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Full text of "Osservazioni critiche sulle relazioni giuridiche tra chiesa e stato dell'avvocato Stefano Castagnola ..."

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University  of  Illinois  Urbana-Champaign 


http://www.archive.org/details/osservazionicritOOboni 


•  - 

Can.°  Enrico   Bonino     — ^ 


OSSERVAZIONI    CRITICHE 


SULLE 


RELAZIONI  GIURIDICHE  TRA  CHIESA  E  STATO 


DELL    AVVOCATO 


STEFANO   CASTAGNOLA 


GIÀ    MINISTRO    E    DEPUTATO    AL    PARLAMENTO 


GENOVA 

TIPOGRAFIA    DELLA    GIOVENTÙ 
I884. 


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OSSERVAZIONI  CRITICHE. 


Utinam  qui  hoc  tempore  ius  nostrum  iriterpretuntur ,  Papinianum 
imitati,  quae  vel  falso  vel  inepte  aliquando  et  senserint  et  scripserint. 
ingenue  rctractcnt. 

Iac.  Cuiacius  óbserv.  et  emend.  Ioni.  III. 
Uh.  II.  cap.  XX XVII. 


Can.°  Enrico   Bonino 


OSSERVAZIONI    CRITICHE 


SULLE 


RELAZIONI  GIURIDICHE  TRA  CHIESA  E  STATO 


DELL   AVVOCATO 


STEFANO   CASTAGNOLA 


GIÀ    MINISTRO    E    DEPUTATO    AL    PARLAMENTO 


GENOVA 

TIPOGRAFIA    DELLA    G  I  O  V  E  N  T  Ù 
I884. 


3Z2. 


Ci  duole  dì  dover,  con  questo  nostro  scritto,  contraddire 
all'Avvocato  Stefano  Castagnola  ;  perchè  naturalmente  alieni 
dal  contendere ,  anche  per  sentimento  e  dovere  cristiano,  noi 
non  vorremmo  comechessia  contristare  persona  al  mondo:  e 
sugli  errori  ch'egli  insegna  avremmo  volentieri  tenuto  silenzio, 
se  avessimo  creduto  che  non  potessero  nuocere.  Ma  vedendo  la 
sua  opera  sulle  relazioni  tra  Chiesa  e  Stato  allegata  qualche  volta 
davanti  ai  Tribunali,  citata  anche  da  periodici  buoni  e,  quel 
che  più  fa  meraviglia,  lodata  negli  Annali  degli  Avvocati  di 
san  Pietro,  divisammo  darne  una  breve  confutazione,  premet- 
tendo, sol  quanto  è  necessario,  la  vera  dottrina  cattolica  con- 
traria a  quegli  errori.  Amiamo  essere  amici  con  tutti,  ma  più 
amica  ci  è  la  verità  «  Amicus  Cicero,  amicus  Plato,  ma- 
gis  amica  veritas  »;  tanto  più  quando  coli' errore  si  pretende 
abbassare  l'autorità  della  Chiesa,  che  della  verità  è  colonna  e 
sostegno. 

Oltre  il  consiglio  di  amici  e  di  autorevoli  persone,  ci  in- 
dusse a  pubblicar  questo    libro    specialmente  la  lettera,  che  il 


—    VI   — ■ 

regnante  Leone  XIII  scrisse  nello  scorso  agosto  all'Arcivescovo 
di  Vienna,  nella  qnal  lettera  il  dotto  Pontefice  ci  rammemora 
che,  tra  le  molte  maniere  di  difender  la  Religione,  gli  sembra 
assai  lodevole  e  al  tutto  adattata  ai  tempi  quella  di  confutare 
scritti  con  iscritti  e  di  svelare  gli  insidiosi  artificii  degli  av- 
versarli. A  seguir  questo  savio  ammonimento  nel  caso  nostro 
s*  aggiungeva  la  p articolar  ragione  di  premunir  contro  V  er- 
rore quei  giovani  specialmente ,  i  quali  studiano  legge,  sen^a 
sentire  neppure  una  legione  di  istituzioni  canoniche,  e  quindi 
nel  giudicare  del  libro,  che  noi  esaminiamo,  più  che  dal  me- 
rito intrinseco  potrebbero  esser  mossi  dal  nome  dell'Autore,  che 
siede  in  una  cattedra  della  patria  Università ,  e  sedette  già 
nel  Consiglio  dei  Ministri. 

Pertanto  essendo  nostro  proposito  di  confutar  solamente 
V  errore  serica  offender  la  carità ,  che  comanda  rispetto  alle 
persone,  speriamo  che  questo  lavoro  accolto  benevolmente  dal 
discreto  e  non  parziale  lettore ,  otterrà  il  frutto  che  deside- 
riamo, di  difender  cioè,  per  quel  poco  che  è  da  noi,  le  verità 
dal  Castagnola  impugnate. 


Tra  le  grandi  calamità,  onde  è  presentemente  afflitta 
la  Chiesa,  sono  principali  la  scuola  e  la  stampa,  che  de- 
viate dal  loro  fine  naturale  di  propagare  la  verità  e  la 
scienza,  si  fanno  maestre  di  errore  e  di  barbarie  velata 
sotto  apparenza  di  civiltà.  In  Italia  massimamente  vediamo 
i  Municipii  dal  governo  con  inique  arti  stimolati  a  ban- 
dire dalle  scuole  il  Catechismo  della  dottrina  cristiana,  per 
togliere  dalle  menti  ogni  idea  di  soprannaturale,  vediamo 
i  ginnasii  e  i  licei  venuti  a  mano  d'uomini  solo  intenti  a 
suscitar  pregiudizii  e  scandali  nella  incauta  gioventù,  fal- 
sando la  storia,  contaminando  l'insegnamento  delle  lettere 
ed  esponendo  insani  sistemi  di  filosofia  ,  il  cui  vizio  pe- 
stilenziale si  sente  dilatarsi  con  ispavento  negli  studi  supe- 
riori. E  per  rimuovere  un  ostacolo,  che  ancora  si  frappo- 
neva a  così  generale  infezione,  si  volle  abolire  la  teologia, 
che  dovrebbe  esser  1'  anima  delle  nostre  Università  degli 
studi,  le  quali  per  la  provvidenza  dei  Papi  una  volta  ri- 
splendeano  all'Europa  come  altrettanti  fari  di  civiltà. 

Son  già  dieci  anni  che  nel  Parlamento  italiano  dalla  bocca 


—  2  — 
di  un  Riccardo  Sineo  si  udivano  queste  memorabili  parole: 
«  L' insegnamento  clericale  ,  il  solo  che  avesse  l' Italia , 
quell'insegnamento  che  informò  i  miei  contemporanei  all'e- 
sercizio delle  più  maschie  virtù,  e  fece  i  più  grandi  uomini 
che  vanta  l'Italia,  questo  insegnamento  adesso  è  legalmente 
cessato:  ma  bisogna  sostituire  qualche  cosa,  che  ne  faccia 
rivivere  le  nobili  tradizioni  »  (1).  Ma  finora  nuli' altro  si 
seppe  sostituire  che  leggerezza  e  prosunzione.  Nelle  Uni- 
versità dominante  la  setta  anticristiana,  condannato  all'  o- 
stracismo  il  clero,  di  cui  si  revoca  in  dubbio  la  speciale 
attitudine  all'insegnamento:  negata,  nella  scuola  di  medi- 
cina particolarmente,  la  esistenza  di  Dio,  fatta  l'apoteosi 
della  materia,  chiamati  al  supremo  Consiglio  della  pub- 
blica istruzione  o  al  Senato  professori  di  positivismo:  vi- 
lipesa spesso  nella  scuola  di  legge  l'autorità  divina  ed  u- 
mana  :  additata  sempre  da  queste  cattedre  di  errore  la 
Chiesa  come  nemica  della  civiltà  e  del  progresso.  Non  di- 
sciplina nella  gioventù,  non  amore  agli  studi  severi,  non 
applicazione  costante:  ma  vaghezza  di  solazzi ,  avidità  di 
oscene  letture ,  disprezzo  d'  ogni  potestà  :  non  più  quieto 
domicilio  delle  scienze  le  aule  degli  Atenei  spesso  mutate 
in  sale  di  giovani  faziosi,  i  quali  discutono  ora  se  debbano 
accettare  le  nuove  improvvide  disposizioni  del  Ministro 
sopra  la  pubblica  istruzione,  ora  se  debbano  andar  tumul- 
tuando per  la  città  con  bandiere  e  con  grida  sediziose, 
per  qualche  politico    intendimento. 

Di  questa  educazione  ridicola  e  funestissima  son  pri- 
maria cagione  quei  professori,  che  immemori  del  sacro 
dovere  di  cercar  sempre  nell'insegnamento  anche  l'utilità 

(l)  Atti  Uff.  della  Cam.  p.  4808. 


—  3  — 
morale  della  gioventù,  spargono  invece  errori  e  a  viva  voce 
dalla  cattedra  e  talora  anche  per  mezzo  di  scritti,  che  vanno 
pubblicando  con  gran  detrimento  degli  stessi  studi. 

Tra  cotali  scritti  vuoisi  annoverare  quello  che  stampò, 
non  è  molto,  l'Avv.  Stefano  Castagnola  sulle  relazioni 
giuridiche  tra  Chiesa  e  Stato.  Egli  premette  nella  intro- 
duzione queste  parole:  «  Io  porto  opinione  che  nessuno 
possa  riuscire  un  perfetto  uomo  di  Stato  e  giureconsulto, 
se  non  si  addentra  nello  studio  della  storia  della  Chiesa  e 
del  diritto  canonico  »  (l).  Ciò  che  il  Castagnola  dice  es- 
sere sua  opinione,  è  sentimento  generale  di  tutte  le  persone 
che  abbiano  naturale  buon  senso.  Come  mai  di  fatto  po- 
trebbe chiamarsi  perfetto  uomo  di  Stato  chi,  per  non  es- 
sersi addentrato  nello  studio  della  storia  della  Chiesa, 
non  ne  conoscesse  la  origine  divina  ,  la  natura ,  le  doti 
e  specialmente  i  diritti  ch'essa  ha  rispetto  allo  Stato? 
Come  potrebbe  chiamarsi  perfetto  giureconsulto  chi  non 
avesse  piena  cognizione  del  diritto  canonico ,  se  il  diritto 
canonico  informò  tutte  le  legislazioni  europee  ,  se  perciò 
dev'essere  necessariamente  parte  d'  una  ben  ordinata  fa- 
coltà giuridica,  e  se  è  tanto  necessario  anche  per  l'appli- 
cazione che  occorre  farne  giornalmente,  come  l'Autore  è 
obbligato  a  confessare?  (2). 

Ci  piace  tuttavia  che  ei  convenga  con  tutti  i  savi  al- 
meno nell'  affermare  questa  verità.  Ma  non  volendo  evi- 
dentemente contraddire  a  se  stesso,  dovrà  confessare  che 
egli,  stato  già  membro  del  Consiglio  dei  ministri  non 
potè  essere  perfetto  uomo  di  Stato,  dacché  ,  nella  sua  o- 

(1)  Stefano  Castagnola.  Delle  relazioni  giuridiche  fra  Chiesa  e  Stato  p.9. 

(2)  Ivi  p.  12. 


—  4  — 
pera,  mostra  appunto  ignorare  grossamente  la  storia  della 
Chiesa:  dovrà  pur  confessare  di  non  poter  essere  perfetto 
giureconsulto  ,  dacché  appare  sì  manifesta  la  sua  impe- 
rizia e  del  diritto  canonico  e  dello  stesso  diritto  naturale. 
Quanto  egli  ignori  la  storia  della  Chiesa,  il  mostra  subito 
sul  principio  là  dove  afferma  che  la  Chiesa  «  marciò  alla 
testa  del  progresso  dal  secolo  V  al  secolo  XIII  »  (1),  come 
se  essa  del  vero  progresso  non  fosse  guida  principalmente 
anche  nei  primi  quattro  secoli ,  quando  il  bandire  la  li- 
bertà evangelica  le  costò  sì  fiera  e  lunga  persecuzione 
dall'immane  governo  degli  Imperatori  romani;  quando  per 
mezzo  de'  suoi  primi  dottori  combattè  trionfalmente  i  so- 
fismi di  Porfirio,  di  Giuliano  e  degli  altri  filosofi  pagani; 
quando  ravvicinando  i  popoli  ammaestrò  il  mondo  anche 
coi  Concilii  sì  particolari,  fin  dai  suoi  principii,  sì  ecume- 
nici cominciando  dal  Niceno  I  tenuto  1'  anno  325;  e  quando 
nel  IV  secolo  fé'  subito  sentire  la  sua  benefica  azione  nelle 
leggi  romane,  per  le  costituzioni  degli  Imperatori  divenuti 
cristiani  inserite  nel  codice  teodosiano ,  che  precedette 
quasi  d'  un  secolo  il  codice  giustinianeo.  Gli  elementi  del 
vero  progresso  fin  dai  suoi  principii  si  potean  vedere  nella 
Chiesa,  della  quale  diceva  lo  stesso  ministro  Michele  Cop- 
pino  discutendosi  la  legge  del  15  agosto  1867  :  «  Var- 
cata l'epoca  dei  martiri,...  si  costituisce  a  somiglianza  di 
quelle  società  laiche  ,  che  le  stavano  d'  attorno  ,  ma  col 
vantaggio  di  parere  ed  essere  la  difenditrice  del  diritto  e 
dei  deboli  »  (2).  Il  solo  fatto  del  santo  Arcivescovo  di 
Milano,  Ambrogio  che  vieta  l'ingresso  della  Chiesa  e  im- 


(1)  Ivi  p.  10. 

(2)  Tornata  io  luglio  1867.  Atti  Uff.  della  Cam.  p.  2072. 


—  5  — 
pone  pubblica  penitenza  all'  imperatore  Teodosio   per  la 
strage  di  Tessalonica,  mostra   luminosamente   qual    fosse 
anche  avanti  del  V  secolo  la  missione  della  Chiesa  rispetto 
alla  civiltà  e  al  progresso. 

Come  poi  senza  mentire  contro  la  storia  si  può  negare 
alla  Chiesa  d'  essere  stata  maestra  di  civiltà  dal  secolo  XIII 
fino  a  noi,  quando  allora  principalmente  favorì  arti,  let- 
tere e  scienze?  quando  decoro  di  privilegi  le  principali  Uni- 
versità di  Europa?  quando  un  Romano  Pontefice  Leon  X 
meritò  che  dal  suo  nome  si  appellasse  il  secolo  d'oro  della 
nostra  letteratura?  quando  la  Chiesa  istituì  nuove  cattedre 
sì  nel  Concilio  di  Vienna,  sì  nel  Concilio  di  Trento,  il  quale 
anche  a  giudizio  d'uno  scrittore  non  sospetto,  può  aversi  in 
conto  d'un  codice  di  civiltà  europea?  quando  per  mezzo  dei 
Papi  salvò  le  nazioni  civili  dalla  barbarie  turchesca?  quando 
nelle  Americhe  introdusse  il  cristiano  incivilimento?  quando 
a  condannare  gli  errori  dominanti,  promulgò  opportune 
costituzioni,  che  restano  anche  come  altrettanti  monumenti 
imperituri  di  civile  prudenza?  E  la  riforma  del  calendario, 
di  cui  ivi  stesso  l'Autore  fa  cenno  (l),  non  fu  eseguita  da 
Gregorio  XIII  nel  XVI  secolo  ? 

L'Autore  che  sembra  non  conoscere  i  primi  elementi 
della  dottrina  cristiana,  là  ove  alla  Chiesa  e  non  a  Gesù 
Cristo  attribuisce  l'aver  elevato  il  matrimonio  a  dignità 
di  sacramento ,  appalesa  anche  ignoranza  intorno  alla 
storia  ecclesiastica.  A  mostrar  la  quale  ignoranza  basti 
accennare  com'  egli  annoveri  tra  i  Concilii  ecumenici  il 
Concilio  particolare  di  Arles,  e  confondendo  la  presenza 
dell'Imperatore  colla  presidenza  faccia  presiedere  da  Co- 

(l)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   io. 


—  6  — 
stantino  (l)  il  primo  Concilio  Niceno,  a  cui  presiedette  il  ce- 
lebre Osio  Vescovo  di  Cordova  mandatovi  da  Papa  san  Sil- 
vestro, cogli  altri  legati  Vitone  e  Vincenzo  Preti  romani. 

Per  conoscer  poi  quanto  strana  idea  abbia  il  professor 
Castagnola  del  diritto  in  generale  e  del  diritto  canonico  in 
ispecie,  vuoisi  osservare  che  il  supremo  principio  fondamen- 
tale del  diritto  è  l'ordine  delle  cose  conosciuto  e  voluto  da 
Dio.  Sotto  questo  rispetto,  considerato  il  diritto  come  ciò  che 
è  conforme  alla  retta  ragione  ed  ha  relazione  alla  libertà 
dell'  uomo,  in  quanto  convive  in  società  ed  opera  co'  suoi 
simili,  si  può  prendere  soggettivamente  ed  oggettivamente. 

Preso  in  senso  soggettivo  il  diritto  è  la  facoltà  che  ha 
f  uomo  di  fare  qualche  cosa  o  di  esigere  che  altri  la  fac- 
cia od  ometta  di  fare  in  favore  di  lui.  Preso  invece  in 
senso  oggettivo  è  la  legge  o  il  complesso  di  quelle  leggi, 
che  l'uomo  in  rapporto  co'  suoi  simili  deve  osservare  come 
regola  delle  sue  libere  azioni.  Il  diritto ,  secondo  che  è 
una  partecipazione  della  legge  eterna  o  sulla  legge  eterna 
ha  in  qualche  modo  fondamento,  oggettivamente  si  divide 
in  naturale  e  positivo:  il  diritto  positivo  si  suddivide  in 
positivo-divino  e  positivo-umano.  Il  diritto  positivo-umano 
è  quello,  del  quale  specialmente  parliamo  noi,  ed  ha  sempre 
intimo  nesso  colla  morale,  benché  da  essa  si  distingua.  Ha 
intimo  nesso  colla  morale,  perchè  i  principii  e  le  leggi  della 
morale  sono  pure  una  partecipazione  della  legge  eterna:  ma 
dalla  morale  si  distingue,  perchè  il  diritto  impera  soltanto 
sugli  atti  esterni,  laddove  la  morale  impera  anche  sugli  atti 
interni,  sicché  il  diritto  quasi  circolo  concentrico  minore  si 
contiene  nella  morale,  che  rappresenta  il  circolo  maggiore  : 

(1)  Ivi  p.  51. 


donde  consegue  che  tutte  le  regole  di  diritto  devono  es- 
sere tutte  regole  di  morale,  benché  non  tutte  le  regole 
di  morale  siano  regole  di   diritto. 

Tale  era  il  concetto  che  anche  i  romani  giureconsulti 
aveano  delle  relazioni  tra  il  diritto  e  la  morale  ;  perchè, 
se  distinguevano  il  diritto  dalla  morale,  ammettevano  tut- 
tavia che  tra  loro  non  potesse  esservi  separazione.  Al- 
trimenti ,  se  non  avessero  ammesso  distinzione  tra  di- 
ritto e  morale  non  avrebbero  detto  che  «  non  tutto  ciò  che 
è  lecito  è  onesto  »  (l):  e  se  per  contrario  avessero  ammesso 
tra  loro  assoluta  separazione  ,  non  avrebbero  definito  il 
diritto  «  ciò  che  è  sempre  equo  e  buono  »  (2). 

Ma  la  morale  si  fonda  nella  Religione  ,  e  da  essa  di- 
pende, perchè  la  moralità  degli  atti  umani  è  riposta  nella 
loro  conformità  colla  retta  ragione,  ed  è  retta  la  ragione 
se  è  conforme  colla  legge  eterna ,  che  è  la  suprema  re- 
gola di  tutte  le  azioni  delle  creature  partecipata  da  Dio 
all'uomo  per  mezzo  di  una  dottrina  o  legge  sia  naturale 
sia  soprannaturale:  la  qual  dottrina  o  legge  nel  suo  con- 
cetto, se  non  formale  ,  almen  materiale  ,  è  la  stessa  Re- 
ligione che  ordina  tutte  le  azioni  umane  a  Dio.  Onde,  se 
il  diritto  ha  intima  relazione  colla  morale  ,  fondandosi  la 
morale  nella  Religione  e  dipendendo  da  essa,  anche  il  di- 
ritto deve  avere  intima  relazione  colle  leggi  della  Reli- 
gione e  deve  da  queste  dipendere:  e  lo  Stato  ordinato  da 
Dio  a  tutela  dell'esercizio  esteriore  della  libertà  degli  uo- 
mini tra  loro,  deve  tutelare  sì  il  diritto  sì  la  Religione. 

Quindi  le  leggi  che  costituiscono  il  diritto   pubblico  e 

(1)  Non  ovine  quod  licet  honestum  est.  Fr.  144  D.  De  div.  reg.  iuris  50. 

(2)  Quod  semper  aquum  ac  bonum  est.  Fr.  il  D.  De  iust.   et  iur.  1. 


—  8  — 
privato  dello  Stato,  non  devono  ripugnare  alla  Religione, 
ma  esserle  conformi  ;  perchè  le  leggi  umane  non  devono 
ripugnare  alla  legge  eterna,  una  partecipazione  della  quale 
è  anche  la  Religione,  in  quanto  è  legge  direttiva  di  tutti 
gli  atti  umani  al  loro  ultimo  fine  che  è  Dio  (l).  Questo 
e  non  altro  è  il  vero  concetto  del  diritto,  se  non  si  vuole 
disconoscere  la  retta  ragione ,  la  legge  eterna  e  la  esi- 
stenza stessa  di  Dio. 

Ma  ben  diverso  è  il  concetto  che  del  diritto  si  forma 
il  Castagnola,  come  si  vede  dal  modo  con  cui  parla  del 
diritto  moderno  e  di  quella  parte  del  diritto  che  riguarda 
le  relazioni  tra  Chiesa  e  Stato  (2),  e  che  fondata  sul  di- 
ritto naturale  e  divino  consta  delle  disposizioni  generali  e 
speciali  emanate  dalla  Santa  Sede  in  rapporto  coi  diversi 
Stati,  e  tra  noi,  dopo  le  concessioni  fatte  da  Papa  Nicolò  V 
alla  Casa  di  Savoia,  consta  principalmente  dei  concordati 
stretti  coi  Re  di  Piemonte,  l'uno  nel  1727  sotto  Bene- 
detto XIII,  due  altri  nel  1742  e  nel  1750  sotto  Bene- 
detto XIV  e  l'ultimo  nel  1841  sotto  Gregorio  XVI,  ai 
quali  non  contrasta,  ma  concorda  lo  Statuto  fondamentale 
del  Regno  ,  secondo  il  quale  la  Religione  cattolica  ,  apo- 
stolica ,    romana  è  la  sola   Religione  dello  Stato  (3). 

Egli  attenendosi  di  fatto  a  quel  sistema  della  supremazia 
dello  Stato  sulla  Chiesa,  che  mostra  rigettare  (4),  annienta 
la  potestà  ecclesiastica  di  fronte  alla  onnipotenza  dello 
Stato.  «  Lo  Stato,  egli  dice  (5),  si  ha  l'attributo  eminente 

(1)  Salv.  Magnasco  Instit.  theol.  dogmatico-scholasticae  tom.  l  p.  17-46. 

(2)  S.  Castaq.  op.  cit.  p.  11,  13. 

(3)  Statuto  fondarci,  del  Regno,  art.   1 

(4)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   33. 

(5)  Ivi  p.   12. 


della  tutela  di  tutti  i  diritti;  i  quali  non  solamente  pren- 
dono origine  dai  precetti  legislativi,  ma  eziandio  dalle  con- 
venzioni delle  parti  (l).  Sotto  questa  tutela  son  posti  i 
regolamenti  degli  enti  morali,  gli  statuti  delle  società.  Ora 
non  vi  è  dubbio  che  le  leggi  della  Chiesa  formano  lo  sta- 
tuto dei  credenti,  e  che  i  decreti  dell'autorità  ecclesiastica 
emanati  in  conformità  di  dette  leggi ,  che  non  sono  con- 
trarli alle  leggi  dello  Stato  od  all'ordine  pubblico  o  lesivi 
dei  diritti  dei  privati  (2),  producono  effetti  giuridici.  De- 
vono perciò  i  medesimi  essere  collocati  sotto  la  salva- 
guardia dello  Stato  ». 

Ma  voi,  signor  Castagnola,  malamente  citando  l'art.  11 23 
del  codice  civile  ,  voi  qui  dite  in  sostanza  che  lo  Stato 
ha  la  tutela  di  tutti  quei  diritti  che  derivano  insieme  e 
dai  precetti  legislativi  e  dalle  convenzioni  delle  parti:  con 
che ,  voi ,  il  quale  a  pregiudizio  dei  diritti  della  Chiesa, 
vi  faceste  fuor  di  tempo  a  difendere  lo  Stato ,  voi  qui 
ora,  senza  avvedercene,  ristringete  la  tutela  che  lo  Stato 
ha  verso  la  Chiesa  ,  limitandola  anche  più  di  quel  che 
noi  consentiamo  di  buon  grado;  perchè  non  neghiamo 
punto  allo  Stato  la  tutela  dei  diritti  giuridici ,  laddove 
voi  date  allo  Stato  la  tutela  di  quei  soli  diritti  che  de- 
rivano come  da  doppia  fonte  e  dai  precetti  legislativi 
e  dalle  convenzioni  delle  parti.  Ma  si  vede  bene  che  con 
quel  malaugurato  periodo  voi  dite  ben  altro  da  quel 
che  vorreste  dire.  Volete  dire  che  lo  Stato  ha  la  tutela 
non  solo  dei  diritti  che  derivano  dai  precetti  legisla- 
tivi, ma  anche  di  quei  diritti  che  derivano  soltanto   dalle 

(1)  Cod.  civ.  art.   1123. 

(2)  Legge   13  maggio  1871,  art.   17,  ult.  capov. 

(3)  Cod.  civ.  art.   1123. 


—  10  — 
convenzioni  delle  parti;  perchè  i  contratti  legalmente  for- 
mati hanno  forza  di  legge  per  coloro  che  gli  hanno  fatti  (3). 
E  così,  dato  anche  enon  concesso,  che  i  concordati  siano 
contratti  bilaterali,  come  alcuni  pretendono,  ad  ogni  modo 
ne  consegue  che  la  fattane  abolizione,  già  condannata  dal 
diritto  naturale  e  dal  diritto  ecclesiastico  ,  è  qui  implici- 
tamente condannata  anche  coli'  autorità  del  codice  civile 
del  Regno  d' Italia,  ed  è  condannata  da  voi  stesso,  il  quale 
testò  noveraste  fra  i  diritti  rivendicati  dal  civile  principato 
quello  d'  abolire  i  concordati  (l). 

Dopo  d'averci  detto  che  sotto  la  tutela  dello  Stato  son 
posti  i  regolamenti  degli  enti  morali,  e  gli  statuti  delle  so- 
cietà ,  aggiungete  non  esservi  dubbio  che  le  leggi  della 
Chiesa  formano  lo  statuto  dei  credenti ,  e  supponete  de- 
creti dell'autorità  ecclesiastica  non  emanati  in  conformità 
delle  leggi  della  Chiesa. 

Or  che  intendete  voi  per  lo  statuto  dei  credenti?  In- 
tendete forse  la  regola  che  per  credere  devono  avere  i 
cristiani  ?  Se  così  volete  intendere  ,  statuto  dei  credenti 
sono  la  Sacra  Scrittura  e  la  divina  Tradizione  ,  nostra 
regola  remota  di  fede,  essendoci  regola  prossima  soltanto 
l' infallibil  magistero  della  Chiesa,  la  quale  della  Scrittura 
e  della  Tradizione  è  la  sola  legittima  interprete.  E  in 
questo  senso  le  leggi  della  Chiesa  non  formano  lo  sta- 
tuto dei  credenti,  ma  piuttosto  in  virtù  dello  statuto  dei 
credenti  si  formano  le  leggi  della  Chiesa. 

Di  fatto  essa  esercita  il  potere  legislativo,  perchè  que- 
sto ha  fondamento  nella  costituzione  a  lei  data  da  Gesù 
Cristo  e    chiaramente   indicataci    dalla    Scrittura    e    dalla 

(l)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   l. 


—  11  — 

Tradizione.  Qui  cadrebbe  opportuno  farvi  osservare  che 
come  altri  non  può  esser  buon  giureconsulto  senza  esser 
canonista,  così  non  è  assolutamente  lecito  a  un  canonista 
ignorare  i  principii  fondamentali  della  sana  teologia:  e 
perciò  non  meritate  risposta,  ma  compatimento  quando 
dite  che  la  Chiesa  «  nel  mezzo  del  secolo  decimonono  ban- 
disce due  nuovi  dogmi  »  la  immacolata  Concezione  e  la 
infallibilità  del  Pontefice  (l). 

Che  se  per  lo  statuto  dei  credenti  intendete  la  regola 
che  hanno  i  cristiani  di  operare,  perchè  chiamar  questa 
regola  statuto  dei  credenti  ?  Credere  significa  forse  ope- 
rare? E  regola  di  operare  pei  cristiani  sono  solo  le  leggi 
della  Chiesa  e  non  anco  e  principalmente  la  legge  naturale 
e  la  legge  divina,  a  cui  è  subordinata  la  legge  ecclesiastica  ? 

Oltre  a  ciò,  supponendo  voi  decreti  dall'autorità  ec- 
clesiastica non  emanati  in  conformità  delle  leggi  della 
Chiesa,  supponete  cosa  che  non  ha  e  non  può  aver  luogo  ; 
perchè  o  questi  decreti  supponete  emanati  dall'  autorità 
suprema  che  è  o  il  Papa  solo  o  il  Papa  coi  Vescovi  o  li 
supponete  emanati  dall'  autorità  subordinata  come  sono 
gli  Arcivescovi  e  i  Vescovi.  Nel  primo  caso  tali  decreti 
costituiscono  nuove  leggi ,  e  perciò  abrogano  le  con- 
trarie leggi  preesistenti  o  vi  derogano;  perchè  il  potere 
legislativo  della  Chiesa  è  sempre  uguale  ,  né  può  venir 
meno.  Nel  secondo  caso  i  decreti  emanati  dall'  autorità 
ecclesiastica  in  contraddizione  delle  leggi  generali  sono 
nulli  di  pien  diritto  in  faccia  alla  Chiesa. 

Inoltre  colla  famosa  legge  del  13  maggio  1S71  sulle 
prerogative  del  Sommo   Pontefice  si  suppongono    decreti 

(l)  S.  Cast ag.  op.  cit.  p.   15. 


—    12    — 

dell'  autorità  ecclesiastica   contrarli   alle   leggi  dello  Stato 
o  all'  ordine    pubblico  o  lesivi  dei  diritti  dei  privati.  Per 
cotesti  scrittori  è  cosa  facilissima  rendere   odiosa  al  volgo 
l' autorità    della    Chiesa ,  denunziando   le   sue  leggi   come 
contrarie  alle  leggi  dello  Stato.  Come  fanno  essi?  Ai  de- 
creti, alle  leggi  della  Chiesa  fondate  sulla  giustizia  e  per 
moderazione  e   saviezza    ammirabili    oppongono    disposi- 
zioni arbitrarie,  che  impongano  iniqui    gravami ,  che    ec- 
cedano  i   limiti   della   vera   giurisdizione ,  che   non   siano 
ordinate  al  bene   comune  :  e   queste    disposizioni   ingiuste 
chiamano    leggi.  Così    hanno    decreti    dell'autorità    eccle- 
siastica contrarii  alle  leggi  dello  Stato.  Una  persona  one- 
sta direbbe  al  contrario  che   così   si   hanno  decreti  dello 
Stato  contrari  alle  vere   leggi   dell'  autorità   ecclesiastica  : 
e  solo,  secondo  il  vostro  modo  di  parlare,  potrebbe  con- 
sentirvi  che  diceste  le  leggi   della  Chiesa  esser  contrarie 
alle  leggi  dello  Stato,  in  quanto  le  leggi  dello  Stato  sono 
contrarie  alla  giustizia.  Ma  come   potete  voi ,  signor  Ca- 
stagnola ,  supporre  le  leggi  della  Chiesa  contrarie  all'  or- 
dine pubblico  e  lesive  dei  diritti   dei   privati  ?  All'  ordine 
pubblico  son  contrarie  e  son  lesive  dei  diritti  dei  privati 
le  disposizioni  che  voi  chiamate  leggi  dello  Stato,  dacché 
esse,  non  le  leggi  della  Chiesa,  si  fondano  sulla  ingiusti- 
zia ,  violano  i  diritti  di  interi  corpi  morali ,  offendono   le 
prerogative  della  Chiesa,  tolgono   la   riverenza   alla    più 
veneranda   autorità  che  si  abbia  al  mondo   e   tendono    a 
levar  dagli  uomini  la  chiara  idea  del  giusto  e  dell'onesto, 
aprendo  largo  adito  alle  discordie ,  ai  pubblici  disordini , 
alla  pubblica  corruzione.  Che  importa  poi  il  dire  che  i  de- 
creti dell'  autorità  ecclesiastica  producono  effetti  giuridici, 
quando  la  efficacia  di  questi  decreti  si  fa  dipendere  dal- 


—  13  — 
l' arbitrio  dello   Stato  ed  è  abbandonata  alla   sua   discre- 
zione? A  che  riesce  così  la   tutela    dello   Stato  ,    sotto  la 
quale  si  dice  che  devono  esser  collocati  i  diritti  della  Chiesa? 
Questa  tutela,  questa  salvaguardia,  è  un  vero  scherno. 

Il  signor  Castagnola  trova  tutta  irta  di  difficoltà  quella 
parte  di  studi  che  riguarda  le  relazioni  tra  Chiesa  e 
Stato  (l).  Ma  col  concetto  eh'  egli  ha  del  diritto  e  colla 
teorica  eh'  egli  segue,  non  può  fare  altro  che  vieppiù  in- 
tricare le  quistioni  intorno  a  questa  materia,  né  gli  verrà 
fatto  di  scioglierne  alcuna  equamente.  Come  di  fatto  ciò 
gli  potrebbe  riuscire,  quando  senza  neppure  far  menzione 
dei  concordati ,  egli  dice  che  gli  elementi ,  i  quali  spar- 
gono un  po'  di  luce  su  quelle  quistioni  devono  ricercarsi 
nelle  discussioni  parlamentari,  nelle  relazioni  dei  Ministri 
ai  Capi  dello  Stato  e  in  quella  letteratura  che  si  va  for- 
mando, ossia  negli  scritti  del  Gladstone,  Rùttimann,  Lau- 
rent, Macaulay,  del  Curci,  dell' Audisio  ,  del  Piola,  Bon- 
ghi, Minghetti,  Mamiani  che  sono  per  lui  le  nuove  fonti 
del  diritto  canonico?  E  qual  maraviglia,  se  si  vedono  da 
lui  trattate  con  tanta  leggerezza  quistioni  di  tanta  gravità? 

Secondo  i  suoi  principii,  le  norme  che  devono  rego- 
lare le  relazioni  tra  Chiesa  e  Stato  niente  presentano  di 
comune  col  diritto  naturale,  non  hanno  impronta  alcuna 
di  stabilità,  non  mostrano  avere  nessuna  affinità  colla  mo- 
rale e  colla  Religione,  anzi  pare  che  propriamente  non 
esistano  ancora  ,  perchè  questa  parte  del  modernissimo 
diritto,  come  egli  dice,  non  è  se  non  che  in  formazione  o 
meglio  in  gestazione  e  sarà  ciò  che  risulterà  dalla  lotta 
tra  il  principio  autoritario  e  il  dogma  colla  ragione  e  il  li- 

(1)  Ivi  p.  13. 


—  U  — 
bero  pensiero.  La  qual  lotta,  se  ben  si  considera,  dovrà 
terminare  colla  prevalenza  del  libero  pensiero;  perchè  è 
vero  bensì  che  la  Chiesa  anche  spogliata  del  suo  civile 
principato,  di  tutti  i  suoi  privilegi,  di  tutte  le  sue  immu- 
nità sembra  emulare  Anteo,  ritraendo  dalla  sua  disfatta 
nuovo  vigore;  ma  è  pur  certo,  egli  soggiunge,  che  i  fiumi 
non  risaliranno  alle  lor  sorgenti  e  sapranno  vincere  gli 
ostacoli  che  si  frappongono  al  loro  corso,  cioè,  in  altri 
termini,  lo  Stato  non  può  rinunziare  né  la  sua  missione 
di  civiltà  e  di  progresso,  né  la  sua  sovranità  (l). 

L'  Autore  ,  come  si  vede  ,  quanto  alla  natura  del  di- 
ritto ,  mostra  seguire  la  scuola  storica  guidata  da  Carlo 
Federico  Savigny,  il  quale  afferma  il  diritto  formarsi  in  cia- 
scun popolo  ,  come  si  forma  la  lingua  ,  in  cui  ne  sono 
come  riflessi  i  costumi  :  e  a  principio  fondamentale  del 
diritto  pone  la  consuetudine,  che  rappresenta  le  necessità 
dei  popoli,  senza  darsi  pensiero  se  queste  siano  reali  o 
immaginarie,  se  sieno  o  no  conformi  alle  regole  del  giu- 
sto e  dell'onesto.  Sorsero  a  impugnar  questa  scuola  dotti 
e  gravi  scrittori,  i  quali  danno  lode  al  Savigny  per  aver 
richiamato  i  moderni  allo  studio  del  diritto  romano,  ma 
giustamente  riprovano  il  suo  sistema,  perchè  toglie  il  di- 
ritto dal  suo  vero  immutabile  fondamento  per  collocarlo 
sopra  una  instabile  base  la  consuetudine;  perchè  separa 
il  diritto  dalla  morale  e  dalla  Religione,  che  devono  in- 
formare tutte  le  scienze  sociali;  e  perchè  colla  scorta  di 
tal  sistema  si  dovrebbe  ratificare  la  ingiustizia,  la  schia- 
vitù, il  diritto  di  naufragio,  il  diritto  di  albinato  già  am- 
messi da   antiche   consuetudini ,  e  al  presente  tanti  fatti 

(l)  Ivi  p.  13,  is,  16. 


—  15  — 
compiuti,  che  importano  la  più  manifesta  violazione  della 
giustizia.  Anzi  il  Castagnola  va  più  oltre  del  Savigny  ; 
perchè  anche  sul  semplice  fatto  fa  consistere  effettiva- 
mente il  diritto  :  e  se  tale  non  fosse  la  sua  dottrina,  do- 
vrebbe parere  incredibile  eh'  egli  potesse  sul  principio 
stesso  del  suo  libro  dar  vanto  allo  Stato  per  tante  azioni 
lesive  dei  più  sacri  diritti  ed  altamente  offensive  alla 
Chiesa,  il  foro  ecclesiastico  abolito,  i  concordati  rescissi  , 
gli  Arcivescovi  Franzoni  e  Marongiu  espulsi  dalle  loro 
sedi ,  la  personalità  giuridica  tolta  alle  case  degli  ordini 
religiosi  nello  Stato  ,  promulgato  il  nuovo  codice  civile 
del  25  giugno  1865  e  quindi  pubblicate  le  leggi  del  7 
luglio  1866  e  del  15  agosto  1867  con  sempre  più  gravi 
violazioni  dei  diritti  della  Chiesa  ,  i  beni  ecclesiastici  de- 
voluti al  Demanio  e  alienati,  i  registri  dello  stato  civile 
fino  allora  tenuti  dalla  Chiesa  attribuiti  ai  Municipii,  con- 
tro la  convenzione  del  24  agosto  1836  tra  Gregorio  XVI 
e  Re  Carlo  Alberto,  la  ingerenza  sul  matrimonio  cri- 
stiano arrogatasi  dal  potere  civile  ,  Roma  occupata  con 
1'  armi. 

Né  ha  il  professor  Castagnola  men  torta  idea  intorno 
alla  civiltà  moderna  e  al  moderno  progresso  ,  e  non  ne 
parla  men  confusamente  di  quello  che  parli  del  diritto 
moderno  e  del  diritto  canonico.  Egli  afferma  che  (l)  «  tre 
sono  gli  elementi  fondamentali  della  civiltà  moderna  :  il 
mondo  romano,  il  mondo  germanico  ed  il  mondo  cristiano; 
ovvero  l'antichità,  la  barbarie,  il  cristianesimo   ». 

Che  intende  egli  per  civiltà  moderna  ?  Quella  che  si 
identifica  coll'intellettuale,  col  morale  e  fisico    perfeziona- 

(1)  Ivi  p.  9. 


—  lo- 
mento dei  popoli,  che  produce  la  prosperità,  di  cui  son 
capaci  gli  Stati,  e  che  è  anche  cagione  della  felicità  che 
possono  avere  quaggiù  gli  uomini  ordinati  a  beatitudine 
sempiterna  ?  Se  intende  parlare  di  questa  civiltà ,  vo- 
lendo esser  veridico,  dica  più  brevemente  che  essa  è  un 
portato  del  cristianesimo  ,  come  afferma  altrove.  La 
Chiesa  per  sé  ordinata  a  propagare  il  Regno  di  Dio  sulla 
terra  ,  per  la  natura  della  sua  stessa  missione  si  fece  al 
mondo  anche  maestra  di  civiltà.  Di  fatto  essa  procla- 
mando il  principio  evangelico  della  eguaglianza  degli  uo- 
mini, che  hanno  una  comune  origine  e  sono  tutti  figliuoli 
di  uno  stesso  Padre  ,  ravvicinò  i  popoli  per  mezzo  dei 
Concilii  ecumenici,  degli  arbitrati  papali,  delle  leggi  ca- 
noniche. Nei  Concilii,  discutendosi  gravi  questioni  teologi- 
che, veniansi  spesso  anche  a  definire  indirettamente  le  più 
astruse  ed  importanti  quistioni  metafisiche  e  morali ,  che 
avean  tenuti  divisi  gli  antichi  filosofi:  e  quelle  verità  pro- 
clamate nei  Concilii,  e  spiegate  dai  Vescovi  ai  popoli  pro- 
duceano  mirabile  accordo  universale  nei  principii  e  nelle 
idee,  che  influirono  potentemente  nelle  relazioni  giuridi- 
che fra  i  diversi  Stati.  I  Papi  poi  divenuti  sovente  arbi- 
tri tra  politici  contendenti,  colla  potenza  morale  delle  loro 
decisioni  riconciliavano  Principi  e  popoli,  estinguendo  dis- 
cordie ,  che  avrebbero  perpetuato  odii  mortali ,  e  spesso 
inondato  di  sangue  V  Europa. 

La  Chiesa,  nell'incessante  adoperarsi  che  fece  a  van- 
taggio degli  uomini,  rispettò  bensì  ciò  che  nelle  legisla- 
zioni trovava  conforme  al  diritto  naturale,  alle  esigenze 
dei  tempi,  dei  luoghi  e  dell'indole  dei  popoli,  e  alle  giuste 
consuetudini  invalse  per  avvenimenti  e  circostanze  parti- 
colari; ma,  col  suo  corpo  di  leggi  fondate   sull'equità   e- 


vangelica  ,  moderò  saviamente  la  durezza  del  diritto  ro- 
mano, e  spogliò  il  diritto  germanico  della  nativa  barba- 
rie. Il  diritto  canonico  fu  per  la  Chiesa  mezzo  potentis- 
simo a  rendere  civili  i  popoli,  perchè  influì  con  efficacia 
meravigliosa  in  ogni  parte  del  diritto  sì  pubblico  come 
privato. 

Influì  sul  diritto  pubblico  esterno  ed  interno.  Quanto 
al  primo,  ossia  internazionale,  ad  innalzarlo  a  dignità  di 
scienza  contribuirono  principalmente  coi  loro  studi  due 
eminenti  teologi  Francesco  Vittoria  (l)  e  Domenico  Soto  (2), 
primi  tra  gli  scrittori  che  trattarono  quistioni  di  diritto 
internazionale,  proclamando  principii  di  cristiana  egua- 
glianza. Ma  quale  influenza  non  esercitò  il  diritto  cano- 
nico sul  diritto  pubblico  interno  ?  Esso  diede  origine  in 
gran  parte  ai  governi  temperati,  per  le  molte  concessioni 
e  franchigie  accordate  ai  popoli  dalla  Chiesa,  durante  la 
sua  lotta  coll'impero.  Influì  sul  diritto  penale ,  perchè  ne 
modificò  la  procedura,  condannando  come  superstiziosi  i 
giudizi  di  Dio,  coi  quali  si  pretendeva  giudicare  della  in- 
nocenza o  colpabilità  del  reo  dall'esito  delle  prove  irra- 
gionevoli del  duello,  del  fuoco  e  del  ferro  rovente.  Il  di- 
ritto canonico  informò  poi  tutto  il  diritto  privato,  ope- 
rando una  universale  trasformazione  nel  mondo  ,  dacché 
migliorò  generalmente  le  relazioni  tra  gli  uomini  ,  abolì 
gradatamente  la  schiavitù,  regolò  secondo  giustizia  le  due 
potestà  maritale  e  paterna  degenerate  in  domestica  tiran- 
nide presso  i  Romani,  e  rialzò  i  servi  dallo  stato    di  av- 


(1)  Praelect.  theohgicae.  Disseri,  de  Indis.  Dissert.  de   iure  hispau.  in 
barbaros. 

(2)  De  iustitia  et  iure  libri  decem. 

o 


—  18  — 
vilimento  ,  in  cui  si  trovavano  rispetto  ai  padroni.  Fé' 
sentire  il  diritto  canonico  l'azione  sua  sul  diritto  di  pro- 
prietà, apportando  notabili  miglioramenti  specialmente  in- 
torno al  possesso,  per  tacer  delle  riforme  introdotte  dai 
Papi  Innocenzo  III  e  Bonifazio  Vili  intorno  ai  procedi- 
menti giudiziarii  in  generale,  sia  per  la  forma  scritta  del 
processo  resa  obbligatoria  ,  sia  per  la  norma  data  alle 
azioni  e  agli  appelli,  sia  per  la  contestazione  della  lite  , 
prescritta  sotto  pena  di  nullità,  e  per  la  legale  pubblica- 
zione della  sentenza:  tutti  beneficii  segnalati  che  noi  ab- 
biamo dalle  leggi  canoniche,  beneficii  riconosciuti  in  parte 
dallo  stesso  Castagnola,  il  quale  è  anche  costretto  a  con- 
fessare che  la  materia  matrimoniale  si  può  dire  trapian- 
tata nei  moderni  codici  civili  dal  diritto  canonico,  e  la 
istituzione  degli  atti  dello  stato  civile  è  dovuta  alla 
Chiesa.  Questi  ed  innumerabili  altri  beneficii,  che  abbiamo 
dal  cristianesimo,  sono  gli  elementi  della  presente  civiltà. 
Se  pure  il  professor  Castagnola  non  intende  parlare  di 
quella  civiltà,  che  fa  consistere  il  diritto  in  un  fatto  ma- 
teriale ;  nel  qual  caso  non  dee  far  maraviglia  che  egli , 
come  elemento  fondamentale  di  civiltà,  non  dubiti  di  as- 
segnare anche  la  barbarie  (l). 

Forse  l'Autore  si  lamenterà  che  noi  interpretiamo  si- 
nistramente le  sue  parole  non  avendo  egli  scritto  mai  che 
il  diritto  consista  in  un  fatto  materiale.  Ma  non  iscrisse 
egli,  essere  il  Sillabo  la  raccolta  delle  massime  del  mo- 
derno progresso?  (2).  Ora  tra  quelle  massime  condannate 
dalla  Chiesa  la  cinquantesima  nona  afferma  che  il  diritto 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  9. 

(2)  Ivi  p.   15. 


—  19  — 
consiste  in  un  fatto  materiale  e  che  tutti  i  doveri  degli 
uomini  sono  un  nome  vano  e  che  tutti  i  fatti  umani  hanno 
forza  di  diritto  (l).  Onde  conviene  conchiudere:  o  che  il 
professore  ammetta  veramente  quella  teorica,  conseguenza 
del  materialismo  e  sovvertitrice  d'ogni  ordine  pubblico  e 
privato,  o  che  non  sappia  almeno  quello  che  si  scriva  e 
non  abbia  mai  letto  quel  Sillabo  ch'egli  stoltamente  con- 
sidera come  contrario  alla  civiltà. 

Inoltre  ei  reputa  opportuno  ammonire  la  Chiesa  a  con- 
vincersi «  che  non  solo  il  tempo  della  civile  potestà,  ma 
quello  eziandio  del  privilegio  di  una  posizione  eccezio- 
nale è  per  lei  irremissibilmente  perduto  e  che  è  pur 
d'  uopo  che  si  acconci  a  vivere  sotto  il  governo  del  di- 
ritto comune  »  (2).  Anzi  rammentandole  con  tutta  gra- 
vità eh'  essa  «  seppe  sfidare  il  martirio  e  quindi  si  ac- 
conciò a  vivere  sotto  la  protezione  dei  romani  Impe- 
ratori »,  pare  che  la  esorti  a  rassegnarsi  nel  subire  l'al- 
tro incruento  sì,  ma  non  men  doloroso  martirio  di  vedersi 
incatenata  nell'esercizio  di  sua  giurisdizione  e  spogliata  de' 
suoi  beni;  pare  che  la  consigli  ad  acconciarsi  alla  prote- 
zione del  Regno  d'Italia,  poco  dissimile  dalla  protezione 
degli  Imperatori  romani.  Né  pago  nella  modestia  sua  di 
darle  consigli,  non  tralascia  di  animarla  anche  con  qual- 
che encomio ,  mostrando  che  «  è  per  lei  giusto  titolo  di 
gloria  1'  aver  salvato  la  civiltà  latina  dalla  irruzione  dei 
barbari;  »  e  facendole  sperare  che  «  forse  una  gloria  an- 
che maggiore  1'  attenda  di  salvare  la  moderna  civiltà  da 


(1)  Syll.  prop.  LIX:  Ius  in  materiali  facto  consistit  et  omnia  hominum 
officia  sunt  nomen  inane  et  omnia  humana  facta  iuris  vim  habent. 

(2)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   16. 


—   20  — 

un  pericolo  anche  più  grande,  dall'  irruenza  di  selvaggie 
dottrine,  che  tendono  a  distruggere  la  famiglia  e  la  pro- 
prietà »   (l). 

Se  il  nostro  Professore  conoscesse  almeno  i  fatti  più 
recenti,  anzi  soltanto  i  fatti  contemporanei  della  storia  ec- 
clesiastica ch'egli  a  principio  affermò  esser  necessaria  al- 
l'uomo di  Stato,  non  sentenzierebbe  sulle  sorti  della  Chiesa 
con  si  avventati  giudizii,  ma  si  mostrerebbe  più  prudente, 
e  ne  trarrebbe  salutari  documenti  per  se  medesimo,  per- 
chè vedrebbe  come  la  Chiesa  possa  star  sicura  confidando 
solo  nella  protezione  del  suo  Divin  Fondatore,  vedrebbe 
come,  a  fronte  di  manifesti  persecutori  o  d'ipocriti  nemici, 
ella  opponga  sempre  la  consueta  sua  resistenza  negativa; 
e  solo  quando  il  persecutore  cade  nella  stessa  sua  lotta 
o  stanco  se  ne  ritrae,  allora  la  Chiesa  si  avanza  pacifi- 
camente a  dilatare  il  Regno  di  Cristo. 

Potrebbero  bastare  ad  esempio  i  due  fortunosi  ponti- 
ficati di  Pio  VI  é  Pio  VII  non  molto  lontani  dalla  me- 
moria nostra. 

Quando  nel  1799  portato  Pio  VI  cattivo  in  Francia, 
sfinito  dagli  strapazzi ,  nella  grave  età  di  ottantun  anni , 
adagiato  su  di  una  seggiola,  nella  sala  dell'Episcopio  di 
Valenza,  rivolto  a  Mons.  Giuseppe  Spina,  che  aveagli  am- 
ministrato l'Estrema  Unzione,  poco  prima  di  morire  dice- 
vagli  che  non  si  rammaricava  di  tanto  maltrattamento,  di 
tanti  patimenti  sofferti  e  di  dover  morir  lontano  da  Roma, 
ma  si  dolea  estremamente,  dello  stato  in  cui  lasciava  la 
Chiesa,  la  Religione  perseguitata  e  quasi  spenta  in  Francia, 
molti  Vescovi  nascosti  o  fuggiaschi,  lo  Stato  Pontificio  da' 

(l)  Ivi  p.  17. 


—   21    — 

nemici  occupato  ,  sé  Papa  esule  e  moribondo  e  tutti  i 
Cardinali  dispersi;  quando  così  moriva  quel  venerabile 
Pontefice,  allora  dagli  increduli  si  credeva  certo  che  fosse 
irreparabilmente  perduto  non  solo  il  tempo  della  civile  pote- 
stà dei  Papi,  come  crede  essere  il  Castagnola,  ma  anche  il 
Papato,  e  Pio  VI  dicevasi  l'ultimo  Papa.  Di  fatto  in  quale 
Stato  ,  chiede  un  celebre  storico  (l)  ,  in  quale  Principe 
poteva  confidare  la  Chiesa?  Nel  Gran  Turco  suo  perpetuo 
nemico?  Neil'  Inghilterra  protestante,  ove  ogni  anno  si  bru- 
ciava pubblicamente  a  Londra  il  ritratto  del  Papa?  Nella 
Germania  o  nell'Austria  ammorbate  dal  luteranismo  e  dal 
giuseppismo?  Nei  Borboni  di  Napoli  o  di  Spagna  che  da 
un  secolo  avean  tribolato  e  continuavano  a  tribolare  la 
Santa  Sede  ?  Eppure  adunato  il  conclave  a  Venezia  viene 
eletto  Papa  il  Cardinal  Barnaba  Chiaramonti,  che  assunto 
il  nome  di  Pio  VII,  è  condotto  a  Roma  col  favore  della  In- 
ghilterra, dell'Austria,  della  Russia  e  della  stessa  Turchia. 
E  Pio  VII,  dopo  patita  lunga  cattività  per  la  prepotenza 
di  Napoleone  Bonaparte  a  Savona  e  a  Fontainebleau  ,  è 
ricondotto  tra  la  esultanza  de'  popoli  ne'  suoi  Stati  dagli 
scismatici  Inglesi.  Dio  •  così  permise ,  come  osserva  il 
Card.  Bartolomeo  Pacca,  per  far  quasi  toccar  con  mano 
agli  increduli  che  la  conservazione  e  la  prosperità  della 
Chiesa  dalle  supreme  disposizioni  della  sua  provvidenza 
provengono,  e  per  render  sempre  più  memorabile  la  le- 
zione, che  ai  Papi  ripetono  sì  spesso  le  Sacre  Scritture,  di 
non  porre  la  loro  fiducia  nei  Principi  della  terra  (2). 
In  questi  ultimi  anni  in  cui  tante  volte  si  disse  mori- 

(1)  Ab.  Rohrbacher.    Storia    univ.  della    Chiesa    cattolica   voi.  XV, 
lib.  XC. 

(2)  Memorie  storiche  parte  2  introd. 


bondo  il  Papato,  quanta  vitalità  esso  non  mostrò  nel  co- 
stituire la  ecclesiastica  gerarchia  in  Inghilterra,  in  Olanda, 
in  Grecia,  e  testé  dal  regnante  Pontefice  in  Iscozia,  nella 
Bosnia  e  nell'Erzegovina?  E  ora  i  due  più  potenti  Impe- 
ratori d' Europa ,  poich'  ebbero  indarno  tanto  afflitto  la 
Chiesa,  non  si  veggono  riconciliarsi  con  Roma? 

E  vero  che  nel  libro  da  noi  tolto  ad  esame,  là  ove  si 
cita  (l)  l'inglese  Macaulay  protestante,  il  quale  discor- 
rendo della  storia  dei  Papi  scritta  dal  celebre  Leopoldo 
Ranke,  ammira  la  veneranda  antichità  e  la  fiorente  vi- 
goria del  Papato  (2) ,  è  vero ,  diciamo ,  che  là  anche  il 
Castagnola  concede  esser  la  Chiesa  ben  lontana  da  quella 
prossima  morte  che  le  è  vaticinata.  Ma  negandole  «  il 
privilegio  di  una  posizione  eccezionale  »  le  nega  e  le 
doti  speciali ,  che  le  attribuì  Gesù  Cristo  quando  la  isti- 
tuì, e  le  qualità  stesse  che  la  sua  natura  di  società  per- 
fetta essenzialmente  suppone,  e  ciò  che  è  necessaria- 
mente richiesto  dal  suo  fine  particolare  di  conseguire  la 
vita  eterna:  e  così  non  riconoscendo  la  sua  natura  divina 
non  ne  riconosce  la  vita  soprannaturale,  ma  le  attribuisce 
un'  altra  vita,  che  non  è  vita  della  Chiesa. 

Egli  dice  di  abborrire  il  concetto  che  lo  Stato  debba 
essere  ateo  ,  ed  opinare  invece  eh'  esso  sia  incompetente 
nelle  cose  di  Religione.  Aggiunge  che  ,  se  lo  Stato  è  e- 
straneo  al  dogma  della  Religione  cristiana,  non  è  estraneo 
alla  morale  cristiana.  Anzi  vorrebbe  che  ,  come  neh1'  li- 
mone Americana,  questa  morale  si  considerasse  come  parte 
del  diritto  non  scritto,  del  diritto  comune  (3). 

(1)  S.   Castag.  op.  cit.  p.   14. 

(2)  Rivista  di  Edimburgo,  ottobre  1840. 

(3)  S.   Castag.   op.   cit.  p.    17. 


—  23  — 

Quante  contraddizioni  in  così  poche  parole  !  Se  lo  Stato 
non  deve  essere  ateo ,  col  dogma  della  esistenza  di  Dio 
come  non  dovrà  ammettere  gli  altri  dogmi  che  ne  con- 
seguono e  costituiscono  la  Religione?  Se  ammette  anche 
il  solo  dogma  della  esistenza  di  Dio  ,  come  si  può  dire 
estraneo  ai  dogmi  della  Religione?  Risponderà  forse  il 
Castagnola  che,  se  lo  Stato  è  estraneo  ai  dogmi  della  Re- 
ligione cristiana,  non  è  tuttavia  estraneo  ai  dogmi  di  una 
Religione  naturale.  Ma  se  lo  Stato  è  estraneo  ai  dogmi 
della  Religione  cristiana ,  come  può  essere  non  estraneo 
alla  morale  cristiana?  Non  è  necessaria  la  relazione  tra 
il  dogma  e  la  morale?  Le  verità  pratiche  della  morale 
non  suppongono  sempre  verità  specolative  del  dogma? 
Che  se  lo  Stato  ammette  una  Religione  solo  naturale,  per- 
chè non  si  contenta  d'  una  morale  naturale  soltanto  ,  ma 
s'attiene  alla  morale  cristiana?  Non  se  ne  contenta  forse, 
perchè  non  la  crede  sufficiente?  Ma  come  può  ammet- 
tersi una  morale  d'ordine  soprannaturale  con  una  Religione 
d'ordine  puramente  naturale?  Questa  morale  non  avrebbe 
fondamento.  Di  fatto  in  che  potrebbe  fondarsi?  Non  nella 
Religione  cristiana  o  soprannaturale,  perchè  a'  suoi  dogmi 
è  estraneo  lo  Stato.  Non  nella  Religione  di  puro  ordine 
naturale,  perchè  tra  essa  e  la  morale  d'ordine  sopranna- 
turale non  vi  ha  proporzione. 

Vuoisi  poi  osservare  che  il  Castagnola  escludendo  così 
la  Religione  soprannaturale  ,  merita  lo  stesso  rimprovero 
che  il  maestro  suo  Marco  Minghetti  facea  già  a'  socialisti 
«  di  scindere  1'  ordine  naturale  dal  soprannaturale  »  (l); 

(i)  Della  economia  pubblica  e  delle  sue  attinente  colla  morale  e  col  di- 
ritto libri  cinque  di  M.  Minghetti.  Firenze,  Le  Monnier,   1859  P-  423- 


e  mostra  giustissimi  i  lamenti  di  coloro  che  dicono  esser 
per  le  dottrine  e  pei  fatti  del  partito  detto  moderato  che 
nelle  provincie  italiane  già  sì  tranquille  si  prepararono 
tanti  covi  di  radicali. 

Neppure  le  molte  innovazioni  fatte  nelle  scuole,  né  la 
introdotta  confusione  di  idee  potrebbero  scusare  in  un 
avvocato  e  professore  di  diritto  l'abuso  che  de'  vocaboli 
legali  fa  il  Castagnola  quando  afferma  che  lo  Stato  è  in- 
competente nelle  cose  di  Religione.  Incompetente  dicesi 
quel  giudice  che  è  inabile  a  giudicare  d'una  materia  per 
mancanza  di  giurisdizione.  Ma  lo  Stato  non  è,  ne  può  mai 
essere  giudice  nelle  cose  di  Religione,  e  in  tali  cose  non 
ha,  né  può  mai  avere  giurisdizione  alcuna.  Si  dirà  che  non 
v'era  bisogno  di  rilevare  questa  inesattezza,  se  tanto  dal 
Castagnola  quanto  da  noi  si  ammette  in  sostanza  che  lo 
Stato  non  abbia  giurisdizione  in  sì  fatte  cose.  Ma  v'  era 
pur  questo  bisogno ,  perchè  quando  si  dice  che  lo  Stato 
è  incompetente  a  giudicare  ,  gli  si  nega  bensì  1'  attuale 
giurisdizione  a  giudicare  ,  ma  non  gli  si  nega  la  qua- 
lità di  giudice  ,  qualità  che  non  può  competer  mai  allo 
Stato  in  materia  di  Religione.  Si  dirà  pure  che  il  Casta- 
gnola non  va  troppo  pel  sottile  e  ch'egli  finalmente  ri- 
pete ciò  che  hanno  già  detto  altri  giureconsulti  più  chiari 
di  lui,  e  che  anzi  egli  concede  volontieri  che  lo  Stato  non 
possa  esser  neppur  giudice  nel  fatto  di  Religione.  Ma  che 
si  vuol  dunque  significare  dicendo  che  lo  Stato  è  incompe- 
tente nelle  cose  di  Religione?  Si  vuol  forse  indicarci  che  lo 
Stato  non  forma  giudicio  non  solo  giuridico,  ma  nemmeno 
logico  intorno  a  questa  materia,  cioè  non  fa  nemmeno  quel 
giudicio  che  facciam  noi,  per  renderci  ragione  di  quel  che  cre- 
diamo? Se  così  è  la  cosa  non  hanno  senso  quelle  parole:  «  lo 


Stato  non  è  ateo,  ma  è  incompetente  nelle  cose  di  Religione  »: 
anzi  implicano  aperta  contraddizione,  perchè  dicendosi  che 
lo  Stato  non  è  ateo  si  dice  che  lo  Stato  giudica  ed  am- 
mette che  esiste  Dio  :  dicendosi  che  lo  Stato  è  incompe- 
tente nelle  cose  di  Religione,  si  dice  che  lo  Stato  non  può 
giudicare  se  esiste  Dio,  non  potendo  giudicare  delle  cose 
di  Religione,  delle  quali  la  prima  è  il  dogma  dell'esistenza 
di  Dio  ;  perchè  chi  ammette  o  nega  questa  verità  ,  deve 
pure  ammettere  o  negare  la  esistenza  delle  relazioni  che 
passano  tra  Dio  e  le  creature  razionali. 

