1-851 A?loc 55-01853
1-851 A7ioe 55-61853
Ariosto
Orlando Furioso.
Keep Your Card in This Pocket
Books will be issued only on presentation of proper
library cards.
Unless labeled otherwise, books may be retained
tor two weeks. Borrowers finding books marked, de-
laced or mutilated are expected to report same at
library desk; otherwise the last borrower will be held
responsible tor all imperfections discovered
The card holder is responsible for all books drawn
on this card.
Penalty for over-due books 2c a day plus cost of
notices.
Public Library
Kansas City, Mo.
TENSION ENVELOPE CORP.
TUTTI I DIRITTI RISERVATI - ALL RIGHTS RESERVED
PRINTED IN ITALY
AVVERTENZA DELL'EDITORE
La divisions delle opere di Ludovico Ariosto in due volumi ha
presentato all'editore una particolare difficoltd.
U((0rlando furiosov ha tali dimension! che, da solo, richiede
un volume di din 1200 pagine. Non era da pensare a com-
porlo su due colonne — come e stato fatto in tutte le edizioni an-
teriori in un sol volume — , guastando Varmonia tipografica detta
pagina e rendendo fastidiosa la lettura, ne — evidentemente — a
stamparlo in un corpo pin piccolo degli altri volumi della collana.
Si e quindi preferito accogliere in questo primo volume il te-
sto integrate e nudo del fa Orlando i>, e rimandarne le note alia
fine del secondo volume, che contiene tutti gli scritti minori del
Poeta, ciascuno con le note a pie di pagina secondo le consuetu-
dini della nostra collana.
Anche I'introduzione generale alle opere del Nostro si trova
in testa al secondo volume.
ORLANDO FURIOSO
DI MESSER LUDOVICO ARIOSTO ALLO
ILLUSTRISSIMO E REVERENDISSIMO
CARDINALE DONNO IPPOLITO DA ESTE
SUO SIGNORE
CANTO PRIMO
I
Le donne, i cavallier, Tarme, gli amori,
le cortesie, 1'audaci imprese io canto,
che furo al tempo che passaro i Mori
d'Africa il mare, e in Francia nocquer tanto,
seguendo Tire e i giovenil furori
d'Agramante lor re, che si die vanto
di vendicar la morte di Troiano
sopra re Carlo imperator romano.
II
Dir6 d' Orlando in un medesmo tratto
cosa non detta in prosa mai ne in rima:
che per amor venne in furore e matto,
d'uom che si saggio era stimato prima;
se da colei che tal quasi m'ha fatto,
che '1 poco ingegno ad or ad or mi lima,
me ne sara per6 tanto concesso,
che mi basti a finir quanto ho promesso.
in
Piacciavi, generosa Erculea prole,
ornamento e splendor del secol nostro,
Ippolito, aggradir questo che vuole
e darvi sol puo 1'umil servo vostro.
Quel ch'io vi debbo, posso di parole
pagare in parte e d'opera d'inchiostro ;
n6 che poco io vi dia da imputar sono,
che quanto io posso dar, tutto vi dono.
ORLANDO FURIOSO
IV
Voi sentirete fra i piu degni eroi,
che nominar con laude m'apparecchio,
ricordar quel Ruggier, che fu di voi
e de' vostri avi illustri il ceppo vecchio.
L'alto valore e5 chiari gesti suoi
vi faro udir, se voi mi date orecchio,
e vostri alti pensier cedino un poco,
si che tra lor miei versi abbiano loco.
v
Orlando, che gran tempo inamorato
fu de la bella Angelica, e per lei
in India, in Media, in Tartaria lasciato
avea infiniti et immortal trofei,
in Ponente con essa era tomato,
dove sotto i gran monti Pirenei
con la gente di Francia e de Lamagna
re Carlo era attendato alia campagna,
vi
per far al re Marsilio e al re Agramante
battersi ancor del folle ardir la guancia,
d'aver condotto, Tun, d' Africa quante
genti erano atte a portar spada e lancia;
1'altro, d'aver spinta la Spagna inante
a destruzion del bel regno di Francia.
E cosi Orlando arrivo quivi a punto:
ma tosto si penti d'esservi giunto;
VII
che vi fu tolta la sua donna poi:
ecco il giudicio uman come spesso erra!
Quella che dagli esperii ai liti eoi
avea difesa con si lunga guerra,
or tolta gli e fra tanti amici suoi,
senza spada adoprar, ne la sua terra.
II savio imperator, ch'estinguer volse
un grave incendio, fu che gli la tolse.
CANTO PRIMO
VIII
Nata pochi di inanzi era una gara
tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo,
che ambi avean per la bellezza rara
d'amoroso disio Tanimo caldo.
Carlo, che non avea tal lite cara,
che gli rendea Faiuto lor men saldo,
questa donzella, che la causa n'era,
tolse, e die in mano al duca di Bavera;
IX
in premio promettendola a quel d'essi
ch'in quel conflitto, in quella gran giornata,
degli infideli piu copia uccidessi,
e di sua man prestassi opra piu grata.
Contrari ai voti poi furo i successi;
ch'in fuga ando la gente battezzata,
e con molti altri fu '1 duca prigione,
e rest6 abbandonato il padiglione.
x
Dove, poi che rimase la donzella
ch'esser dovea del vincitor mercede,
inanzi al caso era salita in sella,
e quando bisogn6 le spalle diede,
presaga che quel giorno esser rubella
dovea Fortuna alia cristiana fede:
entr6 in un bosco, e ne la stretta via
rincontro un cavallier ch'a pie venia.
XI
Indosso la corazza, Pelmo in testa,
la spada al fianco, e in braccio avea lo scudo;
e piu leggier correa per la foresta,
ch'al pallio rosso il villan mezzo ignudo.
Timida pastorella mai si presta
non volse piede inanzi a serpe crudo,
come Angelica tosto il freno torse,
che del guerrier, ch'a pie venia, s'accorse.
ORLANDO FURIOSO
XII
Era costui quel paladin gagliardo,
figliuol d'Amon, signer di Montalbano,
a cui pur dianzi il suo destrier Baiardo
per strano caso uscito era di mano.
Come alia donna egli drizz6 lo sguardo,
riconobbe, quantunque di lontano,
Pangelico sembiante e quel bel volto
ch'all'amorose reti il tenea in volto.
XIII
La donna il palafreno a dietro volta,
e per la selva a tutta briglia il caccia;
ne" per la rara piu che per la folta,
la piu sicura e miglior via procaccia:
ma pallida, tremando, e di se tolta,
lascia cura al destrier che la via faccia.
Di su di giu, ne 1'alta selva fiera
tanto giro, che venne a una riviera.
XIV
Su la riviera Ferrau trovosse
di sudor pieno e tutto polveroso.
Da la battaglia dianzi lo rimosse
un gran disio di bere e di riposo;
e poi, mal grado suo, quivi fermosse,
perche, de 1'acqua ingordo e frettoloso,
1'elmo nel fiume si Iasci6 cadere,
ne 1'avea potuto anco riavere.
xv
Quanto potea piu forte, ne veniva
gridando la donzella ispaventata.
A quella voce salta in su la riva
il Saracino, e nel viso la guata;
e la conosce subito ch'arriva,
ben che di timor pallida e turbata,
e sien piu di che non n'udi novella,
che senza dubbio elPe Angelica bella.
CANTO PRIMO
XVI
E perche era cortese, e n'avea forse
non men del dui cugini il petto caldo,
Faiuto che potea tutto le porse,
pur come avesse 1'elmo, ardito e baldo:
trasse la spada, e minacciando corse
dove poco di lui temea Rinaldo.
Piu volte s'eran gia non pur veduti,
m' al paragon de Tarme conosciuti.
XVII
Cominciar quivi una crudel battaglia,
come a pie si trovar, coi brandi ignudi:
non che le piastre e la minuta maglia,
ma ai colpi lor non reggerian gPincudi.
Or, mentre Tun con Faltro si travaglia,
bisogna al palafren che '1 passo studi;
che quanto puo menar de le calcagna,
colei lo caccia al bosco e alia campagna.
XVIII
Poi che s'affaticar gran pezzo invano
i duo guerrier per por Tun Taltro sotto,
quando non meno era con Tarme in mano
questo di quel, ne quel di questo dotto;
fu primiero il signer di Montalbano,
ch'al cavallier di Spagna fece motto,
si come quel c'ha nel cor tanto fuoco,
che tutto n'arde e non ritrova loco.
XIX
Disse al pagan: — Me sol creduto avrai,
e pur avrai te meco ancora offeso:
se questo awien perche* i fulgenti rai
del nuovo sol t'abbino il petto acceso,
di farmi qui tardar che guadagno hai ?
che quando ancor tu m'abbi morto o preso,
non per6 tua la bella donna fia,
che, mentre noi tardian, se ne va via.
ORLANDO FURIOSO
XX
Quanto fia meglio, amandola tu ancora,
che tu le venga a traversar la strada,
a ritenerla e farle far dimora,
prima che piu lontana se ne vada!
Come Tavremo in potestate, allora
di ch'esser dej si provi con la spada:
non so altrimenti, dopo un lungo affanno,
che possa riuscirci altro che danno. —
XXI
Al pagan la proposta non dispiacque:
cosi fu differita la tenzone;
e tal tregua tra lor subito nacque,
si Podio e Fira va in oblivione,
che '1 pagano al partir da le fresche acque
non Iasci6 a piedi il buon figliol d' Amone :
con preghi invita, et al fin toglie in groppa,
e per 1'orme d' Angelica galoppa.
XXII
Oh gran bonta de' cavallieri antiqui!
Eran rivali, eran di fe diversi,
e si sentian degli aspri colpi iniqui
per tutta la persona anco dolersi;
e pur per selve oscure e calli obliqui
insieme van senza sospetto aversi.
Da quattro sproni il destrier punto arriva
ove una strada in due si dipartiva.
XXIII
E come quei che non sapean se Tuna
o 1'altra via facesse la donzella
(per6 che senza differenzia alcuna
apparia in amendue Forma novella),
si messero ad arbitrio di fortuna,
Rinaldo a questa, il Saracino a quella.
Pel bosco Ferrau molto s'awolse,
e ritrovossi al fine onde si tolse.
CANTO PRIMO
XXIV
Pur si ritrova ancor su la riviera,
la dove 1'elmo gli casco ne Fonde.
Poi che la donna ritrovar non spera,
per aver Feline che '1 fiume gli asconde,
in quella parte onde caduto gli era
discende ne Testreme umide sponde:
ma quello era si fitto ne la sabbia,
che molto avra da far prima che Pabbia.
xxv
Con un gran ramo d'albero rimondo,
di ch'avea fatto una pertica lunga,
tenta il fiume e ricerca sino al fondo,
ne loco lascia ove non batta e punga.
Mentre con la maggior stizza del mondo
tanto Findugio suo quivi prolunga,
vede di mezzo il fiume un cavalliero
insino al petto uscir, d'aspetto fiero.
XXVI
Era, fuor che la testa, tutto armato,
et avea un elmo ne la destra mano :
avea il medesimo elmo che cercato
da Ferrau fu lungamente invano.
A Ferrau par!6 come adirato,
e disse: — Ah mancator di fe", marano!
perche di lasciar 1'elmo anche t'aggrevi,
che render gia gran tempo mi dovevi ?
XXVII
Ricordati, pagan, quando uccidesti
d' Angelica il fratel (che son quelPio),
dietro all'altr'arme tu mi promettesti
gittar fra pochi di Pelmo nel rio.
Or se Fortuna (quel che non volesti
far tu) pone ad effetto il voler mio,
non ti turbare; e se turbar ti dei,
turbati che di fe mancato sei.
10 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
Ma $e desir pur hai cTun elmo fino,
trovane un altro, et abbil con piu onore;
un tal ne porta Orlando paladino,
un tal Rinaldo, e forse anco migliore:
1'un fu d'Amonte, e 1'altro di Mambrino:
acquista un di quei duo col tuo valore;
e questo, c'hai gia di lasciarmi detto,
farai bene a lasciarmi con effetto. —
XXIX
AlFapparir che fece alPimproviso
de 1'acqua 1'ombra, ogni pelo arricciossi,
e scolorossi al Saracino il viso;
la voce, ch'era per uscir, fermossi.
Udendo poi da PArgalia, ch'ucciso
quivi avea gia (che TArgalia nomossi),
la rotta fede cosi improverarse,
di scorno e d'ira dentro e di fuor arse.
xxx
Ne tempo avendo a pensar altra scusa,
e conoscendo ben che '1 ver gli disse,
resto senza risposta a bocca chiusa;
ma la vergogna il cor si gli traffisse,
che giur6 per la vita di Lanfusa
non voler mai ch'altro elmo lo coprisse,
se non quel buono che gia in Aspramonte
trasse del capo Orlando al fiero Almonte.
XXXI
E serv6 meglio questo giuramento,
che non avea quell' altro fatto prima.
Quindi si parte tanto malcontento,
che molti giorni poi si rode e lima.
Sol di cercare & il paladino intento
di qua di la, dove trovarlo stima.
Altra ventura al buon Rinaldo accade,
che da costui tenea diverse strade.
CANTO PRIMO II
XXXII
Non molto va Rinaldo, che si vede
saltare inanzi il suo destrier feroce:
— Ferma, Baiardo mio, deh, ferma il piede!
che Fesser senza te troppo mi nuoce. —
Per questo il destrier sordo a lui non riede,
anzi piu se ne va sempre veloce.
Segue Rinaldo, e d'ira si distrugge:
ma seguitiamo Angelica che fugge.
XXXIII
Fugge tra selve spaventose e scure,
per lochi inabitati, ermi e selvaggi.
II mover de le frondi e di verzure,
che di cerri sentia, d'olmi e di faggi,
fatto le avea con subite paure
trovar di qua di la strani viaggi;
ch'ad ogni ombra veduta o in monte o in valle,
temea Rinaldo aver sempre alle spalle.
xxxiv
Qual pargoletta o damma o capriuola,
che tra le fronde del natio boschetto
alia madre veduta abbia la gola
stringer dal par do, o aprirle '1 fianco o '1 petto,
di selva in selva dal crudel s'invola,
e di paura triema e di sospetto:
ad ogni sterpo che passando tocca,
esser si crede all'empia fera in bocca.
xxxv
Quel di e la notte e mezzo Paltro giorno
s'and6 aggirando, e non sapeva dove:
trovossi al fine in un boschetto adorno,
che lievemente la fresca aura muove.
Duo chiari rivi, mormorando intorno,
sempre Terbe vi fan tenere e nuove;
e rendea ad ascoltar dolce concento,
rotto tra picciol sassi, il correr lento.
12 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
Quivi parendo a lei d'esser sicura
e lontana a Rinaldo mille miglia,
da la via stanca e da Pestiva arsura,
di riposare alquanto si consiglia:
tra' fiori smonta, e lascia alia pastura
andare il palafren senza la briglia;
e quel va errando intorno alle chiare onde,
che di fresca erba avean piene le sponde.
XXXVII
Ecco non lungi un bel cespuglio vede
di prun fioriti e di vermiglie rose,
che de le liquide onde al specchio siede,
chiuso dal sol fra Talte quercie ombrose;
cosi voto nel mezzo, che concede
fresca stanza fra 1'ombre piu nascose:
e la foglia coi rami in modo e mista,
che '1 sol non v'entra, non che minor vista.
XXXVIII
Dentro letto vi fan tenere erbette,
ch'invitano a posar chi s'appresenta.
La bella donna in mezzo a quel si mette,
ivi si corca et ivi s'addormenta.
Ma non per lungo spazio cosi stette,
che un calpestio le par che venir senta:
cheta si leva, e appresso alia riviera
vede ch'armato un cavallier giunt'era.
XXXIX
Se gli e amico o nemico non comprende:
tema e speranza il dubbio cor le scuote;
e di quella aventura il fine attende,
ne pur d'un sol sospir 1'aria percuote.
II cavalliero in riva al fiume scende
sopra 1'un braccio a riposar le gote;
e in un suo gran pensier tanto penetra,
che par cangiato in insensibil pietra.
CANTO PRIMO 13
XL
Pensoso piii d'un'ora a capo basso
stette, Signore, il cavallier dolente;
poi comincio con suono afflitto e lasso
a lamentarsi si soavemente,
ch'avrebbe di pieta spezzato un sasso,
una tigre crudel fatta clemente.
Sospirando piangea, tal ch'un ruscello
parean le guancie, e '1 petto un Mongibello.
XLI
— Pensier — dicea— die 1 cor m'aggiacci et ardi,
e causi il duol che sempre il rode e lima,
che debbo far, poi ch'io son giunto tardi,
e ch'altri a corre il frutto e andato prima?
a pena avuto io n'ho parole e sguardi,
et altri n'ha tutta la spoglia opima.
Se non ne tocca a me frutto ne fiore,
perche affliger per lei mi vuo' piu il core ?
XLII
La verginella e simile alia rosa,
ch'in bel giardin su la nativa spina
mentre sola e sicura si riposa,
ne gregge n£ pastor se le avicina;
Taura soave e Talba rugiadosa,
1'acqua, la terra al suo favor s'inchina:
gioveni vaghi e donne inamorate
amano averne e seni e tempie ornate.
XLIII
Ma non si tosto dal materno stelo
rimossa viene, e dal suo ceppo verde,
che quanto avea dagli uomini e dal cielo
favor, grazia e bellezza, tutto perde.
La vergine che '1 fior, di che piu zelo
che de' begli occhi e de la vita aver de',
lascia altrui corre, il pregio ch'avea inanti
perde nel cor di tutti gli altri amanti.
14 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Sia vile agli altri, e da quel solo amata
a cui di se" fece si larga copia.
Ah, Fortuna crudel, Fortuna ingrata!
trionfan gli altri, e ne moro io d'inopia.
Dunque esser pu6 che non mi sia piii grata?
dunque io posso lasciar mia vita propia?
Ah piu tosto oggi manchino i di miei,
ch'io viva piu, s'amar non debbo lei! —
XLV
Se mi domanda alcun chi costui sia
che versa sopra il rio lacrime tante,
io dir6 ch'egli e il re di Circassia,
quel d'amor travagliato Sacripante ;
io diro ancor che di sua pena ria
sia prima e sola causa essere amante,
e pur un degli amanti di costei:
e ben riconosciuto fa da lei.
XLVI
Appresso ove il sol cade, per suo amore
venuto era dal capo d'Oriente;
che seppe in India con suo gran dolore,
come ella Orlando sequit6 in Ponente:
poi seppe in Francia che Pimperatore
sequestrata Tavea da Taltra gente,
per darla alTun dej duo che contra il Moro
piu quel giorno aiutasse i Gigli d'oro.
XL VII
Stato era in campo, e inteso avea di quella
rotta crudel che dianzi ebbe re Carlo:
cerco vestigio d' Angelica bella,
ne potuto avea ancora ritrovarlo.
Questa e dunque la trista e ria novella
che d'amorosa doglia fa penarlo,
affligger, lamentare e dir parole
che di pieta potrian fermare il sole.
CANTO PRIMO 15
XLVIII
Mentre costui cosi s'affligge e duole,
e fa degli occhi suoi tepida fonte,
e dice queste e molte altre parole,
die non mi par bisogno esser racconte;
Taventurosa sua fortuna vuole
ch'alle orecchie d' Angelica sian conte:
e cosi quel ne viene a un'ora, a un punto,
ch'in mille anni o mai piu non e raggiunto.
XLIX
Con molta attenzion la bella donna
al pianto, alle parole, al modo attende
di colui ch'in amarla non assonna;
ne questo e il primo di ch'ella Tintende:
ma dura e fredda piu d'una colonna,
ad averne pieta non per6 scende,
come colei c'ha tutto il mondo a sdegno,
e non le par ch'alcun sia di lei degno.
L
Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola
le fa pensar di tor costui per guida;
che chi ne Facqua sta fin alia gola,
ben e ostinato se merce non grida.
Se questa occasione or se Finvola,
non trovera mai piu scorta si fida;
ch'a lunga prova conosciuto inante
s'avea quel re fedel sopra ogni amante.
LI
Ma non pero disegna de Faffanno
che lo distrugge alleggierir chi Tama,
e ristorar d'ogni passato danno
con quel piacer ch'ogni amator piu brama:
ma alcuna finzione, alcuno inganno
di tenerlo in speranza ordisce e trama;
tanto ch'a quel bisogno se ne serva,
poi torni all'uso suo dura e proterva.
l6 ORLANDO FURIOSO
LII
E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco
fa di se bella et improvisa mostra,
come di selva o fuor d'ombroso speco
Diana in scena o Citerea si mostra;
e dice alPapparir: — Pace sia teco;
teco difenda Dio la fama nostra,
e non comporti, contra ogni ragione,
ch'abbi di me si falsa opinione. —
LIU
Non mai con tanto gaudio o stupor tanto
levo gli occhi al figliuolo alcuna madre,
ch'avea per morto sospirato e pianto,
poi che senza esso udi tornar le squadre;
con quanto gaudio il Saracin, con quanto
stupor 1'alta presenza e le leggiadre
maniere e il vero angelico sembiante,
improviso apparir si vide inante.
LIV
Pieno di dolce e d'amoroso affetto,
alia sua donna, alia sua diva corse,
che con le braccia al collo il tenne stretto,
quel ch'al Catai non avria fatto forse.
Al patrio regno, al suo natio ricetto,
seco avendo costui, 1'animo torse:
subito in lei s'awiva la speranza
di tosto riveder sua ricca stanza.
LV
Ella gli rende conto pienamente
dal giorno che mandate fu da lei
a domandar soccorso in Oriente
al re de' Sericani Nabatei;
e come Orlando la guard6 so vent e
da morte, da disnor, da casi rei:
e che '1 fior virginal cosi avea salvo,
come se lo porto del materno alvo.
CANTO PRIMO 17
LVI
Forse era ver, ma non pero credibile
a chi del senso suo fosse signore;
ma parve facilmente a lui possibile,
ch'era perduto in via piu grave errore.
Quel che Tuom vede, Amor gli fa invisibile,
e 1'invisibil fa vedere Amore.
Questo creduto fa; che Jl miser suole
dar facile credenza a quel che vuole.
LVII
« Se mal si seppe il cavallier d'Anglante
pigliar per sua sciochezza il tempo buono,
il danno se ne avra; che da qui inante
nol chiamera Fortuna a si gran dono : »
tra se tacito parla Sacripante
«ma io per imitarlo gia non sono,
che lasci tanto ben che m'e concesso,
e ch'a doler poi m'abbia di me stesso.
LVIII
Corr6 la fresca e matutina rosa,
che, tardando, stagion perder potria.
So ben ch'a donna non si pu6 far cosa
che piu soave e piu piacevol sia,
ancor che se ne mostri disdegnosa,
e talor mesta e flebil se ne stia:
non staro per repulsa o finto sdegno,
ch'io non adombri e incarni il mio disegno.»
LIX
Cosi dice egli; e mentre s'apparecchia
al dolce assalto, un gran rumor che suona
dal vicin bosco gl'intruona 1'orecchia,
si che mal grado Timpresa abbandona,
e si pon Telmo (ch'avea usanza vecchia
di portar sempre armata la persona).
Viene al destriero, e gli ripon la briglia:
rimonta in sella e la sua lancia piglia.
l8 ORLANDO FURIOSO
LX
Ecco pel bosco un cavallier venire,
il cui sembiante e d'uom gagliardo e fiero:
candido come nieve e il suo vestire,
un bianco pennoncello ha per cimiero.
Re Sacripante, che non puo patire
che quel con rimportuno suo sentiero
gli abbia interrotto il gran piacer ch'avea,
con vista il guarda disdegnosa e rea.
LXI
Come e piii presso, lo sfida a battaglia;
che crede ben fargli votar Tarcione.
Quel che di lui non stimo gia che vaglia
un grano meno, e ne fa paragone,
1'orgogliose minaccie a mezzo taglia,
sprona a un tempo, e la lancia in resta pone.
Sacripante ritorna con tempesta,
e corronsi a ferir testa per testa.
LXII
Non si vanno i leoni o i tori in salto
a dar di petto, ad accozzar si crudi,
si come i duo guerrieri al fiero assalto,
che parimente si passar gli scudi.
Fe' lo scontro tremar dal basso alPalto
1'erbose valli insino ai poggi ignudi;
e ben giov6 che fur buoni e perfetti
gli osberghi si, che lor salvaro i petti.
LXIII
Gia non fero i cavalli un correr torto,
anzi cozzaro a guisa di montoni:
quel del guerrier pagan mori di corto,
ch'era vivendo in numero de* buoni;
quell'altro cadde ancor, ma fu risorto
tosto ch'al fianco si senti gli sproni.
Quel del re saracin rest6 disteso
adosso al suo signor con tutto il peso.
CANTO PRIMO 19
LXIV
L'incognito campion che rest6 ritto,
e vide Taltro col cavallo in terra,
stimando avere assai di quel conflitto,
non si cur6 di rinovar la guerra;
ma dove per la selva e il camin dritto,
correndo a tutta briglia si disserra;
e prima che di briga esca il pagano,
un miglio o poco meno e gia lontano.
LXV
Qual istordito e stupido aratore,
poi ch'e passato il fulmine, si leva
di la dove Taltissimo fragore
appresso ai morti buoi steso Paveva;
che mira senza fronde e senza onore
il pin che di lontan veder soleva:
tal si Iev6 il pagano a pie rimaso,
Angelica presente al duro caso.
LXVI
Sospira e geme, non perche Tannoi
che piede o braccia s'abbi rotto o mosso,
ma per vergogna sola, ohde a' di suoi
ne pria ne dopo il viso ebbe si rosso :
e piu, ch'oltre al cader, sua donna poi
fu che gli tolse il gran peso d'adosso.
Muto restava, mi cred'io, se quella
non gli rendea la voce e la favella.
LXVII
— Deh! — diss'ella — signor, non vi rincresca!
che del cader non e la colpa vostra,
ma del cavallo, a cui riposo et esca
meglio si convenia che nuova giostra.
N6 percid quel guerrier sua gloria accresca;
che d'esser stato il perditor dimostra:
cosi, per quel ch'io me ne sappia, stimo,
quando a lasciare il campo e stato primo. —
20 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Mentre costei conforta il Saracino,
ecco col corno e con la tasca al fianco,
galoppando venir sopra un ronzino
un messaggier che parea afflitto e stance;
che come a Sacripante fu vicino,
gli domand6 se con un scudo bianco
e con un bianco pennoncello in testa
vide un guerrier passar per la foresta.
LXIX
Rispose Sacripante : — Come vedi,
m'ha qui abbattuto, e se ne parte or ora;
e perch'io sappia chi m'ha messo a piedi,
fa che per nome io lo conosca ancora. —
Et egli a lui : — Di quel che tu mi chiedi,
10 ti satisfar6 senza dimora:
tu dei saper che ti Iev6 di sella
Talto valor d'una gentil donzella.
LXX
Ella e gagliarda et e piii bella molto ;
ne il suo famoso nome anco t'ascondo:
fu Bradamante'quella che t'ha tolto
quanto onor mai tu guadagnasti al mondo.
Poi ch'ebbe cosi detto, a freno sciolto
11 Saracin Iasci6 poco giocondo,
che non sa che si dica o che si faccia,
tutto awampato di vergogna in faccia.
LXXI
Poi che gran pezzo al caso intervenuto
ebbe pensato invano, e finalmente
si trov6 da una femina abbattuto,
che pensandovi piu, piii dolor sente;
mont6 1'altro destrier, tacito e muto:
e senza far parola, chetamente
tolse Angelica in groppa, e differilla
a piu lieto uso, a stanza piu tranquilla.
CANTO PRIMO
LXXII
Non furo iti duo miglia, che sonare
odon la selva che li cinge intorno,
con tal rumore e strepito, che pare
che triemi la foresta d'ogn'intorno ;
e poco dopo un gran destrier n'appare,
d'oro guernito e riccamente adorno,
che salta macchie e rivi, et a fracasso
arbori mena e cio che vieta il passo.
LXXIII
— Se Tintricati rami e 1'aer fosco —
disse la donna — agli occhi non contende,
Baiardo e quel destrier ch'in mezzo il bosco
con tal rumor la chiusa via si fende.
Questo e certo Baiardo, io '1 riconosco:
deh, come ben nostro bisogno intende!
ch'un sol ronzin per dui saria mal atto,
e ne viene egli a satisfarci ratto. —
LXXIV
Smonta il Circasso et al destrier s'accosta,
e si pensava dar di mano al freno.
Colle groppe il destrier gli fa risposta,
che fu presto a girar come un baleno;
ma non arriva dove i calci apposta:
misero il cavallier se giungea a pieno!
che nei calci tal possa avea il cavallo,
ch/avria spezzato un monte di metallo.
LXXV
Indi va mansueto alia donzella,
con umile sembiante e gesto umano,
come intorno al padrone il can saltella,
che sia duo giorni o tre stato lontano.
Baiardo ancora avea memoria d'ella,
ch'in Albracca il servia gia di sua mano
nel tempo che da lei tanto era amato
Rinaldo, allor crudele, allor ingrato.
22 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Con la sinistra man prende la briglia,
con Paltra tocca e palpa il collo e '1 petto;
quel destrier, ch'avea ingegno a maraviglia,
a lei, come un agnel, si fa suggetto.
Intanto Sacripante il tempo piglia:
monta Baiardo, e Purta e lo tien stretto.
Del ronzin disgravato la donzella
lascia la groppa, e si ripone in sella.
LXXVII
Poi rivolgendo a caso gli occhi, mira
venir sonando d'arme un gran pedone.
Tutta s'awampa di dispetto e d'ira,
che conosce il figliuol del duca Amone.
Piu che sua vita Pama egli e desira;
1'odia e fugge ella piu che gru falcone,
Gia fu ch'esso odi6 lei piu che la morte;
ella am6 lui: or han cangiato sorte.
LXXVIII
E questo hanno causato due fontane
che di diverso effetto hanno liquore,
ambe in Ardenna, e non sono lontane :
d'amoroso disio Tuna empie il core;
chi bee de 1'altra, senza amor rimane,
e volge tutto in ghiaccio il primo ardore.
Rinaldo gust6 d'una, e amor lo strugge:
Angelica de 1'altra, e Podia e fugge.
LXXIX
Quel liquor di secreto venen misto,
che muta in odio 1'amorosa cura,
fa che la donna che Rinaldo ha visto,
nei sereni occhi subito s'oscura;
e con voce tremante e viso tristo
supplica Sacripante e lo scongiura
che quel guerrier piu appresso non attenda,
ma ch'insieme con lei la fuga prenda.
CANTO PRIMO 23
LXXX
— Son dunque, — disse il Saracino — sono
dmxque in si poco credito con vui,
che mi stimiate inutile, e non buono
da potervi difender da costui ?
Le battaglie d'Albracca gia yi sono
di mente uscite, e la notte ch'io fui
per la salute vostra, solo e nudo,
contra Agricane e tutto il campo, scudo ? —
LXXXI
Non risponde ella, e non sa che si faccia,
perche Rinaldo ormai Pe troppo appresso,
che da lontano al Saracin minaccia,
come vide il cavallo e conobbe esso,
e riconobbe Pangelica faccia
che P amoroso incendio in cor gli ha messo.
Quel che segui tra questi duo superbi
vo' che per Faltro canto si riserbi.
24 ORLANDO FURIOSO
CANTO SECONDO
I
Ingiustissimo Amor, perche si raro
corrispondenti fai nostri desiri ?
onde, perfido, awien che t'e si caro
il discorde voler ch'in duo cor miri ?
Gir non mi lasci al facil guado e chiaro,
e nel piu cieco e maggior fondo tin:
da chi disia il mio amor tu mi richiami,
e chi m'ha in odio vuoi ch'adori et ami.
ii
Fai ch'a Rinaldo Angelica par bella,
quando esso a lei brutto e spiacevol pare:
quando le parea bello e I'amava ella,
egli odio lei quanto si pu6 piu odiare.
Ora s'affigge indarno e si flagella;
cosi renduto ben gli e pare a pare:
ella 1'ha in odio, e 1'odio e di tal sorte,
che piu tosto che lui vorria la morte.
Ill
Rinaldo al Saracin con molto orgoglio
grid6 : — Scendi, ladron, del mio cavallo !
Che mi sia tolto il mio, patir non soglio,
ma ben fo, a chi lo vuol, caro costallo:
e levar questa donna anco ti voglio,
che sarebbe a lasciartela gran fallo.
Si perfetto destrier, donna si degna
a un ladron non mi par che si convegna. -
CANTO SECONDO 25
IV
— Tu te ne menti che ladrone io sia —
rispose il Saracin non meno altiero
— chi dicesse a te ladro, lo diria
(quanto io n'odo per fama) piu con vero.
La pruova or si vedra, chi di noi sia
piu degno de la donna e del destriero;
ben che, quanto a lei, teco io mi convegna
che non e cosa al mondo altra si degna. —
v
Come soglion talor duo can mordenti,
o per invidia o per altro odio mossi,
avicinarsi digrignando i denti,
con occhi bieci e piu che bracia rossi;
indi a' morsi venir, di rabbia ardenti,
con aspri ringhi e ribuffati dossi:
cosi alle spade e dai gridi e da Tonte
venne il Circasso e quel di Chiaramonte.
VI
A piedi e Tun, Paltro a cavallo: or quale
credete ch'abbia il Saracin vantaggio ?
Ne ve n'ha pero alcun; che cosi vale
forse ancor men ch'uno inesperto paggio;
che '1 destrier per instinto naturale
non volea fare al suo signore oltraggio:
ne con man ne con spron potea il Circasso
farlo a volunta sua muover mai passo.
VII
Quando crede cacciarlo, egli s'arresta;
e se tener lo vuole, o corre o trotta:
poi sotto il petto si caccia la testa,
giuoca di schiene e mena calci in frotta.
Vedendo il Saracin ch'a domar questa
bestia superba era mal tempo allotta,
ferma le man sul primo arcione e s'alza,
e dal sinistro fianco in piede sbalza.
26 ORLANDO FURIOSO
VIII
Sciolto che fu il pagan con leggier salto
da 1'ostinata furia di Baiardo,
si vide cominciar ben degno assalto
d'un par di cavallier tanto gagliardo.
Suona Tun brando e 1'altro, or basso or alto:
il martel di Vulcano era piii tardo
ne la spelunca affumicata, dove
battea all'incude i folgori di Giove.
IX
Fanno or con lunghi, ora con finti e scarsi
colpi veder che mastri son del giuoco:
or li vedi ire altieri, or rannicchiarsi,
ora coprirsi, ora mostrarsi un poco,
ora crescere inanzi, ora ritrarsi,
ribatter colpi, e spesso lor dar loco,
girarsi intorno ; e donde 1'uno cede,
1'altro aver posto immantinente il piede.
Ecco Rinaldo' con la spada adosso
a Sacripante tutto s'abbandona;
e quel porge lo scudo, ch'era d'osso,
con la piastra d'acciar temprata e buona.
Taglial Fusberta, ancor che molto grosso :
ne geme la foresta e ne risuona.
L'osso e Pacciar ne va che par di ghiaccio,
e lascia al Saracin stordito il braccio.
XI
Quando vide la timida donzella
dal fiero colpo uscir tanta ruina,
per gran timor cangi6 la faccia bella,
qual il reo ch'al supplicio s'awicina;
ne le par che vi sia da tar dar, s'ella
non vuol di quel Rinaldo esser rapina,
di quel Rinaldo ch'ella tanto odiava,
quanto esso lei miseramente amava.
CANTO SECONDO 27
XII
Volta il cavallo, e ne la selva folta
10 caccia per un aspro e stretto calle:
e spesso il viso smorto a dietro volta;
che le par che Rinaldo abbia alle spalle.
Fuggendo non avea fatto via molta,
che scontr6 un eremita in una valle,
ch'avea lunga la barba a mezzo il petto,
devoto e venerabile d'aspetto.
XIII
Dagli anni e dal digiuno attenuato,
sopra un lento asinel se ne veniva;
e parea, piu ch'alcun fosse mai stato,
di conscienza scrupulosa e schiva.
Come egli vide il viso delicato
de la donzella che sopra gli arriva,
debil quantunque e mal gagliarda fosse,
tutta per carita se gli commosse.
XIV
La donna al fraticel chiede la via
che la conduca ad un porto di mare,
perche levar di Francia si vorria
per non udir Rinaldo nominare.
11 frate, che sapea negromanzia,
non cessa la donzella confortare
che presto la trarra d'ogni periglio;
et ad una sua tasca die di piglio.
xv
Trassene un libro, e mostr6 grande effetto;
che legger non fini la prima faccia,
ch'uscir fa un spirto in forma di valletto,
e gli commanda quanto vuol ch'el faccia.
Quel se ne va, da la scrittura astretto,
dove i dui cavallieri a faccia a faccia
eran nel bosco, e non stavano al rezzo;
fra' quali entr6 con grande audacia in mezzo.
28 ORLANDO FURIOSO
XVI
— Per cortesia, — disse — un di voi mi mostre,
quando anco uccida 1'altro, che gli vaglia:
che merto avrete alle fatiche vostre,
finita che tra voi sia la battaglia,
se 31 conte Orlando, senza liti o giostre,
e senza pur aver rotta una maglia,
verso Parigi mena la donzella
che v'ha condotti a questa pugna fella?
XVII
Vicino un miglio ho ritrovato Orlando
che ne va con Angelica a Parigi,
di voi ridendo insieme, e mottegiando
che senza frutto alcun siate in litigi.
II meglio forse vi sarebbe, or quando
non son piu lungi, a seguir lor vestigi;
che s'in Parigi Orlando la puo avere,
non ve la lascia mai piu rivedere. —
XVIII
Veduto avreste i cavallier turbarsi
a quel annunzio, e mesti e sbigottiti,
senza occhi e senza mente nominarsi,
che gli avesse il rival cosi scherniti;
ma il buon Rinaldo al suo cavallo trarsi
con sospir che parean del fuoco usciti,
e giurar per isdegno e per furore,
se giungea Orlando, di cavargli il core.
XIX
E dove aspetta il suo Baiardo, passa,
e sopra vi si lancia, e via galoppa,
ne al cavallier, ch'a pie nel bosco lassa,
pur dice a Dio, non che lo 'nviti in groppa.
L'animoso cavallo urta e fracassa,
punto dal suo signor, cio ch'egli 'ntoppa:
non ponno fosse o fiumi o sassi o spine
far che dal corso il corridor decline.
CANTO SECONDO 29
XX
Signer, non voglio che vi paia strano
se Rinaldo or si tosto il destrier piglia,
che gia piu giorni ha seguitato invano,
ne gli ha possuto mai toccar la briglia.
Fece il destrier, ch'avea intelletto umano,
non per vizio seguirsi tante miglia,
ma per guidar dove la donna giva,
il suo signor, da chi bramar Pudiva.
XXI
Quando ella si fuggi dal padiglione,
la vide et appostolla il buon destriero,
che si trovava aver v6to Tarcione,
pero che n'era sceso il cavalliero
per combatter di par con un barone,
che men di lui non era in arme fiero;
poi ne seguit6 Forme di lontano,
bramoso porla al suo signor e in mano.
XXII
Bramoso di ritrarlo ove fosse ella,
per la gran selva inanzi se gli messe;
ne lo volea lasciar montare in sella,
perche ad altro camin non lo volgesse.
Per lui trov6 Rinaldo la donzella
una e due volte, e mai non gli successe;
che fu da Ferrau prima impedito,
poi dal Circasso, come avete udito.
XXIII
Ora al demonio che mostro a Rinaldo
de la donzella li falsi vestigi,
credette Baiardo anco, e stette saldo
e mansueto ai soliti servigL
Rinaldo il caccia, d'ira e d'amor caldo,
a tutta briglia, e sempre inver Parigi;
e vola tanto col disio, che lento,
non ch'un destrier, ma gli parrebbe il vento.
30 ORLANDO FURIOSO
XXIV
La notte a pena di seguir rimane,
per affrontarsi col signor cTAnglante:
tanto ha creduto alle parole vane
del messaggier del cauto negromante,
Non cessa cavalcar sera e dimane,
che si vede apparir la terra avante,
dove re Carlo, rotto e mal condutto,
con le reliquie sue s'era ridutto:
xxv
e perche dal re dj Africa battaglia
et assedio v'aspetta, usa gran cura
a raccor buona gente e vettovaglia,
far cavamenti e riparar le mura.
Cio ch'a difesa spera che gli vaglia,
senza gran diferir, tutto procura:
pensa mandare in Inghilterra, e trarne
gente onde possa un novo campo fame;
XXVI
che vuole uscir di nuovo alia campagna,
e ritentar la sorte de la guerra.
Spaccia Rinaldo subito in Bretagna,
Bretagna che fu poi detta Inghilterra.
Ben de Fandata il paladin si lagna:
non ch'abbia cosi in odio quella terra;
ma perch6 Carlo il manda allora allora,
ne pur lo lascia un giorno far dimora.
XXVII
Rinaldo mai di ci6 non fece meno
volentier cosa; poi che fu distolto
di gir cercando il bel viso sereno
che gli avea il cor di mezzo il petto tolto:
ma, per ubidir Carlo, nondimeno
a quella via si fu subito volto,
et a Calesse in poche ore trovossi;
e giunto, il di medesimo imbarcossi.
CANTO SECONDO 31
XXVIII
Contra la volunta d'ogni nocchiero,
pel gran desir che di tornare avea,
entr6 nel mar ch'era turbato e fiero,
e gran procella minacciar parea.
II Vento si sdegn6, che da 1'altiero
sprezzar si vide; e con tempesta rea
sollevb il mar intorno, e con tal rabbia,
che gli mandc- a bagnar sino alia gabbia.
XXIX
Calano tosto i marinari accorti
le maggior vele, e pensano dar volta,
e ritornar ne li medesmi porti
donde in mal punto avean la nave sciolta.
— Non convien — dice il Vento — ch'io comporti
tanta licenzia che v'avete tolta — ;
e soffia e grida e naufragio minaccia,
s'altrove van, che dove egli li caccia.
xxx
Or a poppa, or all'orza hann' il crudele,
che mai non cessa, e vien piu ognor crescendo:
essi di qua di la con umil vele
vansi aggirando, e Talto mar scorrendo.
Ma perch6 varie fila a varie tele
uopo mi son, che tutte ordire intendo,
lascio Rinaldo e Fagitata prua,
e torno a dir di Bradamante sua.
XXXI
lo parlo di quella inclita donzella,
per cui re Sacripante in terra giacque,
che di questo signer degna sorella,
del duca Amone e di Beatrice nacque.
La gran possanza e il molto ardir di quella
non meno a Carlo e tutta Francia piacque
(che piu d'un paragon ne vide saldo),
che '1 lodato valor del buon Rinaldo.
32 ORLANDO FURIOSO
XXXII
La donna amata fu da un cavalliero
che d' Africa passo col re Agramante,
che partori del seme di Ruggiero
la disperata figlia d'Agolante:
e costei, che ne d'orso ne di fiero
leone usci, non sdegno tal amante;
ben che concesso, fuor che vedersi una
volta e parlarsi, non ha lor Fortuna.
XXXIII
Quindi cercando Bradamante gia
Pamante suo, ch'avea nome dal padre,
cosi sicura senza compagnia,
come avesse in sua guardia mille squadre:
e fatto ch'ebbe il re di Circassia
battere il volto de 1'antiqua madre,
travers6 un bosco, e dopo il bosco un monte,
tanto che giunse ad una bella fonte.
xxxiv
La fonte discorrea per mezzo un prato,
d'arbori antiqui e di belPombre adorno,
ch'i viandanti col mormorio grato
a ber invita e a far seco soggiorno :
un culto monticel dal manco lato
le difende il calor del mezzo giorno.
Quivi, come i begli occhi prima torse,
d'un cavallier la giovane s'accorse;
xxxv
d'un cavallier, ch'alPombra d'un boschetto,
nel margin verde e bianco e rosso e giallo
sedea pensoso, tacito e soletto
sopra quel chiaro e liquido cristallo.
Lo scudo non lontan pende e 1'elmetto
dal faggio, ove legato era il cavallo ;
et avea gli occhi molli e '1 viso basso,
e si mostrava addolorato e lasso.
CANTO SECONDO 33
XXXVI
Questo disir, ch'a tutti sta nel core,
de' fatti altrui sempre cercar novella,
fece a quel cavallier del suo dolore
la cagion domandar da la donzella.
Egli Taperse e tutta mostrb fuore,
dal cortese parlar mosso di quella,
e dal sembiante altier, ch'al primo sguardo
gli sembr6 di guerrier molto gagliardo.
XXXVII
E cominci6 : — Signor, io conducea
pedoni e cavallieri, e venia in campo
la dove Carlo Marsilio attendea,
perch'al scender del monte avesse inciampo;
e una giovane bella meco avea,
del cui fervido amor nel petto avampo:
e ritrovai presso a Ro donna armato
un che frenava un gran destriero alato.
XXXVIII
Tosto che '1 ladro, o sia mortale, o sia
una de 1'infernali anime orrende,
vede la bella e cara. donna mia;
come falcon che per ferir discende,
cala e poggia in uno atimo, e tra via
getta le mani, e lei smarrita prende.
Ancor non m'era accbrto de 1'assalto,
che de la donna io senti' il grido in alto.
xxxix
Cosi il rapace nibio furar suole
il misero pulcin presso alia chioccia,
che di sua inawertenza poi si duole,
e invan gli grida e invan dietro gli croccia.
Io non posso seguir un uom che vole,
chiuso tra' monti, a pie d'un'erta roccia:
stanco ho il destrier, che muta a pena i passi
ne Taspre vie de' faticosi sassi.
34 ORLANDO FURIOSO
XL
Ma, come quel che men curato avrei
vedermi trar di mezzo il petto il core,
lasciai lor via seguir quegli altri miei,
senza mia guida e senza alcun rettore:
per gli scoscesi poggi e manco rei
presi la via che mi mostrava Amore,
e dove mi parea che quel rapace
portassi il mio conforto e la mia pace.
XLI
Sei giorni me n'andai matina e sera
per baize e per pendici orride e strane,
dove non via, dove sentier non era,
dove ne segno di vestigie umane;
poi giunse in una valle inculta e fiera,
di ripe cinta e spaventose tane,
che nel mezzo s'un sasso avea un castello
forte e ben posto, a maraviglia bello.
XLII
Da lungi par che come fiamma lustri,
ne sia di terra cotta, ne di marmi.
Come piu m'avicino ai muri illustri,
Popra piu bella e piu mirabil parmi.
E seppi poi, come i demoni industri,
da suffumigi tratti e sacri carmi,
tutto d'acciaio avean cinto il bel loco,
temprato alPonda et allo stigio foco.
XLIII
Di si forbito acciar luce ogni torre,
che non vi pu6 n6 ruggine n6 macchia.
Tutto il paese giorno e notte scorre,
e poi la dentro il rio ladron s'immacchia.
Cosa non ha ripar che voglia t6rre:
sol dietro invan se li bestemia e gracchia.
Quivi la donna, anzi il mio cor mi tiene,
che di mai ricovrar lascio ogni spene.
CANTO SECONDO 35
XLIV
Ah lasso! che poss'io piu che mirare
la rocca lungi, ove il mio ben m'& chiuso ?
come la volpe, che '1 figlio gridare
nel nido oda de Faquila di giuso,
s'aggira intorno, e non sa che si fare,
poi che Tali non ha da gir la suso.
Erto & quel sasso si, tale e il castello,
che non vi puo salir chi non e augello.
XLV
Mentre io tardava quivi, ecco venire
duo cavallier ch'avean per guida un nano,
che la speranza aggiunsero al desire;
ma ben fu la speranza e il desir vano.
Ambi erano guerrier di sommo ardire:
era Gradasso Tun, re sericano;
era 1'altro Ruggier, giovene forte,
pregiato assai ne Tafricana corte.
XLVI
((Vengon» mi disse il nano «per far pruova
di lor virtu col sir di quel castello,
che per via strana, inusitata e nuova
cavalca armato il quadrupede augello.»
«Deh, signor,)> dissi io lor «pieta vi muova
del duro caso mio spietato e fello!
Quando, come ho speranza, voi vinciate,
vi prego la mia donna mi rendiate. »
XLVII
E come mi fu tolta lor narrai,
con lacrime affermando il dolor mio.
Quei, lor merce, mi proferiro assai,
e giu calaro il poggio alpestre e rio.
Di lontan la battaglia io riguardai,
pregando per la lor vittoria Dio.
Era sotto il castel tanto di piano,
quanto in due volte si puo trar con mano.
36 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Poi che fur giunti a pie de Palta rocca,
Puno e Faltro volea combatter prima;
pur a Gradasso, o fosse sorte, tocca,
o pur che non ne fe' Ruggier piu stima.
Quel Serican si pone il corno a bocca:
rimbomba il sasso e la fortezza in cima.
Ecco apparire il cavalliero armato
fuor de la porta, e sul cavallo alato.
XLIX
Comincio a poco a poco indi a levarse,
come suol far la peregrina grue,
che corre prima, e poi vediamo alzarse
alia terra vicina un braccio o due;
e quando tutte sono alParia sparse,
velocissime mostra Tale sue.
Si ad alto il negromante batte Tale,
ch'a tanta altezza a pena aquila sale.
L
Quando gli parve poi, volse il destriero,
che chiuse i vanni e venne a terra a piombo,
come casca dal ciel falcon maniero
che levar veggia 1'anitra o il Colombo.
Con la lancia arrestata il cavalliero
1'aria fendendo vien d'orribil rombo.
Gradasso a pena del calar s'avede,
che se lo sente addosso e che lo fiede.
Li
Sopra Gradasso il mago Pasta roppe;
feri Gradasso il vento e Tana vana:
per questo il volator non interroppe
il batter 1'ale, e quindi s'allontana.
II grave scontro fa chinar le groppe
sul verde prato alia gagliarda alfana.
Gradasso avea una alfana, la piu bella
e la miglior che mai portasse sella.
CANTO SECONDO 37
LII
Sin alle stelle il volator trascorse;
indi girossi e torno in fretta al basso,
e percosse Ruggier che non s'accorse,
Ruggier che tutto intento era a Gradasso.
Ruggier del grave colpo si distorse,
e '1 suo destrier piu rinculo d'un passo:
e quando si volto per hii ferire,
da se lontano il vide al ciel salire.
LIII
Or su Gradasso, or su Ruggier percote
ne la fronte, nel petto e ne la schiena,
e le botte di quei lascia ognor vote,
per che e si presto, che si vede a pena.
Girando va con spaziose rote,
e quando all'uno accenna, all'altro mena:
alPuno e alPaltro si gli occhi abbarbaglia,
che non ponno veder donde gli assaglia.
LIV
Fra duo guerrieri in terra et uno in cielo
la battaglia duro sin a quella ora
che spiegando pel mondo oscuro velo
tutte le belle cose discolora.
Fu quel ch'io dico, e non v'aggiungo un pelo:
io '1 vidi, i' Jl so: ne m'assicuro ancora
di dirlo altrui; che questa maraviglia
al falso piu ch'al ver si rassimiglia.
LV
D'un bel drappo di seta avea coperto
lo scudo in braccio il cavallier celeste.
Come avesse, non so, tanto sofferto
di tenerlo nascosto in quella veste;
ch'immantinente che lo mostra aperto,
forza e chi '1 mira abbarbagliato reste,
e cada come corpo morto cade,
e venga al negromante in potestade.
38 ORLANDO FURIOSO
LVI
Splende lo scudo a guisa di piropo,
e luce altra non e tanto lucente.
Cadere in terra allo splendor fu d'uopo
con gli occhi abbacinati, e senza mente.
Perdei da lungi anch'io li sensi, e dopo
gran spazio mi riebbi finalmente;
ne piu i guerrier ne piii vidi quel nano,
ma v6to il campo, e scuro il monte e il piano.
LVII
Pensai per questo che Tincantatore
avesse amendui colti a un tratto insieme,
e tolto per virtu de lo splendore
la libertade alloro, e a me la speme.
Cosi a quel loco, che chiudea il mio core,
dissi, partendo, le parole estreme.
Or giudicate s'altra pena ria,
che causi Amor, pu6 pareggiar la mia. —
LVIII
Ritorn6 il cavallier nel primo duolo,
fatta che n'ebbe la cagion palese.
Questo era il conte Pinabel, figliuolo
d'Anselmo d'Altaripa, maganzese;
che tra sua gente scelerata, solo
leale esser non volse ne cortese,
ma ne li vizii abominandi e brutti
non pur gli altri adegu6, ma passo tutti.
LIX
La bella donna con diverso aspetto
stette ascoltando il Maganzese cheta;
che come prima di Ruggier fu detto,
nel viso si mostr6 piu che mai lieta:
ma quando senti poi ch'era in distretto,
turbossi tutta d'amorosa pieta;
ne per una o due volte contentosse
che ritornato a replicar le fosse.
CANTO SECONDO 39
LX
E poi ch'al fin le parve esserne chiara,
gli disse : — Cavallier, datti riposo,
che ben puo la mia giunta esserti cara,
parerti questo giorno aventuroso.
Andiam pur tosto a quella stanza avara
che si ricco tesor ci tiene ascoso;
n6 spesa sara invan questa fatlca,
se Fortuna non m'e troppo nemica. —
LXI
Rispose il cavallier: — Tu v6i ch'io passi
di nuovo i monti, e mostriti la via?
A me molto non e perdere i passi,
perduta avendo ogni altra cosa mia;
ma tu" per baize e ruinosi sassi
cerchi entrar in pregione; e cosi sia.
Non hai di che dolerti di me poi
ch'io tel predico, e tu pur gir vi v6i. —
LXII
Cosi dice egli, e torna al suo destriero,
e di quella animosa si fa guida,
che si mette a periglio per Ruggiero,
che la pigli quel mago o che la ancida.
In questo, ecco alle spalle il messaggiero,
ch' : — Aspetta, aspetta! — a tutta voce grida,
il messaggier da chi il Circasso intese
che costei fu ch'alPerba lo distese.
LXIII
A Bradamante il messaggier novella
di Mompolier e di Narbona porta,
ch'alzato li stendardi di Castella
avean, con tutto il lito d'Acquamorta;
e che Marsilia, non v'essendo quella
che la dovea guardar, mal si conforta,
e consiglio e soccorso le domanda
per questo messo, e se le raccomanda.
40 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Questa cittade, e intorno a molte miglia
cio che fra Varo e Rodano al mar siede,
avea Fimperator dato alia figlia
del duca Amon, in ch'avea speme e fede;
pero che '1 suo valor con maraviglia
riguardar suol, quando armeggiar la vede.
Or, com'io dico, a domandar aiuto
quel messo da Marsilia era venuto.
LXV
Tra si e no la giovane suspesa,
di voler ritornar dubita un poco :
quinci 1'onore e il debito le pesa,
quindi Pincalza T amoroso foco.
Fermasi al fin di seguitar I'impresa,
e trar Ruggier de 1'incantato loco ;
e quando sua virtu non possa tanto,
almen restargli prigionera a canto.
LXVI
E fece iscusa tal, che quel messaggio
parve contento rimanere e cheto.
Indi giro la briglia al suo viaggio,
con Pinabel che non ne parve lieto;
che seppe esser costei di quel lignaggio
che tanto ha in odio in publico e in secreto:
e gia s'avisa le future angosce,
se lui per maganzese ella conosce.
LXVII
Tra casa di Maganza e di Chiarmonte
era odio antico e inimicizia intensa;
e piu volte s'avean rotta la fronte,
e sparso di lor sangue copia immensa:
e pero nel suo cor 1'iniquo conte
tradir 1'incauta giovane si pensa;
o, come prima commodo gli accada,
lasciarla sola, e trovar altra strada.
CANTO SECONDO 41
LXVIII
E tanto gli occup6 la fantasia
il native odio, il dubbio e la paura,
ch'inavedutamente usci di via,
e ritrovossi in una selva oscura,
che nel mezzo avea un monte che finia
la nuda cima in una pietra dura;
e la figlia del duca di Dor dona
gli e sempre dietro, e mai non Pabandona.
LXIX
Come si vide il Maganzese al bosco,
pens6 torsi la donna da le spalle.
Disse: — Prima che '1 ciel torni piu fosco,
verso uno albergo e meglio farsi il calle.
Oltra quel monte, s'io lo riconosco,
siede un ricco castel giu ne la valle.
Tu qui m'aspetta; che dal nudo scoglio
certificar con gli occhi me ne voglio, —
LXX
Cosi dicendo, alia cima superna
del solitario monte il destrier caccia,
mirando pur s'alcuna via discerna,
come lei possa tor da la sua traccia.
Ecco nel sasso truova una caverna,
che si profonda piu di trenta braccia.
Tagliato a picchi et a scarp elli il sasso
scende giu al dritto, et ha una porta al basso.
LXXI
Nel fondo avea una porta ampla e capace,
ch'in maggior stanza largo adito dava;
e fuor n'uscia splendor, come di face
ch'ardesse in mezzo alia montana cava.
Mentre quivi il fellon suspeso tace,
la donna, che da lungi il seguitava
(perche* perderne Forme si temea),
alia spelonca gli sopragiungea.
42 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Poi che si vide il traditore uscire,
quel ch'avea prima disegnato, invano,
o da se torla, o di farla morire,
nuovo argumento imaginossi e strano.
Le si fe' incontra, e su la fe' salire
la dove il monte era forato e vano;
e le disse ch'avea visto nel fondo
una donzella di viso giocondo,
LXXIII
chj a' bei sembianti et alia ricca vesta
esser parea di non ignobil grade;
ma quanto piu potea turbata e mesta,
mostrava esservi chiusa suo mal grado :
e per saper la condizion di questa,
ch'avea gia cominciato a entrar nel guado;
e che era uscito de Tmterna grotta
un che dentro a furor Favea ridotta.
LXXIV
Bradamante, che come era animosa,
cosl malcauta, a Pinabel die fede;
e d'aiutar la donna, disiosa,
si pensa come por cola giu il piede.
Ecco d'un olmo alia cima frondosa
volgendo gli occhi, un lungo ramo vede;
e con la spada quel subito tronca,
e lo declina giu ne la spelonca.
LXXV
Dove e tagliato, in man lo raccomanda
a Pinabello, e poscia a quel s'apprende:
prima giu i piedi ne la tana manda,
e su le braccia tutta si suspende.
Sorride Pinabello, e le domanda
come ella salti; e le man apre e stende,
dicendole : — Qui fosser teco insieme
tutti li tuoi, ch'io ne spegnessi il seme! —
CANTO SECONDO 43
LXXVI
Non come volse Pinabello avenue
de Pinnocente giovane la sorte;
perche, gru diroccando, a ferir venne
prima nel fondo il ramo saldo e forte.
Ben si spezzo, ma tanto la sostenne,
che '1 suo favor la libero da morte.
Giacque stordita la donzella alquanto,
come io vi seguiro ne Paltro canto.
44 ORLANDO FURIOSO
CANTO TERZO
I
Chi mi dara la voce e le parole
convenient! a si nobil suggetto ?
chi Tale al verso prestera, che vole
tanto ch'arrivi all'alto mio concetto?
Molto maggior di quel furor che suole,
ben or convien che mi riscaldi il petto;
che questa parte al mio signer si debbe,
che canta gli avi onde 1'origine ebbe:
ii
di cui fra tutti li signori illustri,
dal ciel sortiti a governar la terra,
non vedi, o Febo, che '1 gran mondo lustri,
piu gloriosa stirpe o in pace o in guerra;
ne che sua nobiltade abbia piu lustri
servata, e servara (s'in me non erra
quel profetico lume che m'inspiri)
fin che d'intorno al polo il ciel s'aggiri.
in
E volendone a pien dicer gli onori,
bisogna non la mia, ma quella cetra
con che tu dopo i gigantei furori
rendesti grazia al regnator de Petra.
S'instrumenti avro mai da te migliori,
atti a sculpire in cosi degna pietra,
in queste belle imagini disegno
porre ogni mia fatica, ogni mio ingegno.
CANTO TERZO 45
IV
Levando intanto queste prime rudi
scaglie n'andr6 con lo scarpello inetto:
forse ch'ancor con piu solerti studi
poi ridurr6 questo lavor perfetto.
Ma ritorniamo a quello, a cui ne scudi
potran ne usberghi assicurare il petto:
parlo di Pinabello di Maganza,
che d'uccider la donna ebbe speranza.
II traditor pens6 che la donzella
fosse ne Talto precipizio morta;
e con pallida faccia lascio quella
trista e per lui contaminata porta,
e torn6 presto a rimontare in sella:
e come quel ch'avea ranima torta,
per giunger colpa a colpa e fallo a fallo,
di Bradamante ne men6 il cavallo.
VI
Lascian costui, che mentre aH'altrui vita
ordisce inganno, il suo morir procura;
e torniamo alia donna, che tradita
quasi ebbe a un tempo e morte e sepoltura.
Poi ch'ella si Iev6 tutta stordita,
ch'avea percosso in su la pietra dura,
dentro la porta and6, ch'adito dava
ne la seconda assai piu larga cava.
VII
La stanza, quadra e spaziosa, pare
una devota e venerabil chiesa,
che su colonne alabastrine e rare
con bella architettura era suspesa.
Surgea nel mezzo un ben locato altare,
ch'avea dinanzi una lampada accesa;
e quella di splendente e chiaro foco
rendea gran lume alPuno e all'altro loco.
46 ORLANDO FURIOSO
VIII
Di devota umilta la donna tocca,
come si vide in loco sacro e pio,
incominci6 col core e con la bocca,
inginocchiata, a mandar prieghi a Dio.
Un picciol uscio intanto stride e crocca,
ch'era all'mcontro, onde una donna uscio
discinta e scalza, e sciolte avea le chiome,
che la donzella saluto per nome.
IX
E disse : — O generosa Bradamante,
non giunta qui senza voler divino,
di te piu giorni m'ha predetto inante
il profetico spirto di Merlino,
che visitar le sue reliquie sante
dovevi per insolito camino:
e qui son stata acci6 ch'io ti riveli
quel c'han di te gia statuito i cieli.
x
Questa e 1'antiqua e memorabil grotta
ch'edific6 Merlino, il savio mago
che forse ricordare odi talotta,
dove ingannollo la Donna del Lago.
II sepolcro e qui giu, dove corrotta
giace la carne sua; dove egli vago
di sodisfare a lei, che glil suase,
vivo corcossi, e morto ci rimase.
XI
Col corpo morto il vivo spirto alberga,
sin ch'oda il suon de 1'angelica tromba
che dal ciel lo bandisca o che ve Perga,
secondo che sara corvo o colomba.
Vive la voce; e come chiara emerga
udir potrai da la marmorea tomba,
che le passate e le future cose
a chi gli domand6, sempre rispose.
CANTO TERZO 47
XII
Piu giorni son ch'in questo cimiterio
venni di remotissimo paese,
perch£ circa il mio studio alto misterio
mi facesse Merlin meglio palese:
e perche ebbi vederti desiderio,
poi ci son stata oltre il disegno un mese;
che Merlin, che '1 ver sempre mi predisse,
termine al venir tuo questo di fisse. — -
XIII
Stassi d'Amon la sbigottita figlia
tacita e fissa al ragionar di questa;
et ha si pieno il cor di maraviglia,
che non sa s'ella dorme o s'ella & desta:
e con rimesse e vergognose ciglia
(come quella che tutta era mo desta)
rispose : — Di che merito son io,
ch'antiveggian profeti il venir mio ? —
XIV
E lieta de Finsolita aventura,
dietro alia maga subito fu mossa,
che la condusse a quella sepoltura
che chiudea di Merlin Tamma e Fossa.
Era quella area d'una pietra dura,
lucida e tersa, e come fiamma rossa;
tal ch'alla stanza, ben che di sol priva,
dava splendore il lume che n'usciva.
XV
O che natura sia d'alcuni marmi
che muovin Tombre a guisa di facelle,
o forza pur di suffumigi e carmi
e segni impressi all'osservate stelle
(come piu questo verisimil parmi),
discopria lo splendor piu cose belle
e di scultura e di color, ch'intorno
il venerabil luogo aveano adorno.
48 ORLANDO FURIOSO
XVI
A pena ha Bradamante da la soglia
levato il pie ne la secreta cella,
che '1 vivo spirto da la morta spoglia
con chiarissima voce le favella:
— Favorisca Fortuna ogni tua voglia,
0 casta e nobilissima donzella,
del cui ventre uscira il seme fecondo
che onorar deve Italia e tutto il mondo.
XVII
L'antiquo sangue che venne da Troia,
per li duo miglior rivi in te commisto,
produrra 1'ornamento, il fior, la gioia
d'ogni lignaggio ch'abbi il sol mai visto
tra 1'Indo e '1 Tago e }1 Nilo e la Danoia,
tra quanto e 'n mezzo Antartico e Calisto.
Ne la progenie tua con sommi onori
saran marchesi, duci e imperatori.
XVIII
1 capitani e i cavallier robusti
quindi usciran, che col ferro e col senno
ricuperar tutti gli onor vetusti
de Tarme invitte alia sua Italia denno.
Quindi terran lo scettro i signer giusti,
che, come il savio Augusto e Numa fenno,
sotto il benigno e buon governo loro
ritorneran la prima eta de Toro.
XIX
Acci6 dunque il voler del ciel si metta
in effetto per te, che di Ruggiero
t'ha per moglier fin da principio eletta,
segue animosamente il tuo sentiero;
che cosa non sara che s'intrometta
da poterti turbar questo pensiero,
si che non mandi al primo assalto in terra
quel rio ladron ch'ogni tuo ben ti serra. —
CANTO TERZO 49
XX
Tacque Merlino avendo cosi detto,
et agio alPopre de la maga diede,
ch'a Bradamante dimostrar 1'aspetto
si preparava di ciascun suo erede.
Avea de spirti un gran numero eletto,
non so se da 1'inferno o da qual sede,
e tutti quelli in un luogo raccolti
sotto abiti diversi e varii volti.
XXI
Poi la donzella a se richiama in chiesa,
la dove prima avea tirato un cerchio
die la potea capir tutta distesa,
et avea un palmo ancora di superchio.
E perche da li spirti non sia offesa,
le fa d'un gran pentacolo coperchio,
e le dice che taccia e stia a mirarla:
poi scioglie il libro, e coi demoni park.
XXII
Eccovi fuor de la prima spelonca,
che gente intorno al sacro cerchio ingrossa;
ma come vuole entrar, la via l'& tronca,
come lo cinga intorno muro e fossa.
In quella stanza, ove la bella conca
in se chiudea del gran profeta Fossa,
entravan Pombre, poi ch'avean tre volte
fatto d'intorno lor debite volte.
XXIII
— Se i nomi e i gesti di ciascun voj dirti, —
dicea Tincantatrice a Bradamante
— di questi ch'or per gl'incantati spirti,
prima che nati sien, ci sono avante,
non so veder quando abbia da espedirti;
che non basta una notte a cose tante:
si ch'io te ne verr6 scegliendo alcuno,
secondo il tempo, e che sara oportuno.
50 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Vedi quel primo che ti rassimiglia
ne' bei sembianti e nel giocondo aspetto:
capo in Italia fia di tua famiglia,
del seme di Ruggiero in te concetto.
Veder del sangue di Pontier vermiglia
per mano di costui la terra aspetto,
e vendicato il tradimento e il torto
contra quei che gli avranno il padre morto.
xxv
Per opra di costui sara deserto
il re de' Longobardi Desiderio:
d'Este e di Calaon per questo merto
il bel domino avra dal sommo Imperio.
Quel che gli e dietro, e il tuo nipote Uberto,
onor de 1'arme e del paese esperio:
per costui contra barbari difesa
piu d'una volta fia la santa Chiesa.
XXVI
Vedi qui Alberto, invitto capitano
ch'ornera di trofei tanti delubri:
Ugo il figlio e con lui, che di Milano
fara 1'acquisto, e spieghera i colubri.
Azzo e quell'altro, a cui restera in mano,
dopo il fratello, il regno degl'Insubri.
Ecco Albertazzo, il cui savio consiglio
torra d'ltalia Beringario e il figlio;
XXVII
e sara degno a cui Cesare Otone
Alda sua figlia in matrimonio aggiunga.
Vedi un altro Ugo: oh bella successione,
che dal patrio valor non si dislunga!
Costui sara, che per giusta cagione
ai superbi Roman 1'orgoglio emunga,
che '1 terzo Otone e il pontefice tolga
de le man loro, e '1 grave assedio sciolga.
CANTO TERZO SI
XXVIII
Vedi Folco, che par ch'al suo germane,
cio che in Italia avea, tutto abbi dato,
e vada a possedere indi lontano
in mezzo agli Alamanni un gran ducato;
e dia alia casa di Sansogna mano,
che caduta sara tutta da un lato,
e per la linea de la madre erede
con la progenie sua la terra in piede.
XXIX
Questo ch'or a nui viene e il secondo Azzo,
di cortesia phi che di guerre amico,
tra dui figli, Bertoldo et Albertazzo:
vinto da Tun sara il secondo Enrico,
e del sangue tedesco orribil guazzo
Parma vedra per tutto il campro aprico ;
de Taltro la contessa gloriosa,
saggia e casta Matilde, sara sposa.
xxx
Virtu il fara di tal connubio degno;
ch'a quella eta non poca laude estimo
quasi di mezza Italia in dote il regno,
e la nipote aver d'Enrico primo.
Ecco di quel Bertoldo il caro pegno,
Rinaldo tuo, ch'avra Ponor opimo
d'aver la Chiesa de le man riscossa
de 1'empio Federico Barbarossa.
XXXI
Ecco un altro Azzo, et e quel che Verona
avra in poter col suo bel tenitorio;
e sara detto marchese d'Ancona
dal quarto Otone e dal secondo Onorio.
Lungo sara s'io mostro ogni persona
del sangue tuo, ch'avra del consistorio
il confalone, e s'io narro ogni impresa
vinta da lor per la romana Chiesa.
52 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Obizzo vedi e Folco, altri Azzi, altri Ughi,
ambi gli Enrichi, il figlio al padre a canto;
duo Guelfi, di quai 1'uno Umbria suggiughi,
e vesta di Spoleti il ducal manto.
Ecco die '1 sangue e le gran piaghe asciughi
d'ltalia afflitta, e volga in riso il pianto:
di costui parlo (e mostrolle Azzo quinto)
onde Ezellin fia rotto, preso, estinto.
XXXIII
Ezellino, immanissimo tiranno,
che fia creduto figlio del demonio,
fara, troncando i sudditi, tal danno,
e distruggendo il bel paese ausonio,
che pietosi apo lui stati saranno
Mario, Silla, Neron, Caio et Antonio.
E Federico imperator secondo
fia per questo Azzo rotto e messo al fondo.
xxxiv
Terra costui con piu felice scettro
la bella terra che siede sul flume,
dove chiamo con lacrimoso plettro
Febo il figliuol ch'avea mal retto il lume,
quando fu pianto il fabuloso elettro
e Cigno si vesti di bianche piume;
e questa di mille oblighi mercede
gli donera 1'Apostolica sede.
xxxv
Dove lascio il fratel Aldrobandino ?
che per dar al pontefice soccorso
contra Oton quarto, e il campo ghibellino
che sara presso al Campidoglio corso,
et avra preso ogni luogo vicino,
e posto agli Umbri e alii Piceni il morso,
ne potendo prestargli aiuto senza
molto tesor, ne chiedera a Fiorenza;
CANTO TERZO 53
XXXVI
e non avendo gioia o miglior pegni,
per sicurta daralle il frate in mano;
spieghera i suoi vittoriosi segni,
e rompera 1'esercito germano;
in seggio riporra la Chiesa, e degni
dara supplicii ai conti di Celano;
et al servizio del sommo Pastore
finira gli anni suoi nel piu bel fiore.
XXXVII
Et Azzo, il suo fratel, lasciera erede
del dominio d'Ancona e di Pisauro,
d'ogni citta che da Troento siede
tra il mare e PApenin fin all'Isauro,
e di grandezza d'animo e di fede,
e di virtu, miglior che gemme et auro:
che dona e tolle ogn'altro ben Fortuna;
sol in virtu non ha possanza alcuna.
XXXVIII
Vedi Rinaldo, in cui non minor raggio
splendera di valor, pur che non sia
a tanta essaltazion del bel lignaggio
Morte o Fortuna invidiosa e ria.
Udirne il duol fin qui da Napoli aggio,
dove del padre allor statico fia.
Or Obizzo ne vien, che giovinetto
dopo Favo sara principe eletto.
xxxix
Al bel dominio accrescera costui
Reggio giocondo e Modona feroce.
Tal sara il suo valor, che signor lui
domanderanno i populi a una voce.
Vedi Azzo sesto, un de* figliuoli sui,
confalonier de la cristiana croce:
avra il ducato d'Andria con la figlia
del secondo re Carlo di Siciglia.
54 ORLANDO FURIOSO
XL
Vedi in un bello et amichevol groppo
de li principi illustri Teccellenza:
Obizzo, Aldrobandin, Nicolo zoppo,
Alberto, d'amor pieno e di clemenza.
10 tacer6, per non tenerti troppo,
come al bel regno aggiungeran Favenza,
e con maggior fermezza Adria, che valse
da se nomar Tindomite acque salse;
XLI
come la terra, il cui produr di rose
le die piacevol nome in greche voci,
e la citta ch'in mezzo alle piscose
paludi, del Po teme ambe le foci,
dove abitan le genti disiose
che 1 mar si turbi e sieno i venti atroci.
Taccio d'Argenta, di Lugo e di mille
altre castella e populose ville.
XLII
Ve' Nicolo, che tenero fanciullo
11 popul crea signer de la sua terra,
e di Tideo fa il pensier vano e nullo,
che contra hii le civil arme afferra.
Sara di questo il pueril trastullo
sudar nel ferro e travagliarsi in guerra;
e da lo studio del tempo primiero
il fior riuscira d'ogni guerriero.
XLIII
Fara de' suoi ribelli uscire a v6to
ogni disegno, e lor tornare in danno ;
et ogni stratagema avra si noto,
che sara duro il poter fargli inganno.
Tardi di questo s'avedra il Terzo Oto,
e di Reggio e di Parma aspro tiranno,
che da costui spogliato a un tempo fia
e del dominio e de la vita ria.
CANTO TERZO 55
XLIV
Avra il bel regno poi sempre augumento
senza torcer mai pie dal camin dritto;
n6 ad alcuno fara mai nocumento,
da cui prima non sia d'ingiuria afflitto:
et e per questo il gran Motor contento
che non gli sia alcun termine prescritto,
ma duri prosperando in meglio sempre,
fin che si volga il ciei ne le sue tempre.
XLV
Vedi Leonello, e vedi il primo duce,
fama de la sua eta, Tinclito Borso,
che siede in pace, e piu trionfo adduce
di quanti in altrui terre abbino cor so.
Chiudera Matte ove non veggia luce,
e stringera al Furor le mani al dorso.
Di questo signor splendido ogni intento
sara che Jl popul suo viva contento.
XLVI
Ercole or vien, ch'al suo vicin rinfaccia,
col pie mezzo arso e con quei debol passi,
come a Budrio col petto e con la faccia
il campo volto in fuga gli fermassi,
non perche in premio poi guerra gli faccia,
ne per cacciarlo fin nel Barco passi:
questo e il signor, di cui non so esplicarme
se fia maggior la gloria o in pace o in arme.
XLVII
Terran Pugliesi, Calabri e Lucani
de* gesti di costui lunga memoria,
la dove avra dal re de' Catalani
di pugna singular la prima gloria;
e nome tra gl'invitti capitani
s'acquistera con piu d'una vittoria:
avra per sua virtu la signoria,
piu di trenta anni a lui debita pria.
56 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
E quanto piu aver oblige si possa
a principe, sua terra avra a costui;
non perche fia de le paludi mossa
tra campi fertilissimi da lui;
non perche la fara con muro e fossa
meglio capace a' cittadini sui,
e 1'ornara di templi e di palagi,
di piazze, di teatri e di mille agi;
XLIX
non perche* dagli artigli de Paudace
aligero Leon terra difesa;
non perche, quando la gallica face
per tutto avra la bella Italia accesa,
si stara sola col suo stato in pace,
e dal timore e dai tributi illesa;
non si per questi et altri benefici
saran sue genti ad Ercol debitrici :
quanto che dara lor 1'inclita prole,
il giusto Alfonso e Ippolito benigno,
che saran quai 1'antiqua fama suole
narrar de' figli del Tindareo cigno,
ch'alternamente si privan del sole
per trar Tun 1'altro de 1'aer maligno.
Sara ciascuno d'essi e pronto e forte
1'altro salvar con sua perpetua morte.
LI
II grande amor di questa bella coppia
rendera il popul suo via piu sicuro,
che se, per opra di Vulcan, di doppia
cinta di ferro avesse intorno il muro.
Alfonso e quel che col saper accoppia
si la bonta, ch'al secolo futuro
la gente credera che sia dal cielo
tornata Astrea dove puo il caldo e il gielo.
CANTO TERZO 57
LII
A grande uopo gli fia 1'esser prudente,
e di valore assimigliarsi al padre;
che si ritrovera, con poca gente,
da un lato aver le veneziane squadre,
colei da 1'altro, che pm giustamente
non so se devra dir matrigna o madre;
ma se pur madre, a lui poco piu pia,
che Medea ai figli o Progne stata sia.
Lin
E quant e volte uscira giorno o notte
col suo popul fedel fuor de la terra,
tante sconfitte e memorabil rotte
dara a' nimici o per acqua o per terra.
Le genti di Romagna mal condotte,
contra i vicini e lor gia amici, in guerra,
se n'avedranno, insanguinando il suolo
che serra il Po, Santerno e Zanniolo.
Liv
Nei medesmi confini anco saprallo
del gran Pastore il mercenario Ispano,
che gli avra dopo con poco intervallo
la Bastia tolta, e morto il castellano,
quando Favra gia preso; e per tal fallo
non fia, dal minor fante al capitano,
che del racquisto e del presidio ucciso
a Roma riportar possa Paviso.
LV
Costui sara, col senno e con la lancia,
ch'avra 1'onor, nei campi di Romagna,
d'aver dato all'esercito di Francia
la gran vittoria contra lulio e Spagna.
Nuoteranno i destrier fin alia pancia
nei sangue uman per tutta la campagna;
ch'a sepelire il popul verra manco
tedesco, ispano, greco, italo e franco.
58 ORLANDO FURIOSO
LVI
Quel ch'in pontificate abito imprime
del purpureo capel la sacra chioma,
e il liberal, magnanimo, sublime,
gran cardinal de la Chiesa di Roma,
Ippolito, ch'a prose, a versi, a rime
dara materia eterna in ogni idioma;
la cui fiorita eta vuol il ciel iusto
ch'abbia un Maron, come un altro ebbe Augusto,
LVII
Adornera la sua progenie bella,
come orna il sol la machina del mondo
molto piu de la luna e d'ogni Stella;
ch'ogn'altro lume a lui sempre e secondo.
Costui con pochi a piedi e meno in sella
veggio uscir mesto, e poi tornar iocondo;
che quindici galee mena captive,
oltra milTaltri legni, alle sue rive.
LVIII
Vedi poi Funo e 1'altro Sigismondo.
Vedi d'Alfonso i cinque figli can,
alia cui fama ostar, che di s6 il mondo
non empia, i monti non potran ne i mari :
gener del re di Francia, Ercol secondo
e Tun; quest'altro (acci6 tutti gPimpari)
Ippolito e, che non con minor raggio
che '1 zio, risplendera nel suo lignaggio ;
LIX
Francesco, il terzo; Alfonsi gli altri dui
ambi son detti. Or, come io dissi prima,
s'ho da mostrarti ogni tuo ramo, il cui
valor la stirpe sua tanto sublima,
bisognera che si rischiari e abbui
piu volte prima il ciel, ch'io te li esprima:
e sara tempo ormai, quando ti piaccia,
ch'io dia licenzia all'ombre, e ch'io mi taccia. —
CANTO TERZO 59
LX
Cosi con volunta de la donzella
la dotta incantatrice il libro chiuse.
Tutti gli spirti allora ne la cella
spariro in fretta, ove eran Fossa chiuse.
Qui Bradamante, poi che la favella
le fu concessa usar, la bocca schiuse,
e domand6 : — Chi son li dua si tristi,
che tra Ippolito e Alfonso abbiamo visti?
LXI
Veniano sospirando, e gli occhi bassi
parean tener d'ogni baldanza privi;
e gir lontan da loro io vedea i passi
dei frati si, che ne pareano schivL —
Parve ch'a tal domanda si cangiassi
la maga in viso, e fe' degli occhi rivi,
e grid6 : — Ah sfortunati, a quanta pena
lungo instigar d'uomini rei vi mena!
LXII
O bona prole, o degna d'Ercol buono,
non vinca il lor fallir vostra bontade:
di vostro sangue i miseri pur sono:
qui ceda la iustizia alia pietade. —
Indi soggiunse con piu basso suono:
— Di cio dirti piu inanzi non accade.
Statti col dolcie in bocca, e non ti doglia
ch'amareggiare al fin non te la voglia.
LXIII
Tosto che spunti in ciel la prima luce,
piglierai meco la piu dritta via
ch'al lucente castel d'acciai' conduce,
dove Ruggier vive in altrui balia.
Io tanto ti sar6 compagna e duce,
che tu sia fuor de 1'aspra selva ria:
t}insegner6, poi che saren sul mare,
si ben la via, che non potresti err are. —
60 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Quivi 1'audace giovane rimase
tutta la notte, e gran pezzo ne spese
a parlar con Merlin, che le suase
renders! tosto al suo Ruggier cortese.
Lascio di poi le sotterranee case,
che di nuovo splendor Paria s'accese,
per un camin gran spazio oscuro e cieco,
avendo la spirtal femina seco.
LXV
E riusciro in un burrone ascoso
tra monti inaccessibili alle genti ;
e tutto '1 di senza pigliar riposo
saliron baize e traversar torrenti.
E perche men Pandar fosse noioso,
di piacevoli e bei ragionamenti,
di quel che fu piu conferir soave,
1'aspro camin facean parer men grave:
LXVI
di quali era per6 la maggior parte,
ch'a Bradamante vien la dotta maga
mostrando con che astuzia e con qual arte
proceder de', se di Ruggiero e vaga.
— Se tu fossi — dicea — Pallade o Marte,
e conducessi gente alia tua paga
piu che non ha il re Carlo e il re Agramante,
non dureresti contra il negromante;
LXVII
che oltre che d'acciar murata sia
la rocca inespugnabile e tant'alta
oltre che 51 suo destrier si faccia via
per mezzo 1'aria ove galoppa e salta,
ha lo scudo mortal che, come pria
si scopre, il suo splendor si gli occhi assalta,
la vista tolle, e tanto occupa i sensi,
che come morto rimaner conviensi.
CANTO TERZO 6l
LXVIII
E se forse ti pensi che ti vaglia
combattendo tener serrati gli occhi,
come potrai saper ne la battaglia
quando ti schivi, o Paversario tocchi?
Ma per fuggire il lume ch'abbarbaglia,
e gli altri incanti di colui far sciocchi,
ti mostrer6 xm rimedio, una via presta;
ne altra in tutto '1 mondo e se non questa.
LXIX
II re Agramante d' Africa uno annello,
che fu rubato in India a una regina,
ha dato a un suo baron detto Brunello,
che poche miglia inanzi ne camina;
di tal virtu, che chi nel dito ha quello,
contra il mal degPincanti ha medicina.
Sa de furti e d'inganni Brunei quanto
colui che tien Ruggier sappia d'incanto.
LXX
Questo Brunei si pratico e si astuto,
come io ti dico, e dal suo re mandato
accio che col suo ingegno e con Taiuto
di questo annello, in tal cose provato,
di quella rocca dove e ritenuto
traggia Ruggier, che cosi s'e vantato,
et ha cosi promesso al suo signore,
a cui Ruggiero e phi d'ogn'altro a core.
LXXI
Ma perch6 il tuo Ruggiero a te sol abbia,
e non al re Agramante, ad obligarsi
che tratto sia de Tincantata gabbia,
t'insegnero il remedio che de' usarsi.
Tu te n'andrai tre di lungo la sabbia
del mar, ch'e oramai presso a dimostrarsi;
il terzo giorno in un albergo teco
arrivera costui c'ha 1'annel seco.
62 ORLANDO FURIOSO
LXXII
La sua statura, accio tu lo conosca,
non e sei palmi, et ha il capo ricciuto;
le chiome ha nere, et ha la pelle fosca;
pallido il viso, oltre il dover barbuto ;
gli occhi gonfiati e guardatura losca;
schiacciato il naso, e ne le ciglia irsuto;
Pabito, acci6 ch'io lo dipinga intero,
e stretto e corto, e sembra di corriero.
LXXIII
Con esso lui t'accadera soggetto
di ragionar di quelli incanti strani:
mostra d'aver, come tu avra* in effetto,
disio che '1 mago sia teco alle mani;
ma non monstrar che ti sia stato detto
di quel suo annel che fa gl'incanti vani.
Egli t'offerira mostrar la via
fin alia r6cca, e farti compagnia.
LXXIV
Tu gli va dietro: e come t'avicini
a quella r6cca si ch'ella' si scopra,
dagli la morte; n6 pieta t'inchini
che tu non metta il mio consiglio in opra.
N6 far ch'egli il pensier tuo s'indovini,
e ch'abbia tempo che Tannel lo copra;
perche ti spariria dagli occhi, tosto
ch'in bocca il sacro annel s'avesse posto.
LXXV
Cosi parlando, giunsero sul mare,
dove presso a Bordea mette Garonna.
Quivi, non senza alquanto lagrimare,
si diparti Tuna da 1'altra donna.
La figliuola d'Amon, che per slegare
di prigione il suo amante non assonna,
camin6 tanto, che venne una sera
ad uno albergo ove Brunei prim'era.
CANTO TERZO 63
LXXVI
Conosce ella Brunei come lo vede,
di cui la forma avea sculpita in mente.
Onde ne viene, ove ne va, gli chiede:
quel le risponde, e d'ogni cosa mente.
La donna, gia prevista, non gli cede
in dir menzogne, e simula ugualmente
e patria e stirpe e setta e nome e sesso;
e gli volta alle man pur gli occhi spesso.
LXXVII
Gli va gli occhi alle man spesso voltando,
in dubbio sempre esser da lui rubata;
ne lo lascia venir troppo accostando,
di sua condizion bene iriformata.
Stavano insieme in questa guisa, quando
Porecchia da un rumor lor fu intruonata.
Poi vi dir6, Signor, che ne fu causa,
ch'avro fatto al cantar debita pausa.
64' ORLANDO FURIOSO
CANTO QUARTO
I
Quantunque il simular sia le phi volte
ripreso, e dia di mala mente indici,
si truova pur in molte cose e molte
aver fatti evidenti benefici,
e danni e biasmi e morti aver gia tolte;
che non conversiam sempre con gli amici
in questa assai piu oscura che serena
vita mortal, tutta d'invidia piena.
II
Se, dopo lunga prova, a gran fatica
trovar si pub chi ti sia amico vero,
et a chi senza alcun sospetto dica
e discoperto mostri il tuo pensiero;
che de' far di Ruggier la bella arnica
con quel Brunei non puro e non sincero,
ma tutto simulate e tutto finto,
come la maga le Pavea dipinto ?
in
Simula anch'ella; e cosi far conviene
con esso lui di finzioni padre;
e, come io dissi, spesso ella gli tiene
gli occhi alle man, ch'eran rapaci e ladre.
Ecco all'orecchie un gran rumor lor viene.
Disse la donna: — O gloriosa Madre,
o Re del ciel, che cosa sara questa ? —
E dove era il rumor si trovo presta.
CANTO QUARTO 65
IV
E vede Poste e tutta la famiglia,
e chi a finestre e chi fuor ne la via,
tener levati al ciel gli occhi e le ciglia,
come Fecclisse o la cometa sia.
Vede la donna un'alta maraviglia,
che di leggier creduta non saria:
vede passar un gran destriero alato,
che porta in aria un cavaliero armato.
v
Grandi eran Tale e di color diverso,
e vi sedea nel mezzo un cavalliero,
di ferro armato luminoso e terso;
e ver ponente avea dritto il sentiero.
Calossi, e fu tra le montagne immerso :
e, come dicea Foste (e dicea il vero),
quel era un negromante, e facea spesso
quel varco, or piu da lungi, or piu da presso^
VI
Volando, talor s'alza ne le stelle,
e poi quasi talor la terra rade;
e ne porta con lui tutte le belle
donne che trova per quelle contrade:
talmente che le misere donzelle
ch'abbino o aver si credano beltade
(come affatto costui tutte le invole)
non escon fuor si che le veggia il sole.
VII
— Egli sul Pireneo tiene un castello —
narrava Toste — fatto per incanto,
tutto d'acciaio, e si lucente e bello,
ch'altro al mondo non e mirabil tanto.
Gia molti cavallier sono iti a quello,
e nessun del ritorno si da vanto :
si ch'io penso, signore, e temo forte,
o che sian presi, o sian condotti a morte. —
66 ORLANDO FURIOSO
VIII
La donna il tutto ascolta, e le ne giova,
credendo far, come fara per certo,
con 1'annello mirabile tal prova,
che ne fia il mago e il suo castel deserto;
e dice a 1'oste : — Or un de' tuoi mi trova,
che piu di me sia del viaggio esperto;
ch'io non posso durar, tanto ho il cor vago
di far battaglia contra a questo mago. —
IX
— Non ti manchera guida, — le rispose
Brunello allora — e ne verr6 teco io:
meco ho la strada in scritto, et altre cose
che ti faran piacere il venir mio. —
Volse dir de Tannel, ma non Tespose,
ne chiari piu, per non pagarne il fio.
— Grato mi fia — disse ella — il venir tuo — ,
volendo dir ch'indi 1'annel fia suo.
Quel ch'era utile a dir, disse; e quel tacque
che miocer le potea col Saracino.
Avea 1'oste un destrier ch'a costei piacque,
ch'era buon da battaglia e da camino:
comperollo, e partissi come nacque
del bel giorno seguente il matutino.
Prese la via per una stretta valle,
con Brunello era inanzi, ora alle spalle.
XI
Di monte in monte e d'uno in altro bosco
giuhseno ove 1'altezza di Pirene
pu6 dimostrar, se non e 1'aer fosco,
e Francia e Spagna e due diverse arene,
come Apennin scopre il mar schiavo e il tosco
dal giogo onde a Camaldoli si viene.
Quindi per aspro e faticoso calle
si discendea ne la profonda valle.
CANTO QUARTO 67
XII
Vi sorge in mezzo un sasso che la cima
d'un bel muro d'acciar tutta si fascia;
e quella tanto inverse il ciel sublima,
che quanto ha intorno, inferior si lascia.
Non faccia, chi non vola, andarvi stima,
che spesa indarno vi saria ogni ambascia.
Brunei disse : — Ecco dove prigionieri
il mago tien le donne e i cavallieri. —
XIII
Da quattro canti era tagliato, e tale
che parea dritto a fil de la sinopia.
Da nessun lato ne sentier ne scale
v'eran, che di salir facesser copia:
e ben appar che d'animal ch'abbia ale
sia quella stanza nido e tana propia.
Quivi la donna esser conosce 1'ora
di tor Tannello e far che Brunei rnora.
XIV
Ma le par atto vile a insanguinarsi
d'un uom senza arme e di si ignobil sorte;
che ben potra posseditrice farsi
del ricco annello, e lui non porre a morte.
Brunei non avea mente a riguardarsi;
si ch'ella il prese, e lo Ieg6 ben forte
ad uno abete ch'alta avea la cima:
ma di dito Pannel gli trasse prima.
xv
Ne per lacrime, gemiti o lamenti
che facesse Brunei, lo volse sciorre.
Smonto de la montagna a passi lenti,
tanto che fu nel pian sotto la torre.
E perche alia battaglia s'appresenti
il negromante, al corno suo ricorre;
e dopo il suon, con minacciose grida
lo chiama al campo, et alia pugna '1 sfida.
68 ORLANDO FURIOSO
XVI
Non stette molto a uscir fuor de la porta
Tincantator, ch'udi Jl suono e la voce.
L'alato corridor per 1'aria il porta
contra costei, che sembra uomo feroce,
La donna da principio si conforta,
che vede che colui poco le nuoce:
non porta lancia ne spada ne mazza,
ch'a forar Fabbia o romper la corazza.
XVII
Da la sinistra sol lo scudo avea,
tutto coperto di seta vermiglia;
ne la man destra un libro, onde facea
nascer, leggendo, 1'alta maraviglia:
che la lancia talor correr parea,
e fatto avea a piu d'un batter le ciglia;
talor parea ferir con mazza o stocco,
e lontano era, e non avea alcun tocco.
XVIII
Non e finto il destrier, ma naturale,
ch'una giumenta genero d'un grifo :
simile al padre avea la piuma e Pale,
li piedi anteriori, il capo e il grifo;
in tutte Paltre membra parea quale
era la madre, e chiamasi ippogrifo;
che nei monti Rifei vengon, ma rari,
molto di la dagli aghiacciati mari.
XIX
Quivi per forza lo tir6 d'incanto ;
e poi che Pebbe, ad altro non attese,
e con studio e fatica opero tanto,
ch'a sella e briglia il cavalco in un mese:
cosi ch'in terra e in aria e in ogni canto
lo facea volteggiar senza contese.
Non finzion d'incanto, come il resto,
ma vero e natural si vedea questo.
CANTO QUARTO 69
XX
Del mago ogn'altra cosa era figmento,
che comparir facea pel rosso il giallo ;
ma con la donna non fu di momento,
che per 1'annel non puo vedere in fallo.
Piu colpi tuttavia diserra al vento,
e quinci e quindi spinge il suo cavallo;
e si dibatte e si travaglia tutta,
come era, inanzi che venisse, instrutta.
XXI
E poi che esercitata si fu alquanto
sopra il destrier, smontar volse anco a piede,
per poter meglio al fin venir di quanto
la cauta maga instruzion le diede.
II mago vien per far Festremo incanto;
che del fatto ripar ne sa ne crede :
scuopre lo scudo, e certo si prosume
farla cader con Pincantato lume.
XXII
Potea cosi scoprirlo al primo tratto,
senza tenere i cavallieri a bada;
ma gli piacea veder qualche bel tratto
di correr 1'asta o di girar la spada:
come si vede ch'aU'astuto gatto
scherzar col topo alcuna volta aggrada;
e poi che quel piacer gli viene a noia,
dargli di morso, e al fin voler che muoia.
XXIII
Dico che '1 mago al gatto, e gli altri al topo
s'assimigliar ne le battaglie dianzi;
ma non s'assimigliar gia cosi, dopo
che con Fannel si fe' la donna inanzi.
Attenta e fissa stava a quel ch'era uopo,
accio che nulla seco il mago avanzi;
e come vide che lo scudo aperse,
chiuse gli occhi, e lascio quivi caderse.
70 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Non die il fulgor del lucido metallo,
come soleva agli altri, a lei nocesse;
ma cosi fece acci6 che dal cavallo
contra se il vano incantator scendesse :
ne parte ando del suo disegno in fallo;
che tosto ch'ella il capo in terra messe,
accelerando il volator le penne,
con larghe ruote in terra a por si venne.
xxv
Lascia alParcion lo scudo, che gia posto
avea ne la coperta, e a pie discende
verso la donna che, come reposto
lupo alia macchia il capriolo, attende.
Senza piu indugio ella si leva tosto
che Tha vicino, e ben stretto lo prende.
Avea lasciato quel misero in terra
il libro che facea tutta la guerra:
XXVI
e con una catena ne correa,
che solea portar cinta a simil uso;
perche non men legar colei credea,
che per adietro altri legare era uso.
La donna in terra posto gia Favea:
se quel non si difese, io ben Pescuso ;
che troppo era la cosa differente
tra un debol vecchio e lei tanto possente.
XXVII
Disegnando levargli ella la testa,
alza la man vittoriosa in fretta;
ma poi che '1 viso mira, il colpo arresta,
quasi sdegnando si bassa vendetta,
Un venerabil vecchio in faccia mesta
vede esser quel ch'ella ha giunto alia stretta,
che mostra al viso crespo e al pelo bianco
eta di settanta anni o poco manco.
CANTO QUARTO 71
XXVIII
— Tommi la vita, giovene, per Dlo — ,
dicea il vecchio pien d'ira e di dispetto;
ma quella a torla avea si il cor restio,
come quel di lasciarla avria diletto.
La donna di sapere ebbe disio
chi fosse il negromante, et a che effetto
edificasse in quel luogo selvaggio
la r6cca, e faccia a tutto il mondo oltraggio.
XXIX
— Ne per maligna intenzione, ahi lasso! —
disse piangendo il vecchio incantatore
— feci la bella rocca in cima al sasso,
ne per avidita son rubatore;
ma per ritrar sol da Pestremo passo
un cavallier gentil, mi mosse amore,
che, come il ciel mi mostra, in tempo breve
morir cristiano a tradimento deye.
xxx
Non vede il sol tra questo e il polo austrino
un giovene si bello e si prestante:
Ruggiero ha nome, il qual da piccolino
da me nutrito fu, ch'io sono Atlante.
Disio d'onore e suo fiero destino
Than tratto in Francia dietro al re Agramante;
et io, che Pamai sempre piu che figlio,
lo cerco trar di Francia e di periglio.
XXXI
La bella rocca solo edificai
per tenervi Ruggier sicuramente,
che preso fu da me, come sperai
che fossi oggi tu preso similmente;
e donne e cavallier, che tu vedrai,
poi ci ho ridotti, et altra nobil gente,
acci6 che, quando a voglia sua non esca,
avendo compagnia men gli rincresca.
72 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Pur ch'uscir di la su non si domande,
d'ogn'altro gaudio lor cura mi tocca;
che quanto averne da tutte le bande
si puo del mondo, e tutto in quella rocca:
suoni, canti, vestir, giuochi, vivande,
quanto puo cor pensar, puo chieder bocca.
Ben seminato avea, ben cogliea il frutto;
ma tu sei giunto a disturb armi il tutto.
XXXIII
Deh, se non hai del viso il cor men bello,
non impedir il mio consiglio onesto!
Piglia lo scudo (ch'io tel dono) e quello
destrier che va per Paria cosi presto;
e non t'impacciar oltra nel castello,
o tranne uno o duo amici, e lascia il resto ;
o tranne tutti gli altri, e piu non chero
se non che tu mi lasci il mio Ruggiero.
xxxiv
E se disposto sei volermel torre,
deh, prima almen che tu '1 rimeni in Francia,
piacciati questa afflitta anima sciorre
de la sua scorza ormai putrida e rancia! —
Rispose la donzella: — Lui vo' porre
in liberta: tu, se sai, gracchia e ciancia;
ne mi offerir di dar lo scudo in dono
o quel destrier, che miei non piu tuoi sono :
xxxv
ne s'anco stesse a te di torre e darli,
mi parrebbe che '1 cambio convenisse,
Tu di' che Ruggier tieni per vietarli
il male influsso di sue stelle fisse.
0 che non puoi saperlo, o non schivarli,
sappiendol, cio che '1 ciel di lui prescrisse:
ma se '1 mal tuo, c'hai si vicin, non vedi,
peggio Paltrui c'ha da venir prevedi.
CANTO QUARTO 73
XXXVI
Non pregar ch'io t'uccida, ch'i tuoi preghi
sariano indarno ; e se pur vuoi la morte,
ancor che tutto il mondo dar la nieghi,
da se la puo aver sempre animo forte.
Ma pria che 1'alma da la carne sleghi,
a tutti i tuoi prigioni apri le porte. —
Cosi dice la donna, e tuttavia
il mago preso incontra al sasso invia.
XXXVII
Legato de la sua propria catena
andava Atlante, e la donzella appresso,
che cosi ancor se ne fidava a pena,
ben che in vista parea tutto rimesso.
Non molti passi dietro se la mena,
ch'a pie del monte han ritrovato il fesso,
e li scaglioni onde si monta in giro,
fin ch'alla porta del castel saliro.
XXXVIII
Di su la soglia Atlante un sasso tolle,
di caratteri e strani segni insculto.
Sotto, vasi vi son che chiamano olle,
che fuman sempre, e dentro han foco occulto.
L'incantator le spezza; e a un tratto il colle
riman deserto, inospite et inculto ;
ne muro appar ne torre in alcun lato,
come se mai castel non vi sia stato.
xxxix
Sbrigossi da la donna il mago allora,
come fa spesso il tordo da la ragna;
e con lui sparve il suo castello a un'ora,
e lascio in liberta quella compagna.
Le donne e i cavallier si trovar fuora
de le superbe stanze alia campagna:
e furon di lor molte a chi ne dolse,
che tal franchezza un gran piacer lor tolse.
74 ORLANDO FURIOSO
XL
Quivi e Gradasso, quivi e Sacripante,
quivi e Prasildo, il nobil cavalliero
che con Rinaldo venne di Levante,
e seco Iroldo, il par d'amici vero.
Al fin trovo la bella Bradamante
quivi il desiderate suo Ruggiero,
che, poi che n'ebbe certa conoscenza,
le fej buona e gratissima accoglienza;
XLI
come a colei che piu che gli occhi sui,
piu che '1 suo cor, piu che la propria vita
Ruggiero amo dal di ch'essa per lui
si trasse 1'elmo, onde ne fu ferita.
Lungo sarebbe a dir come, e da cui,
e quanto ne la selva aspra e romita
si cercar poi la notte e il giorno chiaro;
ne, se non qui, mai piu si ritrovaro.
XLII
Or che quivi la vede, e sa ben ch'ella
e stata sola la sua redentrice,
di tanto gaudio ha pieno il cor, che appella
se fortunato et unico felice.
Scesero il monte, e dismontaro in quella
valle, ove fu la donna vincitrice,
e dove 1'ippogrifo trovaro anco,
ch'avea lo scudo, ma coperto, al fianco.
XLIII
La donna va per prenderlo nel freno,
e quel Paspetta fin che se gli accosta;
poi spiega Tale per Paer sereno,
e si ripon non lungi a mezza costa.
Ella lo segue; e quel ne piu ne meno
si leva in aria, e non troppo si scosta;
come fa la cornacchia in secca arena,
che dietro il cane or qua or Ik si mena.
CANTO QUARTO 75
XLIV
Ruggier, Gradasso, Sacripante, e tutti
quei cavallier che scesi erano insieme,
chi di su, chi di giu, si son ridutti
dove che torni il volatore han speme.
Quel, poi che gli altri invaxio ebbe condutti
piu volte e sopra le cime supreme
e negli umidi fondi tra quei sassi,
presso a Ruggiero al fin ritenne i passi.
XLV
E questa opera fu del vecchio Atlante,
di cui non cessa la pietosa voglia
di trar Ruggier del gran periglio instante :
di cio sol pensa e di ci6 solo ha doglia.
Pero gli manda or Pippogrifo avante,
perch6 d'Europa con questa arte il toglia.
Ruggier lo piglia, e seco pensa trarlo,
ma quei s'arretra e non vuol seguitarlo.
XLVI
Or di Frontin quei animoso smonta
(Frontino era nomato il suo destriero),
e sopra quei che va per 1'aria monta,
e con li spron gli adizza il core altiero.
Quel corre alquanto, et indi i piedi ponta,
e sale inverso il ciel, via piu leggiero
che '1 girifalco, a cui lieva il capello
il mastro a tempo, e fa veder Taugello.
XLVII
La bella donna, che si in alto vede
e con tanto periglio il suo Ruggiero,
resta attonita in modo, che non riede
per lungo spazio al sentimento vero.
Ci6 che gia inteso avea di Ganimede
ch'al ciel fu assunto dal paterno impero,
dubita assai che non accada a quello,
non men gentil di Ganimede e bello.
76 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Con gli occhi fissi al ciel lo segue quanto
basta il veder; ma poi che si dilegua
si, che la vista non puo correr tanto,
lascia che sempre 1'animo lo segua.
Tuttavia con sospir, gemlto e pianto
non ha, ne vuol aver pace ne triegua.
Poi che Ruggier di vista se le tolse,
al buon destrier Frontin gli occhi rivolse:
XLIX
e si deliber6 di non lasciarlo,
che fosse in preda a chi venisse prima;
ma di condurlo seco, e di poi darlo
al suo signer ch'anco veder pur stima.
Poggia Paugel, ne pu6 Ruggier frenarlo:
di sotto rimaner vede ogni cima
et abbassarsi in guisa, che non scorge
dove e. piano il terren ne dove sorge.
Poi che si ad alto vien, ch'un picciol punto
10 puo stimar chi da la terra il mira,
prende la via verso ove cade a punto
11 sol, quando col Granchio si raggira:
e per Faria ne va come legno unto
a cui nel mar propizio vento spira.
Lascianlo andar, che fara buon camino,
e torniamo a Rinaldo paladino.
LI
Rinaldo 1'altro e Paltro giorno scorse,
spinto dal vento, un gran spazio di mare,
quando a ponente e quando contra TOrse,
che notte e di non cessa mai soffiare.
Sopra la Scozia ultimamente sorse,
dove la selva Calidonia appare,
che spesso fra gli antiqui ombrosi cerri
s'ode sonar di bellicosi ferri.
CANTO QUARTO 77
LII
Vanno per quella i cavallieri erranti,
incliti in arme, di tutta Bretagna,
e de' prossimi luoghi e de' distant!,
di Francia, di Norvegia e de Lamagna.
Chi non ha gran valor, non vada inanti,
che dove cerca onor, morte guadagna.
Gran cose in essa gia fece Tristano,
Lancilotto, Galasso, Artu e Galvano,
LIII
et altri cavallieri e de la nuova
e de la vecchia Tavola famosi:
restano ancor di piu d'una lor pruova
li monumenti e li trofei pomposi.
L'arme Rinaldo e il suo Baiardo truova,
e tosto si fa por nei liti ombrosi,
et al nochier comanda che si spicche
e lo vada aspettar a Beroicche.
LIV
Senza scudiero e senza compagnia
va il cavallier per quella selva immensa,
facendo or una et or un'altra via,
dove piu aver strane aventure pensa.
Capit6 il primo giorno a una badia
che buona parte del suo aver dispensa
in onorar nel suo cenobio adorno
le donne e i cavallier che vanno attorno.
LV
Bella accoglienza i monachi e 1'abbate
fero a Rinaldo, il qual domand6 loro
(non prima gia che con vivande grate
avesse avuto il ventre amplo ristoro)
come dai cavallier sien ritrovate
spesso aventure per quel tenitoro,
dove si possa in qualche fatto eggregio
1'uom dimostrar, se merta biasmo o pregio.
78 ORLANDO FURIOSO
LVI
Risposongli ch'errando in quelli boschi,
trovar potria strane aventure e molte :
ma come i luoghi, i fatti ancor son foschi;
che non se n'ha notizia le piu volte.
— Cerca — diceano — andar dove conoschi
che Popre tue non restino sepolte,
accio dietro al periglio e alia fatica
segua la fama, e il debito ne dica.
LVII
E se del tuo valor cerchi far prova,
t'e preparata la piu degna impresa
che ne 1'antiqua etade o ne la nova
giamai da cavallier sia stata presa.
La figlia del re nostro or se ritrova
bisognosa d'aiuto e di difesa
contra un baron che Lurcanio si chiama,
che tor le cerca e la vita e la fama.
LVIII
Questo Lurcanio al padre Pha accusata
(forse per odio piu che per ragione)
averla a mezza notte ritrovata
trarr'un suo amante a se sopra un verrone.
Per le leggi del regno condannata
al fuoco fia, se non truova campione
che fra un mese, oggimai presso a finire,
Finiquo accusator faccia mentire.
LIX
L'aspra legge di Scozia, empia e severa,
vuol ch'ogni donna, e di ciascuna sorte,
ch'ad uom si giunga, e non gli sia mogliera,
s'accusata ne viene, abbia la morte.
Ne riparar si puo ch'ella non pera,
quando per lei non venga un guerrier forte
che tolga la difesa, e che sostegna
che sia innocente e di morire indegna.
CANTO QUARTO 79
LX
II re, dolente per Ginevra bella
(che cosi nominata e la sua figlia),
ha publicato per citta e castella,
che s'alcun la diffesa di lei piglia,
e che 1'estingua la calunnia fella
(pur che sia nato di nobil famiglia),
Favra per moglie, et uno stato, quale
fia convenevol dote a donna tale.
LXI
Ma se fra un mese alcun per lei non viene,
o venendo non vince, sara uccisa.
Simile impresa meglio ti conviene,
ch'andar pei boschi errando a questa guisa:
oltre ch'onor e fama, te n'aviene
ch'in eterno da te non fia divisa,
guadagni il fior di quante belle donne
da Tlndo sono all'Atlantee colonne;
LXII
e una ricchezza appresso, et uno stato
che sempre far ti pu6 viver contento;
e la grazia del re, se suscitato
per te gli fia il suo onor, che e quasi spento.
Poi per cavalleria tu se' ubligato
a vendicar di tanto tradimento
costei, che per commune opinione,
di vera pudicizia e un paragone. —
LXIII
Pens6 Rinaldo alquanto, e poi rispose:
— Una donzella dunque de' morire
perche lascio sfogar ne Pamorose
sue braccia al suo amator tanto desire?
Sia maladetto chi tal legge pose,
e maladetto chi la pu6 patire!
Debitamente muore una crudele,
non chi da vita al suo amator fedele.
8o ORLANDO FURIOSO
LXIV
Sia vero o falso che Ginevra tolto
s'abbia il suo amante, io non riguardo a questo :
d'averlo fatto la loderei molto,
quando non fosse stato manifesto.
Ho in sua diffesa ogni pensier rivolto:
datemi pur un chi mi guidi presto,
e dove sia 1'accusator mi mene;
ch'io spero in Dio Ginevra trar di pene.
LXV
Non vo* gia dir ch'ella non 1'abbia fatto;
che nol sappiendo, il falso dir potrei:
diro ben che non de' per simil atto
punizion cadere alcuna in lei;
e diro che fu ingiusto o che fu matto
chi fece prima li statuti rei;
e come iniqui rivocar si denno,
e nuova legge far con miglior senno.
LXVI
S'un medesimo ardor, s'un disir pare
inchina e sforza Puno e 1'altro sesso
a quel suave fin d'amor, che pare
all'ignorante vulgo un grave eccesso;
perche si de' punir donna o biasmare,
che con uno o piu d'uno abbia commesso
quel che 1'uom fa con quante n'ha appetito,
e lodato ne va, non che impunito ?
LXVII
Son fatti in questa legge disuguale
veramente alle donne espressi torti;
e spero in Dio mostrar che gli e gran male
che tanto lungamente si comporti. —
Rinaldo ebbe il consenso universaie,
che fur gli antiqui ingiusti e mali accorti,
che consentiro a cosi iniqua legge,
e mal fa il re che puo ne la corregge.
CANTO QUARTO 8l
LXVIII
Poi die la luce Candida e vermiglia
de 1'altro giorno aperse 1'emispero,
Rinaldo 1'arme e il suo Baiardo piglia,
e di quella badia tolle un scudiero,
che con lui viene a molte leghe e miglia,
sempre nel bosco orribilrnente fiero,
verso la terra ove la lite nupva
de la donzella de' venir in pruova.
LXIX
Avean, cercando abbreviar camino,
lasciato pel sentier la maggior via;
quando un gran pianto udir sonar vicino,
che la foresta d'ogn'intorno empia.
Baiardo spinse Tun, 1'altro il ronzino
verso una valle onde quel grido uscia:
e fra dui mascalzoni una donzella
vider, che di lontan parea assai bella;
LXX
ma lacrimosa e addolorata quanto
donna o donzella o mai persona fosse.
Le sono dui col ferro nudo a canto,
per farle far Terbe di sangue rosse.
Ella con preghi differendo alquanto
giva il morir, sin che pieta si mosse.
Venne Rinaldo ; e come se n'accorse,
con alti gridi e gran minaccie accorse.
LXXI
Voltaro i malandrin tosto le spalle,
che '1 soccorso lontan vider venire,
e se appiattar ne la profonda valle.
II paladin non li cur6 seguire :
venne a la donna, e qual gran colpa dalle
tanta punizion, cerca d'udire;
e per tempo avanzar, fa allo scudiero
levarla in groppa, e torna al suo sentiero.
82 ORLANDO FURIOSO
LXXII
E cavalcando poi meglio la guata
molto esser bella e di maniere accorte,
ancor che fosse tutta spaventata
per la paura ch'ebbe de la morte.
Poi ch'ella fu di nuovo domandata
chi Pavea tratta a si infelice sorte,
incominci6 con umil voce a dire
quel ch'io vo' all'altro canto differire.
CANTO QUINTO 83
CANTO QUINTO
I
Tutti gli altri animal che sono in terra,
o che vivon quieti e stanno in pace,
o se vengono a rissa e si fan guerra,
alia femina il maschio non la face:
1'orsa con Torso al bosco sicura erra,
la leonessa appresso il leon giace;
col lupo vive la lupa sicura,
n6 la iuvenca ha del torel paura.
II
Ch'abominevol peste, che Megera
e venuta a turbar gli umani petti?
che si sente il marito e la mogliera
sempre garrir d'ingiuriosi detti,
stracciar la faccia e far livida e nera,
bagnar di pianto i geniali letti;
e non di pianto sol, ma alcuna volta
di sangue gli ha bagnati Tira stolta.
in
Parmi non sol gran mal, ma che Tuom faccia
contra natura e sia di Dio ribello,
che s'induce a percuotere la faccia
di bella donna, o romperle un capello;
ma chi le da veneno, o chi le caccia
Talma del corpo con laccio o coltello,
ch'uomo sia quel non creder6 in eterno,
ma in vista umana un spirto de Tinferno.
84 ORLANDO FURIOSO
IV
Cotali esser doveano i duo ladroni
che Rinaldo caccio da la donzella,
da lor condotta in quei scuri valloni
perche non se n'udisse piu novella.
10 lasciai ch'ella render le cagioni
s'apparechiava di sua sorte fella
al paladin, che le fu buono amico:
or, seguendo Pistoria, cosi dico.
v
La donna incominci6 : — Tu intenderai
la maggior crudeltade e la piu espressa,
ch'in Tebe o in Argo o ch'in Micene mai,
o in loco piu crudel fosse commessa.
E se rotando il sole i chiari rai,
qui men ch'all'altre region s'appressa,
credo ch'a noi malvolentieri arrivi,
perche veder si crudel gente schivi.
VI
Ch'agli nemici gli uomini sien crudi,
in ogni eta se n'e veduto esempio;
ma dar la morte a chi procuri e studi
11 tuo ben sempre, e troppo ingiusto et empio.
E acci6 che meglio il vero io ti denudi,
perche costor volessero far scempio
degli anni verdi miei contra ragione,
ti dir6 da principio ogni cagione.
VII
Voglio che sappi, signer mio, ch'essendo
ten era ancora, alii servigi venni
de la figlia del re, con cui crescendo,
buon luogo in corte et onorato tenni.
Crudele Amore, al mio stato invidendo,
fe* che seguace, ahi lassa! gli divenni:
fe* d'ogni cavallier, d'ogni donzello
parermi il duca d' Albania piu bello.
CANTO QUINTO 85
VIII
Perche egli mostro amarmi piu che molto,
io ad amar lui con tutto il cor mi mossi.
Ben s'ode il ragionar, si vede il volto,
ma dentro il petto mal giudicar possi.
Credendo, amando, non cessai che tolto
1'ebbi nel letto, e non guardai ch'io fossi
di tutte le real camere in quella
che piu secreta avea Ginevra bella;
IX
dove tenea le sue cose piu care,
e dove le piu volte ella dormia.
Si pu6 di quella in s'un verrone entrare,
che fuor del muro al discoperto uscia.
Io facea il mio amator quivi montare,
e la scala di corde, onde salia,
10 stessa dal verron giu gli mandai
qual volta meco aver Io desiai:
x
che tante volte ve Io fei venire,
quanto Ginevra me ne diede I5 agio,
che solea mutar letto, or per fuggire
11 tempo ardente, or il brumal malvagio.
Non fu veduto d'alcun mai salire,
per6 che quella parte del palagio
risponde verso alcune case rotte,
dove nessun mai passa o giorno o notte.
XI
Continu6 per molti giorni e mesi
tra noi secreto Tamoroso gioco:
sempre crebbe 1'amore; e si m'accesi,
che tutta dentro io mi sentia di foco :
e cieca ne fui si, ch'io non compresi
ch'egli fingeva molto, e amava poco;
ancor che li suo? inganni discoperti
esser doveanmi a mille segni certi.
86 ORLANDO FURIOSO
XII
Dopo alcun di si mostro nuovo amante
de la bella Ginevra. lo non so appunto
s'allora cominciasse, o pur inante
de Famor mio n'avesse il cor gia punto.
Vedi s'in me venuto era arrogante,
s'imperio nel mio cor s'aveva assunto;
che mi scoperse, e non ebbe rossore
chiedermi aiuto in questo nuovo amore.
XIII
Ben mi dicea ch'uguale al mio non era,
ne vero amor quel ch'egli avea a costei ;
ma simulando esserne acceso, spera
celebrarne i legitimi imenei.
Dal re ottenerla fia cosa leggiera,
qualor vi sia la volonta di lei ;
che di sangue e di stato in tutto il regno
non era, dopo il re, di lu' il piii degno.
XIV
Mi persuade, se per opra mia
potesse al suo signor genero farsi
(che veder posso che se n'alzeria
a quanto presso al re possa uomo alzarsi),
che me n'avria bon merto, e non saria
mai tanto beneficio per scordarsi;
e ch'alla moglie e ch'ad ogn'altro inante
mi porrebbe egli in sempre essermi amante.
xv
lo ch'era tutta a satisfargli intenta,
ne seppi o volsi contradirgli mai,
e sol quei giorni io mi vidi contenta,
ch'averlo compiaciuto mi trovai;
piglio 1'occasion che s'appresenta
di parlar d'esso e di lodarlo assai;
et ogni industria adopro, ogni fatica,
per far del mio amator Ginevra arnica.
CANTO QUINTO 87
XVI
Feci col core e con Feffetto tutto
quel che far si poteva, e sallo Idio ;
ne con Ginevra mai potei far frutto,
ch'io le ponessi in grazia il duca mio:
e questo, che ad amar ella avea indutto
tutto il pensiero e tutto il suo disio
un gentil cavallier, bello e cortese,
venuto in Scozia di lontan paese;
XVII
che con un suo fratel ben giovinetto
venne d' Italia a stare in questa corte;
si fe' ne Farme poi tanto perfetto,
che la Bretagna non avea il piu forte.
II re Famava, e ne mostro Feffetto;
che gli dono di non picciola sorte
castella e ville e iuridizioni,
e lo fe' grande al par dei gran baroni.
XVIII
Grato era al re, piu grato era alia figlia
quel cavallier chiamato Ariodante,
per esser valoroso a maraviglia;
ma piu, ch'ella sapea che Fera amante.
Ne Vesuvio, ne il monte di Siciglia,
ne Troia avamp6 mai di fiamme tante,
quante ella conoscea che per suo amore
Ariodante ardean per tutto il core.
XIX
L'amar che dunque ella facea colui
con cor sincere e con perfetta fede,
fe5 che pel duca male udita fui;
ne mai risposta da sperar mi diede:
anzi quanto io pregava piu per lui
e gli studiava d'impetrar mercede,
ella, biasmandol sempre e dispregiando,
se gli venia piu sempre inimicando.
ORLANDO FURIOSO
XX
lo confortai Tamator mio sovente,
che volesse lasciar la vana impresa;
ne si sperasse mai volger la mente
di costei, troppo ad altro amore intesa:
e gli feci conoscer chiaramente
come era si d'Ariodante accesa,
che quanta acqua e nel mar piccola dramma
non spegneria de la sua immensa fiamma.
XXI
Questo da me piii volte Polinesso
(che cosi nome ha il duca) avendo udito,
e ben compreso e visto per se stesso
che molto male era il suo amor gradito ;
non pur di tanto amor si fu rimesso,
ma di vedersi un altro preferito,
come superbo, cosi mal sofferse,
che tutto in ira e in odio si converse.
XXII
E tra Ginevra e Famator suo pensa
tanta discordia e tanta lite porre,
e farvi inimicizia cosi intensa,
che mai piu non si possino comporre;
e por Ginevra in ignominia immensa
donde non s'abbia o viva o morta a torre:
ne de 1'iniquo suo disegno meco
volse o con altri ragionar che seco.
XXIII
Fatto il pensier: ((Dalinda mia,» mi dice
(che cosi son nomata) « saper dei,
che come suol tornar da la radice
arbor che tronchi e quattro volte e sei,
cosi la pertinacia mia infelice,
ben che sia tronca dai successi rei,
di germogliar non resta; che venire
pur vorria a fin di questo suo desire.
CANTO QUINTO
XXIV
E non lo bramo tanto per diletto,
quanto perche vorrei vincer la pruova;
e non possendo farlo con effetto,
s'io lo fo imaginando, anco mi giova.
Voglio, qual volta tu mi dai ricetto,
quando allora Ginevra si ritruova
nuda nel letto, che pigli ogni vesta
ch'ella posta abbia, e tutta te ne vesta.
XXV
Come ella s'orna e come il crin dispone
studia imitarla, e cerca il phi che sai
di parer dessa, e poi sopra il verrone
a mandar giu la scala ne verrai.
10 verr6 a te con imaginazione
che quella sii, di cui tu i panni avrai:
e cosi spero, me stesso ingannando,
venir in breve il mio desir sciemando. »
XXVI
Cosi disse egli. lo che divisa e sevra
e lungi era da me, non posi mente
che questo in che pregando egli persevra,
era una fraude pur troppo evidente;
e dal verron, coi panni di Ginevra,
mandai la scala onde sali sovente;
e non m'accorsi prima de 1'inganno,
che n'era gia tutto accaduto il danno.
XXVII
Fatto in quel tempo con Ariodante
11 duca avea queste parole o tali
(che grandi amici erano stati inante
che per Ginevra si fesson rivali):
«Mi maraviglio» incomincio il mio amante
« ch'avendoti io fra tutti li mie' uguali
sempre avuto in rispetto e sempre amato,
ch'io sia da te si mal rimunerato.
90 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
lo son ben certo che comprendi e sai
di Ginevra e di me 1'antiquo amore;
e per sposa legitima oggimai
per impetrarla son dal mio signore.
Perche mi turbi tu ? perche pur vai
senza frutto in costei ponendo il core ?
lo ben a te rispetto avrei, per Dio,
s'io nel tuo grado fossi, e tu nel mio. »
XXIX
«Et io» rispose Ariodante a lui
ccdi te mi maraviglio maggiormente;
che di lei prima inamorato fui,
che tu Tavessi vista solamente:
e so che sai quanto e 1'amor tra nui,
ch'esser non puo, di quel che sia, piu ardente;
e sol d'essermi moglie intende e brama:
e so che certo sai ch'ella non t'ama.
xxx
Perche non hai tu dunque a me il rispetto
per 1'amicizia nostra che domande
ch'a te aver debba, e ch'io t'avre' in efFetto,
se tu fossi con lei di me piu grande ?
Ne men di te per moglie averla aspetto,
se ben tu sei piu ricco in queste bande:
io non son meno al re, che tu sia, grato,
ma piu di te da la sua figlia amato. »
XXXI
«0h,» disse il duca a lui « grande e cotesto
errore a che t'ha il folle amor condutto!
Tu credi esser piu amato; io credo questo
medesmo: ma si pu6 vedere al frutto.
Tu fammi cio c'hai seco manifesto,
et io il secreto mio t'apriro tutto;
e quel di noi che manco aver si veggia,
ceda a chi vince, e d'altro si proveggia.
CANTO QUINTO
XXXII
E sar6 pronto, se tu vuoi ch'io giuri
di non dir cosa mai che mi riveli:
cosi voglio ch'ancor tu m'assicuri
che quel ch'io ti dir6, sempre mi celi. »
Venner dunque d'accordo alii scongiuri,
e posero le man sugli Evangeli:
e poi che di tacer fede si diero,
Ariodante incomincio primiero.
XXXIII
E disse per lo giusto e per lo dritto
come tra se e Ginevra era la cosa;
ch'ella gli avea giurato, e a bocca e in scritto,
che mai non saria ad altri ch'allui sposa;
e se dal re le venia contraditto,
gli promettea di sempre esser ritrosa
da tutti gli altri maritaggi poi,
e viver sola in tutti i giorni suoi :
XXXIV
e ch'esso era in speranza, pel valore
ch'avea mostrato in arme a piu d'un segno,
et era per mostrare a laude, a onore,
a beneficio del re e del suo regno,
di crescere tanto in grazia al suo signore,
che sarebbe da lui stimato degno
che la figliuola sua per moglie avesse,
poi che piacer a lei cosl intendesse.
xxxv
Poi disse: «A questo termine son io,
ne credo gia ch'alcun mi venga appresso;
ne cerco piu di questo, ne desio
de 1'amor d'essa aver segno piu espresso;
ne piu vorrei, se non quanto da Dio
per connubio legitimo e concesso:
e saria invano il domandar piu inanzi,
che di bonta so come ogn'altra avanzi. »
92 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
Poi ch'ebbe il vero Ariodante esposto
de la merce ch'aspetta a sua fatica,
Polinesso, che gia s'avea proposto
di far Ginevra al suo amator nemica,
cominci6 : « Sei da me molto discosto,
e vo' che di tua bocca anco tu '1 dica;
e del mio ben veduta la radice,
che confess! me solo esser felice.
XXXVII
Finge ella teco, ne t'ama ne prezza;
che ti pasce di speme e di parole:
oltra questo, il tuo amor sempre a sciochezza,
quando meco ragiona, imputar suole.
lo ben d'esserle caro altra certezza
veduta n'ho, che di promesse e fole;
e tel diro sotto la fe in secreto,
ben che farei piu il debito a star cheto.
XXXVIII
Non passa mese, che tre, quattro e sei
e talor diece notti io non mi truovi
nudo abbracciato in quel piacer con lei,
ch'alP amoroso ardor par che si giovi:
si che tu puoi veder s'a' piacer miei
son d'aguagliar le ciance che tu pruovi.
Cedimi dunque e d'altro ti provedi,
poi che si inferior di me ti vedi. »
xxxix
«Non ti vo' creder questo,)) gli rispose
Ariodante «e certo so che menti;
e composto fra te t'hai queste cose
accio che da Pimpresa io mi spaventi:
ma perche a lei son troppo ingiuriose,
questo c'hai detto sostener convienti;
che non bugiardo sol, ma voglio ancora
che tu sei traditor mostrarti or ora. »
CANTO QUINTO 93
XL
Suggiunse il duca: «Non sarebbe onesto
che noi volessen la battaglia torre
di quel che t'offerisco manifesto,
quando ti piaccia, inanzi agli occhi porre. »
Resta smarrito Ariodante a questo,
e per Fossa un tremor freddo gli scorre;
e se creduto ben gli avesse a pieno,
venia sua vita allora allora meno.
XLI
Con cor trafitto e con pallida faccia,
e con voce tremante e bocca amara
rispose : « Quando sia che tu mi faccia
veder questa aventura tua si rara,
prometto di costei lasciar la traccia,
a te si liberale, a me si avara:
ma ch'io tel voglia creder, non far stima,
s'io non lo veggio con questi occhi prima. »
XLII
<c Quando ne sara il tempo, avisarotti »,
suggiunse Polinesso, e dipartisse.
Non credo che passar piu di due notti,
ch'ordine fu che '1 duca a me venisse.
Per scoccar dunque i lacci che condotti
avea si cheti, and6 al rivale, e disse
che s'ascondesse la notte seguente
tra quelle case ove non sta mai gente:
XLIII
e dimostrc-gli un luogo a dirimpetto
di quel verrone ove solea salire.
Ariodante avea preso sospetto
che lo cercasse far quivi venire,
come in un luogo dove avesse eletto
di por gli aguati, e farvelo morire,
sotto questa finzion, che vuol mostrargli
quel di Ginevra ch'impossibil pargli.
94 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Di volervi venir prese partito,
ma in guisa che di lui non sia men forte;
perche accadendo che fosse assalito,
si truovi si, che non tema di morte.
Un suo fratello avea saggio et ardito,
il piu famoso in arme de la corte,
detto Lurcanio; e avea piu cor con esso,
che se dieci altri avesse avuto appresso.
XLV
Seco chiamollo, e volse che prendesse
rarme; e la notte lo men6 con lui:
non che '1 secreto suo gia gli dicesse;
n6 Favria detto ad esso ne ad altrui.
Da se lontano un trar di pietra il messe :
«Se mi senti chiamar, vien» disse «a nui;
ma se non senti, prima ch'io ti chiami,
non ti partir di qui, frate, se m'ami. »
XL VI
« Va pur, non dubitar», disse il fratello:
e cosi venne Ariodante cheto,
e si ce!6 nel solitario ostello
ch'era d'incontro al mio verron secreto.
Vien d'altra parte il fraudolente e fello,
che d'infamar Ginevra era si Heto;
e fa il segno, tra noi solito inante,
a me che de Finganno era ignorante.
XL VII
Et io con veste Candida e fregiata
per mezzo a liste d'oro e d'ogn'intorno,
e con rete pur d'or, tutta adombrata
di bei fiocchi vermigli, al capo intorno
(foggia che sol fu da Ginevra usata,
non d'alcun'altra), udito il segno, torno
sopra il verron, ch'in modo era locato,
che mi scopria dinanzi e d'ogni lato.
CANTO QUINTO 95
XL VIII
Lurcanio in questo mezzo dubitando
die '1 fratello a pericolo non vada,
o come e pur commun disio, cercando
di spiar sempre cio che ad altri accada;
1'era plan plan venuto seguitando,
tenendo I'ombre e la piu oscura strada:
e a men di dieci passi a lui discosto,
nel medesimo ostel s'era riposto.
XLIX
Non sappiendo io di questo cosa alcuna,
venni al verron ne 1'abito c'ho detto,
si come gia venuta era piu d'una
e piu di due fiate a buono effetto.
Le veste si vedean chiare alia luna;
ne dissimile essendo anch'io d'aspetto
ne di persona da Ginevra molto,
fece parere un per un altro il volto:
L
e tanto piu, ch'era gran spazio in mezzo
fra dove io venni e quelle inculte case,
ai dui fratelli, che stavano al rezzo,
il duca agevolmente persuase
quel ch'era falso. Or pensa in che ribrezzo
Ariodante, in che dolor rimase.
Vien Polinesso, e alia scala s'appoggia
che giu manda'gli, e monta in su la loggia.
LI
A prima giunta io gli getto le braccia
al collo, ch'io non penso esser veduta;
Io bacio in bocca e per tutta la faccia,
come far soglio ad ogni sua venuta.
Egli piu de 1'usato si procaccia
d'accarezzarmi, e la sua fraude aiuta.
Quell' altro al rio spettacolo condutto,
misero sta lontano, e vede il tutto.
96 ORLANDO FURIOSO
LII
Cade in tanto dolor, che si dispone
allora allora di voler morire;
e il pome de la spada in terra pone,
che su la punta si volea ferire.
Lurcanio che con grande ammirazione
avea veduto il duca a me salire,
ma non gia conosciuto chi si fosse,
scorgendo Tatto del fratel, si mosse;
LIII
e gli viet6 che con la propria mano
non si passasse in quel furore il petto.
S'era piu tardo o poco piu lontano,
non giugnea a tempo, e non faceva effetto.
ccAh misero fratel, fratello msano,»
grido «perc'hai perduto Fintelletto,
ch'una femina a morte trar ti debbia?
ch'ir possan tutte come al vento nebbia!
LIV
Cerca far morir lei, che morir merta,
e serva a piu tuo onor tu la tua morte.
Fu d'amar lei, quando non t'era aperta
• la fraude sua: or e da odiar ben forte,
poi che con gli occhi tuoi tu vedi certa
quanto sia meretrice, e di che sorte.
Serba quest'arme che volti in te stesso,
a far dinanzi al re tal fallo espresso. »
LV
Quando si vede Ariodante giunto
sopra il fratel, la dura impresa lascia;
ma la sua intension da quel ch'assunto
avea gia di morir, poco s'accascia.
Quindi si leva, e porta non che punto,
ma trapassato il cor d'estrema ambascia;
pur finge col fratel, che quel furore
non abbia piu che dianzi avea nel core.
CANTO QUINTO 97
LVI
II seguente matin, senza far motto
al suo fratello o ad altri, in via si messe
da la mortal disperazion condotto;
ne di lui per piu di fu chi sapesse.
Fuor che '1 duca e il fratello, ogn'altro indbtto
era chi mosso al dipartir Favesse.
Ne la casa del re di lui diversi
ragionamenti e in tutta Scozia fersi.
LVII
In capo d'otto o di piu giorni in corte
venne inanzi a Ginevra un viandante,
e novelle arreco di mala sorter
che s'era in mar summerso Ariodante
di volontaria sua libera morte,
non per colpa di borea o di levante.
D'un sasso che sul mar sporgea molt' alto
avea col capo in giu preso un gran salto.
LVIII
Colui dicea: «Pria che venisse a questo,
a me che a caso riscontro per via,
disse: "Vien meco, accio che manifesto
per te a Ginevra il mio successo sia;
e dille poi, che la cagion del resto
che tu vedrai di me, ch'or ora fia,
e stato sol perc'ho troppo veduto:
felice, se senza occhi io fossi suto!"
LIX
Eramo a caso sopra Capobasso,
che verso Irlanda alquanto sporge in mare.
Cosi dicendo, di cima d'un sasso
lo vidi a capo in giu sott'acqua andare.
Io lo lasciai nel mare, et a gran passo
ti son venuto la nuova a portare. »
Ginevra, sbigottita e in viso smorta,
rimase a quello annunzio mezza morta.
ORLANDO FURIOSO
LX
Oh Dio, che disse e fece poi che sola
si ritrov6 nel suo fidato letto!
percosse il seno, e si straccio la stola,
e fece all'aureo crin dan.no e dispetto;
ripetendo sovente la parola
ch'Ariodante avea in estremo detto:
che la cagion del suo caso empio e tristo
tutta venia per aver troppo visto.
LXI
II rumor scorse di costui per tutto,
che per dolor s'avea dato la morte.
Di questo il re non tenne il viso asciutto,
n£ cavallier ne* donna de la corte.
Di tutti il suo fratel mostr6 piu lutto ;
e si sommerse nel dolor si forte,
ch'ad essempio di lui, contra se stesso
volt6 quasi la man per irgli appresso.
LXII
E molte volte ripetendo seco
che fu Ginevra che '1 fratel gli estinse,
e che non fu se non quelPatto bieco
che di lei vide, ch'a morir lo spinse;
di voler vendicarsene si cieco
venne, e si 1'ira e si il dolor lo vinse,
che di perder la grazia vilipese,
et aver 1'odio del re e del paese.
LXIII
E inanzi al re, quando era piu di gente
la sala plena, se ne venne, e disse:
« Sappi, signor, che di levar la mente
al mio fratel, si ch'a morir ne gisse,
stata & la figlia tua sola nocente;
ch'a lui tanto dolor Talma trafisse
d'aver veduta lei poco pudica,
che piu che vita ebbe la morte arnica.
CANTO QUINTO 99
LXIV
Erane amante, e perche le sue voglie
disoneste non fur, nol vo' coprire:
per virtu meritarla aver per moglie
da te sperava e per fedel servire;
ma mentre il lasso ad odorar le foglie
stava lontano, altrui vide salire,
salir su 1'arbor riserbato, e tutto
essergli tolto il disiato frutto. »
LXV
E seguito, come egli avea veduto
venir Ginevra sul verrone, e come
mand6 la scala, onde era a lei venuto
un drudo suo di chi egli non sa il nome,
che s'avea, per non esser conosciuto,
cambiati i panni e nascose le chiome.
Suggiunse che con Parme egli volea
provar tutto esser ver cio che dicea.
LXVI
Tu puoi pensar se '1 padre addolorato
riman, quando accusar sente la figlia;
si perche ode di lei quel che pensato
mai non avrebbe, e n'ha gran maraviglia;
si perche sa che fia necessitate
(se la difesa alcun guerrier non piglia,
il qual Lurcanio possa far mentire)
di condannarla e di farla morire.
LXVII
lo non credo, signor, che ti sia nuova
la legge nostra che condanna a morte
ogni donna e donzella che si pruova
di se far copia altrui ch'al suo consorte.
Morta ne vien, s'in un mese non truova
in sua difesa un cavallier si forte,
che contra il falso accusator sostegna
che sia innocente e di morire indegna.
100 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Ha fatto il re bandir, per liberarla
(che pur gli par ch'a torto sia accusata),
che vuol per moglie e con gran dote darla
a chi torra 1'infamia che l'e data.
Chi per lei comparisca non si parla
guerriero ancora, anzi Fun 1'altro guata;
che quel Lurcanio in arme e cosi fiero,
che par che di lui tema ogni guerriero,
LXIX
Atteso ha Tempia sorte che Zerbino,
fratel di lei, nel regno non si truove;
che va gia molti mesi peregrino,
mostrando di se in arme inclite pruove :
che quando si trovasse piu vicino
quel cavallier gagliardo, o in luogo dove
potesse avere a tempo la novella,
non mancheria d'aiuto alia sorella.
LXX
II re, ch'intanto cerca di sapere
per altra pruova, che per arme, ancora
se sono queste accuse o false o vere,
se dritto o torto e che sua figlia mora;
ha fatto prender certe cameriere
che lo dovrian saper, se vero fora:
ond'io previdi che se presa era io,
troppo periglio era del duca e mio.
LXXI
E la notte medesima mi trassi
fuor de la corte, e al duca mi condussi;
e gli feci veder quanto importassi
al capo d'amendua, se presa io fussi.
Lodommi, e disse ch'io non dubitassi:
aj suoi conforti poi venir m'indussi
ad una sua fortezza ch'e qui presso,
in compagnia di dui che mi diede esso.
CANTO QUINTO IOI
LXXII
Hai sentito, signer, con quanti effetti
de Famor mio fei Polinesso certo;
e s'era debitor per tai rispetti
d'avermi cara o no, tu '1 vedi aperto.
Or senti il guidardon che io ricevetti,
vedi la gran merce" del mio gran merto;
vedi se deve, per amare assai,
donna sperar d'essere amata mai,
LXXIII
che questo ingrato, perfido e crudele,
de la mia fede ha preso dubbio al fine :
venuto e in sospizion ch'io non rivele
al lungo andar le fraudi sue volpine.
Ha finto, acci6 che m'allontane e cele
fin che Tira e il furor del re decline,
voler mandarmi ad un suo luogo forte;
e mi volea mandar dritto alia morte;
LXXIV
che di secreto ha commesso alia guida,
che come m'abbia in queste selve tratta,
per degno premio di mia fe m'uccida.
Cosi Tintenzion gli venia fatta,
se tu non eri appresso alle mie grida.
Ve' come Amor ben chi lui segue, tratta! —
Cosi narr6 Dalinda al paladino,
seguendo tuttavolta il lor camino;
LXXV
a cui fu sopra ogn'aventura, grata
questa d'aver trovata la donzella,
che gli avea tutta 1'istoria narrata
de 1'innocenzia di Ginevra bella.
E se sperato avea, quando accusata
ancor fosse a ragion, d'aiutar quella,
via con maggior baldanza or viene in prova,
poi che evidente la calunnia truova.
102 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
E verso la citta di Santo Andrea,
dove era il re con tutta la famiglia,
e la battaglia singular dovea
esser de la querela de la figlia,
and6 Rinaldo quanto andar potea,
fin die vicino giunse a poche miglia;
alia citta vicino giunse, dove
trovo un scudier ch'avea piu fresche nuove:
LXXVII
ch'un cavallier istrano era venuto,
ch'a difender Ginevra s'avea tolto,
con non usate insegne, e sconoscmto,
per6 che sempre ascoso andava molto;
e che dopo che v'era, ancor veduto
non gli avea alcuno al discoperto il volto;
e che 1 proprio scudier che gli servia
dicea giurando: — lo non so dir chi sia. —
LXXVIII
Non cavalcaro molto, ch'alle mura
si trovar de la terra e in su la porta.
Dalinda andar piu inanzi avea paura;
pur va, poi che Rinaldo la conforta.
La porta e chiusa, et a chi n'avea cura
Rinaldo domand6: — Questo ch'importa? —
E fugli detto: perche '1 popul tutto
a veder la battaglia era ridutto,
LXXIX
che tra Lurcanio e un cavallier istrano
si fa ne 1'altro capo de la terra,
ove era un prato spazioso e piano;
e che gia cominciata hanno la guerra.
Aperto fu al signor di Montealbano,
e tosto il portinar dietro gli serra.
Per la vota citta Rinaldo passa,
ma la donzella al primo albergo lassa.
CANTO QUINTO 103
LXXX
E dice che sicura ivi si stia
fin che ritorni allei, che sara tosto;
e verso il campo poi ratto s'invia,
dove li dui guerrier dato e risposto
molto s'aveano e davan tuttavia.
Stava Lurcanio di mal cor disposto
contra Ginevra; e 1'altro in sua difesa
ben sostenea la favorita impresa.
LXXXI
Sei cavallier con lor ne lo steccato
erano a piedi, armati di corazza,
col duca dj Albania, ch'era montato
s'un possente corsier di buona razza.
Come a gran contestabile, a lui dato
la guardia fu del campo e de la piazza:
e di veder Ginevra in gran periglio
avea il cor lieto, et orgoglioso il ciglio.
LXXXII
Rinaldo se ne va tra gente e gente;
fassi far largo il buon destrier Baiardo:
chi la tempesta del suo venir sente,
a dargli via non par zoppo ne tardo.
Rinaldo vi compar sopra eminente,
e ben rassembra il fior d'ogni gagliardo;
poi si ferma all'incontro ove il re siede:
ognun s'accosta per udir che chiede.
LXXXIII
Rinaldo disse al re:— Magno signore,
non lasciar la battaglia piu seguire;
perche* di questi dua qualunche more,
sappi ch'a torto tu '1 lasci morire.
L'un crede aver ragione, et e in errore,
e dice il falso, e non sa di mentire;
ma quel medesmo error che '1 suo germano
a morir trasse, a lui pon 1'arme in mano.
104 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
L'altro non sa se n'abbia dritto o torto;
ma sol per gentilezza e per bontade
in pericol si e posto d'esser morto,
per non lasciar morir tanta beltade.
lo la salute all'innocenzia porto ;
porto il contrario a chi usa falsitade.
Ma, per Dio, questa pugna prima parti,
poi mi da audienza a quel ch'io vo' narrarti. —
LXXXV
Fu da 1'autorita d'un uom si degno,
come Rinaldo gli parea al sembiante,
si mosso il re, che disse e fece segno
che non andasse piu la pugna inante;
al quale insieme et ai baron del regno,
e ai cavallieri e all'altre turbe tante,
Rinaldo fej 1'inganno tutto espresso
ch'avea ordito a Ginevra Polinesso.
LXXXVI
Indi s'offerse di voler provare
coU'arme, ch'era ver quel ch'avea detto.
Chiamasi Polinesso; et ei compare,
ma tutto conturbato ne Paspetto:
pur con audacia comincio a negare.
Disse Rinaldo: — Or noi vedrem 1'efTetto. —
L'uno e 1'altro era armato, il campo fatto,
si che senza indugiar vengono al fatto.
LXXXVII
Oh quanto ha il re, quanto ha il suo popul caro
che Ginevra a provar s'abbi innocent e!
tutti han speranza che Dio mostri chiaro
ch'impudica era detta ingiustamente.
Crudel, superbo e riputato avaro
fu Polinesso, iniquo e fraudolente;
si che ad alcun miracolo non fia,
che Pinganno da lui tramato sia.
CANTO QUINTO 105
LXXXVIII
Sta Polinesso con la faccia mesta,
col cor tremante e con pallida guancia;
e al terzo suon mette la lancia in resta.
Cosi Rinaldo inverso lui si lancia,
che disioso di finir la festa,
mira a passargli il petto con la lancia:
ne discorde al, disir segui Feffetto;
che mezza Pasta gli cacci6 nel petto.
LXXXIX
Fisso nel tronco lo transporta in terra
lontan dal suo destrier piu di sei braccia.
Rinaldo smonta subito, e gli afferra
Felmo, pria che si levi, e gli lo slaccia:
ma quel, che non pu6 far piu troppa guerra,
gli domanda merce con umil faccia,
e gli confessa, udendo il re e la corte,
la fraude sua che Pha condutto a morte.
xc
Non fini il tutto, e in mezzo la parola
e la voce e la vita Pabandona.
II re, che liberata la figliuola
vede da morte e da fama non buona,
piu s'allegra, gioisce e raconsola,
che s'avendo perduta la corona
ripor se la vedesse allora allora:
si che Rinaldo unicamente onora.
xci
E poi ch'al trar de Felmo conosciuto
Febbe, perch' altre volte Favea visto,
Iev6 le mani a Dio, che d'un aiuto
come era quel, gli avea si ben provisto.
QuelPaltro cavallier che, sconosciuto,
soccorso avea Ginevra al caso tristo,
et armato per lei s'era condutto,
stato da parte era a vedere il tutto.
106 ORLANDO FURIOSO
XCII
Dal re pregato fu di dire il nome,
o di lasciarsi almen veder scoperto,
accio da lui fosse premiato, come
di sua buona intension chiedeva il merto.
Quel, dopo lunghi preghi, da le chiome
si levo Telmo, e fe7 palese e certo
quel che ne Taltro canto, ho da seguire,
se grata vi sara 1'istoria udire.
CANTO SESTO 107
CANTO SESTO
I
Miser chi mal oprando si confida
ch'ognor star debbia il maleficio occulto ;
che quando ogn'altro taccia, intorno grida
1'aria e la terra istessa in ch'e sepulto:
e Dio fa spesso che '1 peccato guida
il peccator, poi ch'alcun di gli ha indulto,
che se* medesmo, senza altrui richiesta,
innavedutamente manifesta.
ii
Avea creduto il miser Polinesso
totalmente il delitto suo coprire,
Dalinda consapevole d'appresso
levandosi, che sola il potea dire:
e aggiungendo il secondo al primo eccesso,
affretto il mal che potea differire,
e potea differire e schivar forse;
ma se stesso spronando, a morir corse.
in
E perde amici a un tempo e vita e stato,
e onor, che fu molto piu grave danno.
Dissi di sopra, che fu assai pregato
il cavallier, ch'ancor chi sia non sanno.
Al fin si trasse 1'elmo, e '1 viso amato
scoperse, che piu volte veduto hanno :
e dimostr6 come era Ariodante,
per tutta Scozia lacrimato inante;
108 ORLANDO FURIOSO
IV
Ariodante, che Ginevra pianto
avea per morto, e '1 fratel pianto avea,
il re, la corte, il popul tutto quanto:
di tal bonta, di tal valor splendea.
Adunque il peregrin mentir di quanto
dianzi di lui narro, quivi apparea;
e fu pur ver che dal sasso marino
gittarsi in mar lo vide a capo chino.
Ma (come aviene a un disperato spesso,
che da lontan brama e disia la morte,
e Fodia poi che se la vede appresso,
tanto gli pare il passo acerbo e forte)
Ariodante, poi ch'in mar fu messo,
si penti di morire: e come forte
e come destro e piu d'ogn'altro ardito,
si messe a nuoto e ritornossi al lito ;
VI
e dispregiando e nominando folle
il desir ch'ebbe di lasciar la vita,
si messe a caminar bagnato e molle,
e capit6 all'ostel d'un eremita.
Quivi secretamente indugiar voile
tanto, che la novella avesse udita,
se del caso Ginevra s'allegrasse,
o pur mesta e pietosa ne restasse.
VII
Intese prima che per gran dolore
ella era stata a rischio di morire
(la fama ando di questo in modo fuore,
che ne fu in tutta 1'isola che dire):
contrario effetto a quel che per errore
credea aver visto con suo gran martire.
Intese poi come Lurcanio avea
fatta Ginevra appresso il padre rea.
CANTO SESTO 109
VIII
Contra il fratel d'ira minor non arse,
che per Ginevra gia d'amore ardesse;
che troppo empio e crudele atto gli parse,
ancora che per lui fatto Favesse.
Sentendo poi che per lei non comparse
cavallier che difender la volesse
(che Lurcanio si forte era e gagliardo,
ch'ognun d'andargli contra avea riguardo;
IX
e chi n'avea notizia, il riputava
tanto discreto, e si saggio et accorto,
che se non fosse ver quel che narrava,
non si porrebbe a rischio d'esser morto;
per questo la piu parte dubitava
di non pigliar questa difesa a torto);
Ariodante, dopo gran discorsi,
penso aH'accusa del fratello opporsi.
x
«Ah lasso! io non potrei» seco dicea
asentir per mia cagion perir costei:
troppo mia morte fora acerba e rea,
se inanzi a me morir vedessi lei.
Ella e pur la mia donna e la mia dea,
questa e la luce pur degli occhi miei:
convien ch'a dritto e a torto, per suo scampo
pigli Timpresa, e resti morto in campo.
XI
So ch'io m'appiglio al torto; e al torto sia:
e ne morro; ne questo mi sconforta,
se non ch'io so che per la morte mia
si bella donna ha da restar poi morta.
Un sol conforto nel morir mi fia,
che se '1 suo Polinesso amor le porta,
chiaramente veder avra potuto
che non s'e mosso ancor per darle aiuto;
110 ORLANDO FURIOSO
XII
e me, che tanto espressamente ha offeso,
vedra, per lei salvare, a morir giunto.
Di mio fratello insieme, il quale acceso
tanto fuoco ha, vendicherommi a un punto ;
ch'io lo faro doler, poi che compreso
il fine avra del suo crudele assunto:
creduto vendicar avra il germane,
e gli avra dato morte di sua mano. »
XIII
Concluso ch'ebbe questo nel pensiero,
nuove arme ritrovo, nuovo cavallo;
e sopraveste nere, e scudo nero
porto, fregiato a color verdegiallo.
Per aventura si trov6 un scudiero
ignoto in quel paese, e menato hallo;
e sconosciuto (come ho gia narrato)
s'appresento contra il fratello armato.
XIV
Narrato v'ho come il fatto successe,
come fu conosciuto Ariodante.
Non minor gaudio n'ebbe il re, ch'avesse
de la figliuola liberata inante.
Seco pens6 che mai non si potesse
trovar un piii fedele e vero amante;
che dopo tanta ingiuria, la difesa
di lei contra il fratel proprio avea presa.
xv
E per sua inclinazion (ch'assai 1'amava)
e per li preghi di tutta la corte,
e di Rinaldo che piu d'altri instava,
de la bella figliuola il fa consorte.
La duchea d' Albania, ch'al re tornava
dopo che Polinesso ebbe la morte,
in miglior tempo discader non puote,
poi che la dona alia sua figlia in dote.
CANTO SESTO III
XVI
Rinaldo per Dalinda impetr6 grazia,
che se n'and6 di tanto error e esente;
la qual per voto, e perche molto sazia
era del mondo, a Dio volse la mente:
monaca s'ando a render fin in Dazia,
e si Iev6 di Scozia immantinente.
Ma tempo £ omai di ritrovar Ruggiero,
che scorre il ciel su P animal leggiero.
XVII
Ben che Ruggier sia d'animo constante,
n6 cangiato abbia il solito colore,
io non gli voglio creder che tremante
non abbia dentro piu che foglia il core.
Lasciato avea di gran spazio distante
tutta FEuropa, et era uscito fuore
per molto spazio il segno che prescritto
avea gia a* naviganti Ercole invitto.
XVIII
Quello ippogrifo, grande e strano augello,
lo porta via con tal prestezza d'ale,
che lascieria di lungo tratto quello
celer ministro del fulmineo strale.
Non va per Faria altro animal si snello,
che di velocita gli fosse uguale:
credo ch'a pena il tuono e la saetta
venga in terra dal ciel con maggior fretta.
XIX
Poi che Faugel trascorso ebbe gran spazio
per linea dritta e senza mai piegarsi,
con larghe ruote, omai de Taria sazio,
cominci6 sopra una isola a calarsi,
pari a quella ove, dopo lungo strazio
far del suo amante e lungo a lui celarsi,
la vergine Aretusa passo invano
di sotto il mar percamin cieco e strano.
ORLANDO FURIOSO
XX
Non vide ne '1 piu bel ne '1 piu giocondo
da tutta 1'aria ove le penne stese;
ne se tutto cercato avesse il mondo,
vedria di questo il piu gentil paese,
ove, dopo un girarsi di gran tondo,
con Ruggier seco il grande augel discese:
culte piamire e delicati colli,
chiare acque, ombrose ripe e prati molli.
XXI
Vaghi boschetti di soavi allori,
di palme e d'amenissime mortelle,
cedri et aranci ch'avean frutti e fiori
contesti in varie forme e tutte belle,
facean riparo ai fervidi calori
de' giorni estivi con lor spesse ombrelle;
e tra quei rami con sicuri voli
cantando se ne giano i rosignuoli.
XXII
Tra le purpuree rose e i bianchi gigli,
che tiepida aura freschi ognora serba,
sicuri si vedean lepri e conigli,
e cervi con la fronte alta e superba,
senza temer ch'alcun gli uccida o pigli,
pascano o stiansi rominando 1'erba;
saltano i daini e i capri isnelli e destri,
che sono in copia in quei luoghi campestri.
XXIII
Come si presso e 1'ippogrifo a terra,
ch'esser ne pu6 men periglioso il salto,
Ruggier con fretta de Farcion si sferra,
e si ritruova in su 1'erboso smalto ;
tuttavia in man le redine si serra,
che non vuol che '1 destrier piu vada in alto:
poi lo lega nel margine marine
a un verde mirto in mezzo un lauro e un pino.
CANTO SESTO 113
XXIV
E quivi appresso ove surgea una fonte
cinta di cedri e di feconde palme,
pose lo scudo, e Pelmo da la fronte
si trasse, e disarmossi ambe le palme;
et ora alia marina et ora al monte
volgea la faccia all'aure fresche et alme,
che Falte cime con mormorii Ueti
fan tremolar dei faggi e degH abeti.
xxv
Bagna talor ne la chiara onda e fresca
I'asciutte labra, e con le man diguazza,
acci6 che de le vene il calore esca
che gli ha acceso il portar de la corazza.
Ne maraviglia e gia ch'ella gl'incresca,
che non e stato un far vedersi in piazza;
ma senza mai posar, d'arme guernito,
tremila miglia ognor correndo era ito.
XXVI
Quivi stando, il destrier ch'avea lasciato
tra le phi dense frasche alia fresca ombra,
per fuggir si rivolta, spaventato
di non so che, che dentro al bosco adombra;
e fa crollar si il mirto ove e legato,
che de le frondi intorno il pie gli ingombra:
crollar fa il mirto e fa cader la foglia,
ne succede pero che se ne scioglia.
XXVII
Come ceppo talor, che le medolle
rare e vote abbia, e posto al fuoco sia,
poi che per gran calor quell' aria molle
resta consunta ch'in mezzo Pempia,
dentro risuona e con strepito bolle
tanto che quel furor truovi la via;
cosi murmura e stride e si comccia
quel mirto offeso, e al fine apre la buccia.
114 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
Onde con mesta e flebil voce uscio
espedita e chiarissima favella,
e disse : — - Se tu sei cortese e pio,
come dimostri alia presenza bella,
lieva questo animal da 1'arbor mio:
basti che Jl mio mal proprio mi flagella,
senza altra pena, senza altro dolore
ch'a tormentarmi ancor venga di fuore. -
XXIX
Al primo suon di quella voce torse
Ruggiero il viso, e subito levosse;
e poi ch'uscir da Tarbore s'accorse,
stupefatto rest6 piu che mai fosse.
A levarne il destrier subito corse;
e con le guancie di vergogna rosse:
— Qual che tu sii, perdonami, — dicea
— o spirto umano, o boschereccia dea.
xxx
II non aver saputo che s'asconda
sotto ruvida scorza umano spirto,
m'ha lasciato turbar la bella fronda
e far ingiuria al tuo vivace mirto :
ma non restar per6, che non risponda
chi tu ti sia, ch'in corpo orrido et irto,
con voce e razionale anima vivi;
se da grandine il ciel sempre ti schivi.
XXXI
E s'ora o mai potro questo dispetto
con alcun beneficio compensarte,
per quella bella donna ti prometto,
quella che di me tien la miglior parte,
ch'io faro con parole e con effetto,
ch'avrai giusta cagion di me lodarte. —
Come Ruggiero al suo parlar fin diede,
tremo quel mirto da la cima al piede.
CANTO SESTO 115
XXXII
Poi si vide sudar su per la scorza,
come legno dal bosco allora tratto,
che del fuoco venir sente la forza,
poscia ch'invano ogni ripar gli ha fatto;
e comincio : — Tua cortesia mi sforza
a discoprirti in un medesmo tratto
ch'io fossi prima, e chi converse m'aggia
in questo mirto in su 1'amena spiaggia.
XXXIII
II nome mio fu Astolfo; e paladino
era di Francia, assai temuto in guerra:
d' Orlando e di Rinaldo era cugino,
la cui fama alcun termine non serra;
e si spettava a me tutto il domino,
dopo il mio padre Oton, de Flnghilterra.
Leggiadro e bel fui si, che di me accesi
piu d'una donna; e al fin me solo ofFesi.
xxxrv
Ritornando io da quelle isole estreme
che da Levante il mar Indico lava,
dove Rinaldo et alcun' altri insieme
meco fur chiusi in parte oscura e cava,
et onde liberate le supreme
forze n'avean del cavallier di Brava;
ver ponente io venia lungo la sabbia
che del settentrion sente la rabbia.
xxxv
E come la via nostra e il duro e fello
distin ci trasse, uscimmo una matina
sopra la bella spiaggia ove un castello
siede sul mar de la possente Alcina.
Trovammo lei ch'uscita era di quello,
e stava sola in ripa alia marina;
e senza rete e senza amo traea
tutti li pesci al lito, che volea.
Il6 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
Veloci vi correvano i delfini,
vi venia a bocca aperta il grosso tonno;
i capidogli coi vecchi marini
vengon turbati dal lor pigro sonno;
muli, salpe, salmon! e coracini
nuotano a schiere, in piu fretta che ponno ;
pistrici, fisiteri, orche e balene
escon del mar con monstruose schiene.
XXXVII
Veggiamo una balena, la maggiore
che mai per tutto il mar veduta fosse:
undeci passi e piu dimostra fuore
de Ponde salse le spallaccie grosse.
Caschiamo tutti insieme in uno errore,
perch' era ferma e che mai non si scosse:
ch'ella sia una isoletta ci credemo,
cosi distante ha Tun da Faltro estremo.
XXXVIII
Alcina i pesci uscir facea de Pacque
con semplici parole e puri incanti.
Con la fata Morgana Alcina nacque,
io non so dir s'a un parto o dopo o inanti.
Guardommi Alcina; e subito le piacque
Paspetto mio, come mostro ai sembianti:
e penso con astuzia e con ingegno
tormi ai compagni; e riusci il disegno.
xxxix
Ci venne incontra con allegra faccia,
con modi graziosi e riverenti,
e disse: «Cavallier, quando vi piaccia
far oggi meco i vostri alloggiamenti,
io vi far6 veder, ne la mia caccia,
di tutti i pesci sorti different! :
chi scaglioso, chi molle e chi col pelo;
e saran piu che non ha stelle il cielo.
CANTO SESTO
XL
E volendo vedere una sirena
che col suo dolce canto acheta il mare,
passian di qui fin su quelFaltra arena,
dove a quest'ora suol sempre tornare.»
E ci mostro quella maggior balena
che, come io dissi, una isoletta pare.
lo che sempre fui troppo (e me n'incresce)
volonteroso, andai sopra quel pesce.
XLI
Rinaldo m'accennava, e similmente
Dudon, ch'io non v'andassi; e poco valse.
La fata Alcina con faccia ridente,
lasciando gli altri dua, dietro mi salse.
La balena, airufficio diligente,
nuotando se n'ando per Ponde salse.
Di mia sciochezza tosto fui pentito,
ma troppo mi trovai lungi dal lito.
XLII
Rinaldo si cacci6 ne 1'acqua a nuoto
per aiutarmi, e quasi si sommerse,
perche levossi un furioso Noto
che d'ombra il cielo e '1 pelago coperse.
Quel che di lui segui poi, non m'e noto.
Alcina a confortarmi si converse;
e quel di tutto e la notte che venne,
sopra quel mostro in mezzo il mar mi tenne.
XLIII
Fin che venimmo a questa isola bella,
di cui gran parte Alcina ne possiede,
e Fha usurpata ad una sua sorella
che '1 padre gia Iasci6 del tutto erede,
perche sola legitima avea quella;
e, come alcun notizia me ne diede
che pienamente instrutto era di questo,
sono quest' altre due nate d'incesto.
Il8 ORLANDO FURIOSO
XLIV
E come sono inique e scelerate
e piene d'ogni vizio infame e brutto,
cosi quella, vivendo in castitate,
posto ha ne le virtuti il suo cor tutto.
Contra lei queste due son congiurate;
e gia piu d'uno esercito hanno instrutto
per cacciarla de 1'isola, e in piu volte
piu di cento castella Phanno tolte :
XLV
ne ci terrebbe ormai spanna di terra
colei che Logistilla e nominata,
se non che quinci un golfo il passo serra,
e quindi una montagna inabitata,1
si come tien la Scozia e Tlnghilterra
il monte e la riviera, separata;
ne per6 Alcina n6 Morgana resta
che non le voglia tor ci6 che le resta.
XLVI
Perche di vizii e questa coppia rea,
odia colei, perche e pudica e santa.
Ma per tornare a quel ch'io ti dicea,
e seguir poi com'io divenni pianta,
Alcina in gran delizie mi tenea,
e del mio amore ardeva tutta quanta;
ne minor fiamma nel mio core accese
il veder lei si bella e si cortese.
XLVII
lo mi godea le delicate membra:
pareami aver qui tutto il ben raccolto
che fra i mortali in piu parti si smembra,
a chi piii et a chi meno e a nessun molto;
ne di Francia ne d'altro mi rimembra:
stavomi sempre a contemplar quel volto:
ogni pensiero, ogni mio bel disegno
in lei finia, ne passava oltre il segno.
CANTO SESTO
XLVIII
10 da lei altretanto era o piu amato:
Alcina piu non si curava d' altri;
ella ogn'altro suo amante avea lasciato,
ch'inanzi a me ben ce ne fur degli altri.
Me consiglier, me avea di e notte a lato,
e me fe' quel che commandava agli altri:
a me credeva, a me si riportava;
ne notte o di con altri mai parlava.
XLIX
Deh! perche vo le mie piaghe toccando,
senza speranza poi di medicina?
perche Favuto ben vo rimembrando,
quando io patisco estrema disciplina?
Quando credea d'esser felice, e quando
credea ch'amar piu mi dovesse Alcina,
11 cor che m'avea dato si ritolse,
e ad altro nuovo amor tutta si volse.
Conobbi tardi il suo mobil ingegno,
usato amare e disamare a un punto.
Non era stato oltre a duo mesi in regno,
ch'un novo amante al loco mio fu assunto.
Da se cacciommi la fata con sdegno,
e da la grazia sua m'ebbe disgiunto:
e seppi poi, che tratti a simil porto
avea mill' altri amanti, e tutti a torto.
LI
E perche essi non vadano pel mondo
di lei narrando la vita lasciva,
chi qua chi la, per lo terren fecondo
li muta, altri in abete, altri in oliva,
altri in palma, altri in cedro, altri secondo
che vedi me su questa verde riva;
altri in liquido fonte, alcuni in fiera,
come piu agrada a quella fata altiera.
120 ORLANDO FURIOSO
LII
Or tu che sei per non usata via,
signor, venuto all'isola fatale,
accio ch'alcuno amante per te sia
converse in pietra o in onda, o fatto tale;
avrai cTAlcina scettro e signoria,
e sarai lieto sopra ogni mortale:
ma certo sii di giunger tosto al passo
d'entrar o in fiera o in fonte o in legno o in sasso.
LIII
lo te n'ho dato volentieri aviso:
non ch'io mi creda che debbia giovarte;
pur meglio fia che non vadi improvise,
e de' costumi suoi tu sappia parte;
che forse, come e differente il viso,
e differente ancor 1'ingegno e 1'arte.
Tu saprai forse riparare al danno,
quel che saputo mill'altri non hanno. —
LIV
Ruggier, che conosciuto avea per fama
ch'Astolfo alia sua donna cugin era,
si dolse assai che in steril pianta e grama
mutato avesse la sembianza vera;
e per amor di quella che tanto ama
(pur che saputo avesse in che maniera)
gli avria fatto servizio: ma aiutarlo
in altro non potea, ch'in confortarlo.
LV
Lo fe5 al meglio che seppe; e domandolli
poi se via c'era, ch'al regno guidassi
di Logistilla, o per piano o per colli,
si che per quel d'Alcina non andassi.
Che ben ve n'era un'altra, ritornolli
Tarbore a dir, ma piena d'aspri sassi,
s'andando un poco inanzi alia man destra,
salisse il poggio inver la cima alpestra.
CANTO SESTO 121
LVI
Ma che non pensi gia che seguir possa
il suo camin per quella strada troppo :
incontro avra di gente ardita, grossa
e fiera compagnia, con duro intoppo.
Alcina ve li tien per muro e fossa
a chi volesse uscir fuor del suo groppo.
Ruggier quel mirto ringrazi6 del tutto,
poi da lui si parti dotto et instrutto.
LVII
Venne al cavallo, e lo disciolse e prese
per le redine, e dietro se lo trasse;
ne, come fece prima, piu Tascese,
perche mal grado suo non lo portasse.
Seco pensava come nel paese
di Logistilla a salvamento andasse.
Era disposto e fermo usar ogni opra,
che non gli avesse imperio Alcina sopra.
LVIII
Pens6 di rimontar sul suo cavallo,
e per Faria spronarlo a nuovo corso;
ma dubit6 di far poi maggior fallo,
che troppo mal quel gli ubidiva al morso.
« lo passer6 per forza, s'io non fallo »,
dicea tra se, ma vano era il discorso.
Non fu duo miglia lungi alia marina,
che la bella citta vide d' Alcina.
LIX
Lontan si vide una muraglia lunga
che gira intorno, e gran paese serra;
e par che la sua altezza al ciel s'aggiunga,
e d'oro sia da 1'alta cima a terra.
Alcun dal mio parer qui si dilunga,
e dice ch'elFe alchimia; e forse ch'erra,
et anco forse meglio di me intende:
a me par oro, poi che si risplende.
122 ORLANDO FURIOSO
LX
Come fu presso alle si ricche mura,
che 1 mondo altre non ha de la lor sorte,
lascio la strada che per la pianura
ampla e diritta andava alle gran porte;
et a man destra, a quella piu sicura,
ch'al monte gia, piegossi il guerrier forte:
ma tosto ritrov6 1'iniqua frotta,
dal cui furor gli fu turbata e rotta.
LXI
Non fu veduta mai piu strana torma,
piti monstruosi volti e peggio fatti :
alcun dal collo in giii d'uomini han forma,
col viso altri di simie, altri di gatti;
stampano alcun con pie caprigni Forma;
alcuni son centauri agili et atti;
son gioveni impudenti e vecchi stolti,
chi nudi e chi di strane pelli involti.
LXII
Chi senza freno in s'un destrier galoppa,
chi lento va con 1'asino o col hue,
altri salisce ad un centauro in groppa,
struzzoli molti han sotto, aquile e grue;
ponsi altri a bocca il corno, altri la coppa;
chi femina e, chi maschio, e chi amendue;
chi porta uncino e chi scala di corda,
chi pal di ferro e chi una lima sorda.
LXIII
Di questi il capitano si vedea
aver gonfiato il ventre, e Jl viso grasso ;
il qual su una testuggine sedea,
che con gran tardita mutava il passo.
Avea di qua e di la chi lo reggea,
perche egli era ebro, e tenea il ciglio basso ;
altri la fronte gli asciugava e il mento,
altri i panni scuotea per fargli vento.
CANTO SESTO 123
LXIV
Un ch'avea umana forma i piedi e '1 ventre,
e collo avea di cane, orecchie e testa,
contra Ruggiero abaia, acci6 ch'egli entre
ne la bella citta ch'a dietro resta.
Rispose il cavallier:— Nol faro, mentre
avra forza la man di regger questa! —
e gli mostra la spada, di cui volta
avea 1'aguzza punta alia sua volta.
LXV
Quel monstro lui ferir vuol d'una lancia,
ma Ruggier presto se gli aventa addosso :
una stoccata gli trasse alia pancia,
e la fe* un palmo riuscir pel dosso.
Lo scudo imbraccia, e qua e la si lancia,
ma Pinimico stuolo e troppo grosso:
Tun quinci il punge, e 1'altro quindi afferra;
egli s'arrosta, e fa lor aspra guerra.
LXVI
L'un sin a' denti, e Paltro sin al petto
partendo va di quella iniqua razza;
ch'alla sua spada non s'oppone elmetto,
ne scudo, ne panziera, ne corazza:
ma da tutte le parti e cosi astretto,
che bisogno saria, per trovar piazza
e tener da se largo il popul reo,
d'aver phi braccia e man che Briareo.
LXVII
Se di scoprire avesse avuto aviso
lo scudo che gia fu del negromante
(io dico quel ch'abbarbagliava il viso,
quel ch'alljarcione avea lasciato Atlante),
subito avria quel brutto stuol conquiso
e f attosel cader cieco davante ;
e forse ben, che disprezz6 quel modo,
perche virtude usar volse e non frodo.
124 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Sia quel che puo, piu tosto vuol morire,
che rendersi prigione a si vil gente.
Eccoti intanto da la porta uscire
del muro, ch'io dicea d'oro lucente,
due giovani ch'ai gesti et al vestire
non eran da stimar nate umilmente,
ne da pastor nutrite con disagi,
ma fra delizie di real palagi.
LXIX
L'una e 1'altra sedea s'un liocorno,
candido piu che candido armelino;
1'una e 1'altra era bella, e di si adorno
abito, e modo tanto pellegrino,
che a Fuom, guardando e contemplando intorno,
bisognerebbe aver occhio divino
per far di lor giudizio : e tal saria
Belta, s'avesse corpo, e Leggiadria.
LXX
L'una e Taltra n'andc- dove nel prato
Ruggiero e oppresso da lo stuol villano.
Tutta la turba si levo da lato ;
e quelle al cavallier porser la mano,
che tinto in viso di color rosato,
le donne ringrazi6 de 1'atto umano:
e fu contento, compiacendo loro,
di ritornarsi a quella porta d'oro.
LXXI
L'adornamento che s'aggira sopra
la bella porta e sporge un poco avante,
parte non ha che tutta non si cuopra
de le piu rare gemme di Levante,
Da quattro parti si riposa sopra
grosse colonne d'integro diamante.
0 vero o falso ch'aU'occhio risponda,
non e cosa piu bella o piu gioconda.
CANTO SESTO 125
LXXII
Su per la soglia e fuor per le colonne
corron scherzando lascive donzelle,
che se i rispetti debiti alle donne
servasser piu, sarian forse piu belle.
Tutte vestite eran di verdi gonne,
e coronate di frondi novelle.
Queste, con molte ofFerte e con buon viso,
Ruggier fecero entrar nel paradiso :
LXXIII
che si puo ben cosi nornar quel loco,
ove mi credo che nascesse Amore.
Non vi si sta se non in danza e in giuoco,
e tutte in festa vi si spendon Tore:
pensier canuto ne molto ne poco
si puo quivi albergare in alcun core:
non entra quivi disagio ne" inopia,
ma si sta ognor col corno pien la Copia.
LXXIV
Qui, dove con serena e lieta fronte
par ch'ognor rida il grazioso aprile,
gioveni e donne son: qual presso a fonte
canta con dolce e dilettoso stile;
qual d'un arbore all'ombra e qual d'un monte
o giuoca o danza o fa cosa non vile;
e qual, lungi dagli altri, a un suo fedele
discuopre Pamorose sue querele.
LXXV
Per le cime dei pini e degli allori,
degli alti faggi e degl'irsuti abeti,
volan scherzando i pargoletti Amori:
di lor vittorie altri godendo lieti,
altri pigliando a saettare i cori
la mira quindi, altri tendendo reti;
chi tempra dardi ad un ruscel piu basso,
e chi gH aguzza ad un volubil sasso.
126 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Quivi a Ruggier un gran corsier fu dato,
forte, gagliardo, e tutto di pel sauro,
ch'avea il bel guernimento ricamato
di preziose gemme e di fin auro ;
e fu lasciato in guardia quello alato,
quel che solea ubidire al vecchio Mauro,
a un giovene che dietro lo menassi
al buon Ruggier con men frettosi passi.
LXXVII
Quelle due belle giovani amorose
ch'avean Ruggier da 1'empio stuol difeso,
da 1'empio stuol che dianzi se gli oppose
su quel camin ch'avea a man destra preso,
gli dissero : — Signor, le virtuose
op ere vostre che gia abbiamo inteso,
ne fan si ardite, che 1'aiuto vostro
vi chiederemo a beneficio nostro.
LXXVIII
Noi troveren tra via tosto una lama,
che fa due parti di questa pianura.
Una crudel, che Erifilla si chiama,
difende il ponte, e sforza e inganna e fura
chiunque andar ne 1'altra ripa brama;
et ella e gigantessa di statura,
li denti ha lunghi e velenoso il morso,
acute Tugne, e graffia come un orso.
LXXIX
Oltre che sempre ci turbi il camino,
che libero saria, se non fosse ella,
spesso correndo per tutto il giardino,
va disturbando or questa cosa or quella.
Sappiate che del populo assassino
che vi assali fuor de la porta bella,
molti suoi figli son, tutti seguaci,
empii, come ella, inospiti e rapaci. —
CANTO SESTO 127
LXXX
Ruggier rispose: — Non ch'una battaglia,
ma per voi saro pronto a fame cento:
di mia persona, in tutto quel che vaglia,
fatene voi secondo il vostro intento:
che la cagion ch'io vesto piastra e maglia
non e per guadagnar terre n6 argento,
ma sol per fame beneficio altmi,
tanto piu a belle donne come vui. —
LXXXI
Le donne molte grazie riferiro
degne d'un cavallier, come quell* era:
e cosi ragionando ne veniro
dove videro il ponte e la riviera;
e di smeraldo ornata e di zafiro
su Parme d'or, vider la donna altiera.
Ma dir ne Paltro canto differisco,
come Ruggier con lei si pose a risco.
128 ORLANDO FURIOSO
CANTO SETTIMO
I
Chi va lontan da la sua patria, vede
cose da quel che gia credea lontane;
che narrandole poi, non se gli crede,
e stimato bugiardo ne rimane:
che '1 sciocco vulgo non gli vuol dar fede,
se non le vede e tocca chiare e piane.
Per questo io so che 1'inesperienza
fara al mio canto dar poca credenza.
ii
Poca o molta ch'io ci abbia, non bisogna
ch'io ponga mente al vulgo sciocco e ignaro.
A voi so ben che non parra menzogna,
che 1 lume del discorso avete chiaro;
et a voi soli ogni mio intento agogna
che 1 frutto sia di mie fatiche caro.
Io vi lasciai che '1 ponte e la riviera
vider, che Jn guardia avea Erifilla altiera.
in
QuelPera armata del piii fin metallo,
ch'avean di piu color gemme distinto:
rubin vermiglio, crisolito giallo,
verde smeraldo, con flavo iacinto.
Era montata, ma non a cavallo;
invece avea di quello un lupo spinto:
spinto avea un lupo ove si passa il flume,
con ricca sella fuor d'ogni costume.
CANTO SETTIMO 129
IV
Non credo ch'un si grande Apulia n'abbia:
egli era grosso et alto piu d'un hue.
Con fren spurnar non gli facea le labbia,
n6 so come lo rega a voglie sue.
La sopravesta di color di sabbia
su 1'arrne avea la maledetta lue:
era, fuor che '1 color, di quella sorte
ch'i vescovi e i prelati usano in corte.
v
Et avea ne lo scudo e sul cimiero
una gonfiata e velenosa botta.
Le donne la mostraro al cavalliero,
di qua dal ponte per giostrar ridotta,
e fargli scorno e rompergli il sentiero,
come ad alcuni usata era talotta.
Ella a Ruggier, che torni a dietro, grida:
quel piglia un'asta, e la minaccia e sfida.
VI
Non men la gigantessa ardita e presta
sprona il gran lupo e ne Tarcion si serra,
e pon la lancia a mezzo il corso in resta,
e fa tremar nel suo venir la terra.
Ma pur sul prato al fiero incontro resta;
che sotto Telmo il buon Ruggier 1'afferra,
e de Parcion con tal furor la caccia,
che la riporta indietro oltra sei braccia.
VII
E gia, tratta la spada ch'avea cinta,
venia a levarne la testa superba:
e ben lo potea far, che come estinta
Erifilla giacea tra' fiori e Ferba.
Ma le donne gridar: — Basti sia vinta,
senza pigliarne altra vendetta acerba.
Ripon, cortese cavallier, la spada;
passiamo il ponte e seguitian la strada. —
130
ORLANDO FURIOSO
VIII
Alquanto malagevole et aspretta
per mezzo un bosco presero la via,
che oltra che sassosa fosse e stretta,
quasi su dritta alia collina gia.
Ma poi che furo ascesi in su la vetta,
usciro in spaziosa prateria,
dove il piu bel palazzo e '1 piu giocondo
vider, che mai fosse veduto al mondo.
IX
La bella Alcina venne un pezzo inante
verso Ruggier fuor de le prime porte,
e lo raccolse in signoril sembiante,
in mezzo bella et onorata corte.
Da tutti gli altri tanto onore e tante
riverenzie fur fatte al guerrier forte,
che non ne potrian far piu, se tra loro
fosse Dio sceso dal superno coro.
Non tanto il bel palazzo era escellente
perche vincesse ogn'altro di ricchezza,
quanto ch'avea la piu piacevol gente
che fosse al mondo e di piu gentilezza.
Poco era Fun da Taltro differente
e di fiorita etade e di bellezza:
sola di tutti Alcina era piu bella,
si come e bello il sol piu d'ogni Stella.
XI
Di persona era tanto ben formata,
quanto me' finger san pittori industri;
con bionda chioma lunga et annodata:
oro non e che piu risplenda e lustri.
Spargeasi per la guancia delicata
misto color di rose e di ligustri;
di terso avorio era la fronte lieta,
che lo spazio fmia con giusta rneta.
CANTO SETTIMO
XII
Sotto duo negri e sottilissimi archi
son duo negri occhi, anzi duo chiari soli,
pietosi a riguardare, a mover parchi,
intorno cui par ch'Amor scherzi e voli,
e ch'indi tutta la faretra search!
e che visibilmente i cori involi:
quindi il naso per mezzo il viso scende,
che non truova 1'Invidia ove Pemende.
XIII
Sotto quel sta, quasi fra due vallette,
la bocca sparsa di natio cinabro:
quivi due filze son di perle elette,
che chiude et apre un bello e dolce labro,
quindi escon le cortesi parolette
da render molle ogni cor rozzo e scabro,
quivi si forma quel suave riso,
ch'apre a sua posta in terra il paradiso.
XIV
Bianca nieve e il bel collo, e Jl petto latte;
il collo e tondo, il petto colmo e largo:
due pome acerbe, e pur d'avorio fatte,
vengono e van come onda al primo margo,
quando piacevole aura il mar combatte.
Non potria Faltre parti veder Argo:
ben si puo giudicar che corrisponde
a quel ch'appar di fuor quel che s'asconde.
xv
Mostran le braccia sua misura giusta;
e la Candida man spesso si vede
lunghetta alquanto e di larghezza angusta,
dove n6 no do appar, n6 vena escede.
Si vede al fin de la persona augusta
il breve, asciutto e ritondetto piede.
Gli angelici sembianti nati in cielo
non si ponno celar sotto alcun velo.
132 ORLANDO FURIOSO
XVI
Avea in ogni sua parte un laccio teso,
o parli o rida o canti o passo muova:
ne maraviglia e se Ruggier n'e preso,
poi che tanto benigna se la truova.
Quel che di lei gia avea dal mirto inteso,
com'e perfida e ria, poco gli giova;
ch'inganno o tradimento non gli e aviso
che possa star con si soave riso.
XVII
Anzi pur creder vuol che da costei
fosse converso Astolfo in su 1'arena
per li suoi portamenti ingrati e rei,
e sia degno di questa e di piu pena:
e tutto quel ch'udito avea di lei,
stima esser falso, e che vendetta mena,
e mena astio et invidia quel dolente
a lei biasmare, e che del tutto mente.
XVIII
La bella donna che cotanto amava,
novellamente gli e dal cor partita;
che per incanto Alcina gli lo lava
d'ogni antica amorosa sua ferita;
e di se sola e del suo amor lo grava,
e in quello essa riman sola sculpita:
si che scusar il buon Ruggier si deve,
se si mostro quivi inconstante e lieve.
XIX
A quella mensa citare, arpe e lire,
e diversi altri dilettevol suoni
faceano intorno Taria tintinire
d'armonia dolce e di concenti buoni.
Non vi mancava chi, cantando, dire
d'amor sapesse gaudii e passioni,
o con invenzioni e poesie
rappresentasse grate fantasie.
CANTO SETTIMO 133
XX
Qual mensa trionfante e suntuosa
di qualsivoglia successor di Nino,
o qual mai tanto celebre e famosa
di Cleopatra al vincitor latino,
potria a questa esser par, che Tamorosa
fata avea posta inanzi al paladino ?
Tal non cred'io che s'apparecchi dove
ministra Ganimede al sornmo Giove.
XXI
Tolte che fur le mense e le vivande,
facean, sedendo in cerchio, un giuoco lieto:
che ne 1'orecchio Tun Taltro domande,
come piu piace lor, qualche secreto;
il che agli amanti fu commodo grande
di scoprir 1'amor lor senza divieto:
e furon lor conclusioni estreme
di ritrovarsi quella notte insieme.
XXII
Finir quel giuoco tosto, e molto inanzi
che non solea la dentro esser costume:
con torchi allora i paggi entrati inanzi,
le tenebre cacciar con molto lume.
Tra bella compagnia dietro e dinanzi
and6 Ruggiero a ritrovar le piume
in una adorna e fresca cameretta,
per la miglior di tutte Taltre eletta.
XXIII
E poi che di confetti e di buon vini
di nuovo fatti fur debiti inviti,
e partir gli altri riverenti e chini,
et alle stanze lor tutti sono iti;
Ruggiero entro ne' profumati lini
che pareano di man d'Aracne usciti,
tenendo tuttavia Torecchie attente,
s'ancor venir la bella donna sente.
134 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Ad ogni piccol moto ch'egli udiva,
sperando die fosse ella, il capo alzava:
sentir credeasi, e spesso non sentiva;
poi del suo errore accorto sospirava.
Talvolta uscia del letto e Fuscio apriva,
guatava fuori, e nulla vi trovava:
e maledi ben mille volte Fora
che facea al trapassar tanta dimora.
xxv
Tra se dicea sovente : « Or si parte ella » ;
e cominciava a noverare i passi
ch'esser potean da la sua stanza a quella
donde aspettando sta che Alcina passi;
e questi et altri, prima che la bella
donna vi sia, vani disegni fassi.
Teme di qualche impedimento spesso,
che tra il frutto e la man non gli sia messo.
XXVI
Alcina, poi chV preziosi odori
dopo gran spazio pose alcuna meta,
venuto il tempo che piu non dimori,
ormai ch'in casa era ogni cosa cheta,
de la camera sua sola usci fuori;
e tacita njand6 per via secreta
dove a Ruggiero avean timore e speme
gran pezzo intorno al cor pugnato insieme.
XXVII
Come si vide il successor d'Astolfo
sopra apparir quelle ridenti stelle,
come abbia ne le vene acceso zolfo,
non par che capir possa ne la pelle.
Or sino agli occhi ben nuota nel golfo
de le delizie e de le cose belle:
salta del letto, e in braccio la raccoglie,
ne pu6 tanto aspettar ch'ella si spoglie;
CANTO SETTIMO 135
XXVIII
ben che ne gonna ne faldiglia avesse;
che venne avolta in un leggier zendado
che sopra una camicia ella si messe,
bianca e suttil nel piu escellente grado.
Come Ruggiero abbracci6 lei, gli cesse
il manto: e resto il vel suttile e rado,
che non copria dinanzi ne di dietro,
piu che le rose o i gigli un chiaro vetro.
XXIX
Non cosi strettamente edera preme
pianta ove intorno abbarbicata s'abbia,
come si stringon li dui amanti insieme,
cogliendo de lo spirto in su le labbia
suave fior, qual non produce seme
indo o sabeo ne Fodorata sabbia.
Del gran piacer ch'avean, lor dicer tocca;
che spesso avean piu d'una lingua in bocca.
xxx
Queste cose la dentro eran secrete,
o se pur non secrete, almen taciute;
che raro fu tener le labra chete
biasmo ad alcun, ma ben spesso virtute.
Tutte proferte et accoglienze liete
fanno a Ruggier quelle persone astute:
ognun lo reverisce e se gli inchina;
che cosi vuol 1'innamorata' Alcina.
XXXI
Non e diletto alcun che di fuor reste;
che tutti son ne Tamorosa stanza.
E due e tre volte il di mutano veste,
fatte or ad una ora ad un'altra usanza.
Spesso in conviti, e sempre stanno in feste,
in giostre, in lotte, in scene, in bagno, in danza:
or presso ai fonti, all'ombre de' poggietti,
leggon d'antiqui gli amorosi detti.
136 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Or per I'ombrose valli e lieti colli
vanno cacciando le paurose lepri;
or con sagaci cani i fagian folli
con strepito uscir fan di stoppie e vepri;
or a' tordi lacciuoli, or veschi molli
tendon tra gli odoriferi ginepri;
or con ami inescati et or con reti
turbano a* pesci i grati lor secreti.
XXXIII
Stava Ruggiero in tanta gioia e festa,
mentre Carlo in travaglio et Agramante,
di cui 1'istoria io non vorrei per questa
porre in oblio, ne lasciar Bradamante,
die con travaglio e con pena molesta
pianse piu giorni il disiato amante,
ch'avea per strade disusate e nuove
veduto portar via, ne sapea dove.
xxxiv
Di costei prima che degli altri dico,
che molti giorni and6 cercando invano
pei boschi ombrosi e per lo campo aprico,
per ville, per citta, per monte e piano ;
ne mai pote saper del caro amico,
che di tanto intervallo era lontano.
Ne 1'oste saracin spesso venia,
ne mai del suo Ruggier ritrovo spia.
xxxv
Ogni di ne domanda a piu di cento,
ne alcun le ne sa mai render ragioni.
D'alloggiamento va in alloggiamento,
cercandone e trabacche e padiglioni :
e lo pu6 far; che senza impedimento
passa tra cavallieri e tra pedoni,
merce all'annel che fuor d'ogni uman uso
la fa sparir quando 1'e in bocca chiuso.
CANTO SETTIMO 137
XXXVI
Ne puo ne creder vuol che morto sia;
perche di si grande uom 1'alta ruina
da Ponde Idaspe udita si saria
fin dove il sole a riposar declina.
Non sa ne dir ne imaginar che via
far possa o in cielo o in terra; e pur meschina
lo va cercando, e per compagni mena
sospiri e pianti et ogni acerb a pena.
XXXVII
Penso al fin di tornare alia spelonca
dove eran Fossa di Merlin prof eta,
e gridar tanto intorno a quella conca,
che '1 freddo marmo si movesse a pieta;
che se vivea Ruggiero, o gli avea tronca
1'alta necessita la vita lieta,
si sapria quindi, e poi s'appiglierebbe
a quel miglior consiglio che n'avrebbe.
XXXVIII
Con questa intenzion prese il camino
verso le selve prossime a Pontiero,
dove la vocal tomba di Merlino
era nascosa in loco alpestro e fiero.
Ma quella maga che sempre vicino
tenuto a Bradamante avea il pensiero,
quella, dico io, che nella bella grotta
1'avea de la sua stirpe instrutta e dotta;
XXXIX
quella benigna e saggia incantatrice,
la quale ha sempre cura di costei,
sappiendo ch'esser de' progenitrice
d'uomini invitti, anzi di semidei;
ciascun di vuol saper che fa, che dice,
e getta ciascun di sorte per lei.
Di Ruggier liberate e poi perduto,
e dove in India and6, tutto ha saputo.
138 ORLANDO FURIOSO
XL
Ben veduto 1'avea su quel cavallo
che reggier non potea, ch'era sfrenato,
scostarsi di lunghissimo intervallo
per sentier periglioso e non usato ;
e ben sapea che stava in giuoco e in ballo
e in cibo e in ozio molle e delicate,
ne piu memoria avea del suo signore,
ne de la donna sua, ne del suo onore.
XLI
E cosi il fior de li begli anni suoi
in lunga inerzia aver potria consunto
si gentil cavallier, per dover poi
perdere il corpo e Tanima in un punto;
e quel odor, che sol riman di noi
poscia che Jl resto fragile e defunto,
che tra' Tuom del sepulcro e in vita il serba,
gli saria stato o tronco o svelto in erba.
XLII
Ma quella gentil maga, che piu cura
n'avea ch'egli medesmo di se stesso,
penso di trarlo per via alpestre e dura
alia vera virtu, mal grado d'esso:
come escellente medico, che cura
con ferro e fuoco e con veneno spesso,
che se ben molto da principio offende,
poi giova al fine, e grazia se gli rende.
XLIII
Ella non gli era facile, e talmente
fattane cieca di superchio amore,
che, come facea Atlante, solamente
a darli vita avesse posto il core.
Quel piu tosto volea che lungamente
vivesse e senza fama e senza onore,
che, con tutta la laude che sia al mondo,
mancasse un anno al suo viver giocondo.
CANTO SETTIMO 139
XLIV
L'avea mandate all'isola d'Alcina,
perche obliasse 1'arme in quella corte;
e come mago di somma dottrina,
ch'usar sapea gl'incanti d'ogni sorte,
avea il cor stretto di quella regina
ne Tamor d'esso d'un laccio si forte,
che non se ne era mai per poter sciorre,
s'invechiasse Ruggier piu di Nestorre.
XLV
Or tornando a colei ch'era presaga
di quanto de' awenir, dico che tenne
la dritta via dove Terrante e vaga
figlia d'Amon seco a incontrar si venne.
Bradamante vedendo la sua maga,
muta la pena che prima sostenne,
tutta in speranza; e quella Papre il vero,
ch'ad Alcina e condotto il suo Ruggiero.
XLVI
La giovane riman presso che morta,
quando ode che '1 suo amante e cosi lunge;
e piu, che nel suo amor periglio porta,
se gran rimedio e subito non giunge:
ma la benigna maga la conforta,
e presta pon Pimpiastro ove il duol punge;
e le promette e giura in pochi giorni
far che Ruggiero a riveder lei torni.
XLVII
— Da che, donna, — dicea — Pannello hai teco,
che val contra ogni magica fattura,
io non ho dubbio alcun, che s'io Parreco
la dove Alcina ogni tuo ben ti fura,
ch'io non le rompa il suo disegno, e meco
non ti rimeni la tua dolce cura.
Me n'andro questa sera alia prim'ora,
e sar6 in India al nascer de 1* aurora. —
140 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
E seguitando, del mo do narrolle
che disegnato avea d'adoperarlo,
per trar del regno effeminate e molle
il caro amante, e in Francia rimenarlo.
Bradamante Fannel del dito tolle;
ne solamente avria voluto darlo,
ma dato il core e dato avria la vita,
pur che n'avesse il suo Ruggiero aita.
XLIX
Le da 1'annello e se le raccomanda;
e piu le raccomanda il suo Ruggiero,
a cui per lei mille saluti manda:
poi prese ver Provenza altro sentiero.
Ando Fincantatrice a un'altra banda;
e per porre in effetto il suo pensiero,
un palafren fece apparir la sera,
ch'avea un pie rosso, e ogn'altra parte nera.
L
Credo fusse un Alchino o un Farfarello,
che da I'inferno in quella forma trasse;
e scinta e scalza mont6 sopra a quello,
a chiome sciolte e orribilmente passe:
ma ben di dito si Iev6 1'annello,
perche gl'mcanti suoi non le vietasse.
Poi con tal fretta ando, che la matina
si ritrovo ne 1'isola d'Alcina.
LI
Quivi mirabilmente transmutosse:
s'accrcbbe piu d'un palmo di statura,
e fe* le membra a proporzion piu grosse,
e resto a punto di quella misura
che si penso che Jl negromante fosse,
quel che nutri Ruggier con si gran cura.
Vesti di lunga barba le mascelle,
e fe' crespa la fronte e 1'altra pelle.
CANTO SETTIMO 141
LII
Di faccia, di parole e di sembiante
si lo seppe imitar, che totalmente
potea parer 1'incantatore Atlante.
Poi si nascose; e tanto pose mente,
che da Ruggiero allontanar 1'amante
Alcina vide un giorno fmalmente :
e fu gran sorte; che di stare o d'ire
senza esso un'ora potea mal patire.
LIII
Soletto lo trovo, come lo voile,
che si godea il matin fresco e sereno
lungo un bel rio che discorrea d'un colle
verso un laghetto limpido et ameno.
II suo vestir delizioso e molle
tutto era d'ozio e di lascivia pieno,
che de sua man gli avea di seta e d'oro
tessuto Alcina con sottil lavoro.
LIV
Di ricche gemme un splendido monile
gli discendea dal collo in mezzo il petto;
e ne 1'uno e ne 1'altro gia virile
braccio girava un lucido cerchietto.
Gli avea forato un fil d'oro sottile
ambe 1'orecchie, in forma d'annelletto;
e due gran perle pendevano quindi,
qua' mai non ebbon gli Arabi n6 gl'Indi.
LV
Umide avea 1'innanellate chiome
de' piu suavi odor che sieno in prezzo:
tutto ne' gesti era amoroso, come
fosse in Valenza a servir donne avezzo.
Non era in lui di sano altro che '1 no me;
corrotto tutto il resto, e piu che mezzo.
Cosi Ruggier fu ritrovato, tanto
da 1'esser suo mutato per incanto.
142 ORLANDO FURIOSO
LVI
Ne la forma d'Atlante se gli affaccia
colei che la sembianza ne tenea,
con quella grave e venerabil faccia
che Ruggier sempre riverir solea,
con quello occhio pien d'ira e di minaccia,
che si temuto gia fanciullo avea;
dicendo : — 6 questo dunque il frutto ch'io
lungamente atteso ho del sudor mio ?
LVII
Di medolle gia d'orsi e di leoni
ti porsi io dunque li primi alimenti;
t'ho per caverne et orridi burroni
fanciullo avezzo a strangolar serpenti,
pantere e tigri disarmar d'ungioni
et a vivi cingial trar spesso i denti,
acci6 che dopo tanta disciplina
tu sii 1'Adone o FAtide d'Alcina?
LVIII
fi questo quel che 1'osservate stelle,
le sacre fibre e gli accoppiati punti,
responsi, auguri, sogni e tutte quelle
sorti ove ho troppo i miei studi consunti,
di te promesso sin da le mammelle
m'avean, come quest'anni fusser giunti,
ch'in arme 1'opre tue cosi preclare
esser dovean, che sarian senza pare?
LIX
Questo e ben veramente alto principio
onde si puo sperar che tu sia presto
a farti un Alessandro, un lulio, un Scipio!
Chi potea, ohime! di te mai creder questo,
che ti facessi d'Alcina mancipio ?
E perch6 ognun lo veggia manifesto,
al collo et alle braccia hai la catena
con che ella a voglia sua preso ti mena.
CANTO SETTIMO 143
LX
Se non ti muovon le tue proprie laudi,
e Topre escelse a chi t'ha il cielo eletto,
la tua succession perche defraudi
del ben che mille volte io t'ho predetto?
deh, perche il ventre eternamente claudi,
dove il ciel vuol che sia per te concetto
la gloriosa e soprumana prole
ch'esser de' al rnondo piu chiara che '1 sole?
LXI
Deh non vietar che le piu nobil alme,
che sian formate ne Feterne idee,
di tempo in tempo abbian corporee saline
dal ceppo che radice in te aver dee!
deh non vietar mille trionfi e palme,
con che, dopo aspri danni e piaghe ree,
tuoi figli, tuoi nipoti e successori
Italia torneran nei primi onori!
LXII
Non ch'a piegarti a questo tante e tante
anime belle aver dovesson pondo,
che chiare, illustri, inclite, invitte e sante
son per fiorir da Parbor tuo fecondo;
ma ti dovria una coppia esser bastante :
Ippolito e il fratel; che pochi il mondo
ha tali avuti ancor fin al dl d'oggi,
per tutti i gradi onde a virtu si poggi.
LXIII
Io solea piu di questi dui narrarti,
ch'io non facea di tutti gli altri insieme;
si perch<§ essi terran le maggior parti,
che gli altri tuoi, ne le virtu supreme;
si perche al dir di lor mi vedea darti
piu attenzion, che cT altri del tuo seme:
vedea goderti che si chiari eroi
esser dovessen dei nipoti tuoi.
144 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Che ha costei che t'hai fatto regina,
che non abbian milPaltre meretrici?
costei che di tant'altri e concubina,
ch'al fin sai ben s'ella suol far felici.
Ma perche tu conosca chi sia Alcina,
levatone le fraudi e gli artifici,
tien questo annello in dito, e torna ad ella,
ch'aveder ti potrai come sia bella. —
LXV
Ruggier si stava vergognoso e muto
mirando in terra, e mal sapea che dire;
a cui la maga nel dito minuto
pose 1' annello, e lo fe' risentire.
Come Ruggiero in se fu rivenuto,
di tanto scorno si vide assalire,
ch'esser vorria sotterra mille braccia,
ch'alcun veder non lo potesse in faccia.
LXVI
Ne la sua prima forma in uno instante,
cosi parlando, la maga rivenne;
ne bisognava piii quella d* Atlanta,
seguitone 1'effetto per che venne.
Per dirvi quel ch'io non vi dissi inante,
costei Melissa nominata venne,
ch'or die a Ruggier di se notizia vera,
e dissegli a che effetto venuta era;
LXVII
mandata da colei, che d'amor piena
sempre il disia, ne piu pu6 starne senza,
per liberarlo da quella catena
di che lo cinse magica violenza:
e preso avea d'Atlante di Carena
la forma, per trovar meglio credenza.
Ma poi ch'a sanita 1'ha omai ridutto,
gli vuole aprire e far che veggia il tutto.
CANTO SETTIMO 145
LXVIII
— Quella donna gentil che t'ama tanto,
quella che del tuo amor degna sarebbe,
a cui, se non ti scorda, tu sai quanto
tua liberta, da lei servata, debbe;
questo annel che ripara ad ogni incanto
ti manda: e cosl il cor mandato avrebbe,
s'avesse avuto il cor cosi virtute,
come Fannello, atta alia tua salute. —
LXIX
E seguitfr narrandogli 1'amore
che Bradamante gli ha portato e porta;
di quella insieme comend6 il valore,
in quanto il vero e Faffezion comporta;
et uso modo e termine migliore
che si convenga a messaggiera accorta:
et in quel odio Alcina a Ruggier pose,
in che soglionsi aver 1'orribil cose.
LXX
In odio gli la pose, ancor che tanto
Famasse dianzi; e non vi paia strano,
quando il suo amor per forza era d'incanto,
ch'essendovi Fannel, rimase vano.
Fece Fannel palese ancor, che quanto
di belta Alcina avea, tutto era estrano;
estrano avea, e non suo, dal pie alia treccia:
il bel ne sparve, e le rest6 la feccia.
LXXI
Come fanciullo che maturo frutto
ripone, e poi si scorda ove e riposto,
e dopo molti giorni e ricondutto
la dove truova a caso il suo deposto,
si maraviglia di vederlo tutto
putrido e guasto, e non come fu posto;
e dove amarlo e caro aver solia,
Fodia, sprezza, n'ha schivo, e getta via:
146 ORLANDO FURIOSO
LXXII
cosi Ruggier, poi che Melissa fece
ch'a riveder se ne torn6 la fata
con quelFannello inanzi a cui non lece,
quando s'ha in dito, usare opra incantata,
ritruova, contra ogni sua stima, invece
de la bella che dianzi avea lasciata,
donna si laida, che la terra tutta
ne la piu vecchia avea ne la piu brutta.
LXXIII
Pallido, crespo e macilente avea
Alcina il viso, il crin raro e canuto,
sua statura a sei palmi non giungea,
ogni dente di bocca era caduto;
che piu d'Ecuba e piu de la Cumea,
et avea piu d'ogn'altra mai vivuto.
Ma si Farti usa al nostro tempo ignote,
che bella e giovanetta parer puote.
LXXIV
Giovane e bella ella si fa con arte,
si che molti inganno come Ruggiero;
ma Tannel venne a interpretar le carte,
che gia molti anni avean celato il vero.
Miracol non e dunque, se si parte
de 1'animo a Ruggiero ogni pensiero
ch'avea d'amare Alcina, or che la truova
in guisa, che sua fraude non le giova.
LXXV
Ma come F aviso Melissa, stette
senza mutare il solito sembiante,
fin che de 1'arme sue, piu di neglette,
si fu vestito dal capo alle piante;
e per non farle ad Alcina suspette,
finse provar s'in esse era aiutante,
finse provar se gli era fatto grosso,
dopo alcun di che non Pha avute indosso.
CANTO OTTAVO 147
LXXVI
E Balisarda' poi si messe al fianco
(che cosi nome la sua spada avea);
e lo scudo mirabile tolse anco,
che non pur gli occhi abbarbagliar solea,
ma Tanima facea si venir manco,
che dal corpo esalata esser parea.
Lo tolse, e col zendado in che trovollo,
che tutto lo copria, sel messe al collo.
LXXVII
Venne alia stalla, e fece briglia e sella
porre a un destrier piu che la pece nero:
cosi Melissa 1'avea instrutto; ch'ella
sapea quanto nel corso era leggiero.
Chi lo conosce, Rabican Tappella;
et e quel proprio che col cavalliero,
del quale i venti or presso al mar fan gioco,
porto gia la balena in questo loco.
LXXVIII
Potea aver I'ippogrifo similmente,
che presso a Rabicano era legato;
ma gli avea detto la maga: — Abbi mente,
ch'egli e (come tu sai) troppo sfrenato. —
E gli diede intenzion che '1 di seguente
gli lo trarrebbe fuor di quello state,
la dove ad agio poi sarebbe instrutto
come frenarlo e farlo gir per tutto.
LXXIX
Ne sospetto dara, se non lo tolle,
de la tacita fuga ch'apparecchia.
Fece Ruggier come Melissa voile,
ch'invisibile ognor gli era alPorecchia.
Cosi fingendo, del lascivo e molle
palazzo usci de la puttana vecchia;
e si venne accostando ad una porta,
donde e la via ch'a Logistilla il porta.
148 ORLANDO FURIOSO
LXXX
Assalt6 li guardian! alPimproviso,
e si cacci6 tra lor col ferro in mano :
e qual lascio ferito, e quale ucciso;
e corse fuor del ponte a mano a mano,
e prima che n'avesse Alcina aviso,
di molto spazio fu Ruggier lontano.
Diro ne 1'altro canto che via tenne;
poi come a Logistilla se ne venne.
CANTO OTTAVO 149
CANTO OTTAVO
I
Oh quante sono incantatrici, oh. quanti
incantator tra noi, che non si sanno!
che con lor arti uomini e donne amanti
di se, cangiando i visi lor, fatto hanno.
Non con spirti constretti tali incanti,
ne con osservazion di stelle fanno;
ma con simulazion, menzogne e frodi
legano i cor d'indissolubil nodi.
II
Chi Fannello d' Angelica, o piu tosto
chi avesse quel de la ragion, potria
veder a tutti il viso che nascosto
da finzione e d'arte non saria.
Tal ci par bello e buono che, deposto
il liscio, brutto e rio forse parria.
Fu gran ventura quella di Ruggiero,
ch'ebbe 1'annel che gli scoperse il vero.
in
Ruggier (come io dicea) dissimulando,
su Rabican venne alia porta armato:
trov6 le guardie sprovedute, e quando
giunse tra lor, non tenne il bran do a lato.
Chi morto e chi a mal termine lasciando,
esce del ponte, e il rastrello ha spezzato:
prende al bosco la via; ma poco corre,
ch'ad un de' send de la fata occorre.
150 ORLANDO FURIOSO
IV
II servo in pugno avea un augel grifagno
che volar con placer facea ogni giorno,
ora a campagna, ora a un vicino stagno
dove era sempre da far preda intorno;
avea da lato il can fido compagno :
cavalcava un ronzin non troppo adorno.
Ben penso che Ruggier dovea fuggire,
quando lo vide in tal fretta venire.
Se gli fe' incontra, e con sembiante altiero
gli domandb perche in tal fretta gisse.
Risponder non gli volse il buon Ruggiero :
perci6 colui, piu certo che fuggisse,
di volerlo arrestar fece pensiero ;
e distendendo il braccio manco, disse:
— Che dirai tu, se subito ti fermo?
se contra questo augel non avrai schermo ? —
VI
Spinge 1'augello: e quel batte si Pale,
che non Pavanza Rabican di corso.
Del palafreno il cacciator giu sale,
e tutto a un tempo gli ha levato il morso.
Quel par da Parco uno aventato strale,
di calci formidabile e di morso;
e '1 servo dietro si veloce viene,
che par ch'il vento, anzi che il fuoco il mene.
VII
Non vuol parere il can d'esser piu tardo,
ma segue Rabican con quella fretta
con che le lepri suol seguire il pardo.
Vergogna a Ruggier par, se non aspetta.
Voltasi a quel che vien si a pie gagliardo ;
ne gli vede arme, fuor ch'una bacchetta,
quella con che ubidire al cane insegna:
Ruggier di trar la spada si disdegna.
CANTO OTTAVO 151
VIII
Quel se gli appressa, e forte lo percuote;
lo morde a un tempo il can nel piede manco.
Lo sfrenato destrier la groppa scuote
tre volte e piu, ne falla il destro fianco.
Gira Faugello e gli fa mille mote,
e con 1'ugna sovente il ferisce anco :
si il destrier collo strido impaurisce,
ch'alla mano e allo spron poco ubidisce.
IX
Ruggiero, al fin constretto, il ferro caccia;
e perch6 tal molestia se ne vada,
or gli animali, or quel villan minaccia
col taglio e con la punta de la spada.
Quella importuna turba piu Pimpaccia:
presa ha chi qua chi la tutta la strada.
Vede Ruggiero il disonore e il danno
che gli averra, se piu tardar lo fanno.
Sa ch'ogni poco piu ch'ivi rimane,
Alcina avra col populo alle spalle :
di trombe, di tamburi e di campane
gia s'ode alto rumore in ogni valle.
Contra un servo senza arme e contra un cane
gli par ch'a usar la spada troppo falle:
meglio e piu breve e dunque che gli scopra
10 scudo che d'Atlante era stato opra.
XI
Levo il drappo vermiglio in che coperto
gia molti giorni lo scudo si tenne.
Fece Peffetto mille volte esperto
11 lume, ove a ferir negli occhi venne:
resta dai sensi il cacciator deserto,
cade il cane e il ronzin, cadon le penne
ch'in aria sostener 1'augel non ponno;
lieto Ruggier li lascia in preda al sonno.
152 ORLANDO FURIOSO
XII
Alcina, ch'avea intanto avuto aviso
di Ruggier, che sforzato avea la porta,
e de la guardia buon numero ucciso,
fu, vinta dal dolor, per restar morta.
Squarciossi i panni e si percosse il viso,
e sciocca nominossi e malaccorta;
e fece dar aU'arme immantinente,
e intorno a se raccor tutta sua gente.
XIII
E poi ne fa due parti, e manda Tuna
per quella strada ove Ruggier camina;
al porto Faltra subito raguna,
imbarca, et uscir fa ne la marina:
sotto le vele aperte il mar s'imbruna.
Con questi va la disperata Alcina,
che '1 desiderio di Ruggier si rode,
che lascia sua citta senza custode.
XIV
Non lascia alcuno a guardia del palagio :
il che a Melissa, che stava alia posta
per liberar di quel regno malvagio
la gente ch'in miseria v'era posta,
diede commodita, diede grande agio
di gir cercando ogni cosa a sua posta,
imagini abbruciar, suggelli t6rre,
e nodi e rombi e turbini disciorre.
xv
Indi pei campi accelerando i passi,
gli antiqui amanti ch'erano in gran torma
conversi in fonti, in fere, in legni, in sassi,
fe' ritornar ne la lor prima forma.
E quei, poi ch'allargati furo i passi,
tutti del buon Ruggier seguiron Forma:
a Logistilla si salvaro; et indi
tornaro a Sciti, a Persi, a Greci, ad Indi.
CANTO OTTAVO 153
XVI
Li rimando Melissa in lor paesi,
con obligo di mai non esser sciolto.
Fu inanzi agli altri il duca degl'Inglesi
ad esser ritornato in uman volto;
che '1 parentado in questo e li cortesi
prieghi del bon Ruggier gli giovar molto :
oltre i prieghi, Ruggier le die Tannello,
accio meglio potesse aiutar quello.
XVII
A' prieghi dunque di Ruggier, rifatto
fu '1 paladin ne la sua prima faccia.
Nulla pare a Melissa d'aver fatto,
quando ricovrar Tarme non gli faccia,
e quella lancia d'or, ch'al primo tratto
quanti ne tocca de la sella caccia:
de FArgalia, poi fu d'Astolfo lancia,
e molto onor fe' a Funo e a 1'altro in Francia.
XVIII
Trovo Melissa questa lancia d'oro,
ch'Alcina avea reposta nel palagio,
e tutte Parme che del duca foro,
e gli fur tolte ne 1'ostel malvagio.
Monto il destrier del negromante moro,
e fe' montar Astolfo in groppa ad agio;
e quindi a Logistilla si condusse
d'un'ora prima che Ruggier vi fusse.
XIX
Tra duri sassi e folte spine gia
Ruggiero intanto inver la fata saggia,
di balzo in balzo, e d'una in altra via
aspra, solinga, inospita e selvaggia;
tanto ch'a gran fatica riuscia
su la fervida nona in una spiaggia
tra Jl mare e '1 monte, al mezzodi scoperta,
arsiccia, nuda, sterile e deserta.
154 ORLANDO FURIOSO
XX
Percuote il sole ardente il vicin colle;
e del calor che si riflette a dietro,
in modo 1'aria e 1'arena ne bolle,
che saria troppo a far liquido il vetro.
Stassi cheto ogni augello all'ombra molle:
sol la cicala col noioso metro
fra i densi rami del fronzuto stelo
le valli e i monti assorda, e il mare e il cielo.
XXI
Quivi il caldo, la sete, e la fatica
ch'era di gir per quella via arenosa,
facean, lungo la spiaggia erma et aprica,
a Ruggier compagnia grave e noiosa.
Ma perche non convien che sempre io dica,
ne ch'io vi occupi sempre in una cosa,
io lascero Ruggiero in questo caldo,
e gir6 in Scozia a ritrovar Rinaldo.
XXII
Era Rinaldo molto ben veduto
dal re, da la figliola e dal paese.
Poi la cagion che quivi era venuto,
piu ad agio il paladin fece palese:
ch'in nome del suo re chiedeva aiuto
e dal regno di Scozia e da Finglese;
et ai preghi suggiunse anco di Carlo
giustissime cagion di dover farlo.
xxni
Dal re senza indugiar gli fu risposto
che di quanto sua forza s'estendea,
per utile et onor sempre disposto
di Carlo e de rimperio esser volea;
e che fra pochi di gli avrebbe posto
piu cavallieri in punto che potea;
e se non ch'esso era oggimai pur vecchio,
capitano verria del suo apparecchio.
CANTO OTTAVO 155
XXIV
Ne tal rispetto ancor gli parria degno
di farlo rimaner, se non avesse
il figlio, che di forza, e piu d'ingegno,
dignissimo era a chi '1 governo desse,
ben che non si trovasse allor nel regno ;
ma che sperava che venir dovesse
mentre ch'insieme aduneria lo stuolo;
e ch'adunato il troveria il figliuolo.
XXV
Cosi mand6 per tutta la sua terra
suoi tesorieri a far cavalli e gente;
navi apparecchia e iminizion da guerra,
vettovaglia e danar maturamente.
Venne intanto Rinaldo in Inghilterra,
e '1 re nel suo partir cortesemente
insino a Beroicche accompagnollo ;
e visto pianger fu quando lasciollo.
XXVI
Spirando il vento prospero alia poppa,
monta Rinaldo, et a Dio dice a tutti ;
la fune indi al viaggio il nocchier sgroppa,
tanto che giunge ove nei salsi flutti
il bel Tamigi amareggiando intoppa.
Col gran flusso del mar quindi condutti
i naviganti per camin sicuro
a vela e remi insino a Londra furo.
XXVII
Rinaldo avea da Carlo e dal re Otone,
che con Carlo in Parigi era assediato,
al principe di Vallia commissione
per contrasegni e lettere portato,
che cio che potea far la regione
di fanti e di cavalli in ogni lato,
tutto debba a Calesio traghitarlo,
si che aiutar si possa Francla e Carlo.
156 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
II principe ch'io dico, ch'era, in vece
d'Oton, rimaso nel seggio reale,
a Rinaldo d'Amon tanto onor fece,
die non Tavrebbe al suo re fatto uguale:
indi alle sue domande satisfece;
perch6 a tutta la gente marziale
e di Bretagna e de 1'isole intorno
di ritrovarsi al mar prefisse il giorno.
XXIX
Signer, far mi convien come fa il buono
senator sopra il suo instrumento arguto,
che spesso muta corda, e varia suono,
ricercando ora il grave, ora Facuto.
Mentre a dir di Rinaldo attento sono,
d' Angelica gentil m'e sovenuto,
di che lasciai ch'era da lui fuggita,
e ch'avea riscontrato uno eremita.
xxx
Alquanto la sua istoria io vo' seguire.
Dissi che domandava con gran cura,
come potesse alia marina gire;
che di Rinaldo avea tanta paura,
che, non passando il mar, credea morire,
ne in tutta Europa si tenea sicura:
ma Peremita a bada la tenea,
perche di star con lei piacere avea.
XXXI
Quella rara bellezza il cor gli accese,
e gli scaldo le frigide medolle:
ma poi che vide che poco gli attese,
e ch'oltra soggiornar seco non voile,
di cento punte Pasinello ofFese;
ne di sua tardita per6 lo tolle :
e poco va di passo e men di trotto,
ne stender gli si vuol la bestia sotto.
CANTO OTTAVO 157
XXXII
E perche molto dilungata s'era,
e poco piu, n'avria perduta 1'orma,
ricorse il frate alia spelonca nera,
e di demoni uscir fece una torma:
e ne sceglie uno di tutta la schiera,
e del bisogno suo prima 1'informa;
poi lo fa entrare adosso al corridore,
che via gli porta con la donna il core.
XXXIII
E qual sagace can, nel monte usato
a volpi o lepri dar spesso la caccia,
che se la fera andar vede da un lato,
ne va da un altro, e par sprezzi la traccia,
al varco poi lo senteno arrivato,
che 1'ha gia in bocca, e Fapre il fianco e straccia:
tal I'eremita per diversa strada
aggiugnera la donna ovunque vada.
xxxiv
Che sia il disegno suo, ben io comprendo:
e dirollo anco a voi, ma in altro loco.
Angelica di cio nulla temendo,
cavalcava a giornate, or molto or poco.
Nel cavallo il demon si gia coprendo,
come si cuopre alcuna volta il fuoco,
che con si grave incendio poscia avampa,
che non si estingue, e a pena se ne scampa.
xxxv
Poi che la donna preso ebbe il sentiero
dietro il gran mar che li Guasconi lava,
tenendo appresso alFonde il suo destriero,
dove Tumor la via piu ferma dava;
quel le fu tratto dal demonio fiero
ne 1'acqua si, che dentro vi nuotava.
Non sa che far la timida donzella,
se non tenersi ferma in su la sella.
158 ORLANDO FURIOSO
-XXXVI
Per tirar briglia, non gli puo dar volta:
piu e piu sempre quel si caccia in alto.
Ella tenea la vesta in su raccolta
per non bagnarla, e traea i piedi in alto.
Per le spalle la chioma iva disciolta,
e 1'aura le facea lascivo assalto.
Stavano cheti tutti i maggior venti,
forse a tanta belta col mare attend.
XXXVII
Ella volgea i begli occhi a terra invano,
che bagnavan di pianto il viso e }1 seno,
e vedea il lito andar sempre lontano
e decrescer piu sempre e venir meno.
II destrier, che nuotava a destra mano,
dopo un gran giro la porto al terreno
tra scuri sassi e spaventose grotte,
gia cominciando ad oscurar la notte.
XXXVIII
Quando si vide sola in quel deserto,
che a riguardarlo sol mettea paura,
ne 1'ora che nel mar Febo coperto
1'aria e la terra avea lasciata oscura,
fermossi in atto ch'avria fatto incerto
chiunque avesse vista sua figura,
s'ella era donna sensitiva e vera,
0 sasso colorito in tal maniera.
xxxix
Stupida e fissa nella incerta sabbia,
coi capelli disciolti e rabuffati,
con le man giunte e con rimmote labbia,
1 languidi occhi al ciel tenea levati,
come accusando il gran Motor che 1'abbia
tutti inclinati nel suo danno i fati.
Immota e come attonita ste alquanto ;
poi sciolse al duol la lingua, e gli occhi al pianto.
CANTO OTTAVO 159
XL
Dicea : — Fortuna, che piu a far ti resta
acci6 di me ti sazii e ti disfami?
che dar ti posso omai piu, se non questa
misera vita? ma tu non la brami;
ch'ora a trarla del mar sei stata presta,
quando potea finir suoi giorni grami:
perche ti parve di voler piu ancora
vedermi tormentar prima ch'io muora.
XLI
Ma che mi possi nuocere non veggio,
piu di quel che sin qui nociuto nVhai.
Per te cacciata son del real seggio,
dove piu ritornar non spero mai:
ho perduto 1'onor, ch'e stato peggio;
che se ben con effetto io non peccai,
io do pero materia ch'ognun dica
ch'essendo vagabonda io sia impudica.
XLII
Ch'aver puo donna al mondo piu di buono,
a cui la castita levata sia?
Mi nuoce, ahime! ch'io son giovane, e sono
tenuta bella, o sia vero o bugia.
Gia non ringrazio il ciel di questo dono;
che di qui nasce ogni ruina mia:
morto per questo fu Argalia mio frate,
che poco gli giovar Parme incantate:
XLIII
per questo il re di Tartaria Agricane
disfece il genitor mio Galafrone,
ch'in India del Cataio era gran Cane;
onde io son giunta a tal condizione,
che muto albergo da sera a dimane.
Se 1'aver, se 1'onor, se le persone
m'hai tolto, e fatto il mal che far mi puoi,
a che piu doglia anco serbar mi vuoi ?
l6o ORLANDO FURIOSO
XLIV
Se Taffogarmi in mar morte non era
a tuo senno crudel, pur ch'io ti sazii,
non recuso che mandi alcuna fera
che mi divori, e non mi tenga in strazii.
D'ogni martir che sia, pur ch'io ne pera,
esser non puo ch'assai non ti ringrazii. —
Cosi dicea la donna con gran pianto,
quando le apparve 1'eremita accanto.
XLV
Avea mirato da Testrema cima
d'un rilevato sasso 1'eremita
Angelica, che giunta alia parte ima
e de lo scoglio, affitta e sbigottita.
Era sei giorni egli venuto prima;
ch'un demonio il porto per via non trita:
e venne a lei fingendo divozione
quanta avesse mai Paulo o Ilarione.
XLVI
Come la donna il comincio a vedere,
prese, non conoscendolo, conforto;
e cesso a poco a poco il suo temere,
ben che ella avesse ancora il viso smorto.
Come fu presso, disse : — Miserere,
padre, di me, chT son giunta a mal porto.
E con voce interrotta dal singulto
gli disse quel ch'a lui non era occulto.
XLVII
Comincia Teremita a confortarla
con alquante ragion belle e divote ;
e pon Paudaci man, mentre che parla,
or per lo seno, or per Pumide gote:
poi piu sicuro va per abbracciarla;
et ella sdegnosetta lo percuote
con una man nel petto, e lo rispinge,
e d'onesto rossor tutta si tinge.
CANTO OTTAVO l6l
XLVIII
Egli, ch'allato avea una tasca, aprilla,
& trassene una ampolla di liquore;
e negli occhi possenti, onde sfavilla
la piu cocente face ch'abbia Amore,
spruzzo di quel leggiermente una stilla,
che di farla dormire ebbe valore,
Gia resupina ne F arena giace
a tutte voglie del vecchio rapace.
XLIX
Egli Tabbraccia et a piacer la tocca,
et ella dorme e non puo fare ischermo.
Or le bacia il bel petto, ora la bocca;
non e ch'il veggia in quel loco aspro et ermo.
Ma ne 1'incontro il suo destrier trabocca,
ch'al disio non risponde il corpo infermo:
era mal atto, perche avea troppi anni;
e potra peggio, quanto piu TarTanni.
L
Tutte le vie, tutti li modi tenta,
ma quel pigro rozzon non pero salta.
Indarno il fren gli scuote, e lo tormenta;
e non pub far che tenga la testa alta.
Al fin presso alia donna s'addormenta;
e nuova altra sciagura anco 1'assalta:
non comincia Fortuna mai per poco,
quando un mortal si piglia a scherno e a gioco.
