cavallier  narrolli; 
che  di  quanti  avea  esperti,  uomo  non  trova 
che  bea  nel  vaso,  e  '1  petto  non  s'immolli. 
Or  si  pente,  or  tra  se  dice:  «E'  mi  giova 
ch'a  tanto  paragon  venir  non  volli. 
Riuscendo,  accertava  il  creder  mio; 
non  riuscendo,  a  che  partito  era  io  ? 

LXVI 

Gli  e  questo  creder  mio,  come  io  1'avessi 
ben  certo,  e  poco  accrescer  Io  potrei: 
si  che  s'al  paragon  mi  succedessi, 
poco  il  meglio  saria  ch'io  ne  trarrei; 
ma  non  gia  poco  il  mal,  quando  vedessi 
quel  di  Clarice  mia,  ch'io  non  vorrei. 
Metter  saria  mille  contra  uno  a  giuoco ; 
che  perder  si  puo  molto,  e  acquistar  poco. » 

LXVII 

Stando  in  questo  pensoso  il  cavalliero 
di  Chiaramonte,  e  non  alzando  il  viso, 
con  molta  attenzion  fu  da  un  nocchiero 
che  gli  era  incontra,  riguardato  fiso: 
e  perche  di  veder  tutto  il  pensiero 
che  1'occupava  tanto,  gli  fu  aviso, 
come  uom  che  ben  parlava  et  avea  ardire, 
a  seco  ragionar  Io  fece  uscire. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO 
LXVIII 

La  somma  fu  del  lor  ragionamento 
che  colui  malaccorto  era  ben  stato, 
che  ne  la  moglie  sua  resperimento 
maggior  che  puo  far  donna,  avea  tentato; 
che  quella  che  da  1'oro  e  da  Targento 
difende  il  cor  di  pudicizia  armato, 
tra  mille  spade  via  piu  facilmente 
difenderallo,  e  in  mezzo  al  fuoco  ardent  e. 

LXIX 

II  nocchier  suggiungea: —  Ben  gli  dicesti, 
che  non  dovea  offerirle  si  gran  doni; 
che  contrastare  a  questi  assalti  e  a  questi 
colpi  non  sono  tutti  i  petti  buoni. 
Non  so  se  d'una  giovane  intendesti 
(ch'esser  p6  che  tra  voi  se  ne  ragioni), 
che  nel  medesmo  error  vide  il  consorte, 
di  ch'esso  avea  lei  condannata  a  morte. 

LXX 

Dovea  in  memoria  avere  il  signor  rnio, 
che  1'oro  e  '1  premio  ogni  durezza  inchina; 
ma  quando  bisogn6,  1'ebbe  in  oblio, 
et  ei  si  procaccio  la  sua  ruina. 
Cosi  sapea  lo  esempio  egli  com'io 
che  fu  in  questa  citta  di  qui  vicina, 
sua  patria  e  mia,  che  '1  lago  e  la  palude 
del  rifrenato  Menzo  intorno  chiude: 

LXXI 

d'Adonio  voglio  dir,  che  '1  ricco  dono 
fej  alia  moglie  del  giudice  d'un  cane. 
—  Di  questo  —  disse  il  paladino  —  il  suono 
non  passa  1'Alpe,  e  qui  tra  voi  rimane ; 
perche  ne  in  Francia,  ne  dove  ito  sono, 
parlar  n'udi'  ne  le  contrade  estrane: 
si  che  di'  pur,  se  non  t'incresce  il  dire; 
che  volentieri  io  mi  t'acconcio  a  udire.  — 


1120  ORLANDO    FURIOSO 

LXXII 

II  nocchier  comincio:—  Gia  fu  di  questa 
terra  un  Anselmo  di  famiglia  degna, 
che  la  sua  gioventu  con  lunga  vesta 
spese  in  saper  cio  ch'Ulpiano  insegna; 
e  di  nobil  progenle,  bella  e  onesta 
moglie  cerco,  ch'al  grado  suo  convegna; 
e  d'una  terra  quindi  non  lontana 
n'ebbe  una  di  bellezza  sopraumana; 

LXXIII 

e  di  bei  modi  e  tanto  graziosi, 
che  parea  tutto  amore  e  leggiadria; 
e  di  molto  piu  forse,  ch'ai  riposi, 
ch'allo  stato  di  lui  non  convenia. 
Tosto  che  1'ebbe,  quanti  mai  gelosi 
al  mondo  fur,  passo  di  gelosia: 
non  gia  ch'altra  cagion  gli  ne  desse  ella, 
che  d'esser  troppo  accorta  e  troppo  bella. 

LXXIV 

Ne  la  citta  medesma  un  cavalliero 
era  d'antiqua  e  d'onorata  gente, 
che  discendea  da  quel  lignaggio  altiero 
ch'usci  d'una  mascella  di  serpente, 
onde  gia  Manto,  e  chi  con  essa  fero 
la  patria  mia,  disceser  similmente. 
II  cavallier,  ch'Adonio  nominosse, 
di  questa  bella  donna  inamorosse. 

LXXV 

E  per  venire  a  fin  di  questo  amore, 
a  spender  comincio  senza  ritegno 
in  vestire,  in  conviti,  in  farsi  onore, 
quanto  pu6  farsi  un  cavallier  piu  degno. 
II  tesor  di  Tiberio  imperatore 
non  saria  stato  a  tante  spese  al  segno, 
lo  credo  ben  che  non  passar  duo  verni, 
ch'egli  usci  fuor  di  tutti  i  ben  paterni. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  II2I 

LXXVI 

La  casa  ch'era  dianzi  frequentata 
matina  e  sera  tanto  dagli  amici, 
sola  rest6,  tosto  che  fu  privata 
di  starne,  di  fagian,  di  coturnici. 
Egli  che  capo  fu  de  la  brigata, 
rimase  dietro,  e  quasi  fra  mendici. 
Pens6,  poi  ch'in  miseria  era  venuto, 
d'andare  ove  non  fosse  conosciuto. 

LXXVII 

Con  questa  intenzione  una  mattina, 
senza  far  motto  altrui,  la  patria  lascia; 
e  con  sospiri  e  lacrime  camina 
lungo  lo  stagno  che  le  mura  fascia. 
La  donna  che  del  cor  gli  era  regina, 
gia  non  oblia  per  la  seconda  ambascia. 
Ecco  un'alta  aventura  che  lo  viene 
di  sommo  male  a  porre  in  sommo  bene. 

LXXVIII 

Vede  un  villan  che  con  un  gran  bastone 
intorno  alcuni  sterpi  s'affatica. 
Quivi  Adonio  si  ferma,  e  la  cagione 
di  tanto  travagliar  vuol  che  gli  dica. 
Disse  il  villan  che  dentro  a  quel  macchione 
veduto  avea  una  serpe  molto  antica, 
di  che  piu  lunga  e  grossa  a'  giorni  suoi 
non  vide,  n6  credea  mai  veder  poi; 

LXXIX 

e  che  non  si  voleva  indi  partire, 
che  non  Tavesse  ritrovata  e  morta. 
Come  Adonio  lo  sente  cosi  dire, 
con  poca  pazienzia  lo  sopporta. 
Sempre  solea  le  serpi  favorire; 
che  per  insegna  il  sangue  suo  le  porta 
in  memoria  ch'usci  sua  prima  gente 
de'  denti  seminati  di  serpente. 


1122  ORLANDO    FURIOSO 

LXXX 

E  disse  e  fece  col  villano  in  guisa 

che  suo  mal  grado  abbandono  Timpresa; 

si  che  da  lui  non  fu  la  serpe  uccisa, 

ne  piu  cercata,  ne  altrimenti  offesa. 

Adonio  ne  va  poi  dove  s'avisa 

che  sua  condizion  sia  meno  intesa; 

e  dura  con  disagio  e  con  affanno 

fuor  de  la  patria  appresso  al  settimo  anno. 

LXXXI 

Ne  mai  per  lontananza,  ne  strettezza 
del  viver,  che  i  pensier  non  lascia  ir  vaghi, 
cessa  Amor  che  si  gli  ha  la  mano  avezza, 
ch'ognor  non  li  arda  il  core,  ognor  impiaghi. 
£  forza  al  fin  che  torni  alia  bellezza 
che  son  di  riveder  si  gli  occhi  vaghi. 
Barbuto,  afflitto,  e  assai  male  in  arnese, 
la  donde  era  venuto,  il  camin  prese. 

LXXXII 

In  questo  tempo  alia  mia  patria  accade 
mandare  uno  oratore  al  Padre  santo, 
che  resti  appresso  alia  sua  Santitade 
per  alcun  tempo,  e  non  fu  detto  quanto. 
Gettan  la  sorte,  e  nel  giudice  cade. 
Oh  giorno  a  lui  cagion  sempre  di  pianto! 
Fe'  scuse,  preg6  assai,  diede  e  promesse 
per  non  partirsi;  e  al  fin  sforzato  cesse. 

LXXXIII 

Non  gli  parea  crudele  e  duro  manco 
a  dover  sopportar  tanto  dolore, 
che  se  veduto  aprir  s'avesse  il  fianco, 
e  vedutosi  trar  con  mano  il  core. 
Di  geloso  timor  pallido  e  bianco 
per  la  sua  donna,  mentre  staria  fuore, 
lei  con  quei  modi  che  giovar  si  crede, 
supplice  priega  a  non  mancar  di  fede: 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1123 

LXXXIV 

dicendole  ch'a  donna  ne  bellezza, 

n<§  nobilta,  ne  gran  fortuna  basta, 

si  che  di  vero  onor  monti  in  altezza, 

se  per  nome  e  per  opre  non  e  casta; 

e  che  quella  virtu  via  piu  si  prezza, 

che  di  sopra  riman  quando  contrasta, 

e  ch'or  gran  campo  avria  per  questa  absenza, 

di  far  di  pudicizia  esperienza. 

LXXXV 

Con  tai  le  cerca  et  altre  assai  parole 
persuader  ch'ella  gli  sia  fedele. 
De  la  dura  partita  ella  si  duole, 
con  che  lacrime,  oh  Dio!  con  che  querele! 
E  giura  che  piu  tosto  oscuro  il  sole 
vedrassi,  che  gli  sia  mai  si  crudele, 
che  rompa  fede;  e  che  vorria  morire 
piu  tosto  ch'aver  mai  questo  desire. 

LXXXVI 

Ancor  ch'a  sue  promesse  e  a  suoi  scongiuri 
desse  credenza  e  si  achetasse  alquanto, 
non  resta  che  piu  intender  non  procuri, 
e  che  materia  non  procacci  al  pianto. 
Avea  uno  arnico  suo,  che  dei  futuri 
casi  predir  teneva  il  pregio  e  '1  vanto ; 
e  d'ogni  sortilegio  e  magica  arte, 
o  il  tutto,  o  ne  sapea  la  maggior  parte. 

LXXXVII 

Diegli  pregando  di  vedere  assunto 
se  la  sua  moglie,  nominata  Argia, 
nel  tempo  che  da  lei  stara  disgiunto, 
fedele  e  casta,  o  pel  contrario  fia. 
Colui  da  prieghi  vinto,  tolle  il  punto, 
il  ciel  figura  come  par  che  stia. 
Anselmo  il  lascia  in  opra,  e  Paltro  giorno 
a  lui  per  la  risposta  fa  ritorno. 


1124  ORLANDO    FURIOSO 

LXXXVIII 

L'astrologo  tenea  le  labra  chiuse, 
per  non  dire  al  dottor  cosa  che  doglia, 
e  cerca  di  tacer  con  molte  sense. 
Quando  pur  del  suo  mal  vede  c'ha  voglia, 
che  gli  rompera  fede  gli  concluse, 
tosto  ch'egli  abbia  il  pie  fuor  de  la  soglia, 
non  da  bellezza  ne  da  prieghi  indotta, 
ma  da  guadagno  e  da  prezzo  corrotta. 

LXXXIX 

Giunte  al  timore,  al  dubbio  ch'avea  prima, 
quest  e  minaccie  dei  superni  moti, 
come  gli  stesse  il  cor,  tu  stesso  stima, 
se  d'amor  gli  accidenti  ti  son  noti. 
E  sopra  ogni  mestizia  che  Popprima, 
e  che  Pafflitta  mente  aggiri  e  arruoti, 
e  '1  saper  come,  vinta  d'avarizia, 
per  prezzo  abbia  a  lasciar  sua  pudicizia. 

XC 

Or  per  far  quanti  potea  far  ripari 
da  non  lasciarla  in  quel  error  cadere 
(perche  il  bisogno  a  dispogliar  gli  altari 
tra'  1'uom  talvolta,  che  sel  trova  avere), 
cio  che  tenea  di  gioie  e  di  danari 
(che  n'avea  somma)  pose  in  suo  potere: 
rendite  e  frutti  d'ogni  possessione, 
e  ci6  c'ha  al  mondo,  in  man  tutto  le  pone. 

xci 

((Con  facultade»  disse  «che  ne'  tuoi 
non  sol  bisogni  te  li  goda  e  spenda, 
ma  che  ne  possi  far  ci6  che  ne  vuoi, 
li  consumi,  li  getti,  e  doni  e  venda; 
altro  conto  saper  non  ne  vo'  poi: 
pur  che  qual  ti  lascio  or,  tu  mi  ti  renda, 
pur  che  come  or  tu  sei,  mi  sie  rimasa, 
fa  che  10  non  trovi  ne  poder  ne  casa. » 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  JI25 

XCII 

La  prega  che  non  faccia,  se  non  sente 
ch'egli  ci  sia,  ne  la  citta  dimora; 
ma  ne  la  villa,  ove  piu  agiatamente 
viver  potra  d'ogni  commercio  fuora. 
Questo  dicea,  pero  che  Fumil  gente 
che  nel  gregge  o  ne'  campi  gli  lavora, 
non  gli  era  aviso  che  le  caste  voglie 
contaminar  potessero  alia  moglie. 

XCIII 

Tenendo  tuttavia  le  belle  braccia 
al  timido  marito  al  collo  Argia, 
e  di  lacrime  empiendogli  la  faccia, 
ch'un  fiumicel  dagli  occhi  le  n'uscia; 
s'attrista  che  colpevole  la  faccia, 
come  di  f£  mancata  gia  gli  sia; 
che  questa  sua  sospizion  precede 
perche  non  ha  ne  la  sua  fede  fede. 

xciv 

Troppo  sara,  s'io  voglio  ir  rimembrando 
do  ch'al  partir  da  tramendua  fu  detto. 
all  mio  onor»  dice  al  fin  «ti  raccomando » : 
piglia  licenzia,  e  partesi  in  effetto; 
e  ben  si  sente  veramente,  quando 
volge  il  cavallo,  uscire  il  cor  del  petto. 
Ella  lo  segue,  quanto  seguir  puote, 
con  gli  occhi  che  le  rigano  le  gote. 

xcv 

Adonio  intanto  misero  e  tapino, 
e  (come  io  dissi)  pallido  e  barbuto, 
verso  la  patria  avea  preso  il  camino, 
sperando  di  non  esser  conosciuto. 
Sul  lago  giunse  alia  citta  vicino, 
la  dove  avea  dato  alia  biscia  aiuto, 
ch'era  assediata  entro  la  macchia  forte 
da  quel  villan  che  por  la  volea  a  morte. 


1126  ORLANDO    FURIOSO 

XCVI 

Quivi  arrivando  in  su  1'aprir  del  giorno, 
ch'ancor  splendea  nel  cielo  alcuna  Stella, 
si  vede  in  peregrine  abito  adorno 
venir  pel  lito  incontra  una  donzella 
in  signoril  sembiante,  ancor  ch'intorno 
non  Fapparisse  ne  scudier  ne  ancella. 
Costei  con  grata  vista  lo  raccolse, 
e  poi  la  lingua  a  tai  parole  sciolse: 

xcvu 

«  Se  ben  non  mi  conosci,  o  cavalliero, 
son  tua  parente,  e  grande  obligo  t'aggio: 
parente  son,  perche  da  Cadmo  fiero 
scende  d'amenduo  noi  1'alto  lignaggio. 
lo  son  la  fata  Manto,  che  '1  primiero 
sasso  messi  a  f ondar  questo  villaggio ; 
e  dal  rnio  nome  (come  ben  forse  hai 
contare  udito)  Mantua  la  nomai. 

xcvm 

De  le  fate  io  son  una;  et  il  fatale 
stato  per  farti  anco  saper  ch'importe, 
nascemo  a  un  punto,  che  d'ogn'altro  male 
siamo  capaci  fuor  che  de  la  morte. 
Ma  giunto  e  con  questo  essere  immortale 
condizion  non  men  del  morir  forte; 
ch'ogni  settimo  giorno  ogniuna  e  certa 
che  la  sua  forma  in  biscia  si  converta. 

xcix 

II  vedersi  coprir  del  brutto  scoglio, 
e  gir  serpendo,  e  cosa  tanto  schiva, 
che  non  e  pare  al  mondo  altro  cordoglio; 
tal  che  bestemmia  ogniuna  d'esser  viva. 
E  Fobligo  ch'io  t'ho  (perche  ti  voglio 
insiememente  dire  onde  deriva), 
tu  saprai  che  quel  di,  per  esser  tali, 
siamo  a  periglio  d'infiniti  mali. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  II2J 

C 

Non  e  si  odiato  altro  animale  in  terra, 
come  la  serpe;  e  noi,  che  n'abbian  faccia, 
patimo  da  ciascuno  oltraggio  e  guerra; 
che  chi  ne  vede,  ne  percuote  e  caccia. 
Se  non  troviamo  ove  tornar  sotterra, 
sentiamo  quanto  pesa  altrui  le  braccia. 
Meglio  saria  poter  morir,  che  rotte 
e  storpiate  restar  sotto  le  botte. 

ci 

L'obligo  ch'io  t'ho  grande,  e  ch'una  volta 
che  tu  passavi  per  quest'ombre  amene, 
per  te  di  mano  fui  d'un  villan  tolta, 
che  gran  travagli  m'avea  dati  e  pene. 
Se  tu  non  eri,  io  non  andava  asciolta, 
ch'io  non  portassi  rotto  e  capo  e  schene, 
e  che  sciancata  non  restassi  e  storta, 
se  ben  non  vi  potea  rimaner  morta: 

Cll 

perche  quei  giorni  che  per  terra  il  petto 
traemo  awolte  in  serpentile  scorza, 
il  ciel  ch'in  altri  tempi  e  a  noi  suggetto, 
niega  ubbidirci,  e  prive  sian  di  forza. 
In  altri  tempi  ad  un  sol  nostro  detto 
il  sol  si  ferma  e  la  sua  luce  ammorza; 
rimmobil  terra  gira  e  muta  loco ; 
s'infiamma  il  ghiaccio,  e  si  congela  il  fuoco. 

cm 

Ora  io  son  qui  per  renderti  mercede 
del  beneficio  che  mi  festi  allora. 
Nessuna  grazia  indarno  or  mi  si  chiede 
ch'io  son  del  manto  viperino  fuora. 
Tre  volte  piu  che  di  tuo  padre  erede 
non  rimanesti,  io  ti  fo  ricco  or  ora: 
ne  vo'  che  mai  piu  povero  diventi, 
ma  quanto  spendi  piu,  che  piu  augumenti. 


1128  ORLANDO    FURIOSO 

CIV 

E  perche  so  die  ne  Tantiquo  nodo, 
in  che  gia  Amor  t'avinse,  anco  ti  trovi, 
voglioti  dimostrar  1'ordine  e  '1  modo 
ch'a  disbramar  tuoi  desiderii  giovi. 
lo  voglio,  or  che  lontano  il  marito  odo, 
che  senza  indugio  il  mio  consiglio  provi; 
vadi  a  trovar  la  donna  che  dimora 
fuori  alia  villa,  e  sar6  teco  io  ancora.» 

cv 

E  seguito  narrandogli  in  che  guisa 
alia  sua  donna  vuol  che  s'appresenti; 
dico  come  vestir,  come  precisa- 
mente  abbia  a  dir,  come  la  prieghi  e  tenti; 
e  che  forma  essa  vuol  pigliar,  devisa; 
che,  fuor  che  Jl  giorno  ch'erra  tra  serpenti, 
in  tutti  gli  altri  si  pu6  far,  secondo 
che  piu  le  pare,  in  quante  forme  ha  il  mondo. 

cvi 

Messe  in  abito  lui  di  peregrine 
il  qua!  per  Dio  di  porta  in  porta  accatti: 
mutosse  ella  in  un  cane,  il  piu  piccino 
di  quanti  mai  n'abbia  Natura  fatti, 
di  pel  lungo,  piu  bianco  ch'armellino, 
di  grato  aspetto  e  di  mirabili  atti. 
Cosi  trasfigurato,  entraro  in  via 
verso  la  casa  de  la  bella  Argia: 

cvn 

e  dei  lavoratori  alle  capanne, 
prima  ch'altrove,  il  giovene  fermosse; 
e  cominci6  a  sonar  certe  sue  canne, 
al  cui  suono  danzando  il  can  rizzosse. 
La  voce  e  '1  grido  alia  padrona  vanne, 
e  fece  si,  che  per  veder  si  mosse. 
Fece  il  romeo  chiamar  ne  la  sua  corte, 
si  come  del  dottor  traea  la  sorte. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1129 

CVIII 

E  quivl  Adonio  a  comandare  al  cane 
incominci6,  et  il  cane  a  ubbidir  lui, 
e  far  danze  nostral,  fame  d'estrane, 
con  passi  e  continenze  e  modi  sui, 
e  finalmente  con  maniere  umane 
far  ci6  che  comandar  sapea  colui, 
con  tanta  attenzion,  che  chi  lo  mira 
non  batte  gli  occhi,  e  a  pena  il  fiato  spira. 

cix 

Gran  maraviglia,  et  indi  gran  desire 
venne  alia  donna  di  quel  can  gentile; 
e  ne  fa  per  la  balia  proferire 
al  cauto  peregrin  prezzo  non  vile. 
<(  S'avessi  piu  tesor,  che  mai  sitire 
potesse  cupidigia  feminile, » 
colui  rispose  ccnon  saria  mercede 
di  comprar  degna  del  mio  cane  un  piede. » 

ex 

E  per  mostrar  che  veri  i  detti  foro, 
con  la  balia  in  un  canto  si  ritrasse, 
e  disse  al  cane  ch'una  marca  d'oro 
a  quella  donna  in  cortesia  donasse. 
Scossesi  il  cane,  e  videsi  il  tesoro. 
Disse  Adonio  alia  balia  che  pigliasse, 
soggiungendo :  «Ti  par  che  prezzo  sia, 
per  cui  si  bello  e  util  cane  io  dia? 

CXI 

Cosa,  qual  vogli  sia,  non  gli  domando, 
di  ch'io  ne  torni  mai  con  le  man  vote; 
e  quando  perle,  e  quando  annella,  e  quando 
leggiadra  veste  e  di  gran  prezzo  scuote. 
Pur  di'  a  madonna  che  fia  al  suo  comando; 
per  oro  no,  ch'oro  pagar  nol  puote : 
ma  se  vuol  ch'una  notte  seco  io  giaccia, 
abbiasi  il  cane,  e  yl  suo  voler  ne  faccia. » 


1130  ORLANDO    FURIOSO 

CXII 

Cosi  dice;  e  una  gemma  allora  nata 
le  da,  ch'alla  padrona  Pappresenti. 
Pare  alia  balia  averne  piu  derata, 
che  di  pagar  dieci  ducati  o  venti. 
Torna  alia  donna,  e  le  fa  1'imbasciata ; 
e  la  conforta  poi,  che  si  contend 
d'acquistare  il  bel  cane;  ch'acquistarlo 
per  prezzo  puo,  che  non  si  perde  a  darlo. 

CXIII 

La  bella  Argia  sta  ritrosetta  in  prima; 
parte  che  la  sua  fe  romper  non  vuole, 
parte  ch'esser  possibile  non  stima 
tutto  cio  che  ne  suonan  le  parole. 
La  balia  le  ricorda,  e  rode  e  lima, 
che  tanto  ben  di  rado  awenir  suole; 
e  fe5  che  1'agio  un  altro  di  si  tolse, 
che  51  can  veder  senza  tanti  occhi  volse. 

cxiv 

Quest' altro  comparir  ch'Adonio  fece, 
fu  la  niina  e  del  dottor  la  morte. 
Facea  nascer  le  doble  a  diece  a  diece, 
filze  di  perle,  e  gemme  d'ogni  sorte: 
si  che  il  superbo  cor  mansuefece, 
che  tanto  meno  a  contrastar  fu  forte, 
quanto  poi  seppe  che  costui  ch'inante 
gli  fa  partito,  e  '1  cavallier  suo  amante. 

cxv 

De  la  puttana  sua  balia  i  conforti, 
i  prieghi  de  1' amante  e  la  presenzia, 
il  veder  che  guadagno  se  1'apporti, 
del  misero  dottor  la  lunga  absenzia, 
lo  sperar  ch'alcun  mai  non  lo  rapporti, 
fero  ai  casti  pensier  tal  violenzia, 
ch'ella  accetto  il  bel  cane,  e  per  mercede 
in  braccio  e  in  preda  al  suo  amator  si  diede. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1131 

CXVI 

Adonio  lungamente  frutto  colse 
de  la  sua  bella  donna,  a  cui  la  fata 
grande  amor  pose,  e  tanto  le  ne  volse, 
che  sempre  star  con  lei  si  fu  ubligata. 
Per  tutti  i  segni  il  sol  prima  si  volse, 
ch'al  giudice  licenzia  fosse  data: 
al  fin  torno,  ma  pien  di  gran  sospetto 
per  quel  che  gia  Tastrologo  avea  detto. 

cxvu 

Fa,  giunto  ne  la  patria,  il  primo  volo 
a  casa  de  Tastrologo,  e  gli  chiede 
se  la  sua  donna  fatto  inganno  e  dolo, 
o  pur  servato  gli  abbia  amore  e  fede. 
II  sito  figur6  colui  del  polo, 
et  a  tutti  i  pianeti  il  luogo  diede: 
poi  rispose  che  quel  ch'avea  temuto, 
come  predetto  fu,  gli  era  awenuto ; 

CXVIII 

che  da  doni  grandissimi  corrotta, 
data  ad  altri  s'avea  la  donna  in  preda. 
Questa  al  dottor  nel  cor  fu  si  gran  botta, 
che  lancia  e  spiedo  io  vo'  che  ben  le  ceda. 
Per  esserne  piu  certo,  ne  va  allotta< 
(ben  che  pur  troppo  allo  indivino  creda) 
ov'e  la  balia,  e  la  tira  da  parte, 
e  per  saperne  il  certo  usa  grande  arte. 

cxix 

Con  larghi  giri  circondando  prova 
or  qua  or  la  di  ritrovar  la  traccia; 
e  da  principio  nulla  ne  ritrova, 
con  ogni  diligenzia  che  ne  faccia; 
ch'ella,  che  non  avea  tal  cosa  nuova, 
stava  negando  con  immobil  faccia; 
e  come  bene  instrutta,  piu  d'un  mese 
tra  il  dubbio  e  '1  certo  il  suo  patron  sospese. 


1132  ORLANDO    FURIOSO 

CXX 

Quanto  dovea  parergli  il  dubio  buono, 
se  pensava  il  dolor  ch'avria  del  certo! 
Poi  ch'indarno  provo  con  priego  e  dono, 
che  da  la  balia  il  ver  gli  fosse  aperto, 
ne  tocco  tasto  ove  sentisse  suono 
altro  che  falso;  come  uom  ben  esperto, 
aspetto  che  discordia  vi  venisse; 
ch'ove  femine  son,  son  liti  e  risse. 

CXXI 

E  come  egli  aspetto,  cosi  gli  awenne; 
ch'al  primo  sdegno  che  tra  loro  nacque, 
senza  suo  ricercar,  la  balia  venne 
il  tutto  a  ricontargli,  e  nulla  tacque. 
Lungo  a  dir  fora  cio  che  '1  cor  sostenne, 
come  la  mente  consternata  giacque 
del  giudice  meschin,  che  fu  si  oppresso, 
che  stette  per  uscir  fuor  di  se  stesso: 

cxxn 

e  si  dispose  al  fin,  da  Fira  vinto, 
morir,  ma  prima  uccider  la  sua  moglie; 
e  che  d'amendue  i  sangui  un  ferro  tinto 
levassi  lei  di  biasmo,  e  se  di  doglie. 
Ne  la  citta  se  ne  ritorna,  spinto 
da  cosi  furibonde  e  cieche  voglie; 
indi  alia  villa  un  suo  fidato  manda, 
e  quanto  esequir  debba  gli  commanda. 

CXXIII 

Commanda  al  servo  ch'alla  moglie  Argia 
torni  alia  villa,  e  in  nome  suo  le  dica 
ch'egli  e  da  febbre  oppresso  cosi  ria, 
che  di  trovarlo  vivo  avra  fatica; 
si  che  senza  aspettar  piii  compagnia 
venir  debba  con  lui,  s'ella  gli  e  arnica 
(verra:  sa  ben  che  non  fara  parola); 
e  che  tra  via  le  seghi  egli  la  gola. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1133 

CXXIV 

A  chiamar  la  patrona  ando  il  famiglio, 
per  far  di  lei  quanto  il  signer  commesse. 
Dato  prima  al  suo  cane  ella  di  piglio, 
monto  a  cavallo  et  a  camin  si  messe. 
L'avea  il  cane  avisata  del  periglio, 
ma  che  d'andar  per  questo  ella  non  stesse ; 
ch'avea  ben  disegnato  e  proveduto 
onde  nel  gran  bisogno  avrebbe  aiuto. 

cxxv 

Levato  il  servo  del  camino  s'era; 
e  per  diverse  e  solitarie  strade 
a  studio  capito  su  una  riviera 
che  d'Apennino  in  questo  flume  cade; 
ov'era  bosco  e  selva  oscura  e  nera, 
lungi  da  villa  e  lungi  da  cittade. 
Gli  parve  loco  tacito  e  disposto 
per  Teffetto  crudel  che  gli  fu  imposto. 

cxxvi 

Trasse  la  spada,  e  alia  padrona  disse 
quanto  commesso  il  suo  signor  gli  avea; 
si  che  chiedesse,  prima  che  morisse, 
perdono  a  Dio  d'ogni  sua  colpa  rea. 
Non  ti  so  dir  com' ella  si  coprisse: 
quando  il  servo  ferirla  si  credea, 
piu  non  la  vide,  e  molto  d'ogn'intorno 
Pando  cercando,  e  al  fin  rest6  con  scorno. 

CXXVII 

Torna  al  patron  con  gran  vergogna  et  onta, 
tutto  attonito  in  faccia  e  sbigottito; 
e  Tinsolito  caso  gli  racconta, 
ch'egli  non  sa  come  si  sia  seguito. 
ChV  suoi  servigi  abbia  la  moglie  pronta 
la  fata  Manto,  non  sapea  il  marito; 
che  la  balia  onde  il  resto  avea  saputo, 
questo,  non  so  perche,  gli  avea  taciuto. 


