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MANUALE DANTESCO
Voi. II.
ENCICLOPEDIA DANTESCA
Parte I.
A"2.
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ENCICLOPEDIA
DANTESCA
per l'Abate
.TAO. PROF. FEREAZZI
Voi. I.
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BASSANO
r 1 1> 0 e A L e 0 G W A 1' I A SAN 1 lì 1» 0 Z Z A T 0
1865.
l'roprii'lii F.C'ttcraria
433^
V.%
ALLA MAESTÀ DEL RE
GIOVANNI i; DI SASSONIA
DELL' ALTISSLMO CANTO TRADUTTORE INSIGNE
<( CHE IL GRAN COMENTO FEO »
DEGLI STUDI DANTESCHI FAUTORE VERAMENTE REGIO
QUESTA ENCICLOPEDIA DEL POETA
'( CHE SOVRA GLI ALTRI COME AQUILA VOLA »
NEL DÌ CHE IL BEL PAESE DALL'ALPE AL MARE
IL SECENTENIO NATALE FESTEGGIA
L' ABATE
GIUSEPPE JACOPO PROF. FERRAZZI
CON DEVOTISSIMO OSSEQUIO A TANTO PRINCIPE
C.
XIV MAGGIO MDCCCLXV.
km 3J
(Sii ^eito'cc
frenare non solo il grande volume di Dante Allighieri
in cui si trova legato con amore e a fondo descritto tutto
ciò che per V universo si squaderna, ma volgere tutte le altre
opere sue per farne una sintesi armoniosa; seguire anche
di lontano quel sommo che con la divinazione del genio si
spinse ardimentoso nell'avvenire; raccogliere i pensamenti
di queW
alta mente u' s\ profondo
Saver fu messo, che se il vero è vero,
A veder tanto non surse il secondo,
ella è certo un' impresa da sbigottirsene non che altro ogni
più gagliardo intelletto. - iVè men arduo cimento si è pur
quello di ricordare, comunque di volo, tutti quelli che si
inspirarono neW altissimo canto; toccare degli studj che tanti
solenni ingegni vi fecero sopra; del sempre crescente omaggio
di ammirazione che rendono ad esso i due mondi; in breve,
abbracciare il culto riverente che cinque secoli professarono
all'opera più stupenda della letteratura risorta in Europa.
Onde non sarà meraviglia se molte lacune verran lamentate
in questo mio lavoro^ se dovendo correre tanti argomenti per
me nuovi, io abbia fatto qualche volta ritroso cammino. Oltre
di che non vorrei me ne venisse pur colpa per aver adottato
il metodo di semplice accoglitore, essendomi parso bello che
le dottrine di Dante non avessero bisogno di essere infiorate,
uè questo sarebbe stato per avventura il compilo più iliffivilc,
come il buon sarlore, Che, com'egli ha del panno, fa la
gonna.
Se non altro, almeno lo spero, varrà a trovarmi grazia
dell' ardimento il lungo studio e il grande amore che posi
al sacro poema; l'aver voluto anch' io, con affetto filiale,
concorrere alla festa del dolce e verace mio padre; l'aver
mostrato desiderio di un opera, che da piii forti omeri sorretta,
potrebbe metterci nel buon filo su tante questioni tuttavia
combattute, e tornarci, se male non avviso, di grandissimo
giovamento. - Che se ini vedessi confortato nel paziente e
travaglioso tentativo, prenderei maggior lena a consecrarvi
anche per V innanzi i miei studj, onde, merce i consigli, il
senno, le amorevoli comunicazioni dei più insigni Dantisti,
che invoco, potessi, quando che sia, ridonare al mio paese
men incompiuta questa Enciclopedia dell' altissimo poeta.
0 degli altri poeti onore e lume,
Vogliami il lungo studio e il grande amore.
Che m'hiin fatto cercar lo tuo volume.
Tu se' lo mio maestro e il mio autore...
Inf. I 82.
Veggo in Dante un'immenso mistero; io non ne
lio la chiave; ma presento da lunge il dì che si avrà,
e che l'opera sua sarà guardata da più suhlime
orizzonte. Gravina.
« Quel popolo che ama con tanto entusiasmo la
maschia poesia dell' Allighieri, che sente commuo-
versi al suono di quei versi pieni di magnanima ira.
àia pur caduto in fondo d'ogni miseria, domani po-
trà rilevarsi più forte dalla sua tomba. ( fatidiche
parole!) Ccreseto. Dell'Epopea in Italia, cu. p.3.50.
S PECCHIO CRONOLOGICO
DELLA VITA DI DANTE ALLIGHIERI
E DEGLI AVVENIMENTI CONTEMPORANEI E DI QUELLI
CHE PREPARARONO IL SUO SECOLO
CON OSSERVAZIONI CRITICHE
INTORNO ALLE OPERE DEL POETA E ALLA LORO PUBBLICAZIONE
1089. Morte di Lanfranco, fondatore di celeberrima scuola,
redentore della scienza critica, correttore dei codici, restau-
ratore della lingua latina, benemerito della buona fìlosoUa,
maestro di Papa Alessandro II, anima incontaminata.
lieo. Graziano, monaco benedettino, dà vita al diritto
canonico, e mette in luce il decreto; aiuta il foro civile e
il foro ecclesiastico, conciliando le leggi dell'uno con le
leggi dell'altro. Par. x. 104.
1109. Morte di S. Anselmo, eccelso per virtù ed elo-
quenza, teologo esimio, metafisico sommo, uomo santo. Par.
XII. 137.
1113. Irnerio, legista, fondatore e regolatore dello studio
bolognese, chiosa ed interpreta la collezione delle Pandette.
1115. Muore la Contessa Matilde, facendo erede de' suoi
beni la Chiesa, donna mirabile per coraggio e costanza,
grande in ogni tempo, e per quel secolo più grande ancora.
1135. 1 Buondelmonti venuti di Valdigrieve. Par. xvi.
(i6. - E sarebbe stato meglio che fossero annegati nell' fi-
ma, anzicchè transferiti a Firenze. Par. xvi. 143.
1152. Battisterio di Pisa, opera di Diotisalvi, sanese.
1153. La famiglia dei Cerchi, che stava a capo de'Eian-
rhi venuta dai boschi di Val di Sieve, nel pivier d'Acone.
Par. xvi. 65. - Donde alla parte Bianca il soprannome di
Selvaggia. Inf. vi. 05.
4 SPECCHIO CRONOLOGICO
U60. Morie di Pier Lombardo, professore a Parigi, il
lodato maestro delle sentenze. Par. x. 107.
1175. Torre di Pisa, vero museo di colonnette e ruderi
antichi, opera di Bonanno e Tommaso da Pisa.
1183. Fiaccato a Legnano il superbo orgoglio Alemanno,
l'Imperatore nella pace di Costanza riconosce la libertà
delle città collegate.
1210. La pittura rude e gretta per lo stile bizantino,
sotto il pennello di Giunta, pisano, comincia a dare una
certa ombra di studio nel nudo, espressione nelle teste ed
affetto, ed una certa cura del panneggiato.
1215. Buondelmonte rompe la fede data ad una fanciulla
degli Amideì per isposarsi con una bellissima dei Donati.
Questo fu la cagione della morte del Buondelmonte, assa-
lito ed ucciso da' parenti dell'abbandonata fanciulla, il giorno
di Pasqua, presso la chiesa di S. Stefano, alla statua scema
di Marte, a' pie del Ponte vecchio. Di qui originarono lo
fazioni guelfa e ghibellina che funestarono Firenze. ( Giov,
Villani, L. V. e. 38; Atto Vannuci, 75.) .
La casa di che nacque il vostro fleto,
Per lo giusto disdegno che v' ha morti,
E posto fine al vostro viver lieto,
Era onorata essa e suoi consorti.
0 Buondelmonte; quanto mal fuggisti
Le noJ!ze sue per gli altrui conforti! Par. xvi. 136.
E fu Mosca Lamberti, che ai parenti ed amici degli
Àmidei, adunati nella case degli liberti a deliberare la
vendetta dell'onta ricevuta, incuorandoli a vendetta di san-
gue, disse: Capo ha cosa fatta. Inf. xxviii. 107. Dante lo
chiama: il mal seme della gente losca. Inf. xxviii. 108.
-r— I Cerchi (Bianchi), i Donati (Neri), sopra porla S.
Pietro, per le loro gare ed il loro mal talento, autori della
perdizione della lor patria:
Sovra la porta, eh' al presente é carca
Di nuova fellonia di tanto peso,
Che tosto tìa iattura della barca. Par. \\i. 94,
1216, 26 Luglio. Innocenzo III recandosi a Pisa per pa-
cificarla con Genova, muore a Pisa. Gli succede Cencio
Savelli, romano, col nome di Onorio HI.
DELLA VITA DI DANTE. lì
1*218. Costruzione del ponte alla Carraia, dal nome della
porta ( Giov. YUlani, L. iv. e. 8 - L. v. 51.): fu compiuto nel
1220. Il Vasari lo vuole architettalo da Lapo [hi. L. v. 52.).
Ruinato nella memoranda inondazione dell'Ottobre 1269, i
Domenicani Fra Sisto e Ristoro, con grande maestria ne
gittarono i piloni in pietra; nuovamente distrutto nella
straordinaria piena del 1333, fu eretto da capo, tutto di
pietra, per opera dì Fra Giovanni da Campi, pure Dome-
nicano. *
L'Imperatore Federico I, passando per l'Italia, to-
glie a Firenze il suo contado, ponendolo sotto l'autorità
dell'Impero. Più tardi lo restituisce, per intercessione del
Papa, a cagione dei gloriosi fatti, operati dai Crociati fio-
rentini alla presa di Damiala.
1220. Nascita di Rrunetto Latini, nel sesto di Porla a
Duomo.
1227, Marzo. Il cardinale Ugolino de' conti di Segna e
d'Anagni assunto al pontificato, col nome di Gregorio IX.
1232. Nascita di Arnolfo di Cambio.
1237. Fallo a monte il ponte Ruhaconte, dal nome di
messer Rubaconte da Mandella di Milano, podestà di Firenze
[Pure/, xii. 102.). Appresso lo si chiamò ponte alle Grazie,
da una cappella dedicata a S. Maria delle Grazie, che ancora
si vede sopra una delle sue pile.- Fu lastricata la città sin
allora ammattonata. ( G. Villani, L. vi. e. 24.)
1240. Nascila di Giov. Cimabue, il primo di tutta la fa-
miglia dei pittori che fecero poi la scuola fiorentina tanto
famosa.
1241, Agosto. Morte di Gregorio VII.
1243, Giugno. Sinibaldo de' Fieschi, de' conti di Lavagna,
di spiriti altissimi, eletto papa in Anagni, col nome d'In-
nocenzo IV. (Il Villani lo dice Oltobuono de' Fiesohi, ed
erroneamente eletto nel 1241. - L. vi. e. 24.)
1248, 2. Feb. Gli liberti, cacciano di Firenze i Guelfi nella
notte della Candelara, e Federigo II, tenta di stabilire il
governo aristocratico.
1249. Pier delle Vigne, capuano, cancelliere di Federigo
II, il buon cimatore, ed autore di un trattato latiFio intorno
alla potestà dell'imperatore, dagl' invidiosi cortigiani è
& SPECCHIO- CKOKOLOG ICO
accusato d'infedeltà. Federigo lo fa abbacinare, e chiudere
in carcere, dove disperatamente s' uccide, dando del capo
nel rauro. Inf. xiii. 58
1*250. È presa parte di edificare il palazzo del Capitano,
del popolo, e del Comune [del Bargello). Jacopo di Gu-
glielmo di Frenzetto da Quarata, Gherardo di Gianni Spe-
ziale, e Falco di Buono, Sindaci a ciò nominati dal consi-
glio degli Anziani, comperano non poche case di legno e
di pietra, torri, casolari ed orti nei popoli di S. Appolonia
e di S.Stefano, alla Badia, tra il 27 Gen. 1255 (stile comune;
ed il 31 di Luglio dell'anno medesimo. Fu edificato nel 1255.
11 Vasari ne vuole architetto quel Lapo tedesco da cui ap-
prese l'arte Arnolfo di Cambio. 11 iSecrologio di S. Maria
ISovella ci fa sapere che vi lavorarono anch'essi, e vi fe-
cero alcune grandi volte quei due illustri architetti dome-
nicani fra Sisto da Firenze, e fra Ristoro da Campi. {Pas-
serini, del Pretorio di Firenze)
13. Dee. Morte di Federigo li in Ferentino della
Puglia, prò' dell'armi, sagace e grande ne' consigli, promo-
tore delle scienze e delle lettere italiane. Inf. x. 119 ; xiii.
59, G8; xxiii. 66; Purg. xvi. 117; Par. iii. 120.
Fiorisce Guido delle Colonne, rimatore siciliano
{De Vulg. Et. L. 1. 12.). Scrisse delle cose inglesi [Uistorìa
de Begibus et rebus Angliae) : tradusse dal greco in latino,
ed ampliò la Storia della guerra di Troia di Ditti e di
Darete.
Fiorisce Jacopo da Leu tino, il Notaio, poeta. Purg.
xxiv. 56; De Vulg. El. i. 12.
Volgarizzamento del libro dei Costumi, intitolalo il
libro di Calo, di anonimo autore, vissuto a' tempi di Lucano.
11 Vannucci ne pubblicava per la prima volta due volgariz-
zamenti, nel 1829.
Guido Bonatti, celebre Astrologo. Inf. xx. 108. -
[Opus Guido Bonatti continens x tractatus astronomiae, Aug.
Vind. 1491.)
Pergamo in S. Bartolommeo di Pistoia, opera dì Gui-
do di Como. (V. Tigri, Guida di Pistoia p. 192.)
Fiorisce Bonaggiunta, della famiglia Urbicciani, da
Lucca, notaio e poeta, nelle cui rime, se manca, per giù-
DELLA VITA DI DANTE. T
dizio di Dante, verità di affetti, pure si osserva gentilezza
di eloquio e gaietà d'imagini. Purff. xxiv. 20.
1251, 7 Gen. Il popolo fatto più animoso ne' suoi divi-
samenti, per la morte di Federigo IL, richiama in patria i
profughi Guelfi.
Luglio. Per la divisione civile i Guelfi pongono il
giglio vermiglio in campo bianco. Nell'arme antica di Fi-
renze il giglio era bianco in campo vermiglio. Par. xvi. 151.
1252, 11 re Corrado, figliuolo di Federigo II., viene nel
regno di Napoli.
— - Contese de' Fiorentini co' Ghibellini nel Mugello
co' Senesi e Pisani. — Viene edificato il ponte di S. Tri-
nità a casa i Frescobaldi oltrarno {G. Villani, L. vi. e. 51.)
A pie' del ponte, sulla destra dell'Arno, v'avea l'antichis-
sima statua di Marte ricordata dal poeta, {pietra scema
Che guarda il ponte. Par. xvi. 145.) caduta nel fiume nella
memoranda piena del 1. Nov. 1333. - Nel Nov. del 1232 bat-
tuti i primi fiorini d'oro della purezza dì 24 caratti, con
l'impronta del giglio da un lato, e di S.Giovanni dall'altro,
in memoria, della libertà e delle vittorie ottenute da' fio-
rentini. {G. Villani, L. vi. 54.)
20 Ottobre. Il popolo firentino, afforzatosi nelle case
degli Anchioni di S. Lorenzo, si leva a rumore, stabilisce
di governarsi per magistrati liberamente eletti da lor me-
desimi. Per pubblico voto i magistrati si levano di carica:
in luogo del podestà si crea come magistrato supremo un
capitano del popolo con 36 caporali e dodici anziani. In
questa occasione, al dire degli antichi cronisti, si fece il pri-
mo popolo, ossia il celo di mezzo si costituì cogli ordini
della libertà democratica. ( Giov. Villani, L vi. e. 34, 40.)
1253, 10 Ottobre. Napoli si arrende a Corrado. I Fio-
rentini s' impadroniscono di Pistoia e vi rimettono i Guelfi.
Guerra contro Siena.
Il re Corrado fonda l'Università di Salerno. La
scuola medica Salernitana aveva già acquistato gran fama
fin da' tempi de' Greci e degli Arabi.
1254, 21 Maggio. Morte del re Corrado. Papa Innocenzo
IV. muore in Napoli il di 7 Dicembre. Guerra con Man-
fredi.
8 SPECCHIO CRONOLOGICO
Poggibonsì e Volterra sono prese da' Fiorentini, »
quali si accordano con Pisa, e rimettono i Ghibellini in A-
rezzo, cacciati dal conte Guidoguerra de' Conti Guidi.
1256. 1 Frali Umiliati, a'quali l'arte della lana andò de-
bitrice della sua importanza industriale, che dapprima avean
preso stanza a S. Donato, fuori della città, poscia a S. Lucia
sul Prato, si riducono ad abitare stabilmente il convento e
la chiesa d'Ognissanti.
1258, Luglio. Gli liberti studiano a novità; ma il popolo
avverso a' Ghibellini, corre a furore alle case degli liberti ;
atterra da' fondamenti tutte le torri e case loro; fa mozzare
il capo all'abate di Yalombrosa, D. Tesauro de' Signori di
Beccheria da Pavia (in piazza S. Apolinare, ora S.Firenze),
apponendogli d'aver avuto mano nella congiura. Inferno,
xxvni. 19.
11 Agosto. Manfredi è coronato a Palermo re di
Sicilia.
— — Fra Guidotto da Bologna {Bono Giamboni?) scrìve
il libro: Fiore di Uettorica intitolato a re Manfredi, re di
Sicilia.
1259. Manfredi è scomunicato dal papa Alessandro IV.
12G0, 4 Settembre. Farinata degli liberti, capo dei ghi-
bellini in Montaperti, presso Arbia, sconfigge in sanguinosa
battaglia l'esercito guelfo, distrugge la rabbia Fiorentina
che superba era a quel tempo [Purg. vi. 112; Villani, vi. 80.).
Bocca degli Abati, giostrando con la lancia di Giuda, tronca
la mano con cui Jacopo de' Pazzi, capitano de'cavalieri, por-
lava lo stendardo {Inf.xxxn. 80.). Caduta l'insegna per
terra, non vi fu più riparo: lo scempio fu orribile; nel san-
gue si saziò la lunga sete dell'odio, e l'Arbia andò colorata
in rosso. Il luogo infame per la scellerata carnificina de'fra-
lelli conserva ancora una paurosa tradizione de' terribili
casi. [Alto Vannucci; Gius. Porri, Cronache della sconfitta
di Montaperti.)
13 Settembre. Tulli i nobili e popolani colle loro
famiglie partono dolorosamente, lasciando Firenze facile pre-
da a' nemici, e si riparano a Lucca che sola rimase a parte
guelfa in tutta Toscana. Il co. Guido Novello, il co. Gior-
dano, gli Alberti di Mangona, gli Aldobrandeschi di S.
DELLA VITA DI DAME. 5
Fiora, gli Ubaldinì di Mugello, cogli altri più polenti ghi-
bellini, raccoltisi a parlamento ad Empoli, nell'insolenza
della vittoria, sostennero si dovesse tor vìa Fìrenza. Fari-
nata degli Uberli, colla spada nuda alla mano, si levò im-
petuosamente contro la scellerata proposta, e difese la
patria a viso aperto. All'ardito atto tutti si rimasero dal-
l'empia sentenza, e, per le energiche parole del prode ca-
valiere, Firenze fu salva {Inf. x. 91 ; Villani, vi. 83.). In questa
congiuntura Margaritone manda in religioso dono di grati-
tudine al cittadino guerriero un Crocifisso grande, dipinto
alla greca, come scrive il Vasari, per avere fra molte altre
opere egregie, da soprastante rovina e pericolo la sua pa-
tria liberato [i. 104.).
Fiorisce Folgore da S. Gemignano. Fra le altre
rime compose due corone di Sonetti, l'una sopra i mesi
dell'anno, e l'altra sopra i giorni della settimana.
Lemmo di Giovanni d'Orlandi, da Pistoia, poeta.
Nasce in Padova Albertino Mussato, autore del-
l'//«form Augusta, che contiene la storia di Arrigo YII. e
de' suoi tempi, e deW Historia de geslis Italicorum, scfitiOTe
d'una tragedia intitolata Ezzelino, che destò tale entusia-
smo a Padova, che venne incoronato. {\. Eìniliani Giudici,
Storia della Let. It.; Dott. Filippo Zamboni ecc.)
Nicolò Pisano fa il Pergamo del Battistero di
Pisa.
1260. Morte di Accorso, autore della celebre Chiosa, ri-
cevuta con tanto plauso dai più famosi giuristi, e tenuta
come seconda regola del diritto civile. Era nato in Bagno-
lo, a cinque miglia da Firenze, il 1182. Fu padre di Fran-
cesco, morto nel 1293, cui Dante pose nell' Inferno fra i rei
di laide colpe, (xv. 110.).
1261. Manfredi dà Costanza al principe Pietro d'Aragona.
Piirg. VII. 129.
Origine de' frali Gaudenti di Bologna.
Nicolò Pisano fa l'arco di S. Domenico in Bologna.
1262. 1 Guelfi fuoruscili, sconfìtti dal co. Guido, si rico-
verano a Bologna dopo un accordo.
1263. Carlo d' Angiò chiamato da Urbano IV. contro
Manfredi.
IO SPECCUIO CRONOLOGICO
Lucca, e lutto il resto della Toscana; addivengono
Ghibellini.
Facciata di S. Pietro in Pistoia, con disegno gotico
antico. ( Tifivi, Guida di Pistoia, p. 187. )
1264. Muore Farinata degl' liberti.
Nascita di Francesco da Barberino in Yaldelsa. Nel
1290 cominciò la sua opera dei Documenti d' Amore, in cui
trattò della natura d' amore secondo che a virtù o a vizio
s' accosta, e dei costumi che a comporre vita onesta e mo-
desta si addicono. Scrisse pure in versi misti a novellette
di leggiadra prosa i Costumi e il Reggimento delle Donne,
opera in cui parlava alle mercantesse di Firenze dei co-
slumi delle regine e delle donne di ogni grado.
1265. Dante, là in cielo, tra la gioia dei santi, e l' armo-
nia delle sfere, tesse la sua genealogia : ei fa parlare al suo
tritavo Cacciaguida:
Benedetto sie tu, fu, trino ed uno,
Che nel mio seme se' tanto cortese...
0 fronda mia, in che io corapiacemmi
Pure aspettando, io fui la tua radice:
Cotal principio, rispondendo, femmi.
Poscia mi disse: Quei, da cui si dice
Tua cognazione...
Mio figlio fu, e tuo bisavo fue. Par. xv. 47-88.
A così riposato, a così bello
Viver di cittadini, a così fida
Cittadinanza, a così dolce ostello.
Maria mi die, chiamata in alte grida,
E neir antico vostro Battisteo,
Insieme fui Cristiano e Cacciaguida.
Moronto fu mio frate ed Eliseo;
Mia donna venne a me di vai di Pado,
E quindi il soprannome tuo si feo.
Poi seguitai lo iraperador Currado,
Ed ei mi cinse della sua milizia.
Tanto per bene oprar gli venni in grado.
Dietro gli andai incontro alla nequizia
Di quella legge, il cui popolo usurpa,
Per colpa del Pastor, vostra giustizia.
Quivi fu' io da quella gente turpa
Disviluppato dal mondo fallace.
Il cui amor molte anime deturpa,
E venni dal martirio a questa pace. Par. xv. 130.
Cacciaguida degli Elisei, che nacque il 1106, avea preso
DELLA VITA DI DANTE. 11
in moglie una donzella naia degli Aldìghleri di Ferrara, per
bellezza e per costumi come per nobiltà di sangue pregia-
ta. Avuto da essa un figlio, e ad onore di essa nominatolo
Aldigliiero, i suoi discendenti presero il nome da lui e si
chiamarono Aldìghieri: comecché il vocabolo poi, per de-
trazione di questa lettera d corrotto rimanesse Allighieri
[Boc. Vita di Dante). Di Allighieri I, venne Bellincione, da
Bellincione Allighieri II, maritatosi da prima in Lapa Cia-
luffi, poi in Donna Bella, onde il nostro poeta. Gli Allighieri
avevano per arme uno scudo diviso pel mezzo in diritto,
parte d'oro e parte nero, e tagliato pel traverso piano da
una fascia bianca.
Le case degli Allighieri (che più ne possedevano) resta-
vano nel centro della città e nel sesto di Por' San Piero:
di fronte guardavano la piazzetta di S. Martino del Vesco-
vo, e, piegando a sinistra, giugnevano fino alla piazzetta
de' Giuochi: a tergo rispondevano sulla piazza de' Donati,
detta oggi della Rena. Quella che dì recente si è chiamata
la casa di Dante, ed a cui venne apposta l'Iscrizione: in
questa casa degli Allighieri nacque il divino poeta, e che
resta di contro al fianco settentrionale della torre di Badia,
e guarda quasi diritto la via de' Magazzini, non è che una
di esse; ma il dir che in quella appunto venisse alla luce
il divino poeta, è un dir cosa non molto probabile, essendo
essa la più meschina delle circostanti, le quali pure agli
Allighieri appartenevano. Il Municipio fiorentino (Maggio,
1864.) incaricava il cav. av. Emilio Frullani, di fare le ne-
cessarie investigazioni storiche dalle quali si possa con-
chiudere con sufiiciente certezza l'autenticità della vera casa
abitata dall'Allighieri, per poi trattarne l'acquisto. Il Frul-
lani si associava per le dette ricerche il signor G. Gargani.
Gli Allighieri avevano delle possessioni in Camerata, un
miglio distante dalla porta a Pinti, per andare direttamente
a Fiesole (oggi del cav. Guido Giuntini), nella Piaggentina
0 nel popolo di S. Ambrogio, a S. Miniato a Pagnolle, e iu
piano di Ripoli, luoghi tutti vicini alla città.
È una tradizione popolare che Dante, quando stava in
Firenze, si recasse le sere della calda stagione sulla piazza
di santa Maria del Fiore, detta allora santa Reparata, a pren-
12 SPECCHIO CRONOLOGICO
dervì il fresco, assìdendosi sopra un miiricciuolo in quel pun-
to, ove, non ha molto, fu collocata una memoria, che dice:
Sasso di Dante:
Gli antichi miei, ed io nacqui nel loco
Dove si trova pria 1' ultimo sesto
Da quel che corre il vostro annual giuoco. Par. xvi. 40.
1263, 14 Maggio. Nacque questo singolare splendore ita-
lico nella nostra città, vacante il romano imperlo per la
morte di Federigo II, negli anni della salutifera incarnazione
dell'universo MCCLXY, sedente papa Urbano IV nella cat-
tedra di San Pietro. {Boccaccio, Vita di Dante, p. 8. ) —
Dante, non iscevro delle credenze astronomiche, attribuisce
all'influsso della costellazione dei Gemini il sortito ingegno:
0 gloriose stelle, o lume pregno
Di gran virtù, dal quale io riconosco
Tutto, qual che si sia, il mio ingegno;
Con voi nasceva, e s'ascondeva vosco
Quegli eh' è padre d'ogni mortai vita,
Quand' io senti' da prima l'aer tosco. Par. xxii. 112.
E Brunetto Latini, dalla stella che potè sul suo nascere,
gli predice:
Se tu segui tua stella,
Non puoi fallire a gloriosa porto. Inf. xv. 53.
Dante pregiavasi di essere di famiglia nobile, e veramente
credevasi discendere da uno di quei Romani che coloniz-
zarono Firenze, firilia primogenita di Roma. Inf. xv. 77.
Di quei Roman, che vi rimaser, quando
Fu fatto il nido di malizia tanta.
Tutti i maggiori di Dante furono Guelfi; e per tali due
volte cacciati dal Ghibellini. Un Brunetto Allighieri, zio di
Dante, Irovossi alla battaglia di Montaperti, ove tenne un
posto assai distinto, poiché era una delle guardie del Car-
roccio. Inf. X. 46.
Fu battezzato in S. Giovanni di Firenze, eh' ei chia-
ma il mio bel San Giovanni. Inf. xix. 17.
Ed ei vi voleva prendere la corona di alloro di poeta
In sul fonte
Del mio battesmo prenderò il cappello. Par.xw.S.
Fra Nicola Pisano, con fra Guglielmo da Pisa, scol-
pUce l'Arca di S. Domenico in Bologna.
DELLA VITA DI DANTE. 13
1266, 26 Feb. Battaglia di Benevento. Manfredi è tradito
dai Baroni pugliesi: sdegnando di sopravvivere alla scon-
fitta, si lancia ove più ardente la zuffa, e rimane sul cam-
po con la persona rotta da due ferite mortali. — Fra mille
cadaveri, trovato il suo, gli alzarono i soldati nemici una
mora di sassi. Ma poi le diseppellite ossa furono trasportate
lungo il fiume Verde. {G. Villani, L. lvjii. c. 9.) Inf. xxviii.
15; Pvrg.m. 105-130.
Aprile. Nascita di Beatrice da Folco di Ricovero
Porti nari, e da Gilia di Gherardo Caponsacchi. Par. xvi.
121. I Portinari restavano poc' oltre di 50 passi lontano
dagli Allighieri, ed abitavano dov'è ora il palazzo Riccardi,
già Salviati, (oggi da Cepparello) airestremità di via del
Corso, presso il canto de' Pazzi. La loro arme faceva una
porta con due leoni rampanti.
— — Lodaringo, o Roderigo di Landolo, e Catalano di*
di Malevolti, due frati Gaudenti, corrotti da' Guelfi, turba-
rono la pace, cacciando e perseguitando i Ghibellini, ed
ardendo le case loro, e segnatamente quelle degli liberti,
ch'erano nel Gardingo, del qual nome si chiamava una
contrada presso Palazzo vecchio. {Villani,L. yiuli) Inf. xxiii.
105.
Di questo partito fu consigliere Giovanni Soldanìeri,
che tradì i suoi Ghibellini, e li fece cacciare con Farina-
ta, e fu capo al governo novello. [Villani, L.\ii. e. 74) Inf.
XXVII. 121.
Per la sconfitta e morte di re Manfredi, i Guelfi,
dopo la seconda cacciata, tornano di bel nuovo in Firenze
[Villani, L. VII. e. 15. ): i Ghibellini, quantunque rassicurati
che non verrebbe loro alcun male, se ne fuggono per paura.
Toscana tutta, meno Pisa e Siena, si volge allora a parte
guelfa, come prima della battaglia di Monlaperti era tutta
ghibellina. [Villani, L. vii. e. 20.) /«/. x. 50.
-- — I Domenicani di Bologna fermano di erigere al
Santo fondatore del loro instituto tal monumento che l'Italia
non avesse pari in quel tempo. Ad opera tanto grande in-
vitano Nicolò Pisano e fra Guglielmo da Pisa. (V. P. Marchese.
Memorie, ecc. i. 73.)
- — 29. Seti. Nicola Pisano, di Bologna si conduce in
14 SPECCHIO CROKOLOGICO
patria, e con frale Melano, cistcrciense, ferma il contralto di
scolpire il pulpito del Duomo di Siena, con obbligo di con-
durlo a termine in un sol anno, siccome fece.
1267, 16,17 Aprile. De' Ghibellini cacciati in questo torno,
al venir di Guidoguerra, mendatovi da Carlo d'Angiò, nes-
suno ne tornò per allora, ma taluni nel Feb. del 1208, ad
intercessione del legato Apostolico. {Yillani, lib. 7. cap. 15)
Inf. X. 51.
Dà lutti i perdoni concessi a' Ghibellini, gli liberti
venivano esclusi. Inf. x. 83.
Agosto. Venuta di re Carlo in Toscana. Guerra
contro Siena.
1268, 23. Agosto, Corradino, figliuolo di Corrado, nipote
di Federigo II, nel plano di Tagliacozzo viene alle mani
con Carlo d'Angiò. Dapprima vincitore, e poi vinto dagli
scaltrimenti, e preso nella fuga, il nobile giovinetto, per
sentenza di giudici iniqui, a' 29 Ottobre ebbe mozza la te-
sta, e in lui finì la casa di Svevia. Jnf. xxviii. 16; Purg.
XX. 67. [G. Villani, vii. 26, 28, 29; mcolini. Storia della
Casa di Svevia; Canto in morte di Corradino).
Guerra contro Pisa, e presa di Porto Pisano, e del
castello di Motrone.
Matteo Spinello, da Giovinazzo, termina la sua
storia intitolata i Diurnali, ossia Giornali, nella quale narra
i fatti accaduti nel regno di Napoli dal 1247, quando l'au-
tore era in età di 17 anni, fino al 1268; storia preziosa per
essere la prima Cronaca italiana.
Fiorisce Jacopo, detto Lapo degli liberti, iìglio
del famoso Farinata, poeta tiorentlno.
1269, Giugno. Disfatta che i Senesi e gli altri Ghibellini,
guidali da Provenzauo Salvani, e dal co. Guido Novello,
toccarono dai fiorentini, presso Colle di Yaldelsa. [Villani,
L. VII. e. 31.) Purg. XI. 120; xui. Ilo.
1270. Gino da Pistoia (Guittoncino ùq' Sinibuldi, de' 67-
gibuldi, ed anche de' Sigishuldi), amicissimo di Dante, e da
lui inlitolato il Cantor dell'Amore, autore del Comento del
Codice e del Trattato delle Successioni. De Vulg. FA. ii. 2.
Nell'anno stesso Guido di Monforte uccide nella
chiesa di Viterbo Enrico, figlio di Riccardo, re de' Romani,
DELLA VITA DI DAME. 15
e nipote di Enrico III, re d'Inghilterra. [Villani, L.!. e. 39)
Inf. XII. 118.
1271. Gregorio X eletto papa.
1272. Morte di Enrico III, re d' Inghilterra, al quale
succede Odoardo \. Purg. vii. 130; Par. xix. 121.
1273, 22. Lug. Gregorio X, nel recarsi al Concilio di Leone,
passa per Firenze: vi si trovavano pure Carlo d'Angiò e
Baldovino II cacciato da Costantinopoli. In quest'occasione
il Papa convoca i Sindaci dei Guelfi e dei Ghibellini, li
astringe al bacio di pace, fulmina la scomunica contro chi
la rompesse, e a memoria del fatto volle si fondasse una
Chiesa di cui egli pose la prima pietra, che si chiamò San
Gregorio della Pace. Ma la pace non durò che quattro
giorni : il papa sdegnato si ritirò in Mugello, presso il Card.
Ubaldini, e lasciò la città interdetta. Fu ribenedetta nel
1276 da Innocenzo Y.
Rodolfo d'Absburgo, fondatore della grandezza della
casa d'Austria, eletto imperatore di Germania. Purg. vii.
94 ; Conv. iv. 3.
Per pacierìa di papa Gregorio X, riammessi gli
esuli ghibellini, ricacciati dipoi nel 1275, e ritornativi
nel 1279.
1274, 7. Marzo. Morte di S.Tomaso d'Aquino in Fossa-
nuova, nel napoletano, teologo impareggiabile, di erudizione
smisurata, di liberi pensamesiti, politico sommo per quella
età. Gravi autorità portano eh' un medico di Carlo d'Angiò
gli propinasse il veleno [Purg. xx. 69.), per disfarsi di quel
potentissimo ingegno che il nimicava per abborrimento
della pessima signoria; e nel suo libro del governo dei
principi, quantunque partigiano della monarchia, avea sfol-
gorato con le più fiere invettive la tirannide d'un solo, e
fattone uno specchio, nel quale Carlo potea guardarsi e
riconoscere le sue sembianze. Par. x. 98; xii. 110.
1 Maggio. ?sove giri di sole eransi compiuti, quan-
d'ei cominciò la vita d'amore. Beatrice era ,in età d'otto
anni e quattro mesi. « Nove fiate già, appresso al mio nasci-
mento, era tornato lo cielo della luce quasi ad un mede-
simo punto, quanto alla sua propria girazione, quando alli
miei occhi apparve prima la gloriosa donna della mia mente,
16 DELLA VITA DI DAME.
la quale fu chiamata da molli Beatrice, 1 quali non sapeano
che si chiamare. Ella era già in questa vita stala tanto, che
nel suo tempo lo cielo stellato era mosso verso la parte d'o-
riente delle dodici parti l'una d'un grado: sì che quasi dal
principio del suo anno nono apparve a me, ed io la vidi
quasi alla fine del mio nono anno. Ella apparvemì vestita di
nobilissimo colore, umile ed onesto, sanguigno, cinta ed
ornata alla guisa che alla sua giovanissima elade si conve-
nìa... D'allora innanzi Amore signoreggiò l'anima mia, la
quale fu tosto a lui disposata... Egli mi comandava molte
volte, eh' io cercassi per vedere quesl'angiola giovanissima:
ond'io nella mia puerizia molto fiate l'andai cercando....
Vita N. §. II. Eì fu suo tostamente dalla sua puerizia. Id. %. xu.
Io sono stato con amore insieme
Dalla circulazion del sol mia ìiona... Son.yi. ediz.Uiul.
Lo giorno che costei nel mondo venne ,.
La mia persona parvola sostenne
Una passion nuova. Cam. ni. S.
Tosto che nella vista mi percosse
L'alta virtù, che già m'avea trafitto
Prima eh' io fuor di puerizia fosse. Purg. xxx. 47.
Tosto fu vostro, e mai non s'è smagato. Ballata m.
13. Lug. Morte di S.Bonaventura di Bagnorrea, teo-
logo e filosofo sommo, alta gloria immortale della scienza,
altamente pure da Dante celebrato.
1275. Pier della Broccia, fatto morire da Filippo Bello,
di Francia, di cui era segretario. Purg. vi. 19.
— — Michele Zanche, ucciso a tradimento da Branca
d'Oria, suo genero, per occupare in sua vece il giudicalo
di Logodoro in Sardegna, in/", xxii. 88; xxxiii. lU.
1276. Morte di Guido Guinicelli, nobile bolognese, il
padre dell'italica letteratura, il massimo fra i poeti che
prima di Dante scrissero in lingua volgare. Purg.xxw.^^.
Papa Gregorio X muore in Arezzo.
Guglielmo da Pisa, domenicano, scolpisce in Pistoia
il Pergamo di S. Giovanni evangelista, Forcivita.
Gioito di Bondone nasce a Colle di Yespignano.
Purg. XI. 94.
1277. Mausoleo di Papa Gregorio X nel duomo di Arezzo,
opera di Margaritone Aretino.
DELLA VITA DI DAME. 17
Morie di Papa Adriano Y. Purg. xix. 99.
1277. Elezione di Nicolò III, Giovanni Gaelani, di casa
dogli Orsini. [Villani, L. vii. e. 54.) in/", xix. 31.
1278. Morie di OUoearo, re di Boemia. Purg. vii. 57.
Discordie Ira gli Adìmari conlro i Donali, i Tosin-
gbi e i 'Pazzi.
Morie di Nicola Pisano, il quale ridusse l'archi let-
tura, secondo il Ticozzl, se non agli antichi ordini, a più
grandiosa maniera, e la scultura richiamò prima d'ogni
altro a nuova vita, onde meritò d'essere riguardato come
padre dell'arte dopo i tempi della gotica barbarie.
Volgarizzamento dei Trattati di Albertano Giudice,
bresciano, per Sofi're di del Grazia, notaio pisloiese.
Fontana grande in Perugia. 1 rilievi sono di Gio-
vanni Pisano e di Arnolfo. Le ligure in bronzo e la conca
forono fuse da maestro Rosso.
Giovanni Pisano pone mano all'erezione del Cam-
posanto di Pisa. (A. D. MCGLXXYIII, tempore Domini Fri-
derici. Archiepiscopi pisani, et Domini Tarlati poteslatis,
operarlo Orlando Sardella, Johanne Magistro aedificanie.)
8 Oli. Ribollendo tuttavia gii sdegni per le antiche e
le nuove offese fra i Guelfi e i Ghibellini, giunge nunzio di
pace il cardinale Ialino Malabranca, de' Predicatori, legato
di Nicolò III. E tanto polè la sua parola, tanlo la sua carità,
che ne' feroci pelli, albergo di odii crudeli, scese il con-
forlo dell' amore e della pace, e amiche si congiunsero quelle
destre che ancor rosseggiavano di sangue cittadino. [Villani,
L. VII. e. 5G; P. Marchese, Scritli vari, p. 21.)
18 Oltob. Frate Latino card. Malabranca fondò e
benedisse la prima pietra della Chiesa di S. M. Novella de'
frati Predicatori. Ne furono architelti i due conversi dome-
nicani Fra Sisto e Fra Ristoro.
1279. Primo anno del regno di Dionisi li in Portogallo,
/^ar. XIX. 139.
Morte di Alberto il Grande, dello dall' Ozanam,
atlante che portò sulla sua testa il mondo intiero della
scienza, e non vi si piegò sotto, e che fece maravigliare di
sé le genti. Par. x. 98.
Dante per salvare un garzonello de' CaviciuUi nel
VOL. II. 2
18 SPECCHIO CRONOLOGICO
fonte battesimale, rompea uno degli stalli de' battezzatori.
Non essendovi alcun testimonio del fatto, ne avvenne che
da qualche maligno inimico fosse interpretato a sacrilegio
queir atto che a carità del prossimo si dovea attribuire ;
ond' egli se ne scolpa.
Non mi parén meno ampi né maggiori,
Che quei che son nei mio bel San Giovanni
Fatti per luogo de' battezzatori ;
L' un degli quali, ancor non è molt' anni,
Rupp' io per un che dentro v'annegava:
E questo sia suggel eh' ogni uomo sganni. Inf. xix. 1(5.
Mastro Adamo di Brescia, falsatore de' fiorini d'oro,
vien arso vìvo. 11 supplizio fu eseguito lungo la via che
da Firenze conduce a Romena. Inf. xxx. 63.
1281, 22 Feb. Il cardinale Simone, già canonico di Tours,
nativo di Moncipè nella Brie in Francia, vien nominato
Pontefice, col nome di Martino IV. Pur(j. xxiv. 22.
19 Agosto. Morte di ISicolò III, di casa Orsini.
{Villani, L. vu. e. 58.)
Ricordano Malespini, forse il primo che incominciò
a registrare gli avvenimenti della città di Firenze, continuò
la sua cronaca fino a quest'anno, in cui morì; e quindi
Giannotto di Francesco, fratello di Ricordano Malaspini, con-
tinuolla fino al 1286.
Morte di Sordello, mantovano. Purg- vi. 58.
I Francesi, rotti pure nello stesso anno presso a
Forlì, dal Co. Guido di Montefeltro. Inf. xxvii. 43.
1282, 31 Marzo. Yesperi siciliani. Dante in tre versi ci
ritrae compiutamente il Yespero. E il poeta non solo trat-
teggiò la causa, ma ancora una delle circostanze più se-
gnalate del tumulto, che fu il perpetuo grido : « Muoiano t
Francesi, muoiano i Francesi ! » Onde, dice l'Amari, que' tre
versi resteranno per sempre come la più forte, precisa
e fedele dipintura, che ingegno d'uomo far potesse del
Yespero Siciliano.
Se mala signoria, che sempre accora
Li popoli suggetti, non avesse
Mosso Palermo a gridar: Mora, mora. Par. yiu. 73.
[Ariosto, xxxiii. 20; Nicollni, Giov. da Procida; Michele A-
mari, e. vi., Guerra del Yespero Siciliano).
DELLA DI VITA DAME. 19
1*282, lo Giugno. Il popolo di Firenze sì solleva contro
ì XIV Signori: Inslituita invece la Signoria dei Priori, che
da prima fiiron Ire, poi crebbero a sei. Da principio ebbero
l'onore di dare i Capi allo sialo tre sole arti, poi sei delle
maggiori, cioè un Priore per sestiere, escludendo l'arte dei
Giudici e iNolai che per sua natura era già addetta all'am-
ministrazion governativa. Niuno polea entrare in Ufficio se
pure non era ascritto ad una delle sei arti. Il titolo di
Grande era un gastigo che si dava col nome d'ammoni-
zione, per la quale i cittadini dichiarati Grandi si venivano
a privare d'ogni uffizio nella città. {Dino Compagni, i; Yil-
lani, L. VII. e. 79.)
Pensando l'Allighieri al dolcissimo saluto di Beatri-
ce, nove anni dopo che la vide, fu sopraggiunto da un
soave sonno, nel quale egli ebbe una mirabile visione.
Svegliatosi, si propose di scrìvere un Sonetto, in cui trat-
tare di quelle cose che gli era sembrato di vedere, e quindi
indirizzarlo ai più famosi poeti del suo tempo, perchè gliene
dessero la loro opinione. È il primo Sonetto per lui com-
posto, e comincia: A ciascun' alma presa, e rjentìl core. Oltre
Gino da Pistoia e Dante da Maiano, gli rispose Guido Caval-
canti, e ne seguì una dolcissima amicizia. Nella Vita Nuova
intitola Guido il primo degli amici suoi. V. Nuova § 3.
1284. Arnolfo costruisce la Loggia sopra la piazza dì Orto
S. Michele.
5 Giug. Rotta dì Carlo d'Angiò, e sua prigionia;
assalito da Ruggiero di Lauria, ammiraglio di Pietro III
d'Aragona. {Villani, L. vii. 93.) Purg. xx. 79.
6 Agosto. Famosa rotta de' Pisani alla Meloria, la
maggior battaglia navale del medio evo, dalla quale in poi
precipitò, senza rialzarsi più mai, la potenza pisana. Passò
questa allora in mare alla vincitrice Genova, antica emula
sua. ( Villani, L. vii. c. 92.)
Morte di Filippo III, Nasello, di Francia, e principio
del regno di Filippo il Bello. Morte di Pietro III d'Aragona.
Piirg. VII. 103.
Giovanni Pisano lavora nel duomo di Siena.
1285, Marzo. Morte di Papa Martino lY, avvenuta in Pe-
rugia [Purg. XXIV. 22.), ed elezione a papa di Onorio IV,
20 SPECCHIO CRONOLOGICO
(Iella casa de' Savelli {Villani, L. vi. e. 107.), che muore a' 3
Aprile 1287 {id. e. 113.).
Enrico II regna in Cipro. Par. xix. 145.
Il Comune decreta un nuovo ingrandimenlo delle
mura della città, e ne commette la cura ad Arnolfo. La co-
struzione delle mura non si cominciò propriamente che nel
1299, movendo dalla Porta al Prato, e vennero incoronate
di sessantotto torri. L' Architetto, con provisione del 1
Aprile 1300, fu fatto franco da qualunque gravezza citta-
dina. 11 primo ampliamento, descrittoci da Ricordano Male-
spini e. Lxvi., era stato fatto nel 1078. Dal Duomo alla Badia
(fondata nel 978 dalla Cont. Willa, figliuola di Bonifazio,
Marchese di Toscana) prendevano le prime mura della città :
Fiorenza, dentro alla cerchia antica
Ond' ella toglie ancora e terza e nona. Par. xv. 97.
Allo stremo della via Calzaiuoli, presso a S. Maria del Fio-
re, venne murata questa iscrizione: - Che da mezzogiorno
a ponente - Qui volgesse il primo cerchio delle mura di Fi-
renze - Le fondamenta ritrovate - Confermano. - ISel picciol
cerchio s'entrava per la porta che nomavasi per quei della
Pera. Par. xvi. 104. (presso piazza S. Firenze). Lo spazio che
occupava Firenze nel tempo antico da settentrione a mezzodì
era dal Ponte vecchio, dove v'avea un'antica statua di
Marte sopra Arno [la pietra scema) e il Battistero; tra
Marte il Battista. Par. xvi. 40.
Finisce la Storia napoletana di Saba Malaspina,
romano, segretario di papa Martino IV, istorico prestantis-
simo, secondo i suoi tempi. La prima parte giugno fino al
1275, e fu pubblicata, tra gli altri, dal Muratori [Rer.llal.
Script, t. vili.), e la continuazione infino al 1285, impor-
tantissima per la Sicilia, data in luce dal Di Gregorio [Bibl.
Arag.X.U.)
Salvino d'Armato degli Armati, Firentino, inventò
gli occhiali. M. nel 1317, e fu sepolto in S. Maria Maggiore.
1286. Altare maggiore del Duomo di Arezzo fatto da
Giovanni Pisano.
1287, Gennajo. Beatrice va a sposa di messer Simeone
de' Bardi,
Guglielmino di Ubertino de' Pazzi, vescovo di Arezzo,
DELLA VITA DI DAME. 21
ritolta a forza quella città alla parto guelfa, la annoda alla
federazione ghibellina, e muore dipoi combattendo per l' im-
pero nella fatale giornata di Gampaldino.
20 Maggio. 11 partito ghibellino si rinforza ad A-
rezzo. I guelfi firentini giungono lino alle porte di quella
città, ma mentre si tornano a Firenze, cadono in un'ag-
guato leso loro dagl'Aretini presso la Pieve del Toppo, e
molti ne rimangono uccisi. {Villani, L. vii. e. 120.) hf. xui,
121. Sembra che Dante prendesse parte in queste fazioni
del contado Aretino. Inf. xxii. 1.
11 Comune di Firenze decreta 1' abolizione della
schiavitù dei servi con una legge assai memorabile ; perchè
ragionando intorno ai diritti dell' uomo, usava un linguag-
gio che sente della rivoluzione del 89, e ci trasporta quasi
nel seno della Costituente di Francia. A Bologna erasi
fatto lo stesso, e nel modo medesimo nel 1251. - Cunizza,
sorella di Ezzelino, fino dal V Aprile 1263, con atto rogato
in casa Cavalcante Cavalcanti, il padre deU'atfiico di Dante,
avea donato libertà agli schiavi di sua famiglia, sterminata
in S.Zenone. {\. Filippo prof. Zamboni, Gli Ezzelini, Dante
e gli Schiavi.)
1288, Mercoledì, IG Giugno. Diotidiete o Diomidiede, detto
anche Dede o Dedì Buonincontri, grande amico di Brunetto
Latini, compie il suo volgarizzamento De Ref/imine Princi-
pum di Egidio Colonna, Generale dell'ordine Agostiniano.
23 Giugno. Fin dal 1285. Folco Portinari, padre
di Beatrice, si avea posto in cuore di erigere uno spedale,
e a tal uopo, con instrumento del 24 Aprile, comperava al-
cuni terreni fuori della porta degli Albertinelli nel popolo
di S. Maria. Intorno al 1287 ne principiò la costruzione,
come si raccoglie da un Breve del 20 Marzo 1287 di 0-
norio IV con che si accorda ai frati di S. Egidio di per-
mutare un pezzo di terra col Portinari, quod ipse nuper
quoddam [[ospitale ad opus pauperum et infirmorum caepit
aedificare opere sumptuoso. L'atto della fondazione dello
spedale ha la data del 23 Giugno 1288. Da esso abbiamo
come fosse la fabbrica compiuta, la chiesa pure consegrala,
e che da dodici fossero i letti primati vamcnte preparati dal
fondatore. Il Comune applaudiva a quest'opera santa, chia-
22 SPECCHIO CRONOLOGICO
Biava questo spedale la colonna dello Stalo, gli faceva ogni
anno una grossa elemosina, e diceva di mandarla alla casa
del pubblico.
1289, 12 Marzo. Morte di Ugolino. Jnf. xxxiii. 1.
2 Maggio. Carlo Martello visita Firenze in compa-
gnia del padre che veniva di Spagna, ov'era stato prigione.
Ei pare lìn d'allora stringesse amicizia con questo giovane,
che cresciuta poi probabilmente nelle sue ambascierie a
Napoli, fu ad ogni modo più tenera e costante che non
suole tra principi e privati. Par. viii. 58.
29 Maggio. Carlo II. coronato re delle Sicilie da
papa Niccolò IV a Rieti, i/if. xix. 99; Ptórr/. vn. 227; xx. 67.
11 Giugno. Memorabile giornata di Campaldino,
presso a Poppi, nella contrada detta Certamondo, nel Casen-
tino, in cui vennero sconiìtti i fuorusciti ghibellini, spalleg-
giati dagli Aretini {Villani, L. vii. e. 131; Dino, L. i.). Dante
si trovò a quella battaglia, e vi combattè valorosamente a
cavallo, nella schiera di Messer Vieri de' Cerchi, cioè tra
quei feditovi che questi non volle disegnare, ma si offrirono
spontanei.
Onde nel Purgatorio v. 91. dimanda a Buonconte che era
slato in questa battaglia:
Qual forza, o qual ventura
Ti traviò sì fuor di Campaldino,
Che non si seppe mai tua sepoltura?
4 Settemb. Morie di Francesca di Riminì. Inf. v.97.
(Il Gennarelli la vuole avvenuta nel 1285. - V. il nostro ar-
ticolo. Biblioteca Dantesca italiana).
8 Settemb. Carlo Martello incoronato re d' Unghe-
ria. {yt7/am, L. vii. e. 135.)
Fulgeami già in fronte la corona
Di quella terra il che Danubio riga. Par. viii. 64.
9 Settemb. Dante co' Fiorentini e co' Lucchesi fu
ad oste contro a' Pisani, ed ei rammenta la presa di Capro-
na, e l'uscita del presidio vinto e sbigottito tra' vincitori:
E cosi vid' io già temer gli fanti
Ch'uscivan patteggiati di Gaprona,
Veggendo sé tra nemici cotanti. Inf. xxi. 94.
Maestro Ulino dipinge nella sala /lei Consiglio del
Palazzo pubblico di Slena.
DELLA VITA DI DANTE. 23
31 Decembre. Morie di Folco Portinari, padre di
Beatrice buono in alto ({rado. V. N. §. 22.
1290, 9 Giugno. Morie di Cealrice Portinari ne' Bardi,
in età di 24 anni e due mesi, e che il poeta dopo dieci
anni rivede nel paradiso terrestre, discesa per guidarlo nel
cielo :
Tanto eran gli occhi miei fissi ed attenti
A disbramarsi la decenne sete ecc. Purg. xxxii, 1.
E dopo la morte di Beatrice, quando di carne a
spirito era salita, si abbandona a' piaceri, e ad una vita
allegra e spensierata assiem con Forese. Inf.i.ì; Purg.
\XX, XXXXl.
Lassù di sopra in la vita serena,
Rispos'io lui, mi smarri' in una valle,
Avanti che l' età mia fosse piena, Inf. xv. 48.
Se ti riduci a mente (Forese a Dante;
Qual fosti meco e quale io teco fui.
Ancor fia grave il memorar presente. Purg. xxui. US.
Fiorisce Onesto, bolognese, poeta, detto dall' Alli-
ghieri dottor illustre e di piena inteUifjenza nelle cose vol-
nari. De Vul El i. 15. {Petr. Tr. Am. iv.)
Fiorisce Dante da Maiano del Poggio di Fiesole, in-
colto e pedestre, ma allora di gran fama, e da cui non
può andar disgiunta la Nina Siciliana, la pi'ima femina che
s'abbia notizie che poetasse in lingua volgare.
Fondazione del Duomo di Orvieto, monumento
glorioso del genio italiano, vero santuario dell'arte. Ne fu
archilelto Lorenzo Maitani, senese. La prima pietra fu posta
il di 13 Novembre dal pontelice Nicolò IV.
1291. Il Soldano di Babilonia con grandosle attornia la
città d'Acri, difesa indarno da' prodi Templari: la sac-
cheggia tutta, e sessanta mila rimangono tra morti e feriti.
II commercio Firentino n'ebbe inestimabile danno; poiché
Acri dal Villani era chiamata un elemento del mondo.
Filippo di Francia, per infame consiglio di due
italiani, fa prendere quanti italiani erano nel suo regno,
sotto pretesto di punir gli usurai, onde le ricche negozia-
zioni de' Fiorentini furono rovinate.
Guido di Montefeltro, signore di Pisa, o per difetto
di guardia o per baratteria de' custodi, prende a Fireiitini
24 SPECCHIO CRONOLOGICO
Ponl-ad-Era, il più forte castello d'Italia che fosse in piano.
Morte di Nicolò IV.
lì) Luglio. Rodolfo Imperatore muore a Spira. {Vil-
ìanì, L. VII. e. 146.)
1*292. Guglielmo, marchese di Monferrato in Alessandria
della Paglia, rinchiuso da' suoi sudditi in una gabbia, dove
morì di dolore, onde la guerra tra gli Alessandrini, ed i
figliuoli del Marchese, nella quale quei del Monferrato e
del Canavese ebber la peggio. Purg. vii. 133.
Pitture eseguite nel palazzo del Comune da Fino
di Tebaldo, Fiorentino.
15 Feb. Gianno della Bella, savio, valente e buon
nomo, assai animoso e di buona stirpe, offeso da Berto
Frescobaldi, di nobile si fa popolano, e di ghibellino guelfo.
Dettò leggi che venner dette ordini di giustizia contro
a' potenti che facessero oltraggio a' popolani. E per questo
fu da' grandi di atrocissimo odio proseguito. ( Villani, L. viii.
e. 8 - Dino Compagni, L. i. ) E non parvero posare, finche
non videro il dabbene cittadino partirsi esule (5. Marzo
1294.) dalla terra tanto caramente diletta, abborrente dal-
l'esser favilla di maggior incendio. Par. xvi. 127.
Dante, consigliato da' parenti e dagli amici, prende
a moglie Gemma, figlia di Mannelto Donati, non propria-
mente di quella famiglia, ond'era il celebre Corso, che avea
le sue case e le torri sulla piazza di S. Pietro (oggi Mer-
catino, ma di quella probabilmente (affine all'altra) che
abitava sulla piazzetta della Rena, che fino a' nostri giorni
si è continuala a chiamare la piazza de' Donati. Or poiché
le case degli Allighieri rispondevano a tergo contro a quelle
de' Donati, io ho sempre avuto il sospetto, scrive il Frati-
celli, che la gentil donna, giovane e bella, la quale, dopo
la morte di Beatrice, guardava Dante da una finestra molto
pietosamente, sicché tutta la pietade pareva in lei accolta,
non altra fosse che quella, ch'egli poi prese in moglie. V.
ìY. § 36. - Ebbe di Gemma sette figli : Eliseo ed Allighiero gli
morirono in tenera età : Pietro, a cui si attribuisce un Com-
mento latino sulla Divina Comedia, pubblicato dal Vernon
nel 1845 ; morì a Verona nel 1364 e fu sepolto in S. Mi-
chele di Cai»pagna. Jacopo, a cui furono restituiti i beni
DELLA VITA DI DANTE. 2(>
paterni ; prese stanza a Firenze e condusse in moglie una
Jacopa di Biliotto degli Alfani. Anche a Iacopo s'ascrivono
due Commenti che vennero pure pubblicati da lord Yernon
nel 1848. Gli viene pure ascritto un componimento poetico,
il Dottrinale, in 00 capitoli, ed un capitolo in terza rima
sopra la Comedia di Dante, messo in luce per la prima
volta da Yindelino da Spira, Venezia, 1477. - Di Gabriele
sappiamo solo che vivea nel 1351. - Beatrice vestì l'abito
religioso nel monastero di S. Stefano, detto dell Uliva di
Ravenna. Nel 1330 G. Boccaccio le recò dieci fiorini d'oro
a nome della repubblica fiorentina. In Francesco Allighieri,
ultimo dei tre tìgli di Dante III, spirò la posterità masco-
lina di Dante, il poeta Sovrano. Ginevra, unica figlia di
Pietro III, nel 1549 entrò nei Sarego di Verona, onde i co.
Sarego rimasero eredi delle facoltà e del cognome Aligero.
Il Consiglio generale della Comunità di Firenze (Maggio,
1864) proponeva a S. M. il Re « dì conferire il patriziato
Fiorentino, a tutti i componenti la famiglia dei Co. Sarego-
Allighieri di Verona e loro discendenti in linea mascolina. »
Scrive la Yìta JSuova, il primo monumento di
gloria ch'ei volle inalzalo a quel nuovo miracolo gentile,
soave psicologia amorosa, che il Sigalas chiamava il più
caro libriccino del cuore, il vero principio rigeneratore di
lutto ciò eh' è di bello e di buono nell' opere dell' arte
moderna, e il Delécluze il primo e il più spirituale del
romanzi intimi, rifiorito cosi graziosamente dalle muse, come
meglio non sapremo sperare. E ben a diritto ebbe a can-
tare il nostro poeta che Amore e cor gentil sono una cosa
(Son.lO), e che Amore è il fonte del gentil parlare (SonA%,
se di tanta squisita armonia e inimitabile semplicità, di
tanto profumo d' ineffabile mestizia, di tanta passione e
verità gli seppe avvivare quelle brevi pagine e colorire
con la più soave favella quegli improvvisi tremiti onde si
sentia dai polsi V anima partire [Son. 9), e tutti que' con-
tinui movimenti che sul volto gli dipingevano il color del
core, e queir occulta virtù, che al tempo de' dolci sospiri
movea della sudi Angela giovanissima, benignamente d'umil-
tà vestuta. Onde non è maraviglia se anche le altre na-
zioni invaghissero di tanta grazia affettuosa e verginale,
26 SPECCHIO CRONOLOGICO
e gareggiassero a renderla famigliare nella lingua loro;
e 11 Zeloni (Paris, Lacampe, 1844), e il Delécluze (1841,
Paris, Delahays, 1854) la facessero assaggiare ai Francesi;
il Ltel (London, 1842.); il Garow (Le Monnier 1846); il
Rossetti ( The early italìan poets from Cìullo tV Alcamo to
Dante Allighierì in the originai metres tor/ether with Dante' s
Vita JSuova translated hi D. G. Rossetti, London, Smith,
1861 ) ; il Martin ( The Vita ISuova of Dante. Translated
wit an Introduction and Notes by T. Martin, London, 1862)
la recassero in inglese; I'Oèykuausen (Lipsia, 1824), e C.
Forster (Lipsia, 1841) in tedesco; Fr. Csaszar (Pest, 1854
2. ediz.) in ungherese; come il Canzoniere venisse voltato
in francese dal Fertiault (Paris, Lecou, 1854, in prosa) dal
Delécluze (Paris, Delhays, 1854) ; In tedesco da C. L. Kan-
^EG1ESSER e C. Witte (Lipsia, 1827, Lipsia, 1842) alla quale
traduzione ebbe pur parte W-von Lùdema.nn; da Carlo Krafft,
sacerdote protestante (Ilatisbona, 1859, inversi sciolti), e
qualche componimento dallo Sculegel ; in inglese dal Burce
Whytte, e rfa/ Rossetti. - La Vita Nuova fu dall'Allighieri
intitolata al suo primo amico, a Guido Cavalcanti, e in
volgare solamente, perchè simile. intenzione si ebbe que--
sto suo amico {Vita ISuova, §. 31.). Così l'amicizia, scri-
ve il Giuliani, è stata cagione, perchè il volgare italico
già diffuso per Rime d'amore s'accreditasse più largamen-
te colla prima e gentile prosa d'amore, In quale tempo
il poeta dettasse questo suo primo lavoro varia n' è la
opinione. Il Roccaccio lo vorrebbe scritto nel 1291, meu-
tr'era ancor vivo F affanno per la sua donna, desiderata
dagli angioli, di carne a spirito salita; né da lui si dipar-
tono il Fauriel ed il Fraticelli; Rrunone Rianchi ed il Giu-
liani nel 1292; VArrivabene nel 1293; il Foscolo nel 1694,
nel suo vigesimo nono anno; il Riscioni nel suo vigesimo
quarto; il Delécluze nel 1290, ed il Wegele verso il 1300.
E a questa sentenza si accosta pure il prof. Lubin {Intorno
all'epoca della V. N. p. 28.), e ne assegna l'epoca dopo la
pasqua del 1300, e probabilmente nella primavera dello stesso
anno. Egli distingue le poesie dal libello e ci prova come
piacesse al poeta ordinare nel libro della mente tutte quante
le visioni, gli avvenimenti, le beatitudini di quelF amore pu^
DELLA VITA DI DANTE. 27
rissimo, e raccontare il tutto in bella prosa, assembrandovi
quelle delle sue poesie liriche che bastassero indicarne la
sentenza, e darcene un saggio in ciascun genere, affine di
farci conoscere le fasi diverse della sua musa. - E di varia
guisa venne pure per gli eruditi interpretato il titolo di
Vita JS'uova. 11 Garow non ci vede che un racconto dell' e-
stasi della sua infanzia [Early li fé, vita mattutina) ; WFauriel
vi avvisa la preparazione intellettuale del poeta, lo svol-
gersi che faceva il suo ingegno, quasi fiore ai raggi di un
candido e fervente affetto; il Lubin la storia di ciò che la
nobile natura del poeta preparò nella prima età a perfezio-
ne delle seguenti; la storia deirinlellettuale e morale per-
fezionamento di lui, iniziata dall'amor suo per Beatrice,
continuata dall'amor suo per la scienza filosofica e teolo-
gica, e perciò quasi l'introduzione alla divina Comedia,
proemio al Convito; il Witte e il Wer/ele la confessione
di Dante medesimo sopra una crisi profonda che attraverso
l'anima sua, il ritorno alla religione deir infanzia, dopa
aver indarno cercato nella scienza il riposo che cercava^
onde il titolo di Vita Nuova non significa per loro - ricorda
di fanciullezza, ricordo di (gioventù, vita f/iovanile, come
vuole la più parte de' comentatori, e segnatamente il Fra-
ticelli ed Emilio Anth, ma bensì con esaltezza maggiore:
vita nuova, vita fortificata daWesperienza ed illuminata dai
chiarori più puri, in breve vita trasformata, o direi con
Dante, quasi pianta novella rinnovellata di novelle frondi,
11 Giuliani poi, accostandosi al Trlvulzio, ritiene che Vita
Nuova non éebba intendersi: vita (jiovine o età della gio-
ventù, nò possa tanto meno significare età prima, eh' è quella
àaìV adolescenza, ma la rigenerazione in lui operata da A-
more, vita amorosa, la stessa vita nuova di che si parla
nel XXV. del Purgatorio; nella quale Dante ancor pauroso
della persona, sostenne una passion nuova, sicché nel pre-
sente libro intende solo trattare della vita amorosamente
vissuta con Beatrice, che in essa non s'avvisò neppur dice-
vole il trattare alquanto della partita che la sua donna fece
da noi V. N. % 29.
1293. A spese dell'arte di Calimala incrostato di marmi
bianchi e neri il tempio di S. Giovanni.
28 SPECCHIO CRONOLOGICO
(L'ultima notte di carnovale) Vanni Fucci, bastardo
{mulo) di messer Fuccio de' Lazzari, nobile pistoiese, ruba
il tesoro di S. Jacopo del Duomo di Pistola, ladro alla sa-
gristia di belli arredi, Inf. xxiv. 138. (il dossale, e il pal-
liotto d'argento, entrando in chiesa dalla porta grande
rimpetto l'aitar di S. Jacopo.) Il furto fu tentato ma non
posto ad efletto. (Y. Tiqri, Guida di Pistoia, p. 124.)
1294, 5 Luglio. Celestino V. ( Pietro da Murrone) romito
Abruzzese, assunto al Pontificato. Ei volle tra 'suoi Abruzzi, in
Aquila consagrarsi, e fissò la sede in Napoli. Non guari dopo
abdica al triregno per le male arti del card. Benedetto Gae-
tani, che a'24Decemb. gli è sostituito in Napoli, col nome
di Bonifazio YIIL [Villani, L. viii. e. 5.) Inf. iii. 59; Inf.
XIX. 52.
3 Maggio. Si fonda la chiesa di S. Croce in Firenze,
oggidì famosa per li grandi Italiani che vi ebbero pace [Vil-
//ul/e. lani, L. vili. e. 7. ; Mosè Filippo, Santa Croce di Firenze,
Illustrazione storico-artistica ecc. Firenze, 1845.)
Morte di Guittone (Guido) di Arezzo, dell'ordine
religioso e militare dei Cavalieri Gaudenti, dopo di aver
dato principio l' anno avanti alla fondazione del monastero
degli Angioli. A lui venne attribuita la gloria di aver per-
fejjionato il Sonetto^ dandogli una forma più regolare e di
aver dettato alcune prose nelle quali si cominciava a veder
qualche calore di eloquenza e stile ordinato.
Morte di ser Brunetto Latini, notaio ed ambascia-
tore del comune ad Alfonso di Spagna, esule dopo la bat-
taglia di 3Iontaperti per molti anni in Francia. Fu m.aestro
di Dante, scrisse in francese il Tesoro (voltato in italiano
dal fiorentino Bono Giamboni ), eh' egli chiama un arnia
di miele tratto di fiori diversi, e un composto delle più
preziose gioie dell'antico senno, opera enciclopedica che
comprende le scienze storiche, fisiche e naturali, le belle
lettere, e le scienze morali e politiche, lavoro meraviglioso
per quell'età; ad autore del Tesoretto, libro in versi
settenarii italiani, in cui ragionando di morale e di filosofia
naturale giovò assai alla lingua, volgendola a trattare le
gravi materie. Il Tesoro, e il Tesoretto furono ridotti a
miglior lezione, col soccorso dei Codici, e illustrati dall' ab.
DELLA VITA DI DAME. 29
G. B. Zannoni (Fir. Molini, 1824.). Vorrebbero alcuni che a
Brunetto debba attribuirsi la gloria di aver fatto a Dante
concepire il disegno della Divina Comedia, conciossiachè
il suo Tesorelto abbia la forma di una Visione, ove l'autore
si smarrisce per una selva, descrive i luoghi fantastici e
dipinge imaginevolmenle i vizi e le virtù. 11 31inich osserva
come molte nozioni astronomiche della D. C. si accordino
con quelle esposte da Brunetto nel L. II. del suo Tesoro,
«L'enciclopedia del Tesoro g del Tesoretto, dice S. Benato
Taillandier, sono definitivamente il poetico riassunto delle
ricchezze in cui Dante ha spigolalo a mani piene. Maravi-
glioso destino di quei due libri! il Tesoro è dedicato a San
Luigi, e il Tesoretto è stato il Manuale di Dante.»
129o. Morte di Carlo Martello.
Federigo III. d'Aragona comincia a regnare in Sici-
lia. Par. XIX. 130.
Morte di Taddeo, medico fiorentino, soprannominalo
ripocratista, celebre per le sterminate ricchezzze cumulate
con r arte sua. Par. xii. 80; Conv. 1. 10.
Marco Polo ritorna da' suoi viaggi. Il Taeffe, nel
suo commento di Dante, vuole che questo celebre viaggiatore
fosse legato in amicizia coH'Allighieri, e che da lui avesse
notizia di parecchi fenomeni astronomici, proprii del cielo
e della zona torrida.
Verso la fine del 1295 muore Forese Donali, con-
sanguineo di Gemma, moglie di Dante, ed a lui carij^imo.
Purg. xxii. 76.
Dante d'Aldighiero degli Aldùfhieri, poeta fiorentino
s'inscrive all'arte de' medici e degli speziali più prossima
a scienza. Che Dante si ascrivesse alla sesta delle selle
arti maggiori nel 1295, e non altrimenti, il Fraticelli lo
deduce dall' aver egli fatto parte del consiglio speciale, e
d' aver in esso aringato nel 1295 e 1296, come ricavasi
dalle provisioni della repubblica, lo che non avrebbe potuto
se prima non si fosse fatto ascrivere ad un' arte. Nella Sala
del B. Archivio centrale di slato di Firenze, tra le imagini
d'alcuni uomini celebri che furono descritti ad una delle
arti, vi ha pure quella di Dante con la leggenda: Dante
Allighieri Ned. Spes. M, CCXXXXVIL Anche in un Codice
30 SPECCUIO CRONOLOGICO
dell'Arte de' medici e de' speziali, che comincia dal 1297 o
va fino al 1300, a pag. 47 si trova il nome dell' Allighieri
inscritto nel 1297.
1295. Fiorisce Lapo Gianni, o sia Giovanni Lapo, notaio,
amicissimo dì Dante e di Guido Cavalcanti {Son. 3.). — Nel
Volf). El. 1. 13. Dante pone Lapo per uno dei conoscitori
del buon volgare; infatti le sue rime sono dettate in uno
stile assai terso, e le immagini afl'ettuose e gentili.
Fiorisce Gianni Alfani, lìorenlino, valente poeta.
1296. 25 Marzo. Federigo d'Aragona è proclamato re di
Sicilia a Palermo.
— — 19 Maggio. Morte di Celestino Y.
Discordie cittadinesche gravissime a Pistoia. Bian-
chi e Neri.
Muore Bono Giamboni Del Vecchio, giudice fioren-
tino (1262) del 'popolo di S. Brocolo {Villani, xii. 35), e nel 1282
del Sestier di S. Pietro, volgarizzatore del Tesoro di BruneUo
Latini, delle Storie di P. Orosio, dell' arte della guerra di
Yeqezio, della forma di onesta vita di Martino Dumense;
autore dell' Introduzione alle virtù, della Miseria dell'uomo,
e del Giardino di Consolazione.
Papa Bonifazio Vili accresce notevolmente l'Uni-
versità di Roma.
Musaici neir abside della chiesa di S. Miniato al
Monte.
1297. Secondo il Fraticelli scrive la IF e la lY^ parte
del Convito, la prima prosa severa che vanti la nostra fa-
vella, la prima che parli filosofìa, il germe delle sue ope-
re posteriori, enciclopedia della sapienza del suo secolo.
Il Foscolo vuole che rAiligiiieri componesse il Convito solo
ne' suoi 48 anni, dopo lo morte di Arrigo VII, quando egli,
senz' altre speranze probabili, travedeva e ritentava l'oppor-
tunità di tornare in Firenze [Sez. ci.) ; Emiliani Giudici nel-
r intervallo di tempo che si frappone fra la partita sua dagli
esuli e l'elezione dì Arrigo di Lussemburgo a re de' Ro-
mani ; Tommaseo sul torno del 1306 ; C. Balbo prima del
1305; il Witle nel 1308; Gregoretti, varcato il 45^ anno,
cioè dopo il 1310; lo Scolari la seconda parte nel 1292,
e la P e IIF nel 1313. A. Lubin vuole il secondo trattato
DELLA VITA DI DANTE. ti
anteriore al 1300; il IV scritto non prima del luglio 1301,
non dopo il 1308; il III dopo il 1300; ili eh' è l'introdu-
zione dell'opera intera, quando Dante avea già in pronto
la materia di lutti i quattordici trattati che doveano se-
guirlo, ai quali i^uUa più mancava che dare l'ultima mano,
e ritoccarli specialmente per migliorare lo stile, in un'epoca
di parecchi anni posteriore al 1310 [Intorno ali Epoca della
V. jS. con un appendice suW epoca dei trattati del Convito,
Graz. 1862). Il Perticari, seguendo il Villani (1), cominciato
solo ne' suoi ultimi anni, uè potuto per la morte finire ; il
Cento fanti vuole non solamente sia da porsi dopo la Vita
Nuova, ma necessariamente innanzi il poema, il cui finale
soggetto è il ritorno di Dante a Beatrice. Esso è II libro,
secondo lui, de' nuovi amori e dei nuovi studj del poeta,
quando la sua Beatrice è già morta, quando il fiore dell'e-
tà prima è passato, quando il frutto dell'età virile debbe
maturarsi col senno, il libro che rappresenta anzi costi-
tuisce quella filosofica disciplina dell' uomo che illustra
quella nuova poesia della vita, come la prosa della Vita
Nuova illustra la poesia di quella prima età. La Vita Nuova
fu scritta prima della sua entrata nella gioventù; il Con-
vito dopo che v' era entrato e ne avea r/ià trapassato l in-
gresso. {Antol. di Fireìize, Voi. XLV, Marzo 1832.) Il Pic-
chioni vuole scritto il I Trattato dopo il 1310, e nel IV
trova date storiche sicurissime per ritenerlo scritto oltre
dieci anni avanti (Gap. III e VI), e per di più ne trae con-
seguenza che le dottrine civili vennero dal sommo poeta
svolte nel Convito prima di esser mandato al confine. Ri-
tiene ile. 28 del Trattato IV scritto dall'Agosto all'Ottobre
(1) E cominciò un Commento sopra XIV delle sopraddette sue Canzoni
morali (molto eccellenti) volgarmente, il quale per la sopravvenuta morte
non perfetto si trova, se non sopra le tre; il quale, per quello che si
vede, alta, bella sottile e g-randissima opera riuscia, perocché ornato ap-
pare d'alto dettato e di belle ragioni lìlosolìchc ed astrologiche. Gioo.
Villani^ L. IX. e. 133.-Compose ancora un Commento in prosa in fiorentino
vulgare sopra tre delle sue Canzoni distese, comecché egli appaia lui
avere avuto intendimento, quando il cominciò, di commentarle tutte,
benché poi o per mutamento di proposito o per mancamento di tempo
che avvenisse, più commentate non se ne trovano da lui; e questo intitolò
Convivio, assai bella e laudevole operetta. Jiocc. Vita di Dante, p. 67.
32 SPECCHIO CRONOLOGICO
del 1298. - Che il li Trattalo sia scritto poco prima del
1300 Io lo riterrei, anche francheggiato dall' autorità di
Dante stesso, ove diversamente non si vogliano interpre-
tare queste parole: A'oi siamo all'ultima etade del secolo,
Conv. II. 15. — Il Convito avre!)l)e dovuto comporsi di XV
Trattati, quattordici de' quali servir dovefano ad illustrare
altrettante Canzoni d'argomento morale o filosofico. Conv.
i. 12. - La vivanda di questo Convito sarà di quattordici
maniere ordinata, cioè quattordici Canzoni sì d'Amore, come
di Virtù materiale Conv. i.ì; come un'altro dovea far luogo
d'Introduzione a tutta l'opera. Ch'egli avesse già ordita
tutta intera la tela di questa grande opera, e che non ci
mancasse che il mettervi la trama, è incontestato. Nel VII
Trattato ei dovea parlare anche della Fortezza e della Ma-
gnanimità (Co«y. vi. 26) ; nel penultimo, XIV. perchè fosse
trovato per li savi il senso allegorico, che vale quanto ve-
rità ascosa, sotto il manto della favola, o sotto bella men-
zogna {Conv. IV. 1.); e quivi pure più pienamente della
Giustizia, la quale è solamente nella parte razionale, ovvero
intellettuale, cioè nella volontà (Cony. 1. 12; iv. 27.); e nel-
l'ultimo Trattato riserbavasi trattare di quelle cose che
fanno raen belle e men gradite le virtù che sono beliate
dell'anima, come sarebbero la vanità e la superbia [Conv.
111. lo). La gran mente di Dante tracciava vasto il disegno.
Egli scrlvea, dice il Fraticelli, per far parte altrui dell'im-
menso tesoro delle sue cognizioni. Era un fiume che non
potea tenersi ristretto fra brevi argini e si distendeva per
valli e pianure, e discendeva per canali e rivoletti a fe-
C43ndar le campagne. Quest'opera, condotta che fosse stata
al suo compimento, ci avrebbe presentato insieme riunita
intera la sapienza di quell'età; età in cui prese la mossa
il risorgimento dell' umano sapere, ed in cui furono gettati
i fondamenti della nuova lingua e della nuova letteratura
degl' italiani. - Ben meritarono dell' accurata pubblicazione
del Convito gli editori milanesi Trivulzio, Monti, e Magfii nel
1826; il Pederzini nel 1831; il Witte, lo Scolari e soprat-
tutto il diligentissimo Fraticelli. La prima edizione del Con-
vito venne fatta in Firenze dal Buonaccorsi, 1409. (Basilea»
1557 ; Basilea, Oporino 1559, 1566 ; Strasburgo, Zetzzero,
DELLA VITA DI DANTE. 31^
1009; Ginevra, Gosse, (Venezia, Pasquali, 1740); Venezia,
Zana, 1760, 1772; Venezia, Pasquali, 1797 ecc.) - Il Convito
fu voltalo in tedesco dal KA^^EalESSER. Il Boutenceck a ra-
gione paragona questa opera di Dante ai migliori trattati
lilosoiici deirantichità [Gescìchte der schoenen Wissenchaften,
1. 1. p. 61.).
1297. Discordie di papa Bonifazio Vili coi Colonnesi e
con Filippo il Bello, il quale è scomunicato.
1298. Guerra fra Venezia e Genova. Battaglia navale
de' Genovesi a Curzola.
8 Settembre. A testimoniare la somma prudenza
d'un popolo di origine grande, scrive il Giuliani, dai più
savi di Firenze si ordina ad Arnolfo di comporre un disegno
della rinovazione di santa Ueparata con quella più sublime
magnificenza che inventare non si potesse né maggiore né
più bella dal potere degli uomini. Il memorabile decreto
conchiude: non doversi imprendere le cose del Comune, se
il concetto non è di farle corrispondenti ad un cuore che
vien fatto grandissimo, perché composto dell'animo di più
cittadini insieme uniti in un solo volere. 11 nuovo tempio
intitolavasi S. Maria del Fiore. ( Villani, L. vm. e. 9 ; Va-
sari, I. 254. )
1298-i;i0l. Giov. di Nicola Pisano scolpisce il pergamo
di S. Andrea di Pistoia, maraviglioso capolavoro del miglior
tempo della scoltura, e nel quale superò di gran lunga
quello del Battisterio di Pisa, fatto dal padre, ed ogni altro,
forse nel perfetto disegno, nella varietà dei gruppi, spesso
a tutto rilievo, non che poi nell' espressione, forza di sen-
timento, e Unitezza di lavoro.
30 Dee. Per lo comune e popolo si fonda il palaz-
zo de' Priori, oggi Palazzo vecchio. Era opinione che Arnolfo
fosse costretto fondarlo a smusso, perchè non avesse a
posare sul suolo occupato già dalle spianate case degli
liberti {Villani, L.\ ìli. e. 26.); opinione oggi dimostrata fal-
sa. Esso non uscì di squadra se non per le aggiunte che
si fecero dipoi. [M osé Filippo, Illustrazione del Palazzo dei
Priori, Firenze, 1843.)
Adolfo di Nassau, guereggiando per la dignità im-
periale, muore in battaglia, e gli succede nel regno il suo
Vtìi. 11. 3
34 SPECCHIO CRONOLOGICO
compelilore Alberto I che fu il secondo imperatore uscito
di casa d'Austria. Puro. vi. 97.
1299, 8 Maggio. Ambascieria di Dante al comune di S.
Gemìgnano, col quale stabili un accordo concernente alcuni
particolari della taglia guelfa. [Ex librìs Ileformationum
terrae S. Geminiani, tempore d. Mini de Tolomeis, De Senis
Potestatis).
Nicolò Acciaioli, d'accordo con M. Baldo d'Aguglio-
ne, altera il quaderno, il libro pubblico, staccandone una
carta, donde si potea aver la prova di una sua ingiustizia. -
Durante de' Chiaramontesi, doganiere e camerlingo della Ca-
mera del sale, toglie una doga dello staio per fare suo
profitto di tutto il sale o danaro che, vendendo, avanzava:
etade
Ch'era sicuro il quaderno e la doga. Purq. xii. 104.
A sostener lo puzzo
Del villan d'AgugUon, di quel da Signa
Che già per barattare ha l'occhio aguzzo. Par. xvi. 35.
1300. Focaccia de' Cancellieri, nobile pistoiese, mozza
una mano ad un giovanetto suo cugino per un' impertinenza
fanciullesca da lui commessa, e non contento di tale atroce
vendetta, corse a casa il padre dell'amputalo giovinetto,
che pur era suo zio paterno, e lo uccise. Del qual parri-
cidio ne derivarono le parti dei Bianchi e dei Neri, che
dapprima divisero Pistoia e poi Firenze (Cerchi e Donati).
Inf. XXXII. 63.
22 Febbr. Papa Bonifazio Vili bandisce il primo
Giubileo. ( Villani L. viii. e. 36. ) Inf. xxvu. 28. - Casella
muore in quel romeaggio. Purg. ii. 76.
Morte di Oderisi da Gubbio, famosissimo miniatore,
e che tenne fioritissima scuola in Bologna.
3 Aprile. Comincia l' imaginata azione del poema.
11 Gregorelti vuole la notte dello smarrimento nella selva
sia quella che precede la domenica delle palme, dal 2 al 3
Aprile, segnando il calendario gregoriano di queir anno la
pasqua nel giorno 10 Aprile ; il Torricelli ritiene il 3 Aprile,
dom. delle palme, come giorno proemiale al viaggio ch'ei
chiama dei sette giorni, assegnandone tre ore nel giorno
ottavo ; il Minich la notte tra la domenica delle palme ed
il lunedì santo, cioè tra il giorno 3 ed il 4 (Y. Appendice
DELLA VITA DI DANTE. 35
alle considerazioni sulla sintesi della div. coni. p. 42); VAr-
rivahene Ira il 4 ed il o; il P. Ponta [Orologio di Dante
Allighieri) fa cominciare 1' azione dal plenilunio di Marzo
(14 giorni di luna), cioè dal tramonto del sole del 2 Aprile,
sabato di passione, e a mano a mano ne descrive l'itine-
rario per i tre regni spirituali. F.Lanzi, nel suo Ordinamento
ond' ebbe Dante Allighieri informato le tre Cantiche (Roma,
1856) ci ritesse la Sinopi, il Diario ed Orario del viaggio
dantesco, e lo vuole cominciato la notte del Giovedì 7 Aprile,
e compiuto il 16 sabato di sera, e che vi consumasse 216 ore,
e da lui non si diparte il De Sanctis ; il Giuliani lo vuole co-
minciato il 14 Marzo; Thouar il 15; lo lineili, ed il Tommaseo,
suir orme del Boccaccio, lo vogliono invece avvenuto la notte
del venerdì della settimana di passione, 24 Marzo del 1301 ;
il Fraticelli, nella notte dell'ultimo giorno del 1300 al primo
del 1301 ab incarnatione, cioè nella notte del 24 al 25 Marzo
a nativitate; Donato Giannotti il martedì notte della setti-
mana santa, il P. Bartolommeo Sorio la sera dagli otto al
9 Aprile, dal venerdì santo sera al sabato santo ; P. Guerra
dopo le sei pomeridiane del Sabato di Passione 2 Aprile
1300, e compiuto dopo le sei pomeridiane del successivo
Sabato Santo 9 di esso mese, cosicché l'azione di questo
dramma sia rinchiusa nel breve giro di sette giorni. ( Viaggio
poetico di Dante Allighieri, Modena, Cappelli, 1859.) L'in-
signe astronomo Ernesto Capocci nelle sue Illustrazioni co-
smografiche della divina Comedia, Napoli, 1856, ci offre in
un quadro l'Itinerario, il giornale di tutto il viaggio, ciie
mi piace di riportare.
1. ;;iorno - 3« Domenica delle palme
ore Inferno
0. Notte - Dante smarrito in una selva oscura,
vaga per essa, giovandosi della luna piena . e. i.
12. Al far del dì trovasi a' pie d'un colle dilettoso,
la cui salita gli è impedita da tre lìere, che
lo risospingono a rovinar nella valle. Gli si
appresenta l' ombra di Virgilio, deputato da
Beatrice a salvarlo; esortandolo a seguirlo
pel cammino inferno^ donde lo guiderà al-
36 SPECCHIO CRONOLOGICO
r Empireo. Danle si muove e lien dietro a
Virgilio.
%ì. [Ripensa e si sgomenta; è riconfortato dal no-
vello suo duce, rivelandogli le tre donne
benedette che han di lui cura nel cielo, e la
discesa di Beatrice in inferno, per muoverlo
in suo soccorso e. il
II. giorno - 4, Lunedi (santo)
0. Principia la notte - Entra per la porta infernale
. a visitare le perdute genti .... e. in.
6. Mezza notte r Giunge, discendendo sempre
(4." cerchio guardato da Pluto) ove son pu-
niti gli avari e ì prodighi (fuori le mura della
città di Dite) e. vji.
12. Alba - Sono tra gli eresiarchi (dentro la città
di Dite) indi a poco e. xi.
— Pervengono più giù tra gì' impostori dell'arte
divinatoria (4." bolgia) e. xx.
18. Mezzodì - Ancora più giù, s'imbattono tra' fal-
satori ed alchimisti (10 bolgia) ... e xxix.
24. Termina il giorno -Sono giunti nel più profondo
dell' abisso, innanzi a Lucifero . . .e. xxxiv.
III. giorno - 5, Martedì (santo)
0. Principia la notte - Si aggrappano alle vellute
coste di Lucifero, e passano oltre il centro
della Terra, su per la verticale nell' altro
emisfero ........ id.v.68.
— Dopo un' ora e mezzo in circa si trovano sulla
piccola sfera, della faccia opposta alla Giu-
decca id.v.96.
24. Indi riprendono, girando, a montar su, e senza
aver cura d'alcun riposo riescono a riveder
le stelle, alla fine del giorno - Qui termina
la prima Gamica id.v.l39.
I¥. giorno - e, Mercoledì (santo)
ore PurgatoriQ
0. Alba - Questa seconda cantica principia col
giorno naturale agli antìpodi, che risponde
DELLA VITA DI DANTE. Tj
al princìpio del giorno artificiale del luogo
di partenza e. i.
— S'avvengono in Catone, che loro addita il da
. farsi per salire a' suoi 7 regni (il monte del
Purgatorio) id.v.31.
— Sta per sorgere il Sole - Sopraggiunge l'angelo
che traghetta le anime a quelle sponde . e. ii.
— E già sorto il Sole -Si mescolano con le anime,
ansiose coni' essi di salire il monte . . id.v.5a.
— Declina il giorno. Incontrano Sordello . . e. vi.
— Sta per finire. Questi li mena nel fiorito bur-
rone, ove son astretti ad attendere il nuovo
, giorno e. VII.
12. E già finito il primo giorno - Favellano alle
anime ivi raccolte. Vengono due angeli a loro
guardia, e fugano la biscia venuta a insi-
diarli e. vili.
16. Sono incirca le 3 in 4 della notte - S'inchina
in suir erba e si addormenta ... e. ix.
24. Sta per finire. Sogna deH' aquila che lo rapisce, id. v. 13.
%'. giorno - 7, Giovedì (santo)
0. Alba del secondo giorno - L' aquila, cioè Lucia,
lo porta suir estremo dell' antipurgatorio . id. v. 40
2. Già il Sole è alto più che due ore - Entrano
la porla del Purgatorio id.v.90.
o. Tramonta la Luna: salgono per una pietra fessa
sul primo ripiano ex.
(). Mezzodì - Un'Angelo gli addita la scala pel
secondo ripiano, cancellandogli il primo P dal-
la fronte e. xii
9. Vespro -Salgono il terzo ripiano, ove gli vien
parimenti cancellato un secondo P dalla
fronte e. xv.
IO. Il Sole si appressa al tramonto. Escono dal tristo
fumo, ove purgansi gì' iracondi . . .e. xvii.
12 E tramontalo - Si fermano Ira gli accidiosi .id. v. 70.
18. É mezzanotte - Rimangono tra gli accidiosi,
indi Dante si addormenta . e. xviu.
38 SPECCHIO CRONOLOGICO
24. Termin{\ la notte - Sogna la femmina balla . e. xix.
¥1. giorno - 8, Venerdì (santo)
0. È già spuntato il sole (terzo giorno). Si desta,
va tra gli avari, golosi e lussuriosi . . v.37.
5. Manca un'ora a mezzodì - Giungono all'albero
con pomi odorosi onde escono voci di tem-
peranza e. XXII.
8. Due ore circa dopo mezzodì - Trapassano dal
6.° al 7.*^ ed ultimo cerchio, sormontato da
fiamme c.xxv.
9, Si appressa il termine del giorno -Veggono tra
le fiamme i libidinosi divisi in due schiere
opposte e. xxvi.
11. Sta calando il Sole -L'angelo gì' invita a pas-
sar tra le fiamme, per giungere a Beatrice . e. xxvii.
12. Tramonta il Sole; son fuori del fuoco e si
fermano a pernottare su' gradini tagliati nel
sasso id. V. 68.
23. Sta per finir la notte -Gli appare Lia in sogno, id. v. 92.
24. È finita -Si desta e si leva con Virgilio e Stazio. id.v. 109.
VII. giorno - 9, fSabato (santo)
0. Principia il giorno quarto - Gmngono al Para-
diso terrestre in cima sul monte . . . c.xxviii.
6. Mezzodì - Matelda lo guida a bere del fonte
Eunoé, e lo rende puro e disposto a salire
alle stelle. Termina senz'altro il giorno e
la Cantica c.xxx.
vili, giorno - IO, Domenica (di Pasqua)
ore Paradiso
0. Sorge il giorno quinto - Lascia la terra e sì
slancia verso il cielo, trasumanalo, con Bea-
trice CI.
18. Guarda la terra, trovandosi col volgersi co' Ge-
melli, quasi sul culmine della gran secca . e. xxii.
24. La torna guardare, sovrastando a Cadice . e. xxvii.
Indi si avvia felice all' Empireo a prendervi la Pasqua
in compagnia « del sodalizio eletto alla gran cena del bene-
detto Agnello. )>
DELLA VITA DI DAME. 39
11 Capocci confessa di aver verificalo il giorno di Pasqua
in queir anno, e quello del plenilunio, donde deriva quanto
egli avea fermato nel quadro dell' Itinerario. L' istante del
plenilunio è dato dal calcolo per le 2 ore (da Parigi) dopo
la mezzanotte del 5 di Aprile, invece del 3; ma ciò prova
solo che un colale istante egli non l' avea certo osservato,
ma preso da' lunari del tempo, quando cominciò a scrivere
la grand' opera; se pur noi facesse scientemente, per com-
porre tutto quanto il suo poema entro i limiti della set-
timana maggiore.
15 Giugno. Dante entrò ne' Priori e vi stette sino il
15 Agosto. Ebbe a coleghi, come abbiamo dal Priorista au-
tentico della Signoria che si conserva nelle Riformagioni :
NolTo di Guido, Neri di messer Jacopo Giudice, Nello d'Ar-
righetto Doni, Bindo di Donato Bilenchi e Ricco Falconetti;
Gonfaloniere di Giustizia, Faccio da Micciole. « Tutti 11
mali, così egli in una sua lettera ricordata da Bruno Are-
tino, e tutti gì' inconvenienti miei dalli infausti comizj del
mio Priorato, ebbero cagione e principio; del quale Prio-
rato, benché per prudenza io non fossi degno, nientedimeno
per fede e per età non ne era indegno. »
Musaici della facciata di Santa Maria Maggiore
in Roma, fatti da Filippo Nossuti e terminati da Gaddo Gaddi.
Come si divulga in Firenze la nuova della venuta
in Italia di Carlo di Valois, i guelfi fiorentini veggono
arrivato il tempo della vendetta, prendono animo, e ragù-
nata gran ciurma nella chiesa di santa Trinità, giurano tutti
di profondere tesori, usare accorgimenti, tentare ogni via
perchè egli venisse a Firenze, col pretesto di fermare la
pace e ricomporre a buon ordine il governo, riputandosi
certi che parte bianca ne sarebbe per sempre disfatta.
Mandarono ambasciatori al papa, e ne ottennero l'assenso.
Bonifacio, che avea già creato Carlo conte di Romagna,
capitano dell'armi della Chiesa, e signore della Marca di
Ancona, lo investe del titolo di paciere, e lo invia in Firenze
col secreto comando di spegnere i Bianchi, e ridurre lailltà
tutta a parte guelfa. Dante, appena ebbe conosciuto le trame
de' Neri, e la deliberazione di chiamare Carlo in Firenze,
col santo anlore del cittadino che preveda la certa' ruìna
'lO SPECCHIO CRENOLOGICO
della patria, protestò contro lo iniquo proponimento, lo disse
congiura contro la salvezza della repubblica, e dichiarò di
opporsi con ogni sforzo, perchè il lupo non fosse introdotto
in mezzo all'ovile. Eletto ambasciatore a papa Bonifazio,
per islornare tal flagello, è voce che l' uomo grande, sen-
tendo in se tutta l'onnipotenza del suo intelletto, dicesse:
Se io vo, chi rimane ? s' io rimaiufo, chi va ? Bonifazio,
temendo non si rialzasse la parte Bianca, se Dante tornava
a Firenze, con buone parole lo ritiene presso luì. E però
di siffatta frode gli dà aspro rabbuffo, chiamandolo:
Lo principe de' nuovi Farisei, Inf. xxvii. 83.
1301, Gen. Morte di Guido Cavalcanti.
Cimabue lavora di musaico alla Tribuna del Duomo
di Siena.
Pitture a fresco di Giotto nel palazzo Lateranense
a Roma.
23 Giugno, l Bianchi ed i Neri rivengono alle prese,
incitati più che placati dalla mediazione del cardinale di
Acquasparta: i Priori, per non si mostrare di parte, man-
dano a confino alcuni tra i capi de' Neri, e alcuni de' Bianchi,
tra' quali Guido Cavalcanti, amico di Dante, genero di
Farinata, odiato da Corso. {Villani, L. viii. e. 42). In questa
occasione Guido, colto da gravissima infermità, contratta
dal pestilente aere di Serazzano (nella maremma volterrana)
scrisse la più affettuosa delle sue poesie ( Tu sentì, Ballatetta,
che morte...) ed è probabile ch'essa contribuisse a procacciargli
il richiamo dal bando. Questo atto d'umanità parve iniqua
predilezione a danno di molti prestanti cittadini, che, sospi-
rando, protendevano le braccia ai parenti e alla negata
patria, e perchè Dante era temuto e odiato da molti per la
inflessibilità del suo carattere, per la incorrotta rettitudine
delle sue azioni, il ritorno dell' amico gli fu apposto a par-
zialità.
Maggio. I Bianchi Pistoiesi, coli' aiuto de' Bianchi
Fiorentini, cacciano di Pistoia i Neri, i quali si rifugiano in
Figtt^e ( Villani, L. viii. e. 45 ), e accostati^ alla parte nera,
fawS sì che questa prevalga alla bianca. Venuta al potere,
cangia nella repubblica modi di governo e governanti. Onde
la repubblica fireritina, dominata dai Neri, delibera di muover
DELLA VITA DI DANTE. 41
le armi conlro Pistoia, perchè dominata dai Bianchi, ed a
meglio ottenere la vittoria si collega con quella di Lucca.
Capitano de' collegati fu eletto Moroello IV. Malaspina,
marchese di Giovagallo, figliuolo di Manfredi, e marito
di Alagia, in Lunigiana, nella vai di Magra, ond'egli da
Dante chiamato vapor di Valdìmagra. La battaglia av-
venne Tanno 1302 nel piano eh' è tra Serravalle e Monte-
catini, nel campo Pesciatino, ch'egli chiama Campo piceno.
/«/.VI. 66; XXIV. 142 - Spezzerà la nebbia allude all'antica
Vallis nebulae vai di nebbia poi vai di ISievole dalle nebbie
onde già fu ingombra per le sue acque stagnanti.
1 js^ov. Mentre Dante era in Roma, oratore a Bo-
nifazio Vili, Carlo di Yalois entra in Firenze: addì cinque,
riceve solennemente la signoria e la guardia della città:
Corso pure vi ritorna e la guerra civile seco: saccheggiate
ed arse le case de' Bianchi: una legge dona al podestà li-
cenza di chiamare a sindacato i fatti de' Priori, anche assenti.
( Villani, L. vili. e. 49 - Dino Compagni, L. ii.)
Morte di Alberto della Scala.
1302, 27 Gen. Caute Gabrielli d' Agubbio, podestà di
Firenze, condanna Dante all'esigilo. - Z>ow?)mm Palmerium
de Altovilis de sextu Burgi; Dante Alagherii de sextu S.
Petri Majoris ; Lippum Becche de sexlu Ultrarni; Orlanduc-
cium Orlandi de sextu Portae Domus. (Questa sentenza esiste
tuttavia nel libro del Chiodo delle Riformagioni, Capitoli,
Classe XI, disi. i. n. 19. a e. 2.): e solo nel 1772 fu scoperta
nell'Archivio della comunità di Firenze, dannato di bel nuovo
in contumacia il 10 Marzo, e ad esser arso vivo. - Con quella
stoltezza, eh' è la pena dell'odio, accusavasi il grande uomo
di baratteria, e notinsi le parole della sentenza: ex eo qnod ad
aures nostras, et curiae nostrae notitia, fama referente, per-
venit.-Egli che nota il villan... da Signa che già per barattare
ha l'occhio aguzzo; egli che nomina i barattieri accanto ai
mezzani, mercenarii d'amore, si vendica dell'accusa volgendo
in deriso i calunniatori con una di quelle ironie delle quali
egli era maestro potente per più di due canti continuata.
Jnf. XXI. xxii - Ed ei doleasi gagliardamente che nell'onore
dell' esiglio gli fosse accomunato quel Lapo Saltarelli che
poi nel Paradiso contristava d'infamia, xv. 128 - Gante Ga-
42 SPECCHIO CRONOLOGICO
brielli, carico d'oro, e delle maledizioni dei buoni e dei tristi
il dì 4 aprile 1302, abbandonava Firenze per altra non meno
onorevole commissione in Sicilia.
Carlino de' Pazzi dà per danari a tradimento il ca-
stello di Piano dì Trevigne a' Neri di Firenze, onde impri-
gionato il presidio ed impesine alcuni. ( Villani, L.vui. e. 53.)
Inf. XXXII. 69.
Folcieri de' Calboli, eletto Podestà in luogo di Gante
de' Gabrielli : corrotto con danaro dai capi di parte nera,
fa pigliare molti cittadini, di cui quelli avevano gelosia,
sotto pretesto che conspirassero co' Bianchi fuorusciti e li
dà al carnefice. ( Villani, L. vni. e. 59. )
Dante a Siena. Qui riseppe meglio le sue vicende
e della casa bruciata e de' terreni guasti in pian di Ripoli
e altrove. Scacciato dalla guelfa Siena, ripara prima a
Gargonza e ad Arezzo, ove di speranza in isperanza dimora
fino al 1304. Intanto che gli esuli fiorentini, senza nulla
concludere, si portano a Forlì, dov'era capo Scarpetta degli
Ordelaffi, caldissimo sostenitore de' Ghibellini in Romagna,
secondo il Troya, è spedito da' suoi compagni di esiglio
ambasciatore a Bartolommeo della Scala, il rjran Lombardo,
affine di ottener qualche aiuto al partito suo, e vi si trat-
tenne un certo tempo, accolto e trattato splendidamente
da quel Signore. Il Troya vuole vi si recasse il 7 Marzo
1304, ma io ritengo vi fosse nel 1303, perchè Bartolom-
meo morì nel marzo del 1304. Can Grande aveva allora
nove anni. Paracl, xviii. 18 - Una reminiscenza del sog-
giorno di Dante a Verona, e dell'aver quinci peregrinato
su per la valle d'Adige e nel Trentino trovasi nell'ibi/", xii.
4; rv. 7; XX. 61.
6 Nov. Il papa manda legato a moderare i Neri
quel medesimo cardinale d' Acquasparta, venuto già inutil-
mente l'anno innanzi a moderare i Bianchi.
1303, 3 Marzo. I fuoruscili, assembrati a Mugello, pren-
dono il borgo e poggio di Puliciano, e pongono l'assedio
ad una fortezza che teneano i firentini, ma vengono dispersi,
ed alcuni presi e decapitati. [Villani, L. viii. e. 60.)
Alberto d'Austria invade e diserta la Boemia. Par.
XIX. 115.
DELLA VITA DI DANTE. 43
7 Sellembre. Bonifazio, imprigionalo in Anagni,
per ordine di Filippo il Bello, re di Francia. Sciarra Colonna
ed il Nogareto, regolatori dell'assalto contro il Pontefice.
Bonifazio tanto dolore ne prese da averne spenta la vita il
dì 11 Ottobre 1303 ( Villani, L. viii. e. 63 - Dino Compagni,
L. II.) Piirg. XX. 8o.
22 Ottobre. Nicolò Boccasini, da Trevigi, frate pre-
dicatore, ascende il soglio papale col nome di Benedetto XI.
[Villani, L. vili. e. 66.)
1304, 10 Marzo. Nicolò Albertini da Prato, cardinale
d'Ostia, gran politico e nemico del furor delle parti, in
qualità di ambasciatore, è inviato da papa Benedetto XI ai
fìrenlini, onde li persuadesse a metter giù gli odii ed a
raccogliere in patria gli esuli che pure erano fatelli. Giunto
a Firenze il dì 10 Marzo, scrive a' fuorusciti di Arezzo, pro-
mettendo loro che sarebbero pienamente riamessi negli an-
tichi diritti, e che sarebbe loro ridonata la patria secondo
i medesimi lor voti. Dante, non solo a nome del co. Ales-
sandro Guidi da Romena, ma altresì del consiglio de' dodici
ghibellini, di cui egli faceva parte, ne detta la risposta.
{S. Opere minori di Dante Allighieri, per cura di P. Fraticelli,
v. IH. p. 438. ) Quantunque a' dì 26 aprile, raunato il popolo
sulla piazza di S. Maria Novella, le famiglie nemiche, con
rami di ulivo in mano, si pacificassero, pure le benevole
intenzioni del cardinale e gli ardenti voti de' fuorusciti non
sortirono alcun efletto. Dopo alcunrmesi d'inutili trattative,
il Cardinale minacciato dovè lasciare la città ( 4 Giugno ),
lanciandole contro l'interdetto. [Villani, L. viii. e. 70.) -
Con questo giorno l' Allighieri, sfidato d'ogni speranza,
credette che veramente fosse incominciato il suo esigilo.
Inf. X. 74. 81.
1 Maggio. Gli abitanti di borgo San Friano hanno
la bizzarra idea, di fingere nell'Arno l'Inferno sopra barche
e navicelle, con fuochi e demonj orribili a vedersi e con
tormenti ed uomini nudi a guisa di anime tormentate que-
relantesi con altissime strida. Il ponte alla Carraia, il quale
era allora di legname da pila a pila, sì carico di tanta mol-
titudine accorsa a quello spettacolo, minato in più parti,
cagionò l'eccidio di molla gente. [Villani, L. viii. e. 70.) -
44 SPECCUIO CRONOLOGICO
Forse, scrive il Minich, la luttuosa catastrofe per la ruiiia
dei ponte alla Carraia sotto il peso dtella folla che assisteva
al tìnto spettacolo de' supplizj inflitti da' demonj agli spi-
riti dannati, scosse la mente dell' AUighieri, e lo indusse
alla scelta del soggetto del suo poema.
5 Giugno. Filippo il Bello che avea pur dianzi
coperta d'insulti la Chiesa di Dio, forza il conclave perchè
la dignità pontificale venisse conferita ad un suo suddito.
Il nuovo papa fu l'arcivescovo di Bordeaux, Bertrando de
Got di Guascogna che prese il nome di Clemente V. Ab-
bindolato egli dal re francese, trasse prigioniera in Avignone
la sedia pontiticale. [Villani, L. viii. e. 80 - Y. Rahanis, Cle-
ment V et Philippe le Bel, Paris, 1858 - Lettre a M. Ch.
Daremberg su l'entrevue de Bertrand de Got avec Philippe
le Bel. 1858 - Christophe, histoire de la Papauté pendant le
XIV siede, Paris, 1853. Voi. 1. 178 e seg. (trad. in ted. dal
Bitter, Paderbona, 1853) ; Ab. Lacurie, Dissertation sur l'en-
trevue de Philippe-le-Bel et de Bertrand de Got, Saintes ;
Ab. André, Histoire politique de la Monarchie pontificale
au W siicele ^ ou la Papauté à Avignon, Paris.)
20 Luglio. Nascita di Fr. Petrarca.
21 Luglio. Sciaguratissima impresa (Baschiera Tosin-
ghi) alla Lastra, sopra Montughi, a due miglia da Firenze,
capitanata da Alessandro dei conti Guidi, signori di Romena
nel Casentino {Villani, L*. viii. e. 72). Poco dopo la rotta
della Lastra, Dante male'dicendo la mallezza de' suoi com-
pagni di esigilo {Par. xvii. 61.) va allo studio di Bologna,
e vi rimane probabilmente non oltre il 1.*^ Marzo 1306, in
che i Bolognesi, riaccostandosi ai Neri di Firenze, cacciarono
i fuorusciti Bianchi, e furono interdetti e privati dello Studio
da un legato pontificio.
27 Luglio. Morte del santo pontefice Benedetto XI
in Perugia, per veleno, forse propinatogli d'ordine di Fi-
lippo il Bello. 11 P. Marchese la vuole avvenuta il 4 Luglio
1304 {Villani, L. vui. e. 80).
1305. Lettera di Dante, diretta ad Oberto e Guido dei
Conti Guidi, nepoti del conte Alessandro da Romena, per
condolersi della morte del loro «io Alessandro, esortandoli
a farsi eredi delle di lui virtù, com'essi erano eredi delle
DELLA VITA DI DAME. 41)
sue fortune. Il Wilte opina che la lettera sia stata scritta
fra gli anni 1308 e 1311. [1 Fraticelli ne assegna invece
quest'epoca - Y. Dante, Opere minori, v. ni. p. 445.
Scrive il primo libro de Vulgarì eloquio, primo
documento della storia delle lingue. Incominciando egli dal-
l'origine di ogni parlare umano e dalla divisione delle lin-
gue, ei tratta queste due altissime questioni di filosofìa e
di linguistica, se non adeguatamente almeno non falsamente.
Venuto a' dialetti dell'Europa romano-barbara li divide in
tre, secondo le affermazioni dell' of, oe'il e sì; fermasi su
questo ultimo, eh' è l'attuale de' popoli italiani. Investiga
l'indole e la condizione de' quattordici dialetti allora parlali
nella penisola, e li esamina tutti, e tutti li combatte,
rigido di soverchio verso la sua Firenze, negandole non
pure il privilegio di dare il nome alla lingua, ma la fa-
coltà di arricchirla più facilmente col suo dialetto; lo che
è troppo; ma ei forse facealo pel solo desiderio di formare
una lingua comune all'Italia, e di creare al pensiero nazio-
nale un elevala maniera di esprimersi; e così ei prende a
mostrare che la vera italiana favella non è né losca, né
lombarda, né d'altra provincia, ma una sola, e di tutta la
terra - ch'Appenin parte e il mar circonda e l'alpe. - In-
segnando a' suoi coetanei, come questo idioma illustre, fon-
damentale non avea nessun limite, ma faceasi bello di ciò
ch'era migliore in ogni dialetto, egli cercava di soflbcare
ogni contesa di primato in fatto di lingua nelle varie Pro-
vincie, ed insinuava l'alta massima, che nella comunione
reciproca dell'idee sta gran parte de' progressi dello spirilo
umano. Nel II libro, non compiuto, ei cerca per quali per-
sone e di quali cose abbiasi da' poeti scrivere nel volgare
illustre, e specialmente lien discorso della Canzone, il modo
più nobile che per lui si cercava. Egli é gravemente a do-
lersi, scrive il P. Ponta, che quest'opera sia rimasta im-
perfetta. Se compievasi. Dante assegnava le regole al volgare
di qtial sia composizione, sino al parlare d'una sola fami-
glia; dei quali tutti si fa uso nella Comedia, chi ben ne
cerca. - Del disegno di quest'opera, non ancora incarnalo,
ce ne fa egli parola nel Tratt. I. del Conv. §.5: » di questo
gi parlerà altrove più compiutamente in un libro ch'io in-
46 SPECCHIO CRONOLOGICO
tendo di fare, Dio concedente, di Volgare eloquenza. Dei
quattro libri che doveano comporlo [De Vulg. El. L.n. e. 4.)
non ne scrisse che due soli (1). Che il trattato de Vulg. El.
fosse scritto da Dante nel suo esigilo egli è fuor di dubbio,
perch'ei slesso ce lo dice. (L. i. 6, 17.) - \\ Balbo lo vuole
cominciato nel 1304, e che prima del Gennajo 1305 giugnes-
se sino al e. xi. del libro 1; trovandosi in questo mentovato
come vivo tuttavia, Guglielmo marchese di Monferrato, che
morì in quel mese. Ritiene inoltre ch'ei lo dettasse a Bo-
logna per le molte lodi che ne dice, e pel magnificare ch'ei
fa sovra tutti il suo dialetto. Il Fraticelli vuole scritto il
libro dal 1305 al 1306, ed il secondo non più tardi del 1307.
L Emiliani Giudici, sull'autorità del Villani e del Boccaccio,
lo ritiene scritto a Ravenna. Lo Scolari al contrario ne im-
pugna l'autenticità.
Solo nel 1529 fu pubblicato in Vicenza in volgare, ma
senza nome di traduttore ; la versione fu ascritta al Trissino.
{\. Foscolo, Discorso sul Tes'o, cxxvi.) Il testo latino vide
la luce nel 1577 in Parigi per Jacopo Corbinelli, da un co-
dice ritrovato a Padova, di proprietà di Pietro Del Bene,
fiorentino. Fu esso tradotto in tedesco, da C.Kankegiesser,
Lipsia 1845: l'argomento illustrato da C.L. Ferkow: Ueber
die Mundarten der ital. Sprache (Sui dialetti della lingua
italiana, nel libro: Romische Studien, Zurigo, 1808, voi. ni.
p, 211. e seg.); dal Fughs : Ueber die sogenannten unregelmàs-
Mgen Zeilwbrter in d. roman. Sprachen, nebst Andeutungen
iiber die wichtigsten roman. Mundarten (Sui verbi così detti
irregolari nelle lingue romanze, con osservazioni sui dialetti
romanzi più importanti; Berlino 1840); e da L. G. Blanc:
Von den italien. Mundarten ( nella Grammatica italiana, Halle,
(1) Fece un libretto che intitola De Vulfiari Eloquio, ne promette fare
quattro libri, ma non se ne trova se non due, forse per l' affrettato suo
fine,, ove con forte e adorno latino e belle ragioni riprova tutti i volgari
d' Italia. Villani, ix. 135. - Già vicino alla sua morte, compose uno libretto
in prosa latina, il quale egli intitolò De vulgari eloquentia, dove inten-
deva di dare dottrina a chi' imprendere la volesse, del dire in rima; e co-
mecché per lo detto libretto apparisca lui avere in animo di dovere
in ciò comporre quattro libri, o che più non ne facesse dalla morte
soprappreso, o che perduti sieno gli altri, non appariscono che due so-
lamente. Boccaccio, Vita di Dante, p. 67.
DELLA VITA DI DAME. 4i
18i4, pag. 622, 677.) - V. iMcolini, Considerazioni intorno
agli asserti di Dante nel libro della Volgare Eloquenza ecc.
Nicolini, Opere, in. 137, 168; Pertìcari, Dell'Amor patrio
di Dante AUigliieri, e del suo libro intorno il Volgare eloquio.
1306. Dante a Padova, e vi chiama Pietro, figliuol mag-
giore, c\ìQ l'accompagnò poscia a Ravenna. Certo il 27 Agosto
fu testimonio ad un contratto, rogato nella contrada di S.
Martino, in casa Papafava, praesentihus Dantìno quondam
XlUqerii de Florentta et nunc stai Padue in conlrata S.
Laurentii Si vuole che quivi innamorasse di Madonna Pie-
li-a degli Scrovigni. - La casa abitata dal poeta è l'antichis-
sima casa Carrarese a S. Lorenzo, per via di donna venuta
ai Gualperti, indi ai Lazzara, Querini, Contarini, oggidì Jacur.
Vi si legge l'iscrizione dettata dall'egregio Leoni: Fazioni
e vendette - Qui trassero - Dante - 1306 - Bai Carrara dai
Giotto - Ebbe men duro esilio.
Ottobre. È ospitato dai Marchesi Malaspina {il ramo
(ÌqWo spino fiorito) in Lunigiana. [Purf/. vii. 133) - InMulazzo,
nel vecchio Castello, si mostra ancora un resto di torre
che chiamasi la torre di Dante, e lì presso una casa che
conserva sempre il nome di lui. - Benvenuto da Imola ed
il Boccaccio nella vita di Dante riferirono che i primi sette
canti del poema furono preservati nell'occasione del sacco
dato alla casa di Dante in Firenze, e che questi furono
inviati all'autore nel tempo del suo rifugio presso il Mar-
chese Moroello Malaspina. Quindi lo stesso Boccaccio credette
di trovare la giuntura che annoda il C. viii. delia prima
Cantica co' precedenti nelle parole con cui incomincia il
canto medesimo: lo dico seguitando. Anche Leonardo Aretino
asserisce nalla sua Vita di Dante che TAUighieri intraprese
la divina Comedia prima di essere cacciato in esigilo : L'Ai -
rivabene vuole ne avesse scritto dieci canti : Ma il Minick
appoggiato a validissimi argomenti, trova preferibile l'opi-
nione che Dante avesse intrapreso il suo poema nella forma
presente, con unità di concetto e di scopo, soltanto dopo
r esigilo, e che quindi ei mutò e rifuse essenzialmente quei
primi canti, ovvero li riprodusse sotto altro aspetto, e con
nuovo intendimento. - Morocllo, uiiitamante a sue fratello
Corradlno, ed al suo cugino Franceschino di Mulazzo, con-
48 SPECCHIO CRONOLOGICO
sliluiscono nel 6 Ottobre Dante Allighìeri in loro procuratore
per la pace da farsi tra essi ed il vescovo di Luni. Abban-
donala la corte di Moroello, innamora di un alpigiana ca-
sentinese, e gliene scrive. 11 componimento poetico di cui
fa cenno la lettera di Dante, secondo il Witte ed il Fraticelli,
è la Canzone viii: Amor, dacché convien pur ch'io m doglia:
{Dante, Opere, Minori, Y. I. p. 139); Lettera di Dante a
Moroello Malaspina, Dante, Opere Minori, Y. ni. p. 450) -
Emanuelle Gerini nelle sue memorie storiche della Luniqiana
vuole che l'ospite di Dante sia stato il Marchese di Giova-
gallo, marito d'Alagia del Fiesco; Tommaseo, il figliuolo
di Alberto, il Marchese Yalditrebbia, a cui fa tenore Eugenio
Branchi {Piovano Arlotto, Sett. 1859); il Fraticelli, invece
Moroello di Yillafranca.