LI
Bisogna, prima ch'io vi narri il caso,
ch'un poco dal sentier dritto mi torca.
Nel mar di tramontana inver 1'occaso,
oltre Tlrlanda una isola si corca,
Ebuda nominata; ove e rimaso
il popul raro, poi che la brutta orca
e Paltro marin gregge la distrusse,
ch' in sua vendetta Proteo vi condusse.
162 ORLANDO FURIOSO
LII
Narran 1' antique istorie, o vere o false,
che tenne gia quel luogo un re possente,
ch'ebbe una figlia, in cui bellezza valse
e grazia si, che pote* facilmente,
poi che mostrossi in su 1'arene salse,
Proteo lasciare in mezzo Facque ardente;
e quello, un di che sola ritrovolla,
compresse, e di se gravida lasciolla.
LIII
La cosa fu gravissima e molesta
al padre, piu d'ogn'altro empio e severo:
ne per iscusa o per pieta, la testa
le perdon6: si pu6 lo sdegno fiero..
Ne per vederla gravida, si resta
di subito esequire il crudo impero:
e '1 nipotin che non avea peccato,
prima fece morir che fosse nato.
LIV
Proteo marin, che pasce il fiero armento
di Nettunno che Fonda tutta regge,
sente de la sua donna aspro tormento,
e per grand'ira, rompe ordine e legge;
si che a mandare in terra non e lento
Forche e le foche, e tutto il marin gregge,
che distruggon non sol pecore e buoi,
ma ville e borghi e li cultori suoi :
LV
e spesso vanno alle citta murate,
e d'ogn'iritorno lor mettono assedio.
Notte e di stanno le persone armate,
con gran timore e dispiacevol tedio :
tutte hanno le campagne abbandonate;
e per trovarvi al fin qualche rimedio,
andarsi a consigliar di queste cose
alPoracol, che lor cosi rispose:
CANTO OTTAVO 163
LVI
che trovar bisognava una donzella
che fosse all'altra di bellezza pare,
et a Proteo sdegnato offerir quella,
in cambio de la morta, in lito al mare.
S'a sua satisfazion gli parra bella,
se la terra, ne li verra a sturbare:
se per questo non sta, se gli appresenti
una et un'altra, fin che si content!.
LVII
E cosi cominci6 la dura sorte
tra quelle che piu grate eran di faccia,
ch'a Proteo ciascun giorno una si porte,
fin che trovino donna che gli piaccia.
La prima e tutte Taltre ebbeno morte;
che tutte giu pel ventre se le caccia
un'orca, che resto presso alia foce
poi che Jl resto parti del gregge atroce.
LVIII
O vera o falsa che fosse la cosa
di Proteo (ch'io non so che me ne dica),
servosse in quella terra, con tal chiosa,
contra le donne un'empia lege antica:
che di lor carne Forca monstruosa
che viene ogni di al lito, si notrica.
Ben ch'esser donna sia in tutte le bande
danno e sciagura, quivi era pur grande.
LIX
Oh misere donzelle che trasporte
fortuna ingiuriosa al lito infausto!
dove le genti stan sul mare accorte
per far de le straniere empio olocausto;
che, come piu di fuor ne sono morte,
il numer de le loro e meno esausto:
ma perche il vento ognor preda non mena,
ricercando ne van per ogni arena.
164 ORLANDO FURIOSO
LX
Van discorrendo tutta la marina
con fuste e grippi et altri legni loro,
e da lontana parte e da vicina
portan sollevamento al lor martoro.
Molte donne han per forza e per rapina,
alcune per lusinghe, altre per oro;
e sempre da diverse region!
n'hanno piene le torn e le prigioni.
LXI
Passando una lor fusta a terra a terra
inanzi a quella solitaria riva
dove fra sterpi in su Terbosa terra
la sfortunata Angelica dormiva,
smontaro alquanti galeotti in terra
per riportarne e legna et acqua viva;
e di quante mai fur belle e leggiadre
trovaro il fiore in braccio al santo padre.
LXII
Oh troppo cara, oh troppo escelsa preda
per si barbare genti e si villane!
O Fortuna crudel, chi fia ch'il creda
che tanta forza hai ne le cose umane,
che per cibo d'un mostro tu conceda
la gran belta, ch'in India il re Agricane
fece venir da le caucasee porte
con mezza Scizia a guadagnar la morte?
LXIII
La gran belta, che fu da Sacripante
posta inanzi al suo onore e al suo bel regno;
la gran belta, ch'al gran signer d'Anglante
macchio la chiara fama e Palto ingegno;
la gran belta che fe* tutto Levante
sottosopra voltarsi e stare al segno,
ora non ha (cosi e rimasa sola)
chi le dia aiuto pur d'una parola.
CANTO OTTAVO 165
LXIV
La bella donna, di gran sonno oppressa,
incatenata fu prima che desta.
Portaro il frate incantator con essa
nel legno pien di turba afHitta e mesta.
La vela, in cima all'arbore rimessa,
rende la nave all'isola funesta,
dove chiuser la donna in rocca forte,
fin a quel di ch'a lei tocco la sorte.
LXV
Ma pote si, per esser tanto bella,
la fiera gente muovere a pietade,
che molti di le differiron quella
morte, e serbarla a gran necessitade;
e fin ch'ebber di fuore altra donzella,
perdonaro all* angelica beltade.
Al mostro fu condotta finalmente,
piangendo dietro a lei tutta la gente.
LXVI
Chi narrera 1'angoscie, i pianti, i gridi,
1'alta querela che nel ciel penetra?
maraviglia ho che non s'apriro i lidi,
quando fu posta in su la fredda pietra,
dove in catena, priva di sussidi,
morte aspettava abominosa e tetra.
lo nol dir6 ; che si il dolor mi muove,
che mi sforza voltar le rime altrove,
LXVII
e trovar versi non tanto lugubri,
fin che '1 mio spirto stanco si riabbia;
che non potrian li squalidi colubri,
ne Porba tigre accesa in maggior rabbia,
ne ci6 che da TAtlante ai liti rubri
venenoso erra per la calda sabbia,
ne veder n6 pensar senza cordoglio,
Angelica legata al nudo scoglio.
l66 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Oh se Pavesse il suo Orlando saputo,
ch'era per ritrovarla ito a Parigi;
o li dui ch'ingann6 quel vecchio astuto
col messo che venia dai luoghi stigi!
fra mille morti, per donarle aiuto,
cercato avrian gli angelici vestigi:
ma che fariano, avendone anco spia,
poi che distant! son di tanta via?
LXIX
Parigi intanto avea Tassedio intorno
dal famoso figliuol del re Troianp;
e venne a tanta estremitade un giorno,
che n'ando quasi al suo nimico in manor
e se non che li voti il ciel placorno,
che dilag6 di pioggia oscura il piano,
cadea quel di per Tafricana lancia
il santo Ijnperio e '1 gran nome di Francia.
LXX
II sommo Creator gli occhi rivolse
al giusto lamentar del vecchio Carlo;
e con subita pioggia il fuoco tolse :
ne forse uman saper potea smorzarlo.
Savio chiunque a Dio sempre si volse;
ch'altri non pote mai meglio aiutarlo.
Ben dal devoto re fu conosciuto,
che si salv6 per lo divino aiuto.
LXXI
La notte Orlando alle noiose piume
del veloce pensier fa parte assai.
Or quinci or quindi il volta, or lo rassume
tutto in un loco, e non I'afferma mai:
qual d'acqua chiara il tremolante lume,
dal sol percossa o da' notturni rai,
per gli ampli tetti va con lungo salto
a destra et a sinistra, e basso et alto.
CANTO OTTAVO 167
LXXII
La donna sua, che gli ritorna a mente,
anzi che mai non era indi partita,
gli raccende nel core e fa piu ardente
la fiamma che nel di parea sopita.
Costei venuta seco era in Ponente
fin dal Cataio; e qui Favea smarrita,
ne ritrovato poi vestigio d'ella
che Carlo rotto fu presso a Bordella.
LXXIII
Di questo Orlando avea gran doglia, e seco
indarno a sua sciochezza ripensava.
— Cor mio, — dicea — come vilmente teco
mi son portato! ohime, quanto mi grava
che potendoti aver notte e di meco,
quando la tua bonta non mel negava,
t'abbia lasciato in "man di Namo porre,
per non sapermi a tanta ingmria opporre!
LXXIV
Non aveva ragione io di scusarme?
e Carlo non m'avria forse disdetto:
se pur disdetto, e chi potea sforzarme ?
chi ti mi volea t6rre al mio dispetto ?
non poteva io venir piu tosto alFarme ?
lasciar piu tosto trarmi il cor del petto ?
Ma ne Carlo n6 tutta la sua gente
di tormiti per forza era possente.
LXXV
Almen Favesse posta in guardia buona
dentro a Parigi o in qualche r6cca forte.
Che Fabbia data a Namo mi consona,
sol perch6 a perder Fabbia a questa sorte.
Chi la dovea guardar meglio persona
di me? ch'io dovea farlo fino a morte;
guardarla piu che '1 cor, che gli occhi miei:
e dovea e potea farlo, e pur nol fei.
l68 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Deh, dpve senza me, dolce mia vita,
rimasa sei si giovane e si bella?
come, poi che la luce e dipartita,
riman tra' boschi la smarrita agnella,
che dal pastor sperando essere udita,
si va laganando in questa parte e in quella;
tanto che '1 lupo 1'ode da lontano,
e '1 misero pastor ne piagne invano.
LXXVII
Dove, speranza mia, dove ora sei?
vai tu soletta forse ancor errando ?
o pur t'hanno trovata i lupi rei
senza la guardia del tuo fido Orlando ?
e il fior ch'in ciel potea pormi fra i dei,
il fior ch'intatto io mi venia serbando
per non turbarti, ohime! 1'animo casto,
ohime! per forza avranno colto e guasto.
LXXVIII
Oh infelice! oh misero! che voglio
se non morir, se '1 mio bel fior colto hanno?
0 sommo Dio, fammi sentir cordoglio
prima d'ogn'altro, che di questo danno.
Se questo e ver, con le mie man mi toglio
la vita, e Talma disperata danno. —
Cosi, piangendo forte e sospirando,
seco dicea Faddolorato Orlando.
LXXIX
Gia in ogni parte gli animanti lassi
davan riposo ai travagliati spirti,
chi su le piume, e chi sui duri sassi,
e chi su 1'erbe, e chi su faggi o mirti:
tu le palpebre, Orlando, a pena abbassi,
punto da' tuoi pensieri acuti et irti;
ne quel si breve e fuggitivo sonno
godere in pace anco lasciar ti ponno.
CANTO OTTAVO 169
LXXX
Parea ad Orlando, s'una verde riva
d'odoriferi fior tutta dipinta,
mirare il bello avorio, e la nativa
purpura ch'avea Amor di sua man tinta,
e le due chiare stelle onde nutriva
ne le reti d'Amor Panima avinta:
io parlo de' begli occhi e del bel volto,
che gli hanno il cor di mezzo il petto tolto.
LXXXI
Sentia il maggior piacer, la maggior festa
che sentir possa alcun felice amante:
ma ecco intanto uscire una tempest a
che struggea i fiori, et abbatea le piante.
Non se ne suol veder simile a questa,
quando giostra aquilone, austro e levante.
Parea che per trovar qualche coperto,
andasse errando invan per un deserto.
• LXXXII
Intanto I'infelice (e non sa come)
perde la donna sua per 1'aer fosco;
onde di qua e di la del suo bel nome
fa risonare ogni campagna e bosco.
E mentre dice indarno: — Misero me!
chi ha cangiata mia dolcezza in tosco ? —
ode la donna sua che gli domanda
piangendo aiuto, e se gli raccomanda.
LXXXIII
Onde par ch'esca il grido, va veloce
e quinci e quindi s'afTatica assai.
Oh quanto e il suo dolore aspro et atroce,
che non pu6 rivedere i dolci rai!
Ecco ch'altronde ode da un'altra voce:
— Non sperar piu gioirne in terra mai. —
A questo orribil grido risvegliossi,
e tutto pien di lacrime trovossi.
170 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
Senza pensar che sian Timagin false
quando per tema o per disio si sogna,
de la donzella per modo gli calse,
che stim6 giunta a danno od a vergogna,
che fulminando fuor del letto salse.
Di piastra e maglia, quanto gli bisogna,
tutto guarnissi, e Brigliadoro tolse;
ne* di scudiero alcun servigio volse.
LXXXV
E per potere entrare ogni sentiero,
che la sua dignita macchia non pigli,
non Tonorata insegna del quartiero,
distinta di color bianchi e vermigli,
ma portar volse un ornamento nero;
e forse accio ch'al suo dolor simigli:
e quello avea gia tolto a uno amostante,
ch'uccise di sua man pochi anni inante.
LXXXVI
Da mezza notte tacito si parte,
e non saluta e non fa motto al zio;
ne al fido suo compagno Brandimarte,
che tanto amar solea, pur dice a Dio.
Ma poi che '1 Sol con 1'auree chiome sparte
del ricco albergo di Titone uscio
e fe' Tombra fugire umida e nera,
s'avide il re che '1 paladin non v'era.
LXXXVII
Con suo gran dispiacer s'avede Carlo
che partito la notte e '1 suo nipote,
quando esser dovea seco e piu aiutarlo;
e ritener la colera non puote,
, ch'a lamentarsi d'esso, et a gravarlo
non incominci di biasmevol note;
e minacciar, se non ritorna, e dire
che lo faria di tanto error pentire.
CANTO OTTAVO 171
LXXXVIII
Brandimarte, chj Orlando amava a pare
di se medesmo, non fece soggiorno;
o che sperasse farlo ritornare,
o sdegno avesse udirne biasmo e scorno:
e volse a pena tanto dimorare,
ch'uscisse fuor ne Poscurar del giorno.
A Fiordiligi sua nulla ne disse,
perche Jl disegno suo non gl'impedisse.
LXXXIX
Era questa una donna che fa molto
da lui diletta, e ne fu raro senza;
di costumi, di grazia e di bel volto
dotata e d'accortezza e di prudenza:
e se licenzia or non n'aveva tolto,
fu che spero tornarle alia presenza
il di medesmo; ma gli accade poi,
che lo tardo piu dei disegni suoi.
xc
E poi ch'ella aspettato quasi un mese
indarno 1'ebbe, e che tornar nol vide,
di desiderio si di lui s'accese,
che si parti senza compagni o guide;
e cercandone and6 molto paese,
come 1'istoria al luogo suo dicide.
Di questi dua non vi dico or piu in ante;
che piu m'importa il cavallier d'Anglante.
xci
II qual, poi che mutato ebbe d' Almonte
le gloriose insegne, ando alia porta,
e disse ne Forecchio : — lo sono il conte —
a un capitan che vi facea la scorta;
e fattosi abassar subito il ponte,
per quella strada che piu breve porta
agPinimici, se n'and6 diritto.
Quel che segui, ne 1'altro canto e scritto.
172 ORLANDO FURIOSO
CANTO NONO
I
Che non puo far d'un cor ch'abbia suggetto
questo crudele e traditore Amore,
poi ch'ad Orlando puo levar del petto
la tanta fe che debbe al suo signore ?
Gia savio e pieno fu d'ogni rispetto,
e de la santa Chiesa difensore:
or per un vano amor, poco del zio,
e di se poco, e men cura di Dio.
II
Ma Pescuso io pur troppo, e mi rallegro
nel mio difetto aver compagno tale;
ch'anch'io sono al mio ben languido et egro,
sano e gagliardo a seguitare il male.
Quel se ne va tutto vestito a negro,
ne tanti amici abandonar gli cale;
e passa dove d' Africa e di Spagna
la gente era attendata alia campagna:
in
anzi non attendata, perche sotto
alberi e tetti Fha sparsa la pioggia
a dieci, a venti, a quattro, a sette, ad otto;
chi piu distante e chi piu presso alloggia.
Ognuno dorme travagliato e rotto :
chi steso in terra, e chi alia man s'appoggia.
Dormono; e il conte uccider ne puo assai:
n6 pero stringe Durindana mai.
CANTO NONO 173
IV
Di tanto core e il generoso Orlando,
che non degna ferir gente che dorma.
Or questo e quando quel luogo cercando
va, per trovar de la sua donna 1'orma.
Se truova alcun che veggi, sospirando
gli ne dipinge Tabito e la forma;
e poi lo priega che per cortesia
gl'insegni andar in parte ove ella sia.
V
E poi che venne il di chiaro e lucente,
tutto cerco Fesercito moresco:
e ben lo potea far sicuramente,
avendo indosso Tabito arabesco;
et aiutollo in questo parimente,
che sapeva altro idiorna che francesco,
e Tafricano tanto avea espedito,
che parea nato a Tripoli e nutrito.
VI
Quivi il tutto cerco, dove dimora
fece tre giorni, e non per altro effetto;
poi dentro alle cittadi e a* borghi fuora
non spio sol per Francia e suo distretto,
ma per Uvernia e per Guascogna ancora
rivide sin aH'ultimo borghetto:
e cerco da Provenza alia Bretagna,
e dai Picardi ai termini di Spagna.
Tra il fin d'ottobre e il capo di novembre,
ne la stagion che la frondosa vesta
vede levarsi e discoprir le membre
trepida pianta, fin che nuda resta,
e van gH augelli a strette schiere insembre,
Orlando entro ne Pamorosa inchiesta:
n6 tutto il verno appresso Iasci6 quella,
ne la lascio ne la stagion novella.
174 ORLANDO FURIOSO
VIII
Passando un giorno, come avea costume,
d'un paese in un altro, arriv6 dove
parte i Normandi dai Britoni un fiume,
e verso il vicin mar cheto si muove;
ch'allora gonfio e bianco gia di spume
per nieve sciolta e per montane piove:
e Timpeto de 1'acqua avea disciolto
e tratto seco il ponte, e il passo tolto.
IX
Con gli occhi cerca or questo lato or quello,
lungo le ripe il paladin, se vede
(quando ne pesce egli non e, ne augello)
come abbia a por ne Taltra ripa il piede :
et ecco a se venir vede un battello,
ne la cui poppe una donzella siede,
che di volere a lui venir fa segno;
ne lascia poi ch'arrivi in terra il legno.
Prora in terra non pon; che d'esser carca
contra sua volonta forse sospetta.
Orlando priega lei che ne la barca
seco lo tolga, et oltre il fiume il metta.
Et ella lui: — Qui cavallier non varca,
il qual su la sua fe non mi prometta
di fare una battaglia a mia richiesta,
la piu giusta del mondo e la piu onesta.
XI
Si che s'avete, cavallier, desire
di por per me ne Faltra ripa i passi,
promettetemi, prima che finire
quest'altro mese prossimo si lassi,
ch'al re d'Ibernia v'anderete a unire,
appresso al qual la bella armata fassi
per distrugger quelPisola d'Ebuda,
che di quante il mar cinge, e la piu cruda.
CANTO NONO 175
XII
Voi dovete saper ch'oltre Plrlanda,
fra molte che vi son, Pisola giace
nomata Ebuda, che per legge manda
rubando intorno il suo popul rapace;
e quante donne puo pigliar, vivanda
tutte destina a un animal vorace
che viene ogni di al lito, e sempre nuova
donna o donzella, onde si pasca, truova;
XIII
che mercanti e corsar che vanno attorno,
ve ne fan copia, e piu de le piu belle.
Ben potete contare, una per giorno,
quante morte vi sian donne e donzelle.
Ma se pietade in voi truova soggiorno,
se non sete d'Amor tutto ribelle,
siate contento esser tra questi eletto,
che van per far si fruttuoso effetto. —
XIV
Orlando volse a pena udire il tutto,
che giuro d' esser primo a quella impresa,
come quel ch'alcun atto iniquo e brutto
non puo sentire, e d'ascoltar gli pesa:
e f u a pensare, indi a temere indutto,
che quella gente Angelica abbia presa;
poi che cercata Fha per tanta via,
ne potutone ancor ritrovar spia.
XV
Questa imaginazion .si gli confuse
e si gli tolse ogni primier disegno,
che, quanto in fretta piu potea, conchiuse
di navigare a quello iniquo regno.
Ne prima Paltro sol nel mar si chiuse,
che presso a San Mal6 ritrov6 un legno,
nel qual si pose; e fatto alzar le vele,
pass6 la notte il monte San Michele.
176 ORLANDO FURIOSO
XVI
Breaco e Landriglier lascia a man manca,
e va radendo il gran lito britone;
e poi si drizza inver P arena bianca,
onde Ingleterra si nom6 Albione;
ma il vento, ch'era da meriggie, manca,
e sofSa tra il ponente e Taquilone
con tanta forza, die fa al basso porre
tutte le vele, e se per poppa torre.
XVII
Quanto il navilio inanzi era venuto
in quattro giorni, in un ritorno indietro,
ne Talto mar dal buon nochier tenuto,
che non dia in terra e sembri un fragil vetro.
II vento, poi che furioso suto
fu quattro giorni, il quinto cangio metro:
Iasci6 senza contrasto il legno entrare
dove il fiume d'Anversa ha foce in mare.
XVIII
Tosto che ne la foce entro lo stanco
nochier col legno afflitto, e il lito prese,
fuor d'una terra che sul destro franco
di quel fiume sedeva, un vecchio scese,
di molta eta, per quanto il crine bianco
ne dava indicio; il qual tutto cortese,
dopo i saluti, al conte rivoltosse,
che capo giudic6 che di lor fosse.
XIX
E da parte il preg6 d'una donzella
ch'a lei venir non gli paresse grave,
la qual ritroverebbe, oltre che bella,
piu ch'altra al mondo affabile e soave;
over fosse contento aspettar, ch'ella
verrebbe a trovar lui fin alia nave:
ne piu restio volesse esser di quanti
quivi eran giunti cavallieri erranti;
CANTO NONO 177
XX
che nessun altro cavallier ch'arriva
o per terra o per mare a questa foce,
di ragionar con la donzella schiva,
per consigliarla in un suo caso atroce.
Udito questo, Orlando in su la riva
senza punto indugiarsi usci veloce;
e come umano e pien di cortesia,
dove il vecchio il meno, prese la via.
XXI
Fu ne la terra il paladin condutto
dentro un palazzo, ove al salir le scale,
una donna trovo piena di lutto,
per quanto il viso ne facea segnale,
e i negri panni che coprian per tutto
e le loggie e le camere e le sale;
la qual, dopo accoglienza grata e onesta
fattol seder, gli disse in voce mesta:
XXII
— lo voglio che sappiate che figliuola
fui del conte d'Olanda, a lui si grata
(quantunque prole io non gli fossi sola,
ch'era da dui fratelli accompagnata),
ch'a quanto io gli chiedea, da lui parola
contraria non mi fu mai replicata.
Standomi lieta in questo stato, avenne
che ne la nostra terra un duca venne.
XXIII
Duca era di Selandia, e se ne giva
verso Biscaglia a guerreggiar coi Mori.
La bellezza e Peta ch'in lui fioriva,
e li non piu da me sentiti amori
con poca guerra me gli fer captiva;
tanto piu che, per quel ch'apparea fuori,
io credea e credo, e creder credo il vero,
ch'amassi et ami me con cor sincero.
178 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Quei giorni che con noi contrario vento,
contrario agli altri, a me propizio, il tenne
(ch'agli altri fur quaranta, a me un momenta:
cosi al fuggire ebbon veloci penne),
fummo piu volte insieme a parlamento,
dove che '1 matrimonio con solenne
rito al ritorno suo saria tra nui
mi promise egli, et io Jl promisi a lui.
xxv
Bireno a pena era da noi partita
(che cosi ha nome il mio fedele amante),
che Jl re di Frisa (la qual, quanta il lito
del mar divide il flume, e a noi distante),
disegnando il figliuol farmi marito,
ch'unico al mondo avea, nomato Arbante,
per li piu degni del suo stato manda
a domandarmi al mio padre in Olanda.
XXVI
10 chj all1 amante mio di quella fede
mancar non posso, che gli aveva data;
e ancor ch'io possa, Amor non mi conciede
che poter voglia, e ch'io sia tanto ingrata;
per ruinar la pratica ch'in piede
era gagliarda, e presso al fin guidata,
dico a mio padre che prima ch'in Frisa
mi dia marito, io voglio essere uccisa.
XXVII
11 mio buon padre, al qual sol piacea quanto
a me piacea, ne mai turbar mi volse,
per consolarmi e far cessare il pianto
ch'io ne facea, la pratica disciolse:
di che il superbo re di Frisa tanto
isdegno prese e a tanto odio si volse,
ch'entr6 in Olanda, e cominci6 la guerra
che tutto il sangue mio cacci6 sotterra.
CANTO NONO 179
XXVIII
Oltre che sia robusto e si possente,
che pochi pari a nostra eta ritruova,
e si astuto in mal far, ch'altrui niente
la possanza, 1'ardir, 1'mgegno giova;
porta alcun'arme che Fantica gente
non vide mai, ne fuor ch'a lui la nuova:
un ferro bugio, lungo da dua braccia,
dentro a cui polve et una palla caccia.
XXIX
Col fuoco dietro ove la canna e chiusa,
tocca un spiraglio che si vede a pena;
a guisa che toccare il medico usa
dove e bisogno d'allacciar la vena:
onde vien con tal suon la palla esclusa,
che si pu6 dir che tuona e che balena;
ne men che soglia il fulmine ove passa,
ci6 che tocca, arde, abatte, apre e fracassa.
xxx
Pose due volte il nostro campo in rotta
con questo inganno, e i miei fratelli uccise :
nel primo assalto il primo; che la botta,
rotto Tusbergo, in mezzo il cor gli mise;
ne Paltra zuffa a 1'altro, il quale in frotta
fuggia, dal corpo Fanima divise;
e lo feri lontan dietro la spalla,
e fuor del petto uscir fece la palla.
XXXI
Difendendosi poi mio padre un giorno
dentro un castel che sol gli era rimaso,
che tutto il resto avea perduto intorno,
lo fe* con simil colpo ire all'occaso;
che mentre andava e che facea ritorno,
provedendo or a questo or a quel caso,
dal traditor fu in mezzo gli occhi colto,
che Pavea di lontan di mira tolto.
l8o ORLANDO FURIOSO
XXXII
Morto i fratelli e il padre, e rimasa io
de Fisola d'Olanda unica erede,
il re di Frisa, perche avea disio
di ben fermare in quello stato il piede,
mi fa sapere, e cosi al popul mio,
che pace e che riposo mi conciede,
quando io vogli or quel che non volsi inante,
tor per marito il suo figliuolo Arbante.
XXXIII
10 per Podio non si, che grave porto
a lui e a tutta la sua iniqua schiatta,
11 qual m'ha dui fratelli e '1 padre morto,
saccheggiata la patria, arsa e disfatta;
come perche a colui non voj far torto,
a cui gia la promessa aveva fatta,
ch'altr'uomo non saria che mi sposasse,
fin che di Spagna a me non ritornasse:
XXXIV
«Per un mal ch'io patisco, ne vo' cento
patir, » rispondo <c e far di tutto il resto ;
esser morta, arsa viva, e che sia al vento
la cener sparsa, inanzi che far questo.»
Studia la gente mia di questo intento
tormi: chi priega, e chi mi fa protesto
di dargli in mano me e la terra, prima
che la mia ostinazion tutti ci opprima.
xxxv
Cosi, poi che i protesti e i prieghi invano
vider gittarsi, e che pur stava dura,
presero accordo col Frisone, e in mano,
come avean detto, gli dier me e le mura.
Quel, senza farmi alcuno atto villano,
de la vita e del regno m'assicura,
pur ch'io indolcisca 1'indurate voglie,
e che d' Arbante suo mi faccia moglie.
CANTO NONO l8l
XXXVI
10 che sforzar cosi mi veggio, voglio,
per uscirgli di man, perder la vita;
ma se pria non mi vendico, mi doglio
piu che di quanta ingiuria abbia patita.
Fo pensier molti; e veggio al mio cordoglio
che solo il simular puo dare aita:
fingo ch'io brami, non che non mi piaccia,
che mi perdoni e sua nuora mi faccia.
XXXVII
Fra molti ch'al servizio erano stati
gia di mio padre, io scelgo dui fratelli
di grande ingegno e di gran cor dotati,
ma piu di vera fede, come quelli
che cresciutici in corte et allevati
si son con noi da teneri citelli;
e tanto miei, che poco lor parria
la vita por per la salute mia.
XXXVIII
Communico con loro il mio disegno :
essi prometton d'essermi in aiuto.
L'un viene in Fiandra, e v'apparecchia un legno;
1'altro meco in Olanda ho ritenuto.
Or mentre i forestieri e quei del regno
s'invitano alle nozze, fu saputo
che Bireno in Biscaglia avea una armata,
per venire in Olanda, apparecchiata.
xxxix
Per6 che, fatta la prima battaglia
dove fu rotto un mio fratello e ucciso,
spacciar tosto un corrier feci in Biscaglia,
che portassi a Bireno il tristo aviso;
11 qual mentre che s'arma e si travaglia,
dal re di Frisa il resto fu conquiso.
Bireno, che di cio nulla sapea,
per darci aiuto i legni sciolti avea.
1 82 ORLANDO FURIOSO
XL
Di questo avuto aviso il re frisone,
de le nozze al figliuol la cura lassa;
e con Farmata sua nel mar si pone:
truova il duca, lo rompe, arde e fracassa,
e, come vuol Fortuna, il fa prigione;
ma di ci6 ancor la nuova a noi non passa.
Mi sposa intanto il giovene, e si vuole
meco corcar come si corchi il sole,
XLI
lo dietro alle cortine avea nascoso
quel mio fedele, il qual nulla si mosse
prima che a me venir vide lo sposo;
e non Tattese che corcato fosse,
ch'alz6 un'accetta, e con si valoroso
braccio dietro nel capo lo percosse,
che gli Iev6 la vita e la parola:
10 saltai presta, e gli segai la gola.
XLII
Come cadere il hue suole al macello,
cade il malnato giovene, in dispetto
del re Cimosco, il piu d'ogn'altro fello;
che Pempio re di Frisa e cosi detto,
che morto Puno e Paltro mio fratello
m'avea col padre, e per meglio suggetto
farsi il mio stato, mi volea per nuora;
e forse un giorno uccisa avria me ancora.
XLIII
Prima ch'altro disturbo vi si metta,
tolto quel che piu vale e meno pesa,
11 mio compagno al mar mi cala in fretta
da la finestra, a un canape sospesa,
la dove attento il suo fratello aspetta
sopra la barca ch'avea in Fiandra presa.
Demmo le vele ai venti e i remi alPacque,
e tutti ci salvian, come a Dio piacque.
CANTO NONO 183
XLIV
Non so se '1 re di Frisa piu dolente
del figliol morto, o se piu d'ira acceso
fosse contra di me, che '1 di seguente
giunse la dove si trovo si offeso.
Superbo ritornava egli e sua gente
de la vittoria e di Bireno preso;
e credendo venire a nozze e a festa,
ogni cosa trovo scura e funesta.
XLV
La pieta del figliuol, Todio ch'aveva
a me, ne dl ne notte il lascia mai.
Ma perche il pianger morti non rileva,
e la vendetta sfoga Todio assai,
la parte del pensier, ch'esser doveva
de la pietade in sospirare e in guai,
vuol che con 1'odio a investigar s'unisca,
come egli m'abbia in mano e mi punisca.
XLVI
Quei tutti che sapeva e gli era detto
che mi fossino amici, o di quei miei
che m'aveano aiutata a far 1'effetto,
uccise, o lor beni arse, o li fe' rei.
Volse uccider Bireno in mio dispetto;
che d'altro si doler non mi potrei:
gli parve poi, se vivo lo tenesse,
che per pigliarmi in man la rete avesse.
XLVII
Ma gli propone una crudele e dura
condizion: gli fa termine un anno,
al fin del qual gli dara morte oscura,
se prima egli per forza o per inganno,
con amici e parenti non procura,
con tutto ci6 che ponno e ci6 che sanno,
di darmigli in prigion: si che la via
di lui salvare e sol la morte mia.
184 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Ci6 che si possa far per sua salute,
fuor che perder me stessa, il tutto ho fatto.
Sel castella ebbi in Fiandra, e 1'ho vendute:
e '1 poco o '1 molto prezzo ch'io n'ho tratto,
parte, tentando per persone astute
i guardiani corrumpere, ho distratto;
e parte, per far muovere alii danni
di quelPempio or gl'Inglesi, or gli Alamanni.
XLIX
I mezzi, o che non abbiano potuto,
o che non abbian fatto il dover loro,
m'hanno dato parole e non aiuto;
e sprezzano or che n'han cavato 1'oro :
e presso al fine il termine e venuto,
dopo il qual ne la forza ne '1 tesoro
potra giunger piu a tempo, si che morte
e strazio schivi al mio caro consorte.
L
Mio padre e' miei fratelli mi son stati
morti per lui ; per lui toltomi il regno ;
per lui quei pochi beni che restati
m'eran, del viver mio soli sostegno,
per trarlo di prigione ho disipati:
ne mi resta ora in che piu far disegno,
se non d'andarmi io stessa in mano a porre
di si crudel nimico, e lui disciorre.
LI
Se dunque da far altro non mi resta,
ne si truova al suo scampo altro riparo
che per lui por questa mia vita, questa
mia vita per lui por mi sara caro.
Ma sola una paura mi molesta,
che non sapro far patto cosi chiaro,
che m'assicuri che non sia il tiranno,
poi ch'avuta m'avra, per fare inganno.
CANTO NONO 185
LII
lo dubito che poi che m'avra in gabbia
e fatto avra di me tutti li strazii,
ne Bireno per questo a lasciare abbia,
si ch'esser per me sciolto mi ringrazii ;
come periuro, e pien di tanta rabbia,
che di me sola uccider non si sazii :
e quel ch'avra di me, ne piu ne meno
faccia di poi del misero Bireno.
LIII
Or la cagion che conferir con voi
mi fa i miei casi, e ch'io li dico a quanti
signori e cavallier vengono a noi,
e solo accio, parlandone con tanti,
m'insegni alcun d'assicurar che poi
ch'a quel cnidel mi sia condotta avanti,
non abbia a ritener Bireno ancora,
ne voglia, morta me, ch'esso poi mora.
LIV
Pregato ho alcun guerrier, che meco sia
quando io mi daro in mano al re di Frisa;
ma mi prometta, e la sua fe mi dia,
che questo cambio sara fatto in guisa,
ch'a un tempo io data, e liberate fia
Bireno: si che quando io saro uccisa,
morro contenta, poi che la mia morte
avra dato la vita al mio consorte.
LV
Ne fino a questo di truovo chi toglia
sopra la fede sua d'assicurarmi
che quando io sia condotta, e che mi voglia
aver quel re, senza Bireno darmi,
egli non lasciera contra mia voglia
che presa io sia: si teme ognun quelParmi;
teme quell' armi, a cui par che non possa
star piastra incontra, e sia quanto vuol grossa.
l86 ORLANDO FURIOSO
LVI
Or, s'in voi la virtu non e diforme
dal fier sembiante e da 1'erculeo aspetto,
e credete poter darmegli, e t6rme
anco da lui, quando non vada retto;
siate contento d'esser meco a porme
ne le man sue: ch'io non avro sospetto,
quando voi siate meco, se ben io
poi ne morr6, che muora il signor mio. —
LVII
Qui la donzella il suo parlar conchiuse,
che con pianto e sospir spesso interroppe.
Orlando, poi ch'ella la bocca chiuse,
le cui voglie al ben far mai non fur zoppe,
in parole con lei non si diffuse;
che di natura non usava troppe:
ma le promise, e la sua fe le diede,
che faria piu di quel ch'ella gli chiede.
LVIII
Non e sua intenzion ch'ella in man vada
del suo nimico per salvar Bireno :
ben salvera amendui, se la sua spada
e 1'usato valor non gli vien meno.
II medesimo di piglian la strada,
poi c'hanno il vento prospero e sereno.
II paladin s'affretta; che di gire
all'isola del mostro avea desire.
LIX
Or volta alPuna, or volta alPaltra banda
per gli alti stagni il buon nochier la vela:
scuopre un'isola e un'altra di Zilanda;
scuopre una inanzi, e un'altra a dietro cela.
Orlando smonta il terzo di in Olanda;
ma non smonta colei che si querela
del re di Frisa: Orlando vuol che intenda
la morte di quel rio, prima che scenda.
CANTO NONO 187
LX
Nel lito armato il paladino varca
sopra un corsier di pel tra bigio e nero,
nutrito in Fiandra e nato in Danismarca,
grande e possente assai piu che leggiero;
pero ch'avea, quando si messe in barca,
in Bretagna lasciato il suo destriero,
quel Brigliador si bello e si gagliardo,
che non ha paragon, fuor che Baiardo.
LXI
Giunge Orlando a Dordreche, e quivi truova
di molta gente armata in su la porta;
si perche sempre, ma piu quando e nuova,
seco ogni signoria sospetto porta;
si perche" dianzi giunta era una nuova,
che di Selandia con armata scorta
di navilii e di gente un cugin viene
di quel signor che qui prigion si tiene.
LXII
Orlando prega uno di lor, che vada
e dica al re ch'un cavalliero errante
disia con lui provarsi a lancia e a spada;
ma che vuol che tra lor sia patto inante:
che se '1 re fa che, chi lo sfida, cada,
la donna abbia d'aver ch'uccise Arbante,
che '1 cavallier 1'ha in loco non lontano
da poter sempremai darglila in mano;
LXIII
et all'incontro vuol che '1 re prometta
ch'ove egli vinto ne la pugna sia,
Bireno in liberta subito metta,
e che lo lasci andare alia sua via.
II fante al re fa Timbasciata in fretta:
ma quel che ne virtu ne cortesia
conobbe mai, drizz6 tutto il suo intento
alia fraude, alPinganno, al tradimento.
l88 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Gli par ch'avendo in mano il cavalliero,
avra la donna ancor, che si Fha ofFeso,
s'in possanza di lui la donna e vero
che se ritruovi, e il fante ha ben inteso.
Trenta uomini pigliar fece sentiero
di verso da la porta ov'era atteso,
che dopo occulto et assai lungo giro,
dietro alle spall e al paladino usciro.
LXV
II traditore intanto dar parole
fatto gli avea, sin che i cavalli e i fanti
vede esser giunti al loco ove gli vuole:
da la porta esce poi con altretanti.
Come le fere e il bosco cinger suole
perito cacciator da tutti i canti;
come appresso a Volana i pesci e 1'onda
con lunga rete il pescator circonda:
LXVI
cosi per ogni via dal re di Frisa,
che quel guerrier non fugga, si provede.
Vivo lo vuole, e non in altra guisa:
e questo far si facilmente crede,
che '1 fulmine terrestre, con che uccisa
ha tanta e tanta gente, ora non chiede;
che quivi non gli par che si convegna,
dove pigliar, non far morir, disegna.
LXVII
Qual cauto ucellator che serba vivi,
intento a maggior preda, i primi augelli,
accio in piu quantitade altri captivi
faccia col giuoco e col zimbel di quelli;
tal esser volse il re Cimosco quivi:
ma gia non volse Orlando esser di quelli
che si lascin pigliare al primo tratto;
e tosto roppe il cerchio ch'avean fatto.
CANTO NONO 189
LXVIII
II cavallier cTAnglante, ove piu spesse
vide le genti e Farme, abbasso Fasta;
et uno in quella e poscia un altro messe,
e un altro e un altro, che sembrar di pasta;
e fin a sei ve n'infilzo, e li resse
tutti una lancia: e perch'ella non basta
a piu capir, lascio il settimo fuore
ferito si, che di quel colpo muore.
LXIX
Non altrimente ne Festrema arena
veggian le rane de canali e fosse
dal cauto arcier nei fianchi e ne la schiena,
Funa vicina alFaltra, esser percosse;
ne da la freccia, fin che tutta piena
non sia da un capo alF altro, esser rimosse.
La grave lancia Orlando da se scaglia,
e con la spada entro ne la battaglia.
LXX
Rotta la lancia, quella spada strinse,
quella che mai non fu menata in fallo;
e ad ogni colpo, o taglio o punta, estinse
quando uomo a piedi, e quando uomo a cavallo:
dove tocco, sempre in vermiglio tinse
Fazzurro, il verde, il bianco, il nero, il giallo.
Duolsi Cimosco che la canna e il fuoco
seco or non ha, quando v'avrian piu loco.
LXXI
E con gran voce e con minaccie chiede
che portati gli sian, ma poco e udito;
che chi ha ritratto a salvamento il piede
ne la citta, non e d'uscir piu ardito.
II re frison che fuggir gli altri vede,
d'esser salvo egli ancor piglia partito :
corre alia porta, e vuole alzare il ponte;
ma troppo e presto ad arrivare il conte.
ORLANDO FURIOSO
LXXII
II re volta le spalle, e signer lassa
del ponte Orlando e d'amendue le porte ;
e fugge, e inanzi a tutti gli altri passa,
merc6 die '1 suo destrier corre piii forte.
Non mira Orlando a quella plebe bassa:
vuole il fellon, non gli altri, porre a morte;
ma il suo destrier si al corso poco vale,
che restio sembra, e chi fugge abbia 1'ale.
LXXIII
D'una in un'altra via si leva ratto
di vista al paladin; ma indugia poco,
che torna con nuove armi; che s'ha fatto
portare intanto il cavo ferro e il fuoco :
e dietro un canto postosi di piatto,
Tattende, come il cacciatore al loco,
coi cani armati e con lo spiedo, attende
il fier cingial che ruinoso scende;
LXXIV
che spezza i rami e fa cadere i sassi,
e ovunque drizzi Forgogliosa fronte,
sembra a tanto rumor che si fracassi
la selva intorno, e che si svella il monte.
Sta Cimosco alia posta, acci6 non passi
senza pagargli il fio Taudace conte :
tosto ch'appare, allo spiraglio tocca
col fuoco il ferro, e quel subito scocca.
LXXV
Dietro lampeggia a guisa di Baleno,
dinanzi scoppia, e manda in aria il tuono.
Trieman le mura, e sotto i pie il terreno;
il ciel ribomba al paventoso suono.
L'ardente stral, che spezza e venir meno
fa cio ch'incontra, e da a nessun perdono,
sibila e stride; ma, come e il desire
di quel brutto assassin, non va a ferire.
CANTO NONO 191
LXXVI
O sia la fretta, o sia la troppa voglia
cf uccider quel baron, ch'errar lo faccia;
o sia che il cor, tremando come foglia,
faccia insieme tremare e mani e braccia;
o la bonta divina che non voglia
che '1 suo fedel campion si tosto giaccia;
quel colpo al ventre del destrier si torse;
lo caccio in terra, onde mai piii non sorse.
LXXVII
Cade a terra il cavallo e il cavalliero :
la preme 1'un; la tocca 1'altro a pena,
che si leva si destro e si leggiero,
come cresciuto gli sia possa e lena.
Quale il libico Anteo sempre piu fiero
surger solea da la percossa arena,
tal surger parve, e che la forza, quando
tocco il terren, si radoppiasse a Orlando.
LXXVIII
Chi vide mai dal ciel cadere il foco
che con si orrendo suon Giove disserra,
e penetrare ove un richiuso loco
carbon con zolfo e con salnitro serra;
ch'a pena arriva, a pena tocca un poco,
che par ch'avampi il ciel, non che la terra;
spezza le mura, e i gravi marmi svelle,
e f a i sassi volar sin alle stelle;
LXXIX
s'imagini che tal, poi che cadendo
tocc6 la terra, il paladino fosse:
con si fiero sembiante aspro et orrendo,
da far tremar nel ciel Marte, si mosse.
Di che smarito il re frison, torcendo
la briglia indietro, per fuggir voltosse;
ma gli fu dietro Orlando con piu fretta
che non esce da Parco una saetta:
192 ORLANDO FURIOSO
LXXX
e quel che non avea potuto prima
fare a cavallo, or fara essendo a piede.
Lo seguita si ratto, ch'ogni stima
di chi nol vide, ogni credenza eccede.
Lo giunse in poca strada; et alia cima
de Telmo alza la spada, e si lo fiede,
che gli parte la testa fin al collo,
e in terra il manda a dar rultimo crollo.
LXXXI
Ecco levar ne la citta si sente
nuovo rumor, nuovo menar di spade;
che ?1 cugin di Bireno con la gente
ch'avea condutta da le sue contrade,
poi che la porta ritrovo patente,
era venuto dentro alia cittade,
dal paladino in tal timor ridutta,
che senza intoppo la pu6 scorrer tutta.
LXXXII
Fugge il populo in rotta, che non scorge
chi questa gente sia, ne che domandi;
ma poi ch'uno et un altro pur s'accorge,
all'abito e al parlar, che son Selandi,
chiede lor pace, e il foglio bianco porge;
e dice al capitan che gli comandi,
e dar gli vuol contra i Frisoni aiuto,
che '1 suo duca in prigion gli ha ritenuto.
LXXXIII
Quel popul sempre stato era nimico
del re di Frisa e d'ogni suo seguace,
perche morto gli avea il signore antico,
ma piu perch' era ingiusto, empio e rap ace.
Orlando s 'interpose come amico
d'ambe le parti, e fece lor far pace;
le quali unite, non lasciar Frisone
che non morisse o non fosse prigione.
CANTO NONO 193
LXXXIV
Le porte de le carcere gittate
a terra sono, e non si cerca chiave.
Bireno al conte con parole grate
mostra conoscer Fobligo che gli have.
Indi insieme e con molte altre brigate
se ne vanno ove attende Olimpia in nave :
cosi la donna, a cui di ragion spetta
il dominio de 1'isola, era detta;
LXXXV
quella che quivi Orlando avea condutto
non con pensier che far dovesse tanto;
che le parea bastar, che posta in lutto
sol lei, lo sposo avesse a trar di pianto.
Lei riverisce e onora il popul tutto.
Lungo sarebbe a ricontarvi quanto
lei Bireno accarezzi, et ella lui;
quai grazie al conte rendano ambidui.
LXXXVI
II popul la donzella nel paterno
seggio rimette, e fedelta le giura.
Ella a Bireno, a cui con no do eterno
la Ieg6 Amor d'una catena dura,
de lo stato e di se dona il governo.
Et egli, tratto poi da un'altra cura,
de le fortezze e di tutto il domino
de Fisola guardian lascia il cugino;
LXXXVII
che tornare in Selandia avea disegno,
e menar seco la fedel consorte:
e dicea voler fare indi nel regno
di Frisa esperienzia di sua sorte;
perche di cio Passicurava un pegno
ch'egli avea in mano, e lo stimava forte:
la figliuola del re, che fra i captivi,
che vi fur molti, avea trovata quivi.
194 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
E dice ch'egli vuol ch'un suo germane,
ch'era minor d'eta, Fabbia per moglie.
Quindi si parte il senator romano
il di medesmo che Bireno scioglie.
Non volse porre ad altra cosa mano,
fra tante e tante guadagnate spoglie,
se non a quel tormento ch'abbian detto
ch'al fulmine assimiglia in ogni effetto.
LXXXIX
L'intenzion non gia, perche lo tolle,
fu per voglia d'usarlo in sua difesa;
che sempre atto stim6 d'animo molle
gir con vantaggio in qualsivoglia impresa:
ma per gittarlo in parte, onde non voile
che mai potesse ad uom piu fare offesa;
e la polve e le palle e tutto il resto
seco porto, ch'apperteneva a questo.
xc
E cosi, poi che fuor de la marea
nel piu profondo mar si vide uscito,
si che segno lontan non si vedea
del destro piu n6 del sinistro lito;
10 tolse, e disse: — Acci6 piu non istea
mai cavallier per te d'essere ardito,
ne quanto il buono val, mai piu si vanti
11 rio per te valer, qui giu rimanti.
xci
O maledetto, o abominoso ordigno,
che fabricato nel tartareo fondo
fosti per man di Belzebu maligno
che ruinar per te disegn6 il mondo,
airinferno, onde uscisti, ti rasigno. —
Cosi dicendo, lo gitto in profondo.
II vento intanto le gonfiate vele
spinge alia via de Fisola crudele.
CANTO NONO
XCII
Tanto desire il paladino preme
di saper se la donna ivi si truova,
ch'ama assai piu che tutto il mondo insieme,
ne un'ora senza lei viver gli giova;
che s'in Ibernia mette il piede, teme
di non dar tempo a qualche cosa nuova,
si ch'abbia poi da dir invano: — Ahi lasso!
ch'al venir mio non affrettai piu il passo. —
XCIII
Ne scala in Inghelterra ne in Irlanda
mai Iasci6 far, ne sul contrario lito.
Ma lasciamolo andar dove lo manda
il nudo arcier che Pha nel cor ferito.
Prima che piu io ne parli, io vo' in Olanda
tornare, e voi meco a tornarvi invito ;
che, come a me, so spiacerebbe a voi,
che quelle nozze fosson senza noi,
xciv
Le nozze belle e sontuose fanno;
ma non si sontuose ne si belle,
come in Selandia dicon che faranno.
Pur non disegno che vegnate a quelle;
perche nuovi accidenti a nascere hanno
per disturbarle, de* quai le novelle
all'altro canto vi faro sentire,
s'all'altro canto mi verrete a udire.
196 ORLANDO FURIOSO
CANTO DECIMO
I
Fra quanti amor, fra quante fede al mondo
mai si trovar, fra quanti cor constant!,
fra quante, o per dolente o per iocondo
stato, fer prove mai famosi amanti;
piu tosto il primo loco ch'il secondo
daro ad Olimpia: e se pur non va inanti,
ben voglio dir che fra gli antiqui e nuovi
maggior de Pamor suo non si ritruovi;
II
e che con tante e con si chiare note
di questo ha fatto il suo Bireno certo,
che donna piu far certo uomo non puote,
quando anco il petto e Jl cor mostrasse aperto.
E s'anime si fide e si devote
d'un reciproco amor denno aver merto,
dico ch' Olimpia e degna che non meno,
anzi piu che se ancor, Pami Bireno:
in
e che non pur non 1'abandoni mai
per altra donna, se ben fosse queUa
ch'Europa et Asia messe in tanti guai,
o s'altra ha maggior titolo di bella;
ma piu tosto che lei, lasci coi rai
del sol 1'udita e il gusto e la favella
e la vita e la fama, e s'altra cosa
dire o pensar si puo piu preciosa.
CANTO DECIMO 197
IV
Se Bireno am6 lei come ella amato
Bireno avea, se fu si a lei fedele
come ella a lui, se mai non ha voltato
ad altra via, che a seguir lei, le vele:
0 pur s'a tanta servitu fu ingrato,
a tanta fede e a tanto amor cnidele,
io vi vo} dire, e far di maraviglia
stringer le labra et inarcar le ciglia.
v
E poi che nota 1'impieta vi fia,
che di tanta bonta fu a lei mercede,
donne, alcuna di voi mai piu non sia,
ch'a parole d'amante abbia a dar fede.
L'amante, per aver quel che desia,
senza guardar che Dio tutto ode e vede,
aviluppa promesse e giuramenti,
che tutti spargon poi per 1'aria i venti.
VI
1 giuramenti e le promesse vanno
dai venti in aria disipate e sparse,
tosto che tratta questi amanti s'harmo
1'avida sete che gli accese et arse.
Siate a' prieghi et a' pianti che vi fanno,
per questo esempio, a credere piu scarse.
Bene e felice quel, donne mie care,
ch'essere accorto all'altrui spese impare.
VII
Guardatevi da questi che sul fiore
de' lor begli anni il viso han si polito;
che presto nasce in loro e presto muore,
quasi un foco di paglia, ogni appetite.
Come segue la lepre il cacciatore
al freddo, al caldo, alia montagna, al lito,
ne piu Testima poi che presa vede;
e sol dietro a chi fugge affretta il piede:
198 ORLANDO FURIOSO
VIII
cosi fan questi gioveni, che tanto
che vi mostrate lor dure e proterve,
v'amano e riveriscono con quanto
studio de' far chi fedelmente serve;
ma non si tosto si potran dar vanto
de la vittoria, che di donne, serve
vi dorrete esser fatte; e da voi tolto
vedrete il falso amore, e altrove volto.
IX
Non vi vieto per questo (ch'avrei torto)
che vi lasciate amar; che senza amante
sareste come inculta vite in orto,
che non ha palo ove s'appoggi o piante.
Sol la prima lanugine vi esorto
tutta a fuggir, volubile e inconstante,
e c6rre i frutti non acerbi e duri,
ma che non sien per6 troppo maturi.
x
Di sopra io vi dicea ch'una figliuola
del re di Frisa quivi hanno trovata,
che fia, per quanto n'han rnosso parola,
da Bireno al fratel per moglie data.
Ma, a dire il vero, esso v'avea la gola;
che vivanda era troppo delicata:
e riputato avria cortesia sciocca,
per darla altrui, levarsela di bocca.
XI
La damigella non passava ancora
quattordici anni, et era bella e fresca,
come rosa che spunti alora alora
fuor de la buccia e col sol nuovo cresca.
Non pur di lei Bireno s'inamora,
ma fuoco mai cosi non accese esca,
ne se lo pongan 1'invide e nimiche
mani talor ne le mature spiche;
CANTO DECIMO
XII
come egli se n'accese immantinente,
come egli n'arse fin ne le medolle,
che sopra il padre morto lei dolente
vide di pianto il bel viso far molle.
E come suol, se Facqua fredda sente,
quella restar che prima al fuoco bolle;
cosi F ardor ch'accese Olimpia, vinto
dal nuovo successore, in lui fu estinto.
XIII
Non pur sazio di lei, ma fastidito
n'e gia cosi, che pu6 vederla a pena;
e si de Faltra acceso ha Fappetito,
che ne morra se troppo in lungo il mena;
pur fin che giunga il di c'ha statuito
a dar fine al disio, tanto Faffrena,
che par ch'adori Olimpia, non che Fami,
e quel che piace a lei, sol voglia e brami.
XIV
E se accarezza 1'altra (che non puote
far che non Faccarezzi piu del dritto),
non e chi questo in mala parte note;
anzi a pietade, anzi a bonta gli e ascritto :
che rilevare un che Fortuna ruote
talora al fondo, e consolar rafHitto,
mai non fu biasmo, ma gloria sovente;
tanto piu una fanciulla, una innocente.
xv
Oh sommo Dio, come i giudicii umani
spesso offuscati son da un nembo oscuro!
i modi di Bireno empii e profani,
pietosi e santi riputati furo.
I marinari, gia messo le mani
ai remi, e sciolti dal lito sicuro,
portavan lieti pei salati stagni
verso Selandia il duca e i suoi compagni.
200 ORLANDO FURIOSO
XVI
Gia dietro rimasi erano e perduti
tutti di vista i termini d'Olanda;
che per non toccar Frisa, piu tenuti
s'eran ver Scozia alia sinistra banda:
quando da un vento fur sopravenuti,
ch'errando in alto mar tre di li manda.
Sursero il terzo, gia presso alia sera,
dove inculta e deserta un'isola era.
XVII
Tratti che si fur dentro un picciol seno,
Olimpia venne in terra; e con diletto
in compagnia de 1'infedel Bireno
cen6 contenta e fuor d'ogni sospetto :
indi con lui, la dove in loco ameno
teso era un padiglione, entr6 nel letto.
Tutti gli altri compagni ritornaro,
e sopra i legni lor si riposaro.
XVIII
II travaglio del mare e la paura
che tenuta alcun di Taveano desta,
il ritrovarsi al lito ora sicura,
lontana da rumor ne la foresta,
e che nessun pensier, nessuna cura,
poi che '1 suo amante ha seco, la molesta;
fur cagion ch'ebbe Olimpia si gran sonno,
che gli orsi e i ghiri aver maggior nol ponno.
XIX
II falso amante che i pensati inganni
veggiar facean, come dormir lei sente,
pian piano esce del letto, e de' suoi panni
fatto un fastel, non si veste altrimente;
e lascia il padiglione; e come i vanni
nati gli sian, rivola alia sua gente,
e li risveglia; e senza udirsi un grido,
fa entrar ne 1'alto e abandonare il lido.
CANTO DECIMO 2OI
XX
Rimase a dietro il lido e la meschina
Olimpia, che dormi senza destarse,
fin che 1' Aurora la gelata brina
da le do rate mote in terra sparse,
e s'udir le alcione alia marina
de 1'antico infortunio lamentarse.
Ne desta ne dormendo, ella la mano
per Bireno abbracciar stese, ma invano.
XXI
Nessuno truova: a se la man ritira;
di nuovo tenta, e pur nessuno truova.
Di qua 1'un braccio, e di la Taltro gira,
or Tuna or 1'altra gamba; e nulla giova.
Caccia il sonno il timor; gli occhi apre, e mira:
non vede alcuno. Or gia non scalda e cova
piu le vedove piume, ma si getta
del letto e fuor del padiglione in fretta:
XXII
e corre al mar, graffiandosi le gote,
presaga e certa ormai di sua fortuna.
Si straccia i crini, e il petto si percuote,
e va guardando (che splendea la luna)
se veder cosa, fuor che '1 lito, puote;
ne, fuor che '1 lito, vede cosa alcuna.
Bireno chiama; e al nome di Bireno
rispondean gli Antri che pieta n'avieno.
XXIII
Quivi surgea nel lito estremo un sasso,
ch'aveano Tonde, col picchiar frequente,
cavo e ridutto a guisa d'arco al basso;
e stava sopra il mar curvo e pendente.
Olimpia in cima vi sali a gran passo
(cosi la facea Tammo possente),
e di lontano le gonfiate vele
vide fuggir del suo signor cm dele:
202 ORLANDO FURIOSO
XXIV
vide lontano, o le parve vedere;
che Taria chiara ancor non era molto.
Tutta tremante si lascio cadere,
piu bianca e piu che nieve fredda in volto;
ma poi che di levarsi ebbe potere,
al camin de le navi il grido volto,
chiam6, quanta potea chiamar piu forte,
piu volte il nome del crudel consorte:
XXV
e dove non potea la debil voce,
supliva il pianto e '1 batter palrna a palma.
— Dove fuggi, crudel, cosi veloce ?
Non ha il tuo legno la debita salma.
Fa che lievi me ancor: poco gli nuoce
che porti il corpo, poi che porta Talma. —
E con le braccia e con le vesti segno
fa tuttavia, perche ritorni il legno.
XXVI
Ma i venti che portavano le vele
per Palto mar di quel giovene infido,
portavano anco i prieghi e le querele
de 1'infelice Olimpia, e '1 pianto e 51 grido ;
la qual tre volte, a se stessa crudele,
per affogarsi si spicc6 dal lido:
pur al fin si levo da mirar Tacque,
e ritorn6 dove la notte giacque.
XXVII
E con la faccia in giu stesa sul letto,
bagnandolo di pianto, dicea lui:
— lersera desti insieme a dui ricetto ;
perche insieme al levar non siamo dui ?
0 perfido Bireno, o maladetto
giorno ch'al mondo generata fui!
Che debbo far? che poss'io far qui sola?
chi mi da aiuto ? ohime, chi mi consola ?
CANTO DECIMO 203
XXVIII
Uomo non veggio qui, non ci veggio opra
donde io possa stimar ch'uomo qui sia;
nave non veggio, a cui salendo sopra,
speri allo scampo mio ritrovar via.
Di disagio morro; ne che mi cuopra
gli occhi sara, ne chi sepolcro dia,
se forse in ventre lor non me lo danno
i lupi, ohime, ch'in queste selve stanno.
XXIX
Io sto in sospetto, e gia di veder parmi
di questi boschi orsi o leoni uscire,
o tigri o fiere tal, che natura armi
d'aguzzi denti e d'ugne da ferire.
Ma quai fere crudel potriano farmi,
fera crudel, peggio di te morire?
darmi una morte, so, lor parra assai;
e tu di mille, ohime, morir mi fai.
xxx
Ma presupongo ancor ch'or ora arrivi
nochier che per pieta di qui mi porti;
e cosi lupi, orsi, leoni schivi,
strazi, disagi et altre orribil morti:
mi port era fofse in Olanda, s'ivi
per te si guardan le fortezze e i porti ?
mi portera alia terra ove son nata,
se tu con fraude gia me Thai levata?
XXXI
Tu m'hai lo stato mio, sotto pretesto
di parentado e d'amicizia, tolto.
Ben fosti a porvi le tue genti presto,
per aver il dominio a te rivolto.
Tornero in Fiandra? ove ho venduto il resto
di che io vivea, ben che non fossi molto,
per sovenirti e di prigione trarte.
Mischina! dove andr6 ? non so in qual parte.
204 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Debbo forse ire in Frisa, ove io potei,
e per te non vi volsi esser regina?
il che del padre e dei fratelli miei
e d'ogn'altro mio ben fu la ruina.
Quel c'ho fatto per te, non ti vorrei,
ingrato, improverar, ne disciplina
dartene; che non men di me lo sai:
or ecco il guiderdon che me ne dai.
XXXIII
Deh, pur che da color che vanno in cOrso
io non sia presa, e poi venduta schiava!
prima che questo, il lupo, il leon, Torso
venga, e la tigre e ogn'altra fera brava,
di cui 1'ugna mi stracci, e franga il morso;
e morta mi strascini alia sua cava. —
Cosi dicendo, le mani si caccia
ne' capei d'oro, e a chiocca a chiocca straccia.
xxxiv
Corre di nuovo in su 1'estrema sabbia,
e ruota il capo e sparge alTaria il crine;
e sembra forsennata, e ch'adosso abbia
non un demonio sol, ma le decine;
o, qual Ecuba, sia conversa in rabbia,
vistosi morto Polidoro al fine.
Or si ferma s'un sasso, e guarda il mare
ne men d'un vero sasso, un sasso pare.
xxxv
Ma lascianla doler fin ch'io ritorno,
per voler di Ruggier dirvi pur anco,
che nel piu intense ardor del mez2o giorno
cavalca il lito, aflaticato e stanco.
Percuote il sol nel colle e fa ritorno:
di sotto bolle il sabbion trito e bianco.
Mancava alTarme ch'avea indosso, poco
ad esser, come gia, tutte di fuoco.
CANTO DECIMO 205
XXXVI
Mentre la sete, e de 1'andar fatica
per Talta sabbia e la solinga via
gli faceaxi, lungo quella spiaggia aprica,
noiosa e dispiacevol compagnia;
trov6 ch'alPombra d'una torre antica,
che fuor de Ponde appresso il lito uscia,
de la corte d'Alcina eran tre donne,
che le conobbe ai gesti et alle gonne.
XXXVII
Corcate su tapeti allessandrini
godeansi il fresco rezzo in gran diletto,
fra molti vasi di diversi vini
e d'ogni buona sorte di confetto.
Presso alia spiaggia, coi flutti marini
scherzando, le aspettava un lor legnetto
fin che la vela empiesse agevol 6ra;
ch'un fiato pur non ne spirava allora.
XXXVIII
Queste, ch'andar per la non ferma sabbia
vider Ruggiero al suo viaggio dritto,
che sculta avea la sete in su le labbia,
tutto pien di sudore il viso afflitto,
gli cominciaro a dir che si non abbia
il cor voluntaroso al camin fitto,
ch'alla fresca e dolce ombra non si pieghi
e ristorar lo stanco corpo nieghi.
XXXIX
E di lor una s'accosto al cavallo
per la staffa tener, che ne scendesse;
1'altra con una coppa di cristallo
di vin spumante, piu sete gli messe:
ma Ruggiero a quel suon non entro in ballo;
perche d'ogni tardar che fatto avesse,
tempo di granger dato avria ad Alcina,
che venia dietro et era omai vicina.
206 ORLANDO FURIOSO
XL
Non cosi fin salnitro e zolfo puro,
tocco dal fuoco, subito s'avampa;
ne cosi freme il mar quando 1'oscuro
turbo discende e in mezzo se gli accampa:
come, vedendo che Ruggier sicuro
al suo dritto camin Tarena stampa,
e che le sprezza (e pur si tenean belle),
d'ira arse e di furor la terza d'elle.
XLI
— Tu non sei ne gentil ne cavalliero, —
dice gridando quanto pu6 piu forte
— et hai rubate Farme; e quel destriero
non saria tuo per veruna altra sorter
e cosi, come ben m'appongo al vero,
ti vedessi punir di degna morte;
che fossi fatto in quarti, arso o impiccato,
brutto ladron, villan, superbo, ingrato. —
XLII
Oltr'a queste e molt'altre ingiuriose
parole che gli uso la donna altiera,
ancor che mai Ruggier non le rispose,
che de si vil tenzon poco onor spera;
con le sorelle tosto ella si pose
sul legno in mar, che al lor servigio v'era:
et affrettando i remi, lo seguiva,
vedendol tuttavia dietro alia riva.
XLIII
Minaccia sempre, maledice e incarca;
che 1'onte sa trovar per ogni punto.
Intanto a quello stretto, onde si varca
alia fata piu bella, e Ruggier giunto;
dove un vecchio nochiero una sua barca
scioglier da 1'altra ripa vede, a punto
come avisato, e gia provisto, quivi
si stia aspettando che Ruggiero arrivi.
CANTO DECIMO 207
XLIV
Scioglie il nochier, come venir lo vede,
di trasportarlo a miglior ripa lieto ;
che, se la faccia pu6 del cor dar fede,
tutto benigno e tutto era discrete.
Pose Ruggier sopra il navilio il piede,
Dio ringraziando ; e per lo mar quieto
ragionando venia col galeotto,
saggio e di lunga esperienzia dotto.
XLV
Quel lodava Ruggier, che si se avesse
saputo a tempo tor da Alcina, e inanti
che '1 calice incantato ella gli desse,
ch'avea al fin dato a tutti gli altri amanti ;
e poi che a Logistilla si traesse,
dove veder potria costumi santi,
bellezza eterna et infinita grazia
che '1 cor notrisce e pasce, e mai non sazia.
XLVI
— Costei — dicea — stupore e riverenza
induce alTalma, ove si scuopre prima.
Contempla meglio poi 1'alta presenza:
ogn'altro ben ti par di poca stima.
II suo amore ha dagli altri differenza:
speme o timor negli altri il cor ti lima;
in questo il desiderio piu non chiede,
e contento riman come la vede.
XLVII
Ella t'insegnera studii piu grati,
che suoni, danze, odori, bagni e cibi;
ma come i pensier tuoi meglio formati
poggin piu ad alto che per 1'aria i nibi,
e come de la gloria de' beati
nel mortal corpo parte si delibi. —
Cosi parlando il marinar veniva,
lontano ancora alia sicura riva;
208 ORLANDO FURIOSO
XL VIII
quando vide scoprire alia marina
molti navili, e tutti alia sua volta.
Con quei ne vien Tingiuriata Alcina;
e molta di sua gente have raccolta
per por lo stato e se stessa in ruina,
o racquistar la cara cosa tolta.
E bene e amor di ci6 cagion non lieve,
ma Fingiuria non men che ne riceve.
XLIX
Ella non ebbe sdegno, da che nacque,
di questo il maggior mai ch'ora la rode;
onde fa i remi si affrettar per Tacque,
che la spuma ne sparge ambe le prode.
Al gran rumor ne mar ne ripa tacque,
et Ecco risonar per tutto s'ode.
— Scuopre, Ruggier, lo scudo, che bisogna;
se non, sei morto, o preso con vergogna. —
Cosi disse il nocchier di Logistilla;
et oltre il detto, egli medesmo prese
la tasca e da lo scudo dipartilla,
e fe' il lume di quel chiaro e palese.
L'incantato splendor che ne sfavilla,
gli occhi degli aversari cosi offese,
che li fe' restar ciechi allora allora,
e cader chi da poppa e chi da prora.
LI
Un ch'era alia veletta in su la r6cca,
de 1'armata dj Alcina si fu accorto;
e la campana martellando tocca,
onde il soccorso vien subito al porto.
L'artegliaria, come tempesta, fiocca
contra chi vuole al buon Ruggier far torto :
si che gli venne d'ogni parte aita,
tal che salv6 la liberta e la vita.
CANTO DECIMO
LII
Giunte son quattro donne in su la spiaggia,
che subito ha mandate Logistilla:
la valorosa ^Andronica e la saggia
Fronesia e 1'onestissima Dicilla
e Sofrosina casta, che, come aggia
quivi a far piu che 1'altre, arde e sfavilla.
L'esercito ch'al mondo e senza pare,
del castello esce, e si distende al mare.
LIII
Sotto il castel ne la tranquilla foce
di molti e grossi legni era una armata,
ad un botto di squilla, ad una voce
giorno e notte a battaglia apparecchiata.
E cosi fu la pugna aspra et atroce,
e per acqua e per terra, mcominciata;
per cui fu il regno sottosopra volto,
ch'avea gia Alcina alia sorella tolto.
LIV
Oh di quante battaglie il fin successe
diverse a quel che si credette inante!
Non sol ch' Alcina alor non riavesse,
come stimossi, il fugitivo amante;
ma de le navi che pur dianzi spesse
fur si, ch'a pena il mar ne capia tante,
fuor de la fiamma che tutt'altre avampa,
con un legnetto sol misera scamp a.
LV
Fuggesi Alcina, e sua misera gente
arsa e presa riman, rotta e sommersa.
D'aver Ruggier perduto ella si sente
via piu doler che d'altra cosa aversa:
notte e di per lui geme amaramente,
e lacrime per lui dagli occhi versa;
e per dar fine a tanto aspro martire,
spesso si duol di non poter morire.
210 ORLANDO FURIOSO
LVI
Morir non puote alcuna fata mai,
fin die '1 sol gira, o il ciel non muta stilo.
Se ci6 non fosse, era il dolore assai
per muover Cloto ad inasparle il filo;
o qual Didon finia col ferro i guai,
o la regina splendida del Nilo
avria imitata con mortifer sonno :
ma le fate morir sempre non ponno.
LVII
Torniamo a quel di eterna gloria degno
Ruggiero ; e Alcina stia ne la sua pena.
Dico di lui, che poi che fuor del legno
si fu condutto in piu sicura arena,
Dio ringraziando che tutto il disegno
gli era successo, al mar volto la schena;
et affrettando per 1'asciutto il piede,
alia r6cca ne va che quivi siede.
LVIII
Ne la piu forte ancor n6 la piu bella
mai vide occhio mortal prima ne dopo.
Son di piu prezzo le mura di quella,
che se diamante fossino o piropo,
Di tai gemme qua giu non si favella: •
et a chi vuol notizia averne, e d'uopo
che vada quivi, che non credo altrove,
se non forse su in ciel, se ne ritruove.
LIX
Quel che piu fa che lor si inchina e cede
ogn'altra gemma, e che mirando in esse,
Puom sin in mezzo alFanima si vede;
vede suoi vizii e sue virtudi espresse,
si che a lusinghe poi di s6 non crede,
ne a chi dar biasmo a torto gli volesse:
fassi, mirando allo specchio lucente
se stesso conoscendosi, prudente.
CANTO DECIMO 211
LX
II chiaro lume lor, ch'imita il sole,
manda splendore in tanta copia intorno,
che chi 1'ha, ovunque sia, sempre che vuole,
Febo, mal grado tuo, si puo far giorno.
Ne mirabil vi son le pietre sole;
ma la materia e I'artificio adorno
contendon si, che mal giudicar puossi
qual de le due eccellenze maggior fossi.
LXI
Sopra gli altissimi archi, che puntelli
parean che del ciel fossino a vederli,
eran giardin si spaziosi e belli,
che saria al piano anco fatica averli.
Verdeggiar gli odoriferi arbuscelli
si puon veder fra i luminosi merli,
ch'adorni son Testate e il verno tutti
di vaghi fiori e di maturi frutti.
LXII
Di cosi nobili arbori non suole
prodursi fuor di questi bei giardini,
ne di tai rose o di simil viole,
di gigli, di amaranti o di gesmini.
Altrove appar come a un medesmo sole
e nasca e viva, e morto il capo inchini,
e come lasci vedovo il suo stelo
il fior suggetto al variar del cielo :
LXIII
ma quivi era perpetua la verdura,
perpetua la belta de' fiori eterni:
non che benignita de la Natura
si temperatamente li governi;
ma Logistilla con suo studio e cura,
senza bisogno de' moti superni
(quel che agli altri impossible parea),
sua primavera ognor ferma tenea.
212 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Logistllla mostro molto aver grato
ch'a lei venisse un si gentil signore;
e comando che fosse accarezzato,
e che studiasse ognun di fargli onore.
Gran pezzo inanzi Astolfo era arrivato,
che visto da Ruggier fa di buon core.
Fra pochi giorni venner gli altri tutti,
ch'a 1'esser lor Melissa avea ridutti.
LXV
Poi che si fur posati un giorno e dui,
venne Ruggiero alia fata prudente
col duca Astolfo, che non men di lui
avea desir di riveder Ponente.
Melissa le par!6 per amendui;
e supplica la fata umilemente,
che li consigli, favorisca e aiuti,
si che ritornin donde eran venuti.
LXVI
Disse la fata: — lo ci porro il pensiero,
e fra dui di te li daro espediti. —
Discorre poi tra se, come Ruggiero,
e dopo lui, come quel duca aiti:
conchiude infin che '1 volator destriero
ritorni il primo agli aquitani liti;
ma prima vuol che se gli faccia un morso,
con che lo volga, e gli raffreni il corso.
LXVII
Gli mostra come egli abbia a far, se vuole
che poggi in alto, e come a far che cali;
e come, se vorra che in giro vole,
o vada ratto, o che si stia su Tali:
e quali effetti il cavallier far suole
di buon destriero in piana terra, tali
facea Ruggier che mastro ne divenne,
per 1'aria, del destrier ch'avea le penne.
CANTO DECIMO 213
LXVIII
Poi che Ruggier fu d'ogni cosa in punto,
da la fata gentil comiato prese,
alia qual resto poi sempre congiunto
di grande amore; e usci di quel paese.
Prima di lui che se n'ando in buon punto,
e poi dir6 come il guerriero inglese
tornasse con piu tempo e piu fatica
al magno Carlo et alia corte arnica.
LXIX
Quindi parti Ruggier, ma non rivenne
per quella via che fe' gia suo mal grado,
allor che sempre Tippogrifo il tenne
sopra il mare, e terren vide di rado :
ma potendogli or far batter le penne
di qua di la, dove piu gli era a grado,
volse al ritorno far nuovo sentiero,
come, schivando Erode, i Magi fero.
LXX
Al venir quivi, era lasciando Spagna
venuto India a trovar per dritta riga,
la dove il mare oriental la bagna,
dove una fata avea con Taltra briga.
Or veder si dispose altra campagna,
che quella dove i venti Eolo instiga,
e finir tutto il cominciato tondo,
per aver, come il sol, girato il mondo.
LXXI
Quinci il Cataio, e quindi Mangiana
sopra il gran Quinsai vide passando:
volo sopra Hmavo, e Sericana
lascio a man destra; e sempre declinando
da 1'iperborei Sciti a Fonda ircana,
giunse alle parti di Sarmazia: e quando
fu dove Asia da Europa si divide,
Russi e Pruteni e la Pomeria vide.
214 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Ben che di Ruggier fosse ogni desire
di ritornare a Bradamante presto;
pur, gustato il piacer ch'avea di gire
cercando il mondo, non resto per questo,
ch'alli Pollacchi, agli Ungari venire
non volesse anco, alii Germani, e al resto
di quella boreale orrida terra;
e venne al fin ne Fultima Inghilterra.
LXXIII
Non crediate, Signor, che per6 stia
per si lungo camin sempre su Tale:
ogni sera all'albergo se ne gia,
schivando a suo poter d'alloggiar male.
E spese giorni e mesi in questa via,
si di veder la terra e il mar gli cale.
Or presso a Londra giunto una matina,
sopra Tamigi il volator declina.
LXXIV
Dove ne' prati alia citta vicini
vide adunati uomini d'arme e fanti,
ch'a suon di trombe e a suon di tamburini
venian, partiti a belle schiere, avanti
il buon Rinaldo, onor de' paladini;
del qual, se vi ricorda, io dissi inanti,
che mandato da Carlo, era venuto
in queste parti a ricercare aiuto.
LXXV
Giunse a punto Ruggier, che si facea
la bella mostra fuor di quella terra;
e per sapere il tutto, ne chiedea
un cavallier, ma scese prima in terra:
e quel, ch'affabil era, gli dicea
che di Scozia e d'Irlanda e d'Inghilterra
e de Tisole intorno eran le schiere
che quivi alzate avean tante bandiere:
CANTO DECIMO 215
LXXVI
e finita la mostra che faceano,
alia marina se distenderanno,
dove aspettati per solcar TOceano
son dai navili che nel porto stanno.
I Franceschi assediati si ricreano,
sperando in questi che a salvar li vanno.
— Ma acci6 tu te n'informi pienamente,
10 ti distinguer6 tutta la gente.
LXXVII
Tu vedi ben quella bandiera grande,
ch'insieme pon la fiordaligi e i pardi:
quella il gran capitano all' aria spande,
e quella han da seguir gli altri stendardi.
II suo nome, famoso in queste bande,
e Leonetto, il fior de li gagliardi,
di consigHo e d'ardire in guerra mastro,
del re nipote, e duca di Lincastro.
LXXVIII
La prima, appresso il gonfalon reale,
che '1 vento tremolar fa verso il monte,
e tien nel campo verde tre bianche ale,
porta Ricardo, di Varvecia conte.
Del duca di Glocestra e quel segnale,
c'ha duo corna di cervio e mezza fronte.
Del duca di Chiarenza e quella face :
quel arbore e del duca d'Eborace.
LXXIX
Vedi in tre pezzi una spezzata lancia:
gli e '1 gonfalon del duca di Nortfozia.
La fulgure e del buon conte di Cancia;
11 grifone e del conte di Pembrozia.
II duca di Sufolcia ha la bilancia.
Vedi quel giogo che due serpi assozia:
e del conte d'Esenia; e la ghirlanda
in campo azzurro ha quel di Norbelanda.
2l6 ORLANDO FURIOSO
LXXX
II conte d'Arindelia e quel c'ha messo
in mar quella barchetta che s'affonda.
Vedi il marchese di Barclei, e appresso
di Marchia il conte e il conte di Ritmonda:
il primo porta in bianco un monte fesso,
1'altro la palma, il terzo un pin ne Fonda,
Quel di Dorsezia e conte, e quel d'Antona,
che 1'uno ha il carro, e 1'altro la corona.
LXXXI
II falcon che sul nido i vanni inchina,
porta Raimondo, il conte di Devonia.
II giallo e negro ha quel di Vigorina;
il can quel d'Erbia; un orso quel d'Osonia.
La croce che la vedi cristallina,
e del ricco prelato di Battonia.
Vedi nel bigio una spezzata sedia:
e del duca Ariman di Sormosedia.
LXXXII
Gli uomini d'arme e gli arcieri a cavallo
di quarantaduomila numer fanno.
Sono duo tanti, o di cento non fallo,
quelli ch'a pie ne la battaglia vanno.
Mira quel segni, un bigio, un verde, un giallo,
e di nero e d'azzur listato un panno:
Gofredo, Enrigo, Ermante et Odoardo
guidan pedoni, ognun col suo stendardo.
LXXXIII
Duca di Bocchingamia e quel dinante;
Enrigo ha la contea di Sarisberia;
signoreggia Burgenia il vecchio Ermante;
quello Odoardo e conte di Croisberia.
Questi alloggiati piu verso levante
sono gl'Inglesi. Or volgeti alPEsperia,
dove si veggion trentamila Scotti,
da Zerbin, figlio del lor re, condotti.
CANTO DECIMO 2iy
LXXXIV
Vedi tra duo unicorni il gran leone,
che la spada d'argento ha ne la zampa:
quell'e del re di Scozia II gonfalone;
il suo figliol Zerbino ivi s'accampa.
Non e un si bello in tante altre persone:
Natura il fece, e poi roppe la stampa.
Non e in cui tal virtu, tal grazia luca,
o tal possanza: et e di Roscia duca.
LXXXV
Porta in azzurro una dorata sbarra
il conte d'Ottonlei ne lo stendardo.
L'altra bandiera & del duca di Marra,
che nel travaglio porta il leopardo.
Di piu colori e di piu augei bizzarra
mira 1'insegna d'Alcabrun gagliardo,
che non e duca, conte, ne marchese,
ma primo nel salvatico paese.
LXXXVI
Del duca di Trasfordia e quella insegna,
dove e Paugel ch'al son tien gli occhi franchi.
Lurcanio conte, ch'in Angoscia regna,
porta quel tauro c'ha duo veltri ai fianchi.
Vedi la il duca d'Albania, che segna
il campo di colori azzurri e bianchi.
Quel avoltor, ch'un drago verde lania,
e 1'insegna del conte di Boccania.
LXXXVII
Signoreggia Forbesse il forte Armano,
che di bianco e di nero ha la bandiera;
et ha il conte d'Erelia a destra mano,
che porta in campo verde una lumiera.
Or guarda gribernesi appresso il piano:
sono duo squadre; e il conte duChildera
mena la prima, e il conte di Desmonda
da fieri monti ha tratta la seconda.
2l8 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
Ne lo stendardo il primo ha un pino ardente;
Paltro nel bianco una vermiglia banda.
Non da soccorso a Carlo solamente
la terra inglese e la Scozia e Tlrlanda;
ma vien di Svezia e di Norvegia gente,
da Tile, e fin da la remota Islanda:
da ogni terra, insomma, che la giace,
nimica naturalmente di pace.
LXXXIX
Sedicimila sono, o poco manco,
de le spelonche usciti e de le selve;
hanno piloso il viso, il petto, il fianco,
e dossi e braccia e gambe, come belve.
Intorno allo stendardo tutto bianco
par che quel pian di lor lance s'inselve:
cosi Moratto il porta, il capo loro,
per dipingerlo poi di sangue Moro. —
xc
Mentre Ruggier di quella gente bella,
che per soccorrer Francia si prepara,
mira le varie insegne e ne favella,
e dei signor britanni i nomi impara;
uno et un altro a lui, per mirar quella
bestia sopra cui siede, unica o rara,
maraviglioso corre e stupefatto;
e tosto il cerchio intorno gli fu fatto.
xci
Si che per dare ancor piu maraviglia,
e per pigliarne il buon Ruggier piu gioco,
al volante corsier scuote la briglia,
e con gli sproni ai fianchi il tocca un poco:
quel verso il ciel per 1'aria il camin piglia,
e lascia* ognuno attonito in quel loco.
Quindi Ruggier, poi che di banda in banda
vide gl'Inglesi, and6 verso 1'Irlanda.
CANTO DECIMO 219
XCII
E vide Ibernia fabulosa, dove
il santo vecchiarel fece la cava,
in che tanta merce par che si truove,
che ruom vi purga ogni sua colpa prava.
Quindi poi sopra il mare il destrier muove
la dove la minor Bretagna lava;
e nel passar vide, mirando a basso,
Angelica legata al nudo sasso.
XCIII
Al nudo sasso, alPIsola del pianto;
che Flsola del pianto era nomata
quella che da crudele e fiera tanto
et inumana gente era abitata,
che (come io vi dicea sopra nel canto)
per varii liti sparsa iva in armata
tutte le belle donne depredando,
per fame a un mostro poi cibo nefando.
xciv
Vi fa legata pur quella matina,
dove venia per trangugiarla viva
quel smisurato mostro, orca marina,
che di aborrevole esca si nutriva.
Dissi di sopra, come fu rapina
di quei che la trovaro in su la riva
dormire al vecchio incantatore a canto,
ch'ivi Favea tirata per incanto.
xcv
La fiera gente inospitale e cruda
alia bestia crudel nel lito espose
la bellissima donna, cosi ignuda
come Natura prima la compose.
Un velo non ha pure, in che richiuda
i bianchi gigli e le vermiglie rose,
da non cader per luglio o per dicembre,
di che son sparse le polite membre.
220 ORLANDO FURIOSO
XCVI
Creduto avria che fosse statua finta *
o d'alabastro o d'altri marmi illustri
Ruggiero, e su lo scoglio cosi avinta
per artificio di scultori industri;
se non vedea la lacrima distinta
tra fresche rose e candidi ligustri
far rugiadose le crudette pome,
e Faura sventolar 1'aurate chiome.
XCVII
E come ne' begli occhi gli occhi affisse,
de la sua Bradamante gli sovenne.
Pietade e amore a un tempo lo traffisse,
e di piangere a pena si ritenne;
e dolcemente alia donzella disse,
poi che del suo destrier freno le penne:
— 0 donna, degna sol de la catena
con chi i suoi send Amor legati mena,
XCVIII
e ben di questo e d'ogni male indegna,
chi e quel crudel che con voler perverso
d'importuno livor stringendo segna
di quest e belle man 1'avorio terso ? —
Forza e ch'a quel parlare ella divegna
quale e di grana un bianco avorio asperso,
di se vedendo quelle parte ignude,
ch'ancor che belle sian, vergogna chiude.
xcix
E coperto con man s'avrebbe il volto,
se non eran legate al duro sasso;
ma del pianto, ch'almen non 1'era tolto,
10 sparse, e si sforzo di tener basso.
E dopo alcun' signozzi il parlar sciolto,
incomincio con fioco suono e lasso:
ma non segui; che dentro il fe' restare
11 gran rumor che si senti nel mare.
CANTO DECIMO 221
C
Ecco apparir lo smisurato mostro
mezzo ascoso ne Fonda e mezzo sorto.
Come sospinto suol da borea o d'ostro
venir lungo navilio a pigliar porto,
cosi ne viene al cibo che Pe mostro
la bestia orrenda; e Pintervallo e corto.
La donna e mezza morta di paura;
ne per conforto altrui si rassicura.
ci
Tenea Ruggier la lancia non in resta,
ma sopra mano, e percoteva Forca.
Altro non so che s'assimigli a questa,
ch'una gran massa che s'aggiri e torca;
ne forma ha d' animal, se non la testa,
c'ha gli occhi e i denti fuor, come di porca,
Ruggier in fronte la feria tra gli occhi;
ma par che un ferro o un duro sasso tocchi.
en
Poi che la prima botta poco vale,
ritorna per far meglio la seconda.
L'orca, che vede sotto le grandi ale
1'ombra di qua e di la correr su Fonda,
lascia la preda certa litorale,
e quella vana segue furibonda:
dietro quella si volve e si raggira.
Ruggier giu cala, e spessi colpi tira.
cm
Come d'alto venendo aquila suole,
ch'errar fra Ferbe visto abbia la biscia,
o che stia sopra un nudo sasso al sole,
dove le spoglie d'oro abbella e liscia;
non assalir da quel lato la vuole
onde la velenosa e soffia e striscia,
ma da tergo la adugna, e batte i vanni,
acci6 non se le volga e non la azzanni:
222 ORLANDO FURIOSO
CIV
cosi Ruggier con 1'asta e con la spada,
non dove era dej denti armato il muso,
ma vuol che '1 colpo tra 1'orecchie cada,
or su le schene, or ne la coda giuso.
Se la fera si volta, ei muta strada,
et a tempo giu cala, e poggia in suso :
ma come sempre giunga in un diaspro,
non puo tagliar lo scoglio duro et aspro.
cv
Simil battaglia fa la mosca audace
contra il mastin nel polveroso agosto,
o nel mese dinanzi o nel seguace,
Funo di spiche e Faltro pien di mosto:
negli occhi il punge e nel grifo mordace,
volagli intorno e gli sta sempre accosto;
e quel suonar fa spesso il dente asciutto:
ma un tratto che gli arrivi, appaga il tutto.
cvi
Si forte ella nel mar batte la coda,
che fa vicino al ciel Facqua inalzare;
tal che non sa se Tale in aria snoda,
o pur se *1 suo destrier nuota nel mare.
Gli e spesso che disia trovarsi a proda;
che se lo sprazzo in tal mo do ha a durare,
teme si Tale inaffi alFippogrifo,
che brami invano avere o zucca o schifo.
cvn
Prese nuovo consiglio, e fu il migliore,
di vincer con altre arme il mostro crudo :
abbarbagliar lo vuol con lo splendore
ch'era incantato nel coperto scudo.
Vola nel lito; e per non fare errore,
alia donna legata al sasso nudo
lascia nel minor dito de la mano
Fannel, che potea far Fincanto vano :
CANTO DECIMO 22$
CVIII
dico Pannel che Bradamante avea
per liberar Ruggier tolto a Brunello,
poi per trarlo di man d'Alcina rea,
mandate in India per Melissa a quello.
Melissa (come dianzi io vi dicea)
in ben di molti adoper6 1'annello ;
indi Tavea a Ruggier restituito,
dal qual poi sempre fu portato in dito.
cix
Lo da ad Angelica era, perche teme
che del suo scudo il fulgurar non viete,
e perche a lei ne sien difesi insieme
gli occhi che gia Pavean preso alia rete.
Or viene al lito e sotto il ventre preme
ben mezzo il mar la smisurata cete.
Sta Ruggiero alia posta, e lieva il velo ;
e par ch'aggiunga un altro sole al cielo.
ex
Feri negli occhi Pincantato lume
di quella fera, e fece al mo do usato.
Quale o trota o scaglion va giu pel flume
c'ha con calcina il montanar turbato,
tal si vedea ne le marine schiume
il mostro orribilmente riversciato.
Di qua di la Ruggier percuote assai,
ma di ferirlo via non truova mai.
CXI
La bella donna tuttavolta priega
ch'invan la dura squama oltre non pesti.
— Torna, per Dio, signor; prima mi slega —
dicea piangendo — che Porca si desti:
portami teco e in mezzo il mar mi anniega;
non far ch'in ventre al brutto pesce io resti. —
Ruggier, commosso dunque al giusto grido,
slego la donna, e la levo dal lido.
224 ORLANDO FURIOSO
CXII
II destrier punto, ponta i pie all' arena
e sbalza in aria, e per lo ciel galoppa;
e porta il cavalliero in su la schena,
e la donzella dietro in su la groppa.
Cosi privo la fera de la cena
per lei soave e delicata troppa.
Ruggier si va volgendo, e mille baci
figge nel petto e negli occhi vivaci.
CXIII
Non piu tenne la via, come propose
prima, di circundar tutta la Spagna;
ma nel propinquo lito il destrier pose,
dove entra in mar piu la minor Bretagna.
Sul lito un bosco era di querce ombrose,
dove ognor par che Filomena piagna,
ch'in mezzo avea un pratel con una fonte,
e quinci e quindi un solitario monte.
cxiv
Quivi il bramoso cavallier ritenne
1'audace corso, e nel pratel discese;
e fej raccorre al suo destrier le penne,
ma non a tal che piu le avea distese.
Del destrier sceso, a pena si ritenne
di salir altri; ma tennel Tarnese:
1'arnese il tenne, che bisogn6 trarre,
e contra il suo disir messe le sbarre.
cxv
Frettoloso, or da questo or da quel canto
confusamente Farme si levava.
Non gli parve altra volt a mai star tanto;
che s'un laccio sciogliea, dui n'annodava.
Ma troppo e lungo ormai, Signor, il canto,
e forse ch'anco Tascoltar vi grava:
si ch'io differiro 1'istoria mia
in altro tempo che piu grata sia.
CANTO UNDECIMO 225
CANTO UNDECIMO
I
Quantunque debil freno a mezzo il corso
animoso destrier spesso raccolga,
raro e per6 che di ragione il morso
libidinosa furia a dietro volga,
quando il piacere ha in pronto; a guisa d'orso
che dal mel non si tosto si distolga,
poi che gli n'e venuto odore al naso,
o qualche stilla ne gusto sul vaso.
ii
Qual raggion fia che 'I buon Ruggier raffrene,
si che non vogfia ora pigliar diletto
d' Angelica gentil che nuda tiene
nel solitario e commodo boschetto?
Di Bradamante piu non gli soviene,
che tanto aver solea fissa nel petto:
e se gli ne sovien pur come prima,
pazzo e se questa ancor non prezza e stima;
in
con la qual non saria stato quel crudo
Zenocrate di lui piu continente.
Gittato avea Ruggier Pasta e lo scudo,
e si traea Taltre arme impaziente;
quando abbassando pel bel corpo ignudo
la donna gli occhi vergognosamente,
si vide in dito il prezioso annello
che gia le tolse ad Albracca Brunello.
226 ORLANDO FURIOSO
IV
Questo e 1'annel ch'ella porto gia in Francia
la prima volta che fe' quel camino
col fratel suo, che v'arreco la lancia,
la qual fu poi d'Astolfo paladino.
Con questo fe' gFincanti uscire in ciancia
di Malagigi al petron di Merlino;
con questo Orlando et altri una matina
tolse di servitu di Dragontina;
v
con questo usci invisibil de la torre
dove Tavea richiusa un vecchio no.
A che voglio io tutte sue prove acc6rre,
se le sapete voi cosi come io ?
Brunei sin nel giron lei venne a torre';
ch'Agramante d'averlo ebbe disio.
Da indi in qua sempre Fortuna a sdegno
ebbe costei, fin che le tolse il regno.
VI
Or che sel vede, come ho detto, in mano,
si di stupore e d'allegrezza e piena,
che quasi dubbia di sognarsi invano,
agli occhi, alia man sua da fede a pena.
Del dito se Io leva, e a mano a mano
sel chiude in bocca; e in men che non balena,
cosi dagli occhi di Ruggier si cela,
come fa il sol quando la nube il vela.
VII
Ruggier pur d'ogn'intorno riguardava,
e s'aggirava a cerco come un matto;
ma poi che de 1'annel si ricordava,
scornato vi rimase e stupefatto;
e la sua inawertenza bestemiava,
e la donna accusava di quello atto
ingrato e discortese, che renduto
in ricompensa gli era del suo aiuto.
CANTO UNDECIMO 227
VIII
— Ingrata damigella, e questo quello
guiderdone — dicea — che tu mi rendi ?
che piu tosto involar vogli 1'annello,
ch'averlo in don. Perche da me nol prendi?
Non pur quel, ma lo scudo e il destrier snello
e me ti dono, e come vuoi mi spendi;
sol che '1 bel viso tuo non mi nascondi.
lo so, crudel, che m'odi, e non rispondi. —
IX
Cosi dicendo, intorno alia fontana
brancolando n'andava come cieco.
Oh quant e volte abbraccio Taria vana,
sperando la donzella abbracciar seco!
Quella, che s'era gia fatta lontana,
mai non cesso d'andar, che giunse a un speco
che sotto un monte era capace e grande,
dove al bisogno suo trov6 vivande.
Quivi un vecchio pastor, che di cavalle
un grande armento avea, facea soggiorno.
Le iumente pascean giu per la valle
le ten ere erbe ai freschi rivi intorno.
Di qua di la da Pantro erano stalle,
dove fuggiano il sol del mezzo giorno.
Angelica quel di lunga dimora
la dentro fece, e non fu vista ancora.
XI
E circa il vespro, poi che rifrescossi,
e le fu aviso esser posata assai,
in certi drappi rozzi aviluppossi,
dissimil troppo ai portamenti gai,
che verdi, gialli, persi, azzurri e rossi
ebbe, e di quante foggie furon mai.
Non le puo tor pero tanto umil gonna,
che bella non rassembri e nobil donna.
228 ORLANDO FURIOSO
XII
Taccia chi loda Fillide, o Neera,
o Amarilli, o Galatea fugace;
che d'esse alcuna si bella non era,
Titiro e Melibeo, con vostra pace.
La bella donna tra' fuor de la schiera
de le iumente una che piu le place.
Allora allora se le fece inante
un pensier di tornarsene in Levante.
XIII
Ruggiero intanto, poi ch'ebbe gran pezzo
indarno atteso s'ella si scopriva,
e che s'avide del suo error da sezzo,
che non era vicina e non 1'udiva;
dove lasciato avea il cavallo, avezzo
in cielo e in terra, a rimontar veniva:
e ritrov6 che s'avea tratto il morso,
e salia in aria a piu libero corso.
XIV
Fu grave e mala aggiunta all'altro danno
vedersi anco restar senza Faugello.
Questo, non men che '1 feminile inganno,
gli preme al cor; ma piu che questo e quello,
gli preme e fa sentir noioso aflanno
1'aver perduto il prezioso annello;
per le virtu non tanto ch'in lui sono,
quanto che fu de la sua donna dono.
xv
Oltremodo dolente si ripose
indosso 1'arme, e lo scudo alle spalle;
dal mar slungossi, e per le piaggie erbose
prese il camin verso una larga valle,
dove per mezzo all'alte selve ombrose
vide il piu largo e '1 piu segnato calle.
Non molto va, ch'a destra, ove piu folta
e quella selva, un gran strepito ascolta.
CANTO UNDECIMO 229
XVI
Strepito ascolta e spaventevol suono
d'arme percosse insieme; onde s'affretta
tra pianta e pianta, e truova dui che sono
a gran battaglia in poca piazza e stretta.
Non s'hanno alcun riguardo ne perdono,
per far, non so di che, dura vendetta.
L'uno e gigante, alia sembianza fiero ;
ardito Paltro e franco cavalliero.
XVII
E questo con lo scudo e con la spada,
di qua di la saltando, si difende,
perche la mazza sopra non gli cada,
con che il gigante a due man sempre offende.
Giace morto il cavallo in su la strada.
Ruggier si ferma, e alia battaglia attende;
e tosto inchina 1'animo, e disia
che vincitore il cavallier ne sia.
XVIII
Non che per questo gli dia alcuno aiuto;
ma si tira da parte, e sta a vedere.
Ecco col baston grave il piu membruto
sopra Pelmo a due man del minor fere.
De la percossa e il cavallier caduto:
Taltro, che '1 vide attonito giacere,
per dargli morte Telmo gli dislaccia;
e fa si che Ruggier lo vede in faccia.
XIX
Vede Ruggier de la sua dolce e bella
e carissima donna Bradamante
scoperto il viso; e lei vede esser quella
a cui dar morte vuol Tempio gigante:
si che a battaglia subito Tappella,
e con la spada nuda si fa inante;
ma quel, che nuova pugna non attende,
la donna tramortita in braccio prende;
230 ORLANDO FURIOSO
e se Parreca in spalla, e via la porta,
come lupo talor piccolo agnello,
o Faquila portar ne Pugna torta
suole o Colombo o simile altro augello.
Vede Ruggier quanto il suo aiuto importa,
e vien correndo a piu poter; ma quello
con tanta fretta i lunghi passi mena,
che con gli occhi Ruggier lo segue a pena.
XXI
Cosi correndo Funo, e seguitando
P altro, per un sentiero ombroso e fosco,
che sempre si venia piu dilatando,
in un gran prato uscir fuor di quel bosco.
Non piu di questo; ch'io ritorno a Orlando,
che '1 fulgur che porto gia il re Cimosco
avea gittato in mar nel maggior fondo,
accio mai piu non si trovasse al mondo.
XXII
Ma poco ci giovo: che '1 nimico empio
de Fumana natura, il qual del telo
fu Finventor, ch'ebbe da quel Fesempio,
ch'apre le nubi e in terra vien dal cielo;
con quasi non minor di quello scempio
che ci die quando Eva ingann6 col melo,
10 fece ritrovar da un negromante,
al tempo de' nostri avi, o poco inante.
XXIII
La machina infernal, di piu di cento
passi d'acqua ove ste ascosa molt'anni,
al sommo tratta per incantamento,
prima portata fu tra gli Alamanni;
11 quali uno et un altro esperimento
facendone, e il demonio a' nostri danni
assutigliando lor via piu la mente,
ne ritrovaro Fuso finalmente.
CANTO UNDECIMO 231
XXIV
Italia e Francia, e tutte Taltre bande
del mondo han poi la cm dele arte appresa.
Alcuno il bronzo in cave forme spande,
che liquefatto ha la fornace accesa;
bugia altri il ferro; e chi picciol, chi grande
il vaso forma, che piu e meno pesa:
e qual bombarda e qual nomina scoppio,
qual semplice cannon, qual cannon doppio;
xxv
qual sagra, qual falcon, qual colubrina
sento nomar, come al suo autor piu agrada;
che '1 ferro spezza, e i marmi apre e ruina,
e ovunque passa si fa dar la strada.
Rendi, miser soldato, alia fucina
pur tutte Tarme c'hai, fin alia spada;
e in spalla un scoppio o un arcobugio prendi;
che senza, io so, non toccherai stipendi.
XXVI
Come trovasti, o scelerata e brutta
invenzion, mai loco in uman core ?
Per te la militar gloria e distrutta,
per te il mestier de Tarrne e senza onore;
per te e il valore e la virtu ridutta,
che spesso par del buono il rio migliore:
non piu la gagliardia, non piu Par dire
per te pu6 in campo al paragon venire.
XXVII
Per te son giti et anderan sotterra
tanti signori e cavallieri tanti,
prima che sia finita questa guerra,
che Jl mondo, ma piu Italia ha messo in pianti;
che s'io v'ho detto, il detto mlo non erra,
che ben fu il piu crudele e il piu di quanti
mai furo al mondo ingegni empii e maligni,
ch'imagino si abominosi ordigni.
232 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
E credere che Dio, perche vendetta
ne sia in eterno, nel profondo chiuda
del cieco abisso quella maladetta
anima, appresso al maladetto Giuda.
Ma seguitiamo il cavallier ch'in fretta
brama trovarsi all'isola d'Ebuda,
dove le belle donne e delicate
son per vivanda a un marin mostro date.
XXIX
Ma quanto avea piu fretta il paladino,
tanto parea che men 1'avesse il vento.
Spiri o dal lato destro o dal mancino,
o ne le poppe, sempre e cosi lento,
che si pu6 far con lui poco camino;
e rimanea talvolta in tutto spento :
soffia talor si averso, che gli e forza
o di tornare, o d'ir girando alPorza.
xxx
Fu volonta di Dio che non venisse
prima che '1 re d'Ibernia in quella parte,
accio con piu facilita seguisse
quel ch'udir vi faro fra poche carte.
Sopra Fisola sorti, Orlando disse
al suo nochiero : — Or qui potrai fermarte,
e '1 battel darmi; che portar mi voglio
senz'altra compagnia sopra lo scoglio.
XXXI
E voglio la maggior gomona meco,
e Tancora maggior ch'abbi sul legno :
io ti faro veder perche Farreco,
se con quel mostro ad affrontar mi vegno. -
Gittar fe' in mare il palischermo seco,
con tutto quel ch'era atto al suo disegno.
Tutte Parme lascio, fuor che la spada;
e ver lo scoglio sol prese la strada.
CANTO UNDECIMO 233
XXXII
Si tira i remi al petto, e tien le spalle
volte alia parte ove discender vuole;
a guisa che del mare o de la valle
uscendo al lito, il salso granchio suole.
Era ne Fora che le chiome gialle
la bella Aurora avea spiegate al Sole,
mezzo scoperto ancora e mezzo ascoso,
non senza sdegno di Titon geloso.
XXXIII
Fattosi appresso al nudo scoglio, quanto
potria gagliarda man gittare un sasso,
gli pare udire e non udire un pianto ;
si alForecchie gli vien debole e lasso.
Tutto si volta sul sinistro canto;
e posto gli occhi appresso all'onde al basso,
vede una donna, nuda come nacque,
legata a un tronco; e i pie le bagnan Pacque.
xxxiv
Perche gli e ancor lontana, e perche china
la faccia tien, non ben chi sia discerne.
Tira in fretta ambi i remi, e s'avicina
con gran disio di piu notizia averne.
Ma muggiar sente in questo la marina,
e rimbombar le selve e le caverne :
gonfiansi Ponde; et ecco il mostro appare,
che sotto il petto ha quasi ascoso il mare.
xxxv
Come d'oscura valle umida ascende
nube di pioggia e di tempesta pregna,
che piu che cieca notte si distende
per tutto '1 mondo, e par che Jl giorno spegna;
cosi nuota la fera, e del mar prende
tanto, che si puo dir che tutto il tegna:
fremono Fonde. Orlando in se raccolto,
la mira altier, ne cangia cor ne volto.
234 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
E come quel ch'avea il pensier ben fermo
di quanto volea far, si mosse ratto;
e perche alia donzella essere schermo,
e la fera assalir potesse a un tratto,
entro fra Porca e lei col palischermo,
nel fodero lasciando il brando piatto:
Pancora con la gomona in man prese;
poi con gran cor Porribil mostro attese.
XXXVII
Tosto che Porca s'accost6, e scoperse
nel schifo Orlando con poco intervallo,
per inghiottirlo tanta bocca aperse,
ch'entrato un uomo vi saria a cavallo.
Si spinse Orlando inanzi, e se gPimmerse
con quella ancora in gola, e s'io non fallo
col battello anco; e Pancora attaccolle
e nel palato e ne la lingua molle:
XXXVIII
si che ne 'piu si puon calar di sopra,
ne alzar di sotto le mascelle orrende.
Cosi chi ne le mine il ferro adopra,
la terra, ovunque si fa via, suspende,
che subita ruina non lo cuopra,
mentre malcauto al suo lavoro intende.
Da un amo alPaltro Pancora e tanto alta,
che non v'arriva Orlando, se non salta.
XXXIX
Messo il puntello, e fattosi sicuro
che '1 mostro piu serrar non pu6 la bocca,
stringe la spada, e per quel antro oscuro
di qua e di la con tagli e punte tocca.
Come si puo, poi che son dentro al muro
giunti i nimici, ben difender r6cca;
cosi difender Porca si potea
dal paladin che ne la gola avea.
CANTO UNDECIMO 235
XL
Dal dolor vinta, or sopra il mar si lancia,
e mostra i fianchi e le scagliose schene;
or dentro vi s'attufa, e con la pancia
muove dal fondo e fa salir Farene.
Sentendo Facqua il cavallier di Francia,
che troppo abonda, a nuoto fuor ne viene :
lascia Fancora fitta, e in mano prende
la fime che da Fancora depende.
XLI
E con quella ne vien nuotando in fretta
verso lo scoglio; ove fermato il piede,
tira Fancora a se, ch'in bocca stretta
con le due punte il brutto mostro fiede.
L'orca a seguire il canape e constretta
da quella forza ch'ogni forza eccede,
da quella forza che piu in una scossa
tira, ch'in died un argano far possa.
XLII
Come toro salvatico ch'al corno
gittar si senta un improviso laccio,
salta di qua di la, s'aggira intorno,
si colca e lieva, e non pu6 uscir d'impaccio;
cosi fuor del suo antico almo soggiorno
Forca tratta per forza di quel braccio,
con mille guizzi e mille strane ruote
segue la fune, e scior non se ne puote.
XLIII
Di bocca il sangue in tanta copia fonde,
che questo oggi il mar Rosso si pu6 dire,
dove in tal guisa ella percuote Fonde,
ch'insino al fondo le vedreste aprire;
et or ne bagna il cielo, e il lume asconde
del chiaro sol: tanto le fa salire.
Rimbombano al rumor ch'intorno s'ode,
le selve, i monti e le lontane prode.
236 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Fuor de la grotta il vecchio Proteo, quando
ode tanto rumor, sopra il mare esce;
e visto entrare e uscir de 1'orca Orlando,
e al lito trar si smisurato pesce,
fugge per Palto occeano, obliando
lo sparse gregge: e si il tumulto cresce,
che fatto al carro i suoi delfini porre,
quel di Nettunno in Etiopia corre.
XLV
Con Melicerta in collo Ino piangendo,
e le Nereide coi capelli sparsi,
Glauci e Tritoni e gli altri, non sappiendo
dove, chi qua chi la van per salvarsi.
Orlando al lito trasse il pesce orrendo,
col qual non bisogno piu affaticarsi;
che pel travaglio e per 1'avuta pena,
prima mori che fosse in su P arena.
XL VI
De Tisola non pochi erano corsi
a riguardar quella battaglia strana;
i quai da vana religion rimorsi,
cosi sant'opra riputar profana:
e dicean che sarebbe un nuovo torsi
Proteo nimico, e attizzar Pira insana,
da farli porre il marin gregge in terra,
e tutta rinovar Pantica guerra;
XL VII
e che meglio sara di chieder pace
prima alPoffeso dio, che peggio accada;
e questo si fara, quando Paudace
gittato in mare a placar Proteo vada.
Come da fuoco Tuna a Paltra face,
e tosto alluma tutta una contrada,
cosi d'un cor ne Paltro si difonde
Pira ch'Orlando vuol gittar ne Ponde.
CANTO UNDECIMO 237
XLVIII
Chi d'una fromba e chi d'un arco armato,
chi d'asta, chi di spada, al lito scende;
e dinanzi e di dietro e d'ogni lato,
lontano e appresso, a piu poter Toffende.
Di si bestiale insulto e troppo ingrato
gran meraviglia il paladin si prende :
pel mostro ucciso ingiuria far si vede,
dove aver ne spero gloria e mercede.
XLIX
Ma come Torso suol, che per le fiere
menato sia da Rusci o da Lituani,
passando per la via, poco temere
Timportuno abbaiar di picciol cani,
che pur non se li degna di vedere;
cosi poco temea di quei villani
il paladin, che con un soffio solo
ne potra fracassar tutto lo stuolo.
E ben si fece far subito piazza
che lor si volse, e Durindana prese.
S'avea creduto quella gente pazza
che le dovesse far poche contese,
quando ne indosso gli vedea corazza,
ne scudo in braccio, ne alcun altro arnese;
ma non sapea che dal capo alle piante
dura la pelle avea piu che diamante.
LI
Quel che d' Orlando agli altri far non lece,
di far degli altri a lui gia non e tolto.
Trenta n'uccise, e furo in tutto diece
botte, o se piu, non le passo di molto.
Tosto intorno sgombrar F arena fece;
e per slegar la donna era gia volto,
quando nuovo tumulto e nuovo grido
fe' risuonar da un'altra parte il lido.
238 ORLANDO FURIOSO
LII
Mentre avea il paladin da questa banda
. cosi tenuto i barbari impediti,
eran senza contrasto quei d'Irlanda
da piu parte ne Tisola saliti;
e spenta ogni pieta, strage nefanda
di quel popul facean per tutti i liti :
fosse iustizia, o fosse crudeltade,
ne sesso riguardavano ne etade.
LIII
Nessun ripar fan gl'isolani, o poco:
parte, ch'accolti son troppo improviso,
parte, che poca gente ha il picciol loco,
e quella poca e di nessuno aviso.
L'aver fu messo a sacco; messo fuoco
fu ne le case; il populo fu ucciso;
le mura fur tutte adeguate al suolo:
non fu lasciato vivo un capo solo.
LIV
Orlando, come gli appertenga nulla
1'alto rumor, le stride e la ruin a,
viene a colei che su la pietra brulla
avea da divorar Porca marina.
Guarda, e gli par conoscer la fanciulla;
e piu gli pare, e piu che s'avicina:
gli pare Olimpia; et era Olimpia certo,
che di sua fede ebbe si iniquo merto.
LV
Misera Olimpia! a cui dopo lo scorno
che gli fe} Amore, anco Fortuna cruda
mando i corsari (e fu il medesmo giorno),
che la portaro all'isola d'Ebuda.
Riconosce ella Orlando nel ritorno
che fa allo scoglio: ma perch'ella e nuda,
tien basso il capo; e non che non gli parli,
ma gli occhi non ardisce al viso alzarli.
CANTO UNDECIMO 239
LVI
Orlando domand6 ch'iniqua sorte
Tavesse fatta all'isola venire
di la dove lasciata col consorte
lieta 1'avea quanto si pu6 piu dire.
— Non so — disse — ella s'io v'ho, che la morte
voi mi schivaste, grazie a riferire,
o da dolermi che per voi non sia
oggi finita la miseria mia.
LVII
lo v'ho da ringraziar ch'una maniera
di morir mi schivaste troppo enorme;
che troppo saria enorme, se la fera
nel brutto ventre avesse avuto a porme.
Ma gia non vi ringrazio ch'io non pera;
che morte sol pu6 di miseria tonne:
ben vi ringrazier6, se da voi darmi
quella vedr6 che d'ogni duol pu6 trarmi. —
LVIII
Poi con gran pianto seguit6, dicendo
come lo sposo suo Pavea tradita;
che la Iasci6 su Tisola dormendo,
donde ella poi fu dai corsar rapita.
E mentre ella parlava, rivolgendo
s'andava in quella guisa che scolpita
o dipinta e Diana ne la fonte,
che getta 1'acqua ad Ateone in fronte;
LIX
che, quanto puo, nasconde il petto e '1 ventre,
piu liberal dei fianchi e de le rene.
Brama Orlando ch'in porto il suo legno entre;
che lei, che sciolta avea da le catene,
vorria coprir d'alcuna veste. Or mentre
ch'a questo e intento, Oberto sopraviene,
Oberto il re d'Ibernia, ch'avea inteso
che '1 matin mostro era sul lito steso;
240 ORLANDO FURIOSO
LX
e che nuotando un cavallier era ito
a porgli in gola un'ancora assai grave;
e che 1'avea cosi tlrato al lito,
come si suol tirar contr'acqua nave.
Oberto, per veder se riferito
colui da chi 1'ha inteso, il vero gli have,
se ne vien quivi; e la sua gente intanto
arde e distrugge Ebuda in ogni canto.
LXI
II re d'Ibernia, ancor che fosse Orlando
di sangue tinto, e d'acqua molle, e brutto,
brutto del sangue che si trasse quando
usci de Torca in ch'era entrato tutto,
pel conte I'and6 pur raffigurando ;
tanto piu che ne Fanimo avea indutto,
tosto che del valor senti la nuova,
ch'altri ch' Orlando non faria tal pruova.
LXII
Lo conoscea, perch* era stato infante
d'onore in Francia, e se n'era partito
per pigliar la corona, Tanno inante,
del padre suo ch'era di vita uscito.
Tante volte veduto, e tante e tante
gli avea parlato, ch'era in infmito.
Lo corse ad abbracciare e a fargli festa,
trattasi la celata ch'avea in testa.
LXIII
Non meno Orlando di veder contento
si mostro il re, che '1 re di veder lui.
Poi che furo a iterar Tabbracciamento
una o due volte tornati amendui,
narro ad Oberto Orlando il tradimento
che fu fatto alia giovane, e da cui
fatto le fu, dal perfido Bireno,
che via d'ofjn'altro lo dovea far meno.
CANTO UNDECIMO 241
LXIV
Le pruove gli narro, che tante volte
ella d'amarlo dimostrato avea:
come i parent! e le sustanzie tolte
le furo, e al fin per lui morir volea;
e ch'esso testimonio era di molte,
e renderne buon conto ne potea.
Mentre parlava, i begli occhi sereni .
de la donna di lagrime eran pieni.
LXV
Era il bel viso suo, quale esser suole
da primavera alcuna volta il cielo,
quando la pioggia cade, e a un tempo il sole
si sgombra intorno il nubiloso velo.
E come il rosignuol dolci carole
mena nei rami alor del verde stelo,
cosi alle belle lagrime le piume
si bagna Amore, e gode al chiaro lume.
LXVI
E ne la face de' begli occhi accende
Taurato strale, e nel ruscello amorza,
che tra vermigli e bianchi fieri scende:
e temprato che 1'ha, tira di forza
contra il garzon, che ne scudo difende
ne maglia doppia ne ferigna scorza;
che mentre sta a mirar gli occhi e le chiome,
si sente il cor ferito, e non sa come.
LXVII
Le bellezze d'Olimpia eran di quelle
che son pm rare: e non la fronte sola,
gli occhi e le guancie e le chiome avea belle,
la bocca, il naso, gli omeri e la gola;
ma discendendo giu da le mammelle,
le parti che solea coprir la stola,
fur di tanta escellenzia, ch'anteporse
a quante n'avea il mondo potean forse.
242 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Vinceano di candor le nievi intatte,
et eran piu ch'avorio a toccar molli:
le poppe ritondette parean latte
che fuor dei giunchi allora allora tolli.
Spazio fra lor tal discendea, qual fatte
esser veggian fra piccolini colli
1'ombrose valli, in sua stagione amene,
che '1 verno abbia di nieve allora piene.
LXIX
I rilevati fianchi e le belle anche,
e netto piu che specchio il ventre piano,
pareano fatti, e quelle coscie bianche,
da Fidia a torno, o da piu dotta mano.
Di quelle parti debbovi dir anche,
che pur celare ella bramava invano ?
Diro insomma ch'in lei dal capo al piede,
quant'esser pu6 belta, tutta si vede.
LXX
Se fosse stata ne le valli Idee
vista dal pastor frigio, io non so quanto
Vener, se ben vincea quell'altre dee,
portato avesse di bellezza il vanto :
n£ forse ito saria ne le Amiclee
contrade esso a violar 1'ospizio santo;
ma detto avria: — Con Menelao ti resta,
Elena pur; ch'altra io non voj che questa. •
LXXI
E se fosse costei stata a Crotone,
quando Zeusi rimagine far volse,
che por dovea nel tempio di lunone,
e tante belle nude insieme accolse;
e che, per una fame in perfezione,
da chi una parte e da chi un'altra tolse;
non avea da t6rre altra che costei,
che tutte le bellezze erano in lei.
CANTO UNDECIMO 243
LXXII
lo non credo che mai Bireno, nudo
vedesse quel bel corpo; ch'io son certo
che stato non saria mai cosi crudo,
che 1'avesse lasciata in quel deserto.
Ch'Oberto se n'accende, io vi conclude,
tanto che '1 fuoco non pu6 star coperto.
Si studia consolarla, e darle speme
ch'uscira in bene il mai ch'ora la preme:
LXXIII
e le promette andar'seco in Olanda;
ne fin che ne lo stato la rimetta,
e ch'abbia fatto iusta e memoranda
di quel periuro e traditor vendetta,
non cessara con cio che possa Irlanda,
e lo fara quanto potra piu in fretta.
Cercare intanto in quelle case e in queste
facea di gonne e di feminee veste.
LXXIV
Bisogno non sara, per trovar gonne,
ch'a cercar fuor de Pisola si mande ;
ch'ogni di se n'avea da quelle donne
che de Pavido mostro eran vivande.
Non fe' molto cercar, che ritrovonne
di varie foggie Oberto copia grande;
e fe' vestir Olimpia, e ben gPincrebbe
non la poter vestir come vorrebbe.
LXXV
Ma ne si bella seta o si fin'oro
mai Fiorentini industri tesser fenno ;
ne chi ricama fece mai lavoro,
postovi tempo, diligenzia e senno,
che potesse a costui parer decoro,
se lo fesse Minerva o il dio di Lenno,
e degno di coprir si belle membre,
che forza e ad or ad or se ne rimembre.
244 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Per piu rispetti il paladino molto
si dimostro di questo amor contento:
ch'oltre che '1 re non lasciarebbe asciolto
Bireno andar di tanto tradimento,
sarebbe anch'esso per tal mezzo tolto
di grave e di noioso impedimento,
quivi non per Olimpia, ma venuto
per dar, se v'era, alia sua donna aiuto.
LXXVII,
Ch'ella non v'era si chiarl di corto,
ma gia non si chiari se v'era stata;
perche ogn'uomo ne Fisola era morto,
ne un sol rimaso di si gran brigata.
II di seguente si partir del porto,
e tutti insieme andaro in una armata.
Con loro ando in Irlanda il paladino;
che fix per gire in Francia il suo camino.
LXXVIII
A pena un giorno si fermo in Irlanda;
non valser preghi a far che piu vi stesse:
Amor, che dietro alia sua donna il manda,
di fermarvisi piu non gli concesse.
Quindi si parte; e prima raccomanda
Olimpia al re, che send le promesse:
ben che non bisognassi; che gli attenne
molto piu, che di far non si convenne.
LXXIX
Cosi fra pochi di gente raccolse;
e fatto lega col re d'Inghilterra
e con Taltro di Scozia, gli ritolse
Olanda, e in Frisa non gli lascio terra;
et a ribellione anco gli volse
la sua Selandia: e non fini la guerra,
che gli die morte; ne pero fu tale
la pena, ch'al delitto andasse eguale.
CANTO UNDECIMO 245
LXXX
Olimpia Oberto si piglio per moglie,
e di contessa la fe5 gran regina.
Ma ritorniamo al paladin che scioglie
nel mar le vele, e notte e di camina;
poi nel medesmo porto le raccoglie,
donde pria le spiego ne la marina:
e sul suo Brigliadoro armato salse,
e lascic- dietro i venti e Ponde salse.
LXXXI
Credo che '1 resto di quel verno cose
facesse degne di tenerne conto;
ma fur sin a quel tempo si nascose,
che non e colpa mia s'or non le conto;
perche Orlando a far Popre virtuose,
piu che a narrarle poi, sempre era pronto:
ne mai fu alcun de li suoi fatti espresso,
se non quando ebbe i testimonii appresso.
LXXXII
Pass6 il resto del verno cosi cheto,
che di lui non si seppe cosa vera:
ma poi che '1 sol ne P animal discrete
che porto Friso, illumin6 la sfera,
e Zefiro torno soave e lieto
a rimenar la dolce primavera;
d' Orlando usciron le mirabil pruove
coi vaghi fiori e con 1'erbette nuove.
LXXXIII
Di piano in monte, e di campagna in lido,
pien di travaglio e di dolor ne gia;
quando all'entrar d'un bosco, un lungo grido,
un alto duol Porecchie gli feria.
Spinge il cavallo, e piglia il bran do fido,
e donde viene il suon, ratto s'invia:
ma diferisco un'altra volta a dire
quel che segui, se mi vorrete udire.
246 ORLANDO FURIOSO
CANTO DUODECIMO
I
Cerere, poi che da la madre Idea
tornando in fretta alia solinga valle,
la dove calca la montagna Etnea
al fulminate Encelado le spalle,
la figlia non trov6 dove Tavea
lasciata fuor d'ogni segnato calle; .
fatto ch'ebbe alle guancie, al petto, ai crini
e agli occhi danno, al.fin svelse duo pini;
ii
e nel fuoco gli accese di Vulcano,
e die lor non potere esser mai spenti:
e portandosi questi uno per mano
sul carro che tiravan dui serpenti,
cerco le selve, i campi, il monte, il piano,
le valli, i fiumi, li stagni, i torrenti,
la terra e '1 mare; e poi che tutto il mondo
cerco di sopra, and6 al tartareo fondo.
in
S'in poter fosse stato Orlando pare
alPEleusina dea, come in disio,
non avria, per Angelica cercare,
lasciato o selva o campo o stagno o rio
o valle o monte o piano o terra o mare,
il cielo e '1 fondo de Peterno oblio;
ma poi che '1 carro e i draghi non avea,
la gia cercando al meglio che potea.
CANTO DUODECIMO 247
IV
L'ha cercata per Francia: or s'apparecchia
per Italia cercarla e per Lamagna,
per la nuova Castiglia e per la vecchia,
e poi passare in Libia il mar di Spagna.
Mentre pensa cosi, sente all'orecchia
una voce venir che par che piagna:
si spinge inanzi; e sopra un gran destriero
trottar si vede inanzi un cavalliero,
che porta in braccio e su 1'arcion davante
per forza una mestissima donzella.
Piange ella e si dibatte e fa sembiante
di gran dolore, et in soccorso appella
il valoroso principe d'Anglante,
che come mira alia giovane bella,
gli par colei, per cui la notte e il giorno
cercato Francia avea dentro e d'intorno.
VI
Non dico ch'ella fosse, ma parea
Angelica gentil ch'egli tant'ama.
Egli, che la sua donna e la sua dea
vede portar si addolorata e grama,
spinto da Pira e da la furia rea,
con voce orrenda il cavallier richiama:
richiama il cavalliero e gli minaccia,
e Brigliadoro a tutta briglia caccia.
VII
Non resta quel fellon, ne gli risponde,
alFalta preda, al gran guadagno intento,
e si ratto ne va per quelle fronde,
che saria tar do a seguitarlo il vento.
L/un fugge, e Taltro caccia; e le profonde
selve s'odon sonar d'alto lamento.
Correndo usciro in un gran prato; e quello
avea nel mezzo un grande e ricco ostello.
248 ORLANDO FURIOSO
VIII
Di van marmi con suttil lavoro
edificato era il palazzo altiero.
Corse dentro alia porta messa d'oro
con la donzella in braccio il cavalliero.
Dopo non molto giunse Brigliadoro,
che porta Orlando disdegnoso e fiero.
Orlando, come e dentro, gli occhi gira,
ne piu il guerrier, ne la donzella mira.
IX
Subito smonta, e fulminando passa
dove piu dentro il bel tetto s'alloggia:
corre di qua, corre di la, ne lassa
che non vegga ogni camera, ogni loggia.
Poi che i segreti d'ogni stanza bassa
ha cerco invan, su per le scale poggia;
e non men perde anco a cercar di sopra,
che perdessi di sotto il tempo e 1'opra.
x
D'oro e di seta i letti ornati vede:
nulla de muri appar ne de pareti;
che quelle, e il suolo ove si mette il piede,
son da cortine ascose e da tapeti.
Di su di giu va il conte Orlando, e riede;
ne per questo puo far gli occhi mai lieti
che riveggiano Angelica, o quel ladro
che n'ha portato il bel viso leggiadro.
XI
E mentre or quinci or quindi invano il passo
movea, pien di travaglio e di pensieri,
Ferrau, Brandimarte e il re Gradasso,
re Sacripante et altri cavallieri
vi ritrovo, ch'andavano alto e basso,
ne men facean di lui vani sentieri;
e si ramaricavan del malvagio
invisibil signer di quel palagio.
CANTO DUODECIMO 249
XII
Tutti cercando il van, tutti gli danno
colpa di furto alcun che lor fatt'abbia:
del destrier che gli ha tolto, altri e in affanno;
ch'abbia perduta altri la donna, arrabbia;
altri d'altro Paccusa: e cosi stanno,
che non si san partir di quella gabbia;
e vi son molti, a questo inganno presi,
stati le settimane intiere e i mesi,
XIII
Orlando, poi che quattro volte e sei
tutto cercato ebbe il palazzo strano,
disse fra se: «Qui dimorar potrei,
gittare il tempo e la fatica invano:
e potria il ladro aver tratta costei
da un'altra uscita, e molto esser lontano. »
Con tal pensiero usci nel verde prato,
dal qual tutto il palazzo era aggirato.
XIV
Mentre circonda la casa silvestra,
tenendo pur a terra il viso chino,
per veder s'orma appare, o da man destra
o da sinistra, di nuovo camino;
si sente richiamar da una finestra:
e leva gli occhi; e quel parlar divino
gli pare udire, e par che miri il viso,
che Tha da quel che fu, tanto diviso.
xv
Pargli Angelica udir, che supplicando
e piangendo gli dica: — Aita, aita!
la mia virginita ti raccomando
piu che Tanima mia, piu che la vita.
Dunque in presenzia del mio caro Orlando
da questo ladro mi sara rapita?
Piu tosto di tua man dammi la morte,
che venir lasci a si infelice sorte. —
250 ORLANDO FURIOSO
XVI
Quest e parole una et un'altra volta
fanno Orlando tornar per ogni stanza,
con passione e con fatica molta,
ma temperata pur d'alta speranza.
Talor si ferma, et una voce ascolta,
che di quella d' Angelica ha sembianza
(e s'egli e da una parte, suona altronde),
che chieggia amto; e non sa trovar donde.
XVII
Ma tornando a Ruggier, ch'io lasciai quando
dissi che per sentiero ombroso e fosco
il gigante e la donna seguitando,
in un gran prato uscito era del bosco;
io dico ch'arriv6 qui dove Orlando
dianzi arrivo, se Jl loco riconosco.
Dentro la porta il gran gigante passa:
Ruggier gli e appresso, e di seguir non lassa.
XVIII
Tosto che pon dentro alia soglia il piede,
per la gran corte e per le loggie mira;
ne piu il gigante ne la donna vede,
e gli occhi indarno or quinci or quindi aggira.
Di su di giu va molte volte, e riede;
ne gli succede mai quel che desira:
ne si sa imaginar dove si tosto
con la donna il fellon si sia nascosto.
XIX
Poi che revisto ha quattro volte e cinque
di su di giu camere e loggie e sale,
pur di nuovo ritorna, e non relinque
che non ne cerchi fin sotto le scale.
Con speme al fin che sian ne le propinque
selve, si parte ; ma una voce, quale
richiamo Orlando, lui cbiam6 non manco,
e nel palazzo il fe' ritornar anco.
CANTO DUODECIMO 251
XX
Una voce medesma, una persona
che paruta era Angelica ad Orlando,
parve a Ruggier la donna di Dordona,
che lo tenea di se medesmo in ban do.
Se con Gradasso o con alcun ragiona
di quei ch'andavan nel palazzo errando,
a tutti par che quella cosa sia,
che piu ciascun per se brama e desia.
XXI
Questo era un nuovo e disusato incanto
ch'avea composto Atlante di Carena,
perche* Ruggier fosse occupato tanto
in quel travaglio, in quella dolce pena,
che '1 maPinflusso n'andasse da canto,
Tinflusso ch'a morir giovene il metia.
Dopo il castel d'acciar, che nulla giova,
e dopo Alcina, Atlante ancor fa pruova.
XXII
Non pur costui, ma tutti gli altri ancora,
che di valore in Francia han maggior fama,
acci6 che di lor man Ruggier non mora,
condurre Atlante in questo incanto trama.
E mentre fa lor far quivi dimora,
perche di cibo non patischin brama,
si ben fornito avea tutto il palagio,
che donne e cavallier vi stanno ad agio.
XXIII
Ma torniamo ad Angelica, che seco
avendo quell' annel mirabil tanto,
ch/in bocca a veder lei fa Pocchio cieco,
nel dito 1'assicura da Pincanto;
e ritrovato nel montano speco
cibo avendo e cavalla e veste e quanto
le fu bisogno, avea fatto il'disegno
di ritornare in India al suo bel regno.
252 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Orlando volentieri o Sacripante
voluto avrebbe in compagnia: non ch'ella
piu caro avesse 1'un che 1 altro amante;
anzi di par fu a' lor disii ribella:
ma dovendo, per girsene in Levante,
passar tante citta, tante castella,
di compagnia bisogno avea e di guida,
ne potea aver con altri la piu fida.
xxv
Or Funo or T altro an do molto cercando,
prima ch'indizio ne trovasse o spia,
quando in cittade, e quando in ville, e quando
in alti boschi, e quando in altra via.
Fortuna al fin la dove il conte Orlando,
Ferrau e Sacripante era, la invia,
con Ruggier, con Gradasso et altri molti
che v'avea Atlante in strano intrico avolti.
XXVI
Quivi entra, che veder non la puo il mago,
e cerca il tutto, ascosa dal suo annello,
e truova Orlando e Sacripante vago
di lei cercare invan per quello ostello.
Vede come fingendo la sua imago
Atlante usa gran fraude a questo e a quello.
Chi tor debba di lor, molto rivolve
nel suo pensier, n6 ben se ne risolve.
XXVII
Non sa stimar chi sia per lei migliore,
il conte Orlando o il re dei fier Circassi.
Orlando la potra con piu valore
meglio salvar nei perigliosi passi ;
ma se sua guida il fa, sel fa signore,
ch'ella non vede come poi Pabbassi,
qualunque volta, di lui sazia, farlo
voglia minore, o in Francia rimandarlo.
CANTO DUODECIMO 253
XXVIII
Ma 11 Circasso depor, quando le piaccia,
potra, se ben Tavesse posto in cielo.
Questa sola cagion vuol ch'ella il faccia
sua scorta, e mostri avergli fede e zelo.
L'annel trasse di bocca, e di sua faccia
levo dagli occhi a Sacripante il velo.
Credette a lui sol dimostrarsi, e avenne
ch* Orlando e Ferrau le sopravenne.
XXIX
Le sopravenne Ferrau et Orlando;
che 1'uno e Taltro parimente giva
di su di giu, dentro e di fuor cercando
del gran palazzo lei, ch'era lor diva.
Corser di par tutti alia donna, quando
nessuno incantamento gli impediva;
perche 1'annel ch'ella si pose in mano,
fece d'Atlante ogni disegno vano.
xxx
L'usbergo indosso aveano e Pelmo in testa
dui di questi guerrier, dei quali io canto;
ne notte o di, dopo ch'entraro in questa
stanza, Taveano mai messi da canto;
che facile a portar, come la vesta,
era lor, perche in uso 1'avean tanto.
Ferrau il terzo era anco armato, eccetto
che non avea, ne volea avere elmetto,
XXXI
fin che quel non avea che '1 paladino
tolse Orlando al fratel del re Troiano;
ch'allora lo giurb, che 1'elmo fmo
cerco de PArgalia nel fiume invano:
e se ben quivi Orlando ebbe vicino,
ne pero Ferrau pose in lui mano;
avenne che conoscersi tra loro
non si poter, mentre la dentro foro.
254 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Era cosi incantato quello albergo,
ch'insieme riconoscer non poteansi.
Ne notte mai ne di, spada ne usbergo
ne scudo pur dal braccio rimoveansi.
I lor cavalli con la sella al tergo,
pendendo i morsi da 1'arcion, pasceansi
in una stanza che, presso alPuscita,
d'orzo e di paglia sempre era fornita.
XXXIII
Atlanta riparar non sa ne puote,
ch'in sella non rimontino i guerrieri
per correr dietro alle vermiglie gote,
all'auree chiome et a' begli occhi neri
de la donzella ch'in fuga percuote
la sua iumenta, perche volentieri
non vede li tre amanti in compagnia,
che forse tolti un dopo 1'altro avria.
XXXIV
E poi che dilungati dal palagio
gli ebbe si, che temer piu non dovea
che contra lor Pincantator malvagio
potesse oprar la sua fallacia rea;
1'annel che le schiv6 piu d'un disagio
tra le rosate labra si chiudea:
donde lor sparve subito dagli occhi,
e gli lascio come insensati e sciocchi.
xxxv
Come che fosse il suo primier disegno
di voler seco Orlando o Sacripante,
ch'a ritornar 1'avessero nel regno
di Galafron ne 1'ultimo Levante;
le vennero amendua subito a sdegno,
e si muto di voglia in uno instante:
e senza piu obligarsi o a questo o a quello,
pens6 bastar per amendua il suo annello.
CANTO DUODECIMO 255
XXXVI
Volgon pel bosco or quinci or quindi in fretta
quelli scherniti la stupida faccia;
come il cane talor, se gli e intercetta
o lepre o volpe a cui dava la caccia,
che d'improviso in qualche tana stretta
o in folta macchia o in un fosso si caccia.
Di lor si ride Angelica proterva,
che non e vista, e i lor progress! osserva.
XXXVII
Per mezzo il bosco appar sol una strada:
credono i cavallier che la donzella
inanzi a lor per quella se ne vada;
che non se ne pu6 andar, se non per quella.
Orlando corre, e Ferrau non bada,
ne Sacripante men sprona e puntella.
Angelica la briglia piu ritiene,
e dietro lor con minor fretta viene.
XXXVIII
Giunti che fur, correndo, ove i sentieri
a perder si venian ne la foresta,
e cominciar per 1'erba i cavallieri
a riguardar se vi trovavan pesta,
Ferrau che potea, fra quanti altieri
mai fosser, gir con la corona in testa,
si volse con mal viso agli altri dui,
e grid6 lor : — Dove venite vui ?
xxxix
Tornate a dietro, o pigliate altra via,
se non volete rimaner qui morti:
ne in amar ne in seguir la donna mia
si creda alcun, che compagnia comporti. —
Disse Orlando al Circasso : — Che potria
piu dir costui, s'ambi ci avesse scorti
per le piu vili e timide puttane
che da conocchie mai traesser lane ? —
256 ORLANDO FURIOSO
XL
Poi volto a Ferrau, disse: — Uom bestiale,
s'io non guardassi che senza elmo sei,
di quel c'hai detto, s'hai ben detto o male,
senz'altra indugia accorger ti farei. —
Disse il Spagnuol: — Di quel ch'a me non cale,
perche pigliarne tu cura ti dei ?
lo sol contra ambidui per far son buono
quel che detto ho, senza elmo come sono.
XLI
— Deh, — disse Orlando al re di Circassia
— in mio servigio a costui Felmo presta,
tanto ch'io gli abbia tratta la pazzia;
ch'altra non vidi mai simile a questa. —
Rispose il re: — Chi piu pazzo saria?
Ma se ti par pur la domanda onesta,
prestagli il tuo; ch'io non saro men atto,
che tu sia forse, a castigare un matto. —
XLII
Suggiunse Ferrau:— Sciocchi voi, quasi
che se mi fosse il portar elmo a grado,
voi senza non ne fosse gia rimasi;
che tolti i vostri avrei, vostro mal grado.
Ma per narrarvi in parte li miei casi,
per voto cosi senza me ne vado,
et anderc-, fin ch'io non ho quel fino
che porta in capo Orlando paladino.
XLIII
— Dunque — rispose sorridendo il conte
— ti pensi a capo nudo esser bastante
far ad Orlando quel che in Aspramonte
egli gia fece al figlio d'Agolante?
Anzi credo io, se tel vedessi a fronte,
ne tremeresti dal capo alle piante;
non che volessi 1'elmo, ma daresti
Taltre arme a lui di patto, che tu vesti. —
CANTO DUODECIMO 257
XLIV
II vantator Spagnuol disse : — Gia molte
fiate e molte ho cosi Orlando astretto,
che facilmente Parme gli avrei tolte,
quante indosso n'avea, non che Felmetto;
e s'io nol feci, occorrono alle volte
pensier che prima non s'aveano in petto:
non n'ebbi, gia fa, voglia; or Faggio, e spero
che mi potra succeder di leggiero. —
XLV
Non pote aver piu pazienzia Orlando,
e grido : — Mentitor, brutto marrano,
in che paese ti trovasti, e quando,
a poter piu di me con Farme in mano ?
Quel paladin, di che ti vai vantando,
son io, che ti pensavi esser lontano.
Or vedi se tu puoi Telmo levarme,
o s'io son buon per torre a te Faltre arme.
XLVI
N6 da te voglio un minimo vantaggio. —
Cosi dicendo, Felmo si disciolse,
e lo suspese a un ramuscel di faggio;
e quasi a un tempo Durindana tolse.
Ferrau non perde di ci6 il coraggio:
trasse la spada, e in atto si raccolse,
onde con essa e col levato scudo
potesse ricoprirsi il capo nudo.
XLVII
Cosi li duo guerrieri incominciaro,
lor cavalli aggirando, a volteggiarsi ;
e dove Farme si giungeano, e raro
era piu il ferro, col ferro a tentarsi.
Non era in tutto '1 mondo un altro paro
che piu di questo avessi ad accopiarsi:
pari eran di vigor, pari d'ardire;
ne Fun n6 F altro si potea ferire.
258 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Ch'abbiate, Signor mio, gia inteso estimo
che Ferrau per tutto era fatato,
fuor che la dove Falimento primo
piglia il bambin nel ventre ancor serrato:
e fin che del sepolcro il tetro limo
la faccia gli coperse, il luogo armato
us6 portar, dove era il dubbio, sempre
di sette piastre fatte a buone temp re.
XLIX
Era ugualmente il principe d'Anglante
tutto fatato, fuor che in una parte:
ferito esser potea sotto le piante;
ma le guard6 con ogni studio et arte.
Duro era il resto lor piu che diamante
(se la fama dal ver non si diparte);
e 1'uno e Paltro ando piu per ornato,
che per bisogno, alle sue imprese armato.
L
S'incrudelisce e inaspra la battaglia,
d'orrore in vista e di spavento piena.
Ferrau, quando punge e quando taglia,
n6 mena botta che non vada piena:
ogni colpo d' Orlando o piastra o maglia
e schioda e rompe et apre e a straccio mena.
Angelica invisibil lor pon mente,
sola a tanto spettacolo presente.
LI
Intanto il re di Circassia, stimando
che poco inanzi Angelica corresse,
poi ch'attaccati Ferrau et Orlando
vide restar, per quella via si messe,
che si credea che la donzella, quando
da lor disparve, seguitata avesse:
si che a quella battaglia la figliuola
di Galafron fu testimonia sola.
CANTO DUODECIMO 259
LII
Poi che, orribil come era e spaventosa,
1'ebbe da parte ella mirata alquanto,
e che le parve assai pericolosa
cosi da Tun come da Paltro canto;
di veder novita voluntarosa,
disegn6 Felmo tor per mirar quanto
fariano i duo guerrier, vistosel tolto;
ben con pensier di non tenerlo molto.
LIU
Ha ben di darlo al conte intenzione;
ma se ne vuole in prima pigliar gioco.
L'elmo dispicca, e in grembio se lo pone,
e sta a mirare i cavallieri un poco.
Di poi si parte, e non fa lor sermone;
e lontana era un pezzo da quel loco,
prima ch'alcun di lor v'avesse mente:
si 1'uno e Taltro era ne 1'ira ardente.
LIV
Ma Ferrau, che prima v'ebbe gli occhi,
si dispiccc- da Orlando, e disse a lui:
— Deh come n'ha da male accorti e sciocchi
trattati il cavallier ch'era con nui!
Che premio fia ch'al vincitor piu tocchi,
se 1 bel elmo involato n'ha costui ? —
Ritrassi Orlando, e gli occhi al ramo gira:
non vede Pelmo, e tutto avampa d'ira.
LV
E nel parer di Ferrau concorse,
che '1 cavallier che dianzi era con loro
se lo portasse; onde la briglia torse,
e fej sentir gli sproni a Brigliadoro.
Ferrau che del campo il vide t6rse,
gli venne dietro; e poi che giunti foro
dove ne Perba appar Forma novella
ch'avea fatto il Circasso e la donzella;
260 ORLANDO FURIOSO
LVI
prese la strada alia sinistra il conte
verso una valle, ove il Circasso era ito :
si tenne Ferrau piu presso al monte,
dove il sentiero Angelica avea trito.
Angelica in quel mezzo ad una fonte
giunta era, ombrosa e di giocondo sito,
ch'ognun che passa alle fresche ombre invita,
ne senza ber mai lascia far partita.
LVII
Angelica si ferma alle chiare onde,
non pensando ch'alcun le sopravegna;
e per lo sacro annel che la nasconde,
non puo temer che caso rio le avegna.
A prima giunta in su Terbose sponde
del rivo I'elmo a un ramuscel consegna;
poi cerca, ove nel bosco e miglior frasca,
la iumenta legar, perche si pasca.
LVIII
II cavallier di Spagna, che venuto
era per Tonne, alia fontana giunge.
Non Tha si tosto Angelica veduto,
che gli dispare, e la cavalla punge.
L'elmo, che sopra 1'erba era caduto,
ritor non pu6, che troppo resta lunge.
Come il pagan d' Angelica s'accorse,
tosto ver lei pien di letizia corse.
LIX
Gli sparve, come io dico, ella davante,
come fantasma al dipartir del sonno.
Cercando egli la va per quelle piante,
ne i miseri occhi piu veder la ponno.
Bestemiando Macone e Trivigante,
e di sua legge ogni maestro e donno,
ritorn6 Ferrau verso la fonte,
u' ne Terba giacea Pelmo del conte.
CANTO DUODECIMO 261
LX
Lo riconobbe, tosto che mirollo,
per lettere ch'avea scritte ne Torlo ;
che dicean dove Orlando guadagnollo,
e come e quando, et a chi fe' deporlo.
Armossene il pagano il capo e il collo,
che non lascio, pel duol ch'avea, di torlo ;
pel duol ch'avea di quella che gli sparve,
come sparir soglion notturne larve.
LXI
Poi ch'allacciato s'ha il buon elmo in testa,
aviso gli e che a contentarsi a pieno,
sol ritrovare Angelica gli resta,
che gli appar e dispar come baleno.
Per lei tutta cerco 1'alta foresta:
e poi ch'ogni speranza venne meno
di piu poterne ritrovar vestigi,
torno al campo spagnuol verso Parigi;
LXII
temperando il dolor che gli ardea il petto,
di non aver si gran disir sfogato,
col refrigerio di portar relmetto
che £u d'Orlando, come avea giurato.
Dal conte, poi che Jl certo gli fu detto,
fu lungamente Ferrau cercato,
ne fin quel di dal capo gli lo sciolse,
che fra duo ponti la vita gli tolse.
LXIII
Angelica invisibile e soletta
via se ne va, ma con turbata fronte;
che de Telmo le duol, che troppa fretta
le avea fatto lasciar presso alia fonte.
« Per voler far quel ch'a me far non spetta, »
tra s6 dicea alevato ho 1'elmo al conte:
questo, pel primo merito, e assai buono
di quanto a lui pur ubligata sono.
262 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Con buona intenzione (e sallo Idio),
ben che diverse e tristo effetto segua,
io levai 1'elmo: e solo il pensier mio
fu di ridur quella battaglia a triegua;
e non che per mio mezzo il suo disio
questo brutto Spagnuol oggi consegua. »
Cosi di se s'andava lamentando
d'aver de 1'elmo suo privato Orlando.
LXV
Sdegnata e malcontenta, la via prese
che le parea miglior, verso Oriente.
Piu volte ascosa and6, talor palese,
secondo era oportuno, infra la gente.
Dopo molto veder molto paese,
giunse in un bosco, dove iniquamente
fra duo compagni morti un giovinetto
trovo, ch'era ferito in mezzo il petto.
LXVI
Ma non diro d' Angelica or piu inante;
che molte cose ho da narrarvi prima:
ne sono a Ferrau ne a Sacripante,
sin a gran pezzo, per donar piu rima.
Da lor mi leva il principe d'Anglante,
che di s6 vuol che inanzi agli altri esprima
le fatiche e gli affanni che sostenne
nel gran disio, di che a fin mai non venne.
LXVII
Alia prima citta ch'egli ritruova
(perch6 d'andare occulto avea gran cura)
si pone in capo una barbuta nuova,
senza mirar s'ha debil tempra o dura.
Sia qual si vuol, poco gli nuoce o giova:
si ne la fatagion si rassicura.
Cosi coperto, seguita Tinchiesta;
ne notte o giorno, o pioggia o sol 1'arresta.
CANTO DUODECIMO 263
LXVIII
Era ne 1'ora che traea i cavalli
Febo del mar con rugiadoso pelo,
e 1'Aurora di fior vermigli e gialli
venia spargendo d'ogn'intorno il cielo;
e lasciato le stelle aveano i balli,
e per partirsi postosi gia il velo:
quando appresso a Parigi un di passando,
mostr6 di sua virtu gran segno Orlando.
LXIX
In dua squadre incontrossi: e Manilardo
ne reggea 1'una, il Saracin canuto,
re di Norizia, gia fiero e gagliardo,
or miglior di consiglio che d'aiuto;
guidava 1'altra sotto il suo stendardo
il re di Tremisen, ch'era tenuto
tra gli Africani cavallier perfetto:
Alzirdo fu, da chi '1 conobbe, detto.
LXX
Questi con 1'altro esercito pagano
quella invernata avean fatto soggiorno,
chi presso alia citta, chi piu lontano,
tutti alle ville o alle castella intorno :
ch'avendo speso il re Agramante invano,
per espugnar Parigi, piu d'un giorno,
volse tentar Tassedio finalmente,
poi che pigliar non lo potea altrimente.
LXXI
E per far questo avea gente infinita;
che oltre a quella che con lui giunt'era,
e quella che di Spagna avea seguita
del re Marsilio la real bandiera,
molta di Francia n'avea al soldo unita;
che da Parigi insino alia riviera
d'Arli, con parte di Guascogna (eccetto
alcune rocche) avea tutto suggetto.
264 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Or cominciando i trepidi ruscelli
a sciorre il freddo giaccio in tiepide onde,
e i prati di nuove erbe, e gli arbuscelli
a rivestirsi di tenera fronde;
raguno il re Agramante tutti quelli
che seguian le fortune sue seconde,
per farsi rassegnar 1'armata torma;
indi alle cose sue dar miglior forma.
LXXIII
A questo effetto il re di Tremisenne
con quel de la Norizia ne venia,
per la giungere a tempo, ove si tenne
poi conto d'ogni squadra o buona o ria.
Orlando a caso ad incontrar si venne
(come io v'ho detto) in questa compagnia,
cercando pur colei, come egli era uso,
che nel career d'Amor lo tenea chiuso.
LXXIV
Come Alzirdo appressar vide quel conte
che di valor non avea pari al mondo,
in tal sembiante, in si superba fronte,
che '1 dio de I'arme a lui parea secondo ;
rest6 stupito alle fattezze conte,
al fiero sguardo, al viso furibondo:
e lo stim6 guerrier d'alta prodezza;
ma ebbe del provar troppa vaghezza.
LXXV
Era giovane Alzirdo, et arrogante
per molta forza, e per gran cor pregiato.
Per giostrar spinse il suo cavallo inante :
meglio per lui, se fosse in schiera stato ;
che ne lo scontro il principe d'Anglante
lo fej cader per mezzo il cor passato.
Giva in fuga il destrier di timor pieno,
che su non v'era chi reggesse il freno.
CANTO DUODECIMO 265
LXXVI
Levasi un grido subito et orrendo,
che d'ogn'intorno n'ha 1'aria ripiena,
come si vede il giovene, cadendo,
spicciar il sangue di si larga vena.
La turba verso il conte vien fremendo
disordinata, e tagli e punte mena;
ma quella e piu, che con pennuti dardi
tempesta il fior dei cavallier gagliardi.
LXXVII
Con qual rumor la setolosa frotta
correr da monti suole o da campagne,
se '1 lupo uscito di nascosa grotta,
o Torso sceso alle minor montagne,
un tener porco preso abbia talotta,
che con grugnito e gran stridor si lagne;
con tal lo stuol barbarico era mosso
verso il conte, gridando : — Adosso, adosso ! —
LXXVIII
Lance, saette e spade ebbe Fusbergo
a un tempo mille, e lo scudo altretante:
chi gli percuote con la mazza il tergo,
chi minaccia da lato, e chi davante.
Ma quel, ch'al timor mai non diede albergo
estima la vil turba e Tarme tante
quel che dentro alia mandra, alPaer cupo,
il numer de Tagnelle estimi il lupo.
LXXIX
Nuda avea in man quella fulminea spada
che posti ha tanti Saracini a morte:
dunque chi vuol di quanta turba cada
tenere il conto, ha impresa dura e forte.
Rossa di sangue gia correa la strada,
capace a pena a tante genti morte;
perche ne targa ne capel difende
la fatal Durindana, ove discende,
266 ORLANDO FURIOSO
LXXX
n6 vesta plena di cotone, o tele
che circondino il capo in mille v61ti.
Non pur per 1'aria gemiti e querele,
ma volan braccia e spalle e capi sciolti.
Pel campo errando va Morte cnidele
in molti, varii, e tutti orribil volti;
e tra s6 dice: «In man d' Orlando valci
Durindana per cento de mie falci.»
LXXXI
Una percossa a pena Paltra aspetta.
Ben tosto cominciar tutti a fuggire;
e quando prima ne veniano in fretta
(perch* era sol, credeanselo inghiottire),
non e chi per levarsi de la stretta
Tamico aspetti, e cerchi insieme gire:
chi fugge a piedi in qua, chi cola sprona;
nessun domanda se la strada e buona.
LXXXII
Virtude andava intorno con lo speglio
che fa veder ne 1'anima ogni ruga:
nessun vi si miro, se non un veglio
a cui il sangue 1'eta, non Pardir, sciuga.
Vide costui quanto il morir sia meglio,
che con suo disonor mettersi in fuga:
dico il re di Norizia; onde la lancia
arrest6 contra il paladin di Francia.
LXXXIII
E la roppe alia penna de lo scudo
del fiero conte, che nulla si mosse.
Egli ch'avea alia posta il brando nudo,
re Manilardo al trapassar percosse.
Fortuna I'aiuto, che '1 ferro crudo
in man d' Orlando al venir giu voltosse:
tirare i colpi a filo ognor non lece;
ma pur di sella stramazzar lo fece.
CANTO DUODECIMO 267
LXXXIV
Stordito de Tarcion quel re stramazza:
non si rivolge Orlando a rivederlo;
che gli altri taglia, tronca, fende, amazza:
a tutti pare in su le spalle averlo.
Come per Tana, ove ban si larga piazza,
fuggon li storni da Taudace smerlo,
cosi di quella squadra onnai disfatta
altri cade, altri fugge, altri s'appiatta.
LXXXV
Non cesso pria la sanguinosa spada,
che fu di viva gente il campo v6to.
Orlando e in dubbio a ripigliar la strada,
ben che gli sia tutto il paese noto.
O da man destra o da sinistra vada,
il pensier da Pandar sempre e remoto:
d' Angelica cercar, fuor ch'ove sia,
teme, e di far sempre contraria via.
LXXXVI
II suo camin (di lei chiedendo spesso)
or per li campi or per le selve tenne:
e si come era uscito di se stesso,
usci di strada, e a pie d'un monte venne,
dove la notte fuor d'un sasso fesso
lontan vide un splendor batter le penne.
Orlando al sasso per veder s'accosta,
se quivi fosse Angelica reposta.
LXXXVII
Come nel bosco de Fumil ginepre,
o ne la stoppia alia campagna aperta,
quando si cerca la paurosa lepre
per traversati solchi e per via incerta,
si va ad ogni cespuglio, ad ogni vepre,
se per ventura vi fosse coperta;
cosi cercava Orlando con gran pena
la donna sua, dove speranza il mena.
268 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
Verso quel raggio andando in fretta il conte,
giunse ove ne la selva si difTonde
da Tangusto spiraglio di quel monte,
ch'una capace grotta in s6 nasconde;
e truova inanzi ne la prima fronte
spine e virgulti, come mura e sponde,
per celar quei che ne la grotta stanno,
da chi far lor cercasse oltraggio e danno.
Di giorno ritrovata non sarebbe,
ma la facea di notte il lume aperta.
Orlando pensa ben quel ch'esser debbe;
pur vuol saper la cosa anco piu certa.
Poi che legato fuor Brigliadoro ebbe,
tacito viene alia grotta coperta;
e fra li spessi rami ne la buca
entra, senza chiamar chi 1'introduca.
xc
Scende la tomba molti gradi al basso,
dove la viva gente sta sepolta.
Era non poco spazioso il sasso
tagliato a punte di scarpelli in volta;
ne di luce diurna in tutto casso,
ben che Fentrata non ne dava molta;
ma ve ne venia assai da una finestra
che sporgea in un pertugio da man destra.
xci
In mezzo la spelonca, appresso a un fuoco,
era una donna di giocondo viso ;
quindici anni passar dovea di poco,
quanto fu al conte, al primo sguardo, aviso:
et era bella si, che facea il loco
salvatico parere un paradiso;
ben ch'avea gli occhi di lacrime pregni,
del cor dolente manifesti segni.
CANTO DUODECIMO 269
XCII
V'era una vecchia, e facean gran contese
(come uso feminil spesso esser suole);
ma come il conte ne la grotta scese,
finiron le dispute e le parole.
Orlando a salutarle fu cortese
(come con donne sempre esser si vuole),
et elle si levaro immantinente,
e lui risalutar benignamente.
XCIII
Gli e ver che si smarriro in faccia alquanto,
come improviso udiron quella voce,
e insieme entrare armato tutto quanto
vider la dentro un uom tanto feroce.
Orlando domando qual fosse tanto
scortese, ingiusto, barbaro et atroce,
che ne la grotta tenesse sepolto
un si gentile et amoroso volto.
xciv
La vergine a fatica gli rispose,
interrotta da fervidi signiozzi,
che dai coralli e da le preziose
perle uscir fanno i dolci accenti mozzi.
Le lacrime scendean tra gigli e rose,
la dove avien ch'alcuna se n'inghiozzi.
Piacciavi udir ne Paltro canto il resto,
Signor, che tempo e omai di finir questo.
270 ORLANDO FURIOSO
CANTO TERZODECIMO
I
Ben furo aventurosi i cavallieri
ch'erano a quella eta, che nei valloni,
ne le scure spelonche e boschi fieri,
tane di serpi, d'orsi e di leoni,
trovavan quel che nei palazzi altieri
a pena or trovar puon giudici buoni:
donne, che ne la lor piu fresca etade
sien degne d'aver titol di beltade.
II
Di sopra vi narrai che ne la grotta
avea trovato Orlando una donzella,
e che le dimando ch'ivi condotta
1'avesse: or seguitando, dico ch'ella,
poi che piu d'un signiozzo 1'ha interrotta,
con dolce e suavissima favella
al conte fa le sue sciagure note,
con quella brevita che meglio puote.
in
— Ben che io sia certa, — dice — o cavalliero,
ch'io porter6 del mio parlar supplizio,
perche a colui che qui m'ha chiusa, spero
che costei ne dara subito indizio ;
pur son disposta non celarti il vero,
e vada la mia vita in precipizio.
E ch'aspettar poss'io da lui piu gioia,
che Jl si disponga un dl voler ch'io muoia?
CANTO TERZODECIMO 271
IV
Isabella sono io, che figlia fui
del re mal fortunate di Gallizia.
Ben dissi fui; ch'or non son piu di lui,
ma di dolor, d'affanno e di mestizia.
Colpa d'Amor; ch'io non saprei di cui
dolermi piu che de la sua nequizia,
che dolcemente nei principii applaude,
e tesse di nascosto inganno e fraude,
v
Gia mi vivea di mia sorte felice,
gentil, giovane, ricca, onesta e bella:
vile e povera or sono, or infelice;
e s'altra e peggior sorte, io sono in quella.
Ma voglio sappi la prima radice
che produsse quel mal che mi flagella;
e ben ch'aiuto poi da te non esca,
poco non mi parra che te n'incresca.
VI
Mio patre fe' in Baiona alcune giostre,
esser denno oggimai dodici mesi.
Trasse la fama ne le terre nostre
cavallieri a giostrar di piu paesi.
Fra gli altri (o sia ch'Amor cosi mi mostre,
o che virtu pur se stessa palesi)
mi parve da lodar Zerbino solo,
che del gran re di Scozia era figliuolo.
VII
II qual poi che far pruove in campo vidi
miracolose di cavalleria,
fui presa del suo amore; e non m'avidi,
ch'io mi conobbi piu non esser mia.
E pur, ben che '1 suo amor cosi mi guidi,
mi giova sempre avere in fantasia
ch'io non misi il mio core in luogo immondo,
ma nel piu degno e bel ch'oggi sia al mondo.
272 ORLANDO FURIOSO
VIII
Zerbino di bellezza e di valore
sopra tutti i signori era eminente.
Mostrommi, e credo mi portasse amore,
e die di me non fosse meno ardente.
Non ci manc6 chi del commune ardore
interprete fra noi fosse sovente,
poi che di vista an cor fummo disgiunti;
che gli animi restar sempre congiunti.
IX
Per6 che dato fine alia gran festa,
il mio Zerbino in Scozia fe' ritorno.
Se sai che cosa e amor, ben sai che mesta
restai, di lui pensando notte e giorno;
et era certa che non men molesta
fiamma intorno il suo cor facea soggiorno.
Egli non fece al suo disio piu schermi,
se non che cerc6 via di seco avermi.
x
E perche vieta la diversa fede
(essendo egli cristiano, io saracina)
ch'al mio padre per moglie non mi chiede,
per furto indi levarmi si destina.
Fuor de la ricca mia patria, che siede
tra verdi campi allato alia marina,
aveva un bel giardin sopra una riva,
che colli intorno e tutto il mar scopriva.
XI
Gli parve il luogo a fornir ci6 disposto,
che la diversa religion ci vieta;
e mi fa saper Tordine che posto
avea di far la nostra vita lieta.
Appresso a Santa Marta avea nascosto
con gente armata una galea secreta,
in guardia d'Odorico di Biscaglia,
in mare e in terra mastro di battaglia.
CANTO TERZODECIMO 273
XII
Ne potendo in persona far Feffetto,
perch' egli allora era dal padre antico
a dar soccorso al re di Francia astretto,
manderia in vece sua questo Odorico,
che fra tutti i fedeli amici eletto
s'avea pel piu fedele e pel piu amico:
e bene esser dovea, se i benefici
sempre hanno forza d'acquistar gli amici.
XIII
Verria costui sopra un navilio armato,
al terminate tempo indi a levarmi.
E cosi venne il giorno disiato,
che dentro il mio giardin lasciai trovarmi.
Odorico la notte, accompagnato
di gente valorosa alPacqua e aH'arnii,
smont6 ad un flume alia citta vicino,
e venne chetamente al mio giardino.
XIV
Quindi fui tratta alia galea spalmata,
prima che la citta n'avesse avisi.
De la famiglia ignuda e disarmata
altri fuggiro, altri restaro uccisi,
parte captiva meco fu menata.
Cosi da la mia terra io mi divisi,
con quanto gaudio non ti potrei dire,
sperando in breve il mio Zerbin fruire.
xv
Voltati sopra Mongia eramo a pena,
quando ci assalse alia sinistra sponda
un vento che turbo Taria serena,
e turbo il mare, e al ciel gli Iev6 Tonda.
Salta un maestro ch'a traverso mena,
e cresce ad ora ad ora, e soprabonda;
e cresce e soprabonda con tal forza,
che val poco alternar poggia con orza.
274 ORLANDO FURIOSO
XVI
Non giova calar vele, e P arbor sopra
corsia legar, ne ruinar castella;
che ci veggian mal grado portar sopra
acuti scogli, appresso alia Rocella.
Se non ci aiuta quel che sta di sopra,
ci spinge in terra la crudel procella.
II vento rio ne caccia in maggior fretta,
che d'arco mai non si avento saetta.
XVII
Vide il periglio il Biscaglino, e a quello
us6 un rimedio che fallir suol spesso:
ebbe ricorso subito al battello;
calossi, e me calar fece con esso.
Sceser dui altri, e ne scendea un drapello,
se i primi scesi 1'avesser concesso;
ma con le spade li tenner discosto,
tagliar la fune, e ci allargamo tosto.
XVIII
Fummo gittati a salvamento al lito
noi che nel palischermo eramo scesi;
periron gli altri col legno sdrucito:
in preda al mare andar tutti gli arnesi.
AlPeterna Bontade, alFinfinito
Amor, rendendo grazie, le man stesi,
che non m'avessi dal furor marino
lasciato tor di riveder Zerbino.
XIX
Come ch'io avessi sopra il legno e vesti
lasciato e gioie e 1'altre cose care,
pur che la speme di Zerbin mi resti,
contenta son che s'abbi il resto il mare.
Non sono, ove scendemo, i liti pesti
d'alcun sentier, ne intorno albergo appare,
ma solo il monte, al qual mai serhpre fiede
Tombroso capo il vento, e Jl mare il piede.
CANTO TERZODECIMO 275
XX
Quivi il crude tiranno Amor, che sempre
d'ogni promessa sua fu disleale,
e sempre guarda come involva e stempre
ogni nostro disegno razionale,
mut6 con triste e disoneste tempre
mio conforto in dolor, mio bene in male;
che quelTamico, in chi Zerbin si crede,
di desire arse, et agghiacci6 di fede.
XXI
O che m'avesse in mar bramata ancora,
ne fosse stato a dimostrarlo ardito,
o cominciassi il desiderio allora
che Tagio v'ebbe dal solingo lito;
disegno quivi senza piu dimora
condurre a fin 1'ingordo suo appetito;
ma prima da se torre un de li dui
che nel battel campati eran con mii.
XXII
Quell' era omo di Scozia, Almonio detto,
che mostrava a Zerbin portar gran fede;
e commendato per guerrier perfetto
da lui fu, quando ad Odorico il diede.
Disse a costui che biasmo era e difetto,
se mi traeano alia Rocella a piede;
e lo preg6 ch'inanti volesse ire
a farmi incontra alcun ronzin venire.
XXIII
Almonio, che di ci6 nulla temea,
immantinente inanzi il camin piglia
alia citta che 31 bosco ci ascondea,
e non era lontana oltra sei miglia.
Odorico scoprir sua voglia rea
alTaltro finalmente si consiglia:
si perch6 tor non se lo sa d'appresso,
si perche avea gran confidenzia in esso.
276 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Era Corebo di Bilbao nomato
quel di ch'io parlo, die con noi rimase;
che da fanciullo picciolo allevato
s'era con lui ne le medesme case.
Poter con lui communicar Pingrato
pensiero il traditor si persuase,
sperando ch'ad amar saria piii presto
il piacer de Pamico, che 1'onesto.
xxv
Corebo, che gentile era e cortese,
non lo pote ascoltar senza gran sdegno ;
lo chiamo traditore, e gli contese
con parole e con fatti il rio disegno.
Grande ira alPuno e alPaltro il core accese,
e con le spade nude ne fer segno.
Al trar de' ferri, io fui da la paura
volta a fuggir per Palta selva oscura.
XXVI
Odorico, che mastro era di guerra,
in pochi colpi a tal vantaggio venne,
che per morto lascio Corebo in terra,
e per le mie vestigie il camin tenne.
Prestbgli Amor (se '1 mio creder non erra),
accio potesse giungermi, le penne;
e gPinsegn6 molte lusinghe e prieghi,
con che ad amarlo e compiacer mi pieghi.
XXVII
Ma tutto e indarno; che fermata e certa
piu tosto era a morir, ch'a satisfarli.
Poi ch'ogni priego, ogni lusinga esperta
ebbe e minaccie, e non potean giovarli,
si ridusse alia forza a faccia aperta.
Nulla mi val che supplicando parli
de la fe ch'avea in lui Zerbino avuta,
e ch'io ne le sue man m'era creduta.
CANTO TERZODECIMO 277
XXVIII
Poi che gittar mi vidi i prieghi invano,
ne mi sperare altronde altro soccorso,
e che piu sempre cupido e villano
a me venia, come famelico orso;
io mi difesi con piedi e con mano,
et adopra'vi sin a Fugne e il morso:
pela'gli il mento, e gli graffiai la pelle,
con stridi che n'andavano alle stelle.
XXIX
Non so se fosse caso, o li miei gridi
che si doveano udir lungi una lega,
o pur ch'usati sian correre ai lidi
quando navilio alcun si rompe o anniega;
sopra il monte una turba apparir vidi,
e questa al mare e verso noi si piega.
Come la vede il Biscaglin venire,
lascia Fimpresa, e voltasi a fuggire.
xxx
Contra quel disleal mi fu adiutrice
questa turba, signer; ma a quella image
che sovente in proverbio il vulgo dice :
cader de la padella ne le brage.
Gli e ver ch'io non son stata si infelice,
ne le lor menti ancor tanto malvage,
ch'abbino violata mia persona:
non che sia in lor virtu, ne cosa buona;
XXXI
ma perch6 se mi serban, come io sono,
vergine, speran vendermi piu molto.
Finito e il mese ottavo e viene il nono,
che fu il mio vivo corpo qui sepolto.
Del mio Zerbino ogni speme abbandono;
che gia, per quanto ho da lor detti accolto,
m'han promessa e venduta a un mercadante,
che portare al soldan mi de* in Levante. —
278 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Cosi parlava la gentil donzella;
e spesso con signozzi e con sospiri
interrompea 1* angelica favella,
da muovere a pietade aspidi e tiri.
Mentre sua doglia cosi rinovella,
o forse disacerba i suoi martiri,
da venti uomini entrar ne la spelonca,
armati chi di spiedo e chi di ronca.
XXXIII
II primo d'essi, uom di spietato viso,
ha solo un occhio, e sguardo scuro e bieco;
1'altro, d'un colpo che gli aveva reciso
il naso e la mascella, e fatto cieco.
Costui vedendo il cavalliero assiso
con la vergine bella entro allo speco,
volto a' compagni, disse: — Ecco augel nuovo,
a cui non tesi, e ne la rete il truovo. —
XXXIV
Poi disse al conte : — Uomo non vidi mai
piu commodo di te, ne piu oportuno.
Non so se ti se' apposto, o se lo sai
perche te Tabbia forse detto alcuno,
che si beHJarme io desiava assai,
e questo tuo leggiadro abito bruno.
Venuto a tempo veramente sei,
per riparare agli bisogni miei. —
XXXV
Sorrise amaramente, in pie salito,
Orlando, e fe' risposta al mascalzone:
— Io ti vendero 1'arme ad an partito
che non ha mercadante in sua ragione. —
Del fuoco, ch'avea appresso, indi rapito
pien di fuoco e di fumo uno stizzone,
trasse, e percosse il malandrino a caso,
dove confina con le ciglia il naso.
CANTO TERZODECIMO 279
XXXVI
Lo stizzone ambe le palpebre coke,
ma maggior danno fej ne la sinistra;
che quella parte misera gli tolse,
che de la luce, sola, era ministra.
Ne d'acciecarlo contentar si volse
il colpo fier, s'ancor non lo registra
tra quelli spirti che con suoi compagni
fa star Chiron dentro ai bollenti stagni.
XXXVII
Ne la spelonca una gran mensa siede
grossa duo palmi, e spaziosa in quadro,
che sopra un mal pulito e grosso piede,
cape con tutta la famiglia il ladro.
Con quelPagevolezza che si vede
gittar la canna lo Spagnuol leggiadro,
Orlando il grave desco da se scaglia
dove ristretta insieme e la canaglia.
XXXVIII
A ch'il petto, a ch'il ventre, a chi la testa,
a chi rompe le gambe, a chi le braccia;
di ch'altri muore, altri storpiato resta:
chi meno e offeso, di fuggir procaccia.
Cosi talvolta un grave sasso pesta
e fianchi e lombi, e spezza capi e schiaccia,
gittato sopra un gran drapel di biscie,
che dopo il verno al sol si go da e liscie.
xxxix
Nascono casi, e non saprei dir quanti:
una muore, una parte senza coda,
un'altra non si pu6 muover davanti,
e '1 deretano indarno aggira e snoda;
un'altra, ch'ebbe piu propizii i santi,
striscia fra 1'erbe, e va serpendo a proda.
II colpo orribil fu, ma non mirando,
poi che lo fece il valoroso Orlando.
280 ORLANDO FURIOSO
XL
Quei che la mensa o nulla o poco offese
(e Turpin scrive a punto che fur sette),
ai piedi raccomandan sue difese:
ma ne Puscita il paladin si mette;
e poi che presi gli ha senza contese,
le man lor lega con la fune istrette,
con una fune al suo bisogno destra,
che ritrov6 ne la casa silvestra.
XLI
Poi li strascina fuor de la spelonca,
dove facea grande ombra un vecchio sorbo.
Orlando con la spada i rami tronca,
e quelli attacca per vivanda al corbo.
Non bisogn6 catena in capo adonca;
che per purgare il mondo di quel morbo,
1' arbor medesmo gli uncini prestolli,
con che pel mento Orlando ivi attacolli.
XLII
La donna vecchia, arnica a* malandrini,
poi che restar tutti li vide estinti,
fuggi piangendo, e con le mani ai crini,
per selve e boscherecci labirinti.
Dopo aspri e malagevoli camini,
a gravi passi e dal timor sospinti,
in ripa un fiume in un guerrier scontrosse;
ma diferisco a ricontar chi fosse.
XLIII
E torno alPaltra, che si raccomanda
al paladin che non la lasci sola;
e dice di seguirlo in ogni banda.
Cortesemente Orlando la consola;
e quindi, poi ch'uscl con la ghirlanda
di rose adorna e di purpurea stola
la bianca Aurora al solito camino,
parti con Isabella il paladino.
CANTO TERZODECIMO 281
XLIV
Senza trovar cosa che degna sia
d'istoria, molti giorni insieme andaro;
e finalmente un cavallier per via,
che prigione era tratto, riscontraro.
Chi fosse, diro poi; ch'or me ne svia
tal, di chi udir non vi sara men caro:
la figliuola d'Amon, la qual lasciai
languida dianzi in amorosi guai.
XLV
La bella donna, disiando invano
ch'a lei facesse il suo Ruggier ritorno,
stava a Marsilia, ove allo stuol pagano
dava da travagliar quasi ogni giorno;
il qual scorrea, rubando in monte e in piano,
per Linguadoca e per Provenza intorno:
et ella ben facea Tufficio vero
di savio duca e d'ottimo guerriero.
XLVI
Standosi quivi, e di gran spazio essendo
passato il tempo che tornare a lei
il suo Ruggier dovea, ne lo vedendo,
vivea in timor di mille casi rei.
Un di fra gli altri, che di ci6 piangendo
stava solinga, le arriv6 colei
che port6 ne Tannel la medicina
che sano il cor ch'avea ferito Alcina.
XLVII
Come a se ritornar senza il suo amante,
dopo si lungo termine, la vede,
resta pallida e smorta, e si tremante,
che non ha forza di tenersi in piede:
ma la maga gentil le va davante
ridendo, poi che del timor s'avede;
e con viso giocondo la conforta,
qual aver suol chi buone nuove apporta.
282 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
— Non temer — disse — di Ruggier, donzella,
ch'6 vivo e sano, e come suol t'adora;
ma non & gia in sua liberta, che quella
pur gli ha levata il tuo nemico ancora:
et e bisogno che tu monti in sella,
se brami averlo, e che mi segui or ora;
che se mi segui, io t'aprir6 la via
donde per te Ruggier libero fia. —
XLIX
E seguit6, narrandole di quello
magico error che gli avea ordito Atlante:
che simulando d'essa il viso bello,
che captiva parea del rio gigante,
tratto 1'avea ne rincantato ostello,
dove sparito poi gli era davante;
e come tarda con simile inganno
le donne e i cavallier che di la vanno.
L
A tutti par, 1'incantator mirando,
mirar quel che per se brama ciascuno,
donna, scudier, compagno, amico, quando
il desiderio uman non e tutto uno.
Quindi il palagio van tutti cercando
con lungo affanno, e senza frutto alcuno ;
e tanta & la speranza e il gran disire
del ritrovar, che non ne san partire.
LI
— Come tu giungi — disse — in quella parte
che giace presso all'incantata stanza,
verrk 1'incantatore a ritrovarte,
che terra di Ruggiero ogni sembianza;
e ti fara parer, con sua maTarte,
ch'ivi lo vinca alcun di piu possanza,
accio che tu per aiutarlo vada
dove con gli altri poi ti tenga a bada.
CANTO TERZODECIMO 283
LII
Accio Tinganni, in che son tanti e tanti
caduti, non ti colgan, sie avertita,
che se ben di Ruggier viso e sembianti
ti parra di veder, che chieggia aita,
non gli dar fede tu; ma, come avanti
ti vien, fagli lasciar 1'indegna vita:
ne dubitar percio che Ruggier muoia,
ma ben colui che ti da tanta noia.
LIII
Ti parra duro assai, ben lo conosco,
uccidere un che sembri il tuo Ruggiero:
pur non dar fede alPocchio tuo, che losco
fara Fincanto, e celeragli il vero.
Fermati, pria ch'io ti conduca al bosco,
si che poi non si cangi il tuo pensiero;
che sempre di Ruggier rimarrai priva,
se lasci per vilta che '1 mago viva. —
LIV
La valorosa giovane, con questa
intenzion che Jl fraudolente uccida,
a pigliar Farme, et a seguire e presta
Melissa; che sa ben quanto Fe fida.
Quella, or per terren culto, or per foresta,
a gran giornate e in gran fretta la guida,
cercando alleviarle tuttavia
con parlar grato la noiosa via.
LV
E piu di tutti i bei ragionamenti,
spesso le repetea ch'uscir di lei
e di Ruggier doveano gli eccellenti
principi e gloriosi semidei.
Come a Melissa fossino presenti
tutti i secreti degli eterni dei,
tutte le cose ella sapea predire,
ch'avean per molti seculi a venire.
284 ORLANDO FURIOSO
LVI
— Deh, come, o prudentissima mia scorta, •
dicea alia maga Pinclita donzella
— molti anni prima tu m'hai fatto accorta
di tanta mia viril progenie bella;
cosl d'alcuna donna mi conforta,
che di mia stirpe sia, s'alcuna in quella
matter si puo tra belle e virtuose. —
E la cortese maga le rispose:
LVII
— Da te uscir veggio le pudiche donne,
madri d'imperatori e di gran regi,
reparatrici e solide colonne
de case illustri e di domini egregi;
che men degne non son ne le lor gonne,
ch'in arme i cavallier, di sommi pregi,
di pieta, di gran cor, di gran prudenza,
di somma e incomparabil continenza.
LVIII
E s'io avr6 da narrarti di ciascuna
che ne la stirpe tua sia d'onor degna,
troppo sara; ch'io non ne veggio alcuna
che passar con silenzio mi convegna.
Ma ti faro, tra mille, scelta d'una
o di due coppie, acci6 ch'a fin ne vegna.
Ne la spelonca perche nol dicesti?
che Timagini ancor vedute avresti.
LIX
De la tua chiara stirpe uscira quella
d'opere illustri e di bei studii arnica,
ch'io non so ben se piii leggiadra e bella
mi debba dire, o piu saggia e pudica,
liberale e magnanima Isabella,
che del bel lume suo di e notte aprica
fara la terra che sul Menzo siede,
a cui la madre d'Ocno il nome diede:
CANTO TERZODECIMO 285
LX
dove onorato e splendido certame
avra col suo dignissimo consorte,
chi di lor piu le virtu prezzi et arne,
e chi meglio apra a cortesia le porte.
S'un narrera ch'al Taro e nel Reame
fu a liberar da' Galli Italia forte;
1'altra dira: «Sol perche casta visse
Penelope, non fu minor d'Ulisse.»
LXI
Gran cose e molte in brevi detti accolgo
di questa donna, e piu dietro ne lasso,
che in quelli di ch'io mi levai dal volgo,
mi fe' chiare Merlin dal cavo sasso.
E s'in questo gran mar la vela sciolgo,
di lunga Tifi in navigar trapasso.
Conchiudo in somma ch'ella avra, per dono
de la virtu e del ciel, cio ch'e di buono.
LXII
Seco avra la sorella Beatrice,
a cui si converra tal nome a punto;
ch'essa non sol del ben che qua giu lice,
per quel che vivera, tocchera il punto;
ma avra forza di far seco felice
fra tutti i ricchi duci il suo congiunto,
il qual, come ella poi lasciera il mondo,
cosi de Tinfelici andra nel fondo.
LXIII
E Moro e Sforza e Viscontei colubri,
lei viva, formidabili saranno
da Tiperboree nievi ai lidi rubri,
da 1'Indo ai monti ch'al tuo mar via danno:
lei morta, andran col regno degl'Insubri,
e con grave di tutta Italia danno,
in servitute; e fia stimata, senza
costei, ventura la somma prudenza.
286 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Vi saranno altre ancor, ch'avranno il nome
medesmo, e nasceran molt'anni prima:
di ch'una s'ornera le sacre chiome
de la corona di Pannonia opima;
un'altra, poi che le terrene some
lasciate avra, fia ne Tausonio clima
collocata nel numer de le dive,
et avra incensi e imagini votive.
LXV
De P altre tacer6; che, come ho detto,
lungo sarebbe a ragionar di tante;
ben che per se ciascuna abbia suggetto
degno ch'eroica e chiara tuba cante.
Le Blanche, le Lucrezie io terr6 in petto,
e le Costanze e 1'altre, che di quante
splendide case Italia reggeranno,
reparatrici e madri ad esser hanno.
LXVI
Piu chj altre fosser mai, le tue famiglie
saran ne le lor donne aventurose;
non dico in quella piu de le lor figlie,
che ne Talta onesta de le lor spose.
E acci6 da te notizia anco si piglie
di questa parte che Merlin mi espose,
forse perch'io '1 dovessi a te ridire,
ho di parlarne non poco desire.
LXVII
E diro prima di Ricciarda, degno
esempio di fortezza e d'onestade:
vedova rimarra, giovane, a sdegno
di Fortuna; il che spesso ai buoni accade.
I figli, privi del paterno regno,
esuli andar vedra in strane contrade,
fanciulli in man degli aversari loro;
ma infine avra il suo male amplo ristoro.
CANTO TERZODECIMO 287
LXVIII
De 1'alta stirpe d'Aragone antica
non tacer6 la splendida regina,
di cui ne saggia si, ne si pudica
veggio istoria lodar greca o latina,
ne a cui Fortuna piu si mostri arnica;
poi che sara da la Bonta divina
elletta madre a parturir la bella
progenie, Alfonso, Ippolito e Isabella.
LXIX
Costei sara la saggia Leonora,
che nel tuo felice arbore s'inesta.
Che ti dir6 de la seconda nuora,
succeditrice prossima di questa?
Lucrezia Borgia, di cui d'ora in ora
la belta, la virtu, la fama onesta
e la fortuna crescera, non meno
che giovin pianta in morbido terreno.
LXX
Qual lo stagno all'argento, il rame alPoro,
il campestre papavere alia rosa,
pallido salce al sempre verde alloro,
dipinto vetro a gemma preziosa;
tal a costei, ch'ancor non nata onoro,
sara ciascuna insino a qui famosa
di singular belta, di gran prudenzia,
e d'ogni altra lodevole eccellenzia.
LXXI
E sopra tutti gli altri incliti pregi
che le saranno e a viva e a morta dati,
si lodera che di costumi regi
Ercole e gli altri figli avra dotati,
e dato gran principio ai ricchi fregi
di che poi s'orneranno in toga e armati;
perche Podor non se ne va si in fretta,
ch'in nuovo vaso, o buono o rio, si metta.
288 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Non voglio ch'in silenzio anco Renata
di Francia, nuora di costei, rimagna,
di Luigi il duodecimo Re nata,
e de Peterna gloria di Bretagna.
Ogni virtu ch'in donna mai sia stata,
di poi die *1 fuoco scalda e Pacqua bagna,
e gira intorno il cielo, insieme tutta
per Renata adornar veggio ridutta.
LXXIII
Lungo sara che d'Alda di Sansogna
narri, o de la contessa di Celano,
o di Bianca Maria di Catalogna,
o de la figlia del re Sicigliano,
o de la bella Lippa da Bologna,
e d'altre; che s'io vo' di mano in mano
venirtene dicendo le gran lode,
entro in un alto mar che non ha prode. —
LXXIV
Poi che le racconto la maggior parte
de la futura stirpe a suo grand' agio,
piu volte e piu le replic6 de 1'arte
ch'avea tratto Ruggier dentro al palagio.
Melissa si ferm6, poi che fu in parte
vicina al luogo del vecchio malvagio;
e non le parve di venir piu inante,
accio veduta non fosse da Atlante.
LXXV
E la donzella di nuovo consiglia
di quel che mille volte ormai 1'ha detto.
La lascia sola; e quella oltre a dua miglia
non cavalco per un sentiero istretto,
che vide quel ch'al suo Ruggier simiglia;
e dui giganti di crudele aspetto
intorno avea, che lo stringean si forte,
ch'era vicino esser condotto a morte.
CANTO TERZODECIMO 289
LXXVI
Come la donna in tal periglio vede
colui che di Ruggiero ha tutti i segni,
subito cangia in sospizion la fede,
subito oblia tutti i suoi bei disegni.
Che sia in odio a Melissa Ruggier crede,
per miova ingiuria e non intesi sdegni,
e cerchi far con disusata trama
che sia morto da lei che cosi Tama.
LXXVII
Seco dicea: «Non e Ruggier costui,
che col cor sempre, et or con gli occhi veggio ?
e s'or non veggio e non conosco lui,
che mai veder o mai conoscer deggio?
perche voglio io de la credenza altrui
che la veduta mia giudichi peggio ?
che senza gli occhi ancor, sol per se stesso
pu6 il cor sentir se gli e lontano o appresso. »
LXXVIII
Mentre che cosi pensa, ode la voce
che le par di Ruggier, chieder soccorso;
e vede quello a un tempo, che veloce
sprona il cavallo e gli ralenta il morso,
e Tun nemico e Paltro suo feroce,
che lo segue e lo caccia a tutto corso.
Di lor seguir la donna non rimase,
che si condusse all'mcantate case.
LXXIX
De le quai non piu tosto entro le porte,
che fu sommersa nel commune errore.
Lo cerc6 tutto per vie dritte e torte
invan di su e di giu, dentro e di fuore;
ne cessa notte o di, tanto era forte
Tincanto: e fatto avea Pincantatore,
che Ruggier vede sempre, e gli favella,
ne Ruggier lei, ne lui riconosce ella.
ORLANDO FURIOSO
LXXX
Ma lascian Bradamante, e non v'incresca
udir che cosi resti in quello incanto;
che quando sara il tempo ch'ella n'esca,
la faro uscire, e Ruggiero altretanto.
Come raccende il gusto il mutar esca,
cosi mi par che la mia istoria, quanto
or qua or la piu variata sia,
meno a chi 1'udira noiosa fia.
LXXXI
Di molte fila esser bisogno parme
a condur la gran tela ch'io lavoro.
E per6 non vi spiaccia d'ascoltarme,
come fuor de le stanze il popul Moro
davanti al re Agramante ha preso Tarme,
che, molto minacciando ai Gigli d'oro,
lo fa assembrare ad una mostra nuova,
per saper quanta gente si ritruova.
LXXXII
Perch' oltre i cavallieri, oltre i pedoni
ch'al mimero sottratti erano in copia,
mancavan capitani, e pur de' buoni,
e di Spagna e di Libia e d'Etiopia:
e le diverse squadre e le nazioni
givano errando senza guida propia.
Per dare e capo et ordine a ciascuna,
tutto il campo alia mostra si raguna.
LXXXIII
In supplimento de le turbe uccise
ne le battaglie e ne' fieri conflitti,
Tun signore in Ispagna, e Taltro mise
in Africa, ove molti n'eran scritti;
e tutti alii lor ordini divise,
e sotto i duci lor gli ebbe diritti.
Differir6, Signor, con grazia vostra,
ne Taltro canto 1'ordine e la mostra.
CANTO QUARTODECIMO
CANTO QUARTODECIMO
I
Nei molti assalti e nei crudel conflitti,
ch'avuti avea con Francia, Africa e Spagna,
morti erano infiniti, e derelitti
al lupo, al corvo, alTaquila griffagna;
e ben che i Franchi fossero piu afflitti,
che tutta avean perduta la campagna,
piu si doleano i Saracin, per molti
principi e gran baron ch'eran lor tolti.
II
Ebbon vittorie cosi sanguinose,
che lor poco avanz6 di che allegrarsL
E se alle antique le moderne cose,
invitto Alfonso, denno assimigliarsi ;
la gran vittoria, onde alle virtuose
opere vostre puo la gloria darsi,
di ch'aver sempre lacrimose ciglia
Ravenna debbe, a queste s'assimiglia:
in
quando cedendo Morini e Picardi,
Fesercito normando e 1'aquitano,
voi nei mezzo assaliste li stendardi
del quasi vincitor nimico ispano,
seguendo voi quei gioveni gagliardi,
che meritar con valorosa mano
quel di da voi, per onorati doni,
Telse indorate e gFindorati sproni.
ORLANDO FURIOSO
IV
Con si animosi petti che vi foro
vicini o poco lungi al gran periglio,
crollaste si le ricche Giande d'oro,
si rompeste il baston giallo e vermiglio,
ch'a voi si deve il trionfale alloro,
che non fu guasto ne sfiorato il Giglio.
D'un'altra fronde v'orna anco la chioma
Faver servato il suo Fabrizio a Roma.
v
La gran Colonna del nome romano,
che voi prendeste, e che servaste intera,
vi da piu onor che se di vostra mano
fosse caduta la milizia fiera,
quanta n'ingrassa il campo ravegnano,
e quanta se n'and6 senza bandiera
d'Aragon, di Castiglia e di Navarra,
veduto non giovar spiedi n6 carra.
VI
Quella vittoria fu piu di conforto
che d'allegrezza; perche troppo pesa
contra la gioia nostra il veder morto
il capitan di Francia e de Pimpresa;
e seco avere una procella absorto
tanti principi illustri, ch'a difesa
dei regni lor, dei lor confederati,
di qua da le fredd'Alpi eran passati.
VII
Nostra salute, nostra vita in questa
vittoria suscitata si conosce,
che difende che '1 verno e la tempesta
di Giove irato sopra noi non crosce:
ma ne goder potiam, ne fame festa,
sentendo i gran ramarichi e Tangosce,
ch'in veste bruna e lacrimosa guancia
le vedovelle fan per tutta Francia.
CANTO QUARTODECIMO 293
VIII
Bisogna che proveggia il re Luigi
di nuovi capitani alle sue squadre,
che per onor de 1'aurea Fiordaligi
castighino le man rapaci e ladre,
che suore, e frati e bianchi e neri e bigi
violate hanno, e sposa e figlia e madre ;
gittato in terra Cristo in sacramento,
per torgli un tabernaculo d'argento.
IX
O misera Ravenna, t'era meglio
ch'al vincitor non fessi resist enza;
far ch'a te fosse inanzi Brescia speglio,
che tu lo fossi a Arimino e a Faenza.
Manda, Luigi, il buon Traulcio veglio,
ch'insegni a questi tuoi piu continenza,
e conti lor quanti per simil torti
stati ne sian per tutta Italia morti.
Come di capitani bisogna ora
che '1 re di Francia al campo suo proveggia,
cosi Marsilio et Agramante allora,
per dar buon reggimento alia sua greggia,
dai lochi dove il verno fe' dimora
vuol ch'in campagna all'ordine si veggia;
perche vedendo ove bisogno sia,
guida e governo ad ogni schiera dia.
XI
Marsilio prima, e poi fece Agramante
passar la gente sua schiera per schiera.
I Catalani a tutti gli altri inante
di Dorifebo van con la bandiera.
Dopo vien, senza il suo re Folvirante,
che per man di Rinaldo gia morto era,
la gente di Navarra; e lo re ispano
halle dato Isolier per capitano.
294 ORLANDO FURIOSO
XII
Balugante del popul di Leone,
Grandonio cura degli Algarbi piglia;
il fratel di Marsilio, Falsirone,
ha seco armata la minor Castiglia.
Seguon di Madarasso il gonfalone
quei che lasciato han Malaga e Siviglia,
dal mar di Gade a Cordova feconda
le verdi ripe ovunque il Beti inonda.
XIII
Stordilano e Tesira e Baricondo,
Tun dopo Paltro, mostra la sua gente:
Granata al primo, Ulisbona al secondo,
e Maiorica al terzo e ubidiente.
Fu dj Ulisbona re (tolto dal mondo
Larbin) Tesira, di Larbin parente.
Poi vien Gallizia, che sua guida, in vece
di Maricoldo, Serpentino fece.
XIV
Quei di Tolledo e quei di Calatrava,
di ch'ebbe Sinagon gia la bandiera,
con tutta quella gente che si lava
in Guadiana e bee de la riviera,
Paudace Matalista governava;
Bianzardin quei d'Asturga in una schiera
con quei di Salamanca e di Piagenza,
d'Avila, di Zamora e di Palenza.
XV
Di quei di Saragosa e de la corte
del re Marsilio ha Ferrau il governo:
tutta la gente e ben armata e forte.
In questi e Malgarino, Balinverno,
Malzarise e Morgante, ch'una sorte
avea fatto abitar paese esterno;
che poi che i regni lor lor furon tolti,
gli avea Marsilio in corte sua raccolti.
CANTO QUARTODECIMO 295
XVI
In questa e di Marsilio il gran bastardo,
Follicon d'Almeria, con Doriconte,
Bavarte e Largalifa et Analardo,
et Archidante il sagontino conte,
e PAmirante e Langhiran gagliardo,
e Malagur ch'avea 1'astuzie pronte,
et altri et altri, di quai penso, dove
tempo sara, di far veder le pruove.
XVII
Poi che pass6 Fesercito di Spagna
con bella mostra inanzi al re Agramante,
con la sua squadra apparve alia campagna
il re d'Oran, che quasi era gigante.
L'altra che vien, per Martasin si lagna,
il qual morto le fu da Bradamante;
e si duol ch'una femina si vanti
d'aver ucciso il re de' Garamanti.
XVIII
Segue la terza schiera di Marmonda,
ch'Argosto morto abbandon6 in Guascogna:
a questa un capo, come alia seconda
e come anco alia quarta, dar bisogna.
Quantunque il re Agramante non abonda
di capitani, pur ne finge e sogna:
dunque Buraldo, Ormida, Arganio elesse,
e dove uopo ne fu, guida li messe.
XIX
Diede ad Arganio quei di Libicana,
che piangean morto il negro Dudrinasso.
Guida Brunello i suoi di Tingitana,
con viso nubiloso e ciglio basso;
che, poi che ne la selva non lontana
dal castel ch'ebbe Atlante in cima al sasso,
gli fu tolto Tannel da Bradamante,
caduto era in disgrazia al re Agramante:
296 ORLANDO FURIOSO
XX
e se *1 fratel di Ferrau, Isoliero,
ch'a Parbore legato ritrovollo,
non facea fede inanzi al re del vero,
avrebbe dato in su le forche un crollo.
Muto, a' prieghi di molti, il re pensiero,
gia avendo fatto porgli il laccio al collo:
gli lo fece levar, ma riserbarlo
pel primo error, che poi giuro impiccarlo.
XXI
Si ch'avea causa di venir Brunello
col viso mesto e con la testa china.
Seguia poi Farurante, e dietro a quello
eran cavalli e fanti di Maurina.
Venia Libanio appresso, il re novello:
la gente era con lui di Constantina;
per6 che la corona e il baston d'oro
gli ha dato il re, che fu di Pinadoro.
XXII
Con la gente d'Esperia Soridano,
e Dorilon ne vien con quei di Setta;
ne vien coi Nasamoni Puliano.
Quelli d'Amonia il re Agricalte affretta;
Malabuferso quelli di Fizano.
Da Finadurro e 1'altra s quadra retta,
che di Canaria viene e di Marocco;
Balastro ha quei che fur del re Tardocco.
XXIII
Due squadre, una di Mulga, una d'Arzilla,
seguono : e questa ha '1 suo signore antico ;
quella n}e priva; e pero il re sortilla,
e diella a Corineo suo fido amico.
E cosi de la gente d'Almansilla,
ch'ebbe Tanfirion, fe' re Caico;
die quella di Getulia a Rimedonte.
Poi vien con quei di Cosca Balinfronte.
CANTO QUARTODECIMO
XXIV
QuelTaltra schiera e la gente di Bolga:
suo re e Clarindo, e gia fu Mirabaldo.
Vien Baliverzo, il qual vuo5 che tu tolga
di tutto il gregge pel maggior ribaldo.
Non credo in tutto il campo si disciolga
bandiera ch'abbia esercito piu saldo
de 1'altra, con che segue il re Sobrino,
ne piu di lui prudente Saracino.
xxv
Quei di Bellamarina, che Gualciotto
solea guidare, or guida il re d'Algieri
Rodomonte e di Sarza, che condotto
di miovo avea pedoni e cavallieri;
che rnentre il sol fu nubiloso sotto
il gran centauro e i corni orridi e fieri,
fu in Africa mandato da Agramante,
onde venuto era tre giorni inante.
XXVI
Non avea il campo d* Africa piu forte,
ne Saracin piu audace di costui;
e piu temean le parigine porte,
et avean piu cagion di temer lui,
che Marsilio, Agramante, e la gran corte
ch'avea seguito in Francia questi dui:
e piu d'ogni altro che facesse mostra,
era nimico de la fede nostra.
XXVII
Vien Prusione, il re de 1' Alvaracchie ;
poi quel de la Zumara, Dardinello.
Non so s'abbiano o nottole o cornacchie,
o altro manco et importune augello,
il qual dai tetti e da le fronde gracchie
futuro mal, predetto a questo e a quello;
che fissa in ciel nel di seguente e 1'ora,
che 1'uno e F altro in quella pugna muora.
298 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
In campo non aveano altri a venire,
che quei di Tremisenne e di Norizia;
ne si vedea alia mostra comparire
il segno lor, ne dar di se notizia.
Non sapendo Agramante che si dire,
ne che pensar di questa lor pigrizia,
uno scudiero al fin gli fu condutto
del re di Tremisen, che narro il tutto.
XXIX
E gli narro ch'Alzirdo e Manilardo
con molti altri de' suoi giaceano al campo.
— Signor, — diss'egli — il cavallier gagliardo
ch'ucciso ha i nostri, ucciso avria il tuo campo,
se fosse stato a torsi via piu tardo
di me, ch'a pena ancor cosi ne scamp o.
Fa quel dej cavallieri e dej pedoni,
che '1 lupo fa di capre e di montoni. —
xxx
Era venuto pochi giorni avante
nel campo del re d' Africa un signore;
ne in Ponente era, ne in tutto Levante,
di piu forza di lui, ne di piu core.
Gli facea grande onore il re Agramante,
per esser costui figlio e successore
in Tartaria del re Agrican gagliardo :
suo nome era il feroce Mandricardo.
XXXI
Per molti chiari gesti era famoso,
e di sua fama tutto il mondo empia;
ma lo facea piu d'altro glorioso,
ch'al castel de la fata di Soria
Tusbergo avea acquistato luminoso
ch'Ettor troian port6 mille anni pria,
per strana e formidabile aventura,
che }1 ragionarne pur mette paura.
CANTO QUARTODECIMO 299
XXXII
Trovandosi costui dunque presente
a quel parlar, alz6 Pardita faccia;
e si dispose andare immantinente,
per trovar quel guerrier, dietro alia traccia.
Ritenne occulto il suo pensiero in mente,
o sia perche d'alcun stima non faccia,
o perche tema, se '1 pensier palesa,
ch'un altro inanzi a lui pigli Pimpresa.
XXXIII
Allo scudier fe' dimandar come era
la sopravesta di quel cavalliero.
Colui rispose : — Quella e tutta nera,
lo scudo nero, e non ha alcun cimiero. —
E fu, Signor, la sua risposta vera,
perche lasciato Orlando avea il quartiero;
che come dentro Panimo era in doglia,
cosi imbrunir di fuor volse la spoglia.
xxxiv
Marsilio a Mandricardo avea donato
un destrier baio a scorza di castagna,
con gambe e chiome nere; et era nato
di frisa madre e d'un villan di Spagna.
Sopra vi salta Mandricardo armato,
e galoppando va per la campagna;
e giura non tornare a quelle schiere,
se non truova il campion da Parme nere.
xxxv
Molta incontr6 de la paurosa gente
che da le man d' Orlando era fuggita,
chi del figliuol, chi del fratel dolente,
ch'inanzi agli occhi suoi perd6 la vita.
Ancora la codarda e trista mente
ne la pallida faccia era sculpita;
ancor per la paura che avuta hanno
pallidi, muti et insensati vanno.
300 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
Non fe' lungo camin, che venne dove
cnidel spettaculo ebbe et inumano,
ma testimonio alle mirabil pruove
che fur raconte inanzi al re africano.
Or mira questi, or quelli morti, e muove,
e vuol le piaghe misurar con mano,
mosso da strana invidia ch'egli porta
al cavallier ch'avea la gente morta.
XXXVII
Come lupo o mastin ch'ultimo giugne
al bue lasciato morto da5 villani,
che truova sol le corna, Tossa e 1'ugne,
del resto son sfamati augelli e cani;
riguarda invano il teschio che non ugne:
cosi fa il crudel barbaro in que' piani.
Per duol bestemmia, e mostra invidia immensa,
che venne tardi a cosi ricca mensa.
xxxvni
Quel giorno e mezzo Paltro segue incerto
il cavallier dal negro, e ne domanda.
Ecco vede un pratel d'ombre coperto,
che si d'un alto fiume si ghirlanda,
che lascia a pena un breve spazio aperto,
dove Facqua si torce ad altra banda.
Un simil luogo con girevol onda
sotto Ocricoli il Tevere circonda.
XXXIX
Dove entrar si potea, con 1'arme indosso
stavano molti cavallieri armati.
Chiede il pagan chi gli avea in stuol si grosso,
et a che effetto insieme ivi adunati.
Gli fej risposta il capitano, mosso
dal signoril sembiante e da' fregiati
d'oro e di gemme arnesi di gran pregio,
che lo mostravan cavalliero egfegio.
CANTO QUARTODECIMO 3OI
XL
— Dal nostro re sian — disse — di Granata
chiamati in compagnia de la figliuola,
la quale al re di Sarza ha rnaritata,
ben che di ci6 la fama ancor non vola.
Come appresso la sera racchetata
la cicaletta sia, ch'or s'ode sola,
avanti al padre fra Tispane torme
la condurremo : intanto ella si dorme. —
XLI
Colui, che tutto il mondo vilipende,
disegna di veder tosto la praova,
se quella gente o bene o mal difende
la donna, alia cui guardia si ritruova.
Disse : — Costei, per quanto se n'intende,
e bella; e di saperlo ora mi giova.
Allei mi mena, o falla qui venire;
ch'altrove mi convien subito gire.
XLII
— Esser per certo dei pazzo solenne — ,
rispose il Granatin, n6 piu gli disse.
Ma il Tartaro a ferir tosto lo venne
con 1'asta bassa, e il petto gli trafisse;
che la corazza il colpo non sostenne,
e forza fu che morto in terra gisse.
L'asta ricovra il figlio d'Agricane,
perch6 altro da ferir non gli rimane.
XLIII
Non porta spada ne baston; che quando
Farme acquisto, che fur d'Ettor troiano,
perche trovo che lor mancava il brando,
gli convenne giurar (ne giuro invano)
che fin che non togliea quella d' Orlando,
mai non porrebbe ad altra spada mano :
Durindana ch' Almonte ebbe in gran stima,
e Orlando or porta, Ettor portava prima.
302 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Grande e Pardir del Tartaro, che vada
con disvantaggio tal contra coloro,
gridando : — Chi mi vuol vietar la strada ? —
E con la lancia si cacci6 tra loro.
Chi 1'asta abbassa, e chi tra' fuor la spada;
e d'ogn'intorno subito gli foro.
Egli ne fece morire una frotta,
prima che quella lancia fosse rotta.
XLV
Rotta che se la vede, il gran troncone,
che resta intero, ad ambe mani afferra;
e fa morir con quel tante persone,
che non fu vista mai piu crudel guerra.
Come tra' Filistei 1'ebreo Sansone
con la mascella che levo di terra,
scudi spezza, elmi schiaccia, e un colpo spesso
spenge i cavalli ai cavallieri appresso.
XLVI
Correno a morte que' miseri a gara,
ne perche cada 1'un, Paltro andar cessa;
che la maniera del morire, amara
lor par piu assai che non e morte istessa.
Patir non ponno che la vita cara
tolta lor sia da un pezzo d'asta fessa,
e sieno sotto alle picchiate strane
a morir giunti, come biscie o rane.
XLVII
Ma poi ch'a spese lor si furo accord
che male in ogni guisa era morire,
sendo gia presso alii duo terzi morti,
tutto 1'avanzo comincio a fuggire.
Come del proprio aver via se gli porti,
il Saracin crudel non pu6 patire
ch'alcun di quella turba sbigottita
da lui partir si debba con la vita.
CANTO QUARTODECIMO 303
XLVIII
Come in palude asciutta dura poco
stridula canna, o in campo arrida stoppia
contra il soffio di borea e contra il fuoco
che '1 cauto agricultore insieme accoppia,
quando la vaga fiamma occupa il loco,
e scorre per li solchi, e stride e scoppia;
cosi costor contra la furia accesa
di Mandricardo fan poca difesa.
XLIX
Poscia ch'egli restar vede 1'entrata,
che mal guardata fu, senza custode ;
per la via che di nuovo era segnata
ne Ferba, e al suono dei ramarchi ch'ode,
viene a veder la donna di Granata,
se di bellezze e pan alle sue lode:
passa tra i corpi de la gente morta,
dove gli da, torcendo, il fiume porta.
L
E Doralice in mezzo il prato vede
(che cosi nome la donzella avea),
la qual, sufrblta da Pantico piede
d'un frassino silvestre, si dolea.
II pianto, come un rivo che succede
di viva vena, nel bel sen cadea;
e nel bel viso si vedea che insieme
de 1'altrui mal si duole, e del suo teme.
LI
Crebbe il timor, come venir lo vide
di sangue brutto e con faccia empia e oscura,
e '1 grido sin al ciel Taria divide,
di se e de la sua gente per paura;
che, oltre i cavallier, v'erano guide,
che de la bella infante aveano cura,
maturi vecchi, e assai donne e donzelle
del regno di Granata, e le piu belle.
304 ORLANDO FURIOSO
LII
Come il Tartaro vede quel bel viso
che non ha paragone in tutta Spagna,
e c'ha nel pianto (or ch'esser de' nel riso ?)
tesa d'Amor I'inestricabil ragna;
non sa se vive o in terra o in paradiso:
ne de la sua vittoria altro guadagna,
se non che in man de la sua prigioniera
si da prigione, e non sa in qual maniera.
LIII
Allei per6 non si concede tanto,
che del travaglio suo le doni il frutto;
ben che piangendo ella dimostri, quanta
possa donna mostrar, dolore e lutto.
Egli, sperando volgerle quel pianto
in sommo gaudio, era disposto al tutto
menarla seco; e sopra un bianco ubino
montar la fece, e torn6 al suo camino.
LIV
Donne e donzelle e vecchi et altra gente,
ch'eran con lei venuti di Granata,
tutti Iicenzi6 benignamente,
dicendo: — Assai da me fia accompagnata;
10 mastro, io balia, io le sar6 sergente
in tutti i suoi bisogni: a Dio, brigata. —
Cosi, non gli possendo far riparo,
piangendo e sospirando se n'andaro;
LV
tra lor dicendo : — Quanto doloroso
ne sara il padre, come il caso intenda!
quanta ira, quanto duol ne avra il suo sposo!
oh come ne fara vendetta orrenda!
Deh, perche a tempo tanto bisognoso
non e qui presso a far che costui renda
11 sangue illustre del re Stordilano,
prima che se Io porti piu lontano ? —
CANTO QUARTODECIMO 305
LVI
De la gran preda il Tartaro contento,
che fortuna e valor gli ha posta inanzi,
di trovar quel dal negro vestimento
non par ch'abbia la fretta ch'avea dianzi.
Correva dianzi: or viene adagio e lento;
e pensa tuttavia dove si stanzi,
dove ritruovi alcun commodo loco,
per esalar tanto amoroso foco.
LVII
Tuttavolta conforta Doralice,
ch'avea di pianto e gli occhi e '1 viso molle:
compone e finge molte cose, e dice
che per fama gran tempo ben le voile;
e che la p atria, e il suo regno felice
che Jl nome di grandezza agli altri tolle,
Iasci6, non per vedere o Spagna o Francia,
ma sol per contemplar sua bella guancia.
LVIII
— Se per amar, Puom debbe essere amato,
merito il vostro amor; che v'ho amat'io:
se per stirpe, di me chi e meglio nato?
che '1 possente Agrican fu il padre mio:
se per richezza, chi ha di me piu stato ?
che di dominio io cedo solo a Dio:
se per valor, credo oggi aver esperto
ch' essere amato per valore io merto. —
LIX
Queste parole et altre assai, ch'Amore
a Mandricardo di sua bocca ditta,
van dolcemente a consolare il core
de la donzella di paura afflitta.
II timor cessa, e poi cessa il dolore
che le avea quasi Panima trafitta.
Ella comincia con piu pazienza
a dar piu grata al nuovo amante udienza;
306 ORLANDO FURIOSO
LX
poi con risposte piu benigne molto
a mostrarsegli affabile e cortese,
e non negargli di fermar nel volto
talor le luci di pietade accese:
onde il. pagan, che da lo stral fu colto
altre volte d'Amor, certezza prese,
non che speranza, che la donna bella
non saria a' suo' desir sempre ribella.
LXI
Con questa compagnia lieto e gioioso,
che si gli satisfa, si gli diletta,
essendo presso alPora ch'a riposo
la fredda notte ogni animale alletta,
vedendo il sol gia basso e mezzo ascoso,
commincic- a cavalcar con maggior fretta;
tanto ch'udi sonar zuffoli e canne,
e vide poi fumar ville e capanne.
LXII
Erano pastorali alloggiamenti,
miglior stanza e piu commoda, che bella.
Quivi il guardian cortese degli armenti
onor6 il cavalliero e la donzella,
tanto che si chiamar da lui contenti;
che non pur per cittadi e per castella,
ma per tugurii ancora e per fenili
spesso si trovan gli uomini gentili.
LXIII
Quel che fosse dipoi fatto alPoscuro
tra Doralice e il figlio d'Agricane,
a punto raccontar non m'assicuro;
si ch'al giudicio di ciascun rimane.
Creder si pu6 che ben d'accordo furo;
che si levar piu allegri la dimane,
e Doralice ringrazio il pastore,
che nel suo alb ergo Favea fatto onore.
CANTO QUARTODECIMO 307
LXIV
Indi cTuno In un altro luogo errando,
si ritruovaro al fin sopra un bel fiume
che con silenzio al mar va declinando,
e se vada o se stia, mal si presume;
limpido e chiaro si, ch'in lui mirando,
senza contesa al fondo porta il lume.
In ripa a quello, a una fresca ombra e bella,
trovar dui cavallieri e una donzella.
LXV
Or Talta fantasia, ch'un sentier solo
non vuol ch'i' segua ognor, quindi mi guida,
e mi ritorna ove il moresco stuolo
assorda di rumor Francia e di grida,
d'intorno il padiglione ove il figliuolo
del re Troiano il santo Imperio sfida,
e Rodomonte audace se gli vanta
arder Parigi e spianar Roma santa.
LXVI
Venuto ad Agramante era alTorecchio,
che gia Tlnglesi avean passato il mare:
per6 Marsilio e il re del Garbo vecchio
e gli altri capitan fece chiamare.
Consiglian tutti a far grande apparecchio,
si che Parigi possino espugnare.
Ponno esser certi che piii non s'espugna,
se nol fan prima che Taiuto giugna.
LXVII
Gia scale innumerabili per questo
da' luoghi intorno avea fatto raccorre,
et asse e travi, e vimine contesto,
che lo poteano a diversi usi porre;
e navi e ponti: e piu facea che '1 resto,
il primo e il secondo ordine disporre
a dar Tassalto ; et egli vuol venire
tra quei che la citta denno assalire.
308 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
L'imperatore il di che '1 di precesse
de la battaglia, fe' dentro a Parigi
per tutto celebrare uffici e messe
a preti, a frati bianchi, neri e bigi;
e le gente che dianzi eran confesse,
e di man tolte agl'inimici stigi,
tutti communicar, non altramente
ch'avessino a morire il di seguente.
LXIX
Et egli tra baroni e paladini,
principi et oratori, al maggior tempio
con molta religione a quei divini
atti intervenne, e ne die agli altri esempio.
Con le man giunte e gli occhi al ciel supini,
disse:— Signor, ben ch'io sia iniquo et empio,
non voglia tua bonta, pel mio fallire,
che '1 tuo popul fedele abbia a patire.
LXX
E se gli e tuo voler ch'egli patisca,
e ch' abbia il nostro error degni supplici,
almen la punizion si differisca
si, che per man non sia dej tuoi nemici;
che quando lor d'uccider noi sortisca,
che nome avemo pur d'esser tuo' amici,
i pagani diran che nulla puoi,
che perir lasci i partigiani tuoi.
LXXI
E per un che ti sia fatto ribelle,
cento ti si faran per tutto il mondo ;
tal che la legge falsa di Babelle
cacciera la tua fede e porra al fondo.
Difendi queste genti, che son quelle
che '1 tuo sepulcro hanno purgato e mondo
da' brutti cani, e la tua santa Chiesa
con li vicarii suoi spesso difesa.
CANTO QUARTODECIMO 309
LXXII
So che I meriti nostri atti non sono
a satisfare al debito d'un'oncia;
ne dovemo sperar da te perdono,
se riguardiamo a nostra vita sconcia:
ma se vi aggiugni di tua grazia il dono,
nostra ragion fia ragguagliata e concia;
ne del tuo aiuto disperar possiamo,
qualor di tua pieta ci ricordiamo. —
LXXIII
Cosi dicea 1'imperator devoto,
con umiltade e contrizion di core.
Giunse altri prieghi e convenevol voto
al gran bisogno e alTalto suo splendore.
Non fu il caldo pregar d'effetto voto;
per6 che '1 genio suo, 1' angel migliore,
i prieghi tolse e spieg6 al ciel le penne,
et a narrare al Salvator li venne.
LXXIV
E furo altri infmiti in quello instante
da tali messaggier portati a Dio ;
che come gli ascoltar Tanime sante,
dipinte di pietade il viso pio,
tutte miraro il sempiterno Amante,
e gli mostraro il commun lor disio,
che la giusta orazion fosse esaudita
del populo cristian che chiedea aita.
LXXV
E la Bonta ineffabile, ch'invano
non fu pregata mai da cor fedele,
leva gli occhi pietosi, e fa con mano
cenno che venga a se T angel Michele.
— Va — gli disse — all'esercito cristiano
che dianzi in Picardia ca!6 le vele,
e al muro di Parigi Fappresenta
si, che ?1 campo nimico non lo senta.
310 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Truova prima il Silenzio, e da mia parte
gli di' che teco a questa impresa venga;
ch'egli ben proveder con ottlma arte
sapra di quanto proveder convenga.
Fornito questo, subito va in parte
dove il suo seggio la Discordia tenga:
dille che Fesca e il fucil seco prenda,
e nel campo de' Mori il fuoco accenda;
LXXVII
e tra quei che vi son detti piu forti
sparga tante zizzanie e tante liti,
che combattano insieme; et altri morti,
altri ne sieno presi, altri feriti,
e fuor del campo altri lo sdegno porti,
si che il lor re poco di lor s'aiti. —
Non replica a tal detto altra parola
il benedetto augel, ma dal ciel vola.
LXXVIII
Dovunque drizza Michel angel Tale,
fuggon le nubi, e torna il ciel sereno.
Gli gira intorno un aureo cerchio, quale
veggian di notte lampeggiar baleno.
Seco pensa tra via, dove si cale
il celeste corrier per fallir meno
a trovar quel nimico di parole,
a cui la prima commission far vuole.
LXXIX
Vien scorrendo ov'egli abiti, ov'egli usi;
e se accordano infin tutti i pensieri,
che de frati e de monachi rinchiusi
lo pu6 trovare in chiese e in monasteri,
dove sono i parlari in modo esclusi,
che '1 Silenzio, ove cantano i salteri,
ove dormeno, ove hanno la piatanza,
e finalmente e scritto in ogni stanza.
CANTO QUARTODECIMO 31!
LXXX
Credendo quivi ritrovarlo, mosse
con maggior fretta le derate penne;
e di veder ch'ancor Pace vi fosse,
Quiete e Carita, sicuro tenne.
Ma da la opinion sua ritrovosse
tosto ingannato, che nel chiostro venne:
non e Silenzio quivi; e gli £u ditto
che non v'abita piu, fuor che in iscritto.
LXXXI
Ne Pieta, ne Quiete, ne Umiltade,
ne quivi Amor, ne quivi Pace mira.
Ben vi fur gia, ma ne Tantiqua etade;
che le cacciar Gola, Avarizia et Ira,
Superbia, Invidia, Inerzia e Crudeltade.
Di tanta no vita 1' angel si ammira:
and6 guardando quella brutta schiera,
e vide ch'anco la Discordia v'era.
LXXXI I
Quella che gli avea detto il Padre eterno,
dopo il Silenzio, che trovar dovesse.
Pensato avea di far la via d'Averno,
che si credea che tra' dannati stesse;
e ritrovolla in questo nuovo inferno
(ch'il crederia?) tra santi ufficii e messe.
Par di strano a Michel ch'ella vi sia,
che per trovar credea di far gran via.
LXXXIII
La conobbe al vestir di color cento,
fatto a liste inequali et infinite,
ch'or la cuoprono or no; che i passi e '1 vento
le giano aprendo, ch'erano sdrucite.
I crini avea qual d'oro e qual d'argento,
e neri e bigi, e aver pareano lite;
altri in treccia, altri in nastro eran raccolti,
molti alle spalle, alcuni al petto sciolti.
312 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
Di citatorie piene e di libelli,
d'essamine e di carte di procure
avea le mani e il seno, e gran fastelli
di chiose, di consigli e di letture;
per cui le faculta de' poverelli
non sono mai ne le citta sicure.
Avea dietro e dinanzi e d'ambi i lati,
notai, procurator! et avocati.
LXXXV
La chiama a se Michele, e le commanda
che tra i piu forti Saracini scerida,
e cagion truovi, che con memoranda
ruina insieme a guerreggiar gli accenda.
Poi del Silenzio nuova le domanda:
facilmente esser puo ch'essa n'intenda,
si come quella ch'accendendo fochi
di qua e di la, va per diversi lochi.
LXXXVI
Rispose la Discordia: — lo non ho a mente
in alcun loco averlo mai veduto:
udito Fho ben nominar sovente,
e molto commendarlo per astuto.
Ma la Fraude, una qui di nostra gente,
che compagnia talvolta gli ha tenuto,
penso che dir te ne sapra novella — ;
e verso una alzo il dito, e disse: — £ quella.
LXXXVII
Avea piacevol viso, abito onesto,
un umil volger d'occhi, un andar grave,
un parlar si benigno e si modesto,
che parea Gabriel che dicesse: Ave.
Era brutta e deforme in tutto il resto:
ma nascondea queste fattezze prave
con lungo abito e largo; e sotto quello,
attosicato avea sempre il coltello.
CANTO QUARTODECIMO 313
LXXXVIII
Domanda a costei Fangelo che via
debba tener, si che '1 Silenzio truove.
Disse la Fraude : — Gia costui solia
fra virtudi abitare, e non altrove,
con Benedetto e con quelli d'Elia
ne le badie, quando erano ancor nuove:
fe' ne le scuole assai de la sua vita
al tempo di Pitagora e d'Arctuta.
LXXXIX
Mancati quei filosofi e quei santi
che lo solean tener pel camin ritto,
dagli onesti costumi ch'avea inanti,
fece alle sceleraggini tragitto.
Commincio andar la notte con gli amanti,
indi coi ladri, e fare ogni delitto.
Molto col Tradimento egli dimora:
veduto 1'ho con FOmicidio ancora.
xc
Con quei che falsan le monete, ha usanza
di ripararsi in qualche buca scura.
Cosi spesso compagni muta e stanza,
che '1 ritrovarlo ti saria ventura.
Ma pur ho d'insegnartelo speranza,
se d'arrivare a mezza notte hai cura
alia casa del Sonno: senza fallo
potrai (che quivi dorrne) ritrovallo. —
xci
Ben che soglia la Fraude esser bugiarda,
pur e tanto il suo dir simile al vero,
che 1'angelo le crede; indi non tarda
a volarsene fuor del monastero.
Tempra il batter de Tale, e studia e guarda
giungere in tempo al fin del suo sentiero,
ch'alla casa del Sonno, che ben dove
era sapea, questo Silenzio truove.
314 ORLANDO FURIOSO
XCII
Giace in Arabia una Valletta amena,
lontana da cittadi e da villaggi,
ch'aH'ombra di duo monti e tutta piena
d'antiqui abeti e di robusti faggi.
II sole indarno il chiaro di vi mena;
che non vi puo mai penetrar coi raggi,
si gli e la via da folti rami tronca:
e quivi entra sotterra una spelonca.
XCIII
Sotto la negra selva una capace
e spaziosa grotta entra nel sasso,
di cui la fronte Tedera seguace
tutta aggirando va con storto passo.
In questo albergo il grave Sonno giace;
FOzio da un canto corpulento e grasso,
da Taltro la Pigrizia in terra siede,
che non puo andare, e mal reggersi in piede.
xcrv
Lo smemorato Oblio sta su la porta:
non lascia entrar, ne riconosce alcuno;
non ascolta imbasciata, ne riporta;
e parimente tien cacciato ognuno.
II Silenzio va intorno, e fa la scorta:
ha le scarpe di feltro, e 1 mantel bruno;
et a quanti n'incontra, di lontano,
che non debban venir, cenna con mano.
xcv
Se gli accosta all'orecchio e pianamente
1'angel gli dice: — Dio vuol che tu guidi
a Parigi Rinaldo con la gente
che per dar, mena, al suo signor sussidi;
ma che lo facci tanto chetamente,
ch'alcun de' Saracin non oda i gridi;
si che piu tosto che ritruovi il calle
la Fama d'avisar, gli abbia alle spalle. —
CANTO QUARTODECIMO 315
XCVI
Altrimente il Silenzio non rispose,
che col capo accennando che faria;
e dietro ubidiente se gli pose;
e furo al primo volo in Picardia.
Michel mosse le squadre coraggiose,
e fe' lor breve un gran tratto di via;
si che in un di a Parigi le condusse,
ne alcun s'avide che miracol fusse.
xcvn
Discorreva il Silenzio, e tuttavolta, ,
e dinanzi alle squadre e d'ogn'intorno,
facea girare un'alta nebbia in volta,
et avea chiaro ogn'altra parte il giorno;
e non lasciava questa nebbia folta,
che s'udisse di fuor tromba ne corno :
poi n'and6 tra' pagani, e men6 seco
un non so che, ch'ognun fe' sordo e cieco.
XCVIII
Mentre Rinaldo in tal fretta venia,
che ben parea da Tangelo condotto,
e con silenzio tal, che non s'udia
nel campo saracin farsene motto;
il re Agramante avea la fanteria
messo ne' borghi di Parigi, e sotto
le minacciate mura in su la fossa,
per far quel di I'estremo di sua possa.
xcix
Chi pu6 contar Tesercito che mosso
quest o di contra Carlo ha '1 re Agramante,
contera ancora in su Pombroso dosso
del silvoso Apennin tutte le piante;
dira quante onde, quando e il mar piu grosso,
bagnano i piedi al mauritano Atlante;
e per quanti occhi il ciel le furtive op re
degli amatori a mezza notte scuopre.
316 ORLANDO FURIOSO
C
Le campane si sentono a martello
di spessi colpi e spaventosi tocche;
si vede molto, in questo tempio e in quello,
alzar di mano e dimenar di bocche.
Se '1 tesoro paresse a Dio si bello,
come alle nostre openioni sciocche,
questo era il di che '1 santo consistoro
fatto avria in terra ogni sua statua d'oro.
ci
S'odon ramaricare i vecchi giusti,
che s'erano serbati in quelli affanni,
e norninar felici i sacri busti
composti in terra gia molti e molt'anni.