1134  ORLANDO    FURIOSO 

CXXVIII 

Non  sa  che  far;  che  ne  Toltraggio  grave 
vendicato  ha,  ne  le  sue  pene  ha  sceme. 
Quel  ch'era  una  festuca,  ora  e  una  trave, 
tanto  gli  pesa,  tanto  al  cor  gli  preme. 
L' error  che  sapean  pochi,  or  si  aperto  have, 
che  senza  indugio  si  palesi,  teme. 
Potea  il  primo  celarsi;  ma  il  secondo, 
publico  in  breve  fia  per  tutto  il  mondo. 

cxxix 

Conosce  ben  che  poi  che  Jl  cor  fellone 
avea  scoperto  il  misero  contra  essa, 
ch'ella,  per  non  tornargli  in  suggezione, 
d'alcun  potente  in  man  si  sara  messa; 
il  qual  se  la  terra  con  irrisione 
et  ignominia  del  marito  espressa; 
e  forse  anco  verra  d'alcuno  in  mano, 
che  ne  fia  insieme  adult ero  e  ruffiano. 

cxxx 

Si  che,  per  rimediarvi,  in  fretta  manda 
intorno  messi  e  lettere  a  cercarne: 
ch'in  quel  loco,  ch'in  questo  ne  domanda 
per  Lombardia,  senza  citta  lasciarne. 
Poi  va  in  persona,  e  non  si  lascia  banda 
ove  o  non  vada  o  mandivi  a  spiarne: 
ne  mai  pu6  ritrovar  capo  ne  via 
di  venire  a  notizia,  che  ne  sia. 

CXXXI 

Al  fin  chiama  quel  servo  a  chi  fu  imposta 

Fopra  crudel  che  poi  non  ebbe  effetto, 

e  fa  che  lo  conduce  ove  nascosta 

se  gli  era  Argia,  si  come  gli  avea  detto ; 

che  forse  in  qualche  macchia  il  di  reposta, 

la  notte  si  ripara  ad  alcun  tetto. 

Lo  guida  il  servo  ove  trovar  si  crede 

la  folta  selva,  e  un  gran  palagio  vede. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1135 

CXXXII 

Fatto  avea  farsi  alia  sua  fata  intanto 
la  bella  Argia  con  subito  lavoro 
d'alabastri  un  palagio  per  incanto, 
dentro  e  di  fuor  tutto  fregiato  d'oro. 
Ne  lingua  dir,  ne  cor  pensar  puo  quanto 
avea  belta  di  fuor,  dentro  tesoro. 
Quello  che  iersera  si  ti  parve  bello 
del  mio  signor,  saria  un  tugurio  a  quello. 

CXXXIII 

E  di  panni  di  razza,  e  di  cortine 

tessute  riccamente  e  a  varie  foggie, 

ornate  eran  le  stalle  e  le  cantine, 

non  sale  pur,  non  pur  carnere  e  loggie; 

vasi  d'oro  e  d'argento  senza  fine, 

gemme  cavate,  azzurre  e  verdi  e  roggie, 

e  formate  in  gran  piatti  e  in  coppe  e  in  nappi, 

e  senza  fin  d'oro  e  di  seta  drappi. 

cxxxiv 

II  giudice,  si  come  io  vi  dicea, 
venne  a  questo  palagio  a  dar  di  petto, 
quando  ne  una  cap  anna  si  credea 
di  ritrovar,  ma  solo  il  bosco  schietto. 
Per  1'alta  maraviglia  che  n'avea, 
esser  si  credea  uscito  d'intelletto : 
non  sapea  se  fosse  ebbro,  o  se  sognassi, 
o  pur  se  '1  cervel  scemo  a  volo  andassi. 

cxxxv 

Vede  inanzi  alia  porta  uno  Etiopo 
con  naso  e  labri  grossi;  e  ben  gli  e  awiso 
che  non  vedesse  mai,  prima  ne  dopo, 
un  cosl  sozzo  e  dispiacevol  viso; 
poi  di  fattezze,  qual  si  pinge  Esopo, 
d'attristar,  se  vi  fosse,  il  paradise; 
bisunto  e  sporco,  e  d'abito  mendico: 
ne  a  mezzo  ancor  di  sua  bruttezza  io  dico. 


1136  ORLANDO    FURIOSO 

CXXXVI 

Anselmo  che  non  vede  altro  da  cui 

possa  saper  di  chi  la  casa  sia, 

a  lui  s'accosta,  e  ne  domanda  a  lui; 

et  ei  risponde :  «  Questa  casa  e  mia. » 

II  giudice  e  ben  certo  che  colui 

lo  beffi  e  che  gli  dica  la  bugia: 

ma  con  scongiuri  il  negro  ad  affermare 

che  sua  e  la  casa,  e  ch'altri  non  v'ha  a  fare; 

cxxxvn 

e  gli  offerisce,  se  la  vuol  vedere, 
che  dentro  vada,  e  cerchi  come  voglia; 
e  se  v'ha  cosa  che  gli  sia  in  piacere 
o  per  se  o  per  gli  amici,  se  la  toglia. 
Diede  il  cavallo  al  servo  suo  a  tenere 
Anselmo,  e  messe  il  pie  dentro  alia  soglia; 
e  per  sale  e  per  camera  condutto, 
da  basso  e  d'alto  ando  mirando  il  tutto. 

CXXXVIII 

La  forma,  il  sito,  il  ricco  e  bel  lavoro 
va  contemplando,  e  1'ornamento  regio; 
e  spesso  dice:  «Non  potria  quant'oro 
e  sotto  il  sol  pagare  il  loco  egregio. » 
A  questo  gli  risponde  il  brutto  Moro, 
e  dice:  «E  questo  ancor  trova  il  suo  pregio: 
se  non  d'oro  o  d'argento,  nondimeno 
pagar  lo  puo  quel  che  vi  costa  meno. » 

cxxxix 

E  gli  fa  la  medesima  richiesta 
ch'avea  gia  Adonio  alia  sua  moglie  fatta. 
De  la  brutta  domanda  e  disonesta, 
persona  lo  stimo  bestiale  e  matta. 
Per  tre  repulse  e  quattro  egli  non  resta; 
e  tanti  modi  a  persuaderlo  adatta, 
sempre  offerendo  in  merito  il  palagio, 
che  fe5  inchinarlo  al  suo  voler  malvagio. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO 
CXL 

La  moglie  Argia  che  stava  appresso  ascosa, 
poi  che  lo  vide  nel  suo  error  caduto, 
salto  fuora  gridando:  a  Ah  degna  cosa 
che  io  veggo  di  dottor  saggio  tenuto!» 
Trovato  in  si  mal'opra  e  viziosa, 
pensa  se  rosso  far  si  deve  e  muto. 
O  terra,  acci6  ti  si  gettassi  dentro, 
perche  allor  non  t'apristi  insino  al  centro? 

CXLI 

La  donna  in  suo  discarco,  et  in  vergogna 
d'Anselmo,  il  capo  gl'introno  di  gridi, 
dicendo :  «  Come  te  punir  bisogna 
di  quel  che  far  con  si  vil  uom  ti  vidi, 
se  per  seguir  quel  che  natura  agogna, 
me,  vinta  a*  prieghi  del  mio  amante,  uccidi  ? 
ch'era  bello  e  gentile;  e  un  dono  tale 
mi  fe',  ch'a  quel  nulla  il  palagio  vale. 

CXLII 

S'io  ti  parvi  esser  degna  d'una  morte, 
conosci  che  ne  sei  degno  di  cento: 
e  ben  ch'in  questo  loco  io  sia  si  forte, 
ch'io  possa  di  te  fare  il  mio  talento; 
pure  io  non  vo*  pigliar  di  peggior  sorte 
altra  vendetta  del  tuo  fallimento. 
Di  par  Pavere  e  Jl  dar,  marito,  poni; 
fa,  com'io  a  te,  che  tu  a  me  ancor  perdoni : 

CXLIII 

e  sia  la  pace  e  sia  Faccordo  fatto, 

ch'ogni  passato  error  vada  in  oblio; 

ne  ch'in  parole  io  possa  mai  ne  in  atto 

ricordarti  il  tuo  error,  ne  a  me  tu  il  mio. » 

II  marito  ne  parve  aver  buon  patto, 

ne  dimostrossi  al  perdonar  restio. 

Cosi  a  pace  e  concordia  ritornaro, 

e  sempre  poi  fu  Tuno  alPaltro  caro.  — 


1138  ORLANDO    FURIOSO 

CXLIV 

Cosi  disse  il  nocchiero;  e  mosse  a  riso 
Rinaldo  al  fin  de  la  sua  istoria  un  poco; 
e  diventar  gli  fece  a  un  tratto  il  viso, 
per  Tonta  del  dottor,  come  di  fuoco. 
Rinaldo  Argia  molto  lodo,  ch'awiso 
ebbe  d'alzare  a  quello  augello  un  gioco 
ch'alla  medesma  rete  fe'  cascallo, 
in  che  cadde  ella,  ma  con  minor  fallo. 

CXLV 

Poi  che  piu  in  alto  il  sole  il  camin  prese, 
fe'  il  paladino  apparecchiar  la  mensa, 
ch'avea  la  notte  il  Mantuan  cortese 
pro  vista  con  larghissima  dispensa. 
Fugge  a  sinistra  intanto  il  bel  paese, 
et  a  man  destra  la  palude  immensa: 
viene  e  fuggesi  Argenta  e  '1  suo  girone 
col  lito  ove  Santerno  il  capo  pone. 

CXLVI 

Allora  la  Bastia  credo  non  v'era, 
di  che  non  troppo  si  vantar  Spagnuoli 
d'avervi  su  tenuta  la  bandiera; 
ma  piu  da  pianger  n'hanno  i  Romagniuoli. 
E  quindi  a  Filo  alia  dritta  riviera 
cacciano  il  legno,  e  fan  parer  che  voli. 
Lo  volgon  poi  per  una  fossa  morta, 
ch'a  mezzodi  presso  a  Ravenna  il  porta. 

CXLVII 

Ben  che  Rinaldo  con  pochi  danari 
fosse  sovente,  pur  n'avea  si  alora, 
che  cortesia  ne  fece  a'  marinari, 
prima  che  li  lasciasse  alia  buon'ora. 
Quindi  mutando  bestie  e  cavallari, 
Arimino  pass6  la  sera  ancora; 
ne  in  Montefiore  aspetta  il  matutino, 
e  quasi  a  par  col  sol  giunge  in  Urbino. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1139 

CXLVIII 

Quivi  non  era  Federico  allora, 
ne  Tlssabetta,  ne  '1  buon  Guido  v'era, 
ne  Francesco  Maria,  ne  Leonora, 
che  con  cortese  forza  e  non  altiera 
avesse  astretto  a  far  seco  dimora , 
si  famoso  guerrier  piu  d'una  sera; 
come  fer  gia  molti  anni,  et  oggi  fanno 
a  donne  e  a  cavallier  che  di  la  vanno. 

CXLIX 

Poi  che  quivi  alia  briglia  alcun  nol  prende, 
smonta  Rinaldo  a  Cagli  alia  via  dritta. 
Pel  monte  che  '1  Metauro  o  il  Gauno  fende, 
passa  Apennino,  e  piu  non  1'ha  a  man  ritta; 
passa  gli  Ombri  e  gli  Etrusci,  e  a  Roma  scende; 
da  Roma  ad  Ostia;  e  quindi  si  tragitta 
per  mare  alia  cittade  a  cui  commise 
il  pietoso  figliuol  Fossa  d'Anchise. 

CL 

Muta  ivi  legno,  e  verso  1'isoletta 
di  Lipadusa  fa  ratto  levarsi; 
quella  che  fu  dai  combattenti  eletta, 
et  ove  gia  stati  erano  a  trovarsi. 
Insta  Rinaldo,  e  gli  nocchieri  affretta, 
ch'a  vela  e  a  remi  fan  cio  che  puo  farsi; 
ma  i  venti  awersi  e  per  lui  mal  gagliardi, 
lo  fecer,  ma  di  poco,  arrivar  tardi. 

CLI 

Giunse  ch'a  punto  il  principe  d'Anglante 
fatta  avea  Futile  opra  e  gloriosa: 
avea  Gradasso  ucciso  et  Agramante, 
ma  con  dura  vittoria  e  sanguinosa. 
Morto  n'era  il  figliuol  di  Monodante; 
e  di  grave  percossa  e  perigliosa 
stava  Olivier  languendo  in  su  T  arena, 
e  del  pie  guasto  avea  martire  e  pena. 


II4O  ORLANDO    FURIOSO 

CLII 

Tener  non  pote  il  conte  asciutto  il  viso, 
quando  abbraccio  Rinaldo,  e  che  narrolli 
che  gli  era  stato  Brandimarte  ucciso, 
che  tanta  fede  e  tanto  amor  portolli. 
Ne  men  Rinaldo,  quando  si  diviso 
vide  il  capo  all'amico,  ebbe  occhi  molli: 
poi  quindi  ad  abbracciar  si  fu  condotto 
Olivier  che  sedea  col  piede  rotto. 

CLIII 

La  consolazion  che  seppe,  tutta 
die  lor,  ben  che  per  se  tor  non  la  possa; 
che  giunto  si  vedea  quivi  alle  frutta, 
anzi  poi  che  la  mensa  era  rimossa. 
Andaro  i  servi  alia  citta  distrutta, 
e  di  Gradasso  e  d'Agramante  Tossa 
ne  le  ruine  ascoser  di  Biserta, 
e  quivi  divulgar  la  cosa  certa. 

CLIV 

De  la  vitoria  ch'avea  avuto  Orlando, 
sjallegr6  Astolfo  e  Sansonetto  molto; 
non  si  pero,  come  avrian  fatto,  quando 
non  fosse  a  Brandimarte  il  lume  tolto. 
Sentir  lui  morto  il  gaudio  va  scemando 
si,  che  non  ponno  asserenare  il  volto. 
Or  chi  sara  di  lor  ch'annunzio  voglia 
a  Fiordiligi  dar  di  si  gran  doglia? 

CLV 

La  notte  che  precesse  a  questo  giorno, 
Fiordiligi  sogn6  che  quella  vesta 
che  per  mandarne  Brandimarte  adorno 
avea  trapunta,  e  di  sua  man  contesta, 
vedea  per  mezzo  sparsa  e  d'ogn'intorno 
di  goccie  rosse,  a  guisa  di  tempesta: 
parea  che  di  sua  man  cosi  Pavesse 
riccamata  ella,  e  poi  se  ne  dogliesse. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1141 

CLVI 

E  parea  dir:  «Pur  hammi  il  signer  mio 
commesso  ch'io  la  faccia  tutta  nera: 
or  perche  dunque  riccamata  holFio 
contra  sua  voglia  in  si  strana  maniera?» 
Di  questo  sogno  fe'  giudicio  rio; 
poi  la  novella  giunse  quella  sera: 
ma  tanto  Astolfo  ascosa  le  la  tenne, 
ch'a  lei  con  Sansonetto  se  ne  venne. 

CLVII 

Tosto  ch'entraro,  e  ch'ella  loro  il  viso 
vide  di  gaudio  in  tal  vittoria  privo; 
senz'altro  annunzio  sa,  senz'altro  awiso, 
che  Brandimarte  suo  non  e  piu  vivo. 
Di  cio  le  resta  il  cor  cosi  conquiso, 
e  cosi  gli  occhi  hanno  la  luce  a  schivo, 
e  cosi  ogn'altro  senso  se  le  serra, 
che  come  morta  andar  si  lascia  in  terra. 

CLVIII 

Al  tornar  de  lo  spirto,  ella  alle  chiome 
caccia  le  mani ;  et  alle  belle  gote, 
indarno  ripetendo  il  caro  nome, 
fa  danno  et  onta  piu  che  far  lor  puote: 
straccia  i  capelli  e  sparge ;  e  grida,  come 
donna  talor  che  1  demon  rio  percuote, 
o  come  s'ode  che  gia  a  suon  di  corno 
Menade  corse,  et  aggirossi  intorno. 

CLIX 

Or  questo  or  quel  pregando  va,  che  porto 
le  sia  un  coltel,  si  che  nel  cor  si  fera: 
or  correr  vuol  la  dove  il  legno  in  porto 
dei  duo  signor  defunti  arrivato  era, 
e  de  Funo  e  de  Taltro  cosi  morto 
far  crudo  strazio  e  vendetta  acra  e  fiera: 
or  vuol  passare  il  mare,  e  cercar  tanto, 
che  possa  al  suo  signor  morire  a  canto. 


ORLANDO   FURIOSO 
CLX 

—  Deh  perch6,  Brandimarte,  ti  lasciai 
senza  me  andare  a  tanta  impresa?  —  disse. 

—  Vedendoti  partir,  non  fu  piu  mai 
che  Fiordiligi  tua  non  ti  seguisse. 
T'avrei  giovato,  s'io  veniva,  assai, 
ch'avrei  tenute  in  te  le  luci  fisse; 

e  se  Gradasso  avessi  dietro  avuto, 
con  un  sol  grido  io  t'avrei  dato  aiuto; 

CLXI 

o  forse  esser  potrei  stata  si  presta, 
ch'entrando  in  mezzo,  il  colpo  t'avrei  tolto: 
fatto  scudo  t'avrei  con  la  mia  testa; 
che  morendo  io,  non  era  il  danno  molto. 
Ogni  modo  io  morro;  ne  fia  di  questa 
dolente  morte  alcun  profitto  colto; 
che  quando  io  fossi  morta  in  tua  difesa, 
non  potrei  meglio  aver  la  vita  spesa. 

CLXII 

Se  pur  ad  aiutarti  i  duri  fati 
avessi  avuti  e  tutto  il  cielo  awerso, 
gli  ultimi  baci  almeno  io  t'avrei  dati, 
almen  t'avrei  di  pianto  il  viso  asperso; 
e  prima  che  con  gli  angeli  beati 
fossi  Io  spirto  al  suo  Fattor  converso, 
detto  gli  avrei:  «Va  in  pace,  e  la  m'aspetta; 
ch'ovunque  sei,  son  per  seguirti  in  fretta. » 

CLXIII 

6  questo,  Brandimarte,  e  questo  il  regno 
di  che  pigliar  Io  scettro  ora  dovevi  ? 
Or  cosi  teco  a  Dammogire  io  vegno  ? 
cosi  nel  real  seggio  mi  ricevi  ? 
Ah  Fortuna  crudel,  quanto  disegno 
mi  rompi!  oh  che  speranze  oggi  mi  levi! 
Deh,  che  cesso  io,  poi  c'ho  perduto  questo 
tanto  mio  ben,  ch'io  non  perdo  anco  il  resto  ?  - 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1143 

CLXIV 

Questo  et  altro  dicendo,  in  lei  risorse 
il  furor  con  tanto  impeto  e  la  rabbia, 
ch'a  stracciare  il  ben  crin  di  nuovo  corse, 
come  il  bel  crin  tutta  la  colpa  n'abbia. 
Le  mani  insieme  si  percosse  e  morse, 
nel  sen  si  caccio  Pugne  e  ne  le  labbia. 
Ma  torno  a  Orlando  et  a'  compagni,  intanto 
ch'ella  si  strugge  e  si  consuma  in  pianto. 

CLXV 

Orlando,  col  cognato  che  non  poco 
bisogno  avea  di  medico  e  di  cura, 
et  altretanto  perche  in  degno  loco 
avesse  Brandimarte  sepultura, 
verso  il  monte  ne  va  che  fa  col  fuoco 
chiara  la  notte,  e  il  di  di  fumo  oscura. 
Hanno  propizio  il  vento,  e  a  destra  mano 
non  e  quel  lito  lor  molto  lontano. 

CLXVI 

Con  fresco  vento  ch'in  favor  veniva, 
sciolser  la  fune  al  declinar  del  giorno, 
mostrando  lor  la  taciturna  diva 
la  dritta  via  col  luminoso  corno; 
e  sorser  Paltro  di  sopra  la  riva 
ch'amena  giace  ad  Agringento  intorno. 
Quivi  Orlando  ordino  per  Taltra  sera 
cio  ch'a  funeral  pomp  a  bisogno  era. 

CLXVII 

Poi  che  Tor  dine  suo  vide  essequito, 
essendo  omai  del  sole  il  lume  spento, 
fra  molta  nobilta  ch'era  allo  'nvito 
de'  luoghi  intorno  corsa  in  Agringento, 
d'accesi  torchi  tutto  ardendo  '1  lito, 
e  di  grida  sonando  e  di  lamento, 
torn6  Orlando  ove  il  corpo  fu  lasciato, 
che  vivo  e  morto  avea  con  fede  amato. 


1 144  ORLANDO    FURIOSO 

CLXVIII 

Quivi  Bardin  di  soma  d'anni  grave 
stava  piangendo  alia  bara  funebre, 
che  pel  gran  pianto  ch'avea  fatto  in  nave, 
dovria  gli  occhi  aver  pianti  e  le  palpebre. 
Chiamando  il  ciel  crudel,  le  stelle  prave, 
ruggia  come  un  leon  ch'abbia  la  febre. 
Le  mani  erano  intanto  empie  e  ribelle 
ai  crin  canuti  e  alia  rugosa  pelle. 

CLXIX 

Levossi,  al  ritornar  del  paladino, 
maggiore  il  grido,  e  raddoppiossi  il  pianto. 
Orlando,  fatto  al  corpo  piu  vicino, 
senza  parlar  stette  a  mirarlo  alquanto, 
pallido  come  colto  al  matutino 
e  da  sera  il  ligustro  o  il  molle  acanto ; 
e  dopo  un  gran  sospir,  tenendo  fisse 
sempre  le  luci  in  lui,  cosi  gli  disse: 

CLXX 

—  O  forte,  o  caro,  o  mio  fedel  compagno, 
che  qui  sei  morto,  e  so  che  vivi  in  cielo, 
e  d'una  vita  v'hai  fatto  guadagno, 
che  non  ti  puo  mai  tor  caldo  ne  gielo, 
perdonami,  se  ben  vedi  ch'io  piagno; 
perche  d'esser  rimaso  mi  querelo, 
e  ch'a  tanta  letizia  io  non  son  teco ; 
non  gia  perche  qua  giu  tu  non  sia  meco. 

CLXXI 

Solo  senza  te  son;  ne  cosa  in  terra 
senza  te  posso  aver  piu,  che  mi  piaccia. 
Se  teco  era  in  tempesta  e  teco  in  guerra, 
perche  non  anco  in  ozio  et  in  bonaccia  ? 
Ben  grande  e  '1  mio  fallir,  poi  che  mi  serra 
di  questo  fango  uscir  per  la  tua  traccia. 
Se  negli  affanni  teco  fui,  perch'ora 
non  sono  a  parte  del  guadagno  ancora? 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1145 

CLXXII 

Tu  guadagnato,  e  perdita  ho  fatto  io  : 
sol  tu  all'acquisto,  io  non  son  solo  al  danno. 
Partecipe  fatto  e  del  dolor  mio 
Fltalia,  il  regno  franco  e  Falemanno. 
Oh  quanto,  quanto  il  mio  signore  e  210, 
oh  quanto  i  paladin  da  doler  s'hanno! 
quanto  Tlmperio  e  la  cristiana  Chiesa, 
che  perduto  han  la  sua  maggior  difesa! 

CLXXIII 

Oh  quanto  si  torra  per  la  tua  morte 
di  terrore  a'  nimici  e  di  spaventol 
Oh  quanto  Pagania  sara  piu  forte! 
quanto  anirno  n'avra,  quanto  ardimento! 
Oh  come  star  ne  dee  la  tua  consorte! 
Sin  qui  ne  veggo  il  pianto,  e  '1  grido  sento. 
So  che  m'accusa,  e  forse  odio  mi  porta, 
che  per  me  teco  ogni  sua  speme  e  morta. 

CLXXIV 

Ma,  Fiordiligi,  almen  resti  un  conforto 
a  noi  che  sian  di  Brandimarte  privi; 
ch'invidiar  lui  con  tanta  gloria  morto 
denno  tutti  i  guerrier  ch'oggi  son  vivi. 
Quei  Decii,  e  quel  nel  roman  foro  absorto, 
quel  si  lodato  Codro  dagli  Argivi, 
non  con  piu  altrui  profitto  e  piu  suo  onore 
a  morte  si  donar,  del  tuo  signore.  — 

CLXXV 

Queste  parole  et  altre  dicea  Orlando. 
Intanto  i  bigi,  i  bianchi,  i  neri  frati, 
e  tutti  gli  altri  chierci,  seguitando 
andavan  con  lungo  or  dine  accoppiati, 
per  Talma  del  defunto  Dio  pregando 
che  gli  donasse  requie  tra5  beati. 
Lumi  inanzi  e  per  mezzo  e  d'ogn'intorno, 
mutata  aver  parean  la  notte  in  giorno. 


1146  ORLANDO    FURIOSO 

CLXXVI 

Levan  la  bara,  et  a  portarla  foro 
messi  a  vicenda  conti  e  cavallieri. 
Purpurea  seta  la  copria,  che  d'oro 
e  di  gran  perle  avea  compass!  altieri: 
di  non  men  bello  e  signoril  lavoro 
avean  gemmati  e  splendid!  origlieri; 
e  giacea  quivi  il  cavallier  con  vesta 
di  color  pare,  e  d'un  lavor  contesta. 

CLXXVII 

Trecento  agli  altri  eran  passati  inanti, 
de'  piu  poveri  tolti  de  la  terra, 
parimente  vestiti  tutti  quanti 
di  panni  negri  e  lunghi  sin  a  terra. 
Cento  paggi  seguian  sopra  altretanti 
gross!  cavalli  e  tutti  buoni  a  guerra; 
e  i  cavalli  coi  paggi  ivano  il  suolo 
radendo  col  lor  abito  di  duolo. 

CLXXVIII 

Molte  bandiere  inanzi  e  molte  dietro, 
che  di  diverse  insegne  eran  dipinte, 
spiegate  accompagnavano  il  feretro ; 
le  qua!  gia  tolte  a  mille  schiere  vinte, 
e  guadagnate  a  Cesare  et  a  Pietro 
avean  le  forze  ch'or  giaceano  estinte. 
Scudi  v'erano  molti,  che  di  degni 
guerrieri,  a  chi  fur  tolti,  aveano  i  segni. 

CLXXIX 

Venian  cento  e  cent 'altri  a  divers!  usi 
de  1'esequie  ordinati;  et  avean  questi, 
come  anco  il  resto,  accesi  torch!;  e  chiusi, 
piu  che  vestiti,  eran  di  nere  vesti. 
Poi  seguia  Orlando,  e  ad  or  ad  or  sufTusi 
di  lacrime  avea  gli  occhi  e  rossi  e  mesti ; 
ne  piu  lieto  di  lui  Rinaldo  venne: 
il  pie  Olivier,  che  rotto  avea,  ritenne. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  I]C47 

CLXXX 

Lungo  sara  s'io  vi  vo'  dire  in  versi 
le  cerimonie,  e  raccontarvi  tutti 
i  dispensati  manti  oscuri  e  persi, 
gli  accesi  torchi  che  vi  furon  strutti. 
Quindi  alia  chiesa  catedral  conversi, 
dovunque  andar,  non  lasciaro  occhi  asciutti: 
si  bel,  si  buon,  si  giovene  a  pietade 
mosse  ogni  sesso,  ogni  ordine,  ogni  etade. 

CLXXXI 

Fu  posto  in  chiesa;  e  poi  che  da  le  donne 
di  lacrime  e  di  pianti  inutil  opra, 
e  che  dai  sacerdoti  ebbe  eleisonne 
e  gli  altri  santi  detti  avuto  sopra, 
in  una  area  il  serbar  su  due  colonne: 
e  quella  vuole  Orlando  che  si  cuopra 
di  ricco  drappo  d'or,  sin  che  reposto 
in  un  sepulcro  sia  di  maggior  costo. 

CLXXXII 

Orlando  di  Sicilia  non  si  parte, 
che  manda  a  trovar  porfidi  e  alabastri. 
Fece  fare  il  disegno,  e  di  quell'arte 
inarrar  con  gran  premio  i  miglior  mastri, 
Fe'  le  lastre,  venendo  in  questa  parte, 
poi  drizzar  Fiordiligi,  e  i  gran  pilastri; 
che  quivi  (essendo  Orlando  gia  partito) 
si  fe'  portar  da  1'africano  lito. 

CLXXXIII 

E  vedendo  le  lacrime  ihdefesse, 
et  ostinati  a  uscir  sempre  i  sospiri, 
ne  per  far  sempre  dire  uffici  e  messe, 
mai  satisfar  potendo  a'  suoi  disiri; 
di  non  partirsi  quindi  in  cor  si  messe, 
fin  che  del  corpo  1'anima  non  spiri: 
e  nel  sepolcro  fe'  fare  una  cella, 
e  vi  si  chiuse,  e  fe'  sua  vita  in  quella. 


1148  ORLANDO   FURIOSO 

CLXXXIV 

Oltre  che  messi  e  lettere  le  mande, 
vi  va  in  persona  Orlando  per  levarla. 
Se  viene  in  Francia,  con  pension  ben  grande 
compagna  vuol  di  Galerana  farla: 
quando  tornare  al  padre  anco  domande, 
sin  alia  Lizza  vuole  accompagnarla: 
edificar  le  vuole  un  monastero, 
quando  servire  a  Dio  faccia  pensiero. 

CLXXXV 

Stava  ella  nel  sepulcro;  e  quivi  attrita 
da  penitenzia,  orando  giorno  e  notte, 
non  duro  lunga  eta,  che  di  sua  vita 
da  la  Parca  le  fur  le  fila  rotte. 
Gia  fatto  avea  da  1'isola  partita, 
ove  i  Ciclopi  avean  1' antique  grotte, 
i  tre  guerrier  di  Francia,  afflitti  e  mesti, 
che  '1  quarto  lor  compagno  a  dietro  resti. 

CLXXXVI 

Non  volean  senza  medico  levarsi, 
che  d' Olivier  s'avesse  a  pigliar  cura; 
la  qual,  perche  a  principio  mal  pigliarsi 
pote,  fatt'era  faticosa  e  dura: 
e  quello  udiano  in  modo  lamentarsi, 
che  del  suo  caso  avean  tutti  paura. 
Tra  lor  di  cio  parlando,  al  nocchier  nacque 
un  pensiero,  e  lo  disse;  e  a  tutti  piacque. 

CLXXXVII 

Disse  ch'era  di  la  poco  lontano 
in  un  solingo  scoglio  uno  eremita, 
a  cui  ricorso  mai  non  s'era  invano, 
o  fosse  per  consiglio  o  per  aita; 
e  facea  alcuno  effetto  soprumano, 
dar  lume  a  ciechi,  e  tornar  morti  a  vita, 
fermare  il  vento  ad  un  segno  di  croce, 
e  far  tranquillo  il  mar  quando  e  piu  atroce : 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1149 

CLXXXVIII 

e  che  non  denno  dubitare,  andando 
a  ritrovar  quel  uomo  a  Dio  si  caro, 
che  lor  non  renda  Olivier  sano,  quando 
fatto  ha  di  sua  virtu  segno  piu  chiaro. 
Questo  consiglio  si  piacque  ad  Orlando, 
che  verso  il  santo  loco  si  drizzaro; 
ne  mai  piegando  dal  camin  la  prora, 
vider  lo  scoglio  al  sorger  de  1*  aurora. 