— Morte di Fra Jacopone da Todi. Yedi il Cantico
riportato dal Nannucci, Manuale della letter. del I.^ secolo,
Yol. I. p. 387, da lui composto nell'estreme ore di vita,
modello di estemporanea poesia, nella quale, vedesi avverato
il favoloso canto de' cigni, che diconsi allorché muoiono, più
soavemente cantare.
1307. Dante si porta in Mugello, ove interviene ad un
congresso di Bianchi fiorentini nella chiesa abbaziale di S.
Gaudenzio. Il nome suo sta scritto con altri venti in uno
strumento rogato da ser Giov. d'Ampinana, in forza di che
i più agiati fra gli esuli si obbligavano di rifare le case
degli Ubaldini d'ogni spesa, che avrebbe potuto incorrere
nell'impresa di togliere il governo del comune dalle mani
de' Guelfi. L' impresa che allora medita vasi era contro il
castello di Monte A^^cianico. Il documento originale, tratto
dall'archivio di Firenze fu pubblicato dal Pelli. - Grande
questione è slata fatta intorno la data di questo documento.
Il Brocchi, il P. Idelfonso, il Pelli lo riferiscono all'anno
1307; il Troya ed il Balbo al Giugno del 1304; il Frati-
celli poi dalle parole del documento: occasione guerrae
factae vel faciendae per Castrum montis Accianighi lo ri-
tiene indubitatamente del Giugno 1306.
In quest' anno Frate Dolcino, scismatico, stretto
dalla fame e dalla neve, fu preso con tutti i suoi seguaci
presso Novara, e con Margherita, sua compagna, secondo
DELLA VITA Di DANTE. 49
il barbaro coslume di quei tempi fu arso vivo. {Villani, L.
vili. e. 84; Krone, Fra Dolcino ecc., Lipsia, 1844; Schlosser
C. F., Abàlard und Dukin, ecc. Gota, 1807.) /w/". xxviii. 55.
Dante a Forlì presso Scarpetta degli Ordelaffi,
Capitano generale dei Ghibellini. Secondo gli storici Flavio
Biondo, Paolo Bonoli, Giorgio Viviani Marchesi nel 1308 ne
divenne suo segretario.
1308. 1.*^ Maggio. Alberto d'Austria assassinato dal suo
nepole Giovanni d'Austria. Dante fa che l' uccisione sia
giudìzio divino, predetto da' morti ad esempio di Arrigo
di Lussemburgo, suo successore all'impero, /^wrr/. vi. 86.
6 Ottobre. Corso Donati, consanguineo di Gemma,
moglie di Dante, e fratello di Forese Donati, sovvertitore
della moltitudine contro le antiche famiglie, principe Clelia
fazione che decretò l'esiglio dei ghibellini, ammogliatosi
colla figlia di Uguccione della Faggiuola, cade in sospetto
di aspirare alla dittatura: citato a scolparsi, si difende
coir armi, finche abbandonato da molti, si dà alla fuga:
raggiunto presso San Salvi, fuori di porta alla Croce, da
alcuni soldati Catalani, è per loro ucciso. E" pare che nel
cadere gli restasse un pie nella staffa, e che il cavallo lo
trascinasse moribondo per alcun tratto. [Villani, L. viii. e.
96.) Purff. XXIV. 74.
In sullo scorcio dell'anno 1308 Dante compie la Cantica
dell'Inferno. Il Troya vuole che dal 1304 al 1305 egli abbia
composti 0 piuttosto ritocchi i canti che dal sei vanno al
dieci, e che vi abbia chiamato sulla scena quell'ignobile
Ciacco e quel magnanimo Farinata, come due punti estremi
della miseria e della grandezza dell'uomo. Vuole inoltre che
componesse i sei che vengono appresso nel 1305, avendo
tuttavia stanza nel Casentino, presso il co. Guido Salvatico,
padre di Ruggiero, conte di Dovadola ; e che pur nel 1305
nel castello della Faggiola, sul Conca, dettasse il xjx in
che accenna l' elezione di Clemente V, apparendovi ben re-
cente il cruccio del poeta contro la laida opra e il reggitor
di Francia. Dal 6 Ottobre 1306, in cui era ospite di Fr. Ma-
laspina, Marchese di Mulazzo, e presso i cugini di lui Cor-
radino e Moroello di Villafranca, secondo lo stesso Troya,
furono scritti i canti dal 20 al 26. 11 ricordo dei tristi casi
VoL. II. 4
30 SPECCHIO CRONOLOGICO
di fra Doloino, che il poeta fa predire da Maometto, ci
darebbe argomento com'egli nell'estate del 1B07 fosse giunto
presso il line della Divina Comedia, cioè al Canto xxvjii,
mentre viveva in Forlì presso gli Ordelaffi. Di fatti d'altro
più non si parla che della Romagna nei 4 canti dal xxvii
al XXXI dell'Inferno: ivi l'episodio appartenente a Guida
di Montefeltro; ivi s'odono le predizioni di Pier da Medicina
della terra latina; ivi le lodi degli Ordelaftì e de'Polentani;
si preveggono i tradimenti di Malateslino, caro, prima del-
l'esigilo a Dante, ma ora nel 1307 fieramente e giustamente
da lui odiato; ivi l'ammirabile descrizione dello stato po-
litico di Romagna, qua! era nel 1300, e s'ode il ferocissimo
desiderio di Mastro Adamo di veder giugnere in inferno i
conti Guido ed Alessandro di Romena. I tre ultimi canti
dell'Inferno contengono un altra rimembranza di Romagna,
il delitto, cioè, di frale Alberigo Manfredi di Faenza. Secondo
lo stesso Troya, Dante pubblica l'Inferno nell'Ottobre del
1308, prima d'incaminarsi alla volta di Parigi, un 40 giorni
prima dell'elezione di Arrigo VII ad imperatore di Germa-
nia. - La divina Comedia lino al C. xvi ricorda sovente con
tenera cura i luoghi veduti dal poeta di là del Po, quando
l'Allighieri ebbe il suo primo rifugio presso il gran Lom-
bardo nel 1303; ricorda le Alpi di Chiarentana (/w/". xv. 9.},
il corso dell'Adige {Inf. xii. 3), e del Brenta [Inf. xv. 7), i
giuochi ed i premi del drappo verde di Verona. [Inf.xv.
122.) Nel xvu si prolungano le ricordanze di Lombardia.
Nel solo XX il territorio di Brescia, i confini del Veronese, la
fortezza di Peschiera, il lago di Garda, il Mincio che cade
in Po, le paludi mantovane, la dominazione tolta da' Buo-
naccolsi a' Signori di Casalodi, sono argomenti di versi
bellissimi, che riconducono il pensiero di Dante al primo
ostello, presso Bartolommeo della Scala. E tosto s'incontra
la bellissima descrizione dell'Arsenale, da- lui osservato in
Venezia, (/n/". XXI. 7.) La Lunigiana, ov'egli si aggirava nel
1306 presso i Malaspina, forni vagli versi non meno belli
nel suo contemplar l'alpi Appenine, sovrastanti a Carrara
ed a Luni, là dove l'etrusco Aronte abitò la spelonca fra
i mairmi, {Inf. xx. 46.) Cosi sino al xxvi si rintraccia Dante
in Lombardia ed in Toscana, dal 1302 al 1306 ed al prin-
DELLA VITA DI DAME. 51
cipìo del 1307. Vi si scorgono inoltre gli scolpiti sdegni
contro Bologna, che nel 1307 scacciò i Bianchi dal suo seno,
per danari avuti da' Fiorentini... Recati a mente il nostro
avaro seno [Inf. xviii. 63.), rampogne generali, a cui tengono
dietro le particolari contro Venedico Caccianemici e contro
i Frati Godenti Catalani Malavolti e Loderingo degli Andalò.-
L' Inferno fu dedicato, secondo il Troya, ad Uguccione della
Faggiuola.
5 Gennaio. Incoronazione di Arrigo VII in Aquisgrana.
Dopo l'interregno d' un'anno, anche a sollecitazione di Cle-
mente V che lo avea additato agli elettori come il mifjliore
uomo di Lamagna, il più cattolico, da venir a grandissime
cose, era egli stato eletto ad imperatore il 27 Nov. 1308.
( Villani, L. vili. 102; L. ix. e. i. ). Nel mese di Agosto del 1309
ad Heilbronn riceve la risposta di Clemante V che assentiva
di coronarlo ad imperatore. (Bolla, Divinae sapientiae.)
Dante nel Monastero di S. Croce del Corvo, che
apparteneva all'ordine de' Benedettini, vale a dire di quel-
l'ordine, di cui il fratello d'Uguccione era uno de' superiori,
e dì cui Uguccione stesso era giusdicente o vicario o feu-
datario. Interrogato da frate Ilario, priore di quel cenobio,
ciie dimandasse? rispondeva pace. E nel partire lasciavagli
un'esemplare dell'Inferno affinchè serbasse di lui più ferma
memoria. - Famosa lettera di Fra Ilario ad Uguccione della
Faggiola, impugnata dal Witte, dal Prof. Venturi, dal Prof.
Centofanti, sostenuta dal Troya, dal Balbo, dal Minich, dal
Fraticelli, e da ultimo da Eugenio Branchi. {Lettera di Eu-
genio Branchi a Pietro Fraticelli, il Poliziano, Maggio, 1859.)
Di Lunigiana parte alla volta di Parigi. Passa per
le due riviere, di che è chiara reminiscenza quel passo,
in sul principio del Purgatorio, ove nomina i due punti
estrerai di quella marina (^m?v/. in. ^9) ; e l'altro, dove
accenna, come una delle più scoscese, la discesa di Noli
{Purg. IV. 25). -Nella contrada di Fouarre {Itue du Fouarre,
presso alla piazza Mauhert) sullo strame, dove sedeva la
turba degli studenti, egli, alunno immortale, interviene alle
lezioni del Prof. Sigieri, cui salvò dall' obblio. /'ar. x. 137.
a Essendo egli a Parigi, e quivi sostenendo in una dl-
sputazionc De Quolibet, che nelle scuole della Teologia si
52 SPECCHIO CRONOLOGICO
faceva, quattordici questioni da diversi valenti uomini e di
diverse materie, cogli loro argomenti e prò e conlra fatti
dagli opponenti senza mettere in mezzo raccolse e ordina-
tamente come poste erano state, recitò quelle; poi quel
medesimo ordine seguendo, sottilmente solvendo e rispon-
dendo agli argomenti contrari : la qual cosa quasi miracolo
da tutti fu reputata. » Bocc. Vita di Dante, 40.
Morte di Carlo III di Napoli. Roberto d'Angiò,
usurpa il trono a' suoi nepoti, figli di Carlo Martello. Par.
vili. 75.
1310. Alla novella che Arrigo VII era in sulle mosse
per calare in Italia, Dante accendendosi di nuove speranze,
e vagheggiando il trionfo del proprio partito, indirizza una
lettera ai due re di Napoli e di Sicilia, Roberto e Federico,
ai Senatori di Roma, ai Duchi, Marchesi e Conti, ed a' po-
poli tutti d'Italia. In essa esorta le genti a dimostrarsi
fedeli al nuovo principe, perciocché chi resiste alla podestà
imperiale resiste agli ordinamenti di Dio. - Y. Dante, Opere
Minori, Y. iii. p. 462.
Ser Zucchero Bencivenni trasporta in volgare fio-
rentino l'Opere di Pietro Crescenzio: Delle bisogna delle
ville.
( III idus Martii) Morte di Arnolfo.
Ottobre. Arrigo discende in Italia. - In questa
occasione Dante a rafforzare il Ghibellinismo, pubblica il suo
trattato De Monarchia; la vera e grande inspirazione di
quella mente potentissima, superiore alle superstizioni legali
dell'epoca, in cui se vi ha la cieca riverenza del passato,
e quella persuasione cavalleresca che teneva infallibile la
spada - quod per duellum acquiritur de jure acquiritur -
ma vi ha anche la coraggiosa tesi della indipendenza del
potere civile, e l'altissima e nuova idea di una politica cui
l'accentramento universale di tutte le forze deve esser
mezzo a promuovere V utile della civiltà, la potenza intellet-
tiva di lutto il genere umano. - Il Trattato de Monarchia fu
levato a cielo e bistrattato, secondo le passioni de' critici.
Strana abberrazione di mente dello spirito ghibellino ,.,. un
tessuto di sogni (Yita di Dante, L. ii. 11,), mediocre libro,
(Sommario della gloria d'Italia p. 258.) lo dice il Balbo;
DELLA VITA DI DANTE. 53
abbiettissimo libro \ì Cantù {Margherita di Pusleiia) ; teorica
del qhibeUinismo, e socfno eroico il Gioberti ; la produ-
zione più meditata, più candida, eloquente e dirittamente
politica che si fosse a quel tempo scritta intorno alla fa-
mosa controversia dalle più forti potenze intellettuali dei
medio evo, V Emiliani Giudici ( Storia delle Leti. Ital. 1. 167.) ;
il primo libro, nel quale le scienze sociali abbiano posto in
alleanza tra loro i bisogni della speculazione e quelli della
esperienza, il prof. Curmignani; saggia teoria delle costi-
tuzioni del santo Impero, che riunendo l'ordinamento della
Europa cristiana alle tradizioni dell'antico romano impero
cerca alla fine nella profondità de' consigli providenziali
le ultime origini del potere e della società, VOzanam. Morto
r Allighieri, questo libro fu invocato da Lodovico il Bavaro,
al quale era indiritto, e che nel suo ghibellinismo violava i
diritti della sede con le ambizioni della corte; onde il libro nel
1328 « fu dannato da messere Beltrando cardinale del Pogget-
to, e legato del papa nelle parti di Lombardia, sedente papa
Giovanni XXII — e non essendo chi a ciò si opponesse,
avuto il soprascritto libro, quello in pubblico, siccome cose
eretiche coiHenente, dannò al fuoco. E '1 simigliante si sfor-
zava di fare delle ossa dell'autore, a eterna infamia e
confusione della sua memoria, se a ciò non si fosse opposto
uno valoroso e nobile cavaliere fiorentino, il cui nome fu
Pino dalla Tosa, il quale allora a Bologna, dove ciò si trat-
tava, si trovò, e con lui messer Ostagio da Polenta, potente
ciascuno assai nel cospetto del cardinale di sopra detto. »
{ Boccaccio^ Vita di Dante, p. 60. ) Alcune preposizioni però
furono dannate dal Concilio di Trento. - 11 Wegele ed
il Witte vogliono che questo trattato sia stato scritto da
Dante prima dell' esiglio; il Witte, poi lo vuole una delle
prime opere di Dante, un'opera che appartiene alla Vita
Nuova, e sviluppa le ragioni che lo muovono ad assegnare
una data già di gran lunga anteriore a quella che general-
mente gli si attribuisce, cioè agli anni 1310-1313. Il Fra-
ticelli vuole bensì sia scritto prima del Volgare eloquio, del
Convito e della Comcdia, ma non già innanzi al suo esiglio.
U. Foscolo, il Troya, il Bianchi nel 1312, nel suo sog-
giorno a Pisa. La prima edizione della Monarchia venne
54 SPECCHIO CRONOLOGICO
falla in Basilea nel 1559 per l'Opporino, volgarizzala nel
UGl da Jacopo dal Rosso, e nel 1467 da Marsilio Ficino
ad istanza de' suoi amici Bernardo del Neri ed Ani. ManeUi.
E. Bollai ricorda una Iraduzione anonima, mancarne d'alcune
carte, che si trova nella Biblioteca Imp. di Parigi, sotto il
n. 1756, veduta e lodata dal Marsand - Anche nella Biblio-
teca Riccardiana di Firenze, conservasi una Iraduzione fatta
sulla line del secolo xv. (Y. Abeken Bernh. Dante' s Bu.ch:
Von der, Monafcìm in Auszuge. Berlin und Stettin, 1826;
Jlaroldt Basilius Ioli. 31onarchcy odereu. Basilea, per Nicolò
Vescovo, il giovine, 1559.)
1311. A' primi di Gen. recasi a Milano a prestare omaggio
personalmente al novello imperatore Arrigo VII. Io vidi
te, quale si conviene alla imperiale maestà, benignissimo, e
udii le clementissimo, quando le mie mani toccarono i piedi
tuoi, e le mie labbra pagarono il loro debito. Allora esultò
in te lo spirilo mio, e tacitamente dissi tra me: » Ecco
l'agnello di Dio; ecco chi toglie i peccati del mondo I »
Epist. VII, 2.
~ 12 Aprile. Mentre coli' esercito accampato in sulle
rive del Po, attendeva Arrigo all'espugnazione di Cremona,
{Villani, L. IX. e. 14. ) Dante, impaziente d'indugio, a suo
nome ed a quello pure degli altri esuli ghibellini toscani,
gì' indirizza una Ietterà, che al dire del Foscolo, spira fu-
rore e ferocia. Essa porta la data: scrina in Toscana^ sotto
la fonte dell' Arno, il 16 Aprile 1311. -II Co. Trova opina
che fosse scritta nel castello di Porciano, dei Conti Guidi,
a cinque miglia dalla sorgente del fiume. Y. Dante^ Opere
Minori, Y. III. p. 482; Par. xvni. 82; xxx. 142.
Passa di Casentino in Romagna, e per breve tempo
si ferma a Forlì, di dove scrive una lettera a Can Grande
della Scala, a nome di lutti gli esuli toscani. In essa narra
l'infelice successo della legazione di Arrigo ai liorentini,
de' quali deplora la cecità.
Can Grande della Scala, in età di veni' anni, re-
gnante ancora Jl suo fratello Alboino, guerreggia contro
a' Guelfi della trevigiana, e per via d'accordi occupa la
città di Vicenza. - Ricciardo da Camino è trucidato; v'ha
ehi dice per tradimento del Signor di Verona; tulli però
DELLA VITA DI DAME. 53
consentono che la congiura sia stala tramata da' Ghibellini.
L'anima amara di Dante contro alla famiglia de' Caminesi
traspira da' versi del Paradiso. - C. ix. 49.
1312, 29 Giugno. Incoronazione di Arrigo VII in San
Giovanni Lalerano.
Alfonso comincia regnare in Castiglia.
19 Sett. Arrigo giunge sotto Firenze, e si attenda
alla badia di San Salvi.
1B13. Nascita di Giovanni Boccaccio.
24 Ag. Morte di Arrigo VII in Buonconvento, nella
maremma toscana. Alcuni tennero che fosse stato avvele-
nato nell'ostia, coperta di polvere soltilisssima, fatta di
napello, erba mortifera e velenosa, per fra Bernardino da
Montepulciano. [Cronaca Pisana; Rondoni Ra/faello, arcip.
di Pisa, dell'istorie Pisane, libri XVI) Il Barlhold ed il
Koo'p pubblicarono tre documenti ( Uarthold, llòmerziuf
K'ònicj Heinrichs von LUtzelburg, Voi. II. Append. pag. 45
e seg. ; Koop, Gescliichlsblatter aiis der Sckweiz-, \ol. I.
p. 122-127, in forma più corretta) di Guido vescovo d'A-
rezzo, di Federigo conte di Montefeltro, e dei Capitani
dell'esercito imperiale. In data di Arezzo 14 Settembre 1313
al Cardinale vescovo d'Ostia, iNiccolò da Prato, intorno
alla morte di Arrigo VII, da' quali verrebbe contestata la
falsità dell'accusa apposta a fra Bernardino. Questi docu-
menti, in copie vidimate, rilrovansi a Lubecca nell'Archivio
dell'antico convento dei Predicatori, ed in quello dell'antico
convento de' Predicatori a Lussemburgo, fondato da Arrigo
VII. - 11 Prof. Ficker inseriva nel (jeschichlsblàtter aus
der Schweiz (Voi. I. pag. 312-313.) un estratto del Chronicon
Gerhardi de Fracheto, scritto negli anni 1316-1334, Ms.
nella Marciana (CI. X. cod. xlvi, fol. 174.) in cui leggesi:
MCCCXIII die xxuii Augusti, in festa beati Bartliolomei
Apostoli, dominus imperalor obiit de ulcere carbunculi in
terra de Bonconvento districtus Senensis ; ecc. e ci dà pure
ragguagli come la pubblica voce tenesse morto Arrigo di
veleno, per opera dello stesso frate [quod quidam frater
Bernardinus de Monte Pulziano... venenaverat eum, dando
sibi corpus Christi), ma che ne andasse purgato, special-
mente per le deposizioni di Bartolomeo di Yaragnana,
56 SPECCHIO CRONOLOGICO
bolognese, chiamalo a curare l' illustre infermo. (V. Dieffcn-
hach. De vero mortis genere ex quo Henrìcus VII imp. obiit,
Francoforle, 1685.) Ma il Leo, il Palacky, (Storia di Boemia,
Voi. 2. p. 2. p. 104.) propugnano la storia dell'avvelenamen-
to, appoggiati all' autorità del Chronicon Aulaereqiae (di
Pietro Abate di Kónnigssaal ), presso Dohner, Monumenta
hisL Bohemiae, Yol. Y., rifiutando come supposta l' epistola
del Re Giovanni, dei 7 Maggio 1346, stampata dal Baluzio
{Miscellanea, i. 326) sopra « veteri membrana authentica » del
convento domenicano di Verduno, e citata dal Bohmer nelle
Regesta del Re Giovanni, p. 345. - Anche un ritmo latino
In funere Henrici VII Imperatoris, Anonymi lamentatiOy
pubblicato ììgW Appendice AeW Archivio storico italiano, n. 18,
1847, e tratto da un manoscritto della Biblioteca reale
di Parigi, farebbe acquistar fede a tale credenza. - Quan-
tunque Arrigo non avesse corrisposto all'alto concetto che
sì aveano formato i Ghibellini, col variar di fortuna. Dante
non cambia di opinione verso di lui, e grato alle sue buone
intenzioni, ed altri chiamando in colpa del poco effetto di
queste, imagina che nel paradiso fosse a lui preparato
splendido seggio. ( Villani, L. ix. e. 52.) Par. xxx. 133.
1313-15. Dante a Gubbio, presso Rosone de' Raffaelli.
Vuoisi che Rosone non solo l'accogliesse nelle case sue,
poste nel quartier di sant'Andrea, ma altresì nel suo ca-
stello di Colmollaro, situato presso il fiume Saonda, a sei
miglia da Gubbio. Un Falcucci, divenuto possessore delle
case de' Raffaelli, poste nel quartier Sant' Andrea, presso la
porta Sant'Agostino, fece collocare nella parete laterale
questa iscrizione : Hic mansit - Dantes Alegherius poeta - Et
carmina scripsit - Federicus Falcutius - Virtuti et poster. P.-
Costante tradizione è pure che il Poeta in questo torno si
ritraesse per alcun tempo nel monastero dell'ordine camal-
dolense di Santa Croce di Fonte Avellana, situato nel ter-
ritorio di Gubbio, sul fianco dell'Alpe detta Catria; luogo
orrido e solitario, [Par. xxi. 106.) essendovi Priore Fra
Moricone. Gli annali Avellanesi segnerebbero l'arrivo di
Dante nel 1318. La camera, ove si tiene che egli abitasse,
e vi scrìvesse parte del suo poema, chiamasi tuttora la
camera di Dante; e, sotto un busto di marmo rappresentaiil©
DELLA VITA DI DANTE. 37
il Poeta, avvi in una parete la seguente iscrizione. -//occc
cubkulum hospes - In quo Dantes Aligherius habUasse - In
eoque non minimam praeclari ac - Pene divini operis sui
partem com - Posuisse dicitur undique fatiscens - Àc tantum
non solo aequatum - Philìppiis Roduìphius - Laurentii JSi-
colai Cardinalis - Amplissimi fratris filìus summus - Collegii
praeses prò eximia erga - Civem suum pietate refici hanc-
que - lllius effigicm ad tanti viri memo - Riam revocandam
Antonio Petreio - Canon. Florent. procurante - Collmiri
mandavit - Kal. Maii 3IDLV11. - Camald. Monaci re vétius
cognita - Hoc in loco ab ipsis restaurato - Posuerunt Kal.
Nov. MDCXXIL - Il Troya vuole che si conducesse presso
Bosone nel 1317-18, e che vi erudisse i figli del suo amico
Bosone, autore dell' Avventuroso Ciciliano e di Bastiano,
autore del Teleutelogio,
1314, 20 Marzo. Dante, inviato da Guido Polenta, amba-
sciatore a' Veneziani, per rallegrarsi in di lui nome della
elezione a Doge di Giovanni Soranzo - Sua lettera a Guido
Polenta. Y. Dante, Opere Minori, V. III. p. 500.
20 Aprile. Morte di Clemente V a Roqueraaure sul
Rodano, {Villani. L. ix. e. 54.) di quella specie di canchero
delle scure o natiche, il quale da' medici del medio evo era
chiamato lupus o lupulus. (V. Lettera del cav. Salvatore
de Renzi al Co. Carlo Troya sulla malattia di Clemente V.)
Lettera di Dante a' Cardinali italiani, perchè ces-
sassero lo scandalo della avignonese cattività, e consolassero
Roma e l'Italia, riconducendo tra noi l'augusto seggio di
Pietro, che dell'una e dell'altra è saldezza ed ornamento.
{Questa lettera debb'esser stata scritta prima del 14 Luglio
in che venne fatta violenza ai cardinali Italiani dal partito
guascone.) Y. Dante, Opere Minori, Y. III. p. 507.
Lodovico il Bavaro succede ad Arigo YII.
Morte di Filippo il Bello, re di Francia. Por. xix. 118.
Can della Scala rompe di bel nuovo i Guelfi della
Marca trevigiana, capitanati da Jacopo di Carrara. Par. ix. 45,
14 Luglio. Uguccione della Faggiuola, strenuo capi-
tano ghibellino, podestà de' Pisani, s' insignorisce di Lucca.
Quivi l'Allighieri, accolto amorevolmente, prese stanza fino
a che Uguccione non ne perdette la signoria ; qui scrisse la
58 SPECCHIO CRONOLOGICO
terz' ullima parte del suo Purgatorio ; qui s' innamorò di
una nobile e costumata giovine lucchese, di nome Gentucca,
poi moglie di Bernardo Moria degli Antelminelli Alluccìn-
ghi. Purg. xxiv. 37.
— — Clemenza, figlia di Carlo Martello, va moglie di
Luigi X succeduto a Filippo il Bello. Par. ix. 1.
29 Agosto. Celebre vittoria di Montecatini.
1315, 15 Sett. Secondo il Troya ed il Fraticelli in questo
m^e compie il Purgatorio. Il Troya vuole che il poeta
incàirnasse nel 1308 a Parigi questa sua seconda Cantica,
ed ivi ne dettasse i primi otto canti, mentre aspeltavasi
Arrigo Yll in Italia, nell' autunno del 1300, a' quali pur si
debbe aggiugnere l'ottavo, dove s'odono le rimembranze
si tenere dell' ospitalità trovata da Dante presso France-
schino Malespina di Muiazzo e Moroeilo e Corrado di Yil-
lafranca. Testimoni di quel suo viaggio sono ì ricordi di
Lerici di ISoli e di Turhia. La menzione di questi luoghi
ne' primi quattro canti ci assicura che di tutte le vie aperte
a Dante per andare a Parigi, ei trascelse quella di Lunigiana
e della riviera di Genova. L'accenno ch'ei fa di S.Leo e
di Bismantova ci attesta parimenti di aver egli riveduto le
cime di Montefeltro dalla Romagna, ove fu segretario di
Scarpetta degli Ordelaffi per alcun tempo nel 1308, e d'esser
poscia disceso in Lunigiana pel tratto di Modena e di Reg-
gio, all'ombra quasi di Bismantova. L'aver mutato cielo
sembra gli avesse infuso nel petto la serenità dei primi
cinque canti del Purgatorio, melodia dolcissima di un'animo
stanco, il quale si va riconfortando con la memoria de' primi
suoi anni e del cantar di Casella. I Canti del Purgatorio
die vanno dal viii al xi furono composti poco dopo 111310
al più tardi, e però si risentono ancora del suo recente
viaggio in Francia, là nel luogo dove il poeta in onore di
Oderisi da Gubbio ricorda l'arte che a/Zt/mmare è chiamata
in Parigi (xi.81) — Dal Sett. 1§12 al 24 Agosto 1313 (undici
mesi) scrisse, salvo qualche ritocco, i canti dal xiv al xviii,
pieni d'ira sovente contra coloro i quali si mostrarono
tiepidi amici dell' impero. Anche Pisa, nel xiv, ebbe la sua
parte de' biasimi, ed ei la disse abitata da' volpi ripiene di
frodi; ed accenna senza dubbio alle parti, che già s' anda-
DELLA VITA DI DANTE. 59
vano ivi formando, capitanate dai due Buonconti, a' quali
pareva, doversi con piena riverenza e sommessione obbedire
alle Bolle date in Avignone da Clemente V. nel 2 Giugno
1313, acciocché Arrigo VII non recasse molestia al re Ro-
berto. Queste Bolle, a senno di Dante, furono l' inganno
eh' egli non mai più in tutta la sua vita perdonò alla
memoria del Guasco; Bolle che i Ghibellini ed i Bianchi
dicevano essersi con gran pregio di danari comperate da
Roberto. La pena di Adriano V e di Ugo Capeto pare abbia
avuto in mira le ridette due Bolle per le quali era slata sì
violentemente offesa la parte dei Ghibellini [Purg. xix. xx).
Tolta a' 14 Giugno 1314 Lucca al re Roberto da Uguccione,
Dante ripara in quella città, e riprende la tela del poema
rallentata ed anche sospesa per qualche tempo, e vi com-
pose il G. xxiii, ed il XXIV - Neil' intervallo dei 5 mesi
fra l'assedio di Cigoli e la vittoria di Montecatini, il poeta
avvicendava la sua dimora fra Pisa e Lucca, e componeva
gli ultimi canti. Quanta dolcezza quanta pace negli ul-
timi sette canti! Quale certezza di ritornare a Firenze! 11
Purgatorio fu dedicato dal poeta a Moroello Malaspina,
marchese di Yillafranca, o, secondo altri a Moroello, mar-
chese di Valditrebbia.
6 Novembre. Zaccaria d'Orvieto, vicario del re
Roberto in Firenze, condanna per la terza volta Dante Alli-
ghieri, a perdere la testa per mano del carnefice, ov' egli
fosse venuto nelle forze del Comune.
1316, 10 Aprile. Uguccione cacciato non solo da Lucca,
ma pur anco da Pisa, ripara presso Can Grande della Scala.
[Villani, L. XI. e. 78.)
7 Agosto Elezione a pontefice di Giovanni XXII,
di Caors (Jacopo, vescovo di Avignone Villani, L. xi. e. 81.) -
esecrato sì spesso da Dante. Par. xxvii. 58.
Oltobr. 15 Sett. Elezione a podestà di Firenze del
Co. Guido di Battifole [Villani, L. ix. e. 79). Sotto il di lui
regime, il dì 11 Decembre, fecesi uno stanziamento pel quale
concedevasi facoltà a tutti i fuoruscili di potere a certe
condizioni rientrare in Firenze. Ma Dante, lasciando ogni
cosa più caramente diletta, non avea lasciato l' altezza
dell' anima. Memoranda sua lettera ad un frate suo nepole
60 SPECCnJO CRONOLOGICO
(de' Brunaccì o dei Poggi), in cui disdegna di lasciarsi ribe-
nedire come colpevole, e ricomperare il suo ritorno con
prezzo vile al suo nome. Questa Epistola è un apologia
della vita di Dante, perchè da essa apparisce la sua inno-
cenza, e lo studio continualo della filosofia. Dante, Opere
Minori, V. III. p. 521.
Dante a Verona. Famosa sua Lettera a Can Grande
della Scala, che non solo porta espressi e splendidi i carat-
teri dell' AUighieri, ma determina preciso il verace metodo
di commentare il divino poema -Dante, Opere Minori, Y. III.
p. 528 -Fin dal 1819, lo Scolari avea dichiarata non genuina
questa dedica del Paradiso. Nella sua ristampa delle note
del Perazzini alla divina Comedia, cercò di confutare minu-
tamente la contraria opinione esposta dal Witte nel 1827,
nella sua edizione delle lettere di Dante, approvala dal
Picei, dal Torri, dal Torricelli. Ma le nuove ragioni esposte
parvero così seducenti al Picei (1846) che di poi si tenne con
lo Scolari. In questi ultimi anni il P. Giuliani, della cui ami-
cizia mi onoro, il più dolio tra i viventi comentatori di Dante
in Italia, ebbe scoperta un'importantissima testimonianza di
Filippo Villani in favore dell' autenticità, e la stampò nella
Gazzetta di Venezia del 16 Ottobre 1847. E lo Scolari tor-
nò più pertinace in campo. Ma allora entrò a combatterlo
XìtW Album romano il P. Ponta, né mancarono repliche con-
tro repliche. Tale opinione sostenne ancora il Giuliani in
un'accuratissima e molto erudita dissertazione sopra la lettera
a Can Grande (G. Arcadico, n. 127). Il 20 Settembre 1855, nel
cinquantesimo anniversario dell'assunzione al sacro ministe-
rio del suo amico Goffredo Blanc, il Witte svolgeva i più
importanti argomenti che si ricavano da un antico mano-
scritto delle Lettere di Dante a Can Grande che si conser-
vano nella biblioteca di Monaco. {Insunt observationes de
Bantis epistola nuncupatoria ad Canem Grandem de la Scala,
(Halis Saxon. typis ed. Heynemann, 1855.) Per quanto ragio-
nevoli e convincenti si mostrassero le conclusioni del Witte,
ciò non di manco lo Scolari perdurante nel suo sentimento,
rispose al Witte che non polca con lui entrare in accordo.
[De Dantis nuncupatoria ad Canem Grandem de la Scala,
Mediolani typis fratrum Centenarii, 1855). Ma da ultimo
DELLA VITA DI DANTE. 61
valorosamente comenlavala di nuovo, e propugnavano l'au- -
lenticità il P. Giuliani da ritenerne vinta la prova. (Genova,.
Sanibolino, 1856; Giuliani, Metodo di comentare la D. C. p.
3-125; V. L'Articolo del Tigri sulla dissertazione del Giu-
liani, Spettatore, 10 Maggio, 1857; Witte, Studi germannici
sopra Dante deli anno 1855, Spetattore 4 Maggio, 1856.)
1318. 16 Dee. Can Grande, in parlamento a Soncino,
vien eletto Capitano generale della lega ghibellina in Lom-
bardia.
1319. I Biografi di Dante vogliono che in quest'anno
avesse stanza in Udine ed in Tolmino, castello situato nei
monti sopra Cividale del Friuli, presso il Patriarca Pagano
della Torre, guelfo. « In questo ultimo sito si crede che
Dante scrivesse a compiacenza di Pagano alcune parti delle
sue cantiche... E a questa credenza consente uno scoglio
sporto sopra il fiume Tolmino, chiamato oggidì dalli paesani
Sedia di Dante. » — Valvassone.
1320. Dante, scrivendo «e' primi mesi del 1320 al Del
Virgilio, significavagli di non aver ancor terminato il Para-
diso. Pare però lo compiesse in quest'anno. 1 primi ix canti,
secondo il Troya, furono scritti prima della cacciata di li-
guccione; ed ei pur vuole che nel 1317 ordinasse gli otto
canti che vanno dal x al xvii. - Opinione erronea che la II
Cantica fosse intitolata a Federigo 111 di Sicilia. Yeggasi il
bellissimo articolo di Silvestro Centofanti : Se Dante dedicasse
a Federigo 111, re di Sicilia, la Cantica del Paradiso, An-
tologia di Firenze, Marzo ed Aprile, 1832.
20 Gemi, In inclyta urbe Verona, in sacello Helenae
gloriosae, coram universo clero veronensi, praeter quosdam,
qui, nimia caritate ardentcs, aliorum rogamina non admit-
tunt, et per humilitatis virtutem Spiritus Sancti panperes, ne
aliorum excellentiam probare videantur, sermonibus eorum
interesse refugiunt. - Et hoc factum est in anno a nativitate
I). N. J. C. 1320, in die Solis... qui quidem dies fuit se-
ptimus a Januariis Idibus et decimus tertius ante Kalendas
Februarias ( §. 24. ) sosteneva la tesi filosofica colle forme
scolastiche - Quaestio de Aqua et terra: Se l'acqua nella
sua sfericità, vale a diro nella sua circoferen?a sia in quaU
cl>e parte più Alta della terra.
62 SPECCHIO CRONOLOGICO
Dante a Ravenna, accoltovi amorevolmente da Gui-
do V. Novello, nipote della famosa Francesca. Egli non
assentì, scrive il Marlinetti, che Dante stesse nel suo prin-
cipesco palazzo, sapendo come la filosofia e la poesia amino
la quiete e il riposo, e non le consuetudini romorose che
sono nelle case de' grandi: sicché per renderlo libero e
indipendente gli assegnò una sua abitazione, la quale sem-
bra sia quella in vicinanza al convento de' Frati minori di
S. Francesco (oggi appartiene alla nobile famiglia Fabri ),
provvedendolo nel medesimo tempo di ciò che ad un esule,
condotto in miseria, può abbisognare. Quivi si condusse
Pietro, figliuolo suo maggiore, chiamatovi dal Polenlano a
tenere 1' ufficio di giudice, ed è fama che abitasse in S. Ma-
ria in Zenzanigola. - Anche per opera dell' Allighieri, come
ci lasciò scritto il Vasari, si recò in Ravenna il celebre suo
amico Giotto a dipingervi alcune storie in fresco nella chiesa
di S. Francesco. La figlia di Dante, Beatrice, amando di
esalare lo spirito, presso al s0{)olcro del padre, si rese mo-
naca nel convento di S. Stefano dell' Uliva, dove cessò di
vivere. E Giovanni Boccaccio, allorché si condusse a Raven-
na, fu pure incaricato dalla repubblica firentina di pagare
dieci fiorini d' oro alla suddetta monaca. Il Martinelli vuole
che Dante fin dal 1318 si riducesse a Ravenna.
1321. La Repubblica di Venezia prende a muover guer-
ra al Polentano. Questi prega l'amico Allighieri a voler
portarsi con titolo di suo ambasciatore a quella repubblica
per tentare, se fosse stato possibile, di ridurla a sensi di
pace. Ma poco o nulla da quel rìgido Senato- potè otte-
nere; ond'egli dolente della mala riuscita, si dispose tosto
alla partenza. Se non che negatogli da' Veneziani il passo
per mare, dovè prendere la via di terra; e, transitando con
disagio per quei luoghi paludosi, contrasse la febbre, e
tornò infermo a Ravenna.
— — 14 Settembre. Morte di Dante. - Il Villani la vuole
avvenuta nel mese di Luglio. [Villani, L. ix. e. 135.) In un
pregevole codice di questo storico, che si conserva nella
Marciana di Venezia, si legge nel mese di Settembre. V iscri-
zione sepolcrale, dettata da Giovanni del Virgilio, amico di
Dante, termina così:
DELLA VITA DI DAìNTE, 6.t
Mille tercentis, ter septem Numinis annis,
Ad sua septembris idibus astra redit.
Il Villani (lice che fu seppellito in Ravenna, dinanzi alla
porta della Chiesa maggiore, a grande onore, in abito di
poeta e di grande filosofo. 11 Martinelli, nella Chiesa dei
frati Minori francescani, in una cappella dell' Ardica, per la
brevità del tempo, in un umile sepolcro. - G. Eoccaccio,
dopo di aver con eloquenti parole rimproverato ai Fiorentini
l'immeritato esigilo del grande poeta, così prosegue : «Ahi,
misera madre, apri gli occhi e guarda con alcuno rimordi-
mento quello che tu facesti... se le ire, gli odii e le inimicizie
cessano per la morte di qualunque è che muoia, come si
crede, comincia a tornare in le medesima, e nel tuo diritto
conoscimento comincia a vergognarti di avere fatto contra
la tua antica umanità; comincia a voler apparerò madre e
non più inimica; concedi le debite lagrime al tuo tigliuolo;
concedigli la materna pietà; e colui il quale tu riliutasli,
anzi cacciasti vivo siccome sospetto, desidera almeno di ri-
averlo morto ; rendi la tua cittadinanza, il tuo seno, la tua
grazia alla sua memoria... Cerca di voler essere del tuo
Dante guardiana, raddomandandolo.» Ma egli già antivedeva
che Ravenna che degli onofi di Firenze si gloriava tra' futuri
non l'avrebbe certo renduto (1). Fin dal 1396 la Repubblica
firentina decretava di erigere al suo poeta un magnifico
sepolcro, ove le sue ceneri si fossero impetrate da Ravenna.
Ma la preghiera cadde vuota d' efletto. E questo desiderio
di fare ammenda dei torti aviti si svegliò più vivo nel 1429,
e ne' fasti consolari delle Riformagioni di Firenze leggesi la
lettera dal Comune indiritta il 10 Febb. 1429 ad Ostagio Polen-
ta, che venne pubblicala dal Gaye. Ma anche questa volta
non ne fu nulla. Né perciò si ristettero i horentini ; ed ai 20
Ottobre lo 19 l'Accademia medicea indirizzava a Papa Leone
X un memoriale a questo medesimo line, e Michelangelo
olTrivasi di prestar la sua opera a innalzare a quelle ossa
rimpatriale un monumento, che ispirato da quel suo por-
tentoso ingegno e da quel suo ardentissimo cuore, sarebbe
(Ij E quella savia Ravenna, che serba
11 tuo tesoro, allegra se ne goda,
Cbo e degna per gran !oda. Ci no, cxii.
64 SPECCDIO CRONOLOGICO
riuscito veramente degno di esse. [Io Michclangiolo Schul-
tore il medesimo a vostra Santità suplicho, offerendomi al
Divin Poeta fare la SepuUtira sua chondecente e in locho
onorevole in questa città. - 11 documento originale sì con-
serva nel R. Archivio di Stalo.) Ma il nobile divisamento non
sortì il sospirato effetto. Se non che Fiorenza era entrata
in isperanza di poter aprire la solennità centenaria del di-
vino poeta coir entrata in Firenze delle sue ossa, richiamate
alla fine dall'esilio che dura da cinque secoli e mezzo. 11
Consiglio generale del Municipio fiorentino indirizzava una
preghiera alla città di Ravenna (4 Maggio 1864) per otte-
nere da essa come fraterno dono, quanto più doloroso, tanto
più nobile, la restituzione delle ossa di Dante, chiedendo
di poter porre dove furono serbate una epigrafe che ricor-
dasse la generosità ravennate e la fiorentina riconoscenza.
Ma a Ravenna non pativa l'animo di staccarsi da quel
tesoro per cinque secoli e mezzo religiosamente serbato, e
adonestava il rifiuto con questa deliberazione:
» Considerando esser debito de' nepoti tributare perenne
e reverente omaggio agli atti che onorano gli avi ; »
)) Considerando che il deposito delle sacre ossa di Dante
Allighieri in Ravenna non può, {)ei destini felicemente mu-
tati d'Italia, considerarsi come perpetuazione d'esilio, una
essendo la legge che raccoglie con duraturo vincolo tutte
le città italiane; »
» Considerando che la città di Ravenna, desiderosa dì
associarsi alla celebrazione del sesto centenario di Dante,
non si appresterebbe in retta guisa ad onorare la memoria
del grande Italiano, abbandonando altrui quelle sacre ceneri
che furono e sono oggetto dì tanto culto ed amore del
cittadini ravennati; »
» 11 Consiglio municipale incarica la Giunta d' indirizzare
a nome della città dì Ravenna una fraterna parola al Consì-
glio municipale di Firenze esprimente rammarico di non
potere accogliere la sua preghiera. >>
65
BIOGRAFI ED ELOGISTI DI DANTE
Dettarono Vite, Biografie ed Elogi del divino poeta tra
gr italiani: Amurosoli Fr. - Arici Cesare - Balbo Cesare
(trad. in inglese dal Bunbury, Londra, 1862.) - Boccaccio Gio-
vanni - Borghi Gius. - Bruni Leonardo - Cereseto G. B. -
CoRNiANi G. B. - Costa Paolo - Crescimbeni Giovan Maria -
Domenico di Maestro Bandino - Fabroni Angelo - Fanelli
G.B. -Ferrucci Catterina - Filelfo Mario - Fossati Luigi-
Fraticelli Pietro - Giudici Emiliani Paolo - Gregoretti
Francesco - Landino Cristoforo - Litta Pompeo - Maffei
Giuseppe - Mannetti Giannozzo-Missirini Melchiore -Orelli
T. C. - Pelli Giuseppe - Polentone Sicco - Redi Francesco -
RiNUCciNi Filippo - Sacchi Defendente - Salpi Aurelio - San-
soviNO Francesco - Serassi Pietro Ant. - Tirabosghi Girol. -
ThOUAR PIETRO - YeLUTELLO ALESSANDRO - YlLLANI FILIPPO.
Tra gli Stranieri: Abeken Bernardo Rodolfo (1826) -
Arndt Lodov. (1846 - Baciienschwanz L. (176")-Blang L. G.
(18;V2) - Blangiiard P. (1805) - Chabanon M. (1773) -Fauriel C.
f 1839)-FellerF.X. (1797)-FLoro Hartwig (1858)- Grasse Giov.
Teod. (1842) - Grohmann Gmv. (1796) Kannegiesser Carlo
LoD. (1814)-K0HLER Luigi (1839) - Kopisch Aug. (1842)-La,-
MENNAis F. (1855) -Massoni Papirio (1587) -Mongis T. A. (1831)
Montor Artaud (1841)-Nordmann Giov. (1852) - Oettinger
Edoardo (1850) -Pricigi C. (1853) - Quinet Ed.-Raumer Cab.
(1842) - Reumont Alf. (1838) - Strechfuss Carlo (1824) -
Struckow D. (1842) - Wagner Adol. (1826) - Wegele Franc.
(1852) - WisMAYR Gius. (1815) - Witte Carlo (1831). - Zeloni
C. (1844).
Una Rivista critica de' Biografi di Dante fu dettata da
Teodoro Paur: Ueber die Ouellcn der Lebensgerschichte
Dante' s, Gorlizza, 1862 ; e da Carlo Labitte, Biographes et
Traducteurs de Dante, Revue des deux Mondes, lOct. 1841.
VOL. U.
CARATTERE MORALE DI DANTE
E se il mondo sapesse il cuor eh' egli ebbe.,
Assai lo loda, e più lo loderebbe. Par. VI. 140.
Amore. — Il primo affetlo, la prima educazione ili questo
spirito singolare ardentissimo fu l'Amore. E quando per
lui l'Amore divenne non più che una memoria ei la narrò
con incredibile soavità di melanconia in quella prosa fervida
e passionata, cli'ei medesimo intitolò Vita Nuova. Novenne,
nella dolce stagione, nel tempo nel quale la dolcezza del
cielo riveste de' suoi ornamenti la terra (Boccaccio), in casa i
Portinari, vide per la prima volta Beatrice in sugli otto anni.
Al primo sorriso, alla prima parola parlata, le vergini anime
di que' fanciulli armonizzarono in un soave ed arcano con-
cento d' amore: la persona sua purvola sostenne una passion
nova, lo spirito della vita gli prese a tremare sì fortemente
che apparia nelli menomi polsi di lui orribilmente: Vita
iYMoya, §2, 12; Son.Yi., Ediz. (riuL; Canz.iu.'ó; Ballata,ìu;
Purg. XXX. 41. D'allora innanzi Amore signoreggiò l'anima
sua, la quale fu sì tosto a lui disposata... che gli convenia
far compiutamente lutti i suoi piaceri : Amore gli comandava
molte volte ch'eì cercasse di questa Angiola giovanissima.
Vita ISuova § 2. Ne' 18 anni, pel suo dolcissimo salutare,
gliene prese tanta dolcezza, che, come inebbriato si partì
dalle genti: in questa congiuntura ebbe una visione che
fa manifesta, col suo primo Sonetto, a tutti i fedeli d'Amore:
Vita N. § 3. Se non che questo sentimento in picciolo
tempo gli distruggea la persona, e già portavane nel viso
tante delle insegne di Amore che non se ne poteva rico-
prire: Vita JS. § 4. Accortosi che il suo segreto non era
svelato altrui, quantunque alquanto conosciuto da Beatrice
per lunga consuetudine, [Vita IS. §12) ei pensa d'altra
donna gentile farsi schermo della verità : Vita N. § 5. xMa,
partitasi essa di Firenze, so ne disconforta, ne fa lamen-
CARATTERE MORALE DI DAiNTE. 67
lanza con un Sonetto {Vita N. §7); va per lei {VitaN. §9);
si duole che sì tosto non rivenga, onde per consiglio d'A-
more sceglie un altra gentile che sia velo al vero amor suo:
Vita jy. § 10. Se non che di queste dimostrazioni d'affetto
si ragionava oltre li termini della cortesia, in guisa che
Beatrice se ne offende, e gli niega il dolcissimo salutare,
nel quale dimorava la sua beatitudine, fine di tutti li suoi
desideri. Vita ]\. § 10, 18. Di che gli giunge tanto dolore
che, appartatosi dalle genti, come pargoletto battuto, piange
amarissimamente, finché vinto e lasso s' addormenta. Ma
Amore fra il sonno lo riconforta, lo indetta a scriverle
una Ballata, adorna di soave armonia, profferendosi egli
stesso interprete dell'ardente sua passione presso Beatrice :
Vita ìY. § 12. Combattuto dipoi da una battaglia di pen-
sieri, se Amore sia o no buona cosa, scrive su ciò un Sonetto:
Vita ìY. § 13. - Un bel giorno persona amica lo conduce
dove erano di molte gentili donne adunate, ma la vista di
Beatrice gli vince ciascun sentimento, onde V amico avvi-
stosi dalla sua trasfigurazione il toglie di quel luogo ; ed
egli a ritornarsi nella camera delle lagrime, dolersi di sua
condizione che disconfiggeva la poca sua vita, non però
ammaestrato dalle passate passioni dal non cercar più la
ìl^duta di lei: Vita i\. §14,15. 10. Fatto ornai chiaro il
suo segreto, anche per le molte durate sconfitte, vien chiesto
per alcune donne gentili del fine dell'amor suo. Dacché
da Beatrice eragli negato il saluto, il supremo suo bone
essere nelle parole che lodano la donna sua. Onde si pro-
pose di prendere quindi innanzi per materia del suo par-
lare sempre mai quello che fosse loda di quella gentilissima:
Vita iV. § 18. Tra la bellezza do' campi, lungo le pure
acque correnti di un limpido ruscello, la sua lingua quasi
per se slessa mossa disse: Donne che avete intelletto d'amore,
e queste parole le si ripone nella mente con gran letizia,
sicché ritornato alla città, pensando alquanti di, dettò l'in-
tera Canzone. In essa parla alle donne e alle donzelle, che
non era cosa da parlarne altrui. E fa che un angelo parli
a Dio d' un nuovo miracolo gentile che si vede nel mondo
e che fin lassù risplende; ma del quale il cielo patia difetto.
Iddio risponde: Aspettale alquanto si che gli uomini Ju
68 CARATTERE MORALE DI DA>TE.
possano ancora godere, e colui che andrà all' inferno dei
malnati racconti : lo vidi la speranza de' beati. Quindi venen-
do a narrare le doli di questa desiderata dagli Angeli, dice
due versi che toccano il subblinie: E qual so/frisse di starla
a vedere Diverria nobil cosa, o si morria : Vita A'. § 19. In
questa Canzone vi à il germe dei tre regni visitati o veduti
in visione, che poi dovea incarnare coU'altissinìo suo can-,
lo. - Appresso, pregato a spiegare che cosa fosse Amore,
lo fa in un Sonetto ( y<7a iV. § 20) ; ed in un altro ne dice,
che questo amore è per Beatrice destato in atto anche dove
non sarebbe in potenza da chi è da lei veduto: Y. iV. §21.
ISon guari dopo muore il padre di Beatrice, e canta il dolore
di lei [V. N. § 22); inferma egli stesso, e delirando imagina
che Beatrice sia morta, e cajita l'ambascia di quel delirio :
Vita A'. § 23. Ma come Beatrice, tutta splendente di virtù
e di bellezza, nel fiore degli anni, fu dal Signor della
//m^r/^m chiamata a gloriare sotto l'insegna di quella rei-
na benedetta Maria, { Vita ]\uova § 29) egli in tanto do-
lore, in tante afflizioni, in tante lagrime rimase (1) che
parca di fuori una vista dì terribile sbigottimento: Vita N.
§ 36. Né per volgere di tempo il dolore si disacerba ; né
alcun conforto gli valea [Conv. ii 12); riaccendendosi lì
sospiri, gli si riaccendea pure il sollevato lagrimarc. Hi
guisa che li suoi occhi parevano due cose che desiderassero
di piangere: Vita Nuova §40. Al compiersi delFannovale
della morte, scrive un Sonetto [Vita Nuova § 35) per mesta
commemorazione di lei, che in cielo si vivea cogli Angeli e
in terra coli' anima sua: Comimi. 2. Se non che un pensiero
soave, piacente dilettoso trasporlavalo spesso in l'alto cielo,
nel reame ove gli Angeli hanno pace, e a pie di Dio. Quivi
per graziosa rivelazione dell' istessa sua viva Beatrice beata
[Conv. 11.9) sa per vero ch'ella é in cielo, onde ne trae
lauta consolazione (Conv. n. 10), e ne va quasi rapito dalla
«lolcezza, la quale é sì lauta che lo fa desioso della morte
per andar là dov' ella era : Conv. n, 8 ; Canz. iv. 6 ; vii. 2, 3;
(1) Era divenuto quasi come una cosa salvatica a riguardare. Bocc,
Vita di /)aMÌc.- Vedi Canzone vii. Di Gino da Pistoia, a Dante AUighieri
per la morte di Beatrice; e il Sonetto di Guido Cavalcanti: lo vengo H
giorno a te infinite volte.
CARATTERE MORALE DI DANTE. 69
Vili. l. E siccome aveale Dio per maffglor grazia dato, che
non può mal finir chi le ha parlato; così acquista certezza
di passare anch' egli ben presto ad altra vita migliore, là
dove quella gloriosa donna vive della quale fu l' anima sua
innamorata : Conv. ii. 9. E quanta semplicità e purezza di
affetto, quanta verità di passione, che profumo d'ineffabile
tristezza non vi traspira per entro a quelle care pagine,
rivelatrici de' più intimi de' più segreti palpiti del suo cuore!
Come in esse fatto tesoro di ogni più piccola circostanza,
lenendosi egli sempre stretto diretro al dittatore!
La prima volta che la vide indossava una vestina leg-
germente sanguigna {Vita iY. §2,3,39): nove anni dopo,
11 dì ch'ebbe il primo saluto, gli apparve vestita di color
bianchissimo: Vita JSuova §3. L'aveva il viso d'un color
pallido, quasi come d'amore [Vita JS. §37; Canz.w.L);
però bella tanto, ch'era l'esempio della bellezza vera; onde
di lei diceva Amore : Per esempio di lei beltà si prova. Canz.
11. 4 - in lei s' accoglie d' ogni beltà luce. Canz. vu. 4; - e
perfino da non parere cosa mortale, ma un novo miracolo
gentile {Vita N. §3,14,26), anzi uno de' bellissimi angeli
del cielo: Vita A'. § 26. Ma più che bella, la sua beati-
tudine (F. N. § 5, 9), il primo diletto dell'anima sua {Conv. ii.
12.), la gloriosa donna della sua mente {Vita iV. § 2.) era
buona; anzi in altissimo grado di bontà: Vita J\\ § 22.
Ella donna di virtù {Inf. ii. 76) ; d'ogni ben la vera porta
( Canz. V. 1.); distruggitrice di tutti i vizi, e regina della
virtù {Vita j\. § 11.); quella in cui Dio mise grazia tanta:
Canz. V. 4. - Chi per virtù non è degno del cielo e non
merta salute Non speri mai d'aver sua compagnia. Bai. ii. -
E bastava il lume de' giovinetti suoi occhi, perchè il suo
fedele { Vita i\. § 12. Inf. ii. 98 ; Purg. xxxi. 134) tenesse il
diritto camino [Purg. xxx. 121; Canz. iv. 2); perchè il suo
intendimento si guardasse sempre da tutte cose vili ( Vita
N. § 13), e si reggesse sempre col consiglio della ragione:
Vita 1\. § 2. L' amor di Dante non distrugge ma feconda,
aggiunge una forza immensa al sentimento del dovere, in
breve, ha la virtù santifìcatrice dell'anima. La potenza di
continuo processo alla perfezione e alla purificazione {di
buono in migliore, di migliore in ottimo Conv. i. 2) che ri-
70 CARATTERE MORALE DI DAiNTE.
tletleva in luì da Beatrice è subbiello conlinuo de' suoi
versi. « Quando ella apparia da parte alcuna . . . nullo ne-
mico mi rimanea, anzi mi giungea una fiamma di caritade,
ia quale mi facea perdonare a chiunque m'avesse offeso: e
ohi allora m'avesse addimandato di cosa alcuna, la mia ri-
sponsione sarebbe stala solamente Amore, con viso vestito
d'umiltà: Vita N. § 11. Ma non ancor conlento di questa
prima freschissima corona di che infiorò le tempie all'amor
suo, quasi da mirabile visione rapito, ei vede cose che lo
fecero proporre di non dir più di quella Benedetta, infìno a
lauto che non potesse più degnamente trattare dì lei: e dire di
lei quello che mai non fu detto d' alcuna : Y. iV. § 43. Ove il
suo desiderio si adempia, ei più non vorrebbe che morire.
Beatrice adunque fu la donna miracolosa che spirò
il poeta, che gli fece significare ciò che dentro dettavagli
Amore [Purg. xxiv. 43) ; che guidò le penne delle sue ali a
così alto volo {Par. xxv. 49) ; principio e cagione del più
gran poema di che si onori Fumano ingegno. » Non appena si
accosta alle soglie del paradiso, Virgilio abbandona il poeta, e
s' avanza Beatrice, l'amore de' suoi giovani anni, colei i cui
occhi, lucevano più che la stella : essa lo deve guidare per
le sfere celesti. La donna del suo cuore si è trasformata
nella teologia, nella scienza divina, in un idea. Ogni volta
che sì parla di Dio, gli occhi di Beatrice sfavillano di una
luce che il rapito amante non può sostenere ; ella dice cose
dietro cui la mente dell'altissimo vate si perde. E final-
mente, giunti presso alla suprema luco, ella siede fra le
anime più vicine a Dio, ed al poeta è concessa un istante
la visione celeste. Ecco la fine del lungo viaggio, ecco dove
viene a compiersi il desiderio de' due amanti {P.Villari). E
bene // Sire della cortesia esaudì i suoi voti. Quando egli
ebbe degnamente detto di lei ; quando ebbe raccolto in un
volume ciò che per l'universo si squaderna, quando ebbe
compiuto r immortale poema, la più sublime apoteosi dì
creatura umana, allora quegli che a tanto ben sortillo Pia-
cque di trarlo suso alla sua mercede {Par. xi. 109) ; e la sua
anima se ne andò a vedere la gloria della sua Donna, cioè di
quella benedetta Beatrice, che gloriosamente mira nella fac-
ti(k dì C^lui qui est per omnia saecula benediclus: V. iV. § 43.
CARATTl'UE MORALE DI DANTE. 71
Sua fede nell'amicizia. — Dante amò Sempre a fede.
Dell'amistà osservò per miiiulo i gradi; e secondo questi
misurò ogni suo atto, ed eziandio quelli riguardi che me-
glio conducono a raffermarli : Vita JSuova § 33. Guido Ca-
valcanti fu per lui intitolato il primo de' suoi amici: Y. JS.
§ 33, e nella Vita j\. §33 ci ricorda pure l'amico a lui
immediatamente dopo il' primo. Così come amò Casella nel
mortai corpo, così Vamò sciolto {Purg.n. 88); e ricorda
con affetto quale fosse stalo Forese con lui, e quale egli
con Forese [Purg. xxiii. 113), e di aver pianto sull'estinto
suo volto (/^?^f(/.xxiii. 55); ed ei si loda dell'incendio d'affetto
di cbe ardea per lui Cino da Pistoia [Ep. iv. 1.) ch'eì chia-
ma carissimo fratello [Ep. iv. 5), e per antonomasia /' amico
suo : De VuUj. El. i. 9 ; ii. 2. - E siccome non meno dissimili
chi simili di stato conglungonsi per fede d'amicizia, che
anche tra Dio e l'uomo non viene per dismisura ad im-
pedirsi l'amicizia [Ep. a Cangrande, §2), ei amò assai
Carlo Martello, ed ebbe ben onde, e si duole che anzi tempo
sia morto, perchè se più fosse stato, avrebbegli mostrato ben
oltre che le fronde del suo amore [Par. vui. 55) ; dichiara
che se per sola udita fu benevolo con una certa soggezione
d'animo, per veduta poi e devotissimo ed amico divenne
a Cangrande della Scala: Ep. a Cangrande, §1. Dell'ami-
cizia dettò memorandi precetti; e quantunque volte avve-
niagli ricordare questa nobile virtù, più sereno e più lieto si
facea lo stile, e di più allo affetto impresse uscivang'U le
parole: Canz. i. 3; Purg. xxvi. 113; 138; Par. viii. 55.
Oentiiezza d' animo. — Fin da' primi anni preselo uno
squisito amore alle cose gentili, onde ei confessava: aver
vita in lui un pensiero che conducealo con sua dolce favella
À rimirar ciascuna cosa bella Con più diletto quanto è più,
piacente ( Canz. xii. 2) ; e diceasi pure coìito a leggiadria
[Canz. XVII. 8); e faceva dire di se ad Amore: Così leggiadro
questi lo cor ave : Ballala i. - Ver Dante cortesia e onestadc è
tutt'uno : [Conv. iv. 27) che valore e cortesia non si scom-
pagnano mai: /n/". xvi. 07; Pwrf/. x vi. 115. Il più gentile
degli affetti, l'amore, si apprende solo a cuore gentile: Jnf.
V. 106; Purg. xiv. 109: Amore e cor gentil sono una cosa
Son. 10. -E nella Canz. xvii. cantava pure: Leggiadria, eh 'è
72 CARATTERE MORALE DI DANTE.
bella tanto Che fa degno di manto Imperiale colui dov'ella
regna, Ella è verace insegna, La qual dimostra u' la virtù
dimora. - La quale cortesia, avvegnacchè a ciascuna età sia
bella, alla gioventù massimamente la si rende necessaria:
Conv. IV. 26. Onde osserva bene il Giuliani, come sempre
il poeta a' costumi gentili sì fosse informato e si tenesse
molto obbediente. Nella Yita Nuova ci narra, come in quel
giorno, nel quale si compiva Tanno che la sua donna era
fatta de' cittadini di vita eterna, si sedesse in parte nella
quale, ricordandosi di lei, disegnava un Angelo sopra certe
tavolette ; e mentre disegnava, volgendo gli occhi, vedesse
lungo sé uomini a' quali si convenia di fare onore: § 35.
Non appena se n'accorse muove incontro ad essi in atto
di riverenza, come a gente degna. Nò di questi segni di
gentile onoranza si tenne contento, ma venutogli in pen-
siere di dire parole per rima, quasi per annovale della sua
donna, il cuore lo eccita a rivolgerle a quei cortesi della
cui visita si avea per grandemente onorato.
Amore al vero - Freno all' ingegno. — E da' primi
anni pure il prese grandissimo amore al vero: In amore
veritatis a puerìtia mea continue siim mitritus (Quaestio de
aqua et terra § 1,), Né al vero si fece mai timido amico
{Par. xvii. 118); anzi egli sì gloria di aver sortito la gloriosa
missione di tuonare contro le turpitudini de' grandi, e di
annunciare l'austera e pericolosa verità, come vento per-
cuoto le più alte cime, e ne spera non poco argomento di
onore. Avrebbe temuto, tacendo, di perdere vita tra' posteri,
quella vita sovra ogni altra cosa da lui idoleggiata. Eppure
non disconosceva i pericoli del suo franco ed ardito poe-
tare, {Inf. XVI. 79; Par. xvii. HO.) che aveagli fruttato non
poche amarezze. Ma dal vero, scrive il Tommaseo, gli venne
il suggello del genio. - E l'alto ingegno dì che la Provvi-
denza r ebbe potentemente fornito tenne a freno, acciocché
non corresse senza la scorta della virtù, o dalla giustizia
divìso. Temeva il poeta che questo dono divino, abusandone,
non solo gli cadesse sfruttato, ma eh' è peggio, gli tornasse
perpetualmente a danno: Inf.xwu 21.
Gratitudine a' bcncfizii. — L' Ospitalità, ricevuta dai
Malaspina, è celebrata per lui con espressioni si gentili, ..o
CARATTERE MORALE DI DANTE. 73
impresse di si grande affetto, che ben vi traluce tutta la
nobiltà dell'anima sua - E di lassù, dal cielo di Marte, dove
tesse la genealogia della sua famiglia, unisce le lodi e celebra
la magnitìceuza di quel della Scala, il quale pare che per pro-
prio pudore risparmiasse il pudore dell'altrui necessità, e,
prima dell'altrui chiedere, desse e facesse: Par. xvii. 85.
E a mostrargli più oltre che le fronde del suo amore, egli
alteramente confessa: dì aver spesso molto e molto ri-
mirati i suoi donuzzoli, e segrecjatili a vicenda e segregati
percorsi, ricercando quello che tornasse a lui più degno e
piti grato; e soggiunge che nulla alla preminenza di lui
aver riconosciuto più confacevole che la sublime cantica della
Comedia la quale si fregia col titolo di Paradiso; e quella
sub praesenti epistola, tanquam sub epigrammate proprio
dedicatam, Yobis adscribo, Vobis offero, Yobis denique re-
comendo. Ep. a Cangrande, §3. -Della povertà dell'esiglio
talora doleasi acerbamente, ma solo perchè gli toglieva i
mezzi d'adempiere a' più sentiti affetti di gratitudine {Ep,
11. 3. ) ; .ed egli, così potente maestro di stile, doleasi pure
di non avere tanto profonda affezione che bastasse rendere
grazia per grazia, supplicando Quei che vede e puote al
suo difetto rispondesse. Par. iv. 121.
Confessione delle proprie colpe. — Dante llOn iscese
mai a velare coli' ipocrisia i suoi difetti: le sue confessioni
sono conformi al carattere franco e schietto di lui: Inf. n.
103; Purg. ix. 118; xxxii. 115; xxxi. D'invidia non si
tenne al tutto netto; fu superbo, e noi nascose. Nel C. xi
va chino co' superbi, e dice ad un di loro : lo tuo ver dir
m'incuora Buona umiltà, e gran lumor m'appiani, v. 118.
Nel xiii se ne accusa di nuovo:
Gli occhi, diss' io, mi fieno ancor qui tolti ;
Ma picciol tempo, che poca è l' oITesa
Fatta per esser con invidia volti.
Troppa è più la paura, ond'é sospesa
L'anima mia, del tormento di sotto.
Che già lo incarco di laggiù mi pesa, v. 133.
Ma dell'umano superbire non tacque la Lassa radice ed
i mali effetti. Anzi quest'anima nobilmente altera portava
sincerisslmo affetto alla virtù creatrice della vera grandezza,
l'umiUà, Del che veggansi: Le lodi date all'umiltà dal su-
74 CARATTERE MORALE DI DA>TE.
perbo poeta; Tommaseo, p. 23, (Milano, Reina, lSo4) Come
Dante sentisse la bellezza deW umiltà, Tomm. p. 363. E ben
di sovente nella Yila Nuova ricorre la parola umiltà; e
pareaanzi se ne compiacesse (1). Anche il risorgere dell' «-
mile pianta o del giunco schietto ( Purg. 1. 131 ), là dove fu
svelto, ci veniva simbolo come la virtù radicata nell'umiltà
non vien meno, e che dove questa in un cuore retto si tra-
pianti, sempre nuove cagioni ad alimentarla sorgono dal nostro
limo, miseri ftyliiioli d'Eva che siamo noi. [Ptirg. xn. 70.)
Entrando nel fumo, soffre la pena degli irosi ( Purg. xvii.
13.); e fra' golosi trova Forese a cui dice: - Se ti riduci
alla mente Qual fosti meco e quale io teco fui: Purg. xxiii.
115 - Giunto fra i lussuriosi, si purga passando attraverso
le fiamme {Purg. xxvii. 13 ; xxxi. 22-67) ; né in altri luoghi
si tace di alcuni suoi men che onesti amori: Canz.ww; Ep.
IH. 2. Ma né d'accidia né d'avarizia s'incolpa mai, che
anzi contro accidiosi ed avari si scaglia sempre con ira
sublime. La virtù contraria all'avarizia è per lui grandemen-
te onorata, non per vili cupidigie, ma perché dall'avarizia
deduceva tutte le miserie del mondo: Inf.i. 49; Purg. viii.
124 ; Par. xvii. 73. Il poeta nella imagine della liberalità
parea comprendere ogni amorevolezza, e sentiva più che altri
la gran sentenza di Boezio, come l'avarizia faccia sempre
gli uomini odiosi, la larghezza chiari.
Tempera di Dante. — La tempera di Dante pativa
più presto rompersi che piegarsi: E l'animo del poeta è
ritratto vero ed espresso nei versi:
Vien dietro a me, e lascia dir le genti ;
Sta, come torre, fermo, che non crolla
Giammai la cima per soffiar di venti. Purr/. v. 14.
La potenza di dispettare, da molti vantata, ma che natura
a ben pochi largì davvero; e della quale colmò a Dante la
(1) Ecco i luoghi donde questo sentimento agevolmente rivelasi: § i.
color umile; § xi. Viso vestito d'umiltà; § xn. E si l' umilia -eh' ogni
offesa oblia; § xxi. Pcjisiero umile ; § xxiii. Pregava l' una l'ultra
umilementc ; ivi: lo diveniva nel dolor si umile vedendo in lei tanta
umiltà; § xxvi. D' umiltà vestuta ; § xxvii. La vista sua face ogni cosa
umile; % xxviii. si è cosa umil che non Si crede; § xxxii. Ch'è luce
della sua umiltade ; § xxxv. Nel del dell' icmiltate. or' è Maria.
CARATTERE MORALE DI DAISTE. /D
misura, fu a lui fonie del più alto compiacimento, che iu
elevalo intelleUo possa capire:
Lo collo poi con le braccia mi cinse.
Baciommi il volto, e disse: Alma sdegnosa.
Benedetta colei che in te s'incinse. Inf. vm. 43.
L'ira sua, dice il Foscolo, fu inesorabile ; appo luì lo sdegno
era non puro impeto di natura, ma debito, e pregustò nella
conscia mente quella tarda, ma certa ed in eterno dura-
tura vendetta, che
Dolce fa r ira sua nel suo segreto. Purg. xx. 9C.
Taci, e lascia volger gli anni:
Sì eh' io non posso dir, se non che pianto
Giusto verrà dirietro a' vostri danni. Par. ix. 4.
Altri potrebbe facilmente cavare il ritratto di lui dai versi
seguenti:
Ella non ci diceva alcuna cosa ;
Ma lascìavane gir, solo guardando
A guisa di leon quando si posa. Purg. vi. 04.
Lo sdegno, soggiunge il Nicolini, in Dante fu indizio di
animo forte; e in tante mutazioni di tempi di persone e di
costumi, non vi ha magnanimo che contro quelle cose, le
quali principalmente biasimale furono dall' AUighieri, non
arda d'onestissima indignazione.
Amore di patria. - Suo esi^^lio. — Ei che SCriveva
esserci di tutte le terre più prossima quella dove l'uomo
tiene se medesimo, perchè è ad essa più unito [Conv.i. 12.),
sentiva pure potentemente questo legame di natura che il
tenea stretto alla terra natia, — Alla salute della patria
con ardentissimo affetto, quasi per lo desiderio so(jnando,
fu sempre intento : Ep. i. 2. Per nove anni la repubblica
l'ebbe tutto. «Onde ninna legazione si ascoltava, a niuna
si rispondeva, niuna legge si fermava, niuna se ne arrogava,
niuna pace si facea, niuna guerra pubblica s' imprendeva, e
brevemente, niuna deliberazione la quale alcuno pondo
portasse si pigliava, se egli in ciò non desse in prima la sua
sentenza. In lui tutta la pubblica fede, in lui ogni speran-
za, in lui sommariamente le divine cose e le umane pareano
essere fermate ». Nella ferocia de' partiti che laceravano
la patria sua, « il maturo uomo nel santo seno della filo-
solia allevato e nutrito, pose ogni sua cura ed ogni studio
76 CARATTERE MORALE DI DANTE.
a voler riducere ad unità il diviso corpo della sua repub-
blica. Ma perchè vide tornar vane le sue fatiche, veggendo
che per se medesimo non poteva una terza parte tenere,
la quale giustissima la ingiustizia dell'altre due abbattesse,
tornandole ad unità; con quella si accostò, nella quale,
secondo il suo giudicio, era più di ragione e di giustizia;
operando continovamente ciò che salutevole alla sua patria
e a' suoi concittadini conosceva : » Boccaccio Yita di Dante.
Né si creda, dice Nicolini, fare oltraggio al Poeta, chiaman-
dolo fazioso: chiunque abbia sortito dalla natura un'indole
risentita e gagliarda, diventa necessariamente uomo di parte,
e dallo sceglierne una, deriva ogni forza nell'individuo come
uelle nazioni. - Dante amò la patria, non già a modo di lusin-
ghiero e falso adultero, ma di casto evirile amatore [Perticari]:
le stesse urenti invettive con che vitupera la mal guidata, la
città partila ; la città che di giorno in giorno più spolpavasi
di bene, già disposta a triste mina [Purg. xxiv. 79j, fanno ma-
nifesto quanto gliene piangesse il vederla carica di nuova
fellonia di tanto peso, onde ne verrebbe certa la jattura della
barca.-\\ grande Cittadino, in quanto poteva gli errori della
gente abbominava e dispregiava, non per infamia o vituperio
degli erranti, ma degli errori, e gridava solo alla gente che
per mal camino andavano, acciocché per dritto calle s' in-
drizzassero: Conv. i\.l; 7^ar.xvi.95. Nel fondo dell'inferno,
nelle vallee del Purgatorio, negli splendori del Paradiso,
la sua Firenze è sempre presente al suo pensiero da rite-
nerla r eroina di quel poema, consecrato alla pittura del-
l'invisibile. -Di essere fiorentino si teneva ad onore; ma
solo di nazione, non di costumi, de' quali facea di forbirsi.
In fronte al poema ei scolpiva questa terribile confessione:
Florentinus natione non moribus. Sbandeggiato innocente,
ei se ne partì qual Ippolito d' Atene per la spietata e
perfida noverca [Par. xvii. 46) ; ma non per questo divenne
tepido di carità del natio loco: Ep. i.L In nome de' fuoru-
sciti nel 1304 indirizzava al card. Nicolò di Prato, che
proponeasi il richiamo in città degli esuli Bianchi, queste
memorande parole: « E per qual altro fine a civil guerra cor-
» reramo? a che levammo al vento le candide nostre inse-
» gne? E le nostre spade e lance per qual altra impresa ros-
CARATTERE MORALE DI DAISTE. il
" segglano, se non perchè coloro, i quali con folle presunzione
>' avevano spezzali i diritti civili, sottomettessero il collo al
» giogo (li pietosa legge, e alla pace della patria per forza
» si conducessero? Perchè la punta legiitinia della nostra
» intenzione, dal nervo che tendevamo scoccando, al solo
» riposo, alla sola libertà del popolo fiorentino mirava, mira
» e mirerà nel tempo avvenire. Ora, se per benefizio a noi
» gradissimo vegliate con tanta cura, e ponete così vivo
» studio aflìnchè i nostri avversari tornino ai solchi di
» buona cittadinanza, chi sarà s\ ardito di renderne a voi
» grazie condegne? Non è ciò possibile a noi, né a quanta
» lìorentina gente trovasi in terra. Ma se in cielo è pietà
» che proveda a rimunerare colali benedette opere, ella
» ne renda a voi le giuste mercedi, a voi che di così nobile
» città vestiste misericordia, e i profani litigi de' cittadini
» correte a spegnere. Certamente da poi che per Frate L.,
» uomo di santa religione, persuasore di cittadinanzar e di
» pace, fummo da voi ammoniti e instantemente richiesti,
» come annunziavano le stesse vostre lettere, di por ter-
» mine ad ogni assalto e ardimento di guerre, e di com-
» mettere in tutto le nostre persone nelle paterne vostre
» mani, noi, figliuoli a voi devotissimi e amici della pace
» e del giusto, deposte oggìmai le spade, con sincera e
» spontanea volontà ricoveriamo sotto il vostro arbitrio, come
» vi sarà narrato per le risposte del sopraddetto Frate L.
» vostro messo, e per pubblici solenni strumenti si vedrà
» manifesto.» Lctt. 1. al Cardinal d' Ostia. - Per cessare l'a-
cerbità dell' esigilo usò di ogni arte: s' ingegnò di rendersi
caro ai suoi concittadini con istudi ed opere che gli acqui-
stassero fama, fece pratiche amichevoli coi capi del governo
fiorentino; tentò di rientrare in patria colle armi, e fu
cogli altri fuorusciti all'impresa della Lastra, dopo la quale w0Ji^«^^
sentì farsi più duro lo strale dell' esilio, perchè al danno ^*y^''
si unì la vergogna del poco senno e del poco valore tuc^/'*^
degli esuli in quello sciagurato tentativo. Allora cominciò ' '
a dispregiare i suoi compagni d' infortunio, e reputò bello
il farsi parte da sé stesso. Fallitagli, per la morte di Enrico
MI, ogni speranza di ritorno, non può non sospirare con
incessiuUe desiderio il ritorno al suo bel fiume d' Arno, alla
78 CARATTERE MORALE DI DAME.
(fran villa [Inf. xxiii. 95.), dove uvea sentito da prima l'acr
tosco: Pa?\ xxii. 117. - Egli solo, povero, dannalo al fuoco,
tenero padre, assai figliuoli, senza la donna sua, il suo
patrimonio ridotto in pubblico, che avea a Campaldino e
a Caprona sudato per lei nell'arme, più nella toga, già il
primo oratore e l'ottimo dei magistrati, vedeasi condotto
a tremar per ogni vena, mendicando a uscio a uscio
un pane, e per durissimo calle scendere e salire le scale
altrui: Par. xvii. 58. - Eppure egli exsul immerilus (passim;
Villani, IX. 135; xii. 44; Boccaccio, Vita, § 22); egli, bianco
fiore, per giudizio o forza di destino fra' i persi versato
[Canz. XIX. 6), sentiasi alla fortuna, come vuol, presto {Inf.
XV. 53); ben tetragono ai colpi di ventura (Par. xvii. 23);
perchè più grave torna V infortunio a chi più vi s' abban-
dona (Par. XVII. 407.), e perch'ei vedea infuturarsi la sua
vita vie più là che il punire delle perfidie de' suoi nemici:
Par.,\\\i. 98. Che se pur un' istante parca fiaccasse sotto
la mole della sventura che il gravava, era per sorgere più
grande :
Come la fronda, che flette la cima
Nel transito del vento, e poi si leva
Per la propria virtù che la sublima. Par. xxvi. 85.
Nell'abbandono e nella miserrima solitudine dell' esiglio
non si abbassò mai a supplicazioni a lamenti codardi, ma
ritenne tutta la indomita alterezza dell'animo; che aWalto
disperso rimanea la più sublime delle consolazioni; la si-
curtà della propria coscienza, quella buona compagnia chQ
r uom francheggia, sotto l usbergo del sentirsi pura: Inf.
XX vili. 115. Ed allora che gli fu offerta la speranza di
rimpatriare e di riavere i suoi beni, purché si dichiarasse
perdonato, e quindi colpevole, rifiuta i vili patti con queste
magnamine e sdegnose parole : « É egli adunque questo il
» glorioso modo, per cui Dante Allighieri si richiama alla
» patria dopo l'affanno d'un esiglio quasi trilustre? È questo
r> il merito dell'innocenza sua ad ognun manifesta? Questo
» or gli fruttano il largo sudore e le fatiche negli studi
» durate? Lungi dall'uomo della filosofia famigliare questa
» bassezza propria d'un cuor di fango, eh' egli a guisa d'un
» eerto Ciolo, e di altri uomini di mala fama, patisca, quasi
CARATTERE MORALE DI DANTE. 79
*» prigioniero, venire offerto al riscatto I Lungi dairuomo',
» banditore di giustizia, ch'egli, d'ingiuria offeso, ai suoi
j> offensori (juasi a' suoi benemerenti paghi il tributo! Non
% è questa la via di ritornare alla patria, o Padre mio; ma
» se un'altra per voi o per altri se ne troverà, che la fama
» e l'ouor di Dante non isfregii, lo per quella- mi metterò
» prontamente. Che se in Fiorenza per via onorata non si
» entra, io non entrerovvi giammai. E che? non polrò io da
» qualunque angolo della terra mirare il sole e le stelle?
» Non potrò io sotto ogni plaga del cielo meditare le dol-
» cissime verità, se pria non mi renda uom senza gloria,
» anzi d' ignomìnia, in faccia al popolo e alla città di Fio-
» renza?-Nè il pane, io confido, verrammi meno.)) i:p. x.
3.4.- Eppure la vita dell'esule gli era amara che poco più
morte; eppure la carità del natio loco struggeagli l'anima;
il caro nome del fiorito suo nido rampollavagli sempre nella
niente ; ed ei commoveasi tutto mi per lo dolce suon della
sua terra, onde con profondo dolore e con ardente afletto
ricorda spesso il bel paese ch'avea lasciato [Caìiz. i. 1.); il
bel seijno degl'occhi suoi che per lontananza gli era tolto
dal viso ( Canz. xix. 3.) ; il suo bel san Giovanni, dove uu
dì ruppe un fonte battesimale per salvare un fanciullo
che vi annegava ( Jnf. xix. 17. ) ; e dove era entrato nella
fede che fa conte l'anime a Dio {Purg. xxv. 10); ed egli
non cessa mai di sperare che il poema sacro al quale avea
posto mano e cielo e terra potesse vincere un giorno la
crudeltà che H serrava fuori del bello ovile, in che avea
dormito agnello e nemico a' lupi divoratori della patria, e,
ritornandovi poeta, prendere la corona d'alloro in sul fonte
del suo battesmo (1); di ritornare nel dolce seno della sua
Fiorenza, che ei amò sempre, benché vota d'amore e nuda
di plelate iCanz. vili. (>); della sua Fiorenza, ìiella quale e
(1) E perche veggasi come ne' veri poeti il canto sia storico e nei
reri storici la narrazione sia radice e frutto di poesia, rammentiamo le
parole dolcemente consonanti con queste di Dino Compagni : « Cari e
valenti concittadini, i quali comunemente tutti prendeste il sacro bal-
tesimo di questa fonte... Sopra questo sacrato fonte onde traeste il
santo battesimo tjxurate tra voi buona e perfetta pace. - La memoria
del fonte battesimale era a quc" tempi tenuta meritamente sacra.
80 CARATTERE MORALE DI DANTE.
nudrtto fu fino al colmo della sua vita, e nella quale, con
buona pace dì lei, desiderava con tutto il cuore dì riposare
V anima sua, e terminare il tempo che gli era dato: Conv.
1. 3. Eppure tanto cuocevagli l' esigilo ch'ei considera la
morte come un bando, e il bando come una morte : Inf.
XV. 81. Onde non è meravìglia se l'esule poeta, cui la
patria per suo ben far gli era diventata nemica {Inf.w. 64),
tornasse più spesse volte a colorire pietosamente nei suoi
versi il peregrino dal nativo suo cielo lontano. - La cam-
pana della sera che pare che pianga il giorno che finisce,
più viva raccende nel novo peregrin cV amore la mestizia e
il desiderio della cara patria: Purg. viii. 8. - Tra' duo liti
d' Italia sur gon sassi, E non molto distanti alla tua patria:
Par. XXI. 106 - Quanta poesia in questo ultimo verso sì
semplice! - E già, per gli splendori antelucani, Che tanto
ai peregrin surgon più grati. Quanto tornando albergan men
lontani: Purg. xxvii. 109. Che cara e pietosa imagine in
.bocca d'un esule indarno vicino alla patria! - Ed è ricor-
dato da lui: il peregrino che tornar vuole: Par. i. 5; ed i
peregrini che, pensosi, giungono per cammin gente non nota.
Che si volgono o^l essa e non ristanno: Purg. xxm.l^; e
quello, che si ricrea ]\el tempio del suo voto riguardando,
E spera già ridir com' elio stea: Par. xxxi. 43; e perfino
quello di Croazia che viene a veder la Veronica nostra.
Che per V antica fama non si sazia: Par. xxxi. 103. - V.
Conv. IV. 12; V. JS. § 41. Anche nel Volgare Eloquio, ii. 6.,
cadendogli di dare un esempio sui molti gradi delle co-
struzioni, ne trae uno melanconicamente pietoso dall'esule :
Piget me cunctis, sed pietatem majorem ftlorum habeo, qui-
cumque in exilio tabescentes, patriam tantum sommando
revìsunt {!).
(1) » Ahi piaciuto fosse al Dispensatore dell'universo, che la capiot^e
della mia scusa mai non fosse stata ; che né altri contro a me avria fal-
lato; né io sofferto avrei pena ingiustamente; pena, dico, d'esilio « di
povertà. Poiché fu piacere de'cittadmi della bellissima e famosissima
figlia di Roma, Fiorenza, di gettarmi fuori del suo dolcissimo seno ( nel
quale nato e nudrlto fui fino al colmo della mia vita, e nel quale, con
l)UO,na pace di quella, desidero con tutta il cuore di riposare l'animo
stanco, e terminare il tempo che m' é dato), per le parti quasi tutte, alle
quali questa lingua si stende, peregrin , quasi mendicando, sono andato,
CARATTERE MORALE DI DANTE. 81
Dante Cristiano. — E l'alllssinio poeta era intimamente
cristiano. Con altera umiltà e coraggio professava le proprie
credenze, i propri sentimenti che alla fede s'attengono. Il
verso : e quel che spera ocjni fedel, com' io, {Par. xxvi. 60)
nella sua nohile semplicità onora il poeta, in cui la speranza
raflerma la fede e muove a carità l'animo dalle ire troppo
sovente agitato.- Né la sua mente s' infiorava solo della cri-
stiana speranza {Par. xxv. 40), di vedere nella divina essenza
per sé noto ciò che lenea per fede, non dimostrato {Par, ii. 48);
né solo se ne dilellava {Par. xxv. 83), ma n'ora sì pieno da
pioverla e riversarla in altrui {Par. xxv. 78), non tenendosi
a veruno inferiore, onde potea francamente dire: La chiesa
militante alcun figliuolo ]\on ha con più speranza: Par. xxv.
52. E la fede dava ali allo sperar suo: E chi noi sa, se
egli ha la fede mia? E soggiungeva, che lassù nel cielo
non era occulto come egli amava bene e bene sperava
e bene credeva: Parad. xxiv. 40. Della Chiesa Cattolica
madre piissima e sposa {Ep. ix. 7) e secretaria del Croci-
fisso {Conv. 11. 6), egli, una delle minime fra le pecorelle
della greggia di G. Cristo { Ep. ix. 5 ), fu sempre figlio te-
mostrando, contro a mia voglia, la piaga iloUa fortuna, che suole ingiu-
stamente al piagato molte volte essere imputata. Veramente io sono stato
legno senza vela e senza governo portato a diversi porli e foci e liti dal
vento secco che vapora la dolorosa povertà : e sono vile apparito agli
occhi di molli, che forse per alcuna fama in altra forma m'aveano imagina-
to; nel cospetto de' quali non solamente mia persona invilio, ma di minor
pregio si fece ogni opera, sì già fatta, come quella che fosse a fare. »
Conv. 1. 3 - « Conciossiacosaché io mi sia quasi a tutti gl'Italici apprc-
sentato, per che fatto mi sono forse più vile che '1 vero non vuole, non
solamente a quelli alli quali mia fama era già corsa, ma eziandio agli
altri, onde le mìe cose senza dubbio meco sono alleviate...» Conv.\. 4 -
Ma noi, a cui il mondo è patria, sì come a' pesci il mare, quantunque
abbiamo bevuto l'acqua d' Arno avanti che avessimo denti, e che amiamo
tanto Firenze, che per averla amala, patiamo ingiusto esigilo. . . E benché
secondo il piacer nostro, ovvero secondo la quiete della nostra sensualità,
non sia in terra loco più ameno di Fiorenza... ove son nato e di cui son
cittadino " De VuUi. El.i.iì - E tanto gli fu dura la povertà nel suo
esiguo, che neanche gli consentì d'intervenire all'esequie del suo bene-
fattore, Alessandro conte di Romena, scusandosene per iscritto ai nepoti
di lui Uberto e Guido: Me vestrum vestrae discretioni excuso de absentia
lacryraosis exequiis; quia nec negligentia, neve ingratiludo me tenuil,
sed inopina paupertas quam fecit exilium. Kp. ii. 3. lì allo Scaligero
scriveva- Urget me rei familiaris cgeatas. Ep. xi.22.
VOL. II. 6
82 CARATTERE MORALE DI DAINTE.
nerisslmo e riverente. Che se pur gli avveniva alzare la
voce e propugnare invidiosi veri, egli facealo sempre con
quella riverenza che debbesi usare ogni volta che di per-
sone a noi superiori giudichiamo {De Yulq. El. i. 3); e
temendo ufficio non commesso lasciava di por mano all'ar-
ca, e teneasi contento a solo pungere i buoi calcitranti
e per impervio calle vaganti: Epist. ad Card. § 5. - La Chiesa
Cattolica non può dire menzogna, {Conv. ii. 4.) perocché il
fondamento della Chiesa è Cristo: De Mon. iii. 10. La cristia-
na sentenza è di maggior vigore, ed è rompilrice d' ogni
calunnia, mercè della somma luce del Cielo, che quella al-
lumina: Co?ir. IV. lo. Ravvalorato solo nel celeste aiuto,
ei dice di metter mano all'opera della Volfuire Eloquenza;
e tutto fidente nel lume del supremo donatore, che dà ad
ognuno ed a nessuno rimprovera, alla grande e difficile
opera della Monarchia: ìlla reverentia fretus quam pius filius
debet patri, quam pius filius mairi, pius in Cliristtcm, pius
in Ecclesiam, pius in paslorem, pius in omnes Christianos
religionem profitentes prò salute veritatis, in hoc libro cer-
tamen incipio: De Mon. in. 3 - JSè vuole dar termine al
trattato poetico di sacra dottrina, rinchiuso nell'immortale
Cantica, che nel nome di quel Dio eh' è benedetto nei secoli:
Ep. XI. 33. n pensiero che lassù ne' cieli vi ha un giusto
sire che nel rimeritare i suoi servi vince ogni misura,
facevagli dimenticare ogni rancore verso i nemici suoi, e
dirizzando gli occhi al cielo, laudando il creatore, egli crea-
tura, innamoravasi di sempre più lodarlo. Che se facevasi
contemplare il gran premio venturo, sentiasi più e più pronto
a far sacriiìcio del suo volere a Dio : Son. 43. La vita era
poco desiderabile per lui : la morte, quando si vive in una
triste società, dove l'uomo onesto ha sempre la peggio, è
una vera grazia di Dio; onde il poeta diceva di sé:
Lunga vita ancora aspetta,
Se innanzi tempo grazia a se noi chiama. /«/". xxxi. 128.
Non so.., quant' io mi viva;
Ma già non fla '1 tornar mio tanto tosto,
Che io non sia col voler prima alla riva. Purg. xxiv. 76.
Olire di che il pensiero del gaudio che la pioggia eterna
del beatifico lume produce ne' ben finiti, facevagli riguardare
la morie come una benedizione di Dio :
CARATTERE MORALE DI DANTE. ^'^
Qual si lamenta perché qui si moiii
Per viver coiassù, non vide quive
Lo refrigerio dell'eterna ploia. l'ar. xiv. 25.
Fervidissimo egli nella preghiera, ci appreiuicva come doli-
l)iamo orare, onde ffrazki ci s'impetri: l*ur.\\s..ìil. Perchè
la sia accetla a Dio è di mestieri che sia pronta e divoiAi
[Par. XIV. 22) ; che surf^a su di cor che in grazia viva {Par.
iv. 134); che sia fatta con affezione, sì clie dal dicer... h
cuor non parta: /*af. xxxii. 144. L'uomo con la preghiera,
calda iV amore e di viva speranza, vince la volontìi divina,
non per avanzamento di forza, come avviene che un'uomo
vinca un altro, ma perchè è Dio stesso che vuole esser
cinto, e dà i mezzi perchè si vinca, cosicché può dirsi che la
divina volontà vinca nell' esser vinta : Par. xx. 94. Ed ei
di sé ci dice, che Cuor di mortai non fu mai sì digesto
A divozion ed a rendersi a Dio Con tutto il suo gradir
cotanto presto (/^ar.x.o5), come lui ; e che devoto guani' esser
potca più, ringraziava Iddio [Par. ii. 140); e che con tutto
il cuore, e con quella favella eh' è una in tutti gli facea
olocausto, guai conveniasi alla grazia novella per lui rice-
vuta: Par. xiv. 88. E chi, se non un anima a rdcntemen te-
innamorata di Dio, potea ritrovare le sì dolci note per ritrarci
la soavità della preghiera di quell'anime nella valletta del
Purgatorio (vm. 10), tanto che al leggerle solo fanno noi
a noi uscir di mente?
E il Poeta pregava che 1" anima sua già fat'.a sana,
piacente a Dio, avesse a disnodarsi del corpo [Par. xxxi. 85.;,
e fosse resa degna di risalire all' ultima salute (Par. xxxiii.
27); ond' egli piangeva spesso le peccata sue, e percoteasi
il petto, perchè non gli fallisse il ritorno al devoto trionfo
(Par. xxii. 106); e pregava pure che gli fossero conservati
mni gli affetti, e che colla guardia della Vergine fosse vinto
in [[lì ogni movimento umano: /\/r. xwiii. 35. E con quanta
dolcezza non ci parla sempre dell'amor divino, di quell'u-
lama luce, che vista sola sempre amore accende [Par.\.H.),
sicché il poeta non può non esclamare: fìen è che senza termi-
ne si doglia Chi, per amor di cosa che non duri Eternalmente,
di quell'amor si spoglia: Par. \v. 10. - Né disconfessa esser
concorsi in lui tulli quei morsi che [MJtcano fare il suo cuore
84 CARATTERE MORALE DI DANTE.
volgere a Dìo: Par. xwì.'Òù; V essere del mondo l'essere
suo, la morte che il suo Dio sostenne, per eh' ei vivesse {Id.
V. 08) ; e che la conoscenza viva de' divini e degli umani
argomenti avealo tratto del mare dell' amor torlo e postolo
alla riva del diritto: Id. v. GÌ. 11 perchè non dubitava
chiamarsi: dolce fico tra li lazzi sorbi: Inf. xv. 65; apiello
del bello ovile a' lupi nemico divoratori della patria: Por.
XXV. 5; anima bu'ona: Inf. in. 127; a cui di ben far ffiova:
Par. IX. 24 ; buon cristiano, cui colpa non menava ai tor-
menti: Inf xxviii. 46; fifflìuolo di grazia: Par. xxxi. 112;
anzi nella divina grazia grandemente rinchiuso : Par. xxvii.
2; anima santa: Purg.xwu.lì; e contraddistinta da evi-
denti segnali ch'era amata da Dio {Purg. xiii. 148), e perciò
sicura di cenare alle nozze celesti: /^o?\ xxx. 135.
Devozione affettuosa a M. \, e a H, Lucia. — Ei
fu affetuosamente devoto di Maria e dell'illustre vergine
Siracusana S. Lucia. - Nel Convito ci fa sapere che se egli
avesse ad imporre il nome a due città, intitolerebbe l' una
Maria e l'altra Lucia: Conv. ni. 5. E si dice fedele di Lucia,
la quale, nemica di ciascun crudele, chiesta dalla donna
gentile, si facea a raccomandare il poeta impigliato nella
selva, alla sua Beatrice (Inf. 11, 97), e trassela a simboleg-
giare la grazia divina, ed assegnavale nel cielo altissimo
seggio di presso a Maria. -U^ la Madonna sempre mattina
e sera invocava, e diceva VAve Maria:
11 nome del bel fior, eh' io sempre iìivoco
E mane e sera. Par. xxiii.88.
E ben quattro volte nel sacro poema nominò VAve Maria,
che sì dolcemente gli suonava all'anima: Puff/, xiv. 40;
/^(ir. Ili 121; xvi. 34; xxxii. 92. -E sovente gli piace d'in-
trodurre il nome di Maria, e la divozione ad essa, dove
vuole addolcire ed ingentilire le rimembranze, di che è solo
vederne l'origine nel cuore di lui: Purg. v. 105; xviii. 19;
Par. XV. 133. - E di questo suo amore alla Regiìia della
gloria ne parla anche nella Yita Nuova, e si compiace che
ne fosse pure innamorata la sua Beatrice (§ 5) ; e scrive di
lei: che lo Signore della giustizia chiamò questa gentilis-
sima a gloriare sotto l'insegna di quella reina benedetta
Mc^Tia, lo cui nome fu in grandissima reverenza nelle parole
CARATTERE MORALE DI DANTE. 85
di questa Beatrice beata: § 29 - E nelle sue rime egli
colloca la morta donna nel ciel delV umiltà dov'è Maria:
Son. 24.
Con quali Imagini poi purissime e tulle maravigliose
e tulle celesti non ci ritrae quella Donna eccelsa, ottima di
tutte l'altre... laidezza ed onore dell'umana generazione
(Coni). IV. 5), che ad apr/r /' alto Amor volse la chiave,
circondata in forma di Rosa dai Santi e dagli Angeli più
sublimi! 11 Tommaseo, e dopo lui moltissimi altri, nella
Donna (jentile, mossasi prima in aiuto a Dante, con inter-
pretazione feconda d'alia bellezza, avvisa Maria Vergine,
che di lei sola polca venir detto: che frange lassù duro
giudizio (7«/". 11. 9G); di lei sola: che quul vuol grazia e
a lei non ricorre, la sua disianza vuol volar senz' ali: Par.
xxxiii. 14. - E di fatti nella candida Rosa, coronante Maria
Vergine nel Paradiso, è il seggio di Beatrice, ed a quella
spicca il volo quando lascia Danle {Par. xxxi. 1); in quella
egli la vede per 1' ultima volta, giunte le mani, a pregare
Maria Vergine per lui: Par. xxxiii. 38. E divinamente inspi-
rala è la preghiera che nell' ultimo Canto indirizza a questa
umile ed alta più che creatura. -Ed io son d'avviso, meglio
che all'arte dei Notai e dei Giudici, amasse inscriversi a
quella dei Medici e degli Speziali, per quel sentimento
divoto e riverentemente afleltuoso eh' egli nutrì sempre
per Nostra Donna, siccome a quell'Arte, ch'entro al campo
vermiglio avea S. Maria col figliuolo al collo.
Anche il Petrarca moslrossi quanto mai tenerissimo della
Vergine, in onore della quale dettava la bellissima Canzone
Vergine bella, dove ad ogni stanza è ripetuto con istante
fervore e con soavità penetrante il dolce nome di Vergine.
« Le poesie che il Petrarca, scrive il Foscolo, dettò intorno a
Laura, finiscono con una delle sue più belle Canzoni. E que-
sta rivolta alla Beala Vergine, e come a quella, eh' avea
sentito i più santi afletti, e congiunto in sé stessa i tre
più teneri e più soavi nomi sulla terra, di madre, di fi-
gliuola e di sposa, si confida il poeta che gli sarebbe
misericordiosa. Poi con una sublimità e con un affetto che
verun poeta non arrivò mai a superare, invoca l'aiuto di
lei, onde poter cessare nella sua vecchia eia di struggersi
S6 CARATTERE MORALE DI DA?>TE.
in lagrime, sopra le ceneri di tale che avea riempiuto la sua
vita di lagrime e di guai. » E il Petrarca teneasi sempre
con seco ne' suoi peregrinaggi, come cosa cara e santis-
sima, r imagine della Vergine, egregio dipinto di Giotto,
che poi, morendo, legava al Signor di Carrara, dono, dico
il Tommaseo, da poeta, e più che da principe.
Ritratto. — (1) « Fu questo nostro poeta di mediocre
statura, e poiché alla matura età fu pervenuto, andò alquanto
curvetto, ed era il suo andare grave e mansueto, di onestis-
simi panni sempre vestito in quello abito eh' era alla sua
(Ij N. Tommaseo, nel discorso aggiunto al C. xxvi. dell'Inferno, così ci
ritrae l'indole e la natura del poeta, desunta da' passi della Divina Co-
media, eh' io mi farò anche di citare. - Ingegno ardito, ma frenato dal
dovere ( Inf. xxv. 21 ) : caldo talvolta di febbre superba ( Pura. xm. 136),
ma sdegnoso di volpini accorgimenti: si compiace nell'ira, nell'odio,
nella vendetta {Inf. viii. 37; xxvi. 10); ma le villane significazioni della
rabbia impotente non loda: Inf. xw.ll ; xxv 1. Breve ed arguto nel dire
(Pwfj. m. 78), non bugiardo; nemico degl' ippocriti, aperto a' sapienti,
come specchio che rende le imagini delle cose di fuori. Sorride dignitoso
alle umane follie, ama talvolta dipingere le bassezze de' tristi { Inf. xxx.
130); ma ben presto s'innalza e piange fin sui meritati dolori: Inf. xvj.
47; Parq.yi. Docile all'autorità de' grandi, riverente alla Chiesa {Purg.
11. 100; xxii. 71; Par. v. 7C); si scusa fin d'atti apparentemente audaci
{Inf. XIX. 16), ma osati a fin di bene; l'adulazione gli è in odio {Inf.
svili ) ; la costanza nelle avversità gli desta meraviglia fin ne' malvagi,
{Inf. X.30; xviii. 83 ), quando provocatrice non sia: Inf. viii. 37; xiv. 4,
Ogni vero e' ha faccia di menzogna egli evita (Inf. xvi. 118. j: egli negli
studi s'affanna e suda (Purg. xxv. 3; xxix.37; xxxi. 140; Par. xxv. 1;
font;. 111. 9; De Vul. El. ni. 1; Ep. li. a Moroello Ulalaspina]; quasi scul-
tore, modella e intaglia e pulisce l'opere sue. Negli amori invescato (Purg.
XXIV. 37; XXXI. 49, Cans, vili): da ogni avarizia abborrente { passfw ), e
ancor più d' ogn' invidia ( Purg. xm. 133 ). - Amante della lode, si loda
da sé (Inf. iv. 104; Inf. xv. 55; xvi. 127; Purg. xvii. 94; Purg.xxw. 49;
Par. n. 1; xxv. 1 ); ma i proprll falli confessa {Inf. ii 105; Purg. i. 58;
IX. 112; xxx. 115) e degli amici suoi. Sdegna i beni della sorte, e al
dolore di lunga mano si apparecchia: /n/".x. 76,127; xv. 88; Par. xvii.SÌ
Ama conoscere nuovi uomini e nuove cose, ma le prime consuetudini gli
son care, e le prime amicizie : V. N. 3, 24, 25, 33, 35 ; Purg. li. 88. Par.
Yiii. 55; Da Vul. El. i 9, u. 2, Ep. iv. Ep. xi. - Tutto ciò che é alto e
gentile nella umana natura riconosce, e lo venera dove che sia, e ad
uomini tali ubbedisce e teme i rimproveri loro: Inf. xxx. 141. - Ama la
gravità iie|la voce, negli sguardi, negli atti ( /«/. iv. 112; Purg. iii. 10.
87; XXIX. 134; Par. xxxi 49; Conv. 4, 7, 8; iv. 25); teme che il tempo
non gli passi perduto: Inf. xi. 14; Purg. iii. 78; xii, 81; xyiiJ. 103;
CARATTERE MORALE DI DA^TE. 87
maturila convenevole, il suo volto fu lungo, e '1 naso aqui-
lino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi,
e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzalo ; e il colore
era bruno, e' capelli e la barba spessi, neri e crespi, e
sempre nella faccia maninconico e pensoso.., Ne' costumi
pubblici e domestici mirabilmente fu composto e ordinato,
e in tutti più che alcun altro cortese e civile. !Nel cibo e
nel poto fu moderato, s\ in prenderlo all'ore ordinale, e si
in non trapassare il segno della necessità quel prendendo ;
né alcuna curiosità ebbe mai più in uno che in un altro:
i dilicati lodava, e il più si pasceva de' grossi, oltremodo
biasimando coloro, i quali gran parte del loro studio pon-
gono e in avere le cose elette, e quelle fare con somma
diligenza apparecchiare; affermando, questi colali non man-
giare per vivere, ma piuttosto vivere per mangiare. Ninno
altro fu più vigilante di lui e negli studi e in qualunque
altra sollecitudine il pugnesse; intantochè più volle e la
sua famiglia e la donna se ne dolsono, primachè a' suoi
costumi adusale, ciò mettessero in non calere. Rade volte,
se non domandalo, parlava, e quelle pensatamente e con
voce conveniente alla materia di che diceva; non pertanto,
laddove si richiedeva, eloquenlissimo fu e facondo, e con
ottima e pronta prolazione. - Sommamente si dilettò in suon
e in canti nella sua giovanezza, e a ciascuno che a que' tempi
era ottimo cantatore o sonatore fu amico ed ebbe sua usan-
za ; ed assai cose da questo diletto tirato compose, le quali
di piacevole e maestrevole nota a questi colali facea rivestire.
Quanto ferventemente esso fosse ad amore sottoposto, assai
chiaro è già mostrato: questo amore è ferma credenza di
tulli che fosse movilore del suo ingegno a dovere, prima
imitando, divenire dicitore in vulgare, poi per vaghezza di
più solennemente dimostrare le sue passioni, e di gloria,
sollecitamente esercitandosi in quella, non solamente passò
ciascuno suo contemporaneo, ma in tanto la dilucidò e kce
bella, che molli allora e poi di dietro a sé n' ha fatti e
farà vaghi di essere esperti. Dilettossi similmente d'essere
solitario e rimolo dalle genti, acciocché le sue contempla-
zioni non gli fossero interrotte; e se pure alcuna che molto
piaciuta gli fosse ne gli veniva, essendo esso tra gente,
88 CARATTERE MORALE DI DANTE.
quantunque di alcuna cosa stato fosse addomandato, giam-
mai infino a tanto che egli o fermata o dannata la sua
immaginazione avesse, non avrebbe risposto al dimandante;
il che molte volte, essendo egli alla mensa, e essendo in
cammino con compagni, e in altre parti dimandato, gli
avvenne...» Boccaccio, \ita dì Dante, 37 - «Fu il nostro poeta,
oltre alle cose predette, di animo alto e disdegnoso molto...
Preelesse di stare In esìlio, anziché per isconvencvole via
tornare in casa sua. Oh isdegno laudabile dì magnanimo,
quanto virilmente operasti reprimendo lo ardente disio del
ritornare per vìa meno che degna ad uomo nel grembo
della filosofia nutricato! Molto simigliantemente presunse
di sé, né gli parve meno valere, secondocché li suoi con-
temporanei rapportano, eh' e' valesse ... Oltre a queste cose,
fu questo valente uomo in tutte le sue avversità fortissimo ...
Tra cotanta virtù, tra cotanta scienza... trovò amplissimo
luogo la lussuria, e non solamente nei giovanili anni, ma
ancora ne' maturi ... Boccaccio, Vita dì Dante, 53.
POLITICA DI DA^TE
Ogni speculazione politica deve avere per incopo l'utile
della civiltà dell'umano genere -De Mun. I. 1.
Scopo della civiltà è il proniovimento, lo sviluppo alla
potenza intellettiva del genere umano. - DeMon. 1.3. -
(Nemmeno a' nostri tempi, nei quali tanto di ciò ol
discorre, nulla di piii largo e di più preciso insieme
fu detto da alcuno. Balbo, Vita di Bante, L.II. e. 11.)
Dante fu l'italiano più italiano che sia stato mai.
BALBO.
Nella Divina Comedia, nel Trattato De Monarchia, il
solo e il migliore Commento politico del poema, nei Capitoli 4,
5, 6 del Convivio, nelle sue Epistole si legge interamente
tratteggiato il sistema politico dell' Allighieri. Noi esporremo
a brevi cenni, anche sull'orme di riputati scrittori, quello
che Dante credeva nel secolo XIII.
« Dio è uno - l'universo è un pensiero di Dio {Mon. l. § 10;
Par. XI11.52) - quindi anch'esso è uno: Par. 1. 103. Le cose
tutte vengono da Dio -e tutte partecipano più o meno alla
divina natura, secondo il line per cui furono create. Tutte si
muovono a diversi porti per lo gran mare dell'Essere ( Conv.
11.2; Par. 1. 112.), ma tutte son mosse dalla stessa volontà.
Fiori nell'orto del Signore, tutte nreritano il nostro amore
secondo il grado di eccellenza di cui ciascuna è naturata:
Par. XXVI. 64... - L'umanità è una: Conv. iv. 15. Dìo non fece
nulla indarno: se quindi esiste una moltitudine di uomini
raccolti sotto un'unità collettiva, egli è perchè v'ò uno
scopo unico per lutti - un'opera che deve compiersi da
lutti assieme: Mon. i. § 4. L'umanità intera deve quindi dar
opera perchè tutte le potenze intellettuali diffuse nel suo
seno possano ricevere il più alto sviluppo possibile nella
sfera del pensiero e dell'azione: (DeMon.i.^-ò) e questo
può solo ottenersi coli' armonia, e per conseguenza coll'as-
sociazione. L' umanità dev' essere una, come uno è Iddio -
una nella organizzazione come lo è cerlamenle nell'origine.
90 POLITICA DI DANTE.
L'unità viene Insegnala dalla intenzione di Dio ( l)c Mon. i.
§ 11) manifestata nel mondo esterno, e dalla necessità di uno
scopo. Or essa richiede tal cosa da cui possa venire rappresen-
tata, e questa è l'unità di governo. E allora è necessario
un centro a cui salga la generale ispirazione dell'Umanità,
per ridiscenderne in forma di leqrfe - un potere forte della
unità e dell'appoggio dei più alti intelletlL naturalmeiltc
destinati a dirigerlo, (Ij che provegga con tranquilla sa-
li] Né punto differente è la sua teoria nella Divina Comedia. L'au-
torità imperiale fu sempre per Dante raltissimo unico ed eterno principio
dei suo sistema politico; onde quella continua adorazione alla podestà
imperiale, quasi fatata dal cielo, a quel sogno eroico, come disse Gioberti,
della Monarchia universale, avente Roma a capo. E perfino nel paradiso
tìgli imaginava una Roma di cui Cristo è cive Romano (Purg. xxxii, 102) ;
un Impero di cui egli è l' Imperatore, dove avea la sua cittade e l'alio
seggio (/nf. 1. 174), con una Corte co' suoi Conti e Baroni (Par.xxiv.112,
115; Par. xxv. 42), a modo di quella che sostiene volere Iddio sulla terra. -
Dio avea preparato a Giulio Cesare la Monarchia, come mezzo di quella
pace ch'egli voleva: Augusto è per lui sommo eroe, sommo fondatore,
tipo degl'Imperatori. Costantino, trasportando la sedia imperiale, andava
contra il Cielo, e il cielo malediceva l'opera sconsigliata: frutto della
maledizione la rovina d'Italia, e il disfacimento dell'Impero. Lo ristabi-
raento dunque dell'Impero era di volere divino; ed egli teneasi il pre-
scelto a predicarlo ed a disporlo; egli il precursore e l'apostolo: Inf.u.
20. L' Impero romano, fondato con tanti chiari argomenti del divino fa-
vore è il solo imperio legittimo, sotto il quale può l'umanità esser queta
e virtuosa: disfatto ©menomato quello, tutto è disordine: ogni altro
governo temporale è un' usurpazione, un fomite di discordia civile e di
delitti: Inf. xiv. 103-114; Par. xvi. oH; xviii. 98. - Al bene dunque del-
l'umana società é necessaria la Monarchia, l'esercizio della quale appar-
tiene di diritto aire de' Romani. « La pietosa provvidenza deireterno re...
dispose che le cose umane dovessero esser governate dal sagrosanto
Imperio de' romani, aftìchè sotto la serenità di sì eccelso governo il
genere umano si stesse in pace, ed ovunque, siccome chiede natura, si
vivesse vita civile. Queglino che temerariamente presumendo ergon la
fronte contro questa manifestissima volontà di Dio, perchè la spada di
colui che dice la vendetta è mia non cadde ancora dal cielo, tingano
fin d'ora le guance di pallore, perché su loro già pende la sentenza del
severo giudice. » Ep. vi. 1. « Chi resiste alla podestà, resiste al comanda-
mento di Dio, e chi repugna al divino comandamento, recalcitra contro
la volontà, coeguale dell'onnipotenza: è dura cosa calcitrare contro allo
stimolo. Ep. V. 5. - Non provate voi terrore della morte seconda, dapoiché
primieri e soli abborrendo dal giogo della libertà, contro la gloria del
romano principe, re del mondo e ministro di Dio tumultuaste? Epist.w.
2. - Cristo . . . quand' egli era in ceppi . . affermò che quel potere, onde
cogtyi giccome Vicario di Cesare si vantava, dall'alto proveniva Ep. v. 4.
POLITICA DI DAME. 91
pienza a tulle le varie funzioni da adempiersi - i distinti
impieghi, cioè - e sostenga egli stesso le parti di pilota, di
capo supremo, onde recare alla più alta perfezione quella,
che Dante chiama V universale Reluiione dell' umana specie:
Conv. II. 4. E così verrà mantenuta la concordia fra i reggi-
tori di Stati, e questa pace si diffonderà dal centro nelle
cittadi, e da queste in ogni gruppo d'abitazioni, in ogni
c^sa, nel petto d'ogni persona.» {hi.)
«E dove sarà il seggio dell'Impero?»
a A tale inchiesta Dante abbandona ogni argomento ana-
litico, assumendo il linguaggio d'una assoluta e sintetica
asserzione, come se gli recasse sorpresa la minima espres-
sione di dubbio.»
« Egli non è più ^/oso/o, ma credente. Mostra Roma \a santa
città, come la chiama, di cui anche le pietre son degne, a
suo avviso, di riverenza: «Quivi è l'alto seggio dell'impero.»
Non v'ebbe, né vi sarà mai popolo dolalo d'una mansue-
tudine maggiore per esercitare il comando, di più fermezza
per sostenerlo, e d'una maggior capacità per acquistarlo,
che l'italiano, e sovra lutto il santo popolo romano : Conv.
11.4; De Mon. ii. passim. Dio scelse Roma d' infra tutte le
genti. Essa ha già dato al mondo due volte unità, ed è
nel suo seno, che il mondo la troverà ancora, e per sempre.