Ma  dopo  essersi  affermato  così  chiaramente  che  lo  Stato 
non  può  giudicare  delle  cose  di  Religione,  ecco  che  subito 
con  altra  contraddizione  evidente  si  soggiunge  che  il  sen- 
timento religioso  è  il  miglior  fondamento  d'un  buon  go- 
verno ,  la  base  più  salda  della  libertà  politica  ,  che  anzi 
non  vi  ha  libertà  politica  senza  credenza  religiosa,  e  che 
i  popoli,  i  quali  riuscirono  a  stabilire  presso  di  loro  questa 
libertà,  sono  quei  popoli  che  hanno  conservato  un  gran 
fondo  di  cristianesimo  (l). 

Inoltre  il  voler  che  la  morale  cristiana  si  consideri  come 
parte  del  diritto  comune  è  cosa  stranissima.  Di  fatto  o 
con  ciò  si  vuole  che  i  principii  della  morale  cristiana  in- 
formino il  diritto  comune  ,  o  si  vuole  che  tali  principii 
debban  considerarsi  come  altrettante  disposizioni  giuri- 
diche ,  le  cui  infrazioni  cadano  sotto  la  esterna  coazione. 
Nel  primo  caso  ,  se  si  tratta  del  diritto  che  sia  comune 
soltanto  agli  Stati  cristiani,  si  dice  cosa  per  lo  meno  inu- 
tile ,  perchè  si  sa  che  quel  diritto  deve  essere  informato 
ai  principii  della  morale  cristiana,  giacché  per  questo  mas- 

(l)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   18, 


—   26   — 

simamente  quegli  Stati  possono  chiamarsi  cristiani.  Se  si 
tratta  invece  del  diritto  comune  a  tutti  gli  Stati  in  gene- 
rale, si  pretende  cosa  ingiusta  in  se  stessa  e  ingiusta  prin- 
cipalmente secondo  1'  erroneo  sistema  della  libertà  di  co- 
scienza propugnato  dall'Autore.  Si  pretende  cosa  ingiusta 
in  se  stessa ,  perchè  né  i  Mussulmani ,  né  gli  Ebrei ,  né 
gli  infedeli ,  che  sono  in  buona  fede  ,  si  possono  costrin- 
gere alla  osservanza  della  legge  evangelica  e  molto  meno 
delle  leggi  ecclesiastiche,  ma  bisogna  prima  ridurli  colla 
persuasione  e  colla  carità.  Si  pretende  cosa  ingiusta  prin- 
cipalmente secondo  il  sistema  dell'Autore;  perchè  mentre 
da  una  parte  propugna  il  principio  della  libertà  di  co- 
scienza, dall'altra  parte  poi  colla  sua  nuova  dottrina  vor- 
rebbe costringere  ad  operar  contro  coscienza  i  Turchi , 
gli  Ebrei  ed  i  pagani,  a  differenza  della  consueta  mitezza 
della  Chiesa  ,  la  quale  non  solo  vieta  la  forza  fisica  nel 
condurre  gli  infedeli  alla  vera  Religione ,  ma  vieta  anche 
sotto  gravi  pene  di  conferire  il  battesimo  ai  figliuoli  degli 
infedeli  avanti  1'  uso  della  ragione ,  contro  la  volontà  dei 
parenti. 

Nel  secondo  caso  contro  i  principii  più  elementari  delle 
scienze  giuridiche,  il  Castagnola  verrebbe  a  confondere  la 
morale  col  diritto  ,  e  dopo  tanti  secoli  di  progresso  pre- 
tenderebbe porre  le  moderne  legislazioni  in  condizione  tale 
che  sarebbero  inferiori  alle  stesse  antichissime  leggi  di  Ca- 
ronda,  nelle  quali  parea  già  ben  distinta  dal  diritto  la  mo- 
rale ,  né  dubiterebbe  di  incontrare  tutti  i  gravi  inconve- 
nienti, a  cui  darebbe  naturalmente  luogo  una  tale  confu- 
sione. Ecco  a  che  si  riduce  la  scienza  e  il  progresso  di 
cotesti  nuovi  propagatori  di  civiltà. 

Più    avanti    afferma    che    «    la    Chiesa    ebbe    sempre 


grande  forza  ed  elasticità  di  esercitare  la  sua  missione 
nelle  più  disperate  contingenze  »  (l).  Or  che  ci  vor- 
rebbe dire  con  ciò?  Egli  non  indica  già  quella  sagace 
moderazione ,  di  cui  imitabile  esempio  in  tutte  le  età 
lasciarono  i  Papi ,  governando  costantemente  tra  i  con- 
fini del  giusto  e  dell'  onesto  ben  definiti  dal  diritto  natu- 
rale e  divino,  e  nelle  loro  relazioni  coi  diversi  Stati  mo- 
strandosi indifferenti  ad  ogni  forma  di  governo  ,  purché 
la  Chiesa  potesse  esercitar  liberamente  la  sua  missione  ; 
ma  adopera  parole  e  frasi ,  che  meglio  converrebbero  a 
far  conoscere  la  versatile  politica  di  quel  Marco  Minghetti, 
di  cui  il  Castagnola  si  professa  discepolo;  quella  politica, 
la  quale  consente  del  pari  di  prestar  giuramento  di  fe- 
deltà al  Romano  Pontefice  e  a  suoi  nemici ,  di  propu- 
gnare o  combattere  identici  principii  secondo  1'  opportu- 
nità, di  passare  da  un  partito  al  partito  opposto,  quando 
per  tal  mezzo  s'abbia  maggiore  speranza  di  conseguire  il 
potere;  quella  politica  che  nel  1873  permise  al  Castagnola 
istesso  da  ardente  repubblicano  farsi  moderato  per  diventar 
ministro,  sicché  la  Mazziniana  Consociazione  degli  operai 
di  Genova  in  solenne  adunanza  deliberava  di  cancellare 
il  nome  di  lui  dall'albo  de'  soci  onorarli  (2). 

Ricercando  il  motivo  onde  l'Autore  potè  esser  mosso 
a  scrivere  il  suo  libro,  si  scorge  che  non  fu  amore  della 
scienza  del  diritto,  e  molto  meno  carità  di  patria,  ma  fu 
desiderio  di  far  viva  la  fazione  politica  della  «  monarchia 
costituzionale  »  a  cui  egli  appartiene,  fazione  la  quale  in- 

•     (1)  Ivi  p.  ló. 

(2)  V.  la  lettera  che, /pubblicata  per  le  stampe,  la  Consociazione  degli 
operai  di  Genova  allora  mandava  «  A  S.  E.  Castagnola  Avv.  Stefano, 
Deputato  al  Parlamento,  Ministro  di  Agricoltura  e  Commercio  ». 


—  28  — 
pannando  costantemente  i  cattolici  apportò  tanti  dolori  alla 
Chiesa,  riducendola  alla  lacrimevole  condizione  presente: 
il  che  tornavagli  opportuno  per  le  elezioni  allora  imminenti. 
Perciò  si  trova  combattuto  da  due  contrarli  affetti:  ora 
dall'ira  di  vedere  che ,  astenendosi  dalle  urne  i  cattolici , 
gli  fosse  stato  tolto  quel  voto  che  alcuni  prima  gli  avean 
già  dato  a  Chiavari;  ora  dalla  speranza  d'  averlo  almeno 
quando  che  sia,  per  le  solite  promesse  che  i  moderati 
fanno,  avanti  le  elezioni,  di  voler  difendere  il  Catechismo 
cristiano  e  tutelare  la  Religione,  per  opporsi  agli  eccessi 
di  quei  partiti  che  tendono  a  distruggere  la  famiglia  e  la 
proprietà.  Anzi  egli  pare  quasi  smemorato  e  che  non 
sappia  bene  quello  che  vuole;  perchè  prima  (l)  afferma 
che  non  sarà  certo  possibile  l' appagare  gli  avversarli 
(i  cattolici),  se  non  coll'accondiscendere  alle  loro  brame,  e  si 
mostra  sfiduciato  a  trovare  i  termini  della  conciliazione  ; 
e  qui  ora  (2)  invece  crede  che  la  Chiesa  e  lo  Stato  non 
sian  destinati  ad  una  lotta  perpetua  e  che  vi  siano  i  ter- 
mini d'una  conciliazione.  Sotto  la  pressura  dell'ira  deride 
i  cattolici;  perchè  caduto  il  potere  temporale  del  Pontefice, 
vicendevolmente  si  confortassero  nella  speranza  d'una  risto- 
razione, e,  profferita  in  un  momento  di  dispetto  la  formola 
«  ne  elettori  né  eletti  »  attendessero  la  salvezza  dal  diluvio 
universale  (3).  Poi  animato  dalla  speranza  di  trar  profitto 
dalla  semplicità  di  coloro  che  di  leggieri  si  lasciano  illudere, 
egli  encomia  i  cattolici  per  la  stretta  loro  disciplina,  per 
la    moralità    nell'  amministrazione  ,  per  la  parsimonia  del 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  8. 

(2)  Ivi  p.   15. 

(3)  Ivi  p.  7. 


—  2Q  — 
pubblico  danaro,  per  l'amore  dell'ordine  e  della  pubblica 
tranquillità  ,  e  perchè  a  poco  a  poco  smesse  le  idee  as- 
solute, si  presentino  compatti  alle  urne  per  le  elezioni  am- 
ministrative, massime  dacché  una  parola  d'ordine  pronun- 
ziata dall'  alto  fece  precetto  ai  fedeli  di  curare  la  loro  i- 
scrizione  nelle  ampliate  liste  elettorali  politiche.  Ed  ag- 
giunge che  non  vi  sarà  per  certo  da  dolersene  ,  perchè 
il  partito  clericale  (così  egli  chiama  i  cattolici)  sarà  allora 
molto  meno  temibile,  e  perchè  il  suo  intervento  nella  rap- 
presentanza nazionale  potrà  in  certi  casi  e  per  determi- 
nate questioni  riuscire  utile  e  proficuo  (1).  Preziosa  con- 
fessione ,  la  quale  manifesta  come  per  lo  intervenire  dei 
cattolici  al  Parlamento,  avranno  a  vantaggiarne  i  nemici 
della  Chiesa,  sì  perchè  noi  saremo  allora  meno  temibili , 
sì  perchè  con  tale  intervento  potremo  essere  utili  e  pro- 
ficui ai  nostri  avversarii.  Sì  chiara  confessione  può  far 
sempre  meglio  intendere  i  motivi,  onde  il  Tribunale  della 
Sacra  Penitenzieria  dichiarò  che  il  dare  il  voto  per  le 
elezioni  politiche  non  è  spediente. 

Che  se  per  contrario  è  assai  utile  il  partecipare  alle 
elezioni  amministrative,  è  pur  necessario  il  guardarsi  da 
una  fazione  ,  che  riuscì  sempre  ad  opprimere  i  cattolici , 
poiché  si  prevalse  del  loro  suffragio  per  salire  al  potere 
anche  nell'  amministrazione  dei  Comuni. 

Genova  ne  porge  esempio  luminosissimo.  Avendo  il 
Municipio  «  progressista  »  abolito  il  Catechismo  dalle  ci- 
viche scuole,  il  dotto  e  zelante  Arcivescovo  sorse  a  prote- 
stare contro  tale  prepotenza:  e  alla  sua  autorevole  voce 
i  cittadini  riscossi  nelle  prossime  elezioni  con  isplendida 
vittoria  elessero  un  nuovo  Consiglio. 

(1)  Ivi  p.  7,  8. 


—  30  — 

Ma  ,  perchè  non  si  volle  far  prima  accettare  ai  can- 
didati un  chiaro  e  ben  determinato  programma,  che  pur 
avendo  una  cotai  latitudine  ,  tutelasse  efficacemente  gli 
interessi  religiosi  e  materiali  del  Comune,  a  che  riu- 
scirono le  proteste  di  questo  Prelato  e  gli  sforzi  de'  buoni 
Genovesi  ?  I  candidati  del  partito  moderato  ,  che  sanno 
abilmente  coprire  i  privati  interessi  anche  col  manto  della 
Religione  ,  accresciuti  nelle  successive  elezioni  continua- 
rono, anzi  aggravarono  l' azione  sovvertitrice  del  prece- 
dente Municipio. 

Si  videro  mantenuti  nelle  scuole  i  libri  d'  etica  civile 
condannati  dall'Arcivescovo,  anzi  aggiuntivi  di  nuovi,  ove 
con  fina  arte  si  insinua  il  naturalismo  :  si  videro  Consi- 
glieri, in  voce  fin  allora  di  buoni  cattolici,  andare  a  nome 
del  Municipio  a  far  riverenza  a  Giuseppe  Garibaldi  poco 
prima  ossequiato  dai  Frammassoni  :  sempre  stipendiato 
col  denaro  del  Comune  quelf  ispettore  scolastico  ,  che 
avea  creato  tante  molestie  ai  maestri  più  franchi  neh'  af- 
fermare i  propri  principii  cattolici,  e  stipendiato  per  un 
ufficio  dichiarato  inutile  dagli  stessi  avversarli ,  anzi  ag- 
giuntigli tre  visitatori  fra  le  persone  più  zelanti  e  ben 
volute  dalla  setta  ,  negletti  e  non  promossi  ottimi  pro- 
fessori che  avean  mostrato  maggior  fermezza  nel  difen- 
dere il  Catechismo:  profanata  con  balli  nel  civico  teatro 
e  con  mascherate  la  quaresima:  quasi  tutti  convertiti  in 
luoghi  profani  i  conventi  avuti  dal  Governo  :  conceduto 
dal  Municipio  per  tenervi  conferenze  di  laido  positivismo 
l'oratorio  di  san  Filippo,  ove  prima  si  udiva  il  puro  inse- 
gnamento della  morale  cristiana:  demoliti  nei  civici  ospe- 
dali altari  di  infermerie  e  incagliato  ai  religiosi  il  libero 
esercizio  del    sacro    ministero    nell'  assistenza   dei    malati  : 


—  31  — 

stipulati  contratti  con  isperpero  di  danaro  e  con  offesa 
dei  sentimenti  religiosi  del  popolo  :  stanziati  sussidii  per 
onori  e  monumenti  da  erigersi  ai  nemici  della  Chiesa  : 
conservata  in  vigore  la  tassa  pei  funerali:  negati  gli  as- 
segnamenti per  necessarie  riparazioni  ed  altre  spese  di 
culto  che  per  istretto  obbligo  deve  il  Comune:  i  reclami 
al  Prefetto,  perchè  non  fossero  più  oltre  impedite  le  pro- 
cessioni religiose,  quantunque  sottoscritti  da  più  di  tren- 
tamila persone,  non  sostenuti  né  curati  da  quei  Consiglieri 
che  erano  stati  eletti  per  tutelare  i  diritti  dei  cittadini, 
contro  gli  arbitrii  del  governo. 

Intendano  pertanto  i  cattolici  almeno  1'  utile  insegna- 
mento che  dà  loro  il  Castagnola,  e  per  ora  vedano  di  im- 
pedire i  raggiri  e  gli  inganni  dei  moderati  nelle  elezioni 
amministrative  e  di  ovviare  agli  accennati  gravissimi  in- 
convenienti, acciocché  i  buoni  non  lascino  affatto  deserte 
le  urne  al  vedersi  sempre  delusi  nella  loro  aspettazione 
e  sì  indegnamente  scherniti. 

Da  quanto  si  è  finora  accennato  si  può  argomentare 
che,  se  l'Autore  disse  di  accingersi  con  molta  trepidazione 
a  trattare  il  tema  propostosi ,  noi  disse  per  pura  mode- 
stia, ma  perchè  ne  avea  ben  grave  motivo. 

Noi  mostreremo  solamente  gli  errori  principali  di  lui, 
seguitando  ,  per  mostrarli  più  chiaramente  ,  lo  stesso  suo 
ordine,  benché  non  sia  il  più  logico,  cioè  divideremo  la 
materia  in  due  parti.  Nella  prima  esamineremo  ciò  che 
1'  Autore  scrisse  intorno  ai  supposti  sistemi  per  regolare 
le  relazioni  tra  Chiesa  e  Stato:  nella  seconda  vedremo  a 
che  riesca  la  efficacia  giuridica  del  sistema  ch'egli  prefe- 
risce della  separazione  dello  Stato  dalla  Chiesa. 


32 


PARTE  PRIMA 


DEI  SISTEMI  PER  REGOLARE  LE  RELAZIONI 

TRA  CHIESA  E  STATO. 


Il  Castagnola  immaginò  quattro  sistemi ,  che  possono 
regolare  i  rapporti  tra  Chiesa  e  Stato,  cioè  1°  la  supe- 
riorità della  Chiesa  sullo  Stato,  eh'  egli  chiama  teocrazia: 
2°  la  superiorità  dello  Stato  sulla  Chiesa  :  3°  il  sistema 
delle  due  potestà  indipendenti  e  parallele  :  e  4°  quello 
della  separazione  dello  Stato  dalla  Chiesa. 

Espone  molto  confusamente  questi  sistemi,  gli  esamina 
incorrendo  in  gravi  inesattezze  ed  errori  di  fatto  ,  e  fi- 
nalmente tronca ,  non  risolve  il  nodo  della  questione , 
dacché  anzi  segue  col  fatto  il  sistema  da  lui  confutato 
della  superiorità  dello  Stato  sulla  Chiesa,  benché  affermi 
di  adottare  il  principio  della  separazione  tra  Chiesa  e 
Stato. 

Come  farebbe  opera  vana  chi  pretendesse  trattar  di 
diritto  internazionale  pubblico  senza  proporsi  a  norma  il 
diritto  naturale  e  le  principali  verità  che  questo  necessa- 
riamente suppone,  cioè  la  esistenza  di  Dio,  che  comandi 
il  bene  e  vieti  il  male  e  possa  sancire  i  suoi  comandi  e 
divieti  con  premii  e  pene,  la  libertà  dell'uomo,  la  immor- 


—  33  — 
talità  dell'  anima  umana,  e  la  necessità  ed  esistenza  d'una 
rivelazione  ,  che  supplisca  alla  mancanza  della  ragione  ; 
così  pure  gitterebbe  fatica  e  tempo  chi  volendo  trattare 
quistioni ,  che  riguardano  le  relazioni  tra  la  Chiesa  e  lo 
Stato,  s'argomentasse  di  risolverle  senza  riconoscere  né  il 
diritto  divino,  su  cui  si  fonda  la  costituzione  della  Chiesa, 
né  la  natura  del  suo  potere  ,  né  le  principali  verità  ne- 
cessarie a  sapersi  da  tutti  i  cristiani ,  e  senza  prendere 
ad  esame  la  costituzione  da  cui  dipende  il  governo  dello 
Stato,  col  quale  si  trovi  in  relazione  la  Chiesa.  Eppure  in 
tal  modo  appunto  adopera  il  Castagnola  ,  il  quale  am- 
mira (l)  bensì  la  bella  armonia  e  la  vitalità  della  ge- 
rarchia ecclesiastica,,  ma  non  riconosce  la  origine  divina 
delle  sue  prerogative,  ignora  la  natura  del  suo  potere  e 
termina  con  sottoporla  allo  Stato,  come  gli  sottoporrebbe 
una  privata  società  commerciale ,  non  facendo  neppur 
menzione  degli  articoli  dello  Statuto,  che  contrastano  evi- 
dentemente col  suo  sistema.  Noi  crediamo  che ,  s' egli 
avesse  avute  presenti  le  prime  nozioni  del  diritto  eccle- 
siastico sulla  costituzione  della  Chiesa  e  avesse  ricordato 
anche  solo  il  primo  articolo  dello  Statuto,  avrebbe  scritto 
ben  altrimenti,  intorno  alla  quistione  ch'egli  tolse  a  trat- 
tare. Vegga  prima  la  somma  dei  principii  fondamentali, 
da  cui  si  dovrebbe  partire  nella  trattazione  di  materia  sì 
grave  ,  e  vedrà  poi  anche  cadere  la  massima  parte  dei 
suoi  pregiudizii.  Il  Castagnola  ammette  la  esistenza  di 
Dio.  Ora  come  Iddio  dirige  tutte  le  cose  alla  sua  gloria, 
ragione  del  suo  operare,  così  dirige  a  questo  fine  anche 
1'  uomo  in  modo  conforme  alla  sua  natura  razionale,  cioè 

(l)  Ivi  p.  84. 


—  34  — 
con  una  legge,  la  quale,  se  non  formalmente,  almen  nel 
suo  concetto  materiale,  è  una  partecipazione  della  legge 
eterna,  ossia  la  stessa  legge  eterna  in  quanto  riguarda  la 
creatura  razionale,  e  si  dice  Religione,  essendo  come  un 
vincolo  che  ci  lega  con  Dio  ,  pel  dovere  che  1'  uomo  ha 
necessariamente  di  conoscere,  amare  e  lodare  il  Creatore 
e  così  conseguire  il  suo  ultimo  fine.  E  perchè  la  scienza 
delle  cose  necessarie  per  conseguire  l'ultimo  fine,  per  cui 
fummo  creati,  non  si  ha  dalla  natura  soltanto,  ma  anche 
dallo  studio  e  dalla  disciplina,  e  una  tale  scienza,  avuto 
riguardo  alle  condizioni ,  in  cui  si  trova  1'  uomo  ,  non  è 
conceduta  se  non  che  a  pochi ,  e  dopo  molto  tempo  e 
coli'  aggiunta  di  molti  errori,  come  insegna  sapientemente 
san  Tomaso  (l)  e  come  si  vede  dall'esperienza  dei  popoli 
specialmente  dell'  antichità;  perciò  la  conoscenza  della  Re- 
ligione non  si  ha  dal  lume  naturale  della  ragione  sola- 
mente, ma  deve  aversi  anche  dal  lume  della  divina  rive- 
azione,  che  è  la  soprannaturale.  La  Religione  quindi  deve 
essere  una,  coeva  al  genere  umano,  duratura  in  perpetuo 
e  direttiva  di  tutti  gli  atti  umani,  e  perciò  direttiva  degli 
atti  non  solo  delle  persone  fisiche  ,  ma  anche  delle  per- 
sone giuridiche  e  quindi  dello  Stato  ;  giacché  anche  gli 
atti  delle  persone  giuridiche  risultano  da  atti  umani ,  e 
perciò  devono  essere  essenzialmente  informati  alla  morale 
e  alla  Religione,  in  cui  la  morale  si  fonda.  Questa  Reli- 
gione, la  cui  divina  origine  non  può  negarsi  senza  negare 
la  legge  eterna  e  la  esistenza  stessa  di  Dio  ,  è  la  sola 
vera  Religione,  e  perciò  non  può  compararsi  colle  reli- 
gioni, che  sono  di  istituzione  umana .  Essa  poi  considerat 

(ì)  S.  Thom.  Contra  geni.  lib.  I  cap.  4. 


—  35  — 
in  concreto  come  fatto  divino,  soprannaturale,  non  è  altro 
che  la  Chiesa  cristiana,  la  quale  nel  doppio  stato  d'antico 
e  nuovo  Testamento  riguarda  come  centro  il  Divin  Sal- 
vatore Gesù  Cristo  suo  fondatore  ,  e  dopo  Cristo  non  è 
altro  che  la  Chiesa  cattolica  romana,  in  cui  solo  risplen- 
dono le  note  e  i  caratteri  della  vera  Religione  ,  e  alla 
quale  appartengono  tutti  gli  uomini  sì  del  Testamento  an- 
tico per  la  loro  fede  in  Gesù  Cristo  venturo ,  sì  del  Te- 
stamento nuovo  per  la  loro  fede  in  Gesù  Cristo  già 
venuto. 

Ora  la  Chiesa  cattolica  è  una  società  universale  e  per- 
fetta di  sua  natura  e  per  positiva  volontà  del  suo  Divin 
Fondatore.  È  una  società  universale,  come  indica  lo  stesso 
suo  nome,  perchè  è  la  vera  Religione  in  atto,  la  quale  è 
una  e  quindi  universale,  e  perchè  Gesù  Cristo  volle  che 
il  suo  Vangelo  fosse  predicato  per  tutto  il  mondo  a  tutti 
gli  uomini ,  e  chi  crederà  e  sarà  battezzato  fosse  salvo, 
e  chi  non  crederà  fosse  condannato  (l). 

E  una  società  perfetta  di  sua  natura;  perchè  è  di  sua 
natura  suprema  essendo  supremo  il  suo  fine  ,  che  è  il 
conseguimento  della  vita  eterna,  a  cui  debbono  esser  sub- 
ordinati tutti  i  fini  particolari  delle  altre  società,  ed  ha 
quindi  in  se  stessa  mezzi  sufficienti  per  conseguire  il  suo 
fine  senza  dover  dipendere  da  altre  società.  E  perfetta 
anche  per  positiva  volontà  del  suo  Fondatore  ;  perchè 
Gesù  Cristo  chiama  costantemente  regno  (2)  la  sua  Chiesa, 
ed  è  il  regno  spirituale  predetto  dal  profeta  Daniele  (3), 

(1)  Marc.  XVI  v.   15,  16. 

(2)  Matth.  XIII  v.  31:  XXII  v.  2.  Marc.  I  v.  15.  Lue.  XIII  v.  18. 
Ioh.  XVIII  v.  36. 

(3)  Dan.  II  v.  44. 


-  36  - 
regno  che  dovea  succedere  ai  quattro  grandi  antichi  im- 
peri, e  che  sorto  mentre  durava  tuttavia  l'impero  romano, 
nei  cui  confini  eran  compresi  gli  altri  imperi  anteriori  , 
dovea  distruggere  questo  ornai  cancrenato  dalla  pagana 
civiltà  corrompitrice,  e  dovea  distruggerlo  non  con  armi 
materiali,  ma  colla  predicazione  evangelica,  assoggettando 
tutti  gli  uomini  e  tutte  le  nazioni  al  suo  spirituale  do- 
minio. 

È  la  Chiesa  società  perfetta  per  volontà  del  suo  Fon- 
datore; perchè  Gesù  Cristo  nel  fondarla  le  diede  amplissima 
potestà  con  tutti  i  mezzi  necessarii  a  raggiungere  il  suo 
fine,  costituendo  supremo  suo  capo  san  Pietro,  come  pie- 
tra fondamentale  di  quello  spirituale  edificio,  e  a  san  Pie- 
tro consegnò ,  come  simbolo  della  suprema  sua  giurisdi- 
zione, le  chiavi  del  nuovo  regno  da  lui  fondato,  promet- 
tendogli che  qualunque  cosa  egli  avesse  legata  sulla  terra 
sarebbe  legata  anche  ne  cieli,  e  qualunque  cosa  egli  a- 
vesse  sciolta  sulla  terra  sarebbe  anche  sciolta  ne'  cieli  (1). 

Ora  la  Chiesa,  che  ha  la  missione  di  propagare  pel 
mondo  il  Regno  di  Cristo,  può  trovarsi  davanti  a  un  po- 
polo selvaggio  o  a  un  popolo  costituito  in  società. 

Nel  primo  caso  ella  usa  cogli  uomini  in  particolare  e 
colle  disgregate  moltitudini  la  consueta  sua  carità ,  la 
preghiera,  la  persuasione,  la  istruzione,  vieta  la  violenza, 
e  così  non  reca  solo  ai  selvaggi  l' inestimabile  beneficio 
di  aggregarli  alla  società  religiosa  ,  ma  tra  le  tribù  no- 
madi senza  fermi  maritaggi,  senza  parentadi,  senza  col- 
tura di  terra,  ella  genera  anche  la  società  civile  con  tutti 
gli  altri  beneficii  che  ne  provengono.  E  dei  beneficii  se- 

(l)  Matth.  XVI  v.  18,  19. 


—  37  — 
gnalati  in  tal  modo  provenuti  al  Paraguay  e  ad  altri  Stati 
d'  America,  per  la  salutare  opera  dei  missionarii,  restano 
tuttavia    le    reliquie    anche    dopo    un    secolo    di    distru- 
zione. 

Nell'altro  caso,  quando  cioè  la  Chiesa  si  trova  davanti 
ad  un  popolo  già  costituitosi  in  società ,  diverse  sono  le 
sue  relazioni  col  potere  civile  ,  secondo  che  si  tratta  di 
uno  Stato  di  infedeli  o  di  uno  Stato  di  eretici  o  scismatici 
o  di  uno  Stato  cristiano. 

Se  lo  Stato  è  di  infedeli,  si  può  dire  ch'esso  è  quasi  estra- 
neo alla  Chiesa,  né  dipende  dal  potere  di  lei.  Tuttavia  la 
Chiesa  ha  il  diritto  di  mandar  Ministri  evangelici  e  missioni 
in  quello  Stato,  avendo  l'officio  di  predicare  il  Vangelo  a 
tutte  le  creature  (l):  né  lo  Stato  può  senza  colpa  farle  resi- 
stenza, eccettuato  il  caso  della  buona  fede,  cessando  la  quale 
dee  pur  tosto  cessare  la  resistenza.  La  Chiesa  si  difende  in 
caso  di  oppressione,  e  se  i  suoi  Ministri  fossero  insultati, 
martoriati,  uccisi,  può  respingere  la  ingiuria  e  la  perse- 
cuzione anche  invocando  1-  aiuto  delle  armi  cristiane,  per- 
chè tutti  gli  uomini  non  solo  son  tenuti  alla  legge  natu- 
rale, ma  hanno  anche  il  dovere  di  sottomettersi  ed  ubbi- 
dire alla  rivelazione,  e  perchè  tutti  gli  uomini,  o  in  atto 
o  almeno  in  potenza,  son  della  Chiesa,  come  son  tutti  di 
Cristo,  e  son  tutti  di  Cristo  per  donazione  del  suo  Divin 
Padre  (2)  e  per  redenzione  (3). 

Se  lo  Stato  è  di  eretici  o  scismatici ,  non  può  essere 
estraneo  alla  Chiesa  ;    perchè  coloro  che   hanno   ricevuto 


(1)  Marc.  XVI  v.  15. 

(2)  Ps.  II  v.  8. 

(3)  I  ad  Cor.  VI  v.  20. 


—  38  — 
validamente  il  battesimo,  ancorché  professino  l'errore,  di- 
pendono dal  potere  di  lei,  e  sono  obbligati  alle  sue  leggi, 
giacche  tutti,  per  mezzo  del  battesimo,  diventano  membri 
della  Chiesa  ,  e  quindi  sì  gli  eretici  come  gli  scismatici 
possono  essere  e  sono  puniti  dalla  Chiesa  per  la  loro 
contumacia  nell'  eresia  o  nello  scisma.  Solo  quando  con- 
corrono tali  circostanze,  per  cui  l' esercizio  della  giurisdi- 
zione ecclesiastica  sugli  eretici  tornerebbe  non  a  edifica- 
zione, ma  a  distruzione,  allora  si  ammette  che  la  Chiesa, 
come  benigna  madre,  non  intenda  obbligarli  colle  sue  leggi. 

Ma  se  lo  Stato  è  cristiano,  cioè  cattolico,  coloro  che  vi 
appartengono,  come  mirano  a  cercar  la  temporale  felicità 
sotto  il  comando  del  potere  civile,  così  sotto  il  comando 
della  Chiesa  intendono  conseguire  la  vita  eterna,  in  guisa 
che  la  felicità  temporale  sia  subordinata  alla  eterna  ,  la 
quale  credono  poter  conseguire  soltanto  sotto  il  reggimento 
della  Chiesa  cattolica.  In  tal  modo  «  lo  Stato  non  forma  un 
corpo  separato  dalla  Chiesa ,  per  quel  che  riguarda  il 
fine  spirituale  a  cui  tende  »;  ma  appartenendole  come  la 
parte  appartiene  al  tutto,  ne  segue  che  la  Chiesa  debba 
informare  colla  sua  azione  e  col  suo  potere  lo  Stato  ,  e 
così  informando  lo  Stato  debba  quindi  anche  informarne 
la  legislazione  e  gli  atti  del  governo.  Dicesi  che  «  lo  Stato 
non  forma  un  corpo  separato  dalla  Chiesa  »;  perchè  lo  Stato 
cristiano,  quantunque  sia  società  nel  suo  genere  perfetta, 
anzi  più  perfetta  degli  Stati  non  cristiani ,  pure  nelle 
sue  relazioni  colla  Chiesa  non  è  altro  che  una  società,  la 
quale  è  parte  di  altra  società   perfettissima  e  universale. 

Dicesi  che  lo  Stato  non  forma  un  corpo  separato  dalla 
Chiesa,  «  per  quel  che  riguarda  il  fine  spirituale  »;  perchè 
così  si  accenna  ciò  che  è  di  competenza  della  Chiesa  e  ciò 


—  39  — 
che  è  di  competenza  dello  Stato,  giacche  nelle  cose  pura- 
mente temporali  lo  Stato  è  indipendente.  Dicesi  final- 
mente che  non  forma  un  corpo  separato  dalla  Chiesa  , 
per  quel  che  riguarda  il  fine  spirituale,  «  a  cui  tende  »;  per- 
chè, quantunque  il  fine,  a  cui  tende  direttamente  lo  Stato, 
sia  la  temporale  felicità,  pure  questo  fine  temporale  non 
esclude  il  fine  spirituale,  a  cui  lo  Stato  tende  indiretta- 
mente ,  cioè  la  eterna  felicità  ,  anzi  a  questo  deve  esser 
subordinato;  imperciocché,  se  lo  Stato  non  mirasse  questo 
ultimo  fine  come  norma,  a  cui  debbasi  subordinare  l'acqui- 
sto della  felicità  temporale,  cadrebbe  finalmente  nel  ma- 
terialismo e  poi  anche  neh1'  anarchia. 

Le  nazioni  d'  Europa  circa  il  XIII  secolo,  quando  fu 
pubblicata  la  collezione  delle  Decretali  di  Gregorio  IX  e 
il  Sesto  delle  Decretali  di  Bonifazio  Vili ,  erano  altret- 
tante società  che  facevano  parte  della  Chiesa  ,  la  quale 
perciò  si  vedea  già  nel  pacifico  possesso  di  Religione  dello 
Stato,  in  ciascuna  di  esse  convertendo  la  sua  potenza  in 
incomparabil  beneficio  a  quei  popoli  ch'ella  avea  tratti  dalla 
barbarie.  E  quantunque  nel  1648  col  trattato  di  Westfa- 
lia  di  infausta  memoria  ,  la  politica  degli  Stati  cristiani 
cominciasse  ad  apostatare  dalla  Religione  e  dalla  morale, 
non  adottando  altra  massima  che  la  temporale  felicità  , 
nondimeno  si  può  dire  che  tra  noi  continuasse  ad  essere 
sempre  in  vigore  l'antico  diritto  ecclesiastico  comune  ,  a 
cui  fu  derogato  pel  Breve  di  Nicolò  V,  dato  nel  1451 
alla  Casa  di  Savoia,  pei  concordati  stretti  dai  Sommi 
Pontefici  Benedetto  XIII  e  Benedetto  XIV  coi  Re  Sardi, 
e  per  la  nuova  convenzione  del  1841  sotto  Papa  Gre- 
gorio XVI  e  Re  Carlo  Alberto ,  diritto  implicitamente 
riconosciuto  dalla  Costituzione  del  Regno   promulgata   il 


—  40  — 
4  Marzo  1848  ;    secondo   la   quale   la   Religione  cattolica 
apostolica  e  romana  è  la  sola  Religione  dello  Stato. 

Dalle  poche  cose  indicate  deve  in  generale  apparire 
il  vizio  del  ragionamento  del  Castagnola,  la  falsità  del  si- 
stema da  lui  propugnato  e  la  vanità  del  suo  sperare  che 
a  poco  a  poco,  col  tratto  del  tempo,  la  Chiesa  vorrà  a- 
dagiarsi  al  nuovo  ordine  di  cose  (l).  Tuttavia  conviene 
accennare  più  particolarmente  almeno  i  principali  errori, 
di  cui  è  ripieno  quel  libro  ,  anche  perchè  vedano  i  Ge- 
novesi quale  insegnamento  nelle  scienze  giuridiche  sia 
dato  alla  gioventù  della  nostra  Università  testé  annove- 
rata dal  Ministro  tra  le  prime  Università  italiane. 

I. 

SUPREMAZIA   DELLA    CHIESA    SULLO    STATO. 

l.°  Qui  il  professor  Castagnola  confonde  la  supremazia 
della  Chiesa  sullo  Stato  colla  teocrazia  (2).  Teocrazia , 
governo  di  Dio,  indica  il  governo  che  Iddio  esercita  di- 
rettamente anche  sulle  cose  temporali  di  una  società  per 
mezzo  di  persone  da  lui  scelte  e  con  leggi  da  lui  dettate: 
il  quale  governo  ebbe  luogo  nella  nazione  giudaica  sotto 
i  Giudici  suscitati  da  Dio  a  governare  in  suo  nome  il 
popolo  Ebreo.  Supremazia  invece  della  Chiesa  sullo  Stato 
indica  quel  potere  spirituale,  con  cui  la  Chiesa  tiene  in- 
sieme congiunti  i  diversi  Stati  cristiani,  e  li  coordina  al 
fine  supremo  individuale  e  morale  dell'uomo.  Il  qual  po- 
tere ha  tuttavia  stretta  connessione  colla  politica;  perchè 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  16. 

(2)  Ivi  p.  19. 


—  41  — 
la  politica,  essendo  la  scienza  del  governare  la  umana  so- 
cietà in  conformità  al  suo  ultimo  fine,  cioè  alla  felicità 
temporale  con  subordinazione  all'  eterna  ,  non  può  sepa- 
rarsi dalla  morale  ,  giacché  non  può  separarsi  1'  umana 
personalità.  Né  potendo  la  politica  separarsi  dalla  mo- 
rale, non  può  nemmeno  andar  disgiunta  dalla  Religione 
e  dal  potere  della  Chiesa,  la  quale  è  la  Religione  in  con- 
creto ,  e  alla  quale  spetta  il  supremo  ordinamento  degli 
Stati  a  Dio. 

2°  Non  fa  distinzione  fra  Stati  di  infedeli ,  di  eretici 
o  scismatici  e  Stati  cristiani ,  come  se  le  relazioni  della 
Chiesa  con  questi  diversi  Stati  fossero  eguali ,  ed  egual 
potere  su  di  essi  le  fosse  attribuito  (l).  Il  che  gli  fa  e- 
sagerare  la  potestà  della  Chiesa  anche  oltre  il  generale 
sentimento  degli  scrittori  più  sani,  creando  così  da  sé  dif- 
ficoltà, che  non  potrebbe  certamente  risolvere. 

3°  Suppone  falsamente,  insegnarsi  dai  canonisti  che  il 
diritto  nel  Papa  di  sciogliere  i  sudditi  dal  vincolo  di  ub- 
bidienza e  di  deporre  i  Re  dal  trono  in  egual  modo  si 
estenda  generalmente  su  tutti  i  Principi  ed  Imperatori 
senza  distinzione  di  credenza  e  di  Religione  (2).  Onde  può 
egli  dire  quanto  vuole  (3)  di  aver  la  coscienza  di  recare 
su  questo  tema  un  esame  accurato,  una  indagine  impar- 
ziale dei  fatti  e  lo  spirito  scevro  dalle  passioni  di  parte; 
che  la  coscienza  sua  è  per  lo  meno  erronea,  facendole 
velo  la  ignoranza  de'  principii  elementari  di  diritto  ec- 
clesiastico. 


(1)  Ivi. 

(2)  Ivi  p.  20. 

(3)  Ivi  p.   18. 


—  42  — 

4-°  Fa  un  appunto  a  coloro  che  insegnano  doversi 
trarre  la  supremazia  della  Chiesa  sullo  Stato  dal  diverso 
fine  ,  che  si  propongono  queste  due  società  ,  e  così  mo- 
stra ritenere  che  dal  fine  diverso,  che  hanno  la  Chiesa  e 
lo  Stato,  non  si  possa  giudicare  della  loro  diversa  natura. 
La  qual  cosa  è  tanto  assurda  quanto  il  pretendere  che 
la  moralità  delle  azioni  non  dipenda  principalmente  dal 
fine  che  ha  l'uomo  nell'operare  (l). 

5.°  Mette  in  dubbio  che  la  Chiesa,  la  quale  è  la  Reli- 
gione in  concreto ,  preceda  anche  neh'  ordine  cronologico 
la  società  civile  (2),  come  se  lo  Stato  fosse  istituito  prima 
che  l'uomo  fosse  creato,  essendo  certo  che  la  Religione  è 
coeva  alla  creazione  dell'  uomo  ,  giacche  Dio  poteva  non 
creare  l' uomo  ,  ma  creandolo  non  poteva  crearlo  senza 
Religione,  la  quale,  come  fu  già  detto,  se  non  formalmente, 
almeno  effettivamente  ,  è  una  partecipazione  della  legge 
eterna. 

6.°  Dice  che  tutto  ciò  che  l'iperbole  ha  di  più  specioso, 
venne  immaginato  per  rappresentare  la  supremazia  della 
Chiesa  sullo  Stato  (3).  E  in  tal  modo  adopera  egli  stesso 
una  infelice  iperbole,  per  insinuare  non  esser  vero  che  il 
potere  spirituale  sovrasti  tanto  al  potere  temporale,  quanto 
lo  spirito  è  più  nobile  del  corpo. 

7.°  Immagina ,  senza  verun  fondamento,  che  dalla  su- 
premazia della  Chiesa  sullo  Stato  abbia  origine  il  vizio 
nelle  legislazioni  di  confondere  il  peccato'col  delitto  e  ne 
provengano  altri  gravi  inconvenienti  (4) ,  i  quali  pur  sa- 

(1)  Ivi  p.  19. 

(2)  Ivi   p.    20. 

(3)  Ivi- 

(4)  Ivi- 


—  43  — 
rebbero  reali  conseguenze  del  principio  da  lui  professato, 
che  la  morale  debba  far  parte  del  diritto  non  scritto,  del 
diritto  comune  (l). 

8.°  Nega  al  Capo  della  Chiesa  il  diritto  di  conoscere 
l'intrinseca  bontà  delle  leggi  civili,  e  il  decidere  se  offen- 
dano le  leggi  ecclesiastiche  (2).  Il  qual  diritto  negato  al 
Capo  della  Chiesa  ,  non  potendosi  attribuire  ad  altri  che 
al  Capo  dello  Stato,  ne  viene  che  della  moralità  delle  leggi 
potrà  giudicare,  per  esempio,  la  Regina  d'Inghilterra,  l'Au- 
tocrate delle  Russie,  il  cui  volere  fa  legge,  non  già  il  Papa: 
ne  viene  che  ai  Principi  e  non  al  Papa  spetterà  decidere 
se  le  leggi  rechino  offesa  ai  diritti  della  Chiesa.  Onde,  in 
omaggio  al  principio  della  separazione  dello  Stato  dalla 
Chiesa,  si  fa  della  Chiesa  una  società  subordinata  e  sog- 
getta al  potere  civile. 

9.°  Adduce  in  proprio  favore  la  testimonianza  di  Gu- 
glielmo Audisio  e  di  Benigno  Bossuet  (3).  Ma  quanto  al 
Vescovo  di  Meaux,  ch'egli  dice  Santo  Padre  della  Chiesa, 
non  accenna  come,  per  indegna  servilità  al  dispotismo  di 
Luigi  XIV  ,  quello  abbassasse  1'  alto  suo  ingegno  ,  assu- 
mendo la  difesa  della  famosa  Dichiarazione  formulata  dal 
ministro  Colbert  ;  non  accenna  'come  gli  riuscissero  terri- 
bili le  unanimi  proteste  dei  dottori  della  Sorbona  ,  della 
Università  di  Lovanio  e  di  tutta  la  Cristianità  anche  prima 
della  condanna  di  Roma  ;  non  dice  finalmente  come  poi 
quel  Prelato  si  vergognasse  di  una  tal  difesa,  a  cui  non 
avea  mai  per  convinzione  aderito ,  e  che  non  volle  mai 
pubblicare. 

(1)  Ivi  p.  17. 

(2)  Ivi  p.  20. 

(3)  Ivi  p.  21   e  23. 


—  44  — 

Quanto  all'Audisio  non  riferisce  com'egli  riprovò  la 
sua  opera  (l),  quando  fu  condannata  dalla  Sacra  Congre- 
gazione dell'Indice  e  come  anzi  ne  avea  fatto  già  pura  e 
semplice  ritrattazione  al  dottissimo  P.  Tommaso  Zigliara, 
creato  poi  Cardinale,  che  gli  avea  in  una  lettera  indicato 
1'  errore  della  sua  dottrina. 

Ma  poiché  il  Castagnola  ,  il  quale  occorrendo  tratta 
anche  di  teologia,  mostra  dar  tanto  peso  all'autorità  del- 
l'Audisio  da  preferirla  a  quella  di  dottissimi  teologi,  quali 
sono  il  Bellarmino,  il  Lessio  e  il  Suarez,  dovrebbe  almeno 
conoscere  un'altra  opera  (2)  di  questo  scrittore,  ove  rac- 
comanda, circa  la  teologia  «  che  il  ceto  laicale  dismetta 
quella  già  troppo  abusata  e  troppo  ridicola  frivolità  di 
credersi  dotto,  senza  veruno  studio  nella  più  augusta,  più 
vasta  e  più  sottile  di  tutte  le  scienze:  quella  incivile  e  im- 
morale malignità  ,  per  cui  tanti  professori  di  lettere  ,  di 
storia  e  di  scienze,  che  potrebbero  col  retto  uso  dei  loro 
talenti  giovare  ai  presenti ,  e  vivere  di  più  bella  e  ono- 
rata fama  nei  posteri ,  si  sforzano  di  svellere  da  menti 
innocue  quella  sovrana  luce,  che  è  principio  di  scienza  e 
di  moralità:  e  finalmente  quella  smania  invereconda  di  op- 
porre le  più  gratuite  e  le  più  strane  asserzioni  alle  ve- 
rità più  dimostrate  ». 

IO.0  Attribuisce  ad  alcuni  scrittori  della  Compagnia  di 
Gesù  d'aver  recato  a  perfezion  di  dottrina  il  regicidio  (3). 
Anche  qui ,  trattandosi  di  così  grave  imputazione  ,  per 
esser  leale  ,  avrebbe  dovuto  il  Castagnola  citare   i    nomi 

(1)  Della  Società  politica  e  religiosa. 

(2)  Introduzione  agli  studi  ecclesiastici  conforme  ai  bisogni  religiosi  e 
civili  per  Guglielmo  Audisio  lib.  3- 

(3)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  21. 


—  45  — 
degli  scrittori  eh'  egli  accusa.  Ma  noi  potea  fare ,  perchè 
niun  gesuita  propugnò  mai  quella  dottrina.  Che  se  egli 
ci  obbiettasse  aver  il  Mariana  insegnato  (l)  esser  lecito 
uccidere  un  tiranno  ,  si  potrebbe  prima  rispondere  che 
tale  imputazione,  ancorché  potesse  attribuirsi  al  Mariana, 
non  dovea  però  estendersi  ad  altri  scrittori.  Se  poi  il  Ma- 
riana insegnò  esser  lecito  uccidere  un  tiranno,  quando  di- 
strugga la  Religione  e  le  leggi  pubbliche,  non  ostante  ogni 
rimostranza  della  nazione,  non  ne  viene  ch'egli  abbia  in- 
segnato esser  lecito  il  regicidio  :  altrimenti  con  tal  modo 
di  ragionare  gli  si  potrebbe  attribuire  d'  aver  insegnato 
essere  in  generale  anche  lecito  l'omicidio.  Ma  l'opera  (2), 
in  cui  il  Mariana  manifesta  questa  sua  opinione  ,  benché 
divulgata  e  letta  avidamente  per  tutta  Europa  ,  benché 
munita  del  civile  privilegio  della  stampa  e  lodata  dallo 
stesso  Filippo  II ,  pure  fu  condannata  dai  legittimi  supe- 
riori della  Compagnia  di  Gesù:  e  quindi  non  solo  non  si 
poteva  asserir  senza  calunnia  che  il  regicidio  fosse  recato 
a  perfezion  di  dottrina  da'  scrittori  gesuiti ,  ma  è  pure 
certissimo  che  dalla  Compagnia  fu  condannata  anche  la 
opinione  di  chi  insegnava  esser  lecito  in  determinati  casi 
uccidere  un  tiranno. 

il.0  Cita  a  sproposito  l'autorità  di  san  Paolo,  di  Ter- 
tulliano e  di  san  Giovanni  Grisostomo  (3) ,  e  in  generale 

(1)  Giovanni  Mariana  ,  celebre  storico  da  Talavera  ,  detto  il  Tito 
Livio  delle  Spagne,  oltre  la  storia  ed  altre  opere  scrisse  anche  un  trat- 
tato sul  cambiamento  della  moneta  ,  de  monetae  mutatione,  che  gli  attirò 
l'odio  dei  Ministri  di  Filippo  III,  a  cagione  dell'  ardimento,  col  quale 
censurava  l'alterazione  della  moneta  fatta  dalla  pubblica  autorità. 

(2)  De  Rege  et  Regis  institutione  libri  tres. 

(3)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  26. 


-46- 
espone  con  tali  inesattezze  la  sentenza  di  coloro,  i  quali 
sostengono  la    supremazia  della  Chiesa  sullo  Stato ,  che , 
com'  egli    la    espone ,    non    si    potrebbe    giustamente    di- 
fendere. 

12.°  Finalmente  pretende  confutare  tale  sentenza  cogli 
stravaganti  argomenti  del  Laurent ,  del  Mamiani  e  del 
Minghetti  (l).  E  il  fa  con  tanta  confusione  e  dubbiezza 
che  non  si  sa  bene  se  intenda  appropriarsi  la  dottrina  di 
questi  ed  altri  simili  scrittori,  o  esporla  solo  storicamente, 
per  non  rendersi  mallevadore  degli  errori  altrui. 

Se  si  appropria  la  dottrina  di  tali  scrittori,  non  può  sfug- 
gire la  giusta  accusa  di  rendersi  anch'esso  seguace  di  quelli, 
che,  negata  la  divinità  di  Gesù  Cristo  Signor  Nostro,  fanno 
di  lui  un  politico  agitatore;  non  può  sfuggire  l'accusa  di 
negare  la  origine  divina  della  Religione  ,  di  negare  alla 
Chiesa  ciò  che  il  Laurent  permetterebbe  a  ciascun  pri- 
vato, cioè  la  resistenza  alle  ingiuste  leggi  dello  Stato,  di 
confondere  il  diritto  positivo  divino  col  diritto  naturale  , 
di  considerare  come  un  diritto  avventizio,  anzi  usurpato, 
ciò  che  è  inerente  alla  natura  stessa  della  Chiesa. 

Se  poi  intende  esporre  la  loro  dottrina  solo  in  modo 
narrativo,  senza  aderirvi,  a  che  riesce  mai  la  sua  confu- 
tazione? Il  sistema  della  supremazia  della  Chiesa  sullo 
Stato  «  sorse,  egli  dice,  in  mezzo  al  caos  del  medio  evo,  ed 
era  allora  in  mezzo  a  quella'  ignoranza  e  barbarie  ele- 
mento di  ordine,  di  civiltà,  d'umanità,  di  progresso.  I  Re, 
che  i  Papi  deponevano  ,  erano  tiranni  macchiati  dei  più 
sozzi  delitti...  Se  si  ha  riguardo  al  loro  tempo  non  è  senza 
ammirazione  che  vediamo  campeggiare  le    grandi   figure 

(l)  Ivi  p.  27  e  segg. 


—  47  — 
di  Gregorio  VII,  d'Innocenzo  III,  di  Bonifacio  Vili  ».  E 
seguendo  il  Minghetti  aggiunge  che  «  l'errore  nacque  al- 
lorquando si  volle  di  condizioni  temporanee  farne  regole 
assolute  ,  e ,  non  ostante  la  mutata  condizione  dei  tempi, 
si  pretese  signoreggiare  il  laicato  ,  mentre  egli  aveva  di 
già  la  coscienza  dei  proprii  diritti  e  la  deliberata  volontà 
di  esercitarli  »  (l).  Onde,  secondo  il  professor  Castagnola, 
Gregorio  VII  ed  altri  Pontefici,  quando  nel  medio  evo  de- 
ponevano i  Re,  eran  «  grandi  figure  »  ed  allora  esercitavano 
un  potere  «  elemento  d'ordine,  di  civiltà,  d'umanità,  di  pro- 
gresso »,  e  l'esercitavano  non  già  pel  diritto  coercitivo  es- 
senzialmente inchiuso  nella  suprema  potestà  della  Chiesa, 
ma  perchè  il  laicato  non  aveva  ancora  la  coscienza  dei 
proprii  diritti  e  la  deliberata  volontà  di  esercitarli.  Dal 
qual  principio,  che  suppone  non  essere  il  diritto  altro  che 
un  fatto  materiale,  si  potrebbe  altresì  inferire,  per  esempio, 
che  un  tutore,  il  quale  invadesse  i  beni  del  proprio  pu- 
pillo ,  non  ancor  giunto  all'  età  da  aver  la  coscienza  dei 
propri  diritti  o  la  deliberata  volontà  di  esercitarli ,  non 
solo  non  sarebbe  da  dirsi  usurpatore  e  ladro  ,  ma  anzi 
potrebbe  anche  essere  un  grand'  eroe  ,  e  il  suo  modo  di 
operare  potrebbe  essere  «  elemento  d'ordine,  di  civiltà,  d'u- 
manità, di  progresso  ».  Tuttavia  noi  crediamo  che  un  buon 
padre  di  famiglia  morendo  non  vorrebbe  lasciare  i  figliuoli 
alla  tutela  di  chi  mettesse  in  pratica  i  principii  professati 
dal  Minghetti  e  dal  Castagnola. 

La  ragione  intrinseca  ,  per  cui  nel  primato  del  Pon- 
tefice è  inchiuso  eziandio  il  diritto  di  ammonire  i  Principi 
cristiani ,  scomunicarli ,  deporti  anche  dal  trono  e  dichia- 

(l)  Ivi  p.  28. 


-  48- 
rame  i  sudditi  sciolti  dall'  obbligo  di  fedeltà  ,  consiste  in 
ciò  che  la  Chiesa  è  una  società  universale,  la  quale  con- 
tiene in  se  tutte  le  altre  società ,  che  si  professarono  cri- 
stiane e  le  contiene  come  il  tutto  contiene  le  parti  :  alle 
quali  società  essendo  essa  superiore,  il  Papa  ha  diritto  di 
emanare  leggi  coercitive  per  punire  i  capi  di  queste  so- 
cietà civili,  quando  usassero  il  loro  potere  sovrano  contro 
il  fine  che  si  propone  la  Chiesa.  E  questa  suprema  po- 
testà del  Papa  specialmente  nel  medio  evo  da  tutti  temuta 
e  riverita  ,  da  tutti  gli  oppressi  benedetta,  fu  sempre,  al 
dire  di  moderno  scrittore  ,  un  colosso  di  forza  morale , 
quando  la  voce  del  Pontefice  tonava  contro  la  tirannide 
dei  Re,  tonava  contro  la  schiavitù,  ammansava  i  barbari 
vincitori ,  proteggeva  i  vinti ,  ammoniva  con  carità  i  po- 
poli sospetti  di  eresia,  gridava  contro  la  vendita  di  uo- 
mini ,  contro  i  tornei  sanguinosi ,  contro  il  duello,  contro 
gli  aumenti  delle  dogane  a  danno  del  commercio,  procu- 
rava la  fede  dei  mercati ,  la  sicurezza  delle  strade  e  dei 
mari ,  si  opponeva  alle  invasioni  dei  Turchi ,  e  in  tante 
altre  guise  aiutava  il  progresso  della  civiltà  europea. 

IL 

SUPREMAZIA    DELLO    STATO    SULLA    CHIESA. 

Anche  qui  il  Castagnola  i.°  Confonde  la  supremazia 
dello  Stato  sulla  Chiesa  coli' autocrazia  (l),  mostrando  così 
di  ignorare  il  vero  significato  di  questo  vocabolo.  Come 
la. parola  teocrazia  dal  suo  ristretto  significato  fu  prima 
da  lui  estesa  a  significato  più  ampio;  così  ora  egli  ristringe 

(1)  Ivi  p.  33. 


—  49  — 
arbitrariamente  il  significato  molto  generale  della  parola 
autocrazia  ad  un  significato  particolare  che  non  ebbe  mai. 
Noi  non  vorremmo  fargli  carico  solo  per  non  conoscere 
la  significazione  d'  un  greco  vocabolo:  ma  non  può  tolle- 
rarsi ch'egli  con  tuono  magistrale  pretenda  insegnare  gra- 
vissimi errori,  quando  non  sa  talora  che  cosa  significhino 
le  parole  da  lui  stesso  adoperate  e  noi  sa  non  per  igno- 
ranza della  lingua  greca  soltanto ,  il  che  pure  potrebbe 
di  leggieri  comportarsi  anche  in  chi  insegnò  diritto  ro- 
mano (l),  ove,  oltre  le  novelle  costituzioni,  occorrono 
tanti  testi  greci  da  interpretare  (2),  ma  eziandio  per  non 
conoscer  nemmeno  il  concetto  che  a  quelle  parole  è  co- 
munemente attribuito  dai  dotti. 

(1)  L' Avv.  Stefano  Castagnola  insegnò  per  qualche  tempo  anche 
diritto  romano  nella  patria  Università. 

(2)  Per  ignorar  la  lingua  greca  e  conoscer  poco  la  lingua  latina, 
e  per  voler  tuttavia  spiegare  colla  consueta  sua  leggerezza  un  fram- 
mento del  giureconsulto  Gaio  ,  contorce  in  modo  incredibile  le  parole 
e  il  senso  della  legge  allegata,  là  ove  a  pagina  225  parla  della  legisla- 
zione romana  rispetto  ai  beni  ecclesiastici. 

Gaio,  Fr.  4  D.  de  cóllegiis  et  corporibus  47,  dice:  «  Sodales  sunt,  qui 
eiusdem  collegii  sunt,  quam  Graeci  exaiptav  vocant.  His  autem  pote- 
statem  facit  lex  ,  pactionem ,  quam  velint ,  sibi  ferre ,  dum  ne  quid  ex 
publica  lege  corrumpant.  Sed  haec  lex  vidétur  ex  lege  Solonis  translata 
esse,  nam  illic  ita  est:  'Eàv  Ss  59j|iog?  r\  ^paxopsg,  v\  ispóW  òpyiwv 
jivjvuxat,  Y]  auvctxoi,  73  óp-óxa^ot,  7)  friaawxou,  yj  sul  Xsiav  oìxó\isvoi,  y\  zìe, 
snTCoptav*  0  11  «v  xouxwv  Siafrwvxai,  rcpòc,  àXAvjXous,  xópiov  sìvat,,  sàv  {xvj 
aTiayopsuair]  SYju-óaia  ypau-u-axa  ».  E  segue  la  traduzione  della  greca  legge. 

Ora  il  professor  Castagnola  così  commenta  questo  tratto:  «  I  soda- 
lizi erano  riconosciuti  ed  ammessi  da  quella  legislazione  (la  legislazione 
romana),  la  quale  seguiva  in  proposito  le  antiche  leggi  della  Grecia. 
Invero  mentre  la  legge  4  Dig.  de  cóllegiis  et  corporibus  illicitis  riconosce 
la  facoltà  di  associarsi ,  potestatem  facit  lex  pactionem    quam   voluit   sibi 

4 


—  50  — 
2*  Afferma  cosa  impossibile,  quando  adduce  la  Grecia 
e  l' Impero  Romano  ad  esempio  della  supremazia  dello 
Stato  sulla  Chiesa;  perchè  presso  i  Romani  principalmente, 
quantunque  le  leggi  religiose  «  ius  sacrum  »  facessero  parte 
del  diritto  pubblico  ,  pure  non  si  avea  supremazia  dello 
Stato  su  d'  una  Chiesa:  altrimenti  il  Capo  dello  Stato,  che 
era  Imperatore  e  Pontefice  Massimo,  sarebbe  stato  subor- 
dinato a  se  stesso.  Novale  l'autorità  di  Cicerone  che  af- 
ferma non  potersi  avere  iddii  particolari,  né  potersi  ado- 
rare iddìi  nuovi  o  stranieri,  se  non  sono  riconosciuti  da  una 
legge  dello  Stato  ;  perchè  quell'  antico  filosofo  con  ciò 
non  intendeva  già  che  lo  Stato  dovesse  dominar  la  Re- 
ligione ,  ma  che  non  dovesse  ammettersi  altra  Religione 
che  quella  ammessa   dallo  Stato  :  conciossiachè  ,  egli  che 

ferre,  soggiunge:  sed  haec  lex  videtur  ex  Jege  Solonis  translata  esse,  e 
ne  riferisce  il  tenore.  Ma  mentre  riconosce  questi  sodalizii  e  le  loro 
convenzioni,  soggiunge  tosto:  nisi  publicae  leges  prohibnerint  ». 

Qui,  come  si  vede,  il  Castagnola  io  Con  molta  confusione  fa  par- 
lare la  legge  in  luogo  di  Gaio. 

2°  Sopprimendo  il  nome  sodales  e  il  pronome  bis  del  testo  e  mu- 
tando velini  in  voluti,  fa  sì  che  la  legge  attribuisca  stranamente  a  se 
stessa  il  potere  di  fare  quei  patti  che  vuole,  laddove  dal  frammento  si 
scorge  chiaro  che    tal  potere  è  dato  ai  membri  di  uno  stesso  collegio. 

30  Ad  arbitrio  traduce  per  associarsi  la  frase  pactionem  ferre  che 
corrisponde  al  greco  Siaxi&eoftai  pattovire  della  legge  di  Solone. 

40  Alla  legge  fa  dire  di  se  stessa  :  Sed  haec  lex  videtur  ex  lege  So- 
lonis translata  esse. 

50  Afferma  che  la  legge  (cioè  il  giureconsulto  Gaio)  «  mentre  rico- 
nosce questi  sodalizi  e  le  loro  convenzioni ,  soggiunge  tosto  :  nisi  pu- 
blicae leges  prohibuerint  ».  E  non  si  avvede  che  questa  clausola  condi- 
zionale non  appartiene  a  Gaio  ,  non  essendo  altro  che  la  traduzione 
delle  ultime  parole  della  legge  di  Solone:  èàv  u-yj  àTtayopsu^  Sv^óaia 
Ypa[ijiaxa. 


—  51  — 
facea  già  sì  poco  conto  della  religione  pagana  professata 
dal  volgo  ;  prevedea  disordine  e  turbamento  anche  mag- 
giore nella  Repubblica,  se  si  fosse  aperto  1'  adito  ad  altre 
false  religioni. 

3°  Si  contraddice;  perchè  dopo  aver  lodato  (l)  l'Inghil- 
terra ,  per  aver  conservato  un  gran  fondo  di  cristiane- 
simo, e  per  esser  quindi  riuscita  a  stabilir  la  libertà  poli- 
tica, considera  altrove  quella  nazione,  come  fautrice  della 
supremazia  dello  Stato  sulla  Chiesa  ,  dicendo  (2)  che  il 
Parlamento  inglese  dispone  egualmente  della  fede  come 
della  corona  d' Inghilterra;  sicché  a  chi  ricorda  le  cose  che 
egli  già  disse,  può  parere  che  un  tal  sistema  quantunque 
da  lui  ripudiato  ,  sia  nondimeno  acconcio  a  far  sì  che  i 
popoli  conservino  un  gran  fondo  di  cristianesimo  e  rie- 
scano a  stabilir  la  libertà  politica,  e  che  questa  si  possa  con- 
ciliare coli'  oppressione  delle  coscienze. 

III. 