Ma gli animosi gioveni robusti
che miran poco i lor propinqui danni,
sprezzando le ragion de' piu maturi,
di qua di la vanno correndo aj muri.
en
Quivi erano baroni e paladini,
re, duci, cavallier, marchesi e conti,
soldati forestieri e cittadini,
per Cristo e pel suo onore a morir pronti;
che per uscire adosso ai Saracini,
pregan Fimperator ch'abbassi i ponti.
Gode egli di veder Tanimo audace,
ma di lasciarli uscir non li compiace.
cm
E li dispone in oportuni lochi,
per impedire ai barbari la via:
la si contenta che ne vadan pochi,
qua non basta una grossa compagnia;
alcuni han cura maneggiare i fuochi,
le machine altri, ove bisogno sia.
Carlo di qua di la non sta mai fermo:
va soccorrendo, e fa per tutto schermo.
CANTO QUARTODECIMO 317
CIV
Siede Parigi in una gran pianura,
ne Tombilico a Francia, anzi nel core;
gli passa la riviera entro le mura,
e corre, et esce in altra parte fuore.
Ma fa un'isola prima, e v'assicura
de la citta una parte, e la migliore;
Paltre due (ch'in tre parti e la gran terra)
di fuor la fossa, e dentro il flume serra.
cv
Alia citta, che molte miglia gira,
da molte parti si pu6 dar battaglia;
ma perche sol da un canto assalir mira,
ne volentier Tesercito sbarraglia,
oltre il flume Agramante si ritira
verso ponente, acci6 che quindi assaglia:
per6 che ne cittade ne campagna
ha dietro, se non sua, fin alia Spagna.
cvi
Dovunque intorno il gran muro circonda,
gran munizioni avea gia Carlo fatte,
fortificando d'argine ogni sponda
con scannafossi dentro e case matte;
onde entra ne la terra, onde esce Fonda,
grossissime catene aveva tratte:
ma fece, piu ch'altrove, prove dere
la dove avea piu causa di temere.
cvn
Con occhi d'Argo il figlio di Pipino
previde ove assalir dovea Agramante;
e non fece disegno il Saracino,
a cui non fosse riparato inante.
Con Ferrau, Isoliero, Serpentino,
Grandonio, Falsirone e Balugante,
e con ci6 che di Spagna avea menato,
rest6 Marsilio alia campagna armato.
318 ORLANDO FURIOSO
CVIII
Sobrin gli era a man manca in ripa a Senna,
con Pulian, con Dardinel d' Almonte,
col re d'Oran, ch'esser gigante accenna,
lungo sei braccia dai piedi alia fronte.
Deh perche a muover men son io la penna,
che quelle genti a muover Tanne pronte?
che '1 re di Sarza, pien d'ira e di sdegno,
grida e bestemmia, e non pu6 star piii a segno.
cix
Come assalire o vasi pastorali,
o le dolci reliquie de' convivi
soglion con rauco suon di stridule ali
le impronte mosche a' caldi giorni estivi;
come li storni a rosseggianti pali
vanno de mature uve: cosi quivi,
empiendo il ciel di grida e di rumori,
veniano a dare il fiero assalto i Mori.
ex
L'esercito cristian sopra le mura
con lancie, spade e scure e pietre e fuoco
difende la citta senza paura,
e il barbarico orgoglio estima poco;
e dove Morte uno et un altro fura,
non e chi per vilta ricusi il loco.
Tornano i Saracin giu ne le fosse
a furia di ferite e di percosse.
CXI
Non ferro solamente vi s'adopra,
ma grossi massi, e merli integri e saldi,
e muri dispiccati con molt'opra,
tetti di torn, e gran pezzi di spaldi.
L'acque bollenti che vengon di sopra,
portano a' Mori insupportabil caldi;
e male a questa pioggia si resiste,
ch'entra per gli elmi, e fa acciecar le viste.
CANTO QUARTODECIMO 319
CXII
E questa piu nocea che '1 ferro quasi:
or che de' far la nebbia di calcine ?
or che doveano far li ardenti vasi
con olio e zolfo e peci e trementine ?
I cerchii in munizion non son rimasi,
che d'ogn'intorno hanno di fiamma il crine :
questi, scagliati per diverse bande,
mettono a* Saracini aspre ghirlande.
CXIII
Intanto il re di Sarza avea cacciato
sotto le mura la schiera seconda,
da Buraldo, da Ormida accompagnato,
quel Garamante, e questo di Marmonda.
Clarindo e Soridan gli sono allato,
n6 par che Jl re di Setta si nasconda:
segue il re di Marocco e quel di Cosca,
ciascun perche il valor suo si conosca.
cxiv
Ne la bandiera, ch'e tutta vermiglia,
Rodomonte di Sarza il leon spiega,
che la feroce bocca ad una briglia
che gli pon la sua donna, aprir non niega.
Al leon se medesimo assimiglia;
e per la donna che lo frena e lega,
la bella Doralice ha figurata,
figlia di Stordilan re di Granata:
cxv
quella che tolto avea, come io narrava,
re Mandricardo, e dissi dove e a cui.
Era costei che Rodomonte amava
piu che '1 suo regno e piu che gli occhi sui;
e cortesia e valor per lei mostrava,
non gia sapendo ch'era in forza altrui:
se saputo Tavesse, allora allora
fatto avria quel che fe' quel giorno ancora.
320 ORLANDO FURIOSO
CXVI
Sono appoggiate a un tempo mille scale,
che non han men di dua per ogni grado.
Spinge il secondo quel ch'inanzi sale;
che '1 terzo lui montar fa suo mal grado.
Chi per virtu, chi per paura vale:
convien ch'ogruin per forza entri nel guado;
che qualunche s'adagia, il re d'Algiere,
Rodomonte crudele, uccide o fere.
cxvn
Ognun dunque si sforza di salire
tra il fuoco e le mine in su le mura.
Ma tutti gli altri guardano, se aprire
veggiano passo ove sia poca cura:
sol Rodomonte sprezza di venire,
se non dove la via meno e sicura.
Dove nel caso disperato e rio
gli altri fan voti, egli bestemmia Dio.
CXVIII
Armato era d'un forte e duro usbergo,
che fu di drago una scagliosa pelle.
Di questo gia si cinse il petto e '1 tergo
quello avol suo ch'edific6 Babelle,
e si pens6 cacciar de 1'aureo albergo,
e torre a Dio il governo de le stelle:
1'elmo e lo scudo fece far perfetto,
e il brando insieme; e solo a questo effetto.
cxix
Rodomonte non gia men di Nembrotte
indomito, superbo e furibondo,
che d'ire al ciel non tarderebbe a notte,
quando la strada si trovasse al mondo,
quivi non sta a mirar s'intere o rotte
sieno le mura, o s'abbia Pacqua fondo:
passa la fossa, anzi la corre e vola,
ne Pacqua e nel pantan fin alia gola.
CANTO QUARTODECIMO 321
CXX
Dl fango brutto, e molle d'acqua vanne
tra il foco e i sassi e gli archi e le balestre,
come andar suol tra le palustri canne
de la nostra Mallea porco silvestre,
che col petto, col grifo e con le zanne
fa, dovunque si volge, ample finestre.
Con lo scudo alto il Saracin sicuro
ne vien sprezzando il ciel, non che quel muro.
CXXI
Non si tosto alPasciutto e Rodomonte,
che giunto si senti su le bertresche
che dentro alia muraglia facean ponte
capace e largo alle squadre francesche.
Or si vede spezzar piu d'una fronte,
far chieriche maggior de le fratesche,
braccia e capi volare, e ne la fossa
cade da* muri una fiumana rossa.
cxxu
Getta il pagan lo scudo, e a duo man prende
la crudel spada, e giunge il duca Arnolfo.
Costui venia di la dove discende
1'acqua del Reno nel salato golfo.
Quel miser contra lui non si difende
meglio che faccia contra il fuoco il zolfo;
e cade in terra, e da Pultimo crollo,
dal capo fesso un palmo sotto il collo.
CXXIII
Uccise di rovescio in una volta
Anselmo, Oldrado, Spineloccio e Prando:
il luogo stretto e la gran turba folta
fece girar si pienamente il brando.
Fu la prima metade a Fiandra tolta,
Faltra scemata al populo normando.
Divise appresso da la fronte al petto,
et indi al ventre, il maganzese Orghetto.
322 ORLANDO FURIOSO
CXXIV
Getta da' merli Andropono e Moschino
giu ne la fossa: il primo e sacerdote;
non adora il secondo altro che '1 vino,
e le bigonce a un sorso n'ha gia vuote.
Come veneno e sangue viperino
Facque fuggia quanto fuggir si puote:
or quivi muore; e quel che piu 1'annoia,
e '1 sentir che ne Facqua se ne muoia.
cxxv
Taglio in due parti il provenzal Luigi,
e passo il petto al tolosano Arnaldo.
Di Torse Oberto, Claudio, Ugo e Dionigi
mandar lo spirto fuor col sangue caldo ;
e presso a questi, quattro da Parigi,
Gualtiero, Satallone, Odo et Ambaldo,
et altri molti; et io non saprei come
di tutti nominar la patria e il nome.
cxxvi
La turba dietro a Rodomonte presta
le scale appoggia, e monta in piu d'un loco.
Quivi non fanno i Parigin piu testa;
che la prima difesa lor val poco.
San ben ch'agli nemici assai phi resta
dentro da fare, e non Favran da gioco ;
perche tra il muro e Fargine secondo
discende il fosso orribile e profondo.
cxxvn
Oltra che i nostri facciano difesa
dal basso all' alto, e mostrino valore;
nuova gente succede alia contesa
sopra Ferta pen dice interiore,
che fa con lancie e con saette offesa
alia gran moltitudine di fuore,
che credo ben, che saria stata meno,
se non v'era il figliuol del re Ulieno.
CANTO QUARTODECIMO 323
CXXVIII
Egli questi conforta, e quei riprende,
e lor mal grade inanzi se gli caccia:
ad altri il petto, ad altri il capo fende,
che per fuggir veggia voltar la faccia.
Molti ne spinge et urta; alcuni prende
pei capelli, pel collo e per le braccia:
e sozzopra la giu tanti ne getta,
che quella fossa a caplr tutti e stretta.
cxxix
Mentre lo stuol de' barbari si cala,
anzi trabocca al periglioso fondo,
et indi cerca per diversa scala
di salir sopra Fargine secondo;
il re di Sarza (come avesse un'ala
per ciascun de' suoi mernbri) levo il pondo
di si gran corpo, e con tant'arme indosso,
e netto si lancio di la dal fosso.
cxxx
Poco era men di trenta piedi, o tanto,
et egli il passo destro come un veltro,
e fece nel cader strepito, quanto
avesse avuto sotto i piedi il feltro:
et a questo et a quello affrappa il manto,
come sien 1'arme di tenero peltro,
e non di ferro, anzi pur sien di scorza:
tal la sua spada, e tanta e la sua forza!
cxxxi
In questo tempo i nostri, da chi tese
Finsidie son ne la cava profonda,
che v'han scope e fascine in copia stese,
intorno a quai di molta pece abonda
(ne per6 alcuna si vede palese,
ben che n'e piena Tuna e Paltra sponda
dal fondo cupo insino all'orlo quasi),
e senza fin v'hanno appiatati vasi,
324 ORLANDO FURIOSO
CXXXII
qual con salnitro, qual con oglio, quale
con zolfo, qual con altra simil esca:
i nostri in questo tempo, perch6 male
ai Saracini il folle ardir riesca
ch'eran nel fosso, e per diverse scale
credean montar su Tultima bertresca,
udito il segno da oportuni lochi,
di qua e di la fenno avampare i fochi.
CXXXIII
Torn6 la fiamma sparsa tutta in una,
che tra una ripa e 1'altra ha '1 tutto pieno;
e tanto ascende in alto, ch'alla luna
pu6 d'appresso asciugar Pumido seno.
Sopra si volve oscura nebbia e bruna,
che '1 sole adombra, e spegne ogni sereno.
Sentesi un scoppio in un perpetuo suono,
simile a un grande e spaventoso tuono.
cxxxiv
Aspro concento, orribile armonia
d'alte querele, d'ululi e di strida
de la misera gente che peria
nel fondo per cagion de la sua guida,
istranamente concordar s'udia
col fiero suon de la fiamma omicida.
Non piu, Signer, non piu di questo canto ;
ch'io son gia rauco, e vo' posarmi alquanto.
CANTO QUINTODECIMO 325
CANTO QUINTODECIMO
I
Fu il vincer sempremai laudabil cosa,
vincasi o per fortuna o per ingegno:
gli e ver che la vittoria sanguinosa
spesso far suole il capitan men degno;
e quella eternamente e gloriosa,
e del divini onori arriva al segno,
quando, servando i suoi senza alcun danno,
si fa che grinimici in rotta vanno.
ii
La vostra, Signer mio, fu degna loda,
quando al Leone, in mar tanto feroce,
ch'avea occupata Tuna e Paltra proda
del Po, da Francolin sin alia foce,
faceste si, ch'ancor che ruggir Toda,
s'io vedr6 voi, non tremer6 alia voce.
Come vincer si de', ne dimostraste ;
ch'uccideste i nemici, e noi salvaste.
in
Questo il pagan, troppo in suo danno audace,
non seppe far; che i suoi nel fosso spinse,
dove la fiamma subita e vorace
non perdono ad alcun, ma tutti estinse.
A tanti non saria stato capace
tutto il gran fosso, ma il fuoco restrinse,
restrinse i corpi e in polve li ridusse,
accio ch'abile a tutti il luogo fusse.
326 ORLANDO FURIOSO
IV
Undicimila et otto sopra venti
si ritrovar ne Faffocata buca,
che v'erano discesi malcontent!;
ma cosi voile il poco saggio duca.
Quivi fra tanto lume or sono spenti,
e la vorace fiamma li manuca:
e Rodomonte, causa del mal loro,
se ne va esente da tanto martoro;
che tra' nemici alia ripa piu interna
era passato d'un mirabil salto.
Se con gli altri scendea ne la caverna,
questo era ben il fin d'ogni suo assalto.
Rivolge gli occhi a quella valle inferna;
e quando vede il fuoco andar tanfalto,
e di sua gente il pianto ode e lo strido,
bestemmia il ciel con spaventoso grido.
vi
Intanto il re Agramante mosso avea
impetuoso assalto ad una porta;
che, mentre la crudel battaglia ardea
quivi ove e tanta gente afflitta e morta,
quella sprovista forse esser credea
di guardia, che bastasse alia sua scorta.
Seco era il re d'Arzilla Bambirago,
e Baliverzo d'ogni vizio vago;
VII
e Corineo di Mulga, e Prusione,
il ricco re de 1'Isole beate;
Malabuferso che la regione
tien di Fizan sotto continua estate;
altri signori et altre assai persone
esperte ne la guerra e bene armate;
e molti ancor senza valore e nudi,
che '1 cor non s'armerian con mille scudi.
CANTO QUINTODECIMO 327
VIII
Trovo tutto il contrario al suo pensiero
in questa parte il re de' Saracini:
perche in persona il capo de 1'Impero
v'era, re Carlo, e de' suoi paladini,
re Salamone et il danese Ugiero,
et ambo i Guidi et ambo gli Angelini,
e '1 duca di Bavera e Ganelone,
e Berlengier e Avolio e Avino e Otone;
IX
gente infinita poi di minor conto,
de* Franchi, de5 Tedeschi e de' Lombardi,
presente il suo signer, ciascuno pronto
a farsi riputar fra i piu gagliardi,
Di questo altrove io vo' rendervi conto;
ch'ad un gran duca e forza ch'io riguardi,
il qual mi grida, e di lontano accenna,
e priega ch'io nol lasci ne la penna.
x
Gli e tempo ch'io ritorni ove lasciai
I'aventuroso Astolfo d'Inghilterra,
che '1 lungo esilio avendo in odio ormai,
di desiderio ardea de la sua terra;
come gli n'avea data pur assai
speme colei ch'Alcina vinse in guerra.
Ella di rimandarvilo avea cura
per la via piu espedita e piu sicura.
XI
E cosi una galea fu apparechiata,
di che miglior mai non solco marina;
e perche ha dubbio per tutta fiata,
che non gli turbi il suo viaggio Alcina,
vuol Logistilla che con forte armata
Andronica ne vada e Sofrosina,
tanto che nel mar d'Arabi, o nel golfo
de5 Persi, giunga a salvamento Astolfo.
328 ORLANDO FURIOSO
XII
Pin tosto vuol che volteggiando rada
gli Sciti e gl'Indi e i regni nabatei,
e torni poi per cosi lunga strada
a ritrovare i Persi e gli Eritrei,
che per quel boreal pelago vada,
che turban sempre iniqui venti e rei,
e si qualche stagion pover di sole,
che stare senza alcuni mesi suole.
XIII
La fata, poi che vide acconcio il tutto,
diede licenzia al duca di partire,
avendol prima ammaestrato e instrutto
di cose assai, che fora lungo a dire;
e per schivar che non sia piu ridutto
per arte maga, onde non possa uscire,
un bello et util libro gli avea dato,
che per suo amore avesse ognora allato.
XIV
Come 1'uom riparar debba agl'incanti
mostra il libretto che costei gli diede:
dove ne tratta o piu dietro o piu inanti,
per rubrica e per indice si vede.
Un altro don gli fece ancor, che quanti
doni fur mai, di gran vantaggio accede;
e questo fu d'orribil suono un corno,
che fa fugire ognun che Fode intorno.
xv
Dico che '1 corno e di si orribil suono,
ch'ovunque s'oda, fa fuggir la gente;
non pu6 trovarsi al mondo un cor si buono,
che possa non fuggir come lo sente:
rumor di vento e di termuoto, e '1 tuono,
a par del suon di questo, era niente.
Con molto riferir di grazie, prese
da la fata licenzia il buono Inglese.
CANTO QUINTODECIMO 329
XVI
Lasciando il porto e Tonde piu tranquille,
con felice aura ch'alla poppa spira,
sopra le ricche e populose ville
de Podorifera India il duca gira,
scoprendo a destra et a sinistra mille
isole sparse; e tanto va, che mira
la terra di Tomaso, onde il nocchiero
piu a tramontana poi volge il sentiero.
XVII
Quasi radendo Paurea Chersonesso,
la bella armata il gran pelago f range:
e costeggiando i ricchi liti, spesso
vede come nel mar biancheggi il Gauge;
e Traprobane vede e Cori appresso;
e vede il mar che fra i duo liti s'ange.
Dopo gran via furo a Cochino, e quindi
usciro fuor dei termini degPIndi.
XVIII
Scorrendo il duca il mar con si fedele
e si sicura scorta, intender vuole,
e ne domanda Andronica, se de le
parti c'han nome dal cader del sole,
mai legno alcun che vada a remi e a vele
nel mare orientale apparir suole;
e s'andar pu6 senza toccar mai terra,
chi d' India scioglia, in Francia o in Inghilterra.
XIX
— Tu dei sapere — Andronica risponde
— che d'ogn'intorno il mar la terra abbraccia;
e van Tuna ne Paltra tutte Ponde,
sia dove bolle o dove il mar s'aggiaccia;
ma perche qui davante si difonde,
e sotto il mezzo di molto si caccia
la terra d'Etiopia, alcuno ha detto
ch'a Nettunno ir piu inanzi ivi e interdetto.
330 ORLANDO FURIOSO
XX
Per questo dal nostro indico levante
nave non e che per Europa scioglia;
ne si muove d'Europa navigante
ch'in queste nostre parti arrivar voglia.
II ritrovarsi questa terra avante,
e questi e quelli al ritornare invoglia;
che credeno, veggendola si lunga,
che con 1'altro emisperio si congiunga.
XXI
Ma volgendosi gli anni, io veggio uscire
da 1'estreme contrade di ponente
nuovi Argonauti e nuovi Tifi, e aprire
la strada ignota infin al di presenter
altri volteggiar 1' Africa, e seguire
tanto la costa de la negra gente,
che passino quel segno onde ritorno
fa il sole a noi, lasciando il Capricorno;
XXII
e rftrovar del lungo tratto il fine,
che questo fa parer dui mar diversi;
e scorrer tutti i liti e le vicine
isole d'Indi, d'Arabi e di Persi:
altri lasciar le destre e le mancine
rive che due per opra Erculea fersi;
e del sole imitando il carnin tondo,
ritrovar nuove terre e nuovo mondo.
XXIII
Veggio la santa croce, e veggio i segni
imperial nel verde lito eretti:
veggio altri a guardia dei battuti legni,
altri all'acquisto del paese eletti:
veggio da dieci cacciar mille, e i regni
di la da PIndia ad Aragon suggetti;
e veggio i capitan di Carlo quinto,
dovunque vanno, aver per tutto vinto.
CANTO QUINTODECIMO 331
XXIV
Dio vuol ch'ascosa antiquamente questa
strada sia stata, e an cor gran tempo stia;
ne che prima si sappla che la sesta
e la settima eta passata sia:
e serba a farla al tempo manifesta,
che vorra porre il mondo a monarchia,
sotto il piu saggio imperatore e giusto
che sia o sara mai dopo Augusto.
xxv
Del sangue d' Austria e d'Aragon io veggio
nascer sul Reno alia sinistra riva
un principe, al valor del qual pareggio
nessun valor, di cui si parli o scriva.
Astrea veggio per lui riposta in seggio,
anzi di morta ritornata viva;
e le virtu che caccio il mondo, quando
lei caccio ancora, uscir per lui di bando.
XXVI
Per questi merti la Bonta suprema
non solamente di quel grande impero
ha disegnato ch'abbia diadema
ch'ebbe Augusto, Traian, Marco e Severo,
ma d'ogni terra e quinci e quindi estrema,
che mai ne al sol ne all'anno apre il sentiero:
e vuol che sotto a questo imperatore
solo un ovile sia, solo un pastore.
XXVII
E perch' abbian piu facile successo
gli ordini in cielo eternamente scritti,
gli pon la somma Providenzia appresso
in mare e in terra capitani invittL
Veggio Ernando Cortese, il quale ha messo
nuove citta sotto i cesarei editti,
e regni in Oriente si remoti,
ch'a noi, che siamo in India, non son noti.
332 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
Veggio Prosper Colonna, e di Pescara
veggio un marchese, e veggio dopo loro
un giovene del Vasto, che fan cara
parer la bella Italia ai Gigli d'oro:
veggio ch'entrare inanzi si prepara
quel terzo agli altri a guadagnar Falloro,
come buon corridor ch'ultimo lassa
le mosse, e giunge, e inanzi a tutti passa.
XXIX
Veggio tanto il valor, veggio la fede
tanta d* Alfonso (che '1 suo nome e questo),
ch'in cosi acerba eta, che non eccede
dopo il vigesimo anno ancora il sesto,
Timperator 1'esercito gli crede,
il qual salvando, salvar non che *1 resto,
ma farsi tutto il mondo ubidiente
con questo capitan sara possente.
xxx
Come con questi, ovunque andar per terra
si possa, accrescera rimperio antico;
cosi per tutto il mar, ch'in mezzo serra
di la 1'Europa e di qua 1'Afro aprico,
sara vittorioso in ogni guerra,
poi ch' Andrea Doria s'avra fatto amico.
Questo e quel Doria che fa dai pirati
sicuro il vostro mar per tutti i lati.
XXXI
Non fu Pompeio a par di costui degno,
se ben vinse e caccio tutti i corsari;
per6 che quelli al piu possente regno
che fosse mai, non poteano esser pari:
ma questo Doria sol col proprio ingegno
e proprie forze purghera quei mari;
si che da Calpe al Nilo, ovunque s'oda
il nome suo, tremar veggio ogni proda.
CANTO QUINTODECIMO 333
XXXII
Sotto la fede entrar, sotto la scorta
di questo capitan di ch'io ti parlo,
veggio in Italia, ove da lui la porta
gli sara aperta, alia corona Carlo.
Veggio che 1 premio che di ci6 riporta,
non tien per se, ma fa alia patria darlo:
con prieghi ottien ch'in liberta la metta,
dove altri a se Pavria forse suggetta.
XXXIII
Questa pieta ch'egli alia patria mostra,
e degna di piu onor d'ogni battaglia
ch'in Francia o in Spagna o ne la terra vostra
vincesse lulio, o in Africa o in Tessaglia.
Ne il grande Ottavio, ne chi seco giostra
di par, Antonio, in piu onoranza saglia
pei gesti suoi; ch'ogni lor laude amorza
Pavere usato alia lor patria forza.
XXXIV
Questi et ogn'altro che la patria tenta
di libera far serva, si arrosisca;
ne dove il nome d' Andrea Doria senta,
di levar gli occhi in viso d'uomo ardisca.
Veggio Carlo che '1 premio gli augumenta;
ch'oltre quel ch'in commun vuol che fruisca,
gli da la ricca terra ch'ai Normandi
sara principio a farli in Puglia grandi.
xxxv
A questo capitan non pur cortese
il magnanimo Carlo ha da mostrarsi,
ma a quauti avra ne le cesaree imprese
del sangue lor non ritrovati scarsi.
D'aver citta, d'aver tutto un paese
donato a un suo fedel, piu ralegrarsi
lo veggio, e a tutti quei che ne son degni,
che d'acquistar nuov'altri imperil e regni. —
334 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
Cosi de le vittorie le qual, poi
ch'tm gran numero d'anni sara corso,
daranno a Carlo i capitani suoi,
facea col duca Andronica discorso:
e la compagna intanto ai venti eoi
viene allentando e raccogliendo il morso;
e fa ch'or questo or quel propizio 1'esce,
e come vuol li minuisce e cresce.
XXXVII
Veduto aveano intanto il mar de' Persi
come in si largo spazio si dilaghi;
onde vicini in pochi giorni fersi
al golfo che nomar gli antiqui Maghi.
Quivi pigliaro il porto, e fur conversi
con la poppa alia ripa i legni vaghi;
quindi, sicur d'Alcina e di sua guerra,
Astolfo il suo camin prese per terra.
XXXVIII
Passo per piu d'un campo e piu d'un bosco,
per piu d'un monte e per piu d'una valle,
ove ebbe spesso, all'aer chiaro e al fosco,
i ladroni or inanzi or alle spalle.
Vide leoni, e draghi pien di t6sco,
et altre fere attraversarsi il calle;
ma non si tosto avea la bocca al corno,
che spaventati gli fuggian d'intorno.
XXXIX
Vien per 1' Arabia ch'e delta Felice,
ricca di mirra e d'odorato incenso,
che per suo albergo Tunica fenice
eletto s'ha di tutto il mondo immenso;
fin che Fonda trovo vendicatrice
gia d' Israel, che per divin consenso
Faraone sommerse e tutti i suoi:
e poi venne alia terra degli Eroi.
CANTO QUINTODECIMO 335
XL
Lungo il flume Traiano egli cavalca
su quel destrier ch'al mondo e senza pare,
che tanto leggiermente e corre e valca,
che ne P arena 1'orma non n'appare:
1'erba non pur, non pur la nieve calca;
coi piedi asciutti andar potria sul mare;
e si si stende al corso, e si s'affretta,
che passa e vento e folgore e saetta.
XLI
Questo e il destrier che fu de PArgalia,
che di fiamma e di vento era concetto;
e senza fieno e biada, si nutria
de 1'aria pura, e Rabican fu detto.
Venne, seguendo il duca la sua via,
dove da il Nilo a quel fiume ricetto;
e prima che giugnesse in su la foce,
vide un legno venire a se veloce.
XLII
Naviga in su la poppa uno eremita
con bianca barba, a mezzo il petto lunga,
che sopra il legno il paladino invita,
e : — Figliuol mio, — gli grida da la lunga
— se non t'e in odio la tua propria vita,
se non brami che morte oggi ti giunga,
venir ti piaccia su quest' altra arena;
ch'a morir quella via dritto ti mena.
XLIII
Tu non andrai piu che sei miglia inante,
che troverai la sanguinosa stanza
dove s'alberga un orribil gigante
che d'otto piedi ogni statura avanza.
Non abbia cavallier ne viandante
di partirsi da lui, vivo, speranza:
ch'altri il crudel ne scanna, altri ne scuoia,
molti ne squarta, e vivo alcun ne 'ngoia.
336 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Placer, fra tanta crudelta, si prende
d'una rete ch'egli ha, molto ben fatta;
poco lontana al tetto suo la tende,
e ne la trita polve in modo appiatta,
che chi prima nol sa, non la comprende,
tanto e sottil, tanto egli ben Fadatta:
e con tai gridi i peregrin minaccia,
che spaventati dentro ve li caccia.
XLV
E con gran risa, aviluppati in quella
se li strascina sotto il suo coperto;
ne cavallier riguarda n6 donzella,
o sia di grande o sia di piccipl merto;
e mangiata la carne, e le cervella
succhiate e '1 sangue, da 1'ossa al deserto;
e de 1'umane pelli intorno intorno
fa il suo palazzo orribilmente adorno.
XL VI
Prendi quest'altra via, prendila, figlio,
che fin al mar ti fia tutta sicura.
— lo ti ringrazio, padre, del consiglio, —
rispose il cavallier senza paura
— ma non istimo per Fonor periglio,
di ch'assai piu che de la vita ho cura.
Per far ch'io passi, in van tu parli meco;
anzi vo al dritto a ritrovar lo speco.
XLVII
Fuggendo, posso con disnor salvarmi;
ma tal salute ho piu che morte a schivo.
S'io vi vo, al peggio che potra incontrarmi,
fra molti restero di vita privo;
ma quando Dio cosi mi drizzi Farmi,
che colui morto, et io rimanga vivo,
sicura a mille render6 la via;
si che Putil maggior che *1 danno fia.
CANTO QUINTODECIMO 337
XLVIII
Metto alPincontro la morte d'un solo
alia salute di gente infinita.
— Vattene in pace, — rispose — figliuolo ;
Dio mandi in difension de la tua vita
Farcangelo Michel dal sommo polo — :
e benedillo il semplice eremita.
Astolfo lungo il Nil tenne la strada,
sperando piu nel suon che ne la spada.
XLIX
Giace tra 1'alto fiume e la palude
picciol sentier ne Tarenosa riva:
la solitaria casa lo richiude,
d'umanitade e di commercio priva.
Son fisse intorno teste e membra nude
de 1'infelice gente che v'arriva.
Non v'e finestra, non v'e merlo alcuno,
onde penderne almen non si veggia uno.
L
Qual ne le alpine ville o ne' castelli
suol cacciator che gran perigli ha scorsi,
su le porte attaccar 1'irsute pelli,
Torride zampe e i grossi capi d'orsi;
tal dimostrava il fier gigante quelli
che di maggior virtu gli erano occorsi.
D'altri infiniti sparse appaion Fossa;
et e di sangue uman piena ogni fossa.
LI
Stassi Caligorante in su la porta;
che cosi ha nome il dispietato mostro
ch'orna la sua magion di gente morta,
come alcun suol de panni d'oro o d'ostro.
Costui per gaudio a pena si comporta,
come il duca lontan se gli e dimostro ;
ch'eran duo mesi, e il terzo ne venia,
che non fu cavallier per quella via.
338 ORLANDO FURIOSO
LII
Ver la palude, ch'era scura e folta
di verdi canne, in gran fretta ne viene;
che disegnato avea correre in volta,
e uscire al paladin dietro alle schene ;
che ne la rete, che tenea sepolta
sotto la polve, di cacciarlo ha spene,
come avea fatto gli altri peregrini
che quivi tratto avean lor rei destini.
LIII
Come venire il paladin lo vede,
ferma il destrier, non senza gran sospetto
che vada in quelli lacci a dar del piede,
di che il buon vecchiarel gli avea predetto.
Quivi il soccorso del suo corno chiede,
e quel sonando fa 1'usato effetto:
nel cor fere il gigante che Fascolta
di tal timor, ch'a dietro i passi volta.
LIV
Astolfo suona, e tuttavolta bada;
che gli par sempre che la rete scocchi.
Fugge il fellon, ne vede ove si vada;
che, come il core, avea perduti gli occhi.
Tanta e la tema, che non sa far strada,
che ne li proprii aguati non trabocchi:
va ne la rete; e quella si disserra,
tutto 1'annoda, e lo distende in terra.
LV
Astolfo, ch'andar giu vede il gran peso,
gia sicuro per se, v'accorre in fretta;
e con la spada in man, d'arcion disceso,
va per far di miiranime vendetta.
Poi gli par che s'uccide un che sia preso,
vilta, piu che virtu, ne sara detta:
che legate le braccia, i piedi e il collo
gli vede si, che non pu6 dare un crollo.
CANTO QUINTODECIMO 339
LVI
Avea la rete gia fatta Vulcano
di sottil fil d'acciar, ma con tal arte,
che saria stata ogni fatica invano
per ismagliarne la piu debol parte;
et era quella che gia piedi e mano
avea legate a Venere et a Marte.
La fe' il geloso, e non ad altro effetto,
che per pigliarli insieme ambi nel letto.
LVII
Mercurio al fabbro poi la rete invola;
che Cloride pigliar con essa vuole,
Cloride bella che per Faria vola
dietro all' Aurora, alPapparir del sole,
e dal raccolto lembo de la stola
gigli spargendo va, rose e viole.
Mercurio tanto questa ninfa attese,
che con la rete in aria un di la prese.
LVIII
Dove entra in mare il gran fiume etiopo,
par che la dea presa volando fosse.
Poi nel tempio d'Anubide a Canopo
la rete molti seculi serbosse.
Caligorante tremila anni dopo,
di la, dove era sacra, la rimosse:
se ne port6 la rete il ladrone empio,
et arse la cittade, e rub6 il tempio.
LIX
Quivi adattolla in modo in su 1'arena,
che tutti quei ch'avean da lui la caccia
vi davan dentro ; et era tocca a pena,
che lor legava e collo e piedi e braccia.
Di questa Iev6 Astolfo una catena,
e le man dietro a quel fellon n'allaccia:
le braccia e '1 petto in guisa gli ne fascia,
che non pu6 sciorsi; indi levar lo lascia.
340 ORLANDO FURIOSO
LX
Dagli altri nodi avendol sciolto prima,
ch'era tomato uman piu che donzella,
di trarlo seco e di mostrarlo stima
per ville, per cittadi e per castella.
Vuol la rete anco aver, di che ne lima
ne martel fece mai cosa piu bella:
ne fa somier colui ch'alla catena
con pompa trionfal dietro si mena.
LXI
L'elmo e lo scudo anche a portar gli diede,
come a valletto, e seguit6 il camino,
di gaudio empiendo, ovunque metta il piede,
ch'ir possa ormai sicuro il peregrino.
Astolfo se ne va tanto, che vede
ch'ai sepolcri di Memfi e gia vicino,
Memfi per le piramidi famoso:
vede alFincontro il Cairo populoso,
LXII
Tutto il popul correndo si traea
per vedere il gigante smisurato.
— Come e possibil — Tun Taltro dicea
— che quel piccolo il grande abbia legato ? —
Astolfo a pena inanzi andar potea,
tanto la calca il preme da ogni lato;
e come cavallier d'alto valore
ognun rammira, e gli fa grande onore.
LXIII
Non era grande il Cairo cosi allora,
come se ne ragiona a nostra etade:
che '1 populo capir, che vi dimora,
non puon diciottomila gran contrade;
e che le case hanno tre palchi, e ancora
ne dormono infiniti in su le strade;
e che 1 soldano v'abita un castello
mirabil di grandezza, e ricco e bello;
CANTO QUINTODECIMO 341
LXIV
e che quindicimila suoi vasalli,
che son cristiani rinegati tutti,
con mogli, con famiglie e con cavalli
ha sotto un tetto sol quivi ridutti.
Astolfo veder vuole ove s'avalli,
e quanto il Nilo entri nei salsi flutti
a Damiata; ch'avea quivi inteso,
qualunque passa restar morto o preso.
LXV
Pero ch'in ripa al Nilo in su la foce
si ripara un ladron dentro una torre,
ch'a paesani e a peregrini nuoce,
e fin al Cairo, ognun rubando, scorre.
Non gli pu6 alcun resistere; et ha voce
che Tuom gli cerca invan la vita t6rre:
centomila ferite egli ha gia avuto,
ne ucciderlo pero mai s'e potuto.
LXVI
Per veder se puo far rompere il filo
alia Parca di lui, si che non viva,
Astolfo viene a ritrovare Orrilo
(cosi avea nome), e a Damiata arriva;
et indi passa ove entra in mare il Nilo,
e vede la gran torre in su la riva,
dove s'alberga Tanima incantata
che d'un folletto nacque e d'una fata.
LXVII
Quivi ritruova che crudel battaglia
era tra Orrilo e dui guerrieri accesa.
Orrilo e solo; e si quej dui travaglia,
ch'a gran fatica gli puon far difesa:
e quanto in arme Tuno e Taltro vaglia,
a tutto il mondo la fama palesa.
Questi erano i dui figli d'Oliviero,
Grifone il bianco et Aquilante il nero.
342 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Gli e ver che '1 negromante venuto era
alia battaglia con vantaggio grande;
che seco tratto in campo avea una fera,
la qual si truova solo in quelle bande:
vive sul lito e dentro alia rivera;
e i corpi umani son le sue vivande,
de le persone misere et incaute
de viandanti e d'infelici naute.
LXIX
La bestia ne T arena appresso al porto
per man dei duo fratei morta giacea;
e per questo ad Orril non si fa torto,
s'a un tempo Puno e 1'altro gli nocea.
Piu volte Than smembrato e non mai morto,
ne, per smembrarlo, uccider si potea;
che se tagliato o mano o gamba gli era,
la rapiccava, che parea di cera.
LXX
Or fin a' denti il capo gli divide
Grifone, or Aquilante fin al petto.
Egli dei colpi lor sempre si ride:
s'adiran essi, che non hanno effetto.
Chi mai d'alto cader 1'argento vide,
che gli alchimisti hanno mercurio detto,
e spargere e raccor tutti i suo' membri,
sentendo di costui, se ne rimembri.
LXXI
Se gli spiccano il capo, Orrilo scende,
ne cessa brancolar fin che lo truovi;
et or pel crine et or pel naso il prende,
lo salda al collo, e non so con che chiovi.
Piglial talor Grifone, e '1 braccio stende,
nel fiume il getta, e non par ch'anco giovi ;
che nuota Orriio al fondo come un pesce,
e col suo capo salvo alia ripa esce.
CANTO QUINTODECIMO 343
LXXII
Due belle donne onestamente ornate,
Tuna vestita a bianco e Taltra a nero,
che de la pugna causa erano state,
stavano a riguardar 1'assalto fiero.
Queste eran quelle due benigne fate
ch'avean notriti i figli d'Oliviero,
poi che li trasson teneri citelli
dai curvl artigli di duo grandi augelli,
LXXIII
che rapiti gli avevano a Gismonda,
e portati lontan dal suo paese.
Ma non bisogna in cio ch'io mi diffonda;
ch'a tutto il mondo e 1'istoria palese,
ben che Tautor nel padre si confonda,
ch'im per un altro (io non so come) prese.
Or la battaglia i duo gioveni fanno,
che le due donne ambi pregati n'hanno.
LXXIV
Era in quel clima gia sparito il giorno,
alFisole ancor alto di Fortuna:
Tombre avean tolto ogni vedere a torno
sotto 1'incerta e mal compresa luna;
quando alia rocca Orril fece ritorno,
poi ch'alla bianca e alia sorella bruna
piacque di differir 1'aspra battaglia
fin che '1 sol nuovo all'orizzonte saglia.
LXXV
Astolfo, che Grifone et Aquilante,
et all'insegne e piu al ferir gagliardo,
riconosciuto avea gran pezzo inante,
lor non fu altiero a salutar ne tar do.
Essi vedendo che quel che Jl gigante
traea legato, era il baron dal pardo
(che cosi in corte era quel duca detto),
raccolser lui con non minore arTetto.
344 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Le donne a riposare i cavallieri
menaro a un lor palagio indi vicino.
Donzelle incontra vennero e scudieri
con torchi accesi, a mezzo del camino:
diero a chi n'ebbe cura, i lor destrieri,
trassonsi Tarme; e dentro-un bel giardino
trovar ch'apparechiata era la cena
ad una fonte limpida et amena.
LXXVII
Fan legare il gigante alia verdura
con un'altra catena molto grossa
ad una quercia di molt'anni dura,
che non si rompera per una scossa;
e da dieci sergenti averne cura,
che la notte discior non se ne possa,
et assalirli, e forse far lor danno,
mentre sicuri e senza guardia stanno.
LXXVIII
AlTabondante e sontuosa mensa,
dove il manco piacer fur le vivande,
del ragionar gran parte si dispensa
sopra d'Orrilo e del miracol grande,
che quasi par un sogno a chi vi pensa,
ch'or capo or braccio a terra se gli mande,
et egli lo raccolga e lo raggiugna,
e piu feroce ognor torni alia pugna.
LXXIX
Astolfo nel suo libro avea gia letto
(quel ch'agPincanti riparare insegna)
ch'ad Orril non trarra Talma del petto
fin ch'un crine fatal nel capo tegna;
ma se lo svelle o tronca, fia constretto
che suo mal grado fuor Talma ne vegna.
Questo ne dice il libro; ma non come
conosca il crine in cosi folte chiome.
CANTO QUINTODECIMO 345
LXXX
Non men de la vittoria si godea,
che se n'avesse Astolfo gia la palma;
come chi speme in pochi colpi avea
svellere il crine al negromante e Talma.
Per6 di quella impresa promettea
tor sugli omeri suoi tutta la salma:
Orril fara morir, quando non spiaccia
ai duo fratei ch'egli la pugna faccia.
LXXXI
Ma quei gli danno volentier 1'impresa,
certi che debbia affaticarsi invano.
Era gia Faltra aurora in cielo ascesa,
quando calo dai muri Orrilo al piano.
Tra il duca e lui fu la battaglia accesa:
la mazza 1'un, Paltro ha la spada in mano.
Di mille attende Astolfo un colpo trarne,
che lo spirto gli sciolga da la came.
LXXXII
Or cader gli fa il pugno con la mazza,
or 1'uno or Taltro braccio con la mano;
quando taglia a traverso la corazza,
e quando il va troncando a brano a brano :
ma ricogliendo sempre de la piazza
va le sue membra Orrilo, e si fa sano.
S'in cento pezzi ben Tavesse fatto,
redintegrarsi il vedea Astolfo a un tratto.
LXXXIII
Al fin di mille colpi un gli ne colse
sopra le spalle ai termini del mento :
la testa e 1'elmo dal capo gli tolse,
ne fu d* Orrilo a dismontar piu lento.
La sanguinosa chioma in man s'avolse,
e risalse a cavallo in un momento;
e la porto correndo incontra 51 Nilo,
che riaver non la potesse Orrilo.
346 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
Quel sciocco, che del fatto non s'accorse,
per la polve cercando iva la testa:
ma come intese il corridor via torse,
portare il capo suo per la foresta;
immantinente al suo destrier ricorse,
sopra vi sale, e di seguir non resta.
Volea gridare: — Aspetta, volta, volta! —
ma gli avea il duca gia la bocca tolta.
LXXXV
Pur che non gli ha tolto anco le calcagna
si riconforta, e segue a tutta briglia.
Dietro il lascia gran spazio di campagna
quel Rabican che corre a maravigKa.
Astolfo intanto per la cuticagna
va da la nuca fin sopra le ciglia
cercando in fretta, se '1 crine fatale
conoscer puo, ch'Orril tiene immortale.
LXXXVI
Fra tanti e innumerabili capelli,
un piu de Taltro non si tende o torce:
qual dunque Astolfo scegliera di quelli,
che per dar morte al rio ladron raccorce?
— Meglio e— disse— che tutti io tagli o svelli -
ne si trovando aver rasoi ne force,
ricorse immantinente alia sua spada,
che taglia si, che si puo dir che rada.
LXXXVII
E tenendo quel capo per lo naso,
dietro e dinanzi lo dischioma tutto.
Trov6 fra gli altri quel fatale a caso :
si fece il viso allor pallido e brutto,
travolse gli occhi, e dimostro all'occaso
per manifesti segni esser condutto;
e 31 busto che seguia troncato al collo,
di sella cadde, e die Pultimo crollo.
CANTO QUINTODECIMO 347
LXXXVIII
Astolfo, ove le donne e i cavallieri
lasciato avea, torno col capo in mano,
che tutti avea di morte i segni veri,
e mostro il tronco ove giacea lontano.
Non so ben se lo vider volentieri,
ancor che gli mostrasser viso umano;
che la intercetta lor vittoria forse
d'invidia ai duo germani il petto morse.
LXXXIX
Ne che tal fin quella battaglia avesse,
credo piu fosse alle due donne grato.
Queste, perche piu in lungo si traesse
de' duo fratelli il doloroso fato
ch'in Francia par ch'in breve esser dovesse,
con loro Orrilo avean quivi azzuffato,
con speme di tenerli tanto a bada,
che la trista influenzia se ne vada.
xc
Tosto che '1 castellan di Damiata
certificossi ch'era morto Orrilo,
la columba lascio, ch'avea legata
'sotto 1'ala la lettera col filo.
•Quella and6 al Cairo; et indi fu lasciata
un'altra altrove, come quivi e stilo:
si che in pochissime ore ando 1' aviso
per tutto Egitto ch'era Orrilo ucciso.
xci
II duca, come al fin trasse Timpresa,
conforto molto i nobili garzoni,
ben che da se v'avean la voglia intesa,
n6 bisognavan stimuli ne sproni,
che per difender de la santa Chiesa
e del romano Imperio le ragioni,
lasciasser le battaglie d'Oriente,
e cercassino onor ne la lor gente.
348 ORLANDO FURIOSO
XCII
Cosi Grifone et Aquilante tolse
ciascuno da la sua donna licenzia;
le quali, ancor che lor ne 'ncrebbe e dolse,
non vi seppon per6 far resistenzia.
Con essi Astolfo a man destra si volse ;
che si deliberar far riverenzia
ai santi luoghi ove Dio in carne visse,
prima che verso Francia si venisse.
XCIII
Potuto avrian pigliar la via mancina,
ch'era piu dilettevole e piu piana,
e mai non si scostar da la marina;
ma per la destra andaro orrida e strana,
perch6 Falta citta di Palestina
per questa sei giornate e men lontana.
Acqua si truova et erba in questa via:
di tutti gli altri ben v'e carestia.
xciv
Si che prima ch'entrassero in viaggio,
ci6 che lor bisogno, fecion raccorre,
e carcar sul gigante il carriaggio,
ch'avria portato in collo anco una torre.
Al finir del camino aspro e selvaggio,
da Palto monte alia lor vista occorre
la santa terra, ove il superno Amore
Iav6 col proprio sangue il nostro errore.
xcv
Trovano in su Pentrar de la cittade
un giovene gentil, lor conoscente,
Sansonetto da Meca, oltre 1'etade,
ch'era nel primo fior, molto prudente;
d'alta cavalleria, d'alta bontade
famoso, e riverito fra la gente.
Orlando lo converse a nostra fede,
e di sua man battesmo anco gli diede.
CANTO QUINTODECIMO 349
XCVI
Quivi lo trovan che disegna a fronte
del calife d'Egitto una fortezza;
e circondar vuole il Calvario monte
di muro di duo miglia di lunghezza.
Da lui raccolti fur con quella fronte
che pu6 d'interno amor dar piu chiarezza,
e dentro accompagnati, e con grande agio
fatti alloggiar nel suo real palagio.
xcvn
Avea in governo egli la terra, e in vece
di Carlo vi reggea 1'irnperio giusto.
II duca Astolfo a costui dono fece
di quel si grande e smisurato busto,
ch'a portar pesi gli varra per diece
bestie da soma, tanto era robusto.
Diegli Astolfo il gigante, e diegli appresso
la rete ch'in sua forza Favea messo.
xcvm
Sansonetto all'mcontro al duca diede
per la spada una cinta ricca e bella;
e diede spron per Tuno e Faltro piede,
che d'oro avean la fibbia e la girella;
ch'esser del cavallier stati si crede,
che Iiber6 dal drago la donzella:
al ZafTo avuti con molt'altro arnese
Sansonetto gli avea, quando lo prese.
xcix
Purgati de lor colpe a un monasterio
che dava di se odor di buoni esempii,
de la passion di Cristo ogni misterio
contemplando n' an dar per tutti i tempii
ch'or con eterno obbrobrio e vituperio
agli cristiani usurpano i Mori empii.
L'Europa e in arme, e di far guerra agogna
in ogni parte, fuor ch'ove bisogna.
350 ORLANDO FURIOSO
C
Mentre avean quivi Tanimo divoto,
a perdonanze e a cerimonie intend,
un peregrin di Grecia, a Grifon noto,
novelle gli areco gravi e pungenti,
dal suo primo disegno e lungo voto
troppo diverse e troppo difTerenti;
e quelle il petto gl'mfiammaron tanto,
che gli scacciar 1'orazion da canto.
Cl
Amava il cavallier, per sua sciagura,
una donna ch'avea nome Orrigille:
di piu bel volto e di miglior statura
non se ne sceglierebbe una fra mille;
ma disleale e di si rea natura,
che potresti cercar cittadi e ville,
la terra ferma e 1'isole del mare,
ne credo ch'una le trovassi pare.
en
Ne la citta di Constantin lasciata
grave Pavea di febbre acuta e fiera.
Or quando rivederla alia tornata
piu che mai bella, e di goderla spera,
ode il meschin, ch'in Antiochia andata
dietro un suo nuovo amante ella se n'era,
non le parendo ormai di piu patire
ch'abbia in si fresca eta sola a dormire.
cm
Da indi in qua ch'ebbe la trista nuova,
sospirava Grifon notte e di sempre.
Ogni piacer ch'agli altri aggrada e giova,
par ch'a costui piu Tanimo distempre:
pensilo ognun, ne li cui danni pruova
Amor, se li suoi strali han buone tempre.
Et era grave sopra ogni martire,
che '1 mal ch'avea si vergognava a dire.
CANTO QUINTODECIMO 351
CIV
Questo, perche mille fiate inante
gia ripreso 1'avea di quello amore,
di lui piii saggio, il fratello Aquilante,
e cercato colei trargli del core:
colei ch'al suo giudicio era di quante
femine rie si trovin la peggiore.
Grifon 1'escusa, se '1 fratel la danna;
e le piu volte il parer proprio inganna.
cv
Pero fece pensier, senza parlarne
con Aquilante, girsene soletto
sin dentro d'Antiochia, e quindi trarne
colei che tratto il cor gli avea del petto ;
trovar colui che gli Tha tolta, e fame
vendetta tal, che ne sia sempre detto.
Dir6 come ad effetto il pensier messe
nelPaltro canto, e ci6 che ne successe.
352 ORLANDO FURIOSO
CANTO SESTODECIMO
I
Gravi pene in amor si provan molte,
di che patito io n'ho la maggior parte,
e quelle in danno mio si ben raccolte,
ch'io ne posso parlar come per arte.
Pero s'io dico e s'ho detto altre volte,
e quando in voce e quando in vive carte,
ch'un mal sia lieve, un altro acerbo e fiero,
date credenza al mio giudicio vero.
II
Io dico e dissi, e dir6 fin ch'io viva,
che chi si truova in degno laccio preso,
se ben di se vede sua donna schiva,
se in tutto aversa al suo desire acceso;
se bene Amor d'ogni mercede il priva,
poscia che 1 tempo e la fatica ha speso;
pur ch'altamente abbia locato il core,
pianger non de', se ben languisce e muore.
in
Pianger de' quel che gia sia fatto servo
di duo vaghi occhi e d'una bella treccia,
sotto cui si nasconda un cor protervo,
che poco puro abbia con molta feccia.
Vorria il miser fuggire; e come cervo
ferito, ovunque va, porta la freccia:
ha di se stesso e del suo amor vergogna,
ne 1'osa dire, e in van sanarsi agogna.
CANTO SESTODECIMO 353
IV
In questo caso e il giovene Grifone,
che non si pu6 emendare, e il suo error vede,
vede quanto vilmente il suo cor pone
in Orrigille iniqua e senza fede;
pur dal mal uso e vinta la ragione,
e pur Tarbitrio alFappetito cede:
perfida sia quantunque, ingrata e ria,
sforzato e di cercar dove ella sia.
v
Dico, la bella istoria ripigliando,
ch'usci de la citta secretamente,
ne parlarne s'ardi col fratel, quando
ripreso invan da lui ne fu sovente.
Verso Rama, a sinistra declinando,
prese la via piu piana e piu corrente.
Fu in sei giorni a Darnasco di Soria;
indi verso Antiochia se ne gia.
VI
Scontr6 presso a Darnasco il cavalliero
a cui donate avea Orrigille il core:
e convenian di rei costumi in vero,
come ben si convien Terba col fiore;
che Puno e Paltro era di cor leggiero,
perfido Puno e Paltro e traditore;
e cop ria Funo e Faltro il suo difetto,
con danno altrui, sotto cortese aspetto.
VII
Come io vi dico, il cavallier venia
s'un gran destrier con molta pompa armato:
la perfida Orrigille in compagnia,
in un vestire azzur d'oro fregiato,
e duo valletti, donde si servia
a portar elmo e scudo, aveva allato;
come quel che volea con bella mostra
comparire in Darnasco ad una giostra.
354 ORLANDO FURIOSO
VIII
Una splendida festa che bandire
fece il re di Damasco in quelli giorni,
era cagion di far quivi venire
i cavallier quanto potean piu adorni.
Tosto che la puttana comparire
vede Grifon, ne teme oltraggi e scorni:
sa che 1'amante suo non e si forte,
che contra lui Pabbia a campar da morte.
IX
Ma si come audacissima e scaltrita,
ancor che tutta di paura trema,
s'acconcia il viso, e si la voce aita,
che non appar in lei segno di tema.
Col drudo avendo gia 1'astuzia ordita,
corre, e fingendo una letizia estrema,
verso Grifon Taperte braccia tende,
10 stringe al collo, e gran pezzo ne pende.
x
Doppo, accordando affettuosi gesti
alia suavita de le parole,
dicea piangendo : — Signor mio, son questi
debiti premii a chi fadora e cole ?
che sola senza te gia un anno resti,
e va per 1'altro, e ancor non te ne duole ?
E s'io stava aspettare il tuo ritorno,
non so se mai veduto avrei quel giorno!
XI
Quando aspettava che di Nicosia,
dove tu te n'andasti alia gran corte,
tornassi a me che con la febbre ria
lasciata avevi in dubbio de la morte,
intesi che passato eri in Soria:
11 che a patir mi fu si duro e forte,
che non sapendo come io ti seguissi,
quasi il cor di man propria mi traffissi.
CANTO SESTODECIMO 355
XII
Ma Fortuna di me con doppio dono
mostra d'aver, quel che non hai tu, cura:
mandommi il fratel mio, col quale io sono
sin qui venuta del mio oner sicura;
et or mi manda questo incontro buono
di te, ch'io stimo sopra ogni aventura:
e bene a tempo il fa; che piu tardando,
morta sarei, te, signor mio, bramando. —
XIII
E seguit6 la donna fraudolente,
di cui Top ere fur piu che di volpe,
la sua querela cosi astutamente,
che riverso in Grifon tutte le colpe.
Gli fa stimar colui, non che parente,
ma che d'un padre seco abbia ossa e polpe:
e con tal modo sa tesser gPinganni,
che men verace par Luca e Giovanni.
XIV
Non pur di sua perfidia non riprende
Grifon la donna iniqua piu che bella;
non pur vendetta di colui non prende,
che fatto s'era adultero di quella:
ma gli par far assai, se si difende
che tutto il biasmo in lui non riversi ella;
e come fosse suo cognato vero,
d'accarezzar non cessa il cavalliero.
xv
E con lui se ne vien verso le porte
di Damasco, e da lui sente tra via,
che la dentro dovea splendida cotte
tenere il ricco re de la Soria;
e ch'ognun quivi, di qualunque sorte,
o sia cristiano, o d'altra legge sia,
dentro e di fuori ha la citta sicura
per tutto il tempo che la festa dura.
356 ORLANDO FURIOSO
XVI
Non pero son di.seguitar si intento
Tistoria de la perfida Orrigille,
ch'a' giorni suoi non pur un tradimento
fatto agli amanti avea, ma mille e mille;
ch'io non ritorni a riveder dugento
mila persone, o piu de le scintille
del fuoco stuzzicato, ove alle mura
di Parigl facean danno e paura.
XVII
10 vi lasciai, come assaltato avea
Agramante una porta de la terra,
che trovar senza guardia si credea:
ne piu riparo altrove il passo serra;
perche in persona Carlo la tenea,
et avea seco i mastri de la guerra,
duo Guidi, duo Angelmi, uno Angeliero,
Avino, Avolio, Otone e Berlingiero.
XVIII
Inanzi a Carlo, inanzi al re Agramante
Tun stuolo e Paltro si vuol far vedere,
ove gran loda, ove merce abondante
si puo acquistar, facendo il suo dovere.
I Mori non per6 fer pruove tante,
che par ristoro al danno abbiano avere;
perch6 ve ne restar morti parecchi,
ch'agli altri fur di folle audacia specchi.
XIX
Grandine sembran le spesse sa$tte
dal muro sopra gli nimici sparte.
11 grido insin al ciel paura mette,
che fa la nostra e la contraria parte.
Ma Carlo un poco et Agramante aspette;
ch'io vo' cantar de Tafricano Marte,
Rodomonte terribile et orrendo,
che va per mezzo la citta correndo.
CANTO SESTODECIMO 357
XX
Non so, Signor, se phi vi ricordiate
di questo Saracin tanto sicuro,
che morte le sue genti avea lasciate
tra il secondo riparo e '1 primo muro,
da la rapace fiamma devorate,
che non fu mai spettacolo piu oscuro.
Dissi ch'entro d'un salto ne la terra
sopra la fossa che la cinge e serra.
XXI
Quando fu noto il Saracino atroce
alParme istrane, alia scagliosa pelle,
la dove i vecchi e '1 popul men feroce
tendean Forecchie a tutte le novelle,
levossi un pianto, un grido, un'alta voce,
con un batter di man ch'and6 alle stelle;
e chi pote fuggir non vi rimase,
per serrarsi ne5 templi e ne le case,
XXII
Ma questo a pochi il brando rio conciede,
ch'intorno ruota il Saracin robusto.
Qui fa restar con mezza gamba un piede,
la fa un capo sbalzar lungi dal busto:
Tun tagliare a traverse se gli vede,
dal capo alFanche un altro fender giusto ;
e di tanti ch'uccide, fere e caccia,
non se gli vede alcun segnare in faccia.
XXIII
Quel che la tigre de Parmento imbelle
ne' campi ircani o la vicino al Gange,
o '1 lupo de le capre e de Pagnelle
nel monte che Tifeo sotto si f range;
quivi il crudel pagan facea di quelle
non diro squadre, non dir6 falange,
ma vulgo e populazzo voglio dire,
degno, prima che nasca, di morire.
358 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Non ne trova un che veder possa in fronte,
fra tanti che ne taglia, fora e svena.
Per quella strada che vien dritto al ponte
di san Michel, si popolata e piena,
corre il fiero e terribil Rodomonte,
e la sanguigna spada a cerco mena:
non riguarda ne al servo n6 al signore,
ne al giusto ha piu pieta ch'al peccatore.
xxv
Religion non giova al sacerdote,
n6 la innocenzia al pargoletto giova:
per sereni occhi o per vermiglie gote
merce n6 donna n6 donzella truova:
la vecchiezza si caccia e si percuote;
ne quivi il Saracin fa maggior pruova
di gran valor, che di gran crudeltade;
che non discerne sesso, ordine, etade.
XXVI
Non pur nel sangue uman 1'ira si stende
de Tempio re, capo e signer degli empi,
ma contra i tetti ancor, si che n'incende
le belle case e i profanati tempi.
Le case eran, per quel che se n'intende,
quasi tutte di legno in quelli tempi:
e ben creder si pu6; ch'in Parigi ora
de le diece le sei son cosi ancora.
XXVII
Non par, quantunque il fuoco ogni cosa arda,
che si grande odio ancor saziar si possa.
Dove s'aggrappi con le mani, guarda,
si che mini un tetto ad ogni scossa.
Signer, avete a creder che bombarda
mai non vedeste a Padova si grossa,
che tanto muro possa far cadere,
quanto fa in una scossa il re d'Algiere.
CANTO SESTODECIMO 359
XXVIII
Mentre quivi col ferro il maledetto
e con le fiamme facea tanta guerra,
se di fuor Agramante avesse astretto,
perduta era quel di tutta la terra:
ma non v'ebbe agio; che gli fu interdetto
dal paladin che venia d'Inghilterra
col populo alle spalle inglese e scotto,
dal Silenzio e da 1'angelo condotto.
XXIX
Dio volse che alFentrar che Rodomonte
fe' ne la terra, e tanto fuoco accese,
che presso ai muri il fior di Chiaramonte,
Rinaldo, giunse, e seco il campo inglese.
Tre leghe sopra avea gittato il ponte,
e torte vie da man sinistra prese;
che disegnando i barbari assalire,
il fmme non 1' avesse ad impedire.
xxx
Mandate avea seimila fanti arcieri
sotto Paltiera insegna d'Odoardo,
e duomila cavalli, e piu, leggieri
dietro alia guida d'Ariman gagliardo;
e mandati gli avea per li sentieri
che vanno e vengon dritto al mar picardo,
ch'a porta San Martino e San Dionigi
entrassero a soccorso di Parigi.
XXXI
I cariaggi e gli altri impedimenti
con lor fece drizzar per questa strada.
Egli con tutto il resto de le genti
piu sopra ando girando la contrada.
Seco avean navi e ponti et argument!
da passar Senna che non ben si guada.
Passato ognuno, e dietro i ponti rotti,
ne le lor schiere ordino Inglesi e Scotti.
360 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Ma prima quei baroni e capitani
Rinaldo intorno avendosi ridutti,
sopra la riva ch'alta era dai piani
si, che poteano udirlo e veder tutti,
disse : — Signer, ben a levar le mani
avete a Dio, che qui v'abbia condutti,
acci6, dopo un brevissimo sudore,
sopra ogni nazion vi doni onore.
XXXIII
Per voi saran dui principi salvati,
se levate Passedio a quelle porte:
il vostro re, che voi sete ubligati
da servitu difendere e da morte;
et uno imperator dej piu lodati
che mai tenuto al mondo abbiano corte;
e con loro altri re, duci e marchesi,
signori e cavallier di piu paesi.
xxxiv
Si che salvando una citta, non sol i
Parigini ubligati vi saranno,
che molto piu che per li proprii duoli,
timidi, afflitti e sbigottiti stanno
per le lor mogli e per li lor figliuoli
ch'a un medesmo pericolo seco hanno,
e per le sante vergini richiuse,
ch'oggi non sien dei voti lor deluse :
xxxv
dico, salvando voi questa cittade,
v'ubligate non solo i Parigini,
ma d'ogn'intorno tutte le contrade.
Non parlo sol dei populi vicini;
ma non e terra per Cristianitade,
che non abbia qua dentro cittadini:
si che, vincendo, avete da tenere
che piu che Francia v'abbia obligo avere.
CANTO SESTODECIMO 361
XXXVI
Se donavan gli antiqui una corona
a chi salvasse a un cittadin la vita,
or che degna mercede a voi si dona,
salvando multitudine infinita?
Ma se da invidia, o da vilta, si buona
e si santa opra rimarra impedita,
credetemi che, prese quelle mura,
ne Italia ne Lamagna anco e sicura;
xxxvn
ne qualunque altra parte ove s'adori
quel che volse per noi pender sul legno.
Ne voi crediate aver lontani i Mori,
ne che pel mar sia forte il vostro regno:
che s'altre volte quelli, uscendo fuori
di Zibeltaro e de FErculeo segno,
riportar prede da Pisole vostre,
che faranno or, s'avran le terre nostre?
XXXVIII
Ma quando ancor nessuno onor, nessuno
util v'inanimasse a questa impresa,
commun debito e ben soccorrer Puno
1'altro, che militian sotto una Chiesa.
Ch'io non vi dia rotti i nemici, alcuno
non sia chi tema, e con poca contesa;
che gente male esperta tutta parmi,
senza possanza, senza cor, senz'armi. —
xxxix
Pote con queste e con miglior ragioni,
con parlare espedito e chiara voce
eccitar quei magnanimi baroni
Rinaldo, e quello esercito feroce:
e fu, com'e in proverbio, aggiunger sproni
al buon corsier che gia ne va veloce.
Finite il ragionar, fece le schiere
muover pian pian sotto le lor bandiere.
362 ORLANDO FURIOSO
XL
Senza strepito alcun, senza rumore
fa il tripartite esercito venire:
lungo il fiume a Zerbin dona Fonore
di dover prima i barbari assalire;
e fa quelli d'Irlanda con maggiore
volger di via piu tra campagna gire;
e i cavallieri e i fanti d'Inghilterra
col duca di Lincastro in mezzo serra.
XLI
Drizzati die gli ha tutti al lor camino,
cavalca il paladin lungo la riva,
e passa inanzi al buon duca Zerbino
e a tutto il campo che con lui veniva;
tanto ch'al re d'Orano e al re Sobrino
e agli altri lor compagni soprarriva,
che mezzo miglio appresso a quei di Spagna
guardavan da quel canto la campagna.
XLII
L' esercito cristian che con si fida
e si sicura scorta era venuto,
ch'ebbe il Silenzio e 1'angelo per guida,
non pote ormai patir piu di star muto.
Sentiti gli nimici, alz6 le grida,
e de le trombe udir fe' il suono arguto;
e con 1'alto rumor ch'arrivb al cielo,
mand6 ne Fossa a' Saracini il gelo.
XLIII
Rinaldo inanzi agli altri il destrier punge;
e con la lancia per cacciarla in resta
lascia gli Scotti un tratto d'arco lunge,
ch'ogni indugio a ferir si lo molesta.
Come groppo di vento talor giunge,
che si tra' dietro un'orrida tempesta,
tal fuor di squadra il cavallier gagliardo
venia spronando il corridor Baiardo.
CANTO SESTODECIMO 363
XLIV
Al comparir del paladin di Francia,
dan segno i Mori alle future angosce:
tremare a tutti in man vedi la lancia,
i piedi in staifa, e ne Parcion le cosce.
Re Puliano sol non muta guancia,
che questo esser Rinaldo non conosce;
ne pensando trovar si duro intoppo,
gli muove il destrier contra di galoppo:
XLV
e su la lancia nel partir si stringe,
e tutta in se raccoglie la persona;
poi con ambo gli sproni il destrier spinge,
e le redine inanzi gli abandona.
Da Taltra parte il suo valor non finge,
e mostra in fatti quel ch'in nome suona,
quanto abbia nel giostrare e grazia et arte
il figliuolo d'Amone, anzi di Marte.
XL VI
Furo, al segnar degli aspri colpi, pari,
che si posero i ferri ambi alia testa:
ma furo in arme et hi virtu dispari,
che Tun via passa, e 1'altro morto resta.
Bisognan di valor segni piu chiari,
che por con leggiadria la lancia in resta:
ma fortuna anco piu bisogna assai;
che senza, val virtu raro o non mai.
XL VII
La buona lancia il paladin racquista,
e verso il re d'Oran ratto si spicca,
che la persona avea povera e trista
di cor, ma d'ossa e di gran polpe ricca.
Questo por tra bei colpi si pu6 in lista,
ben ch'in fondo allo scudo gli 1'appicca:
e chi non vuol lodarlo, abbialo escuso,
perche non si potea giunger piu in suso.
364 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Non lo ritien lo scudo, che non entre,
ben che fuor sia d'acciar, dentro di palma;
e che da quel gran corpo uscir pel ventre
non faccia 1'inequale e piccola alma.
II destrier che portar si credea, mentre
durasse il lungo di, si grave salma,
riferi in mente sua grazie a Rinaldo,
ch'a quello incontro gli schivo un gran caldo.
XLIX
Rotta Fasta, Rinaldo il destrier volta
tanto leggier, che fa sembrar ch'abbia ale;
e dove la piu stretta e maggior folta
stiparsi vede, impetuoso assale.
Mena Fusberta sanguinosa in volta,
che fa 1'arme parer di vetro frale:
tempra di ferro il suo tagliar non schiva,
che non vada a trovar la carne viva.
L
Ritrovar poche tempre e pochi ferri
pub la tagliente spada, ove s'incappi;
ma targhe, altre di cuoio, altre di cerri,
giupe trapunte e attorcigliati drappi.
Giusto e ben dunque che Rinaldo atterri
qualunque assale, e fori e squarci e afTrappi;
che non piu si difende da sua spada,
ch'erba da falce, o da tempesta biada.
LI
La prima schiera era gia messa in rotta,
quando Zerbin con 1'antiguardia arriva.
II cavallier inanzi alia gran frotta
con la lancia arrestata ne veniva.
La gente sotto il suo pennon condotta,
con non minor fierezza lo seguiva:
tanti lupi parean, tanti leoni
ch'andassero assalir capre o montoni.
CANTO SESTODECIMO 365
LII
Spinse a un tempo ciascuno il suo cavallo,
poi che fur presso; e spari immantinente
quel breve spazio, quel poco intervallo
che si vedea fra Tuna e 1'altra gente.
Non fu sentito mai piu strano ballo;
che ferian gli Scozzesi solamente:
solamente i pagani eran distrutti,
come sol per morir fosser conduttL
LIII
Parve piu freddo ogni pagan che ghiaccio;
parve ogni Scotto piu che fiamma caldo.
I Mori si credean ch'avere il braccio
dovesse ogni cristian, ch'ebbe Rinaldo.
Mosse Sobrino i suoi schierati avaccio,
senza aspettar che lo 'nvitasse araldo:
de Paltra squadra questa era migliore
di capitano, d'arme e di valore.
LIV
D' Africa v'era la men trista gente;
ben che ne questa ancor gran prezzo vaglia.
Dardinel la sua mosse incontinente,
e male armata, e peggio usa in battaglia;
ben ch'egli in capo avea Telmo lucente,
e tutto era coperto a piastra e a maglia.
lo credo che la quarta miglior sia,
con la qual Isolier dietro venia.
LV
Trasone intanto, il buon duca di Marra,
che ritrovarsi all'alta impresa gode,
ai cavallieri suoi leva la sbarra,
e seco invita alle famose lode,
poi ch' Isolier con quelli di Navarra
entrar ne la battaglia vede et ode.
Poi mosse Ariodante la sua schiera,
che nuovo duca dj Albania fatt'era.
366 ORLANDO FURIOSO
LVI
L/alto rumor de le sonore trombe,
de' timpani e de' barbari stromenti,
giunti al continue suon d'archi, di frombe,
di macliine, di ruote e di tormenti;
e quel di che piu par che '1 ciel ribombe,
gridi, tumulti, gemiti e lamenti:
rendeno un alto suon, ch'a quel s'accorda
con che i vicin cadendo il Nilo assorda.
LVII
Grande ombra d'ogn'intorno il cielo involve,
nata dal saettar de li duo campi:
1'alito, il fumo del sudor, la polve
par che ne 1'aria oscura nebbia stampi.
Or qua Tun campo, or 1'altro la si volve:
vedresti or come un segua, or come scampi ;
et ivi alcuno, o non troppo diviso,
rimaner morto ove ha il nimico ucciso.
LVIII
Dove una squadra per stanchezza e mossa,
un'altra si fa tosto andare inanti.
Di qua di la la gente d'arme ingrossa:
la cavallieri, e qua si metton fanti.
La terra che sostien 1'assalto, e rossa:
mutato ha il verde ne' sanguigni manti;
e dov'erano i fiori azzurri e gialli,
giaceno uccisi or gli uomini e i cavalli.
LIX
Zerbin facea le piu mirabil pruove
che mai facesse di sua eta garzone:
1'esercito pagan che 'ntorno piove,
taglia et uccide e mena a destruzione.
Ariodante alle sue genti nuove
mostra di sua virtu gran paragone;
e da di se timore e meraviglia
a quelli di Navarra e di Castiglia.
CANTO SESTODECIMO 367
LX
Chelindo e Mosco, i duo figli bastardi
del morto Calabrun re d'Aragona,
et un che reputato fra' gagliardi
era, Calamidor da Barcelona,
s'avean lasciato a dietro gli stendardi;
e credendo acquistar gloria e corona
per uccider Zerbin, gli furo adosso;
e ne' fianchi il destrier gli hanno percosso.
LXI
Passato da tre lance il destrier morto
cade; ma il buon Zerbin subito e in piede;
ch'a quei ch'al suo cavallo han fatto torto,
per vendicarlo va dove gli vede:
e prima a Mosco, al giovene inaccorto,
che gli sta sopra, e di pigliar sel crede,
mena di punta, e lo passa nel fianco,
e fuor di sella il caccia freddo e bianco.
LXII
Poi che si vide tor, come di furto,
Chelindo il f rat el suo, di furor pieno
venne a Zerbino, e pens6 dargli d'urto;
ma gli prese egli il corridor pel freno:
trasselo in terra, onde non e mai surto,
e non mangi6 mai piu biada ne fieno ;
che Zerbin si gran forza a un colpo mise,
che lui col suo signor d'un taglio uccise.
LXIII
Come Calamidor quel colpo mira,
volta la briglia per levarsi in fretta;
ma Zerbin dietro un gran fendente tira,
dicendo: — Traditore, aspetta, aspetta ! —
Non va la botta ove n'ando la mira,
non che per6 lontana vi si metta;
lui non pote arrivar, ma il destrier prese
sopra la groppa, e in terra lo distese.
368 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Colui lascia il cavallo, e via carpone
va per campar, ma poco gli successe;
che venne caso che '1 duca Trasone
gli pass6 sopra, e col peso 1'oppresse.
Ariodante e Lurcanio si pone
dove Zerbino e fra le genti spesse ;
e seco hanno altri e cavallieri e conti,
che fanno ogn'opra che Zerbin rimonti.
LXV
Menava Ariodante il brando in giro,
e ben lo seppe Artalico e Margano;
ma molto piu Etearco e Casimiro
la possanza sentir di quella manor
i primi duo feriti se ne giro,
rimaser gli altri duo morti sul piano.
Lurcanio fa veder quanto sia forte;
che fere, urta, riversa e mette a motte.
LXVI
Non crediate, Signor, che fra campagna
pugna minor che presso al flume sia,
n6 ch'a dietro Pesercito rimagna,
che di Lincastro il buon duca seguia.
Le bandiere assali questo di Spagna,
e molto ben di par la cosa gia;
che fanti, cavallieri e capitani
di qua e di la sapean menar le mani.
LXVII
Dinanzi vien Oldrado e Fieramonte,
un duca di Glocestra, un d'Eborace;
con lor Ricardo, di Varvecia conte,
e di Chiarenza il duca, Enrigo audace.
Han Matalista e Follicone a fronte,
e Baricondo et ogni lor seguace.
Tiene il primo Almeria, tiene il secondo
Granata, tien Maiorca Baricondo.
CANTO SESTODECIMO 369
LXVIII
La fiera pugna un pezzo and6 di pare,
che vi si discernea poco vantaggio.
Vedeasi or Funo or 1'altro ire e tornare,
come le biade al ventolin di maggio,
o come sopra '1 lito un mobil mare
or viene or va, ne mai tiene un viaggio.
Poi che Fortuna ebbe scherzato un pezzo,
dannosa ai Mori ritorno da sezzo.
LXIX
Tutto in un tempo il duca di Glocestra
a Matalista fa votar Farcione;
ferito a un tempo ne la spalla destra
Fieramonte riversa Follicone:
e Fun pagano e 1'altro si sequestra,
e tra gl'Inglesi se ne va prigione.
E Baricondo a un tempo riman senza
vita per man del duca di Chiarenza.
LXX
Indi i pagani tanto a spaventarsi,
indi i fedeli a pigliar tanto ardire,
che quei non facean altro che ritrarsi
e partirsi da Fordine e fuggire,
e questi andar inanzi et avanzarsi
sempre terreno, e spingere e seguire:
e se non vi giungea chi lor die aiuto,
il campo da quel lato era perduto.
LXXI
Ma Ferrau, che sin qui mai non s'era
dal re Marsilio suo troppo disgiunto,
quando vide fuggir quella bandiera,
e Fesercito suo mezzo consunto,
spronc- il cavallo, e dove ardea piu fiera
la battaglia, lo spinse; e arriv6 a punto
che vide dal destrier cadere in terra
col capo fesso Olimpio da la Serra;
370 ORLANDO FURIOSO
LXXII
un giovinetto che col dolce canto,
Concorde al suon de la cornuta cetra,
d'intenerire un cor si dava vanto,
ancor che fosse piu duro che pietra.
Felice lui, se contentar di tanto
onor sapeasi, e scudo, arco e faretra
aver in odio, e scimitarra e lancia,
che lo fecer morir giovine in Francia!
LXXIII
Quando lo vide Ferrau cadere,
che solea amarlo e avere in molta estima,
si sente di lui sol via piu dolere,
che di milPaltri che periron prima:
e sopra chi Puccise in modo fere,
che gli divide 1'elmo da la cima
per la fronte, per gli occhi e per la faccia,
per mezzo il petto, e motto a terra il caccia.
LXXIV
Ne qui s'indugia; e il brando intorno ruota,
ch'ogni elmo rompe, ogni lorica smaglia;
a chi segna la fronte, a chi la gota,
ad altri il capo, ad altri il braccio taglia:
or questo or quel di sangue e d'alma v6ta;
e ferma da quel canto la battaglia,
onde la spaventata ignobil frotta
senza ordine fuggia spezzata e rotta.
LXXV
Entro ne la battaglia il re Agramante,
d'uccider gente e di far pruove vago;
e seco ha Baliverzo, Farurante,
Prusion, Soridano e Bambirago.
Poi son le genti senza nome tante,
che del lor sangue oggi faranno un lago,
che meglio conterei ciascuna foglia,
quando 1'autunno gli arbori ne spoglia.
CANTO SESTODECIMO 371
LXXVI
Agramante dal muro una gran ban da
di fanti avendo e di cavalli tolta,
col re di Feza subito li manda,
che dietro ai padiglion piglin la volta,
e vadano ad opporsi a quei d'Irlanda,
le cui squadre vedea con fretta molta,
dopo gran giri e larghi avolgimenti,
venlr per occupar gli alloggiamenti.
LXXVII
Fu 51 re di Feza ad esequir ben presto;
ch'ogni tardar troppo nociuto avria.
Raguna intanto il re Agramante il resto;
parte le squadre, e alia battaglia invia.
Egli va al fiume; che gli par ch'in questo
luogo del suo venir bisogno sia:
e da quel canto un messo era venuto
del re Sobrino a domandare aiuto.
LXXVIII
Menava in una squadra piu di mezzo
il campo dietro; e sol del gran rumore
tremar gli Scotti, e tanto fu il ribrezzo,
ch'abbandonavan Tordine e Fonore.
Zerbin, Lurcanio e Ariodante in mezzo
vi restar soli incontra a quel furore:
e Zerbin, ch'era a pie, vi peria forse,
ma '1 buon Rinaldo a tempo se n'accorse.
LXXIX
Altrove intanto il paladin s'avea
fatto inanzi fuggir cento bandiere.
Or che Torecchie la novella rea
del gran periglio di Zerbin gli fere,
ch'a piedi fra la gente cirenea
lasciato solo aveano le sue schiere,
volta il cavallo, e dove il campo scotto
vede fuggir, prende la via di botto.
372 ORLANDO FURIOSO
LXXX
Dove gli Scotti ritornar fuggendo
vede, s'appara; e grida:— Or dove andate?
perche tanta viltade in voi comprendo,
che a si vil gente il campo abbandonate ?
Ecco le spoglie, de le quali intendo
ch'esser dovean le vostre chiese ornate.
Oh che laude, oh che gloria, che '1 figliuolo
del vostro re si lasci a piedi e solo! —
LXXXI
D'un suo scudier una grossa asta afferra,
e vede Prusion poco lontano,
re d'Alvaracchie, e adosso se gli serra,
e de 1'arcion lo porta morto al piano.
Morto Agricalte e Bambirago atterra:
dopo fere aspramente Soridano;
e come gli altri 1'avria messo a morte,
se nel ferir la lancia era piii forte.
LXXXII
Stringe Fusberta, poi che 1'asta e rotta,
e tocca Serpentin, quel da la Stella.
Fatate 1'arme avea, ma quella botta
pur tramortito il manda fuor di sella.
E cosi al duca de la gente scotta
fa piazza intorno spaziosa e bella;
si che senza contesa un destrier puote
salir di quei che vanno a selle v6te.
LXXXIII
E ben si ritrov6 salito a tempo,
che forse nol facea se phi tardava;
perche Agramante e Dardinello a un tempo,
Sobrin col re Balastro v'arrivava.
Ma egli, che montato era per tempo,
di qua e di la col brando s'aggirava,
mandando or questo or quel giu ne Tinferno
a dar notizia del viver moderno.
CANTO SESTODECIMO 373
LXXXIV
II buon Rinaldo, il quale a porre in terra
i piu dannosi avea sempre riguardo,
la spada contra il re Agramante afFerra,
che troppo gli parea fiero e gagliardo
(facea egli sol piu che mille altri guerra) ;
e se gli spinse adosso con Baiardo:
10 fere a un tempo et urta di traverso,
si che lui col destrier rnanda riverso.
LXXXV
Mentre di fuor con si crudel battaglia,
odio, rabia, furor Tun Faltro offende,
Rodomonte in Parigi il popul taglia,
le belle case e i sacri templi accende.
Carlo, ch'in altra arte si travaglia,
questo non vede, e nulla ancor ne 'ntende:
Odoardo raccoglie et Arimanno
ne la citta, col lor popul britanno.
LXXXVI
Allui venne un scudier pallido in volto,
che potea a pena trar del petto il fiato.
— Ahime! signor, ahime! — replica molto,
prirna ch'abbia a dir altro mcominciato :
— Oggi il romano Imperio, oggi e sepolto;
oggi ha il suo popul Cristo abandonato:
11 demonio dal cielo e piovuto oggi,
perche in questa citta piu non s'alloggi.
LXXXVII
Satanasso (perch* altri esser non puote)
strugge e ruina la citta infelice.
Volgiti e mira le fumose mote
de la rovente fiamma predatrice;
ascolta il pianto che nel ciel percuote;
e faccian fede a quel che '1 servo dice.
Un solo e quel ch'a ferro e a fuoco strugge
la bella terra, e inanzi ognun gli fugge. —
374 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
Quale e colui che prima oda il tumulto,
e de le sacre squille il batter spesso,
che vegga il fuoco a nessun altro occulto
ch'a se, che piu gli tocca, e gli e piii presso;
tal e il re Carlo, udendo il nuovo insulto,
e conoscendol poi con Pocchio istesso ;
onde lo sforzo di sua miglior gente
al grido drizza e al gran rumor che sente.
LXXXIX
Dei paladini e dei guerrier piu degni
Carlo si chiama dietro una gran parte,
e ver la piazza fa drizzare i segni;
che *1 pagan s'era tratto in quella parte.
Ode il rumor, vede gli orribil segni
di crudelta, Pumane membra sparte.
Ora non piu: ritorni un'altra volta
chi voluntier la bella istoria ascolta.
CANTO DECIMOSETTIMO 375
CANTO DECIMOSETTIMO
I
II giusto Dio, quando i peccati nostri
hanno di remission passato il segno,
acci6 che la giustizia sua dimostri
uguale alia pieta, spesso da regno
a tiranni atrocissimi et a mostri,
e da lor forza e di mal fare ingegno.
Per questo Mario e Silla pose al mondo,
e duo Neroni e Caio faribondo,
II
Domiziano e Pultimo Antonino;
e tolse da la immonda e bassa plebe,
et esalt6 alFimperio Massimino;
e nascer prima fe* Creonte a Tebe;
e die Mezenzio al populo Agilino,
che fes di sangue uman grasse le glebe;
e diede Italia a tempi men remoti
in preda agli Unni, ai Longobardi, ai Goti.
in
Che d'Atila dir6 ? che de Piniquo
Ezellin da Roman ? che d'altri cento ?
che dopo un lungo andar sempre in obliquo,
ne manda Dio per pena e per tormento.
Di questo abbian non pur al tempo antique,
ma ancora al nostro, chiaro esperimento,
quando a noi, greggi inutili e malnati,
ha dato per guardian lupi arrabbiati :
376 ORLANDO FURIOSO
IV
a cui non par ch'abbi a bastar lor fame,
ch'abbi il lor ventre a capir tanta carne;
e chiaman lupi di piu ingorde brame
da boschi oltramontani a dlvorarne.
Di Trasimeno Tinsepulto ossame
e di Canne e di Trebia poco parne
verso quel che le ripe e i campi ingrassa,
dov'Ada e Mella e Ronco e Tarro passa.
v
Or Dio consente che noi sian puniti
da populi di noi forse peggiori,
per li multiplicati et infiniti
nostri nefandi, obbrobriosi errori.
Tempo verra ch'a depredar lor liti
andremo noi, se mai saren migliori,
e che i peccati lor giungano al segno,
che Feterna Bonta muovano a sdegno.
VI
Doveano allora aver gli eccessi loro
di Dio turbata la serena fronte,
che scorse ogni lor luogo il Turco e '1 Moro
con stupri, uccision, rapine et onte:
ma piu di tutti gli altri danni, foro
gravati dal furor di Rodomonte.
Dissi ch'ebbe di lui la nuova Carlo,
e che 'n piazza venia per ritrovarlo.
VII
Vede tra via la gente sua troncata,
arsi i palazzi, e ruinati i templi,
gran parte de la terra desolata:
mai non si vider si crudeli esempli.
— Dove fuggite, turba spaventata?
Non e tra voi chi '1 danno suo contempli ?
Che citta, che refugio piu vi resta,
quando si perda si vilmente questa ?
CANTO DECIMOSETTIMO 377
VIII
Dunque un uom solo in vostra terra preso,
cinto di mura onde non puo fuggire,
si partira che non Favrete offeso,
quando tutti v'avra fatto morire ? —
Cosi Carlo dicea, che d'ira acceso
tanta vergogna non potea patire.
E giunse dove inanti alia gran corte
vide il pagan por la sua gente a morte.
IX
Quivi gran parte era del populazzo,
sperandovi trovare aiuto, ascesa;
perche forte di mura era il palazzo,
con munizion da far lunga difesa.
Rodomonte, d'orgoglio e d*ira pazzo,
solo s'avea tutta la piazza presa:
e Tuna man, che prezza il mondo poco,
ruota la spada, e Paltra getta il fuoco.
x
E de la regal casa, alta e sublime,
percuote e risuonar fa le gran porte.
Gettan le turbe da le eccelse cime
e merli e torri, e si metton per morte.
Guastare i tetti non e alcun che stime;
e legne e pietre vanno ad una sorte,
lastre e colonne, e le dorate travi
che mro in prezzo agli lor padri e agli avi.
XI
Sta su la porta il re d'Algier, lucente
di chiaro acciar che '1 capo gli arma e '1 busto,
come uscito di tenebre serpente,
poi c'ha lasciato ogni squalor vetusto,
del nuovo scoglio altiero, e che si sente
ringiovenito e piu che mai robusto:
tre lingue vibra, et ha negli occhi foco;
dovunque passa, ogn'animal da loco.
378 ORLANDO FURIOSO
XII
Non sasso, merlo, trave, arco o balestra,
ne cio che sopra il Saracin percuote,
ponno allentar la sanguinosa destra
che la gran porta taglia, spezza e scuote:
e dentro fatto v'ha tanta finestra,
che ben vedere e veduto esser puote
dai visi impress! di color di morte,
che tutta plena quivi hanno la corte.
XIII
Suonar per gli alti e spaziosi tetti
s'odono gridi e feminil lament!:
Tafflitte donne, percotendo i petti,
corron per casa pallide e dolenti;
e abbraccian gli usci e i geniali letti
che tosto hanno a lasciare a strane genti.
Tratta la cosa era in periglio tanto,
quando '1 re giunse, e suoi baroni accanto.
XIV
Carlo si volse a quelle man robuste
ch'ebbe altre volte a gran bisogni pronte.
— Non sete quelli voi, che meco fuste
contra Agolante — disse — in Aspramonte ?
Sono le forze vostre ora si fruste,
che, s'uccideste lui, Troiano e Almonte
con centomila, or ne temete un solo
pur di quel sangue e pur di quello stuolo ?
xv
Perch6 debbo vedere in voi fortezza
ora minor ch'io la vedessi allora ?
Mostrate a questo can vostra prodezza,
a questo can che gli uomini devora.
Un magnanimo cor morte non prezza,
presta o tarda che sia, pur che ben muora.
Ma dubitar non posso ove voi sete,
che fatto sempre vincitor m'avete. —
CANTO DECIMOSETTIMO 379
XVI
Al fin de le parole urta il destriero,
con 1'asta bassa, al Saracino adosso.
Mossesi a un tratto il paladino Ugiero,
a un tempo Namo et Ulivier si e mosso,
Avino, Avolio, Otone e Berlingiero,
ch'un senza Paltro mai veder non posso :
e ferir tutti sopra a Rodomonte
e nel petto e nei fianchi e ne la fronte.
XVII
Ma lasciamo, per Dio, Signore, ormai
di parlar d'ira e di cantar di morte;
e sia per questa volta detto assai
del Saracin non men crudel che forte:
che tempo e ritornar dov'io lasciai
Grifon, giunto a Damasco in su le porte
con Orrigille perfida, e con quello
ch'adulter era, e non di lei fratello.
XVIII
De le piu ricche terre di Levante,
de le piu populose e meglio ornate
si dice esser Damasco, che distante
siede a Jerusalem sette giornate,
in un piano fruttifero e abondante,
non men giocondo il verno che Testate.
A questa terra il primo raggio tolle
de la nascente aurora un vicin colle.
XIX
Per la citta duo fiumi cristallini
vanno inaffiando per diversi rivi
un numero infinito di giardini,
non mai di fior, non mai di fronde privi.
Dicesi ancor, che macinar molini
potrian far Facque lanfe che son quivi;
e chi va per le vie vi sente fuore
di tutte quelle case uscire odore.
380 ORLANDO FURIOSO
XX
Tutta coperta e la strada maestra
di panni di diversi color lieti,
e d'odorifera erba, e di silvestra
fronda la terra e tutte le pareti.
Adorna era ogni porta, ogni finestra
di finissimi drappi e di tapeti,
ma piu di belle e ben ornate donne
di ricche gemme e di superbe gonne.
XXI
Vedeasi celebrar dentr'alle porte,
in molti lochi, solazzevol balli;
il popul, per le vie, di miglior sorte
maneggiar ben guarniti e bei cavalli :
facea piu bel veder la ricca corte
de' signor, de' baroni e de' vasalli,
con ci6 che d'India e d'eritree maremme
di perle aver si puo, d'oro e di gemme.
XXII
Venia Grifone e la sua compagnia
mirando e quinci e quindi il tutto ad agio,
quando fermolli un cavalliero in via,
e gli fece smontare a un suo palagio;
e per Tusanza e per sua cortesia
di nulla Iasci6 lor patir disagio.
Li fe' nel bagno entrar, poi con serena
fronte gli accolse a sontuosa cena.
XXIII
E narro lor come il re Norandino,
re di Damasco e di tutta Soria,
fatto avea il paesano e '1 peregrino
ch'ordine avesse di cavalleria,
alia giostra invitar, ch'al matutino
del di sequente in piazza si faria;
e che s'avean valor pari al sembiante,
potrian mostrarlo senza andar piu inante.
CANTO DECIMOSETTIMO 381
XXIV
Ancor che quivi non venne Grifone
a questo effetto, pur lo 'nvito tenne;
che qual volta se n'abbia occasione,
mostrar virtude mai non disconvenne.
Interrogollo poi de la cagione
di quella festa, e s'ella era solenne
usata ogn'anno, o pure impresa nuova
del re ch'i suoi veder volesse in pruova.
xxv
Rispose il cavallier: — La bella festa
s'ha da far sempre ad ogni quarta luna;
de Paltre che verran, la prima e questa:
ancora non se n'e fatta piu alcuna.
Sara in memoria che salvo la testa
il re in tal giorno da una gran fortuna,
dopo che quattro mesi in doglie e 'n pianti
sempre era stato, e con la morte inanti.
XXVI
Ma per dirvi la cosa pienamente,
il nostro re, che Norandin s'appella,
molti e molt'anni ha avuto il core ardente
de la leggiadra e sopra ogn'altra bella
figlia del re di Cipro: e finalmente
avutala per moglie, iva con quella,
con cavallieri e donne in compagnia;
e dritto avea il camin verso Soria.
XXVII
Ma poi che fummo tratti a piene vele
lungi dal porto nel Carpazio iniquo,
la tempesta salto tanto crudele,
che sbigotti sin al padrone antiquo.
Tre di e tre notti andammo errando ne le
minacciose onde per camino obliquo.
Uscimo al fin nel lito stanchi e molli,
tra freschi rivi, ombrosi e verdi colli.
382 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
Piantare i padiglioni, e le cortine
fra gli arbori tirar facemo lieti.
S'apparechiano i fuochi e le cucine;
le mense d'altra parte in su tapeti.
Intanto il re cercando alle vicine
valli era andato e a1 boschi piu secreti,
se ritrovasse capre o daini o cervi;
e Tarco gli portar dietro duo send.
XXIX
Mentre aspettamo, in gran placer sedendo,
che da cacciar ritorni il signor nostro,
vedemo 1'Orco a noi venir correndo
lungo il Hto del mar, terribil mostro.
Dio vi guardi, signor, che '1 viso orrendo
de TOrco agli ocelli mai vi sia dimostro:
meglio e per fama aver notizia d'esso,
ch'andargli, si che lo veggiate, appresso.
xxx
Non gli puo comparir quanto sia lungo,
si smisuratamente e tutto grosso.
In luogo d'occhi, di color di fungo
sotto la fronte ha duo coccole d'osso.
Verso noi vien (come vi dico) lungo
il Hto, e par ch'un monticel sia mosso.
Mostra le zanne fuor, come fa il porco ;
ha lungo il naso, il sen bavoso e sporco.
XXXI
Correndo viene, e 1 muso a guisa porta
che '1 bracco suol, quando entra in su la traccia.
Tutti che lo veggiam, con faccia smorta
in fuga andamo ove il timor ne caccia.
Poco il veder lui cieco ne conforta,
quando, fiutando sol, par che piu faccia,
ch'altri non fa ch'abbia odorato e lume:
e bisogno al fuggire eran le piume.
CANTO DECIMOSETTIMO 383
XXXII
Corron chi qua chi la; ma poco lece
da lui fuggir, veloce piii che 71 Note.
Di quaranta persone, a pena diece
sopra il navilio si salvaro a nuoto.
Sotto il braccio un fastel d'alcuni fece,
ne il grembio si lascio ne il seno voto:
un suo capace zaino empissene anco,
che gli pendea, come a pastor, dal fianco.
XXXIII
Portoci alia sua tana il mostro cieco,
cavata in lito al mar dentr'uno scoglio.
Di marmo cosi bianco e quello speco,
come esser soglia ancor non scritto foglio
Quivi abitava una matrona seco,
di dolor piena in vista e di cordoglio;
et avea in compagnia donne e donzelle
d'ogni eta, d'ogni sorte, e brutte e belle.
xxxiv
Era presso alia grotta in ch'egli stava,
quasi alia cima del giogo superno,
un'altra non minor di quella cava,
dove del gregge suo facea governo.
Tanto n'avea, che non si numerava;
e n'era egli il pastor Testate e '1 verno.
Ai tempi suoi gli apriva e tenea chiuso,
per spasso che n'avea, piu che per uso.
xxxv
L'umana carne meglio gli sapeva,
e prima il fa veder ch'alPantro arrivi;
che tre de' nostri giovini ch'aveva,
tutti li mangia, anzi trangugia vivi.
Viene alia stalla, e un gran sasso ne leva:
ne caccia il gregge, e noi riserra quivi.
Con quel sen va dove il suol far satollo,
sonando una zampogna ch'avea in collo.
384 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
II signor nostro intanto ritornato
alia marina, il suo danno comprende;
che truova gran silenzio in ogni lato,
voti frascati, padiglioni e tende.
Ne sa pensar chi si 1'abbia nibato ;
e pien di gran timore al lito scende,
onde i nocchieri suoi vede in disparte
sarpar lor ferri e in opra por le sarte.
XXXVII
Tosto ch'essi lui veggiono sul lito,
il palischermo mandano a levarlo :
ma non si tosto ha Norandino udito
de 1'Orco che venuto era a rubarlo,
che, senza piu pensar, piglia partito,
dovunque andato sia, di seguitarlo.
Vedersi tor Lucina si gli duole,
ch'o racquistarla, o non piu viver vuole.
XXXVIII
Dove vede apparir lungo la sabbia
la fresca orma, ne va con quella fretta
con che lo spinge 1'amorosa rabbia,
fin che giunge alia tana ch'io v'ho detta,
ove, con tema la maggior che s'abbia
a patir mai, POrco da noi s'aspetta:
ad ogni suono di sentirlo parci,
ch'affamato ritorni a divorarci.
xxxix
Quivi Fortuna il re da tempo guida,
che senza I3 Oreo in casa era la moglie.
Come ella '1 vede: «Fuggine!» gli grida
«misero te, se TOrco ti ci coglie!»
«Coglia» disse «o non coglia, o salvi o uccida,
che miserrimo i' sia non mi si toglie.
Disir mi mena, e non error di via,
c'ho di morir presso alia moglie mia. »
CANTO DECIMOSETTIMO 385
XL
Poi segui, diman dan dole novella
di quei che prese TOrco in su la riva;
prima degli altri, di Lucina bella,
se Favea morta, o la tenea captiva.
La donna umanamente gli favella,
e lo conforta che Lucina e viva,
e che non e alcun dubbio ch'ella muora;
che mai femina 1'Orco non divora.
XLI
ccEsser di cio argumento ti poss'io,
e tutte queste donne che son meco :
ne a me ne a lor mai POrco e stato rio,
pur che non ci scostian da questo speco.
A chi cerca fuggir, pon grave fio ;
ne pace mai puon ritrovar piu seco :
o le sotterra vive, o Pincatena,
o fa star nude al sol sopra 1' arena.
XLII
Quando oggi egli port6 qui la tua gente,
le femine dai maschi non divise;
ma, si come gli avea, confusamente
dentro a quella spelonca tutti mise.
Sentira a naso il sesso differente.
Le donne non temer che sieno uccise:
gli uomini, siene certo; et empieranne
di quattro, il giorno, o sei Tavide canne.
XLIII
Di levar lei di qui non ho consiglio
che dar ti possa; e contentar ti puoi
che ne la vita sua non e periglio:
stara qui al ben e al mai ch'avremo noi.
Ma vattene, per Dio, vattene, figlio,
che TOrco non ti senta e non t'ingoi.
Tosto che giunge, d'ogn'intorno annasa,
e sente sin a un topo che sia in casa. »
386 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Rispose il re, non si voler partire,
se non vedea la sua Lucina prima;
e che piu tosto appresso a lei morire,
che viverne Ionian, faceva stima.
Quando vede ella non potergli dire
cosa che '1 muova da la voglia prima,
per aiutarlo fa nuovo disegno,
e ponvi ogni sua industria, ogni suo ingegno.
XLV
Morte avea in casa, e d'ogni tempo appese,
con lor mariti, assai capre et agnelle,
onde a se et alle sue facea le spese ;
e dal tetto pendea piu d'una pelle.
Le donna fe* che '1 re del grasso prese,
ch'avea un gran becco intorno alle budelle,
e che se n'unse dal capo alle piante,
fin che 1'odor caccio ch'egli ebbe inante.
XLVI
E poi che '1 tristo puzzo aver le parve,
di che il fetido becco ognora sape,
piglia Firsuta pelle, e tutto entrarve
10 fe' ; ch'ella e si grande che lo cape.
Coperto sotto a cosi strane larve,
facendol gir carpon, seco lo rape
la dove chiuso era d'un sasso grave
de la sua donna il bel viso soave.
XLVII
Norandino ubidisce; et alia buca
de la spelonca ad aspettar si mette,
acci6 col gregge dentro si conduca;
e fin a sera disiando stette.
Ode la sera il suon de la sambuca,
con che 'nvita a lassar Pumide erbette,
e ritornar le pecore all'albergo
11 fier pastor che lor venia da tergo.
CANTO DECIMOSETTIMO 387
XLVIII
Pensate voi se gli tremava il core,
quando 1'Orco senti che ritornava,
e che Jl viso crudel pieno d'orrore
vide appressare alFuscio de la cava:
ma pote la pieta piu che '1 timore;
s'ardea, vedete, o se fingendo amava.
Vien 1'Orco inanzi, e leva il sasso, et apre:
Norandino entra fra pecore e capre.
XLIX
Entrato il gregge, TOrco a noi descende;
ma prima sopra se Fuscio si chiude.
Tutti ne va fiutando: al fin duo prende;
che vuol cenar de le lor carni crude.
Al rimembrar di quelle zanne orrende,
non posso far ch'ancor non trieme e sude.
Partito 1'Orco, il re getta la gonna
ch'avea di becco, e abbraccia la sua donna.
L
Dove averne piacer deve e conforto,
vedendol quivi, ella n'ha affanno e noia:
lo vede giunto ov'ha da restar morto ;
e non puo far pero ch'essa non muoia.
«Con tutto 71 mal» diceagli «ch'io supporto,
signor, sentia non mediocre gioia,
che ritrovato non t'eri con nui
quando da FOrco oggi qui tratta fui.
LI
Che se ben il trovarmi ora in procinto
d'uscir di vita m'era acerbo e forte;
pur mi sarei, come e commune instinto,
dogliuta sol de la mia trista sorter
ma ora, o prima o poi che tu sia estinto,
piu mi dorra la tua che la mia morte. »
E seguito, mostrando assai piu afFanno
di quel di Norandin, che del suo danno.
388 ORLANDO FURIOSO
LII
((La speme» disse il re «mi fa venire,
c'ho di salvarti, e tutti quest! teco:
e s'io nol posso far, meglio e morire,
che senza te, mio sol, viver poi cieco.
Come io ci venni, mi potro partire;
e voi tutt'altri ne verrete meco,
se non avrete, come io non ho avuto,
schivo a pigliare odor d'animal bruto. »
LIII
La fraude insegno a noi, che contra il naso
de FOrco insegno allui la moglie d'esso;
di vestirci le pelli, in ogni caso
ch'egli ne palpi ne Tuscir del fesso.
Poi che di questo ognun fu persuaso,
quanti de Tun, quanti de Paltro sesso
ci ritroviamo, uccidian tanti becchi,
quelli che piu fetean, ch'eran piu vecchi.
LIV
Ci ungemo i corpi di quel grasso opimo
che ritroviamo alFintestina intorno,
e de 1'orride pelli ci vestimo:
intanto usci da Faureo albergo il giorno.
Alia spelonca, come apparve il primo
raggio del sol, fece il pastor ritorno;
e dando spirto alle sonore canne,
chiamo il suo gregge fuor de le capanne.
LV
Tenea la mano al buco de la tana,
accio col gregge non uscissin noi:
ci prendea al varco ; e quando pelo o lana
sentia sul dosso, ne lasciava poi.
Uomini e donne uscimmo per si strana
strada, coperti dagl'irsuti cuoi:
e TOrco alcun di noi mai non ritenne,
fin che con gran timor Lucina venne.
CANTO DECIMOSETTIMO 389
LVI
Lucina, o fosse perch'ella non voile
ungersi come noi, che schivo n'ebbe;
o ch'avesse 1'andar phi lento e molle,
che I'imitata bestia non avrebbe;
o quando 1'Orco la groppa toccolle,
gridasse per la tema che le accrebbe ;
o che se le sciogliessero le chiome;
sentita fu, ne ben so dirvi come.
LVII
Tutti eravam si intent i al caso nostro,
che non avemrno gli occhi agli altrui fatti.
lo mi rivolsi al grido; e vidi il mostro
che gia gl'irsuti spogli le avea tratti,
e fattola tornar nel cavo chiostro.
Noi altri dentro a nostre gonne piatti
col gregge andamo ove '1 pastor ci mena,
tra verdi colli in una piaggia amena.
LVIII
Quivi attendiamo infin che steso all'ombra
d'un bosco opaco il nasuto Oreo dorma.
Chi lungo il mar, chi verso '1 monte sgombra :
sol Norandin non vuol seguir nostr'orma.
L'amor de la sua donna si lo 'ngombra,
ch'alla grotta tornar vuol fra la torma,
ne partirsene mai sin alia morte,
se non racquista la f edel consorte :
LIX
che quando dianzi avea all'uscir del chiuso
vedutala restar captiva sola,
fu per gittarsi, dal dolor confuso,
spontaneamente al vorace Oreo in gola;
e si mosse, e gli corse infino al muso,
ne fu lontano a gir sotto la mola:
ma pur lo tenne in mandra la speranza
ch'avea di trarla ancor di quella stanza.
390 ORLANDO FURIOSO
LX
La sera, quando alia spelonca mena
il gregge 1'Orco, e noi fuggiti sente,
e c'ha da rimaner privo di cena,
chiama Lucina d'ogni mal nocente,
e la condanna a star sempre in catena
allo scoperto in sul sasso eminente.
Vedela il re per sua cagion patire,
e si distrugge, e sol non puo morire.
LXI
Matina e sera Tinfelice amante
la puo veder come s'affliga e piagna;
che le va misto fra le capre avante,
torni alia stalla o torni alia campagna.
Ella con viso mesto e supplicante
gli accenna che per Dio non vi rimagna,
perche vi sta a gran rischio de la vita,
ne pero allei pu6 dare alcuna aita.
LXII
Cosi la moglie ancor de POrco priega
il re che se ne vada, ma non giova;
che d'andar mai senza Lucina niega,
e sempre piii constante si ritruova.
In questa servitude, in che lo lega
Pietate e Amor, stette con lunga pruova
tanto, ch'a capitar venne a quel sasso
il figlio d'Agricane e '1 re Gradasso.
LXIII
Dove con loro audacia tanto fenno,
che liberaron la bella Lucina;
ben che vi fu aventura piu che senno :
e la portar correndo alia marina;
e al padre suo, che quivi era, la denno:
e questo fu ne Fora matutina,
che Norandin con Paltro gregge stava
a ruminar ne la montana cava.
CANTO DECIMOSETTIMO 391
LXIV
Ma poi che '1 giorno aperta fu la sbarra,
e seppe il re la donna esser partita
(che la moglie de Is Oreo gli lo narra),
e come a punto era la cosa gita;
grazie a Dio rende, e con voto n'inarra,
ch'essendo fuor di tal miseria uscita,
faccia che giunga onde per arme possa,
per prieghi o per tesoro, esser riscossa.
LXV
Pien di letizia va con Taltra schiera
del simo gregge, e viene ai verdi paschi;
e quivi aspetta fin ch'alPombra nera
il mostro per dormir ne Terba caschi.
Poi ne vien tutto il giorno e tutta sera;
e al fin sicur che POrco non lo 'ntaschi,
sopra un navilio monta in Satalia;
e son tre mesi ch'arrivb in Soria.
LXVI
In Rodi, in Cipro, e per citta e castella
e d' Africa e d'Egitto e di Turchia,
il re cercar fe' di Lucina bella;
ne fin Paltr'ieri aver ne pote spia.
L'altr'ier n'ebbe dal suocero novella,
che seco 1'avea salva in Nicosia,
dopo che molti di vento crudele
era stato contrario alle sue vele.
LXVII
Per allegrezza de la buona nuova
prepara il nostro re la ricca festa;
e vuol ch'ad ogni quarta luna nuova,
una se n'abbia a far simile a questa:
che la memoria rifrescar gli giova
dei quattro mesi che 'n irsuta vesta
fu tra il gregge de TOrco; e un giorno, quale
sara dimane, usci di tanto male.
392 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Questo ch'io v'ho narrate, in parte vidi,
in parte udij da chi trovossi al tutto;
dal re, vi dico, che calende et idi
vi stette, fin che volse in riso il lutto :
e se n'udite mai far altri gridi,
direte a chi gli fa, che mal n'e instrutto. -
II gentiluomo in tal modo a Grifone
de la festa narro 1'alta cagione.
LXIX
Un gran pezzo di notte si dispensa
dai cavallieri in tal ragionamento ;
e conchiudon ch'amore e pieta immensa
mostr6 quel re con grande esperimento.
Andaron, poi che si levar da mensa,
ove ebbon grato e buono alloggiamento.
Nel seguente matin sereno e chiaro,
al suon de 1'allegrezze si destaro.
LXX
Vanno scorrendo timpani e trombette,
e ragunando in piazza la cittade.
Or, poi che de cavalli e de carrette
e ribombar de gridi odon le strade,
Grifon le lucide arme si rimette,
che son di quelle che si trovan rade;
che 1'avea impenetrabili e incantate
la Fata bianca di sua man temprate.
LXXI
Quel d'Antiochia, piu d'ogn'altro vile,
armossi seco, e compagnia gli tenne.
Preparate avea lor 1'oste gentile
nerbose lance, e salde e grosse antenne,
e del suo parentado non umile
compagnia tolta; e seco in piazza venne;
e scudieri a cavallo, e alcuni a piede,
a tal servigi attissimi, lor diede.
CANTO DECIMOSETTIMO 393
LXXII
Giunsero in piazza, e trassonsi in disparte,
ne pel campo curar far di se mostra,
per veder meglio il bel popul di Marte,
ch'ad uno, o a dua, o a tre, veniano in giostra.
Chi con colon accompagnati ad arte
letizia o doglia alia sua donna mostra;
chi nel cimier, chi nel dipinto scudo
disegna Amor, se Pha benigno o crudo.
LXXIII
Soriani in quel tempo aveano usanza
d'armarsi a questa guisa di Ponente.
Forse ve gli inducea la vicinanza
che de? Franceschi avean contimiamente,
che quivi allor reggean la sacra stanza
dove in carne abito Dio onnipotente;
ch'ora i superbi e miseri cristiani,
con biasmi lor, lasciano in man dej cani.
LXXIV
Dove abbassar dovrebbono la lancia
in augumento de la santa fede,
tra lor si dan nel petto e ne la pancia
a destruzion del poco che si crede.
Voi, gente ispana, e voi, gente di Francia,
volgete altrove, e voi, Svizzeri, il piede,
e voi, Tedeschi, a far piu degno acquisto;
che quanto qui cercate e gia di Cristo.
LXXV
Se Cristianissimi esser voi volete,
e voi altri Catolici nomati,
perche di Cristo gli uomini uccidete?
perche de' beni lor son dispogliati?
Perche Jerusalem non riavete,
che tolto e stato a voi da' rinegati?
Perche Constantinopoli, e del mondo
la miglior parte occupa il Turco immondo?
394 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Non hai tu, Spagna, F Africa vicina,
che t'ha via piu di questa Italia offesa?
E pur, per dar travaglio alia meschina,
lasci la prima tua si bella impresa.
O d'ogni vizio fetida sentina,
dormi, Italia imbriaca, e non ti pesa
ch'ora di questa gente, ora di quella
che gia serva ti fu, sei fatta ancella ?
LXXVII
Se '1 dubbio di morir ne le tue tane,
Svizzer, di fame, in Lombardia ti guida,
e tra noi cerchi o chi ti dia del pane,
o per uscir d'inopia chi t'uccida;
le richezze del Turco hai non lontane :
caccial d'Europa, o almen di Grecia snida;
cosi potrai o del digiuno trarti,
o cader con piu merto in quelle parti.
LXXVIII
Quel ch'a te dico, io dico al tuo vicino
tedesco ancor: la le richezze sono,
che vi porto da Roma Constantino :
portonne il meglio, e fej del resto dono.
Pattolo et Ermo, onde si tra' Tor fino,
Migdonia e Lidia, e quel paese buono
per tante laudi in tante istorie noto,
non e, s'andar vi vuoi, troppo remoto.
LXXIX
Tu, gran Leone, a cui premon le terga
de le chiavi del ciel le gravi some,
non lasciar che nel sonno si sommerga
Italia, se la man Thai ne le chiome.
Tu sei Pastore ; e Dio t'ha quella verga
data a portare, e scelto il fiero nome,
perche tu niggi, e che le braccia stenda,
si che dai lupi il grege tuo difenda.
CANTO DECIMOSETTIMO 395
LXXX
Ma d'un parlar ne Paltro, ove sono ito
si lungi dal camin ch'io faceva ora?
Non lo credo pero si aver smarrito,
ch'io non lo sappia ritrovare ancora.
10 dicea ch'in Soria si tenea il rito
d'armarsi, che i Franceschi aveano allora:
si che bella in Damasco era la piazza.
di gente armata d'elmo e di corazza.
LXXXI
Le vaghe donne gettano dai palchi
sopra i giostranti fior vermigli e gialli,
mentre essi fanno a suon degli oricalchi
levare assalti et aggirar cavalli.
Ciascuno, o bene o mal ch'egli cavalchi,
vuol far quivi vedersi, e sprona e dalli:
di ch'altri ne riporta pregio e lode;
muove altri a riso, e gridar dietro s'ode.
LXXXII
De la giostra era il prezzo un'armatura
che fu donata al re pochi di inante,
che su la strada ritrov6 a ventura,
ritornando d* Armenia, un mercatante.
11 re di nobilissima testura
le sopraveste alParme aggiunse, e tante
perle vi pose intorno e gemme et oro,
che la fece valer molto tesoro.
LXXXIII
Se conosciute il re quell' arm e avesse,
care avute 1'avria sopra ogni arnese;
ne in premio de la giostra Favria messe,
come che liberal fosse e cortese.
Lungo saria chi raccontar volesse
chi Pavea si sprezzate e vilipese,
che Jn mezzo de la strada le lasciasse,
preda a chiunque o inanzi o indietro andasse.
396 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
Di questo ho da contarvi piu di sotto:
or diro di Grifon, ch'alla sua giunta
un paio e piu di lancie trovo rotto,
menato piu d'un taglio e d'una punta.
Dei piu cari e piu fidi al re fur otto
che quivi insieme avean lega congiunta;
gioveni, in arme pratichi et industri,
tutti o signori o di famiglie illustri.
LXXXV
Quei rispondean ne la sbarrata piazza
per un di, ad uno ad uno, a tutto '1 mondo,
prima con lancia, e poi con spada o mazza,
fin ch'al re di guardarli era giocondo;
e si foravan spesso la corazza:
per giuoco in somma qui facean, secondo
fan gli nimici capitali, eccetto
che potea il re partirli a suo diletto.
LXXXVI
Quel d'Antiochia, un uom senza ragione,
che Martano il codardo nominosse,
come se de la forza di Grifone,
poi ch'era seco, participe fosse,
audace entro nel marziale agone;
e poi da canto ad aspettar fermosse,
sin che finisce una battaglia fiera
che tra duo cavallier cominciata era.
LXXXVII
II signor di Seleucia, di quell'uno,
ch'a sostener Pimpresa aveano tolto,
combattendo in quel tempo con Ombruno,
lo feri d'una punta in mezzo '1 volto,
si che Tuccise: e pieta n'ebbe ognuno,
perche buon cavallier lo tenean molto;
et oltra la bontade, il piu cortese
non era stato in tutto quel paese.
CANTO DECIMOSETTIMO 397
LXXXVIII
Veduto cio, Martano ebbe paura
che parimente a se non awenisse;
e ritornando ne la sua natura,
a pensar comincio come fugisse.
Grifon, che gli era appresso e n'avea cura,
10 spinse pur, poi ch'assai fece e disse,
contra un gentil guerrier che s'era mosso,
come si spinge il cane al lupo adosso;
LXXXIX
che dleci passi gli va dietro o venti,
e poi si ferma, et abbaiando guarda
come digrigni i minacciosi denti,
come negli occhi orribil fuoco gli arda.
Quivi ov'erano e principi present!
e tanta gente nobile e gagliarda,
fuggi lo 'ncontro il timido Martano,
e torse '1 freno e '1 capo a destra mano.
xc
Pur la colpa potea dar al cavallo,
chi di scusarlo avesse tolto il peso;
ma con la spada poi fe* si gran fallo,
che non Pavria Demostene difeso.
Di carta armato par, non di metallo;
si teme da ogni colpo essere offeso.
Fuggesi al fine, e gli ordini disturba,
ridendo intorno allui tutta la turba.
xci
11 batter de le mani, il grido intorno
se gli levo del populazzo tutto.
Come lupo cacciato, fe' ritorno
Martano in molta fretta al suo ridutto.
Resta Grifone; e gli par de lo scorno
del suo compagno esser macchiato e brutto:
esser vorrebbe stato in mezzo il foco,
piu tosto che trovarsi in questo loco.
398 ORLANDO FUJUOSO
XCII
Arde nel core, e fuor nel viso avampa,
come sia tutta sua quella vergogna;
perche 1'opere sue di quella stampa
vedere aspetta il populo et agogna:
si che rifulga chiara piu che lampa
sua virtu, questa volta gli bisogna;
ch'un'oncia, un dito sol d'error che faccia,
per mala impression parra sei braccia.
xcm
Gia la lancia avea tolta su la coscia
Grifon, ch'errare in arme era poco uso :
spinse il cavallo a tutta briglia, e poscia
ch'alquanto andato fu, la messe suso,
e potto nel ferire estrema angoscia
al baron di Sidonia, ch'ando giuso.
Ognun maravigliando in pie si leva;
che '1 contrario di cio tutto attendeva.
xciv
Torno Grifon con la medesma antenna,
che 'ntiera e ferma ricovrata avea,
et in tre pezzi la roppe alia penna
de lo scudo al signer di Lodicea.
Quel per cader tre volte e quattro accenna,
che tutto steso alia groppa giacea:
pur rilevato al fin la spada strinse,
volto il cavallo, e ver Grifon si spinse.
xcv
Grifon, che '1 vede in sella, e che non basta
si fiero incontro perche a terra vada,
dice fra se: «Quel che non pote 1'asta,
in cinque colpi o 'n sei fara la spada. »
E su la tempia subito Tattasta
d'un dritto tal, che par che dal ciel cada;
e un altro gli accompagna e un altro appresso,
tanto che 1'ha stordito e in terra messo.
CANTO DECIMOSETTIMO 399
XCVI
Quivi erano d'Apamia duo germani,
soliti in giostra rimaner di sopra,
Tirse e Corimbo; et ambo per le mani
del figlio d'Uliver cader sozzopra.
L'uno gli arcion lascia allo scontro vani;
con Faltro messa fu la spada in opra.
Gia per commun giudicio si tien certo
che di costui fia de la giostra il merto.
XCVII
Ne la lizza era entrato Salinterno,
gran diodarro e maliscalco regio,
e che di tutto 51 regno avea il governo,
e di sua mano era guerriero egregio.
Costui, sdegnoso ch'un guerriero esterno
debba portar di quella giostra il pregio,
piglia una lancia, e verso Grifon grida,
e molto minacciandolo lo sfida.
xcvm
Ma quel con un lancion gli fa risposta,
ch'avea per lo miglior fra dieci eletto,
e per non far error, lo scudo apposta,
e via lo passa e la corazza e '1 petto:
passa il ferro crudel tra costa e costa,
e fuor pel tergo un palrno esce di netto.
II colpo, eccetto al re, fu a tutti caro;
ch'ognuno odiava Salinterno avaro.
XCIX
Grifone, appresso a questi, in terra getta
duo di Damasco, Ermofilo e Carmondo.
La milizia del re dal primo e retta;
del mar grande almiraglio e quel secondo.
Lascia allo scontro Tun la sella in fretta:
adosso alFaltro si riversa il pondo
del rio destrier, che sostener non puote
Palto valor con che Grifon percuote.
400 ORLANDO FURIOSO
C
II signer di Seleucia ancor restava,
miglior guerrier di tutti gli altri sette;
e ben la sua possanza accompagnava
con destrier buono e con arme perfette.
Dove de Pelmo la vista si chiava,
Pasta allo scontro 1'uno e Paltro mette:
pur Grifon maggior colpo al pagan diede,
che lo fe' staffeggiar dal manco piede.
ci
Gittaro i tronchi, e si tornaro adosso
pieni di molto ardir coi brandi nudi.
Fu il pagan prima da Grifon percosso
d'un colpo che spezzato avria gPincudi.
Con quel fender si vide e ferro et osso
d'un ch'eletto s'avea tra mille scudi;
e se non era doppio e fin Parnese,
feria la coscia ove cadendo scese.
CII
Feri quel di Seleucia alia visera
Grifone a un tempo; e fu quel colpo tanto,
che Pavria aperta e rotta, se non era
fatta, come Paltr'arme, per incanto.
Gli e un perder tempo che '1 pagan piii fera;
cosi son Parme dure in ogni canto:
e Jn piu parti Grifon gia fessa e rotta
ha 1'armatura a lui, ne perde botta.
cm
Ognun potea veder quanto di sotto
il signor di Seleucia era a Grifone;
e se partir non li fa il re di botto,
quel che sta peggio, la vita vi pone.
Fe' Norandino alia sua guardia motto
ch'entrasse a distaccar Paspra tenzone.
Quindi fu Puno, e quindi Paltro tratto;
e fu lodato il re di si buon atto.
CANTO DECIMOSETTIMO 401
CIV
Gli otto che dianzi avean col mondo impresa,
e non potuto durar poi contra uno,
avendo mal la parte lor difesa,
usciti eran del campo ad uno ad uno.
Gli altri ch'eran venuti allor contesa,
quivi restar senza contrasto alcuno,
avendo lor Grifon, solo, interrorto
quel che tutti essi avean da far contra otto.
cv
E duro quella festa cosi poco,
ch'in men d'un'ora il tutto fatto s'era:
ma Norandin, per far piu lungo il giuoco
e per continuarlo infino a sera,
dal palco scese, e fej sgombrare il loco;
e poi divise in due la grossa schiera;
indi, secondo il sangue e la lor prova,
gli ando accoppiando, e fe' una giostra nova.
cvi
Grifone intanto avea fatto ritorno
alia sua stanza, pien d'ira e di rabbia:
e piu gli preme di Martan lo scorno,
che non giova Tenor ch'esso vinto abbia.
Quivi per tor I'obbrobrio ch'avea intorno,
Martano adopra le mendaci labbia:
e Tastuta e bugiarda meretrice,
come meglio sapea, gli era adiutrice.
evil
O si o no che '1 giovin gli credesse,
pur la scusa accetto, come discrete;
e pel suo meglio allora allora elesse
quindi levarsi tacito e secreto,
per tema che se '1 populo vedesse
Martano comparir, non stesse cheto.
Cosi per una via nascosa e corta
usciro al camin lor fuor de la porta.
402 ORLANDO FURIOSO
CVIII
Grifone, o ch'egli o che Jl cavallo fosse
stance, o gravasse il sonno pur le ciglia,
al primo albergo che trovar, fermosse,
che non erano andati oltre a dua miglia.
Si trasse Felmo, e tutto disarmosse,
e trar fece a' cavalli e sella e briglia;
e poi serrossi in camera soletto,
e nudo per dormire entro nel letto.
cix
Non ebbe cosi tosto il capo basso,
che chiuse gli occhi, e fu dal sonno oppresso
cosi profundamente, che mai tasso
ne ghiro mai s'addormento quanto esso.
Martano intanto et Orrigille a spasso
entraro in un giardin ch'era li appresso ;
et un inganno ordir, che fu il piu strano
che mai cadesse in sentimento umano.
ex
Martano disegno torre il destriero,
i panni e Parme che Grifon s'ha tratte;
e andare inanzi al re pel cavalliero
che tante pruove avea giostrando fatte.
L'effetto ne segui, fatto il pensiero :
tolle il destrier piu candido che latte,
scudo e cimiero et arme e sopraveste,
e tutte di Grifon Pinsegne veste.
CXI
Con gli scudieri e con la donna, dove
era il popolo ancora, in piazza venne;
e giunse a tempo che finian le pruove
di girar spade e d'arrestare antenne.
Commanda il re che '1 cavallier si truove,
che per cimier avea le bianche penne,
bianche le vesti e bianco il corridore;
che '1 nome non sapea del vincitore.
CANTO DECIMOSETTIMO 403
CXII
Colui ch'indosso il non suo cuoio aveva,
come Pasino gia quel del leone,
chiamato se n'ando, come attendeva,
a Norandino, in loco di Grifone.
Quel re cortese incontro se gli leva,
Tabbraccia e bacia, e allato se lo pone:
ne gli basta onorarlo e dargli loda,
che vuol che '1 suo valor per tutto s'oda.
cxni
E fa gridarlo al suon degli oricalchi
vincitor de la giostra di quel giorno.
L/alta voce ne va per tutti i palchi,
che '1 nome indegno udir fa d'ogn'intorno.
Seco il re vuol ch'a par a par cavalchi,
quando al palazzo suo poi fa ritorno;
e di sua grazia tanto gli compart e,
che basteria, se fosse Ercole o Marte.
cxiv
Bello et ornato allogiamento dielli
in corte, et onorar fece con lui
Orrigille anco; e nobili donzelli
mand6 con essa, e cavallieri sui.
Ma tempo e ch'anco di Grifon favelli,
il qual ne dal compagno ne d'altrui
temendo inganno, addormentato s'era,
ne mai si riveglio fin alia sera.
cxv
Poi che fu desto, e che de Fora tarda
s'accorse, usci di camera con fretta,
dove il falso cognato e la bugiarda
Orrigille lascio con Faltra setta;
e quando non gli truova, e che riguarda
non v'esser Parme ne i panni, sospetta;
ma il veder poi phi sospettoso il fece
Tinsegne del compagno in quella vece.
404 ORLANDO FURIOSO
CXVI
Sopravien Poste, e di colui I'mforma
che gia gran pezzo, di bianch'arme adorno,
con la donna e col resto de la torma
avea ne la citta fatto ritorno.
Truova Grifone a poco a poco Forma
ch'ascosa gli avea Amor fin a quel giorno ;
e con suo gran dolor vede esser quello
adulter d'Orrigille, e non fratello.
cxvn
Di sua sciochezza indarno ora si duole,
ch'avendo il ver dal peregrino udito,
lasciato mutar s'abbia alle parole
di chi Tavea piii volte gia tradito.
Vendicar si potea, ne seppe: or vuole
rinimico punir, che gli e fuggito;
et e constretto con troppo gran fallo
a tor di quel vil uom Parme e '1 cavallo.
CXVIII
Eragli meglio andar senz'arme e nudo,
che porsi indosso la corazza indegna,
o ch'imbracciar Pabominato scudo,
0 por su 1'elmo la beffata insegna;
ma per seguir la meretrice e '1 drudo,
ragione in lui pari al disio non regna.
A tempo venne alia citta, ch'ancora
il giorno avea quasi di vivo un'ora.
cxix
Presso alia porta ove Grifon venia,
siede a sinistra un splendido castello,
che, piu che forte e ch'a guerre atto sia,
di ricche stanze e accommodato e bello.
1 re, i signori, i primi di Soria
con alte donne in un gentil drappello
celebravano quivi in loggia amena
la real sontuosa e lieta cena.
CANTO DECIMOSETTIMO 405
CXX
La bella loggia sopra '1 muro usciva
con 1'alta rocca fuor de la cittade;
e lungo tratto di lontan scopriva
i larghi campi e le diverse strade.
Or che Grifon verso la porta arriva
con quell'arme d'obbrobrio e di viltade,
fu con non troppa aventurosa sorte
dal re veduto e da tutta la corte:
cxxi
e riputato quel di ch'avea insegna,
mosse le donne e i cavallieri a riso.
II vil Martano, come quel che regna
in gran favor, dopo '1 re e '1 primo assiso,
e presso allui la donna di se degna;
dai quali Norandin con lieto viso
volse saper chi fosse quel codardo
che cosi avea al suo onor poco riguardo;
cxxn
che dopo una si trista e brutta pruova,
con tanta fronte or gli tornava inante.
Dicea: — Questa mi par cosa assai nuova,
ch'essendo voi guerrier degno e prestante,
costui compagno abbiate, che non truova,
di vilta, pari in terra di Levante.
II fate forse per mostrar maggiore,
per tal contrario, il vostro alto valore.
cxxin
Ma ben vi giuro per gli eterni dei,
che se non fosse ch'io riguardo a vui,
la publica ignominia gli farei,
ch'io soglio fare agli altri pari a lui.
Perpetua ricordanza gli darei,
come ognor di vilta nimico fui.
Ma sappia, s'impunito se ne parte,
grado a voi che *1 menaste in questa parte. —
406 ORLANDO FURIOSO
CXXIV
Colui che fu de tutti i vizii il vaso,
rispose : — Alto signer, dir non sapria
chi sia costui; ch'io Tho trovato a caso,
venendo d'Antiochia, in su la via.
II suo sembiante m'avea persuaso
che fosse degno di mia compagnia;
ch'intesa non avea pruova ne vista,
se non quella che fece oggi assai trista.
cxxv
La qual mi spiacque si, che resto poco
che per punir Pestrema sua viltade
non gli facessi allora allora un gioco,
che non toccasse piii lance ne spade:
ma ebbi, piu ch'allui, rispetto al loco,
e riverenzia a vostra maestade.
Ne per me voglio che gli sia guadagno
ressermi stato un giorno o dua compagno:
cxxvi
di che contaminate anco esser parme;
e sopra il cor mi sara eterno peso,
se, con vergogna del mestier de Farme,
io lo vedro da noi partire illeso:
e meglio che lasciarlo, satisfarme
potrete, se sara d'un merlo impeso;
e fia lodevol opra e signorile,
perch' el sia esempio e specchio ad ogni vile. -
CXXVII
Al detto suo Martano Orrigille have,
senza accennar, confermatrice presta.
— Non son — rispose il re — Fopre si prave,
ch'al mio parer v'abbia d'andar la testa.
Voglio per pena del peccato grave,
che sol rinuovi al populo la festa. —
E tosto a un suo baron, che fe' venire,
impose quanto avesse ad esequire.
CANTO DECIMOSETTIMO 407
CXXVIII
Quel baron molti armati seco tolse,
et alia porta della terra scese;
e quivi con silenzio li raccolse,
e la vemita di Grifone attese:
e ne 1'entrar si d'improviso il colse,
che fra i duo ponti a salvamento il prese ;
e lo ritenne con beffe e con scorno
in una oscura stanza insin al giorno.
cxxix
II Sole a pena avea il dorato crine
tolto di grembio alia nutrice antica,
e cominciava da le piagge alpine
a cacciar Tombre e far la cima aprica;
quando temendo il vil Martan ch'al fine
Grifone ardito la sua causa dica,
e ritorni la colpa ond'era uscita,
tolse licenzia, e fece indi partita,
cxxx
trovando idonia scusa al priego regio,
che non stia allo spettacolo ordinato.
Altri doni gli avea fatto, col pregio
de la non sua vittoria, il signor grato;
e sopra tutto un ample privilegio,
dov'era d'alti onori al sommo ornato.
Lascianlo andar; ch'io vi prometto certo,
che la mercede avra secondo il merto.
cxxxi
Fu Grifon tratto a gran vergogna in piazza,
quando piu si trov6 piena di gente,
Gli avean levato Pelmo e la corazza,
e lasciato in farsetto assai vilmente;
e come il conducessero alia mazza,
posto Tavean sopra un carro eminente,
che lento lento tiravan due vacche
da lunga fame attenuate e fiacche.
ORLANDO FURIOSO
CXXXII
Venian d'intorno alia ignobil quadriga
vecchie sfacciate e disoneste putte,
di che n'era una et or un'altra auriga,
e con gran biasmo lo mordeano tutte.
Lo poneano i fanciulli in maggior briga,
che, oltre le parole infami e brutte,
Tavrian coi sassi insino a morte offeso,
se dai piu saggi non era difeso.
CXXXIII
L'arme che del suo male erano state
cagion, che di lui fer non vero indicio,
da la coda del carro strascinate
patian nel fango debito supplicio.
Le mote inanzi a un tribunal fermate
gli fero udir de Paltrui maleficio
la sua ignominia, che 'n sugli occhi detta
gli fu, gridando un publico trombetta.
cxxxiv
Lo levar quindi, e lo mostrar per tutto
dinanzi a templi, ad officine e a case,
dove alcun nome scelerato e brutto,
che non gli fosse detto, non rimase.
Fuor de la terra all'ultimo condutto
fu da la turba, che si persuase
bandirlo e cacciare indi a suon di busse,
non conoscendo ben ch'egli si fusse.
cxxxv
Si tosto a pena gli sferraro i piedi
e liberargli Tuna e Paltra mano,
che tor lo scudo, et impugnar gli vedi
la spada che rigo gran pezzo il piano.
Non ebbe contra se lance ne spiedi;
che senz'arme venia il populo insano.
Ne 1'altro canto diferisco il resto;
che tempo e omai, Signor, di finir questo.
CANTO DECIMOTTAVO 409
CANTO DECIMOTTAVO
I
Magnanimo Signore, ogni vostro atto
ho sempre con ragion laudato e laudo;
ben che col rozzo stil duro e mal atto
gran parte de la gloria vi defraudo.
Ma piu de Paltre una virtu mjha tratto,
a cui col core e con la lingua applaudo;
che s'ognun truova in voi ben grata udienza,
non vi truova pero facil credenza.
ii
Spesso in difesa del biasmato absente
indur vi sento una et un'altra scusa,
o riserbargli almen, fin che presente
sua causa dica, 1'altra orecchia chiusa;
e sempre, prima che dannar la gente,
vederla in faccia, e udir la ragion ch'usa;
differir anco e giorni e mesi et anni,
prima che giudicar negli altrui danni.
in
Se Norandino il simil fatto avesse,
fatto a Grifon non avria quel che fece.
A voi utile e onor sempre successe:
denigr6 sua fama egli piu che pece.
Per lui sue genti a morte furon messe;
che fej Grifone in dieci tagli, e in diece
punte che trasse pien d'ira e bizzarro,
che trenta ne cascaro appresso al carro.
410 ORLANDO FURIOSO
IV
Van gli altri in rotta ove il timor li caccia,
chi qua chi la, pei campi e per le strade;
e chi d'entrar ne la citta procaccia,
e Fun su Taltro ne la porta cade.
Grifon non fa parole e non minaccia;
ma lasciando lontana ogni pietade,
mena tra il vulgo inert e il ferro intorno,
e gran vendetta fa d'ogni suo scorno.
Di quei che primi giunsero alia porta,
che le piante a levarsi ebbeno pronte,
parte, al bisogno suo molto piu accorta
che degli amici, alzo subito il ponte:
piangendo parte, o con la faccia smorta
fuggendo ando senza mai volger fronte,
e ne la terra per tutte le bande
levo grido e tumulto e rumor grande.
VI
Grifon gagliardo duo ne piglia in quella
che '1 ponte si levo per lor sciagura.
Sparge' de 1'uno al campo le cervella,
che lo percuote ad una cote dura:
prende Taltro nel petto, e Parrandella
in mezzo alia citta sopra le mura.
Sc6rse per 1'ossa ai terrazzani il gelo,
quando vider colui venir dal cielo.
VII
Fur molti che temer che '1 fier Grifone
sopra le mura avesse preso un salto.
Non vi sarebbe piu confusione,
s'a Damasco il soldan desse Fassalto.
Un muover d'arme, un correr di persone,
e di talacimanni un gridar d'alto,
e di tamburi un suon misto e di trombe
il mondo assorda, e '1 ciel par ne ribombe.
CANTO DECIMOTTAVO 4!!
VIII
Ma voglio a un'altra volta differire
a ricontar cio che di questo avenne.
Del buon re Carlo mi convien seguire,
che contra Rodomonte in fretta venne,
il qual le genti gli facea morire.
10 vi dissi ch'al re compagnia tenne
11 gran Danese e Namo et Oliviero
e Avino e Avolio e Otone e Berlingiero.
IX
Otto scontri di lance, che da forza
di tali otto guerrier cacciati foro,
sostenne a un tempo la scagliosa scorza
di ch'avea armato il petto il crudo Moro.
Come legno si drizza, poi che 1'orza
lenta il nochier che crescer sente il Coro,
cosi presto rizzossi Rodomonte
dai colpi che gittar doveano un monte.
Guido, Ranier, Ricardo, Salamone,
Ganelon traditor, Turpin fedele,
Angioliero, Angiolino, Ughetto, Ivone,
Marco e Matteo dal pian di San Michele,
e gli otto di che dianzi fei menzione,
son tutti intorno al Saracin crudele,
Arimanno e Odoardo d'Inghilterra,
ch'entrati eran pur dianzi ne la terra.
XI
Non cosi freme in su lo scoglio alpino
di ben fondata rocca alta parete,
quando il furor di borea o di garbino
svelle dai monti il frassino e Fabete,
come freme d'orgoglio il Saracino,
di sdegno acceso e di sanguigna sete:
e com' a un tempo e il tuono e la saetta,
cosi 1'ira de Pempio e la vendetta.
412 ORLANDO FURIOSO
XII
Mena alia testa a quel che gli e phi presso,
che gli e il misero Ughetto di Dordona:
lo pone in terra insino ai denti fesso,
come che Pelmo era di tempra buona.
Percosso fu tutto in un tempo anch'esso
da molti colpi in tutta la persona;
ma non gli fan piu ch'alPincude Pago :
si duro intorno ha lo scaglioso drago.
XIII
Furo tutti i ripar, fu la cittade
d'intorno intorno abandonata tutta;
che la gente alia piazza, dove accade
maggior bisogno, Carlo avea ridutta.
Corre alia piazza da tutte le strade
la turba, a chi il fuggir si poco frutta.
La persona del re si i cori accende,
ch'ognun prend'arme, ognun animo prende.
XIV
Come se dentro a ben rinchiusa gabbia
d'antiqua leonessa usata in guerra,
perch' averne piacere il popul abbia,
talvolta il tauro indomito si serra;
i leoncin che veggion per la sabbia
come altiero e mugliando animoso erra,
e veder si gran corna non son usi,
stanno da parte timidi e confusi:
xv
ma se la fiera madre a quel si lancia,
e ne Porecchio attacca il crudel dente,
vogliono anch'essi insanguinar la guancia,
e vengono in soccorso arditamente;
chi morde al tauro il dosso e chi la pancia:
cosi contra il pagan fa quella gente.
Da tetti e da finestre e piu d'appresso
sopra gli piove un nembo d'arme e spesso.
CANTO DECIMOTTAVO 413
XVI
Dei cavallieri e de la fanteria
tanta e la calca, ch'a pena vi cape.
La turba che vi vien per ogni via,
v'abbonda ad or ad or spessa come ape;
che quando, disarmata e nuda, sia
piu facile a tagliar che torsi o rape,
non la potria, legata a monte a monte,
in venti giorni spenger Rodomonte.
XVII
Al pagan, che non sa come ne possa
venir a capo, omai quel gioco incresce.
Poco, per far di mille, o di piii, rossa
la terra intorno, il populo discresce.
II fiato tuttavia piu se gl'ingrossa,
si che comprende al fin che, se non esce
or c'ha vigore e in tutto il corpo e sano,
vorra da tempo uscir che sara invano.
XVIII
Rivolge gli occhi orribili, e pon mente
che d'ogn'intorno sta chiusa Tuscita;
ma con ruina d'infinita gente
Faprira tosto, e la fara espedita.
Ecco, vibrando la spada tagliente,
che vien quel empio, ove il furor lo Jnvita,
ad assalire il nuovo stuol britanno,
che vi trass e Odoardo et Arimanno.
XIX
Chi ha visto in piazza romp ere steccato,
a cui la folta turba ondeggi intorno,
immansueto tauro accaneggiato,
stimulato e percosso tutto '1 giorno ;
che '1 popul se ne fugge ispaventato,
et egli or questo or quel leva sul corno:
pensi che tale o piu terribil fosse
il crudele African quando si mosse.
4H ORLANDO FURIOSO
XX
Quindici o venti ne taglio a traverse,
altritanti lascio del capo tronchi,
ciascun d'un colpo sol dritto o riverso;
che viti o salci par che poti e tronchi.
Tutto di sangue il fier pagano asperso,
lasciando capi fessi e bracci monchi,
e spalle e gambe et altre membra sparte,
ovunque il passo volga, al fin si parte.
XXI
De la piazza, si vede in guisa torre,
che non si puo notar ch'abbia paura;
ma tuttavolta col pensier discorre
dove sia per uscir via piu sicura.
Capita al fin dove la Senna corre
sotto alPisola, e va fuor de le mura.
La gente d'arme e il popul fatto audace
lo stringe e incalza, e gir nol lascia in pace.
XXII
Qual per le selve nomade o massile
cacciata va la generosa belva,
ch'ancor fuggendo mostra il cor gentile,
e minacciosa e lenta si rinselva;
tal Rodomonte, in nessun atto vile,
da strana circondata e fiera selva
d'aste e di spade e di volanti dardi,
si tira al fiume a passi lunghi e tardi.
XXIII
E si tre volte e piu Pira il sospinse,
ch'essendone gia fuor, vi torno in mezzo,
ove di sangue la spada ritinse,
e piu di cento ne levo di mezzo.
Ma la ragione al fin la rabbia vinse
di non far si, ch'a Dio n'andasse il lezzo ;
e da la ripa, per miglior consiglio,
si gitto all'acqua, e usci di gran periglio.
CANTO DECIMOTTAVO 415
XXIV
Con tutte 1'arme ando per mezzo 1'acque,
come s'intorno avesse tante galle.
Africa, in te pare a costui non nacque,
ben che d'Anteo ti vanti e d'Anniballe.
Poi che fu giunto a proda, gli dispiacque,
che si vide restar dopo le spalle
quella citta ch'avea trascorsa tutta,
e non 1'avea tutta arsa ne distmtta.
XXV
E si lo rode la superbia e 1'ira,
che per tornarvi un'altra volta guarda,
e di profondo cor geme e sospira,
ne vuolne uscir, che non la spiani et arda.
Ma lungo il flume, in questa furia, mira
venir chi Podio estingue e 1'ira tarda.
Chi fosse io vi faro ben tosto udire;
ma prima un'altra cosa v'ho da dire.
XXVI
Io v'ho da dir de la Discordia altiera,
a cui F angel Michele avea commesso
ch'a battaglia accendesse e a lite fiera
quei che piii forti avea Agramante appresso.
Usci de* frati la medesma sera,
avendo altrui TufEcio suo commesso:
lascio la Fraude a guerreggiare il loco,
fin che tornasse, e a mantenervi il fuoco.
XXVII
E le parve ch'andria con piu possanza,
se la Superbia ancor seco menasse;
e perche stavan tutte in una stanza,
non fu bisogno ch'a cercar 1'andasse.
La Superbia v'ando, ma non che sanza
la sua vicaria il monaster lasciasse:
per pochi di che credea starne absente,
lascio Flpocrisia locotenente.
416 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
L'implacabil Discordfa in compagnia
de la Superbia si messe in camino,
e ritrovo che la medesma via
facea, per gire al campo saracino,
1'afflitta e sconsolata Gelosia;
e venia seco un nano piccolino,
il qual mandava Doralice bella
al re di Sarza a dar di se novella.
XXIX
Quando ella venne a Mandricardo in mano
(ch'io v'ho gia raccontato e come e dove),
tacitamente avea commesso al nano
che ne portasse a questo re le nuove.
Ella spero che nol saprebbe invano,
ma che far si vedria mirabil pruove,
per riaverla con crudel vendetta
da quel ladron che gli 1'avea intercetta.
xxx
La Gelosia quel nano avea trovato;
e la cagion del suo venir compresa,
a caminar se gli era messa allato,
parendo d'aver luogo a questa impresa.
Alia Discordia ritrovar fu grato
la Gelosia; ma piii quando ebbe intesa
la cagion del venir, che le potea
molto valere in quel che far volea.
XXXI
D'inimicar con Rodomonte il figlio
del re Agrican le pare aver suggetto :
trovera a sdegnar gli altri altro consiglio;
a sdegnar questi duo questo e perfetto.
Col nano se ne vien dove Partiglio
del fier pagano avea Parigi astretto ;
e capitaro a punto in su la riva,
quando il crudel del fiume a nuoto usciva.
CANTO DECIMOTTAVO 417
XXXII
Tosto che riconobbe Rodomonte
costui de la sua donna esser messaggio,
estinse ogn'ira, e sereno la fronte,
e si senti brillar dentro il coraggio.
Ogn'altra cosa aspetta che gli conte,
prima ch'alcuno abbia a lei fatto oltraggio.
Va contra il nano, e lieto gli domanda:
— Ch'e de la donna nostra? ove ti manda? —
XXXIII
Rispose il nano: — Ne piu tua ne mia
donna diro quella ch'e serva altrui.
leri scontrammo un cavallier per via
che ne la tolse, e la meno con lui. —
A quello annunzio entrd la Gelosia,
fredda come aspe, et abbraccio costui.
Seguita il nano, e narragli in che guisa
un sol Tha presa, e la sua gente uccisa.
xxxiv
L'acciaio allora la Discordia prese,
e la pietra focaia, e picchio un poco,
e 1'esca sotto la Superbia stese,
e fu attaccato in un momento il fuoco;
e si di questo 1'anima s'accese
del Saracin, che non trovava loco:
sospira e freme con si orribil faccia,
che gli elementi e tutto il ciel minaccia.
xxxv
Come la tigre, poi ch'invan discende
nel voto albergo, e per tutto s'aggira,
e i can figli alPultimo comprende
essergli tolti, avampa di tant'ira,
a tanta rabbia, a tal furor s'estende,
che ne a monte ne a rio ne a notte mira,
ne lunga via, ne grandine raffrena
Todio che dietro al predator la mena:
4*8 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
cosi furendo il Saracin bizzarre
si volge al nano, e dice : — Or la t'invia — ;
e non aspetta ne destrier ne carro,
e non fa motto alia sua compagnia.
Va con piu fretta che non va il ramarro,
quando il ciel arde, a traversar la via.
Destrier non ha, ma il primo tor disegna,
sia di chi vuol, ch'ad incontrar lo vegna.
XXXVII
La Discordia, ch'udi questo pensiero,
guardo ridendo la Superbia, e disse
che volea gire a trovare un destriero
che gli apportasse altre contese e risse;
e far volea sgombrar tutto il sentiero,
ch'altro che quello in man non gli venisse:
e gia pensato avea dove trovarlo.
Ma costei Iasci6, e torno a dir di Carlo.
XXXVIII
Poi ch'al partir del Saracin si estinse
Carlo d'intorno il periglioso fuoco,
tutte le genti all'ordine ristrinse.
Lascionne parte in qualche debol loco :
adosso il resto ai Saracini spinse,
per dar lor scacco, e guadagnarsi il giuoco;
e gli mand6 per ogni porta fuore,
da San Germane infin a San Vittore.
xxxix
E command6 ch'a porta San Marcello,
dov'era gran spianata di campagna,
aspettasse Fun 1'altro, e in un drappello
si ragunasse tutta la compagna.
Quindi animando ognuno a far macello
tal, che sempre ricordo ne rimagna,
ai lor ordini andar fe' le bandiere,
e di battaglia dar segno alle schiere.
CANTO DECIMOTTAVO 419
XL
II re Agramante in questo mezzo in sella,
mal grado dei cristian, rimesso s'era;
e con Pinamorato d1 Isabella
facea battaglia perigliosa e fiera:
col re Sobrin Lurcanio si martella;
Rinaldo incontra avea tutta una schiera,
e con virtude e con fortuna molta
Purta, Papre, ruina e mette in volta.
XLI
Essendo la battaglia in questo stato,
Pimperatore assalse il retroguardo
dal canto ove Marsilio avea fermato
il fior di Spagna intorno al suo stendardo.
Con fanti in mezzo e cavallieri allato,
re Carlo spinse il suo popul gagliardo
con tal rumor di timpani e di trombe,
che tutto '1 mondo par che ne rimbombe.
XLII
Cominciavan le schiere a ritirarse
de' Saracini, e si sarebbon volte
tutte a fuggir, spezzate, rotte e sparse,
per mai piu non potere esser raccolte;
ma }1 re Grandonio e Falsiron comparse,
che stati in maggior briga eran piu volte,
e Balugante e Serpentin feroce,
e Ferrau che lor dicea a gran voce:
XLIII
— Ah — dicea — valentuomini, ah compagni,
ah fratelli, tenete il luogo vostro.
I nimici faranno opra di ragni,
se non manchiamo noi del dover nostro.
Guardate Palto onor, gli ampli guadagni
che Fortuna, vincendo, oggi ci ha mostro:
guardate la vergogna e il danno estremo,
ch'essendo 'vinti, a patir sempre avremo. —
420 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Tolto in quel tempo una gran lancia avea,
e contra Berlingier venne di botto,
che sopra Largaliffa combattea,
e 1'elmo ne la fronte gli avea rotto:
gittollo in terra, e con la spada rea
appresso a lui ne fe' cader forse otto.
Per ogni botta almanco, che disserra,
cader fa sempre un cavalliero in terra.
XLV
In altra parte ucciso avea Rinaldo
tanti pagan, ch'io non potrei contarli.
Dinanzi a lui non stava ordine saldo :
vedreste piazza in tutto '1 campo darli.
Non men Zerbin, non men Lurcanio e caldo;
per modo fan, ch'ognun sempre ne parli:
questo di punta avea Balastro ucciso,
e quello a Finadur 1'elmo diviso,
XL VI
L'esercito d'Alzerbe avea il primiero,
che poco inanzi aver solea Tardocco ;
1'altro tenea sopra le squadre impero
di Zamor e di Saffi e di Marocco.
— Non e tra gli Africani un cavalliero
che di lancia ferir sappia o di stocco ? —
mi si potrebbe dir: ma passo passo
nessun di gloria degno a dietro lasso.
XLVII
Del re de la Zumara non si scorda
il nobil Dardinel figlio d'Almonte,
che con la lancia Uberto da Mirforda,
Claudio dal Bosco, Elio e Dulfin dal Monte,
e con la spada Anselmo da Stanforda,
e da Londra Raimondo e Pinamonte
getta per terra (et erano pur forti),
dui storditi, un piagato, e quattro morti.
CANTO DECIMOTTAVO 421
XLVIII
Ma con tutto '1 valor che di se mostra,
non puo tener si ferma la sua gente,
si ferma, ch'aspettar voglia la nostra
di numero minor, ma piu valente.
Ha piu ragion di spada e piu di giostra
e d'ogni cosa a guerra appertinente.
Fugge la gente maura, di Zumara,
di Setta, di Marocco e di Canara.
XLIX
Ma piu degli altri fuggon quei d'Alzerbe,
a cui s'oppose il nobil giovinetto;
et or con prieghi, or con parole acerbe
ripor lor cerca Tammo nel petto.
— S'Almonte merito ch'in voi si serbe
di lui memoria, or ne vedro Feffetto:
io vedro — dicea lor — se me, suo figlio,
lasciar vorrete in cosi gran periglio.
L
State, vi priego per mia verde etade,
in cui solete aver si larga speme:
deh non vogliate andar per fil di spade,
ch'in Africa non torni di noi seme.
Per tutto ne saran chiuse le strade,
se non andiam raccolti e stretti insieme :
troppo alto muro e troppo larga fossa
e il monte e il mar, pria che tornar si possa.
LI
Molto e meglio morir qui, ch'ai supplici
darsi e alia discrezion di questi cani.
State saldi, per Dio, fedeli amici;
che tutti son gli altri rimedii vani,
Non han di noi piu vita gli nimici;
piu d'un'alma non han, piu di due mani. —
Cosi dicendo, il giovinetto forte
al conte d'Otonlei diede la morte.
422 ORLANDO FURIOSO
LII
II rimembrare Almonte cosi accese
Tesercito african che fuggia prima,
che le braccia e le mani in sue difese
meglio, che rivoltar le spalle, estima.
Guglielmo da Burnich era uno Inglese
maggior di tutti, e Dardinello il cima,
e lo pareggia agli altri; e apresso taglia
il capo ad Aramon di Cornovaglia.
LIII
Morto cadea questo Aramone a valle;
e v'accorse il fratel per dargli aiuto:
ma Dardinel 1'aperse per le spalle
fin giu dove lo stomaco e forcuto.
Poi for6 il ventre a Bogio da Vergalle,
e lo mando del debito assoluto:
avea promesso alia moglier fra sei
mesi, vivendo, di tornare a lei.
LIV
Vide non lungi Dardinel gagliardo
venir Lurcanio, ch'avea in terra messo
Dorchin, passato ne la gola, e Gardo
per mezo il capo e insin ai denti fesso ;
e ch'Alteo fuggir volse, ma fu tardo,
Alteo ch'amc- quanto il suo core istesso ;
che dietro alia collottola gli mise
il fier Lurcanio un colpo che Puccise.
LV
Piglia una lancia, e va per far vendetta,
dicendo al suo Macon (s'udir lo puote),
che se morto Lurcanio in terra getta,
ne la moschea ne porra Parme vote.
Poi traversando la campagna in fretta,
con tanta forza il fiance gli percuote,
che tutto il passa sin alPaltra banda;
et ai suoi, che lo spoglino, commanda.
CANTO DECIMOTTAVO 423
LVI
Non e da domandarmi, se dolere
se ne dovesse Ariodante il frate;
se desiasse di sua man potere
por Dardinel fra I'anime dannate:
ma nol lascian le genti adito avere,
non men de le 'nfedel le battezzate.
Vorria pur vendicarsi, e con la spada
di qua di la spianando va la strada.
LVII
Urta, apre, caccia, atterra, taglia e fende
qualunque lo 'mpedisce o gli contrasta.
E Dardinel che quel desire intende,
a volerlo saziar gia non sovrasta:
ma la gran moltitudine contende
con questo ancora, e i suoi disegni guasta.
Se Mori uccide 1'un, Taltro non manco
gli Scotti uccide e il campo inglese e '1 franco.
LVIII
Fortuna sempremai la via lor tolse,
che per tutto quel di non s'accozzaro.
A piu famosa man serbar Fun volse;
che Tuomo il suo destin fugge di raro.
Ecco Rinaldo a questa strada volse,
perch' alia vita d'un non sia riparo;
ecco Rinaldo vien: Fortuna il guida
per dargli onor che Dardinello uccida.
LIX
Ma sia per questa volta detto assai
dei gloriosi fatti di Ponente.
Tempo e ch'io torni ove Grifon lasciai,
che tutto d'ira e di disdegno ardente
facea, con piu timor ch'avesse mai,
tumultuar la sbigottita gente.
Re Norandino a quel rumor corso era
con piu di mille armati in una schiera.
424 ORLANDO FURIOSO
LX
Re Norandin con la sua corte armata,
vedendo tutto '1 populo fuggire,
venne alia porta in battaglia ordinata,
e quella fece alia sua giunta aprire.
Grifone intanto avendo gia cacciata
da se la turba sciocca e senza ardire,
la sprezzata armatura in sua difesa
(qual la si fosse) avea di nuovo presa;
LXI
e presso a un tempio ben murato e forte,
che circondato era d'un'alta fossa,
in capo un ponticel si fece forte,
perche chiuderlo in mezzo alcun non possa.
Ecco, gridando e minacciando forte,
fuor de la porta esce una squadra grossa.
L'animoso Grifon non muta loco,
e fa sembiante che ne tema poco.
LXII
E poi ch'avicinar questo drappello
si vide, ando a trovarlo in su la strada;
e molta strage fattane e macello
(che menava a due man sempre la spada),
ricorso avea allo stretto ponticello,
e quindi li tenea non troppo a bada:
di nuovo usciva e di nuovo tornava;
e sempre orribil segno vi lasciava.
LXIII
Quando di dritto e quando di riverso
getta or pedoni or cavallieri in terra.
II popul contra lui tutto converse
piu e piu sempre inaspera la guerra.
Teme Grifone al fin restar sommerso:
si cresce il mar che d'ogn'intorno il serra;
e ne la spalla e ne la coscia manca
e gia ferito, e pur la lena manca.
CANTO DECIMOTTAVO 425
LXIV
Ma la virtu, ch'ai suoi spesso soccorre,
gli fa appo Norandin trovar perdono.
II re, mentre al tumulto in dubbio corre,
vede che morti gia tanti ne sono;
vede le piaghe che di man d'Ettorre
pareano uscite: un testimonio buono,
che dianzi esso avea fatto indegnamente
vergogna a un cavallier molto eccellente.
LXV
Poi, come gli e piu presso, e vede in fronte
quel che la gente a morte gli ha condutta,
e fattosene avanti orribil monte,
e di quel sangue il fosso e Pacqua brutta;
gli e aviso di veder proprio sul ponte
Orazio sol contra Toscana tutta:
e per suo onore, e perche gli ne 'ncrebbe,
ritrasse i suoi, ne gran fatica v'ebbe.
LXVI
Et alzando la man nuda e senz'arme,
antico segno di tregua o di pace,
disse a Grifon: — Non so, se non chiamarme
d'avere il torto, e dir che mi dispiace:
ma il mio poco giudicio, e lo instigarme
altrui, cadere in tanto error mi face.
Quel che di fare io mi credea al piu vile
guerrier del mondo, ho fatto al piu gentile.
LXVII
E se bene alia ingiuria et a quelPonta
ch'oggi fatta ti fu per ignoranza,
1'onor che ti fai qui s'adegua e sconta,
o (per piu vero dir) supera e avanza;
la satisfazion ci sera pronta
a tutto mio sap ere e mia possanza,
quando io conosca di poter far quella
per oro o per cittadi o per castella.
426 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Chiedimi la meta di questo regno,
ch'io son per fartene oggi possessore;
che 1'alta tua virtu non ti fa degno
di questo sol, ma ch'io ti doni il core:
e la tua mano, in questo mezzo, pegno
di fe mi dona e di perpetuo amore. —
Cosi dicendo, da cavallo scese,
e ver Grifon la destra mano stese.
LXIX
Grifon, vedendo il re fatto benigno
venirgli per gittar le braccia al collo,
lascio la spada e 1'animo maligno,
e sotto Panche et umile abbracciollo.
Lo vide il re di due piaghe sanguigno,
e tosto fej venir chi medicollo;
indi portar ne la cittade adagio,
e riposar nel suo real palagio.
LXX
Dove ferito, alquanti giorni, inante
che si potesse armar, fece soggiorno.
Ma lascio lui, ch'al suo frate Aquilante
et ad Astolfo in Palestina torno,
che di Grifon, poi che Iasci6 le sante
mura, cercare han fatto piu d'un giorno
in tutti i lochi in Solima devoti,
e in molti ancor da la citta remoti.
LXXI
Or ne Puno ne Paltro e si indovino,
che di Grifon possa saper che sia:
ma venne lor quel Greco peregrino,
nel ragionare, a caso a darne spia,
dicendo ch'Orrigille avea il camino
verso Antiochia preso di Soria,
d'un nuovo drudo, ch'era di quel loco,
di subito arsa e d'improviso fuoco.
CANTO DECIMOTTAVO 427
LXXII
Dimandogli Aquilante, se di questo
cosi notizia avea data a Grifone;
e come Paffermo, s'aviso il resto,
perche fosse partite, e la cagione.
Ch'Orrigille ha seguito e manifesto
in Antiochia con intenzione
di levarla di man del suo rivale
con gran vendetta e memorabil male.
LXXIII
Non tolero Aquilante che '1 fratello
solo e senz'esso a queirimpresa andasse;
e prese Parme, e venne dietro a quello:
ma prima prego il duca che tardasse
1'andata in Francia et al paterno ostello,
fin ch'esso d'Antiochia ritornasse.
Scende al Zaffo e s'imbarca, che gli pare
e piu breve e miglior la via del mare.
LXXIV
Ebbe un ostro-silocco allor possente
tanto nel mare, e si per lui disposto,
che la terra del Surro il di seguente
vide e SafTetto, un dopo Taltro tosto.
Passa Barutti e il Zibeletto, e sente
che da man manca gli e Cipro discosto.
A Tortosa da Tripoli, e alia Lizza
e al golfo di Laiazzo il camin drizza.
LXXV
Quindi a levante fe' il nocchier la fronte
del navilio voltar snello e veloce;
et a sorger n'and6 sopra FOronte,
e colse il tempo, e ne piglio la foce.
Gittar fece Aquilante in terra il ponte,
e n'usci armato sul destrier feroce;
e contra il fiume il camin dritto tenne,
tanto ch'in Antiochia se ne venne.
428 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Di quel Martano ivi ebbe ad informarse;
et udi ch'a Darnasco se n'era ito
con Orrigille, ove ima giostra farse
dovea solenne per reale invito.
Tanto d'andargli dietro il desir 1'arse,
certo che '1 suo german 1'abbia seguito,
che d'Antiochia anco quel di si tolle;
ma gia per mar piu ritornar non voile.
LXXVII
Verso Lidia e Larissa il camin piega:
resta piu sopra Aleppe ricca e piena.
Dio per mostrar ch'ancor di qua non niega
mercede al bene, et al contrario pena,
Martano appresso a Mamuga una lega
ad incontrarsi in Aquilante mena.
Martano si facea con bella mostra
portare inanzi il pregio de la giostra.
LXXVIII
Penso Aquilante, al primo comparire,
che '1 vil Martano il suo fratello fosse;
che 1'ingannaron 1'arme, e quel vestire
candido piu che nievi ancor non mosse:
e con quelPoh! che d'allegrezza dire
si suole, incominci6; ma poi cangiosse
tosto di faccia e di parlar, ch' appresso
s'avide meglio che non era desso.
LXXIX
Dubito che per fraude di colei
ch'era con lui, Grifon gli avesse ucciso;
e: — Dimmi, — gli grido — tu ch'esser dei
un ladro e un traditor, come n'hai viso,
onde hai quest'arme avute? onde ti sei
sul buon destrier del mio fratello assiso ?
Dimmi se '1 mio fratello e morto o vivo ;
come de 1'arme e del destrier Thai privo. —
CANTO DECIMOTTAVO 429
LXXX
Quando Orrigille udi 1'irata voce,
a dietro il palafren per fuggir volse;
ma di lei fu Aquilante piii veloce,
e fecela fermar, volse o non volse.
Martano al minacciar tanto feroce
del cavallier, che si improvise il colse,
pallido triema, come al vento fronda,
ne sa quel che si faccia o che risponda.
LXXXI
Grida Aquilante, e fulminar non resta,
e la spada gli pon dritto alia strozza;
e giurando minaccia che la testa
ad Orrigille e a lui rimarra mozza,
se tutto il fatto non gli manifesta.
II mal giunto Martano alquanto ingozza,
e tra se volve se puo sminuire
sua grave colpa, e poi comincia a dire:
LXXXII
— Sappi, signor, che mia sorella e questa,
nata di buona e virtuosa gente,
ben che temita in vita disonesta
1'abbia Grifone obbrobriosamente :
e tale infamia essendomi molesta,
ne per forza sentendomi possente
di torla a si grande uom, feci disegno
d'averla per astuzia e per ingegno.
LXXXIII
Tenni modo con lei, ch'avea desire
di ritornare a piu lodata vita,
ch'essendosi Grifon messo a dormire,
chetamente da lui fesse partita.
Cosi fece ella; e perche egli a seguire
non n'abbia, et a turbar la tela ordita,
noi lo lasciammo disarmato e a piedi;
e qua venuti sian, come tu vedi. —
430 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
Poteasi dar di somma astuzia vanto,
che colui facilmente gli credea;
e fuor che 'n torgli arme e destrier e quanto
tenesse di Grifon, non gli nocea;
se non volea pulir sua scusa tanto,
che la facesse di menzogna rea:
buona era ogn'altra parte, se non quella
che la femina allui fosse sorella.
LXXXV
Avea Aquilante in Antiochia inteso
essergli concubina da piu genti;
onde gridando, di furore acceso:
— Falsissimo ladron, tu te ne menti! —
un pugno gli tiro di tanto peso,
che ne la gola gli cacci6 duo denti;
e senza piu contesa, arnbe le braccia
gli volge dietro, e d'una fune allaccia;
LXXXVI
e parimente fece ad Orrigille,
ben che in sua scusa ella dicesse assai.
Quindi li trasse per casali e ville,
n6 li Iasci6 fin a Damasco mai;
e de le miglia mille volte mille
tratti gli avrebbe con pene e con guai,
fin ch'avesse trovato il suo fratello,
per fame poi come piacesse a quello.
LXXXVII
Fece Aquilante lor scudieri e some
seco tornare, et in Damasco venne,
e trovo di Grifon celebre il nome
per tutta la citta batter le penne:
piccoli e grandi, ognun sapea gia come
egli era, che si ben corse 1'antenne,
et a cui tolto fu con falsa mostra
dal compagno la gloria de la giostra.
CANTO DECIMOTTAVO 43!
LXXXVIII
II popul tutto al vil Martano infesto,
Funo all'altro additandolo, lo scuopre.
— Non e, — dicean — non e il ribaldo questo,
che si fa laude con Faltrui buone opre ?
e la virtu di chi non e ben desto,
con la sua infamia e col suo obbrobrio copre ?
Non e 1'ingrata femina costei,
la qual tradisce i buoni e aiuta i rei ? —
LXXXIX
Altri dicean : — Come stan bene insieme
segnati ambi d'un marchio e d'una razza! —
Chi li bestemmia, chi lor dietro freme,
chi grida: — Impicca, abrucia, squarta, amazza! —
La turba per veder s'urta, si preme,
e corre inanzi alle strade, alia piazza.
Venne la nuova al re, che mostro segno
d'averla cara piu ch'un altro regno.
xc
Senza molti scudier dietro o davante,
come si ritrovo, si mosse in fretta,
e venne ad incontrarsi in Aquilante,
ch'avea del suo Grifon fatto vendetta;
e quello onora con gentil sembiante,
seco lo 'nvita, e seco lo ricetta;
di suo consenso avendo fatto porre
i duo prigioni in fondo d'una torre.
xci
Andaro insieme ove del letto mosso
Grifon non s'era, poi che fu ferito,
che vedendo il fratel, divenne rosso ;
che ben stimo ch'avea il suo caso udito.
E poi che motteggiando un poco adosso
gli ando Aquilante, messero a partito
di dare a quelli duo iusto martoro,
venuti in man degli awersari loro.
432 ORLANDO FURIOSO
XCII
Vuole Aquilante, vuole il re che mille
strazii ne sieno fatti; ma Grifone
(perche non osa dir sol d'Orrigille)
all'uno e all'altro vuol che si perdone.
Disse assai cose, e molto ben ordille;
fugli risposto: or per conclusione
Martano e disegnato in mano al boia,
ch'abbia a scoparlo, e non pero che moia.
XCIII
Legar lo fanno, e non tra' fiori e Ferba,
e per tutto scopar Taltra matina.
Orrigille captiva si riserba
fin che ritorni la bella Lucina,
al cui saggio parere, o lieve o acerba,
rimetton quei signor la disciplina.
Quivi stette Aquilante a ricrearsi
fin che '1 fratel fu sano e pote armarsi.
xciv
Re Norandin, che temperato e saggio
divenuto era dopo un tanto errore,
non potea non aver sempre il coraggio
di penitenzia pieno e di dolore,
d'aver fatto a colui danno et oltraggio,
che degno di mercede era e d'onore:
si che di e notte avea il pensiero intento
per farlo rimaner di se contento.
xcv
E statui nel publico conspetto
de la citta, di tanta ingiuria rea,
con quella maggior gloria ch'a perfetto
cavallier per un re dar si potea,
di rendergli quel premio ch'intercetto
con tanto inganno il traditor gli avea:
e percio fe' bandir per quel paese,
che faria un'altra giostra indi ad un mese.
CANTO DECIMOTTAVO 433
XCVI
Di ch'apparecchio fa tanto solenne,
quanto a pompa real possibil sia:
onde la Fama con veloci penne
porto la nuova per tutta Soria;
et in Fenicia e in Palestina venne,
e tanto, ch'ad Astolfo ne die spia,
il qual col vicere deliberosse
che quella giostra senza lor non fosse.
xcvn
Per guerrier valoroso e di gran nome
la vera istoria Sansonetto vanta.
Gli die battesmo Orlando, e Carlo (come
v'ho detto) a governar la Terra Santa.
Astolfo con costui Iev6 le some,
per ritrovarsi ove la Fama canta,
si che d'intorno n'ha piena ogni orecchia,
ch'in Damasco la giostra s'apparecchia.
XCVIII
Or cavalcando per quelle contrade
con non lunghi viaggi, agiati e lenti,
per ritrovarsi freschi alia cittade
poi di Damasco il di dej torniamenti,
scontraro in una croce di due strade
persona ch'al vestire e a3 movimenti
avea sembianza d'uomo, e femin'era,
ne le battaglie a maraviglia fiera.
xcix
La vergine Marfisa si nomava,
di tal valor, che con la spada in mano
fece piu volte al gran signor di Brava
sudar la fronte e a quel di Montalbano ;
e '1 di e la notte armata sempre andava
di qua di la cercando in monte e in piano
con cavallieri erranti riscontrarsi,
et immortale e gloriosa farsi.
434 ORLANDO FURIOSO
C
Com'ella vide Astolfo e Sansonetto,
ch'appresso le venian con 1'arme indosso,
prodi guerrier le parvero all'aspetto ;
ch'erano ambeduo grandi e di buono osso:
e perche di provarsi avria diletto,
per isfidarli avea il destrier gia mosso;
quando, affissando 1'occhio piu vicino,
conosciuto ebbe il duca paladino.
ci
De la piacevolezza le sovenne
del cavallier, quando al Catai seco era:
e lo chiam6 per nome, e non si tenne
la man nel guanto, e alzossi la visiera;
e con gran festa ad abbracciarlo venne,
come che sopra ogn'altra fosse altiera.
Non men da Paltra parte riverente
fu il paladino alia donna eccellente.
en
Tra lor si domandaron di lor via:
e poi ch' Astolfo, che prima rispose,
narr6 come a Damasco se ne gia,
dove le genti in arme valorose
avea invitato il re de la Soria
a dimostrar lor opre virtuose;
Marfisa, sempre a far gran pruove accesa,
— Voglio esser con voi — disse — a questa impresa.
cm
Sommamente ebbe Astolfo grata questa
compagna d'arme, e cosi Sansonetto.
Furo a Damasco il di inanzi la festa,
e di fuora nel borgo ebbon ricetto:
e sin all'ora che dal sonno desta
1' Aurora il vecchiarel gia suo diletto,
quivi si riposar con maggior agio,
che se smontati fossero al palagio.
CANTO DECIMOTTAVO 435
CIV
E poi che '1 nuovo sol lucido e chiaro
per tutto sparsi ebbe i fulgent! raggi,
la bella donna e i duo guerrier s'armaro,
mandato avendo alia citta messaggi;
che, come tempo fu, lor rapportaro
che per veder spezzar frassini e faggi
re Norandino era venuto al loco
ch'avea constituito al fiero gioco.
cv
Senza phi indugio alia citta ne vanno,
e per la via maestra alia gran piazza,
dove aspettando il real segno stanno
quinci e quindi i guerrier di buona razza.
I premii che quel giorno si daranno
a chi vince, e uno stocco et una mazza
guerniti riccamente, e un destrier quale
sia convenevol dono a un signer tale.
cvi
Avendo Norandin fermo nel core
che, come il primo pregio, il secondo anco,
e d'ambedue le giostre il sommo onore
si debba guadagnar Grifone il bianco;
per dargli tutto quel ch'uom di valore
dovrebbe aver, ne debbe far con manco,
posto con Tarme in questo ultimo pregio
ha stocco e mazza e destrier molto egregio.
cvn
L'arme che ne la giostra fatta dianzi
si doveano a Grifon che '1 tutto vinse,
e che usurpate avea con tristi avanzi
Martano che Grifone esser si finse,
quivi si fece il re pendere inanzi,
e il ben guernito stocco a quelle cinse,
e la mazza all'arcion del destrier messe,
perche Grifon Tun pregio e Paltro avesse.
436 ORLANDO FURIOSO
CVIII
Ma che sua intenzione avesse effetto
vieto quella magnanima guerriera,
che con Astolfo e col buon Sansonetto
in piazza nuovamente venuta era.
Costei, vedendo Tarme ch'io v'ho detto,
subito n'ebbe conoscenza vera:
pero che gia sue furo, e Pebbe care
quanto si suol le cose ottime e rare;
cix
ben che 1'avea lasciate in su la strada
a quella volta che le fur d'impaccio,
quando per riaver sua buona spada
correa dietro a Brunei degno di laccio.
Questa istoria non credo che m'accada
altrimenti narrar; per6 la taccio.
Da me vi basti intendere a che guisa
quivi trovasse Parme sue Marfisa.
ex
Intenderete ancor che come Febbe
riconosciute a manifeste note,
per altro che sia al mondo non le avrebbe
lasciate un di di sua persona vote.
Se piu tenere un modo o un altro debbe
per racquistarle, ella pensar non puote;
ma se gli accosta a un tratto, e la man stende,
e senz'altro rispetto se le prende:
CXI
e per la fretta ch'ella n'ebbe, avenne
ch'altre ne prese, altre mandoline in terra.
II re, che troppo offeso se ne tenne,
con uno sguardo sol le mosse guerra;
che '1 popul, che ringiuria non sostenne,
per vendicarlo e lance e spade afferra,
non rammentando ci6 ch'i giorni inanti
nocque il dar noia ai cavallieri erranti.
CANTO DECIMOTTAVO 437
CXII
Ne fra vermigli fiori, azzurri e gialli
vago fanciullo alia stagion novella,
ne mai si ritrovo fra suoni e balli
piu volentieri ornata donna e bella;
che fra strepito d'arme e di cavalli,
e fra punte di lance e di quadrella,
dove si sparga sangue e si dia morte,
costei si truovi, oltre ogni creder forte.
CXIII
Spinge il cavallo, e ne la turba sciocca
con Pasta bassa impetuosa fere;
e chi nel collo e chi nel petto imbrocca,
e fa con 1'urto or questo or quel cadere:
poi con la spada uno et un altro tocca,
e fa qual senza capo rimanere,
e qual con rotto, e qual passato al fiance,
e qual del braccio privo o destro o manco.
cxiv
L'ardito Astolfo e il forte Sansonetto,
ch'avean con lei vestita e piastra e maglia,
ben che non venner gia per tale effetto,
pur, vedendo attaccata la battaglia,
abbassan la visiera de Felmetto,
e poi la lancia per quella canaglia;
et indi van con la tagliente spada
di qua di la facendosi far strada.
cxv
I cavallieri di nazion diverse,
ch'erano per giostrar quivi ridutti,
vedendo Tarme in tal furor converse,
e gli aspettati giuochi in gravi lutti
(che la cagion ch'avesse di dolerse
la plebe irata non sapeano tutti,
ne ch'al re tanta ingiuria fosse fatta),
stavan con dubbia mente e stupefatta.
438 ORLANDO FURIOSO
CXVI
Di ch'altri a favorir la turba venne,
che tardi poi non se ne fu a pentire;
altri, a cui la citta piu non attenne
che gli stranieri, accorse a dipartire;
altri, piu saggio, in man la briglia tenne,
mirando dove questo avesse a uscire.
Di quelli fu Grifone et Aquilante,
che per vendicar Tarme andaro inante.
CXVII
Essi, vedendo il re che di veneno
avea le luci inebriate e rosse,
et essendo da molti instrutti a pieno
de la cagion che la discordia mosse,
e parendo a Grifon che sua, non meno
che del re Norandin, ringiuria fosse;
s'avean le lance fatte dar con fretta,
e venian fulminando alia vendetta.
cxvm
Astolfo d'altra parte Rabicano
venia spronando a tutti gli altri inante,
con Tincantata lancia d'oro in mano,
ch'al fiero scontro abbatte ogni giostrante.
Feri con essa e lascio steso al piano
prima Grifone, e poi trovo Aquilante;
e de lo scudo tocco Porlo a pena,
che lo gitt6 riverso in su 1'arena.
cxix
I cavallier di pregio e di gran pruova
votan le selle inanzi a Sansonetto.
L'uscita de la piazza il popul truova:
il re n'arrabbia d'ira e di dispetto.
Con la prima corazza e con la nuova
Marfisa intanto, e 1'uno e Paltro elmetto,
poi che si vide a tutti dare il tergo,
vincitrice venia verso Palbergo.
CANTO DECIMOTTAVO 439
CXX
Astolfo e Sansonetto non fur lenti
a seguitarla, e seco a ritornarsi
verso la porta (che tutte le genti
gli davan loco), et al rastrel fermarsi.
Aquilante e Grifon, troppo dolenti
di vedersi a uno incontro riversarsi,
tenean per gran vergogna il capo chino,
ne ardian venire inanzi a Norandino.
cxxi
Presi e montati c'hanno i lor cavalli,
spronano dietro agli nirnici in fretta.
Li segue il re con molti suoi vasalli,
tutti pronti o alia morte o alia vendetta.
La sciocca turba grida: — Dalli dalli! —
e sta lontana, e le novelle aspetta.
Grifone arriva ove volgean la fronte
i tre compagni, et avean preso il ponte.
CXXII
A prima giunta Astolfo raffigura,
ch'avea quelle medesime divise,
avea il cavallo, avea quella armatura
ch'ebbe dal di ch'Orril fatale uccise.
Ne miratol, ne posto gli avea cura,
quando in piazza a giostrar seco si rnise:
quivi il conobbe, e salutollo; e poi
gli domand6 de li compagni suoi,
CXXIII
e perche tratto avean quell'arme a terra,
portando al re si poca riverenza.
Di suoi compagni il duca d'Inghilterra
diede a Grifon non falsa conoscenza:
de Tarme ch'attaccate avean la guerra,
disse che non n'avea troppa scienza;
ma perche con Marfisa era venuto,
dar le volea con Sansonetto aiuto.
44° ORLANDO FURIOSO
CXXIV
Quivi con Grifon stando il paladino,
viene Aquilante, e lo conosce tosto
che parlar col fratel 1'ode vicino,
e il voler cangia, ch'era mal disposto.
Giungean molti di quei di Norandino,
ma troppo non ardian venire accosto;
e tanto piu, vedendo i parlamenti,
stavano cheti, e per udire intenti.
cxxv
Alcun ch'intende quivi esser Marfisa,
che tiene al mondo il vanto in esser forte,
volta il cavallo, e Norandino avisa
che s'oggi non vuol perder la sua corte,
proveggia, prima che sia tutta uccisa,
di man trarla a Tesifone e alia Morte;
perche Marfisa veramente e stata,
che 1'armatura in piazza gli ha levata.
cxxvi
Come re Norandino ode quel nome
cosi temuto per tutto Levante,
che facea a molti anco arricciar le chiome,
ben che spesso da lor fosse distante,
e certo che ne debbia venir come
dice quel suo, se non provede inante;
pero gli suoi, che gia mutata 1'ira
hanno in timore, a se richiama e tira.
cxxvn
Da Paltra parte i figli d'Oliviero
con Sansonetto e col figliuol d'Otone,
supplicando a Marfisa, tanto fero,
che si die fine alia crudel tenzone.
Marfisa, giunta al re, con viso altiero
disse : — lo non so, signor, con che ragione
vogli quest'arme dar, che tue non sono,
al vincitor de le tue giostre in dono.
CANTO DECIMOTTAVO 441
CXXVIII
Mie sono Parme, e 'n mezzo de la via
che vien d'Armenia, un giorno le lasciai,
perche seguire a pie mi convenia
un rubator che m'avea offesa assai:
e la mia insegna testimon ne fia,
che qui si vede, se notizia n'hai. —
E la mostro ne la corazza impressa,
ch'era in tre parti una corona fessa.
cxxix
— Gli e ver — rispose il re — che mi fur date,
son pochi di, da un mercatante armeno;
e se voi me Tavesse domandate,
1'avreste avute, o vostre o no che sieno;
ch'avenga ch'a Grifon gia Pho donate,
ho tanta fede in lui, che nondimeno,
accio a voi darle avessi anche potuto,
volentieri il mio don m'avria renduto.
cxxx
Non bisogna allegar, per farmi fede
che vostre sien, che tengan vostra insegna :
basti il dirmelo voi; che vi si crede
piu ch'a qual altro testimonio vegna.
Che vostre sian vostr'arme si conciede
alia virtu di maggior premio degna.
Or ve Pabbiate, e piu non si contenda;
e Grifon maggior premio da me prenda. —
cxxxi
Grifon che poco a cor avea queirarme,
ma gran disio che '1 re si satisfaccia,
gli disse : — Assai potete compensarme,
se mi fate saper ch'io vi compiaccia. —
Tra se disse Marfisa: ccEsser qui parme
Tonor mio in tutto», e con benigna faccia
voile a Grifon de Farme esser cortese;
e fmalmente in don da lui le prese.
442 ORLANDO FURIOSO
CXXXII
Ne la citta con pace e con amore
tornaro, ove le feste raddoppiarsi.
Poi la giostra si fej, di che 1'onore
e Jl pregio Sansonetto fece darsi;
ch'Astolfo e i duo fratelli e la migliore
di lor, Marfisa, non volson provarsi,
cercando, com'amici e buon compagni,
che Sansonetto il pregio ne guadagni.
CXXXIII
Stati che sono in gran piacere e in festa
con Norandino otto giornate o diece,
perche Tamor di Francia gli molesta,
che lasciar senza lor tanto non lece,
tolgon licenzia; e Marfisa, che questa
via disiava, compagnia lor fece.
Marfisa avuto avea lungo disire
al paragon dei paladin venire,
CXXXIV
e far esperienzia se Teffetto
si pareggiava a tanta nominanza.
Lascia un altro in suo loco Sansonetto,
che di Jerusalem regga la stanza.
Or questi cinque in un drappello eletto,
che pochi pari al mondo han di possanza,
licenziati dal re Norandino,
vanno a Tripoli e al mar che v'e vicino.
cxxxv
E quivi una caracca ritrovaro,
che per Ponente mercanzie raguna.
Per loro e pei cavalli s'accordaro
con un vecchio patron ch'era da Luna.
Mostrava d'ogn'intorno il tempo chiaro,
ch'avrian per molti di buona fortuna.
Sciolser dal lito, avendo aria serena,
e di buon vento ogni lor vela piena.
CANTO DECIMOTTAVO 443
CXXXVI
L'isola sacra alPamorosa dea
diede lor sotto un'aria il prime porto,
che non ch'a offender gli uornini sia rea,
ma stempra il ferro, e quivi e '1 viver corto.
Cagion n'e un stagno: e certo non dovea
Natura a Famagosta far quel torto
d'appressarvi Costanza acre e malign a,
quando al resto di Cipro e si benigna.
cxxxvn
II grave odor che la palude esala
non lascia al legno far troppo soggiorno.
Quindi a un greco-levante spiego ogni ala,
volando da man destra a Cipro intorno,
e surse a Pafo, e pose in terra scala;
e i naviganti uscir nel lito adorno,
chi per merce levar, chi per vedere
la terra d'amor piena e di piacere.
CXXXVIII
Dal mar sei miglia o sette, a poco a poco
si va salendo inverso il colle ameno.
Mirti e cedri e naranci e lauri il loco,
e mille altri soavi arbori ban pieno.
Serpillo e persa e rose e gigli e croco
sp argon da Podorifero terreno
tanta suavita, ch'in mar sentire
la fa ogni vento cbe da terra spire.
cxxxix
Da limpida fontana tutta quella
piaggia rigando va un ruscel fecondo.
Ben si pu6 dir che sia di Vener bella
il luogo dilettevole e giocondo;
che v'e ogni donna affatto, ogni donzella
piacevol piu ch'altrove sia nel mondo:
e fa la dea che tutte ardon d'amore,
giovani e vecchie, infino alPultime ore.
444 ORLANDO FURIOSO
CXL
Quivi odono il medesimo ch'udito
di Lucina e de 1'Orco hanno in Soria,
e come di tornare ella a marito
facea nuovo apparecchio in Nicosia.
Quindi il padrone (essendosi espedito,
e spirando buon vento alia sua via)
1'ancore sarpa, e fa girar la proda
verso ponente, et ogni vela snoda.
CXLI
Al vento di maestro alz6 la nave
le vele all'orza, et allargossi in alto.
Un ponente-libecchio, che soave
parve a principio e fin che '1 sol stette alto,
e poi si fe' verso la sera grave,
le leva incontra il mar con fiero assalto,
con tanti tuoni e tanto ardor di lampi,
che par che '1 ciel si spezzi e tutto avampi.
CXLII
Stendon le nubi un tenebroso velo
che ne sole apparir lascia ne* Stella.
Di sotto il mar, di sopra mugge il cielo,
il vento d'ogn'intorno, e la procella
che di pioggia oscurissima e di gelo
i naviganti miseri flagella:
e la notte piu sempre si diffonde
sopra 1'irate e formidabil onde.
CXLIII
I naviganti a dimostrare effetto
vanno de Parte in che lodati sono :
chi discorre fischiando col fraschetto,
e quanto han gli altri a far, mostra col suono;
chi Fancore apparechia da rispetto,
e chi al mainare e chi alia scotta e buono;
chi '1 timone, chi 1'arbore assicura,
chi la coperta di sgombrare ha cura.
CANTO DECIMOTTAVO 445
CXLIV
Crebbe il tempo crudel tutta la notte,
caliginosa e piu scura ch'inferno.
Tien per Palto il padrone, ove men rotte
crede 1'onde trovar, dritto il governo;
e volta ad or ad or contra le botte
del mar la proda, e de Tombi! verno,
non senza speme mai che, come aggiorni,
cessi fortuna, o piu placabil torni.
CXLV
Non cessa e non si placa, e piu furore
mostra nel giorno, se pur giorno e questo,
che si conosce al numerar de Tore,
non che per lume gia sia manifesto.
Or con minor speranza e piu timore
si da in poter del vento il padron mesto:
volta la poppa alPonde, e il mar crudele
scorrendo se ne va con umil vele.
CXLVI
Mentre Fortuna in mar questi travaglia,
non lascia anco posar quegli altri in terra,
che sono in Francia, ove s'uccide e taglia
coi Sar acini il popul d'Inghilterra.
Quivi Rinaldo assale, apre e sbaraglia
le schiere awerse, e le bandiere atterra.
Dissi di lui, che *1 suo destrier Baiardo
mosso avea contra a Dardinel gagliardo.
CXLVII
Vide Rinaldo il segno del quartiero,
di che superbo era il figliuol d' Almonte;
e lo stimo gagliardo e buon guerriero,
che concorrer d'insegna ardia col conte.
Venne piu appresso, e gli parea piu vero;
ch'avea d'intorno uomini uccisi a monte.
— Meglio e — grido — che prima io svella e spenga
questo mal germe, che maggior divenga. —
446 ORLANDO FURIOSO
CXLVIII
Dovunque il viso drizza il paladino,
levasi ognuno, e gli da larga strada;
ne men sgombra il fedel che '1 Saracino,
si reverita e la famosa spada.
Rinaldo, fuor che Dardinel meschino,
non vede alcuno, e lui seguir non bada.
Grida: — Fanciullo, gran briga ti diede
chi ti lascio di questo scudo erede.
CXLIX
Vengo a te per provar, se tu m'attendi,
come ben guardi il quartier rosso e bianco;
che s'ora contra me non lo difendi,
difender contra Orlando il potrai manco. —
Rispose Dardinello : — Or chiaro apprendi
che s'io lo porto, il so difender anco;
e guadagnar phi onor che briga posso
del paterno quartier candido e rosso.
CL
Perche fanciullo io sia, non creder farme
pero ruggire, o che '1 quartier ti dia:
la vita mi torrai, se mi toi Parme;
ma spero in Dio ch'anzi il contrario fia.
Sia quel che vuol, non potra alcun biasmarme
che mai traligni alia progenie mia. —
Cosi dicendo, con la spada in mano
assalse il cavallier da Montalbano.
CLI
Un timor freddo tutto '1 sangue oppresse
che gli Africani aveano intorno al core,
come vider Rinaldo che si messe
con tanta rabbia incontra a quel signore,
con quanta andria un leon ch'al prato avesse
visto un torel ch'ancor non senta amore.
II primo che feri, fu '1 Saracino;
ma picchi6 invan su 1'elmo di Mambrino.
CANTO DECIMOTTAVO 447
CLU
Rise Rinaldo, e disse:— lo vo' tu senta,
s'io so meglio di te trovar la vena. —
Sprona, e a un tempo al destrier la briglia allenta,
e d'una punta con tal forza mena,
d'una punta ch'al petto gli appresenta,
che gli la fa apparir dietro alia schena.
Quella trasse, al tornar, Talma col sangue :
di sella il corpo usci freddo et esangue.
CLIII
Come purpureo fior languendo muore,
che 'I vomere al passar tagliato lassa ;
o come carco di superchio umore
il papaver ne Porto il capo abbassa:
cosi, giu de la faccia ogni colore
cadendo, Dardinel di vita passa;
passa di vita, e fa passar con lui
Tardire e la virtu de tutti i sui.
CLIV
Qual soglion Facque per umano ingegno
stare ingorgate alcuna volta e chiuse,
che quando lor vien poi rotto il sostegno,
cascano, e van con gran rumor difuse;
tal gli African, ch'avean qualche ritegno
mentre virtu lor Dardinello infuse,
ne vanno or sparti in questa parte e in quella,
che Than veduto uscir morto di sella.
CLV
Chi vuol fuggir, Rinaldo fuggir lassa,
et attende a cacciar chi vuol star saldo.
Si cade ovunque Ariodante passa,
che molto va quel di presso a Rinaldo.
Altri Lionetto, altri Zerbin fracassa,
a gara ognuno a far gran prove caldo.
Carlo fa il suo dover, lo fa Oliviero,
Turpino e Guido e Salamone e Ugiero.
448 ORLANDO FURIOSO
CLVI
I Mori fur quel giorno in gran periglio
che Jn Pagania non ne tornasse testa;
ma '1 saggio re di Spagna da di piglio,
e se ne va con quel che in man gli resta.
Restar in danno tien miglior consiglio,
che tutti i denar perdere e la vesta:
meglio e ritrarsi, e salvar qualche schiera,
che stando esser cagion che '1 tutto pera.
CLVII
Verso gli alloggiamenti i segni invia,
ch'eron serrati d'argine e di fossa,
con Stordilan, col re d'Andologia,
col Portughese in una squadra grossa.
Manda a pregar il re di Barb aria
che si cerchi ritrar meglio che possa;
e se quel giorno la persona e '1 loco
potra salvar, non avra fatto poco.
CLVIII
Quel re che si tenea spacciato al tutto,
ne mai credea piii riveder Biserta,
che con viso si orribile e si brutto
unquanco non avea Fortuna esperta,
s'allegro che Marsilio avea ridutto
parte del campo in sicurezza certa:
et a ritrarsi comincio, e a dar volta
alle bandiere, e fej sonar raccolta.
CLIX
Ma la piu parte de la gente rotta
ne tromba ne tambur ne segno ascolta:
tanta fu la vilta, tanta la dotta,
ch'in Senna se ne vide affogar molta.
II re Agramante vuol ridur la frotta:
seco ha Sobrino, e van scorrendo in volta;
e con lor s'affatica ogni buon duca,
che nei ripari il campo si riduca.
CANTO DECIMOTTAVO 449
CLX
Ma ne il re, ne Sobrin, ne duca alcuno
con prieghi, con minaccie, con affanno
ritrar puo il terzo, non ch'io dica ognuno,
dove I'insegne mal seguite vanno.
Morti o fuggiti ne son dua per uno
che ne rimane, e quel non senza danno:
ferito e chi di dietro e chi davanti;
ma travagliati e lassi tutti quanti.
CLXI
E con gran tema fin dentro alle porte
dei forti allogiamenti ebbon la caccia:
et era lor quel luogo anco mal forte,
con ogni proveder che vi si faccia
(che ben pigliar nel crin la buona sorte
Carlo sapea, quando volgea la faccia),
se non venia la notte tenebrosa,
che stacc6 il fatto, et acquetb ogni cosa,
CLXII
dal Creator accelerata forse,
che de la sua fattura ebbe pietade.
Ondeggio il sangue per campagna, e corse
come un gran flume, e dilago le strade.
Ottantamila corpi numerorse,
che fur quel di messi per fil di spade.
Villani e lupi uscir poi de le grotte
a dispogliargli e a devorar la notte.
CLXIII
Carlo non torna piu dentro alia terra,
ma contra gli nimici fuor s'accampa,
et in assedio le lor tende serra,
et alti e spessi fuochi intorno avampa.
II pagan si provede, e cava terra,
fossi e ripari e bastioni stampa;
va rivedendo, e tien le guardie deste,
ne tutta notte mai Tarme si sveste.
450 ORLANDO FURIOSO
CLXIV
Tutta la notte per gli alloggiamenti
dei malsicuri Saracini oppress!
si versan pianti, gemiti e lamenti,
ma quanto piu si puo, cheti e soppressi.
Altri, perche gli amici hanno e i parenti
lasciati morti, et altri per se stessi,
che son feriti, e con disagio stanno:
ma piu e la tema del futuro danno.
CLXV
Duo Mori ivi fra gli altri si trovaro,
d'oscura stirpe nati in Tolomitta;
de' quai I'istoria, per esempio raro
di vero amore, e degna esser descritta.
Cloridano e Medor si nominaro,
ch'alla fortuna prospera e alia afflitta
aveano sempre amato Dardinello,
et or passato in Francia il mar con quello.
CLXVI
Cloridan, cacciator tutta sua vita,
di robusta persona era et isnella;
Medoro avea la guancia colorita
e bianca e grata ne la eta novella,
e fra la gente a quella impresa uscita
non era faccia piu gioconda e bella.
Occhi avea neri, e chioma crespa d'oro:
angel parea di quei del sommo coro.
CLXVII
Erano questi duo sopra i ripari
con molti altri a guardar gli alloggiamenti,
quando la Notte fra distanzie pari
mirava il ciel con gli occhi sonnolenti.
Medoro quivi in tutti i suoi parlari
non pu6 far che '1 signer suo non rammenti,
Dardinello d' Almonte, e che non piagna
che resti senza onor ne la campagna.
CANTO DECIMOTTAVO 45!
CLXVIII
Volto al compagno, disse : — O Cloridano,
io non ti posso dir quanto m'incresca
del mio signor, che sia rimaso al piano,
per lupi e corbi, ohime! troppo degna esca.
Pensando come sempre mi fu umano,
mi par che quando ancor questa anima esca
in onor di sua fama, io non compensi
ne sciolga verso lui gli oblighi immensi.
CLXIX
Io voglio andar, perche non stia insepulto
in mezzo alia campagna, a ritrovarlo:
e forse Dio vorra ch'io vada occulto
la dove tace il campo del re Carlo.
Tu rimarrai; che quando in ciel sia sculto
ch'io vi debba morir, potrai narrarlo:
che se Fortuna vieta si belP op ra,
per fama almeno il mio buon cor si scuopra. —
CLXX
Stupisce Cloridan, che tanto core,
tanto amor, tanta fede abbia un fanciullo :
e cerca assai, perche gli porta amore,
di fargli quel pensiero irrito e nullo;
ma non gli val, perch'un si gran dolore
non riceve conforto ne trastullo.
Medoro era disposto o di morire,
o nella tomba il suo signor coprire,
CLXXI
Veduto che nol piega e che nol muove,
Cloridan gli risponde : — E verro anch'io,
anch'io vuo' pormi a si lodevol pruove,
anch'io famosa morte amo e disio.
Qual cosa sara mai che piu mi giove,
s'io resto senza te, Medoro mio ?
Morir teco con Tarme e meglio molto,
che poi di duol, s'awien che mi sii tolto. —
452 ORLANDO FURIOSO
CLXXII
Cosi disposti, messero in quel loco
le successive guardie, e se ne vanno.
Lascian fosse e steccati, e dopo poco
tra' nostri son, che senza cura stanno.
II campo dorme, e tutto e spento il fuoco,
perche dei Saracin poca tema hanno.
Tra 1'arme e' carriaggi stan roversi,
nel vin, nel sonno insino agli occhi immersi.
CLXXIII
Fermossi alquanto Cloridano, e disse:
— Non son mai da lasciar 1'occasioni.
Di questo stuol che '1 mio signer trafisse,
non debbo far, Medoro, occisioni?
Tu, perche sopra alcun non ci venisse,
gli occhi e 1'orecchi in ogni parte poni;
ch'io nVofferisco farti con la spada
tra gli nimici spaziosa strada. —
CLXXIV
Cosi disse egli, e tosto il parlar tenne,
et entro dove il dotto Alfeo dormia,
che Panno inanzi in corte a Carlo venne,
medico e mago e pien d'astrologia:
ma poco a questa volta gli sovenne,
anzi gli disse in tutto la bugia,
Predetto egli s'avea che d'anni pieno
dovea morire alia sua moglie in seno :
CLXXV
et or gli ha messo il cauto Saracino
la punta de la spada ne la gola.
Quattro altri uccide appresso all'mdovino,
che non han tempo a dire una parola:
menzion dei nomi lor non fa Turpino,
e '1 lungo andar le lor notizie invola;
dopo essi Palidon da Moncalieri,
che sicuro dormia fra duo destrieri.
CANTO DECIMOTTAVO 453
CLXXVI
Poi se ne vien dove col capo giace
appoggiato al barile II miser Grillo:
avealo voto, e avea creduto in pace
godersi un sonno placido e tranquillo.
Troncogli il capo il Saracino audace:
esce col sangue il vin per uno spillo,
di che n'ha in corpo phi d'una bigoncia;
e di ber sogna, e Cloridan lo sconcia.
CLXXVII
E presso a Grillo, un Greco et un Tedesco
spenge in dui colpi, Andropono e Conrado,
che de la notte avean goduto al fresco
gran parte, or con la tazza, ora col dado:
felici, se vegghiar sapeano a desco
fin che de Tlndo il sol passassi il guado.
Ma non potria negli uomini il destino,
se del futuro ognun fosse in do vino.
CLXXVIII
Come impasto leone in stalla piena,
che lunga fame abbia smacrato e asciutto,
uccide, scanna, mangia, a strazio mena
Tinfermo gregge in sua balia condutto;
cosi il crudel pagan nel sonno svena
la nostra gente, e fa macel per tutto.
La spada di Medoro anco non ebe ;
ma si sdegna ferir 1'ignobil plebe.
CLXXIX
Venuto era ove il duca di Labretto
con una dama sua dormia abbracciato;
e Fun con Taltro si tenea si stretto,
che non saria tra lor Paere entrato.
Medoro ad ambi taglia il capo netto.
Oh felice morire! oh dolce fato!
che come erano i corpi, ho cosi fede
ch'andar Talme abbracciate alia lor sede.
454 ORLANDO FURIOSO
CLXXX
Malindo uccise e Ardalico il fratello,
che del conte di Fiandra erano figli ;
e 1'uno e 1'altro cavallier novello
fatto avea Carlo, e aggiunto alParme i gigli,
perche* il giorno amendui d'ostil macello
con gli stocchi tornar vide vermigli:
e terre in Frisa avea promesso loro,
e date avria; ma lo viet6 Medoro.
CLXXXI
Grinsidiosi ferri eran vicmi
ai padiglioni che tiraro in volta
al padigHon di Carlo i paladini,
facendo ognun la guardia la sua volta;
quando da Pempia strage i Saracini
trasson le spade, e diero a tempo volta;
ch'impossibil lor par, tra si gran torma,
che non s'abbia a trovar un che non dorma.
CLXXXII
E ben che possan gir di preda carchi,
salvin pur se, che fanno assai guadagno.
Ove piu creda aver sicuri i varchi
va Cloridano, e dietro ha il suo compagno.
Vengon nel campo, ove fra spade et archi
e scudi e lance in un vermiglio stagno
giaccion poveri e ricchi, e re e vassalli,
e sozzopra con gli uomini i cavalli.
CLXXXIII
Quivi dei corpi Porrida mistura,
che piena avea la gran campagna intorno,
potea far vaneggiar la fedel cura
dei duo compagni insino al far del giorno,
se non traea fuor d'una nube oscura,
a* prieghi di Medor, la Luna il corno.
Medoro in ciel divotamente fisse
verso la Luna gli occhi, e cosi disse:
CANTO DECIMOTTAVO 455
CLXXXIV
— O santa dea, che dagli antiqui nostri
debitamente sei detta triforme;
ch'in cielo, in terra e ne 1'inferno rnostri
Talta bellezza tua sotto piu forme,
e ne le selve, di fere e di mostri
vai cacciatrice seguitando Forme;
mostrami ove 51 mio re giaccia fra tanti,
che vivendo imito tuoi studi santi. —
CLXXXV
La Luna a quel pregar la nube aperse
(o fosse caso o pur la tanta fede),
bella come fu allor ch'ella s'offerse,
e nuda in braccio a Endimion si diede.
Con Parigi a quel lume si scoperse
Tun campo e 1'altro; e Jl monte e '1 pian si vede:
si videro i duo colH di lontano,
Martire a destra, e Leri alPaltra mano.
CLXXXVI
Rifulse lo splendor molto piu chiaro
ove d' Almonte giacea morto il figlio.
Medoro and6 piangendo al signor caro;
che conobbe il quartier bianco e vermiglio:
e tutto '1 viso gli bagn6 d'amaro
pianto, che n'avea un rio sotto ogni ciglio,
in si dolci atti, in si dolci lamenti,
che potea ad ascoltar fermare i ventL
CLXXXVII
Ma con sommessa voce e a pena udita;
npn che riguardi a non si far sentire,
perch' abbia alcun pensier de la sua vita,
piu tosto Todia, e ne vorrebbe uscire:
ma per timor che non gli sia impedita
T opera pia che quivi il fe' venire.
Fu il morto re sugli omeri sospeso
di tramendui, tra lor partendo il peso.
456 ORLANDO FURIOSO
CLXXXVIII
Vanno affrettando i passi quanto ponno,
sotto 1'amata soma che gFingombra.
E gia venia chi de la luce e donno
le stelle a tor del ciel, di terra 1'ombra;
quando Zerbino, a cui del petto il sonno
1'alta virtude, ove e bisogno, sgombra,
cacciato avendo tutta notte i Mori,
al campo si traea nei primi albori.
CLXXXIX
E seco alquanti cavallieri avea,
che videro da lunge i dui compagni.
Ciascuno a quella parte si traea,
sperandovi trovar prede e guadagni.
— Frate, bisogna -— Cloridan dicea
— gittar la soma, e dare opra ai calcagni ;
che sarebbe pensier non troppo accorto,
perder duo vivi per salvar un morto. —
cxc
E gitto il carco, perch6 si pensava
che Jl suo Medoro il simil far dovesse:
ma quel meschin, che Jl suo signor piu amava,
sopra le spalle sue tutto lo resse.
L'altro con molta fretta se n'andava,
come 1'amico a paro o dietro avesse:
se sapea di lasciarlo a quella sorte,
mille aspettate avria, non ch'una morte.
CXCI
Quei cavallier, con animo disposto
che questi a render s'abbino o a morire,
chi qua chi la si spargono, et han tosto
preso ogni passo onde si possa uscire.
Da loro il capitan poco discosto,
piu degli altri e sollicito a seguire;
ch'in tal guisa vedendoli temere,
certo e che sian de le nimiche schiere.
CANTO DECIMOTTAVO 457
CXCII
Era a quel tempo ivi una selva antica,
d'ombrose piante spessa e di virgulti,
che come labirinto entro s'intrica
di stretti calli e sol da bestie culti.
Speran d'averla i duo pagan si arnica,
ch'abbi a tenerli entro a' suoi rami occulti.
Ma chi del canto mio piglia diletto,
un'altra volta ad ascoltarlo aspetto.
458 ORLANDO FURIOSO
CANTO DECIMONONO
I
Alcun non pu6 saper da chi sia amato,
quando felice in su la ruota siede;
pero c'ha i veri e i finti amici a lato,
che mostran tutti una medesma fede.
Se poi si cangia in tristo il lieto stato,
volta la turba adulatrice il piede;
e quel che di cor ama riman forte,
et ama il suo signor dopo la morte.
n
Se, come il viso, si mostrasse il core,
tal ne la corte e grande e gli altri preme,
e tal e in poca grazia al suo signore,
che la lor sorte muteriano insieme.
Questo umil diverria tosto il maggiore:
staria quel grande infra le turbe estreme.
Ma torniamo a Medor fedele e grato,
che 'n vita e in morte ha il suo signore amato.
ill
Cercando gia nel piii intricate calle
il giovine infelice di salvarsi;
ma il grave peso ch'avea su le spalle,
gli facea uscir tutti i partiti scarsi.
Non conosce il paese, e la via falle,
e torna fra le spine a invilupparsi.
Lungi da lui tratto al sicuro s'era
1'altro, ch'avea la spalla piu leggiera.
CANTO DECIMONONO 459
IV
Cloridan s'e ridutto ove non sente
di chi segue lo strepito e il rumore:
ma quando da Medor si vede absente,
gli pare aver lasciato a dietro il core.
— Deh, come fui — dicea — si negligente,
deh, come fui si di me stesso fuore,
che senza te, Medor, qui mi ritrassi,
ne sappia quando o dove io ti lasciassi! —
v
Cosi dicendo, ne la torta via
de Tintricata selva si ricaccia;
et onde era venuto si rawia,
e torna di sua morte in su la traccia.
Ode i cavalli e i gridi tuttavia,
e la nimica voce che minaccia:
alPultimo ode il suo Medoro, e vede
che tra molti a cavallo e solo a piede.
VI
Cento a cavallo, e gli son tutti intorno :
Zerbin commanda e grida che sia preso.
L'infelice s'aggira com'un torno,
e quanto pu6 si tien da lor difeso,
or dietro quercia, or olmo, or faggio, or orno,
ne si discosta mai dal caro peso.
L'ha riposato al fin su Ferba, quando
regger nol puote, e gli va intorno errando:
VII
come orsa, che 1'alpestre cacciatore
ne la pietrosa tana assalita abbia,
sta sopra i figli con incerto core,
e freme in suono di pieta e di rabbia:
ira la 'nvita e natural furore
a spiegar Tugne e a insanguinar le labbia;
amor la 'ntenerisce, e la ritira
a riguardare ai figli in mezzo Pira.
460 ORLANDO FURIOSO
VIII
Cloridan, che non sa come Taiuti,
e ch'esser vuole a morir seco ancora,
ma non ch'in morte prima il viver muti,
che via non truovi ove piu d'un ne mora;
mette su 1'arco un de' suoi strali acuti,
e nascoso con quel si ben lavora,
che fora ad uno Scotto le cervella,
e senza vita il fa cader di sella.
IX
Volgonsi tutti gli altri a quella banda
ond'era uscito il calamo omicida.
Intanto un altro il Saracin ne manda,
perche 31 secondo a lato al primo uccida;
che mentre in fretta a questo e a quel domanda
chi tirato abbia Farco, e forte grida,
10 strale arriva e gli passa la gola,
e gli taglia pel mezzo la parola.
x
Or Zerbin, ch'era il capitano loro,
non pote a questo aver pm pazienza.
Con ira e con furor venne a Medoro,
dicendo: — Ne farai tu penitenza. —
Stese la mano in quella chioma d'oro,
e strascinollo a se con violenza:
ma come gli occhi a quel bel volto mise,
gli ne venne pietade, e non 1'uccise.
XI
11 giovinetto si rivolse a' prieghi,
e disse:— Cavallier, per lo tuo Dio,
non esser si crudel, che tu mi nieghi
ch'io sepelisca il corpo del re mio.
Non voj ch'altra pieta per me ti pieghi,
ne pensi che di vita abbi disio:
ho tanta di mia vita, e non piu, cura,
quanta ch'al mio signor dia sepultura.
CANTO DECIMONONO 461
XII
E se pur pascer voi fiere et augelH,
che 'n te il furor sia del teban Creonte,
fa lor convito di miei membri, e quelli
sepelir lascia del figliuol d' Almonte. —
Cosi dicea Medor con modi belli,
e con parole atte a voltare un monte;
e si commosso gia Zerbino avea,
che d'amor tutto e di pietade ardea.
XIII
In questo mezzo un cavallier villano,
avendo al suo signer poco rispetto,
feri con una lancia sopra mano
al supplicante il delicato petto.
Spiacque a Zerbin Fatto crudele e strano;
tanto piu, che del colpo il giovinetto
vide cader si sbigottito e smorto,
che 'n tutto giudic6 che fosse morto.
XIV
E se ne sdegno in guisa e se ne dolse,
che disse: — Invendicato gia non fia! —
e pien di mal talento si rivolse
al cavallier che fe5 Fimpresa ria:
ma quel prese vantaggio, e se gli tolse
dinanzi in un momento, e fuggi via.
Cloridan, che Medor vede per terra,
salta del bosco a discoperta guerra.
xv
E getta Parco, e tutto pien di rabbia
tra gli nimici il ferro intorno gira,
piu per morir, che per pensier ch'egli abbia
di far vendetta che pareggi 1'ira.
Del proprio sangue rosseggiar la sabbia
fra tante spade, e al fin venir si mira;
e tolto che si sente ogni potere,
si lascia a canto al suo Medor cadere.
462 ORLANDO FURIOSO
XVI
Seguon gli Scotti ove la guida loro
per 1'alta selva alto disdegno mena,
poi che lasciato ha Puno e Paltro Moro,
1'un morto in tutto, e 1'altro vivo a pena.
Giacque gran pezzo il giovine Medoro,
spicciando il sangue da si larga vena,
che di sua vita al fin saria venuto,
se non sopravenia chi gli die aiuto.
XVII
Gli sopravenne a caso una donzella,
avolta in pastorale et umil veste,
ma di real presenzia e in viso bella,
d'alte maniere e accortamente oneste.
Tanto e ch'io non ne dissi piu novella,
ch'a pena riconoscer la dovreste:
questa, se non sapete, Angelica era,
del gran Can del Catai la figlia altiera.
XVIII
Poi che '1 suo annello Angelica riebbe,
di che Brunei Tavea tenuta priva,
in tanto fasto, in tanto orgoglio crebbe,
ch'esser parea di tutto Jl mondo schiva.
Se ne va sola, e non si degnerebbe
compagno aver qual piu famoso viva:
si sdegna a rimembrar che gia suo amante
abbia Orlando nomato, o Sacripante.
XIX
E sopra ogn'altro error via piu pentita
era del ben che gia a Rinaldo volse,
troppo parendole essersi avilita,
ch'a riguardar si basso gli occhi volse.
Tant'arroganzia avendo Amor sentita,
piu lungamente comportar non volse:
dove giacea Medor, si pose al varco,
e Taspetto, posto lo strale alParco.
CANTO DECIMONONO 463
XX
Quando Angelica vide il giovinetto
languir ferito, assai vicmo a rnorte,
che del suo re che giacea senza tetto,
piii che del proprio mal si dolea forte;
insolita pietade in mezzo al petto
si senti entrar per disusate porte,
che le fe' il duro cor tenero e molle :
e piu, quando il suo caso egli narrolle.
XXI
E rivocando alia memoria Tarte
ch'in India imparo gia di chimgia
(che par che questo studio in quella parte
nobile e degno e di gran laude sia;
e senza molto rivoltar di carte,
che '1 patre ai figli ereditario il dia),
si dispose operar con succo d'erbe,
ch'a piu matura vita lo riserbe.
XXII
E ricordossi che passando avea
veduta un'erba in una piaggia amena;
fosse dittamo, o fosse panacea,
o non so qual, di tal effetto piena,
che stagna il sangue, e de la piaga rea
leva ogni spasmo e perigliosa pena.
La trov6 non lontana, e quella colta,
dove lasciato avea Medor, die volta.
XXIII
Nel ritornar s'incontra in un pastore
ch'a cavallo pel bosco ne veniva
cercando una iuvenca, che gia fuore
duo di di mandra e senza guardia giva.
Seco lo trasse ove perdea il vigore
Medor col sangue che del petto usciva;
e gia n'avea di tanto il terren tinto,
ch'era omai presso a rimanere estinto.
464 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Del palafreno Angelica giii scese,
e scendere il pastor seco fece anche.
Pesto con sassi Ferba, indi la prese,
e succo ne cav6 fra le man bianche:
ne la piaga n'infuse, e ne distese
e pel petto e pel ventre e fin a Fanche;
e fu di tal virtu questo liquore,
che stagno il sangue, e gli torno il vigore;
xxv
e gli die forza, che pote salire
sopra il cavallo che '1 pastor condusse.
Non per6 volse indi Medor partire
prima ch'in terra il suo signor non fusse.
E Cloridan col re fe' sepelire;
e poi dove a lei piacque si ridusse.
Et ella per pieta ne Fumil case
del cortese pastor seco rimase.
XXVI
Ne fin che nol tornasse in sanitade,
volea partir: cosi di lui fe' stima,
tanto se inteneri de la pietade
che n'ebbe, come in terra il vide prima.
Poi vistone i costumi e la beltade,
roder si senti il cor d'ascosa lima;
roder si senti il core, e a poco a poco
tutto infiammato d? amoroso fuoco.
XXVII
Stava il pastore in assai buona e bella
stanza, nel bosco infra duo monti piatta,
con la moglie e coi figli; et avea quella
tutta di nuovo e poco inanzi fatta.
Quivi a Medoro fu per la donzella
la piaga in breve a sanita ritratta:
ma in minor tempo si senti maggiore
piaga di questa avere ella nel core.
CANTO DECIMONONO 465
XXVIII
Assai piu larga piaga e piu profonda
nel cor senti da non veduto strale,
che da1 begli occhi e da la testa bionda
di Medoro avento 1'Arcier c'ha Tale.
Arder si sente, e sempre il fuoco abonda;
e piu cura Paltrui che '1 proprio male:
di se non cura, e non e ad altro intenta,
ch'a risanar chi lei fere e tormenta.
XXIX
La sua piaga piu s'apre e piu incrudisce,
quanto piu Taltra si ristrmge e salda.
II giovine si sana: ella languisce
di nuova febbre, or agghiacciata, or calda.
Di giorno in giorno in lui belta fiorisce:
la misera si strugge, come falda
strugger di nieve intempestiva suole,
ch'in loco aprico abbia scoperta il sole.
xxx
Se di disio non vuol morir, bisogna
che senza indugio ella se stessa aiti:
e ben le par che di quel ch'essa agogna,
non sia tempo aspettar ch'altri la 'nviti.
Dunque, rotto ogni freno di vergogna,
la lingua ebbe non men che gli occhi arditi;
e di quel colpo domando mercede,
che, forse non sapendo, esso le diede.
XXXI
0 conte Orlando, o re di Circassia,
vostra inclita virtu, dite, che giova?
Vostro alto onor, dite, in che prezzo sia,
o che merce vostro servir ritruova?
Mostratemi una sola cortesia
che mai costei v'usasse, o vecchia o nuova,
per ricompensa e guidardone e merto
di quanto avete gia per lei sofferto.
466 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Oh se potessi ritornar mai vivo,
quanto ti parria duro, o re Agricane!
che gia mostro costei si averti a schivo
con repulse cnideli et inumane.
O Ferrau, o mille altri ch'io non scrivo,
ch'avete fatto mille pruove vane
per questa ingrata, quanto aspro vi fora,
s'a costu' in braccio voi la vedeste ora!
XXXIII
Angelica a Medor la prima rosa
coglier Iasci6, non ancor tocca inante:
ne persona fu mai si aventurosa,
ch'in quel giardin potesse por le piante.
Per adombrar, per onestar la cosa,
si celebr6 con cerimonie sante
il matrimonio, ch'auspice ebbe Amore,
e pronuba la moglie del pastore.
xxxiv
Fersi le nozze sotto all'umil tetto
le piu solenni che vi potean farsi;
e piu d'un mese poi stero a diletto
i duo tranquilli amanti a ricrearsi.
Piu lunge non vedea del giovinetto
la donna, ne di lui potea saziarsi;
ne, per mai sempre pendergli dal collo,
il suo disir sentia di lui satollo.
XXXV
Se stava all'ombra o se del tetto usciva,
avea di e notte il bel giovine a lato :
matino e sera or questa or quella riva
cercando andava, o qualche verde prato:
nel mezzo giorno un antro li copriva,
forse non men di quel commodo e grato,
ch'ebber, fuggendo Tacque, Enea e Dido
de' lor secreti testimonio fido.
CANTO DECIMONONO 467
XXXVI
Fra piacer tanti, ovunque un arbor dritto
vedesse ombrare o fonte o rivo puro,
v'avea spillo o coltel subito fitto;
cosi, se v'era alcun sasso men duro:
et era fuori in mille luoghi scritto,
e cosi in casa in altritanti il muro,
Angelica e Medoro, in varii modi
legati insieme di diversi nodi.
XXXVII
Poi che le parve aver fatto soggiorno
quivi piu ch'a bastanza, fe' disegno
di fare in India del Catai ritorno,
e Medor coronar del suo bel regno.
Portava al braccio un cercliio d'oro, adorno
di ricche gemme, in testimonio e segno
del ben che '1 conte Orlando le volea;
e portato gran tempo ve Pavea.
xxxvni
Quel don6 gia Morgana a Ziliante,
nel tempo che nel lago ascoso il tenne;
et esso, poi ch'al padre Monodante
per opra e per virtu d' Orlando venne,
lo diede a Orlando: Orlando ch'era amante,
di porsi al braccio il cerchio d'or sostenne,
avendo disegnato di donarlo
alia regina sua di ch'io vi parlo.
xxxix
Non per amor del paladino, quanto
perch' era ricco e d'artificio egregio,
caro avuto Pavea la donna tanto,
che piu non si puo aver cosa di pregio.
Se lo serb6 ne Tlsola del pianto,
non so gia dirvi con che privilegio,
la dove esposta al marin mostro nuda
fu da la gente inospitale e cruda.
468 ORLANDO FURIOSO
XL
Quivi non si trovando altra mercede
ch'al buon pastore et alia moglie dessi,
che serviti gli avea con si gran fede
dal di che nel suo albergo si fur messi,
levo dal braccio il cerchio e gli lo diede,
e volse per suo amor che lo tenessi.
Indi saliron verso la montagna
che divide la Francia da la Spagna.
XLI
Dentro a Valenza o dentro a Barcellona
per qualche giorno avean pensato porsi,
fin che accadesse alcuna nave buona
che per Levante apparecchiasse a sciorsi.
Videro il mare scoprir sotto a Girona
ne lo smontar giu dei montani dorsi;
e costeggiando a man sinistra il lito,
a Barcellona andar pel camin trito.
XLII
Ma non vi giunser prima, ch'un uom pazzo
giacer trovaro in su Testreme arene,
che, come porco, di loto e di guazzo
tutto era brutto e volto e petto e schene.
Costui si scaglio lor come cagnazzo
ch'assalir forestier subito viene;
e die lor noia, e fu per far lor scorno.
Ma di Marfisa a ricontarvi torno.
XLIII
Di Marfisa, d'Astolfo, d'Aquilante,
di Grifone e degli altri io vi vuo' dire,
che travagliati, e con la morte inante,
mal si poteano incontra il mar schermire:
che sempre piu superba e piu arrogante
crescea fortuna le minaccie e Tire;
e gia durato era tre di lo sdegno,
ne di placarsi ancor mostrava segno.
CANTO DECIMONONO 469
XLIV
Castello e ballador spezza e fraccassa
Fonda nimica e '1 vento ognor pm fiero :
se parte ritta il verno pur ne lassa,
la taglia e dona al mar tutta il nocchiero.
Chi sta col capo chino in una cassa
su la carta appuntando il suo sentiero
a lume di lanterna piccolina,
e chi col torchio giu ne la sentina.
XLV
Un sotto poppe, un altro sotto prora
si tiene inanzi Foriuol da polve;
e torna a rivedere ogni mezz'ora
quanto e gia corso, et a che via si volve:
indi ciascun con la sua carta fuora
a mezza nave il suo parer risolve,
la dove a un tempo i marinari tutti
sono a consiglio dal padron ridutti.
XLVI
Chi dice : — Sopra Limisso venuti
siamo, per quel ch'io trovo, alle seccagne — ;
chi : — Di Tripoli appresso i sassi acuti,
dove il mar le piu volte i legni fragne — ;
chi dice: — Siamo in Satalia perduti,
per cui piu d'un nocchier sospira e piagne. —
Ciascun secondo il parer suo argomenta,
ma tutti ugual timor preme e sgomenta.
XLVII
II terzo giorno con maggior dispetto
gli assale il vento, e il mar piu irato freme;
e Fun ne spezza e portane il trinchetto,
e '1 timon Faltro, e chi lo volge insieme.
Ben e di forte e di marmoreo petto
e piu duro ch'acciar, ch'ora non teme.
Marfisa, che gia fu tanto sicura,
non neg6 che quel giorno ebbe paura.
470 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Al monte Sinai fu peregrine,
a Gallizia promesso, a Cipro, a Roma,
al Sepolcro, alia Vergine d'Ettino,
e se celebre luogo altro si noma.
Sul mare intanto, e spesso al ciel vicino
Fafflitto e conquassato legno toma,
di cui per men travaglio avea il padrone
fatto 1'arbor tagliar de rartimone.
XLIX
E colli e casse e cio che v'e di grave
gitta da prora e da poppe e da sponde ;
e fa tutte sgombrar camere e giave,
e dar le ricche merci alTavide onde.
Altri attende alle trombe, e a tor di nave
1'acque importune, e il mar nel mar rifonde;
soccorre altri in sentina, ovanque appare
legno da legno aver sdnicito il mare.
L
Stero in questo travaglio, in questa pena
ben quattro giorni, e non avean piu schermo;
e n'avria avuto il mar vittoria piena,
poco piu che '1 furor tenesse fermo:
ma diede speme lor d'aria serena
la disiata luce di santo Ermo,
ch'in prua s'una cocchina a por si venne;
che piu non v'erano arbori ne antenne.
