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University of Illinois Urbana-Champaign
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Can.° Enrico Bonino — ^
OSSERVAZIONI CRITICHE
SULLE
RELAZIONI GIURIDICHE TRA CHIESA E STATO
DELL AVVOCATO
STEFANO CASTAGNOLA
GIÀ MINISTRO E DEPUTATO AL PARLAMENTO
GENOVA
TIPOGRAFIA DELLA GIOVENTÙ
I884.
CotJc
HH3ITDID IHOIXAV>i3220
OSSERVAZIONI CRITICHE.
Utinam qui hoc tempore ius nostrum iriterpretuntur , Papinianum
imitati, quae vel falso vel inepte aliquando et senserint et scripserint.
ingenue rctractcnt.
Iac. Cuiacius óbserv. et emend. Ioni. III.
Uh. II. cap. XX XVII.
Can.° Enrico Bonino
OSSERVAZIONI CRITICHE
SULLE
RELAZIONI GIURIDICHE TRA CHIESA E STATO
DELL AVVOCATO
STEFANO CASTAGNOLA
GIÀ MINISTRO E DEPUTATO AL PARLAMENTO
GENOVA
TIPOGRAFIA DELLA G I O V E N T Ù
I884.
3Z2.
Ci duole dì dover, con questo nostro scritto, contraddire
all'Avvocato Stefano Castagnola ; perchè naturalmente alieni
dal contendere , anche per sentimento e dovere cristiano, noi
non vorremmo comechessia contristare persona al mondo: e
sugli errori ch'egli insegna avremmo volentieri tenuto silenzio,
se avessimo creduto che non potessero nuocere. Ma vedendo la
sua opera sulle relazioni tra Chiesa e Stato allegata qualche volta
davanti ai Tribunali, citata anche da periodici buoni e, quel
che più fa meraviglia, lodata negli Annali degli Avvocati di
san Pietro, divisammo darne una breve confutazione, premet-
tendo, sol quanto è necessario, la vera dottrina cattolica con-
traria a quegli errori. Amiamo essere amici con tutti, ma più
amica ci è la verità « Amicus Cicero, amicus Plato, ma-
gis amica veritas »; tanto più quando coli' errore si pretende
abbassare l'autorità della Chiesa, che della verità è colonna e
sostegno.
Oltre il consiglio di amici e di autorevoli persone, ci in-
dusse a pubblicar questo libro specialmente la lettera, che il
— VI — ■
regnante Leone XIII scrisse nello scorso agosto all'Arcivescovo
di Vienna, nella qnal lettera il dotto Pontefice ci rammemora
che, tra le molte maniere di difender la Religione, gli sembra
assai lodevole e al tutto adattata ai tempi quella di confutare
scritti con iscritti e di svelare gli insidiosi artificii degli av-
versarli. A seguir questo savio ammonimento nel caso nostro
s* aggiungeva la p articolar ragione di premunir contro V er-
rore quei giovani specialmente , i quali studiano legge, sen^a
sentire neppure una legione di istituzioni canoniche, e quindi
nel giudicare del libro, che noi esaminiamo, più che dal me-
rito intrinseco potrebbero esser mossi dal nome dell'Autore, che
siede in una cattedra della patria Università , e sedette già
nel Consiglio dei Ministri.
Pertanto essendo nostro proposito di confutar solamente
V errore serica offender la carità , che comanda rispetto alle
persone, speriamo che questo lavoro accolto benevolmente dal
discreto e non parziale lettore , otterrà il frutto che deside-
riamo, di difender cioè, per quel poco che è da noi, le verità
dal Castagnola impugnate.
Tra le grandi calamità, onde è presentemente afflitta
la Chiesa, sono principali la scuola e la stampa, che de-
viate dal loro fine naturale di propagare la verità e la
scienza, si fanno maestre di errore e di barbarie velata
sotto apparenza di civiltà. In Italia massimamente vediamo
i Municipii dal governo con inique arti stimolati a ban-
dire dalle scuole il Catechismo della dottrina cristiana, per
togliere dalle menti ogni idea di soprannaturale, vediamo
i ginnasii e i licei venuti a mano d'uomini solo intenti a
suscitar pregiudizii e scandali nella incauta gioventù, fal-
sando la storia, contaminando l'insegnamento delle lettere
ed esponendo insani sistemi di filosofia , il cui vizio pe-
stilenziale si sente dilatarsi con ispavento negli studi supe-
riori. E per rimuovere un ostacolo, che ancora si frappo-
neva a così generale infezione, si volle abolire la teologia,
che dovrebbe esser 1' anima delle nostre Università degli
studi, le quali per la provvidenza dei Papi una volta ri-
splendeano all'Europa come altrettanti fari di civiltà.
Son già dieci anni che nel Parlamento italiano dalla bocca
— 2 —
di un Riccardo Sineo si udivano queste memorabili parole:
« L' insegnamento clericale , il solo che avesse l' Italia ,
quell'insegnamento che informò i miei contemporanei all'e-
sercizio delle più maschie virtù, e fece i più grandi uomini
che vanta l'Italia, questo insegnamento adesso è legalmente
cessato: ma bisogna sostituire qualche cosa, che ne faccia
rivivere le nobili tradizioni » (1). Ma finora nuli' altro si
seppe sostituire che leggerezza e prosunzione. Nelle Uni-
versità dominante la setta anticristiana, condannato all' o-
stracismo il clero, di cui si revoca in dubbio la speciale
attitudine all'insegnamento: negata, nella scuola di medi-
cina particolarmente, la esistenza di Dio, fatta l'apoteosi
della materia, chiamati al supremo Consiglio della pub-
blica istruzione o al Senato professori di positivismo: vi-
lipesa spesso nella scuola di legge l'autorità divina ed u-
mana : additata sempre da queste cattedre di errore la
Chiesa come nemica della civiltà e del progresso. Non di-
sciplina nella gioventù, non amore agli studi severi, non
applicazione costante: ma vaghezza di solazzi , avidità di
oscene letture , disprezzo d' ogni potestà : non più quieto
domicilio delle scienze le aule degli Atenei spesso mutate
in sale di giovani faziosi, i quali discutono ora se debbano
accettare le nuove improvvide disposizioni del Ministro
sopra la pubblica istruzione, ora se debbano andar tumul-
tuando per la città con bandiere e con grida sediziose,
per qualche politico intendimento.
Di questa educazione ridicola e funestissima son pri-
maria cagione quei professori, che immemori del sacro
dovere di cercar sempre nell'insegnamento anche l'utilità
(l) Atti Uff. della Cam. p. 4808.
— 3 —
morale della gioventù, spargono invece errori e a viva voce
dalla cattedra e talora anche per mezzo di scritti, che vanno
pubblicando con gran detrimento degli stessi studi.
Tra cotali scritti vuoisi annoverare quello che stampò,
non è molto, l'Avv. Stefano Castagnola sulle relazioni
giuridiche tra Chiesa e Stato. Egli premette nella intro-
duzione queste parole: « Io porto opinione che nessuno
possa riuscire un perfetto uomo di Stato e giureconsulto,
se non si addentra nello studio della storia della Chiesa e
del diritto canonico » (l). Ciò che il Castagnola dice es-
sere sua opinione, è sentimento generale di tutte le persone
che abbiano naturale buon senso. Come mai di fatto po-
trebbe chiamarsi perfetto uomo di Stato chi, per non es-
sersi addentrato nello studio della storia della Chiesa,
non ne conoscesse la origine divina , la natura , le doti
e specialmente i diritti ch'essa ha rispetto allo Stato?
Come potrebbe chiamarsi perfetto giureconsulto chi non
avesse piena cognizione del diritto canonico , se il diritto
canonico informò tutte le legislazioni europee , se perciò
dev'essere necessariamente parte d' una ben ordinata fa-
coltà giuridica, e se è tanto necessario anche per l'appli-
cazione che occorre farne giornalmente, come l'Autore è
obbligato a confessare? (2).
Ci piace tuttavia che ei convenga con tutti i savi al-
meno nell' affermare questa verità. Ma non volendo evi-
dentemente contraddire a se stesso, dovrà confessare che
egli, stato già membro del Consiglio dei ministri non
potè essere perfetto uomo di Stato, dacché , nella sua o-
(1) Stefano Castagnola. Delle relazioni giuridiche fra Chiesa e Stato p.9.
(2) Ivi p. 12.
— 4 —
pera, mostra appunto ignorare grossamente la storia della
Chiesa: dovrà pur confessare di non poter essere perfetto
giureconsulto , dacché appare sì manifesta la sua impe-
rizia e del diritto canonico e dello stesso diritto naturale.
Quanto egli ignori la storia della Chiesa, il mostra subito
sul principio là dove afferma che la Chiesa « marciò alla
testa del progresso dal secolo V al secolo XIII » (1), come
se essa del vero progresso non fosse guida principalmente
anche nei primi quattro secoli , quando il bandire la li-
bertà evangelica le costò sì fiera e lunga persecuzione
dall'immane governo degli Imperatori romani; quando per
mezzo de' suoi primi dottori combattè trionfalmente i so-
fismi di Porfirio, di Giuliano e degli altri filosofi pagani;
quando ravvicinando i popoli ammaestrò il mondo anche
coi Concilii sì particolari, fin dai suoi principii, sì ecume-
nici cominciando dal Niceno I tenuto 1' anno 325; e quando
nel IV secolo fé' subito sentire la sua benefica azione nelle
leggi romane, per le costituzioni degli Imperatori divenuti
cristiani inserite nel codice teodosiano , che precedette
quasi d' un secolo il codice giustinianeo. Gli elementi del
vero progresso fin dai suoi principii si potean vedere nella
Chiesa, della quale diceva lo stesso ministro Michele Cop-
pino discutendosi la legge del 15 agosto 1867 : « Var-
cata l'epoca dei martiri,... si costituisce a somiglianza di
quelle società laiche , che le stavano d' attorno , ma col
vantaggio di parere ed essere la difenditrice del diritto e
dei deboli » (2). Il solo fatto del santo Arcivescovo di
Milano, Ambrogio che vieta l'ingresso della Chiesa e im-
(1) Ivi p. 10.
(2) Tornata io luglio 1867. Atti Uff. della Cam. p. 2072.
— 5 —
pone pubblica penitenza all' imperatore Teodosio per la
strage di Tessalonica, mostra luminosamente qual fosse
anche avanti del V secolo la missione della Chiesa rispetto
alla civiltà e al progresso.
Come poi senza mentire contro la storia si può negare
alla Chiesa d' essere stata maestra di civiltà dal secolo XIII
fino a noi, quando allora principalmente favorì arti, let-
tere e scienze? quando decoro di privilegi le principali Uni-
versità di Europa? quando un Romano Pontefice Leon X
meritò che dal suo nome si appellasse il secolo d'oro della
nostra letteratura? quando la Chiesa istituì nuove cattedre
sì nel Concilio di Vienna, sì nel Concilio di Trento, il quale
anche a giudizio d'uno scrittore non sospetto, può aversi in
conto d'un codice di civiltà europea? quando per mezzo dei
Papi salvò le nazioni civili dalla barbarie turchesca? quando
nelle Americhe introdusse il cristiano incivilimento? quando
a condannare gli errori dominanti, promulgò opportune
costituzioni, che restano anche come altrettanti monumenti
imperituri di civile prudenza? E la riforma del calendario,
di cui ivi stesso l'Autore fa cenno (l), non fu eseguita da
Gregorio XIII nel XVI secolo ?
L'Autore che sembra non conoscere i primi elementi
della dottrina cristiana, là ove alla Chiesa e non a Gesù
Cristo attribuisce l'aver elevato il matrimonio a dignità
di sacramento , appalesa anche ignoranza intorno alla
storia ecclesiastica. A mostrar la quale ignoranza basti
accennare com' egli annoveri tra i Concilii ecumenici il
Concilio particolare di Arles, e confondendo la presenza
dell'Imperatore colla presidenza faccia presiedere da Co-
(l) S. Castag. op. cit. p. io.
— 6 —
stantino (l) il primo Concilio Niceno, a cui presiedette il ce-
lebre Osio Vescovo di Cordova mandatovi da Papa san Sil-
vestro, cogli altri legati Vitone e Vincenzo Preti romani.
Per conoscer poi quanto strana idea abbia il professor
Castagnola del diritto in generale e del diritto canonico in
ispecie, vuoisi osservare che il supremo principio fondamen-
tale del diritto è l'ordine delle cose conosciuto e voluto da
Dio. Sotto questo rispetto, considerato il diritto come ciò che
è conforme alla retta ragione ed ha relazione alla libertà
dell' uomo, in quanto convive in società ed opera co' suoi
simili, si può prendere soggettivamente ed oggettivamente.
Preso in senso soggettivo il diritto è la facoltà che ha
f uomo di fare qualche cosa o di esigere che altri la fac-
cia od ometta di fare in favore di lui. Preso invece in
senso oggettivo è la legge o il complesso di quelle leggi,
che l'uomo in rapporto co' suoi simili deve osservare come
regola delle sue libere azioni. Il diritto , secondo che è
una partecipazione della legge eterna o sulla legge eterna
ha in qualche modo fondamento, oggettivamente si divide
in naturale e positivo: il diritto positivo si suddivide in
positivo-divino e positivo-umano. Il diritto positivo-umano
è quello, del quale specialmente parliamo noi, ed ha sempre
intimo nesso colla morale, benché da essa si distingua. Ha
intimo nesso colla morale, perchè i principii e le leggi della
morale sono pure una partecipazione della legge eterna: ma
dalla morale si distingue, perchè il diritto impera soltanto
sugli atti esterni, laddove la morale impera anche sugli atti
interni, sicché il diritto quasi circolo concentrico minore si
contiene nella morale, che rappresenta il circolo maggiore :
(1) Ivi p. 51.
donde consegue che tutte le regole di diritto devono es-
sere tutte regole di morale, benché non tutte le regole
di morale siano regole di diritto.
Tale era il concetto che anche i romani giureconsulti
aveano delle relazioni tra il diritto e la morale ; perchè,
se distinguevano il diritto dalla morale, ammettevano tut-
tavia che tra loro non potesse esservi separazione. Al-
trimenti , se non avessero ammesso distinzione tra di-
ritto e morale non avrebbero detto che « non tutto ciò che
è lecito è onesto » (l): e se per contrario avessero ammesso
tra loro assoluta separazione , non avrebbero definito il
diritto « ciò che è sempre equo e buono » (2).
Ma la morale si fonda nella Religione , e da essa di-
pende, perchè la moralità degli atti umani è riposta nella
loro conformità colla retta ragione, ed è retta la ragione
se è conforme colla legge eterna , che è la suprema re-
gola di tutte le azioni delle creature partecipata da Dio
all'uomo per mezzo di una dottrina o legge sia naturale
sia soprannaturale: la qual dottrina o legge nel suo con-
cetto, se non formale , almen materiale , è la stessa Re-
ligione che ordina tutte le azioni umane a Dio. Onde, se
il diritto ha intima relazione colla morale , fondandosi la
morale nella Religione e dipendendo da essa, anche il di-
ritto deve avere intima relazione colle leggi della Reli-
gione e deve da queste dipendere: e lo Stato ordinato da
Dio a tutela dell'esercizio esteriore della libertà degli uo-
mini tra loro, deve tutelare sì il diritto sì la Religione.
Quindi le leggi che costituiscono il diritto pubblico e
(1) Non ovine quod licet honestum est. Fr. 144 D. De div. reg. iuris 50.
(2) Quod semper aquum ac bonum est. Fr. il D. De iust. et iur. 1.
— 8 —
privato dello Stato, non devono ripugnare alla Religione,
ma esserle conformi ; perchè le leggi umane non devono
ripugnare alla legge eterna, una partecipazione della quale
è anche la Religione, in quanto è legge direttiva di tutti
gli atti umani al loro ultimo fine che è Dio (l). Questo
e non altro è il vero concetto del diritto, se non si vuole
disconoscere la retta ragione , la legge eterna e la esi-
stenza stessa di Dio.
Ma ben diverso è il concetto che del diritto si forma
il Castagnola, come si vede dal modo con cui parla del
diritto moderno e di quella parte del diritto che riguarda
le relazioni tra Chiesa e Stato (2), e che fondata sul di-
ritto naturale e divino consta delle disposizioni generali e
speciali emanate dalla Santa Sede in rapporto coi diversi
Stati, e tra noi, dopo le concessioni fatte da Papa Nicolò V
alla Casa di Savoia, consta principalmente dei concordati
stretti coi Re di Piemonte, l'uno nel 1727 sotto Bene-
detto XIII, due altri nel 1742 e nel 1750 sotto Bene-
detto XIV e l'ultimo nel 1841 sotto Gregorio XVI, ai
quali non contrasta, ma concorda lo Statuto fondamentale
del Regno , secondo il quale la Religione cattolica , apo-
stolica , romana è la sola Religione dello Stato (3).
Egli attenendosi di fatto a quel sistema della supremazia
dello Stato sulla Chiesa, che mostra rigettare (4), annienta
la potestà ecclesiastica di fronte alla onnipotenza dello
Stato. « Lo Stato, egli dice (5), si ha l'attributo eminente
(1) Salv. Magnasco Instit. theol. dogmatico-scholasticae tom. l p. 17-46.
(2) S. Castaq. op. cit. p. 11, 13.
(3) Statuto fondarci, del Regno, art. 1
(4) S. Castag. op. cit. p. 33.
(5) Ivi p. 12.
della tutela di tutti i diritti; i quali non solamente pren-
dono origine dai precetti legislativi, ma eziandio dalle con-
venzioni delle parti (l). Sotto questa tutela son posti i
regolamenti degli enti morali, gli statuti delle società. Ora
non vi è dubbio che le leggi della Chiesa formano lo sta-
tuto dei credenti, e che i decreti dell'autorità ecclesiastica
emanati in conformità di dette leggi , che non sono con-
trarli alle leggi dello Stato od all'ordine pubblico o lesivi
dei diritti dei privati (2), producono effetti giuridici. De-
vono perciò i medesimi essere collocati sotto la salva-
guardia dello Stato ».
Ma voi, signor Castagnola, malamente citando l'art. 11 23
del codice civile , voi qui dite in sostanza che lo Stato
ha la tutela di tutti quei diritti che derivano insieme e
dai precetti legislativi e dalle convenzioni delle parti: con
che , voi , il quale a pregiudizio dei diritti della Chiesa,
vi faceste fuor di tempo a difendere lo Stato , voi qui
ora, senza avvedercene, ristringete la tutela che lo Stato
ha verso la Chiesa , limitandola anche più di quel che
noi consentiamo di buon grado; perchè non neghiamo
punto allo Stato la tutela dei diritti giuridici , laddove
voi date allo Stato la tutela di quei soli diritti che de-
rivano come da doppia fonte e dai precetti legislativi
e dalle convenzioni delle parti. Ma si vede bene che con
quel malaugurato periodo voi dite ben altro da quel
che vorreste dire. Volete dire che lo Stato ha la tutela
non solo dei diritti che derivano dai precetti legisla-
tivi, ma anche di quei diritti che derivano soltanto dalle
(1) Cod. civ. art. 1123.
(2) Legge 13 maggio 1871, art. 17, ult. capov.
(3) Cod. civ. art. 1123.
— 10 —
convenzioni delle parti; perchè i contratti legalmente for-
mati hanno forza di legge per coloro che gli hanno fatti (3).
E così, dato anche enon concesso, che i concordati siano
contratti bilaterali, come alcuni pretendono, ad ogni modo
ne consegue che la fattane abolizione, già condannata dal
diritto naturale e dal diritto ecclesiastico , è qui implici-
tamente condannata anche coli' autorità del codice civile
del Regno d' Italia, ed è condannata da voi stesso, il quale
testò noveraste fra i diritti rivendicati dal civile principato
quello d' abolire i concordati (l).
Dopo d'averci detto che sotto la tutela dello Stato son
posti i regolamenti degli enti morali, e gli statuti delle so-
cietà , aggiungete non esservi dubbio che le leggi della
Chiesa formano lo statuto dei credenti , e supponete de-
creti dell'autorità ecclesiastica non emanati in conformità
delle leggi della Chiesa.
Or che intendete voi per lo statuto dei credenti? In-
tendete forse la regola che per credere devono avere i
cristiani ? Se così volete intendere , statuto dei credenti
sono la Sacra Scrittura e la divina Tradizione , nostra
regola remota di fede, essendoci regola prossima soltanto
l' infallibil magistero della Chiesa, la quale della Scrittura
e della Tradizione è la sola legittima interprete. E in
questo senso le leggi della Chiesa non formano lo sta-
tuto dei credenti, ma piuttosto in virtù dello statuto dei
credenti si formano le leggi della Chiesa.
Di fatto essa esercita il potere legislativo, perchè que-
sto ha fondamento nella costituzione a lei data da Gesù
Cristo e chiaramente indicataci dalla Scrittura e dalla
(l) S. Castag. op. cit. p. l.
— 11 —
Tradizione. Qui cadrebbe opportuno farvi osservare che
come altri non può esser buon giureconsulto senza esser
canonista, così non è assolutamente lecito a un canonista
ignorare i principii fondamentali della sana teologia: e
perciò non meritate risposta, ma compatimento quando
dite che la Chiesa « nel mezzo del secolo decimonono ban-
disce due nuovi dogmi » la immacolata Concezione e la
infallibilità del Pontefice (l).
Che se per lo statuto dei credenti intendete la regola
che hanno i cristiani di operare, perchè chiamar questa
regola statuto dei credenti ? Credere significa forse ope-
rare? E regola di operare pei cristiani sono solo le leggi
della Chiesa e non anco e principalmente la legge naturale
e la legge divina, a cui è subordinata la legge ecclesiastica ?
Oltre a ciò, supponendo voi decreti dall'autorità ec-
clesiastica non emanati in conformità delle leggi della
Chiesa, supponete cosa che non ha e non può aver luogo ;
perchè o questi decreti supponete emanati dall' autorità
suprema che è o il Papa solo o il Papa coi Vescovi o li
supponete emanati dall' autorità subordinata come sono
gli Arcivescovi e i Vescovi. Nel primo caso tali decreti
costituiscono nuove leggi , e perciò abrogano le con-
trarie leggi preesistenti o vi derogano; perchè il potere
legislativo della Chiesa è sempre uguale , né può venir
meno. Nel secondo caso i decreti emanati dall' autorità
ecclesiastica in contraddizione delle leggi generali sono
nulli di pien diritto in faccia alla Chiesa.
Inoltre colla famosa legge del 13 maggio 1S71 sulle
prerogative del Sommo Pontefice si suppongono decreti
(l) S. Cast ag. op. cit. p. 15.
— 12 —
dell' autorità ecclesiastica contrarli alle leggi dello Stato
o all' ordine pubblico o lesivi dei diritti dei privati. Per
cotesti scrittori è cosa facilissima rendere odiosa al volgo
l' autorità della Chiesa , denunziando le sue leggi come
contrarie alle leggi dello Stato. Come fanno essi? Ai de-
creti, alle leggi della Chiesa fondate sulla giustizia e per
moderazione e saviezza ammirabili oppongono disposi-
zioni arbitrarie, che impongano iniqui gravami , che ec-
cedano i limiti della vera giurisdizione , che non siano
ordinate al bene comune : e queste disposizioni ingiuste
chiamano leggi. Così hanno decreti dell'autorità eccle-
siastica contrarii alle leggi dello Stato. Una persona one-
sta direbbe al contrario che così si hanno decreti dello
Stato contrari alle vere leggi dell' autorità ecclesiastica :
e solo, secondo il vostro modo di parlare, potrebbe con-
sentirvi che diceste le leggi della Chiesa esser contrarie
alle leggi dello Stato, in quanto le leggi dello Stato sono
contrarie alla giustizia. Ma come potete voi , signor Ca-
stagnola , supporre le leggi della Chiesa contrarie all' or-
dine pubblico e lesive dei diritti dei privati ? All' ordine
pubblico son contrarie e son lesive dei diritti dei privati
le disposizioni che voi chiamate leggi dello Stato, dacché
esse, non le leggi della Chiesa, si fondano sulla ingiusti-
zia , violano i diritti di interi corpi morali , offendono le
prerogative della Chiesa, tolgono la riverenza alla più
veneranda autorità che si abbia al mondo e tendono a
levar dagli uomini la chiara idea del giusto e dell'onesto,
aprendo largo adito alle discordie , ai pubblici disordini ,
alla pubblica corruzione. Che importa poi il dire che i de-
creti dell' autorità ecclesiastica producono effetti giuridici,
quando la efficacia di questi decreti si fa dipendere dal-
— 13 —
l' arbitrio dello Stato ed è abbandonata alla sua discre-
zione? A che riesce così la tutela dello Stato , sotto la
quale si dice che devono esser collocati i diritti della Chiesa?
Questa tutela, questa salvaguardia, è un vero scherno.
Il signor Castagnola trova tutta irta di difficoltà quella
parte di studi che riguarda le relazioni tra Chiesa e
Stato (l). Ma col concetto eh' egli ha del diritto e colla
teorica eh' egli segue, non può fare altro che vieppiù in-
tricare le quistioni intorno a questa materia, né gli verrà
fatto di scioglierne alcuna equamente. Come di fatto ciò
gli potrebbe riuscire, quando senza neppure far menzione
dei concordati , egli dice che gli elementi , i quali spar-
gono un po' di luce su quelle quistioni devono ricercarsi
nelle discussioni parlamentari, nelle relazioni dei Ministri
ai Capi dello Stato e in quella letteratura che si va for-
mando, ossia negli scritti del Gladstone, Rùttimann, Lau-
rent, Macaulay, del Curci, dell' Audisio , del Piola, Bon-
ghi, Minghetti, Mamiani che sono per lui le nuove fonti
del diritto canonico? E qual maraviglia, se si vedono da
lui trattate con tanta leggerezza quistioni di tanta gravità?
Secondo i suoi principii, le norme che devono rego-
lare le relazioni tra Chiesa e Stato niente presentano di
comune col diritto naturale, non hanno impronta alcuna
di stabilità, non mostrano avere nessuna affinità colla mo-
rale e colla Religione, anzi pare che propriamente non
esistano ancora , perchè questa parte del modernissimo
diritto, come egli dice, non è se non che in formazione o
meglio in gestazione e sarà ciò che risulterà dalla lotta
tra il principio autoritario e il dogma colla ragione e il li-
(1) Ivi p. 13.
— U —
bero pensiero. La qual lotta, se ben si considera, dovrà
terminare colla prevalenza del libero pensiero; perchè è
vero bensì che la Chiesa anche spogliata del suo civile
principato, di tutti i suoi privilegi, di tutte le sue immu-
nità sembra emulare Anteo, ritraendo dalla sua disfatta
nuovo vigore; ma è pur certo, egli soggiunge, che i fiumi
non risaliranno alle lor sorgenti e sapranno vincere gli
ostacoli che si frappongono al loro corso, cioè, in altri
termini, lo Stato non può rinunziare né la sua missione
di civiltà e di progresso, né la sua sovranità (l).
L' Autore , come si vede , quanto alla natura del di-
ritto , mostra seguire la scuola storica guidata da Carlo
Federico Savigny, il quale afferma il diritto formarsi in cia-
scun popolo , come si forma la lingua , in cui ne sono
come riflessi i costumi : e a principio fondamentale del
diritto pone la consuetudine, che rappresenta le necessità
dei popoli, senza darsi pensiero se queste siano reali o
immaginarie, se sieno o no conformi alle regole del giu-
sto e dell'onesto. Sorsero a impugnar questa scuola dotti
e gravi scrittori, i quali danno lode al Savigny per aver
richiamato i moderni allo studio del diritto romano, ma
giustamente riprovano il suo sistema, perchè toglie il di-
ritto dal suo vero immutabile fondamento per collocarlo
sopra una instabile base la consuetudine; perchè separa
il diritto dalla morale e dalla Religione, che devono in-
formare tutte le scienze sociali; e perchè colla scorta di
tal sistema si dovrebbe ratificare la ingiustizia, la schia-
vitù, il diritto di naufragio, il diritto di albinato già am-
messi da antiche consuetudini , e al presente tanti fatti
(l) Ivi p. 13, is, 16.
— 15 —
compiuti, che importano la più manifesta violazione della
giustizia. Anzi il Castagnola va più oltre del Savigny ;
perchè anche sul semplice fatto fa consistere effettiva-
mente il diritto : e se tale non fosse la sua dottrina, do-
vrebbe parere incredibile eh' egli potesse sul principio
stesso del suo libro dar vanto allo Stato per tante azioni
lesive dei più sacri diritti ed altamente offensive alla
Chiesa, il foro ecclesiastico abolito, i concordati rescissi ,
gli Arcivescovi Franzoni e Marongiu espulsi dalle loro
sedi , la personalità giuridica tolta alle case degli ordini
religiosi nello Stato , promulgato il nuovo codice civile
del 25 giugno 1865 e quindi pubblicate le leggi del 7
luglio 1866 e del 15 agosto 1867 con sempre più gravi
violazioni dei diritti della Chiesa , i beni ecclesiastici de-
voluti al Demanio e alienati, i registri dello stato civile
fino allora tenuti dalla Chiesa attribuiti ai Municipii, con-
tro la convenzione del 24 agosto 1836 tra Gregorio XVI
e Re Carlo Alberto, la ingerenza sul matrimonio cri-
stiano arrogatasi dal potere civile , Roma occupata con
1' armi.
Né ha il professor Castagnola men torta idea intorno
alla civiltà moderna e al moderno progresso , e non ne
parla men confusamente di quello che parli del diritto
moderno e del diritto canonico. Egli afferma che (l) « tre
sono gli elementi fondamentali della civiltà moderna : il
mondo romano, il mondo germanico ed il mondo cristiano;
ovvero l'antichità, la barbarie, il cristianesimo ».
Che intende egli per civiltà moderna ? Quella che si
identifica coll'intellettuale, col morale e fisico perfeziona-
(1) Ivi p. 9.
— lo-
mento dei popoli, che produce la prosperità, di cui son
capaci gli Stati, e che è anche cagione della felicità che
possono avere quaggiù gli uomini ordinati a beatitudine
sempiterna ? Se intende parlare di questa civiltà , vo-
lendo esser veridico, dica più brevemente che essa è un
portato del cristianesimo , come afferma altrove. La
Chiesa per sé ordinata a propagare il Regno di Dio sulla
terra , per la natura della sua stessa missione si fece al
mondo anche maestra di civiltà. Di fatto essa procla-
mando il principio evangelico della eguaglianza degli uo-
mini, che hanno una comune origine e sono tutti figliuoli
di uno stesso Padre , ravvicinò i popoli per mezzo dei
Concilii ecumenici, degli arbitrati papali, delle leggi ca-
noniche. Nei Concilii, discutendosi gravi questioni teologi-
che, veniansi spesso anche a definire indirettamente le più
astruse ed importanti quistioni metafisiche e morali , che
avean tenuti divisi gli antichi filosofi: e quelle verità pro-
clamate nei Concilii, e spiegate dai Vescovi ai popoli pro-
duceano mirabile accordo universale nei principii e nelle
idee, che influirono potentemente nelle relazioni giuridi-
che fra i diversi Stati. I Papi poi divenuti sovente arbi-
tri tra politici contendenti, colla potenza morale delle loro
decisioni riconciliavano Principi e popoli, estinguendo dis-
cordie , che avrebbero perpetuato odii mortali , e spesso
inondato di sangue V Europa.
La Chiesa, nell'incessante adoperarsi che fece a van-
taggio degli uomini, rispettò bensì ciò che nelle legisla-
zioni trovava conforme al diritto naturale, alle esigenze
dei tempi, dei luoghi e dell'indole dei popoli, e alle giuste
consuetudini invalse per avvenimenti e circostanze parti-
colari; ma, col suo corpo di leggi fondate sull'equità e-
vangelica , moderò saviamente la durezza del diritto ro-
mano, e spogliò il diritto germanico della nativa barba-
rie. Il diritto canonico fu per la Chiesa mezzo potentis-
simo a rendere civili i popoli, perchè influì con efficacia
meravigliosa in ogni parte del diritto sì pubblico come
privato.
Influì sul diritto pubblico esterno ed interno. Quanto
al primo, ossia internazionale, ad innalzarlo a dignità di
scienza contribuirono principalmente coi loro studi due
eminenti teologi Francesco Vittoria (l) e Domenico Soto (2),
primi tra gli scrittori che trattarono quistioni di diritto
internazionale, proclamando principii di cristiana egua-
glianza. Ma quale influenza non esercitò il diritto cano-
nico sul diritto pubblico interno ? Esso diede origine in
gran parte ai governi temperati, per le molte concessioni
e franchigie accordate ai popoli dalla Chiesa, durante la
sua lotta coll'impero. Influì sul diritto penale , perchè ne
modificò la procedura, condannando come superstiziosi i
giudizi di Dio, coi quali si pretendeva giudicare della in-
nocenza o colpabilità del reo dall'esito delle prove irra-
gionevoli del duello, del fuoco e del ferro rovente. Il di-
ritto canonico informò poi tutto il diritto privato, ope-
rando una universale trasformazione nel mondo , dacché
migliorò generalmente le relazioni tra gli uomini , abolì
gradatamente la schiavitù, regolò secondo giustizia le due
potestà maritale e paterna degenerate in domestica tiran-
nide presso i Romani, e rialzò i servi dallo stato di av-
(1) Praelect. theohgicae. Disseri, de Indis. Dissert. de iure hispau. in
barbaros.
(2) De iustitia et iure libri decem.
o
— 18 —
vilimento , in cui si trovavano rispetto ai padroni. Fé'
sentire il diritto canonico l'azione sua sul diritto di pro-
prietà, apportando notabili miglioramenti specialmente in-
torno al possesso, per tacer delle riforme introdotte dai
Papi Innocenzo III e Bonifazio Vili intorno ai procedi-
menti giudiziarii in generale, sia per la forma scritta del
processo resa obbligatoria , sia per la norma data alle
azioni e agli appelli, sia per la contestazione della lite ,
prescritta sotto pena di nullità, e per la legale pubblica-
zione della sentenza: tutti beneficii segnalati che noi ab-
biamo dalle leggi canoniche, beneficii riconosciuti in parte
dallo stesso Castagnola, il quale è anche costretto a con-
fessare che la materia matrimoniale si può dire trapian-
tata nei moderni codici civili dal diritto canonico, e la
istituzione degli atti dello stato civile è dovuta alla
Chiesa. Questi ed innumerabili altri beneficii, che abbiamo
dal cristianesimo, sono gli elementi della presente civiltà.
Se pure il professor Castagnola non intende parlare di
quella civiltà, che fa consistere il diritto in un fatto ma-
teriale ; nel qual caso non dee far maraviglia che egli ,
come elemento fondamentale di civiltà, non dubiti di as-
segnare anche la barbarie (l).
Forse l'Autore si lamenterà che noi interpretiamo si-
nistramente le sue parole non avendo egli scritto mai che
il diritto consista in un fatto materiale. Ma non iscrisse
egli, essere il Sillabo la raccolta delle massime del mo-
derno progresso? (2). Ora tra quelle massime condannate
dalla Chiesa la cinquantesima nona afferma che il diritto
(1) S. Castag. op. cit. p. 9.
(2) Ivi p. 15.
— 19 —
consiste in un fatto materiale e che tutti i doveri degli
uomini sono un nome vano e che tutti i fatti umani hanno
forza di diritto (l). Onde conviene conchiudere: o che il
professore ammetta veramente quella teorica, conseguenza
del materialismo e sovvertitrice d'ogni ordine pubblico e
privato, o che non sappia almeno quello che si scriva e
non abbia mai letto quel Sillabo ch'egli stoltamente con-
sidera come contrario alla civiltà.
Inoltre ei reputa opportuno ammonire la Chiesa a con-
vincersi « che non solo il tempo della civile potestà, ma
quello eziandio del privilegio di una posizione eccezio-
nale è per lei irremissibilmente perduto e che è pur
d' uopo che si acconci a vivere sotto il governo del di-
ritto comune » (2). Anzi rammentandole con tutta gra-
vità eh' essa « seppe sfidare il martirio e quindi si ac-
conciò a vivere sotto la protezione dei romani Impe-
ratori », pare che la esorti a rassegnarsi nel subire l'al-
tro incruento sì, ma non men doloroso martirio di vedersi
incatenata nell'esercizio di sua giurisdizione e spogliata de'
suoi beni; pare che la consigli ad acconciarsi alla prote-
zione del Regno d'Italia, poco dissimile dalla protezione
degli Imperatori romani. Né pago nella modestia sua di
darle consigli, non tralascia di animarla anche con qual-
che encomio , mostrando che « è per lei giusto titolo di
gloria 1' aver salvato la civiltà latina dalla irruzione dei
barbari; » e facendole sperare che « forse una gloria an-
che maggiore 1' attenda di salvare la moderna civiltà da
(1) Syll. prop. LIX: Ius in materiali facto consistit et omnia hominum
officia sunt nomen inane et omnia humana facta iuris vim habent.
(2) S. Castag. op. cit. p. 16.
— 20 —
un pericolo anche più grande, dall' irruenza di selvaggie
dottrine, che tendono a distruggere la famiglia e la pro-
prietà » (l).
Se il nostro Professore conoscesse almeno i fatti più
recenti, anzi soltanto i fatti contemporanei della storia ec-
clesiastica ch'egli a principio affermò esser necessaria al-
l'uomo di Stato, non sentenzierebbe sulle sorti della Chiesa
con si avventati giudizii, ma si mostrerebbe più prudente,
e ne trarrebbe salutari documenti per se medesimo, per-
chè vedrebbe come la Chiesa possa star sicura confidando
solo nella protezione del suo Divin Fondatore, vedrebbe
come, a fronte di manifesti persecutori o d'ipocriti nemici,
ella opponga sempre la consueta sua resistenza negativa;
e solo quando il persecutore cade nella stessa sua lotta
o stanco se ne ritrae, allora la Chiesa si avanza pacifi-
camente a dilatare il Regno di Cristo.
Potrebbero bastare ad esempio i due fortunosi ponti-
ficati di Pio VI é Pio VII non molto lontani dalla me-
moria nostra.
Quando nel 1799 portato Pio VI cattivo in Francia,
sfinito dagli strapazzi , nella grave età di ottantun anni ,
adagiato su di una seggiola, nella sala dell'Episcopio di
Valenza, rivolto a Mons. Giuseppe Spina, che aveagli am-
ministrato l'Estrema Unzione, poco prima di morire dice-
vagli che non si rammaricava di tanto maltrattamento, di
tanti patimenti sofferti e di dover morir lontano da Roma,
ma si dolea estremamente, dello stato in cui lasciava la
Chiesa, la Religione perseguitata e quasi spenta in Francia,
molti Vescovi nascosti o fuggiaschi, lo Stato Pontificio da'
(l) Ivi p. 17.
— 21 —
nemici occupato , sé Papa esule e moribondo e tutti i
Cardinali dispersi; quando così moriva quel venerabile
Pontefice, allora dagli increduli si credeva certo che fosse
irreparabilmente perduto non solo il tempo della civile pote-
stà dei Papi, come crede essere il Castagnola, ma anche il
Papato, e Pio VI dicevasi l'ultimo Papa. Di fatto in quale
Stato , chiede un celebre storico (l) , in quale Principe
poteva confidare la Chiesa? Nel Gran Turco suo perpetuo
nemico? Neil' Inghilterra protestante, ove ogni anno si bru-
ciava pubblicamente a Londra il ritratto del Papa? Nella
Germania o nell'Austria ammorbate dal luteranismo e dal
giuseppismo? Nei Borboni di Napoli o di Spagna che da
un secolo avean tribolato e continuavano a tribolare la
Santa Sede ? Eppure adunato il conclave a Venezia viene
eletto Papa il Cardinal Barnaba Chiaramonti, che assunto
il nome di Pio VII, è condotto a Roma col favore della In-
ghilterra, dell'Austria, della Russia e della stessa Turchia.
E Pio VII, dopo patita lunga cattività per la prepotenza
di Napoleone Bonaparte a Savona e a Fontainebleau , è
ricondotto tra la esultanza de' popoli ne' suoi Stati dagli
scismatici Inglesi. Dio • così permise , come osserva il
Card. Bartolomeo Pacca, per far quasi toccar con mano
agli increduli che la conservazione e la prosperità della
Chiesa dalle supreme disposizioni della sua provvidenza
provengono, e per render sempre più memorabile la le-
zione, che ai Papi ripetono sì spesso le Sacre Scritture, di
non porre la loro fiducia nei Principi della terra (2).
In questi ultimi anni in cui tante volte si disse mori-
(1) Ab. Rohrbacher. Storia univ. della Chiesa cattolica voi. XV,
lib. XC.
(2) Memorie storiche parte 2 introd.
bondo il Papato, quanta vitalità esso non mostrò nel co-
stituire la ecclesiastica gerarchia in Inghilterra, in Olanda,
in Grecia, e testé dal regnante Pontefice in Iscozia, nella
Bosnia e nell'Erzegovina? E ora i due più potenti Impe-
ratori d' Europa , poich' ebbero indarno tanto afflitto la
Chiesa, non si veggono riconciliarsi con Roma?
E vero che nel libro da noi tolto ad esame, là ove si
cita (l) l'inglese Macaulay protestante, il quale discor-
rendo della storia dei Papi scritta dal celebre Leopoldo
Ranke, ammira la veneranda antichità e la fiorente vi-
goria del Papato (2) , è vero , diciamo , che là anche il
Castagnola concede esser la Chiesa ben lontana da quella
prossima morte che le è vaticinata. Ma negandole « il
privilegio di una posizione eccezionale » le nega e le
doti speciali , che le attribuì Gesù Cristo quando la isti-
tuì, e le qualità stesse che la sua natura di società per-
fetta essenzialmente suppone, e ciò che è necessaria-
mente richiesto dal suo fine particolare di conseguire la
vita eterna: e così non riconoscendo la sua natura divina
non ne riconosce la vita soprannaturale, ma le attribuisce
un' altra vita, che non è vita della Chiesa.
Egli dice di abborrire il concetto che lo Stato debba
essere ateo , ed opinare invece eh' esso sia incompetente
nelle cose di Religione. Aggiunge che , se lo Stato è e-
straneo al dogma della Religione cristiana, non è estraneo
alla morale cristiana. Anzi vorrebbe che , come neh1' li-
mone Americana, questa morale si considerasse come parte
del diritto non scritto, del diritto comune (3).
(1) S. Castag. op. cit. p. 14.
(2) Rivista di Edimburgo, ottobre 1840.
(3) S. Castag. op. cit. p. 17.
— 23 —
Quante contraddizioni in così poche parole ! Se lo Stato
non deve essere ateo , col dogma della esistenza di Dio
come non dovrà ammettere gli altri dogmi che ne con-
seguono e costituiscono la Religione? Se ammette anche
il solo dogma della esistenza di Dio , come si può dire
estraneo ai dogmi della Religione? Risponderà forse il
Castagnola che, se lo Stato è estraneo ai dogmi della Re-
ligione cristiana, non è tuttavia estraneo ai dogmi di una
Religione naturale. Ma se lo Stato è estraneo ai dogmi
della Religione cristiana , come può essere non estraneo
alla morale cristiana? Non è necessaria la relazione tra
il dogma e la morale? Le verità pratiche della morale
non suppongono sempre verità specolative del dogma?
Che se lo Stato ammette una Religione solo naturale, per-
chè non si contenta d' una morale naturale soltanto , ma
s'attiene alla morale cristiana? Non se ne contenta forse,
perchè non la crede sufficiente? Ma come può ammet-
tersi una morale d'ordine soprannaturale con una Religione
d'ordine puramente naturale? Questa morale non avrebbe
fondamento. Di fatto in che potrebbe fondarsi? Non nella
Religione cristiana o soprannaturale, perchè a' suoi dogmi
è estraneo lo Stato. Non nella Religione di puro ordine
naturale, perchè tra essa e la morale d'ordine sopranna-
turale non vi ha proporzione.
Vuoisi poi osservare che il Castagnola escludendo così
la Religione soprannaturale , merita lo stesso rimprovero
che il maestro suo Marco Minghetti facea già a' socialisti
« di scindere 1' ordine naturale dal soprannaturale » (l);
(i) Della economia pubblica e delle sue attinente colla morale e col di-
ritto libri cinque di M. Minghetti. Firenze, Le Monnier, 1859 P- 423-
e mostra giustissimi i lamenti di coloro che dicono esser
per le dottrine e pei fatti del partito detto moderato che
nelle provincie italiane già sì tranquille si prepararono
tanti covi di radicali.
Neppure le molte innovazioni fatte nelle scuole, né la
introdotta confusione di idee potrebbero scusare in un
avvocato e professore di diritto l'abuso che de' vocaboli
legali fa il Castagnola quando afferma che lo Stato è in-
competente nelle cose di Religione. Incompetente dicesi
quel giudice che è inabile a giudicare d'una materia per
mancanza di giurisdizione. Ma lo Stato non è, ne può mai
essere giudice nelle cose di Religione, e in tali cose non
ha, né può mai avere giurisdizione alcuna. Si dirà che non
v'era bisogno di rilevare questa inesattezza, se tanto dal
Castagnola quanto da noi si ammette in sostanza che lo
Stato non abbia giurisdizione in sì fatte cose. Ma v' era
pur questo bisogno , perchè quando si dice che lo Stato
è incompetente a giudicare , gli si nega bensì 1' attuale
giurisdizione a giudicare , ma non gli si nega la qua-
lità di giudice , qualità che non può competer mai allo
Stato in materia di Religione. Si dirà pure che il Casta-
gnola non va troppo pel sottile e ch'egli finalmente ri-
pete ciò che hanno già detto altri giureconsulti più chiari
di lui, e che anzi egli concede volontieri che lo Stato non
possa esser neppur giudice nel fatto di Religione. Ma che
si vuol dunque significare dicendo che lo Stato è incompe-
tente nelle cose di Religione? Si vuol forse indicarci che lo
Stato non forma giudicio non solo giuridico, ma nemmeno
logico intorno a questa materia, cioè non fa nemmeno quel
giudicio che facciam noi, per renderci ragione di quel che cre-
diamo? Se così è la cosa non hanno senso quelle parole: « lo
Stato non è ateo, ma è incompetente nelle cose di Religione »:
anzi implicano aperta contraddizione, perchè dicendosi che
lo Stato non è ateo si dice che lo Stato giudica ed am-
mette che esiste Dio : dicendosi che lo Stato è incompe-
tente nelle cose di Religione, si dice che lo Stato non può
giudicare se esiste Dio, non potendo giudicare delle cose
di Religione, delle quali la prima è il dogma dell'esistenza
di Dio ; perchè chi ammette o nega questa verità , deve
pure ammettere o negare la esistenza delle relazioni che
passano tra Dio e le creature razionali.