CLXXXIX 

Scorgendo  il  legno  uomini  in  acqua  dotti, 
sicuramente  s'accostaro  a  quello. 
Quivi  aiutando  servi  e  galeotti, 
declinano  il  marchese  nel  battello : 
e  per  le  spumose  onde  fur  condotti 
nel  duro  scoglio,  et  indi  al  santo  ostello; 
al  santo  ostello,  a  quel  vecchio  medesmo, 
per  le  cui  mani  ebbe  Ruggier  battesmo. 

cxc 

II  servo  del  Signor  del  paradiso 
raccolse  Orlando  et  i  compagni  suoi, 
e  benedilli  con  giocondo  viso, 
e  de'  lor  casi  dimandolli  poi; 
ben  che  de  lor  venuta  avuto  awiso 
avesse  prima  dai  celesti  eroi. 
Orlando  gli  rispose  esser  venuto 
per  ritrovare  al  suo  Oliviero  amto; 

cxci 

ch'era,  pugnando  per  la  fe  di  Cristo, 
a  periglioso  termine  ridutto. 
Lev6gli  il  santo  ogni  sospetto  tristo, 
e  gli  promise  di  sanarlo  in  tutto. 
Ne  d'unguento  trovandosi  previsto, 
n6  d'altra  urnana  medicina  instrutto, 
and6  alia  chiesa,  et  or6  al  Salvatore; 
et  indi  usci  con  gran  baldanza  fuore: 


II5O  ORLANDO   FURIOSO 

CXCII 

e  in  nome  de  le  eterne  tre  Persone, 

Padre  e  Figliuolo  e  Spirto  Santo,  diede 

ad  Olivier  la  sua  benedizione. 

Oh  virtu  che  da  Cristo  a  chi  gli  crede! 

Caccio  dal  cavalliero  ogni  passione, 

e  ritornolli  a  sanitade  il  piede, 

piu  fermo  e  piu  espedito  che  mai  fosse: 

e  presente  Sobrino  a  cio  trovosse. 

CXCIII 

Giunto  Sobrin  de  le  sue  piaghe  a  tanto, 
che  star  peggio  ogni  giorno  se  ne  sente, 
tosto  che  vede  del  monaco  santo 
il  miracolo  grande  et  evidente, 
si  dispon  di  lasciar  Macon  da  canto, 
e  Cristo  confessar  vivo  e  potente: 
e  domanda  con  cor  di  fede  attrito 
d'iniciarsi  al  nostro  sacro  rito. 

cxciv 

Cosi  Tuom  giusto  lo  battezza,  et  anco 
gli  rende,  orando,  ogni  vigor  primiero. 
Orlando  e  gli  altri  cavallier  non  ,manco 
di  tal  conversion  letizia  fero, 
che  di  veder  che  liberate  e  franco 
del  periglioso  mal  fosse  Oliviero. 
Maggior  gaudio  degli  altri  Ruggier  ebbe; 
e  molto  in  fede  e  in  devozione  accrebbe. 

cxcv 

Era  Ruggier  dal  di  che  giunse  a  nuoto 
su  questo  scoglio,  poi  statovi  ogniora. 
Fra  quei  guerrieri  il  vecchiarel  devoto 
sta  dolcemente,  e  U  conforta  et  ora 
a  voler,  schivi  di  pantano  e  loto, 
mondi  passar  per  questa  morta  gora 
c'ha  nome  vita,  che  si  piace  a'  sciocchi; 
et  alia  vita  del  ciel  sempre  aver  gli  occhi. 


CANTO    QUARANTESIMOTERZO  1151 

cxcvr 

Orlando  un  suo  mando  sul  legno,  e  trarne 
fece  pane  e  buon  vin,  cacio  e  persutti; 
e  Puom  di  Dio,  ch'ogni  sapor  di  starne 
pose  in  oblio  poi  ch'awezzossi  a'  frutti, 
per  carita  mangiar  fecero  carne, 
e  her  del  vino,  e  far  quel  che  fer  tutti. 
Poi  ch'alla  mensa  consolati  foro, 
di  molte  cose  ragionar  tra  loro. 

CXCVII 

E  come  accade  nel  parlar  sovente, 

ch'una  cosa  vien  1'altra  dimostrando, 

Ruggier  riconosciuto  finalmente 

fu  da  Rinaldo,  da  Olivier,  da  Orlando, 

per  quel  Ruggiero  in  arme  si  eccellente, 

il  cui  valor  s'accorda  ognun  lodando: 

ne  Rinaldo  Favea  raffigurato 

per  quel  che  provo  gia  ne  lo  steccato. 

CXCVIII 

Ben  Pavea  il  re  Sobrin  riconosciuto, 
tosto  che  51  vide  col  vecchio  apparire; 
ma  volse  inanzi  star  tacito  e  muto, 
che  porsi  in  aventura  di  fallire. 
Poi  ch'a  notizia  agli  altri  fu  venuto 
che  questo  era  Ruggier,  di  cui  Tar  dire, 
la  cortesia  e  '1  valore  alto  e  profondo 
si  facea  nominar  per  tutto  il  mondo; 

cxcix 

e  sapendosi  gia  ch'era  cristiano, 
tutti  con  lieta  e  con  serena  faccia 
vengono  a  lui:  chi  gli  tocca  la  mano, 
e  chi  lo  bacia,  e  chi  lo  stringe  e  abbraccia. 
Sopra  gli  altri  il  signor  di  Montalbano 
d'accarezzarlo  e  fargli  onor  procaccia. 
Perch'esso  piu  degli  altri,  io  '1  serbo  a  dire 
ne  Taltro  canto,  se  '1  vorrete  udire. 


1152  ORLANDO    FURIOSO 


CANTO   QUARANTESIMOQUARTO 


Spesso  in  poveri  alberghi  e  in  picciol  tetti, 
ne  le  calamitadi  e  nei  disagi, 
meglio  s'aggiungon  d'amicizia  i  petti, 
che  fra  ricchezze  invidiose  et  agi 
de  le  piene  d'insidie  e  di  sospetti 
corti  regali  e  splendidi  palagi, 
ove  la  caritade  e  in  tutto  estinta, 
ne  si  vede  amicizia,  se  non  finta. 

ii 

Quindi  awien  che  tra  principi  e  signori 
patti  e  convenzion  sono  si  frali. 
Fan  lega  oggi  re,  papi  e  imperatori ; 
doman  saran  nimici  capitali: 
perche,  qual  Papparenze  esteriori, 
non  hanno  i  cor,  non  han  gli  animi  tali; 
che  non  mirando  al  torto  piu  ch'al  dritto, 
attendon  solamente  al  lor  profitto. 

in 

Questi,  quantunque  d'amicizia  poco 
sieno  capaci,  perche  non  sta  quella 
ove  per  cose  gravi,  ove  per  giuoco 
mai  senza  finzion  non  si  favella; 
pur,  se  talor  gli  ha  tratti  in  umil  loco 
insieme  una  fortuna  acerba  e  fella, 
in  poco  tempo  vengono  a  notizia' 
(quel  che  in  molto  non  fer)  de  I'armcizia. 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO  1153 

IV 

II  santo  vecchiarel  ne  la  sua  stanza 
giunger  gli  ospiti  suoi  con  nodo  forte 
ed  amor  vero  meglio  ebbe  possanza, 
ch'altri  non  avria  fatto  in  real  corte. 
Fu  questo  poi  di  tal  perse veranza, 
che  non  si  sciolse  mai  fin  alia  morte. 
II  vecchio  li  trovo  tutti  benigni, 
candidi  piu  nel  cor  che  di  fuor  cigni. 

v 

Trovolli  tutti  amabili  e  cortesi, 
non  de  la  iniquita  ch'io  v'ho  dipinta 
di  quei  che  mai  non  escono  palesi, 
ma  sempre  van  con  apparenza  finta. 
Di  quanto  s'eran  per  adietro  offesi 
ogni  memoria  fu  tra  loro  estinta; 
e  se  d'un  ventre  fossero  e  d'un  seme, 
non  si  potriano  amar  piu  tutti  insieme. 

VI 

Sopra  gli  altri  il  signor  di  Montalbano 
accarezzava  e  riveria  Ruggiero; 
si  perche  gia  1'avea  con  1'arme  in  mano 
provato  quanto  era  animoso  e  fiero, 
si  per  trovarlo  affabile  et  umano 
piu  che  mai  fosse  al  mondo  cavalliero: 
ma  molto  piu,  che  da  diverse  bande 
si  conoscea  d'avergli  obligo  grande. 

VII 

Sapea  che  di  gravissimo  periglio 
egli  avea  liberato  Ricciardetto, 
quando  il  re  ispano  gli  fe'  dar  di  piglio 
e  con  la  figlia  prendere  nel  letto; 
e  ch'avea  tratto  Tuno  e  1'altro  figlio 
del  duca  Buovo  (com'io  v'ho  gia  detto) 
di  man  dei  Saracini  e  dei  malvagi 
ch'eran  col  maganzese  Bertolagi. 


1154  ORLANDO   FURIOSO 

VIII 

Questo  debito  a  lui  parea  di  sorte, 
ch'ad  amar  lo  stringeano  e  ad  onorarlo; 
e  gli  ne  dolse  e  gli  ne  'ncrebbe  forte, 
che  prima  non  avea  potato  farlo, 
quando  era  Tun  ne  Tafricana  corte, 
e  1'altro  agli  servigi  era  di  Carlo. 
Or  che  fatto  cristian  quivi  lo  trova, 
quel  che  non  fece  prima,  or  far  gli  giova. 

IX 

Proferte  senza  fine,  onore  e  festa 
fece  a  Ruggiero  il  paladin  cortese. 
II  prudent  e  eremita,  come  questa 
benivolenza  vide,  adito  prese. 
Entro  dicendo :  —  A  fare  altro  non  resta 
(e  lo  spero  ottener  senza  contese), 
che  come  1'amicizia  e  tra  voi  fatta, 
tra  voi  sia  ancora  affinita  contratta; 

x 

accio  che  de  le  due  progenie  illustri 
che  non  han  par  di  nobiltade  al  mondo, 
nasca  un  lignaggio  che  piu  chiaro  lustri, 
che  sl  chiaro  sol,  per  quanto  gira  a  tondo ; 
e  come  andran  piu  inanzi  et  anni  e  lustri, 
sara  piu  bello,  e  durera  (secondo 
che  Dio  m'inspira,  accio  ch'a  voi  nol  celi) 
fin  che  terran  1'usato  corso  i  cieli.  — 

XI 

E  seguitando  il  suo  parlar  piu  inante, 
fa  il  santo  vecchio  si,  che  persuade 
che  Rinaldo  a  Ruggier  dia  Bradamante, 
ben  che  pregar  ne  Tun  ne  Paltro  accade. 
Loda  Olivier  col  principe  d'Anglante, 
che  far  si  debba  questa  affinitade; 
il  che  speran  ch'approvi  Amone  e  Carlo, 
e  debba  tutta  Francia  commendarlo. 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO 
XII 

Cosi  dicean;  ma  non  sapean  ch'Amone, 
con  volunta  del  figlio  di  Pipino, 
n'avea  dato  in  quei  giorni  intenzione 
all'imperator  greco  Costantino, 
che  gliele  domandava  per  Leone 
suo  figlio  e  successor  nel  gran  domino. 
Se  n'era,  pel  valor  che  n'avea  inteso, 
senza  vederla,  il  giovinetto  acceso. 

XIII 

Risposto  gli  avea  Amon,  che  da  se  solo 
non  era  per  concludere  altramente, 
ne  pria  che  ne  parlasse  col  figliuolo 
Rinaldo,  da  la  corte  allora  absente; 
il  qual  credea  che  vi  verrebbe  a  volo, 
e  che  di  grazia  avria  si  gran  parente : 
pur,  per  molto  rispetto  che  gli  avea, 
risolver  senza  lui  non  si  volea. 

XIV 

Or  Rinaldo  lontan  dal  padre,  quella 
pratica  imperial  tutta  ignorando, 
quivi  a  Ruggier  promette  la  sorella 
di  suo  parere,  e  di  parer  ds  Orlando 
e  degli  altri  ch'avea  seco  alia  cella, 
ma  sopra  tutti  Teremita  instando : 
e  crede  veramente  che  piacere 
debba  ad  Amon  quel  parentado  avere. 

xv 

Quel  di  e  la  notte,  e  del  seguente  giorno 
steron  gran  parte  col  monaco  saggio, 
quasi  obliando  al  legno  far  ritorno, 
ben  che  il  vento  spirasse  al  lor  viaggio. 
Ma  i  lor  nocchieri,  a  cui  tanto  soggiorno 
increscea  omai,  mandar  piu  d'un  messaggio, 
che  si  li  stimular  de  la  partita, 
ch'a  forza  li  spiccar  da  reremita. 


1156  ORLANDO   FURIOSO 

XVI 

Ruggier  che  stato  era  in  esilio  tanto, 
ne  da  lo  scoglio  avea  mai  mosso  il  piede, 
tolse  licenzia  da  quel  mastro  santo 
ch'insegnata  gli  avea  la  vera  fede. 
La  spada  Orlando  gli  rimesse  a  canto, 
1'arme  d'Ettorre,  e  il  buon  Frontin  gli  diede; 
si  per  mostrar  del  suo  amor  segno  espresso, 
si  per  saper  che  dianzi  erano  d'esso. 

XVII 

E  quantunque  miglior  ne  1'incantata 
spada  ragione  avesse  il  paladino, 
che  con  pena  e  travaglio  gia  levata 
Favea  dal  formidabile  giardino, 
che  non  avea  Ruggiero  a  cui  donata 
dal  ladro  fu,  che  gli  die  ancor  Frontino; 
pur  volentier  gliele  don6  col  resto 
de  1'arme,  tosto  che  ne  fu  richiesto. 

XVIII 

Fur  benedetti  dal  vecchio  devoto, 
e  sul  navilio  al  fin  si  ritornaro. 
I  remi  all'acqua,  e  dier  le  vele  al  Noto; 
e  fu  lor  si  sereno  il  tempo  e  chiaro, 
che  non  vi  bisogno  priego  ne  voto, 
fin  che  nel  porto  di  Marsilia  entraro. 
Ma  quivi  stiano  tanto,  ch'io  conduca 
insieme  Astolfo,  il  glorioso  duca. 

XIX 

Poi  che  de  la  vittoria  Astolfo  intese, 
che  sanguinosa  e  poco  lieta  s'ebbe; 
vedendo  che  sicura  da  1'offese 
d* Africa  oggimai  Francia  esser  potrebbe, 
pens6  che  '1  re  de'  Nubi  in  suo  paese 
con  1'esercito  suo  rimanderebbe 
per  la  strada  medesima  che  tenne 
quando  contra  Biserta  se  ne  venne. 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO  1*57 

XX 

L'armata  che  i  pagan  roppe  ne  Tonde, 
gia  rimandata  avea  il  figliuol  d'Ugiero; 
di  cui,  nuovo  miracolo,  le  sponde 
(tosto  che  ne  fu  uscito  il  popul  nero) 
e  le  poppe  e  le  prore  muto  in  fronde, 
e  ritornolle  al  suo  stato  primiero: 
poi  venne  il  vento,  e  come  cosa  lieve 
levolle  in  aria,  e  fe'  sparire  in  breve. 

XXI 

Chi  a  piedi  e  chi  in  arcion  tutte  partita 
d'Africa  fer  le  nubiane  schiere. 
Ma  prima  Astolfo  si  chiamo  infinita 
grazia  al  Senapo  et  immortale  avere; 
che  gli  venne  in  persona  a  dare  aita 
con  ogni  sforzo  et  ogni  suo  pot  ere. 
Astolfo  lor  ne  Tuterino  claustro 
a  portar  diede  il  fiero  e  turbido  austro. 

xxir 

Negli  utri,  dico,  il  vento  die  lor  chiuso, 
ch'uscir  di  mezzodi  suol  con  tal  rabbia, 
che  muove  a  guisa  d'onde,  e  leva  in  suso, 
e  ruota  fin  in  ciel  Parrida  sabbia; 
accio  se  lo  portassero  a  lor  uso, 
che  per  camino  a  far  danno  non  abbia; 
e  che  poi,  giunti  ne  la  lor  regione, 
avessero  a  lassar  fuor  di  prigione. 

XXIII 

Scrive  Turpino,  come  furo  ai  passi 

de  1'alto  Atlante,  che  i  cavalli  loro 

tutti  in  un  tempo  diventaron  sassi ; 

si  che  come  venir  se  ne  tornoro. 

Ma  tempo  e  omai  ch' Astolfo  in  Francia  passi; 

e  cosi,  poi  che  del  paese  moro 

ebbe  provisto  ai  luoghi  principal!, 

alPippogrifo  suo  fe'  spiegar  Tali. 


1158  ORLANDO   FURIOSO 

XXIV 

Vol6  in  Sardigna  in  un  batter  di  penne, 
e  di  Sardigna  and6  nel  lito  corso; 
e  quindi  sopra  il  mar  la  strada  tenne, 
torcendo  alquanto  a  man  sinistra  il  morso. 
Ne  le  maremme  all'ultimo  ritenne 
de  la  ricca  Provenza  il  leggier  corso ; 
dove  segui  de  1'ippogrifo  quanto 
gli  disse  gia  1'evangelista  santo. 

xxv 

Hagli  commesso  il  santo  evangelista 
che  piu,  gmnto  in  Provenza,  non  lo  sproni; 
e  ch'aH'impeto  fier  piu  non  resista 
con  sella  e  fren,  ma  liberta  gli  doni. 
Gia  avea  il  piu  basso  ciel  che  sempre  acquista 
del  perder  nostro,  al  corno  tolti  i  suoni; 
che  muto  era  restate,  non  che  roco, 
tosto  ch'entr6  '1  guerrier  nel  divin  loco. 

XXVI 

Venne  Astolfo  a  Marsilia,  e  venne  a  punto 
il  di  che  v'era  Orlando  et  Oliviero 
e  quel  da  Montalbano  insieme  giunto 
col  buon  Sobrino  e  col  meglior  Ruggiero. 
La  memoria  del  sozio  lor  defunto 
viet6  che  i  paladini  non  potero 
insieme  cosi  a  punto  rallegrarsi, 
come  in  tanta  vittoria  dovea  farsi. 

XXVII 

Carlo  avea  di  Sicilia  avuto  awiso 
dei  duo  re  morti  e  di  Sobrino  preso, 
e  ch'era  stato  Brandimarte  ucciso; 
poi  di  Ruggiero  avea  non  meno  inteso: 
e  ne  stava  col  cor  lieto  e  col  viso 
d'aver  gittato  intolerabil  peso, 
che  gli  fu  sopra  gli  omeri  si  greve, 
che  stara  un  pezzo  pria  che  si  rileve. 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO  1159 

XXVIII 

Per  onorar  costor  ch'eran  sostegno 
del  santo  Imperio  e  la  maggior  colonna, 
Carlo  mando  la  nobilta  del  regno 
ad  incontrarli  fin  sopra  la  Sonna. 
Egli  usci  poi  col  suo  drappel  piu  degno 
di  re  e  di  duel,  e  con  la  propria  donna, 
fuor  de  le  mura,  in  compagnia  di  belle 
e  ben  ornate  e  nobili  donzelle. 

XXIX 

L'imperator  con  chiara  e  lieta  fronte, 
i  paladini  e  gli  amici  e  i  parenti, 
la  nobilta,  la  plebe  fanno  al  conte 
et  agli  altri  d'amor  segni  evident! : 
gridar  s'ode  Mongrana  e  Chiaramonte. 
Si  tosto  non  finir  gli  abbracciamenti, 
Rinaldo  e  Orlando  insieme  et  Oliviero 
al  signor  loro  appresentar  Ruggiero; 

xxx 

e  gli  narrar  che  di  Ruggier  di  Risa 
era  figliuol,  di  virtu  uguale  al  padre: 
se  sia  animoso  e  forte,  et  a  che  guisa 
sappia  ferir,  san  dir  le  nostre  squadre. 
Con  Bradamante  in  questo  vien  Marfisa, 
le  due  compagne  nobili  e  leggiadre: 
ad  abbracciar  Ruggier  vien  la  sorella; 
con  piu  rispetto  sta  Taltra  donzella. 

XXXI 

L'imperator  Ruggier  fa  risalire, 
ch'era  per  riverenzia  sceso  a  piede, 
e  lo  fa  a  par  a  par  seco  venire, 
e  di  cio  ch'a  onorarlo  si  richiede, 
un  punto  sol  non  lassa  preterire. 
Ben  sapea  che  tornato  era  alia  fede; 
che  tosto  che  i  guerrier  furo  alFasciutto, 
certificato  avean  Carlo  del  tutto. 


Il6o  ORLANDO    FURIOSO 

XXXII 

Con  pompa  trionfal,  con  festa  grande 
tornaro  insieme  dentro  alia  cittade, 
che  di  frondi  verdeggia  e  di  ghirlande: 
coperte  a  panni  son  tutte  le  strade: 
nembo  d'erbe  e  di  fior  d'alto  si  spande, 
e  sopra  e  intorno  ai  vincitori  cade, 
che  da  verroni  e  da  finestre  amene 
donne  e  donzelle  gittano  a  man  piene. 

XXXIII 

Al  volgersi  dei  canti  in  varii  lochi 
trovano  archi  e  trofei  subito  fatti, 
che  di  Biserta  le  mine  e  i  fochi 
mostran  dipinti,  et  altri  degni  fatti; 
altrove  palchi  con  diversi  giuochi 
e  spettacoli  e  mimmi  e  scenici  atti: 
et  e  per  tutti  i  canti  il  titol  vero 
scritto:  «Ai  liberatori  de  1'Impero.)) 

xxxiv 

Fra  il  suon  d'argute  trombe  e  di  canore 
pifare  e  d'ogni  musica  armonia, 
fra  riso  e  plauso,  iubilo  e  favore 
del  populo  ch'a  pena  vi  capia, 
smonto  al  palazzo  il  magno  imperatore, 
ove  piu  giorni  quella  compagnia 
con  torniamenti,  personaggi  e  farse, 
danze  e  conviti  attese  a  dilettarse. 

xxxv 

Rinaldo  un  giorno  al  padre  fe'  sapere 
che  la  sorella  a  Ruggier  dar  volea; 
ch'in  presenzia  d' Orlando  per  mogliere, 
e  d'Olivier,  promessa  glie  1'avea; 
li  quali  erano  seco  d'un  parere 
che  parentado  far  non  si  potea, 
per  nobilta  di  sangue  e  per  valore 
che  fosse  a  questo  par,  non  che  migliore. 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO  Il6l 

XXXVI 

Ode  Amone  il  figliuol  con  qualche  sdegno, 

che,  senza  conferirlo  seco,  gli  osa 

la  figlia  maritar,  ch'esso  ha  disegno 

che  del  figliuol  di  Costantin  sia  sposa, 

non  di  Ruggier,  il  qual  non  ch'abbi  regno, 

ma  non  pu6  al  mondo  dir:  ~  questa  e  mia  cosa  — ; 

ne  sa  che  nobilta  poco  si  prezza, 

e  men  virtu,  se  non  v'e  ancor  ricchezza. 

XXXVII 

Ma  piu  d'Amon  la  moglie  Beatrice 
biasma  il  figliuolo  e  chiamalo  arrogante; 
e  in  segreto  e  in  palese  contradice 
che  di  Ruggier  sia  moglie  Bradamante: 
a  tutta  sua  possanza  imperatrice 
ha  disegnato  farla  di  Levante. 
Sta  Rinaldo  ostinato,  che  non  vuole 
che  manchi  un  iota  de  le  sue  parole. 

XXXVIII 

La  madre,  ch'aver  crede  alle  sue  voglie 
la  magnanima  figlia,  la  conforta 
che  dica  che  piu  tosto  ch'esser  moglie 
d'un  pover  cavallier,  vuole  esser  morta; 
ne  mai  piu  per  figliuola  la  raccoglie, 
se  questa  ingiuria  dal  fratel  sopporta: 
nieghi  pur  con  audacia,  e  tenga  saldo; 
che  per  sforzar  non  la  sara  Rinaldo. 

xxxix 

Sta  Bradamante  tacita,  ne  al  detto 
de  la  madre  s'arrisca  a  contradire; 
che  1'ha  in  tal  riverenzia  e  in  tal  rispetto, 
che  non  potria  pensar  non  1'ubbidire. 
Da  1'altra  parte  terria  gran  difetto, 
se  quel  che  non  vuol  far,  volesse  dire. 
Non  vuol,  perche  non  pu6 ;  che  '1  poco  e  '1  molto 
poter  di  se  disporre  Amor  le  ha  tolto. 


Il62  ORLANDO   FURIOSO 

XL 

Ne  negar,  ne  mostrarsene  contenta 
s'ardisce;  e  sol  sospira,  e  non  risponde: 
poi  quando  e  in  luogo  ch'altri  non  la  senta, 
versan  lacrime  gli  occhi  a  guisa  d'onde; 
e  parte  del  dolor  che  la  tormenta, 
sentir  fa  al  petto  et  alle  chiome  blonde, 
che  Tun  percuote,  e  Faltro  straccia  e  frange; 
e  cosi  parla,  e  cosi  seco  piange: 

XLI 

ccAhime!  vorr6  quel  che  non  vuol  chi  deve 
poter  del  voler  mio  piu  che  poss'io  ? 
II  voler  di  mia  madre  avro  in  si  lieve 
stima,  ch'io  lo  posponga  al  voler  mio  ? 
Deh!  qual  peccato  puote  esser  si  grieve 
a  una  donzella,  qual  biasmo  si  rio, 
come  questo  sara  se,  non  volendo 
chi  sempre  ho  da  ubbidir,  marito  prendo  ? 

XLII 

Avra,  misera  me!  dunque  possanza 
la  materna  pieta,  ch'io  t'abandoni, 
o  mio  Ruggiero,  e  ch'a  nuova  speranza, 
a  desir  nuovo,  a  nuovo  amor  mi  doni? 
0  pur  la  riverenzia  e  Posservanza 
ch'ai  buoni  padri  denno  i  figli  buoni, 
porro  da  parte,  e  solo  avro  rispetto 
al  mio  bene,  al  mio  gaudio,  al  mio  diletto  ? 

XLIII 

So  quanto,  ahi  lassa!  debbo  far,  so  quanto 
di  buona  figlia  al  debito  conviensi: 
io  '1  so :  ma  che  mi  val,  se  non  puo  tanto 
la  ragion,  che  non  possino  piu  i  sensi? 
s'Amor  la  caccia  e  la  fa  star  da  canto, 
ne  lassa  ch'io  disponga,  ne  ch'io  pensi 
di  me  dispor,  se  non  quanto  a  lui  piaccia, 
e  sol  quanto  egli  detti  io  dica  e  faccia? 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO  1163 

XLIV 

Figlia  d'Amone  e  di  Beatrice  sono, 
e  son,  misera  me!  serva  d'Amore. 
Dai  genitori  miei  trovar  perdono 
spero  e  pieta,  s'io  cadero  in  errore: 
ma  s'io  offendero  Amor,  chi  sara  buono 
a  schivarmi  con  prieghi  il  suo  furore, 
che  sol  voglia  una  di  mie  scuse  udire, 
e  non  mi  faccia  subito  morire  ? 

XLV 

Qhime!  con  lunga  et  ostinata  prova 
ho  cercato  Ruggier  trarre  alia  fede ; 
et  hollo  tratto  al  fin:  ma  che  mi  giova, 
se  '1  mio  ben  fare  in  util  d'altri  cede? 
Cosi,  ma  non  per  s6,  Tape  rinuova 
il  mele  ogni  anno,  e  mai  non  lo  possiede. 
Ma  vo'  prima  morir,  che  mai  sia  vero 
ch'io  pigli  altro  marito  che  Ruggiero. 

XLVI 

S'io  non  saro  al  mio  padre  ubbidiente, 
ne  alia  mia  madre,  io  saro  al  mio  fratello, 
che  molto  e  molto  e  piii  di  lor  prudente, 
ne  gli  ha  la  troppa  eta  tolto  il  cervello. 
E  a  questo  che  Rinaldo  vuol,  consente 
Orlando  ancora;  e  per  me  ho  questo  e  quello: 
li  quali  duo  piu  onora  il  mondo  e  teme, 
che  Paltra  nostra  gente  tutta  insieme. 

XLVII 

Se  questi  il  fior,  se  questi  ognuno  stima 
la  gloria  e  lo  splendor  di  Chiaramonte; 
se  sopra  gli  altri  ognun  gli  alza  e  sublima 
piu  che  non  e  del  piede  alta  la  fronte; 
perche  debbo  voler  che  di  me  prima 
Amon  disponga,  che  Rinaldo  e  '1  conte? 
Voler  nol  debbo  tanto  men,  che  messa 
in  dubbio  al  Greco,  e  a  Ruggier  fui  promessa. » 


1164  ORLANDO  FURIOSO 

XLVIII 

Se  la  donna  s'amigge  e  si  tormenta, 
ne  di  Ruggier  la  mente  e  piu  quieta; 
ch'ancor  che  di  cio  nuova  non  si  senta 
per  la  citta,  pur  non  e  a  lui  segreta. 
Seco  di  sua  fortuna  si  lamenta, 
la  qual  fruir  tanto  suo  ben  gli  vieta, 
poi  che  ricchezze  non  gli  ha  date  e  regni, 
di  che  e  stata  si  larga  a  mille  indegni. 

XLIX 

Di  tutti  gli  altri  beni,  o  che  concede 
Natura  al  mondo,  o  proprio  studio  acquista, 
aver  tanta  e  tal  parte  egli  si  vede, 
qual  e  quanta  altri  aver  mai  s'abbia  vista; 
ch'a  sua  bellezza  ogni  bellezza  cede, 
ch'a  sua  possanza  e  raro  chi  resista: 
di  magnanimita,  di  splendor  regio 
a  nessun,  piu  ch'a  lui,  si  debbe  il  pregio. 

L 

Ma  il  volgo,  nel  cui  arbitrio  son  gli  onori, 
che  come  pare  a  lui  li  leva  e  dona 
(ne  dal  nome  del  volgo  voglio  fuori, 
eccetto  1'uom  prudente,  trar  persona; 
che  n6  papi  ne  re  ne  imperatori 
non  ne  tra}  scettro,  mitra  n6  corona; 
ma  la  prudenzia,  ma  il  giudizio  buono, 
grazie  che  dal  ciel  date  a  pochi  sono); 

LI 

questo  volgo  (per  dir  quel  ch'io  vo'  dire) 
ch'altro  non  riverisce  che  ricchezza, 
ne  vede  cosa  al  mondo  che  piu  ammire, 
e  senza,  nulla  cura  e  nulla  apprezza, 
sia  quanto  voglia  la  belta,  1'ardire, 
la  possanza  del  corpo,  la  destrezza, 
la  virtu,  il  senno,  la  bonta;  e  piu  in  questo 
di  ch'ora  vi  ragiono,  che  nel  resto. 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO  1165 

LII 

Dicea  Ruggier: —  Se  pur  e  Amon  disposto 
che  la  figliuola  imperatrice  sia, 
con  Leon  non  concluda  cosi  tosto: 
almen  termine  un  anno  anco  mi  dia; 
ch'io  spero  intanto  che  da  me  deposto 
Leon  col  padre  de  l'imperio  fia; 
e  poi  che  tolto  avro  lor  le  corone, 
genero  indegno  non  saro  d'Amone. 

LIII 

Ma  se  fa  senza  indugio,  come  ha  detto, 
suocero  de  la  figlia  Costantino; 
s'alla  promessa  non  avra  rispetto 
di  Rinaldo  e  d' Orlando  suo  cugino, 
fattami  inanzi  al  vecchio  benedetto, 
al  marchese  Uliviero,  al  re  Sobrino, 
che  faro  ?  vo'  patir  si  grave  torto  ? 
o,  prima  che  patirlo,  esser  pur  morto  ? 

LIV 

Deh  che  faro?  faro  dunque  vendetta 
contra  il  padre  di  lei  di  questo  oltraggio  ? 
Non  miro  ch'io  non  son  per  farlo  in  fretta, 
o  s'in  tentarlo  io  mi  sia  stolto  o  saggio. 
Ma  voglio  presupor  ch'a  morte  io  metta 
1'iniquo  vecchio  e  tutto  il  suo  lignaggio: 
questo  non  mi  fara  per6  contento; 
anzi  in  tutto  sara  contra  al  mio  intento. 