LI
Veduto fiammeggiar la bella face,
s'inginocchiaro tutti i naviganti,
e domandaro il mar tranquillo e pace
con umidi occhi e con voci tremanti.
La tempesta crudel, che pertinace
fu sin allora, non ando piu inanti:
maestro e traversia piu non molesta,
e sol del mar tiran libecchio resta.
CANTO DECIMONONO 47!
LII
Questo resta sul mar tanto possente,
e da la negra bocca in modo esala,
et e con lui si il rapido corrente
de T agitato mar ch'in fretta cala,
che porta il legno piu velocemente
che pelegrin falcon mai facesse ala,
con timor del nocchier ch'al fin del mondo
non lo trasporti, o romp a, o cacci al fondo.
LIII
Rimedio a questo il buon nocchier ritruova,
che commanda gittar per poppa spere;
e caluma la gommona, e fa pruova
di duo terzi del corso ritenere.
Questo consiglio, e piu 1'augurio giova
di chi avea acceso in proda le lumiere:
questo il legno salv6, che peria forse,
e fe' ch'in alto mar sicuro corse.
LIV
Nel golfo di Laiazzo inver Soria
sopra una gran citta si trov6 sorto,
e si vicino al lito, che scopria
Tuno e Paltro cast el che serra il porto.
Come il padron s'accorse de la via
che fatto avea, ritorn6 in viso smorto;
che ne porto pigliar quivi volea,
n6 stare in alto, ne fuggir potea.
LV
Ne potea stare in alto, ne fuggire,
che gli arbori e Tantenne avea perdute:
eran tavole e travi pel ferire
del mar sdrucite, macere e sbattute.
E '1 pigliar porto era un voler morire,
o perpetuo legarsi in servitute;
che riman serva ogni persona, o morta,
che quivi errore o ria fortuna porta.
472 ORLANDO FURIOSO
LVI
E '1 stare in dubbio era con gran periglio
che non salisser genti de la terra
con legni armati, e al suo desson di piglio,
mal atto a star sul mar, non ch'a far guerra.
Mentre il padron non sa pigliar consiglio,
fu domandato da quel d'Inghilterra
chi gli tenea si Panimo suspeso,
e perche gia non avea il porto preso.
LVII
II padron narro lui che quella riva
tutta tenean le femine omicide,
di quai Pantiqua legge ognun ch'arriva
in perpetuo tien servo, o che 1'uccide;
e questa sorte solamente schiva
chi nel campo dieci uomini conquide,
e poi la notte puo assaggiar nel letto
diece donzelle con carnal diletto.
LVIII
E se la prima pruova gli vien fatta,
e non fornisca la seconda poi,
egli vien morto, e chi e con lui si tratta
da zappatore o da guardian di buoi.
Se di far 1'uno e Paltro e persona atta,
impetra libertade a tutti i suoi;
a se non gia, c'ha da restar marito
di diece donne, elette a suo appetito.
LIX
Non pote udire Astolfo senza risa
de la vicina terra il rito strano.
Sopravien Sansonetto, e poi Marfisa,
indi Aquilante, e seco il suo germano.
II padron parimente lor divisa
la causa che dal porto il tien lontano:
— Voglio — dicea— che inanzi il mar m'affoghi,
ch'io senta mai di servitude i gioghi. —
CANTO DECIMONONO 473
LX
Del parer del padrone i marinari
e tutti gli altri naviganti furo;
ma Marfisa e' compagni eran contrari,
che piu che 1'acque il lito avean sicuro.
Via piu il vedersi intorno irati i mari,
che centomila spade, era lor duro.
Parea lor questo e ciascun altro loco
dov'arme usar potean, da temer poco.
LXI
Bramavano i guerrier venire a pro da,
ma con maggior baldanza il duca inglese;
che sa, come del corno il rumor s'oda,
sgombrar d'intorno si fara il paese.
Pigliare il porto Tuna parte loda,
e Taltra il biasma, e sono alle contese;
ma la piu forte in guisa il padron stringe,
ch'al porto, suo malgrado, il legno spinge.
LXII
Gia, quando prima s'erano alia vista
de la citta crudel sul mar scoperti,
veduto aveano una galea provista
di molt a ciurma e di nochieri esperti
venire al dritto a ritrovar la trista
nave, confusa di consigli incerti;
che, Talta prora alle sua poppe basse
legando, fuor de 1'empio mar la trasse.
LXIII
Entrar nel porto remorchiando, e a forza
di remi piu che per favor di vele;
pero che Talternar di poggia e d'orza
avea levato il vento lor crudele.
Intanto ripigliar la dura scorza
i cavallieri e il brando lor fedele;
et al padrone et a ciascun che teme
non cessan dar con lor conforti speme.
474 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Fatto e '1 porto a sembianza d'una luna,
e gira piu di quattro miglia intorno:
seicento passi e in bocca, et in ciascuna
parte una rocca ha nel finir del corno.
Non teme alcuno assalto di fortuna,
se non quando gli vien dal mezzogiorno.
A guisa di teatro se gli stende
la citta a cerco, e verso il poggio ascende.
LXV
Non fu quivi si tosto il legno sorto
(gia 1' aviso era per tutta la terra),
che fur seimila femine sul porto,
con gli archi in mano, in abito di guerra;
e per tor de la fuga ogni conforto,
tra Tuna r6cca e Faltra il mar si serra:
da navi e da catene fu rinchiuso,
che tenean sempre instrutte a cotal uso.
LXVI
Una che d'anni alia Cumea d' Apollo
pote uguagliarsi e alia madre d'Ettorre,
fe' chiamare il padrone, e domandollo
se si volean lasciar la vita t6rre,
o se volcano pur al giogo il collo,
secondo la costuma, sottoporre.
Degli dua 1'uno aveano a t6rre: o quivi
tutti morire, o rimaner captivi.
LXVII
— Gli e ver — dicea — che s'uom si ritrovasse
tra voi cosi animoso e cosi forte,
che contra dieci nostri uomini osasse
prender battaglia, e desse lor la morte,
e far con diece femine bastasse
per una notte ufficio di consorte;
egli si rimarria principe nostro,
e gir voi ne potreste al camin vostro.
CANTO DECIMONONO 475
LXVIII
E sara in vostro arbitrio il restar anco,
vogliate o tutti o parte; ma con patto
che chi vorra restare, e restar franco,
marito sia per diece fernine atto.
Ma quando il guerrier vostro possa manco
dei dieci che gli fian nimici a un tratto,
o la seconda pruova non fornisca,
voglian voi siate schiavi, egli perisca. —
LXIX
Dove la vecchia ritrovar timore
credea nei cavallier, trovo baldanza;
che ciascun si tenea tal feritore,
che fornir Funo e Faltro avea speranza:
et a Marfisa non mancava il core,
ben che mal atta alia seconda danza;
ma dove non Paitasse la natura,
con la spada supplir stava sicura.
LXX
Al padron fu commessa la risposta,
prima conchiusa per commun consiglio:
ch'avean chi lor potria di se a lor posta
ne la piazza e nel letto far periglio.
Levan Toffese, et il nocchier s'accosta,
getta la fune e le fa dar di piglio;
e fa acconciare il ponte, onde i guerrieri
escono armati, e tranno i lor destrieri.
LXXI
E quindi van per mezzo la cittade,
e vi ritruovan le donzelle altiere,
succinte cavalcar per le contrade,
et in piazza armeggiar come guerriere.
Ne calciar quivi spron, ne cinger spade,
ne cosa d'arme puon gli uomini avere,
se non dieci alia volta, per rispetto
de Tantiqua costuma ch'io v'ho detto.
476 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Tutti gli altri alia spola, alPaco, al fuso,
al pettine et all'aspo sono intend,
con vesti feminil che vanno giuso
insin al pie, che gli fa molli e lenti.
Si tengono in catena alcuni ad uso
d'arar la terra o di guardar gli armenti.
Son pochi i maschi; e non son ben, per mille
femine, cento, fra cittadi e ville.
LXXIII
Volendo torre i cavallieri a sorte
chi di lor debba per commune scampo
1'una decina in piazza porre a morte,
e poi 1'altra ferir ne Faltro campo;
non disegnavan di Marfisa forte,
stimando che trovar dovesse inciampo
ne la seconda giostra de la sera,
ch' ad averne vittoria abil non era.
LXXIV
Ma con gli altri esser volse ella sortita:
or sopra lei la sorte in somma cade.
Ella dicea: — Prima v'ho a por la vita,
che v'abbiate a por voi la libertade:
ma questa spada — e lor la spada addita,
che cinta avea — vi do per securtade
ch'io vi sciorro tutti gPintrichi al modo
che fe* Alessandro il gordiano nodo.
LXXV
Non vuo' mai piu che forestier si lagni
di questa terra, fin che '1 mondo dura. —
Cosi disse; e non potero i compagni
torle quel che le dava sua aventura.
Dunque, o ch'in turto perda, o lor guadagni
la liberta, le lasciano la cura.
Ella di piastre gia guernita e maglia,
s'appresento nel campo alia battaglia.
CANTO DECIMONONO 477
LXXVI
Gira una piazza al sommo de la terra,
di gradi a seder atti intorno chiusa;
che solamente a giostre, a simil guerra,
a caccie, a lotte, e non ad altro s'usa:
quattro porte ha di bronzo, onde si serra.
Quivi la moltitudine confusa
de Parmigere femine si trasse;
e poi fu detto a Marfisa ch'entrasse.
LXXVII
Entro Marfisa s'un destrier leardo,
tutto sparse di macchie e di rotelle,
di piccol capo e d'animoso sguardo,
d'andar superbo e di fattezze belle.
Pel maggiore e piu vago e piu gagliardo,
di mille che n'avea con briglie e selle,
scelse in Damasco, e realmente ornollo,
et a Marfisa Norandin donollo.
LXXVIII
Da mezzogiorno e da la porta d'austro
entro Marfisa; e non vi stette guari,
ch'appropinquare e risonar pel claustro
udi di trombe acuti suoni e chiari:
e vide poi di verso il freddo plaustro
entrar nel campo i died suoi contrari.
II primo cavallier ch'apparve inante,
di valer tutto il resto avea sembiante.
LXXIX
Quel venne in piazza sopra un gran destriero,
che fuor ch'in fronte e nel pie dietro manco
era, piu che mai corbo, oscuro e nero:
nel pie e nel capo avea alcun pelo bianco.
Del color del cavallo il cavalliero
vestito, volea dir che, come manco
del chiaro era Poscuro, era altretanto
il riso in lui verso 1'oscuro pianto.
478 ORLANDO FURIOSO
LXXX
Dato che fu de la battaglia il segno,
nove guerrier Taste chinaro a un tratto:
ma quel dal nero ebbe il vantaggio a sdegno;
si ritiro, ne di giostrar fece atto.
Vuol ch'alle leggi inanzi di quel regno,
ch'alla sua cortesia, sia contrafatto.
Si tra' da parte e sta a veder le pruove
ch'una sola asta fara contra a nove.
LXXXI
II destrier, ch'avea andar trito e soave,
porto alTincontro la donzella in fretta,
che nel corso arrest6 lancia si grave,
che quattro uomini avriano a pena retta.
L'avea pur dianzi al dismontar di nave
per la piu salda in molte antenne eletta.
II fier sembiante con ch'ella si mosse,
mille faccie imbianc6, mille cor scosse.
LXXXII
Aperse al primo che trovo si il petto,
che fora assai che fosse stato nudo:
gli passo la corazza e il soprapetto,
ma prima un ben ferrato e grosso scudo.
Dietro le spalle un braccio il ferro netto
si vide uscir: tanto fu il colpo crudo.
Quel fitto ne la lancia a dietro lassa,
e sopra gli altri a tutta briglia passa.
LXXXIII
E diede d'urto a chi venia secondo,
et a chi terzo si terribil botta,
che rotto ne la schena uscir del mondo
fe' Puno e 1'altro, e de la sella a un'otta:
si duro fu l'incontro e di tal pondo,
si stretta insieme ne venia la frotta.
Ho veduto bombarde a quella guisa
le squadre aprir, che fe' lo stuol Marfisa.
CANTO DECIMONONO
LXXXIV
Sopra di lei piu lance rotte furo;
ma tanto a quelli colpi ella si mosse,
quanto nel giuoco de le caccie un muro
si muova aj colpi de le palle grosse.
L'usbergo suo di tempra era si duro,
che non gli potean contra le percosse;
e per incanto al fuoco de Flnferno
cotto, e temprato alPacque fu d'Averno.
LXXXV
Al fin del campo il destrier tenne e volse,
e fermo alquanto; e in fretta poi lo spinse
incontra gli altri, e sbarragliolli e sciolse,
e di lor sangue insin alPelsa tinse.
AlPuno il capo, alPaltro il braccio tolse;
e un altro in guisa con la spada cinse,
che '1 petto in terra and6 col capo et ambe
le braccia, e in sella il ventre era e le gambe.
LXXXVI
Lo parti, dico, per dritta misura,
de le coste e de 1'anche alle confine,
e lo fe* rimaner mezza figura,
qual dinanzi alTimagini divine,
poste d'argento, e piu di cera pura
son da genti lontane e da vicine,
ch'a ringraziarle e sciorre il voto vanno
de le domande pie ch'ottenute hanno.
LXXXVII
Ad uno che fuggia, dietro si mise,
ne fu a mezzo la piazza, che lo giunse;
e '1 capo e '1 collo in modo gli divise,
che medico mai piu non lo raggiunse,
In somma tutti un dopo P altro uccise,
o feri si ch'ogni vigor n'emunse;
e fu sicura che levar di terra
mai piu non si potrian per farle guerra.
479
480 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
Stato era il cavallier sempre in un canto,
die la decina in piazza avea condutta;
pero che contra un solo andar con tanto
vantaggio opra gli parve iniqua e brutta.
Or che per una man torsi da canto
vide si tosto la compagna tutta,
per dimostrar che la tardanza fosse
cortesia stata e non timor, si mosse.
LXXXIX
Con man fej cenno di volere, inanti
che facesse altro, alcuna cosa dire;
e non pensando in si viril sembianti
che s'avesse una vergine a coprire,
le disse : — Cavalliero, omai di tanti
esser dei stance, c'hai fatto morire;
e s'io volessi, piu di quel che sei,
stancarti ancor, discortesia farei.
xc
Che ti riposi insino al giorno nuovo,
e doman torni in campo, ti concede.
Non mi fia onor se teco oggi mi pruovo,
che travagliato e lasso esser ti credo.
— II travagliare in arme non m'e nuovo,
ne per si poco alia fatica cedo ; —
disse Marfisa — e spero ch'a tuo costo
io ti fare- di questo aveder tosto.
xci
De la cortese offerta ti ringrazio,
ma riposare ancor non mi bisogna;
e ci avanza del giorno tanto spazio,
ch'a porlo tutto in ozio e pur vergogna. —
Rispose il cavallier:— Fuss'io si sazio
d'ogn'altra cosa che Jl mio core agogna,
come t'ho in questo da saziar; ma vedi
che non ti manchi il di piu che non credi.
CANTO DECIMONONO 481
XCII
Cosi disse egli, e fe* portare in fretta
due grosse lance, anzi due gravi antenne;
et a Marfisa dar ne fe' 1'eletta:
tolse Taltra per se ch'indietro venne.
Gia sono in punto, et altro non s'aspetta
ch'un alto suon che lor la giostra accenne.
Ecco la terra e Paria e il mar rimbomba
nel mover loro al primo suon di tromba.
XCIII
Trar fiato, bocca aprir, o battere occhi
non si vedea de' riguardanti alcuno:
tanto a mirare a chi la palma tocchi
dei duo campioni, intento era ciascuno.
Marfisa accio che de Tarcion trabocchi,
si che mai non si levi, il guerrier bruno,
drizza la lancia; e il guerrier bruno forte
studia non men di por Marfisa a morte.
xciv
Le lancie ambe di secco e suttil salce,
non di cerro sembrar grosso et acerbo,
cosi n'andaro in tronchi fin al calce;
e Pincontro ai destrier fu si superbo,
che parimente parve da una falce
de le gambe esser lor tronco ogni nerbo.
Cadero ambi ugualmente; ma i campioni
fur presti a disbrigarsi dagli arcioni.
xcv
A mille cavallieri, alia sua vita,
al primo incontro avea la sella tolta
Marfisa, et ella mai non n'era uscita;
e n'usci, come udite, a questa volta.
Del caso strano non pur sbigottita,
ma quasi fu per rimanerne stolta.
Parve anco strano al cavallier dal nero,
che non solea cader gia di leggiero.
482 ORLANDO FURIOSO
XCVI
Tocca avean nel cader la terra a pena,
che furo in piedi e rinovar Passalto.
Tagli e punte a furor quivi si mena,
quivi ripara or scudo, or lama, or salto.
Vada la botta vota o vada piena,
1'aria ne stride e ne risuona in alto.
Quelli elmi, quelli usberghi, quelli scudi
mostrar ch'erano saldi phi ch'incudi.
XCVII
Se de 1'aspra donzella il braccio e grave,
ne quel del cavallier nimico e lieve.
Ben la misura ugual ljun da Taltro have:
quanto a punto Fun da, tanto riceve.
Chi vol due fiere audaci anime brave,
cercar piu la di quest e due non deve,
ne cercar piu destrezza ne piu possa;
che n'han tra lor quanto piu aver si possa.
XCVIII
Le donne, che gran pezzo mirato hanno
continuar tante percosse orreade,
e che nei cavallier segno d'affanno
e di stanchezza ancor non si comprende;
dei duo miglior guerrier lode lor danno,
che sien tra quanto il mar sua braccia estende.
Par lor che se non fosser piu che forti,
esser dovrian sol del travaglio morti.
xcix
Ragionando tra se, dicea Marfisa:
«Buon fu per me che costui non si mosse;
ch'andava a risco di restarne uccisa,
se dianzi stato coi compagni fosse,
quando io mi truovo a pena a questa guisa
di potergli star contra alle percosse. »
Cosi dice Marfisa; e tuttavolta
non resta di menar la spada in volta.
CANTO DECIMONONO 483
C
« Buon fu per me, » dicea quelPaltro ancora
« che riposar costui non ho lasciato.
Difender me ne posso a fatica ora
che de la prima pugna e travagliato.
Se fin al nuovo di facea dimora
a ripigliar vigor, che saria stato ?
Ventura ebbi io, quanto piu possa aversi,
che non volesse tor quel ch'io gli ofFersi. »
Ci
La battaglia duro fin alia sera,
ne chi avesse anco il meglio era palese;
ne Fun ne Paltro piu senza lumiera
saputo avria come schivar Poffese.
Giunta la notte, all'inclita guerriera
fu primo a dir il cavallier cortese :
— Che faren, poi che con ugual fortuna
n'ha sopragiunti la notte importuna?
en
Meglio mi par che *1 viver tuo prolunghi
almeno insino a tanto che s'aggiorni.
Io non posso concederti che aggiunghi
fuor ch'una notte picciola ai tua giorni.
E di cio che non gli abbi aver piu lunghi,
la colpa sopra me non vuo' che torni:
torni pur sopra alia spietata legge
del sesso feminil che '1 loco regge.
cm
Se di te duolmi e di quest'altri tuoi,
Io sa colui che nulla cosa ha oscura.
Con tuoi compagni star meco tu puoi:
con altri non avrai stanza sicura;
perche la turba, a cu' i mariti suoi
oggi uccisi hai, gia contra te congiura.
Ciascun di questi a cui dato hai la morte,
era di diece femine consorte.
484 ORLANDO FURIOSO
CIV
Del danno c'han da te ricevut'oggi,
disian novanta femine vendetta;
si che se meco ad albergar non poggi,
questa notte assalito esser t'aspetta. —
Disse Marfisa: — Accetto che m'alloggi,
con sicurta che non sia men perfetta
in te la fede e la bonta del core,
che sia 1'ardire e il corporal valore.
cv
Ma che t'incresca che m'abbi ad uccidere,
ben ti puo increscere anco del contrario.
Fin qui non credo che Pabbi da ridere,
perch'io sia men di te duro awersario.
0 la pugna seguir vogli o dividere,
o farla alPuno o all'altro luminario:
ad ogni cenno pronta tu m'avrai,
e come et ogni volta che vorrai. —
cvi
Cosi fu differita la tenzone,
fin che di Gange uscisse il nuovo albore,
e si resto senza conclusione
chi d'essi duo guerrier fosse il migliore.
Ad Aquilante venne et a Grifone
e cosi agli altri il liberal signore,
e li preg6 che fin al nuovo giorno
piacesse lor di far seco soggiorno.
CVII
Tenner lo 'nvito senza alcun sospetto:
indi, a splendor de bianchi torch! ardenti,
tutti saliro ov'era un real tetto,
distinto in molti adorni alloggiamenti.
Stupefatti al levarsi de Pelmetto,
mirandosi, restaro i combattenti;
che '1 cavallier, per quanto apparea fuora,
non eccedeva i diciotto anni ancora.
CANTO DECIMONONO 485
CVIII
Si maraviglia la donzella, come
in arme tanto un giovinetto vaglia;
si maraviglia Paltro, ch'alle chiome
s'avede con chi avea fatto battaglia:
e si domandan Fun con Paltro il nome;
e tal debito tosto si ragguaglia.
Ma come si nomasse il giovinetto,
ne Taltro canto ad ascoltar v'aspetto.
486 ORLANDO FURIOSO
CANTO VENTESIMO
I
Le donne antique hanno mirabil cose
fatto ne Tarme e ne le sacre muse;
e di lor opre belle e gloriose
gran lume in tutto il mondo si diffuse.
Arpalice e Camilla son famose,
perche in battaglia erano esperte et use;
Safo e Corinna, perche furon dotte,
splendono illustri, e mai non veggon notte.
II
Le donne son venute in eccellenza
di ciascun'arte ove hanno posto cura;
e qualunque alPistorie abbia awertenza,
ne sente ancor la fama non oscura.
Se '1 mondo n'e gran tempo stato senza,
non pero sempre il mal influsso dura;
e forse ascosi han lor debiti onori
Pinvidia o il non saper degli scrittorL
in
Ben mi par di veder ch'al secol nostro
tanta virtu fra belle donne emerga,
che pu6 dare opra a carte et ad inchiostro,
perche" nei futuri anni si disperga,
e perche, odiose lingue, il mal dir vostro
con vostra eterna infamia si sommerga:
e le lor lode appariranno in guisa,
che di gran lunga avanzeran Marfisa.
CANTO VENTESIMO 487
IV
Or pur tornando a lei, questa donzella
al cavallier che I'us6 cortesia,
de Fesser suo non niega dar novella,
quando esso a lei voglia contar chi sia.
Sbrigossi tosto del suo debito ella:
tanto il nome di lui saper disia.
— lo son — disse — Marfisa — : e fu assai questo;
che si sapea per tutto '1 mondo il resto.
L'altro comincia, poi che tocca a lui,
con piu proemio a darle di se conto,
dicendo : — lo credo che ciascun di vui
abbia de la mia stirpe il nome in pronto;
che non pur Francia e Spagna e i vicin sui,
ma T India, FEtiopia e il freddo Ponto
han chiara cognizion di Chiaramonte,
onde usci il cavallier ch'uccise Almonte,
VI
e quel ch'a Chiariello e al re Mambrino
diede la morte, e il regno lor disfece.
Di questo sangue, dove ne FEusino
Tlstro ne vien con otto corna o diece,
al duca Amone, il qua! gia peregrino
vi capito, la madre mia mi fece:
e Fanno e ormai ch'io la lasciai dolente,
per gire in Francia a ritrovar mia gente.
vn
Ma non potei finire il mio viaggio,
che qua mi spinse un tempestoso Noto.
Son died mesi o piu che stanza v'aggio,
che tutti i giorni e tutte Fore noto.
Nominate son io Guidon Selvaggio,
di poca pruova ancora e poco noto.
Uccisi qui Argilon da Melibea
con dieci cavallier che seco avea.
488 ORLANDO FURIOSO
VIII
Feci la pruova ancor de le donzelle:
cosi n'ho diece a' mlei piaceri allato;
et alia scelta mia son le piu belle,
e son le piu gentil di questo stato.
E queste reggo e tutte 1'altre; ch'elle
di se m'hanno governo e scettro dato:
cosi daranno a qualunque altro arrida
Fortuna si, che la decina ancida. —
IX
I cavallier domandano a Guidone,
com'ha si pochi maschi il tenitoro,
e s'alle moglie hanno suggezione,
come esse Than negli altri lochi a loro.
Disse Guidon : — Piu volte la cagione
udita n'ho da poi che qui dimoro ;
e vi sara, secondo ch'io 1'ho udita,
da me, poi che v'aggrada, riferita.
x
Al tempo che tornar dopo anni venti
da Troia i Greci (che duro 1'assedio
dieci, e dieci altri da contrari venti
furo agitati in mar con troppo tedio),
trovar che le lor donne agli tormenti
di tanta absenzia avean preso rimedio:
tutte s' avean gioveni amanti eletti,
per non si raffreddar sole nei letti.
XI
Le case lor trovaro i Greci piene
de Faltrui figli; e per parer commune
perdonano alle mogli, che san bene
che tanto non potean viver digiune.
Ma ai figli degli adulteri conviene
altrove procacciarsi altre fortune;
che tolerar non vogliono i mariti
che piu alle spese lor sieno notriti.
CANTO VENTESIMO 489
XII
Sono altri esposti, altri tenuti occulti
da le lor madri e sostenuti in vita.
In varie squadre quei ch'erano adulti
feron, chi qua chi la, tutti partita.
Per altri Farme son, per altri culti
gli studi e 1'arti; altri la terra trita;
serve altri in corte; altri e guardian di gregge,
come piace a colei che qua giu regge.
XIII
Parti fra gli altri un giovinetto, figlio
di Clitemnestra, la crudel regina,
di diciotto anni, fresco come un giglio,
0 rosa colta allor di su la spina.
Questi, armato un suo legno, a dar di piglio
si pose e a depredar per la marina
in compagnia di cento giovinetti
del tempo suo, per tutta Grecia eletti.
XIV
1 Cretesi, in quel tempo che cacciato
il crudo Idomeneo del regno aveano,
e per assicurarsi il nuovo stato,
d'uomini e d'arme adunazion faceano;
fero con bon stipendio lor soldato
Falanto (cosi al giovine diceano),
e lui con tutti quei che seco avea
poser per guardia alia citta Dictea.
xv
Fra cento alme citta ch'erano in Greta,
Dictea phi ricca e piu piacevol era,
di belle donne et amorose lieta,
lieta di giochi da matino a sera:
e com' era ogni tempo consueta
d'accarezzar la gente forestiera,
fe* a costor si, che molto non rimase
a fargli anco signor de le lor case.
490 ORLANDO FURIOSO
XVI
Eran gioveni tutti e belli affatto
(che '1 fior di Grecia avea Falanto eletto):
si ch'alle belle donne, al primo tratto
che v'apparir, trassero i cor del petto.
Poi che non men che belli, ancora in fatto
si dimostrar buoni e gagliardi al letto,
si fero ad esse in pochi di si grati,
che sopra ogn'altro ben n'erano amati.
XVII
Finita che d'accordo e poi la guerra
per cui stato Falanto era condutto,
e lo stipendio militar si serra,
si che non v'hanno i gioveni piu frutto,
e per questo lasciar voglion la terra;
fan le donne di Creta maggior lutto,
e per cio versan piu dirotti pianti,
che se i lor padri avesson morti avanti.
XVIII
Da le lor donne i gioveni assai foro,
ciascun per se, di rimaner pregati:
ne volendo restare, esse con loro
n'andar, lasciando e padri e figli e frati,
di ricche gemme e di gran summa d'oro
avendo i lor dimestici spogliati;
che la pratica fu tanto secreta,
che non senti la fuga uomo di Creta.
XIX
Si fu propizio il vento, si fu Fora
commoda, che Falanto a fuggir colse,
che molte miglia erano usciti fuora,
quando del danno suo Creta si dolse.
Poi questa spiaggia, inabitata allora,
trascorsi per fortuna li raccolse.
Qui si posaro, e qui sicuri tutti
meglio del furto lor videro i frutti.
CANTO VENTESIMO 491
XX
Questa lor fu per died giorni stanza
di piaceri amorosi tutta plena.
Ma come spesso awien che 1'abondanza
seco in cor giovenil fastidio mena,
tutti d'accordo fur di restar sanza
femine, e liberarsi di tal pena;
che non e soma da portar si grave
come aver donna, quando a noia s'have.
XXI
Essi che di guadagno e di rapine
eran bramosi, e di dispendio parchi,
vider ch'a pascer tante concubine,
d'altro che d'aste avean bisogno e d'archi:
si che sole lasciar qui le meschine,
e se n'andar di lor ricchezze carchi
la dove in Puglia in ripa al mar poi sento
ch'edificar la terra di Tarento.
XXII
Le donne, che si videro tradite
dai loro amanti in che piii fede aveano,
restar per alcun di si sbigotite,
che statue immote in lito al mar pareano.
Visto poi che da gridi e da infinite
lacrime alcun profitto non traeano,
a pensar cominciaro e ad aver cura
come aiutarsi in tanta lor sciagura.
XXIII
E proponendo in mezzo i lor pareri,
altre diceano: in Greta e da tornarsi;
e piu tosto all'arbitrio de' seven
padri e d'offesi lor mariti darsi,
che nei deserti liti e boschi fieri,
di disagio e di fame consumarsi.
Altre dicean che lor saria piu onesto
affogarsi nel mar, che mai far questo;
492 ORLANDO FURIOSO
XXIV
e che manco mal era meretrici
andar pel mondo, andar mendiche o schiave,
che se stesse offerire agli supplici
di ch'eran degne Popere lor prave.
Questi e simil partiti le infelici
si proponean, ciascun piu duro e grave.
Tra loro al fine una Orontea levosse,
ch'origine traea dal re Minosse;
xxv
la piu gioven de Paltre e la piu bella
e la piu accorta, e ch'avea meno errato:
amato avea Falanto, e a lui pulzella
datasi, e per lui il padre avea lasciato.
Costei mostrando in viso et in favella
il magnanimo cor d'ira infiammato,
redarguendo di tutte altre il detto,
suo parer disse, e fej seguirne effetto.
XXVI
Di questa terra a lei non parve t6rsi,
che conobbe feconda e d'aria sana,
e di limpidi fiumi aver discorsi,
di selve opaca, e la piu parte piana;
con porti e foci, ove dal mar ricorsi
per ria fortuna avea la gente estrana,
ch'or d' Africa portava, ora d'Egitto
cose diverse e necessarie al vitto.
XXVII
Qui parve a lei fermarsi, e far vendetta
del viril sesso che le avea si offese:
vuol ch'ogni nave, che da venti astretta
a pigliar venga porto in suo paese,
a sacco, a sangue, a fuoco al fin si metta;
ne de la vita a un sol si sia cortese.
Cosi fu detto e cosi fu concluso,
e fu fatta la legge e messa in uso.
CANTO VENTESIMO 493
XXVIII
Come turbar 1'aria sentiano, armate
le femine correan su la marina,
da Timplacabile Orontea guidate,
che die lor legge e si fej lor regina:
e de le navi ai liti lor cacciate
faceano incendi orribili e rapina,
uom non lasciando vivo, che novella
dar ne potesse o in questa parte o in quella.
XXIX
Cosi solinghe vissero qualch'anno,
asp re nimiche del sesso virile.
Ma conobbero poi che Jl proprio danno
procaccierian, se non mutavan stile:
che se di lor propagine non fanno,
sara lor legge in breve irrita e vile,
e manchera con Pinfecondo regno,
dove di farla eterna era il disegno.
xxx
Si che, temprando il suo rigore un poco,
scelsero, in spazio di quattro anni interi,
di quanti capitaro in questo loco
dieci belli e gagliardi cavallieri,
che per durar ne 1'amoroso gioco
contr'esse cento fosser buon guerrieri.
Esse in tutto eran cento; e statuito
ad ogni lor decina fu un marito.
XXXI
Prima ne fur decapitati molti
che riusciro al paragon mal forti.
Or questi dieci a buona pruova tolti,
del letto e del governo ebbon consorti;
facendo lor giurar che se piu colti
altri uomini verriano in questi porti,
essi sarian che, spenta ogni pietade,
li porriano ugualmente a fil di spade.
494 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Ad ingrossare, et a figliar appresso
le donne, indi a temere incominciaro
che tanti nascerian del viril sesso,
che contra lor non avrian poi riparo;
e al fine in man degli uomini rimesso
saria il governo ch'elle avean si caro:
si ch'ordinar, mentre eran gli anni imbelli,
far si, che mai non fosson lor ribelli.
xxxin
Accio il sesso viril non le soggioghi,
uno ogni madre vuol la legge orrenda
che tenga seco ; gli altri, o li suffoghi,
o fuor del regno li permuti o venda.
Ne mandano per questo in varii luoghi:
e a chi gli porta dicono che prenda
femine, se a baratto aver ne puote;
se non, non torni almen con le man v6te.
XXXIV
Ne uno ancora alleverian, se senza
potesson fare, e mantenere il gregge.
Questa e quanta pieta, quanta clemenza
piu ai suoi ch'agli altri usa 1'iniqua legge:
gli altri condannan con ugual sentenza;
e solamente in questo si corregge,
che non vuol che secondo il primiero uso
le femine gli uccidano in confuso.
xxxv
Se dieci o venti o piu persone a un tratto
vi fosser giunte, in carcere eran messe:
e d'una al giorno, e non di piu, era tratto
il capo a sorte, che perir dovesse
nel tempio orrendo ch'Orontea avea fatto,
dove un altare alia Vendetta eresse;
e dato all'un de' dieci il crudo ufficio
per sorte era di fame sacrificio.
CANTO VENTESIMO 495
XXXVI
Dopo molt'anni alle ripe omicide
a dar venne di capo un giovinetto,
la cui stirpe scendea dal buono Alcide3
di gran valor ne Tarrne, Elbanio detto.
Qui preso fu, ch'a pena se n'avide,
come quel che venia senza sospetto;
e con gran guardia in stretta parte chiuso,
con gli altri era serbato al crudel xiso.
XXXVII
Di viso era costui bello e giocondo,
e di maniere e di costumi ornato,
e di parlar si dolce e si facondo,
ch'un aspe volentier 1'avria ascoltato:
si che, come di cosa rara al mondo,
de 1'esser suo fu tosto rapportato.
ad Alessandra figlia d'Orontea,
che di molt'anni grave anco vivea.
XXXVIII
Orontea vivea ancora; e gia mancate
tutt'eran Faltre ch'abitar qui prima:
e diece tante e piu n'erano nate,
e in forza eran cresciute e in maggior stima;
ne tra diece fucine che serrate
stavan pur spesso, avean piu d'una lima;
e dieci cavallieri anco avean cura
di dare a chi venia fiera aventura.
xxxrx
Alessandra, bramosa di vedere
il giovinetto ch'avea tante locle,
da la sua matre in singular piacere
impetra si, ch'Elbanio vede et ode;
e quando vuol partirne, rimanere
si sente il core ove e chi 1 punge e rode:
legar si sente, e non sa far contesa,
e al fin dal suo prigion si trova presa.
496 ORLANDO FURIOSO
XL
Elbanio disse a lei : « Se di pietade
s'avesse, donna, qui notlzia ancora,
come se n'ha per tutt'altre contrade,
dovunque il vago sol luce e colora;
io vi osarei, per vostr'alma beltade
ch'ogn'animo gentil di se inamora,
chiedervi in don la vita mia, che poi
saria ognor presto a spenderla per voi.
XLI
Or quando fuor d'ogni ragion qui sono
privi d'umanitade i cori umani,
non vi domander6 la vita in dono,
che i prieghi miei so ben che sarian vani;
ma che da cavalliero, o tristo o buono
ch'io sia, possi morir con Parme in mani,
e non come dannato per giudicio,
o come animal bruto in sacrificio. »
XLII
Alessandra gentil, ch'umidi avea,
per la pieta del giovinetto, i rai,
rispose: «Ancor che piu crudele e rea
sia questa terra, ch'altra fosse mai;
non concedo per6 che qui Medea
ogni femina sia, come tu fai;
e quando ogn'altra cosi fosse ancora,
me sola di tant'altre io vo* trar fuora.
XLIII
E se ben per adietro io fossi stata
empia e citadel, come qui sono tante,
dir posso che suggetto ove mostrata
per me fosse pieta, non ebbi avante.
Ma ben sarei di tigre piu arrabbiata,
e piu duro avre' il cor che di diamante,
se non m'avesse tolto ogni durezza
tua belta, tuo valor, tua gentilezza.
CANTO VENTESIMO 497
XLIV
Cosi non fosse la legge piu forte,
che contra i peregrin! e statuita,
come io non schiverei con la mia morte
di ricomprar la tua piu degna vita.
Ma non e grado qui di si gran sorte,
che ti potesse dar libera aita;
e quel che chiedi ancor, ben che sia poco,
difficile ottener fia in questo loco.
XLV
Pur io vedro di far che tu 1'ottenga,
ch'abbi inanzi al morir questo contento;
ma mi dubito ben che te n'avenga,
tenendo il morir lungo piu tormento. »
Suggiunse Elbanio : « Quando incontra io venga
a dieci armato, di tal cor mi sento,
che la vita ho speranza di salvarme,
e uccider lor, se tutti fosser arme. »
XL VI
Alessandra a quel detto non rispose
se non un gran sospiro, e dipartisse,
e porto nel partir mille amorose
punte nel cor, mai non sanabil, fisse.
Venne alia madre, e volunta le pose
di non lasciar che '1 cavallier morisse,
quando si dimostrasse cosi forte,
che, solo, avesse posto i dieci a morte.
XL VII
La regina Orontea fece raccorre
il suo consiglio, e disse: «A noi conviene
sempre il miglior che ritroviamo, porre
a guardar nostri porti e nostre arene;
e per saper chi ben lasciar, chi t6rre,
prova e sempre da far, quando gli awiene;
per non patir con nostro danno a torto,
che regni il vile, e chi ha valor sia morto.
498 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
A me par, se a voi par, che statuito
sia ch'ogni cavallier per lo awenire,
che fortuna abbia tratto al nostro lito,
prima ch'al tempio si faccia morire,
possa egli sol, se gli place il partito,
incontra i dieci alia battaglia uscire;
e se di tutti vincerli e possente,
guardi egli il porto, e seco abbia altra gente.
XLIX
Parlo cosi, perche abbian qui un prigione
che par che vincer dieci s'offerisca.
Quando, sol, vaglia tante altre persone,
dignissimo e, per Dio, che s'esaudisca.
Cosi in contrario avra punizione,
quando vaneggi e temerario ardisca. »
Orontea fine al suo parlar qui pose,
a cui de le piu antique una rispose:
L
« La principal cagion ch'a far disegno
sul comercio degli uomini ci mosse,
non fa perch' a difender questo regno
del loro aiuto alcun bisogno fosse;
che per far questo abbiamo ardire e ingegno
da noi medesme, e a sufficienzia posse:
cosi senza sapessimo far anco,
che non venisse il propagarci a manco!
LI
Ma poi che senza lor questo non lece,
tolti abbian, ma non tanti, in compagnia,
che mai ne sia piu d'uno incontra diece,
si ch'aver di noi possa signoria.
Per conciper di lor questo si fece,
non che di lor difesa uopo ci sia.
La lor prodezza sol ne vaglia in questo,
e sieno ignavi e inutili nel resto.
CANTO VENTESIMO 499
LII
Tra noi tenere un uom che sia si forte,
contrario e in tutto al principal disegno.
Se puo un solo a died uomini dar morte,
quante donne fara stare egli al segno?
Se i dieci nostri fosser di tal sorte,
il primo di n'avrebbon tolto il regno.
Non e la via di dominar, se vuoi
por 1'arme in mano a chi puo piu di noi.
LIII
Pon mente ancor, che quando cosi aiti
Fortuna questo tuo, che i dieci uccida,
di cento donne che de' lor mariti
rimarran prive, sentirai le grida.
Se vuol campar, proponga altri partiti,
ch'esser di dieci gioveni omicida.
Pur, se per far con cento donne e buono
quel che dieci fariano, abbi perdono.»
LIV
Fu d'Artemia crudel questo il parere
(cosi avea nome), e non manc6 per lei
di far nel tempio Elbanio rimanere
scannato inanzi agli spietati deL
Ma la madre Orontea che compiacere
volse alia figlia, replic6 a colei
altre et altre ragioni, e modo tenne
che nel senato il suo parer s'ottenne.
LV
L'aver Elbanio di bellezza il vanto
sopra ogni cavallier che fosse al mondo,
fu nei cor de le giovani di tanto,
ch'erano in quel consiglio, e di tal pondo,
che '1 parer de le vecchie and6 da canto,
che con Artemia volean far secondo
Fordine antique; ne lontan fu molto
ad esser per favore Elbanio assolto.
500 ORLANDO FURIOSO
LVI
Di perdonargli in somma fu concluso,
ma poi che la decina avesse spento,
e che ne 1'altro assalto fosse ad uso
di diece donne buono, e non di cento.
Di career Taltro giorno fu dischiuso;
e avuto arme e cavallo a suo talento,
contra dieci guerrier, solo, si mise,
e 1'uno appresso all'altro in piazza uccise.
LVII
Fu la notte seguente a prova messo
contra diece donzelle ignudo e solo,
dove ebbe alPardir suo si buon successo,
che fece il saggio di tutto lo stuolo.
E questo gli acquisto tal grazia appresso
ad Orontea, che Tebbe per figliuolo;
e gli diede Alessandra e Taltre nove
con ch'avea fatto le notturne prove.
LVIII
E lo lascio con Alessandra bella,
che poi die nome a questa terra, erede,
con patto ch'a servare egli abbia quella
legge, et ogn'altro che da lui succede:
che ciascun che gia mai sua fiera Stella
fara qui por lo sventurato piede,
elegger possa, o in sacrificio darsi,
o con dieci guerrier, solo, provarsi.
LIX
E se gli awien che '1 di gli uomini uccida,
la notte con le femine si provi;
e quando in questo ancor tanto gli arrida
la sorte sua, che vincitor si trovi,
sia del femineo stuol principe e guida,
e la decina a scelta sua rinovi,
con la qual regni, fin ch'un altro arrivi,
che sia piu forte, e lui di vita privi.
CANTO VENTESIMO SOI
LX
Appresso a duamila anni il costume empio
si e mantenuto, e si mantiene ancora;
e sono pochi giorni che nel tempio
uno infelice peregrin non mora.
Se contra dieci alcun chiede, ad esempio
d'Elbanio, armarsi (che ve n'e talora),
spesso la vita al primo assalto lassa;
ne di mille uno all'altra prova passa.
LXI
Pur ci passano alcuni, ma si rari,
che su le dita annoverar si ponno.
Uno di questi fu Argilon: ma guari
con la decina sua non fu qui donno;
che cacciandomi qui venti contrari,
gli occhi gli chiusi in sempiterno sonno.
Cosi fossi io con lui morto quel giorno,
prima che viver servo in tanto scorno.
LXII
Che piaceri amorosi e riso e gioco,
che suole amar ciascun de la mia etade,
le purpure e le gemme, e Taver loco
inanzi agli altri ne la sua cittade,
potuto hanno, per Dio, mai giovar poco
aH'uom che privo sia di libertade:
e '1 non poter mai pm di qui levarmi,
servitu grave e intolerabil parmi.
LXIII
II vedermi lograr dei miglior anni
il piu bel fiore in si vile opra e molle,
tiemmi il cor sempre in stimulo e in affanni,
et ogni gusto di piacer mi tolle.
La fama del mio sangue spiega i vanni
per tutto '1 mondo, e fin al ciel s'estolle:
che forse buona parte anch'io n'avrei,
s'esser potessi coi fratelli miei.
502 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Parmi ch'ingiuria il mio destin mi faccia,
avendomi a si vil servigio eletto;
come chi ne 1'armento il destrier caccia,
il qual d'occhi o di piedi abbia difetto,
o per altro accidente che dispiaccia,
sia fatto all'arme e a miglior uso inetto:
ne sperando io, se non per morte, uscire
di si vil servitu, bramo morire. —
LXV
Guidon qui fine alle parole pose,
e maledi quel giorno per isdegno,
il qual dei cavallieri e de le spose
gli die vittoria in acquistar quel regno.
Astolfo stette a udire, e si nascose
tanto, che si fe' certo a piu d'un segno
che, come detto avea, questo Guidone
era figliuol del suo parente Amone.
LXVI
Poi gli rispose:— Io sono il duca inglese,
il tuo cugino Astolfo — ; et abbracciollo,
e con atto amorevole e cortese,
non senza sparger lagrime, baciollo.
— Caro parente mio, non piu palese
tua madre ti potea por segno al collo ;
ch'a farne fede che tu sei de' nostri,
basta il valor che con la spada mostri. —
LXVII
Guidon, ch'altrove avria fatto gran festa
d'aver trovato un si stretto parente,
quivi Paccolse con la faccia mesta,
perch6 fu di vedervilo dolente.
Se vive, sa chj Astolfo schiavo resta,
n£ il termine e piu la che '1 di seguente;
se fia libero Astolfo, ne more esso:
si che '1 ben d'uno e il mal de Paltro espresso,
CANTO VENTESIMO 503
LXVIII
Gli duol che gli altri cavallieri ancora
abbia, vincendo, a far sempre captivi;
ne piu, quando esso in quel contrasto mora,
potra giovar che servitu lor schivi:
che se d'un fango ben gli porta fuora,
e poi s'inciampi come alPaltro arrivi,
avra lui senza pro vinto Marfisa;
ch'essi pur ne fien schiavi, et ella uccisa.
LXIX
Da Faltro canto avea I5 acerb a etade,
la cortesia e il valor del giovinetto
d'amore intenerito e di pietade
tanto a Marfisa et ai compagni il petto,
che con morte di lui lor libertade
esser dovendo avean quasi a dispetto:
e se Marfisa non puo far con manco
ch'uccider lui, vuol essa morir anco.
LXX
Ella disse a Guidon: — Vientene insieme
con noi, ch'a viva forza usciren quinci.
— Deh — rispose Guidon — lascia ogni speme
di mai piu uscirne, o perdi meco o vinci. —
Ella suggiunse: — II mio cor mai non teme
di non dar fine a cosa che cominci;
n6 trovar so la piu sicura strada
di quella ove mi sia guida la spada.
LXXI
Tal ne la piazza ho il tuo valor provato,
che, s'io son teco, ardisco ad ogn'impresa.
Quando la turba intorno allo steccato
sara domani in sul teatro ascesa,
io vo' che Puccidian per ogni lato,
o vada in fuga o cerchi far difesa,
e ch'agli lupi e agli avoltoi del loco
lasciamo i corpi, e la cittade al fuoco. —
504 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Suggiunse a lei Guidon: — Tu m'avrai pronto
a seguitarti et a morirti a canto ;
ma vivi rimaner non faccian conto ;
bastar ne puo di vendicarci alquanto:
che spesso diecimila in piazza conto
del popul feminile, et altretanto
resta a guardare e porto e rocca e mura,
ne alcuna via d'uscir trovo sicura. —
LXXIII
Disse Marfisa: — E molto piu sieno elle
degli uomini che Serse ebbe gia intorno,
e sieno piu de Panime ribelle
ch'uscir del ciel con lor perpetuo scorno:
se tu sei meco, o almen non sie con quelle,
tutte le voglio uccidere in un giorno. —
Guidon suggiunse : — lo non ci so via alcuna
ch'a valer n'abbia, se non val quest'una.
LXXIV
Ne puo sola salvar, se ne succede,
quest'una ch'io diro, ch'or mi soviene.
Fuor ch'alle donne, uscir non si concede,
ne metter piede in su le salse arene:
e per questo commettermi alia fede
d'una de le mie donne mi conviene,
del cui perfetto amor fatta ho sovente
piu pruova ancor, ch'io non faro al presente.
LXXV
Non men di me tormi costei disia
di servitu, pur che ne venga meco;
che cosi spera, senza compagnia
de le rivali sue, ch'io viva seco.
Ella nel porto o fuste o saettia
fara or dinar, mentre e ancor 1'aer cieco,
che i marinari vostri troveranno
acconcia a navigar, come vi vanno.
CANTO VENTESIMO 505
LXXVI
Dietro a me tutti in un drappel ristretti,
cavallieri, mercanti e galeotti,
ch'ad albergarvi sotto a questi tetti
meco, vostra merce, sete ridotti,
avrete a farvi ample sentier coi petti,
se del nostro camin siamo interrotti:
cosi spero, aiutandoci le spade,
ch'io vi trarro de la crudel cittade.
LXXVII
— Tu fa come ti par, — disse Marfisa —
ch'io son per me d'uscir di qui sicura.
Piu facil fia che di mia mano uccisa
la gente sia, che e dentro a queste mura,
che mi veggi fuggire, o in altra guisa
alcun possa notar ch'abbi paura.
Vo' uscir di giorno, e sol per forza d'arme;
che per ogn'altro modo obbrobrio parme.
LXXVIII
S'io ci fossi per donna conosciuta,
so ch'avrei da le donne onore e pregio;
e volentieri io ci sarei tenuta,
e tra le prime forse del collegio:
ma con costoro essendoci venuta,
non ci vo' d'essi aver piu privilegio.
Troppo error fora ch'io mi stessi o andassi
libera, e gli altri in servitii lasciassi. —
LXXIX
Queste parole et altre seguitando,
mostro Marfisa che Jl rispetto solo
ch'avea al periglio de* compagni (quando
potria loro il suo ardir tornare in duolo),
la tenea che con alto e memorando
segno d'ardir non assalia lo stuolo :
e per questo a Guidon lascia la cura
d'usar la via che piu gH par sicura.
506 ORLANDO FURIOSO
LXXX
Guidon la notte con Aleria parla
(cosi avea nome la piu fida moglie):
ne bisogno gli fu molto pregarla,
che la trovo disposta alle sue voglie.
Ella tolse una nave e fece armarla,
e v'arreco le sue piu ricche spoglie,
fingendo di volere al nuovo albore
con le compagne uscire in corso fuore.
LXXXI
Ella avea fatto nel palazzo inanti
spade e lancie arrecar, corazze e scudi,
onde armar si potessero i mercanti
e i galeotti ch'eran mezzo nudi.
Altri dormiro, et altri ster vegghianti,
compartendo tra lor gli ozii e gli studi;
spesso guardando, e pur con I'arme indosso,
se Toriente ancor si facea rosso.
LXXXII
Dal duro volto de la terra il sole
non tollea ancora il velo oscuro et atro ;
a pena avea la licaonia prole
per li solchi del ciel volto Taratro:
quando il femineo stuol, che veder vuole
il fin de la battaglia, empi il teatro,
come ape del suo claustro empie la soglia,
che mutar regno al nuovo tempo voglia.
LXXXIII
Di trombe, di tambur, di suon de corni
il popul risonar fa cielo e terra,
cosi citando il suo signer, che torni
a terminar la cominciata guerra.
Aquilante e Grifon stavano adorni
de le lor arme, e il duca d'Inghilterra,
Guidon, Marfisa, Sansonetto e tutti
gli altri, chi a piedi e chi a cavallo instrutti.
CANTO VENTESIMO 507
LXXXIV
Per scender dal palazzo al mare e al porto,
la piazza traversar si convenia;
ne v'era altro camin lungo ne corto:
cosi Guidon disse alia compagnia.
E poi che di ben far molto conforto
lor diede, entro senza rumore in via;
e ne la piazza, dove il popul era,
s'appresento con piu di cento in schiera.
LXXXV
Molto affrettando i suoi compagni, andava
Guidone all'altra porta per uscire:
ma la gran moltitudine che stava
intorno armata, e sempre atta a ferire,
penso, come lo vide che menava
seco quegli altri, che volea fuggire;
e tutta a un tratto agli archi suoi ricorse,
e parte, onde s'uscia, venne ad opporse.
LXXXVI
Guidone e gli altri cavallier gagliardi,
e sopra tutti lor Marfisa forte,
al menar de le man non furon tardi,
e molto fer per isforzar le porte:
ma tanta e tanta copia era dei dardi
che con ferite dei compagni e morte
pioveano lor di sopra e d'ogn'intorno,
ch'al fin temean d'averne danno e scorno.
LXXXVII
D'ogni guerrier Fusbergo era perfetto;
che se non era, avean piu da temere.
Fu morto il destrier sotto a Sansonetto:
quel di Marfisa v'ebbe a rimanere.
Astolfo tra se disse: «Ora, ch'aspetto
che mai mi possa il corno piu valere?
lo vo' veder, poi che non giova spada,
s'io so col corno assicurar la strada. »
508 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
Come aiutar ne le fortune estreme
sempre si suol, si pone il corno a bocca.
Par che la terra e tutto '1 mondo trieme,
quando Torribil suon ne 1'aria scocca.
Si nel cor de la gente il timor preme,
che per disio di fuga si trabocca
giu del teatro sbigottita e smorta,
non che lasci la guardia de la porta.
LXXXIX
Come talor si getta e si periglia
e da finestra e da sublime loco
1'esterrefatta subito famiglia,
che vede appresso e d'ogn'intorno il fuoco,
che, mentre le tenea gravi le ciglia
il pigro sonno, crebbe a poco a poco;
cosi, messa la vita in abandono,
ognun fuggia lo spaventoso suono.
xc
Di qua di la, di su di giu smarrita
surge la turba, e di fuggir procaccia.
Son piu di mille a un tempo ad ogni uscita:
cascano a monti, e Tuna 1'altra impaccia.
In tanta calca perde altra la vita;
da palchi e da finestre altra si schiaccia:
piu d'un braccio si rompe e d'una testa,
di ch' altra morta, altra storpiata resta.
xci
II pianto e '1 grido insino al ciel saliva,
d'alta ruina misto e di fraccasso.
Affretta, ovunque il suon del corno arriva,
la turba spaventata in fuga il passo.
Se udite dir che d'ardimento priva
la vil plebe si mostri e di cor basso,
non vi maravigliate, che natura
e de la lepre aver sempre paura.
CANTO VENTESIMO 509
XCII
Ma che direte del gia tanto fiero
cor di Marfisa e di Guidon Selvaggio ?
del dua giovini figli d'Oliviero,
che gia tanto onoraro il lor lignaggio?
Gia centomila avean stimato un zero;
e in fuga or se ne van senza coraggio,
come conigli o timidi colombi
a cui vicino alto rumor rimbombi.
xcm
Cosi noceva ai suoi come agli strani
la forza che nel corno era incantata.
Sansonetto, Guidone e i duo germani
fuggon dietro a Marfisa spaventata;
ne fuggendo ponno ir tanto lontani,
che lor non sia 1'orecchia anco intronata.
Scorre Astolfo la terra in ogni lato,
dando via sempre al corno maggior fiato.
xciv
Chi scese al mare, e chi poggio su al monte,
e chi tra i boschi ad occultar si venne:
alcuna, senza mai volger la fronte,
fuggir per dieci di non si ritenne:
uscl in tal punto alcuna fuor del ponte,
ch'in vita sua mai piu non vi rivenne.
Sgombraro in modo e piazze e templi e case,
che quasi vota la citta rimase.
xcv
Marfisa e '1 bon Guidone e i duo fratelli
e Sansonetto, pallidi e tremanti,
fuggiano inverse il mare, e dietro a quelli
fuggiano i marinari e i mercatanti;
ove Aleria trovar, che fra i castelli
loro avea un legno apparechiato inanti.
Quindi, poi ch'in gran fretta li raccolse,
die i remi alPacqua et ogni vela sciolse.
510 ORLANDO FURIOSO
XCVI
Dentro e d'intorno il duca la cittade
avea scorsa dai colli insino all'onde;
fatto avea vote rimaner le strade:
ognun lo fugge, ognun se gli nasconde.
Molte trovate fur, che per viltade
s'eran gittate in parti oscure e immonde;
e molte, non sappiendo ove s'andare,
messesi a nuoto et affogate in mare.
xcvn
Per trovare i compagni il duca viene,
che si credea di riveder sul molo.
Si volge intorno, e le deserte arene
guarda per tutto, e non v'appare un solo.
Leva piu gli occhi, e in alto a vele piene
da se lontani andar li vede a volo :
si che gli convien fare altro disegno
al suo camin, poi che partito e il legno.
XCVIII
Lasciamolo andar pur (ne vi rincresca
che tanta strada far debba soletto
per terra d'infedeli e barbaresca,
dove mai non si va senza sospetto :
non e periglio alcuno, onde non esca
con quel suo corno, e n'ha mostrato effetto);
e dei compagni suoi pigliamo cura,
ch'al mar fuggian tremando di paura.
xcix
A piena vela si cacciaron lunge
da la crudele e sanguinosa spiaggia:
e poi che di gran lunga non li giunge
Porribil suon ch'a spaventar piu gli aggia,
insolita vergogna si gli punge,
che com'un fuoco a tutti il viso raggia.
L'un non ardisce a mirar 1'altro, e stassi
tristo, senza parlar, con gli occhi bassi.
CANTO VENTESIMO 511
C
Passa il nocchiero, al suo viaggio intento,
e Cipro e Rodi, e giu per Fonda egea
da se vede fuggire isole cento
col periglioso capo di Malea;
e con propizio et immutabil vento
asconder vede la greca Morea;
volta Sicilia, e per lo mar Tirreno
costeggia de 1' Italia il lito ameno:
ci
e sopra Luna ultimamente sorse,
dove lasciato avea la sua famiglia.
Dio ringraziando che 1 pelago corse
senza piii danno, il noto lito piglia.
Quindi un nochier trovar per Francia sciorse,
il qual di venir seco li consiglia:
e nel suo legno ancor quel di montaro,
et a Marsilia in breve si trovaro.
en
Quivi non era Bradamante allora,
ch'aver solea governo del paese;
che se vi fosse, a far seco dimora
gli avria sforzati con parlar cortese.
Sceser nel lito, e la medesima ora
dai quattro cavallier congedo prese
Marfisa, e da la donna del Selvaggio;
e pigll6 alia ventura il suo viaggio,
cm
dicendo che lodevole non era
ch'andasser tanti cavallieri insieme:
che gli storm e i colombi vanno in schiera,
i daini e i cervi e ogn'animal che teme;
ma 1'audace falcon, Paquila altiera,
che ne Paiuto altrui non metton speme,
orsi, tigri, leon, soli ne vanno;
che di piu forza alcun timor non hanno.
512 ORLANDO FURIOSO
CIV
Nessun degli altri fu di quel pensiero;
si ch'a lei sola tocco a far partita.
Per mezzo i boschi e per strano sentiero
dunque ella se n'ando sola e romita.
Grifone il bianco et Aquilante il nero
pigliar con gli altri duo la via piu trita,
e giunsero a un castello il di seguente,
dove albergati fur cortesemente.
cv
Cortesemente dico in apparenza,
ma tosto vi sentir contrario effetto ;
che 51 signor del castel, benivolenza
fingendo e cortesia, lor de ricetto:
e poi la notte, che sicuri senza
timor dormian, gli fe' pigliar nel letto;
ne prima li lascio, che d'osservare
una costuma ria li fe' giurare.
cvi
Ma vo' seguir la bellicosa donna,
prima, Signor, che di costor piu dica.
Passo Druenza, il Rodano e la Sonna,
e venne a pie d'una montagna aprica.
Quivi lungo un torrente, in negra gonna
vide venire una femina antica,
che stanca e lassa era di lunga via,
ma via piu afflitta di malenconia.
evil
Questa e la vecchia che solea servire
ai malandrin nel cavernoso monte,
la dove alta giustizia fe' venire
e dar lor morte il paladino conte.
La vecchia, che timore ha di morire
per le cagion che poi vi saran conte,
gia molti di va per via oscura e fosca,
fuggendo ritrovar chi la conosca.
CANTO VENTESIMO 513
CVIII
Quivi d'estrano cavallier sembianza
Pebbe Marfisa all'abito e all'arnese;
e percio non fuggi, com'avea usanza
fuggir dagli altri ch'eran del paese;
anzi con sicurezza e con baldanza
si fermo al guado, e di lontan Tattese:
al guado del torrente, ove trovolla,
la vecchia le usci incontra e salutolla.
cix
Poi la prego che seco oltr'a quell'acque
ne 1'altra ripa in groppa la portasse.
Marfisa, che gentil fu da che nacque,
di la dal fiumicel seco la trasse;
e portarla anch'un pezzo non le spiacque,
fin ch'a miglior camin la ritornasse,
fuor d'un gran fango; e al fin di quel sentiero
si videro all'mcontro un cavalliero.
ex
II cavallier su ben guernita sella,
di lucide arme e di bei panni ornato,
verso il fiume venia, da una donzella
e da un solo scudiero accompagnato.
La donna ch'avea seco era assai bella,
ma d'altiero sembiante e poco grato,
tutta d'orgoglio e di fastidio piena,
del cavallier ben degna che la mena.
CXI
Pinabello, un de} conti maganzesi,
era quel cavallier ch'ella avea seco;
quel medesmo che dianzi a pochi mesi
Bradamante gitt6 nel cavo speco.
Quei sospir, quei singulti cosi accesi,
quel pianto che lo fe' gia quasi cieco,
tutto fu per costei ch'or seco avea,
che *1 negromante allor gli ritenea.
514 ORLANDO FURIOSO
CXII
Ma poi che fu levato di sul colle
Tincantato castel del vecchio Atlante,
e che pote ciascuno ire ove voile,
per opra e per virtu di Bradamante;
costei, ch'agli disii facile e molle
di Pinabel sempre era stata inante,
si torno a lui, et in sua compagnia
da tin castello ad un altro or se ne gia.
CXIII
E si come vezzosa era e mal usa,
quando vide la vecchia di Marfisa,
non si pote tenere a bocca chiusa
di non la motteggiar con beffe e risa.
Marfisa altiera, appresso a cui non s'usa
sentirsi oltraggio in qualsivoglia guisa,
rispose d'ira accesa alia donzella
che di lei quella vecchia era piu bella;
cxiv
e ch'al suo cavallier volea provallo,
con patto dl poi t6rre a lei la gonna
e il palafren ch'avea, se da cavallo
gittava il cavallier di ch'era donna.
Pinabel che faria, tacendo, fallo,
di risponder con Farme non assonna:
piglia lo scudo e Tasta, e il destrier gira,
poi vien Marfisa a ritrovar con ira.
cxv
Marfisa incontra una gran lancia afferra,
e ne la vista a Pinabel Farresta,
e si stordito lo riversa in terra,
che tarda un'ora a rilevar la testa.
Marfisa, vincitrice de la guerra,
fe' trarre a quella giovane la vesta,
et ogn'altro ornamento le fe' porre,
e ne fej il tutto alia sua vecchia t6rre:
CANTO VENTESIMO 515
CXVI
e di quel giovenile abito volse
che si vestisse e se n'ornasse tutta;
e fe' che '1 palafreno anco si tolse,
che la giovane avea quivi condutta.
Indi al preso camin con lei si volse,
che quant' era piu ornata, era piu brutta.
Tre giorni se n'andar per lunga strada,
senza far cosa onde a parlar m'accada.
cxvn
II quarto giorno un cavallier trovaro,
che venia in fretta galoppando solo.
Se di saper chi sia forse v'e caro,
dicovi ch'e Zerbin, di re figliuolo,
di virtu esempio e di bellezza raro,
che se stesso rodea d'ira e di duolo
di non aver potuto far vendetta
d'un che gli avea gran cortesia interdetta.
CXVIII
Zerbino indarno per la selva corse
dietro a quel suo che gli avea fatto oltraggio;
ma si a tempo colui seppe via torse,
si seppe nel fuggir prender vantaggio,
si il bosco e si una nebbia lo soccorse,
ch'avea offuscato il matutmo raggio,
che di man di Zerbin si levo netto,
fin che Pira e il furor gli usci del petto.
cxix
Non pote, ancor che Zerbin fosse irato,
tener, vedendo quella vecchia, il riso;
che gli parea dal giovenile ornato
troppo diverso il brutto antiquo viso;
et a Marfisa, che le venia a lato,
disse: — Guerrier, tu sei pien d'ogni aviso,
che damigella di tal sorte guidi,
che non temi trovar chi te la invidi. —
516 ORLANDO FURIOSO
CXX
Avea la donna (se la crespa buccia
puo darne indicio) piu de la Sibilla,
e parea, cosi ornata, una bertuccia,
quando per muover riso alcun vestilla;
et or piu brutta par, che si coruccia,
e che dagli occhi 1'ira le sfavilla:
ch'a donna non si fa maggior dispetto,
che quando o vecchia o brutta le vien detto.
cxxi
Mostro turbarse 1'inclita donzella,
per prenderne piacer, come si prese;
e rispose a Zerbin : — Mia donna e bella,
per Dio, via piu che tu non sei cortese;
come ch'io creda che la tua favella
da quel che sente Panimo non scese:
tu fingi non conoscer sua beltade,
per escusar la tua somma viltade.
cxxn
E chi saria quel cavallier che questa
si giovane e si bella ritrovasse
senza piu compagnia ne la foresta,
e che di farla sua non si provasse?
— Si ben — disse Zerbin — teco s'assesta,
che saria mal ch'alcun te la levasse;
et io per me non son cosi indiscreto,
che te ne privi mai: stanne pur lieto.
CXXIII
S'in altro conto aver vuoi a far meco,
di quel ch'io vaglio son per farti mostra;
ma per costei non mi tener si cieco,
che solamente far voglia una giostra.
0 brutta o bella sia, restisi teco :
non vo' partir tanta amicizia vostra.
Ben vi sete accoppiati: io giurerei,
com'ella e bella, tu gagliardo sei. —
CANTO VENTESIMO 517
CXXIV
Suggiunse a lui Marfisa: — Al tuo dispetto
di levarmi costei provar convienti.
Non vo' patir ch'un si leggiadro aspetto
abbi veduto, e guadagnar nol tenti. —
Rispose a lei Zerbin: — Non so a ch'effetto
1'uom si metta a periglio e si tormenti,
per riportarne una vittoria poi
che giovi al vinto, e al vincitor annoi.
cxxv
— Se non ti par questo partito buono,
te ne do un altro, e ricusar nol dei: —
disse a Zerbin Marfisa — che s'io sono
vinto da te, m'abbia a restar costei;
ma s'io te vinco, a forza te la dono.
Dunque provian chi de' star senza lei:
se perdi, converra che tu le faccia
compagnia sempre, ovunque andar le piaccia.
cxxvi
— E cosi sia — , Zerbin rispose; e volse
a pigliar campo subito il cavallo.
Si levo su le staffe e si raccolse
fermo in arcione; e per non dare in fallo,
lo scudo in mezzo alia donzella colse;
ma parve urtasse un monte di metallo:
et ella in guisa a lui tocco Telmetto,
che stordito il man do di sella netto.
CXXVII
Troppo spiacque a Zerbin Pesser caduto,
ch'in altro scontro mai piu non gli awenne,
e n'avea mille e mille egli abbattuto;
et a perpetuo scorno se lo tenne.
Stette per lungo spazio in terra muto;
e piu gli dolse poi che gli sovenne
ch'avea promesso e che gli convenia
aver la brutta vecchia in compagnia.
jig ORLANDO FURIOSO
CXXVIII
Tornando a lui la vincitrice in sella,
disse ridendo: — Questa t'appresento;
e quanto piii la veggio e grata e bella,
tanto ch'ella sia tua piu mi contento.
Or tu in mio loco sei campion di quella;
ma la tua fe non se ne porti il vento,
die per sua guida e scorta tu non vada
(come hai promesso) ovunque andar 1'aggrada. —
cxxix
Senza aspettar risposta urta il destriero
per la foresta, e subito s'imbosca.
Zerbin, che la stimava un cavalliero,
dice alia vecchia: — Fa ch'io lo conosca. —
Et ella non gli tiene ascoso il vero,
onde sa che lo 'ncende e che Tattosca:
— II colpo fu di man d'una donzella,
che t'ha fatto votar — disse — la sella.
cxxx
Pel suo valor costei debitamente
usurpa a' cavallieri e scudo e lancia;
e venuta e pur dianzi d'Oriente
per assaggiare i paladin di Francia. —
Zerbin di questo tal vergogna sente,
che non pur tinge di rossor la guancia,
ma rest6 poco di non farsi rosso
seco ogni pezzo d'arme ch'avea indosso.
cxxxi
Monta a cavallo, e se stesso rampogna
che non seppe tener strette le cosce.
Tra se la vecchia ne sorride, e agogna
di stimularlo e di piu dargli angosce.
Gli ricorda ch' andar seco bisogna:
e Zerbin, ch'ubligato si conosce,
1'orecchie abbassa, come vinto e stanco
destrier c'ha in bocca il fren, gli sproni al fianco.
CANTO VENTESIMO 519
CXXXII
E sospirando : — Ohime, Fortuna fella,—
dicea — che cambio e questo che tu fai ?
Colei che fu sopra le belle bella,
ch'esser meco dovea, levata m'hai.
Ti par ch'in luogo et in ristor di quella
si debba por costei ch'ora mi dai?
Stare in danno del tutto era men male,
che fare un cambio tanto diseguale.
CXXXIII
Colei che di bellezze e di virtuti
unqua non ebbe e non avra mai pare,
sommersa e rotta tra gli scogli acuti
hai data ai pesci et agli augei del mare;
e costei che dovria gia aver pasciuti
sotterra i vermi, hai tolta a perservare
dieci o venti anni piu che non devevi,
per dar piu peso agli miej affanni grevi. —
cxxxiv
Zerbin cosi parlava; ne men tristo
in parole e in sembianti esser parea
di questo nuovo suo si odioso acquisto,
che de la donna che perduta avea.
La vecchia, ancor che non avesse visto
mai piu Zerbin, per quel ch'ora dicea
s'awide esser colui di che notizia
le diede gia Issabella di Galizia.
cxxxv
Se '1 vi ricorda quel ch'avete udito,
costei da la spelonca ne veniva,
dove Issabella, che d'amor ferito
Zerbino avea, fu molti di captiva.
Piu volte ella le avea gia riferito
come lasciasse la paterna riva,
e come rotta in mar da la procella
si salvasse alia spiaggia di Rocella.
520
ORLANDO FURIOSO
CXXXVI
E si spesso dipinto di Zerbino
le avea il bel viso e le fattezze conte,
ch'ora udendol parlare, e piii vicino
gli occhi alzandogli meglio ne la fronte,
vide esser quel per cui sempre meschino
fu d'Issabella il cor nel cavo monte;
che di non veder lui piu si lagnava,
che d'esser fatta ai malandrini schiava.
CXXXVII
La vecchia, dando alle parole udienza,
che con sdegno e con duol Zerbino versa,
s'avede ben ch'egli ha falsa credenza
che sia Issabella in mar rotta e sommersa:
e ben ch'ella del certo abbia scienza,
per non lo rallegrar, pur la perversa
quel che far lieto lo potria, gli tace,
e sol gli dice quel che gli dispiace.
CXXXVIII
— Odi tu, — gli disse — ella tu che sei
cotanto altier, che si mi scherni e sprezzi,
se sapessi che nuova ho di costei
che morta piangi, mi faresti vezzi:
ma piu tosto che dirtelo, torrei
che mi strozzassi o fessi in mille pezzi;
dove, s'eri ver me piu mansueto,
forse aperto t'avrei questo secreto. —
cxxxix
Come il mastin che con furor s'aventa
adosso al ladro, ad achetarsi e presto,
che quello o pane o cacio gli appresenta,
o che fa incanto appropriate a questo;
cosi tosto Zerbino umil diventa,
e vien bramoso di sapere il resto,
che la vecchia gli accenna che di quella,
che morta piange, gli sa dir novella.
CANTO VENTESIMO 521
E volto a lei con piu piacevol faccia,
la supplica, la prega, la scongiura
per gli uomini, per Dio, che non gli taccia
quanto ne sappia, o buona o ria ventura.
— Cosa non udirai che pro ti faccia: —
disse la vecchia pertinace e dura
— non e Issabella, come credi, morta;
ma viva si, chV morti invidia porta.
CXLI
£ capitata in quest! pochi giorni
che non n'udisti, in man di piu di venti:
si che, qualora anco in man tua ritorni,
vej se sperar di corre il fior convienti. —
Ah vecchia maladetta, come adorni
la tua menzogna! e tu sai pur se menti.
Se ben in man de venti elPera stata,
non Favea alcun per6 mai violata.
CXLII
Dove 1'avea veduta domandolle
Zerbino, e quando; ma nulla n'invola,
che la vecchia ostinata piu non voile
a quel c'ha detto aggiungere parola.
Prima Zerbin le fece un parlar molle,
poi minacciolle di tagliar la gola:
ma tutto e invan cio che minaccia e prega;
che non puo far parlar la brutta Strega.
CXLIII
Lasci6 la lingua airultimo in riposo
Zerbin, poi che '1 parlar gli giovo poco;
per quel ch'udito avea, tanto geloso,
che non trovava il cor nel petto loco;
d'Issabella trovar si disioso,
che saria per vederla ito nel fuoco:
ma non poteva andar piu che volesse
colei, poi ch'a Marfisa lo promesse.
522 ORLANDO FURIOSO
CXLIV
E quindi per solingo e strano calle,
dove a lei piacque, fu Zerbin condotto ;
ne per o poggiar monte o scender valle
mai si guardaro in faccia o si fer motto.
Ma poi ch'al mezzodi volse le spalle
il vago sol, fu il lor silenzio rotto
da un cavallier che nel camin scontraro.
Quel che segui, ne Paltro canto e chiaro.
CANTO VENTESIMOPRIMO 523
CANTO VENTESIMOPRIMO
I
Ne fune intorto credero che stringa
soma cosi, ne cosi legno chiodo,
come la fe ch'una bella alma cinga
del suo tenace indissolubil nodo.
Ne dagli antiqui par che si dipinga
la santa Fe vestita in altro modo,
che d'un vel bianco che la cuopra tutta:
ch'un sol punto, un sol neo la pu6 far brutta.
II
La fede unqua non debbe esser corrotta,
o data a un solo, o data insieme a milie;
e cosi in una selva, in una grotta,
lontan da le cittadi e da le ville,
come dinanzi a tribunali, in frotta
di testimon, di scritti e di postille,
senza giurare o segno altro piu espresso,
basti una volta che s'abbia promesso.
in
Quella serv6, come servar si debbe
in ogni impresa, il cavallier Zerbino :
e quivi dimostr6 che conto n'ebbe,
quando si tolse dal proprio camino
per andar con costei, la qual gl'increbbe,
come s'avesse il morbo si vicino,
o pur la morte istessa; ma potea,
piu che '1 disio, quel che promesso avea.
524 ORLANDO FURIOSO
IV
Dissi di lui, che di vederla sotto
la sua condotta tanto al cor gli preme,
che n'arrabbia di duol, ne le fa motto;
e vanno muti e taciturni insieme:
dissi che poi fu quel silenzio rotto,
ch'al mondo il sol mostr6 le mote estreme,
da un cavalliero aventuroso errante,
ch'in mezzo del camin lor si fe* inante.
v
La vecchia che conobbe il cavalliero,
ch'era nomato Ermonide d'Olanda,
che per insegna ha ne lo scudo nero
attraversata una vermiglia banda,
posto 1'orgoglio e quel sembiante altiero,
umilmente a Zerbin si raccomanda,
e gli ricorda quel ch'esso promise
alia guerriera ch'in sua man la mise.
VI
Perche di lei nimico e di sua gente
era il guerrier che contra lor venia:
ucciso ad essa avea il padre innocente,
e un fratello che solo al mondo avia;
e tuttavolta far del rimanente,
come degli altri, il traditor disia.
— Fin ch'alla guardia tua, donna, mi senti, -
dicea Zerbin — non vo' che tu paventi. —
vn
Come piu presso il cavallier si specchia
in quella faccia che si in odio gli era:
— 0 di combatter meco t'apparecchia, —
grid6 con voce minacciosa e fiera
— o lascia la difesa de la vecchia,
che di mia man secondo il merto pera.
Se combatti per lei, rimarrai morto:
che cosi awiene a chi s'appiglia al torto. —
CANTO VENTESIMOPRIMO 525
VIII
Zerbin cortesemente a lui risponde
che gli e desir di bassa e mala sorte,
et a cavalleria non corrisponde
che cerchi dare ad una donna morte:
se pur combatter vuol, non si nasconde;
ma che prima consider! ch'importe
ch'un cavallier com' era egli gentile
voglia por man nel sangue feminile.
IX
Queste gli disse e piu parole invano;
e fu bisogno al fin venire a' fatti.
Poi che preso a bastanza ebbon del piano,
tornarsi incontra a tutta briglia ratti.
Non van si presti i razzi fuor di mano,
ch'al tempo son de le allegrezze tratti,
come andaron veloci i duo destrieri
ad incontrare insieme i cavallieri.
Ermonide d'Olanda segno basso,
che per passare il destro fianco attese:
ma la sua debol lancia ando in fracasso,
e poco il cavallier di Scozia ofTese.
Non fu gia 1'altro colpo vano e casso;
roppe lo scudo, e si la spalla prese,
che la for6 da 1'uno all'altro lato,
e riversar fe* Ermonide sul prato.
XI
Zerbin che si penso d'averlo ucciso,
di pieta vinto, scese in terra presto,
e levo Felmo da lo smorto viso;
e quel guerrier, come dal sonno desto,
senza parlar guard6 Zerbino fiso;
e poi gli disse: — Non m'e gia molesto
ch'io sia da te abbattuto, ch'ai sembianti
mostri esser fior de' cavallieri erranti;
526 ORLANDO FURIOSO
XII
ma ben mi duol che questo per cagione
d'una femina perfida m'awiene,
a cui non so come tu sia campione,
che troppo al tuo valor si disconviene.
E quando tu sapessi la cagione
ch'a vendicarmi di costei mi mene,
avresti, ognor che rimembrassi, aflanno
d'aver, per campar lei, fatto a me danno.
XIII
E se spirto a bastanza avro nel petto
ch'io il possa dir (ma del contrario temo),
io ti far6 veder ch'in ogni effetto
scelerata e costei piu ch'in estremo.
Io ebbi gia un fratel che giovinetto
d'Olanda si parti, donde noi semo,
e si fece d'Eraclio cavalliero,
ch'allor tenea de} Greci il sommo impero.
XIV
Quivi divenne intrinseco e fratello
d'un cortese baron di quella corte,
che nei confin di Servia avea un castello
di sito ameno e di muraglia forte.
Nomossi Argeo colui di ch'io favello,
di questa iniqua femina consorte,
la quale egli am.6 si, che passo il segno
ch'a un uom si convenia come lui degno.
xv
Ma costei, piu volubile che foglia
quando Pautunno e piu priva d'umore,
che Jl freddo vento gli arbori ne spoglia,
e le soffia dinanzi al suo furore;
verso il marito cangi6 tosto voglia,
che fisso qualche tempo ebbe nel core;
e volse ogni pensiero, ogni disio
d'acquistar per amante il fratel mio.
CANTO VENTESIMOPRIMO 527
XVI
Ma ne si saldo alPimpeto marino
FAcrocerauno d'infamato nome,
ne sta si duro incontra borea il pino
che rinovato ha piu di cento chiome,
che quanto appar fuor de lo scoglio alpino,
tanto sotterra ha le radici; come
il mio fratello a5 prieghi di costei,
nido de tutti i vizii infandi e rei.
XVII
Or come awiene a un cavallier ardito
che cerca briga e la ritrova spesso,
fu in una impresa il mio fratel ferito,
molto al castel del suo compagno appresso,
dove venir senza aspettare invito
solea, fosse o non fosse Argeo con esso;
e dentro a quel per riposar fermosse
tanto che del suo mal libero fosse.
XVIII
Mentre egli quivi si giacea, convenne
ch'in certa sua bisogna andasse Argeo.
Tosto questa sfacciata a tentar venne
il mio fratello, et a sua usanza feo;
ma quel fedel non oltre piu sostenne
avere ai fianchi un stimulo si reo :
elesse, per servar sua fede a pieno,
di molti mal quel che gli parve meno.
XIX
Tra molti mal gli parve elegger questo:
lasciar d' Argeo Pintrinsichezza antiqua;
lungi andar si, che non sia manifesto
mai piu il suo nome alia femina iniqua.
Ben che duro gli fosse, era piu onesto
che satisfare a quella voglia obliqua,
o ch'accusar la moglie al suo signore,
da cui fu amata a par del proprio core.
528 ORLANDO FURIOSO
XX
E de le sue ferite ancora infermo
Tarme si veste, e del castel si parte;
e con animo va constante e fermo
di non mai piii tornare in quella parte.
Ma che gli val? ch'ogni difesa e schermo
gli disipa Fortuna con nuova arte:
ecco il marito che ritorna intanto,
e trova la moglier che fa gran pianto,
XXI
e scapigliata e con la faccia rossa;
e le domanda di che sia turbata.
Prima ch'ella a rispondere sia mossa,
pregar si lascia piu d'una fiata,
pensando tuttavia come si possa
vendicar di colui che 1'ha lasciata:
e ben convenne al suo mobile ingegno
cangiar Pamore in subitano sdegno.
xxn
«Deh,» disse al fine «a che Terror nascondo
c'ho commesso, signor, ne la tua absenzia?
che quando ancora io '1 celi a tutto '1 mondo,
celar nol posso alia mia conscienzia.
L'alma che sente il suo peccato immondo,
pate dentro da se tal penitenzia,
ch'avanza ogn'altro corporal martire
che dar mi possa alcun del mio fallire;
XXIII
quando fallir sia quel che si fa a forza.
Ma sia quel che si vuol, tu sappil' anco;
poi con la spada da la immonda scorza
scioglie lo spirto imaculato e bianco,
e le mie luci eternamente ammorza;
che dopo tanto vituperio, almanco
tenerle basse ognor non mi bisogni,
e di ciascun ch'io vegga, io mi vergogni.
CANTO VENTESIMOPRIMO 529
XXIV
II tuo compagno ha 1'onor mio distrutto:
questo corpo per forza ha violate;
e perche teme ch'io ti narri il tutto,
or si parte il villan senza commiato. »
In odio con quel dir gli ebbe ridutto
colui che piu d'ogn'altro gli fu grato.
Argeo lo crede, et altro non aspetta;
ma pigHa 1'arme e corre a far vendetta.
xxv
E come quel ch'avea il paese noto,
10 giunse che non fu troppo lontano;
che '1 mio fratello, debole et egroto,
senza sospetto se ne gia pian piano :
e brevemente, in un loco remoto
pose, per vendicarsene, in lui mano.
Non trova il fratel mio scusa che vaglia;
ch'in somma Argeo con lui vuol la battaglia.
XXVI
Era Tun sano e pien di nuovo sdegno,
infermo Faltro, et alFusanza amico:
si ch'ebbe il fratel mio poco ritegno
contra il compagno fattogli nimico.
Dunque Filandro di tal sorte indegno
(de Finfelice giovene ti dico:
cosi avea nome), non sofrendo il peso
di si fiera battaglia, resto preso.
XXVII
«Non piaccia a Dio che mi conduca a tale
11 mio giusto furore e il tuo demerto, »
gli disse Argeo ache mai sia omicidiale
di te ch'amava; e me tu amavi certo,
ben che nel fin me Thai mostrato male:
pur voglio a tutto il mondo fare aperto
che, come fui nel tempo de Pamore,
cosi ne Todio son di te migliore.
530 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
Per altro modo puniro il tuo fallo,
che le mie man piu nel tuo sangue porre.
Cosi dicendo, fece sul cavallo
di verdi rami una bara comporre,
e quasi morto in quella riportallo
dentro al castello in una chiusa torre,
dove in perpetuo per punizione
condanno Pinnocente a star prigione.
XXIX
Non pero ch'altra cosa avesse manco,
che la liberta prima del partire;
perche nel resto, come sciolto e franco
vi commandava e si facea ubidire.
Ma non essendo ancor Fanimo stance
di questa ria del suo pensier fornire,
quasi ogni giorno alia prigion veniva;
ch'avea le chiavi, e a suo piacer Tapriva:
xxx
e movea sempre al mio fratello assalti,
e con maggiore audacia che di prima.
« Questa tua fedelta» dicea «che valti,
poi che perfidia per tutto si stima?
Oh che trionfi gloriosi et alti!
oh che superbe spoglie e preda opima!
o che merito al fin te ne risulta,
se, come a traditore, ognun t'insulta!
XXXI
Quanto utilmente, quanto con tuo onore
m'avresti dato quel che da te volli!
Di questo si ostinato tuo rigore
la gran merce che tu guadagni, or tolli:
in prigion sei, ne crederne uscir fuore,
se la durezza tua prima non molli.
Ma quando mi compiacci, io far6 trama
di racquistarti e libertade e fama. »
CANTO VENTESIMOPRIMO 531
XXXII
<( No, no » disse Filandro « aver mai spene
che non sia, come suol, mia vera fede,
se ben contra ogni debito mi awiene
ch'io ne riporti si dura mercede,
e di me creda il mondo men che bene:
basta che inanti a quel che '1 tutto vede
e mi puo ristorar di grazia eterna,
chiara la mia innocenzia si discerna.
XXXIII
Se non basta ch'Argeo mi tenga preso,
tolgami ancor questa noiosa vita.
Forse non mi fia il premio in ciel conteso
de la buona opra, qui poco gradita.
Forse egli, che da me si chiama offeso,
quando sara quest' anima partita,
s'avedra poi d'avermi fatto torto,
e piangera il fedel compagno morto. »
XXXIV
Cosi piu volte la sfacciata donna
tenta Filandro, e torna senza frutto.
Ma il cieco suo desir, che non assonna
del scelerato amor traer construtto,
cercando va piu dentro ch'alla gonna
suoi vizii antiqui, e ne discorre il tutto.
Mille pensier fa d'uno in altro mo do,
prima che fermi in alcun d'essi il chiodo.
xxxv
Stette sei mesi che non messe piede,
come prima facea, ne la prigione;
di che il miser Filandro e spera e crede
che costei piu non gli abbia affezione.
Ecco Fortuna, al mal propizia, diede
a questa scelerata occasione
di metter fin con memorabil male
al suo cieco appetito irrazionale.
532 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
Antiqua nimicizia avea il marito
con un baron, detto Morando il bello,
che non v'essendo Argeo spesso era ardito
di correr solo, e sin dentro al castello;
ma s'Argeo v'era, non tenea lo 'nvito,
ne s'accostava a died miglia a quello.
Or per poterlo indur che ci venisse,
d'ire in Jerusalem per voto disse.
XXXVII
Disse d'andare; e partesi ch'ognuno
lo vede, e fa di cio sparger le grida:
ne il suo pensier, fuor che la moglie, alcuno
puote saper; che sol di lei si fida.
Torna poi nel castello all'aer bruno,
ne mai, se non la notte, ivi s'annida;
e con mutate insegne al nuovo alb6re,
senza vederlo alcun, sempre esce fuore.
XXXVIII
Se ne va in questa e in quella parte errando,
e volteggiando al suo castello intorno,
pur per veder se credulo Morando
volesse far, come solea, ritorno.
Stava il di tutto alia foresta; e quando
ne la marina vedea ascoso il giorno,
venia al castello, e per nascose porte
lo togliea dentro 1'infedel consorte.
xxxix
Crede ciascun, fuor che 1'iniqua moglie,
che molte miglia Argeo lontan si trove.
Dunque il tempo oportuno ella si toglie:
al fratel mio va con malizie nuove.
Ha di lagrime a tutte le sue voglie
un nembo che dagli occhi al sen le piove.
«Dove potro» dicea «trovare aiuto,
che in tutto Ponor mio non sia perduto ?
CANTO VENTESIMOPRIMO 533
XL
E col mio quel del mio marito insieme,
il qual se fosse qui, non temerei.
Tu conosci Morando, e sai se teme,
quando Argeo non ci sente, omini e dei.
Quest! or pregando, or mmacciando, estreme
prove fa tuttavia, ne alcun de' miei
lascia che non contamini, per trarmi
a' suoi disii, ne so s'io potro aitarmi.
XLI
Or c'ha inteso il partir del mio consorte,
e ch'al ritorno non sara si presto,
ha avuto ardir d'entrar ne la mia corte
senza altra scusa e senz'altro pretesto;
che se ci fosse il mio signor per sorte,
non sol non avria audacia di far questo,
ma non si terria ancor, per Dio, sicuro
d'appressarsi a tre migKa a questo muro.
XLII
E quel che gia per messi ha ricercato,
oggi me Tha richiesto a fronte a fronte,
e con tai modi, che gran dubbio e stato
de lo awenirmi disonore et onte;
e se non che parlar dolce gli ho usato,
e finto le mie voglie alle sue pronte,
saria a forza di quel suto rapace
che spera aver per mie parole in pace.
XLIII
Promesso gli ho, non gia per osservargli
(che fatto per timor, nullo e il contratto) ;
ma la mia intenzion fu per vietargli
quel che per forza avrebbe allora fatto.
II caso e qui : tu sol poi rimediargli ;
del mio onor altrimenti sara tratto,
e di quel del mio Argeo, che gia m'hai detto
aver o tanto o piu che '1 proprio a petto*
534 ORLANDO FURIOSO
XLIV
E se questo mi nieghi, io diro dunque
ch'in te non sia la fe di che ti vanti;
ma che fu sol per crudelta, qualunque
volta hai sprezzati i miei supplici pianti;
non per rispetto alcun d'Argeo, quantunque
m'hai questo scudo ognora opposto inanti.
Saria stato tra noi la cosa occulta;
ma di qui aperta infamia mi risulta.»
XLV
«Non si convien» disse Filandro «tale
prologo a me, per Argeo mio disposto.
Narrami pur quel che tu vuoi, che quale
sempre fui, di sempre essere ho proposto ;
e ben ch'a torto io ne riporti male,
a lui non ho questo peccato imposto.
Per lui son pronto andare anco alia morte,
e siami contra il mondo e la mia sorte. »
XLVI
Rispose Pempia: (do voglio che tu spenga
colui che '1 nostro disonor procura.
Non temer ch' alcun mal di cio t'avenga;
ch'io te ne mostrero la via sicura.
Debbe egli a me tornar come rivenga
su 1'ora terza la notte piu scura;
e fatto un segno de ch'io 1'ho awertito,
10 Tho a tor dentro, che non sia sentito.
XLVII
A te non gravera prima aspettarme
ne la camera mia dove non luca,
tanto che dispogliar gli faccia Parme,
e quasi nudo in man te lo conduca. »
Cosi la moglie conducesse parme
11 suo marito alia tremenda buca;
se per dritto costei moglie s'appella,
piu che furia infernal crudele e fella.
CANTO VENTESIMOPRIMO 535
XLVIII
Poi che la notte scelerata venne,
fuor trasse il mio fratel con Parme in mano;
e ne Foscura camera lo tenne,
fin che tornasse il miser castellano.
Come ordine era dato, il tutto awenne;
che '1 consiglio del mal va raro invano.
Cosi Filandro il buono Argeo percosse,
che si penso che quel Morando fosse.
XLIX
Con esso un colpo il capo fesse e il collo;
ch'elmo non v'era, e non vi fu riparo.
Pervenne Argeo, senza pur dare un crollo,
de la misera vita al fine amaro:
e tal Tuccise, che mai non pensollo,
ne mai Tavria creduto: oh caso raro!
che cercando giovar, fece alFamico
quel di che peggio non si fa al nimico.
L
Poscia ch' Argeo non conosciuto giacque,
rende a Gabrina il mio fratel la spada.
Gabrina e il nome di costei, che nacque
sol per tradire ognun che in man le cada.
Ella, che sl ver fin a quell'ora tacque,
vuol che Filandro a riveder ne vada
col lume in mano il morto ond'egli e reo:
e gli dimostra il suo compagno Argeo.
LI
E gli minaccia poi, se non consente
all* amoroso suo lungo desire,
di palesare a tutta quella gente
quel ch'egli ha fatto, e nol puo contradire;
e lo fara vituperosamente
come assassino e traditor morire:
e gli ricorda che sprezzar la fama
non de', se ben la vita si poco ama.
536 ORLANDO FURIOSO
LII
Pien di paura e di dolor rimase
Filandro, poi che del suo error s'accorse.
Quasi il primo furor gli persuase
d'uccider questa, e stette un pezzo in forse:
e se non che ne le nimiche case
si ritrovo (che la ragion soccorse),
non si trovando avere altr'arme in mano,
coi denti la stracciava a brano a brano.
LIII
Come ne 1'alto mar legno talora,
che da duo venti sia percosso e vinto,
ch'ora uno inanzi 1'ha mandato, et ora
un altro al primo termine respinto,
e Than girato da poppa e da prora,
dal piu possente al fin resta sospinto;
cosi Filandro, tra molte contese
de' duo pensieri, al manco rio s'apprese.
LIV
Ragion gli dimostro il pericol grande,
oltre il morir, del fine infame e sozzo,
se Pomicidio nel castel si spande;
e del pensare il termine gli e mozzo.
Voglia o non voglia, al fin convien che mande
ramarissimo calice nel gozzo.
Pur finalmente ne Faffiitto core
piu de Postinazion pote il timore.
LV
II timor del supplicio infame e brutto
prometter fece, con mille scongiuri,
che faria di Gabrina il voler tutto,
se di quel luogo se partian sicuri.
Cosi per forza colse 1'empia il frutto
del suo disire, e poi lasciar quei muri.
Cosi Filandro a noi fece ritorno,
di se lasciando in Grecia infamia e scorno.
CANTO VENTESIMOPRIMO 537
LVI
E porto nel cor fisso il suo compagno
che cosi scioccamente ucciso avea,
per far con sua gran noia empio guadagno
(Tuna Progne crudel, d'una Medea.
E se la fede e il giuramento, magno
e duro freno, non lo ritenea,
come al sicuro fu, morta 1'avrebbe;
ma quanto piu si puote in odio Tebbe.
LVII
Non fu da indi in qua rider mai visto:
tutte le sue parole erano meste,
sempre sospir gli uscian dal petto tristo;
et era divenuto un nuovo Oreste,
poi che la madre uccise e il sacro Egisto,
e che 1'ultrice Furie ebbe moleste.
E senza mai cessar, tanto Pafflisse
questo dolor, ch'infermo al letto il fisse.
LVIII
Or questa meretrice, che si pensa
quanto a quest'altro suo poco sia grata,
muta la fiamma gia d'amore intensa
in odio, in ira ardente et arrabbiata;
ne meno e contra al mio fratello accensa,
che fosse contra Argeo la scelerata:
e dispone tra se levar dal mondo,
come il primo marito, anco il secondo.
LIX
Un medico trovo d'inganni pieno,
sufficiente et atto a simil uopo,
che sapea meglio uccider di veneno,
che risanar gPinfermi di silopo;
e gli promesse inanzi piu che meno
di quel che domand6 donargli, dopo
ch'avesse con mortifero liquore
levatole dagli occhi il suo signore.
538 ORLANDO FURIOSO
LX
Gia in mia presenza e d'altre piu persone
venia col tosco in mano il vecchio ingiusto,
dicendo ch'era buona pozione
da ritornare il mio fratel robusto.
Ma Gabrina con nuova intenzione,
pria che 1'infermo ne turbasse il gusto,
per torsi il consapevole d'appresso,
o per non dargli quel ch'avea promesso,
LXI
la man gli prese, quando a punto dava
la tazza dove il tbsco era celato,
dicendo : « Ingiustamente e se Jl ti grava
ch'io tema per costui c'ho tanto amato.
Voglio esser certa che bevanda prava
tu non gli dia, ne succo avelenato;
e per questo mi par che '1 beveraggio
non gli abbi a dar, se non ne fai tu il saggio. »
LXII
Come pensi, signor, che rimanesse
il miser vecchio conturbato allora?
La brevita del tempo si Toppresse,
che pensar non pote che meglio fora;
pur, per non dar maggior sospetto, elesse
il calice gustar senza dimora:
e Pinfermo, seguendo una tal fede,
tutto il resto pigli6, che si gli diede.
LXIII
Come sparvier che nel piede grifagno
tenga la starna e sia per trarne pasto,
dal can che si tenea fido compagno,
ingordamente e sopragiunto e guasto;
cosi il medico intento al rio guadagno,
donde sperava aiuto ebbe contrasto.
Odi di summa audacia esempio raro!
e cosi awenga a ciascun altro avaro.
CANTO VENTESIMOPRIMO 539
LXIV
Fornito questo, il vecchio s'era messo,
per ritornare alia sua stanza, in via,
et usar qualche medicina appresso,
che lo salvasse da la peste ria;
ma da Gabrina non gli fu concesso,
dicendo non voler ch'andasse pria
che Jl succo ne lo stomaco digesto
il suo valor facesse manifesto.
LXV
Pregar non val, ne far di premio offerta,
che lo voglia lasciar quindi partire.
II disperato, poi che vede certa
la morte sua, ne la poter fuggire,
ai circonstanti fa la cosa aperta;
ne la seppe costei troppo coprire.
E cosi quel che fece agH altri spesso,
quel buon medico al fin fece a se stesso :
LXVI
e sequit6 con Talma quella ch'era
gia de mio frate caminata inanzi.
Noi circonstanti, che la cosa vera
del vecchio udimmo, che fe' pochi avanzi,
pigliammo questa abominevol fera,
piu crudel di qualunque in selva stanzi;
e la serrammo in tenebroso loco,
per condannarla al meritato fuoco. —
LXVII
Questo Ermonide disse, e piu voleva
seguir, com'ella di prigion levossi;
ma il dolor de la piaga si Taggreva,
che pallido ne Ferba riversossi.
Intanto duo scudier, che seco aveva,
fatto una bara avean di rami grossi :
Ermonide si fece in quella porre;
ch'indi altrimente non si potea torre.
54° ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Zerbin col cavallier fece sua scusa,
che gl'increscea d'averli fatto offesa;
ma, come pur tra cavallieri s'usa,
colei che venia seco avea difesa:
ch'altrimente sua fe saria confusa;
perche, quando in sua guardia Favea presa,
promesse a sua possanza di salvarla
contra ognun che venisse a disturb aria.
LXIX
E s'in altro potea gratificargli,
prontissimo ofFeriase alia sua voglia.
Rispose il cavallier, che ricordargli
sol vuol che da Gabrina si discioglia
prima ch'ella abbia cosa a machinargli,
di ch'esso indarno poi si penta e doglia.
Gabrina tenne sempre gli occhi bassi,
perche non ben risposta al vero dassi.
LXX
Con la vecchia Zerbin quindi partisse
al gia promesso debito viaggio;
e tra se tutto il di la maledisse,
che far gli fece a quel barone oltraggio.
Et or che pel gran mal che gli ne disse
chi lo sapea, di lei fu instrutto e saggio,
se prima 1'avea a noia e a dispiacere,
or 1'odia si che non la pu6 vedere.
LXXI
Ella che di Zerbin sa 1'odio a pieno,
ne in mala volunta vuole esser vinta,
un'oncia a lui non ne riporta meno:
la tien di quarta, e la rifa di quinta.
Nel cor era gonfiata di veneno,
e nel viso altrimente era dipinta.
Dunque ne la concordia ch'io vi dico,
tenean lor via per mezzo il bosco antico.
CANTO VENTESIMOPRIMO 54!
LXXII
Ecco, volgendo il sol verso la sera,
udiron gridi e strepiti e percosse,
che facean segno di battaglia fiera
che, quanto era il rumor, vicina fosse.
Zerbino, per veder la cosa ch'era,
verso il rumore in gran fretta si mosse:
non fu Gabrina lenta a seguitarlo.
Di quel ch'awenne, all'altro canto io parlo.
542 ORLANDO FURIOSO
CANTO VENTESIMOSECONDO
I
Cortesi donne e grate al vostro amante,
voi che d'un solo amor sete contente,
come che certo sia, fra tante e tante,
che rarissime siate in questa mente;
non vi dispiaccia quel ch'io dissi inante,
quando contra Gabrina fui si ardente,
e s'ancor son per spendervi alcun verso,
di lei biasmando 1'animo perverso.
II
Ella era tale; e come imposto fummi
da chi puo in me, non preterisco il vero.
Per questo io non oscuro gli onor summi
d'una e d'un'altra ch'abbia il cor sincere.
Quel che Jl Maestro suo per trenta nummi
diede a' ludei, non nocque a lanni o a Piero;
ne d'Ipermestra e la fama men bella,
se ben di tante inique era sorella.
in
Per una che biasmar cantando ardisco
(che 1'ordinata istoria cosi vuole),
lodarne cento incontra m'offerisco,
e far lor virtu chiara piu che '1 sole.
Ma tornando al lavor che vario ordisco,
ch'a molti, lor merce, grato esser suole,
del cavallier di Scozia io vi dicea,
ch'un alto grido appresso udito avea.
CANTO VENTESIMOSECONDO 543
IV
Fra due montagne entro in un stretto calle
onde uscia il grido, e non fu molto inante,
che giunse dove in una chiusa valle
si vide un cavallier morto davante.
Chi sia diro ; ma prima dar le spalle
a Francia voglio, e girmene in Levante,
tanto ch'io trovi Astolfo paladino,
che per Ponente avea preso il camino.
v
lo lo lasciai ne la citta crudele,
onde col suon del formidabil corno
avea cacciato il populo infedele,
e gran periglio toltosi d'intorno,
et a' compagni fatto alzar le vele,
e dal lito fuggir con grave scorno.
Or seguendo di lui, dico che prese
la via d' Armenia, e usci di quel paese.
VI
E dopo alquanti giorni in Natalia
trovossi, e inverso Bursia il camin tenne;
onde, continuando la sua via
di qua dal mare, in Tracia se ne venne.
Lungo il Danubio ando per PUngaria;
e come avesse il suo destrier le penne,
i Moravi e i Boemi passo in meno
di venti giorni, e la Franconia e il Reno.
VII
Per la selva d'Ardenna in Aquisgrana
giunse e in Barbante, e in Fiandra al fin s'imbarca.
L'aura che soffia verso tramontana
la vela in guisa in su la prora carca,
ch'a mezzo giorno Astolfo non lontana
vede Inghilterra, ove nel lito varca.
Salta a cavallo, e in tal modo lo punge,
ch'a Londra quella sera ancora giunge.
544 ORLANDO FURIOSO
VIII
Quivi sentendo poi che '1 vecchio Otone
gia molti mesi inanzi era in Parigi,
e che di nuovo quasi ogni barone
avea imitate i suoi degni vestigi;
d'andar subito in Francia si dispone :
e cosi torna al potto di Tamigi,
onde con le vele alte uscendo fuora,
verso Calessio fe5 drizzar la prora.
IX
Un ventolin che leggiermente all'orza
ferendo avea adescato il legno aironda,
a poco a poco cresce e si rinforza;
poi vien si, ch'al nocchier ne soprabonda.
Che li volti la poppa al fine e forza;
se non, gli cacciera sotto la sponda.
Per la schena del mar tien dritto il legno,
e fa camin diverso al suo disegno.
x
Or corre a destra, or a sinistra mano,
di qua di la, dove fortuna spinge,
e piglia terra al fin presso a Roano ;
e come prima il dolce lito attinge,
fa rimetter la sella a Rabicano,
e tutto s'arma e la spada si cinge.
Prende il camino, et ha seco quel corno
che gli val phi che mille uomini intorno.
XI
E giunse, traversando una foresta,
a pie d'un colle ad una chiara fonte,
ne Fora che '1 monton di pascer resta,
chiuso in capanna, o sotto un cavo monte.
E dal gran caldo e da la sete infesta
vinto, si trasse I'elmo da la fronte;
Ieg6 il destrier tra le piu spesse fronde,
e poi venne per here alle fresche onde.
CANTO VENTESIMOSECONDO 545
XII
Non avea messo ancor le labra in molle,
ch'un villanel che v'era ascoso appresso,
sbuca fuor d'una macchia, e il destrier tolle,
sopra vi sale, e se ne va con esso.
Astolfo il rumor sente, e '1 capo estolle;
e poi che '1 danno suo vede si espresso,
lascia la fonte, e sazio senza here,
gli va dietro correndo a piu potere.
XIII
Quel ladro non si stende a tutto corso,
che dileguato si saria di botto:
ma or lentando or raccogliendo il morso,
se ne va di galoppo e di buon trotto.
Escon del bosco dopo un gran discorso ;
e 1'uno e Taltro al fin si fu ridotto
la dove tanti nobili baroni
eran senza prigion piu che prigioni.
XIV
Dentro il palagio il villanel si caccia
con quel destrier che i venti al corso adegua.
Forza e ch' Astolfo, il qual lo scudo impaccia,
1'elmo e Faltr'arme, di lontan lo segua.
Pur giunge anch'egli, e tutta quella traccia
che fin qui avea seguita, si dilegua;
che piu ne Rabican ne 1 ladro vede,
e gira gli occhi, e indarno affretta il piede:
XV
afFretta il piede e va cercando invano
e le loggie e le camere e le sale;
ma per trovare il perfido villano,
di sua fatica nulla si prevale.
Non sa dove abbia ascoso Rabicano,
quel suo veloce sopra ogni animale;
e senza frutto alcun tutto quel giorno
cerc6 di su di giu, dentro e djintorno.
546 ORLANDO FURIOSO
XVI
Confuso e lasso d'aggirarsi tanto,
s'awide che quel loco era incantato;
e del libretto ch'avea sempre a canto,
che Logistilla in India gli avea dato,
accio che ricadendo in nuovo incanto
potessi aitarsi, si fu ricordato :
all'indice ricorse, e vide tosto
a quante carte era il rimedio posto.
XVII
Del palazzo incantato era difuso
scritto nel libro; e v'eran scritti i modi
di fare il mago rimaner confuso,
e a tutti quei prigion di sciorre i nodi.
Sotto la soglia era uno spirto chiuso,
che facea questi inganni e queste frodi:
e levata la pietra ov'e sepolto,
per lui sara il palazzo in fumo sciolto.
XVIII
Desideroso di condurre a fine
il paladin si gloriosa impresa,
non tarda piu che '1 braccio non inchine
a provar quanto il grave marmo pesa.
Come Atlante le man vede vicine
per far che Parte sua sia vilipesa,
sospettoso di quel che pub awenire,
10 va con nuovi incanti ad assalire.
XIX
Lo fa con diaboliche sue larve
parer da quel diverso che solea:
gigante ad altri, ad altri un villan parve,
ad altri un cavallier di faccia rea.
Ognuno in quella forma in che gli apparve
nel bosco il mago, il paladin vedea;
si che per riaver quel che gli tolse
11 mago, ognuno al paladin si volse.
CANTO VENTESIMOSECONDO 547
XX
Ruggier, Gradasso, Iroldo, Bradamante,
Brandimarte, Prasildo, altri guerrieri
in questo nuovo error si fero inante,
per distruggere il duca accesi e fieri.
Ma ricordossi il corno in quello instante,
che fe' loro abbassar gli animi altieri.
Se non si soccorrea col grave suono,
morto era il paladin senza perdono.
XXI
Ma tosto che si pon quel corno a bocca
e fa sentire intorno il suono orrendo,
a guisa dei colombi, quando scocca
lo scoppio, vanno i cavallier fuggendo.
Non meno al negromante fuggir tocca,
non men fuor de la tana esce temendo
pallido e sbigottito, e se ne slunga
tanto, che '1 suono orribil non lo giunga.
XXII
Fuggi il guardian coi suo5 prigioni; e dopo
de le stalle fuggir molti cavalli,
ch'altro che fune a ritenerli era uopo,
e seguiro i patron per varii calli.
In casa non resto gatta ne topo
al suon che par che dica: Dalli, dalli.
Sarebbe ito con gli altri Rabicano,
se non ch'alPuscir venne al duca in mano.
XXIII
Astolfo, poi ch'ebbe cacciato il mago,
levo di su la soglia il grave sasso,
e vi ritrovb sotto alcuna imago,
et altre cose che di scriver lasso:
e di distrugger quello incanto vago,
di cio che vi trovo fece fraccasso,
come gli mostra il libro che far debbia;
e si sciolse il palazzo in fumo e in nebbia.
548 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Quivi trovo die di catena d'oro
di Ruggiero il cavallo era legato,
parlo di quel che 'I negromante moro
per mandarlo ad Alcina gli avea dato;
a cui poi Logistilla fe' il lavoro
del freno, ond'era in Francia ritornato,
e girato da Tlndia alTInghilterra
tutto avea il lato destro de la terra.
xxv
Non so se vi ricorda che la briglia
lascio attacata all'arbore quel giorno
che nuda da Ruggier spari la figlia
di Galafrone, e gli fe' Palto scorno.
FeJ il volante destrier, con maraviglia
di chi lo vide, al mastro suo ritorno;
e con lui stette infin al giorno sempre,
che de Fincanto fur rotte le tempre.
XXVI
Non potrebbe esser stato piu giocondo
d'altra aventura Astolfo, che di questa;
che per cercar la terra e il mar, secondo
ch'avea desir, quel ch'a cercar gli resta,
e girar tutto in pochi giorni il mondo,
troppo venia questo ippogrifo a sesta.
Sapea egli ben quanto a portarlo era atto,
che Tavea altrove assai provato in fatto.
XXVII
Quel giorno in India lo prov6, che tolto
da la savia Melissa fu di mano
a quella scelerata che travolto
gli avea in mirto silvestre il viso umano :
e ben vide e noto come raccolto
gli fu sotto la briglia il capo vano
da Logistilla, e vide come instrutto
fosse Ruggier di farlo andar per tutto.
CANTO VENTESIMOSECONDO 549
XXVIII
Fatto disegno I'ippogrifo torsi,
la sella sua, ch'appresso avea, gli messe;
e gli fece, levando da piii morsi
una cosa et un'altra, un che lo resse;
che dei destrier ch'in fuga erano corsi,
quivi attaccate eran le briglie spesse.
Ora un pensier di Rabicano solo
lo fa tardar che non si leva a volo.
XXIX
D'amar quel Rabicano avea ragione;
che non v'era un miglior per correr lancia,
e Tavea da 1'estrema regione
de T India cavalcato insin in Francia.
Pensa egli molto; e in somma si dispone
darne piu tosto ad un suo amico mancia,
che lasciandolo quivi in su la strada,
se Tabbia il primo ch'a passarvi accada.
xxx
Stava mirando se vedea venire
pel bosco o cacciatore o alcun villano,
da cui far si potesse indi seguire
a qualche terra, e trarvi Rabicano.
Tutto quel giorno e sin all'apparire
de Paltro stette riguardando invano.
L'altro matin, ch'era ancor Paer fosco,
veder gli parve un cavallier pel bosco.
XXXI
Ma mi bisogna, s'io vo' dirvi il resto,
ch'io trovi Ruggier prima e Bradamante.
Poi che si tacque il corno, e che da questo
loco la bella coppia fu distante,
guard6 Ruggiero, e f u a conoscer presto
quel che fin qui gli avea nascoso Atlante:
fatto avea Atlante che fin a queH'ora
tra lor non s'eran conosciuti ancora.
550 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Ruggier riguarda Bradamante, et ella
riguarda lui con alta maraviglia,
che tanti di Pabbia offuscato quella
illusion si 1'animo e le ciglia.
Ruggiero abbraccia la sua donna bella,
che piu che rosa ne divien vermiglia;
e poi di su la bocca i primi fiori
cogliendo vien dei suoi beati amori.
xxxin
Tornaro ad iterar gli abbracciamenti
mille fiate, et a tenersi stretti
i duo felici amanti, e si content!,
ch'a pena i gaudii lor capiano i petti.
Molto lor duol che per incantamenti,
mentre che fur negli errabondi tetti,
tra lor non s'eran mai riconosciuti,
e tanti lieti giorni eran perduti.
xxxiv
Bradamante, disposta di far tutti
i piaceri che far vergine saggia
debbia ad un suo amator, si che di lutti,
senza il suo onore offendere, il sottraggia;
dice a Ruggier, se a dar gli ultimi frutti
lei non vuol sempre aver dura e selvaggia,
la faccia domandar per buoni mezzi
al padre Amon; ma prima si battezzi.
xxxv
Ruggier, che tolto avria non solamente
viver cristiano per amor di questa,
com* era stato il padre, e antiquamente
1'avolo e tutta la sua stirpe onesta;
ma per farle piacere, immantinente
data le avria la vita che gli resta:
— Non che ne 1'acqua, — disse — ma nel fuoco
per tuo amor porre il capo mi fia poco. —
CANTO VENTESIMOSECONDO 551
XXXVI
Per battezzarsi dunque, indi per sposa
la donna aver, Ruggier si messe in via,
guidando Bradamante a Vallombrosa
(cosi fu nominata una badia
ricca e bella, ne men religiosa
e cortese a chiunque vi venia);
e trovaro all'uscir de la foresta
donna che molto era nel viso mesta.
XXXVII
Ruggier, che sempre uman, sempre cortese
era a ciascun, ma phi alle donne molto,
come le belle lacrime comprese
cader rigando il delicato volto,
n'ebbe pietade, e di disir s'accese
di saper il suo affanno; et a lei volto,
dopo onesto saluto, domandolle
perch'avea si di pianto il viso molle.
XXXVIII
Et ella alzando i begli umidi rai
umanissimamente gli rispose,
e la cagion de' suoi penosi guai,
poi che le domando, tutta gli espose.
— Gentil signer, — disse ella — intenderai
che queste guancie son si lacrimose
per la pieta ch'a un giovinetto porto,
ch'in un castel qui presso oggi fia morto.
xxxix
Amando una gentil giovane e bella,
che di Marsilio re di Spagna e figlia,
sotto un vel bianco e in feminil gonella,
finta la voce e il volger de le ciglia,
egli ogni notte si giacea con quella,
senza darne sospetto alia famiglia:
ma si secreto alcuno esser non puote,
ch'al lungo andar non sia chi '1 vegga e note.
552 ORLANDO FURIOSO
XL
Se n'accorse uno, e ne parlo con dui;
gli dui con altri, insin ch'al re fu detto.
Venne un fedel del re I'altr'ieri a nui,
che questi amanti fe* pigliar nel letto;
e ne la rocca gli ha fatto ambedui
divisamente chiudere in distretto:
ne credo per tutto oggi ch'abbia spazio
il gioven, che non mora in pena e in strazio.
XLI
Fuggita me ne son per non vedere
tal crudelta; che vivo Tarderanno:
ne cosa mi potrebbe piii dolere,
che faccia di si bel giovine il danno;
ne potro aver giamai tanto piacere,
che non si volga subito in affanno,
che de la crudel fiamma mi rimembri,
ch'abbia arsi i belli e delicati membri. —
XLII
Bradamante ode, e par ch'assai le prema
questa novella, e molto il cor rannoi;
ne par che men per quel dannato tema,
che se fosse uno dei fratelli suoi.
Ne* certo la paura in tutto scema
era di causa, come io dir6 poi.
Si volse ella a Ruggiero, e disse: — Parme
ch'in favor di costui sien le nostr'arme. —
XLIII
E disse a quella mesta: — Io ti conforto
che tu vegga di porci entro alle mura;
che se Jl giovine ancor non avran morto,
piu non 1'uccideran, stanne sicura. —
Ruggiero, avendo il cor benigno scorto
de la sua donna e la pietosa cura,
senti tutto infiammarsi di desire
di non lasciare il giovine morire.
CANTO VENTESIMOSECONDO 553
XLIV
Et alia donna, a cui dagli occhi cade
un rio di pianto, dice: — Or che s'aspetta?
Soccorrer qui, non lacrimare accade:
fa ch'ove e questo tuo, pur tu ci metta.
Di mille lancie trar, di mille spade
tel promettian, pur che ci meni in fretta:
ma studia il passo piii che puoi, che tarda
non sia 1'aita, e intanto il fuoco Parda. —
XLV
L'alto parlare e la fiera sembianza
di quella coppia a maraviglia ardita,
ebbon di tornar forza la speranza
cola dond'era gia tutta fuggita;
ma perch' ancor, piu che la lontananza,
temeva il ritrovar la via impedita,
e che saria per questo indarno presa,
stava la donna in se tutta sospesa.
XLVI
Poi disse lor:— Facendo noi la via
che dritta e piana va fin a quel loco,
credo ch'a tempo vi si giungeria,
che non sarebbe ancora acceso il fuoco:
ma gir convien per cosi torta e ria,
che Jl termine d'un giorno saria poco
a riuscirne; e quando vi saremo,
che troviam morto il giovine mi temo. —
XLVII
— E perche non andian — disse Ruggiero
— per la piu corta? — E la donna rispose:
— Perche un castel de' conti da Pontiero
tra via si trova, ove un costume pose,
non son tre giorni ancora, iniquo e fiero
a cavallieri e a donne aventurose,
Pinabello, il peggior uomo che viva,
figliuol del conte Anselmo d'Altariva.
554 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Quindi ne cavallier ne donna passa,
che se ne vada senza ingiuria e danni:
1'uno e 1'altro a pie resta; ma vi lassa
il guerrier 1'arme, e la donzella i panni.
Miglior cavallier lancia non abbassa,
e non abbasso in Francia gia molt'anni,
di quattro che giurato hanno al castello
la legge mantener di Pinabello.
XLIX
Come Pusanza (che non e piii antiqua
di tre di) comincio, vi vo' narrare;
e sentirete se fu dritta o obliqua
cagion che i cavallier fece giurare.
Pinabello ha una donna cosi iniqua,
cosi bestial, ch'al mondo e senza pare;
che con lui, non so dove, andando un giorno,
ritrovo un cavallier che le fe* scorno.
II cavallier, perche da lei beffato
fu d'una vecchia che portava in groppa,
giostr6 con Pinabel ch'era dotato
di poca forza e di superbia troppa;
et abbattello, e lei smontar nel prato
fece, e prov6 s'andava dritta o zoppa:
lasciolla a piede, e fej de la gonella
di lei vestir 1'antiqua damigella.
LI
Quella ch'a pie rimase, dispettosa,
e di vendetta ingorda e sitibonda,
congiunta a Pinabel che d'ogni cosa
dove sia da mal far, ben la seconda,
ne giorno mai, ne notte mai riposa,
e dice che non fia mai piu gioconda,
se mille cavallieri e mille donne
non mette a piedi, e lor tolle arme e gonne.
CANTO VENTESIMOSECONDO 555
LIT
Giunsero il di medesmo, come accade,
quattro gran cavallieri ad un suo loco,
li quai di rimotissime contrade
venuti a queste parti eran di poco;
di tal valor, che non ha nostra etade
tant'altri buoni al bellicoso gioco :
Aquilante, Grifone e Sansonetto,
et un Guidon Selvaggio giovinetto.
LIII
Pinabel con sembiante assai cortese
al castel ch'io v'ho detto gli raccolse.
La notte poi tutti nel letto prese,
e presi tenne; e prima non li sciolse,
che li fece giurar ch'un anno e un mese
(questo fu a punto il termine che tolse)
stariano quivi, e spogliarebbon quanti
vi capitasson cavallieri erranti;
LIV
e le donzelle ch'avesson con loro
porriano a piedi, e torrian lor le vesti.
Cosi giurar, cosi constretti foro
ad osservar, ben che turbati e mesti.
Non par che fin a qui contra costoro
alcun possa giostrar, ch'a pie non resti :
e capitati vi sono infiniti,
ch'a pie e senz'arme se ne son partiti.
LV
£ ordine tra lor che chi per sorte
esce fuor prima, vada a correr solo:
ma se trova il nimico cosi forte,
che resti in sella, e getti lui nel suolo,
sono ubligati gli altri infin a morte
pigliar Timpresa tutti in uno stuolo.
Vedi or, se ciascun d'essi e cosi buono,
quel ch'esser de', se tutti insieme sono.
556 ORLANDO FURIOSO
LVI
Poi non conviene all'importanzia nostra
che ne vieta ogni indugio, ogni dimora,
che punto vi fermiate a quella giostra;
e presuppongo che vinciate ancora,
che vostra alta presenzia lo dimostra;
ma non e cosa da fare in un'ora:
et e gran dubbio che '1 giovine s'arda,
se tutto oggi a soccorrerlo si tarda. —
LVII
Disse Ruggier: — Non riguardiamo a questo:
faccian nui quel che si pu6 far per nui;
abbia chi regge il ciel cura del resto,
o la Fortuna, se non tocca a luL
Ti fia per questa giostra manifesto,
se buoni siamo d'aiutar colui
che per cagion si debole e si lieve,
come n'hai detto, oggi bruciar si deve. —
LVIII
Senza risponder altro, la donzella
si messe per la via ch'era piu corta.
Piu di tre miglia non andar per quella,
che si trovaro al ponte et alia porta
dove si perdon 1'arme e la gonnella,
e de la vita gran dubbio si porta.
Al primo apparir lor, di su la rocca
e chi duo botti la campana tocca.
LIX
Et ecco de la porta con gran fretta,
trottando s'un ronzino, un vecchio uscio;
e quel venia gridando: — Aspetta, aspetta:
restate ola, che qui si paga il fio;
e se 1'usanza non v'e stata detta,
che qui si tiene, or ve la voj dir io. —
E contar loro incomincio di quello
costume, che servar fa Pinabello.
CANTO VENTESIMOSECONDO 557
LX
Poi seguito, volendo dar consigli,
com' era usato agli altri cavallieri:
— Fate spogliar la donna, — dicea — figli,
e voi 1'arme lasciateci e i destrieri;
e non vogliate mettervi a perigli
d'andare incontra a tai quattro guerrieri.
Per tutto vesti, arme e cavalli s'hanno :
la vita sol mai non ripara it danno. —
LXI
— Non piu, — disse Ruggier — non piu ; ch'io sono
del tutto informatissimo, e qui venni
per far prova di me, se cosi buono
in fatti son, come nel cor mi tenni.
Arme, vesti e cavallo altrui non dono,
s'altro non sento che minaccie e cenni;
e son ben certo ancor che per parole
il mio compagno le sue dar non vuole.
LXII
Ma, per Dio, fa ch'io vegga tosto in fronte
quei che ne voglion t6rre arme e cavallo;
ch'abbiamo da passar anco quel monte,
e qui non si pu6 far troppo intervallo. —
Rispose il vecchio : — Eccoti fuor del ponte
chi vien per f arlo — : e non lo disse in fallo ;
ch'un cavallier n'usci, che sopraveste
vermiglie avea, di bianchi fior conteste.
LXIII
Bradamante prego molto Ruggiero
che le lasciasse in cortesia 1'assunto
di gittar de la sella il cavalliero,
ch'avea di fiori il bel vestir trapunto;
ma non pote impetrarlo, e fu mestiero
a lei far cio che Ruggier volse a punto.
Egli volse I'impresa tutta avere,
e Bradamante si stesse a vedere.
558 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Ruggiero al vecchio domando chi fosse
questo primo ch'uscia fuor de la porta.
— £ Sansonetto ; — disse — che le rosse
veste conosco e i bianchi fior che porta. -
L'uno di qua, 1'altro di la si mosse
senza parlarsi, e fu Tindugia corta;
che s'andaro a trovar coi ferri bassi,
molto affrettando i lor destrieri i passi.
LXV
In questo mezzo de la rocca usciti
eran con Finabel molti pedoni,
presti per levar Tanne et espediti
ai cavallier ch'uscian fuor degli arcioni.
Veniansi incontra i cavallieri arditi,
fermando in su le reste i gran lancioni,
grossi duo palmi, di native cerro,
che quasi erano uguali insino al ferro.
LXVI
Di tali n'avea piu d'una decina
fatto tagliar di su lor ceppi vivi
Sansonetto a una selva indi vicina,
e portatone duo per giostrar quivi.
Aver scudo e corazza adamantina
bisogna ben, che le percosse schivi.
Aveane fatto dar, tosto che venne,
Puno a Ruggier, Taltro per se ritenne.
LXVII
Con questi, che passar dovean gl'incudi
(si ben ferrate avean le punte estreme),
di qua e di la fermandoli agli scudi,
a mezzo il corso si scontraro insieme.
Quel di Ruggiero, che i dem6ni ignudi
fece sudar, poco del colpo teme:
de lo scudo vo' dir che fece Atlante,
de le cui forze io v'ho gia detto inante.
CANTO VENTESIMOSECONDO 559
LXVIII
10 v'ho gia detto che con tanta forza
Tincantato splendor negli occhi fere,
ch'al discoprirsi ogni veduta ammorza,
e tramortito Puom fa rimanere:
percio, s'un gran bisogno non lo sforza,
d'un vel coperto lo solea tenere.
Si crede ch'anco impenetrabil fosse,
poi ch'a questo incontrar nulla si mosse.
LXIX
L'altro, ch'ebbe Fartefice men dotto,
11 gravissimo colpo non sofferse.
Come tocco da fulmine, di botto
die loco al ferro, e pel mezzo s'aperse;
die loco al ferro, e quel trovo di sotto
il braccio ch'assai mal si ricoperse;
si che ne fu ferito Sansonetto,
e de la sella tratto al suo dispetto.
LXX
E questo il primo fu di quei compagni
che quivi mantenean 1'usanza fella,
che de le spoglie altrui non fe' guadagni,
e ch'alla giostra usci fuor de la sella.
Convien chi ride anco talor si lagni,
e Fortuna talor trovi ribella.
Quel da la rocca, replicando il botto,
ne fece agli altri cavallieri motto.
LXXI
S'era accostato Pinabello intanto
a Bradamante, per saper chi fusse
colui che con prodezza e valor tanto
il cavallier del suo castel percusse.
La giustizia di Dio, per dargli quanto
era il merito suo, vi lo condusse
su quel destrier medesimo ch'inante
tolto avea per inganno a Bradamante.
560 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Fornito a punto era Fottavo mese
che con lei ritrovandosi a camino
(se 1 vi raccorda) questo Maganzese
la gitto ne la tomba di Merlino,
quando da morte un ramo la difese,
che seco cadde, anzi il suo buon destino;
e trassene, credendo ne lo speco
ch'ella fosse sepolta, il destrier seco.
LXXIII
Bradamante conosce il suo cavallo,
e conosce per lui Piniquo conte;
e poi ch'ode la voce, e vicino hallo
con maggiore attenzion mirato in fronte:
— Questo e il traditor — disse — senza fallo
che procacci6 di farmi oltraggio et onte:
ecco il peccato suo, che 1'ha condutto
ove avra de' suoi merti il premio tutto. —
LXXIV
II minacciare e il por mano alia spada
fu tutto a un tempo, e lo aventarsi a quello;
ma inanzi tratto gli levo la strada,
che non pote fuggir verso il castello.
Tolta e la speme ch'a salvar si vada,
come volpe alia tana, Pinabello.
Egli gridando e senza mai far testa,
fuggendo si caccid ne la foresta.
LXXV
Pallido e sbigottito il miser sprona,
che posto ha nel fuggir Fultima speme.
L'animosa donzella di Dordona
gli ha il ferro ai fianchi, e lo percuote e preme:
vien con lui sempre, e mai non 1'abbandona.
Grande e il rumore, e il bosco intorno geme.
Nulla al castel di questo ancor s'intende,
pero ch'ognuno a Ruggier solo attende.
CANTO VENTESIMOSECONDO 561
LXXVI
Gli altri tre cavallier de la fortezza
intanto erano usciti in su la via;
et avean seco quella male avezza
che v'avea posta la costuma ria.
A ciascun di lor tre, che '1 morir prezza
piu ch'aver vita che con biasrno sia,
di vergogna arde il viso, e il cor di duolo,
che tanti ad assalir vadano un solo.
LXXVII
La crudel meretrice ch'avea fatto
por quella iniqua usanza et osservarla,
il giuramento lor ricorda e il patto
ch'essi fatti F avean di vendicarla.
— Se sol con questa lancia te gli abbatto,
perche mi voi con altre accompagnarla ? —
dicea Guidon Selvaggio — e s'io ne mento,
levami il capo poi, ch'io son contento. —
LXXVIII
Cosi dicea Grifon, cosi Aquilante.
Giostrar da sol a sol volea ciascuno,
e preso e morto rimanere inante
ch'incontra un sol volere andar piu d'uno.
La donna dicea loro : — A che far tante
parole qui senza profitto alcuno?
Per torre a colui Parme io v'ho qui tratti,
non per far nuove leggi e nuovi patti.
LXXIX
Quando io v'avea in prigione era da farme
queste escuse e non ora, che son tarde.
Voi dovete il preso ordine servarme,
non vostre lingue far vane e bugiarde. —
Ruggier gridava lor: — Eccovi Tarme,
ecco il destrier c'ha nuovo e sella e barde;
i panni de la donna eccovi ancora:
se li volete, a che piu far dimora ? —
562 ORLANDO FURIOSO
LXXX
La donna del castel da un lato preme,
Ruggier da Taltro li chiama e rampogna,
tanto ch'a forza si spiccaro insieme,
ma nel viso infiammati di vergogna.
Dinanzi apparve Funo e Taltro seme
del marchese onorato di Borgogna;
ma Guidon, che piu grave ebbe il cavallo,
venia lor dietro con poco intervallo.
LXXXI
Con la medesima asta con che avea
Sansonetto abbattuto, Ruggier viene,
coperto da lo scudo che solea
Atlante aver sui monti di Pirene:
dico quello incantato, che splendea
tanto, ch'urnana vista nol sostiene;
a cui Ruggier per Pultimo soccorso
nei piu gravi perigli avea ricorso.
LXXXII
Ben che sol tre fiate bisognolli,
e certo in gran perigli, usarne il lume:
le prime due, quando dai regni molli
si trasse a piu lodevole costume;
la terza, quando i denti mal satolli
Iasci6 de 1'orca alle marine spume,
che dovean devorar la bella nuda
che fu a chi la campo poi cosi cruda.
LXXXIII
Fuor che queste tre volte, tutto }1 resto
lo tenea sotto un velo in mo do ascoso,
ch'a discoprirlo esser potea ben presto,
che del suo aiuto fosse bisognoso.
Quivi alia giostra ne venia con questo,
come io v'ho detto ancora, si animoso,
che quei tre cavallier che vedea inanti,
manco temea che pargoletti infanti.
CANTO VENTESIMOSECONDO 563
LXXXIV
Ruggier scontra Grifone, ove la penna
de lo scudo alia vista si congiunge.
Quel di cader da ciascun lato accenna,
et al fin cade, e resta al destrier lunge.
Mette allo scudo a lui Grifon Fantenna;
ma pel traverse e non pel dritto giunge:
e perche lo trov6 forbito e netto,
Fando strisciando, e fej contrario effetto.
LXXXV
Roppe il velo e squarcio che gli copria
lo spaventoso et incantato lampo,
al cui splendor cader si convenia
con gli occhi ciechi, e non vi s'ha alcun scampo.
Aquilante, ch'a par seco venia,
stracci6 Favanzo, e fe' lo scudo vampo.
Lo splendor feri gli occhi ai duo fratelli
et a Guidon, che correa doppo quelli.
LXXXVI
Chi di qua, chi di la cade per terra:
lo scudo non pur lor gli occhi abbarbaglia,
ma fa che ogn'altro senso attonito erra.
Ruggier, che non sa il fin de la battaglia,
volta il cavallo ; e nel voltare afferra
la spada sua che si ben punge e taglia:
e nessun vede che gli sia alFincontro;
che tutti eran caduti a quello scontro.
LXXXVII
I cavallieri e insieme quei ch'a piede
erano usciti, e cosi le donne anco,
e non meno i destrieri in guisa vede,
che par che per morir battano il fianco.
Prima si maraviglia, e poi s'awede
che '1 velo ne pendea dal lato manco:
dico il velo di seta, in che solea
chiuder la luce di quel caso rea.
564 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
Presto si volge, e nel voltar cercando
con gli occhi va 1'amata sua guerriera;
e vien la dove era rimasa, quando
la prima giostra cominciata s'era.
Pensa ch'andata sia (non la trovando)
a vietar che quel giovine non pera,
per dubbio ch'ella ha forse che non s'arda
in questo mezzo ch'a giostrar si tarda.
LXXXIX
Fra gli altri che giacean vede la donna,
la donna che Pavea quivi guidato.
Dinanzi se la pon, si come assonna,
e via cavalca tutto conturbato.
D'un manto ch'essa avea sopra la gonna,
poi ricoperse lo scudo incantato;
e i sensi riaver le fece, tosto,
che '1 nocivo splendore ebbe nascosto.
xc
Via se ne va Ruggier con faccia rossa
che per vergogna di levar non osa:
gli par ch'ognuno improverar gli possa
quella vittoria poco gloriosa.
« Ch'emenda poss'io fare, onde rimossa
mi sia una colpa tanto obbrobriosa?
che cio ch'io vinsi mai, fu per favore,
diran, d'incanti, e non per mio valore. »
xci
Mentre cosi pensando seco giva,
venne in quel che cercava a dar di cozzo;
che 'n mezzo de la strada soprarriva
dove profondo era cavato un pozzo.
Quivi Parmento alia calda ora estiva
si ritraea, poi ch'avea pieno il gozzo.
Disse Ruggiero: — Or proveder bisogna
che non mi facci, o scudo, piu vergogna.
CANTO VENTESIMOSECONDO 565
XCII
Piu non starai tu meco; e questo sia
Fultimo biasmo c'ho d'averne al mondo. —
Cosi dicendo, smonta ne la via:
piglia una grossa pietra e di gran pondo,
e la lega allo scudo, et ambi invia
per Palto pozzo a ritrovarne il fondo;
e dice : — Costa giu statti sepulto,
e teco stia sempre il mio obbrobrio occulto. —
XCIII
II pozzo e cavo, e pieno al sommo d'acque:
grieve e lo scudo, e quella pietra grieve.
Non si fermo fin che nel fondo giacque:
sopra si chiuse il liquor molle e lieve.
II nobil atto e di splendor non tacque
la vaga Fama, e divulgollo in breve;
e di rumor n'empi, suonando il corno,
e Francia e Spagna e le provincie intorno.
xciv
Poi che di voce in voce si fe' questa
strana aventura in tutto il mondo nota,
molti guerrier si missero all'inchiesta
e di parte vicina e di remota:
ma non sapean qual fosse la foresta
dove nel pozzo il sacro scudo nuota;
che la donna che fe' 1'atto palese,
dir mai non volse il pozzo ne il paese.
xcv
Al partir che Ruggier fe' dal castello,
dove avea vinto con poca battaglia;
che i quattro gran campion di Pinabello
fece restar come uomini di paglia;
tolto lo scudo, avea levato quello
lume che gli occhi e gli animi abbarbaglia:
e quei che giaciuti eran come morti,
pieni di meraviglia eran risorti.
566 ORLANDO FURIOSO
XCVI
Ne per tutto quel giorno si favella
altro fra lor che de lo strano caso,
e come fu che ciascun d'essi a quella
orribil luce vinto era rimaso.
Mentre parlan di questo, la novella
vien lor di Pinabel giunto alPoccaso:
che Pinabello e morto hanno P aviso,
ma non sanno pero chi Pabbia ucciso.
XCVII
L'ardita Bradamante in questo mezzo
giunto avea Pinabello a un passo stretto;
e cento volte gli avea fin a mezzo
messo il brando pei fianchi e per lo petto.
Tolto ch'ebbe dal mondo il puzzo e Jl lezzo
che tutto intorno avea il paese infetto,
le spalle al bosco testimonio volse
con quel destrier che gia il fellon le tolse.
XCVIII
Volse tornar dove lasciato avea
Ruggier; ne seppe mai trovar la strada.
Or per valle or per monte s'awolgea:
tutta quasi cerc6 quella contrada.
Non volse mai la sua fortuna rea
che via trovasse onde a Ruggier si vada.
Questo altro canto ad ascoltare aspetto
chi de 1'istoria mia prende diletto.
CANTO VENTESIMOTERZO 567
CANTO VENTESIMOTERZO
I
Studisi ognun giovare altrui; che rade
volte 11 ben far senza il suo premio fia:
e se pur senza, almen non te ne accade
morte ne danno ne ignommia ria.
Chi mioce altrui, tardi o per tempo cade
il debito a scontar, che non s'oblia.
Dice il proverbio, ch'a trovar si vanno
gli uomini spesso, e i monti fermi stanno.
il
Or vedi quel ch'a Pinabello awiene
per essersi portato iniquamente :
e giunto in somma alle dovute pene,
dovute e giuste alia sua ingiusta mente.
E Dio, che le piu volte non sostiene
veder patire a torto uno innocent e,
salv6 la donna; e salvera ciascuno
che d'ogni fellonia viva digiuno.
Ill
Credette Pinabel questa donzella
gia d'aver morta, e cola giu sepulta;
ne la pensava rnai veder, non ch'ella
gli avesse a tor degli error suoi la multa.
Ne il ritrovarsi in mezzo le castella
del padre, in alcun util gli risulta.
Quivi Altaripa era tra monti fieri
vicina al tenitorio di Pontieri.
568 ORLANDO FURIOSO
IV
Tenea quell' Altaripa il vecchio conte
Anselmo, di ch'usci questo malvagio,
che per fuggir la man di Chiaramonte,
d'amici e di soccorso ebbe disagio.
La donna al traditore a pie d'un monte
tolse 1'indegna vita a suo grande agio;
che d'altro aiuto quel non si provede,
che d'alti gridi e di chiamar mercede.
v
Morto ch'ella ebbe il falso cavalliero
che lei voluto avea gia porre a morte,
volse tornare ove lascio Ruggiero;
ma non lo consent! sua dura sorte,
che la fej traviar per un sentiero
che la porto dov'era spesso e forte,
dove piu strano e piu solingo il bosco,
lasciando il sol gia il mondo all'aer fosco.
VI
Ne sappiendo ella ove potersi altrove
la notte riparar, si fermo quivi
sotto le frasche in su 1'erbette nuove,
parte dormendo fin che '1 giorno arrivi,
parte mirando ora Saturno or Giove,
Venere e Marte e gli altri erranti divi;
ma sempre, o vegli o dorma, con la mente
contemplando Ruggier come presente.
VII
Spesso di cor profondo ella sospira,
di pentimento e di dolor compunta,
ch'abbia in lei, piu ch'amor, potuto 1'ira.
— L'ira — dicea— m'ha dal mio amor disgiunta:
almen ci avessi io posta alcuna mira,
poi ch'avea pur la mala impresa assunta,
di saper ritornar donde io veniva;
che ben fui d'occhi e di memoria priva. —
CANTO VENTESIMOTERZO 569
VIII
Queste et altre parole ella non tacque,
e molto piu ne ragiono col core.
II vento intanto di sospiri, e Pacque
di pianto facean pioggia di dolore.
Dopo una lunga aspettazion pur nacque
in oriente il disiato albore:
et ella prese il suo destrier ch'intorno
giva pascendo, et ando contra il giorno.
rx
Ne molto ando, che si trovo all'uscita
del bosco, ove pur dianzi era il palagio,
la dove molti di Pavea schernita
con tanto error 1'incantator malvagio.
Ritrovo quivi Astolfo che fornita
la briglia alFippogrifo avea a grande agio,
e stava in gran pensier di Rabicano,
per non sap ere a chi lasciarlo in mano.
x
A caso si trovo che fuor di testa
Pelmo allor s'avea tratto il paladino;
si che tosto ch'usci de la foresta,
Bradamante conobbe il suo cugino.
Di lontan salutollo, e con gran festa
gli corse, e I'abbraccio poi piu vicino;
e nominossi, et alzo la visiera,
e chiaramente fe' veder ch'eU'era.
XI
Non potea Astolfo ritrovar persona
a chi il suo Rabican meglio lasciasse,
perche dovesse averne guardia buona
e renderglielo poi come tornasse,
de la figlia del duca di Dordona;
e parvegli che Dio gli la mandasse,
Vederla volentier sempre solea,
ma pel bisogno or piu ch'egli n'avea.
570 ORLANDO FURIOSO
XII
Da poi che due e tre volte ritornati
fraternamente ad abbracciar si foro,
e si for 1'uno a 1'altro domandati
• con molta affezion de Tesser loro;
Astolfo disse : — Ormai, se dei pennati
vo* '1 paese cercar, troppo dimoro — :
et aprendo alia donna il suo pensiero,
veder le fece il volator destriero.
XIII
A lei non fa di molta maraviglia
veder spiegare a quel destrier le penne;
ch'altra volta, reggendogli la briglia
Atlante incantator, contra le venne;
e le fece doler gli occhi e le ciglia:
si fisse dietro a quel volar le tenne
quel giorno, che da lei Ruggier lontano
portato fu per camin lungo e strano.
XIV
Astolfo disse a lei che le volea
dar Rabican, che si nel corso affretta,
che se scoccando 1'arco si movea,
si solea lasciar dietro la saetta;
e tutte Tarme ancor, quante n'avea:
che vuol che a Montalban gli le rimetta,
e gli le serbi fin al suo ritorno ;
che non gli fanno or di bisogno intorno.
XV
Volendosene andar per 1'aria a volo,
aveasi a far quanto potea piu lieve.
Tiensi la spada e Jl corno, ancor che solo
bastargli il corno ad ogni risco deve.
Bradamante la lancia che '1 figliuolo
port6 di Galafrone, anco riceve;
la lancia che di quanti ne percuote
fa le selle restar subito vote.
CANTO VENTESIMOTERZO 571
XVI
Salito Astolfo sul destrier volante,
10 fa mover per Faria lento lento;
indi lo caccia si, che Bradamante
ogni vista ne perde in un momento.
Cosi si parte col pilota inante
11 nochier che gli scogli teme e '1 vento;
e poi che '1 porto e i liti a dietro lassa,
spiega ogni vela e inanzi ai venti passa.
XVII
La donna, poi che fu partito il duca,
rirnase in gran travaglio de la mente:
che non sa come a Montalban conduca
Parmatura e il destrier del suo parente;
pero che 51 cor le cuoce e le manuca
Tingorda voglia e il desiderio ardente
di riveder Ruggier, che, se non prima,
a Vallombrosa ritrovar lo stima.
XVIII
Stando quivi suspesa, per ventura
si vede inanzi giungere un villano,
dal qual fa rassettar quella armatura,
come si puote, e por su Rabicano;
poi di menarsi dietro gli die cura
i duo cavalli, un carco e Taltro a mano:
ella n'avea duo prima; ch'avea quello
sopra il qual Iev6 1'altro a Pinabello.
XIX
Di Vallombrosa penso far la strada,
che trovar quivi il suo Ruggier ha speme;
ma qual piu breve o qual miglior vi vada,
poco discerne, e d'ire errando teme,
II villan non avea de la contrada
pratica molta; et erreranno insieme.
Pur andare a ventura ella si messe,
dove pensb che }1 loco esser dovesse.
572 ORLANDO FURIOSO
XX
Di qua di la si volse, ne persona
incontro mai da domandar la via.
Si trovo uscir del bosco in su la nona,
dove un castel poco lontan scopria,
il qual la cima a un monticel corona.
Lo mira, e Montalban le par che sia:
et era certo Montalbano; e in quello
avea la rnatre et alcun suo fratello.
XXI
Come la donna conosciuto ha il loco,
nel cor s'attrista, e piu chT non so dire:
sara scoperta, se si ferma un poco,
ne piu le sara lecito a partire;
se non si parte, P amoroso foco
Pardera si, che la fara morire:
non vedra piu Ruggier, ne fara cosa
di quel ch'era ordinato a Vallombrosa.
xxn
Stette alquanto a pensar; poi si risolse
di voler dar a Montalban le spalle:
e verso la badia pur si rivolse,
che quindi ben sapea qual era il calle.
Ma sua fortuna, o buona o trista, volse
che prima ch'ella uscisse de la valle,
scontrasse Alardo, un de' fratelli sui;
ne tempo di celarsi ebbe da lui.
XXIII
Veniva da partir gli alloggiamenti
per quel contado a cavallieri e a fanti;
ch'ad instanzia di Carlo nuove genti
fatto avea de le terre circonstanti.
I saluti e i fraterni abbracciamenti
con le grate accoglienze andaro inanti;
e poi, di molte cose a paro a paro
tra lor parlando, in Montalban tornaro.
CANTO VENTESIMOTERZO 573
XXIV
Entro la bella donna in Montalbano,
dove Favea con lacrimosa guancia
Beatrice molto desiata invano,
e fattone cercar per tutta Francia.
Or quivi i baci e il giunger mano a mano
di matre e di fratelli estimo ciancia
verso gii avuti con Ruggier complessi,
ch'avra ne Talma eternamente impressi.
xxv
Non potendo ella andar, fece pensiero
ch'a Vallombrosa altri in suo nome andasse
immantinente ad avisar Ruggiero
de la cagion ch' andar lei non lasciasse;
e lui pregar (s'era pregar mistero)
che quivi per suo amor si battezzasse,
e poi venisse a far quanto era detto,
si che si desse al matrimonio effetto.
XXVI
Pel medesimo messo fe' disegno
di mandar a Ruggiero il suo cavallo,
che gli solea tanto esser caro : e degno
d'essergli caro era ben senza fallo;
che non s'avria trovato in tutto Jl regno
dei Saracin, ne sotto il signor Gallo,
piu bel destrier di questo o piu gagliardo,
eccetti Brigliador soli e Baiardo.
XXVII
Ruggier, quel di che troppo audace ascese
su 1'ippogrifo, e verso il ciel levosse,
lascio Frontino, e Bradamante il prese
(Frontino, che *1 destrier cosi nomosse);
mandollo a Montalbano, e a buone spese
tener lo fece, e mai non cavalcosse,
se non per breve spazio e a picciol passo;
si ch'era piu che mai lucido e grasso.
574 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
Ogni sua donna tosto, ogni donzella
pon seco in opra, e con suttil lavoro
fa sopra seta Candida e morella
tesser ricamo di finissimo oro;
e di quel cuopre et orna briglia e sella
del buon destrier: poi sceglie una di loro,
figiia di Callitrefia sua nutrice,
d'ogni secrete suo fida uditrice.
XXIX
Quanto Ruggier Tera nel core impresso,
mille volte narrato avea a costei:
la belta, la virtude, i modi d'esso
esaltato 1'avea fin sopra i dei.
A se chiamolla, e disse : — Miglior messo
a tal bisogno elegger non potrei;
che di te ne piu fido ne phi saggio
imbasciator, Ippalca mia, non aggio. —
xxx
Ippalca la donzella era nomata.
— Va— , le dice, e 1'insegna ove de' gire;
e pienamente poi Tebbe informata
di quanto avesse al suo signore a dire;
e far la scusa se non era andata
al monaster: che non fu per mentire;
ma che Fortuna, che di noi potea
piu che noi stessi, da imputar s'avea.
XXXI
Montar la fece s'un ronzino, e in mano
la ricca briglia di Frontin le messe:
e se si pazzo alcuno o si villano
trovasse, che levar le lo volesse,
per fargli a una parola il cervel sano,
di chi fosse il destrier sol gli dicesse;
che non sapea si ardito cavalliero,
che non tremasse al nome di Ruggiero.
CANTO VENTESIMOTERZO 575
XXXII
Di molte cose rammonisce e rnolte,
che trattar con Ruggier abbia in sua vece;
le qual poi ch'ebbe Ippalca ben raccolte,
si pose in via, ne piu dimora fece.
Per strade e campi e selve oscure e folte
cavalco de le migHa piu di diece;
che non fu a darle noia chi venisse,
ne a domandarla pur dove ne gisse.
XXXIII
A mezzo il giorno, nel calar d'un monte,
in una stretta e malagevol via
si venne ad incontrar con Rodomonte,
ch'armato un piccol nano e a pie seguia.
II Moro alzo ver lei 1'altiera fronte,
e bestemmi6 Feterna lerarchia,
poi che si bel destrier, si bene ornato,
non avea in man d'un cavallier trovato.
XXXIV
Avea giurato che '1 primo cavallo
torria per forza, che tra via incontrasse.
Or questo e stato il primo; e trovato hallo
piu bello e piu per lui, che mai trovasse:
ma torlo a una donzella gli par fallo ;
e pur agogna averlo, e in dubbio stasse.
Lo mira, lo contempla, e dice spesso:
— Deh perche il suo signor non e con esso!
xxxv
— Deh ci fosse egli! — gli rispose Ippalca
— che ti faria cangiar forse pensiero.
Assai piu di te val chi lo cavalca,
ne lo pareggia al mondo altro guerriero.
— Chi e — le disse il Moro — che si calca
Fonore altrui ? — Rispose ella: — Ruggiero. —
E quel suggiunse : — Adunque il destrier voglio,
poi ch'a Ruggier, si gran campion, lo toglio.
576 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
II qual, se sara ver, come tu parli,
che sia si forte, e piu d'ogn'altro vaglia,
non che il destrier, ma la vettura darli
converrammi, e in suo albitrio fia la tagHa.
Che Rodomonte io sono, hai da narrarli,
e che, se pur vorra meco battaglia,
mi trovera; ch'ovunque io vada o stia,
mi fa sempre apparir la luce mia.
XXXVII
Dovunque io vo, si gran vestigio resta,
che non Io lascia il fulmine maggiore. —
Cosi dicendo, avea tornate in testa
le redine dorate al corridore:
sopra gli salta; e lacrimosa e mesta
rimane Ippalca, e spinta dal dolore
minaccia Rodomonte e gli dice onta:
non Tascolta egli, e su pel poggio monta.
XXXVIII
Per quella via dove Io guida il nano
per trovar Mandricardo e Doralice,
gli viene Ippalca dietro di lontano,
e Io bestemmia sempre e maledice.
Cio che di questo awenne, altrove e piano.
Turpin, che tutta questa istoria dice,
fa qui digresso, e torna in quel paese
dove fu dianzi morto il Maganzese.
xxxix
Dato avea a pena a quel loco le spalle
la figliuola d'Amon, ch'in fretta gia,
che v'arrivo Zerbin per altro calle
con la fallace vecchia in compagnia:
e giacer vide il corpo ne la valle
del cavallier, che non sa gia chi sia;
ma come quel ch'era cortese e pio,
ebbe pieta del caso acerbo e rio.
CANTO VENTESIMOTERZO 577
XL
Giaceva Pinabello in terra spento,
versando il sangue per tante ferite,
ch'esser doveano assai, se piu di cento
spade in sua morte si fossero unite.
II cavalier di Scozia non fu lento
per Forme che di fresco eran scolpite
a porsi in awentura, se potea
saper chi Fomicidio fatto avea.
XLI
Et a Gabrina dice che 1'aspette;
che senza indugio a lei fara ritorno.
Ella presso al cadavero si mette,
e fissamente vi pon gli occhi intorno;
perche, se cosa v'ha che le dilette,
non vuol ch'un morto invan piu ne sia adorno,
come colei che fu, tra Faltre note,
quanto avara esser piu femina puote.
XLII
Se di portarne il furto ascosamente *
avesse avuto modo o alcuna speme,
la sopravesta fatta riccamente
gli avrebbe tolta, e le belParme insieme.
Ma quel che puo celarsi agevolmente,
si piglia, e '1 resto fin al cor le preme.
Fra Faltre spoglie un bel cinto levonne,
e se ne Ieg6 i fianchi infra due gonne.
XLIII
Poco dopo arrive Zerbin, ch'avea
seguito invan di Bradamante i passi,
perche trovo il sentier che si torcea
in molti rami ch'ivano alti e bassi:
e poco omai del giorno rimanea,
ne volea al buio star fra quelli sassi;
e per trovare albergo die le spalle
con Fempia vecchia alia funesta valle.
578 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Quindi presso a dua miglia ritrovaro
un gran castel che fu detto Altariva,
dove per star la notte si fermaro,
che gia a gran volo inverse il ciel saliva.
Non vi ster molto, ch'un lamento amaro
1'orecchie d'ogni parte lor feriva;
e veggon lacrimar da tutti gli occhi,
come la cosa a tutto il popul tocchi.
XLV
Zerbino dimandonne, e gli fu detto
che venut'era al cont'Anselmo aviso
che fra duo monti in un sentiero istretto
giacea il suo figlio Pinabello ucciso.
Zerbin, per non ne dar di se sospetto,
di cio si finge nuovo, e abbassa il viso;
ma pensa ben, che senza dubbio sia
quel ch'egli trov6 morto in su la via.
XLVI
* Dopo non molto la bara funebre
giunse, a splendor di torchi e di facelle,
la dove fece le strida piu crebre
con un batter di man gire alle stelle,
e con piu vena fuor de le palpebre
le lacrime inundar per le mascelle:
ma piu de 1'altre nubilose et atre
era la faccia del misero patre.
XLVII
Mentre apparecchio si facea solenne
di grandi essequie e di funebri pompe,
secondo il modo et ordine che tenne
Fusanza antiqua e ch'ogni eta corrompe;
da parte del signore un bando venne,
che tosto il popular strep ito rompe,
e promette gran premio a chi dia aviso
chi stato sia che gli abbia il figlio ucciso.
CANTO VENTESIMOTERZO 579
XLVIII
Di voce in voce e d'una in altra orecchia
il grido e '1 bando per la terra scorse,
fin che Pudi la scelerata vecchia
che di rabbia avanzo le tigri e Torse;
e quindi alia ruina s'apparecchia
di Zerbino, o per 1'odio che gli ha forse,
o per vantarsi pur, che sola priva
d'umanitade in uman corpo viva;
XLIX
o fosse pur per guadagnarsi il premio:
a ritrovar n'and6 quel signor mesto;
e dopo un verisimil suo proemio,
gli disse che Zerbin fatto avea questo:
e quel bel cinto si Iev6 di gremio,
che *1 miser padre a riconoscer presto,
appresso il testimonio e tristo uffizio
de Fempia vecchia, ebbe per chiaro indizio.
E lacrimando al ciel leva le mani,
che 3l figliuol non sara senza vendetta.
Fa circundar Talbergo ai terrazzani;
che tutto Jl popul s'e levato in fretta.
Zerbin che gli nimici aver lontani
si crede, e questa ingiuria non aspetta,
dal conte Anselmo, che si chiama offeso
tanto da lui, nel primo sonno e preso;
LI
e quella notte in tenebrosa parte
incatenato, e in gravi ceppi messo.
II sole ancor non ha le luci sparte,
che Tingiusto supplicio e gia commesso:
che nel loco medesimo si squarte,
dove fu il mal c'hanno imputato ad esso.
Altra esamina in ci6 non si facea:
bastava che '1 signor cosi credea.
580 ORLANDO FURIOSO
LII
Poi che Paltro matin la bella Aurora
Taer seren fe' bianco e rosso e giallo,
tutto '1 popul gridando: — Mora, mora, —
vien per punir Zerbin del non suo fallo.
Lo sciocco vulgo 1'accompagna fuora,
senz'ordine, chi a piede e chi a cavallo;
e '1 cavallier di Scozia a capo chino
ne vien legato in s'un piccol ronzino.
LIII
Ma Dio che spesso gl'innocenti aiuta,
ne lascia mai ch'in sua bonta si fida,
tal difesa gli avea gia proveduta,
che non v'e dubbio piu ch'oggi s'uccida.
Quivi Orlando arrivo, la cui venuta
alia via del suo scampo gli fu guida.
Orlando giu nel pian vide la gente
che traea a morte il cavallier dolente.
LIV
Era con lui quella fanciulla, quella
che ritrovo ne la selvaggia grotta,
del re galego la figlia Issabella,
in poter gia de' malandrin condotta,
poi che lasciato avea ne la procella
del truculento mar la nave rotta:
quella che piu vicino al core avea
questo Zerbin, che Talma onde vivea.
LV
Orlando se Pavea fatta compagna,
poi che de la caverna la riscosse.
Quando costei li vide alia campagna,
domandb Orlando chi la turba fosse.
— Non so—, diss'egli; e poi su la montagna
lasciolla, e verso il pian ratto si mosse.
Guard6 Zerbino, et alia vista prima
lo giudico baron di molta stima.
CANTO VENTESIMOTERZO 581
LVI
E fattosegli appresso, domandollo
per che cagione e dove il menin preso.
Levo il dolente cavalliero il collo,
e megHo avendo il paladino inteso,
rispose il vero; e cosi ben narrollo,
che merito dal conte esser difeso.
Bene avea il conte alle parole scorto
ch'era innocente, e che moriva a torto.
LVII
E poi che 'ntese che commesso questo
era dal conte Anselmo d'Altariva,
fu certo ch'era torto manifesto;
ch'altro da quel fellon mai non deriva.
Et oltre acci6, Puno era alPaltro infesto
per Tantiquissimo odio che bolliva
tra il sangue di Maganza e di Chiarmonte;
e tra lor eran morti e danni et onte.
LVIII
— Slegate il cavallier, — grido — canaglia, —
il conte a' masnadieri — o ch'io v'uccido.
— Chi e costui che si gran colpi taglia? —
rispose un che parer voile il piu fido.
— Se di cera noi fussimo o di paglia,
e di fuoco egli, assai fora quel grido. —
E venne contra il paladin di Francia:
Orlando contra lui chino la lancia.
LIX
La lucente armatura il Maganzese,
che levata la notte avea a Zerbino,
e postasela indosso, non difese
contra Faspro incontrar del paladino.
Sopra la destra guancia il ferro prese:
Telmo non pass6 gia, perch' era fino;
ma tanto fu de la percossa il crollo,
che la vita gli tolse e roppe il collo.
582 ORLANDO FURIOSO
LX
Tutto in un corso, senza tor di resta
la lancia, passo un altro in mezzo '1 petto:
quivi lasciolla, e la mano ebbe presta
a Durindana; e nel drappel piu stretto
a chi fece due parti de la testa,
a chi levo dal busto il capo netto;
foro la gola a molti; e in un memento
n'uccise e messe in rotta piu di cento.
LXI
Piu del terzo n'ha morto, e '1 resto caccia
e taglia e fende e Here e fora e tronca.
Chi lo scudo, e chi Pelmo che lo 'mpaccia,
e chi lascia lo spiedo e chi la ronca;
chi al lungo, chi al traverse il camin spaccia:
altri s'appiatta in bosco, altri in spelonca.
Orlando, di pieta questo di privo,
a suo poter non vuol lasciarne un vivo.
LXII
Di cento venti (che Turpin sottrasse
il conto), ottanta ne periro almeno.
Orlando finalmente si ritrasse
dove a Zerbin tremava il cor nel seno.
S'al ritornar d'Orlando s'allegrasse,
non si potria contare in versi a pieno.
Se gli saria per onorar prostrate,
ma si trovo sopra il ronzin legato.
LXIII
Mentre chs Orlando, poi che lo disciolse,
Paiutava a ripor Parme sue intorno,
ch'al capitan de la sbirraglia tolse,
che per suo mal se n'era fatto adorno;
Zerbino gli occhi ad Issabella volse,
che sopra il colle avea fatto soggiorno,
e poi che de la pugna vide il fine,
port6 le sue bellezze piu vicine.
CANTO VENTESIMOTERZO 583
LXIV
Quando apparir Zerbin si vide appresso
la donna che da lui fu amata tanto3
la bella donna che per falso messo
credea sommersa, e n'ha piu volte pianto;
com'un ghiaccio nel petto gli sia messo,
sente dentro aggelarsi, e triema alquanto:
ma tosto il freddo manca, et in quel loco
tutto s'avampa d'amoroso fuoco.
LXV
Di non tosto abbracciarla lo ritiene
la riverenza del signor d'Anglante;
perche si pensa, e senza dubbio tiene
ch' Orlando sia de la donzella amante.
Cosi cadendo va di pene in pene,
e poco dura il gaudio ch'ebbe inante ;
il vederla d'altnti peggio sopporta,
che non fe' quando udi ch'ella era morta.
LXVI
E molto piu gli duol che sia in podesta
del cavalliero a cui cotanto debbe;
perche volerla a lui levar ne onesta
ne forse impresa facile sarebbe.
Nessuno altro da se lassar con questa
preda partir senza romor vorrebbe :
ma verso il conte il suo debito chiede
che se lo lasci por sul collo il piede.
LXVII
Giunsero taciturn! ad una fonte,
dove smontaro e fer qualche dimora.
Trassesi Pelmo il travagliato conte,
et a Zerbin lo fece trarre ancora.
Vede la donna il suo amatore in fronte,
e di subito gaudio si scolora;
poi torna come fiore umido suole
dopo gran pioggia all'apparir del sole.
584 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
E senza indugio e senza altro rispetto
corre al suo caro amante, e il collo abbraccia;
e non puo trar parola fuor del petto,
ma di lacrime il sen bagna e la faccia.
Orlando attento all'amoroso affetto,
senza che piu chiarezza se gli faccia,
vide a tutti gl'indizii manifesto
ch'altri esser che Zerbin non potea questo.
LXIX
Come la voce aver pote Issabella,
non bene asciutta ancor 1'umida guancia,
sol de la molta cortesia favella
che Pavea usata il paladin di Francia.
Zerbino, che tenea questa donzella
con la sua vita pare a una bilancia,
si getta a' pie del conte, e quello adora
come a chi gli ha due vite date a un'ora.
LXX
Molti ringraziamenti e molte offerte
erano per seguir tra i cavallieri,
se non udian sonar le vie coperte
dagli arbori di frondi oscuri e neri.
Presti alle teste lor, ch'eran scoperte,
posero gli elmi, e presero i destrieri:
et ecco un cavalliero e una donzella
lor sopravien, ch'a pena erano in sella.
LXXI
Era questo guerrier quel Mandricardo
che dietro Orlando in fretta si condusse
per vendicar Alzirdo e Manilardo,
che '1 paladin con gran valor percusse:
quantunque poi lo seguito piu tardo ;
che Doralice in suo poter ridusse,
la quale avea con un troncon di cerro
tolta a cento guerrier carchi di ferro.
CANTO VENTESIMOTERZO 585
LXXII
Non sapea il Saracin pero che questo,
ch'egli seguia, fosse il signer d'Anglante:
ben n'avea indizio e segno manifesto
ch'esser dovea gran cavalliero errante.
A lui miro piu ch'a Zerbino, e presto
gli ando con gli occhi dal capo alle piante;
e i dati contrasegni ritrovando,
disse : — Tu sej colui ch'io vo cercando.
LXXIII
Sono omai dieci giorni — gli soggiunse
— che di cercar non lascio i tuo' vestigi:
tanto la fama stimolommi e punse,
che di te venne al campo di Parigi,
quando a fatica un vivo sol vi giunse
di mille che mandasti ai regni stigi;
e la strage contb, che da te venne
sopra i Norizii e quei di Tremisenne.
LXXIV
Non fui, come lo seppi, a seguir lento,
e per vederti e per provarti appresso:
e perche m} informal del guernimento
c'hai sopra Tarme, io so che tu sei desso;
e se non 1'avessi anco, e che fra cento
per celarti da me ti fossi messo,
il tuo fiero sembiante mi faria
chiaramente veder che tu quel sia,
LXXV
— Non si pu6 — gli rispose Orlando — dire
che cavallier non sii d'alto valore;
pero che si magnanimo desire
non mi credo albergasse in umil core.
Se '1 volermi veder ti fa venire,
vo' che mi veggi dentro, come fuore:
mi levero questo elmo da le tempie,
acci6 ch'a punto il tuo desire adempie.
586 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Ma poi che ben m'avrai veduto in faccia,
alPaltro desideno ancora attend! :
resta ch'alla cagion tu satisfaccia,
che fa che dietro questa via mi prendi;
che veggi se '1 valor mio si confaccia
a quel sembiante fier che si commendi.
— Orsu, — disse il pagano — al rimanente;
ch'al primo ho satisfatto interamente. —
LXXVII
II conte tuttavia dal capo al piede
va cercando il pagan tutto con gli occhi:
mira ambi i fianchi, indi Farcion; ne vede
pender ne qua ne la mazze ne stocchi.
Gli domanda di ch'arme si pro vede,
s'awien che con la lancia in fallo tocchi.
Rispose quel: — Non ne pigliar tu cura:
cosi a molt'altri ho ancor fatto paura.
LXXVIII
Ho sacramento di non cinger spada,
fin ch'io non tolgo Durindana al conte;
e cercando lo vo per ogni strada,
acci6 piu d'una posta meco sconte.
Lo giurai (se d'intenderlo t'aggrada)
quando mi posi quest' elmo alia fronte,
il qual con tutte Faltr'arme chjio porto,
era d'Ettor, che gia mill'anni e morto.
LXXIX
La spada sola manca alle buone arme :
come rubata fu, non ti so dire.
Or che la porti il paladino, parme;
e di qui vien ch'egli ha si grande ardire.
Ben penso, se con lui posso accozzarme,
fargli il mal tolto ormai ristituire.
Cercolo ancor, che vendicar disio
il famoso Agrican genitor mio.
CANTO VENTESIMOTERZO 587
LXXX
Orlando a tradimento gli die morte:
ben so che non potea farlo altrimente. —
II conte piu non tacque, e grido forte:
— E tu e qualunque il dice, se ne mente.
Ma quel che cerchi t'e venuto in sorte:
io sono Orlando, e uccisil giustamente ;
e questa e quella spada che tu cerchi,
che tua sara, se con virtu la merchi.
LXXXI
Quantunque sia debitamente mia,
tra noi per gentilezza si contenda:
n£ voglio in questa pugna ch'ella sia
piu tua che mia; ma a un arbore s'appenda.
Levala tu liberamente via,
s'awien che tu m'uccida o che mi prenda. —
Cosi dicendo, Durindana prese,
e 'n mezzo il campo a un arbuscel Pappese.
LXXXII
Gia Fun da Taltro e dipartito lunge,
quanto sarebbe un mezzo tratto d'arco;
gia Funo contra 1'altro il destrier punge,
n6 de le lente redine gli e parco;
gia 1'uno e Faltro di gran colpo aggiunge
dove per Pelmo la veduta ha varco.
Parveno Taste, al rompersi, di gielo;
e in mille scheggie andar volando al cielo.
LXXXIII
L'una e Paltra asta e forza che si spezzi;
che non voglion piegarsi i cavallieri,
i cavallier che tornano coi pezzi
che son restati appresso i calci interi.
Quelli, che sempre fur nel ferro avezzi,
or, come duo villan per sdegno fieri
nel partir acque o termini de prati,
fan crudel zuffa di duo pali armati.
588 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
Non stanno Taste a quattro colpi salde,
e mancan nel furor di quella pugna.
Di qua e di la si fan Fire piu calde;
ne da ferir lor resta altro che pugna.
Schiodano piastre, e straccian maglie e falde,
pur che la man, dove s'aggraffi, giugna.
Non desideri alcun, perche piu vaglia,
martel piu grave o piu dura tanaglia.
LXXXV
Come puo il Saracin ritrovar sesto
di finir con suo onore il fiero invito ?
Pazzia sarebbe 11 perder tempo in questo,
che nuoce al feritor piu ch'al ferito.
Ando alle strette Tuno e 1' altro, e presto
il re pagano Orlando ebbe ghermito:
10 strigne al petto; e crede far le prove
che sopra Anteo fe' gia il figliol di Giove.
LXXXVI
Lo piglia con molto impeto a traverso:
quando lo spinge, e quando a se lo tira;
et e ne la gran colera si immerso,
ch'ove resti la briglia poco mira.
Sta in se raccolto Orlando, e ne va verso
11 suo vantaggio, e alia vittoria aspira:
gli pon la cauta man sopra le ciglia
del cavallo, e cader ne fa la briglia.
LXXXVII
II Saracino ogni poter vi mette,
che lo soffoghi, o de Pardon lo svella:
negli urti il conte ha le ginocchia strette;
ne in questa parte vuol piegar ne in quella.
Per quel tirar che fa il pagan, constrette
le cingie son d'abandonar la sella.
Orlando e in terra, e a pena sel conosce;
ch'i piedi ha in staffa, e stringe ancor le cosce.
CANTO VENTESIMOTERZO 589
LXXXVIII
Con quel rumor ch'un sacco d'arme cade,
risuona il conte, come il campo tocca.
II destrier c'ha la testa in libertade,
quello a chi tolto il freno era di bocca,
non piu mirando i boschi che le strade,
con ruinoso corso si trabocca,
spinto di qua e di la dal timor cieco;
e Mandricardo se ne porta seco.
LXXXIX
Doralice che vede la sua guida
uscir del campo e torlesi d'appresso,
e mal restarne senza si confida,
dietro correndo il suo ronzin gli ha messo.
II pagan per orgoglio al destrier grida,
e con mani e con piedi il batte spesso;
e come non sia bestia lo minaccia
perche si fermi, e tuttavia piu il caccia.
xc
La bestia ch'era spaventosa e poltra,
senza guardarsi ai pie, corre a traverso.
Gia corso avea tre miglia, e seguiva oltra,
s'un fosso a quel desir non era awerso;
che, sanza aver nel fondo o letto o coltra,
riceve Funo e Taltro in se ri verso.
Die Mandricardo in terra aspra percossa;
ne per6 si fiacco ne si roppe ossa.
xci
Quivi si ferma il corridore al fine;
ma non si pu6 guidar, che non ha freno,
II Tartaro lo tien preso nel crine,
e tutto e di furore e d'ira pieno.
Pensa, e non sa quel che di far destine.
— Pongli la briglia del mio palafreno; —
la donna gli dicea — che non e molto
il mio feroce, o sia col freno o sciolto. —
590 ORLANDO FURIOSO
XCII
Al Saracin parea discortesia
la proferta accettar di Doralice;
ma fren gli fara aver per altra via
Fortuna a' suoi disii molto fautrice.
Quivi Gabrina scelerata invia,
che, poi che di Zerbin fu traditrice,
fuggia, come la lupa che lontani
oda venire i cacciatori e i cani.
XCIII
Ella avea ancora indosso la gonnella,
e quei medesmi giovenili ornati
che furo alia vezzosa damigella
di Pinabel, per lei vestir, levati;
et avea il palafreno anco di quella,
dei buon del mondo e degli avantaggiati.
La vecchia sopra il Tartaro trovosse,
ch'ancor non s'era accorta che vi fosse.
xciv
L'abito giovenil mosse la figlia
di Stordilano, e Mandricardo a riso,
vedendolo a colei che rassimiglia
a un babuino, a un bertuccione in viso.
Disegna il Saracin torle la briglia
pel suo destriero, e riusci P aviso.
Toltogli il morso, il palafren minaccia,
gli grida, lo spaventa, e in fuga il caccia.
xcv
Quel fugge per la selva, e seco porta
la quasi morta vecchia di paura
per valli e monti e per via dritta e torta,
per fossi e per pendici alia ventura.
Ma il parlar di costei si non m'importa,
ch'io non debba d' Orlando aver piu cura,
ch'alla sua sella cio ch'era di guasto,
tutto ben racconci6 sanza contrasto.
CANTO VENTESIMOTERZO 591
XCVI
Rimont6 sul destriero, e ste' gran pezzo
a riguardar che '1 Saracin tornasse.
Nol vedendo apparir, volse da sezzo
egli esser quel ch'a ritrovarlo andasse:
ma, come costumato e bene avezzo,
non prima il paladin quindi si trasse,
con che dolce parlar grato e cortese
buona Hcenzia dagli amanti prese.
xcvn
Zerbin di quel partir molto si dolse;
di tenerezza ne piangea Issabella:
voleano ir seco, ma il conte non volse
lor compagnia, ben ch'era e buona e bella;
e con questa ragion se ne disciolse,
ch'a guerrier non e infamia sopra quella
che, quando cerchi un suo nimico, prenda
compagno che Paiuti e che Jl difenda.
xcvni
Li preg6 poi che quando il Saracino,
prima ch'in lui, si riscontrasse in loro,
gli dicesser chj Orlando avria vicino
ancor tre giorni per quel tenitoro;
ma dopo, che sarebbe il suo camino
verso le 'nsegne dei bei gigli d'oro,
per esser con Pesercito di Carlo,
accio, volendol, sappia onde chiamarlo.
xcix
Quelli promiser farlo volentieri,
e questa e ogn'altra cosa al suo comando.
Feron carnin diverso i cavallieri,
di qua Zerbino, e di la il conte Orlando.
Prima che pigli il conte altri sentieri,
all' arbor tolse, e a s£ ripose il bran do;
e dove meglio col pagan pensosse
di potersi incontrare, il destrier mosse.
592 ORLANDO FURIOSO
C
Lo strano corso che tenne il cavallo
del Saracin pel bosco senza via,
fece ch' Orlando ando duo giorni in fallo,
ne lo trovo, ne pote averne spia.
Giimse ad un rivo che parea cristallo,
ne le cui sponde un bel pratel fioria,
di nativo color vago e dipinto,
e di molti e belli arbori distinto.
Ci
II merigge facea grato 1'orezzo
al duro armento et al pastore ignudo;
si che ne Orlando sentia alcun ribrezzo,
che la corazza avea, Telmo e lo scudo.
Quivi egli entro per riposarvi in mezzo;
e v'ebbe travaglioso albergo e crudo,
e piu che dir si possa empio soggiorno,
queirinfelice e sfortunato giorno.
CII
Volgendosi ivi intorno, vide scritti
molti arbuscelli in su 1'ombrosa riva.
Tosto che fermi v'ebbe gli occhi e fitti,
fu certo esser di man de la sua diva.
Questo era un di quei lochi gia descritti,
ove sovente con Medor veniva
da casa del pastore indi vicina
la bella donna del Catai regina.
cm
Angelica e Medor con cento nodi
legati insieme, e in cento lochi vede.
Quante lettere son, tanti son chiodi
coi quali Amore il cor gli punge e fiede.
Va col pensier cercando in mille modi
non creder quel ch'al suo dispetto crede:
ch'altra Angelica sia creder si sforza,
ch'abbia scritto il suo nome in quella scorza.
CANTO VENTESIMOTERZO 593
CIV
Poi dice : — Conosco io pur queste note :
di taPio n'ho tante vedute e lette.
Finger questo Medoro ella si puote:
forse ch'a me questo cognome mette. —
Con tali opinion dal ver remote
usando fraude a se medesmo, stette
ne la speranza il malcontento Orlando,
die si seppe a se stesso ir procacciando,
cv
Ma sempre piu raccende e piu rinuova,
quanto spenger piu cerca, il rio sospetto:
come Tincauto augel che si ritrova
in ragna o in visco aver dato di petto,
quanto piu batte Tale e piu si prova
di disbrigar, piu vi si lega stretto.
Orlando viene ove s'incurva il monte
a guisa d'arco in su la chiara fonte.
cvi
Aveano in su 1'entrata il luogo adorno
coi piedi storti edere e viti erranti.
Quivi soleano al piu cocente giorno
stare abbracciati i duo felici amantL
V'aveano i nomi lor dentro e d'intorno,
piu che in altro dei luoghi circonstanti,
scritti qual con carbone e qua! con gesso,
e qual con punte di coltelli impresso.
evil
II mesto conte a pie quivi discese;
e vide in su Fentrata de la grotta
parole assai, che di sua man distese
Medoro avea, che parean scritte allotta.
Del gran piacer che ne la grotta prese,
questa sentenzia in versi avea ridotta.
Che fosse culta in suo linguaggio io penso;
et era ne la nostra tale il senso:
594 ORLANDO FURIOSO
CVIII
«Liete piante, verdi erbe, limpide acque,
spelunca opaca e di fredde ombre grata,
dove la bella Angelica die nacque
di Galafron, da molti invano amata,
spesso ne le mie braccia nuda giacque;
de la commodita che qui m'e data,
io povero Medor ricompensarvi
d'altro non posso, che d'ognior lodarvi;
cix
e di pregare ogni signore amante,
e cavalieri e damigelle, e ognuna
persona, o paesana o viandante,
che qui sua volonta meni o Fortuna;
ch'all'erbe, all'ombre, all'antro, al rio, alle piante
dica: benigno abbiate e sole e luna,
e de le ninfe il coro, che proveggia
che non conduca a voi pastor mai greggia. »
ex
Era scritto in arabico, che '1 conte
intendea cosi ben come latino:
fra molte lingue e molte ch'avea pronte,
prontissima avea quella il paladino ;
e gli schivo piu volte e danni et onte,
che si trovo tra il popul saracino :
ma non si vanti, se gia n'ebbe frutto,
ch'un danno or n'ha, che pu6 scontargli il tutto.
CXI
Tre volte e quattro e sei lesse lo scritto
quello infelice, e pur cercando invano
che non vi fosse quel che v'era scritto;
e sempre lo vedea piu chiaro e piano:
et ogni volta in mezzo il petto afflitto
stringersi il cor sentia con fredda mano.
Rimase al fin con gli occhi e con la mente
fissi nel sasso, al sasso indifferente.
CANTO VENTESIMOTERZO 595
CXI I
Fu allora per uscir del sentimento,
si tutto in preda del dolor si lassa.
Credete a chi n'ha fatto esperimento,
che questo e '1 duol che tutti gli altri passa.
Caduto gli era sopra il petto il mento,
la fronte priva di baldanza e bassa;
ne pote aver (che '1 duol 1'occupo tanto)
alle querele voce, o umore al pianto.
CXIII
L'impetuosa doglia entro rimase,
che volea tutta uscir con troppa fretta.
Cosi veggian restar Facqua nel vase,
che largo il ventre e la bocca abbia stretta;
che nel voltar che si fa in su la base,
Tumor che vorria uscir, tanto s'affretta,
e ne Tangusta via tanto s'intrica,
ch'a goccia a goccia fuore esce a fatica.
cxiv
Poi ritorna in se alquanto, e pensa come
possa esser che non sia la cosa vera:
che voglia alcun cosi infamare il nome
de la sua donna e crede e brama e spera,
o gravar lui d'insopportabil some
tanto di gelosia, che se ne pera;
et abbia quel, sia chi si voglia stato,
molto la man di lei bene imitato.
cxv
In cosi poca, in cosi debol speme
sveglia gli spirti e gli rifranca un poco ;
indi al suo Brigliadoro il dosso preme,
dando gia il sole alia sorella loco.
Non molto va, che da le vie supreme
dei tetti uscir vede il vapor del fuoco,
sente cani abbaiar, muggiare armento:
viene alia villa, e piglia alloggiamento.
59^ ORLANDO FURIOSO
CXVI
Languido smonta, e lascia Brigliadoro
a un discrete garzon che n'abbia cura:
altri il disarma, altri gli sproni d'oro
gli leva, altri a forbir va 1'armatura.
Era questa la casa ove Medoro
giacque ferito, e v'ebbe alta awentura.
Corcarsi Orlando e non cenar domanda,
di dolor sazio e non d'altra vivanda.
cxvn
Quanto piu cerca ritrovar quiete,
tanto ritrova piu travaglio e pena;
che de Podiato scritto ogni p arete,
ogni uscio, ogni finestra vede piena.
Chieder ne vuol: poi tien le labra chete;
che teme non si far troppo serena,
troppo chiara la cosa che di nebbia
cerca offuscar perche men nuocer debbia.
CXVI 1 1
Poco gli giova usar fraude a se stesso;
che senza domandarne, e chi ne parla.
II pastor che lo vede cosi oppresso
da sua tristizia, e che voria levarla,
Tistoria nota a se, che dicea spesso
di quei duo amanti a chi volea ascoltarla,
ch'a molti dilettevole fu a udire,
gl'incomincio senza rispetto a dire:
cxix
come esso a prieghi d' Angelica bella
portato avea Medoro alia sua villa,
ch'era ferito gravemente; e ch'ella
euro la piaga, e in pochi di guarilla:
ma che nel cor d'una maggior di quella
lei feri Amor; e di poca scintilla
Paccese tanto e si cocente fuoco,
che n'ardea tutta, e non trovava loco:
CANTO VENTESIMOTERZO 597
CXX
e sanza aver rispetto ch'ella fusse
figlia del maggior re ch'abbia il Levant e,
da troppo amor constretta si condusse
a farsi moglie d'un povero fante.
AlPultimo Tistoria si ridusse,
che '1 pastor fe' portar la gemma inante,
ch'aila sua dipartenza, per mercede
del buono albergo, Angelica gli diede.
cxxi
Questa conclusion fu la secure
che '1 capo a un colpo gli Iev6 dal collo,
poi che d'innumerabil battiture
si vide il manigoldo Amor satollo.
Celar si studia Orlando il duolo; e pure
quel gli fa forza, e male asconder polio:
per lacrime e suspir da bocca e d'occhi
convien, voglia o non voglia, al fin che scocchi.
CXXII
Poi ch'allargare il freno al dolor puote
(che resta solo e senza altrui rispetto),
giu dagli occhi rigando per le gote
sparge un fiume di lacrime sul petto:
sospira e geme, e va con spesse ruote
di qua di la tutto cercando il letto ;
e piu duro ch'un sasso, e piu pungente
che se fosse d'urtica, se lo sente.
cxxin
In tanto aspro travaglio gli soccorre
che nel medesmo letto in che giaceva,
Tingrata donna venutasi a porre
col suo drudo piu volte esser doveva.
Non altrimenti or quella piuma abborre,
ne con minor prestezza se ne leva,
che de 1'erba il villan che s'era messo
per chiuder gli occhi, e vegga il serpe appresso.
598 ORLANDO FURIOSO
CXXIV
Quel letto, quella casa, quel pastore
immantinente in tant'odio gli casca,
che senza aspettar luna, o che Palbore
che va dinanzi al nuovo giorno nasca,
plglia 1'arme e il destriero, et esce fuore
per mezzo il bosco alia piu oscura frasca;
e quando poi gli e aviso d'esser solo,
con gridi et urli apre le porte al duolo.
cxxv
Di pianger mai, mai di gridar non resta;
ne la notte ne '1 di si da mai pace.
Fugge cittadi e borghi, e alia foresta
sul terren duro al discoperto giace.
Di s6 si maraviglia ch'abbia in testa
una fontana d'acqua si vivace,
e come sospirar possa mai tanto;
e spesso dice a se cosi nel pianto:
cxxvi
— Queste non son piu lacrime, che fuore
stillo dagli occhi con si larga vena.
Non suppKron le lacrime al dolore:
finir, ch'a mezzo era il dolore a pena.
Dal fuoco spinto ora il vitale umore
fugge per quella via ch'agli occhi mena;
et e quel che si versa, e trarra insieme
e '1 dolore e la vita alPore estreme.
cxxvn
Questi ch'indizio fan del mio tormento,
sospir non sono, ne i sospir son tali.
Quelli han triegua talora; io mai non sento
che '1 petto mio men la sua pena esali.
Amor che m'arde il cor, fa questo vento,
mentre dibatte intorno al fuoco Tali.
Amor, con che miracolo lo fai,
che Jn fuoco il tenghi, e nol consumi mai ?
CANTO VENTESIMOTERZO 599
CXXVIII
Non son, non sono io quel che paio in viso:
quel ch'era Orlando e morto et e sotterra;
la sua donna ingratlssima Pha ucciso:
si, mancando di fe, gli ha fatto guerra,
Io son lo spirto suo da lui diviso,
ch'in questo inferno tormentandosi erra,
accio con 1'ombra sia, che sola avanza,
esempio a chi in Amor pone speranza. —
cxxix
Pel bosco errb tutta la notte il conte;
e allo spuntar della diurna fiamma
lo torno il suo destin sopra la fonte
dove Medoro insculse Tepigramma.
Veder Pingiuria sua scritta nel monte
Paccese si, ch'in lui non rest6 dramma
che non fosse odio, rabbia, ira e furore;
ne piu indugi6, che trasse il brando fuore.
cxxx
Tagli6 lo scritto e '1 sasso, e sin al cielo
a volo alzar fe' le minute schegge.
Infelice quelFantro, et ogni stelo
in cui Medoro e Angelica si legge!
Cosi restar quel di, ch'ombra ne gielo
a pastor mai non daran piu, ne a gregge:
e quella fonte, gia si chiara e pura,
da cotanta ira fu poco sicura;
cxxxi
che rami e ceppi e tronchi e sassi e zolle
non cess6 di gittar ne le belPonde,
fin che da sommo ad imo si turbolle,
che non furo mai piu chiare ne monde.
E stanco al fin, e al fin di sudor molle,
poi che la lena vinta non risponde
allo sdegno, al grave odio, alPardente ira,
cade sul prato, e verso il ciel sospira.
600 ORLANDO FURIOSO
CXXXII
Afflitto e stanco al fin cade ne 1'erba,
e ficca gli occhi al cielo, e non fa motto.
Senza cibo e dormir cosi si serba,
che '1 sole esce tre volte e torna sotto.
Di crescer non cesso la pena acerba,
che fuor del senno al fin 1'ebbe condotto.
II quarto di, da gran furor commosso,
e maglie e piastre si straccio di dosso.
CXXXIII
Qui riman 1'elmo, e la riman lo scudo,
lontan gli arnesi, e piu lontan Tusbergo:
Tarme sue tutte, in somma vi conclude,
avean pel bosco diiferente albergo.
E poi si squarcio i panni, e mostr6 ignudo
Tispido ventre e tutto '1 petto e '1 tergo;
e comincio la gran follia, si orrenda,
che de la piu non sara mai ch'intenda.
cxxxiv
In tanta rabbia, in tanto furor venne,
che rimase offuscato in ogni senso.
Di tor la spada in man non gli sovenne;
che fatte avria mirabil cose, penso.
Ma ne quella, ne scure, ne bipenne
era bisogno al suo vigore immenso.
Quivi fe' ben de le sue prove eccelse,
ch'un alto pino al primo crollo svelse:
cxxxv
e svelse dopo il primo altri parecchi,
come fosser finocchi, ebuli o aneti;
e fej il simil di querce e d'olmi vecchi,
di faggi e d'orni e d'illici e d'abeti.
Quel ch'un ucellator, che s'apparecchi
il campo mondo, fa per por le reti
dei giunchi e de le stoppie e de 1'urtiche,
facea de cerri e d'altre piante antiche.
CANTO VENTESIMOTERZO 6oi
CXXXVI
I pastor che sentito hanno il fracasso,
lasciando il gregge sparse alia foresta,
chi di qua, chi di la, tutti a gran passo
vi vengono a veder che cosa e questa.
Ma son giunto a quel segno il qual s'io passo
vi potria la mia istoria esser molesta;
et io la vo' piii tosto diferire,
che v'abbia per lunghezza a fastidire.
602 ORLANDO FURIOSO
CANTO VENTESIMOQUARTO
I
Chi mette il pie su Pamorosa pania,
cerchi ritrarlo, e non v'mveschi Tale;
che non e in somma amor, se non insania,
a giudizio de* savi universale:
e se ben come Orlando ogmm non smania,
suo furor mostra a qualch'altro segnale.
E quale e di pazzia segno piu espresso
che, per altri voler, perder se stesso?
II
Varii gli effetti son, ma la pazzia
e tutt'una per6, che li fa uscire.
Gli e come una gran selva, ove la via
conviene a forza, a chi vi va, fallire:
chi su, chi giu, chi qua, chi la travia.
Per concludere in somma, io vi vo' dire:
a chi in amor s'invecchia, oltr'ogni pena,
si convengono i ceppi e la catena.
in
Ben mi si potria dir: — Frate, tu vai
Taltrui mostrando, e non vedi il tuo fallo. —
Io vi rispondo che cornprendo assai,
or che di mente ho lucido intervallo;
et ho gran cura (e spero farlo ormai)
di riposarmi e d'uscir fuor di ballo:
ma tosto far, come vorrei, nol posso;
che '1 male i penetrate infin all'osso.
CANTO VENTESIMOQUARTO 603
IV
Signer, ne Taltro canto io vi dicea
che '1 forsennato e furioso Orlando
trattesi Tarme e sparse al campo avea,
squarciati i panni, via gittato il brando,
svelte le piante, e risonar facea
i cavi sassi e Palte selve; quando
alcun5 pastori al suon trasse in quel lato
lor Stella, o qualche lor grave peccato.
Viste del pazzo Pincredibil prove
poi piu d'appresso e la possanza estrema,
si voltan per fuggir, ma non sanno ove,
si come awiene in subitana tema.
II pazzo dietro lor ratto si muove:
uno ne piglia, e del capo lo scema
con la facilita che torria alcuno
da I5 arbor pome, o vago fior dal pruno.
VI
Per una gamba il grave tronco prese,
e quello us6 per mazza adosso al resto:
in terra un paio addormentato stese,
ch'al novissimo di forse fia desto.
Gli altri sgombraro subito il paese,
ch'ebbono il piede e il buono aviso presto.
Non saria stato il pazzo al seguir lento,
se non ch'era gia volto al loro armento.
VII
Gli agricultori, accord agli altru' esempli,
lascian nei campi aratri e marre e falci:
chi monta su le case e chi sui templi
(poi che non son sicuri olmi n6 salci),
onde Porrenda furia si contempli,
ch'a pugni, ad urti, a morsi, a graffi, a calci,
cavalli e buoi rompe, fraccassa e strugge;
e ben e corridor chi da lui fugge.
604 ORLANDO FURIOSO
VIII
Gia potreste sentir come ribombe
1'alto rumor ne le propinque ville
d'urli e di corni, rusticane trombe,
e piu spesso che d'altro, il suon di squille;
e con spuntoni et archi e spied! e frombe
veder dai monti sdrucciolarne mille,
et altritanti andar da basso ad alto,
per fare al pazzo un villanesco assalto.
IX
Qual venir suol nel salso lito Fonda
mossa da Faustro ch'a principio scherza,
che maggior de la prima e la seconda,
e con piu forza poi segue la terza,
et ogni volta piu Fumore abonda,
e ne Farena piu stende la sferza;
tal contra Orlando Fempia turba cresce,
che giu da baize scende e di valli esce.
x
Fece morir diece persone e diece,
che senza ordine alcun gli andaro in manor
e questo chiaro esperimento fece
ch'era assai piu sicur starne lontano.
Trar sangue da quel corpo a nessun lece,
che lo fere e percuote il ferro invano.
Al conte il re del ciel tal grazia diede,
per porlo a guardia di sua santa fede.
XI
Era a periglio di morire Orlando,
se fosse di morir stato capace.
Potea imparar ch'era a gittare il brando,
e poi voler senz'arme essere audace.
La turba gia s'andava ritirando,
vedendo ogni suo colpo uscir fallace.
Orlando, poi che piu nessun Fattende,
verso un borgo di case il camin prende.
CANTO VENTESIMOQUARTO 605
XII
Dentro non vi trov6 piccol ne" grande,
che '1 borgo ognun per tema avea lasciato.
V'erano in copia povere vivande,
convenient! a un pastorale stato.
Senza il pane discerner da le giande,
dal digmno e da 1'impeto cacciato,
le mani e il dente lascio andar di botto
in quel che trov6 prima, o crudo o cotto.
XIII
E quindi errando per tutto il paese,
dava la caccia e agli uomini e alle fere;
e scorrendo pei boschi talor prese
i capri isnelli e le damme leggiere.
Spesso con orsi e con cingiai contese,
e con man nude li pose a giacere;
e di lor carne con tutta la spoglia
piu volte il ventre empi con fiera voglia.
XIV
Di qua, di la, di su, di giu discorre
per tutta Francia; e un giorno a un ponte arriva,
sotto cui largo e pieno d'acqua corre
un flume d'alta e di scoscesa riva.
Edificato accanto avea una torre
che d'ogn'intorno e di lontan scopriva.
Quel che fe5 quivi, avete altrove a udire;
che di Zerbin mi convien prima dire.
xv
Zerbin, da poi ch' Orlando fu partito,
dimor6 alquanto, e poi prese il sentiero
che '1 paladino inanzi gli avea trito,
e mosse a passo lento il suo destriero.
Non credo che duo miglia anco fosse ito,
che trar vide legato un cavalliero
sopra un picciol ronzino, e d'ogni lato
la guardia aver d'un cavalliero armato.
606 ORLANDO FURIOSO
XVI
Zerbin questo prigion conobbe tosto
che gli fu appresso, e cosi fe' Issabella:
era Odorico il Biscaglin, che posto
fu come lupo a guardia de 1'agnella.
L'avea a tutti gli amici suoi preposto
Zerbino in confidargli la donzella,
sperando che la fede che nel resto
sempre avea avuta, avesse ancora in questo.
XVII
Come era a punto quella cosa stata,
venia Issabella raccontando allotta:
come nel palischermo fu salvata,
prima ch'avesse il mar la nave rotta,
la forza che Tavea Odorico usata,
e come tratta poi fosse alia grotta.
Ne giunt'era anco al fin di quel sermone,
che trarre il malfattor vider prigione.
XVIII
I duo ch'in mezzo avean preso Odorico,
d'Issabella notizia ebbeno vera;
e s'avisaro esser di lei Famico,
e '1 signer lor, colui ch'appresso 1'era;
ma piu, che ne lo scudo il segno antico
vider dipinto di sua stirpe altiera:
e trovar poi, che guardar meglio al viso,
che s'era al vero apposto il loro aviso.
XIX
Saltaro a piedi, e con aperte braccia
correndo se n'andar verso Zerbino,
e 1'abbracciaro ove il maggior s'abbraccia,
col capo nudo e col ginocchio chino.
Zerbin, guardando 1'uno e 1'altro in faccia,
vide esser Tun Corebo il Biscaglino,
Almonio Faltro, ch'egli avea mandati
con Odorico in sul 'navilio armati.
CANTO VENTESIMOQUARTO 607
XX
Almonio disse : — Pol che place a Dio
(la sua merce) che sia Issabella teco,
io posso ben comprender, signer mio,
che nulla cosa nuova ora t'arreco,
s'io vo' dir la cagion che questo rio
fa che cosi legato vedi meco;
che da costei, che piu senti Toffesa,
a punto avrai tutta 1'istoria intesa.
XXI
Come dal traditore io fui schernito
quando da se levommi, saper dei;
e come poi Corebo fu ferito,
ch'a difender s'avea tolto costei.
Ma quanto al mio ritorno sia seguito,
ne veduto ne inteso fu da lei,
che te 1'abbia potuto riferire:
di questa parte dunque io ti vo' dire.
XXII
Da la cittade al mar ratto io veniva
con cavalli ch'in fretta avea trovati,
sempre con gli occhi intenti s'io scopriva
costor che molto a dietro eran restati.
Io vengo inanzi, io vengo in su la riva
del mare, al luogo ove io gli avea lasciati:
io guardo, n6 di loro altro ritrovo,
che ne P arena alcun vestigio nuovo.
XXIII
La pesta seguitai, che mi condusse
nel bosco fier; ne molto adentro foi,
che dove il suon Torecchie mi percusse,
giacere in terra ritrovai costui.
Gli domandai che de la donna fusse,
che d'Odorico, e chi avea offeso lui.
10 me n'andai, poi che la cosa seppi,
11 traditor cercando per quei greppi.
608 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Molto aggirando vommi, e per quel giorno
altro vestigio ritrovar non posso.
Dove giacea Corebo al fin ritorno,
che fatto appresso avea il terren si rosso,
che poco pm che vi facea soggiorno,
gli saria stato di bisogno il fosso
e i preti e i frati piu per sotterrarlo,
ch' i medici e che Jl letto per sanarlo.
xxv
Dal bosco alia citta feci portallo,
e posi in casa d'uno ostier mio amico,
che fatto sano in poco termine hallo
per cura et arte d'un chirurgo antico,
Poi d'arme proveduti e di cavallo
Corebo et io cercammo d'Odorico,
ch'in corte del re Alfonso di Biscaglia
trovammo; e quivi fui seco a battaglia.
XXVI
La giustizia del re, che il loco franco
de la pugna mi diede, e la ragione,
et oltre alia ragion la Fortima anco,
che spesso la vittoria, ove vuol, pone,
mi giovar si, che di me pote manco
il traditore; onde fu mio prigione.
II re, udito il gran fallo, mi concesse
di poter fame quanto mi piacesse.
XXVII
Non Pho voluto uccider ne lasciarlo,
ma, come vedi, trarloti in catena;
perche vo} ch'a te stia di giudicarlo,
se morire o tener si deve in pena.
L'avere inteso ch'eri appresso a Carlo,
e '1 desir di trovarti qui mi mena.
Ringrazio Dio che mi fa in questa parte,
dove lo sperai meno, ora trovarte.
CANTO VENTESIMOQUARTO 609
XXVIII
Ringraziolo anco, che la tua Issabella
10 veggo (e non so come) che teco hai:
di cui, per opra del fellon, novella
pensai che non avessi ad udir mai. —
Zerbino ascolta Almonio e non favella,
fermando gli occhi in Odorico assai;
non si per odio, come che gPincresce
ch'a si mal fin tanta amicizia gli esce.
XXIX
Finito ch'ebbe Almonio il suo sermone,
Zerbin riman gran pezzo sbigottito,
che chi d'ogn'altro men n'avea cagione
si espressamente il possa aver tradito.
Ma poi che d'una lunga ammirazione
fu sospirando finalmente uscito,
al prigion domand6 se fosse vero
quel ch'avea di lui detto il cavalliero.
xxx
11 disleal con le ginocchia in terra
Iasci6 cadersi, e disse:— Signor mio,
ognun che vive al mondo pecca et erra:
ne differisce in altro il buon dal rio,
se non che Tuno e vinto ad ogni guerra
che gli vien mossa da un piccol disio;
1'altro ricorre alParme e si difende,
ma se '1 nimico e forte, anco ei si rende.
XXXI
Se tu m'avessi posto alia difesa
d'una tua r6cca, e ch'al primiero assalto
alzate avessi, senza far contesa,
degrinimici le bandiere in alto;
di vilta o tradimento, che piu pesa,
sugli occhi por mi si potria uno smalto:
ma s'io cedessi a forza, son ben certo
che biasmo non avrei, ma gloria e merto.
6lO ORLANDO FURIOSO
XXXII
Sempre che 1'mimico e piu possente,
piu chi perde accettabile ha la scusa.
Mia fe guardar dovea non altrimente
ch'una fortezza d'ogn'intorno chiusa:
cosi, con quanto seruio e quanta mente
da la somma Prudenzia m'era infusa,
10 mi sforzai guardarla; ma al fin vinto
da intolerando assalto, ne fui spinto. —
xxxm
Cosi disse Odorico, e poi soggiunse
(che saria lungo a ricontarvi il tutto)
mostrando che gran stimolo lo punse,
e non per lieve sferza s'era indutto.
Se mai per prieghi ira di cor si emunse,
s'umilta di parlar fece mai frutto,
quivi far lo dovea; che cio che muova
di cor durezza, ora Odorico trova.
xxxiv
Pigliar di tanta ingiuria alta vendetta,
tra il si Zerbino e il no resta confuso :
11 vedere il demerito lo alletta
a far che sia il fellon di vita escluso ;
il ricordarsi 1'amicizia stretta
ch'era stata tra lor per si lungo uso,
con Pacqua di pieta Taccesa rabbia
nel cor gli spegne, e vuol che merce n'abbia.
xxxv
Mentre stava cosi Zerbino in forse
di liberare, o di menar captivo,
o pur il disleal dagli occhi t6rse
per morte, o pur tenerlo in pena vivo ;
quivi rignando il palafreno corse,
che Mandricardo avea di briglia privo ;
e vi port6 la vecchia che vicino
a morte dianzi avea tratto Zerbino.
CANTO VENTESIMOQUARTO 6ll
XXXVI
II palafren, ch'udito di lontano
avea quest'altri, era tra lor venuto,
e la vecchia portatavi, ch'invano
venia piangendo e domandando aiuto.
Come Zerbin lei vide, alz6 la mano
al ciel che si benigno gli era suto,
che datogli in arbitrio avea que5 dui
che soli odiati esser dovean da lui.
XXXVII
Zerbin fa ritener la mala vecchia,
tanto che pensi quel che debba fame :
tagliarle il naso e Tuna e Paltra orecchia
pensa, et esempio a' malfattori darne;
poi gli par assai meglio, s'apparecchia
un pasto agli avoltoi di quella carne.
Punizion diversa tra se volve;
e cosi finalmente si risolve.
XXXVIII
Si rivolta ai compagni, e dice : — lo sono
di lasciar vivo il disleal contento;
che s'in tutto non merita perdono,
non merita anco si crudel tormento.
Che viva e che slegato sia gli dono,
per6 ch'esser d'Amor la colpa sento;
e facilmente ogni scusa s'ammette,
quando in Amor la colpa si reflette.
xxxix
Amore ha volto sottosopra spesso
senno piu saldo che non ha costui,
et ha condotto a via maggiore eccesso
di questo, ch'oltraggiato ha tutti nui.
Ad Odorico debbe esser rimesso:
punito esser debbo io che cieco fui,
cieco a dargline impresa, e non por mente
che '1 fuoco arde la paglia facilmente. —
6l2 ORLANDO FURIOSO
XL
Poi mirando Ocjorico : — lo vo' che sia —
gli disse — del tuo error la penitenza,
che la vecchia abbi un anno in compagnia,
ne di lasciarla mai ti sia licenza;
ma notte e giorno, ove tu vada o stia,
un'ora mai non te ne trovi senza;
e fin a morte sia da te difesa
contra ciascun che voglia farle offesa.
XLI
VoJ, se da lei ti sara commandato,
che pigli contra ognun contesa e guerra:
vo* in questo tempo che tu sia ubligato
tutta Francia cercar di terra in terra. —
Cosl dicea Zerbin; che pel peccato
meritando Odorico andar sotterra,
questo era porgli inanzi un'alta fossa,
che fia gran sorte che schivar la possa.
XLII
Tante donne, tanti uomini traditi
avea la vecchia, e tanti offesi e tanti,
che chi sara con lei non senza liti
potra passar de' cavallieri erranti.
Cosi di par saranno ambi puniti:
ella de' suoi commessi errori inanti,
egli di torne la difesa a torto;
ne molto potra andar che non sia morto.
XLIII
Di dover servar questo, Zerbin diede
ad Odorico un giuramento forte,
con patto che se mai rompe la fede,
e ch' inanzi gli capiti per sorte,
senza udir prieghi e averne piu mercede,
lo debba far morir di cruda morte.
Ad Almonio e a Corebo poi rivolto,
fece Zerbin che fu Odorico sciolto.
CANTO VENTESIMOQUARTO 613
XLIV
Corebo, consentendo Almonio, sciolse
il traditore al fin, ma non in fretta;
ch'alPuno e all'altro esser turbato dolse
da si desiderata sua vendetta.
Quindi partissi il disleale, e tolse
in compagnia la vecchia maledetta.
Non si legge in Turpin che n'awenisse;
ma vidi gia un autor che piu ne scrisse.
XLV
Scrive 1'autore, il cui nome mi taccio,
che non furo lontani una giornata,
che per torsi Odorico quello impaccio,
contra ogni patto et ogni fede data,
al collo di Gabrina gitt6 un laccio,
e che ad un olmo la Iasci6 rmpiccata;
e ch'indi a un anno (ma non dice il loco)
Almonio a lui fece il medesmo giuoco.
XLVI
Zerbin che dietro era venuto aU'orma
del paladin, ne perder la vorrebbe,
manda a dar di se nuove alia sua torma,
che star senza gran dubbio non ne debbe:
Almonio manda, e di piu cose informa,
che lungo il tutto a ricontar sarebbe;
Almonio manda, e a lui Corebo appresso;
ne tien, fuor ch'Issabella, altri con esso.
XLVII
Tant'era 1'amor grande che Zerbino,
e non minor del suo quel che Issabella
portava al virtuoso paladino;
tanto il desir d'intender la novella
ch'egli avesse trovato il Saracino
che del destrier lo trasse con la sella;
che non fara all'esercito ritorno,
se non finito che sia il terzo giorno;
614 ORLANDO FURIOSO
XL VIII
il termine ch' Orlando aspettar disse
il cavallier ch'ancor non porta spada.
Non e alcun luogo dove il conte gisse,
che Zerbin pel medesimo non vada.
Giunse al fin tra quegli arbori che scrisse
Fingrata donna, un poco fuor di strada;
e con la fonte e col vicino sasso
tutti li ritrovo messi in fracasso.
XLIX
Vede lontan non sa che luminoso,
e trova la corazza esser del conte;
e trova Pelmo poi, non quel famoso
ch'arm6 gia il capo all'africano Almonte.
II destrier ne la selva piu nascoso
sente anitrire, e leva al suon la fronte;
e vede Brigliador pascer per 1'erba,
che dall'arcion pendente il freno serba.
L
Durindana cerc6 per la foresta,
e fuor la vide del fodero starse.
Trovo, ma in pezzi, ancor la sopravesta
ch'in cento lochi il miser conte sparse.
Issabella e Zerbin con faccia mesta
stanno mirando, e non san che pensarse:
pensar potrian tutte le cose, eccetto
che fosse Orlando fuor deH'mtelletto.
LI
Se di sangue vedessino una goccia,
creder potrian che fosse stato morto.
Intanto lungo la corrente doccia
vider venire un pastorello smorto.
Costui pur dianzi avea di su la roccia
Talto furor de Tinfelice scorto,
come 1'arme gitto, squarciossi i panni,
pastori uccise, e fe' miU'altri danni.
CANTO VENTESIMOQUARTO 615
LII
Costui, richiesto da Zerbin, gli diede
vera informazion di tutto questo.
Zerbin si maraviglia, e a pena il crede;
e tuttavia n'ha indizio manifesto.
Sia come vuole, egli discende a piede,
pien di pietade, lacrimoso e mesto;
e ricogliendo da diversa parte
le reliquie ne va ch'erano sparte.
LIII
Del palafren discende anco Issabella,
e va queirarme riducendo insieme.
Ecco lor sopraviene una donzella
dolente in vista, e di cor spesso geme.
Se mi domanda alcun chi sia, perch' ella
cosi s'affligge, e che dolor la preme,
io gli risponder6 che e Fiordiligi
che de Tamante suo cerca i vestigi.
LIV
Da Brandimarte senza farle motto
lasciata fu ne la citta di Carlo,
dov'ella Faspetto sei mesi od otto;
e quando al fin non vide ritornarlo,
da un mare all'altro si mise, fin sotto
Pirene e TAlpe, e per tutto a cercarlo:
Fando cercando in ogni parte, fuore
ch'al palazzo d'Atlante incantatore.
LV
Se fosse stata a quelFostel d'Atlante,
veduto con Gradasso andare errando
Tavrebbe, con Ruggier, con Bradamante,
e con Ferrau prima e con Orlando;
ma poi che cacci6 Astolfo il negromante
col suon del corno orribile e mirando,
Brandimarte torn6 verso Parigi :
ma non sapea gia questo Fiordiligi.
6l6 ORLANDO FURIOSO
LVI
Come io vi dico, sopraggiunta a caso
a quei duo amanti Fiordiligi bella,
conobbe Tarme, e Brigliador rimaso
senza il patrone e col freno alia sella.
Vide con gli occhi il miserabil caso,
e n'ebbe per udita anco novella;
che similmente il pastorel narrolle
aver veduto Orlando correr folle.
LVII
Quivi Zerbin tutte raguna Tarme,
e ne fa come un bel trofeo su 'n pino;
e volendo vietar che non se n'arme
cavallier paesan ne peregrino,
scrive nel verde ceppo in breve carme:
«Armatura d' Orlando paladino»;
come volesse dir: nessun la muova,
che star non possa con Orlando a prova.
LVIII
Fimto ch'ebbe la lodevol opra,
tornava a rimontar sul suo destriero ;
et ecco Mandricardo arrivar sopra,
che visto il pin di quelle spoglie altiero,
lo priega che la cosa gli discuopra:
e quel gli narra, come ha inteso, il vero.
Allora il re pagan lieto non bada,
che viene al pino, e ne leva la spada,
LIX
dicendo : — Alcun non me ne puo riprendere ;
non e pur oggi ch'io Tho fatta mia,
et il possesso giustamente prendere
ne posso in ogni parte, ovunque sia.
Orlando che temea quella difendere,
s'ha finto pazzo, e 1'ha gittata via;
ma quando sua vilta pur cosi scusi,
non debbe far ch'io mia ragion non usi. —
CANTO VENTESIMOQUARTO 617
LX
Zerbino a lui gridava: — Non la torre,
o pensa non Faver senza questione.
Se togliesti cosi Farme d'Ettorre,
tu Thai di furto, piu che di ragione. —
Senz'altro dir Tun sopra Faltro corre,
d'animo e di virtu gran paragone.
Di cento colpi gia rimbomba il suono,
ne bene ancor ne la battaglia sono.
LXI
Di prestezza Zerbin pare una fiamma
a torsi ovunque Durindana cada:
di qua di la saltar come una damma
fa '1 suo destrier dove e miglior la strada.
E ben convien che non ne perda dramma;
ch'andra, s'un tratto il coglie quella spada,
a ritrovar grinnamorati spirti
ch'empion la selva degli ombrosi mirti.
LXII
Come il veloce can che '1 porco assalta
che fuor del gregge errar vegga nei campi,
lo va aggirando, e quinci e quindi salta;
ma quello attende ch'una volta inciampi:
cosi, se vien la spada o bassa od alta,
sta mirando Zerbin come ne scampi;
come la vita e Tonor salvi a un tempo,
tien sempre 1'occhio, e Here e fugge a tempo.
LXIII
Da Faltra parte, ovunque il Saracino
la fiera spada vibra o piena o vota,
sembra fra due montagne un vento alpino
ch'una frondosa selva il marzo scuota;
ch'ora la caccia a terra a capo chino,
or gli spezzati rami in aria ruota.
Ben che Zerbin piu colpi e fuggia e schivi,
non pu6 schivare al fin, ch'un non gli arrivi.
6l8 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Non puo schivare al fine un gran fendente
che tra '1 brando e lo scudo entra sul petto.
Grosso 1'usbergo, e grossa parimente
era la piastra, e '1 panziron perfetto:
pur non gli steron contra, et ugualmente
alia spada crudel dieron ricetto.
Quella calo tagliando do che prese,
la corazza e Farcion fin su 1'arnese.
LXV
E se non che fu scarso il colpo alquanto,
per mezzo lo fendea come una canna;
ma penetra nel vivo a pena tanto,
che poco phi che la pelle gli danna:
la non profunda piaga e lunga quanto
non si misureria con una spanna.
Le lucid'arme il caldo sangue irriga
per sino al pie di rubiconda riga.
LXVI
Cosi talora un bel purpureo nastro
ho veduto partir tela d'argento
da quella bianca man piii ch'alabastro,
da cui partire il cor spesso mi sento.
Quivi poco a Zerbin vale esser mastro
di guerra, et aver forza e piu ardimento;
che di finezza d'arme e di possanza
il re di Tartaria troppo 1'avanza.'
LXVII
Fu questo colpo del pagan maggiore
in apparenza, che fosse in effetto;
tal ch'Issabella se ne sente il core
fendere in mezzo alPagghiacciato petto.
Zerbin pien d'ardimento e di valore
tutto s'infiamma d'ira e di dispetto;
e quanto piu ferire a due man puote,
in mezzo Pelmo il Tartaro percuote.
CANTO VENTESIMOQUARTO 619
LXVIII
Quasi sul collo del destrier piegosse
per Paspra botta il Saracin superbo;
e quando Pelmo senza incanto fosse,
partito il capo gli avria il colpo acerbo.
Con poco differir ben vendicosse,
ne disse: A un'altra volta io te la serbo;
e la spada gli alzo verso Pelmetto,
sperandosi tagliarlo infin al petto.
LXIX
Zerbin che tenea Pocchio ove la mente,
presto il cavallo alia man destra volse;
non si presto pero, che la tagliente
spada fuggisse, che lo scudo colse.
Da sommo ad imo ella il parti ugualmente,
e di sotto il braccial roppe e disciolse;
e lui feri nel braccio, e poi Parnese
spezzogli, e ne la coscia anco gli scese.
LXX
Zerbin di qua di la cerca ogni via,
ne mai di quel che vuol, cosa gli avviene;
che 1'armatura sopra cui feria,
un piccol segno pur non ne ritiene.
Da 1'altra parte il re di Tartaria
sopra Zerbino a tal vantaggio viene,
che Pha ferito in sette parti o in otto,
tolto lo scudo, e mezzo 1'elmo rotto.
LXXI
Quel tuttavia piu va perdendo il sangue;
manca la forza, e ancor par che nol senta:
il vigoroso cor che nulla langue,
val si, che '1 debol corpo ne sostenta.
La donna sua, per timor fatta esangue,
intanto a Doralice s'appresenta,
e la priega e la supplica per Dio
che partir voglia il fiero assalto e rio.
620 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Cortese come bella Doralice,
ne ben sicura come il fatto segua,
fa volentier quel ch'Issabella dice,
e dispone il suo amante a pace e a triegua.
Cosi a' prieghi de 1'altra 1'ira ultrice
di cor fugge a Zerbino e si dilegua:
et egli, ove a lei par, piglia la strada,
senza fmir 1'impresa de la spada.
LXXIII
Fiordiligi, che mal vede difesa
la buona spada del misero conte,
tacita duolsi; e tanto le ne pesa,
che d'ira piange e battesi la fronte.
Vorria aver Brandimarte a quella impresa;
e se mai lo ritrova e gli lo conte,
non crede poi che Mandricardo vada
lunga stagione altier di quella spada.
LXXIV
Fiordiligi cercando pure invano
va Brandimarte suo matina e sera;
e fa camin da lui molto lontano,
da lui che gia tomato a Parigi era.
Tanto elk se n'ando per monte e piano,
che giunse ove, al passar d'una riviera,
vide e conobbe il miser paladino;
ma dician quel ch'avvenne di Zerbino:
LXXV
che '1 lasciar Durindana si gran fallo
gli par, che piu d'ogn'altro mal gl'incresce,
quantunque a pena star possa a cavallo
pel molto sangue che gli e uscito et esce.
Or poi che dopo non troppo intervallo
cessa con 1'ira il caldo, il dolor cresce :
cresce il dolor si impetuosamente,
che mancarsi la vita se ne sente.
CANTO VENTESIMOQUARTO 621
LXXVI
Per debolezza piu non potea gire;
si che fermossi appresso una fontana.
Non sa che far ne che si debba dire
per aiutarlo la donzella umana.
Sol di disagio lo vede morire;
che quindi e troppo ogni citta lontana,
dove in quel punto al medico ricorra,
che per pietade o premio gli soccorra.
LXXVII
Ella non sa se non invan dolersi,
chiamar fortuna e il cielo empio e crudele.
— Perche, ahi lassa! — dicea — non mi sommersi
quando levai ne T Ocean le vele? —
Zerbin che i languidi occhi ha in lei conversi,
sente piu doglia ch'ella si querele,
che de la passion tenace e forte
che 1'ha condutto omai vicino a morte.
LXXVI n
— Cosi, cor mio, vogliate, — le diceva,
— dopo ch'io saro morto, amarmi ancora,
come solo il lasciarvi e che m'aggreva
qui senza guida, e non gia perch'io mora:
che se in sicura parte m'accadeva
finir de la mia vita 1'ultima ora,
lieto e contento e fortunate a pieno
morto sarei, poi ch'io vi moro in seno.
LXXIX
Ma poi che '1 mio destino iniquo e duro
vol ch'io vi lasci, e non so in man di cui;
per questa bocca e per questi occhi giuro,
per queste chiome onde allacciato fui,
che disperato nel profondo oscuro
vo de lo 'nferno, onde il pensar di vui
ch'abbia cosi lasciata, assai piu ria
sara d'ogn'altra pena che vi sia. —
622 ORLANDO FURIOSO
LXXX
A questo la mestissima Issabella,
declinando la faccia lacrimosa
e congiungendo la sua bocca a quella
di Zerbin, languidetta come rosa,
rosa non colta in sua stagion, si ch'ella
impallidisca in su la siepe ombrosa,
disse : — Non vi pensate gia, mia vita,
far senza me quest 'ultima partita.
LXXXI
Di cio, cor mio, nessun timor vi tocchi;
ch'io vo? seguirvi o in cielo o ne lo 'nferno.
Convien che Tuno e 1'altro spirto scocchi,
insieme vada, insieme stia in eterno.
Non si tosto vedro chiudervi gli occhi,
o che m'uccidera il dolore interne,
o se quel non pu6 tanto, io vi prometto
con questa spada oggi passarmi il petto.
LXXXII
De' corpi nostri ho ancor non poca speme,
che me' morti che vivi abbian ventura.
Qui forse alcun capitera, ch'insieme,
mosso a pieta, dara lor sepoltura. —
Cosi dicendo, le reliquie estreme
de lo spirto vital che morte fura,
va ricogliendo con le labra meste,
fin ch'una minima aura ve ne reste.
LXXXIII
Zerbin la debol voce riforzando,
disse: — Io vi priego e supplico, mia diva,
per quello amor che mi mostraste, quando
per me lasciaste la paterna riva;
e se commandar posso, io vel commando,
che fin che piaccia a Dio restiate viva;
ne mai per caso pogniate in oblio
che quanto amar si puo, v'abbia amato io.
CANTO VENTESIMOQUARTO 623
LXXXIV
Dio vi provedera d'aiuto forse,
per liberarvi d'ogni atto villano,
come fe* quando alia spelonca torse,
per indi trarvi, il senator romano.
Cosi (la sua merce) gia vi soccorse
nel mare e contra il Biscaglin profano:
e se pure awerra che poi si deggia
morire, allora il minor mal s'elleggia. —
LXXXV
Non credo che quest'ultime parole
potesse esprimer si, che fosse inteso;
e fini come il debol lume suole,
cui cera manchi od altro in che sia acceso.
Chi potra dire a pien come si duole,
poi che si vede pallido e disteso,
la giovanetta, e freddo come ghiaccio
il suo caro Zerbin restare in braccio?
LXXXVI
Sopra il sanguigno corpo s'abbandona,
e di copiose lacrime lo bagna,
e stride si, ch'intorno ne risuona
a molte miglia il bosco e la campagna.
Ne alle guancie ne al petto si perdona,
che Funo e Paltro non percuota e fragna;
e straccia a torto Tauree crespe chiome,
chiamando sempre invan Pamato nome.
LXXXVII
In tanta rabbia, in tal furor somrnersa
Favea la doglia sua, che facilmente
avria la spada in se stessa conversa,
poco al suo amante in questo ubidiente;
s'uno eremita ch'alla fresca e tersa
fonte avea usanza di tornar sovente
da la sua quindi non lontana cella,
non s'opponea, venendo, al voler d'ella.
624 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
II venerabile uom, ch'alta bontade
avea congiunta a natural prudenzia,
et era tutto pien di caritade,
di buoni esempi ornato e d'eloquenzia,
alia giovan dolente persuade
con ragioni efficaci pazienzia;
et inanzi le puon, come uno specchio,
donne del Testamento e nuovo e vecchio.
LXXXIX
Poi le fece veder, come non fusse
alcun, se non in Dio, vero contento,
e ch'eran 1'altre transitorie e fiusse
speranze umane, e di poco momento;
e tanto seppe dir, che la ridusse
da quel crudele et ostmato intento,
che la vita sequente ebbe disio
tutta al servigio dedicar di Dio.
xc
Non che lasciar del suo signor voglia unque
ne '1 grand'amor, ne le reliquie morte:
convien che 1'abbia ovunque stia et ovunque
vada, e che seco e notte e di le porte.
Quindi aiutando Teremita dunque,
ch'era de la sua eta valido e forte,
sul mesto suo destrier Zerbin posaro,
e molti di per quelle selve andaro.
xci
Non volse il cauto vecchio ridur seco,
sola con solo, la giovane bella
la dove ascosa in un selvaggio speco
non lungi avea la solitaria cella;
fra se dicendo : « Con periglio arreco
in una man la paglia e la facella. »
Ne si fida in sua eta ne in sua prudenzia,
che di se faccia tanta esperienzia.
CANTO VENTESIMOQUARTO 625
XCII
Di condurla in Provenza ebbe pensiero,
non lontano a Marsilia in un castello,
dove di sante donne un monastero
ricchissimo era, e di edificio bello:
e per portarne il morto cavalliero,
composto in una cassa aveano quello,
che 'n un castel ch'era tra via, si fece
lunga e capace, e ben chiusa di pece.
XCIII
Piu e piu giorni gran spazio di terra
cercaro, e sempre per lochi piu inculti;
che pieno essendo ogni cosa di guerra,
volcano gir piu che poteano occulti.
Al fine un cavallier la via lor serra,
che lor fe' oltraggi e disonesti insulti;
di cui diro quando il suo loco fia;
ma ritorno ora al re di Tartaria.
xciv
Avuto ch'ebbe la battaglia il fine
che gia v'ho detto, il giovin si raccolse
alle fresche ombre e all'onde cristalline;
et al destrier la sella e '1 freno tolse,
e lo lascio per 1'erbe tenerine
del prato andar pascendo ove egli volse:
ma non ste' molto, che vide lontano
calar dal monte un cavalliero al piano.
xcv
Conobbel, come prima alzo la fronte,
Doralice, e mostrollo a Mandricardo,
dicendo : — Ecco il superbo Rodomonte,
se non m'inganna di lontan lo sguardo.
Per far teco battaglia cala il monte:
or ti potra giovar Tesser gagliardo.
Perduta avermi a grande ingiuria tiene,
ch'era sua sposa, e a vendicar si viene. —
626 ORLANDO FURIOSO
XCVI
Qual buono astor che Panitra o Tacceggia,
starna o Colombo o slmil altro augello
venirsi incontra di lontano veggia,
leva la testa e si fa lieto e bello;
tal Mandricardo, come certo deggia
di Rodomonte far strage e macello,
con letizia e baldanza il destrier piglia,
le staffe ai piedi, e da alia man la briglia.
xcvn
Quando vicini fur si, ch'udir chiare
tra lor poteansi le parole altiere,
con le mani e col capo a minacciare
incomincio gridando il re d'Algiere,
ch'a penitenza gli faria tornare,
che per un temerario suo piacere
non avesse rispetto a provocarsi
lui ch'altamente era per vendicarsi.
xcvm
Rispose Mandricardo : — Indarno tenta
chi mi vuol impaurir per minacciarme:
cosi fanciulli o femine spaventa,
o altri che non sappia che sieno arme ;
me non cui la battaglia piu talenta
d'ogni riposo; e son per adoprarme
a pie, a cavallo, armato e disarmato,
sia alia campagna, o sia ne lo steccato. —
XCIX
Ecco sono agli oltraggi, al grido, all'ire,
al trar de' brandi, al crudel suon de5 ferri;
come vento che prima a pena spire,
poi cominci a crollar frassini e cerri,
et indi oscura polve in cielo aggire,
indi gli arbori svella e case atterri,
sommerga in mare, e porti ria tempesta
che '1 gregge sparso uccida alia foresta.