Credete voi che la sola forza materiale abbia assoggettato
tante nazioni a Roma, che non era più che una città e un
branco d'uomini? Dante confessa anch'egli d'averlo creduto
un momento, e che tutta la sua anima era per rivoltarsi
contro una tanta usurpazione. Ma poi i suoi occhi furoiM)
aperti: nelle pagine della storia di quel popolo vide spie-
garsi l'opera della Vrow'KÌenzdi :-praedestinationem divinam-
necessitava che il mondo venisse preparato, fosse quasi
allivellalo sotto la regola di un solo potere, onde la pre-
dicazione di Gesù potesse far sorgere una nuova vita su
tutta quanta la terra. Dio consecrò Roma a questa opera -
ecco il segreto della di lei forza. Roma individualmente
non avea ambizione, essa non combattea per proprio inte-
resse, ma si era volata a una missione. Populus ille sanctus,
pius et gloriosus, propria commoda neglexisse videtur, ut
02 POLITICA DI DAME.
pubblica prò salute immani f/entis procurarci (1). E quando
l'opra fu compiuta, Roma posò dalle faliche, lìnchè il mondo
non ebbe bisogno del secondo Vangelo di unità. Si cerchi
negli scritti stessi di Dante (giacche le nostre citazioni
si farebber troppo frequenti) lo sviluppo di questo tema,
ch'egli appoggia all'autorità dei poeti, da lui sempre evo-
cata innanzi tutte, giù venendo sino a quella di Gesù, che
riconobbe, com'egli afferma, colla sua morte la legittimità
della giurisdizione che Roma esercitava su tutta la specie
umana. Il libro II de Monarchia, il capitolo IV e V del
Trattato II del Convito sono un solo inno a questa idea
che Dante venerava come religiosa. Ma oltre a quanto si
riferisce più particolarmente al nostro soggetto vi ha molto
da apprendere negli scritti di Dante, come può scorgersi dai
pochi e sparsi pensieri di lui, che abbiamo citati. Vi ha la
tradizione della filosofia italiana che mira a fondere insieme
la scuola di Pitagora con quella di Telesio, di Campanella
e di Giordano Bruno : vi ha un' autorità da aggiungersi
all'altre che parlano in favore della dottrina del Progresso;
autorità che finora non vedemmo avvertita da alcuno, seb-
bene la più esplicita forse e la più antica di tutte. La vi-
ta collettiva della specie umana, la legge di continuo
sviluppo, il suo moto ascendente all'appoggio dì sempre
più estese associazioni; la previsione dell'unità sociale che
sorgerà dalla distribuzione di tutte le varie funzioni in or-
dine allo scopo comune - la teoria del dovere, con tutto
quello che forma la base e il merito d'una scuola, che si vuole
( non iscorgesi su che fondamento ) chiamar francese - tutto
troviamo chiaramente indicato in questi libri di un Italiano
(1) S.Tommaso, nel libro de Redimine principum, prova che ogni
dominio è da Dio, e che il dominio de' Romani fu previsto da lui propter
zeium patriae et zelum justitiae, e conclude che i Romani acquisierunt
principatum quodam jure naturae, a quo ìiabet exordium omne ju-
stura principium. E S. Agostino scrisse: Deo placuit orbem terrarum
per Romanos debellare, ut in unam wcietatem reipublicae legumque
perductum longe lateque pacaret. E S. Leone: Dispositio divinitus operi
maxime conqruebat, ut multa regna uno confoederarentur imperio et
cito pervios haberet populos praedicatio generulis quos unius tencret
regimen civitatis,
POLITICA DI DANTE. 93
del secolo decimoterzo, che senza dubbio non dovettero
che aUa forma loro inatlraente l'obblio che li ha lunga-
mente coperti. »
« E necessario quindi che siavi un potere che governi e
che il suo seggio, l'impero cioè, appartenga air Italia, a
Roma. Giunto a questa conclusione, Dante dovea natural-
mente fermarsi a cercare i mezzi per realizzare un tale
concetto.» Scrìtti lettor, di un italiano vivente. Voi. Hip. lìiiO.
« L'errore di aver cercato in Germania il liberatore
d'Italia, dice Gioberti, merita scusa, perchè questa divisa,
debole discorde non avca un braccio capace di tanta ope-
ra. Parvegli di trovare il principio egemonio nell'imperio
tedesco : il quale, se per la sua stirpe era forestiero, pel
titolo e la successione apparente polca credersi italiano.
Ma non volle già sottoporre l'Italia a' stranieri: giacché
l'imperatore, recandola ad essere nazione, dovea rimettervi
l'avito seggio e rendersi nazionale. Perciò Dante sostituen-
do allo scettro bastardo ^di Costantino e Carlomagno il
giuridico di Giulio Cesare, restituendolo a Koma e annul-
lando l'opera del principe che lo trasferiva a Bisanzio, e
dei pontefici che lo trapiantavano in Francia, poi nella
Romagna, si mostrò italianissimo.» Gioberti^ Rinnovamento.
(Y. Scritti letterari di un italiano vivente. Voi. Ili p. 3o8. -
Willemainy Corso di Letteratura del M. Evo. Lez. XII.)
Nel terzo libro ei prende a dimostrare, come il diritto
dell'imperatore e divino e per conseguente la sua indi-
l)endenza, ne' diritti e neiresercizìo di monarca universale,
dal sommo Pontelice (Ij. Del tutto conforme alla Politica
;i) Dante suppose che lo spirito e la materia fossero ciascuna con
>ua vita propria, senza inirerenza (iell'altra, e ne inferì la indipenilenzii
do' due poteri spirituale e temporale. Una volta entrato questa porta, si
dà carriera e li edillca a suo modo. 11 popolo e corrotto ed usurpatore, la
società viziosa e discorde. Unica medicina l'imperatore. Gli attribuisce tutti
i privilegi del papa, e come il papa lo fa immediatamente da Dio... Non
è un semplice ritorno, come pretende Wegele, al passato. Ci è del pas-
sato e del futuro, del progresso e del regresso. Ci è in germe l'alTranca-
mento del laicato, e il camino a più larga unità. Intravvedi la nazioiR*
die succede al comune. K un sogno cl»e in parte diventa storia, lira iu
fondu il sogno dei lihilielliui. Il merito di Dante è d'averlo allargato a
sistema, e di esserne slato il lilosofo. ed essersi alzato tino al concellu
94 POLITICA DI DA>TÉ.
propugnala in questo libro della Monarchia è quella che
professa nella Divina Coniedia. - I GueKì volendo la supre-
mazia della Chiesa sull'impero chiamavano questo luna, sole
(juello [De Non. iii. 4); all'inversa i Ghibellini. Dante per lo
contrario li chiama due soli, volendo indicare che tutti e due
furono stabiliti dalla Provvidenza, e che quindi devono
sussistere indipendentemente dall'altro, in un giusto lem-
[)€ramento di forze e di eguale autorità: De Mon. iii. 11.
L'Imperatore è il sole sotto la cui guida soltanto l'umana
famiglia può esser felice e virtuosa su questa terra, è il
sole che dalla santa città debbe spandere da per tutto i
luminosi suoi raggi: Purf}. xni. 16. Ma nel loco santo vi
debbe pur risiedere il successor del maf/gior Piero : Jnf. i.
21}. Sull'orizzonte dunque de' sette colli doveano levarsi
questi due soli (l); il sole imperiale che illumina le vie
della vita ; il sole pontificio che illumina i religiosi destini
dell'umanità ed il camino del cielo; forte l'uno del diritto
della spada, l'altro dell'ascendente morale, frenantisi scam-
bievolmente. Maggiore questo di quello, il quale benché dallo
dell' umanità. La base è fragile, ma l'edifizio è bello per ampiezza di
disegno e concordia di parli. De Sanctis, Carattere di Dante e sua utopia,
lìevista Contemporanea di Torino, Gennaio, 1838.
(1) Ci fu bisogno all'uomo di due direttivi, secondo i due suoi fini:
C408 del sommo Pontefice, il quale a norma delle rivelazioni dirizzasse
l'umana generazione alla felicità spirituale, e dell'imperatore che, giusta
le filosofiche dottrine, la guidasse alla temporale felicità ( ne Mon. ni.
lo; Conv. 4) - « La virtù di dare autorità al regno della nostra mortalità
è contro alla natura della Chiesa: adunque non è nel numero delle virtù
sue ... La forma della Chiesa non è altro che la vita di Cristo ne' detti e
fatti suoi compresa. Infatti la vita sua fu uno esempio della Chiesa mi-
litante, specialmente de' pastori, e massime del sommo Pontefice, l'ufficio .
del quale è pascere gli agnelli e le pecore: Dato v' ho esempio che come
ho fatto io così voi facciate; e specialmente disse a S. Pietro, poiché
l'officio del Pastore gli ebbe commesso come in S. Giovanni si legge:
Pietro seguita me. Ma Cristo in presenza di Pilato questo regno dinegò
dicendo: se regno di questo mondo fosse, i ministri miei combattereb-
bero, che da' Giudei non fossi preso, ma ora qui non è il regno mio:'*
Ds Mon. in. li. - « Ogni legge divina nel grembo dei due Testamenti
si contiene, nel qual grembo non posso trovare la cura delle cose tem-
porali al primo o novissimo sacerdozio essere commessa, ma piuttosto
trovo: Sacerdoti da quella per comandamento essere rimossi, come app»-
risce per le parole di Dio a Mosè, ed i sacerdoti ulti;ni per le parole di
Cristo a' discepoli » Dtf Mon. in. i;J.
POLITICA DI DAME. T6
spirituale non riceva l'essere né la sua aulorltà, pure riceve
che più virtuosamente adoperi per lo lume della rjrazia, il
quale, in cielo e in terra f/rinfonde la benedizione del pon-
tefice: De Mon. ni. 4. Questi due soli si videro uscire della
loro orbita, scrive l'egregia Ozanam, (P. ii. e. 4. § 2.) urtarsi
l'un contro l'altro, e si credette che fossero spenti. La Chiesa
non può prclendcre la signoria sulF Impero; essa non ebbe
parte alcuna al suo stabilimento: nessun titolo l'autorizza
a rivendicarne un omaggio. Essa non può farsi un regno
in questo mondo senza agire contro le proprie costituzioni:
un altro impero le appartiene ben più degno di lei, quelk)
dell'eternità. Il misto e confuso governo al quale aspira
non può attecchire, è mestieri che mini, perchè l'una auto-
rità ove trascorra, non può, come dovrebbe, esser dall'altra
infrenata (1).
Soleva Roma, che il buon mondo feo,
Duo Soli aver, che l'una e l'altra strada
Facèn vedere, e del mondo e di Beo.
L'un l'altro ha spento; ed è giunta la spada
Col pasturale; e l'uno l'altro insieme
Per viva forza mal convien che vada;
Perocché, giunti, l'un l'altro non teme.
Se non mi credi, pon mente alla spiga,
Ch'ogni erba si conosce per lo seme. ..
Dì oggimai che la Chiesa di Roma,
Per confondere in sé duo reggimenti.
Cado nel fango, e sé brutta e la soma.
0 Marco mio, diss'io, bene argomenti;
Ed or discerno, perchè del retaggio
Li figli di Levi furono esenti. Purg. xvi. lOC.
Quindi quelle sue frequenti e passionate invettive contro
la credula donazione di Costantino, ai tempi di Silvestro,
''ome (iiielld clic recò gran danno alla santità della Chiesa (2).
(1) li figliuolo di Dio... fatto uomo, mentre a rivelazione del Santo
Spirito evangelizzava in terra, come se partisse due regni, distribuendo a
sé ed a Cesare tutte le cose, giudicò si rendesse all'uno ed altro ciò che
gli appartiene. Ep. v. 9 - V. Puro. vi. 91; xx. 10; xxxiii. 70; Par. ix.
12G-140; XV. 123; xvi. r>9 ; xxvii. 147.
(•2) La donazione di Costantino è oggi con evidentissime prove ne-
gata dalle storia, ma creduta e difesa sino al sangue nel medio-evo. - Il
DoUiuQcr, Die Puiìsl-Fulclen dea MìUclalters, (Le favole del Medio-Evo
intorno ai papi) Monaco, 1S0.1, consacra il terzo articolo alla Donazione
di Costa>ntino, già conosciuta sotto il titolo di Edictum o di Conslitutum
96 POLITICA DI DAME.
Oh popolo felice ! oh gloriosa Italia ! se quegli che Vi scemò
l'Impero mal non fosse nato, ovvero la sua pia intenzione
non mai. incannato l' avesse. De 3/o7i. ii. 11.
1/ altro che sesue, con le leggi e meco,
Solln buona intenzion clic fé mal frutto.
Per cedere al Pastor si fece {,M-eco.
Ora conosce come il mal, deilutto
Dal suo hene operar, non gli e nocivo, «
Avvegna che sia il mondo indi distrutto. Par. xx. 55.
Ahi, Costantin, di quanto mal fu maire,
Non la tua conversion, ma quella dote
Che da te prese il primo e ricco patre! Inf. xix. 115. (1)
La Chiesa, seguita il poeta, in nessun modo era disposta
a ricevere cose temporali per il precetto che espressamente
10 vieta, come abbiamo da Matteo... Per la qual cosa, se
la Chiesa non poteva ricevere, dato che Costantino avesse
potuto fare questo, nientedimeno tale azione non era possi-
bile riceversi, non essendo il paziente disposto. Adunque
0 di Priviledium Constantini, che leggesi fra le false Decretali d'Isidoro
ilercatore. lì Dolliìuier vuole che la donazione Constantiniana, anziché di
origine greca, come altri la disse, indubitatamente fosse fabbricata in
Roma da un membro del clero romano tra il 752 e il 774, allo scopo
di favorire l'acquisto che allora meditavano i Papi della signoria tem-
porale di tutta r Italia, e di ottenere nuove onorilicenze al clero romano.
11 DoUmger ritiene che Adriano I accennasse incontrastabilmente al Diplo-
ma della Donazione in una sua lettera a Carlomagno, del 777. La Civiltà
Cattolica colloca l'origine della Donazione nella prima metà del secolo IX,
essendo stati i primi a farne menzione Enea Vescovo di Parigi, a. 871 ;
Incmaro di Reims, m. 882, e Adone di Vienna, m. 875 - E la vuole pure di
patria francese; giacché ivi fece la prima comparsa, ed ivi pure, oltre
le false Decretali, si coniarono i falsi Capitolari di Benedetto Levita, Oltre-
dicché ritiene che lo scopo di quella falsa Donazione si fu di confermare
in Francia, coli' autorità di Costantino Magno, l'inaugurazione del nuovo
Impero d'Occidente, fatta dal Papa in Carlomagno, ed attutare così le ire
e le pretendenze de' Greci, sdegnatissimi contro il nuovo Impero e in-
sofferenti della perdita d'Italia, Civ. Cuttol. Voi. X. p. 303.
(1) E il grande poeta ghibellino dell'Alemagna, Gualtiero di Voltiul-
tpoide, ha mondato un simile grido: si direbbe che Dante traducesse
questi versi di Vogelwoide : «L'Imperatore Costantino prodiga al seggio
» di Roma più doni che dire non saprei: gli dona la spada, la croce, la
» corona. A questa vista un angelo grida ad alta voce : Sciagura, scla-
» gura. tre volte sciagura!.. , La Chiesa era risplendente di bellezza ed
" ora il veleno serpeggia entro le sue vene,.. Questi doni hanno recato
« molto di «lale al mondo.» V. Facto dogli Uberti, Dillumondo, u. 11
Ariosto, xxxiv. SO.
POLITICA DI DAME. 97
e manifesto che la Chiesa non lo poteva ricevere per modo
di possessione, né egli per modo di alienazione conferire:
De Non. ni. § 10.
Il P. Berardinelli della C. di Gesù non trova che Dante
abbia mai negato la facoltà di possedere, o V uso conve-
niente della dominazione temporale, anzi ei vi legge in più
luoghi della D. Comedia e della Monarchia espressa grave-
mente la sentenza contraria. Il P. Serio vuole che Dante
non abbia che vagheggiato il pensiero della .Monarchia
universale di Rorfia cristiana, e solo abbia preso a cantare
il sacro romano impero instituito dai papi in Carlomagno,
alla propagazione del Cristianesimo per tutta la terra ed
al mantenimento della giustizia e della pace; conciossiacchè
il sacro romano impero fu stabilito per lo loco santo U' siede
il successor del magr/ior Piero, a conservarvi in perpetuo
la Sede Pontificale Apostolica, ed a mantenerla nella sua
debita libertà del cattolico magistero, e della sua vera giu-
risdizione che ha dal primato apostolico su tutto il mondo.» -
Veggasi Berardinelli, Il Concetto della Divina Comedia, p.
iì^d-ìTò- Marcucci G.Ji. La Monarcìiia temporale del romano
Pontefice secondo rAllifihieri, p.7; 30-36 - La Civiltà Cattoli-
ca, 2 Luglio, 1864, p. 84. ecc. ecc. - E degli Alemanni veg-
gasi Schreibcr Wilfi. Die politischcn und relif/iosen Doctrinen
unter Ludwig dem Baiern (Le dottrine politiche e religiose
sotto Lodovico il Bavaro) Landishuta, 1858; nella qual opera
è pur esposta l'opinione di Dante intorno alla questione
dei confini dell' autorità pontificia e delle relazioni tra lo
impero e il pontificato: llasse, IL G. Ueber die Vereini-
guwj dcr geistlichen und welllichen Obergetcall in romi-
sclien Kirchenstaatc (Sull'unione del potere ecclesiastico col
temporale ecc.), Harlem, 1852, opera premiata dalla società
Teyleriana d'Harlem ; DoeUinger ./. J. J. Kirchc und Kirchen,
Papstthum und Kirchenstaat. Ilistorisch-politische Betra-
clitungen (Chiesa e Chiese, Pontiticato e stato della Chiesa,
Considerazioni storico-politiche, Monaco 1861); Beuchlin II.,
Kirchenstaat, Kirche und ISationalstaat (Stato ecclesiastico,
Chiesa e Slato nazionale) nella Ilistorische Zeitschrift di IL
V. Sybel, 1862, Voi. I. p. 47-107.
Se Dante sia sfato Ohibellino. — Dante nacquo
YoL. 11. 7
98 POLITICA D[ DANTE.
Guelfo, Guelfo crebbe, Guelfo combattè, Guelfo amò. Guelfo
governò la sua patria: Inf. x. 40. Per i più si volle che
dopo l'esiglio mutasse parie e co' Ghibellini tenesse, anzi per
antonomasia fu chiamato il poeta ghibellino. II Faurieì, il
WiUemain, VAmpère lo Schlegel vogliono, non allrimenti che
Coriolano, da guelfo per vendetta si rimutasse in rabbioso
ghibellino. VArtaud fa due esseri distinti, del poeta e del
politico, e come politico lo chiama volubile indeciso, non
per viltà ma per ira. Giov. di Sassonia, il Wegele ed il
Wìtte solamente ideale ritengono il ghibellinismo del poeta.
Il Boccaccio dichiara che niuno più fiero Ghibellino ed ai
Guelfi avversario, fu come lui. C. Balbo, feroce ghibellino al-
l'ultimo per ira, e molto troppo, quantunque ei non credesse
di esserlo, e professasse di non esserlo. Strana apologia,
scrive San Renato Taillandier, che rassomiglia ad un in-
sulto. Il P. Berardinelli, ghibellino, e massimamente ; tuttavia
lo scevera dal vulgo dei perturbatori civili. Secondo il
Tommaseo, Dante pretto ghibellino non fu mai, ma il ghi-
bellinismo a certe sue proprie norme attemperava^ così non
fu mai guelfo pretto. Mostrarsi tutto intero di parte non
poteva, come pure ad una parte attenersi gli era quasi
forza, che meno infedelmente rispondesse alle sue dottrine
a' suoi desideri alle sue passioni. Il Buongiovanni, ne' suoi
Prolegomeni, non solo il ritiene mai ghibellino, ma guelfo
sempre, e guelfo di moderazione e di senno, in tutto devoto
alla Chiesa, che vide sempre nel loco santo ed in Roma la
grandezza d'Italia. Anche lì Picchioni ci prova com'ei fu guelfo
moderatissimo fin da principio, e non che aver cambiato
sua parte, fedelissimo vi si mantenne, scostandosi dagli
esagerati di essa, e scostandosene poi quando non più ai
Pontefici, ma ora agli Angioini di Napoli, ora a' Reali di
Francia inclinava. Dante tentò sempre la difficilissima parte
di conciliatore nelle celebri contese del primato che già da
due secoli tra l'autorità ecclesiastica e civile si agitavano,
non che di paciere fra le accanite parti che l'Italia tra-
vagliavano miseramente. G. Giusti, di semplice Guelfo,
nella suddivioiie del 1300, lo dice divenuto Guelfo bianco :
Inf. xxiv. 150. La somiglianza de' casi e l' esiglio rac-
cozzò i Bianchi co' Ghibellini, non per essere d'uno stesso
POLITICA DI DANTE. 90
sentimento, ma perchè avevano comune la mira di tornare
in patria. Dal 130o non si trovò bene d' essersi unito con
questi usciti, e ben presto senti il bisogno di dividersi da
loro, procacciarsi ventura da sé; e difatti si elesse un par-
tito tutto suo, tendente ad un fine più alto ed universale.
Esulando egli qua e là per l' Italia, accolto con eguale cor-
dialità e benevoglienza cosi dal Vicario Imperiale, da Uguc-
cione, dal ramo Ghibellino Malaspina, come da un Guido
Salvatico, da un Pagano della Torre, da un Guido ^'ovello,
capi di parte Guelfa, ei appigliavasi via via a tutti coloro
che gli davano speranza di sanare le piaghe d'Italia che
l'avevan morta. Né vaglia il dire, che quando il settimo
Arrigo discese in Italia, con lettere veementissime invitasse
questo liberatore a percuotere quel nido di Neri, quella
città che spandendo la mala semente del fiorino d' oro,
disviava dalla retta via il romano pontefice, inducendolo
a tenere una parte del popolo battezzato a destra, l'altra a
sinistra. Che ad Arrigo ricorressero e Ghibellini e Bianchi,
Giovanni Villani il dice chiaramente. Ed egli è pur notevole
che quando Arrigo calò a Firenze e ne assediò una porta,
egli non vi volle essere, con sentimento di vero cittadino,
il quale, sebbene adirato con la patria, ricusa di por mano
a minarla ; pari a Temistocle, che elesse morire di veleno,
anziché capitanare le armi incitate contro la Grecia.
E* chi più di lui ha inesorabilmente flagellato le fraterne
lotte, in cui l'ira va del pari del danno, e la piaga della
fortuna suole ingiustamente al piagato essere imputata?
Conv. I. 3 ; Par. xvn. 32 - Ed il poeta dannava i seminatori
di scandali e di dissensioni a pena di sangue, ad essere
tagliati di fendente nella nona bolgia dell' ottavo tremendo
cerchio [Inf. xxviii.), mostrandosi fierissimo e pressocchè
crudele con Filippo Argenti [Inf. viii. 4o) che accendeva lo
spirito di parte. - Egli pensava che il parteggiare dei cit-
tadini avrebbe sul venerando capo d' Italia accumulato
secoli di quella sventura che fa vili, di quella servitù che
non ha speranze, e coli' occhio deliamente credeva di ve-
derla, come il Lucifero del suo Inferno, da tutti i pesi del
mondo costretto. Quindi ingenerata la mina delle città:
Purg. xiy. 64; xxm. HO; Par. xvi. 136. Onde non può frena-
100 POLITICA Di DAKTE.
re II dolore e l'ira, vedendo l'Italia spezzata in brani, tutta
in balia di discordie di fazioni di guerre tra stato e stato,
tra paese e paese, tra famiglia e famiglia: Purg. vi. 7G. e
scg. - Quindi le gagliarde e fìerlssime invettive contro le
città e Provincie parleggianti e rodentisi ferocemente l'una
l'altra; contro Pistoia [Inf. xxv. 10); contro Lucca {Inf.
XX.. 41); contro Siena (/w/. xxiv. 129); contro Pisa (Inf.
xxxiii. 79); contro Genova (iw/". xxxiii. 151); contro la
Romagna (/n/". xxvii.37); la Marca Trevigiana, la Lombardia
e la Romagna: Purg. xvi. 115. E però si scaglia contro la
dolce terra latina che dalle proprie discordie, e dalle forze
e fazioni straniere era miseramente lacera e divelta {Inf.
xxvii. 27) ; contro la dolce terra latina che potea ripigliare
il comando dei popoli, ed invece, per contrarietà di umori,
era ridotta vilmente a servire : Inf. xxviii. 70.
Ma sovrattutto se ne dolca delle fazioni che dilaniavano
fieramente la dolce patria sua, onde gli prorompe dall'anima
contristata questo grido eloquente : 0 misera, misera patria
mia! quanta pietà mi strigne per te, qual volta scrivo cosa
che a reggimento civile abbia rispetto: Conv.w.'^l. E nella
Canz. XX. st. 1.
Ahi! quanto in te la iniqua gente è pronta
A sempre congregarsi alla tua morte,
Coft luci bieche e torte,
Falso per vero al popol tuo mostrando. «
Dacché la città partita ( in/', vi. 61 ) si è aggiunta a Marte
[Canz. XX. 2), non più regna onorata, non più gli egregi cit-
tadini la fioriscono in tutti i loro gran fatti, ma notasi male
r eccelso suo nome; sicché tra i traditori è punito per esso
lei qual verace non segue V asta del vedovo giglio, reso ornai
sudicio e vano, posto a ritroso sull'aste, e fatto vermiglio
per divisione: Par. xvi. 152 - Di questo mal seme lo studio
di cose nuove, l'incostanza dei reggimenti, il mutare e
rimutare perpetuo delle leggi, delle monete, dei costumi,
dì tutto : Purg. vi. 139. La sua Firenze è divenuta specchio
di parte; {Canz.w.^) simile al bambino che morendo di fame,
caccia da sé la balia che vorrebbe ristorarlo [Par. xxx.
139); (i\V inferma che non può trovar posa in su le piume,
ma con dar volta suo dolore scherma {Purg.Yì,U^); al
POLITICA DI DAME. 101
flusso e riflusso perpetuo del mare che cuopre ed iscuopre
i liti senza jwsa : Par. xvi. 82. Sicché egli con voce pa-
ternamente minacciosa esclama:
Ma se non muti alla tua nave guida,
Maggior tempesta con fortunal morte
Attendi per tua sorte,
Che le passate tue piene di strida.
Elefigi ornai, se la fraterna pace-
Fa più per te, o'I star lupa rapace. Canz. x\. 4.
Il poeta ebbe egualmente in ira le due fazioni, guelfa e
ghibellina, ond'era divisa l'Italia, perchè volendo soltanto
il bene di questa, l'una e l'altra ugualmente vituperava : Purg.
VI. 31. 97. Il Guelfo oppone i gigli gialli, cioè le armi di Carlo
n, re di Puglia, al pubblico segno, cioè all' insegna romana,
eh 'è l'insegna dell'impero universale del mondo. -Il Ghibel-
lino dicendosi sostenitore dell' impero, fa in elTetto per sé,
usurpatore al pari del Guelfo:
Perchè tu veggi con quanta ragione
Si muove centra il sacrosanto segno,
E chi '1 s'appropria, e chi a lui s'oppone. Par. vi. 31.
11 Ghibellino la politica dell'impero fa propria di una fa-
zione, e volgela ad argomenti d'interessi privali e spesso
di delitti:
Ornai puoi giudicar di que' colali,
eh' io accusai di sopra, e de' lor falli,
Che son cagion di tutti i vostri mali.
L' uno al pubblico segno i gigli gialli
Oppone, e l' altro appropria quello a parte,
Sì eh' è forte a veder qual più si falli,
Faccian gli Ghibellin, faccian lor arte
Sott' altro segno; che mal segue quello
Sempre chi la giustizia e lui diparte:
E non l'abbatta esto Carlo novello
Co' Guelfi suoi, ma tema degli artigli
Ch' a più alto leon trasser Io vello. Par. vi. 97.
Ora uno, che non piegando da alcuna costa, accusa i Ghi-
bellini in un mazzo coi Guelfi di tutti mali del suo tempo,
osserva egregiamente il Giusti, si dirà che sia Ghibellino?
Sicché la fortuna serbavagli tanto onore che /' una parte e
V altra avrebbero fame di lui, ma lungi fia dal becco V erba
[Inf. XV. 70) ; anzi confessa di essersi sceveralo da' suoi com-
pagni slessi di esigilo, ingrati al bene che vorrebbe far loro,
102 POLITICA DI DAME.
Stolli neiruUle proprio, e di averli abbandonali a loro stessi,
lasciando di più parteggiare con tali bestie malte. Anche
le teorie sviluppate dal poeta nel Trattalo de Monarchia
sono egualmente opposte alle due parti Ghibellina e Guelfa,
poiché mirano all'equilibro e all'armonia dei due poteri,
mentre ciascuna fazione tendeva a promuovere il predominio
dell' un potere sull'altro (l). Egli non errò fra i due campi
rivali, così l'Ozanam [P. iv. 1), piantò la propria tenda
sur un terreno indipendente, non per tenersi in un terreno
indifferente ma per combattere solo colla potenza del suo
genio. E quando le fazioni sembravano invilupparlo nei loro
tumultuosi movimenti e renderlo mallevadore dei loro delitti,
egli protestava altamente contro di esse; le sue severe
parole discendevano come alterni colpi di una mazza infa-
ticabile sulla testa degli autori e dei compagni del suo
esilio, sui Neri ed i Bianchi, sui Ghibellini ed i Guelfi. Egli
non temette di moltiplicare fra i contemporanei il numero
dei propri nemici, onde conservare il suo nome puro da
ogni alleanza umiliante agli occhi della posterità. La po-
sterità ha delusa per gran tempo questa legittima speranza,
ma l'attuale progresso degli studj storici lascerebbe ine-
scusato il pregiudizio volgare. È giunta l'ora di rendere al
vecchio Allighieri quella ambita testimonianza eh' egli si
fece rendere prima dall'avolo Cacciagulda nella maravi-
gliosa conferenza descritta nel Paradiso; non aver egli
(1) Dante non voleva i regni le Provincie ed i municipi dispogliati
delle lor leggi, de' loro usi, delle loro libertà; non era, al dire del Gar-
mignani, colla sua 3Ionarcliia centralizzatore dell'autorità e del potere,
le condizioni civili d' allora non permettendo pur di pensare alla moderna
centralizzazione, ed alla costituzione di vasti stati e potenti rearai ; ma
era piuttosto municipalizzatore dell'umanità, ravvisando nel municipio
un mezzo produttore e conservatore dell'indipendenza individuale - i\on
solamente ei predicava : serbate all' Imperatore obbedienza, ma predicava
ben anco: serbate come liberi il reggimento, con che voleva ammonite
ie città a non sacrificare il proprio governo, le proprie franchigie, la
propria libertà. La devozione in lui non fu né poteva mai essere servilità.
Tutte le nazioni, regni, città, egli pur scrive, hanno le loro proprietà,
per le quali bisogna con differenti leggi governarle, perchè la legge è
regola che drizza la vita: De Man. 1. 16. Dante voleva conciliare l'unità
politica con le civili libertà, gli opposti vantaggi di parte guelfa e di
parte gbibeUina,
POLITICA DI DANTE. 103
confusa la propria causa con quella d' una razza eitìpìa, ed
aver avuto la gloria di crearsi una parte speciale a lui
stesso, a lui solo:
A te na bello
Averti fatta parte per te stesso. Par. xvii. 68. (1)
II più caldo voto del suo cuore era col civile riordina-
mento la pubblica pace, quella lagrimata pace {Purg. x. 33)
che tanto ardentemente di mondo in mondo andava cercando:
Purg, v. 61. - Né più bello saluto di questo gli possono
rendere le ombre benedette che si abbattono in lui: Frati
miei: Dio vi dea pace: Purg. xxi. 113. - E la bella Arimi-
nese che tratteggiava la terra dov'era nata, sedente
Sulla marina dove il Po discende
Per aver pace co' seguaci sui, (Inf. v. 96.)
a ricompensa di tanta pietà sentita dal poeta al suo mal
perverso, avrebbe pregato Iddio per la sua pace, se Iddio
le fosse stato amico : Inf, v. 41. - E le cose vedute voleva
gli fossero documento e scuola
.... perchè non scuse
D' aprir lo cuore all'acque della pace,
Che dall'eterno fonte san diffuse. Purg. xv. 131.
Errando egli su per i monti della Lunigiana, picchiava
un giorno alle porte del monistero di S. Croce del Corvo.
Il monaco che gli apriva, lesse al primo sguardo tutta una
lunga storia di dolori sul macro e pallido volto dello stra-
niero, e che cercate voi? gli chiedeva: Dante, girato lo sguardo
attorno, uno di quegli sguardi che sono testimoni del core,
lentamente rispondeva : Pace. - Scrivendo egli a' grandi
(Ij V. Minich Seruf R. Appendice alle Consider. sulla Sintesi, p. 1-2 -
« Il reprit le bàton de pélerin, et pendant dix aiinées (1311-i:ì21), errant de
ville en ville, accueilli tour a tour chez des gibelins et cbcz des guelfes in-
difl'érent aux opinlons de ses hòlos, car il habitait toujours une spbere
.«;upérieure aux parlis, il s'obslina à espérer cantre tonte esperance. Il
croyait invinciblement à la venne d' un rédempteur. Il se preparali à
rentrer à Florence avec le consécration de la gioire... en attendant cette
réparation et ce triomphe, il se glorifait lui - moine dans la cité divine...
Dante pouvait répéter fierement àsadernièrelieure l'èloge que luiadresse
s;on aieul Cacciaguida, aun dix-septiéme chant du Paradisi
A te fia bello
Averti fatta parte per te stesso.
Saint-René Taillundier, Revue des deux Mondes, 1 Dee. 18o6^ p. 489
104 POLITICA Di DAME.
della terra, non s'intitola che per uno che pre(ja pace, o
gli piace di unire il suo nome a quelli de' Toscani che
universalmente pace desiderano: Ep. vii. - «La pace uni-
versale, egli dice, tra tutte le cose è la più ottima a conse-
guitare l'umana beatitudine. Di qui avvenne che sopra ai
pastori venne dal cielo un suono che non disse: Ricchez-
ze, piaceri, onori, lunga vita, sanità, gagliardia, bellezza;
ma disse Pace; perchè la celestiale compagnia cantò: Sia
gloria in Cielo a Dio e in terra affli uomini di buona vo-
lontà sia pace. E questa era ancora la propria salutazione
del Salvatore: A voi sia pace; perchè era conveniente al
sommo Salvatore esprimere una salutazione umana. Il qual
costume servarono di poi i suoi discepoli, e Paolo nelle
salutazioni sue, come a ciascheduno può esser manifesto:
De Non. L. i. § 5.
Né con altro nome gli piace tante volte chiamare il
regno dei cieli che con quello della pace:
Nel beato concilio
Ti ponga in pace la verace corte,
Che mi rilega nell'eterno esilio. Purg.x's.ì. 16.
Quinci si va clii vuole andar per pace. Purg. xxiv. lil.
0 anime sicure
D' aver, quando che sia, di pace stato. Purg. xxvi. 53.
Il del della divina pace. Par. ii. 112.
In la sua volontade è nostra pace. Par. in. 8o.
E da esilio venni in questa pace. Par. x. 129.
E venni dal martirio a questa pace. Pur. xv. 148.
0 vita intera d'amore e di pace ! Par. xxvii. 8.
Che solo in lui vedere (la creatura) ha lasuapace. Par xx.\.102.
Neil' eterna pace. Par, xxxui. 8.
Che anzi ove la patria non tornasse all'antica virtù,
nuli' altro ei più vorrebbe che morire:
Lunga vita ancora aspetta,
Se innanzi tempo grazia a sé noi chiama. Inf. xxxi. 128.
Non so, risposi lui, quant' io mi viva;
3Ia già non fia '1 tornar mio tanto tosto,
Ch'io non sia col voler prima alla riva.
Perocché il luogo, u' fui a viver posto,
Di giorno 'n gi rno più di ben si spolpa,
E a trista ruina par disposto. Purg. xxiv. 76.
E da questa ruina egli non voleva campare; voleva in-
contrarla e cadervi, per non vedersi vivo quando la patria
fosse morta. Questa imagine si fa veramente pietosa e le-
POLITICA DI DAME. 105
neiissima, e sovra tutto quando noi guardiamo che egli
scrisse queste cose nel bando.
I diritti politici dei popoli e delle nazioni non
si prescrivono. — E nou sapete, sfrenati e folli, che i
diritti pubblici non hanno fine se non col termine del tempo,
non possono andar soggetti al computo di prescrizione al-
cuna? Certo gli articoli delle leggi altamente dichiarano,
e l'umana ragione argomentando stabilisce, i dominii pu-
blici delle cose, per qualsivoglia lunghezza di tempo tra-
sandati, non poter giammai venir meno, né, assotigliati che
siano, venir conquistati. Perciocché quello che all' utile
universale è ordinato, non può senza danno di tutti perire,
od anco solo infievolire. E questo né vuole Iddio, né vuol
la natura, e il consenso degli uomini l'avrebbe al tutto in
orrore: Epist. vi. § 2.
Canoni politici. — Al ben essere di tutti gli uomini
e di ciascheduno in particolare richiedesi che vivano in
società a che gli ordinò natura: Conv. iv. 4. - Né civile
compagnia potrebb' esservi senza un ripartimento di uffici
diversi, e senza una disuguaglianza di condizioni, all'ordine
universale necessarie :
E può egli esser (cive), se giù non si vive
Diversamente per diversi uffici? Par. viii. 118.
La società importa leggi: la legge è la regola direttiva
della vita: De Mon. i. 15; è la ragione scritta: Conv. iv. 9;
è un freno che ratliene l'uomo dentro a sua meta, che in-
dirizza l'istinto, e che governa le umane tendenze, affinchè
non corrano dietro al torto amore: onde convenne legge
per fren porre : Piirg. xvi. 94. Ma perchè una civile comu-
nanza, uno stato cresca e fiorisca, fa mestieri che le leggi
non sieno un nome vano senza subbietto. Che imporla che
vi sieii le leggi, se pochi pongon mano adesse? Piirg.wi.
97. - Dinanzi alla veneranda maestà della legge non vi
debbono essere né immunità né privilegi; tanto più che
dove l'argomento della mente S'aggiunge al mal volere e
alla possa. Nessun riparo vi può far la gente: Inf. xwi.
55. - L'osservanza alle sacrosante leggi, che della naturale
giustizia imitano l'imagine, se lieta è, se franca, non sola-r
mente provasi non essere servitù, ma anzi a chi guarda
lOG POLITICA DI DANTE.
fiìligenlemenle, apparisce, qual essa è, la maggiore delle
libertà. E che è altro infatti la libertà, se non il libero
passaggio della volontà all'azione, passaggio che le leggi
appianano ai loro seguaci? Epist. vi. § 5.
' I tre fondamenti della felicità d'uno stato sono le ric-
chezze, la pace la sapienza. Procuran la prime soprattutto
l'agricoltura 'e il commercio; la seconda le buone leggi, la
vigilanza, la virtuosa educazione ; la terza gli studi onorati
e protetti : Purg. vi. 137.
La semplicità poi del costumi è custode alla loro pu-
rità, e quindi alla pace, senza la quale non può esservi
libertà vera né ferma. Però, siccome nel C. xxiii. ^4 del
Purgat. egli biasima gli svergognati portamenti delle fì-
rentine del tempo suo, e, novello Isaia, [Isaia iii. 16) a
castigo dell'inverecondo vestire delle femine, si fa valici-
natore di pubbliche calamità, cosi nel xvi. 115 del Paradiso
comenda altamente delle antiche il vivere modesto.
Dov' è gara di valore e di cortesie, quivi tutte le più
belle virtù cittadine ed il nerbo della floridezza civile: Inf.
XVI. 67; Purg. xiv. 109 ; xvi. 115; Par. xvi. 130. - Mancata
questa gara
Superbia, invidia ed avarizia sono
La tre faville e' hanno i cori accesi. Inf. vi. 74.
Gente avara, invidiosa e superba: Inf. xv. 68.
La tua città eh' è piena
D'invidia si, che già trabocca il sacco. Inf. vi. 49.
La gente nuova, e i subiti guadagni,
Orgoglio e dismisura han generata,
Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni. Inf.xvi.lZ.
Onde i vizi della democrazia e il fasto villano de' mer-
cadanti firentini senza rispetto abbominava: Inf. xv; Purg.
xxiii; Par. xvi. L'esperienza dimostra vagli che il plebeo
e il villano levati al potere per tutt' altro che grandezza
d'animo e un vero merito, e i venuti da povertà subita-
mente in ricchezze per arti ladre e vili, sono superbi e
insolenti, e pur tra i fregi e l'oro sentono sempre della
lordura da cui son sorti. L'orgoglio nasce da ruvida e
villana natura e da egoismo, qual suol essere della gente
nuova, che non imparò al mondo altra arte che far danari,
né altro stima che il danaro. La dismisura comprende la
POLITICA DI DANTE. 107
ambizione, l'invidia e lutti gli altri disordini a cui spinge
l'insolenza delle ricchezze, dove sono impotenti le leggi. -
E Dante chiama ritrosi passi [Purg. x. 123') quelli dei su-
perbi, e aggiunge che senza T alimento del cielo a retro va
chi più di gir s affanna iPurg.Xi.X^}; con le quali due
sentenze il fiorentino tremendo dimostrava chiaro che l'u-
miltà fosse il motore unico di quello che noi chiamiamo
progresso. Il che, quanto s'accordi con l'opinione e col
sentire dì certi politici d'oggidì lascio al secolo giudicare.
/?. Bianchi.
Il germe delle sventure e de' vizi che tanto costarono
a Firenze può dirsi che fosse nell'origine stessa delle varie
schiatte, come al male de' corpi il cibo indigesto :
Sempre la confusion delle persone
Principio fu del mai della cittade,
Come del corpo il cibo che s'appone. Par. xvi 67.
Pensiero di molta filosofia, da servire di documento a co-
loro che ancor oggi pensano dal violento accozzare de' po-
poli diversi derivar forza agli imperi e alle nazioni.
La forza mal diretta è anzi a danno che a tutela. La
vera grandezza delle nazioni è meno riposta nella forza
materiale, che nella sapienza de' principi. Quando manca
chi con senno diriga le forze, si hanno gravissimi mali.
L'anarchia è terribile, perchè vi hanno forze materiali in
istato di violenza: Par. xvi. 70. Le cose umane non sono
perenni: muoiono le città, muoiono i regni; ma ciò che
può conservarli più lungamente si è la virtù : Par. xvi. 76.
Dei Re, e de' loro ministri. Come debbano con-
dursi nel governo dei popoli. — « Amate il lume della
Sapienzia, si scrive nel libro di Sapienza, voi tutti che siete
dinanzi a'popoli; cioè a dire : Congiungasi la filosofica autorità
colla imperiale a bene e perfettamente reggere. Oh miseri,
che al presente reggete 1 e oh miserissimi, che retti siete ! che
nulla filosofica autorità si congiugne colli vostri reggimenti,
né per proprio studio, né per consiglio; sicché a lutti si
può dire quella parola dello Ecclesiaste: » Guai a te, terra,
lo cui re è fanciullo, e li cui principi la domane mangia-
no: « e a nulla terra si può dire quello che seguila: » Beata
la terra, lo cui re è nobile, e li cui principi usano il suo
108 POLITICA DI DANTE.
tempo a bisogno, e non a lussuria. » Ponetevi mente, nemici
(ir Dio, a' fianchi, voi che le verghe de' reggimenti d'Italia
prese avete. E dico a voi Carlo e Federigo regi, e a voi
altri principi e tiranni : e guardate chi a lato vi siede per
consiglio: e annumerate quante volte il di questo fine della
umana vita per li vostri consiglieri v' è additato. Meglio
sarebbe voi, come rondine, volare basso, che, come nibbio,
altissime rote fare sopra cose vilissime : Conv. iv. 6. - « Lo
rege si letificherà in Dio, e saranno lodati tutti quelli che
giurano in lui, perocché serrata è la bocca di coloro che
parlano le inique cose. » Queste parole posso io qui vera-
mente proporre; perocché ciascuno vero Rege deve mas-
simamente amare la verità. Onde è scritto nel libro ;di
Sapienzia: (( Ambite il lume di Sapienzia, voi, che siete
dinanzi alli popoli:» e il lume di Sapienzia è essa verità:
Convito, IV. 16. - Il re deve additare della vera e ben ordi-
nala società almen la parte principale, cioè la giustizia :
Convenne rege aver, che discernesse
Della vera cittade almen la torre. Purg. xvi. 93.
Salomone chiesto da Dio a dimandare ciò che meglio gli
tornasse, non chiese di tutta specie sapienza, ma il senno
di re :
chiese senno,
Acciocché re sufficiente fosse. Par. xiii. 95.
e perchè regale prudenza ottenne. Dante lo dice il più veg-
gente dei re (W.v.104). E le sante creature vedute nella fa-
cella Gioviale, s'atteggiano in forma di lettere, descriventi un
precetto ai re della terra, ai duci del mondo: Dilif/ite justitiam
qui judicatis terram : Par. xviii. 91. - Non sono i cittadini pei
consoli, né la gente pel re, sendo le leggi per la civiltà, e non
questa per quelle. Consoli e re, per rispetto della via, sono
signori degli altri, ministri per rispetto del termine: {De
Mon. i. § 14. - Il re porga benevola l'orecchia ai richiami si
de' grandi che de' miseri: siccome il Re dei re, così i re della
terra non deggiono avere accettazione di persone. Quando può
rendere sollecita giustizia non pretessa colorate cagioni di
indugio: Chifia dov'io La ti farà. Che gli si possono rendere
le parole della vedovella, di lagrime atteggiata e di dolore, a
Trajaiio : L'altrui bene A te che (la, se 'l tuo metti in obblio?
POLITICA DI DAME. 109
Puvfj. X. 85. - La più bella prerogativa di un Principe è
l'indulgenza e il perdono. Il tipo dei Cesari, l'imperatore
idoleggiato dal poeta, « perifonerà a tutti che misericordia
chiederanno, essendo egli Cesare, e la maestà derivando
dal fonte della pietà: cltè il giudizio di lui abborre da ogni
severità e nel punire arrestasi di qua dal mezzo; al di là
del mezzo guiderdonerà: » Ep. v. § 3. - « Quantunque per
divina concessione abbia in mano la verga del temporale
castigo, pure, perchè sappia odore di Colui, dal quale come
da un punto si biforca la potestà di Pietro e di Cesare,
volentieri corregge la sua famiglia, ma più volentieri le
usa misericordia» : Ep. v. § 5. - E neWEpìst. vu. § 2 dice di
aver veduto il suo Arrigo, quale si conviene all'imperiale
maestà benignissimo, e udito clementissimo. - Ufiìzio pure
del principe si è pur quello di proteggere la Religione e
i suoi ministri. « Cesare quella riverenza usi a Pietro, la
quale il primogenito figliuolo usare verso il padre debbe,
acciocché egli illustrato dalla luce della paterna grazia, con
più virtù il circolo della terra illumini.» De Mon. § 15.-
Se non che i regi son molli, ma l buon son rari:_ Par.
xui. 108. - 11 governo oppressivo e tirannico sempre con-
trista e muove all'ira i popoli soggetti: dolore e vendetta
n'è sempre naturale e funestissima conseguenza:
Se mata signoria, che scmjyre accora
Li popoli suggetti, non avesse
Mosso Pulermù a gridar: Mora, mora. Purg. vni. 73.
I grandi uffizj sieno ben locali; non s'innalzi di' mag (fior i
gradi che gente degna d'onore, e che poi porti fede al glo-
rioso uffizio:
Delle tue ricchezze onora e fregia
Qual ligliiiol te più pregia,
Non recando a' tuoi ben chi non n'è degno. Canz.xx.Z.
Pochi sono gli onorati Romei che poveri e vetusti discenda-
no dal potere! La trista ?«<//:; m, satellite della tirannia, usa
solo ad impinguarsi dell'avere dei popoli, a far dei denti
succhio, è la più terribile jattura di uno stato, e mina
estrema degli stessi re:
E se mio frate questo antivedesse,
L'avara parerla di Catalogna
Già fuggirla, perchè non gli offendesse;
110 polìtica DI DANTE.
Che veramente provveder bisogna
Per lui, 0 per altrui, sì cha sua barca
Carica più di carco n(^n si pogna.
La sua natura che di larga parca
Discese, avria mestier di tal milizia
Che non curasse di mettere in arca. Par. viii. 76.
Vizio delle corti è l'invidia: questa laida meretrice non
torce mai r/li occhi putti dall'ospizio dei Cesari: per essa
i lieti onori tornano in tristi lutti. Pier delle Vigne è di
sua grandezza in basso messo, e per fufjffire disdegno di
giusto divenne ingiusto: Inf. xiii. 56. L opera grande e bella
di Romeo fu mal gradita: le parole bicce mossero il prin-
cipe di Provenza a dimandare ragione a questo giusto che
gli avea assegnato sette e cinque per diece : Par. vi. 127.
E con coraggio sicuro si fa il poeta a percuotere le
prime altezze della società del suo tempo, e la tirannide
scostumata che malmenava l'umanità, e ci dispiega il vo-
lume che nel novissimo dì sarà aperto, in cui sono scritte
tutte le iniquità e V opere sozze onde i re cattolici sono a
Dio e al mondo in dispregio: Par. xix. 1.12. Come l'uomo
è locato più alto nella gerarchia dei poteri, tanto più grave
pesa su lui la responsabilità delle sue operazioni. Quei regi,
che disconobbero il supremo loro uftìzio, staran poi laggiuso,
come porci in brago, di sé lasciando orribili dispregi: Inf.
vili. 49.
DEGLI STUDI DI DANTE
E DEL CONCETTO CH'AVEA DEL PROPRIO INGEGNO
E DELLE SrE OPERE (1)
Brunetto liatini gpli fu Iflaestro.
Che in la mente m'è fitta, ed or m'accora,
La cara e buona imagine paterna
Di voi, quando nel mondo ad ora ad ora
M'insegnavate come l'uom s'eterna:
E quanto io l' abbo in grado, mentr' io vivo,
Convien che nella mia lingua si scerna. Inf. xv. 82.
Ardore che avea di avanzare nejs^li studii.
^'ulla ignoranza mai con tanta auerra
Mi fé desideroso di sapere. .. Purg. xx. 145.
Dante confessa che prima della morte di Beatrice gli
era ancor difficile l'intendere bene il latino. Le parole che
rivolsegli Amore gli sapeano molto oscure, onde prosegui
in volgare: Vita i\. § xii. E fu solo dopo ch'ei perdette il
primo dilelto della sua anima. Che si mise a leggere il libro
della Consolazione di Boezio e (ìdWAmicizia di Tullio. Ma
avvegnacchè, cosi ne ocrive, duro mi fosse prima entrare
nella loro sentenza, finalmente v'entrai tant' entro, quanto
V arte di Grammatica, eh' io avea, e un poco di mio iufiegno
potea fare: Conv. ii. 13. E furono Boezio e Tullio, quelli che
colla dolcezza del loro sermone inviarono lui nell'amore, cioè
nello studio di quella gentilissima Filosofia, colli raggi della
stella loro, la qual è la scrittura di quella.
Prima di questo tempo, come ei stesso confessa, era
ben tenue e fuggevole nella sua mente il lume delle grandi
cognizioni, onde l'ingegno suo vedea di molte cose quasi
come sognando : Conv. ii. 13. Da indi in qua cominciò ad
andare là ove la Filosofia si dimostrava veracemente, cioè
fi) Leonardo Aretino ci fa sapere che Dante avea una bellissima mano
di scritto: ei fu, die' egli, scrittore perfetto, ed era la sua lettera magra
e lunga e molto corretta, secondo io ho veduto in alcune pistole di pro-
pria mano scritte.
112 DEGLI STUDI DI DAME.
nelle scuole de' religiosi, e alle disptitazioni de' fdosofanti ;
sicché ili piccol tempo, forse di 30 mesi, cominciò tanto a
sentire della sua dolcezza, che il suo amore cacciava e
distruggeva ogni altro pensiero. E non solamente invaghì
di lei, ma di tulle quelle persone che alcuna prossimitade
avessero a lei o per familiarità, o per parenlela alcuna: Conv.
111. 1. - E dal principio essa filosoha parca a me, quanto
dalla parte del suo corpo (cioè sapienzia), fiera, che non mi
ridea, in quanto le sue persuasioni ancora non intendea;
e disdegnosa, che non mi volgea V occhio, cioè, eh' io non
potea vedere le sue dimostrazioni .... E di lutto questo
il difetto era dal mio lato: Com?;. ni. 15. Che «gli occhi
della sapienza sono le sue dimostrazioni, colle quali si vede
la verità certissimamente ; e '1 suo riso sono le sue persua-
sioni, nelle quali si dimostra la luce interiore della sapienza
sotto alcuno velamenlo : e in queste due si sente quel pia-
cere altissimo di beatitudine, il qual è massimo bene in
Paradiso. Conv. iii. 15.
Dante ne' suoi 18 anni avea veduto per se medesimo,
senza aiuto d'alcun maestro, l'arte del dire parole per rima:
V. ly. § IH. Il che mostra che per lui l' arte del poetare
fu tutta ispirazione ed eccitamento di natura. Ei salutava
col primo Sonetto tulli i fedeli di Amore, e pregavali che
giudicassero la sua visione.
E ci apprende il modo per lui seguito ne' suoi compo-
nimenti. La sua lingua parla quasi come per se stessa mossa:
F. iV. § XIX. Dapprima nota (ripone nella mente) V ispira-
zione d'Amore. E poi sovressa pensando, ecco che dopo
alquanti dì Amore gli detta di nuovo in cuore (gli favella
dentro), ed egli giusta che ode, scrive. Amore che spira,
fa notare le spirazioni e da ultimo le detta, ecco tutta la
poesia di Dante: V. N. § xix. xxii. Non diversa è l'arte
de' sommi poeti che bastano ad avvivare e ingagliardire
la propria nazione e rendersi maestri del mondo civile.
Ma dì s' io veggio gui colui che fuore
Trasse le nuove rime, comiaciando:
Donne, ch'avete intelletto d'amore.
Ed io a lui: r mi son un che, quando
Amore spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo' significando. Pwrg. xxiv. 49.
DEGLI STUDI DI DANTE. 113
11 sovrano poeta accenna qui alle due scuole d' italiana
poesia; l'antica di Guittone d'Arezzo, del Notaio Lentino, di
Bonaggiunta, e quella del dolce sHl nuovo, inspirata dal
vero amore: Purg. xxiv. 55.
Ma però non ci tace come talora sgomentasselo il pen-
siero che la sua lingua non fosse di quello che lo intelletlo
vedea compiutamente seguace: Cowìmii. 3 {la mia lìngua non
è di tanta facondia che dir potesse ciò che nel pensier mio
se ne ragiona: Conv.iu.L-per la debilità del nostro intel-
letto e la cortezza del nostro parlare lo qual dal pensiero
è vinto sicché seguire egli non lo puote appieno: Id.). Onde
scrivea nella V.N. §. 18: Così dimorai alquanti dì con desi-
derio di dire e con paura di cominciare. Il pensiero della
fatica, comenta egregiamente il Giuliani, ardua e grande
alla quale altri è per cimentarsi, sgomenta l'animo, e nel
desiderio che pur lo eccita a dire, una segreta forza lo
ritiene dal cominciare. Imperocché, presa una volta la via,
ci conviene procedere, e tra per i pericoli e la coscienza
della propria debolezza, 1' uomo sente di dover raccogliere
tutte le sue forze per non essere sopraffatto dall'alta im-
presa e mostrarsi vinto da viltà nel ritirarsene.
Delle sue Canzoni compiacevasi, e con diletto ne reci-
tava i versi a gloriarsi ch'era primo fra i nuovi lirici; e,
senza avere mai letto Pindaro, n'adempiva i precelti, e forse
ne sorpassava gli esempi.
Casella ricorda il principio di una sua canzone bellissi-
ma e filosofica, che trovasi nel Convito, e che pare sia stata
da lui messa in musica:
Amor che nella mente mi ragiona,
Cominciò egli allor sì dolcemente,
Che la dolcezza ancor dentro mi suona. Purg. ii. 112.
E Carlo Martello, dal cielo di Venere, ricorda il principio
della prima Canzone del Convito:
Tu nel mondo già dicesti:
Voi che intendendo il terzo del movete. Par. viii. 37.
Un altro principio lo fa riconoscere all' ombre de' rima-
tori che lo aveano preceduto:
Ma di' s' io veggio qui colui che fuore
Trasse le nuove rimo, cominciando:
Donne, ch'avete intcUclto d'umore. Furg. xxiv. 49.
VOL. II. 8
114 DEGLI STUDI DI DANTE.
Grandezza e difficoltik del tema assuntosi.
Che non è impresa da pifiliare a gabbo,
Descriver fondo a tutto l' universo. Inf.xxxu. 7.
Se mo sonasser tutte quelle lingue
Che Pollnnìa con le suore fero
Del latte lor dolcissimo più pingue,
Per aiutarmi, al millesmo del vero
Non si verria, cantando il santo riso,
E quanto il santo aspetto facea mero.
E così, figurando il Paradiso,
Convien saltare il sacrato poema,
Come chi trova suo cammin reciso.
5Ia chi pensasse il ponderoso tema,
E r omero mortai che se ne carca.
Noi biasmerebbe, se sott' esso trema.
Non è pareggio da picciola barca
Quel che fendendo va r ardita prora.
Né da nocchier eh' a sé medesmo parca. Par. xxm. o'^
Nel Purgatorio, l'ingegno del poeta è picciola nave (i.l);
e nel Paradiso a chi lo segue e' dà sdegnoso coTisiglio :
0 voi che siete in piccioletta barca,
Desiderosi d' ascoltar, seguiti
Dietro al mio legno che cantando varca.
Tornate a riveder 11 vostri liti,
Non vi mettete in pelago; che forse,
Perdendo me, rimarreste smarriti.
L'acqua ch'io prendo giammai non ài corse:
Minerva spira, e conducemi Apollo,
E nove 3Iuse mi dimostran l'Orse.
Voi altri pochi, che drizzaste il collo
Per tempo al pan degli Angeli, dei quale
Vivesi qui, ma non sen vien satollo,
Metter potete ben per r alto sale
Vostro navigio, servando mio solco
Dinanzi all'acqua che ritorna eguale. Par. ii. 1.
Quantunque nel C. XIV del Purgatorio, v. 20, ei dica
di sé : Dirvi chi sia, saria parlare indarno; Che 7 nome mio
ancor molto non suona; quantunque sfugga parlare di sé,
e solo per necessità registri il suo nome [Purcj. xxx. 63),
pure egli aveva coscienza delia grandezza del suo nobile
ed elevato ingegno:
Tu se' solo colui, da cui io tolsi
Lo bello stile che m' ha fatto onore. Inf. i. 86.
Perocché ciascun meco si conviene
Nel nome che sonò la voce sola,
Fannomi onore e di ciò fanno bene. Inf. vi. 91.
DEGLI STUDI DI DAME. 1 1'>
E più d' onore ancora assai mi fenno,
Ch'essi mi fecer della loro schiera,
Si eh' io fui sesto Ira cotanto senno.
Così n'andammo inflno alla lumiera,
Parlando cose^ che il tacere è bello,
Sì com'era il parlar colà dov' era. Inf. iv. 100.
Se tu segui tua stella,
Non puoi fallire a glorioso porto,
Se ben m' accorsi nella vita bella.
E s'io non fossi sì per tempo morto,
Veggendo il cielo a te cosi benigno.
Dato t' avrei all' opaca conforto. Inf. xv. 35.
Ed ei chiama soave la sua nota, e gentile la Ballata sua,
dalla quale gliene verrebbe onore [Bai. in), e di soave armo-
nìa e di dolce suono vuole sieno adorne le sue parole, nelle
quali vi sarà Amore tutte le volte che farà mestieri (F. ìY.
§ XII. ) ; e ne' suoi pensieri cerca le dolci rime e il soave
stile che poi tenne sempre nel ragionar d'Amore (Conu. iv.l.),
e ricorda l' amorosa lima che ha pulito i suoi delti, e ì bei
colori che per Beatrice ha trovati e messi in rima : Son. 33 ;
Professione di Fede. Alla prima Canzone del Convito ei
facea dire: diletta mia novella: ponete mente almen com' io
son bella. A guai versi egli stesso faceva comento: 0 uomi-
ni, che vedere non potete la sentenza di questa Canzone,
non la rifiutate però; ma ponete mente la sua bellezza,
ch'è^ande, si per costruzione..., si per l'ordine del ser-
mone.... Si per lo numero delle sue parli... Le quali cose
in essa si possono belle vedere, per chi bene guarda. »
Conv. II. 12, - Ed un altra sua Canzone chiama piena di
bontà, dolce ed amorosa: Canz. xui. Chiusa.
Ed egli alla sua poesia dimanda un linguaggio forte ad
un tempo ed imitativo, perchè le sue descrizioni spirino
col suono quel terribile che dentro all'anima sente [Inf.
xxxii. 1); e perchè il suo dire non suoni diverso del fatto
{Inf. xxxii. 12) ; e, quando lo chiegga il soggetto, più lumi-
noso sialo stile e più potente l'arte: Pnrff. ix. 70. Le sue
invocazioni alle Muse rivelano il vivo sentimento che avea
della potenza del suo genio.
0 Muse, 0 alto ingegno, or m'aiutate:
0 mente, che scrivesti ciò ch'io vidi,
Qui si parrà la tua nobilitate. Inf. ii. 7.
0 buono .\pollo, all'ultirao lavoro
116 DEGLI STUDI DI DAME.
Fammi del tuo valor sì fallo vaso,
Come dimandi a dar ramato alloro.
Insino a qui l'un gioito di Parnaso
Assai mi fu, ma or con ambedue
M'è uopo entrar nell'arinfjo rimase
Entra nel petto mio, e spira tue
Si come quando Marsia traesti
Della vagina delle memhre sue.
0 divina virtù, se mi ti presti
Tanto, che V ombra del beato regno
Segnata nel mio capo io manifesti,
Venir vedrà' mi al tuo diletto legno,
E coronarmi allor di quelle foqlie
Che la materia e tu mi farai degno. Par. 1. 13.
0 diva Pegasea, che gì' ingegni
Fai gloriosi, e rendili longevi,
Ed essi teco le cittadi e i regni.
Illustrami di te, sì ch'io rilevi
Le lor figure coni' io l'ho concette:
Paia tua possa in questi versi brevi. Par. xvm. 82.
Egli nomo d' intellelto [Inf. ii.l9); egli non ignaro d'essere
uscito coir altezza del suo ingegno {Inf. x. 58 ; Far. xxii. 1 12)
della volgare schiera {Inf. ii. 105), riponea tutta la sua spe-
ranza nel gran poema cui avea posto mano e cielo e terra,
che gli avesse ad aprire 11 ritorno alla bene amata sua
patria :
Se mai continga che il poema sacro,
Al quale ha posto mano e cielo e terra,
Sì che m'ha fatto per più anni macro,
Vinca la crudeltà, che fuor mi serra
Del bello ovile, ov'io dormii agnello
Nimico a' lupi, che gli danno guerra;
Con altra voce omai, con altro vello
Ritornerò poeta, ed in sul fonte
Del mio battesmo prenderò il cappello. Par. xxv. I.
E tale era pure il generoso volo di Virgilio: Primus ego
in patriam mecum, modo vita super sit, Aonio rediens dedu-
cam vertice Musas, ecc. Georg, iii. 10.
Ed alla sua Musa chiedeva canti, di cui gli slessi suoi
nemici ed emoli sentano la grandezza, e nella loro dispe-
rata invidia sì consumino. Par. i. 12.
Non vo' però che a' tuoi vicini invidie,
Poscia che s' infutura la tua vita
Via piii là che il punir di lor perfidie. Par. xvii.07.
E dal nobile suo canto ripromettevasi l'immortalità;
DEGLI STUDI DI DANTE. 117
Se '1 nome tuo nel mondo tegna fronte, Inf. xxvii 47.
Se la fama tua dopo te luca. Inf. xvi. 66.
Per le note
Di questa Gomedìa, lettor, ti giuro,
S' elle non sien di lunga grazia vote. Inf. xvi. 127.
Ed il primato dell' italiana poesia:
Credette Ciniabue nella pintura
Tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido.
Si che la fama di colui s'oscura.
Cosi ha tolto l'uno all'altro Guido
La gloria della lingua, e forse è nato
Chi l'uno e l'altro caccerà di nido. Purg.xnH. (1)
Nell'interpretazione del poema ci voleva poi avvertiti
di guardare al senso allegorico nascosto sotto la lettera,
dove altissimi concetti e morali e politici sono adombrati
da poetiche finzioni. {Epistola Magnifico Domino Kant
grandi... § 7.)
(1 j E i contemporanei il salutarono subito ad una voce la maggior musa
italiana. Gino di Pistoia cantava in morte del poeta : Su per la costa,
Amor, dell' alto monte, Drieto allo stil del nostro ragionare. Or chi potria
montare. Poi che son rotte l' ale d' ogni 'ngegno ecc. Gino, GXIl. - Questi
fu sommo poeta e filosofo e retorico perfetto, tanto in dittare e versificare,
come in aringhiera parlare, nobilissimo dicitore, e in rima sommo: col più-
pulito e bello stile che mai fosse in nostra lingua insino al suo tempo
e più innanzi. G. Villani, IX 135. - Questi fu quel Dante che a' nostri se-
coli fu conceduto di speziale grazia da Dio ; questi fu quel Dante, il quale
primo doveva al ritorno delle muse sbandite d' Italia, aprire la via. Per
costui la chiarezza del fiorentino idioma è dimostrata; per costui ogni
bellezza di vulgar parlare sotto debiti numeri è regolata; per costui la
morta poesia meritamente si può dire resuscitata. Boccaccio, Vita di
Dante, p. 7. - Egli primo la poesia italica, non altrimenti tra noi italici
esaltò e recò in pregio, che la sua Omero tra' Greci o Virgilio tra' Latini.
Davanti da costui, comecché per poco spazio d'anni innanzi si creda che
trovata fusse, ninno fu che sentimento o ardire avesse (dal numero delle
sillabe e dalla consonanza dalle parti estreme in fuori J Ji farla essere
strumento di alcuna artificiosa materia; anzi solamente in leggerissime
cose di amore con essa si esercitavano. Gostui mostrò con effetto, con essa
ogni altra materia potersi trattare, e glorioso sopra altro fece il vulgar
nostro, /d.p.27. - E la critica di tutte le nazioni con le più calde ed entu-
siastiche parole salutò l'Allighieri il sovrano poeta della civiltà risorta.
Veggasi specialmente il Lamennais, Esquisse d' une philosophie, Tome
troisiéme, livre IX, chap. ix ; Id, La Divine Comédie de Dante Allighieri,
V Introduction, i. xii. lxu. lxui. lxiv. ecc , Villemain., Cours de Lit-
térature au moyen-àge, L. XII.; Schelling F. W. Ueber Dante infilo-
sofischer Beziehung. ( Gonsiderazionl sulla fllosofla dantesca.)
118 DEGLI STUDI DI DANTE.
0 voi, ch'avete gl'intelletti sani,
Mirate la dottrina che s'asconde
Sotto il velame degli versi strani. Inf. ix. 61.
Aguzza qui, lettor, ben gli occhi al vero,
Che il velo è ora ben tanto sottile.
Certo, che '1 trapassar dentro e leggiero. Purg viu. 19.
Suo amore alla lingua italiana. — La lingua italia-
na a' suoi tempi non era che bambina; la lingua che chiamava
mamma e babbo: iwf. xxvii.7; in qua et m'uìierculae comu-
nicant: Ep. a Cangrande § 10. Cose scritte oltre 150 anni
non aveva (Vita iV. §25); molti vocaboli nel brieve torno
di 50 anni erano spenti nati e variati: Conv. i. 5; il bello
volgare era corruttibile non istabile; governato a legge del
solo piacimento, dell'wso solo e non deWarte seguace: Conv.
1. 5. Brunetto Latini confessava di aver scritto il suo Tesoro
in lingua francesca, perchè la parlatura francesca era piìi
dileltevole e più comune che tutti gli altri linguaggi: Tesoro,
1. 1. -Ma Dante sentiva poter accrescere alla propria lingua
e nobiltà e grandezza: e che avrebbe potuto ben dire d'essa:
r idioma ch'io usai e ch'io feci: Par. xxvi. 114.
E il vivissimo amore per la propria loquela, per lui
nobilmente arricchita, traspare sovente da' suoi versi: -Za
sua loquela ti fa manifesto Hi quella nobil patria natio:
Jnf. X. 25. - La tua chiara favella: Inf. xviu. 13. - In sua
favella : Inf. ii. 57. - ]\ostra favella: Par. xviu. 72. - Questa
moderna favella : Par. xvi. 33. - Parlar materno : Purg. xxvi.
117. - Li dolci detti vostri Che, quanto durerà l'uso moderno.
Faranno chiari ancora i loro inchiostri: Purg.\x.\ì.\Và.-Be\
paese là dove il sì suona: Inf. xxxiu. 80.
Né solamente del nativo suo volgare si fece amico, ma
amore e perfettissimo amore di lui sempre lo prese: Conv.i.
12. «Il volgare fu congiungitore delli suoi generanti che
con esso parlavano,... fu suo introducitore nella via della
scienza, eh' è l'ultima perfezione, in quanto con esso entrò
nello latino, e con esso gli fu mostrato, il quale latino poi
gli fu via^ per andare innanzi, e cosi... gli fu grandissimo
benefattore:» Conv. i. Va. - «Dal principio della mia vita
ebbi con esso benevolenza e conversazione, e usato quello
deliberando, interpretando e questionando, per che se l'ami-
»l£t s'accresce per la consuetudine, siccome manifestamente
DEGLI STUDI DI DA?JTE. 119
appare, manifesto è ch'essa è in me massimamente cre-
sciuta, che sono con esso volgare tulio mio lemix) usato : »
Conv. 1. 12.
Ed ci porgea ammonimento che mom rfe&èa alcuno l'ori-
qinal sua favella lasciare per alcun' altra, dove necessità non
lo costringesse: Conv. i. IO. Che quantunque non sia bene
senza lode d'ingegno apprendere la lingua strana, egli è bia-
simevole comendare quella oltre la verità, per farsi glorioso
ditale acquisto: Conv. 1. 11. E se naturale amore principal-
mente muove l'amatore a Ire cose: l'una si è a magnificare
l'amato: l'altra è a essere geloso di quello; la terza è a
difendere lui ; queste tre cose, ei aggiunge, mi fecero
prendere lo nostro Volgare, lo quale naturalmente e acci-
dentalmente amo e ho amato {Id.) - e a propugnarlo, a per-
petuale infamia e depressione dcUi malvagi uomini d'Italia,
che commendano lo Volgare altrui, e lo proprio dispregiano
(Coni'. 1. 11); sicché lieramente doleagli che a dispetto di
esso altri comendasse la lingua d' Oco, dicendo eh' è più
bella e migliore, dipartendosi dalla verità {Conv. LIO); e
pieno di nobile disdegno, scagliavasi contro gli abbominevoli
cattivi d'Italia che hanno a vile questo prezioso volgare,
lo quale se è vile in alcuna cosa, non è se non in quanto
egli suona nella bocca meretrice di questi adulteri: Conv.
1.13. -E intendimento suo, e quello dell'amico suo Guido
Cavalcanti, fu di scrivere la Vita JSuova per volgare {V.
N. §. 31); e scriveva in volgare il Convito pel naturale
amore alla propria loquela, nella gran bontà di quel vol-
gere in che altissimi e novissimi concetti convenevolmente^
sufficientemente e acconciamente quasi come per esso latino
si esprimono {Conv. 1. 10), volendo che nel suo Comento si
vegga l agevolezza delle sue sillabe, la proprietà delle sue
condizioni, e le soavi orazioni che di lui si fanno: le quali
chi bene agguarderà, vedrà essere piene di dolcissima ed
amabilissima bellezza: Cony. 1. 10. -E delle splendide glorie
di questo vulgare, per lui condotto a nobilissima perfezione,
divinava: « Questo sarà quello pane orzalo, del quale si
satolleranno migllaja, e a me ne sovcrchieranno le sporte
piene. Questo sarà luce nuova, sole nuovo; il quale surgerà
ove r usalo (il latino) tramonterà, e darà luce a coloro che
120 DEGLI STUDI DI DANTE.
sono in tenebre e in oscurità per lo usato sole che a loro
non luce: Conv.ì.Vò. - Nel libro de Vulvari Eloquio de-
finisce il proprio volgare: quello, che in ciascuna dita
appare, e che in ninna riposa ... quello eh' è di tutte le città
italiane, e non pare che sia di ninna i. 16: - E nell'opera
istessa così favella di sé e del suo amico Gino da Pistoia :
« Quelli che più dolcemente e più sottilmente han scritto
poemi, sono stati suoi domestici, e famigliari, cioè Gino da
Pistoia e V amico suo'.y) - i. IO « Il Volgare, il quale è
innalzato di magislerio e di potenza, innalza i suoi di onore
e di gloria. Gh'el sia da magisterio innalzato, si vede,
essendo egli di tanti rozzi vocaboli Italiani, di tante per-
plesse costruzioni, di tante difettive pronunzie, di tanti
contadineschi accenti, così egregio, così districalo, così
perfetto e così civile ridotto, come Gino da Pistoia, e V Amico
suo nelle loro Canzoni dimostrano: » De Vul. El. 1. 17. - Gosi
il sovrano maestro delle lettere italiane al nobile proposito
tenne fermo, fin che raggiunse il termine fisso, e a confu-
sione di quelli che dispregiano ed accusano bastò a mostrar
pienamente ciò che potea la lingua nostra.
La lingua piacque a Dante determinarla dalla particella
eh' è più frequente nell' umano discorso, e propria all'afler-
mazìone della verità : Jnf. xxxni. 80 ; V. N. § 25; Conv. i. 2.
AMMAESTBAJiEMl DI lEITiRATURA
Mostrerolli
Oltre, quanto '1 potrà mentar mia scuola. Purg. XXI.
Perchè conoscili , . . quella scuola
C'bai seguitata, e veggi sua dottrina. Purg. XXXIII. 8
L'arte. — La Natura procede da Dio, l'Arte dalla Na-
tura. La Natura segue l'Arte
come '1 maestro fa 'l discente,
Sì che vostr' arte a Dio quasi è nepote. Inf. xi. 97.
La Natura non solo ne' suoi aspetti e movimenti esterni
ci dà norme non fallaci del bello e del buono; ma quel
eh' è più, ci fornisce anche i segni e lo stromento per
rappresentarli, mercè del gran dono della favella, e della
podestà in ciascuna nazione di perfezionarla.
Opera naturale è eh' uom favella ;
Ma, cosi 0 cosi, natura lascia
Poi fare a voi secondo che v' abbella. Par. xxvi. 130.
A bene approfittare nelle discipline, non basta l'ingegno,
ma ci vuole per giunta l'arte, cioè la coltura dell'ingegno,
e l'uso eh' è la perseveranza della coltura. L'ingegno, ri-
trova e combina; l'arte conduce ad effetto conveniente-
mente il pensiero della mente: Par. x. 43. - Perchè Virgilio
potesse dichiarare il suo allievo signore assoluto di sé me-
desimo era duopo che pria guidato riavesse con ingegno e
con arte: Purg. xxvi. 130. - Né solo si dee ascoltare l'orbe
(la pratica), ma si anco la ragione (la teoria). Par.xxvi. 123.
La regola dell'arte vuole si osservi una giusta propor-
zione delle parti di un tutto fra loro, e questa regola mo-
deratrice che debbe governare la' fantasia è chiamata dal
poeta lo fren dell' arte. Nelle menti vigorosissime una
grande inquietudine agita aflollatamente i pensieri* e li
rimodella in più guise, e gli aduna continuatamente in varie
disposizioni, finche poi l'animo riposato, sceverando gl'in-
convenienti dell'abbondanza, l'ingegno assoggettasi all'or-
dine, al freno dell'arte: Purg.xxxiu.Hì.
122 AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA.
Ogni arte ha i suoi confini :
Ma or convien che il mio seguir desista
Più dietro a sua bellezza poetando ;
Come alVultimo suo ciascun artista. Par, xxx.3.
11 poeta non consentì mai alla fantasia di violare quelle
leggi che prima avea poste all'ingegno. Nella Vita Nuova
egli è vago di mostrarci l'ossatura de' suoi componimenti,
e la ragione produttrice, notando perfino come l'una stanza
fosse ancella e servigiale dell'altra (§ 19), non che di dichia-
rarne i sensi nascosti; lo che, osserva egregiamente il
Tommaseo, ci dimostra com'egli solesse i voli della fantasia
alle misure del raziocinio adattare, e desiderare che altri
vegga com'è' li avesse adattati. Nò certamente l'Italia ha
poeta che tanto volo lasciasse alla fantasia, né poeta che
con più forti legami sapesse la fantasia moderare:
E più lo 'ngegno allreno eli' io non soglio
Perchè non corra, che virtù noi guidi;
Sì che se stella buona, o miglior cosa
M'ha dato il ben, ch'io stesso noi m'invidi, /n/". xxvi. 21.
Del che si deduce un'altro nobilissimo precetto: Chi sorti
un felice ingegno, debbe coltivarlo, indirizzarlo alla virtù,
altrimenti lo si perde.
Dante distingueva due scuole di poesia italiana: l'antica
di Guittone d'Arezzo, del Notaio, di Bonaggiunta e degli
altri coetanei, freddi concettisti, e la nuova, quella dei
dolce sili nuovo, e delle nuove rime, inspirate da vero amore,
della quale egli stesso con compiacenza dicevasi fondatore.
Nella vecchia scuola, l'amore, per mezzo di consonanze e
di ritmi, amava ciarlare piuttosto che di parlare il linguaggio
della passione e del cuore. Della qual cosa Dante conobbe
il difetto; volle provarsi ad unire all'armonia dei versi il
calore del sentimento, e così, sulle rovine dell' antica, fon-
dava una scuola novella, e gli riuscì appieno la prova:
r mi son un che, quando
Amore spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo significando.
* 0 frate, issa vegg' io, diss'egli, il nodo
Che il Notaio, e Guittone, e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo ch'i' odo.
lo veggio ben come le vostre penne
Diretro al dittator sen vanno strette.
Che delle nostre certo non avvenne. Purg, xxiv. 52.
AMMAESTRAMEMl DI LETTERATURA. 123
In questi versi, prima dei Baumgarten e del Wiiikel-
man, Dante definisce bene l'estetica: in essi si comprende
il segreto della poesia e dell'eloquenza e di tutte l'arti
del vivere. Prima condizione al poeta, il cuore, senza il
quale si posson far versi ma non poesia: 1' mi son un che
quando Amore spira, noto (attendo, noto colla mente): Se-
conda condizione necessaria ; espressione conveniente e pari
agli affetti sentiti: ed a quel modo che detta dentro, vo si-
fini ficando. Veggio ora la cagione che fu impedimento a
Jacopo da Lentino, a Guittone, ed a me (Bonaggiunta),
che non giungessimo a poetare si dolcemente. Questa ca-
gione fu il non essere eglino accesi di amore, siccome fu
Dante, eh' è quanto a dire la mancanza di sentimento e
d'espressione. E Dante si crede d'aver creato la scuola
dell'inspirazione:
Poca favilla gran fiamma seconda:
Forse diretro a me con miglior \oci
Si pregherà perchè Cirra risponda. Par. i. 34.
Ma chi per venire in grado alla gente, scrivendo d'Amore,
si mette oltre ad Amore dettatore (Pttrr/. xxiv. 48), questo
scrittore è un cieco che non vede, non sente la differenza
-che corre tra uno stile copiatore fedele della natura e del
sentimento, ed uno caricato e falso :
E qual più a gradire oltre si mette,
Non vede più dall'uno all'altro stilo. Purg. xxiv. 61.
Dello stile. — iiiffiicoitsk dell'espressione. — La ma-
teria fallisce spesso all'intenzione dell'artefice, e gli è restia
al concetto, non potendo imprimere la forma che vorrebbe :
Vero è che, come forma non s'accorda
Molte fiate alla intenzion dell'arte,
Perch' a risponder la materia è sorda. Par. 1. 127.
Similemente operando all'artista,
C'ha l'abito dell'arte e man che trema. Par. xiii. 77.
Molte volte al fatto il dir vien meno. Inf. xiv. 04.
11 mio veder fu maggio
Che il parlar nostro, che a tal vista cede,
E cede la memoria a tanto oltraggio. Par. xxxiii. 33.
Chi porla mai pur con parole sciolte
Dicer del sangue e delle piaghe appieno,
Ch'i' ora vidi, per narrar più volte?
Ogni lingua per certo verrìa meno
Per lo nostro sermone e per la mente,
12Ì AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA.
C hanno a tanto comprender poco seno. Inf. xxviii. 1.
Ma voglia ed argomento ne' mortali...
Diversamente son pennuti in ali. Par. xv. 79.
Però se le mie rime avran difetto,
Ch'entreran nella loda di costei,
Di ciò si biasmi il debole intelletto,
E '1 parlar nostro, che non ha valore
Di ritrar tutto ciò, che dice Amore. Cam. xv. 1.
« Non pure a quello che lo intelletto non sostiene, ma
eziandio a quello ch'io intendo, sufficiente non sono, pe-
rocché la lingua mia non è di tanta facondia, che dir po-
tesse ciò che nel pensiero mio se ne ragiona... Se difetto
sia nelle mie parole... di ciò è da biasimare la debilità
dello 'ntelletto e la cortezza del nostro parlare ; lo quale
dal pensiero è vinto sicché seguire lui non puote appieno...
Nostro intelletto, per difetto della virtù, della quale trae
quello ch'el vede (ch'è virtù organica, cioè la fantasia),
non puote a certe cose salire, perocché la fantasia noi
puote aiutare, e che non ha lo di che... Più ampli sono li
termini dello 'ngegno a pensare, che a parlare,, e più ampli
a parlare, che ad accennare il pensiero nostro, ma sola-
mente quello che a perfetto intelletto non viene, non eziandio
quello che a perfetto intelletto si termina, è vincente del
parlare : Conv. in. 4. - Onde il poeta invocava la sua Musa :
Illustrami di te, si ch'io rilevi
Le lor figure cora' io l' ho concetto. Par. xvm. 85.
E rendeva avvertito il suo lettore che non prendesse
meravìglia, s'ei cercava di sostenere con più arte, e con
più luminoso stile la materia sublime di ch'ei favellava;
sì che del fatto il dir non fosse diverso. Inf. xxxii. 12.
Lettor, tu vedi ben com'io innalzo
La mia materia, e però con più arte
Non ti maravigliar, s' io la rincalzo. Purq, ix.70.
Or convien ch'Elicona per me versi,
E Urania m'aiuti col suo coro,
Forti cose a pensar, mettere in versi. Purg. xxix. 39.
V affetto e il senno...
D' un peso per ciascun di voi sì fenno. Par. xv. 73.
Il sentimento, l'attitudine a bene esprimerlo, bisogna che
sìeno d'un medesimo peso e valore.
Il dar colore e forza all' idee col suono della
parola è uno de' necessarii requisiti dell'arte.
S' io avessi le rime aspre e chiocce.
AMMAESTRAME^T1 DI LETTERATURA. 125
Come si converrebbe al tristo buco,
Sovra '1 qual pontan tutte l'altre rocce,
(E nel mio parlare vor/lio esser aspro: Caw2. ix. 1; con rima
aspra e sottile : Canz. xvi. l. - E dice aspra, quanto al suono
del dettato, che a tanta materia non conviene esser leno:
Conv. IV. 2.)
r premerei di mio concetto il suco
Più pienamente; ma perch'io non l'abbo,
Non senza tema a dicer mi conduco.
Che non è impresa da pigliare a gabbo,
Descriver fondo a tutto l'universo,
Né da lingua che chiami mamma e babbo.
Ma quelle Donne aiutino il mio verso,
Ch' aiutaro Anflone a chiuder Tebe,
Sì che dal fatto il dir non sia diverso. Inf. xxxii. 1.
Il poeta dimandava un linguaggio forte ed imitativo,
perchè la sua descrizione fosse piena, e spirasse anche col
suono quel terribile che dentro egli sentiva: l'armonia in
lui era spesso frutto d'arte più possente.
E visibile parlare [Purg. x. 95) chiama il modo da lui
tenuto per agguagliare con le parole gli effetti della scol-
tura. E ci dà con questo un utilissimo insegnamento. Poiché
indarno confidasi uno scrittore di dare al suo stile tanta
evidenza, quanta sogliono avere le arti del disegno, se da
esperte mani sieno trattate; ove quello non si componga
di voci rappresentanti imagini vive, atte ad impressionarci
gagliardamente la fantasia. - Dante, non v'ha dubbio, diede
anche talvolta connato al decoro ed alla perspicuità, ma
sempre per crescer fedeltà alle dipinture, e profondità ai
concetti. Egli dice:
Parla, e sii breve ed arguto. Purg. xiii. 78.
Sfuaio de' classici.— «Una pianura à,con certi sentieri,
campo con siepi, con fossati, con pietre, con legname, con tutti
quasi impedimenti ; fuori delli suoi stretti sentieri. E nevato
è SI, che tutto cuopre la neve, e rende una (igura in ogni
parte, sicché d'alcuno sentiero vestigio non si vede. Viene
alcuno dall'una parte della campagna, e vuole andare a una
magione eh' è dall'altra parte, e per sua Industria, cioè per
accorgimento e per bontà d'ingegno, solo da sé guidato,
per lo diritto cammino si va là dove intende, lasciando le
vestigie de' suoi passi dietro da sé. Viene un altro appresso
126 AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA.
costui, e vuole a questa magione andare, e non gli è me-
stiere se non seguire le vestigie lasciale, e per suo difetto
il cammino, che altri senza scorta ha saputo tenere, questo
scòrto erra, e tortisce per li pruni e per le ruine, ed alla
parte dove dee non va... Chi ha alcuna scorta, e bene non
camina, lo suo errore e il suo difetto non può essere mag-
giore. Conv. IV. 7. - Il Perticari, chiamata bellissima e piena
di evidenza questa pittura, quanto un quadro di Rafaello,
egregiamente annotava: così pwò dirsi di chi abbandona
la via segnata dai Classici.
Quanto più strettamente imitiamo i grandi poeti, tanto
più dirittamente componiamo; e però noi, che volemo porre
nelle opere nostre qualche dottrina, ci fu bisogno le loro poe-
tiche dottrine imitare: De Vulg. El. ii. 4. E Dante c'insegna
che dobbiamo avere in riverenza ed amore la bella scola
[Inf. IV. 92), cioè gli esempi sommi dell'arte; dai quali solo
deve trarsi il bello stile che fa le opere immortali. Da essi
apprese egli a scegliere nel discorso quell'espressione eh' è
la migliore, a dare alle parole quell'ordine che ad esse
conviene, a serbare ne' concetti le debite proporzioni, ì ne-
cessari ornamenti, a conoscere quelle idee accessorie, che
vagliono a modificare la principale.
Ed ascoltava i lor sermoni *
Gh'a poetar mi davano intelletto. Purg. xxu. 128.
In Virgilio, la nostra maggior Musa, fu sì continuo da
poter confessare che sapeva tutta a mente l'Eneide:
Euripilo ebbe nome, e così '1 canta
L' alta mia Tragedia in alcun loco,
Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta. Inf.xx.Uì.
0 degli altri poeti onore e lume.
Vagliami il lungo studio e il grande amore.
Che m' han fatto cercar lo tuo volume.
Tu se' lo mio maestro e il mio autore:
Tu se' solo colui, da cui io tolsi
Lo bello stile che m' ha fatto onore. Inf. i. 82.
e fa clic Stazio dica a Virgilio:
Al mio ardor fur seme le faville,
Che mi scaldar, della divina fiamma,
Onde sono allumati più, di mille;
Dell'Eneida dico, la guai mamma
Fummi, e fummi nutrice poetando :
Senz'-essa non fermai peso di dramma. Purg. xxi. 94.
AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA. 1 27
Tu prima m'inviasti
Verso Parnaso a ber nelle sue grotte, Purg. xxii. 64.
Orazio, Ovidio, Lucano vengono da Dante allegati tutti
insieme ( V. iY. §. 25 ; Inf» iv. 79 ), quasi autori che più gli
dovettero essere famigliari e raccomandati al cuore. Da
essi sembra riconoscere T eccellente magistero che gli ac-
quistò tanta gloria. -Né le lodi dei contemporanei si tace;
ed ei chiama Guido Guinicelli il Massimo {De Yulg. El.\.
13), e \\ padre suo e degli altri migliori che usassero mai
rime d'amore, dolci e leggiadre: Purg. xxvi. 57.
Né ci basta leggere i grandi maestri del dire, ma ci è
duopo il fermarsi entro quelli, e meditare bene addentro
le opere lette :
Or ti riman, lettor, sopra '1 tuo banco,
Dietro pensando a ciò ehe si preliba,
S'esser vuoi lieto assai prima che stanco.
Messo t' ho innanzi : ornai per te ti ciba. Par. x. 22.
Egli ci è inoltre necessario il ritornare sovente coli' amo-
roso pensiero sugli ammaestramenti ricevuti, e ritenere nella
memoria quello che l'intelletto una volta ha inteso:
che non fa scienza,
Senza Io ritenere, avere inteso. Par. v. 41.
Dante diceva: io pensava, andando, Prode acquistar nelle
parole sue. Purg. xv. 41.
l\[eccssità, dello studio per coBsscgiiire 1' abito
dell'arte e della i^cieuza. — Quella cosa che più adorna e
comenda le umane operazioni, e che più dirittamente a buon
fine le mena si è quelle disposizioni che sono ordinate allo
inteso line: Conv.i.o. -Ver l'abito della scienza potemmo
la verità speculare: Conv. ii. 14. - Nulla cosa è utile, se
non in (juanto è usata, che senza uso non è essere perfet-
tamente: Conv. 1. 9. - È uno studio il quale mena l'uomo
all'abito dell'arte e della scienza, è un altro studio, il quale
nell'abito acquistato adopera, usando quello: e questo primo
è quello, ch'io chiamo qui Amore... Conv. ni. 12.
Vagliami il lunf/o studio e il (ìrande amore,
Che m'han fatto cercar lo tuo volume. Inf. i. 83.
Lungo studio e grande amore, ecco le due condizioni ne-
cessarie ad aprofittare nelle umane discipline. Lo studio
s'avviva nell'amore, e questo in quello, cosi l'uomo giun-
ge air abito dell'arte e della scienza. Ma pochi sono quelli
128 AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA.
che all'abito da lutti desiderato possono pervenire {Conv.
1. 1. ) ; conciosiacosachè se non per ispazio di tempo ed as-
siduità di studio si possono prendere le regole e le dottrine :
De Vulg. El 1. 1. - E Dante stesso, mirabile ingegno ed
unico, per conseguire l'abito dell'arte, diede opera tanto
assidua a studio di leggere, che gliene rimasero debilitati gli
spiriti visivi (Coni', ni. 9); e per non fallire a glorioso porlo
studiò quanto più potè (F. iY.§43); si fece pallido [Purg. x\xi.
140) e per più annimacro [Par.xwi. 1.) sotto V ombra di Par-
naso; sofj'erse fami, freddi e vigilie: Pwrr/. xxix.37. Oh quante
notti furono, egli stesso ci aggiunge, che gli occhi dell'altre
persone chiusi dormendo si posavano, che limici nell'abi-
tacolo del mio Amore (nella lilosolìa) fisamente miravano!
Conv.m.X. -E nell'Epistola II, a Moroello Malaspina, ricorda
le sue Meditationes assiduas quihus tam caelestia qiium ter-
restria intuebar. (1) Il senno e la scienza non vengono da
(IJ E il Boccaccio nella Vita di Dante ci lasciò scritto: «Dal princi-
pio della sua puerizia avendo già li primi elementi delle lettere impresi,
non secondo i costumi de' nobili odierni si diede alle fanciuUescIie lascivie
e agli ozii, nel grembo della madre impigrendo, ma nella propria patria
la sua puerizia con istudio continovo diede alle liberali arti, e io quelle
mirabilmente divenne esperto. E crescendo insieme cogli anni l'animo e
lo ingegno, non a' lucrativi studj, a' quali generalmente corre oggi cia-
scuno, si dispose, ma ad una laudevole vaghezza di perpetua fama,
sprezzando le transitorie ricchezze, liberalmente si diede a voler avere
piena notizia delle finzioni poetiche e dello artiflzioso dimostramento di
quelle. Nel quale esercizio famigliarissimo divenne di Virgilio, di Orazio,
dì Ovidio, di Stazio e di ciascuno altro poeta famoso... Partendo i tempi
debitamente, le istorie da sé, e la filosofìa sotto diversi dottori si argo-
mentò, non senza lungo affanno e studio d' intendere. E preso dalla dol-
cezza del conoscere il vero delle cose racchiuse dal cielo, né niun' altra
più cara di questa trovandone in questa vita, lasciando del tutto ogni
altra temporale sollecitudine, tutto a questa sola si diede. Ed acciocché
niuna parte di filosofia non vista da luì rimanesse, nelle profondità al-
tissime della teologia con acuto ingegno si mise, né fu dalla intenzione
lo effetto lontano, perciocché non curando né caldi, né freddi, né vigilie,
né digiuni, né alcuno altro corporale disagio, con assiduo studio per-
venne a conoscere della divina essenza e delle altre separate intelligenze,
quello che per umano ingegno qui se ne può ancor prendere. E cosi come
In varie etadì varie scienze furono da lui conosciute studiando, cosi in
vari studi sotto vari dottori le comprese. » Boccaccio, Vita di Dante, p. 9.
« Ne' suoi studj fu assiduissimo, quanto a quel tempo che ad essi si
disponea, in tanto che nicuna novità che s'udisse, da quelli il potea ri-
luuovere. » Id. p. 39. (Veggasi ivi quanto gli accadde a Siena nello Stanzone
AMMAESTRAMEISTI DI LETTERATURA. 129
sè, ma si acquistano per isludio indefesso: Tra colanlo
senno Dì quanto per tua cura fosti pieno, diceva Virgilio
a Stazio: Purg. xxi. 23. Il sapere non è dolce ne' suoi prin-
cipii: la letizia ne sarà poi la ricompensa; ma non viene
che in seguito alle veglie durale: Pur. x. 31. Onde non
ci dobbiamo sgomentare se il camino in sulle prime ci
sembri aspro, ronchioso malagevole ; che la montagna della
scienza è tale Che sempre al cominciar dì sotto è grave, E
quanto uom pia va su, e men fa male : Purg. iv. 90. - Se
noi non temeremo labore di studio e liti di dubitazioni che
al cominciar dcW eria multiplicatamente surgono, noi acqui-
steremo il dilettoso monte: continuando la luce della fi-
losofia ad irradiarci, cadranno tutte le dubitazioni, qìiasi
nebuletta mattutina alla faccia del sole, e rimarrii libero e
pieno di certezza lo familiare intelletto, siccome V aere dalli
raggi meridiani purgato e illustrato. Coni), ii. 16. - L'amore
della sapienza vince tutti gli afietti. Platone disse che ove
la si potesse vedere con gli occhi della carne desterebbe
mirabili amori. E Dante per la dolcezza della r//or/a. ebbe
dimenticato ogni disagio e V esigilo: De Yulg. Et. i. 17.
Né dolcezza di figlio, né la pietà
Dei vecchio padre, né il debito amore,
Lo qual dovea Penelope far lieta,
Vincer potevo dentro a me l' ardore
Ch' i' ebbi a divenir del mondo esperto,
E degli vizii umani e del valore. Jnf. xxvi. 9i.
Egli fa dunque mestieri, secondo il precetto del poeta:
Lascia lui, e varca.
Che qui è buon con la vela e co' remi
Quantunque può ciascun, pinger sua barca. Purg. xii. 5.
Che seggendo in piuma, infama nonsivien, né sotto coltre:
Inf. XXIV. 47. Ed il nostro sommo tra le tre orribili infer-
mità nella mente degli uomini annovera pure la jattanza,
essendovi « molti tanto presuntuosi, che si credono tutto
sapere ; e per questo le non certe cose afl'ermano per certe :
d'uno speziale). - « Non poterono gli amorosi desiri, nò Le dolenti lagrime,
né la sollecitudine casalinga, ne la lusinghevole gloria de' pubblici offici,
né il miserabile esilio, nò la intollerabile povertà giammai colle loro
forze rimuovere il nostro Dante dal principale intendimento, cioè da' sacri
studi; perocché... egli nel mezzo di qualunque più fiera delle passioni so-
praddette, si troverà componendo csbCisi e&ercitato. » Id. p. 20.
VOL. II. 9
130 AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA.
lo qiial vizio Tullio massimamente abbomina nel primo degli
Officii, e Tommaso nel suo Contra - Gentili dicendo : » Sono
molli, tanto di loro ingegno presuntuosi, che credono col
suo intelletto potere misurare tutte le cose, stimando lutto
vero quello che a loro pare, e falso quello che a loro non
pare. E quinci nasce, che mai a dottrina non vengono,
credendo da sé sufficientemente essere dottrinali, mai non
domandano, mal ascoltano, disiano essere domandati, e, anzi
la domandazlone compiuta, male rispondono: Conv. iv. 15. -
Yergogninsi gli idioti di avere da qui innanzi lauta au-
dacia che vadano alle canzoni, dei quali non altrimenti
solemo riderci, di quello che si farebbe di un cieco il quale
distinguesse i colori: De Vul El. ii. 13.
Modo di procedere nel rintracciare la veritù e
nell'acquisto delle cog^nizioui. — Poni ben mente al
modo ch'io or tengo nel rintracciare la verità che tu de-
sideri conoscere, e sì ti giovi, che altra volta tu sappi
senza altra guida indirizzarti alla verità cercata:
Riguarda bene a me sì com' io vado
Per questo loco al ver che tu desiri.
Sì che poi sappi sol tener lo guado. Par. ii. 124.
Ogni verità, che non è un principio, si manifesta per la
verità d'alcun principio, è necessario in ciascheduna in-
quisizione avere notizia del principio, al quale analiticamente
si ricorra, per certezza di tutte le proposizioni che poi sì
assumono : De Mon. i. 2. - Come nelle superiori questioni
abbiamo fatto, similmente nella soluzione di questa si vuole
pigliare qualche principio fermo, nella virtù del quale si
formino gli argomenti della verità, ch'ai presente si ricerca.
Imperocché senza un principio prefisso, non giova affaticarsi
ancora dicendo il vero ; conciossiaché solo il principio è la
radice del pigliare i mezzi: De Mon.wi,^. - La natura vuole
che ordinatamente sì proceda nella nostra conoscenza, cioè
procedendo da quello che conoscemo meglio, in quello che
conoscemo non così bene ; dico che la natura vuole, in quanto
questa via di conoscere è in noi naturalmente innata. Conv.
u. 1. - Quegli che conosce alcune cose in genere, non co-
nosce quelle perfettamente: Co7iìm. 6. -Innegabile principio
nel quale sono d' accordo Aristotile e Locke - inù le nostre
AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA. 131
idee 50)10 generali, più sono incomplete. ( Locke ) - Mal Iragge
al segno quello che noi vede, e così mal può ire a questa
dolcezza chi prima non l'avvisa: Conv. ly.'^^. - Per l'abito
della scienza potemo la verità speculare: Con?;, ii. 14.
Ciò fa contro que' molli che sono di sì lieve fantasia^
che in tutte le loro ragioni trasvanno, e anzi che sillogizzino
hanno conchiuso. E di quella conclusione poi vanno di su-
bito trasvolando nell'altra, e pare loro sottilissimamente
argomentare, e non si muovono da niuno principio, e nulla
cosa veramenle veggiono vera nella loro immagine: Coìii\
IV. 13. - Il sillogismo con falsi principii, dimostrando, non
conchiude verità : Conv. iv. 9.
Ad acquistar cognizioni non vuoisi sempre disputare;
né solo vuoisi osservare, ma avvicendare i ragionamenti e le
osservazioni. Queste danno i materiali, e quelle le nozioni,
ossia la forma delle cognizioni : Inf. x. 19. I veri sapienti
riguardano sempre con gratitudine chiunque può avvantag-
giare la non mai compiuta ricchezza.
Il dubbio buono e fecondo, quello che viene da Istinto di
natura e che serve di a^ensione dell'anima umana, è il
dubbio che nasce a' piedi del vero, ed è germe di quello
Se l'uomo dubita, il genere umano crede; se l'uomo esita,
l'umanità procede; se alcuni uomini si dividono tra sé,
la famiglia umana si aduna in se stessa più e più intima-
mente: Par. IV. 129. - Il poeta si mostra quasi sempre inetto
ad accertare da sé stesso il vero, per line di rivolgere la
nostra ragione alla disciplina ed all'esempio del maestro:
Coni'. IV. 7. DI qui è che ove uopo il chieda, ricorre ai
suoi fidati e savi guidatori, con ripeter loro nell'una gui«i
«) nell'altra : Conviemmi udirlo da voi... che io per me indarno
a ciò contemplo: Par. xxviii. 57.
L'esperienza è il fondamento di tutte le scienze e le
arti umane. Ingenerale l'arte è l'imitazione della natura
[Inf. XI. 103), e le prove della esperienza, giovando a raf-
fermare le singolari cognizioni di ciò che nella natura è
costante, porgono fondamento all'arte, e stabiliscono la
verità dell' wso comune: Par. x. 63.
Esperienza, se giainmai Ja pruovi,
Ch' esser suol fonte a' rivi di vostrarti. Par. fi. 95.
132 AMMAESTRAMEMl DI LETTEIIATURA.
Si perdoni al poeta, egregìamenle annoia il Tommaseo,
l'aver fatto didattica del suo poema in alcuna parte. Ne
ripete egli le cose volgarmente note, ma cerca il nuovo
del vero e del noto, trasceglie il più certo, e lo condensa
in sentenze talvolta potenti, e del cercare il vero segna
anche la via, poeta logico non meno che teologico, siccome
là dove pone il dubbio (in/', xi. 93. ) modesto ed onesto
come fonte di scienza, e qui dove dice dell' esperienza che
esser suol fonte a' rivi di vostr' arti, ì due dettami che a
taluni paiono rivelati all'umanità dal Cartesio e da Bacone.
Poesia. - Definizione della Poesia. — La Pocsia non
è altro che una finzione rettorica, e posta in musica: De
Yul.ELu. 4. -Li poeti coli' arte musaica le loro parole hanno
legate: Conv. iv. 6. — Le parole sciolte sono più capaci a
ben descriver le cose. Inf. xxviu. 1.
A poeti è conceduta maggior licenza di parlare che alli
prosaici dicitori : Vita N. § 25.
Materie da trattarsi colla poesia. — La salute, i pia-
Céri di Venere e la virtù sono quelle tre grandissime materie,
che si denno grandissimamente fc-atlare, com'è la gagliar-
dezza dell'armi, l'ardenza dell'amore, e la regola della
volontà. Circa le quali tre cose ( se ben risguardiamo) tro-
veremo gli uomini illustri aver volgarmente cantalo; cioè
Beltramo di Bornio le armi; Arnaldo Daniello lo amore:
Gerardo de Bornello la rettitudine; Cino da Pistoia lo amore;
lo Amico suo la rettitudine : De Vulg. El. ii. 2.
stile sublime. — Noi usiamo lo stile tragico, (il sommo
degli stili) quando colla gravità delle sentenzie, la superbia
dei versi, la elevazione delle costruzioni, e la eccellenzia
dei vocaboli si concorda insieme... Che a trattare lo stile
tragico qui è la di/ficultà, qui è la fatica; perciò che mai
senza acume d' ingegno, né senza assiduità d' arte, ne senza
abito di scienza non si potrà fare. De Vulg. El. ii. 4.
Scienza e dottrina necessaria al poeta. — Per esser
vero poeta conviene onorare (saper profondamente) ogni
scienza, ed ogni arte. Chi solo fa versi è cinguettiere cantan-
te, non poeta. Epperò Dante a bel diritto inlolava Virgilio:
colui che onora ogni scienzia ed arte: iw/. iv. 73. — Quel
savio gentil che tutto seppe. Inf. vii. 3. — Non si dee dicere
AMMAESTRAMEMl DI LETTERATURA. 133
vero filosofo alcuno che per alcuno dile'.to colla sapienza in
alcuna parte sia amico; siccome sono molti che si dilettano
in dire Canzoni e di studiare in quelle, e che si dilettano
studiare in Reltorìca e in Musica, e V altre scienze fuggono
e abbandonano, che sono tutte membra di sapienza: Conv. m.lì.
Scelta del subietto. — Ciascuno debbe pigliare il
peso della materia eguale alle proprie spalle, acciò che la
virtù di esse dal troppo peso gravala, non lo sforzi a ca-
dere nel fango : De Yulg. El. ii. 4. - Le cose buone ai degni,
le migliori ai più degni, e le ottime ai degnissimi si con-
vengono: Z^e yi!//f/.jÈ7. 11. 1. - Dante non voleva cimentarsi a
parlare della sua Donna sì altamente, che poi divenisse vile,
cioè abbandonasse l'impresa per temenza di non poter se-
guitare in guisa, da raggiungere con le parole si alte cose:
Ed io non vo' parlar sì altamente,
Che divenissi per temenza vile. Canz. ii. 1.
Si confessi dunque la sciocchezza di coloro, i quali senza
arte, e senza scienzia, confidandosi solamente nel loro in-
gegno, si pongono a cantare sommamente le cose somme.
Adunque cessino questi tali da tanta loro presunzione, e se
per la loro naturale desidia sono oche, non vogliano l'a-
quila, che altamente vola, imitare : De Yulg. El. ii. 4.
Eloquenza. E qual cosa è di maggior potenzia che quella
che può i cuori degli uomini voltare in modo che faccia
colui che non vuole volere, e colui che vuole non volere?
De Yulg. El. i. 17.
L'ordine del sermone si pertiene alli Rettorie!. Conv.
11. 12. - Lo sermone è ordinalo a manifestare lo concetto
umano. É virtuoso quando quello fa ; e più virtuoso è
quello che più lo fa: Conv. i. 5. - In ciascuna scienza la
scrittura è stella piena di luce, la quale quella scienza di-
mostra: Coni). 11. 16. - In ciascuna cosa di sermone lo bene
manifestare del concetto è più amato e comendato: Conv.
1. 12. - ( Da qui vedesi come Dante facesse gran conto della
chiarezza del favellare, il che sia detto a coloro che si com-
piacciono d'una sublimità tenebrosa. Tor. Tasso interlineava
questa sentenza.) La loquela è necessario istromento ai nostri
concetti; non altrimenti che il cavallo al soldato; e con-
venendosi gli ottimi cavalli agli ottimi soldati. T ottima
134 AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA.
loquela agli ottimi concetti si conviene: De Vulfj. El. ii. 1. -
Gli ottimi concetti non possono essere se non dov'è scienza
ed ingegno: De Yiilg. El. ii. - La bontà e la bellezza di
ciascun sermone sono in tra loro partite e diverse ; che la
bontà è nella sentenza, e la bellezza nell'ornamento delle
parole: e l'una e l'altra è con diletto, avvegnacchè la bou-
tade sia massimamente dilettosa: Con?;, ii. 12. (Il Perticarl
annotava : Dunque anche dalla parte del diletto Dante facea
più stima della sentenza che delle parole. )
Esordio. — Il proemio è il principio dell'orazione, co-
me il prologo nella poesia, ed il preludio nel suono. Questo
proemio per lo più denominato esordio, si fa dai poeti in
un modo e dai retori in un altro. Perocché questi, a con-
ciliarsi l'animo dell'uditore, sogliono prelibare la proposta
materia ; ma ì poeti, oltre a ciò soggiungono pur anco una
qualche invocazione... Ad esordir bene richieggonsi tre
cose, secondo Tullio nella nuova Rettorica, e sono; che
altri renda benevolo e attento e docile l' uditore : In uti-
litate dicendorum benevolentia paritur: in admirabìlitate
attentìo : in possibilitate docilìtas. Lett. a Cangrande della
Scala, § 18, 19.
In ciascuna maniera di sermone lo dicitore massimamente
dee intendere alla persuasione, cioè all'abbellire dell' au-
dienza, siccome quella eh' è principio di tutte le altre per-
suasioni, come li Rettoricì fanno, e potentissima persuasione
sia, a rendere l'uditore attento, promettere di dire nuove
e grandiose cose: Conv. ii. 7.
Parlare di sé medesimo non par lìcito. Non si concede
per li Rettorici alcuno di sé medesimo senza necessaria ca-
gione parlare: Conv. i. 2.
Confutazione. — Acciò che alla nostra investigazione
possiamo avere un picciolo calle, gittiamo fuori della selva
gli arbori attraversati e le spine: De Ynlg. El. 1. 11. - Giova
prima riprovare il falso e poi trattar lo vero:
Certo assai vedrai sommerso
Nel falso il creder tuo, se bene ascolti
L' argomentar cU' io gli farò avverso. Par. ii. 61.
Il che è richiesto dalla natura de' nostri intelletti, i quaK
piegando alle opinioni correnti, non di rado avviene che
AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA. 133
ne restino occupati, si che poscia si rendano difficili ad ac-
cogliere e sostenere la luce della verità: Par. xiii. Ii8. - In-
tanto s' intende riprovare lo falso, in quanto la verità si
fa meglio apparire, e acciocché fugate le male opinioni,
la verità poi sia più liberamente ricevuta. E questo modo
tenne il maestro dell'umana ragione, Aristotile, che prima
sempre combattè gli avversari della verità, e poi, quelli
convinti, la verità mostrò: Conv. iv. 2. - E con tutta licenza,
con tutta franchezza d'animo è da ferire nel petto alle vi-
ziate opinioni, quelle per terra versando, acciocché la ve-
race, per questa mia vittoria, tenga lo campo delle menti di
coloro per cui fa questa luce avere vigore: Conv.w. 9. -Gassi
gli argomenti degli avversari, e così falsificato il lor pa-
rere ( Par. 11. 83 ), T intelletto rimarrà libero in guisa che
dì loro false ragioni nulla ruggine rimanga nella mente
che alla verità sia disposta: Couv.iv. 15.
itrsomentazionc. — Quella Orazione si può dire che
I)ene venga dalla fabbrica del Rettorico, la quale a cia-
scuna parte pone mano al principale intento: Conv. ni. 1.-
Fastidium est in rebus manifestissimis probationes adducere:
De Mon. ni. § 13. - Gli argomenti debbono essere stringenti:
(Deve armarsi d'ogni ragione: Par. xxiv. 49. - Con aperta
ragione: Jnf. xi. 33. - Aperte prove: Par. xiii. 124. - Argo-
menti gravi: Inf. xxvii. 106. - È sillogismo, che ,la mi ha
conchiusa Acutamente sì, che in verso d' ella Ogni dimo-
strazion mi pare ottusa: Par. xxiv. 94. - I tuoi argomenti
Mi son sì certi, e prendon sì mia fede, Che gli altri mi sarian
carboni spenti. Inf. xx. 100.)
E bel modo rettorico, quando di fuori (apparentemente)
pare la cosa disabbellirsi, e dentro veramente s'abbellisce:
Conv. 11. 8.
Il Rettorico dee molta cautela usare nel suo sermone,
acciocché l'avversario quindi non prenda materia di sturbare
la verità: Conv. ii. 8.
Siccome molte volte avviene che l' ammonire pare
presuntuoso per certe condizioni, così suole lo Rettorico
indirettamente parlare altrui, dirizzando le sue parole, non
a quello per cui dice, ma verso un altro: Cony.ii. 12. -Queste
parole fa che sieno quasi un mezzo, sì che tu non parli a
136 AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA.
lei immediatamente, che non è degno: Vita i\tiova, §.12.
È mollo laudabile in Retlorica la Dissimulazione, e anche
necessaria, cioè quando le parole sono a una persona, e
la intenzione è a un' altra; perocché l'ammonire è sempre
laudabile e necessario, e non sempre sta convenevolmente
nella bocca di ciascuno... È simigliante all'opera di quello
savio guerriero che combatte il castello da un lato per le-
vare la difesa dall'altro, che non vanno a una parte la
intenzione dell' aiutorlo, e la battaglia: Conw. ni. 10.
Definizione è quella ragione che il nome significa: Conv.
111. li.
Mi volgo alla Canzone, e, sotto colore d'insegnare a lei
come sé scusare le conviene, scuso quella. Ed é una figura
questa, quando alle cose inanimate si parla, che si chiama
dalli Rettorici Prosopopea ; ed usanla molto spesso li poeti :
Conv. 111. 9.
Gli argomenti più robusti si debbono tenere per ultimi
perchè facciano maggior colpo:
Come colui che dice,
E il più caldo parlar dietro riserva, Purg. xxx. "1.
Sempre quello che massimamente dire intende lo dicitore,
(quello che più di tutto gli sta a cuore sia inleso) si dee
riservare di dietro : perocché quello che ultimamente si dice,
più rimane nell'animo dell'uditore: Conv.u. 9.
Ciascuno buono fabbricatore nella fine del suo lavoro
quello nobilitare e abbellire dee, in quanto puote, acciocché
più celebre e più prezioso da lui si parta: Co«y. iv. 30.
Grammatica — La Grammatica, la prim" arte {Par. xii.
138.), debb'essere una inalterabile conformità di parlare in
diversi tempi e luoghi pel comune consenso di molte genti
regolata: non soggetta al singolare arbitrio di ninno: tro-
vata acciocché per la variazione del parlare (il quale per
lo singolare arbitrio si muove) non ci fossero in tutto tolte
0 imperfettamente date le autorità, ed i fatti degli antichi,
e dì coloro dai quali la diversità de' luoghi ci fa essere
divìsi: De Vulg. El. i. 9. ( Conv. ii. 14.)
Traduzioni. — Nulla cosa per legame musaico armo-
nizzata si può della sua loquela in altra tramutare senza
rompere tutta sua dolcezza e armonia. E questa ò la
AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA. 137
ragione per che Omero non si mutò di greco in latino,
come l'altre scritture che avemo da loro: e questa è la
ragione per che i versi del Psaltero sono senza dolcezza
di musica e d' armonia ; che essi furono trasmutati di
ebreo in greco, e di greco in latino, e nella prima trasmu-
tazione tutta quella dolcezza venne meno: Conv. i. 7. (Y.
CowiM. 10. pag. 99.)
Commenti. — La sposizione dev' esser luce, la quale ogni
colore della sentenzia {degli autori) faccia parvente: Conv. i.l.
Intende essa mostrare la vera sentenza di quelle ( delle sue
Canzoni) che per alcuno vedere non si può, s'io non la conto,
perch'è nascosa sotto figura d'allegoria; e questo non so-
lamente darà diletto buono a udire, ma sottile ammaestra-
mento, e a cosi parlare, e a così intendere le altrui scritture :
Conv. I. 2. - Questo Signore, cioè queste Canzoni, alle quali
questo Comento è per servo ordinato, comandano, e vogliono
essere esposte a tutti coloro alli quali può venire si lo loro
intelletto, che quando parlano elle sieno intese: (Vogliono
essere esposte a tutti coloro, i quali hanno già tanta co-
gnizione d'esse Canzoni, che quando parlano, elle possano
essere intese d'un intelligenza almeno estrinseca e mate-
riale.) Co?iy. I. 7. - Parlare, sponendo, troppo a fondo, pare
non ragionevole: Conv. L'i.
Li lunghi capitoli sono nemici della memoria: Conv. iv. 4.
i.ettcrati venali. — Non SÌ devono cliiamare letterali,
lo dico a vituperio di loro, quelli che acquistano le lettere,
non per lo suo uso, ma in quanto per quelle guadagnano
danari e dignità... La malvagia disusanza del mondo haja-
sciato la letteratura a coloro che l' hanno fatta di donna
meretrice : Conv. i. 9. - Non si dee chiamare vero filosofo
colui eh' è amico dì sapienzia per utilità.... Conv. iii. 11.
Ciiudizio dell'opere. — Nel giudicio dell'opere si
debbe aver dinanzi non tanto i precetti della teoria che
della pratica. Gl'inetti, e son molti, vuoti di discernimento,
ma gonfi di superbia, decidono con ridicola prosopopea del
merito dei libri, senza pur averli letti, o se letti, certo
non intesi; e lodano o vituperano, secondo che udirono o
lodarli o vituperarli da chi e come non importa. E stato
sempre così, ed è così. B. Bianchi.
138 AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA.
A voce più eh' al ver drizzan li volti,
E così ferman sua opinione
Prima ch'arte o ragion per ior s'ascolti. Pur(j.xx\\.lt\.
Oltre di che dobbiamo moverci lento, e sempre col piombo
a' piedi, nel criticare e calunniare le dottrine dei maggiori
e de' coetanei. Egli può essere che i loro concetti sieno
diversi da quello che ci son presentati dalle loro parole, e
che la sostanza di essi sia tale da non meritare di essere
derisa :
E forse sua sentenzia è d' altra guisa
Che la voce non suona, ed esser puole
Con intenzion da non esser derisa. Par. iv, 53.
Rispetto reciproco tra i cultori d' un'arte mede-
sima, tra gli uomini di lettere. -Fra quelli che profes-
sano una medesim'arte non deve regnare invidia. « Chi
un valente uomo infama è degno d'essere fuggito dalla
gente, e merita di essere da tutti scacciato»: Conv. iv. 29.
L'invidioso non ama l'arte ma sé slesso, e così gli manca
lo stimolo a divenir grande. Chi per contrario ama vera-
mente un'arte, gode ch'essa avanzi e venga illustrata, e
perciò ricorda ed ascolta i nomi onorati, ne ritrae con af-
fezione l'opere degne {Inf. xvj. 60), le raccomanda allo
studio ed all' ossequio altrui, non ne nutre che una nobile
emulazione, derivante dall'amore dell'arte medesima:
Perocché ciascun meco si conviene
Nel nome che sonò la voce sola,
Fannomi onore, e di ciò fanno bene. Inf. iv. 91.
Gli uomini illustri godono di vedersi dì conoscersi e di
gtìraarsi a vicenda: Grazioso fia lor vedervi assai: Piircj. viu.
45. - Onde Virgilio a Dante che pensava di bel soggiorno :
Menerotti ad esse , E non senza diletto ti fien note : Purg. vii.
47. - E l'affettuoso discepolo cui stava a cuore la cono-
scenza di color che sanno, soggiungeva: Menane — là 've
dici. Ch'aver si può diletto dimorando: Piirg.wi. 62. Dante,
vedendo in luogo aperto luminoso ed alto la schiera degli
spiriti illustri, avea il sentimento del sublime, ed espri-
mealo in quel verso meraviglioso:
Che di vederli in me stesso m' esalto. Inf. iv. 120.
Magnifico concetto! Questo verso era la passione di lord
Byron, e ripetealo sovente.