LV 

E  fu  sempre  il  mio  intento  et  e  che  m'ami 
la  bella  donna,  e  non  che  mi  sia  odiosa: 
ma  quando  Amone  uccida,  o  facci  o  trami 
cosa  al  fratello  o  agli  altri  suoi  dannosa, 
non  le  do  iusta  causa  che  mi  chiami 
nimico,  e  piu  non  voglia  essermi  sposa? 
Che  debbo  dunque  far?  debbol  patire? 
Ah  non,  per  Dio!  piu  tosto  io  vo'  morire. 


Il66  ORLANDO   FURIOSO 

LVI 

Anzi  non  vo'  morir;  ma  vo'  che  muoia 
con  piu  ragion  questo  Leone  Augusto, 
venuto  a  disturbar  tanta  mia  gioia: 

10  vo'  che  muoia  egH  e  '1  suo  padre  ingiusto. 
Elena  bella  all'amator  di  Troia 

non  cost6  si,  n6  a  tempo  piu  vetusto 

Proserpina  a  Piritoo,  come  voglio 

ch'al  padre  e  al  figlio  costi  il  mio  cordoglio. 

LVII 

Puo  esser,  vita  mia,  che  non  ti  doglia 
lasciare  il  tuo  Ruggier  per  questo  Greco  ? 
Potra  tuo  padre  far  che  tu  lo  toglia, 
ancor  ch'avesse  i  tuoi  fratelH  seco? 
Ma  sto  in  timor,  ch'abbi  piu  tosto  voglia 
d'esser  d'accordo  con  Amon  che  meco; 
e  che  ti  paia  assai  miglior  partito 
Cesare  aver,  ch'un  private  uom  marito. 

LVIII 

Sara  possibil  mai  che  nome  regio, 
titolo  imperial,  grandezza  e  pompa, 
di  Bradamante  mai  Tammo  egregio, 

11  gran  valor,  1'alta  virtu  corrompa? 
si  ch'abbia  da  tenere  in  minor  pregio 
la  data  fede,  e  le  promesse  rompa? 
ne  piu  tosto  d'Amon  farsi  nimica, 

che  quel  che  detto  m'ha,  sempre  non  dica?  — 

LIX 

Diceva  queste  et  altre  cose  molte 
ragionando  fra  se  Ruggiero;  e  spesso 
le  dicea  in  guisa  ch'erano  raccolte 
da  chi  talor  se  gli  trovava  appresso  : 
si  che  il  tormento  suo  piu  di  due  volte 
era  a  colei  per  cui  pativa,  espresso, 
a  cui  non  dolea  meno  il  sentir  lui 
cosi  doler,  che  i  proprii  affanni  sui.     ' 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO  1167 

LX 

Ma  piu  d'ogni  altro  duol  che  le  sia  detto 
che  tormenti  Ruggier,  di  questo  ha  doglia, 
ch'intende  che  s'affligge  per  sospetto 
ch'ella  lui  lasci,  e  che  quel  Greco  voglia. 
Onde,  accio  si  conforti,  e  che  del  petto 
questa  credenza  e  questo  error  si  toglia, 
per  una  di  sue  fide  cameriere 
gli  fe'  queste  parole  un  di  sapere: 

LXI 

«  Ruggier,  qual  sempre  fui,  tal  esser  voglio 
fin  alia  morte,  e  piu,  se  piu  si  puote. 
O  siami  Amor  benigno  o  m'usi  orgoglio, 
o  me  Fortuna  in  alto  o  in  basso  mote, 
immobil  son  di  vera  fede  scoglio 
che  d'ogn'intorno  il  vento  e  il  mar  percuote: 
ne  gia  mai  per  bonaccia  ne  per  verno 
luogo  mutai,  n6  mutero  in  eterno. 

LXII 

Scarp ello  si  vedra  di  piombo  o  lima 
formare  in  varie  imagini  diamante, 
prima  che  colpo  di  Fortuna,  o  prima 
ch'ira  d'Amor  rompa  il  mio  cor  costante; 
e  si  vedra  tornar  verso  la  cima 
de  Palpe  il  flume  turbido  e  sonante, 
che  per  nuovi  accidenti,  o  buoni  o  rei, 
faccino  altro  viaggio  i  pensier  miei. 

LXIII 

A  voi,  Ruggier,  tutto  il  dominio  ho  dato 
di  me,  che  forse  e  piu  ch'altri  non  crede. 
So  ben  ch'a  nuovo  principe  giurato 
non  fu  di  questa  mai  la  maggior  fede. 
So  che  ne  al  mondo  il  piu  sicuro  stato 
di  questo,  re  ne  imperator  possiede. 
Non  vi  bisogna  far  fossa  ne  torre, 
per  dubbio  ch'altri  a  voi  lo  venga  a  t6rre. 


Il68  ORLANDO   FURIOSO 

LXIV 

Che,  senza  ch'assoldiate  altra  persona, 
non  verra  assalto  a  cui  non  si  resista. 
Non  e  ricchezza  ad  espugnarmi  buona, 
ne  si  vil  prezzo  un  cor  gentile  acquista. 
Ne  nobilta,  ne  altezza  di  corona, 
ch'al  sciocco  volgo  abbagliar  suol  la  vista, 
non  belta,  ch'in  lieve  animo  puo  assai, 
vedro  che  piu  di  voi  mi  piaccia  mai. 

LXV 

Non  avete  a  temer  ch'in  forma  nuova 
intagHare  il  mio  cor  mai  piu  si  possa: 
si  Fimagine  vostra  si  ritrova 
sculpita  in  lui,  ch'esser  non  puo  rimossa. 
Che  '1  cor  non  ho  di  cera,  e  fatto  prova; 
che  gli  die  cento,  non  ch'una  percossa, 
Amor,  prima  che  scaglia  ne  levasse, 
quando  airimagin  vostra  lo  ritrasse. 

LXVI 

Avorio  e  gemma  et  ogni  pietra  dura 
che  meglio  da  1'intaglio  si  difende, 
romper  si  pu6;  ma  non  ch' altra  figura 
prenda,  che  quella  ch'una  volta  prende. 
Non  e  il  mio  cor  diverso  alia  natura 
del  marmo  o  d'altro  ch'al  ferro  contende. 
Prima  esser  puo  che  tutto  Amor  lo  spezze, 
che  lo  possa  sculpir  d'altre  bellezze. » 

LXVII 

Suggiunse  a  queste  altre  parole  molte, 
piene  d'amor,  di  fede  e  di  conforto, 
da  ritornarlo  in  vita  mille  volte, 
se  stato  mille  volte  fosse  morto. 
Ma  quando  piu  de  la  tempesta  tolte 
queste  speranze  esser  credeano  in  porto, 
da  un  nuovo  turbo  impetuoso  e  scuro 
rispinte  in  mar,  lungi  dal  lito,  furo: 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO  1169 

LXVIII 

pero  che  Bradamante,  ch'eseguire 

vorria  molto  piu  ancor,  che  non  ha  detto, 

rivocando  nel  cor  Pusato  ardire, 

e  lasciando  ir  da  parte  ogni  rispetto, 

s'appresenta  un  di  a  Carlo,  e  dice: —  Sire, 

s'a  vostra  Maestade  alcuno  effetto 

io  feci  mai  che  le  paresse  buono, 

contenta  sia  di  non  negarmi  un  dono. 

LXIX 

E  prima  che  piu  espresso  io  le  lo  chieggia, 
su  la  real  sua  fede  mi  prometta 
farmene  grazia;  e  vorro  poi  che  veggia 
che  sara  iusta  la  domanda  e  retta. 

—  Merta  la  tua  virtu  che  dar  ti  deggia 
cio  che  domandi,  o  giovane  diletta;  — 
rispose  Carlo  — -  e  giuro,  se  ben  parte 
chiedi  del  regno  mio,  di  contentarte. 

LXX 

—  II  don  ch'io  bramo  da  1'Altezza  vostra, 
e  che  non  lasci  mai  marito  darme,  — 
disse  la  damigella  —  se  non  mostra 

che  piu  di  me  sia  valoroso  in  arme. 

Con  qualunche  mi  vuol,  prima  o  con  giostra 

o  con  la  spada  in  mano  ho  da  provarme. 

II  primo  che  mi  vinca,  mi  guadagni: 

chi  vinto  sia,  con  altra  s'accompagni.  — 

LXXI 

Disse  1'imperator  con  viso  lieto 
che  la  domanda  era  di  lei  ben  degna; 
e  che  stesse  con  Tanimo  quieto, 
che  fara  a  punto  quanto  ella  disegna. 
Non  e  questo  parlar  fatto  in  segreto 
si,  ch'a  notizia  altrui  tosto  non  vegna; 
e  quel  giorno  medesimo  alia  vecchia 
Beatrice  e  al  vecchio  Amon  corre  all'orecchia. 


1170  ORLANDO   FURIOSO 

LXXII 

Li  quali  parimente  arser  di  grande 
sdegno  contra  alia  figlia,  e  di  grand'ira; 
che  vider  ben  con  queste  sue  domande 
ch'ella  a  Ruggier  piu  ch'a  Leone  aspira: 
e  presti  per  vietar  che  non  si  mande 
questo  ad  effetto,  a  ch'ella  intende  e  mira, 
la  levaro  con  fraude  de  la  corte, 
e  la  menaron  seco  a  Roccaforte. 

LXXIII 

Quest'era  una  fortezza  ch'ad  Amone 

donato  Carlo  avea  pochi  di  inante, 

tra  Pirpignano  assisa  e  Carcassone, 

in  loco  a  ripa  il  mar,  molto  importante. 

Quivi  la  ritenean  come  in  prigione, 

con  pensier  di  mandarla  un  di  in  Levante; 

si  ch'ogni  mo  do,  voglia  ella  o  non  voglia, 

lasci  Ruggier  da  parte,  e  Leon  toglia. 

LXXIV 

La  valorosa  donna,  che  non  meno 
era  modesta,  ch'animosa  e  forte; 
ancor  che  posto  guardia  non  Pavieno, 
e  potea  entrare  e  uscir  fuor  de  le  porte ; 
pur  stava  ubbidiente  sotto  il  freno 
del  padre:  ma  patir  prigione  e  morte, 
ogni  martire  e  crudelta  piu  tosto 
che  mai  lasciar  Ruggier,  s'avea  proposto. 

LXXV 

Rinaldo,  che  si  vide  la  sorella 
per  astuzia  d'Amon  tolta  di  mano, 
e  che  dispor  non  potra  piu  di  quella, 
e  ch'a  Ruggier  1'avra  promessa  invano ; 
si  duol  del  padre,  e  contra  a  lui  favella, 
posto  il  rispetto  filial  lontano. 
Ma  poco  cura  Amon  di  tai  parole, 
e  di  sua  figlia  a  mo  do  suo  far  vuole. 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO  1171 

LXXVI 

Ruggier,  che  questo  sente,  et  ha  timore 
di  rimaner  de  la  sua  donna  privo, 
e  che  Pabbia  o  per  forza  o  per  amore 
Leon,  se  resta  lungamente  vivo; 
senza  parlarne  altrui  si  mette  in  core 
di  far  che  muoia,  e  sia  d'Augusto,  Divo; 
e  tor,  se  non  Finganna  la  sua  sperne, 
al  padre  e  a  lui  la  vita  e  '1  regno  insieme. 

LXXVII 

L'arme  che  fur  gia  del  troiano  Ettorre, 
e  poi  di  Mandricardo,  si  riveste, 
e  fa  la  sella  al  buon  Frontino  porre, 
e  cirnier  muta,  scudo  e  sopraveste. 
A  questa  impresa  non  gli  piacque  t6rre 
1'aquila  bianca  nel  color  celeste, 
ma  un  candido  liocorno,  come  giglio, 
vuol  ne  lo  scudo,  e  '1  campo  abbia  vermiglio. 

LXXVIII 

Sceglie  de'  suoi  scudieri  il  piii  fedele, 
e  quel  vuole  e  non  altri  in  compagnia; 
e  gli  fa  commission,  che  non  rivele 
in  alcun  loco  mai,  che  Ruggier  sia. 
Passa  la  Mosa  e  '1  Reno,  e  passa  de  le 
contrade  d'Ostericche,  in  Ungheria; 
e  lungo  Tlstro  per  la  destra  riva 
tanto  cavalca,  ch'a  Belgrade  arriva. 

LXXIX 

Ove  la  Sava  nel  Danubio  scende, 
e  verso  il  mar  maggior  con  lui  da  volta, 
vede  gran  gente  in  padiglioni  e  tende 
sotto  Tinsegne  imperial  raccolta; 
che  Costantino  ricovrare  in  tende 
quella  citta  che  i  Bulgari  gli  han  tolta. 
Costantin  v'e  in  persona,  e  '1  figliuol  seco 
con  quanto  pu6  tutto  Pimperio  greco. 


II>72  ORLANDO   FURIOSO 

LXXX 

Dentro  a  Belgrade,  e  fuor  per  tutto  il  monte, 
e  giu  fin  dove  il  flume  il  pie  gli  lava, 
Tesercito  dei  Bulgari  gli  e  a  fronte; 
e  Tuno  e  1'altro  a  ber  viene  alia  Sava. 
Sul  frame  il  Greco  per  gittare  il  ponte, 
il  Bulgar  per  vietarlo  armato  stava, 
quando  Ruggier  vi  giunse;  e  zufFa  grande 
attaccata  trov6  fra  le  due  bande. 

LXXXI 

I  Greci  son  quattro  contr'uno,  et  hanno 
navi  coi  ponti  da  gittar  ne  1'onda; 

e  di  voler  fiero  sembiante  fanno 
passar  per  forza  alia  sinistra  sponda. 
Leone  intanto,  con  occulto  inganno 
dal  flume  discostandosi,  circonda 
molto  paese,  e  poi  vi  torna,  e  getta 
ne  1'altra  ripa  i  ponti,  e  passa  in  fretta: 

LXXXII 

e  con  gran  gente,  chi  in  arcion,  chi  a  piede 
(che  non  n'avea  di  ventimila  un  manco), 
cavalco  lungo  la  riviera,  e  diede 
con  fiero  assalto  agPinimici  al  fiance. 
L'imperator,  tosto  che  '1  figlio  vede 
sul  fiume  comparirsi  al  lato  manco, 
ponte  aggiungendo  a  ponte  e  nave  a  nave, 
passa  di  la  con  quanto  esercito  have. 

LXXXIII 

II  capo,  il  re  de'  Bulgari  Vatrano, 
animoso  e  prudente  e  pro'  guerriero, 
di  qua  e  di  la  s'affaticava  invano 
per  riparare  a  un  impeto  si  fiero; 
quando  cingendol  con  robusta  mano 
Leon  gli  fe*  cader  sotto  il  destriero: 

e  poi  che  dar  prigion  mai  non  si  volse, 
con  mille  spade  la  vita  gli  tolse. 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO  1173 

LXXXIV 

I  Bulgari  sin  qui  fatto  avean  testa; 
ma  quando  il  lor  signer  si  vider  tolto, 
e  crescer  d'ogn'intorno  la  tempesta, 
voltar  le  spalle  ove  avean  prima  il  volto. 
Ruggier,  che  misto  vien  fra  i  Greci,  e  questa 
sconfitta  vede,  senza  pensar  molto, 
i  Bulgari  soccorrer  si  dispone, 
perch'odia  Costantino  e  piii  Leone. 

LXXXV 

Sprona  Frontin  che  sembra  al  corso  un  vento, 
e  inanzi  a  tutti  i  corridori  passa; 
e  tra  la  gente  vien,  che  per  spavento 
al  monte  fugge,  e  la  pianura  lassa. 
Molti  ne  ferrna,  e  fa  voltare  il  mento 
contra  i  nimici,  e  poi  la  lancia  abassa; 
e  con  si  fier  sembiante  il  destrier  muove, 
che  fin  nel  ciel  Marte  ne  teme  e  Giove. 

LXXXVI 

Dinanzi  agli  altri  un  cavalliero  adocchia, 
che  riccamato  nel  vestir  vermiglio 
avea  d'oro  e  di  seta  una  pannocchia 
con  tutto  il  gambo,  che  parea  di  miglio; 
nipote  a  Costantin  per  la  sirocchia, 
ma  che  non  gli  era  men  caro  che  figlio: 
gli  spezza  scudo  e  osbergo  come  vetro, 
e  fa  la  lancia  un  palmo  apparir  dietro. 

LXXXVII 

Lascia  quel  morto,  e  Balisarda  stringe 
verso  uno  stuol  che  piu  si  vede  appresso; 
e  contra  a  questo  e  contra  a  quel  si  spinge, 
et  a  chi  tronco  et  a  chi  il  capo  ha  fesso : 
a  chi  nel  petto,  a  chi  nel  franco  tinge 
il  brando,  e  a  chi  Pha  ne  la  gola  messo : 
taglia  busti,  anche,  braccia,  mani  e  spalle; 
e  il  sangue,  come  un  rio,  corre  alia  valle. 


1174  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXVIII 

Non  e,  visti  quei  colpi,  chi  gli  faccia 
contrasto  piii,  cosl  n'e  ogniun  smarrito; 
si  che  si  cangia  subito  la  faccia 
de  la  battaglia;  che  tornando  ardito, 
il  petto  volge  e  ai  Greci  da  la  caccia 
il  Bulgaro  che  dianzi  era  fuggito: 
in  un  momento  ogni  ordine  disciolto 
si  vede,  e  ogni  stendardo  a  fuggir  volto. 

LXXXIX 

Leone  Augusto  s'un  poggio  eminente, 
vedendo  i  suoi  fuggir,  s'era  ridutto; 
e  sbigottito  e  mesto  ponea  mente 
(perch'era  in  loco  che  scopriva  il  tutto) 
al  cavallier  ch'uccidea  tanta  gente, 
che  per  lui  sol  quel  campo  era  distrutto: 
e  non  pu6  far,  se  ben  n'e  offeso  tanto, 
che  non  lo  lodi  e  gli  dia  in  arme  il  vanto. 

xc 

Ben  comprende  all'insegne  e  sopravesti, 
all' arme  luminose  e  ricche  d'oro, 
che  quantunque  il  guerrier  dia  aiuto  a  questi 
nimici  suoi,  non  sia  per6  di  loro. 
Stupido  mira  i  soprumani  gesti, 
e  talor  pensa  che  dal  sommo  coro 
sia  per  punire  i  Greci  un  agnol  sceso, 
che  tante  e  tante  volte  hanno  Dio  offeso. 

xci 

E  come  uom  d'alto  e  di  sublime  core, 
ove  Tavrian  molt'altri  in  odio  avuto, 
egli  s>innamor6  del  suo  valore, 
ne  veder  fargli  oltraggio  avria  voluto : 
gli  sarebbe  per  un  de'  suoi  che  muore, 
vederne  morir  sei  manco  spiaciuto, 
e  perder  anco  parte  del  suo  regno, 
che  veder  morto  un  cavallier  si  degno. 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO  1175 

XCII 

Come  bambin,  se  ben  la  cara  madre 
iraconda  lo  batte  e  da  se  caccia, 
non  ha  ricorso  alia  sorella  o  al  padre, 
ma  a  lei  ritorna,  e  con  dolcezza  abbraccia; 
cosi  Leon,  se  ben  le  prime  squadre 
Ruggier  gli  uccide,  e  1'altre  gli  minaccia, 
non  lo  puo  odiar,  perch'alPamor  piu  tira 
1'alto  valor,  che  quella  offesa  all'ira. 

XCIII 

Ma  se  Leon  Ruggier  o  ammira  et  ama, 
mi  par  che  duro  cambio  ne  riporte; 
che  Ruggiero  odia  lui,  n6  cosa  brarna 
piu  che  di  dargli  di  sua  man  la  morte. 
Molto  con  gli  occhi  il  cerca,  et  alcun  chiama, 
che  gliele  mostri;  ma  la  buona  sorte 
e  la  prudenzia  de  Tesperto  Greco 
non  lascio  mai  che  s'affrontasse  seco. 

xciv 

Leone,  acci6  che  la  sua  gente  affatto 
non  fosse  uccisa,  fej  sonar  raccolta; 
et  all'imperatore  un  messo  ratto 
a  pregarlo  mand6,  che  desse  volta 
e  ripassasse  il  fiume;  e  che  buon  patto 
n'avrebbe,  se  la  via  non  gli  era  tolta: 
et  esso  con  non  molti  che  raccolse 
al  ponte  ond'era  entrato  i  passi  volse. 

xcv 

Molti  in  poter  de'  Bulgari  restaro 
per  tutto  il  monte,  e  sin  al  fiume  uccisi; 
e  vi  restavan  tutti,  se  '1  riparo 
non  gli  avesse  del  rio  tosto  divisi. 
Molti  cader  dai  ponti  e  s'affogaro; 
e  molti,  senza  mai  volgere  i  visi, 
quindi  lontano  iro  a  trovare  il  guado ; 
e  molti  fur  prigion  tratti  in  Belgrade. 


1176  ORLANDO   FURIOSO 

XCVI 

Finita  la  battaglia  di  quel  giorno, 
nella  qual,  pol  che  il  lor  signer  fu  estinto, 
danno  i  Bulgari  avriano  avuto  e  scorno, 
se  per  lor  non  avesse  il  guerrier  vinto, 
il  buon  guerrier  che  Jl  candido  liocorno 
ne  lo  scudo  vermiglio  avea  dipinto; 
a  lui  si  trasson  tutti,  da  cui  questa 
vittoria  conoscean,  con  gioia  e  festa. 

xcvu 

Uno  il  saluta,  un  altro  se  gl'inchina, 
altri  la  mano,  altri  gli  bacia  il  piede: 
ognun,  quanto  piu  puo,  se  gli  awicina, 
e  beato  si  tien  chi  appresso  il  vede, 
e  piu  chi  '1  tocca;  che  toccar  divina 
e  sopranatural  cosa  si  crede. 
Lo  pregan  tutti,  e  vanno  al  ciel  le  grida, 
che  sia  lor  re,  lor  capitan,  lor  guida. 

XCVIII 

Ruggier  rispose  lor  che  capitano 

e  re  sara,  quel  che  fia  lor  piu  a  grado ; 

ma  ne  a  baston  ne  a  scettro  ha  da  por  mano, 

ne  per  quel  giorno  entrar  vuole  in  Belgrade : 

che  prima  che  si  faccia  piu  lontano 

Leon  Augusto,  e  che  ripassi  il  guado, 

lo  vuol  seguir,  ne  torsi  da  la  traccia, 

fin  che  nol  giunga  e  che  morir  nol  faccia; 

xcix 

che  mille  miglia  e  piu,  per  questo  solo 
era  venuto,  e  non  per  altro  effetto. 
Cosi  senza  indugiar  lascia  lo  stuolo, 
e  si  volge  al  camin  che  gli  vien  detto, 
che  verso  il  ponte  fa  Leone  a  volo, 
forse  per  dubbio  che  gli  sia  intercetto. 
Gli  va  dietro  per  1'orma  in  tanta  fretta, 
che  '1  suo  scudier  non  chiama  e  non  aspetta. 


CANTO    QUARANTESIMOQUARTO  1177 

C 

Leone  ha  nel  fuggir  tanto  vantaggio 
(fuggir  si  puo  ben  dir,  piu  che  ritrarse), 
che  trova  aperto  e  libero  il  passaggio; 
poi  rompe  il  ponte,  e  lascia  le  navi  arse. 
Non  v'arriva  Ruggier,  ch'ascoso  il  raggio 
era  del  sol,  ne  sa  dove  alloggiarse. 
Cavalca  inanzi,  che  lucea  la  lima, 
ne  mai  trova  castel  ne  villa  alcuna. 

ci 

Perche  non  sa  dove  si  por,  camina 
tutta  la  notte,  ne  d'arcion  mai  scende. 
Ne  lo  spuntar  del  nuovo  sol  vicina 
a  man  sinistra  una  citta  comprende; 
ove  di  star  tutto  quel  di  destina, 
accio  ringiuria  al  suo  Frontino  emende, 
a  cui,  senza  posarlo  o  trargli  briglia, 
la  notte  fatto  avea  far  tante  miglia. 

CII 

Ungiardo  era  signor  di  quella  terra, 
suddito  e  caro  a  Costantino  molto, 
ove  avea  per  cagion  di  quella  guerra 
da  cavallo  e  da  pie  buon  numer  tolto. 
Quivi  ove  altrui  1'entrata  non  si  serra, 
entra  Ruggiero,  e  v'e  si  ben  raccolto, 
che  non  gli  accade  di  passar  piu  avante 
per  aver  miglior  loco  e  piu  abondante. 

cm 

Nel  medesimo  albergo  in  su  la  sera 
un  cavallier  di  Romania  alloggiosse, 
che  si  trovo  ne  la  battaglia  fiera, 
quando  Ruggier  pei  Bulgari  si  mosse, 
et  a  pena  di  man  fuggito  gli  era, 
ma  spaventato  piu  ch'altri  mai  fosse; 
si  ch'ancor  triema,  e  pargli  ancora  intorno 
avere  il  cavallier  dal  liocorno. 


1178  ORLANDO   FURIOSO 

CIV 

Conosce,  tosto  che  lo  scudo  vede, 
che  }1  cavallier  che  quella  insegna  porta 
e  quel  che  la  sconfitta  ai  Greci  diede, 
per  le  cui  mani  e  tanta  gente  morta. 
Corre  al  palazzo,  et  udienzia  chiede, 
per  dire  a  quel  signer  cosa  ch'importa; 
e  subito  intromesso,  dice  quanto 
io  mi  riserbo  a  dir  ne  Taltro  canto. 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  1179 


CANTO   QUARANTESIMOQUINTO 


I 

Quanto  piu  su  Tinstabil  ruota  vedi 
di  Fortuna  ire  in  alto  il  miser  uomo, 
tanto  piu  tosto  hai  da  vedergli  i  piedi 
ove  ora  ha  il  capo,  e  far  cadendo  il  tomo. 
Di  questo  esempio  e  Policrate,  e  il  re  di 
Lidia,  e  Dionigi,  e  altri  ch'io  non  nomo, 
che  ruinati  son  da  la  suprema 
gloria  in  un  di  ne  la  miseria  estrema. 

ii 

Cosl  all'incontro,  quanto  piu  depresso, 
quanto  e  piu  Puom  di  questa  ruota  al  fondo, 
tanto  a  quel  punto  piu  si  trova  appresso, 
c'ha  da  salir,  se  de'  girarsi  in  tondo. 
Alcun  sul  ceppo  quasi  il  capo  ha  messo, 
che  1'altro  giorno  ha  dato  legge  al  mondo. 
Servio  e  Mario  e  Ventidio  1'hanno  mostro 
al  tempo  antico,  e  il  re  Luigi  al  nostro : 

in 

il  re  Luigi,  suocero  del  figlio 
del  duca  mio;  che  rotto  a  Santo  Albino, 
e  giunto  al  suo  nimico  ne  1'artiglio, 
a  restar  senza  capo  fu  vicino. 
Scorse  di  questo  anco  maggior  periglio, 
non  molto  inanzi,  il  gran  Matia  Corvino. 
Poi  Tun  de'  Franchi  passato  quel  punto, 
1'altro  al  regno  degli  Ungari  fu  assunto. 


Il8o  ORLANDO   FURIOSO 

IV 

Si  vede  per  gli  essempii,  di  che  piene 

sono  1'antiche  e  le  moderne  istorie, 

che  '1  ben  va  dietro  al  male,  e  '1  male  al  bene, 

e  fin  son  Tun  de  1'altro  e  biasmi  e  glorie; 

e  che  fidarsi  a  Tuom  non  si  conviene 

in  suo  tesor,  suo  regno  e  sue  vittorie, 

ne  disperarsi  per  Fortuna  awersa, 

che  sempre  la  sua  ruota  in  giro  versa. 

v 

Ruggier  per  la  vittoria  ch'avea  avuto 
di  Leone  e  del  padre  imperatore, 
in  tanta  confidenzia  era  venuto 
di  sua  fortuna  e  di  suo  gran  valore, 
che  senza  compagnia,  senz'altro  aiuto, 
di  poter  egli  sol  gli  dava  il  core 
fra  cento  a  pie  e  a  cavallo  armate  squadre 
uccider  di  sua  mano  il  figlio  e  il  padre. 

VI 

Ma  quella,  che  non  vuol  che  si  prometta 
alcun  di  lei,  gli  mostr6  in  pochi  giorni 
come  tosto  alzi,  e  tosto  al  basso  metta, 
e  tosto  awersa,  e  tosto  arnica  torni. 
Lo  fej  conoscer  quivi  da  chi  in  fretta 
a  procacciargli  ando  disagi  e  scorni, 
dal  cavallier  che  ne  la  pugna  fiera 
di  man  fuggito  a  gran  fatica  gli  era. 

VII 

Costui  fece  ad  Ungiardo  saper  come 
quivi  il  guerrier  ch'avea  le  genti  rotte 
di  Costantino  e  per  molt'anni  dome, 
stato  era  il  giorno,  e  vi  staria  la  notte; 
e  che  Fortuna  presa  per  le  chiome, 
senza  che  piu  travagli  o  che  piii  lotte, 
dara  al  suo  re,  se  fa  costui  prigione; 
ch'  a'  Bulgari,  lui  preso,  il  giogo  pone. 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  Il8l 

VIII 

Ungiardo  da  la  gente,  che  fuggita 
de  la  battaglia  a  lui  s'era  ridutta 
(ch'a  parte  a  parte  v'arriv6  infinita, 
perch'al  ponte  passar  non  potea  tutta), 
sapea  come  la  strage  era  seguita 
che  la  meta  de5  Greci  avea  distrutta; 
e  come  un  cavallier  solo  era  stato 
ch'un  campo  rotto,  e  1'altro  avea  salvato: 

IX 

e  che  sia  da  se  stesso  senza  caccia 
venuto  a  dar  del  capo  ne  la  rete, 
si  maraviglia,  e  mostra  che  gli  piaccia, 
con  viso  e  gesti  e  con  parole  liete. 
Aspetta  che  Ruggier  dormendo  giaccia; 
poi  manda  le  sue  gente  chete  chete, 
e  fa  il  buon  cavallier,  ch'alcun  sospetto 
di  questo  non  avea,  prender  nel  letto. 


Accusato  Ruggier  dal  proprio  scudo, 

ne  la  citta  di  Novengrado  resta 

prigion  d'Ungiardo,  il  piu  d'ogni  altro  crudo, 

che  fa  di  ci6  maravigliosa  festa. 

E  che  pu6  far  Ruggier,  poi  che  gli  e  nudo, 

et  e  legato  gia  quando  si  desta? 

Ungiardo  un  suo  corrier  spaccia  a  stafTetta 

a  dar  la  nuova  a  Costantino  in  fretta. 

XI 

Avea  levato  Costantin  la  notte 

da  le  ripe  di  Sava  ogni  sua  schiera; 

e  seco  a  Beleticche  avea  ridotte, 

che  citta  del  cognato  Androfilo  era, 

padre  di  quello  a  cui  forate  e  rotte 

(come  se  state  fossino  di  cera) 

al  primo  incontro  Tarme  avea  il  gagliardo 

cavallier,  or  prigion  del  fiero  "Ungiardo. 