DELLE    DUE    POTESTÀ    INDIPENDENTI    E    PARALLELE. 

l*  Mostra  semplicità  maravigliosa  affermando  che  scopo 
della  dichiarazione  del  Clero  gallicano  fu  evidentemente 
di  dar  la  pace  all'  afflitta  Cristianità  e  di  porre  in  salvo 
la  libertà  della  Chiesa  gallicana  e  specialmente  il  primato 
della  Sede  Apostolica  (3). 

Scopo  della  famosa  dichiarazione  era  ,  come  disse  il 
Fenelon,  che  il  Re  fosse  più  capo  della  Chiesa  in  Francia 
che  il  Papa.  Cagione   ne  fu   la  naturale  superbia  di  Lo- 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  17. 

(2)  Ivi  p.  35- 

(3)  Ivi  p.   36. 


—  52  — 
dorico  XIV,  della  cui  prepotenza  provarono  i  lacrimevoli 
effetti  due  anni  dopo  anche  gli  avi  di  quei  giovani,  a  cui 
insegna  il  Castagnola  ,  quando  per  1'  orribile  bombarda- 
mento delle  galee  francesi,  videro  la  loro  città  fatta  un 
mucchio  di  rovine. 

Oual  pace  volesse  dare  quel  Re  alla  Cristianità  si  può 
argomentare  dai  tentativi  e  dagli  sforzi  suoi  per  istornare 
la  lega  che  Giovanni  Sobieski  Re  di  Polonia  e  l' Impera- 
tore Leopoldo  I ,  per  le  sollecitazioni  e  1'  aiuto  di  Papa 
Innocenzo  XI,  aveano  stretto  contro  il  Turco,  il  quale  se 
in  una  memorabile  giornata  non  fosse  stato  cacciato  dalle 
mura  di  Vienna  cinta  di  formidabile  assedio  ,  avrebbe 
minacciato  e  soggiogato  colla  consueta  ferocia  l' intera 
Europa. 

Qual  pace  di  fatto  ne  avesse  la  Cristianità  si  vede  dal- 
l' unanime  reclamo  che  fecero  udire  alla  Francia  tutte  le 
nazioni,  sicché  quell'  ambizioso  monarca  dovette  revocare 
il  decreto,  col  quale  avea  comandato  che  si  insegnassero 
nelle  scuole  i  quattro  articoli. 

Qual  libertà  ne  avesse  la  Chiesa  gallicana  si  pare  dallo 
stesso  Bossuet,  e  quando  parla  delle  libertà  della  Chiesa 
di  Francia  usate  sempre  contro  lei  medesima ,  e  quando 
nella  sua  vecchiezza  egli  Vescovo  era  obbligato  dal  Ma- 
gistrato secolare  a  sottoporre  la  sua  istruzione  pastorale 
alla  censura  d'  un  semplice  Prete. 

Come  poi  colla  dichiarazione  si  volesse  mettere  in 
salvo  il  primato  della  Santa  Sede,  il  mostrò  Papa  Inno- 
cenzo XI,  quando  rispondendo  al  Clero  francese,  con  una 
nobiltà  degna  di  san  Leone,  rimproverò  quei  Vescovi  di 
avere  abbandonato  ,  per  una  pusillanimità  riprensibilis- 
sima, la  santa  causa  della  libertà  della  Chiesa,  di  non  a- 


—  53  — 
vere  osato  dire  una  sola  parola  per  gli  interessi  e  l'onore 
di  Gesù  Cristo,  ma  di  essersi  coperti  di  eterno  obbrobrio, 
con  un  indegno  procedere  appo  i  Magistrati  secolari,  gli 
esortò  al  pentimento,  e  chiuse  annullando  e  cancellando 
quegli  atti  lesivi  della  libertà  ecclesiastica. 

2.°  Dà  un  concetto  erroneo  dei  concordati;  perchè 
ne  fa  menzione  non  già  come  di  privilegii  gratuiti  conce- 
duti dalla  Santa  Sede  ossia  di  leggi  particolari  ecclesiasti- 
che promulgate  dal  Sommo  Pontefice  in  favore  di  qual- 
che Stato  e  confermate  per  la  speciale  obbligazione  nel 
Principe  d'  osservarle  perpetuamente  ,  ma  come  di  con- 
cessioni fattesi  reciprocamente  dalla  Chiesa  e  dallo  Stato, 
ossia  come  di  patti  bilaterali,  i  quali  versando  su  cose 
spirituali,  o  su  cose  temporali  annesse  a  materia  spiri- 
tuale ,  per  sé  sarebbero  essenzialmente  viziosi ,  non  po- 
tendo essere  immuni  da  simonia.  Il  qual  modo  di  trattar 
dei  concordati  considerandoli,  come  patti  bilaterali,  suppone 
nell'Autore  il  pregiudizio  che  lo  Stato  cristiano  in  rela- 
zione colia  Chiesa  sia  indipendente  in  modo  assoluto,  lad- 
dove è  dottrina  cattolica  che  la  Chiesa  ,  sebbene  niente 
possa  sullo  Stato  circa  le  cose  temporali  o  sotto  il  rispetto 
di  fine  temporale  soltanto  ,  nondimeno  è  superiore  allo 
Stato  circa  le  cose  spirituali  ed  anche  circa  le  cose  tem- 
porali ,  in  cui  concorre  ragione  o  necessità  di  fine  spiri- 
tuale. 

E  il  pretendere  che  i  concordati  sian  patti  bilaterali,  è  un 
pretendere  che  possa  limitarsi,  contro  la  volontà  di  Cristo, 
il  primato  del  Sommo  Pontefice,  che  il  Sommo  Pontefice 
possa  alienare  propriamente  i  diritti  del  primato,  sicché  non 
gli  sia  permesso  di  esercitarli,  noi  volendo  il  Principe,  con 
cui  fu  conchiuso  il  concordato  ,   che  il  Sommo  Pontefice 


—  54  — 
possa  ristringere  il  potere  de'  suoi  successori,  che  un  tal  po- 
tere sia  trasmesso  al  Romano  Pontefice  non  immediata- 
mente da  Gesù  Cristo  nella  persona  di  san  Pietro,  ma  dal 
suo  predecessore,  e  che  per  conseguenza,  come  i  diritti 
del  primato  possono  limitarsi  ed  alienarsi,  così  pure  essi 
possano  essere  prescritti  dagli  stessi  Principi  secolari  (l). 

3.0  Si  contraddice  ;  perchè  affermando  lui  che  i  con- 
cordati furono  accettati  dalla  Chiesa,  allorquando  cominciò 
il  decadimento  del  suo  potere;  e  ritenendosi  comunemente 
dagli  storici  che  il  potere  della  Chiesa  fosse  nel  suo  mas- 
simo splendore  da  Gregorio  IX  a  Bonifacio  Vili  (122 7- 
1303);  segue  dalla  sua  affermazione  che  i  concordati  do- 
vessero cominciare  solo  e  subito  dopo  quel  tempo.  Ep- 
pure, secondo  lui  medesimo,  il  primo  concordato  è  quello 
di  Worms  conchiuso  tra  Callisto  II  ed  Enrico  V  impera- 
tore nel  1122,  l'altro  stipulato  nel  1289  tra  il  Re  di  Por- 
togallo e  Nicolò  IV,  e  il  terzo  nel  1447  tra  Francesco  III 
Re  dei  Romani  e  Nicolò  V  (2). 

Onde,  fra  questi  primi  tre  concordati,  quello  di  Worms 
fu  conchiuso  più  di  un  secolo  avanti  l'epoca  che  segna 
la  più  alta  potenza  della  Chiesa,  l'altro  è  stipulato  pro- 
prio durante  l'apogeo  di  quella  potestà,  e  il  terzo  è  stretto 
un  secolo  e  mezzo  dopo  quel  periodo  di  tempo. 

4.e  A  sfoggio  di  inutile  e  facile  erudizione  parla  di 
alcuni  concordati  conchiusi  da'  Principi  stranieri  colla 
Corte  Romana,  ma  di  quei  concordati  stretti  da'  Principi  di 
Savoia  colla  Santa  Sede,  che  avrebbero  una  qualche  im- 


(l)  Cf.  Iuris  Eccles.  pub.  institutiones   auc.    Camillo  Tarquini  lib.  1, 
cap.  2.  art.    1. 

(i)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  42  e  43. 


—  55  — 
portanza  colle  questioni  presenti,  non  parla  affatto,  forse 
perchè  non  era  così  agevole  averne  cognizione  collo  scor- 
rere solo  ,  com'  egli  fa  ,  qualche  libro  di  istituzioni  cano- 
niche, e  più  ancora  perchè  il  solo  nominarli  era  un  mo- 
strare quanto  arbitrarii  ed  ingiusti  sieno  i  principii  che 
egli  segue  nel  trattare  delle  relazioni  giuridiche  tra  Chiesa 
e  Stato. 

IV. 

SEPARAZIONE    DELLO    STATO    DALLA    CHIESA. 

La  ragione  per  cui  si  vede  tosto  la  intrinseca  assur- 
dità del  principio  della  separazione  dello  Stato  dalla  Chiesa 
sta  in  ciò  che  le  azioni  umane  essendo  indivise  non  pos- 
sono essere  regolate  se  non  che  da  una  legge  unica  o  da 
più  leggi  che  collimino  allo  stesso  fine  :  e  quindi  coloro 
che  appartengono  e  allo  Stato  e  alla  Chiesa,  devono  es- 
sere governati  da  leggi  civili,  che  sieno  conformi  alle  leggi 
ecclesiastiche:  altrimenti  tolta  la  vera  libertà  di  coscienza, 
ne  verrebbe  grande  turbamento  agli  uomini  particolari, 
alle  famiglie  e  a  tutti  gli  ordini  della  civile  società. 

Il  Castagnola  tentando  sostenere  questo  falso  prin- 
cipio, non  fece  se  non  che  accumulare  altri  errori  e  spro- 
positi. 

Di  fatto,  l.°  Afferma  che,  senza  la  separazione  dello 
Stato  dalla  Chiesa,  non  vi  ha  libertà  di  coscienza;  laddove 
vera  libertà  di  coscienza  non  vi  ha  prevalendo  questo  as- 
surdo sistema;  perché,  posto  il  disaccordo  tra  le  leggi  dello 
Stato  e  le  leggi  della  Chiesa  ,  chi  è  membro  dell'  uno  e 
dell'altra,  se  ubbidisce  alla  Chiesa  si  mette  in  contraddi- 
zione collo  Stato  ;  se  ubbidisce   allo  Stato  ,  opera   contro 


—  56  — 
coscienza  sapendo  che  con  ubbidire  agli  uomini  disubbi- 
disce' a  Dio.  In  tal  modo  la  libertà  si  accorda  solo  agli 
indifferenti  e  agli  atei ,  i  quali  come  non  ubbidiscono  a 
Dio  ,  così  non  ubbidiscono  allo  Stato  se  non  per  timore 
della  pena. 

2.°  Afferma  pure  come,  «  cadrebbe  però  in  grave  er- 
rore chi  reputasse  che  con  questo  sistema  lo  Stato  faccia 
professione  di  ateismo  ,  mentre  invece  altro  non  fa  che 
dichiarare  la  propria  competenza  (l)  a  regolar  questioni,  a 
sciogliere  problemi  cotanto  superiori  alla  sua  missione  : 
che  anzi  egli  favorisce  lo  sviluppo  del  sentimento  religioso, 
quale  base  della  pubblica  moralità,  e  perciò  qual  fonda- 
mento di  governo  »   (2). 

Ma  separazione  dello  Stato  dalla  Chiesa  è  quanto  se- 
parazione dello  Stato  dalla  Religione,  dalla  morale  e  da 
Dio;  il  che  equivale  per  lo  Stato  a  far  vera  professione 
d' ateismo  :  e  arrogandosi  esso  sulla  moralità  delle  sue 
leggi  quel  supremo  giudizio  ,  che  non  riconosce  di  fatto 
in  nessuna  autorità  religiosa,  altro  non  fa  che  dichiarare 
veramente  la  propria  competenza  a  regolare  questioni  e 
a  sciogliere  problemi  superiori  alla  sua  missione.  Inoltre 
così  promuove  in  materia  di  Religione  V  indifferentismo, 
sistema  falso  ed  empio:  falso,  perchè  una  sola  è  la  vera 
Religione,  e  questa  assolutamente  necessaria:  empio,  per- 
chè suppone  che  possano  egualmente  piacere  a  Dio  an- 
eli e  le  varie  confessioni  che  professano  dottrine  contrad- 
dittorie. E  così  promovendo  l'indifferentismo  scalza  le  fon- 
damenta della  pubblica  morale  e  degli  Stati. 

(1)  Forse  l'Autore  scrisse  incompetenza;  ma  il  proto  vedendo  che  poi 
di  fatto  si  fa  lo  Stato  competente  anche  in  materia  di  Religione,  reputò 
doversi  correggere  stampando  competenza. 

(2)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  53- 


—  57  — 

3-°  Fondandosi  sul  giudizio  del  protestante  Guizot  (l), 
accusa  la  Chiesa  di  rinnegare  il  principio  della  separa- 
zione, poiché  essa  medesima  lo  pose  nella  culla  della  civiltà 
europea. 

E  cosa  incredibile  che  con  tanta  leggerezza  si  possa 
accettare  tal  giudizio  stranissimo  e  falsissimo.  Nel  V 
secolo ,  a  cui  si  riferisce  il  Guizot ,  pare  non  rimanga 
altra  società  viva  che  la  cattolica  Chiesa.  Barbari  con- 
dottieri e  popoli ,  senza  saperlo ,  danno  l' ultimo  com- 
pimento al  vaticinio  di  Daniele  mettendo  all'  estrema 
rovina  il  romano  impero,  i  Persiani  in  oriente,  i  Saraceni 
nell'Arabia,  i  Vandali  in  Africa,  gli  Svevi  e  i  Visigoti  nella 
Spagna,  i  Franchi,  gli  Alani  e  i  Burgognoni  nelle  Gallie,  gli 
Angli  e  i  Sassoni  nella  Bretagna,  gli  Unni  e  gli  Ostrogoti  in 
Italia.  Roma  desolata,  spogliata,  insanguinata  dagli  alleati: 
Attila  che  riceve  lo  stipendio,  come  generale  romano  , 
corre  la  Tracia,  la  Germania,  la  Gallia  mettendo  tutto 
a  ferro  e  a  fuoco  e  s' incammina  a  Roma:  gli  Angli  e  i 
Sassoni,  chiamati  in  aiuto  dai  Bretoni  contro  gli  Scoti, 
riescono  in  breve  a  soggiogare  i  Bretoni,  e  nella  Bretagna 
distruggono  le  ultime  vestigia  dell'  impero  :  il  Vandalo 
Genserico  chiamato  da  Eudossia  dà  il  sacco  a  Roma  e 
via  ne  trascina  cattiva  l' Imperatrice  con  le  figliuole  e  gran 
parte  dei  cittadini. 

Vivendo  i  popoli  tra  tanta  persecuzione  e  ferocia,  la 
Chiesa  accoglie  sotto  la  sua  protezione  gli  uomini ,  che 
portano  negli  occhi  descritto  lo  spavento  degli  animi  loro. 
San  Leone  va  incontro  ad  Attila  e  con  divina  eloquenza  lo 

(i)  Hlstolre  generale  de  la  civili satiou  cn  Europe  par  M.  Guizot,  den- 
xième  lecon. 


—  58  — 
persuade  a  tornare  indietro:  tenta  ammansare  i  barbari, 
ottiene  dai  Vandali  di  risparmiar  dall'  incendio  Roma. 
Questo  gran  Papa  per  promuover  nei  popoli  il  maggior 
bene  possibile  si  vale  dell'  aiuto  de'  Principi  e  dà  savii 
consigli  alla  Corte  di  Costantinopoli.  La  sua  voce  è  sen- 
tita e  l' Imperatrice  Pulcheria  e  l' Imperatore  Marciano  di- 
fendono con  sommo  zelo  il  Concilio  di  Calcedonia  e  la 
Chiesa  contro  gli  Eutichiani ,  sicché  gli  eretici  chiamano 
i  cattolici  per  istrazio  Melchiti  ossia  Regalisti.  Lo  stesso 
Pontefice  scrive  all'  Imperatore  Leone,  successore  di  Mar- 
ciano, dovesse  sempre  ricordare  essergli  conferito  il  regio 
potere  non  solo  al  governo  del  mondo,  ma  anche  e  mas- 
simamente a  presidio  della  Chiesa  (l). 

Ecco  come  la  Chiesa  si  governava  nel  secolo  V:  e  il 
Castagnola  ci  dice  che  essa  allora  pose  il  principio  della  se- 
parazione nella  culla  della  civiltà  europea. 

4.0  Su  coloro  che  propugnano  1'  accordo  dello  Stato 
colla  Chiesa  tenta  spargere  il  ridicolo  là  ove  dice  che 
«  il  Sillabo  fulmina  la  teorica  della  separazione  co'  suoi 
anatemi ,  anzi  sulla  medesima  i  canonisti  versano  amare 
lagrime  ».  Ma  ridicolo  si  rende  egli  stesso,  perchè  anche 
ivi  mostra  di  non  conoscere  e  di  non  aver  letto  il  Sil- 
labo, giacché  si  crede  di  citare  proposizioni  (2),  che  con- 
tengano  il  principio    della   separazione    dello   Stato  dalla 

(1)  Debes  inainctanter  advertere  regiam  potestatem  Ubi  non  sohtm  ad 
mundi  regimen  sei  maxime  ad  Ecdesiae  praesidium  esse  coììatum.  S.  Leonis 
M.  epist.   150. 

(2)  La  proposizione  condannata  che  contiene  il  falso  principio  della 
separazione  dello  Stato  dalla  Chiesa  è  la  55a  del  Sillabo,  estratta  dalla 
Alloc.  Acerbissimum  del  21  Sett.  1852:  «  Ecclesia  a  Statu,  Statusque  ab 
Ecclesia  seiungendus  est  ». 


-  -  59  — ■ 
Chiesa  e  ne  cita  invece  tre  altre  che  riguardano  il  razio- 
nalismo :  e  si  scorge  evidentemente   che  le  cita  per  aver 
copiato,  senza  intenderlo,  1'  autore  (l)  da  lui  allegato. 

5.°  Senza  avvedersene  mostra  egli  stesso  che  il  siste- 
ma della  separazione  dello  Stato  dalla  Chiesa  favorisce 
solamente  gli  atei  e  gli  indifferenti  *a  pregiudizio  della 
Religione  e  della  morale  ,  sì  quando  dice  che  «  non  è 
sola  la  Chiesa  cattolica  a  combattere  questo  principio  » 
ma  è  combattuto  anche  da  tutte  le  Chiese,  che  sono  o 
furono  dominanti  »,  sì  quando  ricorda  la  protesta  e  la 
petizione  promossa  dai  fautori  della  chiesa  nazionale  del 
Cantone  di  Ginevra  contro  il  disegno  di  legge  ,  che  sop- 
primeva il  bilancio  dei  culti ,  il  qual  disegno  già  appro- 
vato dal  Gran  Consiglio  doveva  esser  sottoposto  al  voto 
popolare. 

6.°  Ascrive  a  contraddizione  del  Sommo  Pontefice 
Pio  IX,  che  dopo  aver  condannato  nel  Sillabo  la  separa- 
zione come  principio,  non  abbia  col  fatto  invitato  i  Prin- 
cipi al  Concilio  ecumenico  Vaticano  nella  Bolla  d' indi- 
zione. Il  Papa  non  invitò  i  Sovrani,  perchè,  anche  posto 
che  avessero  accettato  l' invito,  non  si  poteva  raggiungere 
il  fine,  per  cui  i  Principi  sono  chiamati  al  Concilio,  cioè 
per  difenderlo  e  farne  eseguire  i  decreti.  (2). 

(1)  Il  Prof.  Can.  Giuseppe  Ferrari  già  Vicario  Capitolare  dell'Archidio- 
cesi  di  Genova  nella  sua  opera  intitolata  Stimma  institutionum  canonicarum 
toni.  1,  lib.  1,  tit.  1,  n.  4,  ove  parlando  delle  leggi  informate  dal  moderno 
razionalismo,  nelle  note  cita  così  varie  proposizioni  condannate:  Syll.  in 
damn.  prop.  6,  8,  et  57,  et  in  aliis  pluribus.  Il  Castagnola  credendo 
che  ivi  si  tratti  di  proposizioni  che  enuncino  il  principio  della  sepa- 
razione dello  Stato  dalla  Chiesa  ,  traduce  bonariamente  a  pagina  50: 
Prop.  6,  S,  ;7  ed  altre  assai. 

(2)  Catholicorum  sententia  est....    Principes   vocari   tum   ut   Concilhim 


—  6o  — 
Nella  Congregazione  Cardinalizia  direttrice  fu  proposto 
questo  quesito  gravissimo:  «  Dovranno  i  Principi  cattolici 
essere  invitati  ad  assistere  al  Concilio?  Assai  dibattuta  fu 
la  questione  tra  i  Porporati  consultori,  e  la  risposta  fu 
negativa.  Di  che  ,  parmi ,  nessuno  dee  far  le  meraviglie. 
Che  parte  infatti ,  nelle  presenti  occorrenze ,  potrebbero 
avere  i  Sovrani  in  Concilio?  In  altri  tempi,  quando  i  Prin- 
cipi, in  quanto  tali,  facevano  aperta  professione  di  catto- 
licismo,  e  le  leggi  civili  ed  ecclesiastiche  armonizzavano 
tra  loro,  e  lo  Stato  eseguiva  i  decreti  della  Chiesa;  la 
presenza  dei  Principi  al  Concilio  era  non  pur  conveniente, 
ma  in  qualche  modo  necessaria.  Ma  dov'è  di  presente  il 
principato  cattolico?  dove  sono  le  armoniche  leggi?  dove 
si  rispetta,  per  principio,  la  legislazione  ecclesiastica?  Non 
è  invece  la  pretesa  separazione  dello  Stato  dalla  Chiesa 
la  norma  che  guida  ogni  atto  dei  Governi  e  dei  Parla- 
menti, delie  cui  volontà  i  Sovrani  non  sono  oggi,  alla 
perfine,  che  meri  esecutori?  Si  dovranno  dunque  intro- 
durre nell'augusto  Consiglio  coloro  che  nuli'  altro  princi- 
palmente vi  rappresenterebbero  se  non  quegli  stessi  prin- 
cipii  che  la  Chiesa,  raccolta  nei  suoi  Pastori,  è  chiamata 
a  condannare  ,  e ,  quanto  è  da  lei,  a  distruggere  ?  Quali 
ostacoli  non  porterebbero,  per  avventura,  alle  delibera- 
zioni conciliari  i  rappresentanti  del  moderno  mondo,  se 
pure,  invitati ,  non  opponessero,  con  grave  disdoro  della 
Chiesa  cattolica ,  un  disdegnoso  rifiuto  ?  Che  elementi  di 
pace  e  di  restaurazione  religiosa  potrebbero  portare  in 
Concilio  quei  Governi  che   i  trattati   con   la   Santa   Sede 

defendant,  tum  ut,  testes  et  conscii  decretorum  Conciìii,  postea  transgres- 
sores  et  contumaces  poenis  corporàlihis  pnniant.  R.  Bellarmini  de  Concilio 
et  Ecclesia  militante  lib.  I  cap.  XV. 


—  61  — 
stimano  poter  lacerare  senza  offesa  della  giustizia,  le  an- 
tiche istituzioni  cattoliche  senza  danno  della  Religione  de- 
molire, vantaggiare  il  bene  dei  popoli  fabbricando  leggi 
ostili  alla  Chiesa?  Queste  considerazioni  così  ovvie  doveano 
naturalmente  generare  fin  da  principio  la  persuasione 
della  inconvenienza  dell'invito  ai  Sovrani  »  (l). 

7.°  Nega  esser  la  Chiesa  una  potestà,  il  che  equivale 
a  negarle  la  natura  di  società  perfetta.  A  tanta,  non  di- 
remo temerità  ma  insania,  non  eran  giunti  neppure  i  Pro- 
testanti, i  quali  riconoscono  la  Chiesa  qual  perfetta  so- 
cietà, e  ammettono  che  il  potere  di  lei  dall'università  de' 
suoi  membri  sia  comunicato  ed  esercitato  da  Ministri  a 
tal  fine  deputati.  Lo  stesso  Guizot  più  volte  citato  dal- 
l'Autore riconosce  esser  la  Chiesa  un  pubblico  potere  par- 
landoci di  separazione  del  «  potere  spirituale  »  dal  potere 
temporale  (2).  Anche  il  Principe  Ottone  di  Bismark  uomo 

(1)  Storia  del  Conc.  ecum.  Vaticano  scritta  dal  Can.  Eugenio  Cecconi 
lib.  2  cap.   1  art.   1. 

(2)  Ecco  che  cosa  dice  il  Guizot  parlando  del  Cristianesimo  e  della 
Chiesa:  «  A  la  fin  du  quatrième  et  au  commencement  du  cinquième 
siècle,  le  Christianisme  n'était  plus  simplement  une  croyance  individuelle, 
c'e'tait  une  institution;  il  s'était  constitué;  il  avait  son  gouvernement,  un 
clergé,  une  hierarchie  déterminée  pour  les  différentes  fonctions  du  clergé, 
des  revenus,  des  moyens  d'action  indépendants,  les  points  de  ralliement, 
qui  peuvent  convenir  à  une  grande  société,  des  conciles  provinciaux,  na- 
tionaux,  ge'ne'raux,  l'habitude  de  traiter  en  commun  les  affaires  de  la 
société.  En  un  mot,  à  cette  epoque,  le  Christianisme  n'était  pas  seule- 
ment  une  religion,  c'était  une  Église. 

»  Enfin,  l'Eglise  commencait  un  grand  fait ,  la  séparation  du  pou- 
voir  spirituel  et  du  pouvoir  temporel....  La  présence  d'une  influence 
morale,  le  maintien  d'une  loi  divine,  et  la  séparation  du  pouvoir  tem- 
porel et  du  pouvoir  spirituel,  ce  sont  là  les  trois  grands  bienfaits  qu'au 


—  62  — 
di  gagliardo  intelletto  e  per  tenacità  di  proposito  da  tutti 
ammirato  ,  benché  siasi  mostrato  sempre  nel  maneggio 
delle  cose  di  Stato  abilissimo,  pure  si  vide  costretto  a  de- 
sistere dal  lottare  contro  Roma,  per  aver  conosciuto  qual 
grande  potenza  sia  la  Chiesa,  e  la  verità  negata  dal  Ca- 
stagnola egli  non  dubitò  di  affermare  in  modo  solenne  , 
allorché  contrastando  a  quei  Deputati,  i  quali  credevano 
che  la  Sedia  Apostolica  si  dovesse  riguardare  per  la 
Prussia  come  una  potenza  estera,  disse  chiaro  al  Parla- 
mento germanico  (l):  «  Ho  domandato  a  me  stesso  se  la 
Chiesa  cattolica  dovesse  considerarsi  come  una  Potenza 
estera,  ed  ho  dovuto  rispondermi  negativamente  e  dirmi 
che  i  nostri  sudditi  cattolici  hanno  i  medesimi  diritti  degli 
altri,  ed  hanno  anche  diritto  alla  tutela  delle  loro  istitu- 
zioni ecclesiastiche,  di  cui  il  Papa  è  il  rappresentante  ». 
E  rispondendo  in  particolare  ad  altre  osservazioni  del 
Deputato  Wirkow ,  «  La  Chiesa  cattolica  ,  diceva,  è  da 
gran  tempo  non  solo  una  potenza  spirituale  ,  ma  anche 
una  potenza  politica  »   (2). 

La  Chiesa  è  vera  potestà  ed  è  anzi  società  perfetta; 
perchè  ha  in  se  stessa  i  mezzi  sufficienti  per  conseguire 
il  suo  fine  indipendentemente  da  qualunque  altra  società. 
Ma  se  il  Castagnola  non  riconosce  la  Chiesa  come  per- 
fetta società,  come  società  pubblica,  la  deve  almeno  ri- 
conoscere come  società  imperfetta  o  società  privata:  ed 
ecco  che  perciò  stesso  viene  a  subordinarla  allo  Stato,  e 

cinquième  siede  l'Eglise  chre'tienne  a  re'pandus  sur  le  monde  euro- 
pe'en  ».  —  Histoire  generale  de  la  civilisation  en  Europe.  —  Deuxième 
legon. 

(1)  Discorso  al  Reichstag  di  Berlino  30  novembre  1880. 

(2)  Discorso  cit. 


-  63  - 

viene  di  fatto  ad  ammettere  il  sistema,  ch'egli  solo  a  pa- 
role ripudia  della  supremazia  dello  Stato  sulla  Chiesa.  Ma 
se  egli  nega  assolutamente  alla  Chiesa  la  natura  di  so- 
cietà; come  potrà  considerarla  giuridicamente,  cioè  come  po- 
trà considerarla  in  quanto  essa  è  soggetto  di  diritto?  Sog- 
getto di  diritto  è  sempre  o  persona  fisica  o  persona  mo- 
rale. La  Chiesa  non  potendo  considerarsi  come  persona 
fisica,  si  dee  considerare  come  persona  morale ,  la  quale 
nel  caso  nostro  importa  la  essenza  di  società ,  risultando 
essa  dalla  riunione  di  più  persone  fìsiche  ordinate  a  con- 
seguire uno  scopo  di  comune  utilità.  Ma  se  la  Chiesa  non 
si  vuole  riguardare  nemmeno  come  persona  morale  e  giu- 
ridica, essa  non  conta  più  in  faccia  allo  Stato:  e  allora 
perchè  ci  si  parla  della  separazione  dei  due  poteri?  per- 
chè ci  si  parla  delle  relazioni  giuridiche  tra  Chiesa  e 
Stato?  Non  può  lo  Stato  separarsi  da  ciò  che  giuridica- 
mente non  esiste:  né  si  potrà  trattare  di  relazioni  giuri- 
diche tra  enti  che  non  abbiano  giuridica  consistenza.  E 
il  professor  Castagnola  come  spiega  1'  articolo  primo 
dello  Statuto  fondamentale  del  Regno?  Egli  nega  che  la 
Chiesa  sia  pubblico  potere.  Eppure ,  secondo  lo  Statuto , 
la  Chiesa  Romana,  che  si  identifica  colla  Religione  catto- 
lica, non  solo  è  potere  pubblico ,  ma  tal  potere  che  sul 
potere  civile  esercita  quella  supremazia  che  la  Chiesa 
esercita  sulle  persone  private  che  sono  sue  membra.  Egli 
che  inutilmente  adduce  le  osservazioni  fatte  da  alcuni  Se- 
natori della  Savoia  e  del  Piemonte  ai  primi  articoli  nello 
schema  del  codice  albertino ,  che  non  è  più  in  vigore, 
perchè  non  si  dà  cura  veruna  di  conciliare  con  le  sue 
dottrine  il  primo  articolo  della  vigente  Costituzione  che 
è  assolutamente  opposto  al  suo  falso  principio  ?    E  vero 


-64- 
ch'egli  procura  di  temperare  il  suo  paradosso  soggiun- 
gendo che  «  se  si  nega  alla  Chiesa  questo  attributo,  si  ri- 
conosce però  nell'  esercizio  della  Religione  un  diritto  ,  il 
principale,  il  più  prezioso  dei  diritti  dei  cittadini,  trattan- 
dosi dei  rapporti  tra  le  creature  ed  il  Creatore  ,  un  di 
quei  diritti  naturali  che  lo  Stato  non  può  conculcare  ». 
Ma  non  ottiene  lo  scopo;  perchè,  togliendo  alla  Chiesa 
questo  attributo,  le  toglie  anche  il  principale,  il  più  pre- 
zioso dei  diritti  dei  cittadini  :  ed  aggiunge  lo  sproposito 
di  credere  che  vi  possano  essere  diritti  naturali  che  lo 
Stato  possa  conculcare. 

8.°  Insegna  che  la  formola  della  separazione  dello 
Stato  dalla  Chiesa  «  significa  la  libertà  concessa  alla  Chiesa 
e  quindi  può  intendersi  quale  l'equivalente  della  celebre 
formola  cavouriana  della  libera  Chiesa  in  libero  Stato  ». 
Questa  erronea  dottrina  suppone  che  sia  in  potere  dello 
Stato  il  concedere  o  il  negare  la  libertà  alla  Chiesa  fa- 
cendo così  la  Chiesa  schiava  dello  Stato,  e  che  la  Chiesa 
cattolica,  la  quale  comprende  tutto  il  mondo ,  sia  nello 
Stato  e  non  già  lo  Stato  nella  Chiesa.  «  Come!  direbbe  qui 
l'invitto  Clemente  Droste  di  Vischering,  Arcivescovo  di  Co- 
lonia ,  come  !  la  Chiesa  cattolica  nello  Stato?...  ella  che 
nello  spazio  non  riconosce  altri  limiti  che  quelli  dell'uni- 
verso: ella  che  nel  tempo  non  ammette  altri  termini  che 
quelli  della  durazione  del  mondo  :  ella  che  venne  desti- 
nata e  chiamata  a  ricevere  ed  abbracciare  come  una  te- 
nera madre  abbraccia  i  suoi  figliuoli ,  tutti  gli  uomini 
Principi  e  sudditi,  e  tutti  i  popoli  della  terra  :  ella  che 
ebbe  missione  di  benedire  e  santificare  egualmente  tutti 
gli  uomini,  e  tutte  le  loro  istituzioni  sociali  grandi  e  pic- 
cole che  siano:  ella  questa  Chiesa  cattolica  è  una  società 


—  65  — 
nello  Stato  ?  Ella  che  contro  la  volontà  dei  Principi ,  ed 
in  aperta  contraddizione  colle  loro  leggi  politiche,  ma  al 
comando  di  colui,  a  cui  venne  dato  ogni  potere  in  cielo  e 
in  terra,  e  da  cui  riconosce  la  sua  edificazione  ,  si  pro- 
pagò per  tutto  il  mondo  ;  questa  Chiesa  cattolica  è  una 
società  nello  Stato  ?  forse  in  quegli  Stati ,  i  quali  come 
prima  cominciarono  ad  essere,  la  Chiesa  contava  già  più 
secoli  di  vita  e  menava  per  ogni  dove  nuovi  frutti?  »  (l). 

9.0  Insegna  esservi  quattro  motivi  che  giustificano  lo 
Stato  a  vincolare  la  libertà  della  Chiesa,  cioè  «  la  pub- 
blica moralità,  1'  ordine  pubblico,  la  concessione  della  per- 
sonalità giuridica ,  la  distribuzione  della  pubblica  ric- 
chezza ». 

Qui  il  Castagnola  non  solo  attribuisce  allo  Stato  il 
supremo  giudizio  sulla  moralità,  il  quale  è  di  competenza 
esclusiva  della  Chiesa,  ma  con  estrema  impudenza  sup- 
pone che  la  Chiesa  possa,  come  le  sette,  insegnare  er- 
rori contro  la  pubblica  morale.  E  così  mentre  viene  ad 
attribuire  allo  Stato  una  reale  infallibilità,  e  lo  fa  effetti- 
vamente principio  e  fonte  della  moralità,  della  giustizia 
e  d'ogni  diritto  ,  non  distingue  poi  la  vera  Chiesa  dalle 
sette  e  induce  a  credere  che  anche  la  Chiesa  possa  nuo- 
cere alla  pubblica  morale  ,  all'  ordine  pubblico.  Non  è 
quindi  maraviglia  se  anche  a  pregiudizio  della  Chiesa  at- 
tribuisce solo  allo  Stato  la  facoltà  di  concedere  la  per- 
sonalità giuridica  agli  enti  morali ,  facoltà  tutta  propria 
delle  società  perfette,  cioè  della  Chiesa  e  dello  Stato;  per- 
chè come  lo  Stato  crea  le  persone  morali  civili ,  così  la 
Chiesa  crea  le  persone  morali  ecclesiastiche  ,    e   lo  Stato 


(1)  Della  pace  tra  la  Chiesa  e  gli  Stati  cap.  r 


—  66  — 
deve  ammettere  tutte  le  persone  morali  ecclesiastiche ,  po- 
tendo solo,  mediante  un  concordato,  ottenere  limitazioni  o 
nel  loro  numero  in  dato  luogo  o  ne'  diritti  loro  ad  ac- 
quistar beni.  Cessando  la  persona  morale  di  fatto  o  di  diritto, 
i  suoi  beni  son  devoluti  alla  società  perfetta,  da  cui  fu  creata, 
cioè  alla  Chiesa  o  allo  Stato,  secondo  che  la  persona  mo- 
rale, di  cui  si  tratta,  è  ecclesiastica  o  civile.  Ecco  come  il 
Castagnola  descrive  il  potere  che  attribuisce  allo  Stato, 
quanto  al  concedere  la  personalità  giuridica.  «  La  perso- 
nalità giuridica,  egli  dice,  si  esplica  nei  rapporti  delle  tem- 
poralità, le  quali  indubbiamente  sono  soggette  al  dominio 
della  laica  autorità.  Mentre  le  persone  fisiche  e  reali  sono 
create  dall'onnipotenza  di  Dio,  le  persone  fittizie  e  morali, 
che  quasi  enti  viventi  vengono  a  formare  parte  della  civile 
famiglia,  non  possono  essere  create-  se  non  col  consenso 
di  chi  ha  il  governo  di  questa  famiglia,  di  colui,  che  ne 
ha  la  rappresentanza  e  il  sommo  impero.  Sta  nei  suoi 
attributi  lo  esaminare  se  l'ente  o  l'associazione  religiosa 
presenti  tali  vantaggi  alla  civile  società  da  dover  essere 
riconosciuto  qual  persona  o  corpo  morale:  sta  eziandio 
nelle  sue  facoltà  il  ponderare  se  per  le  mutate  circostanze, 
per  le  sopravvenute  vicissitudini  quello  istituto  religioso, 
che  si  era  per  lo  innanzi  riputato  utile  e  forse  anche  ne- 
cessario, non  abbia  cessato  dall'essere  tale,  non  sia  forse 
anche  diventato  dannoso,  e  quindi  non  debba  ritirarsi  la 
concessione  della  personalità  giuridica,  pronunciare  la  sop- 
pressione dell'ente,  colpirlo  in  sostanza  d'una  morte  ci- 
vile »  (l)  Tuttavia  si  osservi  scrupolosa  precisione  e  gene- 
rosità del  Castagnola.   «  Ma  si  badi  bene,  ivi  soggiunge, 

(l)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  62. 


-67  - 

il  legislatore  civile  non  può  agire  oltre  la  sfera  della  sua 
giurisdizione:  l'istituto  religioso,  che  da  lui  non  dipende, 
continua  ad  esistere  nei  suoi  rapporti  colla  Chiesa.  Del- 
l'applicazione di  questa  distinzione  ce  ne  offre  un  esempio 
l'art.  1°  della  legge  7  luglio  1866.  Il  legislatore  italiano 
non  sopprime  già  gli  ordini,  le  corporazioni  e  le  congre- 
gazioni religiose  ,  ma  si  limita  a  dire  che  non  li  rico- 
nosce più  nello  Stato  :  egli  sopprime  invece  la  casa  e 
gli  stabilimenti  che  ai  medesimi  si  appartengono  ».  È  co- 
me se  un  assassino  strozzando  un  onest'uomo,  per  torgli 
quanto  egli  ha,  al  danno  aggiungesse  lo  scherno  dicendo: 
Niente  importa  se  io  ti  strozzo  e  ti  tolgo  ciò  che  ti  è  neces- 
sario a  vivere,  perchè  sei  libero  tu  quanto  vuoi,  e  libero 
è  chi  ti  diede  la  vita  a  credere  che  tu  la  conservi  ancora: 
l' impedir  ciò  non  dipende  da  me.  Pare  che  costoro  non 
vogliano  affatto  spenti  gli  istituti  religiosi,  forse  perchè 
vedon  bene  che  quanto  più  mancano  i  conventi  e  i  mona- 
steri, tanto  più  crescono  le  carceri  e  gli  ergastoli,  e  forse 
anche  perchè  rimane  loro  la  speranza  di  poter,  fabbri- 
cando nuove  leggi,  dilapidar  nuovi  beni. 

Quel  che  poi  sembra  stare  più  a  cuore  al  Castagnola 
è  la  distribuzione  della  pubblica  ricchezza,  ed  egli  che 
avea  chiamate  selvagge  le  dottrine  che  tendono  a  distrug- 
gere la  proprietà,  (l)  ora  professa  queste  stesse  dottrine 
non  riconoscendo  il  diritto  di  proprietà  nella  Chiesa. 
Alla  quale  esorbitanza  si  studiò  spianarsi  la  via  negando 
il  carattere  di  pubblico  potere  e  la  personalità  giuridica 
alla  più  perfetta  società;  laddove  alla  Chiesa  nella  pro- 
pria sfera  d'azione,  anche  con   maggior  ragione  che  allo 

(1)  Ivi  p.   17. 


—  68  — 
Stato,  compete  il  diritto  di  concedere  la   personalità   giu- 
ridica alle  omogenee  società  minori. 

IO.  Ai  proprii  aggiunge  gli  errori  altrui,  citando,  co- 
m'egli stesso  asserisce,  con  predilezione  quanto  sul  Sil- 
labo, sull'  infallibilità  del  Pontefice  e  sul  governo  della 
Chiesa  afferma  Marco  Minghetti,  secondo  il  quale  «  la  Chiesa 
cattolica  ,  che  un  tempo  capitanava  la  scienza  e  la  so- 
cietà, s'è  a  poco  a  poco  allontanata  da  essa  e  ha  finito 
coll'osteggiarle  entrambe  (l)  ».  Ma  quanto  di  vera  scienza 
sieno  vuoti  questi  signori,  che  di  scienza  parlano  sempre, 
il  danno  a  vedere  essi  medesimi,  allorché  con  tuono  ma- 
gistrale o  pronunziano  giudizio  sul  Sillabo,  senza  sapere 
che  cosa  si  contiene,  o  negano  al  Pontefice  e  alla  Chiesa  la 
infallibilità,  che  col  fatto  non  dubitano  poi  attribuire  ad 
un  corpo  politico,  quale  è  il  Parlamento:  sentenziano  sul 
governo  e  sugli  atti  della  Chiesa,  senza  conoscerne  la 
natura,  la  costituzione,  il  fine  e  la  storia  anche  contem- 
poranea. Qui  facciamo  solo  osservare  che,  se  la  Chiesa, 
allontanandosi  dalla  scienza  e  dalia  civil  società,  finì  per 
osteggiarle  entrambe,  quanto  ora  le  osteggi,  si  dovrà  co- 
noscere dal  suo  Capo,  perchè  gli  atti  e  il  governo  di  una 
società  si  riconoscono  principalmente  dagli  atti  del  Capo; 
tanto  più  che  la  Chiesa,  al  dir  del  Minghetti,  sul  Capo 
accentrò  la  somma  di  ogni  cosa,  spogliando  di  vita  tutte 
le  sue  membra.  Ora  quanto  il  Capo  della  Chiesa  osteggi 
la  scienza  e  la  civil  società  il  può  indicare,  quantunque 
abbia  ben  altro  intendimento,  Ruggiero  Bonghi  citato  dal 
Castagnola  e  autore  a  lui  non  sospetto,  il  quale  nel  re- 
gnante Leone  XIII  riconosce  un  «  dotto  uomo  »  (2)  uno 

(1)  S.   Castag.  op.  cit.  p.   71. 

(2)  Leone  XIII  e  l'Italia  p.  4. 


-6g- 
«  scrittore,  che  l'alto  ingegno  rende  degno  di  riverenza 
insieme  e  di  esame  (l):  colto  egli  stesso  e  desideroso  di 
coltura  intorno  a  sé  »  (2):  il  quale  «  sente  tutto  il  valore 
morale  dei  progressi  della  scienza,  sicché  gli  esalta  con 
calore  di  animo  (3):  discorre  della  scienza  più  fieramente 
ch'essa  stessa  non  farebbe  di  sé  (4)  :  schivo  d'  ogni  vol- 
garità, così  nel  pensiero  preciso  come  nello  stile  franco  (5). 
Il  suo  sentimento  religioso  è  virile:  ritrae  da  quello  di 
Leone  I.  Si  contenta  anch'esso  di  avere  ad  oggetto  suo, 
Dio  ,  Cristo  ,  la  Santa  Chiesa  ,  i  religiosi  doveri ,  le  spe- 
ranze immortali  del  cristiano.  Le  dottrine  della  Chiesa 
stanno  tutte  fisse  nello  spirito  dello  scrittore,  e  non  ne 
abbandona  un  ette:  ma  tenendosi  pure  strettissimo  a  quelle, 
mostra  avere  della  scienza  e  dei  progressi  civili  un  con- 
cetto largo  ed  una  convinzione  profonda.  Se  congiugne 
con  questa  un'opinione  così  triste  della  qualità  dei  tempi, 
in  cui  egli  vive,  si  deve  non  a  ciò  ch'egli  sprezzi  o  sco- 
nosca ciò  ch'essi  hanno  di  buono,  ma  alla  lotta  che  vi 
vede  imperversare  contro  la  Chiesa  (6)  ».  E  se  dagli  atti 
del  Pontefice  «  noi  risaliamo  alle  sue  dottrine  sulla  natura 
dei  governi,  e  sulle  loro  relazioni  colla  Chiesa,  esse,  per 
vero  dire,  paiono  così  ragionevoli,  come  quelli  son  savi 
e  discreti  »  (7). 

il.  Travisa  col  Macaulay  l'insegnamento  dei  sani  ca- 

(1)  Ivi  p.  40. 

(2)  Ivi  p.  82. 

(3)  Ivi  p.  87- 

(4)  Ivi  p.  48. 

(5)  Ivi  p.  63. 

(6)  Ivi  p.  62  e  63. 

(7)  Ivi  p.  73. 


-  70  — 
nonisti  in  modo  da  indurre  a  credere  che  l'esigere  dallo 
Stato  cristiano  leggi  ed  atti  informati  alla  morale  e  alla  Re- 
ligione cristiana  valga  quanto  pretendere  che  il  fine  proprio 
ed  immediato  dello  Stato  sia  il  promuovere  non  il  bene 
temporale,  ma  lo  spirituale,  e  che  i  rappresentanti  dello 
Stato  debbano  essere  quasi  altrettanti  missionarii  (l). 

12.  Dice  che  «  né  per  la  commistione  delle  diverse 
confessioni  si  è  in  qualche  modo  affievolita  la  moralità  e 
il  vigore  di  quegli  Stati,  che  a  dette  confessioni  accordano 
ricetto  e  protezione  ». 

Quanto  ciò  sia  falso  si  prova  bene  dalle  ultime  notizie 
statistiche  del  Regno,  ove,  dacché  fu  introdotta  la  com- 
mistione delle  diverse  confessioni,  crebbero  a  dismisura  i 
delitti,  sicché  ora  le  carceri  non  son  più  capaci  di  chiu- 
dere i  rei,  e  aumentò  in  modo  spaventoso  la  corrutela 
dei  costumi  specialmente  tra  i  giovani  anche  arrolati  nel- 
l'esercito (2). 

13.  Dice  inoltre  che  fecesi  un  altro  passo  decisivo,  ri- 
conoscendosi come  la  libertà  di  coscienza  è  la  prima  tra  le 
franchigie  costituzionali,  ed  è  sacra  anche  quando  non  presta 
fede  ad  alcuna  forma  di  Religione  (cioè  anche  quando  è 
atea),  ed  anzi  si  finì  col  riguardare  la  Religione  come  cosa 
spettante  piuttosto  al  privato  che  al  pubblico  diritto. 

Egli  italiano  parlando  ad  Italiani  e  di  cose  italiane  non 
adduce  ad  esempio  la  vigente  Costituzione  italiana;  perchè 
non  solamente  questa  non  prova  essere  la  libertà  di  co- 
scienza la  prima  tra  le  franchigie  costituzionali,  e  ciò  an- 
che quando  non  presta  fede  ad  alcuna  forma  di  Religione, 


(1)  Ivi  p.  73. 

(2)  Relazione  sul  bilancio  dell'interno  del  1883. 


—  71  — 
ma  prova  tutto  il  contrario,  essere  cioè  la  Religione  cat- 
tolica, apostolica  e  romana  la  sola  Religione  dello  Stato, 
e  i  culti  esistenti,  quando  fu  pubblicata  la  Costituzione, 
essere  stati  soltanto  tollerati  conformemente  alla  legge  (l). 
Adduce  invece  ad  esempio  la  Costituzione  degli  Stati  Uniti 
di  America  del  17  Settembre  1787  ,  come  pure  la  Co- 
stituzione prussiana  del  31  Gennaio  1850. 

Ma  la  Costituzione  degli  Stati  Uniti  è  un'eccezione  che 
niente  prova,  o  al  più  prova  soltanto  ciò  che  i  cattolici 
altresì  difendono,  che  cioè  ad  evitare  mali  maggiori,  e 
l'oppressione  dei  governi  sotto  il  manto  specioso  di  pro- 
tezione, è  talvolta  la  libertà  di  coscienza  un  meglio  re- 
lativo, 0,  più  accuratamente  parlando,  un  minor  male.  Gli 
Stati  Uniti  si  formarono  da  colonie  inglesi,  che  riconosce- 
vano prima  il  Sovrano  anche  come  capo  religioso,  e  po- 
scia emancipatesi  dalla  madre  patria  acquistarono  colla 
politica  anche  la  religiosa  indipendenza:  né  essendosi  po- 
tuto far  loro  rinunziare  alle  proprie  convinzioni  religiose, 
per  formare  un  unico  corpo,  la  Convenzione  Americana 
sancì  il  fatto  della  piena  libertà  dei  culti.  La  Costituzione 
prussiana  è  remota  conseguenza  del  trattato  di  "Westfalia, 
in  cui  la  causa  cattolica  fu  tradita  in  guisa  da  render 
vana  l'opera  del  Concilio  Tridentino,  che,  non  ostante 
l'Interim  del  1548  e  il  trattato  del  1555,  avea  fulminato 
il  Protestantesimo. 

L'aggiunger  poi  che  si  finì  col  riguardare  la  Religione 
come  cosa  spettante  piuttosto  al  privato  che  al  pubblico 
diritto,  indica  che  il  Castagnola  non  considera  la  Costitu- 
zione come  base  e  fondamento  delle  leggi,  e  anzi  non  ne 

(1)  Con  regio  decreto  del  17  febbraio   1848  i  Valdesi    furono   am- 
messi a  godere  tutti  i  diritti  civili  e  politici. 


fa  conto  veruno,  perchè  altrimenti  saprebbe  che  secondo 
l'articolo  primo  dello  Statuto  la  Religione  evidentemente 
spetta  al  diritto  pubblico. 

14.  Benché  altrove  protesti  a  parole  che  lo  Stato  non 
deve  essere  ateo,  pure  qui  lo  vuole  ateo  di  fatto;  perchè 
circa  la  protezione  delle  persone  e  delle  proprietà,  circa 
la  decisione  delle  quistioni  che  insorgono  fra  i  cittadini, 
circa  la  soddisfazione  a  quei  bisogni,  ai  quali  non  pos- 
sono sopperire  le  forze  individuali,  specialmente  mediante 
l'esecuzione  dei  grandiosi  lavori  pubblici  e  l'organamento 
delle  pubbliche  amministrazioni,  quali  sono  le  poste  e  i 
telegrafi,  circa  queste  ed  altre  simili  materie  afferma  che 
«  tutti  i  cittadini  di  uno  Stato  sono  interessati  senza  vermi 
rapporto  all'Essere  supremo  ed  alla  vita  futura  ». 

Come  se  i  cittadini  l'interesse  rapporto  all'Essere  supre- 
mo e  alla  vita  futura  dovessero  avere  solo  circa  le  azioni 
private,  e  non  anche  e  massimamente  circa  le  azioni  pub- 
bliche, le  quali  sulle  private  esercitano  sì  generale  influenza. 
Secondo  questa  erronea  dottrina,  non  tutte  le  azioni  umane 
devono  esser  regolate  dalle  norme  della  sana  morale,  anzi 
è  permesso  da  tali  norme  esimere  quelle  azioni,  che  possono 
avere  più  rovinose  conseguenze  circa  la  prosperità  del  po- 
polo. 

15.  Sostiene  che  la  coazione  non  è  assolutamente  ap- 
plicabile in  tema  di  Religione.  Il  che  è  falsissimo;  perchè 
la  Chiesa,  come  società  perfetta,  in  cui  si  attua  la  Reli- 
gione, deve  poter  costringere,  anche  colla  forza  esterna, 
i  suoi  membri  contumaci,  che  ricusano  di  obbedire  e  re- 
sistono a  suoi  ordini:  altrimenti  sarebbe  inefficace  ed  il- 
lusorio il  suo  potere  legislativo  e  giudiziale.  La  Chiesa 
non  volle  mai,  né,  volendo,  potrebbe  usare  la   forza  per 


—  73  — 
costringere  le  coscienze.  Altri  può  nella  mente  sua  non  cre- 
dere a  Dio,  senza  esser  molestato  dalla  Chiesa,  ma  se  egli 
si  manifesta  ateo,  cioè  se  egli  corrotto,  colla  scusa  di  non 
credere  a  Dio  ,  pretende  corrompere  la  gente,  dev'esser 
punito  dalla  Chiesa:  la  quale  anche  in  ciò  si  mostra  assai 
più  logica  dei  governi  di  quegli  Stati  che  lasciano  impunito, 
anzi  onorano  chi  negli  Atenei  fa  pubblica  professione  di 
ateismo,  e  poi  castigano  quegli  infelici  che  così  ingannati  ru- 
bano e  commettono  altri  delitti,  perchè  non  credono  a  Dio. 
E  quando  il  Castagnola  con  tanta  commozione  ci  parla 
dei  roghi  e  delle  carceri  del  Sant'  Officio,  delle  proscrizioni, 
degli  esigli  e  delle  ecatombe  comandate  dai  Principi  cat- 
tolici, crede  forse  di  fondare  su  qualche  prova  i  suoi  er- 
rori? Se  conoscesse  la  storia,  saprebbe  distinguere  il  San- 
t'Officio della  Romana  Inquisizione  da  quello  della  Inqui- 
sizione Spagnuola;  saprebbe  quanti  segnalati  benefizi  ap- 
portasse agli  Stati  cristiani  il  Tribunale  Romano;  saprebbe 
di  quanto  soprastava  a  tutti  i  Tribunali  di  Europa,  circa 
la  procedura,  circa  l'efficacia  e  la  mitezza  delle  pene;  sa- 
prebbe come  dalla  pratica  del  Sant'  Officio  di  Roma  po- 
trebbero imparare  anche  i  moderni  professori  di  diritto 
penale,  e  che,  se  il  Tribunale  Spagnuolo  tralignò  dalla  sua 
prima  istituzione,  tralignò  per  opera  dei  Principi  secolari, 
e  quando  non  v'era  appunto  il  desiderabile  accordo  tra 
Chiesa  e  Stato,  sicché  Leone  X  scomunicò  nel  1519  fri- 
sino gli  Inquisitori  di  Toledo  con  gran  dispetto  di  Carlo  V  (l); 
e  più  tardi  quando  si  tentò  introdurre  nel  Regno  di  Na- 
poli l'Inquisizione,  com'era  in  Ispagna,  vediamo  i  Napole- 
tani ricorrere  a  Papa   Paolo   III,   perchè    voglia   proteg- 

(1)  Rohrbacher,  Storia  universale  della  Chiesa  cattolica  voi.  II,  lib.  83. 


—  74  — 
gerii,  fermi  di  non  ammettere  altra  forma  di  giudicio  che 
il  consueto  ed  antico  della  Chiesa  (l). 

lo.  Sapendo  d'aver  contrario  al  suo  sistema  quel  forte 
intelletto  di  sant'  Agostino  (2) ,  per  aver  detto  che  i  Re, 
secondo  vien  loro  imposto  dall'alto,  servono  a  Dio  co- 
mandando e  proibendo  non  solo  quei  beni  e  quei  mali, 
che  appartengono  alla  società  umana,  ma  eziandio  alla 
Religione,  conchiude  che  quell'anima  illibata  e  compassio- 
nevole scrisse  ciò  in  momento  di  pensieri  distratti  e  an- 
nebbiati. Ma  per  se  stesso  il  santo  Dottore  dalla  sciocca 
accusa  si  vendica  chiamando  dissennati  coloro,  che  ai  Re 
consigliano  di  non  curare  nel  loro  regno  da  chi  sia  ab- 
bracciata, da  chi  sia  impugnata  la  Chiesa,  e  contenersi  in 
modo  che  non  debba  loro  importare  chi  nel  regno  voglia 
essere  religioso  o  sacrilego  (3). 

17.  Riconosce  essere  gran  danno  d'uno  Stato  la  man- 
canza d'unità  nella  Religione,  ma  l'unità  prodotta  dalla 
violenza  dice  esser  danno  infinitamente  maggiore,  ed  anzi 
visibile  ingiustizia  e  tirannide.  Quasi  debba  dirsi  violenza 
il  legittimo  e  necessario  esercizio  del  potere  coattivo  d'una 
società,  e  non  sia  invece  manifesta  ingiustizia  e  odiosa  ti- 


(1)  Cf.  Istoria  del  Concilio  di  Trento  del  Card.  Sforza  Pallavicino, 
lib.  X,  cap.  I. 

(2)  Il  sa  non  dalle  Opere  di  sant'  Agostino,  ma  dalla  Teorica  della  Re- 
ligione e  dello  Stato  di  Terenzio  Mamiani. 

(3)  Postea  quam  coepit  impleri  quod  scriptum  est:  Et  adorahint  eum 
omnes  Reges  terrae,  omnes  gentes  servient  UH;  quis  mente  sobrius  Regibus 
dicati  Nolite  curare  in  regno  vestro  a  quo  teneatur  vel  a  quo  oppugnetur 
Ecclesia  Domini  vestri:  non  ad  vos  pertineat  in  regno  vestro  quis  velit  esse 
sive  religiosus  sive  sacrilegus.  S.  Augustinus,  Epist.  185  al.  50  ad  Bonif. 
Com.  n.  20. 


rannide  il  pretendere  d'escludere  dai  pubblici  atti  e  dagli 
uffizi  dello  Stato  quella  Religione  che,  fatta  eccezione  di 
pochi,  regna  nelle  singole  coscienze. 

18.  Erra  da  ultimo  quando  attribuisce  l'origine  del 
regio  placito  e  dell'appello  per  abuso  alla  diffidenza,  che 
gli  Stati  cristiani  aveano  della  Corte  Romana,  la  quale 
non  solamente  imperava  alle  coscienze,  ma,  come  civile 
potestà,  armava  galee,  levava  eserciti,  stringeva  alleanze 
e  dichiarava  la  guerra  (l). 

Di  regio  placito  non  si  ha  esempio  prima  di  Papa 
Urbano  VI,  il  quale,  durante  lo  scisma,  per  evitar  che  si 
confondessero  le  sue  Bolle  con  quelle  dell'antipapa  Cle- 
mente VII,  concesse  ai  Vescovi  che  non  si  promulgassero, 
né  si  eseguissero  le  Bolle  pontificie,  se  prima  non  fossero 
loro  presentate:  la  qual  concessione  da  principio  arrogan- 
dosi tacitamente  i  Principi,  tentarono  poi  d'elevarla  a  teo- 
rica di  diritto.  Ma  sempre  rivendicarono  i  Papi  la  libertà 
del  lor  ministero  fondata  sul  diritto  naturale  e  divino,  re- 
clamando contro  le  vessazioni  dello  Stato,  che  in  tal  modo 
s'attribuiva  il  diritto  d'impedire  l'azione  della  Chiesa,  con- 
tro la  istituzione  di  Cristo.  Questo  intollerabile  aggravio 
introdotto  tra  noi  per  l'editto  del  17 19  condannato  tosto 
da  Papa  Clemente  XI  (2),  pareva  dovesse  cessare  affatto 
dopo  la  famosa  legge  delle  guarentigie,  per  cui  la  pub- 
blicazione degli  atti  dell'Autorità  ecclesiastica  non  avrebbe 
dovuto  esser  più  soggetta  al  vincolo  del  regio  placito  (3): 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  80. 

(2)  Breve  Apostolaius  1719. 

(3)  «  Sono  aboliti  Y Exequatur  e  il  Placet  regio  ed  ogni  altra  forma 
di  assenso  governativo  per  la  pubblicazione  ed  esecuzione  degli  atti 
delle  autorità  ecclesiastiche  ».  Legge  del  13  Maggio  1871,  art.  15. 


—  76  — 
ma  per  contrario  in  virtù  di  reale  decreto  si  estese  e   si 
fece  notabilmente  più  rigido  (l). 

L'appello  per  abuso  trae  origine  dalla  prammatica  san- 
zione di  Carlo  VII  scritta  nell'assemblea  di  Bourges  ed 
informata  ai  principii  scismatici  del  Concilio  di  Basilea 
degenerato  in  conciliabolo,  colla  quale  si  pretendeva  metter 
freno  alle  riserve  dei  benefici  conferiti  dal  Sommo  Ponte- 
fice, ai  giudizii  devoluti  alla  Santa  Sede,  e  alle  tasse  che 
perciò  si  riscotevano  a  favore  dell'erario  papale.  Questo 
appello,  che  implica  evidentemente  superiorità  dello  Stato 
sulla  Chiesa,  essendo  l'appello  un  richiamo  da  un  giudice 
inferiore  al  superiore,  fu  sempre  condannato  dacché  co- 
minciò fino  a  questi  ultimi  tempi,  da  Sisto  IV  fino  a  Pio  IX, 
che,  condannando  gli  errori  di  Nepomuceno  Nuytz,  con- 
dannava anche  l'appello  per  abuso. 

(1)  Decreto  25  Giugno  1871,  n.  1529. 


77 


PARTE    SECONDA 

CONSEGUENZE  GIURIDICHE 

DELLA  SEPARAZIONE  DELLO  STATO  DALLA  CHIESA 


In  questa  parte  trattasi  prima  dell'organamento  e  della 
gerarchia  della  Chiesa  e  poi  dei  rapporti  giuridici  della 
Chiesa  collo  Stato. 

I. 

DELLA    GERARCHIA    DELLA    CHIESA. 

La  Chiesa  ,  istituita  perchè  gli  uomini  in  essa  e  per 
essa  potessero  conseguire  la  eterna  felicità,  ebbe  dal  suo 
Divin  Fondatore  la  potestà  a  raggiungere  questo  fine  ne- 
cessaria, cioè  la  sacra  gerarchia,  la  quale  consta  di  Ve- 
scovi, Preti  e  Ministri,  come  definisce  il  Concilio  di  Tren- 
to (l),  e  si  distingue  in  gerarchia  d'ordine  e  di  giurisdi- 
zione. 

La  gerarchia  d'  ordine  riguarda  il  ministero  sacro  ,  i 
beni  spirituali  che  si  devono  conferire  al  popolo  cristiano 
e  in  ispecial  modo  i  Sacramenti.   La  gerarchia   d'  ordine 

(l)  Sess.  XXIII  cap.  IV,  can.  VI. 