CANTO VENTESIMOQUARTO 627
C
De5 duo pagani senza pari in terra
gli audacissimi cor, le forze estreme
parturiscono colpi, et una guerra
conveniente a si feroce seme.
Del grande e orribil suon triema la terra,
quando le spade son percosse insieme:
gettano 1'arme insin al ciel scintille,
anzi lampadi accese a mille a mille.
ci
Senza mai riposarsi o pigliar fiato
dura fra quei duo re Faspra battaglia,
tentando ora da questo, or da quel lato
aprir le piastre e penetrar la rnaglia.
Ne perde 1'un, ne 1'altro acquista il prato,
ma come intorno sian fosse o muraglia,
o troppo costi ogn'oncia di quel loco,
non si parton d'un cerchio angusto e poco.
CII
Fra mille colpi il Tartaro una volta
colse a duo mani in fronte il re d'Algiere;
che gli fece veder girare in volta
quante mai furon fiacole e lumiere.
Come ogni forza alP African sia tolta,
le groppe del destrier col capo fere:
perde la staffa, et e, presente quella
che cotant'ama, per uscir di sella.
cm
Ma come ben composto e valido arco
di fmo acciaio in buona somma greve,
quanto si china piu, quanto e piu carco,
e piu lo sforzan martinelli e lieve;
con tanto piu furor, quanto e poi scarco,
ritorna, e fa piu mai che non riceve:
cosi quello African tosto risorge,
e doppio il colpo all'inimico porge.
628 ORLANDO FURIOSO
CIV
Rodomonte a quel segno ove fu colto,
colse a ptmto il figliol del re Agricane.
Per questo non pote nuocergli al volto,
ch'in difesa trovo 1'arme troiane;
ma stordi in mo do il Tartaro, che molto
non sapea s'era vespero o dimane.
L'irato Rodomonte non s'arresta,
che mena 1'altro, e pur segna alia testa.
cv
II cavallo del Tartaro, ch'aborre
la spada che fischiando cala d'alto,
al suo signor con suo gran mal soccorre,
perche s'arretra per fuggir d'un salto:
il brando in mezzo il capo gli trascorre,
ch'al signor, non a lui, movea Tassalto.
II miser non avea 1'elmo di Troia,
come il patrone; onde convien che muoia.
cvi
Quel cade, e Mandricardo in piedi guizza,
non piu stordito, e Durindana aggira.
Veder morto il cavallo entro gli adizza,
e fuor divampa un grave incendio d'ira.
L' African, per urtarlo, il destrier drizza;
ma non piu Mandricardo si ritira,
che scoglio far soglia da Ponde: e awenne
che 1 destrier cadde, et egli in pie si tenne.
cvn
L' African che mancarsi il destrier sente,
lascia le staffe e sugli arcion si ponta,
e resta in piedi e sciolto agevolmente:
cosi Tun 1'altro poi di pari affronta.
La pugna piu che mai ribolle ardente,
e 1'odio e Tira e la superbia monta:
et era per seguir; ma quivi giunse
in fretta un messaggier che gli disgiunse.
CANTO VENTESIMOQUARTO 629
CVIII
Vi giunse un messaggier del popul Moro,
di molti che per Francia eran mandati
a richiamare agli stendardi loro
i capitani e i cavallier privati;
perche 1'imperator dai gigli d'oro
gli avea gli alloggiamenti gia assediati;
e se non e il soccorso a venir presto,
1'eccidio suo conosce manifesto.
cix
Riconobbe il messaggio i cavallieri,
oltre alPinsegne, oltre alle sopraveste,
al girar de le spade, e ai colpi fieri
ch'altre man non farebbeno che queste.
Tra lor pero non osa entrar, che speri
che fra tant'ira sicurta gli preste
Fesser messo del re; ne si conforta
per dir ch'imbasciator pena non porta.
ex
Ma viene a Doralice, et a lei narra
ch'Agramante, Marsilio e Stordilano,
con pochi dentro a mal sicura sbarra
sono assediati dal popul cristiano.
Narrato il caso, con prieghi ne inarra
che faccia il tutto ai duo guerrieri piano,
e che gli accordi insieme, e per lo scampo
del popul saracin li meni in campo.
CXI
Tra i cavallier la donna di gran core
si mette, e dice loro: — lo vi comando,
per quanto so che mi portate amore,
che riserbiate a miglior uso il brando,
e ne vegnate subito in favore
del nostro campo saracino, quando
si trova ora assediato ne le tende,
e presto aiuto o gran ruina attende. —
630 ORLANDO FURIOSO
CXII
Indi il messo soggiunse il gran periglio
dei Saracini, e narro il fatto a pieno;
e diede insieme lettere del figlio
del re Troiano al figlio d'Ulieno.
Si piglia finalmente per consiglio
che i duo guerrier, deposto ogni veneno,
facciano insieme triegua fin al giorno
che sia tolto Tassedio ai Mori intorno;
CXIII
e senza pm dimora, come pria
liberate d'assedio abbian lor gente,
non s'intendano aver piu compagnia,
ma crudel guerra e inimicizia ardente,
fin che con 1'arme diffinito sia
chi la donna aver de* meritamente.
Quella, ne le cui man giurato fue,
fece la sicurta per amendue.
cxiv
Quivi era la Discordia impaziente,
inimica di pace e d'ogni triegua;
e la Superbia v'e, che non consente
ne vuol patir che tale accordo segua.
Ma piu di lor puo Amor quivi presente,
di cui 1'alto valor nessuno adegua;
e fe' ch'indietro, a colpi di saette,
e la Discordia e la Superbia stette.
cxv
Fu conclusa la triegua fra costoro,
si come piacque a chi di lor potea.
Vi mancava uno dei cavalli loro,
che morto quel del Tartaro giacea:
per6 vi venne a tempo Brigliadoro,
che le fresche erbe lungo il rio pascea.
Ma al fin del canto io mi trovo esser giunto ;
si ch'io faro, con vostra grazia, punto.
CANTO VENTESIMOQUINTO 631
CANTO VENTESIMOQUINTO
I
Oh gran contrasto in giovenil pensiero,
desir di laude et impeto d'amore!
ne chi piu vaglia, ancor si trova il vero;
che resta or questo or quel superiore.
Ne 1'uno ebbe e ne Taltro cavalliero
quivi gran forza il debito e 1'onore;
che Famorosa lite s'intermesse,
fin che soccorso il campo lor s'avesse.
II
Ma piu ve Febbe Amor: che se non era
che cosi commando la donna loro,
non si sciogliea quella battaglia fiera,
che Fun n'avrebbe il triunfale alloro;
et Agramante invan con la sua schiera
Faiuto avria aspettato di costoro.
Dunque Amor sempre rio non si ritrova:
se spesso nuoce, anco talvolta giova.
in
Or Funo e Faltro cavallier pagano,
che tutti ha differiti i suoi litigi,
va per salvar Fesercito africano
con la donna gentil verso Parigi;
e va con essi ancora il piccol nano
che seguit6 del Tartaro i vestigi,
fin che con lui condotto a fronte a fronte
avea quivi il geloso Rodomonte.
632 ORLANDO FURIOSO
IV
Capitaro in un prato ove a diletto
erano cavallier sopra un ruscello,
duo disarmati e duo ch'avean 1'elmetto,
e una donna con lor di viso bello.
Chi fosser quelli, altrove vi fia detto;
or no, che di Ruggier prima favello,
del buon Ruggier di cui vi fu narrato
che lo scudo nel pozzo avea gittato.
v
Non e dal pozzo ancor lontano un miglio,
che venire un corrier vede in gran fretta,
di quei che manda di Troiano il figlio
ai cavallieri onde soccorso aspetta;
dal qual ode che Carlo in tal periglio
la gente saracina tien ristretta,
che se non e chi tosto le dia aita,
tosto 1'onor vi lasciera o la vita.
vi
Fu da molti pensier ridutto in forse
Ruggier, che tutti 1'assaliro a un tratto;
ma qual per lo miglior dovesse torse,
ne luogo avea ne tempo a pensar atto.
Lascio andare il messaggio, e '1 freno torse
la dove fu da quella donna tratto,
ch'ad or ad or in modo egli affrettava,
che nessun tempo d'indugiar le dava.
VII
Quindi seguendo il camin preso venne
(gia declinando il sole) ad una terra
che '1 re Marsilio in mezzo Francia tenne,
tolta di man di Carlo in quella guerra.
Ne al ponte ne alia porta si ritenne,
che non gli niega alcuno il passo o serra,
ben ch'intorno al rastrello e in su le fosse
gran quantita d'uomini e d'arme fosse.
CANTO VENTESIMOQUINTO 633
VIII
Perch'era conosciuta da la gente
quella donzella ch'avea in compagnia,
fu lasciato passar liberamente,
ne domandato pure onde venia.
Giunse alia piazza, e di fuoco lucente
e plena la trovo di gente ria;
e vide in mezzo star con viso smorto
il giovine dannato ad esser morto.
IX
Ruggier come gli alzo gli occhi nel viso,
che chino a terra e lacrimoso stava,
di veder Bradamante gli fu aviso,
tanto il giovine a lei rassimigliava.
Piu dessa gli parea, quanto piu fiso
al volto e alia persona il riguardava;
e fra se disse : « O questa e Bradamante,
o ch'io non son Ruggier com' era inante.
x
Per troppo ardir si sara forse messa
del garzon condennato alia difesa;
e poi che mal la cosa 1'e successa,
ne sara stata, come io veggo, presa.
Deh perche tanta fretta, che con essa
io non potei trovarmi a questa impresa?
Ma Dio ringrazio che ci son venuto,
ch'a tempo ancora io potro darle aiuto.»
XI
E sanza piu indugiar la spada stringe
(ch'avea all'altro castel rotta la lancia),
e adosso il vulgo inerme il destrier spinge
per Io petto, pei fianchi e per la pancia.
Mena la spada a cerco, et a chi cinge
la fronte, a chi la gola, a chi la guancia.
Fugge il popul gridando; e la gran frotta
resta o sciancata o con la testa rotta.
634 ORLANDO FURIOSO
XII
Come stormo d'augei ch'in ripa a un stagno
vola sicuro e a sua pastura attende,
s'improviso dal ciel falcon grifagno
gli da nel mezzo et un ne batte o prende,
si sparge in fuga, ognun lascia il compagno,
e de lo scampo suo cura si prende;
cosi veduto avreste far costoro,
tosto che Jl buon Ruggier diede fra loro.
XIII
A quattro o sei dai colli i capi netti
Iev6 Ruggier, ch'indi a fuggir fur lenti;
ne divise altretanti infin ai petti,
fin agli occhi infiniti e fin ai denti.
Conciedero che non trovasse elmetti,
ma ben di ferro assai cuffie lucenti:
e s'elmi fini anco vi fosser stati,
cosi gli avrebbe, o poco men, tagliati.
XIV
La forza di Ruggier non era quale
or si ritrovi in cavallier moderno,
ne in orso ne in leon ne in animale
altro piu fiero, o nostrale od esterno.
Forse il tremuoto le sarebbe uguale,
forse il gran diavol; non quel de lo 'nferno,
ma quel del mio signor, che va col fuoco
ch'a cielo e a terra e a mar si fa dar loco.
xv
D'ogni suo colpo mai non cadea manco
d'un uomo in terra, e le piu volte un paio ;
e quattro a un colpo e cinque n'uccise anco,
si che si venne tosto al centinaio.
Tagliava il brando che trasse dal fianco,
come un tenero latte, il duro acciaio.
Falerina, per dar morte ad Orlando,
fe' nel giardin d'Orgagna il crudel brando.
CANTO VENTESIMOQUINTO 635
XVI
Averlo fatto poi ben le rincrebbe,
che '1 suo giardin disfar vide con esso.
Che strazio dunque, che ruina debbe
far or ch'in man di tal guerriero e messo?
Se mai Ruggier furor, se mai forza ebbe,
se mai fu Falto suo valore espresso,
qui Tebbe, il pose qui, qui fu veduto,
sperando dare alia sua donna aiuto.
XVII
Qual fa la lepre contra i cani sciolti,
facea la turba contra lui riparo.
Quei che restaro uccisi, furo molti;
furo infiniti quei ch'in fuga andaro.
Avea la donna intanto i lacci tolti,
ch'ambe le mani al giovine legaro;
e come pote meglio, presto armollo,
gli die una spada in mano e un scudo al collo.
XVIII
Egli che molto e offeso, piu che puote
si cerca vendicar di quella gente:
e quivi son si le sue forze note,
che riputar si fa prode e valente.
Gia avea attufato le dorate mote
il Sol ne la marina d'occidente,
quando Ruggier vittorioso e quello
giovine seco uscir fuor del castello.
XIX
Quando il garzon sicuro de la vita
con Ruggier si trov6 fuor de le porte,
gli rende" molta grazia et infmita
con gentil modi e con parole accorte,
che non lo conoscendo a dargli aita
si fosse messo a rischio de la morte;
e preg6 che '1 suo nome gli dicesse,
per sapere a chi tanto obligo avesse.
636 ORLANDO FURIOSO
XX
« Veggo » dicea Ruggier « la faccia bella
e le belle fattezze e '1 bel sembiante,
ma la suavita de la favella
non odo gia de la mia Bradamante;
ne la relazion di grazie e quella
ch'ella usar debba al suo fedele amante.
Ma se pur questa e Bradamante, or come
ha si tosto in oblio messo il mio nome?»
XXI
Per ben saperne il certo, accortamente
Ruggier le disse:— lo v'ho veduto altrove;
et ho pensato e penso, e finalmente
non so ne" posso ricordarmi dove.
Ditemel voi, se vi ritorna a mente,
e fate che '1 nome anco udir mi giove,
acci6 che saper possa a cui mia aita
dal fuoco abbia salvata oggi la vita.
XXII
— Che voi m'abbiate visto esser potria, —
rispose quel — che non so dove o quando :
ben vo pel mondo anch'io la parte mia,
strane aventure or qua or la cercando.
Forse una mia sorella stata fia,
che veste Parme e porta al lato il brando ;
che nacque meco, e tanto mi somiglia,
che non ne puo discerner la famiglia.
XXIII
N6 primo ne secondo ne ben quarto
sete di quei ch'errore in ci6 preso hanno :
ne '1 padre ne i fratelli ne chi a un parto
ci produsse ambi, scernere ci sanno.
Gli e ver che questo crin raccorcio e sparto
ch'io porto, come gli altri uomini fanno,
et il suo lungo e in treccia al capo awolta
ci solea far gia differenzia molta:
CANTO VENTESIMOQUINTO 637
XXIV
ma poi ch'un giorno ella ferita fu
ixel capo (lungo saria a dirvi come),
e per sanarla un servo di lesu
a mezza orecchia le tagli6 le chiome,
alcun segno tra noi non resto piu
di differenzia, fuor che '1 sesso e '1 nome.
Ricciardetto son io, Bradamante ella;
io fratel di Rinaldo, essa sorella.
xxv
E se non v'increscesse I'ascoltarmi,
cosa direi che vi faria stupire,
la qual m'occorse per assimigliarmi
a lei: gioia al principio e al fin martire. —
Ruggiero il qual piu graziosi carmi,
piu dolce istoria non potrebbe udire,
che dove alcun ricordo intervenisse
de la sua donna, il prego si, che disse.
XXVI
— Accadde a questi di, che pei vicini
boschi passando la sorella mia,
ferita da uno stuol de Saracini
che senza Telmo la trovar per via,
fu di scorciarsi astretta i lunghi crini,
se sanar volse d'una piaga ria
ch'avea con gran periglio ne la testa;
e cosi scorcia err6 per la foresta.
XXVII
Errando giunse ad una ombrosa fonte;
e perche afHitta e stanca ritrovosse,
dal destrier scese e disarm6 la fronte,
e su le tenere erbe addormentosse.
Io non credo che fabula si conte,
che piu di questa istoria bella fosse.
Fiordispina di Spagna soprarriva,
che per cacciar nel bosco ne veniva.
638 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
E quando ritrovo la mia sirocchia
tutta coperta d'arme, eccetto il viso,
ch'avea la spada in luogo di conocchia,
le fu vedere un cavalliero aviso.
La faccia e le viril fattezze adocchia
tanto, che se ne sente il cor conquiso;
la invita a caccia, e tra Fombrose fronde
lunge dagli altri al fin seco s'asconde.
XXIX
Poi che Tha seco in solitario loco
dove non teme d'esser sopraggiunta,
con atti e con parole a poco a poco
le scopre il fisso cuor di grave punta.
Con gli occhi ardenti e coi sospir di fuoco
le mostra Talma di disio consunta.
Or si scolora in viso, or si raccende;
tanto s'arrischia, ch'un bacio ne prende.
xxx
La mia sorella avea ben conosciuto
che questa donna in cambio Tavea tolta:
ne dar poteale a quel bisogno aiuto,
e si trovava in grande impaccio awolta.
«Gli e meglio» dicea seco «s'io rifiuto
questa avuta di me credenza stolta,
e s'io mi mostro ferrxina gentile,
che lasciar riputarmi un uomo vile. »
XXXI
E dicea il ver; ch'era viltade espressa,
conveniente a un uom fatto di stucco,
con cui si bella donna fosse messa,
piena di dolce e di nettareo succo,
e tuttavia stesse a parlar con essa,
tenendo basse Tale come il cucco.
Con modo accorto ella il parlar ridusse,
che venne a dir come donzella fusse;
CANTO VENTESIMOQXJINTO 639
XXXII
che gloria, qual gia Ippolita e Camilla,
cerca ne Farme; e in Africa era nata
in lito al mar ne la citta d'Arzilla,
a scudo e a lancia da fanciulla usata.
Per questo non si smorza una scintilla
del fuoco de la donna inamorata.
Questo rimedio alFalta piaga e tardo:
tant'avea Amor cacciato inanzi il dardo.
XXXIII
Per questo non le par men bello il viso,
men bel lo sguardo e men belli i costumi;
per ci6 non torna il cor, che gia diviso
da lei godea dentro gli amati lumi.
Vedendola in quelFabito, 1'e aviso
che puo far che '1 desir non. la consuml;
e quando ch'ella e pur femina pensa,
sospira e piange e mostra doglia 'imrnensa.
xxxiv
Chi avesse il suo ramarico e '1 suo pianto
quel giorno udito, avria pianto con lei.
« Quai tormenti » dicea « furon rnai tanto
crudel, che phi non sian crudeli i miei?
D'ogn'altro amore, o scelerato o santo,
il desiato fin sperar potrei;
saprei partir la rosa da le spine:
solo il mio desiderio & senza fine!
xxxv
Se pur volevi, Amor, darmi tormento
che t'increscesse il mio felice stato,
d'alcun martir dovevi star contento,
che fosse ancor negli altri amanti usato.
Ne tra gli uomini mai ne tra Tarrneiito,
che femina ami femina ho trovato :
non par la donna all'altre donne bella,
ne a cervie cervia, n<§ all'agnelle agnella.
640 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
In terra, in aria, in mar, sola son io
che patisco da te si duro scempio ;
e questo hai fatto accio che Terror mio
sia ne Pimperio tuo Fultimo esempio.
La moglie del re Nino ebbe disio,
il figlio amando, scelerato et empio,
e Mirra il padre, e la Cretense il toro:
ma gli e phi folle il mio, ch'alcun dei loro.
XXXVII
La femina nel maschio fe' disegno,
speronne il fine, et ebbelo, come odo:
Pasife ne la vacca entro del legno,
altre per altri mezzi e vario modo.
Ma se volasse a me con ogni ingegno
Dedalo, non potria scioglier quel nodo
che fece il mastro troppo diligente,
Natura d'ogni cosa piu possente. »
XXXVIII
Cosi si duole e si consuma et ange
la bella donna, e non s'accheta in fretta.
Talor si batte il viso e il capel frange,
e di se contra se cerca vendetta.
La mia sorella per pieta ne piange,
et e a sentir di quel dolor constretta.
Del folle e van disio si studia trarla;
ma non fa alcun profitto, e invano parla.
XXXIX
Ella ch'aiuto cerca e non conforto,
sempre piu si lamenta e piu si duole.
Era del giorno il t ermine ormai corto,
che rosseggiava in occidente il sole,
ora oportuna da ritrarsi in porto
a chi la notte al bosco star non vuole:
quando la donna invit6 Bradamante
a questa terra sua poco distante.
CANTO VENTESIMOQUINTO 641
XL
Non le seppe negar la mia sorella:
e cosi insieme ne vennero al loco,
dove la turba scelerata e fella
posto m'avria, se tu non v'eri, al fuoco.
Fece la dentro Fiordispina bella
la mia sirocchia accarezzar non poco:
e rivestita di feminil gonna,
conoscer fej a ciascun ch'ella era donna.
XLI
Pero che conoscendo che nessuno
util traea da quel virile aspetto,
non le parve anco di voler ch'alcuno
biasmo di se per questo fosse detto:
fello anco, accio che '1 mal ch'avea da 1'uno
virile abito errando gia concetto,
ora con Taltro, discoprendo il vero,
provassi di cacciar fuor del pensiero.
XLII
Commune il letto ebbon la notte insieme,
ma molto differente ebbon riposo;
che 1'una dorme, e Paltra piange e geme
che sempre il suo desir sia piu focoso.
E se '1 sonno talor gli occhi le preme,
quel breve sonno e tutto imaginoso:
le par veder che Jl ciel Tabbia concesso
Bradamante cangiata in miglior sesso.
XLI 1 1
Come Tinfermo acceso di gran sete,
s'in quella ingorda voglia s'addormenta,
ne Pinterrotta e turbida quiete,
d'ogn'acqua che mai vide si ramenta;
cosi a costei di far sue voglie liete
Timagine del sonno rappresenta.
Si desta; e nel destar mette la mano,
e ritrova pur sempre il sogno vano.
642 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Quanti prieghi la notte, quanti voti,
ofFerse al suo Macone e a tutti i dei,
che con miracoli apparent! e noti
mutassero in miglior sesso costei!
ma tutti vede andar d'effetto voti,
e forse ancora il ciel ridea di lei.
Passa la notte; e Febo il capo biondo
traea del mare, e dava luce al mondo.
XLV
Poi che '1 di venne e che lasciaro il letto,
a Fiordispina s'augumenta doglia;
che Bradamante ha del partir gia detto,
ch'uscir di questo impaccio avea gran voglia.
La gentil donna un ottimo ginetto
in don da lei vuol che partendo toglia,
guernito d'oro, et una sopravesta
che riccamente ha di sua man contesta.
XLVI
Accompagnolla un pezzo Fiordispina,
poi fe* piangendo al suo castel ritorno.
La mia sorella si ratto camina,
che venne a Montalbano anco quel giorno.
Noi suoi fratelli e la madre meschina
tutti le siamo festeggiando intorno;
che di lei non sentendo, avuto forte
dubbio e tema avevan de la sua morte.
XL VII
Mirammo (al trar de Pelmo) al mozzo crine,
ch'intorno al capo prima s'avolgea;
cosi le sopraveste peregrine
ne fer maravigliar, ch'indosso avea.
Et elk il tutto dal principio al fine
narronne, come dianzi io vi dicea:
come ferita fosse al bosco, e come
lasciasse, per guarir, le belle chiome;
CANTO VENTESIMOQUINTO 643
XLVIII
e come poi dormendo in ripa alPacque,
la bella cacciatrice sopragiunse,
a cui la falsa sua sembianza piacque;
e come da la schiera la disgiunse.
Del lamento di lei poi nulla tacque,
che di pietade I'anima ci punse;
e come alloggio seco, e tutto quello
che fece fin che ritorn6 al castello.
XLIX
Di Fiordispina gran notizia ebb'io,
ch'in Siragozza e gia la vidi in Francia;
e piacquer molto alFappetito mio
i suoi begli occhi e la polita guancia:
ma non lasciai fermarvisi il disio,
che Pamar senza speme e sogno e ciancia.
Or quando in tal ampiezza mi si porge,
Pantiqua fiamma subito risorge.
L
Di questa speme Amore ordisce i nodi;
che d'altre fila ordir non li potea:
onde mi piglia, e mostra insieme i modi
che da la donna avrei quel ch'io chiedea.
A succeder saran facil le frodi;
che come spesso altri ingannato avea
la simiglianza c'ho di mia sorella,
forse anco ingannera questa donzella.
LI
Faccio o nol faccio? Al fin mi par che buono
sempre cercar quel che diletti sia.
Del mio pensier con altri non ragiono,
n6 voj ch'in ci6 consiglio altri mi dia.
lo vo la notte ove quelFarme sono
che s'avea tratte la sorella mia:
tolgole, e col destrier suo via camino;
ne sto aspettar che luca il matutino.
644 ORLANDO FURIOSO
LII
lo me ne vo la notte (Amore e duce)
a ritrovar la bella Fiordispina;
e v'arrivai che non era la luce
del sole ascosa ancor ne la marina.
Beato e chi correndo si conduce
prima degli altri a dirlo alia regina,
da lei sperando per 1'annunzio buono
acquistar grazia e riportarne dono.
LIII
Tutti m'aveano tolto cosi in fallo,
com'hai tu fatto ancor, per Bradamante;
tanto piu che le vesti ebbi e '1 cavallo
con che partita era ella il giorno inante.
Vien Fiordispina di poco intervallo
con feste incontra e con carezze tante,
e con si allegro viso e si giocondo,
che piu gioia mostrar non potria al mondo.
LIV
Le belle braccia al collo indi mi getta,
e dolcemente stringe, e bacia in bocca.
Tu puoi pensar s'allora la saetta
dirizzi Amor, s'in mezzo il cor mi tocca.
Per man mi piglia, e in camera con fretta
mi mena; e non ad altri ch'a lei tocca
che da Felmo allo spron Parme mi slacci;
e nessun altro vuol che se n'impacci.
LV
Poi fattasi arrecare una sua veste
adorna e ricca, di sua man la spiega,
e come io fossi femina mi veste,
e in reticella d'oro il crin mi lega.
Io muovo gli occhi con maniere oneste,
ne ch'io sia donna alcun mio gesto niega.
La voce ch'accusar mi potea forse,
si ben usai, ch'alcun non se n'accorse.
CANTO VENTESIMOQUINTO 645
LVI
Uscimmo poi la dove erano molte
persone in sala, e cavallieri e donne,
dai quali fummo con 1'onor raccolte,
ch'alle regine fassi e gran madonne.
Quivi d'alcuni mi risi io piu volte,
che non sappiendo cio che sotto gonne
si nascondesse valido e gagliardo,
mi vagheggiavan con lascivo sguardo.
LVII
Poi che si fece la notte piu grande,
e gia un pezzo la mensa era levata,
la mensa che fu d'ottime vivande,
secondo la stagione, apparecchiata;
non aspetta la donna ch'io domande
quel che m'era cagion del venir stata:
ella m'invita, per sua cortesia,
che quella notte a giacer seco io stia,
LVIII
Poi che donne e donzelle ormai levate
si furo, e paggi e camerieri intorno,
essendo ambe nel letto dispogliate,
coi torchi accesi che parea di giorno,
io cominciai: «Non vi maravigliate,
madonna, se si tosto a voi ritorno;
che forse v'andavate imaginando
di non mi riveder fin Dio sa quando.
LIX
Dir6 prima la causa del partire,
poi del ritorno Tudirete ancora.
Se '1 vostro ardor, madonna, intiepidire
potuto avessi col mio far dimora,
vivere in vostro servizio e morire
voluto avrei, ne" starne senza un'ora;
ma visto quanto il mio star vi nocessi,
per non poter far meglio, andare elessi.
646 ORLANDO FURIOSO
LX
Fortuna mi tiro fuor del camino
in mezzo un bosco d'intricati rami,
dove odo un grido risonar vicino,
come di donna che soccorso chiami.
Vaccorro, e sopra un lago cristallino
ritrovo un fauno ch'avea preso agli ami
in mezzo 1'acqua una donzella nuda,
e mangiarsi, il crudel, la volea cruda.
LXI
Cola mi trassi, e con la spada in mano
(perch5 aiutar non la potea altrimente)
tolsi di vita il pescator villano :
ella salto ne Pacqua immantinente.
"Non m'avrai" disse "dato aiuto invano:
ben ne sarai premiato e riccamente
quanto chieder saprai, perche son ninfa
che vivo dentro a questa chiara linfa;
LXII
et ho possanza far cose stupende,
e sforzar gli element! e la natura.
Chiedi tu, quanto il mio valor s'estende,
poi lascia a me di satisfarti cura.
Dal ciel la luna al mio cantar discende,
s'agghiaccia il fuoco, e Taria si fa dura;
et ho talor con semplici parole
mossa la terra, et ho fermato il sole."
LXIII
Non le domando a questa offerta unire
tesor, ne dominar populi e terre,
ne in piu virtu ne in piu vigor salire,
ne vincer con onor tutte le guerre;
ma sol che qualche via donde il desire
vostro s'adempia, mi schiuda e disserre:
ne piu le domando un ch'un altro effetto,
ma tutta al suo giudicio mi rimetto.
CANTO VENTESIMOQUINTO 647
LXIV
Ebbile a pena mia domanda esposta,
ch'un'altra volta la vidi attuffata;
ne fece al mio parlare altra risposta,
che di spruzzar ver me Facqua incantata:
la qual non prima al viso mi s'accosta,
ch'io (non so come) son tutta mutata.
lo '1 veggo, io '1 sento, e a pena vero parmi:
sento in maschio di femina mutarmi.
LXV
E se non fosse che senza dimora
vi potete chiarir, nol credereste :
e qual nell'altro sesso, in questo ancora
ho le mie voglie ad ubbidirvi preste.
Commandate lor pur, che fieno or ora
e sempremai per voi vigile e deste.»
Cosi le dissi; e feci ch'ella istessa
trov6 con man la veritade espressa.
LXVI
Come interviene a chi gia fuor di speme
di cosa sia che nel pensier molt'abbia,
che mentre piu d'esserne privo geme,
piu se n'afflige e se ne strugge e arrabbia;
se ben la trova poi, tanto gli preme
Paver gran tempo seminato in sabbia,
e la disperazion Pha si male uso,
che non crede a se stesso, e sta confuso:
LXVII
cosi la donna, poi che tocca e vede
quel di ch'avuto avea tanto desire,
agli occhi, al tatto, a se stessa non crede,
e sta dubbiosa ancor di non dormire;
e buona prova bisogn6 a far fede
che sentia quel che le parea sentire.
«Fa, Dio,)> disse ella ccse son sogni questi,
ch'io dorma sempre, e mai piu non mi desti. »
648 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Non rumor di tamburi o suon di trombe
furon principio all' amoroso assalto,
ma baci ch'imitavan le colombe,
davan segno or di gire, or di fare alto.
Usammo altr'arme che saette o frombe.
lo senza scale in su la rocca salto
e lo stendardo piantovi di botto,
e la nimica mia mi caccio sotto.
LXIX
Se fu quel letto la notte dinanti
pien di sospiri e di querele gravi,
non stette 1'altra poi senza altretanti
risi, feste, gioir, giochi soavi.
Non con piu nodi i flessuosi acanti
le colonne circondano e le travi,
di quelli con che noi legammo stretti
e colli e fianchi e braccia e gambe e petti.
LXX
La cosa stava tacita fra noi,
si che duro il piacer per alcun mese:
pur si trovo chi se n'accorse poi,
tanto che con mio danno il re lo 'ntese.
Voi che mi liberaste da quei suoi
che ne la piazza avean le fiamme accese,
comprendere oggimai potete il resto;
ma Dio sa ben con che dolor ne resto. —
LXXI
Cosi a Ruggier narrava Ricciardetto,
e la notturna via facea men grave,
salendo tuttavia verso un poggietto
cinto di ripe e di pendici cave.
Un erto calle e pien di sassi e stretto
apria il camin con faticosa chiave.
Sedea al sommo un castel detto Agrismonte,
ch'ave' in guardia Aldigier di Chiaramonte.
CANTO VENTESIMOQUINTO 649
LXXII
Di Buovo era costui figliuol bastardo,
fratel di Malagigi e di Viviano:
chi legitimo dice di Gherardo,
e testimonio temerario e vano.
Fosse come si voglia, era gagliardo,
prudente, liberal, cortese, umano;
e facea quivi le fraterne mura
la notte e il di guardar con buona cura.
LXXIII
Raccolse il cavallier cortesemente,
come dovea, il cugin suo Ricciardetto,
ch'amo come fratello; e parimente
fu ben visto Ruggier per suo rispetto.
Ma non gli usci gia incontra allegramente,
come era usato, anzi con tristo aspetto,
perch'uno aviso il giorno avuto avea,
che nel viso e nel cor mesto il facea.
LXXIV
A Ricciardetto in cambio di saluto
disse: — Fratello, abbian nuova non buona.
Per certissimo messo oggi ho saputo
che Bertolagi iniquo di Baiona
con Lanfusa crudel s'e convenuto,
che preziose spoglie esso a lei dona,
et essa a lui pon nostri frati in mano,
il tuo bon Malagigi e il tuo Viviano.
LXXV
Ella dal di che Ferrau li prese,
gli ha ognor tenuti in loco oscuro e fello,
fin che '1 brutto contratto e discortese
n'ha fatto con costui di ch'io favello.
Gli des mandar domane al Maganzese
nei confin tra Baiona e un suo castello.
Verra in persona egli a pagar la mancia
che compra il miglior sangue che sia in Francia.
650 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Rinaldo nostro n'ho avisato or ora,
et ho cacciato il messo di galoppo;
ma non mi par ch'arrivar possa ad ora
che non sia tarda, che '1 camino e troppo.
lo non ho meco gente da uscir fuora:
1'animo e pronto, ma il potere e zoppo.
Se gli ha quel traditor, li fa morire:
si che non so che far, non so che dire. —
LXXVII
La dura nuova a Ricciardetto spiace;
e perche spiace a lui, spiace a Ruggiero,
che poi che questo e quel vede che tace,
ne tra' profitto alcun del suo pensiero,
disse con grande ardir: — Datevi pace:
sopra me quest'impresa tutta chero;
e questa mia varra per mille spade
a riporvi i fratelli in libertade.
LXXVIII
lo non voglio altra gente, altri sussidi,
ch'io credo bastar solo a questo fatto;
io vi domando solo un che mi guidi
al luogo ove si dee fare il baratto.
Io vi far6 sin qui sentire i gridi
di chi sara presente al rio contratto. —
Cosi dicea; ne dicea cosa nuova
all'un dej dui, che n'avea visto pruova.
LXXIX
L'altro non 1'ascoltava, se non quanto
s'ascolti un ch'assai parli e sappia poco:
ma Ricciardetto gli narro da canto
come fu per costui tratto del fuoco;
e ch'era certo che maggior del vanto
faria veder 1'erTetto a tempo e a loco.
Gli diede allor udienza piu che prima,
e riverillo, e fe' di lui gran stima.
CANTO VENTESIMOQUINTO 651
LXXX
Et alia mensa, ove la Copia fuse
il corno, Tonor6 come suo donno.
Quivi senz'altro aiuto si concluse
che liberare i duo fratelli ponno.
Intanto sopravenne e gli occhi chiuse
ai signori e ai sergenti il pigro Sonno,
fuor ch'a Ruggier; che per tenerlo desto
gli punge il cor sempre un pensier molesto.
LXXXI
L'assedio d'Agramante ch'avea il giorno
udito dal corrier, gli sta nel core.
Ben vede ch'ogni minimo soggiorno
che faccia d'aiutarlo, e suo disnore.
Quanta gli sara infamia, quanto scorno,
se coi nemici va del suo signore!
Oh come a gran viltade, a gran delitto,
battezzandosi alor, gli sara ascritto!
LXXXII
Potria in ogn'altro tempo esser creduto
che vera religion Pavesse mosso;
ma ora che bisogna col suo aiuto
Agramante d'assedio esser riscosso,
piu tosto da ciascun sara tenuto
che timore e vilta 1'abbia percosso,
ch'alcuna opinion di miglior fede:
questo il cor di Ruggier stimula e fiede.
LXXXIII
Che s'abbia da partire anco lo punge
senza licenzia de la sua regina.
Quando questo pensier, quando quel giunge,
che '1 dubio cor diversamente inchina.
Gli era F aviso riuscito lunge
di trovarla al castel di Fiordispina,
dove insieme dovean, come ho gia detto,
in soccorso venir di Ricciardetto.
652 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
Poi gli sovien ch'egli le avea promesso
di seco a Vallombrosa ritrovarsi.
Pensa ch'andar v'abbi ella, e quivi d'esso
che non vi trovi poi, maravigliarsi.
Potesse almen mandar lettera o messo,
si ch'ella non avesse a lamentarsi
che, oltre ch'egli mal le avea ubbidito,
senza far motto ancor fosse partito.
LXXXV
Poi che piu cose imaginate s'ebbe,
pensa scriverle al fin quanto gli accada;
e ben ch'egli non sappia come debbe
la lettera inviar, si che ben vada,
non per6 vuol restar; che ben potrebbe
alcun messo fedel trovar per strada.
Piu non s'indugia, e salta de le piume:
si fa dar carta, inchiostro, penna e lume.
LXXXVI
I camarier discreti et aveduti
arrecano a Ruggier cio che commanda.
Egli comincia a scrivere, e i saluti
(come si suol) nei primi versi manda:
poi narra degli avisi che venuti
son dal suo re, ch'aiuto gli domanda;
e se Pandata sua non e ben presta,
o morto o in man degli nimici resta.
LXXXVII
Poi seguita, ch'essendo a tal partito,
e ch'a lui per aiuto si volgea,
vedesse ella che '1 biasmo era infinite
s'a quel punto negar gli lo volea;
e ch'esso, a lei dovendo esser marito,
guardarsi da ogni macchia si dovea;
che non si convenia con lei, che tutta
era sincera, alcuna cosa brutta.
CANTO VENTESIMOQUINTO 653
LXXXVIII
E se mai per adietro un nome chiaro,
ben oprando, cerco di guadagnarsi;
e guadagnato poi, se avuto caro,
se cercato 1'avea di conservarsi;
or lo cercava, e n'era fatto avaro,
poi che dovea con lei participarsi,
la qual sua moglie, e totalmente in dui
corpi esser dovea un'anima con lui.
LXXXIX
E si come gia a bocca le avea detto,
le ridicea per questa carta ancora:
finito il tempo in che per fede astretto
era al suo re, quando non prima muora,
che si fara cristian cosi d'effetto,
come di buon voler stato era ogni ora;
e ch'al padre e a Rinaldo e agli altri suoi
per moglie domandar la fara poi.
xc
(c Voglio, » le soggiungea « quando vi piaccia,
1'assedio al mio signor levar d'intorno,
accio che 1'ignorante vulgo taccia,
il qual direbbe, a mia vergogna e scorno :
* 'Ruggier, mentre Agramante ebbe bonaccia,
mai non 1'abandono notte ne giorno;
or che Fortuna per Carlo si piega,
egli col vincitor Finsegna spiega."
xci
Voglio quindici di t ermine o venti,
tanto che comparir possa una volta,
si che degli africani alloggiamenti
la grave ossedion per me sia tolta.
Intanto cercher6 convenienti
cagioni, e che sian giuste, di dar volta.
lo vi domando per mio onor sol questo:
tutto poi vostro e di mia vita il resto. »
654 ORLANDO FURIOSO
XCII
In simili parole si diffuse
Ruggier, che tutte non so dirvi a pieno ;
e segui con molt'altre, e non concluse
fin che non vide tutto il foglio pieno;
e poi piego la lettera e la chiuse,
e suggellata se la pose in seno,
con speme che gli occorra il di seguente
chi alia donna la dia secretamente.
XCIII
Chiusa ch'ebbe la lettera, chiuse anco
gli occhi sul letto, e ritrovc- quiete;
che '1 Sonno venne, e sparse il corpo stanco
col ramo intinto nel liquor di Lete:-
e pos6 fin ch'un nembo rosso e bianco
di fiori sparse le contrade liete
del lucido oriente d'ogn'intorno,
et indi usci de 1'aureo albergo il giorno.
xciv
E poi ch'a salutar la nuova luce
pei verdi rarai incominciar gli augelli,
Aldigier che voleva essere il duce
di Ruggiero e de Taltro, e guidar quelli
ove faccin che dati in mano al truce
Bertolagi non siano i duo fratelli,
fu 71 primo in piede; e quando sentir lui,
del letto usciro anco quegli altri dui.
xcv
Poi che vestiti furo e bene armati,
coi duo cugin Ruggier si mette in via,
gia molto indarno avendoli pregati
che questa impresa a lui tutta si dia;
ma essi, pel desir c'han de' lor frati,
e perch6 lor parea discortesia,
steron negando piu duri che sassi,
ne consentiron mai che solo andassi.
CANTO VENTESIMOQUINTO 655
XCVI
Giunsero al loco il di che si dovea
Malagigi mutar nei carriaggi.
Era un'ampla campagna che giacea
tutta scoperta agli apollinei raggi.
Quivi ne allot ne mirto si vedea,
ne cipressi ne frassini ne faggi,
ma nuda ghiara, e qualche umil virgulto
non mai da marra o mai da vomer culto.
xcvu
I tre guerrieri arditi si fermaro
dove un sentier fendea quella pianura;
e giunger quivi un cavallier miraro
ch'avea d'oro fregiata Farmatura,
e per insegna in campo verde il raro
e bello augel che piu d'un secol dura.
Signer, non piu, che giunto al fin mi veggio
di questo canto, e riposarmi chieggio.
656 ORLANDO FURIOSO
CANTO VENTESIMOSESTO
I
Cortesi donne ebbe 1'antiqua etade,
che le virtu, non le ricchezze, amaro:
al tempo nostro si ritrovan rade
a cui piu del guadagno altro sia caro.
Ma quelle che per lor vera bontade
non seguon de le piu lo stile avaro,
vivendo degne son d'esser contente;
gloriose e immortal poi che fian spente.
II
Degna d'eterna laude e Bradamante,
che non amo tesor, non am6 impero,
ma la virtu, ma l'animo prestante,
ma Talta gentilezza di Ruggiero;
e merito che ben le fosse amante
un cosi valoroso cavalliero,
e per piacere a lei facesse cose
nei secoli avenir miracolose.
in
Ruggier, come di sopra vi fu detto,
coi duo di Chiaramonte era venuto,
dico con Aldigier, con Ricciardetto,
per dare ai duo fratei prigioni aiuto.
Vi dissi ancor che di superbo aspetto
venire un cavalliero avean veduto,
che portava Paugel che si rinuova,
e sempre unico al mondo si ritrova.
CANTO VENTESIMOSESTO 657
IV
Come di questi il cavalier s'accorse,
che stavan per ferir quivi su 1'ale,
in prova disegn6 di voler porse,
s'alla sembianza avean virtude uguale.
— £ di voi — disse loro — alcuno forse
che provar voglia chi di noi piu vale
a' colpi o de la lancia o de la spada,
fin che Tun resti in sella e Faltro cada?
v
— Farei — disse Aldigier — teco, o volessi
menar la spada a cerco, o correr Pasta;
ma un'altra impresa, che se qui tu stessi
veder potresti, questa in modo guasta,
ch'a parlar teco, non che ci traessi
a correr giostra, a pena tempo basta:
seicento uomini al varco, o piu, attendiamo,
coi qua' d'oggi provarci obligo abbiamo.
VI
Per tor lor duo de' nostri che prigioni
quinci trarran, pietade e amor n'ha mosso. —
E seguit6 narrando le cagioni
che li fece venir con 1'arme indosso.
— Si giusta e questa escusa che m'opponi, —
disse il guerrier — che contradir non posso;
e fo certo giudicio che voi siate
tre cavallier che pochi pari abbiate.
VII
lo chiedea un colpo o dui con voi scontrarme,
per veder quanto fosse il valor vostro;
ma quando all'altrui spese dimostrarme
lo vogliate, mi basta, e piu non giostro.
Vi priego ben, che por con le vostr'arme
^uest'elmo io possa e questo scudo nostro;
e spero dimostrar, se con voi vegno,
che di tal compagnia non sono indegno. —
658 ORLANDO FURIOSO
VIII
Parmi veder ch'alcun saper desia
il nome di costui, che quivi giunto
a Ruggiero e a' compagni si offeria
compagno d'arme al periglioso punto.
Costei (non piu costui detto vi sia)
era Marfisa che diede Passunto
al misero Zerbin de la ribalda
vecchia Gabrina ad ogni mal si calda.
IX
I duo di Chiaramonte e il buon Ruggiero
Paccettar volentier ne la lor schiera,
ch'esser credeano certo un cavalliero,
e non donzella, e non quella ch'ella era.
Non molto dopo scoperse Aldigiero
e veder fe' ai compagni una bandiera
che facea Paura tremolare in volta,
e molta gente intorno avea raccolta.
E poi che piu lor fur fatti vicini,
e che meglio notar Pabito moro,
conobbero che gli eran Saracini,
e videro i prigioni in mezzo a loro
legati e tratti su piccol ronzini
aj Maganzesi, per cambiarli in oro.
Disse Marfisa agli altri : — Ora che resta,
poi che son qui, di cominciar la festa? —
XI
Ruggier rispose : — GPinvitati ancora
non ci son tutti, e manca una gran parte.
Gran ballo s'apparecchia di fare ora;
e perche sia solenne, usiamo ogn'arte:
ma far non ponno omai lunga dimora. —
Cosi dicendo, veggono in disparte
venire i traditori di Maganza:
si ch'eran presso a cominciar la danza.
CANTO VENTESIMOSESTO 659
XII
Giungean da 1'una parte i Maganzesi,
e conducean con loro i muli carchi
d'oro e di vesti e d'altri ricchi arnesi;
da 1'altra in mezzo a lance, spade et archi,
venian dolenti i duo germani presi,
che si vedeano essere attesi ai varchi:
e Bertolagi, empio inimico loro,
udian parlar col capitano Moro.
XIII
Ne di Buovo il figliuol ne quel d'Amone,
veduto il Maganzese, indugiar puote:
la lancia in resta Tuno e 1'altro pone,
e Puno e Taltro il traditor percuote.
L'un gli passa la pancia e '1 primo arcione,
e 1'altro il viso per mezzo le gote.
Cosi n'andasser pur tutti i malvagi,
come a quei colpi n'and6 Bertolagi.
XIV
Marfisa con Ruggiero a questo segno
si muove, e non aspetta altra trombetta;
n6 prima rompe 1'arrestato legno,
che tre Tun dopo 1'altro in terra getta.
De 1'asta di Ruggier fu il pagan degno,
che guid6 gli altri, e usci di vita in fretta;
e per quellst medesima con lui
uno et un altro and6 nei regni bui.
xv
Di qui nacque un error tra gli assaliti,
che lor caus6 lor ultima ruina.
Da un lato i Maganzesi esser traditi
credeansi da la squadra saracina;
da 1'altro i Mori in tal modo feriti,
1'altra schiera chiamavano assassina:
e tra lor cominciar con fiera clade
a tirare archi e a menar lancie e spade.
660 ORLANDO FURIOSO
XVI
Salta ora in questa squadra et ora in quella
Ruggiero, e via ne toglie or dieci or venti:
altritanti per man de la donzella
di qua e di la ne son scemati e spenti.
Tanti si veggon gir morti di sella,
quanti ne toccan le spade taglienti,
a cui dan gli elmi e le corazze loco,
come nel bosco i secchi legni al fuoco.
XVII
Se mai d'aver veduto vi raccorda,
o rapportato v'ha fama aU'orecchie,
come allor che '1 collegio si discorda,
e vansi in aria a far guerra le pecchie,
entri fra lor la rondinella ingorda,
e mangi e uccida e guastine parecchie ;
dovete imaginar che similmente
Ruggier fosse e Marfisa in quella gente.
XVIII
Non cosi Ricciardetto e il suo cugino
tra le due genti variavan danza,
per che, lasciando il campo saracino,
sol tenean 1'occhio all'altro di Maganza.
II fratel di Rinaldo paladino
con molto animo avea molta possanza,
e quivi raddoppiar glie la facea
Todio che contra ai Maganzesi avea.
XIX
Facea parer questa medesma causa
un leon fiero il bastardo di Buovo,
che con la spada senza indugio e pausa
fende ogn'elmo, o lo schiaccia come un ovo.
E qual persona non saria stata ausa,
non saria comparita un Ett6r nuovo,
Marfisa avendo in compagnia e Ruggiero,
ch'eran la scelta e '1 fior d'ogni guerriero ?
CANTO VENTESIMOSESTO 66l
XX
Marfisa tuttavolta combattendo,
spesso ai compagni gli occhi rivoltava;
e di lor forza paragon vedendo,
con maraviglia tutti li lodava:
ma di Ruggier pur il valor stupendo
e senza pari al mondo le sembrava;
e talor si credea che fosse Marte
sceso dal quinto cielo in quella parte.
XXI
Mirava quelle orribili percosse,
miravale non mai calare in fallo:
parea che contra Balisarda fosse
il ferro carta e non duro metallo.
Gli elmi tagliava e le corazze grosse,
e gli uomini fendea fin sul cavallo,
e li mandava in parte uguali al prato,
tanto da Fun quanto da Faltro lato.
XXII
Continuando la medesma botta,
uccidea col signore il cavallo anche.
I capi dalle spalle alzava in frotta,
e spesso i busti dipartia da Tanche.
Cinque e piu a un colpo ne tagli6 talotta:
e se non che pur dubito che manche
credenza al ver c'ha faccia di menzogna,
di piu direi; ma di men dir bisogna.
XXIII
II buon Turpin, che sa che dice il vero,
e lascia creder poi quel ch'a Puom piace,
narra mirabil cose di Ruggiero,
ch'udendolo il direste voi mendace.
Cosi parea di ghiaccio ogni guerriero
contra Marfisa, et ella ardente face;
e non men di Ruggier gli occhi a s6 trasse,
ch'ella di lui Falto valor mirasse.
662 ORLANDO FURIOSO
XXIV
E s'ella lui Marte stimato avea,
stimato egli avria lei forse Bellona,
se per donna cosi la conoscea,
come parea il contrario alia persona.
E forse emulazion tra lor nascea
per quella gente misera, non buona,
ne la cui carne e sangue e nervi et ossa
fan prova chi di loro abbia piu possa.
xxv
Basto di quattro Tanimo e il valore
a far ch'un campo e 1'altro andasse rotto.
Non restava arme, a chi fuggia, migliore
che quella che si porta piu di sotto.
Beato chi il cavallo ha corridore,
ch'in prezzo non e quivi ambio ne trotto;
e chi non ha destrier, quivi s'avede
quanto il mestier de 1'arme e tristo a piede.
XXVI
Riman la preda e '1 campo ai vincitori,
che non e fante o mulatier che resti.
La Maganzesi, e qua fuggono i Mori :
quei lasciano i prigion, le some questi.
Furon, con lieti visi e piu coi cori,
Malagigi e Viviano a scioglier presti ;
non fur men diligenti a sciorre i paggi,
e por le some in terra e i carriaggi.
XXVII
Oltre una buona quantita d'argento
ch'in diverse vasella era formato,
et alcun muliebre vestimento
di lavoro bellissimo fregiato,
e per stanze reali un paramento
d'oro e di seta in Fiandra lavorato,
et altre cose ricche in copia grande;
fiaschi di vin trovar, pane e vivande.
CANTO VENTESIMOSESTO 663
XXVIII
Al trar degli elmi, tutti vider come
avea lor dato aiuto una donzella:
fu conosciuta all'auree crespe chiorne
et alia faccia delicata e bella.
L'onoran molto, e pregano che Jl nome
di gloria degno non asconda; et ella,
che sempre tra gli amici era cortese,
a dar di se notizia non contese.
XXIX
Non si ponno saziar di riguardarla;
che tal vista Favean ne la battaglia.
Sol mira ella Ruggier, sol con lui parla:
altri non prezza, altri non par che vaglia.
Vengono i send intanto ad invitarla
coi compagni a goder la vettovaglia,
ch'apparecchiata avean sopra una fonte
che difendea dal raggio estivo un monte.
XXX
Era una de le fonti di Merlino,
de le quattro di Francia da lui fatte,
d'intorno cinta di bel marmo fino,
lucido e terso, e bianco piu che latte.
Quivi d' intaglio con lavor divino
avea Merlino imagini ritratte:
direste che spiravano e, se prive
non fossero di voce, ch'eran vive.
XXXI
Quivi una bestia uscir de la foresta
. parea, di crudel vista, odiosa e brutta,
ch'avea Porecchie d'asino, e la testa
di lupo e i denti, e per gran fame asciutta:
branche avea di leon; Taltro che resta,
tutto era volpe; e parea scorrer tutta
e Francia e Italia e Spagna et Inghelterra,
TEuropa e PAsia, e al fin tutta la terra.
664 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Per tutto avea genti ferite e morte,
la bassa plebe e i piu superbi capi:
anzi nuocer parea molto piu forte
a re, a signori, a principi, a satrapi.
Peggio facea ne la romana corte,
che v'avea uccisi cardinali e papi:
contaminate avea la bella sede
di Pietro, e messo scandol ne la fede.
xxxni
Par che dinanzi a questa bestia orrenda
cada ogni muro, ogni ripar che tocca.
Non si vede citta che si difenda:
se Papre incontra ogni castello e rocca.
Par che agli onor divini anco s'estenda,
e sia adorata da la gente sciocca,
e che le chiavi s'arroghi d'avere
del cielo e de Fabisso in suo potere.
xxxiv
Poi si vedea d'imperiale alloro
cinto le chiome un cavallier venire
con tre giovini a par, che i gigli d'oro
tessuti avean nel lor real vestire;
e con insegna simile con loro
parea un leon contra quel mostro uscire :
avean lor nomi chi sopra la testa,
e chi nel lembo scritto de la vesta.
xxxv
L'un ch'avea fin a 1'elsa ne la pancia
la spada immersa alia maligna fera,
Francesco primo avea scritto di Francia;
Massimigliano d' Austria a par seco era;
e Carlo quinto imperator di lancia
avea passato il mostro alia gorgiera;
e 1'altro, che di stral gli fige il petto,
Fottavo Enrigo d'Inghilterra e detto.
CANTO VENTESIMOSESTO 665
XXXVI
Decimo ha quel Leon scritto sul dosso,
ch'al brutto mostro i denti ha ne Torecchi;
e tanto Tha gia travagliato e scosso,
che vi sono arrivati altri parecchi.
Parea del mondo ogni timor rimosso;
et in emenda degli errori vecchi
nobil gente accorrea, non per6 molta,
onde alia belva era la vita tolta.
XXXVII
I cavallieri stavano e Marfisa
con desiderio di conoscer questi,
per le cui mani era la bestia uccisa,
che fatti avea tanti luoghi atri e mesti.
Avenga che la pietra fosse incisa
dei nomi lor, non eran manifesti.
Si pregavan tra lor che se sapesse
Tistoria alcuno, agli altri la dicesse.
XXXVIII
Volto Viviano a Malagigi gli occhi,
che stava a udire, e non facea lor motto:
— A te — disse — narrar Pistoria tocchi,
ch'esser ne dei, per quel ch'io vegga, dotto.
Chi son costor che con saette e stocchi
e lance a morte han Panimal condojto ? —
Rispose Malagigi : — Non e istoria
di ch'abbia autor fin qui fatto memoria.
xxxix
Sappiate che costor che qui scritto hanno
nel marmo i nomi, al mondo mai non furo;
ma fra settecento anni vi saranno
con grande onor del secolo futuro.
Merlino, il savio incantator britanno,
fe' far la fonte al tempo del re Arturo;
e di cose ch'al mondo hanno a venire,
la fe' da buoni artefici scolpire.
666 ORLANDO FURIOSO
XL
Questa bestia crudele usci del fondo
de lo 'nferno a quel tempo che fur fatti
alle campagne i termini, e fu il pondo
trovato e la misura, e scritti i patti.
Ma non and6 a principio in tutto '1 mondo :
di se lascio molti paesi intatti.
Al tempo nostro in molti lochi sturba;
ma i populari offende e la vil turba.
XLI
Dal suo principio infin al secol nostro
sempre e cresciuto, e sempre andra crescendo:
sempre crescendo, al lungo andar fia il mostro
il maggior che mai fosse e lo piu orrendo.
Quel Fiton che per carte e per inchiostro
s'ode che fu si orribile e stupendo,
alia meta di questo non fu tutto,
ne tanto abominevol ne si brutto.
XLII
Fara strage crudel, ne sara loco
che non guasti, contamini et infetti:
e quanto mostra la scultura, e poco
de' suoi nefandi e abominosi effetti.
Al mondo, di gridar merce gia roco,
questi dei quali i nomi abbiamo letti,
che chiari splenderan piu che piropo,
verranno a dare aiuto al maggior uopo.
XLIII
Alia fera crudele il piu molesto
non sara di Francesco il re dej Franchi:
e ben convien che molti ecceda in questo,
e nessun prima e pochi n'abbia a' fianchi;
quando- in splendor real, quando nel resto
di virtu fara molti parer manchi,
che gia parver compiuti; come cede
tosto ogn'altro splendor che '1 sol si vede.
CANTO VENTESIMOSESTO 667
XLIV
L'anno primier del fortunate regno,
non ferma ancor ben la corona in fronte,
passera 1'Alpe, e rompera il disegno
di chi alFincontro avra occupato il monte,
da giusto spinto e generoso sdegno,
che vendicate ancor non sieno Tonte
che dal furor da paschi e mandre uscito
1'esercito di Francia avra patito.
XLV
E quindi scendera nel ricco piano
di Lombardia, col fior di Francia intorno,
e si PElvezio spezzera, ch'invano
fara mai piu pensier d'alzare il corno.
Con grande e de la Chiesa e de 1'ispano
campo e del fiorentin vergogna e scorno
espugnera il castel che prima stato
sara non espugnabile stimato.
XLVI
Sopra ogn'altr'arme, ad espugnarlo molto
piii gli varra quella onorata spada
con la qual prima avra di vita tolto
il monstro corruttor d'ogni contrada.
Convien ch'inanzi a quella sia rivolto
in fuga ogni stendardo, o a terra vada;
n6 fossa, ne ripar, ne grosse mura
possan da lei tener citta sicura.
XLVII
Questo principe avra quanta ecccellenza
aver felice imperator rnai debbia:
Fanimo del gran Cesar, la prudenza
di chi mostrolla a Transimeno e a Trebbia,
con la fortuna d'Alessandro, senza
cui saria fumo ogni disegno, e nebbia.
Sara si liberal, ch'io lo contemplo
qui non aver ne paragon ne esemplo. —
668 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Cosi diceva Malagigi, e messe
desire a' cavalier d'aver contezza
del nome d'alcun altro ch'uccidesse
1'infernal bestia, uccider gli altri avezza.
Quivi un Bernardo tra' primi si lesse,
che Merlin molto nel suo scritto apprezza.
— Fia nota per costui — dicea — Bibiena,
quanto Fiorenza sua vicina e Siena. —
XLIX
Non mette piede inanzi ivi persona
a Sismondo, a Giovanni, a Ludovico:
un Gonzaga, un Salviati, un d'Aragona,
ciascuno al brutto mostro aspro nimico.
V'e Francesco Gonzaga, ne abandona
le sue vestigie il figlio Federico;
et ha il cognato e il genero vicino,
quel di Ferrara, e quel duca d'Urbino.
L
De 1'un di questi il figlio Guidobaldo
non vuol che '1 padre o ch'altri a dietro il metta.
Con Otobon dal Flisco, Sinibaldo
caccia la fera, e van di pari in fretta.
Luigi da Gazolo il ferro caldo
fatto nel collo le ha d'una saetta
che con Farco gli die Febo, quando anco
Marte la spada sua gli messe al fianco.
LI
Duo Erculi, duo Ippoliti da Este,
un altro Ercule, un altro Ippolito anco,
da Gonzaga, de' Medici, le peste
seguon del mostro, e Fhan cacciando stanco.
Ne Giuliano al figliuol, ne par che reste
Ferrante al fratel dietro ; ne che manco
Andrea Doria sia pronto; ne che lassi
Francesco Sforza ch'ivi uomo lo passi.
CANTO VENTESIMOSESTO 669
LII
Del generoso, illustre e chiaro sangue
d'Avalo vi son dui c'han per insegna
lo scoglio, che dal capo ai piedi d'angue
par che Fempio Tifeo sotto si tegna.
Non e di questi duo, per fare esangue
Torribil mostro, che piii inanzi vegna:
Tuno Francesco di Pescara invitto,
Paltro Alfonso del Vasto ai piedi ha scritto.
LIII
Ma Consalvo Ferrante ove ho lasciato,
Fispano onor, ch'in tanto pregio v'era,
che fu da Malagigi si lodato,
che pochi il pareggiar di quella schiera?
Guglielmo si vedea di Monferrato
fra quei che morto avean la brutta fera;
et eran pochi verso gPinfiniti
ch'ella v'avea chi morti e chi feriti.
LIV
In giuochi onesti e parlamenti lieti,
dopo mangiar, spesero il caldo giorno,
corcati su fimssimi tapeti
tra gli arbuscelli ond'era il rivo adorno.
Malagigi e Vivian, perche quieti
piu fosser gli altri, tenean 1'arrne intorno;
quando una donna senza compagnia
vider, che verso lor ratto venia.
LV
Questa era quella Ippalca a cui fu tolto
Frontino, il bon destrier, da Rodomonte.
L'avea il di inanzi ella seguito molto,
pregandolo ora, ora dicendogli onte;
ma non giovando, avea il camin rivolto
per ritrovar Ruggiero in Agrismonte.
Tra via le fu (non so gia come) detto
che quivi il troveria con Ricciardetto.
ORLANDO FURIOSO
LVI
E perche il luogo ben sapea (che v'era
stata altre volte), se ne venne al dritto
alia fontana; et in quella maniera
ve lo trovo, ch'io v'ho di sopra scritto.
Ma come buona e cauta messaggiera
che sa meglio esequir che non Pe ditto,
quando vide il fratel di Bradamante,
non conoscer Ruggier fece sembiante.
LVII
A Ricciardetto tutta rivoltosse,
si come drittamente a lui venisse ;
e quel che la conobbe, se le mosse
incontra, e domand6 dove ne gisse.
Ella ch'ancora avea le luci rosse
del pianger lungo, sospirando disse;
ma disse forte, accio che fosse espresso
a Ruggiero il suo dir, che gli era presso.
LVIII
— Mi traea dietro — disse — per la briglia,
come imposto m'avea la tua sorella,
un bel cavallo e buono a maraviglia,
ch'ella molto ama e che Frontino appella;
e Pavea tratto piu di trenta miglia
verso Marsilia, ove venir debbe ella
fra pochi giorni, e dove ella mi disse
ch'io Paspetassi fin che vi venisse.
LIX
Era si baldanzoso il creder mio,
ch'io non stimava alcim di cor si saldo,
che me Pavesse a tor, dicendogli io
ch'era de la sorella di Rinaldo.
Ma vano il mio disegno ieri m'uscio,
che me lo tolse un Saracin ribaldo;
ne per udir di chi Frontino fusse,
a volermelo rendere s'indusse.
CANTO VENTESIMOSESTO 671
LX
Tutto leri et oggi 1'ho pregato; e quando
ho visto uscir prieghi e minaccie invano,
maledicendol molto e bestemmiando,
Tho lasciato di qui poco lontano,
dove il cavallo e se molto affannando,
s'aiuta quant o pub con Tarme in mano
contra un guerrier ch'in tal travaglio il mette,
che spero ch'abbia a far le mie vendette. —
LXI
Ruggiero a quel parlar salito in piede,
ch'avea potuto a pena il tutto udire,
si volta a Ricciardetto, e per mercede
e premio e guidardon del ben servire
(prieghi aggiungendo senza fin) gli chiede
che con la donna solo il lasci gire,
tanto che '1 Saracin gli sia mostrato
ch'a lei di mano ha il buon destrier levato.
LXII
A Ricciardetto, ancor che disco rtese
il conciedere altrui troppo paresse
di terminar le a s6 debite imprese,
al voler di Ruggier pur si rimesse:
e quel licenzia dai compagni prese,
e con Ippalca a ritornar si messe,
lasciando a quei che rimanean stupore,
non maraviglia pur del suo valore.
LXIII
Poi che dagli altri allontanato alquanto
Ippalca Tebbe, gli narro ch'ad esso
era mandata da colei che tanto
avea nel core il suo valore impresso;
e senza finger piu, seguit6 quanto
la sua donna al partir le avea commesso,
e che se dianzi avea altrimente detto,
per la presenzia fu di Ricciardetto.
672 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Disse che chi le avea tolto il destriero
ancor detto Pavea con molto orgoglio:
— Perche so che '1 cavallo e di Ruggiero,
piu volontier per questo te lo toglio.
S'egli di racquistarlo avra pensiero,
fagli saper (ch'asconder non gli voglio)
ch'io son quel Rodomonte il cui valore
mostra per tutto '1 mondo il suo splendore. —
LXV
Ascoltando, Ruggier mostra nel volto
di quanto sdegno acceso il cor gli sia,
si perche caro avria Frontino molto,
si perche venia il dono onde venia,
si perche in suo dispregio gli par tolto.
Vede che biasmo e disonor gli fia,
se t6rlo a Rodomonte non s'affretta,
e sopra lui non fa degna vendetta.
LXVI
La donna Ruggier guida, e non soggiorna,
che por lo brama col Pagano a fronte;
e giunge ove la strada fa dua corna:
1'un va giu al piano, e 1'altro va su al monte;
e questo e quel ne la vallea ritorna,
dov'ella avea lasciato Rodomonte.
Aspra, ma breve era la via del colle;
1'altra piu lunga assai, ma piana e molle.
LXVII
II desiderio che conduce Ippalca
d'aver Frontino e vendicar 1'oltraggio,
fa che '1 sentier de la montagna calca,
onde molto piu corto era il viaggio.
Per Taltra intanto il re d'Algier cavalca
col Tartaro e cogli altri che detto aggio;
e giu nel pian la via piu facil tiene,
ne con Ruggiero ad incontrar si viene.
CANTO VENTESIMOSESTO 673
LXVIII
Gia son le lor querele differite
fin che soccorso ad Agramante sia
(questo sapete); et han d'ogni lor lite
la cagion, Doralice, in compagnia.
Ora il successo de Pistoria udite.
Alia fontana e la lor dritta via,
ove Aldigier, Marfisa, Ricciardetto,
Malagigi e Vivian stanno a diletto.
LXIX
Marfisa a' prieghi de' compagni avea
veste da donna et ornamenti presi,
di quelli ch'a Lanfusa si credea
mandare il traditor de5 Maganzesi;
e ben che veder raro si solea
senza 1'osbergo e gli altri buoni arnesi,
pur quel di se li trasse; e come donna,
a' prieghi lor Iasci6 vedersi in gonna.
LXX
Tosto che vede il Tartaro Marfisa,
per la credenza c'ha di guadagnarla,
in ricompensa e in cambio ugual s'avisa
di Doralice, a Rodomonte darla;
si come Amor si regga a questa guisa,
che vender la sua donna o permutarla
possa Pamante, ne a ragion s'attrista,
se quando una ne perde, una n'acquista.
LXXI
Per dunque provedergli di donzella,
acci6 per se quest'altra si ritegna,
Marfisa, che gli par leggiadra e bella,
e d'ogni cavallier femina degna,
come abbia ad aver questa, come quella,
subito cara, a lui donar disegna;
e tutti i cavallier che con lei vede,
a giostra seco et a battaglia chiede.
674 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Malagigi e Vivian, che 1'arme aveano
come per guardia e sicurta del resto,
si mossero dal luogo ove sedeano,
Tun come Paltro alia battaglia presto,
perche giostrar con amenduo credeano;
ma I1 African che non venia per questo,
non ne fe' segno o movimento alcuno:
si che la giostra rest6 lor contra uno.
LXXIII
Viviano 6 il primo, e con gran cor si muove,
e nel venire abbassa un'asta grossa:
e '1 re pagan da le famose pruove
da 1'altra parte vien con maggior possa.
Dirizza Funo e 1'altro, e segna dove
crede meglio fermar 1'aspra percossa.
Viviano indarno a 1'elmo il pagan fere;
che non lo fa piegar, non che cadere.
LXXIV
II re pagan, ch'avea piu Tasta dura,
fe' lo scudo a Vivian parer di ghiaccio;
e fuor di sella in mezzo alia verdura,
all'erbe e ai fiori il fe' cadere in braccio.
Vien Malagigi, e ponsi in aventura
di vendicare il suo fratello avaccio;
ma poi d'andargli appresso ebbe tal fretta,
che gli fe' compagnia piu che vendetta.
LXXV
L'altro fratel fu prima del cugino
colParme indosso, e sul destrier salito;
e disfidato contra il Saracino
venne a scontrarlo a tutta briglia ardito,
Rison6 il colpo in mezzo a 1'elmo fino
di quel pagan sotto la vista un dito :
volo al ciel 1'asta in quattro tronchi rotta;
ma non mosse il pagan per quella botta.
CANTO VENTESIMOSESTO 675
LXXVI
II pagan ferl lui dal lato manco;
e perche il colpo fu con troppa forza,
poco lo scudo e la corazza manco
gli valse, che s'aprir come una scorza.
Pass6 il ferro crudel Tomero bianco:
pieg6 Aldigier ferito a poggia e ad orza;
tra fiori et erbe al fin si vide avolto,
rosso su Parme e pallido nel volto.
LXXVII
Con molto ardir vien Ricciardetto appresso;
e nel venire arresta si gran lancia,
che mostra ben, come ha mostrato spesso,
che degnamente e paladin di Francia:
et al pagan ne facea segno espresso,
se fosse stato pari alia bilancia;
ma sozzopra n'and6, perche il cavallo
gli cadde adosso, e non gia per suo fallo.
LXXVIII
Poi ch'altro cavallier non si dimostra,
ch'al pagan per giostrar volti la fronte,
pensa aver guadagnato de la giostra
la donna, e venne a lei presso alia fonte;
e disse : — Damigella, sete nostra,
s'altri non e per voi ch'in sella monte.
Nol potete negar, ne fame iscusa;
che di ragion di guerra cosi s'usa. —
LXXIX
Marfisa, alzando con un viso altiero
la faccia, disse : — II tuo parer molto erra.
lo ti concedo che diresti il vero,
ch'io sarei tua per la ragion di guerra,
quando mio signor fosse o cavalliero
alcun di questi c'hai gittato in terra,
lo sua non son, ne d'altri son che mia:
dunque me tolga a me chi mi desia.
676 ORLANDO FURIOSO
LXXX
So scudo e lancia adoperare anch'io,
e piu d'un cavalliero in terra ho posto.
Datemi Parme, — disse — e il destrier mio — ,
agli scudier che Pubbidiron tosto.
Trasse la gonna, et in farsetto uscio ;
e le belle fattezze e il ben disposto
corpo mostro, ch'in ciascuna sua parte,
fuor che nel viso, assimigliava a Marte.
LXXXI
Poi che fu armata, la spada si cinse
e sul destrier monto d'un leggier salto ;
e qua e la tre volte e piu lo spinse,
e quinci e quindi fe' girare in alto;
e poi sfidando il Saracino strinse
la grossa lancia, e cominci6 1'assalto.
Tal nel campo troian Pentesilea
contra il tessalo Achille esser dovea.
LXXXII
Le lance infin al calce si fiaccaro
a quel superbo scontro, come vetro;
ne per6 chi le corsero, piegaro,
che si notasse, un dito solo a dietro.
Marfisa che volea conoscer chiaro
s'a piu stretta battaglia simil metro
le serverebbe contra il fier pagano,
se gli rivolse con la spada in mano.
LXXXIII
Bestemmi6 il cielo e gli elementi il crudo
pagan, poi che restar la vide in sella:
ella, che gli pens6 romper lo scudo,
non men sdegnosa contra il ciel favella.
Gia Tuno e Paltro ha in mano il ferro nudo,
e su le fatal arme si martella:
1'arme fatali han parimente intorno,
che mai non bisognar piu di quel giorno.
CANTO VENTESIMOSESTO 677
LXXXIV
Si buona e quella piastra e quella maglia,
che spada o lancia non le taglia o fora;
si che potea seguir 1'aspra battaglia
tutto quel giorno e 1'altro appresso ancora.
Ma Rodomonte in mezzo lor si scaglia,
e riprende il rival de la dimora,
dicendo: — Se battaglia pur far vuoi,
finian la cominciata oggi fra noi.
LXXXV
Facemmo, come sai, triegua con patto
di dar soccorso alia milizia nostra.
Non debbian, prima che sia questo fatto,
incominciare altra battaglia o giostra. —
Indi a Marfisa, riverente in atto
si volta, e quel messaggio le dimostra;
e le racconta come era venuto
a chieder lor per Agramante aiuto.
LXXXVI
La priega poi che le piaccia non solo
lasciar quella battaglia o differire,
ma che voglia in aiuto del figliuolo
del re Troian con essi lor venire;
onde la fama sua con maggior volo
potra far meglio infin al ciel salire,
che per querela di poco momento
dando a tanto disegno impedimento.
LXXXVII
Marfisa, che fu sempre disiosa
di provar quei di Carlo a spada e a lancia,
ne 1'avea indotta a venire altra cosa
di si lontana regione in Francia,
se non per esser certa se famosa
lor nominanza era per vero o ciancia,
tosto d'andar con lor partito prese
che d' Agramante il gran bisogno intese.
678 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
Ruggiero in questo mezzo avea seguito
indarno Ippalca per la via del monte;
e trov6, giunto al loco, che partito
per altra via se n'era Rodomonte:
e pensando che lungi non era ito,
e che '1 sentier tenea dritto alia fonte,
trottando in fretta dietro gli venia
per Forme ch'eran fresche in su la via.
LXXXIX
Volse che Ippalca a Montalban pigliasse,
la via, ch'una giornata era vicino;
perche s'alla fontana ritornasse,
si torria troppo dal dritto camino.
E disse a lei che gia non dubitasse
che non s'avesse a ricovrar Frontino:
ben le farebbe a Montalbano, o dove
ella si trovi, udir tosto le miove.
xc
E le diede la lettera che scrisse
in Agrismonte, e che si port6 in seno;
e molte cose a bocca anco le disse,
e la prego che 1'escusasse a pieno.
Ne la memoria Ippalca il tutto fisse,
prese licenzia e volt6 il palafreno;
e non cess6 la buona messaggiera
ch'in Montalban si ritrov6 la sera.
xci
Seguia Ruggiero in fretta il Saracino
per Tonne ch'apparian ne la via piana,
ma non lo giunse prima che vicino
con Mandricardo il vide alia fontana.
Gia promesso s'avean che per camino
Tun non farebbe all'altro cosa strana,
ne fin ch'al campo si fosse soccorso,
a cui Carlo era appresso a porre il morso.
CANTO VENTESIMOSESTO 679
XCII
Quivi giunto Ruggier Frontin conobbe,
e conobbe per lui chi adosso gli era;
e su la lancla fe' le spalle gobbe,
e sfido 1? African con voce altiera.
Rodomonte quel di fe* piu che lobbe,
poi che dom6 la sua superbia fiera;
e ricus6 la pugna ch'avea usanza
di sempre egli cercar con ogni instanza.
XCIII
II primo giorno e Tultimo, che pugna
mai ricusasse il re d'Algier, fu questo;
ma tanto il desiderio che si giugna
in soccorso al suo re gli pare onesto,
che se credesse aver Ruggier ne 1'ugna
piu che mai lepre il pardo isnello e presto,
non se vorria fermar tanto con lui,
che fesse un colpo de la spada o dui.
xciv
Aggiungi che sapea ch'era Ruggiero
che seco per Frontin facea battaglia,
tanto famoso, ch'altro cavalliero
non e ch'a par di lui di gloria saglia,
Puom che bramato ha di saper per vero
esperimento quanto in arme vaglia;
e pur non vuol seco accettar Timpresa:
tanto Passedio del suo re gli pesa.
xcv
Trecento miglia sarebbe ito e mille,
se cio non fosse, a comperar tal lite;
ma se Tavesse oggi sfidato Achille,
piu fatto non avria di quel ch'udite:
tanto a quel punto sotto le faville
le fiamme avea del suo furor sopite.
Narra a Ruggier perch<§ pugna rifiuti ;
et anco il priega che 1'impresa aiuti:
68o ORLANDO FURIOSO
XCVI
che facendol, fark quel che far deve
al suo signore un cavallier fedele.
Sempre che questo assedio poi si leve,
avra ben tempo da finir querele.
Ruggier rispose a lui: — Mi sara lieve
differir questa pugna, fin che de le
forze di Carlo si traggia Agramante,
pur che mi rendi il mio Frontino inante.
xcvn
Se di provarti c'hai fatto gran fallo,
e fatto hai cosa indegna ad un uom forte,
d'aver tolto a una donna il mio cavallo,
vuoi ch'io prolunghi fin che siamo in corte,
lascia Frontino, e nel mio arbitrio dallo.
Non pensare altrimente ch'io sopporte
che la battaglia qui tra noi non segua,
o ch'io ti faccia sol d'un'ora triegua. —
XCVIII
Mentre Ruggiero all' African domanda
o Frontino o battaglia allora allora;
e quello in lungo e Funo e 1'altro manda,
ne" vuol dare il destrier, ne far dimora;
Mandricardo ne vien da un'altra banda,
e mette in campo un'altra lite ancora,
poi che vede Ruggier che per insegna
porta Faugel che sopra gli altri regna.
xcix
Nel campo azzur 1'aquila bianca avea,
che de' Troiani fu Pinsegna bella:
perche Ruggier Porigine traea
dal fortissimo Ett6r, portava quella.
Ma questo Mandricardo non sapea;
ne vuol patire, e grande ingiuria appella,
che ne lo scudo un altro debba porre
1'aquila bianca del famoso Ettorre.
CANTO VENTESIMOSESTO 68l
C
Portava Mandricardo similmente
1'augel che rapi in Ida Ganimede.
Come Febbe quel di che fu vincente
al castel periglioso, per mercede,
credo vi sia con 1'altre istorie a mente,
e come quella fata gli lo diede
con tutte le bell'arme che Vulcano
avea gia date al cavallier troiano.
ci
Altra volta a battaglia erano stati
Mandricardo e Ruggier solo per questo;
e per che caso fosser distornati,
io nol dir6; che gia v'& manifesto.
Dopo non s'eran mai piu raccozzati,
se non quivi ora; e Mandricardo presto,
visto lo scudo, alz6 il superbo grido
minacciando, e a Ruggier disse: — Io ti sfido.
en
Tu la mia insegna, temerario, porti;
ne questo e il primo di ch'io te 1'ho detto.
E credi, pazzo, ancor ch'io tel comporti,
per una volta ch'io t'ebbi rispetto ?
Ma poi che ne minaccie ne conforti
ti pon questa follia levar del petto,
ti mostrer6 quanto miglior partito
t'era d'avermi subito ubbidito. —
cm
Come ben riscaldato arrido legno
a piccol soffio subito s'accende,
cosi s'avampa di Ruggier lo sdegno
al primo motto che di questo intende.
— Ti pensi disse farmi stare al segno,
perche quest'altro ancor meco contende?
Ma mostrerotti ch'io son buon per t6rre
Frontino a lui, lo scudo a te d'Ettorre.
682 ORLANDO FURIOSO
CIV
Un'altra volta pur per questo venni
teco a battaglia, e non e gran tempo anco;
ma d'ucciderti allora mi contenni,
perche tu non avevi spada al fianco.
Questi fatti saran, quelli fur cenni;
e mal sara per te quelPaugel bianco,
ch'antiqua insegna e stata di mia gente:
tu te Pusurpi, io '1 porto giustamente.
cv
— Anzi t'usurpi tu 1'insegna mia! —
rispose Mandricardo ; e trasse il brando,
quello che poco inanzi per follia
avea gittato alia foresta Orlando.
II buon Ruggier, che di sua cortesia
non puo non sempre ricordarsi, quando
vide il Pagan ch'avea tratta la spada,
Iasci6 cader la lancia ne la strada.
cvi
E tutto a un tempo Balisarda stringe,
la buona spada, e me' lo scudo imbraccia:
ma FAfricano in mezzo il destrier spinge,
e Marfisa con lui presta si caccia;
e 1'uno questo, e Paltro quel respinge,
e priegano amendui che non si faccia.
Rodomonte si duol che rotto il patto
due volte ha Mandricardo che fu fatto,
evil
Prima, credendo d'acquistar Marfisa,
fermato s'era a far piu d'una giostra;
or per privar Ruggier d'una divisa,
di curar poco il re Agramante mostra.
— Se pur dicea dei fare a questa guisa,
finian prima tra noi la lite nostra,
conveniente e piu debita assai,
ch'alcuna di quest'altre che prese hai.
CANTO VENTESIMOSESTO 683
CVIII
Con tal condizion fu stabilita
la triegua e questo accordo ch'e fra nui.
Come la pugna teco avr6 finita,
poi del destrier risponder6 a costui.
Tu del tuo scudo, rimanendo in vita,
al lite avrai da terminar con lui;
ma ti dar6 da far tanto, mi spero,
che non n'avanzara troppo a Ruggiero.
cix
— La parte che ti pensi, non n'avrai: —
rispose Mandricardo a Rodomonte
— io te ne daro piu che non vorrai,
e ti faro sudar dal pie alia fronte :
e me ne rimarra per darne assai
(come non manca mai 1'acqua del fonte)
et a Ruggiero et a milPartri seco,
e a tutto il mondo che la voglia meco. —
ex
Moltiplicavan Tire e le parole
quando da questo e quando da quel lato:
con Rodomonte e con Ruggier la vuole
tutto in un tempo Mandricardo irato;
Ruggier, ch'oltraggio sopportar non suole,
non vuol piii accordo, anzi litigio e piato;
Marfisa or va da questo or da quel canto
per riparar, ma non pu6 sola tanto.
CXI
Come il villan, se fuor per Palte sponde
trapela il fiume e cerca nuova strada,
frettoloso a vietar che non affonde
i verdi paschi e la sperata biada,
chiude una via et un'altra, e si confonde;
che se ripara quinci che non cada,
quindi vede lassar gli argini molli,
e fuor 1'acqua spicciaf con piu rampolli:
684 ORLANDO FURIOSO
CXII
cosi, mentre Ruggiero e Mandricardo
e Rodomonte son tutti sozzopra,
ch'ognun vuol dimostrarsi piu gagliardo
et ai compagni rimaner di sopra,
Marfisa ad acchetarli have riguardo,
e s'affatica, e perde il tempo e Topra;
che come ne spicca uno e lo ritira,
gli altri duo risalir vede con ira.
CXIII
Marfisa, che volea porgli d'accordo,
dicea:— Signori, udite il mio consiglio:
differire ogni lite e buon ricordo
fin ch'Agramante sia fuor di periglio.
S'ognun vuole al suo fatto essere ingordo,
anch'io con Mandricardo mi ripiglio;
e vo' vedere al fin se guadagnarme,
come egli ha detto, e buon per forza d'arme.
cxiv
Ma se si de' soccorrere Agramante,
soccorrasi, e tra noi non si contenda.
— Per me non si stara d'andare inante, —
disse Ruggier — pur che Jl destrier si renda.
0 che mi dia il cavallo, a far di tante
una parola, o che da me il difenda:
o che qui morto ho da restare, o ch'io
in campo ho da tornar sul destrier mio. —
cxv
Rispose Rodomonte : — Ottener questo
non fia cosi, come quell' altro, lieve. —
E seguit6 dicendo : — lo ti protesto
che s'alcun danno il nostro re riceve,
fia per tua colpa; ch'io per me non resto
di fare a tempo quel che far si deve. —
Ruggiero a quel protesto poco bada;
ma stretto dal furor stringe la spada.
CANTO VENTESIMOSESTO 685
CXVI
Al re d'Algier come cingial si scaglia,
e 1'urta con lo scudo e con la spalla;
e in mo do lo disordina e sbarraglia,
che fa che d'una staffa il pie gli falla.
Mandricardo gli grida: — O la battaglia
differisci, Ruggiero, o meco falla — ;
e crudele e fellon phi che mai fosse,
Ruggier su Felmo in questo dir percosse.
CXVII
Fin sul collo al destrier Ruggier s'inchina,
ne quando vuolsi rilevar si puote;
perche gli sopragiunge la ruina
del figlio d'Ulien che lo percuote.
Se non era di tempra adamantina,
fesso Pelmo gli avria fin tra le gote.
Apre Ruggier le mani per Pambascia,
e Tuna il fren, Taltra la spada lascia.
CXVIII
Se lo porta il destrier per la campagna:
dietro gli resta in terra Balisarda.
Marfisa che quel di fatta compagna
se gli era d'arme, par ch'avampi et arda,
che solo fra que' duo cosi rimagna:
e come era magnanima e gagliarda,
si drizza a Mandricardo, e col potere
ch'avea maggior sopra la testa il fiere.
cxix
Rodomonte a Ruggier dietro si spinge:
vinto e Frontin, s'un'altra gli n'appicca;
ma Ricciardetto con Vivian si stringe,
e tra Ruggiero e '1 Saracin si ficca.
L'uno urta Rodomonte e lo rispinge,
e da Ruggier per forza lo dispicca;
Faltro la spada sua, che fa Viviano,
pone a Ruggier, gia risentito, in mano.
686 ORLANDO FURIOSO
CXX
Tosto che '1 buon Ruggiero in se ritorna,
e che Vivian la spada gli appresenta,
a vendicar I'ingiuria non soggiorna,
e verso il re d'Algier ratto s'aventa,
come il leon che tolto su le corna
dal hue sia stato, e che '1 dolor non senta:
si sdegno et ira et impeto Taffretta,
stimula e sferza a far la sua vendetta.
CXXI
Ruggier sul capo al Saracin tempesta:
e se la spada sua si ritrovasse,
che, come ho detto, al comminciar di questa
pugna, di man gran fellonia gli trasse,
mi credo ch'a difendere la testa
di Rodomonte Felmo non bastasse,
Pelmo che fece il re far di Babelle
quando muover pens6 guerra alle stelle.
cxxn
La Discordia, credendo non potere
altro esser quivi che contese e risse,
ne vi dovesse mai piu luogo avere
0 pace o triegua, alia sorella disse
ch'omai sicuramente a rivedere
1 monachetti suoi seco venisse.
Lascianle andare, e stian noi dove in fronte
Ruggiero avea ferito Rodomonte.
CXXIII
Fu il colpo di Ruggier di si gran forza,
che fece in su la groppa di Frontino
percuoter 1'elmo e quella dura scorza
di ch'avea armato il dosso il Saracino,
e lui tre volte e quattro a poggia e ad orza
piegar per gire in terra a capo chino;
e la spada egli ancora avria perduta,
se legata alia man non fosse suta.
CANTO VENTESIMOSESTO 687
CXXIV
Avea Marfisa a Mandricardo intanto
fatto sudar la fronte, il viso e il petto,
et egli aveva a lei fatto altretanto ;
ma si Tosbergo d'ambi era perfetto,
che mai poter falsarlo in nessun canto,
e stati eran sin qui pari in effetto:
ma in un voltar che fece il suo destriero,
bisogno ebbe Marfisa di Ruggiero.
cxxv
II destrier di Marfisa in un voltarsi
che fece stretto, ov'era molle il prato,
sdrucciolb in guisa, che non pote aitarsi
di non tutto cader sul destro lato;
e nel volere in fretta rilevarsi,
da Brigliador fu pel traverse urtato,
con che il pagan poco cortese venne;
si che cader di nuovo gli convenne.
cxxvi
Ruggier che la donzella a mal partito
vide giacer, non differ! il soccorso,
or che 1'agio n'avea, poi che stordito
da se lontan quell'altro era trascorso:
feri su 1'elmo il Tartaro; e partito
quel colpo gli avria il capo, come un torso,
se Ruggier Balisarda avesse avuta,
o Mandricardo in capo altra barbuta.
cxxvn
II re d'Algier che si risente in questo,
si volge intorno, e Ricciardetto vede;
e si ricorda che gli fu molesto
dianzi, quando soccorso a Ruggier diede.
A lui si drizza, e saria stato presto
a darli del ben fare aspra mercede,
se con grande arte e nuovo incanto tosto
non se gli fosse Malagigi opposto.
688 ORLANDO FURIOSO
CXXVIII
Malagigi, che sa d'ogni malia
quel che ne sappia alcun mago eccellente,
ancor che '1 libro suo seco non sia,
con che fermare il sole era possente,
pur la scongiurazione onde solia
commandare ai demonii aveva a mente:
tosto in corpo al ronzino un ne constringe
di Doralice, et in furor lo spinge.
cxxix
Nel mansueto ubino che sul dosso
avea la figlia del re Stordilano,
fece entrar un degli angel di Minosso
sol con parole il frate di Viviano:
e quel che dianzi mai non s'era mosso,
se non quanto ubidito avea alia mano,
or d'improviso spicc6 in aria un salto,
che trenta pie fu lungo e sedeci alto.
cxxx
Fu grande il salto, non per6 di sorte
che ne dovesse alcun perder la sella.
Quando si vide in alto, grid6 forte
(che si tenne per morta) la donzella.
Quel ronzin, come il diavol se lo porte,
dopo un gran salto se ne va con quella,
che pur grida soccorso, in tanta fretta,
che non 1'avrebbe giunto una saetta.
cxxxi
Da la battaglia il figlio d'Ulieno
si Iev6 al primo suon di quella voce;
e dove furiava il palafreno,
per la donna aiutar n'ando veloce.
Mandricardo di lui non fece meno,
ne piu a Ruggier, ne piu a Marfisa n6ce;
ma senza chieder loro o paci o tregue,
e Rodomonte e Doralice segue.
CANTO VENTESIMOSESTO 689
CXXXII
Marfisa intanto si levo di terra,
e tutta ardendo di disdegno e d'ira,
credesi far la sua vendetta, et erra;
che troppo lungi il suo nimico mira.
Ruggier, ch'aver tal fin vede la guerra,
mgge come un leon, non che sospira.
Ben sanno che Frontino e Brigliadoro
giunger non ponno coi cavalli loro.
cxxxin
Ruggier non vuol cessar fin che decisa
col re d'Algier non Pabbia del cavallo:
non vuol quietar il Tartaro Marfisa,
che provato a suo senno anco non hallo.
Lasciar la sua querela a questa guisa
parrebbe all'uno e alPaltro troppo fallo.
Di commune parer disegno fassi
di chi offesi gli avea seguire i passi.
cxxxiv
Nel campo saracin li troveranno,
quando non possan ritrovarli prima;
che per levar Fassedio iti seranno,
prima che *1 re di Francia il tutto opprima.
Cosi dirittamente se ne vanno
dove averli a man salva fanno stima.
Gia non and6 Ruggier cos! di botto,
che non facesse ai suoi compagni motto.
cxxxv
Ruggier se ne ritorna ove in disparte
era il fratel de la sua donna bella,
e se gli proferisce in ogni parte
amico, per fortuna e buona e fella:
indi lo priega (e lo fa con bella arte)
che saluti in suo nome la sorella;
e questo cosi ben gli venne detto,
che ne a lui die ne agli altri alcun sospetto.
69° ORLANDO FURIOSO
CXXXVI
E da lui, da Vivian, da Malagigi,
dal ferito Aldigier tolse commiato.
Si proferiro anch'essi alii servigi
di lui, debitor sempre in ogni lato.
Marfisa avea si il cor d'ire a Parigi,
che '1 salutar gli amici avea scordato;
ma Malagigi and6 tanto e Viviano,
che pur la salutaron di lontano;
cxxxvu
e cosi Ricciardetto ; ma Aldigiero
giace, e convien che suo mal grado resti.
Verso Parigi avean preso il sentiero
quelli duo prima, et or lo piglian questi.
Dirvi, Signer, ne 1'altro canto spero
miracolosi e sopraumani gesti,
che con danno degli uomini di Carlo
ambe le coppie fer di ch'io vi parlo.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 691
CANTO VENTESIMOSETTIMO
I
Molti consigll de le donne sono
meglio improvise, ch'a pensarvi, usciti;
che questo e speziale e proprio dono
fra tanti e tanti lor dal ciel largiti.
Ma pu6 mal quel degli uomini esser buono,
che mature discorso non aiti,
ove non s'abbia a ruminarvi sopra
speso alcun tempo e molto studio et opra.
ii
Parve, e non fu per6 buono il consiglio
di Malagigi, ancor che (come ho detto)
per questo di grandissimo periglio
liberassi il cugin suo Ricciar detto.
A levare indi Rodomonte e il figlio
del re Agrican, lo spirto avea constretto,
non awertendo che sarebbon tratti
dove i cristian ne rimarrian disfatti.
in
Ma se spazio a pensarvi avesse avuto,
creder si pu6 che dato similmente
al suo cugino avria debito aiuto,
ne fatto danno alia cristiana gente.
Commandare allo spirto avria potuto,
ch'alla via di levante o di ponente
si dilungata avesse la donzella,
che non n'udisse Francia piu novella.
692 ORLANDO FURIOSO
IV
Cosi gli amanti suoi 1'avrian seguita,
come a Parigi, anco in ogn'altro loco;
ma fu questa awertenza inawertita
da Malagigi, per pensarvi poco :
e la Malignita dal ciel bandita,
che sempre vorria sangue e strage e fuoco,
prese la via donde piu Carlo afflisse,
poi che nessuna il mastro gli prescrisse.
II palafren ch'avea il demonio al fianco,
porto la spaventata Doralice,
che non pote arrestarla fiume, e manco
fossa, bosco, parade, erta o pen dice:
fin che per mezzo il campo inglese e franco,
e Taltra moltitudine fautrice
de Tinsegne di Cristo, rassegnata
non 1'ebbe al padre suo re di Granata.
VI
Rodomonte col figlio d'Agricane
la seguitaro il primo giorno im pezzo,
che le vedean le spalle, ma lontane:
di vista poi perderonla da sezzo,
e venner per la traccia, come il cane
la lepre o il capriol trovare avezzo;
ne si fermar, iche furo in parte dove
di lei ch'era col padre ebbono nuove.
VII
Guardati, Carlo, che '1 ti viene adosso
tanto furor, ch'io non ti veggo scampo :
ne questi pur, ma '1 re Gradasso e mosso
con Sacripante a danno del tuo campo.
Fortuna, per toccarti fin alPosso,
ti tolle a un tempo Tuno e Paltro lampo
di forza e di saper, che vivea teco;
e tu rimaso in tenebre sei cieco.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 693
VIII
lo ti dico d* Orlando e di Rinaldo;
che 1'uno al tutto furioso e folle,
al sereno, alia pioggia, al freddo, al caldo,
nudo va discorrendo il piano e Jl colle:
Taltro, con senno non troppo phi saldo,
d'appresso al gran bisogno ti si tolle;
che non trovando Angelica in Parigi,
si parte, e va cercandone vestigi.
IX
Un fraudolente vecchio incantatore
gli fe* (come a principio vi si disse)
creder per un fantastico suo errore
che con Orlando Angelica vemsse:
onde di gelosia tocco nel core,
de la maggior ch'amante mal sentisse,
venne a Parigi, e come apparve in corte,
d'ire in Bretagna gli tocco per sorte.
x
Or fatta la battaglia onde portonne
egli 1'onor d'aver chiuso Agramante,
torno a Parigi, e monister di donne
e case e rocche cerco tutte quante.
Se murata non e tra le colonne,
Favria trovata il curioso amante.
Vedendo al fin ch'ella non v'e n6 Orlando,
amenduo va con gran disio cercando.
XI
Pens6 che dentro Anglante o dentro a Brava
se la godesse Orlando in festa e in giuoco;
e qua e la per ritrovarla andava,
ne in quel la ritrov6 ne in questo loco.
A Parigi di nuovo ritornava,
pensando che tardar dovesse poco
di capitare il paladino al varco;
che '1 suo star fuor non era senza incarco.
694 ORLANDO FURIOSO
XII
Un giorno o duo ne la citta soggiorna
Rinaldo; e poi ch' Orlando non arriva,
or verso Anglante, or verso Brava torna,
cercando se di lui novella udiva.
Cavalca e quando annotta e quando aggiorna,
alia fresca alba e all'ardente ora estiva;
e fa al lume del sole e de la luna
dugento volte questa via, non ch'una.
XIII
Ma Pantiquo aversario, il qua! fece Eva
alFinterdetto pome alzar la mano,
a Carlo un giorno i lividi occhi leva,
che '1 buon Rinaldo era da lui lontano;
e vedendo la rotta che poteva
darsi in quel punto al populo cristiano,
quanta eccellenzia d'arme al mondo fusse
fra tutti i Saracini, ivi condusse.
XIV
Al re Gradasso e al buon re Sacripante,
ch'eran fatti compagni all'uscir fuore
de la piena d} error casa d'Atlante,
di venire in soccorso messe in core
alle genti assediate d'Agramante,
e a distruzion di Carlo imperatore:
et egli per 1'incognite contrade
fe' lor la scorta e agevolo le strade.
xv
Et ad un altro suo diede negozio
d'affrettar Rodomonte e Mandricardo
per le vestigie donde P altro sozio
a condur DoraKce non e tardo.
Ne manda ancora un altro, perche* in ozio
non stia Marfisa ne Ruggier gagliardo:
ma chi guid6 1'ultima coppia tenne
la briglia piii, n6 quando gli altri venne.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 695
XVI
La coppia di Marfisa e di Ruggiero
di mezza ora plu tarda si condusse;
per6 ch'astutamente P angel nero,
volendo agli cristian dar de le busse,
provide che la lite del destriero
per impedire il suo desir non fusse,
che rinovata si saria, se giunto
fosse Ruggiero e Rodomonte a un punto.
XVII
I quattro primi si trovaro insieme
onde potean veder gli alloggiamenti
de 1'esercito oppresso e di chi '1 preme,
e le bandiere in che feriano i venti.
Si consigliaro alquanto; e fur 1'estreme
conclusion dei lor ragionamenti
di dare aiuto, mal grado di Carlo,
al re Agramante, e de Tassedio trarlo.
XVIII
Stringonsi insieme, e prendono la via
per mezzo ove s'alloggiano i cristiani,
gridando Africa e Spagna tuttavia;
e si scopriro in tutto esser pagani.
Pel campo, arme, arme risonar s'udia;
ma menar si sentir prima le mani:
e de la retroguardia una gran frotta,
non ch'assalita sia, ma fugge in rotta.
XIX
L'esercito cristian mosso a tumulto
sozzopra va senza sapere il fatto.
Estima alcun che sia un usato insulto
che Svizzari o Guasconi abbino fatto.
Ma perch' alia piu parte e il caso occulto,
s'aduna insieme ogni nazion di fatto,
altri a suon di tamburo, altri di tromba:
grande 6 Jl rumore, e fin al ciel rimbomba.
696 ORLANDO FURIOSO
XX
II magno imperator, fuor che la testa,
e tutto armato, e i paladini ha presso;
e domandando vien che cosa e questa
che le squadre in disordine gli ha messo;
e minacciando, or questi or quelli arresta;
e vede a molti il viso o il petto fesso,
ad altri insanguinare o il capo o il gozzo,
alcim tornar con mano o braccio mozzo.
XXI
Giunge piu inanzi, e ne ritrova molti
giacere in terra, anzi in vermiglio lago
nel proprio sangue orribilmente involti,
ne giovar lor pub medico ne mago;
e vede dagli busti i capi sciolti
e braccia e gambe con crudele imago;
e ritrova dai primi alloggiamenti
agli ultimi per tutto uornini spenti.
XXII
Dove passato era il piccol drappello,
di chiara fama eternamente degno,
per lunga riga era rimaso quello
al mondo sempre memorabil segno.
Carlo mirando va il crudel macello,
maraviglioso, e pien d'ira e di sdegno,
come alcuno, in cui danno il fulgur venne,
cerca per casa ogni sentier che tenne.
XXIII
Non era agli ripari anco arrivato
del re african questo primiero aiuto,
che con Marfisa fu da un altro lato
I'animoso Ruggier sopravenuto.
Poi ch'una volta o due Tocchio aggirato
ebbe la degna coppia, e ben veduto
qual via piu breve per soccorrer fosse
1'assediato signor, ratto si mosse.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 697
XXIV
Come quando si da fuoco alia mina,
pel lungo solco de la negra polve
licenziosa fiamma arde e camina
si ch'occhio a dietro a pena se le volve;
e qual si sente poi 1'alta ruina
che '1 duro sasso o il grosso muro solve:
cosi Ruggiero e Marfisa veniro,
e tai ne la battaglia si sentiro.
xxv
Per lungo e per traverse a fender teste
incominciaro, e tagliar braccia e spalle
de le turbe che male erano preste
ad espedire e sgombrar loro ilcalle.
C'ha notato il passar de le tempeste,
ch'una parte d'un monte o d'una valle
offende, e 1'altra lascia, s'appresenti
la via di questi duo fra quelle genti.
XXVI
Molti che dal furor di Rodomonte
e di quegli altri primi eran ftiggiti,
Dio ringraziavan ch'avea lor si pronte
gambe concesse, e piedi si espediti;
e poi dando del petto e de la fronte
in Marfisa e in Ruggier, vedean scherniti,
come 1'uom ne per star ne per fuggire,
al suo fisso destin puo contradire.
XXVII
Chi fugge Tun pericolo, rimane
ne Taltro, e paga il fio d'ossa e di polpe.
Cosi cader coi figli in bocca al cane
suol, sperando fuggir, timida volpe,
poi che la caccia de T antique tane
il suo vicin che le da mille colpe,
e cautamente con fumo e con fuoco
turbata Tha da non temuto loco.
698 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
Negli ripari entro de' Saracini
Marfisa con Ruggiero a salvamento.
Quivi tutti con gli occhi al ciel supini
Dio ringraziar del buono awenimento.
Or non v'e piii timor de' paladini :
il piu tristo pagan ne sfida cento;
et e concluso che senza riposo
si torni a fare il campo sanguinoso.
XXIX
Corni, bussoni, timpani moreschi
empieno il ciel di formidabil suoni:
ne Paria tremolare ai venti freschi
si veggon le bandiere e i gonfaloni.
Da Taltra parte i capitan carleschi
stringon con Alamanni e con Britoni
quei di Francia, d'ltalia e d'Inghilterra;
e si mesce aspra e sanguinosa guerra.
XXX
La forza del terribil Rodomonte,
quella di Mandricardo furibondo,
quella del buon Ruggier, di virtu fonte,
del re Gradasso, si famoso al mondo,
e di Marfisa Pintrepida fronte,
col re circasso a nessun mai secondo,
feron chiamar san Gianni e san Dionigi
al re di Francia, e ritrovar Parigi.
XXXI
Di questi cavallieri e di Marfisa
Far dire invitto e la mirabil possa
non fu, Signer, di sorte, non fu in guisa
ch'imaginar, non che descriver possa.
Quindi si pub stimar che gente uccisa
fosse quel giorno, e che crudel percossa
avesse Carlo. Arroge poi con loro
con Ferrau piu d'un famoso Moro.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 699
XXXII
Molti per fretta s'affogaro in Senna
(che '1 ponte non potea supplire a tanti),
e desiar, come Icaro, la penna,
perche la morte avean dietro e davanti.
Eccetto Uggieri e il marchese di Vienna,
i paladin fur presi tutti quanti.
Olivier ritorn6 ferito sotto
la spalla destra, Uggier col capo rotto.
XXXIII
E se, come Rinaldo e come Orlando,
lasciato Brandimarte avesse il giuoco,
Carlo n'andava di Parigi in bando,
se potea vivo uscir di si gran fuoco.
Ci6 che pote, fej Brandimarte, e quando
non pote piu, diede alia furia loco.
Cosi Fortuna ad Agramante arrise,
ch'un'altra volta a Carlo assedio mise.
XXXIV
Di vedovelle i gridi e le querele,
e d'orfani fanciulli e di vecchi orbi,
ne Teterno seren dove Michele
sedea, salir fuor di questi aer torbi;
e gli fecion veder come il fedele
popul preda de' lupi era e de' corbi,
di Francia, d'Inghilterra e di Lamagna,
che tutta avea coperta la campagna.
xxxv
Nel viso s'arrossi P angel beato,
parendogli che mal fosse ubidito
al Creatore, e si chiamo ingannato
da la Discordia perfida e tradito.
D'accender liti tra i pagani dato
le avea 1'assunto, e mal era esequito;
anzi tutto il contrario al suo disegno
parea aver fatto, a chi guardava al segno.
700 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
Come servo fedel, che piu d'amore
che di memoria abondi, e che s'aveggia
aver messo in oblio cosa ch'a core
quanto la vita e Tanima aver deggia,
studia con fretta d'emendar 1'errore,
ne vuol che prima il suo signor lo veggia;
cosi Fangelo a Dio salir non volse,
se de Tobligo prima non si sciolse.
XXXVII
Al monister, dove altre volte avea
la Discordia veduta, drizz6 Tali.
Trovolla ch'in capitulo sedea
a nuova elezion degli ufficiali;
e di veder diletto si prendea
volar pel capo aj frati i breviali.
Le man le pose 1'angelo nel crine,
e pugna e calci le die senza fine.
XXXVIII
Indi le roppe un manico di croce
per la testa, pel dosso e per le braccia.
Merce grida la misera a gran voce,
e le ginocchia al divin nunzio abbraccia.
Michel non 1'abandona, che veloce
nel campo del re d' Africa la caccia;
e poi le dice: — Aspettati aver peggio,
se fuor di questo campo piu ti veggio. —
xxxix
Come che la Discordia avesse rotto
tutto il dosso e le braccia, pur temendo
un'altra volta ritrovarsi sotto
a quei gran colpi, a quel furor tremendo,
corre a pigliare i mantici di botto,
et agli accesi fuochi esca aggiungendo,
et accendendone altri, fa salire
da molti cori un alto incendio d'ire.
CANTO VENTESIMOSETTIMO
XL
E Rodomonte e Mandricardo e insieme
Ruggier n'infiamma si, che inanzi al Moro
li fa tutti venire, or che non preme
Carlo i pagani, anzi il vantaggio e loro.
Le differenzie narrano, et il seme
fanno saper, da cui produtte foro ;
poi del re si rimettono al parere,
chi di lor prima il campo debba avere.
XLI
Marfisa del suo caso anco favella,
e dice che la pugna vuol finire
che comincio col Tartaro; perch' ella
provocata da lui vi fu a venire:
ne, per dar loco alPaltre, volea quella
un'ora, non che un giorno, differire;
ma d'esser prima fa Pinstanzia grande,
ch'alla battaglia il Tartaro domande.
XLII
Non men vuol Rodomonte il primo campo
da terminar col suo rival 1'impresa,
che per soccorrer Fafricano campo
ha gia interrotta, e fin a qui sospesa.
Mette Ruggier le sue parole a campo,
e dice che patir troppo gli pesa
che Rodomonte il suo destrier gli tenga,
e ch'a pugna con lui prima non venga.
XLIII
Per piu intricarla il Tartaro viene anche,
e niega che Ruggiero ad alcun patto
debba Faquila aver da Tale bianche;
e d'ira e di furore & cosi matto,
che vuol, quando dagli altri tre non manche,
combatter tutte le querele a un tratto.
Ne piu dagli altri ancor saria mancato,
se Jl consenso del re vi fosse stato.
702 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Con prieghi il re Agramante e buon ricordi
fa quanto puo, perche la pace segua;
e quando al fin tutti li vede sordi
non volere assentire a pace o a triegua,
va discorrendo come almen gli accordi
si, che Tun dopo Taltro il campo assegua:
e pel miglior partito al fin gli occorre
ch'ognuno a sorte il campo s'abbia a t6rre.
XLV
Fe' quattro brevi porre: un Mandricardo
e Rodomonte insieme scritto ayea;
ne 1'altro era Ruggiero e Mandricardo;
Rodomonte e Ruggier Paltro dicea;
dicea 1'altro Marfisa e Mandricardo.
Indi alParbitrio de Pinstabil dea
li fece trarre: e 1 primo fu il signore
di Sarza a uscir con Mandricardo fuore.
XLVI
Mandricardo e Ruggier fu nel secondo;
nel terzo fu Ruggiero e Rodomonte;
rest6 Marfisa e Mandricardo in fondo,
di che la donna ebbe turbata fronte.
Ne Ruggier piu di lei parve giocondo :
sa che le forze dei duo primi pronte
han tra lor da finir le liti in guisa,
che non ne fia per se ne per Marfisa.
XL VII
Giacea non lungi da Parigi un loco,
che volgea un miglio o poco meno intorno:
lo cingea tutto un argine non poco
sublime, a guisa d'un teatro adorno.
Un castel gia vi fu, ma a ferro e a fuoco
le mura e i tetti et a ruina andorno.
Un simil pu6 vederne in su la strada,
qual volta a Borgo il Parmigiano vada.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 703
XL VIII
In questo loco fu la lizza fatta,
di brevi legni d'ogn'intorno chiusa,
per giusto spazio quadra, al bisogno atta,
con due capaci porte, come s'usa.
Giunto il di ch'al re par che si comb atta
tra i cavallier che non ricercan scusa,
furo appresso alle sbarre in ambi i lati
contra i rastrelli i padiglion tirati.
XLIX
Nel padiglion ch'e piu verso ponente
sta il re d'Algier, c'ha membra di gigante.
Gli pon lo scoglio indosso del serpente
1'ardito Ferrau con Sacripante.
II re Gradasso e Falsiron possente
sono in quell5 altro al lato di levante,
e metton di sua man Tarme troiane
indosso al successor del re Agricane.
L
Sedeva in tribunale amplo e sublime
il re d' Africa, e seco era 1'Ispano;
poi Stordilano, e 1'altre genti prime
che riveria Fesercito pagano.
Beato a chi pon dare argini e cime
d'arbori stanza che gli alzi dal piano!
Grande e la calca, e grande in ogni lato
populo ondeggia intorno al gran steccato.
LI
Eran con la regina di Castiglia
regine e principesse e nobil donne
d'Aragon, di Granata e di Siviglia,
e fin di presso all'atlantee colonne:
tra quai di Stordilan sedea la figlia,
che di duo drappi avea le ricche gonne,
Tun d'un rosso mal tinto, e Paltro verde;
ma '1 primo quasi imbianca e il color perde.
704 ORLANDO FURIOSO
LII
In abito succinta era Marfisa,
qual si convenne a donna et a guerriera.
Termoodonte forse a quella guisa
vide Ippolita ornarsi e la sua schiera.
Gia, con la cotta d'arme alia divisa
del re Agramante, in campo venut'era
Taraldo a far divieto e metter leggi,
che n£ in fatto ne in detto alcun parteggi.
LIII
La spessa turba aspetta disiando
la pugna, e spesso incolpa il venir tar do
dei duo famosi cavallieri; quando
sjode dal padiglion di Mandricardo
alto rumor che vien moltiplicando.
Or sappiate, Signor, che '1 re gagliardo
di Sericana e '1 Tartaro possente
fanno il tumulto e '1 grido che si sente.
LIV
Avendo armato il re di Sericana
di sua man tutto il re di Tartaria,
per porgli al fianco la spada soprana
che gia d' Orlando fu, se ne venia;
quando nel pome scritto Durindana
vide, e 1 quartier ch' Almonte aver solia,
ch'a quel meschin fu tolto ad una fonte
dal giovenetto Orlando in Aspramonte.
LV
Vedendola, fu certo ch'era quella
tanto famosa del signer d'Anglante,
per cui con grand e armata, e la piu bella
che giamai si partisse di Levante,
soggiogato avea il regno di Castella,
e Francia vinta esso pochi anni inante:
ma non pu6 imaginarsi come avenga
ch'or Mandricardo in suo poter la tenga.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 705
LVI
E dimand6gli se per forza o patto
Pavesse tolta al conte, e dove e quando,
E Mandricardo disse ch'avea fatto
gran battaglia per essa con Orlando;
e come finto quel s'era poi matto,
cosi coprire il suo timor sperando,
ch'era d'aver continua guerra meco,
fin che la buona spada avesse seco.
LVII
E dicea ch'imitato avea il castore,
il qual si strappa i genitali sui,
vedendosi alle spalle il cacciatore,
che sa che non ricerca altro da lui.
Gradasso non udi tutto il tenore,
che disse: — Non vo' darla a te ne altrui:
tanto oro, tanto affanno e tanta gente
ci ho speso, che e ben mia debitamente.
LVIII
Cercati pur fornir d'un'altra spada,
ch'io voglio questa, e non ti paia nuovo.
Pazzo o saggio ch' Orlando se ne vada,
averla intendo, ovunque io la ritrovo.
Tu senza testimoni in su la strada
te Tusurpasti: io qui lite ne muovo.
La mia ragion dira mia scimitarra,
e faremo ii giudicio ne la sbarra.
LIX
Prima di guadagnarla t'apparecchia,
che tu Fadopri contra a Rodomonte.
Di comprar prima Tarme e usanza vecchia,
ch'alla battaglia il cavallier s'aflronte.
— Piu dolce suon non mi viene alForecchia, —
rispose alzando il Tartaro la fronte
— che quando di battaglia alcun mi tenta;
ma fa che Rodomonte Io consenta.
706 ORLANDO FURIOSO
LX
Fa che sia tua la prima, e che si tolga
11 re di Sarza la tenzon seconda;
e non ti dubitar ch'io non mi volga,
e ch'a te et ad ogni altro io non risponda. -
Ruggier grido : — Non vo' che si disciolga
il patto, o phi la sorte si confonda:
o Rodomonte in campo prima saglia,
o sia la sua dopo la mia battaglia.
LXI
Se di Gradasso la ragion prevale,
prima acquistar che porre in opra 1'arme;
ne tu 1'aquila mia da le bianche ale
prima usar dei, che non me ne disarme:
ma poi ch'e stato il mio voler gia tale,
di mia sentenza non voglio appellarme,
che sia seconda la battaglia mia,
quando del re d'Algier la prima sia.
LXII
Se turbarete voi 1'ordine in parte,
io totalmente turbarollo ancora.
Io non intendo il mio scudo lasciarte,
se contra me non Io combatti or ora.
— Se Puno e Paltro di voi fosse Marte, —
rispose Mandricardo irato allora
— non saria Tun ne" 1'altro atto a vietarme
la buona spada o quelle nobili arme. —
LXIII
E tratto da la colera, aventosse
col pugno chiuso al re di Sericana;
e la man destra in modo gli percosse,
ch'abandonar gli fece Durindana.
Gradasso, non credendo ch'egli fosse
di cosi folle audacia e cosi insana,
colto improviso fu, che stava a bada,
e tolta si trov6 la buona spada.
CANfO VENTESIMOSETTIMO 707
LXIV
Cosi scornato, di vergogna e d'ira
nel viso avampa, e par che getti fuoco;
e piu PafHige il caso e lo martira,
poi che gli accade in si palese loco.
Bramoso di vendetta si ritira,
a trar la scimitarra, a dietro un poco.
Mandricardo in se tanto si confida,
che Ruggiero anco alia battaglia sfida.
LXV
— Venite pure inanzi amenduo insieme,
e vengane pel terzo Rodomonte,
Africa e Spagna e tutto Tuman seme;
ch'io son per sempremai volger la fronte. —
Cosi dicendo, quel che nulla teme,
mena d'intorno la spada d' Almonte;
lo scudo imbraccia, disdegnoso e fiero,
contra Gradasso e contra il buon Ruggiero.
LXVI
— Lascia la cura a me, — dicea Gradasso
— ch'io guarisca costui de la pazzia.
— Per Dio, — dicea Ruggier — non te la lasso,
ch'esser convien questa battaglia mia.
— Va indietro tu! — Vawi pur tu! — ne passo
per6 tornando, gridan tuttavia;
et attaccossi la battaglia in terzo,
et era per uscirne un strano scherzo,
LXVII
se molti non si fossero interposti
a quel furor, non con troppo consiglio;
ch'a spese lor quasi imparar che costi
voler altri salvar con suo periglio.
Ne tutto '1 mondo mai gli avria composti,
se non venia col re d'Ispagna il figlio
del famoso Troiano, al cui conspetto
tutti ebb on river enzia e gran rispetto.
70S ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Si fe' Agramante la cagione esporre
di questa nuova lite cosi ardente:
poi molto affaticossi per disporre
che per quella giornata solamente
a Mandricardo la spada d'Ettorre
concedesse Gradasso umanamente,
tanto ch'avesse fin 1'aspra contesa
ch'avea gia incontra a Rodomonte presa.
LXIX
Mentre studia placarli il re Agramante,
et or con questo et or con quel ragiona;
da 1'altro padiglion tra Sacripante
e Rodomonte un'altra lite suona.
II re circasso (come e detto inante)
stava di Rodomonte alia persona,
et egli e Ferrau gli aveano indotte
Tarme del suo progenitor Nembrotte.
LXX
Et eran poi venuti ove il destriero
facea mordendo il ricco fren spumoso;
io dico il buon Frontin, per cui Ruggiero
stava iracondo e piu che mai sdegnoso.
Sacripante ch'a por tal cavalliero
in campo.avea, mirava curioso
se ben ferrato e ben guernito e in punto
era il destrier, come doveasi a punto.
LXXI
E venendo a guardargli piu a minuto
i segni, le fattezze isnelle et atte,
ebbe, fuor d'ogni dubbio, conosciuto
che questo era il destrier suo Frontalatte,
che tanto caro gia s'avea tenuto,
per cui gia avea mille querele fatte;
e poi che gli fu tolto, un tempo volse
sempre ire a piedi: in modo gliene dolse.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 709
LXXII
Inanzi Albracca glie Tavea Brunello
tolto di sotto quel medesmo giorno
ch'ad Angelica ancor tolse Pannello,
al conte Orlando Balisarda e '1 corno,
e la spada a Marfisa: et avea quello,
dopo che fece in Africa ritorno,
con Balisarda insieme a Ruggier dato,
il qual Tavea Frontin poi nominate.
LXXIII
Quando conobbe non si apporre in fallo,
disse il Circasso, al re d'Algier rivolto:
— Sappi, signor, che questo e mio cavallo,
ch'ad Albracca di furto mi fu tolto.
Bene avrei testimoni da provallo;
ma perche son da noi lontani molto,
s'alcun lo niega, io gli vo' sostenere
con Parme in man le mie parole vere.
LXXIV
Ben son contento, per la compagnia
in questi pochi di stata fra noi,
che prestato il cavallo oggi ti sia,
ch'io veggo ben che senza far non puoi;
per6 con patto, se per cosa mia
e prestata da me conoscer vuoi:
altrimente d'averlo non far stima,
o se non lo combatti meco prima. —
LXXV
Rodomonte, del quale un pin orgoglioso
non ebbe mai tutto il mestier de Parme;
al quale in esser forte e coraggioso
alcuno antico d'uguagliar non panne;
rispose: — Sacripante, ogn'altro ch/oso,
fuor che tu, fosse in tal modo a parlarme,
con suo mal si saria tosto aweduto
che meglio era per lui di nascer muto.
710 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Ma per la compagnia che, come hai detto,
novellamente insieme abbiamo presa,
ti son contento aver tanto rispetto,
ch'io t'ammonisca a tardar questa impresa,
fin che de la battaglia veggi efFetto,
che fra il Tartaro e me tosto fia accesa:
dove porti uno esempio inanzi spero,
ch'avrai di grazia a dirmi: Abbi il destriero.
LXXVII
— Gli e teco cortesia 1'esser villano; —
disse il Circasso pien d'ira e di isdegno
— ma piu chiaro ti dico ora e piu piano,
che tu non faccia in quel destrier disegno :
che te lo defendo io, tanto ch'in mano
questa vindice mia spada sostegno ;
e metter6vi insino 1'ugna e il dente,
se non potro difenderlo altrimente. —
LXXVIII
Venner da le parole alle contese,
ai gridi, alle minaccie, alia battaglia,
che per molt'ira in piu fretta s'accese,
che s'accendesse mai per fuoco paglia.
Rodomonte ha 1'osbergo et ogni arnese,
Sacripante non ha piastra ne maglia;
ma par (si ben con lo schermir s'adopra)
che tutto con la spada si ricuopra.
LXXIX
Non era la possanza e la fierezza
di Rodomonte, ancor ch'era infinita,
piu che la providenza e la destrezza
con che sue forze Sacripante aita.
Non volto ruota mai con piu prestezza
il macigno sovran che '1 grano trita,
che faccia Sacripante or mano or piede
di qua di la, dove il bisogno vede.
CANTO VENTESIMOSETTIMO JII
LXXX
Ma Ferrau, ma Serpentine arditi
trasson le spade, e si cacciar tra loro,
dal re Grandonio, da Isolier seguiti,
da molt'altri signor del popul Moro.
Questi erano i romori, i quali uditi
ne Paltro padiglion fur da costoro,
quivi per accordar venuti invano
col Tartaro, Ruggiero e '1 Sericano.
LXXXI
Venne chi la novella al re Agramante
riport6 certa, come pel destriero
avea con Rodomonte Sacripante
incominciato un aspro assalto e fiero.
II re, confuso di discordie tante,
disse a Marsilio : — Abbi tu qui pensiero
die fra questi guerrier non segua peggio,
mentre all'altro disordine io proveggio. —
LXXXII
Rodomonte, che '1 re, suo signor, mira,
frena Porgoglio, e torna indietro il passo;
ne con minor rispetto si ritira
al venir dj Agramante il re circasso.
Quel domanda la causa di tant'ira
con real viso e parlar grave e basso:
e cerca, poi che n'ha compreso il tutto,
porli d'accordo; e non vi fa alcun frutto.
LXXXIII
II re circasso il suo destrier non vuole
ch'al re d'Algier piu lungamente resti,
se non s'umilia tanto di parole,
che lo venga a pregar che glie lo presti.
Rodomonte, superbo come suole,
gli risponde: — Ne 1 ciel, ne tu faresti
che cosa che per forza aver potessi,
da altri che da me mai conoscessi. —
712 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
II re chiede al Circasso che ragione
ha nel cavallo, e come gli fu tolto:
e quel di parte in parte il tutto espone,
et esponendo s'arrossisce in volto,
quando gli narra che '1 sottil ladrone,
ch'in un alto pensier 1'aveva colto,
la sella su quattro aste gli suffolse,
e di sotto il destrier nudo gli tolse.
LXXXV
Marfisa che tra gli altri al grido venne,
tosto che '1 furto del cavallo udi,
in viso si turb6, che le sovenne
che perde la sua spada ella quel di:
e quel destrier che parve aver le penne
da lei fuggendo, riconobbe qui:
riconobbe anco il buon re Sacripante,
che non avea riconosciuto inante.
LXXXVI
Gli altri ch'erano intorno, e che vantarsi
Brunei di questo aveano udito spesso,
verso lui cominciaro a rivoltarsi,
e far palesi cenni ch'era desso;
Marfisa sospettando, ad informarsi
da questo e da quell'altro ch'avea appresso,
tanto che venne a ritrovar che quello
che le tolse la spada era Brunello:
LXXXVII
e seppe che pel furto onde era degno
che gli annodasse il collo un capestro unto,
dal re Agramante al tingitano regno
fu, con esempio inusitato, assunto.
Marfisa, rinfrescando il vecchio sdegno,
disegno vendicarsene a quel punto,
e punir scherni e scorni che per strada
fatti Pavea sopra la tolta spada.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 713
LXXXVIII
Dal suo scudier 1'elmo allacciar si fece;
che del resto de Farme era guernita.
Senza osbergo io non trovo che mai diece
volte fosse veduta alia sua vita,
dal giorno ch'a portarlo assuefece
la sua persona, oltre ogni fede ardita.
Con 1'elmo in capo ando dove fra i primi
Brunei sedea negli argini sublimi.
LXXXIX
Gli diede a prima giunta ella di piglio
in mezzo il petto, e da terra levollo,
come levar suol col falcato artiglio
talvolta la rapace aquila il polio;
e la dove la lite inanzi al figlio
era del re Troian, cosi portollo.
Brunei, che giunto in male man si vede,
pianger non cessa e domandar mercede.
xc
Sopra tutti i rumor, strepiti e gridi,
di che '1 campo era pien quasi ugualmente,
Brunei, ch'ora pietade ora sussidi
domandando venia, cosi si sente,
ch'al suono dej ramarichi e de' stridi
si fa d'intorno accor tutta la gente.
Giunta inanzi al re d'Africa, Marfisa
con viso altier gli dice in questa guisa:
xci
— Io voglio questo ladro tuo vasallo
con le mie mani impender per la gola,
perche il giorno medesmo che '1 cavallo
a costui tolle, a me la spada invola.
Ma se gli e alcun che voglia dir ch'io fallo,
facciasi inanzi e dica una parola;
ch'in tua presenzia gli voj sostenere
che se ne mente, e ch'io fo il mio dovere.
714 ORLANDO FURIOSO
XCII
Ma perche* si potria forse imputarme
c'ho atteso a farlo in mezzo a tante liti,
mentre che questi piu famosi in arme
d'altre querele son tutti impediti;
tre giorni ad impiccarlo io voj indugiarme:
intanto o vieni, o manda chi Paiti;
che dopo, se non fia chi me lo vieti,
far6 di lui mille uccellacci lieti.
XCIII
Di qui presso a tre leghe a quella torre
che siede inanzi ad un piccol boschetto,
senza piu compagnia mi vado a porre
che d'una mia donzella e d'un valletto.
S'alcuno ardisce di venirmi a t6rre
questo ladron, la venga, ch'io 1'aspetto. —
Cosi disse ella; e dove disse, prese
tosto la via, ne piu risposta attese.
xciv
Sul collo inanzi del destrier si pone
Brunei, che tuttavia tien per le chiome.
Piange il misero e grida, e le persone,
in che sperar solia, chiama per nome.
Resta Agramante in tal confusione
di questi intrichi, che non vede come
poterli sciorre; e gli par via piu greve
che Marfisa Brunei cosi gli leve.
xcv
Non che Fapprezzi o che gli porti amore,
anzi piu giorni son che Podia molto ;
e spesso ha d'impiccarlo avuto in core,
dopo che gli era stato Pannel tolto.
Ma questo atto gli par contra il suo onore,
si che n'avampa di vergogna in volto.
Vuole in persona egli seguirla in fretta,
e a tutto suo poter fame vendetta.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 715
XCVI
Ma il re Sobrino, il quale era presente,
da questa impresa molto il dissuade,
dicendogli che mal conveniente
era all'altezza di sua maestade,
se ben avesse d'esserne vincente
ferma speranza e certa sicurtade:
piu ch'onor, gli fia biasmo che si dica
ch'abbia vinta una femina a fatica.
xcvn
Poco Ponore, e molto era il periglio
d'ogni battaglia che con lei pigliasse;
e che gli dava per miglior consiglio,
che Brunello alle forche aver lasciasse;
e se credesse ch'uno alzar di ciglio
a torlo dal capestro gli bastasse,
non dovea alzarlo, per non contradire
che s'abbia la giustizia ad esequire.
XCVIII
— Potrai mandare un che Marfisa prieghi —
dicea — ch'in questo giudice ti faccia,
con promission ch'al ladroncel si leghi
il laccio al collo, e a lei si sodisfaccia;
e quando anco ostinata te lo nieghi,
se 1'abbia, e il suo desir tutto compiaccia:
pur che da tua amicizia non si spicchi,
Brunello e gli altri ladri tutti impicchi. —
xcix
II re Agramante volentier s'attenne
al parer di Sobrin discrete e saggio;
e Marfisa lascio, che non le venne,
ne pati ch'altri andasse a farle oltraggio,
n6 di farla pregare anco sostenne:
e toler6, Dio sa con che coraggio,
per poter acchetar liti maggiori,
e del suo campo tor tanti romori.
716 ORLANDO FURIOSO
Di ci6 si ride la Discordia pazza,
che pace o triegua omai piu teme poco.
Scorre di qua e di la tutta la piazza,
ne puo trovar per allegrezza loco.
La Superbia con lei salta e gavazza,
e legne et esca va aggiungendo al fuoco:
e grida si, che fin ne 1'alto regno
manda a Michel de la vittoria segno.
Cl
Trem6 Parigi e turbidossi Senna
alFalta voce, a quello orribil grido;
rimbombo il suon fin alia selva Ardenna
si che lasciar tutte le fiere il nido.
Udiron 1'Alpi e il monte di Gebenna,
di Blaia e d' Arli e di Roano il lido ;
Rodano e Sonna udi, Garonna e il Reno;
si strinsero le madri i figli al seno.
en
Son cinque cavallier c'han fisso il chiodo
d'essere i primi a terminar sua lite,
1'una ne 1'altra aviluppata in modo,
che non 1'avrebbe Apolline espedite.
Commincia il re Agramante a sciorre il no do
de le prime tenzon ch'aveva udite,
che per la figlia del re Stordilano
eran tra il re di Scizia e il suo African o.
cm
II re Agramante and6 per porre accordo
di qua e di la piu volte a questo e a quello,
e a questo e a quel piu volte die ricordo
da signor giusto e da fedel fratello :
e quando parimente trova sordo
Tun come Paltro, indomito e rubello
di volere esser quel che resti senza
la donna da cui vien lor differenza;
CANTO VENTESIMOSETTIMO 717
CIV
s'appiglia al fin, come a miglior partite,
di che amendui si contentar gli amanti,
che de la bella donna sia marito
1'uno de5 duo, quel che vuole essa inanti;
e da quanto per lei sia stabilito,
piu non si possa andar dietro ne avanti.
All'uno e alPaltro piace il compromesso,
sperando ch'esser debbia a favor d'esso.
cv
II re di Sarza, che gran tempo prima
di Mandricardo amava Doralice,
et ella Pavea posto in su la cima
d'ogni favor ch'a donna casta lice;
che debba in util suo venire estima
la gran sentenzia che 1 puo far felice:
ne egli avea questa credenza solo,
ma con lui tutto il barbaresco stuolo.
cvi
Ognun sapea ci6 ch'egli avea gia fatto
per essa in giostre, in torniamenti, in guerra;
e che stia Mandricardo a questo patto,
dicono tutti che vaneggia et erra.
Ma quel che piu fiate e piu di piatto
con lei fu mentre il sol stava sotterra,
e sapea quanto avea di certo in mano,
ridea del popular giudicio vano.
cvn
Poi lor convenzion ratificaro
in man del re quei duo prochi famosi,
et indi alia donzella se n'andaro.
Et ella abbasso gli occhi vergognosi,
e disse che piu il Tartaro avea caro:
di che tutti restar maravigliosi ;
Rodomonte si attonito e smarrito,
che di levar non era il viso ardito.
ORLANDO FURIOSO
CVIII
Ma poi che 1'usata ira caccio quella
vergogna che gli avea la faccia tinta,
ingiusta e falsa la sentenzia appella;
e la spada impugnando, ch'egli ha cinta,
dice, udendo il re e gli altri, che vuol ch'ella
gli dia perduta questa causa o vinta,
e non Parbitrio di femina lieve
che sempre inchina a quel che men far deve.
cix
Di nuovo Mandricardo era risorto,
dicendo : — Vada pur come ti pare — :
si che prima che '1 legno entrasse in porto,
v'era a solcare un gran spazio di mare:
se non che '1 re Agramante diede torto
a Rodomonte, che non puo chiamare
phi Mandricardo per quella querela;
e fe5 cadere a quel furor la vela.
ex
Or Rodomonte che notar si vede
dinanzi a quei signor di doppio scorno:
dal suo re, a cui per riverenzia cede,
e da la donna sua, tutto in un giorno;
quivi non volse phi fermare il piede,
e de la molta turba ch'avea intorno
seco non tolse piu che duo sergenti,
et usci dei moreschi alloggiamenti.
CXI
Come partendo afflitto tauro suole,
che la giuvenca al vincitor cesso abbia,
cercar le selve e le rive piu sole
lungi dai paschi, o qualche arrida sabbia;
dove muggir non cessa all'ombra e al sole,
ne per6 scema 1'amorosa rabbia:
cosi sen va di gran dolor confuso
il re d'Algier da la sua donna escluso.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 719
CXII
Per riavere il buon destrier si mosse
Ruggier, che gia per questo s'era armato;
ma poi di Mandricardo ricordosse,
a cui de la battaglia era ubligato :
non segui Rodomonte, e ritornosse
per entrar col re tartaro in steccato
prima che 'ntrasse il re di Sericana,
che Paltra lite avea di Durindana.
CXIII
Veder torsi Frontin troppo gli pesa
dinanzi agli occhi, e non poter vietarlo;
ma dato ch'abbia fine a questa impresa,
ha ferma intenzion di ricovrarlo.
Ma Sacripante che non ha contesa,
come Ruggier, che possa distornarlo,
e che non ha da far altro che questo,
per 1'orrne vien di Rodomonte presto.
cxrv
E tosto 1'avria giunto, se non era
un caso strano che trovo tra via,
che lo fe' dimorar fin alia sera,
e perder le vestigie che seguia.
Trovo una donna che ne la riviera
di Senna era caduta, e vi peria,
s'a darle tosto aiuto non veniva:
salto ne 1'acqua e la ritrasse a riva.
cxv
Poi quando in sella volse risalire,
aspettato non fu dal suo destriero,
che fin a sera si fece seguire,
e non si lascio prender di leggiero:
preselo al fin, ma non seppe venire
piu donde s'era tolto dal sentiero:
ducento miglia erro tra piano e monte,
prima che ritrovasse Rodomonte.
72° ORLANDO FURIOSO
CXVI
Dove trovollo, e come fu conteso
con disvantaggio assai di Sacripante,
come perde il cavallo e resto preso,
or non diro; c'ho da narrarvi inante
di quanto sdegno e di quanta ira acceso
contra la donna e contra il re Agramante
del campo Rodomonte si partisse,
e ci6 che contra aH'uno e alPaltro disse.
CXVII
Di cocenti sospir Paria accendea
dovunque andava il Saracin dolente:
Ecco per la pieta che gli n'avea,
da' cavi sassi rispondea sovente.
— Oh feminile ingegno, — egli dicea
— come ti volgi e muti facilmente,
contrario oggetto proprio de la fede!
Oh infelice, oh miser chi ti crede!
CXVIII
Ne lunga servitu, ne grand'amore
che ti fu a mille prove manifesto,
ebbono forza di tenerti il core,
che non fossi a cangiarsi almen si presto.
Non perch' a Mandricardo inferiore
io ti paressi, di te privo resto;
n6 so trovar cagione ai casi miei,
se non quest'una: che femina sei.
cxix
Credo che t'abbia la Natura e Dio
produtto, o scelerato sesso, al mondo
per una soma, per un grave fio
de 1'uom, che senza te saria giocondo :
come ha produtto anco il serpente rio
e il lupo e Torso, e fa Paer fecondo
e di mosche e di vespe e di tafani,
e loglio e avena fa nascer tra i grani.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 721
cxx
Perche fatto non ha Talma Natura,
che senza te potesse nascer Fuomo,
come s'inesta per umana cura
Tun sopra 1'altro il pero, il sorbo e '1 porno?
Ma quella non pu6 far sempre a misura:
anzi, s'io vo' guardar come io la nomo,
veggo che non puo far cosa perfetta,
poi che Natura femina vien detta.
cxxi
Non siate pero tumide e fastose,
donne, per dir che Tuom sia vostro figlio;
che de le spine ancor nascon le rose,
e d'una fetida erba nasce il giglio :
importune, superbe, dispettose,
prive d'amor, di fede e di consiglio,
temerarie, crudeli, inique, ingrate,
per pestilenzia eterna al mondo nate. —
cxxn
Con queste et altre et infinite appresso
querele il re di Sarza se ne giva,
or ragionando in un parlar sommesso,
quando in un suon che di lontan s'udiva,
in onta e in biasmo del femineo sesso:
e certo da ragion si dipartiva;
che per una o per due che trovi ree,
che cento buone sien creder si dee.
CXXIII
Se ben di quante io n'abbia fin qui amate,
non n'abbia mai trovata una fedele,
perfide tutte io non voj dir ne ingrate,
ma darne colpa al mio destin crudele.
Molte or ne sono, e piu gia ne son state,
che non dan causa ad uom che si querele;
ma mia fortuna vuol che s'una ria
ne sia tra cento, io di lei preda sia.
722 ORLANDO FURIOSO
CXXIV
Pur vo' tanto cercar prima ch'io mora,
anzi prima che '1 crin piu mi s'imbianchi,
che forse diro un di che per me ancora
alcuna sia che di sua fe non manchi.
Se questo awien (che di speranza fuora
10 non ne son), non fia mai ch'io mi stanchi
di farla, a mia possanza, gloriosa
con lingua e con inchiostro, e in verso e in prosa.
cxxv
11 Saracin non avea manco sdegno
contra il suo re, che contra la donzella;
e cosi di ragion passava il segno,
biasmando lui, come biasmando quella.
Ha disio di veder che sopra il regno
gli cada tanto mal, tanta procella,
ch'in Africa ogni cosa si funesti,
ne pietra salda sopra pietra resti;
CXXVI
e che spinto del regno, in duolo e in lutto
viva Agramante misero e mendico :
e ch'esso sia che poi gli renda il tutto,
e lo riponga nel suo seggio antico,
e de la fede sua produca il frutto;
e gli faccia veder ch'un vero amico
a dritto e a torto esser dovea preposto,
se tutto '1 mondo se gli fosse opposto.
CXXVII
E cosi quando al re, quando alia donna
volgendo il cor turbato, il Saracino
cavalca a gran giornate, e non assonna,
e poco riposar lascia Frontino.
II di seguente o Paltro in su la Sonna
si ritrovo, ch'avea dritto il camino
verso il mar di Provenza, con disegno
di navigare in Africa al suo regno.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 723
CXXVIII
Di barche e di sottil legni era tutto
fra Tuna ripa e Faltra il fiume pieno,
ch'ad uso de Tesercito condutto
da molti lochi vettovaglie avieno;
perche in poter des Mori era ridutto,
venendo da Parigi al lito ameno
d'Acquamorta, e voltando inver la Spagna,
ci6 che v'e da man destra di campagna.
cxxix
Le vettovaglie in carra et in iumenti,
tolte fuor de le navi, erano carche,
e tratte con la scorta de le genti,
ove venir non si potea con barche.
Avean piene le ripe i grassi armenti
quivi condotti da diverse marche;
e i conduttori intorno alia riviera
per varii tetti albergo avean la sera.
cxxx
II re d'Algier, perche" gli sopravenne
quivi la notte e 1'aer nero e cieco,
d'un ostier paesan lo 'nvito tenne,
che lo preg6 che rimanesse seco.
Adagiato il destrier, la mensa venne
di varii cibi e di vin corso e greco;
che '1 Saracin nel resto alia moresca,
ma volse far nel bere alia francesca.
cxxxi
L'oste con buona mensa e miglior viso
studi6 di fare a Rodomonte onore;
che la presenzia gli die certo aviso
ch'era uomo ilhjstre e pien d'alto valore:
ma quel che da se stesso era diviso,
ne quella sera avea ben seco il core
(che mal suo grado s'era ricondotto
alia donna gia sua), non facea motto.
724 ORLANDO FURIOSO
CXXXII
II buono ostier, che fu del dillgenti
che mai si sien per Francia ricordati,
quando tra le nimiche e strane genti
Talbergo e' beni suoi s'avea salvati;
per servir quivi, alcuni suoi parenti,
a tal servigio pronti, avea chiamati ;
de' quai non era alcun di parlar oso,
vedendo il Saracin muto e pensoso.
cxxxm
Di pensiero in pensiero and6 vagando
da se stesso lontano il pagan molto,
col viso a terra chino, ne levando
si gli occhi mai, ch'alcun guardasse in volto.
Dopo un lungo star cheto, suspirando,
si come d'un gran sonno allora sciolto,
tutto si scosse, e insieme alzo le ciglia,
e volto gli occhi all'oste e alia famiglia.
cxxxiv
Indi roppe il silenzio, e con sembianti
piu dolci un poco e viso men turbato,
domandc- all'oste e agli altri circonstanti
se d'essi alcuno avea mogliere a lato.
Che 1'oste e che quegli altri tutti quanti
Taveano, per risposta gli fu dato.
Domanda lor quel che ciascun si crede
de la sua donna nel servargli fede, •
cxxxv
Eccetto Foste, fer tutti risposta
che si credeano averle e caste e buone.
Disse 1'oste: — Ognun pur creda a sua posta;
ch'io so ch'avete falsa opinione.
II vostro sciocco credere vi costa
ch'io stimi ognun di voi senza ragione;
e cosi far questo signor deve anco,
se non vi vuol mostrar nero per bianco.
CANTO VENTESIMOSETTIMO 725
CXXXVI
Perche, si come e sola la fenice,
ne mai piu d'una in tutto il mondo vive,
cosi ne mai piu d'uno esser si dice,
che de la moglie i tradimenti schive.
Ognun si crede d'esser quel felice,
d'esser quel sol ch'a questa palma arrive.
Come e possibil che v'arrivi ognuno,
se non ne pu6 nel mondo esser piu d'uno ?
cxxxvn
lo fui gia ne Terror che siete voi,
che donna casta anco piu d'una fusse.
Un gentilomo di Vinegia poi,
che qui mia buona sorte gia condusse,
seppe far si con veri esempi suoi,
che fuor de 1'ignoranza mi ridusse.
Gian Francesco Valerio era nomato;
che '1 nome suo non mi s'e mai scordato.
CXXXVIII
Le fraudi che le mogli e che Famiche
sogliano usar, sapea tutte per conto:
e sopra ci6 moderne istorie e antiche,
e proprie esperienze avea si in pronto,
che mi mostr6 che mai donne pudiche
non si trovaro, o povere o di conto;
e s'una casta piu de 1'altra parse,
venia, perche piu accorta era a celarse.
cxxxix
E fra 1'altre (che tante me ne disse,
che non ne posso il terzo ricordarmi),
si nel capo una istoria mi si scrisse,
che non si scrisse mai piu saldo in marmi:
e ben parria a ciascuno che 1'udisse,
di quest e rie quel ch'a me parve e parmi.
E se, signor, a voi non spiace udire,
a lor confusion ve la vo' dire. —
7^6 ORLANDO FURIOSO
CXL
Rispose il Saracin: — Che puoi tu farmi,
che piu al presente mi diletti e piaccia,
che dirmi istoria e qualche esempio darmi
che con 1'opinion mia si confaccia?
Perch'io possa udir meglio, e tu narrarmi,
siedemi incontra, ch'io ti vegga in faccia, —
Ma nel canto che segue io v'ho da dire
quel che fe' 1'oste a Rodomonte udire.
CANTO • VENTESIMOTTAVO 727
CANTO VENTESIMOTTAVO
Donne, e voi che le donne avete in pregio,
per Dio, non date a questa istoria orecchia,
a questa che To.stier dire in dispregio
e in vostra infamia e biasmo s'apparecchia;
ben che ne macchia vi puo dar ne fregio
lingua si vile, e sia Fusanza vecchia
che '1 volgare ignorante ognun riprenda,
e parli piu di quel che meno intenda.
II
Lasciate questo canto, che senza esso
puo star Tistoria, e non sara men chiara.
Mettendolo Turpino, anch'io Fho messo,
non per malivolenzia ne per gara.
Ch'io v'ami, oltre mia lingua che Tha espresso,
che mai non fu di celebrarvi avara,
n'ho fatto mille prove; e v'ho dimostro
ch'io son, ne potrei esser se non vostro.
in
Passi, chi vuol, tre carte o quattro, senza
leggerne verso, e chi pur legger vuole,
gli dia quella medesima credenza
che si suol dare a finzioni e a fole.
Ma tornando al dir nostro, poi ch'udienza
apparecchiata vide a sue parole,
e darsi luogo incontra al cavalliero,
cosi Tistoria incominci6 Fostiero.
728 ORLANDO FURIOSO
IV
— Astolfo, re de' Longobardi, quello
a cui Iasci6 il fratel monaco il regno,
fu ne la giovinezza sua si bello,
che mai poch'altri giunsero a quel segno.
N'avria a fatica un tal fatto a penello
Apelle, o Zeusi, o se v'e alcun piu degno.
Bello era, et a ciascun cosi parea:
ma di molto egli ancor piu si tenea.
v
Non stimava egli tanto per Faltezza
del grado suo d'avere ognim minore;
ne tanto che di genti e di ricchezza
di tutti i re vicini era il maggiore;
quanto che di presenzia e di bellezza
avea per tutto Jl mondo il primo onore.
Godea di questo udendosi dar loda,
quanto di cosa volentier piu s'oda.
VI
Tra gli altri di sua corte avea assai grato
Fausto Latini, un cavallier romano:
con cui sovente essendosi lodato
or del bel viso or de la bella mano,
et avendolo un giorno domandato
se mai veduto avea, presso o lontano,
altro uom di forma cosi ben composto;
contra quel che credea, gli fu risposto.
VII
«Dico» rispose Fausto «che secondo
ch'io veggo e che parlarne odo a ciascuno,
ne la bellezza hai pochi pari al mondo;
e questi pochi io li restringo in uno.
Quest'uno e un fratel mio, detto locondo.
Eccetto lui, ben creder6 ch'ognuno
di belta molto a dietro tu ti lassi;
ma questo sol credo t'adegui e passi. »
CANTO VENTESIMOTTAVO 729
VIII
Al re parve impossibil cosa udire,
che sua la palma infin allora tenne ;
e d'aver conoscenza alto desire
di si lodato giovene gli venne.
Fe* si con Fausto, che di far venire
quivi il fratel prometter gli convenne;
ben ch'a poterlo indur che ci venisse,
saria fatica, e la cagion gli disse:
IX
che Jl suo fratello era uom che mosso il piede
mai non avea di Roma alia sua vita,
che del ben che Fortuna gli concede,
tranquilla e senza affanni avea notrita:
la roba di che 51 padre il Iasci6 erede,
ne mai cresciuta avea ne minuita;
e che parrebbe a lui Pavia lontana
piu che non parria a un altro ire alia Tana.
E la difficulta saria maggiore
a poterlo spiccar da la mogliere,
con cui legato era di tanto amore,
che non volendo lei non pu6 volere.
Pur per ubbidir lui che gli e signore,
disse d'andare e fare oltre il pot ere.
Giunse il re a' prieghi tali ofFerte e doni,
che di negar non gli lascio ragioni.
XI
Partisse, e in pochi giorni ritrovosse
dentro di Roma alle paterne case.
Quivi tanto prego, che '1 fratel mosse
si ch'a venire al re gli persuase;
e fece ancor (ben che difficil fosse)
che la cognata tacita rimase,
proponendole il ben che n'usciria,
oltre ch'obligo sempre egli Tavria.
730 ORLANDO FURIOSO
XII
Fisse locondo alia partita il giorno:
trovo cavalli e servitori intanto;
vesti fe' far per comparire adorno,
che talor cresce una belta un bel manto.
La notte a lato, e '1 di la moglie intorno,
con gli occhi ad or ad or pregni di pianto,
gli dice che non sa come patire
potra tal lontananza e non morire;
XIII
che pensandovi sol, da la radice
sveller si sente il cor nel lato manco.
«Deh, vita mia, non piagnere;» le dice
locondo, e seco piagne egli non manco
«cosi mi sia questo camin felice,
come tornar vo' fra duo mesi almanco:
ne mi faria passar d'un giorno il segno,
se mi donasse il re mezzo il suo regno. »
XIV
Ne la donna percio si riconforta:
dice che troppo terrnine si piglia;
e s'al ritorno non la trova morta,
esser non pu6 se non gran maraviglia.
Non lascia il duol che giorni e notte porta,
che gustar cibo, e chiuder possa ciglia;
tal che per la pieta locondo spesso
si pente ch'al fratello abbia promesso.
xv
Dal collo un suo monile ella si sciolse,
ch'una crocetta avea ricca di gemme,
e di sante reliquie che raccolse
in molti luoghi un peregrin boemme;
et il padre di lei, ch'in casa il tolse
tornando infermo di lerusalemme,
venendo a morte poi ne lascio erede :
questa levossi et al marito diede.
CANTO VENTESIMOTTAVO 731
XVI
E che la porti per suo amore al collo
lo prega, si che ognor gli ne sovenga.
Piacque il dono al marito, et accettollo;
non perche dar ricordo gli convenga:
che ne tempo ne absenzia mai dar crollo,
ne buona o ria fortuna che gli avenga,
potra a quella memoria salda e forte
c'ha di lei sempre, e avra dopo la morte.
XVII
La notte ch'and6 inanzi a quella aurora
che fu il termine estremo alia partenza,
al suo locondo par ch'in braccio muora
la moglie, che n'ha tosto da star senza.
Mai non si dorme; e inanzi al giorno un'ora
viene il marito all'ultima licenza.
Monto a cavallo, e si parti in effetto;
e la moglier si ricorco nel letto.
XVIII
locondo ancor duo miglia ito non era,
che gli venne la croce raccordata,
ch'avea sotto il guancial messo la sera,
poi per oblivion 1'avea lasciata.
"Lasso!" dicea tra se "di che maniera
trovero scusa che mi sia accettata,
che mia moglie non creda che gradito
poco da me sia Tamor suo infmito ?"
XIX
Pensa la scusa, e poi gli cade in mente
che non sara accettabile ne buona,
mandi famigli, mandivi altra gente,
s'egli medesmo non vi va in persona.
Si ferma, e al fratel dice : « Or pianamente
fin a Baccano al primo albergo sprona;
che dentro a Roma e forza ch'io rivada:
e credo anco di giugnerti per strada.
732 ORLANDO FURIOSO
XX
Non potria fare altri il bisogno mio:
ne dubitar, ch'io sar6 tosto teco.»
Volto il ronzin di trotto, e disse «a Dio»;
ne de' famigli suoi volse alcun seco.
Gia coirdnciava, quando pass6 il rio,
dinanzi al sole a fuggir Paer cieco.
Smonta in casa, va al letto, e la consorte
quivi ritrova addormentata forte.
XXI
La cortina Iev6 senza far motto,
e vide quel che men veder credea:
che la sua casta e fedel moglie, sotto
la coltre, in braccio a xm giovene giacea.
Riconobbe Padultero di botto,
per la pratica lunga che n'avea;
ch'era de la farmglia sua un garzone,
allevato da lui, d'umil nazione.
XXII
S'attonito restasse e malcontento,
meglio e pensarlo e fame fede altrui,
ch'esserne mai per far 1'esperimento
che con suo gran dolor ne fe' costui.
Da lo sdegno assalito, ebbe talento
di trar la spada e uccidergli ambedui :
ma da Pamor che porta, al suo dispetto,
alPingrata moglier, gli fu interdetto.
XXIII
Ne lo Iasci6 questo ribaldo Amore
(vedi se si Tavea fatto vasallo)
destarla pur, per non le dar dolore
che fosse da lui colta in si gran fallo.
Quanto pote piu tacito usci fuore,
scese le scale, e rimont6 a cavallo;
e punto egli d'amor, cosi lo punse,
ch'all'albergo non fu, che '1 fratel giunse.
CANTO VENTESIMOTTAVO 733
XXIV
Cambiato a tutti parve esser nel volto;
vider tutti che Jl cor non avea lieto :
ma non v'e chi s'apponga gia di molto,
e possa penetrar nel suo secreto.
Credeano che da lor si fosse tolto
per gire a Roma, e gito era a Corneto.
Ch'amor sia del mal causa ognun s'avisa;
ma non e gia chi dir sappia in che guisa.
xxv
Estimasi il fratel che dolor abbia
d'aver la moglie sua sola lasciata;
e pel contrario duolsi egli et arrabbia
che rimasa era troppo accompagnata.
Con fronte crespa e con gonfiate labbia
sta Tinfelice, e sol la terra guata.
Fausto ch'a confortarlo usa ogni prova,
perche non sa la causa, poco giova.
XXVI
Di contrario liquor la piaga gli unge,
e dove tor dovria, gli accresce doglie;
dove dovria saldar, piu 1'apre e punge:
questo gli fa col ricordar la moglie.
Ne posa di ne notte: il sonno lunge
fugge col gusto, e mai non si raccoglie:
e la faccia, che dianzi era si bella,
si cangia si, che piu non sembra quella.
XXVII
Par che gli occhi se ascondin ne la testa;
cresciuto il naso par nel viso scarno:
de la belta si poca gli ne resta,
che ne potra far paragone indarno.
Col duol venne una febbre si molesta,
che lo fe' soggiornar all'Arbia e airArno:
e se di bello avea serbata cosa,
tosto rest6 come al sol colta rosa.
734 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
Oltre ch'a Fausto incresca del fratello
che veggia a simil termine condutto,
via piu gl'incresce che bugiardo a quello
principe, a chl lodollo, parra in tutto:
mostrar di tutti gli uomini il piii bello
gli avea promesso, e niostrera il piu brutto.
Ma pur continuando la sua via,
seco lo trasse al fin dentro a Pavia.
XXIX
Gia non vuol che lo vegga il re improvise,
per non mostrarsi di giudicio privo :
ma per lettere inanzi gli da aviso
che '1 suo fratel ne viene a pena vivo ;
e ch'era stato alParia del bel viso
un affanno di cor tanto nocivo,
accompagnato da una febbre ria,
che piu non parea quel ch'esser solia.
xxx
Grata ebbe la venuta di locondo
quanto potesse il re d'amico avere;
che non avea desiderato al mondo
cosa altretanto, che di lui vedere.
Ne gli spiace vederselo secondo,
e di bellezza dietro rimanere;
ben che conosca, se non fosse il male,
che gli saria superiore o uguale.
XXXI
Giunto, lo fa alloggiar nel suo palagio,
lo visita ogni giorno, ogni ora n'ode;
fa gran provision che stia con agio,
e d'onorarlo assai si studia e gode.
Langue locondo, che '1 pensier malvagio
c'ha de la ria moglier sempre lo rode:
ne '1 veder giochi, ne musici udire,
dramma del suo dolor puo minuire.
CANTO VENTESIMOTTAVO 735
XXXII
Le stanze sue, che sono appresso al tetto
Pultime, inanzi hanno una sala antica.
Quivi solingo (perche ogni diletto,
perch' ogni compagnia prova nimica)
si ritraea, sempre aggiungendo al petto
di piu gravi pensier nuova fatica:
e trovo quivi (or chi lo crederia ?)
chi lo san6 de la sua piaga ria.
XXXIII
In capo de la sala, ove e piu scuro
(che non vi s'usa le finestre aprire),
vede che '1 palco mal si giunge al muro,
e fa d'aria piu chiara un raggio uscire.
Pon Pocchio quindi, e vede quel che duro
a creder fora a chi Tudisse dire:
non 1'ode egli d'altrui, ma se lo vede;
et anco agli occhi suoi proprii non crede.
xxxiv
Quindi scopria de la regina tutta
la piu secreta stanza e la piu bella,
ove persona non verria introdutta,
se per molto fedel non Favesse ella.
Quindi mirando vide in strana lutta
ch'un nano aviticchiato era con quella:
et era quel piccin stato si dotto,
che la regina avea messa di sotto.
xxxv
Attonito locondo e stupefatto,
e credendo sognarsi, un pezzo stette;
e quando vide pur che gli era in fatto
e non in sogno, a se stesso credette.
"A uno sgrignuto mostro e contrafatto
dunque" disse "costei si sottomette,
che '1 maggior re del mondo ha per marito,
piu bello e piu cortese? oh che appetite!"
736 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
E de la moglie sua, che cosi spesso
piu d'ogn'altra biasmava, ricordosse,
perche '1 ragazzo s'avea tolto appresso:
et or gli parve che escusabil fosse.
Non era colpa sua piu che del sesso,
che d'un solo uomo mai non contentosse:
e s'han tutte una macchia d'uno inchiostro,
almen la sua non s'avea tolto un mostro.
XXXVII
II di seguente, alia medesima ora,
al medesimo loco fa ritorno;
e la regina e il nano vede ancora,
che fanno al re pur il medesmo scorno.
Trova 1'altro di ancor che si lavora,
e 1'altro; e al fin non si fa festa giorno:
e la regina (che gli par piu strano)
sempre si duol che poco 1'ami il nano-.
XXXVIII
Stette fra gli altri un giorno a veder, ch'ella
era turbata e in gran malenconia,
che due volte chiamar per la donzella
il nano fatto avea, n'ancor venia.
Mand6 la terza volta, et udl quella
che: ((Madonna, egli giuoca;» riferia
«e per non stare in perdita d'un soldo,
a voi niega venire il manigoldo. »
xxxix
A si strano spettacolo locondo
raserena la fronte e gli occhi e il viso;
e quale in nome, divento giocondo
d'efFetto ancora, e torno il pianto in riso.
Allegro torna e grasso e rubicondo,
che sembra un cherubin del paradise;
che '1 re, il fratello e tutta la famiglia
di tal mutazion si maraviglia.
CANTO VENTESIMOTTAVO 737
XL
Se da locondo il re bramava udire
onde venisse il subito conforto,
non men locondo lo bramava dire,
e fare il re di tanta ingiuria accorto;
ma non vorria che piu di se punire
volesse il re la moglie di quel torto;
si che per dirlo e non far danno a lei,
il re fece giurar su Fagnusdei.
XLI
Giurar lo fe' che ne per cosa detta,
n£ che gli sia mostrata che gli spiaccia,
ancor ch'egli conosca che diretta-
mente a sua Maesta danno si faccia,
tardi o per tempo mai fara vendetta;
e di piu vuole ancor che se ne taccia,
si che ne il malfattor giamai comprenda,
in fatto o in detto, che '1 re il caso intenda.
XLII
II re, ch'ogn'altra cosa, se non questa,
creder potria, gli giur6 largamente.
locondo la cagion gli manifesta,
ond'era molti di stato dolente:
perche trovata avea la disonesta
sua moglie in braccio d'un suo vil sergente;
e che tal pena al fin Tavrebbe morto,
se tardato a venir fosse il conforto.
XLIII
Ma in casa di sua Altezza avea veduto
cosa che molto gli scemava il duolo;
che se bene in obbrobrio era caduto,
era almen certo di non v'esser solo.
Cosi dicendo, e al bucolin venuto,
gli dimostr6 il bruttissimo omiciuolo
che la giumenta altrui sotto si tiene.
tocca di sproni e fa giuocar di schene.
738 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Se parve al re vituperoso Fatto,
10 crederete ben, senza ch'io '1 giuri.
Ne fu per arrabbiar, per venir matto;
ne fu per dar del capo in tutti i muri;
fu per gridar, fu per non stare al patto:
ma forza e che la bocca al fin si turi,
e che 1'ira trangugi amara et acra,
poi che giurato avea su Fostia sacra.
XLV
« Che debbo far, che mi consigli, frate, »
disse a locondo «poi che tu mi tolli
che con degna vendetta e crudeltate
questa giustissima ira io non satolli?»
«Lascian» disse locondo «queste ingrate,
e proviam se son 1'altre cosi molli:
faccian de le lor femine ad altmi
quel ch'altri de le nostre han fatto a nui.
XLVI
Ambi gioveni siamo, e di bellezza,
che facilmente non troviamo pari.
Qual femina sara che n'usi asprezza,
se contra i brutti ancor non han ripari ?
Se belta non varra ne giovinezza,
varranne almen Faver con noi danari.
Non vo' che torni, che non abbi prima
di mille moglie altrui la spoglia opima.
XLVII
La lunga absenzia, il veder van luoghi,
praticare altre femine di fuore,
par che so vent e disacerbi e sfoghi
de Famorose passioni il core.»
Lauda il parer, n6 vuol che si pror6ghi
11 re Fandata; e fra pochissime ore,
con duo scudieri, oltre alia compagnia
del cavallier roman, si mette in via.
CANTO VENTESIMOTTAVO 739
XLVIII
Travestiti cercaro Italia, Francia,
le terre de' Fiaminghi e de Tingles! ;
e quante ne vedean di bella guancia,
trovavan tutte ai prieghi lor cortesi.
Davano, e dato loro era la mancia;
e spesso rimetteano i danar spesi.
Da lor pregate foro molte, e foro
anch'altretante die pregaron loro,
XLIX
In questa terra un mese, in quella dui
soggiornando, accertarsi a vera prova
che non men ne le lor, che ne Faltrui
femine, fede e castita si trova.
Dopo aicun tempo increbbe ad ambedui
di sempre procacciar di cosa nuova;
che mal poteano entrar ne 1'altrui porte,
senza mettersi a rischio de la morte.
L
Gli e meglio una trovarne che di faccia
e di costumi ad ambi grata sia;
che lor communemente sodisfaccia,
e non n'abbin d'aver mai gelosia.
«E perche» dicea il re ccvo' che mi spiaccia
aver piu te ch'un altro in compagnia?
So ben ch'in tutto il gran femineo stuolo
una non e che stia contenta a un solo.
LI
Una, senza sforzar nostro potere,
ma quando il natural bisogno inviti,
in festa goderemoci e in piacere,
che mai contese non avren ne liti.
N<§ credo che si debba ella dolere:
che s'anco ogn'altra avesse duo mariti,
piu ch'ad un solo, a duo saria fedele;
ne forse s'udirian tante querele. »
740 ORLANDO FURIOSO
LII
Di quel die disse il re, molto contento
rimaner parve il giovine romano.
Dunque fermati in tal proponimento,
cercar molte montagne e molto piano:
trovaro al fin, secondo il loro intento,
una figliuola d'uno ostiero ispano,
che tenea albergo al porto di Valenza,
bella di modi e bella di presenza.
LIII
Era ancor sul fiorir di primavera
sua tenerella e quasi acerba etade.
Di molti figli il padre aggravat'era,
e nimico mortal di povertade;
si ch'a disporlo fu cosa leggiera,
che desse lor la figlia in potestade;
ch'ove piacesse lor potesson trarla,
poi che promesso avean di ben trattarla.
LIV
Pigliano la fanciulla, e piacer n'hanno
or Tun or Paltro in caritade e in pace,
come a vicenda i mantici che danno,
or Funo or Taltro, fiato alia fornace.
Per veder tutta Spagna indi ne vanno,
e passar poi nel regno di Siface;
e '1 di che da Valenza si partiro,
ad albergare a Zattiva veniro.
LV
I patroni a veder strade e palazzi
ne vanno, e lochi publici e divini;
ch'usanza han di pigliar simil solazzi
in ogni terra ove entran peregrini;
e la fanciulla resta coi ragazzi.
Altri i letti, altri acconciano i ronzini,
altri hanno cura- che sia alia tornata
dei signor lor la cena apparecchiata.
CANTO VENTESIMOTTAVO 741
LVI
Ne Falbergo un garzon stava per fante,
ch'in casa de la giovene gia stette
a' servigi del padre, e d'essa amante
fu da' prirni anni, e del suo amor godette.
Ben s'adocchiar, ma non ne fer sembiante,
ch'esser notato ognun di lor temette:
ma tosto ch'i patroni e la famiglia
lor dieron luogo, alzar tra lor le ciglia.
LVII
II fante domando dove ella gisse,
e qual del duo signor Pavesse seco.
A punto la Fiammetta il fatto disse
(cosi avea nome, e quel garzone il Greco).
«Quando sperai che '1 tempo, ohime! venisse»
il Greco le dicea « di viver teco,
Fiammetta, anima mia, tu te ne vai,
e non so piu di rivederti mai.
LVIII
Fannosi i dolci miei disegni amari,
poi che sei d'altri, e tanto mi ti scosti.
lo disegnava, avendo alcun danari
con gran fatica e gran sudor riposti,
ch'avanzato m'avea de' miei salari
e de le bene andate di molti osti,
di tornare a Valenza, e domandarti
al padre tuo per moglie, e di sposarti. »
LIX
La fanciulla negli omeri si stringe,
e risponde che fu tardo a venire.
Piange il Greco e sospira, e parte finger
«Vuommi» dice dasciar cosi morire?
Con le tuo braccia i fianchi almen mi cinge,
lasciami disfogar tanto desire:
ch'inanzi che tu parta, ogni momento
che teco io stia mi fa morir contento. »
742 ORLANDO FURIOSO
LX
La pietosa fanciulla rispondendo:
«Credi» dicea «che men di te nol bramo;
ma n6 luogo ne tempo ci comprendo
qul, dove in mezzo di tanti occhi siamo. »
II Greco soggiungea: «Certo mi rendo,
che s'un terzo ami me di quel ch'io t'amo,
in questa notte almen troverai loco
che ci potren godere insieme un poco. »
LXI
«Come potr6,» diceagli la fanciulla
« che sempre in mezzo a duo la notte giaccio ?
e meco or 1'uno or 1'altro si trastulla,
e sempre a Tun di lor mi trovo in braccio ? »
«Questo ti fia» suggiunse il Greco «nulla;
che ben ti saprai tor di questo impaccio,
e uscir di mezzo lor, pur che tu voglia:
e dei voler, quando di me ti doglia.»
LXII
Pensa ella alquanto, e poi dice che vegna
quando creder potra ch'ognuno dorma;
e pianamente come far convegna,
e de Pandare e del tornar 1'informa.
II Greco, si come ella gli disegna,
quando sente dormir tutta la torma,
viene all'uscio e lo spinge, e quel gli cede:
entra pian piano, e va a tenton col piede.
LXIII
Fa lunghi i passi, e sempre in quel di dietro
tutto si ferma, e Taltro par che muova
a guisa che di dar tema nel vetro,
non che '1 terreno abbia a calcar, ma Tuova;
e tien la mano inanzi simil metro,
va brancolando infin che }1 letto trova:
e di la dove gli altri avean le piante,
tacito si caccio col capo inante.
CANTO VENTESIMOTTAVO 743
LXIV
Fra Tuna e 1'altra gamba di Fiammetta,
che supina giacea, diritto venne;
e quando le fu a par, Pabbracci6 stretta,
e sopra lei sin presso al di si tenne.
Cavalco forte, e non ando a staff etta;
che mai bestia mutar non gli con venne:
che questa pare a lui che si ben trotte,
che scender non ne vuol per tutta notte.
LXV
Avea locondo et avea il re sentito
il calpestio che sempre il letto scosse;
e 1'uno e 1'altro, d'uno error schernito,
s'avea creduto che '1 compagno fosse.
Poi ch'ebbe il Greco il suo camin fornito,
si come era venuto, anco tornosse.
Saett6 il sol da 1'orizzonte i raggi;
sorse Fiammetta, e fece entrare i paggi.
LXVI
II re disse al compagno mottegiando:
«Frate, molto camin fatto aver dei;
e tempo e ben che ti riposi, quando
stato a cavallo tutta notte sei. »
locondo a lui rispose di rimando,
e disse: «Tu di' quel ch'io a dire avrei.
A te tocca posare, e pro ti faccia,
che tutta notte hai cavalcato a caccia. »
LXVII
(cAnch'io)) suggiunse il re «senza alcun fallo
lasciato avria il mio can correre un tratto,
se m'avessi prestato un po' il cavallo,
tanto che '1 mio bisogno avessi fatto. »
locondo replic6 : « Son tuo vasallo,
e puoi far meco e rompere ogni patto :
si che non convenia tal cenni usare;
ben mi potevi dir: lasciala stare. »
744 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Tanto replica Tun, tanto soggiunge
Paltro, che sono a grave lite insieme.
Vengon da' motti ad un parlar che punge,
ch'ad amenduo 1'esser beffato preme.
Chiaman Fiammetta (che non era lunge,
e de la fraude esser scoperta teme)
per fare in viso Tuno all'altro dire
quel che negando ambi parean mentire.
LXIX
« Dimmi, » le disse il re con fiero sguardo
«e non temer di me ne di costui;
chi tutta notte fu quel si gagliardo,
che ti gode senza far parte altrui ? »
Credendo Tun provar Taltro bugiardo,
la risposta aspettavano ambedui.
Fiammetta a' piedi lor si gitt6, incerta
di viver piu, vedendosi scoperta.
LXX
Domando lor perdono, che d'amore
ch'a un giovinetto avea portato, spinta,
e da pieta d'un tormentato core
che molto avea per lei patito, vinta,
caduta era la notte in quello errore;
e seguit6, senza dir cosa finta,
come tra lor con speme si condusse,
ch'ambi credesson che '1 compagno fusse.
LXXI
II re e locondo si guardaro in viso,
di maraviglia e di stupor confusi;
ne d'aver anco udito lor fu aviso,
ch'altri duo fusson mai cosi delusi.
Poi scoppiaro ugualmente in tanto riso,
che con la bocca aperta e gli occhi chiusi,
potendo a pena il fiato aver del petto,
a dietro si lasciar cader sul letto.
CANTO VENTESIMOTTAVO 745
LXXII
Poi ch'ebbon tanto riso, che dolere
se ne sentiano il petto, e pianger gli occhi,
disson tra lor: «Come potremo avere
guardia, che la moglier non ne Paccocchi,
se non giova tra duo questa tenere,
e stretta si, che 1'uno e 1'altro tocchi?
Se piu che crini avesse occhi il rnarito,
non potria far che non fosse tradito.
LXXIII
Provate mille abbiamo, e tutte belle;
ne di tante una e ancor che ne contraste.
Se provian 1'altre, fian simili anch'elle;
ma per ultima prova costei baste.
Dunque possiamo creder che piu felle
non sien le nostre, o men de Faltre caste:
e se son come tutte Faltre sono,
che torniamo a godercile fia buono. »
LXXIV
Conchiuso ch'ebbon questo, chiamar fero
per Fiammetta medesima il suo amante;
e in presenzia di molti gli la diero
per moglie, e dote che gli fu bastante.
Poi montaro a cavallo, e il lor sentiero
ch'era a ponente, volsero a levante;
et alle mogli lor se ne tornaro,
di ch'affanno mai piu non si pigliaro. —
LXXV
L'ostier qui fine alia sua istoria pose,
che fu con molta attenzione udita.
Udilla il Saracin, ne gli rispose
parola mai, fin che non fu finita.
Poi disse : — lo credo ben che de Tascose
feminil frode sia copia infinita;
ne si potria de la millesma parte
tener memoria con tutte le carte. —
746 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Quivi era un uom d'eta, ch'avea piu retta
opinion degli altri, e ingegno e ardire;
e non potendo ormai, che si negletta
ogni femina fosse, piu patire,
si volse a quel ch'avea 1'istoria detta,
e gli disse : — Assai cose udimo dire,
che veritade in se non hanno alcuna:
e ben di queste e la tua favola una.
LXXVII
A chi te la narr6 non do credenza,
s'evangelista ben fosse nel resto;
ch'opinione, piu ch'esperienza
ch'abbia di donne, lo facea dir questo.
L'avere ad una o due malivolenza,
fa ch'odia e biasma 1'altre oltre all'onesto ;
ma se gli passa Pira, io vo' tu 1'oda,
piu ch'ora biasmo, anco dar lor gran loda.
LXXVIII
E se vorra lodarne, avra maggiore
il campo assai, ch'a dime mal non ebbe:
di cento potra dir degne d'onore
verso una trista che biasmar si debbe.
Non biasmar tutte, ma serbarne fuore
la bonta d'infinite si dovrebbe;
e se '1 Valerio tuo disse altrimente,
disse per ira, e non per quel che sente.
LXXIX
Ditemi un poco: e di voi forse alcuno
ch'abbia servato alia sua moglie fede ?
che nieghi andar, quando gli sia oportuno,
all'altrui donna, e darle ancor mercede?
credete in tutto '1 mondo trovarne uno ?
chi '1 dice, mente; e folk e ben chi '1 crede.
Trovatene vo' alcuna che vi chiami?
(non parlo de le publiche et infami).
CANTO VENTESIMOTTAVO 747
LXXX
Conoscete alcun voi, che non lasciasse
la moglie sola, ancor che fosse bella,
per seguire altra donna, se sperasse
in breve e facilmente ottener quella?
Che farebbe egli, quando lo pregasse
o desse premio a lui donna o donzella ?
Credo, per compiacere or queste or quelle,
che tutti lasciaremmovi la pelle.
LXXXI
Quelle che i lor mariti hanno lasciati,
le piu volte cagione avuta n'hanno.
Del suo di casa li veggon svogliati,
e che fuor, de 1'altnii bramosi, vanno.
Dovriano amar, volendo essere amati,
e tor con la misura ch'allor danno.
lo farei (se a me stesse il darla e t6rre)
tal legge, ch'uom non vi potrebbe opporre.
LXXXII
Saria la legge ch'ogni donna colta
in adulterio fosse messa a morte,
se provar non potesse ch'una volta
avesse adulterate il suo consorte:
se provar lo potesse, andrebbe asciolta,
ne temeria il marito ne la corte.
Cristo ha lasciato nei precetti suoi:
«non far altrui quel che patir non vuoi.»
LXXXIII
La incontinenza e quanto mal si puote
imputar lor, non gia a tutto lo stuolo.
Ma in questo chi ha di noi piu brutte note ?
che continent e non si trova un solo.
E molto piu n'ha ad arrossir le gote,
quando bestemmia, ladroneccio, dolo,
usura et omicidio, e se v'e peggio,
raro, se non dagli uomini, far veggio. —
ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
Appresso alle ragioni avea il sincere
e giusto vecchio in pronto alcuno esempio
di donne, che n6 in fatto ne in pensiero
mai di lor castita patiron scempio.
Ma il Saracin, che fuggia udire il vero,
lo minaccio con viso crudo et empio,
si che lo fece per timor tacere;
ma gia non lo mut6 di suo parere.
LXXXV
Posto ch'ebbe alle liti e alle contese
termine il re pagan, Iasci6 la mensa;
indi nel letto per dormir si stese
fin al partir de Paria scura e densa:
ma de la notte, a sospirar 1'ofTese
piu de la donna ch'a dormir, dispensa.
Quindi parte alTuscir del nuovo raggio,
e far disegna in nave il suo viaggio.
LXXXVI
Perc- ch'avendo tutto quel rispetto
ch'a buon cavallo dee buon cavalliero,
a quel suo bello e buono, ch'a dispetto
tenea di Sacripante e di Ruggiero;
vedendo per duo giorni averlo stretto
piu che non si dovria si buon destriero,
lo pon, per riposarlo, e lo rassetta
in una barca, e per andar piu in fretta.
LXXXVII
Senza indugio al nocchier varar la barca,
e dar fa i remi all'acqua da la sponda.
Quella, non molto grande e poco carca,
se ne va per la Sonna giu a seconda.
Non fugge il suo pensier ne se ne scarca
Rodomonte per terra ne per onda:
lo trova in su la proda e in su la poppa;
e se cavalca, il porta dietro in groppa.
CANTO VENTESIMOTTAVO 749
LXXXVIII
Anzi nel capo, o sia nel cor gli siede,
e di fuor caccia ogni conforto e serra.
Di ripararsi il misero non vede,
da poi che gli nimici ha ne la terra.
Non sa da chi sperar possa mercede,
se gli fanno i domestici suoi guerra:
la notte e '1 giorno e sempre e combattuto
da quel crudel che dovria dargli aiuto.
LXXXIX
Naviga il giorno e la notte seguente
Rodomonte col cor d'affanni grave;
e non si pu6 ringiuria tor di mente,
che da la donna e dal suo re avuto have;
e la pena e il dolor medesmo sente,
che sentiva a cavallo, axicora in nave:
ne spegner pu6, per star ne 1'acqua, il fuoco,
ne* pu6 stato mutar, per mutar loco.
xc
Come rinfermo, che dirotto e stanco
di febbre ardente, va cangiando lato ;
o sia su 1'uno o sia su Paltro franco
spera aver, se si volge, miglior stato ;
ne sul destro riposa ne* sul manco,
e per tutto ugualmente e travagliato :
cosi il pagano al male ond'era infermo
mal trova in terra e male in acqua schermo.
xci
Non puote in nave aver piu pazienza,
e si fa porre in terra Rodomonte.
Lion passa e Vienna, indi Valenza,
e vede in Avignone il ricco ponte;
che queste terre et altre ubidienza,
che son tra il flume e '1 celtibero monte,
rendean al re Agramante e al re di Spagna
dal di che fur signer de la campagna.
750 ORLANDO FURIOSO
XCII
Verso Acquamorta a man dritta si tenne
con animo in Algier passare in fretta;
e sopra un fiume ad una villa venne
e da Bacco e da Cerere diletta,
che per le spesse ingiurie che sostenne
dai soldati, a votarsi fu constretta.
Quinci il gran mare, e quindi ne 1'apriche
valli vede ondeggiar le bionde spiche.
XCIII
Quivi ritrova una piccola chiesa
di nuovo sopra un monticel murata,
che poi ch'intorno era la guerra accesa,
i sacerdoti v6ta avean lasciata.
Per stanza fu da Rodomonte presa;
che pel sito, e perch' era sequestrata
dai campi, onde avea in odio udir novella,
gli piacque si, che mut6 Algieri in quella.
xciv
Mut6 d'andare in Africa pensiero,
si commodo gli parve il luogo e bello.
Famigli e carriaggi e il suo destriero
seco alloggiar fe* nel medesmo ostello.
Vicino a poche leghe a Mompoliero
e ad alcun altro ricco e buon castello
siede il villaggio allato alia riviera;
si che d'avervi ogn'agio il mo4o v'era.
xcv
Standovi un giorno il Saracin pensoso
(come pur era il piu del tempo usato),
vide venir per mezzo un prato erboso,
che d'un piccol sentiero era segnato,
una donzella di viso amoroso
in compagnia d'un monaco barbato ;
e si traeano dietro un gran destriero
sotto una soma coperta di nero.
CANTO VENTESIMOTTAVO 751
XCVI
Chi la donzella, chi sl monaco sia,
chi portin seco, vi debbe esser chiaro.
Conoscere Issabella si dovria,
che '1 corpo avea del suo Zerbino caro.
Lasciai che ver Provenza ne venia
sotto la scorta del vecchio preclaro,
che le avea persuaso tutto il resto
dicare a Dio del suo vivere onesto.
XCVII
Come ch'in viso pallida e smarrita
sia la donzella et abbia i crini inconti;
e facciano i sospir continua uscita
del petto acceso, e gli occhi sien duo fonti;
et altri testimoni d'una vita
mis era e grave in lei si veggan pronti;
tanto per6 di bello anco le avanza,
che con le Grazie Amor vi puo aver stanza.
XCVIII
Tosto che '1 Saracin vide la bella
donna apparir, messe il pensiero al fondo
ch'avea di biasmar sempre e d'odiar quella
schiera gentil che pur adorna il mondo.
E ben gli par dignissima Issabella,
in cui locar debba il suo amor secondo,
e spenger totalmente il primo, a modo
che da 1'asse si trae chiodo con chiodo.
xcix
Incontra se le fece, e col piu molle
parlar che seppe, e col miglior sembiante,
di sua condizione domandolle:
et ella ogni pensier gli spiego inante;
come era per lasciare il mondo folle,
e farsi arnica a Dio con opre sante.
Ride il pagano altier ch'in Dio non crede,
d'ogni legge nimico e d'ogni fede.
752 ORLANDO FURIOSO
C
E chiama intenzione erronea e lieve,
e dice che per certo ella troppo erra;
ne men biasmar che Tavaro si deve,
che '1 suo ricco tesor metta sotterra:
alcuno util per se non ne riceve,
e da 1'uso degli altri uomini il serra.
Chiuder leon si denno, orsi e serpenti,
e non le cose belle et innocenti.
ci
II monaco, ch'a questo avea Porecchia,
e per soccorrer la giovane incauta,
che ritratta non sia per la via vecchia,
sedea al governo qual pratico nauta,
quivi di spiritual cibo apparecchia
tosto una mensa sontuosa e lauta.
Ma il Saracin, che con mal gusto nacque,
non pur la sapor6, che gli dispiacque:
CII
e poi ch'invano il monaco interroppe,
e non pot6 mai far si che tacesse,
e che di pazienza il freno roppe,
le mani adosso con furor gli messe.
Ma le parole mie parervi troppe
potriano omai, se piii se ne dicesse:
si che finiro il canto; e rni fia specchio
quel che per troppo dire accade al vecchio.
CANTO VENTESIMONONO 753
CANTO VENTESIMONONO
I
O degli uomini inferma e instabil mente!
come sian presti a variar disegno!
Tutti i pensier mutamo facilmente,
piu quei che nascon d'amoroso sdegno.
lo vidi dianzi il Saracin si ardente
contra le donne, e passar tanto il segno,
che non che spegner 1'odio, ma pensai
che non dovesse intiepidirlo mai.
II
Donne gentil, per quel ch'a biasmo vostro
par!6 contra il dover, si offeso sono,
che sin che col suo mal non gli dimostro
quanto abbia fatto error, non gli perdono.
lo far6 si con penna e con inchiostro,
ch'ognun vedra che gli era utile e buono
aver taciuto, e mordersi anco poi
prima la lingua, che dir mal di voi.
in
Ma che par!6 come ignorante e sciocco,
ve lo dimostra chiara esperienzia*
Incontra tutte trass e fuor lo stocco
de 1'ira, senza farvi differenzia:
poi d'Issabella un sguardo si Tha tocco,
che subito gli fa mutar sentenzia.
Gia in cambio di quelPaltra la disia,
1'ha vista a pena, e non sa ancor chi sia.
754 ORLANDO FURIOSO
IV
E come il nuovo amor lo punge e scalda,
muove alcune ragion di poco frutto,
per romper quella mente intera e salda
ch'ella avea fissa al Creator del tutto.
Ma Feremita che 1'e scudo e falda,
perche il casto pensier non sia distrutto,
con argument! phi validi e fermi,
quanto piu puo, le fa ripari e schermi.
Poi che Tempio pagan molto ha sofferto
con lunga noia quel monaco audace,
e che gli ha detto invan ch'al suo deserto
senza lei pu6 tornar quando gli piace;
e che nuocer si vede a viso aperto,
e che seco non vuol triegua ne pace:
la mano al mento con furor gli stese,
e tanto ne pe!6, quanto ne prese.
VI
E si crebbe la furia, che nel collo
con man lo stringe a guisa di tanaglia;
e poi ch'una e due volte raggirollo,
da se per Paria e verso il mar lo scaglia.
Che n'avenisse, ne dico ne sollo:
varia fama e di lui, ne si raguaglia.
Dice alcun che si rotto a un sasso resta,
che '1 pie non si discerne da la testa;
VII
et altri, ch'a cadere and6 nel mare,
ch'era piu di tre miglia indi lontano,
e che mori per non saper notare,
fatti assai prieghi e orazioni invano;
altri, ch'un santo lo venne aiutare,
lo trasse al lito con visibil mano.
Di queste, qual si vuol, la vera sia:
di lui non parla piu Tistoria rnia.
CANTO VENTESIMONONO 755
VIII
Rodomonte crudel, poi che levato
s'ebbe da canto il garnilo eremita,
si ritorno con viso men turbato
verso la donna mesta e sbigottita;
e col parlar ch'e fra gli amanti usato,
dicea ch'era il suo core e la sua vita
e '1 suo conforto e la sua cara speme,
et altri norni tai che vanno insieme.
IX
E si mostro si costumato allora,
che non le fece alcun segno di forza.
II sembiante gentil che Pinnamora,
1'usato orgoglio in lui spegne et ammorza:
e ben che *1 frutto trar ne possa fuora,
passar non per6 vuole oltre a la scorza;
che non gli par che potesse esser buono,
quando da lei non lo accettasse in dono.
x
E cosl di disporre a poco a poco
a' suoi piaceri Issabella credea.
Ella, che in si solingo e strano loco
qual topo in piede al gatto si vedea,
vorria trovarsi inanzi in mezzo il fuoco;
e seco tuttavolta rivolgea
s' alcun partito, alcuna via fosse atta
a trarla quindi immaculata e intatta.
XI
Fa ne Panimo suo proponimento
di darsi con sua man prima la morte,
che '1 barbaro crudel n'abbia il suo intento,
e che le sia cagion d'errar si forte
contra quel cavallier ch'in braccio spento
Pavea crudele e dispietata sorte;
a cui fatto have col pensier devoto
de la sua castita perpetuo voto.
756 ORLANDO FURIOSO
XII
Crescer piu sempre Pappetito cieco
vede del re pagan, ne sa che farsi.
Ben sa che vuol venire all'atto bieco,
ove i contrast! suoi tutti fien scarsi.
Pur discorrendo molte cose seco,
il mo do trov6 al fin di ripararsi,
e di salvar la castita sua, come
io vi diro, con lungo e chiaro nome.
XIII
Al brutto Saracin, che le venia
gia contra con parole e con effetti
privi di tutta quella cortesia
che mostrata le avea ne' primi detti:
— Se fate che con voi sicura io sia
del mio onor — disse — e ch'io non ne sospetti,
cos a alPincontro vi dar6 che molto
piu vi varra, ch'avermi 1'onor tolto.
XIV
Per un piacer di si poco momento,
di che n'ha si abondanza tutto '1 mondo,
non disprezzate un perpetuo contento,
un vero gaudio a nullo altro secondo.
Potrete tuttavia ritrovar cento
e mille donne di viso giocondo;
ma chi vi possa dar questo mio dono,
nessuno al mondo, o pochi altri ci sono.
xv
Ho notizia d'un'erba, e Tho veduta
venendo, e so dove trovarne appresso,
che bollita con elera e con ruta
ad un fuoco di legna di cipresso,
e fra mano innocenti indi premuta,
manda un liquor che chi si bagna d'esso
tre volte il corpo, in tal modo 1'indura,
che dal ferro e dal fuoco 1'assicura.
CANTO VENTESIMONONO 757
XVI
lo dico, se tre volte se n'immolla,
un mese invulnerabile si trova.
Oprar conviensi ogni mese Tampolla;
che sua virtu piu termine non giova.
lo so far Facqua, et oggi ancor farolla,
et oggi ancor voi ne vedrete prova:
e vi puo, s'io non fallo, esser piu grata,
che d'aver tutta Europa oggi acquistata.
XVII
Da voi domando in guiderdon di questo,
che su la fede vostra mi giuriate
che ne in detto ne in opera molesto
mai piu sarete alia mia castitate. —
Cosi dicendo, Rodomonte onesto
fe' ritornar; ch'in tanta voluntate
venne ch'inviolabil si facesse,
che piu ch'ella non disse, le promesse:
XVIII
e servaralle fin che vegga fatto
de la mirabil acqua esperienzia;
e sforzerasse intanto a non fare atto,
a non far segno alcun di violenzia.
Ma pensa poi di non tenere il patto,
perche non ha timor ne riverenzia
di Dio o di santi; e nel mancar di fede
tutta a lui la bugiarda Africa cede.
XIX
Ad Issabella il re d'Algier scongiuri
di non la molestar fe' piu di mille,
pur ch'essa lavorar 1'acqua procuri,
che far lo pu6 qual fu gia Cigno e Achille.
Ella per baize e per valloni oscuri
da le citta lontana e da le ville
ricoglie di molte erbe; e il Saracino
non 1'abandona, e 1'e sempre vicino.
75$ ORLANDO FURIOSO
XX
Poi ch'in piu parti quant'era a bastanza
colson de 1'erbe e con radici e senza,
tardi si ritornaro alia lor stanza;
dove quel paragon di continenza
tutta la notte spende che Tavanza
a bollir erbe con molta avertenza:
e a tutta 1'opra e a tutti quei misteri
si trova ognor present e il re d'Algieri.
XXI
Che producendo quella notte in giuoco
con quelli pochi send ch'eran seco,
sentia, per lo calor del vicin fuoco
ch'era rinchiuso in quello angusto speco,
tal sete, che bevendo or molto or poco
duo barili votar pieni di greco,
ch'aveano tolto uno o duo giorni inanti
i suoi scudieri a certi viandanti.
XXII
Non era Rodomonte usato al vino,
perche la legge sua lo vieta e danna:
e poi che lo gusto, liquor divino
gli par, miglior che '1 nettare o la manna;
e riprendendo il rito saracino,
gran tazze e pieni fiaschi ne tracanna.
Fece il buon vino, ch'ando spesso intorno,
girare il capo a tutti come un torno.
XXIII
La donna in questo mezzo la caldaia
dal fuoco tolse, ove quell' erbe cosse;
e disse a Rodomonte : — Accio che paia
che mie parole al vento non ho mosse,
quella che '1 ver da la bugia dispaia,
e che pu6 dotte far le genti grosse,
te ne far6 1'esperienzia ancora,
non ne 1'altrui, ma nel mio corpo or ora.
CANTO VENTESIMONONO 759
XXIV
lo voglio a far il saggio esser la prima
del felice liquor di virtu pieno,
accio tu forse non facessi stima
che ci fosse mortifero veneno.
Di questo bagnerommi da la cima
del capo giu pel collo e per lo seno:
tu poi tua forza in me prova e tua spada,
se questo abbia vigor, se quella rada. —
xxv
Bagnossi, come disse, e lieta porse
alPincauto pagano il collo ignudo,
incauto, e vinto anco dal vino forse,
incontra a cui non vale elmo ne scudo.
Quel uom bestial le presto fede, e scorse
si con la mano e si col ferro crudo,
che del bel capo, gia d'Amore albergo,
fe' tronco rimanere il petto e il tergo.
XXVI
Quel fe5 tre balzi; e funne udita chiara
voce ch'uscendo nomino Zerbino,
per cui seguire ella trov6 si rara
via di fuggir di man del Saracino.
Alma, ch'avesti piu la fede cara,
e '1 nome quasi ignoto e peregrino
al tempo nostro, de la castitade,
che la tua vita e la tua verde etade,
XXVII
vattene in pace, alma beata e bellal
Cosi i miei versi avesson forza, come
ben m'affaticherei con tutta quella
arte che tanto il parlar orna e come,
perche mille e muTanni e piu novella
sentisse il mondo del tuo chiaro nome.
Vattene in pace alia superna sede,
e lascia alPaltre esempio di tua fede.
760 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
All'atto incomparabile e stupendo,
dal cielo il Creator giu gli occhi volse,
e disse : — Piii di quella ti commendo,
la cui morte a Tarquimo il regno tolse;
e per questo una legge fare intendo
tra quelle mie che mai tempo non sciolse,
la qual per le inviolabil' acque giuro
che non mutera seculo futuro.
XXIX
Per Fawenir vo' che ciascuna ch'aggia
il nome tuo, sia di sublime ingegno,
e sia bella, gentil, cortese e saggia,
e di vera onestade arrivi al segno:
onde materia agli scrittori caggia
di celebrare il nome inclito e degno;
tal che Parnasso, Pindo et EKcone
sempre Issabella, Issabella risuone. —
xxx
Dio cosi disse, e fe' serena intorno
1'aria, e tranquillo il mar piu che mai fusse.
Fe' Talma casta al terzo ciel ritorno,
e in braccio al suo Zerbin si ricondusse.
Rimase in terra con vergogna e scorno
quel fier senza pieta nuovo Breusse;
che poi che 1 troppo vino ebbe digesto,
biasmb il suo errore, e ne rest6 funesto.
XXXI
Placare o in parte satisfar pensosse
a Fanima beata d'Issabella,
se, poi ch'a morte il corpo le percosse,
desse almen vita alia memoria d'ella.
Trovo per mezzo, accio che cosi fosse,
di convertirle quella chiesa, quella
dove abitava e dove ella fu uccisa,
in un sepolcro; e vi dir6 in che guisa.
CANTO VENTESIMONONO 761
XXXII
Di tutti i lochi intorno fa venire
mastri, chi per amore e chi per tema;
e fatto ben seimila uomini unire,
de' gravi sassi i vicin monti scema,
e ne fa una gran massa stabilire,
che da la cima era alia parte estrema
novanta braccia; e vi rmchiude dentro
la chiesa, che i duo amanti have nel centro.
XXXIII
Imita quasi la superb a mole
che fe' Adriano alFonda tiberina.
Presso al sepolcro una torre alta vuole;
ch'abitarvi alcun tempo si destina.
Un ponte stretto e di due braccia sole
fece su Tacqua che correa vicina.
Lungo il ponte, ma largo era si poco,
che dava a pena a duo cavalli loco;
xxxiv
a duo cavalli che venuti a paro,
o ch'insieme si fossero scontrati:
e non avea ne sponda ne riparo,
e si potea cader da tutti i lati.
II passar quindi vuol che costi caro
a guerrieri o pagani o battezzati;
che de le spoglie lor mille trofei
promette al cimiterio di costei.
xxxv
In dieci giorni e in manco fu perfetta
Topra del ponticel che passa il fiume;
ma non fu gia il sepolcro cosi in fretta,
ne la torre condutta al suo cacume:
pur fu levata si, ch'alla veletta
starvi in cima una guardia avea costume,
che d'ogni cavallier che venia al ponte,
col corno facea segno a Rodomonte.
762 ORLANDO FURJOSO
XXXVI
E quel s'armava, e se gli venia a opporre
ora su 1'una, ora su 1'altra riva;
che se '1 guerrier venia di ver la torre,
su Taltra proda il re d'Algier veniva.
II ponticello e il campo ove si corre;
e se '1 destrier poco del segno usciva,
cadea nel flume, ch'alto era e profondo:
ugual periglio a quel non avea il mondo.
XXXVII
Aveasi imaginato il Saracino,
che per gir spesso a rischio di cadere
dal ponticel nel fiume a capo chino,
dove gli converria molt'acqua here,
del fallo a che Tindusse il troppo vino,
dovesse netto e mondo rimanere;
come Pacqua, non men che '1 vino, estingua
Terror che fa pel vino o mano o lingua.
XXXVIII
Molti fra pochi di vi capitaro:
alcuni la via dritta vi condusse,
ch'a quei che verso Italia o Spagna andaro
altra non era che phi trita fusse ;
altri 1'ardire e, piu che vita caro,
1'onore, a farvi di se prova indusse.
E tutti, ove acquistar credean la palma,
lasciavan Tarme, e molti insieme Talma.
XXXIX
Di quelli ch'abbattea, s'eran pagani,
si contentava d'aver spoglie et armi;
e di chi prima furo, i nomi piani
vi facea sopra, e sospendeale ai marmi:
ma ritenea in prigion tutti i cristiani;
e che in Algier poi li mandasse parmi.
Finita ancor non era Topra, quando
vi venne a capitare il pazzo Orlando.
CANTO VENTESIMONONO 763
XL
A caso venne il furioso conte
a capitar su questa gran riviera,
dove, come io vi dico, Rodomonte
fare in fretta facea, ne finito era
la torre ne il sepolcro, e a pena il ponte:
e di tutte arme, fuor che di visiera,
a quell' ora il pagan si trovo in punto,
ch' Orlando al nume e al ponte e sopragiunto.
XLI
Orlando (come il suo furor lo caccia)
salta la sbarra e sopra il ponte corre.
Ma Rodomonte con turbata faccia,
a pie, com5 era inanzi a la gran torre,
gli grida di lontano e gli minaccia,
ne se gli degna con la spada opporre:
— Indiscreto villan, ferma le piante,
temerario, importune et arrogante.
XLII
Sol per signori e cavallieri e fatto
il ponte, non per te, bestia balorda. —
Orlando, ch'era in gran pensier distratto,
vien pur inanzi e fa Porecchia sorda.
— Bisogna ch'io castighi questo matto —
disse il pagano ; e con la voglia ingorda
venia per traboccarlo giu ne 1'onda,
non pensando trovar chi gli risponda.
XLIII
In questo tempo una gentil donzella,
per passar sovra il ponte, al fiume arriva,
leggiadramente ornata e in viso bella,
e nei sembianti accortamente schiva.
Era (se vi ricorda, Signor) quella
che per ogni altra via cercando giva
di Brandimarte, il suo amator, vestigi,
fuor che, dove era, dentro da Parigi.
764 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Ne Tarrivar di Fiordiligi al ponte
(che cosi la donzella nomata era),
Orlando s'attacco con Rodomonte
che lo volea gittar ne la riviera.
La donna, ch'avea pratica del conte,
subito n'ebbe conoscenza vera:
e rest6 d'alta maraviglia piena,
de la follia che cosi nudo il mena.
XLV
Fermasi a riguardar che fine avere
debba il furor dei duo tanti possenti.
Per far del ponte Tun Taltro cadere
a por tutta lor forza sono intenti.
— Come e ch'un pazzo debba si valere ? —
seco il fiero pagan dice tra' denti;
e qua e la si volge e si raggira,
pieno di sdegno e di superbia e d'ira.
XL VI
Con 1'una e 1'altra man va ricercando
far nuova presa, ove il suo meglio vede;
or tra le gambe, or fuor gli pone, quando
con arte il destro, e quando il manco piede.
Simiglia Rodomonte intorno a Orlando
lo stolido orso che sveller si crede
1'arbor onde e caduto; e come n'abbia
quello ogni colpa, odio gli porta e rabbia.
XLVII
Orlando, che Tingegno avea sommerso,
io non so dove, e sol la forza usava,
Testrema forza a cui per 1'universo
nessuno o raro paragon si dava,
cader del ponte si lascio riverso
col pagano abbracciato come stava.
Cadon nel fiume, e vanno al fondo insieme :
ne salta in aria Tonda, e il lito geme.
CANTO VENTESIMONONO 765
XLVIII
L'acqua gli fece distaccare in fretta.
Orlando e nudo, e nuota com'un pesce:
di qua le braccia, e di la i piedi getta,
e viene a proda; e come di fuor esce,
correndo va, ne per mirare aspetta
se in biasmo o in loda questo gli riesce.
Ma il pagan, che da Tarme era impedito,
torn6 piu tar do e con piu affanno al lito.
XLIX
Sicuramente Fiordiligi intanto
avea passato il ponte e la riviera;
e guardato il sepolcro in ogni canto,
se del suo Brandimarte insegna v'era:
poi che ne 1'arme sue vede ne il manto,
di ritrovarlo in altra parte spera.
Ma ritorniamo a ragionar del conte,
che lascia a dietro e torre e flume e ponte.
L
Pazzia sara, se le pazzie d5 Orlando
prometto raccontarvi ad una ad una;
che tante e tante fur, ch'io non so quando
finir: ma ve n'andro scegliendo alcuna
solenne et atta da narrar cantando,
e ch'all'istoria mi parra oportuna;
ne quella tacero miraculosa
che fu nei Pirenei sopra Tolosa.
LI
Trascorso avea molto paese il conte,
come dal grave suo furor fu spinto;
et al fin capito sopra quel monte
per cui dal Franco e il Tarracon distinto;
tenendo tuttavia volta la fronte
verso la dove il sol ne viene estinto:
e quivi giunse in uno angusto calle,
che pendea sopra una profonda valle.
766 ORLANDO FURIOSO
LII
Si vennero a incontrar con esso al varco
duo boscherecci gioveni, ch'inante
avean di legna un loro asino carco;
e perche ben s'accorsero al sembiante
ch'avea di cervel sano il capo scarce,
gli gridano con voce minacciante
o ch'a dietro o da parte se ne vada,
e che si levi di mezzo la strada.
LIII
Orlando non risponde altro a quel detto,
se non che con furor tira d'un piede,
e giunge a punto 1' asino nel petto
con quella forza che tutte altre eccede;
et alto il leva si, ch'uno augelletto
che voli in aria sembra a chi lo vede.
Quel va a cadere alia cima d'un colle,
ch'un miglio oltre la valle il giogo estolle.
LIV
Indi verso i duo gioveni s'aventa,
dei quali un, piu che senno, ebbe aventura,
che da la balza, che due volte trenta
braccia cadea, si gitt6 per paura.
A mezzo il tratto trovo molle e lenta
una macchia di rubi e di verzura,
a cui bast6 graffiargli un poco il volto :
del resto lo mand6 libero e sciolto.
LV
L'altro s'attacca ad un scheggion ch'usciva
fuor de la roccia, per salirvi sopra;
perche si spera, s'alla cima arriva,
di trovar via che dal pazzo lo cuopra.
Ma quel nei piedi (che non vuol che viva)
lo piglia, mentre di salir s'adopra:
e quanto piu sbarrar puote le braccia,
le sbarra si, ch'in duo pezzi lo straccia;
CANTO VENTESIMONONO 767
LVI
a quella guisa che veggian talora
farsl cTuno aeron, farsi d'un polio,
quando si vuol de le calde interiora
che falcone o ch'astor resti satollo.
Quanto e bene accaduto che non muora
quel che fu a risco di fiaccarsi il collo!
ch'ad altri poi questo miracol disse,
si che 1'udi Turpino, e a noi lo scrisse.
LVII
E queste et altre assai cose stupende
fece nel traversar de la montagna.
Dopo molto cercare, al fin discende
verso meriggie alia terra di Spagna;
e lungo la marina il carnin prende,
ch'intorno a Taracona il lito bagna:
e come vuol la furia che lo mena,
pensa farsi uno alb ergo in quella arena,
LVIII
dove dal sole alquanto si ricuopra;
e nel sabbion si caccia arrido e trito.
Stando cosi, gli venne a caso sopra
Angelica la bella e il suo marito,
ch'eran (si come io vi narrai di sopra)
scesi dai monti in su Tispano lito.
A men d'un braccio ella gli giunse appresso,
perche non s'era accorta ancora d'esso.
LIX
Che fosse Orlando, nulla le soviene:
troppo e diverso da quel ch'esser suole.
Da indi in qua che quel furor lo tiene,
e sempre andato nudo all'ombra e al sole:
se fosse nato all'aprica Siene,
o dove Ammone il Garamante cole,
o presso ai monti onde il gran Nilo spiccia,
non dovrebbe la carne aver piu arsiccia.
768 ORLANDO FURIOSO
LX
Quasi ascosi avea gli occhi ne la testa,
la faccia macra, e come un osso asciutta,
la chioma rabuffata, orrida e rnesta,
la barba folta, spaventosa e brutta.
Non piu a vederlo Angelica fu presta,
che fosse a ritornar, tremando tutta:
tutta tremando, e empiendo il ciel di grida,
si volse per aiuto alia sua guida.
LXI
Come di lei s'accorse Orlando stolto,
per ritenerla si levo di botto:
cosi gli piacque il delicato volto,
cosi ne venne immantinente giotto.
D'averla amata e riverita molto
ogni ricordo era in lui guasto e rotto.
Gli corre dietro, e tien quella maniera
che terria il cane a seguitar la fera.
LXII
II giovine che '1 pazzo seguir vede
la donna sua, gli urta il cavallo adosso,
e tutto a un tempo lo percuote e fiede,
come lo trova che gli volta il dosso.
Spiccar dal busto il capo se gli crede:
ma la pelle trovo dura come osso,
anzi via piu ch'acciar; ch' Orlando nato
impenetrabile era et affatato.
LXIII
Come Orlando senti battersi dietro,
girossi, e nel girare il pugno strinse,
e con la forza che passa ogni metro,
feri il destrier che '1 Saracino spinse.
Peril sul capo, e come fosse vetro
lo spezzo si, che quel cavallo estinse:
e rivoltosse in un medesmo instante
dietro a colei che gli fuggiva inante.
CANTO VENTESIMONONO 769
LXIV
Caccia Angelica in fretta la giumenta,
e con sferza e con spron tocca e ritocca;
che le parrebbe a quel bisogno lenta,
se ben volasse piu che stral da cocca.
De Tannel c'ha nel dito si ramenta,
che puo salvarla, e se lo getta in bocca:
e I'annel, che non perde il suo costume,
la fa sparir come ad un soffio il lume.
LXV
O fosse la paura, o che pigliasse
tanto disconcio nel mutar 1'annello,
o pur, che la giumenta traboccasse,
che non posso affermar questo n6 quello;
nel medesmo momento che si trasse
Pannello in bocca e ce!6 il viso bello,
Iev6 le gambe et usci de Tarcione,
e si trov6 ri versa in sul sabbione.
LXVI
Piu corto che quel salto era dua dita,
aviluppata rimanea col matto,
che con 1'urto le avria tolta la vita;
ma gran ventura Taiuto a queLtratto.
Cerchi pur ch'altro furto le dia aita
d'un'altra bestia, come prima ha fatto ;
che piu non e per riaver mai questa
ch'inanzi al paladin 1'arena pesta.
LXVII
Non dubitate gia ch'ella non s'abbia
a provedere; e seguitiamo Orlando,
in cui non cessa 1'impeto e la rabbia
perche si vada Angelica celando.
Segue la bestia per la nuda sabbia,
e se le vien piu sempre approssimando :
gia gia la tocca, et ecco Fha nel crine,
indi nel freno, e la ritiene al fine.
77° ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Con quella festa il paladin la piglia,
ch'un altro avrebbe fatto una donzella:
le rassetta le redine e la briglia,
e spicca un salto et entra ne la sella;
e correndo la caccia molte miglia,
senza riposo, in questa parte e in quella:
mai non le leva ne sella ne freno,
ne le lascia gustare erba n6 fieno.
LXIX
Volendosi cacciare oltre una fossa,
sozzopra se ne va con la cavalla.
Non nocque a lui, ne senti la percossa;
ma nel fondo la misera si spalla.
Non vede Orlando come trar la possa;
e finalmente se 1'arreca in spalla,
e su ritorna, e va con tutto il carco,
quanto in tre volte non trarrebbe un arco.
LXX
Sentendo poi che gli gravava troppo,
la pose in terra, e volea trarla a mano.
Ella il seguia con passo lento e zoppo;
dicea Orlando: — Carnina! — e dicea invano.
Se Pavesse seguito di galoppo,
assai non era al desiderio insano.
Al fin dal capo le levo il capestro,
e dietro la Ieg6 sopra il pie destro ;
LXXI
e cosi la strascina, e la conforta
che lo potra seguir con maggior agio.
Qual leva il pelo, e quale il cuoio porta,
dei sassi ch'eran nel camin malvagio.
La mal condotta bestia rest6 morta
finalmente di strazio e di disagio.
Orlando non le pensa e non la guarda,
e via correndo il suo camin non tarda.
CANTO VENTESIMONONO 771
LXXII
Di trarla, anco che morta, non rimase,
continoando il corso ad occidente;
e tuttavia saccheggia ville e case,
se bisogno di cibo aver si sente;
e frutte e carne e pan, pur ch'egli in vase,
rapisce ; et usa forza ad ogni gente :
qual lascia morto e qual storpiato lassa;
poco si ferma, e sempre inanzi passa.
LXXIII
Avrebbe cosi fatto, o poco manco,
alia sua donna, se non s'ascondea;
perche non discernea il nero dal bianco,
e di giovar nocendo si credea.
Deh maledetto sia Tannello et anco
il cavallier che dato le Tavea!
che se non era, avrebbe Orlando fatto
di se vendetta e di miU'altri a un tratto.
LXXIV
Ne questa sola, ma fosser pur state
in man d'Orlando quante oggi ne sono;
ch'ad ogni modo tutte-sono ingrate,
ne si trova tra loro oncia di buono.
Ma prima che le corde rallentate
al canto disugual rendano il suono,
fia meglio difFerirlo a un'altra volta,
accio men sia noioso a chi Tascolta.
772 ORLANDO FURIOSO
CANTO TRENTESIMO
Quando vincer da 1'impeto e da 1'ira
si lascia la ragion, ne si difende,
e che '1 cieco furor si inanzi tira
o mano o lingua, che gli amici offende;
se ben dipoi si piange e si sospira,
non e per questo che Terror s'emende.
Lasso! io mi doglio e affligo in van di quanto
dissi per ira al fin de Faltro canto.
n
Ma simile son fatto ad uno infermo,
che dopo molta pazienzia e molta,
quando contra il dolor non ha piu schermo,
cede alia rabbia e a bestemmiar si volta.
Manca il dolor, ne 1'impeto sta fermo,
che la lingua al dir mal facea si sciolta;
e si ravvede e pente e n'ha dispetto:
ma quel c'ha detto, non puo far non detto.
in
Ben spero, donne, in vostra cortesia
aver da voi perdon, poi ch'io vel chieggio.
Voi scusarete, che per frenesia,
vinto da 1'aspra passion, vaneggio.
Date la colpa alia nimica mia,
che mi fa star ch'io non potrei star peggio,
e mi fa dir quel di ch'io son poi gramo:
sallo Idio, s'ella ha il torto; essa, s'io Tamo.
CANTO TRENTESIMO 773
IV
Non men son fuor di me, che fosse Orlando;
e non son men di lui di scusa degno,
ch'or per li monti, or per le piagge errando,
scorse in gran parte di Marsilio il regno,
molti di la cavalla strascinando
morta, come era, senza alcun ritegno;
ma giunto ove un gran fiume entra nel mare,
gli fu forza il cadavero lasciare.
v
E perche sa nuotar come una lontra,
entra nel fiume, e surge all'altra riva.
Ecco un pastor sopra un cavallo incontra,
che per abeverarlo al fiume arriva.
Colui, ben che gli vada Orlando incontra,
perche egli e solo e nudo, non lo schiva.
— Vorrei del tuo ronzin — gli disse il matto
— con la giumenta mia far un baratto.
VI
10 te la mostrero di qui, se vuoi;
che morta la su 1'altra ripa giace:
la potrai far tu medicar dipoi;
altro difTetto in lei non mi displace.
Con qualche aggiunta il ronzin dar mi puoi:
smontane in cortesia, perche mi piace. —
11 pastor ride, e senz'altra risposta
va verso il guado, e dal pazzo si scosta.
VII
— lo voglio il tuo cavallo : ola non odi ? —
suggiunse Orlando, e con furor si mosse.
Avea un baston con nodi spessi e sodi
quel pastor seco, e il paladin percosse.
La rabbia e 1'ira passo tutti i modi
del conte; e parve fier piu che mai fosse.
Sul capo del pastore un pugno serra,
che spezza Posso, e morto il caccia in terra.
774 ORLANDO FURIOSO
VIII
Salta a cavallo, e per diversa strada
va discorrendo, e molti pone a sacco.
Non gusta il ronzin mai fieno ne biada,
tanto ch'in pochi di ne riman fiacco:
ma non pero ch' Orlando a piedi vada,
che di vetture vuol vivere a macco;
e quante ne trov6, tante ne mise
in uso, poi che i lor patroni uccise.
IX
Capito al fin a Malega, e piu danno
vi fece, ch'egli avesse altrove fatto:
che oltre che ponesse a saccomanno
il popul si, che ne resto disfatto,
ne si pote rifar quel ne Faltr'anno;
tanti n'uccise il periglioso matto,
vi spiano tante case e tante accese,
che disfe' piu che '1 terzo del paese.
x
Quindi partito, venne ad una terra,
Zizera detta, che siede allo stretto
di Zibeltarro, o vuoi di Zibelterra,
che Puno e 1'altro nome le vien detto;
ove una barca che sciogliea da terra
vide piena di gente da diletto,
che solazzando all'aura matutina
gia per la tranquillissima marina,
XI
Cominci6 il pazzo a gridar forte: — Aspetta! -
che gli venne disio d'andare in barca.
Ma bene invano e i gridi e gli urli getta;
che volentier tal merce non si carca.
Per 1'acqua il legno va con quella fretta
che va per 1'aria irondine che varca.
Orlando urta il cavallo e batte e stringe,
e con un mazzafrusto all'acqua spinge.
CANTO TRENTESIMO 775
XII
Forza e ch'al fin nelFacqua il cavallo entre,
ch'invan contrasta, e spende invano ogni opra:
bagna i genocchi, e poi la groppa e '1 ventre,
indi la testa, e a pena appar di sopra.
Tornare a dietro non si speri, mentre
la verga tra Forecchie se gli adopra.
Misero! o si convien tra via affogare,
o nel lito african passare il mare.
XIII
Non vede Orlando piu poppe ne sponde
che tratto in mar 1'avean dal lito asciutto;
che son troppo lontane, e le nasconde
agli occhi bassi Falto e mobil fhitto:
e tuttavia il destrier caccia tra 1'onde,
ch'andar di la dal mar dispone in tutto.
II destrier, d'acqua pieno e d'alma v6to,
finalmente fini la vita e il nuoto.
XIV
Ando nel fondo, e vi traea la salma,
se non si tenea Orlando in su le braccia.
Mena le gambe e Tuna e Paltra palma,
e soffia, e Fonda spinge da la faccia.
Era Taria soave e il mare in calma:
e ben vi bisogno piu che bonaccia;
ch'ogni poco che '1 mar fosse piu sorto,
restava il paladin ne Pacqua morto.
xv
Ma la Fortuna, che dei pazzi ha cura,
del mar lo trasse nel lito di Setta,
in una spiaggia, lungi da le mura
quanto sarian duo tratti di saetta.
Lungo il mar molti giorni alia ventura
verso levante ando correndo in fretta;
fin che trov6, dove tendea sul lito,
di nera gente esercito infinite.
776 ORLANDO FURIOSO
XVI
Lasciamo il paladin ch'errando vada:
ben di parlar di lui tornera tempo.
Quanto, Signore, ad Angelica accada,
dopo ch'usci di man del pazzo a tempo,
e come a ritornare in sua contrada
trovasse e buon navilio e miglior tempo,
e de Tlndia a Medor desse lo scettro,
forse altri cantera con miglior plettro.
XVII
lo sono a dir tante altre cose intento,
che di seguir phi questa non mi cale.
Volger conviemmi il bel ragionamento
al Tartaro, che spinto il suo rivale
quella bellezza si godea contento,
a cui non resta in tutta Europa uguale,
poscia che se n'e Angelica partita,
e la casta Issabella al ciel salita.
XVIII
De la sentenzia Mandricardo altiero,
ch'in suo favor la bella donna diede,
non puo fruir tutto il diletto intero ;
che contra lui son altre liti in piede.
L'una gli muove il giovene Ruggiero,
perche Faquila bianca non gli cede;
1'altra il famoso re di Sericana,
che da lui vuol la spada Durindana.
XIX
S'afFatica Agramante, ne disciorre,
ne Marsilio con lui, sa questo intrico:
ne solamente non li puo disporre
che voglia Tun de Faltro essere amico ;
ma che Ruggiero a Mandricardo t6rre
lasci lo scudo del Troiano antico,
o Gradasso la spada non gli vieti,
tanto che questa o quella lite accheti.
CANTO TRENTESIMO 777
XX
Ruggier non vuol ch'in altra pugna vada
con lo suo scudo; ne Gradasso vuole
che fuor che contra se porti la spada
che Jl glorioso Orlando portar suole.
— Al fin veggiamo in cui la sorte cada, —
disse Agramante — e non sian piu parole ;
veggian quel che Fortuna ne disponga,
e sia preposto quel ch'ella preponga.
XXI
E se compiacer meglio mi volete,
onde d'aver ve n'abbia oblige ognora,
chi de' di voi combatter, sortirete;
ma con patto, ch'al primo ch'esca fuora
amendue le querele in man porrete:
si che per se vincendo, vinca ancora
pel compagno; e perdendo Tun di vui,
cosi perduto abbia per ambidui.
XXII
Tra Gradasso e Ruggier credo che sia
di valor nulla o poca differenza;
e di lor qual si vuol venga fuor pria,
so ch'in arme fara per eccellenza.
Poi la vittoria da quel canto stia,
che vorra la divina providenza.
II cavallier non avra colpa alcuna,
ma il tutto imputerassi alia Fortuna. —
XXIII
Steron taciti al detto d' Agramante
e Ruggiero e Gradasso; et accordarsi
che qualunque di loro uscira inante,
e Tuna briga e 1'altra abbia a pigliarsi.
Cosi in duo brevi, ch'avean simigliante
et ugual forma, i nomi lor notarsi;
e dentro un'urna quelli hanno rinchiusi,
versati molto, e sozzopra confusi.
778 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Un semplice fanciul nell'urna messe
la mano, e prese un breve; e venne a caso
ch'in questo il nome di Ruggier si lesse,
essendo quel del Serican rimaso.
Non si pu6 dir quanta allegrezza avesse,
quando Ruggier si senti trar del vaso,
e d'altra parte il Sericano doglia;
ma quel che manda il del, forza e die toglia.
xxv
Ogni suo studio il Sericano, ogni opra
a favorire, ad aiutar converte
perche Ruggiero abbia a restar di sopra:
e le cose in suo pro, ch'avea gia esperte,
come or di spada, or di scudo si cuopra,
qual sien botte fallaci e qual sien certe,
quando tentar, quando schivar fortuna
si dee, gli torna a mente ad una ad una.
xxvr
II resto di quel di, che da 1'accordo
e dal trar de le sorti sopravanza,
e speso dagli amici in dar ricordo,
chi a 1'un guerrier chi a Paltro, come e usanza.
II popul, di veder la pugna ingordo,
s'affretta a gara d'occupar la stanza:
ne basta a molti inanzi giorno andarvi,
che voglion tutta notte anco veggiarvi.
XXVII
La sciocca turba disiosa attende
ch'i duo buon cavallier vengano in prova;
che non mira piu lungi ne comprende
di quel ch'inanzi agli occhi si ritrova.
Ma Sobrino e Marsilio, e chi piu intende
e vede cio che nuoce e cio che giova,
biasma questa battaglia, et Agramante,
che voglia comportar che vada inante.
CANTO TRENTESIMO 779
XXVIII
Ne cessan raccordargli il grave danno
che n'ha d'avere il popul saracino,
muora Ruggiero o il tartaro tiranno,
quel che prefisso e dal suo fier destine :
d'un sol di lor via piu bisogno avranno
per contrastare al figlio di Pipino,
che di dieci altri mila che ci sono,
tra5 quai fatica e ritrovare un buono.
XXIX
Conosce il re Agramante che gli e vero,
ma non pu6 piu negar cio c'ha promesso.
Ben prega Mandricardo e il buon Ruggiero,
che gli ridonin quel c'ha lor concesso;
e tanto piu che '1 lor litigio e un zero,
ne degno in prova d'arme esser rimesso:
e s'in cio pur nol vogliono ubbidire,
voglino almen la pugna differire.
xxx
Cinque o sei mesi il singular certame,
o meno o piu, si differisca, tanto
che cacciato abbin Carlo del reame,
tolto lo scettro, la corona e il manto.
Ma Tun e Faltro, ancor che voglia e brame
il re ubbidir, pur sta duro da canto;
che tale accordo obbrobrioso stima
a chi '1 consenso suo vi dara prima.
XXXI
Ma piu del re, ma piu d'ognun ch'invano
spenda a placare il Tartaro parole,
la bella figlia del re Stordilano
supplice il priega, e si lamenta e duole:
lo prega che consenta al re africano
e voglia quel che tutto il campo vuole;
si lamenta e si duol che per lui sia
timida sempre e piena d'angonia.
780 ORLANDO FURIOSO
XXXII
— Lassa! — dicea — che ritrovar poss'io
rimedio mai ch'a riposar mi vaglia,
s'or contra questo or quel, nuovo disio
vi trarra sempre a vestir piastra e maglia?
C'ha potuto giovare al petto mio
il gaudio che sia spenta la battaglia
per me da voi contra quelPaltro presa,
se un'altra non minor se n'e gia accesa?
xxxni
Ohime! ch'invano i} me n'andava altiera
ch'un re si degno, un cavallier si forte
per me volesse in perigliosa e fiera
battaglia porsi al risco de la morte;
ch'or veggo per cagion tanto leggiera
non meno esporvi alia medesma sorte.
Fu natural ferocita di core
ch'a quella v'instigo, piu che '1 mio amore.
XXXIV
Ma se gli e ver che '1 vostro amor sia quello
che vi sforzate di mostrarmi ognora,
per lui vi prego, e per quel gran flagello
che mi percuote Talma e che m'accora,
che non vi caglia se '1 candido augello
ha ne lo scudo quel Ruggiero ancora.
Utile o danno a voi non so ch'importi,
che lasci quella insegna o che la porti.
xxxv
Poco guadagno, e perdita uscir molta
de la battaglia puo, che per far sete:
quando abbiate a Ruggier Faquila tolta,
poca merce d'un gran travaglio avrete;
ma se Fortuna le spalle vi volta
(che non pero nel crin presa tenete),
causate un danno, ch'a pensarvi solo
mi sento il petto gia sparrar di duolo.
CANTO TRENTESIMO 781
XXXVI
Quando la vita a voi per voi non sia
cara, e piu amate un'aquila dipinta,
vi sia almen cara per la vita rma:
non sara Tuna senza 1'altra estinta.
Non gia morir con voi grave mi fia:
son di seguirvi in vita e in morte accinta;
ma non vorrei morir si malcontenta
come io morro, se dopo voi son spenta. —
XXXVII
Con tai parole e simili altre assai,
che lacrime accompagnano e sospiri,
pregar non cessa tutta notte mai
perch'alla pace il suo amator ritiri;
e quel, suggendo dagli umidi rai
quel dolce pianto, e quei dolci martiri
da le vermiglie labra piu che rose,
lacrimando egli ancor, cosi rispose:
XXXVIII
— Deh, vita mia, non vi mettete afFanno,
deh non, per Dio, di cosi lieve cosa;
che se Carlo e '1 re d5 Africa, e cio c'hanno
qui di gente moresca e di franciosa,
spiegasson le bandiere in mio sol danno,
voi pur non ne dovreste esser pensosa.
Ben mi mostrate in poco conto avere,
se per me un Ruggier sol vi fa temere.
xxxix
E vi dovria pur ramentar che, solo
(e spada io non avea ne scimitarra),
con un troncon di lancia a un grosso stuolo
d'armati cavallier tolsi la sbarra.
Gradasso, ancor che con vergogna e duolo
Io dica, pure a chi Jl domanda narra
che fu in Soria a un castel mio prigioniero ;
et e pur d'altra fama che Ruggiero.
782 ORLANDO FURIOSO
XL
Non mega similmente il re Gradasso,
e sallo Isolier vostro e Sacripante,
io dico Sacripante, il re circasso,
e '1 famoso Grifone et Aquilante,
cent'altri e piu, che pure a questo passo
stati eran presi alcuni giorni inante,
macometani e gente di battesmo,
che tutti liberai quel di medesmo.