Ma dopo essersi affermato così chiaramente che lo Stato
non può giudicare delle cose di Religione, ecco che subito
con altra contraddizione evidente si soggiunge che il sen-
timento religioso è il miglior fondamento d'un buon go-
verno , la base più salda della libertà politica , che anzi
non vi ha libertà politica senza credenza religiosa, e che
i popoli, i quali riuscirono a stabilire presso di loro questa
libertà, sono quei popoli che hanno conservato un gran
fondo di cristianesimo (l).
Inoltre il voler che la morale cristiana si consideri come
parte del diritto comune è cosa stranissima. Di fatto o
con ciò si vuole che i principii della morale cristiana in-
formino il diritto comune , o si vuole che tali principii
debban considerarsi come altrettante disposizioni giuri-
diche , le cui infrazioni cadano sotto la esterna coazione.
Nel primo caso , se si tratta del diritto che sia comune
soltanto agli Stati cristiani, si dice cosa per lo meno inu-
tile , perchè si sa che quel diritto deve essere informato
ai principii della morale cristiana, giacché per questo mas-
(l) S. Castag. op. cit. p. 18,
— 26 —
simamente quegli Stati possono chiamarsi cristiani. Se si
tratta invece del diritto comune a tutti gli Stati in gene-
rale, si pretende cosa ingiusta in se stessa e ingiusta prin-
cipalmente secondo 1' erroneo sistema della libertà di co-
scienza propugnato dall'Autore. Si pretende cosa ingiusta
in se stessa , perchè né i Mussulmani , né gli Ebrei , né
gli infedeli , che sono in buona fede , si possono costrin-
gere alla osservanza della legge evangelica e molto meno
delle leggi ecclesiastiche, ma bisogna prima ridurli colla
persuasione e colla carità. Si pretende cosa ingiusta prin-
cipalmente secondo il sistema dell'Autore; perchè mentre
da una parte propugna il principio della libertà di co-
scienza, dall'altra parte poi colla sua nuova dottrina vor-
rebbe costringere ad operar contro coscienza i Turchi ,
gli Ebrei ed i pagani, a differenza della consueta mitezza
della Chiesa , la quale non solo vieta la forza fisica nel
condurre gli infedeli alla vera Religione , ma vieta anche
sotto gravi pene di conferire il battesimo ai figliuoli degli
infedeli avanti 1' uso della ragione , contro la volontà dei
parenti.
Nel secondo caso contro i principii più elementari delle
scienze giuridiche, il Castagnola verrebbe a confondere la
morale col diritto , e dopo tanti secoli di progresso pre-
tenderebbe porre le moderne legislazioni in condizione tale
che sarebbero inferiori alle stesse antichissime leggi di Ca-
ronda, nelle quali parea già ben distinta dal diritto la mo-
rale , né dubiterebbe di incontrare tutti i gravi inconve-
nienti, a cui darebbe naturalmente luogo una tale confu-
sione. Ecco a che si riduce la scienza e il progresso di
cotesti nuovi propagatori di civiltà.
Più avanti afferma che « la Chiesa ebbe sempre
grande forza ed elasticità di esercitare la sua missione
nelle più disperate contingenze » (l). Or che ci vor-
rebbe dire con ciò? Egli non indica già quella sagace
moderazione , di cui imitabile esempio in tutte le età
lasciarono i Papi , governando costantemente tra i con-
fini del giusto e dell' onesto ben definiti dal diritto natu-
rale e divino, e nelle loro relazioni coi diversi Stati mo-
strandosi indifferenti ad ogni forma di governo , purché
la Chiesa potesse esercitar liberamente la sua missione ;
ma adopera parole e frasi , che meglio converrebbero a
far conoscere la versatile politica di quel Marco Minghetti,
di cui il Castagnola si professa discepolo; quella politica,
la quale consente del pari di prestar giuramento di fe-
deltà al Romano Pontefice e a suoi nemici , di propu-
gnare o combattere identici principii secondo 1' opportu-
nità, di passare da un partito al partito opposto, quando
per tal mezzo s'abbia maggiore speranza di conseguire il
potere; quella politica che nel 1873 permise al Castagnola
istesso da ardente repubblicano farsi moderato per diventar
ministro, sicché la Mazziniana Consociazione degli operai
di Genova in solenne adunanza deliberava di cancellare
il nome di lui dall'albo de' soci onorarli (2).
Ricercando il motivo onde l'Autore potè esser mosso
a scrivere il suo libro, si scorge che non fu amore della
scienza del diritto, e molto meno carità di patria, ma fu
desiderio di far viva la fazione politica della « monarchia
costituzionale » a cui egli appartiene, fazione la quale in-
• (1) Ivi p. ló.
(2) V. la lettera che, /pubblicata per le stampe, la Consociazione degli
operai di Genova allora mandava « A S. E. Castagnola Avv. Stefano,
Deputato al Parlamento, Ministro di Agricoltura e Commercio ».
— 28 —
pannando costantemente i cattolici apportò tanti dolori alla
Chiesa, riducendola alla lacrimevole condizione presente:
il che tornavagli opportuno per le elezioni allora imminenti.
Perciò si trova combattuto da due contrarli affetti: ora
dall'ira di vedere che , astenendosi dalle urne i cattolici ,
gli fosse stato tolto quel voto che alcuni prima gli avean
già dato a Chiavari; ora dalla speranza d' averlo almeno
quando che sia, per le solite promesse che i moderati
fanno, avanti le elezioni, di voler difendere il Catechismo
cristiano e tutelare la Religione, per opporsi agli eccessi
di quei partiti che tendono a distruggere la famiglia e la
proprietà. Anzi egli pare quasi smemorato e che non
sappia bene quello che vuole; perchè prima (l) afferma
che non sarà certo possibile l' appagare gli avversarli
(i cattolici), se non coll'accondiscendere alle loro brame, e si
mostra sfiduciato a trovare i termini della conciliazione ;
e qui ora (2) invece crede che la Chiesa e lo Stato non
sian destinati ad una lotta perpetua e che vi siano i ter-
mini d'una conciliazione. Sotto la pressura dell'ira deride
i cattolici; perchè caduto il potere temporale del Pontefice,
vicendevolmente si confortassero nella speranza d'una risto-
razione, e, profferita in un momento di dispetto la formola
« ne elettori né eletti » attendessero la salvezza dal diluvio
universale (3). Poi animato dalla speranza di trar profitto
dalla semplicità di coloro che di leggieri si lasciano illudere,
egli encomia i cattolici per la stretta loro disciplina, per
la moralità nell' amministrazione , per la parsimonia del
(1) S. Castag. op. cit. p. 8.
(2) Ivi p. 15.
(3) Ivi p. 7.
— 2Q —
pubblico danaro, per l'amore dell'ordine e della pubblica
tranquillità , e perchè a poco a poco smesse le idee as-
solute, si presentino compatti alle urne per le elezioni am-
ministrative, massime dacché una parola d'ordine pronun-
ziata dall' alto fece precetto ai fedeli di curare la loro i-
scrizione nelle ampliate liste elettorali politiche. Ed ag-
giunge che non vi sarà per certo da dolersene , perchè
il partito clericale (così egli chiama i cattolici) sarà allora
molto meno temibile, e perchè il suo intervento nella rap-
presentanza nazionale potrà in certi casi e per determi-
nate questioni riuscire utile e proficuo (1). Preziosa con-
fessione , la quale manifesta come per lo intervenire dei
cattolici al Parlamento, avranno a vantaggiarne i nemici
della Chiesa, sì perchè noi saremo allora meno temibili ,
sì perchè con tale intervento potremo essere utili e pro-
ficui ai nostri avversarii. Sì chiara confessione può far
sempre meglio intendere i motivi, onde il Tribunale della
Sacra Penitenzieria dichiarò che il dare il voto per le
elezioni politiche non è spediente.
Che se per contrario è assai utile il partecipare alle
elezioni amministrative, è pur necessario il guardarsi da
una fazione , che riuscì sempre ad opprimere i cattolici ,
poiché si prevalse del loro suffragio per salire al potere
anche nell' amministrazione dei Comuni.
Genova ne porge esempio luminosissimo. Avendo il
Municipio « progressista » abolito il Catechismo dalle ci-
viche scuole, il dotto e zelante Arcivescovo sorse a prote-
stare contro tale prepotenza: e alla sua autorevole voce
i cittadini riscossi nelle prossime elezioni con isplendida
vittoria elessero un nuovo Consiglio.
(1) Ivi p. 7, 8.
— 30 —
Ma , perchè non si volle far prima accettare ai can-
didati un chiaro e ben determinato programma, che pur
avendo una cotai latitudine , tutelasse efficacemente gli
interessi religiosi e materiali del Comune, a che riu-
scirono le proteste di questo Prelato e gli sforzi de' buoni
Genovesi ? I candidati del partito moderato , che sanno
abilmente coprire i privati interessi anche col manto della
Religione , accresciuti nelle successive elezioni continua-
rono, anzi aggravarono l' azione sovvertitrice del prece-
dente Municipio.
Si videro mantenuti nelle scuole i libri d' etica civile
condannati dall'Arcivescovo, anzi aggiuntivi di nuovi, ove
con fina arte si insinua il naturalismo : si videro Consi-
glieri, in voce fin allora di buoni cattolici, andare a nome
del Municipio a far riverenza a Giuseppe Garibaldi poco
prima ossequiato dai Frammassoni : sempre stipendiato
col denaro del Comune quelf ispettore scolastico , che
avea creato tante molestie ai maestri più franchi neh' af-
fermare i propri principii cattolici, e stipendiato per un
ufficio dichiarato inutile dagli stessi avversarli , anzi ag-
giuntigli tre visitatori fra le persone più zelanti e ben
volute dalla setta , negletti e non promossi ottimi pro-
fessori che avean mostrato maggior fermezza nel difen-
dere il Catechismo: profanata con balli nel civico teatro
e con mascherate la quaresima: quasi tutti convertiti in
luoghi profani i conventi avuti dal Governo : conceduto
dal Municipio per tenervi conferenze di laido positivismo
l'oratorio di san Filippo, ove prima si udiva il puro inse-
gnamento della morale cristiana: demoliti nei civici ospe-
dali altari di infermerie e incagliato ai religiosi il libero
esercizio del sacro ministero nell' assistenza dei malati :
— 31 —
stipulati contratti con isperpero di danaro e con offesa
dei sentimenti religiosi del popolo : stanziati sussidii per
onori e monumenti da erigersi ai nemici della Chiesa :
conservata in vigore la tassa pei funerali: negati gli as-
segnamenti per necessarie riparazioni ed altre spese di
culto che per istretto obbligo deve il Comune: i reclami
al Prefetto, perchè non fossero più oltre impedite le pro-
cessioni religiose, quantunque sottoscritti da più di tren-
tamila persone, non sostenuti né curati da quei Consiglieri
che erano stati eletti per tutelare i diritti dei cittadini,
contro gli arbitrii del governo.
Intendano pertanto i cattolici almeno 1' utile insegna-
mento che dà loro il Castagnola, e per ora vedano di im-
pedire i raggiri e gli inganni dei moderati nelle elezioni
amministrative e di ovviare agli accennati gravissimi in-
convenienti, acciocché i buoni non lascino affatto deserte
le urne al vedersi sempre delusi nella loro aspettazione
e sì indegnamente scherniti.
Da quanto si è finora accennato si può argomentare
che, se l'Autore disse di accingersi con molta trepidazione
a trattare il tema propostosi , noi disse per pura mode-
stia, ma perchè ne avea ben grave motivo.
Noi mostreremo solamente gli errori principali di lui,
seguitando , per mostrarli più chiaramente , lo stesso suo
ordine, benché non sia il più logico, cioè divideremo la
materia in due parti. Nella prima esamineremo ciò che
1' Autore scrisse intorno ai supposti sistemi per regolare
le relazioni tra Chiesa e Stato: nella seconda vedremo a
che riesca la efficacia giuridica del sistema ch'egli prefe-
risce della separazione dello Stato dalla Chiesa.
32
PARTE PRIMA
DEI SISTEMI PER REGOLARE LE RELAZIONI
TRA CHIESA E STATO.
Il Castagnola immaginò quattro sistemi , che possono
regolare i rapporti tra Chiesa e Stato, cioè 1° la supe-
riorità della Chiesa sullo Stato, eh' egli chiama teocrazia:
2° la superiorità dello Stato sulla Chiesa : 3° il sistema
delle due potestà indipendenti e parallele : e 4° quello
della separazione dello Stato dalla Chiesa.
Espone molto confusamente questi sistemi, gli esamina
incorrendo in gravi inesattezze ed errori di fatto , e fi-
nalmente tronca , non risolve il nodo della questione ,
dacché anzi segue col fatto il sistema da lui confutato
della superiorità dello Stato sulla Chiesa, benché affermi
di adottare il principio della separazione tra Chiesa e
Stato.
Come farebbe opera vana chi pretendesse trattar di
diritto internazionale pubblico senza proporsi a norma il
diritto naturale e le principali verità che questo necessa-
riamente suppone, cioè la esistenza di Dio, che comandi
il bene e vieti il male e possa sancire i suoi comandi e
divieti con premii e pene, la libertà dell'uomo, la immor-
— 33 —
talità dell' anima umana, e la necessità ed esistenza d'una
rivelazione , che supplisca alla mancanza della ragione ;
così pure gitterebbe fatica e tempo chi volendo trattare
quistioni , che riguardano le relazioni tra la Chiesa e lo
Stato, s'argomentasse di risolverle senza riconoscere né il
diritto divino, su cui si fonda la costituzione della Chiesa,
né la natura del suo potere , né le principali verità ne-
cessarie a sapersi da tutti i cristiani , e senza prendere
ad esame la costituzione da cui dipende il governo dello
Stato, col quale si trovi in relazione la Chiesa. Eppure in
tal modo appunto adopera il Castagnola , il quale am-
mira (l) bensì la bella armonia e la vitalità della ge-
rarchia ecclesiastica,, ma non riconosce la origine divina
delle sue prerogative, ignora la natura del suo potere e
termina con sottoporla allo Stato, come gli sottoporrebbe
una privata società commerciale , non facendo neppur
menzione degli articoli dello Statuto, che contrastano evi-
dentemente col suo sistema. Noi crediamo che , s' egli
avesse avute presenti le prime nozioni del diritto eccle-
siastico sulla costituzione della Chiesa e avesse ricordato
anche solo il primo articolo dello Statuto, avrebbe scritto
ben altrimenti, intorno alla quistione ch'egli tolse a trat-
tare. Vegga prima la somma dei principii fondamentali,
da cui si dovrebbe partire nella trattazione di materia sì
grave , e vedrà poi anche cadere la massima parte dei
suoi pregiudizii. Il Castagnola ammette la esistenza di
Dio. Ora come Iddio dirige tutte le cose alla sua gloria,
ragione del suo operare, così dirige a questo fine anche
1' uomo in modo conforme alla sua natura razionale, cioè
(l) Ivi p. 84.
— 34 —
con una legge, la quale, se non formalmente, almen nel
suo concetto materiale, è una partecipazione della legge
eterna, ossia la stessa legge eterna in quanto riguarda la
creatura razionale, e si dice Religione, essendo come un
vincolo che ci lega con Dio , pel dovere che 1' uomo ha
necessariamente di conoscere, amare e lodare il Creatore
e così conseguire il suo ultimo fine. E perchè la scienza
delle cose necessarie per conseguire l'ultimo fine, per cui
fummo creati, non si ha dalla natura soltanto, ma anche
dallo studio e dalla disciplina, e una tale scienza, avuto
riguardo alle condizioni , in cui si trova 1' uomo , non è
conceduta se non che a pochi , e dopo molto tempo e
coli' aggiunta di molti errori, come insegna sapientemente
san Tomaso (l) e come si vede dall'esperienza dei popoli
specialmente dell' antichità; perciò la conoscenza della Re-
ligione non si ha dal lume naturale della ragione sola-
mente, ma deve aversi anche dal lume della divina rive-
azione, che è la soprannaturale. La Religione quindi deve
essere una, coeva al genere umano, duratura in perpetuo
e direttiva di tutti gli atti umani, e perciò direttiva degli
atti non solo delle persone fisiche , ma anche delle per-
sone giuridiche e quindi dello Stato ; giacché anche gli
atti delle persone giuridiche risultano da atti umani , e
perciò devono essere essenzialmente informati alla morale
e alla Religione, in cui la morale si fonda. Questa Reli-
gione, la cui divina origine non può negarsi senza negare
la legge eterna e la esistenza stessa di Dio , è la sola
vera Religione, e perciò non può compararsi colle reli-
gioni, che sono di istituzione umana . Essa poi considerat
(ì) S. Thom. Contra geni. lib. I cap. 4.
— 35 —
in concreto come fatto divino, soprannaturale, non è altro
che la Chiesa cristiana, la quale nel doppio stato d'antico
e nuovo Testamento riguarda come centro il Divin Sal-
vatore Gesù Cristo suo fondatore , e dopo Cristo non è
altro che la Chiesa cattolica romana, in cui solo risplen-
dono le note e i caratteri della vera Religione , e alla
quale appartengono tutti gli uomini sì del Testamento an-
tico per la loro fede in Gesù Cristo venturo , sì del Te-
stamento nuovo per la loro fede in Gesù Cristo già
venuto.
Ora la Chiesa cattolica è una società universale e per-
fetta di sua natura e per positiva volontà del suo Divin
Fondatore. È una società universale, come indica lo stesso
suo nome, perchè è la vera Religione in atto, la quale è
una e quindi universale, e perchè Gesù Cristo volle che
il suo Vangelo fosse predicato per tutto il mondo a tutti
gli uomini , e chi crederà e sarà battezzato fosse salvo,
e chi non crederà fosse condannato (l).
E una società perfetta di sua natura; perchè è di sua
natura suprema essendo supremo il suo fine , che è il
conseguimento della vita eterna, a cui debbono esser sub-
ordinati tutti i fini particolari delle altre società, ed ha
quindi in se stessa mezzi sufficienti per conseguire il suo
fine senza dover dipendere da altre società. E perfetta
anche per positiva volontà del suo Fondatore ; perchè
Gesù Cristo chiama costantemente regno (2) la sua Chiesa,
ed è il regno spirituale predetto dal profeta Daniele (3),
(1) Marc. XVI v. 15, 16.
(2) Matth. XIII v. 31: XXII v. 2. Marc. I v. 15. Lue. XIII v. 18.
Ioh. XVIII v. 36.
(3) Dan. II v. 44.
- 36 -
regno che dovea succedere ai quattro grandi antichi im-
peri, e che sorto mentre durava tuttavia l'impero romano,
nei cui confini eran compresi gli altri imperi anteriori ,
dovea distruggere questo ornai cancrenato dalla pagana
civiltà corrompitrice, e dovea distruggerlo non con armi
materiali, ma colla predicazione evangelica, assoggettando
tutti gli uomini e tutte le nazioni al suo spirituale do-
minio.
È la Chiesa società perfetta per volontà del suo Fon-
datore; perchè Gesù Cristo nel fondarla le diede amplissima
potestà con tutti i mezzi necessarii a raggiungere il suo
fine, costituendo supremo suo capo san Pietro, come pie-
tra fondamentale di quello spirituale edificio, e a san Pie-
tro consegnò , come simbolo della suprema sua giurisdi-
zione, le chiavi del nuovo regno da lui fondato, promet-
tendogli che qualunque cosa egli avesse legata sulla terra
sarebbe legata anche ne cieli, e qualunque cosa egli a-
vesse sciolta sulla terra sarebbe anche sciolta ne' cieli (1).
Ora la Chiesa, che ha la missione di propagare pel
mondo il Regno di Cristo, può trovarsi davanti a un po-
polo selvaggio o a un popolo costituito in società.
Nel primo caso ella usa cogli uomini in particolare e
colle disgregate moltitudini la consueta sua carità , la
preghiera, la persuasione, la istruzione, vieta la violenza,
e così non reca solo ai selvaggi l' inestimabile beneficio
di aggregarli alla società religiosa , ma tra le tribù no-
madi senza fermi maritaggi, senza parentadi, senza col-
tura di terra, ella genera anche la società civile con tutti
gli altri beneficii che ne provengono. E dei beneficii se-
(l) Matth. XVI v. 18, 19.
— 37 —
gnalati in tal modo provenuti al Paraguay e ad altri Stati
d' America, per la salutare opera dei missionarii, restano
tuttavia le reliquie anche dopo un secolo di distru-
zione.
Nell'altro caso, quando cioè la Chiesa si trova davanti
ad un popolo già costituitosi in società , diverse sono le
sue relazioni col potere civile , secondo che si tratta di
uno Stato di infedeli o di uno Stato di eretici o scismatici
o di uno Stato cristiano.
Se lo Stato è di infedeli, si può dire ch'esso è quasi estra-
neo alla Chiesa, né dipende dal potere di lei. Tuttavia la
Chiesa ha il diritto di mandar Ministri evangelici e missioni
in quello Stato, avendo l'officio di predicare il Vangelo a
tutte le creature (l): né lo Stato può senza colpa farle resi-
stenza, eccettuato il caso della buona fede, cessando la quale
dee pur tosto cessare la resistenza. La Chiesa si difende in
caso di oppressione, e se i suoi Ministri fossero insultati,
martoriati, uccisi, può respingere la ingiuria e la perse-
cuzione anche invocando 1- aiuto delle armi cristiane, per-
chè tutti gli uomini non solo son tenuti alla legge natu-
rale, ma hanno anche il dovere di sottomettersi ed ubbi-
dire alla rivelazione, e perchè tutti gli uomini, o in atto
o almeno in potenza, son della Chiesa, come son tutti di
Cristo, e son tutti di Cristo per donazione del suo Divin
Padre (2) e per redenzione (3).
Se lo Stato è di eretici o scismatici , non può essere
estraneo alla Chiesa ; perchè coloro che hanno ricevuto
(1) Marc. XVI v. 15.
(2) Ps. II v. 8.
(3) I ad Cor. VI v. 20.
— 38 —
validamente il battesimo, ancorché professino l'errore, di-
pendono dal potere di lei, e sono obbligati alle sue leggi,
giacche tutti, per mezzo del battesimo, diventano membri
della Chiesa , e quindi sì gli eretici come gli scismatici
possono essere e sono puniti dalla Chiesa per la loro
contumacia nell' eresia o nello scisma. Solo quando con-
corrono tali circostanze, per cui l' esercizio della giurisdi-
zione ecclesiastica sugli eretici tornerebbe non a edifica-
zione, ma a distruzione, allora si ammette che la Chiesa,
come benigna madre, non intenda obbligarli colle sue leggi.
Ma se lo Stato è cristiano, cioè cattolico, coloro che vi
appartengono, come mirano a cercar la temporale felicità
sotto il comando del potere civile, così sotto il comando
della Chiesa intendono conseguire la vita eterna, in guisa
che la felicità temporale sia subordinata alla eterna , la
quale credono poter conseguire soltanto sotto il reggimento
della Chiesa cattolica. In tal modo « lo Stato non forma un
corpo separato dalla Chiesa , per quel che riguarda il
fine spirituale a cui tende »; ma appartenendole come la
parte appartiene al tutto, ne segue che la Chiesa debba
informare colla sua azione e col suo potere lo Stato , e
così informando lo Stato debba quindi anche informarne
la legislazione e gli atti del governo. Dicesi che « lo Stato
non forma un corpo separato dalla Chiesa »; perchè lo Stato
cristiano, quantunque sia società nel suo genere perfetta,
anzi più perfetta degli Stati non cristiani , pure nelle
sue relazioni colla Chiesa non è altro che una società, la
quale è parte di altra società perfettissima e universale.
Dicesi che lo Stato non forma un corpo separato dalla
Chiesa, « per quel che riguarda il fine spirituale »; perchè
così si accenna ciò che è di competenza della Chiesa e ciò
— 39 —
che è di competenza dello Stato, giacche nelle cose pura-
mente temporali lo Stato è indipendente. Dicesi final-
mente che non forma un corpo separato dalla Chiesa ,
per quel che riguarda il fine spirituale, « a cui tende »; per-
chè, quantunque il fine, a cui tende direttamente lo Stato,
sia la temporale felicità, pure questo fine temporale non
esclude il fine spirituale, a cui lo Stato tende indiretta-
mente , cioè la eterna felicità , anzi a questo deve esser
subordinato; imperciocché, se lo Stato non mirasse questo
ultimo fine come norma, a cui debbasi subordinare l'acqui-
sto della felicità temporale, cadrebbe finalmente nel ma-
terialismo e poi anche neh1' anarchia.
Le nazioni d' Europa circa il XIII secolo, quando fu
pubblicata la collezione delle Decretali di Gregorio IX e
il Sesto delle Decretali di Bonifazio Vili , erano altret-
tante società che facevano parte della Chiesa , la quale
perciò si vedea già nel pacifico possesso di Religione dello
Stato, in ciascuna di esse convertendo la sua potenza in
incomparabil beneficio a quei popoli ch'ella avea tratti dalla
barbarie. E quantunque nel 1648 col trattato di Westfa-
lia di infausta memoria , la politica degli Stati cristiani
cominciasse ad apostatare dalla Religione e dalla morale,
non adottando altra massima che la temporale felicità ,
nondimeno si può dire che tra noi continuasse ad essere
sempre in vigore l'antico diritto ecclesiastico comune , a
cui fu derogato pel Breve di Nicolò V, dato nel 1451
alla Casa di Savoia, pei concordati stretti dai Sommi
Pontefici Benedetto XIII e Benedetto XIV coi Re Sardi,
e per la nuova convenzione del 1841 sotto Papa Gre-
gorio XVI e Re Carlo Alberto , diritto implicitamente
riconosciuto dalla Costituzione del Regno promulgata il
— 40 —
4 Marzo 1848 ; secondo la quale la Religione cattolica
apostolica e romana è la sola Religione dello Stato.
Dalle poche cose indicate deve in generale apparire
il vizio del ragionamento del Castagnola, la falsità del si-
stema da lui propugnato e la vanità del suo sperare che
a poco a poco, col tratto del tempo, la Chiesa vorrà a-
dagiarsi al nuovo ordine di cose (l). Tuttavia conviene
accennare più particolarmente almeno i principali errori,
di cui è ripieno quel libro , anche perchè vedano i Ge-
novesi quale insegnamento nelle scienze giuridiche sia
dato alla gioventù della nostra Università testé annove-
rata dal Ministro tra le prime Università italiane.
I.
SUPREMAZIA DELLA CHIESA SULLO STATO.
l.° Qui il professor Castagnola confonde la supremazia
della Chiesa sullo Stato colla teocrazia (2). Teocrazia ,
governo di Dio, indica il governo che Iddio esercita di-
rettamente anche sulle cose temporali di una società per
mezzo di persone da lui scelte e con leggi da lui dettate:
il quale governo ebbe luogo nella nazione giudaica sotto
i Giudici suscitati da Dio a governare in suo nome il
popolo Ebreo. Supremazia invece della Chiesa sullo Stato
indica quel potere spirituale, con cui la Chiesa tiene in-
sieme congiunti i diversi Stati cristiani, e li coordina al
fine supremo individuale e morale dell'uomo. Il qual po-
tere ha tuttavia stretta connessione colla politica; perchè
(1) S. Castag. op. cit. p. 16.
(2) Ivi p. 19.
— 41 —
la politica, essendo la scienza del governare la umana so-
cietà in conformità al suo ultimo fine, cioè alla felicità
temporale con subordinazione all' eterna , non può sepa-
rarsi dalla morale , giacché non può separarsi 1' umana
personalità. Né potendo la politica separarsi dalla mo-
rale, non può nemmeno andar disgiunta dalla Religione
e dal potere della Chiesa, la quale è la Religione in con-
creto , e alla quale spetta il supremo ordinamento degli
Stati a Dio.
2° Non fa distinzione fra Stati di infedeli , di eretici
o scismatici e Stati cristiani , come se le relazioni della
Chiesa con questi diversi Stati fossero eguali , ed egual
potere su di essi le fosse attribuito (l). Il che gli fa e-
sagerare la potestà della Chiesa anche oltre il generale
sentimento degli scrittori più sani, creando così da sé dif-
ficoltà, che non potrebbe certamente risolvere.
3° Suppone falsamente, insegnarsi dai canonisti che il
diritto nel Papa di sciogliere i sudditi dal vincolo di ub-
bidienza e di deporre i Re dal trono in egual modo si
estenda generalmente su tutti i Principi ed Imperatori
senza distinzione di credenza e di Religione (2). Onde può
egli dire quanto vuole (3) di aver la coscienza di recare
su questo tema un esame accurato, una indagine impar-
ziale dei fatti e lo spirito scevro dalle passioni di parte;
che la coscienza sua è per lo meno erronea, facendole
velo la ignoranza de' principii elementari di diritto ec-
clesiastico.
(1) Ivi.
(2) Ivi p. 20.
(3) Ivi p. 18.
— 42 —
4-° Fa un appunto a coloro che insegnano doversi
trarre la supremazia della Chiesa sullo Stato dal diverso
fine , che si propongono queste due società , e così mo-
stra ritenere che dal fine diverso, che hanno la Chiesa e
lo Stato, non si possa giudicare della loro diversa natura.
La qual cosa è tanto assurda quanto il pretendere che
la moralità delle azioni non dipenda principalmente dal
fine che ha l'uomo nell'operare (l).
5.° Mette in dubbio che la Chiesa, la quale è la Reli-
gione in concreto , preceda anche neh' ordine cronologico
la società civile (2), come se lo Stato fosse istituito prima
che l'uomo fosse creato, essendo certo che la Religione è
coeva alla creazione dell' uomo , giacche Dio poteva non
creare l' uomo , ma creandolo non poteva crearlo senza
Religione, la quale, come fu già detto, se non formalmente,
almeno effettivamente , è una partecipazione della legge
eterna.
6.° Dice che tutto ciò che l'iperbole ha di più specioso,
venne immaginato per rappresentare la supremazia della
Chiesa sullo Stato (3). E in tal modo adopera egli stesso
una infelice iperbole, per insinuare non esser vero che il
potere spirituale sovrasti tanto al potere temporale, quanto
lo spirito è più nobile del corpo.
7.° Immagina , senza verun fondamento, che dalla su-
premazia della Chiesa sullo Stato abbia origine il vizio
nelle legislazioni di confondere il peccato'col delitto e ne
provengano altri gravi inconvenienti (4) , i quali pur sa-
(1) Ivi p. 19.
(2) Ivi p. 20.
(3) Ivi-
(4) Ivi-
— 43 —
rebbero reali conseguenze del principio da lui professato,
che la morale debba far parte del diritto non scritto, del
diritto comune (l).
8.° Nega al Capo della Chiesa il diritto di conoscere
l'intrinseca bontà delle leggi civili, e il decidere se offen-
dano le leggi ecclesiastiche (2). Il qual diritto negato al
Capo della Chiesa , non potendosi attribuire ad altri che
al Capo dello Stato, ne viene che della moralità delle leggi
potrà giudicare, per esempio, la Regina d'Inghilterra, l'Au-
tocrate delle Russie, il cui volere fa legge, non già il Papa:
ne viene che ai Principi e non al Papa spetterà decidere
se le leggi rechino offesa ai diritti della Chiesa. Onde, in
omaggio al principio della separazione dello Stato dalla
Chiesa, si fa della Chiesa una società subordinata e sog-
getta al potere civile.
9.° Adduce in proprio favore la testimonianza di Gu-
glielmo Audisio e di Benigno Bossuet (3). Ma quanto al
Vescovo di Meaux, ch'egli dice Santo Padre della Chiesa,
non accenna come, per indegna servilità al dispotismo di
Luigi XIV , quello abbassasse 1' alto suo ingegno , assu-
mendo la difesa della famosa Dichiarazione formulata dal
ministro Colbert ; non accenna 'come gli riuscissero terri-
bili le unanimi proteste dei dottori della Sorbona , della
Università di Lovanio e di tutta la Cristianità anche prima
della condanna di Roma ; non dice finalmente come poi
quel Prelato si vergognasse di una tal difesa, a cui non
avea mai per convinzione aderito , e che non volle mai
pubblicare.
(1) Ivi p. 17.
(2) Ivi p. 20.
(3) Ivi p. 21 e 23.
— 44 —
Quanto all'Audisio non riferisce com'egli riprovò la
sua opera (l), quando fu condannata dalla Sacra Congre-
gazione dell'Indice e come anzi ne avea fatto già pura e
semplice ritrattazione al dottissimo P. Tommaso Zigliara,
creato poi Cardinale, che gli avea in una lettera indicato
1' errore della sua dottrina.
Ma poiché il Castagnola , il quale occorrendo tratta
anche di teologia, mostra dar tanto peso all'autorità del-
l'Audisio da preferirla a quella di dottissimi teologi, quali
sono il Bellarmino, il Lessio e il Suarez, dovrebbe almeno
conoscere un'altra opera (2) di questo scrittore, ove rac-
comanda, circa la teologia « che il ceto laicale dismetta
quella già troppo abusata e troppo ridicola frivolità di
credersi dotto, senza veruno studio nella più augusta, più
vasta e più sottile di tutte le scienze: quella incivile e im-
morale malignità , per cui tanti professori di lettere , di
storia e di scienze, che potrebbero col retto uso dei loro
talenti giovare ai presenti , e vivere di più bella e ono-
rata fama nei posteri , si sforzano di svellere da menti
innocue quella sovrana luce, che è principio di scienza e
di moralità: e finalmente quella smania invereconda di op-
porre le più gratuite e le più strane asserzioni alle ve-
rità più dimostrate ».
IO.0 Attribuisce ad alcuni scrittori della Compagnia di
Gesù d'aver recato a perfezion di dottrina il regicidio (3).
Anche qui , trattandosi di così grave imputazione , per
esser leale , avrebbe dovuto il Castagnola citare i nomi
(1) Della Società politica e religiosa.
(2) Introduzione agli studi ecclesiastici conforme ai bisogni religiosi e
civili per Guglielmo Audisio lib. 3-
(3) S. Castag. op. cit. p. 21.
— 45 —
degli scrittori eh' egli accusa. Ma noi potea fare , perchè
niun gesuita propugnò mai quella dottrina. Che se egli
ci obbiettasse aver il Mariana insegnato (l) esser lecito
uccidere un tiranno , si potrebbe prima rispondere che
tale imputazione, ancorché potesse attribuirsi al Mariana,
non dovea però estendersi ad altri scrittori. Se poi il Ma-
riana insegnò esser lecito uccidere un tiranno, quando di-
strugga la Religione e le leggi pubbliche, non ostante ogni
rimostranza della nazione, non ne viene ch'egli abbia in-
segnato esser lecito il regicidio : altrimenti con tal modo
di ragionare gli si potrebbe attribuire d' aver insegnato
essere in generale anche lecito l'omicidio. Ma l'opera (2),
in cui il Mariana manifesta questa sua opinione , benché
divulgata e letta avidamente per tutta Europa , benché
munita del civile privilegio della stampa e lodata dallo
stesso Filippo II , pure fu condannata dai legittimi supe-
riori della Compagnia di Gesù: e quindi non solo non si
poteva asserir senza calunnia che il regicidio fosse recato
a perfezion di dottrina da' scrittori gesuiti , ma è pure
certissimo che dalla Compagnia fu condannata anche la
opinione di chi insegnava esser lecito in determinati casi
uccidere un tiranno.
il.0 Cita a sproposito l'autorità di san Paolo, di Ter-
tulliano e di san Giovanni Grisostomo (3) , e in generale
(1) Giovanni Mariana , celebre storico da Talavera , detto il Tito
Livio delle Spagne, oltre la storia ed altre opere scrisse anche un trat-
tato sul cambiamento della moneta , de monetae mutatione, che gli attirò
l'odio dei Ministri di Filippo III, a cagione dell' ardimento, col quale
censurava l'alterazione della moneta fatta dalla pubblica autorità.
(2) De Rege et Regis institutione libri tres.
(3) S. Castag. op. cit. p. 26.
-46-
espone con tali inesattezze la sentenza di coloro, i quali
sostengono la supremazia della Chiesa sullo Stato , che ,
com' egli la espone , non si potrebbe giustamente di-
fendere.
12.° Finalmente pretende confutare tale sentenza cogli
stravaganti argomenti del Laurent , del Mamiani e del
Minghetti (l). E il fa con tanta confusione e dubbiezza
che non si sa bene se intenda appropriarsi la dottrina di
questi ed altri simili scrittori, o esporla solo storicamente,
per non rendersi mallevadore degli errori altrui.
Se si appropria la dottrina di tali scrittori, non può sfug-
gire la giusta accusa di rendersi anch'esso seguace di quelli,
che, negata la divinità di Gesù Cristo Signor Nostro, fanno
di lui un politico agitatore; non può sfuggire l'accusa di
negare la origine divina della Religione , di negare alla
Chiesa ciò che il Laurent permetterebbe a ciascun pri-
vato, cioè la resistenza alle ingiuste leggi dello Stato, di
confondere il diritto positivo divino col diritto naturale ,
di considerare come un diritto avventizio, anzi usurpato,
ciò che è inerente alla natura stessa della Chiesa.
Se poi intende esporre la loro dottrina solo in modo
narrativo, senza aderirvi, a che riesce mai la sua confu-
tazione? Il sistema della supremazia della Chiesa sullo
Stato « sorse, egli dice, in mezzo al caos del medio evo, ed
era allora in mezzo a quella' ignoranza e barbarie ele-
mento di ordine, di civiltà, d'umanità, di progresso. I Re,
che i Papi deponevano , erano tiranni macchiati dei più
sozzi delitti... Se si ha riguardo al loro tempo non è senza
ammirazione che vediamo campeggiare le grandi figure
(l) Ivi p. 27 e segg.
— 47 —
di Gregorio VII, d'Innocenzo III, di Bonifacio Vili ». E
seguendo il Minghetti aggiunge che « l'errore nacque al-
lorquando si volle di condizioni temporanee farne regole
assolute , e , non ostante la mutata condizione dei tempi,
si pretese signoreggiare il laicato , mentre egli aveva di
già la coscienza dei proprii diritti e la deliberata volontà
di esercitarli » (l). Onde, secondo il professor Castagnola,
Gregorio VII ed altri Pontefici, quando nel medio evo de-
ponevano i Re, eran « grandi figure » ed allora esercitavano
un potere « elemento d'ordine, di civiltà, d'umanità, di pro-
gresso », e l'esercitavano non già pel diritto coercitivo es-
senzialmente inchiuso nella suprema potestà della Chiesa,
ma perchè il laicato non aveva ancora la coscienza dei
proprii diritti e la deliberata volontà di esercitarli. Dal
qual principio, che suppone non essere il diritto altro che
un fatto materiale, si potrebbe altresì inferire, per esempio,
che un tutore, il quale invadesse i beni del proprio pu-
pillo , non ancor giunto all' età da aver la coscienza dei
propri diritti o la deliberata volontà di esercitarli , non
solo non sarebbe da dirsi usurpatore e ladro , ma anzi
potrebbe anche essere un grand' eroe , e il suo modo di
operare potrebbe essere « elemento d'ordine, di civiltà, d'u-
manità, di progresso ». Tuttavia noi crediamo che un buon
padre di famiglia morendo non vorrebbe lasciare i figliuoli
alla tutela di chi mettesse in pratica i principii professati
dal Minghetti e dal Castagnola.
La ragione intrinseca , per cui nel primato del Pon-
tefice è inchiuso eziandio il diritto di ammonire i Principi
cristiani , scomunicarli , deporti anche dal trono e dichia-
(l) Ivi p. 28.
- 48-
rame i sudditi sciolti dall' obbligo di fedeltà , consiste in
ciò che la Chiesa è una società universale, la quale con-
tiene in se tutte le altre società , che si professarono cri-
stiane e le contiene come il tutto contiene le parti : alle
quali società essendo essa superiore, il Papa ha diritto di
emanare leggi coercitive per punire i capi di queste so-
cietà civili, quando usassero il loro potere sovrano contro
il fine che si propone la Chiesa. E questa suprema po-
testà del Papa specialmente nel medio evo da tutti temuta
e riverita , da tutti gli oppressi benedetta, fu sempre, al
dire di moderno scrittore , un colosso di forza morale ,
quando la voce del Pontefice tonava contro la tirannide
dei Re, tonava contro la schiavitù, ammansava i barbari
vincitori , proteggeva i vinti , ammoniva con carità i po-
poli sospetti di eresia, gridava contro la vendita di uo-
mini , contro i tornei sanguinosi , contro il duello, contro
gli aumenti delle dogane a danno del commercio, procu-
rava la fede dei mercati , la sicurezza delle strade e dei
mari , si opponeva alle invasioni dei Turchi , e in tante
altre guise aiutava il progresso della civiltà europea.
IL
SUPREMAZIA DELLO STATO SULLA CHIESA.
Anche qui il Castagnola i.° Confonde la supremazia
dello Stato sulla Chiesa coli' autocrazia (l), mostrando così
di ignorare il vero significato di questo vocabolo. Come
la. parola teocrazia dal suo ristretto significato fu prima
da lui estesa a significato più ampio; così ora egli ristringe
(1) Ivi p. 33.
— 49 —
arbitrariamente il significato molto generale della parola
autocrazia ad un significato particolare che non ebbe mai.
Noi non vorremmo fargli carico solo per non conoscere
la significazione d' un greco vocabolo: ma non può tolle-
rarsi ch'egli con tuono magistrale pretenda insegnare gra-
vissimi errori, quando non sa talora che cosa significhino
le parole da lui stesso adoperate e noi sa non per igno-
ranza della lingua greca soltanto , il che pure potrebbe
di leggieri comportarsi anche in chi insegnò diritto ro-
mano (l), ove, oltre le novelle costituzioni, occorrono
tanti testi greci da interpretare (2), ma eziandio per non
conoscer nemmeno il concetto che a quelle parole è co-
munemente attribuito dai dotti.
(1) L' Avv. Stefano Castagnola insegnò per qualche tempo anche
diritto romano nella patria Università.
(2) Per ignorar la lingua greca e conoscer poco la lingua latina,
e per voler tuttavia spiegare colla consueta sua leggerezza un fram-
mento del giureconsulto Gaio , contorce in modo incredibile le parole
e il senso della legge allegata, là ove a pagina 225 parla della legisla-
zione romana rispetto ai beni ecclesiastici.
Gaio, Fr. 4 D. de cóllegiis et corporibus 47, dice: « Sodales sunt, qui
eiusdem collegii sunt, quam Graeci exaiptav vocant. His autem pote-
statem facit lex , pactionem , quam velint , sibi ferre , dum ne quid ex
publica lege corrumpant. Sed haec lex vidétur ex lege Solonis translata
esse, nam illic ita est: 'Eàv Ss 59j|iog? r\ ^paxopsg, v\ ispóW òpyiwv
jivjvuxat, Y] auvctxoi, 73 óp-óxa^ot, 7) friaawxou, yj sul Xsiav oìxó\isvoi, y\ zìe,
snTCoptav* 0 11 «v xouxwv Siafrwvxai, rcpòc, àXAvjXous, xópiov sìvat,, sàv {xvj
aTiayopsuair] SYju-óaia ypau-u-axa ». E segue la traduzione della greca legge.
Ora il professor Castagnola così commenta questo tratto: « I soda-
lizi erano riconosciuti ed ammessi da quella legislazione (la legislazione
romana), la quale seguiva in proposito le antiche leggi della Grecia.
Invero mentre la legge 4 Dig. de cóllegiis et corporibus illicitis riconosce
la facoltà di associarsi , potestatem facit lex pactionem quam voluit sibi
4
— 50 —
2* Afferma cosa impossibile, quando adduce la Grecia
e l' Impero Romano ad esempio della supremazia dello
Stato sulla Chiesa; perchè presso i Romani principalmente,
quantunque le leggi religiose « ius sacrum » facessero parte
del diritto pubblico , pure non si avea supremazia dello
Stato su d' una Chiesa: altrimenti il Capo dello Stato, che
era Imperatore e Pontefice Massimo, sarebbe stato subor-
dinato a se stesso. Novale l'autorità di Cicerone che af-
ferma non potersi avere iddii particolari, né potersi ado-
rare iddìi nuovi o stranieri, se non sono riconosciuti da una
legge dello Stato ; perchè quell' antico filosofo con ciò
non intendeva già che lo Stato dovesse dominar la Re-
ligione , ma che non dovesse ammettersi altra Religione
che quella ammessa dallo Stato : conciossiachè , egli che
ferre, soggiunge: sed haec lex videtur ex Jege Solonis translata esse, e
ne riferisce il tenore. Ma mentre riconosce questi sodalizii e le loro
convenzioni, soggiunge tosto: nisi publicae leges prohibnerint ».
Qui, come si vede, il Castagnola io Con molta confusione fa par-
lare la legge in luogo di Gaio.
2° Sopprimendo il nome sodales e il pronome bis del testo e mu-
tando velini in voluti, fa sì che la legge attribuisca stranamente a se
stessa il potere di fare quei patti che vuole, laddove dal frammento si
scorge chiaro che tal potere è dato ai membri di uno stesso collegio.
30 Ad arbitrio traduce per associarsi la frase pactionem ferre che
corrisponde al greco Siaxi&eoftai pattovire della legge di Solone.
40 Alla legge fa dire di se stessa : Sed haec lex videtur ex lege So-
lonis translata esse.
50 Afferma che la legge (cioè il giureconsulto Gaio) « mentre rico-
nosce questi sodalizi e le loro convenzioni , soggiunge tosto : nisi pu-
blicae leges prohibuerint ». E non si avvede che questa clausola condi-
zionale non appartiene a Gaio , non essendo altro che la traduzione
delle ultime parole della legge di Solone: èàv u-yj àTtayopsu^ Sv^óaia
Ypa[ijiaxa.
— 51 —
facea già sì poco conto della religione pagana professata
dal volgo ; prevedea disordine e turbamento anche mag-
giore nella Repubblica, se si fosse aperto 1' adito ad altre
false religioni.
3° Si contraddice; perchè dopo aver lodato (l) l'Inghil-
terra , per aver conservato un gran fondo di cristiane-
simo, e per esser quindi riuscita a stabilir la libertà poli-
tica, considera altrove quella nazione, come fautrice della
supremazia dello Stato sulla Chiesa , dicendo (2) che il
Parlamento inglese dispone egualmente della fede come
della corona d' Inghilterra; sicché a chi ricorda le cose che
egli già disse, può parere che un tal sistema quantunque
da lui ripudiato , sia nondimeno acconcio a far sì che i
popoli conservino un gran fondo di cristianesimo e rie-
scano a stabilir la libertà politica, e che questa si possa con-
ciliare coli' oppressione delle coscienze.
III.
DELLE DUE POTESTÀ INDIPENDENTI E PARALLELE.
l* Mostra semplicità maravigliosa affermando che scopo
della dichiarazione del Clero gallicano fu evidentemente
di dar la pace all' afflitta Cristianità e di porre in salvo
la libertà della Chiesa gallicana e specialmente il primato
della Sede Apostolica (3).
Scopo della famosa dichiarazione era , come disse il
Fenelon, che il Re fosse più capo della Chiesa in Francia
che il Papa. Cagione ne fu la naturale superbia di Lo-
(1) S. Castag. op. cit. p. 17.