Il82  ORLANDO    FURIOSO 

XII 

Quivi  fortificar  facea  le  mura 
1'imperatore,  e  riparar  le  porte; 
che  de'  Bulgari  ben  non  s'assicura, 
die  con  la  guida  d'un  guerrier  si  forte 
non  gli  faccino  peggio  che  paura, 
e  sl  resto  ponghin  di  sua  gente  a  morte. 
Or  che  Fode  prigion,  ne  quelli  teme, 
ne  se  con  lor  sia  il  mondo  tutto  insieme. 

XIII 

L'imperator  riuota  in  un  mar  di  latte, 
ne  per  letizia  sa  quel  che  si  faccia. 
—  Ben  son  le  genti  bulgare  disfatte— , 
dice  con  lieta  e  con  sicura  faccia. 
Come  de  la  vittoria,  chi  combatte, 
se  troncasse  al  nimico  ambe  le  braccia, 
certo  saria,  cosi  n'e  certo,  e  gode 
Timperator,  poi  che  '1  guerrier  preso  ode. 

XIV 

Non  ha  minor  cagion  di  rallegrarsi 
del  patre  il  figlio ;  ch'oltre  che  si  spera 
di  racquistar  Belgrade,  e  soggiugarsi 
ogni  contrada  che  dej  Bulgari  era; 
disegna  anco  il  guerriero  amico  farsi 
con  benefici,  e  seco  averlo  in  schiera. 
Ne  Rinaldo  ne  Orlando  a  Carlo  Magno 
ha  da  invidiar,  se  gli  e  costui  compagno. 

xv 

Da  questa  voglia  e  ben  di  versa  quella 
di  Teodora,  a  chi  '1  figliuolo  uccise 
Ruggier  con  Tasta  che  da  la  mammella 
passo  alle  spalle,  e  un  palmo  fuor  si  mise. 
A  Costantin,  del  quale  era  sorella, 
costei  si  gitto  aj  piedi,  e  gli  conquise 
e  intenerigli  il  cor  d'alta  pietade 
col  largo  pianto  che  nel  sen  le  cade. 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  1183 

XVI 

—  lo  non  mi  Iever6  da  questi  piedi,  — 
diss'ella  —  signer  mio,  se  del  fellone 
ch'uccise  il  mio  figliuol,  non  mi  conciedi 
di  vendicare,  or  che  Tabbian  prigione. 
Oltre  che  stato  t'e  nipote,  vedi 
quanto  t'am6,  vedi  quant'opre  buone 
ha  per  te  fatto,  e  vedi  s'avrai  torto 
di  non  lo  vendicar  di  chi  Pha  morto. 

XVII 

Vedi  che  per  pieta  del  nostro  duolo 
ha  Dio  fatto  levar  da  la  campagna 
questo  crudele,  e  come  augello,  a  volo 
a  dar  ce  Pha  condotto  ne  la  ragna, 
accio  in  ripa  di  Stige  il  mio  figliuolo 
molto  senza  vendetta  non  rimagna. 
Dammi  costui,  signore,  e  sii  contento 
ch'io  disacerbi  il  mio  col  suo  tormento.  — 

XVIII 

Cosi  ben  piange,  e  cosi  ben  si  duole, 

e  cosi  bene  et  efficace  parla; 

ne  dai  piedi  levar  mai  se  gli  vuole, 

ben  che  tre  volte  e  quattro  per  levarla 

usasse  Costantino  atti  e  parole; 

ch'egli  e  forzato  al  fin  di  contentarla: 

e  cosi  comand6  che  si  facesse 

colui  condurre,  e  in  man  di  lei  si  desse. 

XIX 

E  per  non  fare  in  ci6  lunga  dimora, 
condotto  hanno  il  guerrier  del  liocorno, 
e  dato  in  mano  alia  crudel  Teodora, 
che  non  vi  fu  intervallo  piu  d'un  giorno. 
II  far  che  sia  squartato  vivo,  e  muora 
publicamente  con  obbrobrio  e  scorno, 
poca  pena  le  pare,  e  studia  e  pensa 
altra  trovarne  inusitata  e  immensa. 


1184  ORLANDO    FURIOSO 

XX 

La  femina  crudel  lo  fece  porre, 
incatenato  e  mani  e  piedi  e  collo, 
nel  tenebroso  fondo  d'una  torre, 
ove  mai  non  entro  raggio  dj Apollo. 
Fuor  ch'un  poco  di  pan  muffato,  t6rre 
gli  fe'  ogni  cibo,  e  senza  ancor  lassollo 
duo  di  talora;  e  lo  die  in  guardia  a  tale, 
ch'era  di  lei  piu  pronto  a  fargli  male. 

XXI 

Oh!  se  d'Amon  la  valorosa  e  bella 
figlia,  oh  se  la  magnanima  Marfisa 
avesse  avuto  di  Ruggier  novella, 
ch'in  prigion  tormentasse  a  questa  guisa; 
per  liberarlo  saria  questa  e  quella 
postasi  al  rischio  di  restarne  uccisa; 
ne  Bradamante  avria,  per  dargli  aiuto, 
a  Beatrice  o  Amon  rispetto  avuto. 

XXII 

Re  Carlo  intanto  avendo  la  promessa 
a  costei  fatta  in  mente,  che  consorte 
dar  non  le  lasciera  che  sia  men  d'essa 
al  paragon  de  Farme  ardito  e  forte; 
questa  sua  volunta  con  trombe  espressa 
non  solamente  fej  ne  la  sua  corte, 
ma  in  ogni  terra  al  suo  imperio  soggetta; 
onde  la  fama  ando  pel  mondo  in  fretta. 

XXIII 

Questa  condizion  contiene  il  bando: 
chi  la  figlia  d'Amon  per  moglie  vuole, 
star  con  lei  debba  a  paragon  del  brando 
da  1'apparire  al  tramontar  del  sole; 
e  fin  a  questo  termine  durando, 
e  non  sia  vinto,  senz'altre  parole 
la  donna  da  lui  vinta  esser  s'intenda, 
ne  possa  ella  negar  che  non  lo  prenda; 


CANTO    QXJARANTESIMOQUINTO  1185 

XXIV 

e  che  Feletta  ella  de  Tarme  dona, 
senza  mirar  chi  sia  di  lor  che  chlede. 
E  lo  potea  ben  far,  perch' era  buona 
con  tutte  Tarme,  o  sia  a  cavallo  o  a  piede. 
Amon,  che  contrastar  con  la  Corona 
non  puo  ne  vuole,  al  fin  sforzato  cede ; 
e  ritornare  a  corte  si  consiglia, 
dopo  molti  discorsi,  egli  e  la  figlia. 

xxv 

Ancor  che  sdegno  e  colera  la  madre 
contra  la  figlia  avea,  pur  per  suo  onore 
vesti  le  fece  far  ricche  e  leggiadre 
a  varie  foggie  e  di  piu  d'un  colore. 
Bradamante  alia  corte  ando  col  padre; 
e  quando  quivi  non  trovo  il  suo  amore, 
piu  non  le  parve  quella  corte  quella 
che  le  solea  parer  gia  cosi  bella. 

XXVI 

Come  chi  visto  abbia,  Tap  rile  o  il  maggio, 
giardin  di  frondi  e  di  bei  fieri  adorno, 
e  lo  rivegga  poi  che  51  sol  il  raggio 
alPaustro  inchina,  e  lascia  breve  il  giorno, 
lo  trova  deserto,  orrido  e  selvaggio; 
cosi  pare  alia  donna  al  suo  ritorno, 
che  da  Ruggier  la  corte  abandonata 
quella  non  sia,  ch'avea  al  partir  lasciata. 

XXVII 

Domandar  non  ardisce  che  ne  sia, 
acci6  di  se  non  dia  maggior  sospetto; 
ma  pon  Porecchia,  e  cerca  tuttavia 
che  senza  domandar  le  ne  sia  detto. 
Si  sa  ch'egli  e  partito,  ma  che  via 
pres'abbia  non  fa  alcun  vero  concetto; 
perche  partendo  ad  altri  non  fe'  motto, 
ch'allo  scudier  che  seco  avea  condotto. 


Il86  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

Oh  come  ella  sospira!  oh  come  teme, 
sentendo  che  se  n'e  come  fuggito! 
Oh  come  sopra  ogni  timor  le  preme, 
che  per  porla  in  oblio  se  ne  sia  gito! 
che  vistosi  Amon  contra,  et  ogni  speme 
perduta  mai  piu  d'esserle  marito, 
si  sia  fatto  da  lei  lontano,  forse 
cosi  sperando  dal  suo  amor  disciorse: 

XXIX 

e  che  fatt'abbia  ancor  qualche  disegno, 
per  piu  tosto  levarsela  dal  core, 
d'andar  cercando  d'uno  in  altro  regno 
donna  per  cui  si  scordi  il  primo  amore, 
come  si  dice  che  si  suol  d'un  legno 
talor  chiodo  con  chiodo  cacciar  fuore. 
Nuovo  pensier  ch'a  questo  poi  succede, 
le  dipinge  Ruggier  pieno  di  fede; 


e  lei  che  dato  orecchie  abbia,  riprende, 

a  tanta  iniqua  suspizione  e  stolta. 

E  cosi  Tun  pensier  Ruggier  difende, 

1'altro  Taccusa:  et  ella  amenduo  ascolta, 

e  quando  a  questo  e  quando  a  quel  s'apprende, 

ne  risoluta  a  questo  o  a  quel  si  volta. 

Pur  all'opinion  piu  tosto  corre 

che  piu  le  giova,  e  la  contraria  aborre. 

XXXI 

E  talor  anco  che  le  torna  a  mente 

quel  che  piu  volte  il  suo  Ruggier  le  ha  detto, 

come  di  grave  error  si  duole  e  pente, 

ch'avuto  n'abbia  gelosia  e  sospetto ; 

e  come  fosse  al  suo  Ruggier  presente, 

chiamasi  in  colpa,  e  se  ne  batte  il  petto. 

—  Ho  fatto  error,  —  dice  ella  —  e  me  n'aveggio; 

ma  chi  n'e  causa,  e  causa  ancor  di  peggio. 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  1187 

XXXII 

Amor  n'e  causa,  che  nel  cor  m'ha  impresso 
la  forma  tua  cosi  leggiadra  e  bella; 
e  posto  ci  ha  Fardir,  Tingegno  appresso, 
e  la  virtu  di  che  ciascun  favella; 
ch'impossibil  mi  par,  ch'ove  concesso 
ne  sia  il  veder,  ch'ogni  donna  e  donzella 
non  ne  sia  accesa,  e  che  non  usi  ogni  arte 
di  sciorti  dal  mio  amore  e  al  suo  legarte. 

XXXIII 

Deh  avesse  Amor  cosi  nei  pensier  miei 
il  tuo  pensier,  come  ci  ha  il  viso  sculto! 

10  son  ben  certa  che  lo  troverei 
palese  tal,  qual  io  lo  stimo  occulto; 
e  che  si  fuor  di  gelosia  sarei, 

ch'ad  or  ad  or  non  mi  farebbe  insulto; 
e  dove  a  pena  or  e  da  me  respinta, 
rimarria  morta,  non  che  rotta  e  vinta. 

xxxiv 

Son  simile  all'avar  c'ha  il  cor  si  intento 
al  suo  tesoro,  e  si  ve  Tha  sepolto, 
che  non  ne  pu6  lontan  viver  contento, 
ne  non  sempre  temer  che  gli  sia  tolto. 
Ruggiero,  or  puo,  ch'io  non  ti  veggo  e  sento, 
in  me  piu  de  la  speme  il  timor  molto, 

11  qual  ben  che  bugiardo  e  vano  io  creda, 
non  posso  far  di  non  mi  dargli  in  preda. 

xxxv 

Ma  non  apparira  il  lume  si  tosto 
agli  occhi  miei  del  tuo  viso  giocondo, 
contra  ogni  mia  credenza  a  me  nascosto, 
non  so  in  qual  parte,  o  Ruggier  mio,  del  mondo, 
come  il  falso  timor  sara  deposto 
da  la  vera  speranza  e  messo  al  fondo. 
Deh  torna  a  me,  Ruggier,  torna,  e  conforta 
la  speme  che  Jl  timor  quasi  m'ha  morta! 


Il88  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

Come  al  partir  del  sol  si  fa  maggiore 
Tombra,  onde  nasce  poi  vana  paura; 
e  come  all'apparir  del  suo  splendore 
vien  meno  Pombra,  e  '1  timido  assicura: 
cosi  senza  Ruggier  sento  timore; 
se  Ruggier  veggo,  in  me  timor  non  dura. 
Deh  torna  a  me,  Ruggier,  deh  torna  prima 
che  1  timor  la  speranza  in  tutto  opprima! 

XXXVII 

Come  la  notte  ogni  fiammella  e  viva, 
e  riman  spenta  subito  ch'aggiorna; 
cosi,  quando  il  mio  sol  di  se  mi  priva, 
mi  leva  incontra  il  rio  timor  le  corna: 
ma  non  si  tosto  alPorizzonte  arriva, 
che  1  timor  fugge,  e  la  speranza  torna. 
Deh  torna  a  me,  deh  torna,  o  caro  lume, 
e  scaccia  il  rio  timor  che  mi  consume! 

XXXVIII 

Se  '1  sol  si  scosta,  e  lascia  i  giorni  brevi, 
quanto  di  bello  avea  la  terra  asconde; 
fremono  i  venti,  e  portan  ghiacci  e  nievi; 
non  canta  augel,  ne  fior  si  vede  o  fronde: 
cosi,  qualora  awien  che  da  me  levi, 
o  mio  bel  sol,  le  tue  luci  gioconde, 
mille  timori,  e  tutti  iniqui,  fanno 
un  aspro  verno  in  me  piu  volte  1'anno. 

xxxix 

Deh  torna  a  me,  mio  sol,  torna,  e  rimena 
la  desiata  dolce  primavera! 
Sgombra  i  ghiacci  e  le  nievi,  e  rasserena 
la  mente  mia  si  nubilosa  e  nera.  — 
Qual  Progne  si  lamenta  o  Filomena 
ch'a  cercar  esca  ai  figliolini  ita  era, 
e  trova  il  nido  v6to;  o  qual  si  lagna 
turture  c'ha  perduto  la  compagna: 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  1.189 

XL 

tal  Bradamante  si  dolea,  che  tolto 

le  fosse  stato  il  suo  Ruggier  temea, 

di  lacrime  bagnando  spesso  il  volto, 

ma  piu  celatamente  che  potea. 

Oh  quanto,  quanto  si  dorria  piu  molto, 

s'ella  sapesse  quel  che  non  sapea, 

che  con  pena  e  con  strazio  il  suo  consorte 

era  in  prigion,  dannato  a  crudel  morte! 

XLI 

La  crudelta  ch'usa  Finiqua  vecchia 
contra  il  buon  cavallier  che  preso  tiene, 
e  che  di  dargli  morte  s'apparecchia 
con  nuovi  strazii  e  non  usate  pene, 
la  superna  Bonta  fa  ch'alForecchia 
del  cortese  figliuol  di  Cesar  viene; 
e  che  gli  mette  in  cor  come  Faiute, 
e  non  lasci  perir  tanta  virtute. 

XLII 

II  cortese  Leon  che  Ruggiero  ama 
(non  che  sappi  per6  che  Ruggier  sia), 
mosso  da  quel  valor  ch'unico  chiama, 
e  che  gli  par  che  soprumano  sia, 
molto  fra  se  discorre,  ordisce  e  trama, 
e  di  salvarlo  al  fin  trova  la  via, 
in  guisa  che  da  lui  la  zia  crudele 
offesa  non  si  tenga  e  si  querele. 

XLIII 

Parlo  in  secreto  a  chi  tenea  la  chiave 
de  la  prigione;  e  che  volea,  gli  disse, 
vedere  il  cavallier  pria  che  si  grave 
sentenzia,  contra  lui  data,  seguisse. 
Giunta  la  notte,  un  suo  fedel  seco  have 
audace  e  forte,  et  atto  a  zuffe  e  a  risse; 
e  fa  che  1  castellan,  senz'altrui  dire 
ch'egli  fosse  Leon,  gli  viene  aprire. 


ORLANDO  FURIOSO 
XLIV 

II  castellan,  senza  ch'alcun  de'  sui 
seco  abbia,  occultamente  Leon  mena 
col  compagno  alia  torre  ove  ha  colui 
che  si  serba  all'estrema  d'ogni  pena. 
Giunti  la  dentro,  gettano  amendui 
al  castellan,  che  volge  lor  la  schena 
per  aprir  lo  sportello,  al  collo  un  laccio, 
e  subito  gli  dan  Pultimo  spaccio. 

XLV 

Apron  la  cataratta,  onde  sospeso 
al  canape,  ivi  a  tal  bisogno  posto, 
Leon  si  cala,  e  in  mano  ha  un  torchio  acceso, 
la  dove  era  Ruggier  dal  sol  nascosto. 
Tutto  legato,  e  s'una  grata  steso 
lo  trova,  all'acqua  un  palmo  e  men  discosto. 
L'avria  in  un  mese  e  in  termine  phi  corto, 
per  se,  senz'altro  aiuto,  il  luogo  morto. 

XLVI 

Leon  Ruggier  con  gran  pietade  abbraccia, 

e  dice:  —  Cavallier,  la  tua  virtute 

indissolubilmente  a  te  m'allaccia 

di  voluntaria  eterna  servitute; 

e  vuol  che  piu  il  tuo  ben,  che  '1  mio,  mi  piaccia, 

ne  curi  per  la  tua  la  mia  salute, 

e  che  la  tua  amicizia  al  padre  e  a  quanti 

parenti  io  mj  abbia  al  mondo,  io  metta  inanti. 

XLVII 

Io  son  Leone,  acci6  tu  intenda,  figlio 
di  Costantin,  che  vengo  a  darti  aiuto, 
come  vedi,  in  persona,  con  periglio 
(se  mai  dal  padre  mio  sara  saputo) 
d'esser  cacciato,  o  con  turbato  ciglio 
perpetuamente  esser  da  lui  veduto ; 
che  per  la  gente  la  qual  rotta  e  morta 
da  te  gli  fu  a  Belgrado,  odio  ti  porta.  — 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO 
XLVIII 

E  seguito,  piu  cose  altre  dicendo 

da  farlo  ritornar  da  morte  a  vita; 

e  lo  vien  tuttavolta  disciogliendo. 

Ruggier  gli  dice:  —  lo  v'ho  grazia  infinita; 

e  questa  vita  ch'or  mi  date,  intendo 

che  sempremai  vi  sia  restituita, 

che  la  vogliate  riavere,  et  ogni 

volta  che  per  voi  spenderla  bisogni.  — 

XLIX 

Ruggier  fu  tratto  di  quel  loco  oscuro, 
e  in  vece  sua  morto  il  guardian  rimase; 
ne  conosciuto  egli  ne  gli  altri  furo. 
Leon  men6  Ruggiero  alle  sue  case, 
ove  a  star  seco  tacito  e  sicuro 
per  quattro  o  per  sei  di  gli  persuase; 
che  riaver  Parme  e  '1  destrier  gagliardo 
gli  faria  intanto,  che  gli  tolse  Ungiardo. 


Ruggier  fuggito,  il  suo  guardian  strozzato 
si  trova  il  giorno,  e  aperta  la  prigione. 
Chi  quel,  chi  questo  pensa  che  sia  stato; 
ne  parla  ognun,  ne  per6  alcun  s'appone. 
Ben  di  tutti  gli  altri  uomini  pensato 
piu  tosto  si  saria,  che  di  Leone; 
che  pare  a  molti  ch'avria  causa  avuto 
di  fame  strazio,  e  non  di  dargli  aiuto. 

LI 

Riman  di  tanta  cortesia  Ruggiero 
confuso  si,  si  pien  di  maraviglia, 
e  tramutato  si  da  quel  pensiero 
che  quivi  tratto  Favea  tante  miglia, 
che  mettendo  il  secondo  col  primiero, 
n6  a  .questo  quel,  ne  questo  a  quel  simiglia. 
II  primo  tutto  era  odio,  ira  e  veneno; 
di  pietade  e  il  secondo  e  d'amor  pieno. 


1192  ORLANDO    FURIOSO 

LII 

Molto  la  notte  e  molto  il  giorno  pensa, 

d'altro  non  cura  et  altro  non  disia, 

che  da  I'obligazion  che  gli  avea  immensa, 

sciorsi  con  pari  e  maggior  cortesia. 

Gli  par,  se  tutta  sua  vita  dispensa 

in  lui  servire,  o  breve  o  lunga  sia, 

e  se  s'espone  a  mille  morti  certe, 

non  gli  puo  tanto  far,  che  piu  non  merte. 

LIII 

Venuta  quivi  intanto  era  la  nuova 
del  bando  ch'avea  fatto  il  re  di  Francia, 
che  chi  vuol  Bradamante  abbia  a  far  prova 
con  lei  di  forza,  con  spada  e  con  lancia. 
Questo  udir  a  Leon  si  poco  giova, 
che  se  gli  vede  impallidir  la  guancia; 
perche,  come  uom  che  le  sue  forze  ha  note, 
sa  ch'a  lei  pare  in  arme  esser  non  puote. 

LIV 

Fra  se  discorre,  e  vede  che  supplire 
puo  con  Tingegno,  ove  il  vigor  sia  manco, 
facendo  con  sue  insegne  comparire 
questo  guerrier  di  cui  non  sa  il  nome  anco; 
che  di  possanza  iudica  e  d'ardire 
poter  star  contra  a  qualsivoglia  Franco: 
e  crede  ben,  s'a  lui  ne  da  1'impresa, 
che  ne  fia  vinta  Bradamante  e  presa. 

LV 

Ma  due  cose  ha  da  far:  Puna,  disporre 
il  cavallier,  che  questa  impresa  accetti; 
Paltra,  nel  campo  in  vece  sua  lui  porre 
in  modo  che  non  sia  chi  ne  sospetti. 
A  se  lo  chiama,  e  '1  caso  gli  discorre, 
e  pregal  poi  con  efficaci  detti 
ch'egli  sia  quel  ch'a  questa  pugna  vegna 
col  nome  altrui,  sotto  mentita  insegna. 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  1193 

LVI 

L'eloquenzia  del  Greco  assai  potea; 
ma  piu  de  Feloquenzia  potea  molto 
1'obligo  grande  che  Ruggier  gli  avea, 
da  mai  non  ne  dovere  essere  isciolto: 
si  che  quantunque  duro  gli  parea, 
e  non  possibil  quasi;  pur  con  volto, 
piu  che  con  cor  giocondo,  gli  rispose 
ch'era  per  far  per  lui  tutte  le  cose. 

LVII 

Ben  che  da  fier  dolor,  tosto  che  questa 
parola  ha  detta,  il  cor  ferir  si  senta, 
che  giorno  e  notte  e  sernpre  lo  molesta, 
sempre  1'afHigge  e  sempre  lo  tormenta, 
e  vegga  la  sua  morte  manifesta; 
pur  non  e  mai  per  dir  che  se  ne  penta; 
che  prima  ch'a  Leon  non  ubbidire, 
mille  volte,  non  ch'una,  e  per  morire. 

LVIII 

Ben  certo  e  di  morir;  perche,  se  lascia 
la  donna,  ha  da  lasciar  la  vita  ancora: 
o  che  Taccorera  il  duolo  e  Tambascia; 
o  se  }1  duolo  e  Tambascia  non  Paccora, 
con  le  man  proprie  squarciera  la  fascia 
che  cinge  Talma,  e  ne  la  trarra  fuora; 
ch'ogni  altra  cosa  piu  facil  gli  fia, 
che  poter  lei  veder  che  sua  non  sia. 

LIX 

Gli  e  di  morir  disposto;  ma  che  sorte 
di  morte  voglia  far,  non  sa  dir  anco. 
Pensa  talor  di  fingersi  men  forte, 
e  porger  nudo  alia  donzella  il  fiance; 
che  non  fu  mai  la  piu  beata  morte, 
che  se  per  man  di  lei  venisse  manco. 
Poi  vede,  se  per  lui  resta  che  moglie 
sia  di  Leon,  che  P  oblige  non  scioglie: 


1194  ORLANDO  FURIOSO 

LX 

perche  ha  promesso  contra  Bradamante 

entrare  in  campo  a  singular  battaglia; 

non  simulare,  e  fame  sol  sembiante, 

si  die  Leon  di  lui  poco  si  vaglia. 

Dunque  stara  nel  detto  suo  constante; 

e  ben  che  or  questo  or  quel  pensier  1'assaglia, 

tutti  li  scaccia,  e  solo  a  questo  cede, 

il  qual  1'esorta  a  non  mancar  di  fede. 

LXI 

Avea  gia  fatto  apparecchiar  Leone, 
con  licenzia  del  patre  Costantino, 
arme  e  cavalli,  e  un  numer  di  persone 
qual  gli  convenne,  e  entrato  era  in  camino; 
e  seco  avea  Ruggiero,  a  cui  le  buone 
arme  avea  fatto  rendere  e  Frontino: 
e  tanto  un  giorno  e  un  altro  e  un  altro  andaro, 
ch'in  Francia  et  a  Parigi  si  trovaro. 

LXII 

Non  volse  entrar  Leon  ne  la  cittate,    - 
e  i  padiglioni  alia  campagna  tese; 
e  fe*  il  medesmo  di  per  imbasciate, 
che  di  sua  giunta  ire  di  Francia  intese. 
L'ebbe  il  re  caro;  e  gli  fu  piu  fiate 
donando  e  visitandolo  cortese. 
De  la  venuta  sua  la  cagion  disse 
Leone,  e  lo  prego  che  1'espedisse: 

LXIII 

ch'entrar  facesse  in  campo  la  donzella 
che  marito  non  vuol  di  lei  men  forte; 
quando  venuto  era  per  fare  o  ch'ella 
moglier  gli  fosse,  o  che  gli  desse  morte. 
Carlo  tolse  Fassunto,  e  fece  quella 
comparir  Paltro  di  fuor  de  le  porte, 
ne  lo  steccato  che  la  notte  sotto 
alPalte  mura  fu  fatto  di  botto. 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  1195 

LXIV 

La  notte  ch'and6  inanzi  al  terminato 
giorno  de  la  battaglia,  Ruggiero  ebbe 
simile  a  quella  che  suole  il  dannato 
aver,  che  la  matina  morir  debbe. 
Eletto  avea  combatter  tutto  armato, 
perch' esser  conosciuto  non  vorrebbe; 
ne  lancia  ne  destriero  adoprar  volse, 
ne  fuor  che  }1  brando  arme  d'ofFesa  tolse. 

LXV 

Lancia  non  tolse;  non  perche  temesse 
di  quella  d'or  che  fu  de  1'Argalia, 
e  poi  d'Astolfo,  a  cui  costei  successe 
che  far  gli  arcion  votar  sempre  solia: 
perche  nessun  ch'ella  tal  forza  avesse, 
o  fosse  fatta  per  negromanzia, 
avea  saputo,  eccetto  quel  re  solo 
che  far  la  fece  e  la  don6  al  figliuolo. 

LXVI 

Anzi  Astolfo  e  la  donna,  che  portata 
1'aveano  poi,  credean  che  non  I'incanto, 
ma  la  propria  possanza  fosse  stata 
che  dato  loro  in  giostra  avesse  il  vanto; 
e  che  con  ogni  altra  asta  ch'incontrata 
fosse  da  lor,  farebbono  altretanto. 
La  cagion  sola  che  Ruggier  non  giostra, 
e  per  non  far  del  suo  Frontino  mostra: 

LXVII 

che  lo  potria  la  donna  facilmente 
conoscer,  se  da  lei  fosse  veduto; 
pero  che  cavalcato,  e  lungamente 
in  Montalban  Pavea  seco  tenuto. 
Ruggier  che  solo  studia  e  solo  ha  mente 
come  da  lei  non  sia  riconosciuto, 
ne  vuol  Frontin,  ne  vuol  cos'altra  avere, 
che  di  far  di  se  indizio  abbia  potere. 


1196  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

A  questa  impresa  un'altra  spada  voile; 
che  ben  sapea  che  contra  a  Balisarda 
saria  ogn'osbergo,  come  pasta,  molle; 
ch'alcuna  tempra  quel  furor  non  tarda: 
e  tutto  '1  taglio  anco  a  quest'altra  tolle 
con  un  martello,  e  la  fa  men  gagliarda. 
Con  quest'arme  Ruggiero  al  primo  lampo 
ch'apparve  alForizzonte,  entro  nel  campo. 

LXIX 

E  per  parer  Leon,  le  sopraveste 
che  dianzi  ebbe  Leon,  s'ha  messe  indosso; 
e  1'aquila  de  Tor  con  le  due  teste 
porta  dipinta  ne  lo  scudo  rosso. 
E  facilmente  si  potean  far  queste 
finzion;  ch'era  ugualmente  grande  e  grosso 
Tun  come  Paltro.  Appresentossi  Puno; 
1'altro  non  si  lascio  veder  d'alcuno. 

LXX 

Era  la  volunta  de  la  donzella 
da  quest'altra  diversa  di  gran  lunga; 
che  se  Ruggier  su  la  spada  martella 
per  rintuzzarla,  che  non  tagli  o  punga, 
la  sua  la  donna  aguzza,  e  brama  ch'ella 
entri  nel  ferro,  e  sempre  al  vivo  giunga, 
anzi  ogni  colpo  si  ben  tagli  e  fore, 
che  vada  sempre  a  ritrovargli  il  core. 

LXXI 

Qual  su  le  mosse  il  barbaro  si  vede, 
che  '1  cenno  del  partir  fugoso  attende, 
ne  qua  ne  la  poter  fermare  il  piede, 
gonfiar  le  nare,  e  che  Torecchie  tende; 
tal  1'animosa  donna  che  non  crede 
che  questo  sia  Ruggier  con  chi  contende, 
aspettando  la  tromba,  par  che  fuoco 
ne  le  vene  abbia,  e  non  ritrovi  loco. 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  1197 

LXXII 

Qual  talor,  dopo  il  tuono,  orrido  vento 
subito  segue,  che  sozzopra  volve 
Fondoso  mare,  e  leva  in  un  momento 
da  terra  fin  al  ciel  Foscura  polve; 
fuggon  le  fiere,  e  col  pastor  Farmento; 
1'aria  in  grandine  e  in  pioggia  si  risolve: 
udito  il  segno  la  donzella,  tale 
stringe  la  spada,  e  Jl  suo  Ruggiero  assale. 

LXXIII 

Ma  non  piu  quercia  antica,  o  gross o  muro 
di  ben  fondata  torre  a  borea  cede, 
ne  piu  all'irato  mar  lo  scoglio  duro, 
che  d'ogni  intorno  il  di  e  la  notte  il  fiede; 
che  sotto  Farme  il  buon  Ruggier  sicuro, 
che  gia  al  troiano  Ett6r  Vulcano  diede, 
ceda  alFodio  e  al  furor  che  lo  tempesta 
or  ne'  fianchi,  or  nel  petto,  or  ne  la  testa. 

LXXIV 

Quando  di  taglio  la  donzella,  quando 
mena  di  punta;  e  tutta  intenta  mira 
ove  cacciar  tra  ferro  e  ferro  il  brando, 
si  che  si  sfoghi  e  disacerbi  Fira. 
Or  da  un  lato,  or  da  un  altro  il  va  tentando ; 
quando  di  qua,  quando  di  la  s'aggira: 
e  si  rode  e  si  duol  che  non  le  avegna 
mai  fatta  alcuna  cosa  che  disegna. 

LXXV 

Come  chi  assedia  una  citta  che  forte 
sia  di  buon  fianchi  e  di  muraglia  grossa, 
spesso  Fassalta,  or  vuol  batter  le  porte, 
or  Falte  torri,  or  atturar  la  fossa; 
e  pone  indarno  le  sue  genti  a  morte, 
ne  via  sa  ritrovar  ch'entrar  vi  possa: 
cosi  molto  s'affanna  e  si  travaglia, 
ne  pu6  la  donna  aprir  piastra  ne  maglia. 