XLI
Non cessa ancor la maraviglia loro
de la gran prova ch'io feci quel giorno,
maggior, che se 1'esercito del Moro
e del Franco inimici avessi intorno.
Et or potra Ruggier, giovine soro,
farmi da solo a solo o danno o scorno ?
Et or c'ho Durindana e 1'armatura
d'Ettor, vi de' Ruggier metter paura?
XLII
Den, perche dianzi in prova non venni io,
se far di voi con Tarme io potea acquisto?
So che v'avrei si aperto il valor mio,
ch'avresti il fin gia di Ruggier previsto.
Asciugate le lacrime, e per Dio
non mi fate uno augurio cosi tristo;
e siate certa che '1 mio onor rn'ha spinto,
non ne Io scudo il bianco augel dipinto. —
XLIII
Cosi disse egli; e molto ben risposto
gli fu da la mestissima sua donna,
che non pur lui mutato di proposto,
ma di luogo avria mossa una colonna.
Ella era per dover vincer lui tosto,
ancor ch'armato, e ch'ella fosse in gonna;
e Tavea indutto a dir, se '1 re gli parla
d'accordo piu, che volea contentarla.
CANTO TRENTESIMO 783
XLIV
E lo facea; se non, tosto ch'al Sole
la vaga Aurora fe' 1'usata scorta,
Tanimoso Ruggier, che mostrar vuole
che con ragion la bella aquila porta,
per non udir piu d'atti e di parole
dilazion, ma far la lite corta,
dove circonda il popul lo steccato,
sonando il corno s'appresenta armato.
XLV
Tosto che sente il Tartaro superbo,
ch'alla battaglia il suono altier lo sfida,
non vuol piu de Taccordo intender verbo,
ma si lancia del letto, et arme grida;
e si dimostra si nel viso acerbo,
che Doralice istessa non si fida
di dirgli piu di pace ne di triegua:
e forza e infin che la battaglia segua.
XLVI
Subito s'arma, et a fatica aspetta
da' suoi scudieri i debiti servigi;
poi monta sopra il buon cavallo in fretta,
che del gran difensor fu di Parigi;
e vien correndo inver la piazza eletta
a terminar con Tarme i gran litigi.
Vi giunse il re e la corte allora allora;
si ch'alFassalto fu poca dimora.
XLVII
Posti lor furo et allacciati in testa
i lucidi elmi, e date lor le lance.
Siegue la tromba a dare il segno presta,
che fece a mille impallidir le guance.
Posero Taste i cavallieri in resta,
e i corridori punsero alle pance ;
e venner con tale impeto a ferirsi,
che parve il ciel cader, la terra aprirsi.
784 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Quinci e quindi venir si vede il bianco
augel che Giove per 1'aria sostenne;
come ne la Tessalia si vide anco
venir piu volte, ma con altre penne.
Quanto sia Puno e Taltro ardito e franco,
mostra il portar de le massiccie antenne;
e molto piii, ch'a quello incontro duro,
quai torri ai venti, o scogli alPonde furo.
XLIX
I tronchi fin al ciel ne sono ascesi:
scrive Turpin, verace in questo loco,
che dui o tre giii ne tornaro accesi,
ch'eran saliti alia sfera del fuoco.
I cavallieri i brandi aveano presi:
e come quei che si temeano poco,
si ritornaro incontra; e a prima giunta
ambi alia vista si ferir di punta.
L
Ferirsi alia visiera al primo tratto ;
e non miraron, per mettersi in terra,
dare ai cavalli morte, ch'e mal atto,
perch' essi non han colpa de la guerra.
Chi pensa che tra lor fosse tal patto,
non sa 1'usanza antiqua, e di molto erra:
senz'altro patto, era vergogna e fallo
e biasmo eterno a chi feria il cavallo.
LI
Ferirsi alia visiera, ch'era doppia,
et a pena anco a tanta furia resse.
L'un colpo appresso all'altro si raddoppia:
le botte piu che grandine son spesse,
che spezza fronde e rami e grano e stoppia,
e uscir invan fa la sperata messe.
Se Durindana e Balisarda taglia,
sapete, e quanto in queste mani vaglia.
CANTO TRENTESIMO 785
LII
Ma degno di se colpo ancor non fanno,
si Puno e Paltro ben sta su P aviso.
Usci da Mandricardo il primo danno,
per cui fu quasi il buon Ruggiero ucciso:
d'uno di quei gran colpi che far sanno,
gli fu lo scudo pel mezzo diviso,
e la corazza apertagli di sotto;
e fin sul vivo il crudel brando ha rotto.
LIII
L'aspra percossa agghiaccio il cor nel petto,
per dubbio di Ruggiero, ai circonstanti,
nel cui favor si conoscea lo affetto
dei piu inchinar, se non di tutti quanti.
E se Fortuna ponesse ad effetto
quel che la maggior parte vorria inanti,
gia Mandricardo saria morto o preso:
si che Jl suo colpo ha tutto il campo offeso.
LIV
lo credo che qualche agnol $' interpose
per salvar da quel colpo il cavalliero.
Ma ben senza piu indugio gli rispose,
terribil piu che mai fosse, Ruggiero.
La spada in capo a Mandricardo pose;
ma si lo sdegno fu subito e fiero,
e tal fretta gli fe', ch'io men Fincolpo
se non mando a ferir di taglio il colpo.
LV
Se Balisarda lo giungea pel dritto,
1'elmo d'Ettorre era incantato invano.
Fu si del colpo Mandricardo afflitto,
che si lascic- la briglia uscir di mano.
D'andar tre volte accenna a capo fitto,
mentre scorrendo va d'intorno il piano
quel Brigliador che conoscete al nome,
dolente ancor de le mutate some.
786 ORLANDO FURIOSO
LVI
Calcata serpe mai tanto non ebbe,
ne ferito leon, sdegno e furore,
quanto il Tartaro, poi che si riebbe
dal colpo che di se lo trasse fuore.
E quanto 1'ira e la superbia crebbe,
tanto e piu crebbe in lui forza e valore:
fece spiccare a Brigliadoro un salto
verso Ruggiero, e alzo la spada in alto.
LVII
Levossi in su le staffe, et aU'elmetto
segnolli; e si credette veramente
partirlo a quella volta fin al petto :
ma fu di lui Ruggier piu diligente;
che, pria che '1 braccio scenda al duro effetto,
gli caccia sotto la spada pungente,
e gli fa ne la maglia ampla finestra,
che sotto difendea 1'ascella destra.
LVIII
E Balisarda al suo ritorno trasse
di fuori' il sangue tiepido e vermiglio,
e viet6 a Durindana che calasse
impetuosa con tanto periglio;
ben che fin su la groppa si piegasse
Ruggiero, e per dolor strignesse il ciglio:
e s'elmo in capo avea di peggior tempre,
gli era quel colpo memorabil sempre.
LIX
Ruggier non cessa, e spinge il suo cavallo,
e Mandricardo al destro fianco trova.
Quivi scelta finezza di metallo
e ben condutta tempra poco giova
contra la spada che non scende in fallo,
che fu incantata non per altra prova,
che per far chV suoi colpi nulla vaglia
piastra incantata et incantata maglia.
CANTO TRENTESIMO 787
LX
Taglionne quanto ella ne prese, e insieme
lascio ferito il Tartaro nel fianco,
che Jl ciel bestemmia, e di tant'ira fretne,
che 51 tempestoso mare e orribil manco.
Or s'apparecchia a por le forze estreme:
10 scudo ove in azzurro e 1'augel bianco,
vinto da sdegno, si gitt6 lontano,
e messe al brando e Tuna e 1'altra mano.
LXI
— Ah, — disse a lui Ruggier — senza piu basti
a mostrar che non merti quella insegna,
ch'or tu la getti, e dianzi la tagliasti;
n£ potrai dir mai piu che ti convegna. —
Cosi dicendo, forza e ch'egli attasti
con quanta furia Durindana vegna;
che si gli grava e si gli pesa in fronte,
che piu leggier potea cadervi un monte.
LXII
E per mezzo gli fende la visiera;
buon per lui che dal viso si discosta:
poi calo su Pardon che ferrato era,
ne lo difese averne doppia crosta:
giunse al fin su Tamese, e come cera
Taperse con la falda sopraposta;
e feri gravemente ne la coscia
Ruggier, si ch'assai stette a guarir poscia.
LXIII
De Tun, come de Paltro, fatte rosse
11 sangue Tarme avea con doppia riga;
tal che diverse era il parer chi fosse
di lor ch'avesse il meglio in quella briga.
Ma quel dubbio Ruggier tosto rimosse
con la spada che tanti ne castiga:
mena di punta, e drizza il colpo crudo
onde gittato avea colui lo scudo.
788 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Fora de la corazza il lato manco,
e di venire al cor trova la strada,
che gli entra piu d'un palmo sopra il fianco:
si che convien che Mandricardo cada
d'ogni ragion che pu6 ne 1'augel bianco,
o che puo aver ne la famosa spada;
e da la cara vita cada insieme,
che piu che spada e scudo assai gli preme.
LXV
Non mori quel meschin senza vendetta;
ch'a quel medesmo tempo che fu colto,
la spada, poco sua, meno di fretta;
et a Ruggier avria partito il volto,
se gia Ruggier non gli avesse intercetta
prima la forza, e assai del vigor tolto :
di forza e di vigor troppo gli tolse
dianzi, che sotto il destro braccio il colse.
LXVI
Da Mandricardo fu Ruggier percosso
nel punto ch'egli a lui tolse la vita;
tal ch'un cerchio di ferro, anco che grosso,
e una cuffia d'acciar ne fu partita.
Durindana taglio cotenna et osso,
e nel capo a Ruggiero entro due dita.
Ruggier stordito in terra si riversa,
e di sangue un ruscel dai capo versa.
LXVII
II primo fu Ruggier, ch'ando per terra;
e dipoi stette 1'altro a cader tanto,
che quasi crede ognun che de la guerra
riporti Mandricardo il pregio e il vanto:
e Doralice sua, che con gli altri erra,
e che quel di piu volte ha riso e pianto,
Dio ringrazi6 con mani al ciel supine,
ch'avesse avuta la pugna tal fine.
CANTO TRENTESIMO 789
LXVIII
Ma poi ch'appare a manifest! segni
vivo chi vive, e senza vita il morto,
nei petti dei fautor mutano regni:
di la mestizia, e di qua vien conforto.
I re, i signori, i cavallier piu degni,
con Ruggier ch'a fatica era risorto
a rallegrarsi et abbracciarsi vanno,
e gloria senza fine e onor gli danno.
LXIX
Ognun s'allegra con Ruggiero, e sente
il medesmo nel cor c'ha nella bocca.
Sol Gradasso il pensiero ha differ ente
tutto da quel che fuor la lingua scocca:
mostra gaudio nel viso, e occultamente
del glorioso acquisto invidia il tocca;
e maledice o sia destino o caso,
il qual trasse Ruggier prima del vaso.
LXX
Che dir6 del favor, che de le tante
carezze e tante, affettuose e vere,
che fece a quel Ruggiero il re Agramante,
senza il qual dare al vento le bandiere,
ne volse muover d' Africa le piante,
ne senza lui si fido in tante schiere?
Or che del re Agricane ha spento il seme,
prezza piu lui, che tutto il mondo insieme.
LXXI
Ne di tal volonta gli uomini soli
eran verso Ruggier, ma le donne anco,
che d'Africa e di Spagna fra gli stuoli
eran venute al tenitorio franco.
E Doralice istessa, che con duoli
piangea 1'amante suo pallido e bianco,
forse con Paltre ita sarebbe in schiera,
se di vergogna un duro fren non era.
790 ORLANDO FURIOSO
LXXII
10 dico forse, non ch'io ve 1'accerti,
ma potrebbe esser stato di leggiero:
tal la bellezza e tali erano i merti,
i costumi e i sembianti di Ruggiero.
Ella, per quel die gia ne siamo esperti,
si facile era a variar pensiero,
che per non si veder priva d'amore,
avria potuto in Ruggier porre il core.
LXXIII
Per lei buono era vivo Mandricardo :
ma che ne volea far dopo la morte?
Proveder le convien d'un che gagliardo
sia notte e di ne? suoi bisogni, e forte.
Non era stato intanto a venir tardo
11 piu perito medico di corte,
che di Ruggier veduta ogni ferita,
gia Pavea assicurato de la vita.
LXXIV
Con molta diligenzia il re Agramante
fece colcar Ruggier ne le sue tende;
che notte e di veder sel vuole inante:
si Pama, si di lui cura si prende.
Lo scudo al letto e Parme tutte quante,
che fur di Mandricardo, il re gli appende;
tutte le appende, eccetto Durindana,
che fu lasciata al re di Sericana.
LXXV
Con Parme Paltre spoglie a Ruggier sono
date di Mandricardo, e insieme dato
gli e Brigliador, quel destrier bello e buono,
che per furore Orlando avea lasciato.
Poi quello al re diede Ruggiero in dono,
che s'avide ch'assai gli saria grato.
Non piu di questo; che tornar bisogna
a chi Ruggiero invan sospira e agogna.
CANTO TRENTESIMO
LXXVI
Gli amorosi torment! che sostenne
Bradamante aspettando, io v'ho da dire.
A Montalbano Ippalca a lei riverine,
e nuova le arreco del suo desire.
Prima, di quanto di Frontin le avenne
con Rodomonte, Pebbe a riferire;
poi di Ruggier, che ritrovo alia fonte
con Ricciardetto e' frati d5 Agrismonte :
LXXVII
e che con esso lei s'era partito
con speme di trovare il Saracino,
e punirlo di quanto avea fallito
d'aver tolto a una donna il suo Frontino;
e che '1 disegno poi non gli era uscito,
perche diverso avea fatto il camino.
La cagione anco, perche non venisse
a Montalban Ruggier, tutta le disse;
LXXVIII
e riferille le parole a pieno,
ch'in sua scusa Ruggier le avea commesse.
Poi si trasse la lettera di seno,
ch'egli le die perch' ella a lei la desse.
Con viso piu turbato che sereno
prese la carta Bradamante, e lesse;
che, se non fosse la credenza stata
gia di veder Ruggier, fora piu grata.
LXXIX
L'aver Ruggiero ella aspettato, e invece
di lui, vedersi ora appagar d'un scritto,
del bel viso turbar 1'aria le fece
di timor, di cordoglio e di despitto.
Baci6 la carta diece volte e diece,
avendo a chi la scrisse il cor diritto.
Le lacrime vietar, che su vi sparse,
che con sospiri ardenti ella non Parse.
ORLANDO FURIOSO
LXXX
Lesse la carta quattro volte e sei,
e volse ch'altretante Pimbasciata
replicata le fosse da colei
che 1'una e Paltra avea quivi arrecata,
pur tuttavia piangendo : e crederei
che mai non si saria piu racchetata,
se non avesse avuto pur conforto
di rivedere il suo Ruggier di corto.
LXXXI
Termine a ritornar quindici o venti
giorni avea Ruggier tolto, et affermato
Pavea ad Ippalca poi con giuramenti
da non temer che mai fosse mancato.
— Chi m'assicura, ohime! degli accidenti, -
ella dicea — c'han forza in ogni lato,
ma ne le guerre piu, che non distorni
alcun tanto Ruggier, che piu non torni ?
LXXXII
Ohime! Ruggiero, ohime! chi aria creduto
ch'avendoti amato io piu di me stessa,
tu piu di me, non ch'altri, ma potuto
abbi amar gente tua inimica espressa ?
A chi opprimer dovresti, doni aiuto:
chi tu dovresti aitare, e da te oppressa.
Non so se biasmo o laude esser ti credi,
ch'al premiar e al punir si poco vedi.
LXXXIII
Fu morto da Troian (non so se '1 sai)
il padre tuo ; ma fin ai sassi il sanno :
e tu del figlio di Troian cura hai
che non riceva alcun disnor ne danno.
£ questa la vendetta che ne fai,
Ruggiero ? e a quei che vendicato Phanno,
rendi tal premio, che del sangue loro
me fai morir di strazio e di martoro ? —
CANTO TRENTESIMO 793
LXXXIV
Dicea la donna al suo Ruggiero absente
queste parole et altre lacrimando,
non una sola volta, ma sovente.
Ippalca la venia pur confortando,
che Ruggier servarebbe interamente
sua fede, e ch'ella 1'aspetasse, quando
altro far non potea, fin a quel giorno
ch'avea Ruggier prescritto al suo ritorno.
LXXXV
I conforti d'lppalca, e la speranza
che degli amanti suole esser compagna,
alia tema e al dolor tolgon possanza
di far che Bradamante ognora piagna;
in Montalban senza mutar mai stanza
voglion che fin al termine rimagna,
fin al promesso termine e giurato,
che poi fu da Ruggier male osservato.
LXXXVI
Ma ch'egH alia promessa sua mancasse,
non per6 debbe aver la colpa affatto ;
ch'una causa et un'altra si lo trasse,
che gli fu forza preterire il patto.
Convenne che nel letto si colcasse,
e piu d'un mese si stesse di piatto
in dubbio di morir, si il dolor crebbe
dopo la pugna che col Tartaro ebbe.
LXXXVII
L'inamorata giovane Pattese
tutto quel giorno e desiollo invano,
ne mai ne seppe, fuor quanto ne 'ntese
ora da Ippalca, e poi dal suo germane,
che le narro che Ruggier lui difese,
e Malagigi libero e Viviano.
Questa novella, ancor ch'avesse grata,
pur di qualche amarezza era turbata;
794 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
che di Marfisa in quel discorso udito
1'alto valore e le bellezze avea:
udi come Ruggier s'era partito
con esso lei, e che d'andar dicea
la dove con disagio in debol sito
malsicuro Agramante si tenea.
Si degna compagma la donna lauda,
ma non che se n'allegri, o che Fapplauda.
LXXXIX
Ne picciolo e il sospetto che la preme;
che se Marfisa e bella, come ha fama,
e che fin a quel di sien giti insieme,
e maraviglia, se Ruggier non Tama.
Pur non vuol creder anco, e spera e teme;
e '1 giorno che la puo far lieta e grama,
misera aspetta; e sospirando stassi,
da Montalban mai non movendo i passi.
xc
Stando ella quivi, il principe, il signore
del bel castello, il primo de' suoi frati
(io non dico d'etade, ma d'onore,
che di lui prima dui n'erano nati),
Rinaldo, che di gloria e di splendore
gli ha, come il sol le stelle, illuminati,
giunse al castello un giorno in su la nona;
ne, fuor ch'un paggio, era con lui persona.
xci
Cagion del suo venir fu, che da Brava
ritornandosi un di verso Parigi
(come v'ho detto che sovente andava
per ritrovar d' Angelica vestigi),
avea sentita la novella prava
del suo Viviano e del suo Malagigi,
ch'eran per esser dati al Maganzese;
e perci6 ad Agrismonte la via prese.
CANTO TRENTESIMO 795
XCII
Dove intendendo poi ch'eran salvati,
e gli aversarii lor morti e distrutti,
e Marfisa e Ruggiero erano stati,
che gli aveano a quei termini ridutti;
e suoi fratelli e suoi cugin tornati
a Montalbano insieme erano tutti;
gli parve un'ora un anno di trovarsi
con esso lor la dentro ad abbracciarsi.
XCIII
Venne Rinaldo a Montalbano, e quivi
madre, moglie abbraccib, figli e fratelli
e i cugini che dianzi eran captivi;
e parve, quando egli arrivo tra quelli,
dopo gran fame irondine ch'arrivi
col cibo in bocca ai pargoletti augelli.
E poi ch'un giorno vi fu stato o dui,
partissi, e fej partire altri con lui.
xciv
Ricciardo, Alardo, Ricciardetto, e d'essi
figli d'Amone, il piu vecchio Guicciardo,
Malagigi e Vivian, si furon messi
in arme dietro al paladin gagliardo.
Bradamante aspettando che s'appressi
il tempo ch'al disio suo ne vien tardo,
inferma disse agli fratelli ch'era,
e non volse con lor venire in schiera.
xcv
E ben lor disse il ver, ch'ella era inferma,
ma non per febbre o corporal dolore:
era il disio che Talma dentro inferma,
e le fa alterazion patir d'amore.
Rinaldo in Montalban piu non si ferma,
e seco mena di sua gente il fiore.
Come a Parigi appropinquosse, e quanto
Carlo aiut6, vi dira 1'altro canto.
796 ORLANDO FURIOSO
CANTO TRENTESIMOPRIMO
I
Che dolce piu, che piu giocondo stato
saria di quel d'un amoroso core?
che viver piu felice e piu beato,
che ritrovarsi in servitu d'Amore?
se non fosse Tuom sempre stimulato
da quel sospetto rio, da quel timore,
da quel martir, da quella frenesia,
da quella rabbia delta gelosia.
ii
Pero ch'ogni altro amaro che si pone
tra questa soavissima dolcezza,
e un augumento, una perfezione,
et e un condurre amore a piu fmezza.
L'acque parer fa saporite e buone
la sete, e il cibo pel digiun s'apprezza:
non conosce la pace e non Testima
chi provato non ha la guerra prima.
in
Se ben non veggon gli occhi cio che vede
ognora il core, in pace si sopporta.
Lo star lontano, poi quando si riede,
quanto piu lungo fu, piu riconforta.
Lo stare in servitu senza mercede
(pur che non resti la speranza morta)
patir si pu6: che premio al ben servire
pur viene al fin, se ben tarda a venire.
CANTO TRENTESIMOPRIMO 797
IV
Gli sdegni, le repulse, e finalmente
tutti i martir d'amor, tutte le pene,
fan per lor rimembranza, che si sente
con miglior gusto un piacer quando viene.
Ma se Tinfernal peste una egra mente
awien ch'infetti, ammorbi et avelene;
se ben segue poi festa et allegrezza,
non la cura Pamante e non Fapprezza.
v
Questa e la cruda e avelenata piaga
a cui non val liquor, non vale impiastro,
ne murmure, ne imagine di saga,
ne val lungo osservar di benigno astro,
ne quanta esperienzia d'arte maga
fece mai 1' inventor suo Zoroastro :
piaga crudel che sopra ogni dolore
conduce 1'uom, che disperato muore.
VI
Oh incurabil piaga che nel petto
d'un amator si facile s'imprime,
non men per falso che per ver sospetto!
piaga che Tuom si crudelmente opprime,
che la ragion gli offusca e Pintelletto,
e lo tra' fuor de le sembianze prime!
Oh iniqua gelosia, che cosi a torto
levasti a Bradamante ogni conforto!
VII
Non di questo ch'Ippalca e che 51 fratello
le avea nel core amaramente impresso,
ma dico d'uno annunzio crudo e fello
che le fu dato pochi giorni appresso.
Questo era nulla a paragon di quello
ch'io vi diro, ma dopo alcun digresso.
Di Rinaldo ho da dir primieramente,
che ver Parigi vien con la sua gente.
798 ORLANDO FURIOSO
VIII
Scontraro il di seguente inver la sera
un cavallier ch'avea una donna al fianco,
con scudo e sopravesta tutta nera,
se non che per traverso ha un fregio bianco.
Sfido alia giostra Ricciardetto, ch'era
dinanzi, e vista avea di guerrier franco:
e quel, che mai nessun ricusar volse,
gir6 la briglia e spazio a correr tolse.
IX
Senza dir altro, o piu notizia darsi
de 1'esser lor, si vengono alFincontro.
Rinaldo e gli altri cavallier fermarsi
per veder come seguiria lo scontro.
ccTosto costui per terra ha da versarsi,
se in luogo fermo a mio modo lo incontro»
dicea tra se medesmo Ricciardetto;
ma contrario al pensier segui 1'effetto:
x
per6 che lui sotto la vista offese
di tanto colpo il cavalliero istrano,
che lo levo di sella, e lo distese
piu di due lance al suo destrier lontano.
Di vendicarlo incontinente prese
1'assunto Alardo, e ritrovossi al piano
stordito e male acconcio : si fu crudo
lo scontro fier, che gli spezzo lo scudo.
XI
Guicciardo pone incontinente in resta
Pasta, che vede i duo germani in terra,
ben che Rinaldo gridi:— Resta, resta:
che mia convien che sia la terza guerra — :
ma Telmo ancor non ha allacciato in testa,
si che Guicciardo al corso si disserra;
ne piu degli altri si seppe tenere,
e ritrovossi subito a giacere.
CANTO TRENTESIMOPRIMO 799
XII
Vuol Ricciardo, Viviano e Malagigi,
e Tun prima de 1'altro essere in giostra;
ma Rinaldo port fine ai lor litigi;
ch'inanzi a tutti armato si dimostra,
dicendo loro : — 6 tempo ire a Parigi ;
e saria troppo la tardanza nostra,
s'io volesse aspettar fin die ciascuno
di voi fosse abbattuto ad uno ad uno. —
XIII
Dissel tra se, ma non che fosse inteso,
che saria stato agli altri ingiuria e scorno.
L'uno e Faltro del campo avea gia preso,
e si faceano incontra aspro ritorno.
Non fu Rinaldo per terra disteso,
che valea tutti gli altri ch'avea intorno;
le lance si fiaccar, come di vetro,
ne i cavallier si piegar oncia a dietro.
XIV
L'uno e 1'altro cavallo in guisa urtosse,
che gli fu forza in terra a por le groppe.
Baiardo immantinente ridrizzosse,
tanto ch'a pena il correre interroppe.
Sinistramente si Taltro percosse,
che la spalla e la schena insieme roppe.
II cavallier che '1 destrier morto vede,
lascia le staffe et e subito in piede.
xv
Et al figlio d'Amon, che gia rivolto
tornava a lui con la man v6ta, disse:
— Signore, il buon destrier che tu m'hai tolto,
perche caro mi fu mentre che visse,
mi faria uscir del mio debito molto,
se cosi invendicato si morisse:
si che vientene, e fa ci6 che tu puoi,
perche battaglia esser convien tra noi. —
800 ORLANDO FURIOSO
XVI
Disse Rinaldo a lui : — Se '1 destrier morto,
e non altro ci de* porre a battaglia,
un de' miei ti daro, piglia conforto,
che men del tuo non credero che vaglia. —
Colui soggiimse : — Tu sei malaccorto,
se creder vuoi che d'un destrier mi caglia.
Ma poi che non comprendi cio ch'io voglio,
ti spiegherb piu chiaramente il foglio.
xvn
Vo* dir che mi parria commetter fallo,
se con la spada non ti provassi anco,
e non sapessi s'in quest'altro ballo
tu mi sia pari, o se piu vali o manco.
Come ti piace, o scendi, o sta a cavallo:
pur che le man tu non ti tegna al fianco,
10 son contento ogni vantaggio darti:
tanto alia spada bramo di provarti. —
XVIII
Rinaldo molto non lo tenne in lunga,
e disse: — La battaglia ti prometto;
e perche tu sia ardito, e non ti punga
di questi c'ho d'intorno alcun sospetto,
andranno inanzi fin ch'io gli raggiunga;
ne meco restera fuor ch'un valletto
che mi tenga il cavallo — : e cosi disse
alia sua compagnia che se ne gisse.
XIX
La cortesia del paladin gagliardo
commendo molto il cavalliero estrano.
Smonto Rinaldo, e del destrier Baiardo
diede al valletto le redine in manor
e poi che piu non vede il suo stendardo,
11 qual di lungo spazio e gia lontano,
lo scudo imbraccia e stringe il brando fiero,
e sfida alia battaglia il cavalliero.
CANTO TRENTESIMOPRIMO 8oi
XX
E quivi s'incomincia una battaglia
di ch'altra mai non fu piu fiera in vista.
Non crede Fun che tanto Taltro vaglia,
che troppo lungamente gli resista.
Ma poi che '1 paragon ben gli ragguaglia,
ne Tun de Paltro piu s'allegra o attrista,
pongon 1'orgoglio et il furor da parte,
et al vantaggio loro usano ogn'arte.
XXI
S'odon lor colpi dispietati e crudi
intorno rim.bom.bar con suono orrendo,
ora i canti levando a* grossi scudi,
schiodando or piastre, e quando maglie aprendo.
Ne qui bisogna tanto che si studi
a ben ferir, quanto a parar, volendo
star Puno a 1'altro par; ch'eterno danno
lor pu6 causar il primo error che fanno.
XXII
Dur6 Tassalto un'ora e piu che '1 mezzo
d'un'altra; et era il sol gia sotto Ponde,
et era sparso il tenebroso rezzo
de Porizzon fin alPestreme sponde;
ne riposato o fatto altro intermezzo
aveano alle percosse furibonde
questi guerrier, che non ira o rancore,
ma tratto alParme avea disio d'onore.
XXIII
Rivolve tuttavia tra se Rinaldo
chi sia Pestrano cavallier si forte,
che non pur gli sta contra ardito e saldo,
ma spesso il mena a risco de la morte;
e gia tanto travaglio e tanto caldo
gli ha posto, che del fin dubita forte;
e volentier, se con suo onor potesse,
vorria che quella pugna rimanesse.
802 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Da Paltra parte il cavallier estrano,
che similmente non avea notizia
che quel fosse il signer di Montalbano,
quel si famoso in tutta la milizia,
che gli avea incontra con la spada in mano
condotto cosi poca nimicizia,
era certo che d'uom di phi eccellenza
non potesson dar Tarme esperienza.
xxv
Vorrebbe de I'impresa esser digiuno,
ch'avea di vendicare il suo cavallo;
e se potesse senza biasmo alcuno,
si trarria fuor del periglioso ballo.
II mondo era gia tanto oscuro e bruno,
che tutti i colpi quasi ivano in fallo.
Poco ferire e men parar sapeano,
ch'a pena in man le spade si vedeano.
XXVI
Fu quel da Montalbano il primo a dire
che far battaglia non denno allo scuro,
ma quella indugiar tanto e dirferire,
ch'avesse dato volta il pigro Arturo;
e che pu6 intanto al padiglion venire,
ove di se non sara men sicuro,
ma servito, onorato e ben veduto,
quanto in loco ove mai fosse venuto.
XXVII
Non bisogn6 a Rinaldo pregar molto,
che '1 cortese baron tenne lo 'nvito.
Ne vanno insieme ove il drappel raccolto
di Montalbano era in sicuro sito.
Rinaldo al suo scudiero avea gia tolto
un bel cavallo e molto ben guernito,
a spada e a lancia e ad ogni prova buono,
et a quel cavallier fattone dono.
CANTO TRENTESIMOPRIMO 803
XXVIII
II guerrier peregrin conobbe quello
esser Rinaldo, che venia con esso;
che prima che giungessero alPostello,
venuto a caso era a nomar se stesso :
e perche Tun de 1'altro era fratello,
si sentir dentro di dolcezza oppresso,
e di pietoso affetto tocco il core;
e lacrimar per gaudio e per amore.
XXIX
Questo guerriero era Guidon Selvaggio,
che dianzi con Marfisa e Sansonetto
e' figli d' Olivier molto viaggio
avea fatto per mar, come v'ho detto.
Di non veder piu tosto il suo lignaggio
il fellon Pinabel gli avea interdetto,
avendol preso e a bada poi tenuto
alia <difesa del suo rio statute.
xxx
Guidon, che questo esser Rinaldo udio,
famoso sopra ogni famoso duce,
ch'avuto avea piu di veder disio,
che non ha il cieco la perduta luce,
con molto gaudio disse: — O signor mio,
qual fortuna a combatter mi conduce
con voi, che lungamente ho amato et amo,
e sopra tutto il mondo onorar bramo ?
XXXI
Mi partori Costanza ne le estreme
ripe del mar Eusino: io son Guidone,
concetto de lo illustre inclito seme,
come ancor voi, del generoso Amone.
Di voi vedere e gli altri nostri insieme
il desiderio e del venir cagione;
e dove mia intenzion fu d'onorarvi,
mi veggo esser venuto a ingiuriarvi.
804 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Ma scusimi apo voi d'un error tanto,
ch'io non ho voi ne gli altri conosciuto ;
e s'emendar si puo, ditemi quanto
far debbo, ch'in ci6 far nulla rifiuto. —
Poi che si fu da questo e da quel canto
de' complessi iterati al fin vemito,
rispose a lui Rinaldo : — Non vi caglia
meco scusarvi piu de la battaglia:
xxxm
che per certificarne che voi sete
di nostra antiqua stirpe un vero ramo,
dar miglior testimonio non potete,
che '1 gran valor ch'in voi chiaro proviamo.
Se piu pacifiche erano e quiete
vostre maniere, mal vi credevamo;
che la damma non genera il leone,
ne le colombe 1'aquila o il falcone. —
xxxiv
Non, per andar, di ragionar lasciando,
non di seguir, per ragionar, lor via,
vermero ai padiglioni; ove narrando
il buon Rinaldo alia sua compagnia
che questo era Guidon, che disiando
veder, tanto aspettato aveano pria,
molto gaudio apport6 ne le sue squadre;
e parve a tutti assimigliarsi al padre.
xxxv
Non dir6 1'accoglienze che gli fero
Alardo, Ricciardetto e gli altri dui;
che gli fece Viviano et Aldigiero,
e Malagigi, frati e cugin sui;
ch'ogni signor gli fece e cavalliero ;
ci6 ch'egli disse a loro, et essi a lui:
ma vi concludero che finalmente
fu ben veduto da tutta la gente.
CANTO TRENTESIMOPRIMO 805
XXXVI
Caro Guldone a} suoi fratelli stato
credo sarebbe in ogni tempo assai;
ma lor fu al gran bisogno ora piu grato,
ch'esseir potesse in altro tempo mai.
Poscia che '1 nuovo sole incoronato
del mare usci di luminosi rai,
Guidon coi frati e coi parenti in schiera
se ne torno sotto la lor bandiera.
XXXVII
Tanto un giorno et un altro se n'andaro,
che di Parigi alle assediate porte
a men di dieci miglia s'accostaro
in ripa a Senna; ove per buona sorte
Grifone et Aquilante ritrovaro,
i duo guerrier da Tarmatura forte:
Grifone il bianco et Aquilante il nero,
che partori Gismonda d'Oliviero.
XXXVIII
Con essi ragionava una donzella,
non gia di vil condizione in vista,
che di sciamito bianco la gonnella
fregiata intorno avea d'aurata lista;
molto leggiadra in apparenza e bella,
fosse quantunque lacrimosa e trista:
e mostrava ne' gesti e nel sembiante
di cosa ragionar molto importante.
xxxix
Conobbe i cavallier, come essi lui,
Guidon, che fu con lor pochi di inanzi;
et a Rinaldo disse : — Eccovi dui
a cui van pochi di valore inanzi;
e se per Carlo ne verran con nui,
non ne staranno i Saracini inanzi. —
Rinaldo di Guidon conferma il detto,
che Funo e P altro era guerrier perfetto.
806 ORLANDO FURIOSO
XL
Gli avea riconosciuti egli non manco ;
per6 che quelli sempre erano usati,
Pun tutto nero, e Taltro tutto bianco
vestir su 1'arme, e molto andare'ornati.
Da 1'altra parte essi conobbero anco
e salutar Guidon, Rinaldo e i frati;
et abbracciar Rinaldo come amico,
naesso da parte ogni lor odio antico.
XLI
S'ebbero un tempo in urta e in gran dispetto
per Truffaldin, che fora lungo a dire;
ma quivi insieme con fraterno affetto
s'accarezzar, tutte obliando Tire.
Rinaldo poi si volse a Sansonetto,
ch'era tardato un poco piu a venire,
e lo raccolse col debito onore,
a pieno instrutto del suo gran valore.
XLII
Tosto che la donzella piu vicino
vide Rinaldo, e conosciuto 1'ebbe
(ch'avea notizia d'ogni paladino),
gli disse una novella che gl'increbbe;
e cominci6 : — Signore, il tuo cugino
a cui la chiesa e 1'alto imperio debbe,
quel gia si saggio et onorato Orlando
e fatto stolto, e va pel mondo errando.
XLIII
Onde causato cosi strano e rio
accidente gli sia, non so narrarte.
La sua spada e Paltr'arme ho vedute io,
che per li campi avea gittate e sparte;
e vidi un cavallier cortese e pio
che le and6 raccogliendo da ogni parte,
e poi di tutte quelle un arbuscello
fej, a guisa di trofeo, pomposo e bello.
CANTO TRENTESIMOPRIMO 807
XLIV
Ma la spada ne fu tosto levata
dal figliuol d'Agricane il di medesmo.
Tu poi considerar quanto sia stata
gran perdita alia gente del battesmo
Tessere un'altra volta ritornata
Durindana in poter del paganesmo.
Ne Brigliadoro men, ch'errava sciolto
intorno airarme, fu dal pagan tolto.
XLV
Son pochi di ch' Orlando correr vidi
senza vergogna e senza senno, ignudo,
con urli spaventevoli e con gridi :
ch'e fatto pazzo in somma ti conchmdo;
e non avrei, fuor ch'a questi occhi fidi,
creduto mai si acerbo caso e crudo. —
Poi narro che lo vide giu dal ponte
abbracciato cader con Rodomonte.
XLVI
— A qualunque io non creda esser nimico
d5 Orlando — soggiungea — di ci6 favello,
accio ch'alcun di tanti a ch'io lo dico,
mosso a pieta del caso strano e fello,
cerchi o a Parigi o in altro luogo amico
ridurlo, fin che si purghi il cervello.
Ben so, se Brandimarte n'avra nuova,
sara per fame ogni possibil prova. —
XLVII
Era costei la bella Fiordiligi,
piu cara a Brandimarte che se stesso,
la qual, per lui trovar, venia a Parigi:
e de la spada ella suggiunse appresso,
che discordia e contesa e gran litigi
tra il Sericano e '1 Tartaro avea messo;
e ch'avuta 1'avea, poi che fu casso
di vita Mandricardo, al fin Gradasso.
808 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Di cosi strano e misero accidente
Rinaldo senza fin si lagna e duole;
ne il core intenerir men se ne sente,
che soglia intenerirsi il ghiaccio al sole:
e con disposta et immutabil mente,
ovunque Orlando sia, cercar lo vuole,
con speme, poi che ritrovato Pabbia,
di farlo risanar di quella rabbia.
XLIX
Ma gia lo stuolo avendo fatto unire,
sia volonta del cielo o sia aventura,
vuol fare i Saracin prima fuggire,
e liberar le parigine mura.
Ma consiglia 1'assalto differire,
che vi par gran vantaggio, a notte scura,
ne la terza vigilia o ne la quarta,.
ch'avra 1'acqua di Lete il Sonno sparta.
L
Tutta la gente alloggiar fece al bosco,
e quivi la poso per tutto Jl giorno ;
ma poi che '1 sol, lasciando il mondo fosco,
alia nutrice antiqua fe' ritorno,
et orse e capre e serpi senza tosco
e 1'altre fere ebbeno il cielo adorno,
che state erano ascose al maggior lampo,
mosse Rinaldo il taciturno campo:
LI
e venne con Grifon, con Aquilante,
con Vivian, con Alardo e con Guidone,
con Sansonetto, agli altri un miglio inante,
a cheti passi e senza alcun sermone.
Trovo dormir 1'ascolta d' Agramante :
tutta 1'uccise, e non ne fe' un prigione.
Indi arriv6 tra 1'altra gente Mora,
che non fu visto ne sentito ancora.
CANTO TRENTESIMOPRIMO 809
LII
Del campo d'infedeli a prima giunta
la ritrovata guardia all'improviso
lascio Rinaldo si rotta e consunta,
ch'un sol non ne rest6, se non ucciso.
Spezzata che lor fu la prima punta,
i Saracin non 1'avean piu da riso;
che sonnolenti, timidi et inermi,
poteano a tai guerrier far pochi schermi.
LIII
Fece Rinaldo per maggior spavento
dei Saracini, al mover de Tassalto,
a trombe e a corni dar subito vento,
• e gridando il suo nome alzar in alto.
Spinse Baiardo, e quel non parve lento;
che dentro all'alte sbarre entr6 d'un salto,
e vers6 cavallier, pest6 pedoni,
et atterr6 trabacche e padiglioni.
LIV
Non fu si ardito tra il popul pagano,
a cui non s'arricciassero le chiome,
quando senti Rinaldo e Montalbano
sonar per 1'aria, il formidato nome.
Fugge col campo d'Africa Tispano,
ne perde tempo a caricar le some;
ch'aspettar quella furia piu non vuole,
ch'aver provata anco si piagne e duole.
LV
Guidon lo segue, e non fa men di lui;
ne men fanno i duo figli d'Oliviero,
Alardo e Ricciardetto, e gli altri dui:
col brando Sansonetto apre il sentiero:
Aldigiero e Vivian provar altrui
fan quanto in arme 1'uno e Paltro e fiero.
Cosi fa ognun che segue lo stendardo
di Chiaramonte, da guerrier gagliardo.
8lO ORLANDO FURIOSO
LVI
Settecento con lui tenea Rinaldo
in Montalbano e intorno a quelle ville,
usati a portar Parme al freddo e al caldo,
non gia piu rei del Mirmidon d'Achille.
Ciascun d'essi al bisogno era si saldo,
che cento insieme non fuggian per mille;
e se ne potean molti sceglier fuori,
che d'alcun del famosi eran migliori.
LVII
E se Rinaldo ben non era molto
ricco ne di citta ne di tesoro,
facea si con parole e con buon volto,
e ci6 ch'avea partendo ognor con loro,
ch'un di quel numer mai non gli fu tolto
per offerire altrui piu somma d'oro.
Questi da Montalban mai non rimuove,
se non lo stringe un gran bisogno altrove.
LVIII
Et or perch' abbia il Magno Carlo aiuto,
Iasci6 con poca guardia il suo castello.
Tra gli African questo drappel venuto,
questo drappel del cui valor favello,
ne fece quel che del gregge lanuto
sul falanteo Galeso il lupo fello,
o quel che soglia del barbato, appresso
il barbaro Cinifio, il leon spesso.
LIX
Carlo, ch'aviso da Rinaldo avuto
avea che presso era a Parigi giunto,
e che la notte il campo sproveduto
volea assalir, stato era in arme e in punto;
e quando bisogn6, venne in aiuto
coi paladini; e ai paladini aggiunto
avea il figliol del ricco Monodante,
di Fiordiligi il fido e saggio amante;
CANTO TRENTESIMOPRIMO 8ll
LX
ch'ella piu giorni per si lunga via
cercato avea per tutta Francia invano.
Quivi all'insegne che portar solia,
fu da lei conosciuto di lontano.
Come lei Brandimarte vide pria,
lascio la guerra, e torno tutto umano,
e corse ad abbracciarla; e d'amor pieno,
mille volte baciolla o poco meno.
LXI
De le lor donne e de le lor donzelle
si fidar molto a quella antica etade.
Senz'altra scorta andar lasciano quelle
per piani e monti e per strane contrade;
et al ritorno Than per buone e belle,
ne mai tra lor suspizione accade.
Fiordiligi narro quivi al suo amante
che fatto stolto era il signer d'Anglante.
LXII
Brandimarte si strana e ria novella
credere ad altri a pena avria potuto;
ma lo credette a Fiordiligi bella,
a cui gia maggior cose avea creduto.
Non pur d'averlo udito gli dice ella,
ma che con gli occhi proprii Fha veduto
(c'ha conoscenza e pratica d' Orlando
quanto alcun altro), e dice dove e quando.
LXIII
E gli narra del ponte periglioso,
che Rodomonte ai cavallier difende,
ove un sepolcro adorna e fa pomposo
di sopraveste e d'arme di chi prende.
Narra c'ha visto Orlando furioso
far cose quivi orribili e stupende;
che nel fiume il pagan mand6 riverso,
con gran periglio di restar summerso.
8l2 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Brandimarte, che '1 conte amava quanto
si puo compagno amar, fratello o figlio,
disposto di cercarlo, e di far tanto,
non ricusando affanno ne periglio,
che per opra di medico o d'incanto
si ponga a quel furor qualche consiglio,
cosi come trovossi armato in sella,
si mise in via con la sua donna bella.
LXV
Verso la parte ove la donna il conte
avea veduto, il lor camin drizzaro,
di giornata in giornata, fin ch'al ponte
che guarda il re d'Algier, si ritrovaro.
La guardia ne fe' segno a Rodomonte;
e gli scudieri a un tempo gli arrecaro
Parme e il cavallo: e quel si trov6 in punto,
quando fu Brandimarte al passo giunto.
LXVI
Con voce qual conviene al suo furore
il Saracino a Brandimarte grida:
— Qualunque tu ti sia, che, per errore
di via o di mente, qui tua sorte guida,
scendi e spogliati Farme, e fanne onore
al gran sepolcro, inanzi ch'io t'uccida,
e che vittima all'ombre tu sia offerto:
ch'io '1 far6 poi, ne te n'avr6 alcun merto. —
LXVII
Non volse Brandimarte a quelPaltiero
altra risposta dar, che de la lancia.
Sprona Batoldo, il suo gentil destriero,
e inverso quel con tanto ardir si lancia,
che mostra che pu6 star d'animo fiero
con qual si voglia al mondo alia bilancia:
e Rodomonte, con la lancia in resta,
lo stretto ponte a tutta briglia pesta.
CANTO TRENTESIMOPRIMO 813
LXVIII
II suo destrier ch'avea continuo uso
d'andarvi sopra, e far di quel sovente
quando uno e quando un altro cader giuso,
alia giostra correa sicuramente ;
Taltro, del corso insolito confuso,
venia dubbioso, timido e tremente.
Trema anco il ponte, e par cader ne Fonda,
oltre che stretto e che sia senza sponda.
LXIX
I cavallier, di giostra ambi maestri,
che le lance avean grosse come travi,
tali qual fur nei lor ceppi silvestri,
si dieron colpi non troppo soavi.
Ai lor cavalli esser possenti e destri
non giov6 molto agli aspri colpi e gravi;
che si versar di pari ambi §ul ponte,
e seco i signor lor tutti in un monte.
LXX
Nel volersi levar con quella fretta
che lo spronar de' fianchi insta e richiede,
Tasse del ponticel lor fu si stretta,
che non trovaro ove fermare il piede;
si che una sorte uguale ambi li getta
ne 1'acqua; e gran rimbombo al ciel ne riede,
simile a quel ch'usci del nostro fiume,
quando ci cadde il mal rettor del lume.
LXXI
I duo cavalli andar con tutto '1 pondo
dei cavallier, che steron fermi in sella,
a cercar la rivera insin al fondo,
se v'era ascosa alcuna ninfa bella.
Non e gia il primo salto ne '1 secondo,
che giu del ponte abbia il pagano in quella
onda spiccato col destrero audace;
per6 sa ben come quel fondo giace:
814 ORLANDO FURIOSO
LXXII
sa dove e saldo e sa dove e piii molle,
sa dove e 1'acqua bassa e dove e 1'alta.
Dal fiume il capo e il petto e i fianchi estolle,
e Brandimarte a gran vantaggio assalta.
Brandimarte il corrente in giro tolle:
ne la sabbia il destrier, che '1 fondo smalta,
tutto si ficca, e non pu6 riaversi,
con rischio di restarvi ambi sommersi.
LXXIII
L'onda si leva e li fa andar sozzopra,
e dove e piu profonda li trasporta:
va Brandimarte sotto, e '1 destrier sopra.
Fiordiligi dal ponte afflitta e smorta
e le lacrime e i voti e i prieghi adopra:
— Ah Rodomonte, per colei che morta
tu riverisci, non esser si fiero,
ch'affogar lasci un tanto cavalliero!
LXXIV
Deh, cortese signer, s'unque tu amasti,
di me, ch'amo costui, pieta ti vegna.
Di farlo tuo prigion, per Dio, ti basti;
che s'orni il sasso tuo di quella insegna,
di quante spoglie mai tu gli arrecasti
questa fia la piu bella e la piu degna. —
E seppe si ben dir, ch'ancor che fosse
si crudo il re pagan, pur lo commosse;
LXXV
e fe' che '1 suo amator ratto soccorse,
che sotto acqua il destrier tenea sepolto,
e de la vita era venuto in forse,
e senza sete avea bevuto molto.
Ma aiuto non per6 prima gli porse,
che gli ebbe il brando e dipoi 1'elmo tolto.
De Tacqua mezzo morto il trasse, e porre
con molti altri lo fej ne la sua torre.
CANTO TRENTESIMOPRIMO 815
LXXVI
Fu ne la donna ogni allegrezza spenta,
quando prigion vide il suo amante gire;
ma di questo pur megEo si contenta,
che di vederlo nel fiume perire.
Di se stessa, e non d'altri, si lamenta,
che fu cagion di farlo ivi venire,
per averli narrate ch'avea il conte
riconosciuto al periglioso ponte.
LXXVII
Quindi si parte, avendo gia concetto
di menarvi Rinaldo paladino,
o il Selvaggio Guidone, o Sansonetto,
o altri de la corte di Pipino,
in acqua e in terra cavallier perfetto
da poter contrastare col Saracino;
se non piu forte, almen piu fortunato
che Brandimarte suo non era stato.
LXXVIII
Va molti giorni prima che s'abbatta
in alcun cavallier ch'abbia sembiante
d'esser come lo vuol, perche combatta
col Saracino e liberi il suo amante.
Dopo rnolto cercar di persona atta
al suo bisogno, un le vien pur avante,
che sopravesta avea ricca et ornata,
a tronchi di cipressi ricamata.
LXXIX
Chi costui fosse, altrove ho da narrarvi;
che prima ritornar voglio a Parigi,
e de la gran sconfitta seguitarvi,
ch'a' Mori die Rinaldo e Malagigi.
Quei che fuggiro io non saprei contarvi,
ne quei che fur cacciati ai fiumi stigi.
Levo a Turpino il conto 1'aria oscura,
che di contarli s'avea preso cura.
8l6 ORLANDO FURIOSO
LXXX
Nel primo sonno dentro al padiglione
dormia Agramante; e un cavallier lo desta,
dicendogli che fia fatto prigione,
se la fuga non e via piu che presta.
Guarda il re intorno, e la confusione
vede del suoi, che van senza far testa
chi qua chi la fuggendo inermi e nudi,
che non han tempo di pur tor gli scudi.
LXXXI
Tutto confuso e privo di consiglio
si facea porre indosso la corazza,
quando con Falsiron vi giunse il figlio,
Grandonio e Balugante e quella razza;
e al re Agramante mostrano il periglio
di restar morto o preso in quella piazza;
e che puo dir, se salva la persona,
che Fortuna gli sia propizia e buona.
LXXXII
Cosi Marsilio e cosi il buon Sobrino,
e cosi dicon gli altri ad una voce,
ch'a sua distruzion tanto e vicino,
quanto a Rinaldo il qual ne vien veloce ;
che s'aspetta che giunga il paladino
con tanta gente, e un uom tanto feroce,
render certo si pu6 ch'egli e i suo5 amici
rimarran morti, o in man degli nimici.
LXXXIII
Ma ridur si pu6 in Arli o sia in Narbona
con quella poca gente c'ha d'intorno;
che Tuna e Taltra terra e forte e buona
da mantener la guerra piu d'un giorno:
e quando salva sia la sua persona,
si potra vendicar di questo scorno,
rifacendo Tesercito in un tratto,
onde al fin Carlo ne sara disfatto.
CANTO TRENTESIMOPRIMO 817
LXXXIV
II re Agramante al parer lor s'attenne,
ben che '1 partito fosse acerb o e duro.
Ando verso Arli, e parve aver le penne,
per quel camin che piu trovo sicuro.
Oltre alle guide, in gran favor gli venne
che la partita fu per 1'aer scuro.
Ventirnila tra d} Africa e di Spagna
fur ch'a Rinaldo uscir fuor de la ragna.
LXXXV
Quei ch'egli uccise e quei che i suoi fratelli,
quei che i duo figli del signor di Vienna,
quei che provaro empi nimici e felli
i settecento a cui Rinaldo accenna,
e quei che spense Sansonetto, e quelli
che ne la fuga s'afTogaro in Senna,
chi potesse contar, conteria ancora
ci6 che sparge d'april Favonio e Flora.
LXXXVI
Istima alcun che Malagigi parte
ne la vittoria avesse de la notte;
non che di sangue le campagne sparte
fosser per lui, ne per lui teste rotte: ,
ma che gl'infernali angeli per arte
facesse uscir da le tartaree grotte,
e con tante bandiere e tante lance,
ch'insieme piu non ne porrian due France;
LXXXVII
e che facesse udir tanti metalli,
tanti tamburi e tanti varii suoni,
tanti anitriri in voce di cavalli,
tanti gridi e tumulti di pedoni,
che risonare e piani e monti e valli
dovean de le longique regioni:
et ai Mori con questo un timor diede,
che li fece voltare in fuga il piede.
8l8 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
Non si scordo il re d'Africa Ruggiero,
ch'era ferito e stava ancora grave.
Quanto pote piu acconcio s'un destriero
lo fece por, ch'avea 1'andar soave ;
e poi che 1'ebbe tratto ove il sentiero
fu piu sicuro, il fe' posar in nave,
e verso Arli portar commodamente,
dove s'avea a raccor tutta la gente.
LXXXIX
Quei ch'a Rinaldo e a Carlo dier le spalle
(fur, credo, centomila o poco manco),
per campagne, per boschi e monte e valle
cercaro uscir di man del popul franco;
ma la piu parte trov6 chiuso il calle,
e fece rosso ov'era verde e bianco.
Cosi non fece il re di Sericana,
ch'avea da lor la tenda piu lontana:
xc
anzi, come egli sente che '1 signore
di Montalbano e questo che gli assalta,
gioisce di tal iubilo nel core,
che qua e la per allegrezza salta.
Loda e ringrazia il suo sommo Fattore,
che quella notte gli occorra tant'alta
e si rara aventura d'acquistare
Baiardo, quel destrier che non ha pare.
xci
Avea quel re gran tempo desiato
(credo ch'altrove voi Pabbiate letto)
d'aver la buona Durindana a lato,
e cavalcar quel corridor perfetto.
E gia con piii di centomila armato
era venuto in Francia a questo effetto ;
e con Rinaldo gia sfidato s'era
per quel cavallo alia battaglia fiera;
CANTO TRENTESIMOPRIMO 819
XCII
e sul lito del mar s'era condutto
ove dovea la pugna diffinire;
ma Malagigi a turbar venne il tutto,
che fe' il cugin, mal grado suo, partire,
avendol sopra un legno in mar ridutto.
Lungo saria tutta Tistoria dire.
Da indi in qua stimo timido e vile
sempre Gradasso il paladin gentile.
XCIII
Or che Gradasso esser Rinaldo intende
costui ch'assale il campo, se n'allegra.
Si veste Tarme, e la sua alfana prende,
e cercando lo va per Taria negra:
e quanti ne riscontra, a terra stende;
et in confuso lascia afHitta et egra
la gente, o sia di Libia o sia di Francia:
tutti li mena a un par la buona lancia.
xciv
Lo va di qua di la tanto cercando,
chiamando spesso e quanto pu6 piu forte,
e sempre a quella parte declinando,
ove piu folte son le genti morte,
ch'al fin s'incontra in lui brando per brando
poi che le lancie loro ad una sorte
eran salite in mille scheggie rotte
sin al carro stellato de la Notte.
xcv
Quando Gradasso il paladin gagliardo
conosce, e non perche ne vegga insegna,
ma per gli orrendi colpi e per Baiardo,
che par che sol tutto quel campo tegna;
non e gridando a improverargli tardo
la prova che di s6 fece non degna:
ch'al dato campo il giorno non comparse,
che tra lor la battaglia dovea farse.
820 ORLANDO FURIOSO
XCVI
Suggiunse poi : — Tu forse avevi speme,
se potevi nasconderti quel punto,
che non mai piu per raccozzarci insieme
fossimo al mondo: or vedi ch'io t'ho giunto.
Sie certo, se tu andassi ne Testreme
fosse di Stigie, o fossi in cielo assunto,
ti seguirb, quando abbi il destrier teco,
ne 1'alta luce e giu nel mondo cieco.
XCVII
Se d'aver meco a far non ti da il core,
e vedi gia che non puoi starmi a paro,
e piu stimi la vita che Tonore,
senza periglio ci puoi far riparo,
quando mi lasci in pace il corridore ;
e viver puoi, se si t'e il viver caro:
ma vivi a pie, che non merti cavallo,
s'alla cavalleria fai si gran fallo. —
xcvin
A quel parlar si ritrovo presente
con Ricciardetto il cavallier Selvaggio;
e le spade ambi trassero ugualmente,
per far parere il Serican mal saggio.
Ma Rinaldo s'oppose immantinente,
e non pati che se gli fesse oltraggio,
dicendo : — Senza voi dunque non sono
a chi m'oltraggia per risponder buono ? —
xcix
Poi se ne ritorno verso il pagano,
e disse:— Odi, Gradasso; io voglio farte,
se tu m'ascolti, manifesto e piano
ch'io venni alia marina a ritrovarte:
e poi ti sosterro con 1'arme in mano,
che t'avro detto il vero in ogni parte;
e sempre che tu dica mentirai,
ch'alla cavalleria mancass'io mai.
CANTO TRENTESIMOPRIMO 821
C
Ma ben ti priego che prima che sia
pugna tra noi, che pianamente intenda
la giustissima e vera scusa mia,
acci6 ch'a torto piu non mi riprenda;
e poi Baiardo al termine di pria
tra noi vorr6 ch'a piedi si contenda
da solo a solo in solitario lato,
si come a punto fu da te ordinato. —
ci
Era cortese il re di Sericana,
come ogni cor magnanimo esser suole;
et e content o udir la cosa piana,
e come il paladin scusar si vuole.
Con ltd ne viene in ripa alia fiumana,
ove Rinaldo in semplici parole
alia sua vera istoria trasse il velo,
e chiamo in testimonio tutto 51 cielo :
CII
e poi chiamar fece il figliuol di Buovo,
Tuom che di questo era informato a pieno,
ch'a parte a parte replied di nuovo
Tincanto suo, ne disse piu ne meno.
Soggiunse poi Rinaldo : — Ci6 ch'io provo
col testimonio, io vo' che Parme sieno,
che ora e in ogni tempo che ti piace,
te n'abbiano a far prova piu verace. —
cm
II re Gradasso, che lasciar non voile
per la seconda la querela prima,
le scuse di Rinaldo in pace tolle,
ma se son vere o false in dubbio stima.
Non tolgon campo piu sul lito molle
di Barcelona, ove lo tolser prima;
ma s'accordaro per 1'altra matina
trovarsi a una fontana indi vicina:
822 ORLANDO FURIOSO
CIV
ove Rinaldo seco abbia il cavallo,
che posto sia communemente in mezzo:
se '1 re uccide Rinaldo o il fa vassallo,
se ne pigli il destrier senz'altro mezzo;
ma se Gradasso e quel che faccia fallo,
che sia condotto air ultimo ribrezzo,
o per piu non poter che gli si renda,
da lui Rinaldo Durindana prenda.
cv
Con maraviglia molta e piu dolore
(come v'ho detto) avea Rinaldo udito
da Fiordiligi bella ch'era fuore
de Pintelletto il suo cugino uscito.
Avea de 1'arme inteso anco il tenore,
e del litigio che n'era seguito;
e ch'in somma Gradasso avea quel brando
ch'orn6 di mille e mille palme Orlando.
cvi
Poi che furon d'accordo, ritornosse
il re Gradasso ai servitori sui;
ben che dal paladin pregato fosse
che ne venisse ad alloggiar con lui.
Come fu giorno, il re pagano armosse ;
cosi Rinaldo: e giunsero ambedui
ove dovea non lungi alia fontana
combattersi Baiardo e Durindana.
cvn
De la battaglia che Rinaldo avere
con Gradasso dovea da solo a solo,
parean gli amici suoi tutti temere,
e inanzi il caso ne faceano il duolo.
Molto ardir, molta forza, alto sapere
avea Gradasso; et or che del figliuolo
del gran Milone avea la spada al fianco,
di timor per Rinaldo era ognun bianco.
CANTO TRENTESIMOPRIMO 823
CVIII
E piu degli altri il frate di Viviano
stava di questa pugna in dubbio e in tema,
et anco volentier vi porria mano
per farla rimaner d'effetto scema:
ma non vorria che quel da Montalbano
seco venisse a inimicizia estrema;
ch'anco avea di quell' altra seco sdegno,
che gli turbo, quando il levo sul legno.
Cix
Ma stiano gli altri in dubbio, in tema, in doglia:
Rinaldo se ne va lieto e sicuro,
sperando ch'ora il biasmo se gli toglia,
ch'avere a torto gli parea pur duro;
si che quei da Pontieri e d'Altafoglia
faccia cheti restar, come mai furo.
Va con baldanza e sicurta di core
di riportarne il trionfale onore.
ex
Poi che Pun quinci e Paltro quindi giunto
fu quasi a un tempo in su la chiara fonte,
s'accarezzaro, e fero a punto a punto
cosi serena et amichevol fronte,
come di sangue e d'amista congiunto
fosse Gradasso a quel di Chiaramonte.
Ma come poi s'andassero a ferire,
vi voglio a un1 altra volta differire.
824 ORLANDO FURIOSO
CANTO TRENTESIMOSECONDO
I
Soviemmi che cantare io vi dovea
(gia lo promisi, e poi m'usci di mente)
d'una sospizion che fatto avea
la bella donna di Ruggier dolente,
de 1'altra piu spiacevole e piu rea,
e di piu acuto e venenoso dente,
che, per quel ch'ella udi da Ricciardetto,
a devorare il cor Tentro nel petto.
II
Dovea cantarne, et altro incominciai,
perche Rinaldo in mezzo sopravenne;
e poi Guidon mi die che fare assai,
che tra camino a bada un pezzo il tenne.
D'una cosa in un'altra in modo entrai,
che mal di Bradamante mi sovenne:
sovienmene ora, e vo' narrarne inanti
che di Rinaldo e di Gradasso io canti.
in
Ma bisogna anco, prima ch'io ne parli,
che d'Agramante io vi ragioni un poco,
ch'avea ridutte le reliquie in Arli
che gli restar del gran notturno fuoco,
quando a raccor lo sparso campo e a darli
soccorso e vettovaglie era atto il loco:
1'Africa incontra, e la Spagna ha vicina,
et e in sul flume assiso alia marina.
CANTO TRENTESIMOSECONDO 825
IV
Per tutto '1 regno fa scriver Marsilio
gente a piedi e a cavallo, e trista e buona.
Per forza e per amore ogni navilio
atto a battaglia s'arma in Barcelona.
Agramante ogni di chiama a concilio;
ne a spesa ne a fatica si per dona.
Intanto gravi esazioni e spesse
tutte hanno le citta d'Africa oppresse.
v
Egli ha fatto offerire a Rodomonte,
perche ritorni (et impetrar nol puote),
una cugina sua, figlia d'Almonte,
e '1 bel regno d'Oran dargli per dote.
Non si volse 1'altier muover dal ponte,
ove tant'arme e tante selle vote
di quei che son gia capitati al passo
ha ragunate, che ne cuopre il sasso.
VI
Gia non volse Marfisa imitar 1'atto
di Rodomonte: anzi com'ella intese
ch' Agramante da Carlo era disfatto,
sue genti morte, saccheggiate e prese,
e che con pochi in Arli era ritratto,
senza aspettare invito, il camin prese:
venne in aiuto de la sua corona,
e Taver gli proferse e la persona.
VII
E gli meno Brunello, e gli ne fece
libero dono, il qual non avea offeso:
1'avea tenuto dieci giorni e diece
notti sempre in timor d'essere appeso;
e poi che ne con forza n6 con prece
da nessun vide il patrocinio preso,
in si sprezzato sangue non si volse
bruttar Taltiere mani, e lo disciolse.
826 ORLANDO FURIOSO
VIII
Tutte I' antique ingiurie gli remesse,
e seco in Arli ad Agramante il trasse.
Ben dovete pensar che gaudio avesse
il re di lei ch'ad aiutarlo andasse:
e del gran conto ch'egli ne facesse,
volse che Brunei prova le mostrasse;
che quel di ch'ella gli avea fatto cenno,
di volerlo impiccar, fej da buon senno.
IX
II manigoldo, in loco inculto et ermo,
pasto di corvi e d'avoltoi lasciollo.
Ruggier ch'un altra volta gli fu schermo,
e che '1 laccio gli avria tolto dal collo,
la giustizia di Dio fa ch'ora infermo
s'e ritrovato, et aiutar non puollo:
e quando il seppe, era gia il fatto occorso ;
si che resto Brunei senza soccorso.
x
Intanto Bradamante iva accusando
che cosi lunghi sian quei venti giorni,
li quai finiti, il termine era quando
a lei Ruggiero et alia fede torni.
A chi aspetta di carcere o di bando
uscir, non par che '1 tempo piu soggiorni
a dargli libertade, o de Pamata
p atria vista gioconda e disiata.
XI
In quel duro aspettare ella talvolta
pensa ch'Eto e Piroo sia fatto zoppo;
o sia la ruota guasta, ch'a dar volta
le par che tardi, oltr'all'usato, troppo.
Piu lungo di quel giorno a cui per molta
fede nel cielo il giusto Ebreo fej intoppo,
piu de la notte ch'Ercole produsse,
parea lei ch'ogni notte, ogni di fusse.
CANTO TRENTESIMOSECONDO 827
XII
Oh quante volte da invidiar le diero
e gli orsi e i ghiri e i sonnacchiosi tassi!
che quel tempo voluto avrebbe intero
tutto dormir, che mai non si destassi;
ne pot ere altro udir, fin che Ruggiero
dal pigro sonno lei non richiamassi.
Ma non pur questo non puo far, ma ancora
non puo dormir di tutta notte un'ora.
XIII
Di qua di la va le noiose piume
tutte premendo, e mai non si riposa.
Spesso aprir la finestra ha per costume,
per veder s'anco di Titon la sposa
sparge dinanzi al matutino lume
il bianco giglio e la vermiglia rosa:
non meno ancor, poi che nasciuto e 51 giorno,
brama vedere il ciel di stelle adorno.
XIV
Poi che fu quattro o cinque giorni appresso
il termine a finir, piena di spene
stava aspettando d'ora in ora il messo
che le apportasse : — Ecco Ruggier che viene. —
Montava sopra un'alta torre spesso,
ch'i folti boschi e le campagne amene
scopria d'intorno, e parte de la via
onde di Francia a Montalban si gia.
xv
Se di lontano o splendor d'arme vede,
o cosa tal ch'a cavallier simiglia,
che sia il suo disiato Ruggier crede,
e rasserena i begli occhi e le ciglia;
se disarmato o viandante a piede,
che sia messo di lui speranza piglia:
e se ben poi fallace la ritrova,
pigliar non cessa una et un'altra nuova.
828 ORLANDO FURIOSO
XVI
Credendolo incontrar, talora armossi,
scese dal monte e giii calo nel piano;
ne lo trovando, si spero che fossi
per altra strada giunto a Montalbano :
e col disir con ch'avea i piedi mossi
fuor del castel, ritorno dentro invano.
Ne qua ne la trovollo; e passo intanto
il termine aspettato da lei tanto.
XVII
II termine passo d'uno, di dui,
di tre giorni, di sei, d'otto e di venti;
ne* vedendo il suo sposo, ne di lui
sentendo nuova, incomincio lamenti
ch'avrian mosso a pieta nei regni bui
quelle Furie crinite di serpenti;
e fece oltraggio a' begli occhi divini,
al bianco petto, all'aurei crespi crini.
xvin
— Dunque fia ver — dicea — che mi convegna
cercare un che mi fugge e mi s'asconde ?
Dunque debbo prezzare un che mi sdegna?
Debbo pregar chi mai non mi risponde?
Patiro che chi m'odia, il cor mi tegna?
un che si stima sue virtu profonde,
che bisogno sara che dal ciel scenda
immortal dea che '1 cor d'amor gli accenda?
XIX
Sa questo altier ch'io Tamo e ch'io 1'adoro,
ne mi vuol per amante ne per serva.
II crudel sa che per lui spasmo e moro,
e dopo morte a darmi aiuto serva.
E perch6 io non gli narri il mio martoro
atto a piegar la sua voglia proterva,
da me s'asconde, come aspide suole,
che per star empio il canto udir non vuole.
CANTO TRENTESIMOSECONDO 829
XX
Deh ferma, Amor, costui che cosi sciolto
dinanzi al lento mio correr s'affretta;
o tornami nel grado onde m'hai tolto
quando ne a te ne ad altri era suggetta!
Deh, corae e il mio sperar fallace e stolto,
ch'in te con prieghi mai pieta si metta;
che ti diletti, anzi ti pasci e vivi
di trar dagli occhi lacrimosi rivi!
XXI
Ma di che debbo lamentarmi, ahi lassa
fuor che del mio desire irrazionale?
ch'alto mi leva, e si ne 1'aria passa,
ch'arriva in parte ove s'abbrucia Tale;
poi non potendo sostener, mi lassa
dal ciel cader: ne qui finisce il male;
che le rimette, e di nuovo arde: ond'io
non ho mai fine al precipizio mio.
XXII
Anzi via piu che del disir, mi deggio
di me doler, che si gli apersi il seno;
onde cacciata ha la ragion di seggio,
et ogni mio poter puo di lui meno.
Quel mi trasporta ognior di male in peggio,
ne lo posso frenar, che non ha freno:
e mi fa certa che mi mena a morte,
perch5 aspettando il mai noccia piu forte.
XXIII
Deh perche voglio anco di me dolermi?
Ch'error, se non d'amarti, unqua commessi?
Che maraviglia, se fragili e infermi
feminil sensi fur subito oppressi?
Perche dovev'io usar ripari e schermi
che la somma belta non mi piacessi,
gli alti sembianti e le saggie parole ?
Misero e ben chi veder schiva il sole!
830 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Et oltre al mio destine, io ci fui spinta
da le parole altnii degne di fede:
somma felicita mi fa dipinta,
ch'esser dovea di questo amor mercede.
Se la persuasione, ohime! fu finta,
se fu inganno il consiglio che mi diede
Merlin, posso di lui ben lamentarmi,
ma non d'amar Ruggier posso ritrarmi.
XXV
Di Merlin posso e di Melissa insieme
dolermi, e mi dorro d'essi in eterno,
che dimostrare i frutti del mio seme
mi fero dagli spirti de lo 'nferno,
per pormi sol con questa falsa speme
in servitu; ne la cagion discerno,
se non ch'erano forse invidiosi
dei miei dolci, sicuri, almi riposi. —
XXVI
Si 1'occupa il dolor, che non avanza
loco ove in lei conforto abbia ricetto;
ma, mal grado di quel, vien la speranza
e vi vuole alloggiare- in mezzo il petto,
rifrescandole pur la rimembranza
di quel ch'al suo partir 1'ha Ruggier detto:
e vuol, contra il parer degli altri affetti,
che d'ora in ora il suo ritorno aspetti.
XXVII
Questa speranza dunque la sostenne,
finito i venti giorni, un mese appresso;
si che il dolor si forte non le tenne,
come tenuto avria, 1'animo oppresso.
Un di che per la strada se ne venne,
che per trovar Ruggier solea far spesso,
novella udi la misera, ch'insieme
fe' dietro alFaltro ben fuggir la speme.
CANTO TRENTESIMOSECONDO 831
XXVIII
Venne a incontrare un cavallier guascone
che dal campo african venia diritto,
ove era state da quel di prigione
che fu inanzi a Parigi il gran conflitto.
Da lei fu molto posto per ragione,
fin che si venne al termine prescritto.
Domando di Ruggiero, e in lui fermosse;
ne fuor di quest o segno piu si mosse.
XXIX
II cavallier buon conto ne rendette,
che ben conoscea tutta quella corte:
e narr6 di Ruggier, che contrastette
da solo a solo a Mandricardo forte;
e come egli Puccise, e poi ne stette
ferito piu d'un mese presso a morte:
e s'era la sua istoria qui conclusa,
fatto avria di Ruggier la vera escusa.
xxx
Ma come poi soggiunse una donzella
esser nel campo, nomata Marfisa,
che men non era che gagliarda, bella,
ne meno esperta d'arme in ogni guisa;
che lei Ruggiero amava e Ruggiero ella,
ch'egli da lei, ch'ella da lui divisa
si vedea raro, e ch'ivi ognuno crede
che s'abbiano tra lor data la fede;
XXXI
e che come Ruggier si faccia sano,
il matrimonio publicar si deve;
e ch'ogni re, ogni principe pagano
gran piacere e letizia ne riceve,
che de Puno e de Taltro sopraumano
conoscendo il valor, sperano in breve
far una razza d'uomini da guerra
la piu gagliarda che mai fosse in terra.
832 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Credea il Guascon quel che dicea, non senza
cagion; che ne Fesercito de' Mori
openione e universal credenza,
e publico parlar n'era di fuori.
I molti segni di benivolenza
stati tra lor facean questi romori;
che tosto o buona o ria che la fama esce
fuor d'una bocca, in infinite cresce.
XXXIII
L'esser venuta a' Mori ella in aita
con lui, ne senza lui comparir mai,
avea questa credenza stabilita;
ma poi Tavea accresciuta pur assai,
ch'essendosi del campo gia partita
portandone Brunei (come io contai),
senza esservi d'alcuno richiamata,
sol per veder Ruggier v'era tornata.
xxxiv
Sol per lui visitar, che gravemente
languia ferito, in campo venuta era,
non una sola volta, ma sovente;
vi stava il giorno e si partia la sera:
e molto piu da dir dava alia gente,
ch'essendo conosciuta cosi altiera,
che tutto '1 mondo a se le parea vile,
solo a Ruggier fosse benigna e umile.
xxxv
Come il Guascon questo affermb per vero,
fu Bradamante da cotanta pena,
da cordoglio assalita cosi fiero,
che di quivi cader si tenne a pena.
Volt6 senza far motto il suo destriero,
di gelosia, d'ira e di rabbia piena;
e da s6 discacciata ogni speranza,
ritorno furibonda alia sua stanza.
CANTO TRENTESIMOSECONDO 833
XXXVI
E senza disarmarsi, sopra il letto,
col viso volta in giu, tutta si stese,
ove per non gridar, si che sospetto
di se facesse, i panni in bocca prese;
e ripetendo quel che Pavea detto
il cavalliero, in tal dolor discese,
che phi non lo potendo sofferire,
fu forza a disfogarlo, e cosi a dire:
XXXVII
«Misera! a chi mai piu creder debb'io?
Vo' dir ch'ognuno e perfido e crudele,
se perfido e crudel sei, Ruggier mio,
che si pietoso tenni e si fedele.
Qual crudelta, qual tradimento rio
unqua s'udi per tragiche querele,
che non trovi minor, se pensar mai
al mio merto e al tuo debito vorai ?
XXXVIII
Perche, Ruggier, come di te non vive
cavallier di piu ardir, di piu bellezza,
ne che a gran pezzo al tuo valore arrive,
ne a' tuoi costumi, ne a tua gentilezza;
perch6 non fai che fra tue illustri e dive
virtu, si dica ancor ch'abbi fermezza?
si dica ch'abbi inviolabil fede ?
a chi ogn'altra virtu s'inchina e cede.
xxxix
Non sai che non compar, se non v'e quella,
alcun valore, alcun nobil costume?
come n6 cosa (e sia quanto vuol bella)
si puo vedere ove non splenda lume.
Facil ti fu ingannare una donzella
di cui tu signore eri, idolo e nume,
a cui potevi far con tue parole
creder che fosse oscuro e freddo il sole.
834 ORLANDO FURIOSO
XL
Crudel, di che peccato a doler t'hai,
se d'uccider chi t'ama non ti penti ?
Se '1 mancar di tua fe si leggier fai,
di ch'altro peso il cor gravar ti senti?
Come tratti il nimico, se tu dai
a me, che t'amo si, questi tormenti ?
Ben diro che giustizia in ciel non sia,
s'a veder tardo la vendetta mia.
XLI
Se d'ogn'altro peccato assai piu quello
de 1'empia ingratitudine Tuom grava,
e per questo dal ciel P angel piu bello
fu relegato in parte oscura e cava;
e se gran fallo aspetta gran flagello
quando debita emenda il cor non lava;
guarda ch'aspro flagello in te non scenda,
che mi se' ingrato e non vuoi fame emenda.
XLII
Di furto ancora, oltre ogni vizio rio,
di te, crudele, ho da dolermi molto.
Che tu mi tenga il cor, non ti dico io ;
di questo io vo' che tu ne vada assolto:
dico di te, che t'eri fatto mio,
e poi contra ragion mi ti sei tolto.
Renditi, iniquo, a me; che tu sai bene
che non si pu6 salvar chi 1'altrui tiene.
XLIII
Tu m'hai, Ruggier, lasciata: io te non voglio,
ne lasciarti volendo anco potrei;
ma per uscir d'aifanno e di cordoglio,
posso e voglio finire i giorni miei.
Di non morirti in grazia sol mi doglio;
che se concesso m'avessero i dei
ch'io fossi morta quando t'era grata,
morte non fu giamai tanto beata.»
CANTO TRENTESIMOSECONDO 835
XLIV
Cosi dicendo, di morir disposta,
salta del letto, e di rabbia infiammata
si pon la spada alia sinistra costa;
ma si rawede poi che tutta e armata.
II miglior spirto in questo le s'accosta,
e nel cor le ragiona : « O donna nata
di tant'alto lignaggio, adunque vuoi
iinir con si gran biasmo i giorni tuoi?
XLV
Non e meglio ch'al campo tu ne vada,
ove morir si puo con laude ognora?
Quivi, s'awien ch'inanzi a Ruggier cada,
del morir tuo si dorra forse ancora:
ma s'a morir t'awien per la sua spada,
chi sara mai che phi contenta muora?
Ragione e ben che di vita ti privi,
poi ch'e cagion ch'in tanta pena vivi.
XLVI
Verra forse anco che prima che muori
farai vendetta di quella Marfisa
che t'ha con fraudi e disonesti amori
da te Ruggiero alienando uccisa. »
Questi pensieri parveno migliori
alia donzella; e tosto una divisa
si fe' su Farme, che volea inferire
disperazione e voglia di morire.
XLVII
Era la sopraveste del colore
in che riman la foglia che s'imbianca
quando del ramo e tolta, o che 1'umore
che facea vivo 1'arbore le manca.
Ricamata a tronconi era, di fuore,
di cipresso che mai non si rinfranca,
poi c'ha sentita la dura bipenne:
Fabito al suo dolor molto convenne.
836 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Tolse il destrier ch'Astolfo aver solea,
e quella lancia d'or, che sol toccando
cader di sella i cavallier facea.
Perche la le die Astolfo, e dove e quando,
e da chi prima avuta egli Pavea,
non credo che bisogni ir replicando.
Ella la tolse, non per6 sapendo
che fosse del valor ch'era stupendo.
XLIX
Senza scudiero e senza compagnia
scese dal monte, e si pose in camino
verso Parigi alia piu dritta via,
ove era dianzi il campo saracino;
che la novella ancora non s'udia
che Pavesse Rinaldo paladino,
aiutandolo Carlo e Malagigi,
fatto tor da 1'assedio di Parigi.
L
Lasciati avea i Cadurci e la cittade
di Caorse alle spalle, e tutto Jl monte
ove nasce Dordona, e le contrade
scopria di Monferrante e di Clarmonte,
quando venir per le medesme strade
vide una donna di benigna fronte,
ch'uno scudo alParcione avea attaccato;
e le venian tre cavallieri a lato.
LI
Altre donne e scudier venivano anco,
qual dietro e qual dinanzi, in lunga schiera.
Domand6 ad un che le passo da fianco,
la figliola d'Amon, chi la donna era;
e quel le disse : — Al re del popul franco
questa donna, mandata messaggiera
fin di la dal polo artico, e venuta
per lungo mar da Flsola Perduta.
CANTO TRENTESIMOSECONDO 837
LII
Altri Perduta, altri ha nomata Islanda
Fisola, donde la regina d'essa,
di belta sopra ogni belta miranda,
dal ciel non mai, se non a lei, concessa,
10 scudo che vedete, a Carlo manda;
ma ben con patto e condizione espressa,
ch'al miglior cavallier lo dia, secondo
11 suo parer, ch'oggi si trovi al mondo.
LIII
Ella, come si stima, e come in vero
e la piu bella donna che mai fosse,
cosi vorria trovare un cavalliero
che sopra ogn'altro avesse ardire e posse:
perche fondato e fisso e il suo pensiero,
da non cader per centomila scosse,
che sol chi terra in arme il primo onore,
abbia d'esser suo amante e suo signore.
LIV
Spera ch'in Francia, alia famosa corte
di Carlo Magno, il cavallier si trove,
che d'esser piu d'ogn'altro ardito e forte
abbia fatto veder con mille prove.
I tre che son con lei come sue scorte,
re sono tutti, e dirowi anco dove:
uno in Svezia, uno in Gotia, in Norveggia uno,
che pochi pari in arme hanno o nessuno.
LV
Questi tre, la cui terra non vicina,
ma men lontana e all'Isola Perduta
(detta cosi, perche quella marina
da pochi naviganti e conosciuta),
erano amanti e son de la regina,
e a gara per moglier 1'hanno voluta;
e per aggradir lei, cose fatt' hanno,
che fin che giri il ciel dette saranno.
838 ORLANDO FURIOSO
LVI
Ma ne quest! elk, ne alcun altro vuole,
ch'al mondo in arme esser non creda il primo.
«Ch'abbiate fatto prove» lor dir suole
«in questi luoghi appresso, poco istimo;
e s'un di voi, qual fra le stelle il sole,
fra gli altri duo sara, ben lo sublimo:
ma non pero che tenga il vanto parme
del miglior cavallier ch'oggi port'arme.
LVII
A Carlo Magno, il quale io stimo e onoro
pel piu savio signor ch'al mondo sia,
son per mandare un ricco scudo d'oro,
con patto e condizion ch'esso lo dia
al cavalliero il quale abbia fra loro
il vanto e il primo onor di gagliardia.
Sia il cavalliero o suo vasallo o d'altri,
il parer di quel re vo' che mi scaltri.
LVIII
Se poi che Carlo avra lo scudo avuto,
e Tavra dato a quel si ardito e forte,
che d'ogn'altro migliore abbia creduto,
che 'n sua si trovi o in alcun' altra corte,
uno di voi sara, che con Taiuto
di sua virtu lo scudo mi riporte;
porr6 in quello ogni amore, ogni disio,
e quel sara il marito e '1 signor mio. »
LIX
Queste parole han qui fatto venire
questi tre re dal mar tanto discosto,
che riportarne lo scudo, o morire
per man di chi Favra, s'hanno proposto. —
Ste' molto attenta Bradamante a udire
quanto le fu da lo scudier risposto;
il qual poi I'entr6 inanzi, e cosi punse
il suo cavallo, che i compagni giunse.
CANTO TRENTESIMOSECONDO 839
LX
Dietro non gli galoppa ne gli corre
ella; ch' adagio il suo camin dispensa,
e molte cose tuttavia discorre,
che son per accadere: e in somma pensa
che questo scudo in Francia sia per porre
discordia e rissa e nimicizia iminensa
fra paladini et altri, se vuol Carlo
chiarir chi sia il miglior, e a colui darlo.
LXI -
Le preme il cor questo pensier; ma molto
piu le lo preme e strugge in peggior guisa
quel ch'ebbe prima, di Ruggier, che tolto
il suo amor le abbia e datolo a Marfisa.
Ogni suo senso in questo e si sepolto,
che non mira la strada, ne divisa
ove arrivar, ne se trovera inanzi
commodo albergo ove la notte stanzi.
LXII
Come nave, che vento da la riva
o qualch'altro accidente abbia disciolta,
va di nochiero e di governo priva
ove la porti o meni il fiume in volta;
cosi 1'amante giovane veniva,
tutta a pensare al suo Ruggier rivolta,
ove vuol Rabican; che molte miglia
lontano e il cor che de' girar la briglia.
LXIII
Leva al fin gli occhi, e vede il sol che Jl tergo
avea mostrato alle citta di Bo ceo,
e poi s'era attuffato, come il mergo,
in grembo alia nutrice oltr'a Marocco:
e se disegna che la frasca albergo
le dia ne' campi, fa pensier di sciocco ;
che soffia un vento freddo, e Faria grieve
pioggia la notte le minaccia o nieve.
840 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Con maggior fretta fa movere il piede
al suo cavallo; e non fece via molta,
che lasciar le campagne a un pastor vede
che s'avea la sua gregge inanzi tolta.
La donna lui con molta instanzia chiede
che le 'nsegni ove possa esser raccolta
0 ben o mal; che mal si non s'alloggia,
che non sia peggio star fuori alia pioggia.
LXV
Disse il pastore : — lo non so loco alcuno
ch'io vi sappia insegnar, se non lontano
piu di quattro o di sei leghe, for ch'uno
che si chiama la r6cca di Tristano.
Ma d'alloggiarvi non succede a ognuno;
perche bisogna con la lancia in mano
che se Facquisti e che se la difenda
il cavallier che d'alloggiarvi intenda.
LXVI
Se quando arriva un cavallier, si trova
v6ta la stanza, il castellan Faccetta;
ma vuol, se sopravien poi gente nuova,
ch'uscir fuori alia giostra gli prometta.
Se non vien, non accade che si mova:
se vien, forza e che Farme si rimetta
e con lui giostri, e chi di lor val meno,
ceda Falbergo, et esca al ciel sereno.
LXVII
Se duo, tre, quattro o piu guerrieri a un tratto
vi giungon prima, in pace albergo v'hanno;
e chi di poi vien solo, ha peggior patto,
perche seco giostrar quei piu lo fanno.
Cosi, se prima un sol si sara fatto
quivi alloggiar, con lui giostrar voranno
1 duo, tre, quattro o piu che verran dopo;
si che s'avra valor, gli fia a grande uopo.
CANTO TRENTESIMOSECONDO 841
LXVIII
Non men se donna capita o donzella,
accompagnata o sola a questa rocca,
e poi v'arrivi un'altra, alia piu bella
1'albergo, et alia men star di fuor tocca. —
Domanda Bradamante ove sia quella;
e il buon pastor non pur dice con bocca,
ma le dimostra il loco anco con mano
da cinque o da sei miglia indi lontano.
LXIX
La donna, ancor che Rabican ben trotte,
solecitar pero non lo sa tanto,
per quelle vie tutte fangose e rotte
da la stagion ch'era piovosa alquanto,
che prima arrivi che la cieca notte
fatt'abbia oscuro il mondo in ogni canto.
Trovo chiusa la porta; e a chi n'avea
la guardia disse ch'alloggiar volea.
LXX
Rispose quel ch'era occupato il loco
da donne e da guerrier che venner dianzi,
e stavano aspettando intorno al fuoco
che posta fosse lor la cena inanzi.
— Per lor non credo Tavra fatta il cuoco,
s'ella v'e 'ancor, ne Than mangiata inanzi: —
disse la donna — or va, che qui gli attendo ;
che so 1'usanza, e di servarla intendo. —
LXXI
Parte la guardia, e porta Timbasciata
la dove i cavallier stanno a grand'agio,
la qual non pote lor troppo esser grata,
ch'all'aer li fa uscir freddo e malvagio;
et era una gran pioggia incomminciata.
Si levan pure, e piglian Parme adagio:
restano gli altri; e quei non troppo in fretta
escono insieme ove la donna aspetta.
ORLANDO FURIOSO
LXXII
Eran tre cavallier che valean tanto,
che pochi al mondo valean piu di loro;
et eran quei che 51 di medesmo a canto
veduti a quella messaggiera foro;
quei ch'in Islanda s'avean dato vanto
di Francia riportar lo scudo d'oro:
e perche avean meglio i cavalli punti,
prima di Bradamante erano giiinti.
LXXIII
Di loro in arme pochi eran migliori,
ma di quei pochi ella sara ben Tuna;
ch'a nessun patto rimaner di fuori
quella notte intendea molle e digiuna.
Quei dentro alle finestre e ai corridori
miran la giostra al lume de la luna,
che mal grado de5 nugbli lo spande
e fa veder, ben che la pioggia e grande.
LXXIV
Come s'allegra un bene acceso amante
ch'ai dolci furti per entrar si trova,
quando al fin senta, dopo indugie tante,
che '1 taciturno chiavistel si muova;
cosi volontarosa Bradamante
di far di se coi cavallieri prova,
s'allegro quando udl le porte aprire,
calare il ponte, e fuor li vide uscire.
LXXV
Tosto che fuor del ponte i guerrier vede
uscire insieme o con poco intervallo,
si volge a pigliar campo, e di poi riede
cacciando a tutta briglia il buon cavallo,
e la lancia arrestando, che le diede
il suo cugin, che non si corre in fallo,
che fuor di sella e forza che trabocchi,
se fosse Marte, ogni guerrier che tocchi.
CANTO TRENTESIMOSECONDO 843
LXXVI
II re di Svezia, che primier si mosse,
fu primier anco a riversciarsi al piano:
con tanta forza Telmo gli percosse
1'asta che mai non fu abbassata invano.
Poi corse il re di Gotia, e ritrovosse
coi piedi in aria al suo destrier lontano.
Rimase il terzo sottosopra volto,
ne 1'acqua e nel pantan mezzo sepolto.
LXXVII
Tosto ch'ella ai tre colpi tutti gli ebbe
fatto andar coi piedi alti e i capi bassi,
alia rc-cca ne va, dove aver debbe
la notte albergo; ma prima che passi,
v'e chi la fa giurar che n'uscirebbe,
sempre ch'a giostrar fuori altri chiamassi.
II signor de la dentro, che '1 valore
ben n'ha veduto, le fa grande onore.
LXXVIII
Cosi le fa la donna che venuta
era con quegli tre quivi la sera,
come io dicea, da 1'Isola Perduta,
mandata al re di Francia messaggiera.
Cortesemente a lei che la saluta,
si come graziosa e affabil era,
si leva incontra, e con faccia serena
piglia per mano, e seco al fuoco mena.
LXXIX
La donna, cominciando a disarmarsi,
s'avea lo scudo e dipoi 1'elmo tratto;
quando una cufEa d'oro, in che celarsi
soleano i capei lunghi e star di piatto,
usci con Felmo; onde caderon sparsi
giu per le spalle, e la scopriro a tin tratto
e la feron conoscer per donzella,
non men che fiera in arme, in viso bella.
844 ORLANDO FURIOSO
LXXX
Quale al cader de le cortine suole
parer fra mille lampade la scena,
d'archi e di phi d'una superba mole,
d'oro e di statue e di pitture piena;
o come suol fuor de la nube il sole
scoprir la faccia limpida e serena:
cosi, 1'elmo levandosi dal viso,
mostr6 la donna aprisse il paradiso.
LXXXI
Gia son cresciute e fatte lunghe in modo
le belle chiome che tagliolle il frate,
che dietro al capo ne pu6 fare un nodo,
ben che non sian come son prima state.
Che Bradamante sia, tien ferino e sodo
(che ben Tavea veduta altre fiate)
il signor de la rocca ; e piu che prima
or 1'accarezza e mostra fame stima.
LXXXII
Siedono al fuoco, e con giocondo e onesto
ragionamento dan cibo alForecchia,
mentre, per ricreare ancora il resto
del corpo, altra vivanda s'apparecchia.
La donna all'oste domand6 se questo
rnodo d'albergo e nuova usanza o vecchia,
e quando ebbe principio, e chi la pose;
e '1 cavalliero a lei cosi rispose:
LXXXIII
— Nel tempo che regnava Fieramonte,
Clodione, il figliuolo, ebbe una arnica
leggiadra e bella e di maniere conte
quant'altra fosse a quella etade antica;
la quale amava tanto, che la fronte
non rivolgea da lei, piu che si dica
che facesse da lone il suo pastore,
perch'avea ugual la gelosia alPamore.
CANTO TRENTESIMOSECONDO 845
LXXXIV
Qui la tenea; che 51 luogo avuto in dono
avea dal padre, e raro egli n'uscia;
e con lui dieci cavallier ci sono,
e del miglior di Francia tuttavia.
Qui stando, venne a capitarci il buono
Tristano, et una donna in compagnia,
liberata da lui poch'ore inante,
che traea presa a forza un fier gigante.
LXXXV
Tristano ci arrivo che '1 sol gia volto
avea le spalle ai liti di Siviglia;
e domando qui dentro esser raccolto,
perche non c'e altra stanza a dieci miglia,
Ma Clodion, che molto amava e molto
era geloso, in somma si consiglia
che forestier, sia chi si voglia, mentre
ci stia la bella donna, qui non entre.
LXXXVI
Poi che con lunghe et iterate preci
non pote aver qui albergo il cavalliero:
« Or quel che far con prieghi io non ti feci,
che '1 facci» disse «tuo mal grado, spero, »
E sfid6 Clodion con tutti i dieci
che tenea appresso, e con un grido altiero
se gli ofFerse con lancia e spada in mano
provar che discortese era e villano;
LXXXVII
con patto che se fa che con lo stuolo
suo cada in terra, et ei stia in sella forte,
ne la rocca alloggiar vuole egli solo,
e vuol gli altri serrar fuor de le porte.
Per non patir quest'onta, va il figliuolo
del re di Francia a rischio de la morte;
ch'aspramente percosso cade in terra,
e cadon gli altri, e Tristan fuor li serra.
846 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
Entrato ne la rocca, trova quella
la qual v'ho detta a Clodion si cara,
e ch'avea a par d'ogn'altra fatto bella
Natura, a dar bellezze cosi avara.
Con lei ragiona: intanto arde e martella
di fuor 1'amante aspra passione amara;
il qual non differisce a mandar prieghi
al cavallier, che dar non gli la nieghi.
LXXXIX
Tristano, ancor che lei molto non prezze,
ne prezzar, fuor ch'Isotta, altra potrebbe
(ch'altra ne ch'ami vuol ne ch'accarezze
la pozion che gia incantata bebbe),
pur, perche vendicarsi de 1'asprezze
che Clodion gli ha usate si vorebbe:
«Di far gran torto mi parria» gli disse
«che tal bellezza del suo albergo uscisse.
xc
E quando a Clodion dormire incresca
solo alia frasca, e compagnia domandi,
una giovane ho meco bella e fresca,
non per6 di bellezze cosi grandi.
Questa saro contento che fuor esca,
e ch'ubbidisca a tutti i suoi comandi ;
ma la piu bella mi par dritto e giusto
che stia con quel di noi ch'e piu robusto. x
xci
Escluso Clodione e malcontento,
and6 sbuffando tutta notte in volta,
come s'a quei che ne I'alloggiamento
dormiano ad agio, fesse egli 1'ascolta;
e molto piu che del freddo e del vento,
si dolea de la donna che gli e tolta.
La mattina Tristano a cui ne 'ncrebbe,
gli la rende, donde il dolor fin ebbe:
CANTO TRENTESIMOSECONDO 847
XCII
perche gli disse, e lo fe7 chiaro e certo,
che qual trovolla, tal gli la rendea;
e ben che degno era d'ogni onta in merto
de la discortesia ch'usata avea,
pur contentar d'averlo allo scoperto
fatto star tutta notte si volea:
ne Tescusa accetto che fosse Amore
stato cagion di cosl grave errore;
XCIII
ch'Amor de' far gentile un cor villano,
e non far d'un gentil contrario effetto.
Partito che si fu di qui Tristano,
Clodion non ste' molto a mutar tetto ;
ma prima consegno la rocca in mano
a un cavallier che molto gli era accetto,
con patto ch'egli e chi da lui venisse
quest'uso in albergar sempre seguisse:
xciv
che sl cavallier ch'abbia maggior possanza,
e la donna belta, sempre ci alloggi;
e chi vinto riman, voti la stanza,
dorma sul prato, o altrove scenda e poggi.
E fmalmente ci fe' por 1'usanza
che vedete durar fin al di d'oggi. —
Or mentre il cavallier questo dicea,
lo scalco por la mensa fatto avea.
xcv
Fatto Tavea ne la gran sala porre,
di che non era al mondo la piu bella;
indi con torchi accesi venne a torre
le belle donne, e le condusse in quella.
Bradamante, alPentrar, con gli occhi scorre,
e similmente fa Faltra donzella;
e tutte piene le superbe mura
veggon di nobilissima pittura.
848 ORLANDO FURIOSO
XCVI
Di si belle figure e adorno il loco,
che per mirarle oblian la cena quasi,
ancor che ai corpi non bisogni poco,
pel travaglio del di lassi rimasi,
e lo scalco si doglia e doglia il coco
che i cibi lascin raffreddar nei vasi.
Pur fu chi disse : — Meglio fia che voi
pasciate prima il ventre, e gli occhi poi. —
XCVII
S'erano assisi, e porre alle vivande
volevano man, quando il signor s'avide
che Talloggiar due donne e un error grande:
Tuna ha da star, 1'altra convien che snide.
Stia la piu bella, e la men fuor si mande,
dove la pioggia bagna e '1 vento stride.
Perche non vi son giunte amendue a un'ora,
Tuna ha a partire, e 1'altra a far dimora.
XCVIII
Chiama duo vecchi, e chiama alcune sue
donne di casa, a tal giudizio buone;
e le donzelle mira, e di lor due
chi la piu bella sia fa paragone.
Finalmente parer di tutti fue
ch'era piu bella la figlia d'Amone;
e non men di belta 1'altra vincea,
che di valore i guerrier vinti avea.
xcix
Alia donna d'Islanda, che non sanza
molta sospizion stava di questo,
il signor disse: — Che Servian 1'usanza,
non v'ha, donna, a parer se non onesto.
A voi convien procacciar d'altra stanza,
quando a noi tutti e chiaro e manifesto
che costei di bellezze e di sembianti,
ancor ch'inculta sia, vi passa inanti. —
CANTO TRENTESIMOSECONDO 849
C
Come si vede in un memento oscura
mibe salir d'umida valle al cielo,
che la faccia che prima era si pura
cuopre del sol con tenebroso velo;
cosi la donna alia sentenzia dura
che fuor la caccia ove e la pioggia e '1 gielo,
cangiar si vide, e non parer piu quella
che fu pur dianzi si gioconda e bella.
ci
S'impallidisce e tutta cangia in viso,
che tal sentenza udir poco le aggrada.
Ma Bradamante con un saggio aviso,
che per pieta non vuol che se ne vada,
rispose : — A me non par che ben deciso,
ne che ben giusto alcun giudicio cada,
ove prima non s'oda quanto nieghi
la parte o affermi, e sue ragioni alleghi.
en
lo ch'a difender questa causa toglio,
dico, o piu bella o men ch'io sia di lei,
non venni come donna qui, n6 voglio
che sian di donna ora i progress! mieL
Ma chi dira, se tutta non mi spoglio,
s'io sono o s'io non son quel ch'e costei?
E quel che non si sa non si de' dire,
e tanto men, quando altri n'ha a patire.
cm
Ben son degli altri ancor c'hanno le chiome
lunghe, com'io, ne donne son per questo.
Se come cavallier la stanza, o come
donna acquistata m'abbia, e manifesto:
perche dunque volete darmi nome
di donna, se di maschio e ogni mio gesto?
La legge vostra vuol che ne sian spinte
donne da donne, e non da guerrier vinte.
850 ORLANDO FURIOSO
CIV
Poniamo ancor che, come a voi pur pare,
io donna sia (che non pero il concede),
ma che la mia belta non fosse pare
a quella di costei; non pero credo
che mi vorreste la merce levare
di mia virtu, se ben di viso io cedo.
Perder per men belta giusto non parmi
quel c'ho acquistato per virtu con Farmi.
cv
E quando ancor fosse 1'usanza tale,
che chi perde in belta ne dovesse ire,
io ci vorrei restare, o bene o male
che la mia ostinazion dovesse uscire.
Per questo, che contesa diseguale
e tra me e quest a donna, voj inferire
che contendendo di belta pu6 assai
perdere, e meco guadagnar non mai.
cvi
E se guadagni e perdite non sono
in tutto pari, ingiusto e ogni partito :
si ch'a lei per ragion, si ancor per dono
spezial, non sia Palbergo proibito.
E s'alcuno di dir che non sia buono
e dritto il mio giudizio sara ardito,
saro per sostenergli a suo piacere
che 51 mio sia vero, e falso il suo parere. —
evil
La figliuola d'Amon, mossa a pietade
che questa gentil donna debba a torto
esser cacciata ove la pioggia cade,
ove ne tetto, ove ne pure e un sporto,
al signor de Palbergo persuade
con ragion molte e con parlare accorto,
ma molto piu con quel ch'al fin concluse,
che resti cheto e accetti le sue scuse.
CANTO TRENTESIMOSECONDO 851
CVIII
Qual sotto ii piu cocente ardore estivo,
quando di her piu desiosa e 1'erba,
il fior ch'era vicino a restar privo
di tutto quell'umor ch'in vita il serba,
sente 1'amata pioggia e si fa vivo;
cosi, poi che difesa si superba
si vide apparecchiar la messaggiera,
lieta e bella torno come prim' era.
cix
La cena, stata lor buon pezzo avante,
ne ancor pur tocca, al fin godersi in festa,
senza che piu di cavalliero errante
nuova venuta fosse lor molesta.
La goder gli altri, ma non Bradamante,
pure all'usanza addolorata e mesta;
che quel timor, che quel sospetto ingiusto
che sempre avea nel cor, le tollea il gusto.
ex
Finita ch'ella fu (che saria forse
stata piu lunga, se '1 desir non era
di cibar gli occhi), Bradamante sorse,
e sorse appresso a lei la messaggiera.
Accenn6 quel signore ad un che corse
e prestamente allum6 molta cera,
che splender fe' la sala in ogni canto.
Quel che segui diro ne 1'altro canto.
ORLANDO FURIOSO
CANTO TRENTESIMOTERZO
Timagora, Parrasio, Polignoto,
Protogene, Timante, Apollodoro,
Apelle, piu di tutti quest! noto,
e Zeusi, e gli altri ch'a quei tempi foro;
di quai la fama (mal grado di Cloto,
che spinse i corpi e dipoi 1'opre loro)
sempre stara, fin che si legga e scriva,
merce degli scrittori, al mondo viva:
II
e quei che furo a* nostri dl, o sono ora,
Leonardo, Andrea Mantegna, Gian Bellino,
duo Dossi, e quei ch'a par sculpe e colora,
Michel, piu che mortale, Angel divino;
Bastiano, Rafael, Tizian, ch'onora
non men Cador che quei Venezia e Urbino;
e gli altri di cui tal Popra si vede,
qual de la prisca eta si legge e crede:
in
questi che noi veggian pittori, e quelli
che gia mille e miiranni in pregio furo,
le cose che son state, coi pennelli
fatt'hanno, altri su Passe, altri sul muro.
Non per6 udiste antiqui, ne novelli
vedeste mai dipingere il futuro:
e pur si sono istorie anco trovate
che son dipinte inanzi che sian state.
CANTO TRENTESIMOTERZO 853
IV
Ma di saperlo far non si dia vanto
pittore antico ne pittor moderno;
e ceda pur quest' arte al solo incanto,
del qual trieman gli spirti de lo 'nferno.
La sala ch'io dicea ne Paltro canto,
Merlin col libro, o fosse al lago Averno,
o fosse sacro alle Nursine grotte,
fece far dai demonii in una notte.
Quest 'arte, con che i nostri antiqui fenno
mirande prove, a nostra etade e estinta.
Ma ritornando ove aspettar mi denno
quei che la sala hanno a veder dipinta,
dico ch'a uno scudier fu fatto cenno,
ch'accese i torchi; onde la notte vinta
dal gran splendor si dilegu6 d'intorno;
ne piu vi si vedria, se fosse giorno.
VI
Quel signer disse lor:— VoJ che sappiate,
che de le guerre che son qui ritratte,
fin al di d'oggi poche ne son state;
e son prima dipinte, che sian fatte.
Chi Tha dipinte, ancor 1'ha indovinate.
Quando vittoria avran, quando disfatte
in Italia saran le genti nostre,
potrete qui veder come si mostre.
VII
Le guerre ch'i Franceschi da far hanno
di la da 1'Alpe, o bene o mal successe,
dal tempo suo fin al millesim'anno,
Merlin prof eta in questa sala messe;
il qual mandato fu dal re britanno
al franco re ch'a Marcomir successe:
e perche lo mandassi, e perche* fatto
da Merlin fu il lavor, vi diro a un tratto.
854 ORLANDO FURIOSO
VIII
Re Fieramonte, che passo primiero
con Tesercito franco in Gallia il Reno,
poi che quella occupo, facea pensiero
di porre alia superba Italia il freno.
Faceal perci6, che piu '1 romano Impero
vedea di giorno in giorno venir meno:
e per tal causa col britanno Arturo
volse far lega; ch'ambi a un tempo furo.
IX
Artur ch'impresa ancor senza consiglio
del profeta Merlin non fece mai,
di Merlin, dico, del demonio figlio,
che del future antivedeva assai,
per lui seppe, e saper fece il periglio
a Fieramonte, a che di molti guai
porra sua gente, s'entra ne la terra
ch'Apenin parte, e il mare e PAlpe serra.
Merlin gli fe' veder che quasi tutti
gli altri che poi di Francia scettro avranno,
o di ferro gli eserciti distrutti,
o di fame o di peste si vedranno;
e che brevi allegrezze e lunghi lutti,
poco guadagno et infinite danno
riporteran dj Italia; che non lice
che '1 Giglio in quel terreno abbia radice.
XI
Re Fieramonte gli prest6 tal fede,
ch'altrove disegn6 volger Tarmata;
e Merlin, che cosi la cosa vede
ch' abbia a venir, come se gia sia stata,
avere a' prieghi di quel re si crede
la sala per incanto istoriata,
ove dei Franchi ogni futuro gesto,
come gia stato sia, fa manifesto.
CANTO TRENTESIMOTERZO 855
XII
Acci6 chi poi succedera, comprenda
che come ha d'acquistar vittoria e onore,
qualor d' Italia la difesa prenda
incontra ogn'altro barbaro furore;
cosi s'awien ch'a danneggiarla scenda,
per porle il giogo e farsene signore,
comprenda, dico, e rendasi ben certo
ch'oltre a quei monti avra il sepulcro aperto. —
XIII
Cosi disse; e meno le donne dove
incomincian Fistorie: e Singiberto
fa lor veder che per tesor si muove,
che gli ha Maurizio imperatore ofFerto.
— Ecco che scende dal monte di Giove
nel pian da FAmbra e dal Ticino aperto.
Vedete Eutar, che non pur Tha respinto,
ma volto in fuga e fracassato e vinto.
XIV
Vedete Clodoveo, ch'a piu di cento
mila persone fa passare il monte:
vedete il duca la di Benevento,
che con numer dispar vien loro a fronte.
Ecco finge lasciar Palloggiamento,
e pon gli aguati: ecco, con morti et onte,
al vin lombardo la gente francesca
corre, e riman come la lasca all'esca.
xv
Ecco in Italia Childiberto quanta
gente di Francia e capitani invia:
ne piu che Clodoveo si gloria e vanta
ch'abbia spogliata o vinta Lombardia;
che la spada del ciel scende con tanta
strage de' suoi, che n'e piena ogni via,
morti di caldo e di profluvio d'alvo;
si che di dieci un non ne torna salvo. —
856 ORLANDO FURIOSO
XVI
Mostra Pipino, e mostra Carlo appresso,
come in Italia un dopo Paltro scenda,
e v'abbia questo e quel lieto successo,
che venuto non v'e perche Poffenda;
ma 1'uno, accio il pastor Stefano oppresso,
Taltro Adriano, e poi Leon difenda:
Tun doma Aistulfo, e 1'altro vince e prende
il successore, e al papa il suo onor rende.
XVII
Lor mostra appresso un giovene Pipino,
che con sua gente par che tutto cuopra
da le Fornaci al lito pelestino;
e faccia con gran spesa e con lung'opra
il ponte a Malamocco, e che vicino
giunga a Rialto, e vi combatta sopra.
Poi fuggir sembra, e che i suoi lasci sotto
1'acque; che '1 ponte il vento e '1 mar gli han rotto.
XVIII
— Ecco Luigi Borgognon, che scende
la dove par che resti vinto e preso,
e che giurar gli faccia chi lo prende
che piu da 1'arme sue non sara offeso.
Ecco che '1 giuramento vilipende;
ecco di nuovo cade al laccio teso;
ecco vi lascia gli occhi, e come talpe
lo riportano i suoi di qua da 1'Alpe.
XIX
Vedete un Ugo d'Arli far gran fatti,
e che d'ltalia caccia i Berengari;
e due o tre volte gli ha rotti e disfatti,
or dagli Unni rimessi, or dai Bavari.
Poi da piu forza e stretto di far patti
con 1'inimico, e non sta in vita guari;
ne guari dopo lui vi sta Ferede,
e '1 regno intero a Berengario cede.
CANTO TRENTESIMOTERZO 857
XX
Vedete un altro Carlo, che a' conforti
del buon Pastor fuoco in Italia ha messo;
e in due Here battaglie ha duo re morti,
Manfredi prima, e Coradino appresso.
Poi la sua gente, che con mille torti
sembra tenere il nuovo regno oppresso,
di qua e di la per le citta divisa,
vedete a un suon di vespro tutta uccisa. —
XXI
Lor mostra poi (ma vi parea intervallo
di molti e molti, non ch'anni, ma lustri)
scender dai monti un capitano Gallo,
e romper guerra ai gran Visconti illustri;
e con gente francesca a pie e a cavallo
par ch' Alessandria intorno cinga e lustri;
e che Jl duca il presidio dentro posto,
e fuor abbia 1'aguato un po' discosto;
xxir
e la gente di Francia malaccorta,
tratta con arte ove la rete e tesa,
col conte Armeniaco, la cui scorta
Favea condotta all'infelice impresa,
giaccia per tutta la campagna morta,
parte sia tratta in Alessandria presa:
e di sangue non men che d'acqua grosso,
il Tanaro si vede il Po far rosso.
XXIII
Un, detto de la Marca, e tre Angioini
mostra Tun dopo Paltro, e dice: — Questi
a Bruci, a Dauni, a Marsi, a Salentini
vedete come son spesso molesti.
Ma ne de' Franchi val ne de' Latini
aiuto si, ch'alcun di lor vi resti:
ecco li caccia fuor del regno, quante
volte vi vanno, Alfonso e poi Ferrante.
858 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Vedete Carlo ottavo, die discende
da 1'Alpe, e seco ha il fior di tutta Francia,
che passa il Liri e tutto '1 regno prende
senza mai stringer spada o abbassar lancia,
fuor che lo scoglio ch'a Tifeo si stende
su le braccia, sul petto e su la panda;
che del buon sangue d'Avalo al contrasto
la virtu trova d'Inico del Vasto. —
xxv
II signer de la rocca, che venia
quest'istoria additando a Bradamante,
mostrato che 1'ebbe Ischia, disse: — Pria
ch'a vedere altro piu vi meni avante,
10 vi dir6 quel ch'a me dir solia
11 bisavolo mio, quand'io era infante,
e quel che similmente mi dicea
che da suo padre udito anch'esso avea;
XXVI
e '1 padre suo da un altro, o padre o fosse
avolo, e 1'un da F altro sin a quello
ch'a udirlo da quel proprio ritrovosse
che Timagini fe' senza pennello,
che qui vedete bianche, azzurre e rosse:
udi che, quando al re mostr6 il castello
ch'or mostro a voi su quest'altiero scoglio,
gli disse quel ch'a voi riferir voglio.
XXVII
Udi che gli dicea ch'in questo loco
di quel buon cavallier che lo difende
con tanto ardir, che par disprezzi il fuoco
che d'ogn'intorno e sino al Faro incende,
nascer debbe in quei tempi o dopo poco
(e ben gli disse 1'anno e le calende)
un cavalliero, a cui sara secondo
ogn' altro che sin qui sia stato al mondo.
CANTO TRENTESIMOTERZO 859
XXVIII
Non fu Nireo si bel, non si eccellente
di forze Achilla, e non si ardito Ulisse,
non si veloce Lada, non prudente
Nestor, che tanto seppe e tanto visse,
non tanto liberal, tanto clemente,
1'antica fama Cesare descrisse;
che verso Fuom ch'in Ischia nascer deve,
non abbia ogni lor vanto a restar lieve.
XXIX
E se si glorio 1'antiqua Greta,
quando il nipote in lei nacque di Celo,
se Tebe fece Ercole e Bacco lieta,
se si vanto dei duo gemelli Delo;
ne questa isola avra da starsi cheta,
che non s'esalti e non si levi in cielo,
quando nascera in lei quel gran marchese
ch'avra si d'ogni grazia il ciel cortese.
xxx
Merlin gli disse, e replicogli spesso,
ch'era serbato a nascere alPetade
che piu il romano Imperio saria oppresso,
acci6 per lui tornasse in libertade.
Ma perche alcuno de' suoi gesti appresso
vi mostrer6, predirli non accade. —
Cosi disse; e torn6 all'istoria dove
di Carlo si vedean Pinclite prove.
XXXI
— Ecco — dicea — si pente Ludovico
d'aver fatto in Italia venir Carlo;
che sol per travagliar Temulo antico
chiamato ve Tavea, non per cacciarlo;
e se gli scuopre al ritornar nimico
con Veneziani in lega, e vuol pigliarlo.
Ecco la lancia il re animoso abbassa,
apre la strada, e lor mal grado passa.
860 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Ma la sua gente ch'a difesa resta
del nuovo regno, ha ben contraria sorte;
che Ferrante, con 1'opra che gli presta
il signer mantuan, torna si forte,
ch'in pochi mesi non ne lascia testa,
o in terra o in mar, che non sia messa a morte:
poi per un uom che gli e con fraude estinto,
non par che senta il gaudio d'aver vinto. —
XXXIII
Cosi dicendo, mostragli il marchese
Alfonso di Pescara, e dice : — Dopo
che costui comparito in mille imprese
sara piu risplendente che piropo,
ecco qui ne 1'insidie che gli ha tese
con un trattato doppio il rio Etiopo,
come scannato di saetta cade
il miglior cavallier di quella etade.
xxxiv
Poi mostra ove il duodecimo Luigi
passa con scorta italiana i monti,
e svelto il Moro, pon la Fiordaligi
nel fecondo terren gia de' Visconti.
Indi manda sua gente pei vestigi
di Carlo, a far sul Garigliano i ponti;
la quale appresso andar rotta e dispersa
si vede e morta, e nel flume summersa.
xxxv
Vedete in Puglia non minor macello
de 1'esercito franco in fuga volto;
e Consalvo Ferrante ispano e quello
che due volte alia trappola 1'ha colto.
E come qui turbato, cosi bello
mostra Fortuna al re Luigi il volto
nel ricco pian che fin dove Adria stride
tra PApenino e FAlpe il Po divide. —
CANTO TRENTESIMOTERZO 86l
XXXVI
Cosi dicendo, se stesso riprende
che quel ch'avea a dir prima abbia lasciato;
e torna a dietro, e mostra uno che vende
il castel che '1 signor suo gli avea dato ;
mostra il perfido Svizzero che prende
colui ch'a sua difesa 1'ha assoldato:
le quai due cose, senza abbassar lancia,
han dato la vittoria al re di Francia.
XXXVII
Pol mostra Cesar Borgia col favore
di questo re farsi in Italia grande;
ch'ogni baron di Roma, ogni signore
suggietto a lei, par ch'in esilio mande.
Poi mostra il re che di Bologna fuore
leva la Sega, e vi fa entrar le Giande;
poi come volge i Genovesi in fuga
fatti ribelli, e la citta suggiuga.
XXXVIII
— Vedete — dice poi — di gente morta
coperta in Giaradada la campagna.
Par ch'apra ogni cittade al re la porta,
e che Venezia a pena vi rimagna.
Vedete come al papa non comporta
che, passati i confini di Romagna,
Modana al duca di Ferrara toglia,
ne qui si fermi, e '1 resto tor gli voglia:
xxxix
e fa, airincontro, a lui Bologna t6rre;
che v'entra la Bentivola famiglia.
Vedete il campo dej Francesi porre
a sacco Brescia, poi che la ripiglia;
e quasi a un tempo Felsina soccorre,
e '1 campo ecclesiastico sgombiglia:
e 1'uno e Taltro poi nei luoghi bassi
par si riduca del lito de Chiassi.
862 ORLANDO FURIOSO
XL
Di qua la Francia, e di la il campo ingrossa
la gente ispana; e la battaglia e grande.
Cader si vede e far la terra rossa
la gente d'arme in amendua le bande.
Piena di sangue uman pare ogni fossa:
Marte sta in dubbio u' la vittoria mande.
Per virtu d'un Alfonso al fin si vede
che resta il Franco e che Tlspano cede,
XLI
e che Ravenna saccheggiata resta.
Si morde il papa per dolor le labbia,
e fa da' monti, a guisa di tempesta,
scendere m fretta una tedesca rabbia,
ch'ogni Francese, senza mai far testa,
di qua da PAlpe par che cacciat'abbia,
e che posto un rampollo abbia del Moro
nel giardino onde svelse i Gigli d'oro.
XLII
Ecco torna il Francese: eccolo rotto
da Tinfedele Elvezio ch'in suo aiuto
con trpppo rischio ha il giovine condotto,
del quale il padre avea preso e venduto. "
Vedete poi 1'esercito, che sotto
la niota di Fortuna era caduto,
creato il novo re, che si prepara
de Ponta vendicar ch'ebbe a Novara:
XLIII
e con migliore auspizio ecco ritorna.
Vedete il re Francesco inanzi a tutti,
che cosi rompe aj Svizzeri le corna,
che poco resta a non gli aver distrutti :
si che 51 titolo mai piu non gli adorna,
ch'usurpato s'avran quei villan brutti,
che domator de' principi, e difesa
si nomeran de la cristiana Chiesa.
CANTO TRENTESIMOTERZO 863
XLIV
Ecco, mal grado de la lega, prende
Milano, e accorda il giovene Sforzesco.
Ecco Borbon che la citta difende
pel re di Francia dal furor tedesco.
Eccovi poi che mentre altrove attende
ad altre magne imprese il re Francesco,
ne sa quanta superbia e crudeltade
usino i suoi, gli e tolta la cittade.
XLV
Ecco un altro Francesco ch'assimiglia
di virtu all'avo, e non di nome solo;
che, fatto uscirne i Galli, si ripiglia
col favor de la Chiesa il patrio suolo.
Francia anco torna, ma ritien la briglia,
ne scorre Italia, come suole, a volo;
che '1 bon duca di Mantua sul Ticino
le chiude il passo, e le taglia il camino.
XL VI
Federico, ch'ancor non ha la guancia
de' primi fiori sparsa, si fa degno
di gloria eterna, ch'abbia con la lancia,
ma piu con diligenzia e con ingegno,
Pavia difesa dal furor di Francia,
e del Leon del mar rotto il disegno.
Vedete duo marchesi, ambi terrore
di nostre genti, ambi d' Italia onore;
XLVII
ambi d'un sangue, ambi in un nido nati.
Di quel marchese Alfonso il primo e figlio,
il qual tratto dal Negro negli aguati,
vedeste il terren far di se* vermiglio.
Vedete quante volte son cacciati
d' Italia i Franchi pel costui consiglio.
L'altro di si benigno e lieto aspetto
il Vasto signoreggia, e Alfonso e detto.
864 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Questo e il buon cavallier di cui dicea,
quando Pisola d'Ischia vi mostrai,
che gia profetizzando detto avea
Merlino a Fieramonte cose assai:
che differire a nascere dovea
nel tempo che d'amto piu che mai
Pafflitta Italia, la Chiesa e PImpero
contra ai barbari insulti avria mistiero.
XLIX
Costui dietro al cugin suo di Pescara
con Pauspicio di Prosper Colonnese,
vedete come la Bicocca cara
fa parere alPElvezio e piu al Francese.
Ecco di nuovo Francia si prepara
di ristaurar le mal successe imprese:
scende il re con un campo in Lombardia,
un altro per pigliar Napoli invia.
L
Ma quella che di noi fa come il vento
d'arida polve, che Paggira in volta,
la leva fin al cielo, e in un momento
a terra la ricaccia, onde Pha tolta;
fa ch'intorno a Pavia crede di cento
mila persone aver fatto raccolta
il re, che mira a quel che di man gH esce,
non se la gente sua si scema o cresce.
LI
Cosi per colpa de' ministri avari,
e per bonta del re che se ne fida,
sotto Pinsegne si raccoglion rari,
quando la notte il campo alParme grida,
che si vede assalir dentro ai ripari
dal sagace Spagnuol, che con la guida
di duo del sangue d'Avalo ardiria
farsi nel cielo e ne lo 'nferno via.
CANTO TRENTESIMOTERZO 865
LII
Vedete il meglio de la nobiltade
di tutta Francia alia campagna estinto.
Vedete quante lance e quante spade
han d'ogn'intorno il re animoso cinto;
vedete che '1 destrier sotto gli cade:
ne per questo si rende o chiama vinto,
ben ch'a lui solo attenda, a lui sol corra
10 stuol nimico, e non e chi '1 soccorra.
LIII
11 re gagliardo si difende a piede,
e tutto de Fostil sangue si bagna:
ma virtu al fine a troppa forza cede.
Ecco il re preso, et eccolo in Ispagna;
et a quel di Pescara dar si vede,
et a chi mai da lui non si scompagna,
a quel del Vasto, le prime corone
del campo rotto e del gran re prigione.
LIV
Rotto a Pavia Tun campo, 1'altro ch'era,
per dar travaglio a Napoli, in camino,
restar si vede come, se la cera
gli manca o Toglio, resta il lumicino.
Ecco che '1 re ne la prigione ibera
lascia i figliuoli, e torna al suo domino:
ecco fa a un tempo egli in Italia guerra;
ecco altri la fa a lui ne la sua terra.
LV
Vedete gli omicidii e le rapine
in ogni parte far Roma dolente;
e con incendi e stupri le divine
e le profane cose ire ugualmente.
II campo de la lega le mine
mira d'appresso, e '1 pianto e '1 grido sente;
e dove ir dovria inanzi, torna indietro,
e prender lascia il successor di Pietro.
866 ORLANDO FURIOSO
LVI
Manda Lotrecco il re con nuove squadre,
non piu per fare in Lombardia 1'impresa,
ma per levar de le mani empie e ladre
il capo e 1'altre membra de la Chiesa;
che tarda si, che trova al Santo Padre
non esser piu la liberta contesa.
Assedia la cittade ove sepolta
e la sirena, e tutto il regno volta.
LVII
Ecco 1'armata imperial si scioglie
per dar soccorso alia citta assediata;
et ecco il Doria che la via le toglie,
e 1'ha nel mar sommersa, arsa e spezzata.
Ecco Fortuna come cangia voglie,
sin qui a5 Francesi si propizia stata;
che di febbre gli uccide, e non di lancia,
si che di mille un non ne torna in Francia.
LVIII
La sala queste et altre istorie molte,
che tutte saria lungo riferire,
in varii e bei colori avea raccolte;
ch'era ben tal che le potea capire.
Tornano a rivederle due e tre volte,
ne par che se ne sappiano partire;
e rilegon piu volte quel ch'in oro
si vedea scritto sotto il bel lavoro.
LIX
Le belle donne e gli altri quivi stati
mirando e ragionando insieme un pezzo,
fur dal signore a riposar menati,
ch'onorar gli osti suoi molt 'era avezzo.
Gia sendo tutti gli altri addormentati,
Bradamante a corcar si va da sezzo,
e si volta or su questo or su quel fianco,
ne puo dormir sul destro ne sul manco.
CANTO TRENTESIMOTERZO 867
LX
Pur chiude alquanto appresso air alba i lumi,
e di veder le pare il suo Ruggiero,
il qual le dica: — Perche ti consumi,
dando credenza a quel che non e vero?
Tu vedrai prima all'erta andare i fiumi,
ch'ad altri mai ch'a te volga il pensiero.
S'io non amassi te, n6 il cor potrei
ne le pupille amar degli occhi miei. —
LXI
E par che le suggiunga: — lo son venuto
per battezzarmi e far quanto ho promesso;
e s'io son stato tardi, m'ha tenuto
altra ferita che d'amore oppresso. —
Fuggesi in questo il sonno, ne veduto
e piu Ruggier che se ne va con esso.
Rinuova allora i pianti la donzella,
e ne la mente sua cosi favella:
LXII
«Fu quel che piacque, un falso sogno; e questo
che mi tormenta, ahi lassa! e un veggiar vero.
II ben fu sogno a dileguarsi presto,
ma non e sogno il martire aspro e fiero.
Perch'or non ode e vede il senso desto
quel ch'udire e veder parve al pensiero ?
A che condizione, occhi miei, sete,
che chiusi il ben, e aperti il mal vedete ?
LXIII
II dolce sonno mi promise pace,
ma Tamaro veggiar mi torna in guerra:
il dolce sonno e ben stato fallace,
ma Tamaro veggiare, ohime! non erra.
Se '1 vero annoia, e il falso si mi piace,
non oda o vegga mai piu vero in terra:
se '1 dormir mi da gaudio, e il veggiar guai,
possa io dormir senza destarmi mai.
868 ORLANDO FURIOSO
LXIV
0 felice animal ch'un sonno forte
sei mesi tien senza mai gli occhi aprire!
Che s'assimigli tal sonno alia morte,
tal veggiare alia vita, io non vo' dire;
ch'a tutt'altre contraria la mia sorte
sente morte a veggiar, vita a dormire :
ma s'a tal sonno morte s'assimiglia,
deh, Morte, or ora chiudimi le ciglia!»
LXV
De Porizzonte il sol fatto avea rosse
Testreme parti, e dileguato intorno
s'eran le nubi, e non parea che fosse
simile all'altro il cominciato giorno;
quando svegliata Bradamante armosse
per fare a tempo al suo camin ritorno,
rendute avendo grazie a quel signore
del buono alb ergo e de Favuto onore.
LXVI
E trove- che la donna rnessaggiera,
con damigelle sue, con suoi scudieri
uscita de la r6cca, venut'era
la dove 1'attendean quei tre guerrieri;
quei che con Tasta d'oro essa la sera
fatto avea riversar giu dei destrieri,
e che patito avean con gran disagio
la notte Tacqua e il vento e il ciel malvagio.
LXVII
Arroge a tanto mal ch'a corpo v6to
et essi e i lor cavalli eran rimasi,
battendo i denti e calpestando il loto:
ma quasi lor piu incresce, e senza quasi
incresce e preme piu, che fara noto
la messaggiera, appresso agli altri casi,
alia sua donna che la prima lancia
gli abbia abbattuti c'han trovata in Francia.
CANTO TRENTESIMOTERZO 869
LXVIII
E presti o di morire, o di vendetta
subito far del ricevuto oltraggio,
accio la messaggiera, che fu detta
Ullania, che nomata piu non aggio,
la mala opinion ch'avea concetta
forse di lor, si tolga del coraggio,
la figliuola d'Amon sfidano a giostra,
tosto che fuor del ponte ella si mostra;
LXIX
non pensando per6 che sia donzella,
che nessun gesto di donzella avea.
Bradamante ricusa, come quella
ch'in fretta gia, ne soggiornar volea.
Pur tanto e tanto fur molesti, ch'ella,
che negar senza biasmo non potea,
abbass6 1'asta, et a tre colpi in terra
li mando tutti; e qui fini la guerra:
LXX
che senza piu voltarsi mostr6 loro
lontan le spalle, e dileguossi tosto.
Quei che per guadagnar lo scudo d'oro
di paese venian tanto discosto,
poi che senza parlar ritti si foro,
che ben Tavean con ogni ardir deposto,
stupefatti parean di maraviglia,
ne verso Ullania ardian d'alzar le ciglia;
LXXI
che con lei molte volte per carnino
dato s'avean troppo orgogliosi vanti:
che non e cavallier ne paladino
ch'al minor di lor tre durasse avanti.
La donna, perche ancor piu a capo chino
vadano, e piu non sian cosi arroganti,
fa lor saper che fu femina quella,
non paladin, che li levo di sella.
870 ORLANDO FURIOSO
LXXII
— Or che dovete, — diceva ella — quando
cosi v'abbia una femina abbattuti,
pensar che sia Rinaldo o che sia Orlando,
non senza causa in tant'onore avuti?
S'un d'essi avra lo scudo, io vi domando
se migliori di quel che siate suti
contra una donna, contra lor sarete ?
Nol credo io gia, ne voi forse il credete.
LXXIII
Questo vi pub bastar; ne vi bisogna
del valor vostro aver piu chiara prova:
e quel di voi che temerario aggogna
far di se in Francia esperienzia nuova,
cerca giungere il danno alia vergogna
in che ieri et oggi s'e trovato e trova;
se forse egli non stima utile e onore,
qualor per man di tai guerrier si muore. —
LXXIV
Poi che ben certi i cavallieri fece,
Ullania, che quell' era una donzella,
la qual fatto avea nera piu che pece
la fama lor, ch'esser solea si bella;
e dove una bastava, piu di diece
persone il detto confermar di quella;
essi fur per voltar 1'arme in se stessi,
da tal dolor, da tanta rabbia oppressi.
LXXV
E da lo sdegno e da la furia spinti,
Tarme si spoglian, quante n'hanno indosso;
ne si lascian la spada onde eran cinti,
e del castel la gittano nel fosso :
e giuran, poi che gli ha una donna vinti,
e fatto sul terren battere il dosso,
che per purgar si grave error saranno
senza mai vestir Parme intero un anno :
CANTO TRENTESIMOTERZO 871
LXXVI
e che n'andranno a pie pur tuttavia,
0 sia la strada piana, o scenda e saglia;
ne, poi che 1'anno anco finite sia,
saran per cavalcare o vestir maglia,
s'altr'arme, altro destrier da lor non fia
guadagnato per forza di battaglia.
Cosi senz'arme, per punir lor fallo,
essi a pie se n'andar, gli altri a cavallo.
LXXVII
Bradamante la sera ad un castello
ch'alla via di Parigi si ritrova,
di Carlo e di Rinaldo suo fratello,
ch'avean rotto Agramante, udi la nuova.
Quivi ebbe buona rnensa e buono ostello:
ma questo et ogn' altro agio poco giova;
che poco mangia e poco dorme, e poco,
non che posar, ma ritrovar pu6 loco.
LXXVIII
Non per6 di costei voglio dir tanto,
ch'io non ritorni a quei duo cavallieri
che d'accordo legato aveano a canto
la solitaria fonte i duo destrieri.
La pugna lor, di che vo7 dirvi alquanto,
non e per acquistar terre ne imperi,
ma perche Durindana il piu gagliardo
abbia ad avere, e a cavalcar Baiardo.
LXXIX
Senza che tromba o segno altro accennasse
quando a muover s'avean, senza maestro
che lo schermo e '1 ferir lor ricordasse,
e lor pungesse il cor d'animoso estro,
Puno e Taltro d'accordo il ferro trasse,
e si venne a trovare agile e destro.
1 spessi e gravi colpi a farsi udire
incominciaro, et a scaldarsi Fire.
872 ORLANDO FURIOSO
LXXX
Due spade altre non so per prova elette
ad esser ferine e solide e ben dure,
ch'a tre colpi di quei si fosser rette,
ch'erano fuor di tutte le misure:
ma quelle fur di tempre si perfette,
per tante esperienzie si sicure,
che ben poteano insieme riscontrarsi
con mille colpi e piu, senza spezzarsi.
LXXXI
Or qua Rinaldo or la mutando il passo,
con gran destrezza e molta industria et arte
fuggia di Durindana il gran fracasso,
che sa ben come spezza il ferro e parte.
Feria maggior percosse il re Gradasso ;
ma quasi tutte al vento erano sparte:
se coglieva talor, coglieva in loco
ove potea gravare e miocer poco.
LXXXII
L'altro con piu ragion sua spada inchina,
e fa spesso al pagan stordir le braccia;
e quando ai fianchi e quando ove confina
la corazza con 1'elmo, gli la caccia:
ma trova I'armatura adamantina,
si ch'una maglia non ne rompe o straccia.
Se dura e forte la ritrova tanto,
awien perch'ella 6 fatta per incanto.
LXXXIII
Senza prender riposo erano stati
gran pezzo tanto alia battaglia fisi,
che volti gli occhi in nessun mai de* lati
aveano, fuor che nei turbati visi ;
quando da un'altra zuffa distornati,
e da tanto furor furon divisi.
Ambi voltaro a un gran strepito il ciglio,
e videro Baiardo in gran periglio.
CANTO TRENTESIMOTERZO 873
LXXXIV
Vider Baiardo a zuffa con un mostro
ch'era phi di lui grande, et era augello:
avea piu lungo di tre braccia il rostro;
Taltre fattezze avea di vipistrello;
avea la piuma negra come inchiostro;
avea 1'artiglio grande, acuto e fello;
occhi di fuoco, e sguardo avea crudele;
Tale avea grandi, che parean due vele.
LXXXV
Forse era vero augel, ma non so dove
o quando un altro ne sia stato tale.
Non ho veduto mai, ne letto altrove,
fuor ch'in Turpin, d'un si fatto animale.
Questo rispetto a credere mi muove
che F augel fosse un diavolo infernale
che Malagigi in quella forma trasse,
accio che la battaglia disturbasse.
LXXXVI
Rinaldo il credette anco, e gran parole
e sconcie poi con Malagigi n'ebbe.
Egli gia confessar non glielo vuole;
e perche tor di colpa si vorrebbe,
giura pel lume che da lume al sole,
che di questo imputato esser non debbe.
Fosse augello o demonio, il mostro scese
sopra Baiardo, e con 1'artiglio il prese.
LXXXVII
Le redine il destrier ch'era possente
subito rompe, e con sdegno e con ira
contra Taugello i calci adopra e '1 dente;
ma quel veloce in aria si ritira:
indi ritorna, e con Tugna pungente
lo va battendo, e d'ogn'intorno aggira.
Baiardo offeso, e che non ha ragione
di schermo alcun, ratto a fuggir si pone.
874 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
Fugge Baiardo alia vicina selva,
e va cercando le piu spesse fronde.
Segue di sopra la pennuta belva
con gli occhi fisi ove la via seconde;
ma pure il buon destrier tanto s'inselva,
ch'al fin sotto una grotta si nasconde.
Poi che 1'alato ne perde la traccia,
ritorna in cielo, e cerca nuova caccia.
LXXXIX
Rinaldo e 51 re Gradasso, che partire
veggono la cagion de la lor pugna,
rest an d'accordo quella differire
fin che Baiardo salvino da 1'ugna
che per la scura selva il fa fuggire;
con patto che qual d'essi lo raggiugna,
a quella fonte lo restituisca
ove la lite lor poi si finisca.
xc
Seguendo si partir da la font ana
1'erbe novellamente in terra peste.
Molto da lor Baiardo s'allontana,
ch'ebbon le piante in seguir lui mal preste.
Gradasso, che non lungi avea 1'alfana,
sopra vi salse, e per quelle foreste
molto lontano il paladin lasciosse,
tristo e peggio contento che mai fosse.
xci
Rinaldo perde Tonne in pochi passi
del suo destrier, che fe' strano viaggio;
ch'and6 rivi cercando, arbori e sassi,
il piu spinoso luogo, il piu selvaggio,
acci6 che da quella ugna si celassi,
che cadendo dal ciel gli facea oltraggio.
Rinaldo, dopo la fatica vana,
ritorno ad aspettarlo alia fontana,
CANTO TRENTESIMOTERZO 875
XCII
se da Gradasso vi fosse condutto,
si come tra lor dianzi si convenne.
Ma poi che far si vide poco frutto,
dolente e a piedi in campo se ne venne.
Or torniamo a quell'altro, al quale in tutto
diverso da Rinaldo il caso awenne.
Non per ragion, ma per suo gran destino
senti anitrire il buon destrier vicino;
XCIII
e lo trov6 ne la spelonca cava,
da 1'avuta paura anco si oppresso,
ch'uscire allo scoperto non osava:
perci6 Fha in suo potere il pagan messo.
Ben de la convenzion si raccordava,
ch'alla fonte tornar dovea con esso;
ma non e piu disposto d'osservarla,
e cosi in mente sua tacito parla:
xciv
(cAbbial chi aver lo vuol con lite e guerra:
io d/averlo con pace piu disio.
Da Tuno alPaltro capo de la terra
gia venni, e sol per far Baiardo mio.
Or ch'io Tho in mano, ben vaneggia et erra
chi crede che depor lo volesse io.
Se Rinaldo lo vuol, non disconviene,
come io gia in Francia, or s'egli in India viene.
xcv
Non men sicura a lui fia Sericana,
che gia due volte Francia a me sia stata. »
Cosi dicendo, per la via piu piana
ne venne in Arli, e vi trov6 Tarmata;
e quindi con Baiardo e Durindana
si parti sopra una galea spalmata.
Ma questo a un'altra volta; ch'or Gradasso,
Rinaldo e tutta Francia a dietro lasso.
876 ORLANDO FURIOSO
XCVI
Voglio Astolfo seguir, ch'a sella e a morso,
a uso facea andar di palafreno
Tippogrifo per 1'aria a si gran corso,
che Paquila e il falcon vola assai meno.
Poi che de' GalU ebbe il paese scorso
da tin mare a 1'altro e da Pirene al Reno,
torn6 verso ponente alia montagna
che separa la Francia da la Spagna.
xcvn
Passo in Navarra, et indi in Aragona,
lasciando a chi Jl vedea gran maraviglia.
Rest6 lungi a sinistra Taracona,
Biscaglia a destra, et arriv6 in Castiglia.
Vide Gallizia e 1 regno d'Ulisbona,
poi volse il corso a Cordova e Siviglia;
ne Iasci6 presso al mar n6 fra campagna
citta, che non vedesse tutta Spagna.
XCVIII
Vide le Gade e la meta che pose
ai primi naviganti Ercole invitto.
Per PAfrica vagar poi si dispose
dal mar d'Atlante ai termini d'Egitto.
Vide le Baleariche famose,
e vide Eviza appresso al camin dritto.
Poi volse il freno, e torn6 verso Arzilla
sopra '1 mar che da Spagna dipartilla.
xcix
Vide Marocco, Feza, Orano, Ippona,
Algier, Buzea, tutte citta superbe,
c'hanno d'altre citta tutte corona,
corona d'oro, e non di fronde o d'erbe.
Verso Biserta e Tunigi poi sprona:
vide Capisse e 1'isola d'Alzerbe
e Tripoli e Bernicche e Tolomitta,
sin dove il Nilo in Asia si tragitta.
CANTO TRENTESIMOTERZO 877
C
Tra la marina e la silvosa schena
del fiero Atlanta vide ogni contrada.
Poi die le spalle ai monti di Carena,
e sopra i Cirenei prese la strada;
e traversando i campi de T arena,
venne a' confin di Nubia in Albaiada.
Rimase dietro il cimiter di Batto
e '1 gran tempio d'Amon, ch'oggi e disfatto.
ci
Indi giunse ad un'altra Tremisenne,
che di Maumetto pur segue lo stilo.
Poi volse agli altri Etiopi le penne,
che contra questi son di la dal Nilo.
Alia citta di Nubia il camin tenne
tra Dobada e Coalle in aria a filo.
Questi cristiani son, quei saracini;
e stan con Tarrne in man sempre a' confmi.
en
Senapo imperator de la Etiopia,
ch'in loco tien di scettro in man la croce,
di gente, di cittadi e d'oro ha copia
quindi fin la dove il mar Rosso ha foce;
e serva quasi nostra fede propia,
che pu6 salvarlo da Tesilio atroce.
Gli e, s'io non piglio errore, in questo loco
ove al battesmo loro usano il fuoco.
cm
Dismont6 il duca Astolfo alia gran corte
dentro di Nubia, e visito il Senapo.
II castello e piu ricco assai che forte,
ove dimora d'Etiopia il capo.
Le catene dei ponti e de le porte,
gangheri e chiavistei da piedi a capo,
e finalmente tutto quel lavoro
che noi di ferro usiamo, ivi usan d'oro.
878 ORLANDO FURIOSO
CIV
Ancor che del finissimo metallo
vi sia tale abondanza, e pur in pregio.
Colonnate di limpido cristallo
son le gran loggie del palazzo regio.
Fan rosso, bianco, verde, azzurro e giallo
sotto i bei palchi un relucente fregio,
divisi tra proporzionati spazii,
rubin, smeraldi, zafiri e topazii.
cv
In mura, in tetti, in pavimenti sparte
eran le perle, eran le ricche gemme.
Quivi il balsamo nasce; e poca parte
n'ebbe appo questi mai lerusalemme.
II muschio ch'a noi vien, quindi si parte;
quindi vien 1'ambra, e cerca altre maremme:
vengon le cose in somma da quel canto
che nei paesi nostri vaglion tanto.
cvi
Si dice che '1 soldan, re de 1'Egitto,
a quel re da tribute e sta suggetto,
perch'e in poter di lui dal camin dritto
levare il Nilo, e dargli altro ricetto,
e per questo lasciar subito afflitto
di fame il Cairo e tutto quel distretto.
Senapo detto e dai sudditi suoi;
gli dician Presto o Preteianni noi.
cvn
Di quanti re mai d'Etiopia foro,
il piu ricco fu questi e il piu possente;
ma con tutta sua possa e suo tesoro,
gli occhi perduti avea miseramente.
E questo era il minor d'ogni martoro:
molto era piu noioso e piu spiacente
che, quantunque ricchissimo si chiame,
cruciato era da perpetua fame.
CANTO TRENTESIMOTERZO 879
CVIII
Se per mangiare o her quello infelice
venia cacciato dal bisogno grande,
tosto apparia Tinfernal schiera ultrice,
le monstruose arpie brutte e nefande,
che col griffo e con 1'ugna predatrice
spargeano i vasi, e rapian le vivande;
e quel che non capia lor ventre ingordo,
vi rimanea contaminato e lordo.
cix
E questo, perch'essendo d'anni acerbo,
e vistosi levato in tanto onore,
che oltre alle ricchezze di piu nerbo
era di tutti gli altri, e di piu core;
divenne come Lucifer superbo,
e pens6 muover guerra al suo Fattore.
Con la sua gente la via prese al dritto
al monte onde esce il gran flume d'Egitto.
ex
Inteso avea che su quel monte alpestre,
ch' oltre alle nubi e presso al del si leva,
era quel paradiso che terrestre
si dice, ove abit6 gia Adamo et Eva.
Con camelli, elefanti, e con pedestre
esercito, orgoglioso si moveva
con gran desir, se v'abitava gente,
di farla alle sue leggi ubbidiente.
CXI
Dio gli ripresse il temerario ardire,
e mand6 1' angel suo tra quelle frotte,
che centomila ne fece morire,
e condann6 lui di perpetua notte.
Alia sua mensa poi fece venire
Torrendo mostro da 1'infernal grotte,
che gli rapisce e contamina i cibi,
ne lascia che ne gusti o ne delibL
880 ORLANDO FURIOSO
CXII
Et in desperazion continua il messe
uno che gia gli avea profetizzato
che le sue mense non sariano oppresse
da la rapina e da 1'odore ingrato,
quando venir per 1'aria si vedesse
un cavallier sopra un cavallo alato.
Perche dunque impossibil parea questo,
privo d'ogni speranza vivea mesto.
CXIII
Or che con gran stupor vede la gente
sopra ogni muro e sopra ogn'alta torre
entrare il cavalliero, immantinente
e chi a narrarlo al re di Nubia corre,
a cui la profezia ritorna a mente;
et obliando per letizia torre
la fedel verga, con le mani inante
vien brancolando al cavallier volante.
CXIV
Astolfo ne la piazza del castello
con spaziose ruote in terra scese.
Poi che fu il re condotto inanzi a quello,
inginochiossi, e le man giunte stese,
e disse: — Angel di Dio, Messia novello,
s'io non merto perdono a tante offese,
mira che proprio e a noi peccar so vent e,
a voi perdonar sempre a chi si pente.
cxv
Del mio error consapevole, non chieggio
ne chiederti ardirei gli antiqui lumi.
Che tu lo possa far, ben creder deggio,
che sei de' cari a Dio beati numi.
Ti basti il gran martir ch'io non ci veggio,
senza ch'ognior la fame mi consumi:
almen discaccia le fetide arpie,
che non rapiscan le vivande mie.
CANTO TRENTESIMOTERZO 88l
CXVI
E di marmore un tempio ti prometto
edificar de 1'alta regia mia,
che tutte d'oro abbia le porte e '1 tetto,
e dentro e fuor di gemme ornato sia;
e dal tuo santo nome sara detto,
e del miracol tuo scolpito fia. —
Cosi dicea quel re che nulla vede,
cercando invan baciare al duca il piede.
cxvn
Rispose Astolfo:— Ne Pangel di Dio,
ne son Messia novel, ne dal ciel vegno;
ma son mortale e peccatore anch'io,
di tanta grazia a me concessa indegno.
10 faro ogn'opra acci6 che '1 mostro rio,
per morte o fuga, io ti levi del regno.
S'io il fo, me non, ma Dio ne loda solo,
che per tuo aiuto qui mi drizz6 il volo.
CXVIII
Fa questi voti a Dio, debiti a lui;
a lui le chiese edifica e gli altari. —
Cosi parlando, andavano ambidui
verso il castello fra i baron preclari.
11 re commanda ai servitori sui
che subito il convito si prepari,
sperando che non debba essergli tolta
la vivanda di mano a questa volta.
cxix
Dentro una ricca sala immantinente
apparecchiossi il convito solenne.
Col Senapo s'assise solamente
il duca Astolfo, e la vivanda venne.
Ecco per 1'aria lo stridor si sente,
percossa intorno da 1'orribil penne;
ecco venir Tarpie brutte e nefande,
tratte dal cielo a odor de le vivande.
882 ORLANDO FURIOSO
CXX
Erano sette in una schiera, e tutte
volto di donne avean, pallide e smorte,
per lunga fame attenuate e asciutte,
orribili a veder pm che la morte.
L'alaccie grand! avean, deformi e brutte;
le man rapaci, e 1'ugne incurve e torte;
grande e fetido il ventre, e lunga coda,
come di serpe che s'aggira e snoda.
cxxi
Si sentono venir per 1'aria, e quasi
si veggon tutte a un tempo in su la mensa
rapire i cibi e riversare i vasi:
e molta feccia il ventre lor dispensa,
tal che gli e forza d'atturare i nasi;
che non si pu6 patir la puzza immensa.
Astolfo, come Pira lo sospinge,
contra gli ingordi augelli il ferro stringe.
cxxn
Uno sul collo, un altro su la groppa
percuote, e chi nel petto, e chi ne 1'ala;
ma come fera in su 5n sacco di stoppa,
poi langue il colpo, e senza effetto cala:
e quei non vi lasciar piatto ne coppa
che fosse intatta, ne sgombrar la sala,
prima che le rapine e il fiero pasto
contaminato il tutto avesse e guasto.
CXXIII
Avuto avea quel re ferma speranza
nel duca, che Farpie gli discacciassi ;
et or che nulla ove sperar gli avanza,
sospira e geme, e disperato stassi.
Viene al duca del corno rimembranza,
che suole aitarlo ai perigliosi passi;
e conchiude tra s6 che questa via
per discacciare i mostri ottima sia.
CANTO TRENTESIMOTERZO 883
CXXIV
E prima fa che 71 re con suoi baroni
di calda cera Forecchia si serra,
acci6 che tutti, come il corno suoni,
non abbiano a fuggir fuor de la terra.
Prende la briglia, e salta sugli arcioni
de Fippogrifo, et il bel corno afferra;
e con cenni allo scalco poi commanda
che riponga la mensa e la vivanda.
cxxv
E cosi in una loggia s'apparecchia
con altra mensa altra vivanda miova.
Ecco Farpie che fan Fusanza vecchia:
Astolfo il corno subito ritrova.
Gli augelli, che non han chiusa Forecchia,
udito il suon, non puon stare alia prova;
ma vanno in fuga pieni di paura,
ne di cibo ne d'altro hanno piu cura.
cxxvi
Subito il paladin dietro lor sprona:
volando esce il destrier fuor de la loggia,
e col castel la gran citta abandona,
e per Faria, cacciando i mostri, poggia.
Astolfo il corno tuttavolta suona:
fuggon Farpie verso la zona roggia,
tanto che sono alFaltissimo monte
ove il Nilo ha, se in alcun luogo ha, fonte.
cxxvn
Quasi de la montagna alia radice
entra sotterra una profonda grotta,
che certissima porta esser si dice
di ch'allo 'nferno vuol scender talotta.
Quivi s'& quella turba predatrice,
come in sicuro albergo, ricondotta,
e giu sin di Cocito in su la proda
scesa, e piu la, dove quel suon non oda.
884 ORLANDO FURIOSO
CXXVIII
AlPinfernal caliginosa buca
ch'apre la strada a chi abandona il lume,
finl 1'orribil suon 1'inclito duca,
e fe' raccorre al suo destrier le piume.
Ma prima che piu inanzi io lo conduca,
per non mi dipartir dal mio costume,
poi che da tutti i lati ho pieno il foglio,
finire il canto, e riposar mi voglio.
CANTO TRENTESIMOQUARTO 885
CANTO TRENTESIMOQUARTO
I
Oh famelice, inique e fiere arpie
ch'alPaccecata Italia e (Terror plena,
per punir forse antique colpe rie,
in ogni mensa alto giudicio mena!
Innocenti fanciulli e madri pie
cascan di fame, e veggon ch'una cena
di questi mostri rei tutto divora
cio che del viver lor sostegno fora.
ii
Troppo fallo chi le spelonche aperse,
che gia molt'anni erano state chiuse;
onde il fetore e 1'ingordigia emerse,
ch'ad ammorbare Italia si diffuse.
II bel vivere allora si summerse;
e la quiete in tal modo s'escluse,
ch'in guerre, in poverta sempre e in affanni
e dopo stata, et e per star molt'anni:
in
fin ch'ella un giorno ai neghitosi figli
scuota la chioma, e cacci fuor di Lete,
gridando lor: — Non fia chi rassimigli
alia virtu di Calai e di Zete?
che le mense dal puzzo e dagli artigli
liberi, e torni a lor mondizia liete,
come essi gia quelle di Fineo, e dopo
fe' il paladin quelle del re etiopo. —
886 ORLANDO FURIOSO
IV
II paladin col suono orribil venne
le brutte arpie cacciando in fuga e in rotta,
tanto ch'a pie d'un monte si ritenne,
ove esse erano entrate in una grotta.
L'orecchie attente allo spiraglio tenne,
e 1'aria ne sent! percossa e rotta
da pianti e d'urli e da lamento eterno :
segno evidente quivi esser lo 'nferno.
Astolfo si penso d'entrarvi dentro,
e veder quei c'hanno perduto il giorno,
e penetrar la terra fin al centre,
e le bolgie infernal cercare intorno.
— Di che debbo temer — dicea — s'io v'entro,
che mi posso aiutar sempre col corno ?
Far6 fuggir Plutone e Satanasso,
e 1 can trifauce levero dal passo. —
VI
De 1'alato destrier presto discese,
e lo lascio legato a un arbuscello :
poi si ca!6 ne Fantro, e prima prese
il corno, avendo ogni sua speme in quello.
Non and6 molto inanzi, che gli offese
il naso e gli occhi un fumo oscuro e fello,
piu che di pece grave e che di zolfo :
non sta d'andar per questo inanzi Astolfo.
VII
Ma quanto va piu inanzi, piu s'ingrossa
il fumo e la caligine, e gli pare
ch'andare inanzi piu troppo non possa;
che sara forza a dietro ritornare.
Ecco, non sa che sia, vede far mossa
da la volta di sopra, come fare
il cadavero appeso al vento suole,
che molti di sia stato alPacqua e al sole.
CANTO TRENTESIMOQUARTO 887
VIII
Si poco, e quasi nulla era di luce
in quella affumicata e nera strada,
che non comprende e non discerne il duce
cbi questo sia che si per Paria vada;
e per notizia averne si conduce
a dargli uno o duo colpi de la spada.
Stima poi ch'uno spirto esser quel debbia;
che gli par di ferir sopra la nebbia.
IX
Allor senti parlar con voce mesta:
— Deh, senza fare altrui danno, giu cala!
Pur troppo il negro fumo mi molesta,
che dal fuoco infernal qui tutto esala. —
II duca stupefatto allor s'arresta,
e dice airombra: — Se Dio tronchi ogni ala
al fumo, si ch'a te piu non ascenda,
non ti dispiaccia che '1 tuo stato intenda.
x
E se vuoi che di te porti novella
nel mondo su, per satisfarti sono. —
L'ombra rispose : — Alia luce alma e bella
tornar per fama ancor si mi par buono,
che le parole e forza che mi svella
il gran desir c'ho d'aver poi tal dono,
e che '1 mio nome e Pesser mio ti dica,
ben che '1 parlar mi sia noia e fatica. —
XI
E cominci6 : — Signor, Lidia sono io,
del re di Lidia in grande altezza nata,
qui dal giudicio altissimo di Dio
al fumo eternamente condannata,
per esser stata al fido amante mio,
mentre io vissi, spiacevole et ingrata.
D'altre infinite e questa grotta piena,
poste per simil fallo in simil pena.
ORLANDO FURIOSO
XII
Sta la cruda Anassarete piu al basso,
ove e maggiore il fumo e piu martire.
Resto converse al mondo il corpo in sasso,
e Tanima qua giu venne a patire,
poi che veder per lei Pafflitto e lasso
suo amante appeso pote sofferire.
Qui presso e Dafne, ch'or s'awede quanto
errasse a fare Apollo correr tanto.
XIII
Lungo saria se gl'infelici spirti
de le femine ingrate, che qui stanno,
volesse ad uno ad uno riferirti;
che tanti son, ch'in infinite vanno.
Piu lungo ancor saria gli uomini dirti,
a* quai Tessere ingrato ha fatto danno,
e che puniti sono in peggior loco,
ove il fumo gli accieca, e cuoce il fuoco.
XIV
Perche le donne piu facili e prone
a creder son, di piu supplicio e degno
chi lor fa inganno. II sa Teseo e lasone
e chi turb6 a Latin 1'antiquo regno;
sallo ch'incontra se il frate Absalone
per Tamar trasse a sanguinoso sdegno;
et altri et altre: che sono infmiti
che lasciato han chi moglie e chi mariti.
xv
Ma per narrar di me piu che d'altrui,
e palesar Terror che qui mi trasse,
bella, ma altiera piu, si in vita fui,
che non so s'altra mai mi s'aguagliasse:
ne ti saprei ben dir, di questi dui,
s'in me Torgoglio o la belta avanzasse ;
quantunque il fasto e Palterezza nacque
da la belta ch'a tutti gli occhi piacque.
CANTO TRENTESIMOQUARTO 889
XVI
Era in quel tempo in Tracia un cavalliero
estimato il miglior del mondo in arme,
il qual da piu d'un testimomo vero
di singular belta senti lodarme;
tal che spontaneamente fe' pensiero
di volere il suo amor tutto donarme,
stimando meritar per suo valore
che caro aver di lui dovessi il core.
XVII
In Lidia venne; e d'un laccio piu forte
vinto rest6, poi che veduta m'ebbe.
Con gli altri cavallier si messe in corte
del padre mio, dove in gran fama crebbe.
L'alto valore e le piu d'una sorte
prodezze che mostr6, lungo sarebbe
a raccontarti, e il suo merto infinite,
quando egli avesse a piu grato uom servito.
XVIII
Panfilia e Caria e il regno de' Cilici
per opra di costui mio padre vinse;
che Tesercito mai contra i nimici,
se non quanto volea costui, non spinse.
Costui, poi che gli parve i benefici
suoi meritarlo, un di col re si strinse
a domandargli, in premio de le spoglie
tante arrecate, ch'io fossi sua moglie.
XIX
Fu repulso dal re, ch'in grande stato
maritar disegnava la figliuola,
non a costui che cavallier private
altro non tien che la virtude sola:
e '1 padre mio troppo al guadagno dato,
e all'avarizia, d'ogni vizio scuola,
tanto apprezza costumi, o virtu ammira,
quanto Tasino fa il suon de la lira.
890 ORLANDO FURIOSO
XX
Alceste, il cavallier di ch'io ti parlo
(che cosi nome avea), poi che si vede
repulse da chi piii gratificarlo
era piu debitor, commiato chiede ;
e lo minaccia, nel partir, di farlo
pentir che la figliuola non gli diede.
Se n'and6 al re d' Armenia, emulo antico
del re di Lidia e capital nimico;
XXI
e tanto stimulb, che lo dispose
a pigliar 1'arme e far guerra a mio padre.
Esso per Popre sue chiare e famose
fu fatto capitan di quelle squadre.
Pel re d' Armenia tutte 1'altre cose
disse ch'acquisteria: sol le leggiadre
e belle membra mie volea per frutto
de Popra sua, vinto ch'avesse il tutto.
XXII
lo non ti potre' sprimere il gran danno
ch' Alceste al padre mio fa in quella guerra.
Quattro eserciti rompe, e in men d'un anno
lo mena a tal, che non gli lascia terra,
fuor ch'un castel ch'alte pendici fanno
fortissimo; e la dentro il re si serra
con la famiglia che piu gli era accetta,
e col tesor che trar vi puote in fretta.
XXIII
Quivi assedionne Alceste; et in non molto
termine a tal disperazion ne trasse,
che per buon patto avria mio padre tolto
che moglie e serva ancor me gli lasciasse
con la meta del regno, s'indi assolto
restar d'ogni altro danno si sperasse.
Vedersi in breve de 1'avanzo privo
era ben certo, e poi morir captivo.
CANTO TRENTESIMOQUARTO 891
XXIV
Tentar, prima ch'accada, si dispone
ogni rimedio che possibil sia;
e me, che d'ogni male era cagione,
fuor de la rocca, ov'era Alceste invia.
lo vo ad Alceste con intenzione
di dargli in preda la persona mia,
e pregar che la parte che vuol tolga
del regno nostro, e 1'ira in pace volga.
xxv
Come ode Alceste ch'io vo a ritrovarlo,
mi viene incontra pallido e tremante:
di vinto e di prigione, a riguardarlo,
piu che di vincitore, have sembiante.
lo che conosco ch'arde, non gli parlo
si come avea gia disegnato inante:
vista Foccasion, fo pensier nuovo
conveniente al grado in ch'io lo trovo.
XXVI
A maledir comincio Pamor d'esso,
e di sua crudelta troppo a dolermi,
ch'iniquamente abbia mio padre oppresso,
e che per forza abbia cercato avermi;
che con piu grazia gli saria successo
indi a non molti di, se tener fermi
saputo avesse i modi cominciati,
ch'al re et a tutti noi si furon grati.
xxvn
E se ben da principio il padre mio
gli avea negata la domanda onesta
(per6 che di natura e un poco rio,
ne mai si piega alia prima richiesta),
farsi per ci6 di ben servir restio
non doveva egli, e aver 1'ira si presta;
anzi, ognor meglio oprando, tener certo
venire in breve al desiato merto.
892 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
E quando anco mio padre a lui ritroso
stato fosse, io 1'avrei tanto pregato,
ch'avria 1'amante mio fatto mio sposo.
Pur se veduto io 1'avessi ostinato,
avrei fatto tal opra di nascoso,
che di me Alceste si saria lodato.
Ma poi ch'a lui tentar parve altro modo,
10 di mai non Famar fisso avea il chiodo.
XXIX
E se ben era a lui venuta, mossa
da la pieta ch'al mio padre portava,
sia certo che non molto fruir possa
11 piacer ch'al dispetto mio gli dava;
ch'era per far di me la terra rossa,
tosto ch'io avessi alia sua voglia prava
con questa mia persona satisfatto
di quel che tutto a forza saria fatto.
xxx
Queste parole e simili altre usai,
poi che potere in lui mi vidi tanto;
e '1 piu pentito Io rendei, che mai
si trovasse ne 1'eremo alcun santo.
Mi cadde a' piedi, e supplicommi assai
che col coltel che si Iev6 da canto
(e volea in ogni modo ch'io '1 pigliassi)
di tanto fallo suo mi vendicassi.
XXXI
Poi ch'io Io trovo tale, io fo disegno
la gran vittoria insin al fin seguire:
gli do speranza di farlo anco degno
che la persona mia potra fruire,
s'emendando il suo error, Pantiquo regno
al padre mio fara restituire;
e nel tempo a venir vorra acquistarme
servendo, amando, e non mai piu per arme.
CANTO TRENTESIMOQUARTO 893
XXXII
Cosi far mi promesse, e ne la rocca
intatta mi mand6, come a lui venni,
ne di baciarmi pur s'ardi la bocca:
vedi s'al collo il giogo ben gli tenni;
vedi se bene Amor per me lo tocca,
se convien che per lui piu strali impenni.
Al re d' Armenia ando, di cui dovea
esser per patto ci6 che si prendea:
xxxm
e con quel miglior modo ch'usar puote,
lo priega ch'al mio padre il regno lassi,
del qual le terre ha depredate e vote,
et a goder T ami qua Armenia passi.
Quel re, d'ira infiammando ambe le gote,
disse ad Alceste che non vi pensassi;
che non si volea tor da quella guerra,
fin che mio padre avea palmo di terra.
xxxiv
E s'Alceste e mutato alle parole
d'una vil feminella, abbiasi il danno.
Gia a' prieghi esso di lui perder non vuole
quel ch'a fatica ha preso in tutto un anno.
Di nuovo Alceste il priega, e poi si duole
che seco effetto i prieghi suoi non fanno.
AH'ultimo s'adira, e lo minaccia
che vuol per forza o per amor lo faccia.
xxxv
L'ira multiplico si, che li spinse
da le male parole ai peggior fatti.
Alceste contra il re la spada strinse
fra mille ch'in suo aiuto s'eran tratti,
e mal grado lor tutti ivi 1'estinse;
e quel di ancor gli Armeni ebbe disfatti,
con Paiuto de' Cilici e de' Traci
che pagava egli, e d'altri suoi seguaci.
894 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
Seguito la vittoria, et a sue spese,
senza dispendio alcun del padre mio,
ne rende tutto il regno in men d'un mese.
Poi per ricompensarne il danno rio,
oltr'alle spoglie che ne diede, prese
in parte, e grav6 in parte di gran fio
Armenia e Capadocia che confina,
e scorse Ircania fin su la marina.
xxxvir
In luogo di trionfo, al suo ritorno,
facemmo noi pensier dargli la morte.
Restammo poi, per non ricever scorno ;
che lo veggian troppo d'amici forte.
Fingo d'amarlo, e piu di giorno in giorno
gli do speranza d'essergli consorte;
ma prima contra altri nimici nostri
dico voler che sua virtu dimostri.
xxxvur
E quando sol, quando con poca gente
lo mando a strane imprese e perigliose,
da fame morir mille agevolmente:
ma lui successer ben tutte le cose;
che torno con vittoria, e fa sovente
con orribil persone e monstruose,
con Giganti a battaglia e Lestrigoni,
ch'erano infesti a nostre regioni.
xxxix
Non fu da Euristeo mai, non fu mai tanto
da la matrigna esercitato Alcide
in Lerna, in Nemea, in Tracia, in Erimanto,
alle valli d'Etolia, alle Numide,
sul Tevre, su Flbero e altrove; quanto
con prieghi finti e con voglie omicide
esercitato fu da me il mio amante,
cercando io pur di torlomi davante.
CANTO TRENTESIMOQUARTO 895
XL
Ne potendo venire al primo intento,
vengone ad un di non minore effetto:
gli fo quei tutti ingiuriar ch'io sento
che per lui sono, e a tutti in odio il metto.
Egli che non sentia maggior contento
che d'ubbidirmi, senza alcun rispetto
le mani ai cenni miei sempre avea pronte,
senza guardare un piu d'un altro in fronte.
XLI
Poi che mi fu, per questo mezzo, aviso
spento aver del mio padre ogni nimico,
e per lui stesso Alceste aver conquiso,
che non si avea per noi lasciato amico;
quel ch'io gli avea con simulate viso
celato fin allor, chiaro gli esplico:
che grave e capitale odio gli porto,
e pur tuttavia cerco che sia morto.
XLII
Considerando poi, s'io lo facessi,
ch'in publica ignominia ne verrei
(sapeasi troppo quanto io gli dovessi,
e crudel detta sempre ne sarei),
mi parve fare assai ch'io gli togliessi
di mai venir piu inanzi agli occhi miei,
Ne veder ne parlar mai piu gli volsi,
ne messo udi', ne lettera ne tolsi.
XLIII
Questa mia ingratitudine gli diede
tanto martir, ch'al fin dal dolor vinto,
e dopo un lungo domandar mercede,
infermo cadde, e ne rimase estinto.
Per pena ch'al fallir mio si richiede,
or gli occhi ho lacrimosi, e il viso tinto
del negro fumo: e cosi avr6 in eterno;
che nulla redenzione e ne Tinferno. —
896 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Poi die non park piu Lidia infelice,
va il duca per saper s'altri vi stanzi:
ma la caligine alta ch'era ultrice
de Topre ingrate, si gl'ingrossa inanzi,
ch'andare un palmo sol piu non gli lice.
Anzi a forza tornar gli conviene; anzi,
per che la vita non gli sia intercetta
dal fumo, i passi accelerar con fretta.
XLV
II mutar spesso de le piante ha vista
di corso, e non di chi passeggia o trotta.
Tanto, salendo inverse Ferta, acquista,
che vede dove aperta era la grotta;
e 1'aria, gia caliginosa e trista,
dal lume cominciava ad esser rotta.
Al fin con molto affanno e grave ambascia
esce de Tantro, e dietro il fumo lascia.
XLVI
E perch6 del tornar la via sia tronca
a quelle bestie c'han si ingorde 1'epe,
raguna sassi, e molti arbori tronca,
che v'eran qual d'amomo e qual di pepe;
e come pu6, dinanzi alia spelonca
fabrica di sua man quasi una siepe:
e gli succede cosi ben quell'opra,
che piu 1'arpie non torneran di sopra.
XLVII
II negro fumo de la scura pece,
mentre egli fu ne la caverna tetra,
non macchio sol quel ch'apparia, et infece;
ma sotto i panni ancora entra e penetra:
si che per trovare acqua andar lo fece
cercando un pezzo; e al fin fuor d'una pietra
vide una fonte uscir ne la foresta,
ne la qual si Iav6 dal pie alia testa.
CANTO TRENTESIMOQUARTO 897
XL VIII
Pol monta il volatore, e in aria s'alza
per giunger di quel monte in su la cima
che non lontan con la superna balza
dal cerchio de la luna esser si stima.
Tanto e il desir che di veder lo 'ncalza,
ch'al cielo aspira, e la terra non stima.
De Taria piu e piu sempre guadagna,
tanto ch'al giogo va de la montagna.
XLIX
Zafir, rubini, oro, topazi e perle,
e diamanti e crisoliti e iacinti
potriano i fiori assimigliar, che per le
liete piaggie v'avea Taura dipinti:
si verdi 1'erbe, che possendo averle
qua giu, ne foran gli smeraldi vinti;
n6 men belle degli arbori le frondi,
e di frutti e di fior sempre fecondi.
Cantan fra i rami gli augelletti vaghi
azzurri e bianchi e verdi e rossi e gialli.
Murmuranti ruscelli e cheti laghi
di limpidezza vincono i cristalli.
Una dolce aura che ti par che vaghi
a un modo sempre e dal suo stil non falli,
facea si 1'aria tremolar d'intorno,
che non potea noiar calor del giorno:
LI
e quella ai fiori, ai pomi e alia verzura
gli odor diversi depredando giva,
e di tutti faceva una mistura
che di soavita Talma notriva.
Surgea un palazzo in mezzo alia pianura,
ch'acceso esser parea di fiamma viva:
tanto splendore intorno e tanto lume
raggiava, fuor d'ogni mortal costume.
898 ORLANDO FURIOSO
LII
Astolfo il suo destrier verso il palagio,
che piu di trenta miglia intorno aggira,
a passo lento fa muovere ad agio,
e quinci e quindi il bel paese ammira;
e giudica, appo quel, brutto e malvagio,
e che sia al cielo et a natura in ira,
questo ch'abitian noi fetido mondo:
tanto e soave quel, chiaro e giocondo.
LIII
Come egli e presso al luminoso tetto,
attonito riman di maraviglia;
che tutto d'una gemma e '1 muro schietto,
piu che carbonchio lucida e vermiglia.
0 stupenda opra, o dedalo architetto!
Qual fabrica tra noi le rassimiglia?
Taccia qualunque le mirabil sette
moli del mondo in tanta gloria mette.
LIV
Nel lucente vestibule di quella
felice casa un vecchio al duca occorre,
che '1 manto ha rosso, e bianca la gonnella,
che Fun pu6 al latte, e 1'altro al minio opporre.
1 crini ha bianchi, e bianca la mascella
di folta barba ch'al petto discorre;
et e si venerabile nel viso,
ch'un degli eletti par del paradiso.
LV
Costui con lieta faccia al paladino,
che riverente era d'arcion disceso,
disse : — 0 baron, che per voler divino
sei nel terrestre paradiso asceso;
come che ne la causa del camino,
ne il fin del tuo desir da te sia inteso ;
pur credi che non senza alto misterio
venuto sei da I'artico emisperio.
CANTO TRENTESIMOQUARTO 899
LVI
Per imparar come soccorrer dei
Carlo, e la santa fe tor di periglio,
venuto meco a consigliar ti sei
per cosi lunga via senza consiglio.
Ne a tuo saper, ne a tua virtu vorrei
ch'esser qui giunto attribuissi, o figlio;
che ne il tuo corno, ne il cavallo alato
ti valea, se da Dio non t'era dato.
LVII
Ragionerem piu ad agio insieme poi,
e ti diro come a procedere hai:
ma prima vienti a ricrear con noi;
che '1 digiun lungo de' noiarti ormai. —
Continuando il vecchio i detti suoi,
fece maravigliare il duca assai,
quando, scoprendo il nome suo, gli disse
esser colui che Fevangelio scrisse:
LVIII
quel tanto al Redentor caro Giovanni,
per cui il sermone tra i fratelli uscio,
che non dovea per morte finir gli anni;
si che fu causa che '1 figliuol di Dio
a Pietro disse: — Per che pur t'affanni,
s'io vo' che cosi aspetti il venir mio ? —
Ben che non disse: — egli non de' morire — ,
si vede pur che cosi volse dire.
LIX
Quivi fu assunto, e trovo compagnia,
che prima Enoch, il patriarca, v'era;
eravi insieme il gran profeta EHa,
che non han vista ancor Tultima sera;
e fuor de 1'aria pestilente e ria
si goderan Peterna primavera,
fin che dian segno 1'angeliche tube
che torni Cristo in su la bianca nube.
QOO ORLANDO FURIOSO
LX
Con accoglienza grata il cavalliero
fu dai santi alloggiato in una stanza;
fu provisto in un'altra al suo destriero
di buona biada, che gli fu a bastanza.
De' fmtti a lui del paradise diero,
di tal sapor, ch'a suo giudicio, sanza
scusa non sono i duo primi parenti,
se per quei fur si poco ubbidienti.
LXI
Poi ch'a natura il duca aventuroso
satisfece di quel che se le debbe,
come col cibo, cosi col riposo,
che tutti e tutti i commodi quivi ebbe;
lasciando gia P Aurora il vecchio sposo,
ch'ancor per lunga eta mai non Tincrebbe,
si vide incontra ne Tuscir del letto
il discipul da Dio tanto diletto;
LXII
che lo prese per mano, e seco scorse
di molte cose di silenzio degne:
e poi disse: — Figliuol, tu non sai forse
che in Francia accada, ancor che tu ne vegne.
Sappi che 1 vostro Orlando, perch6 torse
dal camin dritto le commesse insegne,
e punito da Dio, che piu s'accende
contra chi egli ama piu, quando s'offende.
LXIII
II vostro Orlando, a cui nascendo diede
somma possanza Dio con sommo ardire,
e fuor de 1'uman uso gli concede
che ferro alcun non lo puo mai ferire;
perche a difesa di sua santa fede
cosi voluto Tha constituire,
come Sansone incontra a' Filistei
constitui a difesa degli Ebrei:
CANTO TRENTESIMOQUARTO 90!
LXIV
renduto ha il vostro Orlando al suo Signore
di tanti benefici iniquo merto;
che quanto aver piu lo dovea in favore,
n'e stato il fedel popul piu deserto.
Si accecato Tavea Fincesto amore
d'una pagana, ch'avea gia sofferto
due volte e piu venire empio e crudele,
per dar la morte al suo cugin fedele.
LXV
E Dio per questo fa ch'egli va folle,
e mostra nudo il ventre, il petto e il fiance;
e Fintelletto si gli offusca e tolle,
che non puo altrui conoscere, e se manco.
A questa guisa si legge che voile
Nabuccodonosor Dio punir anco,
che sette anni il mand6 di furor pieno,
si che qual bue pasceva 1'erba e il fieno.
LXVI
Ma perch' assai minor del paladino,
che di Nabucco, e stato pur Teccesso,
sol di tre mesi dal voler divino
a purgar questo error termine e messo.
Ne ad altro effetto per tanto camino
salir qua su t'ha il Redentor concesso,
se non perche da noi modo tu apprenda
come ad Orlando il suo senno si renda.
LXVII
Gli e ver che ti bisogna altro viaggio
far meco, e tutta abbandonar la terra.
Nel cerchio de la luna a menar t'aggio,
che dei pianeti a noi piu prossima erra,
perche la medicina che pu6 saggio
rendere Orlando, la dentro si serra.
Come la luna questa notte sia
sopra noi giunta, ci porremo in via. —
902 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Di questo e d'altre cose fu diffuse
il parlar de Tapostolo quel giorno.
Ma poi che '1 sol s'ebbe nel mar rinchiuso,
e sopra lor levo la luna il corno,
un carro apparecchi6si, ch'era ad uso
d'andar scorrendo per quei cieli intorno:
quel gia ne le montagne di Giudea
da' mortali occhi Elia levato avea.
LXIX
Quattro destrier via phi che fiamma rossi
al giogo il santo evangelista aggiunse;
e poi che con Astolfo rassettossi,
e prese il freno, inverse il ciel li punse.
Ruotando il carro per Paria levossi,
e tosto in mezzo il fuoco eterno giunse;
che '1 vecchio fe* miracolosamente,
che mentre lo passar non era ardente.
LXX
Tutta la sfera varcano del fuoco,
et indi vanno al regno de la luna.
Veggon per la piu parte esser quel loco
come un acciar che non ha macchia alcuna;
e lo trovano uguale, o minor poco
di ci6 ch'in questo globo si raguna,
in questo ultimo globo de la terra,
mettendo il mar che la circonda e serra.
LXXI
Quivi ebbe Astolfo doppia maraviglia:
che quel paese appresso era si grande,
il quale a un picciol tondo rassimiglia
a noi che lo miriam da queste bande;
e ch'aguzzar conviengli ambe le ciglia,
s'indi la terra e '1 mar ch'intorno spande
discerner vuol ; che non avendo luce,
1'imagin lor poco alta si conduce.
CANTO TRENTESIMOQUARTO 903
LXXII
Altri fiumi, altri laghi, altre camp ague
sono la su, che non son qui tra noi;
altri piani, altre valli, altre montagne,
c'han le cittadi, hanno i castelli suoi,
con case de le quai mai le piu magne
non vide il paladin prima ne poi :
e vi sono ample e solitarie selve,
ove le ninfe ognor cacciano belve.
LXXIII
Non stette il duca a ricercare il tutto;
che la non era asceso a quello effetto.
Da Fapostolo santo fu condutto
in un vallon fra due montagne istretto,
ove mirabilmente era ridutto
cio che si perde o per nostro diffetto,
0 per colpa di tempo o di Fortuna:
ci6 che si perde qui, la si raguna.
LXXIV
Non pur di regni o di ricchezze parlo,
in che la ruota instabile lavora;
ma di quel ch'in poter di tor, di darlo
non ha Fortuna, intender voglio ancora.
Molta fama e la su, che come tarlo
il tempo al lungo andar qua giu divora:
la su infmiti prieghi e voti stanno,
che da noi peccatori a Dio si fanno.
LXXV
Le lacrime e i sospiri degli amanti,
1'inutil tempo che si perde a giuoco,
e 1'ozio lungo d'uomini ignoranti,
vani disegni che non han mai loco,
1 vani desideri sono tanti,
che la piu parte ingombran di quel loco:
ci6 che in somma qua giu perdesti mai,
la su salendo ritrovar potrai.
904 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Passando il paladin per quelle biche,
or di questo or di quel chiede alia guida.
Vide un monte di tumide vesiche,
che dentro parea aver tumulti e grida;
e seppe ch'eran le corone antiche
e degli Assirii e de la terra lida,
e de' Persi e de' Greci, che gia furo
incliti, et or n'e quasi il nome oscuro.
LXXVII
Ami d'oro e d'argento appresso vede
in una massa, ch'erano quei doni
che si fan con speranza di mercede
ai re, agli avari principi, ai patroni.
Vede in ghirlande ascosi lacci; e chiede,
et ode che son tutte adulazioni.
Di cicale scoppiate imagine hanno
versi ch'in laude dei signor si fanno.
LXXVIII
Di nodi d'oro e di gemmati ceppi
vede c'han forma i mal seguiti amori.
V'eran d'aquile artigli; e che fur, seppi,
Pautorita ch'ai suoi danno i signori.
I mantici ch'intorno han pieni i greppi,
sono i fumi dei principi e i favori
che danno un tempo ai ganimedi suoi,
che se ne van col fior degli anni poi.
LXXIX
Ruine di cittadi e di castella
stavan con gran tesor quivi sozzopra.
Domanda, e sa che son trattati, e quella
congiura che si mal par che si cuopra.
Vide serpi con faccia di donzella,
di monetieri e di ladroni Popra:
poi vide boccie rotte di piu sorti,
ch'era il servir de le misere corti.
CANTO TRENTESIMOQUARTO 905
LXXX
Di versate minestre una gran massa
vede, e domanda al suo dottor ch'importe.
— L'elemosina e — dice — che si lassa
alcun, che fatta sia dopo la morte. —
Di varii fiori ad un gran monte passa
ch'ebbe gia buono odore, or putia forte.
Questo era il dono (se pero dir lece)
che Constantino al buon Silvestro fece.
LXXXI
Vide gran copia di panie con visco,
ch'erano, o donne, le bellezze vostre.
Lungo sara, se tutte in verso ordisco
le cose che gli fur quivi dimostre;
che dopo mille e mille io non finisco,
e vi son tutte Toccurrenzie nostre:
sol la pazzia non v'e poca ne assai;
che sta qua giu, n6 se ne parte mai.
LXXXII
Quivi ad alcuni giorni e fatti sui,
ch'egli gia avea perduti, si converse;
che se non era interprete con lui,
non discernea le forme lor diverse.
Poi giunse a quel che par si averlo a nui,
che mai per esso a Dio voti non ferse;
io dico il senno: e n'era quivi un monte,
solo assai piii che 1'altre cose conte.
LXXXIII
Era come un liquor suttile e molle,
atto a esalar, se non si tien ben chiuso;
e si vedea raccolto in varie ampolle,
qual piu, qual men capace, atte a quelPuso.
Quella e maggior di tutte, in che del folle
signor d'Anglante era il gran senno infuso;
e fu da 1'altre conosciuta, quando
avea scritto di fuor: « Senno dj Orlando ».
906 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
E cosi tutte 1'altre avean scritto anco
il nome di color di chi fu il senno.
Del suo gran parte vide il duca franco;
ma molto piu maravigliar lo fenno
molti ch'egli credea che dramma manco
non dovessero averne, e quivi denno
chiara notizia che ne tenean poco;
che molta quantita n'era in quel loco.
LXXXV
Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, richezze;
altri ne le speranze de' signori,
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre di pittori,
et altri in altro che piu d'altro aprezze.
Di sofisti e d'astrologhi raccolto,
e di poeti ancor ve n'era molto.
LXXXVI
Astolfo tolse il suo; che gliel concesse
10 scrittor de 1'oscura Apocalisse.
L'ampolla in ch'era al naso sol si messe,
e par che quello al luogo suo ne gisse:
e che Turpin da indi in qua confesse
ch' Astolfo lungo tempo saggio visse;
ma chjuno error che fece poi, fu quello
ch'un'altra volta gli Iev6 il cervello.
LXXXVII
La piu capace e piena ampolla, ov'era
11 senno che solea far savio il conte,
Astolfo tolle; e non e si leggiera,
come stimo, con 1'altre essendo a monte.
Prima che '1 paladin da quella sfera
piena di luce alle piu basse smonte,
menato fu da 1'apostolo santo
in un palagio ov'era un flume a canto;
CANTO TRENTESIMOQUARTO 907
LXXXVIII
ch'ogni sua stanza avea piena di velli
di lin, di seta, di coton, di lana,
tinti in varii colori e brutti e belli.
Nel primo chiostro una femina cana
fila a un aspo traea da tutti quelli,
come veggian Testate la villana
traer dai bachi le bagnate spoglie,
quando la nuova seta si raccoglie.
LXXXIX
V'e chi, finite un vello, rimettendo
ne viene un altro, e chi ne porta altronde:
un'altra de le filze va scegliendo
il bel dal brutto che quella confonde.
— Che lavor si fa qui, ch'io non Nintendo ? —
dice a Giovanni Astolfo; e quel risponde:
— Le vecchie son le Parche, che con tali
stami filano vite a voi mortali.
xc
Quanto dura un de5 velli, tanto dura
Pumana vita, e non di piu un momento.
Qui tien Tocchio e la Morte e la Natura,
per saper Tora ch'un debba esser spento.
Sceglier le belle fila ha Taltra cura,
perche si tesson poi per ornamento
del paradiso; e dei piu brutti stami
si fan per li dannati aspri legami. —
xci
Di tutti i velli ch'erano gia messi
in aspo, e scelti a fame altro lavoro,
erano in brevi piastre i nomi impressi,
altri di ferro, altri d'argento o d'oro:
e poi fatti n'avean cumuli spessi,
de' quali, senza mai farvi ristoro,
portarne via non si vedea mai stanco
un vecchio, e ritornar sempre per anco.
908 ORLANDO FURIOSO
XCII
Era quel vecchio si espedito e snello,
che per correr parea che fosse nato;
e da quel monte il lembo del mantello
portava pien del nome altrui segnato.
Ove n'andava, e perche facea quello,
ne 1'altro canto vi sara narrato,
se d'averne piacer segno farete
con quella grata udienza che solete.
CANTO TRENTESIMOQUINTO 909
CANTO TRENTESIMOQUINTO
I
Chi salira per me, madonna, in cielo
a riportarne il mio perduto ingegno?
ch§ poi ch'usci da' bei vostri occhi il telo
che '1 cor mi fisse, ognior perdendo vegno.
Ne di tanta iattura mi querelo,
pur che non cresca, ma stia a questo segno;
ch'io dubito, se piu si va sciemando,
di venir tal, qual ho descritto Orlando.
ii
Per riaver Pingegno mio m'e aviso
che non bisogna che per Taria io poggi
nel cerchio de la luna o in paradiso;
che '1 mio non credo che tanto alto alloggi.
Ne' bei vostri occhi e nel sereno viso,
nel sen d'avorio e alabastrini poggi
se ne va errando ; et io con queste labbia
lo corr6, se vi par ch'io Io riabbia.
in
Per gli ampli tetti andava il paladino
tutte mirando le future vite,
poi ch'ebbe visto sul fatal molino
volgersi quelle ch'erano gia ordite:
e scorse un vello che piu che d'or fino
splender parea; ne sarian gemme trite,
s'in jfilo si tirassero con arte,
da comparargH alia millesma parte.
910 ORLANDO FURIOSO
IV
Mirabilmente il bel vello gli piacque,
che tra infiniti paragon non ebbe;
e di sapere alto disio gli nacque,
quando sara tal vita, e a chi si debbe.
L'evangelista nulla gliene tacque:
che venti anni principio prima avrebbe
che col .M. e col .D. fosse notato
1'anno corrente dal Verbo incarnato.
E come di splendore e di beltade
quel vello non avea simile o pare,
cosi saria la fortunata etade *
che dovea uscirne al mondo singulare;
perche tutte le grazie inclite e rade
ch'alma Natura, o proprio studio dare,
o benigna Fortuna ad uomo puote,
avra in perpetua et infallibil dote.
VI
— Del re des fiumi tra 1'altiere corna
or siede umil — diceagli — e piccol borgo :
dinanzi il Po, di dietro gli soggiorna
d'alta palude un nebuloso gorgo;
che volgendosi gli anni la piii adorna
di tutte le citta d' Italia scorgo,
non pur di mura e d'ampli tetti regi,
ma di bei studi e di costumi egregi.
VII
Tanta esaltazione e cosi presta,
non fortuita o d'aventura casca;
ma 1'ha ordinata il ciel, perche sia questa
degna in che 1'uom di ch'io ti parlo nasca:
che dove il frutto ha da venir, s'inesta
e con studio si fa crescer la frasca;
e 1'artefice 1'oro affinar suole,
in che legar gemma di pregio vuole.
CANTO TRENTESIMOQUINTO 911
VIII
Ne si leggiadra ne si bella veste
unque ebbe altr'alma in quel terrestre regno;
e raro e sceso e scendera da queste
sfere superne un spirito si degno,
come per fame Ippolito da Este
n'have Teterna mente alto disegno.
Ippolito da Este sara detto
Tuom a chi Dio si ricco dono ha eletto.
IX
Quegli ornamenti che divisi in molti,
a molti basterian per tutti ornarli,
in suo ornamento avra tutti raccolti
costui, di c'hai voluto ch'io ti parli.
Le virtudi per lui, per lui soffolti
saran gli studi; e s'io vorro narrar li
alti suoi merti, al fin son si lontano,
ch' Orlando il senno aspetterebbe invano. —
x
Cosi venia Timitator di Cristo
ragionando col duca: e poi che tutte
le stanze del gran luogo ebbono visto,
onde 1'umane vite eran condutte,
sul fiume usciro, che d' arena misto
con 1'onde discorrea turbide e brutte;
e vi trovar quel vecchio in su la riva,
che con gPimpressi nomi vi veniva.
XI
Non so se vi sia a mente, io dico quello
ch'al fin de Faltro canto vi lasciai,
vecchio di faccia, e si di membra snello,
che d'ogni cervio e piu veloce assai.
Degli altrui nomi egli si empia il mantello;
scemava il monte, e non finiva mai :
et in quel fiume che Lete si noma
scarcava, anzi perdea la ricca soma.
912 ORLANDO FURIOSO
XII
Dlco che come arriva in su la sponda
del fiume, quel prodigo vecchio scuote
il lembo pieno, e ne la turbida onda
tutte lascia cader Timpresse note.
Un numer senza fin se ne profonda,
ch'un minimo uso aver non se ne puote;
e di cento migliaia che Farena
sul fondo involve, un se ne serva a pena.
XIII
Lungo e d'intorno quel fiume volando
givano corvi et avidi avoltori,
mulacchie e varii augelli, che gridando
facean discordi strepiti e romori;
et alia preda correan tutti, quando
sparger vedean gli amplissimi tesori:
e chi nel becco, e chi ne Tugna torta
ne prende; ma lontan poco li porta.
XIV
Come vogliono alzar per Taria i voli,
non han poi forza che '1 peso sostegna;
si che convien che Lete pur involi
de' ricchi nomi la memoria degna.
Fra tanti augelli son duo cigni soli,
bianchi, Signer, come e la vostra insegna,
che vengon lieti riportando in bocca
sicuramente il nome che lor tocca.
xv
Cosi contra i pensieri empi e maligni
del vecchio che donar li vorria al fiume,
alcun ne salvan gli augelli benigni:
tutto Favanzo oblivion consume.
Or se ne van notando i sacri cigni,
et or per Taria battendo le piume,
fin che presso alia ripa del fiume empio
trovano un colle, e sopra il colle un tempio.
CANTO TRENTESIMOQUINTO 913
XVI
Airimmortalitade il luogo e sacro,
ove una bella ninfa giu del colle
viene alia ripa del leteo lavacro,
e di bocca del cigni i nomi tolle;
e quelli afEge intorno al simulacro
ch'in mezzo il tempio una colonna estolle:
quivi li sacra, e ne fa tal governo,
che vi si pon veder tutti in eterno.
XVII
Chi sia quel vecchio, e perche tutti al rio
senza alcun frutto i bei nomi dispensi,
e degli augelli, e di quel luogo pio
onde la bella ninfa al flume viensi,
aveva Astolfo di saper desio
i gran misteri e grincogniti sensi;
e domandb di tutte queste cose
Fuomo di Dio, che cosi gli rispose:
XVIII
— Tu dei saper che non si muove fronda
la giu, che segno qui non se ne faccia.
Ogni effetto convien che corrisponda
in terra e in del, ma con diversa faccia.
Quel vecchio, la cui barba il petto inonda,
veloce si che mai nulla Pimpaccia,
gli effetti pari e la medesima opra
che '1 Tempo fa la giu, fa qui di sopra.
XIX
Volte che son le fila in su la ruota,
la giu la vita umana arriva al fine.
La fama la, qui ne riman la nota;
ch'immortali sariano ambe e divine,
se non che qui quel da la irsuta gota,
e la giu il Tempo ognior ne fa rapine:
questi le getta, come vedi, al rio;
e quel Timmerge ne Peterno oblio.
914 ORLANDO FURIOSO
XX
E come qua su i corvi e gli avoltori
e le mulacchie e gli altri varii augelli
s'affaticano tutti per trar fuori
de 1'acqua i nomi che veggion piu belli:
cosi la giu ruffiani, adulatori,
buffon, cinedi, accusatori, e quelli
che viveno alle corti e che vi sono
piu grati assai che '1 virtuoso e '1 buono,
XXI
e son chiamati cortigian gentili,
perche sanno imitar 1'asino e '1 ciacco;
de' lor signer, tratto che n'abbia i fili
la giusta Parca, anzi Venere e Bacco,
questi di ch'io ti dico, inerti e vili,
nati solo ad empir di cibo il sacco,
portano in bocca qualche giorno il nome;
poi ne 1'oblio lascian cader le some.
XXII
Ma come i cigni che cantando lieti
rendeno salve le medaglie al tempio,
cosi gli uomini degni da' poeti
son tolti da 1'oblio, piu che morte empio.
Oh bene accorti principi e discreti,
che seguite di Cesare 1'esempio,
e gli scrittor vi fate amici, donde
non avete a temer di Lete 1'onde!
XXIII
Son, come i cigni, anco i poeti rari,
poeti che non sian del nome indegni ;
si perche il ciel degli uomini preclari
non pate mai che troppa copia regni,
si per gran colpa dei signori avari
che lascian mendicare i sacri ingegni;
che le virtu premendo, et esaltando
i vizii, caccian le buone arti in bando.
CANTO TRENTESIMOQUINTO 915
XXIV
Credi che Dio quest! ignoranti ha privi
de lo 'ntelletto, e loro offusca i lumi;
che de la poesia gli ha fatto schivi,
acci6 che morte il tutto ne consumi.
Oltre che del sepolcro uscirian vivi,
ancor ch'avesser tutti i rei costumi,
pur che sapesson farsi arnica Cirra,
piu grato odore avrian che nardo o mirra.
XXV
Non si pietoso Enea, ne forte Achille
fu, come e fama, n6 si fiero Ettorre;
e ne son stati e mille e mille e mille
che lor si puon con verita anteporre:
ma i donati palazzi e le gran ville
dai descendenti lor, gli ha fatto porre
in questi senza fin sublimi onori
da Tonorate man degli scrittori.
XXVI
Non fu si santo ne benign o Augusto
come la tuba di Virgilio suona.
L'aver avuto in poesia buon gusto
la proscrizion iniqua gli perdona.
Nessun sapria se Neron fosse ingiusto,
ne sua fama saria forse men buona,
avesse avuto e terra e ciel nimici,
se gli scrittor sapea tenersi amici.
XXVII
Omero Agamennon vittorioso
e fe' i Troian parer vili et inerti;
e che Penelopea fida al suo sposo
dai Prochi mille oltraggi avea sofferti.
E se tu vuoi che '1 ver non ti sia ascoso,
tutta al contrario Tistoria converti:
che i Greci rotti, e che Troia vittrice,
e che Penelopea fu meretrice.
Ql6 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
Da 1'altra parte odi che fama lascia
Elissa, ch'ebbe il cor tanto pudico;
che riputata viene una bagascia,
solo perche Maron non le fu amico.
Non ti maravigliar ch'io n'abbia ambascia,
e se di ci6 diifusamente io dico.
Gli scrittori amo, e fo il debito mio;
ch'al vostro mondo fui scrittore anch'io.
XXIX
E sopra tutti gli altri io feci acquisto
che non mi pu6 levar tempo ne morte :
e ben convenne al mio lodato Cristo
rendermi guidardon di si gran sorte.
Duolmi di quei che sono al tempo tristo,
quando la cortesia chiuso ha le porte;
che con pallido viso e macro e asciutto
la notte e '1 di vi picchian senza frutto.
xxx
Si che continuando il primo detto,
sono i poeti e gli studiosi pochi;
che dove non han pasco ne ricetto,
insin le fere abbandonano i lochi. —
Cosi dicendo il vecchio benedetto
gli occhi infiammo, che parveno duo fuochi;
poi volto al duca con un saggio riso
torno sereno il conturbato viso.
XXXI
Resti con Io scrittor de 1'evangelo
Astolfo ormai, ch'io voglio far un salto,
quanto sia in terra a venir fin dal cielo;
ch'io non posso piu star su Tali in alto.
Torno alia donna a cui con grave telo
mosso avea gelosia crudele assalto.
Io la lasciai ch'avea con breve guerra
tre re gittati, un dopo Faltro, in terra;
CANTO TRENTESIMOQUINTO 917
XXXII
e che giunta la sera ad un castello
ch'alla via di Parigi si ritrova,
d'Agramante, che rotto dal fratello
s'era ridotto in Arli, ebbe la nuova.
Certa che 1 suo Ruggier fosse con quello,
tosto ch'apparve in ciel la luce nuova,
verso Provenza, dove ancora intese
che Carlo lo seguia, la strada prese.
XXXIII
Verso Provenza per la via piu dritta
andando, s'incontro in una donzella,
ancor che fosse lacrimosa e afflitta,
bella di faccia e di maniere bella.
Questa era quella si d'amor traffitta
per lo figliuol di Monodante, quella
donna gentil ch'avea lasciato al ponte
Pamante suo prigion di Rodomonte.
xxxiv
Ella venia cercando un cavalliero,
ch'a far battaglia usato come lontra
in acqua e in terra fosse, e cosi fiero,
che lo potesse al pagan porre incontra.
La sconsolata arnica di Ruggiero,
come quest* altra sconsolata incontra,
cortesemente la saluta, e poi
le chiede la cagion dei dolor suoi.
xxxv
Fiordiligi lei mira, e veder parle
un cavallier ch'al suo bisogno fia;
e comincia del ponte a ricontarle,
ove impedisce il re d'Algier la via;
e ch'era stato appresso di levarle
Pamante suo: non che piu forte sia,
ma sapea darsi il Saracino astuto
col ponte stretto e con quel flume aiuto.
918 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
— Se sei — dicea — si ardito e si cortese,
come ben mostri 1'uno e 1'altro in vista,
mi vendica, per Dio, di chi mi prese
il mio signore, e mi fa gir si trista;
o consigliami almeno in che paese
possa io trovare un ch'a colui resista,
e sappia tanto d'arme e di battaglia,
che '1 fiume e '1 ponte al pagan poco vaglia.
XXXVII
Oltre che tu farai quel che conviensi
ad uom cortese e a cavalliero errante,
in beneficio il tuo valor dispensi
del piu fedel d'ogni fedele amante.
De Taltre sue virtu non appertiensi
a me narrar; che sono tante e tante,
che chi non n'ha notizia si puo dire
che sia del veder privo e de 1'udire. —
XXXVIII
La magnanima donna, a cui fu grata
sempre ogni impresa che pu6 farla degna
d'esser con laude e gloria nominata,
subito al ponte di venir disegna:
et ora tanto piu, ch'e disperata,
vien volentier, quando anco a morir vegna;
che credendosi, misera! esser priva
del suo Ruggiero, ha in odio d'esser viva.
xxxix
— - Per quel ch'io vaglio, giovane amorosa, — •
rispose Bradamante — io m'offerisco
di far Pimpresa dura e perigliosa,
per altre cause ancor ch'io preterisco;
ma piu, che del tuo amante narri cosa
che narrar di pochi uomini awertisco:
che sia in amor fedel; ch'a fe ti giuro
ch'in ci6 pensai ch'ognun fosse pergiuro. —
CANTO TRENTESIMOQUINTO 919
XL
Con un sospir quest'ultime parole
fini, con un sospir ch'usci dal core;
poi disse : — Andiamo — ; e nel seguente sole
giunsero al Hume, al passo pien d'orrore.
Scoperte da la guardia che vi suole
fame segno col corno al suo signore,
il pagan s'arma; e quale e Jl suo costume,
sul ponte s'apparecchia in ripa al fiume:
XLI
e come vi compar quella guerriera,
di porla a morte subito minaccia,
quando de 1'arme e del destrier su ch'era
al gran sepolcro oblazion non faccia.
Bradamante che sa Pistoria vera,
come per lui morta Issabella giaccia,
che Fiordiligi detto le 1'avea,
al Saracin superbo rispondea:
XLII
— Perche vuoi tu, bestial, che gli innocenti
facciano penitenzia del tuo fallo?
Del sangue tuo placar costei convienti:
tu Puccidesti, e tutto '1 mondo sallo.
Si che di tutte Parme e guernimenti
di tanti che gittati hai da cavallo,
oblazione e vittima piu accetta
avra, ch'io te 1'uccida in sua vendetta.
XLIII
E di mia man le fia piu grato il dono,
quando, come ella fu, son donna anch'io :
ne qui venuta ad altro effetto sono,
ch'a vendicarla; e questo sol disio.
Ma far tra noi prima alcun patto e buono,
che '1 tuo valor si compari col mio.
S'abbattuta sar6, di me farai
quel che degli altri tuoi prigion fatt'hai:
920 ORLANDO FURIOSO
XLIV
ma s'io t'abbatto, come io credo e spero,
guadagnar voglio il tuo cavallo e 1'armi,
e quelle offerir sole al cimitero,
e tutte Paltre distaccar da' marmi;
e voglio che tu lasci ogni guerriero. —
Rispose Rodornonte : — Giusto parmi
che sia come tu di' ; ma i prigion darti
gia non potrei, ch'io non gli ho in queste parti.
XLV
Io gli ho al mio regno in Africa mandati :
ma ti prometto, e ti do ben la fede,
che se m'awien per casi inopinati
che tu stia in sella e ch'io rimanga a piede,
far6 che saran tutti liberati
in tanto tempo quanto si richiede
di dare a un messo ch'in fretta si mandi
a far quel che, s'io perdo, mi commandi.
XLVI
Ma s'a te tocca star di sotto, come
piu si conviene, e certo so che fia,
non vo' che lasci Panne, ne il tuo nome,
come di vinta, sottoscritto sia:
al tuo bel viso, a' begli occhi, alle chiome,
che spiran tutti amore e leggiadria,
voglio donar la mia vittoria; e basti
che ti disponga amarmi, ove m'odiasti.
XL VII
Io son di tal valor, son di tal nerbo,
ch'aver non dei d'andar di sotto a sdegno. —
Sorrise alquanto, ma d'un riso acerbo
che fece d'ira piu che d'altro segno,
la donna, ne rispose a quel superbo;
ma torno in capo al ponticel di legno,
sprono il cavallo, e con la lancia d'oro
venne a trovar quelPorgoglioso Moro.
CANTO TRENTESIMOQUINTO 921
XLVIII
Rodomonte alia giostra s'apparecchia:
viene a gran corso: et e si grande il suono
che rende il ponte, ch'intronar Torecchia
puo forse a molti che lontan ne sono.
La lancia d'oro fe' Fusanza vecchia;
che quel pagan, si dianzi in giostra buono,
Iev6 di sella, e in aria to sospese,
indi sul ponte a capo in giu lo stese.
XLIX
Nel trapassar ritrov6 a pena loco
ove entrar col destrier quella guerriera;
e f u a gran risco, e ben vi manco poco,
ch'ella non trabocc6 ne la riviera:
ma Rabicano, il quale il vento e '1 fuoco
concetto avean, si destro et agil era,
che nel margine estremo trov6 strada;
e sarebbe ito anco su Jn fil di spada.
L
Ella si volta, e contra Tabbattuto
pagan ritorna; e con leggiadro motto:
— Or puoi — disse — veder chi abbia perduto,
e a chi di noi tocchi di star di sotto. —
Di maraviglia il pagan resta muto,
ch'una donna a cader P abbia condotto;
e far risposta non pote o non voile,
e fu come uom pien di stupore e folle.
LI
Di terra si levo tacito e mesto;
e poi ch'andato fu quattro o sei passi,
lo scudo e Telmo, e de Faltre arme il resto
tutto si trasse, e gitt6 contra i sassi;
e solo e a pie fu a dileguarsi presto:
non che commission prima non lassi
a un suo scudier, che vada a far Teffetto
dei prigion suoi, secondo che fu detto.
922 ORLANDO FURIOSO
LII
Partissi; e nulla poi piu se n'intese,
se non che stava in una grotta scura.
Intanto Bradamante avea sospese
di costui Parme all'alta sepoltura,
e fattone levar tutto Parnese,
il qual dei cavallieri alia scrittura
conobbe de la corte esser di Carlo;
non Iev6 il resto, e non lascio levarlo.
Lin
Oltr'a quel del figliuol di Monodante,
v'e quel di Sansonetto e d'Oliviero,
che per trovare il principe d'Anglante,
quivi condusse il piu dritto sentiero.
Quivi fur presi, e furo il giorno inante
mandati via dal Saracino altiero.
Di questi 1'arme fe* la donna torre
da Talta mole, e chiuder ne la torre.
LIV
Tutte 1'altre Iasci6 pender dai sassi,
che fur spogliate ai cavallier pagani.
V'eran 1'arme d'un re, del quale i passi
per Frontalatte mal fur spesi e vani:
10 dico Tarme del re de' Circassi,
che dopo lungo errar per colli e piani
venne quivi a lasciar Taltro destriero;
e poi senz'arme andossene leggiero.
LV
S'era partito disarmato e a piede
quel re pagan dal periglioso ponte,
si come gli altri ch'eran di sua fede
partir da se lasciava Rodomonte.
Ma di tornar piu al campo non gli diede
11 cor; ch'ivi apparir non avria fronte:
che per quel che vantossi, troppo scorno
gli saria farvi in tal guisa ritorno.
CANTO TRENTESIMOQUINTO 933
LVI
Di pur cercar nuovo desir lo prese
colei che sol avea fissa nel core.
Fu Taventura sua, che tosto intese
(io non vi saprei dir chi ne fu autore)
ch'ella tornava verso il suo paese:
onde esso, come il punge e sprona Amore,
dietro alia pesta subito si pone.
Ma tornar voglio alia figlia d'Amone.
LVII
Poi che narrato ebbe con altro scritto
come da lei fu liberate il passo;
a Fiordiligi ch'avea il core afflitto,
e tenea il viso lacrimoso e basso,
domando umanamente ov'ella dritto
volea che fosse, indi partendo, il passo.
Rispose Fiordiligi: — II mio camino
vo5 che sia in Arli al campo saracino,
LVIII
ove navilio e buona compagnia
spero trovar da gir ne T altro lito.
Mai non mi fermer6 fin ch'io non sia
venuta al mio signore e mio marito.
Voglio tentar, perche" in prigion non stia,
piu modi e piu; che se mi vien fallito
questo che Rodomonte t'ha promesso,
ne voglio avere uno et un altro appresso.
LIX
— Io m'offerisco — disse Bradamante
— d'accompagnarti un pezzo de la strada,
tanto che tu ti vegga Arli davante,
ove per amor mio vo' che tu vada
a trovar quel Ruggier del re Agramante
che del suo nome ha piena ogni contrada;
e che gli rendi questo buon destriero,
onde abbattuto ho il Saracino altiero.
9^4 ORLANDO FURIOSO
LX
Voglio ch'a punto tu gli dica questo :
«Un cavallier che di provar si crede,
e fare a tutto '1 mondo manifesto
che contra lui sei mancator di fede;
acci6 ti trovi apparecchiato e presto,
questo destrier, perch'io tel dia, mi diede.
Dice che trovi tua piastra e tua maglia,
e che Faspetti a far teco battaglia. »
LXI
Digli questo, e non altro ; e se quel vuole
saper da te ch'io son, di' che nol sai. —
Quella rispose umana come suole:
— Non saro stanca in tuo servizio mai
spender la vita, non che le parole;
che tu ancora per me cosi fatto hai. —
Grazie le rende Bradamante, e piglia
Frontino, e le lo porge per la briglia.
LXII
Lungo il flume le belle e pellegrine
giovani vanno a gran giornate insieme,
tanto che veggono Arli, e le vicine
rive odon risonar del mar che freme.
Bradamante si ferma alle confine
quasi de' borghi et alle sbarre estreme,
per dare a Fiordiligi atto intervallo,
che condurre a Ruggier possa il cavallo.
LXIII
Vien Fiordiligi, et entra nel rastrello,
nel ponte e nella porta; e seco prende
chi le fa compagnia fin alPostello
ove abita Ruggiero, e quivi scende;
e secondo il mandate al damigello
fa 1'imbasciata, e il buon Frontin gli rende:
indi va, che risposta non aspetta,
ad esequire il suo bisogno in fretta.
CANTO TRENTESIMOQUINTO 925
LXIV
Ruggier riman confuso e in pensier grande,
e non sa ritrovar capo ne via
di saper chi lo sfide, e chi gli mande
a dire oltraggio e a fargli cortesia.
Che costui senza fede lo domande,
o possa domandar uomo che sia,
non sa veder ne imaginare; e prima
ch'ogn'altro sia che Bradamante istima.
LXV
Che fosse Rodomonte, era piu presto
ad aver, che fosse altri, opinione;
e perche ancor da lui debba udir questo,
pensa, ne imaginar puo la cagione.
Fuor che con lui, non sa di tutto '1 resto
del mondo, con chi lite abbia e tenzone.
Intanto la donzella di Dordona
chiede battaglia, e forte il corno suona.
LXVI
Vien la nuova a Marsilio e ad Agramante,
ch'un cavallier di fuor chiede battaglia.
A caso Serpentin loro era avante,
et impetro di vestir piastra e maglia,
e promesse pigliar questo arrogante.
II popul venne sopra la muraglia;
ne fanciullo resto, ne rest6 veglio,
che non fosse a veder chi fesse meglio.
LXVII
Con ricca sopravesta e bello arnese
Serpentin da la Stella in giostra venne.
Al primo scontro in terra si distese:
il destrier aver parve a fuggir penne.
Dietro gli corse la donna cortese,
e per la briglia al Saracin lo tenne,
e disse : — Monta, e fa che '1 tuo signore
mi mandi un cavallier di te migliore. —
926 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
II re african, ch'era con gran famiglia
sopra le mura alia giostra vicino,
del cortese atto assai si maraviglia
ch'usato ha la donzella a Serpentine.
— Di ragion puo pigliarlo, e non lo piglia— ,
diceva, udendo il popul saracino.
Serpentin giunge, e come ella commanda,
un miglior da sua parte al re domanda.
LXIX
Grandonio di Volterna furibondo,
il piu superbo cavallier di Spagna,
pregando fece si, che fu il secondo,
et usci con minaccie alia campagna.
— Tua cortesia nulla ti vaglia al mondo ;
che quando da me vinto tu rimagna,
al mio signer menar preso ti voglio:
ma qui morrai, s'io posso come soglio. —
LXX
La donna disse lui: — Tua villania
non vo' che men cortese far mi possa,
ch'io non ti dica che tu torni pria
che sul duro terren ti doglian Tossa.
Ritorna, e di' al tuo re da parte mia
che per simile a te non mi son mossa;
ma per trovar guerrier che '1 pregio vaglia,
son qui venuta a domandar battaglia. —
LXXI
II mordace parlare, acre et acerbo,
gran fuoco al cor del Saracino attizza;
si che senza poter replicar verbo,
volta il destrier con colera e con stizza.
Volta la donna, e contra quel superbo
la lancia d'oro e Rabicano drizza.
Come Pasta fatal lo scudo tocca,
coi piedi al cielo il Saracin trabocca.
CANTO TRENTESIMOQUINTO 927
LXXII
II destrier la magnanima guerriera
gli prese, e disse:— Pur tel prediss'io,
che far la mia imbasciata meglio t'era,
che de la giostra aver tanto disio.
Di' al re, ti prego, che fuor de la schiera
elegga un cavallier che sia par mio ;
ne voglia con voi altri affaticarme,
ch'avete poca esperienzia d'arme. —
LXXIII
Quei da le mura, che stimar non sanno
chi sia il guerriero in su 1'arcion si saldo,
quei piu famosi nominando vanno,
che tremar li fan spesso al maggior caldo.
Che Brandimarte sia, molti detto hanno;
la piu parte s'accorda esser Rinaldo;
molti su Orlando avrian fatto disegno,
ma il suo caso sapean di pieta degno.
LXXIV
La terza giostra il figlio di Lanfusa
chiedendo, disse:— Non che vincer speri,
ma perche di cader piu degna scusa
abbian, cadendo anch'io, questi guerrieri. —
E poi di tutto quei ch'in giostra s'usa
si messe in punto; e di cento destrieri
che tenea in stalla, d'un tolse Peletta,
ch'avea il correre acconcio, e di gran fretta.
LXXV
Contra la donna per giostrar si fece ;
ma prima salutolla, et ella lui.
Disse la donna: — Se saper mi lece,
ditemi in cortesia che siate vui. —
Di questo Ferrau le satisfece,
ch'uso di rado di celarsi altrui.
Ella soggiunse: — Voi gia non rifiuto,
ma avria piu volentieri altri voluto.
928 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
— E chi ? — Ferrau disse. Ella rispose :
— Ruggiero — ; e a pena il pote proferire,
e sparse d'un color come di rose
la bellissima faccia in questo dire.
Soggiunse al detto poi : — Le cui famose
lode a tal prova m'han fatto venire.
Altro non bramo, e d'altro non mi cale,
che di provar come egli in giostra vale. —
LXXVII
Semplicemente disse le parole
che forse alcuno ha gia prese a malizia.
Rispose Ferrau : — Prima si vuole
provar tra noi chi sa piu di milizia.
Se di me avvien quel che di molti suole,
poi verra ad emendar la mia tristizia
quel gentil cavallier che tu dimostri
aver tanto desio che teco giostri. —
LXXVIII
Parlando tuttavolta la donzella
teneva la visiera alta dal viso.
Mirando Ferrau la faccia bella,
si sente rimaner mezzo conquiso,
e taciturno dentro a se favella:
« Questo un angel mi par del paradiso ;
e ancor che con la lancia non mi tocchi,
abbattuto son gia da' suoi begli occhi. »
LXXIX
Preson del campo; e come agli altri avvenne,
Ferrau se n'usci di sella netto.
Bradamante il destrier suo gli ritenne,
e disse: — Torna, e serva quel c'hai detto. —
Ferrau vergognoso se ne venne,
e ritrovo Ruggier ch'era al conspetto
del re Agramante; e gli fece sapere
ch'alla battaglia il cavallier lo chere.
CANTO TRENTESIMOQUINTO 929
LXXX
Ruggier non conoscendo ancor chi fosse
chi a sfidar lo mandava alia battaglia,
quasi certo di vincere, allegrosse;
e le piastre arrecar fece e la maglia:
ne 1'aver visto alle gravi percosse
che gli altri sian caduti, il cor gli smaglia.
Come s'armasse, e come uscisse, e quanto
poi ne segui, lo serbo all'altro canto.
93° ORLANDO FURIOSO
CANTO TRENTESIMOSESTO
I
Convien ch'ovunque sia, sempre cortese
sia un cor gentil, ch'esser non puo altrimente;
che per natura e per abito prese
quel che di mutar poi non e possente.
Convien ch'ovunque sia, sempre palese
un cor villan si mostri similmente.
Natura inchina al male, e viene a farsi
1'abito poi difficile a mutarsi.
ii
Di cortesia, di gentilezza esempii
fra gli antiqui guerrier si vider molti,
e pochi fra i moderni; ma degli empii
costumi awien ch'assai ne vegga e ascolti
in quella guerra, Ippolito, che i tempii
di segni ornaste agli nimici tolti,
e che traeste lor galee captive
di preda carche alle paterne rive.
ni
Tutti gli atti crudeli et inumani
ch'usasse mai Tartaro o Turco o Moro,
(non gia con volonta de' Veneziani,
che sempre esempio di giustizia foro),
usaron Pempie e scelerate mani
di rei soldati, mercenarii loro.
lo non dico or di tanti accesi fuochi
ch'arson le ville e i nostri ameni lochi:
CANTO TRENTESIMOSESTO 931
IV
ben che fu quella ancor brutta vendetta,
massimamente contra voi, ch'appresso
Cesare essendo, mentre Padua stretta
era d'assedio, ben sapea che spesso
per voi piu d'una fiamma fu interdetta,
e spento il fuoco ancor, poi che fu messo,
da villaggi e da templi, come piacque
all'alta cortesia che con voi nacque.
v
lo non parlo di questo ne di tanti
altri lor discortesi e crudeli atti;
ma sol di quel che trar dai sassi i pianti
debbe poter, qual volta se ne tratti:
quel di, Signor, che la famiglia inanti
vostra mandaste la dove ritratti
dai legni lor con importuni auspici
s'erano in luogo forte grinimici.
VI
Qual Ettorre et Enea sin dentro ai flutti,
per abbruciar le navi greche, andaro;
un Ercol vidi e un Alessandro, indutti
da troppo ardir, partirsi a paro a paro,
e spronando i destrier passarci tutti,
e i nemici turbar fin nel riparo,
e gir si inanzi, ch'al secondo molto
aspro fu il ritornare, e al primo tolto.
VII
Salvossi il FerrufEn, rest6 il Cantelmo.
Che cor, duca di-Sora, che consiglio
fu allora il tuo, che trar vedesti Telmo
fra mille spade al generoso figlio,
e menar preso a nave, e sopra un schelmo
troncargli il capo? Ben mi maraviglio
che darti morti lo spettacol solo
non pote, quanto il ferro a tuo figliuolo.
932 ORLANDO FURIOSO
VIII
Schiavon crudele, onde hai tu il modo appreso
de la milizia? In qual Scizia s'intende
ch'uccider si debba un, poi che gli e preso,
che rende 1'arme, e piu non si difende?
Dunque uccidesti lui, perche ha difeso
la patria? II sole a torto oggi risplende,
crudel seculo, poi che pieno sei
di Tiesti, di Tantali e di Atrei.
IX
Festi, barbar crudel, del capo scemo
il piu ardito garzon che di sua etade
fosse da un polo a 1'altro, e da 1'estremo
Hto degl'Indi a quello ove il sol cade.
Potea in Antropofago, in Polifemo
la belta e gli anni suoi trovar pietade;
ma non in te, piu crudo e piu fellone
d'ogni Ciclope e d'ogni Lestrigone.
x
Simile esempio non credo che sia
fra gli antiqui guerrier, di quai li studi
tutti fur gentilezza e cortesia;
ne dopo la vittoria erano crudi.
Bradamante non sol non era ria
a quei ch'avea, toccando lor gli scudi,
fatto uscir de la sella, ma tenea
loro i cavalli, e rimontar facea.
XI
Di questa donna valorosa e bella
io vi dissi di sopra, che -abbattuto
aveva Serpentin quel da la Stella,
Grandonio di Volterna e Ferrauto,
e ciascun d'essi poi rimesso in sella;
e dissi ancor che '1 terzo era venuto,
da lei mandate a disfidar Ruggiero,
la dove era stimata un cavalliero.
CANTO TRENTESIMOSESTO 933
XII
Ruggier tenne lo 'nvito allegramente,
e Farmatura sua fece venire.
Or mentre che s'armava al re presente,
tornaron quei signer di nuovo a dire
chi fosse il cavallier tanto eccellente,
che di lancia sapea si ben ferire ;
e Ferrau, che parlato gli avea,
fu domandato se lo conoscea.
XIII
Rispose Ferrau : — Tenete certo
che non e alcun di quei ch'avete detto.
A me parea, ch'il vidi a viso aperto,
il fratel di Rinaldo giovinetto:
ma poi ch'io n'ho Falto valore esperto,
e so che non puo tanto Ricciardetto,
penso che sia la sua sorella, molto
(per quei ch'io n'odo) a lui simil di volto.
XIV
Ella ha ben fama d'esser forte a pare
del suo Rinaldo e d'ogni paladino;
ma, per quanto io ne veggo oggi, mi pare
che val piu del fratel, piu del cugino. —
Come Ruggier lei sente ricordare,
del vermiglio color che }1 matutino
sparge per Faria, si dipinge in faccia,
e nel cor triema, e non sa che si faccia.
xv
A questo annunzio, stimulate e punto
da 1'amoroso stral, dentro infiammarse,
e per Fossa senti tutto in un punto
correr un giaccio che '1 timor vi sparse,
timor ch'un nuovo sdegno abbia consunto
quei grande amor che gia per lui si Farse.
Di cio confuso non si risolveva
s'incontra uscirle, o pur restar doveva.
934 ORLANDO FURIOSO
XVI
Or quivi ritrovandosi Marfisa,
che d'uscire alia giostra avea gran voglia,
et era armata, perche in altra guisa
e raro, o notte o di, che tu la coglia;
sentendo che Ruggier s'arma, s'avisa
che di quella vittoria ella si spoglia
se lascia che Ruggiero esca fuor prima:
pensa ire inanzi, e averne il pregio stima.
XVII
Salta a cavallo, e vien spronando in fretta
ove nel campo la figlia d'Amone
con palpitante cor Ruggiero aspetta,
desiderosa farselo prigione,
e pensa solo ove la lancia metta,
perche del colpo abbia minor lesione.
Marfisa se ne vien fuor de la porta,
e sopra Telmo una fenice porta;
XVIII
o sia per sua superbia, dinotando
se stessa unica al mondo in esser forte,
o pur sua casta intenzion lodando
di viver sempremai senza consorte.
La figliuola d'Amon la mira; e quando
le fattezze ch'amava non ha scorte,
come si nomi le domanda, et ode
esser colei che del suo amor si gode;
XIX
o per dir meglio, esser colei che crede
che goda del suo amor, colei che tanto
ha in odio e in ira, che morir si vede
se sopra lei non vendica il suo pianto.
Volta il cavallo, e con gran furia riede,
non per desir di porla in terra, quanto
di passarle con Pasta in mezzo il petto,
e libera restar d'ogni suspetto.
CANTO TRENTESIMOSESTO 935
XX
Forza e a Marfisa ch'a quel colpo vada
a provar se '1 terreno e duro o molle;
e cosa tanto insolita le accada,
ch'ella n'e per venir di sdegno folle.
Fu in terra a pena, che trasse la spada,
e vendicar di quel cader si voile.
La figliuola d'Amon non meno altiera
grido : — Che fai ? tu sei mia prigioniera.
XXI
Se bene uso con gli altri cortesia,
usar teco, Marfisa, non la voglio,
come a colei che d'ogni villania
odo che sei dotata e d'ogni orgoglio. —
Marfisa a quel parlar fremer s'udia
come un vento marino in uno scoglio.
Grida, ma si per rabbia si confonde,
che non puo esprimer fuor quel che risponde.
XXII
Mena la spada, e piu ferir non mira
lei, che '1 destrier, nel petto e ne la pancia:
ma Bradamante al suo la briglia gira,
e quel da parte subito si lancia;
e tutto a un tempo con isdegno et ira
la figliuola d'Amon spinge la lancia,
e con quella Marfisa tocca a pena,
che la fa riversar sopra 1* arena.
XXIII
A pena ella fu in terra, che rizzosse,
cercando far con la spada mal'opra.
Di nuovo 1'asta Bradamante mosse,
e Marfisa di nuovo and6 sozzopra.
Ben che possente Bradamante fosse,
non per6 si a Marfisa era di sopra,
che 1'avesse ogni colpo riversata;
ma tal virtu ne Tasta era incantata.
936 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Alcuni cavallieri in questo mezzo,
alcuni, dico, de la parte nostra,
se n'erano venuti dove, in mezzo
1'un campo e Paltro, si facea la giostra
(che non eran lontani un miglio e mezzo),
veduta la virtu che '1 suo dimostra;
il suo che non conoscono altrimente
che per un cavallier de la lor gente.
xxv
Questi vedendo il generoso figlio
di Troiano alle mura approssimarsi,
per ogni caso, per ogni periglio
non volse sproveduto ritrovarsi;
e fe' che molti alParme dier di piglio,
e che fuor dei ripari appresentarsi.
Tra questi fu Ruggiero, a cui la fretta
di Marfisa la giostra avea intercetta.
XXVI
L' inamorato giovene mirando
stava il successo, e gli tremava il core,
de la sua cara moglie dubitando ;
che di Marfisa ben sapea il valore.
Dubito, dico, nel principio, quando
si mosse 1'una e 1'altra con furore;
ma visto poi come successe il fatto,
resto maraviglioso e stupefatto:
XXVII
e poi che fin la lite lor non ebbe,
come avean 1'altre avute, al primo incontro,
nel cor profundamente gli ne 'ncrebbe,
dubbioso pur di qualche strano incontro.
De Tuna egli e de 1'altra il ben vorrebbe,
ch'ama amendue; non che da porre incontro
sien questi amori: e 1'un fiamma e furore,
1'altro benivolenza piu ch'amore.
CANTO TRENTESIMOSESTO
XXVIII
Partita volentier la pugna avria,
se con suo onor potuto avesse farlo.