AMMAESTRAMENTI DI LETTERATURA. 139
Però egli non tace di ricordare l'alterezza e la schifiltà
d'alcuni uomini, sommi in vero, ma che vinti dal gran disw
dell' eccellenza, vivendo, non sono cortesi da rendere altrui
il meritato tributo di lode ; lo che serve al poeta di fare
una bellissima tirata sopra le umane vanità: Purg.xi.^o.-
L'uomo non deve insuperbirsi e schifare altrui, per ingegno
eh' egli abbia ; perocché non v' è mai merito sì grande che
non possa darsene uno maggiore : Purg. xi. 94. - Quanto
cara e bella insieme non è la pittura del grande uomo di
intelletto che ci lasciò il Tasso nella sua Aminta, Atto 1.
Scena II.
Era su l' uscio,
Quasi per guardia delle cose belle,
Uom d'aspetto magnanimo e robusto,...
Che con fronte benigna insieme e grave.
Con regal cortesia invitò dentro
Ei grande e 'n pregio me negletto e basso.
Oh che sentii! che vidi allora!
FILOSOFIA DI DANTE
" L'Ozanain cliiama Dante il più grande
filosofo de' suoi tempi, e come ciò fosse poco,
ecco il Gioberti prender le mosse da lui per
fondare l' immensa sintesi, che richiamando
a' piincipii la filosofia, la storia, 1' estetica e
la fede italiana, sorge glorioso, ad impugnarv
il colosso del panteismo moderng.
DALL' OKGABO
Lodi della Filosofia. — Sposa dell' imperatore del
cielo... e non solamente sposa ma suora e figlia dilettissi-
ma: Conv. ìli. 12. - La bellissima onestissima figlia dell'impe-
ratore dell'universo: Conv.u.ì^. - Donna dell'intelletto:
Cont). 111. 19. - Questa donna fu figlia d'Iddio, regina di tutto,
nobilissima e bellissima Filosofia: Coni', u. 13. - Veramente
è donna piena di dolcezza, ornala d'onestade, mirabile di
savere, gloriosa di libertade... Gli occhi di questa donna
sono le sue dimostrazioni, le quali dritte negli occhi dell'in-
telletto, innamorano l'anima, liberata nelle condizioni. Oh
140 FILOSOFIA DI DANTE.
dolcissimi ed ineffabili sembianti, e rubatori siibitani della
mente umana, che nelle dimostrazioni, cioè negli occhi della
Filosofia apparite, quando essa alli suoi drudi ragiona! Ve-
ramente in voi è la salute, per la quale si fa beato chi vi
guarda, e salvo dalla morte della ignoranza delli vizi:
Cony. II. 16. -Della Filosofia è cagione efficiente la verità...
fine della Filosofia è quella eccellentissima dilezione che
non paté alcuna intermissione ovvero difetto, cioè vera feli-
cità, che per contemplazione della verità s'acquista: Conv.
III. 11. (V. Conv. III. tutto il cap. 11). Iddio, che tutto gira
é intende, in suo girare e suo intendere non vede tanto
gentil cosa, quant'elli vede quando mira là dov'è. questa
Filosofia... in quanto perfettissimamente in sé la vede...
Filosofia è uno amoroso uso di sapienza ( Y. Conv. ni. 12.
p. 241). -Quella luce virtuosissima Filosofia, i cui raggi fanno
1 fiori rinfronzire e fruttificare la verace degli uomini nobil-
tà: Conv. IV. 1.
Desiderio della seienza. - La scienza non si deve
nascondere ma comunicare. — Tutti gli uomini natu-
ralmente desiderano di sapere. La scienza è l' ultima per-
fezione della nostra anima, nella quale sta la nostra ultima
felicità, sicché tutti naturalmente al suo desiderio siamo sug-
getti: Conv. LÌ. -lì desiderio della scienza non è sempre uno,
ma è molti : e finito 1' uno, viene l'altro ; sicché, propriamente
parlando, non è crescere lo suo dilatare, ma successione
di piccola cosa in grande cosa... Questo cotale dilatare non
è cagione d' imperfezione, ma di perfezione maggiore: Conv.
IV. 13. - Nel desiderare della scienza successivamente
finiscono li desideri!, e viensi a perfezione... Scienza per-
fetta è nobile perfezione, e per suo desiderio perfezione
non perde: Conv.iw. 13. - Chi gltta via la sapienza e la
dottrina è infelice... Per l' abito della sapienza seguita che
s' acquista e felice essere e contento, secondo la sentenza
del Filosofo: Conv. ni. 15. - Oh beati que' pochi che seggono
a quella mensa ove il pane degli Angeli si mangia, e mi-
«eri quelli che colle pecore hanno, comune cibo! Conv.\.l.-
{Pochi drizzan il collo Per tempo al pan cleijli Angeli, del quale
Vivesi qui ma non sen vlen satollo: Par. ii. 10.) - Quelli, alla
cui anima questo raggio divino non risplende, sono siccome
FILOSOFIA DI DAME. 141
valli volte ad aquilone, ovvero spelonche sotterranee, dove
la luce del Sole mai non discende se non ripercossa da
altra parte da quella illuminata: Conv. iv. 20. - Ond' egli si
fa ad esclamare: 0 ineffabile sapienza che così ordinasti,
quanto è povera la nostra mente a te comprendere! E voi,
a cui utilità e diletto io scrivo, in quanta cechità vivete, non
levando gli occhi suso a queste cose, tenendoli fissi nel
fango della vostra stoltezza ! Conv. in. 5. - Oh peggio che
morti, che l'amistà di costei fuggite! Aprite gli occhi vo-
stri, e mirate che anzi che voi foste, ella fu amatrice di
voi, acconciando e ordinando il vostro processo; e poiché
fatti foste, per voi dirizzare, in vostra similitudine venne
a voi: e se tutti al suo cospetto venire non potete, onorate
lei ne' suoi amici, e seguite li comandamenti loro, siccome
quelli che v'annunziano la volontà di questa eternale Im-
peradrice... Non chiudete gli orecchi a Salomone che ciò vi
dice, dicendo che « la via de' giusti è quasi luce splendente,
che procede e cresce infino al dì della beatitudine» andando
loro dietro, mirando le loro operazioni, ch'esser debbono a
voi luce nel cxmmino di questa brevissima vita: Conv. in. 15.
Ma la scienza non si deve nascondere ma comunicare -
{V.De Non. i. 1.): Gli uomini illustri perchè illuminati di
potenz'Li sogliono con giustizia e carità gli altri illuminare,
ovvero perchè eccellentemente ammaestrati, eccellentemente
ammaestrare: De ViiUj. FA. 1. 17. - Coloro che sanno debbono
liberalmente porgere della loro buona ricchezza alli veri
poveri, e sicno quasi fonte vivo, della cui acqua si refrigera
la naturai sete che mai non sazia: Conv. \. 1.
FILOSOFIA DI D.ÌNTE
IL VERO
La virtù della verità ogni autorità con-
vince. Conv. rV'. 3.
Ho meco il maestro de' Filosofi, il quale
domatizzando d' ogni morale soggetto, la ve-
rità insegnò esseie sopra tutti gli aauici da
preferirsi. Ep.IX. 5.
I Filosofi antichi vaneggiarono nella ricerca del vero;
da Parmenide e da' superbi suoi eleatici che gittavansì nella
profondità del ragionamento senza conoscere dove dessero
di capo, li quali andavan e non sapean dove (Par. xiii. 125)
fino ad Epicuro e a' suoi seguaci che l'anima col corpo
morta fanno {Inf.x.Vò)', da Pitagora, che fa discendere
le anime attraverso a tutti i gradi della creazione, sino a
Platone che le vede risalire alle stelle donde emanaro-
no: Par. IV. 2lì.- Zenone vide e credette il fine della vita
umana essere solamente la rùjida onestà, donde la setta
degli Stoici ; Epicuro la voluptà, cioè diletto senza dolore ;
Socrate con Platone posero il fine nella nostra opera-
zione, senza soperchio e senza difetto, misurata col mezzo
per nostra elezione preso, eh' è viriti: e questa setta dal-
l'Accademia, dove Platone studiava, s'intitolò degli Acca-
demici; da ultimo i Peripatetici, seguaci d'Aristotile, che
Uììiùro e a perfezione la Filosofia morale ridussero : Conv. iv.6.
II poeta biasima duramente i filosofi del suo tempo per-
chè le ambagi della scolastica facessero loro smarrire la
buona via, e l'amore dei sistemi vincesse in essi l'amore
del vero : Par. xiii. 97.
Voi non andate giù per un sentiero
Filosofando; tanto vi trasporta
L'amor dell'apparenza e il suo pensiero. Par. xiii. 81.
Fuori di Dio non si spazia nessun l'ero.
Io veggo ben che giammai non si sazia »
-Castro intelletto, se il Ver non lo illustra,
IL VERO. 143
Di fuor dal qual nessun vero si spazia.
Posasi in esso, come fera ia lustra,
Tosto che giunto l'ha: e giunger puollo ;
Se non, ciascun desio sarebbe frustra.
Nasce per quello, a guisa di rampollo,
Appiè del vero il dubbio, ed é natura,
Ch'ai sommo pinge noi di collo in collo. Par. iv. 124.
In queste poche terzine è compresa la filosofia dì molti
libri. L'intelletto dell' uomo si adagia in alcune verità, come
una fiera nella sua caverna, e la storia fa splendida e do-
lorosa fede cli'ei le difende con una ferocia, la quale vince
d'assai quella delle belve. Che dal prudente dubitare nasca
il vero, e dal vero il dubbio, siccome rampollo al pie d' un
albero, si conferma nei risultamenti d'ogni scoperta che
si faccia, la quale quei limiti che sono nel campo dello sci-
bile allontana, ma non toglie. E alla speranza che ha l'uomo
di arrivare al primo vero, non dà la filosofia ^miglior fon-
damento che la sentenza compresa in questo verso: Se non^
ciascun disio sarebbe frustra. Infatti, per quanti siano 1
giorni del mortale su questa terra, egli l'abbandona senza
esser giunto al suo scopo, senza che in alcuna cosa gli
si acqueti il cuore e la mente. Non meno gravi di pro-
fondi, ma invidiosi veri, sono le ultime parole della ricor-
data terzina: ed è natura, Ch'ai sommo pinge noi di collo
in collo. L'amore del vero, dal quale deriva il corso delle
nazioni e il progresso della civiltà, è natura: cosicché ta
guerra, la quale vien fatta alla ragione, è una crudeltà in-
sensata. Non è dato a potenza alcuna rompere quello che
il Vico chiamò legge [dell'umanità; e su gli stoltamente
malvagi, che indarno lo tentano, pesa ad un tempo l'infa-
mia e la sventura. Mirabilmente concorda con Bacone l'Al-
lighieri osservando che noi siamo spinti al sommo di collo
in collo, d'altezza in altezza, e saliti, per così dire, su quelli
che ci precedono : quindi le care speranze di quei progressi
che le leggi immutabili della natura promettono alle gene-
razioni future, le quali godranno la vera utilità del tempo,
di' è l'esperienza. » iMcolini, Dell' universalità e nazionalità
della Divina Comedia. Y. Nicolini, Opere, IH. 2;);J.
L' uomo appas^iionato non è vero né giuHto esti-
matore di sé e delle cose.
144 FILOSOFIA DI DANTE.
0 insensata cura de' mortali,
Quanto son difettivi sillogismi
Quei che ti fanno in basso batter l'ali ! Par. xxi. 1.
L'occhio carnale è rocchio che non vede il vero: Purg.
XV. 234. - «L'animo è infermo allorché è di troppo desi-
derio passionato; e allora falsa nel parere le cose, che ci
si appresentano discordanti dal vero: » Conv. in. 10. - « Il
giudizio è mezzo Ira l'apprensione e l'appetito. Imperoc-
ché prima la cosa s'apprende, e poich'ella é compresa si
giudica buona o mala, e ultimamente colui che ha giudicalo
0 la seguita o la fugge. Adunque se il giudizio muove in tutto
l'appetito, e non è in alcun modo da lui prevenuto, certa-
mente è libero. Ma se il giudizio è mosso dall'appetito in
qualunque modo preveniente, non può esser libero, ma è
menato da altri e preso:» De Mon. i. 14. - « Agli uomini,
che volano con lo appetito innanzi alla considerazione della
ragione, sempre questo seguita: ch'eglino male disposti, e
posposto il lume della ragione, sono tirati come ciechi,
dall'affetto, e pertinacemente la loro cecità niegano. Onde
spesso avviene, che la falsità non solamente ha patrimonio,
ma che molti, de' loro termini uscendo, discorrano pei
campi altrui, ov' eglino nulla intendendo, nulla sono intesi ;
e così provocano alcuni ad ira ed indignazione, altri a riso : «
De Mon. in. 3. - « Siccome la parte sensitiva dell'anima
ha suol occhi, colli quali apprende la differenza delle cose,
in quanto elle sono di fuori colorate; così la parte razionale
ha suo occhio, col quale apprende la differenza delle cose,
in quanto sono ad alcuno fine ordinate: e quest'è la di-
screzione. E siccome colui ch'é cieco degli occhi sensibili
va sempre, secondo che gli altri, giudicando il male e 'l
bene; così quelli ch'é cieco del lume della discrezione,
sempre va nel suo giudicio secondo il grido, o diritto o falso
che sia. Onde qualunque ora lo guidatore è cieco conviene
che esso, e quello anche cieco eh' a lui s'appoggia, ven-
gano a mal fine: Conv. 1. 11.
L'amore della propria opinione lega V intelletlo ed im-
pedisce l'esaminare sottilmente quanto è necessario onde
preservarsi dall'errore: Par. xiii. 118. - Della falsa opinione
nascono i falsi giudici, e de' falsi giudizi nascono le non
IL VERO. 145
giuste riverenzic, e vilìpensioni ; per che li buoni sono in
villano dispetto tenuti, e li malvagi onorati ed esaltati. La
qual cosa è pessima confusione del mondo: Conv. iv. 1. -
Pericolosissima negligenzia poi è a lasciare la mala opinione
prendere piede; che cosi come l'erba multiplica nel campo
non cultivato, e sormonta e cuopre la spiga del formento,
sicché, disparte agguardando, il formento non pare, e per-
desi il frutto finalmente ; così la mala opinione nella mente
non gastigata, nò corretta, cresce e multiplica, sicché la
spiga della ragione, cioè la vera opinione si nasconde, e
quasi sepulta si perde : Conv. iv. 7.
L' intelletto delF uomo è cinto di nebbia : La verità sola
può disnebbiarlo e purgare la caligine che lo lìede : Pur-
gat.xxvm. 89. Questa luce più che altro si trova nel Verbo
rivelato. Purg. xxvm. 81.
La dimostrazione della verità debbe farsi per prove chiare
ed evidenti, valide sì nell' aifermare che nel contraddire.
Quel Sol, che pria d'amor mi scaldò il petto,
Di bella verità m'avea scoverto,
Provando e riprovando il dolce aspetto. Par. ni. 1.
Gilè r animo di quel eh' ode, non posa
Ne ferma fede per esemplo ch'aia
La sua radice incognita e nascosa,
Né per altro argomento che non paia. Par xvii. 131).
Vie più che indarno torna alla ricerca del vero colui
ch'é privo d'arte, poiché dopo d' essere slato per vie torte
in cerca del vero, non solo torna indietro, privo di sapere,
siccome era innanzi, ma in peggior condizione, cioè pieno
di errori: (V. pag. 130)
Vie più che indarno da riva si parte,
Perchè non torna tal qual ei si move,
Chi pesca per lo vero e non ha l arte. Par. xiii. 121.
Né solo r Allighieri era osservatore delte cose, ma pro-
cedeva anche all'esperienza, e se ne serviva nelle sue di-
mostrazioni :
Da questa Instanzia può dìliherarti
Esperienza, se (jiammai la pruovi.
Ch'esser suol fonte a' rivi di vostr'arti. Par. ii. 94.
Delle nuove cose il fine non è certo, perciocché l' espe-
rienza non è mai avuta, onde le cose usate e servate sono
YOL. II. 10
146 FILOSOFIA DI DANTE.
e nel processo e nel fine commisurate. Però si mosse la Ra-
gione (il dirillo civile) a comandare che l'uomo avesse di-
ligente riguardo a entrare nel nuovo cammino, dicendo:
che nello statuire le nuove cose, evidente ragione dee essere
quella che partire ne faccia da quello che lungamente è
usato: Conv.]. 10.
DifBdensEa dei sensi nei nostri giudizi. — Nostra
conoscenza comincia dal senso : Conv. ii. 3. - Omnis opinio
quae est contra sensum est mala opinio: Qunes. De Ter. et
Aq. § 5. - Dove il senso non apre la verità, avviene che
il giudizio de' mortali vada fuori del vero :
Egli erra — L'opinion... de' mortali,
Dove chiave di senso non disserra. Par. n 52.
Bene spesso anche dietro a' sensi la ragione va poco avanti,
s'alza poco:
dietro a' sensi
Vedi che la ragione ha corte l'ali. Par. ii. 56.
Il senso s'inganna di lontano: Inf.\x\i. 25. - L obbietta
comiin... il senso inganna: Purg.xxix. il. - «Il sensuale
parere, secondo la più gente, è molte volte falsissimo,
massimamente nelli sensibili comuni, là dove il senso è spesse
volte ingannato » : Conv. iv. 8. Imperocché « li nostri occhi
intellettuali, non altrimenti che le pupille del vipistrello,
sono chiusi mentre che l'anima è legala e incarcerata per
gli organi del nostro corpo: » Conv. ii. 6. - Il savio primie-
ramente attingerà alle fonti dell'osservazione, poi lento
avanzerà nelle vie del ragionamento; avrà piombo a' piedi;
senza l'appoggio di una distinzione aiutatrice non valicherà
i due passi difficili del sì e del no:
Veramente più volte appaion cose,
Che danno a dubitar falsa niatera,
Per le vere cagion che son nascose. Purg. xxii. 28.
Con questa distinzion prendi il mio detto;
E così puote star con quel che credi
Del primo padre e del nostro Diletto.
E questo ti fia sempre piombo a' piedi,
Per farti muover lento, com'uom lasso,
E al si e al no, che tu non vedi ;
Che quegli è tra gli stolti bene abbasso,
Che senza distinzione afferma o niega.
Cosi ucir un come neir altro passo.
IL VERO. 14'
Perch'egP incontra che più volte piega
L ' opinion correnfe in falsa parte,
lì poi l'affetto lo intelletto lega...
Non sien le genti ancor troppo sicure
A giudicar, sì come quei che stima
Le Liade in campo pria che sien mature. Par. xjii. 100
COSMOLOGIA DANTESCA
Dio è il primo Motore di tulio [Purg. xw.^ì); è il
primo puiilo dell' atlrazione universale, è l'anima insomma,
la vita dell' immensa creazione : Par. ii. 128.
Quanto esiste fu creato dal nulla. Il motivo per cui Dio
creò tulle le cose, non fu il bisogno cli'eì ne avesse, ma
perchè vi fosse, anche fuori di lui, in chi sussistesse il suo
splendore, cioè perchè vi fosse chi partecipasse della sua
infinita perfezione. Le creature intelligenti poi furono fatte
per amarlo, ed il motivo per cui Dio le creò fu l'amore,
a guisa che ben sì può dire che nella loro creazione s'a-
perse in novi amor l eterno Amore. Dio nella sua eternità,
fuori dei limili del tempo, e fuori d'ogni limite comprensibile
dell'uomo, senza che possano propriamente usarsi le voci
innanzi e dopo, creò. La creazione, quale stava nel concetto
di Dio fu compiuta con un solo atto, senza processo dì
tempo, né questo vieta che, secondo quel concetto, venis-
sero poi le creature svolgendosi in nuove specie, corona
e perfezionamento delle prime, le quali tutte non solamente
non erano fuori del concello di Dio, ma ne cosUluivano il
line diretto. V. Par. xxix. 10 e seg.
Sapienza di Dio in tutto il sistema della creazione:
Quanto per mente o per occhio si gira
Con tanto ordine fé, eh' esser non puote
Senza gustar di lui chi ciò rimira. Par. x. 4.
Creature intelligenti, specchi che da sé rilletlono i raggi
della divina luce, vere imagini di superiore perfezione:
Vedi l'eccelso ornai e la larghezza
Dell'eterno Valor, poscia che tanti
Speculi fatti s'ha, in che si spezza,
Uno manendo in sé, come davanti. Par. xxix. 142.
Iddio pinge la sua virtù in cose per modo di diritto
148 FILOSOFIA DI DAME.
raggio, ed in altre per modo di splendore riverberato, onde
neir intelligenze raggia la divina sua luce senza mezzo,
nell'altre si ripercuote da queste intelligenze prima illu-
minate. Par. II. 112; vii. 64; viii. 17; xiii. 52.
L'universo, come un complesso dì forze vive che ram-
pollano dall' atto creatore, ciascuna per istinto, officj e vi-
talità dinamica diversa dall'altro, ma che tutte afiaticale
da un perenne conato si movono per lo gran mare deli' es-
sere a porti diversi:
Le cose tutte quante
Ilann' ordine tra loro; e questo è forma
Che l'universo a Dio fa simigliantc.
Qui veggion l'aite creature l'orma
Dell'eterno valore, il quale e fine,
Al quale è fatta la toccata norma.
Nell'ordine ch'io dico sono accline
Tutte nature per diverse sorti.
Più al principio loro e men vicine ;
Onde si movono a diversi porti
Per lo gran mar dell'essere, e ciascuna
Con istinto a lei dato che la porti .. . Par. 1. 103.
Accennata queir alta legge ontologica, in cui s' inchiude,
come in germe, la filosofia della storia, che non è poi altro
che la storia dell'eterna sua vita, il progresso dell' univer-
sale incivilimento, legge suprema, secondo la quale l'uma-
nità via via trasformandosi compie i suoi destini sopra la
terra, legge che Vico chiama legge dell'umanità, e che fu
svolta con profonda sapienza dal Centofanti, indovinata dal-
l'iAllighieri ed espressa nel C. iv. del Paradiso, v. 124-133.
Piano della Provvidenza, rispetto al nostro mondo figu-
rato in uno spirito moderatore, rappresentante II principio
della causalità, i cui rapporti delle cose sono spesso inacces-
sibili al nostro intendimento. Inf. vii. 73.
L'ordine universale ebbe corainciamento simultaneamente
alla creazione, comprendendovi gli Angeli e le altre crea-
ture. Questa coordinazione armonica, dice il Giambullari,
fa vedere quanto sublimiore filosofia, con altissima dottrina
peripatetica avesse Dante. In soli sei versi rinchiuse la so-
stanza, l'atto puro, la potenza, il composto di questi due,
il modo della loro creazione,' e l'ordine col quale sono
(lisposlì e legati insieme;
COSMOLOGIA. 149
Concreato fu ordine e costrutto
Alle sufilanzie, e quelle furon cima
Del mondo, in che puro atto fu produtto.
Pura potenzia tenne la parte ima ;
Nel' mezzo strinse potenzia con atto
Tal vime, che giammai non si divima. Par. xxix. 31.
La legge della perfezione cosmico-morale riesce più am-
mirabile, qualora la si consideri in armonia col piano del-
l'ordine universale. Par. 1. 103. - ii. 130.
METAFISICA E PSICOIOGIA.
*
La prima Filosofia. Conv. I. I.
La prima scienza... la Metafisica. Couv. IL 14.
La Metafisica tratta delle prime sustanze, le
quali noi non potemo simiglianteraente inten-
dere, se non per li loro effetti... La Metafisica
tratta delle cose senza materia e clie non sono
sensibili. IL 15.
Generazione umana. Plirr/. XXV. 37; IV. 21.
Dell'Anima. — Platone voleva che l'anima umana
discendesse dalle stelle; e che per la morte alle stelle si
ritornasse: Par. iv. 12.
Opinione di Aristotile e dei Peripatetici. — Nell'a-
nima, distinte tra loro ma tuttavia unite, e l'una reggentesi
sull'altra, esistono tre forze, vegetativa, animale, razionale:
Anima fatta la virtute attiva,
Qual d' una pianta, in tanto differente,
Che quest' è in via, e quella è già a riva,
Tanto ovra poi, che già si muove e sente.
Come fungo marino; ed ivi imprende
Ad organar le posse ond' è semente.
Or si spiega, figliuolo, or si distende
La virtù eh' è dal cuor del generante,
Dove natura a tutte membra intende.
Ma, come d'animai divegna fante,
Non vedi tu ancor: quest' è tal punto
Che pili savio di te già fece errante;
130 FILOSOFIA DI DANTE.
Sì clic, per sua dottrina, fé disgiunlo
Dall' anima il possibile intelletto,
Perché da Ini non vide organo assunto.
Apri alla verità che viene il petto,
E sappi che, sì tosto coni' al feto
L' articolar del cerebro é perfetto.
Lo Motor primo a lui si volge lieto,
Sovra tant'arte di natura, e spira
Spirito nuovo di virtù repleto,
Che ciò che truova attivo quivi tira
In sua sustanzia, e tassi un'alma sola.
Che vive e sente, e se in sé rigira. Purfj. xxv. 52.
Opinione di Avicenna, d'Alg^azel, di Pittagora e
di Aristotile. V. Conv. IV. 21.
L'anima ha la sua sede nel sangue, conforme la dotlrìna
di Empedocle:
Ma li profondi fori,
Ond' uscì '1 sangue, É sul qual io secìea. Purq. v. 73.
Ristretta s'è fi' anima) entro in mezzo del core,
Con quella vita che rimane spenta
Solo in quel punto ch'ella sen va via. Canz. in. 3.
11 Cuore, principio del cervello, secondo le teorie allora
universalmente seguite dal grande Aristotile, il quale dice
esser quivi il principio della vita, e T officina degli spiriti
vitali, onde si forma in gran parte il cervello.
Partito porto il mio cerebro, lasso !
Dal suo pr indino, eh' è 'n questo troncone. /n/'. xxvtii.141.
L'anima umana, emanazione dello spirito divino: essa
la parte celeste dell'uomo: distinzione dell'anima e del
corpo.
Lo Motor primo a lui si volge lieto
Sovra tant' arte di natura, e spira
Spirito nuovo di virtù repleto. furg. xxv. "70.
E quando Lachesis non ha più lino,
Solvesi dalla carne, ed in virtute
Seco ne porta e V umano e il divino. Purg. xxv. 79.
Tu te ne porti di costui V eterno
Per una lagrimetta che '1 mi toglie ;
Ma io farò dell' altro altro governo. ?urg. v. 106.
Immortalità dell' anima. — L' anima umana, come
spirata immediatamente da Dio è immortale. Dio nello spi-
rarlfi la innamora di sé, sicché sempre ella lo desidera:
Ciò che da lei senza mezzo distilla
Non ha poi fine, perché non si muore
METAFISICA E PSICOLOGIA. 151
La sua imprenta, quand' ella sigilla. Par. vii. 67.
La nostra vita senza mezzo spira
La somma beninanza, e la innamora
Di sé, si che poi sempre la desira. Par. vii. 142.
E qui mi piace riportare la sua professione di fede
suir immortalila dell'anima, bella per se quanto ogni altra
ch'io conosca fra quelle date da' filosofi; atta poi a mo-
strare quanto Dante si scostasse da coloro che a suo tempo
eran detti Epicurei; e bellissima per l'affetto che gliela
ispira.
« Intra tutte le bestialitadi quella è stoltissima, vilissima
e dannosissima chi crede, dopo questa vita, altra vita non
essere: perciocché, se noi rivolgiamo tutte le scritture, si
de' filosofi, come degli altri savi scrittori, tutti concordano
in questo, che in noi sia parte alcuna perpetuale. E questo
massimamente par volere Aristotile in quello deW Anima;
questo par volere massimamente ciascuno Stoico : questo
par volere Tullio spezialmente in quello libello della Vec-
chiezza ; questo par volere ciascuno poeta, che secondo la
fede de' Gentili hanno parlato ; questo vuole ciascuna Leg-
ge, Giudei, Sarncini e Tartari, e qualunque altri vivono
secondo alcuna ragione. Che se tutti fossero ingannati,
seguiterebbe una impossibilità, che pure a ritrarre sarebbe
orribile. Ciascuno è certo che la natura umana è perfetlis-
ma di tutte le altre nature di quaggiù: e questo nullo niega;
e Aristotile l'aflerma, quando dice nel duodecimo degli Ani-
mali, che l'uomo è perfettissimo di tutti gli animali. Onde
conciossiacosaché molti che vivono, interamente siano mortali,
siccome animali bruti, e sieno senza questa speranza tutti
menlrecché vivono, cioè d'altra vita, se la nostra speranza
fosse vana, maggiore sarebbe lo nostro difetto, che di nullo
altro animale; conciossiacosaché molti sono già stati, che
hanno data questa vita per quella : e cosi seguiterebbe, che '1
perfettissimo animale, cioè l'uomo, fosse imperfettissimo; ch'è
impossibile : e che quella parte, cioè la ragione, che è sua per-
fezione maggiore, fosse a lui cagione di maggiore difetto; che
del tutto pare diverso a dire. E ancora seguiterebbe, che la
natura, contro a sé medesima, questa speranza nella mente
umana posta avesse ; poiché detto è, che molti alla morte del
corpo sono corsi, per vivere nell'altra vita ; e questo è anche
152 FILOSOFIA DI DANTE.
impossibile. Ancora vedemo continua sperienza della nostra
immortalità nelle divinazioni dei nostri sogni, le quali essere
non potrebbono, se in noi alcuna parte immortale non
fosse : conciossiacosaché immortale convegna essere lo
revelante, o corporeo o incorporeo che sia, se ben si pensa
sottilmente. E dico corporeo, o incorporeo per le diverse
opinioni ch'io truovo di ciò; e quel che è mosso, ovvero
informato da informatore immediato, debba proporzione
avere allo informatore: e dal mortale allo immortale nulla
sia proporzione. Ancora n'accerta la dottrina veracissima
di Cristo, la quale è via, verità e luce : via, perchè per essa
sanza impedimento andiamo alla felicità di quella immor-
talità; verità, perchè non sofferà alcuno errore; luce, perchè
illumina noi nelle tenebre dell'ignoranza mondana. Questa
dottrina, dico, che ne fa certi sopra tutte altre ragioni;
perocché Quelli la n'ha data, che la nostra immortalità
vede e misura, la quale noi non potemo perfettamente vede-
re, menlrechè '1 nostro immortale col mortale è mischiato;
ma vedemolo per fede perfettamente; e per ragione lo
vedemo con ombra d'oscurità, la quale incontra per mi-
stura del mortale coli' immortale. E ciò dee essere poten-
tissimo argomento, che in noi l'uno e l'altro sia; ed io così
credo, così affermo, e così certo sono, ad altra vita migliore
dopo questa passare; là dove quella gloriosa donna vive,
della quale fu l'anima mia innamorata. » Conv., Trai. II.
cap. IX, p. 149.
L'anima si congiunge col corpo, come la causa coli' ef-
fetto, l'atto con la potenza, la forma alla materia. Ha l' u-
nione con la materia, ma non l'identità. Detta anche forma
sostanziale:
Ogni forma sustanzial, che setta
É da materia, ed è con lei unita,
Specifica virtude ha in sé colletta,.
La qual senza operar non è sentita,
Né si dimostra ma che per effetto,
Come per verdi fronde in pianta vita. Purg. xviii. 49.
Eenchè l'anima nostra abbia facoltà distinte, ella è una;
onde per questa sua unità non può esser capace di ricé-
vere in un solo istante due simultanee impressioni. Vero è
che il nostro spirito passa con tal rapidità da un'idea al-
METAFISICA E PSICOLOGIA. 153
l'altra, che la successione può sembrare simultaneità: ma
se la percezione può esser veloce, non è così dell'atten-
zione. Non bisogna confondere le impressioni forti colle
fuggitive; onde il poeta filosofo mirabilmente:
Quando per dilettanze ovver por doglie,
Che alcuna virtù nostra comprenda,
L' anima bene ad essa si raccoglie,
Par eh' a nulla potenzia più intenda:
E questo è centra quello error, che crede
Che un'anima sovr' altra in noi s'accenda.
E però quando s'ode cosa o vede,
Che tenga forte a sé l'anima volta,
Vassene il tempo, e l'uom non se n'avvede:
Ch' altra potenzia è quella che l' ascolta,
E altra è quella che ha l'anima intera:
Questa è quasi legata, e quella è sciolta. Purg. iv. 1. '
L'immaginazione talora ne rapisce fuori di noi stessi,
fino a restarcene sordi allo strepito di mille trombe che
ci squillino d'appresso. È ritenuta facoltà mista, che anche
d'olire senso ritragga lume e subbietto:
0 immaginativa, che ne rube
Talvolta sì di fuor, ch'uom non s'accorge,
Perchè d'intorno suonin mille tube.
Chi muove te, se i], senso non ti porge?
Muoveti lume, che nel ciel s'informa,
Per sé, 0 per voler che giù lo scorge. Purg. xvii. 13.
La mente divisa in più pensieri è men forte ad ognuno :
Che sempre l' uomo, in cui pensier rampolla
Sovra pensier, da sé dilunga il segno,
Perchè la foga l' un dell' altro insella. Purfj. v. IG.
Un'appetito, un desiderio, un'affetto, quando sono molto
intensi, attutiscono gli altri:
Tanto eran gli occhi miei fissi ed attenti
A disbramarsi la decenne sete.
Che gli altri sensi m'eran tutti spenti. Pwn/. xxxii. 1.
Purché pur ardi
Si neir affetto delle vive luci,
E ciò che Vieri diretro a lor non guardi? Purg. xxix. 61.
E là m'apparve, sì com'egli appare
Subitamente cosa che disvia
Per meraviglia tutt' altro pensare. Purg. xxvm. 37.
Quando l'anima è concentrata in sé stessa, non è più
impressionata da cose esterne. Questo addiviene in una
profonda meditazione e tanto più nell'estasi:
154 FILOSOFIA DI DAISTE.
Te lucis ante sì divotamente
Le uscì di bocca, e con sì dolci note,
Cue fece me a me uscir di mente. Purg. vili 13.
Quanto più stretta è l'anima col corpo, più viva si fa
la sensibilità che ne deriva:
Ritorna a tua scienza,
Che vuol, quanto la cosa è più perfetta.
Più senta '1 bene, e così 4a doglienza. Inf. vi lOC.
La memoria nell'alte speculazioni e contemplazioni non
ha la virtù di tener dietro all'intelletto, suo infaticabile
corriere :
Perchè, appressando sé al suo disire,
Nostro intelletto si profonda tanto,
Che retro la memoria non può ire. Par. i. 7.
Maggior cura toglie spesso la memoria rispetto all'altre
che meno interessano:
Forse maggior cura,
Che spesse volte la memoria priva.
Fatto ha la mente sua negli occhi oscura. Purg. xxxiii. 124.
Dell'Amore. — L'Amore regge tutte le creature. Dal
creatore alia più umile delle creature veruna sfugge alla
gran legge di Amore:
A'è Creator, né creatura mai,
.... fu senza amore,
0 naturale o d'animo. Purq. xvii. 91.
E così il poeta argomenta della genesi dell'Amore. « Lo
Istinto naturale primo dell'amore è sempre retto: l'anima,
ancorché sia come fanciulla che pargoleggia tra il pianto
e il riso, e siccome creata da quel Bene eh' è autore d'ogni
gioia, aspiri a gioire, nel gusto de' piccoli beni s'inganna
se non sia guidata e or rattenuta : Purg. xvi. 85. Il primo
movimento d'amore è sempre buono; il male incomincia
laddove il bene minore assorbe maggiore desiderio ed
eccita più viva allegrezza. Qui la materia è buona di per
sé, rea la forma che vi s' imprime ; buona la cera, non bella
l'Immagine del sigillo: Purg.xvn.^òL Può la libertà dun-
que errare o considerando e amando meno l'oggetto più
degno, 0 più il meno. Il bene immenso può l'uomo amarlo
immensamente, quanto le sue forze consentono ; ne' beni
secondi egli dee misurarsi ; ma a nessun bene per dappoco
che paia e per materiale che sia, negare il suo pregio, se
METAFISICA E PSICOLOGIA. 155
non quand'esso impedisca il conseguimento di beni mag-
giori, cioè quando perda la sua natura di bene, come non
è guadagno un acquisto cui segua danno. »
E più di proposito nel C. xvni. del Purgatorio: - «L'anima,
eh' è creata pronta ad amare, si muove agilmente verso
ogni cosa che piace, e il senso del piacere la desta airs|if-
fetto. La mente è così insieme destata ad attendere, e però
meglio apprendere l'idea della cosa piacente; e perchè il
piacere, in quanto tale, è un bene vero, né male divelta
se non quando ci priva di piaceri maggiori, però l'affetto
della cosa che piace trae sempre origine da veritii. La
mente che la apprende, la viene svolgendo, e con la per-
suasione muove il libero arbitrio, e converte il desiderio
in volere. Questa conversione è l'amore; amore eh' è moto
di natura, ma che per la riflessione seguita da un nuovo
piacere diventa più forte. C'è dunque un primo moto di
piacere animale, il quale precede [la riflessione; e c'è un
secondo il qual segue ad essa. I piaceri riflessi sospingono
più fortemente la volontà, e misurati che sieno, le aggiun-
gono vigore ; secondati, la spossano. Amore pertanto è moto
spirituale, giacché la riflessione ci ha parte; e sebbene il
suo oggetto gli venga di fuori ; sebbene le impressioni este-
riori possano indebolire la volontà, nondimeno in quanto
egli è riflessione, cioè in quanto è amore, riman sempre
libero. La potenza del conoscere e* del volere è messa in
atto dalle cose di fuori, senza la cui impressione non sa-
rebbe sentita da noi stessi, e per quella più occasione che
causa l'anima si viene svolgendo, come la vita della pianta in
verzura di fronde. La virtù d'essa vita è prodotta dall'intimo
della pianta, ma è promossa dagli esterni elementi, i quali
senza il germe non produrebbero, né il germe senz' essi : ma
nel germe è la vita. Le prime notizie del vero, e le disposizioni
dei primi desiderii sono nell'uomo come nell'ape l'istinto
del fare il miele ; e in que' moti non ha luogo né merito né
demerito; ma è innata insieme la virtù del consiglio, cioè
della riflessione deliberante, la quale deve preceder l'assenti-
mento, e star quasi custode alla soglia di quello. Il bene e il
male non è nel sentimento, ma si nell'assenso. Onde quando
anco l'uomo non avesse elezione nel prescegliere gli oggetti
156 FILOSOFIA DI DANTE.
più buoni e più belli da vagheggiare, e nel munirsene lutto
intorno per modo che i men belli e i mcn buoni non giun-
gano a far impeto nell'anima sua; quando questi forzassero
la guardia e ì ripari con subito prepotente assalto, l'anima
avrebbe pur armi da respingerli, e rimanere, imperatrice
di sé. ( Tommaseo, del Concetto del BellOy Y. Bellezza e
Clmltliy p. 40, Firenze, Le Mounier. - Y. Giusti, Dottrina
di Dante sull'Amore, Lettera a Ferdinando Grazzini : Giusti,
Scritti vari. p. 242.)
Amore è dunque seme di giustizia e di peccato:
Esser conviene
Amor sementa in voi d'ogni virtute,
E d' ogni operazion cbe merla pena. Purg. xviii, 103.
Dottrina sull'influsso degli astri. — Sono dessi tante
deità, 0 intelligenze ministre della Provvidenza: da loro
emana la vita sparsa in tutte le famiglie delle piante, e
in tutte le specie degli animali:
L'anima d'ogni bruto e delle piante
Di complession potenziata tira
Lo raggio e il moto delle luci sante. Par. vu. 139.
E VAmor che move il sole e V altre stelle diffonde un molo
preordinato all' universo in virtù dei giri del cielo empireo,
che via via si propagano sempre più rapidi di pianeta in
pianeta sino alla terra. L'ordine impreterribile del lor molo
dispensa, a chi più a chi meno fra gli umani individui, e a
chi l'una e a chi l'altra, le virtù divine di che le stelle sono
diversamente dotate. - Come il suggello impronta la docile
cera, così la virtù loro imprime incancellabile carattere
alle anime degli uomini dal giorno della loro nascita: Purg.
XXVI. 73; XX. 13; xxx. 109; Par. iv. 58; xxii. 112. - Il
cielo certamente esercita una specie d'iniziativa sulla più
parte dei movimenti della nostra sensibilità, ma questa
iniziativa non lega la volontà dell'uomo: essa può in noi
trovare una resistenza, la quale, faticosa da prima, diventa
inevitabile, dopo aver fedelmente combattuto:
Voi che vivete ogni cagion recate
Pur suso al cielo, sì come se tutto
Movesse seco di necessitate.
Se così fosse, in voi fora distrutto
Libero arbitrio, e non fora giustizia,
METAFISICA E PSICOLOGIA. lo7
Per ben, letizia, e per male, aver lutto.
Lo cielo i vostri movimenti inizia;
Non dico tutti; ma. posto eh' io '1 dica,
Lume v'è dato a liene ed a malizia,
E libero voler cbe, se fatica
Nelle prime battaglie col ciel dura,
Poi vince tutto, se ben si notrica, Purg. xvi. 67.
Libertà umana. — Una potenza più grande, quella dì
Dio, opera In noi senza coslringerci. Ha egli in noi creato
questa potenza migliore di noi stessi, che non è per nulla
sommessa alla potenza del cielo : egli ci ha compartito libera
la volonlà ; e questo dono, il più eccellente e il più degno
della sua bontà, il più prezioso agli occhi suoi, tutte le
creature intelligenti lo hanno ricevuto:
A maggior forza ed a miglior natura
Liberi soggiacete, e quella cria
La mente in voi, che '1 ciel non ha in sua cura. Purrj. tcvi. 79.
Lo maggior don, che Dio per sua larghezza
Fesse creando, e alla sua bontatc
Più conformato, e quel ch'ei più apprezza.
Fu della volontà la libertate,
pi che le creature intelligenti,
E tutte e sole furo e son dotate. Par. v. 19.
IJaec lihertas, swe princìpium hoc lotius nostrae ìiberlatis
est maximum donum humcmae naturac a Deo coìlatum. De
Mon. 1. 14.
Color che ragionando andaro al fondo,
S'accorser d'està innata libertate;
Però moralità lasciaro al mondo.
Onde pognam che di necessitate
Surga ogni amor che dentro a voi s'accende,
Di ritenerlo è in voi la potestate. Purg. xviii. C7.
La volontà non saprebbe piegarsi che per la propria
determinazione, pari ad una fiamma cui gli sforzi replicati
di una forza straniera non possono costringere sì che di-
scenda quando la sua naturale tendenza la fa salire. Egli
è vero che la volonlà sembra talvolta cedere alla violenza,
ma questo ancora dipende dalla propria elezione; gli è un
male ch'ella patisce per la paura di un mal peggiore:
Se violenza è quando quel che paté
Niente conferisce a quel che sforza ;
Non f ur quest' alme per essa scusate ;
Che volontà se non vuol, non s'ammorza,
1S8 FILOSOFIA DI DAME.
Ma fa come natura face in fuoco,
Se mille volte violenza il. torza ;
Perchè, s'ella si piega assai o poco,
Segue la forza ... V. Par. iv. 73-103.
Vero è che i movimenti istintivi sfuggono al suo do-
minio, e che spesso, mal suo grado, il sorrìso e le lagrime
tradiscono i più segreti pensieri: Purg. xxi. 125. Ma fuor
di quéste circostanze, la volontà padroneggia la propria
elezione. - In fra due oggetti che egualmente la muovessero
si rimarrebbe eternamente indecisa: Par. iw.l, [Ov.Met.w.
5: Tigris ut audltis..,) Dunque è bisogno ammettere colla
volontà una facoltà che la consigli e vegli il principio del
consentimento per accogliere o respingere le buone e mal-
vagie affezioni : Purg. xviii. Per tal guisa supponendo in
noi una fatale necessità che presieda al nascimento dello
amore, v'ha in noi ugualmente una potenza capace d'impe-
dirne il trabocco.
Dell'Idee. - Non SÌ può spiegar l'origine delle idee prime:
11 ver primo che l' uom crede. Par. ii. 45.
Onde vegna l' intelletto
Belle prime notizie, uomo non sape. Purg. xviu. 35.
Le quali se uomo rifiuta di confessare innate, almeno è
mestieri ammettere come tali le facoltà che compongono
l'intimo dell'essere nostro:
Innata v'è la virtù che consiglia. Purg.xvni. 63.
Esistono pertanto dei principj che non ci vengono dal
di fuori, e che noi non ci siamo punto procurati. Avvi una
creazione interiore continua che ne annuncia la invisibile
presenza della divinità.
Il nostro cervello resta segnato dalle percezioni:
Sì come cera da suggello,
Che la figura impressa non trasmuta. Purg. xxxiii. 79.
È malagevole il seguitare gli andamenti dello spirito
umano perchè nel numero delle percezioni originate da
obbietti dissimili può ad una più che ad un'altra rivolgersi ;
e allor questa nuova idea trae seco tutti gli accessori che
le son propri, i quali possono col proceder del tempo di-
venire in questa percezione la parte principale. Quindi
avviene che la mente umana giunga ad uno scopo diverso
da tutto quello che in principio si è proposta:
METAFISICA E PSICOLOGIA. 159
Glie sempre l'uomo, in cui pensier rampolla
Sovra pensier, de sé dilunga il segno,
Perchè la foga l'un dell'altro insella. Pura. v. 16.
Avvi neiruomo una facoltà che delle sensazioni s'im-
padronisce, che svolge e coglie i rapporti implicitamente
veduti, e li propone alle operazioni dell'intelletto, la qual
facoltà dicesi apprensione.
Vostra apprensiva da esser verace
Tragge intenzione, e dentro a voi la spiega,
Sì che l'animo ad essa volger face. l'urg. xviii. 2*2.
Cosi il fatto sensibile è T elemento necessario d'ogni nozione
intelligibile. Questa iniziativa dei sensi nelle operazioni dello
spirito umano è una delle fatalità di nostra natura, la causa
principale di nostra debolezza, e nel medesimo tempo,
maraviglia a dirsi I la condizione del nostro perfezionamento
razionale, e per conseguenza della nostra grandezza.
Vostro ingegno
. . . solo da sensato apprende
Ciò che fa poscia d' intelletto degno. Par. iv. 40.
Il pensiero concepisce sé stesso, ma sé stesso tuttavolta
al suo nascimento non comprende; e non avviene se non
per una operazione continuata ch'egli prende conoscenza
e possesso di sé ; l' attività, portata al suo più alto grado,
si fa rillessione:
Non m'accors'io, se non com'uom s'accorge,
Anzi il primo pensier, del suo venire. Par. x. 35.
FENOMENI
CHE PRECEDONO ACCOMPAGNANO E SEGUONO "
IL SONNO ED IL SOGNO
Slato di rilassamento mentale che precede immediata-
lamenle il sonno:
Poi quando fur da noi tanto divise
Quell'ombre, che veder più non potersi,
Nuovo pensier dentro da me si mise,
Del qual più altri nacquero e diversi :
E tanto d' uno in altro vaneggiai,
Che gli occhi per vaghezza ricopersi,
E il pensamento in sogno trasmutai. Purg. xviii, 130.
160 FILOSOFIA DI DANTE.
Un sonno soave concilia il sonno. Questo pur sanno per
istinto le madri, mentre cercano di addormentare i loro
bambini. Sì potrebbe forse dedurre un tal effetto da au-
mento, ma però moderato, di eccitamento: Pure/, xxxii. 61.
Chi assonna non sa più pronunciar parola per diminuta
e perturbata innervazione:
E caddi, come l' uom, cui sonno piglia. Inf. iii, 136.
Mi richinava come 1' uom ch'assonna. Par. vii. 15.
Si che non parli più com'uom che sogna. Purg. xxxin. 33.
Mirabile evidenza con che il poeta esprime un sogno
penoso :
E quale è quei che suo dannaggio sogna,
Che sognando desidera sognare,
Si che quel eh' è, come non fosse agogna. Inf. xxx. 13C.
E r oppressione che si prova sognando quando ci vorremmo
aiutare in un gran pericolo e non si può:
Quell'ombre... andavan sotto il pondo.
Simile a quel che talvolta si sogna.
Disparmente angosciate tutte a tondo,
E lasse .. . Par. xi. 26.
Nel sogno destansi tali percezioni che il cessano:
L'altra prendeva, e dinanzi l'apriva
Fendendo i drappi, e mostravami il ventre:
Quel mi svegliò col puzzo che n'usciva. Purg. xix. 31.
Ivi pareva eh' ella ed io ardesse,
E sì l'incendio immaginato cosse,
Che convenne che il sonno si rompesse.
Purg. IX. 31, e xxxii. 71.
Il sonno, rotto che sia, non muore del tutto, non dà
subito luogo a una perfetta vigilia, ma rimane di lui qual-
che cosa e s'adopra per ricomporsi:
Come si frange il sonno, ove di Lutto
rsuova luce percuote il viso chiuso,
Che fratto guizza pria che muoia tutto. Purg. xvu. 40.
Lenti
Ad usar lor vigilia quando riede. Purg, xv. 137.
Fenomeno del destarsi improvvisamente, e del trovarsi
ancora sotto la impressione dei sognali fantasmi:
Qual è colui che sonniando vede,
E dopo il sogno la passione impressa
Rimane, e l'altro alla mente non riede. Par. lixxiii. 58.
E come al lume acuto si disonna
Per lo spirto visivo che ricorre
DEL S0>>0 E DEI SOGNI. 161
Allo splendor che va di gonna in gonna,
E lo svegliato ciò che vede abborre,
Sì nescia è la sua subita vigilia,
Fin che la stiraativa noi soccorre. Par. xxvi. 70.
Che mi scoss' io, sì come dalla faccia
Mi fuggì '1 sonno, e diventai smorto,
Come fa l'uom che spaventato agghiaccia. Purg. ix.40.
L'uomo che sogna crede le visioni sue esser appren-
sione di cose veramente esistenti, e del proprio inganno
si accorge solo quando risvegliato può paragonare le im-
magini sognate che restano nella memoria con l'apprensione
vivissima ch'egli per mezzo dei sensi, non più legati dal
sonno, ha degli obbietti presenti:
Quando l'anima mia tornò di fuori
Alle cose, che son fuor di lei vere,
Io riconobbi i miei non falsi errori, Purg. xv. 115.
FILOSOFIA MORALE
Quelle parole
Con le quai la tua Etica pertratta... Inf. XI. 79.
La moralità e bellezza della Filosofia...
la bellezza della sapienza... risulta dall' or-
dine delle viftù morali, che fanno quella
piacere sensibilmente... Sua beltà, cioè mo-
ralità, piove fiammelle di fuoco, cioè appetito
diritto, che si genera nel piacere della mo-
rale dottrina; il quale appetito ne diparte
dalli vizii naturali, non che dagli altri (1).
Conv. in. 15.
IVobiltd e grandezza dell' uomo - ISuo fine - Vita
umana che cosa sia. - Della vita speculativa e
contemplativa. — In tra gli effetti della divina sapien-
za, r uomo è mirabilissimo: Conv. iii. 8. - La natura
umana è perfettissima di tutte le altre nature di quaggiù:
Conv. 11. 9. -La nobiltà umana, quanto è dalla parte di molti
(1) La morale Filosofia ordina noi all'altre scienze: Conv. ii. 15. -Ces-
sando la morale filosofia, l'altre scienze sarebbero celate alcun tempo, e
non sarebbe generazione, ne via di felicità, e indarno sarebbero scritte
e per antico trovate: M. - Mirando costei... ogni viziato tornerà diritto
e buono.... costei ch'umilia orini perverso, cioè volge dolcemente chi
fuori del debito ordine è piegato: Conv. ni. 15.
VOL. II. 11
162 FILOSOFIA MORALE.
suoi frulli, quella dell'Angelo soperchia, lutlocchè l'angelica
in sua unitale sia più divina: Conv. iv. 19 - L'anima umana
la qual è colla nobiltà della potenzia ultima, cioè ragione,
(la nobiltà della potenza più sublime) partecipa della divi-
na natura a guisa di sempiterna Intelligenza: perocché
l'anima è tanto in quella sovrana potenzia nobilitata, e
dinudata da materia, che la divina luce, come in Angiolo,
raggia in quella, e però è l'uomo divino animale da' Filo-
sofi chiamato: Conv. ni. 2. - Onde di questa così mirabile
creatura, non pur colle parole è da temere di trattare, ma
eziandio col pensiero: Conv. in. 2.
Egli è perciò che l'uomo debbe avere sempre dinanzi
agli occhi la dignità di sua natura: egli non è nato per la
vita materiale de' bruti, ma per seguir virtute e conoscenza:
Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
3Ia per seguir virtute e conoscenza. Inf. xxvi.118.
Cliiàmavi 11 cielo, e intorno vi si gira,
Mostrandovi le sue bellezze eterne,
E l'occhio vostro pure a terra mira. Purg.wv. 148.
Batti a terra le calcagne,
Gli ocelli rivolgi al logoro, che gira
Lo rege eterno con le rote magne. Pwrg. xis. 61.
0 gente umana, per volar su nata, >
Perchè a poco vento cosi cadi? Purg. xu, 93.
La vita dell'uomo è un mare; il porto il cielo, al quale
bisogna continuamente vogare coi desideri e coli' opere,
affinchè poi non si ribalta il mal tardato remo. Pur/j. xvii.
87. La vita non è che una selva oscura ed erronea {Inf.
I. 1; Conv. IV. 24); un'assai picciola vigilia de' nostri
semi [Inf. xxvi. 113); nou è che una milizia {Par. v. 3;
XXV. 1)7); un viaggio all'eternità (Inf. x. 132; Canz. xvin. 2) ;
un camin corto ch'ai termine vola {Purg. xx. 38); un cor-
rere alla morte {Purg. xxxiii. 34) ; onde acconciamente nel
C. XI. del Purgatorio, v. 19, le anime purganti dopo aver
pregato: « Nostra virtù... Non spermentar con l'antico avver-
saro. Ma libera da lui, che sì la sprona», soggiungevano:
Quest'ultima preghiera. Signor caro, Già non si fa .per noi,
che non bisogna, Ma per color che dietro a noi restare.
La città vera ferma e stabile, destinala da Dio alle anime,
è il Paradiso : 0 frate mio, ciascuna è cittadina D' una vera
FILOSOFIA MORALE. 163
cillà; ma tu vuoi dire. Che vivesse in Italia perefirlna: Purcf,
xiii. 94.
Ciascuna cosa massimamente desidera la sua perfezione,
e in quella s' acquieta ogni suo desiderio, e per quella ogni
cosa è desiderata. E questo è quello desiderio che sempre
ne fa parere ogni dilettazione manca; che nulla dilettazione
è sì grande in questa vita, che all'anima umana possa torre
la sete, che sempre lo desiderio, che detto è, non rimanga
nel pensiero: Conv.m.^. E questa sete appunto perchè
naturale, e perpetua [Par. ii. 19), mai non sì sazia se non
alla fonte dell'eterno vero (Par. iv. 126); ivi solo si queta
l'anima nostra: Comu. in. 15. - L'unico bene dell'intelletto
[Inf. HI. 18; Conv. ii. 14); il sommo intelligibile è Iddio {Conv.
IV. 22): esso solo il principio della pace {Vita N. § 2o);
la nostra beatitudine somma (Cony. iv. 22); l'ultimo desi-
derabile (Cony. IV. 12); il termine ultimo del sommo bene
dell' uomo : Conv. iv. 12. In Dio solo s' accoglie tutto il bene,
ed ogni altro bene fuori di lui è difettivo: Par. xxxiii. 103.
Lume non è se non vien dal sereno
ìa Che non si turba mai, anzi è tenebra,
Od ombra della carne, o suo veneno. Par. xix. 03.
Ciò che non muore e ciò che può morire
Non è se non splendor di quella idea
Che partorisce, amando, il nostro Sire. Par, xiii. 32.
Ciascun ben che fuor di lei (dell'essenzia divina) si trova
Altro non è che di suo lume un raggio. Par. xxvi. 32.
L'uomo, considerato nella mortale sua condizione sulla terra,
non è, egli è vero, più che un difettoso insetto, [entomata
in difetto) ma,* compiendosi la sua formazione, gli verranno
date ali per volare verso il bene supremo: Noi non siamo
che vermi, ma vermi da cui usciranno le angeliche farfalle :
Par. X. 124.
L'uomo dunque dee esser denominato dalla ragione, e
non dal senso; né da altro che sia meno nobile, onde
quando si dice: vìvere., si dee intendere usare la ragione,
eh' è sua speziai vita, ed atto delia sua più nobile parte.
E però chi dalla ragione si parte, e usa pur la parte
sensitiva, non vive uomo, ma vive bestia: Conv. ii. 8. -
Vivere nell'uomo è ragione usare. Dunque se vivere è
l'essere dell'uomo, e così da quello uso partire è partire
164 FILOSOFIA MORALE.
da essere, e così è essere morto. E non si parie dall'uso
della ragione chi non ragiona il line della sua vita? E non
si parte dall'uso della ragione chi; non ragiona il cam-
mino] che far dee? Certo si parte,... e ciò si manifesta
massimamente in colui che ha le vestigie innanzi e non le
mira... Levando l'ultima potenzia dell'anima, cioè la ragione,
non rimane più uomo, ma cosa con anima sensitiva sola-
mente, cioè animale bruto: Con?;, iv. 7. -Ma la maggior
parte degli uomini vivono secondo senso, e non secondo
ragione, a guisa di pargoli; e questi cotali non conoscono
le cose se non semplicemente di fuori, e la loro boutade,
la quale a debito fine è ordinata, non veggiono, perocché
hanno chiusi gli occhi della ragione, i quali oltrepassano
senza vedere quel fine, cui la bontà è ordinala, onde tosto
veggiono tutto ciò che possono, e giudicano secondo la loro
veduta... Questi cotali tosto sono vaghi, e tosto sono sazii ;
spesso sono lieti, e spesso sono tristi di brievi dilettazioni
e tristizie; e tosto amici, e tosto nemici; ogni cosa fanno
come pargoli, senza uso di ragione : Conv. i. 4.
Uomo, da sé virtù fatta ha lontana, Uomo non già, B)a
bestia ch'uom somiglia: 0 Dio, qual maraviglia, Voler cadere
in servo di signore! Ovver di vita in morte 1 Caw:;. xviii.
2. - Servo non di signor, ma di vii servo Si fa, chi da
cotal signor si scosta. Id. 3.
In questa vita noi potemo avere due felicità, secondo
due diversi cammini buoni, e ottimi, che a ciò ne menano :
runa è la vita attiva, e l'altra la contemplativa, la quale
(avvegnacché per l'attiva si pervegna a buona felicità) ne mena
a ottima felicità e beatitudine... La felicità della vita con-
templativa è più eccellente che quella dell'attiva.... Conv.
IV. 17. - Imperocché l'uso del nostro animo é doppio, cioè
pratico e speculativo (pratico è tanto quanto operativo),
r uno e r altro dilettosissimo : avvegnacché quello del
contemplare sia più. Quello del pratico si è operare per
noi virtuosamente, cioè onestamente, con prudenza, con
temperanza, con fortezza, e giustizia; quello dello specula-
tivo si è non operare per noi, ma considerare le opere di
Dio e della natura: e quest'uso e quell'altro è nostra
beatitudine e somma felicità... Veramente di questi usi
FILOSOFIA MORALE. 165
l'uno è più pieno dì beatitudine, che l'altro; siccome è lo
speculativo, il quale senza mistura alcuna è uso della nostra
nobilissima parte eh' è l'intelletto. E questa parte in questa
vita perfettamente lo suo uso avere non può, lo quale è
vedere Iddio (che è sommo intelligibile ) se non inquanto
r Intelletto considera lui e mira lui pei* I suoi effetti... La
contemplazione è più piena di luce spirituale, che altra
cosa che quaggiù sia... E così appare, che la nostra beatitu-
dine, questa felicità di cui si parla, prima trovare possiamo
imperfetta nella vita attiva, cioè nelle operazioni delle mo-
rali virtù, e poi quasi perfetta nelle operazioni delle virtù
intellettuali ; le quali due operazioni sono vie spedite e di-
rittissime a menare alla somma beatitudine: Cowy. iv. 22. -
La vita contemplativa.... è pi* eccellente e più divina....
Questa vita è più divina, e quanto la cosa è più divina,
è più di Dio somigliante; manifesto è che questa vita è
da Dio più amata: Conv. ii. 5. - In Lia e Rachele sono adom-
brate dal poeta queste due vite:
Io mi son Lia, e vo' movendo intorno
Le belle mani a farmi una ghirlanda.
Per piacermi allo specchio qui m'adorno;
Ma mia suora Rachel mai non si smaga
Dal suo miraglio e siede tutto giorno.
Eiré de' suoi begli occhi veder vaga.
Coni' io dell'adornarmi colle mani;
Lei lo vedere e me l' ovrare appaga. Purg. xxvu 101.
Vanittk delle cose mondane,
0 vanagloria dell' umane posse,
Com' poco verde in sulla cima dura...! Purg. \i. 91.
Non è il mondan rumor altro che un fiato.. . Vurg. xi. 100.
La vostra rinomanza è color d'erba... Purg. xi. 11^.
0 insensata cura de' mortali... Purg. xi.S.
Udir come le schiatte si disfanno... Par. xvi. 76.
Ella è cosa troppo indegna dell' ente ragionevole affac-
cendarsi tanto per cose fuggitive e caduche e nessun pen-
siero darsi delle sempiterne. - La nostra anima per sua
natura si volge verso tutto ciò che la diletta, ed in prima
sente appetito [sapore] delle cose materiali; e solo a que-
sti beni ferire è ghiotta, di questi si pasce, e più altro
non chiede: Purfiat. xvi. 91-101. Ma questo picciol bene
non ci può rendere quaggiù felici; è desso impotente a
166 FILOSOFIA MORALE.
quietare l'anima nostra, anzi le diviene sorgente di rovina,
se lo si abbracci con più cura che non si dee: Altro ben
è che non fa l'uom felice; Non è felicità, non è la buona
Essenzia, d'ogni ben frutto e radice: Purg.wn. Ilio. - Ibeni
commessi alla fortuna non sono che un breve soffio {corta
buffa In f. VÌI. ^\); -vanità con breve uso (iPMrf/. xxxi. 60);
eppure noi corriam dietro ad essi e c'inganniamo {Pur(j.
XVI. 32) trattando l'ombra come cosa salda (Pwr/7.xxi.l36);
noi ci rabbuffiamo con lena affannata per codeste apparenze
mutabili e passaggere ; per false imaf/ini di bene, che nulla
promission rendono intiera {Purg. xxx. 131), anzi sommet-
tendo ciò che promettono, apportano il contrario [Conv.
IV. 12): l'occhio nostro fisso alle cose terrene pur di con-
tinuo a terra mira [Purg. xvi. 130; xix. 52), né mai s aderge
in allo : Purg. xix. 118. - Con quanto senno e con quanta
novità dal poeta filosofo la ricchezza, la potenza, tutti gli
splendori mondani sono paragonati alla luce che per natura
si diffonde, e passa di cosa in cosa che nessuno può far
sua e che di necessità si divide! /«/■. vii. 73. - Al vedere
poi dall'alto dei cieli questo globo, che ci fa tanto feroci,
ei sorrideva del vii sembiante di questa aiuola {areota mor-
talium: De Mon.) e davaci per miglior consiglio di averla
per meno, e chiamare uomo veramente probo, chi apprende
a volgere altrove i suoi pensieri, cioè al cielo. - Aggiun-
gasi che il mondo fallace {Par. xv. 156), l'amore delle
cose presenti, col falso lor piacere, volgono i nostri passi
a via non vera {Purg. xxx. 130; xxxi. 35), deturpano le a-
nime {Purg. xv. 146), e fanno si che noi adoriamo la fattura
di Dio contro il Fattore : Purg. xvii. 102. Ma verrà poi
tempo che ci ricrederemo, ma troppo tardi, della bugiarda
vita : Purg. xix. 108. Onde il poeta, altamente cattolico,
non può a meno di non gìttare dal più profondo dell'anima
questo grido potente:
Ben è che senza termine sì doglia
Chi, per amor di cosa che non duri
Eternalraente, quell'amor si spoglia. Par. xv. 10.
Virtù: in esisa ogni vero bene ed ogni vera gran-
dezza. Rende 1' uomo felice e libero: come se ne
acquisti l'abito. Cammino della virtù.
Li costumi sono beltate dell'anima: Conv. ni. lo. - Nulla
FILOSOFIA MORALE. 167
fa tanto grande, quanto la grandezza della propria bontà,
la quale è madre e conservatrice dell'altre grandezze. Onde
nulla grandezza puote l'uomo avere maggiore, che quella
della virtuosa operazione, eh' è sua propria bontà, per la
quale le grandezze delle vere dignitadì e delli veri onori,
delle vere potenzie, delle vere ricchezze, delli veri amici,
della vera e chiara fama, e acquistate e conservate sono:
Conv.i.W. - L'uso della virtù conduce mirabili bellezze,
' cioè contentamento in ciascuna condizione di tempo e dispre-
giamento di quelle cose che gli altri fanno signori: Conv.
ili. 13. - Chi è nella virtù è nella luce: i raggi del pianeta
celeste gli inondano l'anima, il tristo invece è nella selva
oscura dei vizi, amara che poco è più morte: Inf.i. 16.- Ove
questo amore splende, tutti gli altri amori si fanno scuri e
quasi spenti; imperocché il suo oggetto eterno impropor-
zionalmente gli altri oggetti vince e soperchia : Conv. in. 14.
Virtù fa l'uomo felice in sua operazione : Canz. xvi. 5. - Non
può esser savio chi non è buono: Conv. iv. 27. - Senza
oprar virtute nessun puote acquistar verace lode : Canz.
XIII. 5. - Virtute, al suo fattor sempre sottana. Lui obbedisce,
a lui acquista onore : Canz. xviii. 5. - La virtù è possession
che sempre (jìova... essa sola fa l'uom sìgnou di se [Canz.
XVIII. 2), libero in sua potestà, eh' è la ragione: Conv. iv. 13.-
L' anima disposata a virtù è donna, altrimenti è serva fuor
d'ogni libertà: Comn iv. 2. - La virtù non cura la morie,
non temendola punto, dacché mal può la morte distruggere
essa virtù, ne il seguace onore.
Ma ne avverte il filosofo poeta, che « quella cosa che
più adorna e comenda le umane operazioni e che più dirit-
tamente a buon line le mena, si è l' abito di quelle dispo-
sizioni che sono ordinate all'inteso fine» Conv. i. 5. -Nulla
cosa è utile, se non in quanto usata nella sua bontà in po-
tenza, che senza uso non è essere perfettamente : Coni', i. 9. -
L'abito di virUide si morale che intellettuale subitamente
avere non si può, ma conviene che per usanza si acquisti :
Conv. I. 11. - Per essere virtuoso fa mestieri non solamente
operar virtute, ma l'abito della virtù avere: Conv. iji, 13.-
11 benigno seminatore non attende se non che la natura
umana gli apparecchi la terra a sen>inare. Oh beati quelli
168 FILOSOFIA MORALE.
che lai semente coltivano come si conviene... Se l'appetito
dell'animo non è bene culto e sostenuto diritto per buona
consuetudine, poco vale la sementa, e meglio sarebbe non
essere seminato. E pero vuole Santo Agustino, e ancora
Aristotile nel secondo (\q\V Etica, che l'uomo s'ausi a ben
fare e a rifrenare le sue passioni, acciocché questo tallo,
per buona consuetudine, induri, e rifermisi nella sua retti-
tudine sicché possa fruttificare, e del suo frutto uscire la
dolcezza dell' umana felicità : Conv. iv. 21.
Agi' incipienti la via della virtù è faticosa ; ma a misura
che uno vi si avanza, si fa piana, e finisce poi col divenire
un piacere ed un bisogno dell'anima: Questa montagna
è tale, Che sempre al cominciar di sotto è grave, E quanto
uom più va su, e men fa male : Purg. iv. 88. - La virtù è
rassomigliata ad un monte; la salita n'è malagevole, ma il
monte dilettoso Princìpio e cagìon di tutta fjioja: In f.i.ll.-
I buoni propositi vanno spinti all'eflelto con crescente ar-
dore: il solo arrestarsi nel cammino della perfezione è
un dare indietro : uno dei segni d' essere perfetto nella
virtù è il diletto che nell' operarla si sente: Come, per
sentir più dilettanza. Bene operando 1' uom, di giorno in
giorno S'accorge che la sua virtute avanza: Par. xviii. 58. -
Seguette, come a cui di ben far giova : Par. ix. 24. - Nel
cammino della virtù un passo indietro per viltà d'animo
è un fallo enorme, una rovina: Purg. iv. 37. - Un debolis-
simo assalto all'improvviso ci può vincere, specialmente se
la virtute è stanca. Noi stessi non ci sappiamo ben ridire,
come abbiasi smarrita la diritta via : noi siamo in istato di
sonnolenza morale. - Il virtuoso, cui nso e natura privile-
gia, perchè gli altri torcano dall'onesto, solo va dritto, e
il mal camin dispregia ; non guarda il fare dei più, guarda
solo alla legge [Purg. viii. 130); egli lascia dir le genti, ma
sta, come torre, fermo che non crolla : Purg. v. 13. - Ogni
ancor che leggiero fallo all' uom buono si rende grave,
perchè coli' abitudine gli si raffina il sentimento del ben
fare, tanto eh' egli sembra farsi timido, pure ascoltando i
falli altrui : Par. xxvii. 33. - Ad una coscienza dignitosa e
netta, anche un picciolo fallo è amaro morso : Purg. in. 8. -
Quanto più r uomo si purifica con lo spirito, tanto più forte
FILOSOFIA MORALE. 169
diviene nella contemplazione del Vero, sorgente del più puri
e dei più grandi piaceri : Purg. xv. 32.
Il contrasto del vizio con la virtù, eh' era il soggetto
d' una favola, come sìmbolo, fu caro a' mitogralì dell' anti-
chità, come lezione a' filosofi. Dante se ne impadronisce e
e la fa ringiovanire. A lui due donne appariscono, delle
quali l'una pallida, informe balba ; ma lo sguardo fisso sopra
lei sembrava renderle la beltà, il colorito e la voce: ella
cantava, e, sirena armoniosa, già cattivava le orecchie im-
prudenti. L'altra moslravasi per lo contrario semplice e ve-
neranda, gittando uno sguardo disdegnoso sopra la sua ri-
vale, e stracciandole nell' indignazioni le vesti, ne rivelava
le brutture di che era tutla contaminata. L'una di queste
femmine era la voluttà, l'altra la saggezza:
Mi venne in sogno una femmina balba . . . Puro. 7. 3i.
DI fatti alla luce della verità, al subentrare della ragione,
svanisce il prestigio dei sensi, e il vizio comparisce nella
sua vera deformità. - li vizio si veste sempre di forme e
di atti lusinghieri per insinuarsi nel cuore: Fra r erba e
i fior venia la mala striscia. Volgendo ad or ad or la testa,
e il dosso Leccando come bestia che si lìscia: Purg. vui. 101.
Quindi maggiore il pericolo ; che quelle cose che prima nou
mostrano i loro difetti sono più pericolose, perocché dì
loro molte volte prendere guardia non sì può : Conv. iv. 9.
Dell'appetito sensitivot debbc ubbidire alla ra-
gione: S^i appetiti viziosi, ove a tempo si domino,
possono cangiar natura. — L'appetito sensitivo è av-
versario della ragione ( Vita Nuova § 40 ) : perchè da servo
che dovrebb' essere se ne fa signore, e tanto divien bal-
danzoso, che gli occhi, che alla mente lume fanno. Chiusi
per lui si stanno alla luce del vero: Canz. xviii. 3. Sicché
l'uomo che se ne lascia vincere fatto ha la mente sua negli
ocelli oscura [Purg.wwu. 126): e però l'occhio dell'anima
intento alle folli cose è fuori di conoscenza e di verità.
Quando la malizia vince nell'anima, essa si fa seguitatrice
di viziose dilettazioni, nelle quali riceve tanto inganno, e
per quelle ogni cosa tiene a vile : Conv. 1. 1. Onde questo
appetito conviene essere cavalcato dalla ragione ; che siccome
uno sciolto ciivallo, quanto eh' elio sia di natura nobile, \^t
170 FILOSOFIA MORALE.
sè senza il buono cavalcatore bene non sì conduce, e cos'i
questo appetito, che irascibile e concupiscibile si chiaftia,
quanto ch'elio sia nobile, alla ragione ubbidire conviene;
la quale guida quello con freno e con isproni: Conv. iv. 2G.
I viziosi appetiti, domati dai teneri anni per buona edu-
cazione, son meno lìeri contro la ragione; Lìbero voler che,
se fatica Nelle prime battaf/lie col del dura, Poi vince lutto,
se ben si notrica : Purg. x\i. 76. E il poeta ci assenna esservi
« un modo quasi d'insetare l'altrui natura sopra diversa
radice. E però nullo è che possa essere scusato; che sedi
sua naturale radice l'uomo non acquista sementa, bene la
può avere per via d'insetazione: così fossero tanti quelli
di fatto che s'insetassero, quanti sono quelli che dalla
buona radice si lasciano disviare » : Conv. iv. 22.
Come si debbano combattere e Tincere le pas-
sioni. -— Le passioni possono esser combattute e vinte
Da quei e banno al voler buona radice. Vurg. xi. 33.
E per vincerle fa mestrieri la corrispondenza dell'uomo; la
quale giova a custodire e ad accrescere la grazia di Dio:
Egli è folle chi non si rimove Per tema di vergogna da
follia: Canz.xu. Chiusa:
Se la lucerna che ti mena in alto
Trovi nel tuo arbitrio tanta cera,
Quant'è mestiere infino al sommo smalto. Purg.\in.m.
Ad una passione che ne signoreggi dobbiamo opporre il
combattimento d'un'opposita virtù: la vigilanza e il pre-
dominio dello spirito libero e retto sull'appetito disordinato;
onde il poeta: Io avea una corda intorno cinta, E con essa
pensai alcuna volta Prender la lonza alla pelle dipinta: Inf.
XVI. 106. - I vizi consuetudinarii si fuggono e si vincono per
buona consuetudine, e fassi l'uomo per essa virtuoso... Le
passioni consuetudinarie per buona consuetudine del lutto
vanno via; perocché '1 principio loro, cioè la mala consue-
tudine, per lo suo contrario si corrompe ; ma le connaturali,
II principio delle quali è per natura del passionato, tutto
che mollo per buona consuetudine si facciano lievi, del
lutto non se ne vanno, quanto al primo movimento; ma
vannòsene bene del tutto, quanto a durazione, perocché la
consuetudine è equabile nella natura, nella quale è il prin-
FILOSOFIA MORALE. 171
cìpio (li quelle (quantunque rimanga sempre il molo primo
delle naturali passioni, pure la buona consuetudine ne
impedisce il processo, percliè la sua forza equivale a quella
della natura). E però è più laudabile l'uomo che indirizza
sé e regge sé malnaturato contro all'impeto della natura,
che colui che bene naturato si sostiene in buono reggimen-
to : Conv. III. 8.
Gradi diversi nel male. - Genesi delle passioni. —
Nel male, ove si ponga mente alle sue cagioni, a' suoi effetti,
ed alle diverse sue applicazioni, l'occhio del savio vi scorge
diversi gradi, secondo che in esso vi ebbe parte l' immo-
derato appetito della natura, o l'astuta malizia della ragione.
Anche la qualità della cosa o della persona in cui viene
operato il male, gli dà maggiore o minore bruttezza. —
Filosolìca classificazione dei vizi, e da prima:
L' anime triste di coloro
Che visser senza infamia o senza lodo, Inf. iii. 35.
La setta dei cattivi
A Dio spiacenti ed a' nemici sui. Inf. iii. C2.
Poi è la bassa schiera de' sensuali, che seguono come bestie
rappelito {Purg. xxvi. 84), o vau dietro al piaceri della
libidine, la ragione sommettendo al talento (/«/". v. 39); o
si danno la preda
Alla dannosa colpa della gola. Inf. vi. 33.
Appresso son dannati i falsi estimatori dei beni della for-
tuna, i quali
Fur guerci
Si della mente in la vita primaia,
Che con misura nullo spendio lerci. Inf.ya. 40;
E sì annoverano di poi
L'anime di color cui vinse l'ira. Inf. vii. 116;
E di quelli
Cile portar dentro accidioso fummo, /n^ vii. 123.
Ai vizii dell'umana fragilità ne seguono di colpe mag-
giori, quelle che da sola malizia si derivano. 11 sapiente
poeta Investiga il fine d'ogni malizia, e conosciuto essere
sempre l'ingiuria, i cui effetti sono o la violenza o la frode,
da ciò, come da una sorgente, fa sgorgare tutti i mali che
il mondo maggiormente contristano:
172 FILOSOFIA MORALE.
D'ogni malizia ch'odio in cielo acquista,
Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale
0 con forza o con frode altrui contrista. Inf. xi. 22.
Quindi nella ingiuria che si esercita con forza, comprese i
malvagi violenti, e nell'ingiuria esercitata per frode, ì
malvagi frodolenti. Sulle vestigia di Cicerone, il poeta fi-
losofo sentenzia la fraude più nera della violenza : violenti
vi hanno di più ragioni:
A Dio, a sé, al prossimo si puone
Far forza ; dico in loro ed in lor cose,
Com' udirai con aperta ragione.
Morte per forza e ferute dogliose
Nel prossimo si danno, e nel suo avere
Ruine, incendj e collette dannose ;
Onde omicide e ciascun clie mal fiere,
Guastatori e predon, . .
Puote uomo avere in sé man violenta
E ne' suoi beni...
Puossi far forza nella Deitade,
Gol cor negando e bestemmiando quella,
E spregiando natura e sua bontade, Inf. xi. 32,
Anche nella frode son distinti molti gradi di reità, e ci
apprese come possa l'uomo usarla In colui che si fida ed
in quei che fidanza non imborsa:
Questo modo di retro par che uccida
Pur lo vincol d' amor che fa natura. Inf. xi. 52.
E quindi sono colpevoli a questo modo:
Ipocrisia, lusinghe e chi affatura.
Falsità, ladroneccio e simonia,
Ruffian, baratti, e simile lordura.
Per l'altro modo quell'amor s'obblia
Che fa natura, e quel eh' é poi aggiunto,
Di che la fede speziai si cria, Inf. xi, 58.
E tra i falsi vanno annoverati quelli che frodarono al-
trui con cosigli perfidi, e fecero quasi urj furto del vero,
i seminatori di discordia, quelli che falsarono la verità con
parole, o il prezzo delle cose con l'opera, le qual specie
di frode esercitansl per lo più contro chi non ha fiducia
speciale, e però offendono la fede pubblica e la società,
non infrangono i più stretti e i più sacri legami. Ma sotto
alle bolgie digradanti, nel profondo, i traditori punisce , quei
che tradirono fratelli o altri congiunti; che tradirono la
patria, eh' è parentela più intima, come di madre ; quel che
FILOSOFIA MORALE. 173
tradirono i benefallori che son da tenere più che se padri ;
quel che tradirono Dio, o il re, che, nel concetto di Dante,
era l'immagine di Dio sulla terra. Secondo il sistema di
Aristotile, seguito da Dante, lutti i peccati possono passare
per tre gradi:
Le tre disposizion, che il Ciel non vuole,
Incontinenza, malizia, e la matta
Bestialitade, e come incontinenza
Meu Dio offende e men Liasimo accatta. Inf, xi. 82.
Levando, dice il Tommaseo, a questa distinzione la corteccia
scolastica, resta un succo di buona e teologica fìlosoiìa.
Incontinenza è la corruzione del volere ; malizia vi aggiunge
la perversione dell'intelletto: bestialità, l'operazione di-
slruggitrice della social fede e unità. E direbbesi adombrata
la triplice distinzione nelle parole dell'Apostolo: crimina-
tores, incontinentes, immiles.
La genesi e l'ordine delle passioni, secondo la divisione
di S. Tommaso, sono toccati anche in altro luogo del divino
poema, giusta il quale si stabilirebbe che l'ordine dell'amore
corrotto consiste nei quattro peccati spirituali della superbia,
dell'invidia, dell'ira, e dell'accidia, e nei tre carnali della
avarizia, della gola e della lussuria. Purg. xvii. 109, 137,
Della Superbia. — Della Superbia cosi sentenziava il
poeta : 11 superbo non pensa alla comune madre: Purg. xi.
63. - Il figliuolo di Eva va col viso altero senza guardarti
a sua vìa; Purg. xii. 71. - Il verme non s'accorge della
sua piccolezza, l'embrione e l'aborto del verme invanisce
dell'imperfezione sua : Purg. x. 124. - Le posse degli uomini
mìseri e lassi montano in vanagloria e non sanno di volare
incontro a quella giustizia, innanzi a cui l'umana albagia
non ha schermo: Purg. x. 123 e seg. - Quel sole che fa
spuntare la gloria, quel medesimo la fa morire; quella
fama per cui gelosia l'uomo è scortese, è un fiato mula-
bile, una luce oscurata da altra luce che segue, è un punto
impercettibile rispetto aireternità: Purg. xi. 100. - L'orgoglio,
e il gran desio delV eccellenza, è infermità dell'occhio e della
mente: Pwrf/.x. 122. - è caligine e tumore; Purg.xi. 31.119 -
febbre superba: Jnf. xxix. 97 - giogo di servitù: Purg.xu.
1 - contrazione che rannicchia le forze e le rende scono-
174 FILOSOFIA MORALE.
scibili: Parg. x. 116. 13G - sogno di alìanno che fa ire senza
riposo: Pur<j. xi. 26, - ed a passi radi e sovente riirosi:
Purg. X. 123, - e trae al malanno le intere generazioni.
Purg. XI. 67.
Dell' afletto che quest'anima altera ebbe alla virtù crea-
trice della vera umana grandezza, l' umiltà, veggansi i passi
riportati dal Tommaseo, ComecUa di Dante Aitigli ieri, con
Ragionamenti e J\ote, Milano, Reina, 1854, p. 363. -Anche il
risorgere ùqìV umile pianta o del giunco schietto [Purg.i.
42o}, là dove fu svelto, ci mostra che la virtù radicata nella
umiltà non vien meno, e che dove questa in un cuore si
trapianti, sempre nuove cagioni ad alimentarla sorgono dal
nostro limo, miseri ftgliuoli d'Eva che siamo noi: Purg. xii.
70. Fa d'uopo che umilmente senta di se, chi pretende
a cose alte, acciocché mentre s'innalza sopra sé, non cada
da sé. Né al sommo della virtù e della felicità si perviene
senza aver prima gittato buon fondamento nella vera umiltà,
e disnebbiato 1' animo dalle caligini del mondo.
Dell'Invidia. — L'Invidia, come suona il vocabolo suo,
non vede, o mal vede, o non vuol vedere i meriti altrui, che
non le approda all' intelletto il sole del vero. - L' Invidia è
cagione di mal giudicio; perocché non lascia la ragione ar-
gomentare per la cosa invidiata, e la potenza giudicativa è
allora come quello giudice che ode pure l' una parte. Onde
quando questi cotali veggiono la persona famosa, inconta-
nente sono invidi, perocché veggiono assai pari membra e
pari potenza ; e temono, per la eccellenzia di quello cotale,
meno gssere pregiati; e questi non solamente passionati
mal giudicano, ma, diffamando, agli altri fanno mal giudicare:
Conv. 1. 4. La invidia è sempre dov'è alcuna paritade: Conv.
1. 11. E Gino pure cantava : ISon dà invidia quel eh' è me-
raviglia. Lo quale vizio regna ov' è paraggio. - Il livore
suole fabbricar menzogne a danno degli assenti degni di
invidia, e trasmuta le cose dette bene: Quaest. de Aqua et
Terra. § l.-Se vede alcuno sormontare, e l'invidia n'attrista:
la teme che non ci sieno più per esso lei podere, grazia,
onore e fama [Purg. xvii. 118): se uno si fa lieto in vista,
e il lividore, che le riarde perfino il sangue, le pare in
tutto il volto [Par. xv. 82): se altri addolora, ed ella si fa
FILOSOFIA MORALE. 175
lieta de' danni altrui assai più che di sue venture! Puvff.
XIII. HO. E figlia primogenita del diavolo: la sua invidia
fé' dipartire dall'inferno i vizi a tribolare l'umana radice,
a recare la miseria e la morte nel mondo (/«/'. 1. 117), onde
tuttavia la sua invidia è tanto pianta: Par. ix. 127. Essa
è morte comune, perchè cagione che gli uomini si facciano
miseri scambievolmente (/n/". xiii. Gi): più che altrove ha
il suo trono nelle corti, perchè in quelle esercita l'occhio
maligno, e mena le arti sue puttanesche.
Dell'Ira. — L'Ira snatura affatto l'uomo, il mette in
furia, e nel suo violento erompere dentro il fiacca [Inf. xilIq);
onde l'irato si gorgoglia voci nella strozza senza parola
integra [Inf.wn. 125); incomposto della persona, non altri-
menti che tauro ferito che gir non sa, ma qua e là saltella
( Inf. XII. 24 ) ; ove non possa difogarsi con altri, si volge
in sé medesmo co' denti {Inf. viii. 63), e consuma dentro sé
con la sua rabbia {Inf.YU.l); onde il poeta filosofo la
dice cieca e folle: Inf. xii. 49 - Ad essa è opposta la Man-
suetudine che modera la nostra ira e la nostra troppa pa-
zienza contro a' mali esteriori: Conv.w.Vì,
Beir Accìdia. — L'Accidia è V amore del bene scemo
di suo dovere (Pwr//. xvn. 85), cioè men vivo di quel che
è debito al bene vero. Guai a chi si lascia sopraffare dal-
l'accidia: la debolezza cresce da farsi invincibile. Chi si fa
coraggio acquista un che dì vigore, e l'opera successiva
l'accresce: Inf. xxiv. 52. I tiepidi nell'esercizio della loro
virtù ben presto aggelansi: Inf.u.ì^i.
Dell'Avarizia. — Tutte le passioni son tormentose,
ma r avarizia è una bestia sì malvagia e ria che ci fa senza
pace (in/". 1.58): l'avaro trema sempre di perder l'acqui-
stato, onde in tutti i suoi pensier piange e s'attrista [Inf.
1. 55): dove signoreggia l'avarizia ivi il sol tace; cessa ogni
attività eh' è indizio di vita (/«/'. i. 60 \ perchè i tesori che
sono a mano dell'avaro, sono in più basso luogo, che non
è la terra là ove il tesoro è nascosto: Cowy. i. 9. L'avaro
non empie mai la sua bramosa voglia (/n/". i. 98); la sua
fame senza fine cupa, quantunque più che tutte l altre
bestie abbia preda {Purg.xx.lì.): esso, pieno a gola, dopo
il pasto ha più fame che pria: Par, 1.99. L'avaro male-
176 FILOSOFIA MORALE.
dello non s'accorge che desidera sé sempre desiderare,
andando dietro al numero impossibile a giungere: Conv.
111. 15. - L'avarizia è il male che ocnipa tutto il mon(U)
[PuTcj. XX. 8.); il gran nemico degli uomini [Inf. vi. 115), che
sempre li fé' vivere grami: Inf. i. 51. Non più per lei sen-
limento d'umanilà, che essa
Vende la carne loro, essendo viva,
Poscia gli ancide come antica belva:
Molti di vita, e sé di pregio priva. Purg. xiv. 61;
né più per lei vincoli di sangue, che
Veggio vender sua figlia, e patteggiarne,
Come fan li corsar dell'altre schiave.
0 avarizia, che puoi tu più farne,
Poi c'hai il sangue mio a te sì tratto,
Che non si cura della propria carne? furg. xx. 80;
né più rlspello al luogo santo, che forta nel tempio le cu-
pide vele (Pur//. XX. 13), e fa baratto perfino delle cose
più sante:
Le cose di Dio, che di bontate
Deon essere spose, e voi rapaci
Per oro e per argento adulterate. Inf. xix. 2.
Tulle le passioni sono idolatre, ma più che l'altre l'ava-
rizia che l'oro adora, e per l'oro dispoglia tulli i sensi
dell'umanità:
Fatto V' avete Dio d' oro e d' argento :
E che altro è da voi all'idolatre,
Se non ch'egli uno, e voi n'orate cento? Inf. xix. 112.
In breve:
Avarizia spense a ciascun bene
Lo nostro amore, onde operar perdesi. Pwrf/.xix.l21.
Avea ben donde il poeta di esclamare col Maestro suo:
Perchè non reggi tu, o sacra fame
Dell'oro, l'appetito de' mortali? Purg.-si\nAO;
e d'interrogare nel Canzoniere l'avaro:
Kon sa dove vada,
Per dolorosa strada ;
Come l'avaro seguitando avere,
Ch'a tutti signoreggia:
Corre l'avaro, ma più fugge pace
(0 mente cieca, che non puoi vedere
Lo tuo folle volere! )
Col numero, ch'ognora passar bada,
FILOSOFIA MORALE. 177
Che infinito vaneggia.
Ecco giunti a colei che ne pareggia:
Dimmi, che hai tu fatto,
Cicco avaro di!?fatto?
Rispondimi, se puoi altro che nulla:
3Ialedetta tua culla,
Che lusingò cotanti sonni invano:
Maledetto lo tuo perduto pane,
Che non si perde al cane;
Che da sera e da mane
Hai ragunato, e stretto ad arabe mano,
Ciò, che sì tosto ti si fa lontano... Canz.xyiu.L e seg.
Della iiola. — E l'Allighieri chiama dannosa la colpa
della gola [Inf. vi. 537), perchè dannosa agli averi, alla
salute e alla chiarezza della ragione. E ce lo spiega l'istesso
poeta nel xxiv. del Purg. v. 128, dicendone a maggior lume,
che le colpe della gola son seguite da miseri guadagni.
L'amore del gusto, cioè il naturai trasposto del bere e del
mangiare non deve accendersi in troppo desiderio, e diven-
tar passione [troppo desio non fuma) ; nella qual parola fama
ci moslra bellamente come la crapula turbi ed offuschi lo
intelletto coi fumi che manda al cerebro. Nei cibi dobbiamo
attenerci a un giusto mezzo, il quale debbe esser determi-
nato dal puro bisogno, e non far di esso come ultimo e
principale fine del godimento umano: Esuriendo sempre
quanto è giusto: Purg. xxiv. ró2.
E bellissima è la lode che ci fa della Temperanza ; regola
e freno della nostra golosità e della nostra sopcrchievole
astinenza nelle cose che conservano la nostra vita: Conv.ìw.ll.
E le Romane antiche per lor bere
Contente furon d'acqun, e Daniello
Dispregiò cibo, ed acquistò savere.
Lo secol primo quanl'oro fu bello;
Fé savorose con lame le ghiande.
E nettare con sete ogni ruscello.
Mèle e locuste furon le vivande.
Che nudriro il Battista nel diserto;
Perch'egU è glorioso, e tanto grande.
Quanto per l'Evangelio v'é aperto, /'w;//. xxu.Uo.
Al servizio di Dio mi fei si fermo.
Che pur con cibi di liquor d' ulivi.
Lievemente passava e caldi e gieli.
Contento ne' pensier contemplativi, /'«r. xxi. 114.
Incontinenza. — E gl'inconlinentì involti ne' diletti della
VoL. n. 12
178 FILOSOFIA MORALE.
carne, non servano umana lefjge, ma creature fuor d' inlelli-
ffcnza, sommetlono al talento la ragione, seguendo come bestie
l'appetito (/?i/. V. 39; Pwrr/. xwi. 84.), sì che par che Circe
(jìi abbia in pastura : Purg. xiv. 42.
Qual non dirà fallenza
Divorar cil)o, ed a lussuria intendere? . . .
Non moverieno il piede
Per donneare a guisa di leggiadro;
Ma come al furto il ladro,
Così vanno a pigliar vilian diletto. Canz. xvii. 2, 3.
Bruttezza del peccato. — Chi pecca fa, quanto è in
lui, licito il libito {libito fa lecito in sua legge: /n/". v. 56):
il licito è la legge, il libito è la volontà. Il tempo che
l'uomo passa nell'errore è tempo perduto, com'uom che
torna alla smarrita strada, Che infino ad essa li par ire
invano : Purg. i. 119. Il peccato ci fa nell'intelletto di
pietra: Purg. xxxii. 73. Chi pecca e si compiace di peccare
è giustamente pareggiato a bestia: vita bestiai mi piacque
e non umana: Inf. xxiv. 124. Nissuna condizione d'uom reo
è infatti tanto spaventevole, quanto quella di colui, che sfac-
ciatamente e senza alcun timore di Dio fa tutto ciò che gli
piace ; e da questo castigo è spesso percosso l'empio, cioè che
morendo dimentichi sé stesso, egli che vivendo dimenticò
Iddio... Egli è da credere, avvenir talvolta per mirabii
giudizio di Dio che per la stessa via onde l'empio si pensa
di sfuggire a'meritati castighi, per essa più gravemente preci-
piti; e che quegli che sciente e volente ripugnò al comando
divino, non volente ed insciente si faccia stromento di esso:
Ep. VI. 2, 3.
Per le Furie dal sovrano poeta dipinte nel C. ix. dello
Inferno, v. 37, ei ci voleva significato il rimorso, onde
sono più specialmente seguiti i delitti di pura malizia; ed
è questo il ministro più crudele dell'ira di Dio nei pec-
catori sì in questa vita che nell'altra. Il volto poi di
Medusa, che avea potenza d' impietrare la gente, e contro
cui Virgilio tien chiusi gli occhi del suo Alunno, rappresenta
il piacere sensuale che indura il cuore dell'Homo, ne oscura
l'intelletto, e spegne in lui ogni gusto delle cose divine.
E bene le maligne Furie vollero servirsi di questo mezzo
per impedire a Dante la magnanima impresa. Ma Virgilio
FILOSOFIA MORALE. 179
gli ha insegnalo col fatto due grandi armi contro il terri-
bile Gorgone, la custodia degli ocelli, figurata nel chiuder-
gli da sé stesso, e lo studio delle cose filosofiche, signi-
(icato nell'aiuto di Virgilio. — B. —
Etd dell'uomo - IjSì vita nostra è un cammino va-
riabile, secondo il variar dell'età, che richiede studi
e operazioni diverse. — Altro SÌ conviene a dire e operare
a una etade, che ad altra; perchè certi costumi sono idonei
e laudabili a una etade, che sono sconci e biasimevoli ad
altra : Conv. 1. 1. - Altri costumi e altri portamenti sono
ragionevoli ad una età più che ad altre... L'anima nobilitata
ordinatamente procede per una semplice via, usando li suoi
atti nelli loro tempi e etadi siccome all' ultimo suo frutto
sono ordinati : Conv. iv. 24 - A ciascuna parte della nostra
età, siccome dice Tullio in quello di Seneitute, è data sta-
gione a certe cose: Conv. iv. 27.
La prima età o adolescenza dura fino al venticinquesimo
anno, ed è porta e via, per la quale s'entra nella buona
vita. Infino a quel tempo V anima nostra intende al crescere
e all'abbellire del corpo, onde molte e grandi trasmutazioni
sono nella persona: Conv. iv. 24 - L'adolescente per mino-
ranza d' etade lievemente merita perdono [Conv. iv. 26) ; che
in lui la parte razionale non può ancora perfettamente
discernere; per che la Ragione vuole che dinanzi a quell'età
non possa certe cose fare senza curatore di perfetta età:
Co7iy.iv.24. Suo precipuo intendimento è di acquistare quello
che a perfezione e a maturità venire possa. Conv. iv. 27. -
Quattro cose rendonsi necessarie all'entrare nella città
del ben vivere: obbedienza, soavità^ vcrgorpia, adornezza
corporale: Co«y. iv. 24 (Cans. xvi. 7). A questa età è pur
necessario d' essere rifrenato ; sicché non trasvada ; non che
d'esser penitente del fallo, sicché non si ausi a fallare:
Conv. IV. 25.
La Gioventù si compie nel quarantacinquesimo anno :
Co«y. IV. 24; ed è il colmo della naturai vita: Con?;, iv. 7,
26. Ad essa é data la perfezione e la maturità; acciocché
la dolcezza del suo frutto a sé e altrui sia profittabile, che,
siccome Aristotile dice, l'uomo è animale civile, onde gli
si richiede non pur a sé, ma ad altrui essere utile: {Conv.
180 FILOSOFIA MORALE.
IV. 27) : ad essa si vuole essere temperala, forte ed amo-
rosa, e cortese e leale: CoJit;. iv. 2G ; Cyanz.xw.l.
Che si conviene ornai altro cammino
Alla mia nave, già lunge dal porlo. Son. 40 a Cino.
Appresso la propria perfezione, la quale s' acquista nella
gioventute, conviene venire a quella che alluma non pur
se, magli altri; e conviensi aprire l'uomo quasi come una
rosa che più chiusa stare non può; e l'odore ch'è dentro
generato, spandere; e questo conviene essere nella terza
età, cioè nel senio [Conv. iv. 27), che dura di presso a dieci
anni: Conv. iv. 24. - L'anima nobile nella senetta si è 'pru-
dente, si è giusta, si è larga e allegra di dire bene e prò
d'altrui, e d'udire quello, cioè eh' e affabile: Id. iv. 27.
Da ultimo nella quarta parte della vita A Dio si rimarita.
Contemplando la line che l'aspetta, E benedice li tempi
passati : Canz. xvi. 7. - Come il buono marinaro, che come
esso appropinqua al porto cala le sue vele, e soavemente
con debole conducimento entra in quello ; (Quando mi vidi
giunto in quella parte Di mia età, dove ciascun dovrebbe Calar
le vele e raccoglier le sarte. Inf. xxvii. 79 ), così noi doverne
calare le vele delle nostre mondane operazioni, e tornare a
Dio con tutto nostro intendimenlo e cuore ; sicché a quello
porto si vegna con tutta soavità e con tutta pace. E in
ciò avemo dalla nostra propria natura grande ammaestra-
mento di soavità, che in essa cotale morte non è dolore,
né alcuna acerbità; ma siccome un pomo maturo leggier-
mente e senza violenza si spicca dal suo ramo; così la nostra
anima senza doglia si parte dal corpo ov'ella è stata...
Rendesi dunque a Dio la nobile anima in questa età. e
attende la fine di questa vita con molto desiderio, e uscire
le pare dell'albergo e ritornare nella propria mansione:
uscire le pare di cammino e tornare in città: uscire le pare
di mare e tornare a porto. Oh miseri e vili che colle vele
alte correte a questo porto: e là dove dovreste riposare,
per lo impeto del vento rompete, e perdete voi medesimi
là ove tanto camminato avete! Conv. iv. 28.
Della Famiglia - Genitori e Figli. — L' UOmo è
compagnevole animale; a sua sufficienza ei richiede
compagnia domestica di famiglia: Conv. iv. 1. - ^'ella casa
FILOSOFIA MORALE. 181
il line è preparare la famiglia al ben vivere: uno bisogna
che sia regola e regga, quale padre di famiglia si chiama,
ovvero bisogna che in luogo suo sia un'altro, secondo la
sentenza d'Aristotile: ogni cosa è dal più antico governata:
l'officio del quale, secondo Omero, è dare regola agli altri
e legge: De Mon. i.l. Quando più cose a uno fine sono
ordinate, una di quelle conviene essere regolante, ovvero reg-
gente, e tutte l'altre rette e regolate da quella : Conv.wA. -
Di questo nasce la concordia eh' è uniforme movimento di
più volontà: />e iH/on. 1. 17. - (Una parola intuiti era ed un
modo, Sì cheparea tra esse ogni concordia: Purg. xvi. 20.)
Non v'ha così intima amistà come quella da buon padre
a buon figliuolo, e da buon figliuolo a buon padre: Yita^.
§ 22 - Il primo comandamento di Salomone quando intendea
correggere il suo tiglio, suonava così : « Odi, tiglio mio, l'am-
maestramento del tuo padre.» E poi lo rimuove incontanente
dall'allrui reo consiglio e ammaestramento, dicendo: « Non
ti possano quel fare di lusinghe, ne di diletto li peccatori,
che tu vadi con loro.» Onde sì tosto com'è nato lo tìglio
alla mammella della madre s'apprende; così tosto, come
alcuno lume d'aniiiio in esso appare, si dee volgere alla
correzione del padre, e 'l padre lui ammaestrare. E guardisi
che non gli dea di sé esemplo nell'opera, che sia contrario
alle parole della correzione; che naturalmente vedemo cia-
scuno iiglio più mirare alle vesllgie delli paterni piedi, che
all'altre. E però dice e comanda la Legge, che a ciò prov-
vede, che la persona del padre sempre santa e onesta dee
apparere a' suoi tigli ... Al padre si dee reducere ogni altra
obbedienzia; onde dice l'Apostolo alli Colossensi: «Figliuoli,
ubbidite alli vostri padri per tutte cose; perciocché questo
vuole Iddio. » E se non é in vita il padre, reducere si dee
a quello che per lo padre è nell'ultima volontà in padre
lasciato; e se 'l padre muore intestato, reducere si dee a
colui cui la Ragione commette il suo governo: Comimv. 24-
Ottime sta ogni hgliuolo, quando secondo le forze della
propria natura seguila le vestigio del padre perfette : De
.t/o/i. 1, 11. - E pero, dice Tullio, che il hgliuolo del valente
uomo dee procurare di rendere al padre buona testimo-
nianza : Conv. IV. 29. Ma quelli che dal padre o da alcuno
182 FILOSOFIA MORALE.
SUO maggiore di schiatta è nobilitato, e non persevera in
quella, non solamente è vile, ma vilissimo, e degno d'ogni
dispetto e vituperio più clie altro villano: Conv. iv.7. L'uomo
vile disceso degli buoni maggiori, è degno d'essere da lutti
scacciato: e deesi il buono uomo chiudere gli occhi per non
vedere quello vituperio vituperante della bontà che in sola
la memoria è rimasa : Conv. iv. 20.
Riverenza a' Maggiori ed a' iHaestri. UnO de' più
belli e dolci frutti della discrezione (la parte razionale ha
suo occhio col quale apprende la differenzia delle cose, ii>
quanto sono ad alcuno line ordinale, e quest'è la Discre-
zione : Conv. I. 2 ; Discrezione, ( discernimento ) che fa
conoscere l'ordine di una cosa ad altra ed è proprio allo
di ragione : Coni', iv. 8 ) è la riverenza che debbe al mag-
giore il minore Reverenza non è altro che confessione
di debita soggezione per manifesto segno. Irreverenza, è
disconfessare la debita soggezione per manifesto segno.
IN'on reverenza è negare la debita suggezione: Conv. iv.
8. - Siccome quelli che mai non fosse stalo in una città,
non saprebbe tenere le vie senza insegnamento di colui che
le ha usale; così l'adolescente eh' enlra nella selva erronea
di questa vita non saprebbe lenère il buon cammino, se
dalli suoi maggiori non gli fosse mostrato. Né il mostrare
varrebbe, se alli loro comandamenlì non fosse obbediente :
Conv. IV. 24. - Chiunque imprende il camino della virtù, e
vuol ragionare il fine della sua vita, deve seguitare fedele
il savio maestro... cui la ragione commette il suo governo:
Conv.ìY.S. - Il discente quanto puote, segue il maestro:
Inf. XI. 104. - Sicché debbono essere ubbiditi i maestri e
maggiori ; che in alcuno modo pare dal padre, o da quelU)
che il loco paterno tiene essere commesso : Conv. iv. 24. -
La vera obbedienza conviene avere Ire cose, senza le quali
essere non può: vuole essere dolce, e non amara; e coman-
data interamente e non spontanea; e con misura e non
dismisurata : Conv. i. 7. - In ciascuna arte e in ciascuno
mestiere gli artefici e li discenti sono ed esser deono sug-
gelli al principe e al maestro di quelle, in quelli mestieri e
in quella arte: Coni). iv. 9. -Ei si parte dall'uso della ragione
colui che ha le vestigie innanzi e non le mira» e però dice
FILOSOFIA MORALE. 183
Salomone nel quinto cap. dei Proverbi : « Quelli morrà che
non ebbe disciplina, e nella moltitudine della stoltizia sarà
ingannato,)) cioè a dire; colui è morto che non si fé di-
scepolo, che non segue il maestro : Conv. iv. 7. - Però in
ciascuna dottrina dal maestro si vuole aver rispetto alla
[acuità del discente, e per quella via menarlo, che più a lui
sia lieve : Conv. iv. 17. Ed allora il
discente... a dottor seconda
Pronto e libente ia quel eh' egli è esperto,
Perchè la sua bontà si disasconda. JPar.xxv. 64.
Né solo obbedienza, ma dobbiamo pure amore ai maggiori
nostri, dalli quali abbiamo ricevuto ed essere e nutrimento
e vita, sicché non paiamo ingrati: Conv. iv. 26.
A costor si vuol esser cortese:
E se non fosse il fuoco che saetta
La natura del luogo, i' dicerei,
Che meglio stesse a te, che a lor, la fretta, /?)/. xvl15.
lo non osava scender della strada
Per andar par di lui: ma '1 capo chino
Tenea, com'uom che riverente vada. /n/". xv.43.
( davanti a suo maestro Brunetto Latini )
Lo Duca mio allor mi die di piglio,
E cor> parole e con mani e con cenni
Reverenti mi fc le gambe e il ciglio. Purg. i. 49.
( davanti a Catone )
Uella Bellezza - Si fa manifesta massimamente
nella faccia, ma disfavilla ncj^li occhi e nella boc-
ca. — Tra le corporali boutadi vanno annoverate : bellezza,
fortezza e quasi perpetua valetudine : Conv. iv. 19. - La bel-
lezza del corpo risulla dalle membra, in quanto sono debi-
tamente ordinate: C'onr. iii. 5. - Quella cosa dice l'uomo
esser bella, le cui parti debitamente rispondono, perchè
dalla loro armonia risulta piacimento, onde pare T uomo
esser bello, quando le sue membra debitamente rispondono:
Conv. 1. 5. - Quando (il corpo) è bene ordinato e disposto,
allora è bello per tutto e per tutte le parti, che l'ordine
debito delle nostre membra rende un piacere non so di che
armonia mirabile: e la buona disposizione, cioè la sanità,
getta sopra quelle un colore dolce a riguardare : Coni', iv.
fò. - Non si può avere buona abitudine di membra senza
la sanità: De Man. ii. 6.
184 FILOSOFIA MORALE.
Nella faccia dell' uomo l'anima più adopera del suo uf-
ficio, che in alcuna parte di fuori, tanto sottilmente intende,
che per sottigliarsi quivi, tanto quanto nella sua materia
puote, nullo viso ad altro è simile; perchè l'ultima po-
tenzia della materia, la qual è in tutto quasi dissimile,
quivi si riduce in atto. - Ma nella faccia, massimamente in
due luoghi adopera l'anima, negli occhi e nella bocca, e
quelli massimamente adorna, e quivi pone lo intento tutto
a far bello, se puote: e questi due luoghi per bella simi-
litudine si possono appellare balconi dell'anima, avvegnac-
chè quasi velata, spesse volle vi si dimostra. Dimostrasi
negli occhi tanto manifesta, che conoscer si può la presente
passione, chi bene la mira... Di nulla cosa puote l'anima
esser passionata, che alla finestra degli occhi non vegna
la sembianza, se per grande virtù dentro non si chiude...
Dimostrasi nella bocca, quasi siccome colore dopo vetro.
E che è ridere se non una coruscazione e dilettazione del-
l'anima, cioè un lume apparente di fuori secondo che sta
dentro? Conv. ni. 8.
Portamento esteriore. — Debbe V uomo porre Ogni
studio in quelle operazioni che sono proprie dell' anima ra-
zionale, dove la divina luce più espeditamente raggia, cioè
nel parlare e negli alti, che reggimenti e portamenti so-
gliono essere chiamati : Conv. ni. 7. - E a ben entrare nella
porla della gioventù gli fa mestieri esser soave e grazioso.
La grazia s'acquista per soavi reggimenti che sono dolce
e cortesemente parlare, dolce e cortesemente servire e ope-
rare : Conv. IV. 25. - La soavità degli atti che avvalora ed
accende Amore consiste in tutti li sembianti della persona
onesti, dolci, e senza soperchio alcuno : Conv. ni. 14.
E al severo poeta piace di scolpirci spesso questi atti
esteriori, questi nobili e laudabili portamenti [V.JS. §2.),
quasi bellezza risplendente in suW onestà : Conv. iv. 8. -
L' orrevole gente del castello della nobiltà ci è dipinta
con occhi tardi e gravi, E di grande autorità ne' lor sem-
hianti: Inf. iv. 112. - La gente d'anime trovata a' pie del
monte del Purgatorio, andava pudica in faccia e nell'an-
dare onesta: Purg. in. ^1; ed ei ci ricorda l'atto onestato
^ sodo: Purg. xxix. 134; e gli atti ornati di tutte onestati:
FILOSOFIA MORALE. 185
Par. XXXI. 49 ; e il viso e fili atti di riverenza adorni:
Purcj. XII. 82. - Gli alti villani sieno lungi da noi: Conv.
IV. 25. - Atto lil)ero è, quando una persona va volentieri
ad alcuna parte che si mostra nel tenere volto lo viso in
quella: atto sforzato è, quando contro a voglia si va, che
sì mostra in non guardare nella parte dove si va: Conv. i. 8.
Sia moderato il riso con un' onesta soavità, e con poco
movimento delle membra, sicché l'anima paia modesta e
non dissoluta. E il poeta con soavissima espressione ne di-
pinge il mirabile riso della sua donna che mai non si sentia
se non dell'occhio: Conv. ni 8.
La fretta toglie il decoro alla movenza delle membra,
e disconviene alla maestà della persona : La fretta che /' o-
nestà dismaffa: Pur(/. ni. 11. Alla quale sentenza fa chiosa
il precetto di Seneca, ricordatoci negli AmmaeslramenH degli
Antichi, Z)/s. VII. 1. 18: Sia il tuo andare senza disordina-
mento.... nell'apparenza e nei movimenti si deve servare
più diligentemente regola d'onestà, in quanto che gli atti
dimostrano quello che la persona è; e quello dello Somma,
1, 2, 102: - All'onestà e gravità nuoce la fretta. (L'esser
bene usante con affabile piacevolezza, cortese, amorevole,
giocondo e bene complessionato, avere la loquela graziosa
e pronta e feconda, la voce soave, dolce e ben sonora;
avere lo sguardo e l'andare composto e gli altri sembianti
con bella maniera. Passavanti, Specchio della vera Peni-
tenza, Trattato della Vanagloria. C. iv. p. 270.)
L'uomo buono dee la sua presenza dare a pochi e la
familiarità dare a nàeno, acciocché il nome suo sia ricevuto
e non ispregiato: Conv. i. 4. - Alle secretissime cose noi do-
vemo avere poca compagnia: Conv. ii. 1.
Della Donna: sua bellezza; quanto è più semplice
è più bella. Inverecondo vestire. Doti di che debbe
andar fornita una d<»nna. Pudore. Paura del diso-
nore. Innanzi a donna non si tengano parole men
che oneste. A chi debba la donna concedere i suol
affetti. — Beltà e saggezza sono le virtù con che la donna può
svegliare e ridurre in atto amore nell'uomo: Son. 10. Ma la
bellezza d'una donna non si può manifestare, quando gli
adornamenti dell' azziniare e delle veslimenta la fanno più
ammirare ch'essa medesima {lyon donne contlgiate, non
186 FILOSOFIA MORALE.
cintura Che fosse a veder più che la persona: Par, xv. 101) ;
onde chi vuole bene giudicare d'una donna, guardi quella
quando solo sua naturai bellezza si sia con lei da tulio
accidentale adornamenlo discompagnala: Conv.i.ìO. - Le
donne, con semplicità di stile e abbondanza di parola affet-
tuosa, con soavità impareggiabile di poesia esaltale a cielo dal
poeta, venivano dallo specchio senza il viso dipinto, intente
al fuso ed al pennecchio, e, madri affettuose, vegghiavano
a studio della culla, e, consolando usavano l'idioma che pria
li padri e le madri trastulla: Par. xv. 117. - Indizio di
grande corruttela è il vestire disonesto nella donna. Il bel
sesso è per natura pudibondo. Quand'esso perdette il pu-
dore, si può dire che la corruzione è al colmo. E il poeta
gridava con parole di fuoco contro le sfacciale e svergo-
gnate firentine {Purg.xxm), ed a castigo dello sfoggiato
ed inverecondo vestire si fa preveggente annunziatore di
calamità alla sua patria. E nella Canz. xviii. 2, ei pur canta:
Ornarsi, come vendere
Si volesse ai mercato rie' non saggi?
Che il savio non pregia uom per vestimenta,
Perché sono ornamenta,
Ma pregia il senno e li gentil coraggi.
E nel Conv. ni. 4: « Yeggano li cattivi malnati, che pongono
lo studio loro in azziniare la loro persona, che dee essere
tutta con oneslade ; che non è altro a fare, che ornare l'o-
pera d'altrui, abbandonare la propria.» -Né alcuno meni mai
vanto di « beltade eh' abbia nel suo corpo, che non fu egli
di ciò fattore: Iddio è Signore, esso fece noi e non essi
noi:» Conv. in. 4 - E la beltà in donna non sia scompagnala da
saggezza. E ch'è piìi bello in donna che savere? Ma oltre che
saggia il filosofo la vuole pure cortese nella sua grandezza:
Canz.ix.L Nulla cosa in donna sta più ben che cortesìa : Conv.
11. 11. - Cortesia e oneslade è luti' uno: Id. - E perchè la
donna si possa dire gentile negli alti ed amorosa, Canz. xii.
3. (Adorna assai di gentilezze umane: Caw:;. iv. 1. Gentile
e piena di lutti i piaceri: V. JS. §26), debbe andar coro-
nala di umiltà: V.N. §26; cinta ed ornata alla guisa che
alla etade si conviene: Y. J\. §2; vestita di gentilezza, di
amore e di fede: 5on. 18; essere di molto leggiadro par^
lare: V. N. §. 18. - In donna è da pregiar virtute. Bai u -
FILOSOFIA MORALE. 187
{Donna di virlù. Inf.w. 18.) Donna onesta permane di sé
sicura, per la coscienza di sua integrila: al pur udire il
fallo altrui divicn timida: per l'altrui fallanza timida sì
rimane: /^ar xxvii. 31. - Guardiano d'ogni più bella virtù
nella donna è il Pudore. Il Pudore è un ritraimento d'ani-
mo da laide cose, con paura di cadere in quelle; siccome
vedemo nelle vergini e nelle donne buone e neili adolescenti,
che tanto sono pudici, che non solamente là dove richiesti
0 tentati sono di fallare, ma ove pure alcuna imaginazione
di venereo compiacimento avere si possa, tutti si dipingono
nella faccia di pallido o di rosso colore... Oh quanti fallì
rifrena questo pudore! quante disoneste cose e domande
fa tacere! quante disoneste cupiditati raffrena! quante male
tentazioni non pur nella pudica persona diffida, ma eziandio
in quello che la guarda! quante laide parole ritiene! Conv.
IV. 25. - In donna è pur laudabile la paura del disonore
per colpa: sfacciatezza in esso lei è viltà e ignobililà: Conv.
IV. 19. - Nullo atto è laido che non sia laido quello nomi-
nare. Lo pudico e nobile uomo mai non parlò sì, che a una
donna non fossero oneste le suo parole. Ahi quanto sta
male a ciascun uomo che onore vada cercando, menzionare
cose, che nella bocca d'ogni donna slieno male! Conv. iv. 2o.
E donna leggiadra non deve amare se non chi segue
virtù e conoscenza. La bella ch'Amore consente essere in
donna sin dal suo decreto antico, non fu formata che per
disposarsi a virtù: Canz. xviii. 1. - Onde ognuna che sente
dipillo pregio delia bellezza con onesto e bel disdegno do-
vrebbe coprire quanto di beltà è in lei dinanzi ad uomo non
virtuoso, perchè virtù debb' esser seano d'amore. - Oh pe-
risca colai donna, che per cagion di voler amare un tristo
uòmo, disgiunge sua beltà da bonlà naturale, e crede Amore
un appetito irrazionale, fuor d'orlo di rafjione, quando è
invece appetito d'animo, spettando pur alla volontà e allo
intelletto: Canz. xviii. 7.
Vergogna, Verecondia. — Vergogna è tema di di-
sonoranza : Conv. iv. 19. Vi è una vergogna che nasce dal
pentimento del fallo e questa è bella e santa, e lava ogni
maggior difetto [Inf.xxx. 143); e ve n' ha un'altra che nasce
da dispiacere, e questa è trista: Inf. xxiv. 142. Vergogna
188 FILOSOFIA MORALE.
non sempre in lutti può far l)uona scusa al fallo, ma solo
nei giovani e negli inesperti: ( Conv. iv. 19, 25. )
Del color consperso
Che fa l'uom di perdon talvolta degno. Punì. v. 2o.
La Verecondia è una paura di disonoranza per fallo
commesso; e di questa paura nasce un pentimento del
fallo, il quale ha in se un'amaritudine, eh' è gastigamenlo
a più non fallire: Conv. iv. 23.