(2) Ivi p. 35-
(3) Ivi p. 36.
— 52 —
dorico XIV, della cui prepotenza provarono i lacrimevoli
effetti due anni dopo anche gli avi di quei giovani, a cui
insegna il Castagnola , quando per 1' orribile bombarda-
mento delle galee francesi, videro la loro città fatta un
mucchio di rovine.
Oual pace volesse dare quel Re alla Cristianità si può
argomentare dai tentativi e dagli sforzi suoi per istornare
la lega che Giovanni Sobieski Re di Polonia e l' Impera-
tore Leopoldo I , per le sollecitazioni e 1' aiuto di Papa
Innocenzo XI, aveano stretto contro il Turco, il quale se
in una memorabile giornata non fosse stato cacciato dalle
mura di Vienna cinta di formidabile assedio , avrebbe
minacciato e soggiogato colla consueta ferocia l' intera
Europa.
Qual pace di fatto ne avesse la Cristianità si vede dal-
l' unanime reclamo che fecero udire alla Francia tutte le
nazioni, sicché quell' ambizioso monarca dovette revocare
il decreto, col quale avea comandato che si insegnassero
nelle scuole i quattro articoli.
Qual libertà ne avesse la Chiesa gallicana si pare dallo
stesso Bossuet, e quando parla delle libertà della Chiesa
di Francia usate sempre contro lei medesima , e quando
nella sua vecchiezza egli Vescovo era obbligato dal Ma-
gistrato secolare a sottoporre la sua istruzione pastorale
alla censura d' un semplice Prete.
Come poi colla dichiarazione si volesse mettere in
salvo il primato della Santa Sede, il mostrò Papa Inno-
cenzo XI, quando rispondendo al Clero francese, con una
nobiltà degna di san Leone, rimproverò quei Vescovi di
avere abbandonato , per una pusillanimità riprensibilis-
sima, la santa causa della libertà della Chiesa, di non a-
— 53 —
vere osato dire una sola parola per gli interessi e l'onore
di Gesù Cristo, ma di essersi coperti di eterno obbrobrio,
con un indegno procedere appo i Magistrati secolari, gli
esortò al pentimento, e chiuse annullando e cancellando
quegli atti lesivi della libertà ecclesiastica.
2.° Dà un concetto erroneo dei concordati; perchè
ne fa menzione non già come di privilegii gratuiti conce-
duti dalla Santa Sede ossia di leggi particolari ecclesiasti-
che promulgate dal Sommo Pontefice in favore di qual-
che Stato e confermate per la speciale obbligazione nel
Principe d' osservarle perpetuamente , ma come di con-
cessioni fattesi reciprocamente dalla Chiesa e dallo Stato,
ossia come di patti bilaterali, i quali versando su cose
spirituali, o su cose temporali annesse a materia spiri-
tuale , per sé sarebbero essenzialmente viziosi , non po-
tendo essere immuni da simonia. Il qual modo di trattar
dei concordati considerandoli, come patti bilaterali, suppone
nell'Autore il pregiudizio che lo Stato cristiano in rela-
zione colia Chiesa sia indipendente in modo assoluto, lad-
dove è dottrina cattolica che la Chiesa , sebbene niente
possa sullo Stato circa le cose temporali o sotto il rispetto
di fine temporale soltanto , nondimeno è superiore allo
Stato circa le cose spirituali ed anche circa le cose tem-
porali , in cui concorre ragione o necessità di fine spiri-
tuale.
E il pretendere che i concordati sian patti bilaterali, è un
pretendere che possa limitarsi, contro la volontà di Cristo,
il primato del Sommo Pontefice, che il Sommo Pontefice
possa alienare propriamente i diritti del primato, sicché non
gli sia permesso di esercitarli, noi volendo il Principe, con
cui fu conchiuso il concordato , che il Sommo Pontefice
— 54 —
possa ristringere il potere de' suoi successori, che un tal po-
tere sia trasmesso al Romano Pontefice non immediata-
mente da Gesù Cristo nella persona di san Pietro, ma dal
suo predecessore, e che per conseguenza, come i diritti
del primato possono limitarsi ed alienarsi, così pure essi
possano essere prescritti dagli stessi Principi secolari (l).
3.0 Si contraddice ; perchè affermando lui che i con-
cordati furono accettati dalla Chiesa, allorquando cominciò
il decadimento del suo potere; e ritenendosi comunemente
dagli storici che il potere della Chiesa fosse nel suo mas-
simo splendore da Gregorio IX a Bonifacio Vili (122 7-
1303); segue dalla sua affermazione che i concordati do-
vessero cominciare solo e subito dopo quel tempo. Ep-
pure, secondo lui medesimo, il primo concordato è quello
di Worms conchiuso tra Callisto II ed Enrico V impera-
tore nel 1122, l'altro stipulato nel 1289 tra il Re di Por-
togallo e Nicolò IV, e il terzo nel 1447 tra Francesco III
Re dei Romani e Nicolò V (2).
Onde, fra questi primi tre concordati, quello di Worms
fu conchiuso più di un secolo avanti l'epoca che segna
la più alta potenza della Chiesa, l'altro è stipulato pro-
prio durante l'apogeo di quella potestà, e il terzo è stretto
un secolo e mezzo dopo quel periodo di tempo.
4.e A sfoggio di inutile e facile erudizione parla di
alcuni concordati conchiusi da' Principi stranieri colla
Corte Romana, ma di quei concordati stretti da' Principi di
Savoia colla Santa Sede, che avrebbero una qualche im-
(l) Cf. Iuris Eccles. pub. institutiones auc. Camillo Tarquini lib. 1,
cap. 2. art. 1.
(i) S. Castag. op. cit. p. 42 e 43.
— 55 —
portanza colle questioni presenti, non parla affatto, forse
perchè non era così agevole averne cognizione collo scor-
rere solo , com' egli fa , qualche libro di istituzioni cano-
niche, e più ancora perchè il solo nominarli era un mo-
strare quanto arbitrarii ed ingiusti sieno i principii che
egli segue nel trattare delle relazioni giuridiche tra Chiesa
e Stato.
IV.
SEPARAZIONE DELLO STATO DALLA CHIESA.
La ragione per cui si vede tosto la intrinseca assur-
dità del principio della separazione dello Stato dalla Chiesa
sta in ciò che le azioni umane essendo indivise non pos-
sono essere regolate se non che da una legge unica o da
più leggi che collimino allo stesso fine : e quindi coloro
che appartengono e allo Stato e alla Chiesa, devono es-
sere governati da leggi civili, che sieno conformi alle leggi
ecclesiastiche: altrimenti tolta la vera libertà di coscienza,
ne verrebbe grande turbamento agli uomini particolari,
alle famiglie e a tutti gli ordini della civile società.
Il Castagnola tentando sostenere questo falso prin-
cipio, non fece se non che accumulare altri errori e spro-
positi.
Di fatto, l.° Afferma che, senza la separazione dello
Stato dalla Chiesa, non vi ha libertà di coscienza; laddove
vera libertà di coscienza non vi ha prevalendo questo as-
surdo sistema; perché, posto il disaccordo tra le leggi dello
Stato e le leggi della Chiesa , chi è membro dell' uno e
dell'altra, se ubbidisce alla Chiesa si mette in contraddi-
zione collo Stato ; se ubbidisce allo Stato , opera contro
— 56 —
coscienza sapendo che con ubbidire agli uomini disubbi-
disce' a Dio. In tal modo la libertà si accorda solo agli
indifferenti e agli atei , i quali come non ubbidiscono a
Dio , così non ubbidiscono allo Stato se non per timore
della pena.
2.° Afferma pure come, « cadrebbe però in grave er-
rore chi reputasse che con questo sistema lo Stato faccia
professione di ateismo , mentre invece altro non fa che
dichiarare la propria competenza (l) a regolar questioni, a
sciogliere problemi cotanto superiori alla sua missione :
che anzi egli favorisce lo sviluppo del sentimento religioso,
quale base della pubblica moralità, e perciò qual fonda-
mento di governo » (2).
Ma separazione dello Stato dalla Chiesa è quanto se-
parazione dello Stato dalla Religione, dalla morale e da
Dio; il che equivale per lo Stato a far vera professione
d' ateismo : e arrogandosi esso sulla moralità delle sue
leggi quel supremo giudizio , che non riconosce di fatto
in nessuna autorità religiosa, altro non fa che dichiarare
veramente la propria competenza a regolare questioni e
a sciogliere problemi superiori alla sua missione. Inoltre
così promuove in materia di Religione V indifferentismo,
sistema falso ed empio: falso, perchè una sola è la vera
Religione, e questa assolutamente necessaria: empio, per-
chè suppone che possano egualmente piacere a Dio an-
eli e le varie confessioni che professano dottrine contrad-
dittorie. E così promovendo l'indifferentismo scalza le fon-
damenta della pubblica morale e degli Stati.
(1) Forse l'Autore scrisse incompetenza; ma il proto vedendo che poi
di fatto si fa lo Stato competente anche in materia di Religione, reputò
doversi correggere stampando competenza.
(2) S. Castag. op. cit. p. 53-
— 57 —
3-° Fondandosi sul giudizio del protestante Guizot (l),
accusa la Chiesa di rinnegare il principio della separa-
zione, poiché essa medesima lo pose nella culla della civiltà
europea.
E cosa incredibile che con tanta leggerezza si possa
accettare tal giudizio stranissimo e falsissimo. Nel V
secolo , a cui si riferisce il Guizot , pare non rimanga
altra società viva che la cattolica Chiesa. Barbari con-
dottieri e popoli , senza saperlo , danno l' ultimo com-
pimento al vaticinio di Daniele mettendo all' estrema
rovina il romano impero, i Persiani in oriente, i Saraceni
nell'Arabia, i Vandali in Africa, gli Svevi e i Visigoti nella
Spagna, i Franchi, gli Alani e i Burgognoni nelle Gallie, gli
Angli e i Sassoni nella Bretagna, gli Unni e gli Ostrogoti in
Italia. Roma desolata, spogliata, insanguinata dagli alleati:
Attila che riceve lo stipendio, come generale romano ,
corre la Tracia, la Germania, la Gallia mettendo tutto
a ferro e a fuoco e s' incammina a Roma: gli Angli e i
Sassoni, chiamati in aiuto dai Bretoni contro gli Scoti,
riescono in breve a soggiogare i Bretoni, e nella Bretagna
distruggono le ultime vestigia dell' impero : il Vandalo
Genserico chiamato da Eudossia dà il sacco a Roma e
via ne trascina cattiva l' Imperatrice con le figliuole e gran
parte dei cittadini.
Vivendo i popoli tra tanta persecuzione e ferocia, la
Chiesa accoglie sotto la sua protezione gli uomini , che
portano negli occhi descritto lo spavento degli animi loro.
San Leone va incontro ad Attila e con divina eloquenza lo
(i) Hlstolre generale de la civili satiou cn Europe par M. Guizot, den-
xième lecon.
— 58 —
persuade a tornare indietro: tenta ammansare i barbari,
ottiene dai Vandali di risparmiar dall' incendio Roma.
Questo gran Papa per promuover nei popoli il maggior
bene possibile si vale dell' aiuto de' Principi e dà savii
consigli alla Corte di Costantinopoli. La sua voce è sen-
tita e l' Imperatrice Pulcheria e l' Imperatore Marciano di-
fendono con sommo zelo il Concilio di Calcedonia e la
Chiesa contro gli Eutichiani , sicché gli eretici chiamano
i cattolici per istrazio Melchiti ossia Regalisti. Lo stesso
Pontefice scrive all' Imperatore Leone, successore di Mar-
ciano, dovesse sempre ricordare essergli conferito il regio
potere non solo al governo del mondo, ma anche e mas-
simamente a presidio della Chiesa (l).
Ecco come la Chiesa si governava nel secolo V: e il
Castagnola ci dice che essa allora pose il principio della se-
parazione nella culla della civiltà europea.
4.0 Su coloro che propugnano 1' accordo dello Stato
colla Chiesa tenta spargere il ridicolo là ove dice che
« il Sillabo fulmina la teorica della separazione co' suoi
anatemi , anzi sulla medesima i canonisti versano amare
lagrime ». Ma ridicolo si rende egli stesso, perchè anche
ivi mostra di non conoscere e di non aver letto il Sil-
labo, giacché si crede di citare proposizioni (2), che con-
tengano il principio della separazione dello Stato dalla
(1) Debes inainctanter advertere regiam potestatem Ubi non sohtm ad
mundi regimen sei maxime ad Ecdesiae praesidium esse coììatum. S. Leonis
M. epist. 150.
(2) La proposizione condannata che contiene il falso principio della
separazione dello Stato dalla Chiesa è la 55a del Sillabo, estratta dalla
Alloc. Acerbissimum del 21 Sett. 1852: « Ecclesia a Statu, Statusque ab
Ecclesia seiungendus est ».
- - 59 — ■
Chiesa e ne cita invece tre altre che riguardano il razio-
nalismo : e si scorge evidentemente che le cita per aver
copiato, senza intenderlo, 1' autore (l) da lui allegato.
5.° Senza avvedersene mostra egli stesso che il siste-
ma della separazione dello Stato dalla Chiesa favorisce
solamente gli atei e gli indifferenti *a pregiudizio della
Religione e della morale , sì quando dice che « non è
sola la Chiesa cattolica a combattere questo principio »
ma è combattuto anche da tutte le Chiese, che sono o
furono dominanti », sì quando ricorda la protesta e la
petizione promossa dai fautori della chiesa nazionale del
Cantone di Ginevra contro il disegno di legge , che sop-
primeva il bilancio dei culti , il qual disegno già appro-
vato dal Gran Consiglio doveva esser sottoposto al voto
popolare.
6.° Ascrive a contraddizione del Sommo Pontefice
Pio IX, che dopo aver condannato nel Sillabo la separa-
zione come principio, non abbia col fatto invitato i Prin-
cipi al Concilio ecumenico Vaticano nella Bolla d' indi-
zione. Il Papa non invitò i Sovrani, perchè, anche posto
che avessero accettato l' invito, non si poteva raggiungere
il fine, per cui i Principi sono chiamati al Concilio, cioè
per difenderlo e farne eseguire i decreti. (2).
(1) Il Prof. Can. Giuseppe Ferrari già Vicario Capitolare dell'Archidio-
cesi di Genova nella sua opera intitolata Stimma institutionum canonicarum
toni. 1, lib. 1, tit. 1, n. 4, ove parlando delle leggi informate dal moderno
razionalismo, nelle note cita così varie proposizioni condannate: Syll. in
damn. prop. 6, 8, et 57, et in aliis pluribus. Il Castagnola credendo
che ivi si tratti di proposizioni che enuncino il principio della sepa-
razione dello Stato dalla Chiesa , traduce bonariamente a pagina 50:
Prop. 6, S, ;7 ed altre assai.
(2) Catholicorum sententia est.... Principes vocari tum ut Concilhim
— 6o —
Nella Congregazione Cardinalizia direttrice fu proposto
questo quesito gravissimo: « Dovranno i Principi cattolici
essere invitati ad assistere al Concilio? Assai dibattuta fu
la questione tra i Porporati consultori, e la risposta fu
negativa. Di che , parmi , nessuno dee far le meraviglie.
Che parte infatti , nelle presenti occorrenze , potrebbero
avere i Sovrani in Concilio? In altri tempi, quando i Prin-
cipi, in quanto tali, facevano aperta professione di catto-
licismo, e le leggi civili ed ecclesiastiche armonizzavano
tra loro, e lo Stato eseguiva i decreti della Chiesa; la
presenza dei Principi al Concilio era non pur conveniente,
ma in qualche modo necessaria. Ma dov'è di presente il
principato cattolico? dove sono le armoniche leggi? dove
si rispetta, per principio, la legislazione ecclesiastica? Non
è invece la pretesa separazione dello Stato dalla Chiesa
la norma che guida ogni atto dei Governi e dei Parla-
menti, delie cui volontà i Sovrani non sono oggi, alla
perfine, che meri esecutori? Si dovranno dunque intro-
durre nell'augusto Consiglio coloro che nuli' altro princi-
palmente vi rappresenterebbero se non quegli stessi prin-
cipii che la Chiesa, raccolta nei suoi Pastori, è chiamata
a condannare , e , quanto è da lei, a distruggere ? Quali
ostacoli non porterebbero, per avventura, alle delibera-
zioni conciliari i rappresentanti del moderno mondo, se
pure, invitati , non opponessero, con grave disdoro della
Chiesa cattolica , un disdegnoso rifiuto ? Che elementi di
pace e di restaurazione religiosa potrebbero portare in
Concilio quei Governi che i trattati con la Santa Sede
defendant, tum ut, testes et conscii decretorum Conciìii, postea transgres-
sores et contumaces poenis corporàlihis pnniant. R. Bellarmini de Concilio
et Ecclesia militante lib. I cap. XV.
— 61 —
stimano poter lacerare senza offesa della giustizia, le an-
tiche istituzioni cattoliche senza danno della Religione de-
molire, vantaggiare il bene dei popoli fabbricando leggi
ostili alla Chiesa? Queste considerazioni così ovvie doveano
naturalmente generare fin da principio la persuasione
della inconvenienza dell'invito ai Sovrani » (l).
7.° Nega esser la Chiesa una potestà, il che equivale
a negarle la natura di società perfetta. A tanta, non di-
remo temerità ma insania, non eran giunti neppure i Pro-
testanti, i quali riconoscono la Chiesa qual perfetta so-
cietà, e ammettono che il potere di lei dall'università de'
suoi membri sia comunicato ed esercitato da Ministri a
tal fine deputati. Lo stesso Guizot più volte citato dal-
l'Autore riconosce esser la Chiesa un pubblico potere par-
landoci di separazione del « potere spirituale » dal potere
temporale (2). Anche il Principe Ottone di Bismark uomo
(1) Storia del Conc. ecum. Vaticano scritta dal Can. Eugenio Cecconi
lib. 2 cap. 1 art. 1.
(2) Ecco che cosa dice il Guizot parlando del Cristianesimo e della
Chiesa: « A la fin du quatrième et au commencement du cinquième
siècle, le Christianisme n'était plus simplement une croyance individuelle,
c'e'tait une institution; il s'était constitué; il avait son gouvernement, un
clergé, une hierarchie déterminée pour les différentes fonctions du clergé,
des revenus, des moyens d'action indépendants, les points de ralliement,
qui peuvent convenir à une grande société, des conciles provinciaux, na-
tionaux, ge'ne'raux, l'habitude de traiter en commun les affaires de la
société. En un mot, à cette epoque, le Christianisme n'était pas seule-
ment une religion, c'était une Église.
» Enfin, l'Eglise commencait un grand fait , la séparation du pou-
voir spirituel et du pouvoir temporel.... La présence d'une influence
morale, le maintien d'une loi divine, et la séparation du pouvoir tem-
porel et du pouvoir spirituel, ce sont là les trois grands bienfaits qu'au
— 62 —
di gagliardo intelletto e per tenacità di proposito da tutti
ammirato , benché siasi mostrato sempre nel maneggio
delle cose di Stato abilissimo, pure si vide costretto a de-
sistere dal lottare contro Roma, per aver conosciuto qual
grande potenza sia la Chiesa, e la verità negata dal Ca-
stagnola egli non dubitò di affermare in modo solenne ,
allorché contrastando a quei Deputati, i quali credevano
che la Sedia Apostolica si dovesse riguardare per la
Prussia come una potenza estera, disse chiaro al Parla-
mento germanico (l): « Ho domandato a me stesso se la
Chiesa cattolica dovesse considerarsi come una Potenza
estera, ed ho dovuto rispondermi negativamente e dirmi
che i nostri sudditi cattolici hanno i medesimi diritti degli
altri, ed hanno anche diritto alla tutela delle loro istitu-
zioni ecclesiastiche, di cui il Papa è il rappresentante ».
E rispondendo in particolare ad altre osservazioni del
Deputato Wirkow , « La Chiesa cattolica , diceva, è da
gran tempo non solo una potenza spirituale , ma anche
una potenza politica » (2).
La Chiesa è vera potestà ed è anzi società perfetta;
perchè ha in se stessa i mezzi sufficienti per conseguire
il suo fine indipendentemente da qualunque altra società.
Ma se il Castagnola non riconosce la Chiesa come per-
fetta società, come società pubblica, la deve almeno ri-
conoscere come società imperfetta o società privata: ed
ecco che perciò stesso viene a subordinarla allo Stato, e
cinquième siede l'Eglise chre'tienne a re'pandus sur le monde euro-
pe'en ». — Histoire generale de la civilisation en Europe. — Deuxième
legon.
(1) Discorso al Reichstag di Berlino 30 novembre 1880.
(2) Discorso cit.
- 63 -
viene di fatto ad ammettere il sistema, ch'egli solo a pa-
role ripudia della supremazia dello Stato sulla Chiesa. Ma
se egli nega assolutamente alla Chiesa la natura di so-
cietà; come potrà considerarla giuridicamente, cioè come po-
trà considerarla in quanto essa è soggetto di diritto? Sog-
getto di diritto è sempre o persona fisica o persona mo-
rale. La Chiesa non potendo considerarsi come persona
fisica, si dee considerare come persona morale , la quale
nel caso nostro importa la essenza di società , risultando
essa dalla riunione di più persone fìsiche ordinate a con-
seguire uno scopo di comune utilità. Ma se la Chiesa non
si vuole riguardare nemmeno come persona morale e giu-
ridica, essa non conta più in faccia allo Stato: e allora
perchè ci si parla della separazione dei due poteri? per-
chè ci si parla delle relazioni giuridiche tra Chiesa e
Stato? Non può lo Stato separarsi da ciò che giuridica-
mente non esiste: né si potrà trattare di relazioni giuri-
diche tra enti che non abbiano giuridica consistenza. E
il professor Castagnola come spiega 1' articolo primo
dello Statuto fondamentale del Regno? Egli nega che la
Chiesa sia pubblico potere. Eppure , secondo lo Statuto ,
la Chiesa Romana, che si identifica colla Religione catto-
lica, non solo è potere pubblico , ma tal potere che sul
potere civile esercita quella supremazia che la Chiesa
esercita sulle persone private che sono sue membra. Egli
che inutilmente adduce le osservazioni fatte da alcuni Se-
natori della Savoia e del Piemonte ai primi articoli nello
schema del codice albertino , che non è più in vigore,
perchè non si dà cura veruna di conciliare con le sue
dottrine il primo articolo della vigente Costituzione che
è assolutamente opposto al suo falso principio ? E vero
-64-
ch'egli procura di temperare il suo paradosso soggiun-
gendo che « se si nega alla Chiesa questo attributo, si ri-
conosce però nell' esercizio della Religione un diritto , il
principale, il più prezioso dei diritti dei cittadini, trattan-
dosi dei rapporti tra le creature ed il Creatore , un di
quei diritti naturali che lo Stato non può conculcare ».
Ma non ottiene lo scopo; perchè, togliendo alla Chiesa
questo attributo, le toglie anche il principale, il più pre-
zioso dei diritti dei cittadini : ed aggiunge lo sproposito
di credere che vi possano essere diritti naturali che lo
Stato possa conculcare.
8.° Insegna che la formola della separazione dello
Stato dalla Chiesa « significa la libertà concessa alla Chiesa
e quindi può intendersi quale l'equivalente della celebre
formola cavouriana della libera Chiesa in libero Stato ».
Questa erronea dottrina suppone che sia in potere dello
Stato il concedere o il negare la libertà alla Chiesa fa-
cendo così la Chiesa schiava dello Stato, e che la Chiesa
cattolica, la quale comprende tutto il mondo , sia nello
Stato e non già lo Stato nella Chiesa. « Come! direbbe qui
l'invitto Clemente Droste di Vischering, Arcivescovo di Co-
lonia , come ! la Chiesa cattolica nello Stato?... ella che
nello spazio non riconosce altri limiti che quelli dell'uni-
verso: ella che nel tempo non ammette altri termini che
quelli della durazione del mondo : ella che venne desti-
nata e chiamata a ricevere ed abbracciare come una te-
nera madre abbraccia i suoi figliuoli , tutti gli uomini
Principi e sudditi, e tutti i popoli della terra : ella che
ebbe missione di benedire e santificare egualmente tutti
gli uomini, e tutte le loro istituzioni sociali grandi e pic-
cole che siano: ella questa Chiesa cattolica è una società
— 65 —
nello Stato ? Ella che contro la volontà dei Principi , ed
in aperta contraddizione colle loro leggi politiche, ma al
comando di colui, a cui venne dato ogni potere in cielo e
in terra, e da cui riconosce la sua edificazione , si pro-
pagò per tutto il mondo ; questa Chiesa cattolica è una
società nello Stato ? forse in quegli Stati , i quali come
prima cominciarono ad essere, la Chiesa contava già più
secoli di vita e menava per ogni dove nuovi frutti? » (l).
9.0 Insegna esservi quattro motivi che giustificano lo
Stato a vincolare la libertà della Chiesa, cioè « la pub-
blica moralità, 1' ordine pubblico, la concessione della per-
sonalità giuridica , la distribuzione della pubblica ric-
chezza ».
Qui il Castagnola non solo attribuisce allo Stato il
supremo giudizio sulla moralità, il quale è di competenza
esclusiva della Chiesa, ma con estrema impudenza sup-
pone che la Chiesa possa, come le sette, insegnare er-
rori contro la pubblica morale. E così mentre viene ad
attribuire allo Stato una reale infallibilità, e lo fa effetti-
vamente principio e fonte della moralità, della giustizia
e d'ogni diritto , non distingue poi la vera Chiesa dalle
sette e induce a credere che anche la Chiesa possa nuo-
cere alla pubblica morale , all' ordine pubblico. Non è
quindi maraviglia se anche a pregiudizio della Chiesa at-
tribuisce solo allo Stato la facoltà di concedere la per-
sonalità giuridica agli enti morali , facoltà tutta propria
delle società perfette, cioè della Chiesa e dello Stato; per-
chè come lo Stato crea le persone morali civili , così la
Chiesa crea le persone morali ecclesiastiche , e lo Stato
(1) Della pace tra la Chiesa e gli Stati cap. r
— 66 —
deve ammettere tutte le persone morali ecclesiastiche , po-
tendo solo, mediante un concordato, ottenere limitazioni o
nel loro numero in dato luogo o ne' diritti loro ad ac-
quistar beni. Cessando la persona morale di fatto o di diritto,
i suoi beni son devoluti alla società perfetta, da cui fu creata,
cioè alla Chiesa o allo Stato, secondo che la persona mo-
rale, di cui si tratta, è ecclesiastica o civile. Ecco come il
Castagnola descrive il potere che attribuisce allo Stato,
quanto al concedere la personalità giuridica. « La perso-
nalità giuridica, egli dice, si esplica nei rapporti delle tem-
poralità, le quali indubbiamente sono soggette al dominio
della laica autorità. Mentre le persone fisiche e reali sono
create dall'onnipotenza di Dio, le persone fittizie e morali,
che quasi enti viventi vengono a formare parte della civile
famiglia, non possono essere create- se non col consenso
di chi ha il governo di questa famiglia, di colui, che ne
ha la rappresentanza e il sommo impero. Sta nei suoi
attributi lo esaminare se l'ente o l'associazione religiosa
presenti tali vantaggi alla civile società da dover essere
riconosciuto qual persona o corpo morale: sta eziandio
nelle sue facoltà il ponderare se per le mutate circostanze,
per le sopravvenute vicissitudini quello istituto religioso,
che si era per lo innanzi riputato utile e forse anche ne-
cessario, non abbia cessato dall'essere tale, non sia forse
anche diventato dannoso, e quindi non debba ritirarsi la
concessione della personalità giuridica, pronunciare la sop-
pressione dell'ente, colpirlo in sostanza d'una morte ci-
vile » (l) Tuttavia si osservi scrupolosa precisione e gene-
rosità del Castagnola. « Ma si badi bene, ivi soggiunge,
(l) S. Castag. op. cit. p. 62.
-67 -
il legislatore civile non può agire oltre la sfera della sua
giurisdizione: l'istituto religioso, che da lui non dipende,
continua ad esistere nei suoi rapporti colla Chiesa. Del-
l'applicazione di questa distinzione ce ne offre un esempio
l'art. 1° della legge 7 luglio 1866. Il legislatore italiano
non sopprime già gli ordini, le corporazioni e le congre-
gazioni religiose , ma si limita a dire che non li rico-
nosce più nello Stato : egli sopprime invece la casa e
gli stabilimenti che ai medesimi si appartengono ». È co-
me se un assassino strozzando un onest'uomo, per torgli
quanto egli ha, al danno aggiungesse lo scherno dicendo:
Niente importa se io ti strozzo e ti tolgo ciò che ti è neces-
sario a vivere, perchè sei libero tu quanto vuoi, e libero
è chi ti diede la vita a credere che tu la conservi ancora:
l' impedir ciò non dipende da me. Pare che costoro non
vogliano affatto spenti gli istituti religiosi, forse perchè
vedon bene che quanto più mancano i conventi e i mona-
steri, tanto più crescono le carceri e gli ergastoli, e forse
anche perchè rimane loro la speranza di poter, fabbri-
cando nuove leggi, dilapidar nuovi beni.
Quel che poi sembra stare più a cuore al Castagnola
è la distribuzione della pubblica ricchezza, ed egli che
avea chiamate selvagge le dottrine che tendono a distrug-
gere la proprietà, (l) ora professa queste stesse dottrine
non riconoscendo il diritto di proprietà nella Chiesa.
Alla quale esorbitanza si studiò spianarsi la via negando
il carattere di pubblico potere e la personalità giuridica
alla più perfetta società; laddove alla Chiesa nella pro-
pria sfera d'azione, anche con maggior ragione che allo
(1) Ivi p. 17.
— 68 —
Stato, compete il diritto di concedere la personalità giu-
ridica alle omogenee società minori.
IO. Ai proprii aggiunge gli errori altrui, citando, co-
m'egli stesso asserisce, con predilezione quanto sul Sil-
labo, sull' infallibilità del Pontefice e sul governo della
Chiesa afferma Marco Minghetti, secondo il quale « la Chiesa
cattolica , che un tempo capitanava la scienza e la so-
cietà, s'è a poco a poco allontanata da essa e ha finito
coll'osteggiarle entrambe (l) ». Ma quanto di vera scienza
sieno vuoti questi signori, che di scienza parlano sempre,
il danno a vedere essi medesimi, allorché con tuono ma-
gistrale o pronunziano giudizio sul Sillabo, senza sapere
che cosa si contiene, o negano al Pontefice e alla Chiesa la
infallibilità, che col fatto non dubitano poi attribuire ad
un corpo politico, quale è il Parlamento: sentenziano sul
governo e sugli atti della Chiesa, senza conoscerne la
natura, la costituzione, il fine e la storia anche contem-
poranea. Qui facciamo solo osservare che, se la Chiesa,
allontanandosi dalla scienza e dalia civil società, finì per
osteggiarle entrambe, quanto ora le osteggi, si dovrà co-
noscere dal suo Capo, perchè gli atti e il governo di una
società si riconoscono principalmente dagli atti del Capo;
tanto più che la Chiesa, al dir del Minghetti, sul Capo
accentrò la somma di ogni cosa, spogliando di vita tutte
le sue membra. Ora quanto il Capo della Chiesa osteggi
la scienza e la civil società il può indicare, quantunque
abbia ben altro intendimento, Ruggiero Bonghi citato dal
Castagnola e autore a lui non sospetto, il quale nel re-
gnante Leone XIII riconosce un « dotto uomo » (2) uno
(1) S. Castag. op. cit. p. 71.
(2) Leone XIII e l'Italia p. 4.
-6g-
« scrittore, che l'alto ingegno rende degno di riverenza
insieme e di esame (l): colto egli stesso e desideroso di
coltura intorno a sé » (2): il quale « sente tutto il valore
morale dei progressi della scienza, sicché gli esalta con
calore di animo (3): discorre della scienza più fieramente
ch'essa stessa non farebbe di sé (4) : schivo d' ogni vol-
garità, così nel pensiero preciso come nello stile franco (5).
Il suo sentimento religioso è virile: ritrae da quello di
Leone I. Si contenta anch'esso di avere ad oggetto suo,
Dio , Cristo , la Santa Chiesa , i religiosi doveri , le spe-
ranze immortali del cristiano. Le dottrine della Chiesa
stanno tutte fisse nello spirito dello scrittore, e non ne
abbandona un ette: ma tenendosi pure strettissimo a quelle,
mostra avere della scienza e dei progressi civili un con-
cetto largo ed una convinzione profonda. Se congiugne
con questa un'opinione così triste della qualità dei tempi,
in cui egli vive, si deve non a ciò ch'egli sprezzi o sco-
nosca ciò ch'essi hanno di buono, ma alla lotta che vi
vede imperversare contro la Chiesa (6) ». E se dagli atti
del Pontefice « noi risaliamo alle sue dottrine sulla natura
dei governi, e sulle loro relazioni colla Chiesa, esse, per
vero dire, paiono così ragionevoli, come quelli son savi
e discreti » (7).
il. Travisa col Macaulay l'insegnamento dei sani ca-
(1) Ivi p. 40.
(2) Ivi p. 82.
(3) Ivi p. 87-
(4) Ivi p. 48.
(5) Ivi p. 63.
(6) Ivi p. 62 e 63.
(7) Ivi p. 73.
- 70 —
nonisti in modo da indurre a credere che l'esigere dallo
Stato cristiano leggi ed atti informati alla morale e alla Re-
ligione cristiana valga quanto pretendere che il fine proprio
ed immediato dello Stato sia il promuovere non il bene
temporale, ma lo spirituale, e che i rappresentanti dello
Stato debbano essere quasi altrettanti missionarii (l).
12. Dice che « né per la commistione delle diverse
confessioni si è in qualche modo affievolita la moralità e
il vigore di quegli Stati, che a dette confessioni accordano
ricetto e protezione ».
Quanto ciò sia falso si prova bene dalle ultime notizie
statistiche del Regno, ove, dacché fu introdotta la com-
mistione delle diverse confessioni, crebbero a dismisura i
delitti, sicché ora le carceri non son più capaci di chiu-
dere i rei, e aumentò in modo spaventoso la corrutela
dei costumi specialmente tra i giovani anche arrolati nel-
l'esercito (2).
13. Dice inoltre che fecesi un altro passo decisivo, ri-
conoscendosi come la libertà di coscienza è la prima tra le
franchigie costituzionali, ed è sacra anche quando non presta
fede ad alcuna forma di Religione (cioè anche quando è
atea), ed anzi si finì col riguardare la Religione come cosa
spettante piuttosto al privato che al pubblico diritto.
Egli italiano parlando ad Italiani e di cose italiane non
adduce ad esempio la vigente Costituzione italiana; perchè
non solamente questa non prova essere la libertà di co-
scienza la prima tra le franchigie costituzionali, e ciò an-
che quando non presta fede ad alcuna forma di Religione,
(1) Ivi p. 73.
(2) Relazione sul bilancio dell'interno del 1883.
— 71 —
ma prova tutto il contrario, essere cioè la Religione cat-
tolica, apostolica e romana la sola Religione dello Stato,
e i culti esistenti, quando fu pubblicata la Costituzione,
essere stati soltanto tollerati conformemente alla legge (l).
Adduce invece ad esempio la Costituzione degli Stati Uniti
di America del 17 Settembre 1787 , come pure la Co-
stituzione prussiana del 31 Gennaio 1850.
Ma la Costituzione degli Stati Uniti è un'eccezione che
niente prova, o al più prova soltanto ciò che i cattolici
altresì difendono, che cioè ad evitare mali maggiori, e
l'oppressione dei governi sotto il manto specioso di pro-
tezione, è talvolta la libertà di coscienza un meglio re-
lativo, 0, più accuratamente parlando, un minor male. Gli
Stati Uniti si formarono da colonie inglesi, che riconosce-
vano prima il Sovrano anche come capo religioso, e po-
scia emancipatesi dalla madre patria acquistarono colla
politica anche la religiosa indipendenza: né essendosi po-
tuto far loro rinunziare alle proprie convinzioni religiose,
per formare un unico corpo, la Convenzione Americana
sancì il fatto della piena libertà dei culti. La Costituzione
prussiana è remota conseguenza del trattato di "Westfalia,
in cui la causa cattolica fu tradita in guisa da render
vana l'opera del Concilio Tridentino, che, non ostante
l'Interim del 1548 e il trattato del 1555, avea fulminato
il Protestantesimo.
L'aggiunger poi che si finì col riguardare la Religione
come cosa spettante piuttosto al privato che al pubblico
diritto, indica che il Castagnola non considera la Costitu-
zione come base e fondamento delle leggi, e anzi non ne
(1) Con regio decreto del 17 febbraio 1848 i Valdesi furono am-
messi a godere tutti i diritti civili e politici.
fa conto veruno, perchè altrimenti saprebbe che secondo
l'articolo primo dello Statuto la Religione evidentemente
spetta al diritto pubblico.
14. Benché altrove protesti a parole che lo Stato non
deve essere ateo, pure qui lo vuole ateo di fatto; perchè
circa la protezione delle persone e delle proprietà, circa
la decisione delle quistioni che insorgono fra i cittadini,
circa la soddisfazione a quei bisogni, ai quali non pos-
sono sopperire le forze individuali, specialmente mediante
l'esecuzione dei grandiosi lavori pubblici e l'organamento
delle pubbliche amministrazioni, quali sono le poste e i
telegrafi, circa queste ed altre simili materie afferma che
« tutti i cittadini di uno Stato sono interessati senza vermi
rapporto all'Essere supremo ed alla vita futura ».
Come se i cittadini l'interesse rapporto all'Essere supre-
mo e alla vita futura dovessero avere solo circa le azioni
private, e non anche e massimamente circa le azioni pub-
bliche, le quali sulle private esercitano sì generale influenza.
Secondo questa erronea dottrina, non tutte le azioni umane
devono esser regolate dalle norme della sana morale, anzi
è permesso da tali norme esimere quelle azioni, che possono
avere più rovinose conseguenze circa la prosperità del po-
polo.
15. Sostiene che la coazione non è assolutamente ap-
plicabile in tema di Religione. Il che è falsissimo; perchè
la Chiesa, come società perfetta, in cui si attua la Reli-
gione, deve poter costringere, anche colla forza esterna,
i suoi membri contumaci, che ricusano di obbedire e re-
sistono a suoi ordini: altrimenti sarebbe inefficace ed il-
lusorio il suo potere legislativo e giudiziale. La Chiesa
non volle mai, né, volendo, potrebbe usare la forza per
— 73 —
costringere le coscienze. Altri può nella mente sua non cre-
dere a Dio, senza esser molestato dalla Chiesa, ma se egli
si manifesta ateo, cioè se egli corrotto, colla scusa di non
credere a Dio , pretende corrompere la gente, dev'esser
punito dalla Chiesa: la quale anche in ciò si mostra assai
più logica dei governi di quegli Stati che lasciano impunito,
anzi onorano chi negli Atenei fa pubblica professione di
ateismo, e poi castigano quegli infelici che così ingannati ru-
bano e commettono altri delitti, perchè non credono a Dio.
E quando il Castagnola con tanta commozione ci parla
dei roghi e delle carceri del Sant' Officio, delle proscrizioni,
degli esigli e delle ecatombe comandate dai Principi cat-
tolici, crede forse di fondare su qualche prova i suoi er-
rori? Se conoscesse la storia, saprebbe distinguere il San-
t'Officio della Romana Inquisizione da quello della Inqui-
sizione Spagnuola; saprebbe quanti segnalati benefizi ap-
portasse agli Stati cristiani il Tribunale Romano; saprebbe
di quanto soprastava a tutti i Tribunali di Europa, circa
la procedura, circa l'efficacia e la mitezza delle pene; sa-
prebbe come dalla pratica del Sant' Officio di Roma po-
trebbero imparare anche i moderni professori di diritto
penale, e che, se il Tribunale Spagnuolo tralignò dalla sua
prima istituzione, tralignò per opera dei Principi secolari,
e quando non v'era appunto il desiderabile accordo tra
Chiesa e Stato, sicché Leone X scomunicò nel 1519 fri-
sino gli Inquisitori di Toledo con gran dispetto di Carlo V (l);
e più tardi quando si tentò introdurre nel Regno di Na-
poli l'Inquisizione, com'era in Ispagna, vediamo i Napole-
tani ricorrere a Papa Paolo III, perchè voglia proteg-
(1) Rohrbacher, Storia universale della Chiesa cattolica voi. II, lib. 83.
— 74 —
gerii, fermi di non ammettere altra forma di giudicio che
il consueto ed antico della Chiesa (l).
lo. Sapendo d'aver contrario al suo sistema quel forte
intelletto di sant' Agostino (2) , per aver detto che i Re,
secondo vien loro imposto dall'alto, servono a Dio co-
mandando e proibendo non solo quei beni e quei mali,
che appartengono alla società umana, ma eziandio alla
Religione, conchiude che quell'anima illibata e compassio-
nevole scrisse ciò in momento di pensieri distratti e an-
nebbiati. Ma per se stesso il santo Dottore dalla sciocca
accusa si vendica chiamando dissennati coloro, che ai Re
consigliano di non curare nel loro regno da chi sia ab-
bracciata, da chi sia impugnata la Chiesa, e contenersi in
modo che non debba loro importare chi nel regno voglia
essere religioso o sacrilego (3).
17. Riconosce essere gran danno d'uno Stato la man-
canza d'unità nella Religione, ma l'unità prodotta dalla
violenza dice esser danno infinitamente maggiore, ed anzi
visibile ingiustizia e tirannide. Quasi debba dirsi violenza
il legittimo e necessario esercizio del potere coattivo d'una
società, e non sia invece manifesta ingiustizia e odiosa ti-
(1) Cf. Istoria del Concilio di Trento del Card. Sforza Pallavicino,
lib. X, cap. I.
(2) Il sa non dalle Opere di sant' Agostino, ma dalla Teorica della Re-
ligione e dello Stato di Terenzio Mamiani.
(3) Postea quam coepit impleri quod scriptum est: Et adorahint eum
omnes Reges terrae, omnes gentes servient UH; quis mente sobrius Regibus
dicati Nolite curare in regno vestro a quo teneatur vel a quo oppugnetur
Ecclesia Domini vestri: non ad vos pertineat in regno vestro quis velit esse
sive religiosus sive sacrilegus. S. Augustinus, Epist. 185 al. 50 ad Bonif.
Com. n. 20.
rannide il pretendere d'escludere dai pubblici atti e dagli
uffizi dello Stato quella Religione che, fatta eccezione di
pochi, regna nelle singole coscienze.
18. Erra da ultimo quando attribuisce l'origine del
regio placito e dell'appello per abuso alla diffidenza, che
gli Stati cristiani aveano della Corte Romana, la quale
non solamente imperava alle coscienze, ma, come civile
potestà, armava galee, levava eserciti, stringeva alleanze
e dichiarava la guerra (l).
Di regio placito non si ha esempio prima di Papa
Urbano VI, il quale, durante lo scisma, per evitar che si
confondessero le sue Bolle con quelle dell'antipapa Cle-
mente VII, concesse ai Vescovi che non si promulgassero,
né si eseguissero le Bolle pontificie, se prima non fossero
loro presentate: la qual concessione da principio arrogan-
dosi tacitamente i Principi, tentarono poi d'elevarla a teo-
rica di diritto. Ma sempre rivendicarono i Papi la libertà
del lor ministero fondata sul diritto naturale e divino, re-
clamando contro le vessazioni dello Stato, che in tal modo
s'attribuiva il diritto d'impedire l'azione della Chiesa, con-
tro la istituzione di Cristo. Questo intollerabile aggravio
introdotto tra noi per l'editto del 17 19 condannato tosto
da Papa Clemente XI (2), pareva dovesse cessare affatto
dopo la famosa legge delle guarentigie, per cui la pub-
blicazione degli atti dell'Autorità ecclesiastica non avrebbe
dovuto esser più soggetta al vincolo del regio placito (3):
(1) S. Castag. op. cit. p. 80.
(2) Breve Apostolaius 1719.
(3) « Sono aboliti Y Exequatur e il Placet regio ed ogni altra forma
di assenso governativo per la pubblicazione ed esecuzione degli atti
delle autorità ecclesiastiche ». Legge del 13 Maggio 1871, art. 15.
— 76 —
ma per contrario in virtù di reale decreto si estese e si
fece notabilmente più rigido (l).
L'appello per abuso trae origine dalla prammatica san-
zione di Carlo VII scritta nell'assemblea di Bourges ed
informata ai principii scismatici del Concilio di Basilea
degenerato in conciliabolo, colla quale si pretendeva metter
freno alle riserve dei benefici conferiti dal Sommo Ponte-
fice, ai giudizii devoluti alla Santa Sede, e alle tasse che
perciò si riscotevano a favore dell'erario papale. Questo
appello, che implica evidentemente superiorità dello Stato
sulla Chiesa, essendo l'appello un richiamo da un giudice
inferiore al superiore, fu sempre condannato dacché co-
minciò fino a questi ultimi tempi, da Sisto IV fino a Pio IX,
che, condannando gli errori di Nepomuceno Nuytz, con-
dannava anche l'appello per abuso.
(1) Decreto 25 Giugno 1871, n. 1529.
77
PARTE SECONDA
CONSEGUENZE GIURIDICHE
DELLA SEPARAZIONE DELLO STATO DALLA CHIESA
In questa parte trattasi prima dell'organamento e della
gerarchia della Chiesa e poi dei rapporti giuridici della
Chiesa collo Stato.
I.
DELLA GERARCHIA DELLA CHIESA.
La Chiesa , istituita perchè gli uomini in essa e per
essa potessero conseguire la eterna felicità, ebbe dal suo
Divin Fondatore la potestà a raggiungere questo fine ne-
cessaria, cioè la sacra gerarchia, la quale consta di Ve-
scovi, Preti e Ministri, come definisce il Concilio di Tren-
to (l), e si distingue in gerarchia d'ordine e di giurisdi-
zione.
La gerarchia d' ordine riguarda il ministero sacro , i
beni spirituali che si devono conferire al popolo cristiano
e in ispecial modo i Sacramenti. La gerarchia d' ordine
(l) Sess. XXIII cap. IV, can. VI.