—  78  — 
è  uno  e  medesimo  ordine  ,  è  uno  e  medesimo  potere  in 
tutti  i  Vescovi.  È  uno  e  medesimo  ordine  ,  perchè  f  or- 
dine, quantunque  consti  di  più  gradi,  pure  è  uno  e  me- 
desimo Sacramento.  E  uno  e  medesimo  potere  in  tutti  i 
Vescovi,  perchè  né  i  Metropolitani,  né  i  Primati,  né  i  Pa- 
triarchi Vescovi,  né  lo  stesso  Sommo  Pontefice,  hanno  un 
ordine  distinto  dall'  Episcopato.  Riguardo  a  quelle  cose 
che  sono  proprie  dell'ordine,  nel  Vescovo  sta  la  pienezza 
del  potere,  il  quale  è  dato  da  Dio  stesso  immediatamente, 
senza  interposta  persona,  per  mezzo  dell'ordinazione;  per- 
chè ,  quantunque  si  formino  i  Sacramenti  col  ministero 
dell'uomo,  pure  la  loro  virtù  ed  efficacia  procede  da  Dio 
stesso  :  e  perciò,  quando  è  conferito  l'Ordine,  secondo  il 
rito,  da  chi  ne  ha  il  potere,  niente  osta  al  valore  del  Sa- 
cramento. Onde  a  colui  che  ricevette  il  potere  d'ordine  , 
si  potrà  certo  impedire  dal  Superiore  1'  uso  legittimo  di 
questo  potere  ,  ma  non  se  gliene  potrà  impedire  né  to- 
gliere ,  né  diminuire  1'  efficacia  e  il  valore.  Così  un  Ve- 
scovo scomunicato,  eretico,  scismatico,  se  conferisce,  se- 
condo il  rito  prescritto,  l'Ordine  o  la  Confermazione,  pecca 
sì  gravemente,  ma  l'ordinazione  e  la  confermazione  è  valida. 

La  gerarchia  d'  ordine  consta  di  sette  gradi ,  o  sette 
ordini  sacramentali,  che  sono  l'Ostiariato,  il  Lettorato,  l'E- 
sorcistato,  l'Accolitato,  il  Suddiaconato,  il  Diaconato  e  il  Sa- 
cerdozio. Al  Sacerdozio  si  riduce  il  Presbiterato  e  l'Epi- 
scopato, del  quale  si  disputa  tra  i  cattolici  se  sia  un  grado 
specificamente  distinto  dal  Presbiterato,  o  ne  sia  solo  un'e- 
stensione. 

Il  Concilio  di  Trento  (ì)  definì  che  l'Episcopato,  il  Pre- 
sbiterato e  il  Diaconato  sono  di  istituzione  divina. 

(l)  Loc.  cit. 


—  79  — 

Dei  Ministri  si  distinguono  due  specie,  i  maggiori,  e  i 
minori.  I  Ministri  maggiori  sono  il  diacono  e  il  suddia- 
cono, i  quali  si  dicono  maggiori,  perchè  circa  il  santo  sa- 
crificio della  Messa  spettano  loro  maggiori  uffizii  che  non 
ispettano  ai  Ministri  inferiori.  I  diaconi  furono  creati  da- 
gli Apostoli,  ma  per  mandato  di  Gesù  Cristo.  Gesù  Cristo 
istituì  1'  ordine  del  Diaconato,  e  gli  Apostoli  ordinarono  i 
primi  sette  diaconi  (l).  I  suddiaconi  son  dati  in  aiuto  ai 
diaconi  nel  sacro  ministero. 

Anticamente  nella  Chiesa  greca  e  latina  il  Suddiaco- 
nato si  annoverava  tra  gli  ordini  minori. 

La  Chiesa  greca  conservò  f  antica  consuetudine,  rite- 
nendo anche  al  presente  il  Suddiaconato  tra  gli  ordini 
minori. 

Ma  la  Chiesa  latina  nel  secolo  undecimo  sotto  Papa 
Urbano  II  annoverò  quest'  ordine  tra  i  maggiori.  Circa 
l'origine  e  la  istituzione  degli  ordini  minori  disputano  i 
canonisti.  Alcuni  li  fanno  risalire  ai  primi  tempi  degli  A- 
postoli,  altri  invece  a  tempi  posteriori.  Tuttavia  il  sacro- 
santo Concilio  di  Trento  (2)  insegna  che  i  nomi  e  i  mi- 
nisteri proprii  di  ciascun  di  questi  ordini  minori  erano  in 
uso  dagli  stessi  primordii  della  Chiesa,  benché  non  defi- 
nisca in  qual  tempo  siano  stati  instituiti  :  e  il  Sommo  Pon- 
tefice san  Cornelio  alla  metà  del  terzo  secolo  fece  distinta 
menzione  di  tutti  i  quattro  ordini  minori  (3).  Ciò  premesso, 
vuoisi  osservare  che  da  principio  gli  Apostoli  iniziarono 
sette  uomini  pieni  di  Spirito  Santo  e  di  sapienza  nel  Dia- 

(1)  Act.  Apost.  cap.  VI. 

(2)  Sess.  XXIII,  cap.  II  de  Ordine. 

(3)  Epist.  IX  ad  Fabium  Antiochenum. 


—  So  — 
conato,  che  comprende  i  poteri  e  gli  ufficii  del  Suddiaco- 
nato e  degli  ordini  minori  :  ma ,  secondo  V  opinione  più 
probabile  de  canonisti,  in  processo  di  tempo ,  poiché  non 
poteano  i  diaconi  compier  da  se  tutti  quegli  ufficii,  la 
Chiesa  smembrando  dal  Diaconato  i  diversi  ordini  gli  at- 
tribuì a  distinte  persone. 

La  gerarchia  o  potestà  di  giurisdizione  è  riposta  nel 
reggere  e  governare  i  sudditi:  sicché  dovendo  consistere 
tutta  in  questo  regime  e  governo,  non  può  aversi,  se  non 
vi  siano  sudditi  da  reggere  e  governare. 

La  giurisdizione  non  è  una  e  medesima  in  tutti;  per- 
chè dipendendo  essa  dal  comando  ,  che  si  ha  nei  sudditi 
e  non  essendo  in  tutti  uno  e  medesimo  questo  comando, 
ne  segue  che  non  sia  una  e  medesima  in  tutti  la  giuris- 
dizione ,  ma  che  abbia  gradi  diversi.  Così  altra  è  la  giu- 
risdizione del  Vescovo  ,  che  comanda  ad  una  diocesi,  al- 
tra la  giurisdizione  del  Metropolitano  ,  che  comanda  ad 
una  provincia,  altra  la  giurisdizione  del  Sommo  Pontefice, 
che  comanda  a  tutta  la  cristianità,  e  che,  secondo  la  isti- 
tuzione divina,  è  come  il  capo  e  il  centro  ,  per  cui  sono 
unite  tutte  le  altre  membra  della  Chiesa. 

Il  potere  di  giurisdizione  non  è  collegato  in  modo  col 
potere  d'ordine  che  non  si  possa  separare  da  esso  ;  per- 
chè, quantunque  Gesù  Cristo  abbia  istituito  l'Episcopato 
pel  governo  della  Chiesa,  pure  da  ciò  non  si  può  inferire 
che  chiunque  abbia  ricevuto  l'ordinazione  episcopale,  per 
ciò  stesso  possa  esercitare  Y  ufficio  di  governare.  Così,  per 
esempio,  un  eretico  ordinato  da  un  eretico,  uno  scismatico 
ordinato  da  uno  scismatico,  se  fu  osservato  tutto  ciò  che 
è  essenziale  nell'ordinazione,  ha  bensì  il  potere  di  ordine, 
ma  non  ha  il  potere  di  giurisdizione,  perchè  non  ha  sud- 


—  81  — 
diti  da  governare.  In  questa  condizione  si  trovano  il  Ve- 
scovo di  Utrech  e  gli  altri  Vescovi  giansenisti  di  Olanda, 
i  quali  benché  insigniti  del  potere  d'  ordine,  avendo  rice- 
vuto validamente  1'  ordinazione,  non  hanno  tuttavia  giuris- 
dizione  alcuna,  perchè  non  ebbero  la  missione  canonica. 

Ed  è  sì  vero  non  potersi  da  alcuno  esercitare  la  giu- 
risdizione per  mezzo  della  semplice  ordinazione  ,  se  egli 
non  ha  anche  la  legittima  missione,  che  ciò  confessano  e- 
ziandio  coloro  ,  i  quali  insegnano  venire  immediatamente 
da  Dio  il  potere  episcopale  anche  di  giurisdizione  ;  per- 
chè dato  pure  che  i  Vescovi  abbiano  da  Gesù  Cristo  im- 
mediatamente la  loro  giurisdizione,  non  hanno  tuttavia  da 
lui  immediatamente  un  particolare  territorio  ,  una  parti- 
colare diocesi ,  giacché  la  divisione  delle  diocesi  fu  fatta 
dalla  Chiesa  col  volger  del  tempo,  né  si  potè  fare,  né  si 
potè  perpetuare,  se  non  col  consenso  del  capo,  in  cui  è 
il  centro  della  cattolica  unità. 

Perchè  i  Vescovi  abbiano  il  potere  d'ordine  e  di  giu- 
risdizione, devono  avere  e  l'ordinazione  e  la  legittima  mis- 
sione, per  cui  sieno  loro  assegnati  determinati  sudditi,  nò 
quali  possano  esercitare  il  comando.  Questa  assegnazione 
di  sudditi  si  dee  fare  da  colui ,  al  quale  son  soggetti  i 
Vescovi,  e  il  cui  potere  si  estende  su  tutta  la  cristianità, 
cioè  dal  Sommo  Pontefice  capo  e  principe  della  Chiesa  , 
il  quale  nella  persona  di  san  Pietro  ricevette  immediata- 
mente da  Gesù  Cristo  il  potere  su  tutto  il  mondo.  Onde 
la  missione  ossia  l'assegnazione  dei  sudditi  da  governare 
dee  farsi  ai  Vescovi  dal  Sommo  Pontefice  o  almeno  col 
consenso  e  coli'  approvazione  di  lui.  Così  tutti  i  Vescovi 
conseguono  il  potere  di  giurisdizione  (l). 

(l)  Cf.  Istoria  del  Concilio  di  Trento  del  Card.    Sforza  Pallavicini. 

6 


—  82  — 

La  divisione  della  Chiesa  in  diocesi  ,  provinole  ,  na- 
zioni o  primazie,  patriarcati  adombrata  dagli  Apostoli  fu 
compiuta  e  stabilita  definitivamente  dalla  Chiesa  per  mezzo 
dei  Sommi  Pontefici. 

Questo  organamento  esterno  ha  il  proprio  fondamento 
sulla  costituzione  data  alla  Chiesa  da  Gesù  Cristo  e  sulla 
natura  del  potere  da  lui  conferito  a  san  Pietro  e  agli  al- 
tri Apostoli. 

Circa  ad  alcuni  singolari  carismi  e  speciali  doni  sopran- 
naturali dati  agli  Apostoli,  per  esempio,  dei  miracoli,  delle 
profezie,  delle  lingue  e  della  impeccabilità,  essi  erano  dati 
da  Cristo  a  tutti  gli  Apostoli  indistintamente,  perchè  po- 
tessero con  questi  provare  la  loro  missione  e  la  divina 
istituzione  della  Chiesa. 

Quanto  al  potere  di  ordine  ,  Gesù  Cristo  lo  diede  u- 
guale  assolutamente  a  tutti  gli  Apostoli,  sicché  anche  san 
Pietro  in  questo  non  avea  distinzione  alcuna  dagli  altri. 

Ma  quanto  al  potere  di  giurisdizione,  Gesù  Cristo  con- 
ferì il  primato  a  san  Pietro  su  tutta  la  Chiesa,  primato  non 
di  solo  onore,  ma  di  vera  giurisdizione,  in  virtù  del  quale 
non  pure  tutti  i  fedeli  e  i  Preti  e  i  Vescovi  ordinati  da- 
gli Apostoli  erano  soggetti  a  san  Pietro,  ma  anche  gli  stessi 
Apostoli  gli  eran  soggetti  nell'uso  del  loro  potere.  E  que- 
sto primato  conferito  a  san  Pietro,  pel  buon  governo  di 
tutta  la  Chiesa,  non  era  una  prerogativa  personale  ,  che 
dovesse  cessare  colla  morte  del  Principe  degli  Apostoli , 
ma  era  privilegio  che  dovea  trasmettersi  a  suoi  succes- 
sori, ai  Sommi  Pontefici. 


lib.   18,  cap.   15,  ove  si  riferisce  il  famoso  ragionamento  di  Diego  Lai- 
nez  intorno  all'  instiluzion  dei  Vescovi. 


—  83  - 

Gesù  Cristo  inoltre  ai  dodici  Apostoli  eh'  egli  elesse 
per  comunicar  loro  la^sua  missione,  diede  il  doppio  uf- 
fizio dell'apostolato  e  dell'  episcopato,  e  in  ordine  a  que- 
sto doppio  uffizio  diede  loro  anche  un  doppio  potere  che 
può  chiamarsi  potere  di  Apostolato  e  potere  di  Episcopato. 

Il  potere  di  Apostolato  consiste  nella  potestà  che  gli 
Apostoli  ricevettero  di  predicare  e  propagare  il  Vangelo, 
di  ammaestrare  infallibilmente  tutte  le  genti  e  a  viva  voce 
e  con  iscritti  canonici,  di  fondar  chiese  particolari,  di  co- 
stituirvi Vescovi ,  di  prescrivere  comandi  e  leggi  ai  Ve- 
scovi così  da  loro  costituiti  e  ai  loro  sudditi,  in  breve  di 
far  tutte  quelle  cose  che,  per  parte  dell'ordine  o  per  parte 
della  giurisdizione,  fossero  necessarie  allo  stabilimento  della 
Chiesa  universale,  salvo  sempre  il  primato  di  san  Pietro, 
a  cui  erano  soggetti  nell'uso  del  loro  potere. 

Il  potere  dell'Episcopato  consiste  invece  nella  potestà 
che  gli  Apostoli  ricevettero  di  predicare,  dì  far  leggi,  di 
amministrare  Sacramenti  per  sé  e  per  mezzo  di  altri  pa- 
stori, di  far  cioè  tutte  quelle  cose,  sia  in  virtù  dell'ordine, 
sia  in  virtù  della  giurisdizione  ,  eh'  erano  necessarie  per 
fondare  e  governare  questa  o  quella  Chiesa  particolare. 

Quindi  gli  Apostoli  fondando  le  Chiese  particolari,  per 
esempio,  san  Pietro  la  Chiesa  Antiochena  e  poi  la  Chiesa 
Romana,  san  Giacomo  la  Gerosolimitana,  san  Giovanni  varie 
Chiese  in  Asia,  e  così  altri  Apostoli  altre  Chiese,  tutti  con- 
correvano sotto  un  solo  capo  a  stabilire  la  Chiesa  uni- 
versale. Questo  doppio  potere  in  ragione  del  doppio  uf- 
fizio di  Apostolato  e  di  Episcopato  fu  dato  agli  Apostoli 
da  Gesù  Cristo.  Il  potere  conferito  in  ragione  dell'  Apo- 
stolato era  eguale  in  tutti  gli  Apostoli  ,  ma  conferito  in 
modo  ineguale.  Era  in  tutti  eguale,  perchè  un  tal  potere 


-84- 
era  necessario  in  tutti  ,  per  istabilir  la  Chiesa  in  tutto  il 
mondo:  era  conferito  in  modo  ineguale;  perchè  a  san  Pie- 
tro era  conferito  come  a  Pastore  ordinario,  a  tutti  gli  al- 
tri  Apostoli,  come  a  Pastori  straordinari. 

Perciò  in  san  Pietro  anche  il  potere  di  Apostolato  era 
ordinario,  e  come  tale  da  lui  dovea  passare  nei  successori: 
negli  altri  Apostoli  invece  era  straordinario  e  quindi  non 
potea  passare  nei  successori. 

Il  potere  poi  conferito  in  ragione  dell'Episcopato  era 
e  ineguale  e  conferito  in  modo  ineguale.  Era  ineguale  , 
perchè  il  potere  di  governo  in  san  Pietro  si  estendeva  a 
tutte  affatto  le  Chiese  particolari  in  ragione  del  primato  : 
negli  altri  Apostoli  invece  si  estendeva  solo  a  quelle  Chiese 
eh'  essi  fondavano.  Era  poi  anche  conferito  in  modo  ine- 
guale ;  perchè  questo  potere  in  san  Pietro  si  protendeva 
sopra  gli  altri  Apostoli  in  ragione  pure  del  primato:  ma 
negli  altri  Apostoli  non  si  protendeva  sopra  san  Pietro.  Sic- 
come poi  gli  Apostoli  in  virtù  del  potere  di  Apostolato 
potevano  fondar  Chiese  particolari  e  costituirvi  Vescovi,  e 
ai  Vescovi  in  tal  modo  costituiti  dar  precetti  e  leggi  e  fa- 
coltà di  costituire  nuovi  Vescovi  per  le  città,  secondo  che 
il  richiedeva  il  bisogno  (l)  ;  così  i  nuovi  Vescovi  conse- 
crati  erano  quanto  alla  giurisdizione  dipendenti  dai  Ve- 
scovi consecratori,  loro  ubbidivano  immediatamente,  come 
ora  i  Suffraganei  ubbidiscono  in  alcune  cose  ai  Metropo- 
litani, e  i  Vescovi  consecratori  ubbidivano  immediatamente 
agli  Apostoli ,  come  ora  i  Metropolitani  ai  Primati  o  ai 
Patriarchi,  in  ciò  che  è  indicato  dal  diritto,  e  tutti  poi  an- 

(l)  Epist.  ad  Tit.  Ivo.    Huius  rei  gratta   réliqui  te  Cretae,  ut  con- 
stituas  per  civitates  presbyteros,  sicut  et  ego  disposili  Ubi. 


—  85  - 
che  gli  Apostoli  erano  soggetti  a  san  Pietro  come  a  capo 
di  tutta  la  Chiesa. 

Così  la  divisione  in  diocesi,  provinole,  nazioni,  patriar- 
cati si  stabilì ,  come  già  fu  detto  ,  definitivamente  nella 
Chiesa:  sicché  anche  la  gerarchia  di  giurisdizione  si  può 
distinguere  in  sette  gradi  cioè  :  1°  la  Prelatura  inferiore 
al  Vescovato  :  2°  il  Vescovato:  3°  l'Arcivescovato  :  40  la  Pri- 
mazia :  5°  il  Patriarcato  :  6°  il  Cardinalato  :  7°  il  Papato. 

Ora  prescindendo  dai  privilegi  particolari,  che  furono 
conferiti  agli  Apostoli  personalmente,  e  che  doveano  ces- 
sare colla  loro  morte,  il  potere  conferito  a  san  Pietro  gli 
fu  conferito  immediatamente  da  Gesù  Cristo  in  tutta  la 
sua  pienezza,  e  nella  persona  di  san  Pietro  tal  potere  fu 
conferito  a'suoi  successori  i  Romani  Pontefici,  i  quali  per- 
ciò non  hanno  la  potestà  loro  dalla  Chiesa  o  dai  canoni, 
come  pretendono  i  Giansenisti,  ma  da  Gesù  Cristo  stesso: 
e  quantunque  non  abbiano  sempre  esercitati  tutti  i  loro 
diritti ,  secondo  la  diversità  dei  tempi ,  dei  luoghi ,  delle 
persone  e  delle  altre  circostanze  ,  pure  potevano  sempre 
esercitarli,  e  dopo  aver  lasciato  esercitarne  dai  Metropo- 
litani e  dai  Concilii  provincfali,  poscia  gli  avocarono  di  nuovo 
a  sé  e  li  rivendicarono,  secondo  il  bisogno  della  Chiesa  , 
come  si  legge  aver  fatto  san  Siricio,  sant'Innocenzo  I,  san 
Zosimo  ed  altri  Sommi  Pontefici,  i  quali  stabilivano  i  con- 
fini delle  provincie  ,  determinavano  i  diritti  dei  Metropo- 
litani e  confermavano  0  rescindevano  le  elezioni  dei  Ve- 
scovi, annullavano  i  giudizii  pronunziati  ed  altri  atti  dei 
Metropolitani  e  dei  Concilii  provinciali  :  dei  quali  esempi 
è  piena  la  storia  ecclesiastica.  Anche  i  Padri  di  Basilea , 
quando  quel  Concilio  era  ancora  legittimo,  dichiararono 
com'  essi  confessavano  e  credevano,  che  il  Romano  Ponte- 


—  86  — 
fice  fosse  chiamato  da  Gesù  Cristo  nella  pienezza  del  po- 
tere, e  gli  altri  Vescovi  fossero  chiamati  in  parte  della  sol- 
lecitudine di  questo  potere. 

Al  Papa  fu  data  immediatamente  da  Gesù  Cristo  a  go- 
vernare tutta  la  Chiesa:  ai  Patriarchi  son  date  per  mezzo 
del  Papa  a  governar  più  nazioni  o  primazie  ,  ai  Primati 
più  provincie  o  metropoli,  ai  Metropolitani  più  diocesi  o 
vescovati,  al  Vescovo  una  diocesi.  Il  governo,  che  i  Pre- 
lati inferiori  al  Papa  hanno  nella  Chiesa,  è  diverso  ,  se- 
condo i  diversi  gradi  di  giurisdizione ,  e  secondo  i  limiti 
indicati  dai  canoni  o  dal  Sommo  Pontefice. 

Ma  siccome  dalle  Chiese  particolari  si  ha  la  Chiesa  cat- 
tolica o  universale,  e  la  Chiesa  universale  non  può  aversi, 
se  non  si  congiungono  insieme  tutte  le  Chiese  particolari, 
e  queste  non  si  possono  congiungere  ,  se  non  hanno  un 
centro  comune  ossia  una  Chiesa  principale,  che  è  la  Ro- 
mana ;  così  i  Vescovi  delle  singole  diocesi  devono  esser 
congiunti  coi  loro  Metropolitani ,  i  Metropolitani  coi  loro 
Primati,  se  ve  ne  hanno,  i  Primati  coi  Patriarchi,  e  que- 
sti col  Sommo  Pontefice  capo  e  centro  di  tutta  la  Chiesa. 

La  Prelatura  inferiore  all'Episcopato  dicesi  quella  che 
coll'annessa  dignità  importa  una  giurisdizione  sotto  la  di- 
pendenza del  Vescovo  o  anche  una  giurisdizione  esente 
dall'ordinario,  come  è  la  Prelatura  degli  abati,  che  hanno 
giurisdizione  quasi  episcopale. 

Il  Cardinalato  è  dignità  anche  più  eminente  del  Pa- 
triarcato; perchè  i  Cardinali  formano  il  senato  del  Sommo 
Pontefice,  e  al  Sacro  Collegio  non  solo  è  devoluta  la  ele- 
zione del  Papa;  ma  spetta  anche  governare  la  Chiesa,  du- 
rante la  vacanza  della  Sede  Romana. 

Tale  è  la  vera  dottrina  che  abbatte  quanto  intorno  alla 


gerarchia  della  Chiesa  insegna  il  Castagnola,  delle  cui  er- 
ronee asserzioni  ,  inesattezze  e  contraddizioni ,  come  ab- 
biam  fatto  sinora,  accenneremo  solo  qualche  saggio. 

1°  Confonde  il  Concilio  generale  col  Concilio  partico- 
lare ,  a  cui  presiede  il  Patriarca  (l)  ,  mostrando  così  di 
non  conoscer  la  differenza  che  passa  tra  il  Concilio  pa- 
triarcale, a  cui,  oltre  il  Patriarca,  intervengono  i  Vescovi 
delle  varie  nazioni  del  patriarcato,  e  il  Concilio  generale 
a  cui  intervengono  Vescovi  anche  d'ogni  nazione  e  in  nu- 
mero notabile,  ma  che  o  per  mancanza  dell'  autorità  del 
Sommo  Pontefice  o  per  qualche  altra  ragione  non  si  suole 
annoverare  tra  gli  ecumenici  (2).  Così  chiamansi  Concilii 
generali  i  Concilii  di  Sardica,  di  Pisa  e  di  Costanza,  quan- 
tunque   nessuno  di  essi  possa  dirsi  Concilio  patriarcale. 

2°  Insegna  non  già  che  la  sacra  gerarchia  è  di  istitu- 
zione divina  e  che  quindi,  quanto  alla  sostanza,  è  al  pre- 
sente com'era,  quando  fu  fondata  la  Chiesa,  ma  che  «  non 
è  venuta  fuori  tutta  d'  un  getto...  si  sviluppò  lentamente 
secondo  le  opportunità  e  le  esigenze  della  crescente  cri- 
stiana famiglia  ,  e  quando  fu  più  adulta  ,  subì  più  volte 
l'influenza  della  società  civile  e  del  politico  ordinamento, 
sul  quale  ebbe  assai  soventi  a  plasmarsi  (3)  »  e  che  «  nei 
primi  tempi  della  Chiesa  questa  gerarchia  non  si  avea  al- 
tro vincolo  tranne  quello  soave  della  fratellanza  e  ca- 
rità (4)  ».  E  dicendo  tutto  questo-  non  solo  contraddice 
alla  storia,  la  quale  racconta  che  la  società  civile  e  il  po- 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  84. 

(2)  Cf.  Elementa  theol.  dogm.  op.  F.  X.  Schouppe  S.  I.  tom.  I, 
tract.  I  n.  88. 

(3)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  86. 

(4)  Ivi- 


—  SS  — 
litico  ordinamento  sentì  più  volte  l'influsso  della  maravi- 
gliosa  gerarchia  della  Chiesa,  ma  inoltre  mostra  insinuare 
che  il  vincolo  della  carità  e  fratellanza  debba  escludere 
il  potere  legislativo,  giudiziale  e  coattivo,  essenziale  a  qua- 
lunque perfetta  società. 

3°  Sull'autorità  dell'  inglese  Edoardo  Gibbon  afferma 
che  i  vocaboli  Vescovi  e  Preti  «  nella  loro  prima  origine 
indicarono  lo  stesso  ufficio  e  lo  stesso  ordine  di  persone:  » 
anzi  aggiunge  che  anticamente  anche  i  laici  concorrendo 
alla  elezione,  quando  il  seggio  episcopale  diventava  va- 
cante «  si  reputavano  investiti  d'un  sacro  carattere  ,  sic- 
come ce  ne  fa  fede  Tertulliano,  allorché  scriveva:  (l) 
Nonne  et  laici   sacerdotes   sumus  ?  »  (2). 

Qui  si  pretende  sostenere  che  nei  primi  tempi  della 
Chiesa  non  si  avesse  distinzione  tra  Vescovi  e  Preti,  anzi 
nemmeno  tra  cherici  e  laici.  Ma  qual  maraviglia  che  il  Ca- 
stagnola sostenga  errori  così  gravi?  Attinge  la  sua  scienza 
canonica  non  dai  canoni  della  Chiesa  0  almeno  da  un  sano 
canonista,  ma  da  uno  storico  protestante  colla  mente  piena 
dei  pregiudizii  e  degli  errori  dei  presbiteriani  inglesi.  Quindi 
non  dee  parer  cosa  strana  s'egli  ignora  che  i  Vescovi  come 
nel  potere  di  giurisdizione  anche  nei  primi  tempi  erano 
inferiori  al  successore  di  san  Pietro,  che  comanda  a  tutti 
i  cristiani  in  ragione  del  primato;  così  nel  potere  d'ordine 
anche  allora  erano  superiori  ai  Preti ,  onde  fin  dalla  re- 
mota antichità  cristiana  son  chiamati  Sommi  Sacerdoti  , 
Pontefici  Massimi  e  Principi  dei  Sacerdoti  (3):  né  è  a  ma- 

(1)  Exhort.  ad  castit.  cap.  7. 

(2)  S.   Castag.  op.  cit.  p.  89. 

(3)  Anticamente  i  Vescovi ,  a  differenza  dei  Preti,  dicevansi  Stimmi 


—  89  — 

ravigliarsi  se  non  sa  che  Tertulliano  in  senso  improprio 
chiama  Sacerdoti  i  credenti  per  1'  altissima  dignità  della 
fede  cristiana,  in  quel  medesimo  senso  che  l'Apostolo  san 
Pietro  chiama  i  cristiani  Re  e  Sacerdoti  (l),  cioè  non  già 
perchè  sieno  propriamente  tali ,  ma  perchè  son  membri 
del  corpo  mistico  di  Cristo  Re  e  Sacerdote,  e  perchè  son 
dediti  al  divin  culto  e  chiamati  al  Regno  di  Dio. 

4°  Ignaro  della  storia  ecclesiastica  assegna  alla  metà 
del  secondo  secolo  la  istituzione  dei  sinodi  provinciali , 
senza  far  neppur  menzione  del  Concilio  gerosolimitano 
tenuto  nel  primo  secolo:  e  sogna  come  una  sorta  di  lega 
fra  le  Chiese  della  Grecia  e  dell'Asia  prima  indipendenti, 
mediante  i  sinodi  (2),  senza  indicare  a  quale  scopo  e  come 
si  stringesse  quella  lega  ,  quando  pur  si  sa  che  nel  se- 
condo secolo,  ad  eccezione  dei  sinodi  di  Gerapoli  e  di  Roma, 
e  di  quello  adunato  da  Policrate  di  Efeso  ,  non  si  tenne 
forse  altro  sinodo,  per  lo  infierir  della  persecuzione:  e  solo 
nel  secolo  terzo  vediamo  celebrarsi  Concilii  con  maggior 
frequenza,  i  Cartaginesi,  il  Romano,  in  cui  son  condannati 
i  Novaziani,  e  i  due  Concilii  di  Antiochia,  in  cui  son  pro- 
scritti gli  errori  di  Paolo  Samosateno. 

5°  Sulla  fede  del  Barbosa  ci  fa  sapere  che  la  voce 
«  Metropolitano  »  è  perfettamente  sinonima  della  voce 
«  Arcivescovo  »  (3).  Il  che  è  falso.    Quantunque  queste 

Sacerdotes,  Pontifices  Maximi ,  Principes  Sacerdohim  ,  Antistites  Ecclesiae. 
Cf.  Thom.  Mariae  Mamachi  Orig.  et  antiq.  Christian,  tom.  IV  lib.  IV 
cap.  IV  parag.  I.  n.  Vili. 

(1)  I  Pet.  II  v.  9.   Vos  autem  genus  ehctum,  regale   sacerdotium,  gens 
sancta,  populus  acquisitionis. 

(2)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  89. 

(3)  Ivi  p.  90. 


—  QO  — 

due  voci  si  usino  talora  promiscuamente,  pure  non  sono 
perfetti  sinonimi;  perchè  ogni  Metropolitano  è  sempre  Ar- 
civescovo, ma  non  ogni  Arcivescovo  è  sempre  Metropo- 
litano ,  giacche  la  voce  Arcivescovo  indica  solo  dignità  : 
la  voce  Metropolitano  indica  anche  giurisdizione.  Così,  per 
esempio,  Mons.  Federico  Foschi,  che  al  presente  occupa 
la  sede  di  Perugia ,  benché  sia  Arcivescovo  ,  pure  non 
è  Metropolitano,  nò  ha  quindi  come  il  Metropolitano  Ve- 
scovi suffraganei  sotto  la  sua  dipendenza. 

ó.  Dopo  avere  affermato  che  «  i  diaconi  sono  i  mi- 
nistri non  delle  cose  materiali,  ma  della  Chiesa  di  Dio  »  (i) 
ecco  che  subito  (2)  afferma  il  contrario,  dicendo  che  «  gli 
ordini  minori  non  sono  se  non  uno  smembramento  del  dia- 
conato ossia  del  ministero  temporale  ecclesiastico  ». 

7°  Considera  il  Suddiaconato  come  già  annoverato  tra 
gli  ordini  maggiori  fin  dal  secolo  ottavo,  laddove  è  certo 
che  anche  nella  Chiesa  latina  avanti  della  seconda  metà 
del  secolo  undecimo,  cioè  prima  di  Papa  Urbano  II,  era 
annoverato  dalla  Chiesa  tra  gli  ordini  minori. 

8°  Dà  nuova  testimonianza  di  imperizia  nelle  cose  ec- 
clesiastiche allorché  fa  avvertire  (3)  «  che  la  provincia 
ecclesiastica  non  corrisponde  alla  nostra  provincia  ammi- 
nistrativa, ma  la  supera  di  molto  in  estensione:  sarebbe 
piuttosto  l'equivalente  della  regione ,  quale  la  proponeva 
come  novella  circoscrizione  amministrativa  il  ministro  Min- 
ghetti  col  disegno  di  legge  presentato  il  13  marzo  alla 
Camera  elettiva  ». 


(1)  Ivi  p.  90. 

(2)  Ivi  p.  91. 

(3)  Ivi  P.  93. 


—  91  — 

Ma  prima  avrebbe  dovuto  avvertire  egli  stesso  la  grande 
varietà  che  intorno  alla  circoscrizione  delle  provincie  fu 
sempre  in  uso  nella  Chiesa,  secondo  la  diversità  dei  tempi, 
degli  Stati,  dei  bisogni  e  delle  condizioni  dei  popoli.  Con 
questa  semplice  avvertenza  avrebbe  conosciuto  che,  sic- 
come anche  al  presente  vi  sono  provincie  ecclesiastiche 
più  estese  della  regione;  così  pure  ve  ne  sono  altre  meno 
estese  delle  nostre  provincie  amministrative,  come  è  nel- 
f  isola  di  Sardegna  la  Chiesa  metropolitana  di  Oristano  , 
che  ha  solo  per  suffraganea  la  Chiesa  d'Ales  e  Terralba. 

9°  I  proprii  pregiudizii,  le  proprie  contraddizioni  ag- 
grava coi  pregiudizii  e  colle  contraddizioni  altrui  ,  rife- 
rendo «  che,  se  nei  primi  tempi  della  Chiesa  non  era  nep- 
pur  appariscente  l'ecclesiastica  gerarchia,  tanto  meno  ap- 
pariva il  primato  del  Vescovo  di  Roma  »  al  quale  però, 
come  aggiunge  poco  dopo  «  non  può  contestarsi  che  an- 
che in  quei  primi  tempi  un  primato  venisse  riconosciuto  »  (l). 
Qui  pure  asserisce  che  allora  «  il  governo  ecclesiastico 
continuava  ad  essere  paterno,  era  quello  di  una  grande 
famiglia  e  di  un'oppressa  famiglia,  talché  la  suprema  po- 
testà non  aveva  occasione  di  spiegarsi,  non  aveva  mezzi 
di  libertà  d'azione  ».  E  poco  dopo:  «  L'autorità  del  Ve- 
scovo era  quasi  sovrana  ed  assoluta,  giacche  il  Vescovo 
presiedeva  ad  ogni  cosa  e  tutto  decideva  ». 

Quanto  sieno  false  le  due  riferite  proposizioni  intorno 
alla  ecclesiastica  gerarchia  e  al  primato  del  Romano  Pon- 
tefice, noi  potremmo  dimostrare  con  irrefutabili  prove 
desunte  dalla  Sacra  Scrittura  ,  dalla  Tradizione  e  dalla 
Storia:  ma  non  vogliamo    dilungarci   su  tale  argomento  ; 

(1)  Ivi  P.  97. 


—  92  — 
perchè  non  crediamo  conveniente  discutere  sulla  semplice 
asserzione  di  chi  tanto  arditamente  afferma  o  nega  in  una 
materia,  che  mostra  di  non  conoscere  affatto. 

10°  Allorché  tocca  della  contesa  sorta  tra  il  Vescovo 
di  Cartagine  san  Cipriano  e  Papa  santo  Stefano  ,  crede 
forse  doverci  mettere  in  imbarazzo  affermando  che  «  la 
dura  alternativa  di  censurare  il  Papa  oppure  un  santo 
ed  un  martire,  disturba  i  cattolici  moderni  »  (l). 

Noi  gli  rispondiamo  francamente  che  i  moderni  cattolici 
pensano  come  pensavano  i  cattolici  antichi,  i  quali  sapeano 
bensì  che  il  Vescovo  di  Cartagine  non  era  né  si  potea  dir 
santo,  finché  resisteva  al  Papa:  ma  sapeano  pure  che  una 
colpa  espiata  da  sincero  pentimento,  massime  se  preceduta 
da  eroiche  virtù  e  seguita  poi  dal  martirio,  non  esclude 
l'aureola  della  santità:  e  chela  colpa  cji  Cipriano  avvenisse 
con  tali  congiunture  di  cose  il  sapeano  i  cattolici  da  san- 
t'Agostino, dal  venerabile  Beda  e  dagli  stessi  Romani  Pon- 
tefici, i  quali  essendo  vindici  del  culto  cattolico  e  dovendo 
sostenere  l'autorità  propria  nell'autorità  di  santo  Stefano, 
non  avrebbero  potuto  tollerare  che  si  venerasse  sugli  al- 
tari chi  avesse  offeso,  senza  poi  pentirsene  e  farne  emenda, 
la  maestà  del  Romano  Pontificato. 

11°  Tenta  vituperare  la  gloriosa  memoria  di  san  Ni- 
colò I,  uno  dei  più  illustri  Pontefici,  che  abbiano  onorato 
la  Sedia  Romana.  Lo  chiama  monaco  di  spiriti  fieri  ed  ar- 
denti, che  seppe  trarre  a  profitto  della  Chiesa  di  Roma 
la  collezione  delle  false  decretali  di  Isidoro  mercatore;  e 
col  Guizot  (2)  lo  accusa  che  per  opera  di  lui  «  le  Chiese 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  96. 

(2)  Histoire  de  la  civilisation  en  Europe  legon  XXIX. 


—  93  — 
nazionali  furono  vinte   nella   persona  d'  Incmaro,  come  i 
Sovrani  temporali  in  quella  di  Lotario  »  (l). 

Questo  gran  Papa  è  detto  monaco  e  non  fu  monaco 
mai;  ci  è  dipinto  di  spiriti  fieri  ed  ardenti  ,  e  si  segnalò 
per  singolare  dolcezza  e  per  tenerissima  compassione 
verso  i  poveri  e  gli  infelici;  si  vuole  astuto  ed  ambizioso, 
e  solo  per  adempiere  al  debito  suo  di  ristorar  la  eccle- 
siastica disciplina  diede  prova  di  eroico  coraggio  e  fer- 
mezza apostolica,  sia  nel  punire  i  vizii  dei  grandi,  sia  nel 
vendicare  la  calunniata  e  tradita  innocenza  (2).  Nò  val- 
sero a  smuoverne  la  costanza  ,  le  minacce  e  i  pericoli,  e 
quando  egli  fu  costretto  a  cassare  gli  atti  del  Concilio  di 
Soissons  tenuto  da  Incmaro  Arcivescovo  di  Reims  contro 
il  Vescovo  Rotado  ,  il  quale  vedutosi  annullare  da  quel 
Metropolitano  una  sentenza  che  condannava  un  indegno 
Prete  della  sua  diocesi,  avea  appellato  al  Sommo  Ponte- 
fice: e  quando  a  Lotario  di  Lorena  ingiunse  di  ripren- 
dere la  sposa  Teutberga  ,  eh'  avea  calunniando  ripudiata 
per  isposare  Valdrada:  e  quando  depose  dal  loro  seggio 
Gontiero  Arcivescovo  di  Colonia  e  Teutgado  Arcivescovo 
di  Treveri  ,  che  con  ingiusto  giudizio  in  tre  Concilii  di 
Aquisgrana  avean  favorito  l'adultero  Sovrano:  nel  che  quel 
santo  Pontefice  diede  esempio  di  rara  accortezza  mostrando 
qual  conto  facesse  della  confessione  del  delitto  estorta  alla 
regina  Teutberga  per  mezzo  della  tortura  ,  e  come  non 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   100. 

(2)  Lo  stesso  Ruggero  Bonghi,  parlando  dei  Pontefici  ch'ebbero  il 
nome  di  Leone,  mostra  pure  quanto  grande  fosse  Papa  Nicolò  1,  di- 
cendo: «  Il  primo  davvero  grande  ha  pochi  nomi  che  nella  lunga  sto- 
ria del  Papato  stanno  al  pari  del  suo,  Innocenzo  I  forse,  Nicolò  I,  Gre- 
gorio il  Grande,  Gregorio  VII,  Alessandro  III;  nessuno  l'avanza  ». 
Leone  XIII  e  l'Italia  p.  4. 


—  94  — 
si  lasciasse  ingannare  neppure  alla  relazione  dello  stesso 
suo  legato  Rodoaldo  corrotto  dall'oro  di  Lotario.  Né  per 
compiere  questi  atti  della  suprema  sua  autorità  pontifi- 
cale area  bisogno  Nicolò  di  ricorrere  alle  false  decretali 
d'Isidoro.  Egli  ben  conosceva  che  il  suo  diritto  sui  Prin- 
cipi cristiani  era  fondato  nella  Scrittura  e  nella  Tradi- 
zione :  onde  cinque  secoli  innanzi  san  Gregorio  Nazian- 
zeno  ai  Principi  e  ai  Prefetti  secolari  già  diceva  che  an- 
ch'essi dalla  legge  di  Cristo  erano  assoggettati  all'  impe- 
rio della  Chiesa  (l);  e  sant'Ambrogio  Arcivescovo  di  Mi- 
lano potea  già  impedire  all'Imperatore  l'ingresso  in  Chiesa 
e  imporgli  pubblica  penitenza.  Egli  ben  conosceva  che 
la  giurisdizione  da  lui  esercitata  sui  Metropolitani  era  giu- 
risdizione inerente  al  primato  e  sostanzialmente  esercitata 
già  da  tutti  i  suoi  antecessori,  secondo  che  il  richiedeva 
il  bene  della  cristianità.  Basterebbe  citare  solo  alcuni  atti 
di  Papa  san  Leone  Magno,  che  precedette  di  ben  quattro 
secoli  san  Nicolò  nel  governo  della  Chiesa.  San  Leone  al 
Metropolitano  di  Aquilea  ordina  di  adunare  un  sinodo  per 
obbligare  tutti  i  cherici  sospetti  di  pelagianismo  a  con- 
dannare in  iscritto  quell'eresia  e  a  ricevere  i  decreti  tutti 
dei  Concilii  sanciti  dalla  Santa  Sede  (2).  Ad  Anastasio 
Vescovo  di  Tessalonica  con  lettera  del  12  gennaio  del- 
l'anno 444  accorda  la  potestà  di  suo  Vicario  ,  che  corri- 

(1)  Suhmittamus  nos  tum  Deo,  tum  invicem,  tum  iis,  qui  in  terra 
imperant.  Deo  quidem  omnibus  de  caussis,  invicem  prò  charitatis  foedere, 
Principibus  propter  ordinem...  At  vos  quoque  (Principes  et  Praefecti)  im- 
perio meo  ac  throno  lex  Christi  subiecit.  Imperium  enim  et  nos  gerimus  : 
addo  et  praestantius  et  perfectius,  si  quidem  aequum  videatur  spiritimi  carni, 
raeiestia  terrenis  cedere.  Orat.   XVII. 

(2)  S.  Leonis  M.  opera   lom.  I,  epist.  I 


—  95  — 

sponde  alla  dignità  di  Primate,  nell'  Illirio,  seguendo  l'e- 
sempio di  Papa  san  Siricio  ,  che  tal  potestà  avea  accor- 
data ad  Anisio:  e  raccomanda  sopratutto  le  ordinazioni, 
nelle  quali  si  debba  aver  riguardo  solamente  ai  meriti  del 
candidato  e  ai  servigi  da  lui  prestati  alla  Chiesa.  E  per- 
chè la  scelta  dei  Vescovi  sia  fatta  con  più  maturo  giudi- 
ciò  richiede  che  ogni  Metropolitano,  il  quale  abbia  il  di- 
ritto di  ordinare  i  Vescovi  della  provincia,  non  ordini  al- 
cuno senza  darne  prima  contezza  al  Vicario,  e  che  dal  Vi- 
cario sieno  ordinati  i  Metropolitani ,  siccome  coloro  che 
devono  reggere  gli  altri.  Richiede  inoltre  che  gli  sieno 
trasmesse ,  secondo  l' antica  tradizione  ,  le  cause  mag- 
giori, che  non  si  potranno  terminare  sui  luoghi,  come  an- 
che le  appellazioni  (l).  Nel  dì  medesimo  scrive  ai  Me- 
tropolitani dell'  Illirio  ,  avvisandoli  della  potestà  data  ad 
Anastasio  di  Tessalonica  ed  esortandoli  all'  ubbidienza  e 
all'osservanza  dei  canoni  (2).  Ne  questo  Pontefice  esercita 
solo,  come  san  Siricio,  la  sua  giurisdizione  sui  Metropoli- 
tani e  sui  Primati,  ma  1'  esercita  nel  modo  più  solenne  su- 
gli stessi  Patriarchi  d'Oriente.  Nel  45 1  i  Padri  del  Con- 
cilio Calcedonese,  definita  la  dottrina  cattolica  contro  l'e- 
resia d'  Eutiche  ,  avean  confermato  nel  canone  vigesimo 
ottavo  ad  Anatolio ,  come  Patriarca  di  Costantinopoli ,  il 
privilegio,  che  s'era  da  qualche  tempo  introdotto,  d'or- 
dinare i  Metropolitani  dell'  Asia ,  del  Ponto  e  della  Tra- 
cia, i  quali  erano  prima  soggetti  al  Patriarca  d'Antiochia. 
Ma  a  quel  canone  cogli  altri  legati  si  oppose  Pascasino 
Vescovo  di  Lilibeo,  dicendo  ch'era  contrario  agli  antichi 

(1)  Ibid.  epist.  VI. 

(2)  Ibid.  epist.  V 


-0- 

canoni  e  principalmente  al  canone  sesto  del  Concilio  Ni- 
ceno,  ove  alla  Chiesa  di  Costantinopoli  eran  preferite  le 
Chiese  di  Alessandria  ,  di  Antiochia  e  di  Gerusalemme. 
Tuttavia  i  Padri  restarono  fermi  nella  presa  deliberazione, 
e  in  una  lettera  sinodale  scrivendo  a  san  Leone,  ricono- 
scono il  Sommo  Pontefice  per  l' interprete  di  san  Pietro, 
e  aver  lui,  nella  persona  dei  legati,  presieduto  a  coloro 
che  s'eran  convocati  in  Concilio,  come  il  capo  alle  mem- 
bra :  ed  aggiungono  avere  essi  ordinate  alcune  cose  pel 
buon  governo  della  Chiesa  ,  ed  aver  accordato  quel  ca- 
none favorevole  all'  Arcivescovo  di  Costantinopoli,  spe- 
rando di  averne  la  conferma  da  Sua  Santità.  Oltre  i  Pa- 
dri, scrissero  a  san  Leone  l'Imperatore,  l'Imperatrice  ed 
Anatolio,  facendo  istanza,  perchè,  non  ostante  la  opposi- 
zione dei  legati,  si  degnasse  confermare  quel  canone.  Ma 
il  prudente  Pontefice,  quantunque  vivamente  desiderasse 
secondare  la  domanda  di  quei  pii  Sovrani,  pure  non  vo- 
lendo porgere  esca  ad  ambiziosi  ingrandimenti,  a  pregiu- 
dizio della  prima  Sede,  ordinò  che  quel  privilegio  si  con- 
servasse tuttavia  alla  Chiesa  d'Antiochia,  dichiarando  nulli 
quegli  atti  del  Concilio  Calcedonese  eh'  eran  contrarli  ai 
canoni  del  Concilio  Niceno.  Eppure  il  Castagnola  scrive 
che  nel  nono  secolo  Nicolò  I  seppe  valersi  dell'  autorità 
conferitagli  dalle  false  decretali  d'Isidoro  «  e  con  due  colpi 
veramente  maestri  riuscì  a  stabilire  l'autorità  del  Ponte- 
fice sopra  i  Re  e  sopra  i  Metropolitani  »  (l).  Da  ciò  si 
può  argomentare  qual  fede  meritino  le  altre  cose  ch'egli 
riferisce  intorno  alla  storia  della  Chiesa. 

(l)_  S.   Castag.   op.  cit.  p.  98. 


IL 

DEI   RAPPORTI    GIURIDICI   DELLA    CHIESA    COLLO    STATO. 

A  questo  capo  si  riducono  le  diverse  materie  a  ri- 
guardo delle  quali,  come  dice  il  Castagnola ,  si  esplicano 
le  conseguenze  giuridiche  nei  rapporti  che  passano  tra 
Chiesa  e  Stato.  E  per  esaminar  meglio  tali  materie,  con- 
vien  parlarne  nello  stesso  ordine  dato  dall'  Autore ,  ben- 
ché non  abbiano  alcun  nesso  logico  tra  loro. 

1°  Dell'  associazione  : 

2°  Del  matrimonio  : 

3°  Delle  persone  e  delle  guarentigie  accordate  al  Sommo 
Pontefice  : 

4°  Dei  reati  : 

5°  Del  giuramento  : 

6°  Dei  beni  temporali. 

ART.  i. 

dell'  associazione. 

La  società  in  generale  non  è  altro  che  un  ceto  d'uo- 
mini ,  che  con  mezzi  proporzionati  tendono  a  conseguire 
un  fine  comune.  Il  concetto  quindi  di  società  ,  come  si 
vede,  importa  quattro  essenziali  elementi,  cioè  la  plura- 
lità delle  persone,  la  loro  unione  morale,  il  fine  comune 
e  i  mezzi  proporzionati  a  conseguire  il  fine  proposto.  Dei 
quali  elementi  il  primo  costituisce  la  parte  materiale,  gli 
altri  la  parte  formale,  che  suppone  necessariamente  il  vin- 
colo comune  ,  per  cui  le  persone  sieno  obbligate  all'  ac- 
cordo nel  tendere  a  conseguire  il  fine  ;  perchè  altrimenti 
potrebbe  aversi  bensì  la  medesima  tendenza  ,  ma  non  si 

7 


-98  - 
avrebbe  una  tendenza  unita,  la  quale    sola  fa  che  di  più 
persone  venga  a  formarsi  quel  corpo  morale  ,  che  si  in- 
chiude nel  concetto  di  società. 

Quel  vincolo  che  obbliga  alla  comune  direzione  in  una 
società  umana,  è  il  vincolo  morale  di  una  legge  o  di  uno 
statuto,  ossia  di  una  statuita  obbligazione,  il  cui  principio 
attivo  si  chiama  autorità  ,  la  quale  della  società  è  come 
1'  anima.  Quindi  facilmente  si  vede  come  la  società  diffe- 
risca essenzialmente  da  una  mera  unione  di  uomini ,  da 
una  moltitudine,  da  un  collegio  di  persone  eguali. 

La  società  è  perfetta  o  imperfetta  secondo  che  ha  in 
se  stessa  o  non  ha  i  mezzi  sufficienti  per  conseguire  il 
suo  fine.  La  società  perfetta  ha  un  fine  non  subordinato 
ad  altro  fine  dello  stesso  genere,  e  nel  suo  genere  è  in- 
dipendente da  altra  società,  è  in  se  stessa  completa,  e  si 
adopera  quindi  a  procurar  con  mezzi  a  se  proprii  tutto 
ciò  che  può  perfezionare  i  sodi,  ed  esercita  una  generale 
influenza  in  tutta  la  loro  attività  in  ordine  al  fine. 

La  società  perfetta  può  comunicare  la  giuridica  per- 
sonalità alle  società  minori ,  eh'  essa  crea  per  dare  mag- 
giore stabilità  ai  fini  particolari ,  che  si  propongono  gli 
uomini,  per  raggiungere  la  maggior  loro  perfezione. 

Soggetto  di  diritto  è  la  persona  naturale  e  la  fittizia. 
E  persona  naturale  non  è  solo  la  persona  fisica,  ma  an- 
che la  persona  morale  ;  perchè  gli  uomini  hanno  diritti 
dalla  natura  non  come  individui  soltanto,  ma  come  asso- 
ciati; giacché  essi  hanno  naturalmente  diritto  d'associarsi 
per  un  fine  onesto  ,  che  non  sia  contrario  al  bene  pub- 
blico: e  la  società  così  costituita  avendo  diritto  alla  pro- 
pria conservazione  ,  ha  eziandio  naturalmente  diritto  ad 
essere  riconosciuta  qual  persona  giuridica. 


—  99  — 

È  persona  fittizia  quell'essere  astratto,  a  cui  la  legge 
attribuisce  la  capacità  di  diritto.  Se  le  persone  fittizie  ri- 
sultano dalla  riunione  di  più  persone  fisiche  insieme  as- 
sociate per  conseguire  uno  scopo  di  utilità  comune,  si  chia- 
mano corporazioni  o  comunità:  se  risultano  invece  da  un 
aggregato  di  diritti  e  di  beni,  che  servono  di  mezzo  per 
lo  conseguimento  di  uno  scopo  estraneo  all'  interesse  di 
coloro  ,  per  cui  si  ottiene  lo  scopo  stesso  ,  si  dicono  con 
vocabolo  generico  enti  morali.  Nel  diritto  canonico  come 
nel  diritto  romano  chiamansi  cause  pie. 

Oltre  la  famiglia,  sono  società  perfette  la  Chiesa  e  lo 
Stato,  e  due  sono  i  poteri  sovrani ,  il  potere  del  Sommo 
Pontefice  e  quello  del  Principe. 

Come  dall'esame  della  natura  e  della  istituzione  della 
Chiesa  si  prova  che  essa  è  società  perfetta;  così  pure  che 
il  suo  potere  sia  sovrano,  il  mostrò  chiaro  Gesù  Cristo  , 
quando  ai  Farisei,  che  lo  interrogavano  se  era  lecito  dare 
il  tributo  a  Cesare  ,  rispose  quelle  memorabili  parole  : 
«  Rendete  a  Cesare  quel  che  è  di  Cesare,  e  a  Dio  quel 
che  è  di  Dio  »  (l).  Il  quale  insegnamento  è  anche  mag- 
giormente illustrato  dal  fatto.  Gesù  Cristo  fu  sì  alieno  dal 
voler  sovrano  il  solo  -potere  civile  ,  che  istituì  il  potere 
della  Chiesa  in  opposizione  dei  Principi ,  i  quali  si  arro- 
gavano quegli  stessi  diritti  che,  contro  la  ragion  divina, 
al  presente  sogliono  arrogarsi  i  governi  e  i  Parlamenti  : 
anzi  prenunzio  agli  Apostoli  le  persecuzioni,  che  avreb- 
bero patite  da  coloro,  che  governavano  il  mondo ,  perse- 
cuzioni che  di  fatto  patirono  gli  Apostoli  e  poi  i  Romani 
Pontefici,  principalmente  nei  primi  tre  secoli,  esercitando 

(1)  Lue.  XX,  v.  25. 


—    100  — 

il  loro  potere  in  opposizione  de'  Principi  secolari,  che  lo 
proibivano,  lo  impedivano,  lo  punivano. 

Quindi  la  Chiesa  e  lo  Stato,  siccome  società  perfette, 
fornite  di  sovrana  autorità,  possono  creare  società  minori, 
dando  loro  giuridica  personalità  ,  per  conseguire  più  fa- 
cilmente il  proprio  fine. 

Come  la  Chiesa  soltanto  crea  le  persone  fittizie  eccle- 
siastiche; così  essa  solo  può  sopprimerle,  e,  soppresse  che 
sieno,  i  beni  e  i  diritti  son  devoluti  solo  alla  Chiesa:  e  come 
lo  Stato  crea  le  persone  fittizie  civili,  così  lo  Stato  le  sop- 
prime, e  lo  Stato  succede  nei  beni  e  nei  diritti,  eccettuato 
il  caso  che  nell'atto  di  fondazione  fosse  disposto  altrimenti. 

A  queste  brevi  nozioni  che  abbiamo  premesse  dobbia- 
mo ora  contrapporre  gli  errori  del  professor  Castagnola. 

1°  Ci  fa  sapere  che  1'  esistenza  delle  persone  fittizie 
«  non  proviene  se  non  dalla  potestà  umana  che  le  crea, 
e  dal  governo  che  le  riconosce  »   (l). 

E  questo  è  falso  ,  perchè  alla  esistenza  delle  persone 
fittizie  è  solo  necessario  che  le  crei  la  competente  umana 
potestà.  Così,  per  esempio,  alla  legale  istituzione  di  una 
comunità  ecclesiastica  basta  il  permesso  del  Papa  e  del 
Vescovo  ,  e  il  governo  d'  uno  Stato  cristiano  deve  civil- 
mente riconoscerla  ,  senza  che  si  richieda  il  suo  previo 
consenso  ,  se  pur  non  sia  intervenuta  una  speciale  con- 
venzione tra  i  due  poteri. 

2°  Dà  una  confusa  divisione  delle  persone  fittizie  di- 
stinguendo le  persone  giuridiche  e  le  persone  che  non  go- 
dono di  una  vera  personalità,  come  sono  le  «  semplici  as- 
sociazioni »   (2). 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   104. 

(2)  Ivi   p.    10Ó. 


—   101   — 

Non  sappiamo  che  cosa  potrebbe  rispondere  il  Casta- 
gnola a  chi  gli  chiedesse  perchè  egli  annoveri  le  semplici 
associazioni  tra  le  persone  giuridiche  ,  se.  non  le  crede 
persone. 

3°  Allegando  1'  articolo  2  del  codice  civile,  ove  dicesi 
che  son  considerati  come  persone  gli  istituti  ecclesiastici 
legalmente  riconosciuti,  aggiunge  che  «  questi  istituti  ec- 
clesiastici sarebbero,  oltre  il  Pontificato,  i  Vescovati,  i  Ca- 
pitoli cattedrali,  i  Seminarti  ,  le  Parrocchie ,  le  Fabbrice- 
rie, organi  assolutamente  necessarii  per  1'  esplicazione  del 
culto  cattolico  »  (l).  Qui  il  Professore  non  si  avvede  che 
considerando  come  persona  il  Pontificato,  considera  come 
persona  anche  la  Chiesa  cattolica  ,  a  cui  pure  nega  al- 
trove (2)  1'  attribuzione  di  ente  giuridico.  Considerando 
come  persona  il  Pontificato,  considera  come  persona  an- 
che la  Chiesa,  perchè  il  Sommo  Pontefice  è  Vescovo  della 
Chiesa  cattolica,  e  della  Chiesa  cattolica  è  legittimo  rap- 
presentante. Ove  è  Pietro,  ivi  è  la  Chiesa.  E  qui  colf  idea 
del  supremo  Pontificato  non  unirebbe  le  Fabbricerie,  né 
le  direbbe  organi  assolutamente  necessarii  all'esplicazione 
del  culto  cattolico,  se  sapesse  essere  invece  inutili  e  spesso 
dannosissime  ,  come  suole  essere  ogni  ingerenza  del  po- 
tere laicale  sul  potere  ecclesiastico  (3).  Né  gli  giova  l'al- 
legare la  sentenza  della  Corte  di  Cassazione  di  Roma  7 
Giugno  188 1;  perchè  la  sentenza  d'una  Corte  non  può  co- 
stituir prova  in  materia  ecclesiastica:  perchè  egli  desume 
la  prova  non  dalla  sentenza  giusta  in  sé  ,  ma  dai  motivi 

(1)  Ivi  p.  107. 

(2)  Ivi  p.  111. 

(3)  Ci.  Decreto  imperiale  del  30  Dicembre  1809. 


—    102   — 

falsi,  su  cui  si  vuole  fondare:  perchè  quella  sentenza  non 

dice  le  Fabbricerie  «  organi  assolutamente  necessari!  »,  ma 
«  organi  creduti  necessarii  »:  e  perchè  finalmente  la  Corte 
non  solo  non  fa  menzione  del  Pontificato,  ma  anzi  mostran- 
dosi coerente  a  se  medesima  con  altra  sentenza  del  28 
Gennaio  1881  in  un  giudizio  tra  il  Cardinal  Vicario  del 
Sommo  Pontefice  e  la  Commissione  per  la  liquidazione 
dell'  asse  ecclesiastico  in  Roma  ,  contende  la  personalità 
giuridica  al  Pontificato,  per  aver  «  natura  universale,  mon- 
diale, soprannazionale  »  (l). 

40  Secondo  la  sua  dottrina  «  le  associazioni  non  sono 
che  una  riunione  di  persone  »  (2).  Quindi  il  concetto  di 
associazione  non  implica  veruna  unione  morale  ,  né  un 
fine  comune,  né  mezzi  coordinati  al  fine,  ma  solo  riunione 
accidentale  di  persone.  Onde  noi  che  credevamo  potersi 
dare  associazione  senza  materiale  riunione ,  ora  per  con- 
trario vediamo  che  nella  riunione  materiale  consiste  ap- 
punto l'associazione.  E  poiché  la  Chiesa,  secondo  questa 
nuova  dottrina,  non  è  altro  che  una  semplice  associazione  (3), 
ne  viene  che  essa  legalmente  non  differisce  punto  da  una 
riunione  di  scioperati,  che  accidentalmente  si  trovino  in- 
sieme a  conversare. 

5°  Afferma  che  «  secondo  il  nostro  diritto  pubblico 
interno,  lo  Stato  non  riconosce  la  qualità  di  ente  giuridico 
alla  Chiesa  cattolica  »  (4).  La  Costituzione,  il  cui  primo 
articolo  proclama  la  Religione  sola  Religione  dello  Stato, 
appartiene  forse  al    diritto    privato  o  al  diritto    pubblico 

(1)  S.   Castag.  op.   cit.  p.    ilo  e  segg. 

(2)  Ivi  p.    109. 

(3)  Ivi  p.   ili. 

(4)  Ivi. 


—  103  — 
esterno  ?  In  che  altro  il  nostro  diritto  pubblico  interno  po- 
trebbe fondarsi,  se  non  si  fonda  sulla  Costituzione?  Con- 
sulti il  Castagnola  le  lezioni  di  diritto  costituzionale  del 
professor  Ludovico  Casanova,  scrittore  a  lui  non  sospetto, 
e,  se  noi  sa,  vegga  ivi  che  cosa  s'intenda  per  diritto  pub- 
blico interno.  Quel  professore  che  ,  non  ostante  i  molti 
errori ,  meritò  la  fama  ,  che  tuttora  vive  di  lui  nel  pa- 
trio Ateneo,  di  forte  ingegno  e  dottrina,  non  arrivò  mai 
a  tanta  enormità  di  negare  alla  Chiesa  il  carattere  di  ente 
giuridico,  ma  riconosce  due  potenze  sovrane  l'ecclesiastica 
e  la  civile,  propugna  non  la  separazione  della  Chiesa  dallo 
Stato,  ma  lo  scambievole  accordo  tra  loro.  «  Riconosciute, 
egli  dice  ,  fra  noi  queste  due  potenze  procedenti  da  un 
medesimo  principio,  eh' è  Iddio,  da  cui  deriva  ogni  pote- 
stà, e  terminanti  ad  un  medesimo  fine,  che  è  la  beatitu- 
dine, vero  fine  dell'uomo,  è  stato  necessario  si  procurasse 
che  queste  due  potenze  avessero  una  corrispondenza  in- 
sieme ed  una  sinfonia,  cioè  a  dire  un'armonia  ed  accordo 
composto  di  cose  differenti  ,  per  comunicarsi  vicendevol- 
mente la  loro  virtù  ed  energia:  di  maniera  che,  se  1'  im- 
perio soccorre  colle  sue  forze  al  sacerdozio  per  mante- 
nere l'onor  di  Dio,  ed  il  sacerdozio  scambievolmente  stringe 
ed  unisce  l'affezione  dei  popoli  all'ubbidienza  del  Principe, 
tutto  lo  Stato  sarà  felice  e  florido  :  per  contrario,  se  que- 
ste due  potenze  sono  discordanti  tra  loro...  tutto  va  in 
disordine,,  in  confusione  ed  in  mina  »   (l). 