Amore. — L'amore attesta gentilezza d'animo, che:
Amor, ... al cor gentil ratto s' apprende. Inf. v. 100.
Amore e cor gentil sono una cosa. Son. 10.
ed ,è detto pur di lui :
11 fonte del gentil parlare. Son. 42.
Amore è che congiunge e unisce l'amante con la per-
sona amata: Coni'. IV. 1. - Le cose congiunte comunicano
naturalmente in tra sé le loro qualità; intantochè talvolta
è che l'una torna del tutto nella natura dell'altra, incontra
che le passioni della persona amata entrano nella persona
amante, sì che l'amor dell'una si comunica nell'altra, e
così l'odio e '1 desiderio e ogni altra passione; per che
gli amici dell' uno sono dall' altro amati, e li nemici odiali ;
perchè in greco proverbio è detto: « Degli amici esser deon
tulle le cose comuni» : Conv. iv. 1 - Amore, veramente pi-
gliando e sottilmente considerando, non è altro che uni-
niento spirituale dell'anima e della cosa amata, nel quale
unimento di propria sua natura l'anima corre o tosto o
tardi, secondochè è libera o impedita : Conv. in. 2. - Non
subitamente nasce amore e fassi grande e viene perfetto,
ma vuole alcuno tempo e nutrimento di pensieri, massi-
mamente là dove sono pensieri contrarli che lo impediscono.
Allora prima che questo amore divenga perfetto, conviene
molta battaglia intra '1 pensiero del suo nutrimento, e quello
che gli è contrario: Conv. n. 2. - La mente si diletta sem-
pre nell'uso della cosa amata, eh' è frutto d'amore, in quella
cosa, che massimamente è amata, è 1' uso massimamente
dilettoso : Conv. iv. 22. - Ogni cosa amabile tanto più è amala,
quanto è più propinqua all'amante: De Mon. I.13 (/«/". v. 127).
Quanto l'agente più al paziente sé unisce, tanto più è forte
però la passione... Onde quanto la cosa desiderata più si
FILOSOFIA MORALE. 189
appropinqua al desiderante, lanlo il desiderio è maggiore ; e
l'anima più passionata, più si unisce alla parte concupisci-
bile e più abbandona la ragione: Conv. iii. 10. - Due sorte
(li amori vi hanno, sensuale ed intellettuale:
. , . amar si può bellezza per diletto,
E amar puossi virtù per alto oprare. Son. 42.
Amicizia. — Il nome di amico è sacro, ma più sovente
profanato: i più sono amici della ventura: lnf.\\.^^\ onde
il proverbio : amico di ventura come rota si ffira. - E della
amicizia ci apprendeva questi nobilissimi dettati: Quegli si
dice amico, la cui amistà non è celata alla persona amata,
ed a cui la persona amata è anche amica; sicché la be-
nevolenza sia d'ogni parte: Conv. iii. Il - L'operazione della
virtù per se dee essere acquistatrice di amici, conciossia-
cosacchè la nostra vita di quelli abbisogni: Conv. i. 8.
Dall'amore alla verità e alla virtù nasce la vera perfetta
amistà: Conv. in. 'ò. Della vera amistà è cagione efficiente
la virtù... Fine dell'amistà vera è la buona dilezione che
procede dal convivere.... secondo ragione: Conv. iii. 11.
Amore,
Acceso di virtù, sempre altro accese
Pur che la fiamma sua paresse fuore. Furg. xxii. 10.
L' amistà per onestà fatta è vera e perfetta e perpetua ; quella
per diletto fatta o per utilità, non è amistà vera, ma per acci-
dente... l'amistà i^er utilità, meno amistà si può dire : Conv.
IH. 11 - La maggior parte dell' amistadi si paiono seminare
nell'età prima, perocché in essa comincia l'uomo a esser
grazioso: la qual grazia s'acquista per soavi reggimenti
che sono dolce e cortesemente parlare, dolce e cortesemente
servire e operare : Conv. iv. 25. Intra dissimili di eostumi
amistà esser non può, dovunque amistà si vede, similitudine
s'intende, corre comune la lode e lo vitupero: Conv. iii. 1.
Simile a simil correr suole: Canz. viii. 3; ni. 1. Simiglianza
fa nascer diletto: Canz. xvui. 3. - Alcun vizioso dunque non si
mostri amico, perchè in ciò si prende opinione non buona
di colui cui amico si fa : Conv. ni. 1 - E non meno dissimili
che simili di stato congiungonsi per fede d'amicizia. Dacché,
se vogliasi riguardare le amicizie dilettevoli ed utili, a chi
vi bada, si parrà che ben sovente per esse stringonsi le
190 FILOSOFIA MORALE.
preemìnenli alle inferiori persone. Ove poi rivolgasi lo
sguardo all'amicizia vera e per sé, forse non consterà che
ari illustri e sommi principi assai di frequente s'amicarono
uomini di fortuna oscuri e per onestà preclari? E come
no? se anche tra Dio e l'uomo non vien per dismisura
ad impedirsi l'amicizia? Ep. a Cangrande, ^ ^. - ^e non che
nelle persone dissimili di stato conviene, a conservazione
di quella, una proporzione essere in tra loro, che la dissi-
militudine a similitudine quasi riduca, siccome intra il
signore ed il servo: Conv. ni. 1. -Ciascun amico si duole del
difetto di colui ch'egli ama: Conv. 1. 1. Nessuno dee l'amico
suo biasimare palesemente, perocché a sé medesimo dà del
dito nell'occhio: Conv.mA. All'amico dee l'jiiomo lo suo
difetto contare segretamente: Conv. L'i. Quando l'amico
conosce che vergogna crescerebbe al suo amico quello
ammonendo, o menomerebbe suo onore, o conosce l' amico
suo non paziente, ma kacondo all'amonizione, ei s'adopera
come quello savio guerriero che combatte il castello da un
lato per levare la difesa dall'altro, che non vanno a una
parte la 'ntenzione dell' aiutorlo, e la battaglia: Conv. in. 10.
li naturale amore principalmente muove l'amatore a tre
cose: l'una si è a magnificare l'amato; l'altra è a esser
geloso di quello; la terza a difendere lui... Quanto 1' amico
ha di boutade in podere ed occulto, ei lo fa avere in atto
e palese... La gelosia dell'amico fa l'uomo sollecito a lunga
provvedenza: Con?;. 1. 10. - Provenzano Salvani liberamente
nel campo di Siena, Ogni vergogna deposta, s'affìsse: E lì
per trar V amico suo di pena. Che sostenea nella prigion di
Carlo, Si condusse a tremar per ogni vena: Purg. xi. 134 - Gli
amici sono quasi parti di un tutto, perocché 'l tutto loro
è uno volere e uno non volere: Conv. i. 6. Uno medesimo
studio dev'essere tra loro, perchè di questa concordia l'a-
mistà è confermata e accresciuta... L'amistà si accresce per
la consuetudine: Conv. 1. 13 -Un sol volere è d'ambedue:
Jnf. II. 138: Tanto m'é bel, quanto a te piace:... sai ch'io
non mi parto dal tuo volere: Inf. xix. 38: Esser non puote
il mio (voler) che a te si nieghi: Purg. i. 57. Se gli amici
hanno uno stesso volere, dunque gli stessi desideri!, dunque
la stessa fisionomia per cui vengono appalesati:
FILOSOFIA MORALE. 191
Pur mo venieno i tuoi pensier Ira' miei
Con simil atto e con simile faccia.
Sì che d' entrambi un sol consiglio fei. Inf. xxin. 28.
^'olisi la gravità e la nobiltà della sentenza racchiusa nei
versi seguenti all'intuito degna del sommo poeta:
Che tutti i carchi sostenere addosso
De' l'uomo infino al peso eh' è mortale.
Prima che '1 suo magi,More amico provi,
Che non sa, qual sei trovi ;
E s' egli avvìen che gli risponda male,
Cosa non è che costi tanto cara;
Che morte n'ha più testa e più amara. Canz. i. 3.
Consiglilo e Consig;iicrc. — Male tragge al segno
quello che noi vede; e così mal può ire a questa dolcezza chi
prima non l'avvisa... Onde nobilissimo e necessario è questo
segno vedere, per dirizzare a quello l'arco delle nostre
operazioni, e massimamente è da gradire quegli che a coloro
noi ve;?giono, l'addita: Cony. iv. 22. Nelle nostre dubbiezze
adunque ci è mestieri ricorrere agli altrui consigli, se da noi
medesimi aver non li possiamo : Purg. in. 62. Il buon con-
sigliere ci sarà in quelle di conforto [hif. iv. 18), e ad ogni
nostro uopo di soccorso: Purg. xvm. 13. Uno de' caratteri
di buon consigliere si è che abbia esperienza del mondo,
perchè egli allora ha le cose conte: Inf.xw. 62; e perchè
dalla prudenza vengono i buoni consigli, i quali conducxDno
sé ed altrui a buon line nelle umane nostre operazioni :
Conv. iv. 27. Qualunque ora lo guidatore è cieco, convien
ch'esso e quello cieco ch'a lui s'appoggia, vengano a mal
fine: Conv. i. lì. Tutte le qualità del buon consigliere sono
mirabilmente espresse dal nostro poeta in questo verso:
Che vede, e vuol dirittamente, ed ama. Par. xvni. 105.
La sua parola ornata fia la nostra scoria: Purg. xii. 45; essa
ci mostrerà ciò che ci è necessario al nostro campare {Inf.
II. 67), e con desiderio disporrà il nostro cuore al bene
{Inf. II. 1*35), onde noi acquisteremo prode nelle parole sue :
Purg. XV. 141. Il consigliere prudente non attenderà i
dimandati consigli, ma preveggendo per lui, senza richiesta,
ce ne sarà liberale, siccome la rosa che non pure a quello che
va a lei per lo suo odore, rende quello, ma eziandio a qua-
lunque appresso le va : Conv. iv. 27. Come ci abbiamo scelto
il consiglio saggio {Purg. xiu. 75), cui il cielo ci ha concesso
192 FILOSOFIA MORALE.
per nostra salute, dobbiamo considerarlo qual dolcissimo
padre {Pura. xxx. 50), acquetarsi in lui; esso intenderà me-
glio che noi ragioniamo: Inf. ii. 35. E sarà pur bella cosa
a noi, del suo ammonir usi [Purg. \u. 85), comunicargli i
nostri pensieri, ez'.andij quando ci paiono scevri d'ogni
dubbio, cosi meglio ci sarà confermalo il vero:
Maestro mio, risposi, per udirti
Son io più certo: ma già mi era avviso
Cile così fusse, e già voleva dirti. Inf. xxvi. 49.
I consigli che non hanno rispetto alla nostr'arle, e che
procedono solo da quel buono senno che Iddio ci diede
(eh' è prudenzìa) noi non li dobbiamo vendere a' figliuoli
di colui che ce li ha dati. Quelli che hanno rispetto all'arte,
la quale abbiam comperata, vender possiamo, ma non s'i
che non si convengano alcuna volta decimare e dare a Dio,
cioè a quelli miseri, a cui solo il grado divino (F esser cari
a Dio) è rimaso : Conv. iv. 27.
Prudenza. — A esser prudente si richiede buona
memoria dalle vedute cose per trarne documento, e buona
conoscenza delle presenti per non prender inganno a deter-
minarsi all'azione, e buona provveden:^a dalle future: Conv.
IV. 27. E il Paruta dal nostro filosofo tolse di peso la sua
definizione della prudenza: Prudenza è ricordarsi delle cose
passate, il conoscere le cose presenti e il provedere le future. -
« Prudenzia, cioè Senno, per molti è posta tra le morali
virtù, da Aristotile anche tra le intellettuali : avvegnacchè
essa sia conducitrice delle morali virtù, e mostri la via
per che elle si compongono, e senza quella èssere non
possono. « Conv. ìv. 11. - Alle forti imprese non dobbiamo
sbadatamente avventurarci, ma ci è duopo guardare la nostra
virtù s' e\h è possente, fidarci poi aW alto passo: Inf.u.XÌ.-
II prudente va sempre atteso innanzi: Pwrg. xii. 76; non
delibera mai subito: innanzi di mettersi ad alcuna opera
sì fa di tratto bene a considerarla: dopo alcun consiglio
eletto seco ; Inf. xxiv. 22, poi ne esamina la mente, e deli-
bera ; alla perfine, dispostosi all'uopo, non tarda a compierla.
La prudenza esige che si preveggano le difficoltà che po-
trebbero attraversare la nostra via, perchè non ci vengano
meno gli argomenti necessari a vincerle. Il prudente ade-
FILOSOFIA MORALE. 193
pera ed istìma Che sempre par che innansi sì prover/qia: Inf.
XXIV. 2'J. - Egli è buono armarsi di provedenza: Par. xwi.
109. La prudenza e la cautela non è mai soverchia :
Presso a color, che non vej^gon pur l'opra,
Ma per entro i pensier miran col senno. Inf. xvi 119.
L'imprudente ha varihezza e senno poco. Inf. xxix. 114.
Pusillanimità. — Il pusillanimo. . . sempre si tiene
meno che non è... il pusillanimo sempre fa maggiori gli
altri che non sono... Con quella misura che l'uomo misura
sé medesimo misura le sue cose, che sono quasi parte di
sé medesimo : Conv. 1. 11.
Fortezza nelle sventure — Nell'avversità non ci
venga mai manco la fortezza; ma dobbiamo essere presti,
come vuol, alla fortuna {Inf. xx 53), e sentirci ben tetragoni
ai colpi dì ventura ( Par. xvii. 24 j, i quali son più gravi
a chi più s'abbandona: Par. xvii. 107. - Aristotile disse
che quanto più l'uomo soggiace all'intelletto, tanto meno
soggiace alla fortuna: Conv. iv. 11. - Onde il poeta che nella
durezza dell' esigilo avea purificato la grande sua anima,
con queste sublimi e cristiane parole confortava il suo amico
Gino: « Ioti esorlo, fratello carissimo, ad esser paziente con-
tro 1 dardi di Nemesi. Leggi, ti prego, i rimedi delle sventure
che dall' eccellentissimo fra i lìlosofi, Seneca, a noi come
da un padre ai figli son porti; e dalla memoria tua non
cada un momento quella sentenza: se voi foste cosa del
mondo, il mondo ciò eh' è sua cosa amarebbe: Ep.iv.Ho.
Del Tempo t buon uso del Tempo. — Tutte le nostre
brighe, se bene vegnamo a cercare li loro principii, procedono
quasi dal non conoscere V uso del tempo... che in tutte nostre
operazioni si deve attendere ; Conv. iv. 2.
Così '1 Maestro; ed io: Alcun compenso,
Dissi lui, trova, che '1 tempo non passi
Perduto : ed ejji : Vedi «he a ciò penso. Inf xi. 13.
Prenderai
Alcun buon frutto di nostra dimora. Pur^.x vii. 89.
Non perder l'ora. Inf xin.80.
Pensa che questo di' mai non raggiorna ...
Io era hcn del suo ammonir uso,
Par di non perder tempo... Pwry. xii.84.
Ratto, ratto, che il tempo non si perda
Per poco amor ... l'urg. xvm. 103.
VOL. 11. u
191 FILOSOFIA MORALE.
Il tempo che e' è imposto
Più utilmente compartir si vuole. Purg. xxiii. 3.
Quanto uno è più avanti nella cognizione delle cose,
tanto più apprezza II tempo che trova sempre breve in
confronto di ciò che gli rimane ad imparare e a fare per il
suo perfezionamento :
Di perder tempo a chi più sa più spiace. Purg. in. 78.
Del parlare. — L' uomo Stolto moltiplica le parole, dice
la Sapienza. Il volgo misura la dottrina dal numero delle
parole e forte s'inganna. Il Savio misura le parole con
discrezione: {(7onv.iv. 2), e sceglie loco e tempo opportuni
al parlare: Inf. xxvi. 77. In tutte nostre operazioni si dee
attendere, e massimamente nel parlare, se vogliamo le nostre
parole sieno ricevute e fruttifere vengano : Conv. tv. 2. Le
troppe parole, e malamente gettate, potrebbero non essere
ben ricevute e tutte andare in erba vana; e le troppo scarse
potrebbero esser cagione di sterilità d'opere buone agli
ascoltanti: Conv. iv. 2. Il nostro parlare non debb' essere
indarno ovvero di soperchio {V. A'. § 14), lo che sarebbe
male, dovendo essere, quasi seme ci' operazione, {Conv. iy. 2)
e sempre ad alcun intendimento e utilità . E perchè le nostre
parole ottengano il migliore e più sicuro efletto, il savio
suole proferirle con voci soavi dilettose o piacenti a chi le
ode, e indi persuasive della verità di cui sono interpreti
fedeli: Co?tr. ii. 2. - I nobili spiriti che avean stanza nel
castello della Psobiltà, descritto al C. iv. dell' Inferno, par-
lavan rado con voci soavi; e la sua Beatrice dicea soave
e piana {Inf. ii. 36), e in suono amoroso {Par. xvii. 7), e in
sorrise paroletle brevi (Par. i. 95] ; ed ei pur ricorda con
affetto il parlare onesto e la parola ornata del suo Maestro:
inf. II. 67, 113; in/, x. 23. Il dolce dire adesca e ne con-
cilia la benevoglienza altrui: //i/". xiii. 53. - Taluna volta
pel mollo affetto la parola ci si fa più scolpita ed animata,
onde Dante;
Talor parliamo l'un alto, e l'altro basso,
Secondo l' affezion eh' a dir ci sprona^
Ora a maggiore, ed ora a raiuor passo. Purg. xx. 118.
La voce mia di granile affetto impressa. Par. vni. 44.
Ma ci sarà buono l'aver sempre alla mente il precetto del
poeta :
FILOSOFIA MORALE. 195
Parla, e sii breve ed arquto. Purg. xiii. 78.
.Non dimandar più die utile ci sia. V. N. § 12.
Il Savio poi conosce quando
Più è tacer, che ragionare, onesto. Par. xvi. 43.
né parla mai olire li lerniini della cortesìa: V. ìY. § 10.
Ised è pur buono lo sciorinare quanto fu per noi dagli
altri udito ; che non di rado fia laudabile il tacerci: Inf.
XV. 103; ed
Il tacere è bello,
Sì coni' era M parlar colà doV era. Inf. iv. 101;
consiglio che pure Grazinolo de' Bambagluoli ritraea dal
nostro poeta: - Si convien seguir e tempo e loco... E '1 mezzo
e 7 bel tacer tra "1 troppo e 'l poco.
Lode e disprezzo di sé stesso > Lode d'altrui. —
<i Parlare alcuno di sé medesimo pare non lecito... Non si
concede per li reltorici, alcuno di sé medesimo sanza ne-
cessaria cagione parlare... Lodare sé é da fuggire in quanto
lodare non si può, che quella loda non sia maggiormente
.vituperio; è loda nella punta delle parole, è vituperio chi
cerca loro nel ventre. Chi loda sé, mostra che non crede
essere buono tenuto; che non gì' incontra senza maliziata
coscienza... E ancora la propria loda e il proprio biasimo
è da fuggire, perchè non é uomo che sia di sé vero e giusto
e^siimatore : tanto la propria carità ne inganna: » Conv. i. 2. -
L'essere lodatore di sé medesimo é «/ postutto biasimevole
a chi'l fa: Y. iY. § 29. - Di qui è manifesto perchè Dante
neir esprimere il suo nome siasene scusato, come da ne-
cessità costretto a registrarlo: Purfi. xxx. G3. - « Dante,
ancorché altra cagione avesse del nominarsi che e' fece
una volta sola nella sua grande opera, tuttavia si vede
quanto accuratamente e' se ne scusa, e come e' rigetta
la colpa nella necessità, che di vero basta a scusare ogni
uomo: Quando io mi volsi al suon del nome mio Che dì
necessità qui si registra. » Annotazioni al Decamcrone.,]). i2. -
Che se non par lecito lodare, è pur biasimevole il dispre-
giare sé medesimo, perché all'amico dee l'uomo lo suo
difetto contare segretamente; e nullo è più amico che l'uomo
aisò; onde nella camera de' suoi pensieri sé medesimo ri-
prendere dee e piangere li suoi difetti e non palese : Conv. i. 2.
196 FILOSOFIA MORALE.
« L'uomo è degno di loda o dì vituperio solo in quelle
cose che sono in sua podestà di fare o di non fare; ma in
quelle, nelle quali non ha podestà, non merita né vituperio,
ne loda; perocché l'uno e l'altro è da rendere ad altrui,
avvegnacchè le cose siano parte dell'uomo medesimo:»
Conv. 111. 2. - « Villania fa chi loda o chi biasima dinanzi
al viso alcuno : » Conv. i. 2. - L' uomo non dee esser pre-
sontuoso a lodare altrui, non ponendo bene propio mente
s'egli è piacere della persona lodata; perchè molle volle
credendosi alcuno dare loda, dà biasimo, o per difetto
dello dicitore, o per difetto di quello che ode. Onde molta
discrezione in ciò avere si conviene : Conv. iii. 10.
Compagni cattivi. — Le cose congiunte comunicano
naturalmente in tra se le loro qualità, intanto avviene che
talvolta l'una torna del lutto nella natura dell'altra: Conv.
IV. 1. - In ciascuno è ciascuno vizio assembro, Perchè ami-
stà nel mondo si confonde : Canz. xviii. 7.
Da' lor costumi fa che tu ti forbì. Inf. xv, C9.
Se cavaliei- t' invita, o ti ritiene,
Innanzi che nel suo piacer ti metta.
Spia se far lo puoi della tua setta;
E se non puote, tosto l'abbandona,
Che '1 buon col buon sempre camera tiene.
Ma egli avvien, che spesso altri si getta
In compannia, che non ha che disdetta
Di mala fama, eh' altri di lui suona.
Con rei non star né ad inciegno né ad arte;
Che non fu mai saver tener lor parte. Canz. xm. Chiusa.
Del bnono e del cattivo esempio. — La via dei giu-
sti, dice Salomone, è quasi luce splendente che procede e
cresce infino al dì della beatitudine, andando loro dietro,
mirando le loro operazioni, eh' esser debbono a noi luc« nel
cammino di questa brevissima vita: Conv.uL 15.
Uomini furo, accesi di quel caldo
Che fa nascere i fiori e i frutti santi. Par. xxn. 47.
Quivi son li gigli,
Al cui odor si prese il buon cammino. Par. xxiu. 74.
E r amorosa fronde
Di radice di bene altro ben tira.
Poi suo simile è in grado. Canz. xvm. 7.
Stoltamente ei si crede parlando bene, e male operando,
gli altri nella vita e nei costumi ammaestrare : le mani di
FILOSOFIA MORALE. 197
Giacobbe persuaderanno più che le parole, benché queste
persuadessino il falso e quelle il vero: De Mon. i. lo. - L'e-
sempio è assai più efficace che la parola: 1' esempio spesso
basta ; quasi mai la parola:
Altra risposta, disse, non ti rendo,
Se non lo far: che la dimanda onesta
Si dee seguir con 1' opera tacendo. Inf. xxiv. 76.
Anche ì buoni per l'altrui esempio cattivo, di leggeri
si guastano:
Nepote ho io di là ch'ha nome Alagia:
Buona da sé, purché la nostra casa
^'on faccia lei per esemplo malvagia, ?urg. xix. 142.
E più funesto e ruinoso, se il malo esempio vien dato
dal grandi:
La mala condotta
È la cagion che il mondo ha fatto reo. Purfj. xvi. 103.
Perdono a' nemici. — « Perdonate, perdonate oggimai
carissimi, che con meco avete ingiuria sofferto; affinchè il
pastore vi conosca pecorelle del suo gregge:» Zp. v. § ì5.
Amate da cui male aveste. Purij. xm. 36.
Lo mal eh' avem sofferto
Perdoniamo a ciascuno, e tu perdona
Benigno, e non guardare al nostro merto. Purg. xv. 16.
Qualunque che adonta per iwihirìa, e si fa ghiotto della
vendetta, e ferma nella sua mente il danno di chi l' offese
vii male altrui impronti), P^r^. xvii. 121; non faccia scusa
W aprir lo cuore all' acque della pace. Che dall' eterno fonte
son diffuse. Purg.xv. 130.
Della ivobiif £k. — Perchè veggiono fare le parentele e gli
alti matrimoni, gli edificii mirabili, le possessioni larghe,
le signorie grandi, la più gente credono quelle essere ca-
gioni di nobiltà, anzi essa nobiltà credono quelle essere:
Coni;. IV. 8. - Egli è tanto durata La così falsa opinion tra
nui, Che Vuom chiama colui Uomo fjentil, che può dicere: i fui
ISipote 0 fìllio di cotal valente. Benché sia da niente: Ma
vilissimo sembra a chi 1 ver guata Chi avea scorto il cam-
mino, e poscia V erra, E tocca tal, eh' è morto e va per terra...
Che le divìzie, (siccome si crede) Non posson gentilezza
dar, né tórre. Perocché vili son di lor natura: Canz. xvi 2.
{Benichi,\].) Vedete, quanti sono coloro che sono ingannati I
Cioè coloro che per essere di famose e antiche generazioni.
198 FILOSOFIA MORALE.
e per essere discesi di padri eccellenti credono essere no-
bili, nobiltà non avendo in loro. Conv. iv. 29.
Rade volte risurge per li rumi
L' umana probitale... Punj. vii. 121 .
La nobiltà... rende esemplo del cielo... : De Mon. ii. 3. Do-
vunque è virtù, quivi è nobiltà... non virtù dovunque
nobiltà: Conv. iv. 19. - La nobiltà se di generazione in
generazione non si rinfranca con novelle virtù vien meno,
siccome un manto al quale se non s'aggiunge di quando
in quando un pezzo dove si logora, il tempo colle sue for-
bici lo riduce a nulla:
0 poca nostra nohiltà di sangue,
Se gloriar di te la gente fai
Quaggiìi, dove l'affetto nostro langue, . . .
Ben se' tu manto cbe tosto raccorce,
Sì che se non s'appon di die in die,
Lo tempo va d' intorno con le force. Par. xvi. 1.
Nessuno per poter dire: io sono di cotale schiatta; non
dee credere esser con essa ;... se i frutti delle virtù non sono
in lui [se non possedè del miglior retaggio: Purg. vii. 120)
che il divino seme non cade in ischiatta, cioè in istirpe,
ma cade nelle singulari persone; la stirpe non fa le sin-
gulari persone nobili, ma le singulari persone fanno no-
bile la stirpe: Conv. iv. 20. - L'uomo vile, disceso degli buoni
maggiori, è degno d'esser da tutti scacciato: e deesi lo
buono uomo chiudere gli occhi per non vedere quello vi-
tuperio vituperante della bontà che in sola la memoria è
rimasa : Conv. iv. 29.
Delle Ricchezase. — Le ricchezze pericolosamente nel
loro accrescimento sono imperfette, che sommettendo ciò
che promettono, apportano il contrario. Promettono le false
traditrici sempre, in certo numero adunate, rendere il rau-
natore pieno d'ogni appagamento; e con questa promissione,
conducono l'umana volontà in vizio d'avarizia... Promettono
le false traditrici, se ben si guarda, di tórre ogni sete e
ogni mancanza, e apportar saziamento e bastanza: e questo
fanno nel principio a ciascuno uomo, questa promissione
in certa quantità di loro accrescimento affermando; e poiché
quivi sono adunate, in loco di saziamento e di refrigerio,
danno e recano sete di casso febricanle intollerabile: e in
FILOSOFIA MORALE. 199
loco di bastanza, recano nuovo termine, cioè maggior quan-
tità a desiderio; e con questo paura e sollecitudine grande
sopra r acquisto. Sicché veramente non quetano, ma più
danno cura, la qual prima senza loro non s'avea... Conv.
IV. 12. A misura che si viene acquistando gli umani desideri!
si fanno più ampii. Id. - Pongasi mente alla vita di coloro
che dietro vanno a queste false meretrici, piene di tutti ì
difetti, come vivono sicuri, quando di quelle hanno rannate,
come s'appagano come si riposano. E che altro cotidiana-
mente pericola e uccide le città, le contrade, le singulari
persone, tanto quanto lo nuovo raunamento d'avere appo
alcuno? lo quale raunamento nuovi desideri! discuopre, al
fine delli quali senza ingiuria d'alcuno venire non si può:
Coìiv.w. 12. -La possessione delle ricchezze è dannosa per
due ragioni: l'una ch'è cagione di male; l'altra ch'è pri-
vazione di bene. Cagione è di male, che fa pure vegghiando
lo possessore timido e odioso. Quanta paura è quella di colui
che appo sé sente ricchezza, in camminando, in soggiornando,
non pur vegghiando, ma dormendo, non pur di perdere
l'avere, ma la persona per l'avere! Ben lo sanno li miseri
mercatanti che per lo mondo vanno, che le foglie, che 1
vento fa dimenare, li fan tremare, quando seco ricchezze
portano: e quando senza esse sono, pieni di sicurtà, can-
tando e ragionando fanno lo cammino più breve... E quanto
odio è quello che ciascuno al posseditore della ricchezza
porta, 0 per invidia, o per desiderio di prendere quella
possessione?... Anche è privazione di bene la loro posses-
sione, che possedendo quelle, larghezza non si fa, che è
virtù, la quale è perfetto bene, e la quale fa gli uomini
splendienti e amati... L'uomo di diritto appetito e di vera
conoscenza le ricchezze mai non ama; e non amandole non
si unisce ad esse; ma quelle sempre di lungi da sé essere
vuole, se non in quanto ad alcuno necessario servigio sono
ordinate : ed è cosa ragionevole, perocché il perfetto collo
imperfetto non si può congiungere... L'animo, ch'è diritto
d'appetito e verace di conoscenza, per loro perdita non si
disface: Conv. iv. 13.
La descrizione che fa il poeta della fortuna ( Inf. vil
73. 96), è importantissima pel concetto contrario a quello
200 FILOSOFIA MORALE.
tleir antichità. Se presso a' Gentili essa è una Dea cieca
che dispensa pazzamente i beni del mondo, in lui è un
angelo ministro della Provvidenza, che governa sapiente-
mente la successione di questi beni, e il loro giro, e trovasi
così l'analogia tra l'ordine fisico e il morale. Questa vicenda,
conseguenza di una legge providenziale di equilibrio, è oltre
la cUfension de' senni umani, giacché per quanto savio e
polente sia l' uomo non può impedire tali vicende, e ciò ha
dimostrato la convinzione dei secoli.
Delle Yirtù caritative. Pietà; ÌVIisericordia ; Be-
neficenza ; L<arghezza. Di una sorta di lar ji^hezza
detestabile. — Pietà ed umiltà, massimamente congiunte,
fanno della persona bene sperare, e massimamente la pietà,
la quale fa rlsplendere ogni altra bontà col lume suo. Pietà
non è passione, anzi una nobile disposizione di animo,
apparecchiata di ricevere amore, misericordia e altre cari-
tative passioni. Misericordia, cioè dolersi dell'altrui male,
è uno speziale effetto della pietà: Conv. u. 11 -Misericordia
è madre di beneficenza: Co7iy. 1. 1 - Dare e giovare a uno
è bene ; ma dare e giovare a molti è pronto bene, in quanto
prende simiglianza da' beneficj di Dio, eh' è universalissimo
benefattore: Conv. i. 8. La virtù dee esser lieta e non trista
in alcuna sua operazione, onde se il dono non è lieto nel
dare e nel ricevere, non è in es?o perfetta virtù né pronta :
id.-La dimanda onesta Si dee seguir con l'opera tacendo:
Inf. XXIV. 77.- Com' anima gentil che non fa scusa. Ma fa
sua twglia della voglia altrui, Tosto com'è per segno fuor
dischiusa : Purg. xxxiii. 130. - La nostra carità non serra
porte A giusta voglia: Par. ni. 43. La virtù dee avere atto
libero e non isforzato ; . . . onde la provata liberalità si è
dare non dimandato : perciocché dare 'l domandato è da una
parte non virtù, ma mercatanzia; perocché quello ricevitore
compera, tuttoché il datore non venda ; perché dice Seneca :
che nulla cosa più cara si compera, che quella dove e'prieghi
si spendono: Conv. i. 8.- Io vo' che ciascun m'oda: Qualcon
tardare, e guai con vana vista, Qual con sembianza trista
Volge il donare in vender tanto caro. Quanto sa sol chi tal
compera paga. Volete udir, se piaga? Tanto chi prende
smaga. Che '/ negar poscia non gli pare amaro: Così altrui
FILOSOFIA MORALE. 201
e sé concia lavaro. Canz. xvui. 7 - Chi al vedere il bisogno
altrui non apre subito le ali delle mani, ma attende che
gli si dimandi l'opportuno soccorso prima di prestarlo,
già ha negato: Che quale aspetta prego, e Vuopo vede, Ma-
lignamente già si mette al nego: Purg. xvii. 59. Quegli,
a cui di ben far giova (Par. ix. 24), conosce lo altrui biso-
gna, e ciò eh' ad essa è buono: Purg.xwiu.^^. La sua
benignità non pur soccorre A chi dimanda, ma molte fiale
Liberalmente al dimandar precorre: Par. xxxiii. 16. Il dono
poi deve andar condito con soavi ed accorte parole, perchè
Vovra è tanto piii gradita Dell' operante, quanto più ap-
presenta Della bontà del cuore ond' è uscita: Par. vn. 106. -
La faccia poi del dono dee essere simigliante a quella del
ricevitore; cioè a dire, che si convenga con lui, e che sìa
utile: Conv. i. 8. - In tra tutti i beneficii è maggiore quello
eh' è più prezioso a chi lo riceve ; e in quello è detta pronta
liberalità di colui, che cosi discerne donando : Conv. 1. 13. -
Nel datore dee essere la provvedenza in far sì che dalla sua
parte rimanga 1' utilità dell'onestate, eh' è sopra ogni utilità;
e far sì, che al ricevitore vada l'utilità dall'uso della cosa
donata, e così sarà V uno e l' altro lieto, e per conseguente
sarà più pronta liberalità... L'utilità suggella la memoria
dell'immagine del dono, il quale è nutrimento dell'amistà, e
tanto più forte lo suggella, quanto essa è migliore: Conv. i. 8.
Quando poi l'uomo riceve beneficio deve mostrarsi cono-
scente ver lo benefattore : Conv. ii. 7. - Avvegnacchè non
possiamo simile beneficio rendere... ci corre obbligo rendere
quello che migliore per noi si può con tanta sollecitudine
e prontezza, e cosi almeno mostrare la nostra buona vo-
lontà: Cony. in. 1. - Ma non è rado che l'opra grande «
bella riesca mal gradita: Par. xi. 128; e che di buon seme
.si mieta mal frutto, e torni molto diverso il guiderdon dal-
l' opre.
Larghezza è virtù, la quale è perfetto bene, e la quale
fa gli uomini splendidi e amati: Conv.w. 13. - Ma la lar-
ghezza vuole essere a luogo e tempo, tale che il largo
non neccia a sé, nò ad altri : la qual cosa non si può avere
sanza prudenza e sanza giustizia : Conv. iv. 27. - E il filosofo
tocca il sublime, quando con veemente eloquenza, sgorga-
202 FILOSOFIA MORALE.
tagli dal cuore, tuona contro certi ostentatori di larghezze,
stillanti dello spremuto sangue de' poveri.
(f Ahi malaslrui e malnati, che disertate vedove e pupilli,
che rapite alti meno possenti, che furate ed occupate l' al-
trui: e di quello corredate convili, donate cavalli e arme,
robe e danari; portate le mirabili vestimenla; edificale li
mirabili editicil; e credetevi larghezza fare: e che è questo
altro fare, che levare il drappo d'in su l'altare, e coprirne
il ladro e la sua mensa! Non altrimenti si dee ridere, ti-
ranni, delle vostre messioni, che del ladro che menasse
alla sua casa li convitali, e la tovaglia furata di su l'altare
con li segni ecclesiastici ancora ponesse in su la mensa,
e non credesse che altri se n'accorgesse: Conv. iv. 27.
DOTTRINE TEOLOGICHE.
La divina scienza... piena è tutta di pace, la quale
non sofferà lite alcuna d'opinioni, o di Kofìstici
argomenti, per la eccellentissima certezza dol
suo suggello lo quale è Iddio... Questa... per-
fettamente ne fa il vero vedere, nel quale si
cheta l'anima nostra. COKV. II. 15.
Thelogus Dantes nullius dogmatis expers. - GIOV.
DAI. VIRGILIO.
Ed ho imparato più teologia
In questi giorni clie ho riletto Dante
Che nelle scuole fatto non avia.
SALVINI a F. REDI.
Raffaello nella disputa del Sacramento colloca tra
teologi Dante : u' era degno per l'intima dottrina
penetrante per tutto il poema. - Tommaseo.
L'epopèe divine par excellence, c'est le poèmc du
Dante. Le divine Comédie est l'eipression poé-
tique du Christianisme orthodoxe, du Ch;i.stia-
iiisme plein de jeunesse et de foi. MAGNIN.
Della Ragione e della Rivelazione. — L' UOmO
debb' esser conlento a quelle dimostrazioni che si possono
ricavare dagli effetti, pei quali si viene in cognizione delle
cagioni loro, e non presumere d'intendere più in là di
quello che i falli gli mostrano, che circa le cose superiori
alle forze del senso ed a quelle della ragione ci ammaestra
la Fede:
DOTTRINE TEOLOGICHE. 203
A soffcrìr tormonli e caldi e pieli
Simili corpi la Virtù dispone,
Che come fa non vuol eh' a noi si sveli.
Malto è chi spera che nostra ragione
Possa trascorrer la infinita via,
Che tiene una sustanzia in tre persone. Pur^.m. 31.
Se coli' umana ragione si potesse tulio comprendere,
non si sarebbe veduto nel mondo desiar senza fruito tanti
sublimi intelletti, in cui si sarebbe quetato quel desiderio
che ora è dato loro eternamente per lutto.
state contenti, umana gente, al quia ,
Che se potuto aveste veder tutto.
Mestier non era portorir Maria ;
E disiar vedeste senza frutto
Tai, che sarebbe lor disio quetato.
Ch' eternalraente è dato lor per lutto. Purg. iii, 3".
Onde noi dobbiamo raffrenarci dal soverchio investigare
il perchè delle cose. Ed a simile intendimento n'avverte
che a certo fine bada la nostra potenza non pure dalla
parte dell'uomo desiderante, ma da parte dello scibile de-
siderato: e però Paolo dice: Non più sapere, che sapere sì
convenga, ma sapere a misura : Conv. iv. 13. - Tutto non è
possibile di conoscere, dacché la divina Provvidenza che
del tutto l'angelico e l'umano intendimento soverchia,
occultamente a noi molte volte procede : Conv. iv. 5. - E
nell'opuscolo intorno agli elementi dell'acqua e della terra:
« Desinant homines quaerere quae supra eos sunt, et quaerant
usque quo possunt, ut trahant ad se immortalia et divina
prò posse, ac malora se relinquant. Audiant amicum Job,
diccntem : Numquid vestigia Dei comprehendes et omnipo-
lentem usque ad perfectionem reperies? Audiant Psalmistam
dicentem: Mlrabilis facta est sclentia tua, et me confortata
est, et non poterò ad eam. Audiant Isaiam dicentem : Quam
distant coeli a terra, tantum distant viae meae a viis veslris.
Loquebatur equidem in persona Dei ad hominem. Audiant
vocem Apostoli ad Romanos : 0 altitudo divitiarum scientiae,
et sapìentiae Dei! quam incomprehensibilia judicia ejus, et
Invesligabiles viae ejus? Et denique audiant propriam Crea-
loris vocem dicentis: Quo ego vado, vos non potestis
venire. Et haec sufficiant ad inquisitionem intentae veritatis: »
§ 22. - E nel Cont\ Tratt. IV. e. 5: Oh istoltissime e vilisslme
204 DOTTRINE TEOLOGICHE.
besliuole che a guisa d'uomini pascete, che presumete contro
a nostra Fede parlare ; e volete sapere, filando e zappando,
ciò che Iddio con tanta prudenza ha ordinato! Maladetti
siate voi e la vostra presunzione, e chi a voi crede.
E debole la filosofia, a cui è guida solo l'umana ragione:
Purg. xxxiii. 83. La Rivelazione è il fanale che sta di mezzo
tra l'umano intelletto e Dio.
Quella . .
Lume ti fia tra '1 vero e l' intelletto. Purg. vi. 44.
Quanto ragion qui vede
Dir ti poss'io; da indi in là t'aspetta
Pure a Beatrice, eh' è opra di fede. Purg, xviii. 46.
« Lo Spìrito Santo pe' profeti e sacri scrittori, per l'eterno
figliuolo di Dio Gesù Cristo, e pe' suoi discepoli, le verità
sopranaturali, e le cose a noi necessarie ci rivelò.... »
De Non. iii. § 15.
Misterj. — Impenetrabilità dei Misterj del creatore del
cielo della terra e degli abissi ; perciò il poeta teologo disse
che Dio stesso per la grandezza dei medesimi fu costretto
rìserbarne gran parte per sé. Ei gli sarebbe stato impossibile,
se anche lo avesse voluto, farsi comprensibile alla mente
umana :
Colui che volse il sesto
Allo stremo del mondo, e dentro ad esso
Distinse tanto occulto e manifesto,
Non poteo suo valor si fare impresso
In tutto r universo, che il suo verbo
Non rimanesse in infinito eccesso. Par. xix. 40.
Noi non possiamo veder per entro all'altezza de' Misteri,
mentre che il nostro immortale col mortale è mischiato, ma
vedremolo per fede perfettamente ; e per ragione lo vedemo
con ombra cV oscurità, la quale incontra per mistura del
mortale coli' immortale: Conv. iv. - Le verità della fede si
vedranno in Dio non dimostrate da altri principii ; giacché
ivi è il Principio della verità, il vero onde ogni vero deriva
e si chiarisce:
Lì (nel cielo) si vedrà ciò che tenem per fede,
>'on dimostrato; ma fia per sé noto,
A guisa del ver primo che 1' uom crede. Par. ii.43.
I misterj accendere ne debbono di voglia di vedere Dio,
onde conoscere ciò che noi teniam per fede : Por. ii. 37.
DOTTRINE TEOLOGICHE. 205
Della Creazione. — DÌO nella sua eternità, fuor dei
limili del tempo, e fuor d' ogni limite comprensibile del-
l'uomo, senza che possa dirsi che innanzi della creazione,
intorno a lui fosse nulla, e senza che possano propriamente
usarsi le voci ìnnaìizi e dopo creò. La creazione quale stava
nel concetto di Dio fu compiuta in un solo atto, senza
processo di tempo, nò questo vieta che, secondo quel con-
cetto venissero poi le creature svolgendosi in nuove specie,
corona e perfezionamento delle prime, le quali tutte non
solamente non erano fuori del concetto di Dio, ma ne
costituivano il fine diretto. Par. xxix.
L'eterno Amore creò gli Angeli non per accrescere le
sue magnificenze;
Non per avere a sé di bene acquisto,
Ch'esser non può, ma perchè suo splendore
Potesse, risplendendo, dir: sussisto;
In sua eternità, di tempo fuore,
Fuor d'ogni altro comprender, come i piacque,
S'aperse in nuovi amor l'eterno Amore. l*ar. xxix. 13.
Degli Angeli e della loro caduta. — «L'esistenza di
spirituali creature e i loro ministeri furon presentiti dagli uo-
mini di tutti i tempi, tutto che imperfettamente li abbiano
dimostrati. I pagani le nomarono Dei; Platone le chiamò
Idee; nel linguaggio comune sono gli Angeli, e i filosofi si
piacquero chiamarle piuttosto col nome d'Intelligenze. La
fede ha squarciato il velo che ne separava da queste
creature eccellenti. Seminate nell'universo, con cui esse
nacquero, per mantenervi l'ordine e la vita, il loro numero
va di paro colle loro perfezioni: Par. xxix. *U e seg. -
Il loro intendimento, fermo nella costante visione della
verità, non conosce questa alternativa, a noi propria, di
oblio e di rlminisccnza: Par. xxix. 70. La grazia illu-
minante, cui meritò la loro fedeltà nel giorno della tentazione,
conferma per sempre la loro volontà, la quale non cessa
mai d'esser libera nell'abitudine della giustizia : Par. xxix.
58. In quelle dunque la potenza non si distingue punto
dall'atto; l'alto semplice constituisce il loro modo di essere,
esse sono intelligenze, sono amore : Par. xxi. 74. - Ciò non
pertanto, ineguali tra loro, esse si dividono in tre gerarchle,
ciascuna delle quali in tre ordini. A ciascuna gerarchici è
206 DOTiaiNE TEOLOGICHE.
attribuita la contemplazione speciale d'una delle tre persone
della Trinità; a ciascun ordine un'attribuzione differente,
ciascuna persona divina potendo essere considerata in sé
stessa 0 ne' suoi rapporti colle altre due: Par. xxix. 32.
A queste attribuzioni contemplative corrisponde un ministero
attivo. I nove cori degli angeli, sono i motori delle nove
sfere dei cieli; loro comunicano una celerità proporzionata
agli ardori di cui essi medesimi sono infocati, e intervengono
a tutti i fenomeni del mondo fisico : Par. ii. 27 ; vni. 34. etc. :
Ma soprattutto la loro azione si esercita nel mondo morale.
I nove ordini della scienza umana s'informano a queste
gerarchie, e sul loro modello si costruiscono: Conv. ii. 14,
lo. Per loro mezzo il seme della virtù s'infonde e si svolge
nell'anime. Se nelle gioie del paradiso si mescono coi beati,
nel purgatorio invece si mostrano giudici, guardie e con-
solatori dei giusti sofferenti. Le loro apparizioni terribili
nell'inferno, vi rischiarano le tenebre quando vogliono fiac-
care l'audacia dei demonj. Sulla terra riscontrano i medesimi
nemici, e li combattono con esito alterno, perchè la salute
e la perdita delle anime sono il prezzo delle loro contese :
Par. XXXI ; Pura. v. 1 04 ; viii. 9o; ix. 76 ; Inf. ix. 85. e passim. -
Ozanam, Dante e la Filosofìa cattolica. P. II. cap. lY. § 4.
Una parte degli angeli appena creata prevaricò, ^el
Convito, 11. 6, ei ritiene che una decima parte non fosse
fedele a Dio : principio del cadere
Fu il maledetto
Superbir ... Par. xxix. 49 e seg.
« Ei pare che, caduti dall'altezza del mondo spirituale dove
avevano il primo posto, questi angeli ribelli abbiano subito
vergognosamente una trasformazione materiale, e abbiano
del pari ricevuto forme corporee {Inf. passim, soprattutto Jnf.
xii. XVII. xxxi); nel mentre che loro si concede un impero quasi
supremo sulla natura. Ad essi sono soggette le tempeste,
i fulmini, e al loro cenno si raccolgono le acque [Purr/. v.
112), appagano talvolta la loro vendetta sulle reliquie dei
morti, se l'anime ad essi sfuggirono: Purij.\. 124. Al quale
intervento soprannaturale si legano i colpevoli imprendìmen-
ti della magìa; ma essi esercitano un'azione più generale
e più costante sugli umani destini: la tentazione è l'opera
-%
DOTTRINE TEOLOGICHE. 207
loro. Noi li vedemmo tciulere insidie lungo l'arduo cammino
della scienza. Li vedemmo aprire alle Ire sorla di concu-
piscenza le porte dell'inferno. Somiglianti a pescatori che
non si stancano, ascondono sotto ingannevole esca l'amo
che attira le volontà ondeggianti : Purr/. xiv. 145. Inseguono
la preda sino oltre la tomba, né temono di contenderla agli
angeli, e di rinovare cos'i le lotte de' primi giorni: Inf.xwu.
112; 7^wrr/.v.ll2. Nella punizione sta il loro secondo ufficio.
Essi regnano sulla gente perduta nel luoghi infernali, a
ciascuno de' quali presiede uno dì essi. Così sulla soglia
tra la turba dei disgraziati si scontrano quegli angeli indif-
ferenti che al tempo della ribellione celeste:
Non furono ribelli,
Ne fur fedeli a Dio, ma per sé foro. Inf. in. -28.
Così per una reminiscenza della poesia pagana che la teolo-
gia cattolica non disconfessava, Caronte, Minosse, Cerbero,
Pluto, Flegia, le Furie, i Centauri, le Arpie, Gerione, Caco,
i Giganti, mutali in demonj, sono fatti guardiani dello
bolgie successive. - Legioni innumerevoli stanno o ai luoghi
elevati della città dolente, o in diverse parli, e ricevono
dileltamenlo dallo spettacolo terribile che reciprocamente
si danno: /m/". viii. 82; xxi. Ma queste legioni dipendono
da un solo padrone, che è il primogenito, già il più bello
tra gli spiriti, e che ora è la pura volontà, che cerca soltanto
il male, la fonte d'ogni dolore, il vecchio nemico della
umanità. Trista e bugiarda parodìa della divinità, imperatore
del regno dei dolori, egli ha il suo trono di ghiaccio in un
punto che è il mezzo e il fondo dell'abisso, attorno al quale
stanno in diversi ordini le nove gerarchie de' reprobi ; sul
quale posa tulio il sistema dell'iniquità. Il peccato e il
dolore che per le anime sono ciò che è la gravezza pel
corpo, lui hanno precipitato dove è il centro istesso della
terra, a cui tendono tutti ì corpi. La generale gravitazione
lo avvolve, pesa sovr'esso, da tutte i)arli lo stringe; il suo
delitto fu di voler attirare a sé tulle le creature, la pena
è di essere oppresso sotto il peso della creazione. - Ozanam,
Dante e la Filosofia catloUca nel XII secolo, parte II, e.
Depravazione della creatura. — Le Religioni se-
208 DOTTRINE TEOLOGICHE.
gnano nei loro dogmi la depravazione della natura. Lucifero
è l'antesignano di questo movimento di degradazione:
S' ei fu sì bel com' egli è ora brutto,
E contra 'I suo Fattore alzò le ciglia,
Ben dee da lui procedere ogni lutto. Inf. xxxiv. 34.
Questa natura al suo Fattore unita ;
Qual fu creata, fu sincera e buona ;
Ma per sé stessa pur fu isbandita
Di Paradiso, perocché si torse
Da via di verità e da sua vita. Par. vn. 35.
L' idolatria, il primo errore dei primi popoli. Par. iv.
fil: vili. 1. e seg.
Della Redenzione. — Con prove teologiche, signifi-
cate con meravigliosa chiarezza dimostra la necessità delia
venuta del Verbo e della morte del Redentore, e comincia
a dire:
Vostra natura, quando peccò tota
Nel seme suo, da queste dignitadi,
Come di Paradiso fu remota. Par. vii. 85.
Che poteasi dunque fare allora? 0 Dio doveva rimettere
in grazia l'uomo, o l'uomo doveva dare a Dio una ripara-
zione ; ma l'uomo non potea tanto inchinarsi, quanto aveva
voluto innalzarsi con la sua superbia: dunque Iddio solo
poteva riparare, e lo fece più che se Iddio avesse tentato
di farlo per sé medesimo senza umanarsi:
0 che Dio solo per sua cortesia
Dimesso avesse, o ehe l' uom per sé isso
Avesse soddisfatto a sua follìa...
Non potea 1' uomo ne' termini suoi
Mai soddisfar, per non poter ir giuso
Con umiltate, obbediendo poi.
Quanto disubbidendo intese ir susoj
E questa è la ragion perchè l' uom fue
Da poter soddisfar per sé dischiuso.
Dunque a Dio convenia con le vìe sue
Riparar l' uomo a sua intera vita.
Dico con 1' una, o ver con ambedue ...
.... Più largo fu Dio a dar sé stesse
In far r uom sufficiente a rilevarsi.
Che s'egli avesse sol da sé dimesso.
E tutti gli altri modi erano scarsi
Alla giustizia, se il Figliuol dì Dio
Non fosse umiliato ad incarnarsi. Par. vii. 91.
DOTTRINE TEOLOGICHE. 209
Vcggasi quanta lucidezza, felici là, ingenuità di poesia teo-
logica in mister] cos'i ardui!
Il Paradiso si aperse solo dopo la Redenzione...
Ci vidi venire (nel Limbo) un Possente
Con segno di vittoria incoronato.
Trasseci l'ombra del primo parente...
Ed altri molti; e fedeli beati:
E vo' che sappi che, dinanzi ad essi,
Spiriti umani non eran salvati. Inf. iv. 53.
Prescienza di Dio. — La prescienza di Dio intorno
alle cose nostre e al nostro line non importa necessità, né
distrugge la libertà del nostro volere, perciocché é l'evento
che fa la scie\iza, non la scienza l'evento:
La contingenza, che fuor del quaderno
Della vostra materia non si stende.
Tutta è dipinta nel cospetto eterno.
Necessità però quindi non prende,
Se non come dal viso in che si specchia
Nave che per corrente giù discende. Par. xvii. 38.
Giustizia dei giudizi di Dio:
Però nella giustizia sempiterna
La vista che riceve il vostro mondo,
Com' occhio per lo mare, entro s'interna;
Che. benché dalla proda veggia il fondo,
In pelago noi vede; e nondimeno
Egli è ; ma cela lui l' esser profondo. Par. xix. 58.
Della Grazia. — La cagione movente Dio a infondere
la Grazia è impenetrabile all' umano intelletto :
Per larghezza di grazie divine,
Che sì alti vapori hanno a lor piova.
Che nostre viste là non van vicine. Purg. xxx. 112.
É indispensabile a noi la Grazia divina a ben appro-
tittare:
Dà oggi a noi la cotidiana manna,
Senza la qual per questo aspro diserto
A retro va chi più di gir s'affanna. Purg. xi. 13.
La sollecitudine di ben operare rinnovella in noi la
Grazia:
studio di ben far grazia rinverda. Purg. xvni. 105.
Il merito si accresce nel ricevere la Grazia in ragione
dell' affetto con che la si raccoglie :
E non Yoglio che (Jubbi, ma sie certo,
voL. n. 14
210 /)0TTR1^E TEOLOGICHE.
Clic ricever la grazia è meritorio,
Secondo che l'affetto 1' è aperto. Par. xiix. 64.
Quando
Lo raggio della grazia, onde s'accende
Verace amore, e che poi cresce amando,
Multiplicato in te tanto risplende.
Che ti conduce su per quella scala,
U' senza risalir nessun discende. Par. x. 82.
Per la scala del Paradiso, donde nessuno discende senzn
risalirla. Gustale una volta le delizie del cielo, non si può
scendere al fango della terra, o rimanervi disceso.
Nella vita mortale, acciò Dio ci si manifesti, conviene
studiarci a liberar l'anima daW ombra o tcnebj-a della carne
che impedisce il lume, onde la ragione possa discernere la
verità illuminatrice della via che conduce a vita beata:
Correte al monte a spogliarvi lo scoglio,
Ch'esser non lascia a voi Dio manifesto. Par. ii. 121.
Tirfii CardiiBaii. — Furono esse fra gli uomini di tutti
i tempi, foriere della rivelazione, lìreparanli la via dinanzi
a lei: Pur(). x\ix. 130; xxxi. 104.
Virtiii 'rcoio;;?ai3. — Scouosciute a quelli che non co-
noscono la rivelazione, solo con essa discesero dal cielo,
destinate a ritornarvi un giorno: Puvf/. ww. 131. - Pury.
XXXI. 109. - Egli è necessario che a queste virtù miri
ben fiso chi vuole conseguire la celeste beatitudine:
Ciò che vlen quassù del njortal mondo,
Convien eh' a' nostri raggi si maturi. Par. xxv. 35.
B>eiia Fede. — Fede, secondo la sublime definizione di
S. Paolo, letteralmente tradotta da Dante, è sustanzia dì
cose sperate, E arf}omento delle non parventi: Par. xxiv. 04. -
Chiesto egli lassù ne' cieli delle cose ch'ei credesse e delle
ragioni del suo credere risponde: l'autorità delle scritture e i
miracoli ; i quali se non fossero sarel)he il miracolo massimo
l'essersi senza miracoli propagata la fede sì ardua all'umana
debolezza da uomini poveri ed astinenti. Le cose che crede
sono: l'unità, eternità immutabilità di Dio, dimostrategli da
prove fisiche e metafisiche e dalle Scritture sante. La fede
gli viene da queste, e da' miracoli che le confermaiio; (1)
(1) « Principalissimo fondamento della fede nostra sono i miracoli
fatti per colui che fu crocifisso, il quale creò la nostra ragione, e volle
DOTTRINE TEOLOGICDE. 21.1
Le prove della religione detta naturale gli vengono anco
dalla scienza, ma la divina autorità la corrobora e la ri-
schiara. Poi soggiunge di credere alla Trinità e tal credenza
attingere dal Vangelo: C. xxiv. -La porta della fede è il bat-
tesimo: Inf. IV. 35. La Fede è il princìpio di salvazione:
Inf. II. 28; essa fa conte V anime a Dio: Par. xxv. 10.
Al regno de' cieli non sali mai chi non adorò debitamente
Dio: Inf. IV. 38.
Né salì mai chi non credette in Cristo,
Né pria nò poi cli'el si chiavasse al legno. Par. xix. 104.
« La fede verace {Par. xiv. 41) vince ogni errore [Inf. iv.
48), essendo che illuminata dalla somma luce del cielo ogni
nutorilfi convince, nò può mentire, né torcersi da via di
verità, eh' è Dio, onde la stessa fede ha vita: Conv.i\.V6:
Senza la fede hen far non hasta. Purg. xxu. CO.
« Nemo, quantumcumque moralibus et inlellectualibus virluti-
bus, ctsecundum habltum etsccundum operationem perfeclus,
absque lìde salvari potest: dato, quod nunquam aliquid de
Christo audiverit; nam hoc ratio humana per se justum
inlueri non potest, fide tamen adjuta, potest:» De Mon.u.
§ 8 - « Qui in filium Dei Christum, sive venturum, sive
praesentem, sive jam passum crcdidcrunt, et credendo
ì^peravenint, et sperunlcs cUar itale arsernnt, et ardentes ci
cohaeredes factos esse mundus non dubitat:» De Non. in.
3. - « La fede più che tutte le altre cose è utile a tutta
l'umana generazione, siccome quella per la quale campiamo
da eternai morte, e acquistiamo eternai vita: » Conv.m. 7. -
Ma egli non basta picchiarsi il petto pel conseguimento
della salute; la fede senza l'opere è morta:
Ma vedi, molti irridan Cristo, Cristo,
Che saranno in iiindicio assai men propc
A lui, che tal che non conobbe Cristo. Par. \\\. 106.
Della l^pcranza. —
Speme ... è uno attender certo
clic ros.=;e minore del suo potere, e fatti poi nel nome suo per li santi
suoi. Molti sono sì ostinati che dì quei miracoli per alcuna nebbia siano
dubbiosi, e non possano credere miracolo alcuno, senza visibilmente
avere di ciò sperienza». Conv. iii. 7. - <- Il miracolo é mediante la ope-
razione del primo principio, senza l' operazione dei secondi fattori, come
S. Tommaso nel terzo vonivo a' Gcnlili pruova. D^ Mon.u. § 4.
212 D0TTR1^E TEOLOGICHE.
Della gloria futura, il qual produce
Grazia divina e precedente merto. Par. xxv. 6".
Da molli chiarissimi sacri scrittori, ma soprattutto dai su-
blimi cantici di Davidde, l' alta Teodìa, e dell' epistola
di S. Jacopo vennero al poeta i fondamenti di quella speranza
die bene innamora, eh' è luce piovuta e insieme stillata
dall'alto. Le anime amiche di Dio hanno per oggetto della
loro speranza la beatitudine del corpo e dell'anima.
Della Carità. — Iddio infinito ed inejfahil bene deve
essere il nostro supremo amore : Filosoiìa e autorità rivelata
ce lo insegnano. Filosofia che ci apprende che quanto più
l'oggetto conoscesi buono, e più s'ama, che però Dio, bene
sommo, più merita amore. L'autorità de' filosofi pagani,
che scende anch'essa da tradizioni rivelate in origine, in-
segna che Dio è il supremo desiderio delle cose immortali,
e ci comprova insieme con l' eternità di Dio l' immortalità
degli spiriti. L'autorità rivelata specialmente per bocca di
Mosè e dell' Apostolo della carità, Giovanni, ci dice che Dio
è autore primo del bene e rinnovatore di quello. Ragioni
ed indirizzi all'amore ci devono essere la bellezza e bontà
dell' universo, i doni da Dio largiti [all' umana natura, la
redenzione, la gloria sperata da' fedeli e i beni che pre-
parano ad essa:
Lo raggio della grazia, onde s'accende
Verace amore, e che poi cresce amando. Par. x. 83.
Che il hene, in quanto ben, come s'intende,
Così accende amore, e tanto maggio,
Quanto più di bontate in sé comprende.
Dunque all' essenzia, ov' è tanto avvantaggio,
Che ciascun ben che fuor di lei si trova
Altro non è, che di suo lume un raggio. Par. xxvi. 28.
Lume non è, se non vien dal sereno
, Che non si turba mai, anzi è tenebra,
Od ombra della carne, o suo veneno. Par. xix. 64.
Perocché il ben, eh' è del Yolere obietto.
Tutto s' «accoglie in lei, e fuor di quella
È difettivo ciò che è lì perfetto. Par. xxxiii. 103.
L'eterna luce,
Che "Vista sola sempre amore accende;
E s' altra cosa vostro amor seduce,
Non è, se non di quella alcun vestigio
Mal conosciuto, che quivi traluce. Par. v. 8.
Il divino amore è tutto eterno, dove questo amore splende
DOTTRINE TEOLOGICHE. 213
lulti gli altri amori si fanno scuri e quasi spenti; impe-
rocché il suo oggetto eterno improporzionaimente gli altri
vince e soperchia : Conv. ni, 14.
Dalla fede vien la speranza del preveduto desiderare,
per la speranza nasce l'operazione della carità, per le quali
Ire virtù si sale a filosofare a quella Atene celestiale, dove
gli Stoici e Peripatetici ed Epicurei, per l'arte della' verità
eterna in un volere concordevolmente concorrono. Conv.m.Vò.
Il Peccato. — Il peccato toglie ed avvilisce la sovrana
dignità dell'anima:
Solo il peccato è quel che la dis franca,
E falla dissimile al sommo bene,
Perchè del lume suo poco s'imbianca. Pai\ vii. Id.
Trascinata la volontà negli ultimi abissi del vizio, pare che
ivi la colga la morte, innanzi cioè che la vita fisica abbia
compiuto l'ultima ora, manca la vita morale, e l'anima
è già chiusa nel carcere infernale, a cui venne dannata.
C)uindi il suo corpo è come in possesso di altra anima, di
altra vita, di altra volontà satanica. Né solo la morte è
una condanna anticipata; in luogo dell'uomo non è più
un'animale che rimane, è un demonio.
Tosto che l'anima traile,
Come fec'io, il corpo suo l'è tolto
Da un (limonio, che poscia il governa
Mentre che '1 tempo suo tutto sia volto, /n/". xxxiii. 129.
11 peccatore non si debbe mai abbandonare alla dispe-
razione: fino all'ultima ora della vita dura verde il ramo
della speranza, e il fiore del pentimento vi può sbucciare:
Si non si perde,
Che non possa tornar Teterno amore,
Mentre che la speranza ha fior del verde. Purg. ni. 133.
Confessione sacrsiuicntale. Doti di un buon Con-
fessore. — Il colpevole mal saprebbe essere giudice della
propria sincerità, arbitro della misura delle lagrime che dee
versare, esecutore delle pene ch'egli ha meritato. Quindi la
necessità d'un ministero esteriore, d'un tribunale dell'anime,
il cui giudice, riducendosi in sua mano le due chiavi della
scienza e dell'autorità, possa dischiudere e serrare, secondo
iJ merito, la porta della riconciliazione.
Vidi una porta, e tre gradi di Botto,
21 4 DOIiTRIKE TEOLOGICHE.
Per sire ad essa, di color diversi. Purg. ix. 70.
Divoto mi gettai a' santi piedi :
Misericordia chiesi, e cli'ei m'aprisse;
Ma pria nei petto tre fiate mi diedi. Id. 109.
Nella porta simboleggiava il poeta la sacramentale
confessione; negli scalini di diverso colore, le disposizioni
necessarie al peccatore per conseguire la grazia della giu-
stificazione; nello scalino bianco, la sincerità con che de-
vonsi scoprire al sacerdote le colpe, in quello tinto più che
perso e (runa pietra arsiccia e per lo lungo e per traverso
crepato, la contrizione del cuore, per cui viene a spezzarsi
la sua antica durezza, e il lutto e l'amaritudine dell'anima
nella ricordanza di Dio olìeso col peccato; nello scalino
che pare di un porfido fiammeggiante e sanguigno, l'amore
di Dio, che come fiamma deve accendersi nel penitente,
sendo che in ragione di quello si rimettano i peccati.
Scienza e discrezione necessarie nel Confessore per ben
dirigere il penitente, a medicar le piaghe, e perchè non
abbia indebitamente ad assolvere chi non è ben disposto.
Difficoltà di usare convenientemente la chiave d'argento:
esigesi in lui molta arte ed accortezza, molla dottrina,
gran cognizione del cuore umano, ed oltre a ciò un cuore
acceso di carità e pieno di Dio: Purg. ix. 122.
Umiltà e mestizia ond'è preso il cuore del Sacerdote
alla vista dei mali dell'anima, per cui si unisce col pec-
catore ad implorare con le lagrime la divina misericordia:
Purg. IX. 116.
Le macchie e le male inclinazioni che 1 peccati lasciano
neiranima del Cristiano, anche dopo la sacramentale assolu-
zione, debbono essere lavale ad una ad una per la temporale
penitenza e con le opere salisfaltorie dal sacro ministro
imposte: Purg. ix. 112.
Il dolore è necessario all'espiazione della colpa: Par.
IX. 91; VII. 82.
Il pentimento disarma la divina Giustizia: Purg.ww.^^.
La porla, in cui è adombrata la Confessione, apre il
varco d'un aringo umiliante e faticoso, ma dove la fatica
va scemando, e l'ignominia si cancella grado a grado che
il peccatore si avvicina al termine. Guai se alcuno riguardi
indietro 1 per lui verrebbe meno il frutto delle sostenute
D0TTU1^E TEOLOGICHE. 215
prove: Purg. i\. 132. - Quegli che vorrà camìnare sino al
termine delia via si appliclierà da prima alla meditazione
degli esempi che T istoria profana e le sanie Scritture gli
presenteranno sui vizj ondegli si è purgato e sulla virtù
a loro contraria. Cosi il vizio e la virtù, considerale in tipi
viventi, dov' ebbero la loro più completa espressione, non
saprebbero paragonarsi senza che nello slesso tempo non
determinassero una energica preferenza: Purgai, passim,
soprattutto xiii. 37. Da quel punto si appiglierà senza esi-
tare alla pratica degli atti opposti a quelli dei quali vuol
in sé distruggere le traccie. L'abitudine con egual forza
distruggerà le disposizioni perverse formate dall' abitudine,
e, divenuta una seconda natura ella stessa neutralizzerà le
malvage inclinazioni della natura: Purgai, passim. Questi
sforzi e le resistenze che s'incontrano, conducono all'eser-
cizio della spontanea sofl'erenza come mezzo di reprimere,
0, per |)arlare il linguaggio ascetico, di mortilìcare e an-
nullare gli sregolati appetiti. L'imagine di Dio che riempie
l'anima innocente, disparve per lo peccato, lasciando in
sua vece un volo cui solo il dolore puote a riparazione
riempiere: Pwrr/. xix. 91 ; /^ar. vii. 79. Tultavolla i molti
soccorsi che la scienza più profonda del cuor umano può
più prestare al più austero coraggio, sarebbero ancora
insufficienti; imperocché v'hanno dei secreti orrori che si
levano a intorbidar la memoria, e il demonio del terrore
si mette ancora a traverso al cammino della penitenza :
Pura. vili. 91. E d'altra parte l'opera della rigenerazione
morale è una seconda creazione, la quale non potrebbe
compirsi senza l' intervento della divinità. Perciò verrà
sollecitandone l'adempimento colla preghiera; la preghiera
che fa dolce. forza alla stessa onnipotenza, la (piale si è fatta
una soave legge di lasciarsi vincere dall'amore, per vincere
poi alla sua volta colla bontà: Parf/. vi. 28; ix. 82. xi. l;
Par. XX. 94. - infine, al termine del corso espiatorio, come
al suo principio, così per uscirne come per entrarvi, con-
verrà sottommettersi ancora ad un' autorità religiosa, ed
accettare quelle medesime condizioni senza le quali Dio
non tratta punto con noi: la confessione per l'obblio delle
colpe, le lacrime per la consolazione, e il pentimento per
216 DOTTRINE TEOLOGICHE.
la riabilitazione definitiva: Purg. xwi.ì. La riabilitazione
restituisce all'uomo la serenità della primitiva innocenza;
e lui ritorna quale egli era all'uscire delle mani del Crea-
tore, e ricostruisce nella letizia della coscienza una specie
d'Eden mortale, una beatitudine che la maggiore non si
può gustar sulla terra. Questa beatitudine terrestre è posta
nell'esercizio virtuoso dell'umana facoltà, e in un'attività
costante che a se rende testimonianza della legittimità delle
proprie azioni: Purri.xwìi. e se^ Ozanam, Dante e la
Filosofia Cattolica nel XIII secolo, Parte II, cap. III. § 1.
Conversione. — Principio al pentimento è la conoscenza
di sé medesimo e de' proprii falli, e l' odio della cosa dianzi
amata, onde il rimorso. Purg. xxxi. 83.
Assolver non si può, chi non si pente;
Né pentere e volere insieme puossi,
Per la contraddizion che noi consente. Inf. xxvii. 82.
Di tutt' altre cose, qual mi torse
Più nel suo amor, più mi si fé nemica. Purg. xxxi. 85.
Dà addietro nella via di Dio, e perde la grazia chi nel
tempo della penitenza si volge con qualche affetto alle
terrene cose già abbandonate: Purg. iv. 132.
La purgazione delle passioni, e la conversione è difficile,
ma non impossibile a chi voglia con fermezza, ed abbia
l'aiuto della Grazia: Purg.iv.^'è.
Conversione nello scorcio della vita : Purg. iv. 132; v. 53.
Non si può disperare della clemenza del cielo, finché
vi abbia alito di vita : Purg. in. 135.
Santificazione delle fe^tc. — Diem Solis, quem . . .
noster Salvator per gloriosam suam nalivitatem, ac per
admirabilem suam resurrectionem nobis ìnnuit venerandum:
Quaestio de aqua et terra, § 24.
Efficacia della prejs^hiera.
Orando, grazia convien che s'impetri. Par. xxxii. 147.
Decreto del Cielo orazion piega. Purs. vi. 30;
specialmente qualora s'elevi da un'anima in istato di grazia,
che i peccatori non possono meritare né per sé, né per altri :
Se orazione in prima non m'aita,
Che surfja su di cor che in grazia viva:
L'altra che vai, che in del non è udita? Furg. iv. 133.
Che lassù nel cielo è ascoltala la voce degl'innocenti:
DOTTRINE TEOLOGICHE. 217
Di a Giovanna mia, che per me chiami
Là dove agi' innocenti si risponde. Purg. vm. 71.
Dig;iuno.
Mèle e locuste furon le vivande,
Che nudriro il Batista nel diserto:
Pcrch'egli è glorioso, e tanto grande,
Quanto per 1' Evangelio v' è aperto. Purg. xxii. 151.
Tale, halbuzicndo ancor, digiuna,
Che poi divora, con la lingua sciolta,
Qualunque cibo per qualunque luna. Par. xxvii. 132,
Voto. — Dante argomenta l'alto valore del voto dal
valore della libertà che consacra sé stessa spontaneamente.
Ma appunto perchè spontanea, l'obbligazione è più sacra, in
quanto che nessun vincolo di legge positiva o naturale,
imponendo una più o meno indiretta necessità, limita quella
facoltà del volere per cui l'uomo è simile a Dio e tende
ad esso. Se non che condizione essenziale al valore del voto
è la spontaneità piena, la qual richiede la piena intelli-
genza di quel che si fa ; e tutte quelle circostanze che de-
traggono alla pienezza del volere o dell' intendere scemano
l'obbligazione. Ed essendo il voto atto altamente ragione-
vole, la promessa di cose non conformi a ragione, cioè
cattiva in sé, non è cosa santa. - La Chiesa dispensa dal
voto, 0 perchè non in tutto conforme a ragione, o perchè
nuove condizioni lo rendono tale che, se il promettente
dovesse rifarlo, se ne asterrebbe per meglio compiere 1
proprii doveri, o perchè l'intelligenza e la spontaneità non
fu piena. Ma Dante distingue la materia del voto, cioè gli
atti promessi di fare o non fare, e il patto stretto con Dio;
e aflerma che gli atti possono permutarsi, ma il patto
rimane, e che quella permutazione stessa dee farsi non dal
difficile al facile, ma dal mono al più, sì che il baratto non
paia un volere far gai)bo a Dio e agli uomini e alla pro-
pria coscienza. Alla Chiesa stessa nega egli la licenza di
permutare il meno col più, se non quanto il merito dei
sacrilizj interiori compensa l'alleggerimento degli atti este-
riori; di che i preti non possono essere giudici, ma ciaschedun
uomo negli intimi suoi pensieri. Tommaseo.- Par. in. 29-49;
V. 22. ao.
Culto delle sacre imag;iiii. — Lo spirito della Chiesa,
218 I)OTTUl^E TEOLOGICHE.
noi cullo delle sacre imagiiii, egregiamente compreso da
Dante :
Co?i piirlar conviene! al vostro ingegno.
Perocché solo da sensato apprende
Ciò die fa poscia d' intelletto degno.
Per questo la Scrittura condescende
A vostra facultate, e piedi e mano
Attribuisce a Dio, ed altro intende ;
K Santa Chiesa con aspetto umano
Gabrielle e Michel Ai rappresenta . . . Par. iv 40.
La Chiesa Cattolica. — La Chiesa Cattolica è madre
pìissima e sposa (/i;9. ix. §7.) e segretaria di Cristo: Conv. ii.
G - La santa Chiesa non può dir menzogna : Conv. ii. 4 - La
cristiana sentenza è di maggior vigore ed è rompitrice d'ogni
calunnia, mercè della somma luce del cielo che quella
illumina: Conv. iv. 15 - La dottrina veracissima di Cristo
è via, verità e luce; via, perchè per essa senza impedi-
mento andiamo alla felicità di quella immortalità; verità,
perchè non sofferà alcuno errore; lume, perchè illumina
noi nelle tenebre dell'ignoranza mondana: Conv. ii. 9. Fuori
della Chiesa cattolica apostolica romana non vi ha salute :
Purg. II. 100.
Gli eresiarchi, e i loro seguaci d'ogni setta, sono dan-
nali alle pene d'Inferno: Inf. ix. 127; Inf. x.
s.s. ScrittHre. — Ed il poeta aveva in tanta venera-
zione la Bibbia che parevagli gran fallo il contraddire ad
essa, ancorché ciò gli avvenisse in sogno. « Oh summum
facinus, etiamsi contingat in somniis, aeterni splritus In-
lenlione abuti! Non enim peccatur in Moysen, non in
David, non in Job, non in Malha^um, nec in Paulum, sed
in Spiritum Sanclum qui loquitur in illis. Nam quamquam
Scriplores divini eloquìi multi sint, unicus tamen dictalor
est Deus qui beneplacitum suum nobis per multorum cala-
mos explicare dignatus est « : De Man. i. 4 - E duramente pur
riprende coloro che interpretano il senso delle Ss. Scritture
in modo diverso da quello che dalla Chiesa fu stabilito:
§ ancor questo quassù si comporta
Con men disdegno, che quando è posposta
La divina scritlura, o quando è torta.
Non vi si pensa quanto sangue costa
Seminarla nel mondo, e quanto piace
Chi umilmente con essa s'accosta, far. xxix. 88.
DOTTRmE TEOLOGICHE. 219
Oltre il vecchio e nuovo Testamento, il quale è mandato in
efenio, abbiamo l'autorità de' venerandi Concili ne' quali
Cristo esser stato presente nessun fedele dubita, concios-
siachè noi abbiamo. Cristo aver detto a' discepoli, avendo
a salire in cielo: Ecco, io sono con voi or/ni dì, infmo alla
consumazione del secolo, come Matteo testimonia. Sono
ancora le scritture de' dottori, di Agostino e degli altri,
i quali aver avuto l'aiuto dello Spirito Santo chi dubiterà.
Dopo la Chiesa sono le Costituzioni, le quali chiamano
Decretali che pur souo da venerare per l'Apostolica auto-
rità : De Non. ni. 3. - La cristiana sentenza è di maggior
vigore... mercè della somma luce del cielo che quella allu-
mina: Cony. IV. 15. Onde amaramente si duole che i Dottor
Marini sieno derelilli, (Par. ix. 133) che facevano vedere l'una
e l'altra strada, del mondo e dì Dio: Purg. xvi. 108.- «Ah!
madre piissima, Sposa di Cristo, quai figli generi spiritual-
mente nell'acqua a tuo rossore medesimo!... Giace Gregorio
tuo fra le tele de' ragni: giace Ambrogio negli abbandonati
ripostigli de'Cherici; giace Agostino; non si curano Dionisio,
Damasceno e Beda; e non so quale Specchio, Innocenzio
e l'Ostiense si predicano. E perchè ciò? Quelli intendevano
a Dio, siccome al vero line ed all'ottimo; questi a conse-
guire censi e benelìzii: Ep. ix. 7.
neiraiiiiDia discioita da! corpo. — Quando l'anima
si disgiunge dal corpo dlsciolto, seco adduce tulle le fa-
coltà divine ed umane che le appartennero; le primarie,
cioè la memoria, T intelligenza e la volontà fatte più at-
tive; le seconde, cioè quelle che tutte si raccolsero sotto
il nome di sensibilità, iuerti all'intutto. Il suo merito o de-
merito, quasi forza che la trascina, determina il suo luogo
di pena, di espiazione, o di ricom[)ensa. Giunta appena al
luogo assegnato, esercita intorno di sé la potenza informa-
trice ond' è dotata. E come l'atmosfera umida si colora
de' raggi che vi si rilletlono, cos\ l'aria prende la nuova
forma che le viene impressa, e ne risulta un corpo sottile
in cui ciascun scuso ha l'organo suo proprio, ciascun pen-
siero la sua esterna espressione, in cui l' anima ripiglia
gli uflicj della sua vita animale, e appalesa la sua presenza
colla parola, col sorriso o colle lagrime:
220 DOTTRINE TEOLOGICHE.
E quando Lachesis non ha più lino,
Solvesi dalla carne, ed in virtute
Seco ne porta e 1' umano e il divino.
L'altre potenzie tutte quante mute;
Memoria, intellìgenzia, e volontade.
In atto, molto più che prima, acute . . .
Tosto che luogo lì la circonscrive,
La virtù formativa ratrgia intorno,
Cosi e quanto nelle membra vive . , ,
Così l'aer vicin quivi si mette
In quella forma, che in lui suggella
Virtualmente 1' alma che ristette . . .
Perocché quindi ha poscia sua paruta,
È chiamai' ombra; e quindi organa poi
Ciascun sentire insino alla veduta. Purg. xxv. 80.
Purgatorio. — Nel pensare alla gravezza delle pene
dell'anime purganti che pur si convertirono, non dobbiamo
smarrirci, né rimuoverci spaventali dal buon proponimento
di tornare a Dio. Anzicchè alla natura delle pene dobbiamo
meglio por mente a quello che ad esse succederà, cioè alla
!)eatitudine del Paradiso. Al peggio che possa accadere,
queste pene non potranno durare al di là del giudizio
universale:
Non vo' però, lettor, che tu ti smaghi
Di buon proponimento, per udire
Come Dio vuol che il debito si paghi.
Non attender la forma del martire;
Pensa la succession ; pensa che, a peggio,
Oltre la gran sentenzia non può ire. Purg. x. 106.
Tsel Purgatorio la pena è sofferta con letizia : Purg. xii.
112; XXIII. 71.86.
Le preghiere dell'anime purganti non hanno virtù di
mondarle dai peccali, perchè tuttavia disgiunte da Dio :
Non s'ammendava, per pregar, difetto,
Perchè il prego da Dio era disgiunto. Pur^. vi. 41.
Posta da un lato la purità della giustizia dell'Ente che
è il fine ultimo dell'umanità, posta dall'altro l'imperfezione
dell'uomo e la possente volontà di quell'Ente; ne segue
che, per pura che un'anima sia, non può esser fatta di
subito degna del pieno godimento di lui, e che una prova
di aspettazione più o men dolorosa concilia i due grandi
attributi della giustizia e della bontà, e salva l'uomo dalle
ruine della speranza superba e della superba disperazione,
DOTTRINE TEOLOGlCnE. 221
e gli rende meno affannosa la morte, e diffonde il pensiero
de' cari suoi, quasi luce avvivalrice, tra le tenebre del
sepolcro, e così conforta i viventi e li rende migliori ; ed
esercitando l'affetto sì nel passato e sì nel tempo avvenire,
10 amplia e lo innalza; e fa del mondo visibile e dello
invisibile una vita, e de' viventi e de' morti una sola ope-
rosa e cospirante famiglia - T. - V. Purg. xxvii.
Orazione de' vivi utile alla anime purganti. Purg, iii.
140, 144; IV. 132; vi. 26; vm. 71; xi. 22. 31. 127;'xiii.
125, 147; xxiii. 79, 87; xxvi. 130; Par. xv. 95.
Inferno. — La tradizione popolare, forse dai fenomeni
vulcanici, ha posto l' inferno nelle viscere del globo terrestre.
L'antica scienza rappresentava questo luogo come il più
basso dell'universo, e il più lontano dall'empireo. Egli
era naturale che vi si relegassero le anime allontanate per
sempre dal soggiorno di Dio per la ragione del peccalo.
Tuttavolta l'Inferno conserva i segni dell'Immensità divina.
11 potere, la sapienza e l'amore lo preparano sin dal prin-
cipio; diciamo l'amore, perciocché è giusto che eterni dolori
sieno la parte di quelli che posero in non cale l'eterno
amore! - Oz. -
Giustizia mosse il mio alto fattore:
Fecemi la divina potestate,
La somma sapienza e il primo amore, Inf. ni. 4.
Le pene d'inferno cresceranno quando le tombe dischiu-
se avranno ridonato i morti ad una vita senza fine ; per-
ciocché quanto più completo è un essere, più compiutamente
si esercitano le sue funzioni ; e quanto più stretta è l'unione
dell'anima e del corpo più viva si fa la sensibilità che
ne deriva:
Ritorna a tua scienza,
Che vuol, quanto la cosa è più perfetta.
Più senta '1 bene, e cosi la doglienza. Inf. vi. 106,
A pena dell'intelletto rimane la memoria del passato;
ma la memoria della colpa senza il pentimento è un tor-
mento di più: Inf. x. 46; xv. 55. Stranieri al presente,
quantunque si scopra a' loro sguardi l'avvenire; somiglianti
a' quei vecchi la cui vista indebolita discerné le cose lon-
tane, le quali più si avvicinano, tanto più loro diventano
oscure. Ma questa profetica chiarità, solo riflesso che arriva
222 DOTTRINE TEOLOGICHE.
iiisliio ad essi della luce eterna, si ecclisserà quando, consumali
ì tempi, si chiuderanno le porte dell'avvenire. Allora ogni
conoscenza in essi sarà spenta: Inf.vi.^i; xxviii. 76; x.
97: Quelle slesse idee che qui durano ancora sono confuse,
tenebrose, nò punto al livello della scienza, e meno a quello
della Ulosolìa, la quale è formata dalT amore, e l'amore vi
è estinto. Pertanto gli spirili dell'inferno sono privi della
contemplazione di s\ bella cosa, eh' è beatitudine dell' inlel-
lelto, la cui privazione è amarissima e piena di ogni tri-
stezza. - La mancanza dell'amore è l'ultimo supplizio delle
volontà colpevoli. Quindi quell'odio reciproco per cui a
vicenda si maledicono, quell'odio contro sé stesse che le
incita e le precipita contro i tormenti ( Inf. ni. 58 ), quell'o-
dio contro Dio disfidato nel mezzo delle loro pene: Inf. xiv.
52; XXV. l. Quindi le bestemmie contro il Creatore, contro
il genere umano, il luogo, il tempo, i parenti; quel desi-
derio del nulla, che non mal sarà soddisfatto : 7«/.iii. 100.
Agitati ancora dalle passioni ch'ebbero al mondo, avidi
ancora di lodi, di voluttà e di vendette, non cessano di
meritare e soffrire castighi interminati, dolori infiniti [Inf.
V. 7(); XXXI. /G) nella durala e nella intensità, perchè tutti
ingenerati dalla perdita del bene supremo, ossia di Dio. -
Ozaìiam, P. II. C. II. § 3.
Lassù in cielo per letiziare si acquista, si aumenta splen-
dore, ma giù nell'inferno le ombre dei dannati si fanno
più oscure a misura che sono tristi e dolenti: Par. ix. 70.
Neir inferno i lamenti sono feroci, nel purgatorio ral-
legrati dalla speranza e dal piacere di Dio: Pur /. xii. 11^;
xxin.71.86.
Più larga è la via che mette all' inferno che al purga-
torio: Purf}. X. 2.
EilKcrEiltà delle pene d* Inferno.
io eterno duro:
Lasciate ogni speranza, voi ch'entrate. Inf. iii. 8.
E pietà il non averne alcuna pei dannati: sarebbe scel-
lerato colui che sentisse compassione in mirare ne' rei gli
eiVelli della giustizia di Dìo:
Qui vive la pietà quando è ben morta.
CJii è più soelerato di colui
Ch'ai giudicio diviii passion porta? Inf. \^. i8.
dottrim; teologiche. 223
l»aradiso. — Al (li \i\ delle sfere celesti, dove si segui-
tano le rivoluzioni degli astri, oltre il nono cielo che in-
vilui)[)a gli altri nel suo vortice immenso, si trova il cielo
<>ni[)ireo, pura luce, luce intellettuale piena d'amore, amore
ikì vero bene, fonte d'ogni gioia, gioia che avanza ogni
dolcezza : Par. \\\. 37.
Nel primo del Paradiso è posta la dottrina dell' ordine, e
strumento dell'ordine è posto l'amore; nel secondo, l'idea
<leir ordine viene applicala ai moti de' cieli, e all'intel-
ligenze che li muovono amando, e alla gioia che da essi
traluce, come da viva pupilla; nel terzo mostrasi l'amore,
come vincolo alla società dei beati e forma di loro bea-
titudine. Dante domanda a Piccarda: Desiderate voi più alto
luogo di questo a maggiore felicità? Ed ella risponde: La
carità è che contenta il nostro volere, il quale ha pace
dal conformarsi al volere di Dio; la carità è che ci fa go-
dere del bene de' consorti nostri, qualunque esso sia,
dacché Iddio vuole che sia. E questo è il principio del Cri-
stianesimo, da cui solo può avere anche la vita sociale
quel tanto di felicità che le è dato sulla terra, perchè sola
l'obbedienza ad un volere invitto e provvido ed amoroso
può rendere rassegnati, ed insieme santamente sdegnosi d'ogni
altro volere coìitrario a quello; solo l'amore de' fratelli
può nelle ineguaglianze inevitabili poste dalla natura, o
cagionate dalla volontaria debolezza nostra, costituire alcun
principio d* uguaglianza. Tommaseo.
Dio unico in sostanza; la potenza, la sapienza e l'amore
pigliano in luì una triplice personalità, per modo che nel
linguaggio degli uomini consente esser chiamato col plu-
rale e col singolare: Inf. in. 4. - Par. xiv. 21. - xxiv. 139.
Egli è spirito, egli è il centro indivisibile ove s' appuntano
tutti i luoghi e tutti i tempi : Par. xxix. 12. Egli è il cir-
colo che circoscrive il mondo e che per nulla è circon-
scritto: Purff.w.ì.-Par.xiv.^O. Immenso, eterno, im-
mutabile egli è il primo Vero fuori del quale tutto è te-
nebre : Par. iv. 96. - xix. 6i. xxxiii. 04. Nel suo pensiero
tutte le creature si trovano previste e coordinate al loro
fine. I fatti stessi contingenti vi si rillcttono anticipata-
mente senza divenir però necessarj ; così la vista dello
224 DOTTRINE TEOLOGICHE.
spettatore seduto sopra la sponda segue il corso del na-
viglio sulle onde, e non lo dirige: Par. xvii. 37. Egli è
la bontà senza contini ; e come bene supremo [Par. xxvi. 16),
egli è l'invariabile oggetto della sua propria volontà, la
quale diventa la sorgente e la misura di tutta la giustizia.
Pure questa giustizia ha tali profondità a. cui non saprebbe
pervenire la corta nostra ragione, come il fondo del mare
cui l'occhio impotente del nocchiero mal può scandagliare:
y«/. XX. 20. ~ Par. IV. 07; xix. 86. Da ultimo lutti i suoi
attributi, levati al medesimo grado di perfezione suprema,
danno un equilibrio indistruttibile, per guisa che, adope-
randosi il linguaggio dei numeri, ne sarebbe conceduto
definire Iddio la prima I^fjualità : Par, xv. 74.
Quanto maggiore è il numero dei beali in Cielo tanto
maggiore è lo splendore ed il gaudio del celeste soggiorno ;
Par. XV. 53.
I Beali, secondo i proprii meriti, partecipano più o meno
dell'eterna gloria, che Dio spira negli eletti: Par. iv. 34.
L'anime in Paradiso son tulle liete del posto loro assegnalo.
Sentono esse medesime la giustizia di una varia proporzione
di gloria; e la coscienza che ne hanno si fa un elementi
constilulivo della loro felicità; perciocché l'amore che le
rende beale, concentra la volontà loro nella volontà divina,
dove si perdono, come le acque che mettono nell'Oceano.
Per tal guisa, in differenti condizioni, trova ciascuna il
termine dei suoi desiderj, cioè la somma della felicità,
ond'essa è capace; e dalla medesima varietà del ben operare
ridonda un concerto meraviglioso a lode del supremo lli-
muneratore: Par. iii. 70. e seg.
La chiarezza della luce in cielo è dunque crescente
secondo l'ardor dell'amore, l'amore secondo gli splendori
della visione, la visione secondo la grazia operante sul
pensiero insieme e l'affetto: Par.xw; xxi. Cosi l'amore
sta tra la bellezza visibile e la intelligibile, e la forza
dell' intelligenza sta tra la grazia meritoria del libero amore
umano con la gratuita dell'amore divino, che è lo Spirito
uno con la potenza e la sapienza. - Rivestito il corpo ter-
reno, la persona umana otterrà la sua perfetta interezza,
accrescendosi quel lume gratuito che illustra la mente, e
DOTTRINE TEOLOGICHE. 225
quindi F ardore del cuore, e quindi l'esterna chiarezza, la
cui luce non potrà affaticare i beati, perchè gli organi stessi
del corpo saranno forti a ogni più intenso diletto. E intende,
tra r altre cose, che le facoltà delio spirito in armonia
esercitate, spandono fin negli organi corporei armonia con-
temperata di venustà e di vigore, condizioni indivisiljili
d'integra bellezza. - Tommaseo, Bellezza e Civiltà, Firenze,
Le Monnier, 1837, pag. 43.
La beatitudine. degli eletti è tutta riposta nella visione
di Dio (Par. xxviii); a questo immenso specchio, in una
sola e fìssa veduta, scoprono essi ciò che fu, è, o sarà, e
prima ancora della parola la quale li esprima, e del fatto
che li verifichi, scoprono anche il concetto e il desiderio.
La loro vista tanto più vi si sprofonda, quanto ne sono
maggiori i meriti ( Visione di Dio, Par,vm. 91 ; ix. 61-73 ; xi. 19 ;
XV. GÌ; XXI. 88; xxix. 1 - Conoscenza il eir avvenire, passim,
soprattutto nelxvii.l3). L'atto per cui veggono è adunque
la base e come la materia della loro felicità; Tatto per
cui essi amano n'è la forma; i decreti eterni nel punto
che si lasciano dai beati comprendere, li sforzano ad accet-
tarli e ad eseguirli : Par. ni. 79. E per quella guisa che
l'intuizione appartiene all'intendimento, e la dilettazione
alla volontà ; cosi conoscenza e amore è beatitudine, ossia
l'uomo innalzato alla più alta potenza. Considerata poi
sott' altro rapporto, la beatitudine è Dio slesso che si dà
altrui a godere, e l'uomo e Dio, il soggetto e l'obietto,
si toccano senza confondersi, e il finito sussiste distinto in
cospetto dell' infinito. - Ozanam -
Il Paradiso, creato da Dio, perchè fosse stanza propria
delle genti umane, e quindi più conveniente alla natura
loro.- Laonde l'umana generazione sarebbe qui, quasi pianta
fuori del suo cielo, e pero [>iù fiacca: Par. i. 57.
ì^ecessità di meditare i novissimi per l' acquisto
della virtù.
Oh! dissi lui, per entro i luoghi tristi
Venni stamane, e sono in prima vita. Purg. viii. 58.
Risurrezione de' corpi. — L' Ombra deve un giomo
sfumare innanzi alla realtà; questi corpi caduchi devoìio
cedere a quelli che rianimati usciranno della tomba, perchè
YOL. II. 15
2^26 DOTTRINE TEOLOGICHE.
la corrutlibililà, se è la legge comune delle creature, è legge
di quelle creature soltanto che sono l'opera d'altri esseri
creati ; cosi hanno fine le cose prodotte dal concorso della
materia prima, e della influenza degli astri ; ma sono eterne
quelle che vengono immediatamente dalle mani del Crea-
tore. L'Eterno non dà una vita caduca; l'umanità è opera
sua, r intera umanità, e anima e corpo, si formò dalle sue
mani, animata dal suo soffio, il sesto giorno del mondo ;
nell'ultimo intiera, e corpo ed anima, risorgerà.- Oz. -
Ciò che da lei senza mezzo distilla
Non ha poi fine ... Par. vii. 67.
E quinci puoi argomentare ancora
Vostra resurrezion, se tu ripensi
Come r umana carne fessi allora,
Che li primi parenti intrambo fensi. Par. vii. 145.
Più non si desta
Di qua dal suon dell' angelica tromba.
Quando verrà la nimica podestà,
Ciascun ritroverà la trista tomba,
Ripiglierà sua carne e sua figura.
Udirà quel che in eterno rimbomba. Inf. vi. 94.
8EI ROMANO PONTEFICE
Non vi è quasi tesi di Teologia riguardaute la
supremazia del Romano Pontefice che nou
potrebbe intitolarsi di qualche verso di Dante.
P. BERAKDrNELLI, il Concetto della Divina
Coraedia. p. 429.
Gesù Cristo volle che fra gli Apostoli Pietro avesse il
primato, e ciò principalmente significò con dare a lui sim-
holicamente le chiavi del regno dei cieli: Inf. xix. 91;
Furg. IX. 127; Par. xxiv. 35; xxxii. 49, 124.
S. Pietro fu Vescovo di Roma, e vi finì ì suoi giorni
col martirio, e ciò non a caso, ma per divina predestina-
zione che la città di Roma dovesse essere la sede di Pietro
e de' suoi successori : Roma è lo loco santo, U' siede il suf-
eessor del magr/ior Piero : Inf. n. 23. - Yaticano, e V altre
DEL ROMANO POiNTEFICE. 2*27
partì elette Dì Roma, che san state cimitero Alla milizia
che Pietro seguette: Par. ix. 139. Solo alVuso suo creata
santa : Le pietre che dentro le mura sue stanno^ son degne
dì riverenza: e il suolo dov ella siede, è degno oltre quel-
lo che per gli uomini è predicato e provato : Conv. vi. 5. -
Egli non fu che per noi e per la salute nostra fu detto
a quei che della carità fu interrogato tre volte: Pasci,
0 Pietro, il sacrosanto ovile,... e per cui da Pietro ancora
e Paolo, r apostolo delle genti, fu Roma consacrata qual
sede apostolica col proprio sangue : Ep. ix. 2. - La sede della
sposa di Cristo è Roma: Ep.ix.ll.
Nuova e più vasta unità che dovea sostituirsi all'antica
unità politica dell'Impero Romano, ed a cui questa unità
dell'Impero era servita, secondo il verissimo concetto di
Dante, di preparazione ed agevolamento. La Roma dei Papi
dovea raccogliere e stringere intorno a se la gran famiglia
delie nazioni, meglio che non avea fatto la Roma dei
Consoli e dei Cesari, soggiogandole colla spada; e di
queste nazioni, che sotto il magistero di lei già professavano
il Cristianesimo, dovea formare le Cristianità, tutte congiun-
gendole in una gran società religioso-politica, il cui Rettore
altri non poteva essere che il supremo Pastore della Chiesa,
cioè il Romano Pontefice.
Ne' Vescovi di Roma si debbono riconoscere i successori
di Pietro, ne' quali vi ha un'eguale autorità di lui nel reg-
gere la Chiesa universale, con primato non solamente di
onore, ma eziandio di giurisdizione : Purg. xx. 86; xxvii. 46;
Par. V. 71]; xxvii. 47; xxx. 142.
La Chiesa romana nel C. xix. dell'Inferno è chiamata la
bella Donna ; nel C. ii del Purgatorio ci apprende che chi
non muore nel seno della Chiesa romana, segregato da cosi
fatto principio della unilicazione cattolica, non si salva, li
sacrosanto ovile romano e quello dell' ork' universo; la
chiesa di Roma e la Chiesa universale ; il pastore romano e
il centro dell'unità cattolica, vincolo della fede comune,
anzi forma della fede istessa, il pastore di tutta quanta e
ampia e dilatata la Chiesa di Cristo, era una stessa cosa per
lui: Epist. IX. ad Card.
E il poeta amaramente si doleva della sedia pontificia,
228 DEL ROMANO PONTEFICE.
quasi pianta, fuor distia regione, trasportata in Avignone:
Inf. XIX. 86; Par. xxxii. 154. La santa Gerusalemme è
pressoché estinta: il carro della sposa del Crocifisso è fuori
della sua orbita, la città di Roma, d'ambedue i suoi lumi-
nari destituta, sola sedentesi e vedova, è degna di esser
compianta da Annibale non che da altri {Ep. ad Card.); ed
egli si rivolge a' Cardinali italiani, prima schiera della chiesa
militante, archimandriti del mondo, affinchè « tutti unanimi
per la Sposa di Cristo, per la Sede della sposa, eh' è Roma,
per l'Italia nostra,... per tutta l'università dei peregrinanti
in terra, virilmente combattano... sì che l'obbrobrio dei
Guaschi, ì quali, di tanto furibonda cupidigia accesi, inten-
dono ad usurpare la gloria dei Latini, resti a' posteri in
esempio per tutti i secoli avvenire : Ep. ai Card, raccolti in
conclave a Carpentras, § 11. (Y. Petrarca, Rerum Senilium, e.
vii; S. Catterina da Siena, Leti. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 ; Capacelatro,
Storia di S. Catterina, lib. Y.)
In moltissimi luoghi della Divina Comedia apparisce
manifesta la riverenza grandissima del poeta verso la sedia
romana ed il Pontetìce. E onorevoli sono sempre i nomi
con cui egli lo intitola, qualora gli venga dato di ricordarlo :
di successor del maggior Piero; [Inf.n.'il)- Vicario di Cristo;
{Piirg. XYì.^iì)- Romano pastore; {Purg. xix. 107) - Gran
pastore; ( Pwrgf, xvi. 60 ) - Gran prete; [Inf.xwn. 40) -
Sommo pastore ; (Par. vi. 17) - Dal sommo ufficio; {Inf.
xxvii. 91. ) - Santo ufficio; [Par. xxx. 46) -Il pastore che
precede e si fa guida; [Purg. xvi. 98) - Marito e sposo
legittimo della Chiesa; (Inf. xix. 37, 111) - Prefetto del foro
divino; {Par. xxx. H2) - Sole che fa vedere la strada di
Dio: Purg. xvi. 106, - Ed aggiungne che oltre la dignità
del gran manto, che non può non pesare a chi la guarda
dal fango, non si può più salire in questa vita: Purg. xix.
110. - Oltre il vecchio ed il nuovo Testamento rammenta
ai Cristiani che hanno il Pastore della Chiesa a lor guida ;
questo bastare a lor salvamento: Par. v. 76. - Per Dante
è la stessa cosa seguire la navicella di Pietro ed il rendersi
cristiano, {Purg. xxii. 61 ) ; il muovere i piedi con la Chiesa
ed il secondare la sua dottrina ed il fido consiglio del
Pontefice : Par. vi. 22,
■DEL ROMANO PONTEFICE. 229
Fuori della Chiesa romana non si dà riparo a salute.
Niuno può essere ricevuto dall'Angelo guidatore dell'anime
nella via del cielo, se non si accoglie dove l'acqua di Te-
vere s'insala: Purg. ii. 100.
Al Pontefice solo conferita Tauloritìi delle somme Chiavi,
ond' ei può serrare e disserrare il cielo : {Inf. xxvii. 103) ;
ed esso, principio e fonte di ogni autorità e giurisdizione nei
ministri inferiori della Chiesa, sicché tanta parte ne derivino
essi quanta ne viene loro da quello comunicata; ed esso, rap-
presentante la suprema podestà evangelica, sicché Domenico
nel XII del Paradiso v. 88, si fa a chiedere riverente alla Sedia
la licenza di disseminare legittimamente la parola di Dio,
di combattere contro il mondo errante, e non comincia il suo
apostolato che coli' autorità delegatagli dal sommo Ponte-
iìce con l'ufficio apostolico. Isè per lui è disconfessato il
valore delle scomuniche [Purg. in 137) ; la podestà di pro-
sciogliere dal voto (Par. V. 35); di prescrivere digiuni; di
impedire si mangi qualunque cibo per qualunque luna (Par.
xxvii. 132); di concedere indulgenze [Purg. ii. 98); e nota
come ogni religioso Instituto debba prima ricevere il sug-
gello delle sante chiavi: Par. xi. 98.
I\è dissimili sono i sentimenti del poeta nell'altre sue
opere. Nell'epistola ad Arrigo il romano pastore è nominato
padre dei padri (^p. vii. 7); il suo dominio è neW ambito
della paternità {De Mon. m.U); nella apostolica Monarchia,
la cui unità attaccare non si può (Zip. vii. 3), successore
di Pietro, che veramente porta le chiavi del celeste regno
[De Non. iii. 1); sommo pontefice e Vicario di Cristo, e
successore di Pietro: 3Ion. iii. 3. L'Imperatore è il minor
lume; cui il Pontefice illumina della sua apostolica bene-
dizione: Ep. v. 10. Non che, egli scrive, il principe romano,
non sia al romano pontefice in alcuna cosa soggetto, con-
ciossiacliè questa mortale felicità alla felicità immortale
sìa ordinata. Cesare adunque quella riverenza usi a Pietro,
la quale il primogenito figliuolo usare verso il padre debbe,
acciocché illustrato dalla luce della paterna grazia irraggi
la terra con maggior virtù,. Alla quale è da colui solo pre-
posto il quale è di tutte cose spirituali e temporali gover-
natore: De Mon. ui. 15. E ponendosi a dimostrare che
230 DEL ROMANO PONTfiFlCE.
l'uffizio del Monarca dipendeva immcdialamenle da Dio e
non dal Pontefice, e sospettando per avventura non altri po-
tesse in mala parte volgere il suo discorso, si espresse in
questi termini: « Illa rcverentla frelm, quam plus fìlius
debet patri, quam plus fillus matri, plus in Chrlstuìn, pius
in Ecclesiam, plus in Pastorem, plus in omnes christianam
rellfflonem profitentes, prò salute veritatis in hoc libro cer-
tamen inciplo: De Man. iii. 3.
Egli è ben vero che caccia nel limbo per dapocaggine
Celestino Y, Martino V nel Purgatorio per ghiottoneria, ed
ivi stesso Adriano per avarizia, che sfolgora fra gli eretici
Anastasio II, fra' simoniaci Nicolò III, Bonifacio YIII, e Cle-
mente y, a' quali ancor vivi ei forava la buca infocata,
e che fin da' cieli, con quest'ultimo, fa fulminare da S. Pietro
il francese Giovanni XXII; egli è ben vero che con vele-
nosissime parole ricorda come il capo reo torceva il mondo
(Par. vili. 131); che l'umana famiglia sviavasi, non vi es-
sendo chi ben la governasse {Par. xxvii. 140); che 1 privi-
legi eran venduti e mendaci (Par. xxvii. 135); che si com-
perava e vendeva dentro dal tempio fondato sul sangue
dei martiri, e sulla verità dei miracoli [Par. xviii. 123) ; che
Roma faceva mercato di Cristo {Par. xvii. 51) ; che la buona
pianta, seminata da Pietro, di vite tralignava nella mali-
gnità di un pruno (Par. xxix. Ili); che la mistica vigna
imbiancava per la reità del vignaio {Par. xii. 87) ; che non
colle spade ma facevasi guerra col pane che la pietà del
Signore a tutti liberamente dispensa {Par. xviii. 125) ; che
l'avarizia nei pontefici usava il suo soperchio, attristava il
mondo, calcando i buoni e sollevando i pravi {Inf. xxix. 105);
ch'ei si aveano fatto Dio d'oro e d'argento {Id. v. 112), ed
eransi trasmutati del tutto dalla primitiva chiarezza {Par.
xxii. 93); che l'occhio loro, fisso pure alle cose terrene, non
adergeasi in alto (Pwr//. xxix. 118), e mentre le sostanze
de' loro consorti moltiplicavano, ninna cura li prendea che
quelle della Chiesa andassero disperse : Mon ii. 20. -
Oltre a ciò gli parca strano che le chiavi di S. Pietro
fossero segnacolo in vessillo che contri i battezzati com-
battesse {Par. xxvii. 51), e che il Vicario di Cristo parteg-
giasse, e che il capo della religione, tutta pace ed amore,
DEL ROMANO PONTEFICE. 231
fosse fautore di discordie fraterne. Se non che il poeta
percuote l'individuo tralignante, non la sedia che per sé
non traligna : Purg. xii. 90. - Ed è pur bello il vedere,
comechè l'impeto del suo indocile sdegno lo sospingesse
ad usar parole ancor più gravi di quelle onde rimproverò
l'avarizia di Nicolò III, pur tuttavia egli senta frenarsi dalla
riverenza delle somme chiavi che questi tenne nella vita
lieta: Inf. xix. 100. Oltre a ciò, giunto là dove si purga
l'avarizia, e dove la giustìzia e la speranza fanno men duro
il soffrire, com'egli ebbe richiesto ad uno spirito chi fosse,
ed avutone in risposta, che fu successore di Pietro, sen-
tendosi rimorso dalla sua dignitosa e netta coscienza, si
inginocchiò in atto di riverire l'eccelsa dignità di colui.
E non prima si levò in piedi, che da quel pontefice, Adriano
Y, gli fosse stalo imposto di cosi fare: Purg. xix. 130.-
Rivolgasi inoltre il pensiero a considerare, come il cantore
delia rettitudine, infiammato com' era da veemente ira
contro alla persona di Bonifacio YIII, tanto da credere
vacante al cospetto dì Dio (non però degli uomini) il santo
luogo di Pietro, quando ricorda la prigionia che di lui fece
quella mala peste di Francia, quell'audacissimo, quel ri-
baldo Filippo, (li nome il Bello, ma di costumi vizialo e
lordo, esce con empito in parole così poderose dì sentenza,
e sì fortemente efficaci eh' è buono recarle qui innanzi:
Perchè men paja il mal futuro e il fatto
Veggio in Alagna entrar lo liordaliso,
E nel Vicario suo Cristo esser catto.
Veggiolo un'altra volta esser deriso;
Veggiolo rinnovellar l'aceto e il fele,
E tra nuovi ladroni essere anciso.
Veggio il nuovo Pilato sì crudele
Che ciò noi sazia, ma, senza decreto.
Porta nel tempio le cupide vele. Purg. xx. 85.
Onde pel poeta l'autorità pontificia tocca un grado sì
alto da farne dell'uomo un Vicario dì Dìo su la terra, e
da rendere la persona del Pontefice quasi altrettanto sacra
che quella del Figliuolo di Dio. In Bonifazio, nel pontefice
tante volte per lui svituperato, non vede che l'ìmagìne di
Cristo, la seconda volta confitta in croce.
Non si può tacere del resto, come più sieno i papi
232 DEL ROMANO PONTEFICE.
rammentati dal poeta con lode, Pietro, Lino, Clemente, Sisto,
Pio, Agapito, Callisto, Urbano, Silvestro, non ostante la
donazione alla quale egli credeva, Gregorio il Grande, e
nel secolo precedente al suo, Innocenzio ed Onorio. - (Vedi
Giamb. Giuliani, Del Cattolicismo di Dante Allighieri e del
Yeltro allegorico della Divina Comedia, Savona, Sambo-
lino 1851.)
Fasto de' Cardinali e prelati avari : Par. xxi. 124. (jFac-
ciasì il confronto di questo brano con quello di Fazio degli
liberti, Ditam. ii. 11, che ritrae dell' amarulenta bile del
nostro sommo).
Contro a' Prelati avari e simoniaci: Inf. xix. lOG.
Gli ecclesiastici non debbon considerarsi come padroni
dei lor benefìzi e delle loro rendite, ma solo come deposi-
tari: Quantunque la Chiesa guarda tutto È della gente che
per Dio dimanda: Par. xxii. 82. - De Mon. ii. 10.
Contro il Papa ed i sacerdoti avidi de' beni terreni : Par.
IX. 133; xviii. 137. [Oh vitam et mores, non oh ficlem et do-
ctrinam. Bellarmino).
Scomuniche e loro efficacia: Purg. iii. 112.
Abuso delle censure: Par. xviii. 127.
ORDINI RELIGIOSI (1)
La Provvidenza divina stabilì per la sua Sposa, la Chiesa,
due principi in favore di lei, S. Francesco e S. Domenico :
Par. XI. 28.
L'approvazione degli ordini religiosi appartiene di di-
ritto ai romani pontefici: Par. xi. 97.
Lode degl' instituti religiosi fondati da S. Domenico e
da S. Francesco : Par. x. 82.
(1) Non torna a religione pur'quelli che a San Benedetto e a San-
t' Agustino e a San Francesco e a San Domenico si fa d'abito e di vita
simile, ma eziandio a buona e vera religione si può tornare in matri-
monio stando, che Iddio non vuole religioso di noi se non il cuore: Coni\
IV. 28.
ORDINI RELIGIOSI. 233
Nella corruzione generale dei costumi, Iddio conserva
sempre dell'anime sante, le quali mantengono il primitivo
fervore del proprio instituto: Par. xi. 130; xii. 121.
Ordini religiosi lodati, ed approvata la risoluzione di
chi vi entra: con questo si riconosce apertamente che l'en-
trarvi, in ammenda delle proprie colpe, è argomento di
salute: Inf. xxvii. 67.
Fra Matteo d'Acquasparta, che poi fu cardinale, dodice-
simo generale dell' ordine francescano, nel 1287 portò assai
rilassamento alla regola. Fra Ubaldino di Casale, nel capi-
tolo del suo Ordine tenuto a Genova nel 1310, si fece
capo dei rigoristi : Par. xii. 124.
Chi si è legato co' voti monastici a Dio, forzato contra
suo grado ad escire dal chiostro, non appena il possa,
debbe tornarsene : Par. in. 107. Ove non ci tornasse, accon-
discenderebbe alla fattagli violenza : Par. iv. 80.
Biasimo a' frati degenerati: de' Francescani buoni, poche
le carte in tutto il volume, e poco panno volersi alle cappe
de' buoni Domenicani : Par. xii. 125.
Contro a' frati Francescani e Domenicani : Par. xi. 124-137.
Contro a' frati Camaldolesi: Par. xxi. 119.
Contro a' frati Benedettini: Par. xxii. 74.
Contro a' frati, predicatori vani, del suo tempo : Par.
XXIX. 87.
Frati di S. Maria, o di Madonna, detti poi frati Godenti:
Inf. xxiii. 103; xxxiii. 118; Purg. vi. 17.
COGNIZIONI SCIENTIFICHE (d)
FISIOLOGIA
Piante criptogame. — Dante accenna alle piante
microscopiche e criptogame, nate senza che ne veggiamo
il seme, o senza che le seminiamo:
Quando alcuna pianta
Senza seme palese vi si appiglia.
E saper dèi che la campagna santa,
Ove tu se', d'ogni semenza è piena,
E frutto ha in sé che di là non sì schianta. Purg. xxviii. 118
il qual teorema è maggiormente ravvalorato al C. xxvii del
Par. V. U8:
E vero frutto verrà dopo il fiore.
Dalle quali sentenze chiaro apparisce che con Linneo e tutti
1 Botanici del secol nostro, ammetteva l'Allighieri, che il
fiore precede il frutto ed il seme, dal quale nasce poi no-
vella pianta. - Targioni Tozzetti.
Dalle piante scosse, da venti tanto diversi e variabili,
l'aria ritrae e s'impregna della loro virtù, che indi trasporta
e scuote sul rimanente della terra, la quale concepe e figlia,
fa propagare diverse piante, diverse legna; secondo la na-
tura di tali virtù, e della propria qualità del suolo e del
(1) Isella Divina Comedia si è in mezzo a inesauribili ricchezze, e ad ogni
passo che vi si trova in germe qualche idea, il di cui sviluppo fu poi la glo-
ria di un epoca e di un nome. P. Lioy. - La Divine Comédie embrasse tout.
C'est le réve des sciences découvertes, et le réve dessciences iconnues.
Lorsque la terre manque auxpieds de l'homme, les ailes du poéte l'en-
lèvent au elei, et l'on ne sait en lisan ce merveilleux poèraequ'admirer
davantage, de ce que sait l'esprit, ou de ce que l'imagination devine.
Al. Dumas.- Quel sommo sapea quanto il suo secolo e più del suo secolo. .
Tommaseo. - Con la divinazione del genio spinse ardimentoso il pensiero
nell'avvenire. Vaisnucgi.
FISIOLOGIA. 235
clima. CIÒ posto, non dee far meraviglia il vedersi provare
in una contrada taluna pianta senza seme palese che le dia
origine. Molti naturalisti, venuti anche dopo, si farebbero
un vanto di tali idee cosi ben espresse. - Capocci.
maturazione delle frutta. — Previene l'opinione del
Galilei che il vino altro non sia che la luce del sole,
maritata coli' umido della vile. Il Redi scriveva al Maga-
lotti: leggete Dante, quel Dante che quasi lutto sapete a
mente, quel Dante con tanti bellissimi passi del quale ornata
avete la vostra lettera, leggete Dante, vi dico, e tro-
erele :
E perchè meno ammiri la parola,
Guarda il caler del Sol, che si fa vino
Giunto all' umor che dalla vite cola. Purg. xx.y.76 - Vaccolim..
Se si considerino le similitudini, l'enfatiche espressioni,
prese dalle funzioni che le piante esercitano nella vegeta-
zione, chiaro apparisce che ninno dopo Teofrasto meglio
di Dante ha fatto vedere tali fisiche verità. Da non mollo
lempo dobbiamo alle scoperte del Lavoisier e dei Neochimici
la spiegazione della maturazione dei fruiti, ed il modo per
cui i sughi da prima acidi dei medesimi, in dolci e soavi
si trasmulino, e perchè di vario colore sì vestano le foglie
delle piante: la spiegazione dei quali fenomeni si riduce
alla proprietà che ha la luce di togliere agli acidi quella
sostanza, la quale combinala ed intimamente unita con
altre, converte queste in acidi, la qual sostanza Lavoisier
disse ossigene, cioè generatore degli acidi, per il che la luce
del sole togliendo o facendo esalare nell'atmosfera l'ossi-
geno, miti e dolci rende i sughi dei fruiti che in principio
acidi 0 aspri si ritrovavano. Eppure Dante avea dello:
guarda il calar del sol che si fa vino, ecc. mostrando così
che il calore del sole, sempre congiunto alla luce, produce
questa mutazione del sugo acido dell'agresto in quello
dolce dell'uva matura alta a far vino. Il gran Galileo,
accostandosi più d'ogni altro alle moderne scoperte fisico-
chimiche, andò si può dire del pari al sentire di Dante,
attribuendo alla luce la maturazione dell' uva, e gli elemen-
ti che formano il vino con quella sentenza illustrata dal
Magalotti: « il vino altro non è se non la luce del sole
236 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
mescolala con l'umido dell'uva. » Lett. V. delle scientifiche. -
Tarfiioni Tozzetti.
Azione della luce e del sole sui fiori, e sulla
vegetazione. E Dante conosceva pure l'influenza e l'a-
zione ch'esercita la luce del sole sopra i fiori, per cagione
della quale essi aprono i petali, e discuoprono all' apparire
dell'astro benefico gli stami ed i pistilli per celebrare le
nozze, e fecondare i germi contenuti negli oviarii o pistilli,
la quale ammirevole operazione quattro secoli dopo fu resa
certa e determinata da Linneo Sponsalia plantarum, sul
quale è fondato il sistema detto perciò sessuale di s\ grande
investigatore della natura. - Targioni Tozzetti.