1198  ORLANDO   FURIOSO 

LXXVI 

Quando  allo  scudo  e  quando  al  buono  elmetto, 

quando  all'osbergo  fa  gittar  scintille 

con  colpi  ch'alle  braccia,  al  capo,  al  petto 

mena  dritti  e  riversi,  e  mille  e  mille, 

e  spessi  piu,  che  sul  sonante  tetto 

la  grandine  far  soglia  de  le  ville. 

Ruggier  sta  su  Tawiso,  e  si  difende 

con  gran  destrezza,  e  lei  mai  non  offende. 

LXXVII 

Or  si  ferma,  or  volteggia,  or  si  ritira, 
e  con  la  man  spesso  accompagna  il  piede. 
Porge  or  lo  scudo,  et  or  la  spada  gira 
ove  girar  la  man  nimica  vede. 
0  lei  non  fere,  o  se  la  fere,  mira 
ferirla  in  parte  ove  men  nuocer  crede. 
La  donna,  prima  che  quel  di  s'inchine, 
brama  di  dare  alia  battaglia  fine. 

LXXVIII 

Si  ricordb  del  bando,  e  si  rawide 
del  suo  periglio,  se  non  era  presta; 
che  se  in  un  di  non  prende  o  non  uccide 
il  suo  domandator,  presa  ella  resta. 
Era  gia  presso  ai  termini  d'Alcide 
per  attuffar  nel  mar  Febo  la  testa, 
quando  ella  comincio  di  sua  possanza 
a  difidarsi,  e  perder  la  speranza. 

LXXIX 

Quanto  manco  piu  la  speranza,  crebbe 
tanto  piu  1'ira,  e  radoppi6  le  botte; 
che  pur  quell' arme  rompere  vorrebbe, 
ch'in  tutto  un  di  non  avea  ancora  rotte : 
come  colui  ch'al  lavorio  che  debbe, 
sia  stato  lento,  e  gia  vegga  esser  notte, 
s'affretta  indarno,  si  travaglia  e  stanca, 
fin  che  la  forza  a  un  tempo  e  il  di  gli  manca. 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  1199 

LXXX 

O  misera  donzella,  se  costui 
tu  conoscessi,  a  cui  dar  morte  brami, 
se  lo  sapessi  esser  Ruggier,  da  cui 
de  la  tua  vita  pendono  li  stami; 
so  ben  ch'uccider  te,  prim  a  che  lui, 
vorresti;  che  di  te  so  che  piu  Taini: 
e  quando  lui  Ruggiero  esser  saprai, 
di  questi  colpi  ancor,  so,  ti  dorrai. 

LXXXI 

Carlo  e  molt'altri  seco,  che  Leone 
esser  costui  credeansi,  e  non  Ruggiero, 
veduto  come  in  arme,  al  paragone 
di  Bradamante,  forte  era  e  leggiero; 
e  senza  offender  lei  con  che  ragione 
difender  si  sapea,  mutan  pensiero, 
e  dicon: —  Ben  convengono  amendui; 
ch'egli  e  di  lei  ben  degno,  ella  di  lui.  — 

LXXXII 

Poi  che  Febo  nel  mar  tutt'e  nascoso, 
Carlo,  fatta  partir  quella  battaglia, 
giudica  che  la  donna  per  suo  sposo 
prenda  Leon,  ne  ricusar  lo  vaglia. 
Ruggier,  senza  pigliar  quivi  riposo, 
senz'elmo  trarsi  o  alleggierirsi  maglia, 
sopra  un  picciol  ronzin  torna  in  gran  fretta 
ai  padiglioni  ove  Leon  Taspetta. 

LXXXIII 

Gitt6  Leone  al  cavallier  le  braccia 
due  volte  e  piu  fraternamente  al  collo; 
e  poi,  trattogli  Telmo  da  la  faccia, 
di  qua  e  di  la  con  grande  amor  baciollo. 
—  Vo'  —  disse  —  che  di  me  sempre  tu  faccia 
come  ti  par;  che  mai  trovar  satollo 
non  mi  potrai,  che  me  e  lo  stato  mio 
spender  tu  possa  ad  ogni  tuo  disio. 


1200  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXIV 

Ne  veggo  ricompensa  che  mai  questa 
obligazion  ch'io  t'ho,  possi  disciorre; 
e  non  s'ancora  io  mi  levi  di  testa 
la  mia  corona,  e  a  te  la  venghi  a  porre.  — 
Ruggier,  di  cui  la  mente  ange  e  molesta 
alto  dolore,  e  che  la  vita  aborre, 
poco  risponde,  e  1'insegne  gli  rende, 
che  n'avea  ante,  e  '1  suo  liocorno  prende. 

LXXXV 

E  stance  dimostrandosi  e  svogliato, 
piii  tosto  che  pote,  da  lui  levosse; 
et  al  suo  alloggiamento  ritornato, 
poi  che  fu  mezzanotte,  tutto  armosse; 
e  sellato  il  destrier,  senza  commiato, 
e  senza  che  d'alcun  sentito  fosse, 
sopra  vi  salse,  e  si  drizz6  al  camino 
che  piu  piacer  gli  parve  al  suo  Frontino. 

LXXXVI 

Frontino  or  per  via  dritta  or  per  via  torta, 
quando  per  selve  e  quando  per  campagna 
il  suo  signor  tutta  la  notte  porta, 
che  non  cessa  un  momento  che  non  piagna: 
chiama  la  morte,  e  in  quella  si  conforta, 
che  Postinata  doglia  sola  fragna; 
ne  vede,  altro  che  morte,  chi  finire 
possa  1'insopportabil  suo  martire. 

LXXXVII 

—  Di  chi  mi  debbo,  ohime!  —  dicea—  dolere, 
che  cosi  m'abbia  a  un  punto  ogni  ben  tolto  ? 
Deh,  s'io  non  vo'  ringiuria  sostenere 
senza  vendetta,  incontra  a  cui  mi  volto  ? 
Fuor  che  me  stesso,  altri  non  so  vedere, 
che  m'abbia  offeso  et  in  miseria  volto. 
Io  m'ho  dunque  di  me  contra  a  me  stesso 
da  vendicar,  c'ho  tutto  il  mal  commesso. 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  1201 

LXXXVIII 

Pur,  quando  io  avessi  fatto  solamente 
a  me  I'ingiuria,  a  me  forse  potrei 
donar  perdon,  se  ben  difficilmente; 
anzi  vo'  dir  che  far  non  lo  vorrei: 
or  quanto,  poi  che  Bradamante  sente 
meco  I'ingiuria  ugual,  men  lo  farei? 
Quando  bene  a  me  ancora  io  perdonassi, 
lei  non  convien  ch'invendicata  lassi. 

LXXXIX 

Per  vendicar  lei  dunque  debbo  e  voglio 
ogni  modo  morir,  ne  cio  mi  pesa; 
ch'altra  cosa  non  so  ch'al  mio  cordoglio, 
fuor  che  la  morte,  far  possa  difesa. 
Ma  sol  ch'allora  io  non  mori*  mi  doglio, 
che  fatto  ancora  io  non  le  aveva  offesa, 
Oh  me  felice,  s'io  moriva  allora 
ch'era  prigion  de  la  crudel  Teodora! 

xc 

Se  ben  m'avesse  ucciso,  tormentato 
prima  ad  arbitrio  di  sua  crudeltade, 
da  Bradamante  almeno  avrei  sperato 
di  ritrovare  al  mio  caso  pietade. 
Ma  quando  ella  sapra  ch'avro  piii  amato 
Leon  di  lei,  e  di  mia  volontade 
io  me  ne  sia,  perch'egli  1'abbia,  privo; 
avra  ragion  d'odiarmi  e  morto  e  vivo.  — 

xcr 

Questo  dicendo  e  molte  altre  parole 
che  sospiri  accompagnano  e  singulti, 
si  trova  alPapparir  del  nuovo  sole 
fra  scuri  boschi,  in  luoghi  strani  e  inculti; 
e  perche  e  disperato,  e  morir  vuole, 
e,  piu  che  puo,  che  '1  suo  morir  s'occulti, 
questo  luogo  gli  par  molto  nascosto, 
et  atto  a  far  quant'ha  di  se  disposto. 


1202  ORLANDO   FURIOSO 

XCII 

Entra  nel  folto  bosco,  ove  piu  spesse 
Fombrose  frasche  e  piu  intricate  vede; 
ma  Frontin  prima  al  tutto  sciolto  messe 
da  se  lontano,  e  liberta  gli  diede. 
—  0  mio  Frontin,  —  gli  disse  —  s'a  me  stesse 
di  dare  a'  merti  tuoi  degna  mercede, 
avresti  a  quel  destrier  da  invidiar  poco, 
che  volo  al  cielo,  e  fra  le  stelle  ha  loco. 

XCIII 

Cillaro,  so,  non  fu,  non  fu  Arione 

di  te  miglior,  ne  merito  piu  lode; 

ne  alcun  altro  destrier  di  cui  menzione 

fatta  da'  Greci  o  da'  Latini  s'ode. 

Se  ti  fur  par  ne  1'altre  parti  buone, 

di  questa  so  ch' alcun  di  lor  non  gode, 

di  potersi  vantar  ch'avuto  mai 

abbia  il  pregio  e  Tonor  che  tu  avuto  hai; 

xciv 

poi  ch'alla  piu  che  mai  sia  stata  o  sia 
donna  gentile  e  valorosa  e  bella 
si  caro  stato  sei,  che  ti  nutria, 
e  di  sua  man  ti  ponea  freno  e  sella. 
Caro  eri  alia  mia  donna:  ah  perche  mia 
la  diro  piu,  se  mia  non  e  piu  quella? 
s'io  Fho  donata  ad  altri?  Ohime!  che  cesso 
di  volger  questa  spada  ora  in  me  stesso  ?  — 

xcv 

Se  Ruggier  qui  s'affligge  e  si  tormenta, 
e  le  fere  e  gli  augelli  a  pieta  muove 
(ch'altri  non  e  che  questi  gridi  senta 
ne  vegga  il  pianto  che  nel  sen  gli  piove), 
non  dovete  pensar  che  piu  contenta 
Bradamante  in  Parigi  si  ritrove, 
poi  che  scusa  non  ha  che  la  difenda, 
o  piu  1'indugi,  che  Leon  non  prenda. 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  1203 

XCVI 

Ella,  prima  ch'avere  altro  consorte 

che  '1  suo  Ruggier,  vuol  far  cio  che  puo  farsi; 

mancar  del  detto  suo;  Carlo  e  la  corte, 

i  parent!  e  gli  amici  inimicarsi: 

e  quando  altro  non  possa,  al  fin  la  morte 

o  col  veneno  o  con  la  spada  darsi; 

che  le  par  meglio  assai  non  esser  viva, 

che  vivendo  restar  di  Ruggier  priva. 

xcvn 

—  Deh,  Ruggier  mio,  —  dicea  —  dove  sei  gito  ? 
Puote  esser  che  tu  sia  tanto  discosto, 
che  tu  non  abbi  questo  bando  udito, 
a  nessun  altro,  fuor  ch'a  te,  nascosto  ? 
Se  tu  '1  sapesse,  io  so  che  comparito 
nessun  altro  saria  di  te  piu  tosto. 
Misera  me!  ch' altro  pensar  mi  deggio, 
se  non  quel  che  pensar  si  possa  peggio  ? 

XCVIII 

Come  e,  Ruggier,  possibil  che  tu  solo 
non  abbi  quel  che  tutto  il  mondo  ha  inteso? 
Se  inteso  Thai,  ne  sei  venuto  a  volo, 
come  esser  pu6  che  non  sii  morto  o  preso? 
Ma  chi  sapesse  il  ver,  questo  figliuolo 
di  Costantin  t'avra  alcun  laccio  teso; 
il  traditor  t'avra  chiusa  la  via, 
acci6  prima  di  lui  tu  qui  non  sia. 

xcix 

Da  Carlo  impetrai  grazia  ch'a  nessuno 
men  di  me  forte  avessi  ad  esser  data, 
con  credenza  che  tu  fossi  quell'uno 
a  cui  star  contra  io  non  potessi  armata. 
Fuor  che  te  solo,  io  non  stimava  alcuno: 
ma  de  1'audacia  mia  rn'ha  Dio  pagata; 
poi  che  costui  che  mai  piu  non  fe*  impresa 
d'onore  in  vita  sua,  cosi  m'ha  presa. 


1204  ORLANDO   FURIOSO 

C 

Se  per6  presa  son  per  non  avere 

uccider  lui  ne  prenderlo  potuto; 

il  che  non  mi  par  giusto;  ne  al  parere 

mai  son  per  star,  ch'in  questo  ha  Carlo  avuto. 

So  ch'inconstante  io  mi  faro  tenere, 

se  da  quel  c'ho  gia  detto  ora  mi  muto; 

ma  ne  la  prima  son  ne  la  sezzaia, 

la  qual  paruta  sia  inconstante,  e  paia. 

ci 

Basti  che  nel  servar  fede  al  mio  amante, 
d'ogni  scoglio  piu  salda  mi  ritrovi, 
e  passi  in  questo  di  gran  lunga  quante 
mai  furo  ai  tempi  antichi,  o  sieno  ai  nuovi. 
Che  nel  resto  mi  dichino  incostante, 
non  euro,  pur  che  1'incostanzia  giovi: 
pur  ch'io  non  sia  di  costui  torre  astretta, 
volubil  piu  che  foglia  anco  sia  detta.  — 

en 

Queste  parole  et  altre,  ch'interrotte 
da  sospiri  e  da  pianti  erano  spesso, 
segui  dicendo  tutta  quella  notte 
ch'alPinfelice  giorno  venne  appresso. 
Ma  poi  che  dentro  alle  cimerie  grotte 
con  Tombre  sue  Notturno  fu  rimesso, 
il  ciel,  ch'eternamente  avea  voluto 
farla  di  Ruggier  moglie,  le  die  aiuto. 

cm 

Fe'  la  mattina  la  donzella  altiera 
Marfisa  inanzi  a  Carlo  comparire, 
dicendo  ch'al  fratel  suo  Ruggier  era 
fatto  gran  torto,  e  nol  volea  patire, 
che  gli  fosse  levata  la  mogliera, 
ne  pure  una  parola  gliene  dire: 
e  contra  chi  si  vuol  di  provar  toglie, 
che  Bradamante  di  Ruggiero  e  moglie. 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  1205 

CIV 

E  inanzi  agli  altri,  a  lei  provar  lo  vuole, 
quando  pur  di  negarlo  fosse  ardita, 
ch'in  sua  presenzia  ella  ha  quelle  parole 
dette  a  Ruggier,  che  fa  chi  si  marita; 
e  con  la  cerimonia  che  si  suole, 
gia  si  tra  lor  la  cosa  e  stabilita, 
che  piu  di  se  non  possono  disporre, 
ne  Tun  1'altro  lasciar  per  altri  t6rre. 

cv 

Marfisa,  o  '1  vero  o  '1  falso  che  dicesse, 
pur  lo  dicea,  ben  credo  con  pensiero, 
perche  Leon  piu  tosto  interrompesse 
a  dritto  e  a  torto,  che  per  dire  il  vero, 
e  che  di  volontade  lo  facesse 
di  Bradamante,  che  a  riaver  Ruggiero 
et  escluder  Leon,  ne  la  piu  onesta 
ne  la  piu  breve  via  vedea  di  questa. 

cvi 

Turbato  il  re  di  questa  cosa  molto, 
Bradamante  chiamar  fa  immantinente ; 
e  quanto  di  provar  Marfisa  ha  tolto, 
le  fa  sapere,  et  ecci  Amon  presente. 
Tien  Bradamante  chino  a  terra  il  volto, 
e  confusa  non  niega  ne  consente, 
in  guisa  che  comprender  di  leggiero 
si  puo  che  Marfisa  abbia  detto  il  vero. 

evil 

Piace  a  Rinaldo,  e  piace  a  quel  d'Anglante 
tal  cosa  udir,  ch'esser  potra  cagione 
che  '1  parentado  non  andra  piu  inante, 
che  gia  conchiuso  aver  credea  Leone; 
e  pur  Ruggier  la  bella  Bradamante 
mal  grado  avra  de  Postinato  Amone; 
e  potran  senza  lite,  e  senza  trarla 
di  man  per  forza  al  padre,  a  Ruggier  darla. 


1206  ORLANDO   FURIOSO 

CVIII 

Che  se  tra  lor  queste  parole  stanno, 

la  cosa  e  ferma,  e  non  andra  per  terra. 

Cosi  atterran  quel  che  promesso  gli  hanno, 

piu  onestamente  e  senza  nuova  guerra. 

—  Questo  e,  —  diceva  Amon  —  questo  e  un  inganno 

contra  me  ordito:  ma  '1  pensier  vostro  erra; 

ch'ancor  che  fosse  ver  quanto  voi  finto 

tra  voi  v'avete,  io  non  son  pero  vinto. 

CIX 

Che  prosuposto  (che  ne  ancor  confesso, 
ne  vo'  credere  ancor)  ch'abbia  costei 
scioccamente  a  Ruggier  cosi  promesso, 
come  voi  dite,  e  Ruggiero  abbia  a  lei; 
quando  e  dove  fu  questo  ?  che  piu  espresso, 
piu  chiaro  e  piano  intenderlo  vorrei. 
Stato  so  che  non  e,  se  non  e  stato 
prima  che  Ruggier  fosse  battezzato. 

ex 

Ma  se  gli  e  stato  inanzi  che  cristiano 
fosse  Ruggier,  non  vo5  che  me  ne  caglia; 
ch'essendo  ella  fedele,  egli  pagano, 
non  credero  che  1  matrimonio  vaglia. 
Non  si  debbe  per  questo  essere  invano 
posto  al  risco  Leon  de  la  battaglia; 
ne  il  nostro  imperator  credo  vogli  anco 
venir  del  detto  suo  per  questo  manco. 

CXI 

Quel  ch'or  mi  dite,  era  da  dirmi  quando 
era  intera  la  cosa,  ne  ancor  fatto 
a  prieghi  di  costei  Carlo  avea  il  bando 
che  qui  Leone  alia  battaglia  ha  tratto.  — 
Cosi  contra  Rinaldo  e  contra  Orlando 
Amon  dicea,  per  romp  ere  il  contratto 
fra  quei  duo  amanti;  e  Carlo  stava  a  udire, 
ne  per  Fun  ne  per  Faltro  volea  dire. 


CANTO    QUARANTESIMOQUINTO  I2OJ 

CXII 

Come  si  senton,  s'austro  o  borea  spira, 
per  Take  selve  murmurar  le  fronde; 
o  come  soglion,  s'Eolo  s'adira 
contra  Nettunno,  al  lito  fremer  1'onde: 
cosi  un  rumor  che  corre  e  che  s'aggira, 
e  che  per  tutta  Francia  si  difonde, 
di  questo  da  da  dire  e  da  udir  tanto, 
ch'ogni  altra  cosa  e  muta  in  ogni  canto. 

cxm 

Chi  parla  per  Ruggier,  chi  per  Leone; 
ma  la  piu  parte  e  con  Ruggiero  in  lega: 
son  dieci  e  piu  per  un  che  n'abbia  Amone. 
L'imperator  ne  qua  ne  la  si  piega; 
ma  la  causa  rimette  alia  ragione, 
et  al  suo  parlamento  la  delega. 
Or  vien  Marfisa,  poi  ch'e  diferito 
lo  sponsalizio,  e  pon  nuovo  partito; 

cxiv 

e  dice:  —  Con  ci6  sia  ch'esser  non  possa 
d'altri  costei,  fin  che  '1  fratel  mio  vive; 
se  Leon  la  vuol  pur,  suo  ardire  e  possa 
adopri  si,  che  lui  di  vita  prive : 
e  chi  manda  di  lor  Taltro  alia  fossa, 
senza  rivale  al  suo  contento  arrive.  — 
Tosto  Carlo  a  Leon  fa  intender  questo, 
come  anco  intender  gli  avea  fatto  il  resto. 

cxv 

Leon  che  quando  seco  il  cavalliero 
del  liocorno  sia,  si  tien  sicuro 
di  riportar  vittoria  di  Ruggiero, 
ne  gli  abbia  alcun  assunto  a  parer  duro; 
non  sappiendo  che  Pabbia  il  dolor  fiero 
tratto  nel  bosco  solitario  e  oscuro, 
ma  che,  per  tornar  tosto,  uno  o  due  miglia 
sia  andato  a  spasso,  il  mal  partito  piglia. 


1208  ORLANDO  FURIOSO 

CXVI 

Ben  se  ne  pente  in  breve;  die  colui 
del  qual  piu  del  dover  si  promettea, 
non  comparve  quel  di,  ne  gli  altri  dui 
che  lo  seguir,  ne  nuova  se  n'avea; 
e  tor  questa  battaglia  senza  lui 
contra  Ruggier,  sicur  non  gli  parea: 
mand6,  per  schivar  dunque  danno  e  scorno, 
per  trovar  il  guerrier  dal  liocorno. 

CXVII 

Per  cittadi  mand6,  ville  e  castella, 
d'appresso  e  da  lontan,  per  ritrovarlo; 
ne  contento  di  questo,  monto  in  sella 
egli  in  persona,  e  si  pose  a  cercarlo. 
Ma  non  n'avrebbe  avuto  gia  novella, 
ne  1'avria  avuta  uomo  di  quei  di  Carlo, 
se  non  era  Melissa  che  fe'  quanto 
mi  serbo  a  farvi  udir  ne  1'altro  canto, 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO 


I2O9 


CANTO   QUARANTESIMOSESTO 


I 

Or  se  mi  mostra  la  mia  carta  il  veto, 
non  e  lontano  a  discoprirsi  il  porto; 
si  che  nel  lito  i  voti  scioglier  spero 
a  chi  nel  mar  per  tanta  via  m'ha  scorto; 
ove,  o  di  non  tornar  col  legno  intero, 
o  d'errar  sempre,  ebbi  gia  il  viso  smorto. 
Ma  mi  par  di  veder,  ma  veggo  certo, 
veggo  la  terra,  e  veggo  il  lito  aperto. 

ii 

Sento  venir  per  allegrezza  un  tuono 
che  fremer  Paria  e  rimbombar  fa  Ponde: 
odo  di  squille,  odo  di  trombe  un  suono 
che  1'alto  popular  grido  confonde. 
Or  comincio  a  discernere  chi  sono 
questi  che  empion  del  porto  ambe  le  sponde. 
Par  che  tutti  s'allegrino  ch'io  sia 
venuto  a  fin  di  cosi  lunga  via. 

in 

Oh  di  che  belle  e  saggie  donne  veggio, 
oh  di  che  cavallieri  il  lito  adorno! 
Oh  di  ch'amici,  a  chi  in  eterno  deggio 
per  la  letizia  c'han  del  mio  ritorno! 
Mamma  e  Ginevra  e  Paltre  da  Correggio 
veggo  del  molo  in  su  Pestremo  corno: 
Veronica  da  Gambera  e  con  loro, 
si  grata  a  Febo  e  al  santo  aonio  coro. 


1210  ORLANDO    FURIOSO 

IV 

Veggo  un'altra  Genevra,  pur  uscita 
del  medesimo  sangue,  e  lulia  seco; 
veggo  Ippolita  Sforza,  e  la  notrita 
Damigella  Trivulzia  al  sacro  speco : 
veggo  te,  Emilia  Pia,  te,  Margherita, 
ch' Angela  Borgia  e  Graziosa  hai  teco. 
Con  Ricciarda  da  Este  ecco  le  belle 
Bianca  e  Diana,  e  1'altre  lor  sorelle. 

v 

Ecco  la  bella,  ma  phi  saggia  e  onesta, 
Barbara  Turca,  e  la  compagna  e  Laura: 
non  vede  il  sol  di  piu  bonta  di  questa 
coppia  da  1'Indo  all'estrema  onda  maura. 
Ecco  Genevra  che  la  Malatesta 
casa  col  suo  valor  si  ingemma  e  inaura, 
che  mai  palagi  imperial!  o  regi 
non  ebbon  piu  onorati  e  degni  fregi. 

VI 

S'a  quella  etade  ella  in  Arimino  era, 
quando  superbo  de  la  Gallia  doma 
Cesar  fu  in  dubbio;,  s'oltre  alia  riviera 
dovea  passando  inimicarsi  Roma; 
credero  che  piegata  ogni  bandiera, 
e  scarca  di  trofei  la  ricca  soma, 
tolto  avria  leggi  e  patti  a  voglia  d'essa, 
ne  forse  mai  la  libertade  oppressa. 

VII 

Del  mio  signor  di  Bozolo  la  moglie, 
la  madre,  le  sirocchie  e  le  cugine, 
e  le  Torelle  con  le  Bentivoglie, 
e  le  Visconte  e  le  Palavigine; 
ecco  qui  a  quante  oggi  ne  sono  toglie, 
e  a  quante  o  greche  o  barbere  o  latine 
ne  furon  mai,  di  quai  la  fama  s'oda, 
di  grazia  e  di  belta  la  prima  loda, 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  I2II 

VIII 

lulia  Gonzaga,  che  dovunque  il  piede 
volge,  e  dovunque  i  sereni  occhi  gira, 
non  pur  ogn'altra  di  belta  le  cede, 
ma,  come  scesa  dal  ciel  dea,  I'amrnira. 
La  cognata  e  con  lei,  che  di  sua  fede 
non  mosse  mai,  perche  1'avesse  in  ira 
Fortuna  che  le  fe'  lungo  contrasto. 
Ecco  Anna  d'Aragon,  luce  del  Vasto; 

IX 

Anna,  bella,  gentil,  cortese  e  saggia, 
di  castita,  di  fede  e  d'amor  templo. 
La  sorella  e  con  lei,  ch'ove  ne  irraggia 
1'alta  belta,  ne  pate  ogn'altra  scempio. 
Ecco  chi  tolto  ha  da  la  scura  spiaggia 
di  Stige,  e  fa  con  non  piu  visto  esempio, 
mal  grado  de  le  Parche  e  de  la  Morte, 
splender  nel  ciel  1'invitto  suo  consorte. 

x 

Le  Ferrarese  mie  qui  sono,  e  quelle 
de  la  corte  d'Urbino;  e  riconosco 
quelle  di  Mantua,  e  quante  donne  belle 
ha  Lombardia,  quante  il  paese  tosco. 
II  cavallier  che  tra  lor  viene,  e  ch'elle 
onoran  si,  s'io  non  ho  1'occhio  losco, 
da  la  luce  offuscato  de'  bei  volti, 
e  '1  gran  lume  aretin,  1'Unico  Accolti. 

XI 

Benedetto,  il  nipote,  ecco  la  veggio, 
c'ha  purpureo  il  capel,  purpureo  il  manto, 
col  cardinal  di  Mantua  e  col  Campeggio, 
gloria  e  splendor  del  consistorio  santo: 
e  ciascun  d'essi  noto  (o  ch'io  vaneggio) 
al  viso  e  ai  gesti  rallegrarsi  tanto 
del  mio  ritorno,  che  non  facil  parmi 
ch'io  possa  mai  di  tanto  obligo  trarmi. 


1212  ORLANDO   FURIOSO 

XII 

Con  lor  Lattanzio  e  Claudio  Tolomei, 
e  Paulo  Pansa  e  '1  Dresino  e  Latino 
luvenal  parmi,  e  i  Capilupi  miei, 
e  '1  Sasso  e  '1  Molza  e  Florian  Montino ; 
e  quel  che  per  guidarci  ai  rivi  ascrei 
mostra  piano  e  piii  breve  altro  camino, 
lulio  Camillo;  e  par  ch'anco  io  ci  scerna 
Marco  Antonio  Flaminio,  il  Sanga,  il  Berna. 

XIII 

Ecco  Alessandro,  il  mio  signer,  Farnese: 
oh  dotta  compagnia  che  seco  mena! 
Fedro,  Capella,  Porzio,  il  bolognese 
Filippo,  il  Volterano,  il  Madalena, 
Blosio,  Pierio,  il  Vida  cremonese, 
d'alta  facondia  inessicabil  vena, 
e  Lascari  e  Mussuro  e  Navagero, 
e  Andrea  Marone  e  '1  monaco  Severe. 

XIV 

Ecco  altri  duo  Alessandri  in  quel  drappello, 
dagli  Orologi  Tun,  1'altro  il  Guarino. 
Ecco  Mario  d'Olvito,  ecco  il  flagello 
de'  principi,  il  divin  Pietro  Aretino. 
Duo  leronimi  veggo,  Puno  e  quello 
di  Veritade,  e  1'altro  il  Cittadino. 
Veggo  il  Mainardo,  veggo  il  Leoniceno, 
il  Pannizzato,  e  Celio  e  il  Teocreno. 

xv 

La  Bernardo  Capel,  la  veggo  Pietro 
Bembo,  che  '1  puro  e  dolce  idioma  nostro, 
levato  fuor  del  volgare  uso  tetro, 
quale  esser  dee,  ci  ha  col  suo  esempio  mostro. 
Guasparro  Obizi  e  quel  che  gli  vien  dietro, 
ch'ammira  e  osserva  il  si  ben  speso  inchiostro. 
Io  veggo  il  Fracastorio,  il  Bevazano, 
Trifon  Gabriele,  e  il  Tasso  piu  lontano. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1213 

XVI 

Veggo  Nicolo  Tiepoli,  e  con  esso 
Nicolo  Amanio  in  me  affissar  le  ciglia; 
Anton  Fulgoso  ch'a  vedermi  appresso 
al  lito  mostra  gaudio  e  maraviglia. 
II  mio  Valerio  e  quel  che  la  s'e  messo 
fuor  de  le  donne;  e  forse  si  consiglia 
col  Barignan  c'ha  seco,  come  offeso 
sempre  da  lor,  non  ne  sia  sempre  acceso. 

XVII 

Veggo  sublimi  e  soprumani  ingegni 
di  sangue  e  d'amor  giunti,  il  Pico  e  il  Pio. 
Colui  che  con  lor  viene,  e  da'  piu  degni 
ha  tanto  onor,  mai  piu  non  conobbi  io; 
ma  se  me  ne  fur  dati  veri  segni, 
e  Tuom  che  di  veder  tanto  desio, 
lacobo  Sanazar,  ch'alle  Camene 
lasciar  fa  i  monti  et  abitar  Tarene. 

XVIII 

Ecco  il  dotto,  il  fedele,  il  diligente 
secretario  Pistofilo,  ch'insieme 
con  gli  Acciaiuoli  e  con  PAngiar  mio  sente 
piacer,  che  piu  del  mar  per  me  non  teme. 
Annibal  Malaguzzo,  il  mio  parente, 
veggo  con  1'Adoardo,  che  gran  speme 
mi  da,  ch'ancor  del  mio  nativo  nido 
udir  fara  da  Calpe  agli  Indi  il  grido. 

XIX 

Fa  Vittor  Fausto,  fa  il  Tancredi  festa 

di  rivedermi,  e  la  fanno  altri  cento. 

Veggo  le  donne  e  gli  uomini  di  questa 

mia  ritornata  ognun  parer  contento. 

Dunque  a  finir  la  breve  via  che  resta, 

non  sia  piu  indugio,  or  c'ho  propizio  il  vento; 

e  torniamo  a  Melissa,  e  con  che  aita 

salvo,  diciamo,  al  buon  Ruggier  la  vita. 