Noi  poi  intorno  al  primo  articolo    della  Costituzione  , 
che  compendia  il  nostro   diritto  pubblico  interno,  relativo 


(1)  Dei  diritto    costituzionale    lezioni  del  Prof.  Ludovico  Casanova 
voi.  I  lez.  XII. 


—  104  — 
alla  Chiesa,  valendoci  dello  stesso  modo  di  ragionare,  di 
cui  si  vale  il  Casanova  a  riguardo  della  stampa  (l),  di- 
ciamo, che  con  quel  primo  articolo  la  causa  a  favore  della 
personalità  giuridica  della  Chiesa,  è  tra  noi  giudicata  e 
giudicata  irrevocabilmente;  perchè  nessuna  legge  potrebbe 
mai  stabilire  alcuna  misura,  che  inceppasse  la  libertà  alia 
Chiesa  nella  sua  qualità  di  società  perfetta  e  di  potere 
sovrano  come  fu  costituita  da  Cristo.  Al  legislatore  non 
è  lasciato  altro  che  il  poter  far  leggi  speciali  per  tutelare 
e  proteggere  la  Chiesa  e  reprimere  gli  abusi  contro  di 
lei,  a  norma  delle  regole  generali  del  diritto,  e  di  appli- 
carvi pene  proporzionate.  Quanto  al  resto  è  privo  assolu- 
tamente di  ogni  facoltà,  come  ne  è  privo  il  governo  o  vale 
a  dire  il  potere  esecutivo.  Di  fatto  chi  non  vede  che  importi 
questa  espressione  «  Religione  dello  Stato  »?  Importa,  dice 
il  celebre  Vescovo  Parisis,  che  i  precetti  di  lei  sieno  guida 
e  norma  alle  leggi  dello  Stato:  importa  che  le  dottrine  di 
lei  sieno  dal  civile  potere  protette,  perchè  tenute  da  que- 
sto in  conto  di  veraci,  in  quella  guisa  medesima ,  che  il 
privato  crede  alla  Religione  che  professa  :  importa  che 
tale  Religione  abbia  sullo  Stato,  sul  civile  potere  quel  do- 
minio ,  che  sulla  privata  condotta  di  ciascuno  ha  quella 
religiosa  credenza,  alla  quale  ha  dato  il  nome. 

6°  Egli  stesso  confessa  (2)  che  le  proposizioni,  le  quali 
attribuiscono  alla  Chiesa  il  carattere  di  società  perfetta  e 
un  vero  potere  legislativo,  amministrativo  e  giudiziario, 
furono  recentemente  riaffermate  da  eminenti  oratori  nel 
VI  Congresso  dei  giureconsulti  cattolici ,  che  si  tenne  nel 

(1)  Ivi  lez.  IX. 

(2)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   113  e  segg. 


—  105  — 
l88l  a  Lione,  del  quale  era  presidente  il  senatore  fran- 
cese Luciano  Brun,  ed  al  quale  convennero  giureconsulti 
della  Francia,  dell'Italia  e  del  Belgio:  ma  poi  conchiude  (l) 
che  queste  pretese  della  Curia  Romana  non  si  accettano 
dalla  civile  potestà.  Con  che  egli  viene  ad  ammettere  che 
le  pretese  della  Curia  Romana  son  la  dottrina  di  eminenti 
giureconsulti  delle  più  colte  nazioni ,  e  che  tale  dottrina 
non  è  accettata  dalla  civile  potestà,  che  come  promotrice 
di  scienza  e  civiltà  si  contrappone  alla  Chiesa,  la  quale, 
secondo  il  Minghetti,  finì  con  osteggiarle  entrambe  (2). 

7°  Fa  notare  che  quando  si  discuteva  il  codice  civile 
albertino,  il  cui  articolo  25  dispone  che  la  Chiesa  e  i  Co- 
muni sono  considerati  come  altrettante  persone,  il  Senato 
di  Savoia  e  poi  quello'  del  Piemonte  ,  tra  le  altre  cose  , 
osservò  che  la  parola  chiesa  usata  al  singolare  non  espri- 
meva esattamente  il  corpo  morale  che  possiede  i  beni  nel- 
l' interesse  del  culto  cattolico,  sotto  il  qual  rapporto  ogni 
chiesa  rientra  nella  classe  degli  stabilimenti,  talché  dovea 
preferirsi  la  parola  chiese  usata  al  plurale  (3).  E  termina 
dicendo  che  queste  osservazioni  furono  pienamente  ac- 
colte (4).  Il  che  è  falso  ;  perchè  il  codice  albertino  con- 
servò la  voce  Chiesa  all'articolo  418;  e  all'  articolo  433 
dicendo  che  «  sotto  nome  di  beni  della  Chiesa  s' inten- 
dono quelli  che  appartengono  ai  singoli  benefizii  od  altri 
stabilimenti  ecclesiastici  »,  non  solo  mostra  al  Castagnola 
che  nella  Chiesa  son  corpi  morali ,  i  quali  hanno  diritto 
di  acquistar  e  posseder  beni ,  ma  gli  fa  vedere  ,  se  sa  e 

(1)  Ivi  P.  114. 

(2)  Ivi  p.   71. 

(3)  Ivi  p.   114  e  segg. 

(4)  Ivi  p.   Ilo. 


—  io6  — 
vuole  intenderlo,  che  anche  la  Chiesa  è  persona  giuridica, 
avendo  1'  alto  dominio  sui  beni,  che  appartengono  agli  i- 
stituti  ecclesiastici,  onde  nel  citato  articolo  433  quei  beni 
si  dicono  «  beni  della  Chiesa  ». 

8°  Vorrebbe  confermare  la  sua  opinione,  che  la  Chiesa 
non  sia  persona  giuridica,  con  una  sentenza  della  Corte 
di  Cassazione  di  Torino  IO  Luglio  1874  estesa  dal  Pesca- 
tore nel  giudizio  tra  il  P.  Beckx  generale  dei  Gesuiti  e 
1'  Erario  dello  Stato  (l). 

Ma  non  vede  che  la  Corte  prescinde  dal  merito  della 
quistione;  perche  «  ora,  come  ivi  si  dice,  alle  Corti  giu- 
diziarie è  solo  dato  di  ammirare  la  grandezza  delle  con- 
troversie tra  le  due  potestà:  ma  nell'esercizio  pratico  della 
loro  giurisdizione,  esse  sono  le  rappresentanti  del  potere 
civile,  che  le  ha  delegate,  e  l'unico  loro  compito  si  è  di 
applicare  fedelmente  i  principii  di  diritto  pubblico  dello 
Stato  ».  Qui  anzi  potrebbesi  aggiungere  che  ora,  fatte  le 
dovute  eccezioni,  pare  compito  della  suprema  Magistratura 
di  conculcare  i  principii  di  diritto  nella  decisione  delle 
cause  ecclesiastiche  ,  per  seguire  servilmente  i  voleri  del 
governo. 

9°  Con  Marco  Minghctti  riconosce  che  è  surrogare  il 
regime  dell'arbitrio  al  regime  della  libertà  il  voler  negare 
alla  Chiesa  la  facoltà  di  costituirsi  con  quegli  organismi, 
che  le  son  congeneri  e  di  fondare  enti  giuridici  (2).  Onde 
è  d'  uopo  trarne  la  conseguenza  che  o  egli  ammetta  po- 
ter la  Chiesa  conferire  ad  altre  società  la  personalità  giu- 
ridica ch'essa  stessa  non  ha,  secondo  la  dottrina  di  lui,  0 


(1)  Ivi  p.  120. 

(2)  Ivi    p.    120. 


—  io?  — 
che  egli  ora    ammetta    nella    Chiesa  il  diritto  di  persona 
giuridica  negato  tante  volte,  e  non  ammetta  poi  nello  Stato 
il  dovere  di  riconoscerle  questo  diritto. 

10°  Del  monachismo  dà  un'inesatta  e  grottesca  descri- 
zione (l).  Ivi  confonde  gli  asceti  coi  monaci,  i  monaci  coi 
cenobiti  :  ivi  ripete  (2)  la  calunnia  contro  il  santo  Fondatore 
dell'Ordine  dei  Padri  Predicatori,  Domenico  dei  Gosmani, 
come  se  fosse  stato  eccitamento  a  vendetta  di  sangue  la 
profetica  minaccia  del  Servo  di  Dio,  quando,  sul  partire  da 
Prouille,  predisse  che,  per  l'ira  divina,  sarebbero  periti  di 
spada  molti,  che  non  aveano  accolte  le  esortazioni  d'  un 
apostolalo,  la  cui  possanza  era  stata  tutta  nella  dolcezza, 
nella  predicazione,  nell'orazione,  nelle  lacrime:  ed  ivi  pure 
chiama  l' inclita  Compagnia  di  Gesù  l'Ordine  che  diventò 
tristamente  famoso  e  la  mala  pianta  che  aduggia  colla  sua 
ombra  (3)  ,  attribuendo  non  ad  eminente  santità  e  dot- 
trina e  ad  apostolico  zelo ,  ma  «  all'  indole  sua  domina- 
trice »  i  grandi  servigi  eh'  egli  pur  riconosce  aver  reso 
alla  cristianità. 

11°  Confessa  col  Bonghi  (4)  che  la  riproduzione  con- 
tinua degli  istituti  religiosi  è  un  impeto  dei  più  notevoli, 
dei  più  costanti,  dei  più  ostinati,  che  vinse  colla  pervica- 
cia sua  ogni  contrasto  del  potere  civile:  confessa  pure  che 
questo  fatto  induce  il  filosofo  e  1'  uomo  di  Stato  a  medi- 
tar seriamente  se  la  vita  monastica  non  corrisponda  per 
avventura  a  qualche  intima  necessità  della  vita  (5). 

(1)  Ivi  p.   128  e  segg-. 

(2)  Ivi  p.   131. 

(3)  Ivi  p.   132. 

(4)  Le  Associazioni   religiose  e  io  Stato.    Nuova    Antologia  ,    gennaio 

1872. 


—  108  — 

Ma  poiché  ebbe  latta  sì  esplicita  confessione,  che  cosa 
conchiude  ?  Conchiude  forse  che  debbansi  tutelare  questi 
istituti,  riconoscendone  la  personalità  giuridica,  anche  per- 
chè soddisfanno  a  un  bisogno  dell'uomo?  Non  già:  con- 
chiude invece  che  lo  Stato  debba  negar  loro  la  persona- 
lità giuridica  e  lasciarli  sussistere  solo  in  qualità  di  libere 
associazioni  (1). 

Ora,  noi  diciamo,  o  sono  vere  o  son  false  le  ragioni, 
per  cui  si  pretende  negar  questa  personalità  giuridica.  Se 
son  vere,  e  i  corpi  morali  ecclesiastici  recano  nocumento 
al  pubblico  bene,  non  si  sa  perchè  non  si  abbia  anche  a 
impedire  che  sussistano  in  qualità  di  libere  associazioni, 
giacché  anche  contro  le  libere  associazioni  dovrebbero  mi- 
litare le  ragioni  medesime  che  militano  contro  gli  enti  giu- 
ridici, essendo  certo  che  la  intrinseca  natura  degli  istituti 
ecclesiastici  non  dipende  dall'  avere  o  no  il  carattere  di 
persona  giuridica  riconosciuto  dallo  Stato.  Ma  se  quelle 
ragioni  son  false,  ed  anzi  gii  istituti  religiosi  non  pure  non 
recano  nocumento  alcuno  al  ben  pubblico  ,  ma  somma- 
mente lo  promuovono,  non  v'  ha  motivo,  perchè  s'  abbia 
a  riconoscere  in  essi  soltanto  la  qualità  di  libere  associa- 
zioni, e  non  anco  di  persone  giuridiche. 

Quanto  inconsulta  ed  ingiusta  sia  la  soluzione,  che  il 
Castagnola  dà  di  una  quistione  di  tanta  importanza,  si  ma- 
nifesta con  maggiore  evidenza  dalle  sue  stesse  parole.  Con- 
sente di  buon  grado  come,  finché  non  sarà  dimostrato  che 
l'associarsi  per  far  vita  comune,  vivere  sotto  la  regola  d'un 
capo,  rinnegare  la  propria  volontà,  spogliarsi  dei  beni  e  dei 
conforti  della  vita,  esercitarsi  in  opere  di  carità,  darsi  alla 

(i)  Ivi  p.  135  e  segg. 


—  log  — 
preghiera  ed  alla  contemplazione  sia  un  reato,  l'impedire 
la  convivenza  in  questi  sodalizii  sarà  «  un  vulnerare  la 
libertà  dei  cittadini  »  (l).  «  E  forse,  soggiunge  più  innanzi, 
si  potrà  negare  che,  se  i  principii  fondamentali,  sui  quali  si 
basano  questi  sodalizii  più  non  armonizzano  coi  concetti 
ora  prevalenti,  però  non  sieno  ancora  pregevoli  i  servizii, 
che  da  talune  di  queste  associazioni  son  resi  alla  causa 
della  civiltà  e  della  umanità  ?  1/  associazione  ,  per  esem- 
pio ,  dei  Trappisti  che  nella  campagna  romana  lottando 
colla  morte  e  colla  malaria  ne  bonifica  il  terreno,  non  è 
benemerita  della  società?  E  non  deve  dirsi  lo  stesso  di 
quelle  suore  che  passano  la  loro  vita  al  capezzale  degli 
infermi ,  e  che  neh'  infuriare  delle  epidemie  raddoppiano 
il  loro  fervore  di  carità  ?  »  (2). 

A'  tempi  del  medio  evo  chiamati  dal  Castagnola  tempi 
d' ignoranza,  di  confusione,  di  barbarie,  quei  sodalizii  re- 
ligiosi che,  al  ben  privato  anteponendo  il  pubblico  bene , 
1'  opera  e  la  vita  de'  loro  membri  consacrano  a  beneficio 
del  prossimo,  non  erano  solo  giuridicamente  riconosciuti, 
ma  erano  anche  coadiuvati  dal  potere  civile ,  erano  con- 
siderati benemeriti  della  patria  e  si  voleano  esenti  dai  tri- 
buti anche  per  sentimenti  di  pubblica  gratitudine.  Per  que- 
sta civile  prudenza,  oltre  immensi  vantaggi  morali,  noi  ve- 
demmo mitigata  la  ferocia  delie  incursioni  barbariche,  dis- 
sodate le  campagne  italiane,  eh'  eran  divenute  tante  bo- 
scaglie, e  vedemmo  alimentato  nel  silenzio  dei  chiostri  il 
sacro  fuoco  delle  lettere  e  delle  scienze,  di  cui  va  tanto  su- 
perbo il  secol  nostro. 

(1)  Ivi  p.   135- 

(2)  Ivi  p.   138. 


—    110  — 

Ma  a"  tempi  presenti,  tempi  di  scienza,  d' ordine  e  di 
civiltà  ,  il  professor  Castagnola,  fatta  menzione  dei  monaci 
della  'Frappa,  che  lottano  colla  mal' aria  e  colla  morte  per 
bonificare  le  campagne  romane  ,  e  delle  suore  che  pas- 
sano la  vita  al  capezzale  degli  infermi  e  nell' infuriare  delle 
epidemie  raddoppiano  il  fervore  della  carità  ,  scrive  su- 
bito dopo  :  «  Lo  Stato  non  riconosca  questi  sodalizii.  I 
membri  che  li  compongono  sieno  soggetti  a  prestare  il 
loro  servizio  militare,  sotto  le  bandiere  della  patria,  sieno 
soggetti  ai  pubblici  balzelli  ed  alla  legge  comune.  Ma  se 
ad  onta  di  ciò  (veggasi  eccesso  d'indulgenza  e  tolleranza) 
dessi  ritrovano  ancora  tanta  vitalità  per  starsi  fermi  nel 
loro  proposito,  non  vi  è  in  ciò  solo  una  intrinseca  ragione, 
che  legittima  la  loro  esistenza?  »  (l).  Udendo  tali  parole 
è  mestieri  farsi  violenza  per  reprimere  la  indegnazione, 
che  sorge  spontanea  al  vedere  come  lo  spirito  di  parte , 
il  pregiudizio,  la  contratta  abitudine  di  negar  la  verità, 
riesca  ad  abbassar  tanto  l'umano  intelletto  e  a  soffocare 
ogni  nobile  sentimento  dell'animo  per  far  tutto  servire  ad 
un  partito,  con  sommo  detrimento  della  giustizia  e  del  pub- 
blico bene. 

12°  Osserva  che  il  Bonghi  col  corredo  di  irrefutabili 
argomenti  dimostra  (2)  come  nei  paesi ,  per  esempio ,  in 
Austria,  in  Baviera,  ove  gli  istituti  ecclesiastici  son  rico- 
nosciuti ,  il  loro  aumento  quasi  non  si  sente  ,  e  per  con- 
trario, ove  non  son  riconosciuti,  crescono  a  dismisura  sotto 
forma  di  libere  associazioni  (3).  Così  egli  che  mostrasi  tanto 

(1)  Ivi  p.  139. 

(2)  Le  Associazioni    religiose  e  lo    Stalo.    Nuova    Antologia  ,    gennaio 
1872. 

(3)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   13-  e  segg. 


—  Ili  — 
avverso  agli  istituti  religiosi,  proponendo  che  lo  Stato  ne- 
ghi loro  la  personalità  giuridica  e  li  lasci  sussistere  sotto 
forma  di  libere  associazioni,  contro  il  suo  divisamente,  pro- 
pone un  modo  pratico,  per  lo  quale  crescano  a  dismisura 
quegli  istituti,  ove,  secondo  lui,,  ai  liberi  cittadini  è  confi- 
scata la  libertà  e  la  spontaneità  del  volere  (l),  giacché 
questi  sodalizii  dall'  essere  o  no  riconosciuti  dallo  Stato  , 
non  mutano  natura. 

ART.  IL 

DEL    MATRIMONIO. 

Il  matrimonio  considerato  come  contratto  naturale  i- 
stituito  in  ufficio  di  natura,  è  di  tutti  i  tempi  e  di  tutti  i 
popoli  ed  ha  intima  relazione  colla  civile  società  ,  come 
condizione  necessaria  della  famiglia,  che  è  elemento  dello 
Stato.  Considerato  come  elevato  da  Gesù  Cristo  alla  di- 
gnità di  sacramento,  è  proprio  dei  cristiani  soltanto  ,  e 
come  tale  si  può  definire:  Un  sacramento  della  nuova  legge, 
per  cui  due  persone  legittime,  mediante  il  loro  consenso,, 
si  uniscono  in  consorzio  di  tutta  la  vita,  per  la  procrea- 
zione, per  la  educazione  cristiana  della  prole  e  per  l'as- 
sistenza reciproca. 

Dicesi  1°  «  un  sacramento  della  nuova  legge  »  per 
indicare  il  genere  prossimo,  onde  il  matrimonio  conviene 
cogli  altri  sacramenti ,  giacché  nel  matrimonio  tra  cristiani 
concorre  tutto  ciò  che,  secondo  la  dottrina  cattolica,  è  es- 
senziale a  costituire  un  sacramento  della  nuova  legge,  cioè 
un  segno  sensibile,  la  istituzione  di  Cristo  e  la  grazia  san- 
tificante. 

(1)  Ivi  p.   137. 


—    112   — 

Dicesi  2°  «  per  cui  due  persone  legittime  ecc.  »;  per 
indicare  la  differenza  specifica,  onde  il  matrimonio  differisce 
dagli  altri  sacramenti,  e  per  la  quale ,  oltre  le  principali 
proprietà  del  matrimonio,  possiamo  tosto  conoscere  il  suo 
fine  primario,  in  cui  si  compendiano  tutti  i  doveri  dei  ge- 
nitori verso  i  figliuoli ,  come  pure  i  suoi  fini  secondarii  , 
da  cui  rilevansi  le  vicendevoli  obbligazioni  ,  che  hanno  i 
coniugi  fino  alla  morte. 

L'essenza  del  matrimonio  sta  nel  consenso,  non  nell'uso, 
secondo  V  aforisma  del  diritto  romano  e^  del  diritto  cano- 
nico, nuptias  non  concubitus,  sed  consensus  facit. 

Il  matrimonio  si  distingue  in  legittimo,  rato  e  consumato, 
Dicesi  legittimo  quello  che  si  contrae  dagli  infedeli  secondo 
la  legge.  Dicesi  rato  o  consumato  quello  che  si  contrae 
tra  i  cristiani,  secondo  che  non  è  o  è  seguito  dall'  uso. 

Il  sacramento  del  matrimonio  non  è  cosa  accessoria  , 
non  è  un  semplice  rito,  che  si  so vr aggiunga  al  contratto 
già  compiuto,  ma  è  lo  stesso  legittimo  contratto,  che,  ri- 
manendo fisicamente  lo  stesso,  è  assunto  alla  dignità  di  sa- 
cramento, cioè  lo  stesso  legittimo  contratto  matrimoniale, 
che  da  Gesù  Cristo  fu  assunto  per  segno  del  sacramento. 

Il  matrimonio  è  sacramento  solamente  per  coloro  che 
sono  cristiani,  perchè  la  legge  evangelica  non  è  applica- 
bile se  non  a  coloro ,  che  le  sono  soggetti  :  e  coloro  che 
non  le  sono  soggetti  dipendendo  dalla  legge  naturale  con- 
traggono il  matrimonio,  quale  è  sancito  nella  legge  natu- 
rale ,  cioè  contraggono  uno  speciale  legittimo  contratto  , 
che  non  conferisce  la  grazia. 

I  ministri  del  matrimonio  sono  gli  stessi  contraenti. 

Le  proprietà  principali  del  matrimonio  cristiano  sono 
due,  cioè  X unita  e  la  indissolubilità.  All'unità  si  oppone  la 
poliandria  e  la  poligamia  simultanea. 


—  H3  — 

Quanto  alla  poliandria,  non  v'  è  dubbio  che  è  aperta- 
mente riprovata  dal  diritto  naturale  come  quella  che  ri- 
pugna al  fine  primario  del  matrimonio,  cioè  alla  procrea- 
zione e  alla  debita  educazione  della  prole  :  onde  la  pro- 
stituzione, a  cui  si  riduce  la  poliandria,,  si  ritenne  sempre 
come  infame. 

Quanto  alla  poligamia  ,  essa  si  oppone  ai  fini  secon- 
darli del  matrimonio:  onde  è  proibita  siccome  opposta  al 
diritto  secondario  di  natura,  dal  quale  solo  Iddio  può  di- 
spensare. 

Per  diritto  positivo  la  poligamia  fu  vietata  nell'istitu- 
zione stessa  del  matrimonio,  essendo  allora  sancita  la  mo- 
nogamia (l)  :  poscia  per  divina  dispensazione  fu  permessa 
affinchè  si  provvedesse  alla  più  rapida  propagazione  del 
genere  umano,  come  appare  dagli  esempi  dei  Patriarchi 
nei  primordii  dell'umana  società  e  dopo  il  diluvio.  La  qual 
permissione,  anche  cessando  il  bisogno,  fu  benignamente 
prorogata  nella  legge  mosaica  (2)  agli  Ebrei  per  la  durezza 
del  loro  cuore  (3),  giacché  non  avrebbero  potuto  tollerare 
che  loro  fosse  vietato  ciò  che  era  stato  permesso  ai  Pa- 
triarchi: ma  fu  poi  revocata  nella  legge  evangelica,  richia- 
mandosi il  matrimonio  alla  primitiva  perfezione  (4). 

Alla  indissolubilità  si  oppone  lo  scioglimento  che  di- 
cesi divorzio  o  separazione,  secondo  che  riguarda  il  vin- 
colo stesso  coniugale  0  la  semplice  coabitazione. 

Il  matrimonio  rato  può  essere   sciolto  in  due  casi ,  e 


(1)  Gen.  Il  v.  24. 

(2)  Deuter.  XXIV  v.  l 

(3)  Matth.  XIX  v.  8. 

(4)  Ibid.  v.  4  et  seqq. 


—  114  — 

per  la  solenne  professione  religiosa  anche  di  un  solo  dei 
coniugi  e  per  la  dispensa  del  Sommo  Pontefice. 

Havvi  un  precetto  naturale,  che  obbliga  bensì  la  co- 
munità del  genere  umano  al  matrimonio,  per  provvedere 
alla  conservazione  della  specie  ,  ma  non  obbliga  per  sé 
alcun  uomo  in  particolare.  Anzi  è  domma  di  fede  defi- 
nito dal  Concilio  di  Trento  (l),  che  lo  stato  di  verginità 
o  di  celibato  è  migliore  dello  stato  coniugale. 

La  Chiesa  inoltre  onorò  sempre  lo  stato  di  vedovanza, 
considerando  le  seconde  nozze  come  cosa,  che  men  con- 
venisse al  cristiano ,  quasi  indizio  di  intemperanza  e  in- 
continenza. Onde  il  diritto  canonico  ritiene  i  bigami  come 
irregolari. 

Osserviamo  qui  incidentemente  come  questa  dottrina 
della  Chiesa,  che  proclama  la  unità  e  la  indissolubilità  del 
matrimonio,  condannando  la  poligamia  e  il  divorzio  ,  che 
rende  il  debito  onore  alla  verginità,  prescrivendo  il  celi- 
bato al  clero  e  approvando  gli  ordini  religiosi,  ove  si  e- 
mette  il  voto  di  castità  ,  questa  dottrina  che  nobilita  lo 
stato  di  vedovanza,  che  stabilisce  opportuni  impedimenti 
al  matrimonio,  non  solo  guida  gli  uomini  al  conseguimento 
del  bene  spirituale,  ma  è  anche  sommamente  proficua  al 
bene  temporale  della  umana  società,  essendo  perfettamente 
conforme  alla  sana  politica  economia  e  principalmente  a 
quanto  ha  di  buono  la  teorica  sulla  popolazione  di  Ro- 
berto Malthus  seguito  da  quel  Minghetti  che  il  Castagnola 
riguarda  come  suo  maestro. 

Il  Malthus  insegna  che,  tendendo  da  una  parte  la  po- 
polazione a  crescere  in  proporzione  geometrica,  e  dall'al- 

(1)  Sess.  XXIV.  De  sacram.  matrim.  can.  X. 


—  115  — 
tra  aumentando  i  mezzi  di  sussistenza  solo  in  proporzione 
aritmetica ,  la  natura  ristabilisce  sempre  1'  equilibrio  eco- 
nomico turbato  dall'  eccessivo  crescere  dei  popoli ,  colla 
peste,  colla  guerra,  col  vizio,  colla  miseria  e  con  altri  si- 
mili ostacoli  reprimenti,  come  avviene  spesso  in  Asia,  se 
1'  uomo  libero  e  previdente  non  vi  pone  riparo  a  tempo 
coli'  ostacolo  preventivo  del  morale  ritegno.  E  le  forme 
del  morale  ritegno,  secondo  la  teorica  Malthusiana,  sono 
appunto  la  cura  del  pudore  principalmente  ,  il  promuo- 
vere l'amore  alla  verginità  e  1'  impedire  i  matrimonii  in- 
consulti. Ora  poiché  la  fede  concorda  maravigliosamente 
colla  ragione  ,  la  Chiesa  nella  legislazione  sua  proponen- 
dosi il  fine  spirituale  promuove  indirettamente  e  nel  modo 
più  efficace  anche  quei  vantaggi  temporali ,  che  si  pro- 
pone la  scienza  economica,  alla  quale  invece  mostrasi  con- 
trario il  Castagnola  mostrandosi  favorevole  alla  soppres- 
sione delle  case  religiose ,  e  alla  istituzione  del  matrimo- 
nio civile,  in  cui  non  son  riconosciuti  gli  impedimenti  ca- 
nonici, e  di  cui  è  logica  conseguenza  il  divorzio. 

Avendo  la  sola  Chiesa  autorità  di  regolare  il  sacra- 
mento del  matrimonio,  essa  pure  ha  esclusivamente  il  po- 
tere di  opporvi  impedimenti ,  secondo  il  bisogno ,  per  la 
salute  spirituale  dei  cristiani. 

Gli  impedimenti  altri  sono  di  diritto  naturale  e  divino 
ed  obbligano  tutti  anche  gli  infedeli:  altri  sono  di  diritto 
ecclesiastico  ed  obbligano  solo  i  cristiani.  Gli  impedimenti 
son  pure  altri  impedienti,  altri  dirimenti,  secondo  che  im- 
pediscono che  il  matrimonio  si  contragga  lecitamente  o 
validamente  (l)  di  guisa   che ,  se  ,  non  ostante  1'  impedi- 

(i)  Institutiones   theologiae  dogmatico- scholasticae   Salvatoris  Magnasco 
Archiepiscopi  genuensis  tom.  IV  tract.  Vili  parag.  Vili. 


—  ilo  — 

mento   impediente  o  dirimente  ,    si  pretendesse   contrarre 
matrimonio ,  esso  sarebbe  illecito  o  nullo. 

Tale  è  la  dottrina  cattolica  sul  matrimonio,  come  ci  è 
esposta  da  sani  teologi  e  canonisti,  dottrina  che  è  fiera- 
mente combattuta  dai  novatori.  Ed  oltre  i  Luterani  e  i 
Calviniani,  contesero  in  vario  modo  alla  Chiesa  il  potere, 
ch'essa  ha  sul  matrimonio,  l'apostata  Marco  Antonio  De 
dominis,  Giovanni  Laonoio  dottore  della  Sorbona  ,  Bene- 
detto Oberhauser  da  Fulda,  e  in  Italia  Luigi  Litta  e  Pie- 
tro Tamburini  con  altri  giansenisti.  Fondata  sullo  stesso 
erroneo  principio  prima  uscì  in  Austria  nel  1 783  la  Costi- 
tuzione di  Giuseppe  II,  per  cui  la  cognizione  delle  cause 
matrimoniali  era  devoluta  ai  tribunali  civili  ;  quindi  in 
Francia,  dopo  i  politici  rivolgimenti,  si  pubblicò  la  legis- 
lazione del  1792  sul  matrimonio,  alla  quale  tenne  dietro 
il  codice  napoleonico  ,  ove  quantunque  si  temperassero 
alcune  disposizioni  contrarie  alla  Religione,  pure  circa  le 
cause  matrimoniali  si  continuò  ad  attribuire  ai  magistrati 
civili  il  potere,  che  compete  esclusivamente  alla  Chiesa  : 
e  finalmente  tra  noi  si  promulgò  nel  1866  il  codice  vi- 
gente, ove  si  adottò  il  metodo  di  riconoscere  il  matrimo- 
nio civile  esclusivamente,  senza  la  ingiunzione  portata  dal 
codice  francese  di  celebrare  il  matrimonio  civile  prima  del 
religioso.  Avanti  che  nel  Piemonte  si  pubblicasse  il  nuovo 
codice  si  erano  già  preparati  gli  animi  coll'insegnamento 
nelle  Università  del  Regno  ,  principalmente  colle  lezioni 
di  Nepomuceno  Nuytz  professore  di  diritto  canonico  nel- 
l'Ateneo di  Torino,  il  quale  altro  non  fece  che  ridestare 
gli  errori  del  Laonoio  (l)  sul  matrimonio,  cioè  la  Chiesa 

(1)  Regia  in  matrimonium  potestas. 


—  117  — 
non  aver  facoltà  di  stabilire  o  togliere  gli  impedimenti  di- 
rimenti, ma  tal  facoltà  competere  al  potere  civile:  la  co- 
gnizione delle  cause  matrimoniali  appartenere  al  foro  ci- 
vile :  la  Chiesa,  in  secoli  a  noi  più  vicini,  aver  cominciato 
a  stabilire  impedimenti  dirimenti,  non  per  diritto  pro- 
prio, ma  per  diritto  a  lei  conceduto  dal  potere  civile  :  e 
finalmente  non  esser  dommatici  i  canoni  del  Concilio  di 
Trento  (l),  che  dicono  anatema  a  chi  nega  un  tal  potere 
alla  Chiesa. 

Questi  errori  già  tante  volte  confutati  e  di  nuovo  con- 
dannati recentemente  dal  Sommo  Pontefice  Pio  IX  ,  ora 
sono  in  sostanza  ripetuti  dal  professor  Castagnola  (2). 

1°  Egli  comincia  (3)  col  riferire  la  definizione  che  danno 
del  matrimonio  Modestino,  Giustiniano  e  il  professor  Giu- 
seppe Ferrari;  e  immemore  dell'aforisma  legale,  che  è  pe- 
ricolosa in  diritto  ogni  definizione,  dice  francamente  come 
la  definizione,  che  più  gli  va  a  sangue,  è  quella  data  dal 
primo  console  Bonaparte  ,  quando  si  discuteva  al  Consi- 
glio di  Stato  il  disegno  del  codice  civile,  esser  cioè  il  ma- 
trimonio «  l'unione  delle  anime  allo  scopo  di  ottenere  la 
mutua  perfezione  ».  Coloro  i  quali  prima  credevano  es- 
sere il  matrimonio  il  legame  di  due  persone  capaci ,  le 
quali,  mediante  il  loro  consenso,  si  uniscono  con  nodo  in- 
dissolubile per  la  procreazione  ed  educazione  della  prole, 
e  per  darsi  uno  scambievole  aiuto  in  tutta  la  vita  ,  veg- 

(1)  Sess.  XXIV.  De  sacratn.  matrim,  can.  IV. 

(2)  Del  professore  Stefano  Castagnola  ,  che  insegnava  teste  diritto 
canonico  nell'Università  di  Genova,  si  potrebbe  ripetere  ciò  che  un  ce- 
lebre teologo  moderno  diceva  del  professor  Nepomuceno  Nuytz  :  Ehis- 
modi  porro  professores  vere  iuris  canonici  profligatores  vocaveris. 

(3)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   147   e  segg. 


—  118  — 
gono  ora  come  il  matrimonio  è  ben  altra  cosa.  Esso  è 
l'unione  delle  anime  allo  scopo  di  ottenere  la  mutua  per- 
fezione. Quindi,  secondo  questa  definizione,  due  persone  , 
sieno  pure  di  medesimo  sesso  ,  due  amici ,  che  risolvano 
d'essere  uniti  d'animo  allo  scopo  di  perfezionarsi  scambie- 
volmente, per  esempio,  in  una  scienza,  senza  avvedersene, 
contraggono  tra  loro  matrimonio.  Chi  può  qui  trattenersi 
dall'esclamare:  Poveri  studi  legali,  povera  logica,  povero 
buon  senso  ,  e  sopratutto  poveri  studenti  obbligati  ad  a- 
scoltare  i  responsi  della  sapienza  governativa,  che  dispen- 
sano tali  professori  anche  dalle  Università  di  secondo  o 
primo  grado,  ove  per  rendersi  maggiormente  ridicoli  ac- 
cusano la  Chiesa  qual  nemica  della  scienza? 

2°  Avea  prima  lodato  la  istituzione  dei  giurati  come 
un  portato  della  moderna  civiltà  (l),  benché  essa  si  fondi 
sul  falso  principio  che  «  ogni  uomo  debba  esser  giudi- 
cato da'suoi  pari  ».  Noi  avremmo  potuto  fargli  osservare 
che  tale  istituzione  ebbe  luogo  nei  primordii  delle  società 
nascenti,  come  presso  gli  Anglosassoni  e  i  Franchi  ancor 
barbari,  che  fu  ripudiata  dagli  stessi  Goti  e  Visigoti  nelle 
Spagne,  quando  conobbero  il  codice  teodosiano  e  le  leggi 
canoniche,  e  che  diviene  sempre  fonte  di  corruzione  e  di 
ingiustizia.  Ma  ora  egli  stesso  contraddicendosi  è  costretto 
a  scrivere  che,  se  le  leggi  degli  Stati  Uniti  di  America  , 
le  quali  perseguitano  la  setta  dei  Mormoni  in  quel  di  Utah, 
non  son  riuscite  ad  estirpar  la  poligamia  colle  prescrizioni 
penali,  egli  è  perchè  quelle  leggi  devono  essere  applicate 
dalla  locale  «  giuria  »,  la  quale  essendo  formata  di  Mor- 
moni ,  come  tante  volte   eziandio  è  un   Mormone  il  pub- 

(1)  Ivi  p.  io. 


—  lig  — 
blico  accusatore  ,   non   rinviene  giammai  gli  elementi  del 
reato  a  carico  dei  seguaci  di  quella  setta  (l). 

3°  Insegna  che,  secondo  il  diritto  canonico,  non  distin- 
guendosi la  ragion  del  contratto  dalla  ragion  del  sacra- 
mento, e  questo  contratto,  essendo  il  naturale  e  non  il  ci- 
vile, si  può  fare  da  chiunque  sia  capace  di  dare  il  suo 
consenso,  cioè  «  dalle  femmine  una  volta  raggiunta  l'età 
di  dodici  anni  e  dai   maschi   quella  di   quattordici  »   (2). 

E  tutto  vero  ciò  che  qui  si  dice,  eccettuato  l'ultimo  schia- 
rimento, che  in  luogo  di  chiarire  confonde  quanto  prima 
si  era  accennato.  Secondo  il  diritto  naturale  il  contratto 
del  matrimonio  è  valido  anche  avanti  della  pubertà  ,  se 
vi  sia  sufficiente  discrezione  per  intender  la  forza  del  con- 
senso coniugale  ,  giacché  ciò  che  fa  il  contratto  è  la  vo- 
lontà. Ed  anche  secondo  il  diritto  canonico  è  valido,  ben- 
ché contratto  avanti  dell'  età  indicata,  se,  oltre  la  discre- 
zione, vi  fosse  la  fisica  potenza  ,  come  pure  si  dovrebbe 
ritener  valido  ,  ancorché  ,  compiuta  l'età  canonica  e  sup- 
posto il  debito  consenso,  ci  fosse  attuale  fisica  impotenza: 
la  quale  può  invalidare  il  matrimonio  nel  caso  che  sia 
perpetua  ed  antecedente  al  contratto  matrimoniale:  né  dal 
diritto  si  suole  dichiarare  perpetua  prima  degli  anni  18 
nei  maschi  e  degli  anni  14  nelle  femmine  (3). 

4°  Sul  principio  (4)  avea  detto  doversi  alla  Chiesa  l'a- 
ver elevata  l'unione  dell'  uomo  colla  donna  alla  dignità  di 
sacramento:  ed  ora  (5)  dice  esser  Gesù  Cristo  che  elevò 

(1)  Ivi  p.  149. 

(2)  Ivi  p.  151. 

(3)  Cf.  Franc.  Schmalzgrueber  Ius  ecclesiasticum  universum  toni.  IV 
p.  II  tit.  II  parag.  IL 

(4)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   io. 

(5)  Ivi  p.  153. 


—  120  — 
alla  dignità  di  sacramento  1'  unione  matrimoniale.  Anche 
qui  si  vede  che  o  il  Castagnola  è  smemorato  e  non  sa 
quel  che  si  dice,  o,  se  intende  correggere  l'eresia  sfuggi- 
tagli, non  la  corregge  esplicitamente  ,  come ,  per  non  in- 
generar confusione,  dovrebbe. 

5°  Citando  la  relazione  del  senatore  Vigliani  presen- 
tata al  senato  del  Regno  sul  libro  primo  del  codice  ci- 
vile, afferma  che  fin  dai  primi  tempi  della  Chiesa  i  ma- 
trimonii  eran  considerati  quale  un'  istituzione  civile  :  che 
il  Concilio  di  Trento,  colla  sua  riforma,  nulla  volle  inno- 
vare, quanto  alla  essenza  del  sacramento,  ma  soltanto  si 
propose  di  accertare  1'  atto  civile  :  che  di  fatto  il  decreto 
sulla  riforma  matrimoniale  fu  collocato  non  nella  parte 
dommatica,  ma  nella  disciplinare  (l). 

Ora  è  falso  che  fin  dai  primi  tempi  della  Chiesa  i  ma- 
trimonii  fossero  considerati  quale  un'istituzione  civile;  per- 
chè la  Chiesa  regolava  già  il  matrimonio  con  apporvi  va- 
ni impedimenti  nei  primi  tre  secoli,  quando  Stati  cristiani 
non  v'erano  ancora,  sui  quali  cade  la  presente  quistione; 
perchè  poscia  rigettò  come  adulterini  alcuni  matrimonii 
ch'erano  permessi  dai  Principi  (2),  e  per  contrario  ritenne 
valido  il  matrimonio  dei  figli  di  famiglia  contratto  senza 
il  consenso  dei  genitori,  benché  molte  legislazioni  lo  aves- 
sero dichiarato  nullo;  perchè  essa  dovette  ratificare  le  leggi 
matrimoniali  degli  Imperatori ,  affinchè  potessero  valere 
pei  matrimonii  dei  cristiani  sì  entro  come  fuori  i  confini 
dell'  impero  ;  perchè  la  Chiesa  per  mezzo  delle  leggi  ca- 
noniche invalidò  ,  corresse  ,  ampliò  secondo  il  bisogno  le 

(1)  Ivi  p.   154- 

(2)  Cod.  theod.  lib.   Ili  tit.  XVI  de  rcpiidiis. 


—    121   — 

leggi  civili;  e  perchè  finalmente  gli  stessi  Principi  quando 
avrebbero  dovuto  massimamente  valersi  del  diritto  di  re- 
golare il  matrimonio,  se  tal  diritto  avessero  avuto,  si  ri- 
volsero alla  Chiesa,  per  ottener  ciò  che  desideravano,  come 
avvenne  quando  fu  statuito  l'impedimento  di  clandestinità 
chiesto  al  Concilio  di  Trento  principalmente  dalla  voce 
potente  della  Francia,  come  nota  lo  stesso  Castagnola  (l). 
Così  pure  gli  oratori  francesi  a  quell'augusta  Assemblea 
chiesero  con  grandissima  istanza,  eppure  inutilmente,  che 
fosse  apposto  impedimento  al  matrimonio  dei  figli  di  fa- 
miglia contratto  senza  il  consenso  dei  genitori. 

È  inutile  e  inesatto  il  dire  che  il  Concilio  Tridentino 
colla  sua  riforma  nulla  volle  innovare  quanto  alla  essenza 
del  sacramento;  perchè  dato  anche  che  il  Concilio  ciò  a- 
vesse  voluto,  non  avrebbe  potuto:  essendo  indubitato  che 
quanto  si  appartiene  alla  essenza  dei  sacramenti  è  di  diritto 
divino,  e  a  ciò  che  è  di  diritto  divino  non  può  derogare 
neppure  il  Concilio  ecumenico,  per  quanto  ampia  ne  sia  la 
potestà.  Se  i  Padri  si  fossero  proposti  di  accertare  solo 
l'atto  civile,  ne  avrebbero  fatto  richiamo  gli  ambasciatori 
delle  potenze  cristiane  presenti  al  Concilio  ,  protestando 
contro  quella  ingerenza  in  cose  spettanti  al  potere  civile. 

Dall'esser  poi  il  decreto  sul  matrimonio  posto  nella  parte 
disciplinare,  non  ne  viene  che  non  sia  dommatico;  perchè 
questa  qualità  non  dipende  da  quella  forma  esterna,  ma 
si  manifesta  dalle  parole  stesse  dei  canoni ,  dallo  scopo 
che  si  propone  il  sinodo  di  esporre  la  dottrina  sul  ma- 
trimonio, e  si  vede  anche  dalla  dichiarazione  del  Ponte- 
fice Pio  IX  nella  proibizione  dell'opera  del  Nuytz  (2). 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   152. 

(2)  Liti  apost.  Ad  apostoìicae  die  22  Aug.  an.  1851. 


—    122   — 

6°  L'avvocato  Castagnola  magnifica  la  istituzione  del 
matrimonio  civile,  proclamando  la  separazione  del  contratto 
dal  sacramento.  Secondo  lui,  questo  sistema  è  pienamente 
conforme  ai  dettami  del  diritto,  mantiene  i  confini  dei  po- 
teri dello  Stato  e  della  Chiesa  e  la  libertà  di  culto  e  di 
coscienza.  Mentre  lo  Stato  provvede  in  tal  modo  ai  do- 
veri, che  ha  la  sovranità,  di  regolare  tale  materia,  rispetta 
appieno  le  credenze  di  tutti  i  cittadini ,  senza  distinzione 
di  culto,  e,  come  diceva  il  Portalis,  mentre  la  legge  non 
vede  altro  che  cittadini,  la  Religione  non  vede  altro  che 
credenti  (l). 

Ecco  ciò  che  dobbiamo  contrapporre  a  tutti  questi  er- 
rori. La  istituzione  detta  del  matrimonio  civile,  mediante 
la  separazione  del  contratto  matrimoniale  dal  sacramento, 
è  assolutamente  contraria  al  nostro  diritto  pubblico,  per- 
chè il  nostro  diritto  pubblico  riconosce  la  Religione  cat- 
tolica sola  Religione  dello  Stato.  Ed  è  dottrina  della  Chiesa 
cattolica,  come  scrisse  a  Sua  Maestà  Sarda  il  Sommo  Pon- 
tefice Pio  IX  (2)  ,  che  il  sacramento  non  è  una  qualità 
accidentale  del  contratto,  ma  è  di  essenza  al  matrimonio 
stesso  :  cosicché  la  unione  coniugale  fra  i  cristiani  non  è 
legittima  se  non  nel  matrimonio  sacramento  ,  fuori  del 
quale  non  vi  è  che  un  pretto  concubinato.  Una  legge  ci- 
vile che,  supponendo  divisibile  pei  cattolici  il  sacramento 
dal  contratto  di  matrimonio,  pretenda  di  regolarne  la  va- 
lidità, contraddice  alla  dottrina  della  Chiesa,  invade  i  di- 
ritti inalienabili  di  lei ,  e  praticamente  parifica  il  concu- 
binato al  sacramento  del  matrimonio  ,  sanzionando  legit- 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   154  e  segg. 

(2)  Lettera  di  Sua  Santità  Pio  IX  al  Re  di  Sardegna  9  Sett.  1852. 


—  123  — 
timo  l' uno  come  l' altro.  Tali  verità  ripetè  poco  dopo 
lo  stesso  Pontefice,  quando  lamentandosi  in  Concistoro  (1) 
per  le  leggi  della  Repubblica  della  Nuova  Granata  sul 
matrimonio,  dicea:  «  Nessuno  tra  i  cattolici  può  ignorare, 
il  matrimonio  essere  veramente  e  propriamente  uno  dei 
sette  sacramenti  della  legge  evangelica  istituito  da  Gesù 
Cristo  Signor  Nostro ,  e  però  non  potersi  dare  matrimo- 
nio tra  fedeli,  che  al  tempo  stesso  sacramento  non  sia. 
Talmente  che  fra  cristiani  l'unione  dell'uomo  e  della  donna 
fuori  del  sacramento,  siavi  pure  qualunque  formalità  ci- 
vile e  legale,  altro  non  può  essere  che  quel  turpe  e  rui- 
noso  concubinato  in  tante  guise  condannato  dalla  Chiesa. 
E  così  è  chiaro,  il  Sacramento  dal  legame  coniugale  non 
potersi  separare,  ed  appartenere  esclusivamente  alla  po- 
testà della  Chiesa  ordinane  tutte  quelle  cose,  che  ad  esso 
matrimonio  in  qualunque  modo  appartengono  ». 

Lo  Stato  cristiano  colla  istituzione  del  matrimonio  ci- 
vile vien  meno  al  principalissimo  dovere  che  ha  di  rico- 
noscere la  sovrana  autorità  della  Chiesa  nel  regolare  le 
cosesacre  ,  quale  è  il  matrimonio,  e  di  ubbidirle  ,  come 
farebbe  una  privata  persona:  né  tien  conto  veruno  delle 
credenze  professate  dalla  massima  parte  dei  cittadini,  che 
sono  cattolici ,  mostrando  aver  solo  riguardo  agli  atei  e 
agli  increduli ,  vera  cancrena  dell'  umana  società.  Forse 
solo  l'Inghilterra,  la  cui  Religione  non  è  di  fatto  la  Re- 
ligione cattolica  ,  col  metodo  suo  potrebbe  menar  vanto 
di  rispettare  le  credenze  di  tutti  i  cittadini  senza  distin- 
zione di  culto.  Ma  il  metodo  inglese  si  è  di  riconoscere 
il  matrimonio  religioso  secondo  il  convincimento  degli  sposi, 
ammettendo  il  matrimonio  civile  per  gli  atei. 

(1)   Alloc.  Acerbissimum  27  Sept.  1852. 


—  124  — 

La  legge  poi  o  meglio  quella  larva  di  legge  ,  di  cui 
parla  il  Portalis,  contro  ogni  norma  di  retta  politica,  che 
è  scienza  pratica,  considera  gli  uomini  non  come  sono  in 
concreto,  ma  presi  in  astratto  e  divisi,  laddove  lo  Stato, 
per  evitar  le  collisioni  e  la  oppressione  delle  coscienze  , 
dovrebbe  considerare  i  cittadini  in  quanto  come  credenti 
appartengono  anche  alla  Chiesa  ,  in  quella  guisa  che  la 
Chiesa  considera  i  credenti,  in  quanto  come  cittadini  ap- 
partengono anche  allo  Stato. 

Il  matrimonio  civile  è  ora  introdotto  già  in  molti  Stati 
europei  per  le  mene  settarie,  a  cui  favorisce  il  vizio  ra- 
dicale dei  governi  rappresentativi,  facili  sempre  a  cedere 
alla  pervicace  insistenza  degli  empi  e  proclivi  ad  appro- 
vare ogni  disegno  di  legge,  comunque  si  voglia  ripugnante 
al  sentimento  religioso  dei  popoli,  ed  è  una  vera  calamità 
sociale  per  le  rovinose  conseguenze,  che  porta  seco,  quali 
sono  la  indifferenza  in  materia  di  Religione,  il  divorzio  , 
il  dissolvimento  della  famiglia  ,  la  prava  educazione  dei 
figliuoli ,  e  la  corruzione  dei  costumi.  Lo  sperimentò  la 
Spagna,  ove  approvato  il  matrimonio  civile,  mediante  la 
legge  del  18  Giugno  1870  ,  si  dovette  poscia  per  mezzo 
del  decreto  reale  del  9  Febbraio  1875,  modificare  la  le- 
gislazione, per  cui  il  matrimonio  religioso  ha  gli  stessi  ef- 
fetti del  matrimonio  civile.  E  nella  stessa  Prussia  prote- 
stante ,  ove  con  legge  del  lo  Marzo  1874  il  matrimonio 
civile  divenne  obbligatorio  ,  ora  i  gravissimi  danni  di  sì 
nefasta  disposizione  si  riconoscono  da  quei  medesimi  che 
l'aveano  proposta. 

7°  Altri  danni  provenienti  da  questo  sistema  riconosce 
anche  il  Castagnola,  là  ove  parlando  del  disegno  di  legge, 
eh'  egli  riprova  ,  presentato  dai   ministri   Vigliani  e  Con- 


—  125  — 

forti,  per  cui  si  rendeva  obbligatorio  il  matrimonio  civile 
prima  del  religioso  ,  accenna  al  miserando  stato  di  tante 
giovani  tradite,  rese  madri  ed  abbandonate  da  coloro,  coi 
quali  s'erano  unite  soltanto  col  matrimonio  religioso  non 
riconosciuto  dalla  legge  (l).  Ma  di  questi  mali  si  consola 
dicendo  :  «  Quando  si  adotta  un  sistema  ,  egli  è  d'  uopo 
esser  logici  ed  accettarne  le  conseguenze  :  potranno  ve- 
nirne alcuni  inconvenienti ,  ma  è  inconveniente  assai  più 
grave  quello  di  bandire  un  principio  col  disdirlo  rifiutan- 
done i  corollari   »  (2). 

Dopo  queste  parole  prive  di  buon  senso,  ci  pare  che 
un  cristiano,  ancorché  esamini  le  cose  con  mente  serena, 
senza  curare  le  provocazioni  avversarie  (3)  ,  dovrà  tut- 
tavia riconoscere  come  alla  stoltezza  s'aggiunga  anche  ci- 
nica empietà  ,  all'  udir  ciò  che  ivi  si  fa  immediatamente 
seguire  :  «  Certo  che  è  dolorosa  la  condizione  di  quelle 
giovani  madri ,  che  sono  reiette  da  uno  sposo  ,  al  quale 
solo  le  unisce  un  legame  di  coscienza  ,  ed  è  anche  più 
dolorosa  la  condizione  della  prole  innocente.  Ma  il  nuovo 
codice  italiano  non  si  preoccupa  più  che  tanto  del  con- 
cubinato :  non  lo  punisce  di  una  pena  :  si  potrebbe  anzi 
dire  che  indirettamente  lo  favorisce  ,  giacché  accorda  ai 
figli  naturali  dei  diritti  sulla  successione  paterna,  e  1'  ar- 
ticolo 815  del  codice  civile  accorda  loro  nelle  successioni 
testamentarie ,  anche  in  confronto  dei  figli  legittimi ,  la 
metà  della  quota,  che  loro  sarebbe  spettata,  se  fossero  le- 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.    158  e  segg. 

(2)  Ivi  p.   159- 

(3)  Il  professor  Castagnola,  circa  la  quistione  sui  rapporti  tra  Chiesa 
e  Stato,  giustamente  osserva  a  pagina  8  che  l'uomo  di  Stato  deve  esa- 
minarla con  mente  serena,  non  curando  le  provocazioni  avversarie. 


—  126  — 
gittimi  ,  quale  quota  dal  successivo  articolo  8l6  viene  e- 
levata  a  due  terzi ,  se  non  vi  sono  discendenti  né  ascen- 
denti legittimi.  Questi  vantaggi  sono  loro  assicurati  anche 
in  casi  di  successione  legittima  dagli  articoli  744,  745,  ed 
inoltre  l'articolo  747  gli  abilita  a  raccorre  tutta  l'eredità 
paterna  ,  se  non  vi  sono  discendenti  legittimi  ,  né  ascen- 
denti, né  il  coniuge.  Ed  allora  perchè  farne  un  reato,  se 
questa  unione  è  stata  santificata  dal  rito  religioso?  »  (1). 
8°  Dichiarasi  contrario  alla  giurisprudenza  seguita  dalla 
Corte  d'  appello  di  Trani  e  dalla  Corte  di  Cassazione  di 
Napoli:  di  cui  luna  con  sentenza  del  14  Luglio  1867  e  l'al- 
tra con  sentenza  del  29  Giugno  1871  ritengono  nullo  il 
matrimonio  di  chi  ricevette  gli  ordini  sacri  o  emise  il  voto 
solenne  di  castità.  Ma  non  risponde  a  chi  osserva  essere 
tal  quistione  di  diritto  pubblico  interno  ,  giacché  lo  Sta- 
tuto ,  riconoscendo  la  Religione  cattolica  come  sola  Reli- 
gione dello  Stato,  suppone  che  le  leggi  ecclesiastiche  deb- 
bano essere  rispettate  come  leggi  d'  ordine  pubblico  in- 
terno. Non  risponde  a  chi  mostra  che  la  legge  riconosce 
la  qualità  e  il  carattere  del  Prete  cattolico  ,  determinan- 
done in  varii  casi  lo  stato  civile:  e  riconoscendo  la  qua- 
lità e  il  carattere  del  Prete,  deve  pur  riconoscerne  le  conse- 
guenze, come  è  il  celibato:  altrimenti  riconoscerebbe  da  un 
lato  il  Prete  e  dall'altro  noi  riconoscerebbe.  E  non  risponde 
finalmente  a  chi  gli  chiede  se  il  porre  tanto  incitamento 
all'apostasia  e  a  sì  manifesta  ribellione  alle  leggi  ecclesiasti- 
che è  forse  tutto  quel  favore  che  lo  Stato  separato  dalla 
Chiesa  porge  al  sentimento  religioso,  quale  sostrato,  com'egli 
lo  chiama,  e  base  della  pubblica  moralità  ed  onestà  (2). 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   159. 

(2)  Ivi  p.   161   e  218. 


—  127  — 

Coloro  ch'ebbero  già  tra  le  mani  il  libro  del  profes- 
sor Castagnola ,  avran  forse  notato  com'  egli  lo  scrivesse 
due  anni  dopo  dacché  il  regnante  Pontefice  avea  indiriz- 
zato al  mondo  cristiano  quella  mirabile  enciclica  sul  ma- 
trimonio ,  la  quale  rimarrà  a  perpetuo  monumento  della 
sapienza  e  vigilanza  dei  Papi  e  della  benemerenza  della 
Chiesa  verso  la  famiglia  e  lo  Stato. 

Ma  noi  crediamo  poter  francamente  affermare  ad  o- 
nore  del  Castagnola  che  ,  s'  egli  avesse  letto  quel  grave 
documento  ,  avrebbe  veduto  come  ivi  alla  solidità  e  ac- 
curatezza della  dottrina  s'  accordi  il  pieno  conoscimento 
dei  mali,  onde  è  travagliata  la  presente  umana  società,  ed 
ivi  solo  vengano  indicati  efficaci  rimedii  per  impedire  quel 
dissolvimento,  nel  quale  ora  cadono  precipitosi  i  governi, 
i  cui  ministri  loquacissimi  a  parlamentare  si  mostran  poi 
inettissimi  a  provvedere  ai  supremi  bisogni  della  famiglia 
che  forma  lo  Stato.  Egli  udendo  ragionar  con  tanta  forza 
e  dignità ,  sarebbe  stato  men  corrivo  a  trattar  di  questa 
materia,  ed  ora  non  ardirebbe  più  parlare  nel  modo  che 
tenne  scrivendo  della  Chiesa  e  d'un  gran  sacramento,  quale 
è  il  matrimonio  tra  cristiani. 

Ecco  come  il  Pontefice,  sul  fine  dell'enciclica  compen- 
diando la  dottrina  cattolica  circa  il  matrimonio,  parla  ai 
Vescovi  della  cristianità:  «  Ponete  le  principali  cure  in  que- 
sto che  i  popoli  abbondino  dei  precetti  della  sapienza  cri- 
stiana ,  ed  abbiano  sempre  fisso  nella  mente  che  il  matri- 
monio fu  dal  principio  stabilito  non  per  volontà  degli  uo- 
mini, ma  per  autorità  e  volere  di  Dio,  e  con  questa  legge 
che  sia  di  un  solo  con  una  sola  :  Cristo  poi  autore  della 
nuova  legge,  da  ufficio  di  natura,  averlo  posto  fra  i  sacra- 
menti, e,  per  quel  che  riguarda  il  vincolo,  averne  dato  alla 


—    128  — 

sua  Chiesa  il  potere  legislativo  e  giudiziale.  Nella  qual  cosa 
diligentemente  si  conviene  prender  guardia,  che  le  menti 
non  sieno  tratte  in  errore  dalle  fallaci  argomentazioni  degli 
avversarii,  i  quali  vorrebbero  che  fosse  tolto  alla  Chiesa 
un  tal  potere.  Similmente  deve  essere  a  tutti  manifesto 
che,  se  tra  cristiani  si  contragga  l'unione  dell'uomo  e  della 
donna  senza  che  sia  sacramento,  essa  manca  della  natura 
e  dell'efficacia  di  legittimo  matrimonio;  e  tuttoché  sia  stata 
fatta  in  modo  conforme  alle  leggi  dello  Stato,  nulladimeno 
non  può  essere  stimata  più  che  un  rito  od  una  usanza 
introdotta  dal  diritto  civile;  dal  diritto  civile  poi  non  pos- 
sano essere  ordinate  e  amministrate  se  non  quelle  cose  , 
che  i  matrimonii  producono  nell'  ordine  civile  ,  e  che  è 
chiaro  non  potere  altrimenti  esser  prodotte,  se  non  ne  e- 
sista  la  vera  e  legittima  causa  ,  cioè  dire  il  vincolo  nu- 
ziale. Certo  importa  assaissimo  che  gli  sposi  conoscano 
appieno  queste  cose  ,  le  quali  debbano  anche  essere  da 
essi  abbracciate  e  ne'  loro  animi  altamente  impresse,  ac- 
ciocché sia  loro  lecito  di  uniformarsi  in  questo  caso  alle 
leggi  ;  non  vietando  ciò  la  stessa  Chiesa  ,  la  quale  vuole 
e  desidera  che  sieno  salvi  del  tutto  gli  effetti  dei  matri- 
monii, e  che  non  venga  cagionato  alcun  danno  ai  figliuoli. 
In  tanta  confusione  poi  di  giudizii,  che  van  crescendo  l'un 
dì  più  che  l'altro,  è  necessario  che  sia  ben  conosciuto  an- 
che questo,  che  cioè  lo  sciogliere  il  vincolo  del  connubio 
rato  e  consumato  tra  cristiani,  non  è  in  facoltà  di  veruno  ; 
e  che  in  conseguenza  sono  rei  di  manifesto  delitto  quei 
coniugi,  quando  per  avventura  ve  ne  siano  alcuni,  i  quali 
per  qualunque  motivo  si  adduca  ,  vogliano  stringersi  in 
un  nuovo  vincolo  di  matrimonio  ,  innanzi  che  per  morte 
resti  sciolto  il  primo.  Che  se  le  cose  giungano  a  tal  punto, 


—  12Q  — 
che  il  convivere  insieme  non  sembri  potersi  sopportare 
più  a  lungo  ,  allora  la  Chiesa  permette  che  1'  uno  meni 
i  suoi  giorni  separato  dall'altro,  e  con  cure  e  rimedii  da 
apprestarsi ,  secondo  che  richiede  la  condizione  dei  co- 
niugi ,  si  studia  di  alleggerire  i  danni  della  separazione  , 
né  avviene  giammai  o  che  ella  non  s'  adoperi  o  che  di- 
speri di  ridur  gli  animi  alla  concordia.  Questi  per  altro 
sono  i  partiti  estremi,  ai  quali  sarebbe  facile  non  venire, 
se  gli  sposi,  non  trasportati  dalia  passione ,  ma  ponderati 
prima  con  atteso  animo  sì  i  doveri  dei  coniugi,  sì  i  mo- 
tivi nobilissimi  dei  connubii ,  si  accostassero  al  matrimo- 
nio con  quella  intenzione  che  si  conviene  ,  e  non  antici- 
passero le  nozze  con  una  serie  continuata  di  delitti,  sotto 
lo  sdegno  di  Dio.  E  per  raccogliere  tutto  in  poco  ,  allora 
i  matrimonii  potranno  avere  una  dolce  e  sicura  stabilità, 
quando  attingano  lo  spirito  e  la  vita  dalla  virtù  della  Re- 
ligione ,  la  quale  dà  grazia  d'  animo  forte  ed  invitto  ;  la 
quale  fa  sì  che  i  difetti  che  possono  aver  le  persone,  che 
la  diversità  dei  costumi  e  delle  indoli ,  che  il  peso  delle 
cura  materne,  che  la  grave  sollecitudine  della  educazione 
de'  figliuoli,  che  i  travagli  compagni  della  vita,  che  tutte 
le  disavventure,  non  solo  con  rassegnazione,  ma  con  lieto 
animo  si  sopportino  »  (l). 

(1)  Epist.  encyc.  Arcanum  divinae  sapientiae  die  io  Febr.  an.  1880. 


—  130  — 

ART.  III. 

DELLE  PERSONE  E  DELLE  GUARENTIGIE  ACCORDATE  AL  SOMMO  PONTEFICE. 

Di  quest'  ampia  materia  delle  persone  trattata  mae- 
strevolmente da  molti  scrittori  di  diritto  ecclesiastico,  che 
si  possono  facilmente  da  giovani  consultare,  qui  sono  ap- 
pena accennati  i  diritti  de'  chierici  :  i  quali  diritti  il  Casta- 
gnola riduce  1°  alla  prerogativa  d' ordine  e  di  giurisdi- 
zione: 2°  al  privilegio  del  foro  e  del  canone  :  3°  all'  esen- 
zione dai  pesi  ed  officii  pubblici.  Ma  1'  aver  egli  toccato 
solo  in  parte  e  fuggevolmente  tale  materia  ,  non  gli  im- 
pedì che  dicesse  molti  e  gravissimi  errori. 