Quale i fioretti dal notturno gelo
Chinati e chiusi poi che '1 Sol gì' imbianca,
Si drizzan tutti aperti in loro stelo. Inf. ii. 127.
Questo terzetto è citato anche dai Libri, (Hisloire des
Mathèmatiques, ii. 175), come una delle più belle osserva-
zioni di scienza naturale, fatte dall'Allighieri.
Ed anche più energicamente il nostro poeta al xxii del
Par. 55 : dove espresse lo schiudersi della rosa a' rai del
sole, più 0 meno secondo la propria possanza che suona
vitale virtù:
Cosi m' ha dilatata mia fidanza,
Come il Sol fa la rosa, quando aiierta
Tanto divien quant' ella ha di possanza.
Ed espresse pure il vivificante influsso della Itìce sulla
vegetazione, V inturgidire delle piante, quando il sole dello
ariete le riscalda de' benefici raggi, e il colore che liete
rinovano avanti che quella luminosa sorgente di vita aggiunga
altra stella: Purg. 32.
Ma non tanto conobbe l' influenza della luce sulla fio-
ritura e fecondazione del frutto che al fiore succede, quanto
anche come a tal bisogno cooperasse l'aere sereno, l'aura
lieve dei venti che ne scuotesse il pulviscolo fecondante
degli stami e lo trasportasse ai pistilli per effettuare la
fecondazione dei germi e dei semi, e come contraria a tale
operazione fosse l'aria umida, la nebbia e la pioggia, in
modo tale da far abortire e distruggere il frutto desiderato.
Targioni Tozzetti.
FISIOLOGIA. 237
Ben fiorisce negli uomini il volere;
Ma la pioggia continua converte
In bozzacchioni le susine vere. Par. xxvn. 124.
Le piante ed i fiori riempiono i zefiri della loro virtù ani-
HKìtiva, ch'essi poi spargono e quasi delle loro ali scuotono:
E la percossa pianta tanto puote,
Che deliba sua virtute l'aura impregna,
E quella poi girando intorno scuote. Puro, xxviii, 109.
Funzioni della vegetazione. — Nò minor cognizione
delle funzioni della vegetazione dimostra di aver avuto il
nostro poeta quando ripone la vita delle piante nel color
delle foglie:
Come per verdi fronde in pianta vita. Pwrff.xviii.54.
E qui è duopo osservare che ora è dimostrato che il verde
delle foglie dipende dalla scomposizione del medesimo aereo
acido carbonico assorbito dalle piante o in esse raccolto,
0 prodotto dalla forza vegetativa delle medesime, la quale
scomposizione, come la maturazione dei frutti, si deve alla
luce del sole, perchè facendo essa esalare nell'atmosfera
dalle piante ossigene o aria vitale e respirabile dell'acido
carbonico, rende salubre l'aria che respiriamo, e frattanto
il carbonico si deposita nelle foglie, e di vario colore le
dipinge, per lo che sempre più verdi sono le piante esposte
alla gran luce, di quelle all'ombra, e tanto più verdi sono
le foglie di quegli alberi che mai non se ne spogliano, perchè
tutto l'anno esposte alla luce del giorno. Che se si privano
le piante della luce, o con portarle all'oscurità o con sot-
terrarle 0 cuoprirle con corpi opachi perdono il color verde.
E questa teoria non vi sembra ottimamente esposta dal poeta
(juando cantava:
La vostra nominanza è color d' erba,
Che viene e va, e quei la discolora.
Per cui eli' esce della terra acerba. Purrj. xi. 118.
Sapeva adunque che le piante, vicino a terra, e sotto di
essa, non sono verdi, al che allude queir esce della terra
acerba, cioè che non hanno provato 1' azione della luce del
sole, e che altresì si scolorano se di nuovo dalla terra sieno
coperte, ed impedito loro l'influsso benefico del sole, il
qual color verde a poco a poco prendono le nascenti foglie,
e sempre tinte di un verde più gaio che cupo le sono nel
238 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
tenero loro sviluppo e giovinezza, che quando sono adulte
ed indurate. Di tal gentil colore volle vestire gli Angeli
discesi nella valle del Purgatorio a guardia del serpente:
Verdi, come fogliette pur mo nate,
Erano in veste, Purg. vui. 28. - Targiom Tozzetti.
Circolazione delle piante. — Pare anche che non
fosse ignota a Dante l'ascesa del succo nelle*piante, o quasi
specie di circolazione, confermata modernamente. Perciò egli
conoscendo con qual forza il succhio sale dalle radici alla
estremità degli alberi, fa che soffi e spumi il rotto tronco
dallo sterpo della selva de' violenti {Inf. xiii 43 ), portando
la similitudine di un legno verde e non stagionato, messo
ad ardere sul fuoco, dal calore del quale rarefatti e spinti
l'umido e l'aria contenuti nei vasi del legno e della cor-
leccia, escono in forma di spuma, e con sibilo dalle ricise
estremità dei predetti vasi e tubi :
Come d'un stizzo verde, ch'arso sia
Dall' un de' capi, che dall'altro geme,
E cigola per vento che va via. In/". xiii.40.-Targioni Tozzetti.
Il Redi ed altri naturalisti, dall' istessa terzina, dimo-
strano le medesime piante avere un sentimento, quasi uno
spirito interno, una letizia un gemito.
iVatura delle piante. — Che se SÌ voglia ricercare se
Dante avesse cognizione della natura delle piante e del
loro diverso modo di crescere, lo possiamo ben rilevare
dall'ordine che Virgilio ebbe da Catone Uticense di cingere
a Dante la testa di un giunco schietto, cioè senza nodi o
foglie, scirpus romanus, pianta detta monocotiledoni da
Jussieu, l'accrescimento delle quali si fa sempre per la parie
inferiore, con ispingere dalla radice all'atmosfera le parti
che si sviluppano dalle sotterranee gemme della radice, al
contrario che nelle altre piante, dette dicotiledoni, succede,
le quali si sviluppano, crescono e si distendono nelle parli
estreme del tronco. Tali piante monocotiledoni hanno pro-
prietà di riprodurre sempre nuovi rampolli o steli simili da
altre gemme della radice; per lo che, tagliandone i virgulti,
nuovi e simili ne ripullulano, ed ecco come esprime questo
fenomeno l'Allighieri, parlando del giunco di cui fu cinto
da Virgilio:
FISIOLOGIA. 2;^9
Quivi mi cinse, sì com' altrui piacque •
0 maraviglia : che qual egli scelse
L" umile pianta, cotal si rinacque
Subitamente là onde la svelse. Puro. >• 133.
Targioni 'Pozzetti. ( V. Conv. iii. 3. )
classiGcaziune dei vcgpetabili. — Quantunque Dante
parlasse in senso figurato, io sospetterei quasi eh' egli pre-
sagisse la teoria eh' è la gloria di Cesalpino, prima che di
Jussieu, sulla classificazione dei vegetabili, appoggiata alla
costituzione dell'embrione, e ciò quando disse:
Ogni erba si conosce per lo seme. P?^rsf.xvi.ll4.-P. Liot.
Le recenti scoperte delle chimica vegetale che onorano
Liebig, Bonssingault e tanti altri insigni scienziati, le rela-
zioni fra il mondo inorganico e l'organico, le rimutazioni
delle materie non trovansi espresse in quel verso sublime:
Il ramo
Rende alla terra tutte le sue spoglie? Inf. ni. 113. -P, Lioy.
Coltivazione delle piante. — Nò la SOla cognizione
delle piante, come oggetto filosofico, si rivela nel divino canto-
re, ma volle egli mostrarsi ancor perito nella coltivazione di
esse, facendo vedere come le piante abbandonate a sé stesse
ed inselvatichite crescono distorte e senza frutto, e tali le
pose nell'orrida selva dei violenti: Inf. xiii. 4. 97. -Neppure
vi è dimenticata la cognizione del terreno e del nutrimento,
e la dimestichezza delle piante che dalla buona coltura
dell'attento agricoltore si ottiene, come per lo contrario il
degenerare che accade nelle piante quando sono abbando-
nate a sé stesse, ed é negletta la coltivazione del terreno,
come sì rileva dai seguenti versi:
Ma tanto più maligno e più Silvestro
Si fa il terren col mal seme, e non colto,
Quant'egli ha più di buon vigor tcrrestro. Purg. xxx. 118.
Targioni Tozzetti.
Polrebbonsì numerare i vari fiori e le piante nominate da
Dante nella sua Cantica, dal che potrebbesì trarre argo-
mento della sua cognizione individuale e speciale delle piatite,
per es. dal xxxii. del Purg. v. 58 :
Meri che di ro<ic e più che di viole
Colore aprendo.
FISICA
Tu ben la mia Fisica nota. Inf. XI. 101.
Delle cose sensibili, universalmente pigliandole,
tratta la Fisica... Delle cose corruttibili, che
cotidianamente compiono lor via, e la loro
materia si muta di forma in forma , . .
CONV. II. 15.
l^eve. — Poteva la Fìsica venire in miglior soccorso delia
poesia, che in quel terzetto, dove si parla della formazione
della neve?
Sì come di vapor gelati fiocca
In giuso l'aer nostro, quando il corno
Della capra del ciel col Sol si tocca Pur. xxvii. 67. - Ranalli.
Pioggia. — L'accumulazione dei vapori acquei in seno
dell'atmosfera si scioglie in pioggia per un abbassamento
dì temperatura; allorché la massa d'aria che n'è satura,
s' imbatte in freddi venti, o finalmente quando una corrente
d'aria umida viene ad incontrarsi con un'altra, come il
nostro Poeta ha mirabilmente espresso:
Ben sai come nell'aer si raccoglie
Quell'umido vapor che in acqua riede,
Tosto che sale dove '1 freddo il coglie. Purg. v. 109.
(Vedi Dante, Canz. x. St. 3 ; Ganz. xi. St. 1 ; Conv. iv. 18.)
Avrebbe potuto meglio esprimersi, aggiunge il Capocci, il
povero nostro amico Melloni presentemente se ancor vivesse?
Ed il Petrarca cantava:
L'aer gravato, e l'improvvisa nebbia
Compressa intorno da rabbiosi venti,
Tosto conven, che si converta in pioggia. Sest. in. 1.
I vapori son principio e cagione alle pìoggie. Purg. xxx.
118.
E parla dell'altezza delle nuvole elettriche, quando dice:
Tra duo liti d'Italia surgon sassi,
E non molto distanti alla tua patria,
Tanto, che i tuoni assai suonan più bassi. Par. xxi. 106. - Lioy.
FISICA. 241
debbia. — La nebbia non è che vapore acqueo e con-
densato dal freddo aere:
Vapor che l'aere stipa. Inf. xxxi. 36,
Xeve. — Anche la neve non è che vapore acqueo,
stretto in gelo: Par. xxvn. G7. La neve per forza dei raggi
del sole riman privata dei freddo e delia bianchezza, e al
sol si dissigilla: Par. ii. 127; xxxiii. 64.
Venti. — Tremuoto. — Le moderne osservazioni di
Franklin, di Dove, di Kaemts, che servono a ediiicare la
bellissima teoria dei venti, oggi adottate in meteorologia,
rinvengonsì come miniate in quelle parole:
11 vento
Impetuoso per gli avversi ardori. Inf. ix. 69. - Lioy. -
Egli è noto che una delle cagioni del vento è disequi-
librio di calorico nell'atmosfera. - Ed osservò non solo dai
vapori e da' raggi solari nascesse il turbamento dell'aria
{Inf. xxxiii. 105), ma anche dal foco interno della terra; o
da vapori accesi pur sotto terra per nascente zolfo o per
altra incognita cagione : Inf. x. 77.
La terra lagrimosa diede vento. Inf. in. 133.
E di questa misteriosa agitazione dell' aria che spira
quando danna parte e quando dall'altra, edora si chiama
borea, libeccio, maestrale e via dicendo, potea meglio e più
brevemente e più spiccatamente indicare che col verso:
E muta nome, perchè muta lato? Purg.xi. 102.
Ed accenna la opinione di Aristotile, il quale dice, che
i' vapori caldi e secchi montando all'estremo della terza
regione dell'aria, percossi da fredde nuvole, commuovono
l'aria, indi il vento: Par. viii. 22. - Aristotile pure distingue
l'umido vapore dal secco, dall'umido la pioggia, la neve
la grandine, la brina: dal secco il vento : vento, se il vapore
è sottile: se più forte, tremuoto:
Trema forse più giù poco od assai ;
Ma, per vento che in terra si nasconda,
Non so come, quassù non tremò mai. Purg. xxi. 55.
Così originavano il tremuoto ; ma forse ei credeva in con-
fuso quella forza elettrica che dà sovente origine a tutte
le meteore.
Tuono. — Ed osservò pure come scoppi il tuono e si
spanda per l'aere:
voL. II. le
242 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
E fug'^'ìo, come tuon clie si dilegua,
Se subito la nuvola scoscende. Purt). xiv. 134.
E secondo pure la dottrina di Aristotile i tuoni si for-
mano nella seconda regione dell'aria: Par.xx^. 105.
Folgore. — Ed accenna alla formazione delle folgori:
Come fuoco di nube si disserra.
Per dilatarsi sì che non vi cape,
E fuor di sua natura in giù s' atterra. Par. xxiii. 40.
La qual comparazione saprebbe forse darla meglio in
versi, oggidì il primo de' fisici viventi Alessandro Volta, o
meglio l'avrebbe data l'americano Franklin, di cui si di-
rebbe che strappò il fulmine di mano a Giove, con più ve-
rità che gli antichi non dissero di Prometeo aver rapito il
foco del cielo? - Yaccolini.
Aristotile, S. Toma so, Seneca tengono i fulmini non ca-
dere se non quando le nuvole si alzino presso la sfera
del fuoco, sì ch'esso fuoco in loro s'imprigioni. Non dice
già che i fulmini cadano quando piove, ma quando sta per
piovere, quando le nuvole pregne di pioggia si alzano
fin lassù:
Non scese mai con sì veloce moto
Fuoco di spessa nube, quando piove
Da quel confine cbe più è remoto. Purg. xxxii. 109.
Acque e Fiumi. — Il Mengotti nell'Idraulica: «I fiumi
provengono dall'acque cadenti dal cielo, e queste dalle
perpetue immense evaporazioni che dalla superficie di tutti
1 mari e di tutte le terre si sollevano nell' atmosfera, e pòi
si rappigliano in pioggie ed in nevi.» - Dante, meglio di
Buffon, ne esprime la relazione fra l'evaporazione del mare,
e le acque che raccolgonsi nei fiumi, e vi dice che l'Arno
dal suo principio
Infin là, 've si rende per ristoro
Di quel che il ciel della marina asciuga,
Ond' hanno i fiumi ciò che va con loro. Purg. xiv. 34.
Vaccolini - LlOY.
Più l'acqua è fonda, più quella di sopra preme e fa
rapide le correnti di sotto:
Quasi torrente eh' alta vena preme. Par. xu. 99.
Preme, legge idraulica che le colonne superiori dell'acqua,
premendo, aggiungano rapidità alle colonne di sotto, E |nel
xxviii. del Purg. v. 121.
FISICA. 243
L'acqua che vedi non surge di vena
Che ristori vapor che giel converta,
Come liurae ch'acquista o perJc lena.
E qui, dice il Capocci, splendono del pari giuste e pei-
felte nozioni di fisica, che a que' tempi sono certamente
un prodigio: imperocché, per esprimersi in colai modo,
convien che egli intenda appieno la generazione de' fonti,
che 1 vapori alimentano, riducendosi in pioggie nelle parli
superiori de' monti, e che i geli infievoliscono, temporanea-
mente arrestando parie delle loro acque fluenti; insomma
acquistano cosi e perdono lena precisamente com'è' divisa.
E con molta esattezza dichiara come l'esalazioni, e i va-
pori che s'innalzano dalle acque e dalla terra, si elevano
quanto più il calore li rarefa :
L' esalazion dell' acqua e della terra,
Che, quanto posson, dietro al caler vanno. Purg. xxviii. 98.
Capocci.
Flusso e riflusso del mare. — E meglio del Galilei
tre secoli dopo, come notavano il Magalotti ed il Capocci,
parla del flusso e del riflusso del mare, attribuendo alla
Luna la vera preponderanza che ha, nell' effettuarlo:
E come il volger del del della luna
Cuopre ed iscuopre i liti senza posa. Par. xvi. 82.
Bussola.
Si mosse voce, che 1' ago alla stella
Parer mi fece in volgermi al suo dove. Par. xii. 29.
Ecco, dice il Capocci, un' altra meraviglia. Quanta esat-
tezza, quanta vivacità, dirci pure, quanto affetto è espresso
in questa comparazione! iNotisi ancora il modo di esistere
di questa nobile intelligenza: la Bussola, almeno la sospen-
sione dell'ago calamitato, che il nostro Flavio Gioia fornì
ai naviganti, era allora allora inventala (1302). Dante in-
tanto lo conosce, senza 1' aiuto delle gazzette, ne rimane
colpito, lo consacra negl'immortali suoi versi! - (Che sì
come si gira L'ago alla calamita per natura. Fazio degli
liberti) -Onde vcdemo la calamita sempre dalla parte della
sua generazione ricevere virtù: Conv. ni. 3.
Luce.— E designava la luce essere immateriale.
Com' acqua recepe
Raggio di luce permanendo unita. Par. u. 33.
244 COGNIZIONI SCIENTIFICOE
E com' essa luce e il sole assorbiscano dalla terra i va-
pori e l'umidità:
Ch'Amor consunse come sol vapori. Par. xii. 15.
Or, come ai colpi degli caldi rai
Della neve riman nudo il suggello
E dal calore e dal freddo primai. Par. ii. 106.
« E chi può tacere, scrive il Yaccolini, come bene il
poeta ci dipinga quell'Angelo, che nel xii del Pim/. v. 88.
venne per indicare a lui ed a Virgilio la scala onde salfre
al secondo girone?»
A noi venia la crealura bella
Bianco vestila, e nella taccia quale
Par tremolando mattutina stella.
E dopo tutto questo, se io vi dirò che il nostro Dante sen-
tisse molto innanzi anche in ciò, eh' è della luce riflessa e
rifratta, e perfettamente conoscesse il giuoco della luce, e
quindi anticipasse la dottrina prospettiva che Montuda ha
supposto essere stata conosciuta da' moderni verso la fine
del secolo XIV forse voi mi darete la baia: ma abbiate
pazienza, e leggete come nel ii. 88. del Paradiso ei si mostra
degli specchi conoscitore, e ci apprende come al suo tempo
si facessero foderati di foglie di piombo:
E indi r altrui raggio si rifonde
Cosi, come color torna per vetro,
Lo qual diretro a sé piombo nasconde.
ed al xxiii dell'in/*, v. 25.
S' io fossi d' impiombato vetro,
L' Immagine di fuor tua non trarrei
Più tosto a me, che quella d' entro impetro.
La virlù, che da Beatrice gli diviene a poter fissare nel
sole, è da lui paragonata al raggio riflesso eh' esce dello
incidente :
E sì come secondo raggio suole
Uscir del primo e risalire insuso. Par. i. 49.
Intorno alla meccanica della luce ben puossi dalle cose
dette inferire la dottrina del poeta: ma perchè questa me-
glio vi si manifesti intorno alla legge fondamentale della
catottrica, udite come bene si esprime nel xv del Purg.
V. 16 a significare che i suoi occhi furono percossi da
angelico splendore:
FISICA. 245
Come quando dall' acqua o dallo specchio
Salta lo raggio all' opposita parte,
Salendo su per lo modo parecchio
A quel che scende, e tanto si diparte
Dal cader della pietra in igual tratta.
Sì come mostra esperienza ed arte;
Così mi parve da luce rifratta
Ivi dinanzi a me esser percosso;
Perchè a fuggir la mia vista fu ratta.
I raggi non sono altro che un lume che viene dal prin-
cìpio della luce per l'aere infìno alla cosa illuminala: Conv.
II. 7.
Ed altra prova della profonda sua dottrina ed acuzia
neir osservare ogni fenomeno importante in fatto di fisica
l'abbiamo nel xxix del Purg. v. 73.
E vidi le fiammelle andare avante,
Lasciando dietro a se l'aer dipinto,
E di tratti pennelli avean sembiante;
Sì che di sopra rmianea distinto
Di sette liste, tutte in quei colori,
Onde fa l'arco il Sole, e Delia il cinto.
Questi stendali dietro eran maggiori
Che la mia vista . , .
Veggasi com'ebbe bene analizzato e distinto i colori della
luce, senza attendere Newton che la decomponesse col prisma!
Veggasi ancora quanto mirabile sia la scelta ch'ei fa di
questi due bei fenomeni ottici, per dare adeguata idea dì
quelle vaporose e splendide liste, che seguivano a perdila
di vista i sette candelabri. Senzachè con tale associazione
mostrasi eziandio inslrulto dell'analogia Ira T origine del-
l'arco baleno e dell'alone lunare. Lascio poi di ammirare
l'altro portento di provvedere nel medesimo tempo, con le
slesse due sole parole, de' convenienti arnesi mitologici
Apollo e Diana secondo il lor proprio bisogno.
Arco baleno. — Molto innanzi che Antonio de Dominis
aprisse agli altri la strada, egli dimostravacì come l'Arco
baleno formisi per le rotonde goccio dì pioggia, in cui la
luce del sole si rinfranga e rifletta:
E come l' aere, quand' è ben plorno,
Per r aUrui raggio che in se ^i rillette,
Di diversi color si mostra adorno, Purg xxv. 91.
E pongasi mente a quel luogo del xii. v. 10 del Paradiso,
24G COGNIZIONI SCIENTIFICHE
dove per dire che una corona di liicenli spiriti cominciò
a girare, ed intorno ad essa n'apparve una maggiore com-
posta d'altri beati, si vale di una similitudine presa appunto
da que' due archi che veggionsi il più delie volte, l'uno
interno, e l'altro esterno:
Come si volgon per tenera nube
Due archi paralleli e concolori,
Quando Giunone a sua ancella julte,
Nascendo di quel d' entro quel di fuori,
A guisa del parlar di quella vaga,
Ch' amor consunse come Sol vapori.
0 portento della sua arte e della sua parola! Quante
cose, e quanto esattamente e graziosamente dipinte in si
brevi tocchi! Yoi vedete l'arco principale più colorito e
spiccante; vedete il secondario coi colori in ordine inverso,
a guisa di una riverberazione, d'un eco del primo arco.
L'eco indi, che vi ha tanto mirabilmente servito a rappre-
sentarvi il primo concetto, diviene a sua volta argomento
di un altro vaghissimo quadro: la tenera ninfa che amor
consunse con le sue fiamme; soggiungendo finalmente, per
colmar la misura, l' altro mirabile paragone de' vapori al
modo stesso dileguati dai raggi ardenti di quell'altro Dio,
Capocci - V. Libri, Yaccolini.
Perch'io la veggio noi verace speglio (la voglia tua)
Che fa di se pareglie l'altre cose,
E nulla face lui di sé pareglio. Par. xxvi 106.
Eccoci innanzi all'improvviso una scena bellissima, pen-
nelleggiata con una sola parola, co' suoi soliti colori freschi,
ricchi, abbaglianti : pareglio, qui vale quel bel fenomeno che
talvolta si ammira nell'atmosfera, ove con ottica illusione
è ripetuto al vivo l'imagine splendente del Sole e della Luna
col più vaghi colori dell'iride. Yeggasl di qual momento sia
r introduzione di questo soggetto, e quanto propria, poetica,
evidente, efficacissima la comparazione che adopera per ren-
derne sensibile l'astrusa idea della mistica intuizione del cosmo
nel suo divino Autore. - Veggo il tuo desiderio nel verace
specchio che fa di sé parelio, larva, vero specchio insomma,
alle altre cose; e nulla fa di sé parelio a Lui, unico, immenso,
inimitabile. - Capocci. -
FISICA. 247
stelle ardenti. — Di questi fuochi parlò Virgilio, come
nella sentenza del volgo: Georfj. i. ^565; jEn. y. 527. Ma il
poeta filosofo con più verità e più vicino a natura :
Vapori accesi non vid'io sì tosto
Di prima notte mai fender sereno. Purq. v. 37.
Quale per li seren tranquilli e puri
Discorre ad ora ad or subito fuoco,
Movendo gli occbi che stavan sicuri,
E pare stella che tramuti loco,
Se non che dalla parte onde s'accende
Nulla sen perde, ed esso dura poco. Par. xv. 13.
Veggasi, dice il Capocci, come non lasci verun fenomeno
interessante, senz'avvertenza: e ne presenta bellamente il
trasalir che si prova al subito trascorrere pel cielo de' globi
Igniti e delle stelle cadenti ; spiegando disinvoltamente che
non si tratta mica di vere stelle; perchè ninna ne manca
nel luogo onde quella larva fatua e fugace di stella sì, è
mossa. Del resto ora noi abbiamo riconosciuto che tra
queste diverse generazioni di corpi non vi è tutto quel
divario che prima i saggi credevano; poiché le stelle cadenti,
benché di mole picciolissima, sono anch'esse veri corpi
celesti, che s'incendono nel cadere verso la terra.
Attrazione universale. — I presentimenti della teoria
dell'attrazione universale che la storia della scienza rico-
nosce in Filopone, in Cecco d'Ascoli, in Keplero e in altri,
non mancano in Dante; egli vi parla del centro della terra,
come di un
— punto
Al qual si traggon d' ogni parte i pesi. Inf. xxxiv. 10.
11 ferventissimo appetito, di cui si ragiona nel Convito, ram-
menta la virtus tractoria di Keplero. - Lioy.
Dove la gloria del poeta vince il nostro immaginare si
é nell'aver egli dell'attrazione universale dato cenno assai
prima che Newton, aiutato dalle scoperte del Galilei, ne
elesse il gran sistema del mondo. E per ciò ch'é dell'attra-
zione celeste: « Italia nostra può andare con ragione superba,
che Dante sia stato altresì il primo a discoprire e pubblicare
il sistema intorno all'attrazione, sviluppato poi ed illustrato
dall'inglese Isacco Newton. 11 poeta, chiaramente l'espresse
in quel terzetto: » Par. xxviii. 127.
248 COGNIZIONI SCIENTIFICHE
Questi ordini di su tutti rimirano,
E di fjiù vincon sì, che verso Dio
Tutti tirati sono, e tutti tirano.
Cosi l'Editore romano; e il dìligenlissimo Portirelll ne
fa accorti che, non altrimenti notò Giuseppe Barctti, cui
piacque di leggere di su tutti mirano, allegando una dis-
sertazione del matematico Tagliazucchi, sopra la quale i
critici più severi sentenziando, questo non sanno negare
al postutto, che nel v. 129 è quasi un germe poetico, ed
una perfigurazione della grande idea di Newton. Quanto
poi all'attrazione terrestre, ecco le parole di Guido Guini-
celli e di Giulio Perticari, interlocutori nel più gran dialogo
della Proposta, di che ha fatto dono all'Italia il cav. Monti.
GuiD. Egli (Dante) invece di dire : Tu passasti il centro
della terra, ecco che ti presenta al pensiero una delle più
alte verità della fisica, la principale delle sue leggi, dicendo :
Tu passasti il punto
Al qual si traggon d' ogni parte i pesi.
in questa sublime imagine non ti par egli proprio di vedere
da tutta la terrestre circonferenza i corpi tutti a linea retta
potentemente tirati verso quel punto?
Peri. Se questo passo di Dante per avventura fosse
venuto sotto gli occhi di Newton, m'avviso che a concepire
il sistema dell'attrazione, questo solo verso gliene avrebbe
destato il pensiero meglio che l'accidentale caduta di un
pomo a un bel raggio di luna nel suo giardino. - Vaccolini.
Suppone, (e ciò fa grande onore al suo acume ed alla
sua scienza, avuto riguardo all'ignoranza in cui allora si
era sulle vere leggi della fisica costituzione del nostro
globo) che i pesi, i corpi gravi, sono d' ogni parte tratti
verso il centro terrestre, e questo è verissimo. Però con
giusta logica è indotto a credere che a misura che ci avvi-
ciniamo a cotal punto, la sua virtù debba divenire sempre
più forte. Ma la cosa nel fatto non va così... Capocci.
Antipodi. — Anche bene degli Antipodi, già tanto
oscuri alla mente degli uomini, prima che il lume dell' i-
taliano Colombo li rischiarasse, non meno che della gravi-
tazione, presentiva l'altissimo poeta, laddove per uscire del
baratro infernale avvinghiossi egli al corpo di Lucifero che
FISICA. 249
tiene (nel suo concetto) il centro della terra: girò attorno
a quel centro, a cui tendono tutti i gravi: ed allora rove-
sciatosi sopra sé medesimo, ivi forse dove sembrato era
che fosse disceso. Che se non foste contento a questo, ponete
sulla bilancia della critica quello eh' è detto fra gli altri
luoghi nel i. del Paradiso v. 43.
Fatto avea di là mane e di qua sera
Tal foce, e quasi
e verrete, ne sono certo nella mia opinione. (V. Purg.wA.)
Anche Fr. Petrarca : Sest. i. 3.
E le tenebre nostre altrui fann'alba.
Nella stagion che 'i Ciel rapido inchina
Verso occidente, e che il dì nostro vola
A gente che di là forse l'aspatta. Petr. Canz.iv. 1.
e il Pulci : Morg. Mag. xxv. 229.
Sappi che questa opinione e vana,
Perche più oltre navicar si puote,
Però che l'acqua in ogni parte è piana...
E puossi andar giù nell' altro emisperlo,
Però che al centro ogni cosa reprime :
Sì che la terra per divin misterio
Sospesa sta fra le stelle sublime.
E laggiù son città, castella e imperio
3Ia noi conobbon quelle genti prime.
Cirandi cataclismi mondiali. — Che diremo poi della
grande idea che il mondo a certi periodi stabiliti soflra
una rivoluzione e si rinnovelli ? Il qual fenomeno gli antichi
chiamano il grande anno:
Per lo quale è chi creda
Più volte il mondo in caos converso. Inf. xu. 41.
Platone di questo parlò, e molto più Cicerone, e Marco
Antonio, ma ninno con tanta poesia e novità, siccome fece
Dante, il quale finse il mondo universo come un'essere
senziente, che sentisse amore, e in quegli ardori rinnovasse
so medesimo.
Opera più magnifica dell'umano intelletto della teoria
con cui oggi si spiega la storia geologica del nostro pianeta
credo sia difficile citare. Ebiiene, al genio di Dante balenò
la splendida luce della teoria degli abbassamenti e dei
sollevamenti che rende immortali i nomi di Cordier, di Elia
de Beaumont e di Leopoldo de Buch. Questa teoria del
resto quasi un secolo prima era stata esposta dal friulano
250 COGNIZIONI SCIENTIFICHE - FISICA.
Lazzaro Moro e da Cirillo Gennerelli. Noi crediamo che
codesta teoria onde si servono i fisici per ispiegare le cata-
strofi geologiche onde la terra va soggetta, palesemente
risulti dalle due seguenti terzine dell'Inferno:
T)a questa parte cadde giù dal cielo;
E la terra che pria di qua si sporse,
Per paura di lui fé del mar velo,
E venne all' emisperio nostro ; e forse
Per fuggir lui lasciò qui il luogo voto
Quella che appar di qua, e su ricorse. Inf, xxxiv. 120. - Lioy.
Manifeslum est, quod virtus elevans est illis stellis, quae
sunt in regione coeii istis duobus circulis contenta (cioè
fra la linea equinoziale e quella che descrive il polo dello
zodiaco intorno al polo del mondo), sive elevet per moclum
attractionìs ut magnes attrahil ferrum, sive per modum
piilsionis, generando vapores pellentes, ut m particularibus
montuosltaUhus. Quaestio de aqua et terra, § 21.
Il Prof. Yolpicelli nell'accademia Tiberina leggeva nel 1862
alcuni suoi discorsi intorno le verità della Divina Comedia,
enunciate implicitamente ed esplicitamente prima che fos-
sero professate dalla scienza, come, per esempio, certe verità
intorno alla velocita e riflessione della luce, al moto dei
(jravi cadenti, al prodursi delle brine, al carbonizzarsi
dei combustibili, alle vibrazioni sonore, ed altri fatti di
scienze naturali.
SUIEilTICOE E GEOMETRIA. (1)
Quest' uomo singolare si piace di usare, a mo' di
dire, il nostro proprio linguaggio : le sue espres-
sioni sono come tanti segni stenografici, tanti
segni algebrici, che vi rappresentano i pensieri
più vasti come riconcentrati in una formola ; dif-
finendovi sovente il moto, il tempo, lo spazio
per mezzo d' una equazione. - CjVPOCCI.
Dell'Aritmetica. — Del lume dell' Arisniellca tutte le
scienze s'alluminano; perocché i loro suggelti sono lutti
sotto alcun numero considerati, e nelle considerazioni di
quelli sempre con numero si procede... L'Arismetica è la
(1) Se v'ha chi desideri di vedere i profondi calcoli della Geometria
sottommessi alla ragione poetica, legga Dante perchè Dante è sommo
Geometra. V. Monti. - Che se Michelangelo fu debitore del sublime dina-
mico, che riluce nella fiera e tragrande persona del suo Mosè e nel tre-
mendo Giudizio al cantordi Catone, di Capaneo, di Farinata, dell'empireo
e dell'abisso, vogliam credere che l' architettura dantesca non sollevasse
la sua mente al sublime matematico, e non gli suggerisse il pensiero di
mettere in cielo l'opera del Brunelleschi? La geometria e l'architettonica
del Purgatorio e dell'Inferno sono fondate sul sistema curvilineo del
cono, cho nell'antica simbologia era emblema fallico ed emanatistico, e
un addolcimento del sistema piramidale più vetusto e parimente espres-
sivo del Teocosmo. Ma la sostituzione della linea torta alla diritta ac-
cenna da un lato al trapasso estetico del sublime al bello, e della età
cosmogonica alla succedente, e dall'altro lato al surrogamento del prin-
cipio di creazione al dogma panteistico; giacché il passaggio della linea
retta alla curva, e del poligono al cerchio, importa quello dell' infinito
al finito, e si fonda sulla doppia attinenza dell'atto creativo verso i due
estrerai della forinola.... La geometria dantesca risale, come la geografia,
la cosmogralia e l'astronomia mitiche che l'accompagnano, all'antichità
classica ed orientale, secondochè si vede nel monte del Purgatorio, il
cui emblema ligurale ( somigliantissimo anche in botanica all'Edcne di
Linneo) si accoppia coU'antictono di Platone, di Aristotile, di Cicerone,
di Macrobio, di Manilio, di Jlela, di Eratostene, e si può dire, di tutta
ia scuola d' Alessandria, tranne Ipparco e i suoiseguaci... Gioberti, Del
Primato.
252 COGNIZIONI SCIENTIFICHE
scienza del numero... il numero, quanto è in sé considerato,
è infinito : Conv. n. 14.
Il numero non è che un aggregato di unità: - Rata
Dall' un, se si conosce, il cinque e il sei: Par. xv. 56.
Della Geometria. — Del Cerchio. — La Geometrìa SÌ
muove intra due repugnanti ad essa ; siccome tra 'l punto
e '1 cerchio (e dico cerchio largamente ogni ritondo, o corpo,
0 superfìcie); che, siccome, dice Euclide, il punto è prin-
cipio di quella, e, secondo ch'e' dice, il cerchio è perfettissima
figura in quella, che conviene però aver ragione di fine;
sicché tra '1 punto e '1 cerchio, siccome tra principio e fine,
si muove la Geometria. E questi due alla sua certezza re-
pugnano; che '1 punto per la sua indivisibilità e immisura-
bile, e il cerchio per lo suo arco è impossibile a quadrare
perfettamente, e però è impossibile a misurare appunto. -
E ancora la Geometria è senza macula d'errore, e
certissima per se, e per la sua ancella che si chiama Pro-
spettiva: Conv. 11. 14.
E fa pure ricorso all'istessa geometria, e precisamente
air impossibilità di dimostrare la quadratura del circolo, per
dimostrare fin dove gli è conceduto di ritrarre con parole
la vista ultima di Dio:
Qual è il geometra che tutto s'afJìge
Per misurar io cercliio, e non ritrova,
Pensando, quel principio ond' egl'indige:
Tale era io a quella vista nuova :
Veder voleva, come si convenne
L'imago al cerchio, e come vi s' indova;
Ma non eran da ciò le proprie penne. Par. xxxui. 133.
E dalla stessa fonte è pur tratta la sublime imagine
dell'Eterno, contemplato come centro delle grandi rivolu-
zioni, in quel punto a cui tutti li tempi son presenti. Quel
punto centrale è l'occhio sempre aperto del pitagorico De-
miurgo, dinanzi a cui tutte le creazioni e spente e vive
e future non sono che un breve ed unico punto di vista.
Y. Monti.
E nel XIII del Par. v. 101, volendo recare esempi di
cose impossibili a dimostrare, usa fra le altre un'assai poe-
tica maniera tolta pure dalla Geometria: se in un semi-
cerchio si possa iscrivere triangolo, un lato del quale sia
MATEMATICHE E GEOMETRIA. 253
(liamelro del cerchio, senza che formi un angolo retto:
Se del mezzo cerchio far si puote
Triangol sì eh' un retto non avesse.
NÒ potea egli più vivamente significare l'alta ripa del
Purgatorio, quasi impossibile a salire anche carpando, di quel
che si legge nel iv e. del Purg. v. 40:
Lo sommo er'alto che vincea la vista,
E la costa superba più assai,
Che da mezzo quadrante a centro lista.
Un quadrante, ossia un quarto di cerchio, contiene 90" ;
il suo punto di mezzo per conseguenza dista dai due estremi
di 45*^, Una lìnea dal detto mezzo al centro del quadrante,
fa un angolo con uno de' suol lati, precisamente di 45^.
Egli chiama lista quella tal linea, perchè allora ed anche
poi, si è usato uno stromento per misurar gli angoli, detto
quadrante, ch'era appunto quel che indicava il suo nome.
Quando uno de' suoi lati si poneva a perpendicolo, con un
filo a piombo, l'altro lato a squadra, teneva naturalmente
la linea orizzontale; ed un raggio, una lista girevole dal-
l'un de' capi intorno al centro dello stromento, dirigendosi
ad un astro ad un campanile ecc., dava suU' arco del qua-
drante ove rispondeva l'altra estremità, l' altezza angolare
suir orizzonte dell' oggetto in proposito. Disagevolissimo
dovea dunque essere il pendio superando più assai i 43^
d'inclinazione sul piano dell'orizzonte. - Capocce.
L'irrefragabile verità d'una proposizione è espressa, di-
cendo che la medesima si fa nel vero come il centro in uu
circolo. L'esatta croce ch'è formata da' beati spiriti, costellati
nelle sfere di Marte, è detta il venerabil segno, die fa
giuntura di quadrato in tondo: Par- xiv. 101.
Tetragono. — Allorché nel xvu del Par. parlando del suo
trisavolo Cacciaguida, vuol dire ch'ei sente l'animo forte a
sostenere le gravi sciagure che gli sono predette, non pa-
ragona egli già la sua fermezza né alle roveri nò alle rupi,
come Virgilio quella di Enea e del re Latino, ma alla più
solida delle figure geometriche, al tetragono, (figura qua-
drata 0 cubica) che comunque tu lo volga e rivolga, sempre
è lo stesso:
Dette mi fur di mia vita futura
Parole gravi ; avvegnach' io mi senta
254 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
Ben tetragono ai colpi di ventura. Par. xvii. 22.
Ecco un bel fiore di sentimento germoglialo sugli aridi
rovi delia geometria. Y. Monti.
In un triangolo non possono contenersi due an-
goli ottusi. — E più bello e di più allo concetto è quel-
l'altro nel medesimo canto, v. 13, ove la chiara e perfetta
conoscenza che hanno in Dio delle mondane future cose
i beati, vien comparata alla chiarezza di quell'assioma, che
in un triangolo non possono contenersi due angoli ottusi :
0 cara pianta mia (che sì t'insusi,
Che, come veggion le terrene menti
Non capere in triangolo due ottusi,
Così vedi le cose contingenti,
Anzi che sieno in sé, mirando il punto
A cui tutti li tempi son presenti ).
Ecco di nuovo la geometria chiamala ad ornare la poesia
senza alterarne il costume, senza tirarla fuor di strada.
( Quadrangolo, triangolo, pentagono, ricordati : Conv. iv. 7 ).
L'angolo d'incidenza eguale all'angolo di rifles-
sione.—QuestO sarebbe linguaggio di cattedratico prosatore.
Ma si farà poetico se parlando della luce dirai : Il raggio
che scende pari al raggio che sale:
Come quando dall'acqua o dallo specchio
Salta lo raggio all'opposita parte,
Salendo su per lo modo parecchio
A quel che scende, e tanto si diparte
Dal cader della pietra in igual tratta
Sì come mostra esperienza ed arte. Purg. xv. 16.
Il Torelli in una sua lettera al Sibiliali prende a chiosare
questo passo di Dante, e cita una proposizione della catot-
trica di Euclide, e ci reca una figura geometrica.
Linea perpendicolare. — Neil' accennata bellissima
comparazione del raggio che da acqua o da specchio si
ripercuote, egli ha bisogno di esprimere la perpendicolare.
Chi saprebbe collocare questa voce con un qualche garbo
nel verso e collocarvela senza prosa? Credo che Apollo
stesso noi saprebbe! Che farà adunque in tale stretta il
nostro poeta? Risolverà nei suoi principii l'idea di questa
linea, e osserverà che un grave descrive cadendo una
perpendicolare, troverà non solamente la via di signilicar
quella linea, ma te la dipìngerà e te la renderà visibile,
MATEMATICHE K GEOMETRIA. 255
chiamandola con elegantissimo rigor matematico il cader
(Iella pietra. Artificio di poesia bellissima ed evidentissima. -
V. Monti.
Vuol egli cavare un paragone meglio adattato ad espri-
mere la smisurata idea della eternità? Ed egli lo trae dal
moto proprio del cielo delle stelle fìsse, il quale sì compie
per la precessione, in 26 mila anni, ed allora credevasi
che si compisse in 36 mila. Potevansi forse, dice il Capocci,
trovar termini più lontani? Purg. xi. 106.
ASTRONOMIA
" E che? Non potrò io ogni dove mirare gli
specchi del sole e degli astri? Non d'ogni dove,
sotto il cielo, speculare dolcissime veritadi ? „
DANTE, Ep.X,§4.
„ Vedete Humboldt accennare alle quattro
stelle del Purgatorio, salutando il Poeta italiano
come il Colombo delle costellazioni antartiche,
più meraviglioso in questo di Leverrier che di-
vinò col calcolo l' esistenza, or confermata di
nuovi pianeti. DALL' ONGARO.
Con che vaghezza e varietà d'imagini e di colorì presi
dall'astronomia, non ci dipinge le diverse età del giorno,
dal primo albeggiare al fitto più alto della notte?
Eia notte si appressa al suo termine . — Ed eCCOCÌ
i Pesci, stando il Sole nel segno dell'Ariete, già levati
sull'orizzonte, ed il carro di Boote giacere ad occidente
sopra quella parte donde spira Coro:
I pesci guizzali su per l' orizzonta,
E U Carro tulto sovra 'l Coro giace. Inf. xi. 112.
Ed eccoci pure l'Aurora, fregiata di questi stessi pesci,
con quel nobilissimo solitario di Venere per soprappiù:
Lo bel pianeta che ad amar conforta,
Faceva tutto rider 1' oriente,
Velando i pesci eli' erano in sua scorta. Purg.i. 19.
quasi oscurando col suo maggior lume.
?56 COGNIZIONI SCIEMIFICIIE.
Ed ora la Luna è giunta all' orrizzonle, al confine oc-
cidentale dei due emisferi : il Sole, che le è opposto, di
presso al plenilunio, è in sul sorgere:
Già tiene il confine
D'iimbcdiie gli emisperi, e tocca l'onda
Sotto Sibilili Caino e le spine.
E già iernotte fu la luna tonda, Inf. xx. 124.
All'ultima ora della notte e' son alzali tutto Acquario, e
parte dei Pesci : il calor diurno del dì precedente è al tutto
estinto: dovuta alla terra 1* efficacia di tale esinanimento:
con che, dice il Capocci, quantunque nulla di nuovo ci
apprenda, pure fa meraviglia, come in quel secolo, in cui
per certo non facevansi osservazioni meteorologiche, egli
si mostri cosi biioa intendente di fisica:
^'el^ ora che non può 11 calor diurno
Intiepidar più il freddo della luna,
Vinto da Terra o talor da Saturno;
Quando i geomanti lor maggior fortuna
Yeggiono in oriente, innanzi all'alna,
Surger per via che poco le sta bruna. Purg. xix. 1.
A sei mila miglia lontano gli era mezzodì, ed egli a seicento
miglia più ad oriente: onde manca oltre un'ora al sorgere
del sole. L'ombra della terra gli sì era inclinala quasi al
piano dell'orizzonte, al letto piano. In questo mentre il
mezzo del cielo, la sua parte culminante, per la luce cre-
puscolare, comincia a farsi profondo come se si allontanasse:
poiché ogni stella minore perde il parere, non si vede più
dal fondo ove trovasi il riguardante ; ed a misura che vien
oltre l'Aurora, la chiarissima ancella del sole, si dileguano
man mano anche le stelle più grandi, infìno alle più belle:
Forse semita miglia di lontano
Ci ferve l'ora sesta, e questo mondo
China già l'ombra quasi al letto piano,
Quando il mezzo del cielo a noi profondo
Comincia a farsi tal, che alcuna stella
Perde il parere infìno a questo fondo;
E come vien la chiarissima ancella
Del Sol più oltre, così il ciel si chiude
Di vista in vista infìno alla più bella. Par. xxx. 1.
Notisi quanto stia bene quel dire infino a questo fondo in
corrispondenza della leggiadra idea, venutagli di farci ri-
guardare la disparizione delle stelle, come se il cielo si
allontanasse, facendosi più profondo.
ASTRONOMIA. 257
Imagine, dice il Ranalli, che trascende ogni possibilità
di concepirne altra più ingegnosa. Da quanti poeti, e in
quante maniere diverse non era stata figurala quell'ora
che precede il sole? Perchè tornasse a fare effetto, quasi
imagine non mai figurata, usa una perifrasi tolta da' calcoli
della scienza astronomica. Cosi Dante non solo le cose
comuni, come il dire: manca un'ora circa al nascer del
soie, abbellisce con imagine poetica, ma ancor l' imagine
poetica rende più peregrina con dottrine cavate dalla scienza
astronòmica.
Quivi, ne aggiunge il prof. Minich, con meravigliosa
approssimazione accenna la durala del crepuscolo mattutino
poco dopo l'equinozio di primavera, all'istante in cui sva-
niscono le stelle meno appariscenti fino al sorgere dell'alba.
Se la lunghezza dell'arco terrestre, indicato dall' Allighieri,
sì dovesse prendere sull'equatore, quel periodo di tempo
sarebbe poco minore di un'ora e quattro minuti. Ma se
si debba valutare la detta estensione sopra un circolo di
altezza, l'alba comincerebbe, secondo il poeta, allorché il
Sole si trova a 16 gradi sotto l'orizzonte, e la durata del
crepuscolo cos'i stabilita, sarebbe ancora più prossima al-
l'attuale misura teorica, e si potrebbe applicare ad ogni
stagione.
E per significare essere già vicino il comparire del sole
nel Purgatorio, con bellissima imagine ci dice ch'esso era
giunto a ponente all'orizzonte di quello di levante. La
notte che gira opposta ( in direzione opposta ) al Sole, ( non
essendo essa altro che l'ombra della terra che ne intercetta
i raggi) esce fuori del Ganc/e (oriente) nel nostro emisfero,
giacché il Sole si trova in opposizione al tramonto:
Già era il Soie all'orizzonte §:iunto,
Lo cui meridian cerchio coverchia
Jerusalem col suo più alto punto:
E la notte che opposita a lui cerchia.
Uscia di Gange fuor colle bilance,
Che le caggion di man quando soverchia;
Sì che le bianche e le vermiglie guance,
Là dove io era, della bella Aurora
Per troppa etate divenivan rance. Putq.w. 1.
Tre diversi colori si veggiono in cielo prima dello spun-
tar del Sole: il bianco dell'ora mattutina, il vermiglio della
VOL. II. 1"
258 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
aurora, e il rancio che precede di poco il Sole. E Dante,
volendo mostrare il sorgere del Sole, rappresenta il terzo
di questi effetti: — Può darsi, dice il Capocci, più felice
idea del far succedere al dilicato candore della prima età,
il roseo colore della fiorita gioventù, ed u questo finalmente
la tinta avvizzita, e come itterica della troppa ctale? Con
cui finisce questa fugace illusione, come tante altre di questo
mondo! — Il Caro nella sua lettera a Taddeo Zuccaro ad-
ditandogli il come avesse a dipingere l'Aurora gli rammenta
che essa ha tre stati e tre colori distinti, cosi ha tre nomi :
alba vermiglia e rancia.
I primi raggi del sole nascente incominciano a vestire
di luce le cime de' monti : Inf. 1. 16. - Ed il sole nascente
col suo calore ravviva le membra intirizzite dal freddo
della notte:
Il Sol conforta
Le fredde membra che la notte aggrava. Purg. xix. 10.
É un'ora e mezzo di Sole al tempo dell'equinozio;
E già il sole a mezza terza riede. Inf. xxxiv. %.
Son due ore di Sole:
E il sole er' alto già più che due ore. Purg. ix. 44.
E a quest'ora ci presenta una caccia astronomica, in cui
il Capricorno dal mezzo del cielo, ove slavasi, passa all'altra
banda del meridiano:
Da tutte parti saettava il giorno
Lo Sol, eh' avea colle saette conte
Di mezzo '1 ciel cacciato il capricorno. Purg. ii. SSi,
Modo leggiadrissimo, dice il Ranalli, chiamando saette i
raggi solari, come pure lucida tela li avea chiamati Lucrezio.
A quattro ore di Sole, nel quarto g^iorno dopo il
plenilunio:
Lo scemo della luna
Rigiunse al letto suo per ricorcarsi. Purg. x. 74.
Notisi la proprietà di quel nominare lo scemo della luna,
invece della luna stessa, che dipinge la cosa più evidente-
mente; conciossiacchè la parte scema della luna, quando
essa è mancante, dopo il plenilunio, è volta a ponente, e
perciò tocca primamente l'orizzonte, quando quella giunge
al tramonto:
ASTRONOMIA. 2o9
Son le dieci ore a un bel circa t
Ben cinquanta gradi salito era
Lo Sole. . . Purg. iv. 15.
Son presso le nudici :
E già le quattro ancelle eran del giorno
Rimase addietro, e la quinta era al temo,
Drizzando pure in su l' ardente corno. Purg. xxii. 118.
È mezzo giorno:
Ferve 1' ora sesta. Par. xxx. 2.
Vienne ornai, vedi eh' è tocco
Meridian dal Sole, ed alla riva
Copre la notte già col pie Marocco. Purg. iv. 107.
Virgilio dice: sol medium caelo conscenderat igneus orbem.
Ma vi è forse la bellezza che negli accennati versi dell'Al-
lighieri, che il rappresenta dall'effetto e con un pensiero
tanto peregrino? Imperciocché essendo mezzodì nel luogo
ov'ei finge di trovarsi, portava che fusse notte sopra Ma-
rocco 0 Mauritania. E vuoi più gentile, più vera, più poe-
tica figura di questa per la medesima significazione del
meriggio?
Vedi che torna
Dal servigio del di l' ancella sesta. Purg. xu. 80.
Quando il Sole si appressa al meridiano è più splendente,
e va più rimessamente, con più lenti passi, cangiando al-
tezza. Il meridiano varia di posizione, come l'orizzonte,
secondo il luogo degli spettatori, « qua e là come gli aspetti
fassi :
E più corrusco, e con più lenti passi,
Teneva il Sole il cerchio di merigge,
Che qua e là, come gli aspetti, fassi, Purg. xxxiii. 103.
Nel xxiii. del Farad, v. 11, il cerchio del mezzodì è chiamalo
la plaga Sotto la quale il Sol mostra men fretta.
Ed il Sole a mezzodì passa in un subito dal quadrante
orientale all'occidentale:
Il Sol muta quadra all' ora sesta. Par. xxvi. 142.
È nn'ora circa dopo mezzo giorno. — Ad indicarci
quesl' ora, si serve della luna opposta al Sole, come farebbe
chi per indicare l'ora in un quadrante di orologio, si ser-
visse dall'altra estremità più l3reve dell'indice, aggiungen-
dovi dodici ore. - La luna in un giorno e mezzo da che
260 COGNIZIONI SClENTIFlCnE.
fu piena, cioè in perfetta opposizione col sole, si è avanzata
tanto verso oriente, che quando la giunge sotto i nostri
piediy al meridiano inferiore, il Sole si è dovuto inoltrare
ad occidente, dopo di aver passato da più di un'ora il
meridiano di sopra.
E già la Luna è sotto i nostri piedi. Inf. xxix. 10.
Son passate due ore d(>po il mezzodì. — li Sole
eh' è in Ariete, ha lasciato il meridiano al Toro. Se ivi nel
meridiano vi avea il segno del Toro, agli Antipodi dovea
culminare il segno dello Scorpione che gli è opposto, perciò
la notte è come in potere dello Scorpione:
Al Sole avea il cerchio di merigge
Lasciato al Tauro, e la notte allo Scorpio. Purg. xxv. 2.
Restano tre ore di Sole. — Quanto tratto dalla sfera
celeste corre tra l'ora terza compiuta e il nascer del Sole
(cioè 45 gradì), tanto gli rimane a percorrere:
Quanto tra l'ultimar dell'ora terza,
E '1 principio del di' par della spera,
Che sempre, a guisa di fanciullo, scherza,
Tanto pareva già in ver la sera
Essere al Sol del suo corso rimaso:
Vcspero là, e qui mezza notte era. Purg. xv. I.
Il Sole prog^redisce sensibilmente verso sera : ed
il poggilo volto a levante getta l'omtira:
Vedi ornai che '1 poggio l'ombra getta. Purg. vi. 31.
Salendo alla dirittura di oriente, vediamo innanzi la nostra
propria ombra, originata dall' intercettare che fa il corpo
i raggi solari, che vengono dall'occidente. Il sole ne tra-
monta dietro le spalle, e lo sentiamo per mezzo della vista
della disparizione della nostra ombra che ci è innanzi.
L'orizzonte si fa tutto d'un' aspetto coll'abbuiarsi :
Dritta salia la via per entro il sasso,
Verso tal parte, eh' io toglieva i raggi
Dinanzi a me del Sol eh' era già lasso.
E di pochi scaglion levammo l saggi.
Che il Sol corcar, per l' ombra che si spense,
Sentimmo dietro ed io e gli miei Saggi.
E pria che in tutte le sue parti immense
Fusse orizzonte fatto d'un aspetto,
E Notte avesse tutte sue dispense... Purg. xxvii. 64.
Sì sa che quella parte dì cielo che prima appariva azzurra,
ASTRONOMIA. 261
avvicinandosi il Sole, in un bel dì sereno, diventa bianca,
massime presso dell'orizzonte, ove appunto il Sole va ca-
lando, il qual effetto più veduto che avvertito fa cantare
al poeta:
Feriami '1 Sole in su V omero destro,
Che già, raggiando, tutto 1' occidente
Mutava in bianco aspetto di cilcstro. Purg. xxvi. 5.
Il tramonto è di presso : Ed il poeta prende occa-
sione a parlarci di un fenomeno che lo avea colpito a mezzo
alle nebbie delle montagne, ove il disco solare, dispogliato
della sua radiosa ghirlanda, può essere sostenuto e con-
templato a bell'agio sotto insolito aspetto:
Ricorditi, lettor, se mai nell'alpe
Ti colse nebbia, per la qual vedessi
Non altrimenti che per pelle talpe ;
Come, quando i vapori umidi e spessi
A diradar cominciansi, la spera
Del Sol debilemente entra per essi;
E fla la tua immagine leggiera
In giugnere a veder, com' io rividi
Lo Sole in pria, che già nel corcare era. Purg. xvii. 1.
Ed eccoci una nuova dipintura perfetta, come in un daghe-
rotipo di quel che tutti veggiamo la sera, al cessar della
luce diurna, ma senza troppo badare al modo onde questa
luce va gradatamente ad estinguersi. - Questa coccoletta,
che noi chiamiamo il globo terrestre, è avviluppata in una
sottil falda di aria, la quale la ricopre come la peluria
intorno a una pesca. Ma l'aria si va diradando per modo
che ne' suoi strati superiori, che all'altezza di 40 miglia
cessa al tutto di rifletterci la luce del sole, quando esso
si è abbassato a 18*^ circa sotto dell'orizzonte. Allora ogni
luce crepusculare vien meno e sovraggiunge la notte. Ma
prima di questo punto, gli ultimi raggi del sole, che la notte
serjue, a' quali vien dietro la notte, illuminano una porzione
sempre più piccola del menisco, della cupola aerea che ci
sovrasta : al punto del tramonto, gli ultimi raggi del sole
l'illuminano tutta; ma a misura che questo si abbassa, i
detti raggi tangenti alla superficie terrestre, s'inalzano;
rimanendo nel perfetto buio la parte opposta dell'atmosfera
di sotto, verso oriente; prescindendo dalla luce ivi difl'usa
dagli altri strati ancora illuminati più in allo, fino a ponente :
262 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
Già eran sopra noi tanto levati
Gli ultimi raggi che la notte segue,
Cbe le stelle apparivan da più lati. Piirg. xv». 70.
Veggasi quanto sìa esalto e ben detto, quel levarsi sopra
di essi di quegli ultimi rar/gì che cosi permettono di ap-
parire alle più belle stelle da vari lati. E al C. xx del Pa-
radiso, V. 1 :
Quando colui che tutto il mondo alluma
Dell' emisperio nostro si discende,
E il giorno d'ogni parte si consuma,
Lo ciei, che sol di lui prima s'accende,
Subitamente si rifa parvente
Per molte luci, in che una risplende.
ffiion due ore di notte pas»sate, ed è per compiersi
la terza:
E la notte de' passi con che sale,
Fatti avea duo nel loco ov' eravamo,
E il terzo già chinava in giuso l'ale. Purg.ìx.1.
É cominciata la quarta ora di notte»
Già eran quasi che atterzate l'ore
Del tempo eh' ogni stella è più lucente. Son. i.
É mezzanotte:
Già ogni stella cade, che saliva
Quando mi mossi. Inf. vii. 98.
Dal tramonto del sole sino alla mezzanotte le ultime stelle
che spuntano sull'orizzonte ascendono al meridiano, cac-
ciando innanzi quelle tutte che le precedono, quindi, passate
quelle, discendono per altre sei all'occidente.
E al C. XX vili del Purg. v. 1 ci dà «no sfoggio di eru-
dizione astronomica per darci l'ora anche a quattro canti
del mondo, secondo i dati geografici di quei giorni conosciuti.
E al C. vili, del Purg. v. 133. volendo esprimere vaga-
mente e poeticamente che non passeranno sette anni che
egli nel tempo del suo esigilo dovrà sperimentare la cor-
tesia dei signori Malaspina, cosi fa parlare all'ombra di
Corrado :
Or va, che 11 Sol non si ricorca
Sette volte nel letto che il Montone
Con tutti e quattro i pie copre ed inforca,
Che cotesta cortese opinione
TI fla chiavata ....
E novera pure il tempo dal rinovarsì e Io spegnersi del
lume della luna.
ASTRONOMIA. 263
Mi non cinquanta volte fia raccesa
La faccia della donna che qui regge... Inf. \. 79.
Cinque volte racceso, e tante casso,
Lo lume era di solto dalla luna. Inf. xxvi. 130.
E con la sua solila sagacia e profondila dice di sotto dalia
luna anzicchè il lume della lima, perocché la luce della
luna, che ne porge mezzo di noverare le lunazioni con le
sue fasi, è quella che illumina Temisfero disotto, l'inferiore
visibile; quello ciie accade nell'altro emisfero, disopra, noi
noi veggiamo giammai: perciò quel di sotto è dello sapien-
temente, e non a caso, è detto da vero maestro.
Sole. — 11 Sole, secondo la teoria di Dante è fonte
universale di luce [Conv. u\.l), di che poi tutte k altre
stelle s'informano: {Conv. u.\ì) esso di sensibile luce sé
prima e poi tutti li corpi celestiali ed elementali allumina
{Coni', ili. 22), esso padre d'ogni mortai vita, che
da levante
Avante, infino a tanto che s'asconde,
Con li bei raggi infonde
Vita e virtù quaggiuso
Nella materia sì, com' è disposta, Canz. xvii. 6;
e indi riduce le cose a sua similitudine di lume, quanto
esse per la loro disposizione possono dalla sua virtù lume
ricevere: Conr. iii. 4 ; iii. 7 - Gl'influssi del sole divengono
più potenti per quelli della Costellazione in che il gran
pianeta si ritrova: Canz. xvn. 7; Purg. xxxii. 53; Par. i. 40.
Cicerone nel Sonno di Scipione avea chiamalo il Sole
Mente del mondo. Ma Dante si alzò eminente sopra lutti
i poeti, quando con un solo verso racchiuse la più ma-
gnifica lode di che mai possa esaltare 11 Sole l'imaginazione,
cantando :
Lo ministro maggior della natura. Par. x. 28.
Metti ben addentro alla mente la grande idea della Natura,
e alia vista di questo suo grande ministro, che altamente
seduto sul trono della luce distribuisce e vibra in tutta la
creazione il moto e la vita, ti sentirai compreso di gran-
dissima meraviglia. E allora farai un riso di compassione
sull'intonso nume di Delo, sul biondo figlio di Latona, e
quanti altri sterili nomi gli profonde la poesia greca e
laliua. -E chiama il Sole e la Luna occhi del cielo: Purg.
264 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
XX. 132. Ovidio nel iv. delle Metamorfosi, chiamando il sole
occhio del mondo avea già delibalo questo pensiero, mirando
forse a Piatone che in quel suo notissimo epigramma amo-
roso, conservatoci da Laerzio, chiama occhi del cielo le
stelle, metafora leggiadrissima, imitata pur dall' Ariosto,
C. XIV. 39, e dal Tasso, Ger. x. 22. Dante però che non
usurpa mai cosa alcuna senza farla migliore, considerando
che gli occhi del cielo per eccellenza, secondo il giudizio
de' nostri sensi, sono veramente il Sole e la Luna ha con-
centrato in questi due fuochi tutta la sparsa luce dell'idea
platonica, e rendendone più vivo l'effetto, ha reso nuovo
anche il concetto, e più poetica l'espressione. - \.ìÌìo?ì//. -
Ed il Sole pure n'è misuratore del tempo:
Lo ministro maggior della natura,
Che del valor dei cielo il mondo imprenta,
E col suo lume il tempo ne misura. Par. x. 28.
Chi potrebbe dire, aggiugne il Ranalli, quanto sia bello e
nuovo indicarsi il sole sotto questa figura eli' è tutta nuova,
e con la quale consuona quest'altra del Petrarca:
Quando '1 Pianeta che distingue l'ore,
Ad albergar col Tauro si ritorna,
Cade virtù dall' infiammate corna
Che veste il mondo di novel colore. San. 8.
Ma se ben si rifletta, questo meraviglioso indice lumi-
noso, a tutti visibile, ci rende cotali servigi per via del suo
moto, che prendendo le cose un po' alia grossa, ce lo
possiamo supporre uniforme. Onde l' esattezza di cotal
misura dipende dalla conoscenza più o meno esatta di quel
suo moto. La durata dell'anno tropico, è data dal ritorno
del Sole allo slesso tropico, cioè allo stesso solstizio; di-
pendendo da ciò il corso delle stagioni, legate tra loro
immutabilmente. Questa durata è esattamente di 365 giorni
e 24222 centomillesime parti di giorno, ossia (trascurando
le minori frazioni) circa 24 centesime parti di un giorno.
Giulio Cesare, nella sua famosa riforma del Calendario,
aveva posta cotal parte frazionaria un po' più grande, cioè
l'avea fatta di 23 centesimi, l'avea accresciuta di un cente-
simo; eh' è appunto quella
Centesma eh' è laggiù negletta. Par. xxvn, 143,
ASTRONOMIA. 265
a cui Dante allude. Perciò quel calendario, il giuliano, ai
suoi tempi in uso, dietro tale supposizione de' 23 centesimi,
cioè di 1/4 di giorno, portava un intero giorno di più dopo
4 anni, il quale quarto anno invece di 3G3 giorni ne ave-
va 366 - Sicché quel centesimo di più, cumulandosi per
cento anni, dava d'avanzo un intero giorno, e dopo un
secolo si era fatto un bisestile di più del bisogno. - E Dante
se n'era accorto : In questo ne sapeva quasi quanto il Lilio
ed il Clavio, che nel 1582 operarono la nuova riforma del
Pontefice Gregorio XIII che rimediò a questo sconcio -
Capocci -
Pervenuto il poeta al primo balzo del Purgatorio, e
volendo significare con poetica imagine ch'egli era in un
cmisperio opposto al nostro, finge di stupirsi di vedere il
Sole fra sé e l'aquilone, e ne dimanda la spiegazione a
Virgilio, il quale così risponde:
Se Castore e Polluce
Fossero in compagnui di quello specchio,
Che su e giù del suo lume conduce,
Tu vedresti il Zodiaco rubecchio
Ancora all'Orse più stretto rotare,
Se nwi uscisse fuor del cammin recchio. Purg. iv. Gì.
Egli è consueto a' poeti il dire « la tal cosa splende al
par del sole,» e Dante trova nella cognizione dell'astro-
nomia una maniera tutta nuova e leggiadrissima:
Poscia tra esse un lume si schiarì,
SI che, se il cancro avesse un tal cristallo.
Il verno avrebbe un mese d'un sol dì. Pur. xxv. 100.
Diametro del Sole. — a Alla più gente il Sole pare
di larghezza nel diametro di un piede [Epist. a Can^rande
§ 2): e si è ciò falsissimo, che, secondo il cercamento e la
invenzione che ha fatto la umana ragione coli' altre sue
arti, il diametro del corpo del Sole è cinque volte quanto
quello della terra, e anche una mezza volta; conciossiaco-
achè la terra per lo diametro suo sia seimila cinquecento
miglia, lo diametro del Sole, che alle sensuale apparenza
appare di quantità d'uno piede, è Irentacinque mila sette-
cento cinquanta miglia: Conv. iv. 8.
Luna. — Teoria del poeta sulle ntacchic lunari.
Ei le attribuisce ai corpi rari e densi della sua superficie.
266 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
Par. II. - Dante per bocca di Beatrice confuta l'opinione da
lui recata nel Conv. ii. 14 sull'ombra della luna, e d'essersi
ingannato ritorna a parlare nel C. xxii. del Par. v. 139. Ei
slavagli a cuore di mostrarsi ricreduto di quell'errore.
La Luna nel suo plenilunio sorge a! cader del Sole, che
le è in opposizione. Sorgendo poscia di di in di circa un
50 minuti più tardi, la quinta notte sorge un quattro ore
dopo. Onde al suo apparire sull'orizzonte le stelle appaion
più rade, dileguando, come suole, le minori col suo chia-
rore :
La luna, quasi a mezza notte tarda,
Facea le stelle a noi parer più rade,
Fatta com'un seccliion che tutto arda. Purg. xviii. 76.
E dai secchioni di rame col fondo sferico, ne' quali i ma-
rinai fanno bollir la pece onde rimpalmarne le navi, trasse
egli il paragone esatto e lampante. Se avvenga per avven-
tura che quel pattume bituminoso ad un tratto si accenda,
avrassl il secchione ardente, tal quale occorreva di far
osservare. La Luna si trovava non lungi dall'ultimo quarto,
se vi si fosse trovata esattamente ei l'avrebbe assomigliata
piuttosto ad una scodella: perocché essa essendo nel de-
crescere, la sua parte piena. Torlo rotondato, era volto al
Sole a levante e però in basso; così la mezza Luna nel
nascere sarebbe apparsa come posata sull'orizzonte col suo
diametro in alto, che avrebbe rappresentato in profilo Torlo
della scodella. Ma la Luna essendo ancor lontana di un
tre giorni dal detto quarto, era ancor gibbosa ; ed invece
di offrir superiormente un profilo rettilineo, T avea rilevalo
sensibilmente nel mezzo: più o meno, ed alla rinfusa, per
le parti più o men chiare che ricoprono la sua supertìcie.
Ora a questo aggiungasi, che presso al contatto dell'oriz-
zonte, il gioco variabile dei vapori e delle rifrazioni, danno
sovente alla parte frastagliata di quell'astro, rivolta insù,
un'apparenza diffusa e vagante, come se veramente la fosse
in fiamme. - Capocci. - (V. De Mon. i. § 13; in. 4J.
Aurora Lunare.
La concubina di Titone antico
Già s' imbiancava al balzo d'oriente,
Fuor delle braccia del suo dolce amico:
Di gemme la iua fronte era lucente,
ASTRONOMIA. 267
Poste in figura del freddo animale,
Che con la coda percuote la gente:
• E la notte de' passi, con che sale,
Fatti avea duo, nel loco ov' eravamo,
E il terzo già chinava in gluso l'ale. Purg. m. 1.
Non è da leggersi, dice il Ranalli, cosa più bella e stupenda
per novità di concetto e splendore dì voci. - Col qualitativo
concubina egli intende distinguere e dinotare l'aurora della
Luna, l'albor crepuscolare che precede il suo nascere: in
sulle tre ore di notte circa, la Luna era prossima ad alzarsi,
e la sua aurora avea ingemmata la fronte delle belle stelle
dello Scorpione (sull'orizzonte ad oriente); e la notte, dei
passi con che sale, delle parti che percorre nell'arco semi-
diurno ascendente, dall'orizzonte al suo culminare a mez-
zanotte; n'avea fatti due di cotali passi, cioè due terzi del
suo corso orientale, per giungere in mezzo al cielo nel
meridiano, e stava per finire l'altro terzo. Chi è poi esperto
nella contemplazione del corso notturno degli astri, può al
giusto valutare la bellezza di questo dire poetico. Perocché
egli avendo così immaginosamente personificata la Dea dallo
stellato ammanto, le trasferisce il modo usato dagli astri nel
loro trascorrere per la tolta celeste: questi nelle prime
due terze parti del loro apparente corso ascendente si
elevano rapidamente, e nell'altra terza parte si vanno molto
più rimessamente elevando; per modo che presso al meri-
diano corrono per un certo tratto senza più guadagnar
quasi nulla in altezza. Sicché attribuendo questo procedere
delle stelle alla Notte, vedesi bene quanto propriamente
dica che quel suo terzo passo già chinava in gìuso l'ale,
cioè già già le raccoglieva e non le portava più in alto. -
Capocci.
Anche il prof. Minich ritiene qui indicata l'aurora lunare,
anzicchè la solare, e conferma questa induzione coli 'esame
dei primi versi del C. xx\ del Paradiso, in cui l'AUighieri
accenna con meravigliosa approssimazione la durata del
crepuscolo mattutino poco dopo l'equinozio di primavera.
E ne ricorda I' alone lunare t
Cosi cinger la figlia di Latona
Vedem tal volta, quando 1' aere è pregno
Sì, che ritenga il fll che fa la zona. Par. \. 67.
Quando il vapor che il porta più è spesso. Par. iitìii. U.
268 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
Costellazione della Crociera. — Le Stelle (Iella CrOCe
australe vennero scoperte due secoli dopo Dante, quando
l'ardimento europeo spinse i nostri navigatori sotto l'altro
emisfero:
Vidi quattro stelle
Non viste mai fuor che alla prima gente. Purg. i. 32.
Le quattro chiare stelle, Purg. viii. 88.
Si trovano esse descritte non solo nel Catalogo di Tolomeo,
ma anche da Marco Polo, e figurate pure in un Globo,
costruito da Abou-Cassem nel 1225.
Il Yespucci si vantava nel 1501 dì aver veduto co' suoi
occhi le quattro stelle, a noi invisibili per l'elevazione del
polo boreale, « non mai viste innanzi, eccetto che dalla
prima coppia umana. » Andrea Corsali, illustre navigatore
lìrentino, in una sua lettera a Giuliano de' Medici, duca
di Firenze, (6 Gen. 1515) le chiamava: croce meravigliosa,
la più gloriosa di tutte le costellazioni dei cieli. Di fatti
il cielo ivi ingemmato di quelle belle stelle, prossime altre-
sì all'altre due fulgidissime del Centauro, ed incastonale,
direi, nel più vivo bagliore della Yia-lattea che colà si
addensa, offre uno spettacolo unico ed ammirando. Il sito
deve rispondere in mezzo al grande Oceano pacifico, un
po' più al sud dell'isola di Baas, dell'arcipelago dell'isole
della Società, tanto famose pei racconti del Gook. Il Capocci,
seguendo l'Humboldt, il Dante, come ei lo chiama -della
moderna filosofia naturale, con le sue calcolazioni ne con-
vince, come circa a 7 mila anni addietro, il polo australe
si trovasse abbastanza lontano dalla Croce per renderlo
visibile alla prima gente in quelle regioni patriarcali del-
l'Asia, e che per conseguenza Dante conoscesse il moto di
processione degli equinozj, e non solo si avesse presente
lutto il cielo nel ten>po della sua visione, ma si ancora ai
primordi del mondo.
Questa dantesca anticipazione del vero, scrive V. Monti,
è forse stata un puro caso, ma quando noi veggìamo la
imaginazione di Dante indovinare i segreti della sapienza
divina, do])biam concludere che anche I sogni di queir al-
tissimo ingegno sono impressi di un certo carattere di
grandezza e di verità che inspirano riverenza, e debbono
ASTR0^0M1A. 269
togliere ad ogni sensato lettore il coraggio di giudicarli.
Lesione ix.
« Vi ha pure una bella stampa, inventata dallo Stradano e
incisa meravigliosamente dal Galle nel sec. XVI, dove è
giusto rappresentato Amerigo Vespucci in atto di osservare
coU'astrolabio si fatte costellazioni. Da un lato della quale
stampa vi è il ritratto di Dante posto in mezzo di tali
parole: Dantes AUfierìus florentinus poeta anno salutis
M. ecc. descrìpsit mi stellas antarcticas cap.^ primo Purga-
torti his ah Americo Yespucci in suis epistolis adductis. Sotto
al ritratto, eh 'è figurato come in un pilastro, si leggono ì
versi danteschi recati dal Yespucci, sotto i quali la tradu-
zione latina così:
Ego, inde versus, intuebar aethera
Poli Nothi, adnotavi ibi astra quatuor,
Nisi a priori gente visa nemini.
Nitet micatque fiamma quadrupla aethere
Mihi plaga orbis orba esse cerneris
Nequis videre quando tanta lumina.
P. Fanfani, il Borrjhini i. 58.
Le tre stelle vespertine:
Tre facelle
Di che il polo di qua tutto arde. Purfj. viii. 89.
Trovansi esse assai più vicine alla circonferenza della ruota,
l'equatore, che all'asse: Piirg. viii. 86. Il Capocci vuole
sieno V Achernaar, e ìq famose nubi di Magellano, due bel-
lissime e mirabili nebulose, d'una forma e d'una luce sin-
golarissima, 0 per dir meglio de' cumuli d'innumere nebulose
conglobate insieme, e che ne avesse cognizione da Marco
Polo, 0 da qualche altro traflicante italiano contemporaneo,
0 meglio le scorgesse in qualche globo arabo, sul cui terso
metallo trovansi effigiate a guisa di fiamme. - Un' abile
astronomo, ora defunto, dice il Minich, ha pensato che le
tre stelle vespertine dell' AUighieri corrispondessero a Fo-
malliaut, Achernaar, e Canopo, ossia alle stelle principali
nelle costellazioni del Pesce Australe, deW Eridano e della
JSave degli Argonauti. Il Minich poi vuole non abbiano che
una simbolica ed ideale significazione.
Ma per dimostrare a qual segno ei si giovasse della
astronomia per rendere le sue imagi ni sommamente poetiche
270 COGNIZIONI SClENTlFICnE.
e leggiadre, vaglia il principio del xiii del Paradiso, dove,
a fare intendere il meraviglioso spettacolo de' 24 beali
spiriti, che divisi in due circoli, l'uno dentro dell'altro,
danzano intorno a luì e alla sua donna, vuole egli che
sfimmagini una riunione di 24 stelle, le più lucenti del
lìrmamento, le quali facciano due corone roteanti ugualmente
runa dentro l'altra. Ei dunque ci pone dinanzi agli occhi
un bellissimo campo stellato, con le quindici stelle fisse
di prima grandezza onde s'ingemmano le diverse regioni
del cielo, appresso le sette dell' Orsa minore, da ultimo le
due che terminano la maggiore.
Anche al xxx del Purg. v. 5 ricorda le sette stelle della
maggior Orsa, il settentrione piii basso, che servono ad ad-
ditare il polo al nocchiero, per guidare le navi in porto.
stella Veneree
Neil' ora credo, che dell' oriente
Prima raggiò nel monte Citerea,
Che di fuoco d' amor par sempre ardente. Purg. ixvu. 94.
Lo bel pianeta che ad amar conforta,
Faceva tutto rider V oriente. Pura. 1. 19.
La stella
Che '1 Sol vagheggia or da coppa or da ciglio. Par. viii. lì
Notisi l'attenzione che Dante fa al girar di Venere intorno
al Sole or da coppa or da ciglio. Nella Canz. xi. 1 ci dice
che nell'inverno La stella d'amor ci sta rimota Per lo
raggio lucente, che la 'n forca Sì di traverso, che le si fa
velo. Anche ei viene a segnare il tempo, che Venere è guar-
data dal Sole, interposto fra esso pianeta e la Terra, che
perciò riceve in minore copia le amorose influenze.
La stella di Venere due fiate era rivolta in quello suo
cerchio che la fa parere serotina e mattutina, secondo i
due diversi tempi : Conv. ii. 2. - Il cielo di Venere ha due
proprietadi : l'una si è la chiarezza del suo aspetto, eh' è
soavissima a vedere più che altra stella, l'altra si è la sua
apparenza, or da mane, or da sera: Conv. ii. 14.
Mercurio e Venere. — E merita veramente attenzione
quel che pure nota sui pianeti inferiori Mercurio e Venere,
ponendoli a dirittura in giro intorno al Sole circa e vicino
a lui, come ha poi dimostrato il Copernico. Il circa ac-
coppiato con vicino è un'esplicita definizione del suo pen^
ASTR0^0M1A. 271
siero. E ove pongasi mente al valore della parola circck non
ne resterà più dubbio: e questo valore lo si ritrae da
un' altro passo della div. Comedia [Par. xu. 19).
L'aspetto del tuo nato, Iperione,
Quivi sostenni, e vidi coni' si muove
Circa e vicino a lui Maia e Dione, far.xxii. 143.
mercurio.
E sì come saetta che nel segno
Percuote pria che sia la corda queta,
Così corremmo nel secondo segno. Par. v. 91.
Gitlando gli occhi sopra una mappa planetaria, scorgesi
manifesto come nel giro che Mercurio fa intorno al Sole
non possa mai appressarsi a noi quanto Venere. Infatti
Venere pcrigea, cioè alla minore distanza, è lontana dalla
terra 23 milioni di miglia; Mercurio perigeo rimane più
lontano del doppio. Ma il sistema tolemeaico allora portava
che tutti i pianeti girassero intorno alla Terra: la Luna a 160
mila miglia; Mercurio a 310 mila; Venere ad 832 mila: ed
il Sole a sei milioni e 60 mila miglia! È chiarissimo di
quanto s' ingannassero in tutto, ma questo allora credevasì.
Del resto egli colla sua gran mente già sembra che trave-
desse questi errori intorno alla posizione di Mercurio, avendo
notato le sue strette attinenze col Sole, dicendo più sotto:
Che si vela ai mortai con gli altrui raggi.
Mercurio è la più piccola stella del cielo; che la quantità
del suo diametro non è più, che di dugento trentadae
miglia, secondo pone Alfergano, che dice quello essere,
delle vent'otto parti, Tuna del diametro della Terra, lo qual
è sei mila cinquecento miglia: l'altra proprietà si è, che
più va velata de' raggi del Sole, che nuli' altra stella:
Conv. II. 14.
Marte.
Ed ecco quaì, su '1 presso del mattino,
Per li grossi vapor Marte rosseggia
Giù nel ponente sopra '1 suol marino:
Cotal m'apparve, s'io ancor Io veggia.
Un lume per lo mar venir sì ratto... Purg. ii. 13.
Notisi la proprietà del paragone di questo pianeta rossa-
stro col lume apparso all'Allighieri, e sovraltutto nell'averlo
posto vicino al tramonto sopra il suol marino; per che, a
quella poca altezza, vie più vedesi rosseggiante Ira' vapori
272 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
più grossi; senzacchè l'analogia locale sopra la faccia del
mare, de' due termini del suo confronto il lume e 1' astro
non può esser più bella. Ed è pure da osservarsi che non
gli sfuggisse che quando Marte è in opposizione col Sole,
e perciò in sul tramonto, allorcliè queslo è in sul sorgere,
allora il pianeta sia più vicino a noi e molto più radiante.
E dice già nel ponente, perchè in Toscana, sulle rive del
Tirreno, non può scorgersi mai il suol marino orientale di
là dei monti. — E questo pianeta nel' XIV del par. v. 8G.
vien chiamato:
L'affocato riso della stella.
Marte disecca e arde le cose, perchè il suo calore è simile
a quello del fuoco ; e questo è quello per che esso appare
affocato di colore, quando più e quando meno, secondo la
spessezza e rarità delli vapori che '1 seguono, li quali per
loro medesimi molte volte s'accendono: Conv. ii 14.
Saturno. — // pianeta che conforta il gelo, Canz.xi. l;
e Purg. xix. 3: // freddo pianeta; e Conv. ii. 14, freddura di
Saturno. Era opinione degli antichi astrologi che Saturno tro-
vandosi nell'emisfero notturno apportasse gran freddo. E nel
Conv. II. 14 ne reca pure le due proprietà, secondo l'astrologia
del suo tempo, del Cielo di Saturno: cfL'una si è la tar-
dezza del suo movimento per dodici segni; che ventino ve
anni e più, secondo le scritture degli Astrologi, vuole di
tempo lo suo cerchio ; l' altra si é, che sopra tutti gli altri
pianeti esso è alto.
Giove. — Ci ricorda il candore che veramente si rav-
visa nella luce di questo gran pianeta:
Quando m' apparve il temperar di Giove
Tra '1 padre e '1 figlio. Punì. xxii. 145.
Lo candor della temprata stella. Par. xvni. 08.
Giove è stella di temperata complessione: Conv. ii 14.
stelle. — Nei monti che più si elevano, fuori dei più
bassi e più densi strati dell'atmosfera, ove non giungono
le crasse esalazioni terrestri, si veggono risplendere le stelle
più chiare e grandi del solito:
Vedev'io le stelle
Di lor solere e più chiare e maggiori. Purg. xxvii. 89.
E dall'alto dei cieli si sta pure Dante godendo la bella
veduta del sistema planetario a volo d'uccello: Par. xxii.
ASTRONOMIA. 273
Via Lattea. — La Galassia cioè quel bianco cerchio, che
il vulgo chiama la via di Santo Jacopo ; e mostraci Funo dei
poli, e l'altro ci tiene ascoso: e mostraci un solo movi-
mento da Oriente a Occidente e un altro che da Occidente
a Oriente, quasi ci tiene ascoso: Conv. ii. 15 -(Opinioni di-
verse sulla Via Lattea. Id.)
Questa bella zona albicante, meravigliosa, fosforescente,
che cinge il cielo intorno intorno, e che tanta bellezza accre-
sce allo stellato della notte, non apparì pei poeti che per
quella regione riarsa per cui trascorse il carro del Sole mal
guidato da Fetonte (ynf.xvii.lOG), e pei filosofi non altro che
la saldatura dei due emisferi l'un contro l'altro, e al tempo
di Dante tutto al più una specie di meteora sullunare. Ma
nel XIV. del Par. v. 97 il poeta si slancia verso la giusta
divinazione di quel portentoso fenomeno che eccede in
sublimità ogni più ardita ed iperpoetica iraaginativa. Eì
vuole insinuarci che quei lumi minori e mag(}i insieme
albicanti abbiano una nobile origine ed appartengano alle
regioni sideree:
Come distinta da minori e maggi
Lumi biancheggia tra i poli del mondo
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi.
Fin dal 1750, scrive P. Lioy, cioè fino da Tommaso Wright,
la Via Lattea era stata considerata ora con Aristotile quale
un immensa cometa, ora con Tychone quale una massa
d' etere cosmico in un'agglomerazione incipiente. A di nostri
r astronomia non ignora che la Via Lattea è un' ammasso
stellare, e la bianca luce suffusa di cui risplende, che Huy-
gene attribuiva ad una nebulosità generale, venne coli' aiuto
dei più forti telescopi riconosciuta dipendere da strati di
stelle stipate fra loro in numero indefinito. Galileo, senza
il soccorso dei telescopi potenti clie oggidì ingrandiscono
l'orizzonte degli astronomi, indovinava la costituzione fisica
delle Nebulose ; Dante e Giordano Bruno indovinavano la
costituzione fisica della Via Lattea.
Equatore.
Che 'l mezzo cerchio del moto superno,
Che si chiama Equatore in alcun' arte,
E che sempre riman tra il Sole e il verno. Pura. iv. 79.
Dante chiama l'Equatore cerchio del molo superno^ per
VOL. II. 18
274 COGNIZIONI SGIENTIFICnE.
la suprema velocità del cielo nell' apparente suo giro diurno
in quel cerchio ; fuori del quale, ne' successivi paralleli, va
sempre scemando, sino a divenir nulla affatto ai polì. Indi
ci fa notare ch'esso Equatore sempre rimane tra il Sole e
il verno; ciò eh' è assolutamente vero, come vedesi col
globo, pel luogo da essi occupato fuori de' tropici. Poiché
il verno è prodotto dal maggior abbassamento del Sole
sull'orizzonte, e questo accade pe' luoghi del nostro emisfero
boreale, quando il Sole si accosta al tropico australe dall'al-
tra parte dell'Equatore; e per l'opposto nell'emisfero au-
strale, quando il Sole va al tropico boreale da quest'altra
banda. Ond'è sempre vero ch'esso Equatore trovasi tramezzo
al Sole ed al verno:
E nel X. del Par. v. 8.
A quella parte
Dove l'un moto all'altro si percote.
Credevasi allora che il moto diurno di tutto il cielo del
primo mobile (da oriente a ponente) venisse ad incontrarsi
col moto orbitale opposto degli altri inferiori (da occidente
ad oriente). E in ciò consiste quel percuotersi d'un moto
air altro. E in ciò che soggiunge indica poi con precisione
eh' ei voleva intendere al punto stesso dell'Equatore, ove
il moto diurno è più violento:
Vedi come da indi (dall' Equatore) si dirama
L'obliquo cerchio che i pianeti porta. Par. x. 13.
Così, dice Y. Monti, senza usurpare alla fisica celeste una
sola parola tecnica, ei n'esprimo con rigorosa esattezza i più
astrusi misteri, e la sua lìiosoiìa procede sempre in abito
di poesia.
E al V. del Paradiso, v. 87, l'Equatore è pur chiamato
quella parte ove il mondo è più vivo, essendo realmente
dottrina provata che sotto l'Equatore, sì ne' corpi celesti,
come ne' terrestri tutto ha più movimento, e per conse-
guente più vita.
Il IBìole è sull'Equatore, al punto degli equinozi!. _.
Coll'intersezione de' quattro cerchi (l'orizzonte stesso, l'equa-
tore, r eclittica ed il cloruro degli equinozj) si formano tre
croci, dal qual punto dell'orizzonte il Sole esce congiunto con
miglior corso e con miglior stella. E con ciò ne viene a
ASTRONOMIA. Zio
dichiarare la temperie di quella stagione atta a riscaldare
la materia terrestre, a disporla a rivestirsi delle novelle
forme, nell'annuale svolgimento del regno organico:
Surge a' mortali por diverse foci
La lucerna del mondo ; ma da quella
Cbe quattro cerclii giugne con tre croci.
Con miglior corso e con migliore stella
Esce congiunta, e la mondana cera
Più a suo modo tempera e suggella. Par. i. 37.
Ed altrimenti ripete questa idea, cioè che il Sole è presso
l'Equatore, presso l'intersezione di questo con l'eclittica,
ove han principio ì segni zodiacali. E per togliere l'equi-
voco, aggiugne che si trovava nel punto in cui, venendo
indi a descrivere le spire ne' paralleli successivi, si trovava
ove in dette spire si appresenta (a noi dell'emisfero boreale)
sempre [Viii tosto: giacché di là dall'equinozio di primavera
accade una progressiva anticipazione nel sorgere del Sole:
Lo ministro maggior della natura,
Che del valor del cielo li monJo imprenta,
E col suo lume il tempo ne misura,
Con quella parte clie su si rammenta
Congiunto, si girava per le spire
In che più tosto ognora s' appresenta. Par. x. 28.
DeirEcliltica che segna in due parti l'Equatore, dei poli, ecc.
V. Conv. 111. 5.
Zodiaco. — Lo Zodiaco è nobilmente chiamato : strade
che il sole infiamma: Purg, xviii. 79; e al x. del Par. v. V,].
L' obliquo segno che i pianeti porta.
Se l'obliquità dello Zodiaco, ossia dell'eclittica eh' è nel suo
mezzo, fosse diversa da quel eh' è, le stagioni ed il loro
avvicendarsi porterebbero grande perlurbazionne alle nostre
faccende, quasi oqni potenza (juaggiìi sarebbe morta: Par.
X. 15.
I.UCC Zodiacale. — Si pretende che i primi a por
mente alla luce zodiacale sieno stati Childrey, Chardyn e
0 Rothmann ; altri dicono un certo iTanccsco Noci nel 1084.
Cassini la considerò come un anello di corpi planetarj mi-
nutissimi esteso da Venere a Marte. Rifiutata tale ipotesi
si ricorse a quella oggidì addottala che riguarda la luce
zodiacale come un anello di materia vaporosa fuggila dalla
atmosfera del Sole. Leggo in Dante :
276 COGNIZIONI SCIENTIFICUE.
Fetonte abbandonò li freni.
Perchè '1 ciel, come pare ancor, si cosse. /«/", xvii. 107.
I comentalori giurano sull'autorità l'uno dell'altro chequi
Dante intenda parlare della Via Lattea. Per me ricordo l'o-
pinione ben altrimenti scientifica che sulla Via Lattea ha
esposto l'AUighieri nel xiv. del Paradiso; ricordo il filosofo
precursore di Vico e di Herder, e m'impunto a credere che
Dante in quei due versi abbia inteso favellare della luce
zodiacale, e ne abbia favellato con una metafora che in sé
racchiude il senso della teoria oggi dagli astronomi adot-
tata su tal fenomeno celeste. P. Lioy.
Errori Astronomici. — A' SUOi dì Credevasi che la
sfera elementare del fuoco tenesse la parte più sublime
dell'aria sino al concavo dell'orbe lunare {Par. i. 38; Conv.
111. 3); e la sfera del fuoco fosse sito proprio del folgore,
donde fugge velocissimo quando si precipita su d'una nube,
0 su qualche oggetto terrestre : Par. i. 92.
E secondo Tolomeo, che l'ombra conica della Terra, da
una parte illuminata dal Sole, terminasse con la sua punta
nel pianeta di Venere : Par. ix. 108.
Dante prende partito di attribuire le macchie che vi
hanno nella Luna ai corpi rari e densi della sna superficie :
Par. II. 69. Riteneasi a' suoi tempi che la luna distasse
dalla Terra a 160 mila miglia, onde ne toglievano meno di
50 mila.
E che Mercurio perigeo fosse più vicino alla Terra che
Venere {Par. v. 93); e che la rivoluzione di Marte si com-
pisse in quasi due anni (Cowi;. ii. 15; Par. xvi. 38), e che il
cielo in 24 ore, complesse l'immenso suo giro Intorno alla
terra: Par. ii. 21.
E credevasi pure allora che il moto diurno di tutto il
cielo del primo motore (da oriente a ponente) venisse ad
incontrarsi col moto orbitale opposto dagli altri cieli infe-
riori (da occidente a ponente]: Par.x.l.
E che le stelle splendessero non già di luce propria,
ma retlessa dal Sole, come i pianeti : Par. xx. 6; xxiii. - Esse
possono tramandare II riverbero, sol quando II Sole che
illumina tutto il mondo, dell' eìnisperio nostro si discende.
ASTRONOMIA. 277
E che le orbite dei pianeti varie, influendo in varie di-
rezioni, creassero vari efl'etti nella terra : Par. x. 17. - Ma
nel C. XX del Purfj. v. 20, il grande uomo, con un lampo
di dubitanza, si eleva sopra i varii pregiudizi del secolo,
quantunque col debito riserbo che la prudenza impone
ad ogni individuo contemporaneo, che non voglia esser preso
per pazzo.
Questa terra è fissa e non si gira; essa col mare è
centro al cielo: Conv.m. 5.
Il Capocci, dopo di averci mostrato come il poeta dal
centro della terra alla sua superficie in un solo giorno per-
corresse 3400 miglia a piombo, lo segue nel meraviglioso
rapidissimo volo ch'ei fa nei cieli: in pochi minuti secondi
è già alla prima stella, al cielo della Luna; ed ha valiche
200 mila miglia {Par. ii); poi in un attimo, in un volo molto
più sterminato di un 50 milioni di miglia, tocca il cielo
di Mercurio [Par.y); appresso con un salto più mortale
trapassa in Venere, la quale quando si accosta più a noi,
rimane sempre di là 20 milioni di miglia, e nella sua mas-
sima distanza ne si allontana oltre 140 [Par. vm); indi in
un tempo ancor più breve, e quasi in un baleno raggiugne
il Sole, percorrendo un tratto doppio del precedente [Par.x);
dopo il pianeta di Marte (Par. xiv), facendo un altro gran
salto verso l'empireo, ascende in Giove, nel sesto pianeta
[Par. xviu) ; donde, in men che noi dico, nel settimo di
Saturno : Par. xxi. In questo mezzo il poeta si è discostato
dal centro orbitale della terra più di nove in dieci volte
la distanza media del sole, cioè 10 volte 83 milioni di miglia.
Ma questo bel tratto di 800 milioni è un gioco appetto al
volo eh' è già per fare infino alle stelle. La più vicina delle
stelle ov'ei si slancia, rimano da noi lontana più di 200
mila volte, cioè dugento mila volte 83 milioni di miglia
(Par. xxii) ; di là alla stella dei Gemini, donde si piace di
godere la bella veduta del sistema planetario a volo di
aquila. Quivi ei si muove con quella costellazione dal me-
ridiano a occidente in 6 ore, con una velocità di incirca
un 1300 milioni per minuto secondo. - Già ei fa l'ultimo
passo ascendente su per i cieli corporei : dal nido di Leda,
278 COGNIZIOM SClEMiFlClIK.
cioè dall' ottava sfera ei passa nella nona, eh' è il più ve-
loce cielo, il velocissimo, il primo mobile, che rapisce lutti
gli altri inferiori con sé nel moto diurno: Par. xxviii.
Errori geografici. — Secondo la Geografia de' suoi
tempi, Dante pone i termini dei climi ai termini del nostro
emisfero : Par. xxvii. 82.
Supponeva che il Mediterraneo avesse 90 gradi di esten-
sione, mentre non ne ha che 50 : ove ne avesse 90, sarebbe
vero che ci farebbe meridiano, dove prima era orizzonte,
perchè tanto accade a chi si muove sulla terra per 90 gradi
di longitudine, cioè per un quarto di circonferenza di essa
terra : Par. ix. 86.
11 Poeta per altro egregiamente chiamava il Mediterraneo:
La maggior valle In che l'acqua si spanda. Par. ix. 82.
E tale, dice il Capocci, è veramente rimasa anche dopo che
si è frugato per tutto il globo terracqueo, sendocchè le
valli degli oceani non contano: ivi è la terra che propria-
mente si spande tra le acque. Lo che è detto con molta
proprietà e da buon geologo.
Il Marocco distava assai meno da. Gerusalemme da quello
che il poeta suppone ; ma quello, dice il Capocci, era allora
lo stato d'incertezza, massime per le longitudini, nelle posi-
zioni geografiche. Ed a me, aggiunge egli, sta in testa che
egli che sapeva tutto quel che poteva sapersi in quel tempo,
con quel suo meraviglioso acume, dovea nudrire qualche
sospetto d'un tale errore; laonde piacemi dì attribuire a
quella espressione alla riva copre la notte già col pie Ma-
rocco (/%r/7. IV. 138), l'intendimento di designar un luogo
anche più occidentale, ove prolungar dovevansi le rive di
quell'impero.
Poneva l'Italia a mezza strada tra Gerusalemme e Ma-
rocco, cioè a 45*^ più ad occidente di quella città che son
tre ore del giro diurno.
Ma indicava Marsiglia con la precisione del Nautical-
Almanac. Buggea e Marsiglia hanno esattamente lo stesso
grado di longitudine, e perciò lo stesso meridiano: Par.
IX. 91.
Siviglia non si dilunga da Gerusalemme che di 50
As^il0^0MIA. 279
anziccliè 90 : Inf. xx. 124 - Ma devesi riflettere, ne dice
11 Capocci, clic il poeta non aveva a' suoi servigi quel bel
globo che ora noi abbiamo in sul tavolo. Né la terra ai
suoi tempi era così ben compassata in lungo ed in largo,
come ora è, né lo stesso Marco Polo, suo contemporaneo,
poteva esprimersi con maggior precisione di lui su tale
oscura bisogna. Di più quando egli ne dice che la Luna
toccava V onda sotto Sibilla, vedete che positivamente ci
dinota, che la non si trovava più culminante sopra Siviglia,
ma più oltre in sull'oceano Atlantico; e con quel sotto
Sibilia, conferma che la era già discesa nel suo curvo giro
diurno, più giù verso occidente.
Da Gibilterra a' lidi opposti di Siria, non vi ha che la
metà de' 90, eh' egli suppone, per far che l' orizzonte di uno
de' detti due luoghi sia meridiano per l'altro: Par. ix.
Tal era allora lo stato infantile della geografia e della
nautica, priva per anco della bussola, e de' sussidii poscia
trovati per la esatta determinazione delle longitudini.
E presuponeva che a ponente in Ispagna ove cadono
in mare le acque dell' Ebro, sovrastasse latta Libra, la
Libra celeste, e per l'opposto ad oriente, le onde dell'altro
fiume, il Gange, si muovesse sotto la sferza del Sole ivi
culminante: Purrj. xxvu. 1.
MEDICINA
Un de' famigliari
Di quel sommo Ippocratc, clie natura •
Agli animali fé ch'ella ha più cari. Parg. XXIX. 136.
Tenne le cose della medicina in tal conto
da divenirne dottissimo. VARCHI.
Costretto a scegliere tra le arti diverse onde
erano distinti i cittadini di Firenze, erasi messo nel
corpo dei medici. Né usurpava tale qualità....
OZAJi^AM, C. IV. (1)
Non è finezza di scienza biologica, frenolo-
gia e fisionomica, che non possa avvenirsi nella
dantesca biologia. D.r ASSON.
Medici ricordati. — Dei medici ci ricorda Ippocrate,
Greco, da Coo {Inf.ìY.lì^;Purg.xs.i\.\^l; Conv.i.S);
Galeno, di Pergamo in Asia, (in/, iv. 143; Conv.i.S); ed
Avicenna, Arabo, [Inf. iv. 143; Conv. ii. 14, 15; in. 14; iv. 21);
Avverrois, kr^ho, (in/, iv. 144; Coni;, iv. 13. ) ; e de' suoi
tempi Taddeo, medico fiorentino, di gran reputazione nelle
scienze fisiche che mori in Bologna nel 1293 (?) Par.xu. 83.
Della generazione. — La scienza fisiologica ed insie-
me la patologica gli rese agevole di fare della generazione
de' corpi e dell'infusione dell'anima in essi, la più bella
e nuova e filosofica e insieme poetica spiegazione. Per essa di
leggieri si scorge come le antiche opinioni presentissero
alcune scoperte della moderna embriologia, e che forse po-
trebbero farsi germe a qualche altra nuova scoperta . - Sulla
generazione, scrive l' egregio D'*. Asson, pensava con Ari-
stotile, che lo sperma (parte elaborata e perfetta del sangue)
non assorbito dalle vene, ma rimasto come alimento che
dalle mense si leva, acquisti nel cuore quella virtù infor-
(1) Nella gran Sala del R. Archivio centrale di Stato di Firenze, de-
dicata specialmente agli Archivi delle arti, tra le altre iraagini, si vede
dipinta quella di Dante Allighieri Med, Spez. MGGLXXXVH.
MEDICINA. 281
maliva medesima, che vi prende il sangue, che poi discorre
le vene a ingenerare tutte le membra. Trasportato quindi
agli organi genitali dell'uomo, e spinto nell'utero a immi-
schiarsi col sangue mestruo, sopra questo come potenza
allora operando, lo coagula e lo ravviva, e n'esce l'embrione,
che di piaula fatto animale diviene aliìne uomo pensante:
Purg. XXV.
Dante nominò l'ombelico dalla sua vera funzione, la
parte donde è preso prima nostro alimento; e definì l'inte-
stino dalla più ignobile tra le sue elaborazioni, che vi
sostengono gli alimenti; forse per servire all'opportunità
dell'orrida bolgia tutta ingombra di sangue, di membra
sparse, di viscere dilaniate: Inf. xxviii. - DJ Asson.
Le dottrine esposte nel Convito sulla generazione si ri-
sentono un poco degli errori degli Averroistici, da Dante
stesso rigettati nel Purgatorio: Conv. iv. 21.
E il Prof. Filippo Cardona scriveva: Ben sapevasi da
quell'altissimo, quasi al par degli odierni, come accada il
mistero della generazione ; onde parla a dilungo e da maestro,
percorrendo lamodernità, vuoi nel concedere all' uomo l'of-
ficio attivo e dare alla donna il passivo nel lavorìo for-
mativo del portato, vuoi nel fare a questo portato, come
a soggetto della forza vitale correre il ciclo di vegetante
di senziente e di razionale. Sapeva benissimo in che modo la
creatura mediante il cordone ombellicale od ilo, viva di
conserva colla pregnante; giacché in un medesimo Canio
parla due volte di quel delicato vincolo sanguifero, sia quan-
do, a fare intendere la cicatrice che sta in mezzo del ventre,
dicendo ove comincia nostra labbia, e quando per descrivere
il cavo del ventre favella di quella parte, dove è primamente
preso il nostro alimento intrauterino : Inf. xxv. 86.
Le tre vite, scrive pure il D"". Asson, che, seguendo A-
rìstotile. Dante ammise nell'uomo, rappresentano quelle Ire
manifestazioni somme della vita, alle quali si fanno riuscire
anche oggidì tutte le funzioni, in cui ne consiste il magi-
stero: le vegetabili* o nutritive, le animali o sensitive e
motrici e le intellettuali: Conv. Tr. m. e. 2; Purg. xx\.
Dante espose egregiamente l'ordine, con cui vanno succe-
dendosi queste funzioni nell'umano embrione. Questo, in-
*i82 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
iiauzi lutto, è pianta, diverso dalla vera pianta in ciò, che
esso è in sulla via, e quella al termine di sua tipica for-
mazione. In vero ascende quel primo sbozzo d' essere orga-
nico per la scalea della vita, e fassi animale, e tal si palesa
perchè si muove e sente: primi alti dell'animalità, che il
nostro poeta concede al zoolito, o fungo marino, estremo
anello della serie:
Tanto ovra poi che già si muove e sente,
Come fungo marino.
Quinci sì vanno formando e perfezionando gli organi : e al fine
si palesano le alterne e antagonistiche posizioni del piegarsi
e dello stendersi, i movimenti. Come poi il feto di semplice
animale divenga fante, cioè acquisti con la favella intelletto.
Dante n' apprende che, quando la testura del cerebro è per-
fetta. Dio, lieto della meravigliosa opera sua, vi soffia un
novello spirilo pieno di virtù, l'anima razionale, che tira
in propria.sostanza le altre due anime, una sola formandone,
che sola governando le funzioni di tutte, vegeta, sente, riflette:
Che vive, sente, e sé in sé rigira.
Così l'anima razionale uscita da Dio, 'si fa per Dante ca-
gione e atto del corpo mostrando, colle maravigliose azioni
a cui lo muove, la bontà dell'origine, e, benché una, a diverse
potenze conformasi, e nelle diverse membra risolvesi: Conv.
Tratt. HI. e. 2. - Consegue spontanea da questa dottrina
un obbiezione a una sentenza di Averroe, che lo intelletto
passivo 0 possibile (come chiamavasi allora dalla scuola),
voleva dall'animo separato. E nel vero in esso era posto
lo intendimento eh' è facoltà dell'anima razionale. Meno
spontanea, anzi oserei dire meno rigorosamente giusta, ne
sorge un'opposizione ad altra sentenza, allora dominante,
che feriva dirittamente il principio dell'unità dell'anima:
ed era che le tre anime l'una all'altra si succedessero.
Come Dante potesse o sapesse conciliare, colla sua dottrina,
che assente alla successione delle tre anime, la negazione
di quella, io non dirò. Certo che, ammettendo poi l'uni-
ficazione delle due inferiori nella razionale, cerca di porre
in accordo due opinioni, a prima giunta, irreconciliabili, la
successione di tre anime e l'unità dell'anima. Egli mira
indubbiamente a combattere la successione delle anime, e
MEDICINA. 283
a provare l'unità dell'anima in quel passo della divina Come-
dia, ove statuito, che, sebbene l'anima possegga parecchie
potenze, l' esercizio al)bastanza intenso di una è valevole
a tutte assorbirle e concentrarle in se, aggiunge:
E questo è contni quello error, che crede,
Che un'anima sovr'altre in noi s'accenda. Pwrgf, iv. 5.
Del cuore e del sangue. — Dante nella Vita ISuova,
aveva stabilito a dimora dello spìrito vitale il cuore. Circa
poi le funzioni di questo centro rilevantissimo della vita, sa-
rebbe vanità il voler scorgere, in pochi versi, descritta la
circolazione del sangue, quale Cesalpino ed Arveo la trovarono
e descrissero \m.-D/Asson.-{È il Biagioli che interpretando
il V. 90 del C. 1. dell'in/', inclina a credere che Dante a-
vesse un'anticipata conoscenza della circolazione del sangue.
Il Magalotti vuole che pigliasse ivi i polsi per le arterie,
donde lo terrebbe per dotto nei movimenti e nell' ufficio
delle arterie).
Dopo Dante, che chiamò lago la parte ima e cava del
cuore (/n/". 1. 20), Arveo chiamò questo «tnr/wmjs promptua-
rium et cisterna. Osservo che, durante la notte trascorsa
dallo smarrito poeta nell'orrida selva, gli si mantenne la
paura stretta al lago del cuore perchè il pericolo lo mi-
nacciava, ma non instava. Ma quando la liera lupa rese
imminente il pericolo, allora l'impressione del terrore si
fece di centrale periferica, e fecegli tremare le vene e i
polsi. Le vene e Varterie interpretano alcuni. Nella Vita
Muova, dice Dante che alla prima comparsa di Beatrice lo
spirito vitale, abitante nel cuore, cominciò tremare s\ for-
te, che appariva ne' menomi polsi. E in una Canzone, at-
tribuiva, come elVetto di mestizia per amore, la pallidezza
al reflusso del sangue, disperso per le vene, al cuore. - E
il sangue eh' è per le vene disperso Fuggendo corre verso
Lo cor, che il chiama, ed io divengo bianco. - Questa chiamata
del cuore potrebbe, da qualche moderno tisiologo, esser intesa
per quella facoltà assorl)ente attiva che fu di recente ac-
cordata a' ceppi venosi del cuore. Io, dal mio canto, la
stimo pura espressione poetica. Comunque sia direi, che il
poeta, ne' precitati passi, meglio che il compiuto ministero
del circolo sanguigno intendesse a fisiologicamente espri-
284 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
mere l'influsso delle passioni sugli organi deslinati a sì
rilevante funzione.» DJ Asson. (Lo Scolari, inlerpretando
il V. 20 del C. I. dell'/»/"., vi vuole trovare regolarmente de-
scritta l'affluenza e il ristagno di questo fluido nel cuore
di Dante per effetto della paura, e pensa che il poeta in
più luoghi abbia parlato dei movimenti del sangue con per-
fetta conoscenza di causa).
« Che se pose lo spirito vitale nel cuore, non considerò
il sangue straniero alla vita, né subordinata interamente
la vita del sangue a quegli organi alla foggia de' moderni
. solidisti. Egli si uniformò a Mosè, secondo il quale il sangue
è V anima, e ad Empedocle che questo liquido chiamò il
latice alla vita. In vero, l'anima di Iacopo del Cassero,
stato assassinato nel vicino Oriago per vendetta di A zzo VI
marchese di Ferrara, cosi diceva:
Gli profondi fori,
Ond'usci il sangue, in sul qual io sedea,
Fatti mi furo in grembo agli Antenori. Purg. v. 73 » -Dot. Asson.
Del cervello. — Il famoso Floriano Caldani pensò che
Dante nel far dire a Bertramo del Bornio:
Partito porto il mio cerebro, lasso!
Dal suo principio, eh' è 'n questo troncone. Inf. xxvni, 140
significar volesse diviso dalla midolla spinale, eh' è nel
tronco delle vertebre, e di cui il cervello è un rigonfiamento,
seguendo così l' opinione di Aristotile, il quale fu di parere
che il cervello si dovesse considerare quale appendice della
midolla spinale. Erano di tal sentenza anche Aristotile, Pras-
sagora e Plistonico, al riferire di Galeno.
Del passo. — Seguì il nostro poeta anche nella de-
scrizione del passo i dettali della fisiologia. Dopo aver
riposate nella selva le membra stanche dal lungo camino,
riprese egli la via nella deserta piaggia:
Si che il pie fermo sempre era il più basso. Inf. i. 30.
. Poscia, al cominciar dell' erta, gli mossero incontro le fiere.
Quando si camina sul piano, il piede fermo è sempre il più
basso. Con quel verso adunque espresse Dante, che dal
luogo ove riposò le membra alla prima salita del colle, la
via era piana. Altrove chiamò il passo un muover d'anca.
Sì . . che noi eravam nuovi
Di compagnia ad ogni muover d'anca. Inf. xxiii. 71.
MED1CI^•A. 285
Apprendono l'analomla e la fisiologia, che centro della
progressione è la giuntura dell'anca, intorno alla quale
muovesi il tronco, per traslocarsi nella progressione, ubbe-
dendo alle potenze muscolari de' membri inferiori, che
alternativamente l'uno appresso l'altro si fermano e muo-
vono, avanzando e acquistando terreno nel passo. -D/Asson.-
Del cibo. — Certi cibi fan gli uomini formosi e membru-
ti, e ben veracemente coloriti, certi fanno lo contrario di
questo: Conv. ni. 13.
Egli non basta il prendere cibo, perchè il corpo se ne
rinfranchi, ma è necessario che lo stomaco lo dispensi equa-
bilmente in tutte le parti onde ne viene la digestione. La
digestione è aiutata dal riposo:
Convienti ancor sedere un poco a mensa,
Perchè 11 cibo rigido e' hai preso
Richiede ancora aiuto a tua dispensa. Par. \. ZI.
Il cibo bene smaltito sarà salutare, e lascierà vitale nutri-
mento : Par. xvii. 131. Il soperchio di cibo, o la mescolanza
di più cibi è dannosa alla salute:
La dannosa colpa della gola, Jnf. vi. 53.
Colpe della gola,
Seguite già da miseri guadagni. Purg. xxiv. 128.
Principio fu del mal ...
Del corpo il cibo che s' appone. Par.xwi. 138.
Lo Stomaco pieno d'umori venenosi e contrarli ... vivanda
non tiene : Conv. i. 1.
V amore del gusto, cioè il naturai appetito del bere e
del mangiare, non deve accendersi in troppo desiderio, e
diventar passione (troppo desio non fuma) nella qual parola
fuma ci mostra bellamente come la crapula turbi ed olfu-
schi r intelletto coi fumi che manda al cerebro. Nei cibi
dobbiamo attenerci a un giusto mezzo, il quale debb' esser
determinato dal puro bisogno: esuriendo sempre quanto è
(jiusto: /^wr//. XXIV. 152.
Il bisogno del cibo è maggiore nei corpi teneri, perchè
i tessuti non solamente debbono ristorare le perdite, ma
di più pigliare incremento. Dante, spertissimo della tisiolo-
gia, come di tutte le altre discipline, fa morire di fame i
tìgliuoli di Ugolino più o men presto, secondocchè la loro
età ei:a minore o maggiore: Inf. xxviii. 70.
286 COGNIZIONI SCIEMIFICUE.
Oltre alle azioni e funzioni naturali del corpo umano,
pose Dante la mente ad alcuni stati morbosi, e fu in questo
non meno verace e vivo pennelleggiatore.
Febbre. — Egli non dimentica alcuno dei fenomeni,
quando ci entra la febbre. Ei segna il triemito e il dibat-
timento de' denti in noia di cicogna, quel gelo che stringe
le viscere e discorre in tutta la persona, e perfino la smorta
unghia, onde il febbricoso non vorrebbe uscir del sole, e
al veder pur l'ombra triema:
Quale colui, cb'è sì presso al riprezzo
Della quartana, e' ha già 1' unghie smorte,
E triema tutto pur guardando il rezzo. Inf. xvii. 83.
E segna lo sbadiglio precursore, non appena cominciamo
sentir di febbre:
Co' pie fermati sbadigliava
Pur come... febbre l'assalisse. /w/".xxv. 89.
E quando, la febbre monta sul gagliardo dell'accessione,
duole forte il capo, bruciano le membra, un' arsura e un
molesto aridore ci cuoce le fauci, inestinguibile la sete, e
per infino un fumo puzzolente ne viene dall'ardore febbrile:
Tu hai l'arsura, e 77 capo che ti duole. Inf. xxx. 129.
A te sia rea la sete onde ti crepa
La lingua . . . Che s' io ho sete . . . Inf. xxx. 121. 120.
Li duo tapini,
Che fuman come man bagnata il verno . . .
Per febbre acuta gittan tanto leppo.
Quanto più languidamente il Petrarca:
Quel ha già l nervi e i polsi e i pensier egri,
Cui domestica febbre assalir suole. San. 56. p. 2.
Nel Trat.Y. del Convito, e. 12, ricorda la sete dì casso (petto)
fehricunte intollerabile.
9iaciienza. -- Estrema macilenza induce somma debo-
lezza; apporta ora torpore ed ora somma sensività: Purn.
xxu. 34. - Inf. xxxiu. 61.
idropc o Ascite. — E l' idropico descrive con tale ve-
rità che ne disgrada un'opera nosologìca e medica; e vi
nota il volto e il collo arido e scarno, e l'ingrossamento
de' visceri ipocondriaci, onde grosso assai il ventre pel
putrido umore che lo goniìa, e il ventre incroiato e du-
»ro. E nota come T ascite guasti e corrompa gli umori,
MEDICINA. 287
rivolgendosi questi dove non dovrebbero, onde dispaiale
le membra, mentre altre ingrossano, dimagrano l'altre. Né
dimentica i fenomeni più salienti di questa malattia, la
sete ardente ed Inestinguibile, e la stanchezza, effetti es-
senzialmente legati alla natura del morbo:
r vidi un fatto a ^uisa di Uuto,
Pur ch'etrli avesse avuto l'anguinaia
Tronca dal lato che l' uomo ha forcuto.
La grave idropisia che sì (Us\mia
Le membra con l' umor che mal converte,
Che '1 vis'o non risponde alla ventraia,
Faceva lui tener le labbra aperte, ...
.... che mi vai, eh' ho le membra legate . . .
, . , . un gli percosse l' epa croia .
.... ancor che mi sia tolto
Lo muover per le membra che son (jravi . .
A te sia rea la sete onde ti crepa,
Disse '1 Greco, la lingua, e l' acqua marcia
Che 't ventre innanzi agli occtii si t'assiepa.
S' i' ho sete, ed umor mi rinfarcia. Inf. xxx. 49 e seg.
Etisìa. — E ricorda pure la sete che di continuo cruc-
cia l'etico:
Faceva lui tener le labbra aperte,
Come l'etico fa, che per la sete
L'un verso '1 mento e l'altro in su riverte. Inf. xxx. Sii.
Epilessia. — L'epilessia, 0 morbo sacro, avvilisce e
meglio interrompe il senso e l'intlusso della volontà. E i
sintomi ddV oppila z ione (licantropia, o chiudimento dei
sensi) che seguir sogliono l'applicazione degli agenti più
dirittamente infesti alla vita non possono celarsi agli oc-
chi del medico in questa famosa comparazione. Al cessare
dell'insulto non rintegransi tosto il senso e il movimento
volontario: rimane ancora una stupidezza un languore.
A' tempi di Dante dominava in medicina l'iimorismo, e questa
malattia deducevasl dagli umori rattenuti nel loro discor-
rimento :
E qual e quei che cade, e non sa corno.