— 78 —
è uno e medesimo ordine , è uno e medesimo potere in
tutti i Vescovi. È uno e medesimo ordine , perchè f or-
dine, quantunque consti di più gradi, pure è uno e me-
desimo Sacramento. E uno e medesimo potere in tutti i
Vescovi, perchè né i Metropolitani, né i Primati, né i Pa-
triarchi Vescovi, né lo stesso Sommo Pontefice, hanno un
ordine distinto dall' Episcopato. Riguardo a quelle cose
che sono proprie dell'ordine, nel Vescovo sta la pienezza
del potere, il quale è dato da Dio stesso immediatamente,
senza interposta persona, per mezzo dell'ordinazione; per-
chè , quantunque si formino i Sacramenti col ministero
dell'uomo, pure la loro virtù ed efficacia procede da Dio
stesso : e perciò, quando è conferito l'Ordine, secondo il
rito, da chi ne ha il potere, niente osta al valore del Sa-
cramento. Onde a colui che ricevette il potere d'ordine ,
si potrà certo impedire dal Superiore 1' uso legittimo di
questo potere , ma non se gliene potrà impedire né to-
gliere , né diminuire 1' efficacia e il valore. Così un Ve-
scovo scomunicato, eretico, scismatico, se conferisce, se-
condo il rito prescritto, l'Ordine o la Confermazione, pecca
sì gravemente, ma l'ordinazione e la confermazione è valida.
La gerarchia d' ordine consta di sette gradi , o sette
ordini sacramentali, che sono l'Ostiariato, il Lettorato, l'E-
sorcistato, l'Accolitato, il Suddiaconato, il Diaconato e il Sa-
cerdozio. Al Sacerdozio si riduce il Presbiterato e l'Epi-
scopato, del quale si disputa tra i cattolici se sia un grado
specificamente distinto dal Presbiterato, o ne sia solo un'e-
stensione.
Il Concilio di Trento (ì) definì che l'Episcopato, il Pre-
sbiterato e il Diaconato sono di istituzione divina.
(l) Loc. cit.
— 79 —
Dei Ministri si distinguono due specie, i maggiori, e i
minori. I Ministri maggiori sono il diacono e il suddia-
cono, i quali si dicono maggiori, perchè circa il santo sa-
crificio della Messa spettano loro maggiori uffizii che non
ispettano ai Ministri inferiori. I diaconi furono creati da-
gli Apostoli, ma per mandato di Gesù Cristo. Gesù Cristo
istituì 1' ordine del Diaconato, e gli Apostoli ordinarono i
primi sette diaconi (l). I suddiaconi son dati in aiuto ai
diaconi nel sacro ministero.
Anticamente nella Chiesa greca e latina il Suddiaco-
nato si annoverava tra gli ordini minori.
La Chiesa greca conservò f antica consuetudine, rite-
nendo anche al presente il Suddiaconato tra gli ordini
minori.
Ma la Chiesa latina nel secolo undecimo sotto Papa
Urbano II annoverò quest' ordine tra i maggiori. Circa
l'origine e la istituzione degli ordini minori disputano i
canonisti. Alcuni li fanno risalire ai primi tempi degli A-
postoli, altri invece a tempi posteriori. Tuttavia il sacro-
santo Concilio di Trento (2) insegna che i nomi e i mi-
nisteri proprii di ciascun di questi ordini minori erano in
uso dagli stessi primordii della Chiesa, benché non defi-
nisca in qual tempo siano stati instituiti : e il Sommo Pon-
tefice san Cornelio alla metà del terzo secolo fece distinta
menzione di tutti i quattro ordini minori (3). Ciò premesso,
vuoisi osservare che da principio gli Apostoli iniziarono
sette uomini pieni di Spirito Santo e di sapienza nel Dia-
(1) Act. Apost. cap. VI.
(2) Sess. XXIII, cap. II de Ordine.
(3) Epist. IX ad Fabium Antiochenum.
— So —
conato, che comprende i poteri e gli ufficii del Suddiaco-
nato e degli ordini minori : ma , secondo V opinione più
probabile de canonisti, in processo di tempo , poiché non
poteano i diaconi compier da se tutti quegli ufficii, la
Chiesa smembrando dal Diaconato i diversi ordini gli at-
tribuì a distinte persone.
La gerarchia o potestà di giurisdizione è riposta nel
reggere e governare i sudditi: sicché dovendo consistere
tutta in questo regime e governo, non può aversi, se non
vi siano sudditi da reggere e governare.
La giurisdizione non è una e medesima in tutti; per-
chè dipendendo essa dal comando , che si ha nei sudditi
e non essendo in tutti uno e medesimo questo comando,
ne segue che non sia una e medesima in tutti la giuris-
dizione , ma che abbia gradi diversi. Così altra è la giu-
risdizione del Vescovo , che comanda ad una diocesi, al-
tra la giurisdizione del Metropolitano , che comanda ad
una provincia, altra la giurisdizione del Sommo Pontefice,
che comanda a tutta la cristianità, e che, secondo la isti-
tuzione divina, è come il capo e il centro , per cui sono
unite tutte le altre membra della Chiesa.
Il potere di giurisdizione non è collegato in modo col
potere d'ordine che non si possa separare da esso ; per-
chè, quantunque Gesù Cristo abbia istituito l'Episcopato
pel governo della Chiesa, pure da ciò non si può inferire
che chiunque abbia ricevuto l'ordinazione episcopale, per
ciò stesso possa esercitare Y ufficio di governare. Così, per
esempio, un eretico ordinato da un eretico, uno scismatico
ordinato da uno scismatico, se fu osservato tutto ciò che
è essenziale nell'ordinazione, ha bensì il potere di ordine,
ma non ha il potere di giurisdizione, perchè non ha sud-
— 81 —
diti da governare. In questa condizione si trovano il Ve-
scovo di Utrech e gli altri Vescovi giansenisti di Olanda,
i quali benché insigniti del potere d' ordine, avendo rice-
vuto validamente 1' ordinazione, non hanno tuttavia giuris-
dizione alcuna, perchè non ebbero la missione canonica.
Ed è sì vero non potersi da alcuno esercitare la giu-
risdizione per mezzo della semplice ordinazione , se egli
non ha anche la legittima missione, che ciò confessano e-
ziandio coloro , i quali insegnano venire immediatamente
da Dio il potere episcopale anche di giurisdizione ; per-
chè dato pure che i Vescovi abbiano da Gesù Cristo im-
mediatamente la loro giurisdizione, non hanno tuttavia da
lui immediatamente un particolare territorio , una parti-
colare diocesi , giacché la divisione delle diocesi fu fatta
dalla Chiesa col volger del tempo, né si potè fare, né si
potè perpetuare, se non col consenso del capo, in cui è
il centro della cattolica unità.
Perchè i Vescovi abbiano il potere d'ordine e di giu-
risdizione, devono avere e l'ordinazione e la legittima mis-
sione, per cui sieno loro assegnati determinati sudditi, nò
quali possano esercitare il comando. Questa assegnazione
di sudditi si dee fare da colui , al quale son soggetti i
Vescovi, e il cui potere si estende su tutta la cristianità,
cioè dal Sommo Pontefice capo e principe della Chiesa ,
il quale nella persona di san Pietro ricevette immediata-
mente da Gesù Cristo il potere su tutto il mondo. Onde
la missione ossia l'assegnazione dei sudditi da governare
dee farsi ai Vescovi dal Sommo Pontefice o almeno col
consenso e coli' approvazione di lui. Così tutti i Vescovi
conseguono il potere di giurisdizione (l).
(l) Cf. Istoria del Concilio di Trento del Card. Sforza Pallavicini.
6
— 82 —
La divisione della Chiesa in diocesi , provinole , na-
zioni o primazie, patriarcati adombrata dagli Apostoli fu
compiuta e stabilita definitivamente dalla Chiesa per mezzo
dei Sommi Pontefici.
Questo organamento esterno ha il proprio fondamento
sulla costituzione data alla Chiesa da Gesù Cristo e sulla
natura del potere da lui conferito a san Pietro e agli al-
tri Apostoli.
Circa ad alcuni singolari carismi e speciali doni sopran-
naturali dati agli Apostoli, per esempio, dei miracoli, delle
profezie, delle lingue e della impeccabilità, essi erano dati
da Cristo a tutti gli Apostoli indistintamente, perchè po-
tessero con questi provare la loro missione e la divina
istituzione della Chiesa.
Quanto al potere di ordine , Gesù Cristo lo diede u-
guale assolutamente a tutti gli Apostoli, sicché anche san
Pietro in questo non avea distinzione alcuna dagli altri.
Ma quanto al potere di giurisdizione, Gesù Cristo con-
ferì il primato a san Pietro su tutta la Chiesa, primato non
di solo onore, ma di vera giurisdizione, in virtù del quale
non pure tutti i fedeli e i Preti e i Vescovi ordinati da-
gli Apostoli erano soggetti a san Pietro, ma anche gli stessi
Apostoli gli eran soggetti nell'uso del loro potere. E que-
sto primato conferito a san Pietro, pel buon governo di
tutta la Chiesa, non era una prerogativa personale , che
dovesse cessare colla morte del Principe degli Apostoli ,
ma era privilegio che dovea trasmettersi a suoi succes-
sori, ai Sommi Pontefici.
lib. 18, cap. 15, ove si riferisce il famoso ragionamento di Diego Lai-
nez intorno all' instiluzion dei Vescovi.
— 83 -
Gesù Cristo inoltre ai dodici Apostoli eh' egli elesse
per comunicar loro la^sua missione, diede il doppio uf-
fizio dell'apostolato e dell' episcopato, e in ordine a que-
sto doppio uffizio diede loro anche un doppio potere che
può chiamarsi potere di Apostolato e potere di Episcopato.
Il potere di Apostolato consiste nella potestà che gli
Apostoli ricevettero di predicare e propagare il Vangelo,
di ammaestrare infallibilmente tutte le genti e a viva voce
e con iscritti canonici, di fondar chiese particolari, di co-
stituirvi Vescovi , di prescrivere comandi e leggi ai Ve-
scovi così da loro costituiti e ai loro sudditi, in breve di
far tutte quelle cose che, per parte dell'ordine o per parte
della giurisdizione, fossero necessarie allo stabilimento della
Chiesa universale, salvo sempre il primato di san Pietro,
a cui erano soggetti nell'uso del loro potere.
Il potere dell'Episcopato consiste invece nella potestà
che gli Apostoli ricevettero di predicare, dì far leggi, di
amministrare Sacramenti per sé e per mezzo di altri pa-
stori, di far cioè tutte quelle cose, sia in virtù dell'ordine,
sia in virtù della giurisdizione , eh' erano necessarie per
fondare e governare questa o quella Chiesa particolare.
Quindi gli Apostoli fondando le Chiese particolari, per
esempio, san Pietro la Chiesa Antiochena e poi la Chiesa
Romana, san Giacomo la Gerosolimitana, san Giovanni varie
Chiese in Asia, e così altri Apostoli altre Chiese, tutti con-
correvano sotto un solo capo a stabilire la Chiesa uni-
versale. Questo doppio potere in ragione del doppio uf-
fizio di Apostolato e di Episcopato fu dato agli Apostoli
da Gesù Cristo. Il potere conferito in ragione dell' Apo-
stolato era eguale in tutti gli Apostoli , ma conferito in
modo ineguale. Era in tutti eguale, perchè un tal potere
-84-
era necessario in tutti , per istabilir la Chiesa in tutto il
mondo: era conferito in modo ineguale; perchè a san Pie-
tro era conferito come a Pastore ordinario, a tutti gli al-
tri Apostoli, come a Pastori straordinari.
Perciò in san Pietro anche il potere di Apostolato era
ordinario, e come tale da lui dovea passare nei successori:
negli altri Apostoli invece era straordinario e quindi non
potea passare nei successori.
Il potere poi conferito in ragione dell'Episcopato era
e ineguale e conferito in modo ineguale. Era ineguale ,
perchè il potere di governo in san Pietro si estendeva a
tutte affatto le Chiese particolari in ragione del primato :
negli altri Apostoli invece si estendeva solo a quelle Chiese
eh' essi fondavano. Era poi anche conferito in modo ine-
guale ; perchè questo potere in san Pietro si protendeva
sopra gli altri Apostoli in ragione pure del primato: ma
negli altri Apostoli non si protendeva sopra san Pietro. Sic-
come poi gli Apostoli in virtù del potere di Apostolato
potevano fondar Chiese particolari e costituirvi Vescovi, e
ai Vescovi in tal modo costituiti dar precetti e leggi e fa-
coltà di costituire nuovi Vescovi per le città, secondo che
il richiedeva il bisogno (l) ; così i nuovi Vescovi conse-
crati erano quanto alla giurisdizione dipendenti dai Ve-
scovi consecratori, loro ubbidivano immediatamente, come
ora i Suffraganei ubbidiscono in alcune cose ai Metropo-
litani, e i Vescovi consecratori ubbidivano immediatamente
agli Apostoli , come ora i Metropolitani ai Primati o ai
Patriarchi, in ciò che è indicato dal diritto, e tutti poi an-
(l) Epist. ad Tit. Ivo. Huius rei gratta réliqui te Cretae, ut con-
stituas per civitates presbyteros, sicut et ego disposili Ubi.
— 85 -
che gli Apostoli erano soggetti a san Pietro come a capo
di tutta la Chiesa.
Così la divisione in diocesi, provinole, nazioni, patriar-
cati si stabilì , come già fu detto , definitivamente nella
Chiesa: sicché anche la gerarchia di giurisdizione si può
distinguere in sette gradi cioè : 1° la Prelatura inferiore
al Vescovato : 2° il Vescovato: 3° l'Arcivescovato : 40 la Pri-
mazia : 5° il Patriarcato : 6° il Cardinalato : 7° il Papato.
Ora prescindendo dai privilegi particolari, che furono
conferiti agli Apostoli personalmente, e che doveano ces-
sare colla loro morte, il potere conferito a san Pietro gli
fu conferito immediatamente da Gesù Cristo in tutta la
sua pienezza, e nella persona di san Pietro tal potere fu
conferito a'suoi successori i Romani Pontefici, i quali per-
ciò non hanno la potestà loro dalla Chiesa o dai canoni,
come pretendono i Giansenisti, ma da Gesù Cristo stesso:
e quantunque non abbiano sempre esercitati tutti i loro
diritti , secondo la diversità dei tempi , dei luoghi , delle
persone e delle altre circostanze , pure potevano sempre
esercitarli, e dopo aver lasciato esercitarne dai Metropo-
litani e dai Concilii provincfali, poscia gli avocarono di nuovo
a sé e li rivendicarono, secondo il bisogno della Chiesa ,
come si legge aver fatto san Siricio, sant'Innocenzo I, san
Zosimo ed altri Sommi Pontefici, i quali stabilivano i con-
fini delle provincie , determinavano i diritti dei Metropo-
litani e confermavano 0 rescindevano le elezioni dei Ve-
scovi, annullavano i giudizii pronunziati ed altri atti dei
Metropolitani e dei Concilii provinciali : dei quali esempi
è piena la storia ecclesiastica. Anche i Padri di Basilea ,
quando quel Concilio era ancora legittimo, dichiararono
com' essi confessavano e credevano, che il Romano Ponte-
— 86 —
fice fosse chiamato da Gesù Cristo nella pienezza del po-
tere, e gli altri Vescovi fossero chiamati in parte della sol-
lecitudine di questo potere.
Al Papa fu data immediatamente da Gesù Cristo a go-
vernare tutta la Chiesa: ai Patriarchi son date per mezzo
del Papa a governar più nazioni o primazie , ai Primati
più provincie o metropoli, ai Metropolitani più diocesi o
vescovati, al Vescovo una diocesi. Il governo, che i Pre-
lati inferiori al Papa hanno nella Chiesa, è diverso , se-
condo i diversi gradi di giurisdizione , e secondo i limiti
indicati dai canoni o dal Sommo Pontefice.
Ma siccome dalle Chiese particolari si ha la Chiesa cat-
tolica o universale, e la Chiesa universale non può aversi,
se non si congiungono insieme tutte le Chiese particolari,
e queste non si possono congiungere , se non hanno un
centro comune ossia una Chiesa principale, che è la Ro-
mana ; così i Vescovi delle singole diocesi devono esser
congiunti coi loro Metropolitani , i Metropolitani coi loro
Primati, se ve ne hanno, i Primati coi Patriarchi, e que-
sti col Sommo Pontefice capo e centro di tutta la Chiesa.
La Prelatura inferiore all'Episcopato dicesi quella che
coll'annessa dignità importa una giurisdizione sotto la di-
pendenza del Vescovo o anche una giurisdizione esente
dall'ordinario, come è la Prelatura degli abati, che hanno
giurisdizione quasi episcopale.
Il Cardinalato è dignità anche più eminente del Pa-
triarcato; perchè i Cardinali formano il senato del Sommo
Pontefice, e al Sacro Collegio non solo è devoluta la ele-
zione del Papa; ma spetta anche governare la Chiesa, du-
rante la vacanza della Sede Romana.
Tale è la vera dottrina che abbatte quanto intorno alla
gerarchia della Chiesa insegna il Castagnola, delle cui er-
ronee asserzioni , inesattezze e contraddizioni , come ab-
biam fatto sinora, accenneremo solo qualche saggio.
1° Confonde il Concilio generale col Concilio partico-
lare , a cui presiede il Patriarca (l) , mostrando così di
non conoscer la differenza che passa tra il Concilio pa-
triarcale, a cui, oltre il Patriarca, intervengono i Vescovi
delle varie nazioni del patriarcato, e il Concilio generale
a cui intervengono Vescovi anche d'ogni nazione e in nu-
mero notabile, ma che o per mancanza dell' autorità del
Sommo Pontefice o per qualche altra ragione non si suole
annoverare tra gli ecumenici (2). Così chiamansi Concilii
generali i Concilii di Sardica, di Pisa e di Costanza, quan-
tunque nessuno di essi possa dirsi Concilio patriarcale.
2° Insegna non già che la sacra gerarchia è di istitu-
zione divina e che quindi, quanto alla sostanza, è al pre-
sente com'era, quando fu fondata la Chiesa, ma che « non
è venuta fuori tutta d' un getto... si sviluppò lentamente
secondo le opportunità e le esigenze della crescente cri-
stiana famiglia , e quando fu più adulta , subì più volte
l'influenza della società civile e del politico ordinamento,
sul quale ebbe assai soventi a plasmarsi (3) » e che « nei
primi tempi della Chiesa questa gerarchia non si avea al-
tro vincolo tranne quello soave della fratellanza e ca-
rità (4) ». E dicendo tutto questo- non solo contraddice
alla storia, la quale racconta che la società civile e il po-
(1) S. Castag. op. cit. p. 84.
(2) Cf. Elementa theol. dogm. op. F. X. Schouppe S. I. tom. I,
tract. I n. 88.
(3) S. Castag. op. cit. p. 86.
(4) Ivi-
— SS —
litico ordinamento sentì più volte l'influsso della maravi-
gliosa gerarchia della Chiesa, ma inoltre mostra insinuare
che il vincolo della carità e fratellanza debba escludere
il potere legislativo, giudiziale e coattivo, essenziale a qua-
lunque perfetta società.
3° Sull'autorità dell' inglese Edoardo Gibbon afferma
che i vocaboli Vescovi e Preti « nella loro prima origine
indicarono lo stesso ufficio e lo stesso ordine di persone: »
anzi aggiunge che anticamente anche i laici concorrendo
alla elezione, quando il seggio episcopale diventava va-
cante « si reputavano investiti d'un sacro carattere , sic-
come ce ne fa fede Tertulliano, allorché scriveva: (l)
Nonne et laici sacerdotes sumus ? » (2).
Qui si pretende sostenere che nei primi tempi della
Chiesa non si avesse distinzione tra Vescovi e Preti, anzi
nemmeno tra cherici e laici. Ma qual maraviglia che il Ca-
stagnola sostenga errori così gravi? Attinge la sua scienza
canonica non dai canoni della Chiesa 0 almeno da un sano
canonista, ma da uno storico protestante colla mente piena
dei pregiudizii e degli errori dei presbiteriani inglesi. Quindi
non dee parer cosa strana s'egli ignora che i Vescovi come
nel potere di giurisdizione anche nei primi tempi erano
inferiori al successore di san Pietro, che comanda a tutti
i cristiani in ragione del primato; così nel potere d'ordine
anche allora erano superiori ai Preti , onde fin dalla re-
mota antichità cristiana son chiamati Sommi Sacerdoti ,
Pontefici Massimi e Principi dei Sacerdoti (3): né è a ma-
(1) Exhort. ad castit. cap. 7.
(2) S. Castag. op. cit. p. 89.
(3) Anticamente i Vescovi , a differenza dei Preti, dicevansi Stimmi
— 89 —
ravigliarsi se non sa che Tertulliano in senso improprio
chiama Sacerdoti i credenti per 1' altissima dignità della
fede cristiana, in quel medesimo senso che l'Apostolo san
Pietro chiama i cristiani Re e Sacerdoti (l), cioè non già
perchè sieno propriamente tali , ma perchè son membri
del corpo mistico di Cristo Re e Sacerdote, e perchè son
dediti al divin culto e chiamati al Regno di Dio.
4° Ignaro della storia ecclesiastica assegna alla metà
del secondo secolo la istituzione dei sinodi provinciali ,
senza far neppur menzione del Concilio gerosolimitano
tenuto nel primo secolo: e sogna come una sorta di lega
fra le Chiese della Grecia e dell'Asia prima indipendenti,
mediante i sinodi (2), senza indicare a quale scopo e come
si stringesse quella lega , quando pur si sa che nel se-
condo secolo, ad eccezione dei sinodi di Gerapoli e di Roma,
e di quello adunato da Policrate di Efeso , non si tenne
forse altro sinodo, per lo infierir della persecuzione: e solo
nel secolo terzo vediamo celebrarsi Concilii con maggior
frequenza, i Cartaginesi, il Romano, in cui son condannati
i Novaziani, e i due Concilii di Antiochia, in cui son pro-
scritti gli errori di Paolo Samosateno.
5° Sulla fede del Barbosa ci fa sapere che la voce
« Metropolitano » è perfettamente sinonima della voce
« Arcivescovo » (3). Il che è falso. Quantunque queste
Sacerdotes, Pontifices Maximi , Principes Sacerdohim , Antistites Ecclesiae.
Cf. Thom. Mariae Mamachi Orig. et antiq. Christian, tom. IV lib. IV
cap. IV parag. I. n. Vili.
(1) I Pet. II v. 9. Vos autem genus ehctum, regale sacerdotium, gens
sancta, populus acquisitionis.
(2) S. Castag. op. cit. p. 89.
(3) Ivi p. 90.
— QO —
due voci si usino talora promiscuamente, pure non sono
perfetti sinonimi; perchè ogni Metropolitano è sempre Ar-
civescovo, ma non ogni Arcivescovo è sempre Metropo-
litano , giacche la voce Arcivescovo indica solo dignità :
la voce Metropolitano indica anche giurisdizione. Così, per
esempio, Mons. Federico Foschi, che al presente occupa
la sede di Perugia , benché sia Arcivescovo , pure non
è Metropolitano, nò ha quindi come il Metropolitano Ve-
scovi suffraganei sotto la sua dipendenza.
ó. Dopo avere affermato che « i diaconi sono i mi-
nistri non delle cose materiali, ma della Chiesa di Dio » (i)
ecco che subito (2) afferma il contrario, dicendo che « gli
ordini minori non sono se non uno smembramento del dia-
conato ossia del ministero temporale ecclesiastico ».
7° Considera il Suddiaconato come già annoverato tra
gli ordini maggiori fin dal secolo ottavo, laddove è certo
che anche nella Chiesa latina avanti della seconda metà
del secolo undecimo, cioè prima di Papa Urbano II, era
annoverato dalla Chiesa tra gli ordini minori.
8° Dà nuova testimonianza di imperizia nelle cose ec-
clesiastiche allorché fa avvertire (3) « che la provincia
ecclesiastica non corrisponde alla nostra provincia ammi-
nistrativa, ma la supera di molto in estensione: sarebbe
piuttosto l'equivalente della regione , quale la proponeva
come novella circoscrizione amministrativa il ministro Min-
ghetti col disegno di legge presentato il 13 marzo alla
Camera elettiva ».
(1) Ivi p. 90.
(2) Ivi p. 91.
(3) Ivi P. 93.
— 91 —
Ma prima avrebbe dovuto avvertire egli stesso la grande
varietà che intorno alla circoscrizione delle provincie fu
sempre in uso nella Chiesa, secondo la diversità dei tempi,
degli Stati, dei bisogni e delle condizioni dei popoli. Con
questa semplice avvertenza avrebbe conosciuto che, sic-
come anche al presente vi sono provincie ecclesiastiche
più estese della regione; così pure ve ne sono altre meno
estese delle nostre provincie amministrative, come è nel-
f isola di Sardegna la Chiesa metropolitana di Oristano ,
che ha solo per suffraganea la Chiesa d'Ales e Terralba.
9° I proprii pregiudizii, le proprie contraddizioni ag-
grava coi pregiudizii e colle contraddizioni altrui , rife-
rendo « che, se nei primi tempi della Chiesa non era nep-
pur appariscente l'ecclesiastica gerarchia, tanto meno ap-
pariva il primato del Vescovo di Roma » al quale però,
come aggiunge poco dopo « non può contestarsi che an-
che in quei primi tempi un primato venisse riconosciuto » (l).
Qui pure asserisce che allora « il governo ecclesiastico
continuava ad essere paterno, era quello di una grande
famiglia e di un'oppressa famiglia, talché la suprema po-
testà non aveva occasione di spiegarsi, non aveva mezzi
di libertà d'azione ». E poco dopo: « L'autorità del Ve-
scovo era quasi sovrana ed assoluta, giacche il Vescovo
presiedeva ad ogni cosa e tutto decideva ».
Quanto sieno false le due riferite proposizioni intorno
alla ecclesiastica gerarchia e al primato del Romano Pon-
tefice, noi potremmo dimostrare con irrefutabili prove
desunte dalla Sacra Scrittura , dalla Tradizione e dalla
Storia: ma non vogliamo dilungarci su tale argomento ;
(1) Ivi P. 97.
— 92 —
perchè non crediamo conveniente discutere sulla semplice
asserzione di chi tanto arditamente afferma o nega in una
materia, che mostra di non conoscere affatto.
10° Allorché tocca della contesa sorta tra il Vescovo
di Cartagine san Cipriano e Papa santo Stefano , crede
forse doverci mettere in imbarazzo affermando che « la
dura alternativa di censurare il Papa oppure un santo
ed un martire, disturba i cattolici moderni » (l).
Noi gli rispondiamo francamente che i moderni cattolici
pensano come pensavano i cattolici antichi, i quali sapeano
bensì che il Vescovo di Cartagine non era né si potea dir
santo, finché resisteva al Papa: ma sapeano pure che una
colpa espiata da sincero pentimento, massime se preceduta
da eroiche virtù e seguita poi dal martirio, non esclude
l'aureola della santità: e chela colpa cji Cipriano avvenisse
con tali congiunture di cose il sapeano i cattolici da san-
t'Agostino, dal venerabile Beda e dagli stessi Romani Pon-
tefici, i quali essendo vindici del culto cattolico e dovendo
sostenere l'autorità propria nell'autorità di santo Stefano,
non avrebbero potuto tollerare che si venerasse sugli al-
tari chi avesse offeso, senza poi pentirsene e farne emenda,
la maestà del Romano Pontificato.
11° Tenta vituperare la gloriosa memoria di san Ni-
colò I, uno dei più illustri Pontefici, che abbiano onorato
la Sedia Romana. Lo chiama monaco di spiriti fieri ed ar-
denti, che seppe trarre a profitto della Chiesa di Roma
la collezione delle false decretali di Isidoro mercatore; e
col Guizot (2) lo accusa che per opera di lui « le Chiese
(1) S. Castag. op. cit. p. 96.
(2) Histoire de la civilisation en Europe legon XXIX.
— 93 —
nazionali furono vinte nella persona d' Incmaro, come i
Sovrani temporali in quella di Lotario » (l).
Questo gran Papa è detto monaco e non fu monaco
mai; ci è dipinto di spiriti fieri ed ardenti , e si segnalò
per singolare dolcezza e per tenerissima compassione
verso i poveri e gli infelici; si vuole astuto ed ambizioso,
e solo per adempiere al debito suo di ristorar la eccle-
siastica disciplina diede prova di eroico coraggio e fer-
mezza apostolica, sia nel punire i vizii dei grandi, sia nel
vendicare la calunniata e tradita innocenza (2). Nò val-
sero a smuoverne la costanza , le minacce e i pericoli, e
quando egli fu costretto a cassare gli atti del Concilio di
Soissons tenuto da Incmaro Arcivescovo di Reims contro
il Vescovo Rotado , il quale vedutosi annullare da quel
Metropolitano una sentenza che condannava un indegno
Prete della sua diocesi, avea appellato al Sommo Ponte-
fice: e quando a Lotario di Lorena ingiunse di ripren-
dere la sposa Teutberga , eh' avea calunniando ripudiata
per isposare Valdrada: e quando depose dal loro seggio
Gontiero Arcivescovo di Colonia e Teutgado Arcivescovo
di Treveri , che con ingiusto giudizio in tre Concilii di
Aquisgrana avean favorito l'adultero Sovrano: nel che quel
santo Pontefice diede esempio di rara accortezza mostrando
qual conto facesse della confessione del delitto estorta alla
regina Teutberga per mezzo della tortura , e come non
(1) S. Castag. op. cit. p. 100.
(2) Lo stesso Ruggero Bonghi, parlando dei Pontefici ch'ebbero il
nome di Leone, mostra pure quanto grande fosse Papa Nicolò 1, di-
cendo: « Il primo davvero grande ha pochi nomi che nella lunga sto-
ria del Papato stanno al pari del suo, Innocenzo I forse, Nicolò I, Gre-
gorio il Grande, Gregorio VII, Alessandro III; nessuno l'avanza ».
Leone XIII e l'Italia p. 4.
— 94 —
si lasciasse ingannare neppure alla relazione dello stesso
suo legato Rodoaldo corrotto dall'oro di Lotario. Né per
compiere questi atti della suprema sua autorità pontifi-
cale area bisogno Nicolò di ricorrere alle false decretali
d'Isidoro. Egli ben conosceva che il suo diritto sui Prin-
cipi cristiani era fondato nella Scrittura e nella Tradi-
zione : onde cinque secoli innanzi san Gregorio Nazian-
zeno ai Principi e ai Prefetti secolari già diceva che an-
ch'essi dalla legge di Cristo erano assoggettati all' impe-
rio della Chiesa (l); e sant'Ambrogio Arcivescovo di Mi-
lano potea già impedire all'Imperatore l'ingresso in Chiesa
e imporgli pubblica penitenza. Egli ben conosceva che
la giurisdizione da lui esercitata sui Metropolitani era giu-
risdizione inerente al primato e sostanzialmente esercitata
già da tutti i suoi antecessori, secondo che il richiedeva
il bene della cristianità. Basterebbe citare solo alcuni atti
di Papa san Leone Magno, che precedette di ben quattro
secoli san Nicolò nel governo della Chiesa. San Leone al
Metropolitano di Aquilea ordina di adunare un sinodo per
obbligare tutti i cherici sospetti di pelagianismo a con-
dannare in iscritto quell'eresia e a ricevere i decreti tutti
dei Concilii sanciti dalla Santa Sede (2). Ad Anastasio
Vescovo di Tessalonica con lettera del 12 gennaio del-
l'anno 444 accorda la potestà di suo Vicario , che corri-
(1) Suhmittamus nos tum Deo, tum invicem, tum iis, qui in terra
imperant. Deo quidem omnibus de caussis, invicem prò charitatis foedere,
Principibus propter ordinem... At vos quoque (Principes et Praefecti) im-
perio meo ac throno lex Christi subiecit. Imperium enim et nos gerimus :
addo et praestantius et perfectius, si quidem aequum videatur spiritimi carni,
raeiestia terrenis cedere. Orat. XVII.
(2) S. Leonis M. opera lom. I, epist. I
— 95 —
sponde alla dignità di Primate, nell' Illirio, seguendo l'e-
sempio di Papa san Siricio , che tal potestà avea accor-
data ad Anisio: e raccomanda sopratutto le ordinazioni,
nelle quali si debba aver riguardo solamente ai meriti del
candidato e ai servigi da lui prestati alla Chiesa. E per-
chè la scelta dei Vescovi sia fatta con più maturo giudi-
ciò richiede che ogni Metropolitano, il quale abbia il di-
ritto di ordinare i Vescovi della provincia, non ordini al-
cuno senza darne prima contezza al Vicario, e che dal Vi-
cario sieno ordinati i Metropolitani , siccome coloro che
devono reggere gli altri. Richiede inoltre che gli sieno
trasmesse , secondo l' antica tradizione , le cause mag-
giori, che non si potranno terminare sui luoghi, come an-
che le appellazioni (l). Nel dì medesimo scrive ai Me-
tropolitani dell' Illirio , avvisandoli della potestà data ad
Anastasio di Tessalonica ed esortandoli all' ubbidienza e
all'osservanza dei canoni (2). Ne questo Pontefice esercita
solo, come san Siricio, la sua giurisdizione sui Metropoli-
tani e sui Primati, ma 1' esercita nel modo più solenne su-
gli stessi Patriarchi d'Oriente. Nel 45 1 i Padri del Con-
cilio Calcedonese, definita la dottrina cattolica contro l'e-
resia d' Eutiche , avean confermato nel canone vigesimo
ottavo ad Anatolio , come Patriarca di Costantinopoli , il
privilegio, che s'era da qualche tempo introdotto, d'or-
dinare i Metropolitani dell' Asia , del Ponto e della Tra-
cia, i quali erano prima soggetti al Patriarca d'Antiochia.
Ma a quel canone cogli altri legati si oppose Pascasino
Vescovo di Lilibeo, dicendo ch'era contrario agli antichi
(1) Ibid. epist. VI.
(2) Ibid. epist. V
-0-
canoni e principalmente al canone sesto del Concilio Ni-
ceno, ove alla Chiesa di Costantinopoli eran preferite le
Chiese di Alessandria , di Antiochia e di Gerusalemme.
Tuttavia i Padri restarono fermi nella presa deliberazione,
e in una lettera sinodale scrivendo a san Leone, ricono-
scono il Sommo Pontefice per l' interprete di san Pietro,
e aver lui, nella persona dei legati, presieduto a coloro
che s'eran convocati in Concilio, come il capo alle mem-
bra : ed aggiungono avere essi ordinate alcune cose pel
buon governo della Chiesa , ed aver accordato quel ca-
none favorevole all' Arcivescovo di Costantinopoli, spe-
rando di averne la conferma da Sua Santità. Oltre i Pa-
dri, scrissero a san Leone l'Imperatore, l'Imperatrice ed
Anatolio, facendo istanza, perchè, non ostante la opposi-
zione dei legati, si degnasse confermare quel canone. Ma
il prudente Pontefice, quantunque vivamente desiderasse
secondare la domanda di quei pii Sovrani, pure non vo-
lendo porgere esca ad ambiziosi ingrandimenti, a pregiu-
dizio della prima Sede, ordinò che quel privilegio si con-
servasse tuttavia alla Chiesa d'Antiochia, dichiarando nulli
quegli atti del Concilio Calcedonese eh' eran contrarli ai
canoni del Concilio Niceno. Eppure il Castagnola scrive
che nel nono secolo Nicolò I seppe valersi dell' autorità
conferitagli dalle false decretali d'Isidoro « e con due colpi
veramente maestri riuscì a stabilire l'autorità del Ponte-
fice sopra i Re e sopra i Metropolitani » (l). Da ciò si
può argomentare qual fede meritino le altre cose ch'egli
riferisce intorno alla storia della Chiesa.
(l)_ S. Castag. op. cit. p. 98.
IL
DEI RAPPORTI GIURIDICI DELLA CHIESA COLLO STATO.
A questo capo si riducono le diverse materie a ri-
guardo delle quali, come dice il Castagnola , si esplicano
le conseguenze giuridiche nei rapporti che passano tra
Chiesa e Stato. E per esaminar meglio tali materie, con-
vien parlarne nello stesso ordine dato dall' Autore , ben-
ché non abbiano alcun nesso logico tra loro.
1° Dell' associazione :
2° Del matrimonio :
3° Delle persone e delle guarentigie accordate al Sommo
Pontefice :
4° Dei reati :
5° Del giuramento :
6° Dei beni temporali.
ART. i.
dell' associazione.
La società in generale non è altro che un ceto d'uo-
mini , che con mezzi proporzionati tendono a conseguire
un fine comune. Il concetto quindi di società , come si
vede, importa quattro essenziali elementi, cioè la plura-
lità delle persone, la loro unione morale, il fine comune
e i mezzi proporzionati a conseguire il fine proposto. Dei
quali elementi il primo costituisce la parte materiale, gli
altri la parte formale, che suppone necessariamente il vin-
colo comune , per cui le persone sieno obbligate all' ac-
cordo nel tendere a conseguire il fine ; perchè altrimenti
potrebbe aversi bensì la medesima tendenza , ma non si
7
-98 -
avrebbe una tendenza unita, la quale sola fa che di più
persone venga a formarsi quel corpo morale , che si in-
chiude nel concetto di società.
Quel vincolo che obbliga alla comune direzione in una
società umana, è il vincolo morale di una legge o di uno
statuto, ossia di una statuita obbligazione, il cui principio
attivo si chiama autorità , la quale della società è come
1' anima. Quindi facilmente si vede come la società diffe-
risca essenzialmente da una mera unione di uomini , da
una moltitudine, da un collegio di persone eguali.
La società è perfetta o imperfetta secondo che ha in
se stessa o non ha i mezzi sufficienti per conseguire il
suo fine. La società perfetta ha un fine non subordinato
ad altro fine dello stesso genere, e nel suo genere è in-
dipendente da altra società, è in se stessa completa, e si
adopera quindi a procurar con mezzi a se proprii tutto
ciò che può perfezionare i sodi, ed esercita una generale
influenza in tutta la loro attività in ordine al fine.
La società perfetta può comunicare la giuridica per-
sonalità alle società minori , eh' essa crea per dare mag-
giore stabilità ai fini particolari , che si propongono gli
uomini, per raggiungere la maggior loro perfezione.
Soggetto di diritto è la persona naturale e la fittizia.
E persona naturale non è solo la persona fisica, ma an-
che la persona morale ; perchè gli uomini hanno diritti
dalla natura non come individui soltanto, ma come asso-
ciati; giacché essi hanno naturalmente diritto d'associarsi
per un fine onesto , che non sia contrario al bene pub-
blico: e la società così costituita avendo diritto alla pro-
pria conservazione , ha eziandio naturalmente diritto ad
essere riconosciuta qual persona giuridica.
— 99 —
È persona fittizia quell'essere astratto, a cui la legge
attribuisce la capacità di diritto. Se le persone fittizie ri-
sultano dalla riunione di più persone fisiche insieme as-
sociate per conseguire uno scopo di utilità comune, si chia-
mano corporazioni o comunità: se risultano invece da un
aggregato di diritti e di beni, che servono di mezzo per
lo conseguimento di uno scopo estraneo all' interesse di
coloro , per cui si ottiene lo scopo stesso , si dicono con
vocabolo generico enti morali. Nel diritto canonico come
nel diritto romano chiamansi cause pie.
Oltre la famiglia, sono società perfette la Chiesa e lo
Stato, e due sono i poteri sovrani , il potere del Sommo
Pontefice e quello del Principe.
Come dall'esame della natura e della istituzione della
Chiesa si prova che essa è società perfetta; così pure che
il suo potere sia sovrano, il mostrò chiaro Gesù Cristo ,
quando ai Farisei, che lo interrogavano se era lecito dare
il tributo a Cesare , rispose quelle memorabili parole :
« Rendete a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel
che è di Dio » (l). Il quale insegnamento è anche mag-
giormente illustrato dal fatto. Gesù Cristo fu sì alieno dal
voler sovrano il solo -potere civile , che istituì il potere
della Chiesa in opposizione dei Principi , i quali si arro-
gavano quegli stessi diritti che, contro la ragion divina,
al presente sogliono arrogarsi i governi e i Parlamenti :
anzi prenunzio agli Apostoli le persecuzioni, che avreb-
bero patite da coloro, che governavano il mondo , perse-
cuzioni che di fatto patirono gli Apostoli e poi i Romani
Pontefici, principalmente nei primi tre secoli, esercitando
(1) Lue. XX, v. 25.
— 100 —
il loro potere in opposizione de' Principi secolari, che lo
proibivano, lo impedivano, lo punivano.
Quindi la Chiesa e lo Stato, siccome società perfette,
fornite di sovrana autorità, possono creare società minori,
dando loro giuridica personalità , per conseguire più fa-
cilmente il proprio fine.
Come la Chiesa soltanto crea le persone fittizie eccle-
siastiche; così essa solo può sopprimerle, e, soppresse che
sieno, i beni e i diritti son devoluti solo alla Chiesa: e come
lo Stato crea le persone fittizie civili, così lo Stato le sop-
prime, e lo Stato succede nei beni e nei diritti, eccettuato
il caso che nell'atto di fondazione fosse disposto altrimenti.
A queste brevi nozioni che abbiamo premesse dobbia-
mo ora contrapporre gli errori del professor Castagnola.
1° Ci fa sapere che 1' esistenza delle persone fittizie
« non proviene se non dalla potestà umana che le crea,
e dal governo che le riconosce » (l).
E questo è falso , perchè alla esistenza delle persone
fittizie è solo necessario che le crei la competente umana
potestà. Così, per esempio, alla legale istituzione di una
comunità ecclesiastica basta il permesso del Papa e del
Vescovo , e il governo d' uno Stato cristiano deve civil-
mente riconoscerla , senza che si richieda il suo previo
consenso , se pur non sia intervenuta una speciale con-
venzione tra i due poteri.
2° Dà una confusa divisione delle persone fittizie di-
stinguendo le persone giuridiche e le persone che non go-
dono di una vera personalità, come sono le « semplici as-
sociazioni » (2).
(1) S. Castag. op. cit. p. 104.
(2) Ivi p. 10Ó.
— 101 —
Non sappiamo che cosa potrebbe rispondere il Casta-
gnola a chi gli chiedesse perchè egli annoveri le semplici
associazioni tra le persone giuridiche , se. non le crede
persone.
3° Allegando 1' articolo 2 del codice civile, ove dicesi
che son considerati come persone gli istituti ecclesiastici
legalmente riconosciuti, aggiunge che « questi istituti ec-
clesiastici sarebbero, oltre il Pontificato, i Vescovati, i Ca-
pitoli cattedrali, i Seminarti , le Parrocchie , le Fabbrice-
rie, organi assolutamente necessarii per 1' esplicazione del
culto cattolico » (l). Qui il Professore non si avvede che
considerando come persona il Pontificato, considera come
persona anche la Chiesa cattolica , a cui pure nega al-
trove (2) 1' attribuzione di ente giuridico. Considerando
come persona il Pontificato, considera come persona an-
che la Chiesa, perchè il Sommo Pontefice è Vescovo della
Chiesa cattolica, e della Chiesa cattolica è legittimo rap-
presentante. Ove è Pietro, ivi è la Chiesa. E qui colf idea
del supremo Pontificato non unirebbe le Fabbricerie, né
le direbbe organi assolutamente necessarii all'esplicazione
del culto cattolico, se sapesse essere invece inutili e spesso
dannosissime , come suole essere ogni ingerenza del po-
tere laicale sul potere ecclesiastico (3). Né gli giova l'al-
legare la sentenza della Corte di Cassazione di Roma 7
Giugno 188 1; perchè la sentenza d'una Corte non può co-
stituir prova in materia ecclesiastica: perchè egli desume
la prova non dalla sentenza giusta in sé , ma dai motivi
(1) Ivi p. 107.
(2) Ivi p. 111.
(3) Ci. Decreto imperiale del 30 Dicembre 1809.
— 102 —
falsi, su cui si vuole fondare: perchè quella sentenza non
dice le Fabbricerie « organi assolutamente necessari! », ma
« organi creduti necessarii »: e perchè finalmente la Corte
non solo non fa menzione del Pontificato, ma anzi mostran-
dosi coerente a se medesima con altra sentenza del 28
Gennaio 1881 in un giudizio tra il Cardinal Vicario del
Sommo Pontefice e la Commissione per la liquidazione
dell' asse ecclesiastico in Roma , contende la personalità
giuridica al Pontificato, per aver « natura universale, mon-
diale, soprannazionale » (l).
40 Secondo la sua dottrina « le associazioni non sono
che una riunione di persone » (2). Quindi il concetto di
associazione non implica veruna unione morale , né un
fine comune, né mezzi coordinati al fine, ma solo riunione
accidentale di persone. Onde noi che credevamo potersi
dare associazione senza materiale riunione , ora per con-
trario vediamo che nella riunione materiale consiste ap-
punto l'associazione. E poiché la Chiesa, secondo questa
nuova dottrina, non è altro che una semplice associazione (3),
ne viene che essa legalmente non differisce punto da una
riunione di scioperati, che accidentalmente si trovino in-
sieme a conversare.
5° Afferma che « secondo il nostro diritto pubblico
interno, lo Stato non riconosce la qualità di ente giuridico
alla Chiesa cattolica » (4). La Costituzione, il cui primo
articolo proclama la Religione sola Religione dello Stato,
appartiene forse al diritto privato o al diritto pubblico
(1) S. Castag. op. cit. p. ilo e segg.
(2) Ivi p. 109.
(3) Ivi p. ili.
(4) Ivi.
— 103 —
esterno ? In che altro il nostro diritto pubblico interno po-
trebbe fondarsi, se non si fonda sulla Costituzione? Con-
sulti il Castagnola le lezioni di diritto costituzionale del
professor Ludovico Casanova, scrittore a lui non sospetto,
e, se noi sa, vegga ivi che cosa s'intenda per diritto pub-
blico interno. Quel professore che , non ostante i molti
errori , meritò la fama , che tuttora vive di lui nel pa-
trio Ateneo, di forte ingegno e dottrina, non arrivò mai
a tanta enormità di negare alla Chiesa il carattere di ente
giuridico, ma riconosce due potenze sovrane l'ecclesiastica
e la civile, propugna non la separazione della Chiesa dallo
Stato, ma lo scambievole accordo tra loro. « Riconosciute,
egli dice , fra noi queste due potenze procedenti da un
medesimo principio, eh' è Iddio, da cui deriva ogni pote-
stà, e terminanti ad un medesimo fine, che è la beatitu-
dine, vero fine dell'uomo, è stato necessario si procurasse
che queste due potenze avessero una corrispondenza in-
sieme ed una sinfonia, cioè a dire un'armonia ed accordo
composto di cose differenti , per comunicarsi vicendevol-
mente la loro virtù ed energia: di maniera che, se 1' im-
perio soccorre colle sue forze al sacerdozio per mante-
nere l'onor di Dio, ed il sacerdozio scambievolmente stringe
ed unisce l'affezione dei popoli all'ubbidienza del Principe,
tutto lo Stato sarà felice e florido : per contrario, se que-
ste due potenze sono discordanti tra loro... tutto va in
disordine,, in confusione ed in mina » (l).
Noi poi intorno al primo articolo della Costituzione ,
che compendia il nostro diritto pubblico interno, relativo
(1) Dei diritto costituzionale lezioni del Prof. Ludovico Casanova
voi. I lez. XII.