1°  Circa  la  prerogativa  d'ordine  e  di  giurisdizione  scrive 
che  nei  primitivi  tempi  il  laicato  prendeva  sempre  parte 
attiva  nella  legislazione  ecclesiastica,  i  Concilii  erano  con- 
vocati e  presieduti  dagli  Imperatori  d'oriente,  ed  anche  in 
occidente  dagli  Imperatori  Carlovingi  (l). 

Per  tempi  primitivi  della  Chiesa  generalmente  s' inten- 
dono i  primi  tre  secoli  dell'era  volgare.  Ora  in  quel  tempo 
il  laicato  né  pigliò,  né  potea  pigliar  parte  attiva  alla  le- 
gislazione ecclesiastica,  per  mezzo  della  celebrazione  dei 
Concilii.  Quanto  ai  Concilii  ecumenici,  allora  non  se  ne 
erano  ancor  celebrati  in  oriente  né  in  occidente.  De'  po- 
chi Concilii  particolari,  che  si  tennero  non  ne  furono  con- 
vocati né  presieduti  da  Imperatori ,  i  quali  anzi  per  la 
ferocia,  con  cui  perseguitavano  la  Chiesa ,  gli  avrebbero 
dispersi.  E  nel  quarto  secolo  ,  quando  si  tenne  il  primo 
Concilio  di  Nicea ,  tra  i  molti  ecclesiastici,  eh'  erano  stati 

(l)  Ivi  p.    177. 


—  131  — 
tormentati  dagli  idolatri,  vi  comparvero  ancora  alcuni  che 
mostravano  tuttavia  le  cicatrici  delle  piaghe  sofferte  nelle 
persecuzioni  dai  tiranni,  come  san  Pafnuzio  Vescovo  della 
Tebaide,  al  quale  era  stato  cavato  l'occhio  destro  a'tempi  di 
Massimino;  san  Paolo  Vescovo  di  Neocesarea,  che  per  or- 
dine di  Licinio,  avea  perduto  1'  uso  delle  mani,  essendo- 
gliene stati  bruciati  i  nervi  con  ferro  rovente;  e  san  Pa- 
tamone  Vescovo  di  Eraclea,  privato  anch'esso  dell'  occhio 
destro  per  la  confessione  della  fede.  Di  questo  primo  Con- 
cilio ecumenico,  che,  colla  permissione  del  Pontefice  san 
Silvestro,  fu  convocato  da  Costantino  per  rinfrancare  gli 
animi  ancora  spaventati  della  passata  tirannide,  e  certifi- 
care il  mondo  che  anche  i  Cesari,  piegando  la  fronte  alla 
Croce,  avean  finalmente  reso  pubblico  omaggio  alla  fede, 
di  questo  Concilio  abbiam  già  accennato  (l)  come  fosse 
presieduto  dai  legati  del  Papa.  E  lo  stesso  Costantino  pre- 
sente all'  augusta  Assemblea  diceva  a'  quei  Padri  :  «  Id- 
dio vi  costituì  sacerdoti  e  vi  diede  la  potestà  di  giudicare 
anche  di  noi  :  e  noi  quindi  siamo  da  voi  rettamente  giu- 
dicati »  (2).  Ma  non  v'  essendo  speciale  motivo  per  fare 
altrimenti ,  i  Papi  sempre  convocarono  per  sé  i  Concilii 
e  li  presiedevano  nella  persona  dei  legati.  Gli  Imperatori 
d'oriente  furon  sì  lontani  dal  pigliar  parte  attiva  alla  le- 
gislazione ecclesiastica  ,  che  già  nel  secolo  quinto  ,  come 
abbiamo  detto,  l'Imperatore  Marciano  e  l'Imperatrice  Pul- 
cheria  non  avean  potuto  impetrare  che  il  Sommo  Ponte- 
fice san  Leone  approvasse  il  vigesimo  ottavo  canone  sta- 

(1)  Pag.  6. 

(2)  Cf.  Natalis  Alexandri  Ustoria  ecclesiastica  tom.  IV,  saecalì  IV  syn- 
opsis,  cap.  IV,  art.  Ili  parag.  IL 


—  132  — 
bilito  dai  Padri  del  Concilio  Calcedonese,  a  favore  della 
Chiesa  di  Costantinopoli. 

Ma  come  il  Castagnola  potè  scrivere  che  nei  primitivi 
tempi  della  Chiesa  i  Concilii  fossero  convocati  e  presie- 
duti anche  in  occidente  dagli  Imperatori  Carlovingi  ?  Nei 
primitivi  tempi  della  Chiesa  i  Carlovingi  non  esistevano 
ancora,  ed  era  già  scomparsa  la  loro  dinastia,  quando  si 
celebrarono  in  occidente  Concilii  ecumenici.  I  Carlovingi 
avean  già  cessato  di  regnare,  quando  sullo  scorcio  del  se- 
colo decimo  regnava  Ugo  Capeto,  e  il  Concilio  ecumenico 
il  quale  prima  si  celebrò  in  occidente  fu  il  Lateranese  primo, 
che  si  tenne  nel  duodecimo  secolo  sotto  il  pontificato  di 
Callisto  IL  Per  ciò  che  spetta  i  Concilii  particolari,  è  vero 
che  fu  pensiero  di  Carlo  Magno  celebrare  quasi  contem- 
poraneamente i  cinque  sinodi  provinciali  di  Arles,  Reims, 
Tours,  Chàlons  e  Magonza  :  ma  per  congregarli  andò  di 
buon  accordo  cogli  Arcivescovi  e  coi  Vescovi  delle  Gal- 
lie,  a'  quali  avea  già  dato  ad  esaminare  il  suo  disegno, 
per  ottenere,  nel  modo  più  conforme  ai  canoni,  la  gene- 
rale riformazione  dei  costumi.  E  questi  Concilii,  eh'  eran 
presieduti  da  ecclesiastici ,  lodando  lo  zelo  di  Carlo  ,  gli 
mandarono  le  loro  deliberazioni ,  perchè  ne  curasse  1'  a- 
dempimento,  il  che  egli  fece  quell'istesso  anno  pubblicando 
un  capitolare  di  ventotto  articoli  nella  generale  assemblea, 
che  a  tal  fine  convocò  in  Aquisgrana.  Un  tal  fatto  par- 
ticolare, ch'ebbe  sì  felice  riuscimento,  non  dimostra  in  ve- 
run  modo  ciò  che  il  Castagnola  intende,  ma  contro  di  lui 
prova  soltanto  di  quali  benefici  frutti  sia  fecondo  ai  po- 
poli il  sincero  accordo  tra  la  Chiesa  e  lo  Stato. 

Di  sì  fatta  guisa  era  la  parte  che  i  Carlovingi  avean 
pigliato  nella   legislazione    ecclesiasiastica  :  e  in  tal  modo 


—  133  — 
pure  si  diportarono    gli  altri  Principi  cristiani ,  il  cui  uf- 
ficio intorno  ai  Concilii  fu  solo  difenderli  e  farne  eseguire 
i  decreti. 

2°  Parlando  del  privilegio  del  foro,  per  cui  i  cherici 
non  possono  essere  astretti  a  comparire  innanzi  a  giudici 
laici  né  come  rei,  nò  come  testimonii,  né  esser  da  quelli 
puniti,  ma  solo  dal  legittimo  superiore,  par  che  voglia  se- 
gnalare una  contraddizione  nelle  leggi  canoniche;  perchè 
dopo  aver  riferito  che  i  concordati  e  gli  indulti  su  tale 
esenzione  furono  abrogati  dalla  celebre  Bolla  Coenae,  colla 
quale  venne  fulminata  la  scomunica  contro  coloro  ,  che 
traggono  le  persone  ecclesiastiche  al  foro  secolare,  scrive 
come  «  ad  onta  di  ciò  i  Pontefici  continuarono  ad  ema- 
nare simili  indulti  e  a  stringere  concordati  su  di  questo 
punto  »  (l).  E  non  vede  che  come  un  Papa  può  abro- 
gare i  concordati  e  gli  indulti  già  conceduti,  così  un  al- 
tro Papa  può  concederli  di  nuovo,  secondo  che  crede  op- 
portuno: altrimenti  si  dovrebbe  ammettere  che  chi  precede 
nel  pontificato  possa  legare  i  successori  ne' loro  atti  e  ri- 
stringerne il  potere;  e  che  conseguentemente  i  Papi  rice- 
vano la  loro  potestà  dal  predecessore,  non  già,  come  in- 
segna la  Chiesa,  da  Gesù  Cristo  nella  persona  di  san  Pietro. 

3°  Mentre  il  professor  Castagnola  nelle  leggi  canoni- 
che vede  contraddizioni  che  non  esistono  ,  non  vede  poi 
quella  contraddizione  sì  manifesta  che  è  tra  la  legge  del 
9  Aprile  1850,  detta  volgarmente  legge  Siccardi,  e  le  leggi 
ecclesiastiche  coi  concordati  che  dovrebbero  essere  nel  no- 
stro Regno  ancora  vigenti  (2).  Presso  di  noi  1'  esenzione 


(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  178. 

(2)  Ivi. 


—  134  — 
dei  cherici  dal  foro  secolare  nelle  cause  civili  era  già  ri- 
stretta da  speciali  disposizioni  emanate  dalla  Santa  Sede, 
come  rilevasi  dalle  stesse  risposte  del  Cardinal  Fini  alle 
opposizioni  fatte  da  Francesco  Ferrerò  di  Roasio  Mar- 
chese d'Ormea  (l)  e  dal  Breve  (2),  col  quale  il  Sommo 
Pontefice  Leone  XII  estende  quelle  disposizioni  al  ducato 
di  Genova;  perchè  ivi  si  scorge  che  gli  ecclesiastici  erano 
di  competenza  del  giudice  ecclesiastico  ,  solo  quando  si 
trattava  di  cause  civili  tra  ecclesiastico  ed  ecclesiastico  o  tra 
un  ecclesiastico  ed  un  laico,  in  cui  il  convenuto  0  reo  fosse 
ecclesiastico,  secondo  l'assioma  legale  che  l'attore  segue  il 
foro  del  reo.  Così  questa  esenzione  era  pure  ristretta  dalla 
pratica  introdotta  prima  nelle  provincie  gallicane,  poi  in 
Savoia  e  quindi  nel  restante  dominio  del  Piemonte;  per- 
chè, quantunque  di  ciò  non  apparisse  vestigio  nei  concor- 
dati, pure  per  tolleranza  della  Chiesa,  i  cherici  si  riguar- 
davano di  competenza  del  giudice  ecclesiastico  solo  nelle 
cause  personali  non  nelle  reali.  Anzi  tale  esenzione  era 
ristretta  inoltre  dalle  stesse  leggi  canoniche;  perchè  la  Chiesa 
non  solo  tollerava  che  l'ecclesiastico  comparisse  davanti  il 
giudice  laico,  se  fosse  stato  citato  con  laici  o  se  fosse  stato 
riconvenuto  ;  ma  toglieva  anche  il  privilegio  ai  cherici  in 
molti  casi,  come  se  negli  ordini  minori  non  avessero  portato 
l'abito  chericale  e  non  avessero  servito  una  Chiesa,  o,  se 
negli  ordini  maggiori,  dimesso  l'abito,  si  fossero  dati  a  vita 
secolaresca,  o  si  fossero  dedicati  a  negozii  o  ad  ammini- 
strazioni proibite  ai  cherici  dai  sacri  canoni. 

(1)  Progetto  di  accomodamento  tra  S.  M.  il  Re  di  Sardegna  e  S.  S. 
Benedetto  XIII,  sull'immunità  e  sulla  giurisdizione  ecclesiastica  in  Pie- 
monte, 24  Marzo  1727. 

(2)  Breve   Obscquio  die  20  Iun.  an.   1826. 


—  135  — 

L'esenzione  dei  cherici  anche  nelle  cause  criminali  era 
assai  limitata  pel  nuovo  concordato  del  2  aprile  1841  sotto 
Gregorio  XVI,  ove  al  giudice  laico  era  permesso  di  agire 
contro  il  cherico  ,  se  si  trattasse  di  crimine  o  di  delitto  , 
in  cui  il  cherico  fosse   complice  con   laici. 

Ora  la  immunità  personale  dei  cherici,  quantunque  già 
sì  attenuata  dai  concordati,  dalla  pratica  introdotta  ed  anche 
dalle  leggi  canoniche ,  pure  venne  di  fatto  assolutamente 
abolita  colla  legge  Siccardi;  perchè,  quanto  alle  cause  ci- 
vili all'articolo  1°  è  detto:  «  Le  cause  civili  tra  ecclesia- 
stici e  laici  od  anche  tra  soli  ecclesiastici,  spettano  alla 
giurisdizione  civile,  sia  per  le  azioni  personali  che  per  le 
reali  o  miste  di  qualunque  sorta  ».  E  quanto  alle  cause 
criminali  si  ha  all'  articolo  3  e  4  ».  Gli  ecclesiastici  sono 
soggetti  come  gli  altri  cittadini  a  tutte  le  leggi  penali  dello 
Stato.  Pei  reati  nelle  dette  leggi  contemplati,  essi  verranno 
giudicati  nelle  forme  stabilite  dalle  leggi  di  procedura,  dai 
tribunali  laici,  senza  distinzione  tra  crimini  0  delitti  e  con- 
travvenzioni ». 

«  Le  pene  stabilite  dalle  leggi  dello  Stato  non  potranno 
applicarsi  che  dai  tribunali  civili,  salvo  sempre  all'eccle- 
siastica Autorità  l'esercizio  delle  sue  attribuzioni  per  l'ap- 
plicazione delle  pene  spirituali  ,  a  termini  delle  leggi  ec- 
clesiastiche ».  Per  veder  poi  quanto  la  legge  Siccardiana 
contraddica  allo  Statuto,  basta  ricordare  il  1°  articolo,  che 
riconoscendo  la  Religione  cattolica  come  Religione  dello 
Stato,  deve  riconoscere  tutte  le  leggi  ecclesiastiche,  a  cui 
non  siasi  derogato  per  ispeciale  concessione  del  Pontefice. 

40  Anche  trattandosi  di  materia  così  grave,  non  è  facile 
contenere  il  riso  quando  si  sente  dir  dal  Castagnola  che  «  in 
virtù  del  privilegio  del  canone  non  si  può  portar  violenta 


-  136  — 
la  mano  sul  chierico  ,  siccome  lo  stabilisce  Innocenzo  II 
nel  Concilio  Lateranense  con  queste  parole  :  Si  quis,  sua- 
dente  diabolo,  huius  sacrilega  redimii  incurrérit,  quod  in  cle- 
ricnm  vel  monachimi  violentas  manus  iniecerit ,  anathematis 
v inculo  subiaceat  »  (l). 

Pare  che,  se  non  fosse  il  privilegio  di  questo  canone, 
ora  non  più  riconosciuto  dalle  nostre  leggi  civili,  i  cherici 
e  i  monaci  potrebbero  impunemente  percuotersi.  Inno- 
cenzo II  nel  citato  canone  non  istabilisce  ciò  che  già  sup- 
pone generalmente  stabilito  dal  diritto  naturale,  non  po- 
tersi cioè  percuotere  i  cherici  e  i  monaci,  come  non  può 
percuotersi  verun' altra  persona,  ma  per  circondar  di  mag- 
gior protezione  e  riverenza  gli  ecclesiastici,  fulmina  l'ana- 
tema contro  colui  che,  per  istigazione  del  demonio,  fosse 
incorso  nel  reato  di  sacrilegio  per  aver  posto  violente- 
mente le  mani  su  un  cherico  o  su  un  monaco. 

5°  Riguardo  all'  esenzione  dai  pesi  ed  ufficii  pubblici 
interpreta  in  modo  arbitrario  il  diritto  d'  eguaglianza  ri- 
conosciuto dalla  Costituzione  all'articolo  24:  «  Tutti  i  re- 
gnicoli, qualunque  sia  il  loro  titolo  e  grado,  sono  eguali 
dinanzi  alla  legge  »   (2). 

L'eguaglianza  guarantita  dallo  Statuto  altro  non  può 
essere  che  un'eguaglianza  relativa,  per  la  quale  chi,  nelle 
diverse  condizioni  sociali,  da  una  parte  è  soggetto  a  spe- 
ciali gravami,  dall'altra  debba  avere  un  compenso  nell'e- 
senzione da  altre  comuni  obbligazioni,  sicché  possa  in  tal 
modo  serbarsi  la  giustizia  distributiva.  Altrimenti  un'  e- 
guaglianza  assoluta  e  rigorosa  applicata    individualmente 

(1)  Ivi. 

(2)  Ivi  p.  179- 


—  137  — 
agli  uomini  sarebbe  effettivamente  la  massima  delle  ine- 
gualità, perchè,  essendo  gli  uomini  necessariamente  disu- 
guali nelle  loro  accidentali  qualità  ,  il  volerli  pareggiare 
in  modo  rigoroso  sarebbe  un  volerli  trattare  tutti  inegual- 
mente e  rendersi  ingiusto  verso  ciascuno.  Ora  l'esenzione 
dai  pesi  e  dagli  ufficii  pubblici  a  favore  dei  cherici  altro 
non  è  che  un  giusto  compenso  dei  gravi  oneri  speciali  e 
dei  doveri  ch'essi  hanno  nell'adempimento  del  loro  mini- 
stero. 

6°  Considera  la  legge  del  27  Maggio  1869  ,  che  abo- 
lisce il  privilegio  della  dispensa  dei  cherici  dalla  leva  mi- 
litare, come  corollario  del  principio  d'eguaglianza  sancito 
dallo  Statuto  :  crede  che  il  servizio  prestato  sotto  le  mi- 
litari bandiere  non  possa  se  non  che  rinvigorire  i  giovani 
leviti  :  ed  afferma  che  la  storia  ci  dimostra  «  come  i  pri- 
mitivi cristiani  si  reclutassero  non  in  iscarso  numero  tra 
i  legionarii  romani  sempre  prodi  e  fedeli  all'  Imperatore 
romano  »  (l). 

La  citata  legge  come  è  contraria  pei  motivi  già  ac- 
cennati al  1°  articolo  dello  Statuto,  così  discorda  pure  dal- 
l'articolo 24,  dovendo  il  principio  d'eguaglianza  intendersi 
d' un' eguaglianza  non  assoluta  ma  relativa.  Il  clero  paga 
il  debito  suo  alla  patria  non  nelle  caserme  e  negli  allog- 
giamenti col  brandire  le  armi,  ma  col  consecrare  la  sua 
vita  negli  ospedali,  nelle  carceri,  nelle  chiese  a  render  co- 
stumati i  soldati,  a  incoraggiarli  nelle  loro  privazioni,  e 
spesso  a  prestar  loro  quelle  consolazioni  che  non  hanno 
dalla  famiglia  lontana.  Chi  può  mai  credere  che  il  servi- 
zio militare  possa  rinvigorire  i  giovani  leviti,  massime  nel 

(1)  Ivi. 


—  138  — 
nostro  esercito,  ove  licenziati  i  cappellani,  ed  impediti  i 
giovani  dal  compiere  i  loro  doveri  religiosi,  crebbe  tanto 
il  mal  celtico  che  se  ne  mosse  querela  al  Parlamento?  (l). 
Noi  crediamo  col  ministro  belga  Pirmez  che,  fatte  poche 
eccezioni ,  chi  avrà  appartenuto  per  qualche  tempo  alla 
milizia  ed  avrà  preso  le  usanze  della  vita  militare,  diverrà 
difficilissimamente  un  buon  Prete.  Se  poi  i  primitivi  cri- 
stiani reclutati  tra  le  legioni  romane  si  mostrarono  sem- 
pre prodi  e  fedeli  agli  Imperatori,  ciò  non  ad  altro  può 
attribuirsi  che  all'  intrinseca  virtù  della  Religione  che  pro- 
fessavano ,  unica  che  torni  sempre  utile  agli  Stati.  Ma  il 
vantaggio,  che  può  aver  l'esercito  dall'arrolamento  di  quei 
giovani,  non  impedisce  il  gravissimo  danno  morale  che  ha 
lo  Stato,  quando  strappa  dai  Seminarii  i  giovani  leviti  per 
dar  loro  rozza  e  quasi  atea  educazione  sostituita  alla  colta 
e  pia  educazione,  che  dà  loro  la  Chiesa,  perchè  debbano 
trasfondere  nei  popoli  il  buon  costume  a  comun  beneficio 
dell'  umana  società. 

7°  Neil'  esaminar  la  legge  detta  delle  guarentigie,  se- 
guendo il  parere  del  Consiglio  di  Stato  del  27  Febbraio 
1878  ,  la  considera  legge  di  diritto  pubblico  interno  (2), 
e  poco  innanzi  l'avea  riguardata  come  legge  di  diritto  pub- 
blico esterno  ,  chiamandola  con  Marco  Minghetti  legge 
quant' altra  mai  politica  e  di  opportunità,  fatta  «  per  ras- 
sicurare i  governi  e  i  popoli  cattolici  che  la  fine  del  po- 
tere temporale  del  Papa  non  implica  la  servitù  spirituale 
della  Chiesa  »  (3).  Prima  la  dice  «  una  legge  interna  dello 


(1)  Relazione  sul  bilancio  dell'interno  del  1883. 

(2)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   181. 

(3)  Ivi. 


—  139  — 
Stato  »  e  poscia  una  legge  «  intesa  altresì  a  produrre  ef- 
fetti che  ne  varcano  i  confini ,  in  quanto  che  1'  indipen- 
denza del  Sommo  Pontefice,  capo  della  cattolicità,  e  il  li- 
bero esercizio  dell'autorità  spirituale  della  Santa  Sede,  che 
essa  legge  assecura,  sono  una  guarentigia  pei  cattolici  di 
qualsivoglia  Stato  estero,  ch'essi  non  incontreranno  impe- 
dimenti o  vincoli  nelle  loro  relazioni  col  Sommo  Ponte- 
fice e  colla  Santa  Sede  »  (l).  Confessa  che  la  legge  delle 
guarentigie  «  non  è  una  logica  conseguenza  del  principio 
della  separazione  della  Chiesa  dallo  Stato  »  (2),  principio 
da  lui  sostenuto  ,  e  poi  vantasi  di  avere  apposto  il  suo 
nome  a  questa  legge,  quando  fu  sancita  (3). 

8°  Temendo  di  parer  forse  troppo  benigno  nel!'  inter- 
pretazione della  legge  delle  guarentigie  ,  s'  affretta  a  di- 
chiarare com'egli  opina  col  Ti  epolo  (4)  che  non  si  volle 
coli'  articolo  7  (5)  stabilire  il  diritto  d'  asilo,  dicendo  che 
«  le  residenze  pontificie  e  conciliari  restano  sempre  sog- 
gette alla  legislazione  comune,  né  possono  assicurare  l'im- 
punità ai  malfattori,  che  vi  si  fossero  ricoverati  ».  E  mo- 
strando come  a  ciò  non  osti  il  non  essersi  accettata  la 
proposta  d'  un'  aggiunta  per  accordare  l'accesso  alle  resi- 
denze del  Pontefice,  con  un  decreto  della  suprema  Magi- 
stratura giudiziaria,  egli   afferma   darsi  per  presupposto 

(1)  Ivi  p.  182. 

(2)  Ivi  p.  180. 

(3)  Ivi  p.  184. 

(4)  Raccolta  di  leggi  speciali.   —  Leggi  ecclesiastiche  p.  28. 

(5)  Art.  7:  «  Nessun  ufficiale  della  pubblica  autorità  od  agente  della 
forza  pubblica  può  esercitare  atti  del  proprio  ufficio,  introdursi  nei  pa- 
lazzi e  luoghi  di  abituale  residenza  0  temporanea  dimora  del  Sommo 
Pontefice,  del  Conclave  o  del  Concilio  ». 


—  140  — 
che  i  rei  debbano  esser  consegnati  ,  ed  allega  in  propo- 
sito ciò  che  il  Ministro  sopra  gli  affari  esteri  diceva  al 
Parlamento  (l).  «  Se  il  Pontefice  volesse  dare  nel  Vati- 
cano impune  rifugio  ai  malfattori,  che  cosa  succederebbe  ? 
Quale  ne  sarebbe  la  conseguenza?  Il  Pontefice  commet- 
terebbe un  abuso,  ed  allora  1'  opinione  del  mondo  civile 
ci  renderebbe  assai  facile  il  fare  cessare  degli  inconve- 
nienti, i  quali  sarebbero  condannati  dalla  coscienza  pub- 
blica ». 

Dal  che  si  rileva  che  questa  legge  non  fu  pubblicata 
per  guarentire  la  Santa  Sede,  come  si  volea  far  credere, 
ma  per  chetare  la  commozione  dei  popoli  impensieriti  del 
nuovo  stato  precario,  in  cui  si  trovava  il  Pontefice,  dopo 
il  bombardamento  di  Roma:  si  rileva  che,  se  il  Papa  vo- 
lesse far  valere  pei  sacri  palazzi  il  privilegio  d' immunità 
accordato  dai  canoni  anche  ai  palazzi  dei  semplici  Vescovi, 
si  dovrebbe  ritenere  qual  ricettatore  di  malfattori,  il  quale 
commetta  un  abuso  dalla  coscienza  pubblica  condannato: 
si  rileva  finalmente  che  in  tal  caso  il  governo  non  farebbe 
conto  alcuno  della  legge  delle  guarentigie;  perchè,  non  o- 
stante  tal  legge,  l'opinione  del  mondo  civile  gli  renderebbe 
assai  facile  il  far  cessare  quei  supposti  inconvenienti. 

9°  Quando  commenta  l'articolo  g,  in  luogo  di  notarne 
i  gravi  vizii,  aggiunge  anzi  altri  errori.  Di  fatto  come  in 
quell'articolo  si  dispone  che  «  il  Sommo  Pontefice  è  pie- 
namente libero  di  compiere  tutte  le  funzioni  del  suo  mi- 
nistero spirituale  e  di  far  affiggere  alle  porte  delle  basi- 
liche e  chiese  di  Roma  tutti  gli  atti  del  suo  ministero  »  ; 
così  da  prima  si   lascia   supporre    che   possa  togliersi  al 

(l)  Atti  del  Parlamento  1871  p.  586. 


—  141  — 
Pontefice  in  parte  o  tutta  quella  libertà  che  ora  gli  si  con- 
cede :  quindi  si  viene  a  sancire  la  massima  della  ingerenza 
del  potere  civile  sulle  cose  spirituali  e  la  supremazia  dello 
Stato  sulla  Chiesa:  inoltre  si  determina  al  Pontefice  la  ma- 
niera di  promulgare  le  leggi  ;  perchè  con  prescrivergli  che 
è  pienamente  libero  di  far  affiggere  alle  porte  delle  ba- 
siliche e  chiese  di  Roma  tutti  gli  atti  del  suo  ministero  , 
gli  si  indica  tassativamente  il  modo  come  può  promulgare 
le  sue  leggi,  oltre  il  quale,  debba  ritenersi  essergli  tolta 
quella  facoltà  :  e  finalmente  col  fatto  si  abolisce  il  modo 
ordinario  per  pubblicare  le  leggi  pontificie  tenutosi  in  vi- 
gore da  oltre  sei  secoli;  perchè  da  quel  tempo  la  pro- 
mulgazione si  solea  fare  ,  mediante  1'  affissione  alle  porte 
della  basilica  dei  SS.  Apostoli  e  al  campo  di  Fiori:  ed 
ora  nell'articolo  9  si  dispone  che  possa  farsi  mediante  l'af- 
fissione alle  porte  delle  basiliche  e  chiese  di  Roma,  senza 
che  il  campo  di  Fiori  sia  indicato. 

Il  Castagnola  di  più  ci  fa  sapere  che  «  gli  atti  del  mi- 
nistero spirituale  del  Pontefice  sono  di  libera  pubblica- 
zione ed  affissione  non  solo  alle  porte  delle  chiese  di  Roma, 
ma  anche  a  quelle  di  tutto  il  Regno  ».  Questa  interpre- 
tazione è  affatto  contraria  al  testo;  perchè  nell'articolo  si 
dice  che  «  il  Sommo  Pontefice  è  pienamente  libero....  di 
far  affiggere  tutti  gli  atti  del  suo  ministero  alle  porte  delle 
basiliche  e  chiese  di  Roma  »  non  già  a  quelle  di  tutto  il 
Regno:  e  non  potea  dirsi  altrimenti,  se  si  fossero  volute 
appunto  indicare  le  basiliche  e  chiese  di  Roma,  escludendo 
le  altre.  Né  vale  addurre  la  ragione  che  «  per  l'articolo 
16  la  pubblicazione  degli  atti  dell'autorità  ecclesiastica  non 
è  più  soggetta  al  vincolo  dell'  exsequatur  »  ;  perchè  anche 
avanti,  stando  pure  alla  pretensione  del  governo,  non  e- 


—  142  — 
rano  soggetti  al  regio  placito  se  non  che  i  rescritti  di  gra- 
zia e  giustizia. 

Inculca  di  nuovo  la  supremazia  dello  Stato  sulla  Chiesa, 
affermando  che  la  libertà  concessa  al  Pontefice  di  pub- 
blicare le  sue  leggi  «  esplica  soltanto  i  suoi  effetti  allor- 
ché egli  ne  usa  nella  forma  che  gli  è  garantita  dalla  legge 
13  Maggio  1871.  Ma  se  il  Pontefice  rifugge  dall' usar  que- 
sta forma  per  render  manifeste  le  sue  determinazioni,  ed 
invece  fa  appello  a  quelle  che  dal  diritto  comune  sono 
accordate  a  tutti  i  cittadini,  egli  è  pur  giusto  che  allora 
sottostia  all' impero  della  legge  comune  »  (l).  Qui  si  vede  quanto 
opportunamente  Pio  IX  neh'  enciclica  (2)  ,  ove  condanna 
come  illusorie  queste  leggi,  dicesse  ai  Vescovi  della  cristia- 
nità che  quella  stessa  concessione  di  guarentigie  era  per  sé 
medesima  un  chiarissimo  documento  come  al  Pontefice,  cui 
è  divinamente  data  l'autorità  di  far  leggi  spettanti  all'or- 
dine morale  e  religioso,  al  Pontefice,  che  è  costituito  in- 
terprete del  diritto  naturale  e  divino  in  tutto  il  mondo  , 
s' impongano  leggi  e  tali  leggi ,  che  si  riferiscono  al  go- 
verno di  tutta  la  Chiesa  ,  e  la  cui  conservazione  ed  ese- 
cuzione non  si  fonda  su  altro  diritto  di  quello  in  fuori , 
che  piaccia  al  volere  della  laica  potestà  prescrivere  e  sta- 
bilire. 

Il  professor  Castagnola  dice  che  il  caso  si  ebbe  quando 
esso  Castagnola  era  ministro.  Ecco  le  sue  stesse  parole  : 
«  Il  caso  si  verificò  allorquando  io  mi  avea  1'  onore  di 
sedere  nel  Consiglio  della  Corona.  Era  già  pubblicata  la 
legge  delle  guarentigie,  che  indicava  il  modo  col  quale  il 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   193. 

(2)  Litt.  encyc.    Ubi  nos  die  15  Maii  an.   1871. 


—  143  — 
Pontefice  potea  rendere  di  pubblica  ragione  gli  atti  del 
suo  ministero.  Pio  IX  credette  di  lanciare  la  scomunica 
contro  il  Re  Vittorio  Emmanuele  per  la  violenta  occupa- 
zione della  città  di  Roma  ;  ma  egli  non  fece  affiggere  la 
scomunica  alla  porta  delle  basiliche  usando  la  facoltà  che 
gli  concedeva  l'articolo  Q  della  legge  13  maggio  187 1.  La 
Bolla  venne  stampata  su  giornali  stranieri  e  quindi  ripro- 
dotta da'  giornali  italiani.  Il  tenore  della  medesima  era  of- 
fensivo al  Re.  Il  Lanza  presidente  del  Consiglio  dei  mi- 
nistri e  ministro  dell'interno  non  esitò  ad  ordinarne  il  se- 
questro »  (l). 

Ma  è  falso  che  fosse  già  pubblicata  la  legge  delle  gua- 
rentigie ,  quando  uscì  questa  Bolla  (2).  La  Bolla  uscì  il 
1°  Novembre  del  1870,  e  la  legge  delle  guarentigie  venne 
promulgata  più  di  sei  mesi  dopo  cioè  il  13  Maggio  1871- 
Non  pare  credibile  un  tale  errore  di  fatto  specialmente 
in  chi  fu  allora  ministro  ed  ora  mostra  scrivere  con  tanta 
sicurezza  :  ma  è  pur  troppo  vero.  Come  dunque  ciò  av- 
venne? Quando  fu  sequestrata  la  Bolla  ne  avean  fatto  ri- 
chiamo al  Parlamento  gli  stessi  più  fieri  nemici  della  Chiesa, 
perchè  con  quel  sequestro  si  mostrava  evidentemente  quanta 
ragione  avesse  il  Pontefice  di  non  credere  alle  promesse 
di  libertà  fatte  dal  governo.  Ed  essendone  mossa  acerba 
querela  anche  in  Senato  nella  tornata  del  27  Dicembre  di 
quell'anno,  il  guardasigilli  Raeli  tentò  da  quell'  accusa  di- 
fendersi dicendo  che  la  legge  sulla  stampa  modificata,  in 
virtù  dell'  articolo  82  dello  Statuto  ,  soltanto  per  la  pro- 
vincia di  Roma  e  per  le  pubblicazioni  che  il  Sommo  Pon- 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   193. 

(2)  Litt.  encyc.  Respicientes  ea  omnia  die   1  Nov.  an.   1870. 


—  H4  — 
tefice  avrebbe  fatto  «  nelle  solite  forme  »  imponeva  il  se- 
questro dell'  enciclica,  perchè  appunto  non  era  stata  pub- 
blicata in  Roma  «  nelle  solite  fórme  ».  Ora  al  Castagnola 
parendo  forse  buona  la  ragione  del  Raeli,  che  prescrive 
al  Pontefice  il  modo  di  promulgar  le  leggi ,  volle  farla 
propria,  ma  confuse  la  legge  sulla  stampa  colla  legge  delle 
guarentigie.  E  l'esempio  di  questo  fatto  non  più  antico  di 
dodici  anni,  fatto  che  tutti  conosciamo,  ed  al  quale  il  Ca- 
stagnola avea  pigliato  gran  parte  sedendo  allora  nel  Con- 
siglio dei  ministri,  questo  fatto,  diciamo,  non  si  dee  pas- 
sar sotto  silenzio,  per  mostrare  qual  giudizio  debba  for- 
marsi di  molti  altri  fatti  da  lui  riferiti  intorno  alla  storia 
della  Chiesa. 

10°  Termina  il  suo  commento  sulla  famosa  legge  os- 
servando come  «  1'  esperienza  ha  ormai  dimostrato  che  , 
per  quanto  il  Pontefice  sia  stato  privato  d'  una  zona  di 
territorio  ,  sul  quale  egli  esercitava  il  suo  potere  tempo- 
rale, egli  è  però  rimasto  pienamente  indipendente  nell'eser- 
cizio del  suo  potere  spirituale  »  (l).  Ma  più  eloquenti  delle 
parole  ci  convincono  i  fatti,  mostrando  quanto  giustamente 
l'immortale  Pio  IX  si  lamentasse  di  esser  costituito  sotto 
nemica  potestà.  L' immediato  sequestro  della  enciclica  pon- 
tificia, la  dignità  del  Pontefice,  nella  stampa,  nei  teatri  o 
nel  Parlamento  quotidianamente  vilipesa,  le  ingiurie  con- 
tro la  sua  sacra  persona  lasciate  impunite,  il  Papa  stesso 
nei  suoi  rappresentanti  citato  in  giudizio  ,  i  cattolici  che 
da  ogni  parte  del  mondo  traggono  a  Roma  per  visitar  il 
Pontefice  e  la  tomba  di  san  Pietro,  spesso  offesi  e  mole- 
stati, le  grida  selvaggie  contro  il  Papato  ,  i  sassi  lanciati, 

(l)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   199. 


—  145  — 
il  tentativo  di  cacciar  nel  Tevere  le  spoglie  mortali  del 
Sommo  Pontefice  Pio  IX,  quando  si  dovettero  trasportare 
alla  chiesa  di  san  Lorenzo  fuori  le  mura  :  le  chiese  dei 
Religiosi  coi  conventi  spesso  o  demolite  o  convertite  in 
uso  profano:  questi  ed  altri  simili  fatti  apertamente  smen- 
tiscono 1'  asserzione  del  Castagnola. 

ART.  IV. 

DEI    REATI    ECCLESIASTICI. 

1°  Trattando  dei  delitti  ecclesiastici,  il  Castagnola  tra- 
duce quasi  letteralmente  ciò  che  su  questa  materia  scrive 
nelle  sue  istituzioni  il  canonico  Giuseppe  Ferrari  :  ma 
ora  tralascia  cose  che  dovrebbe  accennare ,  or  soggiunge 
inutili  ed  erronee    osservazioni. 

2°  Parla  dell'  insegnamento  dei  canonisti  come  si  par- 
lerebbe delle  disposizioni  di  vere  leggi  ecclesiastiche,  dando 
così  a  scrittori  privati  quell'  autorità  legislativa ,  che  non 
compete  neppure  a  tutte  le  parti  che  compongono  il  corpo 
del  diritto  canonico ,  ma  solo  a  quelle  eh'  ebbero  la  pon- 
tificia sanzione.  Dà,  per  esempio,  la  definizione  dell'  ere- 
sia dicendo  che  così  vien  definita  dalle  leggi  ecclesiasti- 
che (l)  :  riferisce  con  altre  una  definizione  del  matrimo- 
nio, diversa  dalla  sua  propria  stranissima  e  ridicola  ,  di- 
cendo che  il  matrimonio  così  è  definito  secondo  il  diritto 
canonico  (2).  E  queste  definizioni  poi  son  del  Ferrari  (3). 
Or  che  si  direbbe,  se  noi  scegliendo  la  peregrina  defini- 

(1)  Ivi  p.  200. 

(2)  Ivi  p.    148. 

(3)  Stimma  institutiomim  canonìcarum  tom.  I  lib.  I  tit.  XXIV  parag. 
251:  tom.  II  lib.  II  tit.  IV  parag.  342. 

IO 


—  146  — 
zione  del  matrimonio  ,  la  quale  va  più  a  sangue  (l)  ad 
un  avvocato  e  professore  ,  che  fu  già  ministro  e  scrive 
delle  relazioni  giuridiche  tra  Chiesa  e  Stato  ,  pretendes- 
simo insegnare  che  il  matrimonio  secondo  le  leggi  italiane, 
secondo  il  codice  civile,  è  l'unione  delle  anime  allo  scopo 
di  ottenere  la  mutua  perfezione  ?  Lo  stesso  Castagnola 
non  si  potrebbe  trattenere  dal  ridere  e  dal  proverbiarci. 

3°  Anche  qui  fa  menzione  del  tempo  in  cui  vigeva  il 
sistema  teocratico,  che  confonde  il  peccato  col  reato. 

Del  governo  teocratico  si  trova  bensì  vestigio  presso 
gli  Ebrei,  a  tempo  dei  Giudici  :  ma  non  si  può  dire  che 
tal  forma  straordinaria  di  governo  fosse  mai  nella  Chiesa 
cristiana.  La  confusione  poi  attribuita  agli  Stati  che  rico- 
noscono le  leggi  ecclesiastiche,  è  solo  nella  mente  del  Ca- 
stagnola. Di  fatto  egli  confondendo  il  diritto  colla  morale, 
come  abbiam  già  veduto  (2)  ,  confonde  davvero  il  pec- 
cato col  delitto,  e  della  sua  confusissima  mente  è  un  al- 
tra chiarissima  prova  il  periodo  ,  che  subito  fa  seguire  , 
ove  non  riesce  a  farsi  intendere  :  «  A  misura,  egli  dice,  (3) 
che  questo  sistema  (teocratico)  si  allentava  nel  suo  rigore 
e  andavasi  trasformando,  lo  Stato  non  si  arrogava  più  il 
diritto  eli  farsi  vindice  delle  offese  fatte  alla  maestà  di  Dio, 
ma  puniva  i  peccatori,  onde  placarla  ,  affinchè  i  fulmini 
del  suo  sdegno  non  piombassero  sul  popolo  ».  Ma  il  pu- 
nire i  peccatori  per  placare  Iddio  non  è  forse  un  farsi 
vindice  delle  offese  fatte  alla  divina  maestà  ?  Che  ci  vuol 
dunque  dire   con  questo   confusissimo    modo    di  parlare  ? 


(1)  S.   Castag.  op.  cit.  p.   148. 

(2)  Pag.  26. 

(3)  S.   Castag.   op    cit.  p.   2o_\ 


—  H7  — 
Se  invece  di  copiare  a  stralci  il  Ferrari  l'avesse  letto  tutto 
e  un  pò1  più  attentamente,  avrebbe  veduto,  per  esempio, 
che  la  eresia  altra  è  interna  ed  altra  esterna  e  che  gli 
eretici  mentali  non  son  colpiti  da  pena  ecclesiastica  (l). 
Se  invece  di  parlar  così  sovente  e  a  sproposito  del  go- 
verno teocratico  avesse  almeno  studiato  le  istituzioni  ca- 
noniche ,  avrebbe  conosciuto  che  è  essenziale  nel  diritto 
ecclesiastico  la  distinzione  tra  peccato  e  delitto,  giudican- 
dosi del  peccato  nel  foro  interno  e  del  delitto  nel  foro  e- 
sterno,  e  avrebbe  anzi  imparato  che  cotal  distinzione  dal 
diritto  canonico  passò  al  diritto  civile.  Con  questa  sem- 
plice nozione  avrebbe  veduto  non  v'esser  pericolo  che  un 
governo  seguendo  le  leggi  ecclesiastiche  debba  confondere 
il  peccato  col  reato,  né  richiedersi  che  lo  Stato  sia  retto 
con  regime  teocratico  perchè  i  sacri  canoni  circa  i  reati 
ecclesiastici  abbiano  piena  sanzione  anche  presso  il  potere 
civile. 

4°  Dall'ordine  stesso  della  materia  è  portato  a  trattare 
dei  reati  contro  la  Religione  dello  Stato:  e  sapendo  come 
questo  medesimo  titolo  riesca  ad  un'  esplicita  condanna 
del  suo  sistema  della  separazione  dei  due  poteri ,  tenta 
scusarsi  dicendo  che  «  la  disposizione  penale  non  ha  già 
per  obbiettivo  1'  empietà  del  discorso  o  del  fatto  e  l' in- 
giuria recata  alla  divinità,  è  unicamente  diretta  ad  impe- 
dire che  si  offenda  il  sentimento  religioso  »  (2). 

(1)  Haeresis  dividitur  in  internam  et  externam  :  interna,  quae  mente 
retinetur ,  nec  verbis  nec  faclis  exprimitur  :  externa ,  quae  mente  concepta 
verbis  aut  factis  proditur....  Haeretici  solum  mcntales  nulla  inuruntur  ec- 
clesiastica poena;  quia  cogitationis  poenam  nemo  patitur.  Summa  institutio- 
num  canonicarum   tom.  I  lib,  I  tit.  XXIV  parag.  251  et  255- 

(2)  S.   Castag.  op.   cit.  p.   205. 


—  148  — 
Ma  non  vede  che  è  appunto  specialmente  anche  per 
questo  fine  di  non  offendere  il  sentimento  religioso  che 
lo  Stato  professa  la  Religione  professata  dalla  massima 
parte  dei  cittadini:  e  lo  Stato  nostro  dovendo  quindi  pro- 
fessar la  Religione  cattolica,  non  solo  deve  compiere  que- 
gli atti  e  quei  doveri  religiosi ,  che  sono  a  persona  mo- 
rale compatibili ,  ma,  avendo  1'  ufficio  di  tutelare  i  citta- 
dini nei  loro  diritti  ,  deve  pure  difenderne  la  Religione  , 
di  cui  nulla  hanno  di  più  prezioso  gli  uomini,  e  deve  farne 
osservare  le  leggi:  e  però  non  può  lo  Stato  ne  deve,  se- 
condo ragione,  esser  separato  dalla  Chiesa. 

5°  Intitola  un  paragrafo  «  dei  reati  contro  la  Religione 
dello  Stato  e  gli  altri  culti  »,  e  lo  chiude  dicendo  che  «  non 
trattasi  in  questo  tema  di  reati  contro  la  Religione  ,  ma 
bensì  di  offese  contro  il  diritto  dei  cittadini  di  praticare 
quel  culto  alla  divinità  che  meglio  loro  talenta  »   (l). 

Se  così  è  la  cosa,  perchè  intitolar  quel  paragrafo  «  dei 
reati  contro  la  Religione  dello  Stato  »,  e  non  intitolarlo 
invece,  delle  offese  contro  il  diritto  dei  cittadini  di  prati- 
care quel  culto  alla  divinità  che  meglio  loro  talenta?  In 
tal  modo  si  evitava  la  necessità  di  dover  dare  una  inter- 
pretazione al  titolo,  che  deve  esser  per  se  stesso  chiaris- 
simo. Ma  quelle  parole  furono  trascritte  letteralmente  dal 
titolo  secondo  del  libro  secondo  del  codice  penale  ,  ove 
tra  le  disposizioni  che  si  riferiscono  alla  sicurezza  interna 
dello  Stato  ,  doveansene  annoverare  alcune  ,  che  fossero 
naturale  conseguenza  dell'articolo  primo  dello  Statuto.  Ora 
chi  oserà  dire  che  le  parole  in  quel  titolo  del  codice  pe- 
nale abbiano  il  significato  che  loro  attribuisce  il  Casta- 
fi)  Ivi  p.  204  e  200. 


—  H9  — 

gnola,  e  che  abbisognino  quindi  della  sua  interpretazione? 
Non  è  raro  che  le  rubriche  dei  titoli  valgano  a  dilucidare 
le  parole  ambigue  della  legge,  e  quindi  gli  antichi  giuri- 
sti dicevano  che  le  rubriche  «  allegantur  acclarati  ve  qua- 
tenus  declarandae  legi  omnino  valent ,  sì  verba  eiusdem  legis 
ambigua  sint  ».  Ma  è  cosa  nuova  ,  novissima  che  le  ru- 
briche stesse  abbiano  bisogno  di  esser  dichiarate  e  di  più 
in  materia  penale.  A  contorcer  con  tanta  violenza  il  senso 
ovvio  e  naturale  del  codice  è  obbligato  il  professor  Ca- 
stagnola, per  far  prevalere  il  suo  assurdo  principio  della 
separazione  dello  Stato  dalla  Chiesa. 

6°  Quando  trattavasi  di  impugnare  i  privilegii  e  le  dis- 
posizioni a  favore  del  clero  ,  allora  il  Castagnola  ci  ri- 
cordava che  tutti  i  regnicoli,  qualunque  sia  il  loro  titolo 
e  grado,  sono  uguali  dinanzi  alla  legge  (l),  e  nei  cherici 
non  vedea  altro  che  semplici  cittadini  (2).  Ma  ora,  dis- 
correndo degli  articoli  268,  269  e  2 70  del  codice  penale, 
fa  scomparire  ogni  eguaglianza  e  ci  fa  invece  rilevare  l'an- 
titesi tra  il  semplice  cittadino  e  il  Ministro  del  culto.  Par- 
lando di  quegli  articoli,  ove  per  la  censura  e  per  la  pro- 
vocazione alla  disubbidienza  alle  leggi  dello  Stato  niuna 
pena  è  sancita  contro  i  semplici  cittadini ,  laddove  tanto 
si  aggrava  la  mano  contro  i  Ministri  del  culto  ,  portan- 
dosi la  pena  del  carcere  in  certi  casi  fino  a  cinque  anni, 
e  la  multa  fino  a  lire  tre  mila,  ecco  come  ragiona  il  Ca- 
stagnola (3)  :  «  Nel  cittadino  non  son  puniti  né  la  censura 
né  la  provocazione  alla  disubbidienza,  ed  è  chiaro  il  per- 


(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.   179. 

(2)  Ivi  p.   174  e  217- 

(3)  Ivi  p.  210. 


—  150  — 
che.  Quanto  alla  censura,  se  il  cittadino  vive  in  uno  stato 
libero  ,  non  solo  non  commette  un  reato  ,  ma  esercita  un 
diritto  censurando  l'alio  della  pubblica  potestà.  Quanto  all'ec- 
citamento alla  disubbidienza,  la  legge  punisce  bensì  nel 
cittadino  il  discorso  o  fatto  pubblico  che  provoca  ad  un 
reato  determinato  :  ma  come  non  presume  ch'egli  non  (?) 
provochi  in  genere  alla  disubbidienza  alle  leggi,  così  non 
punisce  in  lui  un  discorso  di  questo  genere,  il  quale  implica 
che  chi  se  ne  rende  autore,  si  assuma  un'autorità  sociale 
che  un  cittadino  non  può  né  vuole  ascrivere  a  se,  ma  che 
un  Ministro  del  culto  può  ascriversi  e  più  volte  si  ascrive. 
Ciò  basta  a  spiegare  perchè  la  disposizione  comune  per 
ogni  cittadino  non  si  deve  applicare  al  Ministro  del  culto, 
a  meno  che  egli  non  parli  e  discorra  come  qualunque  al- 
tro cittadino  ».  Ma  se  tutti  i  regnicoli,  qualunque  sia  il 
loro  titolo  e  grado ,  sono  uguali  innanzi  alla  legge  ,  e  se 
innanzi  alla  legge  anche  i  Ministri  del  culto  sono  semplici 
cittadini ,  è  certo  che  anche  i  Ministri  del  Culto  non  po- 
tranno innanzi  alla  legge  parlare  e  discorrere  altrimenti 
che  come  semplici  cittadini;  perchè  neppure  i  Ministri  del 
culto  possono  legalmente,  né  legalmente  si  presume ,  che 
vogliano  ascriversi  un'  autorità  sociale  non  riconosciuta 
dalla  legge  :  la  quale  ,  si  potrebbe  dire  col  Castagnola  , 
come  non  presume  che  un  cittadino  provochi  alla  disub- 
bidienza allo  Stato;  così  non  punisce  in  lui  un  discorso  di 
questo  genere.  Altrimenti  si  avrebbe  la  contraddizione  e 
la  ingiustizia  che  in  uno  Stato  libero,  pel  fatto  medesimo  di 
censurare  l'atto  della  pubblica  Autorità,  un  cittadino  eser- 
cita un  diritto  ed  un  altro  invece  commette  un  gravissimo 
reato.  Quindi  in  tal  caso,  a  nostro  giudizio,  dovrebbero  chia- 
marsi vessatoci  le  multe  e  tiranniche  le  pene,  che  son  sancite 


—  151  — 

solo  a  cagione  d'un  carattere  o  d'una  qualità,  che  dalla 
legge  non  è  riconosciuta.  Ciò  che  in  generale  non  è  con- 
siderato male  per  se  stesso,  ma  esercizio  d'un  diritto,  non 
dee  potersi  considerare  reato  in  uno  speciale  ordine  di  cit- 
tadini, essendo  ufficio  di  savio  legislatore  non  creare,  ma 
diminuire  ,  quanto  è  possibile  ,  i  reati  intorno  a  ciò  che 
non  è  intrinsecamente  male. 

ART.  V. 

DEL    GIURAMENTO. 

I  fatti  particolari  contingenti  degli  uomini,  come  inse- 
gna san  Tommaso  (l),  non  potendosi  confermar  con  una 
ragione  necessaria,  sogliono  confermarsi  per  mezzo  della 
testimonianza  ;  e  non  essendo  sufficiente  la  testimonianza 
umana  sì  per  difetto  di  verità  ,  perchè  gli  uomini  men- 
tono sovente,  sì  per  difetto  di  cognizione,  perchè  noi  non 
possiamo  conoscere  le  cose  future  ,  le  occulte  del  cuore 
e  le  assenti  (delle  quali  cose  pure  è  spediente  spesso  a- 
vere  una  qualche  certezza);  perciò  fu  necessario  ricorrere 
alla  testimonianza  divina;  perchè  Iddio  non  può  mentire, 
e  niente  gli  è  nascosto.  Invocare  Iddio  in  testimonio  si  dice 
giurare  turare;  perchè,  come  afferma  lo  stesso  santo  Dot- 
tore, «  quasi  prò  iure  introductum  est  ut,  quoti  sub  invoca- 
tione  divini  testimonii  dicitar,  prò  vero  habeatur  »  (2). 

II  giuramento  pertanto  è  un  chiamare  Iddio  in  testi- 
monio a  far  fede  di  ciò  che  asseriamo  o  a  confermar  ciò 
che   promettiamo:  e  si  dice   assertorio  o  promissorio,  se- 


(1)  S.  Thom.  Sum.  theol.  -»3  2ae  q.  LXXXIX  art.  I. 

(2)  Ibid. 


—  152  — 
condo  che  la  testimonianza  divina  si  adduce  o  ad  asserire 
cose  passate  o  presenti  o  a  confermar  cose  future  (l). 
Onde  il  giuramento  prestato  nel  debito  modo  è  cosa  es- 
senzialmente religiosa  e  importa  culto  di  latria;  perchè 
per  mezzo  del  giuramento  attestiamo  che  Iddio  ha  cura 
delle  cose  umane,  e  che  a  tutte  quante  le  cose  protende 
la  sua  cognizione  e  potestà.  Inviolata  si  tenne  quindi  la 
santità  del  giuramento  da  tutta  l'antichità. 

E  massimo  è  1'  utile  che  il  legislatore  trasse  sempre 
dal  giuramento  ,  esigendolo  nelle  funzioni  di  maggior  ri- 
levanza ,  specialmente  dalle  persone ,  che  compongono  i 
corpi  politici  ed  amministrativi  dello  Stato  ,  e  nei  proce- 
dimenti giudiziarii  civili  e  penali. 

E  verissimo  ,  e  il  Castagnola  ne  conviene  ,  che  tante 
volte  nella  difficile  posizione  ,  in  cui  è  collocato  il  testi- 
mone ,  può  ricevere  conforto  nelf  adempimento  di  un  sì 
arduo  dovere  dal  sentimento  religioso,  specialmente  nelle 
materie  penali.  Sulla  sua  deposizione  si  deve  portar  sen- 
tenza circa  l'onore,  la  libertà,  la  vita  pur  anco  del  citta- 
dino. Il  teste  deve  guardarsi  dall'odio,  come  dalla  paura; 
dal  livore,  come  da  una  commiserazione  fuor  di  luogo  :  e- 
gli  deve  far  tacere  la  voce  dell'amicizia,  come  quella  della 
passione:  deve  essere  sordo  alle  offerte  di  danaro  ,  deve 
sapersi  esporre  a  rompere  antiche  amicizie.  In  sostanza , 
dovendo  egli  dire  tutta  intera  la  verità,  deve  qualche  volta 
elevarsi  di  sopra  a  se  medesimo  per  rendere  alla  civil  so- 
cietà quel  dovere  che  gli  domanda.  Non  v'  è  alcun  dub- 
bio che  1'  uomo  sinceramente  cattolico  ,  il  quale  si  trova 
di  fronte  alla  giustizia  eterna,  di  fronte  alla  divinità,  possa 

(1)  Ibid. 


—  153  — 
trarre  da  queste  considerazioni  la  forza  che  gli  è  neces- 
saria. Il  legislatore  ,  il  quale  ordinando  la  teorica  delle 
prove  giudiziali,  ad  altro  non  mira  se  non  all'indagine  della 
verità  ,  fallirebbe  al  suo  scopo  ,  se  non  tenesse  conto  di 
questa  leva  potente  (l). 

Tale  è  la  natura  del  giuramento  ,  e  sempre  efficacis- 
simo ne  fu  l' uso  a  prò  della  giustizia  nei  secoli  passati , 
finché  poi  volendosi  progredire  neh1'  apostasia  degli  Stati 
da  Dio  e  nell'avviamento  dei  popoli  all'  ateismo,  si  volle 
anche  abolire  questa  salutare  istituzione.  Ora  il  Casta- 
gnola, quantunque  dica  di  abborrire  dal  concetto  che  lo 
Stato  debba  essere  ateo,  pure  col  fatto  anch'esso  promo- 
vendo l'abolizione  del  giuramento  propugna  la  causa  pro- 
pugnata dagli  atei,  e  cogli  atei  concorre  ad  un'  opera  di 
morale  dissoluzione,  che  reca  danni  inestimabili  all'umana 
società. 

Tuttavia  questi  errori,  che  sentonsi  ripetere  nelle  Uni- 
versità degli  studi ,  fanno  bensì  grande  impressione  alla 
incauta  gioventù,  che  per  la  naturale  leggerezza  dell'età 
poco  riflette  ,  ma  non  potranno  mai  insinuarsi  in  mente 
di  persona  grave  avvezza  a  ragionare.  Vediamo  in  breve 
come  il  professor  Castagnola  tratti  della  quistione  del  giu- 
ramento, la  quale,  com'  egli  dice  «  affatica  da  tempo  pa- 
recchio i  legislatori  »  (2). 

Volendo  considerare  il  giuramento,  secondo  i  sistemi 
da  lui  immaginati,  dice  le  cose  non  come  sono,  ma  come 
vorrebbe  che  fossero.  Di  fatto 

1°  Come  di  cosa  storica  che   appartenga   all'  èra  cri- 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  217- 

(2)  Ivi  p.  218. 


—  154  — 
stiana,  ci  parla  del  governo  teocratico,  di  cui  si  ha  solo 
esempio  nell'  antichità  presso  gli  Ebrei  ;  il  che  fu  già  di- 
mostrato (l). 

2°  Afferma  che  il  giuramento  per  la  santità  sua  ba- 
stava ad  assoggettare  al  foro  ecclesiastico  i  negozii  pro- 
fani, nei  quali  era  stato  prestato  (2);  ma  non  accenna  che 
cagione  dell'  essere  stati  assoggettati  al  foro  ecclesiastico 
anche  quei  negozii  non  era  solo  la  santità  del  giuramento, 
sì  ancora  la  cordiale  relazione  dei  due  poteri  e  special- 
mente la  sincera  confidenza  che  aveano  i  popoli  verso  la 
Chiesa;  perchè  i  fedeli  conoscendo  per  esperienza  la  sem- 
plice, spedita  e  non  intricata  procedura  canonica,  la  gra- 
tuita amministrazione  della  giustizia  e  la  equità  e  rettitu- 
dine delle  decisioni  presso  i  tribunali  ecclesiastici ,  ricor- 
revano nelle  controversie  loro  più  volontieri  al  paterno 
giudizio  dei  Vescovi,  che  ai  tribunali  civili. 

3°  Nel  regime  autocratico ,  che  nel  senso  attribuitogli 
dal  Castagnola  ,  significa  governo,  in  cui  lo  Stato  sovra- 
sta alla  Chiesa,  asserisce  che  il  giuramento  riveste  la  qua- 
lità di  atto  puramente  civile  (3).  Or  ciò  è  contrario  al 
fatto  costante  dei  paesi,  ove  vige  quel  regime.  Così  nelle 
Russie,  ove  la  Santa  Sinodo  dipende  da  un  commissario 
imperiale;  così  pure  in  Inghilterra,  ove  il  Parlamento,  e  ce  lo 
dice  il  Castagnola  (4),  dispone  egualmente  della  fede  come 
della  Corona  ;  è  certo  che  il  giuramento  riveste  la  qua- 
lità d'atto  religioso,  perchè  in  quegli  Stati,  gelosi  conser- 
vatori delle  antiche  tradizioni  giuridiche,  spesso  anche  con 

(1)  Pag.  40. 

(2)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  2 lo. 

(3)  Ivi  p.  216. 

(4)  Ivi  p.  35. 


—  155  — 
manifesta  incoerenza  si  ritennero  le  lodevoli  consuetudini 
che  nel  foro  avea  introdotte  la  Chiesa  romana.  Quanto 
alla  nazione  inglese,  che  il  giuramento  ivi  rivesta  la  qua- 
lità d'atto  religioso,  lo  afferma  ripetutamente  lo  stesso  Ca- 
stagnola (l)  dicendo:  «  Nell'antica  Albione  il  giuramento 
anche  politico  e  governativo  conserva  il  suo  carattere  re- 
ligioso. In  Inghilterra  adunque  ,  ogni  deputato  prima  di 
prendere  il  suo  seggio  alla  Camera  dei  Comuni  deve  pre- 
stare il  suo  giuramento, il  quale  è  anche  religioso  ».  Di  fatto, 
letta  la*  formola  sacramentale,  i  Deputati  in  segno  di  ade- 
sione baciano  il  Nuovo  Testamento.  L'ebreo  barone  Lionello 
di  Rothschild  eletto  due  volte  deputato  per  la  città  di  Lon- 
dra, due  volte  ricusò  giurare  sul  Nuovo  Testamento,  colla 
formola  «  sulla  fede  di  un  cristiano  ».  Ma  eletto  di  nuovo, 
venne  finalmente  ammesso  a  giurare  sul  Vecchio  Testa- 
mento, permettendoglisi  che  si  valesse  dell'  altra  formola: 
«  Così  Dio  mi  aiuti   ». 

Di  qui  ebbe  origine  la  quistione  suscitata  dall'ateo  si- 
gnor Bradlaugh,  il  quale  eletto  dal  Collegio  di  Northampton 
pretendeva  entrare  nella  Camera  dei  Comuni  senza  pre- 
stare il  consueto  giuramento  di  fedeltà  ,  togliendo  a  pre- 
testo la  opinione  da  lui  professata  che  il  giuramento  fosse 
un  atto  privo  di  significazione,  perchè  non  esisteva  Iddio, 
di  cui  potesse  invocarsi  la  testimonianza. 

4°  Ci  fa  sapere  che  qui  «  non  si  disputa  se  nel  giu- 
ramento non  debba  anche  tenersi  conto  dell'elemento  re- 
ligioso ,  ma  unicamente  se  il  giuramento  debba  venir  ri- 
guardato come  un    atto  essenzialmente    religioso  »   (2). 


(1)  Ivi  p.  220. 

(2)  Ivi  p.   218. 


—  156  — 

N'olendo  il  professor  Castagnola  in  tal  maniera  disputare 
nella  quistione  presente,  avrebbe  dovuto  almeno  dare  una 
brevissima  nozione  della  vera  natura  del  giuramento,  per 
mostrar  che  non  è  atto  essenzialmente  religioso.  Ma  noi 
fece,  perchè  ben  vedeva  che  non  sarebbe  riuscito  neh"  in- 
tento suo:  imperocché  il  giuramento,  che  è  un  invocare 
Iddio  a  far  fede  di  ciò  che  asseriamo  o  a  confermar  ciò 
che  promettiamo,  se  si  astrae  dalla  Religione,  non  può  ri- 
guardarsi se  non  che  una  parola  vuota  di  significato. 

4°  Vorrebbe  farci  scrupolo  perchè  non  si  riflette  come 
l'imporre  la  formola  del  giuramento  all'ateo  sia  lo  stesso 
che  violentar  la  libertà  della  coscienza  ,  ed  offendere  la 
maestà  divina  col  sacrilegio  e  collo  spergiuro  (l). 