Per forza di denion che a terra il tira,
0 d'altra opjnlazion che lega l'uomo,
Quando si leva, che intorno si mira,
Tutto smarrito dalla grande angoscia
Ch'egli ha so/ferta, e guardando sospira. Inf. xxiv. 112.
ruraiisi. — E ricorda un'altro morbo nervoso, una specie
288 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
(li tetano, che potrla chiamarsi Iropostono, in cui egli
immagina che né davanti ne di dietro, né di fianco si curvi
0 torca la persona degl'indovini, ma che con un certo
scavezzamento di collo la testa si gira in guisa di guardare
le spalle:
Forse per forza già di parlasia
Si travolse così alcun del tutto,
Ma io noi vidi, né credo che sia. Inf. xx. 16.
Da sé stesso però dice, che in patologia questo travolgi-
mento non si conosce, facendo così aperto ch'egli era in
quella disciplina molto innanzi, e che, penetrato l'andamento
della morale caducità, sapeva rallargare il campo nosologico.
Scabbia. — Né dimentica quelle alterazioni del tessuto
cutaneo, che sono delli malori della pelle, onde mirabilmente
dipinge gli scabbiosi :
r vidi duo sedere a se poggiati.
Come a scaldar s' appogy:ia tegghia a tegghia,
Dal capo a' pie di schianze maculati;
E non vidi giammai menare stregghia
Da ragazzo aspettato dal signorso,
Né da colui che mal volentier vegghia;
Come ciascun menava spesso il morso
Dell' unghie sovra sé per la gran rabbia
Dai pizzicor, che non ha più soccorso.
E si traevan giù l'unghie la scai)bia.
Come coltel di scardova le scaglie,
0 d'altro pesce che più larghe r abbia. Inf. xxix. 73.
« Dietro Galeno, i Greci del basso impero e gli Arabi rap-
presentano la lebbra per una forma squamosa di cutanea
malattia. Dante, nello assomigliare le squame a quelle dello
scardova, o d'altro pesce che più larghe l'abbia, mostrava
riguardare a quella sembianza di malattia squamosa, che
i moderni discernono col nome (Vittiosi, e che a quei tempi
era indistinta, e andava confusa con le altre lebbre. »
. DJ Àsson.
Malattia d'Occhi. — L'oi'gano visivO, Cioè l'OCChio,
lo quale per infermità e per fatica si trasmuta in alcuno
coloramento, e in alcuna debilità; siccome avviene spesse
volte, che per essere la tunica della pupilla sanguinesa
molto per alcuna corruzione d' infermitade, le cose paiono
quasi tutte rubiconde .... E per essere lo viso debilitato
MEDICINA. 289
Incontra in esso alcuna disgregazione di spirilo, sicché le
cose non paiono unite, ma disgregale, quasi a guisa che fa
la nostra lettera in sulla carta umida. E questo è quello
per che molti quando vogliono leggere si dilungano le scrit-
ture dagli occhi, perchè la imagine loro venga dentro più
lievemente e più sottile; e in ciò più rimane la lettera
discreta (ben composta) nella vista .... Per aflalicare lo
viso molto a studio di leggere, in tanto debilitai gli spiriti
visivi, che le stelle mi pareano tutte d'alcuno albore om-
brate: e per lunga riposanza in luoghi scuri e freddi, e con
aflreddare lo corpo dell'occhio con acqua chiara, rivinsi
la virtù disgregata, che tornai nel primo buono stato di
vista: Coni?, in. 9.
Il Presbita non iscorge che a gran distanza gli oggetti,
mentre dappresso gli son confusi: rioi veggiam, come quei
e' ha mala luce: Inf. x. 100. - Il miope animica, per discer-
nere bene i soli oggetti vicinissimi che di lontano non gli
giunge il nerbo del viso: Inf. v. 21.
Pazzia. — Precipua cagione del delirio e della mania
è un forte dolore.
Tanto il dolor le fé la mente torta. Inf. xxx. 21.
Ed è la mente non sana per l'alterazione del cerebro: Conv.
IV. 151.
Sen glo come persona trista e matta. Inf. xxvii. 111.
Né dimentica l'inquietudine onde son travagliati gli
infermi :
Vedrai te somigliante a quella inferma,
Che non può trovar posa in su le piume,
Ma con dar volta suo dolore scherma. Purg. vi. 149.
E ricorda il salasso t
Come sangue che fuor di vena spiccia. Purrj.. ix. 102.
Pestilenze, e luo{;;;lii miasmatici. — E ricorda pure
la provenienza dall' Africa, non meno che de' rettili velenosi,
delle pestilenze: Inf. xxiv. 85. Nò disconosce gl'influssi
de' luoghi miasmatici, e grama chiamò nella slate quella
lama che il Mincio impaluda [Inf. xx. 81) ; e rammenta la
infezione e il puzzo che si leva, tra la slate e l' autunno,
dagli spedali di Valdichiana, di Maremma e di Sardegna, e
l'antica micidial conlagione d'Egina: Jnf. xxix. 46. - Don.
Asson.
Sui. II. 19
290 COGMZIOM SCIEMIPICHE.
iissidcrazionc. — E delinea pure l'assiderazìone delle
anime immerse nella ghiacciaia del cupo abisso, notando
la lividezza della faccia, lo stridore dei denti, l'insensibilità
della parte esposta al freddo, quasi fosse incallita, e lo
aggelamento delle lagrime che rincaccia e rinconcentra la
ambascia del cuore: Inf. xxxii. 33. - DJ Associ. -
Paure e patemi d'animo. — NÒ gli fuggirono allo
sguardo scrutatore tutti i fenomeni che ingenera in noi la
paura ed i forti patemi di animo.
La paura, non che un gagliardo morale commovimento,
agita il sangue per tutte le membra e accelera il battito
dei polsi :
Mi fa tremar le vene e i polsi. Inf. i 90.
Men che dramma
Di sangue m'è rimasa che non tremi. Purg.\i\. ìt.
Si condusse a tremar per ogni vena. Purg. xu. 138.
il quietarsi dalla paura importa il cessare di quel tremito
ch'essa genera nella cavità del cuore, ove il sangue s'aduna.
Donde avviene che nella paura l' uomo si fa pallido, perchè
il sangue per le vene disperso Fuggendo corre verso li cor
che 'l chiama: Cans. i. 3.
Allor fu la paura un poco queta,
Che nel lago del cuor m'era durata. Inf. 1. 19.
il sangue per se non triema, ma in un'estremo abbatli-
mento, il cuore e l'arterie scemano di molto l'azione loro,
per lo che il sangue sembra sostare ed oscillare.
La paura sconcerta l' innervazione, onde ne segue somma
diminuzione degli atti vitali, e sovrattutto nella tempera-
tura vitale una quasi sospensione di esistenza; il perchè
assennatamente Dante diceva che della paura era tuffo
gelafo: Purg. viii. 42. Nò solo può diminuirne gli atti, ma
interromperli e quasi abolirli : Inf. iii. 135.
Nella paura il nostro cuore si rimpicciolisce, è in sé
ristretto. Ma quando si siam fatti sicuri, il cuore pare di-
latarsi e diffondere forza a tutto il corpo:
Non aver tema ....
Fatti sicur, che noi siamo a buon punto:
Non stringer, ma rallurga ogni vigore. Purg. ix. 4(5.
Un altro fenomeno, degno di attenzione, notava nello
influsso della paura : essa sgagliarda e dà forza, lo che non
MEDICINA. 291
SÌ potrebbe altrimenti spiegare che invocando l'istinto con-
servatore : Inf. xxv. 25-28.
La paura fa che si senta il male, quando ancóra non
ci è; l'anticipa. Dante era tanto paventoso dei demoni che,
sebbene lontani, già gli sentiva dappresso:
Io glMnimagino sì, che già li sento. Inf. xxiii. 24.
Un'oggetto che già veramente eccitò l'anima, ancorché
ci si tolga dinanzi, lascia tuttavia la continuazione de' me-
desimi effetti. Intervenendo poi che cessino alquanto, si
risvegliano ben tosto e con impeto uguale, qualvolta l'ob-
bietto ritorni presente all' immaginativa. In molti luoghi
della div. Comedia viene espresso tal costante procedimento
di natura. Cosi lo spavento che Dante ebbe di quel tremuoto
è tale che ancora a pensarci gli eccita il sudore ; sì grande
fu il travaglio sofferto: Inf. iii. 132. E quando vide alcuni
visi fatti cagnazzi per gran freddo, egli ne ricorda che
gli venne paura e verrà sempre (mirando) dei gelati guazzi,
perchè questi gli richiameranno ognora quelle orribili viste
[Inf. xxxii. 70): altrove dice similmente: Io vidi, ed anche
il cuor mi s'accapriccia [Inf. xxii. 31) : Aimè, che piaghe vidi
ne' lor membri Recenti e vecchie dalle fiamme incese ! Ancor
men duol, pur ch'io me ne rimembri: Inf. xvi. IO.
Sovente un forte patema interrompe in un punto Fin-
nervazione, onde la persona cade vinta: Inf. v. 141; Purg.
XXXI. 85.
Sovente ce ne viene un' abbattimento nervoso ; il cuore
conserva in paye la sua attività, né solo son privati gli
organi estremi, ma poco stante il cuore rende virtù di
fuore: Purr/. xxxi. 91.
E spesso ancora non si può piangere né sospirare; ma
questo stato non è durevole ; vi succedono poco stante i
sospiri e le lagrime, quasi crisi della malattia: certo T in-
terna ambascia viene alleviata: Purg.xw.^ì.
Sovente producono contrarli effetti, norj contemporanei
ma successivi. L' immenso dolore del Co. Ugolino dapprima
r impietosì (V. 42), poi gli vietò il pianto, gli tolse la pa-
rola, lo impietrì (v. 49), indi d'un tratto il fé' per dolore
mordergli le labbra: v. 58. Per Tafilizione del cuore, l'a-
zione del comune sensorio sui muscoli riraan quasi sospesa.
292 COGNIZIONI SClENTiriCUE.
l'innerva zione è siffaltamenle interrotta, che non può esservi
secrezione delle lagrime, e questo è il primo effetto ; nasce
il secondo da diffusione di eccitamento.
L' assuefazione ottunde il se nso. Dante fa dire a Virgilio
che conviene scendere adagio, a ffinchè il senso a poco a
poco s'avvezzi al triste fiato:
Lo nostro scender conviene esser tardo,
Sì che s'ausi prima un poco il senso
Al triste fiato . . . Inf, xi. 10.
GIURISPRUDENZA DANTESCA
SPECIALMENTE PENALE
Tatto «uo amor laggiù pose a dritta».
Par. XX. 121.
Diligite justitiam ... qui jndicatis terram.
Pai. XVni. 91.
Nella serie de'ritratti dei giureconsulti, lUnstrinm
jnreconsultorum imagines, Romae 1366, in lY.
trovasi il ritratto di Dante tolto dal Museo di
Marco Maotora Benavids, giureconsulto padovano.
SCOLARI.
Graziano da Chiusi, ordinando i canoni, diede un intero
sistema di giurisprudenza ecclesiastica, e si meritò le lodi
del più grande italiano del medio evo:
Queir altro fiammeggiare esce del riso
Di Grazian, che l' uno e r altro fóro
Aiutò sì, che piace in paradiso. Par. x. 103.
E dal cielo di Mercurio il poeta fa che Giustiniano, il
riformatore delle leggi, ritessa l'istoria dell'aquila romana
e ne mostri i diritti divini {Par. vi); ed ei pure si piace
di assegnare alto seggio di gloria a quei che amarono la
giustizia e bene l' amministrarono nei popoli : Par. xviii.
La legge. — Dio Creò l'uomo sociale, né v'ha alcuno
che abbia il bene dello intelletto che lo neghi. La società
è la naturale ed ispontanea unione delle forze comandata
all'uomo dalla providenza, e regolata dalla légge della
necessità per raggiungere lo scopo comune della prosperità,
GIURISPRUDENZA. 293
mercè' Il per fezìonamento. Dunque la società importa leggi :
la 1 egge è la regola direttiva della vita {De Mon. 1. 15) ; è
la ragione scritta (Conv. iv. 9); è una guida o freno che
ìnd irizza l' istinto, che governa le umane tendenze, onde
non corrano dietro al torto amore, e che debba tener Vuomo
dentro a sua meta [Purg.xw.lii). È arte di bene e d'equità:
Conv. IV. 9. - Se gli uomini bene conoscessero; l'equità, e co-
nosciuta la servassero, la Ragione scritta non sarebbe me-
stieri: Id.
Onde convenne legge per fren porre. Purg. xvi. 94,
e certo: senz'esso fora la vergogna meno. Purg. vi. 90.
La ragione jus è una proporzione reale e personale tra
uomo e uomo, la quale quando si osserva conserva 1' umana
congregazione, e quando è corrotta la corrompe... È neces-
sario che il fine di qualunque ragione sia il bene comune,
ed è impossibile che sia ragione quella che non attende
al bene comune. E però Tullio nella i^rimdi Rettorica dice:
che sempre si vuole interpretare le leggi a utilità della Re-
pubblica. E se le leggi non si dirizzano a utilità di coloro
che sono sotto la legge, hanno solo il nome di leggi, ma
in verità non possono essere leggi. Imperocché conviene
che le leggi uniscano gli uomini insieme a utilità comune :
De Mon. ii. o. - Non è la civiltà a fine delle leggi, ma anzi
le leggi a fine di civiltà: De Mon. i. 14.
Perchè una civile comunanza, uno stato cresca e fiorisca,
fa mestieri che le leggi non sieno un nome vano senza
subbietto. Che importa se vi sien le leggi, se pochi pongono
mano ad esse? Purg.wì.^l. Dinanzi alla veneranda auto-
rità della legge non vi debbono essere né immunità né
privilegii; tanto più che dove V argomento della mente
S'aggiugne al mal voler e alla possa Nessun riparo vi può
far la gente : Inf. xxxi. 53.
« L'osservanza alle sacrosante leggi, che della naturale
giustizia imitano V imagine, se lieta é, se franca, non sola-
mente provasi non essere servitù, ma anzi, a chi guarda
diligentemente, apparisce, qual essa è, la maggiore delle
libertà: E che é altro infatti la libertà, se non il libero
passaggio della volontà all' azione, passaggio che le leggi
appianano ai loro seguaci? » {Epist. vi. § 5.)
294 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
Le leggi debbono essere chiare, nette e precise, né sog-
gette alla troppo facile interpretazione altrui. Giustiniano
è altamente lodato perchè d'entro alle ler/f/ì^ con che quel
savio imperatore racconciò il freno ali llalia (Pwrr/. vi.88),
trasse il troppo e il vano {Par. vi. 13), e per esse illuminò
le genti a vita civile. — Le leggi vogliono esser corrette
con discrezione [co\Y occhio) della ragione mercè cui essa
apprende la differenza delle cose in quanto sono ad alcuno
fine ordinate [Conv. 1. 11), e con amore e zelo della giusti-
zia, onde il poeta, rivolgendosi alla patria sua, esclamava:
E le focose tue mal giuste leggi
Con discrezion correggi,
Sicché le laudi '1 mondo e '1 divin regno: Caìiz. xx. 3.
La frequente mutabilità delle leggi èruinosa sempre al regime
pubblico ; sicché il poeta con iierissimo disdegno rimprovera
Fiorenza pei suoi tanto sottili provvedimenti, che a mezzo
novembre non giungeva quello che filava d'ottobre: Purg.
VI. 139.
Anche nella giurisprudenza si debbono lasciare le dot-
trine vaghe, incomprensibili ed inapplicabili. Torna sempre
vero che l'esperienza, giusta i dettati dell'italica scuola,
è fondamento solidissimo di tutte le scienze e di tutte le
arti umane:
Da questa instanzia può deliberarti
Esperienza, se giammai la pruovi,
Ch'esser suol fonte ai rivi di vostr'arti. Par. u. 94.
Ed ei, non come ghibellino, ma come filosofo, taccia di
presontuosi i giureconsulti, e li danna al silenzio, perchè
dispregiavano la filosofia speculativa : De Mon. ii. 10.
Le idee dell'Allighieri sulla nozione del diritto, così il
prof. Carmignani {Dissertaz. sulla Monarchia di Dante) ra-
zionalmente considerato, sulla libertà, sulla giustizia, sulla
legge come espressione della mente e della volontà sociale,
sono d'una meravigliosa esattezza, e d'una più meravigliosa
originalità. Gli Scolastici non seppero imaginare un diritto,
che dalla volontà d'un superiore e da una legge preesi-
stente non derivasse. Dante lo ravvisa nella ragione e nelle
sue leggi, perchè per queste sole leggi son consciute ed
esistono le proporzioni, definendolo una personale o reale
GIURISPRUDENZA. 295
proporzione da uomo a nomo, osservata la quale avvi rela-
zione sociale Ira loro. Nella quale definizione cinque grandi
verllà si ravvisano. La prima è, che non polendo la delinl-
zione convenire al principio morale, per cui un' azione è
buona o cattiva in se stessa, senza relazione ai diritti di
alcuno, bisogna concludere che l'Allighieri concepì la diffe-
renza razionale tra la morale e il diritto. La seconda è, che,
nel sistema suo, il diritto non è una facoltà, la quale è
forza inerente alla volontà, ma è una nozione, la quale
spetta airuflicio dell' intelletto. La terza, e segnabile, è che
il diritto, come nozione, ha un'esistenza propria, indipen-
dente da quella d'una obbligazione che vi corrisponda ; ed
infatti egli di obbligazione non parla. La quarta consiste
nel dare al diritto per origine e titolo l' eguaglianza di
ragione, la quale si converte in eguaglianza in faccia alla
legge, in quanto che non potrebbero i diritti stare in pro-
porzione tra loro se eguali non fossero. La quinta finalmente
è, che il diritto non può concepirsi tra gli uomini che nel
loro slato di società, il quale solo gli pone in relazione gli
uni cogli altri. - Dante sagacemente soggiunge, essere una
vanità cercare il fine del diritto senza conoscerlo, essendo
il diritto il vero e solido fondamento dell'ordine; e giusta-
mente gloriasi dell' originalità della nozione del diritto posta
da lui, ed osserva che ne' Digesti filosofica nozione del diritto
non vi è, né altra notizia ve ne ha che quella che ne for-
nisse il suo uso. È osservabile che Dante, a differenza
della comune de' moderni scrittori di filosofia del diritto,
e delle più celebri politiche epigrafi, pone il <//rz7fo avanti
la libertà, non la libertà avanti il diritto; e, come alcuni
filosofi praticarono, non defini il diritto per la libertà. Egli
la considera al diritto inerente ; di guisa che senza diritto
parlar non si possa di libertà. Egli distingue sagacemente
la libertà giuridica dal libero arbitrio, distinzione non
avvertita dai parteggiatori del priiicipio della utilità, tutto
il sistema de' quali riposa su questo gravissimo errore. La
libertà giuridica è, nel sistema dell'AUighieri, la facoltà che
compete ad ogni uomo di giudicare della rettitudine delle
sue azioni : il libero arbitrio è dagli appetiti determinabile ;
dai quali appetiti la libertà giuridica non dee mai, per
296 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
esser tale, prendere il proprio carattere. Definita per tal
modo la libertà, egli la considera lo stato ottimo del genere
umano. - La società civile è considerala dall'AUighieri, nel
suo vero filosofico punto di vista, il mezzo necessario a
promuovere la civiltà umana, ch'egli fa consistere nel mag-
giore sviluppamento possibile dell'umano intelletto. La legge
ne è il comento, e se tale non è, non merita il nome di
legge: la quale proposizione, riferendola alla difinizione da
lui data al diritto e alla libertà, significa che la legge è la
espressione delle proporzioni o personali o reali tra gli
uomini conviventi in società civile tra loro.
Dante in un secolo in cui la ragione umana era ancor
nell'infanzia, proclamava la scienza nemica di crudeltà:
Lucia nemica di ciascun crudele. Inf. ii. 100.
Dante che avea a fjiustizìa suo dìsire, che nel Convito
diceva di se medesimo come abboni inasse e dispregiasse gli
errori delle genti, non per infamia o vituperio degli erranti,
ma degli errori (Conv. iv. 1), acciocché la gente, che per mal
cammino andava, per dritto calle si drizzasse; Dante, il
cantor della rettitudine {De Vul. Et. ii. 2), nel xi dell' Inferno e
nel XVII del Purgatorio, si fa sapientemente a classare e
librar con giusta lance ogni operazion che merla pena [Purg.
XVII. 115), e crea un nuovo codice penale. Secondo la viltà
della colpa ei segna la gradazione e ne giudica la gravità. -
« Un des récens commentateurs a pu recomposer avec
r Enfer et le Purgatoire le code penai d'Allighieri, code
complet, où se retrouvent à la fois le droil romain, le
droit canon et le droit germanique du moyen àge. Cesi
M. Wegele qui a eu cette idée. Il est fàcheux, que le docte
historien compromette ici la valeur de ses recherches en
voulant prouver que le droit germanique tient plus de
place dans la Divine Comédie que le droit canon et le
droit romain. C'est précisément le contraire qui est vraei,
r originante du droit germanique en matière pénale est de
punir la faute pour la fante elle-méme, tandis que le droit
romain se preoccupo surtout des crimes commis contre
l'état, et le droit canon, des infractions aux lois de Y église.
Dante, avec son inflexible logique, réserve ser plus crucis
cUàtiraens aux ennemis de l' église et de l'empire, il rend
GIURISPRUDENZA. 297
des arréls de juslice sociale plulót qu'il n' applique les
lois de la morale privée. Comment M. Wegele a-l-il méconnu
ici le système du poòle après l'avoir si bien mis en lumiè-
re? Ajoutons seulement, pour étre tout à fall exact, que
l' esprit évangélique apparali sans cesse dans les sentences
d'Allighieri. Sa libre dislribution des chàtimens est le triomphe
de la juslice chrétienne. La coscience du coupable est mise
à mi, et plus il élait place haut dans la hiérarchie des
pouvoirs, plus lourde pése sur lui la responsabililé de ses
oeuvres. Point de ménagemens pour les grands de ce monde l
a Combien se tiennent là-haut póur de grands rois, qui
seronl couchés comme des porcs dans ce bourbier, ne lais-
sant d'eux-mémes que d'horribles mépris!» - Saint- René
Taìllandier. -
Dell' imputabiiitù. — L' uomo è imputabile ne' suol
traviamenti, avendo egli innata la virtii che consiglia, la
quale dee custodire la porta dell' assenso-, aprendola a' buoni
desiderii, e chiudendola a' cattivi: Pwrr/. xvii. G2. - Quelle
sono nostro operazioni che soggiacciono alla ragione e alla
volontà.... Sono anche operazioni che la ragione considera
nell'atto della volontà, siccome offendere e giovare... stare
casto e lussuriare, e queste del tutto soggiacciono alla no-
stra volontà, e però semo delti da loro buoni e rei, perchè
elle sono proprie nostre del tulio; perchè quanto la nostra
volontà ottenere puote, tanto le nostre operazioni si sten-
dono: Co)u\ IV. 9. - Nel volere e nel non volere nostro si
giudica la malizia e la boutade : Conv. i. 2
Quest' è il principio là onde si piglia
Cagion di meritare in voi, secondo
Che buoni e rei amori accoglie e viglia. Purg. xvin. 6i.
Lume V' è dato a bene ed a malizia,
E libero voler che, se fatica
Nelle prime battaglie col c»€l dura
Poi Vince tutto, se ben si notrica. Purg. xvi.75.
Questi versi racchiudono l'espressione dei principi supremi
del reato, e dell' imputabilità cioè nozione ingenita del bene
e del male e libero arbitrio. Un' azione dunque prodotta dal
consenso (\q\V intelligenza e della Ubera volontà dell'agente è
imputabile. L' uomo che ha la coscienza del bene e del male
e che ha libera scelta vincerà sempre nella lotta della pas-
298 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
sione, se egli non vorrà cedere all' impulso malvagio. Laonde
anche gli appetiti e le male cupidìgie che surgono entro
noi per forza di necessità, ove non sien frenate, e si torcano
a nequizia, sono capaci per sé stesse di biasimo e di pena:
Merto... di biasmo cape {Purij. wììì. 60); perchè
Di ritenerli in noi è la potestate. Purg. xviii, 72.
onde il poeta cantava di sé medesimo:
E più lo 'ngegno affreno eh' io non soglio,
Perchè non corra, che virtù noi guidi;
Sì che se stella buona, o miglior cosa.
Mi ha dato il ben, eh' io stesso noi m' invidi. Inf. xxvi. 19.
Gl'Istinti, ne' cuori mortali per motori, sono fatali, ma non
sono tutti né sempre, né da tutti vincibili : ove fosse di-
strutto
Libero arbitrio, non fora giustizia
Per ben, letizia^ e per male, aver lutto. Purg. xvi. 71.
Dante distingueva l'azione che non é più tale, per vio-
lenza, e quella che non lo é per timore. Questa, quantun-
que avvertita dalla legge, non é assolutamente involontaria;
coacta voluntas, voluntas est. - Coactus volui:
Se violenza è quando quel che paté
Niente conferisce a quel che sforza ...
Che volontà, se non vuol, non s' ammorza,
Ma fa come natura face in fuoco,
Se mille volle violenza il torza ;
Perchè, s' ella si piega assai o poco,
Segue la forza...
Molte fiate già, frate, addivenne
Che, per fuggir periglio, contro a grato
Si fé di quel che far non si convenne...
A questo punto voglio che tu pense
Che la forza al voler si mischia, e fanno
Sì che scusar non si posson le offense.
Voglia assoluta non consente al danno,
Ma consentevi in tanto, in quanto teme.
Se si ritrae, cadere in più affanno. Par. iv. 73. e seg.
Le azioni adunque che si fanno per timore, affine di sfug-
gire qualche grave sciagura che ne soprastì, non lasciano
però d'essere volontarie; imperocché partono da principio
intrinseco, e si fanno con pienissima cognizione. « La vo-
lontà eccitata dal timore non lascia di esser volontà ... Que-
sto volontario misto, perchè per esso vorrebbe l'uomo non
GIURISPRUDENZA. 299
far ciò che fa, ma pure lo fa, volendolo fare, e volendo
con dispiacere, pare in certo modo che voglia e non voglia.»
{ Antol. mor. filos. e. \y) Però subita paura sf/af/liarda: Inf.
XXI. 2d. - Vinse paura la mìa buona voglia: /«/". xvi. 50.
In due modi si fa ingiuria o con forza o con frode {Cic.
De Off. 1. 137). La frode che abusa della mente è più rea
della violenza, sicché i frodolenti posseggono le infime bolge
e però più tormentati:
D'ogni malizia ch'odio in cielo acquista,
Ingiuria è il fine, ed ogni fin cotale
0 con forza o con frode altrui contrista. Inf. xi. 22.
I gradi dell'imputabilità in qualunque reato si valutano
in ragione diretta dell'influenza che su lo stesso esercita e
la intelligenza, e la volontà delV agente, perchè quando V ar-
gomento della mente è aggiunto al malvolere, cha pur mal
chiede, che cerca solo di nuocere {Purg. v. 12), ed alla possa,
nessun riparo vi può far la gente: i^t/". xxxi. 55. [La forza
e il mal voler giunto air ingegno Sai che può tutto. Pulci,
Morg. Mag. i. 24. )
Della pena. — La pena (l) e essenzialmente la ripara-
zione di un dovere violato, la retribuzione del male per male,
(1) Ci si consenta recare alcune delle più celebri teorie sulla genesi
del diritto punitivo. Degli Italiani, il Rossi, seguendo la dottrina di Kant,
pone il fondamento della punizione nel principio morale dell'espiazione;
il Mancini nella giustizia e nell' utilità fuse insieme in un principio
composto; ìì Mamiani nella giustizia retributiva; il l'essimi fa consistere
il principio supremo della pennuta non nella moralità, nò certo nel fare
la giustizia umana imitatrice della divinn, ma nel considerare la giustizia
umana come una face delia giustizia eterna, nel riconoscere il diritto in
sé medesimo, ovvero l'attuazione obbiettiva del bene assoluto nella forma
di retribuzione contro la sua violazione; il Carrara nel principio della
tutela giuridica, essendo mestieri che il violatore del diritto ripari a
scapito dei proprii diritti l'audace negazione che col delinquere fece alla
legge; il Tolnmei nel diritto di far fidempiere la legge, di far conseguire
quel dato line a cui la legge e e dev'essere rivolta, nel diritto insomma
di giuridica sanzione civile. De' Francesi il Jìertauld vuole che la san-
zione penale inchiuda diie conseguenze: la prima, il diritto per il potere
sociale di costringere direttamente all'esecuzione del suo comando; la
seconda, il diritto di castigare la ribellione e di distruggere col castigo
il triste effetto dell'esempio: Disobbedienza alla legge e punizione» son
due idee che necessariamente si concatenano fra loro. Faustino Uélia
ritiene che la giustizia penale esista perchè la società esiste, perchè e
300 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
il risarcimento del danno sociale, cagionato dall'azione crimi-
nosa, ed ha per oggetto il timore e l'esempio, onde altri
fufjf/a il male per altrui commesso, e pecff/io: Jnf. 1. 132. - La
sua ragione di essere sta nella violazione del precetto - perchè
io fui ribellante alla sua legge : Jnf. 1. 125. - la sua applicazio-
ne dev'essere impreteribile, né può dipendere da eventuali
successi. Oltre della sua certezza, il principio della tutela
giuridica esìge per logica necessità che sia irredimibile.
Lasciate ogni speranza, voi che entrate.
Nulla speranza gli conforta mai,
Non che di posa, ma di minor pena.
La società vuol che il debito si paghi: Purg. x. 108.
Pianto giusto debbe venir dirietro a' danni : Par. ix. 5. Il
princìpio vero, sul quale deve sorgere la dottrina del pro-
porzionare la pena al delitto è speculativo e logico, non
istintivo ed empìrico. Non si potrebbe rinvenire una norma
sì giusta alla quantità delle pene da applicarsi, ove si tras-
curasse del tutto di tener ragione della quantità del male
che si racchiude nel commesso reato, lo che Dante accenna
come necessario a riguardarsi:
Purché sia colpa e duol d'una misura. Purg. xxx. 108,
Il martirio debb' essere al furor dolor compito: Inf. xiv,
65. l gaggi commensurati col merlo [Par.vi.ìi^); W remune-
rare altrettanto del merto: jPar.xx.40, -Anche il Petrarca
cantava che debbe: Gir del pari la pena col peccalo. La
pena se alla colpa si misura, nulla giammai si giustamente
morse: Par. vii. 40. - L'uomo, ne' termini sui, dovrebbe sod-
ano degli attributi, una delle condizioni della sua vita, siccome conse-
guenza immediata e diretta del dovere che è imposto alla società di pro-
vedere alla propria conservazione ; il prof. Ortolan vuole che lo scopo
del diritto penale sia quello di concorrere alla conservazione e al buon
essere sociale, contribuendo all'osservanza del diritto nella società, mercé
l'applicazione di un male inflitto in certi casi a colui che ha violato il
diritto. E due sono per riuscire a questo fine remoto ji fini prossimi
della pena: l'esempio e la correzione morale, dei quali il più importante
per la società é l'esempio. Tissot ritiene complesso il principio supremo
e compiuto del diritto penale, come quello che ha la sua ragione nella
utilità e la sua misura nella giustizia: con la pena si ristabilisce la
eguaglianza negata dal delitto. Ad. Franck trova la legislazione penale
fondata sul principio della ripa razione e del diritto che ha la società al
pari dell' individuo di conservarsi e di difendersi.
GIURISPRUDENZA. .301
disfare, ohedlendo poi quanto (ììsuhbìdendo intese ir suso:
Par. VII. 97. Lo che per fermo non si Irasanda dai seguaci
della teorica del Romagnosì, del Giuliani, e del Rosmini.
Le circostanze che accompagnano la colpa possono cre-
scere e diminuire l'imputabilità. Chi fa forza nelle cose e
in l'avere del prossimo merita pena; ma più grave se adopera
violenza {Inf. xii. 46) ; e maggiore se non solo la violenza,
ma anche la frode: Inf. xxv. 25. Così si fa più nera la colpa,
quando il delinquente, ({hiotto della vendetta, impronta il
male altrui {Purg. xvn. 2*2), e tutto adopera a provveduto
fine, sì come cocca in suo segno diretta {Par. vin. 104), aspet-
tando a nuocere e tempo e luogo (1) [Petr. 5on. 21), ed iscemasl
quando altri è spinto dall' ira o dallo sdegno dì momentanea
offesa. E la ragione è manifesta, qerchè la mente nel bollore
dell'ira cieca e folle non ha tempo di raccogliere le sue
forze, né a vedere lo stato delle cose, né a riconoscere i
suoi doveri, giacché da un violento affetto, al dire di Seneca,
Commota semel et concussa mens ei servii a quo impellitur (2).
L' impubere età, a cui non isplende ancora la luce discretiva
non è imputabile:
Innocenti Iacea r età novella. Inf. xxxiii. 88.
L'adolescente per minoranza d'etade, lievemente merita per-
dono {Conv. iv. 26), che in lui la parte razionale non può
ancora perfettamente discernere: Conv. iv. 24. Così pure
va scevro di colpa chiunque ha torta la mente, e non sano
l'intelletto: secondo difetto di corpo può esser la mente non
sana... per l'alterazione del cerebro: Conv. iv. 15. -Maggior
carico poi acquistasi pel mài uso che fruga il reo alla rica-
duta: Inf. I. 97; V. 55. - Di qui la ragione perche altri sosten-
ni E dietro un canto postosi di piatto L'attende, come il cacciatore
al loco. -Ar. IX. 73. Con agguatevok ingannò falsamente colorato. Dino
Compagni.
(8) Qual duro freno, o qual ferrigno nodo,
Qual, s' esser può, catena di diamante
Farà che V ira servi ordine e modo,
Che non trascorra oltre il prescritto inante ?...
E s' a crudel, s'ad inumano effetto
Queir Impeto talor l'animo svia ;
Merita escusa ; perchè allor del petto
. Non ha ragione imperio, né balia. Ariosto, xlii. 1. S.
302 COGNIZIONI SCIENTIFICnE.
fifano minor penitenza, e perchè 6i\' \V\n felli sien dipartiti, e
perchè men crucciata la... giustizia gli martelli: Jnf.M.Hl.
Oltre di che si rendono imputabili anche coloro che
prestano concorso morale alla colpa [Inf. \\x. 40), non solo
col consiglio fraudolente {Inf. xxiii. 115.; xxvii. 116; xxviii.
97), ma anche inducendo a delinquere coi mai conforti e
00' malvagi pungelli: Inf. xxviii. Ilio, 138; xxx. 89.
Allora soltanto trionfa la libertà, secondo la sentenza
di Montesquieu, quando le leggi traggono ciascuna pena
dalla peculiar natura del delitto. Il più grande degl'Italiani,
dice C. Sozzi, nel poema il più sublime che vanti l'umana
fantasia, volle tornata in onore questa dottrina, special-
mente nel C. VII. del Paradiso:
Di tutte queste cose s' avvantaggia
L'umana creatura: e, s'una manca,
Di sua nobiltà convien clie caggia.
Solo il peccato è quel che la disfranca,
E falla dissimile al sommo bene.
Perchè dal lume suo poco s'imbianca.
Ed in sua dignità mai non riviene,
Se non riempie dove colpa vota,
Contra mal dilettar coìi giuste pene. Par. vu 76.
Egli vuole osservato il contrapasso [Inf. xxviii. 142), il pa-
tire cioè commisurato al precedente operare (/«/. xxx.70j,
massime nelle azioni ingiuriose. Questa legge si osserva
in pressocchè tutti i supplizj per lui immagnati.
La colpa commisa non vuol esser solo giudicata secondo
la materia, ma secondo la mente del legislatore. Il disub-
bidire su un punto, che non esiga violenza nell' ubbidire,
aggrava la colpa:
.... non il gustar del legno
Fu per sé la cagion di tanto esilio,
Ma solamente il trapassar del segno. Par. xxvi. 115.
Il mondo vuol dare colpa all'oppresso, ma la pena venuta
dal vero, dirà dov'è il vero fallo:
La colpa seguirà la parte offensa
In grido, come suol : ma la vendetta
Fia testimonio al ver che la dispensa. Par. xvir. 115 .
Ecco, dice Tommaseo, personificata colpa, vendetta,' cioè
pena, vero dispensator della pena, ed ecco nell'idolo poetico
una dottrina di jus criminale da farne una nuova genesi.
Del Giudice. — La punizione non è semplicemente pena
GIURISPRUDENZA. 303
allo Ingiurianle, ma pena data allo ingiuriante da chi ha
una giurisdizione di punire. Onde se la pena non è data
dal giudice ordinario, non è punizione, ma piuttosto in-
giuria : De Mon. ii. 2.
Il giudice deve guardarsi da ogni apparenza di cupidità:
la cupidità facilmente travia la mente degli uomini...; la
cupidità per poca ch'ella sia, o nubila o abbaglia l'abito
della giustizia: De Mon. i. 13. - E perciò debbono essere
scacciati quelli che riducono il giudice a perturbazione
d'animo: Id. - Il giudice non deve ascoltare pure l'una
parie: Conv. i. 5. - L'opinione corrente non lo debbe pie-
gare in falsa parte, né V affetto piegargli V intelletto: Par.
xiii. 119. - Guai se la pena, eli è giudicata in su le ac-
cuse (/«/". xxviii. 44), non è giusta vendetta ed è fatta
contro coscienza. Guai se altri potesse, dire: Ov'è questa
giustizia che 7 condanna? Ov'è la colpa sua? Par. xix. 77. -
La corte dev'esser verace {Purg.xw. 17), né soggetta ad
inganno: A Minos fallir non lece: Inf. xxix. 120. - L'altrui
giustizia non ci francherebbe di colpa: L'altrui bene a te
che fia se 'l tuo metti in obhlio? Purg. x. 89. - Dante chia-
ma l'esercizio dell'autorevole ministerio .del giudice, qual è
l'esame ed il giudizio dei rei, Vatto di cotanto uffizio: Inf.
v. 18. - Giudice esperto sa forzare il reo alla confessione
della propria colpa: A tanta accusa Tua confession con-
viene esser congiunta: Purg. xwi.^ò.
Oltre di che ci avverte che sentenza irrevocabile non
si pronunzi se non se dopo la più diligente e matura di-
samina, onde non paia ingiusta la nostra giustizia agli occhi
de' mortali: Par. iv. 07. - « Giustizia in sé, e in propria
natura considerata, è una certa rettitudine e regola, che
da ogni parte scaccia il torto: » De Mon. i. 13.
Molti han consiglio ia cor, ma tardi scocca.
Per non venir senza consiglio all'arco. Purg. \1.1Z0.
Quelli che intendono il giusto e vogliono il giusto, prima
di dar sentenza, per timore di errare ci pensano bene, e
lardi scoccano un arco, da cui una volta uscito lo strale
non può revocarsi. Gl'ingiusti, o I men saggi, fanno II con-
trario, a mo' degli antichi lìorentini verso Danto, e a loro
bene sta il suo rimprovero:
304 COGNIZIONI SCIENTIFICHE.
Ma 11 popol tuo l'ha in sommo della bocca.
hanno sempre pronto il loro giudizio, han la giustizia sulle
labbra, fan deliberazioni, pronunciano decreti che dicon di
giustizia, ma se sia veramente giustizia, non imporla.
Ogni grave soggetto vuoisi discutere nel silenzio delle
passioni e nella calma della ragione:
E questo ti fla sempre piombo a' piedi
Per farti muover lento, com'uom lasso... ecc. Pa?-. xm, 112.
.... tenetevi stretti
A giudicar .... Par. xx. 133.
Del giuramento. — Sulla prestazione del giuramento
nelle cause criminali e civili molti sono del contrario
avviso, ritenendolo come un allo superfluo, non potendo
esso aggiungere nulla alla forza della promessa che dalla
morale e dal diritlo non derivassero. Ci sembra che l'Alli-
ghleri approvasse la prestazione del giuramento là ove dice:
Tutto m' offersi pronto al suo servigio
Con l'affermar che fa credere altrui. Purg. xxvi. 104.
versi che si spiegano coll'altro che segue:
Ma se le tue parole or ver giuraro. Purg. v. 109.
Come pure il Macchiavelli quando scrisse : « Nei governi
bene istituiti i cittadini temono assai più rompere il giu-
ramento che le leggi, perchè temono assai più la potenza
dì Dio che quella degli uomini. » La scuoia tedesca è con-
traria alla prestazione del giuramento in tutti i negozii sì
civili che criminali.
Dante, che sapea trar profitto di tutto ciò che osservava
nella circostante natura, sì che la sua poesia è l'idealità
del reale, seppe cavare anche dalla vista di un dannato a
morte una bellissima similitudine:
.... mi prese un gielo ;
Qual prender suol colui eh' a morte vada. Purg. xx. 129.
COG^IZIOM POIICIOTIB
G. Venturi pubblicava nel 1811 un saggio di una dis-
sertazione [Gaz. Veronese, n. Il) con che facevasi a consi-
derare l'Allighìeri sotto l'aspetto di Po/(9/oWo, nel che egli
dice, « è stato il primo, per non dire l' unico fra i poeti
d'ogni nazione. Basta scorrere qua e là il suo immortale
poema per riscontrare dovunque modi e parole affatto stra-
niere al linguaggio italiano, che a bella posta con piacevole
arte, secondo la diversità dei soggetti, quasi altrettante
gemme, inserite si ritrovano.
Dalla lingua latina: in/", i. 70; xxxiv. 1.: Purg. i. 46;
vili. 13; IX. 140; x.44; xii.llO; xiii.29; xv. 38; xix. 50.
73. 99 ; XX. 3 ; xxx. 17 e seg. ; Par. vii. 1. e seg. , xii. 93 ;
xiii. 100; XV. 28; xxiii. 128 ; xxv. 98; xxviii. 91. 93.
Dalla provenzale e spaynuola: Purfj. xxvi, 1 e seg.
Dalla greca: Inf. xx. 9; xxiv. 11. 86. 87; xxxi. 61 ; Purg.
X. 128 ; xxviii. 131 ; Par. i. 99 ; xiv. 96, 99 ; xvu. 24; xxi. Ili ;
xxvi. 17; XXXI. 104. (1)
(1) Nel Convito trovansi citate le greche parole: Protonoe: n. 4; An-
tictona : IH. 5 ; Autentin : iv. 0 ; Ilormen ; iv. 22 ; Polysemus : Epis. xi, § 7 ;
Alleon: Id. ; Comos, tragos, oda: Id. §10. - Prov. Greco citato: Cont.n.
15. - 11 Perticari dalle seguenti parole del Convito, ii. 15 si fa a dedurre
che Dante non sapesse di greco: Quello che Aristotile si dicesse di ciò,
non si può bene sapere; perchè la sua sentenza non si trova cotale
nell' una translazione, come nell' altra. B credo che fosse l'errore dei
traslatori..., perchè altrimenti non confesserebbe la sua ignoranza sul pa-
rere di Aristotile per la discrepanza delle traslazioni. 51a il Fraticelli, in-
terpretatele altrimenti, ci mostra come Dante più volte nelle sue opere
desse segno di aver letto i poemi di Omero, che certo gli fu mestieri
aver letto nell' originale, perché a suo tempo, come ne dice Dante mede-
simo, non era ancora mutato di greco in latino, come l' altre scritture
de' greci: Conv. i.7. - Un'articolo sul Grecismo di Dante trovasi in un
Mss. del secolo XVIU della Palatina, contenente alcune Postille sulla
Divina Comedia del Lanzi e di G.D. S.-Ne scrissero inoltre Giangirolimo
Gradenigo nel suo Jlagionamento intorno alla Letteratura Greco-ita-
liana; Domenico M. Mapni nplla sua lezioue Dell'antichità delU laikre
VOL. II. 20
306 COGMZIOiM POLIGLOTTE.
Dalla francese: Inf. xm. Vói; xxiii. 48, 95; xxvii. 67;
Piirg. XI. 51; xvi. 126; xx. 48; Par. xi. 89.
Dalla tedesca: Inf. xiv. 8; xxxii. 26.
Dalla inglese: Inf. xxxi. 113.
Dalle lingue orientali: Inf. vii. 1; x. 11; xii. 88; xxxi.
67; Purg. xi. 11 ; xxiii. 74 ; xxix. 51 ; Par. vii. 1, 3 ; xxxi. 127.
Pietro Giuseppe Maggi nel 1854 prendeva ad illustrare
il verso che Dante pone in bocca del gigante Nembrotto,
da lui collocato al nono e più basso cerchio dell'Inferno:
Raphel mai amech sabì almi. Qualche spiegazione n'era già
stala tentata, fin dal cinquecento, ed anche a' dì nostri la
linguistica, specialmente in Germania, s'affaticò a scioglierne
l'enigma, ma non sembra che gl'interpreti abbiano colto
nel vero il concetto di Dante, o indovinata la lingua, da
cui tolse quel verso. Il Maggi non esita ad affermare che
Dante ha inteso veramente di chiudere un significalo in
quelle parole, desumendole dalle lingue orientali note al
suo tempo. Yersatissimo in questa sorta di studj, ei pure
ne proponeva una più corretta lezione, leggendo invece il
verso: Raph el mai amech zahi ai-mi, cavandone l'in-
terpretazione nel lesto medesimo della Sacra Scrittura,
donde il poeta è presumibile ne togliesse le voci, e lo tra-
duce: {del) gigante air acqua, al profondo [del] Zabio, cantra
chi {vieni)? Il che consuona col contesto della scena de-
scritta, ove Nembrotto, torreggiando a mezza persona dal
pozzo, si volge gridando colla fiera bocca a Virgilio che
gli si accosta, e dicendo, secondo la nuova versione : contro
chi vieni tu all'acqua del gigante, al profondo, ossia al
pozzo, del Zabio. Noi non seguiremo l'illustratore nella
minuta analisi, sulla quale appoggia questa versione, né
greche in Firenze ; il Lenzoni ed il Mazzoni nelle loro Difese di
Dante; il Bulgarini nella Risposta al Cariero; il de Romanis nelle sue
Annotazioni alla vita di Dante del Tiraboschi; il Dionisi nell'Ane-
doto V; r Arrivabene nel suo Secolo di Dante; il Panizzi nel suo Essay
on the romantic narrative poetry of the Italians ; il Bruce Whyte nella
sua Uist. des langues Bomanes. Da ultimo l'ab. Celestino Cavedoni pub-
blicava le sue Osservazioni critiche intorno alla qusetione se Dante
sapesse di yrcco, Modena, Soliani, 1800, in cui con GiannozzoManetti, va-
lente polij?lotta del secolo XV, col Boccaccio, con Pier Vettori, col SalvinI,
ritiene cbe Dante ignorasse la greca lingua.
COGNlZIOiM POLIGLOTTE. 307
nella dotta spiegazione che dà del vocabolo ZahiOy nome
di setta, o piuttosto di capo religioso. Ci basti aggiungere
com'esso, a giustificare in Dante la conoscenza dell'ebraico,
cita allre voci di questa lingua da lui adoperate nel poema,
oltre all'erudizione di cose arabe che si scorge nel Convito.
[Dal Giornale dell' Istituto Lombardo).
r Abate M. A. Land (Roma 1819, Contedini; Giorn,
Arcad. Maggio, 2 Luglio 1819) trova chiara e certa l'in-
terpretazione del verso Raphel mai ecc. nell'arabo idioma,
e vuole che suoni letteralmente: Esalta lo splendor mio
neW abissOy siccome rifoUjorò per lo mondo, e, armato dì
buone armi ebraiche, interpreta il Pape Satan, pape Satan
aleppe: Ti mostra Satanasso! ti mostra nella maestà dei
tuoi splendori, principe Satanasso. - In un articolo pubblicalo
nella Rivista ital. N.^ 36, 31 Gen. 1864, si vuole questo verso
un miscuglio di ebraico e caldaico, linguaggi faraigliaris-
simi all'israelita Manoello, amico di Dante, come ci tra-
mandò l'Allacci, e che in volgare suonerebbe: Lascia o Dio!
perchè dissolvere il mio esercito (la mia potenza) nel mondo?
Anche il Venturi e il de Cesare ci diedero altre interpre-
tazioni di questo verso.
Dal dialetto' romagnuolo: Inf.xviu.Gi; xxiii. 7; xxvii.
21; Purg. xxiv, 55. (l)
Dal dialetto tridentino: - Il Prof. F. Lunelli pubblicava
l'elenco di alcuni vocaboli usati da Dante nel suo poema
che si riscontrano anche nel dialetto tridentino, che, se-
condo luì, sommano a 117.
Dal dialetto friulano : Par. xiv. 27.
Dal dialetto lombardo: In f. ]ix.l&; xxiii. 7; xxiv. 12;
fi) H Boccaccio nel Comento del ix dell'Inferno v. 133, dice che la
voce Spaldo è pur voce romajrnuola ; e il Perticarì trova pure ronia-
gnuola la voce rÌQuardi ( Inf. xxvi. 108j, quel solo termine proprio che ì
Ilomagnuoli adoperano a nominare i termini che dividono i campi, i pali
e le colonne che difendono le vie; non che creasse dal gavagno di essi
Ilomagnuoli il ringavagna del G. xxiv. Inf. v. 12; e lo Strocchi ritiene che
dai rustici di Romagna traesse la voce cotenna a significare il porco,
per dire che Filippo il Bello sarebbe morto in caccia dall'impeto d'un
cinghiale. Par, xix. 120.
308 COGNIZIOM POLIGLOTTE.
xxvii. 20, 25; Purg. ni. 128; xin. 52; xx. 70; Par. xix. 67 ;
XXI. 15. (1)
Senza nulla parlare del tanti nomi di diavoli, non a
capriccio inventati da Dante, ma che hanno acconcia eti-
mologia all'ufficio in cui egli ha voluto impiegarli nella
sua 1.^ Cantica. - Il ridetto articolo aggiungeva che il Ven-
turi aveva pronta la materia per un volume non piccolo,
cui gli piaceva intitolare: Dante esotico o poliglotto.
(I) Pietro Monti nel suo Saggio di Vocabolario della Gallia Cisalpina
e Celtico, e appendice del Vocabolario dei dialetti delle Città e Diocesi
di Como, Milano, Classici, 1856, prende ad illustrare nel line alcune voci
della divina Gomedia spiegate colle voci dei dialetti, e più specialmente
di quello della Valtellina.
DANTE E LA MUSICA (1)
La Musica è tutta relativa, siccome si
vede nelle parole armonizzate, e nelli canti,
de' quali tanto più dolce armonia resulta,
quanto più la relazione è bella, perchè mas-
simamente in essa s'intende. La Musica trae
a sé gli spinti umani, che sono quasi principal-
mente vapori del cuore, sicché quasi cessano da
ogni operazione; si è l'anima intera (alla dolce
armonia) quando 1' ode, e la virtù di tutti
quasi corre allo spirito sensibile che riceve
il suono. Con\. t. 2. e. 14.
Non voglio mandare in oblivione lasua-
vissima musica e piena di sensuale diletta-
zione, la quale per tutta 1' opera è contenuta
per le joconde e limate rime con mirabile
arte composte, et eziando per la proporzione
dei versi con giusta e debita misura. Lettore
Anonimo della Div. Com. in Ferrara, del 1450
Cod. Riccard. 2560.
Storia della musica. — Amò sopra gli altri Casella,
cantore eccellentissimo, e dopo morte singolarmente onorollo,
e nel sacro poema lo fece immortale. Si crede che costui
nella musica gli fosse maestro : Purg. ii. 76.
Né solamente all'ingegno di costui fu amorevole; ma
fece onore ad un'altro suo cittadino, Belacqua; e nome
eterno gli diede in guiderdone del piacere avutone in vita :
poiché fu usato di andare domesticamente a sentir sonar
colui, ch'era compositore di celere e di altri strumenti
(1) Sommamente si dilettò in suoni e in canti nella sua giovinezza, e a
ciascuno, clic a qiie' tempi era ottimo cantore e sonatore, fu amico ed ebbe
sua usanza ; ed assai cose da questo diletto tirato compose, le quali di
piacevole e maestrevole nota a questi cotali facea rivestire. Boccaccio,
Vita di Dante, p. 38.- Dilettossi di musica e di suoni. Aretino. - La musica
è l'algebra della bellezza. Rosmini. - Chi potrebbe descrivere la soavità
e la varietà musicale della verseggiatura dantesca, e i pellegrini concetti,
che l'armonioso plettro del cantore di Casella può destare negli studiosi
dall'arte principe? Gioberti. - 11 Paradiso ò uua vera musica delle sfere...
Nel paradiso... la pura musica della luce. Schelling.
310 DANTE E LA MUSICA.
musici, i colli e le teste de' quali ornava di sculture e
d'intagli. Purg. iv. 121.
Né di piccolo pregio gli è obbligata la storia di questa
arte, conciossiacchè prendendo spesso da lei le comparazioni,
qualora gli occorse di rappresentare con similitudine di
sensibile esempio alcun suo più nuovo ed elevato concetto,
ebbe quindi occasione a conservare memoria di alcuni istru-
menti e di alcune usanze dell'arte, che per lo mutare dei
tempi sarebbero ora ignorate. Così da un luogo del canto
XXX della prima cantica (v. 49) dedusse Vincenzo Galilei
l'antichità del liuto. Così dalle dantesche descrizioni argo-
mentò la differenza degli antichi organi e de' moderni. Così
della giga, (strumento, che al dire di Francesco Buti, faceva
dolcissimo suono) chi ha riserbato ricordanza fuorché il
quattordicesimo della ni Cantica? v. 118.
Così ci tenne memoria di un modo di cantare a più voci,
quando una sta ferma sullo stesso tuono, e un'altra va va-
riando tuono:
E come in voce voce si discerné,
Quando una è ferma e l'altra va e riede. Par. viii.l7.
e d'una foggia di cantare che tuttavia si usa nelle chiese,
mostra com'ella sia antica:
lo mi rivolsi attento al primo tuono,
E, Te Deum luudamus, mi parea
Udir in voce mista al dolce suono.
Tale immagine appunto mi rendea
Ciò ch'i' udiva, qual prender si suole
Quando a cantar con organi si stea :
Ch'or sì or no s' inlendon le parole. Purg. ix. 139.
Il nostro secolo si é avanzato troppo in un vizio pessimo
di separare le arti, che per compagnia si aiutano e si avva-
lorano. La musica ora dispregia manifestamente la poesia,
senza la quale una volta non fece mai passo. Il suono de-
gl' instrumenti par che superbisca di volersi scompagnare
dall'umana voce; e qualora le si unisce, eie fa la più rea
compagnia rea del mondo, e studiasi di offuscarla ed
assordarla. Ne' balli si direbbe che di mal grado la musica
si mescoli, poiché quanta parte di lei s'intromette? poca,
e la più trista; tanto appena per notare e misurare i tempi.
Ma nella età di Dante la poesia, il canto, il suono, la danza
DAME E LA MUSICA. 311
(come nei secoli felici della Grecia maestra d'ogni genti-
lezza) si facevano bellissima e amichevolissima compagnia :
ondechè il nome di ballata rimane in testimonio ad alquante
poesie di Petrarca e di Boccaccio, che uomini e donne al
suono di musica ballando cantavano. Talora avveniva che
per intervalli di cadenze o dì pause convenienti alle ragioni
varie de' balli un poco si arrestassero le voci e la danza,
continuando tuttavia il suono ; dal quale scorte le persone,
a tempo il ballare e il canto ripigliavano. Accadeva talora
che cantando e danzando in giro dovessero esprimere cosa
onde l'allegrezza crescesse: di che la danza rinforzando,
gli avresti veduto spinger quei davanti, tirare quei dietro
che si teneano per mano, alzar la voce, farsi nella faccia
e ne' gesti più gai: 7^wf(3f.xiv.l9.-/^af.x.-70. Par.xviii.7G.
Lodi della nasica. — Oltre che istorico della musica,
quanto lodatore di essa ! Egli ti dice che la percezione dei
suoni è delle più nette e insieme più all'animo gradite.
E quindi Cacciaguida afferma ch'egli chiaramente vede in
Dio quello che avvenir dee al suo pronipote Dante come
l'uomo riceve per l'orecchia nell'animo una grata conso-
nanza di voci e di strumenti:
Da indi, si come viene ad orecchia
Dolce armonia d'organo, mi viene
A vista il tempo che ti s'apparecchia. Par. xvn, 13.
Anzi egli tiene che a commover l'animo in qualunque af-
fetto, nulla sia più efficace de' suoni, che veramente al
cuore con maravigliosa possa discendono. Egli vuole de-
scriver la sera : un comunal poeta avrebbe cominciato a
stendere sulla terra le brune ali e 'l bruno manto della
notte ecc.: questo poeta afl'ettuosissimo ti richiama a quella
tenera melanconia che sul cadere del giorno risente chiun-
que la mattina si divise dalle sue cose più care, o per cercare
in mar ricchezza, o per negozi con viaggio terrestre. E questa
melanconia nel terrestre viaggiatore vicn desia dal suono
delle campane che in quell'ora, annunziando il fine delle
diurne fatiche, soleva chiamare i cristiani a ringraziar Dio
dei beneficj della giornata. E vedi nel C. vui del Purg. v. l.
quanta anima egli dà a quel llebile suono, e come lo fa
signore del cuor nostro.
312 DANTE E LA MUSICA.
E tali concelti avea egli della musica da dilettarsene
con infinita avidità. Yeggasi com' egli esprima il diletto
che gli dava il canto dell'amico suo Casella, dal quale ri-
trovatolo nel Purgatorio si fa, secondo l'usanza che aveva
in questa mortale vita, cantare una canzone. Yeggasi con
che affetto prega il gentil musico a donargli un poco del
piacere dell'arte sua ; veggasi com'egli vuole che tu intenda
che il piacer della musica è di tutti sovrano, e sugli animi
potentissimo, che. dice che quelle anime le quali doveano
pur avere tanta ansia di finire il lor purgativo viaggio, e
giungere alla tanto sospirata gloria, si arrestarono come
incantate alla dolcezza di quella musica,
Quasi obliando d'ire a farsi belle. Purg. n. 75.
Ascolta il divin poeta:
Ed io : Se nuova legge non ti toglie
Memoria o uso all' amoroso canto,
Che mi solea quetar tutte mie voglie,
Di ciò ti piaccia consolare alquanto
L'anima mia, che, con la sua persona
Venendo qui, è affannata tanto.
Amor che nella mente mi ragiona^
Cominciò egli allor sì dolcemente,
Che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Lo mio Maestro, ed io, e quella gente
Ch' eran con lui, parevan si contenti,
Com' a nessun toccasse .altro la mente.
Noi eravam tutti fissi ed attenti
Alle sue note, ed ecco il veglio onesto... PUrg. ii. 200.
E ben egli sentiva come in tutti i mali è grande e dol-
cissimo conforto la musica. Però appena uscito dagli orrori
disperati d'Inferno, e venuto a' tormenti consolabili del
Purgatorio, procura a sé stesso e a quelle anime buone
alcuno alleggiamenlo di cantare.
Ahi quanto son diverse quelle foci
Dalle infernali! che quivi per canti
S'entra, e laggiù per lamenti feroci. Purg.xu. 112.
Quegli asprissimi dolori.
Ove r umano spirito si purga,
E di salire al elei diventa degno. Purg. i. 4,
vincerebbono la pazienza e ucciderebbono la speranza di
quelle povere genti elette, se a ciascun girone, dove il do-
DANTE E LA MUSICA. 313
lore ineffabile sligne il sucidiime della moria! vita, non
avessero perpetuo rimedio di canti devoti.
E la musica del secondo regno è pur del modo umano
che noi conosciamo. Ma nell'animo a lui capiva un'armonia
ancora più beata e alta e troppo maggiore del nostrg cadu-
co intendere. Di questa riempì il suo Paradiso, nel quale non
è altro diletto altra cura che contemplare gli eterni veri,
e con suoni e con melodie e danze perpetue celebrare il
sommo vero. E qui ci mancherebbe il tempo se con lui
volessimo volare per quelle sfere, tra quei Santi, e splen-
dori, e beare alquanto l' affannata anima con quelle musiche
celestiali. Or volete sapere per alcun modo che ragione
elle abbiano allo strepito della nostra terrena musica? Udite,
udite il forte concetto del divinissimo poeta:
Qualunque melodia più dolce suona
Quaggiù, e più a sé l'anima tira,
Farebbe nube che squarciata tuona,
Comparata al sonar di quella lira ... Par. xxni. 97.
E in dolcezza, eh' esser non può nota,
Se non colà dove il gioir s'insempra. Par. x. 147.
Volete intendere quali s'immaginasse Dante quelle sovru-
mane armonie? come nella mente le sentisse? com'enlro
l'anima gli risonassero? Egli dice che talora ne fu inebriato;
che talvolta non potè rinovarsene l' idea, benché ne serbasse
eternamente vivo il piacere:
Si che m' inebbriava il dolce canto. Par. xxvu. 3.
Da mia memoria labile e caduco. Par. xx. 12.
Che mai da me non si parti '1 diletto. Par. xxui. 123.
Che più? conoscete quanto indicibilmente egli amava la
sua donna; come tutto viveva in lei, come per appressar-
sele un poco là suir uscire di Purgatorio egli si lanciasse
per mezzo un'incendio smisurato. E nondimeno fu talvolta
che quella musica di Paradiso gli tolse perfino il pensiero
della sua Beatrice: Par. x. GO; xviii. 118.
musica nel Poema. Tutta la Divina Comedia
piena di musica e di armonia. — Ma Dante per la
musica fece ben più che amarla e dilettarsene e lodarla.
Quanta e quale ne porse nelle sue dolcissime poesie 1 Già
col canto e col suono, lui vivente, solcano i musici ac-
compagnarle; come si vede in quella bellissima Canzone:
314 DANTE E LA MUSICA.
Amor che nella mente mi ragiona,
ch'egli, ripigliando gli usi della vita terrena, si fa dal suo
Casella cantare nell'ingresso del Purgatorio; dalla quale
soavità vedemmo rapiti il poeta stesso e il suo compagno
Virgilio e quelle anime fortunale.
Tutto il sacro poema è mirabilmente pieno d'armonia e
musica verissima. Primieramente dico la musica ossia la
temperatura e modulazione de' suoni propria unicamente
del nostro idioma, la quale come si trova eccellente in
questo autore, così fu in diversi gradi comune a molti di
quel secolo beatissimo: nel sedicesimo venne alterata al-
quanto e ristretta; peggiorò assai nell'età seguente: a tempi
nostri è caduta in tanta confusione e barbarie, che non oso
parlarne. Chi vuol dunque rinvenirla pura schietta ricchis-
sima gli conviene cercarla in Dante che n'è vero tesoro.,.
Egli è pienissimo di quella musica la quale con varii e ac-
cordati [suoni imita ed esprime gli umani affetti Dove
furon mai più gentili e più teneri gli amori? dove gli
sdegni più lieri? dove le disperazioni più atroci? dove lo
sperare più caro? dove il giubilare più estatico? il dolersi
più miserabile? dove più affettuosa la gratitudine? dove
più graziosa la riverenza? dove più cortese il salutare?
dove il pregar più efficace? dove più impero ne' comandi?
più terrore ne' rimproveri e nelle minacce? Egli veramente
descrisse fondo all'universo nella sacrata opera, alla quale
poser mano e cielo e terra.... - Giordani, V. Abozzo dì
scritto sopra Dante e la Musica, e il Discorso, Meriti di
Dante sulla Musica, Opere di Pietro Giordani, T. IX. p. 140,
Milano, Borroni e Scotti, 1856.
« Il notare nel divino poema i luoghi, ne' quali le parole
sono scelte sì proprie e sì propriamente accomodate da ren-
dere col suono materiale l' effetto de' sentimenti, sarebbe
non terminarla mai ; che ninno di questa armonia imitativa,
0 sia massima proprietà ed eleganza, fu cercatore quanto
l'Allighieri, il quale nel principio 'del xxi% dell' Inf. ce lo
dice egli stesso con quei versi, che pur sono di essa armonia
bellissimo esempio:
Se io avessi le rime e aspre e chiocce.
Come si converrebbe al tristo buco,
DANTE E LA MUSICA. 315
Sovra '1 qual pontan tutte l'altre rocce,
Io premerei di mio concetto il succo
Più pienamente; ma perchè io non l'abbo,
Non senza tema a dicer mi conduco. Ranalli, i. 640
E il Tommaseo in una sua lettera a Giovanni Salghetti
e' indicava i versi più musicabili nella Divina Comedia.
« Per saggio de' passi d' autori illustri, passi che a me
pajouo più accomodali alla musica, e da onorare in doppia
maniera l'arte italiana, ecco quelli di' io ho intanto Irascelti
da trentatrè canti de' cento di Dante. Avvertite che non
tutte di questi canti ho notate le bellezze maggiori, sì
perchè ce n'è di riposte da non poter accostare a una
moltitudine di uditori; si perchè ciascuna arte bella ha la
sua indole propria e i proprii confini: onde non è tutto
musicabile quel eh' è poetico; né tutto quel che in pittura
piace e commove si può scolpire acconciamente; né nel-
l'arte stessa della parola, quel che riesce potentemente
narrato, si può con pari efficacia dialogare. Se, nello sce-
gliere con tale intendimento, io abbia colto nelle ragioni
dell'arte e nel vostro talento, vedrete voi, che saprete
certamente da voi stesso discernere quel che meglio vi torna.
L'uscire che Dante fa della valle pericolosa, e il riguar-
dare dall'alto, collo spavento negli occhi e l'affanno nell'a-
nima, quasi presentendo i nuovi pericoli che l'aspettano (l),
fa contrapposto all'uscita d'Inferno sulla pianura solinga,
e alle serene imaglni che lo allegrano, il dolce colore del
cielo, il bel pianeta, le quattro stelle, la fresca rugiada, il
tremolar della marina, il giunco schietto che sull'onda
commossa rinasce (2). E se dal proemio del Purgatorio
ascendasi a quello del Paradiso, dalla letizia delle bellezze
naturali il pensiero è rapito a veramente soprannaturale
grandezza (3) ; e la musica che tenesse dietro a quel volo,
solleverebbe con se gli ascoltanti a intentata sublimità.
All'angusta lenta salita (4) per la prima scala del monte
(1) Inferno, Canto 1, terz.6. Guardai in allo... aterz.9, persona viva.
(2) Purgatorio, CI. t.5. Dolce color, a 13, fosse davante. - Poit.3«.
Va dunque, alla fine onde la svelse.
(3) Paradiso, C. 1, 1. 1. La gloria a. t. 3, non può ire.
(4) Purg. C. 10, t. 3. Noi salivam a t. 7, per deserti.
316 DANTE E LA MUSICA.
sanlo si contrappongono in forma che può essere ispiratrice
alla musica le ascensioni di Beatrice con Dante dal monte
alla regione luminosa (1), e per essa al ciel della luna (2),
e da questo al pianeta dove appariscono al poeta coloro
che fecero il bene non per puro generoso amore del bene,
ma in parte per voglia di fama (3).
Pitture variate, la mesta ora della sera (4), il sorriso
d'una valle fiorita, ove le anime operando pregano (o) ; e
contrapposto a queste il primo entrare la disperata porta
d'Inferno (6), il primo affondare gli occhi nel bujo sem-
piterno (7). A Caronte (8), e alla bufera agitante coloro
cui travolse il tumulto de' sensi (9), alle Furie, le cui
minacce, e le diaboliche ire sono represse dallo spirito sde-
gnato camminante sull'acque (10) ; avete di contro l'apparire
dell'angelo navigante e volante (11); e i due che col suono
delle verdi ali fanno fuggire la biscia insidiante alla valle
de' pii (12).
I tormenti de' golosi (13), de' violenti (14), degli acci-
diosi invidi e iracondi (15), hanno riscontro nelle pene che
purgano i pigri ^16) e i superbi (17), i superbi in Purga-
torio ridicono l'orazione insegnata agli uomini da Gesù (18),
da Dante recala in parole semplici e affettuose: e al loro
(I) Par. C. 1, 1. 16. Quando Beatrice a t, 31, ad esso riedi.
(2J Par. C. 2, t. 9. Giunto mi vidi a 1. 12, permanendo unita.
(3) Par. C. 5, t. 30. Lo suo tacer a t. 33, amori.
(4) Purg. C.8, 1. 1. Era già V ora a t. 2, si muore.
(5) Purg. C. 7, t. 23. Oro e argento a t. 20, parSn di fiori
(6) Inf. C. 3, 1. 1. Per me si va a 1. 10, turbo spira.
(7) Inf. C. 4, 1. 1. Ruppemi a t. 4, veruna cosa.
(8) Inf. C. 3, t. 33. Quinci fur quete a t. 42, volge in desio.
(9) Inf, C. 5, t. 9. Ora incomincian a 1. 14, minor pena.
(10) Inf. C. 9, 1. 12. E altro disse a t. 40, alcun ritegno.
(II) Purg. C. 2, t.5. Ed ecco, qual a t. 8, a lui n' uscio
(12) Purg. C.8, t. 8. r vidi a 1. 14, verrà via via. E poi t, 33. Da
quella parte a t. 36, rivolando iguali.
(13) Inf. C. 6, t. 2. Nuovi tormenti a t. 3, è somersa.
(14) Inf. 12, 16. Ma ficca a t.21, l' arco tiro. Poi 32. Noi ci movemmo
a t. 36, dolorosi anni.
(15) Inf. 7. 36. Una palude a t. 42, parola integra.
(16J Purg. 4, 29. Ma se a te Sl 1. 10, carro mena?
(17) Purg. 11. 38. Io cominciai alla fine, non posso.
(18) Purg. 11, 1. 0 Padre a t. 7, sprona.
DANTE E LA MUSICA. 317
pregare, curvati sotto gran soma, s'oppongono le altere
parole di Farinata che s'alza coi petto e colla fronte, quasi
avesse in dispetto l'Inferno e i suoi strazii (1). Dal fiero
Fiorentino nemico agli avi di Dante, passate al Fiorentino
amico di Dante, Casella (2); e questa imagìne mite s'in-
terponga tra Farinata e Sordello, anima amorevole nel disde-
gno (3); e Sordello vi farà meglio sentire Romeo (4), e
Casella meglio sentire Carlo Martello, tuttoché principe,
amato da Dante (5).
Ma se cercate luoghi d'affetto, avete l'apparire di Beatrice
che, mossa da amore, [raccomanda a Virgilio l'amico suo (6);
e in Inferno Francesca (7), in Purgatorio la Pia (8), in
Paradiso Piccarda ,(9). Piccarda apparisce cantando Ave
Maria; e vi rammenta VAve che suona scolpito sulle labbra
dell'angelo nel monte santo (10).
Avete in Paradiso danze armoniose e raggianti (11). E
le parecchie comparazioni de' giri celestiali alle danze ter-
rene mi muovono a interrogarvi se certe similitudini sparse
per luoghi non musicabili, non vi paressero poter musicarsi
da sé, in modo, se non da comporne un trattenimento tutto
tessuto di quelle, da darle per intermezzi e riposi. Tali mi
parrebbero le similitudini delle pecorelle semplici (12), del
loro infuriato (13), delle colombe quiete (14). Poi quelle
(I) Inf. 10, 8. 0 Tosco a t. 27, ben quell'arte.
(2J Purg. 2, 23. U anime a t. 3, TpeuU vai ? Poi 3G, Ed io a t. 41,
Dio manifesto.
(3) Purg. 6, 20. Ma vedi a t. 24, abbracciava.
(4) Par. 6, 43. E dentro alla line loderebbe.
(5) Par. 8, 5. Io non m'accorsi a t. 25. mora mora.
(6) Inf. 2. 68. Io era a t. 24, mi fa parlare.
(7) Inf. 5, 25. Io cominciai a 32, si tace. Poi 42 Ma se a conoscer
alla fine, morto cade.
(8) Purg. 0, 44. Deh quando alla fine, gemma.
(9) Par. 3, 4. Quali per vetri a t. 8, occhi santi. Poi 41, Cosi par-
lommi a 4i, piit tardo.
(10) Purg. 10, 12. L'Angel 1. 16; suggella.
(II) Par. 7, 3. Ed essa a t. 6, felice. Par. 10.20 Poi ti cantando a
t. 27, rivolte.
(12j Purg. 2, 17. Come le 28. non sanno.
(13) Inf. 12, 8. Qual è a saltella.
(14J Purg. 2, 42-43. Come quando- Maggior cura.
318 DAME E LA MUSICA.
della gloria umana che smuore (1) come colore d'erba.
Del coraggio di Dante, che si riha come fiore al mattino (2) ;
di Beatrice che guarda a lui con pietà come madre a figliuolo
vaneggiante (B); del suo svilupparsi dalle anime chiedenti
suflragio, come chi vince al giuoco dai domandanti la man-
cia (4); e di chi dubita se vegga o no il vero (5); e di
chi intende tra i suoni dell'organo, or sì or no, le paro-
le (6); e dell'orinolo che armoniosamente richiama alla
mattutina preghiera le anime amanti (7).
Se questi cenni punto punto vi fanno, seguiterò sopra
Dante e il Tasso e l'Ariosto e il Petrarca e altri Lìrici : se
no, smetteremo. Addio di cuore. - J\. Tommaseo.
\.TommdiSQO, Bellezza e Civiltà, all'articolo: Corrispon-
denza della Musica con la Poesia, Firenze, Le Mounier, 1837.
pag. 127.
V. Tommaseo, Inspirazione e Arte, all'articolo: Dionisi
d' ilicarnasso, dell'arte retorica: Saggio delle note, Firenze,
Le Mounier, 1858, p. 547-363.
(1) Purg. 11, 39. Le vostra - Acerba.
(2) Inf. 2, 43. Quale i fioretti - stelo.
(3) Par. 1, 34. Ond' ella appresso - deliro.
(4 Purg. 6, 1. Quando 5 da essa.
(5) Purg. 7, 4, Quale è colui - non è.
(6) Purg. 9, 49. Tale imagine - parole.
(7) Par. 10, 47. Indi come alla fine.
HISICOGRAFIA DELIA DIVISA COMEDIA.
Galilei Vicenzo, Il lamento del Co. Ugolino. Questa
Composizione Musicale dell' illustre genitore del gran Galileo
è ricordata dal Pselli e dall'Arteaga.
Donizzetti Gaetano, Il Canto xxxiii, L'Ugolino, Napoli
Calcografia de' reali teatri, 1827,
Ziwjarelll JSìcolò, L'Ugolino. — «Se tu odi la terribile
cantica dove quel disperato padre piange insieme e ragiona
del crudelissimo strazio e della morte sua e de' figliuoli,
stimerai che la sdegnosa anima dell'Allighieri fosse passata
ad informare il corpo del Zingarelli, quando trovava quei
fieri e lugubri accordi. E tralasciare non dovrei di toccare
di questo suo lavoro, che invitato al collegio musicale di
Parigi, fu messo a stampa come esempio di sovrana eccel-
lenza di arte. » Puoti.
Morlacchi Francesco, Perugino, Parte del Canto xxxiii,
dell' Inferno, posta in musicale declamazione con accompa-
gnamento di Piano-forte, Milano Ricordi, 1834. — Ne ha
parlato il Mezzanotte neWOrniologia di Perugia ed il prof.
Bacciomeo nel l\uovo Giornale dei letterati di Pisa.
Dalle Osservazioni sopra la poesia dei Trovatori del Co.
Galvani rileviamo che varii canti di Dante furono messi in
musica, nel XYI secolo dal Josquinio dal Yillacrt e da altri
compositori fiamminghi.
11 Maestro Cav. Paccini componeva (1864) una sinfonia
intitolata Dante: Vi si dipinge col magistero de' suoni i
tormenti dell' Inferno [P. i), le pene mitigate dalla speranza
nel Purgatorio (P. ii), la beatitudine nel Paradiso (P. in), e
finalmente il ritorno trionfale di Dante sulla terra accla-
mato e celebrato da tutte le genti.
DAME E lE BEILE ARTI.
Io mi sedea in parte, nella quale rieordaii-
domi di lei, disegnava un angelo sopra
certe tavolette. VITA NUOVA, § 35.
A intender Dante é bisogno saper l' arte
cristiana, poich' egli non è, a cosi dire,
che la glorificazione in versi della scul-
tura e della pittura e dei monumenti
religiosi dei tempi di mezzo. LAPITl'K.
Storia dell'arte. — A misura che l'arti belle si avan-
zano al loro perfezionamento, la gloria dei passati artisti
si va ecclissando, e chi vien dopo fa dimenticare chi fu
avanti, se già non succedano etati grosse, tempi in che
l'ingegno non vi fiorisce, annebbiato dalle tristi usanze.
0 vanagloria delle umane posse,
Cora' poco verde in sulla cima dura,
Se non è giunta dall' etati grosse ! Purg. xi. 91.
A Cimabue la pittura debbe i principii del suo rinasci-
mento, e la gloria di aver dato origine ad una nuova
maniera di disegnare e di colorire; ma il sole della pittura
sorse con Giotto; egli tant' oltre condusse l'arte da venirne
a modello di grandezza e tenerne il principato.
Credette Cimabue nella pintura
Tener lo campo, ed ora ha Giotto il grido,
Sì che la fama di colui oscura. Purg. xi. 95.
Oderisi da Gubbio, della scuola di Cimabue, miniatore
a' tempi di Dante celebratissimo, o come dicono i Francesi
enluminer, riman vinto dal suo discepolo Franco, bologne-
se, nella varietà ed armonia dei colori, e nelle altre belle
qualità della composizione e del disegno. Da questo Franco
ebbero principio le glorie della Felsina pittrice, e al dire
del Malvasia, il retaggio della buona pittura :
0, dissi lui, non se' tu Oderisi,
L'onor d'Agubhio, e l'onor di quell'arte
Ch' alluminare è chiamata in Parisi?
DAME E LE BELLE ARTI. 321
Frate, diss'egli, più ridon le carte
Che pennellcggia Franco bolognese:
L'onore è tutto or suo, e naio in parte. Purg. xi. TI.
Dell'Arte. — Anche Iddio, colui che mai non vide cosa
nuova, che disegna sempie da sé, che dipinge, ma non ha
chi'l guidi [Par. xviii. 109;, ama tanto la sua arie che
sempre la mira con compiacenza, e mai non leva io sguardo
da essa:
.... comincia a vagheggiar nell'arte
Di quel Maestro che dentro a sé 1' ama
Tanto, che mai da lei l'occhio non parte. Par. x. 10.
L'arte di Dio è la Natura: De Mon. i. 4. La natura è
nella mente del primo movitore eh' è Iddio, dipoi nel cielo
come in instrumento, mediante il quale la similitudine
dell'eterna bontà nella materia inferiore si spande... il cielo
è instrumento dell'arte divina... dello arletlce Iddio: ì)e
Mon. il. 2. Quando il supremo arlelìce prende a disporre
la materia di sua propria mano, a sigillarvi la chiara luce
e perfezione della prima ideale virtù, o vogliam dire della
eterna idea da lui chiaramente vista nella sua mente, allora
in questa cera Tutta la per {ezion... s'acquista: Par.xm.l'ù.
L'arte si chiama anche nipote a Dio:
Si che vostr' arie a Dio quasi è ner>ote, /n/". xi. 105;
però imiti essa la natura, siccome norma del bello. Ove
l'arte imiti l'arte, sempre più s'allontana dalla parentela
celeste. Gli artisti non dci^giono imitare a modo servile,
ma dai capolavori ricavar forza di sguardo a contemplar
la natura.
L' ingegno non dcbbe andar scompagnato dall' arte ;
ritrova e combina l'uno, conduce l'altra ad elìetlo conve-
nientemente il pensier della mente:
Natura lo suo corso prende
Dal divino intelletto e da su' arte. Inf. xi. 99.
e altrove:
Tratto t'ho qui con infjegno e con arte.
Purg. xxvn. 130 ; ix. 71 ; x. 8.
I precetti della ragione abbiano autorità d'inviolabili : l'arte
sia freno dell'ingegno:
Non mi lascia più ir lo fren dell'arte. Purg.xxxiu.lil.
Ogni arte ha un limite, che trascendere anco a' supremi
VOL. II. 21
322 DANTE E LE BELLE ARTI.
ingegni è vietalo: ogni arlista, come sia giunto air.cslremo
di suo potere, per toccare la perfezione dell' opera sua,
debbe rimanersene; altrimenti, dice il Guerrazzi, il bello
precipiterebbe nelle rovine delia maniera, e meglio Dante:
non sarebbcr arti ma mine: Par. viii. 108.
lì qiial più a gradire oltre si mette,
:<Jon vede più dall'uno all'altro stilo. Purg.x\i\.(il.
... or convien die '1 mio seguir desista
Più dietro a sua bellezza, poetando,
Come all'ulttrìiO suo ciascuno artista. Par. xxx. 31.
(all' ideale dell'arte)
Difficoltà dell'espressione. — Difficoltà dell' artista,
tenuto a valersi di mezzi al lutto materiali, nell' esprimere
adeguatamente la poesia del concetto che quasi nella mente
fjH raggia {Conv.uiA); spesso la materia arrendevole gli
fallisce, e mal risponde al disegno ed al fine imaginato:
Vero è clìe, come forma non s' accorda
Molte fiate alla 'ntenzion dell'arte,
Pefcli' a risponder la materia è sorda. Par. 1. 127.
Non è disposta ed apparecchiata a ricevere quella forma: Conv.
II. 1.- Spesso anche la scienza e Vahito delVarte è impotente a
ritrarre la forma che gli sta nell'intelletto, a rilevare le
figure com' ei le ha concctte : Par. xviii. 86.
L' artista
dia V abito dell' arte e man che trema. Par. xiii. 77.
Quindi quella grande idea del bello che l'artefice sublime
non crede aver mai afferrata, presentandosi sempre maggiore
dell'opera il concetto, e la perfezione diviene perpetuo de-
siderio dell' arte, anche quantunque la man obbedisca al-
l'intelletto. Buonarroti, Son. i.
Fine dell'arte. — Il fine dell'arte è la rappresenta-
zione della bellezza, il piacere :
Mai V appresentò arte Piacer — Purg. xxxi. 49.
E il Buonarroti cantava: 3Ia non potea se non somma
bellezza Accender me, che da lei sola tolgo A far mie opre
eterne, lo splendore : Son. 39. - Per fido esempio alla mìa
vocazione Nascendo, mi fu data la bellezza Che di du' arti
m'è lucerna e specchio: Madr. vii. Ma questa rappresenta-
zione del bello non debb' esser l'unico e supremo fine dello
artista, che egli non ha da mirare solo al diletto, sì an-
cora e sovratlutto valersi di questo per cattivare la miglior
DAME E LE BELLE ARTI. 'i*2Ji
parte di noi: lo che vale quanto innamorarla del ben ri-
chiesto al vero ed al IrashiUo [Par. xiv. 93), commuoverla
di grandi e gentili afletti:
Arte fé' pasture
Da pigliar occhi per aver la mente. Par. xxvii. 9i.
L'artista non può infondere nell'opere dell'Ingegno, e
dalle opere riflettere sulla moltitudine la virtù che non ha :
Chi pinae figura
Se non può esser lei, non la può porre. Cam. xiu. 3,
e all'austero verso faceva comento; «che nullo dipintore
potrebbe porre alcuna ligura, se intenzionalmente non si
facesse pria tale, quale la figura esser dee:» Conv. iww.
e. 10. - Il vizio dell' artefice si apprende di leggieri all'o-
pera, e perchè, come dice il Buonarroti : è natura altrui
pinger sé slesso, Ed in ogni opra palesar V affetto; e qual
perchè il vizio trovò sempre grandi fomenti nell'arti, ogni
volta ebbero dimenticato la divina origine ed il nobile
officio.
luspirarJonc. — Come nelle lettere, anche nelle arti
belle, ciriamale mirabilmente dal poeta visibile parlare (Purg.
X. D5j, è necessaria l'inspirazione: senza questa celeste fa-
villa l'arte non si alzerà mai a vera grandezza:
r mi son un che, quando
Amore spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo significando. Purg. xxiv. 32.
Raflaollo chiamava inspirazione certa idea, che in mancanza
di bella donna da copiare, nascevagli nell'animo [Leti. piti.
1.84); e il Buonarroti : hai mortale al divin non vanno gli
occhi Che sono infermi., e non ascendon dove Ascender sen-
za grazia è pensìer vano. - Onde non a caso diccsi in-
spirazione. ■
Dell'Arte cristiana. — Il divino e lo spirilo, di lor
ragione, non sono capaci di bellezza artistica, e non pos-
sono diventar Ijelli se non in qualche modo umanandosi e
svelandosi sensatamente nel modo stesso che le qualità spi-
rituali dell'animo si fanno a noi manifeste per l'espressione
e l'arieggiare dei volti:
Trasumanar significar... Non si poria. Par. i. 11.
Volendo pertanto sotto forma sensibile ritrarre esseri
324 DANTE E LE BELLE ARTI.
puramente s\i\v\lm\\,' spiritali bellezze: Canz.vn.^.) è mestieri
accordare T elemento artistico con la dottrina cattolica della
condizione dei corpi glorilìcati {Par. iv. 43) ; è mestieri che
ne' mirabili aspelli rappresentati risplenda non so che divino
che li trasmuti da' primi concetti { Par. u\. 58), se vogliamo
che abbiano spirto sol di pensier santi: Par. xx. 15. Allora
t lor lieti sembianti, amore e meraviglia e dolce sguardo,
ci faranno esser cagion de' pensier santi: Par. xi. 76. - In
questo tutta la teoria dell' arte cristiano.
Dante, dice il Blamonti, è lo scrittore più sublime dopo
1 libri divinamente inspirati, dai quali tolse concetti, imma-
gini, similitudini per significare a dovere le glorie celesti,
è altresì la scorta più sicura del pittore cristiano, e insieme
fonte inesausta delle più recondite e squisite bellezze, e
tutte spirituali e nobilissime. Yeggasì con quali immagini
ci ponga innanzi e ci dipinga le forme e la sembianza di
quegli spiriti avventurosi che, sciolti dal corpo mortale e
rivestiti di etere sottilissimo, si rendono visibili agli occhi
poi. Nella Piccarda de' Donati {Par. ni. 10-15. Id. 58) vi ha
tanta bellezza artistica e tanta idealità, quanta a mente
umana è dato pensare ad esprimersi. Certo nessuno aggiunse
Dante nel ritrarre gli Angeli in tanta copia e con si variate
immagini nel Purgatorio e nel Paradiso, e nessun poeta,
non eccettuati Byron e Moore, seppe trarre da questa cre-
denza tanta e così profonda poesia : Purg. viu. 25 ; Par. ii.
31; XXXI. 130; xxxii. 105,112.
Potenza artistica del poeta. — Dante meraviglia la
abilità dell'artista, che con tanta varietà e vivezza avea
effigiato le immagini istoriate nel x e nel xii del Purgatorio:
Qunl di pennel fu maestro e di stile,
Che ritraesse l'ombre e gli atti, ch'ivi
Farien mirar ogni ingegno sottile?
Morti li morti, e i vivi parean vivi:
Non vide me' di me chi vide il vero... Purg. xii.94.
Ma anche il poeta, nel descrivernele, si mostra potente
di parola e maestro di stile. Come signor della parola e
poeta veramente, cioè oratore, aggiunge il parlar vivo che
spira visibile dalla pietra. Que' mirabili intagli, altri a linee
ombreggiate (segnate nella superficie con righe a modo che
s'incide nel rame, parvi discriminis umbrae. Metam. i. 6.),
DANTE E LE BELLE ARTI. 325
altri a rilievo, ci sono eloquenti all'occhio e alla mente,
e per parole clie volano e si scolpiscono nel pensiere e per
fantastiche visioni che prendono l'intelletto. Dante, colla
teoria e coli' esempio, ci apprende i più alti segreti dell'arte.
E Dante sapea bene osservare ciò che chiamarci pro-
spettiva, che dal suo maestro avea bene imparate tutte le
iìnezze dell'arte, ed un bell'esempio ne abbiamo nel Purf/.
il, ov'è descritto l'Angelo che veniva da lungi sopra una
barca.
E nel X del P?/tv/. v. 94. si scusa dell'aver posto che
una effigie possa esprimere con l'atto non uno solo, ma
più affetti consecutivi ; perchè Colui che mai non vide cosa
nuova Produsse esso visibile parlare. L'artista potrà benis-
simo giungere a imprimere negli atteggiamenti e nel volto
delle sue figure la domanda e la risposta, ma non mai un
dialogo continuato, perchè l'attitudine delle figure inta-
gliate e dipinte, è una e permanente.
E il poeta dei pittori, non solo nella divina sua Comedia
valse a significar colle parole, dice G. B. Nicolini, ma
seppe atteggiarli, come richiedea il loro costume, le loro
passioni, i personaggi, che la natura del suo tema gli con-
sentiva di metter sulla scena per brevi istanti, e con quel
senso squisito del vero, del bello, e del sublime, che la na-
tura concede a pochi artisti. Di quanta sapienza e fantasia
era mestieri per trovar le attitudini abituali e proprie dei
vizii, alcuni dei quali son partiti fra loro di cosi breve con-
fine, e di esprimere nei gesti ì rapidi movimenti dell'animo
in un modo
Più chiaro assai che per parlar distinto. Par. iv 12,
Fu notato che, dopo aver letto la descrizione della divina
Comedia, si crede aver visitato una galleria.
L' AUighieri, segue lo stesso Mcolini, colla mente la più
poetica e la più capace d'ardite visioni, seppe ordinare con
maraviglioso accorgimento le parti del suo lavoro, disporre
colla facilità di un grande artista le masse della sua vasta
pittura, e senza scuotere il frcn deirurte, sollevarsi sugli
altri poeti coll'ardire e colla felicità dell'aquila... Aicolini,
Opere, Dell Universalità e nazionalità della Divina Comedia^
Volili, 243.
320 DAME E LE BELLE ARTI.
Ma clil potrebbe dare al nostro poeta sufficiente ammi-
razione pel modo di pennelleg^iare o meglio scolpire ogni
suo personaggio? In qual altro poema si trovano ritraiti
gli uomini con colori sì veri e vivi e proprii e variati, come
sono nella divina Comedìa, Filippo Argenti, Farinati, Ca-
valcante, Pier delle Vigne, Brunetto, Bonifazio Vili, Vanni
Fucci, Guido di Montefellro, Beltramo, Adamo di Brescia
e il conte Ugolino? E procedendo nel Purgatorio,, ehi fece
mai più belio e venerando il secondo Catone? E chi mai
dipinse costume più soave di quello tVi Casella, più affet-
tuoso di quel di Manfredi, e più commovente di quello di
Buonconte e più magnanimo di quello di Sordelk)? I ritratti
dì Guido del Duca, di Ugo Capelo^, del poeta Stazio, di
Forese, di Guido GuiniceUi, sono quali dovevano* essere. E nel-
Paradiso, principalmente, folgoreggiano i ritraili di S. Tomaso
d'Aquino, di Cacciaguida, di S.Pier Damiano, di S-BenedellO"
e di San Pietro, sfavillante di non più udita ira contro gli
indegni usurpatori del loco suo... Nei modo di significare-
le cose con quella brevità,, eleganza, vivezza che te le fa
apparir megfio uno scultore che un pittore,, non ha alcuno-
pur uguale, ma è superiore a' più perfetti; giacché in lui
non pur vedi le forme, ma le vedi tondeggianti e rilevanti
come nella scultura o intaglia che sia, e ben gli si puè
dire eolle stesse sue parole :
Maestro, i tuoi ragionamenti
Mi son sì eerti, e pi-endon sì mia fedt.
Che gli altri mi sarian carboni spenti. Inf, xx. 100.
Ranalli, Ammaesh\ della Lelterut. IV, (»(i2-€ec.
In Dante la parala dipinge e offre al quadro del pittore
belli e pronti e armonicamente temprati i colori. - Tommaseo^
Bellezza e Civiltà, p. IG'à.
Dante, nel descrivere ralleggiamenlo, il modo, l'abito
corporeo, il gesto, le fattezze de' suoi personaggi, è pitlore
a scultore, seconda le occorrenze, eleggendo il punta di
prospettiva propria delle due arti, e ora lavorando a giuoco
di colori e di tinte, sfumando i contorni e divertsificandoU
col chiaroscuro, ora dando alle sue immagini il risentito e
il preciso dello scalpello, dal poco risalto dei bassi, dei
aiezzirilievi sino airinterno contorno; al perfetto spiccare
DANTE E LE BELLE ARTI. 327
e londcggìare delle statue. E chi dubita che i divini crea-
tori della pittura e della statuaria italiana a quella poesia
non s'inspirassero? La poesia, infatti, è l'arte in cui si
riuniscono e s'immedesimano i pregi delle due industrie
lìgurative, i quali sono spesso impossibili ad accordare col
pennello e colle raspe, che lavorano sopra una materia
esteriore, in cui i contrarli non possono simultaneamente
attuarsi; dove che la poesia, che ha per tratto l' immagina-
tiva e il pensier umano, conciliatore delle differenze nella
unità propria, e si serve dello strumento soffice, duttile e
arrendevole della parola, per esprimere le opposizioni e
accoppiare insieme il bello pittorico e scultorio... V. Gioberti,
Del Primalo, p. 378.
L'Inferno di Dante, scrive lo Schelling, è il regno delle
figure, la parte plastica del poema, il Purgatorio la parte
pittoresca.
Potenza degli Artisti. — Anche dalle finte sciagure
valgono a spremerci dagli occhi lagrime vere:
Come, per sostentar solaio o tetto,
Per mensola talvolta una figura
Si vede giunger le ginocchia al petto,
La qual fa del non ver vera rancura
Nascere a chi la vede ... Pury. x. 130.
Del colorito. — A renderci le pieghe de' panneggia-
menti non sono acconci i colori troppo vivi, ma ci fa duopo
romperli con altre tinte, onde ne viene una delicata e soave
sfumatura di colori:
Però salta la pennn, e non lo scrivo,
Che r immaginar nostro a colai pieghe.,
Non che '1 parlare, è troppo color vivo. Par. xxiv. 25.
li disegno adombra la cosa; i colori l'avvivano: E l'A-
riosto, 1. 58:
Ch' io non adombri o incarni il mio disegno.
Del modello. — E ci è ricordato per lui il pittore che
dipìnge col modello sott'occhio:
Come pintor che con esemplo pinga. Purg. wxii. 6.
E Jacopo da Lentino avea prima cantato :
Com' uomo, che ha mente
In altro esemplo, e pinga
La simile pentura.
328 DANTE E LE BELLE ARTI.
E ci avverte come l' esemplo e l' esemplare abbiano ad andar
iVun modo: Par. xxviii. 35.
liiice necessaria ad una pittura. — NÒ dimentica
]a luce necessaria ad una pittura; qualora la si collochi
in parie dove il sole non giunga, non può mostrarsi qual
è, nò dilettare gli altrui sguardi colla bellezza de' colori e
dell'arte che vi pose il maestro:
Come pintura in tenebrosa parte
Glie non si può mostrare,
>'è dar diletto di color nò d'arte. Canz.xiì.ì.
vedea
Un'altra istoria nella roccia imposta:
Per eh' io varcai Virgilio, e fé' mi presso,
Acciocclic fosse agli occhi miei disposta. Purg. x. 52.
Capolavori de^li Artisti. — I capolavori degli artisti,
figurati secondo V artifizio di miglior sembianza, ci attrag-
gono in modo che in pur vederli in noi stessi ne esaltiamo.
E per le loro bellezze, e perchò ci mostrano qual era artista
che li creava, ci sono cari e desiderabili:
3Icntr' io mi dilettava di guardare
Le immagini di tante umilitadi,
E per lo Fabro loro a veder care. Purg. \. 97.
Gli occhi miei eh' a mirar erano Intenti,
Per veder novitadi, onde son vajihi. Purg. x. 104.
Qui si rimira nell'arte che adorna
Cotanto effetto. Par. ix. 106.
Esser non puote
Senza gustar di lui chi ciò rimira. Par. x. 5
Ma il gusto ed il sentimento s'acquista per ventura e
non per arte.
Nell'arti belle tanto diletto riceviamo quanto per natura
siamo disposti a riceverne:
.... a veder queste cose
Non ti Ila grave, ma fleti diletto,
Quanto natura a sentir ti dispose. Purg. xv. 3J.
INFLUENZA DI DANTE
SULLA POESIA DELL'ARTE DELLA SUA NAZIONE d)
Giotto STEFA^o. (n.l276, m. 1336) - Gioito, raccogliendo
l'idea dalle mani della natura, non la chiese che per ve-
stirla d'un tenue velo, da cui più vaga e desiderata traspa-
risse. Adunossi intorno al maestro una bella e numerosa
scuola che durò presso a due secoli: da essi, che ci piace
chiamare artisti poeti (cioè creatori), furono compiutamente
svolle le leggi dell'inventiva, in (juanto s'attiene alia parte
sentimentale e poetica dell'arte; e in ciò fu vano poi, sarà
sempre vano, il volerli passare.- Guasll, Del purismo ncl-
(1) >'el San Pietro e nel Giudizio, e nel Mo.«è e nelln Cena e nella
S. Cecilia e nella Traflìsiirazione, si trovano i vestigi e lo ini^pirazioni
or grandiose, or terribili, ora tenere e dolci di queir ingegno che creò
Catone, P'arinata, Gapaneo, Gerione, Maleida e Beatrice e gli altri miracoli
della Cantica. Giobcrii, Del y/cZ/o. - L' altissimo canto ha come Omero
comune la gloria di aver infiuito non solo sullo stile poetico della stia
nazione, ma pure sulla poesia dell'arte. C. B. Nicolini^ ni. 29. - Nel tre-
cento, secolo così fecondo d'artisti e sì glorioso per l'arte cri.-liana,
quando oanuno bramava leggere sulle pareti del tempio le pagine più
suDiimi della Bibbia, le leggende popolari, e perfino la Cantica dell'Alli-
ghieri... P. .turchese, Memorie de' viltm-i ecc. 1. 1-22. -La poesia di Dante,
dove l'arte della parola fu la perfezione stessa, valse ad informare di
quella terribile grandezza quanti dopo lui furono più grandi pittori, scul-
tori ed architetti . .. Ranaili, Storia delle belle arti in Italia, i. 95. -
Il sacro poema, improntato ad ogni pagina di forte ed originale sentire,
tosto che uscì in luce, stampò nel secolo gagliarde impressioni. Tutti
i pittori sincroni o dì poco posteriori al suo comparire, allorché tolsero
a rappresentare i Novissimi, ne segnalarono palmo a palmo le tracce ...
P. Estense Selvatico, Scritti d'arte, 2o;i. - Il poema di Dante cominciò
ad esercitare la sua influenza sulla fantasia degli artisti, e per loro meza»
su quella del popolo . . . Bastò appena un mezzo secolo della divina Come-
dia perch'olla pigliasse luogo non solo fra i capolavori dell'umano inge-
gno, ma eziandio fra le popolari leggende, compiendo di sé, comccliesìa,
ogni cosa appresso il popolo ed ì sapienti. E di fatto è tale in essa un'or-
dine d' ideali creazioni, il quale dovea senza dubbio agevolare all'arte il
Buo volo verso le altre regioni del bello. Rio, Form, de l'art. Peinlum,
eh. III.
330 DAME E LE BELLE ARTI.
l'arie. - Genio multiforme e sublime, il primo che si af-
franca dai tipi bizantini e crea una pittura nazionale, che
nello studio delia natura e nell'arie di significare il suo
concetto niun ebbe mai superato . . . Giotto fu da Cimabuc
indirizzalo all'arte, ma dall' Allighieri educato ai sublimi
concepimenti. . . - Guasti. - Uomo di sì elevato sentire, di
sì penetrante veduta, da poter solo esser paragonato a
quel sommo, il quale col forte poema vestì di pensieri di
bronzo, da cui raggiarono a tutta l'odierna civiltà inse-
gnamenti ed affetti immortali. E al pari di quella di Dante,
fu vasta la mente di Gioito; ma senza il sommo poeta non
ne usciva forse il sommo pittore: che Dante solo potè
additargli come si mediti sul vero, onde intravvederne, non
già l'apparenza materiale, ma il soffio avvivatore. - 5e/i'a-
Iko. - Dante inspiratore a Giotto ed amico: trattò Dante
1 pennelli; Giotto poetò. Maggiori di quei due non si vi-
dero. - Guasti, Giorf/io Vasari. - A me sembra che nella
qualità di saper tutto esprimere acconciamente le cose
volgari come le peregrine, e le umili come le grandi, Giotto
traesse mirabilmente dall'amico suo e inspiratore Dante
Allighieri. - Guasti, La Cappella dei Bardi. - Le storie
dell'Apocalisse in S. Chiara di Napoli furono invenzioni di
Dante, come per avventura furono anco quelle tanto lodate
di Assisi. Nel Giudizio affrescato nclV Arena di Padova,
giganteggia Lucifero quasi fosse il signor dell' Di ferno. Nel
vederlo col pelo arrufì'alo, divorarsi colla triplice bocca i
dannati tornano a mente i robusti versi di Dante, quando
ci adombra l'angelo rubello fatto tricìpite, che
Con sei occhi piangeva, e per tre menti
docciava il pianto e sanguinosa bava.
Da ogni Locca tiirompea co' denti
Un peccatore a guisa di maciulla,
Si che tre ne facea così dolenti. Inf. xxxiv. 33.
Parmì sia da pensare che il sommo Ghibellino giovasse
l'amico nelle ligure allegoriche delle \irtìi e dei Yizii,
perocché in esse tante si veggono allusioni al sacro Poema,
e tale una finezza di concepimento; da far presupporre il
soccorso della mente la più acutamente vasta del secolo. -
/*. Estense Selvatico, Scritti d'arte, I Freschi di Giotto
DANTE E LE RELLE ARTI. 331
nell'Arena di Padova. - Vasari, file de' pia eccellenti pit-
tori, ecc., Y. L p. i^2.5. - Kanulfi, Sìoria delle belle arti in
Italia, 1. 95. - Rio, Form, de l'art Peinture, eh. in. - Drouilhet
de Sigalas, L'Arte in Italia, p. ii. e. vi. - Batine», i. p. i. p.
343. - Ampère, Yiarffjio dantesco, p. 65; 120, 1. 5*2. ecc. ecc.
I/ingeiiuilà ncU' espressione, cosi ii Crepu^coU {ISoo.
p. 44t)), dei sentimento interiore ò pur quella che fu tutto
il prestigio dei nostri frescanti del secolo XI Y. e per dirk>
passando, dobbiam saper grado al Duniènil, che celebrando
1 giotteschi non abbia dimenticato Dante, e non siasi la-
sciato andare, come troppi sogliono, ad ammirare in lom
l' infantile rigidità dei contorni, compressi ancora dalle fasce
del rituale bizantino, sebbene in quella bontà, neiraria dei
volli, come l'ha chiamata uu' aulico istorico dell'arte, quei
che noi diremo candore di verità, eh' è dote e tradizione
al lutto dantesca.
(jlarikmo allievo di Gioito). — «Nella Chiesa degli
Eremitani di Padova vi hanno alcune pitture a fresco di
Guariento, padovano, coetaneo pure di Dante, morto nei
1338, colle quali l'Artista si è attenuto più fedelmente al
poeta. Nel coro di questa Chiesa vedonsi figurali i sette
pianeti presso la Passione e la Kesurrezione, mediante
quell'associazione delle idee teologiche ed astronomiche, sulla
quale è basala tutta la tessitura del Paradiso. Alcune
circostanze servono a rendere anche più polente il ravvici-
namento fra il pittore ed 11 poeta. I ditlerenti segni dello
Zodiaco son qui collocati presso ai personaggi che appari-
scono in ogni pianeta, in quella slessa guisa che Dante
procura sem[)re d' indicare con minuziosa esattezza, ad ogni
passo del suo viaggio ad un tempo mistico e cosmologico,
in qual segno dello Zodiaco si trovi il sole. ~ A Padova,
Marte è rappresentato da un guerriero, e Dante colloca in
(jueslo pianeta i guerrieri morii per la fede. La Luna di
(ìuariento è una donna che posa il piede su due globi che
stanno a significare l' instabilità attribuita dai pregiudizi
astrologici a tutto ciò che nasce sotto l' influenza di quel-
r astro. Dante, guidato dagli slessi progiudizi, ha posto
nella Luna le anime di coloro che involonlar'.amente hanno
rolli i loro voli. Inline, la Terra è circondata da raggi rossi.
332 DANTE E LE BELLE ARTI.
certamente per denotare la sfera di fnoco che l' inviluppava,
secondo il sistema di Tolomeo, seguito in tutto da Dante. -
11 poeta, che non trasanda una sola occasione di ablnittere
il papato, non avrebbe disapprovalo l'ardila e bizzarra
allegoria colla quale il Guaricnlo ha signi ficaio il nostro
piuncla. Egli lo porsonilìca sotto le forme d' un uomo assiso
sopra un trono, coronato di tiara, con la destra armala
del globo, e l'altra di uno scettro termi iialo con una croce.
Con che viene a chiaramente accennare alle pretensioni
del papato sul mondo. - A)ìì})ère, Yiaf/n^o dantesco, p. H'I. -
V. sul Paradiso dipinto dal Guaricnlo a colori nella sala
del Consiglio di Venezia, Batines, V. i. p. 344.
lìUFFAMALGO BuoisAiJico. (vivtìva nel 1351] - In un dipinto
del Campo Santo di Pisa ha egli rappresentato l'universo
con^)Osto di nove sfere, secondo il sislema di Tolomeo, e
sostenuto dalle mani del Cristo, la cui Icsla s'innalza sopra
r ultima sfera. Quella che serve di base alla costruzione
del Paradiso^, ii una connessione eguale fra l'idee cristiane
e quelle di Tolomeo. Dante sale ad un tempo di pianeta
in pianeta, da verità a verità, da virtù a virtù, lino al
princii)io motore di tutto l'universo; a tal punto, egli è
pervenuto alla i)iù alla manifestazione dell'essenza e trinità
divina. Egli riferisce i diversi gradi delia contemplazione
religiosa alle differenti sfere celesti immaginate da Tolomeo,
quivi poste fra le braccia del Cristo e dominate dalla
radiante sua testa. In ambedue i casi, avvi un medesimo
accordo della scienza cosmologica di quel tempo con lo
spirito teologico. Qui il pittore non ha copialo il poeta:
non esiste fra loro che analogia d'inspirazione. - Ampère^
Yiuddio dunlcsco, p. 17. - L'Inferno frescate nella Cappella
dei Bolognini in S. Petronio di Bologna è pure diviso nelle
sette bolge dantesche. Il Vasari (I. 52), e chi lo seguiva,
vogliono (jnelle pitture del secolo di Dante; e il Malvasia
nella sua Pittura dì Ihlo,jna, le dice incominciate da Buo-
«amico Buffamalco, e condotte a termine da Vitale e da
Lorenzo di Bologna. Ma giustamente osserva 11 Gualandi
nella sua recente Guida di lìoloqna, che quantunque questa
Cappella fosse la prima aperta al pubblico cullo, pure non
Jo fu che nel 1392, essendosi solo nel 1388, decretala Te-
DAME E LE BELLE ARTI. 333
rczione di questo tempio insigne. Oltrecchè il testamento
(li Bartolommeo della Seta, fatto nel 1408, ci assicura non
essere a quel tempo pur anche dipinta la Cappella del
Bolognini, commettendo esso che si iinisca, e descrive le
storie che vi si doveano figurare, le quali sono le stesse che
ancor oggi si veggono, erroneamente, come dicemmo, attri-
buite a Bulìamalco, e agli altri due pittori Vitale e Lorenzo.
LoRENZETTi AMBROGIO. ( u. 1300 circa, m. 1348) - 0 Lo-
renzetli, eri tu più filosofo o artefice allora quando, nella
Sala che si chiamò della Pace, esprimevi per modo di al-
legoria, nascere dall'equo reggimento la concordia, e per
la concordia fiorire le virtù religiose e civili, che danno
ai governi la forza e della forza l'uso sapiente? Certo eri
tu immaginoso poeta quando, a mostrare gli effetti dell' ol-
lima e delia pessima signoria, esponevi dall' un lato le opere
dei vìzii nefande, e (di quelle efl'etto ) castella dirute ed
arse, o abbandonate a quella solitudine che è desolazione,
e la chiamano pace: mentre dall'altra parte ritraevi la tua
Siena, frequente di cittadini, prospera di commerci, d'arti,
di campestre ubertà, rallegrata dai balli delle sue graziose
fanciulle, abbandonata a quella gioia che tu, uomo di altri
tempi, potesti vedere, e noi tardi nepoli venghiamo a con-
templar nei dipinti. » - Guasti, La virtù inspiratrice del
bello.- «Pseile pitture delle Sale dell'Archivio delle Rifor-
mazioni ho esaminalo diligentemente il gran lavoro di Am-
brogio di Lorenzo, e vi avverto che le virtù richieste a un
buon governo e le tristissime laidezze della tirannia non
potevano meglio raffigurarsi, né con simboli più appropriate.
Ninno dei nostri artisti, a me sembra, che abbia cos'i preso
dallo spirito dell' Allighieri, come il Lorcnzetti in quel
dipinto, dove fra l'altre le figure della Prudenza e del-
la Frode appariscono quali son tratteggiate nella Divina
Comedia. Giamh. Giuliani, Lettere sul vivente linqua(ifjio
della Toscana, p. 18. - Nella figura della Giustizia vi appose
la scritta: DiUijitc justitiam quijudicatis terram, come Dante
nel xvin del Paradiso, glorifica le anime dei beati che am-
ministrarono dirittamente la giustizia nel mondo, le quali,
volitando nel cielo di Giove, descrivevano coi loro corpi in
più figure queir istessa leggenda.
134 DAME E LE BELLE ARTI.
Orcag>'a Andrea, ( nacque Vóti, movi 1389) - Ne' Ire gran
drammi per lui figurati sulle melauconiclie mura del mo-
numento di Giovanni da Pisa, the som il Trionfo della
Morle^ il Giudizio fimalc e V Inferno vi risplendono le idee e
l' inspirai ione diintesca, Noadim^no non sì pensi essersi
l'artista messo ad una servite imitazione della cantica dello
Inferno, ma si vede chiarissimamente ciregli avcN^a in cima
a tutti i suoi pensieri l' Inferno di Dante quando colorava
queir affresco, conciossiacckè tu ci vedi da per tutto tras-
parire il dolore, la maledizione e la disperazione della prima
parie della divina Comedia; anzi in quella grande e odiosa
figura di Satana, la quale stritola co' suoi denti un dannato,
costretto in quelle sformate sue mascelle, non è possibile non
riconoscere altro che la terrìbile e gigantesca creazione dello
Allighieri. Ma né quivi solo, ma spesso l'Orcagna ripro4:kisse
alcuni pensieri dell'epopea di Dante, che anche a Firenze
nella chiesa di S, Maria Novelìa si mirano come rinovatì i
belli affreschi del final "Giudizio, del Paradiso e dell'Inferno,
aggiuntivi pure i girl e le divisioni immaginale dal poeta. -
Drouilhet de Sigialas, L' arte in Italia^ Y. II, e, 6, - Nella
Cappella Stroy^i dipingeva l'Orcagna i due Isovissimi, F In-
ferno e il Paradiso. E come la divi/ìa Coraedia formava di
già le delizie del popolo, e l'Orcagna n'era ollremodo in-
vaghito, divise l'Inferno secondo le bolge dantesche, le
popolò di spiriti maledetti, gii atteggiò agli spasimi, ai
dolori, nei diversi e orribili toruienli immaginati dal poeta.
Argomento che avea esercitato l'ingegno di Nicola Pisano,
di Giotto, ecc., e che si ti-ova così sovente e con tanta mae-
stria riixituto dai giotteschi. Se l'arte non vi è perfetta, se
il nudo non ha buon disegno, se la composizione è ben so-
vente confusa; vi regna però tutta la poesia di Dante, tulio
l'orrore di quei luogo ov'è sbandita la speranza, e sembra
in vederlo di udire:
' Diverse lingue, orribili favelle.
Parole di dolore, acc<;nli d' ira,
Voci alte e fioche, e suon di man con elle. Inf. ni. 23.
Di Centro effigiò la gloria dei celesti, ed ivi spiegò tanta
bellezza e tanta maestria che da due diversi artefici sem-
brano eseguili questi due Novissimi. - P. Yintenzo Marchese,
DANTE E LE DELLE ARTI. 335
Memorie dei più insigni Artisti domenicani, V. I. p. 128. -
Andrea Orcagna, audace in declinare le venerate orme di
Giotto, primo osò, squarciando il velo delle allegorie, snu-
dare gli umani affetti, e all'ideale più sublime mescolare
la realtà perfino schifosa; novatore nel concetto e nella
maniera quale ci appare nell'inferno a S. Maria Novella e
nel Trionfo della Morte nel Camposanto di Pisa - Giorcjio
Vasari. -^Gì freschi dell' Orcagna, rappresentanti l'Inferno,
ciascuno riconosce le scene già tracciate dal pennello dì
Dante; ed evvi Satana in alto d'ingoiare nelle sterminale
sue fauci tre corpi umani, com'è descritto nell'Inferno dan-
tesco. Uguale è il numero delle vittime. In Dante sono
Giuda, Bruto e Cassio... L'Orcagna, dipingendo Satana sul
divorare ì Ire dannali, non poteva avere altro scopo che
quello d'imitar Dante, del quale il fresco nel Camposanto
può dirsi realmente una copia. Ivi si veggono pure le bolge,
immensi pozzi circolari, ove l'autore della divina Comedia
ha posto le differenti specie di dannati; vi ha rappresentalo
una figura decapitata, la quale, come Bertramo del Bornio,
tiene pei capelli la propria testa, grondante sangue, a guisa
di lucerna; espressione familiare ma nonpertanto terribile,
poiché di un'esattezza pittoresca, che fa tornare alla menl<ì
il quadro che l' Orcagna non ha paventato di mostrare agli
occhi. - Ampère, Viurfrjìo danlcsco, IG. - Ivi (in S. Maria
Novella) danteggiò dipingendo le glorie del Paradiso e le
pene della gente perduta : ma per alcuno s'avvisa che della
imitazione del sovrano poeta troppo si compiacesse, dimen-
ticando che il decoro e le leggi della pittura non concedono
d'offrire alla vista ciò che alla fantasia rappresenta il poeta.
Ne fuggì questo biasimo, ch'egli divide con Giotto, quando
nel Camposanto di Pisa trattò lo slesso argomento... L'Or-
cagna mostrò il primo nella sua Loggia dei Lanzi questo
accordo felice (della solidità colla bellezza), altro prelu-
dio a quello che nell' età dappresso eseguito avrebbe lo
immenso genio del Brunellesco. Osservate i due grandi
archi, i quali appoggiali agli esterni pilastri percorrono la
larghezza della loggia: essi dal lato opposto non posano sul
vivo della muraglia, ma da essa sporgendo in fuori s'appog-
giano principalmente su due figure curvale in queir altilu-
336 DANTE E LE BELLE AUTI.
dine che Dante nel decimo della sua seconda cantica espresse:
Come, per sostentar solaio o letto,
Per mensola talvolta una n^ura
Si vede giuiijier le ginocchia al petto,
La qual la del non ver vera rancura
Nascere a chi la vede . . .
JMcoltnl, Elogio di Andrea Orcufjna, Y. III. p. 28 e 3G. —
Sulla Lo(j(jia de' Lanzi, V. Am\ììire, p. 36. - V. Yasari, ii. 123,
125, m.-Ranalli, Storia delle belle Arti, V. I. p. 84. 88. -
Salvatico, Scritti d'arte, 253. - Da Ilio, C m. - liutines, i.
p. 5. p. 334, 337. -
Bartolo Taddeo, (m. 1410) « Intorno al 1394, lavorò in
Volterra certe tavole a tempera; ed In Monte Oliveto una
tavola, e nel muro un Inferno a fresco, nel quale segui
r invenzione di Dante, quanto attiene alla divisione de' pec-
cati e forma delle pene, ma nel sito o non seppe, o non
potette 0 non volle imitarlo.- Vasari, Vite de' più eccellenti
pittori, Y. II. p. 220. - (La pittura è perita).
Fra Giovanni da Mugello, o il B. Angelico, (n. 1287, m.
1455). - « Richiamate ora alla mente la tavola del Paradiso
dell'Angelico, della quale si adorna la Galleria degli Uftìzj,
0 l'altra del finale Giudizio dell'Accademia Fiorentina, e
ditemi se in quelle care figurine non vedete la trasparenza,
la leggerezza, la venuslà, l'amore e il gaudio di questi
spiriti danteschi? In queste immagini deirAllighieri non
è gran folgore di luce, perchè Piccarda, e gli altri sono
racchiusi nel pianeta della luna: ma nel canto settimo
questo stesso concetto e questa ìmagine del dileguarsi
degli spiriti si riveste di forma luminosa. È l'imperatore
Giustiniano e gli altri che dopo un lungo colloquio si di-
partono dall'Allighieri:
Così, volgendosi alla rota sua,
Fu viso a me cantare essa sustanza,
Sopra la qual doppio lume s'addua:
Ed essa e l'altre mossero a sua danza,
E, quasi velocissime faville,
Mi si velar di subita distanza. Par. v. 4.