— 104 —
alla Chiesa, valendoci dello stesso modo di ragionare, di
cui si vale il Casanova a riguardo della stampa (l), di-
ciamo, che con quel primo articolo la causa a favore della
personalità giuridica della Chiesa, è tra noi giudicata e
giudicata irrevocabilmente; perchè nessuna legge potrebbe
mai stabilire alcuna misura, che inceppasse la libertà alia
Chiesa nella sua qualità di società perfetta e di potere
sovrano come fu costituita da Cristo. Al legislatore non
è lasciato altro che il poter far leggi speciali per tutelare
e proteggere la Chiesa e reprimere gli abusi contro di
lei, a norma delle regole generali del diritto, e di appli-
carvi pene proporzionate. Quanto al resto è privo assolu-
tamente di ogni facoltà, come ne è privo il governo o vale
a dire il potere esecutivo. Di fatto chi non vede che importi
questa espressione « Religione dello Stato »? Importa, dice
il celebre Vescovo Parisis, che i precetti di lei sieno guida
e norma alle leggi dello Stato: importa che le dottrine di
lei sieno dal civile potere protette, perchè tenute da que-
sto in conto di veraci, in quella guisa medesima , che il
privato crede alla Religione che professa : importa che
tale Religione abbia sullo Stato, sul civile potere quel do-
minio , che sulla privata condotta di ciascuno ha quella
religiosa credenza, alla quale ha dato il nome.
6° Egli stesso confessa (2) che le proposizioni, le quali
attribuiscono alla Chiesa il carattere di società perfetta e
un vero potere legislativo, amministrativo e giudiziario,
furono recentemente riaffermate da eminenti oratori nel
VI Congresso dei giureconsulti cattolici , che si tenne nel
(1) Ivi lez. IX.
(2) S. Castag. op. cit. p. 113 e segg.
— 105 —
l88l a Lione, del quale era presidente il senatore fran-
cese Luciano Brun, ed al quale convennero giureconsulti
della Francia, dell'Italia e del Belgio: ma poi conchiude (l)
che queste pretese della Curia Romana non si accettano
dalla civile potestà. Con che egli viene ad ammettere che
le pretese della Curia Romana son la dottrina di eminenti
giureconsulti delle più colte nazioni , e che tale dottrina
non è accettata dalla civile potestà, che come promotrice
di scienza e civiltà si contrappone alla Chiesa, la quale,
secondo il Minghetti, finì con osteggiarle entrambe (2).
7° Fa notare che quando si discuteva il codice civile
albertino, il cui articolo 25 dispone che la Chiesa e i Co-
muni sono considerati come altrettante persone, il Senato
di Savoia e poi quello' del Piemonte , tra le altre cose ,
osservò che la parola chiesa usata al singolare non espri-
meva esattamente il corpo morale che possiede i beni nel-
l' interesse del culto cattolico, sotto il qual rapporto ogni
chiesa rientra nella classe degli stabilimenti, talché dovea
preferirsi la parola chiese usata al plurale (3). E termina
dicendo che queste osservazioni furono pienamente ac-
colte (4). Il che è falso ; perchè il codice albertino con-
servò la voce Chiesa all'articolo 418; e all' articolo 433
dicendo che « sotto nome di beni della Chiesa s' inten-
dono quelli che appartengono ai singoli benefizii od altri
stabilimenti ecclesiastici », non solo mostra al Castagnola
che nella Chiesa son corpi morali , i quali hanno diritto
di acquistar e posseder beni , ma gli fa vedere , se sa e
(1) Ivi P. 114.
(2) Ivi p. 71.
(3) Ivi p. 114 e segg.
(4) Ivi p. Ilo.
— io6 —
vuole intenderlo, che anche la Chiesa è persona giuridica,
avendo 1' alto dominio sui beni, che appartengono agli i-
stituti ecclesiastici, onde nel citato articolo 433 quei beni
si dicono « beni della Chiesa ».
8° Vorrebbe confermare la sua opinione, che la Chiesa
non sia persona giuridica, con una sentenza della Corte
di Cassazione di Torino IO Luglio 1874 estesa dal Pesca-
tore nel giudizio tra il P. Beckx generale dei Gesuiti e
1' Erario dello Stato (l).
Ma non vede che la Corte prescinde dal merito della
quistione; perche « ora, come ivi si dice, alle Corti giu-
diziarie è solo dato di ammirare la grandezza delle con-
troversie tra le due potestà: ma nell'esercizio pratico della
loro giurisdizione, esse sono le rappresentanti del potere
civile, che le ha delegate, e l'unico loro compito si è di
applicare fedelmente i principii di diritto pubblico dello
Stato ». Qui anzi potrebbesi aggiungere che ora, fatte le
dovute eccezioni, pare compito della suprema Magistratura
di conculcare i principii di diritto nella decisione delle
cause ecclesiastiche , per seguire servilmente i voleri del
governo.
9° Con Marco Minghctti riconosce che è surrogare il
regime dell'arbitrio al regime della libertà il voler negare
alla Chiesa la facoltà di costituirsi con quegli organismi,
che le son congeneri e di fondare enti giuridici (2). Onde
è d' uopo trarne la conseguenza che o egli ammetta po-
ter la Chiesa conferire ad altre società la personalità giu-
ridica ch'essa stessa non ha, secondo la dottrina di lui, 0
(1) Ivi p. 120.
(2) Ivi p. 120.
— io? —
che egli ora ammetta nella Chiesa il diritto di persona
giuridica negato tante volte, e non ammetta poi nello Stato
il dovere di riconoscerle questo diritto.
10° Del monachismo dà un'inesatta e grottesca descri-
zione (l). Ivi confonde gli asceti coi monaci, i monaci coi
cenobiti : ivi ripete (2) la calunnia contro il santo Fondatore
dell'Ordine dei Padri Predicatori, Domenico dei Gosmani,
come se fosse stato eccitamento a vendetta di sangue la
profetica minaccia del Servo di Dio, quando, sul partire da
Prouille, predisse che, per l'ira divina, sarebbero periti di
spada molti, che non aveano accolte le esortazioni d' un
apostolalo, la cui possanza era stata tutta nella dolcezza,
nella predicazione, nell'orazione, nelle lacrime: ed ivi pure
chiama l' inclita Compagnia di Gesù l'Ordine che diventò
tristamente famoso e la mala pianta che aduggia colla sua
ombra (3) , attribuendo non ad eminente santità e dot-
trina e ad apostolico zelo , ma « all' indole sua domina-
trice » i grandi servigi eh' egli pur riconosce aver reso
alla cristianità.
11° Confessa col Bonghi (4) che la riproduzione con-
tinua degli istituti religiosi è un impeto dei più notevoli,
dei più costanti, dei più ostinati, che vinse colla pervica-
cia sua ogni contrasto del potere civile: confessa pure che
questo fatto induce il filosofo e 1' uomo di Stato a medi-
tar seriamente se la vita monastica non corrisponda per
avventura a qualche intima necessità della vita (5).
(1) Ivi p. 128 e segg-.
(2) Ivi p. 131.
(3) Ivi p. 132.
(4) Le Associazioni religiose e io Stato. Nuova Antologia , gennaio
1872.
— 108 —
Ma poiché ebbe latta sì esplicita confessione, che cosa
conchiude ? Conchiude forse che debbansi tutelare questi
istituti, riconoscendone la personalità giuridica, anche per-
chè soddisfanno a un bisogno dell'uomo? Non già: con-
chiude invece che lo Stato debba negar loro la persona-
lità giuridica e lasciarli sussistere solo in qualità di libere
associazioni (1).
Ora, noi diciamo, o sono vere o son false le ragioni,
per cui si pretende negar questa personalità giuridica. Se
son vere, e i corpi morali ecclesiastici recano nocumento
al pubblico bene, non si sa perchè non si abbia anche a
impedire che sussistano in qualità di libere associazioni,
giacché anche contro le libere associazioni dovrebbero mi-
litare le ragioni medesime che militano contro gli enti giu-
ridici, essendo certo che la intrinseca natura degli istituti
ecclesiastici non dipende dall' avere o no il carattere di
persona giuridica riconosciuto dallo Stato. Ma se quelle
ragioni son false, ed anzi gii istituti religiosi non pure non
recano nocumento alcuno al ben pubblico , ma somma-
mente lo promuovono, non v' ha motivo, perchè s' abbia
a riconoscere in essi soltanto la qualità di libere associa-
zioni, e non anco di persone giuridiche.
Quanto inconsulta ed ingiusta sia la soluzione, che il
Castagnola dà di una quistione di tanta importanza, si ma-
nifesta con maggiore evidenza dalle sue stesse parole. Con-
sente di buon grado come, finché non sarà dimostrato che
l'associarsi per far vita comune, vivere sotto la regola d'un
capo, rinnegare la propria volontà, spogliarsi dei beni e dei
conforti della vita, esercitarsi in opere di carità, darsi alla
(i) Ivi p. 135 e segg.
— log —
preghiera ed alla contemplazione sia un reato, l'impedire
la convivenza in questi sodalizii sarà « un vulnerare la
libertà dei cittadini » (l). « E forse, soggiunge più innanzi,
si potrà negare che, se i principii fondamentali, sui quali si
basano questi sodalizii più non armonizzano coi concetti
ora prevalenti, però non sieno ancora pregevoli i servizii,
che da talune di queste associazioni son resi alla causa
della civiltà e della umanità ? 1/ associazione , per esem-
pio , dei Trappisti che nella campagna romana lottando
colla morte e colla malaria ne bonifica il terreno, non è
benemerita della società? E non deve dirsi lo stesso di
quelle suore che passano la loro vita al capezzale degli
infermi , e che neh' infuriare delle epidemie raddoppiano
il loro fervore di carità ? » (2).
A' tempi del medio evo chiamati dal Castagnola tempi
d' ignoranza, di confusione, di barbarie, quei sodalizii re-
ligiosi che, al ben privato anteponendo il pubblico bene ,
1' opera e la vita de' loro membri consacrano a beneficio
del prossimo, non erano solo giuridicamente riconosciuti,
ma erano anche coadiuvati dal potere civile , erano con-
siderati benemeriti della patria e si voleano esenti dai tri-
buti anche per sentimenti di pubblica gratitudine. Per que-
sta civile prudenza, oltre immensi vantaggi morali, noi ve-
demmo mitigata la ferocia delie incursioni barbariche, dis-
sodate le campagne italiane, eh' eran divenute tante bo-
scaglie, e vedemmo alimentato nel silenzio dei chiostri il
sacro fuoco delle lettere e delle scienze, di cui va tanto su-
perbo il secol nostro.
(1) Ivi p. 135-
(2) Ivi p. 138.
— 110 —
Ma a" tempi presenti, tempi di scienza, d' ordine e di
civiltà , il professor Castagnola, fatta menzione dei monaci
della 'Frappa, che lottano colla mal' aria e colla morte per
bonificare le campagne romane , e delle suore che pas-
sano la vita al capezzale degli infermi e nell' infuriare delle
epidemie raddoppiano il fervore della carità , scrive su-
bito dopo : « Lo Stato non riconosca questi sodalizii. I
membri che li compongono sieno soggetti a prestare il
loro servizio militare, sotto le bandiere della patria, sieno
soggetti ai pubblici balzelli ed alla legge comune. Ma se
ad onta di ciò (veggasi eccesso d'indulgenza e tolleranza)
dessi ritrovano ancora tanta vitalità per starsi fermi nel
loro proposito, non vi è in ciò solo una intrinseca ragione,
che legittima la loro esistenza? » (l). Udendo tali parole
è mestieri farsi violenza per reprimere la indegnazione,
che sorge spontanea al vedere come lo spirito di parte ,
il pregiudizio, la contratta abitudine di negar la verità,
riesca ad abbassar tanto l'umano intelletto e a soffocare
ogni nobile sentimento dell'animo per far tutto servire ad
un partito, con sommo detrimento della giustizia e del pub-
blico bene.
12° Osserva che il Bonghi col corredo di irrefutabili
argomenti dimostra (2) come nei paesi , per esempio , in
Austria, in Baviera, ove gli istituti ecclesiastici son rico-
nosciuti , il loro aumento quasi non si sente , e per con-
trario, ove non son riconosciuti, crescono a dismisura sotto
forma di libere associazioni (3). Così egli che mostrasi tanto
(1) Ivi p. 139.
(2) Le Associazioni religiose e lo Stalo. Nuova Antologia , gennaio
1872.
(3) S. Castag. op. cit. p. 13- e segg.
— Ili —
avverso agli istituti religiosi, proponendo che lo Stato ne-
ghi loro la personalità giuridica e li lasci sussistere sotto
forma di libere associazioni, contro il suo divisamente, pro-
pone un modo pratico, per lo quale crescano a dismisura
quegli istituti, ove, secondo lui,, ai liberi cittadini è confi-
scata la libertà e la spontaneità del volere (l), giacché
questi sodalizii dall' essere o no riconosciuti dallo Stato ,
non mutano natura.
ART. IL
DEL MATRIMONIO.
Il matrimonio considerato come contratto naturale i-
stituito in ufficio di natura, è di tutti i tempi e di tutti i
popoli ed ha intima relazione colla civile società , come
condizione necessaria della famiglia, che è elemento dello
Stato. Considerato come elevato da Gesù Cristo alla di-
gnità di sacramento, è proprio dei cristiani soltanto , e
come tale si può definire: Un sacramento della nuova legge,
per cui due persone legittime, mediante il loro consenso,,
si uniscono in consorzio di tutta la vita, per la procrea-
zione, per la educazione cristiana della prole e per l'as-
sistenza reciproca.
Dicesi 1° « un sacramento della nuova legge » per
indicare il genere prossimo, onde il matrimonio conviene
cogli altri sacramenti , giacché nel matrimonio tra cristiani
concorre tutto ciò che, secondo la dottrina cattolica, è es-
senziale a costituire un sacramento della nuova legge, cioè
un segno sensibile, la istituzione di Cristo e la grazia san-
tificante.
(1) Ivi p. 137.
— 112 —
Dicesi 2° « per cui due persone legittime ecc. »; per
indicare la differenza specifica, onde il matrimonio differisce
dagli altri sacramenti, e per la quale , oltre le principali
proprietà del matrimonio, possiamo tosto conoscere il suo
fine primario, in cui si compendiano tutti i doveri dei ge-
nitori verso i figliuoli , come pure i suoi fini secondarii ,
da cui rilevansi le vicendevoli obbligazioni , che hanno i
coniugi fino alla morte.
L'essenza del matrimonio sta nel consenso, non nell'uso,
secondo V aforisma del diritto romano e^ del diritto cano-
nico, nuptias non concubitus, sed consensus facit.
Il matrimonio si distingue in legittimo, rato e consumato,
Dicesi legittimo quello che si contrae dagli infedeli secondo
la legge. Dicesi rato o consumato quello che si contrae
tra i cristiani, secondo che non è o è seguito dall' uso.
Il sacramento del matrimonio non è cosa accessoria ,
non è un semplice rito, che si so vr aggiunga al contratto
già compiuto, ma è lo stesso legittimo contratto, che, ri-
manendo fisicamente lo stesso, è assunto alla dignità di sa-
cramento, cioè lo stesso legittimo contratto matrimoniale,
che da Gesù Cristo fu assunto per segno del sacramento.
Il matrimonio è sacramento solamente per coloro che
sono cristiani, perchè la legge evangelica non è applica-
bile se non a coloro , che le sono soggetti : e coloro che
non le sono soggetti dipendendo dalla legge naturale con-
traggono il matrimonio, quale è sancito nella legge natu-
rale , cioè contraggono uno speciale legittimo contratto ,
che non conferisce la grazia.
I ministri del matrimonio sono gli stessi contraenti.
Le proprietà principali del matrimonio cristiano sono
due, cioè X unita e la indissolubilità. All'unità si oppone la
poliandria e la poligamia simultanea.
— H3 —
Quanto alla poliandria, non v' è dubbio che è aperta-
mente riprovata dal diritto naturale come quella che ri-
pugna al fine primario del matrimonio, cioè alla procrea-
zione e alla debita educazione della prole : onde la pro-
stituzione, a cui si riduce la poliandria,, si ritenne sempre
come infame.
Quanto alla poligamia , essa si oppone ai fini secon-
darli del matrimonio: onde è proibita siccome opposta al
diritto secondario di natura, dal quale solo Iddio può di-
spensare.
Per diritto positivo la poligamia fu vietata nell'istitu-
zione stessa del matrimonio, essendo allora sancita la mo-
nogamia (l) : poscia per divina dispensazione fu permessa
affinchè si provvedesse alla più rapida propagazione del
genere umano, come appare dagli esempi dei Patriarchi
nei primordii dell'umana società e dopo il diluvio. La qual
permissione, anche cessando il bisogno, fu benignamente
prorogata nella legge mosaica (2) agli Ebrei per la durezza
del loro cuore (3), giacché non avrebbero potuto tollerare
che loro fosse vietato ciò che era stato permesso ai Pa-
triarchi: ma fu poi revocata nella legge evangelica, richia-
mandosi il matrimonio alla primitiva perfezione (4).
Alla indissolubilità si oppone lo scioglimento che di-
cesi divorzio o separazione, secondo che riguarda il vin-
colo stesso coniugale 0 la semplice coabitazione.
Il matrimonio rato può essere sciolto in due casi , e
(1) Gen. Il v. 24.
(2) Deuter. XXIV v. l
(3) Matth. XIX v. 8.
(4) Ibid. v. 4 et seqq.
— 114 —
per la solenne professione religiosa anche di un solo dei
coniugi e per la dispensa del Sommo Pontefice.
Havvi un precetto naturale, che obbliga bensì la co-
munità del genere umano al matrimonio, per provvedere
alla conservazione della specie , ma non obbliga per sé
alcun uomo in particolare. Anzi è domma di fede defi-
nito dal Concilio di Trento (l), che lo stato di verginità
o di celibato è migliore dello stato coniugale.
La Chiesa inoltre onorò sempre lo stato di vedovanza,
considerando le seconde nozze come cosa, che men con-
venisse al cristiano , quasi indizio di intemperanza e in-
continenza. Onde il diritto canonico ritiene i bigami come
irregolari.
Osserviamo qui incidentemente come questa dottrina
della Chiesa, che proclama la unità e la indissolubilità del
matrimonio, condannando la poligamia e il divorzio , che
rende il debito onore alla verginità, prescrivendo il celi-
bato al clero e approvando gli ordini religiosi, ove si e-
mette il voto di castità , questa dottrina che nobilita lo
stato di vedovanza, che stabilisce opportuni impedimenti
al matrimonio, non solo guida gli uomini al conseguimento
del bene spirituale, ma è anche sommamente proficua al
bene temporale della umana società, essendo perfettamente
conforme alla sana politica economia e principalmente a
quanto ha di buono la teorica sulla popolazione di Ro-
berto Malthus seguito da quel Minghetti che il Castagnola
riguarda come suo maestro.
Il Malthus insegna che, tendendo da una parte la po-
polazione a crescere in proporzione geometrica, e dall'al-
(1) Sess. XXIV. De sacram. matrim. can. X.
— 115 —
tra aumentando i mezzi di sussistenza solo in proporzione
aritmetica , la natura ristabilisce sempre 1' equilibrio eco-
nomico turbato dall' eccessivo crescere dei popoli , colla
peste, colla guerra, col vizio, colla miseria e con altri si-
mili ostacoli reprimenti, come avviene spesso in Asia, se
1' uomo libero e previdente non vi pone riparo a tempo
coli' ostacolo preventivo del morale ritegno. E le forme
del morale ritegno, secondo la teorica Malthusiana, sono
appunto la cura del pudore principalmente , il promuo-
vere l'amore alla verginità e 1' impedire i matrimonii in-
consulti. Ora poiché la fede concorda maravigliosamente
colla ragione , la Chiesa nella legislazione sua proponen-
dosi il fine spirituale promuove indirettamente e nel modo
più efficace anche quei vantaggi temporali , che si pro-
pone la scienza economica, alla quale invece mostrasi con-
trario il Castagnola mostrandosi favorevole alla soppres-
sione delle case religiose , e alla istituzione del matrimo-
nio civile, in cui non son riconosciuti gli impedimenti ca-
nonici, e di cui è logica conseguenza il divorzio.
Avendo la sola Chiesa autorità di regolare il sacra-
mento del matrimonio, essa pure ha esclusivamente il po-
tere di opporvi impedimenti , secondo il bisogno , per la
salute spirituale dei cristiani.
Gli impedimenti altri sono di diritto naturale e divino
ed obbligano tutti anche gli infedeli: altri sono di diritto
ecclesiastico ed obbligano solo i cristiani. Gli impedimenti
son pure altri impedienti, altri dirimenti, secondo che im-
pediscono che il matrimonio si contragga lecitamente o
validamente (l) di guisa che , se , non ostante 1' impedi-
(i) Institutiones theologiae dogmatico- scholasticae Salvatoris Magnasco
Archiepiscopi genuensis tom. IV tract. Vili parag. Vili.
— ilo —
mento impediente o dirimente , si pretendesse contrarre
matrimonio , esso sarebbe illecito o nullo.
Tale è la dottrina cattolica sul matrimonio, come ci è
esposta da sani teologi e canonisti, dottrina che è fiera-
mente combattuta dai novatori. Ed oltre i Luterani e i
Calviniani, contesero in vario modo alla Chiesa il potere,
ch'essa ha sul matrimonio, l'apostata Marco Antonio De
dominis, Giovanni Laonoio dottore della Sorbona , Bene-
detto Oberhauser da Fulda, e in Italia Luigi Litta e Pie-
tro Tamburini con altri giansenisti. Fondata sullo stesso
erroneo principio prima uscì in Austria nel 1 783 la Costi-
tuzione di Giuseppe II, per cui la cognizione delle cause
matrimoniali era devoluta ai tribunali civili ; quindi in
Francia, dopo i politici rivolgimenti, si pubblicò la legis-
lazione del 1792 sul matrimonio, alla quale tenne dietro
il codice napoleonico , ove quantunque si temperassero
alcune disposizioni contrarie alla Religione, pure circa le
cause matrimoniali si continuò ad attribuire ai magistrati
civili il potere, che compete esclusivamente alla Chiesa :
e finalmente tra noi si promulgò nel 1866 il codice vi-
gente, ove si adottò il metodo di riconoscere il matrimo-
nio civile esclusivamente, senza la ingiunzione portata dal
codice francese di celebrare il matrimonio civile prima del
religioso. Avanti che nel Piemonte si pubblicasse il nuovo
codice si erano già preparati gli animi coll'insegnamento
nelle Università del Regno , principalmente colle lezioni
di Nepomuceno Nuytz professore di diritto canonico nel-
l'Ateneo di Torino, il quale altro non fece che ridestare
gli errori del Laonoio (l) sul matrimonio, cioè la Chiesa
(1) Regia in matrimonium potestas.
— 117 —
non aver facoltà di stabilire o togliere gli impedimenti di-
rimenti, ma tal facoltà competere al potere civile: la co-
gnizione delle cause matrimoniali appartenere al foro ci-
vile : la Chiesa, in secoli a noi più vicini, aver cominciato
a stabilire impedimenti dirimenti, non per diritto pro-
prio, ma per diritto a lei conceduto dal potere civile : e
finalmente non esser dommatici i canoni del Concilio di
Trento (l), che dicono anatema a chi nega un tal potere
alla Chiesa.
Questi errori già tante volte confutati e di nuovo con-
dannati recentemente dal Sommo Pontefice Pio IX , ora
sono in sostanza ripetuti dal professor Castagnola (2).
1° Egli comincia (3) col riferire la definizione che danno
del matrimonio Modestino, Giustiniano e il professor Giu-
seppe Ferrari; e immemore dell'aforisma legale, che è pe-
ricolosa in diritto ogni definizione, dice francamente come
la definizione, che più gli va a sangue, è quella data dal
primo console Bonaparte , quando si discuteva al Consi-
glio di Stato il disegno del codice civile, esser cioè il ma-
trimonio « l'unione delle anime allo scopo di ottenere la
mutua perfezione ». Coloro i quali prima credevano es-
sere il matrimonio il legame di due persone capaci , le
quali, mediante il loro consenso, si uniscono con nodo in-
dissolubile per la procreazione ed educazione della prole,
e per darsi uno scambievole aiuto in tutta la vita , veg-
(1) Sess. XXIV. De sacratn. matrim, can. IV.
(2) Del professore Stefano Castagnola , che insegnava teste diritto
canonico nell'Università di Genova, si potrebbe ripetere ciò che un ce-
lebre teologo moderno diceva del professor Nepomuceno Nuytz : Ehis-
modi porro professores vere iuris canonici profligatores vocaveris.
(3) S. Castag. op. cit. p. 147 e segg.
— 118 —
gono ora come il matrimonio è ben altra cosa. Esso è
l'unione delle anime allo scopo di ottenere la mutua per-
fezione. Quindi, secondo questa definizione, due persone ,
sieno pure di medesimo sesso , due amici , che risolvano
d'essere uniti d'animo allo scopo di perfezionarsi scambie-
volmente, per esempio, in una scienza, senza avvedersene,
contraggono tra loro matrimonio. Chi può qui trattenersi
dall'esclamare: Poveri studi legali, povera logica, povero
buon senso , e sopratutto poveri studenti obbligati ad a-
scoltare i responsi della sapienza governativa, che dispen-
sano tali professori anche dalle Università di secondo o
primo grado, ove per rendersi maggiormente ridicoli ac-
cusano la Chiesa qual nemica della scienza?
2° Avea prima lodato la istituzione dei giurati come
un portato della moderna civiltà (l), benché essa si fondi
sul falso principio che « ogni uomo debba esser giudi-
cato da'suoi pari ». Noi avremmo potuto fargli osservare
che tale istituzione ebbe luogo nei primordii delle società
nascenti, come presso gli Anglosassoni e i Franchi ancor
barbari, che fu ripudiata dagli stessi Goti e Visigoti nelle
Spagne, quando conobbero il codice teodosiano e le leggi
canoniche, e che diviene sempre fonte di corruzione e di
ingiustizia. Ma ora egli stesso contraddicendosi è costretto
a scrivere che, se le leggi degli Stati Uniti di America ,
le quali perseguitano la setta dei Mormoni in quel di Utah,
non son riuscite ad estirpar la poligamia colle prescrizioni
penali, egli è perchè quelle leggi devono essere applicate
dalla locale « giuria », la quale essendo formata di Mor-
moni , come tante volte eziandio è un Mormone il pub-
(1) Ivi p. io.
— lig —
blico accusatore , non rinviene giammai gli elementi del
reato a carico dei seguaci di quella setta (l).
3° Insegna che, secondo il diritto canonico, non distin-
guendosi la ragion del contratto dalla ragion del sacra-
mento, e questo contratto, essendo il naturale e non il ci-
vile, si può fare da chiunque sia capace di dare il suo
consenso, cioè « dalle femmine una volta raggiunta l'età
di dodici anni e dai maschi quella di quattordici » (2).
E tutto vero ciò che qui si dice, eccettuato l'ultimo schia-
rimento, che in luogo di chiarire confonde quanto prima
si era accennato. Secondo il diritto naturale il contratto
del matrimonio è valido anche avanti della pubertà , se
vi sia sufficiente discrezione per intender la forza del con-
senso coniugale , giacché ciò che fa il contratto è la vo-
lontà. Ed anche secondo il diritto canonico è valido, ben-
ché contratto avanti dell' età indicata, se, oltre la discre-
zione, vi fosse la fisica potenza , come pure si dovrebbe
ritener valido , ancorché , compiuta l'età canonica e sup-
posto il debito consenso, ci fosse attuale fisica impotenza:
la quale può invalidare il matrimonio nel caso che sia
perpetua ed antecedente al contratto matrimoniale: né dal
diritto si suole dichiarare perpetua prima degli anni 18
nei maschi e degli anni 14 nelle femmine (3).
4° Sul principio (4) avea detto doversi alla Chiesa l'a-
ver elevata l'unione dell' uomo colla donna alla dignità di
sacramento: ed ora (5) dice esser Gesù Cristo che elevò
(1) Ivi p. 149.
(2) Ivi p. 151.
(3) Cf. Franc. Schmalzgrueber Ius ecclesiasticum universum toni. IV
p. II tit. II parag. IL
(4) S. Castag. op. cit. p. io.
(5) Ivi p. 153.
— 120 —
alla dignità di sacramento 1' unione matrimoniale. Anche
qui si vede che o il Castagnola è smemorato e non sa
quel che si dice, o, se intende correggere l'eresia sfuggi-
tagli, non la corregge esplicitamente , come , per non in-
generar confusione, dovrebbe.
5° Citando la relazione del senatore Vigliani presen-
tata al senato del Regno sul libro primo del codice ci-
vile, afferma che fin dai primi tempi della Chiesa i ma-
trimonii eran considerati quale un' istituzione civile : che
il Concilio di Trento, colla sua riforma, nulla volle inno-
vare, quanto alla essenza del sacramento, ma soltanto si
propose di accertare 1' atto civile : che di fatto il decreto
sulla riforma matrimoniale fu collocato non nella parte
dommatica, ma nella disciplinare (l).
Ora è falso che fin dai primi tempi della Chiesa i ma-
trimonii fossero considerati quale un'istituzione civile; per-
chè la Chiesa regolava già il matrimonio con apporvi va-
ni impedimenti nei primi tre secoli, quando Stati cristiani
non v'erano ancora, sui quali cade la presente quistione;
perchè poscia rigettò come adulterini alcuni matrimonii
ch'erano permessi dai Principi (2), e per contrario ritenne
valido il matrimonio dei figli di famiglia contratto senza
il consenso dei genitori, benché molte legislazioni lo aves-
sero dichiarato nullo; perchè essa dovette ratificare le leggi
matrimoniali degli Imperatori , affinchè potessero valere
pei matrimonii dei cristiani sì entro come fuori i confini
dell' impero ; perchè la Chiesa per mezzo delle leggi ca-
noniche invalidò , corresse , ampliò secondo il bisogno le
(1) Ivi p. 154-
(2) Cod. theod. lib. Ili tit. XVI de rcpiidiis.
— 121 —
leggi civili; e perchè finalmente gli stessi Principi quando
avrebbero dovuto massimamente valersi del diritto di re-
golare il matrimonio, se tal diritto avessero avuto, si ri-
volsero alla Chiesa, per ottener ciò che desideravano, come
avvenne quando fu statuito l'impedimento di clandestinità
chiesto al Concilio di Trento principalmente dalla voce
potente della Francia, come nota lo stesso Castagnola (l).
Così pure gli oratori francesi a quell'augusta Assemblea
chiesero con grandissima istanza, eppure inutilmente, che
fosse apposto impedimento al matrimonio dei figli di fa-
miglia contratto senza il consenso dei genitori.
È inutile e inesatto il dire che il Concilio Tridentino
colla sua riforma nulla volle innovare quanto alla essenza
del sacramento; perchè dato anche che il Concilio ciò a-
vesse voluto, non avrebbe potuto: essendo indubitato che
quanto si appartiene alla essenza dei sacramenti è di diritto
divino, e a ciò che è di diritto divino non può derogare
neppure il Concilio ecumenico, per quanto ampia ne sia la
potestà. Se i Padri si fossero proposti di accertare solo
l'atto civile, ne avrebbero fatto richiamo gli ambasciatori
delle potenze cristiane presenti al Concilio , protestando
contro quella ingerenza in cose spettanti al potere civile.
Dall'esser poi il decreto sul matrimonio posto nella parte
disciplinare, non ne viene che non sia dommatico; perchè
questa qualità non dipende da quella forma esterna, ma
si manifesta dalle parole stesse dei canoni , dallo scopo
che si propone il sinodo di esporre la dottrina sul ma-
trimonio, e si vede anche dalla dichiarazione del Ponte-
fice Pio IX nella proibizione dell'opera del Nuytz (2).
(1) S. Castag. op. cit. p. 152.
(2) Liti apost. Ad apostoìicae die 22 Aug. an. 1851.
— 122 —
6° L'avvocato Castagnola magnifica la istituzione del
matrimonio civile, proclamando la separazione del contratto
dal sacramento. Secondo lui, questo sistema è pienamente
conforme ai dettami del diritto, mantiene i confini dei po-
teri dello Stato e della Chiesa e la libertà di culto e di
coscienza. Mentre lo Stato provvede in tal modo ai do-
veri, che ha la sovranità, di regolare tale materia, rispetta
appieno le credenze di tutti i cittadini , senza distinzione
di culto, e, come diceva il Portalis, mentre la legge non
vede altro che cittadini, la Religione non vede altro che
credenti (l).
Ecco ciò che dobbiamo contrapporre a tutti questi er-
rori. La istituzione detta del matrimonio civile, mediante
la separazione del contratto matrimoniale dal sacramento,
è assolutamente contraria al nostro diritto pubblico, per-
chè il nostro diritto pubblico riconosce la Religione cat-
tolica sola Religione dello Stato. Ed è dottrina della Chiesa
cattolica, come scrisse a Sua Maestà Sarda il Sommo Pon-
tefice Pio IX (2) , che il sacramento non è una qualità
accidentale del contratto, ma è di essenza al matrimonio
stesso : cosicché la unione coniugale fra i cristiani non è
legittima se non nel matrimonio sacramento , fuori del
quale non vi è che un pretto concubinato. Una legge ci-
vile che, supponendo divisibile pei cattolici il sacramento
dal contratto di matrimonio, pretenda di regolarne la va-
lidità, contraddice alla dottrina della Chiesa, invade i di-
ritti inalienabili di lei , e praticamente parifica il concu-
binato al sacramento del matrimonio , sanzionando legit-
(1) S. Castag. op. cit. p. 154 e segg.
(2) Lettera di Sua Santità Pio IX al Re di Sardegna 9 Sett. 1852.
— 123 —
timo l' uno come l' altro. Tali verità ripetè poco dopo
lo stesso Pontefice, quando lamentandosi in Concistoro (1)
per le leggi della Repubblica della Nuova Granata sul
matrimonio, dicea: « Nessuno tra i cattolici può ignorare,
il matrimonio essere veramente e propriamente uno dei
sette sacramenti della legge evangelica istituito da Gesù
Cristo Signor Nostro , e però non potersi dare matrimo-
nio tra fedeli, che al tempo stesso sacramento non sia.
Talmente che fra cristiani l'unione dell'uomo e della donna
fuori del sacramento, siavi pure qualunque formalità ci-
vile e legale, altro non può essere che quel turpe e rui-
noso concubinato in tante guise condannato dalla Chiesa.
E così è chiaro, il Sacramento dal legame coniugale non
potersi separare, ed appartenere esclusivamente alla po-
testà della Chiesa ordinane tutte quelle cose, che ad esso
matrimonio in qualunque modo appartengono ».
Lo Stato cristiano colla istituzione del matrimonio ci-
vile vien meno al principalissimo dovere che ha di rico-
noscere la sovrana autorità della Chiesa nel regolare le
cosesacre , quale è il matrimonio, e di ubbidirle , come
farebbe una privata persona: né tien conto veruno delle
credenze professate dalla massima parte dei cittadini, che
sono cattolici , mostrando aver solo riguardo agli atei e
agli increduli , vera cancrena dell' umana società. Forse
solo l'Inghilterra, la cui Religione non è di fatto la Re-
ligione cattolica , col metodo suo potrebbe menar vanto
di rispettare le credenze di tutti i cittadini senza distin-
zione di culto. Ma il metodo inglese si è di riconoscere
il matrimonio religioso secondo il convincimento degli sposi,
ammettendo il matrimonio civile per gli atei.
(1) Alloc. Acerbissimum 27 Sept. 1852.
— 124 —
La legge poi o meglio quella larva di legge , di cui
parla il Portalis, contro ogni norma di retta politica, che
è scienza pratica, considera gli uomini non come sono in
concreto, ma presi in astratto e divisi, laddove lo Stato,
per evitar le collisioni e la oppressione delle coscienze ,
dovrebbe considerare i cittadini in quanto come credenti
appartengono anche alla Chiesa , in quella guisa che la
Chiesa considera i credenti, in quanto come cittadini ap-
partengono anche allo Stato.
Il matrimonio civile è ora introdotto già in molti Stati
europei per le mene settarie, a cui favorisce il vizio ra-
dicale dei governi rappresentativi, facili sempre a cedere
alla pervicace insistenza degli empi e proclivi ad appro-
vare ogni disegno di legge, comunque si voglia ripugnante
al sentimento religioso dei popoli, ed è una vera calamità
sociale per le rovinose conseguenze, che porta seco, quali
sono la indifferenza in materia di Religione, il divorzio ,
il dissolvimento della famiglia , la prava educazione dei
figliuoli , e la corruzione dei costumi. Lo sperimentò la
Spagna, ove approvato il matrimonio civile, mediante la
legge del 18 Giugno 1870 , si dovette poscia per mezzo
del decreto reale del 9 Febbraio 1875, modificare la le-
gislazione, per cui il matrimonio religioso ha gli stessi ef-
fetti del matrimonio civile. E nella stessa Prussia prote-
stante , ove con legge del lo Marzo 1874 il matrimonio
civile divenne obbligatorio , ora i gravissimi danni di sì
nefasta disposizione si riconoscono da quei medesimi che
l'aveano proposta.
7° Altri danni provenienti da questo sistema riconosce
anche il Castagnola, là ove parlando del disegno di legge,
eh' egli riprova , presentato dai ministri Vigliani e Con-
— 125 —
forti, per cui si rendeva obbligatorio il matrimonio civile
prima del religioso , accenna al miserando stato di tante
giovani tradite, rese madri ed abbandonate da coloro, coi
quali s'erano unite soltanto col matrimonio religioso non
riconosciuto dalla legge (l). Ma di questi mali si consola
dicendo : « Quando si adotta un sistema , egli è d' uopo
esser logici ed accettarne le conseguenze : potranno ve-
nirne alcuni inconvenienti , ma è inconveniente assai più
grave quello di bandire un principio col disdirlo rifiutan-
done i corollari » (2).
Dopo queste parole prive di buon senso, ci pare che
un cristiano, ancorché esamini le cose con mente serena,
senza curare le provocazioni avversarie (3) , dovrà tut-
tavia riconoscere come alla stoltezza s'aggiunga anche ci-
nica empietà , all' udir ciò che ivi si fa immediatamente
seguire : « Certo che è dolorosa la condizione di quelle
giovani madri , che sono reiette da uno sposo , al quale
solo le unisce un legame di coscienza , ed è anche più
dolorosa la condizione della prole innocente. Ma il nuovo
codice italiano non si preoccupa più che tanto del con-
cubinato : non lo punisce di una pena : si potrebbe anzi
dire che indirettamente lo favorisce , giacché accorda ai
figli naturali dei diritti sulla successione paterna, e 1' ar-
ticolo 815 del codice civile accorda loro nelle successioni
testamentarie , anche in confronto dei figli legittimi , la
metà della quota, che loro sarebbe spettata, se fossero le-
(1) S. Castag. op. cit. p. 158 e segg.
(2) Ivi p. 159-
(3) Il professor Castagnola, circa la quistione sui rapporti tra Chiesa
e Stato, giustamente osserva a pagina 8 che l'uomo di Stato deve esa-
minarla con mente serena, non curando le provocazioni avversarie.
— 126 —
gittimi , quale quota dal successivo articolo 8l6 viene e-
levata a due terzi , se non vi sono discendenti né ascen-
denti legittimi. Questi vantaggi sono loro assicurati anche
in casi di successione legittima dagli articoli 744, 745, ed
inoltre l'articolo 747 gli abilita a raccorre tutta l'eredità
paterna , se non vi sono discendenti legittimi , né ascen-
denti, né il coniuge. Ed allora perchè farne un reato, se
questa unione è stata santificata dal rito religioso? » (1).
8° Dichiarasi contrario alla giurisprudenza seguita dalla
Corte d' appello di Trani e dalla Corte di Cassazione di
Napoli: di cui luna con sentenza del 14 Luglio 1867 e l'al-
tra con sentenza del 29 Giugno 1871 ritengono nullo il
matrimonio di chi ricevette gli ordini sacri o emise il voto
solenne di castità. Ma non risponde a chi osserva essere
tal quistione di diritto pubblico interno , giacché lo Sta-
tuto , riconoscendo la Religione cattolica come sola Reli-
gione dello Stato, suppone che le leggi ecclesiastiche deb-
bano essere rispettate come leggi d' ordine pubblico in-
terno. Non risponde a chi mostra che la legge riconosce
la qualità e il carattere del Prete cattolico , determinan-
done in varii casi lo stato civile: e riconoscendo la qua-
lità e il carattere del Prete, deve pur riconoscerne le conse-
guenze, come è il celibato: altrimenti riconoscerebbe da un
lato il Prete e dall'altro noi riconoscerebbe. E non risponde
finalmente a chi gli chiede se il porre tanto incitamento
all'apostasia e a sì manifesta ribellione alle leggi ecclesiasti-
che è forse tutto quel favore che lo Stato separato dalla
Chiesa porge al sentimento religioso, quale sostrato, com'egli
lo chiama, e base della pubblica moralità ed onestà (2).
(1) S. Castag. op. cit. p. 159.
(2) Ivi p. 161 e 218.
— 127 —
Coloro ch'ebbero già tra le mani il libro del profes-
sor Castagnola , avran forse notato com' egli lo scrivesse
due anni dopo dacché il regnante Pontefice avea indiriz-
zato al mondo cristiano quella mirabile enciclica sul ma-
trimonio , la quale rimarrà a perpetuo monumento della
sapienza e vigilanza dei Papi e della benemerenza della
Chiesa verso la famiglia e lo Stato.
Ma noi crediamo poter francamente affermare ad o-
nore del Castagnola che , s' egli avesse letto quel grave
documento , avrebbe veduto come ivi alla solidità e ac-
curatezza della dottrina s' accordi il pieno conoscimento
dei mali, onde è travagliata la presente umana società, ed
ivi solo vengano indicati efficaci rimedii per impedire quel
dissolvimento, nel quale ora cadono precipitosi i governi,
i cui ministri loquacissimi a parlamentare si mostran poi
inettissimi a provvedere ai supremi bisogni della famiglia
che forma lo Stato. Egli udendo ragionar con tanta forza
e dignità , sarebbe stato men corrivo a trattar di questa
materia, ed ora non ardirebbe più parlare nel modo che
tenne scrivendo della Chiesa e d'un gran sacramento, quale
è il matrimonio tra cristiani.
Ecco come il Pontefice, sul fine dell'enciclica compen-
diando la dottrina cattolica circa il matrimonio, parla ai
Vescovi della cristianità: « Ponete le principali cure in que-
sto che i popoli abbondino dei precetti della sapienza cri-
stiana , ed abbiano sempre fisso nella mente che il matri-
monio fu dal principio stabilito non per volontà degli uo-
mini, ma per autorità e volere di Dio, e con questa legge
che sia di un solo con una sola : Cristo poi autore della
nuova legge, da ufficio di natura, averlo posto fra i sacra-
menti, e, per quel che riguarda il vincolo, averne dato alla
— 128 —
sua Chiesa il potere legislativo e giudiziale. Nella qual cosa
diligentemente si conviene prender guardia, che le menti
non sieno tratte in errore dalle fallaci argomentazioni degli
avversarii, i quali vorrebbero che fosse tolto alla Chiesa
un tal potere. Similmente deve essere a tutti manifesto
che, se tra cristiani si contragga l'unione dell'uomo e della
donna senza che sia sacramento, essa manca della natura
e dell'efficacia di legittimo matrimonio; e tuttoché sia stata
fatta in modo conforme alle leggi dello Stato, nulladimeno
non può essere stimata più che un rito od una usanza
introdotta dal diritto civile; dal diritto civile poi non pos-
sano essere ordinate e amministrate se non quelle cose ,
che i matrimonii producono nell' ordine civile , e che è
chiaro non potere altrimenti esser prodotte, se non ne e-
sista la vera e legittima causa , cioè dire il vincolo nu-
ziale. Certo importa assaissimo che gli sposi conoscano
appieno queste cose , le quali debbano anche essere da
essi abbracciate e ne' loro animi altamente impresse, ac-
ciocché sia loro lecito di uniformarsi in questo caso alle
leggi ; non vietando ciò la stessa Chiesa , la quale vuole
e desidera che sieno salvi del tutto gli effetti dei matri-
monii, e che non venga cagionato alcun danno ai figliuoli.
In tanta confusione poi di giudizii, che van crescendo l'un
dì più che l'altro, è necessario che sia ben conosciuto an-
che questo, che cioè lo sciogliere il vincolo del connubio
rato e consumato tra cristiani, non è in facoltà di veruno ;
e che in conseguenza sono rei di manifesto delitto quei
coniugi, quando per avventura ve ne siano alcuni, i quali
per qualunque motivo si adduca , vogliano stringersi in
un nuovo vincolo di matrimonio , innanzi che per morte
resti sciolto il primo. Che se le cose giungano a tal punto,
— 12Q —
che il convivere insieme non sembri potersi sopportare
più a lungo , allora la Chiesa permette che 1' uno meni
i suoi giorni separato dall'altro, e con cure e rimedii da
apprestarsi , secondo che richiede la condizione dei co-
niugi , si studia di alleggerire i danni della separazione ,
né avviene giammai o che ella non s' adoperi o che di-
speri di ridur gli animi alla concordia. Questi per altro
sono i partiti estremi, ai quali sarebbe facile non venire,
se gli sposi, non trasportati dalia passione , ma ponderati
prima con atteso animo sì i doveri dei coniugi, sì i mo-
tivi nobilissimi dei connubii , si accostassero al matrimo-
nio con quella intenzione che si conviene , e non antici-
passero le nozze con una serie continuata di delitti, sotto
lo sdegno di Dio. E per raccogliere tutto in poco , allora
i matrimonii potranno avere una dolce e sicura stabilità,
quando attingano lo spirito e la vita dalla virtù della Re-
ligione , la quale dà grazia d' animo forte ed invitto ; la
quale fa sì che i difetti che possono aver le persone, che
la diversità dei costumi e delle indoli , che il peso delle
cura materne, che la grave sollecitudine della educazione
de' figliuoli, che i travagli compagni della vita, che tutte
le disavventure, non solo con rassegnazione, ma con lieto
animo si sopportino » (l).
(1) Epist. encyc. Arcanum divinae sapientiae die io Febr. an. 1880.
— 130 —
ART. III.
DELLE PERSONE E DELLE GUARENTIGIE ACCORDATE AL SOMMO PONTEFICE.
Di quest' ampia materia delle persone trattata mae-
strevolmente da molti scrittori di diritto ecclesiastico, che
si possono facilmente da giovani consultare, qui sono ap-
pena accennati i diritti de' chierici : i quali diritti il Casta-
gnola riduce 1° alla prerogativa d' ordine e di giurisdi-
zione: 2° al privilegio del foro e del canone : 3° all' esen-
zione dai pesi ed officii pubblici. Ma 1' aver egli toccato
solo in parte e fuggevolmente tale materia , non gli im-
pedì che dicesse molti e gravissimi errori.