Ma quei ch'egli avea seco in compagnia,
perche non vinca la parte di Carlo,
che gia lor par che superior ne sia,
saltan nel campo, e vogliono turbarlo.
Da 1'altra parte i cavallier cristiani
si fanno inanzi, e son quivi alle mani.
XXIX
Di qua di la gridar si sente alFarme,
come usati eran far quasi ogni giorno.
Monti chi e a pie, chi non e armato s'arme,
alia bandiera ognun faccia ritorno!
dicea con chiaro e bellicoso carme
piu d'una tromba che scorrea d'intorno:
e come quelle svegliano i cavalli,
svegliano i fanti i timpani e i taballi.
xxx
La scaramuccia fiera e sanguinosa,
quanto si possa imaginar, si mesce.
La donna di Dordona valorosa,
a cui mirabilmente aggrava e incresce
che quel di ch'era tanto disiosa,
di por Marfisa a morte, non riesce;
di qua di la si volge e si raggira,
se Ruggier puo veder, per cui sospira.
XXXI
Lo riconosce alPaquila d'argento
c'ha nello scudo azzurro il giovinetto.
Ella con gli occhi e col pensiero intento
si ferma a contemplar le spalle e '1 petto,
le leggiadre fattezze, e '1 movimento
pieno di grazia; e poi con gran dispetto,
imaginando ch'altra ne gioisse,
da furore assalita cosi disse:
937
938 ORLANDO FURIOSO
XXXII
— Dunque baciar si belle e dolce labbia
deve altra, se baciar non le poss'io?
Ah non sia vero gia ch'altra mai t'abbia;
che d'altra esser non dei, se non sei mio.
Piu tosto che morir sola di rabbia,
che meco di mia man mori, disio;
che se ben qui ti perdo, almen Finferno
poi mi ti renda, e stii meco in eterno.
XXXIII
Se tu m'occidi, e ben ragion che deggi
darmi de la vendetta anco conforto;
che voglion tutti gli ordini e le leggi,
che chi da morte altrui debba esser morto.
Ne par ch'anco il tuo danno il mio pareggi;
che tu mori a ragione, io moro a torto.
Faro morir chi brama, ohime! ch'io muora;
ma tu, crudel, chi t'ama e chi t'adora.
xxxiv
Perche non dei tu, mano, essere ardita
d'aprir col ferro al mio nimico il core?
che tante volte a morte m'ha ferita
sotto la pace in sicurta d'amore,
et or puo consentir tormi la vita,
ne pur aver pieta del mio dolore.
Contra questo empio ardisci, animo forte:
vendica mille mie con la sua morte. —
XXXV
Gli sprona contra in questo dir, ma prima:
— Guardati, — grida — perfido Ruggiero :
tu non andrai, s'io posso, de la opima
spoglia del cor d'una donzella altiero. —
Come Rugggiero ode il parlare, estima
che sia la moglie sua, com' era in vero,
la cui voce in memoria si bene ebbe,
ch'in mille riconoscer la potrebbe.
CANTO TRENTESIMOSESTO 939
XXXVI
Ben pensa quel che le parole denno
volere inferir piu; ch'ella Taccusa
che la convenzion ch'insieme fenno,
non le osservava: onde per fame iscusa,
di volerle parlar le fece cenno;
ma quella gia con la visiera chiusa
venia dal dolor spinta e da la rabbia,
per porlo, e forse ove non era sabbia.
XXXVII
Quando Ruggier la vede tanto accesa,
si ristringe ne 1'arme e ne la sella:
la lancia arresta; ma la tien sospesa,
piegata in parte ove non nuoccia a quella.
La donna, ch'a ferirlo e a fargli offesa
venia con mente di pieta rubella,
non pote sofferir, come fu appresso,
di porlo in terra e fargli oltraggio espresso.
XXXVIII
Cosi lor lancie van d'effetto vote-
a quello incontro; e basta ben s'Amore
con Fun giostra e con Taltro, e gli percuote
d'una amorosa lancia in mezzo il core.
Poi che la donna sofferir non puote
di far onta a Ruggier, volge il furore
che Tarde il petto altrove; e vi fa cose
che saran, fin che giri il ciel, famose.
xxxix
In poco spazio ne gitto per. terra
trecento e piu con quella lancia d'oro.
Ella sola quel di vinse la guerra,
messe ella sola in fuga il popul Moro.
Ruggier di qua di la s'aggira et erra
tanto, che se le accosta e dice: — lo moro,
s'io non ti parlo: ohime! che t'ho fatto io,
che mi debbi fuggire? Odi, per Dio! —
94° ORLANDO FURIOSO
XL
Come ai meridional tiepidi venti,
che spirano dal mare il fiato caldo,
le nievi si disciolveno e i torrenti
e il ghiaccio che pur dianzi era si saldo;
cosi a quei prieghi, a quei brevi lament!
il cor de la sorella di Rinaldo
subito ritorno pietoso e molle,
che 1'ira, piu che marmo, indurar voile.
XLI
Non vuol dargli, o non puote, altra risposta;
ma da traverse sprona Rabicano,
e quanto pu6 dagli altri si discosta,
et a Ruggiero accenna con la mano.
Fuor de la moltitudme in reposta
valle si trasse, ov'era un piccol piano
ch'in mezzo avea un boschetto di cipressi
che parean d'una stampa tutti impressi.
XLII
In quei boschetto era di bianchi marmi
fatta di nuovo un'alta sepoltura.
Chi dentro giaccia, era con brevi carmi
notato a chi saperlo avesse cura.
Ma quivi giunta Bradamante, parmi
che gia non pose mente alia scrittura.
Ruggier dietro il cavallo affretta e punge
tanto, ch'al bosco e alia donzella giunge.
XLIII
Ma ritorniamo a Marfisa che s'era
in questo mezzo in sul destrier rimessa,
e venia per trovar quella guerriera
che 1'avea al primo scontro in terra messa:
e la vide partir fuor de la schiera,
e partir Ruggier vide e seguir essa;
ne si penso che per amor seguisse,
ma per finir con Parme ingiurie e risse.
CANTO TRENTESIMOSESTO 941
XLIV
Urta il cavallo, e vien dietro alia pesta
tanto, ch'a un tempo con lor quasi arriva.
Quanto sua giunta ad ambi sia molesta,
chi vive amando, il sa, senza ch'io '1 scriva.
Ma Bradamante offesa piu ne resta,
che colei vede onde il suo mal deriva.
Chi le puo tor che non creda esser vero
che Tamor ve la sproni di Ruggiero?
XLV
E perfido Ruggier di nuovo chiama.
— Non ti bastava, perfido, — disse ella
— che tua perfidia sapessi per fama,
se non mi facevi anco veder quella?
Di cacciarmi da te veggo c'hai brama:
e per sbramar tua voglia iniqua e fella,
10 vo' morir; ma sforzerommi ancora
che muora meco chi e cagion ch'io mora. —
XLVI
Sdegnosa piu che vipera, si spicca
cosi dicendo, e va contra Marfisa;
et allo scudo Pasta si le appicca,
che la fa a dietro riversare in guisa,
che quasi mezzo 1'elmo in terra ficca;
ne si puo dir che sia colta improvisa:
anzi fa incontra cio che far si puote;
e pure in terra del capo percuote.
XLVII
La figliuola d'Amon, che vuol morire
o dar morte a Marfisa, e in tanta rabbia,
che non ha mente di nuovo a ferire
con Fasta, onde a gittar di nuovo Pabbia;
ma le pensa dal busto dipartire
11 capo mezzo fitto ne la sabbia:
getta da se la lancia d'oro, e prende
la spada, e del destrier subito scende.
942 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Ma tarda e la sua giunta; che si trova
Marfisa incontra, e di tanta ira piena
(poi che s'ha vista alia seconda prova
cader si facilmente su T arena),
che pregar nulla, e nulla gridar giova
a Ruggier che di questo avea gran pena:
si 1'odio e 1'ira le guerriere abbaglia,
che fan da disperate la battaglia.
XLIX
A mezza spada vengono di botto ;
e per la gran superbia che Tha accese,
van pur inanzi, e si son gia si sotto,
ch'altro non puon che venire alle prese.
Le spade, il cui bisogno era interrotto,
lascian cadere, e cercan nuove offese.
Priega Ruggiero e supplica amendue,
ma poco frutto han le parole sue.
Quando pur vede che Jl pregar non vale,
di partirle per forza si dispone:
leva di mano ad amendua il pugnale,
et al pie d'un cipresso li ripone.
Poi che ferro non han piu da far male,
con prieghi e con minaccie s'interpone :
ma tutto e invan; che la battaglia fanno
a pugni e a calci, poi ch'altro non hanno.
LI
Ruggier non cessa: or Tuna or Faltra prende
per le man, per le braccia, e la ritira;
e tanto fa, che di Marfisa accende
contra di se, quanto si pu6 piu, 1'ira.
Quella che tutto il mondo vilipende,
alia amicizia di Ruggier non mira.
Poi che da Bradamante si distacca,
corre alia spada, e con Ruggier s'attacca.
CANTO TRENTESIMOSESTO 943
LII
— Tu fai da discortese e da villano,
Ruggiero, a disturbar la pugna altrui;
ma ti far6 pentir con questa mano
che vo' che basti a vincervi ambedui. —
Cerca Ruggier con parlar molto umano
Marfisa mitigar; ma contra lui
la trova in modo disdegnosa e fiera,
ch'un perder* tempo ogni parlar seco era.
LIII
AlPultimo Ruggier la spada trasse,
poi che Tira anco lui fej rubicondo.
Non credo che spettacolo mirasse
Atene o Roma o luogo altro del mondo,
che cosi aj riguardanti dilettasse,
come dilett6 questo e fu giocondo
alia gelosa Bradamante, quando
questo le pose ogni sospetto in bando.
LIV
La sua spada avea tqlta ella di terra,
e tratta s'era a riguardar da parte;
e le parea veder che '1 dio di guerra
fosse Ruggiero alia possanza e aH'arte.
Una furia infernal quando si sferra
sembra Marfisa, se quel sembra Marte.
Vero e ch'un pezzo il giovene gagliardo
di non far il potere ebbe riguardo.
LV
Sapea ben la virtu de la sua spada;
che tante esperienze n'ha gia fatto.
Ove giunge, convien che se ne vada
Fincanto, o nulla giovi, e stia di piatto:
si che ritien che '1 colpo suo non cada
di taglio o punta, ma sempre di piatto.
Ebbe a questo Ruggier lunga awertenza:
ma perde pure un tratto la pazienza;
944 ORLANDO FURIOSO
LVI
perche Marfisa una percossa orrenda
gli mena per dividergli la testa.
Leva lo scudo che 31 capo difenda
Ruggiero, e '1 colpo in su Faquila pesta.
Vieta lo 'ncanto che lo spezzi o fenda;
ma di stordir non per6 il braccio resta:
e s'avea altr'arme che quelle d'Ettorre,
gli potea il fiero colpo il braccio torre:
LVII
e saria sceso indi alia testa, dove
disegno di ferir Paspra donzella.
Ruggiero il braccio manco a pena muove,
a pena piii sostien Taquila bella.
Per questo ogni pieta da se rimuove ;
par che negli occhi avampi una facella:
e quanto puo cacciar, caccia una punta.
Marfisa, mal per te, se n'eri giunta!
LVIII
lo non vi so ben dir come si fosse:
la spada ando a ferire in un cipresso,
e un palmo e piu ne 1'arbore cacciosse:
in modo era piantato il luogo spesso.
In quel momento il monte e il piano scosse
un gran tremuoto; e si sent! con esso
da quell'avel ch'in mezzo il bosco siede,
gran voce uscir ch'ogni mortaie eccede.
LIX
Grida la voce orribile : — Non sia
lite tra voi: gli e ingiusto et inumano
ch'alla sorella il fratel morte dia,
o la sorella uccida il suo germano.
Tu, mio Ruggiero, e tu, Marfisa mia,
credete al mio parlar che non e vano:
in un medesimo utero d'un seme
foste concetti, e usciste al mondo insieme.
CANTO TRENTESIMOSESTO 945
LX
Concetti foste da Ruggier secondo:
vi fu Galaciella genitrice,
i cui fratelli avendole dal mondo
cacciato il genitor vostro infelice,
senza guardar ch'avesse in corpo il pondo
di voi, ch'usciste pur di lor radice,
la fer, perche s'avesse ad affogare,
s'un debol legno porre in mezzo al mare.
LXI
Ma Fortuna che voi, ben che non nati,
avea gia eletti a gloriose imprese,
fece che '1 legno ai liti inabitati
sopra le Sirti a salvamento scese;
ove, poi che nel mondo v'ebbe dati,
Panima eletta al paradiso ascese.
Come Dio volse e fu vostro destino,
a questo caso io mi trovai vicino.
LXII
Diedi alia madre sepoltura onesta,
qual potea darsi in si deserta arena;
e voi teneri avolti ne la vesta
meco portai sul monte di Carena;
e mansueta uscir de la foresta
feci e lasciare i figli una leena,
de le cui poppe dieci mesi e dieci
ambi nutrir con molto studio feci.
LXIII
Un giorno che d'andar per la contrada
e da la stanza allontanar m'occorse,
vi sopravenne a caso una masnada
d'Arabi (e ricordarvene de5 forse),
che te, Marfisa, tolser ne la strada;
ma non poter Ruggier, che meglio corse.
Restai de la tua perdita dolente,
e di Ruggier guardian piu diligente.
946 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Ruggier, se ti guardo, mentre che visse,
il tuo maestro Atlante, tu lo sai.
Di te senti' predir le stelle fisse
che tra' cristiani a tradigion morrai;
e perche il male influsso non seguisse,
tenertene lontan m'affaticai:
ne ostare al fin potendo alia tua voglia,
infermo caddi, e mi mori' di doglia.
LXV
Ma inanzi a morte, qui dove previdi
che con Marfisa aver pugna dovevi,
feci raccor con infernal sussidi
a formar questa tomba i sassi grevi;
et a Caron dissi con alti gridi:
« Dopo morte non voj lo spirto levi
di questo bosco, fin che non ci giugna
Ruggier con la sorella per far pugna. »
LXVI
Cosi lo spirto mio per le belle ombre
ha molti di aspettato il venir vostro :
si che mai gelosia piu non t'ingombre,
o Bradamante, ch'ami Ruggier nostro.
Ma tempo e ormai che de la luce io sgombre,
e mi conduca al tenebroso chiostro. —
Qui si tacque; e a Marfisa et alia figlia
d'Amon Iasci6 e a Ruggier gran maraviglia.
LXVII
Riconosce Marfisa per sorella
Ruggier con molto gaudio, et ella lui;
e ad abbracciarsi, senza offender quella
che per Ruggiero ardea, vanno ambidui:
e ramentando de Feta novella
alcune cose: i' feci, io dissi, io fui;
vengon trovando, con piu certo effetto,
tutto esser ver quel c'ha lo spirto detto.
CANTO TRENTESIMOSESTO 947
LXVIII
Ruggiero alia sorella non ascose
quanto avea nel cor fissa Bradamante;
e narro con parole affettuose
de le obligazion die le avea tante:
e non cesso, ch'in grand'amor compose
le discordie ch'insieme ebbono avante;
e fe', per segno di pacificarsi,
ch'umanamente andaro ad abbracciarsi.
LXIX
A domandar poi ritorn6 Marfisa
chi stato fosse, e di che gente il padre;
e chi 1'avesse morto, et a che guisa,
s'in campo chiuso o fra Tarmate squadre;
e chi commesso avea che fosse uccisa
dal mar atroce la misera madre:
che se gia 1'avea udito da fanciulla,
or ne tenea poca memoria o nulla.
LXX
Ruggiero incominci6, che da' Troiani
per la linea d'Ettorre erano scesi;
che poi che Astianatte de le mani
campo d'Ulisse e da li aguati tesi,
avendo un de' fanciulli coetani
per lui lasciato, usci di quei paesi;
e dopo un lungo errar per la marina,
venne in Sicilia e domin6 Messina.
LXXI
— I descendenti suoi di qua dal Faro
signoreggiar de la Calabria parte;
e dopo piu succession! andaro
ad abitar ne la citta di Marte.
Piu d'uno imperatore e re preclaro
fu di quel sangue in Roma e in altra parte,
cominciando a Costante e a Costantino,
sino a re Carlo figlio de Pipino.
948 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Fu Ruggier primo e Gianbaron di questi,
Buovo, Rambaldo, al fin Ruggier secondo,
che fej, come d'Atlante udir potesti,
di nostra madre 1'utero fecondo.
De la progenie nostra i chiari gesti
per Tistorie vedrai celebri al mondo. —
Segui poi come venne il re Agolante
con Almonte e col padre d'Agramante;
LXXIII
e come meno seco una donzella
ch'era sua figlia, tanto valorosa,
che molti paladin gitto di sella;
e di Ruggiero al fin venne amorosa,
e per suo amor del padre fu ribella,
e battezzossi, e diventogli sposa.
Narro come Beltramo traditore
per la cognata arse d'incesto amore;
LXXIV
e che la patria e '1 padre e duo fratelli
tradi, cosi sperando acquistar lei;
aperse Risa agli nimici, e quelli
fer di lor tutti i poitamenti rei;
come Agolante e i figli iniqui e felli
poser Galaciella, che di sei
mesi era grave, in mar senza governo,
quando fu tempestoso al maggior verno.
LXXV
Stava Marfisa con serena fronte
fisa al parlar che '1 suo german facea;
et esser scesa da la bella fonte
ch'avea si chiari rivi, si godea.
Quinci Mongrana e quindi Chiaramonte
le due progenie derivar sapea,
ch'al mondo fur molti e molt'anni e lustri
splendide, e senza par d'uomini illustri.
CANTO TRENTESIMOSESTO 949
LXXVI
Poi che Jl fratello al fin le venne a dire
che '1 padre dj Agramante e Pavo e '1 zio
Ruggiero a tradigion feron morire,
e posero la moglie a caso rio;
non lo pole" piu la sorella udire,
che lo 'nterroppe, e disse: — Fratel mio
(salva tua grazia), avuto hai troppo torto
a non ti vendicar del padre morto.
LXXVII
Se in Almonte e in Troian non ti potevi
insanguinar, ch'erano morti inante,
dei figli vendicar tu ti dovevi.
Perche, vivendo tu, vive Agramante?
Questa e una macchia che mai non ti levi
dal viso; poi che dopo offese tante
non pur posto non hai questo re a morte,
ma vivi al soldo suo ne la sua corte.
LXXVIII
lo fo ben voto a Dio (ch'adorar voglio
Cristo Dio vero, ch'ador6 mio padre)
che di questa armatura non mi spoglio,
fin che Ruggier non vendico e mia madre.
E vo' dolermi, e fin ora mi doglio,
di te, se piu ti veggo fra le squadre
del re Agramante o d'altro signer Moro,
se non col ferro in man per danno loro. —
LXXIX
Oh come a quel parlar leva la faccia
la bella Bradamante, e ne gioisce!
E conforta Ruggier che cosi faccia
come Marfisa sua ben Pammonisce ;
e venga a Carlo, e conoscer si faccia,
che tanto onora, lauda e riverisce
del suo padre Ruggier la chiara fama,
ch'ancor guerrier senza alcun par lo chiama.
950 ORLANDO FURIOSO
LXXX
Ruggiero accortamente le rispose
che da principio questo far dovea;
ma per non bene aver note le cose,
come ebbe poi, tardato troppo avea,
Ora, essendo Agramante che gli pose
la spada al fianco, farebbe opra rea
dandogli morte, e saria traditore;
che gia tolto 1'avea per suo signore.
LXXXI
Ben," come a Bradamante gia promesse,
promettea a lei di tentare ogni via,
tanto ch'occasione, onde potesse
levarsi con suo onor, nascer faria.
E se gia fatto non Favea, non desse
la colpa a lui, m'al re di Tartaria,
dal qual ne la battaglia che seco ebbe
lasciato fu, come saper si debbe.
LXXXII
Et ella ch'ogni di gli venia al letto,
buon testimon, quanto alcun altro, n'era.
Fu sopra questo assai risposto e detto
da Tuna e da 1'altra inclita guerriera.
L'ultima conclusion, Fultimo effetto
e che Ruggier ritorni alia bandiera
del suo signor, fin che cagion gli accada,
che giustamente a Carlo se ne vada.
LXXXIII
— Lascialo pur andar, — dicea Marfisa
a Bradamante — e non aver timore:
fra pochi giorni io far6 bene in guisa
che non gli fia Agramante piu signore. —
Cosi dice ella, ne per6 devisa
quanto di voler fare abbia nel core.
Tolta da lor licenzia, al fin Ruggiero
per tornare al suo re volgea il destriero ;
CANTO TRENTESIMOSESTO 951
LXXXIV
quando un pianto s'udi da le vicine
valli sonar, che li fe' tutti attenti.
A quella voce fan Porecchie chine,
che di femina par che si lamenti.
Ma voglio questo canto abbia qui fine,
e di quel che voglio io, siate content! ;
che miglior cose vi prometto dire,
s'all'altro canto mi verrete a udlre.
952 ORLANDO FURIOSO
CANTO TRENTESIMOSETTIMO
I
Se come in acquistar qualch'altro dono
che senza industria non puo dar Natura,
affaticate notte e di si sono
con somma diligenzia e lunga cura
le valorose donne, e se con buono
successo n'e uscit'opra non oscura;
cosi si fosson poste a quelli studi
ch'immortal fanno le mortal virtudi;
ii
e che per se medesime potuto
avesson dar memoria alle sue lode,
non mendicar dagli scrittori aiuto,
ai quali astio et invidia il cor si rode,
che '1 ben che ne puon dir spesso e taciuto,
e '1 mal, quanto ne san, per tutto s'ode;
tanto il lor nome sorgeria, che forse
viril fama a tal grado unqua non sorse.
in
Non basta a molti di prestarsi 1'opra
in far Tun 1'altro glorioso al mondo,
ch'anco studian di far che si discuopra
cio che le donne hanno fra lor d'immondo.
Non le vorrian lasciar venir di sopra,
e quanto puon fan per cacciarle al fondo :
dico gli antiqui; quasi 1'onor debbia
d'esse il lor oscurar, come il sol nebbia.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 953
IV
Ma non ebbe e non ha mano ne lingua,
formando in voce o discrivendo in carte
(quantunque il mal quanto pu6 accresce e impingua,
e minuendo il ben va con ogni arte),
poter pero, che de le donne estingua
la gloria si, che non ne resti parte;
ma non gia tal, che presso al segno giunga,
ne ch'anco se gli accosti di gran lunga:
v
ch'Arpalice non fu, non fu Torniri,
non fu chi Turno, non chi Ettor soccorse;
non chi seguita da Sidonii e Tiri
and6 per lungo mare in Libia a porse;
non Zenobia, non quella che gli Assiri,
i Persi e gPIndi con vittoria scorse:
non fur queste e poch'altre degne sole,
di cui per arme eterna fama vole.
VI
E di fedeli e caste e saggie e forti
stato ne son non pur in Grecia e in Roma,
ma in ogni parte ove fra gl'Indi e gli Orti
de le Esperide il Sol spiega la chioma:
de le quai sono i pregi agli onor morti,
si ch'a pena di mille una si noma;
e questo, perche avuto hanno ai lor tempi
gli scrittori bugiardi, invidi et empi.
VII
Non restate pero, donne, a cui giova
il bene oprar, di seguir vostra via;
ne da vostra alta impresa vi rimuova
tema che degno onor non vi si dia:
che come cosa buona non si trova
che duri sempre, cosi ancor ne ria.
Se le carte sin qui state e grinchiostri
per voi non sono, or sono a' tempi nostri.
954 ORLANDO FURIOSO
VIII
Dianzi Manillo et il Pontan per vui
sono, e duo Strozzi, il padre e '1 figlio, stati :
c'e il Bembo, c'e il Capel,.c'e chi, qual lui
vediamo, ha tali i cortigian formati:
c'e un Luigi Alaman: ce ne son dui,
di par da Matte e da le Muse amati,
ambi del sangue che regge la terra
che '1 Menzo fende e d'alti stagni serra.
IX
Di questi 1'uno, oltre che '1 proprio instinto
ad onorarvi e a riverirvi inchina,
e far Parnasso risonare e Cinto
di vostra laude, e porla al ciel vicina ;
Tamor, la fede, il saldo e non mai vinto
per minacciar di strazii e di ruina,
animo ch'Issabella gli ha dimostro,
lo fa, assai piu che di se stesso, vostro:
x
si che non e per mai trovarsi stance
di farvi onor nei suoi vivaci carmi:
e s'altri vi da biasmo, non e ch'anco
sia piu pronto di lui per pigliar 1'armi :
e non ha il mondo cavallier che manco
la vita sua per la virtu rispiarmi.
Da insieme egli materia ond'altri scriva,
e fa la gloria altrui scrivendo viva.
XI
Et e ben degno che si ricca donna,
ricca di tutto quel valor che possa
esser fra quante al mondo portin gonna,
mai non si sia di sua constanzia mossa;
e sia stata per lui vera colonna,
sprezzando di Fortuna ogni percossa:
di lei degno egli, e degna ella di lui;
ne meglio s'accoppiaro unque altri dui.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 955
XII
Nuovi trofei pon su la riva d'Oglio;
ch'in mezzo a ferri, a fuochi, a navi, a ruote
ha sparse alcun tanto ben scritto foglio,
che '1 vicin flume invidia aver gli puote.
Appresso a questo un Ercol Bentivoglio
fa chiaro il vostro onor con chiare note,
e Renato Trivulcio, e '1 mio Guidetto,
e }1 Molza, a dir di voi da Febo eletto.
XIII
C'e 51 duca de' Carnuti Ercol, figliuolo
del duca mio, che spiega Tali come
canoro cigno, e va cantando a volo,
e fin al cielo udir fa il vostro nome.
C'e il mio signor del Vasto, a cui non solo
di dare a mille Atene e a mille Rome
di se materia basta, ch'anco accenna
volervi eterne far con la sua penna.
XIV
Et oltre a questi et altri ch'oggi avete,
che v'hanno dato gloria e ve la danno,
voi per voi stesse dar ve la potete;
poi che molte, lasciando Pago e '1 panno,
son con le Muse a spegnersi la sete
al fonte d' Aganippe andate, e vanno;
e ne ritornan tai, che 1'opra vostra
e piu bisogno a noi ch'a voi la nostra.
xv
Se chi sian queste, e di ciascuna voglio
render buon conto, e degno pregio darle,
bisognera ch'io verghi piu d'un foglio,
e ch'oggi il canto mio d'altro non parle:
e s'a lodarne cinque o sei ne toglio,
io potrei 1'altre offendere e sdegnarle.
Che far6 dunque ? Ho da tacer d'ognuna,
o pur fra tante sceglierne sol una?
956 ORLANDO FURIOSO
XVI
Sceglieronne una; e sceglierolla tale,
che superato avra Finvidia in modo,
che nessun'altra potra avere a male
se Taltre taccio, e se lei sola lodo.
Quest'una ha non pur se fatta immortale
col dolce stil di che il meglior non odo;
ma puo qualunque di cui parli o scriva
trar del sepolcro, e far ch'eterno viva.
XVII
Come Febo la Candida sorella
fa piu di luce adorna, e piu la mira,
che Venere o che Maia o ch'altra Stella
che va col cielo o che da se si gira:
cosi facundia piu ch'all'altre a quella
di ch'io vi parlo, e piu dolcezza spira;
e da tal forza all'alte sue parole,
ch'orna a' di nostri il ciel d'un altro sole.
XVIII
Vittoria e '1 nome; e ben conviensi a nata
fra le vittorie, et a chi o vada o stanzi,
di trofei sempre e di trionfi ornata,
la vittoria abbia seco, o dietro o inanzi.
Questa e un'altra Artemisia, che lodata
fu di pieta verso il suo Mausolo; anzi
tanto maggior, quanto e piu assai belFopra
che por sotterra un uom, trarlo di sopra.
XIX
Se Laodamia, se la moglier di Bruto,
s'Arria, s'Argia, s'Evadne, e s'altre molte
meritar laude per aver voluto,
morti i mariti, esser con lor sepolte;
quanto onore a Vittoria e piu dovuto,
che di Lete, e del rio che nove volte
1'ombre circonda, ha tratto il suo consorte
mal grado de le Parche e de la Morte!
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 957
XX
S'al fiero Achille invidia de la chiara
meonia tromba il Macedonico ebbe,
quanto, invitto Francesco di Pescara,
maggiore a te, se vivesse or, 1'avrebbe!
che si casta mogliere e a te si cara
canti Teterno onor che ti si debbe,
e che per lei si ?1 nome tuo rimbombe,
che da bramar non hai piu chiare trombe.
XXI
Se quanto dir se ne potrebbe, o quanto
10 n'ho desir, volessi porre in carte,
ne direi lungamente; ma non tanto,
ch'a dir non ne restasse anco gran parte:
e di Marfisa e dei compagni intanto
la bella istoria rimarria da parte,
la quale io vi promisi di seguire,
s'in questo canto mi verreste a udire.
XXII
Ora essendo voi qui per ascoltarmi,
et io per non mancar de la promessa,
serbero a maggior ozio di provarmi
ch'ogni laude di lei sia da me espressa;
non perch'io creda bisognar miei carmi
a chi se ne fa copia da se stessa;
ma sol per satisfare a questo mio,
c'ho d'onorarla e di lodar, disio.
XXIII
Donne, io conchiudo in somma ch'ogni etate
molte ha di voi degne d'istoria avute;
ma per invidia di scrittori state
non sete dopo morte conosciute:
11 che piu non sara, poi che voi fate
per voi stesse immortal vostra virtute.
Se far le due cognate sapean questo,
si sapria meglio ogni lor degno gesto.
95$ ORLANDO FURIOSO
XXIV
Di Bradamante e di Marfisa dico,
le cui vittoriose inclite prove
di ritornare in luce m'affatico;
ma de le diece mancanmi le nove.
Queste ch'io so, ben volentieri esplico ;
si perche ogni bell'opra si de', dove
occulta sia, scoprir, si perche bramo
a voi, donne, aggradir, ch'onoro et amo.
xxv
Stava Ruggier, com'io vi dissi, in atto
di partirsi, et avea commiato preso,
e da 1'arbore il brando gia ritratto,
che come dianzi non gli fu conteso ;
quando un gran pianto, che non lungo tratto
era lontan, lo fe' restar sospeso ;
e con le donne a quella via si mosse,
per aiutar, dove bisogno fosse.
XXVI
Spingonsi inanzi, e via piu chiaro il suon ne
viene, e via piu son le parole intese.
Giunti ne la vallea, trovan tre donne
che fan quel duolo, assai strane in arnese;
che fin alFombilico ha lor le gonne
scorciate non so chi poco cortese :
e per non saper meglio elle celarsi,
sedeano in terra, e non ardian levarsi.
XXVII
Come quel figlio di Vulcan, che venne
fuor de la polve senza madre in vita,
e Pallade nutrir fe' con solenne
cura d'Aglauro, al veder troppo ardita,
sedendo ascosi J brutti piedi tenne
su la quadriga da lui prima ordita;
cosi quelle tre giovani le cose
secrete lor tenean sedendo ascose.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 959
XXVIII
Lo spettacolo enorme e disonesto
1'una e Paltra magnanima guerriera
fe' del color die nei giardin di Pesto
esser la rosa suol da primavera.
Riguardo Bradamante, e manifesto
tosto le fu ch' Ullania una d'esse era,
Ullania che da 1'Isola Perduta
in Francia messaggiera era vemita:
XXIX
e riconobbe non men Taltre due;
che dove vide lei, vide esse ancora.
Ma se n'andaron le parole sue
a quella de le tre ch'ella piu onora;
e le domanda chi si iniquo fue,
e si di legge e di costumi fuora,
che quei segreti agli occhi altrui riveli,
che quanto pu6 par che Natura celi.
XXX
Ullania che conosce Bradamante,
non meno ch'alle insegne, alia favella,
esser colei che pochi giorni inante
avea gittati i tre guerrier di sella,
narra che ad un castel poco distante
una ria gente e di pieta ribella,
oltre airingiuria di scorciarle i panni,
Pavea battuta e fattoP altri danni.
XXXI
Ne le sa dir che de lo scudo sia,
ne dei tre re che per tanti paesi
fatto le avean si lunga compagnia:
non sa se morti, o sian restati presi;
e dice c'ha pigliata questa via,
ancor ch'andare a pie molto le pesi,
per richiamarsi de Foltraggio a Carlo,
sperando che non sia per tolerarlo.
960 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Alle guerriere et a Ruggier, che meno
non han pietosi i cor ch'audaci e forti,
de' bei visi turbo 1'aer sereno
1'udire, e pm il veder si gravi torti:
et obliando ogn'altro affar che avieno,
e senza che li prieghi o che gli esorti
la donna afflitta a far la sua vendetta,
piglian la via verso quel luogo in fretta.
XXXIII
Di commune parer le sopraveste,
mosse da gran bonta, s'aveano tratte,
ch'a ricoprir le parti meno oneste
di quelle sventurate assai furo atte.
Bradamante non vuol ch'Ullania peste
le strade a pie, ch'avea a piede anco fatte,
e se la leva in groppa del destriero;
Paltra Marfisa, 1'altra il buon Ruggiero.
XXXIV
Ullania a Bradamante che la porta
mostra la via che va al castel piu dritta:
Bradamante alPincontro lei conforta,
che la vendichera di chi Pha afflitta.
Lascian la valle, e per via lunga e torta
sagliono un colle or a man manca or ritta;
e prima il sol fu dentro il mare ascoso
che volesser tra via prender riposo.
xxxv
Trovaro una villetta che la schena
d'un erto colle aspro a salir tenea;
ove ebbon buono albergo e buona cena,
quale avere in quel loco si potea.
Si mirano d'intorno, e quivi piena
ogni parte di donne si vedea,
quai giovani, quai vecchie; e in tanto stuolo
faccia non v'apparia d'un uomo solo.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 961
XXXVI
Non piu a lason di maraviglia denno,
ne agli Argonaut! che venian con lui,
le donne che i mariti morir fenno
e i figli e i padri coi fratelli sui,
si che per tutta 1'isola di Lenno
di viril faccia non si vider dui;
che Ruggier quivi, e chi con Ruggier era
maraviglia ebbe all'alloggiar la sera.
XXXVII
Fero ad Ullania et alle damigelle
che venivan con lei, le due guerriere
la sera proveder di tre gonnelle,
se non cosi polite, almeno intere.
A se chiama Ruggiero una di quelle
donne ch'abitan quivi, e vuol sapere
ove gli uomini sian, ch'un non ne vede;
et ella a lui questa risposta diede:
XXXVIII
— Questa che forse e maraviglia a voi,
che tante donne senza uomini siamo,
6 grave e intolerabil pena a noi,
che qui bandite misere viviamo.
E perche il duro esilio piu ci annoi,
padri, figli e mariti, che si amiamo,
aspro e lungo divorzio da noi fanno,
come piace al crudel nostro tiranno.
xxxix
Da le sue terre, le quai son vicine
a noi due leghe, e dove noi sian nate,
qui ci ha mandato il barbaro in confine,
prima di mille scorni ingiuriate;
et ha gli uomini nostri e noi meschine
di morte e d'ogni strazio minacciate,
se quelli a noi verranno, o gli fia detto
che noi dian lor, venendoci, ricetto.
962 ORLANDO FURIOSO
XL
Nimico e si costui del nostro nome,
che non ci vuol, piu ch'io vi dico, appresso,
ne ch'a noi venga alcun de' nostri, come
1'odor Fammorbi del femineo sesso.
Gia due volte 1'onor de le lor chiome
s'hanno spogliato gli alberi e rimesso,
da indi in qua che '1 rio signor vaneggia
in furor tanto: e non e chi 51 correggia;
XLI
che '1 populo ha di lui quella paura
che maggior aver puo 1'uom de la morte;
ch'aggiunto al mal voler gli ha la natura
una possanza fuor d'umana sorte.
II corpo suo di gigantea statura
e piu che di cent'altri insieme forte.
Ne pur a noi sue suddite e molesto,
ma fa alle strane ancor peggio di questo.
XLII
Se Ponor vostro, e quest e tre vi sono
punto care ch'avete in compagnia,
piu vi sara sicuro, utile e buono
non gir piu inanzi, e trovar altra via.
Questa al cast el de 1'uom di ch'io ragiono,
a provar mena la costuma ria
che v'ha posta il crudel con scorno e danno
di donne e di guerrier che di la vanno.
XLIII
Marganor il fellon (cosi si chiama
il signore, il tiran di quel castello),
del qual Nerone, o s'altri e ch'abbia fama
di crudelta, non fu piu iniquo e fello,
il sangue uman, ma '1 feminil piu brama
che '1 lupo non lo brama de 1'agnello.
Fa con onta scacciar le donne tutte
da lor ria sorte a quel castel condutte. —
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 963
XLIV
Perch6 quelFempio in tal furor venisse,
volson le donne intendere e Ruggiero:
pregar colei ch'in cortesia seguisse,
anzi che cominciasse il conto intero.
— Fu il signer del castel — la donna disse
— sempre crudel, sempre inumano e fiero;
ma tenne un tempo il cor maligno ascosto,
ne si lascio conoscer cosi tosto:
XLV
che mentre duo suoi figli erano vivi,
molto diversi dai paterni stili,
ch'amavan forestieri, et eran schivi
di crudeltade e degli altri atti vili;
quivi le cortesie fiorivan, quivi
i bei costumi e Popere gentili:
che '1 padre mai, quantunque avaro fosse,
da quel che lor piacea non li rimosse.
XL VI
Le donne e i cavallier che questa via
facean talor, venian si ben raccolti,
che si partian de Palta cortesia
dei duo germani inamorati molti.
Amendui questi di cavalleria
parimente i santi ordini avean tolti:
Cilandro Tun, 1'altro Tanacro detto,
gagliardi, arditi e di reale aspetto.
XLVII
Et eran veramente, e sarian stati
sempre di laude degni e d'ogni onore,
s'in preda non si fossino si dati
a quel desir che nominiamo amore;
per cui dal buon sentier fur traviati
al labirinto et al camin d'errore;
e ci6 che mai di buono aveano fatto,
resto contaminato e brutto a un tratto.
964 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Capito quivi un cavallier di corte
del greco imperator, che seco avea
una sua donna di maniere accorte,
bella quanto bramar piu si potea.
Cilandro in lei s'inamoro si forte,
che morir, non 1'avendo, gli parea:
gli parea che dovesse, alia partita
di lei, partire insieme la sua vita.
XLIX
E perche i prieghi non v'avriano loco,
di volerla per forza si dispose.
Armossi, e dal cast el lontano un poco,
ove passar dovean, cheto s'ascose.
L'usata audacia e P amoroso fuoco
non gli lascio pensar troppo le cose:
si che vedendo il cavallier venire,
Pando lancia per lancia ad assalire.
L
Al primo incontro credea porlo in terra,
portar la donna e la vittoria indietro ;
ma '1 cavallier, che mastro era di guerra,
Tosbergo gli spezz6 come di vetro.
Venne la nuova al padre ne la terra,
che lo fej riportar sopra un feretro;
e ritrovandol morto, con gran pianto
gli die sepulcro agli antiqui avi a canto.
LI
Ne piu per6 ne manco si contese
Talbergo e 1'accoglienza a questo e a quello,
perche non men Tanacro era cortese,
ne meno era gentil di suo fratello.
L'anno medesmo di lontan paese
con la moglie un baron venne al castello,
a maraviglia egli gagliardo, et ella
quanto si possa dir leggiadra e bella;
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 965
LII
ne men che bella, onesta e valorosa,
e degna veramente d'ogni loda:
il cavallier, di stirpe generosa,
di tanto ardir quanto piu d'altri s'oda.
E ben conviensi a tal valor, che cosa
di tanto prezzo e si eccellente goda.
Olindro il cavallier da Lungavilla,
la donna nominata era Drusilla.
LIII
Non men di questa il giovene Tanacro
arse, che '1 suo fratel di quella ardesse
che gli fe' gustar fine acerb o et aero
del desiderio ingiusto ch'in lei messe.
Non men di lui di violar del sacro
e santo ospizio ogni ragione ellesse,
piu tosto che patir che Jl duro e forte
nuovo desir lo conducesse a morte.
LIV
Ma perch'avea dinanzi agli occhi il tema
del suo fratel, che n'era stato morto,
pensa di torla in guisa, che non tema
ch' Olindro s'abbia a vendicar del torto.
Tosto s'estingue in lui, non pur si scema
quella virtu su che solea star sorto;
che non lo sommergean dei vizii Pacque,
de le quai sempre al fondo il padre giacque.
LV
Con gran silenzio fece quella notte
seco raccor da vent'uomini armati;
e lontan dal castel, fra certe grotte
che si trovan tra via, messe gli aguati.
Quivi ad Olindro il di le strade rotte,
e chiusi i passi fur da tutti i lati;
e ben che fe' lunga difesa e molta,
pur la moglie e la vita gli fu tolta.
ORLANDO FURIOSO
LVI
Ucciso Olindro, ne meno captiva
la bella donna, addolorata in guisa,
ch'a patto alcun restar non volea viva,
e di grazia chiedea d'essere uccisa.
Per morir si gitto giu d'una riva
che vi trovo sopra un vallone assisa;
e non pote morir, ma con la testa
rotta rimase, e tutta fiacca e pesta.
LVII
Altrimente Tanacro riportarla
a casa non pote che s'una bara.
Fece con diligenzia medicarla;
che perder non volea preda si cara.
E mentre che s'indugia a risanarla,
di celebrar le nozze si prepara:
ch'aver si bella donna e si pudica
debbe nome di moglie, e non d'amica.
LVIII
Non pensa altro Tanacro, altro non brama,
d' altro non cura, e d' altro mai non parla.
Si vede averla offesa, e se ne chiama
in colpa, e cio che pu6 fa d'emendarla,
Ma tutto e invano: quanto egli piu Tama,
quanto piu s'affatica di placarla,
tant'ella odia piu lui, tanto e piu forte,
tanto e piu ferma in voler porlo a morte.
LIX
Ma non per6 quest'odio cosi ammorza
la conoscenza in lei, che non comprenda
che se vuol far quanto disegna, e forza
che simuli, et occulte insidie tenda;
e che '1 desir sotto contraria scorza
(il quale e sol come Tanacro offenda)
veder gli faccia; e che si mostri tolta
dal primo amore, e tutto a lui rivolta.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 967
LX
Simula il viso pace; ma vendetta
chiama il cor dentro, e ad altro non attende:
molte cose rivolge, alcune accetta,
altre ne lascia, et altre in dubbio appende.
Le par che quando essa a morir si metta,
avra il suo intento; e quivi al fin s'apprende.
E dove meglio puo morire, o quando,
che '1 suo caro marito vendicando?
LXI
Ella si mostra tutta lieta, e finge
di queste nozze aver sommo disio;
e cio che puo indugiarle a dietro spinge,
non ch'ella mostri averne il cor restio.
Piu de Paltre s'adorna e si dipinge:
OHndro al tutto par messo in oblio.
Ma che sian fatte queste nozze vuole,
come ne la sua patria far si suole.
LXII
Non era per6 ver che questa usanza
che dir volea, ne la sua patria fosse:
ma perche in lei pensier mai non avanza
che spender possa altrove, imaginosse
una bugia, la qual le die speranza
di far morir chi '1 suo signor percosse:
e disse di voler le nozze a guisa
de la sua patria, e Jl mo do gli devisa.
LXIII
ccLa vedovella che marito prende,
deve, prima» dicea «ch'a lui s'appresse,
placar Talma del morto ch'ella offende,
facendo celebrargli offici e messe,
in remission de le passate mende,
nel tempio ove di quel son Fossa messe;
e dato fin ch'al sacrificio sia,
alia sposa 1'annel lo sposo dia:
968 ORLANDO FURIOSO
LXIV
ma ch'abbia in questo mezzo il sacerdote,
sul vino ivi portato a tale effetto,
appropriate orazion devote
sempre il liquor benedicendo detto;
indi che '1 fiasco in una coppa vote,
e dia alii sposi il vino benedetto:
ma portare alia sposa il vino tocca,
et esser prima a porvi su la bocca.»
LXV
Tanacro, che non mira quanto importe
ch'ella le nozze alia sua usanza faccia,
le dice: «Pur che Jl termine si scorte
d'essere insieme, in questo si compiaccia. »
Ne s'avede il meschin ch'essa la morte
d'Olindro vendicar cosi procaccia,
e si la voglia ha in uno oggetto intensa,
che sol di quello, e mai d'altro non pensa.
LXVI
Avea seco Drusilla una sua vecchia,
che seco presa, seco era rimasa.
A se chiamolla, e le disse all'orecchia,
si che non pote udire uomo di casa:
«Un subitano t6sco m'apparecchia,
qual so che sai comporre, e me lo invasa;
c'ho trovato la via di vita t6rre
il traditor figliuol di Marganorre.
LXVII
E me so come, e te salvar non meno :
ma diferisco a dirtelo piu ad agio.»
And6 la vecchia, e apparecchi6 il veneno,
et acconciollo, e ritorno al palagio.
Di vin dolce di Candia un fiasco pieno
trov6 da por con quel succo malvagio,
e lo serb6 pel giorno de le nozze;
ch'omai tutte Findugie erano mozze.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 969
LXVIII
Lo statuito giorno al tempio venne,
di gemme ornata e di leggiadre gonne,
ove d'Olindro, come gli convenne,
fatto Pavea Parca alzar su due colonne.
Quivi Pofficio si canto solenne:
trasseno a udirlo tutti, uomini e donne;
e lieto Marganor phi de Pusato,
venne col figlio e con gli amicl a lato.
LXIX
Tosto ch'al fin le sante esequie foro,
e fu col tosco il vino benedetto,
il sacerdote in una coppa d'oro
10 verso, come avea Brasilia detto.
Ella ne bebbe quanto al suo decoro
si conveniva, e potea far Peffetto:
poi die allo sposo con viso giocondo
11 nappo; e quel gli fe* apparire il fondo.
LXX
Renduto il nappo al sacerdote, lieto
per abbracciar Drusilla apre le braccia.
Or quivi il dolce stile e mansueto
in lei si cangia, e quella gran bonaccia.
Lo spinge a dietro, e gli ne fa divieto,
e par ch'arda negli occhi e ne la faccia;
e con voce terribile e incomposta
gli grida: «Traditor, da me ti scosta!
LXXI
Tu dunque avrai da me solazzo e gioia,
io lagrime da te, martiri e guai?
lo vo* per le mie man ch'ora tu muoia:
questo e stato venen, se tu nol sai.
Ben mi duol c'hai troppo onorato boia,
che troppo lieve e facil morte fai;
che mani e pene io non so si nefande,
che fosson pari al tuo peccato grande.
970 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Mi duol di non vedere in questa morte
il sacrificio mio tutto perfetto:
che s'io '1 poteva far di quella sorte
ch'era il disio, non avria alcun difetto.
Di cio mi scusi il dolce mio consorte:
riguardi al buon volere, e 1'abbia accetto;
che non potendo come avrei voluto,
10 t'ho fatto morir come ho potuto.
LXXIII
E la punizion che qui, secondo
11 desiderio mio, non posso darti,
spero Tanima tua ne 1'altro mondo
veder patire; et io staro a mirarti.»
Poi disse, alzando con viso giocondo
i turbidi occhi alle superne parti:
«Questa vittima, Olindro, in tua vendetta
col buon voler de la tua moglie accetta;
LXXIV
et impetra per me dal Signor nostro
grazia, ch'in paradiso oggi io sia teco.
Se ti dira che senza merto al vostro
regno anima non vien, di' ch'io Pho meco;
che di questo empio e scelerato mostro
le spoglie opime al santo tempio arreco.
E che merti esser puon maggior di questi,
spenger si brutte e abominose pesti?»
LXXV
Fini il parlare insieme con la vita;
e morta anco parea lieta nel volto
d'aver la crudelta cosi punita
di chi il caro marito le avea tolto.
Non so se prevenuta, o se seguita
fu da Io spirto di Tanacro sciolto:
fu prevenuta, credo; ch'effetto ebbe
prima il veneno in lui, perche piu bebbe.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 971
LXXVI
Marganor che cader vede il figliuolo,
e poi restar ne le sue braccia estinto,
fu per morir con lui, dal grave duolo
ch'alla sprovista lo trafisse, vinto.
Duo n'ebbe un tempo, or si ritrova solo:
due femine a quel termine Than spinto.
La morte a 1'un da Tuna fu causata;
e Faltra alFaltro di sua man 1'ha data.
LXXVI I
Amor, pieta, sdegno, dolore et ira,
disio di morte e di vendetta insieme
quell'infelice et orbo padre aggira,
che come il mar che turbi il vento freme.
Per vendicarsi va a Drusilla, e mira
che di sua vita ha chiuse Tore estreme;
e come il punge e sferza Fodio ardente,
cerca offendere il corpo che non sente.
LXXVI n
Qual serpe che ne Pasta ch'alla sabbia
la tenga flssa, indarno i denti metta;
o qual mastin ch'al ciottolo che gli abbia
gittato il viandante, corra in fretta,
e morda invano con stizza e con rabbia,
ne se ne voglia andar senza vendetta:
tal Marganor d'ogni mastin, d'ogni angue
via piu crudel, fa contra il corpo esangue.
LXXIX
E poi che per stracciarlo e fame scempio
non si sfoga il fellon ne disacerba,
vien fra le donne di che e pieno il tempio,
ne piu Tuna de Paltra ci riserba;
ma di noi fa col brando crudo et empio
quel che fa con la falce il villan d'erba.
Non vi fu alcun ripar, ch'in un momento
trenta n'uccise, e ne feri ben cento.
972 ORLANDO FURIOSO
LXXX
Egli da la sua gente e si temuto,
ch'uomo non fu ch'ardisse alzar la testa.
Fuggon le donne col popul minuto
fuor de la chiesa, e chi puo uscir, non resta.
Quel pazzo impeto al fin fu ritemito
dagli amici con prieghi e forza onesta,
e lasciando ogni cosa in pianto al basso,
fatto entrar ne la rocca in cima al sasso.
LXXXI
E tuttavia la colera durando,
di cacciar tutte per partito prese;
poi che gli amici e 31 populo pregando,
che non ci uccise a fatto, gli contese:-
e quel medesmo di fe* andare un bando,
che tutte gli sgombrassimo il paese;
e darci qui gli piacque le confine.
Misera chi al castel piu s'avvicinei
LXXXII
Da le mogli cosi furo i mariti,
da le madri cosi i figli divisi.
S'alcuni sono a noi venire arditi,
nol sappia gia chi Marganor n'avisi;
che di multe gravissime puniti
n'ha molti, e molti crudelmente uccisi.
Al suo castello ha poi fatto una legge,
di cui peggior non s'ode n6 si legge.
LXXXIII
Ogni donna che trovin ne le valle,
la legge vuol (ch'alcuna pur vi cade)
che percuotan con vimini alle spalle,
e la faccian sgombrar queste contrade:
ma scorciar prima i panni, e mostrar falle
quel che Natura asconde et Onestade;
e s'alcuna vi va, ch'armata scorta
abbia di cavallier, vi resta morta.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 973
LXXXIV
Quelle c'hanno per scorta cavallieri,
son da questo nimico di pietate,
come vittime, tratte ai cimiteri
dei morti figli, e di sua man scannate.
Leva con ignominia arme e destrieri,
e poi caccia in prigion chi Tha guidate:
e lo puo far; che sempre notte e giorno
si trova piu di mille uomini intorno.
LXXXV
E dir di piu vi voglio ancora, ch'esso,
s'alcun ne lascia, vuol che prirna giuri
su Fostia sacra che '1 femineo sesso
in odio avra fin che la vita duri.
Se perder queste donne e voi appresso
dunque vi pare, ite a veder quei muri
ove alberga il fellone, e fate prova
s'in lui piu forza o crudelta si trova. —
LXXXVI
Cosi dicendo, le guerriere mosse
prima a pietade, e poscia a tanto sdegno,
che se come era notte, giorno fosse,
sarian corse al castel senza ritegno.
La bella compagnia quivi pososse;
e tosto che r Aurora fece segno
che dar dovesse al Sol loco ogni Stella,
ripigH6 1'arme e si rimesse in sella.
,LXXXVII
Gia sendo in atto di partir, s'udiro
le strade risonar dietro le spalle
d'un lungo calpestio, che gli occhi in giro
fece a tutti voltar giu ne la valle.
E lungi quanto esser potrebbe un tiro
di mano, andar per uno istretto calle
vider da forse venti armati in schiera,
di che parte in arcion, parte a pied'era;
974 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
e che traean con lor sopra un cavallo
donna ch'al viso aver parea molt'anni,
a guisa che si mena un che per fallo
a fuoco o a ceppo o a laccio si condanni:
la qual fu, non ostante Fintervallo,
tosto riconosciuta al viso e ai panni.
La riconobber queste de la villa
esser la cameriera di Drusilla:
LXXXIX
la cameriera che con lei fu presa
dal rap ace Tanacro, come ho detto,
et a chi fu dipoi data Pimpresa
di quel venen che fe' '1 crudele effetto.
Non era entrata ella con Paltre in chiesa;
che di quel che segui stava in sospetto:
anzi in quel tempo, de la villa uscita,
ove esser spero salva, era fugita.
xc
Avuto Marganor poi di lei spia,
la qual s'era ridotta in Ostericche,
non ha cessato mai di cercar via
come in man 1'abbia, acci6 Fabruci o impicche:
e finalmente PAvarizia ria,
mossa da doni e da proferte ricche,
ha fatto ch'un baron, ch'assicurata
Pavea in sua terra, a Marganor Pha data:
xci ,
e mandata glie Pha fin a Costanza
sopra un somier, come la merce s'usa,
legata e stretta, e toltole possanza
di far parole, e in una cassa chiusa:
onde poi questa gente Pha ad instanza
de Puom ch'ogni pietade ha da se esclusa,
quivi condotta con disegno ch'abbia
Pempio a sfogar sopra di lei sua rabbia.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 975
XCII
Come il gran frame che di Vesulo esce,
quanto piu inanzi e verso il mar discende,
e che con lui Lambra e Ticin si mesce,
et Ada e gli altri onde tributo prende,
tanto piu altiero e impetuoso cresce;
cosi Ruggier, quante piu colpe intende
di Marganor, cosi le due guerriere
se gli fan contra piu sdegnose e fiere.
XCIII
Elle fur d'odio, elle fur d'ira tanta
contra il crudel, per tante colpe, accese,
che di punirlo, mal grado di quanta
gente egli avea, conclusion si prese.
Ma dargli presta morte troppo santa
pena lor parve e indegna a tante offese;
et era meglio fargliela sentire,
fra strazio prolungandola e martire.
xciv
Ma prima liberar la donna e onesto,
che sia condotta da quei birri a morte.
Lentar di briglia col calcagno presto
fece a' presti destrier far le vie corte.
Non ebbon gli assaliti mai di questo
uno incontro piu acerbo n6 piu forte;
si che han di grazia di lasciar gli scudi
e la donna e Parnese, e fuggir nudi:
xcv
si come il lupo che di preda vada
carco alia tana, e quando piu si crede
d'esser sicur, dal cacciator la strada
e da* suoi cani attraversar si vede,
getta la soma, e dove appar men rada
la scura macchia inanzi, affretta il piede.
Gia men presti non fur quelli a fuggire,
che li fusson quest'altri ad assalire.
976 ORLANDO FURIOSO
XCVI
Non pur la donna e Parme vi lasciaro,
ma de' cavalli ancor lasciaron molti,
e da rive e da grotte si lanciaro,
parendo lor cosi d'esser piu sciolti.
II che alle donne et a Ruggier fu caro;
che tre di quei cavalli ebbono tolti
per portar quelle tre che '1 giorno d'ieri
feron sudar le groppe ai tre destrieri.
xcvn
Quindi espediti segueno la strada
verso 1'infame e dispietata villa.
Voglion che seco quella vecchia vada,
per veder la vendetta di Drusilla.
Ella che teme che non ben le accada,
lo niega indarno, e piange e grida e strilla;
ma per forza Ruggier la leva in groppa
del buon Frontino, e via con lei galoppa.
xcvin
Giunseno in somma onde vedeano al basso
di molte case un ricco borgo e grosso,
che non serrava d'alcun lato il passo,
perche ne muro intorno avea ne fosso.
Avea nel mezzo un rilevato sasso
ch'un'alta rocca sostenea sul dosso.
A quella si drizzar con gran baldanza,
ch'esser sapean di Marganor la stanza.
xcix
Tosto che son nel borgo, alcuni fanti
che v'erano alia guardia de Pentrata,
dietro chiudon la sbarra, e gia davanti
veggion che 1'altra uscita era serrata:
et ecco Marganorre, e seco alquanti
a pie e a cavallo, e tutta gente armata;
che con brevi parole, ma orgogliose,
la ria costuma di sua terra espose.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 977
C
Marfisa, la qual prima avea composta
con Bradamante e con Ruggier la cosa,
gli sprono incontro in cambio di risposta;
e com' era possente e valorosa,
senza ch'abbassi lancia, o che sia posta
In opra quella spada si famosa,
col pugno in guisa Pelmo gli martella,
che lo fa tramortir sopra la sella.
ci
Con Marfisa la giovane di Francia
spinge a un tempo il destrier, ne Ruggier resta,
ma con tanto valor corre la lancia,
che sei, senza levarsela di resta,
n'uccide, uno ferito ne la pancia,
duo nel petto, un nel collo, un ne la testa;
nel sesto che fuggia Fasta si roppe,
ch'entro alle schene e riusci alle poppe.
en
La figliuola d'Amon quanti ne tocca
con la sua lancia d'or, tanti n'atterra:
fulmine par che '1 cielo ardendo scocca,
che ci6 ch'incontra, spezza e getta a terra.
II popul sgornbra, chi verso la r6cca,
chi verso il piano; altri si chiude e serra,
chi ne ie chiese e chi ne le sue case;
ne fuor che morti in piazza uomo rimase.
cm
Marfisa Marganorre avea legato
intanto con le man dietro alle rene,
et alia vecchia di Drusilla dato,
ch'appagata e contenta se ne tiene.
D'arder quel borgo poi fu ragionato,
s'a penitenzia del suo error non viene:
levi la legge ria di Marganorre,
e questa accetti ch'essa vi vuol porre.
978 ORLANDO FURIOSO
CIV
Non fu gia d'ottener questo fatica;
die quella gente, oltre al timor ch'avea
die piu faccia Marfisa che non dica,
ch'uccider tutti et abbruciar volea,
di Marganorre affatto era nimica
e de la legge sua crudele e rea.
Ma '1 populo facea come i piu fanno,
ch'ubbidiscon piu a quei che piu in odio hanno.
cv
Per6 che Tun de Paltro non si fida,
e non ardisce conferir sua voglia,
lo lascian ch'un bandisca, un altro uccida,
a quel 1'avere, a questo Fonor toglia.
Ma il cor che tace qui, su nel ciel grida,
fin che Dio e santi alia vendetta invoglia;
la qual, se ben tarda a venir, compensa
1'indugio poi con punizione immensa.
cvi
Or quella turba d'ira e d'odio pregna
con fatti e con mal dir cerca vendetta:
com'e in proverbio, ognun corre a far legna
alParbore che '1 vento in terra getta.
Sia Marganorre essempio di chi regna;
che chi mal opra, male al fine aspetta.
Di vederlo punir de' suoi nefandi
peccati, avean piacer piccioli e grandi.
cvn
Molti a chi fur le mogli o le sorelle
o le figlie o le madri da lui morte,
non piu celando Panimo ribelle,
correan per dargli di lor man la morte:
e con fatica lo difeser quelle
magnanime guerriere e Ruggier forte;
che disegnato avean farlo morire
d'affanno, di disagio e di martlre.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 979
CVIII
A quella vecchia che 1'odiava quanto
femina odiare alcun nimico possa,
nudo in mano lo dier, legato tanto,
che non si sciogliera per una scossa;
et ella, per vendetta del suo pianto,
gli ando facendo la persona rossa
con un stimulo aguzzo ch'un villano,
che quivi si trov6, le pose in mano.
cix
La messaggiera e le sue giovani anco,
che quell'onta non son mai per scordarsi,
non s'hanno piu a tener le mani al fianco,
ne meno che la vecchia, a vendicarsi;
ma si e il desir d'offenderlo, che manco
viene il potere, e pur vorrian sfogarsi:
chi con sassi il percuote, chi con Punge;
altra lo morde, altra cogli aghi il punge.
ex
Come torrente che superbo faccia
lunga pioggia talvolta o nievi sciolte,
va ruinoso, e giu day monti caccia
gli arbori e i sassi e i campi e le ricolte;
vien tempo poi che Porgogliosa faccia
gli cade, e si le forze gli son tolte,
ch'un fanciullo, una femina per tutto
passar lo puote, e spesso a piede asciutto:
CXI
cosi gia fu che Marganorre intorno
fece tremar, dovunque udiasi il nome;
or venuto e chi gli ha spezzato il corno
di tanto orgoglio, e si le forze dome,
che gli puon far sin a' bambini scorno,
chi pelargli la barba e chi le chiome.
Quindi Ruggiero e le donzelle il passo
alia r6cca voltar ch'era sul sasso.
980 ORLANDO FURIOSO
CXII
La die senza contrasto in poter loro
chi v'era dentro, e cosi i ricchi arnesi,
ch'in parte messi a sacco, in parte foro
dati ad Ullania et a1 compagni offesi.
Ricovrato vi fu lo scudo d'oro,
e quei tre re ch'avea il tiranno presi,
li quai venendo quivi, come parmi
d'avervi detto, erano a pie senz'armi;
CXIII
perche dal di che fur tolti di sella
da Bradamante, a pie sempre eran iti
senz'arme, in compagnia de la donzella
la qual venla da si lontani liti.
Non so se meglio o peggio fu di quella,
che di lor armi non fusson guerniti.
Era ben meglio esser da lor difesa;
ma peggio assai, se ne perdean 1'impresa:
cxiv
perche stata saria, com' eran tutte
quelle ch'armate avean seco le scorte,
al cimitero misere condutte
dei duo fratelli, e in sacriflcio morte.
Gli e pur men che morir, rnostrar le brutte
e disoneste parti, duro e forte;
e sempre questo e ogn'altro obbrobrio amorza
il poter dir che le sia fatto a forza.
cxv
Prima ch'indi si partan le guerriere,
fan venir gli abitanti a giuramento,
che daranno i mariti alle mogliere
de la terra e del tutto il reggimento ;
e castigato con pene severe
sara chi contrastare abbia ardimento.
In somma quel ch'altrove e del marito,
che sia qui de la moglie e statuito.
CANTO TRENTESIMOSETTIMO 981
CXVI
Poi si feccion promettere ch'a quanti
mai verrian quivi, non darian ricetto,
o fosson cavallieri, o fosson fanti,
ne 'ntrar li lascerian pur sotto un tetto,
se per Dio non giurassino e per santi,
o s'altro giuramento v'e piii stretto,
che sarian sempre de le donne amici,
e dei nimici lor sempre nimici;
CXVII
e s'avranno in quel tempo, e se saranno,
tardi o piu tosto, mai per aver moglie,
che sempre a quelle sudditi saranno,
e ubbidienti a tutte le lor voglie.
Tornar Marflsa, prima ch'esca 1'anno,
disse, e che perdan gli arbori le foglie;
e se la legge in uso non trovasse,
fuoco e ruina il borgo s'aspetasse.
CXVII I
Ne quindi si partir, che de Pimmondo
luogo do v 'era, fer Drusilla torre,
e col marito in uno avel, secondo
ch'ivi potean piu riccamente porre.
La vecchia facea intanto rubicondo
con lo stimulo il dosso a Marganorre:
sol si dolea di non aver tal lena,
che potesse non dar triegua alia pena.
ex ix
L'animose guerriere a lato un tempio
videno quivi una colonna in piazza,
ne la qual fatt'avea quel tiranno empio
scriver la legge sua crudele e pazza.
Elle imitando d'un trofeo Pesempio,
lo scudo v'attaccaro e la corazza
di Marganorre e Pelmo; e scriver fenno
la legge appresso ch'esse al loco denno.
982 ORLANDO FURIOSO
CXX
Quivi s'indugiar tanto, che Marfisa
fe5 por la legge sua ne la colonna,
contraria a quella che gia v'era incisa
a morte et ignominia d'ogni donna.
Da questa compagnia resto divisa
quella d'Islanda, per rifar la gonna;
che comparire in corte obbrobrio stima,
se non si veste et orna come prima.
cxxi
Quivi rimase Ullania; e Marganorre
di lei rest6 in potere: et essa poi,
perche non s'abbia in qualche modo a sciorre,
e le donzelle un'altra volta annoi,
lo fe' un giorno saltar gift d'una torre,
che non fe' il maggior salto a' giorni suoi.
Non piu di lei, ne piii dei suoi si parli,
ma de la compagnia che va verso Arli.
cxxn
Tutto quel giorno, e Taltro fin appresso
1'ora di terza andaro; e poi che furo
giunti dove in due strade 6 il camin fesso
(1'una va al campo, e 1'altra d'Arli al muro),
tornar gli amanti ad abbracciarsi, e spesso
a tor commiato, e sempre acerbo e duro.
Al fin le donne in campo, e in Arli e gito
Ruggiero; et io il mio canto ho qui finite.
CANTO TRENTESIMOTTAVO 983
CANTO TRENTESIMOTTAVO
I
Cortesi donne, che benigna udienza
date a' miei versi, io vi veggo al sembiante,
che quest'altra si subita partenza
che fa Ruggier da la sua fida amante,
vi da gran noia, e avete displicenza
poco minor ch'avesse Bradamante;
e fate anco argumento ch'esser poco
in lui dovesse Tamoroso fuoco.
II
Per ogni altra cagion ch'allontanato
contra la voglia d'essa se ne fusse,
ancor ch'avesse piu tesor sperato
che Creso o Crasso insieme non ridusse,
io crederia con voi che penetrato
non fosse al cor Io stral che Io percusse;
ch'un almo gaudio, un cosl gran contento
non potrebbe comprare oro n£ argento.
in
Pur per salvar Fonor, non solamente
d'escusa, ma di laude e degno ancora;
per salvar, dico, in caso ch'altrimente
facendo, biasmo et ignominia fora:
e se la donna fosse renitente
et ostinata in fargli far dimora,
darebbe di se" indizio e chiaro segno
o d'amar poco o d'aver poco ingegno.
984 ORLANDO FURIOSO
IV
Che se Tamante de Famato deve
la vita amar piii de la propria, o tanto
(io parlo d'uno amante a cui non lieve
colpo d'Amor passo piu la del manto);
al placer tanto piu ch'esso riceve
1'onor di quello antepor deve, quanto
Ponore e di piu pregio che la vita,
ch'a tutti altri piaceri e preferita.
v
Fece Ruggiero il debito a seguire
il suo signer, che non se ne potea
se non con ignominia dipartire;
che ragion di lasciarlo non avea.
E s' Almonte gli fe' il padre morire,
tal colpa in Agramante non cadea;
ch'in molti effetti avea con Ruggier poi
emendato ogni error dei maggior suoi.
VI
Fara Ruggiero il debito a torn are
al suo signore; et ella ancor lo fece,
che sforzar non lo volse di restare,
come potea, con iterata prece.
Ruggier potra alia donna satisfare
a un altro tempo, s'or non satisfece:
ma alFonor, chi gli manca d'un momento,
non pu6 in cento anni satisfar ne in cento.
VII
Torna Ruggiero in Arli, ove ha ritratta
Agramante la gente che gli avanza.
Bradamante e Marfisa, che contratta
col parentado avean grande amistanza,
andaro insieme ove re Carlo fatta
la maggior prova avea di sua possanza,
sperando, o per battaglia o per assedio,
levar di Francia cosi lungo tedio.
CANTO TRENTESIMOTTAVO 985
VIII
Di Bradamante, poi che conosciuta
in campo fu, si fej letizia e festa:
ogniun la riverisce e la saluta;
et ella a questo e a quel china la testa.
Rinaldo, come udi la sua venuta,
le venne incontra; ne Ricciardo resta
ne Ricciardetto od altri di sua gente,
e la raccoglion tutti allegramente.
IX
Come s'intese poi che la compagna
era Marfisa, in arme si famosa,
che dal Cataio ai termini di Spagna
di mille chiare palme iva pomposa;
non e povero o ricco che rimagna
nel padiglion: la turba disiosa
vien quinci e quindi, e s'urta, storpia e preme
sol per veder si bella coppia insieme.
x
A Carlo riverenti appresentarsi.
Questo fu il primo di (scrive Turpino)
che fu vista Marfisa inginocchiarsi ;
che sol le parve il figlio di Pipino
degno, a cui tanto onor dovesse farsi,
tra quanti, o mai nel popul saracino
o nel cristiano, imperatori e regi
per virtu vide o per ricchezza egregi.
XI
Carlo benignamente la raccolse,
e le usci incontra fuor dei padiglioni;
e che sedesse a lato suo poi volse
sopra tutti re, principi e baroni.
Si die iicenzia a chi non se la tolse;
si che tosto restaro in pochi e buoni:
restaro i paladini e i gran signori;
la vilipesa plebe ando di fuori.
9§6 ORLANDO FURIOSO
XII
Marfisa comincio con grata voce:
— Eccelso, invitto e glorioso Augusto,
che dal mar Indo alia Tirinzia foce,
dal bianco Scita alPEtiope adusto
riverir fai la tua Candida croce,
ne di te regna il piu saggio o '1 piu giusto;
tua fama, ch'alcun termine non serra,
qui tratto m'ha fin da 1'estrema terra.
XIII
E (per narrarti il ver) sola mi mosse
invidia, e sol per farti guerra io venni,
accio che si possente un re non fosse,
che non tenesse la legge ch'io tenni.
Per questo ho fatto le campagne rosse
del cristian sangue; et altri fieri cenni
era per farti da crudel nimica,
se non cadea chi mi t'ha fatto arnica.
XIV
Quando nuocer pensai piu alle tue squadre,
io trovo (e come sia dir6 piu ad agio)
che '1 bon Ruggier di Risa fu mio padre,
tradito a torto dal fratel malvagio.
Portommi in corpo mia misera madre
di la dal mare, e nacqui in gran disagio.
Nutrimmi un mago infin al settimo anno,
a cui gli Arabi poi rubata m'hanno.
XV
E mi vendero in Persia per ischiava
a un re che poi cresciuta io posi a inorte;
che mia virginita tor mi cercava.
Uccisi lui con tutta la sua corte;
tutta cacciai la sua progenie prava,
e presi il regno; e tal fu la mia sorte,
che diciotto anni d'uno o di duo mesi
io non passai, che sette regni presi.
CANTO TRENTESIMOTTAVO 987
XVI
E di tua fama invidiosa, come
10 t'ho gia detto, avea fermo nel core
la grande altezza abbatter del tuo nome :
forse il faceva, o forse era in errore.
Ma ora avvien che questa voglia dome,
e faccia cader Tale al mio furore,
Taver inteso, poi che qui son giunta,
come io ti son d'affinita congiunta.
XVII
E come il padre mio parente e servo
ti fu, ti son parente e serva anch'io:
e quella invidia e quelFodio protervo
11 qual io t'ebbi un tempo, or tutto oblio;
anzi contra Agramante io Io riservo,
e contra ogn'altro che sia al padre o al zio
di lui stato parente, che fur rei
di porre a morte i genitori miei. —
XVIII
E seguito voler cristiana farsi,
e dopo ch'avra estinto il re Agramante,
voler, piacendo a Carlo, ritornarsi
a battezzare il suo regno in Levante;
et indi contra tutto ii mondo armarsi,
ove Macon s'adori e Trivigante;
e con promission ch'ogni suo acquisto
sia de Flmperio e de la fe" di Cristo.
XIX
L'imperator che non meno eloquente
era, che fosse valoroso e saggio,
molto esaltando la donna eccellente,
e molto il padre e molto il suo lignaggio,
rispose ad ogni parte umanamente,
e mostr6 in fronte aperto il suo coraggio;
e conchiuse ne Tultima parola
per parente accettarla, e per figliuola.
988 ORLANDO FURIOSO
XX
E qui si leva, e di nuovo Fabbraccia,
e come figlia bacia ne la fronte.
Vengono tutti con allegra faccia
quei di Mongrana e quei di Chiaramonte.
Lungo a dir fora quanto onor le faccia
Rinaldo, che di lei le prove conte
vedute avea piu volte al paragone,
quando Albracca assediar col suo girone.
XXI
Lungo a dir fora quanto il giovinetto
Guidon s'allegri di veder costei,
Aquilante e Grifone e Sansonetto
ch'alla citta crudel furon con lei;
Malagigi e Viviano e Ricciardetto,
ch'all'occision de' Maganzesi rei
e di quei venditori empii di Spagna
1'aveano avuta si fedel compagna.
XXII
Apparecchiar per lo seguente giorno,
et ebbe cura Carlo egli medesmo,
che fosse un luogo riccamente adorno,
ove prendesse Marfisa battesmo.
I vescovi e gran chierici d'intorno,
che le leggi sapean del cristianesmo,
fece raccorre, acci6 da loro in tutta
la santa fe fosse Marfisa instrutta.
xxm
Venne in pontificale abito sacro
1'arcivesco Turpino, e battizzolla:
Carlo dal salutifero lavacro
con cerimonie debite levolla.
Ma tempo e ormai ch'al capo voto e macro
di senno si soccorra con Tampolla,
con che dal ciel piu basso ne venia
il duca Astolfo sul carro d'Elia.
CANTO TRENTESIMOTTAVO 989
XXIV
Sceso era Astolfo dal giro lucente
alia maggiore altezza de la terra,
con la felice ampolla che la mente
dovea sanare al gran mastro di guerra.
Un'erba quivi di virtu eccellente
mostra Giovanni al duca d'lnghilterra:
con essa vuol ch'al suo ritorno tocchi
al re di Nubia e gli risani gli occhi;
xxv
accid per questi e per li primi merti
gente gli dia con che Biserta assaglia.
E come poi quei populi inesperti
armi et acconci ad uso di battaglia,
e senza danno passi pei desert!
ove P arena gli uomini abbarbaglia,
a punto a punto Tordine che tegna,
tutto il vecchio santissimo gl'insegna.
XXVI
Poi lo fes rimontar su quello alato
che di Ruggiero, e fu prima d'Atlante.
II paladin Iasci6, licenziato
da San Giovanni, le contrade sante;
e secondando il Nilo a lato a lato,
tosto i Nubi apparir si vide inante;
e ne la terra che del regno e capo
scese da 1'aria, e ritrov6 il Senapo.
xxvn
Molto fu il gaudio e molta fu la gioia
che porto a quel signer nel suo ritorno;
che ben si raccordava de la noia
che gli avea tolta de Parpie d'intorno.
Ma poi che la grossezza gli discuoia
di quello umor che gia gli tolse il giorno,
e che gli rende la vista di prima,
1'adora e cole, e come un Dio sublima:
990 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
si che non pur la gente che gli chiede
per muover guerra al regno di Biserta,
ma centomila sopra gli ne diede,
e gli fe' ancor di sua persona offerta.
La gente a pena, ch'era tutta a piede,
potea capir ne la campagna aperta;
che di cavalli ha quel paese inopia,
ma d'elefanti e de camelli copia.
XXIX
La notte inanzi il di che a suo camino
Fesercito di Nubia dovea porse,
mont6 su Fippogrifo il paladino,
e verso mezzodi con fretta corse,
tanto che giunse al monte che Faustrino
vento produce, e spira contra FOrse.
Trov6 la cava, onde per stretta bocca,
quando si desta, il furioso scocca.
xxx
E come raccord6gli il suo maestro,
avea seco arrecato un utre v6to,
il qual, mentre ne Fantro oscuro e alpestro,
affaticato dorme il fiero No to,
allo spiraglio pon tacito e destro:
et e Faguato in modo al vento ignoto,
che, credendosi uscir fuor la dimane,
preso e legato in quello utre rimane.
XXXI
Di tanta preda il paladino allegro,
ritorna in Nubia, e la medesma luce
si pone a caminar col popul negro,
e vettovaglia dietro si conduce.
A salvamento con lo stuolo integro
verso FAtlante il glorioso duce
pel mezzo vien de la minuta sabbia,
senza temer che '1 vento a nuocer gli abbia.
CANTO TRENTESIMOTTAVO 991
XXXII
E giunto poi di qua dal giogo, in parte
onde il plan si discuopre e la marina,
Astolfo elegge la piu nobil parte
del campo, e la meglio atta a disciplina;
e qua e la per ordine la parte
a pie d'un colle, ove nel pian confina.
Quivi la lascia, e su la cima ascende
in vista d'uom ch'a gran pensieri intende.
XXXIII
Poi che inchinando le ginocchia fece
al santo suo maestro orazione,
sicuro che sia udita la sua prece,
copia di sassi a far cader si pone.
Oh quanto a chi ben crede in Cristo, lece!
I sassi, fuor di natural ragione
crescendo, si vedean venire in giuso,
e formar ventre e gambe e collo e muso:
XXXIV
e con chiari anitrir giu per quei calli
venian saltando, e giunti poi nel piano
scuotean le groppe, e fatti eran cavalli,
chi baio e chi leardo e chi rovano.
La turba ch'aspettando ne le valli
stava alia posta, lor dava di manor
si che in poche ore fur tutti montati;
che con sella e con freno erano nati.
xxxv
Ottantamila cento e dua in un giorno
fe' di pedoni Astolfo cavallieri.
Con questi tutta scorse Africa intorno,
facendo prede, incendi e prigionieri.
Posto Agramante avea fin al ritorno
il re di Fersa e '1 re degli Algazeri,
col re Branzardo a guardia del paese:
e questi si fer contra al duca inglese ;
ORLANDO FURIOSO
XXXVI
prima avendo spacciato un suttil legno
ch'a vele e a remi ando battendo Tali,
ad Agramante aviso, come il regno
patia dal re de' Nubi oltraggi e mali.
Giorno e notte ando quel senza ritegno,
tanto che giunse ai liti provenzali;
e trovo in Arli il suo re mezzo oppresso,
che '1 campo avea di Carlo un miglio appresso.
XXXVII
Sentendo il re Agramante a che periglio,
per guadagnare il regno di Pipino,
lasciava il suo, chiamar fece a consiglio
principi e re del popul saracino.
E poi ch'una o due volte giro il ciglio
quinci a Marsilio e quindi al re Sobrino,
i quai d'ogni altro fur che vi venisse
i duo piu antiqui e saggi, cosi disse:
xxxvin
— Quantunque io sappia come mal convegna
a un capitano dir: non mel pensai,
pur lo dir6; che quando un danno vegna
da ogni discorso uman lontano assai,
a quel fallir par che sia escusa degna:
e qui si versa il caso mio; ch'errai
a lasciar d'arme P Africa sfornita,
se da li Nubi esser dovea assalita.
xxxix
Ma chi pensato avria, fuor che Dio solo,
a cui non e cosa futura ignota,
che dovesse venir con si gran stuolo
a fame danno gente si remota?
tra i quali e noi giace Pinstabil suolo
di quella arena ognior da' venti mota.
Pur e venuta ad assediar Biserta,
et ha in gran parte P Africa deserta.
CANTO TRENTESIMOTTAVO 993
XL
Or sopra cio vostro consiglio chieggio:
se partirmi di qui senza far frutto,
o pur seguir tanto I'impresa deggio,
che prigion Carlo meco abbi condutto;
o come insieme io salvi il nostro seggio,
e questo imperial lasci distnitto.
S'alcun di voi sa dir, priego nol taccia,
accio si trovi il meglio, e quel si faccia. —
XLI
Cosi disse Agramante; e volse gli occhi
al re di Spagna, che gli sedea appresso,
come mostrando di voler che tocchi
di quel c'ha detto, la risposta ad esso.
E quel, poi che surgendo ebbe i ginocchi
per riverenzia, e cosi il capo flesso,
nel suo onorato seggio si raccolse;
indi la lingua a tai parole sciolse :
XLII
— O bene o mal che la Fama ci apporti,
signor, di sempre accrescere ha in usanza.
Perci6 non sara mai ch'io mi sconforti,
o mai piu del dover pigli baldanza
per casi o buoni o rei che sieno sorti:
ma sempre avr6 di par tema e speranza
ch'esser debban minori, e non del modo
ch'a noi per tante lingue venir odo.
xun
E tanto men prestar gli debbo fede,
quanto piu al verisimile s'oppone.
Or se gli e verisimile si vede,
ch'abbia con tanto numer di persone
posto ne la pugnace Africa il piede
un re di si lontana regione,
traversando Tarene a cui Cambise
con male augurio il popul suo commise.
994 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Credero ben, che sian gli Arabi scesi
da le montagne, et abbian dato il guasto,
e saccheggiato, e morti uomini e presi,
ove trovato avran poco contrasto;
e che Branzardo che di quei paesi
luogotenente e vicere e rimasto,
per le decine scriva le migliaia,
accio la scusa sua piu degna paia.
XLV
Vo' concedergli ancor che sieno i Nubi
per miracol dal ciel forse piovuti:
o forse ascosi venner ne le nubi;
poi che non fur mai per camin veduti.
Temi tu che tal gente Africa rubi,
se ben di piu soccorso non Tahiti?
II tuo presidio avria ben trista pelle,
quando temesse un populo si irnbelle.
XLVI
Ma se tu mandi ancor che poche navi,
pur che si veggan gli stendardi tuoi,
non scioglieran di qua si tosto i cavi,
che fuggiranno nei confini suoi
questi, o sien Nubi o sieno Arabi ignavi,
ai quali il ritrovarti qui con noi,
separate pel mar da la tua terra,
ha dato ardir di romperti la guerra.
XLVII
Or piglia il tempo che, per esser senza
il suo nipote Carlo, hai di vendetta:
poi ch* Orlando non c'e, far resistenza
non ti puo alcun de la nimica setta.
Se per non veder lasci o negligenza
Tonorata vittoria che t'aspetta,
voltera il calvo, ove ora il crin ne mostra,
con molto danno e lunga infamia nostra. —
CANTO TRENTESIMOTTAVO 995
XLVIII
Con questo et altri detti accortamente
Tlspano persuader vuol nel concilio
che non esca di Francia questa gente,
fin che Carlo non sia spinto in esilio.
Ma il re Sobrin, che vide apertamente
il camino a che andava il re Marsilio,
che piu per Putil proprio queste cose
che pel commun dicea, cosi rispose:
XLIX
— Quando io ti confortava a stare in pace,
fosse io stato, signor, falso indovino;
o tu, se io dovea pure esser verace,
creduto avessi al tuo fedel Sobrino,
e non piu tosto a Rodomonte audace,
a Marbalusto, a Alzirdo e a Martasino,
li quali ora vorrei qui avere a fronte:
ma vorrei piu degli altri Rodomonte,
L
per rinfacciargli che volea di Francia
far quel che si faria d'un fragil vetro,
e in cielo e ne Io 'nferno la tua lancia
seguire, anzi lasciarsela di dietro;
poi nel bisogno si gratta la pancia
ne 1'ozio immerso abominoso e tetro:
et io, che per predirti il vero allora
codardo detto fui, son teco ancora;
LI
e sar6 sempremai, fin ch'io finisca
questa vita ch'ancor che d'anni grave,
porsi incontra ogni di per te s'arrisca
a qualunque di Francia piu nome have.
Ne sara alcun, sia chi si vuol, ch'ardisca
di dir che Topre mie mai fosser prave:
e non han piu di me fatto, n6 tanto,
molti che si donar di me piu vanto.
996 ORLANDO FURIOSO
LII
Dico cosi per dimostrar che quello
ch'io dissi allora, e che ti voglio or dire,
ne da viltade vien ne da cor fello,
ma d'amor vero e da fedel servire.
lo ti conforto ch'al paterno ostello,
piu tosto che tu poi, vogli redire;
che poco saggio si puo dir colui
che perde il suo per acquistar Paltrui.
LIII
S'acquisto c'e, tu '1 sai. Trentadui fummo
re tuoi vassalli a uscir teco del porto:
or se di nuovo il conto ne rassummo,
c'e a pena il terzo, e tutto '1 resto e morto.
Che non ne cadan piu, piaccia a Dio summo:
ma se tu vuoi seguir, temo di corto,
che non ne rimarra quarto ne quinto;
e '1 miser popul tuo fia tutto estinto.
LIV
Ch' Orlando non ci sia, ne aiuta; ch'ove
sian pochi, forse alcun non ci saria.
Ma per questo il periglio non rimuove,
se ben prolunga nostra sorte ria.
Ecci Rinaldo, che per molte prove
mostra che non minor d' Orlando sia:
c'e il suo lignaggio e tutti i paladini,
timore eterno a' nostri Saracini.
LV
Et hanno appresso quel secondo Marte
(ben che i nimici al mio dispetto lodo),
io dico il valoroso Brandimarte,
non men d'Orlando ad ogni prova sodo;
del qual provata ho la virtude in parte,
parte ne veggo aH'altnii spese et odo.
Poi son piu dl che non c'e Orlando stato;
e piu perduto abbian che guadagnato.
CANTO TRENTESIMOTTAVO 997
LVI
Se per adietro abbian perduto, io temo
che da qui inanzi perderen piu in grosso.
Del nostro campo Mandricardo e scemo,
Gradasso il suo soccorso n'ha rimosso,
Marfisa n'ha lasciata al punto estremo,
e cosi il re d'Algier, di cui dir posso
che se fosse fedel come gagliardo,
poco uopo era Gradasso o Mandricardo.
LVII
Ove sono a noi tolti questi aiuti,
e tante mila son dei nostri morti;
e quei ch'a venir han, son gia venuti,
ne s'aspetta altro legno che n'apporti:
quattro son giunti a Carlo, non tenuti
manco d'Orlando o di Rinaldo forti;
e con ragion; che da qui sino a Battro
potresti mal trovar tali altri quattro.
LVIII
Non so se sai chi sia Guidon Selvaggio
e Sansonetto e i figli d'Oliviero.
Di questi fo piu stima e piu tema aggio,
che d'ogni altro lor duca e cavalliero
che di Lamagna o d' altro stran linguaggio
sia contra noi per aiutar PImpero:
ben ch'importa anco assai la gente nuova
ch'a* nostri danni in campo si ritrova.
LIX
Quante volte uscirai alia campagna,
tanto avrai la peggiore, o sarai rotto.
Se spesso perde il campo Africa e Spagna,
quando sian stati sedici per otto,
che sara poi ch? Italia e che Lamagna
con Francia e unita, e *1 populo anglo e scotto,
e che sei contra dodici saranno ?
Ch'altro si puo sperar, che biasmo e danno?
998 ORLANDO FURIOSO
LX
La gente qui, la perdi a un tempo il regno,
s'in questa impresa piu duri ostinato;
ove, s'al ritornar muti disegno,
1'avanzo di noi send con lo state.
Lasciar Marsilio e di te caso indegno,
ch'ognun te ne terrebbe molto ingrato:
ma c'e rimedio, far con Carlo pace;
ch'a lui deve piacer, se a te pur place.
LXI
Pur se ti par che non ci sia il tuo onore,
se tu, che prima offeso sei, la chiedi ;
e la battagiia piu ti sta nel core,
che come sia fin qui successa vedi ;
studia almen di restarne vincitore:
il che forse averra, se tu mi credi;
se d'ogni tua querela a un cavalliero
darai 1'assunto, e se quel fia Ruggiero.
LXII
lo ?1 so, e tu '1 sai che Ruggier nostro e tale,
che gia da solo a sol con Parme in mano
non men d' Orlando o di Rinaldo vale,
ne d'alcun altro cavallier cristiano.
Ma se tu vuoi far guerra universale,
ancor che '1 valor suo sia sopraumano,
egli per6 non sara piu ch'un solo,
et avra di par suoi contra uno stuolo.
LXIII
A me par, s'a te par, ch'a dir si mandi
al re cristian che per finir le liti,
e perche cessi il sangue che tu spandi
ognior de' suoi, egli de' tuo' infiniti;
che contra un tuo guerrier tu gli domandi
che metta in campo uno dei suoi piu arditi;
e faccian questi duo tutta la guerra,
fin che Fun vinca, e Faltro resti in terra:
CANTO TRENTESIMOTTAVO 999
LXIV
con patto che qual d'essi perde, faccia
che '1 suo re all'altro re tribute dia.
Questa condizion non credo spiaccia
a Carlo, ancor che sul vantaggio sia.
Mi fido si ne le robuste braccia
poi di Ruggier, che vincitor ne fia;
e ragion tanta e da la nostra parte,
che vincera, s'avesse incontra Marte. —
LXV
Con questi et altri piu efficaci detti
fece Sobrin si, che '1 partito ottenne;
e gPinterpreti fur quel giorno eletti,
e quel di a Carlo Pimbasciata venne.
Carlo ch'avea tanti guerrier perfetti,
vinta per se quella battaglia tenne,
di cui 1'impresa al buon Rinaldo diede,
in ch'avea, dopo Orlando, maggior fede.
LXVI
Di questo accordo lieto parimente
Puno esercito e Paltro si godea;
che '1 travaglio del corpo e de la mente
tutti avea stanchi e a tutti rincrescea.
Ognun di riposare il rimanente
de la sua vita disegnato avea;
ogniun maledicea Pire e i furori
ch'a risse e a gare avean lor desti i cori.
LXVII
Rinaldo che esaltar molto si vede,
che Carlo in lui di quel che tanto pesa,
via piu ch'in tutti gli altri, ha avuto fede,
lieto si mette alPonorata impresa.
Ruggier non stima; e veramente crede
che contra se non potra far difesa:
che suo pari esser possa non gli e aviso,
se ben in campo ha Mandricardo ucciso.
1000 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Ruggier da 1'altra parte, ancor che molto
onor gli sia che '1 suo re Pabbia eletto,
e pel miglior di tutti i buoni tolto,
a cui commetta un si importante efFetto;
pur mostra affanno e gran mestizia in volto,
non per paura che gli turbi il petto;
che non ch'un sol Rinaldo, ma non teme
se fosse con Rinaldo Orlando insieme:
LXIX
ma perche vede esser di lui sorella
la sua cara e fidissima consorte
ch'ognior scrivendo stimula e martella,
come colei ch'e ingiuriata forte.
Or s'alle vecchie offese aggiunge quella
d'entrare in campo a porle il frate a morte,
se la fara, d'amante, cosi odiosa,
ch'a placarla mai piu fia dura cosa.
LXX
Se tacito Ruggier s'affligge et ange
de la battaglia che mal grado prende,
la sua cara moglier lacrima e piange,
come la nuova indi a poche ore intende.
Batte il bel petto, e Pauree chiome frange,
e le guancie innocenti irriga e offende;
e chiama con ramarichi e querele
Ruggiero ingrato, e il suo destin crudele.
LXXI
D'ogm fin che sortisca la contesa,
a lei non pu6 venirne altro che doglia.
Ch'abbia a morir Ruggiero in questa impresa,
pensar non vuol; che par che Jl cor le toglia.
Quando anco, per punir piu d'una offesa,
la ruina di Francia Cristo voglia,
oltre che sara morto il suo fratello,
seguira un danno a lei piu acerbo e fello:
CANTO TRENTESIMOTTAVO IOOI
LXXII
che non potra, se non con biasmo e scorno,
e nimicizia di tutta sua gente,
fare al marito suo mai piu ritorno,
si che lo sappia ognun publicamente,
come s'avea, pensando notte e giorno,
piu volte disegnato ne la mente:
e tra lor era la promessa tale,
che '1 ritrarsi e il pentir piu poco vale.
LXXIII
Ma quella usata ne le cose avverse
di non mancarle di soccorsi fidi,
dico Melissa maga, non sofferse
udirne il pianto e i dolorosi gridi;
e vennc a consolarla, e le proferse,
quando ne fosse il tempo, alti sussidi,
e disturbar quella pugna futura
di ch'ella piange e si pon tanta cura.
LXXIV
Rinaldo intanto e 1'inclito Ruggiero
apparechiavan Parme alia tenzone,
di cui dovea Feletta al cavalliero
che del romano Imperio era campione:
e come quel che, poi che Jl buon destriero
perde Baiardo, and6 sempre pedone,
si elesse a pie, coperto a piastra e a maglia,
con Fazza e col pugnal far la battaglia.
LXXV
O fosse caso, o fosse pur ricordo
di Malagigi suo provido e saggio,
che sapea quanto Balisarda ingordo
il taglio avea di fare alParme oltraggio;
combatter senza spada fur d'accordo
Funo e Faltro guerrier, come detto aggio.
Del luogo s'accordar presso alle mura
de P antique Arli, in una gran pianura.
1002 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
A pena avea la vigilante Aurora
da 1'ostel di Titon fuor messo il capo,
per dare al giorno terminate, e all'ora
ch'era prefissa alia battaglia, capo;
quando di qua e di la vennero fuora
i deputati; e questi in ciascun capo
degli steccati i padiglion tiraro,
appresso ai quali ambi un altar fermaro.
LXXVII
Non molto dopo, instrutto a schiera a schiera,
si vide uscir 1'esercito pagano.
In mezzo armato e suntuoso v'era
di barbarica pompa il re africano;
e s'un baio corsier di chioma nera,
di fronte bianca, e di duo pie balzano,
a par a par con lui venia Ruggiero,
a cui servir non e Marsilio altiero.
Lxxvin
L'elmo, che dianzi con travaglio tanto
trasse di testa al re di Tartaria,
1'elmo, che celebrate in maggior canto
port6 il troiano Ettor mill'anni pria,
gli porta il re Marsilio a canto a canto :
altri principi et altra baronia
s'hanno partite 1'altr'arme fra loro,
ricche di gioie e ben fregiate d'oro.
LXXIX
Da Taltra parte fuor dei gran ripari
re Carlo usci con la sua gente d'arme,
con gli ordini medesmi e modi pari
che terria se venisse al fatto d'armc.
Cingonlo intorno i suoi famosi pari;
e Rinaldo e con lui con tutte 1'arme,
fuor che 1'elmo che fu del re Mambrino,
che porta Ugier Danese paladino.
CANTO TRENTESIMOTTAVO 1003
LXXX
E di due azze ha il duca Namo Tuna,
e Faltra Salamon re di Bretagna.
Carlo da un lato i suoi tutti raguna;
da 1'altro son quei d' Africa e di Spagna.
Nel mezzo non appar persona alcima:
v6to rirnan gran spazio di campagna,
che per bando commune a chi vi sale,
eccetto ai duo guerrieri, e capitale.
LXXXI
Poi che de Farme la seconda eletta
si die al campion del populo pagano,
duo sacerdoti, Tun de Tuna setta,
Taltro de Paltra, uscir coi libri in mano.
In quel del nostro e la vita perfetta
scritta di Cristo; e 1'altro 6 FAlcorano.
Con quel de FEvangelio si fej inante
Timperator, con 1'altro il re Agramante.
LXXXII
Giunto Carlo air altar che statuito
i suoi gli aveano, al ciel levo le palme,
e disse: — O Dio, c'hai di morir patito
per redimer da morte le nostr'alme;
o Donna, il cui valor fu si gradito,
che Dio prese da te 1'umane salme,
e nove mesi fu nel tuo santo alvo,
sempre serbando il fior virgineo salvo:
LXXXIII
siatemi testimoni, ch'io prometto
per me e per ogni mia successione
al re Agramante, et a chi dopo eletto
sara al governo di sua regione,
dar venti some ogni anno d'oro schietto,
s'oggi qui riman vinto il mio campione;
e ch'io prometto subito la triegua
incominciar, che poi perpetua segua:
1004 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
e se 'n cio manco, subito s'accenda
la formidabil ira d'ambidui,
la qual me solo e i miei figliuoli offenda,
non alcun altro che sia qui con nui;
si che in brevissima ora si comprenda
che sia il mancar de la promessa a vui. —
Cosi dicendo, Carlo sul Vangelo
tenea la mano, e gli occhi fissi al cielo.
LXXXV
Si levan quindi, e poi vanno alPaltare
che riccamente avean pagani adorno;
ove giuro Agramante, ch'oltre al mare
con Tesercito suo faria ritorno,
et a Carlo daria tributo pare,
se restasse Ruggier vinto quel giorno ;
e perpetua tra lor triegua saria,
coi patti ch'avea Carlo detti pria.
LXXXVI
E similmente con parlar non basso,
chiamando in testimonio il gran Maumette,
sul libro ch'in man tiene il suo papasso,
cio che detto ha, tutto osservar promette.
Poi del campo si partono a gran passo,
e tra i suoi 1'uno e Taltro si rimette:
poi quel par di campioni a giurar venne;
e Jl giuramento lor questo contenne:
LXXXVII
Ruggier promette, se de la tenzone
il suo re viene o manda a disturbarlo,
che ne suo guerrier piu, ne" suo barone
esser mai vuol, ma darsi tutto a Carlo.
Giura Rinaldo ancor, che se cagione
sara del suo signor quindi levarlo,
fin che non resti vinto egli o Ruggiero,
si fara d' Agramante cavalliero.
CANTO TRENTESIMOTTAVO 1005
LXXXVIII
Poi che le cerimonie finite hanno,
si ritorna ciascun da la sua parte;
ne v'indugiano molto, che lor danno
le chiare trombe segno al fiero marte.
Or gli animosi a ritrovar si vanno,
con senno i passi dispensando et arte.
Ecco si vede incominciar Passalto,
sonar il ferro, or girar basso, or alto.
LXXXIX
Or inanzi col calce, or col martello
accenna quando al capo e quando al piede,
con tal destrezza e con modo si snello,
ch'ogni credenza il raccontarlo eccede.
Ruggier che combattea contra il fratello
di chi la misera alma gli possiede,
a ferir lo venia con tal riguardo,
che stimato ne fu manco gagliardo.
xc
Era a parar, piu ch'a ferire, intento,
e non sapea egli stesso il suo desire:
spegner Rinaldo saria malcontento,
n6 vorria volentieri egli morire.
Ma ecco giunto al termine mi sento,
ove convien Tistoria diferire.
Ne Paltro canto il resto intenderete,
s'udir ne 1'altro canto mi vorrete.
1006 ORLANDO FURIOSO
CANTO TRENTESIMONOKO
L'affanno di Ruggier ben veramente
e sopra ogn'altro duro, acerbo e forte,
di cui travaglia il corpo, e piu la mente,
poi che di due fuggir non puo una morte;
o da Rinaldo, se di lui possente
fia meno, o se fia piu, da la consorte :
che se '1 fratel le uccide, sa ch'incorre
ne Todio suo, che piu che morte aborre.
II
Rinaldo, che non ha simil pensiero,
in tutti i modi alia vittoria aspira:
mena de 1'azza dispettoso e fiero;
quando alle braccia e quando al capo mira.
Volteggiando con 1'asta il buon Ruggiero
ribatte il colpo, e quinci e quindi gira;
e se percuote pur, disegna loco
ove possa a Rinaldo nuocer poco.
in
Alia piu parte dei signer pagani
troppo par disegual esser la zuffa:
troppo & Ruggier pigro a menar le mani,
troppo Rinaldo il giovine ribuffa.
Smarrito in faccia il re degli Africani
mira 1'assalto, e ne sospira e sbuffa:
et accusa Sobrin, da cui precede
tutto Terror, che yl mal consiglio diede.
CANTO TRENTESIMONONO IOOJ
IV
Melissa in questo tempo, ch'era fonte
di quanto sappia incantatore o mago,
avea cangiata la feminil fronte,
e del gran re d'Algier presa Timago:
sembrava al viso, ai gesti Rodomonte,
e parea armata di pelle di drago;
e tal lo scudo e tal la spada al fianco
avea, quale usava egli, e nulla manco.
Spinse il demonic inanzi al mesto figlio
del re Troiano, in forma di cavallo;
e con gran voce e con turbato ciglio
disse : — Signor, questo e pur troppo fallo,
ch'un giovene inesperto a far periglio
contra un si forte e si famoso Gallo
abbiate eletto in cosa di tal sorte,
che '1 regno e Ponor d'Africa n'importe.
VI
Non si lassi seguir questa battaglia,
che ne sarebbe in troppo detrimento.
Su Rodomonte sia, n6 ve ne caglia,
Favere il patto rotto e '1 gmramento,
Dimostri ognun come sua spada taglia:
poi ch'io ci sono, ognun di voi val cento. —
Pote questo parlar si in Agramante,
che senza piu pensar si cacci6 inante.
VII
II creder d'aver seco il re d*Algieri
fece che si cur6 poco del patto;
e non avria di mille cavallieri
giunti in suo aiuto si gran stima fatto.
Perci6 lancie abbassar, spronar destrieri
di qua di la veduto fu in un tratto.
Melissa, poi che con sue fmte larve
la battaglia attacc6, subito sparve.
I0o8 ORLANDO FURIOSO
VIII
I duo campion che vedeno turbarsi
contra ogni accordo, contra ogni promessa,
senza piii Tun con 1'altro travagliarsi,
anzi ogni ingiuria avendosi rimessa,
fede si dan, ne qua ne la impacciarsi,
fin che la cosa non sia meglio espressa,
chi stato sia che i patti ha rotto inante,
o '1 vecchio Carlo, o '1 giovene Agramante.
IX
E replican con nuovi giuramenti
d'esser nimici a chi manco di fede.
Sozzopra se ne van tutte le genti:
chi porta inanzi e chi ritorna il piede.
Chi sia fra i vili, e chi tra i phi valenti
in un atto medesimo si vede:
son tutti parimente al correr presti;
ma quei corrono inanzi, e indietro questi,
x
Come levrier che la fugace fera
correre intorno et aggirarsi mira,
ne puo con gli altri cani andare in schiera,
che '1 cacciator lo tien, si strugge d'ira,
si tormenta, s'affligge e si dispera,
schiattisce indarno, e si dibatte e tira;
cosi sdegnosa infm allora stata
Marfisa era quel di con la cognata.
XI
Fin a quell'ora avean quel di vedute
si ricche prede in spazioso piano;
e che fosser dal patto ritenute
di non poter seguirle e porvi mano,
ramaricate s'erano e dolute,
e n'avean molto sospirato invano.
Or che i patti e le triegue vider rotte,
liete saltar ne Pafricane frotte.
CANTO TRENTESIMONONO
XII
Marfisa caccio 1'asta per lo petto
al primo che scontro, due braccia dietro:
poi trasse il brando, e in men che non Tho detto,
spezzo quattro elmi, che sembrar di vetro.
Bradamante non fe} minore effetto;
ma Tasta d'or tenne diverso metro:
tutti quei che tocco, per terra mise;
duo tanti fur, ne pero alcuno uccise.
XIII
Questo si presso 1'una all'altra fero,
che testimonie se ne fur tra loro;
poi si scostaro, et a ferir si diero,
ove le trasse Pira, il popul Moro.
Chi potra conto aver d'ogni guerriero
ch'a terra mandi quella lancia d'oro ?
o d'ogni testa che tronca o divisa
sia da la orribil spada di Marfisa?
XIV
Come al soffiar de' piu benigni venti,
quando Apennin scuopre Terbose spalle,
muovonsi a par duo turbidi torrenti
che nel cader fan poi diverso calle;
svellono i sassi e gli arbori eminent!
da Talte ripe, e portan ne la valle
le biade e i campi; e quasi a gara fanno
a chi far pu6 nel suo camin piu danno:
xv
cosi le due magnanime guerriere,
scorrendo il campo per diversa strada,
gran strage fan ne Tafricane schiere,
Tuna con Tasta, e Taltra con la spada.
Tiene Agramante a pena alle bandiere
la gente sua, ch'in fuga non ne vada.
Invan domanda, invan volge la fronte;
ne pu6 saper che sia di Rodomonte.
1010 ORLANDO FURIOSO
XVI
A conforto di lui rotto avea il patto
(cosi credea) che fu solennemente,
i dei chiamando in testimonio, fatto;
poi s'era dileguato si repente.
Ne Sobrin vede ancor: Sobrin ritratto
in Arli s'era, e dettosi innocente;
perche di quel pergiuro aspra vendetta
sopra Agramante il di medesmo aspetta.
XVII
Marsilio anco e fuggito ne la terra:
si la religion gli preme il core.
Percio male Agramante il passo serra
a quei che mena Carlo imperatore,
d'ltalia, di Lamagna e d'Inghilterra,
che tutte gente son d'alto valore;
et hanno i paladin sparsi tra loro,
* come le gemme in un riccamo d'oro :
XVIII
e presso ai paladini alcun perfetto
quanto esser possa al mondo cavalliero,
Guidon Selvaggio, 1'intrepido petto,
e i duo famosi figli d'Oliviero.
lo non voglio ridir, ch'io Pho gia detto,
di quel par di donzelle ardito e fiero.
Questi uccidean di genti saracine
tanto, che non v'e numero ne* fine.
XIX
Ma differendo questa pugna alquanto,
io vo' passar senza navilio il mare.
Non ho con quei di Francia da far tanto,
ch'io non m'abbia d'Astolfo a ricordare.
La grazia che gli die Fapostol santo
io v'ho gia detto, e detto aver mi pare,
che '1 re Branzardo e il re de PAlgazera
per girli incontra armasse ogni sua schiera.
CANTO TRENTESIMONONO IOII
XX
Furon di quei ch'aver poteano in fretta
le schiere di tutta Africa raccolte,
non men d'inferma eta che di perfetta;
quasi ch'ancor le femine fur tolte.
Agramante ostinato alia vendetta
avea gia vota 1' Africa due volte.
Poche genti rimase erano, e quelle
esercito facean timido e imbelle.
XXI
Ben lo mostrar; che gli nimici a pena
vider lontan, che se n'andaron rotti.
Astolfo come pecore li mena
dinanzi ai suoi di guerreggiar piu dotti,
e fa restarne la campagna piena:
pochi a Biserta se ne son ridotti.
Prigion rimase Bucifar gagliardo;
salvossi ne la terra il re Branzardo,
XXII
via piu dolente sol di Bucifaro,
che se tutto perduto avesse il resto.
Biserta & grande, e farle gran riparo
bisogna, e senza lui mal pu6 far questo:
poterlo riscattar molto avria caro.
Mentre vi pensa e ne sta afflitto e mesto,
gli viene in mente come tien prigione
gia molti mesi il paladin Dudone.
XXIII
Lo prese sotto a Monaco in riviera
il re di Sarza nel primo passaggio.
Da indi in qua prigion sempre stato era
Dudon che del Danese fu lignaggio.
Mutar costui col re de FAlgazera
pens6 Branzardo, e ne mand6 messaggio
al capitan de' Nubi, perch6 intese
per vera spia ch'egli era Astolfo inglese.
1012 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Essendo Astolfo paladin, comprende
che dee aver caro un paladino sciorre.
II gentil duca, come il caso intende,
col re Branzardo in un voler concorre.
Liberate Dudon, grazie ne rende
al duca, e seco si mette a disporre
le cose che appertengono alia guerra,
cosi quelle da mar, come da terra.
xxv
Avendo Astolfo esercito infinite
da non gli far sette Afriche difesa;
e rammentando come fu ammonite
dal santo vecchio che gli die I'impresa
di tor Provenza e d'Acquamorta il Hto
di man di Saracin che Favean presa;
d'una gran turba fece nuova eletta,
quella ch'al mar gli parve manco inetta.
XXVI
Et avendosi piene ambe le palme,
quanto potean capir, di varie fronde
a lauri, a cedri tolte, a olive, a palme,
venne sul mare, e le gitto ne 1'onde.
Oh felici, e dal ciel ben dilette alme!
Grazia che Dio raro a' mortali infonde!
Oh stupendo miracolo che nacque
di quelle frondi, come fur ne 1'acque!
xxvn
Crebbero in quantita fuor d'ogni stima;
si feron curve e grosse e lunghe e gravi;
le vene ch'attraverso aveano prima,
mutaro in dure spranghe e in grosse travi:
e rimanendo acute inver la cima,
tutte in un tratto diventaro navi
di differenti qualitadi, e tante
quante raccolte fur da varie piante.
CANTO TRENTESIMONONO 1013
XXVIII
Miracol fu veder le fronde sparte
produr fuste, galee, navi da gabbia.
Fu mirabile ancor, che vele e sarte
e remi avean, quanto alcun legno n'abbia.
Non manco al duca poi chi avesse Tarte
di governarsi alia ventosa rabbia;
che di Sardi e di Corsi non remoti,
nocchier, padron, pennesi ebbe e piloti.
XXIX
Quelli che entraro in mar, contati foro
ventiseimila, e gente d'ogni sorte.
Dudon ando per capitano loro,
cavallier saggio, e in terra e in acqua forte.
Stava Farmata ancora al lito moro,
miglior vento aspettando che la porte,
quando un navilio giunse a quella riva,
che di presi guerrier carco veniva.
xxx
Portava quei ch'al periglioso ponte,
ove alle giostre il campo era si stretto,
pigliato avea Taudace Rodomonte,
come piu volte io v'ho di sopra detto.
II cognato tra questi era del conte,
e '1 fedel Brandimarte e Sansonetto,
et altri ancor, che dir non mi bisogna,
d'Alemagna, d* Italia e di Guascogna.
XXXI
Quivi il nocchier, ch'ancor non s'era accorto
degli inimici, entro con la galea,
lasciando molte miglia a dietro il porto
d'Algieri, ove calar prima volea,
per un vento gagliardo ch'era sorto,
e spinto oltre il dover la poppa avea.
Venir tra i suoi credette e in loco fido,
come vien Progne al suo loquace nido.
1014 ORLANDO FURIOSO
XXXII
Ma come poi Fimperiale augello,
i gigli d'oro e i pardi vide appresso,
resto pallido in faccia, come quello
che '1 piede incauto d'improviso ha messo
sopra il serpente venenoso e fello,
dal pigro sonno in mezzo Perbe oppresso;
che spaventato e smorto si ritira,
fuggendo quel, ch'e pien di tosco e d'ira.
XXXIII
Gia non pote fuggir quindi il nocchiero,
ne tener seppe i prigion suoi di piatto.
Con Brandimarte fu, con Oliviero,
con Sansonetto e con mold altri tratto
ove dal duca e dal figliuol d'Uggiero
fu lieto viso agli suo* amici fatto;
e per mercede lui che li condusse,
volson che condannato al remo fusse.
xxxiv
Come io vi dico, dal figliuol d'Otone
i cavallier cristian furon ben visti,
e di mensa onorati al padiglione,
d'arme e di cio che bisogn6 provisti.
Per amor d'essi differ! Dudone
1'andata sua; che non minori acquisti
di ragionar con tai baroni estima,
che d'esser gito uno o duo giorni prima.
xxxv
In che stato, in che termine si trove
e Francia e Carlo, instruzion vera ebbe;
e dove piu sicuramente, e dove,
per far miglior effetto, calar debbe.
Mentre da lor venia intendendo nuove,
s'udi un rumor che tuttavia piu crebbe;
e un dar alParme ne segui si fiero,
che fece a tutti far piu d'un pensiero.
CANTO TRENTESIMONONO 1015
XXXVI
II duca Astolfo e la compagnia bella,
che ragionando insieme si trovaro,
in un memento armati furo e in sella,
e verso il maggior grido in fretta andaro,
di qua di la cercando pur novella
di quel romore; e in loco capitaro
ove videro un uom tanto feroce,
che nudo e solo a tutto Jl campo nuoce.
XXXVII
Menava un suo baston di legno in volta,
che era si duro e si grave e si fermo,
che declinando quel, facea ogni volta
cader in terra un uom peggio ch'infermo.
Gia a piu di cento avea la vita tolta;
ne piu se gli facea riparo o schermo,
se non tirando di lontan saette:
d'appresso non e alcun gia che Faspette.
xxxvni
Dudone, Astolfo, Brandimarte, essendo
corsi in fretta al romore, et Oliviero,
de la gran forza e del valor stupendo
stavan maravigliosi di quel fiero;
quando venir s'un palafren correndo
videro una donzella in vestir nero,
che corse a Brandimarte e salutollo,
e gli alz6 a un tempo ambe le braccia al collo.
XXXIX
Questa era Fiordiligi, che si acceso
avea d'amor per Brandimarte il core,
che quando al ponte stretto il Iasci6 preso,
vicina ad impazzar fu di dolore.
Di la dal mare era passata, inteso
avendo dal pagan che ne fu autore,
che mandato con molti cavallieri
era prigion ne la citta d'AIgieri.
I0l6 ORLANDO FURIOSO
XL
Quando fu per passare, avea trovato
a Marsilia una nave di Levante,
ch'un vecchio cavalliero avea portato
de la famiglia del re Monodante;
il quale molte provincie avea cercato,
quando per mar, quando per terra errante,
per trovar Brandimarte ; che nuova ebbc
tra via di lui, ch'in Francia il troverebbe.
XLI
Et ella, conosciuto che Bardino
era costui, Bardino che rapito
al padre Brandimarte piece-lino,
et a Rocca Silvana avea notrito,
e la cagione intesa del camino,
seco fatto 1'avea scioglier dal lito,
avendogli narrato in che maniera
Brandimarte passato in Africa era.
XLII
Tosto che furo a terra, udir le nuove,
ch'assediata d'Astolfo era Biserta:
che seco Brandimarte si ritrove
udito avean, ma non per cosa certa.
Or Fiordiligi in tal fretta si muove,
come lo vede, che ben mostra aperta
quella allegrezza ch'i precessi guai
le fero la maggior ch'avesse mai.
XLIII
II gentil cavallier, non men giocondo
di veder la diletta e fida moglie
ch'amava piu che cosa altra del mondo,
1'abraccia e stringe e dolcemente accoglie:
ne per saziare al primo ne al secondo
ne al terzo bacio era 1'accese voglie;
se non ch'alzando gli occhi ebbe veduto
Bardin che con la donna era venuto.
CANTO TRENTESIMONONO
XLIV
Stese le mani, et abbracciar lo voile,
e insieme domandar perche venia;
ma di poterlo far tempo gli tolle
il campo ch'in disordine fuggia
dinanzi a quel baston che '1 nudo folle
menava intorno, e gli facea dar via.
Fiordiligi miro quel nudo in fronte,
e grido a Brandimarte: — Eccovi il conte! —
XLV
Astolfo tutto a un tempo, ch'era quivi,
che questo Orlando fosse ebbe palese
per alcun segno che dai vecchi divi
su nel terrestre paradiso intese.
Altrimente restavan tutti privi
di cognizion di quel signor cortese;
che per lungo sprezzarsi, come stolto,
avea di fera piu che d'uomo il volto.
XLVI
Astolfo per pieta che gli traffisse
il petto e il cor, si volse lacrimando;
et a Dudon (che gli era appresso) disse,
et indi ad Oliviero: — Eccovi Orlando! —
Quei gli occhi alquanto e le palpebre fisse
tencndo in lui, Pandar raffigurando;
e Jl ritrovarlo in tal calamitade,
gli empi di maraviglia e di pietade.
LXVII
Piangeano quei signor per la piu parte:
si lor ne dolse, e lor ne 'ncrebbe tanto.
— Tempo e — lor disse Astolfo — trovar arte
di risanarlo, e non di fargli il pianto. —
E salt6 a piedi, e cosi Brandimarte,
Sansonetto, Oliviero e Dudon santo;
e s'aventaro al nipote di Carlo
tutti in un tempo; che volean pigliarlo.
I0l8 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Orlando che si vide fare il cerchio,
meno il baston da disperato e folle;
et a Dudon che si facea coperchio
al capo de lo scudo et entrar voile,
fe' sentir ch'era grave di soperchio:
e se non che Olivier col brando tolle
parte del colpo, avria il bastone ingiusto
rotto lo scudo, Pelmo, il capo e il busto.
XLIX
Lo scudo roppe solo, e su Pelmetto
tempesto si, che Dudon cadde in terra.
Men6 la spada a un tempo Sansonetto;
e del baston piu di duo braccia afferra
con valor tal, che tutto il taglia netto.
Brandimarte ch'adosso se gli serra,
gli cinge i fianchi, quanto puo, con ambe
le braccia, e Astolfo il piglia ne le gambe.
L
Scuotesi Orlando, e lungi dieci passi
da se PInglese fej cader ri verso:
non fa pero che Brandimarte il lassi,
che con piu forza Pha preso a traverse.
Ad Olivier che troppo inanzi fassi,
meno un pugno si duro e si perverso,
che lo fe* cader pallido et esangue,
e dal naso e dagli occhi uscirgli il sangue.
LI
E se non era Pelmo piu che buono,
ch'avea Olivier, Tavria quel pugno ucciso:
cadde per6, come se fatto dono
avesse de lo spirto al paradiso.
Dudone e Astolfo che levati sono,
ben che Dudone abbia gonfiato il viso,
e Sansonetto che '1 bel colpo ha fatto,
adosso a Orlando son tutti in un tratto.
CANTO TRENTESIMONONO IOig
LII
Dudon con gran vigor dietro Pabbraccia,
pur tentando col pie farlo cadere :
Astolfo e gli altri gli han prese le braccia,
ne lo puon tutti insieme anco tenere.
C'ha visto toro a cui si dia la caccia,
e ch'alle orecchie abbia le zanne fiere,
correr mugliando, e trarre ovunque corre
i cani seco, e non potersi sciorre;
LIII
imagini ch' Orlando fosse tale,
che tutti quei guerrier seco traea.
In quel tempo Olivier di terra sale,
la dove steso il gran pugno Tavea;
e visto che cosi si potea male
far di lui quel ch' Astolfo far volea,
si pens6 un modo, et ad effetto il messe,
di far cader Orlando, e gli successe.
LIV
Si fej quivi arrecar piu d'una fune,
e con nodi correnti adatto presto;
et alle gambe et alle braccia alcune
fe' porre al conte, et a traverso il resto.
Di quelle i capi poi parti in commune,
e li diede a tenere a quello e a questo.
Per quella via che maniscalco atterra
cavallo o bue, fu tratto Orlando in terra.
LV
Come egli e in terra, gli son tutti adosso,
e gli legan piu forte e piedi e mani.
Assai di qua di la s'e Orlando scosso,
ma so no i suoi risforzi tutti vani.
Commanda Astolfo che sia quindi mosso,
che dice voler far che si risani,
Dudon ch'e grande, il leva in su le schene,
e porta al mar sopra Pestreme arene.
1020 ORLANDO FURIOSO
LVI
Lo fa lavar Astolfo sette volte,
e sette volte sotto acqua 1'attuffa;
si che dal viso e da le membra stolte
leva la bmtta rugine e la muffa:
poi con certe erbe, a questo effetto colte,
la bocca chiuder fa, che soffia e buffa;
che non volea ch'avesse altro meato
onde spirar, che per lo naso, il flato.
LVII
Aveasi Astolfo apparecchiato il vaso
in che il senno d' Orlando era rinchiuso;
e quello in modo appropinquogli al naso,
che nel tirar che fece il fiato in suso,
tutto il voto: maraviglioso caso!
che ritorno la mente al primier uso;
e nej suoi bei discorsi 1'intelletto
rivenne, piu che mai lucido e netto.
LVI II
Come chi da noioso e grave sonno,
ove o vedere abominevol forme
di mostri che non son, ne ch'esser ponno,
o gli par cosa far strana et enorme,
ancor si maraviglia, poi che donno
e fatto dej suoi sensi, e che non dorme;
cosi, poi che fu Orlando d'error tratto,
rest6 maraviglioso e stupefatto.
UX
E Brandimarte, e il fratel d'Aldabella,
e quel che '1 senno in capo gli ridusse,
pur pensando riguarda, e non favella,
come egli quivi e quando si condusse.
Girava gli occhi in questa parte e in quclla,
ne sapea imaginar dove si fusse.
Si maraviglia che nudo si vede,
e tante funi ha da le spalle al piede.
CANTO TRENTESIMONONO IO2I
LX
Poi disse, come gia disse Sileno
a quei che lo legar nel cavo speco:
Solvite me, con viso si sereno,
con guardo si men de Fusato bieco,
che fu slegato; e dej panni ch'avieno
fatti arrecar participaron seco,
consolandolo tutti del dolore
che lo premea di quel passato errore.
LXI
Poi che fu alPesser primo ritornato
Orlando piu che mai saggio e virile,
d'amor si trovo insieme liberato;
si che colei che si bella e gentile
gli parve dianzi, e ch'avea tanto amato,
non stima piu se non per cosa vile.
Ogni suo studio, ogni disio rivolse
a racquistar quanto gia amor gli tolse.
LXII
Narro Bardino intanto a Brandimarte
che morto era il suo padre Monodante;
e che a chiamarlo al regno egli da parte
veniva prima del fratel Gigliante,
poi de le genti ch'abitan le sparte
isole in mare, e Tultime in Levante;
di che non era un altro regno al mondo
si ricco, populoso, o si giocondo.
LXIII
Disse tra piu ragion che dovea farlo,
che dolce cosa era la patria; e quando
si disponesse di voler gustarlo,
avria poi sempre in odio andare errando.
Brandimarte rispose voler Carlo
servir per tutta questa guerra e Orlando ;
e se potea vederne il fin, che poi
penseria meglio sopra i casi suoi.
1022 ORLANDO FURIOSO
LXIV
II di seguente la sua armata spinse
verso Provenza il figlio del Danese.
Indi Orlando col duca si ristrinse,
et in che stato era la guerra intese:
tutta Biserta poi d'assedio cinse,
dando pero 1'onore al duca inglese
d'ogni vittoria; ma quel duca il tutto
facea, come dal conte venia instrutto.
LXV
Ch'ordine abbian tra lor, come s'assaglia
la gran Biserta, e da che lato e quando,
come fu presa alia prima battaglia,
chi ne 1'onor parte ebbe con Orlando,
s'io non vi seguito ora, non vi caglia;
ch'io non me ne vo molto dilungando.
In questo mezzo di saper vi piaccia
come dai Franchi i Mori hanno la caccia.
LXVI
Fu quasi il re Agramante abbandonato
nel pericol maggior di quella guerra;
che con molti pagani era tomato
Marsilio e '1 re Sobrin dentro alia terra,
poi su Tarmata e questo e quel montato,
che dubbio avean di non salvarsi in terra;
e duci e cavallier del popul Moro
molti seguito avean 1'esempio loro.
LXVII
Pure Agramante la pugna sostiene;
e quando finalmente piu non puote,
volta le spalle, e la via dritta tiene
alle porte non troppo indi remote.
Rabican dietro in gran fretta gli viene,
che Bradamante stimola e percuote:
d'ucciderlo era disiosa molto;
che tante volte il suo Ruggier le ha tolto.
CANTO TRENTESIMONONO 1023
LXVIII
II medesmo desir Marfisa avea,
per far del padre suo tarda vendetta;
e con gli sproni, quanto piu potea,
facea il destrier sentir ch'ella avea fretta.
Ma ne 1'una ne 1'altra vi giungea
si a tempo, che la via fosse intercetta
al re d'entrar ne la citta serrata,
et indi poi salvarsi in su Tarmata.
LXIX
Come due belle e generose parde
che fuor del lascio sien di pari uscite,
poscia ch'i cervi o le capre gagliarde
indarno aver si veggano seguite,
vergognandosi quasi, che fur tarde,
sdegnose se ne tornano e pentite;
cosi tornar le due donzelle, quando
videro il pagan salvo, sospirando.
LXX
Non per6 si fermar; ma ne la frotta
degli altri che fuggivano cacciarsi,
di qua di la facendo ad ogni botta
molti cader senza mai piu levarsi.
A mal partito era la gente rotta,
che per fuggir non potea ancor salvarsi;
ch'Agramante avea fatto per suo scampo
chiuder la porta ch'uscia verso il campo,
LXXI
e fatto sopra il Rodano tagliare
i ponti tutti. Ah sfortunata plebe,
che dove del tiranno utile appare,
sempre e in conto di pecore e di zebe!
Chi s'affoga nel flume e chi nel mare,
chi sanguinose fa di s6 le glebe.
Molti perir, pochi restar prigioni;
che pochi a farsi taglia erano buoni.
1024 ORLANDO FURIOSO
LXXII
De la gran moltitudine ch'uccisa
fu da ogni parte in questa ultima guerra
(ben che la cosa non fu ugual divisa;
ch'assai piu andar dei Saracin sotterra
per man di Bradamante e di Marfisa),
se ne vede ancor segno in quella terra;
che presso ad Arli, ove il Rodano stagna,
piena di sepolture e la campagna.
LXXIII
Fatto avea intanto il re Agramante sciorre
e ritirar in alto i legni gravi,
lasciando alcuni, e i piu leggieri, a torre
quei che volean salvarsi in su le navi.
Vi ste? duo di per chi fuggia raccorre,
e perche venti eran contrari e pravi:
fece lor dar le vele il terzo giorno;
ch'in Africa credea di far ritorno.
LXXIV
II re Marsilio che sta in gran paura
ch'alla sua Spagna il fio pagar non tocche,
e la tempesta orribilmente oscura
sopra suoi campi all'ultimo non scocche;
si fe' porre a Valenza, e con gran cura
comincio a riparar castella e r6cche,
e preparar la guerra che fu poi
la sua ruina e degli amici suoi.
LXXV
Verso Africa Agramante alzo le vele
de' legni male armati, e voti quasi;
d'uomini voti, e pieni di querele,
perch'in Francia i tre quarti eran rimasi.
Chi chiama il re superbo, chi crudelc,
chi stolto; e come avviene in simil casi,
tutti gli voglion mal ne' lor secreti;
ma timor n'hanno, e stan per forza cheti.
CANTO TRENTESIMONONO IO25
LXXVI
Pur duo talora o tre schiudon le labbia,
ch'amici sono, e che tra lor s'han fede,
e sfogano la colera e la rabbla;
e '1 misero Agramante ancor si crede
ch'ognun gli porti amore, e pieta gli abbia:
e questo gl'intervien perche non vede
mai visi se non finti, e mai non ode
se non adulazion, menzogne e frode.
LXXVI I
Erasi consigliato il re africano
di non smontar nel porto di Biserta,
pero ch'avea del popul nubiano,
che quel lito tenea, novella certa;
ma tenersi di sopra si lontano,
che fosse acre la discesa et erta;
mettersi in terra, e ritornare al dritto
a dar soccorso al suo populo afflitto.
LXXVIII
Ma il suo fiero destin, che non risponde
a quella intenzion provida e saggia,
vuol che Farmata che nacque di fronde
miracolosamente ne la spiaggia,
e vien solcando inverso Francia 1'onde,
con questa ad incontrar di notte s'aggia,
a nubiloso tempo, oscuro e tristo,
perche sia in phi disordine sprovisto.
LXXIX
Non ha avuto Agramante ancora spia
ch'Astolfo mandi una armata si grossa;
ne creduto anco, a chi '1 dicesse, avria
che cento navi un ramuscel far possa:
e vien senza temer ch'intorno sia
che contra lui s'ardisca di far mossa;
n6 pone guardie ne" veletta in gabbia,
che di ci6 che si scuopre avisar abbia.
1026 ORLANDO FURIOSO
LXXX
Si che i navili che d'Astolfo avuti
avea Dudon, di buona gente armati,
e che la sera avean questi veduti,
et alia volta lor s'eran drizzati,
assalir gli nimici sproveduti,
gittaro i ferri, e sonsi incatenati,
poi ch'al parlar certificati foro
ch'erano Mori, e gli nimici loro.
LXXXI
Ne Parrivar che i gran navili fenno
(spirando il vento a* lor desir secondo),
nei Saracin con tale impeto denno,
che molti legni ne cacciaro al fondo.
Poi cominciaro oprar le mani e il senno,
e ferro e fuoco e sassi di gran pondo
tirar con tanta e si fiera tempesta,
che mai non ebbe il mar simile a questa,
LXXXII
Quei di Dudone, a cui possanza e ardire
piu del solito e lor dato di sopra
(che venuto era il tempo di punire
i Saracin di piu d'una mal'opra),
sanno appresso e lontan si ben ferire,
che non trova Agramante ove si cuopra.
Gli cade sopra un nembo di saette;
da lato ha spade e graffi e picche e accette.
LXXXIII
D'alto cader sente gran sassi e gravi
da machine cacciati e da tormenti;
e prore e poppe fraccassar de navi,
et aprire usci al mar larghi e patenti ;
e '1 maggior danno e de Fincendi pravi,
a nascer presti, ad ammorzarsi lenti.
La sfortunata ciurma si vuol torre
del gran periglio, e via piu ognor vi corre.
CANTO TRENTESIMONONO 1027
LXXXIV
Altri che '1 ferro e rinimico caccia,
nel mar si getta, e vi s'affoga e resta:
altri che muove a tempo piedi e braccia,
va per salvarsi o in quella barca o in questa;
ma quella, grave oltre il dover, lo scaccia,
e la man, per salir troppo molesta,
fa restare attaccata ne la sponda:
ritorna il resto a far sanguigna Fonda.
LXXXV
Altri che spera in mar salvar la vita,
o perderlavi almen con minor pena,
poi che notando non ritrova aita,
e mancar sente 1'animo e la lena,
alia vorace fiamma c'ha fuggita
la tema di annegarsi anco rimena:
s'abbraccia a un legno ch'arde, e per timore
c'ha di due morte, in ambe se ne muore,
LXXXVI
Altri per tema di spiedo o d'accetta
che vede appresso, al mar ricorre invano,
perche dietro gli vien pietra o saetta
che non lo lascia andar troppo lontano.
Ma saria forse, mentre che diletta
il mio cantar, consiglio utile e sano
di finirlo piu tosto che seguire
tanto, che v'annoiasse il troppo dire.
1028 ORLANDO FURIOSO
CANTO QUARANTESIMO
I
Lungo sarebbe se i diversi casi
volessi dir di quel naval conflitto;
e raccontarlo a voi mi parria quasi,
magnanimo figliuol d'Ercole invitto,
portar, come si dice, a Samo vasi,
nottole 'Atene, e crocodili a Egitto;
che quanto per udita io ve ne parlo,
Signor, miraste, e feste altrui mirarlo.
II
Ebbe lungo spettacolo il fedele
vostro popul la notte e '1 di che stette,
come in teatro, Tinimiche vele
mirando in Po tra ferro e fuoco astrette.
Che gridi udir si possano e querele,
ch'onde veder di sangue umano infette,
per quanti modi in tal pugna si muora,
vedeste, e a molti dimostraste allora.
m
No! vide io gia, ch'era sei giorni inanti,
mutando ogn'ora altre vetture, corso
con molta fretta e molta ai piedi santi
del gran Pastore a domandar soccorso:
poi ne cavalli bisognar ne fanti;
ch'intanto al Leon d'or 1'artiglio e '1 morso
fu da voi rotto si, che piu molesto
non 1'ho sentito da quel giorno a questo.
CANTO QUARANTESIMO IO2<)
IV
Ma Alfonsin Trotto il qual si trovo in fatto,
Annibal e Pier Moro e Afranio e Alberto,
e tre Ariosti, e il Bagno e il Zerbinatto
tanto me ne contar, ch'io ne fui certo:
me ne chiarir poi le bandiere affatto,
vistone al tempio il gran numero offerto,
e quindice galee ch'a queste rive
con mille legni star vidi captive.
v
Chi vide quelli incendii e quei naufragi,
le tante uccisioni e si diverse,
che vendicando i nostri arsi palagi,
fin che fu preso ogni navilio, ferse;
potra veder le morti anco e i disagi
che '1 miser popul d'Africa sofferse
col re Agramante in mezzo Fonde salse,
la scura notte che Dudon Tassalse.
VI
Era la notte, e non si vedea lume,
quando s'incominciar 1'aspre contese:
ma poi che '1 zolfo, e la pece, e '1 bitume
sparso in gran copia, ha prore e sponde accese,
e la vorace fiamma arde e consume
le navi e le galee poco difese;
si chiaramente ognun si vedea intorno,
che la notte parea mutata in giorno.
VII
Onde Agramante che per Taer scuro
non avea Pinimico in si gran stima,
ne aver contrasto si credea si duro,
che resistendo al fin non lo reprima;
poi che rimosse le tenebre furo,
e vide quel che non credeva in prima,
che le navi nimiche eran duo tante,
fece pensier diverso a quel d'avante.
1030 ORLANDO FURIOSO
VIII
Smonta con pochi, ove in piu lieve barca
ha Brigliadoro e Taltre cose care.
Tra legno e legno taciturno varca,
fin che si trova in piu sicuro mare
da' suoi lontan, che Dudon preme e carca,
e mena a condizioni acri et amare.
Gli arde il foco, il mar sorbe, il ferro strugge:
egli che n'e cagion via se ne fugge.
IX
Fugge Agramante, et ha con lui Sobrino,
con cui si duol di non gli aver creduto,
quando previde con occhio divino,
e '1 mal gli annunzio ch'or gli e avvenuto,
Ma torniamo ad Orlando paladino,
che prima che Biserta abbia altro aiuto,
consiglia Astolfo che la getti in terra,
si che a Francia mai piu non faccia guerra.
x
E cosi fu publicamente detto
che '1 campo in arme al terzo di sia instrutto.
Molti navili Astolfo a questo effetto
tenuti avea, ne" Dudon n'ebbe il tutto;
di quai diede il governo a Sansonetto,
si buon guerrier al mar come all'asciutto:
e quel si pose, in su Tancore sorto,
contra a Biserta, un miglio appresso al porto.
XI
Come veri cristiani Astolfo e Orlando,
che senza Dio non vanno a rischio alcuno,
ne 1'esercito fan publico bando
che sieno orazion fatte e digiuno;
e che si trovi il terzo giorno, quando
si dara il segno, apparecchiato ogniuno
per espugnar Biserta, che data hanno,
vinta che s'abbia, a fuoco e a saccomanno.
CANTO QUARANTESIMO 1031
XII
E cosi, poi che le astinenzie e i voti
devotamente celebrati foro,
parenti, amici, e gli altri insieme noti
si cominciaro a convitar tra loro.
Dato restauro a' corpi esausti e voti,
abbracciandosi insieme lacrimoro,
tra loro usando i modi e le parole
che tra i pin cari al dipartir si suole.
XIII
Dentro a Biserta i sacerdoti santi
supplicando col populo dolente,
battonsi il petto, e con dirotti pianti
chiamano il lor Macon che nulla sente.
Quanta vigilie, quante offerte, quanti
doni promessi son privatamente!
quanto in publico templi, statue, altari,
memoria eterna de' lor casi amari!
XIV
E poi che dal Cadi fu benedetto,
prese il populo 1'arme, e torn6 al muro.
Ancor giacea col suo Titon nel letto
la bella Aurora, et era il cielo oscuro,
quando Astolfo da un canto, e Sansonetto
da un altro, armati agli ordini lor furo:
e poi che '1 segno che die il conte udiro,
Biserta con grande impeto assaliro.
xv
Avea Biserta da duo canti il mare,
sedea dagli altri duo nel lito asciutto.
Con fabrica eccellente e singulare
fu antiquamente il suo muro construtto.
Poco altro ha che Tahiti o la ripare;
che poi che '1 re Branzardo fu ridutto
dentro da quella, pochi mastri, e poco
pote aver tempo a riparare il loco.
1032 ORLANDO FURIOSO
XVI
Astolfo da 1'assunto al re de' Nerl,
che faccia a' merli tanto nocumento
con falariche, fonde e con arcieri,
che levi d'afTacciarsi ogni ardimento;
si che passin pedoni e cavallieri
fin sotto la muraglia a salvamento,
che vengon chi di pietre e chi di travi,
chi d'asce e chi d'altra materia gravi.
xvir
Chi questa cosa e chi quelPaltra getta
dentro alia fossa, e vien di mano in mano;
di cui Pacqua il di inanzi fu intercetta,
si che in piu parti si scopria il pantano.
Ella fu piena et atturata in fretta,
e fatto uguale insin al muro il piano.
Astolfo, Orlando et Olivier procura
di far salir i fanti in su le mura.
XVIII
I Nubi d'ogni indugio impazienti,
da la speranza del guadagno tratti,
non mirando a' pericoli imminenti,
coperti da testuggini e da gatti,
con arieti e loro altri instrument!
a forar torri, e porte rompere atti,
tosto si fero alia citta vicini;
n6 trovaro sprovisti i Saracini:
XIX
che ferro e fuoco e merli e tetti gravi
cader facendo a guisa di tempeste,
per forza aprian le tavole e le travi
de le machine in lor danno conteste.
Ne Paria oscura e nei principii pravi
molto patir le battezzate teste;
ma poi che '1 sole usci del ricco albergo,
volt6 Fortuna ai Saracini il tergo.
CANTO QUARANTESIMO 1033
XX
Da tutti i canti risforzar Tassalto
fe' il conte Orlando e da mare e da terra.
Sansonetto ch'avea Tarmata in alto
entro nel porto e s'accosto alia terra;
e con frombe e con archi facea d'alto,
e con varii tormenti estrema guerra;
e facea insieme espedir lance e scale,
ogni apparecchio e munizion navale.
XXI
Facea Oliviero, Orlando e Brandimarte,
e quel che fu si dianzi in aria ardito,
aspra e fiera battaglia da la parte
che lungi al mare era pm dentro al lito.
Ciascun d'essi venia con una parte
de 1'oste che s'avean quadripartito.
Quale a mur, quale a porte, e quale altrove,
tutti davan di se" lucide prove.
xxn
II valor di ciascun meglio si puote
veder cosi, che se fosser confusi:
chi sia degno di premio e chi di note,
appare inanzi a milFocchi non chiusi.
Torri di legno trannosi con ruote,
e gli elefanti altre ne portano usi,
che su lor dossi cosi in alto vanno,
che i merli sotto a molto spazio stanno.
XXIII
Vien Brandimarte, e pon la scala a1 muri,
e sale, e di salir altri conforta:
lo seguon molti intrepidi e sicuri;
che non pu6 dubitar chi Pha in sua scorta.
Non e chi miri, o chi mirar si curi,
se quella scala il gran peso comporta.
Sol Brandimarte agli nimici attende;
pugnando sale, e al fine un merlo prende.
1034 ORLANDO FURIOSO
XXIV
E con mano e con pie quivi s'attacca,
salta sui merli, e mena il Brando in volta,
urta, riversa e fende e fora e ammacca,
e di se mostra esperienzia molta.
Ma tutto a un tempo la scala si fiacca,
che troppa soma e di soperchio ha tolta:
e for che Brandimarte, giu nel fosso
vanno sozzopra, e Tuno all'altro adosso.
xxv
Per cio non perde il cavallier Pardire,
ne pensa riportare a dietro il piede;
ben che de* suoi non vede alcun seguirc,
ben che berzaglio alia citta si vede.
Pregavan molti (e non volse egli udire)
che ritornasse; ma dentro si diede:
dico che giu ne la citta d'un salto
dal muro entr6, che trenta braccia era alto.
XXVI
Come trovato avesse o pmme o paglia,
presse il duro terren senza alcun danno;
e quei c'ha intorno affrappa e fora e taglia,
come s'affrappa e taglia e fora il panno.
Or contra questi or contra quei si scaglia;
e quelli e questi in fuga se ne vanno.
Pensano quei di fuor, che Than veduto
dentro saltar, che tardo fia ogni aiuto.
XXVII
Per tutto '1 campo alto rumor si spande
di voce in voce, e '1 mormorio e '1 bisbiglio.
La vaga Fama intorno si fa grande,
e narra, et accrescendo va il periglio.
Ove era Orlando (perch6 da piu bande
si dava assalto), ove d'Otone il figlio,
ove Olivier, quella volando venne,
senza posar mai le veloci penne.
CANTO QUARANTESIMO 1035
XXVIII
Quest! guerrier, e piii di tutti Orlando,
ch'amano Brandimarte e Phanno in pregio,
udendo che se van troppo indugiando,
perderanno un compagno cosi egregio,
piglian le scale, e qua e la montando,
mostrano a gara animo altiero e regio,
con si audace sembiante e si gagliardo,
che i nimici tremar fan con lo sguardo.
XXIX
Come nel mar che per tempesta freme,
assaglion Tacque il temerario legno,
ch'or da la prora, or da le parti estreme
cercano entrar con rabbia e con isdegno;
il pallido nocchier sospira e geme,
ch'aiutar deve, e non ha cor ne ingegno;
una onda viene al fin ch'occupa il tutto,
e dove quella entr6 segue ogni flutto:
xxx
cosi dipoi ch'ebbono presi i muri
questi tre primi, fu si largo il passo,
che gli altri ormai seguir ponno sicuri,
che mille scale hanno fermate al basso.
Aveano intanto gli arieti duri
rotto in piu lochi, e con si gran fraccasso,
che si poteva in piu che in una parte
soccorrer ranimoso Brandimarte.
XXXI
Con quel furor che '1 re dej fiumi altiero,
quando rompe talvolta argini e sponde,
e che nei campi Ocnei s'apre il sentiero,
e i grassi solchi e le biade feconde,
e con le sue capanne il gregge intero,
e coi cani i pastor porta ne Tonde;
guizzano i pesci agli olmi in su la cima,
ove solean volar gli augelli in prima:
1036 ORLANDO FURIOSO
XXXII
con quel furor Timpetuosa gente,
la dove avea in piu parti il muro rotto,
entro col ferro e con la face ardente
a distrugere il popul mal condotto.
Omicidio, rapina e man violente
nel sangue e ne Faver, trasse di botto
la ricca e trionfal citta a ruina,
che fu di tutta r Africa regina.
xxxm
D'uomini morti pieno era per tutto;
e de le innumerabili ferite
fatto era un stagno piu scuro e piu brutto
di quel che cinge la citta di Dite.
Di casa in casa un lungo incendio indutto
ardea palagi, portici e meschite.
Di pianti e d'urli e di battuti petti
suonano i v6ti e depredati tetti,
XXXIV
I vincitori uscir de le funeste
porte vedeansi di gran preda onusti,
chi con bei vasi e chi con ricche veste,
chi con rapiti argenti a* dei vetusti:
chi traea i figli, e chi le madri meste.
Fur fatti stupri e mille altri atti ingiusti,
dei quali Orlando una gran parte intese,
ne lo pot£ vietar, n6 '1 duca inglese.
xxxv
Fu Bucifar de PAlgazera morto
con esso un colpo da Olivier gagliardo.
Perduta ogni speranza, ogni conforto,
s'uccise di sua mano il re Branzardo*
Con tre ferite, onde mori di corto,
fu preso Folvo dal duca dal Pardo.
Questi eran tre ch'al suo partir lasciato
avea Agramante a guardia de lo stato.
CANTO QUARANTESIMO 1037
XXXVI
Agramante ch'intanto avea deserta
1'armata, e con Sobrin n'era fuggito,
pianse da lungi e sospiro Biserta,
veduto si gran fiamma arder sul lito.
Poi piu d'appresso ebbe novella certa
come de la sua terra il caso era ito:
e d'uccider se stesso in pensier venne,
e lo facea; ma II re Sobrin lo tenne.
XXXVII
Dicea Sobrin:— Che piu vittoria lieta,
signor, potrebbe il tuo inimico avere,
che la tua morte udire, onde quieta
si speraria poi TAfrica godere ?
Questo contento il viver tuo gli vieta:
quindi avra cagion sempre di temere.
Sa ben che lungamente Africa sua
esser non pu6, se non per morte tua.
XXXVIII
Tutti i sudditi tuoi, morendo, privi
de la speranza, un ben che sol ne rest a.
Spero che n'abbi a liberar, se vivi,
e trar d'affanno e ritornarne in festa.
So che se muori, sian sempre captivi,
Africa sempre tributaria e mesta.
Dunque, s'in util tuo viver non vuoi,
vivi, signer, per non far danno ai tuoi.
xxxix
Dal soldano d'Egitto, tuo vicino,
certo esser puoi d'aver danari e gente:
malvolentieri il figlio di Pipino
in Africa vedra tanto potente.
Verra con ogni sforzo Norandino
per ritornarti in regno, il tuo parente:
Armeni, Turchi, Persi, Arabi e Medi,
tutti in soccorso avrai, se tu li chiedi. —
1038 ORLANDO FURIOSO
XL
Con tali e simil detti il vecchio accorto
studia tornare il suo signore in speme
di racquistarsi F Africa di corto;
ma nel suo cor forse il contrario teme:
sa ben quanto e a mal termine e a mal porto,
e come spesso invan sospira e geme
chiunque il regno suo si lascia torre,
e per soccorso aj barbari ricorre.
XLI
Annibal e lugurta di ci6 foro
buon testimoni, et altri al tempo antico:
al tempo nostro Ludovico il Moro,
dato in poter d'un altro Ludovico.
Vostro fratello Alfonso da costoro
ben ebbe esempio (a voi, Signor mio, dico),
che sempre ha riputato pazzo espresso
chi piu si fida in altri ch'in se stesso.
XLII
E per6 ne la guerra che gli mosse
del pontefice irato un duro sdegno,
ancor che ne le deboli sue posse
non potessi egli far molto disegno,
e chi lo difendea, d* Italia fosse
spinto, e n'avesse il suo nimico il regno;
ne per minaccie mai ne per promesse
s'indusse che lo stato altrui cedesse.
XLIJI
II re Agramante aU'oriente avea
volta la prora, e s'era spinto in alto,
quando da terra una tempesta rea
mosse da banda impetuoso assalto.
II nocchier ch'al governo vi sedea:
— lo veggo — disse alzando gli occhi ad alto
— una procella apparecchiar si grave,
che contrastar non le potra la nave.
CANTO QUARANTESIMO 1039
XLIV
S'attendete, signori, al mio consiglio,
qui da man manca ha un'isola vicina,
a cui mi par ch'abbiamo a dar di piglio,
fin che passi il furor de la marina. —
Consent! il re Agramante; e di periglio
usci, pigliando la spiaggia mancina,
che per salute de? nocchieri giace
tra gli Afri e di Vulcan Falta fornace.
XLV
D'abitazioni e Pisoletta vota,
piena d'umil mortelle e di ginepri,
ioconda solitudine e remota
a cervi, a daini, a capriuoli, a lepri;
e fuor ch'a piscatori, e poco nota,
ove sovente a rimondati vepri
sospendon per seccar Tumide reti:
dormeno intanto i pesci in mar quieti.
XLVI
Quivi trovar che s'era un altro legno,
cacciato da fortuna, gia ridutto:
il gran guerrier ch'in Sericana ha regno,
levato d'Arli, avea quivi condutto.
Con modo riverente e di se degno
Tun re con Taltro s'abbracci6 all'asciutto;
ch'erano amici, e poco inanzi furo
compagni d'arme al parigino muro.
XLVII
Con molto dispiacer Gradasso intese
del re Agramante le fortune awerse:
poi confortollo, e come re cortese,
con la propria persona se gli ofFerse:
ma che egli andasse airinfedel paese
d'Egitto, per aiuto, non sofferse.
— Che vi sia — disse — periglioso gire,
dovria Pompeio i profugi ammonire.
1040
ORLANDO FURIOSO
XLVIII
E perche detto m'hai che con 1'aiuto
degli Etiopi, sudditi ai Senapo,
Astolfo a torti 1' Africa e venuto,
e ch'arsa ha la citta che n'era capo;
e ch'Orlando e con lui, che diminuto
poco inanzi di senno aveva il capo;
mi pare al tutto un ottimo rimedio
aver pensato a farti uscir di tedio.
XLIX
10 pigliero per amor tuo Pimpresa
d'entrar col conte a singular certame.
Contra me so che non avra difesa,
se tutto fosse di ferro o di rame.
Morto lui, stimo la cristiana Chiesa,
quel che 1'agnelle il lupo ch'abbia fame.
Ho poi pensato (e mi fia cosa lieve)
di fare i Nubi uscir d' Africa in breve.
L
Far6 che gli altri Nubi che da loro
11 Nilo parte e la diversa legge,
e gli Arabi e i Macrobi, questi d'oro
ricchi e di gente, e quei d'equino gregge,
Persi e Caldei (perche tutti costoro
con altri molti il mio scettro corregge);
far6 ch'in Nubia lor faran tal guerra,
che non si fermeran ne la tua terra. —
LI
Al re Agramante assai parve oportuna
del re Gradasso la seconda offerta;
e si chiamo obligato alia Fortuna,
che 1'avea tratto alPisola deserta:
ma non vuol torre a condizione alcuna,
se racquistar credesse indi Biserta,
che battaglia per lui Gradasso prenda;
che 'n cio gli par che Ponor troppo offenda.
CANTO QUARANTESIMO 1041
LII
— S'a disfidar s'ha Orlando, son quell'io —
rispose —- a cui la pugna piu conviene:
e pronto vi saro; poi faccia Dio
di me, come gli pare, o male o bene.
— Faccian — disse Gradasso — al modo mio,
a un nuovo modo ch'in pensier mi viene:
questa battaglia pigliamo ambedui
incontra Orlando, e un altro sia con lui.
LIII
— Pur ch'io non resti fuor, non me ne lagno, —
disse Agramante — o sia primo o secondo:
ben so ch'in arme ritrovar compagno
di te miglior non si puo in tutto '1 mondo.
— Et io — disse Sobrin — dove rimagno ?
E se vecchio vi paio, vi rispondo
ch'io debbo esser piia esperto; e nel periglio
presso alia forza & buono aver consiglio. —
LIV
D'una vecchiezza valida e robusta
era Sobrino, e di famosa prova;
e dice ch'in vigor 1'eta vetusta
si sente pari alia gia verde e nuova.
Stimata fu la sua domanda giusta;
e senza indugio un messo si ritrova,
il qual si mandi agli africani lidi,
e da lor parte il conte Orlando sfidi;
LV
che s'abbia a ritrovar con numer pare
di cavallieri armati in Lipadusa.
Una isoletta e questa, che dal mare
medesmo che li cinge e circonfusa.
Non cessa il messo a vela e a remi andare,
come quel che prestezza al bisogno usa,
che fu a Biserta; e trov6 Orlando quivi,
ch'a' suoi le spoglie dividea e i captivi.
1042 ORLANDO FURIOSO
LVI
Lo 'nvito di Gradasso e d'Agramante
e di Sobrino in publico fu espresso,
tanto giocondo al principe d'Anglante,
che d'ampli doni onorar fece il messo.
Avea dai suoi compagni udito inante
che Durindana al franco s'avea messo
il re Gradasso: onde egli per desire
di racquistarla in India volea gire,
LVI I
stimando non aver Gradasso altrove,
poi ch'udi che di Francia era partito.
Or piu vicin gli e offerto luogo, dove
spera che '1 suo gli fia restituito.
II bel corno d' Almonte anco io muove
ad accettar si volentier lo 'nvito,
e Brigliador non men; che sapea in mano
esser venuti al figlio di Troiano.
LVIII
Per compagno s'elegge alia battaglia
il fedel Brandimarte e '1 suo cognate.
Provato ha quanto Puno e Taltro vaglia;
sa che da trambi e sommamente amato.
Buon destrier, buona piastra e buona maglia,
e spade cerca e lancie in ogni lato
a s£ e a' compagni: che sappiate panne
che nessun d'essi avea le solite arme.
LIX
Orlando (come io v'ho detto piti volte)
de le sue sparse per furor la terra:
agli altri ha Rodomonte le lor tolte,
ch'or alta torre in ripa un fiume serra.
Non se ne pu6 per Africa aver molte;
si perche" in Francia avea tratto alia guerra
il re Agramante cio ch'era di buono,
si perche poche in Africa ne sono.
CANTO QUARANTESIMO 1043
LX
Cio che di ruginoso e di brunito
aver si pu6, fa ragunare Orlando;
e coi compagni intanto va pel lito
de la futura pugna ragionando.
Gli avvien ch'essendo fuor del campo uscito
piu di tre miglia, e gli occhi al mare alzando,
vide calar con le vele alte un legno
verso il lito african senza ritegno.
LXI
Senza nocchieri e senza naviganti,
sol come il vento e sua fortuna il mena,
venia con le vele alte il legno avanti,
tanto che se ritenne in su Farena.
Ma prima che di questo piu vi canti,
1'amor ch'a Ruggier porto mi rimena
alia sua istoria, e vuol ch'io vi racconte
di lui e del guerrier di Chiaramonte.
LXII
Di questi duo guerrier dissi che tratti
s'erano fuor del marziale agone,
viste convenzion rompere e patti,
e turbarsi ogni squadra e legione.
Chi prima i giuramenti abbia disfatti,
e stato sia di tanto mal cagione,
o Pimperator Carlo, o il re Agramante,
studian saper da chi lor passa avante.
LXIII
Un servitor intanto di Ruggiero,
ch'era fedel e pratico et astuto,
ne" pel conflitto dei duo campi fiero
avea di vista il patron mai perduto,
venne a trovarlo, e la spada e '1 destriero
gli diede, perche a' suoi fosse in aiuto.
Mont6 Ruggiero e la sua spada tolse,
ma ne la zuffa entrar non per6 volse.
1044 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Quindi si parte; ma prima rinuova
la convenzion che con Rinaldo avea;
che se pergiuro il suo Agramante trova,
lo lasciera con la sua setta rea.
Per quel giorno Ruggier fare altra prova
d'arme non volse; ma solo attendea
a fermar questo e quello, e a domandarlo
chi prima roppe, o '1 re Agramante, o Carlo.
LXV
Ode da tutto Jl mondo che la parte
del re Agramante fu che roppe prima.
Ruggiero ama Agramante, e se si parte
da lui per questo, error non lieve stima.
Fur le gente africane e rotte e sparte
(questo ho gia detto inanzi), e da la cima
de la volubil ruota tratte ai fondo,
come piacque a colei ch'aggira ii mondo.
LXVI
Tra se volve Ruggiero e fa discorso,
se restar deve, o il suo signor seguire.
Gli pon Pamor de la sua donna un morso
per non lasciarlo in Africa piu gire:
lo volta e gira, et a contrario corso
lo sprona, e lo minaccia di punire,
se '1 patto e '1 giuramento non tien saldo
che fatto avea col paladin Rinaldo.
LXVII
Non men da P altra parte sferza e sprona
la vigilante e stimulosa cura,
che s'Agramante in quel caso abbandona,
a vilta gli sia ascritto et a paura.
Se del restar la causa parra buona
a molti, a molti ad accettar fia dura.
Molti diran che non si de' osservare
quel ch'era ingiusto e illicito a giurare.
CANTO QUARANTESIMO 1045
LXVIII
Tutto quel giorno e la notte seguente
stette solingo, e cosi 1'altro giorno,
pur travagliando la dubbiosa mente,
se partir deve o far quivi soggiorno.
Pel signor suo conclude finalmente
di fargli dietro in Africa ritorno.
Potea in lui molto il coniugale amore,
ma vi potea piu il debito e 1'onore.
LXIX
Torna verso Arli ; che trovarvi spera
1'armata ancor, ch'in Africa il transport!:
ne legno in mar ne dentro alia rivera,
ne Saracini vede se non morti.
Seco al partire ogni legno che v'era
trasse Agramante, e '1 resto arse nei porti.
Fallitogli il pensier, prese il camino
verso Marsilia pel lito marine.
LXX
A qualche legno pensa dar di piglio,
ch'a prieghi o forza il porti all'altra riva.
Gia v'era giunto del Danese il figlio
con 1'armata de' barbari captiva.
Non si avrebbe potuto un gran di miglio
gittar ne 1'acqua: tanto la copriva
la spessa moltitudine de navi,
di vincitori e di prigioni gravi.
LXXI
Le navi de' pagani, ch'avanzaro
dal fuoco e dal naufragio quella notte,
eccetto poche ch'in fuga n'andaro,
tutte a Marsilia avea Dudon condotte.
Sette di quei ch'in Africa regnaro,
che, poi che le lor genti vider rotte,
con sette legni lor s'eran renduti,
stavan dolenti, lacrimosi e muti.
1046 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Era Dudon sopra la spiaggia uscito,
ch'a trovar Carlo andar volea quel giorno;
e de' captivi e de lor spoglie ordito
con lunga pompa avea un trionfo adorno.
Eran tutti i prigion stesi nel lito,
e i Nubi vincitori allegri intorno,
che faceano del nome di Dudone
intorno risonar la region e.
LXXHI
Venne in speranza di lontan Ruggiero
che questa fosse armata cP Agramante ;
e per saperne il vero urt6 il destriero:
ma riconobbe, come fu piu inante,
il re de Nasamona prigionero,
Bambirago, Agricalte e Farurante,
Manilardo e Balastro e Rimedonte,
che piangendo tenean bassa la fronte.
LXXIV
Ruggier che gli ama, sofferir non puote
che stian ne la miseria in che li trova.
Quivi sa ch'a venir con le man vote,
senza usar forza, il pregar poco giova.
La lancia abbassa, e cM li tien percuote;
e fa del suo valor 1'usata prova:
stringe la spada, e in un piccol momento
ne fa cadere intorno piu di cento.
LXXV
Dudone ode il rumor, la strage vede
che fa Ruggier, ma chi sia non conosce.
Vede i suoi c'hanno in fuga volto il piede
con gran timor, con pianto e con angosce.
Presto il destrier, lo scudo e 1'elmo chiede;
che gia avea armato e petto e braccia e cosce:
salta a cavailo e si fa dar la lancia,
e non oblia ch'e paladin di Francia.
CANTO QUARANTESIMO 1047
LXXVI
Grida che si ritiri ognun da canto,
spinge il cavallo e fa sentir gli sproni.
Ruggier cent'altri n'avea uccisi intanto,
e gran speranza dato a quei prigioni:
e come venir vide Dudon santo
solo a cavallo, e gli altri esser pedoni,
stirno' che capo e che signer lor fosse ;
e contra lui con gran desir si mosse.
LXXVII
Gia mosso prima era Dudon; ma quando
senza lancia Ruggier vide venire,
lunge da se la sua gitto, sdegnando
con tal vantaggio il cavallier ferire.
Ruggiero, al cortese atto riguardando,
disse fra se: «Costui non puo mentire,
ch'uno non sia di quei guerrier perfetti
che paladin di Francia sono detti.
LXXVIII
S'impetrar lo potro, vo' che Jl suo nome,
inanzi che segua altro, mi palese»;
e cosi domandollo: e seppe come
era Dudon figliuol d'Uggier danese.
Dudon gravo Ruggier poi d'ugual some,
e parimente lo trovo cortese,
Poi che i nomi tra lor s'ebbono detti,
si disfidaro, e vennero agli effetti.
LXXIX
Avea Dudon quella ferrata mazza
ch'in mille imprese gli die eterno onore:
con essa mostra ben ch'egli e di razza
di quei Danese pien d'alto valore.
La spada ch'apre ogni elmo, ogni corazza,
di che non era al mondo la migliore,
trasse Ruggiero, e fece paragone
di sua virtude al paladin Dudone.
1048 ORLANDO FURIOSO
LXXX
Ma perche in mente ogniora avea di meno
offender la sua donna, che potea;
et era certo, se spargea il terreno
del sangue di costui, che la offendea
(de le case di Francia instrutto a pieno,
la madre di Dudone esser sapea
Armelina sorella di Beatrice,
ch'era di Bradamante genitrice) :
LXXXI
per questo mai di punta non gli trasse,
e di taglio rarissimo feria.
Schermiasi, ovunque la mazza calasse,
or ribattendo, or dandole la via.
Crede Turpin che per Ruggier restasse,
che Dudon morto in pochi colpi avria:
ne mai, qualunque volta si scoperse,
ferir se non di piatto lo sofferse.
LXXXII
Di piatto usar potea, come di taglio,
Ruggier la spada sua ch'avea gran schena;
e quivi a strano giuoco di sonaglio
sopra Dudon con tanta forza mena,
che spesso agli occhi gli pon tal barbaglio,
che si ritien di non cadere a pena.
Ma per esser piu grato a chi m'ascolta,
io differisco il canto a un'altra volta.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO 1049
CANTO QUARANTESIMOPRIMO
I
L'odor, che sparse in ben notrita e bella
o chioma o barba o delicata vesta
di giovene leggiadro o di donzella,
ch'Amor sovente lacrimando desta,
se spira e fa sentir di se* novella,
e dopo molti giorni ancora resta;
mostra con chiaro et evidente effetto,
come a principio buono era e perfetto.
II
L'almo Hquor che ai meditori suoi
fece Icaro gustar con suo gran danno,
e che si dice che gia Celte e Boi
fe* passar PAlpe e non sentir Paffanno;
mostra che dolce era a principio, poi
che si serva ancor dolce al fin de Panno.
L'arbor ch'al tempo rio foglia non perde,
mostra ch'a primavera era ancor verde.
ni
L'inclita stirpe che per tanti lustri
mostro di cortesia sempre gran lume,
e par ch'ognor piu ne risplenda e lustri,
fa che con chiaro indizio si presume,
che chi progener6 gli Estensi illustri,
dovea d'ogni laudabile costume
che sublimar al ciel gli uomini suole,
splender non men che fra le stelle il sole.
1050 ORLANDO FURIOSO
IV
Ruggier, come in ciascun suo degno gesto,
d'alto valor, di cortesia solea
dimostrar chiaro segno e manifesto,
e sempre piu magnanimo apparea;
cosi verso Dudon lo mostro in questo,
col qual (come di sopra io vi dicea)
dissimulate avea quanto era forte,
per pieta che gli avea di porlo a morte.
Avea Dudon ben conosciuto certo,
ch'ucciderlo Ruggier non 1'ha voluto;
perch'or s'ha ritrovato allo scoperto,
or stanco si, che piu non ha potuto.
Poi che chiaro comprende, e vede aperto
che gli ha rispetto, e che va ritenuto ;
quando di forza e di vigor val mono,
di cortesia non vuol cedergli almeno.
VI
— Per Dio, — dice — signor, pace facciamo;
ch'esser non puo piu la vittoria mia:
esser non puo piu mia; che gia mi chiamo
vinto e prigion de la tua cortesia. —
Ruggier rispose : — Et io la pace bramo
non men di te; ma che con patto sia,
che questi sette re c'hai qui legati
lasci ch'in liberta mi sieno dati. —
vn
E gli mostr6 quei sette re ch'io clissi
che stavano legati a capo chino;
e gli soggiunse che non gli impedissi
pigliar con essi in Africa il camino.
E cosi furo in liberta remissi
quei re; che gliel concesse il paladino;
e gli concesse ancor ch'un legno tolse,
quei ch'a lui parve, e verso Africa sciolse.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO 1051
VIII
II legno sciolse, e fe' scioglier la vela,
e se die al vento perfido in possanza,
che da principio la gonfiata tela
drizzo a camino, e die al nocchier baldanza.
II lito fugge, e in tal modo si cela,
che par che ne sia il mar rimaso sanza.
Ne 1'oscurar del giorno fece il vento
chiara la sua perfidia e }1 tradimento.
IX
Mutossi da la poppa ne le sponde,
indi alia prora, e qui non rimase anco:
ruota la nave, et i nocchier confonde;
ch'or di dietro or dinanzi or loro e al fianco.
Surgono altiere e minacciose Tonde:
mugliando sopra il mar va il gregge bianco.
Di tante morti in dubbio e in pena stanno,
quanto son 1'acque ch'a ferir li vanno.
x
Or da fronte or da tergo il vento spira;
e questo inanzi, e quello a dietro caccia:
un altro da traverso il legno aggira;
e ciascun pur naufragio gli minaccia.
Quel che siede al governo, alto sospira
pallido e sbigottito ne la faccia;
e grida invano, e invan con mano accenna
or di voltare, or di calar F antenna.
XI
Ma poco il cenno, e '1 gridar poco vale:
tolto e '1 veder da la piovosa notte.
La voce, senza udirsi, in aria sale,
in aria che feria con maggior botte
de' naviganti il grido universale,
e }1 fremito de 1'onde insieme rotte:
e in prora e in poppa e in amendue le bande
non si pu6 cosa udir che si commande.
1052 ORLANDO FURIOSO
XII
Da la rabbia del vento che si fende
ne le ritorte, escono orribil suoni:
di spessi lampi Faria si raccende,
risuona '1 ciel di spaventosi tuoni.
V'e chi corre al timon, chi i remi premie ;
van per uso agli uffici a che son buoni:
chi s'affatica a sciorre e chi a legare;
vota altri Facqua, e torna il mar nel mare.
XIII
Ecco stridendo Forribil procella,
che '1 repentin furor di borea spinge,
la vela contra Farbore flagella:
il mar si leva, e quasi il cielo attinge.
Frangonsi i remi; e di fortuna fella
tanto la rabbia impetuosa stringe,
che la prora si volta, e verso Fonda
fa rimaner la disarmata sponda.
XIV
Tutta sotto acqua va la destra banda,
e sta per riversar di sopra il fondo.
Ognun gridando a Dio si raccomanda;
che piu che certi son gire al profondo.
D'uno in un altro ma! fortuna manda:
il primo scorre, e vien dietro il secondo.
II legno vinto in piu parti si lassa,
e dentro Finimica onda vi passa.
XV
Muove crudele e spaventoso assalto
da tutti i lati il tempestoso verno.
Veggon talvolta il mar venir tant'alto,
che par ch'arrivi insin al ciel superno.
Talor fan sopra Fonde in su tal salto,
ch'a mirar giu par lor veder lo 'nferno.
0 nulla o poca speme e che conforte;
e sta presente inevitabil morte.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO 1053
XVI
Tutta la notte per diverse mare
scorsero errando ove cacciolli il vento;
il fiero vento che dovea cessare
nascendo il giorno, e ripiglio augumento.
Ecco dinanzi un nudo scoglio appare:
voglion schivarlo, e non v'hanno argumento.
Li porta, lor mal grado, a quella via
il crudo vento e la tempesta ria.
XVII
Tre volte e quattro il pallido nocchiero
mette vigor perche '1 timon sia volto
e trovi piu sicuro altro sentiero;
ma quel si rompe, e poi dal mar gli e tolto.
Ha si la vela piena il vento fiero,
che non si puo calar poco n6 molto:
ne tempo han di riparo o di consiglio;
che troppo appresso e quel mortal periglio.
XVIII
Poi che senza rimedio si comprende
la irreparabil rotta de la nave,
ciascuno al suo privato utile attende,
ciascun salvar la vita sua cura have.
Chi pu6 piu presto al palischermo scende;
ma quello e fatto subito si grave
per tanta gente che sopra v'abbonda,
che poco avanza a gir sotto la sponda.
XIX
Ruggier che vide il comite e '1 padrone
e gli altri abbandonar con fretta il legno,
come senz'arme si trovd in giubbone,
campar su quel battel fece disegno :
ma lo trov6 si carco di persone,
e tante venner poi, che Pacque il segno
passaro in guisa, che per troppo pondo
con tutto il carco and6 il legnetto al fondo:
1054 ORLANDO FURIOSO
XX
del mare al fondo; e seco trasse quanti
lasciaro a sua speranza il maggior legno.
Allor s'udi con dolorosi pianti
chiamar soccorso dal celeste regno:
ma quelle voci andaro poco inanti,
che venne il mar pien d'ira e di disdegno,
e subito occupo tutta la via
onde il lamento e il flebil grido uscia.
XXI
Altri la giii, senza apparir piu, resta;
altri risorge e sopra Fonde sbalza;
chi vien nuotando e mostra fuor la testa,
chi mostra un braccio, e chi una gamba seaha.
Ruggier che '1 minacciar de la tempesta
temer non vuol, dal fondo al sommo s'alza,
e vede il nudo scoglio non lontano
ch'egli e i compagni avean fuggito invano.
XXII
Spera, per forza di piedi e di braccia
nuotando, di salir sul lito asciutto.
Soffiando viene, e lungi da la faccia
Tonda respinge e Timportuno flutto.
II vento intanto e la tempesta caccia
il legno v6to, e abbandonato in tutto
da quelli che per lor pessima sorte
il disio di campar trasse alia morte.
XXIII
Oh fallace degli uomini credenza!
campd la nave che dovea perire;
quando il padrone e i galleotti senza
governo alcun F avean lasciata gire.
Parve che si mutasse di sentenza
il vento, poi che ogni uom vide fuggire:
fece che '1 legno a miglior via si torse,
ne~ tocc6 terra, e in sicura onda corse.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO 1055
XXIV
E dove col nocchier tenne via incerta;
poi che non Febbe, ando in Africa al dritto,
e venne a capitar presso a Biserta
tre miglia o due, dal lato verso Egitto;
e ne 1'arena sterile e deserta
resto, mancando il vento e Pacqua, fitto.
Or quivi sopravenne a spasso andando,
come di sopra io vi narrava, Orlando.
xxv
E disioso di saper se fusse
la nave sola, e fusse o v6ta o carca,
con Brandimarte a quella si condusse
e col cognato, in su una lieve barca.
Poi che sotto coverta s'introdusse,
tutta la ritrov6 d'uomini scarca:
vi trovo sol Frontino il buon destriero,
Parmatura e la spada di Ruggiero ;
XXVI
di cui fu per campar tanto la fretta,
ch'a tor la spada non ebbe pur tempo.
Conobbe quella il paladin, che detta
fu Balisarda, e che gik sua fu un tempo.
So che tutta 1'istoria avete letta,
come la tolse a Falerina, al tempo
che le distrusse anco il giardin si bello,
e come a lui poi la rub6 Brunello;
XXVII
e come sotto il monte di Carena
Brunei ne fe' a Ruggier libero dono.
Di che taglio ella fosse e di che schena,
n'avea gi£ fatto esperimento buono;
io dico Orlando: e per6 n'ebbe piena
letizia, e ringrazionne il sommo Trono;
e si credette (e spesso il disse dopo)
che Dio gliele mandasse a si grande uopo:
1056 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
a si grande uopo, come era, dovendo
condursi col signor di Sericana;
ch'oltre che di valor fosse tremendo,
sapea ch'avea Baiardo e Durindana.
L'altra armatura, non la conoscendo,
non apprezzo per cosa si soprana,
come chi ne fe' prova apprezzo quella
per buona si, ma per piu ricca e bella.
XXIX
E perche gli facean poco mestiero
Tarme (ch'era inviolabile e affatato),
contento fu che 1'avesse Oliviero;
il brando no, che sel pose egli a lato:
a Brandimarte consegn6 il destriero,
Cosi diviso et ugualmente dato
volse che fosse a ciaschedun compagno,
ch'insieme si trovar, di quel guadagno.
xxx
Pel di de la battaglia ogni guerriero
studia aver ricco e nuovo abito indosso.
Orlando riccamar fa nel quartiero
Palto Babel dal fulmine percosso.
Un can d'argento aver vuole Oliviero,
che giaccia, e che la lassa abbia sul dosso,
con un motto che dica: «Fin che vegna»;
e vxiol d'oro la vesta e di se degna.
XXXI
Fece disegno Brandimarte, il giorno
de la battaglia, per amor del padre
e per suo onor, di non andare adorno
se non di sopraveste oscure et adre.
Fiordiligi le fe' con fregio intorno,
quanto piu seppe far, belle e leggiadre.
Di ricche gemme il fregio era contesto;
d'un schietto drappo e tutto nero il resto.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO 1057
XXXII
Fece la donna di sua man le sopra-
vesti a cui Parme converrian piu fine,
de' quai 1'osbergo il cavallier si cuopra,
e la groppa al cavallo e '1 petto e '1 crine.
Ma da quel di che cominci6 quest5 opra,
continuando a quel che le die fine,
e dopo ancora, mai segno di riso
far non pote, ne d'allegrezza in viso.
XXXIII
Sempre ha timor nel cor, sempre tormento
che Brandimarte suo non le sia tolto.
Gia Tha veduto in cento lochi e cento
in gran battaglie e perigliose avvolto;
n6 mai, come ora, simile spavento
le agghiacci6 il sangue e impallidille il volto:
e questa no vita d'aver timor e
le fa tremar di doppia tema il core.
xxxiv
Poi che son d'arme e d'ogni arnese in punto,
alzano al vento i cavallier le vele.
Astolfo e Sansonetto con Tassunto
riman del grande esercito fedele.
Fiordiligi col cor di timor punto,
empiendo il ciel di voti e di querele,
quanto con vista seguitar le puote,
segue le vele in alto mar remote.
xxxv
Astolfo a gran fatica e Sansonetto
pote* levarla da mirar ne Fonda,
e ritrarla al palagio, ove sul letto
la lasciaro affannata e tremebonda.
Portava intanto il bel numero eletto
dei tre buon cavallier Taura seconda.
And6 il legno a trovar 1'isola al dritto,
ove far si dovea tanto conflitto.
1058 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
Sceso nel lito il cavallier d'Anglante,
il cognato Oliviero e Brandimarte,
col padiglione il lato di levante
primi occupar; ne forse il fer senz'arte.
Giunse quel di medesimo Agramante,
e s'accampo da la contraria parte;
ma perche molto era inchinata Tora,
differir la battaglia ne P aurora.
XXXVII
Di qua e di la sin alia nuova luce
stanno alia guardia i servitori armati.
La sera Brandimarte si conduce
la dove i Saracin sono alloggiati,
e parla, con licenzia del suo duce,
al re african; ch'amici erano stati;
e Brandimarte gia con la bandiera
del re Agramante in Francia passato era.
XXXVIII
Dopo i saluti e '1 giunger mano a mano,
molte ragion si come amico disse
il fedel cavalliero al re pagano,
perche a questa battaglia non venisse:
e di riporgli ogni cittade in mano,
che sia tra '1 Nilo e 'I segno ch'Ercol fisse,
con volonta d' Orlando gli offeria,
se creder volea al Figlio di Maria.
XXXIX
— Perche* sempre v'ho amato et amo molto,
questo consiglio — gli dicea — vi dono;
e quando gia, signor, per me Fho tolto,
creder potete ch'io Festimo buono,
Cristo conobbi Dio, Maumette stolto;
e bramo voi por ne la via in ch'io sono:
ne la via di salute, signor, bramo
che siate meco, e tutti gli altri ch'amo.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO 1059
XL
Qui consiste il ben vostro; ne consiglio
altro potete prender, che vi vaglia;
e men di tutti gli altri, se col figlio
di Milon vi mettete alia battaglia;
che '1 guadagno del vincere al periglio
de la perdita grande non si agguaglia.
Vincendo voi, poco acquistar potete;
ma non perder gia poco, se perdete.
XLI
Quando uccidiate Orlando, e noi venuti
qui per morire o vincere con lui,
io non veggo per questo che i perduti
dominii a racquistar s'abbian per vui.
Ne dovete sperar che si si muti
lo stato de le cose, morti nui,
ch'uomini a Carlo manchino da porre
quivi a guardar fin all'estrema torre. —
XLII
Cosi parlava Brandimarte, et era
per suggiungere ancor molte altre cose;
ma fu con voce irata e faccia altiera
dal pagano interrotto, che rispose:
— Temerita per certo e pazzia vera
e la tua, e di qualunque che si pose
a consigliar mai cosa o buona o ria,
ove chiamato a consigliar non sia.
XLIII
E che '1 consiglio che mi dai, proceda
da ben che m'hai voluto e vuommi ancora,
io non so, a dire il ver, come io tel creda,
quando qui con Orlando ti veggo ora.
Creder6 ben, tu che ti vedi in preda
di quel dragon che Tanime devora,
che brami teco nel dolore eterno
tutto '1 mondo poter trarre alPinferno.
1060 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Ch'io vinca o perda, o debba ne! mio regno
tornare antique, o sempre starne in bando,
in mente sua n'ha Dio fatto disegno,
il qual ne io, ne tu, ne vede Orlando.
Sia quel che vuol, non potra ad atto indegno
di re inchinarmi mai timor nefando.
S'io fossi certo di morir, vo' morto
prima restar, ch'al sangue mio far torto,
XLV
Or ti puoi ritornar; che se migliore
non sei dimani in questo campo armato,
che tu mi sia paruto oggi oratore,
mal troverassi Orlando accompagnato. —
Queste ultime parole usciron fuore
del petto acceso d'Agramante irato.
Ritorn6 Puno e 1'altro, e ripososse,
fin che del mare il giorno uscito fosse.
XLVI
Nel biancheggiar de la nuova alba armati,
e in un momento fur tutti a cavallo,
Pochi sermon si son tra loro usati:
non vi fu indugio, non vi fu intervallo,
che i ferri de le lancie hanno abbassati,
Ma mi parria, Signor, far troppo fallo,
se, per voler di costor dir, lasciassi
tan to Ruggier nel mar, che v'affogassi,
XLVH
II giovinetto con piedi e con braccia
percotendo venia Forribil onde.
II vento e la tempesta gli minaccia;
ma piu la conscienzia lo confonde.
Teme che Cristo ora vendetta faccia;
che poi che battezzar ne Facque monde,
quando ebbe tempo, si poco gli calse,
or si battezzi in queste amare e salse.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO Io6l
XLVIII
Gli ritornano a mente le promesse
che tante volte alia sua donna fece;
quel che giurato avea quando si messe
contra Rinaldo, e nulla satisfece.
A Dio, ch'ivi punir non lo volesse,
pentito disse quattro volte e diece;
e fece voto di core e di fede
d'esser cristian, se ponea in terra il piede:
XLIX
e mai piu non pigliar spada n6 lancia
contra ai fedeli in aiuto de' Mori;
ma che ritorneria subito in Francia,
e a Carlo renderia debiti onori;
n6 Bradamante piu terrebbe a ciancia,
e verria a fine onesto dei suo' amori.
Miracol fu, che senti al fin del voto
crescersi forza e agevolarsi il nuoto.
L
Cresce la forza e Tanimo indefesso:
Ruggier percuote Tonde e le respinge,
Tonde che seguon Tuna all'altra presso,
di che una il leva, un'altra lo sospinge.
Cosi montando e discendendo spesso
con gran travaglio, al fin F arena attinge;
e da la parte onde s'inchina il colle
piu verso il mar, esce bagnato e molle.
LI
Fur tutti gli altri che nel mar si diero,
vinti da Tonde, e al fin restar ne Facque.
Nel solitario scoglio usci Ruggiero,
come all'alta Bonta divina piacque.
Poi che fu sopra il monte inculto e fiero
sicur dal mar, nuovo timor gli nacque
d'avere esilio in si strette confine,
e di morirvi di disagio al fine.
1062 ORLANDO FURIOSO
LII
Ma pur col core indomito, e constante
di patir quanto e in del di lui prcscritto,
pei duri sassi Tintrepide piante
mosse, poggiando inver la cima al dritto.
Non era cento passi andato inante,
che vide d'anni e d'astinenzie afflitto
uom ch'avea d'eremita abito e segno,
di molta riverenzia e d'onor degno;
LIII
che come gli fu presso : — Saulo, Saulo, —
grid6 — perch6 persegui la mia fede ? —
come allor il Signer disse a san Paulo,
che '1 colpo salutifero gli diede*
— Passar credesti il mar, ne pagar naulo,
e defraudare altrui dc la mercede.
Vedi che Dio, c'ha lunga man, ti giunge
quando tu gli pensasti esser piu lunge. —
LIV
E seguit6 il santissimo eremita,
il qual la notte inanzi avuto avea
in vision da Dio, che con sua aita
allo scoglio Ruggier giunger dovea:
e di lui tutta la passata vita,
e la futura, e ancor la morte rea,
figli e nipoti et ogni discendente
gli avea Dio rivelato interamente.
LV
Seguit6 Peremita riprendendo
prima Ruggiero; e al fin poi confortollo.
Lo riprendea ch'era ito differendo
sotto il soave giogo a porre il collo;
e quel che dovea far libero essendo,
mentre Cristo pregando a se* chiamollo,
fatto avea poi con poca grazia quando
venir con sferza il vide minacciando.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO 1063
LVI
Poi confortollo che non niega il cielo
tardi o per tempo Cristo a chi gliel chiede;
e di quelli operarii del Vangelo
narro, che tutti ebbono ugual mercede.
Con caritade e con devoto zelo
lo venne ammaestrando ne la fede,
verso la cella sua con lento passo,
ch'era cavata a mezzo il duro sasso.
LVII
Di sopra siede alia devota cella
una piccola chiesa che risponde
aU'oriente, assai commoda e bella:
di sotto un bosco scende sin all'onde,
di lauri e di ginepri e di mortella,
e di palme fruttifere e feconde;
che riga sempre una liquida fonte,
che mormorando cade giu dal monte.
LVIII
Eran degli anni ormai presso a quaranta
che su lo scoglio il fraticel si messe;
ch'a menar vita solitaria e santa
luogo oportuno il Salvator gli elesse.
Di frutte colte or d'una or d'altra pianta,
e d'acqua pura la sua vita resse,
che valida e robusta e senza affanno
era venuta aH'ottantesimo anno.
LIX
Dentro la cella il vecchio accese il fuoco,
e la mensa ingombro di varii frutti,
ove si ricre6 Ruggiero un poco,
poscia ch'i panni e i capelli ebbe asciutti.
Impar6 poi piu ad agio in questo loco
de nostra fede i gran misterii tutti;
et alia pura fonte ebbe battesmo
il di seguente dal vecchio medesmo.
1064 ORLANDO FURIOSO
LX
Secondo il luogo, assai contento stava
quivi Ruggier; che *1 buon servo di Dio
fra pochi giorni intenzion gli dava
di rimandarlo ove piu avea disio.
Di molte cose intanto ragionava
con lui sovente, or al regno di Dio,
or agli proprii casi appertinenti,
or del suo sangue alle future genti.
LXI
Avea il Signor, che '1 tutto intende e vede,
rivelato al santissimo eremita
che Ruggier da quel di ch'ebbe la fede
dovea sette anni, e non piu, stare in vita;
che per la morte che sua donna diede
a Pinabel, ch'allui fia attribuita,
saria, e per quella ancor di Bertolagi,
morto dai Maganzesi empi e malvagi,
LXII
E che quel tradimento andra si occulto,
che non se n'udira di fuor novella;
perche nel proprio loco fia sepulto
ove anco ucciso da la gente fella;
per questo tardi vendicato et ulto
fia da la moglie e da la sua sorella;
e che col ventre pien per lunga via
da la moglie fedel cercato fia.
LXII I
Fra PAdice e la Brenta a pi& de' colli
ch'al troiano Antendr piacqueno tanto,
con le sulfuree vene e rivi molli,
con lieti solchi e prati ameni a canto,
che con Palta Ida volentier mutolli,
col sospirato Ascanio e caro Xanto,
a parturir verra ne le foreste
che son poco lontane al frigio Ateste.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO 1065
LXIV
E ch'in bellezza et in valor cresciuto
il parto suo, che pur Ruggier fia detto,
e del sangue troian riconosciuto
da quei Troiani, in lor signer fia elletto;
e poi da Carlo, a cui sara in aiuto
incontra i Longobardi giovinetto,
dominio giusto avra del bel paese,
e titolo onorato di marchese.
LXV
E perch£ dira Carlo in latino : — Este
signori qui— , quando faragli il dono,
nel secolo futur nominato Este
sara il bel luogo con augurio buono;
e cosi lasciera il nome d'Ateste
de le due prime note il vecchio suono.
Avea Dio ancora al servo suo predetta
di Ruggier la futura aspra vendetta:
LXVI
ch'in visione alia fedel consorte
apparira dinanzi al giorno un poco;
e le dira chi Tavra messo a morte,
e dove giacera mostrera il loco:
onde ella poi con la cognata forte
distruggera Pontieri a ferro e a fuoco;
ne fara a' Maganzesi minor danni
il figlio suo Ruggiero, ov'abbia gli anni.
Lxvir
D'Azzi, d'Alberti, d'Obici discorso
fatto gli aveva, e di lor stirpe bella,
insino a Nicol6, Leonello, Borso,
Ercole, Alfonso, Ippolito e Issabella.
Ma il santo vecchio, ch'alla lingua ha il morso,
non di quanto egli sa per6 favella:
narra a Ruggier quel che narrar conviensi;
e quel ch'in se dej ritener, ritiensi.
1066 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
In questo tempo Orlando e Brandimarte
e '1 marchese Olivier col ferro basso
vanno a trovare il saracino Marte
(che cosi nominar si puo Gradasso)
e gli altri duo che da contraria parte
han mosso i buon destrier piu che di passo;
io dico il re Agramante e '1 re Sobrino:
rimbomba al corso il lito e 'I mar vicino.
LXIX
Quando allo scontro vengono a trovarsi,
e in tronchi vola al ciel rotta ogni lancia,
del gran rumor fu visto il mar gonfiarsi,
del gran rumor che s'udi sino in Francia.
Venne Orlando e Gradasso a riscontrarsi ;
e potea stare ugual questa bilancia,
se non era il vantaggio di Baiardo,
che fe' parer Gradasso piu gagliardo.
LXX
Percosse egli il destrier di minor forza
ch* Orlando avea, d'un urto cosi strano,
che lo fece piegare a poggia e ad orza,
e poi cader, quanto era lungo, al piano.
Orlando di levarlo si risforza
tre volte e quattro, e con sproni e con mano;
e quando al fin nol pu6 levar, ne scende,
lo scudo imbraccia, e Balisarda prende.
LXXI
Scontrossi col re d' Africa Oliviero;
e fur di quello incontro a paro a paro.
Brandimarte restar senza destriero
fece Sobrin: ma non si seppe chiaro
se v'ebbe il destrier colpa o il cavalliero;
ch'avezzo era cader Sobrin di raro.
O del destriero o suo pur fosse il fallo,
Sobrin si ritrovb giu del cavallo.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO 1067
LXXII
Or Brandimarte che vide per terra
il re Sobrin, non Fassali altrimente,
ma contra il re Gradasso si disserra,
ch'avea abbattuto Orlando parimente.
Tra il marchese e Agramante ando la guerra
come fu cominciata primamente:
poi che si roppon Taste negli scudi,
s'eran tornati incontra a stocchi ignudi.
LXXIII
Orlando che Gradasso in atto vede
che par ch'a lui tornar poco gli caglia;
ne tornar Brandimarte gli concede,
tanto lo stringe e tanto lo travaglia;
si volge intorno, e similmente a piede
vede Sobrin che sta senza battaglia.
Ver lui s'aventa; e al muover de le piante
fa il ciel tremar del suo fiero sembiante.
LXXIV
Sobrin che di tanto uom vede Fassalto,
stretto ne Farme s'apparecchia tutto:
come nocchiero a cui vegna a gran salto
muggendo incontra il minaccioso flutto,
drizza la prora; e quando il mar tant'alto
vede salire, esser vorria alFasciutto,
Sobrin lo scudo oppone alia ruina
che da la spada vien di Falerina.
LXXV
Di tal finezza e quella Balisarda,
che Farme le puon far poco riparo ;
in man poi di persona si gagliarda,
in man d'Orlando, unico al mondo o raro,
taglia lo scudo ; e nulla la ritarda,
perche cerchiato sia tutto d'acciaro:
taglia lo scudo e sino al fondo fende,
e sotto a quello in su la spalla scende.
1068 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Scende alia spalla; e perche la ritrovi
di doppia lama e di maglia coperta,
non vuol pero che molto ella le giovi,
che di gran piaga non la lasci aperta.
Mena Sobrin; ma indarno e che si provi
ferire Orlando, a cui per grazia ceita
diede il Motor del cielo e de le stelle,
che mai forar non se gli puo la pelle.
LXXVII
Radoppia il colpo il valoroso conte,
e pensa da le spalle il capo torgli,
Sobrin che sa il valor di Chiaramonte,
e che poco gli val lo scudo opporgli,
s'arretra, ma non tanto che la fronte
non venisse anco Balisarda a corgli.
Di piatto fu> ma il colpo tanto fello,
ch'amacco 1'elmo, e gl'introno il cervello.
LXXVIII
Cadde Sobrin del fiero colpo in terra,
onde a gran pezzo poi non e risorto.
Crede finita aver con lui la gxierra
il paladino, e che si giaccia morto;
e verso il re Gradasso si disserra,
che Brandimarte non meni a mal porto:
che '1 pagan d'arme e di spada 1'avanza
e di destriero, e forse di possanza.
LXXIX
L'ardito Brandimarte in su Frontino,
quel buon destrier che di Ruggier fu dianzi,
si porta cosi ben col Saracino,
che non par gia che quel troppo Pavanzi :
e s'egli avesse osbergo cosi fino
come il pagan, gli staria meglio inanzi;
ma gli convien (che mal si sente armato)
spesso dar luogo or d'tmo or d'altro lato.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO 1069
LXXX
Altro destrier non e che meglio intenda
di quel Frontino il cavalliero a cenno:
par che dovunque Durindana scenda,
or quinci or quindi abbia a schivarla senno.
Agramante e Olivier battaglia orrenda
altrove fanno, e giudicar si denno
per duo guerrier di pari in arme accorti,
e pochi different! in esser forti.
LXXXI
Avea lasciato, come io dissi, Orlando
Sobrino in terra; e contra il re Gradasso,
soccorrer Brandimarte disiando,
come si trov6 a pie, venia a gran passo.
Era vicin per assalirlo, quando
vide in mezzo del campo andare a spasso
il buon cavallo onde Sobrin fu spinto;
e per averlo, presto si fu accinto.
LXXXII
Ebbe il destrier, che non trov6 contesa,
e Iev6 un sal to, et entr6 ne la sella.
Ne Tuna man la spada tien sospesa,
mette 1'altra alia briglia ricca e bella.
Gradasso vede Orlando, e non gli pesa,
ch'a lui ne viene, e per nome 1'appella.
Ad esso e a Brandimarte e all'altro spera
far parer notte, e che non sia ancor sera.
LXXXIII
Voltasi al conte, e Brandimarte lassa,
e d'una punta lo trova al camaglio:
fuor che la carne, ogni altra cosa passa:
per forar quella e vano ogni travaglio.
Orlando a un tempo Balisarda abbassa:
non vale incanto ov'ella mette il taglio.
L'elmo, lo scudo, 1'osbergo e Tarnese,
venne fendendo in giii ci6 ch'ella prese;
1070 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
e nel volto e nel petto e ne la coscia
lascio ferito il re di Sericana,
di cui non fu mai tratto sangue, poscia
ch'ebbe quell'arme: or gli par cosa strana
che quella spada (e n'ha dispetto e angoscia)
le tagli or si; ne pur e Durindana.
E se piu lungo il colpo era o piu apprcsso,
1'avria dal capo insino al ventre fesso.
LXXXV
Non bisogna piu aver ne Parme fecle,
come avea dianzi; che la prova e fatta.
Con piu riguardo e piu ragion precede,
che non soiea; meglio al parar si adatta.
Brandimarte ch' Orlando entrato vede,
che gli ha di man quella battaglia tratta,
si pone in mezzo all'una e all'altra pugna,
perche in aiuto, ove e bisogno, giugna.
LXXXVI
Essendo la battaglia in tale istato,
Sobrin, ch'era giaciuto in terra molto,
si Iev6, poi ch'in se" fu ritornato;
e molto gli dolca la spalla e '1 volto:
alzo la vista e mir6 in ogni lato ;
poi dove vide il suo signor, rivolto,
per dargli aiuto i lunghi passi torse
tacito si, ch'alcun non se n'accorse.
LXXXVII
Vien dietro ad Olivier che tenea gli occhi
al re Agramante e poco altro attendea;
e gli feri nei deretan ginocchi
il destrier di percossa in modo rea,
che senza indugio e forza che trabocchi.
Cade Olivier, n£ '1 piede aver potea,
il manco pie, ch'al non pensato caso
sotto il cavallo in staffa era rimaso.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO
LXXXVIII
Sobrin radoppia il colpo, e di riverso
gli mena, e se gli crede il capo torre;
ma lo vieta 1'acciar lucido e terso,
che tempro gia Vulcan, porto gia Ettorre.
Vede il periglio Brandimarte, e verso
il re Sobrino a tutta briglia corre;
e lo fere in sul capo, e gli da d'urto:
ma il fiero vecchio e tosto in pie risurto;
LXXXIX
e torna ad Olivier per dargli spaccio,
si ch'espedito all'altra vita vada;
o non lasciare almen ch'esca d'impaccio,
ma che si stia sotto '1 cavallo a bada.
Olivier c'ha di sopra il miglior braccio,
si che si pu6 difender con la spada,
di qua di la tanto percuote e punge,
che quanta e lunga fa Sobrin star lunge.
xc
Spera, s'alquanto il tien da s6 rispinto,
in poco spazio uscir di quella pena.
Tutto di sangue il vede mblle e tinto,
e che ne versa tanto in su 1' arena,
che gli par ch'abbia tosto a restar vinto:
debole e si, che si sostiene a pena.
Fa per levarsi Olivier molte prove,
n6 da dosso il destrier per6 si muove.
xci
Trovato ha Brandimarte il re Agramante,
e cominciato a tempestargli intorno :
or con Frontin gli e al fianco, or gli e davante,
con quel Frontin che gira come un torno.
Buon cavallo ha il figliuol di Monodante:
non 1'ha peggiore il re di Mezzogiorno;
ha Brigliador che gli don6 Ruggiero
poi che lo tolse a Mandricardo altiero.
1072 ORLANDO FURIOSO
XCII
Vantaggio ha bene assai de Farmatura;
a tutta prova 1'ha buona e perfetta.
Brandimarte la sua tolse a venture,
qual pote avere a tal bisogno in fretta:
ma sua animosita si Passicura,
ch'in miglior tosto di cangiarla aspetta;
come che }1 re african djaspra percossa
la spalla destra gli avea fatta rossa;
XCIII
e serbi da Gradasso anco nel fianco
piaga da non pigliar per6 da giuoco.
Tanto 1'attese al varco il guerrier franco,
che di cacciar la spada trov6 loco.
Spezz6 lo scudo, e feri il braccio manco,
e poi ne la man destra il tocc6 un poco.
Ma questo un scherzo si pu6 dire e un spasso
verso quel che fa Orlando e '1 re Gradasso.
xciv
Gradasso ha mezzo Orlando disarmato;
Felmo gli ha in cima e da dui lati rotto,
e fattogli cader lo scudo al prato,
osbergo e maglia apertagli di sotto:
non Tha ferito gia, ch'era affatato.
Ma il paladino ha lui peggio condotto:
in faccia, ne la gola, in mezzo il petto
1'ha ferito, oltre a quel che gfe v'ho detto.
xcv
Gradasso disperato, che si vede
del proprio sangue tutto molle e brutto,
e ch'Orlando del suo dal capo al piede
sta dopo tanti colpi ancora asciutto;
leva il brando a due mani, e ben si crede
partirgli il capo, il petto, il ventre e '1 tutto:
e a punto, come vuol, sopra la fronte
percuote a mezza spada il fiero conte.
CANTO QUARANTESIMOPRIMO 1073
XCVI
E s'era altro ch'Orlando, Tavria fatto,
Favria sparato fin sopra la sella:
ma come colto 1'avesse di piatto,
la spada ritorno lucida e bella.
De la percossa Orlando stupefatto,
vide mirando in terra alcuna stellar
lascio la briglia, e Jl brando avria lasciato;
ma di catena al braccio era legato.
xcvn
Del suon del colpo fu tanto smarrito
il corridor ch' Orlando avea sul dorso,
che discorrendo il polveroso lito,
mostrando gia quanto era buono al corso.
De la percossa il conte tramortito,
non ha valor di ritenergli il morso.
Segue Gradasso, e Tavria tosto giunto,
poco piu che Baiardo avesse punto.
XCVIII
Ma nel voltar degli occhi, il re Agramante
vide condotto airultimo periglio:
che ne 1'elmo il figliuol di Monodante
col braccio manco gli ha dato di piglio;
e glie 1'ha dislacciato gia davante,
e tenta col pugnal nuovo consiglio:
ne" gli pub far quel re difesa molta,
perche di man gli ha ancor la spada tolta.
xcix
Volta Gradasso, e piu non segue Orlando,
ma dove vede il re Agramante accorre.
L'incauto Brandimarte, non pensando
ch'Orlando costui lasci da se t6rre,
non gli ha n6 gli occhi n6 '1 pensiero, instando
il colt el ne la gola al pagan porre.
Giunge Gradasso, e a tutto suo potere
con la spada a due man Telmo gli fere.
1074 ORLANDO FURIOSO
C
Padre del ciel, da fra gli eletti tuoi
spiriti luogo al martir tuo fedeie,
che giunto al fin de5 ternpestosi suoi
viaggi, in porto ormai lega le vele.
Ah Durindana, dunque esser tu puoi
al tuo signore Orlando si crudele,
che la piu grata compagnia e piu fida
ch'egli abbia al mondo, inanzi tu gli uccida?
ci
Di ferro un cerchio grosso era duo dita
intorno alPelmo, e fu tagliato e rotto
dal gravissimo colpo, e fu partita
la cuffia de Pacciar ch'era di sotto.
Brandimarte con faccia sbigottita
giu del destrier si riverscio di botto;
e fuor del capo fe* con larga vena
correr di sangue un flume in su Parena.
cn
II conte si risente, e gli occhi gira,
et ha il suo Brandimarte in terra scorto ;
e sopra in atto il Serican gli mira,
che ben conoscer puo che glie Pha morto.
Non so se in lui pote" piu il duolo o Pira;
ma da piangere il tempo avea si corto,
che resto il duolo, e Pira usci piu in fretta.
Ma tempo e omai che fine al canto io metta.
CANTO QUARANTESIMOSECONDO 1075
CANTO QUARANTESIMOSECONDO
I
Qual duro freno o qual ferrigno nodo,
qual, s'esser puo, catena di diamante
fara che Pira servi ordine e modo,
che non trascorra oltre al prescritto inante,
quando persona che con saldo chiodo
t'abbia gia fissa Amor nel cor constante,
tu vegga o per violenzia o per inganno
patire o disonore o mortal danno?
n
E s'a crudel, s'ad inumano effetto
queH'impeto talor 1'animo svia,
merita escusa, perche allor del petto
non ha ragione imperio ne balia.
Achille, poi che sotto il falso elmetto
vide Patroclo insanguinar la via,
d'uccider chi Puccise non fu sazio,
se nol traea, se non ne facea strazio.
ill
Invitto Alfonso, simile ira accese
la vostra gente il di che vi percosse
la fronte il grave sasso, e si v'offese,
ch'ognun pens6 che Talma gita fosse:
1'accese in tal furor, che non difese
vostri inimici argini o mura o fosse,
che non fossino insieme tutti morti,
senza lasciar chi la novella porti.
1076 ORLANDO FURIOSO
IV
II vedervi cader causo il dolore
che i vostri a furor mosse e a crudeltade.
S'eravate in pie voi, forse minore
licenzia avriano avute le lor spade.
Eravi assai che la Bastia in manche ore
v'aveste ritornata in potestade,
che tolta in giorni a voi non era stata
da gente cordovese e di Granata.
v
Forse fu da Dio vindice permesso
che vi trovaste a quel caso impedito,
accio che '1 crudo e scelerato eccesso
che dianzi fatto avean, fosse punito:
che poi ch'in lor man vinto si fu messo
il miser Vestidel, lasso e ferito,
senz'arme fu tra cento spade ucciso
dal popul la piii parte circonciso.
VI
Ma perch' io voj concludere, vi dico
che nessun'altra quell'ira pareggia,
quando signor, parente, o sozio antico
dinanzi agli occhi ingiuriar ti veggia.
Dunque e ben dritto per si caro amico,
che subit'ira il cor d'Orlando feggia;
che de Forribil colpo che gli diede
il re Gradasso, morto in terra il vede.
vn
Qual Nomade pastor che vedut'abbia
fuggir strisciando Porrido serpente
che il figliuol che giocava ne la sabbia
ucciso gli ha col venenoso dente,
stringe il baston con colera e con rabbia;
tal la spada d'ogni altra piu tagliente
stringe con ira il cavallier d'Anglante:
il primo che trovo fu '1 re Agramante;
CANTO QUARANTESIMOSECONDO 1077
VIII
che sanguinoso e de la spada privo,
con mezzo scudo e con Telmo disciolto,
e ferito in piu parti ch'io non scrivo,
s'era di man di Brandimarte tolto,
come di pie all'astor sparvier mal vivo,
a cui lascio alia coda invido o stolto.
Orlando giunse, e messe il colpo giusto
ove il capo si termina col busto.
IX
Sciolto era 1'elmo e disarmato il collo,
si che lo tagK6 netto come un giunco.
Cadde, e die nel sabbion 1'ultimo crollo
del regnator di Libia il grave trunco.
Corse lo spirto all'acque, onde tirollo
Caron nel legno suo col graffio adunco.
Orlando sopra lui non si ritarda,
ma trova il Serican con Balisarda.
Come vide Gradasso d'Agramante
cadere il busto dal capo diviso;
quel ch'accaduto mai non gH era inante,
trem.6 nel core e si smarri nel viso;
e alFarrivar del cavallier d'Anglante,
presago del suo mat, parve conquiso.
Per schermo suo partito alcun non prese,
quando il colpo mortal sopra gli scese.
XI
Orlando lo feri nel destro fianco
sotto Pultima costa; e il ferro, irnmerso
nel ventre, un palmo usci dal lato manco,
di sangue sin all'elsa tutto asperso.
Mostrd ben che di man fu del phi franco
e del meglior guerrier de Tuniverso
il colpo, ch'un signor condusse a morte
di cui non era in Pagania il piu forte.
1078 ORLANDO FURIOSO
XII
Di tal vittoria non troppo gioioso,
presto di sella il paladin si getta;
e col viso turbato e lacrimoso
a Brandimarte suo corre a gran fretta.
Gli vede intorno il campo sanguinoso:
1'elmo che par ch'aperto abbia una accctta,
se fosse stato fral piu che di scorza,
difeso non 1'avria con minor forza.
XIII
Orlando 1'elmo gli levo dal viso,
e ritrov6 che 71 capo sino al naso
fra 1'uno e Faltro ciglio era divisor
ma pur gli e tanto spirto anco rimaso,
che de' suoi falli al Re del paradiso
pu6 domandar perdono anzi 1'occaso;
e confortare il conte, che le gote
sparge di pianto, a pazienzia puote;
XIV
e dirgli : — Orlando, fa che ti raccordi
di me ne 1'orazion tue grate a Dio;
ne men ti raccomando la mia Fiordi . . . — -
ma dir non pote ligi, e qui finio.
E voci e suoni d'angeli concordi
tosto in aria s'udir che 1'alma uscio;
la qual disciolta dal corporeo velo
fra dolce melodia sail nel cielo.
xv
Orlando, ancor che far dovea allegrezza
di si devoto fine, e sapea certo
che Brandimarte alia suprema altezza
salito era; che '1 ciel gli vide aperto;
pur da la umana volontade, avezza
coi fragil sensi, male era sofferto
ch'un tal piu che fratel gli fosse tolto,
e non aver di pianto umido il volto.
CANTO QUARANTESIMOSECONDO 1079
XVI
Sobrin che molto sangue avea perduto,
che gli piovea sul franco e su le gote,
riverso gia gran pezzo era caduto,
e aver ne dovea ormai le vene v6te.
Ancor giacea Olivier, ne riavuto
il piede avea, ne riaver lo puote
se non ismosso, e de lo star che tanto
gli fece il destrier sopra, mezzo infranto :
XVII
e se '1 cognato non venia ad aitarlo
(si come lacrimoso era e dolente),
per s6 medesmo non potea ritrarlo ;
e tanta doglia e tal martir ne sente,
che ritratto che Pebbe, n£ a mutarlo
ne a fermarvisi sopra era possente;
e n'ha insieme la gamba si stordita,
che muover non si pu6 se non si aita.
XVIII
De la vittoria poco rallegrosse
Orlando; e troppo gli era acerbo e duro
veder che morto Brandimarte fosse,
ne del cognato molto esser sicuro.
Sobrin, che vivea ancora, ritrovosse,
ma poco chiaro avea con molto oscuro;
che la sua vita per Fuscito sangue
era vicina a rimanere esangue.
XIX
Lo fece tor, che tutto era sanguigno,
il conte, e medicar discretamente ;
e confortollo con parlar benigno,
come se stato gli fosse parente;
che dopo il fatto nulla di maligno
in s6 tenea, ma tutto era clemente.
Fece dei morti arme e cavalli t6rre;
del resto a' servi lor Iasci6 disporre.
loSo ORLANDO FURIOSO
XX
Qui de la istoria mia, che non sia vera,
Federico Fulgoso e in dubbio alquanto;
che con 1'armata avendo la riviera
di Barberia trascorsa in ogni canto,
capito quivi, e 1'isola si fiera,
montuosa e inegual ritrovo tanto,
che non e, dice, in tutto il luogo strano,
ove un sol pie si possa metter piano:
XXI
ne verisimil tien che ne Palpestre
scoglio sei cavallieri, il fior del mondo,
potesson far quella battaglia equestrc.
Alia quale obiezion cosi rispondo:
ch'a quel tempo una piazza de le destre,
che sieno a questo, avea lo scoglio al fondo;
ma poi ch'un sasso che '1 tremuoto apcrse
le cadde sopra, e tutta la coperse,
XXII
Si che, o chiaro fulgor de la Fulgosa
stirpe, o serena, o sempre viva luce,
se mai mi riprendeste in questa cosa,
e forse inanti a quello invitto duce
per cui la vostra patria or si riposa,
lascia ogni odio, e in amor tutta s'induce;
vi priego che non siate a dirgli tardo
ch'esser puo che ne in questo io sia bugiardo.
xxin
In questo tempo, alzando gli occhi al mare,
vide Orlando venire a vela in fretta
un naviiio leggier, che di calare
facea sembiante sopra Pisoletta.
Di chi si fosse, io non voglio or contare,
perc'ho piu d'uno altrove che m'aspetta.
Veggiamo in Francia, poi che spinto n'hanno
i Saracin, se mesti o lieti stanno.
CANTO QUARANTESIMOSECONDO Io8l
XXIV
Veggian che fa quella fedele amante '
che vede il suo contento ir si lontano;
dico la travagliata Bradamante,
poi che ritrova il giuramento vano,
ch'avea fatto Ruggier pochi di inante,
udendo il nostro e Faltro stuol pagano.
Poi ch'in questo ancor manca, non le avanza
in ch'ella debba piu metier speranza.
xxv
E ripetendo i pianti e le querele
che pur troppo domestiche le furo,
torno a sua usanza a nominar crudele
Ruggiero, e '1 suo destin spietato e duro.
Indi sciogliendo al gran dolor le vele,
il ciel che consentia tanto pergiuro,
ne fatto n'avea ancor segno evidente,
ingiusto chiama, debole e impotente.
XXVI
Ad accusar Melissa si converse,
e maledir Poracol de la grotta;
ch'a lor mendace suasion s'immerse
nel mar d'amore, ov'e a morir condotta.
Poi con Marfisa ritorn6 a dolerse
del suo fratel che le ha la fede rotta:
con lei grida e si sfoga, e le domanda
piangendo aiuto, e se le raccomanda.
XXVII
Marfisa si ristringe ne le spalle
e, quel sol che p6 far, le da conforto;
ne crede che Ruggier mai cosi falle,
ch'a lei non debba ritornar di corto.
E se non torna pur, sua fede dalle,
ch'ella non patira si grave torto ;
o che battaglia pigliera con esso,
o gli fara osservar ci6 c'ha promesso.
1082 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
Cosi fa ch'ella un poco il duol raffrena;
ch'avendo ove sfogarlo, e meno acerbo.
Or ch'abbiam vista Bradamante in pena,
chiamar Ruggier pergiuro, empio e superho;
veggiamo ancor, se miglior vita mena
il fratel suo che non ha polso o nerbo,
osso o medolla che non senta caldo
de le fiamme d'amor; dico Rinaldo.
XXIX
Dico Rinaldo, il qual, corne sapete,
Angelica la bella amava tanto;
ne Favea tratto all'amorosa rete
si la belta di lei, come Fincanto.
Aveano gli altri paladin quiete,
essendo ai Mori ogni vigore affranto:
tra i vincitori era rimaso solo
egli captivo in amoroso duolo.
XXX
Cento messi a cercar che cli lei fusse
avea mandato, e cerconne egli stcsso.
Al fine a Malagigi si ridusse,
che ne: bisogni suoi Faiuto spesso,
A narrar il suo amor se gli condusse
col viso rosso e col ciglio demesso;
indi lo priega che gli insegni dove
la desiata Angelica si trove.
XXXI
Gran maraviglia di si strano caso
va rivolgendo a Malagigi il petto.
Sa che sol per Rinaldo era rimaso
d'averla cento volte e piii nel letto:
et egli stesso, accio che persuaso
fosse di questo, avea assai fatto e detto
con prieghi e con minaccie per piegarlo;
ne mai avuto avea poter di farlo:
CANTO QUARANTESIMOSECONDO 1083
XXXII
e tanto piu, ch'allor Rinaldo avrebbe
tratto fuor Malagigi di prigione.
Fare or spontaneamente lo vorrebbe,
che nulla giova, e n'ha minor cagione.
Poi priega lui che ricordar si debbe
pur quanto ha offeso in questo oltr'a ragione;
che per negargli gia, vi manco poco
di non farlo morire in scuro loco.
XXXIII
Ma quanto a Malagigi le domande
di Rinaldo importune piii pareano,
tanto che Tamor suo fosse piu grande
indizio manifesto gli faceano.
I prieghi che con lui vani non spande,
fan che subito immerge ne 1'oceano
ogni memoria de la ingiuria vecchia,
e che a dargli soccorso s'apparecchia.
xxxiv
Termine tolse alia risposta, e spene
gli die che favorevol gli saria,
e che gli sapra dir la via che tiene
Angelica, o sia in Francia o dove sia.
E quindi Malagigi al luogo viene
ove i demoni scongiurar solia,
ch'era fra monti inaccessibil grotta:
apre il libro, e li spirti chiama in frotta.
xxxv
Poi ne sceglie un che dej casi d'amore
avea notizia, e da lui saper voile,
come sia che Rinaldo ch'avea il core
dianzi si duro, or 1'abbia tanto molle:
e di quelle due fonti ode il tenore,
di che Tuna da il fuoco, e Faltra il tolle;
e al mal che Tuna fa, nulla soccorre,
se non Taltra acqua che contraria corre.
1084 ORLANDO Fl'RIOSO
XXXVI
Et ode come avendo gia di quella
che I'amor caccia, beuto Rinaldo,
ai lunghi prieghi d' Angelica bella
si dimostro cosi ostinato e saldo;
e che poi giunto per sua iniqua Stella
a her ne 1'altra 1'amoroso caldo,
torno ad amar, per forza di quelle aequt\
lei che pur dianzi oltr'al dover gli spiacque.
xxxvn
Da iniqua Stella e fier destin fu giunto
a ber la fiamma in qucl ghiacciato rivo;
perche Angelica venne quasi a un punto
a ber ne Paltro di dolcezza privo,
che d'ogni amor le lascio il cor si emunto,
ch'indi ebbe lui piu che !c serpi a schivo:
egli amo lei, e I'amor giunse al segno
in ch'era gia di lei Fodio e lo sdegno.
xxxvrn
Del caso strano di Rinaklo a pieno
fu Malagigi dal demonio instrutto,
che gli narro d'Angelica non mono,
ch'a un giovine african si don6 in tutto;
e come poi lasciato avca il terreno
tutto d'Europa, e per 1'instabil flutto
verso India sciolto avea dai liti ispani
su 1'audaci galee de' Catallani.
xxxix
Poi che venne il cugin per la risposta,
molto gli disuasc Malagigi
di piu Angelica amar, che s'era posta
d'un vilissimo barbaro ai servigi;
et ora si da Francia si discosta,
che mal seguir se ne potria i vestigi:
ch'era oggimai piu la ch*a mezza strada,
per andar con Medoro in sua contrada.
CANTO QUARANTESIMOSECONDO 1085
XL
La partita d' Angelica non molto
sarebbe grave alFanimoso amante;
ne pur gli avria turbato il sonno, o tolto
il pensier di tornarsene in Levante:
ma sentendo ch'avea del suo amor colto
un Saracino le primizie inante,
tal passione e tal cordoglio sente,
che non fu in vita sua mai piu dolente.
XLI
Non ha poter d'una risposta sola;
triema il cor dentro, e trieman fuor le labbia;
non pu6 la lingua disnodar parola;
la bocca ha amara, e par che tosco v'abbia.
Da Malagigi subito s'invola;
e come il caccia la gelosa rabbia,
dopo gran pianto e gran ramaricarsi,
verso Levante fa pensier tornarsi.
XLII
Chiede licenzia al figlio di Pipino:
e trova scusa che '1 destrier Baiardo,
che ne mena Gradasso saracino
contra il dover di cavallier gagliardo,
lo muove per suo onore a quel camino,
acci6 che vieti al Serican bugiardo
di mai vantarsi che con spada o lancia
Tabbia levato a un paladin di Francia.
XLIII
Lasciollo andar con sua Hcenzia Carlo,
ben che ne fu con tutta Francia mesto;
ma fmalmente non seppe negarlo,
tanto gli parve il desiderio onesto.
Vuol Dudon, vuol Guidone accompagnarlo ;
ma lo niega Rinaldo a quello e a questo.
Lascia Parigi, e se ne va via solo,
pien di sospiri e d' amoroso duolo.
1086 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Sempre ha in memoria, e mai non se gli tollc,
ch'averla mille volte avea potuto,
e mille volte avea ostinato e folle
di si rara belta fatto rifiuto;
e di tanto piacer ch'aver non voile,
si bello e si buon tempo era perduto:
et ora eleggerebbe un giorno corto
averne solo, e rimaner poi morto.
XLV
Ha sempre in mente, e mai non se ne partt%
come esser puote ch'un povero fante
abbia del cor di lei spinto da parte
merito e amor d'ogni altro primo amante.
Con tal pensier che '1 cor gli straccia e parte,
Rinaldo se ne va verso Levante;
e dritto al Reno e a Basilea si tiene,
fin che d'Ardenna alia gran selva viene.
XLVI
Poi che fu dentro a molte miglia andato
ii paladin pel bosco aventuroso,
da ville e da castella allontanato,
ove aspro era piu il luogo e periglioso,
tutto in un tratto vide il ciel turbato,
sparito il sol tra nuvoli nascoso,
et uscir fuor d'una caverna oscura
un strano mostro in feminil figura.
XLVII
Miil'occhi in capo avea senza palpebre;
non pu6 serrarli, e non credo che dorma:
non men che gli occhi, avea Porecchie crebrc;
avea in loco de crin serpi a gran torma.
Fuor de le diaboliche tenebre
nel mondo usci la spaventevol forma.
Un fiero e maggior serpe ha per la coda,
che pel petto si gira e che 1'annoda.
CANTO QUARANTESIMOSECONDO 1087
XLVIII
Quel ch'a Rinaldo in mille e mille irnprese
piu non avvenne mai, quivi gli avviene;
che come vede il mostro ch'all'offese
se gli apparecchia, e ch'a trovar lo viene,
tanta paura, quanta mai non scese
in altri forse, gli entra ne le vene:
ma pur Tusato ardir simula e finge,
e con trepida man la spada stringe.
XLIX
S'acconcia il mostro in guisa al fiero assalto,
che si pu6 dir che sia mastro di guerra:
vibra il serpente venenoso in alto,
e poi contra Rinaldo si disserra;
di qua di la gli vien sopra a gran salto.
Rinaldo contra lui vaneggia et erra:
colpi a dritto e a riverso tira assai,
ma non ne tira alcun che fera mai.
II mostro al petto il serpe ora gli appicca,
che sotto 1'arme e sin nel cor 1'agghiaccia;
ora per la visiera gliele ficca,
e fa ch'erra pel collo e per la faccia.
Rinaldo da 1'impresa si dispicca,
e quanto pu6 con sproni il destrier caccia:
ma la Furia infernal gia non par zoppa,
che spicca un salto, e gli e subito in groppa.
LI
Vada al traverso, al dritto, ove si voglia,
sempre ha con lui la maledetta peste;
n6 sa modo trovar, che se ne scioglia,
ben che '1 destrier di calcitrar non reste.
Triema a Rinaldo il cor come una foglia:
non ch'altrimente il serpe lo moleste;
ma tanto orror ne sente e tanto schivo,
che stride e geme, e duolsi ch'egli e vivo.
1088 ORLANDO FURIOSO
LII
Nel piu tristo sender, nel peggior calle
scorrendo va, nel piu intricate bosco,
ove ha piu asprezza il balzo, ove la valle
e piu spinosa, ov'e 1'aer piu fosco,
cosi sperando torsi da le spalle
quel brutto, abominoso, orrido tosco;
e ne sari a mal capitate forse,
se tosto non giungea chi lo soccorse.
LIII
Ma lo soccorse a tempo un cavalliero
di bello armato e lucido metallo,
che porta un giogo rotto per cimiero,
di rosse fiamme ha pien lo scudo giallo;
cosi trapunto il suo vestire altiero,
cosi la sopravesta del cavallo:
la lancia ha in pugno, e la spada al suo loco,
e la mazza all'arcion che getta foco.
LIV
Piena d'un foco eterno e quella mazza,
che senza consumarsi ognora avampa:
ne per buon scudo o tempra di corazza
o per grossezza d'elmo se ne scampa.
Dunque si debbe ii cavallier far piazza,
giri ove vuol Finestinguibil lampa:
ne manco bisognava al guerrier nostro,
per levarlo di man del crudel mostro.
LV
E come cavallier d'animo saldo,
ove ha udito il rumor, corre e galoppa,
tanto che vede il mostro che Rinaldo
col brutto serpe in mille nodi agroppa,
e sentir fagli a un tempo freddo e caldo;
che non ha via di torlosi di groppa.
Va il cavalliero, e fere il mostro al franco,
e lo fa trabboccar dal lato manco.
CANTO QUARANTESIMOSECONDO 1089
LVI
Ma quello e a pena in terra che si rizza,
e il lungo serpe intorno aggira e vibra.
Quest'altro piu con Pasta non 1'attizza;
ma di farla col fuoco si delibra.
La mazza impugna, e dove il serpe guizza,
spessi come tempesta i colpi libra;
ne lascia tempo a quel brutto animale,
che possa fame un solo o bene o male:
LVII
e mentre a dietro il caccia o tiene a bada,
e lo percuote, e vendica mille onte,
consiglia il paladin che se ne vada
per quella via che s'alza verso il monte.
Quel s'appiglia al consiglio et alia strada;
e senza dietro mai volger la fronte,
non cessa, che di vista se gli tolle,
ben che molto aspro era a salir quel colle.
LVIII
II cavallier, poi ch'alla scura buca
fece tornare il mostro da Tinferno,
ove rode se stesso e si manuca,
e da mille occhi versa il pianto eterno;
per esser di Rinaldo guida e duca
gli sali dietro, e sul giogo superno
gli fu alle spalle, e si mise con lui
per trarlo fuor de' luoghi oscuri e bui.
LIX
Come Rinaldo il vide ritornato,
gli disse che gli avea grazia infinita,
e ch'era debitore in ogni lato
di porre a beneficio suo la vita.
Poi lo domanda come sia nomato,
acci6 dir sappia chi gli ha dato aita,
e tra guerrieri possa e inanzi a Carlo
de Palta sua bonta sempre esaltarlo.
ORLANDO FURIOSO
LX
Rispose il cavallier: — Non ti rincresca
se Jl nome mio scoprir non ti voglfora:
ben tel diro prima ch'un passo cresca
Fombra; che ci sara poca dimora. —
Trovaro, andando insicmc, un'acqua frcsca
che col suo mormorio facea talora
pastori e viandanti al chiaro rio
venire, e berne 1'amoroso oblio.
LXI
Signer, queste eran quelle gelide acque,
quelle che spengon Famoroso cakio,
di cut bevendo ad Angelica nacque
Podio ch'ebbe dipoi sempre a Rinaldo.
E s'ella un tempo a lui prima dispiacque,
e se ne Podio il ritrov6 si saldo,
non derivd, Signor, la causa altronde,
se non d'aver beuto di queste onde.
LXII
II cavallier che con Rinaldo viene,
come si vede inanzi al chiaro rivo,
caldo per la fatica il destrier tiene,
e dice : — II posar qui non fia nocivo.
— Non fia — disse Rinaldo — se non bene;
ch'oltre che prema il mezzogiorno estivo,
m'ha cosi il brutto mostro travagliato,
che '1 riposar mi fia commodo e grato. —
LXIH
L'un e Paltr6 smontd del suo cavallo,
e pascer lo Iasci6 per la foresta;
e nel fiorito verde a rosso e a giallo
ambi si trasson I'elmo de la testa.
Corse Rinaldo al liquido cristallo,
spinto da caldo e da sete molesta,
e caccid, a un sorso del freddo liquore,
dal petto ardente e la sete e Tamore.
CANTO QUARANTESIMOSECONDO
LXIV
Quando lo vide Taltro cavalliero
la bocca sollevar de Tacqua mo lie,
e ritrarne pentito ogni pensiero
di quel desir ch'ebbe d'amor si folle;
si levo ritto, e con sembiante altiero
gli disse quel che dianzi dir non voile :
— Sappi, Rinaldo, il nome mio e lo Sdegno,
venuto sol per sciorti il giogo indegno. —
LXV
Cosi dicendo, subito gli sparve,
e sparve insieme il suo destrier con lui.
Questo a Rinaldo un gran miracol parve;
s'aggiro intorno, e disse : — Ove e costui ? —
Stimar non sa se sian magiche larve,
che Malagigi un dej ministri sui
gli abbia mandato a romper la catena
che lungamente 1'ha tenuto in pena:
LXVI
o pur che Dio da Talta ierarchia
gli abbia per ineffabil sua bontade
mandato, come gia mand6 a Tobia,
un angelo a levar di cecitade.
Ma buono o rio demonio, o quel che sia,
che gli ha renduta la sua libertade,
ringrazia e loda; e da lui sol conosce
che sano ha il cor da I'amorose angosce.
LXVII
Gli fu nel primier odio ritornata
Angelica; e gli parve troppo indegna
d'esser, non che si lungi seguitata,
ma che per lei pur mezza lega vegna.