Ma  perchè,  diciam  noi,  perchè  pigliarsi  tanto  pensiero 
per  non  inquietare  gli  atei  a  pregiudizio  di  tutto  lo  Stato? 
Agli  atei  pratici ,  i  quali  son  così  chiamati  ,  non  perchè 
non  credano  alla  esistenza  di  Dio,  ma  perchè  vivono  pra- 
ticamente come  se  non  vi  credessero,  e  vorrebbero  che 
Iddio  non  esistesse  ,  non  si  deve  avere  uno  speciale  ri- 
guardo ,  che  tornerebbe  loro  di  nocumento  ,  radicandoli 
vieppiù  nella  loro  prava  volontà  accecata  dal  continuato 
abuso  della  libertà,  e  che  tornerebbe  pure  di  gravissimo 
detrimento  alio  Stato  ;  perchè  tolta  la  pietà  verso  la  di- 
vinità, non  si  vede  come  non  debba  anche  "togliersi  la  re- 
ciproca fede  ,  la  giustizia  e  la  stessa  società  del  genere 
umano,  siccome  confessavano  anche  i  gentili  (2).  Né  mag- 
gior riguardo  vuoisi  avere  agli  atei  teoretici ,  se  pur  ve 
ne  sono  ;  perchè  essi  rimovendo   volontariamente   la  con- 

(i)  Ivi. 

(2)  M.  T.   Ciceromis  de  nat.  deor.  lib.  I  cap.  II. 


—  157  — 
siderazione  dagli  argomenti,  che  dimostrano  la  verità  della 
esistenza  di  Dio,  possono  bensì  avere  una  qualche  quiete 
nella  falsità,  ma  non  una  quiete  profonda  e  stabile,  giac- 
ché non  si  può  estinguere  nell'  uomo  il  lume  della  intel- 
ligenza, per  cui  dalle  cose  visibili  naturalmente  risale  alla 
cognizione  della  esistenza  di  Dio.  L'abolir  dunque  in  uno 
Stato  la  istituzione  del  giuramento  introdotta  pel  pubblico 
bene,  sarebbe  gravissima  offesa  alla  coscienza  di  tutti  i 
cittadini  che  credono  a  Dio;  laddove  il  mantenere  il  giu- 
ramento non  violenta  neppur  la  libertà  di  coscienza  de- 
gli atei ,  perchè  non  è  il  legislatore  che  coli'  imporre  il 
giuramento  faccia  violenza  alla  coscienza  dell'ateo,  ma  è 
1'  ateo  che  fa  violenza  a  se  stesso  col  negare  che  esiste 
Iddio.  E  se  poi  ad  impedire  lo  spergiuro,  che  altri  per  la  ma- 
lizia sua  può  commettere,  dovesse  abrogarsi  il  giuramento; 
per  la  stessa  ragione,  ad  impedire  il  furto  e  il  sacrilegio 
così  frequenti  tra  noi ,  dovrebbe  abolirsi  anche  il  diritto 
di  proprietà  e  la  Religione  medesima. 

5°  Distingue  il  giuramento  non  secondo  la  intrinseca 
natura,  ma  secondo  le  diverse  occasioni,  in  cui  si  presta, 
in  politico,  amministrativo  e  giudiziario,  facendo  osservare 
come  presso  di  noi  il  giuramento  politico  ed  amministra- 
tivo fosse  puramente  civile,  e  fosse  religioso  il  giuramento 
giudiziario  almeno  prima  della  legge  del30  Giugno  1876  (l). 

Che  il  giuramento  politico  ora  si  riduca  ad  una  vana 
formola  civile,  noi  neghiamo  (2);  ma  che  ciò  si  rilevi  dalle 

(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  219  e  222. 

(2)  La  formola  del  giuramento  politico  presso  di  noi  è  la  seguente  : 
«  Giuro  d'essere  fedele  al  Re,  d'osservare  lealmente  lo  Statuto  e  le  leggi 
dello  Stato  ed  esercitare  le  mie  funzioni  col  solo  scopo  del  bene  inse- 
parabile del  Re  e  della  patria  ».  Questa  formola,  ove  non  si  fa  men- 


—  158  — 
disposizioni  degli  articoli  22  ,  23  e  49  dello  Statuto  fon- 
damentale, non  vi  è  ombra  di  vero.  In  quegli  articoli  trat- 
tasi semplicemente  del  giuramento  da  prestarsi  dal  Re  sa- 
lendo al  trono,  dal  Reggente  prima  di  entrare  in  funzioni 
e  dai  Senatori  e  Deputati  allorché  assumono  il  loro  uffi- 
cio :  e  trattasi  perciò  di  quel  giuramento  che  si  era  fino 
allora  prestato,  cioè  del  giuramento  religioso.  Quindi  an- 
che il  deputato  Felice  Cavalo tti  prima  di  presentarsi  alla 
Camera  il  dì  5  Dicembre  1874  a  prestar  giuramento,  cre- 
dette necessario  dichiarare  com'egli  intendeva  di  uniformarsi 
semplicemente  ad  una  formalità  richiesta  per  adempiere 
al  mandato  de'suoi  elettori,  non  già  di  prestar  giuramento; 
perchè,  come  anch'  egli  diceva,  «  il  giuramento  è  di  sua 
essenza  e  natura  una  formola  religiosa  :  »  la  qual  dichia- 
razione sarebbe  stata  inutile,  se  si  fosse  dovuto  prestare 
un  giuramento  puramente  civile.  Anche  il  giuramento  am- 
ministrativo cominciò  a  considerarsi  come  semplice  for- 
mola civile,  quando  nel  Marzo  del  18/6  fu  inaugurata  in 
Roma  la  suprema  Corte  di  Cassazione;  perchè  allora  quei 
consiglieri ,  con  esempio  non  più  udito  ,  nel  prestar  giu- 
ramento si  scostarono  dal  consueto  modo  di  giurare  sui 
Vangeli ,  mostrandosi  così  degni  membri  di  quella  Magi- 
stratura, che  dovea  riuscire  a  perpetua  condanna  di  chi 
sostiene  i  diritti  della  Chiesa  nelle  cause  contro  il  Dema- 
nio, e  che  colle  sue  sentenze,  quasi  sempre  conformi  ai 
voleri  del  governo,  fa  ora  maraviglioso  contrasto  all'abo- 

zione  di  Dio,  differisce  per  ciò  da  quella  adoperata  presso  le  altre  nazioni 
anche  protestanti,  ove  si  nomina  Dio  o  il  Santo  Vangelo.  Così,  ad  esem- 
pio, i  membri  della  Dieta  prussiana  giurano  colla  formola:  «  Giuro  per 
Dio  onnipotente  ed  onnisciente  che  io  sarò  fedele  ed  obbediente  a  Sua 
Maestà  il  Re.  e  che  osserverò  secondo  coscienza  la  Costituzione  ». 


—  159  — 
lita  Rota  Romana  già  da  tutta  Europa  ammirata  per  le 
sue  decisioni,  dette  meritamente  la  più  felice  applicazione 
della  ragione  scritta,  come  fu  chiamato  il  diritto  romano. 
Anche  perchè  non  si  rinnovasse  lo  scandalo  che  le 
leggi  siano  impunemente  conculcate  sì  da  coloro  che  le 
fanno,  come  anche  da  quelli,  il  cui  ufficio  è  di  applicarle, 
e  debbano  invece  ,  pena  la  nullità  degli  atti  e  talora  la 
condanna  dei  testi  ,  osservarsi  in  giudizio  dai  privati  cit- 
tadini, si  mutò  anche  la  formola  del  giuramento  giudizia- 
rio colla  legge  del  30  Giugno   1876. 

6°  E  il  Castagnola  loda  questa  mutazione  dicendo  che 
«  la  quistione  è  stata  sciolta  con  logica  rigorosa  ,  ed  il 
concetto  che  informa  il  principio  della  separazione  della 
Chiesa  dallo  Stato  venne  scrupolosamente  rispettato.  Se- 
condo la  nuova  formola  di  giuramento  è  soppressa  la  in- 
vocazione di  Dio  ;  ma  il  giudice  deve  però  avvertire  il 
giurante  non  solo  dell'importanza  morale  dell'atto,  ma  del 
vincolo  religioso,  che  i  credenti  con  esso  contraggono  di- 
nanzi a  Dio  »  (l).  Posto  che  legalmente  non  debbasi  a- 
vere  speciale  riguardo  agli  atei  in  quanto  atei ,  perchè 
non  è  mai  per  un  innocente  errore  dell'intelletto,  ma  sem- 
pre per  abuso  della  volontà  il  non  credere  a  Dio,  come 
già  fu  dimostrato,  e  il  far  professione  di  ateismo  apporta 
sempre  pregiudizio  alla  civil  società;  e  posto  anzi  che  per- 
ciò gli  atei  debbano  esser  gravemente  puniti  ;  ne  viene 
che  l'aver  soppressa  la  invocazione  di  Dio  dalla  formola 
del  giuramento  è  atto  ingiusto  ,  il  quale  offende  il  senti- 
mento religioso  dei  buoni,  aumenta  l'audacia  dei  tristi,  to- 
glie ogni  valore  ad  un  mezzo,  che  fu  sempre  efficacissimo 

0)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  222. 


—  i6o  — 

per  1'  amministrazione   della   giustizia  e  riesce   perciò    di 
gravissimo  detrimento  allo  Stato. 

Il  professor  Castagnola  si  travaglia  a  ripeterci  «  che 
il  sistema  della  separazione  non  include  la  conseguenza 
dell'ateismo  dello  Stato  »  (l).  Eppure  non  solo  non  prova 
mai  quanto  asserisce,  ma  piuttosto  prova  il  contrario;  per- 
chè, se  egli  crede  doversi  escludere  dalla  formola  la  in- 
vocazione di  Dio  ,  affinchè  il  giuramento  sia  pienamente 
conforme  al  principio  della  separazione ,  non  ci  dimostra 
egli  stesso  che  tal  principio  include  appunto  l'ateismo  ?  Il 
dirci  poi  che  «  il  giudice  deve  però  avvertire  il  giurante 
non  solo  dell'importanza  morale  dell'atto,  ma  del  vincolo 
religioso,  che  i  credenti  con  esso  contraggono  dinanzi  a  Dio  (2)  » 
manifesta  solo  la  contraddizione ,  in  cui  è  necessario  che 
cada  colui ,  il  quale  avendo  adottato  un  falso  principio  , 
non  vuol  trarne  crudamente  tutte  le  conseguenze.  Que- 
sta ammonizione  del  giudice,  la  cui  mancanza  può  inva- 
lidare anche  il  giuramento  per  insanabile  difetto  di  forma, 
è  in  se  stessa  viziosa,  non  potendo  avere  nessuna  efficacia 
nelle  persone  e  nessuna  pratica  utilità  a  favore  della  giu- 
stizia, ed  anzi  offende  i  cattolici,  la  cui  Religione  è  la  sola 
Religione  dello  Stato;  perchè  essi  sanno  che  quel  vincolo, 
il  quale  ,  stando  alla  formola  del  codice  ,  per  mezzo  del 
giuramento,  contraggono  dinanzi  a  Dio  solo  i  credenti,  si 
contrae  invece  anche  dagli  increduli ,  giacché  secondo  la 
Religione  cattolica,  chi  non  crede,  per  ciò  stesso  che  non 
crede,  sarà  condannato  (3):  altrimenti  gli  increduli  sareb- 


(1)  Ivi  p.  223. 

(2)  Ivi. 

(.3)  Marc.  XVI  v.    io. 


—  i6i  — 
bero  più  di  loro  prudenti ,  potendosi  liberare  ,  solo  con 
non  credere,  da  gravissimo  vincolo  e  da  gravissima  pena. 
Ma  con  qual  diritto  l'ufficiale  di  uno  Stato,  che,  come  il 
Castagnola  pretende,  dee  lasciar  libero  di  credere  o  non 
credere  a  Dio ,  e  considerare  uguali  tutti  i  cittadini,  con 
qual  diritto  potrà  poi  ammonire  e  per  poco  atterrire  solo 
coloro  che  credono  ,  avvertendo  colui  che  giura  del  vin- 
colo religioso  che  i  credenti  col  giuramento  contraggono 
dinanzi  a  Dio  ?  Se  poi  quella  formola  di  ammonizione  si 
crede  di  qualche  efficacia  pel  pubblico  bene  ,  perchè  si 
usa  solamente  pel  giuramento  giudiziario  e  non  si  estende 
anche  al  giuramento  politico  ed  amministrativo  ? 

ART.  VI. 

DEI    BENI   TEMPORALI 

Anche  noi  compendiando  la  materia  accennata  dal  Ca- 
stagnola daremo  alcune  brevissime  nozioni  prima  sui  beni 
temporali  della  Chiesa ,  poi  sulla  legislazione  italiana  re- 
lativa a  tali  beni  e  sull'amministrazione  dell'asse  ecclesia- 
stico ,  e  quindi  termineremo  facendo  ancora  varie  osser- 
vazioni sulla  dottrina  dell'  Autore. 

NOZIONI   GENERALI. 

Come,  per  diritto  naturale  ,  ogni  società  deve  avere 
beni  comuni  per  provvedere  alla  propria  conservazione; 
così  anche  la  Chiesa  ,  società  di  uomini ,  deve  avere  ed 
ebbe  fin  da  principio  i  suoi  beni  per  mantenere  i  Vescovi, 
i  Preti  e  i  Ministri ,  di  cui  si  compone  la  gerarchia  :  ed 

11 


—    1Ó2   — 

ebbe  quei  beni  anche  per  attendere  alla  cura  degli  orfani, 
delle  vedove,  dei  poveri,  per  esercitare  la  ospitalità,  per 
soccorrere  i  fedeli  detenuti  in  carcere  o  condannati  alle 
miniere,  cosa  frequente  in  tempi  di  persecuzione,  e  per 
acquistare,  riparare  e  conservare  i  vasi  sacri,  i  libri,  gli 
arredi  necessari  al  divin  culto. 

Il  diritto  naturale  che  la  Chiesa  ha  comune  con  tutte 
le  società  umane  ,  di  possedere  beni  temporali,  è  anche 
confermato  per  positivo  diritto  divino  ;  perchè  ,  come  si 
rileva  dal  Vangelo  (l),  Gesù  Cristo  volle  che  la  sua  Chiesa 
conservasse  ciò  che  le  era  offerto  dai  fedeli ,  in  comune 
deposito,  per  alimentare  gli  Apostoli,  i  discepoli  e  i  po- 
veri (2).  L'esempio  di  Gesù  Cristo  fu  seguito  dagli  Apo- 
stoli e  dai  loro  successori.  Senza  il  sussidio  delle  cose  tem- 
porali mancherebbe  il  culto  esterno,  mancherebbe  lo  stesso 
augusto  sacrificio  dell'altare,  mancherebbero  gli  stessi  Mi- 
nistri, e  mancherebbe  quindi  la  perpetuità  della  Chiesa. 

Dai  cristiani  nei  primi  secoli  spontaneamente  si  vende- 
vano anche  intere  possessioni ,  per  deporne  il  prezzo  ai 
piedi  degli  Apostoli  :  anzi  crebbe  tanto  il  loro  fervore  che 
in  alcuni  luoghi  i  fedeli  donavano  tutto  alla  Chiesa,  per  far 
poi  vita  comune,  campando  delle  sostanze  divenute  proprie 
della  comunità  religiosa,  le  quali  si  dicevano  sostanze  del 
Signore,  patrimonio  di  Cristo,  patrimonio  dei  poveri.  Esse 
erano  già  tante  nel  258  a'  tempi  del  santo  Pontefice  Sisto  II, 
che  i  persecutori  avidamente  le  cercavano,  e  san  Lorenzo 
Arcidiacono  della  Chiesa  Romana  richiesto  dal  Prefetto  di 

(1)  Marc.  VI  v.  37:  Lue.  IX  v.   13  et  seqq. 

(2)  L'erario  della  Chiesa  primitiva  nel  testo  greco  è  detto  Y^wacóxojiov 
(Ioh.  XII  v.  6,  XIII  v.  29):  e  si  potrebbe  chiamare  con  sant'Agostino  fiscus 
Reipublìcae  Christi.   Enarrai,  in  psalmum  CXLVI   n.   17  opp.   toni.  IV. 


—  163  — 
Roma,  ove  fossero  i  tesori  de'  cristiani,  potè  mostrare  nu- 
merosissime turbe  di  poveri,  nel  cui  vitto  e  vestito  avea 
convertito  le  facoltà  sottratte  alla  rapacità  del  tiranno  (l). 

Questi  beni  la  Chiesa  acquistò  per  la  volontà  e  l'e- 
sempio di  Cristo,  non  per  qualche  legge  umana  ;  perchè 
la  Chiesa  fu  da  lui  costituita  contro  la  volontà  dei  Principi, 
che  allora  governavano  il  mondo,  e  non  essendo  ricono- 
sciuta come  società  dalle  leggi  romane  allora  vigenti  (2), 
non  poteva,  secondo  quelle  leggi,  né  acquistare  né  ritenere 
beni  temporali. 

Finché  regnarono  a  Roma  gli  Imperatori  pagani  ne- 
mici del  nome  cristiano  le  sostanze  della  Chiesa  consiste- 
vano principalmente  in  beni  mobili ,  che  potessero  facil- 
mente in  quei  tempi  calamitosi  nascondersi  e  distribuirsi 
ai  poveri,  secondo  il  bisogno  e  l'opportunità.  Ma  fatto  pri- 
gioniero Valeriano  da  Sapore  Re  di  Persia  e  allentatosi 
il  rigore  delle  leggi  per  incuria  di  Gallieno,  i  cristiani  do- 
navano alle  Chiese  fondi,  case,  orti  ed  altri  beni  stabili , 
confiscati  poi  da  Diocleziano  e  Massimiano  nel  302  e  quindi 
restituiti  ai  loro  padroni  da  Licinio  e  Costantino,  come  si 
vede  dal  codice  teodosiano.  Data  poscia  al  mondo  la  pace, 
molti  beni  anche  immobili  erano  lasciati  alla  Chiesa  sia 
per  contratto  tra  vivi,  sia  per  testamento:  anzi  le  furono 
attribuiti  gli  stessi  tempii  pagani  colle  rendite  loro,  oltre 
una  determinata  somma  di  danaro  che  gli  Imperatori  cri- 
stiani vollero  si  dovesse  pagare  dal  pubblico  erario  :  la 
qual  disposizione  abrogata  da  Giuliano  apostata  fu  poi 
richiamata  in  vigore  dall'  Imperatore  Marciano. 

(1)  S.  Leonis  M.  opp.  pars  I  sermo  LXXXVII  in  festo  sancti  Lau- 
rentii  martyris. 

(2)  Fr.  I.  D.  de  collegiis  et  corporibus  47. 


—  1Ó4  — 

Ed  era  naturale  che,  divenuta  la  Religione  cristiana 
Religione  dello  Stato,  non  solo  le  leggi  civili  ratificassero 
il  diritto  che  la  Chiesa  ha  colle  altre  società  riconosciute 
di  acquistare  e  possedere,  ma  anche  il  corpo  stesso  delle 
leggi  romane  si  dovesse  uniformare  alle  leggi  canoniche, 
colle  quali  il  patrimonio  della  Chiesa  era  regolato  da  dis- 
posizioni speciali.  Nei  primi  tempi  V  amministrazione  di 
tutti  i  beni  ecclesiastici  era  presso  il  Vescovo,  che  ne  af- 
fidava la  cura  all'  Economo  o  all'  Arcidiacono  :  e  questi , 
terminato  1'  ufficio  loro,  dovean  render  conto  dell'  ammi- 
nistrazione. Quella  quantità  di  beni ,  donde  il  Vescovo  e 
i  cherici  traean  vitto  e  mantenimento  ,  i  poveri  sussidio 
e  le  Chiese  aveano  le  suppellettili  e  gli  ornamenti  neces- 
sarii  al  sacro  culto,  fu  poscia  divisa  in  quattro  parti,  come 
attestano  i  Sommi  Pontefici  san  Gelasio  (l)  e  san  Grego- 
rio Magno  (2),  delle  quali  la  prima  toccò  al  Vescovo,  l'al- 
tra ai  cherici ,  la  terza  ai  poveri  e  1'  ultima  fu  riservata 
per  la  fabbrica  della  Chiesa. 

Ma  qui  si  chiederà  il  motivo,  perchè,  fatta  cotal  di- 
visione ,  avendosi  ancora  i  beni  degli  ecclesiastici  e  delle 
chiese  ,  non  si  abbiano  più  quelli  che  toccarono  ai  poveri. 
I  poveri  ebbero  i  loro  beni  principalmente  nelle  Opere 
pie ,  benefica  istituzione  del  Cristianesimo  ,  ignota  all'  an- 
tichità, e  inoltre  resta  a  loro  favore  1'  obbligo  grave  che 
hanno  gli  ecclesiastici  di  dare  ai  poveri  0  di  erogare  in 
opere  pie  ciò  che,  detratte  le  spese  per  un  onesto  sostenta- 
mento, loro  sopravanza  dalle  rendite  del  beneficio. 

Benché  la  proprietà    dei   beni  ecclesiastici  giuridica- 

(1)  Epist.  IX  ad  Episcopos  Lucaiaiac  cap.  XXVII. 

(2)  Epist.  XII  ad  Petrum  Episcopum  lib.  V. 


—  165  — 
mente  si  consideri  appartenere  alle  singole  comunità  ,  e 
ad  esse  quindi  ne  appartenga  anche  V  amministrazione  , 
pure  di  cotali  beni  propriamente  padrone  è  Gesù  Cristo, 
non  diciamo  ora ,  come  creatore,  ma  come  quegli ,  a  cui 
furon  donati  :  i  rettori  delle  chiese  particolari  ne  sono  am- 
ministratori, e  il  Sommo  Pontefice,  qual  Vicario  di  Gesù 
Cristo,  ne  è  amministratore  supremo. 

I  beni  ecclesiastici,  essendo  di  Dio  ,  sono  per  diritto 
divino  immuni  da' tributi  (l)  ed  inalienabili  (2).  L'immu- 
nità dai  tributi  assoluta  non  è  al  presente  più  in  vigore  a 
cagione  dei  concordati;  perchè,  quantunque  sia  di  diritto  di- 
vino che  non  si  debbano  ledere  i  diritti  e  i  privilegii  an- 
nessi ai  beni  ecclesiastici,  pure  ciò  non  esclude  che  il  Papa, 
come  supremo  amministratore  ,  possa  in  casi  particolari 
non  solo  rinunziare  ai  privilegii  inerenti  ai  beni  temporali 
della  Chiesa,  ma  talora  anche  cedere  i  beni  stessi,  quando 
vi  sia  giusta  cagione. 

Pel  regno  di  Sardegna  sono  immuni  solo  quei  beni , 
che  non  hanno  annessa  alcuna  temporale  utilità  ,  come 
sono  le  chiese  e  i  cimiteri  (3). 

La  parola  alienazione  ,  trattandosi  di  beni  ecclesia- 
stici, comprende  i  casi  non  solo  di  vero  trasferimento  della 

(1)  Cap.  Quamquam  de  consec.  in  6,  ove  si  dice:  «  Cum  igitur  Ec- 
clesia ,  ecclesiasticae  personae  ac  res  ipsarum  non  solum  iure  humano  , 
quin  immo  divino,  a  saecularium  exactionibus  sint  immunes  etc  ».  E  il 
Concilio  di  Trento  sess.  XXV  cap.  XX  nell' ammonire  i  Principi  dell'of- 
ficio loro  confida  ch'essi  non  permetteranno  che  gli  ufficiali  e  gli  in- 
feriori magistrati  abbiano  a  violare  «  Ecclesiae  et  personarum  eccle- 
siasticarum  immunitatem  Dei  ordinatione  et  canonicis  sanctionibus  con- 
stitutam  » . 

(2)  Extrav.  Ambltìosae  De  rebus  Eccl.  non  alien.,  inter  comm. 

(3)  Litterae  Apost.  Leonis  XII  die  14  Maii  an.  1828. 


—  166  — 
proprietà,  come  è  la  vendita,  la  permutazione,  la  donazione, 
ma  i  casi  anche  di  smembramento  di  essa  proprietà,  come 
è  la  ipoteca,  la  servitù,  il  pegno,  l'affitto  oltre  i  tre  o  sei 
o  nove  anni ,  secondo  che  il  frutto  è  annuale  o  si  ha  ogni 
biennio  od  ogni  triennio:  comprende  in  generale  non  solo 
i  beni  immobili,  ma  eziandio  i  mobili  preziosi,  che  si  pos- 
sono conservare,  come  sono  le  biblioteche,  gli  oggetti  con 
ornamenti  d'oro,  di  gemme,  quadri  ed  altre  opere  d'arte: 
come  del  pari  comprende  le  cose  comparate  agli  immo- 
bili, quali  sono  i  diritti  incorporali,  le  decime,  i  luoghi  di 
monti,  i  censi  e  cose  simili. 

I  beni  ecclesiastici ,  oltre  i  casi  espressi  dal  diritto  , 
come  quando  si  tratti  di  piccole  terre  (l)  e  generalmente 
di  cose  che  non  eccedano  il  valore  di  40  ducati,  nei  quali 
casi  è  tuttavia  necessaria  la  licenza  del  Vescovo,  potranno 
solo  alienarsi,  allorché  vi  sia  giusta  cagione,  cioè  evidente 
necessità  od  utilità  0  pietà,  e  si  premettano  le  solennità 
dovute. 

Alle  varie  solennità,  che  richiedeva  il  diritto  antico, 
Paolo  II  aggiunse  (2)  il  consenso  pontificio,  il  quale  può 
anche  supplire  e  supplisce  alle  altre  solennità,  se  il  Pon- 
tefice consenta  in  modo  assoluto  e  solamente  comandi  di 
verificare  la  giusta  cagione. 

II  diritto  ecclesiastico  ha  una  speciale  prescrizione  , 
la  quale  si  distingue  in  ordinaria  e  straordinaria.  L'ordi- 
naria è  la  triennale,  che  si  dice  di  breve  tempo,  e  la  de- 
cennale e  la  vicennale ,  che  si  dice  di  lungo  tempo.  La 
straordinaria,  che  dicesi  di  lunghissimo  tempo,  è  la  tren- 

(1)  Can.    Terrulas  55  caus.   12  quaest.  2. 

(2)  Extrav.  cit. 


—  167  — 
tenaria ,  la   quadragenaria  ,  la  centenaria  in  favore  della 
Chiesa  Romana,  e  la  immemorabile  (l). 

Fino  al  quinto  secolo  i  cherici  ricevevano  il  neces- 
sario pel  mantenimento  dai  beni  comuni,  dei  quali  dispo- 
neva il  solo  Vescovo,  per  mezzo  dell'Economo  o  dell'Ar- 
cidiacono :  ma  dopo  quel  tempo  dal  Vescovo  cominciarono 
a  concedersi  ai  cherici  addetti  a  servire  le  chiese,  deter- 
minati fondi,  che  furono  dal  Concilio  di  Magonza  chiamati 
beneficii. 

Il  beneficio  è  un  diritto  perpetuo  che  compete  al  che- 
rico  legittimamente  istituito,  di  percepire  frutti  da'  beni  ec- 
clesiastici, a  cagione  d'un  ufficio  spirituale,  costituito  per 
autorità  della  Chiesa. 

I  beneficii  si  distinguono  in  maggiori  e  minori.  I  mag- 
giori, oltre  il  Papato,  sono  il  Cardinalato ,  il  Patriarcato  , 
l'Arcivescovato,  il  Vescovato,  le  Abbazie  che  hanno  giu- 
risdizione quasi  episcopale  e  gli  altri  beneficii  che  riten- 
gono anche  il  nome  generico  di  prelature.  Si  dicono  pure 
beneficii  concistoriali;  perchè  per  lo  più  il  Sommo  Ponte- 
fice li  conferisce  in  concistoro,  ed  importano  giurisdizione. 
I  minori  sono  tutti  gli  altri  beneficii.  Dei  beneficii  minori 
altri  sono  secolari  ed  altri  regolari,  secondo  che  si  confe- 
riscono ai  cherici  secolari  o  ai  regolari.  Altri  sono  doppi 
ed  altri  semplici.  I  beneficii  doppi  sono  quelli,  che,  oltre  la 
obbligazione  di  recitare  preghiere,  la  quale  è  comune  a 
tutti  i  beneficii,  hanno  anche  altra  annessa  qualità,  cioè  pre- 
minenza e  giurisdizione,  e  si  dicono  beneficii  curati;  o  solo 
preminenza ,  e  si  denominano    personati  ;  o   qualche   am- 

(1)  Cf.  Summa  institutionum    canonicariim  auctore  Iosepho  Ferrari 
}om.  II  lib.  I  paragg.  689-695. 


—  168  — 
ministrazione  od  officio,  e  si  chiamano  officii;  o  preminenza 
e  giurisdizione  insieme,  e  si  appellano  dignità:  alle  quali 
si  danno  nomi  speciali,  come  prepositura,  arcidiaconato  , 
arcipretura.  I  beneficii  semplici  sono  quelli  che  hanno  an- 
nessa la  sola  obbligazione  di  recitare  preghiere  a  Dio  e 
servire  all'altare,  come  è  la  cappellania  ecclesiastica. 

Per  altre  nozioni  circa  1'  applicazione  della  prescri- 
zione ecclesiastica  e  circa  la  materia  beneficiaria  si  pos- 
sono consultare  scrittori  di  istituzioni  canoniche. 

Tuttavia,  oltre  la  differenza  tra  i  beneficii  e  le  Opere 
pie,  le  quali  sono  di  natura  totalmente  diversa  dai  bene- 
ficii, vuoisi  pure  notare  esservi  capitale  distinzione  tra  i 
beneficii  anche  semplici ,  come  è  la  cappellania  ecclesia- 
stica, e  le  pie  fondazioni,  le  quali  importano  qualche  spi- 
rituale ministero,  come  è  la  cappellania  laicale. 

Così  la  cappellania  ecclesiastica  differisce  dalla  cap- 
pellania laicale  1°  perchè  la  cappellania  ecclesiastica  si  con- 
ferisce sempre  al  solo  cherico  :  la  cappellania  laicale  an- 
che al  laico,  che  ha  tuttavia  il  dovere  d'  adempierne  gli 
obblighi  per  mezzo  altrui  (l):  2°  la  cappellania  ecclesia- 
stica è  eretta  e  conferita  per  autorità  del  Vescovo  ;  non 
così  la  cappellania  laicale ,  benché  il  Vescovo  1'  approvi , 
l'accetti  e  vigili  all'esatto  adempimento  di  essa:  3°  la  cap- 
pellania ecclesiastica  si  annovera  tra  i  diritti  ecclesiastici, 

(l)  Quantunque  non  sia  alieno  dalla  natura  della  cappellania  lai- 
cale che  anche  un  laico  ne  sia  al  possesso,  pure  è  massima  di  giuris- 
prudenza canonica  che  quando  nella  fondazione  fu  prescritta  la  qua- 
lità di  cherico,  la  cappellania  non  possa  esser  posseduta  da  un  laico,  senza 
speciale  licenza  della  Santa  Sede:  e  sotto  questo  rispetto  le  cappellanie 
laicali  son  dette  anche  ecclesiastiche,  in  quanto  l'investito  deve  essere 
un  ecclesiastico  ossia  cherico. 


—  1Ó9  — - 
e  quindi  il  titolo  e  1'  amministrazione  rimangono  presso 
l'Autorità  ecclesiastica  :  laddove  annoverandosi  la  cappel- 
lania  laicale  tra  i  diritti  civili,  il  titolo  e  l'amministrazione 
restano  presso  il  fondatore  e  i  suoi  successori.  Che  se  in 
diritto  canonico  la  cappellania  ecclesiastica  e  laicale  son 
cose  giuridicamente  diverse  ;  ora  per  contrario  in  faccia 
alle  nuove  leggi  civili  non  hanno  tra  loro  distinzione  :  e 
venne  ammesso  nella  moderna  giurisprudenza  che  men- 
tre per  la  rivendicazione  dei  benefizii  si  richiedeva  la  tassa 
del  trenta  per  cento  ,  per  lo  svincolamento  delle  cappel- 
lanie  si  richiedesse  solo  il  pagamento  della  doppia  tassa 
di  successione  fra  estranei  ,  siano  esse  cappellanie  eccle- 
siastiche o  laicali. 

Questa  giurisprudenza  che  ora  va  formandosi  sulle 
nuove  leggi  dello  Stato,  introdusse  invece  una  nuova  di- 
stinzione tra  le  Opere  pie.  «  Tutte  le  varietà  delle  Opere 
pie  si  raccolgono  sotto  due  generi  sommi  :  le  istituzioni 
di  beneficenza  e  di  carità  cittadina  a  sollievo  dei  poveri, 
e  le  fondazioni  religiose  e  di  culto,  che  nel  concetto  cat- 
tolico sono  opere  di  beneficenza  spirituale  in  prò  delle 
anime.  Il  nostro  diritto  riconosce  ed  agevola  l'attuazione 
del  primo  genere  in  istituzioni  sociali  con  la  legge  sulle 
Opere  pie  del  3  Agosto  1862  ,  e  con  1'  articolo  832  del 
codice  civile  :  non  riconosce  nel  secondo  genere  che  un 
obbligo  rimesso  alla  coscienza  dell'individuo,  ma  in  quanto 
si  concreti  in  enti  di  manomorta,  li  soppresse  nel  passato 
con  le  nuove  leggi  politico-ecclesiastiche,  e  li  ha  vietati  pel 
futuro  con  1'  articolo  833  dello  stesso  codice  civile.  Una 
disposizione,  anteriore  ai  nuovi  codici,  per  fondazione  di 
Opera  pia,  può  contenere  tali  determinazioni  generiche  da 
fare  allogare  l'Opera  tra  le  religiose  e  di  culto,  e  mancare  a 


—  170  — 
un  tempo  delle  determinazioni  specifiche  necessarie  a  farla 
considerare  come  direttamente  fondata  dal  testatore.  In  tal 
caso  quella  disposizione,  valida  a  principio  per  la  fondazio- 
ne dell'Opera  pia,  diventa  inefficace  pel  sopravvenire  delle 
nuove  l:ggi,  che  ne  resero  impossibile  1'  attuazione  »  (l). 

§  II- 

LEGISLAZIONE    ITALIANA. 

Molte  sono  le  infauste  leggi,  che  dopo  lo  Statuto  fonda- 
mentale del  Regno  furono  promulgate  in  Italia  intorno  alla 
proprietà  della  Chiesa. 

1°  Quella,  che  si  può  dire  prodromo  di  tutte  le  altre, 
è  la  legge  del  25  Agosto  1848  ,  sottoscritta  per  autorità 
delegata,  dal  Principe  Eugenio  di  Carignano,  la  quale  es- 
pulse dallo  Stato  la  Compagnia  di  Gesù  ,  destinandone 
i  beni  a  istituire  e  mantenere  i  collegi  nazionali. 

2°  L'altra  è  quella  del  5  Giugno  1850,  la  quale  in 
unico  articolo  dispone  da  prima  «  che  gli  stabilimenti  e  corpi 
morali  sieno  ecclesiastici  o  laicali ,  non  potranno  acqui- 
stare stabili,  senza  essere  a  ciò  autorizzati  con  regio  de- 
creto, previo  il  parere  del  Consiglio  di  Stato  ». 

E  quindi  che  «  le  donazioni  tra  vivi  e  le  disposizioni 
testamentarie  a  loro  favore  non  avranno  effetto  ,  se  essi 
non  saranno  nello  stesso  modo  autorizzati  ad  accettarle  » . 

3°  Vien  la  legge  del  29  Maggio  1855,  la  quale  sop- 
prime le  case  degli  Ordini  religiosi ,  che  non  attendono 
alla  predicazione,  all'  educazione  e  all'  assistenza  degli  in- 

(l)  Corte  di  Cassazione  di  Roma  15  Marzo  1883,  Lulani  con  An- 
tinori. 


—  171  — 
fermi,  come  pure  i  Capitoli  delle  collegiate,  che  non  ab- 
biano cura  d'anime  o  che  esistano  in  città,  le  quali  con- 
tano meno  di  20,000  abitanti. 

Questa  legge  istituisce  la  Cassa  ecclesiastica ,  la  cui 
amministrazione  è  affidata  al  direttore  generale  del  debito 
pubblico,  coadiuvato  da  un  Consiglio  speciale  composto 
dello  stesso  direttore  generale,  che  lo  presiede,  dell'  econo- 
mo generale  dei  beneficii  vacanti  e  di  cinque  altri  membri. 

4°  La  legge  del  21  Agosto  18Ó2  i  beni  devoluti  alla 
Cassa  ecclesiastica  devolve  al  Demanio,  e  alla  Cassa  ec- 
clesiastica dà  il  diritto  a  tanta  rendita  sul  debito  pubblico, 
eguale  alla  rendita  dei  beni. 

Alle  disposizioni  di  queste  due  ultime  leggi  son  co- 
ordinati i  decreti  dell'  11  Dicembre  l86o  per  l'Umbria, 
del  3  Gennaio  1861  per  le  Marche,  del  17  Febbraio  l86l 
per  le  provincie  napoletane,  e  del  10  Agosto  18Ó2  sui  beni 
ecclesiastici  della  Sicilia. 

5°  Seguita  la  legge  del  7  Luglio  1866,  per  cui  non 
son  più  riconosciuti  gli  Ordini  e  le  Congregazioni  reli- 
giose regolari  e  secolari  ed  i  conservatorii  e  ritiri,  i  quali 
importino  vita  comune  ed  abbiano  carattere  ecclesiastico, 
sono  soppresse  le  loro  case,  e  i  loro  beni  devoluti  al  De- 
manio con  l'obbligo  di  inscrivere  a  favore  del  Fondo  pel 
culto  una  rendita  cinque  per  cento  eguale  alla  rendita  ac- 
certata per  la  tassa  di  manomorta  ,  fatta  deduzione  del 
cinque  per  cento  per  ispese  di  amministrazione.  Colla  stessa 
norma  son  convertiti  in  rendita  i  beni  immobili  degli  enti 
conservati,  eccettuati  quelli  che  appartengono  ai  beneficii 
parrocchiali  e  alle  chiese  ricettizie,  imposta  sugli  enti  con- 
servati una  quota  di  concorso  a  favore  del  Fondo  pel 
culto,  il  qual  Fondo  pel  culto  è  in  virtù  di  questa  legge 
sostituito  alla  Cassa  ecclesiastica. 


—   172  — 

6°  Alla  legge  del  7  Luglio  1866  tien  dietro  1'  altra 
del  15  Agosto  1867,  per  cui ,  fatte  poche  eccezioni,  non 
son  più  riconosciuti  gli  altri  enti  morali  di  natura  eccle- 
siastica, e  i  beni  son  devoluti  al  Demanio,  salvo  il  diritto 
di  devoluzione  ai  fondatori  o  di  riservazione  ai  patroni, 
diritto  ammesso  anche  dalle  leggi  precedenti,  ed  è  impo- 
sta una  tassa  straordinaria  del  trenta  per  cento  sul  pa- 
trimonio ecclesiastico. 

7°  La  legge  del  3  Luglio  1870  regola  lo  svincola- 
mento dei  beneficii  e  delle  cappellanie  di  patronato  laicale. 

8°  Si  aggiunge  la  legge  dell'  il  Agosto  1870  (alleg. 
P),  per  cui  nella  conversione  disposta  dall'articolo  il  della 
legge  7  Luglio  1866  son  compresi  non  solo  i  beni  immo- 
bili delle  Fabbricerie  e  delle  altre  Amministrazioni  delle 
Parrocchie,  delle  Chiese  sussidiarie,  dei  Santuarii  e  degli 
Oratorii  riconosciuti  come  enti  morali ,  ma  anche  i  beni 
spettanti  ai  Capitoli  cattedrali,  ancorché  rivestiti  delle  qua- 
lità di  Parrochi,  salvo  sempre  una  sola  prebenda  curata, 
se  esiste  separata  dalla  massa,  ovvero  una  quota  curata 
di  massa,  da  separarsi  per  costituire  la  congrua  d'un  solo 
Parroco. 

9°  L'ultima  è  la  legge  del  19  Giugno  1873,  la  quale 
promulga  per  le  provincie  di  Roma  le  leggi  del  .7  Luglio 
1866,  del  15  Agosto  1867,  del  29  Luglio  1868  e  dell' il 
Agosto  1870  (alleg.  P)  con  alquante  eccezioni  e  modifi- 
cazioni :  i  beni  degli  enti  soppressi ,  senza  devolverli  al 
Fondo  pel  culto,  converte  in  rendita  e  dispone  che  si  ri- 
partano tra  diverse  Opere  pie,  il  Comune,  le  Chiese  par- 
rocchiali di  Roma  e  la  Santa  Sede,  per  provvedere  al 
mantenimento  delle  rappresentanze  degli  Ordini  religiosi 
esistenti  all'  estero,  detratto  prima  il  capitale  per  le  pen- 


—  173  — 
sioni:  e  finalmente  per  la  esecuzione  di  queste  disposizioni 
istituisce  la  Giunta  liquidatrice  dell'  asse  ecclesiastico  di 
Roma,  composta  di  tre  membri  nominati  per  decreto  reale, 
la  quale  deve  esercitare  il  suo  ufficio  sotto  la  vigilanza 
di  una  Commissione  formata  nel  modo  e  colle  facoltà  in- 
dicate dall'articolo  26  della  legge  del  7  Luglio  1866. 

La  legge  del  19  Giugno  1873  contiene  l' articolo  25  per 
la  limitazione  dell'imposta  del  trenta  per  cento  ,  articolo 
sibillino  che  fa  degno  riscontro  coli'  altro  non  meno  oscuro 
della  legge  del  15  Agosto  1867,  col  quale  quella  imposta 
avea  cominciato  a  gravare  il  patrimonio  ecclesiastico. 

Questi  articoli  paiono  studiosamente  coniati  per  favo- 
rire gli  arbitrii  degli  ufficiali  dello  Stato  o  per  far  per- 
dere in  giudizio  colle  liti  quanto  lo  Stato  mostra  alleg- 
gerire di  quella  gravissima  tassa. 

10°  Colle  indicate  leggi,  concordano  nel  ledere  i  diritti 
della  Chiesa,  principalmente  i  seguenti  articoli  del  codice 
civile  : 

«  433.  I  beni  degli  istituti  civili  od  ecclesiastici  e  de- 
gli altri  corpi  morali  appartengono  ai  medesimi,  in  quanto 
le  leggi  del  regno  riconoscono  in  essi  la  capacità  di  ac- 
quistare e  di  possedere. 

434.  I  beni  degli  istituti  ecclesiastici  sono  soggetti  alle 
leggi  civili  e  non  si  possono  alienare  senza  V  autorizza- 
zione del  governo. 

831.  Le  disposizioni  per  l'anima  o  a  favore  dell'a- 
nima espresse  genericamente  sono  nulle. 

833.  Sono  nulle  le  disposizioni  ordinate  al  fine  di  i- 
stituire  0  dotare  benefizii  semplici,  cappellanie  laicali  od 
altre  simili  fondazioni. 

932.  Le  eredità  devolute  ai  corpi  morali  non  possono 


—  174  — 
essere  accettate  che  coll'autorizzazione  del  governo  da  ac- 
cordarsi nelle  forme  stabilite  da  leggi  speciali. 

Esse  non  possono  essere  accettate  se  non  col  bene- 
fizio dell'inventario,  secondo  le  forme  stabilite  dai  rispet- 
tivi regolamenti. 

ÌOÓO.  Le  donazioni  fatte  ai  corpi  morali  non  possono 
essere  accettate  ,  se  non  coli'  autorizzazione  del  governo 
menzionata  nell'articolo  932. 

1075.  È  nulla  la  donazione  che  ha  per  oggetto  di  i- 
stituire  0  dotare  benefizii  semplici,  cappellanie  laicali  od 
altre  simili  fondazioni  ». 

Come  le  leggi  sopra  accennate,  così  anche  questi  arti- 
coli del  codice  civile  suppongono  che  lo  Stato  ,  il  quale 
ha  origine  dalla  società  domestica,  sia  invece  la  sorgente 
di  tutte  le  altre  società;  suppongono  che  lo  Stato  sia  pro- 
prietario ,  non  regolatore  dei  beni  dei  cittadini  ;  e  sup- 
pongono finalmente  un  falso  concetto  del  diritto  di  pro- 
prietà, il  quale,  secondo  il  legislatore  ,  non  è  più  un  di- 
ritto assoluto  ed  esclusivo,  che  importa  sulla  cosa  pieno 
potere,  potere  che  consta  di  molteplici  facoltà  minori,  cioè 
del  diritto  di  godere  della  cosa  ossia  di  percepirne  i  frutti, 
del  diritto  di  usarne  ossia  di  ritrarne  tutte  le  utilità  ,  di 
cui  è  capace  ,  del  diritto  di  disporne  alienandola  o  tras- 
formandola o  distruggendola,  e  finalmente  del  diritto  di 
ripeterla  da  chiunque  la  ritenga  senza  titolo  (l);  ma,  con- 
tro il  razionale  principio  del  diritto  romano  (2),  potrebbe 
invece  appartenere  per  intero  a  più  persone. 


(1)  Ius  fruendi,  utendi,  abutendi  et  vindicandi. 

(2)  Duorum  quidem  in  solidum    dominium  vel  possessionem    esse 
non  posse.  Fr.  5  §  15  D  commodati  vel  contro,  13. 


—  175  — 

Di  fatto  vediamo  che  cosa  insegna  il  professor  Ca- 
stagnola intorno  ai  beni  degli  istituti  ecclesiastici  confor- 
memente a  questo  falso  concetto  della  proprietà.  «  I  beni 
di  questi  istituti,  egli  dice,  formano  parte  della  proprietà 
pubblica,  la  quale  nell'interesse  sociale  è  collocata  in  una 
condizione  diversa  da  quella  della  proprietà  privata  ed 
in  una  speciale  sfera  di  ordine  pubblico  ». 

Questi  beni  quindi,  secondo  il  nostro  Professore,  sono 
proprietà  degli  istituti  ecclesiastici,  e  sono  del  pari  pro- 
prietà pubblica,  cioè  proprietà  dello  Stato.  Questo  è  il 
significato  ovvio  e  naturale.  Che  se  tal  significato  si  vo- 
lesse escludere,  quale  altro  significato  potrebbe  avere  la 
proposizione  del  Castagnola  ?  Si  provi  egli  a  dirci  quale 
sia  il  senso  preciso  di  quelle  vaghe  e  indeterminate  pa- 
role: «  La  proprietà  pubblica  nell'interesse  sociale  è  col- 
locata in  una  condizione  diversa  da  quella  della  proprietà 
privata  e  in  una  speciale  sfera  di  ordine  pubblico  » .  Non 
è  forse  uno  il  concetto  della  proprietà,  ne  è  così  generale 
come  ci  è  indicato  dal  diritto  romano  ?  Quale  è  mai  la 
condizione  della  proprietà  pubblica  diversa  da  quella  della 
proprietà  privata  ?  Che  cosa  è  questa  speciale  sfera  d'or- 
dine pubblico  ?  Parole,  diciam  noi,  parole  e  nient'altro  che 
parole,  le  quali  ad  altro  non  valgono  che  a  palliare  l'in- 
giustizia. 

E  facile  qui  vedere  le  principali  discrepanze  tra  la 
la  legislazione  canonica  e  le  leggi  del  nuovo  regno  d'Italia. 

Secondo  il  diritto  canonico  la  promessa  fatta  in  fa- 
vore della  Chiesa,  dei  poveri,  d' un'Opera  pia,  benché  non 
accettata  dagli  amministratori  produce  i  suoi  effetti  giu- 
ridici, perchè,  fatta,  si  presume  accettata  da  Dio,  essendo 
fatta  a  favore  dei  poveri ,  laddove  in  generale  ,  secondo 


—  176  — 

il  diritto  civile  ,  la  nuda  promessa  fatta  da  una  parte  e 
non  ancora  accettata  dall'altra  non  produce  obbligazione. 

Così  pure  ,  secondo  le  leggi  canoniche  ,  non  solo  è 
valida ,  se  è  fatta  a  favore  della  Chiesa  o  dei  poveri  o 
d' un'Opera  pia,  la  donazione  dei  beni  futuri,  la  quale  e 
nulla  secondo  l' articolo  1064  del  codice  civile  ,  ma  è  an- 
che privilegiato  il  testamento  pio,  per  la  cui  validità  ba- 
sta che  consti  in  qualche  modo  del  testamento  e  pel  quale 
si  istituiscono  validamente  eredi  le  persone  incerte,  i  po- 
veri in  generale,  1'  anima  propria  o  le  anime  del  Purga- 
torio o  le  cause  pie  che  un  terzo  eleggerà  :  alle  quali 
disposizioni  sono  contrarii  gli  articoli  774,  775,  776,  per 
cui  resta  escluso  il  testamento  privilegiato,  gli  articoli  764, 
724,  per  cui  sono  escluse  dalle  successioni  le  persone  in- 
certe, gli  articoli  831  ed  832,  per  cui  sono  dichiarati  nulli 
i  legati  tanto  a  favore  dei  poveri  quanto  a  favore  del- 
l'anima propria  0  delle  anime  in  generale  e  finalmente  gli 
altri  due  articoli  833  ed  834,  per  cui  sono  eziandio  nulle 
le  disposizioni  ordinate  al  fine  di  istituire  o  dotare  bene- 
ficii  semplici,  cappellanie  laicali  od  altre  simili  fondazioni, 
ed  è  parimente  nulla  ogni  disposizione  fatta  a  favore  di 
persona  incerta  da  nominarsi  da  un  terzo. 

Stando  alle  leggi  canoniche  la  locazione  non  è  con- 
sentita oltre  il  triennio,  intendendosi  per  triennio  non  pure 
il  corso  di  tre  anni  solari  pei  frutti  civili ,  ma  anche  tre 
percezioni  dei  frutti  naturali,  i  quali,  secondo  che  si  rac- 
colgono ogni  biennio  0  triennio  e  ,  trattandosi  di  selve 
cedue,  ogni  dieci  od  ogni  venti  anni,  danno  luogo  ad  una 
locazione  di  sei ,  nove,  trenta  0  sessant'  anni  :  ed  è  riser- 
vato al  locatore  il  diritto  di  privar  della  cosa  l'inquilino, 
se  fosse  a  sé  0  a  suoi  necessaria.  Stando  invece  alla  legge 


—  177  — 
civile,  la  locazione  è  consentita  per  un  novennio  agli  am- 
ministratori e  per  un  quinquiennio  all'usufruttuario. 

Secondo  le  decretali,  circa  T  enfiteusi,  nel  caso  di  a- 
lienazione  del  dominio  utile ,  1'  enfiteuta  deve  denunziare 
il  contratto  alla  Chiesa,  che  ha  il  dominio  diretto,  ed  a- 
spettare  un  bimestre,  per  vedere,  se  vuole  usare  del  di- 
ritto di  prelazione,  che  le  compete,  od  accordare  al  nuovo 
compratore  la  investitura,  ricevendone  in  ricambio  il  lau- 
demio,  che  è  il  cinque  per  cento  ossia  la  vigesima  parte 
del  valore  del  fondo,  dal  quale  valore  sia  prima  detratto 
il  capitale  del  canone  e  delle  altre  prestazioni  ,  se  sono 
dovute,  e  dal  residuo  sia  pure  tolta  una  sesta  parte  pel 
gravame  enfiteutico.  Invece  secondo  gli  articoli  1562,  1563 
e  1564  del  codice  civile ,  Y  enfiteuta  può  disporre  tanto 
del  fondo  enfiteutico  quanto  delle  sue  accessioni ,  e  per 
la  trasmissione  del  fondo  enfiteutico  non  è  dovuta  alcuna 
prestazione  a  chi  ha  il  dominio  diretto.  Questi  ogni  ven- 
tinove anni  può  chiedere  la  ricognizione  del  proprio  di- 
ritto dall'enfiteuta,  a  cui  è  dato  di  poter  sempre  redimere 
il  fondo  enfiteutico. 

Secondo  il  diritto  ecclesiastico  è  pure  valido  il  legato 
pio  fatto  verbalmente,  laddove  esso  non  ha  valore  alcuno, 
secondo  il  diritto  civile  ,  che  non  ammette  il  testamento 
nuncupativo. 

La  prescrizione  poi  quadragenaria  e  centenaria  am- 
messa dalla  legislazione  canonica  resta  esclusa  dal  codice 
civile,  ove  all'articolo  21 35  si  dice:  «  Tutte  le  azioni  tanto 
reali  quanto  personali  si  prescrivono  col  decorso  di  tren- 
t'  anni,  senza  che  possa  in  contrario  opporsi  il  difetto  di 
titolo  o  di  buona  fede  ». 

L'amministrazione  dell'asse  ecclesiastico  è  affidata  a- 

12 


—  178  — 
gli  Economati  generali  dei  beneficii  vacanti,  al  Fondo  pel 
culto  e  al  Commissario  regio  per  la  provincia  romana. 

1°  La  istituzione  degli  Economati  generali,  che  è  as- 
sai antica  in  Piemonte  ,  fu  estesa  coi  decreti  del  26  Set- 
tembre 1860,  dell'8  Dicembre  1861  e  del  25  Giugno  187 1 
alle  nuove  provincie,  eccettuata  la  città  di  Roma  e  le  sedi 
suburbicarie. 

Gli  economi  generali  sono  sette,  risiedono  a  Torino, 
Milano  ,  Venezia,  Firenze,  Bologna,  Napoli  e  Palermo,  e 
da  loro  dipendono  altri  ufficiali  detti  subeconomi. 

Gli  economi  riscuotono  le  rendite  dei  beneficii  va- 
canti, le  quali  devono  erogarsi  per  render  migliori  le  con- 
dizioni dei  Parrochi  e  Sacerdoti,  per  le  spese  del  culto  e 
per  opere  di  carità. 

Il  rendimento  dei  conti  dagli  Economati  deve  presen- 
tarsi al  Parlamento  col  bilancio  del  Ministero  di  grazia  e 
giustizia  e  dei  culti,  a  termine  dell'articolo  6  della  legge 
del  15  Agosto  1867. 

2°  Il  Fondo  pel  culto  è  costituito  dalle  rendite  e  dai 
beni,  che  gli  sono  attribuiti  dalla  legge  7  Luglio  1866  e 
dalle  rendite  e  dai  beni  in  virtù  di  leggi  preesistenti  già 
devoluti  alla  Cassa  ecclesiastica  :  è  amministrato  sotto  la 
dipendenza  del  Ministro  di  grazia  e  giustizia  da  un  di- 
rettore assistito  dal  Consiglio  di  amministrazione,  il  quale 
si  compone  del  direttore  stesso  e  di  altri  sei  membri  no- 
minati tutti  per  decreto  reale. 

Questo  Consiglio  ha  per  ufficio  di  vegliare  alla  presa 
di  possesso  ,  di  provvedere  alla  liquidazione  ed  al  paga- 
mento delle  pensioni  e  di  soddisfare  agli  oneri  inerenti  ai 
beni  passati  al  Demanio:  e  tutto  ciò  adempie  sotto  la  vi- 
gilanza  di   una  Commissione  composta  di  tre  Senatori  e 


—  179  — 
tre  Deputati   eletti  ogni  anno    dalle   rispettive    Camere  e 
di  tre  membri   nominati  dal  Re  ,  che  ne   designa  pure  il 
presidente. 

3°  Vedutasi  la  mala  prova,  che  fece  il  Fondo  pel  culto, 
fu  istituita  la  Giunta  liquidatrice  dell'asse  ecclesiastico  di 
Roma,  come  già  fu  detto  (l);  ma  questa  disciolta  per  la 
legge  del  7  Settembre  1879,  fu  delegato  a  compierne  gli 
ufficii  un  Commissario  regio  sotto  il  sindacato  della  Corte 
dei  conti. 

E  agevol  cosa  immaginar  quanto  dovessero  esacer- 
bare gli  animi  non  solo  le  liti  suscitate  da  leggi  e  disposi- 
zioni già  tanto  odiose,  ma  anche  le  giudiciali  contese  sol- 
levate dall'  intralciamento,  dal  disordine  e  dalla  confusione 
di  queste  tre  Amministrazioni. 

Si  può  credere  alla  testimonianza,  che  riferiamo,  dello 
stesso  Castagnola  a  questo  proposito  :  «  Dice  il  Mantel- 
lina (2):  Queste  tre  Amministrazioni  tutte  nello  Stato,  non 
dello  Stato  ,  agiscono  per  l' asse  ecclesiastico,  sotto  spe- 
ciali Commissioni  di  vigilanza,  che  ogni  anno  ne  pubblicano, 
colla  situazione  di  cassa,  il  rendiconto  morale;  ma  in  tre 
litigano  spesso  tra  loro,  e  più  spesso  che  mai  col  Dema- 
nio, non  senza  scandalo  amministrativo. 

E  come  ciò  non  bastasse,  scese  ancora  in  campo  per 
le  Chiese  palatine  col  Demanio  e  col  Fondo  pel  culto  la 
Casa  Reale:  vi  scese  anche  la  Direzione  generale  del  Te- 
soro per  l'azienda  dei  danneggiati  Borbonici'  »  (3). 


(1)  Pag.  173. 

(2)  Lo  Stato  ed  il  Codice  civile  p.  503. 

(3)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  251. 


—  i8o 


§  III. 

OSSERVAZIONI     SULLA    DOTTRINA    DELL'  AUTORE 
CIRCA    I    BENI    TEMPORALI    DELLA    CHIESA. 

1°  In  un'opera,  che  si  intitola  «  delle  relazioni  giuri- 
diche tra  Chiesa  e  Stato  » ,  dovendosi  naturalmente  trat- 
tare anche  dei  beni  temporali  degli  ecclesiastici,  ora  che 
tra  noi  furono  gli  Ordini  religiosi  dispersi,  i  fondi  dei  be- 
neficii  alienati,  e  i  pochi  corpi  morali  non  soppressi  tas- 
sati di  tributi  gravissimi,  ognuno  avrebbe  creduto  che  il 
Castagnola  parlasse  almeno  della  misera  pensione  data  ai 
Religiosi  cacciati  dai  loro  conventi  e  spogliati  dei  loro 
beni  (l):  di  quella  provvisione  dovuta  ai  parrochi  per  po- 
ter vivere  conforme  al  loro  stato ,  la  quale  è  fatta  tanto 
sospirare  dai  regii  economi  :  di  quegli  assegnamenti ,  che 
sono  sempre  promessi ,  quando  si  tratta  di  nuove  confi- 
sche o  di  nuove  tasse  da  imporre  ai  corpi  ecclesiastici  ri- 
conosciuti, e  che  non  son  mai  accordati,  come  si  dovrebbe 


(1)  Se  ancora  vivesse  l'umile  religioso  Raffaele  Cataldi,  che  fu  fra- 
tello del  barone  Giuliano  e  del  senatore  Giuseppe  Cataldi,  e  per  farsi  cap- 
puccino diede  prima  il  pingue  suo  patrimonio  in  fondare  scuole  nelle 
campagne  più  abbandonate  in  quel  di  Genova,  stipendiare  maestri  ed  as- 
segnare pensioni  a  quei  giovani  poveri  che  più  profittassero  nella  virtù 
e  negli  studi  ;  se  questo  benemerito  religioso  ancora  vivesse ,  messo 
fuori  dal  proprio  convento  avrebbe  dallo  Stato  la  pensione  di  lire  250; 
perchè  a  termini  dell'  articolo  3  della  legge  7  Luglio  1866,  quanto  a- 
gli  Ordini  mendicanti,  i  Religiosi  Sacerdoti  e  le  Religiose  coriste  non 
hanno  più  di  lire  250 ,  i  laici  e  le  converse  non  più  di  lire  144 ,  an- 
corché sieno  nella  più  decrepita  età. 


—  181  — 
per  migliorare  la  condizione  di  tanti  parrochi  poverissimi. 
Eppure  egli  non  dice  niente  a  questo  proposito;  ma  ten- 
tando di  far  malignamente  apparire  avari  e  cupidi  dei 
beni  temporali  i  Ministri  del  Santuario,  afferma  che  il  sa- 
cerdozio seppe  accumulare  ingenti  ricchezze  (l)  ,  crede 
trarre  (2)  a  proprio  favore  l'autorità  di  san  Girolamo  (3), 
e  dice  della  Chiesa,  che,  aspirando  al  dominio  universale, 
non  si  peritò  di  proclamare  il  diritto  più  assoluto  al  go- 
dimento dei  beni  temporali  (4).  «  Questa  pretesa,  egli  sog- 
giunge, che  traspare  da  tutti  i  pori  del  diritto  canonico , 
malgrado  tanto  variar  di  tempi  e  di  circostanze  ,  e  per 
quanto  in  oggi  il  laicato  riformatosi  ed  emancipatosi  dalla 
tutela  della  Chiesa  rivendichi  1'  esercizio  dei  suoi  diritti , 
viene  tuttora  sostenuta  dai  moderni  canonisti ,  i  quali  si 
fanno  forti  della  teoria  d'Ildebrando  »  (5). 

Noi  non  volendo  esaggerare  poniamo  pure  che  anche 
tra  noi  siano  Sacerdoti,  i  quali  immemori  del  loro  carat- 
tere, per  non  conformarsi  allo  spirito  del  Vangelo,  meri- 
tino 1'  acerbo  biasimo  che  san  Girolamo  rinfaccia  ad  al- 
cuni indegni  ministri  del  suo  tempo.  Ma  quella  grave  ri- 
prensione del  santo  Dottore  prova  quale  alicnamento  dai 
beni  del  mondo  si  richieda  nei  Sacerdoti;  prova  qual  se- 
vero giudizio  faccia  la  Chiesa  di  quegli  ecclesiastici,  i  quali 
scostandosi  dalla  via  tenuta  dagli  altri  caritatevoli  Sacer- 
doti, cercano  la  propria  temporale  utilità,  non  il  bene  spi- 


(1)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  223. 

(2)  Ivi  p.  229. 

(3)  Epist.  LII  ad  Nepotianum. 

(4)  S.  Castag.  op.  cit.  p.  230. 

(5)  Ivi. 


—    182   — 
rituale  delle   anime  ,  che  loro  furono   da  Gesù  Cristo  af- 
fidate: e  mostrando  che  quella  è  un'  eccezione  a  regola  ge- 
nerale, prova  di  quanto  generalmente  alla  carità  dei  laici 
sovrasti  la  carità  del  clero. 

Il  Castagnola  poi  in  luogo  di  parlarci  dei  beni  degli 
ecclesiastici  in  generale  ,  e  in  ispecial  modo  degli  eccle- 
siastici, come  si  trovano  nelle  condizioni  presenti,  per  farci 
vedere  le  ingenti  ricchezze  cumulate  dal  clero  ,  discorre 
delle  ricche  dotazioni  dei  tempii  pagani  e  delle  terre,  che 
costituivano  le  dotazioni  del  tempio  di  Cumana  (l),  acco- 
munando così  stranamente  il  sacerdozio  dei  gentili  col  sa- 
cerdozio cristiano,  e  mostrando  di  non  conoscere  in  che 
differisca  lo  spirito  dei  Ministri  del  Vangelo  da  quello  dei 
sacerdoti  degli  idoli,  la  verità  dall'errore,  il  cristianesimo, 
di  cui  è  portato  la  civiltà,  dal  politeismo  cagione  dell'an- 
tica barbarie. 

Poniamo  altresì  che  sieno  ingenti  come  si  vuole,  le  ric- 
chezze accumulate  dal  sacerdozio  cristiano.  Ma  perchè  il 
Castagnola  non  indicò,  com'era  suo  debito,  quali  sono  quelle 
ricchezze  e  in  che  sieno  dal  clero  impiegate  ,  perciò  lo 
indicheremo  noi  più  brevemente  che  ci  sia  possibile. 