1° Circa la prerogativa d'ordine e di giurisdizione scrive
che nei primitivi tempi il laicato prendeva sempre parte
attiva nella legislazione ecclesiastica, i Concilii erano con-
vocati e presieduti dagli Imperatori d'oriente, ed anche in
occidente dagli Imperatori Carlovingi (l).
Per tempi primitivi della Chiesa generalmente s' inten-
dono i primi tre secoli dell'era volgare. Ora in quel tempo
il laicato né pigliò, né potea pigliar parte attiva alla le-
gislazione ecclesiastica, per mezzo della celebrazione dei
Concilii. Quanto ai Concilii ecumenici, allora non se ne
erano ancor celebrati in oriente né in occidente. De' po-
chi Concilii particolari, che si tennero non ne furono con-
vocati né presieduti da Imperatori , i quali anzi per la
ferocia, con cui perseguitavano la Chiesa , gli avrebbero
dispersi. E nel quarto secolo , quando si tenne il primo
Concilio di Nicea , tra i molti ecclesiastici, eh' erano stati
(l) Ivi p. 177.
— 131 —
tormentati dagli idolatri, vi comparvero ancora alcuni che
mostravano tuttavia le cicatrici delle piaghe sofferte nelle
persecuzioni dai tiranni, come san Pafnuzio Vescovo della
Tebaide, al quale era stato cavato l'occhio destro a'tempi di
Massimino; san Paolo Vescovo di Neocesarea, che per or-
dine di Licinio, avea perduto 1' uso delle mani, essendo-
gliene stati bruciati i nervi con ferro rovente; e san Pa-
tamone Vescovo di Eraclea, privato anch'esso dell' occhio
destro per la confessione della fede. Di questo primo Con-
cilio ecumenico, che, colla permissione del Pontefice san
Silvestro, fu convocato da Costantino per rinfrancare gli
animi ancora spaventati della passata tirannide, e certifi-
care il mondo che anche i Cesari, piegando la fronte alla
Croce, avean finalmente reso pubblico omaggio alla fede,
di questo Concilio abbiam già accennato (l) come fosse
presieduto dai legati del Papa. E lo stesso Costantino pre-
sente all' augusta Assemblea diceva a' quei Padri : « Id-
dio vi costituì sacerdoti e vi diede la potestà di giudicare
anche di noi : e noi quindi siamo da voi rettamente giu-
dicati » (2). Ma non v' essendo speciale motivo per fare
altrimenti , i Papi sempre convocarono per sé i Concilii
e li presiedevano nella persona dei legati. Gli Imperatori
d'oriente furon sì lontani dal pigliar parte attiva alla le-
gislazione ecclesiastica , che già nel secolo quinto , come
abbiamo detto, l'Imperatore Marciano e l'Imperatrice Pul-
cheria non avean potuto impetrare che il Sommo Ponte-
fice san Leone approvasse il vigesimo ottavo canone sta-
(1) Pag. 6.
(2) Cf. Natalis Alexandri Ustoria ecclesiastica tom. IV, saecalì IV syn-
opsis, cap. IV, art. Ili parag. IL
— 132 —
bilito dai Padri del Concilio Calcedonese, a favore della
Chiesa di Costantinopoli.
Ma come il Castagnola potè scrivere che nei primitivi
tempi della Chiesa i Concilii fossero convocati e presie-
duti anche in occidente dagli Imperatori Carlovingi ? Nei
primitivi tempi della Chiesa i Carlovingi non esistevano
ancora, ed era già scomparsa la loro dinastia, quando si
celebrarono in occidente Concilii ecumenici. I Carlovingi
avean già cessato di regnare, quando sullo scorcio del se-
colo decimo regnava Ugo Capeto, e il Concilio ecumenico
il quale prima si celebrò in occidente fu il Lateranese primo,
che si tenne nel duodecimo secolo sotto il pontificato di
Callisto IL Per ciò che spetta i Concilii particolari, è vero
che fu pensiero di Carlo Magno celebrare quasi contem-
poraneamente i cinque sinodi provinciali di Arles, Reims,
Tours, Chàlons e Magonza : ma per congregarli andò di
buon accordo cogli Arcivescovi e coi Vescovi delle Gal-
lie, a' quali avea già dato ad esaminare il suo disegno,
per ottenere, nel modo più conforme ai canoni, la gene-
rale riformazione dei costumi. E questi Concilii, eh' eran
presieduti da ecclesiastici , lodando lo zelo di Carlo , gli
mandarono le loro deliberazioni , perchè ne curasse 1' a-
dempimento, il che egli fece quell'istesso anno pubblicando
un capitolare di ventotto articoli nella generale assemblea,
che a tal fine convocò in Aquisgrana. Un tal fatto par-
ticolare, ch'ebbe sì felice riuscimento, non dimostra in ve-
run modo ciò che il Castagnola intende, ma contro di lui
prova soltanto di quali benefici frutti sia fecondo ai po-
poli il sincero accordo tra la Chiesa e lo Stato.
Di sì fatta guisa era la parte che i Carlovingi avean
pigliato nella legislazione ecclesiasiastica : e in tal modo
— 133 —
pure si diportarono gli altri Principi cristiani , il cui uf-
ficio intorno ai Concilii fu solo difenderli e farne eseguire
i decreti.
2° Parlando del privilegio del foro, per cui i cherici
non possono essere astretti a comparire innanzi a giudici
laici né come rei, nò come testimonii, né esser da quelli
puniti, ma solo dal legittimo superiore, par che voglia se-
gnalare una contraddizione nelle leggi canoniche; perchè
dopo aver riferito che i concordati e gli indulti su tale
esenzione furono abrogati dalla celebre Bolla Coenae, colla
quale venne fulminata la scomunica contro coloro , che
traggono le persone ecclesiastiche al foro secolare, scrive
come « ad onta di ciò i Pontefici continuarono ad ema-
nare simili indulti e a stringere concordati su di questo
punto » (l). E non vede che come un Papa può abro-
gare i concordati e gli indulti già conceduti, così un al-
tro Papa può concederli di nuovo, secondo che crede op-
portuno: altrimenti si dovrebbe ammettere che chi precede
nel pontificato possa legare i successori ne' loro atti e ri-
stringerne il potere; e che conseguentemente i Papi rice-
vano la loro potestà dal predecessore, non già, come in-
segna la Chiesa, da Gesù Cristo nella persona di san Pietro.
3° Mentre il professor Castagnola nelle leggi canoni-
che vede contraddizioni che non esistono , non vede poi
quella contraddizione sì manifesta che è tra la legge del
9 Aprile 1850, detta volgarmente legge Siccardi, e le leggi
ecclesiastiche coi concordati che dovrebbero essere nel no-
stro Regno ancora vigenti (2). Presso di noi 1' esenzione
(1) S. Castag. op. cit. p. 178.
(2) Ivi.
— 134 —
dei cherici dal foro secolare nelle cause civili era già ri-
stretta da speciali disposizioni emanate dalla Santa Sede,
come rilevasi dalle stesse risposte del Cardinal Fini alle
opposizioni fatte da Francesco Ferrerò di Roasio Mar-
chese d'Ormea (l) e dal Breve (2), col quale il Sommo
Pontefice Leone XII estende quelle disposizioni al ducato
di Genova; perchè ivi si scorge che gli ecclesiastici erano
di competenza del giudice ecclesiastico , solo quando si
trattava di cause civili tra ecclesiastico ed ecclesiastico o tra
un ecclesiastico ed un laico, in cui il convenuto 0 reo fosse
ecclesiastico, secondo l'assioma legale che l'attore segue il
foro del reo. Così questa esenzione era pure ristretta dalla
pratica introdotta prima nelle provincie gallicane, poi in
Savoia e quindi nel restante dominio del Piemonte; per-
chè, quantunque di ciò non apparisse vestigio nei concor-
dati, pure per tolleranza della Chiesa, i cherici si riguar-
davano di competenza del giudice ecclesiastico solo nelle
cause personali non nelle reali. Anzi tale esenzione era
ristretta inoltre dalle stesse leggi canoniche; perchè la Chiesa
non solo tollerava che l'ecclesiastico comparisse davanti il
giudice laico, se fosse stato citato con laici o se fosse stato
riconvenuto ; ma toglieva anche il privilegio ai cherici in
molti casi, come se negli ordini minori non avessero portato
l'abito chericale e non avessero servito una Chiesa, o, se
negli ordini maggiori, dimesso l'abito, si fossero dati a vita
secolaresca, o si fossero dedicati a negozii o ad ammini-
strazioni proibite ai cherici dai sacri canoni.
(1) Progetto di accomodamento tra S. M. il Re di Sardegna e S. S.
Benedetto XIII, sull'immunità e sulla giurisdizione ecclesiastica in Pie-
monte, 24 Marzo 1727.
(2) Breve Obscquio die 20 Iun. an. 1826.
— 135 —
L'esenzione dei cherici anche nelle cause criminali era
assai limitata pel nuovo concordato del 2 aprile 1841 sotto
Gregorio XVI, ove al giudice laico era permesso di agire
contro il cherico , se si trattasse di crimine o di delitto ,
in cui il cherico fosse complice con laici.
Ora la immunità personale dei cherici, quantunque già
sì attenuata dai concordati, dalla pratica introdotta ed anche
dalle leggi canoniche , pure venne di fatto assolutamente
abolita colla legge Siccardi; perchè, quanto alle cause ci-
vili all'articolo 1° è detto: « Le cause civili tra ecclesia-
stici e laici od anche tra soli ecclesiastici, spettano alla
giurisdizione civile, sia per le azioni personali che per le
reali o miste di qualunque sorta ». E quanto alle cause
criminali si ha all' articolo 3 e 4 ». Gli ecclesiastici sono
soggetti come gli altri cittadini a tutte le leggi penali dello
Stato. Pei reati nelle dette leggi contemplati, essi verranno
giudicati nelle forme stabilite dalle leggi di procedura, dai
tribunali laici, senza distinzione tra crimini 0 delitti e con-
travvenzioni ».
« Le pene stabilite dalle leggi dello Stato non potranno
applicarsi che dai tribunali civili, salvo sempre all'eccle-
siastica Autorità l'esercizio delle sue attribuzioni per l'ap-
plicazione delle pene spirituali , a termini delle leggi ec-
clesiastiche ». Per veder poi quanto la legge Siccardiana
contraddica allo Statuto, basta ricordare il 1° articolo, che
riconoscendo la Religione cattolica come Religione dello
Stato, deve riconoscere tutte le leggi ecclesiastiche, a cui
non siasi derogato per ispeciale concessione del Pontefice.
40 Anche trattandosi di materia così grave, non è facile
contenere il riso quando si sente dir dal Castagnola che « in
virtù del privilegio del canone non si può portar violenta
- 136 —
la mano sul chierico , siccome lo stabilisce Innocenzo II
nel Concilio Lateranense con queste parole : Si quis, sua-
dente diabolo, huius sacrilega redimii incurrérit, quod in cle-
ricnm vel monachimi violentas manus iniecerit , anathematis
v inculo subiaceat » (l).
Pare che, se non fosse il privilegio di questo canone,
ora non più riconosciuto dalle nostre leggi civili, i cherici
e i monaci potrebbero impunemente percuotersi. Inno-
cenzo II nel citato canone non istabilisce ciò che già sup-
pone generalmente stabilito dal diritto naturale, non po-
tersi cioè percuotere i cherici e i monaci, come non può
percuotersi verun' altra persona, ma per circondar di mag-
gior protezione e riverenza gli ecclesiastici, fulmina l'ana-
tema contro colui che, per istigazione del demonio, fosse
incorso nel reato di sacrilegio per aver posto violente-
mente le mani su un cherico o su un monaco.
5° Riguardo all' esenzione dai pesi ed ufficii pubblici
interpreta in modo arbitrario il diritto d' eguaglianza ri-
conosciuto dalla Costituzione all'articolo 24: « Tutti i re-
gnicoli, qualunque sia il loro titolo e grado, sono eguali
dinanzi alla legge » (2).
L'eguaglianza guarantita dallo Statuto altro non può
essere che un'eguaglianza relativa, per la quale chi, nelle
diverse condizioni sociali, da una parte è soggetto a spe-
ciali gravami, dall'altra debba avere un compenso nell'e-
senzione da altre comuni obbligazioni, sicché possa in tal
modo serbarsi la giustizia distributiva. Altrimenti un' e-
guaglianza assoluta e rigorosa applicata individualmente
(1) Ivi.
(2) Ivi p. 179-
— 137 —
agli uomini sarebbe effettivamente la massima delle ine-
gualità, perchè, essendo gli uomini necessariamente disu-
guali nelle loro accidentali qualità , il volerli pareggiare
in modo rigoroso sarebbe un volerli trattare tutti inegual-
mente e rendersi ingiusto verso ciascuno. Ora l'esenzione
dai pesi e dagli ufficii pubblici a favore dei cherici altro
non è che un giusto compenso dei gravi oneri speciali e
dei doveri ch'essi hanno nell'adempimento del loro mini-
stero.
6° Considera la legge del 27 Maggio 1869 , che abo-
lisce il privilegio della dispensa dei cherici dalla leva mi-
litare, come corollario del principio d'eguaglianza sancito
dallo Statuto : crede che il servizio prestato sotto le mi-
litari bandiere non possa se non che rinvigorire i giovani
leviti : ed afferma che la storia ci dimostra « come i pri-
mitivi cristiani si reclutassero non in iscarso numero tra
i legionarii romani sempre prodi e fedeli all' Imperatore
romano » (l).
La citata legge come è contraria pei motivi già ac-
cennati al 1° articolo dello Statuto, così discorda pure dal-
l'articolo 24, dovendo il principio d'eguaglianza intendersi
d' un' eguaglianza non assoluta ma relativa. Il clero paga
il debito suo alla patria non nelle caserme e negli allog-
giamenti col brandire le armi, ma col consecrare la sua
vita negli ospedali, nelle carceri, nelle chiese a render co-
stumati i soldati, a incoraggiarli nelle loro privazioni, e
spesso a prestar loro quelle consolazioni che non hanno
dalla famiglia lontana. Chi può mai credere che il servi-
zio militare possa rinvigorire i giovani leviti, massime nel
(1) Ivi.
— 138 —
nostro esercito, ove licenziati i cappellani, ed impediti i
giovani dal compiere i loro doveri religiosi, crebbe tanto
il mal celtico che se ne mosse querela al Parlamento? (l).
Noi crediamo col ministro belga Pirmez che, fatte poche
eccezioni , chi avrà appartenuto per qualche tempo alla
milizia ed avrà preso le usanze della vita militare, diverrà
difficilissimamente un buon Prete. Se poi i primitivi cri-
stiani reclutati tra le legioni romane si mostrarono sem-
pre prodi e fedeli agli Imperatori, ciò non ad altro può
attribuirsi che all' intrinseca virtù della Religione che pro-
fessavano , unica che torni sempre utile agli Stati. Ma il
vantaggio, che può aver l'esercito dall'arrolamento di quei
giovani, non impedisce il gravissimo danno morale che ha
lo Stato, quando strappa dai Seminarii i giovani leviti per
dar loro rozza e quasi atea educazione sostituita alla colta
e pia educazione, che dà loro la Chiesa, perchè debbano
trasfondere nei popoli il buon costume a comun beneficio
dell' umana società.
7° Neil' esaminar la legge detta delle guarentigie, se-
guendo il parere del Consiglio di Stato del 27 Febbraio
1878 , la considera legge di diritto pubblico interno (2),
e poco innanzi l'avea riguardata come legge di diritto pub-
blico esterno , chiamandola con Marco Minghetti legge
quant' altra mai politica e di opportunità, fatta « per ras-
sicurare i governi e i popoli cattolici che la fine del po-
tere temporale del Papa non implica la servitù spirituale
della Chiesa » (3). Prima la dice « una legge interna dello
(1) Relazione sul bilancio dell'interno del 1883.
(2) S. Castag. op. cit. p. 181.
(3) Ivi.
— 139 —
Stato » e poscia una legge « intesa altresì a produrre ef-
fetti che ne varcano i confini , in quanto che 1' indipen-
denza del Sommo Pontefice, capo della cattolicità, e il li-
bero esercizio dell'autorità spirituale della Santa Sede, che
essa legge assecura, sono una guarentigia pei cattolici di
qualsivoglia Stato estero, ch'essi non incontreranno impe-
dimenti o vincoli nelle loro relazioni col Sommo Ponte-
fice e colla Santa Sede » (l). Confessa che la legge delle
guarentigie « non è una logica conseguenza del principio
della separazione della Chiesa dallo Stato » (2), principio
da lui sostenuto , e poi vantasi di avere apposto il suo
nome a questa legge, quando fu sancita (3).
8° Temendo di parer forse troppo benigno nel!' inter-
pretazione della legge delle guarentigie , s' affretta a di-
chiarare com'egli opina col Ti epolo (4) che non si volle
coli' articolo 7 (5) stabilire il diritto d' asilo, dicendo che
« le residenze pontificie e conciliari restano sempre sog-
gette alla legislazione comune, né possono assicurare l'im-
punità ai malfattori, che vi si fossero ricoverati ». E mo-
strando come a ciò non osti il non essersi accettata la
proposta d' un' aggiunta per accordare l'accesso alle resi-
denze del Pontefice, con un decreto della suprema Magi-
stratura giudiziaria, egli afferma darsi per presupposto
(1) Ivi p. 182.
(2) Ivi p. 180.
(3) Ivi p. 184.
(4) Raccolta di leggi speciali. — Leggi ecclesiastiche p. 28.
(5) Art. 7: « Nessun ufficiale della pubblica autorità od agente della
forza pubblica può esercitare atti del proprio ufficio, introdursi nei pa-
lazzi e luoghi di abituale residenza 0 temporanea dimora del Sommo
Pontefice, del Conclave o del Concilio ».
— 140 —
che i rei debbano esser consegnati , ed allega in propo-
sito ciò che il Ministro sopra gli affari esteri diceva al
Parlamento (l). « Se il Pontefice volesse dare nel Vati-
cano impune rifugio ai malfattori, che cosa succederebbe ?
Quale ne sarebbe la conseguenza? Il Pontefice commet-
terebbe un abuso, ed allora 1' opinione del mondo civile
ci renderebbe assai facile il fare cessare degli inconve-
nienti, i quali sarebbero condannati dalla coscienza pub-
blica ».
Dal che si rileva che questa legge non fu pubblicata
per guarentire la Santa Sede, come si volea far credere,
ma per chetare la commozione dei popoli impensieriti del
nuovo stato precario, in cui si trovava il Pontefice, dopo
il bombardamento di Roma: si rileva che, se il Papa vo-
lesse far valere pei sacri palazzi il privilegio d' immunità
accordato dai canoni anche ai palazzi dei semplici Vescovi,
si dovrebbe ritenere qual ricettatore di malfattori, il quale
commetta un abuso dalla coscienza pubblica condannato:
si rileva finalmente che in tal caso il governo non farebbe
conto alcuno della legge delle guarentigie; perchè, non o-
stante tal legge, l'opinione del mondo civile gli renderebbe
assai facile il far cessare quei supposti inconvenienti.
9° Quando commenta l'articolo g, in luogo di notarne
i gravi vizii, aggiunge anzi altri errori. Di fatto come in
quell'articolo si dispone che « il Sommo Pontefice è pie-
namente libero di compiere tutte le funzioni del suo mi-
nistero spirituale e di far affiggere alle porte delle basi-
liche e chiese di Roma tutti gli atti del suo ministero » ;
così da prima si lascia supporre che possa togliersi al
(l) Atti del Parlamento 1871 p. 586.
— 141 —
Pontefice in parte o tutta quella libertà che ora gli si con-
cede : quindi si viene a sancire la massima della ingerenza
del potere civile sulle cose spirituali e la supremazia dello
Stato sulla Chiesa: inoltre si determina al Pontefice la ma-
niera di promulgare le leggi ; perchè con prescrivergli che
è pienamente libero di far affiggere alle porte delle ba-
siliche e chiese di Roma tutti gli atti del suo ministero ,
gli si indica tassativamente il modo come può promulgare
le sue leggi, oltre il quale, debba ritenersi essergli tolta
quella facoltà : e finalmente col fatto si abolisce il modo
ordinario per pubblicare le leggi pontificie tenutosi in vi-
gore da oltre sei secoli; perchè da quel tempo la pro-
mulgazione si solea fare , mediante 1' affissione alle porte
della basilica dei SS. Apostoli e al campo di Fiori: ed
ora nell'articolo 9 si dispone che possa farsi mediante l'af-
fissione alle porte delle basiliche e chiese di Roma, senza
che il campo di Fiori sia indicato.
Il Castagnola di più ci fa sapere che « gli atti del mi-
nistero spirituale del Pontefice sono di libera pubblica-
zione ed affissione non solo alle porte delle chiese di Roma,
ma anche a quelle di tutto il Regno ». Questa interpre-
tazione è affatto contraria al testo; perchè nell'articolo si
dice che « il Sommo Pontefice è pienamente libero.... di
far affiggere tutti gli atti del suo ministero alle porte delle
basiliche e chiese di Roma » non già a quelle di tutto il
Regno: e non potea dirsi altrimenti, se si fossero volute
appunto indicare le basiliche e chiese di Roma, escludendo
le altre. Né vale addurre la ragione che « per l'articolo
16 la pubblicazione degli atti dell'autorità ecclesiastica non
è più soggetta al vincolo dell' exsequatur » ; perchè anche
avanti, stando pure alla pretensione del governo, non e-
— 142 —
rano soggetti al regio placito se non che i rescritti di gra-
zia e giustizia.
Inculca di nuovo la supremazia dello Stato sulla Chiesa,
affermando che la libertà concessa al Pontefice di pub-
blicare le sue leggi « esplica soltanto i suoi effetti allor-
ché egli ne usa nella forma che gli è garantita dalla legge
13 Maggio 1871. Ma se il Pontefice rifugge dall' usar que-
sta forma per render manifeste le sue determinazioni, ed
invece fa appello a quelle che dal diritto comune sono
accordate a tutti i cittadini, egli è pur giusto che allora
sottostia all' impero della legge comune » (l). Qui si vede quanto
opportunamente Pio IX neh' enciclica (2) , ove condanna
come illusorie queste leggi, dicesse ai Vescovi della cristia-
nità che quella stessa concessione di guarentigie era per sé
medesima un chiarissimo documento come al Pontefice, cui
è divinamente data l'autorità di far leggi spettanti all'or-
dine morale e religioso, al Pontefice, che è costituito in-
terprete del diritto naturale e divino in tutto il mondo ,
s' impongano leggi e tali leggi , che si riferiscono al go-
verno di tutta la Chiesa , e la cui conservazione ed ese-
cuzione non si fonda su altro diritto di quello in fuori ,
che piaccia al volere della laica potestà prescrivere e sta-
bilire.
Il professor Castagnola dice che il caso si ebbe quando
esso Castagnola era ministro. Ecco le sue stesse parole :
« Il caso si verificò allorquando io mi avea 1' onore di
sedere nel Consiglio della Corona. Era già pubblicata la
legge delle guarentigie, che indicava il modo col quale il
(1) S. Castag. op. cit. p. 193.
(2) Litt. encyc. Ubi nos die 15 Maii an. 1871.
— 143 —
Pontefice potea rendere di pubblica ragione gli atti del
suo ministero. Pio IX credette di lanciare la scomunica
contro il Re Vittorio Emmanuele per la violenta occupa-
zione della città di Roma ; ma egli non fece affiggere la
scomunica alla porta delle basiliche usando la facoltà che
gli concedeva l'articolo Q della legge 13 maggio 187 1. La
Bolla venne stampata su giornali stranieri e quindi ripro-
dotta da' giornali italiani. Il tenore della medesima era of-
fensivo al Re. Il Lanza presidente del Consiglio dei mi-
nistri e ministro dell'interno non esitò ad ordinarne il se-
questro » (l).
Ma è falso che fosse già pubblicata la legge delle gua-
rentigie , quando uscì questa Bolla (2). La Bolla uscì il
1° Novembre del 1870, e la legge delle guarentigie venne
promulgata più di sei mesi dopo cioè il 13 Maggio 1871-
Non pare credibile un tale errore di fatto specialmente
in chi fu allora ministro ed ora mostra scrivere con tanta
sicurezza : ma è pur troppo vero. Come dunque ciò av-
venne? Quando fu sequestrata la Bolla ne avean fatto ri-
chiamo al Parlamento gli stessi più fieri nemici della Chiesa,
perchè con quel sequestro si mostrava evidentemente quanta
ragione avesse il Pontefice di non credere alle promesse
di libertà fatte dal governo. Ed essendone mossa acerba
querela anche in Senato nella tornata del 27 Dicembre di
quell'anno, il guardasigilli Raeli tentò da quell' accusa di-
fendersi dicendo che la legge sulla stampa modificata, in
virtù dell' articolo 82 dello Statuto , soltanto per la pro-
vincia di Roma e per le pubblicazioni che il Sommo Pon-
(1) S. Castag. op. cit. p. 193.
(2) Litt. encyc. Respicientes ea omnia die 1 Nov. an. 1870.
— H4 —
tefice avrebbe fatto « nelle solite forme » imponeva il se-
questro dell' enciclica, perchè appunto non era stata pub-
blicata in Roma « nelle solite fórme ». Ora al Castagnola
parendo forse buona la ragione del Raeli, che prescrive
al Pontefice il modo di promulgar le leggi , volle farla
propria, ma confuse la legge sulla stampa colla legge delle
guarentigie. E l'esempio di questo fatto non più antico di
dodici anni, fatto che tutti conosciamo, ed al quale il Ca-
stagnola avea pigliato gran parte sedendo allora nel Con-
siglio dei ministri, questo fatto, diciamo, non si dee pas-
sar sotto silenzio, per mostrare qual giudizio debba for-
marsi di molti altri fatti da lui riferiti intorno alla storia
della Chiesa.
10° Termina il suo commento sulla famosa legge os-
servando come « 1' esperienza ha ormai dimostrato che ,
per quanto il Pontefice sia stato privato d' una zona di
territorio , sul quale egli esercitava il suo potere tempo-
rale, egli è però rimasto pienamente indipendente nell'eser-
cizio del suo potere spirituale » (l). Ma più eloquenti delle
parole ci convincono i fatti, mostrando quanto giustamente
l'immortale Pio IX si lamentasse di esser costituito sotto
nemica potestà. L' immediato sequestro della enciclica pon-
tificia, la dignità del Pontefice, nella stampa, nei teatri o
nel Parlamento quotidianamente vilipesa, le ingiurie con-
tro la sua sacra persona lasciate impunite, il Papa stesso
nei suoi rappresentanti citato in giudizio , i cattolici che
da ogni parte del mondo traggono a Roma per visitar il
Pontefice e la tomba di san Pietro, spesso offesi e mole-
stati, le grida selvaggie contro il Papato , i sassi lanciati,
(l) S. Castag. op. cit. p. 199.
— 145 —
il tentativo di cacciar nel Tevere le spoglie mortali del
Sommo Pontefice Pio IX, quando si dovettero trasportare
alla chiesa di san Lorenzo fuori le mura : le chiese dei
Religiosi coi conventi spesso o demolite o convertite in
uso profano: questi ed altri simili fatti apertamente smen-
tiscono 1' asserzione del Castagnola.
ART. IV.
DEI REATI ECCLESIASTICI.
1° Trattando dei delitti ecclesiastici, il Castagnola tra-
duce quasi letteralmente ciò che su questa materia scrive
nelle sue istituzioni il canonico Giuseppe Ferrari : ma
ora tralascia cose che dovrebbe accennare , or soggiunge
inutili ed erronee osservazioni.
2° Parla dell' insegnamento dei canonisti come si par-
lerebbe delle disposizioni di vere leggi ecclesiastiche, dando
così a scrittori privati quell' autorità legislativa , che non
compete neppure a tutte le parti che compongono il corpo
del diritto canonico , ma solo a quelle eh' ebbero la pon-
tificia sanzione. Dà, per esempio, la definizione dell' ere-
sia dicendo che così vien definita dalle leggi ecclesiasti-
che (l) : riferisce con altre una definizione del matrimo-
nio, diversa dalla sua propria stranissima e ridicola , di-
cendo che il matrimonio così è definito secondo il diritto
canonico (2). E queste definizioni poi son del Ferrari (3).
Or che si direbbe, se noi scegliendo la peregrina defini-
(1) Ivi p. 200.
(2) Ivi p. 148.
(3) Stimma institutiomim canonìcarum tom. I lib. I tit. XXIV parag.
251: tom. II lib. II tit. IV parag. 342.
IO
— 146 —
zione del matrimonio , la quale va più a sangue (l) ad
un avvocato e professore , che fu già ministro e scrive
delle relazioni giuridiche tra Chiesa e Stato , pretendes-
simo insegnare che il matrimonio secondo le leggi italiane,
secondo il codice civile, è l'unione delle anime allo scopo
di ottenere la mutua perfezione ? Lo stesso Castagnola
non si potrebbe trattenere dal ridere e dal proverbiarci.
3° Anche qui fa menzione del tempo in cui vigeva il
sistema teocratico, che confonde il peccato col reato.
Del governo teocratico si trova bensì vestigio presso
gli Ebrei, a tempo dei Giudici : ma non si può dire che
tal forma straordinaria di governo fosse mai nella Chiesa
cristiana. La confusione poi attribuita agli Stati che rico-
noscono le leggi ecclesiastiche, è solo nella mente del Ca-
stagnola. Di fatto egli confondendo il diritto colla morale,
come abbiam già veduto (2) , confonde davvero il pec-
cato col delitto, e della sua confusissima mente è un al-
tra chiarissima prova il periodo , che subito fa seguire ,
ove non riesce a farsi intendere : « A misura, egli dice, (3)
che questo sistema (teocratico) si allentava nel suo rigore
e andavasi trasformando, lo Stato non si arrogava più il
diritto eli farsi vindice delle offese fatte alla maestà di Dio,
ma puniva i peccatori, onde placarla , affinchè i fulmini
del suo sdegno non piombassero sul popolo ». Ma il pu-
nire i peccatori per placare Iddio non è forse un farsi
vindice delle offese fatte alla divina maestà ? Che ci vuol
dunque dire con questo confusissimo modo di parlare ?
(1) S. Castag. op. cit. p. 148.
(2) Pag. 26.
(3) S. Castag. op cit. p. 2o_\
— H7 —
Se invece di copiare a stralci il Ferrari l'avesse letto tutto
e un pò1 più attentamente, avrebbe veduto, per esempio,
che la eresia altra è interna ed altra esterna e che gli
eretici mentali non son colpiti da pena ecclesiastica (l).
Se invece di parlar così sovente e a sproposito del go-
verno teocratico avesse almeno studiato le istituzioni ca-
noniche , avrebbe conosciuto che è essenziale nel diritto
ecclesiastico la distinzione tra peccato e delitto, giudican-
dosi del peccato nel foro interno e del delitto nel foro e-
sterno, e avrebbe anzi imparato che cotal distinzione dal
diritto canonico passò al diritto civile. Con questa sem-
plice nozione avrebbe veduto non v'esser pericolo che un
governo seguendo le leggi ecclesiastiche debba confondere
il peccato col reato, né richiedersi che lo Stato sia retto
con regime teocratico perchè i sacri canoni circa i reati
ecclesiastici abbiano piena sanzione anche presso il potere
civile.
4° Dall'ordine stesso della materia è portato a trattare
dei reati contro la Religione dello Stato: e sapendo come
questo medesimo titolo riesca ad un' esplicita condanna
del suo sistema della separazione dei due poteri , tenta
scusarsi dicendo che « la disposizione penale non ha già
per obbiettivo 1' empietà del discorso o del fatto e l' in-
giuria recata alla divinità, è unicamente diretta ad impe-
dire che si offenda il sentimento religioso » (2).
(1) Haeresis dividitur in internam et externam : interna, quae mente
retinetur , nec verbis nec faclis exprimitur : externa , quae mente concepta
verbis aut factis proditur.... Haeretici solum mcntales nulla inuruntur ec-
clesiastica poena; quia cogitationis poenam nemo patitur. Summa institutio-
num canonicarum tom. I lib, I tit. XXIV parag. 251 et 255-
(2) S. Castag. op. cit. p. 205.
— 148 —
Ma non vede che è appunto specialmente anche per
questo fine di non offendere il sentimento religioso che
lo Stato professa la Religione professata dalla massima
parte dei cittadini: e lo Stato nostro dovendo quindi pro-
fessar la Religione cattolica, non solo deve compiere que-
gli atti e quei doveri religiosi , che sono a persona mo-
rale compatibili , ma, avendo 1' ufficio di tutelare i citta-
dini nei loro diritti , deve pure difenderne la Religione ,
di cui nulla hanno di più prezioso gli uomini, e deve farne
osservare le leggi: e però non può lo Stato ne deve, se-
condo ragione, esser separato dalla Chiesa.
5° Intitola un paragrafo « dei reati contro la Religione
dello Stato e gli altri culti », e lo chiude dicendo che « non
trattasi in questo tema di reati contro la Religione , ma
bensì di offese contro il diritto dei cittadini di praticare
quel culto alla divinità che meglio loro talenta » (l).
Se così è la cosa, perchè intitolar quel paragrafo « dei
reati contro la Religione dello Stato », e non intitolarlo
invece, delle offese contro il diritto dei cittadini di prati-
care quel culto alla divinità che meglio loro talenta? In
tal modo si evitava la necessità di dover dare una inter-
pretazione al titolo, che deve esser per se stesso chiaris-
simo. Ma quelle parole furono trascritte letteralmente dal
titolo secondo del libro secondo del codice penale , ove
tra le disposizioni che si riferiscono alla sicurezza interna
dello Stato , doveansene annoverare alcune , che fossero
naturale conseguenza dell'articolo primo dello Statuto. Ora
chi oserà dire che le parole in quel titolo del codice pe-
nale abbiano il significato che loro attribuisce il Casta-
fi) Ivi p. 204 e 200.
— H9 —
gnola, e che abbisognino quindi della sua interpretazione?
Non è raro che le rubriche dei titoli valgano a dilucidare
le parole ambigue della legge, e quindi gli antichi giuri-
sti dicevano che le rubriche « allegantur acclarati ve qua-
tenus declarandae legi omnino valent , sì verba eiusdem legis
ambigua sint ». Ma è cosa nuova , novissima che le ru-
briche stesse abbiano bisogno di esser dichiarate e di più
in materia penale. A contorcer con tanta violenza il senso
ovvio e naturale del codice è obbligato il professor Ca-
stagnola, per far prevalere il suo assurdo principio della
separazione dello Stato dalla Chiesa.
6° Quando trattavasi di impugnare i privilegii e le dis-
posizioni a favore del clero , allora il Castagnola ci ri-
cordava che tutti i regnicoli, qualunque sia il loro titolo
e grado, sono uguali dinanzi alla legge (l), e nei cherici
non vedea altro che semplici cittadini (2). Ma ora, dis-
correndo degli articoli 268, 269 e 2 70 del codice penale,
fa scomparire ogni eguaglianza e ci fa invece rilevare l'an-
titesi tra il semplice cittadino e il Ministro del culto. Par-
lando di quegli articoli, ove per la censura e per la pro-
vocazione alla disubbidienza alle leggi dello Stato niuna
pena è sancita contro i semplici cittadini , laddove tanto
si aggrava la mano contro i Ministri del culto , portan-
dosi la pena del carcere in certi casi fino a cinque anni,
e la multa fino a lire tre mila, ecco come ragiona il Ca-
stagnola (3) : « Nel cittadino non son puniti né la censura
né la provocazione alla disubbidienza, ed è chiaro il per-
(1) S. Castag. op. cit. p. 179.
(2) Ivi p. 174 e 217-
(3) Ivi p. 210.
— 150 —
che. Quanto alla censura, se il cittadino vive in uno stato
libero , non solo non commette un reato , ma esercita un
diritto censurando l'alio della pubblica potestà. Quanto all'ec-
citamento alla disubbidienza, la legge punisce bensì nel
cittadino il discorso o fatto pubblico che provoca ad un
reato determinato : ma come non presume ch'egli non (?)
provochi in genere alla disubbidienza alle leggi, così non
punisce in lui un discorso di questo genere, il quale implica
che chi se ne rende autore, si assuma un'autorità sociale
che un cittadino non può né vuole ascrivere a se, ma che
un Ministro del culto può ascriversi e più volte si ascrive.
Ciò basta a spiegare perchè la disposizione comune per
ogni cittadino non si deve applicare al Ministro del culto,
a meno che egli non parli e discorra come qualunque al-
tro cittadino ». Ma se tutti i regnicoli, qualunque sia il
loro titolo e grado , sono uguali innanzi alla legge , e se
innanzi alla legge anche i Ministri del culto sono semplici
cittadini , è certo che anche i Ministri del Culto non po-
tranno innanzi alla legge parlare e discorrere altrimenti
che come semplici cittadini; perchè neppure i Ministri del
culto possono legalmente, né legalmente si presume , che
vogliano ascriversi un' autorità sociale non riconosciuta
dalla legge : la quale , si potrebbe dire col Castagnola ,
come non presume che un cittadino provochi alla disub-
bidienza allo Stato; così non punisce in lui un discorso di
questo genere. Altrimenti si avrebbe la contraddizione e
la ingiustizia che in uno Stato libero, pel fatto medesimo di
censurare l'atto della pubblica Autorità, un cittadino eser-
cita un diritto ed un altro invece commette un gravissimo
reato. Quindi in tal caso, a nostro giudizio, dovrebbero chia-
marsi vessatoci le multe e tiranniche le pene, che son sancite
— 151 —
solo a cagione d'un carattere o d'una qualità, che dalla
legge non è riconosciuta. Ciò che in generale non è con-
siderato male per se stesso, ma esercizio d'un diritto, non
dee potersi considerare reato in uno speciale ordine di cit-
tadini, essendo ufficio di savio legislatore non creare, ma
diminuire , quanto è possibile , i reati intorno a ciò che
non è intrinsecamente male.
ART. V.
DEL GIURAMENTO.
I fatti particolari contingenti degli uomini, come inse-
gna san Tommaso (l), non potendosi confermar con una
ragione necessaria, sogliono confermarsi per mezzo della
testimonianza ; e non essendo sufficiente la testimonianza
umana sì per difetto di verità , perchè gli uomini men-
tono sovente, sì per difetto di cognizione, perchè noi non
possiamo conoscere le cose future , le occulte del cuore
e le assenti (delle quali cose pure è spediente spesso a-
vere una qualche certezza); perciò fu necessario ricorrere
alla testimonianza divina; perchè Iddio non può mentire,
e niente gli è nascosto. Invocare Iddio in testimonio si dice
giurare turare; perchè, come afferma lo stesso santo Dot-
tore, « quasi prò iure introductum est ut, quoti sub invoca-
tione divini testimonii dicitar, prò vero habeatur » (2).
II giuramento pertanto è un chiamare Iddio in testi-
monio a far fede di ciò che asseriamo o a confermar ciò
che promettiamo: e si dice assertorio o promissorio, se-
(1) S. Thom. Sum. theol. -»3 2ae q. LXXXIX art. I.
(2) Ibid.
— 152 —
condo che la testimonianza divina si adduce o ad asserire
cose passate o presenti o a confermar cose future (l).
Onde il giuramento prestato nel debito modo è cosa es-
senzialmente religiosa e importa culto di latria; perchè
per mezzo del giuramento attestiamo che Iddio ha cura
delle cose umane, e che a tutte quante le cose protende
la sua cognizione e potestà. Inviolata si tenne quindi la
santità del giuramento da tutta l'antichità.
E massimo è 1' utile che il legislatore trasse sempre
dal giuramento , esigendolo nelle funzioni di maggior ri-
levanza , specialmente dalle persone , che compongono i
corpi politici ed amministrativi dello Stato , e nei proce-
dimenti giudiziarii civili e penali.
E verissimo , e il Castagnola ne conviene , che tante
volte nella difficile posizione , in cui è collocato il testi-
mone , può ricevere conforto nelf adempimento di un sì
arduo dovere dal sentimento religioso, specialmente nelle
materie penali. Sulla sua deposizione si deve portar sen-
tenza circa l'onore, la libertà, la vita pur anco del citta-
dino. Il teste deve guardarsi dall'odio, come dalla paura;
dal livore, come da una commiserazione fuor di luogo : e-
gli deve far tacere la voce dell'amicizia, come quella della
passione: deve essere sordo alle offerte di danaro , deve
sapersi esporre a rompere antiche amicizie. In sostanza ,
dovendo egli dire tutta intera la verità, deve qualche volta
elevarsi di sopra a se medesimo per rendere alla civil so-
cietà quel dovere che gli domanda. Non v' è alcun dub-
bio che 1' uomo sinceramente cattolico , il quale si trova
di fronte alla giustizia eterna, di fronte alla divinità, possa
(1) Ibid.
— 153 —
trarre da queste considerazioni la forza che gli è neces-
saria. Il legislatore , il quale ordinando la teorica delle
prove giudiziali, ad altro non mira se non all'indagine della
verità , fallirebbe al suo scopo , se non tenesse conto di
questa leva potente (l).
Tale è la natura del giuramento , e sempre efficacis-
simo ne fu l' uso a prò della giustizia nei secoli passati ,
finché poi volendosi progredire neh1' apostasia degli Stati
da Dio e nell'avviamento dei popoli all' ateismo, si volle
anche abolire questa salutare istituzione. Ora il Casta-
gnola, quantunque dica di abborrire dal concetto che lo
Stato debba essere ateo, pure col fatto anch'esso promo-
vendo l'abolizione del giuramento propugna la causa pro-
pugnata dagli atei, e cogli atei concorre ad un' opera di
morale dissoluzione, che reca danni inestimabili all'umana
società.
Tuttavia questi errori, che sentonsi ripetere nelle Uni-
versità degli studi , fanno bensì grande impressione alla
incauta gioventù, che per la naturale leggerezza dell'età
poco riflette , ma non potranno mai insinuarsi in mente
di persona grave avvezza a ragionare. Vediamo in breve
come il professor Castagnola tratti della quistione del giu-
ramento, la quale, com' egli dice « affatica da tempo pa-
recchio i legislatori » (2).
Volendo considerare il giuramento, secondo i sistemi
da lui immaginati, dice le cose non come sono, ma come
vorrebbe che fossero. Di fatto
1° Come di cosa storica che appartenga all' èra cri-
(1) S. Castag. op. cit. p. 217-
(2) Ivi p. 218.
— 154 —
stiana, ci parla del governo teocratico, di cui si ha solo
esempio nell' antichità presso gli Ebrei ; il che fu già di-
mostrato (l).
2° Afferma che il giuramento per la santità sua ba-
stava ad assoggettare al foro ecclesiastico i negozii pro-
fani, nei quali era stato prestato (2); ma non accenna che
cagione dell' essere stati assoggettati al foro ecclesiastico
anche quei negozii non era solo la santità del giuramento,
sì ancora la cordiale relazione dei due poteri e special-
mente la sincera confidenza che aveano i popoli verso la
Chiesa; perchè i fedeli conoscendo per esperienza la sem-
plice, spedita e non intricata procedura canonica, la gra-
tuita amministrazione della giustizia e la equità e rettitu-
dine delle decisioni presso i tribunali ecclesiastici , ricor-
revano nelle controversie loro più volontieri al paterno
giudizio dei Vescovi, che ai tribunali civili.
3° Nel regime autocratico , che nel senso attribuitogli
dal Castagnola , significa governo, in cui lo Stato sovra-
sta alla Chiesa, asserisce che il giuramento riveste la qua-
lità di atto puramente civile (3). Or ciò è contrario al
fatto costante dei paesi, ove vige quel regime. Così nelle
Russie, ove la Santa Sinodo dipende da un commissario
imperiale; così pure in Inghilterra, ove il Parlamento, e ce lo
dice il Castagnola (4), dispone egualmente della fede come
della Corona ; è certo che il giuramento riveste la qua-
lità d'atto religioso, perchè in quegli Stati, gelosi conser-
vatori delle antiche tradizioni giuridiche, spesso anche con
(1) Pag. 40.
(2) S. Castag. op. cit. p. 2 lo.
(3) Ivi p. 216.
(4) Ivi p. 35.
— 155 —
manifesta incoerenza si ritennero le lodevoli consuetudini
che nel foro avea introdotte la Chiesa romana. Quanto
alla nazione inglese, che il giuramento ivi rivesta la qua-
lità d'atto religioso, lo afferma ripetutamente lo stesso Ca-
stagnola (l) dicendo: « Nell'antica Albione il giuramento
anche politico e governativo conserva il suo carattere re-
ligioso. In Inghilterra adunque , ogni deputato prima di
prendere il suo seggio alla Camera dei Comuni deve pre-
stare il suo giuramento, il quale è anche religioso ». Di fatto,
letta la* formola sacramentale, i Deputati in segno di ade-
sione baciano il Nuovo Testamento. L'ebreo barone Lionello
di Rothschild eletto due volte deputato per la città di Lon-
dra, due volte ricusò giurare sul Nuovo Testamento, colla
formola « sulla fede di un cristiano ». Ma eletto di nuovo,
venne finalmente ammesso a giurare sul Vecchio Testa-
mento, permettendoglisi che si valesse dell' altra formola:
« Così Dio mi aiuti ».
Di qui ebbe origine la quistione suscitata dall'ateo si-
gnor Bradlaugh, il quale eletto dal Collegio di Northampton
pretendeva entrare nella Camera dei Comuni senza pre-
stare il consueto giuramento di fedeltà , togliendo a pre-
testo la opinione da lui professata che il giuramento fosse
un atto privo di significazione, perchè non esisteva Iddio,
di cui potesse invocarsi la testimonianza.
4° Ci fa sapere che qui « non si disputa se nel giu-
ramento non debba anche tenersi conto dell'elemento re-
ligioso , ma unicamente se il giuramento debba venir ri-
guardato come un atto essenzialmente religioso » (2).
(1) Ivi p. 220.
(2) Ivi p. 218.
— 156 —
N'olendo il professor Castagnola in tal maniera disputare
nella quistione presente, avrebbe dovuto almeno dare una
brevissima nozione della vera natura del giuramento, per
mostrar che non è atto essenzialmente religioso. Ma noi
fece, perchè ben vedeva che non sarebbe riuscito neh" in-
tento suo: imperocché il giuramento, che è un invocare
Iddio a far fede di ciò che asseriamo o a confermar ciò
che promettiamo, se si astrae dalla Religione, non può ri-
guardarsi se non che una parola vuota di significato.
4° Vorrebbe farci scrupolo perchè non si riflette come
l'imporre la formola del giuramento all'ateo sia lo stesso
che violentar la libertà della coscienza , ed offendere la
maestà divina col sacrilegio e collo spergiuro (l).
Ma perchè, diciam noi, perchè pigliarsi tanto pensiero
per non inquietare gli atei a pregiudizio di tutto lo Stato?