1214  ORLANDO   FURIOSO 

XX 

Questa  Melissa,  come  so  che  detto 
v'ho  molte  volte,  avea  sommo  desire 
che  Bradamante  con  Ruggier  di  stretto 
nodo  s'avesse  in  matrimonio  a  unire; 
e  d'ambi  il  bene  e  il  male  avea  si  a  petto, 
che  d'ora  in  ora  ne  volea  sentire. 
Per  questo  spirti  avea  sempre  per  via, 
che  quando  andava  1'un,  1'altro  venia. 

XXI 

In  preda  del  dolor  tenace  e  forte 
Ruggier  tra  le  scure  ombre  vide  posto, 
il  qual  di  non  gustar  d'alcuna  sorte 
mai  piu  vivanda  fermo  era  e  disposto 
e  col  digiun  si  volea  dar  la  morte: 
ma  fu  1'aiuto  di  Melissa  tosto; 
che,  del  suo  albergo  uscita,  la  via  tenne 
ove  in  Leone  ad  incontrar  si  venne: 

XXII 

il  qual  mandate,  1'uno  a  Paltro  appresso, 
sua  gente  avea  per  tutti  i  luoghi  intorno ; 
e  poscia  era  in  persona  andato  anch'esso 
per  trovare  il  guerrier  dal  liocorno. 
La  saggia  incantatrice,  la  qual  messo 
freno  e  sella  a  uno  spirto  avea  quel  giorno, 
e  Pavea  sotto  in  forma  di  ronzino, 
trovo  questo  figliuol  di  Costantino. 

XXIII 

—  Se  de  Tammo  e  tal  la  nobiltate, 

qual  fuor,  signor,  —  diss'ella  —  il  viso  mostra; 

se  la  cortesia  dentro  e  la  bontate 

ben  corrisponde  alia  presenzia  vostra, 

qualche  conforto,  qualche  aiuto  date 

al  miglior  cavallier  de  1'eta  nostra; 

che  s'aiuto  non  ha  tosto  e  conforto, 

non  e  molto  lontano  a  restar  morto. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1215 

XXIV 

II  miglior  cavallier,  che  spada  a  lato 
e  scudo  in  braccio  mai  portassi  o  porti; 
il  piu  bello  e  gentil  ch'al  mondo  stato 
mai  sia  di  quanti  ne  son  vivi  o  morti, 
sol  per  un'alta  cortesia  c'ha  usato, 
sta  per  morir,  se  non  ha  chi  '1  conforti. 
Per  Dio,  signor,  venite,  e  fate  prova 
s'allo  suo  scampo  alcun  consiglio  giova.  — 

xxv 

Ne  Panimo  a  Leon  subito  cade 
che  '1  cavallier  di  chi  costei  ragiona, 
sia  quel  che  per  trovar  fa  le  contrade 
cercare  intorno,  e  cerca  egli  in  persona; 
si  ch'a  lei  dietro,  che  gli  persuade 
si  pietosa  opra,  in  molta  fretta  sprond: 
la  qual  lo  trasse  (e  non  fer  gran  camino) 
ove  alia  morte  era  Ruggier  vicino. 

XXVI 

Lo  ritrovar  che  senza  cibo  stato 
era  tre  giorni,  e  in  modo  lasso  e  vinto, 
ch'in  pie  a  fatica  si  saria  levato, 
per  ricader,  se  ben  non  fosse  spinto. 
Giacea  disteso  in  terra  tutto  armato, 
con  Pelmo  in  testa,  e  de  la  spada  cinto; 
e  guancial  de  lo  scudo  s'avea  fatto, 
in  che  51  bianco  liocorno  era  ritratto. 

XXVII 

Quivi  pensando  quanta  ingiuria  egli  abbia 
fatto  alia  donna,  e  quanto  ingrato  e  quanto 
isconoscente  le  sia  stato,  arrabbia, 
non  pur  si  duole;  e  se  n'affligge  tanto, 
che  si  morde  le  man,  rnorde  le  labbia, 
sparge  le  guancie  di  continuo  pianto; 
e  per  la  fantasia  che  v'ha  si  fissa, 
n6  Leon  venir  sente  ne  Melissa; 


I2l6  ORLANDO   FURIOSO 

XXVIII 

ne  per  questo  interrompe  il  suo  lamento, 
ne  cessano  i  sospir,  ne  il  pianto  cessa. 
Leon  si  ferma,  e  sta  ad  udire  intento; 
poi  smonta  del  cavallo,  e  se  gli  appressa. 
Amore  esser  cagion  di  quel  tormento 
conosce  ben;  ma  la  persona  espressa 
non  gli  e,  per  cui  sostien  tanto  martire; 
ch'anco  Ruggier  non  glie  1'ha  fatto  udire. 

XXIX 

Piu  inanzi,  e  poi  piu  inanzi  i  passi  muta, 
tanto  che  se  gli  accosta  a  faccia  a  faccia; 
e  con  fraterno  affetto  lo  saluta, 
e  se  gli  china  a  lato,  e  al  collo  abbraccia. 
lo  non  so  quanto  ben  quest  a  venuta 
di  Leone  improvisa  a  Ruggier  piaccia; 
che  teme  che  lo  turbi  e  gli  dia  noia, 
e  se  gli  voglia  oppor  perche  non  muoia. 

xxx 

Leon  con  le  piu  dolci  e  piu  soavi 
parole  che  sa  dir,  con  quel  piu  amore 
che  pu6  mostrar,  gli  dice :  —  Non  ti  gravi 
d'aprirmi  la  cagion  del  tuo  dolore; 
che  pochi  mali  al  mondo  son  si  pravi, 
che  1'uomo  trar  non  se  ne  possa  fuore, 
se  la  cagion  si  sa;  ne  debbe  privo 
di  speranza  esser  mai,  fin  che  sia  vivo. 

XXXI 

Ben  mi  duol  che  celar  t'abbi  voluto 
da  me,  che  sai  s'io  ti  son  vero  amico, 
non  sol  dipoi  ch'io  ti  son  si  tenuto, 
che  mai  dal  nodo  tuo  non  mi  districo, 
ma  fin  allora  ch'avrei  causa  avuto 
d'esserti  sempre  capital  nimico; 
e  dei  sperar  ch'io  sia  per  darti  aita 
con  1'aver,  con  gli  amici  e  con  la  vita. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1217 

XXXII 

Di  meco  conferir  non  ti  rincresca 
il  tuo  dolore,  e  lasciami  far  prova, 
se  forza,  se  lusinga,  accio  tu  n'esca, 
se  gran  tesor,  s'arte,  s'astuzia  giova. 
Poi,  quando  1'opra  mia  non  ti  riesca, 
la  morte  sia  ch'al  fin  te  ne  rimuova: 
ma  non  voler  venir  prima  a  quest'atto, 
che  cio  che  si  puo  far,  non  abbi  fatto.  — 

XXXIII 

E  seguito  con  si  efficaci  prieghi, 
e  con  parlar  si  umano  e  si  benigno, 
che  non  puo  far  Ruggier  che  non  si  pieghi 
che  ne  di  ferro  ha  il  cor  ne  di  macigno, 
e  vede,  quando  la  risposta  nieghi, 
che  fara  discortese  atto  e  maligno. 
Risponde;  ma  due  volte  o  tre  s'incocca 
prima  il  parlar,  ch'uscir  voglia  di  bocca. 

xxxiv 

—  Signor  mio,  —  disse  al  fin  —  quando  saprai 
colui  ch'io  son  (che  son  per  dirtel  ora), 
mi  rendo  certo  che  di  me  sarai 
non  men  contento,  e  forse  piu,  ch'io  muora. 
Sappi  ch'io  son  colui  che  si  in  odio  hai: 
io  son  Ruggier  ch'ebbi  te  in  odio  ancora; 
e  che  con  intension  di  porti  a  morte, 
gia  son  piu  giorni,  usci'  di  questa  corte; 

xxxv 

acci6  per  te  non  mi  vedessi  tolta 
Bradamante,  sentendo  esser  d'Amone 
la  voluntade  a  tuo  favor  rivolta. 
Ma  perche  ordina  Tuomo,  e  Dio  dispone, 
venne  il  bisogno  ove  mi  fe'  la  molta 
tua  cortesia  mutar  d'opinione; 
e  non  pur  1'odio  ch'io  t'avea  deposi, 
ma  fe'  ch'esser  tuo  sempre  io  mi  disposi. 


I2l8  ORLANDO   FURIOSO 

XXXVI 

Tu  mi  pregasti,  non  sapendo  ch'io 
fossi  Ruggier,  ch'io  ti  facessi  avere 
la  donna;  ch'altretanto  saria  il  mio 
cor  fuor  del  corpo,  o  1'anima  volere. 
Se  sodisfar  piu  tosto  al  tuo  disio, 
ch'al  mio,  ho  voluto,  t'ho  fatto  vedere. 
Tua  fatta  e  Bradamante ;  abbila  in  pace : 
molto  piu  che  51  mio  bene,  il  tuo  mi  piace. 

XXXVII 

Piaccia  a  te  ancora,  se  privo  di  lei 

mi  son,  ch'insieme  io  sia  di  vita  privo; 

che  piu  tosto  senz'anima  potrei, 

che  senza  Bradamante  restar  vivo. 

Appresso,  per  averla  tu  non  sei 

mai  legitimamente,  fin  ch'io  vivo; 

che  tra  noi  sponsalizio  e  gia  contratto, 

ne  duo  rnariti  ella  puo  avere  a  un  tratto.  — 

XXXVIII 

Riman  Leon  si  pien  di  maraviglia, 
quando  Ruggiero  esser  costui  gli  e  noto, 
che  senza  muover  bocca  o  batter  ciglia 
o  mutar  pie,  come  una  statua  e  immoto : 
a  statua,  piu  ch'ad  uomo,  s'assimiglia, 
che  ne  le  chiese  alcun  metta  per  voto. 
Ben  si  gran  cortesia  questa  gli  pare, 
che  non  ha  avuto  e  non  avra  mai  pare. 

xxxix 

E  conosciutol  per  Ruggier,  non  solo 
non  scema  il  ben  che  gli  voleva  pria; 
ma  si  Faccresce,  che  non  men  del  duolo 
di  Ruggiero  egli,  che  Ruggier,  patia. 
Per  questo,  e  per  mostrarsi  che  figliuolo 
d'imperator  meritamente  sia, 
non  vuol,  se  ben  nel  resto  a  Ruggier  cede, 
ch'in  cortesia  gli  metta  inanzi  il  piede. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1219 

XL 

E  dice:—  Se  quel  di,  Ruggier,  ch'offeso 
fu  il  campo  mio  dal  valor  tuo  stupendo, 
ancor  ch'io  t'avea  in  odio,  avessi  inteso 
che  tu  fossi  Ruggier,  come  ora  intendo; 
cosi  la  tua  virtu  m'avrebbe  preso, 
come  fece  anco  allor,  non  lo  sapendo; 
e  cosi  spinto  dal  cor  1'odio,  e  tosto 
questo  amor  ch'io  ti  porto,  v'avria  posto. 

XLI 

Che  prima  il  nome  di  Ruggiero  odiassi, 
ch'io  sapessi  che  tu  fosse  Ruggiero, 
non  neghero;  ma  ch'or  piu  inanzi  passi 
1'odio  ch'io  t'ebbi,  t'esca  del  pensiero. 
E  se,  quando  di  carcere  io  ti  trassi, 
n'avesse,  come  or  n'ho,  saputo  il  vero; 
il  medesimo  avrei  fatto  anco  allora, 
ch'a  benefizio  tuo  son  per  far  ora. 

XLII 

E  s'allor  volentier  fatto  1'avrei, 
ch'io  non  t'era,  come  or  sono,  obligate; 
quant'or  piu  farlo  debbo,  che  sarei, 
non  lo  facendo,  il  piu  d'ogn'altro  ingrato; 
poi  che  negando  il  tuo  voler,  ti  sei 
privo  d'ogni  tuo  bene,  e  a  me  Thai  dato. 
Ma  te  lo  rendo,  e  piu  contento  sono 
renderlo  a  te,  ch'aver  io  avuto  il  dono. 

XLIII 

Molto  piu  a  te,  ch'a  me,  costei  conviensi, 
la  qual,  ben  ch'io  per  li  suoi  merit'ami, 
non  e  per6,  s'altri  Pavra,  ch'io  pensi, 
come  tu,  al  viver  mio  romper  li  stami. 
Non  vo'  che  la  tua  morte  mi  dispensi, 
che  possi,  sciolto  ch'ella  avra  i  legami  • 
che  son  del  matrimonio  ora  fra  voi, 
per  legitima  moglie  averla  io  poi. 


1220  ORLANDO   FURIOSO 

XLIV 

Non  che  di  lei,  ma  restar  privo  voglio 
di  ci6  c'ho  al  mondo,  e  de  la  vita  appresso, 
prima  che  s'oda  mai  ch'abbia  cordoglio 
per  mia  cagion  tal  cavalliero  oppresso. 
De  la  tua  difidenzia  ben  mi  doglio; 
che  tu  che  puoi,  non  men  che  di  te  stesso, 
di  me  dispor,  piu  tosto  abbi  volute- 
morir  di  duol,  che  da  me  avere  aiuto.  — 

XLV 

Queste  parole  et  altre  suggiungendo, 
che  tutte  saria  lungo  riferire, 
e  sempre  le  ragion  redarguendo, 
ch'in  contrario  Ruggier  gli  potea  dire ; 
fe'  tanto,  ch'al  fin  disse:  —  lo  mi  ti  rendo, 
e  contento  sar6  di  non  morir  e. 
Ma  quando  ti  sciorr6  1'obligo  mai, 
che  due  volte  la  vita  dato  m'hai  ?  — 

XL  VI 

Cibo  soave  e  precioso  vino 
Melissa  ivi  portar  fece  in  un  tratto ; 
e  conforto  Ruggier,  ch'era  vicino, 
non  s'aiutando,  a  rimaner  disfatto. 
Sentito  in  questo  tempo  avea  Frontino 
cavalli  quivi,  e  v'era  accorso  ratto. 
Leon  pigliar  da  li  scudieri  suoi 

10  fe'  e  sellare,  et  a  Ruggier  dar  poi; 

XLVII 

11  qual  con  gran  fatica,  ancor  ch'aiuto 
avesse  da  Leon,  sopra  vi  salse: 

cosi  quel  vigor  manco  era  venuto, 
che  pochi  giorni  inanzi  in  modo  valse, 
che  vincer  tutto  un  campo  avea  potuto, 
e  far  quel  che  fe'  poi  con  1'arme  false. 
Quindi  partiti,  giunser,  che  piu  via 
non  fer  di  mezza  lega,  a  una  badia: 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1221 

* 
XLVIII 

ove  posaro  il  resto  di  quel  giorno, 
e  1'altro  appresso,  e  1'altro  tutto  intero, 
tanto  che  '1  cavallier  dal  liocorno 
tomato  fu  nel  suo  vigor  primiero. 
Poi  con  Melissa  e  con  Leon  ritorno 
alia  citta  real  fece  Ruggiero, 
e  vi  trovo  che  la  passata  sera 
Pimbasciaria  de'  Bulgari  giunt'era. 

XLIX 

Che  quella  nazion,  la  qual  s'avea 
Ruggiero  eletto  re,  quivi  a  chiamarlo 
mandava  questi  suoi,  che  si  credea 
d'averlo  in  Francia  appresso  al  magno  Carlo: 
perche  giurargli  fedelta  volea, 
e  dar  di  se  dominio,  e  coronarlo. 
Lo  scudier  di  Ruggier,  che  si  ritrova 
con  questa  gente,  ha  di  lui  dato  nuova. 

L 

De  la  battaglia  ha  detto,  ch'in  favore 
dej  Bulgari  a  Belgrade  egli  avea  fatta, 
ove  Leon  col  padre  imperatore 
vinto,  e  sua  gente  avea  morta  e  disfatta; 
e  per  questo  Tavean  fatto  signore, 
messo  da  parte  ogni  uomo  di  sua  schiatta: 
e  come  a  Novengrado  era  poi  stato 
preso  da  Ungiardo,  e  a  Teodora  dato: 

LI 

e  che  venuta  era  la  nuova  certa 
che  Jl  suo  guardian  s'era  trovato  ucciso, 
e  lui  fuggito,  e  la  prigione  aperta: 
che  poi  ne  fosse,  non  v'era  altro  awiso. 
Entro  Ruggier  per  via  molto  coperta 
ne  la  citta,  ne  fu  veduto  in  viso. 
La  seguente  mattina  egli  e  '1  compagno 
Leone  appresentossi  a  Carlo  Magno. 


1222  ORLANDO   FURIOSO 

LII 

S'appresent6  Ruggier  con  Faugel  d'oro 
che  nel  campo  vermiglio  avea  due  teste, 
e  come  disegnato  era  fra  loro, 
con  le  medesme  insegne  e  sopraveste 
che,  come  dianzi  ne  la  pugna  foro, 
eran  tagliate  ancor,  forate  e  peste; 
si  che  tosto  per  quel  fu  conosciuto, 
ch'avea  con  Bradamante  combattuto. 

LIII 

Con  ricche  vesti  e  regalmente  ornato 
Leon  senz'arme  a  par  con  mi  venia; 
e  dinanzi  e  di  dietro  e  d'ogni  lato 
avea  onorata  e  degna  compagnia. 
A  Carlo  s'inchino,  che  gia  levato 
se  gli  era  incontra;  e  avendo  tuttavia 
Ruggier  per  man,  nel  qual  intente  e  fisse 
ognuno  avea  le  luci,  cosi  disse: 

LIV 

—  Questo  e  il  buon  cavalliero  il  qual  difeso 
s'e  dal  nascer  del  giorno  al  giorno  estinto; 
e  poi  che  Bradamante  o  morto  o  preso 
o  fuor  non  Pha  de  lo  steccato  spinto, 
magnanimo  signer,  se  bene  inteso 
ha  il  vostro  bando,  e  certo  d'aver  vinto, 
e  d'aver  lei  per  moglie  guadagnata; 
e  cosl  viene  acci6  che  gli  sia  data. 

LV 

Oltre  che  di  ragion,  per  lo  tenore 
del  bando,  non  v'ha  altr'uom  da  far  disegno: 
se  s'ha  da  meritarla  per  valore, 
qual  cavallier  piu  di  costui  n'e  degno  ? 
s'aver  la  dee  chi  piu  le  porta  amore, 
non  e  chi  '1  passi  o  ch'arrivi  al  suo  segno. 
Et  e  qui  presto  contra  a  chi  s'oppone, 
per  difender  con  Tarme  sua  ragione.  — 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1223 

LVI 

Carlo  e  tutta  la  corte  stupefatta, 
questo  udendo,  resto ;  ch'avea  creduto 
che  Leon  la  battaglia  avesse  fatta, 
non  questo  cavallier  non  conosciuto. 
Marfisa,  che  con  gli  altri  quivi  tratta 
s'era  ad  udire,  e  ch'a  pena  potuto 
avea  tacer  fin  che  Leon  finisse 
il  suo  parlar,  si  fece  inanzi  e  disse: 

LVII 

—  Poi  che  non  c'e  Ruggier,  che  la  contesa 
de  la  moglier  fra  se  e  costui  discioglia; 
accio  per  mancamento  di  difesa 
cosi  senza  rumor  non  se  gli  toglia, 
%  io  che  gli  son  sorella,  questa  impresa 
piglio  contra  a  ciascun,  sia  chi  si  voglia, 
che  dica  aver  ragione  in  Bradamante, 
o  di  merto  a  Ruggiero  andare  inante.  — 

LVIII 

E  con  tant'ira  e  tanto  sdegno  espresse 
questo  parlar,  che  molti  ebber  sospetto, 
che  senza  attender  Carlo  che  le  desse 
campo,  ella  avesse  a  far  quivi  Teffetto. 
Or  non  parve  a  Leon  che  piu  dovesse 
Ruggier  celarsi,  e  gli  cav6  Pelmetto ; 
e  rivolto  a  Marfisa:  —  Ecco  lui  pronto 
a  rendervi  di  se  —  disse  —  buon  conto.  — 

LIX 

Quale  il  canuto  Egeo  rimase,  quando 

si  fu  alia  mensa  scelerata  accorto 

che  quello  era  il  suo  figlio,  al  quale,  instando 

I'iniqua  moglie,  avea  il  veneno  porto; 

e  poco  piu  che  fosse  ito  indugiando 

di  conoscer  la  spada,  1'avria  morto: 

tal  fu  Marfisa,  quando  il  cavalliero 

ch'odiato  avea,  conobbe  esser  Ruggiero. 


1224  ORLANDO   FURIOSO 

LX 

E  corse  senza  indugio  ad  ahbracciarlo, 
ne  dispiccar  se  gli  sapea  dal  collo. 
Rinaldo,  Orlando,  e  di  lor  prima  Carlo 
di  qua  e  di  la  con  grand' amor  baciollo. 
Ne  Dudon  n£  Olivier  d'accarezzarlo, 
n<§  '1  re  Sobrin  si  puo  veder  satollo. 
Dei  paladini  e  dei  baron  nessuno 
di  far  festa  a  Ruggier  restc-  digiuno. 

LXI 

Leone,  il  qual  sapea  molto  ben  dire, 
finiti  che  si  fur  gli  abbracciamenti, 
cominci6  inanzi  a  Carlo  a  riferire, 
udendo  tutti  quei  ch'eran  presenti, 
come  la  gagliardia,  come  Pardire 
(ancor  che  con  gran  danno  di  sue  genti) 
di  Ruggier,  ch'a  Belgrade  avea  veduto, 
piu  d'ogni  offesa  avea  di  se"  potuto; 

LXII 

si  ch'essendo  dipoi  preso  e  condutto 
a  colei  ch'ogni  strazio  n'avria  fatto, 
di  prigione  egli,  mal  grado  di  tutto 
il  parentado  suo,  1'aveva  tratto; 
e  come  il  buon  Ruggier,  per  render  frutto 
e  mercede  a  Leon  del  suo  riscatto, 
fe'  1'alta  cortesia  che  sempre  a  quante 
ne  furo  o  saran  mai  passara  inante. 

LXIII 

E  seguendo  narro  di  punto  in  punto 
cio  che  per  lui  fatto  Ruggiero  avea; 
e  come  poi  da  gran  dolor  compunto, 
che  di  lasciar  la  moglie  gli  premea, 
s'era  disposto  di  morire;  e  giunto 
v'era  vicin,  se  non  si  soccorrea. 
E  con  si  dolci  affetti  il  tutto  espresse, 
che  quivi  occhio  non  fu  ch'asciutto  stesse. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1225 

LXIV 

Rivolse  poi  con  si  efficaci  preghi 

le  sue  parole  all'ostinato  Amone, 

che  non  sol  che  lo  muova,  che  lo  pieghi, 

che  lo  faccia  mutar  d'opinione; 

ma  fa  ch'egli  in  persona  andar  non  nieghi 

a  supplicar  Ruggier  che  gli  perdone, 

e  per  padre  e  per  suocero  1'accette; 

e  cosi  Bradamante  gli  promette. 

LXV 

A  cui  la  dove,  de  la  vita  in  forse, 
piangea  i  suoi  casi  in  camera  segreta, 
con  lieti  gridi  in  molt  a  fretta  corse 
per  piu  d'un  messo  la  novella  lieta: 
onde  il  sangue  ch'al  cor,  quando  lo  morse 
prima  il  dolor,  fu  tratto  da  la  pieta, 
a  questo  annunzio  il  lascio  solo  in  guisa, 
che  quasi  il  gaudio  ha  la  donzella  uccisa. 

LXVI 

Ella  riman  d'ogni  vigor  si  vota, 
che  di  tenersi  in  pie  non  ha  balia; 
ben  che  di  quell  a  forza  ch'esser  nota 
vi  debbe,  e  di  quel  grande  animo  sia. 
Non  piu  di  lei,  chi  a  ceppo,  a  laccio,  a  ruota 
sia  condannato  o  ad  altra  morte  ria, 
e  che  gia  agli  occhi  abbia  la  benda  negra, 
gridar  sentendo  grazia,  si  rallegra. 

LXVII 

Si  rallegra  Mongrana  e  Chiaramonte, 
di  nuovo  nodo  i  dui  raggiunti  rami: 
altretanto  si  duol  Gano  col  conte 
Anselmo,  e  con  Falcon  Gini  e  Ginami; 
ma  pur  coprendo  sotto  un'altra  fronte 
van  lor  pensieri  invidiosi  e  grami; 
e  occasione  attendon  di  vendetta, 
come  la  volpe  al  varco  il  lepre  aspetta. 


1226  ORLANDO   FURIOSO 

LXVIII 

Oltre  che  gia  Rinaldo  e  Orlando  ucciso 
molti  in  piu  volte  avean  di  quei  malvagi; 
ben  che  Tingiurie  fur  con  saggio  awiso 
dal  re  acchetate,  et  i  commun  disagi; 
avea  di  miovo  lor  levato  il  riso 
Fucciso  Pinabello  e  Bertolagi: 
ma  pur  la  fellonia  tenean  coperta, 
dissimulando  aver  la  cosa  certa. 

LXIX 

Gli  imbasciatori  bulgari  che  in  corte 
di  Carlo  eran  venuti,  come  ho  detto, 
con  speme  di  trovare  il  guerrier  forte 
del  liocorno,  al  regno  loro  eletto; 
sentendol  quivi,  chiamar  buona  sorte 
la  lor,  che  dato  avea  alia  speme  effetto; 
e  riverenti  ai  pie  se  gli  gittaro, 
e  che  tornassi  in  Bulgheria  il  pregaro; 

LXX 

ove  in  Adrianopoli  servato 
gli  era  lo  scettro  e  la  real  corona: 
ma  venga  egli  a  difendersi  lo  stato; 
ch'a  danni  lor  di  nuovo  si  ragiona 
che  piu  numer  di  gente  apparecchiato 
ha  Costantino,  e  torna  anco  in  persona: 
et  essi,  se  Jl  suo  re  ponno  avere  seco, 
speran  di  torre  a  lui  Fimperio  greco. 

LXXI 

Ruggiero  accetto  il  regno,  e  non  contese 
ai  prieghi  loro,  e  in  Bulgheria  promesse 
di  ritrovarsi  dopo  il  terzo  mese, 
quando  Fortuna  altro  di  lui  non  fesse. 
Leone  Augusto,  che  la  cosa  intese, 
disse  a  Ruggier  ch'alla  sua  fede  stesse; 
che  poi  ch'egli  des  Bulgari  ha  il  domino, 
la  pace  e  tra  lor  fatta  e  Costantino : 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1227 

LXXII 

ne  da  partir  di  Francia  s'avra  in  fretta, 
per  esser  capitan  de  le  sue  squadre; 
che  d'ogni  terra  ch'abbiano  suggetta, 
far  la  rimmzia  gli  fara  dal  padre. 
Non  e  virtu  che  di  Ruggier  sia  detta, 
ch'a  muover  si  Fambiziosa  madre 
di  Bradamante,  e  far  che  '1  genero  ami, 
vaglia,  come  ora  udir  che  re  si  chiami. 

LXXIII 

Fansi  le  nozze  splendide  e  reali, 
convenienti  a  chi  cura  ne  piglia: 
Carlo  ne  piglia  cura,  e  le  fa  quali 
farebbe  maritando  una  sua  figlia. 
I  merti  de  la  donna  erano  tali, 
oltre  a  quelli  di  tutta  sua  famiglia, 
ch'a  quel  signor  non  parria  uscir  del  segno, 
se  spendesse  per  lei  mezzo  il  suo  regno. 

LXXIV 

Libera  corte  fa  bandire  intorno, 

ove  sicuro  ognun  possa  venire; 

e  campo  franco  sin  al  nono  giorno 

concede  a  chi  contese  ha  da  partir  e. 

FeJ  alia  campagna  1'apparato  adorno 

di  rami  intesti  e  di  bei  fiori  ordire, 

d'oro  e  di  seta  poi,  tanto  giocondo, 

che  31  piu  bel  luogo  mai  non  fu  nel  mondo. 

LXXV 

Dentro  a  Parigi  non  sariano  state 
rinnumerabil  genti  peregrine, 
povare  e  ricche  e  d'ogni  qualitate, 
che  v'eran,  greche,  barbare  e  latine. 
Tanti  signori,  e  imbascierie  mandate 
di  tutto  '1  mondo,  non  aveano  fine: 
erano  in  padiglion,  tende  e  frascati 
con  gran  commodita  tutti  alloggiati. 


1228  ORLANDO    FURIOSO 

LXXVI 

Con  eccellente  e  singulare  ornato 
la  notte  inanzi  avea  Melissa  maga 
il  maritale  albergo  apparecchiato, 
di  ch'era  stata  gia  gran  tempo  vaga. 
Gia  molto  tempo  inanzi  desiato 
questa  copula  avea  quella  presaga: 
de  Pawenir  presaga,  sapea  quanta 
bontade  uscir  dovea  da  la  lor  pianta. 

LXXVII 

Posto  avea  il  genial  letto  fecondo 
in  mezzo  un  padiglione  amplo  e  capace, 
il  piu  ricco,  il  piu  ornato,  il  piu  giocondo 
che  gia  mai  fosse  o  per  guerra  o  per  pace, 
o  prima  o  dopo,  teso  in  tutto  '1  mondo ; 
e  tolto  ella  Pavea  dal  lito  trace: 
Pavea  di  sopra  a  Costantin  levato, 
ch'a  diporto  sul  mar  s'era  attendato. 

LXXVIII 

Melissa  di  consenso  di  Leone, 
o  piu  tosto  per  dargli  maraviglia, 
e  mostrargli  de  Parte  paragone, 
ch'al  gran  vermo  infernal  mette  la  briglia, 
e  che  di  lui,  come  a  lei  par,  dispone, 
e  de  la  a  Dio  nimica  empia  famlglia; 
fe'  da  Costantinopoli  a  Parigi 
portare  il  padiglion  dai  messi  stigi. 

LXXIX 

Di  sopra  a  Costantin  ch'avea  Pimpero 
di  Grecia,  lo  levo  da  mezzo  giorno, 
con  le  corde  e  col  fusto,  e  con  Pintero 
guernimento  ch'avea  dentro  e  d'intorno: 
lo  fe'  portar  per  Tana,  e  di  Ruggiero 
quivi  lo  fece  alloggiamento  adorno. 
Poi,  finite  le  nozze,  anco  tornollo 
miraculosamente  onde  levollo. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  I22Q 

LXXX 

Eran  degli  anni  appresso  che  duo  milia 
che  fu  quel  ricco  padiglion  trapunto. 
Una  donzella  de  la  terra  d'llia, 
ch'avea  il  furor  profetico  congiunto, 
con  studio  di  gran  tempo  e  con  vigilia 

10  fece  di  sua  man  di  tutto  punto. 
Cassandra  fu  nomata,  et  al  fratello 
inclito  Ett6r  fece  un  bel  don  di  quello. 

LXXXI 

11  piu  cortese  cavallier  che  mai 
dovea  del  ceppo  uscir  del  suo  germano 
(ben  che  sapea,  da  la  radice  assai 

che  quel  per  molti  rami  era  lontano) 
ritratto  avea  nei  bei  ricami  gai 
d'oro  e  di  varia  seta,  di  sua  mano. 
L'ebbe,  mentre  che  visse,  Ettorre  in  pregio 
per  chi  lo  fece,  e  pel  lavoro  egregio. 