Generalmente  fanno  parte  delle  ricchezze  dal  sacerdozio 
adunate  i  sacri  edificii,  i  sontuosi  tempii  eretti  ad  onore 
di  Dio,  i  monasteri  spesso  ricettacolo  di  mobili  ed  arredi 
preziosi,  d'innumerevoli  opere  d'ornato,  di  scultura,  di  pit- 
tura e  di  quanto  seppero  le  belle  arti  ideare  ,  le  più  fa- 
mose biblioteche,  focolari  di  lettere  e  scienze,  tutti  monu- 
menti, di  cui  vanno  alteri  i  principali  municipii  d'Europa. 
Per  dar  prova  di  cose  che  ne  circondano ,  non  amiamo , 

(l)  Ivi  p.  224. 


—  183  - 
come  fa  il  Castagnola,  prender  le  mosse  troppo  dall'alto, 
e  citare  la  testimonianza  di  scrittori  inglesi ,  che  ci  par- 
lino di  cose  remotissime  dalla  memoria  nostra,  come  è  il 
tempio  di  Cumana,  le  quali  non  abbiano  relazione  alcuna 
colla  presente  quistione:  ma  senza  addurre  esempi  di  al- 
tre età  ,  ci  pare  che  basterebbe  indicar  solo  1'  Eremo  di 
Camaldoli ,  la  Certosa  di  Pavia  ,  le  basiliche  e  le  biblio- 
teche di  Roma.  Anzi  per  non  uscir  dalle  mura  di  Genova, 
ci  pare  che  niuno  dovrebbe  lagnarsi  delle  ricchezze,  che 
specialmente  il  clero  adunò  per  innalzar  tante  magnifiche 
chiese,  che  destano  la  maraviglia  di  quanti  visitano  la  no- 
stra città:  né  si  dovrebbe  almeno  far  carico  d'avarizia  a 
quei  pii  e  dotti  Sacerdoti ,  che  del  proprio  fondarono  la 
biblioteca  Beriana,  che  ora  civica  si  appella  ,  la  Franso- 
niana  e  la  Urbana  sì  ricca  di  preziosi  manoscritti  :  e  ci 
pare  che  altri  non  dovrebbe  dolersi  della  copiosa  biblio- 
teca eretta  all'  Università  e  nella  massima  parte  formata 
dalle  librerie  delle  "case  religiose  soppresse.  Lo  stesso  prin- 
cipesco palazzo  dove  insegnate  voi,  signor  Castagnola,  non 
è  forse  dono  di  quel  munifico  patrizio  Paolo  Balbi ,  che 
entrando  alla  religione,  volle  cederlo  ai  Padri  della  Com- 
pagnia di  Gesù,  perchè  vi  si  potesse  tenere  pubblico  in- 
segnamento a  comodo  ed  utilità  della  gioventù  genovese? 
Le  pareti  medesime  dell'  aula,  ove  sedete  in  cattedra,  vi 
ammoniscono,  come  vedete,  ad  esser  neh'  insegnare  pru- 
dente, ricordando  in  quale  uso  santo  e  veramente  degno 
della  patria,  il  sacerdozio  abbia  impiegato  le  proprie  ric- 
chezze. 

Sono  gran  parte  delle  ricchezze  accumulate  dal  clero 
le  possessioni  e  i  beni  delle  Opere  pie,  il  cui  capitale  si 
calcola  ascendere  a  circa  tre  bilioni.  Di  fatto  nella  loro 


—  184  — 
istituzione  si  scorge  quasi  sempre  la  carità  industriosa  di 
qualche  Sacerdote  ,  che  si  fa  intercessore  dei  poveri ,  e 
consiglia  legati  per  provvedere  alle  loro  più  urgenti  ne- 
cessità; o  dalle  tavole  di  fondazione  si  vede  esser  sovente 
un  Sacerdote  che  erige  del  proprio  o  sussidia  nuove  o- 
pere  di  beneficenza. 

Anche  al  presente,  non  ostante  le  gravi  strettezze  del 
clero,  la  stessa  fiamma  d'amore  verso  i  poveri  arde  sem- 
pre viva  nei  membri  del  sacerdozio  ,  i  quali  o  coi  soc- 
corsi cercati  dalle  persone  doviziose,  o,  se  essi  sono  d'or- 
revole stato  ,  coi  proprii  beni  patrimoniali  continuano  a 
lasciare  ai  loro  concittadini  imitabile  esempio  di  cristiana 
carità. 

Quanti  pii  religiosi ,  non  potendo  far  altro  ,  chiedono 
soccorso  presso  le  persone  ,  che  hanno  grande  censo  ,  a 
favore  dei  poveri  oppressi  dalle  leggi  di  quella  politica 
economia,  la  quale  ora  fa  baldanzosi  e  prepotenti  gli  o- 
perai  ed  arricchisce  soli  pochi  borghesi  e  destri  negozianti, 
a  cui  l'avidità  non  fa  sentire  gli  affanni  dei  miserabili  ab- 
bandonati !  Vediamo  questi  umili  religiosi  imitare  altri  uo- 
mini, che  già  diede  la  Chiesa,  veri  miracoli  di  tenerissimo 
amore  verso  1'  uman  genere  ,  quali  sono  un  beato  Seba- 
stiano Valfrè,  che  potè  ristorare  il  Piemonte  da  tanti  di- 
sastri cagionati  dalla  fame  e  dalla  guerra  ,  un  san  Vin- 
cenzo de'  Paoli ,  il  quale  colla  sua  semplicità  e  prudenza 
non  solo  valse  a  mitigare  le  calamità  della  Francia  lace- 
rata da  civili  discordie ,  afflitta  da  carestie  e  da  terribili 
pestilenze  percossa,  ma  seppe  perpetuare  l'opera  sua  nei 
secoli  futuri  a  beneficio  del  mondo,  sicché  per  lui  anche 
agli  eretici  e  agli  infedeli  si  fece  meglio  sentire  la  bene- 
fica azione  della  Chiesa,  e  gli  Ebrei  e  i  Turchi  medesimi 


—  185  — 

dovettero  ammirare  la  divina  vitalità  della  Religione  cat- 
tolica. 

Basterebbe  a  dì  nostri  ricordare  l'istituto,  che  si  inti- 
tola Piccola  casa  della  Divina  Provvidenza,  fondato  a  To- 
rino  dal  venerabile  canonico  Benedetto  Cottolengo  ,  isti- 
tuto ove  trovano  sempre  stanza  ospitale  le  persone  tra- 
vagliate da  ogni  genere  d'infermità  e  da  qualunque  sorta 
di  miserie  e  sventure:  basterebbe  ricordare  le  moltissime 
case ,  che  un  infaticabile  Prete  ancora  vivente,  Giovanni 
Bosco,  innalzò  in  Europa  e  nelle  Americhe  ad  uso  di  scuola 
od  officina  per  allogarvi  tanti  giovani,  a  cui  mancherebbe 
educazione  ed  alimento. 

Che  se  addur  si  volessero  esempi  d'altri  Sacerdoti,  che 
potendo,  dieno  ai  poveri  anche  del  proprio,  noi  potremmo 
citar  sì  frequenti  e  luminosi  fatti  da  tessere  il  più  splen- 
dido elogio  al  clero  cattolico.  Senza  divagarci  parlando 
d'altre  età  e  d'altri  paesi,  per  ristringerci  a  cose  presenti 
e  che  si  possano  dire  strettamente  nostre  ,  vogliamo  far 
notare  che  le  sole  città  di  Chiavari  e  di  Genova  ci  danno 
di  quanto  affermiamo  chiarissime  prove  che  deve  cono- 
scere il  Castagnola,  il  quale  di  Chiavari  fu  già  deputato 
e  a  Genova  risiede  ed  insegna. 

Quanto  alla  città  di  Chiavari ,  egli  saprà  certamente 
come  ,  or  son  pochi  anni,  un  Sacerdote  di  ricco  casato, 
Francesco  Bancalari,  trattasse  con  quel  municipio  per  fon- 
dare colà  un  asilo  di  piccoli  artigiani,  e  come  da  alcuni  con- 
siglieri del  Comune  gli  si  frapponesse  ostacolo,  amando  me- 
glio costoro  vedere  or  poveri  fanciulli  del  vicino  contado 
costretti  dalla  miseria  abbandonare  il  patrio  paese,  e  per 
le  arti  inique  di  uomini  intenti  ad  abbominevole  lucro,  gire 
raminghi  a  cantare  per  le  strade  di  Londra,  ora   anche 


—  186  — 
tanti  giovinetti  della  città  scalzi,  affamati  andar  vagando 
oziosi  per  la  marina:  saprà  come  quel  benemerito  Sacerdote 
disgustato  istituisse  poi  al  nostro  Albergo  di  Carbonara  do- 
dici pensioni  a  favore  di  poveri  chiavaresi.  Per  quel  che  ri- 
guarda Genova,  il  professor  Castagnola  non  può  neppure 
ignorare  che,  mentre  egli  stava  forse  ancora  scrivendo  sui 
beni  temporali  del  clero,  un  altro  Sacerdote,  il  P.  Giambat- 
tista Centurione  di  famiglia  patrizia,  morendo  istituiva  erede 
d'oltre  mezzo  milione  il  nostro  ospedale  maggiore  (l).  La 
quale  eredità  ci  pare  che  cada  almeno  opportuna  a  smen- 
tire un'accusa  sì  ingiusta  ed  al  sacerdozio  tanto  offensiva. 

I  sacri  tempii,  le  biblioteche,  le  possessioni  delle  Opere 
pie  forse  il  Castagnola  ci  dirà  non  esser  le  ricchezze,  di 
cui  egli  intende  parlare:  dirà  che  le  ricchezze,  a  cui  egli 
allude  ,  sono  i  fondi  dei  beneficii  ecclesiastici ,  son  le  te- 
nute dei  conventi  e  delle  grandi  badie. 

Noi  insistendo  su  quanto  abbiamo  sinora  affermato  , 
giacché  altri  ce  ne  porge  occasione,  prima  in  generale  di- 
ciamo che  torna  a  sommo  onore  del  clero  1'  aver  saputo 
adunare  quella  immensa  mole  di  beni ,  che  costituiscono 
anche  tanta  parte  della  nostra  gloria  civile  ,  chiese  ,  mo- 
nasteri, monumenti  sacri,  archivii,  musei,  biblioteche,  ca- 
pilavori  d'arte,  Opere  pie.  Rispondendo  poi  più  diretta- 
mente notiamo  che  chi  spende  del  proprio  o  cerca  di  far 
concorrere  i  ricchi  ad  onorare  Iddio  con  opere  di  culto, 
e  si  studia  di  sollevare  i  poveri  dalla  miseria  ,  suole  es- 
sere parco  per  sé  e  per  sé  non  aduna  mondane  ricchezze. 
Si  vuole  tra  mille  un  esempio?  Ricorderemo  solo  quel  piis- 

(1)  Da  questa  eredità  voglionsi    sottrarre  alcuni  legati ,  secondo  la 
mente  del  pio  testatore. 


—  187  — 
simo  Sacerdote  genovese,  Lorenzo  Garaventa,  il  quale  poi- 
ché ebbe  speso  il  suo  in  aprire  le  scuole  di  carità  al  po- 
polo ,  morì  poverissimo  allo  spedale  di  Pammatone  (l)  : 
donde  non  avean  potuto  ritrarlo,  quando  il  seppero  ma- 
lato, quei  buoni  Preti,  che  il  coadiuvavano  nel  pietoso  uf- 
ficio dell'insegnamento.  Ma  diteci,  proseguirà  il  professor 
Castagnola,  diteci  se  sono  o  no  ricchezze  accumulate  dal 
sacerdozio  le  dotazioni  dei  beneficii  e  i  possedimenti  de- 
gli Ordini  religiosi. 

Noi  non  possiamo  qui  darvi  una  recisa  risposta  affer- 
mativa; perchè  in  queste  fondazioni  per  lo  più  avviene 
che  persone  secolari  od  ecclesiastiche  si  spoglino  di  parte 
dei  loro  beni  per  dotare  beneficii ,  edificar  chiese  ,  case 
religiose,  e  dalla  parte  dell'Autorità  ecclesiastica  altro  non 
s'abbia  che  il  necessario  atto  di  erezione.  Così  tra  noi  fu 
innalzata  dal  marchese  Bendinelli  Sauli  la  maestosa  basi- 

(l)  Giace  sepolto  senza  titolo  ,  come  avea  desiderato  ,  nella  chiesa 
abaziale  di  santo  Stefano:  e  quando  si  volle  onorare  dai  moderni  pro- 
fessori di  pedagogia,  gli  si  fece  ingiuria  tacendoglisi  la  qualità  di  Sa- 
cerdote nel  dedicargli  la  seguente  iscrizione,  che  fu  posta  sopra  la  porta 
della  scuola  vicina  alla  chiesa  di  san  Giorgio  : 

A   PERPETUA    ONORANZA 

DI  LORENZO  D'  ANDREA  GARAVENTA 

DELLE    SCUOLE    DI    CARITÀ    FONDATORE 

A   MEZZO    IL    SECOLO    XVIII 

PRIMA     FAVILLA     ED     ESEMPIO 

DI    QUANTO    POSSA    INTELLETTO    ED    AMORE 

NEL    MAGISTERO    DELL'  EDUCARE 

QUESTA     SEDE    DI     STUDI    PRIMARII 

DI    TANTO    NOME   PRIVILEGIATA 

I    RETTORI    DEL    COMUNE 
DICAVANO    APRILE     l8Ó8. 


—  188  — 
lica  di  Carignano;  così  furono  fondati  gli  annessivi  canoni- 
cati; così  da  Oberto  Spinola  e  da  Guido  Carmandino  fu 
edificata  dalle  fondamenta  1'  antichissima  chiesa  di  Santa 
Maria  delle  Vigne;  così  fu  eretta  dal  marchese  Gian  To- 
maso Livrea  la  collegiata  di  Santa  Maria  del  Rimedio  ;  così 
furono  fondate  tante  altre  chiese  gentilizie  di  diritto  patro- 
nale, come  in  Genova  sono  quelle  di  san  Luca,  di  san  Mat- 
teo, di  san  Torpete,  di  san  Pancrazio  e  di  san  Benedetto. 
Ciò  che  qui  si  dice  delle  persone  secolari  avviene  sovente 
anche  delle  persone  ecclesiastiche  :  nel  qual  caso,  come  si 
vede,  il  Sacerdote  non  accumula  per  se,  ma  evidentemente 
si  priva  del  proprio  per  arricchire  la  Chiesa. 

Ma  dato  pure  che  cotali  ricchezze  sieno  accumulate 
dal  clero,  che  se  ne  potrebbe  inferire?  Se  ne  potrebbe 
solo  inferire  che  il  clero  accumulando  per  la  Chiesa  ac- 
cumula pei  poveri  ;  perchè  i  beneficiati  non  possono  coi 
redditi  del  beneficio  aggrandirsi,  né  possono  impiegare  in 
usi  profani  nò  donare  ai  parenti  ciò  che  loro  sopravvanza 
da  un  onesto  sostentamento  ,  ma  devono  distribuirlo  ai 
poveri  o  convertirlo  in  usi  pii  (l).  Onde  anche  ne  segue 

(l)  In  che  debbano  gli  ecclesiastici  impiegare  ciò  che  loro  soprav- 
vanza dai  redditi  del  beneficio,  il  Castagnola  può  vedere  da  una  bella 
lettera  rimasta  fino  allo  scorso  anno  inedita,  del  beato  Alessandro  Sauli, 
già  decano  del  collegio  teologico  nel  celebratissimo  studio  di  Pavia,  e 
primo  che  avvisasse  potersi  ridurre  gli  apparati  e  le  postille  dei  chio- 
satori in  un  volume  di  istituzioni  canoniche.  Questo  ligure  illustre  es- 
sendo già  Vescovo  di  Aleria,  al  marchese  Paolo  Sauli  suo  nipote ,  che 
gli  avea  chiesto  danaro  per  districare  un'eredità,  così  rispondeva: 
Ill.e  Signor  mio  Nepote  Oss.mo  , 

Di  quel!'  altro  particolare  poi  che    mi  scrive,   sa  Iddio  quanto  ami 


—  189  — 
che  siccome  chi  accumula  per  la  Chiesa  accumula  pei  po- 
veri ;  così  pure    toglie  ai   poveri  chi  toglie  alla  Chiesa  e 

V.  S.  e  Tomasina,  e  quando  si  trattasse  del  patrimonio  mio  e  altra  roba 
da  me  acquistata,  quello  ehe  farei,  e  di  già  in  quel  poco  che  ho  po- 
tuto se  n'  è  visto  esperienza.  Ma  trattandosi  di  entrate  ecclesiastiche  e 
del  Vescovato  d'Aleria,  che  sono  tutte  sudore  di  poveri,  le  dico  che  me 
ne  conosco  non  patrone,  ma  dispensatore  puro,  e  fuori  delle  spese  che 
faccio  per  uso  di  me  e  mia  famiglia  ,  quali  sempre  è  stata  mia  inten- 
zione, è,  e  sarà  che  siano  parchissime,  il  resto  intendo  che  abbi  ad  an- 
dare ai  poveri  del  Vescovato  d'  Aleria  in  riparazioni  di  chiese  ,  in  se- 
minarti, ospitalità  ed  altre  Opere  pie,  così  comandando  Iddio  ,  dispo- 
nendo i  sacri  canoni  ed  insegnando  li  teologi  che  si  abbino  a  dispen- 
sare le  entrate  ecclesiastiche.  E  se  bene  in  altre  cose  la  memoria  mi 
serva,  tuttavia  mai  mi  raccordo  di  avere  dato  parola  a  V.  S.  di  cederle 
cinquecento  scudi  l'anno  sopra  l'entrata  del  mio  Vescovato.  Anzi  quando 
Mons.  Marcantonio  mi  scrisse  sopra  questo  particolare  ,  mi  rimetto  a 
quanto  le  risposi,  il  che  si  potrà  vedere ,  se  averà  conservate  le  lettere 
mie:  e  se  facessi  simil  cosa,  mi  parrebbe  peccare  ed  offendere  Dio,  salvo 
se  Nostro  Signore,  avendo  prima  inteso  li  molti  bisogni  e  necessità  di 
questo  povero  Vescovato,  non  dirò  che  mi  permettesse  di  fare  questo, 
ma  me  lo  comandasse.  E  ciò  V.  S.  non  attribuisca  a  poco  amore  che 
porti  a  lei  o  a  Tomasina,  ma  all'  obbligo  che  tengo  con  Dio  e  con  la 
mia  coscienza;  perchè  dappoi  che  lasciai  il  mondo  ed  entrai  in  religione, 
facendo  voto  di  povertà ,  non  ho  accettato  questo  Vescovato  per  ric- 
chezze od  onori  del  mondo,  ma  per  obbedienza  della  santa  memoria  di 
Pio  Quinto,  e  tutte  le  sue  entrate  intendo  spendere  e  dispensare  in  ser- 
vizio di  Dio.  E  quando  mi  sarà  fatto  conoscere  che  sia  maggior  servi- 
zio di  Dio  spenderle  in  districare  eredità  temporali ,  sarò  prontissimo 
a  farlo  ,  e  per  me  non  intendo  di  avanzare  cosa  alcuna  da  questo  Ve- 
scovato, ma  vivere  e  morir  povero,  come  già  una  volta  feci  professione 
di  fare  quando  entrai  in  religione,  e  così  intendo  perseverare. 

Da  Campoloro  di  Corsica  agli  19  di  decembre  1588. 
Di  V.  S.  Ill.e  , 

Zio  Affmo 
Il  Vescovo  d' Aleria. 


—  190  — 
si  rende  sempre  più  manifesta  la  ingiustizia  e  la  imma- 
nità di  coloro,  i  quali  insegnando  approvano  l'alienazione 
dei  beni  ecclesiastici  imposta  dalle  leggi  civili.  Per  que- 
sto motivo  altresì,  che  togliere  alla  Chiesa  è  togliere  ai 
poveri,  sostenne  con  indicibil  fermezza  i  diritti  delle  Con- 
gregazioni religiose  anche  il  già  nominato  san  Vincenzo 
de'Paoli,  il  quale  dall'amore  delle  ricchezze  era  tanto  a- 
lieno  e  di  tanta  operosa  carità  animato  verso  i  poveri  che 
sino  dai  filosofi  francesi  dello  scorso  secolo  si  volle  anno- 
verare tra  i  più  insigni  benefattori  degli  uomini,  e  fu  alle 
liti  sì  avverso  che,  per  evitare  un'  inutile  contesa,  avrebbe 
tollerato  qualunque  persecuzione. 

Distruggere  monasteri ,  sopprimere  beneficii  o  confi- 
scarne i  fondi  colla  speciosa  frase  di  convertire  quei  beni 
in  rendita,  dissipare  in  tante  guise  il  patrimonio  della  Chiesa, 
non  è  solo  ingiustizia  e  crudeltà  contro  i  poveri,  ma  è  an- 
che errore  gravissimo  contro  ogni  norma  della  vera  scienza 
economica.  Di  fatto  ,  poiché  si  promulgarono  in  Europa 
queste  nuove  leggi,  si  udirono  pure  i  barbari  nomi  di  pau- 
perismo, comunismo  e  socialismo,  nomi  prima  ignoti,  che 
nei  varii  ordini  dei  cittadini  di  uno  Stato  indicano  miseria, 
avvilimento,  oppressione  e  tirannide,  sintomi  e  preludio  di 
sociale  anarchia.  Ed  ora  che  in  Italia  furono  vendute  le 
possessioni  dei  conventi,  ora  che  i  beneficii  ancora  superstiti 
sono  così  stremati  per  le  tasse  esorbitanti,  per  gli  arbitrii 
degli  ufficiali  presso  gli  Economati,  il  Fondo  del  culto  e 
l'Erario  dello  Stato,  ora  avviene  che  curati  poveri  e  spesso 
poverissimi  principalmente  nelle  campagne  più  non  sap- 
pian  come  far  cessare  gli  inutili  lamenti  di  tanti  infelici  che 
domandano  soccorso.  Chiedetene,,  se  vi  piace,  all'Arcive- 
scovo di  Cagliari  e  agli   altri  Vescovi  della  Sardegna  ,  e 


—  ìgi  — 
udirete  in  quale  lacrimevole  stato  ,  dopo  le  famose  leggi 
sui  beni  ecclesiastici,  si  trovino  i  contadini  di  quell'isola, 
i  quali  spesso  afflitti  dalla  mal'  aria,  non  possono  ora  dalle 
strette  della  fame  più  avere  sicuro  rifugio  nei  loro  cari- 
tatevoli curati,  come  avevano  prima.  O  se  più  v'aggrada, 
chiedetene  invece  al  deputato  Ruggero  Bonghi ,  il  quale 
lamentasi  anch'  egli  della  dura  condizione  che  è  ora  im- 
posta ai  coloni,  e,  non  è  molto,  visitando  la  celebre  ba- 
dia della  Cava  ,  al  veder  la  miseria  di  quei  contadini  e 
all'udirne  le  lagnanze,  parea  che,  lasciati  in  parte  gli  an- 
tichi suoi  pregiudizii,  inclinasse  a  pensare  in  modo  poco 
diverso  da  quel  che  pensiamo  noi  intorno  a  questi  qui- 
stione.  Ma  perchè  io  cerco  altrove  testimonii  di  ciò  che 
voi,  signor  Castagnola,  potete  vedere  in  Genova,  che  pure 
è  in  miglior  condizione  che  le  altre  città  italiane?  Quella 
turba  di  vecchi,  di  storpi,  di  ciechi  che  alle  porte  dei  no- 
stri conventi  e  sull'antica  gradinata  della  chiesa  dei  Cap- 
puccini riceveva  prima  pane  e  minestra,  non  vedete  ora 
cogli  occhi  vostri  come  moltiplicatasi  si  aggiri  dispersa 
per  la  città  a  far  sentire  la  querula  voce  ai  forestieri  e 
si  trascini  per  le  scale  delle  private  abitazioni  per  chie- 
der la  carità  ? 

L'uso  che  delle  ricchezze  sue  fece  la  Chiesa,  non  fu  di 
sollievo  ad  un  ordine  di  cittadini  soltanto,  ma  tornò  a  van- 
taggio di  tutti-  in  generale  massime  ogni  qual  volta  lo  Stato 
n'ebbe  aiuti  anche  a  sostener  giuste  guerre  specialmente 
contro  i  barbari,  dai  quali  erano  le  nostre  città  saccheg- 
giate, infestati  i  littorali,  i  mari  insozzati  di  sangue.  Molti 
Stati  d'Europa  ne  possono  far  fede,  e,  rispetto  allo  Stato 
nostro,  per  tacer  dei  diritti  ceduti  dalla  Santa  Sede  a  Re 
Carlo  Emanuele  III  sul  principato  di  Masserano  e  sulla 


—  192  — 
contea  di  Crevacuore  ;  quanto  la  Chiesa  gli  si  mostrasse 
liberale  nelle  maggiori  strettezze ,  si  può  altresì  provare 
dai  molti  Brevi,  coi  quali  il  Sommo  Pontefice  Pio  VI  ora 
accorda  a  S.  M.  Sarda  le  rendite  della  badia  di  santo  Ste- 
fano e  di  molti  altri  conventi,  per  provvedere  alla  difesa 
delle  coste  nell'isola  di  Sardegna  e  del  Mediterraneo  con- 
tro i  Turchi  e  i  Mori ,  ora  per  ben  due  volte  consente 
1'  alienazione  di  parte  dei  beni  ecclesiastici  fino  al  con- 
corso di  sei  milioni  di  franchi ,  ora  ordina  una  sovven- 
zione e  concede  altre  rendite  su  beneficii  e  su  conventi  a 
favore  del  regio  Erario. 

Lo  stesso  sul  principio  del  secolo  fa  il  Pontefice  Pio  VII, 
e  quando  accorda  1'  alienazione  dei  beni  ecclesiastici  per 
poter  supplire  alle  spese  fatte  nella  guerra  contro  la  Fran- 
cia, e  quando  assegna  ad  altro  uso  le  rendite  delle  badie 
di  Staffar  da  e  di  Casanova,  e  quando  dichiara  irrevocabili 
le  alienazioni  fatte  a  pregiudizio  della  Chiesa  nel  Piemonte 
e  nel  ducato  di  Genova  sotto  il  governo  francese  (l). 

Che  la  Chiesa  aspiri  ad  un  dominio  universale  o  me- 
glio ch'essa  formi  un  regno  universale,  è  cosa  certissima. 
E  chi  il  potrebbe  negare?  Così  fu  imposto  agli  Apostoli 
da  Gesù  Cristo,  quando  comandò  loro  che  andassero  per 
tutto  il  mondo ,  ammaestrassero  tutte  le  genti ,  predicas- 
sero il  Vangelo  a  tutte  le  creature.  Ma  questo  dominio 
e  questo  regno  è  cosa  spirituale,  e  al  dominio  delle  cose 
temporali  la  Chiesa  aspira  solo  tanto,  quanto  le  è  neces- 
sario per  dilatare  il  Regno  di  Cristo.  A  ciò  essa  ha  tutto 
il  diritto  ,  e  perchè  così   volle  il  suo  divin  Fondatore  ,  e 

(l)  Cf.  Traités  publics  de  la  recale  maison  de  Savoie  avec  les  puis- 
sances  étrangères  depuis  la  paix  de  Chateau-Cambresis  jusq'à  nos  jours. 
Tom.  IV,  V.  Turin  MDCCCXXXVI. 


—  193  — 
perchè  così  esige  la  sua  stessa  natura  di  perfetta  società, 
come  già  abbiamo  indicato.  Questo  diritto,  come  è  il  di- 
ritto di  proprietà  ,  è  anche  per  la  Chiesa  assoluto  ed  e- 
sclusivo  ,  cioè  assoluto  in  quanto  che  suppone  assoluta- 
mente sulla  cosa  ogni  potere  che  non  sia  vietato  dalla  mo- 
rale, ed  esclusivo  in  quanto  che  escluda  dal  dominio  ogni 
altro  fuori  della  Chiesa.  E  che  vorrebbe  dunque  insinuare 
il  Castagnola  dicendo  che  la  Chiesa  non  si  peritò  di  pro- 
clamare il  diritto  più  assoluto  al  godimento  dei  beni  tem- 
porali? Pretenderebbe  forse  limitarle  l'usare,  il  godere  e 
il  disporre  della  sua  proprietà,  solo  perchè  de  suoi  beni 
essa  chiama  già  a  parte  i  poveri ,  e  perchè  fu  sempre 
larga  di  soccorsi  quando  si  trovava  in  angustie  lo  Stato? 
Per  questa  ragione  vorrebbe  forse  che  la  Chiesa  ritenesse 
solo  il  nome  di  diritto  di  proprietà,  e  lo  Stato  avesse  quel 
diritto  col  fatto  ,  potendo  della  proprietà  ecclesiastica  li- 
beramente disporre  ?  Il  professor  Castagnola  parlando  così 
della  Chiesa  non  parla  solo  contro  il  razionale  concetto 
della  proprietà  ,  quale  ci  è  indicato  dal  diritto  romano  , 
ma  ci  dà  un'  altra  chiarissima  prova  di  non  conoscere  il 
diritto  canonico,  sul  quale  sentenzia  con  tanta  sicurtà  :  e 
ci  sembra  sognare  quando  il  sentiam  dire  sostenersi  dai 
canonisti  che  il  diritto  assoluto  di  proprietà  della  Chiesa 
si  radica  principalmente  nel  patrimonio  di  san  Pietro  e 
nel  temporale  dominio  del  Sommo  Pontefice  (l). 

2°  Sempre  poco  felice  nel  riferire  la  storia  ,  egli  rac- 
conta che  nei  primi  tempi  di  fervore  della  nascente  ci- 
viltà cristiana  venne  adottata  la  comunione  dei  beni,  quella 
comunione  che  cotanto  era  stata  vagheggiata  da  Platone  (2). 

(1)  S,  Castag.  op.   cit.  p,  ,231. 

(2)  Ivi  p,  224. 

13 


—  1Q4  — 

Qui  confondendosi  insieme  due  cose  disparate  si  con- 
fonde il  vero  concetto  della  comunione  dei  beni  tra  cri- 
stiani ,  e  se  ne  parla  come  se  fosse  stata  adottata  gene- 
ralmente nei  primi  tempi.  Eppure  si  sa  che  nei  primordii 
del  cristianesimo  la  volontaria  consuetudine  di  viver  vita 
comune  introdotta  nella  Chiesa  di  Gerusalemme  passò  solo 
nella  Chiesa  d'Alessandria,  non  già  nelle  altre  Chiese.  E 
gli  Apotattici  e  gli  Apostolici,  che  voleano  obbligare  i  fe- 
deli a  viver  vita  comune,  furono  dalla  Chiesa  condannati. 

3°  Altri  attribuirebbe  a  lode  della  Chiesa  l'aver  pro- 
mosso lo  studio  del  diritto  canonico  ,  pel  quale  si  tenne 
anche  vivo  lo  studio  del  diritto  romano  nel  medio  evo  , 
siccome  dotti  scrittori  dimostrano  contro  coloro  che  affer- 
mano essersi  in  quell'età  cominciato  a  coltivare  il  diritto 
romano,  solo  quando  si  scopersero  le  Pandette  neh"  espu- 
gnazione di  Amalfi. 

Il  Castagnola  per  contrario  ne  muove  querela  dolen- 
dogli che  per  lo  studio  delle  decretali  si  trascurasse  quello 
delle  sacre  carte.  Ma  ciò  egli  non  avrebbe  detto  certa- 
mente ,  se  sapesse  che  lo  studio  delle  scienze  canoniche 
suppone  sempre  lo  studio  della  teologia,  ne  l'uno  può  se- 
pararsi dall'altro  senza  vicendevole  pregiudizio.  Del  che 
lo  stesso  Castagnola  dà  chiara  testimonianza  nel  suo  libro 
sulle  relazioni  giuridiche  tra  Chiesa  e  Stato ,  nel  qual  li- 
bro non  si  troverebbero  tanti  e  sì  gravi  errori,  se  l'Au- 
tore avesse  premesso  uno  studio  almeno  sufficiente  delle 
scienze  sacre. 

4°  Quando  fa  cenno  delle  nuove  leggi  dello  Stato  con- 
trarie ai  sacri  canoni  ,  per  mettere  in  cattiva  luce  la  le- 
gislazione della  Chiesa,  non  solo  tace  la  ragione  e  il  fine 
della  legge  canonica ,  ma  inoltre   alle   nuove  disposizioni 


—  195  — 
del  nostro  diritto  civile  contrappone  quelle  del  diritto  ec- 
clesiastico, come  se  fossero  altrettante  innovazioni  a  pree- 
sistenti leggi,  le  quali  vantino  un  possesso  più  che  seco- 
lare ,  ed  afferma  che  i  canonisti  prescindono  dal  diritto 
civile,  formandosi  un  particolare  diritto  sì  quanto  agli  atti 
tra  vivi,  sì  quanto  a  ciò  che  riguarda  l'acquisto  dei  beni 
per  atto  di  ultima  volontà  (l). 

Noi  prima  chiediamo  al  professor  Castagnola  come  si 
può  dire  che  i  canonisti  prescindano  dal  diritto  civile  e  si 
formino  un  particolare  diritto.  Quale  è  questo  particolare 
diritto?  Non  ha  forse  il  diritto  ecclesiastico  un  possesso  an- 
tichissimo, immemorabile,  antecedente  a  tutti  i  codici  delle 
nazioni  moderne?  Non  era  forse  confermato  dal  diritto  ro- 
mano, che  si  ritenne  per  tanto  tempo  qual  diritto  comune, 
e  poscia  dal  codice  albertino,  che  piglia  forma  dal  codice 
napoleonico  improntato  anch'esso  alle  leggi  romane  e  spesso 
alle  consuetudini  e  costituzioni  dei  Re  franchi,  consuetudini 
e  costituzioni  conformi  ai  sacri  canoni?  Dove  erano  le  vostre 
leggi ,  dove  erano  gli  articoli  del  codice  del  Regno  d'  I- 
talia,  avanti  della  seconda  metà  di  questo  secolo  ?  Perchè 
dunque  in  luogo  di  parlarci  delle  leggi  ecclesiastiche  con- 
trarie alle  leggi  civili,  non  ci  parlate  delle  leggi  civili  con- 
trarie alle  leggi  ecclesiastiche?  Si  vede,  quando  con  calma 
si  discute  la  natura  di  queste  vostre  leggi,  si  vede  che  esse 
violano  il  diritto  di  proprietà,  attribuiscono  allo  Stato  un 
diritto,  il  quale  è  ben  altra  cosa  che  il  diritto  eminente  sui 
beni  della  nazione;  e  in  ispecial  modo  quelle  che  riguar- 
dano la  soppressione  delle  comunità  religiose  e  lo  inca- 
meramento dei  loro   beni,  apertamente   contraddicono  al- 

(1)  Ivi  p.  238. 


—    10  — 

T  articolo  2Q  dello  Statuto  ,  come  dichiarò  subito  il  conte 
Ottavio  di  Revel,  già  ministro  di  Re  Carlo  Alberto,  quando 
si  promulgò  la  Costituzione  ,  il  quale  discutendosi  il  19 
Febbraio  1855  il  disegno  di  legge  ordinata  a  sopprimere 
parte  delle  comunità  religiose  ,  dinanzi  al  Parlamento  di 
Torino  invocava  l'articolo  29  dello  Statuto,  onde  tutte  le 
proprietà  son  dichiarate  inviolabili  senza  eccezione  ,  ag- 
giungendo che  niuno  forse  di  quanti  erano  in  quella  Ca- 
mera poteva  com'egli  invocarlo  :  ricordava,  quella  clausola 
«  senza  eccezione  »  che  non  si  trova  in  nessun  altro  Sta- 
tuto, aver  avuto  principalmente  per  iscopo  di  guarentire 
la  proprietà  degli  istituti  ecclesiastici:  invocava  perciò  la 
relazione  autentica  del  Consiglio,  in  cui  fu  agitata  la  qui- 
stione,  quando  si  stava  per  sottoscrivere  lo  Statuto,  e  ad- 
ditando la  effigie  del  Re  protestava  che  Carlo  Alberto  , 
il  quale  non  avea  voluto  dargli  1'  assenso  per  la  espul- 
sione dei  Gesuiti,  perchè  credea  di  venir  meno  alle  fatte 
promesse,  Re  Carlo  Alberto  vedendo  interpretarsi  in  quel 
modo  le  sue  intenzioni,  in  quel  momento  avrebbe  ritirato 
la  mano  dal  sottoscrivere  lo  Statuto  (l).  E  naturai  cosa 
che,  quando  un  ente  morale  civile  per  qualche  accidente 
si  estingue,  le  sue  sostanze  sien  devolute  allo  Stato:  ma 
se  lo  Stato  lo  sopprime  e  poi  ne  raccoglie  i  beni  ,  fa  0- 
pera  sommamente  ingiusta ,  fa  come  colui  che  ammazza 
un  uomo  e  lo  spoglia  del  suo,  dicendo  che  è  cosa  di  nes- 
suno. Ciò  poi  è  ancora  più  ingiusto  nel  caso  nostro  in 
quanto  gli  enti  morali  soppressi  sono  religiosi,  i  cui  beni 
perciò  non  possono  esser  devoluti  se  non  che  alla  Chiesa. 
Sappiam  bene  che,  per  coonestare  queste  spogliazioni,  que- 

(1)  Atti  ufficiali  della  Camera  19  Febbraio  1855  p.  1751- 


—  197  — 
ste  confische,  si  invocano  le  nuove  leggi  economiche.  Ma 
chi  conosce  lo  spirito  di  carità,  onde  è  informata  la  Chiesa, 
chi  conosce  l'uso  ch'essa  fa  de'suoi  beni,  non  può  non  am- 
mirare la  sagace  previdenza  di  lei,  perchè  sieno  allegge- 
rite le  dure  necessità  dei  poveri ,  e  si  senta  ,  meno  che 
possibil  sia,  la  sociale  disuguaglianza  tra  gli  uomini.  Oltre 
all'accordare  la  esenzione  dai  tributi,  della  quale  come  i 
beni  ecclesiastici  così  anche  godevano  i  beni  delle  Opere 
pie,  la  Chiesa  mostrò  sempre  sollecitudine  per  accrescere  e 
tutelare  il  patrimonio  dei  poveri,  concedendo  speciali  pri- 
vilegii,  che  tornassero  a  favore  di  quei  cittadini  che  hanno 
maggiori  gravami  e  che  ,  per  esser  loro  avara  fortuna , 
spesso  non  trovano  di  che  soddisfare  ai  più  urgenti  bi- 
sogni della  vita.  Quando  in  Inghilterra  per  la  truce  po- 
litica di  Tommaso  Cronvello  al  Re  e  ai  suoi  eredi  furono 
aggiudicati  i  monasteri,  i  collegii  ecclesiastici  e  gli  stessi 
ospedali ,  allora  si  conobbe  la  necessità  di  nuove  leggi , 
ma  a  conseguire  lo  scopo  di  provvedere  a  gran  parte 
impoverita  della  popolazione  inglese  non  essendo  capaci 
né  la  legge  tirannica  di  Edoardo  VI,  nò  la  legge  marziale 
della  Regina  Elisabetta ,  fu  imposta  la  famosa  tassa  sul 
pauperismo  che  torna  a  tanto  disonore  di  quella  nazione. 

Anche  tra  noi,  quando  i  beni  ecclesiastici  furono  de- 
voluti al  demanio  e  continuarono  ad  esser  dissipati  per 
contratti  rovinosi,  per  innumerabili  liti,  per  enormi  spese 
di  amministrazione,  allora  cominciò  a  ingagliardire  il  so- 
cialismo, formandosi  nelle  Romagne  specialmente  segrete 
conventicole ,  donde  poi  uscirono  uomini  sanguinarii  per 
atterrirci  con  atroci  delitti. 

Nelle  provincie  meridionali  d' Italia  le  disperate  con- 
dizioni, in  cui  trovaronsi  per  quelle  leggi  i  contadini,  prò- 


—  198  — 
dusse  T  ingrossamento  degli  scherani,  che  rintanansi  nelle 
selve,  donde  poi  sbucano  improvvisamente  a  rapir  le  per- 
sone per  imporre  ricatti  ai  liberi  cittadini.  Quelle  leggi 
produssero  anche  nella  massima  parte  1'  emigrazione  di 
tanti  buoni  coloni ,  che  preferiscono  abbandonare  la  pa- 
tria, per  quanto  loro  sia  cara,  ed  anche,  se  occorre  mo- 
rire d'inedia,  anziché,  col  commetter  delitti,  offendere  Id- 
dio ,  e  perder  la  patria  del  cielo.  Se  il  professor  Casta- 
gnola ignora  queste  cose  e  non  le  crede  a  chi  dissente 
da  lui ,  creda  almeno  a  ciò  che  testé  affermava  il  depu- 
tato Vincenzo  Cordova ,  il  quale  chiedendo  a  se  stesso 
quali  fatti  abbian  potuto  determinare  quella  emigrazione, 
rispondeva  esplicitamente  esser  la  legge  del  1°  Luglio  1866 
che  sopprime  gli  Ordini  e  le  Corporazioni  religiose  e 
quella  del  15  Agosto  1867,  detta  della  liquidazione  del- 
l' asse  ecclesiastico  (l). 

Quanti  ora   si  hanno   anche   nelle   altre   provincie ,  i 

(l)  Giova  qui  riferire  le  sue  stesse  parole  :  «  La  schiera  dei  con- 
tadini emigranti  delle  provincie  meridionali  incominciò  appunto  a  ma- 
nifestarsi nelle  statistiche  dell'anno  1869.  Quali  fatti  han  potuto  deter- 
minarla? Rispondo  subito:  le  due  leggi,  1°  luglio  1866  che  sopprime  gli 
Ordini  e  Corporazioni  religiose,  e  la  legge  15  agosto  1867,  detta  della 
liquidazione  dell'asse  ecclesiastico.  In  virtù  dell'  articolo  2,  terzo  capo- 
verso di  quest'  ultima  legge,  il  demanio,  o  meglio,  lo  Stato  entrava  in 
possesso  di  tutto  l'asse  ecclesiastico  delle  provincie  meridionali ,  dove 
ancora  erano  in  pieno  vigore  i  diritti  promiscui.  Lo  Stato  se  ne  impos- 
sessava, apparentemente  per  amministrarlo  nell'  interesse  del  Fondo  pel 
culto,  un  ente  ideale  creato  apposta  per  farla  da  coverchio,  ma  in  realtà 
per  impinguare  le  sue  casse.  Ed  ecco  lo  Stato  sostituirsi  agli  Arcive- 
scovi, Vescovi,  priori  ed  altri  abati  dei  monasteri  o  conventi  delle  pro- 
vincie meridionali  ». 

Essendo  rimasti  inalterati  i  diritti  di  uso,  legnare,   pascere  e  semi- 


—  199  — 
quali  potendo  lavorare,  non  trovano  lavoro,  né  volendo 
darsi  a  mal  fare,  si  veggono  obbligati  a  vender  ciò  che 
loro  rimane  per  pigliar  la  via  dell'esiglio  !  Quanti  esempi 
il  contado  specialmente  ci  porge  di  poveri  che  divenuti 
per  mancanza  di  nutrimento  mutoli  ed  insensati,  avranno 
per  buona  ventura  ,  se  potran  terminar  la  vita  stentata 
in  un  ospedale! 

Il  danno  a  Genova  poco  si  sente.  La  naturale  posi- 
tura, per  cui  la  nostra  città  domina  il  Tirreno  ,  1'  essere 
egualmente  comoda  pei  traffici  del  Levante  e  delle  Ame- 
riche, le  strade  ferrate  che  la  mettono  in  comunicazione 
coi  principali  emporii  d'Europa,  il  numero  grande  delle 
Opere  pie  lasciateci  dai  maggiori,  venti  milioni  di  lire  do- 


nare, i  contadini  cacciati  dai  fondi  laici  si  rifugiavano  nei  fondi  eccle- 
siastici ad  esercitare  quei  diritti. 

«  Caduto  il  possesso  di  essi  fondi,  formanti  l'asse  ecclesiastico,  in  mano 
dello  Stato,  per  la  legge  15  agosto  1867,  ognuno  sperò  che  prima  di 
passare  alle  vendite  0  censurazioni  di  essi  beni,  lo  Stato  procedesse  alle 
operazioni  di  separazione  e  riparto  dei  beni  soggetti  ai  diritti  d'  uso 
verso  le  popolazioni  dell'Italia  meridionale.  Neppur  per  sogno.  Lo  Stato 
profittando  del  silenzio  dei  municipii  e  dell'ignoranza  delle  popolazioni 
agricole,  da  tutore  infedele,  vende  boschi,  terre  feudali,  abbandonando 
i  diritti  dei  deboli  alla  prepotenza  degli  speculatori.  Gli  speculatori , 
divenuti  padroni,  tagliano  i  boschi,  distruggono  i  pascoli,  cacciano  gli 
agricoltori  col  braccio  forte  dell'  autorità ,  e  gli  agricoltori  prendono 
la  via  dell'esiglio,  emigrando.  Ciò  che  non  fu  fatto  dai  governi  dispo- 
tici anteriori  lo  consumò  lo  fece  il  governo  libero  nazionale  del  1868- 
69....  Distrutti  i  boschi,  venduti  i  beni  ecclesiastici  a  grossi  speculatori, 
non  restò  ai  contadini  che  la  via  dell'  emigrazione,  e,  conosciuto  che  i 
primi  se  la  passavano  bene  all'  estero,  emigrarono  i  secondi,  e  così  di 
seguito  con  un  crescendo  che  fa  spavento  ».  Atti  ufficiali  della  Camera 
p.  6609. 


—  200  — 
nati  dal  duca  di  Galliera  (l)  al  Comune  per  lo  ingran- 
dimento del  porto  ,  altri  due  milioni  e  mezzo  di  lire  da 
lui  spese  per  la  edificazione  di  case  a  favore  delle  famiglie 
meno  agiate,  le  ingenti  somme  di  danaro  stanziate  dalla 
vedova  duchessa  per  la  costruzione  di  ospedali,  orfanotro- 
fii,  istituti  di  educazione  tra  noi  rendono  in  parte  men  grave 
la  condizione  dei  poveri.  Ma,  soppresse  le  case  religiose 
e  incamerati  i  beneficii,  riesce  intollerabile  la  povertà  nelle 
altre  provincie,  donde  tanti  affamati  ci  calano  a  Genova 
a  cercar  lavoro  o  a  mendicare:  e  si  veggono  tanti  padri 
di  famiglia  pallidi  colla  moglie  e  coi  figliuoli  coperti  di 
cenci  aggirarsi  intorno  agli  uffizii  delle  compagnie  di  na- 
vigazione per  andare  in  lontani  paesi  a  procurarsi  lavoro 
e  pane  che  non  possono  avere  in  Italia ,  e  fanno  pietà 
tanti  sventurati,  nel  cui  volto  stanno  dipinti  i  patimenti  e 
la  fame,  onde  paiono  più  cadaveri  che  creature  viventi. 
Eppure  il  professor  Castagnola  niente  ammaestrato  da 
sì  dura  esperienza,  per  giustificar  le  nefaste  leggi,  che  pro- 
dussero tanto  male,  si  fa  forte  sulla  teorica  contro  le  mani 
morte,  che  si  vogliono  sempre  riprovate  dalla  scienza  e- 
conomica,  quando  appunto  dall'Inghilterra  patria  dei  più 
rinomati  economisti,  ora  si  riconosce  1'  utilità  grande  che 
possono  apportare  le  case  religiose.  Di  fatto  in  un  dotto 
consesso  dell'  Università  di  Cambridge  ,  del  quale  facean 
parte  anche  ministri  anglicani  e  celebri  uomini  di  Stato  , 
discutendosi,  non  è  molto,  sulle  cagioni  della  presente  mi- 

(1)  Questo  signore  tanto  benemerito  della  nostra  città,  il  quale  nel- 
1'  ultima  malattia  ad  esempio  altrui,  volle  dichiarar  di  morir  cattolico, 
apostolico,  romano  e  papale,  avea  prima  manifestato  ad  un  alto  per- 
sonaggio il  pensiero  di  fondare  del  suo  un'  Università  cattolica,  se  nel 
nostro  Stato  si  fosse  accordata  libertà  d'insegnamento. 


—   201   — 
seria  del  popolo  inglese,  si  conchiuse  che  la  soppressione 
dei  conventi  eseguita  da  Enrico  Vili  fu  per  lo  paese  una 
crudele  sventura,  e  le  presenti  circostanze  esigeano  impe- 
riosamente che  venissero  ristabilite  analoghe  istituzioni. 

5.  Dall'  esame  delle  leggi  ecclesiastiche  specialmente 
sulla  immunità  dai  tributi  comparate  colle  leggi  civili  si 
manifesta  la  profonda  filosofia  della  legislazione  canonica 
e  la  perfetta  cognizione,  che  ha  la  Chiesa,  dei  bisogni  del- 
l' umana  società  ;  perchè  mentre  intende  al  suo  fine  pri- 
mario ,  che  è  la  gloria  di  Dio  e  la  salvezza  eterna  degli 
uomini,  mira  nelle  sue  leggi  a  favorire,  altresì  in  ordine 
alle  cose  temporali ,  principalmente  coloro  che  sono  più 
bisognosi  ed  abbandonati,  sollevandoli,  quanto  è  possibile, 
dalle  necessità  ed  afflizioni  :  il  che  ottiene  anche  privile- 
giando il  suo  patrimonio  ,  che  è  patrimonio  dei  poveri. 
Ciò  si  vede  tanto  più  chiaro  dopo  l'applicazione  delle  de- 
cantate leggi  economiche  ,  le  quali  regolando  la  produ- 
zione e  il  consumo  doveano  apportarci  non  sappiam  quale 
beatitudine. 

La  stessa  immunità  reale  ,  che  la  Chiesa  saviamente 
sanciva  anche  a  favore  delle  Opere  pie ,  e  che  pure  fu 
occasione  di  tante  ingiuste  accuse  e  querimonie  contro  dei 
Papi,  ora  in  ispecial  modo  potrebbe  ampiamente  tra  noi 
testimoniare  come  le  norme  della  Chiesa  vincano  per  senno 
tutte  le  teoriche  speculazioni  dei  moderni  filosofi,  e  come 
molte  piaghe  ,  che  oggidì  ci  affliggono,  fossero  nella  sua 
legislazione  da  molto  tempo  avvertite  e  praticamente  ri- 
parate. Anche  in  Genova  nostra,  quantunque  reputata  fra 
tutte  le  città  italiane  per  industrie  e  commerci  fiorente  , 
è  facile  conoscere  quanto  abbondino  i  poveri.  Se  il  pro- 
fessor Castagnola  non  vuole  chiederne  ai  Parrochi,  a  cui 


—  202  — 
più  che  ad  altri  è  noto  fin  dove  la  povertà  si  estenda, 
potrebbe  almeno  interrogare  gli  amministratori  dell'  Al- 
bergo di  Carbonara,  dai  quali  certamente  udirebbe  quale 
spettacolo  miserando  loro  si  presenti  quando  sono  adu- 
nati per  sentire  le  istanze  di  quei  che  implorano  asilo  , 
non  già  di  accattoni  vagabondi ,  ma  di  vecchi  abbando- 
nati ,  di  storpi  e  malsani  e  di  fanciulli  scrofolosi  rimasti 
orfani.  Quel  maestoso  Albergo  edificato  dai  nostri  mag- 
giori con  regal  magnificenza  ,  benché  prima  accogliesse 
oltre  a  mille  settecento  poveri,  ne  alimenta  ora  appena 
mille  dugento,  e  la  massima  parte  di  quei  che  domandano 
ricovero  ,  sono  rimandati  ;  perchè  non  potendosi  tutti  ri- 
cevere ,  è  ufficio  dei  deputati  all'  amministrazione  di  cal- 
colare i  gradi  di  maggiore  necessità  tra  povero  e  povero, 
e  quindi  al  vecchio  di  settant'anni  preferire  il  vecchio  di 
ottanta  lasciato  in  abbandono  ,  al  figliuolo  d'  una  vedova 
preferire  il  figliuolo  d'altra  vedova  inferma.  Eppure  l'Al- 
bergo dei  poveri  è  obbligato  a  pagare  ogni  anno  allo 
Stato  oltre  a  settantadue  mila  lire  solo  di  imposte  per 
fabbriche,  terreni,  ricchezza  mobile  e  per  ritenimento  sul 
debito  pubblico,  senza  contare  le  tasse  per  mano  morta, 
per  successione  o  per  altri  titoli,  che  possono  sfuggire  al 
nostro  calcolo,  ma  non  isfuggono  alla  fiscalità  degli  esat- 
tori (1).  Onde  l'eredità  di  circa  cento  mila  lire  lasciate, 

(l)  Ci  viene  indicato  che  nell'anno  1883  l'Albergo  dei  poveri  solo 
per  tassa  di  fabbriche,  terreni,  ricchezza  mobile,  ritenuta  sul  debito  pub- 
blico, pagava  allo  Stato  L.  72,191:  lo  Spedale  di  Pammatone  ne  pagava 
certo  105,000,  facendoci  tuttavia  notare  che  quest'ultima  somma  è  anche 
al  disotto  del  vero.  Da  una  relazione  poi  stampata  nel  1883  si  vede  che 
il  Magistrato  di  Misericordia,  per  tassa  di  fabbriche,  terreni,  ricchezza 
mobile,  mano  morta,  paga  ogni  anno  lire  43,013. 


—  203  — 
son  pochi  anni,  condizionalmente  all'Albergo  dal  sacer- 
dote Tomaso  Massola  già  prefetto  alla  Biblioteca  Fran- 
soniana,  basterebbe  a  pagare  poco  più  che  le  imposte  di 
un  anno.  Ora  si  faccia  ragione  del  numero  grandissimo  di 
poveri,  che  con  queste  annue  somme  di  danaro  si  potreb- 
bero alimentare  e  che  pure  termineranno  i  loro  giorni 
nei  travagli  e,  Dio  non  voglia,  negli  affanni  di  morte  per 
isfinimento  ,  come  non  di  rado  avviene  anche  nelle  pub- 
bliche strade.  Oh  !  quanto  opportune,  quanto  provvide  e 
quanto  conformi  alle  leggi  della  vera  scienza  economica 
devono  qui  parere  le  prescrizioni  che  sulla  immunità  dai 
tributi  la  Chiesa  sanciva  anche  a  favore  dei  beni  che  ap- 
partengono alle  Opere  pie. 

6.  Pigliando  sempre  a  pretesto  la  pubblica  economia, 
eziandio  relativamente  alla  natura  del  mutuo  vorrebbe 
mostrare  che  i  principii  della  legislazione  canonica  sono 
contrarli  ai  progressi  della  scienza  (l). 

Ma  dallo  scritto  suo  si  rileva  soltanto  ch'egli  non  ha 
un  lucido  concetto  dell'  insegnamento  della  Chiesa  a  ri- 
guardo di  questa  quistione. 

Avverte  come  la  scienza  economica,  la  quale,  stando 
alle  sue  parole  (2),  par  si  confonda  coll'articolo  1831  del 
codice  civile  italiano  ,  riconobbe  1'  errore  di  voler  fissare 
un  limite  agli  interessi ,  per  le  ragioni  da  lui  svolte  ,  ed 
anzi  stabilì  l'interesse  convenzionale  da  regolarsi  dalla  vo- 
lontà delle  parti,  purché  risulti  da  atto  scritto. 

E  queste  ragioni  da  lui  svolte  consistono  poi  nel  dire 
che  è  inutile  lo  spendere  parole   per   dimostrare    quanto 

(1)  S.  Castag.,  op.  cit.,  p.  236. 

(2)  Ivi,  p.  237. 


—  204  — 
i  principii  della  legislazione  canonica  sieno  in  urto  coi 
progressi  della  scienza  economica,  e  che  il  voler  regolare 
il  mercato  dei  prestiti  in  modo  diverso  dalle  leggi  econo- 
miche è  errore  oggi  così  riconosciuto  che  non  vai  proprio 
la  pena  di  confutare  (l). 

Noi  che  ci  siamo  forse  troppo  dilungati  nello  scrivere 
contro  gli  errori  del  Castagnola  ,  anche  noi  ci  passiamo 
dal  trattare  sul  merito  di  questa  gravissima  quistione,  circa 
la  quale  dottamente  scrissero  tanti  teologi  e  canonisti ,  e 
possiamo  farlo  anche  per  la  semplice  ragione  che  ciò  che 
gratuitamente  si  asserisce,  a  buon  diritto  gratuitamente  si 
nega. 

Tuttavia  vogliamo  notare  ch'egli  non  tien  conto  della 
natura  del  mutuo  ,  quale  contratto  gratuito  ,  riconosciuta 
anche  dal  diritto  romano. 

Non  osserva  che  la  ragione  intrinseca,  per  cui  i  dot- 
tori giustificano  l'interesse  legale  del  cinque  per  cento  in 
materia  civile  e  del  sei  per  cento  in  materia  commerciale, 
non  è  già  l'utile  che  ne  può  avere  il  mutuatario,  ma  l'in- 
comodo che,  per  la  natura  stessa  della  cosa,  ne  ha  chi  fa 
l'imprestito,  anche  privandosi  solo  dell'utile  di  potersi  va- 
lere del  suo  danaro  ,  durante  un  dato  tempo  ,  per  recar 
favore  ad  altri,  la  qual  privazione  è  stimabile  a  prezzo. 

Non  fa  la  debita  differenza  tra  il  mutuo  che  si  fa  per 
carità  al  povero  costituito  in  vera  necessità  dal  mutuo  , 
che  altri  contrae  anche  soltanto  per  migliorare  sempre 
più  la  sua  agiata  condizione. 

Non  distingue  il  compenso  che  altri  può  avere  dal 
privarsi  solamente  del  danaro,   da  quel  compenso  che  si 

(l)  Ivi,  p.  236. 


—  205  — 
può  esigere  per  lo  danno  emergente,  per  lo  lucro  cessante 
e  per  lo  pencolo  di  perdere  il  capitale  ,  sui  quali  titoli 
suole  fondarsi  l' interesse  convenzionale  ,  che  può  quindi 
sotto  questo  rispetto  ascendere  anche  al  cinquanta  e  più 
per  cento,  senza  esser  condannato  dalla  Chiesa. 

Anche  qui  confonde,  come  fece  altrove,  la  legislazione 
canonica  colle  semplici  opinioni  di  dottori  privati  :  e  fa 
supporre  che  la  Chiesa  abbia  forse  censurato  coloro  che 
sostengono  essere  il  danaro  fruttifero,  quando  pur  vi  sono 
provati  teologi,  come  il  cardinal  Guglielmo  De  la  Luxerne, 
1'  abate  Marco  Mastrofini  (l)  ed  altri  (2),  che  difendono 
quell'opinione,  e  la  difendono  con  ragioni  ben  più  atte  a 
persuadere  di  quelle  che  adduce  il  Castagnola  con  tutto 
l'apparato  della  sua  scienza  economica. 

Inoltre  ora  che  dall'  Alemagna  tuttavia  si  ripercuote 
per  le  altre  contrade  di  Europa  l'eco  dei  lamenti  e  delle 
grida  contro  le  usure  degli  Ebrei,  e  in  Russia  fumano  an- 
cora le  case  arse  nei  saccheggiamenti  per  vendicare  le 
fatte  estorsioni ,  osserviamo  che  poca  efficacia  possono 
avere  le  parole  del  professor  Castagnola  contro  il  diritto 
canonico  ,  che  condanna  1'  usura  ,  tanto  più  che  si  deve 
anche  saper  grado  alla  Chiesa  ,  se ,  per  la  potente  voce 
dei  Vescovi,  e  specialmente  del  Cardinale  di  "Westminster 
e  del  Primate  d'  Ungheria ,  la  favilla  suscitata  dalla  lega 
antisemitica  non  si  vide  divampare  in  aperto  incendio. 

(1)  Cf.  Le  usure  ,  libri  tre.  Discussione  dell'  abate  M.  Mastrofini. 
Milano,  MDCCCXXXII.    1 

(2)  Tiene  questa  sentenza  anche  il  celebre  Scipione  Maffei,  il  quale 
scrisse  dell'  impiego  del  danaro  libri  tre  alla  Santità  di  Nostro  Signore 
Benedetto  XIV,  editi  in  Roma  nella  stamperia  vaticana  con  licenza  dei 
superiori  e  privilegio. 


—  206  — 
Omettiamo  altre  cose  che  si  potrebbero  notare,  e  qui 
facciam  fine  per  non  esser  soverchi.  Ma,  come  abbiamo 
già  a  principio  accennato  d'  aver  tolto  a  scrivere  queste 
osservazioni  non  senza  qualche  ripugnanza  ,  prevedendo 
che  sarebbero  forse  dispiaciute  all'  Autore  delle  relazioni 
giuridiche  tra  Chiesa  e  Stato  ;  così  ora  nel  conchiudere 
questo  scritto  ci  protestiamo  che  se,  confutando  l'errore, 
abbiamo  talvolta  mostrato  qualche  risentimento  ,  non  ne 
fu  cagione  animosità  verso  la  sua  persona  ,  che  noi  vo- 
gliamo rispettare  ,  ma  solo  il  dolore  che  provammo  nel 
veder  disconosciute  ed  impugnate  sì  importanti  verità,  e 
trattarsi  senza  la  dovuta  riverenza  il  magistero  e  l'auto- 
rità della  Chiesa,  con  tanto  detrimento  della  studiosa  gio- 
ventù. 


Lessi  questo  scritto  del  Eev.mo  Sig.  Canonico  Enrico  Bonino ,  e 
giudico  che  1'  Autorità  Ecclesiastica  possa  permetterne  la  pubblica- 
zione. 

Genova,  5  Maggio  1884. 

Priore  A.  Campanella  Rev.  Arclv. 

Visto  :  se  ne  permette  la  stampa. 
Genova,  5  Maggio  1884. 

Luigi  Rossi,  Prot.  Ap.   Vie,  Gen. 


INDICE 


Prefazione I 

Introduzione 1 

PARTE  PRIMA 

DEI    SISTEMI   PER    REGOLARE   LE    RELAZIONI 

TRA    CHIESA    E    STATO 32 

I.  Supremazia  della  Chiesa  sullo  Stato 40 

II.  Supremazione  dello  Stato  sulla  Chiesa 48 

III.  Delle  due  potestà  indipendenti  e  parallele 51 

IV.  Separazione  dello  Stato  dalla  Chiesa 55 

PARTE  SECONDA 

CONSEGUENZE    GIURIDICHE   DELLA    SEPARAZIONE 

DELLO    STATO    DALLA    CHIESA 77 

I.  Della  gerarchia  della  Chiesa ivi 

II.  Dei  rapporti  giuridici  della  Chiesa  collo  Stato 97 

Art.  I.  Dell'  associazione ivi 

Art.  IL  Del  matrimonio ili 

Art.  III.  Delle  persone  e  delle   guarentigie   accordate  al  Sommo 

Pontefice 127 

Art.  IV.  Dei  reati  ecclesiastici 145 

Art.  V.  Del  giuramento 151 

Art.  VI.  Dei  beni  temporali 161 

§  I.  Nozioni  generali ivi 

§  IL  Legislazione  italiana 170 

§  III.  Osservazioni    sulla    dottrina  dell'  Autore   circa  i  beni  tem- 
porali della  Chiesa 180 


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