Agli atei pratici , i quali son così chiamati , non perchè
non credano alla esistenza di Dio, ma perchè vivono pra-
ticamente come se non vi credessero, e vorrebbero che
Iddio non esistesse , non si deve avere uno speciale ri-
guardo , che tornerebbe loro di nocumento , radicandoli
vieppiù nella loro prava volontà accecata dal continuato
abuso della libertà, e che tornerebbe pure di gravissimo
detrimento alio Stato ; perchè tolta la pietà verso la di-
vinità, non si vede come non debba anche "togliersi la re-
ciproca fede , la giustizia e la stessa società del genere
umano, siccome confessavano anche i gentili (2). Né mag-
gior riguardo vuoisi avere agli atei teoretici , se pur ve
ne sono ; perchè essi rimovendo volontariamente la con-
(i) Ivi.
(2) M. T. Ciceromis de nat. deor. lib. I cap. II.
— 157 —
siderazione dagli argomenti, che dimostrano la verità della
esistenza di Dio, possono bensì avere una qualche quiete
nella falsità, ma non una quiete profonda e stabile, giac-
ché non si può estinguere nell' uomo il lume della intel-
ligenza, per cui dalle cose visibili naturalmente risale alla
cognizione della esistenza di Dio. L'abolir dunque in uno
Stato la istituzione del giuramento introdotta pel pubblico
bene, sarebbe gravissima offesa alla coscienza di tutti i
cittadini che credono a Dio; laddove il mantenere il giu-
ramento non violenta neppur la libertà di coscienza de-
gli atei , perchè non è il legislatore che coli' imporre il
giuramento faccia violenza alla coscienza dell'ateo, ma è
1' ateo che fa violenza a se stesso col negare che esiste
Iddio. E se poi ad impedire lo spergiuro, che altri per la ma-
lizia sua può commettere, dovesse abrogarsi il giuramento;
per la stessa ragione, ad impedire il furto e il sacrilegio
così frequenti tra noi , dovrebbe abolirsi anche il diritto
di proprietà e la Religione medesima.
5° Distingue il giuramento non secondo la intrinseca
natura, ma secondo le diverse occasioni, in cui si presta,
in politico, amministrativo e giudiziario, facendo osservare
come presso di noi il giuramento politico ed amministra-
tivo fosse puramente civile, e fosse religioso il giuramento
giudiziario almeno prima della legge del30 Giugno 1876 (l).
Che il giuramento politico ora si riduca ad una vana
formola civile, noi neghiamo (2); ma che ciò si rilevi dalle
(1) S. Castag. op. cit. p. 219 e 222.
(2) La formola del giuramento politico presso di noi è la seguente :
« Giuro d'essere fedele al Re, d'osservare lealmente lo Statuto e le leggi
dello Stato ed esercitare le mie funzioni col solo scopo del bene inse-
parabile del Re e della patria ». Questa formola, ove non si fa men-
— 158 —
disposizioni degli articoli 22 , 23 e 49 dello Statuto fon-
damentale, non vi è ombra di vero. In quegli articoli trat-
tasi semplicemente del giuramento da prestarsi dal Re sa-
lendo al trono, dal Reggente prima di entrare in funzioni
e dai Senatori e Deputati allorché assumono il loro uffi-
cio : e trattasi perciò di quel giuramento che si era fino
allora prestato, cioè del giuramento religioso. Quindi an-
che il deputato Felice Cavalo tti prima di presentarsi alla
Camera il dì 5 Dicembre 1874 a prestar giuramento, cre-
dette necessario dichiarare com'egli intendeva di uniformarsi
semplicemente ad una formalità richiesta per adempiere
al mandato de'suoi elettori, non già di prestar giuramento;
perchè, come anch' egli diceva, « il giuramento è di sua
essenza e natura una formola religiosa : » la qual dichia-
razione sarebbe stata inutile, se si fosse dovuto prestare
un giuramento puramente civile. Anche il giuramento am-
ministrativo cominciò a considerarsi come semplice for-
mola civile, quando nel Marzo del 18/6 fu inaugurata in
Roma la suprema Corte di Cassazione; perchè allora quei
consiglieri , con esempio non più udito , nel prestar giu-
ramento si scostarono dal consueto modo di giurare sui
Vangeli , mostrandosi così degni membri di quella Magi-
stratura, che dovea riuscire a perpetua condanna di chi
sostiene i diritti della Chiesa nelle cause contro il Dema-
nio, e che colle sue sentenze, quasi sempre conformi ai
voleri del governo, fa ora maraviglioso contrasto all'abo-
zione di Dio, differisce per ciò da quella adoperata presso le altre nazioni
anche protestanti, ove si nomina Dio o il Santo Vangelo. Così, ad esem-
pio, i membri della Dieta prussiana giurano colla formola: « Giuro per
Dio onnipotente ed onnisciente che io sarò fedele ed obbediente a Sua
Maestà il Re. e che osserverò secondo coscienza la Costituzione ».
— 159 —
lita Rota Romana già da tutta Europa ammirata per le
sue decisioni, dette meritamente la più felice applicazione
della ragione scritta, come fu chiamato il diritto romano.
Anche perchè non si rinnovasse lo scandalo che le
leggi siano impunemente conculcate sì da coloro che le
fanno, come anche da quelli, il cui ufficio è di applicarle,
e debbano invece , pena la nullità degli atti e talora la
condanna dei testi , osservarsi in giudizio dai privati cit-
tadini, si mutò anche la formola del giuramento giudizia-
rio colla legge del 30 Giugno 1876.
6° E il Castagnola loda questa mutazione dicendo che
« la quistione è stata sciolta con logica rigorosa , ed il
concetto che informa il principio della separazione della
Chiesa dallo Stato venne scrupolosamente rispettato. Se-
condo la nuova formola di giuramento è soppressa la in-
vocazione di Dio ; ma il giudice deve però avvertire il
giurante non solo dell'importanza morale dell'atto, ma del
vincolo religioso, che i credenti con esso contraggono di-
nanzi a Dio » (l). Posto che legalmente non debbasi a-
vere speciale riguardo agli atei in quanto atei , perchè
non è mai per un innocente errore dell'intelletto, ma sem-
pre per abuso della volontà il non credere a Dio, come
già fu dimostrato, e il far professione di ateismo apporta
sempre pregiudizio alla civil società; e posto anzi che per-
ciò gli atei debbano esser gravemente puniti ; ne viene
che l'aver soppressa la invocazione di Dio dalla formola
del giuramento è atto ingiusto , il quale offende il senti-
mento religioso dei buoni, aumenta l'audacia dei tristi, to-
glie ogni valore ad un mezzo, che fu sempre efficacissimo
0) S. Castag. op. cit. p. 222.
— i6o —
per 1' amministrazione della giustizia e riesce perciò di
gravissimo detrimento allo Stato.
Il professor Castagnola si travaglia a ripeterci « che
il sistema della separazione non include la conseguenza
dell'ateismo dello Stato » (l). Eppure non solo non prova
mai quanto asserisce, ma piuttosto prova il contrario; per-
chè, se egli crede doversi escludere dalla formola la in-
vocazione di Dio , affinchè il giuramento sia pienamente
conforme al principio della separazione , non ci dimostra
egli stesso che tal principio include appunto l'ateismo ? Il
dirci poi che « il giudice deve però avvertire il giurante
non solo dell'importanza morale dell'atto, ma del vincolo
religioso, che i credenti con esso contraggono dinanzi a Dio (2) »
manifesta solo la contraddizione , in cui è necessario che
cada colui , il quale avendo adottato un falso principio ,
non vuol trarne crudamente tutte le conseguenze. Que-
sta ammonizione del giudice, la cui mancanza può inva-
lidare anche il giuramento per insanabile difetto di forma,
è in se stessa viziosa, non potendo avere nessuna efficacia
nelle persone e nessuna pratica utilità a favore della giu-
stizia, ed anzi offende i cattolici, la cui Religione è la sola
Religione dello Stato; perchè essi sanno che quel vincolo,
il quale , stando alla formola del codice , per mezzo del
giuramento, contraggono dinanzi a Dio solo i credenti, si
contrae invece anche dagli increduli , giacché secondo la
Religione cattolica, chi non crede, per ciò stesso che non
crede, sarà condannato (3): altrimenti gli increduli sareb-
(1) Ivi p. 223.
(2) Ivi.
(.3) Marc. XVI v. io.
— i6i —
bero più di loro prudenti , potendosi liberare , solo con
non credere, da gravissimo vincolo e da gravissima pena.
Ma con qual diritto l'ufficiale di uno Stato, che, come il
Castagnola pretende, dee lasciar libero di credere o non
credere a Dio , e considerare uguali tutti i cittadini, con
qual diritto potrà poi ammonire e per poco atterrire solo
coloro che credono , avvertendo colui che giura del vin-
colo religioso che i credenti col giuramento contraggono
dinanzi a Dio ? Se poi quella formola di ammonizione si
crede di qualche efficacia pel pubblico bene , perchè si
usa solamente pel giuramento giudiziario e non si estende
anche al giuramento politico ed amministrativo ?
ART. VI.
DEI BENI TEMPORALI
Anche noi compendiando la materia accennata dal Ca-
stagnola daremo alcune brevissime nozioni prima sui beni
temporali della Chiesa , poi sulla legislazione italiana re-
lativa a tali beni e sull'amministrazione dell'asse ecclesia-
stico , e quindi termineremo facendo ancora varie osser-
vazioni sulla dottrina dell' Autore.
NOZIONI GENERALI.
Come, per diritto naturale , ogni società deve avere
beni comuni per provvedere alla propria conservazione;
così anche la Chiesa , società di uomini , deve avere ed
ebbe fin da principio i suoi beni per mantenere i Vescovi,
i Preti e i Ministri , di cui si compone la gerarchia : ed
11
— 1Ó2 —
ebbe quei beni anche per attendere alla cura degli orfani,
delle vedove, dei poveri, per esercitare la ospitalità, per
soccorrere i fedeli detenuti in carcere o condannati alle
miniere, cosa frequente in tempi di persecuzione, e per
acquistare, riparare e conservare i vasi sacri, i libri, gli
arredi necessari al divin culto.
Il diritto naturale che la Chiesa ha comune con tutte
le società umane , di possedere beni temporali, è anche
confermato per positivo diritto divino ; perchè , come si
rileva dal Vangelo (l), Gesù Cristo volle che la sua Chiesa
conservasse ciò che le era offerto dai fedeli , in comune
deposito, per alimentare gli Apostoli, i discepoli e i po-
veri (2). L'esempio di Gesù Cristo fu seguito dagli Apo-
stoli e dai loro successori. Senza il sussidio delle cose tem-
porali mancherebbe il culto esterno, mancherebbe lo stesso
augusto sacrificio dell'altare, mancherebbero gli stessi Mi-
nistri, e mancherebbe quindi la perpetuità della Chiesa.
Dai cristiani nei primi secoli spontaneamente si vende-
vano anche intere possessioni , per deporne il prezzo ai
piedi degli Apostoli : anzi crebbe tanto il loro fervore che
in alcuni luoghi i fedeli donavano tutto alla Chiesa, per far
poi vita comune, campando delle sostanze divenute proprie
della comunità religiosa, le quali si dicevano sostanze del
Signore, patrimonio di Cristo, patrimonio dei poveri. Esse
erano già tante nel 258 a' tempi del santo Pontefice Sisto II,
che i persecutori avidamente le cercavano, e san Lorenzo
Arcidiacono della Chiesa Romana richiesto dal Prefetto di
(1) Marc. VI v. 37: Lue. IX v. 13 et seqq.
(2) L'erario della Chiesa primitiva nel testo greco è detto Y^wacóxojiov
(Ioh. XII v. 6, XIII v. 29): e si potrebbe chiamare con sant'Agostino fiscus
Reipublìcae Christi. Enarrai, in psalmum CXLVI n. 17 opp. toni. IV.
— 163 —
Roma, ove fossero i tesori de' cristiani, potè mostrare nu-
merosissime turbe di poveri, nel cui vitto e vestito avea
convertito le facoltà sottratte alla rapacità del tiranno (l).
Questi beni la Chiesa acquistò per la volontà e l'e-
sempio di Cristo, non per qualche legge umana ; perchè
la Chiesa fu da lui costituita contro la volontà dei Principi,
che allora governavano il mondo, e non essendo ricono-
sciuta come società dalle leggi romane allora vigenti (2),
non poteva, secondo quelle leggi, né acquistare né ritenere
beni temporali.
Finché regnarono a Roma gli Imperatori pagani ne-
mici del nome cristiano le sostanze della Chiesa consiste-
vano principalmente in beni mobili , che potessero facil-
mente in quei tempi calamitosi nascondersi e distribuirsi
ai poveri, secondo il bisogno e l'opportunità. Ma fatto pri-
gioniero Valeriano da Sapore Re di Persia e allentatosi
il rigore delle leggi per incuria di Gallieno, i cristiani do-
navano alle Chiese fondi, case, orti ed altri beni stabili ,
confiscati poi da Diocleziano e Massimiano nel 302 e quindi
restituiti ai loro padroni da Licinio e Costantino, come si
vede dal codice teodosiano. Data poscia al mondo la pace,
molti beni anche immobili erano lasciati alla Chiesa sia
per contratto tra vivi, sia per testamento: anzi le furono
attribuiti gli stessi tempii pagani colle rendite loro, oltre
una determinata somma di danaro che gli Imperatori cri-
stiani vollero si dovesse pagare dal pubblico erario : la
qual disposizione abrogata da Giuliano apostata fu poi
richiamata in vigore dall' Imperatore Marciano.
(1) S. Leonis M. opp. pars I sermo LXXXVII in festo sancti Lau-
rentii martyris.
(2) Fr. I. D. de collegiis et corporibus 47.
— 1Ó4 —
Ed era naturale che, divenuta la Religione cristiana
Religione dello Stato, non solo le leggi civili ratificassero
il diritto che la Chiesa ha colle altre società riconosciute
di acquistare e possedere, ma anche il corpo stesso delle
leggi romane si dovesse uniformare alle leggi canoniche,
colle quali il patrimonio della Chiesa era regolato da dis-
posizioni speciali. Nei primi tempi V amministrazione di
tutti i beni ecclesiastici era presso il Vescovo, che ne af-
fidava la cura all' Economo o all' Arcidiacono : e questi ,
terminato 1' ufficio loro, dovean render conto dell' ammi-
nistrazione. Quella quantità di beni , donde il Vescovo e
i cherici traean vitto e mantenimento , i poveri sussidio
e le Chiese aveano le suppellettili e gli ornamenti neces-
sarii al sacro culto, fu poscia divisa in quattro parti, come
attestano i Sommi Pontefici san Gelasio (l) e san Grego-
rio Magno (2), delle quali la prima toccò al Vescovo, l'al-
tra ai cherici , la terza ai poveri e 1' ultima fu riservata
per la fabbrica della Chiesa.
Ma qui si chiederà il motivo, perchè, fatta cotal di-
visione , avendosi ancora i beni degli ecclesiastici e delle
chiese , non si abbiano più quelli che toccarono ai poveri.
I poveri ebbero i loro beni principalmente nelle Opere
pie , benefica istituzione del Cristianesimo , ignota all' an-
tichità, e inoltre resta a loro favore 1' obbligo grave che
hanno gli ecclesiastici di dare ai poveri 0 di erogare in
opere pie ciò che, detratte le spese per un onesto sostenta-
mento, loro sopravanza dalle rendite del beneficio.
Benché la proprietà dei beni ecclesiastici giuridica-
(1) Epist. IX ad Episcopos Lucaiaiac cap. XXVII.
(2) Epist. XII ad Petrum Episcopum lib. V.
— 165 —
mente si consideri appartenere alle singole comunità , e
ad esse quindi ne appartenga anche V amministrazione ,
pure di cotali beni propriamente padrone è Gesù Cristo,
non diciamo ora , come creatore, ma come quegli , a cui
furon donati : i rettori delle chiese particolari ne sono am-
ministratori, e il Sommo Pontefice, qual Vicario di Gesù
Cristo, ne è amministratore supremo.
I beni ecclesiastici, essendo di Dio , sono per diritto
divino immuni da' tributi (l) ed inalienabili (2). L'immu-
nità dai tributi assoluta non è al presente più in vigore a
cagione dei concordati; perchè, quantunque sia di diritto di-
vino che non si debbano ledere i diritti e i privilegii an-
nessi ai beni ecclesiastici, pure ciò non esclude che il Papa,
come supremo amministratore , possa in casi particolari
non solo rinunziare ai privilegii inerenti ai beni temporali
della Chiesa, ma talora anche cedere i beni stessi, quando
vi sia giusta cagione.
Pel regno di Sardegna sono immuni solo quei beni ,
che non hanno annessa alcuna temporale utilità , come
sono le chiese e i cimiteri (3).
La parola alienazione , trattandosi di beni ecclesia-
stici, comprende i casi non solo di vero trasferimento della
(1) Cap. Quamquam de consec. in 6, ove si dice: « Cum igitur Ec-
clesia , ecclesiasticae personae ac res ipsarum non solum iure humano ,
quin immo divino, a saecularium exactionibus sint immunes etc ». E il
Concilio di Trento sess. XXV cap. XX nell' ammonire i Principi dell'of-
ficio loro confida ch'essi non permetteranno che gli ufficiali e gli in-
feriori magistrati abbiano a violare « Ecclesiae et personarum eccle-
siasticarum immunitatem Dei ordinatione et canonicis sanctionibus con-
stitutam » .
(2) Extrav. Ambltìosae De rebus Eccl. non alien., inter comm.
(3) Litterae Apost. Leonis XII die 14 Maii an. 1828.
— 166 —
proprietà, come è la vendita, la permutazione, la donazione,
ma i casi anche di smembramento di essa proprietà, come
è la ipoteca, la servitù, il pegno, l'affitto oltre i tre o sei
o nove anni , secondo che il frutto è annuale o si ha ogni
biennio od ogni triennio: comprende in generale non solo
i beni immobili, ma eziandio i mobili preziosi, che si pos-
sono conservare, come sono le biblioteche, gli oggetti con
ornamenti d'oro, di gemme, quadri ed altre opere d'arte:
come del pari comprende le cose comparate agli immo-
bili, quali sono i diritti incorporali, le decime, i luoghi di
monti, i censi e cose simili.
I beni ecclesiastici , oltre i casi espressi dal diritto ,
come quando si tratti di piccole terre (l) e generalmente
di cose che non eccedano il valore di 40 ducati, nei quali
casi è tuttavia necessaria la licenza del Vescovo, potranno
solo alienarsi, allorché vi sia giusta cagione, cioè evidente
necessità od utilità 0 pietà, e si premettano le solennità
dovute.
Alle varie solennità, che richiedeva il diritto antico,
Paolo II aggiunse (2) il consenso pontificio, il quale può
anche supplire e supplisce alle altre solennità, se il Pon-
tefice consenta in modo assoluto e solamente comandi di
verificare la giusta cagione.
II diritto ecclesiastico ha una speciale prescrizione ,
la quale si distingue in ordinaria e straordinaria. L'ordi-
naria è la triennale, che si dice di breve tempo, e la de-
cennale e la vicennale , che si dice di lungo tempo. La
straordinaria, che dicesi di lunghissimo tempo, è la tren-
(1) Can. Terrulas 55 caus. 12 quaest. 2.
(2) Extrav. cit.
— 167 —
tenaria , la quadragenaria , la centenaria in favore della
Chiesa Romana, e la immemorabile (l).
Fino al quinto secolo i cherici ricevevano il neces-
sario pel mantenimento dai beni comuni, dei quali dispo-
neva il solo Vescovo, per mezzo dell'Economo o dell'Ar-
cidiacono : ma dopo quel tempo dal Vescovo cominciarono
a concedersi ai cherici addetti a servire le chiese, deter-
minati fondi, che furono dal Concilio di Magonza chiamati
beneficii.
Il beneficio è un diritto perpetuo che compete al che-
rico legittimamente istituito, di percepire frutti da' beni ec-
clesiastici, a cagione d'un ufficio spirituale, costituito per
autorità della Chiesa.
I beneficii si distinguono in maggiori e minori. I mag-
giori, oltre il Papato, sono il Cardinalato , il Patriarcato ,
l'Arcivescovato, il Vescovato, le Abbazie che hanno giu-
risdizione quasi episcopale e gli altri beneficii che riten-
gono anche il nome generico di prelature. Si dicono pure
beneficii concistoriali; perchè per lo più il Sommo Ponte-
fice li conferisce in concistoro, ed importano giurisdizione.
I minori sono tutti gli altri beneficii. Dei beneficii minori
altri sono secolari ed altri regolari, secondo che si confe-
riscono ai cherici secolari o ai regolari. Altri sono doppi
ed altri semplici. I beneficii doppi sono quelli, che, oltre la
obbligazione di recitare preghiere, la quale è comune a
tutti i beneficii, hanno anche altra annessa qualità, cioè pre-
minenza e giurisdizione, e si dicono beneficii curati; o solo
preminenza , e si denominano personati ; o qualche am-
(1) Cf. Summa institutionum canonicariim auctore Iosepho Ferrari
}om. II lib. I paragg. 689-695.
— 168 —
ministrazione od officio, e si chiamano officii; o preminenza
e giurisdizione insieme, e si appellano dignità: alle quali
si danno nomi speciali, come prepositura, arcidiaconato ,
arcipretura. I beneficii semplici sono quelli che hanno an-
nessa la sola obbligazione di recitare preghiere a Dio e
servire all'altare, come è la cappellania ecclesiastica.
Per altre nozioni circa 1' applicazione della prescri-
zione ecclesiastica e circa la materia beneficiaria si pos-
sono consultare scrittori di istituzioni canoniche.
Tuttavia, oltre la differenza tra i beneficii e le Opere
pie, le quali sono di natura totalmente diversa dai bene-
ficii, vuoisi pure notare esservi capitale distinzione tra i
beneficii anche semplici , come è la cappellania ecclesia-
stica, e le pie fondazioni, le quali importano qualche spi-
rituale ministero, come è la cappellania laicale.
Così la cappellania ecclesiastica differisce dalla cap-
pellania laicale 1° perchè la cappellania ecclesiastica si con-
ferisce sempre al solo cherico : la cappellania laicale an-
che al laico, che ha tuttavia il dovere d' adempierne gli
obblighi per mezzo altrui (l): 2° la cappellania ecclesia-
stica è eretta e conferita per autorità del Vescovo ; non
così la cappellania laicale , benché il Vescovo 1' approvi ,
l'accetti e vigili all'esatto adempimento di essa: 3° la cap-
pellania ecclesiastica si annovera tra i diritti ecclesiastici,
(l) Quantunque non sia alieno dalla natura della cappellania lai-
cale che anche un laico ne sia al possesso, pure è massima di giuris-
prudenza canonica che quando nella fondazione fu prescritta la qua-
lità di cherico, la cappellania non possa esser posseduta da un laico, senza
speciale licenza della Santa Sede: e sotto questo rispetto le cappellanie
laicali son dette anche ecclesiastiche, in quanto l'investito deve essere
un ecclesiastico ossia cherico.
— 1Ó9 — -
e quindi il titolo e 1' amministrazione rimangono presso
l'Autorità ecclesiastica : laddove annoverandosi la cappel-
lania laicale tra i diritti civili, il titolo e l'amministrazione
restano presso il fondatore e i suoi successori. Che se in
diritto canonico la cappellania ecclesiastica e laicale son
cose giuridicamente diverse ; ora per contrario in faccia
alle nuove leggi civili non hanno tra loro distinzione : e
venne ammesso nella moderna giurisprudenza che men-
tre per la rivendicazione dei benefizii si richiedeva la tassa
del trenta per cento , per lo svincolamento delle cappel-
lanie si richiedesse solo il pagamento della doppia tassa
di successione fra estranei , siano esse cappellanie eccle-
siastiche o laicali.
Questa giurisprudenza che ora va formandosi sulle
nuove leggi dello Stato, introdusse invece una nuova di-
stinzione tra le Opere pie. « Tutte le varietà delle Opere
pie si raccolgono sotto due generi sommi : le istituzioni
di beneficenza e di carità cittadina a sollievo dei poveri,
e le fondazioni religiose e di culto, che nel concetto cat-
tolico sono opere di beneficenza spirituale in prò delle
anime. Il nostro diritto riconosce ed agevola l'attuazione
del primo genere in istituzioni sociali con la legge sulle
Opere pie del 3 Agosto 1862 , e con 1' articolo 832 del
codice civile : non riconosce nel secondo genere che un
obbligo rimesso alla coscienza dell'individuo, ma in quanto
si concreti in enti di manomorta, li soppresse nel passato
con le nuove leggi politico-ecclesiastiche, e li ha vietati pel
futuro con 1' articolo 833 dello stesso codice civile. Una
disposizione, anteriore ai nuovi codici, per fondazione di
Opera pia, può contenere tali determinazioni generiche da
fare allogare l'Opera tra le religiose e di culto, e mancare a
— 170 —
un tempo delle determinazioni specifiche necessarie a farla
considerare come direttamente fondata dal testatore. In tal
caso quella disposizione, valida a principio per la fondazio-
ne dell'Opera pia, diventa inefficace pel sopravvenire delle
nuove l:ggi, che ne resero impossibile 1' attuazione » (l).
§ II-
LEGISLAZIONE ITALIANA.
Molte sono le infauste leggi, che dopo lo Statuto fonda-
mentale del Regno furono promulgate in Italia intorno alla
proprietà della Chiesa.
1° Quella, che si può dire prodromo di tutte le altre,
è la legge del 25 Agosto 1848 , sottoscritta per autorità
delegata, dal Principe Eugenio di Carignano, la quale es-
pulse dallo Stato la Compagnia di Gesù , destinandone
i beni a istituire e mantenere i collegi nazionali.
2° L'altra è quella del 5 Giugno 1850, la quale in
unico articolo dispone da prima « che gli stabilimenti e corpi
morali sieno ecclesiastici o laicali , non potranno acqui-
stare stabili, senza essere a ciò autorizzati con regio de-
creto, previo il parere del Consiglio di Stato ».
E quindi che « le donazioni tra vivi e le disposizioni
testamentarie a loro favore non avranno effetto , se essi
non saranno nello stesso modo autorizzati ad accettarle » .
3° Vien la legge del 29 Maggio 1855, la quale sop-
prime le case degli Ordini religiosi , che non attendono
alla predicazione, all' educazione e all' assistenza degli in-
(l) Corte di Cassazione di Roma 15 Marzo 1883, Lulani con An-
tinori.
— 171 —
fermi, come pure i Capitoli delle collegiate, che non ab-
biano cura d'anime o che esistano in città, le quali con-
tano meno di 20,000 abitanti.
Questa legge istituisce la Cassa ecclesiastica , la cui
amministrazione è affidata al direttore generale del debito
pubblico, coadiuvato da un Consiglio speciale composto
dello stesso direttore generale, che lo presiede, dell' econo-
mo generale dei beneficii vacanti e di cinque altri membri.
4° La legge del 21 Agosto 18Ó2 i beni devoluti alla
Cassa ecclesiastica devolve al Demanio, e alla Cassa ec-
clesiastica dà il diritto a tanta rendita sul debito pubblico,
eguale alla rendita dei beni.
Alle disposizioni di queste due ultime leggi son co-
ordinati i decreti dell' 11 Dicembre l86o per l'Umbria,
del 3 Gennaio 1861 per le Marche, del 17 Febbraio l86l
per le provincie napoletane, e del 10 Agosto 18Ó2 sui beni
ecclesiastici della Sicilia.
5° Seguita la legge del 7 Luglio 1866, per cui non
son più riconosciuti gli Ordini e le Congregazioni reli-
giose regolari e secolari ed i conservatorii e ritiri, i quali
importino vita comune ed abbiano carattere ecclesiastico,
sono soppresse le loro case, e i loro beni devoluti al De-
manio con l'obbligo di inscrivere a favore del Fondo pel
culto una rendita cinque per cento eguale alla rendita ac-
certata per la tassa di manomorta , fatta deduzione del
cinque per cento per ispese di amministrazione. Colla stessa
norma son convertiti in rendita i beni immobili degli enti
conservati, eccettuati quelli che appartengono ai beneficii
parrocchiali e alle chiese ricettizie, imposta sugli enti con-
servati una quota di concorso a favore del Fondo pel
culto, il qual Fondo pel culto è in virtù di questa legge
sostituito alla Cassa ecclesiastica.
— 172 —
6° Alla legge del 7 Luglio 1866 tien dietro 1' altra
del 15 Agosto 1867, per cui , fatte poche eccezioni, non
son più riconosciuti gli altri enti morali di natura eccle-
siastica, e i beni son devoluti al Demanio, salvo il diritto
di devoluzione ai fondatori o di riservazione ai patroni,
diritto ammesso anche dalle leggi precedenti, ed è impo-
sta una tassa straordinaria del trenta per cento sul pa-
trimonio ecclesiastico.
7° La legge del 3 Luglio 1870 regola lo svincola-
mento dei beneficii e delle cappellanie di patronato laicale.
8° Si aggiunge la legge dell' il Agosto 1870 (alleg.
P), per cui nella conversione disposta dall'articolo il della
legge 7 Luglio 1866 son compresi non solo i beni immo-
bili delle Fabbricerie e delle altre Amministrazioni delle
Parrocchie, delle Chiese sussidiarie, dei Santuarii e degli
Oratorii riconosciuti come enti morali , ma anche i beni
spettanti ai Capitoli cattedrali, ancorché rivestiti delle qua-
lità di Parrochi, salvo sempre una sola prebenda curata,
se esiste separata dalla massa, ovvero una quota curata
di massa, da separarsi per costituire la congrua d'un solo
Parroco.
9° L'ultima è la legge del 19 Giugno 1873, la quale
promulga per le provincie di Roma le leggi del .7 Luglio
1866, del 15 Agosto 1867, del 29 Luglio 1868 e dell' il
Agosto 1870 (alleg. P) con alquante eccezioni e modifi-
cazioni : i beni degli enti soppressi , senza devolverli al
Fondo pel culto, converte in rendita e dispone che si ri-
partano tra diverse Opere pie, il Comune, le Chiese par-
rocchiali di Roma e la Santa Sede, per provvedere al
mantenimento delle rappresentanze degli Ordini religiosi
esistenti all' estero, detratto prima il capitale per le pen-
— 173 —
sioni: e finalmente per la esecuzione di queste disposizioni
istituisce la Giunta liquidatrice dell' asse ecclesiastico di
Roma, composta di tre membri nominati per decreto reale,
la quale deve esercitare il suo ufficio sotto la vigilanza
di una Commissione formata nel modo e colle facoltà in-
dicate dall'articolo 26 della legge del 7 Luglio 1866.
La legge del 19 Giugno 1873 contiene l' articolo 25 per
la limitazione dell'imposta del trenta per cento , articolo
sibillino che fa degno riscontro coli' altro non meno oscuro
della legge del 15 Agosto 1867, col quale quella imposta
avea cominciato a gravare il patrimonio ecclesiastico.
Questi articoli paiono studiosamente coniati per favo-
rire gli arbitrii degli ufficiali dello Stato o per far per-
dere in giudizio colle liti quanto lo Stato mostra alleg-
gerire di quella gravissima tassa.
10° Colle indicate leggi, concordano nel ledere i diritti
della Chiesa, principalmente i seguenti articoli del codice
civile :
« 433. I beni degli istituti civili od ecclesiastici e de-
gli altri corpi morali appartengono ai medesimi, in quanto
le leggi del regno riconoscono in essi la capacità di ac-
quistare e di possedere.
434. I beni degli istituti ecclesiastici sono soggetti alle
leggi civili e non si possono alienare senza V autorizza-
zione del governo.
831. Le disposizioni per l'anima o a favore dell'a-
nima espresse genericamente sono nulle.
833. Sono nulle le disposizioni ordinate al fine di i-
stituire 0 dotare benefizii semplici, cappellanie laicali od
altre simili fondazioni.
932. Le eredità devolute ai corpi morali non possono
— 174 —
essere accettate che coll'autorizzazione del governo da ac-
cordarsi nelle forme stabilite da leggi speciali.
Esse non possono essere accettate se non col bene-
fizio dell'inventario, secondo le forme stabilite dai rispet-
tivi regolamenti.
ÌOÓO. Le donazioni fatte ai corpi morali non possono
essere accettate , se non coli' autorizzazione del governo
menzionata nell'articolo 932.
1075. È nulla la donazione che ha per oggetto di i-
stituire 0 dotare benefizii semplici, cappellanie laicali od
altre simili fondazioni ».
Come le leggi sopra accennate, così anche questi arti-
coli del codice civile suppongono che lo Stato , il quale
ha origine dalla società domestica, sia invece la sorgente
di tutte le altre società; suppongono che lo Stato sia pro-
prietario , non regolatore dei beni dei cittadini ; e sup-
pongono finalmente un falso concetto del diritto di pro-
prietà, il quale, secondo il legislatore , non è più un di-
ritto assoluto ed esclusivo, che importa sulla cosa pieno
potere, potere che consta di molteplici facoltà minori, cioè
del diritto di godere della cosa ossia di percepirne i frutti,
del diritto di usarne ossia di ritrarne tutte le utilità , di
cui è capace , del diritto di disporne alienandola o tras-
formandola o distruggendola, e finalmente del diritto di
ripeterla da chiunque la ritenga senza titolo (l); ma, con-
tro il razionale principio del diritto romano (2), potrebbe
invece appartenere per intero a più persone.
(1) Ius fruendi, utendi, abutendi et vindicandi.
(2) Duorum quidem in solidum dominium vel possessionem esse
non posse. Fr. 5 § 15 D commodati vel contro, 13.
— 175 —
Di fatto vediamo che cosa insegna il professor Ca-
stagnola intorno ai beni degli istituti ecclesiastici confor-
memente a questo falso concetto della proprietà. « I beni
di questi istituti, egli dice, formano parte della proprietà
pubblica, la quale nell'interesse sociale è collocata in una
condizione diversa da quella della proprietà privata ed
in una speciale sfera di ordine pubblico ».
Questi beni quindi, secondo il nostro Professore, sono
proprietà degli istituti ecclesiastici, e sono del pari pro-
prietà pubblica, cioè proprietà dello Stato. Questo è il
significato ovvio e naturale. Che se tal significato si vo-
lesse escludere, quale altro significato potrebbe avere la
proposizione del Castagnola ? Si provi egli a dirci quale
sia il senso preciso di quelle vaghe e indeterminate pa-
role: « La proprietà pubblica nell'interesse sociale è col-
locata in una condizione diversa da quella della proprietà
privata e in una speciale sfera di ordine pubblico » . Non
è forse uno il concetto della proprietà, ne è così generale
come ci è indicato dal diritto romano ? Quale è mai la
condizione della proprietà pubblica diversa da quella della
proprietà privata ? Che cosa è questa speciale sfera d'or-
dine pubblico ? Parole, diciam noi, parole e nient'altro che
parole, le quali ad altro non valgono che a palliare l'in-
giustizia.
E facile qui vedere le principali discrepanze tra la
la legislazione canonica e le leggi del nuovo regno d'Italia.
Secondo il diritto canonico la promessa fatta in fa-
vore della Chiesa, dei poveri, d' un'Opera pia, benché non
accettata dagli amministratori produce i suoi effetti giu-
ridici, perchè, fatta, si presume accettata da Dio, essendo
fatta a favore dei poveri , laddove in generale , secondo
— 176 —
il diritto civile , la nuda promessa fatta da una parte e
non ancora accettata dall'altra non produce obbligazione.
Così pure , secondo le leggi canoniche , non solo è
valida , se è fatta a favore della Chiesa o dei poveri o
d' un'Opera pia, la donazione dei beni futuri, la quale e
nulla secondo l' articolo 1064 del codice civile , ma è an-
che privilegiato il testamento pio, per la cui validità ba-
sta che consti in qualche modo del testamento e pel quale
si istituiscono validamente eredi le persone incerte, i po-
veri in generale, 1' anima propria o le anime del Purga-
torio o le cause pie che un terzo eleggerà : alle quali
disposizioni sono contrarii gli articoli 774, 775, 776, per
cui resta escluso il testamento privilegiato, gli articoli 764,
724, per cui sono escluse dalle successioni le persone in-
certe, gli articoli 831 ed 832, per cui sono dichiarati nulli
i legati tanto a favore dei poveri quanto a favore del-
l'anima propria 0 delle anime in generale e finalmente gli
altri due articoli 833 ed 834, per cui sono eziandio nulle
le disposizioni ordinate al fine di istituire o dotare bene-
ficii semplici, cappellanie laicali od altre simili fondazioni,
ed è parimente nulla ogni disposizione fatta a favore di
persona incerta da nominarsi da un terzo.
Stando alle leggi canoniche la locazione non è con-
sentita oltre il triennio, intendendosi per triennio non pure
il corso di tre anni solari pei frutti civili , ma anche tre
percezioni dei frutti naturali, i quali, secondo che si rac-
colgono ogni biennio 0 triennio e , trattandosi di selve
cedue, ogni dieci od ogni venti anni, danno luogo ad una
locazione di sei , nove, trenta 0 sessant' anni : ed è riser-
vato al locatore il diritto di privar della cosa l'inquilino,
se fosse a sé 0 a suoi necessaria. Stando invece alla legge
— 177 —
civile, la locazione è consentita per un novennio agli am-
ministratori e per un quinquiennio all'usufruttuario.
Secondo le decretali, circa T enfiteusi, nel caso di a-
lienazione del dominio utile , 1' enfiteuta deve denunziare
il contratto alla Chiesa, che ha il dominio diretto, ed a-
spettare un bimestre, per vedere, se vuole usare del di-
ritto di prelazione, che le compete, od accordare al nuovo
compratore la investitura, ricevendone in ricambio il lau-
demio, che è il cinque per cento ossia la vigesima parte
del valore del fondo, dal quale valore sia prima detratto
il capitale del canone e delle altre prestazioni , se sono
dovute, e dal residuo sia pure tolta una sesta parte pel
gravame enfiteutico. Invece secondo gli articoli 1562, 1563
e 1564 del codice civile , Y enfiteuta può disporre tanto
del fondo enfiteutico quanto delle sue accessioni , e per
la trasmissione del fondo enfiteutico non è dovuta alcuna
prestazione a chi ha il dominio diretto. Questi ogni ven-
tinove anni può chiedere la ricognizione del proprio di-
ritto dall'enfiteuta, a cui è dato di poter sempre redimere
il fondo enfiteutico.
Secondo il diritto ecclesiastico è pure valido il legato
pio fatto verbalmente, laddove esso non ha valore alcuno,
secondo il diritto civile , che non ammette il testamento
nuncupativo.
La prescrizione poi quadragenaria e centenaria am-
messa dalla legislazione canonica resta esclusa dal codice
civile, ove all'articolo 21 35 si dice: « Tutte le azioni tanto
reali quanto personali si prescrivono col decorso di tren-
t' anni, senza che possa in contrario opporsi il difetto di
titolo o di buona fede ».
L'amministrazione dell'asse ecclesiastico è affidata a-
12
— 178 —
gli Economati generali dei beneficii vacanti, al Fondo pel
culto e al Commissario regio per la provincia romana.
1° La istituzione degli Economati generali, che è as-
sai antica in Piemonte , fu estesa coi decreti del 26 Set-
tembre 1860, dell'8 Dicembre 1861 e del 25 Giugno 187 1
alle nuove provincie, eccettuata la città di Roma e le sedi
suburbicarie.
Gli economi generali sono sette, risiedono a Torino,
Milano , Venezia, Firenze, Bologna, Napoli e Palermo, e
da loro dipendono altri ufficiali detti subeconomi.
Gli economi riscuotono le rendite dei beneficii va-
canti, le quali devono erogarsi per render migliori le con-
dizioni dei Parrochi e Sacerdoti, per le spese del culto e
per opere di carità.
Il rendimento dei conti dagli Economati deve presen-
tarsi al Parlamento col bilancio del Ministero di grazia e
giustizia e dei culti, a termine dell'articolo 6 della legge
del 15 Agosto 1867.
2° Il Fondo pel culto è costituito dalle rendite e dai
beni, che gli sono attribuiti dalla legge 7 Luglio 1866 e
dalle rendite e dai beni in virtù di leggi preesistenti già
devoluti alla Cassa ecclesiastica : è amministrato sotto la
dipendenza del Ministro di grazia e giustizia da un di-
rettore assistito dal Consiglio di amministrazione, il quale
si compone del direttore stesso e di altri sei membri no-
minati tutti per decreto reale.
Questo Consiglio ha per ufficio di vegliare alla presa
di possesso , di provvedere alla liquidazione ed al paga-
mento delle pensioni e di soddisfare agli oneri inerenti ai
beni passati al Demanio: e tutto ciò adempie sotto la vi-
gilanza di una Commissione composta di tre Senatori e
— 179 —
tre Deputati eletti ogni anno dalle rispettive Camere e
di tre membri nominati dal Re , che ne designa pure il
presidente.
3° Vedutasi la mala prova, che fece il Fondo pel culto,
fu istituita la Giunta liquidatrice dell'asse ecclesiastico di
Roma, come già fu detto (l); ma questa disciolta per la
legge del 7 Settembre 1879, fu delegato a compierne gli
ufficii un Commissario regio sotto il sindacato della Corte
dei conti.
E agevol cosa immaginar quanto dovessero esacer-
bare gli animi non solo le liti suscitate da leggi e disposi-
zioni già tanto odiose, ma anche le giudiciali contese sol-
levate dall' intralciamento, dal disordine e dalla confusione
di queste tre Amministrazioni.
Si può credere alla testimonianza, che riferiamo, dello
stesso Castagnola a questo proposito : « Dice il Mantel-
lina (2): Queste tre Amministrazioni tutte nello Stato, non
dello Stato , agiscono per l' asse ecclesiastico, sotto spe-
ciali Commissioni di vigilanza, che ogni anno ne pubblicano,
colla situazione di cassa, il rendiconto morale; ma in tre
litigano spesso tra loro, e più spesso che mai col Dema-
nio, non senza scandalo amministrativo.
E come ciò non bastasse, scese ancora in campo per
le Chiese palatine col Demanio e col Fondo pel culto la
Casa Reale: vi scese anche la Direzione generale del Te-
soro per l'azienda dei danneggiati Borbonici' » (3).
(1) Pag. 173.
(2) Lo Stato ed il Codice civile p. 503.
(3) S. Castag. op. cit. p. 251.
— i8o
§ III.
OSSERVAZIONI SULLA DOTTRINA DELL' AUTORE
CIRCA I BENI TEMPORALI DELLA CHIESA.
1° In un'opera, che si intitola « delle relazioni giuri-
diche tra Chiesa e Stato » , dovendosi naturalmente trat-
tare anche dei beni temporali degli ecclesiastici, ora che
tra noi furono gli Ordini religiosi dispersi, i fondi dei be-
neficii alienati, e i pochi corpi morali non soppressi tas-
sati di tributi gravissimi, ognuno avrebbe creduto che il
Castagnola parlasse almeno della misera pensione data ai
Religiosi cacciati dai loro conventi e spogliati dei loro
beni (l): di quella provvisione dovuta ai parrochi per po-
ter vivere conforme al loro stato , la quale è fatta tanto
sospirare dai regii economi : di quegli assegnamenti , che
sono sempre promessi , quando si tratta di nuove confi-
sche o di nuove tasse da imporre ai corpi ecclesiastici ri-
conosciuti, e che non son mai accordati, come si dovrebbe
(1) Se ancora vivesse l'umile religioso Raffaele Cataldi, che fu fra-
tello del barone Giuliano e del senatore Giuseppe Cataldi, e per farsi cap-
puccino diede prima il pingue suo patrimonio in fondare scuole nelle
campagne più abbandonate in quel di Genova, stipendiare maestri ed as-
segnare pensioni a quei giovani poveri che più profittassero nella virtù
e negli studi ; se questo benemerito religioso ancora vivesse , messo
fuori dal proprio convento avrebbe dallo Stato la pensione di lire 250;
perchè a termini dell' articolo 3 della legge 7 Luglio 1866, quanto a-
gli Ordini mendicanti, i Religiosi Sacerdoti e le Religiose coriste non
hanno più di lire 250 , i laici e le converse non più di lire 144 , an-
corché sieno nella più decrepita età.
— 181 —
per migliorare la condizione di tanti parrochi poverissimi.
Eppure egli non dice niente a questo proposito; ma ten-
tando di far malignamente apparire avari e cupidi dei
beni temporali i Ministri del Santuario, afferma che il sa-
cerdozio seppe accumulare ingenti ricchezze (l) , crede
trarre (2) a proprio favore l'autorità di san Girolamo (3),
e dice della Chiesa, che, aspirando al dominio universale,
non si peritò di proclamare il diritto più assoluto al go-
dimento dei beni temporali (4). « Questa pretesa, egli sog-
giunge, che traspare da tutti i pori del diritto canonico ,
malgrado tanto variar di tempi e di circostanze , e per
quanto in oggi il laicato riformatosi ed emancipatosi dalla
tutela della Chiesa rivendichi 1' esercizio dei suoi diritti ,
viene tuttora sostenuta dai moderni canonisti , i quali si
fanno forti della teoria d'Ildebrando » (5).
Noi non volendo esaggerare poniamo pure che anche
tra noi siano Sacerdoti, i quali immemori del loro carat-
tere, per non conformarsi allo spirito del Vangelo, meri-
tino 1' acerbo biasimo che san Girolamo rinfaccia ad al-
cuni indegni ministri del suo tempo. Ma quella grave ri-
prensione del santo Dottore prova quale alicnamento dai
beni del mondo si richieda nei Sacerdoti; prova qual se-
vero giudizio faccia la Chiesa di quegli ecclesiastici, i quali
scostandosi dalla via tenuta dagli altri caritatevoli Sacer-
doti, cercano la propria temporale utilità, non il bene spi-
(1) S. Castag. op. cit. p. 223.
(2) Ivi p. 229.
(3) Epist. LII ad Nepotianum.
(4) S. Castag. op. cit. p. 230.
(5) Ivi.
— 182 —
rituale delle anime , che loro furono da Gesù Cristo af-
fidate: e mostrando che quella è un' eccezione a regola ge-
nerale, prova di quanto generalmente alla carità dei laici
sovrasti la carità del clero.
Il Castagnola poi in luogo di parlarci dei beni degli
ecclesiastici in generale , e in ispecial modo degli eccle-
siastici, come si trovano nelle condizioni presenti, per farci
vedere le ingenti ricchezze cumulate dal clero , discorre
delle ricche dotazioni dei tempii pagani e delle terre, che
costituivano le dotazioni del tempio di Cumana (l), acco-
munando così stranamente il sacerdozio dei gentili col sa-
cerdozio cristiano, e mostrando di non conoscere in che
differisca lo spirito dei Ministri del Vangelo da quello dei
sacerdoti degli idoli, la verità dall'errore, il cristianesimo,
di cui è portato la civiltà, dal politeismo cagione dell'an-
tica barbarie.