LXXXII 

Ma  poi  ch'a  tradimento  ebbe  la  morte, 
e  fu  51  popul  troian  da'  Greci  afflitto ; 
che  Sinon  falso  aperse  lor  le  porte, 
e  peggio  seguito,  che  non  e  scritto; 
Menelao  ebbe  il  padiglione  in  sorte, 
col  quale  a  capitar  venne  in  Egitto, 
ove  al  re  Proteo  lo  lascio,  se  volse 
la  moglie  aver,  che  quel  tiran  gli  tolse. 

LXXXIII 

Elena  nominata  era  colei 
per  cui  lo  padiglione  a  Proteo  diede; 
che  poi  successe  in  man  dej  Tolomei, 
tanto  che  Cleopatra  ne  fu  erede. 
Da  le  genti  d'Agrippa  tolto  a  lei 
nel  mar  Leucadio  fu  con  altre  prede: 
in  man  d'Augusto  e  di  Tiberio  venne, 
e  in  Roma  sin  a  Costantin  si  tenne; 


1230  ORLANDO   FURIOSO 

LXXXIV 

quel  Costantin  di  cui  doler  si  debbe 
la  bella  Italia,  fin  che  giri  il  cielo. 
Costantin,  poi  che  '1  Tevero  gl'increbbe, 
porto  in  Bisanzio  il  prezioso  velo: 
da  un  altro  Costantin  Melissa  1'ebbe. 
Oro  le  corde,  avorio  era  lo  stelo; 
tutto  trapunto  con  figure  belle, 
piu  che  mai  con  pennel  facesse  Apelle. 

LXXXV 

Quivi  le  Grazie  in  abito  giocondo 
una  regina  aiutavano  al  parto: 
si  bello  infante  n'apparia,  che  '1  mondo 
aon  ebbe  un  tal  dal  secol  primo  al  quarto. 
Vedeasi  love,  e  Mercurio  facondo, 
Venere  e  Marte,  che  1'aveano  sparto 
a.  man  piene  e  spargean  d'eterei  fiori, 
di  dolce  ambrosia  e  di  celesti  odori. 

LXXXVI 

Ippolito  diceva  una  scrittura 
sopra  le  fasce  in  lettere  minute. 
In  eta  poi  piu  ferma  TAventura 
Pavea  per  mano,  e  inanzi  era  Virtute. 
Mostrava  nove  genti  la  pittura 
con  veste  e  chiome  lunghe,  che  venute 
a.  domandar  da  parte  di  Corvino 
erano  al  padre  il  tenero  bambino. 

LXXXVII 

Da  Ercole  partirsi  riverente 
si  vede,  e  da  la  madre  Leonora; 
e  venir  sul  Danubio,  ove  la  gente 
corre  a  vederlo,  e  come  un  Dio  Tadora. 
Vedesi  il  re  degli  Ungari  prudente, 
che  '1  maturo  sap  ere  ammira  e  onora 
in  non  matura  eta  tenera  e  molle, 
e  sopra  tutti  i  suoi  baron  1'estolle. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1231 

LXXXVIII 

V'e  che  negli  infantili  e  teneri  anni 
lo  scettro  di  Strigonia  in  man  gli  pone: 
sempre  il  fanciullo  se  gli  vede  aj  panni, 
sia  nel  palagio,  sia  nel  padiglione: 

0  contra  Turchi,  o  contra  gli  Alemanni 
quel  re  possente  faccia  espedizione, 
Ippolito  gH  e  appresso,  e  fiso  attende 
a'  magnanimi  gesti,  e  virtu  apprende. 

LXXXIX 

Quivi  si  vede,  come  il  fior  dispensi 
de'  suoi  primi  anni  in  disciplina  et  arte. 
Fusco  gli  e  appresso,  che  gli  occulti  sensi 
chiari  gli  espone  de  1'antiche  carte. 

—  Questo  schivar,  questo  seguir  conviensi, 
se  immortal  brami  e  glorioso  farte — , 

par  che  gli  dica:  cosi  avea  ben  finti 

1  gesti  lor  chi  gia  gli  avea  dipinti. 

xc 

Poi  cardinale  appar,  ma  giovinetto, 
sedere  in  Vaticano  a  consistoro, 
e  con  facondia  aprir  Talto  intelletto, 
e  far  di  s6  stupir  tutto  quel  coro. 

—  Qual  fia  dunque  costui  d'eta  perfetto  ?  — 
parean  con  maraviglia  dir  tra  loro. 

—  Oh  se  di  Pietro  mai  gli  tocca  il  manto, 
che  fortunata  eta!  che  secol  santo!  — 

xci 

In  altra  parte  i  liberali  spassi 
erano  e  i  giuochi  del  giovene  illustre. 
Or  gli  orsi  affronta  sugli  alpini  sassi, 
ora  i  cingiali  in  valle  ima  e  palustre: 
or  s'un  gianetto  par  che  '1  vento  passi, 
seguendo  o  caprio  o  cerva  multilustre, 
che  giunta  par  che  bipartita  cada 
in  parti  uguali  a  un  sol  colpo  di  spada. 


1232  ORLANDO   FURIOSO 

XCII 

Di  filosofi  altrove  e  di  poeti 
si  vede  in  mezzo  un'onorata  squadra. 
Quel  gli  dipinge  il  corso  de'  pianeti, 
questi  la  terra,  quello  il  ciel  gli  squadra: 
questi  meste  elegie,  quel  versi  lieti, 
quel  canta  eroici,  o  qualche  oda  leggiadra. 
Musici  ascolta,  e  varii  suoni  altrove; 
ne  senza  somma  grazia  un  passo  muove. 

XCIII 

In  questa  prima  parte  era  dipinta 
del  sublime  garzon  la  puerizia. 
Cassandra  1'altra  avea  tutta  distinta 
di  gesti  di  prudenzia,  di  iustizia, 
di  valor,  di  modestia,  e  de  la  quinta 
che  tien  con  lor  strettissima  amicizia, 
dico  de  la  virtu  che  dona  e  spende; 
de  le  qual  tutte  illuminato  splende. 

XCIV 

In  questa  parte  il  giovene  si  vede 
col  duca  sfortunato  degPInsubri, 
ch'ora  in  pace  a  consiglio  con  lui  siede, 
or  armato  con  lui  spiega  i  colubri; 
e  sempre  par  d'una  medesma  fede, 
o  ne'  felici  tempi  o  nei  lugubri: 
ne  la  fuga  lo  segue,  lo  conforta 
ne  Fafflizion,  gli  e  nel  periglio  scorta. 

xcv 

Si  vede  altrove  a  gran  pensieri  intento 
per  salute  d' Alfonso  e  di  Ferrara; 
che  va  cercando  per  strano  argumento, 
e  trova,  e  fa  veder  per  cosa  chiara 
al  giustissimo  frate  il  tradimento 
che  gli  usa  la  famiglia  sua  piu  cara: 
e  per  questo  si  fa  del  nome  erede, 
che  Roma  a  Ciceron  libera  diede. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1233 

XCVI 

Vedesi  altrove  in  arme  relucente 

ch'ad  aiutar  la  Chiesa  in  fretta  corre; 

e  con  tumultuaria  e  poca  gente 

a  un  esercito  instrutto  si  va  opporre; 

e  solo  il  ritrovarsi  egli  presente 

tanto  agli  Ecclesiastic!  soccorre, 

che  '1  fuoco  estingue  pria  ch'arder  comince: 

si  che  puo  dir  che  viene  e  vede  e  vince. 

xcvn 

Vedesi  altrove  da  la  patria  riva 
pugnar  incontra  la  piii  forte  armata, 
che  contra  Turchi  o  contra  gente  argiva 
da'  Veneziani  mai  fosse  mandata: 
la  rompe  e  vince,  et  al  fratel  captiva 
con  la  gran  preda  1'ha  tutta  donata; 
ne  per  se  vedi  altro  serbarsi  lui 
che  1'onor  sol,  che  non  puo  dare  altrui. 

XCVIII 

Le  donne  e  i  cavallier  mirano  fisi, 
senza  trarne  construtto,  le  figure; 
perche  non  hanno  appresso  che  gli  avvisi 
che  tutte  quelle  sien  cose  future. 
Prendon  piacere  a  riguardare  i  visi 
belli  e  ben  fatti,  e  legger  le  scritture. 
Sol  Bradamante  da  Melissa  instrutta 
gode  tra  se;  che  sa  1'istoria  tutta. 

xcix 

Ruggiero,  ancor  ch'a  par  di  Bradamante 
non  ne  sia  dotto,  pur  gli  torna  a  mente 
che  fra  i  nipoti  suoi  gli  solea  Atlante 
commendar  questo  Ippolito  sovente. 
Chi  potria  in  "versi  a  pieno  dir  le  tante 
cortesie  che  fa  Carlo  ad  ogni  gente? 
Di  varii  giochi  e  sempre  festa  grande, 
e  la  mensa  ognor  piena  di  vivande. 


1234  ORLANDO   FURIOSO 

C 

Vedesi  quivi  chi  e  buon  cavalliero; 
che  vi  son  mille  lancie  il  giorno  rotte: 
fansi  battaglie  a  piedi  et  a  destriero, 
altre  accoppiate,  altre  confuse  in  f rotte. 
Piu  degli  altri  valor  mostra  Ruggiero, 
che  vince  sempre,  e  giostra  il  di  e  la  notte; 
e  cosi  in  danza,  in  lotta  et  in  ogni  opra 
sempre  con  molto  onor  resta  di  sopra. 

ci 

L'ultimo  di,  ne  1'ora  che  '1  solenne 
convito  era  a  gran  festa  incominciato ; 
che  Carlo  a  man  sinistra  Ruggier  tenne, 
e  Bradamante  avea  dal  destro  lato; 
di  verso  la  campagna  in  fretta  venne 
contra  le  mense  un  cavalliero  armato, 
tutto  coperto  egli  e  '1  destrier  di  nero, 
di  gran  persona,  e  di  sembiante  altiero. 

en 

Quest'era  il  re  d'Algier,  che  per  lo  scorno 
che  gli  fe'  sopra  il  ponte  la  donzella, 
giurato  avea  di  non  porsi  arme  intorno, 
ne  stringer  spada,  ne  montare  in  sella, 
fin  che  non  fosse  un  anno,  un  mese  e  un  giorno 
stato,  come  eremita,  entro  una  cella. 
Cosi  a  quel  tempo  solean  per  se  stessi 
punirsi  i  cavallier  di  tali  eccessi. 

cm 

Se  ben  di  Carlo  in  questo  mezzo  intese 
e  del  re  suo  signore  ogni  successo; 
per  non  disdirsi,  non  piu  1'arme  prese, 
che  se  non  pertenesse  il  fatto  ad  esso. 
Ma  poi  che  tutto  Tanno  e  tutto  '1  mese 
vede  finito,  e  tutto  '1  giorno  appresso, 
con  nuove  arme  e  cavallo  e  spada  e  lancia 
alia  corte  or  ne  vien  quivi  di  Francia. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1235 

CIV 

Senza  smontar,  senza  chinar  la  testa, 
e  senza  segno  alcun  di  riverenzia, 
mostra  Carlo  sprezzar  con  la  sua  gesta, 
e  de  tanti  signor  1'alta  presenzia. 
Maraviglioso  e  attonito  ognun  resta, 
che  si  pigli  costui  tanta  licenzia. 
Lasciano  i  cibi  e  lascian  le  parole 
per  ascoltar  ci6  che  Jl  guerrier  dir  vuole. 

cv 

Poi  che  fu  a  Carlo  et  a  Ruggiero  a  fronte, 
con  alta  voce  et  orgoglioso  grido: 
—  Son  —  disse  —  il  re  di  Sarza,  Rodomonte, 
che  te,  Ruggiero,  alia  battaglia  sfido; 
e  qui  ti  vo5,  prima  che  '1  sol  tramonte, 
provar  ch'al  tuo  signor  sei  stato  infido; 
e  che  non  merti,  che  sei  traditore, 
fra  questi  cavaHieri  alcuno  onore. 

cvi 

Ben  che  tua  fellonia  si  vegga  aperta, 
perche  essendo  cristian  non  poi  negarla; 
pur  per  farla  apparere  anco  piu  certa, 
in  questo  campo  vengoti  a  provarla: 
e  se  persona  hai  qui  che  faccia  offerta 
di  combatter  per  te,  voglio  accettarla. 
Se  non  basta  una,  e  quattro  e  sei  n'accetto; 
e  a  tutte  manterr6  quel  ch'io  t'ho  detto.  — 

CVII 

Ruggiero  a  quel  parlar  ritto  levosse, 

e  con  licenzia  rispose  di  Carlo, 

che  mentiva  egli,  e  qualunqu'altro  fosse, 

che  traditor  volesse  nominarlo; 

che  sempre  col  suo  re  cosi  portosse, 

che  giustamente  alcun  non  pu6  biasmarlo; 

e  ch'era  apparecchiato  sostenere 

che  verso  lui  fe'  sempre  il  suo  dovere: 


1236  ORLANDO   FURIOSO 

CVIII 

e  ch'a  difender  la  sua  causa  era  atto, 
senza  t6rre  in  aiuto  suo  veruno ; 
e  che  sperava  di  mostrargli  in  fatto, 
ch'assai  n'avrebbe  e  forse  troppo  d'uno. 
Quivi  Rinaldo,  quivi  Orlando  tratto, 
quivi  il  marchese,  e  '1  figlio  bianco  e  51  bruno, 
Dudon,  Marfisa,  contra  il  pagan  fiero 
s'eran  per  la  difesa  di  Ruggiero; 

cix 

mostrando  ch'essendo  egli  nuovo  sposo, 
non  dovea  conturbar  le  proprie  nozze. 
Ruggier  rispose  lor:  —  State  in  riposo; 
che  per  me  foran  queste  scuse  sozze.  — 
L'arme  che  tolse  al  Tartaro  famoso, 
vennero,  e  fur  tutte  le  lunghe  mozze. 
Gli  sproni  il  conte  Orlando  a  Ruggier  strinse, 
e  Carlo  al  fianco  la  spada  gli  cinse. 

ex 

Bradamante  e  Marfisa  la  corazza 
posta  gli  aveano,  e  tutto  Paltro  arnese. 
Tenne  Astolfo  il  destrier  di  buona  razza, 
tenne  la  staffa  il  figlio  del  Danese. 
Feron  d'intorno  far  subito  piazza 
Rinaldo,  Namo  et  Olivier  marchese: 
cacciaro  in  fretta  ognun  de  lo  steccato 
a  tal  bisogni  sempre  apparecchiato. 

CXI 

Donne  e  donzelle  con  pallida  faccia 
timide  a  guisa  di  columbe  stanno, 
che  da'  granosi  paschi  ai  nidi  caccia 
rabbia  de'  venti  che  fremendo  vanno 
con  tuoni  e  lampi,  e  '1  nero  aer  minaccia 
grandine  e  pioggia,  e  a'  campi  strage  e  danno : 
timide  stanno  per  Ruggier;  che  male 
a  quel  fiero  pagan  lor  parea  uguale. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1237 

CXII 

Cosi  a  tutta  la  plebe  e  alia  piu  parte 

dei  cavallieri  e  dei  baron  parea; 

che  di  memoria  ancor  lor  non  si  parte 

quel  ch'in  Parigi  il  pagan  fatto  avea; 

che,  solo,  a  ferro  e  a  fuoco  una  gran  parte 

n'avea  distrutta,  e  ancor  vi  rimanea, 

e  rimarra  per  molti  giorni  il  segno : 

ne  maggior  danno  altronde  ebbe  quel  regno. 

CXIII 

Tremava,  piu  ch'a  tutti  gli  altri,  il  core 
a  Bradamante;  non  ch'ella  credesse 
che  '1  Saracin  di  forza,  e  del  valore 
che  vien  dal  cor,  piu  di  Ruggier  potesse; 
ne  che  ragion,  che  spesso  da  1'onore 
a  chi  1'ha  seco,  Rodomonte  avesse: 
pur  stare  ella  non  puo  senza  sospetto ; 
che  di  temere  amando  ha  degno  effetto. 

cxiv 

Oh  quanto  volentier  sopra  se  tolta 
Timpresa  avria  di  quella  pugna  incerta, 
ancor  che  rimaner  di  vita  sciolta 
per  quella  fosse  stata  piu  che  certa! 
Avria  eletto  a  morir  piu  d'una  volta, 
se  pu6  piu  d'una  morte  esser  sofferta, 
piu  tosto  che  patir  che  '1  suo  consort  e 
si  ponesse  a  pericol  de  la  morte. 

cxv 

Ma  non  sa  ritrovar  priego  che  vaglia, 
perche  Ruggiero  a  lei  Pimpresa  lassi. 
A  riguardare  adunque  la  battaglia 
con  mesto  viso  e  cor  trepido  stassi. 
Quinci  Ruggier,  quindi  il  pagan  si  scaglia, 
e  vengonsi  a  trovar  coi  ferri  bassi. 
Le  lancie  alFincontrar  parver  di  gielo; 
i  tronchi,  augelli  a  salir  verso  il  cielo. 


1238  ORLANDO   FURIOSO 

CXVI 

La  lancia  del  pagan,  che  venne  a  corre 

10  scudo  a  mezzo,  fe'  debole  effetto: 
tanto  1'acciar,  che  pel  famoso  Ettorre 
temprato  avea  Vulcano,  era  perfetto. 
Ruggier  la  lancia  parimente  a  porre 

gli  and6  allo  scudo,  e  gliele  passo  netto; 
tutto  che  fosse  appresso  un  palmo  grosso, 
dentro  e  di  fuor  d'acciaro,  e  in  mezzo  d'osso. 

CXVII 

E  se  non  che  la  lancia  non  sostenne 

11  grave  scontro,  e  manco  al  primo  assalto, 

e  rotta  m  scheggie  e  in  tronchi  aver  le  penne 

parve  per  Faria,  tanto  volo  in  alto; 

Fosbergo  apria  (si  furiosa  venne), 

se  fosse  stato  adamantino  smalto, 

e  finia  la  battaglia;  ma  si  roppe: 

posero  in  terra  ambi  i  destrier  le  groppe. 

CXVIII 

Con  briglia  e  sproni  i  cavallieri  instando, 

risalir  feron  subito  i  destrieri; 

e  donde  gittar  Taste,  preso  il  brando, 

si  tornaro  a  ferir  crudeli  e  fieri: 

di  qua  di  la  con  maestria  girando 

gli  animosi  cavalli  atti  e  leggieri, 

con  le  pungenti  spade  incominciaro 

a  tentar  dove  il  ferro  era  piii  raro. 

cxix 

Non  si  trov6  lo  scoglio  del  serpente, 
che  fu  si  duro,  al  petto  Rodomonte, 
ne  di  Nembrotte  la  spada  tagliente, 
ne  '1  solito  elmo  ebbe  quel  di  alia  fronte; 
che  Fusate  arme,  quando  fu  perdente 
contra  la  donna  di  Dordona  al  ponte, 
lasciato  avea  sospese  ai  sacri  marmi, 
come  di  sopra  avervi  detto  parmi. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1239 

CXX 

Egli  avea  un'altra  assai  buona  armatura, 
non  come  era  la  prima  gia  perfetta: 
ma  ne  questa  ne  quella  ne  piii  dura 
a  Balisarda  si  sarebbe  retta; 
a  cui  non  osta  incanto  ne  fatura, 
ne  finezza  d'acciar  ne  tempra  eletta. 
Ruggier  di  qua  di  la  si  ben  lavora, 
ch'al  pagan  1'arme  in  piu  d'un  loco  fora. 

cxxi 

Quando  si  vide  in  tante  parti  rosse 
il  pagan  1'arme,  e  non  poter  schivare 
che  la  piu  parte  di  quelle  percosse 
non  gli  andasse  la  carne  a  ritrovare; 
a  maggior  rabbia,  a  piu  furor  si  mosse, 
ch'a  mezzo  il  verno  il  tempestoso  mare: 
getta  lo  scudo,  e  a  tutto  suo  potere 
su  1'elmo  di  Ruggiero  a  due  man  fere. 

cxxn 

Con  quella  estrema  forza  che  percuote 
la  machina  ch'in  Po  sta  su  due  navi, 
e  levata  con  uomini  e  con  ruote 
cader  si  lascia  su  le  aguzze  travi; 
fere  il  pagan  Ruggier,  quanto  piu  puote, 
con  ambe  man  sopra  ogni  peso  gravi: 
giova  Pelmo  incantato;  che  senza  esso, 
lui  col  cavallo  avria  in  un  colpo  fesso. 

CXXIII 

Ruggiero  ando  due  volte  a  capo  chino, 
e  per  cadere  e  braccia  e  gambe  aperse. 
Raddoppia  il  fiero  colpo  il  Saracino, 
che  quel  non  abbia  tempo  a  riaverse: 
poi  vien  col  terzo  ancor;  ma  il  brando  fino 
si  lungo  martellar  piu  non  sofTerse; 
che  volo  in  pezzi,  et  al  crudel  pagano 
disarmata  lascio  di  se  la  mano. 


1240  ORLANDO   FURIOSO 

CXXIV 

Rodomonte  per  questo  non  s'arresta, 
ma  s'aventa  a  Ruggier  che  nulla  sente; 
in  tal  modo  intronata  avea  la  testa, 
in  tal  modo  offuscata  avea  la  mente. 
Ma  ben  dal  sonno  il  Saracin  lo  desta: 
gli  cinge  il  collo  col  braccio  possente; 
e  con  tal  no  do  e  tanta  forza  afferra, 
che  de  1'arcion  lo  svelle,  e  caccia  in  terra. 

cxxv 

Non  fu  in  terra  si  tosto,  che  risorse, 
via  piu  che  d'ira,  di  vergogna  pieno; 
pero  che  a  Bradamante  gli  occhi  torse, 
e  turbar  vide  il  bel  viso  sereno. 
Ella  al  cader  di  lui  rimase  in  forse, 
e  fu  la  vita  sua  per  venir  meno. 
Ruggiero  ad  emendar  presto  quell'onta, 
stringe  la  spada,  e  col  pagan  s'affronta. 

cxxvi 
Quel  gli  urta  il  destrier  contra,  ma  Ruggiero 

10  cansa  accortamente,  e  si  ritira, 

e  nel  passare,  al  fren  piglia  il  destriero 
con  la  man  manca,  e  intorno  lo  raggira; 
e  con  la  destra  intanto  al  cavalliero 
ferire  il  fianco  o  il  ventre  o  il  petto  mira; 
e  di  due  punte  fe'  sentirgli  angoscia, 
1'una  nel  fianco,  e  1'altra  ne  la  coscia. 

CXXVII 

Rodomonte,  ch'in  mano  ancor  tenea 

11  pome  e  1'elsa  de  la  spada  rotta, 
Ruggier  su  Felmo  in  guisa  percotea, 
che  lo  potea  stordire  all'altra  botta. 
Ma  Ruggier  ch'a  ragion  vincer  dovea, 
gli  prese  il  braccio,  e  tir6  tanto  allotta, 
aggiungendo  alia  destra  Paltra  mano, 
che  fuor  di  sella  al  fin  trasse  il  pagano. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1241 

CXXVIII 

Sua  forza  o  sua  destrezza  vuol  che  cada 
il  pagan  si,  ch'a  Ruggier  resti  al  paro: 
vo'  dir  che  cadde  in  pie;  che  per  la  spada 
Ruggiero  averne  il  meglio  giudicaro. 
Ruggier  cerca  il  pagan  tenere  a  bada 
lungi  da  se,  ne  di  accostarsi  ha  caro: 
per  lui  non  fa  lasciar  venirsi  adosso 
un  corpo  cosi  grande  e  cosi  grosso. 

cxxix 

E  insanguinargli  pur  tuttavia  il  fianco 
vede  e  la  coscia  e  Faltre  sue  ferite. 
Spera  che  venga  a  poco  a  poco  manco, 
si  che  al  fin  gli  abbia  a  dar  vinta  la  lite. 
L'elsa  e  '1  pome  avea  in  mano  il  pagan  anco, 
e  con  tutte  le  forze  insieme  unite 
da  se  scagliolli,  e  si  Ruggier  percosse, 
che  stordito  ne  fu  phi  che  mai  fosse. 

cxxx 

Ne  la  guancia  de  Feline,  e  ne  la  spalla 
fu  Ruggier  colto,  e  si  quel  colpo  sente, 
che  tutto  ne  vacilla  e  ne  traballa, 
e  ritto  se  sostien  difHcilmente. 
II  pagan  vuole  entrar,  ma  il  pie  gli  falla, 
che  per  la  coscia  offesa  era  impotente: 
e  Jl  volersi  affrettar  piu  del  potere, 
con  un  ginocchio  in  terra  il  fa  cadere. 

cxxxi 

Ruggier  non  perde  il  tempo,  e  di  grande  urto 
lo  percuote  nel  petto  e  ne  la  faccia; 
e  sopra  gli  martella,  e  tien  si  curto, 
che  con  la  ma*no  in  terra  anco  lo  caccia. 
Ma  tanto  fa  il  pagan  che  gli  e  risurto; 
si  stringe  con  Ruggier  si,  che  1'abbraccia: 
1'uno  e  Taltro  s'aggira,  e  scuote  e  preme, 
arte  aggiungendo  alle  sue  forze  estreme. 


1242  ORLANDO  FURIOSO 

CXXXII 

Di  forza  a  Rodomonte  una  gran  parte 

la  coscia  e  '1  fianco  aperto  aveano  tolto. 

Ruggiero  avea  destrezza,  avea  grande  arte 

era  alia  lotta  esercitato  molto  : 

sente  il  vantaggio  suo,  ne  se  ne  parte; 

e  donde  il  sangue  uscir  vede  piii  sciolto, 

e  dove  piu  ferito  il  pagan  vede, 

puon  braccia  e  petto,  e  1'uno  e  1'altro  piede. 

CXXXIII 

Rodomonte'  pien  d'ira  e  di  dispetto 
Ruggier  nel  collo  e  ne  le  spalle  prende: 
or  lo  tira,  or  lo  spinge,  or  sopra  il  petto 
sollevato  da  terra  lo  sospende, 
quinci  e  quindi  lo  ruota,  e  lo  tien  stretto, 
e  per  farlo  cader  molto  contende. 
Ruggier  sta  in  se  raccolto,  e  mette  in  opra 
senno  e  valor,  per  rimaner  di  sopra. 

cxxxiv 

Tanto  le  prese  and6  mutando  il  franco 
e  buon  Ruggier,  che  Rodomonte  cinse: 
calcogli  il  petto  sul  sinistro  fianco, 
e  con  tutta  sua  forza  ivi  lo  strinse. 
La  gamba  destra  a  un  tempo  inanzi  ai  manco 
ginocchio  e  alPaltro  attraversogli  e  spinse; 
e  da  la  terra  in  alto  sollevollo, 
e  con  la  testa  in  giii  steso  tornollo. 

cxxxv 

Del  capo  e  de  le  schene  Rodomonte 
la  terra  impresse;  e  tal  fu  la  percossa, 
che  da  le  piaghe  sue,  come  da  fonte, 
lungi  ando  il  sangue  a  far  la  terra  rossa. 
Ruggier,  c'ha  la  Fortuna  per  la  fronte, 
perche  levarsi  il  Saracin  non  possa, 
Tuna  man  col  pugnal  gli  ha  sopra  gli  occhi, 
1'altra  alia  gola,  al  ventre  gli  ha  i  ginocchi. 


CANTO    QUARANTESIMOSESTO  1243 

CXXXVI 

Come  talvolta,  ove  si  cava  1'oro 
la  tra'  Pannoni  o  ne  le  mine  ibere, 
se  improvisa  ruina  su  coloro 
che  vi  condusse  empia  avarizia,  fere, 
ne  restano  si  oppressi,  che  puo  il  loro 
spirto  a  pena,  onde  uscire,  adito  avere: 
cosi  fu  il  Saracin  non  meno  oppresso 
dal  vincitor,  tosto  ch'in  terra  messo. 

cxxxvn 

Alia  vista  de  Felmo  gli  appresenta 
la  punta  del  pugnal  ch'avea  gia  tratto; 
e  che  si  renda  minacciando  tenta, 
e  di  lasciarlo  vivo  gli  fa  patto. 
Ma  quel,  che  di  morir  manco  paventa, 
che  di  mostrar  viltade  a  un  mmimo  atto, 
si  torce  e  scuote,  e  per  por  lui  di  sotto 
mette  ogni  suo  vigor,  ne  gli  fa  motto. 

cxxxvin 

Come  mastin  sotto  il  feroce  alano 
che  fissi  i  denti  ne  la  gola  gli  abbia, 
molto  s'affanna  e  si  dibatte  invano 
con  occhi  ardenti  e  con  spumose  labbia, 
e  non  puo  uscire  al  predator  di  mano, 
che  vince  di  vigor,  non  gia  di  rabbia : 
cosi  falla  al  pagano  ogni  pensiero 
d'uscir  di  sotto  al  vincitor  Ruggiero. 

cxxxix 

Pur  si  torce  e  dibatte  si,  che  viene 
ad  espedirsi  col  braccio  migliore; 
e  con  la  destra  man  che  '1  pugnal  tiene, 
che  trasse  anch'egli  in  quel  contrasto  fuore, 
tenta  ferir  Ruggier  sotto  le  rene : 
ma  il  giovene  s'accorse  de  Terrore 
in  che  potea  cader,  per  difTerire 
di  far  quel  empio  Saracin  morire. 


1244  ORLANDO    FURIOSO 

CXL 

E  due  e  tre  volte  ne  1'orribil  fronte, 
alzando,  piu  ch'alzar  si  possa,  il  braccio, 
il  ferro  del  pugnale  a  Rodomonte 
tutto  nascose,  e  si  levo  d'impaccio. 
Alle  squalide  ripe  d'Acheronte, 
sciolta  dal  corpo  piu  freddo  che  giaccio, 
bestemmiando  fuggi  1'alma  sdegnosa, 
che  fu  si  altiera  al  mondo  e  si  orgogliosa. 


FINIS. 
PRO  BONO  MALUM. 


INDICE 


ORLANDO  FURIOSO 


CANTO  I 3 

CANTO  II 24 

CANTO  III 44 

CANTO  IV 64 

CANTO  V 83 

CANTO  VI 107 

CANTO  VII I28 

CANTO  VIII 149 

CANTO  IX 172 

CANTO  X 196 

CANTO  XI 225 

CANTO  XII 246 

CANTO  XIII 270 

CANTO  XIV 291 

CANTO  XV 325 

CANTO  XVI 352 

CANTO  XVII 375 

CANTO  XVIII 409 

CANTO  XIX 458 

CANTO  XX 486 

CANTO  XXI 523 

CANTO  XXII 542 

CANTO  XXIII 567 

CANTO  XXIV 602 

CANTO  XXV 631 

CANTO  XXVI 656 

CANTO  XXVII 691 

CANTO  XXVIII 727 

CANTO  XXIX 753 

CANTO  XXX 772 

CANTO  XXXI 796 

CANTO  XXXII 824 

CANTO  XXXIII 852 


1248  INDICE 

CANTO  XXXIV 885 

CANTO  XXXV 909 

CANTO  XXXVI '    ....  930 

CANTO  XXXVII 952 

CANTO  XXXVIII 983 

CANTO  XXXIX 1006 

CANTO  XL 1028 

CANTO  XLI .          .          .  1049 

CANTO  XLII .          .1075 

CANTO  XLIII 1 102 

CANTO  XLIV 1152 

CANTO  XLV 1179 

CANTO  XLVI 1209 


IMPRESSQ   NEL   MESE  DI   APRILE   MCMLIV 

DALLA   STAMPERIA   VALDONEGA 

DI   VERONA 


1 02  927