Per Baiardo riaver tutta fiata
verso India in Sericana andar disegna,
si perche 1'onor suo lo stringe a farlo,
si per averne gia parlato a Carlo.
1092 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Giunse il giorno seguente a Basilea,
ove la nuova era venuta inante,
che '1 conte Orlando aver pugna dovea
contra Gradasso e contra il re Agramante,
Ne questo per aviso si sapea,
ch'avesse dato il cavallier d'Anglantc;
ma di Sicilia in fretta venut'era
chi la novella, v'apporto per vera.
LXIX
Rinaldo vuol trovarsi con Orlando
alia battaglia, e se ne vede lunge.
Di dieci in dieci miglia va mutando
cavalli e guide, e corre e sferza e pungc.
Passa il Reno a Costanza, e in su volando,
traversa 1'Alpe, et in Italia giunge.
Verona a dietro, a dietro Mantua lassa;
sul Po si trova, e con gran fretta il passa.
LXX
Gia s'inchinava il sol molto alia sera,
e gia apparia nel ciel la prima Stella,
quando Rinaldo in ripa alia riviera
stando in pensier s'avea da mutar sella,
o tanto soggiornar, che 1'aria nera
fuggisse inanzi alPaltra aurora bella,
venir si vede un cavalliero inanti
cortese ne Paspetto e nei sembianti.
LXXI
Costui, dopo il saluto, con bel modo
gli domandd s'aggiunto a moglie fosse,
Disse Rinaldo : — lo son nel giugai nodo — ;
ma di tal domandar maravigliosse.
Soggiunse quel: — Che sia cosl, ne godo. —
Poi, per chiarir perch^ tal detto mosse,
disse: — lo ti priego che tu sia contento
ch'io ti dia questa sera alloggiamento ;
CANTO QUARANTESIMOSECONDO 1093
LXXII
che ti far6 veder cosa che debbe
ben volentier veder chi ha moglie a lato. —
Rinaldo, si perche posar vorrebbe,
ormai di correr tanto affaticato ;
si perche" di vedere e d'udire ebbe
sempre aventure un desiderio innato;
accetto I'ofTerir del cavalliero,
e dietro gli piglio nuovo sentiero.
LXXIII
Un tratto d'arco fuor di strada usciro,
e inanzi un gran palazzo si trovaro,
onde scudieri in gran frotta veniro
con torchi accesi, e fero intorno chiaro.
Entr6 Rinaldo, e volt6 gli occhi in giro,
e vide loco il qual si vede raro,
di gran fabrica e bella e bene intesa;
ne a privato uom convenia tanta spesa.
LXXIV
Di serpentin, di porfido le dure
pietre fan de la porta il ricco vc-lto.
Quel che chiude e di bronzo, con figure
che sembrano spirar, muovere il volto.
Sotto un arco poi s'entra, ove misture
di bel musaico ingannan Tocchio molto.
Quindi si va in un quadro ch'ogni faccia
de le sue loggie ha lunga cento braccia.
LXXV
La sua porta ha per se ciascuna loggia,
e tra la porta e s6 ciascuna ha un arco :
d'ampiezza pari son, ma varia foggia
fe? d'ornamenti il mastro lor non parco.
Da ciascuno arco s'entra, ove si poggia
si facil, ch'un somier vi pu6 gir carco.
Un altro arco di su trova ogni scala;
e s'entra per ogni arco in una sala.
1094 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Gli archi di sopra escono fuor del segno
tanto, che fan coperchio alle gran porte;
e ciascun due colonne ha per sostegno,
altre di bronzo, altre di pietra forte.
Lungo sara, se tutti vi disegno
gli ornati alloggiamenti de la corte;
e oltr'a quel ch'appar, quanti agi sotto
la cava terra il mastro avea ridotto.
LXXVII
L'alte colonne e i capitelli d'oro,
da che i gemmati palchl eran suffulti,
i peregrini marmi che vi foro
da dotta mano in varie forme sculti,
pitture e getti, e tanfaltro lavoro
(ben che la notte agli occhi il piu ne occulti),
mostran che non bastaro a tanta mole
di duo re insieme le ricchezze sole.
LXXVIII
Sopra gli altri ornamenti ricchi e belli,
ch'erano assai ne la gioconda stanza,
v'era una fonte che per piu ruscelli
spargea freschissime acque in abondanza.
Poste le mense avean quivi i donzelli;
ch'era nel mezzo per ugual distanza:
vedeva, e parimente veduta era
da quattro porte de la casa altiera.
LXXIX
Fatta da mastro diligente e dotto
la fonte era con molta e suttil opra,
di loggia a guisa, o padiglion ch'in otto
faccie distinto intorno adombri e cuopra.
Un ciel d'oro, che tutto era di sotto
colorito di smalto, le sta sopra;
et otto statue son di marmo bianco,
che sostengon quel ciel col braccio manco.
CANTO QUARANTESIMOSECONDO IOQ5
LXXX
Ne la man destra il corno d'Amaltea
sculto avea lor Pingenioso mastro,
onde con grato murmure cadea
Pacqua di fuore in vaso d'alabastro;
et a sembianza di gran donna avea
ridutto con grande arte ogni pilastro.
Son d'abito e di faccia differente,
ma grazia hanno e belta tutte ugualmente.
LXXXI
Fermava il pi& ciascun di questi segni
sopra due belle imagini piu basse,
che con la bocca aperta facean segni
che '1 canto e Tarmonia lor dilettasse;
e quell'atto in che son, par che disegni
che 1'opra e studio lor tutto lodasse
le belle donne che sugli omeri hanno,
se fosser quei di cu' in sembianza stanno.
LXXXII
I simulacri inferiori in mano
avean lunghe et amplissime scritture,
ove facean con molta laude piano
i nomi de le piu degne figure;
e mostravano ancor poco lontano
i propri loro in note non oscure.
Miro Rinaldo a lume di doppieri
le donne ad una ad una e i cavallieri.
LXXXIII
La prima inscrizion ch'agli occhi occorre
con lungo onor Lucrezia Borgia noma,
la cui bellezza et onesta preporre
debbe all'antiqua la sua patria Roma.
I duo che voluto han sopra se t6rre
tanto eccellente et onorata soma,
noma lo scritto, Antonio Tebaldeo,
Ercole Strozza: un Lino et uno Orfeo.
1096 ORL'ANDO FURIOSO
LXXXIV
Non men gioconda statua ne men Bella
si vede appresso, e la scrittura dice:
«Ecco la figlia d'Ercole, Issabella,
per cui Ferrara si terra felice
via piu, perche in lei nata sara quella,
che d'altro ben che prospera e fau trice
e benigna Fortuna dar le dcvc,
volgendo gli anni nel suo corso lieve. »
LXXXV
I duo che mostran disiosi affetti
che la gloria di lei sempre risuonc,
Gian lacobi ugualmente erano detti,
Puno Calandra, e Paltro Bardelone.
Nel terzo e quarto loco ove per stretti
rivi Pacqua esce fuor del padiglione,
due donne son, che patria, stirpe, onore
hanno di par, di par belta e valore,
LXXXVI
Elisabetta Tuna, e Leonora
nominata era Paltra: e fia, per quanto
narrava il marmo sculto, d'esse ancora
si gloriosa la terra di Manto,
che di Vergilio, che tanto Tonora,
piu che di queste, non si dara vanto.
Avea la prima a pie del sacro lembo
lacobo Sadoletto e Pietro Bembo,
LXXXVII
Uno elegante Castiglione, e un culto
Muzio Arelio de Taltra eran sostegni.
Di questi nomi era il bel marmo sculto,
ignoti allora, or si famosi e degni.
Veggon poi quella a cui dal cielo indulto
tanta virtu sara, quanta ne regni,
o mai regnata in alcun tempo sia,
versata da Fortuna or buona or ria.
CANTO QUARANTESIMOSECONDO 1097
LXXXVIII
Lo scritto cToro esser costei dichiara
Lucrezia Bentivoglia; e fra le lode
pone di lei, che '1 duca di Ferrara
d'esserle padre si rallegra e gode.
Di costei canta con soave e .chiara
voce un Camil che '1 Reno e Felsina ode
con tanta attention, tanto stupore,
con quanta Anfriso udi gia il suo pastore;
LXXXIX
et un per cui la terra, ove Tlsauro
le sue dolci acque insala in maggior vase,
nominata sara da 1'Indo al Mauro,
e da 1'austrine all'iperboree case,
via piu che per pesare il romano auro,
di che perpetuo nome le rimase;
Guido Postumo, a cui doppia corona
Pallade quinci, e quindi Febo dona.
xc
L'altra che segue in ordine e Diana.
«Non guardar» dice il marmo scritto ccch'ella
sia altiera in vista; che nel core umana
non sara per6 men ch'in viso bella. »
II dotto Celio Calcagnin lontana
fara la gloria e '1 bel nome di quella
nel regno di Monese, in quel di luba,
in India e Spagna udir con chiara tuba:
xci
et un Marco Cavallo, che tal fonte
fara di poesia nascer d'Ancona,
qual fe' il cavallo alato uscir del monte,
non so se di Parnasso o d'Elicona.
Beatrice appresso a questo alza la fronte,
di cui lo scritto suo cosi ragiona:
((Beatrice bea, vivendo, il suo consorte,
e lo lascia infelice alia sua morte;
1098 ORLANDO FURIOSO
XCII
anzi tutta P Italia, che con lei
fia triunfante, e senza lei captiva. »
Un signer di Coreggio di costei
con alto stil par che cantando scriva,
e Timoteo, 1'onor de* Bendedci:
ambi faran tra Tuna e Paltra riva
fermare al suon dej lor soavi plcttri
il flume ore sudar gli antiqui elettri.
xcin
Tra questo loco e quel de la colonna
che fu sculpita in Borgia, com'e detto,
formata in alabastro una gran donna
era di tanto e si sublime aspetto,
che sotto puro velo, in nera gonna,
senza oro e gemme, in un vestire schietto,
tra le piu adorne non parea men bella,
che sia tra Paltre la ciprigna Stella,
xciv
Non si potea, ben contemplando fiso,
conoscer se piu grazia o piu beltade,
o maggior maesta fosse nel viso,
o piu indizio d'ingegno o d'onestade,
« Chi vorra di costei » dicea Pinciso
marmo tcparlar, quanto parlar n'accade,
ben torra impresa piu d'ogn'altra degna;
ma non pero ch'a fin mai se ne vegna, »
xcv
Dolce quantunque e pien di grazia tanto
fosse il suo bello e ben formato segno,
parea sdegnarsi che con umil canto
ardisse lei lodar si rozzo ingegno?
com'era quel che sol, senz'altri a canto
(non so perche"), le fu fatto sostegno.
Di tutto *1 resto erano i nomi sculti;
sol questi duo 1'artefice avea occulti.
CANTO QUARANTESIMOSECONDO 1099
XCVI
Fanno le statue in mezzo un luogo ton do,
che '1 pavimento asciutto ha di corallo,
di freddo soavissimo giocondo,
che rendea il puro e liquido cristallo,
che di fuor cade in un canal fecondo,
che '1 prato verde, azzurro, bianco e giallo
rigando, scorre per vari ruscelli,
grato alle morbide erbe e agli arbuscelli.
XCVII
Col cortese oste ragionando stava
il paladino a mensa; e spesso spesso,
senza piti differir, gli ricordava
che gli attenesse quanto avea promesso:
e ad or ad or mirandolo, osservava
ch'avea di grande affanno il core oppresso;
che non pu6 star momento che non abbia
un cocente sospiro in su le labbia.
XCVIII
Spesso la voce dal disio cacciata
viene a Rinaldo sin presso alia bocca
per domandarlo ; e quivi, raffrenata
da cortese modestia, fuor non scocca.
Ora essendo la cena terminata,
ecco un donzello a chi I'ufficio tocca,
pon su la mensa un bel nappo d'or fino,
di fuor di gemme, e dentro pien di vino.
xcix
II signor de la casa allora alquanto
sorridendo, a Rinaldo Iev6 il viso;
ma chi ben lo notava, piu di pianto
parea ch'avesse voglia che di riso.
Disse : — Ora a quel che mi ricordi tanto,
che tempo sia di sodisfar m'e aviso ;
mostrarti un paragon ch'esser de' grato
di vedere a ciascun c'ha moglie allato.
1 100 ORLANDO FURIOSO
C
Ciascun marito, a mio giudizio, deve
sempre spiar se la sua donna I'arna;
saper s'onore o blasmo ne riceve,
se per lei bestia, o se pur uom si chiania.
L'incarco de le corna e lo piu lieve
ch'al mondo sia, se ben I'uom tanto infama:
10 vede quasi tutta Taltra gente;
e chi Tha in capo, mai non se lo sente.
cr
Se tu sai che fedel la moglie sia,
hai di piu amarla e d'onorar ragione,
che non ha quel che la conosce ria,
0 quel che ne sta in dubbio e in passionc.
Di molte n'hanno a torto gelosia
1 lor mariti, che son caste e buone:
molti di molte anco sicuri stanno,
che con le corna in capo se ne vanno.
en
Se vuoi saper se la tua sia pudica
(come io credo che credi, e creder dei ;
ch'altrimente far credere e fatica,
se chiaro gia per prova non ne set),
tu per te stesso, senza ch'altri il dica,
te n'avvedrai, s'in questo vaso bei;
che per altra cagion non e qui messo,
che per mostrarti quanto io t'ho promesso.
cm
Se bei con questo, vedrai grande effetto;
che se porti il cimier di Cornovaglia,
11 vin ti spargerai tutto sul petto,
ne gocciola sara ch'in bocca saglia:
ma s'hai moglie fedel, tu berai netto.
Or di veder tua sorte ti travaglia. —
Cosi dicendo, per mirar tien gli occhi,
ch'in seno il vin Rinaldo si trabbocchi.
CANTO QUARANTESIMOSECONDO IIOI
CIV
Quasi Rinaldo di cercar suaso
quel che poi ritrovar non vorria forse,
messa la mano inanzi, e preso il vaso,
fu presso di volere in prova p6rse :
poi, quanto fosse periglioso il caso
a porvi i labri, col pensier discorse.
Ma lasciate, Signer, ch'io mi ripose;
poi dir6 quel che Jl paladin rispose.
1102 ORLANDO FURIOSO
CANTO QUARANTKSIMOTKRZO
I
O esecrabile Avarizia, o ingorda
fame d'avere, io non mi maraviglio
ch'ad alma vile c d'altre macchic lorda,
si facilmente dar possi di pigHo ;
ma che meni legato In una corda,
e che tu impiaghi del medesmo artigHo
alcun, che per altezza era d'ingegno,
se te schivar potea, d'ogni onor degno.
ii
Alcun la terra e '1 mare e '1 ciel misura,
e render sa tutte le cause a pieno
d'ogni opra, d'ogni effetto di Natura,
e poggia si ch'a Die riguarda in seno;
e non pud aver piu ferma e maggior cura»
morso dal tuo mortifero velcno,
ch'unir tesoro : e questo sol gli prcmc,
e ponvi ogni salute, ogni sua speme.
in
Rompe eserciti alcuno, e ne le porte
si vede entrar di bellicose terre,
et esser primo a porre il petto forte,
ultimo a trarre, in perigliose guerre;
e non pu6 riparar che sino a morte
tu nel tuo cieco carcere nol serre.
Altri d'altre arti e d'altri studi industri,
oscuri fai, che sarian chiari e illustri.
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1103
IV
Che d'alcune dir6 belle e gran donne
ch'a bellezza, a virtu de fidi amanti,
a lunga servitu, piu che colonne
io veggo dure, immobili e constant! ?
Veggo venir poi 1'Avarizia, e ponne
far si, che par che subito le incanti:
in un di, senza amor (chi fia che Jl creda?)
a un vecchio, a un brutto, a un mostro le da in preda.
Non e senza cagion s'io me ne doglio:
intendami chi pu6, che m'intend'io.
Ne pero di proposito mi toglio,
ne la materia del mio canto oblio;
ma non piu a quel c'ho detto adattar voglio,
ch'a quel ch'io v'ho da dire, il parlar mio.
Or torniamo a contar del paladino
ch'ad assaggiare il vaso fu vicino.
VI
Io vi dicea ch'alquanto pensar voile,
prima ch'ai labri il vaso s'appressasse.
Pens6, e poi disse : — Ben sarebbe folle
chi quel che non vorria trovar, cercasse.
Mia donna e donna, et ogni donna e molle:
lascian star mia credenza come stasse.
Sin qui m'ha il creder mio giovato, e giova:
che poss'io megliorar per fame prova ?
VII
Potria poco giovare e nuocer molto;
che '1 tentar qualche volta Idio disdegna.
Non so s'in questo io mi sia saggio o stolto ;
ma non voj piu saper, che mi convegna.
Or questo vin dinanzi mi sia tolto:
sete non n'ho, ne vo* che me ne vegna;
che tal certezza ha Dio piia proibita,
ch'al primo padre Farbor de la vita.
1 104 ORLANDO FURIOSO
VIII
Che come Adam, poi che gusto del porno
che Dio con propria bocca gFinterdisse,
da la letizia al pianto fece un tomo,
onde in miseria poi sempre s'afflisse;
cosi se de la moglie sua vuol 1'uomo
tutto saper quanto ella fece e disse,
cade de 1'allegrezze in pianti e in guai,
onde non puo piu rilevarsi mai. —
IX
Cosi dicendo il buon Rinaldo, e intanto
respingendo da se 1'odiato vase,
vide abondare un gran rivo di pianto
dagli occhi del signor di quelle case,
che disse, poi che racchetossi al quanto:
— Sia maledetto chi mi persuase
ch'io facesse la prova, ohime! di sorte,
che mi Iev6 la dolce mia consorte.
x
Perche" non ti conobbi gia dieci anni,
si che io mi fossi consigliato teco,
prima che cominciassero gli affanni,
e *l lungo pianto onde io son quasi cieco?
Ma vo* levarti da la scena i panni ;
che 'I mio mal vegghi, e te ne dogli meco:
e ti dir6 ii principio e Fargumento
del mio non comparabile tormento.
XI
Qua su lasciasti una cittk vicina,
a cui fa intorno un chiaro fiume laco,
che poi si stende e in questo Po declina,
e 1'origine sua vien di Benaco.
Fu fatta la citta, quando a ruina
le mura andar de Fagenoreo draco.
Quivi nacque io di stirpe assai gentile,
ma in pover tetto e in facultade umile.
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1105
XII
Se Fortuna di me non ebbe cura
si che mi desse al nascer mio ricchezza,
al diffetto di lei suppli Natura,
che sopra ogni mio ugual mi die bellezza.
Donne e donzelle gia di mia figura
arder piu d'una vidi in giovanezza;
ch'io ci seppi accoppiar cortesi modi;
ben che stia mal che 1'uom se stesso lodi.
XIII
Ne la nostra cittade era un uom saggio,
di tutte Tarti oltre ogni creder dotto,
che quando chiuse gli occhi al febeo raggio,
contava gli anni suoi cento e ventotto.
Yisse tutta sua eta solo e selvaggio,
se non Pestrema; che d'Amor condotto,
con premio ottenne una matrona bella,
e n'ebbe di nascosto una cittella.
XIV
E per vietar che simil la figliuola
alia matre non sia, che per mercede
vende sua castita che valea sola
piu che quanto oro al mondo si possiede,
fuor del commercio popular la invola;
et ove piu solingo il luogo vede,
questo amplo e bel palagio e ricco tanto
fece fare a' demonii per incanto.
xv
A vecchie donne e caste fe' nutrire
la figlia qui, ch'in gran belta poi venne;
ne che potesse altr'uom veder, ne udire
pur ragionarne in quella eta, sostenne.
E perch' avesse esempio da seguire,
ogni pudica donna che mai tenne
contra illicito amor chiuse le sbarre,
ci fe' d'intaglio o di color ritrarre:
II06 ORLANDO FURIOSO
XVI
non quelle sol che di vlrtude aniiche
hanno si il mondo all'eta prisca adorno;
di quai la fama per Fistorie antichc
non e per veder mai Fultimo giorno:
ma nel futuro ancora altre pudiche
che faran bella Italia d'ogn'intorno,
ci fe' ritrarre in lor fattezze conte,
come otto che ne vedi a questa fonte.
xvn
Poi che la figlia al vecchio par matura
si, che ne possa 1'uom cogliere i frutti;
0 fosse mia disgrazia o mia aventura,
eletto fui degno di lei fra tutti.
1 lati campi oltre alle belle mura,
non meno i pescarecci che gli asciutti
che ci son d'ogn'intorno a venti miglia,
mi consegno per dote de la figlia.
XVIII
Ella era bella e costumata tanto,
che piu desiderar non si potea.
Di bei trapunti e di riccami, quanto
mai ne sapesse Pallade, sapea,
Vedila andare, odine il suono e '1 canto:
celeste e non mortal cosa parea.
E in modo aU*arti liberal? attese,
che quanto il padre, o poco men n'intese.
XIX
Con grande ingcgno, e non minor bellezza
che fatta Tavria amabil fin ai sassi,
era giunto un amore, una doicezza,
che par ch'a rimembrarnc il cor mi passi.
Non avca piu piacer no* piu vaghezza,
che d'esser meco ov'io mi stessi o andassi.
Senza aver lite mai stemmo gran pezzo:
ravemmo poi, per colpa mia, da sezzo.
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1107
XX
Morto il suocero mio dopo cinque anni
ch'io sottoposi il collo al giugal nodo,
non stero molto a cominciar gli affanni
ch'io sento ancora, e ti diro in che modo.
Mentre mi richiudea tutto coi vanni
1'amor di questa mia che si ti lodo,
una femina nobil del paese,
quanto accender si puo, di me s'accese.
XXI
Ella sapea d'incanti e di malie
quel che saper ne possa alcuna maga:
rendea la notte chiara, oscuro il die,
fermava il sol, facea la terra vaga.
Non potea trar per6 le voglie mie,
che le sanassin Famorosa piaga
col rimedio che dar non le potria
senza alta ingiuria de la donna mia.
XXII
Non perche fosse assai gentile e bella,
n6 perche sapess'io che si me amassi,
ne per gran don, ne per promesse ch'ella
mi fesse molte, e di continue instassi,
ottener pote mai ch'una fiammella,
per dark a lei, del primo amor levassi ;
ch'a dietro ne traea tutte mie voglie
il conoscermi fida la mia moglie.
XXIII
La speme, la credenza, la certezza
che de la fede di mia moglie avea,
m'avria fatto sprezzar quanta bellezza
avesse mai la giovane ledea,
o quanto offerto mai senno e ricchezza
fu al gran pastor de la montagna Idea.
Ma le repulse mie non valean tanto,
che potesson levarmela da canto.
II08 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Un di che mi trovo fuor del palagio
la maga, che nomata era Melissa,
e mi pote parlare a suo grande agio,
modo trovo da por mia pace in rissa,
e con lo spron di gelosia malvagio
cacciar del cor la fe che v'era iissa.
Comincia a comendar la intension mia,
ch'io sia fedele a chi fedel mi sia.
xxv
« Ma che ti sia fedel, tu non puoi dire,
prima che di sua fe prova non vedi.
S'ella non falle, e che potria fallire,
che sia fedel, che sia puclica credi.
Ma se mai senza te non la lasci ire,
se mai vedere altr'uom non le conciedi,
onde hai questa baldanza, che tu dica
e mi vogli affermar che sia pudica ?
XXVI
Scostati un poco, scostati da casa;
fa che le cittadi odano e i villaggi
che tu sia andato, e ch'ella sia rimasa;
agli amanti da commodo e ai messaggi.
S'a prieghi, a doni non fia persuasa
di fare al letto maritale oltraggi,
e che facendol creda che si cele,
allora dir potrai che sia fedele. »
xxvn
Con tal parole e simili non cessa
Pincantatrice, fin che mi dispone
che de la donna mia la fede esprt\ssa
veder voglia e provare a paragone.
«Ora pogniamo» le soggiungo ttch'essa
sia qual non posso averne opinione:
come potr6 di lei poi farmi certo
che sia di punizion degna o di merto?»
CANTO QUARANTESIMOTERZO IIOQ
XXVIII
Disse Melissa: «Io ti dar6 un vasello
fatto da her, di virtu rara e strana;
qual gia per fare accorto il suo fratello
del fallo di Genevra, fe5 Morgana.
Chi la moglie ha pudica, bee con quello:
ma non vi pub gia her chi 1'ha puttana;
che '1 vin, quando lo crede in bocca porre,
tutto si sparge, e fuor nel petto scorre.
XXIX
Prima che parti, ne farai la prova,
e per lo creder mio tu berai netto ;
che credo ch'ancor netta si ritrova
la moglie tua: pur ne vedrai FefTetto.
Ma s'al ritorno esperienza nuova
poi ne farai, non t'assicuro il petto:
che se tu non lo immolli, e netto bei,
d'ogni marito il phi felice sei. »
xxx
L'oiferta accetto; il vaso ella mi dona:
ne fo la prova, e mi succede a punto;
che, com' era il disio, pudica e buona
la cara moglie mia trovo a quel punto.
Dice Melissa: «Un poco 1'abbandona;
per un mese o per duo stanne disgiunto:
poi torna; poi di nuovo il vaso tolli;
prova se bevi, o pur se '1 petto immolli. »
XXXI
A me duro parea pur di partire;
non perch£ di sua fe si dubitassi,
come ch'io non potea duo di patire,
ne un'ora pur, che senza me restassi.
Disse Melissa: «Io ti far6 venire
a conoscere il ver con altri passi.
Vo' che muti il parlare e i vestimenti,
e sotto viso altrui te Fappresenti. »
IIIO ORLANDO FURIOSO
XXXII
Signer, qui presso una citta difende
il Po fra minacciose e fiere corna;
la cui iuridizion di qui si stende
fin dove il mar fugge dal lito e torna.
Cede d'antiquita, ma ben contende
con le vicine in esser ricca e adorna.
Le reliquie troiane la fondaro
che dal fiagello d'Attila camparo.
xxxnr
Astringe e lenta a questa terra il morso
un cavalHer giovene, ricco e bello,
che dietro un giorno a un suo falcone iseorso,
essendo capitato entro il mio ostelio,
vide la donna, e si nel primo occorso
gli piacque, che nel cor porto il suggello;
ne cesso molte pratice far poi
per inchinarla ai desiderii suoi,
XXXIV
Ella gli fece dar tante repulse,
che piu tentarla al fine egli non volse;
ma la belta di lei, ch'Amor vi sculse,
di memoria pero non se gli tolse.
Tanto Melissa aliosingommi e mulse,
ch'a tor la forma di colui mi volse;
e mi muto (n6 so ben dirti come)
di faccia, di parlar, d*occhi e di chiome.
XXXV
Gia con mia moglie avendo simulato
d' esser partito e gitone in Levant e,
nel giovene amator cosi mutato
Fandar, la voce, Fabito e *1 sembiante,
me ne ritorno, et ho Melissa a lato,
che s'era trasformata, e parea un fante;
e le piu ricche gemme avea con lei,
che mai mandassin gFIndi o gli EritreL
CANTO QUARANTESIMOTERZO IIII
XXXVI
lo che 1'uso sapea del mio palagio,
entro sicuro, e vien Melissa meco;
e madonna ritrovo a si grande agio,
che non ha ne scudier ne donna seco.
I miei prieghi le espongo, indi il malvagio
stimulo inanzi del mal far le arreco :
i rubini, i diamanti e gli smeraldi,
che mosso arebbon tutti i cor piu saldi.
XXXVII
E le dico che poco e questo dono
verso quel che sperar da me dovea:
de la commodita poi le ragiono
che, non v'essendo il suo marito, avea:
e le ricordo che gran tempo sono
stato suo amante, com'ella sapea;
e che 1'amar mio lei con tanta fede
degno era avere al fin qualche mercede.
XXXVIII
Turbossi nel principio ella non poco,
divenne rossa, et ascoltar non voile;
ma il veder fiammeggiar poi come fuoco
le belle gemme, il duro cor fe' molle:
e con parlar rispose breve e fioco,
quel che la vita a rimembrar mi tolle;
che mi compiaceria, quando credesse
ch'altra persona mai nol risapesse.
xxxix
Fu tal risposta un venenato telo
di che me ne send' Talma traffissa;
per Fossa andommi e per le vene un gielo:
ne le fauci rest6 la voce fissa.
Levando allora del suo incanto il velo,
ne la mia forma mi torn6 Melissa.
Pensa di che color dovesse farsi,
ch'in tanto error da me vide trovarsi.
III2 ORLANDO FURIOSO
XL
Divenimmo ambi di color di morte,
muti ambi, ambi restian con gli occchi bassi.
Potei la lingua a pena aver si forte,
e tanta voce a pena, ch'io gridassi:
«Me tradiresti dunque tu, consort e,
quando tu avessi chi '1 mio onor comprassi ? »
Altra risposta darmi ella non puotc,
che di rigar di lacrime le gote.
XLI
Ben la vergogna e assai, ma piu lo sdegno
ch'ella ha da me veder farsi quclla onta;
e multiplica si senza ritegno,
ch'in ira al fine e in crudelc odio monta.
Da me fuggirsi tosto fa disegno;
e ne 1'ora che '1 Sol del carro smonta,
al fiume corre, e in una sua barchetta
si fa calar tutta la notte in fretta:
XLII
e la matina s'appresenta avante
al cavallier che 1'avea un tempo amata,
sotto il cui viso, sotto il cui sembiante
fu contra 1'onor mio da me tentata.
A lui che n'era stato et era amante,
creder si pub che fu la giunta grata.
Quindi ella mi fe* dir ch'io non sperassi
che mai piu fosse mia, ne piu m'amassi.
XLIII
Ah lasso! da quel di con lui dimora
in gran piaccre, e di me prende giuoco;
et 5o del mal che procacciammi allora,
ancor languisco, e non ritrovo loco.
Cresce il mal sempre, e giusto e ch'io ne muora;
e resta omai da consumarci poco.
Ben credo che '1 primo anno sarei morto,
se non mi dava aiuto un sol conforto.
CANTO QUARANTESIMOTERZO . III3
XLIV
II conforto ch'io prendo, e che di quanti
per dieci anni mai fur sotto al mio tetto
(ch'a tutti questo vaso ho messo inanti),
non ne trovo un che non s'immolli il petto.
Aver nel caso mio compagni tanti
mi da fra tanto mal qualche diletto.
Tu tra infmiti sol sei stato saggio,
che far negasti il periglioso saggio.
XLV
II mio voler cercare oltre alia meta
che de la donna sua cercar si deve,
fa che mai piu trovare ora quieta
non pu6 la vita mia, sia lunga o breve.
Di cio Melissa fu a principio lieta:
ma cesso tosto la sua gioia lieve;
ch'essendo causa del mio mal stata ella,
io Fodiai si, che non potea vedella.
XLVI
Ella d'esser odiata impaziente
da me che dicea amar piu che sua vita,
ove donna restarne immantinente
creduto avea, che Paltra ne fosse ita;
per non aver sua doglia si presente,
non tard6 molto a far di qui partita ;
e in modo abbandono questo paese,
che dopo mai per me non se n'intese. —
XLVII
Cosi narrava il mesto cavalliero :
e quando fine alia sua istoria pose,
Rinaldo alquanto ste' sopra pensiero,
da pieta vinto, e poi cosi rispose:
— Mai consiglio ti die Melissa in vero,
che d'attizzar le vespe ti propose ;
e tu fusti a cercar poco aweduto
quel che tu avresti non trovar voluto.
III4 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Se d'avarizia la tua donna vinta
a voler fede romperti fu indutta,
non t'ammirar: ne prima ella ne quinta
fu de le donne prese in si gran lutta;
e mente via piu salda ancora e spinta
per minor prezzo a far cosa piu brutta.
Quanti uomini odi tu che gia per oro
han traditi padroni e amici loro ?
XLIX
Non dovevi assalir con si fiere armi,
se bramavi veder farle difesa,
Non sai tu, contra Tore, che ne i marmi
ne" '1 durissimo acciar sta alia contcsa?
Che piu fallasti tu a tentarla parmi,
di lei che cosi tosto resto presa.
Se te altretanto avesse ella tentato,
non so se tu piu saldo fossi stato. —
L
Qui Rinaldo fe* fine, e da la mensa
levossi a un tempo, e domando dormire;
che riposare un poco, e poi si pensa
inanzi al di d'un'ora o due partire.
Ha poco tempo, e *1 poco c'ha dispensa
con gran misura, e invan nol lascia giro.
II signor di la dentro, a suo piacere
disse che si potea porre a giacere;
LI
ch'apparecchlata era la stanza e '1 letto:
ma che se volea far per suo consiglio,
tutta notte dormir potria a diletto,
e dormendo avanzarsi qualche miglio.
— Acconciar ti faro — disse — un legnetto,
con che volando, e senz'aicun periglio
tutta notte dormendo vo' che vada,
e una giornata avanzi de la strada. —
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1115
LII
La proferta a Rinaldo accettar piacque,
e molto ringrazi6 1'oste cortese:
poi senza indugio la dove ne Facque
da' naviganti era aspettato, scese.
Quivi a grande agio riposato giacque,
mentre il corso del fiume il legno prese,
che da sei remi spinto, lieve e snello
pel fiume ando, come per Taria augello.
Lin
Cosi tosto come ebbe il capo chino,
il cavallier di Francia adormentosse ;
imposto avendo gia, come vicino
giungea a Ferrara, che svegliato fosse.
Resto Melara nel lito mancino;
nel lito destro Sermide festosse:
Figarolo e Stellata il legno passa,
ove le corna il Po iracondo abbassa.
LIV
De le due corna il nocchier prese il destro,
e Iasci6 andar verso Vinegia il manco;
passo il Bondeno: e gia il color cilestro
si vedea in oriente venir manco,
che votando di fior tutto il canestro
T Aurora vi facea vermiglio e bianco;
quando, lontan scoprendo di Tealdo
ambe le r6cche, il capo alz6 Rinaldo.
LV
— O citta bene aventurosa, — disse
— di cui gia Malagigi, il mio cugino,
contemplando le stelle erranti e fisse,
e constringendo alcun spirto indovino,
nei secoli futuri mi predisse
(gia ch'io facea con lui questo camino)
ch'ancor la gloria tua salira tanto,
ch'avrai di tutta Italia il pregio e 1 vanto. —
IIl6 ORLANDO FURIOSO
LVI
Cosi dicendo, e pur tuttavia in fretta
su quel battel che parea aver le penne,
scorrendo il re de' fiumi, all'isoletta
ch'alla cittade e piu propinqua, vefine:
e ben che fosse allora erma e negletta,
pur s'allegr6 di rivederla, e fenne
non poca festa; che sapea quanto ella,
volgendo gli anni, saria" ornata e bella.
LVII
Altra fiata che fej questa via,
udi da Malagigi, il qual seco era,
che settecento volte che si sia
girata col monton la quarta sfera,
questa la piu ioconda isola fia
di quante cinga mar, stagno o riviera;
si che, veduta lei, non sara ch'oda
dar piu alia patria di Nausicaa loda.
LVIII
Udi che di bei tetti posta inante
sarebbe a quella si a Tiberio cara;
che cederian PEsperide alle piante
ch'avria il bel loco, d'ogni sorte rara;
che tante spezie d'animali, quante
vi fien, ne in mandra Circe ebbe ne in hara;
che v'avria con le Grazie e con Cupido
Venere stanza, e non piu in Cipro o in Gnido:
LIX
e che sarebbe tal per studio e cura
di chi al sap ere et al potere unita
la voglia avendo, d'argini e di mura
avria si ancor la sua citta munita,
che contra tutto il mondo star sicura
potria, senza chiamar di fuori aita;
e che d'Ercol figliuol, d'Ercol sarebbe
padre il signor che questo e quel far debbe.
CANTO QUARANTESIMOTERZO
LX
Cosi venia Rinaldo ricordando
quel che gia il suo cugin detto gli avea,
de le future cose divinando,
che spesso conferir seco solea.
E tuttavia Pumil citta mirando :
aCome esser puo ch'ancor» seco dicea
adebban cosi fiorir queste paludi
de tutti i liberal! e degni studi ?
LXI
e crescer abbia di si piccol borgo
ampla cittade e di si gran bellezza?
e cio ch'intorno e tutto stagno e gorgo,
sien lieti e pieni campi di ricchezza?
Citta, sin ora a riverire assorgo
Tamor, la cortesia, la gentilezza
de' tuoi signori, e gli onorati pregi
dei cavallier, dei cittadini egregi.
LXII
L'ineffabil bonta del Redentore,
dej tuoi principi il senno e la iustizia,
sempre con pace, sempre con amore
ti tenga in abondanzia et in letizia;
e ti difenda contra ogni furore
de' tuoi nimici, e scuopra lor malizia:
del tuo contento ogni vicino arrabbi,
piu tosto che tu invidia ad alcuno abbi.»
LXIII
Mentre Rinaldo cosi parla, fende
con tanta fretta il suttil legno 1'onde,
che con maggiore a logoro non scende
falcon ch'al grido del padron risponde.
Del destro corno il destro ramo prende
quindi il nocchiero, e mura e tetti asconde:
San Georgio a dietro, a dietro s'allontana
la torre e de la Fossa e di Gaibana.
1117
IIl8 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Rinaldo, come accade ch'un pensiero
un altro dietro, e quello un altro mena,
si venne a ricordar del cavalliero
nel cui palagio fu la sera a cena;
che per questa cittade, a dire il vero,
avea giusta cagion di stare in pena:
e ricordossi del vaso da here,
che mostra altrui Terror de la mogliere;
LXV
e ricordossi insieme de la prova
che d'aver fatta il cavallier narrolli;
che di quanti avea esperti, uomo non trova
che bea nel vaso, e '1 petto non s'immolli.
Or si pente, or tra se dice: «E' mi giova
ch'a tanto paragon venir non volli.
Riuscendo, accertava il creder mio;
non riuscendo, a che partito era io ?
LXVI
Gli e questo creder mio, come io 1'avessi
ben certo, e poco accrescer Io potrei:
si che s'al paragon mi succedessi,
poco il meglio saria ch'io ne trarrei;
ma non gia poco il mal, quando vedessi
quel di Clarice mia, ch'io non vorrei.
Metter saria mille contra uno a giuoco ;
che perder si puo molto, e acquistar poco. »
LXVII
Stando in questo pensoso il cavalliero
di Chiaramonte, e non alzando il viso,
con molta attenzion fu da un nocchiero
che gli era incontra, riguardato fiso:
e perche di veder tutto il pensiero
che 1'occupava tanto, gli fu aviso,
come uom che ben parlava et avea ardire,
a seco ragionar Io fece uscire.
CANTO QUARANTESIMOTERZO
LXVIII
La somma fu del lor ragionamento
che colui malaccorto era ben stato,
che ne la moglie sua resperimento
maggior che puo far donna, avea tentato;
che quella che da 1'oro e da Targento
difende il cor di pudicizia armato,
tra mille spade via piu facilmente
difenderallo, e in mezzo al fuoco ardent e.
LXIX
II nocchier suggiungea: — Ben gli dicesti,
che non dovea offerirle si gran doni;
che contrastare a questi assalti e a questi
colpi non sono tutti i petti buoni.
Non so se d'una giovane intendesti
(ch'esser p6 che tra voi se ne ragioni),
che nel medesmo error vide il consorte,
di ch'esso avea lei condannata a morte.
LXX
Dovea in memoria avere il signor rnio,
che 1'oro e '1 premio ogni durezza inchina;
ma quando bisogn6, 1'ebbe in oblio,
et ei si procaccio la sua ruina.
Cosi sapea lo esempio egli com'io
che fu in questa citta di qui vicina,
sua patria e mia, che '1 lago e la palude
del rifrenato Menzo intorno chiude:
LXXI
d'Adonio voglio dir, che '1 ricco dono
fej alia moglie del giudice d'un cane.
— Di questo — disse il paladino — il suono
non passa 1'Alpe, e qui tra voi rimane ;
perche ne in Francia, ne dove ito sono,
parlar n'udi' ne le contrade estrane:
si che di' pur, se non t'incresce il dire;
che volentieri io mi t'acconcio a udire. —
1120 ORLANDO FURIOSO
LXXII
II nocchier comincio:— Gia fu di questa
terra un Anselmo di famiglia degna,
che la sua gioventu con lunga vesta
spese in saper cio ch'Ulpiano insegna;
e di nobil progenle, bella e onesta
moglie cerco, ch'al grado suo convegna;
e d'una terra quindi non lontana
n'ebbe una di bellezza sopraumana;
LXXIII
e di bei modi e tanto graziosi,
che parea tutto amore e leggiadria;
e di molto piu forse, ch'ai riposi,
ch'allo stato di lui non convenia.
Tosto che 1'ebbe, quanti mai gelosi
al mondo fur, passo di gelosia:
non gia ch'altra cagion gli ne desse ella,
che d'esser troppo accorta e troppo bella.
LXXIV
Ne la citta medesma un cavalliero
era d'antiqua e d'onorata gente,
che discendea da quel lignaggio altiero
ch'usci d'una mascella di serpente,
onde gia Manto, e chi con essa fero
la patria mia, disceser similmente.
II cavallier, ch'Adonio nominosse,
di questa bella donna inamorosse.
LXXV
E per venire a fin di questo amore,
a spender comincio senza ritegno
in vestire, in conviti, in farsi onore,
quanto pu6 farsi un cavallier piu degno.
II tesor di Tiberio imperatore
non saria stato a tante spese al segno,
lo credo ben che non passar duo verni,
ch'egli usci fuor di tutti i ben paterni.
CANTO QUARANTESIMOTERZO II2I
LXXVI
La casa ch'era dianzi frequentata
matina e sera tanto dagli amici,
sola rest6, tosto che fu privata
di starne, di fagian, di coturnici.
Egli che capo fu de la brigata,
rimase dietro, e quasi fra mendici.
Pens6, poi ch'in miseria era venuto,
d'andare ove non fosse conosciuto.
LXXVII
Con questa intenzione una mattina,
senza far motto altrui, la patria lascia;
e con sospiri e lacrime camina
lungo lo stagno che le mura fascia.
La donna che del cor gli era regina,
gia non oblia per la seconda ambascia.
Ecco un'alta aventura che lo viene
di sommo male a porre in sommo bene.
LXXVIII
Vede un villan che con un gran bastone
intorno alcuni sterpi s'affatica.
Quivi Adonio si ferma, e la cagione
di tanto travagliar vuol che gli dica.
Disse il villan che dentro a quel macchione
veduto avea una serpe molto antica,
di che piu lunga e grossa a' giorni suoi
non vide, n6 credea mai veder poi;
LXXIX
e che non si voleva indi partire,
che non Tavesse ritrovata e morta.
Come Adonio lo sente cosi dire,
con poca pazienzia lo sopporta.
Sempre solea le serpi favorire;
che per insegna il sangue suo le porta
in memoria ch'usci sua prima gente
de' denti seminati di serpente.
1122 ORLANDO FURIOSO
LXXX
E disse e fece col villano in guisa
che suo mal grado abbandono Timpresa;
si che da lui non fu la serpe uccisa,
ne piu cercata, ne altrimenti offesa.
Adonio ne va poi dove s'avisa
che sua condizion sia meno intesa;
e dura con disagio e con affanno
fuor de la patria appresso al settimo anno.
LXXXI
Ne mai per lontananza, ne strettezza
del viver, che i pensier non lascia ir vaghi,
cessa Amor che si gli ha la mano avezza,
ch'ognor non li arda il core, ognor impiaghi.
£ forza al fin che torni alia bellezza
che son di riveder si gli occhi vaghi.
Barbuto, afflitto, e assai male in arnese,
la donde era venuto, il camin prese.
LXXXII
In questo tempo alia mia patria accade
mandare uno oratore al Padre santo,
che resti appresso alia sua Santitade
per alcun tempo, e non fu detto quanto.
Gettan la sorte, e nel giudice cade.
Oh giorno a lui cagion sempre di pianto!
Fe' scuse, preg6 assai, diede e promesse
per non partirsi; e al fin sforzato cesse.
LXXXIII
Non gli parea crudele e duro manco
a dover sopportar tanto dolore,
che se veduto aprir s'avesse il fianco,
e vedutosi trar con mano il core.
Di geloso timor pallido e bianco
per la sua donna, mentre staria fuore,
lei con quei modi che giovar si crede,
supplice priega a non mancar di fede:
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1123
LXXXIV
dicendole ch'a donna ne bellezza,
n<§ nobilta, ne gran fortuna basta,
si che di vero onor monti in altezza,
se per nome e per opre non e casta;
e che quella virtu via piu si prezza,
che di sopra riman quando contrasta,
e ch'or gran campo avria per questa absenza,
di far di pudicizia esperienza.
LXXXV
Con tai le cerca et altre assai parole
persuader ch'ella gli sia fedele.
De la dura partita ella si duole,
con che lacrime, oh Dio! con che querele!
E giura che piu tosto oscuro il sole
vedrassi, che gli sia mai si crudele,
che rompa fede; e che vorria morire
piu tosto ch'aver mai questo desire.
LXXXVI
Ancor ch'a sue promesse e a suoi scongiuri
desse credenza e si achetasse alquanto,
non resta che piu intender non procuri,
e che materia non procacci al pianto.
Avea uno arnico suo, che dei futuri
casi predir teneva il pregio e '1 vanto ;
e d'ogni sortilegio e magica arte,
o il tutto, o ne sapea la maggior parte.
LXXXVII
Diegli pregando di vedere assunto
se la sua moglie, nominata Argia,
nel tempo che da lei stara disgiunto,
fedele e casta, o pel contrario fia.
Colui da prieghi vinto, tolle il punto,
il ciel figura come par che stia.
Anselmo il lascia in opra, e Paltro giorno
a lui per la risposta fa ritorno.
1124 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
L'astrologo tenea le labra chiuse,
per non dire al dottor cosa che doglia,
e cerca di tacer con molte sense.
Quando pur del suo mal vede c'ha voglia,
che gli rompera fede gli concluse,
tosto ch'egli abbia il pie fuor de la soglia,
non da bellezza ne da prieghi indotta,
ma da guadagno e da prezzo corrotta.
LXXXIX
Giunte al timore, al dubbio ch'avea prima,
quest e minaccie dei superni moti,
come gli stesse il cor, tu stesso stima,
se d'amor gli accidenti ti son noti.
E sopra ogni mestizia che Popprima,
e che Pafflitta mente aggiri e arruoti,
e '1 saper come, vinta d'avarizia,
per prezzo abbia a lasciar sua pudicizia.
XC
Or per far quanti potea far ripari
da non lasciarla in quel error cadere
(perche il bisogno a dispogliar gli altari
tra' 1'uom talvolta, che sel trova avere),
cio che tenea di gioie e di danari
(che n'avea somma) pose in suo potere:
rendite e frutti d'ogni possessione,
e ci6 c'ha al mondo, in man tutto le pone.
xci
((Con facultade» disse «che ne' tuoi
non sol bisogni te li goda e spenda,
ma che ne possi far ci6 che ne vuoi,
li consumi, li getti, e doni e venda;
altro conto saper non ne vo' poi:
pur che qual ti lascio or, tu mi ti renda,
pur che come or tu sei, mi sie rimasa,
fa che 10 non trovi ne poder ne casa. »
CANTO QUARANTESIMOTERZO JI25
XCII
La prega che non faccia, se non sente
ch'egli ci sia, ne la citta dimora;
ma ne la villa, ove piu agiatamente
viver potra d'ogni commercio fuora.
Questo dicea, pero che Fumil gente
che nel gregge o ne' campi gli lavora,
non gli era aviso che le caste voglie
contaminar potessero alia moglie.
XCIII
Tenendo tuttavia le belle braccia
al timido marito al collo Argia,
e di lacrime empiendogli la faccia,
ch'un fiumicel dagli occhi le n'uscia;
s'attrista che colpevole la faccia,
come di f£ mancata gia gli sia;
che questa sua sospizion precede
perche non ha ne la sua fede fede.
xciv
Troppo sara, s'io voglio ir rimembrando
do ch'al partir da tramendua fu detto.
all mio onor» dice al fin «ti raccomando » :
piglia licenzia, e partesi in effetto;
e ben si sente veramente, quando
volge il cavallo, uscire il cor del petto.
Ella lo segue, quanto seguir puote,
con gli occhi che le rigano le gote.
xcv
Adonio intanto misero e tapino,
e (come io dissi) pallido e barbuto,
verso la patria avea preso il camino,
sperando di non esser conosciuto.
Sul lago giunse alia citta vicino,
la dove avea dato alia biscia aiuto,
ch'era assediata entro la macchia forte
da quel villan che por la volea a morte.
1126 ORLANDO FURIOSO
XCVI
Quivi arrivando in su 1'aprir del giorno,
ch'ancor splendea nel cielo alcuna Stella,
si vede in peregrine abito adorno
venir pel lito incontra una donzella
in signoril sembiante, ancor ch'intorno
non Fapparisse ne scudier ne ancella.
Costei con grata vista lo raccolse,
e poi la lingua a tai parole sciolse:
xcvu
« Se ben non mi conosci, o cavalliero,
son tua parente, e grande obligo t'aggio:
parente son, perche da Cadmo fiero
scende d'amenduo noi 1'alto lignaggio.
lo son la fata Manto, che '1 primiero
sasso messi a f ondar questo villaggio ;
e dal rnio nome (come ben forse hai
contare udito) Mantua la nomai.
xcvm
De le fate io son una; et il fatale
stato per farti anco saper ch'importe,
nascemo a un punto, che d'ogn'altro male
siamo capaci fuor che de la morte.
Ma giunto e con questo essere immortale
condizion non men del morir forte;
ch'ogni settimo giorno ogniuna e certa
che la sua forma in biscia si converta.
xcix
II vedersi coprir del brutto scoglio,
e gir serpendo, e cosa tanto schiva,
che non e pare al mondo altro cordoglio;
tal che bestemmia ogniuna d'esser viva.
E Fobligo ch'io t'ho (perche ti voglio
insiememente dire onde deriva),
tu saprai che quel di, per esser tali,
siamo a periglio d'infiniti mali.
CANTO QUARANTESIMOTERZO II2J
C
Non e si odiato altro animale in terra,
come la serpe; e noi, che n'abbian faccia,
patimo da ciascuno oltraggio e guerra;
che chi ne vede, ne percuote e caccia.
Se non troviamo ove tornar sotterra,
sentiamo quanto pesa altrui le braccia.
Meglio saria poter morir, che rotte
e storpiate restar sotto le botte.
ci
L'obligo ch'io t'ho grande, e ch'una volta
che tu passavi per quest'ombre amene,
per te di mano fui d'un villan tolta,
che gran travagli m'avea dati e pene.
Se tu non eri, io non andava asciolta,
ch'io non portassi rotto e capo e schene,
e che sciancata non restassi e storta,
se ben non vi potea rimaner morta:
Cll
perche quei giorni che per terra il petto
traemo awolte in serpentile scorza,
il ciel ch'in altri tempi e a noi suggetto,
niega ubbidirci, e prive sian di forza.
In altri tempi ad un sol nostro detto
il sol si ferma e la sua luce ammorza;
rimmobil terra gira e muta loco ;
s'infiamma il ghiaccio, e si congela il fuoco.
cm
Ora io son qui per renderti mercede
del beneficio che mi festi allora.
Nessuna grazia indarno or mi si chiede
ch'io son del manto viperino fuora.
Tre volte piu che di tuo padre erede
non rimanesti, io ti fo ricco or ora:
ne vo' che mai piu povero diventi,
ma quanto spendi piu, che piu augumenti.
1128 ORLANDO FURIOSO
CIV
E perche so die ne Tantiquo nodo,
in che gia Amor t'avinse, anco ti trovi,
voglioti dimostrar 1'ordine e '1 modo
ch'a disbramar tuoi desiderii giovi.
lo voglio, or che lontano il marito odo,
che senza indugio il mio consiglio provi;
vadi a trovar la donna che dimora
fuori alia villa, e sar6 teco io ancora.»
cv
E seguito narrandogli in che guisa
alia sua donna vuol che s'appresenti;
dico come vestir, come precisa-
mente abbia a dir, come la prieghi e tenti;
e che forma essa vuol pigliar, devisa;
che, fuor che Jl giorno ch'erra tra serpenti,
in tutti gli altri si pu6 far, secondo
che piu le pare, in quante forme ha il mondo.
cvi
Messe in abito lui di peregrine
il qua! per Dio di porta in porta accatti:
mutosse ella in un cane, il piu piccino
di quanti mai n'abbia Natura fatti,
di pel lungo, piu bianco ch'armellino,
di grato aspetto e di mirabili atti.
Cosi trasfigurato, entraro in via
verso la casa de la bella Argia:
cvn
e dei lavoratori alle capanne,
prima ch'altrove, il giovene fermosse;
e cominci6 a sonar certe sue canne,
al cui suono danzando il can rizzosse.
La voce e '1 grido alia padrona vanne,
e fece si, che per veder si mosse.
Fece il romeo chiamar ne la sua corte,
si come del dottor traea la sorte.
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1129
CVIII
E quivl Adonio a comandare al cane
incominci6, et il cane a ubbidir lui,
e far danze nostral, fame d'estrane,
con passi e continenze e modi sui,
e finalmente con maniere umane
far ci6 che comandar sapea colui,
con tanta attenzion, che chi lo mira
non batte gli occhi, e a pena il fiato spira.
cix
Gran maraviglia, et indi gran desire
venne alia donna di quel can gentile;
e ne fa per la balia proferire
al cauto peregrin prezzo non vile.
<( S'avessi piu tesor, che mai sitire
potesse cupidigia feminile, »
colui rispose ccnon saria mercede
di comprar degna del mio cane un piede. »
ex
E per mostrar che veri i detti foro,
con la balia in un canto si ritrasse,
e disse al cane ch'una marca d'oro
a quella donna in cortesia donasse.
Scossesi il cane, e videsi il tesoro.
Disse Adonio alia balia che pigliasse,
soggiungendo : «Ti par che prezzo sia,
per cui si bello e util cane io dia?
CXI
Cosa, qual vogli sia, non gli domando,
di ch'io ne torni mai con le man vote;
e quando perle, e quando annella, e quando
leggiadra veste e di gran prezzo scuote.
Pur di' a madonna che fia al suo comando;
per oro no, ch'oro pagar nol puote :
ma se vuol ch'una notte seco io giaccia,
abbiasi il cane, e yl suo voler ne faccia. »
1130 ORLANDO FURIOSO
CXII
Cosi dice; e una gemma allora nata
le da, ch'alla padrona Pappresenti.
Pare alia balia averne piu derata,
che di pagar dieci ducati o venti.
Torna alia donna, e le fa 1'imbasciata ;
e la conforta poi, che si contend
d'acquistare il bel cane; ch'acquistarlo
per prezzo puo, che non si perde a darlo.
CXIII
La bella Argia sta ritrosetta in prima;
parte che la sua fe romper non vuole,
parte ch'esser possibile non stima
tutto cio che ne suonan le parole.
La balia le ricorda, e rode e lima,
che tanto ben di rado awenir suole;
e fe5 che 1'agio un altro di si tolse,
che 51 can veder senza tanti occhi volse.
cxiv
Quest' altro comparir ch'Adonio fece,
fu la niina e del dottor la morte.
Facea nascer le doble a diece a diece,
filze di perle, e gemme d'ogni sorte:
si che il superbo cor mansuefece,
che tanto meno a contrastar fu forte,
quanto poi seppe che costui ch'inante
gli fa partito, e '1 cavallier suo amante.
cxv
De la puttana sua balia i conforti,
i prieghi de 1' amante e la presenzia,
il veder che guadagno se 1'apporti,
del misero dottor la lunga absenzia,
lo sperar ch'alcun mai non lo rapporti,
fero ai casti pensier tal violenzia,
ch'ella accetto il bel cane, e per mercede
in braccio e in preda al suo amator si diede.
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1131
CXVI
Adonio lungamente frutto colse
de la sua bella donna, a cui la fata
grande amor pose, e tanto le ne volse,
che sempre star con lei si fu ubligata.
Per tutti i segni il sol prima si volse,
ch'al giudice licenzia fosse data:
al fin torno, ma pien di gran sospetto
per quel che gia Tastrologo avea detto.
cxvu
Fa, giunto ne la patria, il primo volo
a casa de Tastrologo, e gli chiede
se la sua donna fatto inganno e dolo,
o pur servato gli abbia amore e fede.
II sito figur6 colui del polo,
et a tutti i pianeti il luogo diede:
poi rispose che quel ch'avea temuto,
come predetto fu, gli era awenuto ;
CXVIII
che da doni grandissimi corrotta,
data ad altri s'avea la donna in preda.
Questa al dottor nel cor fu si gran botta,
che lancia e spiedo io vo' che ben le ceda.
Per esserne piu certo, ne va allotta<
(ben che pur troppo allo indivino creda)
ov'e la balia, e la tira da parte,
e per saperne il certo usa grande arte.
cxix
Con larghi giri circondando prova
or qua or la di ritrovar la traccia;
e da principio nulla ne ritrova,
con ogni diligenzia che ne faccia;
ch'ella, che non avea tal cosa nuova,
stava negando con immobil faccia;
e come bene instrutta, piu d'un mese
tra il dubbio e '1 certo il suo patron sospese.
1132 ORLANDO FURIOSO
CXX
Quanto dovea parergli il dubio buono,
se pensava il dolor ch'avria del certo!
Poi ch'indarno provo con priego e dono,
che da la balia il ver gli fosse aperto,
ne tocco tasto ove sentisse suono
altro che falso; come uom ben esperto,
aspetto che discordia vi venisse;
ch'ove femine son, son liti e risse.
CXXI
E come egli aspetto, cosi gli awenne;
ch'al primo sdegno che tra loro nacque,
senza suo ricercar, la balia venne
il tutto a ricontargli, e nulla tacque.
Lungo a dir fora cio che '1 cor sostenne,
come la mente consternata giacque
del giudice meschin, che fu si oppresso,
che stette per uscir fuor di se stesso:
cxxn
e si dispose al fin, da Fira vinto,
morir, ma prima uccider la sua moglie;
e che d'amendue i sangui un ferro tinto
levassi lei di biasmo, e se di doglie.
Ne la citta se ne ritorna, spinto
da cosi furibonde e cieche voglie;
indi alia villa un suo fidato manda,
e quanto esequir debba gli commanda.
CXXIII
Commanda al servo ch'alla moglie Argia
torni alia villa, e in nome suo le dica
ch'egli e da febbre oppresso cosi ria,
che di trovarlo vivo avra fatica;
si che senza aspettar piii compagnia
venir debba con lui, s'ella gli e arnica
(verra: sa ben che non fara parola);
e che tra via le seghi egli la gola.
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1133
CXXIV
A chiamar la patrona ando il famiglio,
per far di lei quanto il signer commesse.
Dato prima al suo cane ella di piglio,
monto a cavallo et a camin si messe.
L'avea il cane avisata del periglio,
ma che d'andar per questo ella non stesse ;
ch'avea ben disegnato e proveduto
onde nel gran bisogno avrebbe aiuto.
cxxv
Levato il servo del camino s'era;
e per diverse e solitarie strade
a studio capito su una riviera
che d'Apennino in questo flume cade;
ov'era bosco e selva oscura e nera,
lungi da villa e lungi da cittade.
Gli parve loco tacito e disposto
per Teffetto crudel che gli fu imposto.
cxxvi
Trasse la spada, e alia padrona disse
quanto commesso il suo signor gli avea;
si che chiedesse, prima che morisse,
perdono a Dio d'ogni sua colpa rea.
Non ti so dir com' ella si coprisse:
quando il servo ferirla si credea,
piu non la vide, e molto d'ogn'intorno
Pando cercando, e al fin rest6 con scorno.
CXXVII
Torna al patron con gran vergogna et onta,
tutto attonito in faccia e sbigottito;
e Tinsolito caso gli racconta,
ch'egli non sa come si sia seguito.
ChV suoi servigi abbia la moglie pronta
la fata Manto, non sapea il marito;
che la balia onde il resto avea saputo,
questo, non so perche, gli avea taciuto.
1134 ORLANDO FURIOSO
CXXVIII
Non sa che far; che ne Toltraggio grave
vendicato ha, ne le sue pene ha sceme.
Quel ch'era una festuca, ora e una trave,
tanto gli pesa, tanto al cor gli preme.
L' error che sapean pochi, or si aperto have,
che senza indugio si palesi, teme.
Potea il primo celarsi; ma il secondo,
publico in breve fia per tutto il mondo.
cxxix
Conosce ben che poi che Jl cor fellone
avea scoperto il misero contra essa,
ch'ella, per non tornargli in suggezione,
d'alcun potente in man si sara messa;
il qual se la terra con irrisione
et ignominia del marito espressa;
e forse anco verra d'alcuno in mano,
che ne fia insieme adult ero e ruffiano.
cxxx
Si che, per rimediarvi, in fretta manda
intorno messi e lettere a cercarne:
ch'in quel loco, ch'in questo ne domanda
per Lombardia, senza citta lasciarne.
Poi va in persona, e non si lascia banda
ove o non vada o mandivi a spiarne:
ne mai pu6 ritrovar capo ne via
di venire a notizia, che ne sia.
CXXXI
Al fin chiama quel servo a chi fu imposta
Fopra crudel che poi non ebbe effetto,
e fa che lo conduce ove nascosta
se gli era Argia, si come gli avea detto ;
che forse in qualche macchia il di reposta,
la notte si ripara ad alcun tetto.
Lo guida il servo ove trovar si crede
la folta selva, e un gran palagio vede.
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1135
CXXXII
Fatto avea farsi alia sua fata intanto
la bella Argia con subito lavoro
d'alabastri un palagio per incanto,
dentro e di fuor tutto fregiato d'oro.
Ne lingua dir, ne cor pensar puo quanto
avea belta di fuor, dentro tesoro.
Quello che iersera si ti parve bello
del mio signor, saria un tugurio a quello.
CXXXIII
E di panni di razza, e di cortine
tessute riccamente e a varie foggie,
ornate eran le stalle e le cantine,
non sale pur, non pur carnere e loggie;
vasi d'oro e d'argento senza fine,
gemme cavate, azzurre e verdi e roggie,
e formate in gran piatti e in coppe e in nappi,
e senza fin d'oro e di seta drappi.
cxxxiv
II giudice, si come io vi dicea,
venne a questo palagio a dar di petto,
quando ne una cap anna si credea
di ritrovar, ma solo il bosco schietto.
Per 1'alta maraviglia che n'avea,
esser si credea uscito d'intelletto :
non sapea se fosse ebbro, o se sognassi,
o pur se '1 cervel scemo a volo andassi.
cxxxv
Vede inanzi alia porta uno Etiopo
con naso e labri grossi; e ben gli e awiso
che non vedesse mai, prima ne dopo,
un cosl sozzo e dispiacevol viso;
poi di fattezze, qual si pinge Esopo,
d'attristar, se vi fosse, il paradise;
bisunto e sporco, e d'abito mendico:
ne a mezzo ancor di sua bruttezza io dico.
1136 ORLANDO FURIOSO
CXXXVI
Anselmo che non vede altro da cui
possa saper di chi la casa sia,
a lui s'accosta, e ne domanda a lui;
et ei risponde : « Questa casa e mia. »
II giudice e ben certo che colui
lo beffi e che gli dica la bugia:
ma con scongiuri il negro ad affermare
che sua e la casa, e ch'altri non v'ha a fare;
cxxxvn
e gli offerisce, se la vuol vedere,
che dentro vada, e cerchi come voglia;
e se v'ha cosa che gli sia in piacere
o per se o per gli amici, se la toglia.
Diede il cavallo al servo suo a tenere
Anselmo, e messe il pie dentro alia soglia;
e per sale e per camera condutto,
da basso e d'alto ando mirando il tutto.
CXXXVIII
La forma, il sito, il ricco e bel lavoro
va contemplando, e 1'ornamento regio;
e spesso dice: «Non potria quant'oro
e sotto il sol pagare il loco egregio. »
A questo gli risponde il brutto Moro,
e dice: «E questo ancor trova il suo pregio:
se non d'oro o d'argento, nondimeno
pagar lo puo quel che vi costa meno. »
cxxxix
E gli fa la medesima richiesta
ch'avea gia Adonio alia sua moglie fatta.
De la brutta domanda e disonesta,
persona lo stimo bestiale e matta.
Per tre repulse e quattro egli non resta;
e tanti modi a persuaderlo adatta,
sempre offerendo in merito il palagio,
che fe5 inchinarlo al suo voler malvagio.
CANTO QUARANTESIMOTERZO
CXL
La moglie Argia che stava appresso ascosa,
poi che lo vide nel suo error caduto,
salto fuora gridando: a Ah degna cosa
che io veggo di dottor saggio tenuto!»
Trovato in si mal'opra e viziosa,
pensa se rosso far si deve e muto.
O terra, acci6 ti si gettassi dentro,
perche allor non t'apristi insino al centro?
CXLI
La donna in suo discarco, et in vergogna
d'Anselmo, il capo gl'introno di gridi,
dicendo : « Come te punir bisogna
di quel che far con si vil uom ti vidi,
se per seguir quel che natura agogna,
me, vinta a* prieghi del mio amante, uccidi ?
ch'era bello e gentile; e un dono tale
mi fe', ch'a quel nulla il palagio vale.
CXLII
S'io ti parvi esser degna d'una morte,
conosci che ne sei degno di cento:
e ben ch'in questo loco io sia si forte,
ch'io possa di te fare il mio talento;
pure io non vo* pigliar di peggior sorte
altra vendetta del tuo fallimento.
Di par Pavere e Jl dar, marito, poni;
fa, com'io a te, che tu a me ancor perdoni :
CXLIII
e sia la pace e sia Faccordo fatto,
ch'ogni passato error vada in oblio;
ne ch'in parole io possa mai ne in atto
ricordarti il tuo error, ne a me tu il mio. »
II marito ne parve aver buon patto,
ne dimostrossi al perdonar restio.
Cosi a pace e concordia ritornaro,
e sempre poi fu Tuno alPaltro caro. —
1138 ORLANDO FURIOSO
CXLIV
Cosi disse il nocchiero; e mosse a riso
Rinaldo al fin de la sua istoria un poco;
e diventar gli fece a un tratto il viso,
per Tonta del dottor, come di fuoco.
Rinaldo Argia molto lodo, ch'awiso
ebbe d'alzare a quello augello un gioco
ch'alla medesma rete fe' cascallo,
in che cadde ella, ma con minor fallo.
CXLV
Poi che piu in alto il sole il camin prese,
fe' il paladino apparecchiar la mensa,
ch'avea la notte il Mantuan cortese
pro vista con larghissima dispensa.
Fugge a sinistra intanto il bel paese,
et a man destra la palude immensa:
viene e fuggesi Argenta e '1 suo girone
col lito ove Santerno il capo pone.
CXLVI
Allora la Bastia credo non v'era,
di che non troppo si vantar Spagnuoli
d'avervi su tenuta la bandiera;
ma piu da pianger n'hanno i Romagniuoli.
E quindi a Filo alia dritta riviera
cacciano il legno, e fan parer che voli.
Lo volgon poi per una fossa morta,
ch'a mezzodi presso a Ravenna il porta.
CXLVII
Ben che Rinaldo con pochi danari
fosse sovente, pur n'avea si alora,
che cortesia ne fece a' marinari,
prima che li lasciasse alia buon'ora.
Quindi mutando bestie e cavallari,
Arimino pass6 la sera ancora;
ne in Montefiore aspetta il matutino,
e quasi a par col sol giunge in Urbino.
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1139
CXLVIII
Quivi non era Federico allora,
ne Tlssabetta, ne '1 buon Guido v'era,
ne Francesco Maria, ne Leonora,
che con cortese forza e non altiera
avesse astretto a far seco dimora ,
si famoso guerrier piu d'una sera;
come fer gia molti anni, et oggi fanno
a donne e a cavallier che di la vanno.
CXLIX
Poi che quivi alia briglia alcun nol prende,
smonta Rinaldo a Cagli alia via dritta.
Pel monte che '1 Metauro o il Gauno fende,
passa Apennino, e piu non 1'ha a man ritta;
passa gli Ombri e gli Etrusci, e a Roma scende;
da Roma ad Ostia; e quindi si tragitta
per mare alia cittade a cui commise
il pietoso figliuol Fossa d'Anchise.
CL
Muta ivi legno, e verso 1'isoletta
di Lipadusa fa ratto levarsi;
quella che fu dai combattenti eletta,
et ove gia stati erano a trovarsi.
Insta Rinaldo, e gli nocchieri affretta,
ch'a vela e a remi fan cio che puo farsi;
ma i venti awersi e per lui mal gagliardi,
lo fecer, ma di poco, arrivar tardi.
CLI
Giunse ch'a punto il principe d'Anglante
fatta avea Futile opra e gloriosa:
avea Gradasso ucciso et Agramante,
ma con dura vittoria e sanguinosa.
Morto n'era il figliuol di Monodante;
e di grave percossa e perigliosa
stava Olivier languendo in su T arena,
e del pie guasto avea martire e pena.
II4O ORLANDO FURIOSO
CLII
Tener non pote il conte asciutto il viso,
quando abbraccio Rinaldo, e che narrolli
che gli era stato Brandimarte ucciso,
che tanta fede e tanto amor portolli.
Ne men Rinaldo, quando si diviso
vide il capo all'amico, ebbe occhi molli:
poi quindi ad abbracciar si fu condotto
Olivier che sedea col piede rotto.
CLIII
La consolazion che seppe, tutta
die lor, ben che per se tor non la possa;
che giunto si vedea quivi alle frutta,
anzi poi che la mensa era rimossa.
Andaro i servi alia citta distrutta,
e di Gradasso e d'Agramante Tossa
ne le ruine ascoser di Biserta,
e quivi divulgar la cosa certa.
CLIV
De la vitoria ch'avea avuto Orlando,
sjallegr6 Astolfo e Sansonetto molto;
non si pero, come avrian fatto, quando
non fosse a Brandimarte il lume tolto.
Sentir lui morto il gaudio va scemando
si, che non ponno asserenare il volto.
Or chi sara di lor ch'annunzio voglia
a Fiordiligi dar di si gran doglia?
CLV
La notte che precesse a questo giorno,
Fiordiligi sogn6 che quella vesta
che per mandarne Brandimarte adorno
avea trapunta, e di sua man contesta,
vedea per mezzo sparsa e d'ogn'intorno
di goccie rosse, a guisa di tempesta:
parea che di sua man cosi Pavesse
riccamata ella, e poi se ne dogliesse.
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1141
CLVI
E parea dir: «Pur hammi il signer mio
commesso ch'io la faccia tutta nera:
or perche dunque riccamata holFio
contra sua voglia in si strana maniera?»
Di questo sogno fe' giudicio rio;
poi la novella giunse quella sera:
ma tanto Astolfo ascosa le la tenne,
ch'a lei con Sansonetto se ne venne.
CLVII
Tosto ch'entraro, e ch'ella loro il viso
vide di gaudio in tal vittoria privo;
senz'altro annunzio sa, senz'altro awiso,
che Brandimarte suo non e piu vivo.
Di cio le resta il cor cosi conquiso,
e cosi gli occhi hanno la luce a schivo,
e cosi ogn'altro senso se le serra,
che come morta andar si lascia in terra.
CLVIII
Al tornar de lo spirto, ella alle chiome
caccia le mani ; et alle belle gote,
indarno ripetendo il caro nome,
fa danno et onta piu che far lor puote:
straccia i capelli e sparge ; e grida, come
donna talor che 1 demon rio percuote,
o come s'ode che gia a suon di corno
Menade corse, et aggirossi intorno.
CLIX
Or questo or quel pregando va, che porto
le sia un coltel, si che nel cor si fera:
or correr vuol la dove il legno in porto
dei duo signor defunti arrivato era,
e de Funo e de Taltro cosi morto
far crudo strazio e vendetta acra e fiera:
or vuol passare il mare, e cercar tanto,
che possa al suo signor morire a canto.
ORLANDO FURIOSO
CLX
— Deh perch6, Brandimarte, ti lasciai
senza me andare a tanta impresa? — disse.
— Vedendoti partir, non fu piu mai
che Fiordiligi tua non ti seguisse.
T'avrei giovato, s'io veniva, assai,
ch'avrei tenute in te le luci fisse;
e se Gradasso avessi dietro avuto,
con un sol grido io t'avrei dato aiuto;
CLXI
o forse esser potrei stata si presta,
ch'entrando in mezzo, il colpo t'avrei tolto:
fatto scudo t'avrei con la mia testa;
che morendo io, non era il danno molto.
Ogni modo io morro; ne fia di questa
dolente morte alcun profitto colto;
che quando io fossi morta in tua difesa,
non potrei meglio aver la vita spesa.
CLXII
Se pur ad aiutarti i duri fati
avessi avuti e tutto il cielo awerso,
gli ultimi baci almeno io t'avrei dati,
almen t'avrei di pianto il viso asperso;
e prima che con gli angeli beati
fossi Io spirto al suo Fattor converso,
detto gli avrei: «Va in pace, e la m'aspetta;
ch'ovunque sei, son per seguirti in fretta. »
CLXIII
6 questo, Brandimarte, e questo il regno
di che pigliar Io scettro ora dovevi ?
Or cosi teco a Dammogire io vegno ?
cosi nel real seggio mi ricevi ?
Ah Fortuna crudel, quanto disegno
mi rompi! oh che speranze oggi mi levi!
Deh, che cesso io, poi c'ho perduto questo
tanto mio ben, ch'io non perdo anco il resto ? -
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1143
CLXIV
Questo et altro dicendo, in lei risorse
il furor con tanto impeto e la rabbia,
ch'a stracciare il ben crin di nuovo corse,
come il bel crin tutta la colpa n'abbia.
Le mani insieme si percosse e morse,
nel sen si caccio Pugne e ne le labbia.
Ma torno a Orlando et a' compagni, intanto
ch'ella si strugge e si consuma in pianto.
CLXV
Orlando, col cognato che non poco
bisogno avea di medico e di cura,
et altretanto perche in degno loco
avesse Brandimarte sepultura,
verso il monte ne va che fa col fuoco
chiara la notte, e il di di fumo oscura.
Hanno propizio il vento, e a destra mano
non e quel lito lor molto lontano.
CLXVI
Con fresco vento ch'in favor veniva,
sciolser la fune al declinar del giorno,
mostrando lor la taciturna diva
la dritta via col luminoso corno;
e sorser Paltro di sopra la riva
ch'amena giace ad Agringento intorno.
Quivi Orlando ordino per Taltra sera
cio ch'a funeral pomp a bisogno era.
CLXVII
Poi che Tor dine suo vide essequito,
essendo omai del sole il lume spento,
fra molta nobilta ch'era allo 'nvito
de' luoghi intorno corsa in Agringento,
d'accesi torchi tutto ardendo '1 lito,
e di grida sonando e di lamento,
torn6 Orlando ove il corpo fu lasciato,
che vivo e morto avea con fede amato.
1 144 ORLANDO FURIOSO
CLXVIII
Quivi Bardin di soma d'anni grave
stava piangendo alia bara funebre,
che pel gran pianto ch'avea fatto in nave,
dovria gli occhi aver pianti e le palpebre.
Chiamando il ciel crudel, le stelle prave,
ruggia come un leon ch'abbia la febre.
Le mani erano intanto empie e ribelle
ai crin canuti e alia rugosa pelle.
CLXIX
Levossi, al ritornar del paladino,
maggiore il grido, e raddoppiossi il pianto.
Orlando, fatto al corpo piu vicino,
senza parlar stette a mirarlo alquanto,
pallido come colto al matutino
e da sera il ligustro o il molle acanto ;
e dopo un gran sospir, tenendo fisse
sempre le luci in lui, cosi gli disse:
CLXX
— O forte, o caro, o mio fedel compagno,
che qui sei morto, e so che vivi in cielo,
e d'una vita v'hai fatto guadagno,
che non ti puo mai tor caldo ne gielo,
perdonami, se ben vedi ch'io piagno;
perche d'esser rimaso mi querelo,
e ch'a tanta letizia io non son teco ;
non gia perche qua giu tu non sia meco.
CLXXI
Solo senza te son; ne cosa in terra
senza te posso aver piu, che mi piaccia.
Se teco era in tempesta e teco in guerra,
perche non anco in ozio et in bonaccia ?
Ben grande e '1 mio fallir, poi che mi serra
di questo fango uscir per la tua traccia.
Se negli affanni teco fui, perch'ora
non sono a parte del guadagno ancora?
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1145
CLXXII
Tu guadagnato, e perdita ho fatto io :
sol tu all'acquisto, io non son solo al danno.
Partecipe fatto e del dolor mio
Fltalia, il regno franco e Falemanno.
Oh quanto, quanto il mio signore e 210,
oh quanto i paladin da doler s'hanno!
quanto Tlmperio e la cristiana Chiesa,
che perduto han la sua maggior difesa!
CLXXIII
Oh quanto si torra per la tua morte
di terrore a' nimici e di spaventol
Oh quanto Pagania sara piu forte!
quanto anirno n'avra, quanto ardimento!
Oh come star ne dee la tua consorte!
Sin qui ne veggo il pianto, e '1 grido sento.
So che m'accusa, e forse odio mi porta,
che per me teco ogni sua speme e morta.
CLXXIV
Ma, Fiordiligi, almen resti un conforto
a noi che sian di Brandimarte privi;
ch'invidiar lui con tanta gloria morto
denno tutti i guerrier ch'oggi son vivi.
Quei Decii, e quel nel roman foro absorto,
quel si lodato Codro dagli Argivi,
non con piu altrui profitto e piu suo onore
a morte si donar, del tuo signore. —
CLXXV
Queste parole et altre dicea Orlando.
Intanto i bigi, i bianchi, i neri frati,
e tutti gli altri chierci, seguitando
andavan con lungo or dine accoppiati,
per Talma del defunto Dio pregando
che gli donasse requie tra5 beati.
Lumi inanzi e per mezzo e d'ogn'intorno,
mutata aver parean la notte in giorno.
1146 ORLANDO FURIOSO
CLXXVI
Levan la bara, et a portarla foro
messi a vicenda conti e cavallieri.
Purpurea seta la copria, che d'oro
e di gran perle avea compass! altieri:
di non men bello e signoril lavoro
avean gemmati e splendid! origlieri;
e giacea quivi il cavallier con vesta
di color pare, e d'un lavor contesta.
CLXXVII
Trecento agli altri eran passati inanti,
de' piu poveri tolti de la terra,
parimente vestiti tutti quanti
di panni negri e lunghi sin a terra.
Cento paggi seguian sopra altretanti
gross! cavalli e tutti buoni a guerra;
e i cavalli coi paggi ivano il suolo
radendo col lor abito di duolo.
CLXXVIII
Molte bandiere inanzi e molte dietro,
che di diverse insegne eran dipinte,
spiegate accompagnavano il feretro ;
le qua! gia tolte a mille schiere vinte,
e guadagnate a Cesare et a Pietro
avean le forze ch'or giaceano estinte.
Scudi v'erano molti, che di degni
guerrieri, a chi fur tolti, aveano i segni.
CLXXIX
Venian cento e cent 'altri a divers! usi
de 1'esequie ordinati; et avean questi,
come anco il resto, accesi torch!; e chiusi,
piu che vestiti, eran di nere vesti.
Poi seguia Orlando, e ad or ad or sufTusi
di lacrime avea gli occhi e rossi e mesti ;
ne piu lieto di lui Rinaldo venne:
il pie Olivier, che rotto avea, ritenne.
CANTO QUARANTESIMOTERZO I]C47
CLXXX
Lungo sara s'io vi vo' dire in versi
le cerimonie, e raccontarvi tutti
i dispensati manti oscuri e persi,
gli accesi torchi che vi furon strutti.
Quindi alia chiesa catedral conversi,
dovunque andar, non lasciaro occhi asciutti:
si bel, si buon, si giovene a pietade
mosse ogni sesso, ogni ordine, ogni etade.
CLXXXI
Fu posto in chiesa; e poi che da le donne
di lacrime e di pianti inutil opra,
e che dai sacerdoti ebbe eleisonne
e gli altri santi detti avuto sopra,
in una area il serbar su due colonne:
e quella vuole Orlando che si cuopra
di ricco drappo d'or, sin che reposto
in un sepulcro sia di maggior costo.
CLXXXII
Orlando di Sicilia non si parte,
che manda a trovar porfidi e alabastri.
Fece fare il disegno, e di quell'arte
inarrar con gran premio i miglior mastri,
Fe' le lastre, venendo in questa parte,
poi drizzar Fiordiligi, e i gran pilastri;
che quivi (essendo Orlando gia partito)
si fe' portar da 1'africano lito.
CLXXXIII
E vedendo le lacrime ihdefesse,
et ostinati a uscir sempre i sospiri,
ne per far sempre dire uffici e messe,
mai satisfar potendo a' suoi disiri;
di non partirsi quindi in cor si messe,
fin che del corpo 1'anima non spiri:
e nel sepolcro fe' fare una cella,
e vi si chiuse, e fe' sua vita in quella.
1148 ORLANDO FURIOSO
CLXXXIV
Oltre che messi e lettere le mande,
vi va in persona Orlando per levarla.
Se viene in Francia, con pension ben grande
compagna vuol di Galerana farla:
quando tornare al padre anco domande,
sin alia Lizza vuole accompagnarla:
edificar le vuole un monastero,
quando servire a Dio faccia pensiero.
CLXXXV
Stava ella nel sepulcro; e quivi attrita
da penitenzia, orando giorno e notte,
non duro lunga eta, che di sua vita
da la Parca le fur le fila rotte.
Gia fatto avea da 1'isola partita,
ove i Ciclopi avean 1' antique grotte,
i tre guerrier di Francia, afflitti e mesti,
che '1 quarto lor compagno a dietro resti.
CLXXXVI
Non volean senza medico levarsi,
che d' Olivier s'avesse a pigliar cura;
la qual, perche a principio mal pigliarsi
pote, fatt'era faticosa e dura:
e quello udiano in modo lamentarsi,
che del suo caso avean tutti paura.
Tra lor di cio parlando, al nocchier nacque
un pensiero, e lo disse; e a tutti piacque.
CLXXXVII
Disse ch'era di la poco lontano
in un solingo scoglio uno eremita,
a cui ricorso mai non s'era invano,
o fosse per consiglio o per aita;
e facea alcuno effetto soprumano,
dar lume a ciechi, e tornar morti a vita,
fermare il vento ad un segno di croce,
e far tranquillo il mar quando e piu atroce :
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1149
CLXXXVIII
e che non denno dubitare, andando
a ritrovar quel uomo a Dio si caro,
che lor non renda Olivier sano, quando
fatto ha di sua virtu segno piu chiaro.
Questo consiglio si piacque ad Orlando,
che verso il santo loco si drizzaro;
ne mai piegando dal camin la prora,
vider lo scoglio al sorger de 1* aurora.
CLXXXIX
Scorgendo il legno uomini in acqua dotti,
sicuramente s'accostaro a quello.
Quivi aiutando servi e galeotti,
declinano il marchese nel battello :
e per le spumose onde fur condotti
nel duro scoglio, et indi al santo ostello;
al santo ostello, a quel vecchio medesmo,
per le cui mani ebbe Ruggier battesmo.
cxc
II servo del Signor del paradiso
raccolse Orlando et i compagni suoi,
e benedilli con giocondo viso,
e de' lor casi dimandolli poi;
ben che de lor venuta avuto awiso
avesse prima dai celesti eroi.
Orlando gli rispose esser venuto
per ritrovare al suo Oliviero amto;
cxci
ch'era, pugnando per la fe di Cristo,
a periglioso termine ridutto.
Lev6gli il santo ogni sospetto tristo,
e gli promise di sanarlo in tutto.
Ne d'unguento trovandosi previsto,
n6 d'altra urnana medicina instrutto,
and6 alia chiesa, et or6 al Salvatore;
et indi usci con gran baldanza fuore:
II5O ORLANDO FURIOSO
CXCII
e in nome de le eterne tre Persone,
Padre e Figliuolo e Spirto Santo, diede
ad Olivier la sua benedizione.
Oh virtu che da Cristo a chi gli crede!
Caccio dal cavalliero ogni passione,
e ritornolli a sanitade il piede,
piu fermo e piu espedito che mai fosse:
e presente Sobrino a cio trovosse.
CXCIII
Giunto Sobrin de le sue piaghe a tanto,
che star peggio ogni giorno se ne sente,
tosto che vede del monaco santo
il miracolo grande et evidente,
si dispon di lasciar Macon da canto,
e Cristo confessar vivo e potente:
e domanda con cor di fede attrito
d'iniciarsi al nostro sacro rito.
cxciv
Cosi Tuom giusto lo battezza, et anco
gli rende, orando, ogni vigor primiero.
Orlando e gli altri cavallier non ,manco
di tal conversion letizia fero,
che di veder che liberate e franco
del periglioso mal fosse Oliviero.
Maggior gaudio degli altri Ruggier ebbe;
e molto in fede e in devozione accrebbe.
cxcv
Era Ruggier dal di che giunse a nuoto
su questo scoglio, poi statovi ogniora.
Fra quei guerrieri il vecchiarel devoto
sta dolcemente, e U conforta et ora
a voler, schivi di pantano e loto,
mondi passar per questa morta gora
c'ha nome vita, che si piace a' sciocchi;
et alia vita del ciel sempre aver gli occhi.
CANTO QUARANTESIMOTERZO 1151
cxcvr
Orlando un suo mando sul legno, e trarne
fece pane e buon vin, cacio e persutti;
e Puom di Dio, ch'ogni sapor di starne
pose in oblio poi ch'awezzossi a' frutti,
per carita mangiar fecero carne,
e her del vino, e far quel che fer tutti.
Poi ch'alla mensa consolati foro,
di molte cose ragionar tra loro.
CXCVII
E come accade nel parlar sovente,
ch'una cosa vien 1'altra dimostrando,
Ruggier riconosciuto finalmente
fu da Rinaldo, da Olivier, da Orlando,
per quel Ruggiero in arme si eccellente,
il cui valor s'accorda ognun lodando:
ne Rinaldo Favea raffigurato
per quel che provo gia ne lo steccato.
CXCVIII
Ben Pavea il re Sobrin riconosciuto,
tosto che 51 vide col vecchio apparire;
ma volse inanzi star tacito e muto,
che porsi in aventura di fallire.
Poi ch'a notizia agli altri fu venuto
che questo era Ruggier, di cui Tar dire,
la cortesia e '1 valore alto e profondo
si facea nominar per tutto il mondo;
cxcix
e sapendosi gia ch'era cristiano,
tutti con lieta e con serena faccia
vengono a lui: chi gli tocca la mano,
e chi lo bacia, e chi lo stringe e abbraccia.
Sopra gli altri il signor di Montalbano
d'accarezzarlo e fargli onor procaccia.
Perch'esso piu degli altri, io '1 serbo a dire
ne Taltro canto, se '1 vorrete udire.
1152 ORLANDO FURIOSO
CANTO QUARANTESIMOQUARTO
Spesso in poveri alberghi e in picciol tetti,
ne le calamitadi e nei disagi,
meglio s'aggiungon d'amicizia i petti,
che fra ricchezze invidiose et agi
de le piene d'insidie e di sospetti
corti regali e splendidi palagi,
ove la caritade e in tutto estinta,
ne si vede amicizia, se non finta.
ii
Quindi awien che tra principi e signori
patti e convenzion sono si frali.
Fan lega oggi re, papi e imperatori ;
doman saran nimici capitali:
perche, qual Papparenze esteriori,
non hanno i cor, non han gli animi tali;
che non mirando al torto piu ch'al dritto,
attendon solamente al lor profitto.
in
Questi, quantunque d'amicizia poco
sieno capaci, perche non sta quella
ove per cose gravi, ove per giuoco
mai senza finzion non si favella;
pur, se talor gli ha tratti in umil loco
insieme una fortuna acerba e fella,
in poco tempo vengono a notizia'
(quel che in molto non fer) de I'armcizia.
CANTO QUARANTESIMOQUARTO 1153
IV
II santo vecchiarel ne la sua stanza
giunger gli ospiti suoi con nodo forte
ed amor vero meglio ebbe possanza,
ch'altri non avria fatto in real corte.
Fu questo poi di tal perse veranza,
che non si sciolse mai fin alia morte.
II vecchio li trovo tutti benigni,
candidi piu nel cor che di fuor cigni.
v
Trovolli tutti amabili e cortesi,
non de la iniquita ch'io v'ho dipinta
di quei che mai non escono palesi,
ma sempre van con apparenza finta.
Di quanto s'eran per adietro offesi
ogni memoria fu tra loro estinta;
e se d'un ventre fossero e d'un seme,
non si potriano amar piu tutti insieme.
VI
Sopra gli altri il signor di Montalbano
accarezzava e riveria Ruggiero;
si perche gia 1'avea con 1'arme in mano
provato quanto era animoso e fiero,
si per trovarlo affabile et umano
piu che mai fosse al mondo cavalliero:
ma molto piu, che da diverse bande
si conoscea d'avergli obligo grande.
VII
Sapea che di gravissimo periglio
egli avea liberato Ricciardetto,
quando il re ispano gli fe' dar di piglio
e con la figlia prendere nel letto;
e ch'avea tratto Tuno e 1'altro figlio
del duca Buovo (com'io v'ho gia detto)
di man dei Saracini e dei malvagi
ch'eran col maganzese Bertolagi.
1154 ORLANDO FURIOSO
VIII
Questo debito a lui parea di sorte,
ch'ad amar lo stringeano e ad onorarlo;
e gli ne dolse e gli ne 'ncrebbe forte,
che prima non avea potato farlo,
quando era Tun ne Tafricana corte,
e 1'altro agli servigi era di Carlo.
Or che fatto cristian quivi lo trova,
quel che non fece prima, or far gli giova.
IX
Proferte senza fine, onore e festa
fece a Ruggiero il paladin cortese.
II prudent e eremita, come questa
benivolenza vide, adito prese.
Entro dicendo : — A fare altro non resta
(e lo spero ottener senza contese),
che come 1'amicizia e tra voi fatta,
tra voi sia ancora affinita contratta;
x
accio che de le due progenie illustri
che non han par di nobiltade al mondo,
nasca un lignaggio che piu chiaro lustri,
che sl chiaro sol, per quanto gira a tondo ;
e come andran piu inanzi et anni e lustri,
sara piu bello, e durera (secondo
che Dio m'inspira, accio ch'a voi nol celi)
fin che terran 1'usato corso i cieli. —
XI
E seguitando il suo parlar piu inante,
fa il santo vecchio si, che persuade
che Rinaldo a Ruggier dia Bradamante,
ben che pregar ne Tun ne Paltro accade.
Loda Olivier col principe d'Anglante,
che far si debba questa affinitade;
il che speran ch'approvi Amone e Carlo,
e debba tutta Francia commendarlo.
CANTO QUARANTESIMOQUARTO
XII
Cosi dicean; ma non sapean ch'Amone,
con volunta del figlio di Pipino,
n'avea dato in quei giorni intenzione
all'imperator greco Costantino,
che gliele domandava per Leone
suo figlio e successor nel gran domino.
Se n'era, pel valor che n'avea inteso,
senza vederla, il giovinetto acceso.
XIII
Risposto gli avea Amon, che da se solo
non era per concludere altramente,
ne pria che ne parlasse col figliuolo
Rinaldo, da la corte allora absente;
il qual credea che vi verrebbe a volo,
e che di grazia avria si gran parente :
pur, per molto rispetto che gli avea,
risolver senza lui non si volea.
XIV
Or Rinaldo lontan dal padre, quella
pratica imperial tutta ignorando,
quivi a Ruggier promette la sorella
di suo parere, e di parer ds Orlando
e degli altri ch'avea seco alia cella,
ma sopra tutti Teremita instando :
e crede veramente che piacere
debba ad Amon quel parentado avere.
xv
Quel di e la notte, e del seguente giorno
steron gran parte col monaco saggio,
quasi obliando al legno far ritorno,
ben che il vento spirasse al lor viaggio.
Ma i lor nocchieri, a cui tanto soggiorno
increscea omai, mandar piu d'un messaggio,
che si li stimular de la partita,
ch'a forza li spiccar da reremita.
1156 ORLANDO FURIOSO
XVI
Ruggier che stato era in esilio tanto,
ne da lo scoglio avea mai mosso il piede,
tolse licenzia da quel mastro santo
ch'insegnata gli avea la vera fede.
La spada Orlando gli rimesse a canto,
1'arme d'Ettorre, e il buon Frontin gli diede;
si per mostrar del suo amor segno espresso,
si per saper che dianzi erano d'esso.
XVII
E quantunque miglior ne 1'incantata
spada ragione avesse il paladino,
che con pena e travaglio gia levata
Favea dal formidabile giardino,
che non avea Ruggiero a cui donata
dal ladro fu, che gli die ancor Frontino;
pur volentier gliele don6 col resto
de 1'arme, tosto che ne fu richiesto.
XVIII
Fur benedetti dal vecchio devoto,
e sul navilio al fin si ritornaro.
I remi all'acqua, e dier le vele al Noto;
e fu lor si sereno il tempo e chiaro,
che non vi bisogno priego ne voto,
fin che nel porto di Marsilia entraro.
Ma quivi stiano tanto, ch'io conduca
insieme Astolfo, il glorioso duca.
XIX
Poi che de la vittoria Astolfo intese,
che sanguinosa e poco lieta s'ebbe;
vedendo che sicura da 1'offese
d* Africa oggimai Francia esser potrebbe,
pens6 che '1 re de' Nubi in suo paese
con 1'esercito suo rimanderebbe
per la strada medesima che tenne
quando contra Biserta se ne venne.
CANTO QUARANTESIMOQUARTO 1*57
XX
L'armata che i pagan roppe ne Tonde,
gia rimandata avea il figliuol d'Ugiero;
di cui, nuovo miracolo, le sponde
(tosto che ne fu uscito il popul nero)
e le poppe e le prore muto in fronde,
e ritornolle al suo stato primiero:
poi venne il vento, e come cosa lieve
levolle in aria, e fe' sparire in breve.
XXI
Chi a piedi e chi in arcion tutte partita
d'Africa fer le nubiane schiere.
Ma prima Astolfo si chiamo infinita
grazia al Senapo et immortale avere;
che gli venne in persona a dare aita
con ogni sforzo et ogni suo pot ere.
Astolfo lor ne Tuterino claustro
a portar diede il fiero e turbido austro.
xxir
Negli utri, dico, il vento die lor chiuso,
ch'uscir di mezzodi suol con tal rabbia,
che muove a guisa d'onde, e leva in suso,
e ruota fin in ciel Parrida sabbia;
accio se lo portassero a lor uso,
che per camino a far danno non abbia;
e che poi, giunti ne la lor regione,
avessero a lassar fuor di prigione.
XXIII
Scrive Turpino, come furo ai passi
de 1'alto Atlante, che i cavalli loro
tutti in un tempo diventaron sassi ;
si che come venir se ne tornoro.
Ma tempo e omai ch' Astolfo in Francia passi;
e cosi, poi che del paese moro
ebbe provisto ai luoghi principal!,
alPippogrifo suo fe' spiegar Tali.
1158 ORLANDO FURIOSO
XXIV
Vol6 in Sardigna in un batter di penne,
e di Sardigna and6 nel lito corso;
e quindi sopra il mar la strada tenne,
torcendo alquanto a man sinistra il morso.
Ne le maremme all'ultimo ritenne
de la ricca Provenza il leggier corso ;
dove segui de 1'ippogrifo quanto
gli disse gia 1'evangelista santo.
xxv
Hagli commesso il santo evangelista
che piu, gmnto in Provenza, non lo sproni;
e ch'aH'impeto fier piu non resista
con sella e fren, ma liberta gli doni.
Gia avea il piu basso ciel che sempre acquista
del perder nostro, al corno tolti i suoni;
che muto era restate, non che roco,
tosto ch'entr6 '1 guerrier nel divin loco.
XXVI
Venne Astolfo a Marsilia, e venne a punto
il di che v'era Orlando et Oliviero
e quel da Montalbano insieme giunto
col buon Sobrino e col meglior Ruggiero.
La memoria del sozio lor defunto
viet6 che i paladini non potero
insieme cosi a punto rallegrarsi,
come in tanta vittoria dovea farsi.
XXVII
Carlo avea di Sicilia avuto awiso
dei duo re morti e di Sobrino preso,
e ch'era stato Brandimarte ucciso;
poi di Ruggiero avea non meno inteso:
e ne stava col cor lieto e col viso
d'aver gittato intolerabil peso,
che gli fu sopra gli omeri si greve,
che stara un pezzo pria che si rileve.
CANTO QUARANTESIMOQUARTO 1159
XXVIII
Per onorar costor ch'eran sostegno
del santo Imperio e la maggior colonna,
Carlo mando la nobilta del regno
ad incontrarli fin sopra la Sonna.
Egli usci poi col suo drappel piu degno
di re e di duel, e con la propria donna,
fuor de le mura, in compagnia di belle
e ben ornate e nobili donzelle.
XXIX
L'imperator con chiara e lieta fronte,
i paladini e gli amici e i parenti,
la nobilta, la plebe fanno al conte
et agli altri d'amor segni evident! :
gridar s'ode Mongrana e Chiaramonte.
Si tosto non finir gli abbracciamenti,
Rinaldo e Orlando insieme et Oliviero
al signor loro appresentar Ruggiero;
xxx
e gli narrar che di Ruggier di Risa
era figliuol, di virtu uguale al padre:
se sia animoso e forte, et a che guisa
sappia ferir, san dir le nostre squadre.
Con Bradamante in questo vien Marfisa,
le due compagne nobili e leggiadre:
ad abbracciar Ruggier vien la sorella;
con piu rispetto sta Taltra donzella.
XXXI
L'imperator Ruggier fa risalire,
ch'era per riverenzia sceso a piede,
e lo fa a par a par seco venire,
e di cio ch'a onorarlo si richiede,
un punto sol non lassa preterire.
Ben sapea che tornato era alia fede;
che tosto che i guerrier furo alFasciutto,
certificato avean Carlo del tutto.
Il6o ORLANDO FURIOSO
XXXII
Con pompa trionfal, con festa grande
tornaro insieme dentro alia cittade,
che di frondi verdeggia e di ghirlande:
coperte a panni son tutte le strade:
nembo d'erbe e di fior d'alto si spande,
e sopra e intorno ai vincitori cade,
che da verroni e da finestre amene
donne e donzelle gittano a man piene.
XXXIII
Al volgersi dei canti in varii lochi
trovano archi e trofei subito fatti,
che di Biserta le mine e i fochi
mostran dipinti, et altri degni fatti;
altrove palchi con diversi giuochi
e spettacoli e mimmi e scenici atti:
et e per tutti i canti il titol vero
scritto: «Ai liberatori de 1'Impero.))
xxxiv
Fra il suon d'argute trombe e di canore
pifare e d'ogni musica armonia,
fra riso e plauso, iubilo e favore
del populo ch'a pena vi capia,
smonto al palazzo il magno imperatore,
ove piu giorni quella compagnia
con torniamenti, personaggi e farse,
danze e conviti attese a dilettarse.
xxxv
Rinaldo un giorno al padre fe' sapere
che la sorella a Ruggier dar volea;
ch'in presenzia d' Orlando per mogliere,
e d'Olivier, promessa glie 1'avea;
li quali erano seco d'un parere
che parentado far non si potea,
per nobilta di sangue e per valore
che fosse a questo par, non che migliore.
CANTO QUARANTESIMOQUARTO Il6l
XXXVI
Ode Amone il figliuol con qualche sdegno,
che, senza conferirlo seco, gli osa
la figlia maritar, ch'esso ha disegno
che del figliuol di Costantin sia sposa,
non di Ruggier, il qual non ch'abbi regno,
ma non pu6 al mondo dir: ~ questa e mia cosa — ;
ne sa che nobilta poco si prezza,
e men virtu, se non v'e ancor ricchezza.
XXXVII
Ma piu d'Amon la moglie Beatrice
biasma il figliuolo e chiamalo arrogante;
e in segreto e in palese contradice
che di Ruggier sia moglie Bradamante:
a tutta sua possanza imperatrice
ha disegnato farla di Levante.
Sta Rinaldo ostinato, che non vuole
che manchi un iota de le sue parole.
XXXVIII
La madre, ch'aver crede alle sue voglie
la magnanima figlia, la conforta
che dica che piu tosto ch'esser moglie
d'un pover cavallier, vuole esser morta;
ne mai piu per figliuola la raccoglie,
se questa ingiuria dal fratel sopporta:
nieghi pur con audacia, e tenga saldo;
che per sforzar non la sara Rinaldo.
xxxix
Sta Bradamante tacita, ne al detto
de la madre s'arrisca a contradire;
che 1'ha in tal riverenzia e in tal rispetto,
che non potria pensar non 1'ubbidire.
Da 1'altra parte terria gran difetto,
se quel che non vuol far, volesse dire.
Non vuol, perche non pu6 ; che '1 poco e '1 molto
poter di se disporre Amor le ha tolto.
Il62 ORLANDO FURIOSO
XL
Ne negar, ne mostrarsene contenta
s'ardisce; e sol sospira, e non risponde:
poi quando e in luogo ch'altri non la senta,
versan lacrime gli occhi a guisa d'onde;
e parte del dolor che la tormenta,
sentir fa al petto et alle chiome blonde,
che Tun percuote, e Faltro straccia e frange;
e cosi parla, e cosi seco piange:
XLI
ccAhime! vorr6 quel che non vuol chi deve
poter del voler mio piu che poss'io ?
II voler di mia madre avro in si lieve
stima, ch'io lo posponga al voler mio ?
Deh! qual peccato puote esser si grieve
a una donzella, qual biasmo si rio,
come questo sara se, non volendo
chi sempre ho da ubbidir, marito prendo ?
XLII
Avra, misera me! dunque possanza
la materna pieta, ch'io t'abandoni,
o mio Ruggiero, e ch'a nuova speranza,
a desir nuovo, a nuovo amor mi doni?
0 pur la riverenzia e Posservanza
ch'ai buoni padri denno i figli buoni,
porro da parte, e solo avro rispetto
al mio bene, al mio gaudio, al mio diletto ?
XLIII
So quanto, ahi lassa! debbo far, so quanto
di buona figlia al debito conviensi:
io '1 so : ma che mi val, se non puo tanto
la ragion, che non possino piu i sensi?
s'Amor la caccia e la fa star da canto,
ne lassa ch'io disponga, ne ch'io pensi
di me dispor, se non quanto a lui piaccia,
e sol quanto egli detti io dica e faccia?
CANTO QUARANTESIMOQUARTO 1163
XLIV
Figlia d'Amone e di Beatrice sono,
e son, misera me! serva d'Amore.
Dai genitori miei trovar perdono
spero e pieta, s'io cadero in errore:
ma s'io offendero Amor, chi sara buono
a schivarmi con prieghi il suo furore,
che sol voglia una di mie scuse udire,
e non mi faccia subito morire ?
XLV
Qhime! con lunga et ostinata prova
ho cercato Ruggier trarre alia fede ;
et hollo tratto al fin: ma che mi giova,
se '1 mio ben fare in util d'altri cede?
Cosi, ma non per s6, Tape rinuova
il mele ogni anno, e mai non lo possiede.
Ma vo' prima morir, che mai sia vero
ch'io pigli altro marito che Ruggiero.
XLVI
S'io non saro al mio padre ubbidiente,
ne alia mia madre, io saro al mio fratello,
che molto e molto e piii di lor prudente,
ne gli ha la troppa eta tolto il cervello.
E a questo che Rinaldo vuol, consente
Orlando ancora; e per me ho questo e quello:
li quali duo piu onora il mondo e teme,
che Paltra nostra gente tutta insieme.
XLVII
Se questi il fior, se questi ognuno stima
la gloria e lo splendor di Chiaramonte;
se sopra gli altri ognun gli alza e sublima
piu che non e del piede alta la fronte;
perche debbo voler che di me prima
Amon disponga, che Rinaldo e '1 conte?
Voler nol debbo tanto men, che messa
in dubbio al Greco, e a Ruggier fui promessa. »
1164 ORLANDO FURIOSO
XLVIII
Se la donna s'amigge e si tormenta,
ne di Ruggier la mente e piu quieta;
ch'ancor che di cio nuova non si senta
per la citta, pur non e a lui segreta.
Seco di sua fortuna si lamenta,
la qual fruir tanto suo ben gli vieta,
poi che ricchezze non gli ha date e regni,
di che e stata si larga a mille indegni.
XLIX
Di tutti gli altri beni, o che concede
Natura al mondo, o proprio studio acquista,
aver tanta e tal parte egli si vede,
qual e quanta altri aver mai s'abbia vista;
ch'a sua bellezza ogni bellezza cede,
ch'a sua possanza e raro chi resista:
di magnanimita, di splendor regio
a nessun, piu ch'a lui, si debbe il pregio.
L
Ma il volgo, nel cui arbitrio son gli onori,
che come pare a lui li leva e dona
(ne dal nome del volgo voglio fuori,
eccetto 1'uom prudente, trar persona;
che n6 papi ne re ne imperatori
non ne tra} scettro, mitra n6 corona;
ma la prudenzia, ma il giudizio buono,
grazie che dal ciel date a pochi sono);
LI
questo volgo (per dir quel ch'io vo' dire)
ch'altro non riverisce che ricchezza,
ne vede cosa al mondo che piu ammire,
e senza, nulla cura e nulla apprezza,
sia quanto voglia la belta, 1'ardire,
la possanza del corpo, la destrezza,
la virtu, il senno, la bonta; e piu in questo
di ch'ora vi ragiono, che nel resto.
CANTO QUARANTESIMOQUARTO 1165
LII
Dicea Ruggier: — Se pur e Amon disposto
che la figliuola imperatrice sia,
con Leon non concluda cosi tosto:
almen termine un anno anco mi dia;
ch'io spero intanto che da me deposto
Leon col padre de l'imperio fia;
e poi che tolto avro lor le corone,
genero indegno non saro d'Amone.
LIII
Ma se fa senza indugio, come ha detto,
suocero de la figlia Costantino;
s'alla promessa non avra rispetto
di Rinaldo e d' Orlando suo cugino,
fattami inanzi al vecchio benedetto,
al marchese Uliviero, al re Sobrino,
che faro ? vo' patir si grave torto ?
o, prima che patirlo, esser pur morto ?
LIV
Deh che faro? faro dunque vendetta
contra il padre di lei di questo oltraggio ?
Non miro ch'io non son per farlo in fretta,
o s'in tentarlo io mi sia stolto o saggio.
Ma voglio presupor ch'a morte io metta
1'iniquo vecchio e tutto il suo lignaggio:
questo non mi fara per6 contento;
anzi in tutto sara contra al mio intento.
LV
E fu sempre il mio intento et e che m'ami
la bella donna, e non che mi sia odiosa:
ma quando Amone uccida, o facci o trami
cosa al fratello o agli altri suoi dannosa,
non le do iusta causa che mi chiami
nimico, e piu non voglia essermi sposa?
Che debbo dunque far? debbol patire?
Ah non, per Dio! piu tosto io vo' morire.
Il66 ORLANDO FURIOSO
LVI
Anzi non vo' morir; ma vo' che muoia
con piu ragion questo Leone Augusto,
venuto a disturbar tanta mia gioia:
10 vo' che muoia egH e '1 suo padre ingiusto.
Elena bella all'amator di Troia
non cost6 si, n6 a tempo piu vetusto
Proserpina a Piritoo, come voglio
ch'al padre e al figlio costi il mio cordoglio.
LVII
Puo esser, vita mia, che non ti doglia
lasciare il tuo Ruggier per questo Greco ?
Potra tuo padre far che tu lo toglia,
ancor ch'avesse i tuoi fratelH seco?
Ma sto in timor, ch'abbi piu tosto voglia
d'esser d'accordo con Amon che meco;
e che ti paia assai miglior partito
Cesare aver, ch'un private uom marito.
LVIII
Sara possibil mai che nome regio,
titolo imperial, grandezza e pompa,
di Bradamante mai Tammo egregio,
11 gran valor, 1'alta virtu corrompa?
si ch'abbia da tenere in minor pregio
la data fede, e le promesse rompa?
ne piu tosto d'Amon farsi nimica,
che quel che detto m'ha, sempre non dica? —
LIX
Diceva queste et altre cose molte
ragionando fra se Ruggiero; e spesso
le dicea in guisa ch'erano raccolte
da chi talor se gli trovava appresso :
si che il tormento suo piu di due volte
era a colei per cui pativa, espresso,
a cui non dolea meno il sentir lui
cosi doler, che i proprii affanni sui. '
CANTO QUARANTESIMOQUARTO 1167
LX
Ma piu d'ogni altro duol che le sia detto
che tormenti Ruggier, di questo ha doglia,
ch'intende che s'affligge per sospetto
ch'ella lui lasci, e che quel Greco voglia.
Onde, accio si conforti, e che del petto
questa credenza e questo error si toglia,
per una di sue fide cameriere
gli fe' queste parole un di sapere:
LXI
« Ruggier, qual sempre fui, tal esser voglio
fin alia morte, e piu, se piu si puote.
O siami Amor benigno o m'usi orgoglio,
o me Fortuna in alto o in basso mote,
immobil son di vera fede scoglio
che d'ogn'intorno il vento e il mar percuote:
ne gia mai per bonaccia ne per verno
luogo mutai, n6 mutero in eterno.
LXII
Scarp ello si vedra di piombo o lima
formare in varie imagini diamante,
prima che colpo di Fortuna, o prima
ch'ira d'Amor rompa il mio cor costante;
e si vedra tornar verso la cima
de Palpe il flume turbido e sonante,
che per nuovi accidenti, o buoni o rei,
faccino altro viaggio i pensier miei.
LXIII
A voi, Ruggier, tutto il dominio ho dato
di me, che forse e piu ch'altri non crede.
So ben ch'a nuovo principe giurato
non fu di questa mai la maggior fede.
So che ne al mondo il piu sicuro stato
di questo, re ne imperator possiede.
Non vi bisogna far fossa ne torre,
per dubbio ch'altri a voi lo venga a t6rre.
Il68 ORLANDO FURIOSO
LXIV
Che, senza ch'assoldiate altra persona,
non verra assalto a cui non si resista.
Non e ricchezza ad espugnarmi buona,
ne si vil prezzo un cor gentile acquista.
Ne nobilta, ne altezza di corona,
ch'al sciocco volgo abbagliar suol la vista,
non belta, ch'in lieve animo puo assai,
vedro che piu di voi mi piaccia mai.
LXV
Non avete a temer ch'in forma nuova
intagHare il mio cor mai piu si possa:
si Fimagine vostra si ritrova
sculpita in lui, ch'esser non puo rimossa.
Che '1 cor non ho di cera, e fatto prova;
che gli die cento, non ch'una percossa,
Amor, prima che scaglia ne levasse,
quando airimagin vostra lo ritrasse.
LXVI
Avorio e gemma et ogni pietra dura
che meglio da 1'intaglio si difende,
romper si pu6; ma non ch' altra figura
prenda, che quella ch'una volta prende.
Non e il mio cor diverso alia natura
del marmo o d'altro ch'al ferro contende.
Prima esser puo che tutto Amor lo spezze,
che lo possa sculpir d'altre bellezze. »
LXVII
Suggiunse a queste altre parole molte,
piene d'amor, di fede e di conforto,
da ritornarlo in vita mille volte,
se stato mille volte fosse morto.
Ma quando piu de la tempesta tolte
queste speranze esser credeano in porto,
da un nuovo turbo impetuoso e scuro
rispinte in mar, lungi dal lito, furo:
CANTO QUARANTESIMOQUARTO 1169
LXVIII
pero che Bradamante, ch'eseguire
vorria molto piu ancor, che non ha detto,
rivocando nel cor Pusato ardire,
e lasciando ir da parte ogni rispetto,
s'appresenta un di a Carlo, e dice: — Sire,
s'a vostra Maestade alcuno effetto
io feci mai che le paresse buono,
contenta sia di non negarmi un dono.
LXIX
E prima che piu espresso io le lo chieggia,
su la real sua fede mi prometta
farmene grazia; e vorro poi che veggia
che sara iusta la domanda e retta.
— Merta la tua virtu che dar ti deggia
cio che domandi, o giovane diletta; —
rispose Carlo — - e giuro, se ben parte
chiedi del regno mio, di contentarte.
LXX
— II don ch'io bramo da 1'Altezza vostra,
e che non lasci mai marito darme, —
disse la damigella — se non mostra
che piu di me sia valoroso in arme.
Con qualunche mi vuol, prima o con giostra
o con la spada in mano ho da provarme.
II primo che mi vinca, mi guadagni:
chi vinto sia, con altra s'accompagni. —
LXXI
Disse 1'imperator con viso lieto
che la domanda era di lei ben degna;
e che stesse con Tanimo quieto,
che fara a punto quanto ella disegna.
Non e questo parlar fatto in segreto
si, ch'a notizia altrui tosto non vegna;
e quel giorno medesimo alia vecchia
Beatrice e al vecchio Amon corre all'orecchia.
1170 ORLANDO FURIOSO
LXXII
Li quali parimente arser di grande
sdegno contra alia figlia, e di grand'ira;
che vider ben con queste sue domande
ch'ella a Ruggier piu ch'a Leone aspira:
e presti per vietar che non si mande
questo ad effetto, a ch'ella intende e mira,
la levaro con fraude de la corte,
e la menaron seco a Roccaforte.
LXXIII
Quest'era una fortezza ch'ad Amone
donato Carlo avea pochi di inante,
tra Pirpignano assisa e Carcassone,
in loco a ripa il mar, molto importante.
Quivi la ritenean come in prigione,
con pensier di mandarla un di in Levante;
si ch'ogni mo do, voglia ella o non voglia,
lasci Ruggier da parte, e Leon toglia.
LXXIV
La valorosa donna, che non meno
era modesta, ch'animosa e forte;
ancor che posto guardia non Pavieno,
e potea entrare e uscir fuor de le porte ;
pur stava ubbidiente sotto il freno
del padre: ma patir prigione e morte,
ogni martire e crudelta piu tosto
che mai lasciar Ruggier, s'avea proposto.
LXXV
Rinaldo, che si vide la sorella
per astuzia d'Amon tolta di mano,
e che dispor non potra piu di quella,
e ch'a Ruggier 1'avra promessa invano ;
si duol del padre, e contra a lui favella,
posto il rispetto filial lontano.
Ma poco cura Amon di tai parole,
e di sua figlia a mo do suo far vuole.
CANTO QUARANTESIMOQUARTO 1171
LXXVI
Ruggier, che questo sente, et ha timore
di rimaner de la sua donna privo,
e che Pabbia o per forza o per amore
Leon, se resta lungamente vivo;
senza parlarne altrui si mette in core
di far che muoia, e sia d'Augusto, Divo;
e tor, se non Finganna la sua sperne,
al padre e a lui la vita e '1 regno insieme.
LXXVII
L'arme che fur gia del troiano Ettorre,
e poi di Mandricardo, si riveste,
e fa la sella al buon Frontino porre,
e cirnier muta, scudo e sopraveste.
A questa impresa non gli piacque t6rre
1'aquila bianca nel color celeste,
ma un candido liocorno, come giglio,
vuol ne lo scudo, e '1 campo abbia vermiglio.
LXXVIII
Sceglie de' suoi scudieri il piii fedele,
e quel vuole e non altri in compagnia;
e gli fa commission, che non rivele
in alcun loco mai, che Ruggier sia.
Passa la Mosa e '1 Reno, e passa de le
contrade d'Ostericche, in Ungheria;
e lungo Tlstro per la destra riva
tanto cavalca, ch'a Belgrade arriva.
LXXIX
Ove la Sava nel Danubio scende,
e verso il mar maggior con lui da volta,
vede gran gente in padiglioni e tende
sotto Tinsegne imperial raccolta;
che Costantino ricovrare in tende
quella citta che i Bulgari gli han tolta.
Costantin v'e in persona, e '1 figliuol seco
con quanto pu6 tutto Pimperio greco.
II>72 ORLANDO FURIOSO
LXXX
Dentro a Belgrade, e fuor per tutto il monte,
e giu fin dove il flume il pie gli lava,
Tesercito dei Bulgari gli e a fronte;
e Tuno e 1'altro a ber viene alia Sava.
Sul frame il Greco per gittare il ponte,
il Bulgar per vietarlo armato stava,
quando Ruggier vi giunse; e zufFa grande
attaccata trov6 fra le due bande.
LXXXI
I Greci son quattro contr'uno, et hanno
navi coi ponti da gittar ne 1'onda;
e di voler fiero sembiante fanno
passar per forza alia sinistra sponda.
Leone intanto, con occulto inganno
dal flume discostandosi, circonda
molto paese, e poi vi torna, e getta
ne 1'altra ripa i ponti, e passa in fretta:
LXXXII
e con gran gente, chi in arcion, chi a piede
(che non n'avea di ventimila un manco),
cavalco lungo la riviera, e diede
con fiero assalto agPinimici al fiance.
L'imperator, tosto che '1 figlio vede
sul fiume comparirsi al lato manco,
ponte aggiungendo a ponte e nave a nave,
passa di la con quanto esercito have.
LXXXIII
II capo, il re de' Bulgari Vatrano,
animoso e prudente e pro' guerriero,
di qua e di la s'affaticava invano
per riparare a un impeto si fiero;
quando cingendol con robusta mano
Leon gli fe* cader sotto il destriero:
e poi che dar prigion mai non si volse,
con mille spade la vita gli tolse.
CANTO QUARANTESIMOQUARTO 1173
LXXXIV
I Bulgari sin qui fatto avean testa;
ma quando il lor signer si vider tolto,
e crescer d'ogn'intorno la tempesta,
voltar le spalle ove avean prima il volto.
Ruggier, che misto vien fra i Greci, e questa
sconfitta vede, senza pensar molto,
i Bulgari soccorrer si dispone,
perch'odia Costantino e piii Leone.
LXXXV
Sprona Frontin che sembra al corso un vento,
e inanzi a tutti i corridori passa;
e tra la gente vien, che per spavento
al monte fugge, e la pianura lassa.
Molti ne ferrna, e fa voltare il mento
contra i nimici, e poi la lancia abassa;
e con si fier sembiante il destrier muove,
che fin nel ciel Marte ne teme e Giove.
LXXXVI
Dinanzi agli altri un cavalliero adocchia,
che riccamato nel vestir vermiglio
avea d'oro e di seta una pannocchia
con tutto il gambo, che parea di miglio;
nipote a Costantin per la sirocchia,
ma che non gli era men caro che figlio:
gli spezza scudo e osbergo come vetro,
e fa la lancia un palmo apparir dietro.
LXXXVII
Lascia quel morto, e Balisarda stringe
verso uno stuol che piu si vede appresso;
e contra a questo e contra a quel si spinge,
et a chi tronco et a chi il capo ha fesso :
a chi nel petto, a chi nel franco tinge
il brando, e a chi Pha ne la gola messo :
taglia busti, anche, braccia, mani e spalle;
e il sangue, come un rio, corre alia valle.
1174 ORLANDO FURIOSO
LXXXVIII
Non e, visti quei colpi, chi gli faccia
contrasto piii, cosl n'e ogniun smarrito;
si che si cangia subito la faccia
de la battaglia; che tornando ardito,
il petto volge e ai Greci da la caccia
il Bulgaro che dianzi era fuggito:
in un momento ogni ordine disciolto
si vede, e ogni stendardo a fuggir volto.
LXXXIX
Leone Augusto s'un poggio eminente,
vedendo i suoi fuggir, s'era ridutto;
e sbigottito e mesto ponea mente
(perch'era in loco che scopriva il tutto)
al cavallier ch'uccidea tanta gente,
che per lui sol quel campo era distrutto:
e non pu6 far, se ben n'e offeso tanto,
che non lo lodi e gli dia in arme il vanto.
xc
Ben comprende all'insegne e sopravesti,
all' arme luminose e ricche d'oro,
che quantunque il guerrier dia aiuto a questi
nimici suoi, non sia per6 di loro.
Stupido mira i soprumani gesti,
e talor pensa che dal sommo coro
sia per punire i Greci un agnol sceso,
che tante e tante volte hanno Dio offeso.
xci
E come uom d'alto e di sublime core,
ove Tavrian molt'altri in odio avuto,
egli s>innamor6 del suo valore,
ne veder fargli oltraggio avria voluto :
gli sarebbe per un de' suoi che muore,
vederne morir sei manco spiaciuto,
e perder anco parte del suo regno,
che veder morto un cavallier si degno.
CANTO QUARANTESIMOQUARTO 1175
XCII
Come bambin, se ben la cara madre
iraconda lo batte e da se caccia,
non ha ricorso alia sorella o al padre,
ma a lei ritorna, e con dolcezza abbraccia;
cosi Leon, se ben le prime squadre
Ruggier gli uccide, e 1'altre gli minaccia,
non lo puo odiar, perch'alPamor piu tira
1'alto valor, che quella offesa all'ira.
XCIII
Ma se Leon Ruggier o ammira et ama,
mi par che duro cambio ne riporte;
che Ruggiero odia lui, n6 cosa brarna
piu che di dargli di sua man la morte.
Molto con gli occhi il cerca, et alcun chiama,
che gliele mostri; ma la buona sorte
e la prudenzia de Tesperto Greco
non lascio mai che s'affrontasse seco.
xciv
Leone, acci6 che la sua gente affatto
non fosse uccisa, fej sonar raccolta;
et all'imperatore un messo ratto
a pregarlo mand6, che desse volta
e ripassasse il fiume; e che buon patto
n'avrebbe, se la via non gli era tolta:
et esso con non molti che raccolse
al ponte ond'era entrato i passi volse.
xcv
Molti in poter de' Bulgari restaro
per tutto il monte, e sin al fiume uccisi;
e vi restavan tutti, se '1 riparo
non gli avesse del rio tosto divisi.
Molti cader dai ponti e s'affogaro;
e molti, senza mai volgere i visi,
quindi lontano iro a trovare il guado ;
e molti fur prigion tratti in Belgrade.
1176 ORLANDO FURIOSO
XCVI
Finita la battaglia di quel giorno,
nella qual, pol che il lor signer fu estinto,
danno i Bulgari avriano avuto e scorno,
se per lor non avesse il guerrier vinto,
il buon guerrier che Jl candido liocorno
ne lo scudo vermiglio avea dipinto;
a lui si trasson tutti, da cui questa
vittoria conoscean, con gioia e festa.
xcvu
Uno il saluta, un altro se gl'inchina,
altri la mano, altri gli bacia il piede:
ognun, quanto piu puo, se gli awicina,
e beato si tien chi appresso il vede,
e piu chi '1 tocca; che toccar divina
e sopranatural cosa si crede.
Lo pregan tutti, e vanno al ciel le grida,
che sia lor re, lor capitan, lor guida.
XCVIII
Ruggier rispose lor che capitano
e re sara, quel che fia lor piu a grado ;
ma ne a baston ne a scettro ha da por mano,
ne per quel giorno entrar vuole in Belgrade :
che prima che si faccia piu lontano
Leon Augusto, e che ripassi il guado,
lo vuol seguir, ne torsi da la traccia,
fin che nol giunga e che morir nol faccia;
xcix
che mille miglia e piu, per questo solo
era venuto, e non per altro effetto.
Cosi senza indugiar lascia lo stuolo,
e si volge al camin che gli vien detto,
che verso il ponte fa Leone a volo,
forse per dubbio che gli sia intercetto.
Gli va dietro per 1'orma in tanta fretta,
che '1 suo scudier non chiama e non aspetta.
CANTO QUARANTESIMOQUARTO 1177
C
Leone ha nel fuggir tanto vantaggio
(fuggir si puo ben dir, piu che ritrarse),
che trova aperto e libero il passaggio;
poi rompe il ponte, e lascia le navi arse.
Non v'arriva Ruggier, ch'ascoso il raggio
era del sol, ne sa dove alloggiarse.
Cavalca inanzi, che lucea la lima,
ne mai trova castel ne villa alcuna.
ci
Perche non sa dove si por, camina
tutta la notte, ne d'arcion mai scende.
Ne lo spuntar del nuovo sol vicina
a man sinistra una citta comprende;
ove di star tutto quel di destina,
accio ringiuria al suo Frontino emende,
a cui, senza posarlo o trargli briglia,
la notte fatto avea far tante miglia.
CII
Ungiardo era signor di quella terra,
suddito e caro a Costantino molto,
ove avea per cagion di quella guerra
da cavallo e da pie buon numer tolto.
Quivi ove altrui 1'entrata non si serra,
entra Ruggiero, e v'e si ben raccolto,
che non gli accade di passar piu avante
per aver miglior loco e piu abondante.
cm
Nel medesimo albergo in su la sera
un cavallier di Romania alloggiosse,
che si trovo ne la battaglia fiera,
quando Ruggier pei Bulgari si mosse,
et a pena di man fuggito gli era,
ma spaventato piu ch'altri mai fosse;
si ch'ancor triema, e pargli ancora intorno
avere il cavallier dal liocorno.
1178 ORLANDO FURIOSO
CIV
Conosce, tosto che lo scudo vede,
che }1 cavallier che quella insegna porta
e quel che la sconfitta ai Greci diede,
per le cui mani e tanta gente morta.
Corre al palazzo, et udienzia chiede,
per dire a quel signer cosa ch'importa;
e subito intromesso, dice quanto
io mi riserbo a dir ne Taltro canto.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO 1179
CANTO QUARANTESIMOQUINTO
I
Quanto piu su Tinstabil ruota vedi
di Fortuna ire in alto il miser uomo,
tanto piu tosto hai da vedergli i piedi
ove ora ha il capo, e far cadendo il tomo.
Di questo esempio e Policrate, e il re di
Lidia, e Dionigi, e altri ch'io non nomo,
che ruinati son da la suprema
gloria in un di ne la miseria estrema.
ii
Cosl all'incontro, quanto piu depresso,
quanto e piu Puom di questa ruota al fondo,
tanto a quel punto piu si trova appresso,
c'ha da salir, se de' girarsi in tondo.
Alcun sul ceppo quasi il capo ha messo,
che 1'altro giorno ha dato legge al mondo.
Servio e Mario e Ventidio 1'hanno mostro
al tempo antico, e il re Luigi al nostro :
in
il re Luigi, suocero del figlio
del duca mio; che rotto a Santo Albino,
e giunto al suo nimico ne 1'artiglio,
a restar senza capo fu vicino.
Scorse di questo anco maggior periglio,
non molto inanzi, il gran Matia Corvino.
Poi Tun de' Franchi passato quel punto,
1'altro al regno degli Ungari fu assunto.
Il8o ORLANDO FURIOSO
IV
Si vede per gli essempii, di che piene
sono 1'antiche e le moderne istorie,
che '1 ben va dietro al male, e '1 male al bene,
e fin son Tun de 1'altro e biasmi e glorie;
e che fidarsi a Tuom non si conviene
in suo tesor, suo regno e sue vittorie,
ne disperarsi per Fortuna awersa,
che sempre la sua ruota in giro versa.
v
Ruggier per la vittoria ch'avea avuto
di Leone e del padre imperatore,
in tanta confidenzia era venuto
di sua fortuna e di suo gran valore,
che senza compagnia, senz'altro aiuto,
di poter egli sol gli dava il core
fra cento a pie e a cavallo armate squadre
uccider di sua mano il figlio e il padre.
VI
Ma quella, che non vuol che si prometta
alcun di lei, gli mostr6 in pochi giorni
come tosto alzi, e tosto al basso metta,
e tosto awersa, e tosto arnica torni.
Lo fej conoscer quivi da chi in fretta
a procacciargli ando disagi e scorni,
dal cavallier che ne la pugna fiera
di man fuggito a gran fatica gli era.
VII
Costui fece ad Ungiardo saper come
quivi il guerrier ch'avea le genti rotte
di Costantino e per molt'anni dome,
stato era il giorno, e vi staria la notte;
e che Fortuna presa per le chiome,
senza che piu travagli o che piii lotte,
dara al suo re, se fa costui prigione;
ch' a' Bulgari, lui preso, il giogo pone.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO Il8l
VIII
Ungiardo da la gente, che fuggita
de la battaglia a lui s'era ridutta
(ch'a parte a parte v'arriv6 infinita,
perch'al ponte passar non potea tutta),
sapea come la strage era seguita
che la meta de5 Greci avea distrutta;
e come un cavallier solo era stato
ch'un campo rotto, e 1'altro avea salvato:
IX
e che sia da se stesso senza caccia
venuto a dar del capo ne la rete,
si maraviglia, e mostra che gli piaccia,
con viso e gesti e con parole liete.
Aspetta che Ruggier dormendo giaccia;
poi manda le sue gente chete chete,
e fa il buon cavallier, ch'alcun sospetto
di questo non avea, prender nel letto.
Accusato Ruggier dal proprio scudo,
ne la citta di Novengrado resta
prigion d'Ungiardo, il piu d'ogni altro crudo,
che fa di ci6 maravigliosa festa.
E che pu6 far Ruggier, poi che gli e nudo,
et e legato gia quando si desta?
Ungiardo un suo corrier spaccia a stafTetta
a dar la nuova a Costantino in fretta.
XI
Avea levato Costantin la notte
da le ripe di Sava ogni sua schiera;
e seco a Beleticche avea ridotte,
che citta del cognato Androfilo era,
padre di quello a cui forate e rotte
(come se state fossino di cera)
al primo incontro Tarme avea il gagliardo
cavallier, or prigion del fiero "Ungiardo.
Il82 ORLANDO FURIOSO
XII
Quivi fortificar facea le mura
1'imperatore, e riparar le porte;
che de' Bulgari ben non s'assicura,
die con la guida d'un guerrier si forte
non gli faccino peggio che paura,
e sl resto ponghin di sua gente a morte.
Or che Fode prigion, ne quelli teme,
ne se con lor sia il mondo tutto insieme.
XIII
L'imperator riuota in un mar di latte,
ne per letizia sa quel che si faccia.
— Ben son le genti bulgare disfatte— ,
dice con lieta e con sicura faccia.
Come de la vittoria, chi combatte,
se troncasse al nimico ambe le braccia,
certo saria, cosi n'e certo, e gode
Timperator, poi che '1 guerrier preso ode.
XIV
Non ha minor cagion di rallegrarsi
del patre il figlio ; ch'oltre che si spera
di racquistar Belgrade, e soggiugarsi
ogni contrada che dej Bulgari era;
disegna anco il guerriero amico farsi
con benefici, e seco averlo in schiera.
Ne Rinaldo ne Orlando a Carlo Magno
ha da invidiar, se gli e costui compagno.
xv
Da questa voglia e ben di versa quella
di Teodora, a chi '1 figliuolo uccise
Ruggier con Tasta che da la mammella
passo alle spalle, e un palmo fuor si mise.
A Costantin, del quale era sorella,
costei si gitto aj piedi, e gli conquise
e intenerigli il cor d'alta pietade
col largo pianto che nel sen le cade.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO 1183
XVI
— lo non mi Iever6 da questi piedi, —
diss'ella — signer mio, se del fellone
ch'uccise il mio figliuol, non mi conciedi
di vendicare, or che Tabbian prigione.
Oltre che stato t'e nipote, vedi
quanto t'am6, vedi quant'opre buone
ha per te fatto, e vedi s'avrai torto
di non lo vendicar di chi Pha morto.
XVII
Vedi che per pieta del nostro duolo
ha Dio fatto levar da la campagna
questo crudele, e come augello, a volo
a dar ce Pha condotto ne la ragna,
accio in ripa di Stige il mio figliuolo
molto senza vendetta non rimagna.
Dammi costui, signore, e sii contento
ch'io disacerbi il mio col suo tormento. —
XVIII
Cosi ben piange, e cosi ben si duole,
e cosi bene et efficace parla;
ne dai piedi levar mai se gli vuole,
ben che tre volte e quattro per levarla
usasse Costantino atti e parole;
ch'egli e forzato al fin di contentarla:
e cosi comand6 che si facesse
colui condurre, e in man di lei si desse.
XIX
E per non fare in ci6 lunga dimora,
condotto hanno il guerrier del liocorno,
e dato in mano alia crudel Teodora,
che non vi fu intervallo piu d'un giorno.
II far che sia squartato vivo, e muora
publicamente con obbrobrio e scorno,
poca pena le pare, e studia e pensa
altra trovarne inusitata e immensa.
1184 ORLANDO FURIOSO
XX
La femina crudel lo fece porre,
incatenato e mani e piedi e collo,
nel tenebroso fondo d'una torre,
ove mai non entro raggio dj Apollo.
Fuor ch'un poco di pan muffato, t6rre
gli fe' ogni cibo, e senza ancor lassollo
duo di talora; e lo die in guardia a tale,
ch'era di lei piu pronto a fargli male.
XXI
Oh! se d'Amon la valorosa e bella
figlia, oh se la magnanima Marfisa
avesse avuto di Ruggier novella,
ch'in prigion tormentasse a questa guisa;
per liberarlo saria questa e quella
postasi al rischio di restarne uccisa;
ne Bradamante avria, per dargli aiuto,
a Beatrice o Amon rispetto avuto.
XXII
Re Carlo intanto avendo la promessa
a costei fatta in mente, che consorte
dar non le lasciera che sia men d'essa
al paragon de Farme ardito e forte;
questa sua volunta con trombe espressa
non solamente fej ne la sua corte,
ma in ogni terra al suo imperio soggetta;
onde la fama ando pel mondo in fretta.
XXIII
Questa condizion contiene il bando:
chi la figlia d'Amon per moglie vuole,
star con lei debba a paragon del brando
da 1'apparire al tramontar del sole;
e fin a questo termine durando,
e non sia vinto, senz'altre parole
la donna da lui vinta esser s'intenda,
ne possa ella negar che non lo prenda;
CANTO QXJARANTESIMOQUINTO 1185
XXIV
e che Feletta ella de Tarme dona,
senza mirar chi sia di lor che chlede.
E lo potea ben far, perch' era buona
con tutte Tarme, o sia a cavallo o a piede.
Amon, che contrastar con la Corona
non puo ne vuole, al fin sforzato cede ;
e ritornare a corte si consiglia,
dopo molti discorsi, egli e la figlia.
xxv
Ancor che sdegno e colera la madre
contra la figlia avea, pur per suo onore
vesti le fece far ricche e leggiadre
a varie foggie e di piu d'un colore.
Bradamante alia corte ando col padre;
e quando quivi non trovo il suo amore,
piu non le parve quella corte quella
che le solea parer gia cosi bella.
XXVI
Come chi visto abbia, Tap rile o il maggio,
giardin di frondi e di bei fieri adorno,
e lo rivegga poi che 51 sol il raggio
alPaustro inchina, e lascia breve il giorno,
lo trova deserto, orrido e selvaggio;
cosi pare alia donna al suo ritorno,
che da Ruggier la corte abandonata
quella non sia, ch'avea al partir lasciata.
XXVII
Domandar non ardisce che ne sia,
acci6 di se non dia maggior sospetto;
ma pon Porecchia, e cerca tuttavia
che senza domandar le ne sia detto.
Si sa ch'egli e partito, ma che via
pres'abbia non fa alcun vero concetto;
perche partendo ad altri non fe' motto,
ch'allo scudier che seco avea condotto.
Il86 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
Oh come ella sospira! oh come teme,
sentendo che se n'e come fuggito!
Oh come sopra ogni timor le preme,
che per porla in oblio se ne sia gito!
che vistosi Amon contra, et ogni speme
perduta mai piu d'esserle marito,
si sia fatto da lei lontano, forse
cosi sperando dal suo amor disciorse:
XXIX
e che fatt'abbia ancor qualche disegno,
per piu tosto levarsela dal core,
d'andar cercando d'uno in altro regno
donna per cui si scordi il primo amore,
come si dice che si suol d'un legno
talor chiodo con chiodo cacciar fuore.
Nuovo pensier ch'a questo poi succede,
le dipinge Ruggier pieno di fede;
e lei che dato orecchie abbia, riprende,
a tanta iniqua suspizione e stolta.
E cosi Tun pensier Ruggier difende,
1'altro Taccusa: et ella amenduo ascolta,
e quando a questo e quando a quel s'apprende,
ne risoluta a questo o a quel si volta.
Pur all'opinion piu tosto corre
che piu le giova, e la contraria aborre.
XXXI
E talor anco che le torna a mente
quel che piu volte il suo Ruggier le ha detto,
come di grave error si duole e pente,
ch'avuto n'abbia gelosia e sospetto ;
e come fosse al suo Ruggier presente,
chiamasi in colpa, e se ne batte il petto.
— Ho fatto error, — dice ella — e me n'aveggio;
ma chi n'e causa, e causa ancor di peggio.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO 1187
XXXII
Amor n'e causa, che nel cor m'ha impresso
la forma tua cosi leggiadra e bella;
e posto ci ha Fardir, Tingegno appresso,
e la virtu di che ciascun favella;
ch'impossibil mi par, ch'ove concesso
ne sia il veder, ch'ogni donna e donzella
non ne sia accesa, e che non usi ogni arte
di sciorti dal mio amore e al suo legarte.
XXXIII
Deh avesse Amor cosi nei pensier miei
il tuo pensier, come ci ha il viso sculto!
10 son ben certa che lo troverei
palese tal, qual io lo stimo occulto;
e che si fuor di gelosia sarei,
ch'ad or ad or non mi farebbe insulto;
e dove a pena or e da me respinta,
rimarria morta, non che rotta e vinta.
xxxiv
Son simile all'avar c'ha il cor si intento
al suo tesoro, e si ve Tha sepolto,
che non ne pu6 lontan viver contento,
ne non sempre temer che gli sia tolto.
Ruggiero, or puo, ch'io non ti veggo e sento,
in me piu de la speme il timor molto,
11 qual ben che bugiardo e vano io creda,
non posso far di non mi dargli in preda.
xxxv
Ma non apparira il lume si tosto
agli occhi miei del tuo viso giocondo,
contra ogni mia credenza a me nascosto,
non so in qual parte, o Ruggier mio, del mondo,
come il falso timor sara deposto
da la vera speranza e messo al fondo.
Deh torna a me, Ruggier, torna, e conforta
la speme che Jl timor quasi m'ha morta!
Il88 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
Come al partir del sol si fa maggiore
Tombra, onde nasce poi vana paura;
e come all'apparir del suo splendore
vien meno Pombra, e '1 timido assicura:
cosi senza Ruggier sento timore;
se Ruggier veggo, in me timor non dura.
Deh torna a me, Ruggier, deh torna prima
che 1 timor la speranza in tutto opprima!
XXXVII
Come la notte ogni fiammella e viva,
e riman spenta subito ch'aggiorna;
cosi, quando il mio sol di se mi priva,
mi leva incontra il rio timor le corna:
ma non si tosto alPorizzonte arriva,
che 1 timor fugge, e la speranza torna.
Deh torna a me, deh torna, o caro lume,
e scaccia il rio timor che mi consume!
XXXVIII
Se '1 sol si scosta, e lascia i giorni brevi,
quanto di bello avea la terra asconde;
fremono i venti, e portan ghiacci e nievi;
non canta augel, ne fior si vede o fronde:
cosi, qualora awien che da me levi,
o mio bel sol, le tue luci gioconde,
mille timori, e tutti iniqui, fanno
un aspro verno in me piu volte 1'anno.
xxxix
Deh torna a me, mio sol, torna, e rimena
la desiata dolce primavera!
Sgombra i ghiacci e le nievi, e rasserena
la mente mia si nubilosa e nera. —
Qual Progne si lamenta o Filomena
ch'a cercar esca ai figliolini ita era,
e trova il nido v6to; o qual si lagna
turture c'ha perduto la compagna:
CANTO QUARANTESIMOQUINTO 1.189
XL
tal Bradamante si dolea, che tolto
le fosse stato il suo Ruggier temea,
di lacrime bagnando spesso il volto,
ma piu celatamente che potea.
Oh quanto, quanto si dorria piu molto,
s'ella sapesse quel che non sapea,
che con pena e con strazio il suo consorte
era in prigion, dannato a crudel morte!
XLI
La crudelta ch'usa Finiqua vecchia
contra il buon cavallier che preso tiene,
e che di dargli morte s'apparecchia
con nuovi strazii e non usate pene,
la superna Bonta fa ch'alForecchia
del cortese figliuol di Cesar viene;
e che gli mette in cor come Faiute,
e non lasci perir tanta virtute.
XLII
II cortese Leon che Ruggiero ama
(non che sappi per6 che Ruggier sia),
mosso da quel valor ch'unico chiama,
e che gli par che soprumano sia,
molto fra se discorre, ordisce e trama,
e di salvarlo al fin trova la via,
in guisa che da lui la zia crudele
offesa non si tenga e si querele.
XLIII
Parlo in secreto a chi tenea la chiave
de la prigione; e che volea, gli disse,
vedere il cavallier pria che si grave
sentenzia, contra lui data, seguisse.
Giunta la notte, un suo fedel seco have
audace e forte, et atto a zuffe e a risse;
e fa che 1 castellan, senz'altrui dire
ch'egli fosse Leon, gli viene aprire.
ORLANDO FURIOSO
XLIV
II castellan, senza ch'alcun de' sui
seco abbia, occultamente Leon mena
col compagno alia torre ove ha colui
che si serba all'estrema d'ogni pena.
Giunti la dentro, gettano amendui
al castellan, che volge lor la schena
per aprir lo sportello, al collo un laccio,
e subito gli dan Pultimo spaccio.
XLV
Apron la cataratta, onde sospeso
al canape, ivi a tal bisogno posto,
Leon si cala, e in mano ha un torchio acceso,
la dove era Ruggier dal sol nascosto.
Tutto legato, e s'una grata steso
lo trova, all'acqua un palmo e men discosto.
L'avria in un mese e in termine phi corto,
per se, senz'altro aiuto, il luogo morto.
XLVI
Leon Ruggier con gran pietade abbraccia,
e dice: — Cavallier, la tua virtute
indissolubilmente a te m'allaccia
di voluntaria eterna servitute;
e vuol che piu il tuo ben, che '1 mio, mi piaccia,
ne curi per la tua la mia salute,
e che la tua amicizia al padre e a quanti
parenti io mj abbia al mondo, io metta inanti.
XLVII
Io son Leone, acci6 tu intenda, figlio
di Costantin, che vengo a darti aiuto,
come vedi, in persona, con periglio
(se mai dal padre mio sara saputo)
d'esser cacciato, o con turbato ciglio
perpetuamente esser da lui veduto ;
che per la gente la qual rotta e morta
da te gli fu a Belgrado, odio ti porta. —
CANTO QUARANTESIMOQUINTO
XLVIII
E seguito, piu cose altre dicendo
da farlo ritornar da morte a vita;
e lo vien tuttavolta disciogliendo.
Ruggier gli dice: — lo v'ho grazia infinita;
e questa vita ch'or mi date, intendo
che sempremai vi sia restituita,
che la vogliate riavere, et ogni
volta che per voi spenderla bisogni. —
XLIX
Ruggier fu tratto di quel loco oscuro,
e in vece sua morto il guardian rimase;
ne conosciuto egli ne gli altri furo.
Leon men6 Ruggiero alle sue case,
ove a star seco tacito e sicuro
per quattro o per sei di gli persuase;
che riaver Parme e '1 destrier gagliardo
gli faria intanto, che gli tolse Ungiardo.
Ruggier fuggito, il suo guardian strozzato
si trova il giorno, e aperta la prigione.
Chi quel, chi questo pensa che sia stato;
ne parla ognun, ne per6 alcun s'appone.
Ben di tutti gli altri uomini pensato
piu tosto si saria, che di Leone;
che pare a molti ch'avria causa avuto
di fame strazio, e non di dargli aiuto.
LI
Riman di tanta cortesia Ruggiero
confuso si, si pien di maraviglia,
e tramutato si da quel pensiero
che quivi tratto Favea tante miglia,
che mettendo il secondo col primiero,
n6 a .questo quel, ne questo a quel simiglia.
II primo tutto era odio, ira e veneno;
di pietade e il secondo e d'amor pieno.
1192 ORLANDO FURIOSO
LII
Molto la notte e molto il giorno pensa,
d'altro non cura et altro non disia,
che da I'obligazion che gli avea immensa,
sciorsi con pari e maggior cortesia.
Gli par, se tutta sua vita dispensa
in lui servire, o breve o lunga sia,
e se s'espone a mille morti certe,
non gli puo tanto far, che piu non merte.
LIII
Venuta quivi intanto era la nuova
del bando ch'avea fatto il re di Francia,
che chi vuol Bradamante abbia a far prova
con lei di forza, con spada e con lancia.
Questo udir a Leon si poco giova,
che se gli vede impallidir la guancia;
perche, come uom che le sue forze ha note,
sa ch'a lei pare in arme esser non puote.
LIV
Fra se discorre, e vede che supplire
puo con Tingegno, ove il vigor sia manco,
facendo con sue insegne comparire
questo guerrier di cui non sa il nome anco;
che di possanza iudica e d'ardire
poter star contra a qualsivoglia Franco:
e crede ben, s'a lui ne da 1'impresa,
che ne fia vinta Bradamante e presa.
LV
Ma due cose ha da far: Puna, disporre
il cavallier, che questa impresa accetti;
Paltra, nel campo in vece sua lui porre
in modo che non sia chi ne sospetti.
A se lo chiama, e '1 caso gli discorre,
e pregal poi con efficaci detti
ch'egli sia quel ch'a questa pugna vegna
col nome altrui, sotto mentita insegna.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO 1193
LVI
L'eloquenzia del Greco assai potea;
ma piu de Feloquenzia potea molto
1'obligo grande che Ruggier gli avea,
da mai non ne dovere essere isciolto:
si che quantunque duro gli parea,
e non possibil quasi; pur con volto,
piu che con cor giocondo, gli rispose
ch'era per far per lui tutte le cose.
LVII
Ben che da fier dolor, tosto che questa
parola ha detta, il cor ferir si senta,
che giorno e notte e sernpre lo molesta,
sempre 1'afHigge e sempre lo tormenta,
e vegga la sua morte manifesta;
pur non e mai per dir che se ne penta;
che prima ch'a Leon non ubbidire,
mille volte, non ch'una, e per morire.
LVIII
Ben certo e di morir; perche, se lascia
la donna, ha da lasciar la vita ancora:
o che Taccorera il duolo e Tambascia;
o se }1 duolo e Tambascia non Paccora,
con le man proprie squarciera la fascia
che cinge Talma, e ne la trarra fuora;
ch'ogni altra cosa piu facil gli fia,
che poter lei veder che sua non sia.
LIX
Gli e di morir disposto; ma che sorte
di morte voglia far, non sa dir anco.
Pensa talor di fingersi men forte,
e porger nudo alia donzella il fiance;
che non fu mai la piu beata morte,
che se per man di lei venisse manco.
Poi vede, se per lui resta che moglie
sia di Leon, che P oblige non scioglie:
1194 ORLANDO FURIOSO
LX
perche ha promesso contra Bradamante
entrare in campo a singular battaglia;
non simulare, e fame sol sembiante,
si die Leon di lui poco si vaglia.
Dunque stara nel detto suo constante;
e ben che or questo or quel pensier 1'assaglia,
tutti li scaccia, e solo a questo cede,
il qual 1'esorta a non mancar di fede.
LXI
Avea gia fatto apparecchiar Leone,
con licenzia del patre Costantino,
arme e cavalli, e un numer di persone
qual gli convenne, e entrato era in camino;
e seco avea Ruggiero, a cui le buone
arme avea fatto rendere e Frontino:
e tanto un giorno e un altro e un altro andaro,
ch'in Francia et a Parigi si trovaro.
LXII
Non volse entrar Leon ne la cittate, -
e i padiglioni alia campagna tese;
e fe* il medesmo di per imbasciate,
che di sua giunta ire di Francia intese.
L'ebbe il re caro; e gli fu piu fiate
donando e visitandolo cortese.
De la venuta sua la cagion disse
Leone, e lo prego che 1'espedisse:
LXIII
ch'entrar facesse in campo la donzella
che marito non vuol di lei men forte;
quando venuto era per fare o ch'ella
moglier gli fosse, o che gli desse morte.
Carlo tolse Fassunto, e fece quella
comparir Paltro di fuor de le porte,
ne lo steccato che la notte sotto
alPalte mura fu fatto di botto.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO 1195
LXIV
La notte ch'and6 inanzi al terminato
giorno de la battaglia, Ruggiero ebbe
simile a quella che suole il dannato
aver, che la matina morir debbe.
Eletto avea combatter tutto armato,
perch' esser conosciuto non vorrebbe;
ne lancia ne destriero adoprar volse,
ne fuor che }1 brando arme d'ofFesa tolse.
LXV
Lancia non tolse; non perche temesse
di quella d'or che fu de 1'Argalia,
e poi d'Astolfo, a cui costei successe
che far gli arcion votar sempre solia:
perche nessun ch'ella tal forza avesse,
o fosse fatta per negromanzia,
avea saputo, eccetto quel re solo
che far la fece e la don6 al figliuolo.
LXVI
Anzi Astolfo e la donna, che portata
1'aveano poi, credean che non I'incanto,
ma la propria possanza fosse stata
che dato loro in giostra avesse il vanto;
e che con ogni altra asta ch'incontrata
fosse da lor, farebbono altretanto.
La cagion sola che Ruggier non giostra,
e per non far del suo Frontino mostra:
LXVII
che lo potria la donna facilmente
conoscer, se da lei fosse veduto;
pero che cavalcato, e lungamente
in Montalban Pavea seco tenuto.
Ruggier che solo studia e solo ha mente
come da lei non sia riconosciuto,
ne vuol Frontin, ne vuol cos'altra avere,
che di far di se indizio abbia potere.
1196 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
A questa impresa un'altra spada voile;
che ben sapea che contra a Balisarda
saria ogn'osbergo, come pasta, molle;
ch'alcuna tempra quel furor non tarda:
e tutto '1 taglio anco a quest'altra tolle
con un martello, e la fa men gagliarda.
Con quest'arme Ruggiero al primo lampo
ch'apparve alForizzonte, entro nel campo.
LXIX
E per parer Leon, le sopraveste
che dianzi ebbe Leon, s'ha messe indosso;
e 1'aquila de Tor con le due teste
porta dipinta ne lo scudo rosso.
E facilmente si potean far queste
finzion; ch'era ugualmente grande e grosso
Tun come Paltro. Appresentossi Puno;
1'altro non si lascio veder d'alcuno.
LXX
Era la volunta de la donzella
da quest'altra diversa di gran lunga;
che se Ruggier su la spada martella
per rintuzzarla, che non tagli o punga,
la sua la donna aguzza, e brama ch'ella
entri nel ferro, e sempre al vivo giunga,
anzi ogni colpo si ben tagli e fore,
che vada sempre a ritrovargli il core.
LXXI
Qual su le mosse il barbaro si vede,
che '1 cenno del partir fugoso attende,
ne qua ne la poter fermare il piede,
gonfiar le nare, e che Torecchie tende;
tal 1'animosa donna che non crede
che questo sia Ruggier con chi contende,
aspettando la tromba, par che fuoco
ne le vene abbia, e non ritrovi loco.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO 1197
LXXII
Qual talor, dopo il tuono, orrido vento
subito segue, che sozzopra volve
Fondoso mare, e leva in un momento
da terra fin al ciel Foscura polve;
fuggon le fiere, e col pastor Farmento;
1'aria in grandine e in pioggia si risolve:
udito il segno la donzella, tale
stringe la spada, e Jl suo Ruggiero assale.
LXXIII
Ma non piu quercia antica, o gross o muro
di ben fondata torre a borea cede,
ne piu all'irato mar lo scoglio duro,
che d'ogni intorno il di e la notte il fiede;
che sotto Farme il buon Ruggier sicuro,
che gia al troiano Ett6r Vulcano diede,
ceda alFodio e al furor che lo tempesta
or ne' fianchi, or nel petto, or ne la testa.
LXXIV
Quando di taglio la donzella, quando
mena di punta; e tutta intenta mira
ove cacciar tra ferro e ferro il brando,
si che si sfoghi e disacerbi Fira.
Or da un lato, or da un altro il va tentando ;
quando di qua, quando di la s'aggira:
e si rode e si duol che non le avegna
mai fatta alcuna cosa che disegna.
LXXV
Come chi assedia una citta che forte
sia di buon fianchi e di muraglia grossa,
spesso Fassalta, or vuol batter le porte,
or Falte torri, or atturar la fossa;
e pone indarno le sue genti a morte,
ne via sa ritrovar ch'entrar vi possa:
cosi molto s'affanna e si travaglia,
ne pu6 la donna aprir piastra ne maglia.
1198 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Quando allo scudo e quando al buono elmetto,
quando all'osbergo fa gittar scintille
con colpi ch'alle braccia, al capo, al petto
mena dritti e riversi, e mille e mille,
e spessi piu, che sul sonante tetto
la grandine far soglia de le ville.
Ruggier sta su Tawiso, e si difende
con gran destrezza, e lei mai non offende.
LXXVII
Or si ferma, or volteggia, or si ritira,
e con la man spesso accompagna il piede.
Porge or lo scudo, et or la spada gira
ove girar la man nimica vede.
0 lei non fere, o se la fere, mira
ferirla in parte ove men nuocer crede.
La donna, prima che quel di s'inchine,
brama di dare alia battaglia fine.
LXXVIII
Si ricordb del bando, e si rawide
del suo periglio, se non era presta;
che se in un di non prende o non uccide
il suo domandator, presa ella resta.
Era gia presso ai termini d'Alcide
per attuffar nel mar Febo la testa,
quando ella comincio di sua possanza
a difidarsi, e perder la speranza.
LXXIX
Quanto manco piu la speranza, crebbe
tanto piu 1'ira, e radoppi6 le botte;
che pur quell' arme rompere vorrebbe,
ch'in tutto un di non avea ancora rotte :
come colui ch'al lavorio che debbe,
sia stato lento, e gia vegga esser notte,
s'affretta indarno, si travaglia e stanca,
fin che la forza a un tempo e il di gli manca.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO 1199
LXXX
O misera donzella, se costui
tu conoscessi, a cui dar morte brami,
se lo sapessi esser Ruggier, da cui
de la tua vita pendono li stami;
so ben ch'uccider te, prim a che lui,
vorresti; che di te so che piu Taini:
e quando lui Ruggiero esser saprai,
di questi colpi ancor, so, ti dorrai.
LXXXI
Carlo e molt'altri seco, che Leone
esser costui credeansi, e non Ruggiero,
veduto come in arme, al paragone
di Bradamante, forte era e leggiero;
e senza offender lei con che ragione
difender si sapea, mutan pensiero,
e dicon: — Ben convengono amendui;
ch'egli e di lei ben degno, ella di lui. —
LXXXII
Poi che Febo nel mar tutt'e nascoso,
Carlo, fatta partir quella battaglia,
giudica che la donna per suo sposo
prenda Leon, ne ricusar lo vaglia.
Ruggier, senza pigliar quivi riposo,
senz'elmo trarsi o alleggierirsi maglia,
sopra un picciol ronzin torna in gran fretta
ai padiglioni ove Leon Taspetta.
LXXXIII
Gitt6 Leone al cavallier le braccia
due volte e piu fraternamente al collo;
e poi, trattogli Telmo da la faccia,
di qua e di la con grande amor baciollo.
— Vo' — disse — che di me sempre tu faccia
come ti par; che mai trovar satollo
non mi potrai, che me e lo stato mio
spender tu possa ad ogni tuo disio.
1200 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
Ne veggo ricompensa che mai questa
obligazion ch'io t'ho, possi disciorre;
e non s'ancora io mi levi di testa
la mia corona, e a te la venghi a porre. —
Ruggier, di cui la mente ange e molesta
alto dolore, e che la vita aborre,
poco risponde, e 1'insegne gli rende,
che n'avea ante, e '1 suo liocorno prende.
LXXXV
E stance dimostrandosi e svogliato,
piii tosto che pote, da lui levosse;
et al suo alloggiamento ritornato,
poi che fu mezzanotte, tutto armosse;
e sellato il destrier, senza commiato,
e senza che d'alcun sentito fosse,
sopra vi salse, e si drizz6 al camino
che piu piacer gli parve al suo Frontino.
LXXXVI
Frontino or per via dritta or per via torta,
quando per selve e quando per campagna
il suo signor tutta la notte porta,
che non cessa un momento che non piagna:
chiama la morte, e in quella si conforta,
che Postinata doglia sola fragna;
ne vede, altro che morte, chi finire
possa 1'insopportabil suo martire.
LXXXVII
— Di chi mi debbo, ohime! — dicea— dolere,
che cosi m'abbia a un punto ogni ben tolto ?
Deh, s'io non vo' ringiuria sostenere
senza vendetta, incontra a cui mi volto ?
Fuor che me stesso, altri non so vedere,
che m'abbia offeso et in miseria volto.
Io m'ho dunque di me contra a me stesso
da vendicar, c'ho tutto il mal commesso.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO 1201
LXXXVIII
Pur, quando io avessi fatto solamente
a me I'ingiuria, a me forse potrei
donar perdon, se ben difficilmente;
anzi vo' dir che far non lo vorrei:
or quanto, poi che Bradamante sente
meco I'ingiuria ugual, men lo farei?
Quando bene a me ancora io perdonassi,
lei non convien ch'invendicata lassi.
LXXXIX
Per vendicar lei dunque debbo e voglio
ogni modo morir, ne cio mi pesa;
ch'altra cosa non so ch'al mio cordoglio,
fuor che la morte, far possa difesa.
Ma sol ch'allora io non mori* mi doglio,
che fatto ancora io non le aveva offesa,
Oh me felice, s'io moriva allora
ch'era prigion de la crudel Teodora!
xc
Se ben m'avesse ucciso, tormentato
prima ad arbitrio di sua crudeltade,
da Bradamante almeno avrei sperato
di ritrovare al mio caso pietade.
Ma quando ella sapra ch'avro piii amato
Leon di lei, e di mia volontade
io me ne sia, perch'egli 1'abbia, privo;
avra ragion d'odiarmi e morto e vivo. —
xcr
Questo dicendo e molte altre parole
che sospiri accompagnano e singulti,
si trova alPapparir del nuovo sole
fra scuri boschi, in luoghi strani e inculti;
e perche e disperato, e morir vuole,
e, piu che puo, che '1 suo morir s'occulti,
questo luogo gli par molto nascosto,
et atto a far quant'ha di se disposto.
1202 ORLANDO FURIOSO
XCII
Entra nel folto bosco, ove piu spesse
Fombrose frasche e piu intricate vede;
ma Frontin prima al tutto sciolto messe
da se lontano, e liberta gli diede.
— 0 mio Frontin, — gli disse — s'a me stesse
di dare a' merti tuoi degna mercede,
avresti a quel destrier da invidiar poco,
che volo al cielo, e fra le stelle ha loco.
XCIII
Cillaro, so, non fu, non fu Arione
di te miglior, ne merito piu lode;
ne alcun altro destrier di cui menzione
fatta da' Greci o da' Latini s'ode.
Se ti fur par ne 1'altre parti buone,
di questa so ch' alcun di lor non gode,
di potersi vantar ch'avuto mai
abbia il pregio e Tonor che tu avuto hai;
xciv
poi ch'alla piu che mai sia stata o sia
donna gentile e valorosa e bella
si caro stato sei, che ti nutria,
e di sua man ti ponea freno e sella.
Caro eri alia mia donna: ah perche mia
la diro piu, se mia non e piu quella?
s'io Fho donata ad altri? Ohime! che cesso
di volger questa spada ora in me stesso ? —
xcv
Se Ruggier qui s'affligge e si tormenta,
e le fere e gli augelli a pieta muove
(ch'altri non e che questi gridi senta
ne vegga il pianto che nel sen gli piove),
non dovete pensar che piu contenta
Bradamante in Parigi si ritrove,
poi che scusa non ha che la difenda,
o piu 1'indugi, che Leon non prenda.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO 1203
XCVI
Ella, prima ch'avere altro consorte
che '1 suo Ruggier, vuol far cio che puo farsi;
mancar del detto suo; Carlo e la corte,
i parent! e gli amici inimicarsi:
e quando altro non possa, al fin la morte
o col veneno o con la spada darsi;
che le par meglio assai non esser viva,
che vivendo restar di Ruggier priva.
xcvn
— Deh, Ruggier mio, — dicea — dove sei gito ?
Puote esser che tu sia tanto discosto,
che tu non abbi questo bando udito,
a nessun altro, fuor ch'a te, nascosto ?
Se tu '1 sapesse, io so che comparito
nessun altro saria di te piu tosto.
Misera me! ch' altro pensar mi deggio,
se non quel che pensar si possa peggio ?
XCVIII
Come e, Ruggier, possibil che tu solo
non abbi quel che tutto il mondo ha inteso?
Se inteso Thai, ne sei venuto a volo,
come esser pu6 che non sii morto o preso?
Ma chi sapesse il ver, questo figliuolo
di Costantin t'avra alcun laccio teso;
il traditor t'avra chiusa la via,
acci6 prima di lui tu qui non sia.
xcix
Da Carlo impetrai grazia ch'a nessuno
men di me forte avessi ad esser data,
con credenza che tu fossi quell'uno
a cui star contra io non potessi armata.
Fuor che te solo, io non stimava alcuno:
ma de 1'audacia mia rn'ha Dio pagata;
poi che costui che mai piu non fe* impresa
d'onore in vita sua, cosi m'ha presa.
1204 ORLANDO FURIOSO
C
Se per6 presa son per non avere
uccider lui ne prenderlo potuto;
il che non mi par giusto; ne al parere
mai son per star, ch'in questo ha Carlo avuto.
So ch'inconstante io mi faro tenere,
se da quel c'ho gia detto ora mi muto;
ma ne la prima son ne la sezzaia,
la qual paruta sia inconstante, e paia.
ci
Basti che nel servar fede al mio amante,
d'ogni scoglio piu salda mi ritrovi,
e passi in questo di gran lunga quante
mai furo ai tempi antichi, o sieno ai nuovi.
Che nel resto mi dichino incostante,
non euro, pur che 1'incostanzia giovi:
pur ch'io non sia di costui torre astretta,
volubil piu che foglia anco sia detta. —
en
Queste parole et altre, ch'interrotte
da sospiri e da pianti erano spesso,
segui dicendo tutta quella notte
ch'alPinfelice giorno venne appresso.
Ma poi che dentro alle cimerie grotte
con Tombre sue Notturno fu rimesso,
il ciel, ch'eternamente avea voluto
farla di Ruggier moglie, le die aiuto.
cm
Fe' la mattina la donzella altiera
Marfisa inanzi a Carlo comparire,
dicendo ch'al fratel suo Ruggier era
fatto gran torto, e nol volea patire,
che gli fosse levata la mogliera,
ne pure una parola gliene dire:
e contra chi si vuol di provar toglie,
che Bradamante di Ruggiero e moglie.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO 1205
CIV
E inanzi agli altri, a lei provar lo vuole,
quando pur di negarlo fosse ardita,
ch'in sua presenzia ella ha quelle parole
dette a Ruggier, che fa chi si marita;
e con la cerimonia che si suole,
gia si tra lor la cosa e stabilita,
che piu di se non possono disporre,
ne Tun 1'altro lasciar per altri t6rre.
cv
Marfisa, o '1 vero o '1 falso che dicesse,
pur lo dicea, ben credo con pensiero,
perche Leon piu tosto interrompesse
a dritto e a torto, che per dire il vero,
e che di volontade lo facesse
di Bradamante, che a riaver Ruggiero
et escluder Leon, ne la piu onesta
ne la piu breve via vedea di questa.
cvi
Turbato il re di questa cosa molto,
Bradamante chiamar fa immantinente ;
e quanto di provar Marfisa ha tolto,
le fa sapere, et ecci Amon presente.
Tien Bradamante chino a terra il volto,
e confusa non niega ne consente,
in guisa che comprender di leggiero
si puo che Marfisa abbia detto il vero.
evil
Piace a Rinaldo, e piace a quel d'Anglante
tal cosa udir, ch'esser potra cagione
che '1 parentado non andra piu inante,
che gia conchiuso aver credea Leone;
e pur Ruggier la bella Bradamante
mal grado avra de Postinato Amone;
e potran senza lite, e senza trarla
di man per forza al padre, a Ruggier darla.
1206 ORLANDO FURIOSO
CVIII
Che se tra lor queste parole stanno,
la cosa e ferma, e non andra per terra.
Cosi atterran quel che promesso gli hanno,
piu onestamente e senza nuova guerra.
— Questo e, — diceva Amon — questo e un inganno
contra me ordito: ma '1 pensier vostro erra;
ch'ancor che fosse ver quanto voi finto
tra voi v'avete, io non son pero vinto.
CIX
Che prosuposto (che ne ancor confesso,
ne vo' credere ancor) ch'abbia costei
scioccamente a Ruggier cosi promesso,
come voi dite, e Ruggiero abbia a lei;
quando e dove fu questo ? che piu espresso,
piu chiaro e piano intenderlo vorrei.
Stato so che non e, se non e stato
prima che Ruggier fosse battezzato.
ex
Ma se gli e stato inanzi che cristiano
fosse Ruggier, non vo5 che me ne caglia;
ch'essendo ella fedele, egli pagano,
non credero che 1 matrimonio vaglia.
Non si debbe per questo essere invano
posto al risco Leon de la battaglia;
ne il nostro imperator credo vogli anco
venir del detto suo per questo manco.
CXI
Quel ch'or mi dite, era da dirmi quando
era intera la cosa, ne ancor fatto
a prieghi di costei Carlo avea il bando
che qui Leone alia battaglia ha tratto. —
Cosi contra Rinaldo e contra Orlando
Amon dicea, per romp ere il contratto
fra quei duo amanti; e Carlo stava a udire,
ne per Fun ne per Faltro volea dire.
CANTO QUARANTESIMOQUINTO I2OJ
CXII
Come si senton, s'austro o borea spira,
per Take selve murmurar le fronde;
o come soglion, s'Eolo s'adira
contra Nettunno, al lito fremer 1'onde:
cosi un rumor che corre e che s'aggira,
e che per tutta Francia si difonde,
di questo da da dire e da udir tanto,
ch'ogni altra cosa e muta in ogni canto.
cxm
Chi parla per Ruggier, chi per Leone;
ma la piu parte e con Ruggiero in lega:
son dieci e piu per un che n'abbia Amone.
L'imperator ne qua ne la si piega;
ma la causa rimette alia ragione,
et al suo parlamento la delega.
Or vien Marfisa, poi ch'e diferito
lo sponsalizio, e pon nuovo partito;
cxiv
e dice: — Con ci6 sia ch'esser non possa
d'altri costei, fin che '1 fratel mio vive;
se Leon la vuol pur, suo ardire e possa
adopri si, che lui di vita prive :
e chi manda di lor Taltro alia fossa,
senza rivale al suo contento arrive. —
Tosto Carlo a Leon fa intender questo,
come anco intender gli avea fatto il resto.
cxv
Leon che quando seco il cavalliero
del liocorno sia, si tien sicuro
di riportar vittoria di Ruggiero,
ne gli abbia alcun assunto a parer duro;
non sappiendo che Pabbia il dolor fiero
tratto nel bosco solitario e oscuro,
ma che, per tornar tosto, uno o due miglia
sia andato a spasso, il mal partito piglia.
1208 ORLANDO FURIOSO
CXVI
Ben se ne pente in breve; die colui
del qual piu del dover si promettea,
non comparve quel di, ne gli altri dui
che lo seguir, ne nuova se n'avea;
e tor questa battaglia senza lui
contra Ruggier, sicur non gli parea:
mand6, per schivar dunque danno e scorno,
per trovar il guerrier dal liocorno.
CXVII
Per cittadi mand6, ville e castella,
d'appresso e da lontan, per ritrovarlo;
ne contento di questo, monto in sella
egli in persona, e si pose a cercarlo.
Ma non n'avrebbe avuto gia novella,
ne 1'avria avuta uomo di quei di Carlo,
se non era Melissa che fe' quanto
mi serbo a farvi udir ne 1'altro canto,
CANTO QUARANTESIMOSESTO
I2O9
CANTO QUARANTESIMOSESTO
I
Or se mi mostra la mia carta il veto,
non e lontano a discoprirsi il porto;
si che nel lito i voti scioglier spero
a chi nel mar per tanta via m'ha scorto;
ove, o di non tornar col legno intero,
o d'errar sempre, ebbi gia il viso smorto.
Ma mi par di veder, ma veggo certo,
veggo la terra, e veggo il lito aperto.
ii
Sento venir per allegrezza un tuono
che fremer Paria e rimbombar fa Ponde:
odo di squille, odo di trombe un suono
che 1'alto popular grido confonde.
Or comincio a discernere chi sono
questi che empion del porto ambe le sponde.
Par che tutti s'allegrino ch'io sia
venuto a fin di cosi lunga via.
in
Oh di che belle e saggie donne veggio,
oh di che cavallieri il lito adorno!
Oh di ch'amici, a chi in eterno deggio
per la letizia c'han del mio ritorno!
Mamma e Ginevra e Paltre da Correggio
veggo del molo in su Pestremo corno:
Veronica da Gambera e con loro,
si grata a Febo e al santo aonio coro.
1210 ORLANDO FURIOSO
IV
Veggo un'altra Genevra, pur uscita
del medesimo sangue, e lulia seco;
veggo Ippolita Sforza, e la notrita
Damigella Trivulzia al sacro speco :
veggo te, Emilia Pia, te, Margherita,
ch' Angela Borgia e Graziosa hai teco.
Con Ricciarda da Este ecco le belle
Bianca e Diana, e 1'altre lor sorelle.
v
Ecco la bella, ma phi saggia e onesta,
Barbara Turca, e la compagna e Laura:
non vede il sol di piu bonta di questa
coppia da 1'Indo all'estrema onda maura.
Ecco Genevra che la Malatesta
casa col suo valor si ingemma e inaura,
che mai palagi imperial! o regi
non ebbon piu onorati e degni fregi.
VI
S'a quella etade ella in Arimino era,
quando superbo de la Gallia doma
Cesar fu in dubbio;, s'oltre alia riviera
dovea passando inimicarsi Roma;
credero che piegata ogni bandiera,
e scarca di trofei la ricca soma,
tolto avria leggi e patti a voglia d'essa,
ne forse mai la libertade oppressa.
VII
Del mio signor di Bozolo la moglie,
la madre, le sirocchie e le cugine,
e le Torelle con le Bentivoglie,
e le Visconte e le Palavigine;
ecco qui a quante oggi ne sono toglie,
e a quante o greche o barbere o latine
ne furon mai, di quai la fama s'oda,
di grazia e di belta la prima loda,
CANTO QUARANTESIMOSESTO I2II
VIII
lulia Gonzaga, che dovunque il piede
volge, e dovunque i sereni occhi gira,
non pur ogn'altra di belta le cede,
ma, come scesa dal ciel dea, I'amrnira.
La cognata e con lei, che di sua fede
non mosse mai, perche 1'avesse in ira
Fortuna che le fe' lungo contrasto.
Ecco Anna d'Aragon, luce del Vasto;
IX
Anna, bella, gentil, cortese e saggia,
di castita, di fede e d'amor templo.
La sorella e con lei, ch'ove ne irraggia
1'alta belta, ne pate ogn'altra scempio.
Ecco chi tolto ha da la scura spiaggia
di Stige, e fa con non piu visto esempio,
mal grado de le Parche e de la Morte,
splender nel ciel 1'invitto suo consorte.
x
Le Ferrarese mie qui sono, e quelle
de la corte d'Urbino; e riconosco
quelle di Mantua, e quante donne belle
ha Lombardia, quante il paese tosco.
II cavallier che tra lor viene, e ch'elle
onoran si, s'io non ho 1'occhio losco,
da la luce offuscato de' bei volti,
e '1 gran lume aretin, 1'Unico Accolti.
XI
Benedetto, il nipote, ecco la veggio,
c'ha purpureo il capel, purpureo il manto,
col cardinal di Mantua e col Campeggio,
gloria e splendor del consistorio santo:
e ciascun d'essi noto (o ch'io vaneggio)
al viso e ai gesti rallegrarsi tanto
del mio ritorno, che non facil parmi
ch'io possa mai di tanto obligo trarmi.
1212 ORLANDO FURIOSO
XII
Con lor Lattanzio e Claudio Tolomei,
e Paulo Pansa e '1 Dresino e Latino
luvenal parmi, e i Capilupi miei,
e '1 Sasso e '1 Molza e Florian Montino ;
e quel che per guidarci ai rivi ascrei
mostra piano e piii breve altro camino,
lulio Camillo; e par ch'anco io ci scerna
Marco Antonio Flaminio, il Sanga, il Berna.
XIII
Ecco Alessandro, il mio signer, Farnese:
oh dotta compagnia che seco mena!
Fedro, Capella, Porzio, il bolognese
Filippo, il Volterano, il Madalena,
Blosio, Pierio, il Vida cremonese,
d'alta facondia inessicabil vena,
e Lascari e Mussuro e Navagero,
e Andrea Marone e '1 monaco Severe.
XIV
Ecco altri duo Alessandri in quel drappello,
dagli Orologi Tun, 1'altro il Guarino.
Ecco Mario d'Olvito, ecco il flagello
de' principi, il divin Pietro Aretino.
Duo leronimi veggo, Puno e quello
di Veritade, e 1'altro il Cittadino.
Veggo il Mainardo, veggo il Leoniceno,
il Pannizzato, e Celio e il Teocreno.
xv
La Bernardo Capel, la veggo Pietro
Bembo, che '1 puro e dolce idioma nostro,
levato fuor del volgare uso tetro,
quale esser dee, ci ha col suo esempio mostro.
Guasparro Obizi e quel che gli vien dietro,
ch'ammira e osserva il si ben speso inchiostro.
Io veggo il Fracastorio, il Bevazano,
Trifon Gabriele, e il Tasso piu lontano.
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1213
XVI
Veggo Nicolo Tiepoli, e con esso
Nicolo Amanio in me affissar le ciglia;
Anton Fulgoso ch'a vedermi appresso
al lito mostra gaudio e maraviglia.
II mio Valerio e quel che la s'e messo
fuor de le donne; e forse si consiglia
col Barignan c'ha seco, come offeso
sempre da lor, non ne sia sempre acceso.
XVII
Veggo sublimi e soprumani ingegni
di sangue e d'amor giunti, il Pico e il Pio.
Colui che con lor viene, e da' piu degni
ha tanto onor, mai piu non conobbi io;
ma se me ne fur dati veri segni,
e Tuom che di veder tanto desio,
lacobo Sanazar, ch'alle Camene
lasciar fa i monti et abitar Tarene.
XVIII
Ecco il dotto, il fedele, il diligente
secretario Pistofilo, ch'insieme
con gli Acciaiuoli e con PAngiar mio sente
piacer, che piu del mar per me non teme.
Annibal Malaguzzo, il mio parente,
veggo con 1'Adoardo, che gran speme
mi da, ch'ancor del mio nativo nido
udir fara da Calpe agli Indi il grido.
XIX
Fa Vittor Fausto, fa il Tancredi festa
di rivedermi, e la fanno altri cento.
Veggo le donne e gli uomini di questa
mia ritornata ognun parer contento.
Dunque a finir la breve via che resta,
non sia piu indugio, or c'ho propizio il vento;
e torniamo a Melissa, e con che aita
salvo, diciamo, al buon Ruggier la vita.
1214 ORLANDO FURIOSO
XX
Questa Melissa, come so che detto
v'ho molte volte, avea sommo desire
che Bradamante con Ruggier di stretto
nodo s'avesse in matrimonio a unire;
e d'ambi il bene e il male avea si a petto,
che d'ora in ora ne volea sentire.
Per questo spirti avea sempre per via,
che quando andava 1'un, 1'altro venia.
XXI
In preda del dolor tenace e forte
Ruggier tra le scure ombre vide posto,
il qual di non gustar d'alcuna sorte
mai piu vivanda fermo era e disposto
e col digiun si volea dar la morte:
ma fu 1'aiuto di Melissa tosto;
che, del suo albergo uscita, la via tenne
ove in Leone ad incontrar si venne:
XXII
il qual mandate, 1'uno a Paltro appresso,
sua gente avea per tutti i luoghi intorno ;
e poscia era in persona andato anch'esso
per trovare il guerrier dal liocorno.
La saggia incantatrice, la qual messo
freno e sella a uno spirto avea quel giorno,
e Pavea sotto in forma di ronzino,
trovo questo figliuol di Costantino.
XXIII
— Se de Tammo e tal la nobiltate,
qual fuor, signor, — diss'ella — il viso mostra;
se la cortesia dentro e la bontate
ben corrisponde alia presenzia vostra,
qualche conforto, qualche aiuto date
al miglior cavallier de 1'eta nostra;
che s'aiuto non ha tosto e conforto,
non e molto lontano a restar morto.
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1215
XXIV
II miglior cavallier, che spada a lato
e scudo in braccio mai portassi o porti;
il piu bello e gentil ch'al mondo stato
mai sia di quanti ne son vivi o morti,
sol per un'alta cortesia c'ha usato,
sta per morir, se non ha chi '1 conforti.
Per Dio, signor, venite, e fate prova
s'allo suo scampo alcun consiglio giova. —
xxv
Ne Panimo a Leon subito cade
che '1 cavallier di chi costei ragiona,
sia quel che per trovar fa le contrade
cercare intorno, e cerca egli in persona;
si ch'a lei dietro, che gli persuade
si pietosa opra, in molta fretta sprond:
la qual lo trasse (e non fer gran camino)
ove alia morte era Ruggier vicino.
XXVI
Lo ritrovar che senza cibo stato
era tre giorni, e in modo lasso e vinto,
ch'in pie a fatica si saria levato,
per ricader, se ben non fosse spinto.
Giacea disteso in terra tutto armato,
con Pelmo in testa, e de la spada cinto;
e guancial de lo scudo s'avea fatto,
in che 51 bianco liocorno era ritratto.
XXVII
Quivi pensando quanta ingiuria egli abbia
fatto alia donna, e quanto ingrato e quanto
isconoscente le sia stato, arrabbia,
non pur si duole; e se n'affligge tanto,
che si morde le man, rnorde le labbia,
sparge le guancie di continuo pianto;
e per la fantasia che v'ha si fissa,
n6 Leon venir sente ne Melissa;
I2l6 ORLANDO FURIOSO
XXVIII
ne per questo interrompe il suo lamento,
ne cessano i sospir, ne il pianto cessa.
Leon si ferma, e sta ad udire intento;
poi smonta del cavallo, e se gli appressa.
Amore esser cagion di quel tormento
conosce ben; ma la persona espressa
non gli e, per cui sostien tanto martire;
ch'anco Ruggier non glie 1'ha fatto udire.
XXIX
Piu inanzi, e poi piu inanzi i passi muta,
tanto che se gli accosta a faccia a faccia;
e con fraterno affetto lo saluta,
e se gli china a lato, e al collo abbraccia.
lo non so quanto ben quest a venuta
di Leone improvisa a Ruggier piaccia;
che teme che lo turbi e gli dia noia,
e se gli voglia oppor perche non muoia.
xxx
Leon con le piu dolci e piu soavi
parole che sa dir, con quel piu amore
che pu6 mostrar, gli dice : — Non ti gravi
d'aprirmi la cagion del tuo dolore;
che pochi mali al mondo son si pravi,
che 1'uomo trar non se ne possa fuore,
se la cagion si sa; ne debbe privo
di speranza esser mai, fin che sia vivo.
XXXI
Ben mi duol che celar t'abbi voluto
da me, che sai s'io ti son vero amico,
non sol dipoi ch'io ti son si tenuto,
che mai dal nodo tuo non mi districo,
ma fin allora ch'avrei causa avuto
d'esserti sempre capital nimico;
e dei sperar ch'io sia per darti aita
con 1'aver, con gli amici e con la vita.
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1217
XXXII
Di meco conferir non ti rincresca
il tuo dolore, e lasciami far prova,
se forza, se lusinga, accio tu n'esca,
se gran tesor, s'arte, s'astuzia giova.
Poi, quando 1'opra mia non ti riesca,
la morte sia ch'al fin te ne rimuova:
ma non voler venir prima a quest'atto,
che cio che si puo far, non abbi fatto. —
XXXIII
E seguito con si efficaci prieghi,
e con parlar si umano e si benigno,
che non puo far Ruggier che non si pieghi
che ne di ferro ha il cor ne di macigno,
e vede, quando la risposta nieghi,
che fara discortese atto e maligno.
Risponde; ma due volte o tre s'incocca
prima il parlar, ch'uscir voglia di bocca.
xxxiv
— Signor mio, — disse al fin — quando saprai
colui ch'io son (che son per dirtel ora),
mi rendo certo che di me sarai
non men contento, e forse piu, ch'io muora.
Sappi ch'io son colui che si in odio hai:
io son Ruggier ch'ebbi te in odio ancora;
e che con intension di porti a morte,
gia son piu giorni, usci' di questa corte;
xxxv
acci6 per te non mi vedessi tolta
Bradamante, sentendo esser d'Amone
la voluntade a tuo favor rivolta.
Ma perche ordina Tuomo, e Dio dispone,
venne il bisogno ove mi fe' la molta
tua cortesia mutar d'opinione;
e non pur 1'odio ch'io t'avea deposi,
ma fe' ch'esser tuo sempre io mi disposi.
I2l8 ORLANDO FURIOSO
XXXVI
Tu mi pregasti, non sapendo ch'io
fossi Ruggier, ch'io ti facessi avere
la donna; ch'altretanto saria il mio
cor fuor del corpo, o 1'anima volere.
Se sodisfar piu tosto al tuo disio,
ch'al mio, ho voluto, t'ho fatto vedere.
Tua fatta e Bradamante ; abbila in pace :
molto piu che 51 mio bene, il tuo mi piace.
XXXVII
Piaccia a te ancora, se privo di lei
mi son, ch'insieme io sia di vita privo;
che piu tosto senz'anima potrei,
che senza Bradamante restar vivo.
Appresso, per averla tu non sei
mai legitimamente, fin ch'io vivo;
che tra noi sponsalizio e gia contratto,
ne duo rnariti ella puo avere a un tratto. —
XXXVIII
Riman Leon si pien di maraviglia,
quando Ruggiero esser costui gli e noto,
che senza muover bocca o batter ciglia
o mutar pie, come una statua e immoto :
a statua, piu ch'ad uomo, s'assimiglia,
che ne le chiese alcun metta per voto.
Ben si gran cortesia questa gli pare,
che non ha avuto e non avra mai pare.
xxxix
E conosciutol per Ruggier, non solo
non scema il ben che gli voleva pria;
ma si Faccresce, che non men del duolo
di Ruggiero egli, che Ruggier, patia.
Per questo, e per mostrarsi che figliuolo
d'imperator meritamente sia,
non vuol, se ben nel resto a Ruggier cede,
ch'in cortesia gli metta inanzi il piede.
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1219
XL
E dice:— Se quel di, Ruggier, ch'offeso
fu il campo mio dal valor tuo stupendo,
ancor ch'io t'avea in odio, avessi inteso
che tu fossi Ruggier, come ora intendo;
cosi la tua virtu m'avrebbe preso,
come fece anco allor, non lo sapendo;
e cosi spinto dal cor 1'odio, e tosto
questo amor ch'io ti porto, v'avria posto.
XLI
Che prima il nome di Ruggiero odiassi,
ch'io sapessi che tu fosse Ruggiero,
non neghero; ma ch'or piu inanzi passi
1'odio ch'io t'ebbi, t'esca del pensiero.
E se, quando di carcere io ti trassi,
n'avesse, come or n'ho, saputo il vero;
il medesimo avrei fatto anco allora,
ch'a benefizio tuo son per far ora.
XLII
E s'allor volentier fatto 1'avrei,
ch'io non t'era, come or sono, obligate;
quant'or piu farlo debbo, che sarei,
non lo facendo, il piu d'ogn'altro ingrato;
poi che negando il tuo voler, ti sei
privo d'ogni tuo bene, e a me Thai dato.
Ma te lo rendo, e piu contento sono
renderlo a te, ch'aver io avuto il dono.
XLIII
Molto piu a te, ch'a me, costei conviensi,
la qual, ben ch'io per li suoi merit'ami,
non e per6, s'altri Pavra, ch'io pensi,
come tu, al viver mio romper li stami.
Non vo' che la tua morte mi dispensi,
che possi, sciolto ch'ella avra i legami •
che son del matrimonio ora fra voi,
per legitima moglie averla io poi.
1220 ORLANDO FURIOSO
XLIV
Non che di lei, ma restar privo voglio
di ci6 c'ho al mondo, e de la vita appresso,
prima che s'oda mai ch'abbia cordoglio
per mia cagion tal cavalliero oppresso.
De la tua difidenzia ben mi doglio;
che tu che puoi, non men che di te stesso,
di me dispor, piu tosto abbi volute-
morir di duol, che da me avere aiuto. —
XLV
Queste parole et altre suggiungendo,
che tutte saria lungo riferire,
e sempre le ragion redarguendo,
ch'in contrario Ruggier gli potea dire ;
fe' tanto, ch'al fin disse: — lo mi ti rendo,
e contento sar6 di non morir e.
Ma quando ti sciorr6 1'obligo mai,
che due volte la vita dato m'hai ? —
XL VI
Cibo soave e precioso vino
Melissa ivi portar fece in un tratto ;
e conforto Ruggier, ch'era vicino,
non s'aiutando, a rimaner disfatto.
Sentito in questo tempo avea Frontino
cavalli quivi, e v'era accorso ratto.
Leon pigliar da li scudieri suoi
10 fe' e sellare, et a Ruggier dar poi;
XLVII
11 qual con gran fatica, ancor ch'aiuto
avesse da Leon, sopra vi salse:
cosi quel vigor manco era venuto,
che pochi giorni inanzi in modo valse,
che vincer tutto un campo avea potuto,
e far quel che fe' poi con 1'arme false.
Quindi partiti, giunser, che piu via
non fer di mezza lega, a una badia:
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1221
*
XLVIII
ove posaro il resto di quel giorno,
e 1'altro appresso, e 1'altro tutto intero,
tanto che '1 cavallier dal liocorno
tomato fu nel suo vigor primiero.
Poi con Melissa e con Leon ritorno
alia citta real fece Ruggiero,
e vi trovo che la passata sera
Pimbasciaria de' Bulgari giunt'era.
XLIX
Che quella nazion, la qual s'avea
Ruggiero eletto re, quivi a chiamarlo
mandava questi suoi, che si credea
d'averlo in Francia appresso al magno Carlo:
perche giurargli fedelta volea,
e dar di se dominio, e coronarlo.
Lo scudier di Ruggier, che si ritrova
con questa gente, ha di lui dato nuova.
L
De la battaglia ha detto, ch'in favore
dej Bulgari a Belgrade egli avea fatta,
ove Leon col padre imperatore
vinto, e sua gente avea morta e disfatta;
e per questo Tavean fatto signore,
messo da parte ogni uomo di sua schiatta:
e come a Novengrado era poi stato
preso da Ungiardo, e a Teodora dato:
LI
e che venuta era la nuova certa
che Jl suo guardian s'era trovato ucciso,
e lui fuggito, e la prigione aperta:
che poi ne fosse, non v'era altro awiso.
Entro Ruggier per via molto coperta
ne la citta, ne fu veduto in viso.
La seguente mattina egli e '1 compagno
Leone appresentossi a Carlo Magno.
1222 ORLANDO FURIOSO
LII
S'appresent6 Ruggier con Faugel d'oro
che nel campo vermiglio avea due teste,
e come disegnato era fra loro,
con le medesme insegne e sopraveste
che, come dianzi ne la pugna foro,
eran tagliate ancor, forate e peste;
si che tosto per quel fu conosciuto,
ch'avea con Bradamante combattuto.
LIII
Con ricche vesti e regalmente ornato
Leon senz'arme a par con mi venia;
e dinanzi e di dietro e d'ogni lato
avea onorata e degna compagnia.
A Carlo s'inchino, che gia levato
se gli era incontra; e avendo tuttavia
Ruggier per man, nel qual intente e fisse
ognuno avea le luci, cosi disse:
LIV
— Questo e il buon cavalliero il qual difeso
s'e dal nascer del giorno al giorno estinto;
e poi che Bradamante o morto o preso
o fuor non Pha de lo steccato spinto,
magnanimo signer, se bene inteso
ha il vostro bando, e certo d'aver vinto,
e d'aver lei per moglie guadagnata;
e cosl viene acci6 che gli sia data.
LV
Oltre che di ragion, per lo tenore
del bando, non v'ha altr'uom da far disegno:
se s'ha da meritarla per valore,
qual cavallier piu di costui n'e degno ?
s'aver la dee chi piu le porta amore,
non e chi '1 passi o ch'arrivi al suo segno.
Et e qui presto contra a chi s'oppone,
per difender con Tarme sua ragione. —
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1223
LVI
Carlo e tutta la corte stupefatta,
questo udendo, resto ; ch'avea creduto
che Leon la battaglia avesse fatta,
non questo cavallier non conosciuto.
Marfisa, che con gli altri quivi tratta
s'era ad udire, e ch'a pena potuto
avea tacer fin che Leon finisse
il suo parlar, si fece inanzi e disse:
LVII
— Poi che non c'e Ruggier, che la contesa
de la moglier fra se e costui discioglia;
accio per mancamento di difesa
cosi senza rumor non se gli toglia,
% io che gli son sorella, questa impresa
piglio contra a ciascun, sia chi si voglia,
che dica aver ragione in Bradamante,
o di merto a Ruggiero andare inante. —
LVIII
E con tant'ira e tanto sdegno espresse
questo parlar, che molti ebber sospetto,
che senza attender Carlo che le desse
campo, ella avesse a far quivi Teffetto.
Or non parve a Leon che piu dovesse
Ruggier celarsi, e gli cav6 Pelmetto ;
e rivolto a Marfisa: — Ecco lui pronto
a rendervi di se — disse — buon conto. —
LIX
Quale il canuto Egeo rimase, quando
si fu alia mensa scelerata accorto
che quello era il suo figlio, al quale, instando
I'iniqua moglie, avea il veneno porto;
e poco piu che fosse ito indugiando
di conoscer la spada, 1'avria morto:
tal fu Marfisa, quando il cavalliero
ch'odiato avea, conobbe esser Ruggiero.
1224 ORLANDO FURIOSO
LX
E corse senza indugio ad ahbracciarlo,
ne dispiccar se gli sapea dal collo.
Rinaldo, Orlando, e di lor prima Carlo
di qua e di la con grand' amor baciollo.
Ne Dudon n£ Olivier d'accarezzarlo,
n<§ '1 re Sobrin si puo veder satollo.
Dei paladini e dei baron nessuno
di far festa a Ruggier restc- digiuno.
LXI
Leone, il qual sapea molto ben dire,
finiti che si fur gli abbracciamenti,
cominci6 inanzi a Carlo a riferire,
udendo tutti quei ch'eran presenti,
come la gagliardia, come Pardire
(ancor che con gran danno di sue genti)
di Ruggier, ch'a Belgrade avea veduto,
piu d'ogni offesa avea di se" potuto;
LXII
si ch'essendo dipoi preso e condutto
a colei ch'ogni strazio n'avria fatto,
di prigione egli, mal grado di tutto
il parentado suo, 1'aveva tratto;
e come il buon Ruggier, per render frutto
e mercede a Leon del suo riscatto,
fe' 1'alta cortesia che sempre a quante
ne furo o saran mai passara inante.
LXIII
E seguendo narro di punto in punto
cio che per lui fatto Ruggiero avea;
e come poi da gran dolor compunto,
che di lasciar la moglie gli premea,
s'era disposto di morire; e giunto
v'era vicin, se non si soccorrea.
E con si dolci affetti il tutto espresse,
che quivi occhio non fu ch'asciutto stesse.
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1225
LXIV
Rivolse poi con si efficaci preghi
le sue parole all'ostinato Amone,
che non sol che lo muova, che lo pieghi,
che lo faccia mutar d'opinione;
ma fa ch'egli in persona andar non nieghi
a supplicar Ruggier che gli perdone,
e per padre e per suocero 1'accette;
e cosi Bradamante gli promette.
LXV
A cui la dove, de la vita in forse,
piangea i suoi casi in camera segreta,
con lieti gridi in molt a fretta corse
per piu d'un messo la novella lieta:
onde il sangue ch'al cor, quando lo morse
prima il dolor, fu tratto da la pieta,
a questo annunzio il lascio solo in guisa,
che quasi il gaudio ha la donzella uccisa.
LXVI
Ella riman d'ogni vigor si vota,
che di tenersi in pie non ha balia;
ben che di quell a forza ch'esser nota
vi debbe, e di quel grande animo sia.
Non piu di lei, chi a ceppo, a laccio, a ruota
sia condannato o ad altra morte ria,
e che gia agli occhi abbia la benda negra,
gridar sentendo grazia, si rallegra.
LXVII
Si rallegra Mongrana e Chiaramonte,
di nuovo nodo i dui raggiunti rami:
altretanto si duol Gano col conte
Anselmo, e con Falcon Gini e Ginami;
ma pur coprendo sotto un'altra fronte
van lor pensieri invidiosi e grami;
e occasione attendon di vendetta,
come la volpe al varco il lepre aspetta.
1226 ORLANDO FURIOSO
LXVIII
Oltre che gia Rinaldo e Orlando ucciso
molti in piu volte avean di quei malvagi;
ben che Tingiurie fur con saggio awiso
dal re acchetate, et i commun disagi;
avea di miovo lor levato il riso
Fucciso Pinabello e Bertolagi:
ma pur la fellonia tenean coperta,
dissimulando aver la cosa certa.
LXIX
Gli imbasciatori bulgari che in corte
di Carlo eran venuti, come ho detto,
con speme di trovare il guerrier forte
del liocorno, al regno loro eletto;
sentendol quivi, chiamar buona sorte
la lor, che dato avea alia speme effetto;
e riverenti ai pie se gli gittaro,
e che tornassi in Bulgheria il pregaro;
LXX
ove in Adrianopoli servato
gli era lo scettro e la real corona:
ma venga egli a difendersi lo stato;
ch'a danni lor di nuovo si ragiona
che piu numer di gente apparecchiato
ha Costantino, e torna anco in persona:
et essi, se Jl suo re ponno avere seco,
speran di torre a lui Fimperio greco.
LXXI
Ruggiero accetto il regno, e non contese
ai prieghi loro, e in Bulgheria promesse
di ritrovarsi dopo il terzo mese,
quando Fortuna altro di lui non fesse.
Leone Augusto, che la cosa intese,
disse a Ruggier ch'alla sua fede stesse;
che poi ch'egli des Bulgari ha il domino,
la pace e tra lor fatta e Costantino :
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1227
LXXII
ne da partir di Francia s'avra in fretta,
per esser capitan de le sue squadre;
che d'ogni terra ch'abbiano suggetta,
far la rimmzia gli fara dal padre.
Non e virtu che di Ruggier sia detta,
ch'a muover si Fambiziosa madre
di Bradamante, e far che '1 genero ami,
vaglia, come ora udir che re si chiami.
LXXIII
Fansi le nozze splendide e reali,
convenienti a chi cura ne piglia:
Carlo ne piglia cura, e le fa quali
farebbe maritando una sua figlia.
I merti de la donna erano tali,
oltre a quelli di tutta sua famiglia,
ch'a quel signor non parria uscir del segno,
se spendesse per lei mezzo il suo regno.
LXXIV
Libera corte fa bandire intorno,
ove sicuro ognun possa venire;
e campo franco sin al nono giorno
concede a chi contese ha da partir e.
FeJ alia campagna 1'apparato adorno
di rami intesti e di bei fiori ordire,
d'oro e di seta poi, tanto giocondo,
che 31 piu bel luogo mai non fu nel mondo.
LXXV
Dentro a Parigi non sariano state
rinnumerabil genti peregrine,
povare e ricche e d'ogni qualitate,
che v'eran, greche, barbare e latine.
Tanti signori, e imbascierie mandate
di tutto '1 mondo, non aveano fine:
erano in padiglion, tende e frascati
con gran commodita tutti alloggiati.
1228 ORLANDO FURIOSO
LXXVI
Con eccellente e singulare ornato
la notte inanzi avea Melissa maga
il maritale albergo apparecchiato,
di ch'era stata gia gran tempo vaga.
Gia molto tempo inanzi desiato
questa copula avea quella presaga:
de Pawenir presaga, sapea quanta
bontade uscir dovea da la lor pianta.
LXXVII
Posto avea il genial letto fecondo
in mezzo un padiglione amplo e capace,
il piu ricco, il piu ornato, il piu giocondo
che gia mai fosse o per guerra o per pace,
o prima o dopo, teso in tutto '1 mondo ;
e tolto ella Pavea dal lito trace:
Pavea di sopra a Costantin levato,
ch'a diporto sul mar s'era attendato.
LXXVIII
Melissa di consenso di Leone,
o piu tosto per dargli maraviglia,
e mostrargli de Parte paragone,
ch'al gran vermo infernal mette la briglia,
e che di lui, come a lei par, dispone,
e de la a Dio nimica empia famlglia;
fe' da Costantinopoli a Parigi
portare il padiglion dai messi stigi.
LXXIX
Di sopra a Costantin ch'avea Pimpero
di Grecia, lo levo da mezzo giorno,
con le corde e col fusto, e con Pintero
guernimento ch'avea dentro e d'intorno:
lo fe' portar per Tana, e di Ruggiero
quivi lo fece alloggiamento adorno.
Poi, finite le nozze, anco tornollo
miraculosamente onde levollo.
CANTO QUARANTESIMOSESTO I22Q
LXXX
Eran degli anni appresso che duo milia
che fu quel ricco padiglion trapunto.
Una donzella de la terra d'llia,
ch'avea il furor profetico congiunto,
con studio di gran tempo e con vigilia
10 fece di sua man di tutto punto.
Cassandra fu nomata, et al fratello
inclito Ett6r fece un bel don di quello.
LXXXI
11 piu cortese cavallier che mai
dovea del ceppo uscir del suo germano
(ben che sapea, da la radice assai
che quel per molti rami era lontano)
ritratto avea nei bei ricami gai
d'oro e di varia seta, di sua mano.
L'ebbe, mentre che visse, Ettorre in pregio
per chi lo fece, e pel lavoro egregio.
LXXXII
Ma poi ch'a tradimento ebbe la morte,
e fu 51 popul troian da' Greci afflitto ;
che Sinon falso aperse lor le porte,
e peggio seguito, che non e scritto;
Menelao ebbe il padiglione in sorte,
col quale a capitar venne in Egitto,
ove al re Proteo lo lascio, se volse
la moglie aver, che quel tiran gli tolse.
LXXXIII
Elena nominata era colei
per cui lo padiglione a Proteo diede;
che poi successe in man dej Tolomei,
tanto che Cleopatra ne fu erede.
Da le genti d'Agrippa tolto a lei
nel mar Leucadio fu con altre prede:
in man d'Augusto e di Tiberio venne,
e in Roma sin a Costantin si tenne;
1230 ORLANDO FURIOSO
LXXXIV
quel Costantin di cui doler si debbe
la bella Italia, fin che giri il cielo.
Costantin, poi che '1 Tevero gl'increbbe,
porto in Bisanzio il prezioso velo:
da un altro Costantin Melissa 1'ebbe.
Oro le corde, avorio era lo stelo;
tutto trapunto con figure belle,
piu che mai con pennel facesse Apelle.
LXXXV
Quivi le Grazie in abito giocondo
una regina aiutavano al parto:
si bello infante n'apparia, che '1 mondo
aon ebbe un tal dal secol primo al quarto.
Vedeasi love, e Mercurio facondo,
Venere e Marte, che 1'aveano sparto
a. man piene e spargean d'eterei fiori,
di dolce ambrosia e di celesti odori.
LXXXVI
Ippolito diceva una scrittura
sopra le fasce in lettere minute.
In eta poi piu ferma TAventura
Pavea per mano, e inanzi era Virtute.
Mostrava nove genti la pittura
con veste e chiome lunghe, che venute
a. domandar da parte di Corvino
erano al padre il tenero bambino.
LXXXVII
Da Ercole partirsi riverente
si vede, e da la madre Leonora;
e venir sul Danubio, ove la gente
corre a vederlo, e come un Dio Tadora.
Vedesi il re degli Ungari prudente,
che '1 maturo sap ere ammira e onora
in non matura eta tenera e molle,
e sopra tutti i suoi baron 1'estolle.
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1231
LXXXVIII
V'e che negli infantili e teneri anni
lo scettro di Strigonia in man gli pone:
sempre il fanciullo se gli vede aj panni,
sia nel palagio, sia nel padiglione:
0 contra Turchi, o contra gli Alemanni
quel re possente faccia espedizione,
Ippolito gH e appresso, e fiso attende
a' magnanimi gesti, e virtu apprende.
LXXXIX
Quivi si vede, come il fior dispensi
de' suoi primi anni in disciplina et arte.
Fusco gli e appresso, che gli occulti sensi
chiari gli espone de 1'antiche carte.
— Questo schivar, questo seguir conviensi,
se immortal brami e glorioso farte — ,
par che gli dica: cosi avea ben finti
1 gesti lor chi gia gli avea dipinti.
xc
Poi cardinale appar, ma giovinetto,
sedere in Vaticano a consistoro,
e con facondia aprir Talto intelletto,
e far di s6 stupir tutto quel coro.
— Qual fia dunque costui d'eta perfetto ? —
parean con maraviglia dir tra loro.
— Oh se di Pietro mai gli tocca il manto,
che fortunata eta! che secol santo! —
xci
In altra parte i liberali spassi
erano e i giuochi del giovene illustre.
Or gli orsi affronta sugli alpini sassi,
ora i cingiali in valle ima e palustre:
or s'un gianetto par che '1 vento passi,
seguendo o caprio o cerva multilustre,
che giunta par che bipartita cada
in parti uguali a un sol colpo di spada.
1232 ORLANDO FURIOSO
XCII
Di filosofi altrove e di poeti
si vede in mezzo un'onorata squadra.
Quel gli dipinge il corso de' pianeti,
questi la terra, quello il ciel gli squadra:
questi meste elegie, quel versi lieti,
quel canta eroici, o qualche oda leggiadra.
Musici ascolta, e varii suoni altrove;
ne senza somma grazia un passo muove.
XCIII
In questa prima parte era dipinta
del sublime garzon la puerizia.
Cassandra 1'altra avea tutta distinta
di gesti di prudenzia, di iustizia,
di valor, di modestia, e de la quinta
che tien con lor strettissima amicizia,
dico de la virtu che dona e spende;
de le qual tutte illuminato splende.
XCIV
In questa parte il giovene si vede
col duca sfortunato degPInsubri,
ch'ora in pace a consiglio con lui siede,
or armato con lui spiega i colubri;
e sempre par d'una medesma fede,
o ne' felici tempi o nei lugubri:
ne la fuga lo segue, lo conforta
ne Fafflizion, gli e nel periglio scorta.
xcv
Si vede altrove a gran pensieri intento
per salute d' Alfonso e di Ferrara;
che va cercando per strano argumento,
e trova, e fa veder per cosa chiara
al giustissimo frate il tradimento
che gli usa la famiglia sua piu cara:
e per questo si fa del nome erede,
che Roma a Ciceron libera diede.
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1233
XCVI
Vedesi altrove in arme relucente
ch'ad aiutar la Chiesa in fretta corre;
e con tumultuaria e poca gente
a un esercito instrutto si va opporre;
e solo il ritrovarsi egli presente
tanto agli Ecclesiastic! soccorre,
che '1 fuoco estingue pria ch'arder comince:
si che puo dir che viene e vede e vince.
xcvn
Vedesi altrove da la patria riva
pugnar incontra la piii forte armata,
che contra Turchi o contra gente argiva
da' Veneziani mai fosse mandata:
la rompe e vince, et al fratel captiva
con la gran preda 1'ha tutta donata;
ne per se vedi altro serbarsi lui
che 1'onor sol, che non puo dare altrui.
XCVIII
Le donne e i cavallier mirano fisi,
senza trarne construtto, le figure;
perche non hanno appresso che gli avvisi
che tutte quelle sien cose future.
Prendon piacere a riguardare i visi
belli e ben fatti, e legger le scritture.
Sol Bradamante da Melissa instrutta
gode tra se; che sa 1'istoria tutta.
xcix
Ruggiero, ancor ch'a par di Bradamante
non ne sia dotto, pur gli torna a mente
che fra i nipoti suoi gli solea Atlante
commendar questo Ippolito sovente.
Chi potria in "versi a pieno dir le tante
cortesie che fa Carlo ad ogni gente?
Di varii giochi e sempre festa grande,
e la mensa ognor piena di vivande.
1234 ORLANDO FURIOSO
C
Vedesi quivi chi e buon cavalliero;
che vi son mille lancie il giorno rotte:
fansi battaglie a piedi et a destriero,
altre accoppiate, altre confuse in f rotte.
Piu degli altri valor mostra Ruggiero,
che vince sempre, e giostra il di e la notte;
e cosi in danza, in lotta et in ogni opra
sempre con molto onor resta di sopra.
ci
L'ultimo di, ne 1'ora che '1 solenne
convito era a gran festa incominciato ;
che Carlo a man sinistra Ruggier tenne,
e Bradamante avea dal destro lato;
di verso la campagna in fretta venne
contra le mense un cavalliero armato,
tutto coperto egli e '1 destrier di nero,
di gran persona, e di sembiante altiero.
en
Quest'era il re d'Algier, che per lo scorno
che gli fe' sopra il ponte la donzella,
giurato avea di non porsi arme intorno,
ne stringer spada, ne montare in sella,
fin che non fosse un anno, un mese e un giorno
stato, come eremita, entro una cella.
Cosi a quel tempo solean per se stessi
punirsi i cavallier di tali eccessi.
cm
Se ben di Carlo in questo mezzo intese
e del re suo signore ogni successo;
per non disdirsi, non piu 1'arme prese,
che se non pertenesse il fatto ad esso.
Ma poi che tutto Tanno e tutto '1 mese
vede finito, e tutto '1 giorno appresso,
con nuove arme e cavallo e spada e lancia
alia corte or ne vien quivi di Francia.
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1235
CIV
Senza smontar, senza chinar la testa,
e senza segno alcun di riverenzia,
mostra Carlo sprezzar con la sua gesta,
e de tanti signor 1'alta presenzia.
Maraviglioso e attonito ognun resta,
che si pigli costui tanta licenzia.
Lasciano i cibi e lascian le parole
per ascoltar ci6 che Jl guerrier dir vuole.
cv
Poi che fu a Carlo et a Ruggiero a fronte,
con alta voce et orgoglioso grido:
— Son — disse — il re di Sarza, Rodomonte,
che te, Ruggiero, alia battaglia sfido;
e qui ti vo5, prima che '1 sol tramonte,
provar ch'al tuo signor sei stato infido;
e che non merti, che sei traditore,
fra questi cavaHieri alcuno onore.
cvi
Ben che tua fellonia si vegga aperta,
perche essendo cristian non poi negarla;
pur per farla apparere anco piu certa,
in questo campo vengoti a provarla:
e se persona hai qui che faccia offerta
di combatter per te, voglio accettarla.
Se non basta una, e quattro e sei n'accetto;
e a tutte manterr6 quel ch'io t'ho detto. —
CVII
Ruggiero a quel parlar ritto levosse,
e con licenzia rispose di Carlo,
che mentiva egli, e qualunqu'altro fosse,
che traditor volesse nominarlo;
che sempre col suo re cosi portosse,
che giustamente alcun non pu6 biasmarlo;
e ch'era apparecchiato sostenere
che verso lui fe' sempre il suo dovere:
1236 ORLANDO FURIOSO
CVIII
e ch'a difender la sua causa era atto,
senza t6rre in aiuto suo veruno ;
e che sperava di mostrargli in fatto,
ch'assai n'avrebbe e forse troppo d'uno.
Quivi Rinaldo, quivi Orlando tratto,
quivi il marchese, e '1 figlio bianco e 51 bruno,
Dudon, Marfisa, contra il pagan fiero
s'eran per la difesa di Ruggiero;
cix
mostrando ch'essendo egli nuovo sposo,
non dovea conturbar le proprie nozze.
Ruggier rispose lor: — State in riposo;
che per me foran queste scuse sozze. —
L'arme che tolse al Tartaro famoso,
vennero, e fur tutte le lunghe mozze.
Gli sproni il conte Orlando a Ruggier strinse,
e Carlo al fianco la spada gli cinse.
ex
Bradamante e Marfisa la corazza
posta gli aveano, e tutto Paltro arnese.
Tenne Astolfo il destrier di buona razza,
tenne la staffa il figlio del Danese.
Feron d'intorno far subito piazza
Rinaldo, Namo et Olivier marchese:
cacciaro in fretta ognun de lo steccato
a tal bisogni sempre apparecchiato.
CXI
Donne e donzelle con pallida faccia
timide a guisa di columbe stanno,
che da' granosi paschi ai nidi caccia
rabbia de' venti che fremendo vanno
con tuoni e lampi, e '1 nero aer minaccia
grandine e pioggia, e a' campi strage e danno :
timide stanno per Ruggier; che male
a quel fiero pagan lor parea uguale.
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1237
CXII
Cosi a tutta la plebe e alia piu parte
dei cavallieri e dei baron parea;
che di memoria ancor lor non si parte
quel ch'in Parigi il pagan fatto avea;
che, solo, a ferro e a fuoco una gran parte
n'avea distrutta, e ancor vi rimanea,
e rimarra per molti giorni il segno :
ne maggior danno altronde ebbe quel regno.
CXIII
Tremava, piu ch'a tutti gli altri, il core
a Bradamante; non ch'ella credesse
che '1 Saracin di forza, e del valore
che vien dal cor, piu di Ruggier potesse;
ne che ragion, che spesso da 1'onore
a chi 1'ha seco, Rodomonte avesse:
pur stare ella non puo senza sospetto ;
che di temere amando ha degno effetto.
cxiv
Oh quanto volentier sopra se tolta
Timpresa avria di quella pugna incerta,
ancor che rimaner di vita sciolta
per quella fosse stata piu che certa!
Avria eletto a morir piu d'una volta,
se pu6 piu d'una morte esser sofferta,
piu tosto che patir che '1 suo consort e
si ponesse a pericol de la morte.
cxv
Ma non sa ritrovar priego che vaglia,
perche Ruggiero a lei Pimpresa lassi.
A riguardare adunque la battaglia
con mesto viso e cor trepido stassi.
Quinci Ruggier, quindi il pagan si scaglia,
e vengonsi a trovar coi ferri bassi.
Le lancie alFincontrar parver di gielo;
i tronchi, augelli a salir verso il cielo.
1238 ORLANDO FURIOSO
CXVI
La lancia del pagan, che venne a corre
10 scudo a mezzo, fe' debole effetto:
tanto 1'acciar, che pel famoso Ettorre
temprato avea Vulcano, era perfetto.
Ruggier la lancia parimente a porre
gli and6 allo scudo, e gliele passo netto;
tutto che fosse appresso un palmo grosso,
dentro e di fuor d'acciaro, e in mezzo d'osso.
CXVII
E se non che la lancia non sostenne
11 grave scontro, e manco al primo assalto,
e rotta m scheggie e in tronchi aver le penne
parve per Faria, tanto volo in alto;
Fosbergo apria (si furiosa venne),
se fosse stato adamantino smalto,
e finia la battaglia; ma si roppe:
posero in terra ambi i destrier le groppe.
CXVIII
Con briglia e sproni i cavallieri instando,
risalir feron subito i destrieri;
e donde gittar Taste, preso il brando,
si tornaro a ferir crudeli e fieri:
di qua di la con maestria girando
gli animosi cavalli atti e leggieri,
con le pungenti spade incominciaro
a tentar dove il ferro era piii raro.
cxix
Non si trov6 lo scoglio del serpente,
che fu si duro, al petto Rodomonte,
ne di Nembrotte la spada tagliente,
ne '1 solito elmo ebbe quel di alia fronte;
che Fusate arme, quando fu perdente
contra la donna di Dordona al ponte,
lasciato avea sospese ai sacri marmi,
come di sopra avervi detto parmi.
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1239
CXX
Egli avea un'altra assai buona armatura,
non come era la prima gia perfetta:
ma ne questa ne quella ne piii dura
a Balisarda si sarebbe retta;
a cui non osta incanto ne fatura,
ne finezza d'acciar ne tempra eletta.
Ruggier di qua di la si ben lavora,
ch'al pagan 1'arme in piu d'un loco fora.
cxxi
Quando si vide in tante parti rosse
il pagan 1'arme, e non poter schivare
che la piu parte di quelle percosse
non gli andasse la carne a ritrovare;
a maggior rabbia, a piu furor si mosse,
ch'a mezzo il verno il tempestoso mare:
getta lo scudo, e a tutto suo potere
su 1'elmo di Ruggiero a due man fere.
cxxn
Con quella estrema forza che percuote
la machina ch'in Po sta su due navi,
e levata con uomini e con ruote
cader si lascia su le aguzze travi;
fere il pagan Ruggier, quanto piu puote,
con ambe man sopra ogni peso gravi:
giova Pelmo incantato; che senza esso,
lui col cavallo avria in un colpo fesso.
CXXIII
Ruggiero ando due volte a capo chino,
e per cadere e braccia e gambe aperse.
Raddoppia il fiero colpo il Saracino,
che quel non abbia tempo a riaverse:
poi vien col terzo ancor; ma il brando fino
si lungo martellar piu non sofTerse;
che volo in pezzi, et al crudel pagano
disarmata lascio di se la mano.
1240 ORLANDO FURIOSO
CXXIV
Rodomonte per questo non s'arresta,
ma s'aventa a Ruggier che nulla sente;
in tal modo intronata avea la testa,
in tal modo offuscata avea la mente.
Ma ben dal sonno il Saracin lo desta:
gli cinge il collo col braccio possente;
e con tal no do e tanta forza afferra,
che de 1'arcion lo svelle, e caccia in terra.
cxxv
Non fu in terra si tosto, che risorse,
via piu che d'ira, di vergogna pieno;
pero che a Bradamante gli occhi torse,
e turbar vide il bel viso sereno.
Ella al cader di lui rimase in forse,
e fu la vita sua per venir meno.
Ruggiero ad emendar presto quell'onta,
stringe la spada, e col pagan s'affronta.
cxxvi
Quel gli urta il destrier contra, ma Ruggiero
10 cansa accortamente, e si ritira,
e nel passare, al fren piglia il destriero
con la man manca, e intorno lo raggira;
e con la destra intanto al cavalliero
ferire il fianco o il ventre o il petto mira;
e di due punte fe' sentirgli angoscia,
1'una nel fianco, e 1'altra ne la coscia.
CXXVII
Rodomonte, ch'in mano ancor tenea
11 pome e 1'elsa de la spada rotta,
Ruggier su Felmo in guisa percotea,
che lo potea stordire all'altra botta.
Ma Ruggier ch'a ragion vincer dovea,
gli prese il braccio, e tir6 tanto allotta,
aggiungendo alia destra Paltra mano,
che fuor di sella al fin trasse il pagano.
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1241
CXXVIII
Sua forza o sua destrezza vuol che cada
il pagan si, ch'a Ruggier resti al paro:
vo' dir che cadde in pie; che per la spada
Ruggiero averne il meglio giudicaro.
Ruggier cerca il pagan tenere a bada
lungi da se, ne di accostarsi ha caro:
per lui non fa lasciar venirsi adosso
un corpo cosi grande e cosi grosso.
cxxix
E insanguinargli pur tuttavia il fianco
vede e la coscia e Faltre sue ferite.
Spera che venga a poco a poco manco,
si che al fin gli abbia a dar vinta la lite.
L'elsa e '1 pome avea in mano il pagan anco,
e con tutte le forze insieme unite
da se scagliolli, e si Ruggier percosse,
che stordito ne fu phi che mai fosse.
cxxx
Ne la guancia de Feline, e ne la spalla
fu Ruggier colto, e si quel colpo sente,
che tutto ne vacilla e ne traballa,
e ritto se sostien difHcilmente.
II pagan vuole entrar, ma il pie gli falla,
che per la coscia offesa era impotente:
e Jl volersi affrettar piu del potere,
con un ginocchio in terra il fa cadere.
cxxxi
Ruggier non perde il tempo, e di grande urto
lo percuote nel petto e ne la faccia;
e sopra gli martella, e tien si curto,
che con la ma*no in terra anco lo caccia.
Ma tanto fa il pagan che gli e risurto;
si stringe con Ruggier si, che 1'abbraccia:
1'uno e Taltro s'aggira, e scuote e preme,
arte aggiungendo alle sue forze estreme.
1242 ORLANDO FURIOSO
CXXXII
Di forza a Rodomonte una gran parte
la coscia e '1 fianco aperto aveano tolto.
Ruggiero avea destrezza, avea grande arte
era alia lotta esercitato molto :
sente il vantaggio suo, ne se ne parte;
e donde il sangue uscir vede piii sciolto,
e dove piu ferito il pagan vede,
puon braccia e petto, e 1'uno e 1'altro piede.
CXXXIII
Rodomonte' pien d'ira e di dispetto
Ruggier nel collo e ne le spalle prende:
or lo tira, or lo spinge, or sopra il petto
sollevato da terra lo sospende,
quinci e quindi lo ruota, e lo tien stretto,
e per farlo cader molto contende.
Ruggier sta in se raccolto, e mette in opra
senno e valor, per rimaner di sopra.
cxxxiv
Tanto le prese and6 mutando il franco
e buon Ruggier, che Rodomonte cinse:
calcogli il petto sul sinistro fianco,
e con tutta sua forza ivi lo strinse.
La gamba destra a un tempo inanzi ai manco
ginocchio e alPaltro attraversogli e spinse;
e da la terra in alto sollevollo,
e con la testa in giii steso tornollo.
cxxxv
Del capo e de le schene Rodomonte
la terra impresse; e tal fu la percossa,
che da le piaghe sue, come da fonte,
lungi ando il sangue a far la terra rossa.
Ruggier, c'ha la Fortuna per la fronte,
perche levarsi il Saracin non possa,
Tuna man col pugnal gli ha sopra gli occhi,
1'altra alia gola, al ventre gli ha i ginocchi.
CANTO QUARANTESIMOSESTO 1243
CXXXVI
Come talvolta, ove si cava 1'oro
la tra' Pannoni o ne le mine ibere,
se improvisa ruina su coloro
che vi condusse empia avarizia, fere,
ne restano si oppressi, che puo il loro
spirto a pena, onde uscire, adito avere:
cosi fu il Saracin non meno oppresso
dal vincitor, tosto ch'in terra messo.
cxxxvn
Alia vista de Felmo gli appresenta
la punta del pugnal ch'avea gia tratto;
e che si renda minacciando tenta,
e di lasciarlo vivo gli fa patto.
Ma quel, che di morir manco paventa,
che di mostrar viltade a un mmimo atto,
si torce e scuote, e per por lui di sotto
mette ogni suo vigor, ne gli fa motto.
cxxxvin
Come mastin sotto il feroce alano
che fissi i denti ne la gola gli abbia,
molto s'affanna e si dibatte invano
con occhi ardenti e con spumose labbia,
e non puo uscire al predator di mano,
che vince di vigor, non gia di rabbia :
cosi falla al pagano ogni pensiero
d'uscir di sotto al vincitor Ruggiero.
cxxxix
Pur si torce e dibatte si, che viene
ad espedirsi col braccio migliore;
e con la destra man che '1 pugnal tiene,
che trasse anch'egli in quel contrasto fuore,
tenta ferir Ruggier sotto le rene :
ma il giovene s'accorse de Terrore
in che potea cader, per difTerire
di far quel empio Saracin morire.
1244 ORLANDO FURIOSO
CXL
E due e tre volte ne 1'orribil fronte,
alzando, piu ch'alzar si possa, il braccio,
il ferro del pugnale a Rodomonte
tutto nascose, e si levo d'impaccio.
Alle squalide ripe d'Acheronte,
sciolta dal corpo piu freddo che giaccio,
bestemmiando fuggi 1'alma sdegnosa,
che fu si altiera al mondo e si orgogliosa.
FINIS.
PRO BONO MALUM.
INDICE
ORLANDO FURIOSO
CANTO I 3
CANTO II 24
CANTO III 44
CANTO IV 64
CANTO V 83
CANTO VI 107
CANTO VII I28
CANTO VIII 149
CANTO IX 172
CANTO X 196
CANTO XI 225
CANTO XII 246
CANTO XIII 270
CANTO XIV 291
CANTO XV 325
CANTO XVI 352
CANTO XVII 375
CANTO XVIII 409
CANTO XIX 458
CANTO XX 486
CANTO XXI 523
CANTO XXII 542
CANTO XXIII 567
CANTO XXIV 602
CANTO XXV 631
CANTO XXVI 656
CANTO XXVII 691
CANTO XXVIII 727
CANTO XXIX 753
CANTO XXX 772
CANTO XXXI 796
CANTO XXXII 824
CANTO XXXIII 852
1248 INDICE
CANTO XXXIV 885
CANTO XXXV 909
CANTO XXXVI ' .... 930
CANTO XXXVII 952
CANTO XXXVIII 983
CANTO XXXIX 1006
CANTO XL 1028
CANTO XLI . . . 1049
CANTO XLII . .1075
CANTO XLIII 1 102
CANTO XLIV 1152
CANTO XLV 1179
CANTO XLVI 1209
IMPRESSQ NEL MESE DI APRILE MCMLIV
DALLA STAMPERIA VALDONEGA
DI VERONA
1 02 927