Poniamo altresì che sieno ingenti come si vuole, le ric-
chezze accumulate dal sacerdozio cristiano. Ma perchè il
Castagnola non indicò, com'era suo debito, quali sono quelle
ricchezze e in che sieno dal clero impiegate , perciò lo
indicheremo noi più brevemente che ci sia possibile.
Generalmente fanno parte delle ricchezze dal sacerdozio
adunate i sacri edificii, i sontuosi tempii eretti ad onore
di Dio, i monasteri spesso ricettacolo di mobili ed arredi
preziosi, d'innumerevoli opere d'ornato, di scultura, di pit-
tura e di quanto seppero le belle arti ideare , le più fa-
mose biblioteche, focolari di lettere e scienze, tutti monu-
menti, di cui vanno alteri i principali municipii d'Europa.
Per dar prova di cose che ne circondano , non amiamo ,
(l) Ivi p. 224.
— 183 -
come fa il Castagnola, prender le mosse troppo dall'alto,
e citare la testimonianza di scrittori inglesi , che ci par-
lino di cose remotissime dalla memoria nostra, come è il
tempio di Cumana, le quali non abbiano relazione alcuna
colla presente quistione: ma senza addurre esempi di al-
tre età , ci pare che basterebbe indicar solo 1' Eremo di
Camaldoli , la Certosa di Pavia , le basiliche e le biblio-
teche di Roma. Anzi per non uscir dalle mura di Genova,
ci pare che niuno dovrebbe lagnarsi delle ricchezze, che
specialmente il clero adunò per innalzar tante magnifiche
chiese, che destano la maraviglia di quanti visitano la no-
stra città: né si dovrebbe almeno far carico d'avarizia a
quei pii e dotti Sacerdoti , che del proprio fondarono la
biblioteca Beriana, che ora civica si appella , la Franso-
niana e la Urbana sì ricca di preziosi manoscritti : e ci
pare che altri non dovrebbe dolersi della copiosa biblio-
teca eretta all' Università e nella massima parte formata
dalle librerie delle "case religiose soppresse. Lo stesso prin-
cipesco palazzo dove insegnate voi, signor Castagnola, non
è forse dono di quel munifico patrizio Paolo Balbi , che
entrando alla religione, volle cederlo ai Padri della Com-
pagnia di Gesù, perchè vi si potesse tenere pubblico in-
segnamento a comodo ed utilità della gioventù genovese?
Le pareti medesime dell' aula, ove sedete in cattedra, vi
ammoniscono, come vedete, ad esser neh' insegnare pru-
dente, ricordando in quale uso santo e veramente degno
della patria, il sacerdozio abbia impiegato le proprie ric-
chezze.
Sono gran parte delle ricchezze accumulate dal clero
le possessioni e i beni delle Opere pie, il cui capitale si
calcola ascendere a circa tre bilioni. Di fatto nella loro
— 184 —
istituzione si scorge quasi sempre la carità industriosa di
qualche Sacerdote , che si fa intercessore dei poveri , e
consiglia legati per provvedere alle loro più urgenti ne-
cessità; o dalle tavole di fondazione si vede esser sovente
un Sacerdote che erige del proprio o sussidia nuove o-
pere di beneficenza.
Anche al presente, non ostante le gravi strettezze del
clero, la stessa fiamma d'amore verso i poveri arde sem-
pre viva nei membri del sacerdozio , i quali o coi soc-
corsi cercati dalle persone doviziose, o, se essi sono d'or-
revole stato , coi proprii beni patrimoniali continuano a
lasciare ai loro concittadini imitabile esempio di cristiana
carità.
Quanti pii religiosi , non potendo far altro , chiedono
soccorso presso le persone , che hanno grande censo , a
favore dei poveri oppressi dalle leggi di quella politica
economia, la quale ora fa baldanzosi e prepotenti gli o-
perai ed arricchisce soli pochi borghesi e destri negozianti,
a cui l'avidità non fa sentire gli affanni dei miserabili ab-
bandonati ! Vediamo questi umili religiosi imitare altri uo-
mini, che già diede la Chiesa, veri miracoli di tenerissimo
amore verso 1' uman genere , quali sono un beato Seba-
stiano Valfrè, che potè ristorare il Piemonte da tanti di-
sastri cagionati dalla fame e dalla guerra , un san Vin-
cenzo de' Paoli , il quale colla sua semplicità e prudenza
non solo valse a mitigare le calamità della Francia lace-
rata da civili discordie , afflitta da carestie e da terribili
pestilenze percossa, ma seppe perpetuare l'opera sua nei
secoli futuri a beneficio del mondo, sicché per lui anche
agli eretici e agli infedeli si fece meglio sentire la bene-
fica azione della Chiesa, e gli Ebrei e i Turchi medesimi
— 185 —
dovettero ammirare la divina vitalità della Religione cat-
tolica.
Basterebbe a dì nostri ricordare l'istituto, che si inti-
tola Piccola casa della Divina Provvidenza, fondato a To-
rino dal venerabile canonico Benedetto Cottolengo , isti-
tuto ove trovano sempre stanza ospitale le persone tra-
vagliate da ogni genere d'infermità e da qualunque sorta
di miserie e sventure: basterebbe ricordare le moltissime
case , che un infaticabile Prete ancora vivente, Giovanni
Bosco, innalzò in Europa e nelle Americhe ad uso di scuola
od officina per allogarvi tanti giovani, a cui mancherebbe
educazione ed alimento.
Che se addur si volessero esempi d'altri Sacerdoti, che
potendo, dieno ai poveri anche del proprio, noi potremmo
citar sì frequenti e luminosi fatti da tessere il più splen-
dido elogio al clero cattolico. Senza divagarci parlando
d'altre età e d'altri paesi, per ristringerci a cose presenti
e che si possano dire strettamente nostre , vogliamo far
notare che le sole città di Chiavari e di Genova ci danno
di quanto affermiamo chiarissime prove che deve cono-
scere il Castagnola, il quale di Chiavari fu già deputato
e a Genova risiede ed insegna.
Quanto alla città di Chiavari , egli saprà certamente
come , or son pochi anni, un Sacerdote di ricco casato,
Francesco Bancalari, trattasse con quel municipio per fon-
dare colà un asilo di piccoli artigiani, e come da alcuni con-
siglieri del Comune gli si frapponesse ostacolo, amando me-
glio costoro vedere or poveri fanciulli del vicino contado
costretti dalla miseria abbandonare il patrio paese, e per
le arti inique di uomini intenti ad abbominevole lucro, gire
raminghi a cantare per le strade di Londra, ora anche
— 186 —
tanti giovinetti della città scalzi, affamati andar vagando
oziosi per la marina: saprà come quel benemerito Sacerdote
disgustato istituisse poi al nostro Albergo di Carbonara do-
dici pensioni a favore di poveri chiavaresi. Per quel che ri-
guarda Genova, il professor Castagnola non può neppure
ignorare che, mentre egli stava forse ancora scrivendo sui
beni temporali del clero, un altro Sacerdote, il P. Giambat-
tista Centurione di famiglia patrizia, morendo istituiva erede
d'oltre mezzo milione il nostro ospedale maggiore (l). La
quale eredità ci pare che cada almeno opportuna a smen-
tire un'accusa sì ingiusta ed al sacerdozio tanto offensiva.
I sacri tempii, le biblioteche, le possessioni delle Opere
pie forse il Castagnola ci dirà non esser le ricchezze, di
cui egli intende parlare: dirà che le ricchezze, a cui egli
allude , sono i fondi dei beneficii ecclesiastici , son le te-
nute dei conventi e delle grandi badie.
Noi insistendo su quanto abbiamo sinora affermato ,
giacché altri ce ne porge occasione, prima in generale di-
ciamo che torna a sommo onore del clero 1' aver saputo
adunare quella immensa mole di beni , che costituiscono
anche tanta parte della nostra gloria civile , chiese , mo-
nasteri, monumenti sacri, archivii, musei, biblioteche, ca-
pilavori d'arte, Opere pie. Rispondendo poi più diretta-
mente notiamo che chi spende del proprio o cerca di far
concorrere i ricchi ad onorare Iddio con opere di culto,
e si studia di sollevare i poveri dalla miseria , suole es-
sere parco per sé e per sé non aduna mondane ricchezze.
Si vuole tra mille un esempio? Ricorderemo solo quel piis-
(1) Da questa eredità voglionsi sottrarre alcuni legati , secondo la
mente del pio testatore.
— 187 —
simo Sacerdote genovese, Lorenzo Garaventa, il quale poi-
ché ebbe speso il suo in aprire le scuole di carità al po-
polo , morì poverissimo allo spedale di Pammatone (l) :
donde non avean potuto ritrarlo, quando il seppero ma-
lato, quei buoni Preti, che il coadiuvavano nel pietoso uf-
ficio dell'insegnamento. Ma diteci, proseguirà il professor
Castagnola, diteci se sono o no ricchezze accumulate dal
sacerdozio le dotazioni dei beneficii e i possedimenti de-
gli Ordini religiosi.
Noi non possiamo qui darvi una recisa risposta affer-
mativa; perchè in queste fondazioni per lo più avviene
che persone secolari od ecclesiastiche si spoglino di parte
dei loro beni per dotare beneficii , edificar chiese , case
religiose, e dalla parte dell'Autorità ecclesiastica altro non
s'abbia che il necessario atto di erezione. Così tra noi fu
innalzata dal marchese Bendinelli Sauli la maestosa basi-
(l) Giace sepolto senza titolo , come avea desiderato , nella chiesa
abaziale di santo Stefano: e quando si volle onorare dai moderni pro-
fessori di pedagogia, gli si fece ingiuria tacendoglisi la qualità di Sa-
cerdote nel dedicargli la seguente iscrizione, che fu posta sopra la porta
della scuola vicina alla chiesa di san Giorgio :
A PERPETUA ONORANZA
DI LORENZO D' ANDREA GARAVENTA
DELLE SCUOLE DI CARITÀ FONDATORE
A MEZZO IL SECOLO XVIII
PRIMA FAVILLA ED ESEMPIO
DI QUANTO POSSA INTELLETTO ED AMORE
NEL MAGISTERO DELL' EDUCARE
QUESTA SEDE DI STUDI PRIMARII
DI TANTO NOME PRIVILEGIATA
I RETTORI DEL COMUNE
DICAVANO APRILE l8Ó8.
— 188 —
lica di Carignano; così furono fondati gli annessivi canoni-
cati; così da Oberto Spinola e da Guido Carmandino fu
edificata dalle fondamenta 1' antichissima chiesa di Santa
Maria delle Vigne; così fu eretta dal marchese Gian To-
maso Livrea la collegiata di Santa Maria del Rimedio ; così
furono fondate tante altre chiese gentilizie di diritto patro-
nale, come in Genova sono quelle di san Luca, di san Mat-
teo, di san Torpete, di san Pancrazio e di san Benedetto.
Ciò che qui si dice delle persone secolari avviene sovente
anche delle persone ecclesiastiche : nel qual caso, come si
vede, il Sacerdote non accumula per se, ma evidentemente
si priva del proprio per arricchire la Chiesa.
Ma dato pure che cotali ricchezze sieno accumulate
dal clero, che se ne potrebbe inferire? Se ne potrebbe
solo inferire che il clero accumulando per la Chiesa ac-
cumula pei poveri ; perchè i beneficiati non possono coi
redditi del beneficio aggrandirsi, né possono impiegare in
usi profani nò donare ai parenti ciò che loro sopravvanza
da un onesto sostentamento , ma devono distribuirlo ai
poveri o convertirlo in usi pii (l). Onde anche ne segue
(l) In che debbano gli ecclesiastici impiegare ciò che loro soprav-
vanza dai redditi del beneficio, il Castagnola può vedere da una bella
lettera rimasta fino allo scorso anno inedita, del beato Alessandro Sauli,
già decano del collegio teologico nel celebratissimo studio di Pavia, e
primo che avvisasse potersi ridurre gli apparati e le postille dei chio-
satori in un volume di istituzioni canoniche. Questo ligure illustre es-
sendo già Vescovo di Aleria, al marchese Paolo Sauli suo nipote , che
gli avea chiesto danaro per districare un'eredità, così rispondeva:
Ill.e Signor mio Nepote Oss.mo ,
Di quel!' altro particolare poi che mi scrive, sa Iddio quanto ami
— 189 —
che siccome chi accumula per la Chiesa accumula pei po-
veri ; così pure toglie ai poveri chi toglie alla Chiesa e
V. S. e Tomasina, e quando si trattasse del patrimonio mio e altra roba
da me acquistata, quello ehe farei, e di già in quel poco che ho po-
tuto se n' è visto esperienza. Ma trattandosi di entrate ecclesiastiche e
del Vescovato d'Aleria, che sono tutte sudore di poveri, le dico che me
ne conosco non patrone, ma dispensatore puro, e fuori delle spese che
faccio per uso di me e mia famiglia , quali sempre è stata mia inten-
zione, è, e sarà che siano parchissime, il resto intendo che abbi ad an-
dare ai poveri del Vescovato d' Aleria in riparazioni di chiese , in se-
minarti, ospitalità ed altre Opere pie, così comandando Iddio , dispo-
nendo i sacri canoni ed insegnando li teologi che si abbino a dispen-
sare le entrate ecclesiastiche. E se bene in altre cose la memoria mi
serva, tuttavia mai mi raccordo di avere dato parola a V. S. di cederle
cinquecento scudi l'anno sopra l'entrata del mio Vescovato. Anzi quando
Mons. Marcantonio mi scrisse sopra questo particolare , mi rimetto a
quanto le risposi, il che si potrà vedere , se averà conservate le lettere
mie: e se facessi simil cosa, mi parrebbe peccare ed offendere Dio, salvo
se Nostro Signore, avendo prima inteso li molti bisogni e necessità di
questo povero Vescovato, non dirò che mi permettesse di fare questo,
ma me lo comandasse. E ciò V. S. non attribuisca a poco amore che
porti a lei o a Tomasina, ma all' obbligo che tengo con Dio e con la
mia coscienza; perchè dappoi che lasciai il mondo ed entrai in religione,
facendo voto di povertà , non ho accettato questo Vescovato per ric-
chezze od onori del mondo, ma per obbedienza della santa memoria di
Pio Quinto, e tutte le sue entrate intendo spendere e dispensare in ser-
vizio di Dio. E quando mi sarà fatto conoscere che sia maggior servi-
zio di Dio spenderle in districare eredità temporali , sarò prontissimo
a farlo , e per me non intendo di avanzare cosa alcuna da questo Ve-
scovato, ma vivere e morir povero, come già una volta feci professione
di fare quando entrai in religione, e così intendo perseverare.
Da Campoloro di Corsica agli 19 di decembre 1588.
Di V. S. Ill.e ,
Zio Affmo
Il Vescovo d' Aleria.
— 190 —
si rende sempre più manifesta la ingiustizia e la imma-
nità di coloro, i quali insegnando approvano l'alienazione
dei beni ecclesiastici imposta dalle leggi civili. Per que-
sto motivo altresì, che togliere alla Chiesa è togliere ai
poveri, sostenne con indicibil fermezza i diritti delle Con-
gregazioni religiose anche il già nominato san Vincenzo
de'Paoli, il quale dall'amore delle ricchezze era tanto a-
lieno e di tanta operosa carità animato verso i poveri che
sino dai filosofi francesi dello scorso secolo si volle anno-
verare tra i più insigni benefattori degli uomini, e fu alle
liti sì avverso che, per evitare un' inutile contesa, avrebbe
tollerato qualunque persecuzione.
Distruggere monasteri , sopprimere beneficii o confi-
scarne i fondi colla speciosa frase di convertire quei beni
in rendita, dissipare in tante guise il patrimonio della Chiesa,
non è solo ingiustizia e crudeltà contro i poveri, ma è an-
che errore gravissimo contro ogni norma della vera scienza
economica. Di fatto , poiché si promulgarono in Europa
queste nuove leggi, si udirono pure i barbari nomi di pau-
perismo, comunismo e socialismo, nomi prima ignoti, che
nei varii ordini dei cittadini di uno Stato indicano miseria,
avvilimento, oppressione e tirannide, sintomi e preludio di
sociale anarchia. Ed ora che in Italia furono vendute le
possessioni dei conventi, ora che i beneficii ancora superstiti
sono così stremati per le tasse esorbitanti, per gli arbitrii
degli ufficiali presso gli Economati, il Fondo del culto e
l'Erario dello Stato, ora avviene che curati poveri e spesso
poverissimi principalmente nelle campagne più non sap-
pian come far cessare gli inutili lamenti di tanti infelici che
domandano soccorso. Chiedetene,, se vi piace, all'Arcive-
scovo di Cagliari e agli altri Vescovi della Sardegna , e
— ìgi —
udirete in quale lacrimevole stato , dopo le famose leggi
sui beni ecclesiastici, si trovino i contadini di quell'isola,
i quali spesso afflitti dalla mal' aria, non possono ora dalle
strette della fame più avere sicuro rifugio nei loro cari-
tatevoli curati, come avevano prima. O se più v'aggrada,
chiedetene invece al deputato Ruggero Bonghi , il quale
lamentasi anch' egli della dura condizione che è ora im-
posta ai coloni, e, non è molto, visitando la celebre ba-
dia della Cava , al veder la miseria di quei contadini e
all'udirne le lagnanze, parea che, lasciati in parte gli an-
tichi suoi pregiudizii, inclinasse a pensare in modo poco
diverso da quel che pensiamo noi intorno a questi qui-
stione. Ma perchè io cerco altrove testimonii di ciò che
voi, signor Castagnola, potete vedere in Genova, che pure
è in miglior condizione che le altre città italiane? Quella
turba di vecchi, di storpi, di ciechi che alle porte dei no-
stri conventi e sull'antica gradinata della chiesa dei Cap-
puccini riceveva prima pane e minestra, non vedete ora
cogli occhi vostri come moltiplicatasi si aggiri dispersa
per la città a far sentire la querula voce ai forestieri e
si trascini per le scale delle private abitazioni per chie-
der la carità ?
L'uso che delle ricchezze sue fece la Chiesa, non fu di
sollievo ad un ordine di cittadini soltanto, ma tornò a van-
taggio di tutti- in generale massime ogni qual volta lo Stato
n'ebbe aiuti anche a sostener giuste guerre specialmente
contro i barbari, dai quali erano le nostre città saccheg-
giate, infestati i littorali, i mari insozzati di sangue. Molti
Stati d'Europa ne possono far fede, e, rispetto allo Stato
nostro, per tacer dei diritti ceduti dalla Santa Sede a Re
Carlo Emanuele III sul principato di Masserano e sulla
— 192 —
contea di Crevacuore ; quanto la Chiesa gli si mostrasse
liberale nelle maggiori strettezze , si può altresì provare
dai molti Brevi, coi quali il Sommo Pontefice Pio VI ora
accorda a S. M. Sarda le rendite della badia di santo Ste-
fano e di molti altri conventi, per provvedere alla difesa
delle coste nell'isola di Sardegna e del Mediterraneo con-
tro i Turchi e i Mori , ora per ben due volte consente
1' alienazione di parte dei beni ecclesiastici fino al con-
corso di sei milioni di franchi , ora ordina una sovven-
zione e concede altre rendite su beneficii e su conventi a
favore del regio Erario.
Lo stesso sul principio del secolo fa il Pontefice Pio VII,
e quando accorda 1' alienazione dei beni ecclesiastici per
poter supplire alle spese fatte nella guerra contro la Fran-
cia, e quando assegna ad altro uso le rendite delle badie
di Staffar da e di Casanova, e quando dichiara irrevocabili
le alienazioni fatte a pregiudizio della Chiesa nel Piemonte
e nel ducato di Genova sotto il governo francese (l).
Che la Chiesa aspiri ad un dominio universale o me-
glio ch'essa formi un regno universale, è cosa certissima.
E chi il potrebbe negare? Così fu imposto agli Apostoli
da Gesù Cristo, quando comandò loro che andassero per
tutto il mondo , ammaestrassero tutte le genti , predicas-
sero il Vangelo a tutte le creature. Ma questo dominio
e questo regno è cosa spirituale, e al dominio delle cose
temporali la Chiesa aspira solo tanto, quanto le è neces-
sario per dilatare il Regno di Cristo. A ciò essa ha tutto
il diritto , e perchè così volle il suo divin Fondatore , e
(l) Cf. Traités publics de la recale maison de Savoie avec les puis-
sances étrangères depuis la paix de Chateau-Cambresis jusq'à nos jours.
Tom. IV, V. Turin MDCCCXXXVI.
— 193 —
perchè così esige la sua stessa natura di perfetta società,
come già abbiamo indicato. Questo diritto, come è il di-
ritto di proprietà , è anche per la Chiesa assoluto ed e-
sclusivo , cioè assoluto in quanto che suppone assoluta-
mente sulla cosa ogni potere che non sia vietato dalla mo-
rale, ed esclusivo in quanto che escluda dal dominio ogni
altro fuori della Chiesa. E che vorrebbe dunque insinuare
il Castagnola dicendo che la Chiesa non si peritò di pro-
clamare il diritto più assoluto al godimento dei beni tem-
porali? Pretenderebbe forse limitarle l'usare, il godere e
il disporre della sua proprietà, solo perchè de suoi beni
essa chiama già a parte i poveri , e perchè fu sempre
larga di soccorsi quando si trovava in angustie lo Stato?
Per questa ragione vorrebbe forse che la Chiesa ritenesse
solo il nome di diritto di proprietà, e lo Stato avesse quel
diritto col fatto , potendo della proprietà ecclesiastica li-
beramente disporre ? Il professor Castagnola parlando così
della Chiesa non parla solo contro il razionale concetto
della proprietà , quale ci è indicato dal diritto romano ,
ma ci dà un' altra chiarissima prova di non conoscere il
diritto canonico, sul quale sentenzia con tanta sicurtà : e
ci sembra sognare quando il sentiam dire sostenersi dai
canonisti che il diritto assoluto di proprietà della Chiesa
si radica principalmente nel patrimonio di san Pietro e
nel temporale dominio del Sommo Pontefice (l).
2° Sempre poco felice nel riferire la storia , egli rac-
conta che nei primi tempi di fervore della nascente ci-
viltà cristiana venne adottata la comunione dei beni, quella
comunione che cotanto era stata vagheggiata da Platone (2).
(1) S, Castag. op. cit. p, ,231.
(2) Ivi p, 224.
13
— 1Q4 —
Qui confondendosi insieme due cose disparate si con-
fonde il vero concetto della comunione dei beni tra cri-
stiani , e se ne parla come se fosse stata adottata gene-
ralmente nei primi tempi. Eppure si sa che nei primordii
del cristianesimo la volontaria consuetudine di viver vita
comune introdotta nella Chiesa di Gerusalemme passò solo
nella Chiesa d'Alessandria, non già nelle altre Chiese. E
gli Apotattici e gli Apostolici, che voleano obbligare i fe-
deli a viver vita comune, furono dalla Chiesa condannati.
3° Altri attribuirebbe a lode della Chiesa l'aver pro-
mosso lo studio del diritto canonico , pel quale si tenne
anche vivo lo studio del diritto romano nel medio evo ,
siccome dotti scrittori dimostrano contro coloro che affer-
mano essersi in quell'età cominciato a coltivare il diritto
romano, solo quando si scopersero le Pandette neh" espu-
gnazione di Amalfi.
Il Castagnola per contrario ne muove querela dolen-
dogli che per lo studio delle decretali si trascurasse quello
delle sacre carte. Ma ciò egli non avrebbe detto certa-
mente , se sapesse che lo studio delle scienze canoniche
suppone sempre lo studio della teologia, ne l'uno può se-
pararsi dall'altro senza vicendevole pregiudizio. Del che
lo stesso Castagnola dà chiara testimonianza nel suo libro
sulle relazioni giuridiche tra Chiesa e Stato , nel qual li-
bro non si troverebbero tanti e sì gravi errori, se l'Au-
tore avesse premesso uno studio almeno sufficiente delle
scienze sacre.
4° Quando fa cenno delle nuove leggi dello Stato con-
trarie ai sacri canoni , per mettere in cattiva luce la le-
gislazione della Chiesa, non solo tace la ragione e il fine
della legge canonica , ma inoltre alle nuove disposizioni
— 195 —
del nostro diritto civile contrappone quelle del diritto ec-
clesiastico, come se fossero altrettante innovazioni a pree-
sistenti leggi, le quali vantino un possesso più che seco-
lare , ed afferma che i canonisti prescindono dal diritto
civile, formandosi un particolare diritto sì quanto agli atti
tra vivi, sì quanto a ciò che riguarda l'acquisto dei beni
per atto di ultima volontà (l).
Noi prima chiediamo al professor Castagnola come si
può dire che i canonisti prescindano dal diritto civile e si
formino un particolare diritto. Quale è questo particolare
diritto? Non ha forse il diritto ecclesiastico un possesso an-
tichissimo, immemorabile, antecedente a tutti i codici delle
nazioni moderne? Non era forse confermato dal diritto ro-
mano, che si ritenne per tanto tempo qual diritto comune,
e poscia dal codice albertino, che piglia forma dal codice
napoleonico improntato anch'esso alle leggi romane e spesso
alle consuetudini e costituzioni dei Re franchi, consuetudini
e costituzioni conformi ai sacri canoni? Dove erano le vostre
leggi , dove erano gli articoli del codice del Regno d' I-
talia, avanti della seconda metà di questo secolo ? Perchè
dunque in luogo di parlarci delle leggi ecclesiastiche con-
trarie alle leggi civili, non ci parlate delle leggi civili con-
trarie alle leggi ecclesiastiche? Si vede, quando con calma
si discute la natura di queste vostre leggi, si vede che esse
violano il diritto di proprietà, attribuiscono allo Stato un
diritto, il quale è ben altra cosa che il diritto eminente sui
beni della nazione; e in ispecial modo quelle che riguar-
dano la soppressione delle comunità religiose e lo inca-
meramento dei loro beni, apertamente contraddicono al-
(1) Ivi p. 238.
— 10 —
T articolo 2Q dello Statuto , come dichiarò subito il conte
Ottavio di Revel, già ministro di Re Carlo Alberto, quando
si promulgò la Costituzione , il quale discutendosi il 19
Febbraio 1855 il disegno di legge ordinata a sopprimere
parte delle comunità religiose , dinanzi al Parlamento di
Torino invocava l'articolo 29 dello Statuto, onde tutte le
proprietà son dichiarate inviolabili senza eccezione , ag-
giungendo che niuno forse di quanti erano in quella Ca-
mera poteva com'egli invocarlo : ricordava, quella clausola
« senza eccezione » che non si trova in nessun altro Sta-
tuto, aver avuto principalmente per iscopo di guarentire
la proprietà degli istituti ecclesiastici: invocava perciò la
relazione autentica del Consiglio, in cui fu agitata la qui-
stione, quando si stava per sottoscrivere lo Statuto, e ad-
ditando la effigie del Re protestava che Carlo Alberto ,
il quale non avea voluto dargli 1' assenso per la espul-
sione dei Gesuiti, perchè credea di venir meno alle fatte
promesse, Re Carlo Alberto vedendo interpretarsi in quel
modo le sue intenzioni, in quel momento avrebbe ritirato
la mano dal sottoscrivere lo Statuto (l). E naturai cosa
che, quando un ente morale civile per qualche accidente
si estingue, le sue sostanze sien devolute allo Stato: ma
se lo Stato lo sopprime e poi ne raccoglie i beni , fa 0-
pera sommamente ingiusta , fa come colui che ammazza
un uomo e lo spoglia del suo, dicendo che è cosa di nes-
suno. Ciò poi è ancora più ingiusto nel caso nostro in
quanto gli enti morali soppressi sono religiosi, i cui beni
perciò non possono esser devoluti se non che alla Chiesa.
Sappiam bene che, per coonestare queste spogliazioni, que-
(1) Atti ufficiali della Camera 19 Febbraio 1855 p. 1751-
— 197 —
ste confische, si invocano le nuove leggi economiche. Ma
chi conosce lo spirito di carità, onde è informata la Chiesa,
chi conosce l'uso ch'essa fa de'suoi beni, non può non am-
mirare la sagace previdenza di lei, perchè sieno allegge-
rite le dure necessità dei poveri , e si senta , meno che
possibil sia, la sociale disuguaglianza tra gli uomini. Oltre
all'accordare la esenzione dai tributi, della quale come i
beni ecclesiastici così anche godevano i beni delle Opere
pie, la Chiesa mostrò sempre sollecitudine per accrescere e
tutelare il patrimonio dei poveri, concedendo speciali pri-
vilegii, che tornassero a favore di quei cittadini che hanno
maggiori gravami e che , per esser loro avara fortuna ,
spesso non trovano di che soddisfare ai più urgenti bi-
sogni della vita. Quando in Inghilterra per la truce po-
litica di Tommaso Cronvello al Re e ai suoi eredi furono
aggiudicati i monasteri, i collegii ecclesiastici e gli stessi
ospedali , allora si conobbe la necessità di nuove leggi ,
ma a conseguire lo scopo di provvedere a gran parte
impoverita della popolazione inglese non essendo capaci
né la legge tirannica di Edoardo VI, nò la legge marziale
della Regina Elisabetta , fu imposta la famosa tassa sul
pauperismo che torna a tanto disonore di quella nazione.
Anche tra noi, quando i beni ecclesiastici furono de-
voluti al demanio e continuarono ad esser dissipati per
contratti rovinosi, per innumerabili liti, per enormi spese
di amministrazione, allora cominciò a ingagliardire il so-
cialismo, formandosi nelle Romagne specialmente segrete
conventicole , donde poi uscirono uomini sanguinarii per
atterrirci con atroci delitti.
Nelle provincie meridionali d' Italia le disperate con-
dizioni, in cui trovaronsi per quelle leggi i contadini, prò-
— 198 —
dusse T ingrossamento degli scherani, che rintanansi nelle
selve, donde poi sbucano improvvisamente a rapir le per-
sone per imporre ricatti ai liberi cittadini. Quelle leggi
produssero anche nella massima parte 1' emigrazione di
tanti buoni coloni , che preferiscono abbandonare la pa-
tria, per quanto loro sia cara, ed anche, se occorre mo-
rire d'inedia, anziché, col commetter delitti, offendere Id-
dio , e perder la patria del cielo. Se il professor Casta-
gnola ignora queste cose e non le crede a chi dissente
da lui , creda almeno a ciò che testé affermava il depu-
tato Vincenzo Cordova , il quale chiedendo a se stesso
quali fatti abbian potuto determinare quella emigrazione,
rispondeva esplicitamente esser la legge del 1° Luglio 1866
che sopprime gli Ordini e le Corporazioni religiose e
quella del 15 Agosto 1867, detta della liquidazione del-
l' asse ecclesiastico (l).
Quanti ora si hanno anche nelle altre provincie , i
(l) Giova qui riferire le sue stesse parole : « La schiera dei con-
tadini emigranti delle provincie meridionali incominciò appunto a ma-
nifestarsi nelle statistiche dell'anno 1869. Quali fatti han potuto deter-
minarla? Rispondo subito: le due leggi, 1° luglio 1866 che sopprime gli
Ordini e Corporazioni religiose, e la legge 15 agosto 1867, detta della
liquidazione dell'asse ecclesiastico. In virtù dell' articolo 2, terzo capo-
verso di quest' ultima legge, il demanio, o meglio, lo Stato entrava in
possesso di tutto l'asse ecclesiastico delle provincie meridionali , dove
ancora erano in pieno vigore i diritti promiscui. Lo Stato se ne impos-
sessava, apparentemente per amministrarlo nell' interesse del Fondo pel
culto, un ente ideale creato apposta per farla da coverchio, ma in realtà
per impinguare le sue casse. Ed ecco lo Stato sostituirsi agli Arcive-
scovi, Vescovi, priori ed altri abati dei monasteri o conventi delle pro-
vincie meridionali ».
Essendo rimasti inalterati i diritti di uso, legnare, pascere e semi-
— 199 —
quali potendo lavorare, non trovano lavoro, né volendo
darsi a mal fare, si veggono obbligati a vender ciò che
loro rimane per pigliar la via dell'esiglio ! Quanti esempi
il contado specialmente ci porge di poveri che divenuti
per mancanza di nutrimento mutoli ed insensati, avranno
per buona ventura , se potran terminar la vita stentata
in un ospedale!
Il danno a Genova poco si sente. La naturale posi-
tura, per cui la nostra città domina il Tirreno , 1' essere
egualmente comoda pei traffici del Levante e delle Ame-
riche, le strade ferrate che la mettono in comunicazione
coi principali emporii d'Europa, il numero grande delle
Opere pie lasciateci dai maggiori, venti milioni di lire do-
nare, i contadini cacciati dai fondi laici si rifugiavano nei fondi eccle-
siastici ad esercitare quei diritti.
« Caduto il possesso di essi fondi, formanti l'asse ecclesiastico, in mano
dello Stato, per la legge 15 agosto 1867, ognuno sperò che prima di
passare alle vendite 0 censurazioni di essi beni, lo Stato procedesse alle
operazioni di separazione e riparto dei beni soggetti ai diritti d' uso
verso le popolazioni dell'Italia meridionale. Neppur per sogno. Lo Stato
profittando del silenzio dei municipii e dell'ignoranza delle popolazioni
agricole, da tutore infedele, vende boschi, terre feudali, abbandonando
i diritti dei deboli alla prepotenza degli speculatori. Gli speculatori ,
divenuti padroni, tagliano i boschi, distruggono i pascoli, cacciano gli
agricoltori col braccio forte dell' autorità , e gli agricoltori prendono
la via dell'esiglio, emigrando. Ciò che non fu fatto dai governi dispo-
tici anteriori lo consumò lo fece il governo libero nazionale del 1868-
69.... Distrutti i boschi, venduti i beni ecclesiastici a grossi speculatori,
non restò ai contadini che la via dell' emigrazione, e, conosciuto che i
primi se la passavano bene all' estero, emigrarono i secondi, e così di
seguito con un crescendo che fa spavento ». Atti ufficiali della Camera
p. 6609.
— 200 —
nati dal duca di Galliera (l) al Comune per lo ingran-
dimento del porto , altri due milioni e mezzo di lire da
lui spese per la edificazione di case a favore delle famiglie
meno agiate, le ingenti somme di danaro stanziate dalla
vedova duchessa per la costruzione di ospedali, orfanotro-
fii, istituti di educazione tra noi rendono in parte men grave
la condizione dei poveri. Ma, soppresse le case religiose
e incamerati i beneficii, riesce intollerabile la povertà nelle
altre provincie, donde tanti affamati ci calano a Genova
a cercar lavoro o a mendicare: e si veggono tanti padri
di famiglia pallidi colla moglie e coi figliuoli coperti di
cenci aggirarsi intorno agli uffizii delle compagnie di na-
vigazione per andare in lontani paesi a procurarsi lavoro
e pane che non possono avere in Italia , e fanno pietà
tanti sventurati, nel cui volto stanno dipinti i patimenti e
la fame, onde paiono più cadaveri che creature viventi.
Eppure il professor Castagnola niente ammaestrato da
sì dura esperienza, per giustificar le nefaste leggi, che pro-
dussero tanto male, si fa forte sulla teorica contro le mani
morte, che si vogliono sempre riprovate dalla scienza e-
conomica, quando appunto dall'Inghilterra patria dei più
rinomati economisti, ora si riconosce 1' utilità grande che
possono apportare le case religiose. Di fatto in un dotto
consesso dell' Università di Cambridge , del quale facean
parte anche ministri anglicani e celebri uomini di Stato ,
discutendosi, non è molto, sulle cagioni della presente mi-
(1) Questo signore tanto benemerito della nostra città, il quale nel-
1' ultima malattia ad esempio altrui, volle dichiarar di morir cattolico,
apostolico, romano e papale, avea prima manifestato ad un alto per-
sonaggio il pensiero di fondare del suo un' Università cattolica, se nel
nostro Stato si fosse accordata libertà d'insegnamento.
— 201 —
seria del popolo inglese, si conchiuse che la soppressione
dei conventi eseguita da Enrico Vili fu per lo paese una
crudele sventura, e le presenti circostanze esigeano impe-
riosamente che venissero ristabilite analoghe istituzioni.
5. Dall' esame delle leggi ecclesiastiche specialmente
sulla immunità dai tributi comparate colle leggi civili si
manifesta la profonda filosofia della legislazione canonica
e la perfetta cognizione, che ha la Chiesa, dei bisogni del-
l' umana società ; perchè mentre intende al suo fine pri-
mario , che è la gloria di Dio e la salvezza eterna degli
uomini, mira nelle sue leggi a favorire, altresì in ordine
alle cose temporali , principalmente coloro che sono più
bisognosi ed abbandonati, sollevandoli, quanto è possibile,
dalle necessità ed afflizioni : il che ottiene anche privile-
giando il suo patrimonio , che è patrimonio dei poveri.
Ciò si vede tanto più chiaro dopo l'applicazione delle de-
cantate leggi economiche , le quali regolando la produ-
zione e il consumo doveano apportarci non sappiam quale
beatitudine.
La stessa immunità reale , che la Chiesa saviamente
sanciva anche a favore delle Opere pie , e che pure fu
occasione di tante ingiuste accuse e querimonie contro dei
Papi, ora in ispecial modo potrebbe ampiamente tra noi
testimoniare come le norme della Chiesa vincano per senno
tutte le teoriche speculazioni dei moderni filosofi, e come
molte piaghe , che oggidì ci affliggono, fossero nella sua
legislazione da molto tempo avvertite e praticamente ri-
parate. Anche in Genova nostra, quantunque reputata fra
tutte le città italiane per industrie e commerci fiorente ,
è facile conoscere quanto abbondino i poveri. Se il pro-
fessor Castagnola non vuole chiederne ai Parrochi, a cui
— 202 —
più che ad altri è noto fin dove la povertà si estenda,
potrebbe almeno interrogare gli amministratori dell' Al-
bergo di Carbonara, dai quali certamente udirebbe quale
spettacolo miserando loro si presenti quando sono adu-
nati per sentire le istanze di quei che implorano asilo ,
non già di accattoni vagabondi , ma di vecchi abbando-
nati , di storpi e malsani e di fanciulli scrofolosi rimasti
orfani. Quel maestoso Albergo edificato dai nostri mag-
giori con regal magnificenza , benché prima accogliesse
oltre a mille settecento poveri, ne alimenta ora appena
mille dugento, e la massima parte di quei che domandano
ricovero , sono rimandati ; perchè non potendosi tutti ri-
cevere , è ufficio dei deputati all' amministrazione di cal-
colare i gradi di maggiore necessità tra povero e povero,
e quindi al vecchio di settant'anni preferire il vecchio di
ottanta lasciato in abbandono , al figliuolo d' una vedova
preferire il figliuolo d'altra vedova inferma. Eppure l'Al-
bergo dei poveri è obbligato a pagare ogni anno allo
Stato oltre a settantadue mila lire solo di imposte per
fabbriche, terreni, ricchezza mobile e per ritenimento sul
debito pubblico, senza contare le tasse per mano morta,
per successione o per altri titoli, che possono sfuggire al
nostro calcolo, ma non isfuggono alla fiscalità degli esat-
tori (1). Onde l'eredità di circa cento mila lire lasciate,
(l) Ci viene indicato che nell'anno 1883 l'Albergo dei poveri solo
per tassa di fabbriche, terreni, ricchezza mobile, ritenuta sul debito pub-
blico, pagava allo Stato L. 72,191: lo Spedale di Pammatone ne pagava
certo 105,000, facendoci tuttavia notare che quest'ultima somma è anche
al disotto del vero. Da una relazione poi stampata nel 1883 si vede che
il Magistrato di Misericordia, per tassa di fabbriche, terreni, ricchezza
mobile, mano morta, paga ogni anno lire 43,013.
— 203 —
son pochi anni, condizionalmente all'Albergo dal sacer-
dote Tomaso Massola già prefetto alla Biblioteca Fran-
soniana, basterebbe a pagare poco più che le imposte di
un anno. Ora si faccia ragione del numero grandissimo di
poveri, che con queste annue somme di danaro si potreb-
bero alimentare e che pure termineranno i loro giorni
nei travagli e, Dio non voglia, negli affanni di morte per
isfinimento , come non di rado avviene anche nelle pub-
bliche strade. Oh ! quanto opportune, quanto provvide e
quanto conformi alle leggi della vera scienza economica
devono qui parere le prescrizioni che sulla immunità dai
tributi la Chiesa sanciva anche a favore dei beni che ap-
partengono alle Opere pie.
6. Pigliando sempre a pretesto la pubblica economia,
eziandio relativamente alla natura del mutuo vorrebbe
mostrare che i principii della legislazione canonica sono
contrarli ai progressi della scienza (l).
Ma dallo scritto suo si rileva soltanto ch'egli non ha
un lucido concetto dell' insegnamento della Chiesa a ri-
guardo di questa quistione.
Avverte come la scienza economica, la quale, stando
alle sue parole (2), par si confonda coll'articolo 1831 del
codice civile italiano , riconobbe 1' errore di voler fissare
un limite agli interessi , per le ragioni da lui svolte , ed
anzi stabilì l'interesse convenzionale da regolarsi dalla vo-
lontà delle parti, purché risulti da atto scritto.
E queste ragioni da lui svolte consistono poi nel dire
che è inutile lo spendere parole per dimostrare quanto
(1) S. Castag., op. cit., p. 236.
(2) Ivi, p. 237.
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i principii della legislazione canonica sieno in urto coi
progressi della scienza economica, e che il voler regolare
il mercato dei prestiti in modo diverso dalle leggi econo-
miche è errore oggi così riconosciuto che non vai proprio
la pena di confutare (l).
Noi che ci siamo forse troppo dilungati nello scrivere
contro gli errori del Castagnola , anche noi ci passiamo
dal trattare sul merito di questa gravissima quistione, circa
la quale dottamente scrissero tanti teologi e canonisti , e
possiamo farlo anche per la semplice ragione che ciò che
gratuitamente si asserisce, a buon diritto gratuitamente si
nega.
Tuttavia vogliamo notare ch'egli non tien conto della
natura del mutuo , quale contratto gratuito , riconosciuta
anche dal diritto romano.
Non osserva che la ragione intrinseca, per cui i dot-
tori giustificano l'interesse legale del cinque per cento in
materia civile e del sei per cento in materia commerciale,
non è già l'utile che ne può avere il mutuatario, ma l'in-
comodo che, per la natura stessa della cosa, ne ha chi fa
l'imprestito, anche privandosi solo dell'utile di potersi va-
lere del suo danaro , durante un dato tempo , per recar
favore ad altri, la qual privazione è stimabile a prezzo.
Non fa la debita differenza tra il mutuo che si fa per
carità al povero costituito in vera necessità dal mutuo ,
che altri contrae anche soltanto per migliorare sempre
più la sua agiata condizione.
Non distingue il compenso che altri può avere dal
privarsi solamente del danaro, da quel compenso che si
(l) Ivi, p. 236.
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può esigere per lo danno emergente, per lo lucro cessante
e per lo pencolo di perdere il capitale , sui quali titoli
suole fondarsi l' interesse convenzionale , che può quindi
sotto questo rispetto ascendere anche al cinquanta e più
per cento, senza esser condannato dalla Chiesa.
Anche qui confonde, come fece altrove, la legislazione
canonica colle semplici opinioni di dottori privati : e fa
supporre che la Chiesa abbia forse censurato coloro che
sostengono essere il danaro fruttifero, quando pur vi sono
provati teologi, come il cardinal Guglielmo De la Luxerne,
1' abate Marco Mastrofini (l) ed altri (2), che difendono
quell'opinione, e la difendono con ragioni ben più atte a
persuadere di quelle che adduce il Castagnola con tutto
l'apparato della sua scienza economica.
Inoltre ora che dall' Alemagna tuttavia si ripercuote
per le altre contrade di Europa l'eco dei lamenti e delle
grida contro le usure degli Ebrei, e in Russia fumano an-
cora le case arse nei saccheggiamenti per vendicare le
fatte estorsioni , osserviamo che poca efficacia possono
avere le parole del professor Castagnola contro il diritto
canonico , che condanna 1' usura , tanto più che si deve
anche saper grado alla Chiesa , se , per la potente voce
dei Vescovi, e specialmente del Cardinale di "Westminster
e del Primate d' Ungheria , la favilla suscitata dalla lega
antisemitica non si vide divampare in aperto incendio.
(1) Cf. Le usure , libri tre. Discussione dell' abate M. Mastrofini.
Milano, MDCCCXXXII. 1
(2) Tiene questa sentenza anche il celebre Scipione Maffei, il quale
scrisse dell' impiego del danaro libri tre alla Santità di Nostro Signore
Benedetto XIV, editi in Roma nella stamperia vaticana con licenza dei
superiori e privilegio.
— 206 —
Omettiamo altre cose che si potrebbero notare, e qui
facciam fine per non esser soverchi. Ma, come abbiamo
già a principio accennato d' aver tolto a scrivere queste
osservazioni non senza qualche ripugnanza , prevedendo
che sarebbero forse dispiaciute all' Autore delle relazioni
giuridiche tra Chiesa e Stato ; così ora nel conchiudere
questo scritto ci protestiamo che se, confutando l'errore,
abbiamo talvolta mostrato qualche risentimento , non ne
fu cagione animosità verso la sua persona , che noi vo-
gliamo rispettare , ma solo il dolore che provammo nel
veder disconosciute ed impugnate sì importanti verità, e
trattarsi senza la dovuta riverenza il magistero e l'auto-
rità della Chiesa, con tanto detrimento della studiosa gio-
ventù.
Lessi questo scritto del Eev.mo Sig. Canonico Enrico Bonino , e
giudico che 1' Autorità Ecclesiastica possa permetterne la pubblica-
zione.
Genova, 5 Maggio 1884.
Priore A. Campanella Rev. Arclv.
Visto : se ne permette la stampa.
Genova, 5 Maggio 1884.
Luigi Rossi, Prot. Ap. Vie, Gen.
INDICE
Prefazione I
Introduzione 1
PARTE PRIMA
DEI SISTEMI PER REGOLARE LE RELAZIONI
TRA CHIESA E STATO 32
I. Supremazia della Chiesa sullo Stato 40
II. Supremazione dello Stato sulla Chiesa 48
III. Delle due potestà indipendenti e parallele 51
IV. Separazione dello Stato dalla Chiesa 55
PARTE SECONDA
CONSEGUENZE GIURIDICHE DELLA SEPARAZIONE
DELLO STATO DALLA CHIESA 77
I. Della gerarchia della Chiesa ivi
II. Dei rapporti giuridici della Chiesa collo Stato 97
Art. I. Dell' associazione ivi
Art. IL Del matrimonio ili
Art. III. Delle persone e delle guarentigie accordate al Sommo
Pontefice 127
Art. IV. Dei reati ecclesiastici 145
Art. V. Del giuramento 151
Art. VI. Dei beni temporali 161
§ I. Nozioni generali ivi
§ IL Legislazione italiana 170
§ III. Osservazioni sulla dottrina dell' Autore circa i beni tem-
porali della Chiesa 180
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