Questo danzare e torneare a mo' di rota fu stupendamente
significato dall'Angelico nella Incoronazione della Vergine,
che dipìnta ad affresco si vede in una cella del convento di
DAME E LE BELLE ARTI. 337
S. Marco; ove sono sei figure dì Santi rapili in estasi, e chiusi
entro un arcobaleno nel cui mezzo è Maria e il Redentore.
Ma bello a meraviglia fu il modo tenuto d^llo stesso pittore
neir esprimere quel dileguarsi e vanire, quasi velocissime
faville, in due corpi gloriosi nel finale Giudizio dell'Acca-
demia ; i quali rapiti in aere e presso la soglia del Paradiso,
fece trasparenti e raggianti di luce per guisa che, serbato
della forma umana sol quanto bastasse a raffigurarli, non
altro appariscono da lungi se non due corpi luminosi con
moto velocissimo rapiti e tirati al cielo... Avvertì Cesare
Balbo, e prima di lui il Ginguenè, la predilezione di Dante
per gli Angeli, eh' egli ritrasse in tanta copia e con sì
variate immagini nel Purgatorio e nel. Paradiso; e aggiunge
con ragione, che niun poeta cristiano (non eccettuato Byron
e Moore) trasse da questa credenza tanta e così perfetta
poesia come l'Allighieri: Purg.u.'ii; viii. 25... Nel xxxii
del Paradiso rammentate la bella descrizione dell'Angelo
Gabriele, innamorato sì che par di fuoco, e nel precedente
quella degli Angioli che stanno intorno al seggio di Maria...
11 Vasari trovò gli Angeli di fra Angelico tanto belli e tanto
paradisiaci, che li dice piovuti dal cielo. Parmi adunque
doversi tenere come indubitato, che niuno ritrasse meglio
gli Angeli che Dante e l'Angelico; e se l'uno e l'altro sì
attenne all' ideale, questa era la sola via a ben rappresen-
tarli; ma il farlo al pari deirAllighieri e dell'Angelico non
fia più dato ad alcuno ... P. Marchese, ScritfA vari, 590-593. -
La figura dell'Angelo (nella tavola deWAnnunziazione della
fì. Verfiine) è di una meravigliosa bellezza. Piegato alquanto
il ginocchio, le braccia incrociate sul petto, con dolce sor-
riso, con avida aspettazione attende il sospirato assenso.
Non altrimenti descrisselo l'Allighieri nel xxxii Canto del
Paradiso ... P. Marchese, Vite, ecc. i. 259. — Lo studio e
l'imitazione di Dante tal fiata nell'Angelico si riscontra
persino nelle più piccole particolarità; così a ragion d'esem-
pio, se l'Allighieri scrive dell'Angelo Ga'jriele che etjU è
quegli che portò la palma gitiso a Maria, il pittore del
Mugello nella tavola dell'Annunziala in Santo Alessandro
di Brescia, in luogo del giglio, com'è costume, pone vera-
mente in mano all'Angelo la palma. - P. Marchese, Scrini
VOL. II. 22
338 DAME E LE BELLE ARTI.
vari, 592. - NeW Incoronazione della Vergine, che ai tempi
del Vasari vedevasì nel trammezzo alla Chiesa di s. Maria
Novella, e che nel 1823 passò alla Galleria degli Uffizj,
uno de' più rari dipinti che l'arte e la pietà dell'Angelico
producesse, dal volto e dalle movenze degli Angeli traluce
una grazia, un' estasi un affetto meraviglioso, onde a quella
vista ricorrono tosto al pensiero le parole di Dante:
Ed a quel mezzo con le penne sparte
Vidi più di mille Angioli festanti,
Ciascun distinto e di fulgore e d' arte.
Vidi quivi a' lor giuochi ed a' lor canti
Ridere una bellezza, che letizia
Era negli occhi a tutti gli altri santi. Par. xxxi. 130.
Sopra tutte le altre bellissima, nella quale appare sovrano
maestro nel rendere le ineffabili gioie del cielo, è la Inco-
ronazione della Vergine... Sopra candida nuvoletta, tutta
da vaga iride circondata, ritrasse la Vergine biancovestita...
Qui parci ch'egli abbia viemeglio seguitata la cantica
dell'Allighieri, conciosiachè egli dispose queste sei figure
(di santi) sopra una linea semicircolare, quasi una di quelle
ghirlande di spirili beati, i quali di continuo cantano e
danzano intorno al trono di Dio ... Tutti a un modo stesso
tengono sollevati gli occhi e le mani al cielo e traluce
dai loro volti un gaudio, una beatitudine che in vederli
sembra esser rapiti fra il consorzio dei comprensori. - /'.
Marchese, Vite, ecc. p. 236, 267. - Nella Discesa al Limbo
dei Padri, ch'egli ritrasse nella cella di Santo Antonino,
parve al professor Rosini, avere di forza e di poesia vinto e
superato sé stesso e quasi direi gareggiato coU'Allighieri./-
P. Marchese, Id. p. 266. — Restaci ora a descrivere quel
Giudizio finale che fra tutte le meraviglie dell'Angelico,
è, a mio avviso, la più stupenda. Da Nicola Pisano fino a
Michelangelo Buonarroti, questo terrìbile argomento eser-
citò l'arte e l' ingegno de' più valenti artefici, i quali, nella
più parte, gareggiarono in ritrarre a colore quanto delle
gioie dei giusti e del forsennato disperar dei dannati avea
nel suo carme divino cantato l'Alilghieri: E bene avevano
costoro esauriti tutti i concetti nel ritrarre il tardo disin-
ganno, gli spasimi atroci e l'eterna disperazione di quei
miseri riprovali ; rinvenute le più nuove e le più orribili
DAME E LE BELLE ARTI. 339
maniere di tormenti; nuove e disusate forme di dolore;
sicché un subilo raccapriccio invade tosto la mente e il
cuore alla vista di quella scena terribile, che parano innanzi
il Signorelli in Orvieto, e il Buonarroti in Roma. E invero,
l'uomo per lunghe e durissime prove è da' più teneri anni
ammaestrato dal dolore; e ben sa egli con veri colori e
con eloquenti parole ritrarlo in tela o in versi; ma ove
egli si accinga a significare le gioie celesti, e i gaudii inef-
fabili dei beati, a lui vengon tosto meno le immagini e le
forme come rappresentarli... Dante, non pago di noverare
i tormenti ai quali sottopose quegli sciagurati, o le gioie
che finse gustassero gli eletti ; volle non pure dirci il nome
de' più chiari fra loro, ma narrarci eziandio i vizi e le virtù
per cui ebbero sorte cotanto diversa ; giovando ciò a far
viemeglio detestare i primi, ad ammirare i secondi. Pare
che al medesimo scopo mirasse l'Angelico. Quindi tu vedi
fra ì maledetti persone di ogni età, grado e condizione, e
specialmente assai ministri del santuario... Non altrimenti
avea fatto l'Allighieri per diverse cagioni, a solenne e per-
petuo ammaestramento dei popoli... Divise l' inferno in sette
gironi 0 bolge, in ognuna delle quali, secondo la natura
dei sette vizj capitali, sono diversi i tormenti e i tormen-
tati... Assai poetica, e tolta dall'AUighieri, parci l'idea di
tìgurare nell' ima parte dell' Inferno, /' Imperator del dolo-
roso regno, che ornato di tre teste:
Da ogni bocca dirompea co' denti
Un peccatore a guisa di maciulla,
Si che tre ne facea così dolenti. Inf. xxxiv. 53.
Figura veramente terribile, della quale ninno avria creduto
autore un artista solo adusato a ritrarre immagini ornate
di celestiale bellezza. — P. Marchese, Vite, ecc. p. 277-280.
GiovANiNi DI Paolo, (pittore nel 1427, ascritto all'arte sua
nel 1428) - Nell'Accademia delle belle arti (di Siena) mi venne
anche ammirata una tavola operata da Giovanni di Paolo,
sanese, nella quale è espresso il Giudizio universale, la gloria
dei beati e la confusione dei reprobi. Tra questi notai l'Ugoli-
no che rode il capo all'Arcicivescovo Ruggieri, e con tale atto
rabbioso, che quasi non se ne può sostenere la veduta. An-
cora sarei tenuto di credere che dall' inarrivabile architettore
340 DAME E LE BELLE ARTI.
dell' Inferno fosse dedotto il concetto di confinar gli avari
obbligali a trascinar de' grossi pesi; i traditori fitti nel
ghiaccio; 1 carnali correnti su lastre infocate; i golosi
costretti ad ingozzare del fango, e gli usurieri cui i demoni
olirono delle borse piene del mal tolto danaro. A.d ogni
modo convien dire che il pittore avvivò la sua fantasia
nelle cantiche del sovrano poeta ed artista, e per questo
potè dare tanto forte espressione a quelle ligure da disgra-
darne rOrgagna stesso. Davvero, che pittori come Dant(^
non se né videro mai, giacche l'arte per lui divenne na-
tura, e tal natura, eh' è somma gloria di potervisi accostare,
non che altri si argomenti di sopravanzarlo per virtù dei
pennello o della parola. » - Giuliani, Lettere sul vivente
linguagfjio della Toscana, pag. 18. - Guardate la gran tavola
più antica, il Giudizio, ove dall' un lato l'esultazione dei
buoni è in mille ingenui e nobili aspetti rappresentata;
dall'altro i condannati, altri respinti nelle fiamme da un
angiolo, altri nelle fiamme tirati da un demonio, gli avari
e i prodighi che voltano gran pesi per forza di petto, le
lascive cavalcate da diavoli, o infilate in un palo rovente;
e nel tutto una vita quale oggidì non saprebbe ritrarre la
più potente parola. - Tommaseo, Bellezza e Civiltà, 386. -
V. Nuove indagini, con documenti inediti, per servire alla
Storia della Miniatura, Vasari, Voi. VI. p. 185. - V. Catal.
delle tavole dell'antica Scuola Sanese, riordinato nel 1842,
Slena, Tip. dell'Ancora, 1842.
DOMEMCO DI Michelino. ( dipingeva nel 1465) In S. Maria
del Fiore evvi rappresentato Dante appiè delle mura di
Firenze, le cui porte sono chiuse per lui, coperto di una
veste rossa, e con in mano il suo volume. Presso di lui
vedesi l'antro che mena all'Inferno; Dante lo mostra a dito,
e pare che dica a'proprii nemici: mirate di qual luogo io
dispongo. Ma la fronte, per tristezza inclinata, esprime piut-
tosto il dolore che la minaccia: il cuore dell'esule non trova
conforto nella vendetta. Più lungi s' innalza la montagna
del Purgatorio co' suoi gironi, alhi cui vetta sta l'albero
della vita del Paradiso terrestre. Il Paradiso è contrassegnato
da' cerchi quasi invisibili, che abbracciano tutto il quadro.
Qui trovi Dante col suo volume e la sua cruda sorte. —
DANTE E LE BELLE ARTI. 3il
Ampère, p. 37. — Al P. Antonio dei Minori, già pubblico
spositore della Divina Comedia in S. Maria del Fiore, si
debbe la bellissima lode di aver fatto dipingere questa
tavola, coir intendimento di ricordare a' suoi concittadini
il debito che loro correva di ricuperare da' Ravennati le
ceneri di quel grande. - P. Marchese, Vite, ecc. i. 309. (1)
SiGNORELLi Luca. (n. 1440. m. 1521) — « Gli ammirabili
freschi rappresentanti il Giudizio finale, opera di Luca Signo-
relli, richiamano alla mente certe pitture di Dante per molte
particolarità. Qui, come alla cappella Sistina, la barca piena
di dannati rassomiglia a quella in cui Caronte li ammon-
ticchia a colpi di remo. Alcuni Angeli gettano con molta
grazia i fiori, altri li spandono a piene mani attorno a Bea-
trice : Purg. xxx. 3G. Il celebre gruppo, rappresentante un
demone che trasporta a volo sugli omeri una peccatrice è
copiato esattamente da Dante: Inf.xw. Zi.- Ampère, 93.-
Di questo Giudizio dipinto dal Signorelli nel Duomo di
Orvieto, cosi sentenzia l'egregio P. Marchese: Probabilmente
Michelangelo, non pure il Cristo giudice dell'Angelico, ma
assai dovette ancora avere studiato il rimanente dell' opera
eseguita dal Signorelli, veduta la quale, scemerà in parte
r ammirazione che provasi alla vista del tremendo Giudizio
del Buonarroti; conciosiachè per il concetto grandissimo,
per la bellezza delle imagini e per lo studio del vero, questo
dipinto di Luca mi parve sempre cosa veramente stupenda.
Reca poi meraviglia il franco e corretto disegno, l' intelli-
genza del nudo, l'ardire degli scorti e la nobiltà delle
forme: pregi tutti che in un pittore del secolo XIV, son
(1) Così l'Osservatore Fiorentino, V. VI. p.l23, in nota, e cita a questo
proposito un Manoscritto di Bartolommeo Ceffoni eh' è nella Riccardiana,
sotto il n. 1036. - Trascritta l' iscrizione che era sotto U ritratto, il Cef-
foni cosi si esprime: Questi 13 versi qui di sopra chesson dipi iscritti
nella dipinttura dove dipintto Dantte i sanità Liperata ora sanità
Maria del Fiore dove si lege al presente il Dante p maestro Anttonio
frate disan francesco (1430J et detto maestro Antonio feee fare la detta
dipinttura a riscordhare accittadini che fanno arechare tossa di dantte
a Firenze. Egli è dunque evidente che il dipinto fatto eseguire nel 1430
dal P. Antonio non potea essere del Michelino, il quale, come è manifesto
dai documenti citati del Gaye, non lo condusse che nel 1465, e che per
conseguenza l'antica pittura fu tolta al sopravvenir della nuova.
342 DANTE E LE BELLE ARTI.
degni (lì maggior considerazione. - Memorie dei piìi insi(/ni
pittori, ecc. Yol. I. p. 300. - Ranalli, Storia delle belle arti,
1. 244. - Batines, T. I. p. I. pag. 342. -
Leonardo da \inci. (n. 1452 m. 1019), — Parallelo fra
Leonardo da Vinci e Dante. - V. Ranalli, Storia delle belle
arti in Italia, V. L p. 296-299. — « Guardando alle ligure
del gran Cenacolo, troviamo nella Divina Comedia (per chi
sa cercarvi) il riscontro dell' espressioni de' varii moti
dell'animo prodotte ne' discepoli di Cristo dall'annuncio
del divino maestro, che un di essi lo tradirà, da potersi
bene inferir questo, che se fra massimi pittori si avesse
dovuto scegliere uno, sopra ogni altro acconcio, sì per
r ingegno e sì per la mano, a condurre in pittura tutta la
Divina Comedia, di guisa che fosse perfettissimamente ritrat-
ta la mente e l'arte dell'Allighieri, quel desso sarebbe stato
Leonardo. E se dall' unghia si giudica del leone, possiamo
dal modo, con cui nel Cenacolo sono ritratti i vari affetti
degli Apostoli giudicare, che al Yinci soltanto non sarebbe
fallita tutta la difficile e desiderabilissima opera ; perocché
i detti affetti si riscontrano in guisa nel misterioso viaggio
dantesco, che paiono con la medesima forza sentiti e rap-
presentati. — « Vedi Ranalli, Degli Ammaestramenti di
letteratura, IL p. 426-433.
Raggio, sensale, (contemporaneo di Filippo Lippi) - « Nella
storia che segue ritrasse (il Lippi) Sandro Botticello, suo
maestro, e molti altri amici e grandi uomini ; e infra gli
altri, il Raggio sensale, persona d'ingegno e spiritosa molto;
quello che in una conca condusse di rilievo tutto l' Inferno
di Dante, con tutti i cerchi e partimenli delle bolgie e del
pozzo, misurate appunto tutte le figure e minuzie, che da
quel gran poeta furono ingegnosissimamente immaginate
e descritte; che fu tenuta in questi tempi cosa maravi-
gliosa. » Vasari, Le Vite ecc. Y. 244.
Fra Bartolommeo di S. Marco, ossia Baccio Della Porta.
(n. 1469, m. 1517) - // S. Bernardo, ossia l'apparizione della
N ergine al più tenero fra i suoi devoti : Bellissima è questa
composizione ... : Sotto un loggiato, che dà accesso ad una
molto lieta e ridente campagna, la quale con lontana e
bella prospettiva peruginesca forma il fondo del quadro,
DANTE E LE BELLE ARTI. 3Ì3
vedesi prostrato il S. Abate di Chiaravalle, colui, eh' ab-
belliva di Maria, Come del sol la stella mattutina: Par.
xxxii. lOG. Sopra un deschetto e in terra spartì sono i
volumi che T affetto caldissimo dettava al mellifluo; e se
fosse alcuno che avesse in dispetto questo nome di mellilluo,
che il consenso di molti secoli ebbe a lui conceduto, legga
quelli aurei volumi e sentirà dolcezza di paradiso. Il solitario
scrìveva appunto le lodi di Maria, quando dall'alto cielo
sopra candida nuvoletta, tu la miri lieve lieve scendere
al suolo col pargoletto Gesù, circondata da un coro di An-
geli, beare di sé il santo e innamoralo vecchio; e a quella
vista egli, per la meraviglia sollevale le palme, di/fuso per
gli occhi e per le gene Di benigna letizia, in atto pio (C. xxxi.
62), stimi voglia dare incominciamenlo a quella bella e
devota canzone, che nella bocca di lui pone 1 Allighieri nel
xxxiii. e. del Paradiso:
Vergine madre, figlia del tuo figlio,
Umile ed alta più che creatura,
Termine fisso d' eterno consiglio . . .
Oh come nel vollo e nella persona del santo si legge il
caldissimo affetto, e l'estasi divina! - P. Marchese, Vite ecc.,
II. 36. 37.
BuoiNARROTi Michelangelo, (n. 1474, m. 1564) - Michelan-
gelo è un genio trovatore e operatore di concetti e forme
singolari: non volle obbligarsi a legge antica o moderna e
parve che volesse mostrar l'arte nella stessa natura. Io lo
vedo nella moltitudine degli artefici, come il Saladino fra
gli spiriti magni del limbo dantesco solo in parte. - Guasti,
Giorgio Vasari. - L'animo del firentino poeta tornò a rivi-
vere in Buonarroti, il quale, aggiungiamo di più, n'è stata
come una più larga manifestazione. E per certo non pur
ammirandosene, continuo studiava in Dante, anzi l'amava
come il padre suo, come il suo genio inspiratore, o, secondo
la bella fras.e del poeta, come suo autore. Or pieno l' animo
di questo grande amore che fecondava il suo pensiero, e
riboccante tutto di sdegno dell'abbandono e proscrizione
onde fu misero il poeta fin dopo la sua morte, egli divisava
erigergli di sua mano un mausoleo ; se non che, con danno
immenso dell'arte, tal generoso pensiero non venne in 4t-
'Mi DAME E LE BELLE ARTI.
lo (1). Ma certa cosa è che compagna di sue faticose veglie,
e musa di sua solitudine, gli fu sempre la divina Comedia,
a cui perpetuare e divulgare nelle forme dell'arte egli
attese con isludio costante. E già, applicatovi lungamente
l'ingegno, i concetti del divino divinamente comentava,
conducendo egli molli disegni sui cento canti del poema;
ma pur troppo tale e prezioso lavoro perì in un viaggio da
Civitavecchia a Livorno (2). ISè altri fuori che '1 genio di
Michelangelo era tanto da tentare ed eseguire opera cotanto
difficile. - Buonarroti ha dunque improntate le sue opere
dell'ispirazione e dello stile di Dante, ed in effetto senza
escir di Roma, ov'è il seggio di tutte le arti, quivi ci sarà
facile il ravvisare questo riflesso della luce dantesca nei
raggi del triplice genio dell'artista. - \.])roiiilhet de Sigalas,
L'arte in Italia, p. ii. e. 6, tutto II § 5. - « In una messe
Lia figliuola di Laban, per la vita attiva, con uno specchio
in mano per la considerazione si deve avere per le azioni
nostre ; e nell'altra, una grillanda di fiori, per le virtù che
ornano la vita nostra in vita, e dopo la morte la fanno
gloriosa. L'altra fu Rachel sua sorella, per la vita contem-
plativa, con le mani giunte, con un ginocchio piegato, e
col volto che par stia elevata in ispirilo.» (Sul sepolcro dì
Giulio IL) - Vasariy Vita di Michelangelo Buonarroti, Y. xii.
217. - Sul Giudizio finale di Michelangelo, Y. Yasari, Id.
XII. 217.- «Chi fra voi ignora che Dante a Michelangelo dettò
(1) Il Buonarroti, a' 20 Ottobre 1319, come uno dei membri dell'Acca-
demia Medicea, indirizzando a Papa Leone X un memoriale per chiedere
di trasportare da Ravenna a Firenze le ossa di Dante Alligbleri, sotto-
scriveva a quella supplica così : lo Michelaqniolo Schultore il medesimo
a Vostra Santità supplicho, offerendomi al Divin Poeta fare la Sepol-
tura sua chondecente, e in loco onorevole in questa città. Questo prezioso
documento, il cui originale si conserva nel R. Archivio di Stato, fu stam-
pato per la prima volta da A. F. Cori nelle sue annotazioni alla Vita di
Michelangelo, scritta dal Condivi. Vasari, Prospetto cronologico, ecc.
Xli, 337.
(2) Quel prezioso volume venne in possesso di Antonio Montanti,
scultore ed architetto fiorentino, il quale, impiegatosi in Roma, fece im-
barcare a Livorno le sue robe, e, tra queste, il detto' libro, per farle tra-
sportare per mare a Civitavecchia: ma per viaggio naufragò la barca, e
tutto il carico col suo conduttore miseramente perì. - Nota al Vasari,
y.%u. p. 217.
DAME E LE BELLE ARTI. 345
(jiiella maeslà dì dolori senza lacrime che impresse sul volto
della Madre di Dio? Dante insegnò colle rime severe della
sua cantica quel terrore che accumulato dall'ardito pen-
nello signoreggia nelle pareti del Yaticano.» - JSkolinì, 0-
pere, V. III. p. 9; irf. p. 80 - «Il Buonarroti ha specialmente
ammirato Dante, dilettato del mirabile ingegno di quell'uo-
mo, qual egli ha quasi tutto a mente.» - Condivi^ Vita del
Buonarroti, p. 1158. -Qui n'aimeroit à lire une page de la
divine Comédie devant la Chapelle Sixtine? Qui n' ameroit
à reconna'itre dans Michel Ange le seul Commentateur légi-
time du Dante? Ch. Lahitte, Le divine Comédie avant Dante, -
Ampère, Viaggio dantesco, 90. - Ranalli, Storia delle belle
arti in Italia, i. 296-299. - Batines, T. I. p. I. pag. 3B8. - De
Stendhal (Beyle), Storia della pittura in Italia, II. 346-379;
The life of 31. A. Buonarroti, by R. Duppe, London, Murray;
il paragrafo intitolato: Jlis admìration of the Works of
Dante, p. 165-168. -• Quatremère de Quincy, Histoire de la
vie et des ouvraijes de Michel-Ange, Paris, Didot, 1835, 115-
128 ; Planche, Elude per Michel Ange, Revue des deux Mon-
des, 1834, 268-269.
Raffaello Sanzio d'Urbino, (n. 1483, m. 1520) — «Al
divin Sanzio avvenne dì vagheggiare la dolce luce e serena
delle eteree regioni, e quei raggi danteschi che cantano,
e i profili delle vergini, e il casto tipo ideale di Beatrice,
simbolo della donna rigenerata, l'estasi e l'ebbrezza di
amore, il raggiare degli eletti e le infinite tenerezze dell'a-
nima santa... sì per fermo lo scolare diligente del Perugino
non fu men sollecito discepolo di Dante: testimonio spe-
cialmente gli affreschi del Yaticano, ove non era possibile
mettere tanta vita, tanta varietà ed eleganza, senza che il
suo animo non fosse stato altamente commosso ed informato
da spirito poetico. Che là per vero trasparisce in tutte parti
queir unione dell' ideale col reale, del senso vero col figu-
rato, e quella misura d'imagini e d'idee, e tutto quel mistico
simbolismo, nella cui misteriosa rete tutta quanta s'avvolge
l'opera dell'Allighieri. Quelle pitture, a ben considerarle,
non può stare che non rivelino lo studio serio e profondo
che r autore mise nella divina Comedia ; anzi ben di leg-
gieri, 0 direni quasi a prima giunta, chi le contempla con
346 DAME E LE BELLE ARTI.
occhio d' artista, vede che quindi proprio attinse quel senso
allegorico, e quel vero spirito, che studiossi di riprodurre
ne' suoi lavori. Ond'è da dire veramente rara felicità d'in-
spirazione, onde si fece a mettere in atto nella pittura il
sistema dantesco. Imperciocché filosofo e poeta sopra tutti
gli artisti, non altrimenti dal fiorentino, egli cela la sua
idea sotto il sottil velo dell'allegoria; sicché vuoi nell'uso
e nelle forme del simbolismo, vuoi nelle aspirazioni verso
il bello, e in somma in tutto quello che tocca la metafisica
dell'arte, egli ti richiama a mente Platone e Dante. Onde,
anima piena d'immaginazione e di sublimi pensieri, o piut-
tosto spirito contemplativo che non ha chi l'agguagli, il
Sanzio si dà a yedere in tutto lo splendore delle sue facoltà
di poeta e di filosofo nelle stanze del Vaticano, si veramente
che nel Palazzo dei Pontefici di Roma, tempio vero dell'arte,
il genio di Raffaello ha anch' egli mirabilmente incarnata
la sua epopea, ma di certo al potente, ben che lontano
influsso 0 dittatura di comune e cristiana inspirazione di
Dante. E soprattutto nella sala della Segnatura, i cui affre-
schi sono avuti in conto non sol di capolavori dello stesso
sommo artista, ma eziandio d'ultima perfezione dell'arte
cristiana, direni come quasi che palpita, respira e anima
i colori di vita immortale, la tradizione dell'AUighieri. Del
resto par proprio che Raffaello avesse in animo di agognare
al titolo di passionato traduttore della Divina Coraedia;
conciosiaché non si cura affatto di nascondere le sorgenti
alle quali attinse, né quella sua nobile e dantesca parentela
ed origine; anzi raccomanda le sue opere all'alta protezione
di Colui, che gli accese in petto il fuoco nascosto del genio.
Cosi nei quattro grandi affreschi, nei quali si rappresenta •
tutta quanta l' ampia sfera dell' attività, fra i cui recinti
a quei dì si adoperava l' umana intelligenza, cioè la Teologia,
la Filosofia, la Poesia, la Giurisprudenza, non solo come una
seconda creazione vi brilla l' idea di Dante, anzi proprio
essa vi apparisce per ben tre volte l' austera e melancolica
figura di lui, con la sua trista corona in capo. Dapprima
vedi quel caro e venerando viso nell'affresco della Teolo-
gia, ossia della Disputa del santo Sacramento ; poi nell'altro
della Filosofia, vale a dire nella Scuola d'Atene, ed in ultimo
DANTE E LE BELLE ARTI. 347
in quello della Poesia, ossia del Parnaso. Nella prima delle
quali il severo e lungo profilo del fiorentino Exìmio Theo-
logo, fa bella mostra di sé in mezzo ai teologi ed ai dottori
della Chiesa; nelle altre due poi sta con Omero e Virgilio
a formare uno dei lati di quello splendido triangolo, o
direm meglio, una delle persone di quel trino genio ch'ebbe
dettata l' epopea dell' umanità. Inoltre in questa medesima
sala ha pure tale ravvicinamento d' idee simili e lontane,
ma grandi, operato dall'artista, che non possiamo qui lasciar
senza commemorazione. Ed è tale: vale a dire la figura
simbolica della Teologia apparisce un' inspirazione visibilis-
sima del canto xxx, della divina Gomedia; perciocché ha
tutti ì colori di Beatrice. E di fatti il velo bianco, la veste
rossa, il manto verde, e la corona d'oliva, sono quelli pro-
pri coi quali ella apparve al poeta, simboleggiante l'ideale
dell' assoluta bellezza. E basti che tu veda questa divina
creatura, perché tosto ti corrano alla mente que' versi :
Sovra candido vel cinta d' oliva
Donna m' apparve, sotto verde manto.
Vestita di color di fiamma viva. v. 31.
\. Drouilhet de Sigalas, L'Arte in Italia, p. 2. e. 6. - Ogni
volta che nel Canto IV. dell' Inferno dantesco leggiamo quel
concilio di sapienti, siamo forzati a ricordarci della scuola
d'Atene pennelleggiata da Raffaello nella prima stanza del
Vaticano, e quando ci accade di guardar questa, tornaci a
mente la descrìzion dantesca. - Ranalli, Defili Ammaestra-
menti di Letteratura, in. 234. — Ranalli, Storia delle Belle
Arti in Italia, i. H63. - Ampère, Viaggio dantesco, 90. - Rio,
Form, de V art Peinture, eh. viii. ecc. ecc.
TiNTORETTO GIACOMO, ROBUSTI, (u. 1512, m. 1594) E avvi-
siamo particolarmente rimemorare una tavola del Tintoretto,
eh' è di presente a Parigi, nel Museo del Louvre, rappre-
sentante il Paradiso, pensiero, come ognuno può vedere al
tutto dantesco. Nella parte superiore di questo dipinto
splende quell'eterna ed increata luce contemplata dal poeta,
la quale alimenta e feconda sé stessa, e diffonde intorno
infinito splendore : di sotto poi è Gesù Cristo che incorona
la Vergine : vengono appresso gli Apostoli, gli Evangelisti,
i Padri della Chiesa, i Martiri, e i cori degli Angeli, disposti
348 DAME E LE BELLE ARTI.
secondo i loro meriti e distribuiti in giri gerarchici, come
sono descritti dall'Allighieri. La Gloria del Paradiso del
medesimo pittore, che ritrovasi nell'ampia sala del Palazzo
dei Dogi in Venezia, in vasta tela di trenta piedi di altezza,
e àettantaqualtro di lunghezza, è del pari tutta quanta piena
dell' idea di Dante. - Droiiìlket de Sifialas, Id. - Colelll, Illus.
della divina Comedia, xviii.
D'Empoli Giacomo, Chimemi. (nel 1600). - Gli Allighieri
possedevano nella Chiesa priorale di S.Remigio, anticamente
S. Romeo, una cappella gentilizia al lato destro dell' aitar
maggiore. Caduta in proprietà di Nicolò Caddi, lasciava per
testamento a' suoi eredi che vi fosse dipinta una tavola,
rappresentante l'immacolata Concezione della Tergine, 4 e
che se ne togliesse il concetto dalla divina Comedia. L'opera
fu allogata a Jacopo d' Empoli che condusse il lavoro ad
imagine del pensiero di Dante, che nella visione della Ma-
donna, C. xxiii. V. 95 del Paradiso dice:
Per entro ii cielo scese una facella,
Formata in cerchio a guisa di corona,
E cinsela, e girossi intorno ad ella...
Io sono amore angelico, che giro
L' alta letizia che spira del ventre,
Che fu albergo del nostro desiro ;
E girerommi, Donna del ciel, mentre
Che seguirai tuo Figlio, e farai dia
Più la spera suprema, perchè gli entre.
CoRNELius Pietro. Il Cornelius condusse nove disegni
tolti dal Paradiso di Dante eh' ei dovea colorire nel Casino
Massimi in Roma, presso S. Giovanni Laterano. Dì questi
Cartoni così ne parla l'Artaud: Il y a neuf lableaux, l'or-
donnance est sage, les poses sont majesteuses, la composition
a de la verité, les draperies sont amples et bien raisonnées.
.le trouverraìs peut-etre quelque chose de trop vif, dans les
regards des personnages graves, qui ont les uns avec les
autres une ressemblance qu' il faut eviter, mais les visages
des anges sont variés et pleins de charmes. Artaud, Histoire
de Dante Allighieri. Il Batines, l'Ampère, il Druilhel de Sigalas
vogliono che il Cornelius vi avesse pure affrescato i suoi
disegni, ma vi furono invece dipinti da Filippo Weit, perchè
allora da Roma fu chiamato a Monaco, i. Piccarda e Costanza:
Par. C. iii-v.; ii. Giustiniano Imperatore e Romeo: C.v-vi;
DAME E LE BELLE ARTI. 349
HI. Carlo Martello, Cunizza eRaab: C. viii. e ix; iv. e v.
S. Tomaso e S. Bonaventura: C. x-xiv; v. Camagidda: C.
xiv-xviii; VI. David e Trajano: C. xviii-xx. vii; S. Pietro
Damiano e S. Benedetto; S. Macario e S. Romualdo: G.xxi-
xxii; vin, S. Pietro, S. Jacopo e S. Giovanni: C. xxiii-xxvii;
IX. La Ss. Trinità: C xxvu-xxxiii. - Il Cornelius nel 1859,
espose a Berlino i suoi Cartoni, ma I Danteschi furono tra
gli altri applaudi lissimi .
Giuseppe Cook, tirolese, nella ridetta villa Massimi
affrescava pure due grandiosi dipinti: nel primo vi ritrasse
Dante investito dalle fiere, e in un sol quadro tutti i
tormenti dell' Inferno ; nel secondo, Dante con Virgilio alla
porta del Purgatorio, e ivi pure la montagna ove si hee lo
dolce assenzio de' martiri (P^r*/. xxiii. 85), e che dirizza
coloro che il mondo fece torti: Id. iii. 125.
Scaramuzza FraìNCesco. (prof. dell'Accad. di Parma) - Io
non saprei meglio ricordare i dipinti del prof. Scaramuzza,
artista tra valente e gentile, non so qual più, e da lui con-
dotti con rarissimo magistero nella sala della R. Biblioteca
di Parma, che con le stesse parole con che complacevasi
di far pieno il mio desiderio. - » Ivi, per esperimentare un
mio metodo particolare di dipingere a cera sul muro, mi
fu allogata dal Governo di M.Luigia (1842) una parete,
per la quale... accolsi l'idea di rappresentarvi una scena
della divina Comedia, e precisamente quella dell'incontro
di Dante e Virgilio coi quattro altri maggiori poeti della
antichità. Dietro codesto primo saggio mi venne affidala
altra parete della stessa sala, e vi dipinsi il Maestro di
color che sanno sedente tra filosofica famiglia. Parve
non dispiacesse del tutto quel lavoro, perchè di Ti a breve
tempo me ne venne allogata anche la gran volta, e si fu
allora solamente che mi venne pensiero di farne una stanza
che poi dovesse dirsi di Dante, collegando le due scene
già eseguite ad un concetto che non fu, ma che avrebbe
dovuto essere 'primogenito ; che perciò dovei indi usare
ogni mio potere per farlo, a lavoro finito, credere o parer
tale. Come io vi sia poi riuscito, il lavoro è là per essere
da chicchessia giudicato: fatto si è che della parte orna-
mentale giudicai fare come un sunto simbolico della divina
350 DANTE E LE BELLE ARTI.
Comeclia, dipingendovi le qualità parsonificate, che, a mio
parere, più caralierizzano il sacro poema, e così: la Giu-
stizia; la Yerilà; la Storia; la Religione; la Teologia;
r Armonia; la Filosofia e la Satira; poi l'Amor della gloria,
del Prossimo, di Dio, ecc. ecc.: vi simboleggiai l'Inferno, il
Limbo, il Purgatorio ed il Paradiso cui corrispondono nelle
relative parli diversi scudetti con analoghi episodj, e nel
centro della volta, come a bassorilievo, un grande meda-
glione rappresentante il poeta medesimo in atto di suonare
il plettro, nel mentre che implora l' aiuto delle Muse,
dell' alto ingegno, e della Mente che avea scrìtto dò che
avea veduto; indi, per legarmi a quanto era già stato di-
pinto nelle sottoposte due pareti, cominciai dal rappresentare
in uno de' quattro grandi specchi che rimanevano della
volta, la divina Clemenza, che, chiamata Lucia, le incombe
di recarsi da Beatrice ; e di contro. Lucia stessa che invita
e pressa Beatrice al soccorso di Dante: per gli altri due
specchi non mi venne di trovare altro spediente, per non
uscire dalla complessiva unità che mi era proposto che di
rappresentarvi due cori di Angioli e Angioletto; l'uno di
cantori e arpeggiatori che sospendono le loro celesti ar-
monie, mentre parla la divina Clemenza; l'altro, come di
seguito a Lucia, recando fiori ed ulivo in segno di gioia
e di pace, cui la missione della Loda di Dio vera era in
fine per apportare, col mezzo di Beatrice, al travagliato
poeta. - Così passando alle ancor vuote pareti inferiori, potei
raffigurare Dante, quando e come quei che con lena affanata
Uscito fuor del pelago alla riva^ Si volge all'acqua perigliosa,
e guata ... Si volge indietro a rimirar lo passo » .... Di
seguito, quando egli s'incontra in Virgilio, gridando: Mi-
serere..., poi li ho figurati davanti la porta dell'Inferno, dove
Virgilio lo eccita a deporre ogni viltà; vedesi poscia il vecchio
bianco per antico pelo. Gridando: Guai a voi, anime prave...,
e da queste rappresentazioni si viene ai due quadri del
Limbo sovraccennati. - Rimanevano altri minori vani, che
per la lor forma e posizione non ammettevano di continuare
l'argomento, senza manifesto sconcio d'ordine e di unità,
per cui mi decisi di coprirli con qualche altra cosa di
simbolico e di ornamentale allusivo però sempre al soggetto
DAME E LE BELLE ARTI. 351
medesimo ; e così, ai due triangoli o pennacchi della prin-
cipale finestra semicircolare, dipinsi due geni della Fama:
sopra due spazi irregolari che stanno superiormente ad
altre due lìncstre della sala, sono dipinti a basso rilievo,
intrecciati a fogliami, geni della poesia che declamano
suonando la lira, e figure rappresentanti pure l'Inferno, il
Limbo, il Purgatorio ed il Paradiso: in altre due liste
di muro agli angoli della stessa parete ho figurato, nell'una,
i sette vizi capitali; nell'altra, la Fede, la Speranza, la Ca-
rità, la Prudenza, la Temperanza, e la Fortezza ; finalmente
sulla porta maggiore d'entrala è la dedica a Dante, cui
fanno corona de' putti a chiaroscuro, con guindane di frutti
e di fiori.» - La Sala fu condotta a termine nel 1857 : il lavoro
lodatissimo. Pure, mi aggiungeva l'egregio professore Sca-
ramuzza, che ove l'allogagione della sala fossegli subito stala
affidata per intero, se i tempi fossero corsi meno rei alle
arti belle, più grande senza meno ne sarebbe se^guito lo
svolgimento del concetto che avrebbe esteso a tutto il Poema:
d'ordinario, quanto maggiori sono a superarsi le difficoltà
delle opere, l'artista si ratìbrza dì maggiore entusiasmo,
s' ingiganteggia per si dire, e de'suoi sforzi si è anco meglio
disposto ad ottemperarne il giudizio;). (16 Giugno 1861)
YoGEL DI VoGELSTEiN Carlo, La Comeclìa di Dante Alli-
ghìeri (1844) — A ninno, così il mio carissimo amico prof.
Giuliani, nella sua nobile illustrazione di questo dipinto, a
niuno tuttavia era fin qui entrato nell'animo, non dirò
( cosa che sarebbe stata d'impossibile riuscimento) di tutta
dipìngerla in un sol quadro, ma dì prendere a figurarne
quel tanto che bastando all'unità, esprimesse viva l'idea
ed il fine di quel miracolo dell'umano ingegno. A questa
impresa però difficile a condursi, applicossi coli' animo e
cjoìh mano il valente artista e dotto letterato Carlo Yogel
dì Yogelstein. L'amore grandissimo che in luì s'accese
verso il sommo cantore dei tre regni, e che per lunghi e
continui anni andò rinfiammandosi, gliene destò nel pensiero
il gran disegno : e come quegli, cui le forze rinvigorite dal
buon volere pareano bastare a tanto, usò il pennello ad in-
carnarlo : e ciò fece con tanta maestria da maravigliare
ogni più sottile intenditore La tavola architettata,
3o2 DANTE E LE BELLE ARTI.
secondo lo siile di queir eia, presentasi a un dipresso
siccome la facciala del duomo di Orvielo, e in altezza d'un
dieci palmi e mezzo, e in larghezza di otto. Il sollerraneo
del tempio rimane spaccato e aperto in archi avvoltati
sopra quattro pilastri, e su nel piano terreno a giusta
distanza ed in armonica prospettiva dispiegasi. Firenze colla
bellezza del suo orizzonte e colla maestà de' suoi edilizi,
sovrastandole il monte dell'antica Fiesole. L'atrio si con-
forma ad arco soverchiato da un frontone ; quinci e quindi
lo fiancheggiano due colonne intrammezzate da un conve-
niente spazio, e sostenenti da ambe le parli un frontone
minore in grandezza, ma somigliante a quello di mezzo.
Sopra questo s'inalbera la Croce, e nell'altro a destra avvi
in figura di statua il Papa, e nel sinistro è similmente
collocato r Imperatore. E ciò era richiesto, e ben egli, l' in-
signe artefice, seppe valersene a significare che la Religione,
il Papato e l' Impero, le parti guelfa e ghibellina, si furono
le cagioni che potentissime operarono sul divino poema.
Secondo l' ordine e la convenienza di queste parti si ammi-
rano disposti e figurati i soggelti. E Dante, in figura maggiore
di proporzione a tutte le altre, campeggia nel mezzo quasi
rimanesse dentro dell' atrio del tempio, e la sua persona
stesse co' pie sul sarcofago di Beatrice. - L'Inferno è imagi-
nato nella parte inferiore, che al)braccia tre scompartimenti.
ISel primo a destra si finge rAllighieri nellatto che fuggilo
dalla selva ed impedito nel nuovo camino da tre orribili
fiere, s' incontra con Virgilio ; il quale a trarre l' infelice
da un sì mal passo, lo conforta a prendere, ed intanto gliela
viene additando, la via per all'inferno: Inf. i. 90. Nella parte
mezzana lo vediamo già bene Innoltralo nel faticoso viaggio,
ed in quella di essere alle prese con Filippo Argenti: Inf.
viiL 31. Lo strazio, che di costui prendono le genti fangose,
porge a Dante il maggior saggio che delle pene infernali
sì potesse mal. In lontananza mirasi Dite colle sue infocale
torri [Inf. viii. 67), e in disparte è l'Angelo che si muove
ad aprirne l'entrata ai poeti. Neil' ultimo quegli ci appare
tutto pieno di spavento e come abbandonandosi e volendosi
stringere a Virgilio per divellersi dall'abisso. - Il pittore,
usando di quei vani e quasi peducci che si formano dagli
DAME E LE BELLE ARTI. 3ol{
archi avvolgendosi su i pilastri, ci presentò in piccolo ed
in chiaroscuro alcuni dei moltissimi tormentali, di cui è
piena la Cantica' dell'Inferno. Ciò sono, a cominciare dalla
sinistra del riguardatore i peccatori carnali, i simoniaci,
i barattieri ed i ladri. - Le scene del Purgatorio si contem-
plano rappresentate dentro allo spazio compreso nelle co-
lonne; e perocché questo intramezzo distendevasi troppo
più alto che largo, fu acconciamente partito in due. Nel
primo, a manca dèlia pittura, ci ritrae Dante non ancor del
lutto colla persona riuscito all'altro émìsferio, ma già
rivedendo le stelle; in quello di rincontro lo vediamo con-
solarsi al dolce canto di Casella; e nell'altro di sopra e
dalla sinistra, lutto compunto chiedere misericòrdia all'An-
giolo, acciocché gli sia dischiusa l'entrata al Purgatorio:
Purfj. IX. 109. Sulla porta di questo ed in lontana vista
sta ligurato in parte il girone dei superbi: x. 112. Dirim-
petto al quale, ma più basso, ci si rappresenta il fuoco a
elle si rimonda il peccalo di carne (xxlV. 130): e ad una
eguale altezza è il paradiso terrestre, dove Matelda, intrec-
ciandosi una corona di fiori, si fa innanzi al gran poeta:
xxvui. 40. - il frontone destro ci mette in vista il Carro
tirato dal Grifone con in gran parte quelli che lo accom-
pagnavano (xxix. 43; XXX. 73.), e Beatrice, la quale si leva
il velo dalla faccia per iscoprirlà al suo lido amante. Nel
sinistro, tutta lieta e ridente ci si rappresenta la quarta
famiglia [Par. x. e xi.) dell'altissimo Padre. Quello di mezzo
ne invila \m a contemplare la milizia santa intorno intorno
all'eccelso .ti'ono di Maria, e sovrastata 43d illuminata dalla
piena luce che dillbndono le tre santissime- Persone: Par.
xxxii. xxxin. Chi voglia conoBcere le bellezze di questo
mirabile dipinto legga per disleso il Ragionamento succen-
nato del Prof. Giuliani, Alcune prose, ecc. Genova, Ferrando,
1851, pag. 57-109.
— PJpmdes principanx du Faust, de la Divine Comédie
et de VEnéide de Vìrgile, avec Introduction ou texte cxplì-
catif. Munich, Libraire E. A. Flcischmann, 1863.
Tra il gentilesimo di- Virgilio e la filosofia del secolo di
Goethe, cioè tra T antichità e l'evo moderno, Dante merita-
mente in sulla tomba di Beatrice s'asside, e sta nel mezzo,
VOL. II. 83
354 DANTE E LE BELLE ARTI.
cantore e maeslro airurnanilà della sola strada per cui le
fia dato di cogliere il meglio possibile nella presente ed il
perfetto e non più perituro della vita eterna. Chi non dirà
pertanto sapientissimo il concetto dell'insigne artista e pit-
tore Cav. Vogel di Vogetstein, che per dar risalto e mettere
in evidenza la santità e prevalenza del principio cattolico
e dell' insegnamento teologico ha voluto e saputo ravvicinare
al cantore del cristianesimo quello dell'antica Roma e della
moderna Germania? Fausto, nel mezzo di un'ancona, distri-
buita a comparti gotici, che resta abbarbagliato dalla luce
superna, di cui non sostiene lo splendore, mentre d'attorno
sono bellamente rappresentati i fatti principali di quel poe-
ma ... La seconda, nel modo stesso fa veder Dante affissato
con franche pupille nella divina luce che gli piove dall'alto,
e trionfa nel mezzo dei quadri principali della sua trina
canzone: la terza, scompartita in forma di stile romano,
mostra nel mezzo l'incendio di Troia, Enea che fugge, e
spiegata nel contorno tutta la pompa dei fatti principali
scolpiti nell'insuperabile Eneide... Fatto confronto tra il
concetto filosofico di Goethe, il teologico di Dante ed il
pagano di Virgilio ci sarà forza ammirare nel gran toscano
quel sole in pien meriggio che tutti in sé concentra i raggi
della teologica luce
e del vigor del cielo il mondo impreota.
Filippo DJ Scolari, Yen. 19 Marzo 1862 - V. Gaz. Yen. 3.
Apr. 1862.
Bertini Giuseppe, milanese (1852), -Dante, grande ve-
triera colorata. - « Essa è ordinata in modo da poter ap-
plicarsi ad un grandioso fenestrone archiacuto, che misurato
orizzontalmente fino allo svoltar dell'arco, abbia la larghezza
di 2 metri, e 7 di altezza dalla serraglia dell'arco, perpendico-
larmente alla base. Il soggetto è una rappresentazione alle-
gorica al più grande dei poeti italiani, a Dante; ed è
spartito in quattro campi principali, tre de' quali si alzano,
quasi tre liste perpendicolari, dalla base, e vanno divisi
dalle barre che volgonsì ad arco-acuto sopra ciascun d'essi,
lasciando poi formarsi un quarto campo nello spazio com-
preso nel timpano dell' arco ... E ben la sventura sta tutta
sulla nobile fronte di Dante del Bertini. Egli occupa il campo
DAME E LE BELLE ARTI. 355
largo delle liste laterali. Tiensi di faccia, ed è seduto su
d'un magnifico stallo di pietra, ricco di dilicate colonnette
e di leggieri musaici, sormontato da un elegante pinacolo
tutto a trafori svariati. Leggermente inclinato in avanti
colla parte superiore del torso, sulle sovrapposte ginocchia
il poeta protende ambe le braccia; le mani si congiiingono
posate sui fogli staccati del suo poema, mentre lo stilo
inerte s'intreccia nella destra; pur quasi in atto di vergare
uno di quei tremendi versi che il rimpianto della terra na-
tale strappa all'esule e che i secoli venturi si tramandano
come un eco di maledizioni. Un ampio lucco violaceo gli
involge il corpo, e sopra, una cappa scarlatta che in larghe
pieghe gli cade lungo il basso dello stallo e s'adagia sotto
ai piedi, che sporgono insieme con tutto lo stinco dello
sparato del lucco con tale perfezione di disegno, che par
di vederle agitarsi convulse. Il capo è coperto da un bianco
cappuccio, ricinto del becchetto, come lo vediamo nella
imagine giovanile, opera di Giotto, da pochi anni trovata
in Firenze. Anche nei lineamenti è serbato in gran parte
questo singoiar tipo, onde ci sorse una più vera e spiri-
tual idea delle forme del poeta di quello che ci traman-
dassero le consuete imagini arcigne e contratte della sua
ultima età. Nel suo complessivo atteggiarsi, nella semplicità
grandissima delle linee che lo disegnano allo sguardo, avvi
un non so che di colossale ed imponente che par proprio
il leone quando si posa. Il labbro si pronuncia a sdegno, le
nari si gonfiano d' ira, e lo sguardo grande, acuto, fiam-
meggia sotto l'ombra dell'occhiaia profonda, e s'affisa:
in chi? No, non è né volto al cielo, né chino alla terra;
par ch'egli s'intenda in alcuna tremenda cosa, sull'estremo
orizzonte, par che una lagrima gli righi la gota: certo ei
sogna la patria perduta. - Nello scomparto perpendicolare,
a sinistra del poeta, é la sua donna. Posta su d'un piano
più basso, e ritta della persona, sta in alto di muovere il
passo, raccogliendo la lunga veste cremesina ed il ricco
mantello broccato in oro, ma con piglio cosi gentile e con-
tegnoso che non oserebbesi dubitare di vedersi dinanzi la
giovinetta figlia di Folco Porlinari, quando tenne il cuor
di Dante, prima chW fuor di puerizia fosse, ech'eglican-
3o() DAME E LE BELLE ARTI.
tava ne' suoi primi versi qual cosa venula dal cielo per
mìracol mostrare. Essa è una figura indescrivibile nella sua
verginal limpidezza, nella sua posa soavemente tranquilla;
e la luce che la irradia lulla di rimbalzo, comecché essa
le venga dietro la spalla destra, v'aggiunge un'aria di
mistero e di grazia incomparabile La sua Malelda fa
degno riscontro alla Beatrice; è quasi il secondo genio tu-
telare del poeta, quello per cui andò mondo d'ogni labe
nel ruscello di Lete. Essa è raffigurata, come il verso della
leggenda: cantando e scegliendo fior da fiore, e muove di
fianco, come chi mette piede, appena innanzi piede, alzando
il capo nell'estasi del canto, e mentre colla sinistra mano
sostiene in grembo della verde vesta, trapunta di bianche
stelle, i fiori già raccolti, stende, quasi astrattamente, la destra
al gambo d' un lussureggiante papavero, in atto di spicear-
nelo. - Nel quarto campo principale che si apre, come dicem-
mo, nella sommità del timpano, sta seduta la regina del celeste
regno, in bianche vesti; sostiene nella destra il mistico giglio,
ed ai fianchi di lei uno stuolo volante d'angeli devoti si
china, cantando le sue lodi. Havvi tale una semplicità, ed
una convenienza di concetto e di forme in questo gruppo
che appare di primo tratto, come il Bcrtìni, nell'alto di
delinearlo, s'inspirasse direttamente nelle tavole del beato
da Fiesole. Quasi poi a dividere e scompartire all'occhio
questi quattro campi, corrono lungo le aste perpendicolari
dei tralci che vengono ad attortigliarsi sopra le figure e
formare dei sottoarchi acuti e ad incrociarsi di nuovo in
diversi sensi, dando così origine nel timpano a diversi spazii,
a segmenti acuti, a nodi e gruppi donde spiccano e si svol-
gono fogliami a lembo ottusamente intagliali, ripiegandosi
in graziosi modi, come li vediamo attortigliarsi lungo i
frontini dei monumenti del XIV secolo. L'artista seppe ben
anche trar parte dagrinterstizii lasciati nelle spire superiori
di questi meandri: sopra la Matelda s'apre in piccolo spazio
l'aspetto infocato della città di Dite, e poi verso il nasci-
mento dell'arco si tiene, in piccola figura, S.Domenico;
dall'opposto lato, corrispondono l'incontro delle belve nella
selva selvaggia, ed 11 Serafico d'Assisi; nel mezzo a solo
chiaro-scuro, è il poeta caduto pel racconto di Francesca.
DANTE E LE BELLE ARTI. 357
In Ionio intorno a tu ila la forma della vetriera corre una
larga zona a rosoni quadrilobali, alterni con un dentello
nero su fondo cremesino, che serra, quasi cornice, tutta
insieme questa composiziouc ...» MoìKjerl, Crepuscolo di
Milano, N.*' 4. 1853. - È questa l'opera più bella, scriveva
I. Cantù, e piìi commovente che sia slata commessa alla
lucida superlicie del vetro. Traeva la moltitudine milanese
a veder questa aftettuosa rappresentazione del più gran
poema e del più gran cantore italiano, e ammirare come
un ' giovine, poco oltre i venti anni, avesse saputo in-
terpretarlo così potentemente. Anche a Londra il lavoro
del giovine italiano arrestava la comune attenzione, e Blan-
qui con un semplice ma entusiastico aggettivo lo chiama-
va vetro stupendo. Così l'Italia avea mandato a gareggiare
nobilmente un saggio dell'arte rinata coi saggi che vi
mandò la fabbrica di Parigi e quella ancor più meravigliosa
di Monaco- - Y. il Sonetto del Cav. A. 3Ialfei a Giuseppe
Berlini, quando recava all'esposizione di Londra l'apoteosi
di Dante da lui smaltata sul vetro. ( Versi edili ed inediti
1.81).
BiGiOLi PROF. Cav. Filippo. Galleria Dantesca, o la di-
vina Comedia interpretata dalla pittura. — Quante sono
nazioni educate al culto delle lettere e dell'arte tradussero
e comentarono nel proprio idioma la Divina Comedia di
Dante Allighieri, che a buon diritto si appella il poeta uni-
versale, il poeta dell' umanità. Siccome però ai commenti e
alle versioni non è dato dì parlare alle moltitudini, così a
popolarizzare quell'immenso poema, si è volulo che la pit-
tura pagasse anch' ella il suo tributo di ammirazione al
cantore dei tre regni. Quest'opera difficile ed interessante,
ideata e condotta a termine con gravi dispendii e fatiche
dal cav. Romualdo Genlilucci, venne confidata al valore
artistico del prof. Filippo Bigioli, che inventò e disegnò i
27 grandi quadri (metri G per 4) coloriti dal medesimo,
dal eh. prof. Chierici di Modena, dal rinomato Vincenzo
Palìotli di Napoli, dal Grandi, dal Guerra ed altri distinti
artisti. La Divina Comedia pertanto, il poema che fu germe
di civiltà e sarà sempre la meraviglia dei secoli, è stalo
compendiato ne' seguenti argomenti.
358 DANTE E LE BELLE ARTI.
Jnf. I. Dante smarrito nella selva. — Grandi Fran-
cesco.
II. Dante alla vista delle tre belve. — Pa-
liolti Vicenzo.
III. Dante e Virgilio alla porta dell' Inferno- —
Gìierra Achille.
IV. Caronte al tragitto dell'anime. -- Paìiotti
Yicenzo.
V. Gli spiriti magni ai campi Elisi. — Grandi
Francesco.
VI. Giudizio di Minosse. — Guerra Achille.
VII. Paolo e Francesca nella bufera. — Bifjioli
cav. Filippo.
vili. Ciacco fra gl'ingordi. — Palloni Vicenzo.
IX. Strazio di Filippo Argenti. — Biffioli cav.
Filippo.
X. L'Angelo che sgrida i demoni dì Dite. —
Cherici prof. Alfonso.
11. L'Arche di Dite e Farinata. — Grandi
Francesco.
XII. Capaneo fra i violenti contro Dio. — Cherici
prof. Alfonso.
Xiii. Furore dei demoni acquetali da Malacoda. —
Paliolti Vicenzo.
XIV. Gl'Ipocriti e Caifasso. — Guerra Achille.
XV. Bertram dal Bornio. — Guerra Achille.
XVI. Ugolino e l'Arcivescovo Ruggieri nell'Ante-
nora. — Grandi Francesco.
XVII. Lucifero nella Giudecca. — Guerra Achille.
Para. XVIII. Virgilio e Dante innanzi Catone. — Grandi
Francesco.
XIX. La nave governata dall'Angelo. — Paìiotti
Vicenzo.
XX. I due poeti e le anime intente al canto dì
Casella, — Chierici prof. Alfonso.
XXI. Dante sogna l'aquila d'oro. —
XXII. L'Angelo a custodia del Purgatorio. — Che-
rici prof. Alfonso.
XXIII. I superbì caricati di pietre.— Guerra Achilli.
DAME E LE BELLE ARTI. 359
XXIV. Matilde nel paradiso terrestre. —
XXV. Il carro (ii Beatrice. — Grandi Francesco.
Par. XXVI. Il trono della Vergine. — Paliotti Vicenzo.
XXVII. Il trionfo della Divinità. — Paliotti Vicenzo.
Dì questa Galleria dantesca, oltre la Minerva Romana,
V Album e V Eplacordo, giornali artistici letterari! di Roma,
ne portarono favorevolissimi giudizii i rinomati professori
Podesti, Gagliardi, Coqhetti, Consoni, Gnaccarini, Brodsky
Wolf, Porcelli, e' Ormerville, de Paris, Lavalleri, Capalli.
Gaspare Mastini raccolse tutte queste autorevoli opinioni
in un libro che gli piacque intitolare Giornale della Gal-
leria Dantesca, Roma, Aureli 1861. - E fu veramente un
giorno festivo per Roma il 7 Feb. 1861, in cui dinanzi al
sacro Collegio, al Municipio romano, alla Prelatura, agli
artisti che compongono la Pontificia Accademia di S. Luca,
e l'insigne Congregazione dei Virtuosi al Panteon, e al fiore
della nobiltà romana venne per la prima volta nella Bi-
blioteca del palazzo Altieri esposta la Galleria Dantesca. -
E l'Accademia pure dei Quiriti, nell'adunanza solenne del
21 Aprile 1861, in che ha per costume di celebrare il
natale di Roma, regina dell'arti, volle festeggiato il sommo
poeta italiano, e convenne ad applaudire le stupende conce-
zioni pittoriche che compendiano i sublimi suoi versi. « Ben
cinquecento persone assistevano a tale straordinaria ed in
vero imponente festa, che chiamiamo dantesca . . . Allo
scuoprirsi di ciascuna tela, o meglio nei 27 quadri che
compendiano il poema dell' Allighieri, furono recitate altret-
tante composizioni poetiche, allusive ognuna al quadro che
si mostrava »... Questa Galleria dantesca che costò al suo
proprietario cav. Genti lucci oltre 150 m. lire, imprenderà
il giro delle principali città di Europa. - I gran quadri, con
facile meccanismo, nello spazio di due ore, si svolgono
l'uno dopo l'altro, sotto una colossale cornice senza inter-
ruzione.
TELE AFFRESCHI E SCUITLRE
IL CUI SOGGETTO È PRESO DALLA DIVINA COMEDIA (D
FiletU Giulio, dì Messina, Dante nella selva [Inf. i.) ; Prima
espos. Hai. in Firenze, 1861.
3forfihen Antonio, Dante impaurito per V incontro delle
tre fiere {Inf. i. 31); Esposiz. firentina, 1836.
Bisi Giuseppe, Selva con Dante e Virgilio, [Inf. i. 61.)
(1) Lcs nrtistes se sont toiijours phi à reconnaìtre un frère dans
le plus pla«t,ique des poètes, ils ont aimé à luttor avec la majjìe colorée
de ses paroles et le dessin si précis et si fier deses tercets: lutte difficile
et dangereu?e, et d' où est sorti vaìnqueur la plupart du temps le poète,
qui n'avait cependant, pour combattre contre les puissans moyens niaté-
riels dont dispose l'artiste, que le armes en apparence abstraites de le
parole et du rhythme. Dante interesse les artistes non-seulement comme
les intcressent les autrés poètes, en tant qu'hommes doués du sens du
heau et prédisposés par les habitudes de leur profession àie sentir sous
!es formes diverses dont peuvent le revétir les arts rivaux de celui qu'
ils exercent, mais en tant qu' tiommes de niétier, en tant que peintres et
sculpteurs. Ils l' interrogentavec curiosité, comme s'il avait àleur révéler
quelque secret important sur leur art, tant ses procédés poétiques et ses
méthodes leur paraissent analogues aux leurs, Ils trouvent dans ses visions
tliémes les mieux appropriés à leur inspirations. Il leur semble qu' en
s'emparant d'un de ses épisodes, ils n'aient qu'à faire une transcription
lìdèle et correcte de ses paroies pour composer une oeuvre qui satisfasse
à toutes les exigences de la peinture ou de la sculpture. Us sentent que
leur seul danger dans une telle transcription est de parler moins forte-
ment aux yeux par les lignes et les couleurs que ne parie le poète par
iaseule force de son discours, et que, malgré les moyens dont ils dispo-
sent, ils doivent craindrede ne pouvoirsurpasser l'expression pitloresque
de ses tableaux. Qu'est-ce que la sculpture peut ajouter en effet à l'at-
titude que le poète a donneo dans un seul vers à Sordello ;de Mantoue ?
Et que pourrait ajouter ia peinture la plus dramatique à l'expression de
Farinata se dressant dans la fantasmagorique clairobscur de sa fosse
aulfureuse, et regardant autour de lui comme s'il eùt eu l'enfer engran
roèpris ? Vou$ voyez de queis points extrèmes Yìcnnent les adrairatcurs de
DANTE E LE BELLE ARTI. 361
Sìgnol Emilio, di Parigi, Beatrice discende dal cielo e
viene a Virgilio, perchè muova a soccorso di Dante impe-
dito nella selva, onde ne resti consolata [hf. ii. 32); Esposiz.
iiniv. di Parigi, 1855.
Dies Cesare, di Roma, Lo stesso soggetto; I.'^ Espos. ital.
in Firenze, 1861.
MancineUi Giuseppe, Dante e Virgilio alla porta d'In-
ferno ilnf. III. 1); Esposiz. napol. 1833.
Flandria... Lo stesso soggetto; Esposiz. di Parigi, 1853. -
Appartiene al Museo di Lione.
Consoni A'icolò, di Roma, Dante al Limbo {Inf. iv.). Di-
pinto illustrato da C. Correnti, V. Gemme d'arti Italiane,
A. IV. 1848.
Degli Antoni prof. Andrea, di Palermo, Gli Spiriti Magni
{hf. IV. 85); Esposiz. fir. 1842.
Mainardi Tommaso, Lo stesso soggetto: Dipinse in Roma.
Triqueti Enrico, di Conflans, Dante presentato da Virgilio,
al poeta sovrano e agli altri sommi che gli fanno corona,
sicché fu sesto tra cotanto senno {Inf.w.^^); Bassorilievo
in pietra dura; Esposiz. di Parigi, 1847.
Delacroix Eugenio, Lo stesso soggetto. Affresco nella
cupola della Biblioteca della Camera dei Pari.
Degli Antoni prof. Andrea, Il Giudizio di Minosse, {Inf.
v. 4); Prima esposiz. ital. di Firenze (L. 18750).
Bezzuoli Giuseppe, Francesca di Rimini {Inf. v. 73); E-
sposiz. (ir. 1816.
Jngres Giovanni Augusto Domenico, Lo stesso soggetto:
dipinse in Roma nel 1819. Appartiene al co. Turpin di
Crlssé - Esposiz. univ. di Parigi, 1855.
Monti Nicolò, Pistoiese, Lo stesso soggetto: percommis-
Dantc, à combien d' inlelligcnces ii sait parler, de combien de publies
en un mot s'est grossi pour lui le public déjà si vaste des grands poétes.
Aussi, panni Ics cortéges qui accoinpagnent à travers Ics siécies les
grandes renommées, n'y en a-t-il pas de plus imposant, de plus yarié et
qui fassc penser davaiitage aux poinpes royales. James eulte poétique
n'a élé célèbre par des mains plus diverses, et n'a recontré de croyans
de races plus opposées, plus enncmies, plus éloignées les unes des
autres. » Emile Montègut, Une interprelation de Dante, Revue dee deux
Moades, lì> >ov. I8(il, p 43o,
368 DANTE E LE BELLE ARTI.
sione di Luigi Faufuel di Livorno. Fu disegnalo dal Gozzini,
ed inciso dal Soldani.
Piattoli Gaetano, Lo stesso soggetto; Esposiz. fir. 1820.
Cataneo Felice, Lo stesso soggetto ; Esposiz. mìl. 1826.
Fraschieri cav. Gius., di Savona, Lo stesso soggetto; Esp.
mil. 18'2(); Prima Esposiz. ital. 1861: Appartiene al Marchese
Ala Ponzoni.
Fournier Francesco, Lo stesso soggetto, Due miniature ;
Esposiz. fir. 1628.
' Busi Cesare, Lo stesso soggetto ; Esposiz. mil. 1831.
Liverati Carlo Ernesto, Lo slesso soggetto; Esposiz. fir.l833.
Schejfer Ary, Olandese, Lo stesso soggetto; Esposizione
del Louvre, 1835; Riprodotto nel 1855, a M.me Mariolin
Scheffer. - Cesi une repetion nioins chaude du couleur,
mais plus serrée de dessin et de modéle falle per Scheffer
lui-méme et à la quelle il travallait encore dans ses derniers
annees de l'originai qui fui aclielé 43,000 fr. à la venie
du due d'Orleans. « Burly, Gaz. des beaux-arts, 1859. p.58 -
La Francesca di Rimini couronnail pour Ary Scheffer la
seconde pliase de sa vie d'artiste... Ah que ne puis-je ici,
comme lorsqu'elle parut au Salon de 1835, apprecier ainsi
qu'elle le mèrito celle dernière composilion la plus com-
plète et la plus perfaile que Scheffer ail lassèe parmi celles
du méme genie et du méme lemps... 7rf. -Ampère lo dic^
un quadro che lutto arieggia una delicata poesia: il De
Sigalas, dipintura piena di tanto affetto che ben si può
«enlire e non esprimere a parole, e che di lei spira tal
poesia che proprio li mette nel cuore le medesime commo-
zioni che sentiresti alla lettura di quel canto dell'Allighieri. -
Incisa da L. Calamatla, di Civitavecchia; Esposiz. univ. di
Parigi, 1855 - Miniatura, dal dipinto dello Scheffer di Gius.
Gaye dì Tarbes; Esposiz. univ. di Parigi, 1855.
Corpiaìii Angelo, Torinese, Lo slesso soggetto; Esposiz.
ter. 1838;
Cosmi Condulmieri Cosimo, Lo slesso soggetto; dipinse
nel 1839.
Decaisne..., Lo slesso soggetto; Esposiz. del Louvre, 1841.
Monti Enrico, Lo stesso soggetto, Esposiz. mil. 1842.
Franchi Romualdo, Lo stesso soggetto; Esposiz. fir. 1844.
DANTE E LE BELLE ARTI. 365
Farina Achille, Lo slesso soggetto; Esposiz. fìr. 1845.
Descoudres di Duffeldolf, Lo stesso soggetto; E&posìz.
univ. di belle arti dì Bruxelles, 1851.
Pelavero Gitiseppe, Lo stesso soggetto, Esposiz. mil. 1832.
De Laderèze, dell'Accad. di Pietroburgo, Lo stesso sog-
getto, Esposiz. ven. 1852.
Giuliano Francesco, Lo stesso soggetto; Esposiz. tor. 1856.
Carlini Giulio, Lo stesso soggetto; Esposiz. ven. 1857.
Baccaccini Francesco, Lo stesso soggetto, copia a tempera
sopra pergamena di un quadro, ecc. ; Esposiz. mil. 1858.
Di Fauveau Felicita, Lo stesso soggetto. Gruppo in mar-
mo , presso il Co. Pourtalés di Parigi.
Etex Antonio, di Parigi, Lo stesso soggetto. Bassorilievo
in marmo; Esposiz. univ. di Parigi, 183 L
Motelli Gaetano, Lo stesso soggetto. Bassorilievo in
marmo; Esposiz. univ. di Londra, 1852.
Munro A., Inglese, Lo stesso soggetto, Gruppo in marmo;
Esposiz. univ. di Parigi: Proprietà di Lord Gladstone.
Buzzi Leone Luigi, di Milano, bassorilievo in marmo,
prima esposiz. di Firenze, 1861.
Yogel de Vogelstein prof. Carlo, Lo stesso soggetto: E
caddi come corpo morto cade. ~ Questo soggetto fu per ben
due volte eseguito dall' illustre pittore, e 1' uno di questi
dipinti è posseduto da* S. M. la Regina di Sassonia, l'altro
da un signore Russo a Kieff.
Robert v. Langer, di Monaco, Lo stesso soggetto, 1838.
11 Robert v. Langer, come mi scrisse il chiaris. de Vogelstein,
condusse altri soggetti tolti dalla divina Comedia.
Delacroix Eugenio, n. a Charenton-Saint-Maurice.,DdiTìiQi
e Virgilio che attraversando la morta gera nella barca di
Flegias veggono il supplizio di Filippo Argenti ilnf. viii. 31);
Esposiz. di Parigi, 1822, e univ. 1855. - Appartiene al Museo
di Luxembourg - Cette composition, d'un aspcct saisissant,
et qui resterà dans l' oeuvre du maitre conime une des
pages Ics plus saillantes, fit sensation au Salon de 1822...
M. Thiers, chargé dans le Constitutionnel de la critique du
Salon, devina dans ce tableau d' un jeune homme inconnu
tout un gloricux avenir, et cette prophétie, entre plusieurs
autres, est une des bonne» forlunes de cet esprit sagace.
3G4 DAME E LE BELLE ARTI.
« Aucun tableau, dit-il, ne révèle mieux à mon avis,
l'avenir d'un grand peintre que cclui de M. Dclacroix.
C est là surtout qu' on peut remarquer ce jet du lalent,
cet élan de la supériorité naissanle qui raninie les espéran-
ces un peu découragées par le mérite trop niodéré de tout
le reste... Il y a là l'égoisme et le désespoir de l'enfer. Dans
ce sujet, si voisin de l'exageration, on troùve cependant
une sévérité de goùt, une convenance locale en quelque
sorte, qui relève le dessin, auquel des jugtìs sévères, mais
peu avisés ici, pourraient reproctier de manquer de noblesse.
Lepinceau est large et ferme; la couleur simple et vigou-
rcuse... A.J. du Pays, lllustration, 1852, Y. XX. p. 206, Y.
JllustruUon, 1855, n. 643. - li De Sigalas la dice una delle
più belle tele del Delacroix - Pittura in porcellana dal
quadro di Delacroix, Devcrs Giuseppe di Torino; Esposiz.
di Parigi 1850; Esposiz. univ. di Parigi, 1855.
Espalter Giovanni, Spagnuolo, Lo stesso soggetto; Esposiz.
fìr. 1825.
Barucco Felice, Lo stesso soggetto. Esposi/, lorin. 1852.
Allori Alessandro, Bronzino, Farinata degli Uberti (Inf.
X. 31); Palazzo dei Co. della Gherardesca di Firenze.
Calamai Baldassare, Lo stesso soggetto; Esposiz. fir. 1825.
Sahatelli Giuseppe, Lo stesso soggetto, per commissione
di Nicolò Puccini, poi ceduto al Granduca di Toscana che
lo acquistava dal Sabatelli per scudi due mila. Quadro
illustrato dal Guerrazzi, Oraz. funebri, p. 167.
Dall'Acqua Cesare, Lo stesso soggetto; Esposiz. ven.
1852.
Lima Beniamino, n. a Blobimeheim, Alto Reno, Lo stesso
soggetto; Esposiz. univ. di Parigi, 1855.
Patlen G., di Londra, Dante accompagnato da Yirgilio
riconosce tre suoi concittadini (Guidoguerra, Tegghiaio,
Rusticucci [Inf. xvl 15); Esposiz. univ. di Parigi, 1855.
Bompiani Boberlo, Bomano, Yirgilio e Dante trasportati
dal Gerione {Inf. xvii. 79); Esposiz. univ. di Parigi, 1855, e
prima Esposiz. Hai. 1861. - 11 Yasari ricorda come si fosse
fatta una Girandola rappresentante Gerione con Virgilio e
Dante addosso, siccome da esso Dante si dice neW Inferno:
Yasari, x. 175.
DANTE E LE BELLE ARTI. 365
Anonimo, C. xxii. dell' /n/". Miniatura da un codice della
Laurenziana, fotografata dall' i/?nari, di Firenze.
Reynolds, inglese, il Co. Ugolino, i Inf. xxxui. 1) - É
tenuto pel capolavoro del Sig. Reynolds. Lo comperò per
10 m. franchi il Duca di Dorsel, che lo conserva nella sua
villa di Knowle. INel 1774 fu inciso in mezzatinta dal Discon,
e poi in bulino dal Raimbach.
Marsicfli Napoìitano, Lo stesso soggetto.
Banfi Antonio, Lo stesso soggetto ; Esposìz. mil. 1828.
3Jiriìiara Cav Lo slesso soggetto, dipinto su stoffa
serica; Espos. tor. 1832.
Biotti Giuseppe, Cremonese, Lo stesso soggetto ; Esposiz.
mil. 1832. - Su questo applauditìssimo dipinto furono dettati
moHi articoli che poi furono raccolti in un solo opuscolo
dal Manin di Cremona. Fu inciso da Cesare Ferrari. Il
Diotti riproduceva questo suo dipinto; l'uno dei quali è
conservato nella Galleria Tosi di Brescia, l'altro nella Gal-
leria Uboldo di Milano.
Bezziioli Giuseppe, Lo stesso soggetto; fu dipinto nel
1835 ; ed ora è posseduto dal prof. Orazio Greenouch, scultore
americano.
Calamai Baldassare, Lo stesso soggetto; Esposiz. fir. 1838.
Gualdi Antonio, Lo slesso soggetto; Espos. milan. 1838.
Scaramuzza Francesco, Lo stesso soggetto; Esposiz.
mil. 1838. - Il pittore ha rappresentata la dolorosa scena
nel punto a cui accennano i versi di Dante: Ond' io mi
diedi Già cieco a brancolar sovra ciascuno.
Pinet Claudio, Lo stesso soggetto ; Esposìz. mil. 1838. -
Di questi tre dipinti, esposti nel 1838 in Brera a Milano, ne
parlò la Biblioteca Italiana, fas. xci. 107.
Cosmi Condulmieri Cosimo, Lo stesso soggetto; dipinto
nel 1839.
Benvenuti Pietro, Aretino. Lo stesso soggetto; Espos. (ir.
1843. - É posseduto dal Co. della Gherardesca, e fu ripro-
dotto a Parigi in litografia.- Y. Selvatico, Arte ed Artisti,
p. 13.
Farina Achille, di Faenza. Lo stesso soggetto; Esposiz.
fir. 1845.
Sereno Costantino, Lo stesso soggetto; Esposiz. lor. 1745.
366 DAxNTE E LE BELLE ARTI.
i}fontebu(jnolo Pietro, Lo slesso soggetto, Mezza figura,
opera premiata dall' Accad. di Bologna, al piccolo Concorso
Curlandieri, 1843.
Pierino da Vinci, Lo slesso soggetto, - Ei messe mano
a fare una storia di cera, per gettarla di bronzo, alta più
d'un braccio e larga tre quarti, nella quale fece due lì-
gliuoli del conte morti, uno in atto di spirare l'anima, uno
che vinto dalla fame è presso all'estremo, non pervenuto
ancora all'ultimo liato, il padre in atto pietoso e miserabile,
cieco, e di dolore pieno, va brancolando sopra i miseri
corpi de' figliuoli distesi in terra. Non meno in questa opera
mostrò il Vinci la virtù del disegno, che Dante ne' suoi
versi il valore della poesia; perchè non men compassione
muovono in chi riguarda gli atti formati nella cera dalle
sculture, che faccino in chi ascolta gli accenti e le parole
notate in carta vive da quel poeta. E per mostrare il luogo
dove il 041S0 seguì, fece da pie il fiume d'Arno, che tiene
tutta la larghezza della storia, perchè poco discosto dal
tìume è in Pisa la sopraddetta torre; sopra la quale figurò
ancora una vecchia ignuda, secca e paurosa, intesa per la
fame, quasi nel modo che la descrive Ovidio. Finita la cera,
gettò la storia di bronzo, la quale sommamente piacque,
ed in corte, e da tulli fu tenuta cosa singolare. » - Vasari,
Vile, Voi. X. 287. - Questo bassorilievo fu per alcuni erro-
neamente attribuito a Michelangelo, e col suo nome fu dato
inciso nel V. HI della serie dei Ritratti o Elogi degl'illustri
toscani al n. 5, poi da A. Zobi. Il Batines lo dice di Nicolò
detto il Tribolo. Si conserva nel palazzo del Co. della Ghe-
rardesca, presso la porta a Pinti.
Bongiovanni Salmtore, Lo stesso soggetto. Bassorilievo
in gesso; Esposiz, fir. 1837.
Gibertini Il Co. Ugolino, Automa.
Daìla Torre Co. Torquato, di Verona, Gaddo, uno dei
Ogli di Ugolino, in atto di gittarsi a' piedi del padre, di-
cendo: padre mio che non mi aiuti? Statua in marmo;
Esposiz. unìv. di Parigi, 1853.
Dorè Gustavo, Dante e Virgilio nel nono cerchio dello
Inferno che visitano i traditori condannati al supplizio della
ghiaccia {Inf. xxxui.); Esposiz. di Parigi, 1861.
DANTE E LE BELLE ARTI. S67
Curzon .... Mentre Dante e Virgilio sono tuttavia sul
lido, pensando a lor cammino, veggono venire una navicella,
governata da un Angelo, che sbarca una moltitudine di
anime destinate al Purgatorio ( Purg. ii. 10 ) ; Esposiz. del
Louvre 1857. Appartiene al Museo di Lussemburgo.
Zanobi Canovai, Dante che prega Casella che canti e Io
ìnebbri di melodia, com'era uso di fare al mondo dei vìvi.
Soggetto messo a concorso di pittura dall'Accad. di Firenze
nel 1855 {Purg. ii. 106).
Borzino Ulisse, Dante alla spiaggia del Purgatorio : Ecco
V angel di Dìo, piega le mani... ; Esp. genov. 1848.
Meli Giuseppe, Dante che incontra Manfredi nel Purga-
torio [Purg. HI. 103) ; Esposiz. fir. 1838.
Rai Pietro, di Vicenza, 11 cadavere di Manfredi, ricono-
sciuto da' suoi famigliari alla presenza di Carlo d' Angiò
{Purg. III. 103); Prima esposiz. ital. 1861.
Bezzuoli Giuseppe, Lo stesso soggetto ; Prima EsposiziODC
italiana, 1861: Appartiene al Co. A. Demidoff.
Valaporla Francesco, Manfredi re di Sicilia sconfitto da
Carlo d'Angiò, ed ucciso nella famosa giornata di Benevento.
Le sue ossa per ordine dell'Arcivescovo di Cosenza sono
diseppellite, e gittate sulla sponda del fiume Verde; Espos.
lor. 1864.
Lamherlini Michele, La morte dì Jacopo dal Cassero,
{Purg. v. 64): Nella Pinacoteca di Bologna.
Smergiassi del Vasto Cav. Gabriele, di Napoli, L'Angelo
che s'impossessa dell'anima di Buonconte da Montefeltro,
e scaccia Satana {Purg.v. 88); Prima esposiz. ital. 1861.
Acquistato da S. M. Vittorio Emanuele li. Re d'Italia.
Vogel de Vogelslein prof. Carlo, Lo stesso soggetto: Tu
te ne porti di costui l'eterno Per una lagrimetta che '/ mi
toglie; Ma io farò dell'altro altro governo: Purg. v. 107.
(1804).
Pellaveri Gaetano, La Pia de' Tolomeì ( Purg. v. 133 ) ;
Esposiz. rail. 1854.
Rizzi Lodovico, Lo slesso soggetto; Esposiz. ven. 1855.
Giara* Francesco, Lo stesso soggetto; Esposiz. tor. 1855.
Adcmollo Carlo, Lo slesso soggetto; Esposiz. fir. 1857.
Gastaldi Andrea, Lo slesso soggetto; Esposii. lor. 1857.
368 DANTE E LE BELLE A!\T1.
Vertuno Achille, di JSayoli, Lo stesso sogello ; Esposiz.
mil. 1858.
Molmenti Pompeo, Lo stesso soggetto, Esposiz. ven. 1853 ;
Illustrato da Giov. Veludo, Yen. Filippi, 1853.
Carlini Giulio, Lo stesso soggetto; Esposiz. ven.~1862.
Massola prof. Giulio, Lo stesso soggetto, Prima esposiz.
ita!. 1801. Proprietà del Marchese Luigi Spinola.
Polastrini prof. Enrico di Livorno, resid. in Pisa, Lo
slesso soggetto; Prima esposiz. ital. 1861. Proprietà del R.
Governo italiano.
Tasso Francesco, di Padova, Lo stesso soggetto, Basso-
rilievo in bronzo, con piedestallo gotico; Prima esposiz.
ital. 1861.
Gastaldi Andrea, Sordello nel momento che interrogato
da' due poeti, non degna loro di rispondere e guarda liso
a guisa di leon quando si posa {Purg. vi. 58) ; Esposiz. lor.
Zaffarini Feder. Sordello e Cunizza [Purg. vi ; Par, ix.);
Espos. tor. 1864.
Barucca Felice, L'ora del pensiero [Purg. viii.l); Esposiz.
tor. 1851.
Gia7ii Francesco, Lo stesso soggetto; Esposiz. lor. 1855.
Melchi Giuseppe, Dante alle porte del Purgatorio [Purg.
IX. 76); Esposiz. ven. 1851.
Mariani Annibale, Direttore dell'Accad. di belle arti in
Pisa, Dante condotto da Virgilio alle porte del Purgatorio;
Prima esposiz. fir. ital. 1861.
Delacroix Eugenio, La giustizia di Traiano [Purg. x. 73),
dipinto nel 1840; Esposiz. univ. di Parigi 1855. -Proprietà
del Museo di Rouen.
Mondini Giacomo, di Yerolanuova Bresciana, Dante e
Virgilio che incontrano Oderisi da Gubbio [Purg. xi. 74j ;
Prima Esposiz. ital. 1861 (fr. 3000j.
Giuliani Bartolommeo, Provengano Salvani, [Purg. xi.
109); Esposiz. tor. 1858.
Malatesti Adeodato, di Modena, Dante che nel Purgatorio
si abbatte a Sapia [Purg. xhl 106) ; Esposiz. mil. 1841.
Pierotlo Gius., di Castelnuovo, residente in Firenze, Corso
Donali ferito presso S. Salvi è trasportato dai Monaci a
quella Badia (Pwf^. XXIV. 82).
DANTE E LE BELLE ARTI. 36 9
Buonarroti Michelangelo - Rachele per la vita contem-
plativa e Lia per la vita attiva (Pur//, xxviii. 100). Nel
monumento di Giulio III.
Gherardi Cristo f ano, detto Doceno, dì Borgo S. Sepolcro
[lì. 1508, m. loofij, Lo stesso soggetto : Nella facciata del
palazzo Ricasoli, posto sulla coscia del ponte Carraia. A
questa pittura venne dato di bianco.
Gastaldi Andrea, Lia [Purg. xxvii. 97); Esposiz. tor. 1851.
Paoletti Antonio, Dante e Matelda [Purg. xxviii. 37-97;
XXXI. 100) ; Esposiz. ven. 1858.
Agujarì Tito, Lo stesso soggetto ; Esposiz. ven. 1859.
Fontani JMcolò, Lo stesso soggetto ; Esposiz. tir. 1843.
Vogel de Vogelstein prof. Carlo, La Beatrice velata sopra
il carro mistico; Dante in ginocchio con molte altre ligure;
Purg. C. XXIX. 1 e 17. - L'egregio artista, a cui va unita
l'eccellenza dell'ingegno con la più squisita delicatezza del
sentimento, offriva questo suo quadro al Municipio di Fi-
renze, con questa solenne dichiarazione di manifestare la
gratitudine per tanti conforti di mente e di cuore procac-
ciatigli dal sacro poema. Queste nobili espressioni non hanno
bisogno di comento.
Scheffer Ary, V apparizione di Beatrice a Dante {Purg.
XXX. 28). Inciso da Aarciso Zecoi/ire di Parigi ; Esposiz. unìv.
di Parigi, 1855.
Delcborde Enrico, Lo stesso soggetto; Esposiz. del Lou-
vre, 1840.
Vogel de Vogelstein prof. Carlo, Guardommi ben: ben son,
ben son Beatrice: Come degnasti d'accedere al monte? Non
sapei tu, che qui è V uom felice? Purg. xxx. 73.
D'Ancona Vito, di Firenze, Lo stesso soggetto: Proprietà
del D."" Corinaldi di Pisa.
Ferut... di Marsiglia, Dante che si stacca da Virgilio,
simbolo della filosofìa pagana, per seguire Stazio e Beatrice,
allegorie della poesia e dell'amor cristiano; Esposiz. di
Parigi, 1857.
Fabisch Giuseppe, di Aix, Beatrice tutta ncll' eterne rote
Fissa con gli occhi stava; ed io, in lei Le luci fisse di lassù,
rimote {Par. i. 65). Statua in marmo ; Esposiz. univ. di Pari-
gi, 1855.
VoL. II. J4
370 DAME E LE BELLE ARTI.
Bongiovanni Salvatore, Dante schiarito da Beatrice nei
suoi dubbi (/*ar. I. 82), Bassorilievo; Esposiz. fir. 1830.
Toncinì... prof, deli Accad. di Piacenza, Piccarda Donati
{Par. HI. 36); Esposiz. mll. 1846.
Rubio Luigi, di Roma, Dante che parla con Piccarda e
Costanza nel cerchio della Luna (/*ar. ni. 36); Esposiz. mll. 1846.
De Albertis Sebastiano, Lo stesso soggetto; Esposiz. mil.
181)4.
D'Andrea Jacopo, Lo stesso soggetto; Esposiz. mil. 1854.
DISEGNI ILLUSTRAZIONI ED INCISIONI
DEL DIVINO POEMA.
Chi volesse conoscere appieno l'influenza di-
retta ch'ebbero nell'arti lo studio dell»
divina Comedia, dovrebbe fare une storia dei
disegni suggeriti da questo poema, comin-
ciando da Sandro Botticello .... venendii
fino a Giovanni Flaxman, al Pinelli e al
nostri giorni .... GIOBERTI, Del Bello.
BoTTiCELLi Sapjdro. { Filipepi, n. 1447, m. IdId) - 'x Per
esser persona sofistica, comentò una parte di Dante, e fi-
gurò lo Inferno, e lo mise in stampa ; dietro al quale con-
sumò di molto tempo: per il che, non lavorando, fu cagione
d' infiniti disordini alla vita sua. » - Yasari, Vita di Sandro
Botiicelli, Voi. Y. p. 117. - ^Le stampe ch'ei fece per la ce-
lebre edizione di Dante nel 1481 ( impressa in Firenze, per
Nicolò di Lorenzo della Magna, a' di 30 Agosto 1481 ), di
cui disgraziatamente non ci rimane che uno strettissimo
numero, offrono una solenne riprova della direzione già
presa del suo bulino, e della sua fantasia ; il che si spiega
non solo coli' analoga tendenza che il Savonarola cercava
in allora precisamente di dare a tutte le belle arti, ma
anche coli' entusiasmo che invadeva il Botticelli, amico in-
limo del Baldini, per la divina Comedia, sulla quale si
DAME E LE BELLE ARTI. 371
arrovellava la mente per comentarla negli estremi del
viver suo. -Giudizioso n'è il disegno e netta l'incisione:
sono dicianove, ove si voglia numerare la terza eh' è
in tutto uguale alla seconda. [Inf. i. 65-ii. 127.-iii. 1. v.
l.-vi. 13.-V1I. l.-viii. 31.-IX. 64.-X1. 7.-XII. lO.-xui. l.-xiv.8-
xv.16.-xvi. 91.-XV1I. l.-xvin. 4.-xix. 22). - 11 De Angelis,
l'Heinecker, l'Ab. di S. Leger, l' Huber, l' Ottley, il Jansen,
il Y illardi ed il Bartsch vollero del Botticelli soltanto
i disegni, e del Baldini gl'intagli; ma il Borghini, il Gan-
dellini, il Gaburri al Botticelli rivendicarono, oltre i disegni,
anche gl'intagli. Questi disegni furono esattamente ripro-
dotti da Michele Keil (Nachrichten von Kiinsllern und
Kunst-Sachen, Th. L, Leipzig, Krauss, 1768. 8. 2 Taf. zu p. 280).
Nel Monte Santo di Dio, libro oggimai rarissimo, vi ha
la terza incisione, in che è rappresentata una scena del-
l'Inferno dantesco. È larga 6 pollici, alta da 4 a 5 linee.
Credesi generalmente disegnata da Sandro Botticelli, ed
incisa 0 da lui stesso o da Baccio Baldini. Fuvvi però chi
ritenne che tanto il disegno quanto l'incisione sieno del Bal-
dini (1). Il Bartsch cosi descrive questa tavola: « Au milieu
de r estampe Lucifer vu à mi-corps est dans un bassin
rempli de bourbier infernal. Sa téte cornue offre trois vi-
sages, l'un au milieu, les deux autres au dessus des épaules.
Deux grandes ailes de la forme d'une cheuve-souris sor-
tent au dessous de chacun de ses visages. Il tieni dan
chacune des ses gueules un pécheur, qu' il brise avec ses
dents. Celui du milieu est, suivant Dante, Judas Iscariote ;
sa téte est engloutie dans la gueule de Lucifer: il agite
violemment ses pieds. Brutus est suspendu la téte en bas
dans la gueule de drolte. Le troisième est Cassius. Deux
aulres pécheurs se voient dans la main de Lucifer qui
en tient un de chacune. Autour de Lucifer sont sept abimes.
(1) Il S.r "William Ottley nelle sue ^otices of engravers { London,
Longman, 1831) ricorda un' incisione dell'Inferno dantesco attribuita al
Baldini. - Fra le incisioni in legno degli antichi maestri tedeschi, raccolte
da GiQvanni Alberto de Derschau, e pubblicate dal signor A. Z. Becker,
( Gotha 1808), si osserva un Giudizio tinaie, ( allo 14 pollici, largo 9 e »
linee] che senza dubbio fu ispirato all' artista dalla lettura della Divina
Comedia.
372 DANTE E LE BELLE ARTI.
3 à gauche, 3 à droìle, et un au milieu de la planche. Ces
abinies sont plus ou moins peuplés de damnés lourmenlés
par des démons eri différentes manières. » Y. Rio, Form, de
l'art Peinttire, Ch. ix.
Zucchero Federigo, (di S. Angelo in Vado, n. 1340 circa,
m. in Ancona 1609) - «Durante la sua dimora in Ispagna
egli disegnò una parte delle invenzioni sopra la Divina Co-
media. Esse oggi si conservano nella R. Galleria di Firenze,
la quale possiede molti altri disegni dei due Zuccheri. Sono
più di novanta composizioni, in foglio alcune, altre in più
fogli unite assieme, eseguite con grande studio a matita
rossa, nera, o a penna. A tergo di ciascun disegno è trascritto
di stampatello a mano a mano tutto il poema di Dante, con
note di corsivo. Nel frontespizio si legge: Dante istoriato
da Federigo Zucchero, l'anno MDLXX... (1586). A tergo del
disegno [del Canto xxxi del Purgatorio, eh' è il Trionfo
della Chiesa, di mano di Federigo è scritto : dicembre 1587,
neir Escuriale in Spagna. Similmente a tergo del primo di-
segno del Paradiso: Addi 16 .¥a rzo 1588, nelV Escuriale in
Spagna.
Della Strada Giovanni, detto Stradano, Fiamingo (n.
a Crugnes nel 1523, m. il 2 Nov. 1605), Disegni sopra lo
Inferno e il Paradiso di Dante. Sono 28 disegni, a bistro,
condotti con mirabile delicatezza, e si conservano nella
Laurenziana (Cod. Mediceo-Palatino, N. 75). Furono eseguiti
nel 1587 e nel 1589, né mai incisi. Oltre a questi, che ap-
partengono tutti alla prima Cantica, ve ne hanno altri undici
appena abbozzati, riguardanti pure 1' Inferno, ed undici il
Paradiso, a bistro turchino, ma di lunga mano inferiori,
onde il Bandini li giudica lavoro d'altro artista.
Pocetti Bernardo, disegnò il Corso della vita dell' uomo,
ovvero l'Inferno, il Purgatorio, il Paradiso, Comento pit-
torico della divina Comedia. Fu inciso da Jacopo Callot, e
dedicato a Cosimo I, Granduca di Toscana, con lettera 20
Maggio 1612. (1)
(1) Il Batines ricorda anche le seguenti edizioni della Divina Come-
dia del secolo XV con figure intagliate in legno : I., Brescia per Bo-
ninum de Bonini, 1487 : vi sono 08 figure, grandi quanto il foglio, una
per ogni Canto duU' Inferno e del Purgatorio, ed una in fronte del primo
DANTE E LE BELLE ARTI. 373
FLAXMAN GIOVANNI (scultove inglese, II. 17oS, m. 1826). La
Divina Comedia di Dante Allighieri... - Sono 111 disegni, a
puco contorno, compresi due frontespizj ; 39 relativi all'In-
ferno; 39 al Purgatorio, e 33 al Paradiso. Furono dapprima
intagliati da Tomaso Piroli, romano, Roma, 1793 : Id. 1822;
Id: 1826. - Londra, nella Iraduz. del Boyd, 1807; - rinta-
gliati dal Pistrucci, Milano, Batelli-F anfani, 1822 con 120
tavole, dieci delle quali aggiunte dal Pistrucci; Milano,
Biblioteca classica del Yallardi, 1823; nuovamente incisi
dall' Ilumel, Pennig, Dienemann, 1804 ; Carlsruhe, Kunts
Verlag, 1833-35: —incisi da Paolo Lasìnio, Firenze, Ciardetti,
1830 ; — da Luigi Ntiti, in più piccole dimensioni ; — da
L. Morghen, in 120 incisioni, Napoli, JSohile 1833; ripub-
publicati nel 1859; — London, lleuTy Bohn, 1856, nella
versione del Wriglit. «Les époques le plus ardentes à pro-
duire ne sont pas le plus favorables à la traduction. Et cela
se congoit: dans ces conditions, le sol de l'arte n' a que
faire de cet engrais. Pour étre uu traducteur fidèle, il faut
étre dans un méme courant d'idées, ou, à défaut d'une
epoque analogue, il en faut une d'èclectisme ou de scepli-
cisme, - ce qui se rassemble beaucoup, - une de ces époques
auxquelles l'absence de passion permei de toul comprendre,
el où le manque d'individualité favorise l'esprit d'imitation.-
Né en 1735 et mort en 1826, lohn Flaxman vécut en un
de ces temps propices à un tal genre de travail ; et, comme
del Paradiso. - II, Venezia, per Bernardino Benali e Mathio da Parma,
1491, in foglio: questa edizione ha cento vignette: le tre che stanno in
fronte dei primi Canti dell'Inferno, Purgatorio e Paradiso occupano tutto
il foglio ; le altre, tutte poste al principio degli altri Canti, sono aggiu-
state fra mezzo al testo. - III, Venezia per Pietro Cremonese, li97, in
foglio: ha pure cento vignette, tutte aggiustate fra mezzo al testo, in prin-
cipio de' Canti, di piccole dimensioni. - IV, Venezia, per Matteo di Chodeca,
da Parma, 1493, in foglio: Contiene tre figure grandi, e 97 piccole, come
nell'altra di Venezia, Benali, 1491. - V, Venezia, per Piero de Zuanne,
147(5, in foglio: ha cento figure, come nella edizione di Venezia, Pietro
Cremonese, 1491. -Del secolo XVI sono pure illustrate le Venete edizioni,
di Bartolomeo de Zani, da Porlese, VòOl ; di Bernardino Slagnino, 1512,
lolG e 1320; di Jacob del Burriofrancn, Pavese, Vò-29; di Giovanili Giolito,
13'.ÌG; di Francesco Marcolini, lo44; di Giambatista Marchiò Sessa,
lo«4; di Pietro da Fino, 1368; e del secolo XVIII la Veneta del /ulta
del 1737 e del 1784.
374 DANTE E LE BELLE ARTI.
proleslant. Il fut dans dcs condllions meilleures pour bien
reiidre l'esprit de Dante, eu ce sens qae le protestantisme
se rapproche bIen plus du catholicisme gothlque que le
sensuallsme de la renaissance. - Il possèdait d'alUeurs, à un
très-haut point, une qualité fort rare chez les Anglais, le
sentlment du style et du caractère. Ses dessins sur Homère,
Héslode et Eschyle sont tous Imprégnés de la couleur de
l'antlquité, et la Divine Comédie luì a fournl une nouvelle
occasion de déployer tonte la souplesse de son talent, de
montrer toule la sùreté de son goùt. Il n'étalt guère pos-
sible de mieux s'Identifier avec Dante et le moyen àge. -
Il est, sì je ne me trompe, une sphère d' Idées trop haute
pour que l'art y puisse entrer de plaln-pled. Il ne luì est
donne, comme "a Ylrgile, que d'avancer jusqu'au seull, et,
arrlvé là, l'immaginatlon est la Béatrlx qui dolt désormais
servir de guide à celui qu'il escortalt naguère. L'imagìna-
tìon, elle, peut s'élever aux réglons du suruaturel elle
est de méme essence. L'office de l'art est de lui ouvrìr la
vole, de luì donner l'impulslon; mais qu'il s'abstìenne de
l'accompagner dans l'espolr de la soutenir. Il ne ferait qu'
alourdir son vo.l A un certaìn degré, le grandiose et le
vague échappent à l'étrelnte de l'art. A quo! bon lutter
corps à corps avec l'ìnsaìsissable? Le plus sage est de traiter
symboliquement ces sortes de sujets Sì cette théorìe du
symbollque, de l'elliptique, est vrale pour la littérature, à
combien plus forte raìson pour l'art bIen plus restreint,
bIen plus matèrici, du dessin? Et sì elle est vraie en ge-
neral, à combien plus forte raìson, lorsqu'ils'agitdetraduire
le poete qui en a été l'expression la plus saillante? - C'est
ce qu'avec un parfall jugement a compris Flaxman. Il a
méme poussé plus loin sa réserve de traducteur; car, pour
laisser encore à rimagìnation plus de latitude, pour lutter
contre le vague à armes moins inégales, il n'a poìnt fait
de dessins achevés, et s' est contente d'un sìmple traìt.» -
Leon de Wailly, lllustration, 17 Aout, 1861, N. 964.
« Je saìs bìen que la sèrie de dessins que Flaxman a
consacrés à VEnfer de Dante est inférleure à ses autres
oeuvres; mais cette sèrie est Inférleure précìsément parceque
son imagination manque de souplesse, et que dans ce sujet,
DAME E LE BELLE ARTI. 375
à la foìs grandiose et élrange, elle s'est Irouvée dépaysée.
Flaxman n'esl à son aise que dans les sujels grecs, et ne
comprend bien que certains caractères du genie et de l'art
grecs. Sur ce terrain, il peut défier tout le monde, et quel-
ques-uns des dessins de son Homére, et surtout de son
Hésiode, l'oeuvre la plus charmante, à mon avis, qui soit
sortie de son crayon élégant, correct et froid, méritent tonte
admiration... Dans les illustratìons de Dante ont reconnait
immédiatement leur nationalité. Le caractère italien du
poème lui a compiè tement échappé, ou plutót il n'a pas su
assouplir son genie aux conditions de l'oeuvre... Gependant,
quoiqu' il soit dans cette production inférìeur à lui-méme,
il reste encore trés grand artiste, et M. Dorè pourrait encore
apprendre de lui quelques legons: par exemple, comment
il est inutile de multiplier les détails pour obtenir un effet
puissant, et comment les détails trop multipliès finissent
par ressembler à ce qu'en littèrature on appello prolixité,
parce qu'alors ils ne sont pour ainsi dire que la rèpèlition
d'eux-mémes, et qu' au lieu de faire contraste, ils ne font
qu'encombrement. 11 pourrait apprendre aussi de lui à ne
pas torturer et épuiser un sujet de manière à lui fare rendre
tout ce qu' il contient, parce que ce procède excessif en-
lève à l'imaginalion du spectateur tout horizon, et prive
l'oeuvre de l'artiste de cette puissance d'inspirer la réverie
qui est le plus sympathique et le plus mystèrieux des prì-
vilèges des grandes oeuvres d'art. Or ce privilège, Flaxman,
qui ne comprend pas Dante aussi bien que M. Dorè, le
possedè presque toujours, tandis que M. Dorè ne le possedè
que très rarement. Quel joli dessin que celui que Flaxman a
compose sur ce vers qui clòt l'épisode de FrauQoise de
Uimini. E caddi come corpo morto cadde.,. Ce que M. Dorè
n'a pas égalé non plus, e' est le dessin simple et poignant
que Flaxman a consacrò à l'épisode d'Ugolin... Ce sont les
deux plus beaux dessins de cette sèrie de Flaxman; mais
combien d'aulres encore sont dignes d'étre citès après
ceux-là! La planche qui représente Dante et Virgile con-
versant avec les flammes qui contiennent les àmes d'Ulysse
et de Diomede est pleine d'esprit dans sa simplicité.... Le
dessin où Dante et Virgile soni menacès par les diables
376 DANTE E LE BELLE ARTI.
facélleux qui habilenl l'enfer des miillótiers, celui où est
représenlé le supplice de Navarrais Clampolo, onl une expres-
siond'énergie diabolique que M. Dorè n'a pas surpassée. Le
voyage sur le dos de Géryon, !es porlraits des Euménides,
un peu trop sereinement belles pourlant, peuvenl encore
soulenir la comparaison avec les desslns correspondans de
M. Dorè. Dans tous les aulres, dans la forél des suicides,
dans l'enfer de giace, dans la procession des hypocrites,
dans le supplice par les serpens, dans la représentalion de
la ville de Dite, méme dans le passage des ombres (ce
dernier dessin offre pourtant des détails pleìns d'energie),
Flaxman me semble inférieur à M. Dorè. Il a èie vaincu non
pas prècisèmenl conime artiste, mais conime interprete de
Dante... Émìle Montagut, Une Jnterprétation de Dante, Re-
vue des deux Mondes, 15 Nov. 1861, p. 443.
Sahatelli dìs. Bettelini ine. — Il Co. Ugolino {Inf.xwm.
1); — Sabalellì inv. — Ermini </w.: Dante e Virgilio che si
incontrano in Sordello (Pwf^. vi. 58); Ermini dis. Lapi ine:
Beatrice che invita Dante a fisar gli occhi in cielo, Par.
xxiii. 19. Queste tre incisioni fregiano l' edizione pisana
del Resini 1804-09. Furono esse tirate anche a parie, ed il
catalogo Molini ne segna il prezzo in paoli 50, ed in paoli
90 avanti lettera.
Giacomelli Sofia (M.""^ Chomel), La Divina Comedia dise-
gnala ed incisa, Parigi, Blaise, 1813 in 4.° Son cento figure
a contorno, ad ornamento della Iraduz. francese della Div.
Comedia dell' Artaud.
Ingres Giov. Augusto Domenico, Disegno dell'Episodio
rappresentante Francesca di Rimini, 1816. E posseduto dal
Cav. Artaud. Nel 1819 l' Ingres, lo condusse a colori, ed il
dipinto è ora proprietà del Cav. Turpin de Cressé.
Adamolli Luigi, Nenci. Francesco, — « Renderanno sempre
cara e gradita l'edizione magnifica dell'Ancora {Firenze,
1817-19. in fogl.) que' tacili Comentatori che colla punta
del bulino valsero a presentarci i reconditi pensieri del
gran poeta. Luigi Adamolli inventò e in gran parte intagliò
le tavole delle Cantiche dell'Inferno e del Purgatorio; e
Francesco Nenci inventò e disegnò tutte quelle del Paradiso.
Se nelle prime dispiacque a' conoscitori di trovare talvolta
DANTE E LE BELLE ARTI. 377
trascurato il lavoro si nell'invenzione che nell'esecuzione,
nelle seconde del Nenci, che rlsguardano una parte del
Purgatorio e tutto il Paradiso, si ammiranno da pittore
valente spiegate e rappresentate le più belle imagini del
poeta.» B. Gamba — « Libro veramente magnifico, tanto
per la bellezza e splendidezza del lavoro tipografico, quanto
per l'eccellenza dei disegni che contiene... Le figure dello
Inferno sono in tutte 44, furono disegnate da Luigi Ademollo^
incise in parte da lui medesimo, parte dal Lasinio ; anche
quelle del Purgatorio, che sono 40, furono, meno una sola,
disegnate ed incise dalFAdemollo; quelle del Paradiso, 41 in
tutte, furono disegnate dal Aenci, e incise da Giov. Maselli^
Erm. Lapi, Innoc. Mìgliavacca, Lasinio e Y. Benuccì. — Il
Foscolo le dice esagerate nell'espressione e nella composi-
zione dei gruppi.
MacckiavelU Gìovan-Gìacomo, Bolognese ; (Bologna, Gam-
berini e Parmeggiani, 1819-23). Sono 101 tavole dantesche,
pel Macchiavelli inventate ed incise in Roma negli anni 1806,
1807. Grande maestria nell'arte e profonda intelligenza del
poema si rivela in queste tavole, giudicate ancora più belle
di quelle bellissime dell'Ancora. L'Agincourt ne fa grandis-
sima lode; il Colelli però le crede interpreti non troppo
fedeli dell'idea del poeta, e fa sovra ciascuno dei disegni
analoghe osservazioni.
Gallina Gallo (1822). Il Co. Ugolino, in quattro tavole,
disegnate ed incise da un pensiero di Pelagio Pelagi (Milano,
presso l'autore).
Livizzani Ercole; L'Ugolino, (1823) quadricello lungo
pollici 11 parigini, alto 7 : Le figure non eccedono 5. Questo
disegno venne illustrato dal Meneghelli, Voi. II. p. 73, ed
appartiene al Cav. Filippo Scolari.
Pinelli Bartolommeo, Romano, Invenzioni sul poema di
Dante di propria mano incise, Roma, presso l'Autore, 1824-
26, 3. voi. in fogl. gr. bislungo. - Sono in tutte 144 tavole
disegnate ed incise dal Pinelli, delie quali 63 tolte dall'In-
ferno, 42 dal Purgatorio, 34 dal Paradiso. Per la bellezza della
composizione, come per la correzione del disegno, non han
punto da invidiare le più belle del Flaxman. Il Cicconi in
un articolo graziosissimo dettato in francese, intitolalo : Une
378 DANTE E LE BELLE ARTI.
charge par Pinelli, Scéne de moeurs italìennes, mettendo in
iscena un inglese ammiratore dell'artista romano, a propo-
sito de' suoi disegni danteschi gli fa dire : Et ces diables em-
prunlés à V Enfer du Dante n'ont ih 'pas quelque chose de
piquant? Il les a burinés avec un soin tout particulier, etje
dirai presque avec une tendresse de pére.
Koch Giuseppe. — Sono 40 disegni per lui condotti in
Roma nel 1824. - ì;lnf. i. 88. 90-ii; Inf. il 118. 120-iil Nuovo
disegno sui medesimi versi - iv; Inf. in. 9. l8-v; Inf. ni. 109-
iii.-vi ; Inf. VI. 86-l02-vn. Inf. v. 73-78-viii ; Inf. vn. 2o-27-ix ;
Inf.Yii.l-n-x; Inf. vili. 40-42-xi; /n/. ix.89-90-xii: 7n/". x;
22-23-xni ; Inf. xi. 4-12-xi v; Inf. xn. 58-66-xv ; Inf. xiii. 31-
39-xvi ; Inf. xiv. 67-75-xvn ; Inf. xv. 22-30-xin ; Inf. xvi. 1-xix;
/nAxvii.ll8-123-xx;7n/".xviii.40-5l-xxi;iw/'.xix.3l-3G-xxii;
Inf. XX. 23-32-xxin; Inf. xxi. 3 l-3f)-xxiv; Inf, xxii. 46-37-xxv ;
Inf. xxiii. 79-90-xxvi; yw/", xxiv.82-99-xxvn;7n/'.xxv. 44-57-
xxviii ;Inf- XXVI. 43-48-xxix ; Inf. xxvii. lG-33-xxx. Nuovo di-
segno sui medesimi versi - xxxi; /w/". xxvni. 32-xxxii ; in/*.
XXIX. 100-108- xxxin; /«/■. xxx. 22-30-xxxiv; Inf. xxxi. 130-
32-xxxv ; Inf. xxxii. 97- 99-xxxvi ; Inf. xxxni. 1-13-xxxvii ;
in/", xxxiv. 37-69-xxxviii ; Piirg.n. 13-51-xxxix; Purg.ix.
1-63-xl; Purg. xxviii. 34-09. - Questi disegni, com'è da
da vedere nel Petzholdt, si conservano nella R. Biblioteca di
di Dresda. Il Koch condusse pure a olio molte scene della
divina Comedìa, ricordate dal Mordachini nelle sue Memorie
sulle belle arti, Roma, iv.
\arii (1830 e 1839). - 1. L. Richter, Inf. i. 31-63-n. Retzsch;
Inf. 1. 83-84-111. B. Neher, (1842. pina) ; Inf. v. 25-78-iv. Giov.
Sc/morr, (1835); /«/". ix. 64-90-v. C. G. Carus pinx; Inf.x\.
18-19-vi.F. Rietschel (1835); iw/". xv. 22-30-vii. Retzsch; Inf.
xviL 100-26-vni. C. F. Ruìmohrjnf.xx. ^\-l^-ix. Retzsch; Inf.
XXL22-87-X. C.Begajiìm^)- Inf. xxiiL 34-66-xl E. Hdhnel
pina (1844) ; Inf. xxiv. 79-99; /n/". xxv. 16-30-xii. G.A.Hennig
(1835) ; Inf. xxvi. 54-57 ; 88-102 ; 136-1 42-xiii. Retzsch (1834) ;
Inf. xxvii. 112-20-xiv. Tr. Faber; Inf. xxxi. 40-41-xv. Arri-
goni; Inf. xxxiii. 22-26-xvi. Peschel; Inf. xxxni. 26-36-xvii.
Peschel: Inf. xxxni. 67-69-xvin. Giov. ^Tw/mer (1839) ; Purg. i.
28-51-xix. ^m, pinx. (1838); Purg. ii. 13-5l-xx. A. Rethel
(1850) ; Purg. in. 127-29-xxi. C. Fr. Lessing (1852) ; Purg. w.
DANTE E LE BELLE ARTI. 379
100-36-xxii. e. Schurùi; Purrj. v. 8o-136-xxiii. C. Bdliv, plnx.
(1840) ; Purg.ww, 22-42 ; 93-108-xxiv. B. Genelli; Piirg. ix.
19-W-x\\.Peschel{ìS'ò%y, Purg.\x.T^-Ì^O-x\\i. E Bendemann
(1836), Puri/. x.34-4d; 112-20; 130-39; xi. l-30;73-90; xii.
23-27-xxvH. A. Ehrhardt (1851) ; Purg. xxvii. ()-36-xxviii. G.
Iliilmer (1841) ; Purg. xxviii.22-51-xxix. Ilensel; Purg. xxx.
57-99-xxx. E.Bendemann (1843); Par. i. 58-69-xxxi. C. G. Ca-
rus;Par. xvi.l21-22-xxxii.F//. Veit; Par. xxiv. 31-78-xxxiii,
Mor. de Sciwind, di iMoiiaco(l849) ;Par. xxiv. 148-54- Questi
disegni, riportali dal Petzlioldt, si conservano nella R. Biblio-
teca di Dresda.
Varii - 1. Efiìgies Danlis, del. A. Marini. - u. Statua Dantis,
quae ornamento novi Musaci Dresdensis inservit, photogra-
phice. - HI. Ad Inf. vn. « im ersten glorreicheu Jahre der
deutschen Enigkeit gezeichnet von W. Kaulbach, 1848; iv.
ad Parad. del K. L. Richler. Dresd. 1849 ; v. ad Farad, del.
K. L, Hichtcr. Dresd. 1849; ad Parad. del. et pinxit P. Cor-
nelius; vi. ad Parad. \-\[i. pinx?; ad Parad. xviii. 28-51.
del. E. Steinle; viii. ad Parad. xx. 127-30. del. Bary, 1854;
IX. ad Parad. xxi-28, del. G. Jàger, 1847. » Petzlioldt, Calai.
Biblioth. Dresdensis, p. 43.
Cornelius Petr. Umrisse zu Dante Paradies, Mit erkla-
rendera teste von />.'" Dollingery Raccolta di 9 ligure a
contorno con cinque carte di testo, Longman (1833-40).
Raccolta d' incisioni, pubblicate dal Longman e che servono
di ornamento alla versione della divina Comedia del
Wright.
Postiglione Raffaelle, Gli spirili magni descritti da Dante
{Inf. IV. 85). — Disegno. Esposiz. del Museo Borbonico di
Napoli, 1837.
Eabris Domenico (1840-42j. Le vignette di che 11 Fabris
corredava la propria edizione firentina, sono copia dei no-
tissimi lavori del Flaxman, del Pinelli, dell' Ademollo, ecc.
e furono disegnate ed incise dal Fabris, dal Balestrieri,
dalla S.'"'^ Elisa Mariani, da G.B. Biscarra ed altri.
Von Adolfo, (n. a EschwUer, Mosella, allievo di Paolo
Delaroche. La Colere, dessin, Enfer, eh. vii. ( Salon, 1848 )
La Luxure, dessin, Enfer, eh. V. (Salon, 1848) - LAvarice^
Enfer, vii (Salon, XU'Ò) - U Orgueil, iJn/". x*. - (Salon, 1850-
380 DANTE E LE BELLE ARTI.
51). Esposiz. univ. di Parigi. Appartengono questi disegni
al Museo dell' Havre.
Genelli Bonaventara (1849). « Umrisse en Dante, Gotlli-
cher Comòdie, Miinchen, in Comm-der Liter-artisticheii
Anstalt (perfectum 1849), transv. fol. - Sono 36 disegni, incisi
in acciaio; 16 tolti dall'Inferno, 12 dal Purgatorio 8 dal
Paradiso (Riproduconsi di presente a Monaco nella Beuro
und Kunstanstalt von Cotta).
Boni Giovanni, Caron dimonio con gli occhi di bragia.
Disegno di figura, premiato al grande concorso dell' Accad.
bolognese nel 1853.
Gazzotto Viccnzo, Padovano. V imaginoso Gazzolto, di-
stinto pittore, condusse a penna tre disegni, veramente
meravigliosi, il cui concetto fu tolto dalla divina Comedia.
Ognuno di essi è largo metri uno, centimetri 16, alto
centimetri 80. In ciascuna di queste erculee pagine, il va-
lente Padovano effigiò, piuttosto che un momento speciale
delle sublimi cantiche, lo spirito, 1' essenza, il carattere, se
così posso dire, di ognuna di esse. Neil' Inferno, eseguilo
in 27 giorni nel 1852, ci presentò, entro la sua barca.
Caronte col piglio orribilmente feroce, che annuncia alle
anime dei dannati di doverle condurre all'altra riva, nelle
tenebre eterne in caldo, in gelo. E quelle, intese le parole
crude, par proprio che nelle colleriche movenze e nel reci-
proco accapigliarsi, bestemmino M/o e i lor parenti. L'umana
specie, il luogo, il tempo, il seme Di lor semenza, è di lor
nascimenti. — Nel Purgatorio, compiuto nel 1854, effigiò
sulla poppa del vascello snelletto e leggero l'Angelo di Dio,
mentre sulla spiaggia si gettano gli spiriti purganti, fra' quali
il poeta trova il suo amico Casella, la dolcezza delle cui
note gli suonava sempre si cara nella memoria. Finalmente
nel terzo, condotto nel 1860, espresse il Gazzotto tutta la
mistica e serafica dolcezza del Paradiso, in mezzo alla quale
pose l'Allighieri, nell' atto di contemplare estatico la milizia
santa Che nel suo sangue Cristo fece sposa. Egli sta per
indirizzar la parola a Beatrice, ma questa gli sfugge inos-
servata, e riceve invece risposta da S. Bernardo, apparsogli
in quel punto diffuso... di benigna letizia in atto pio. —
L'invenzione, sebbene svolta con feconda ed insieme raffre-
DANTE E LE BELLE ARTI. 381
nata fantasia, in tutti e tre ì disegni, non si mostra di pari
merito in ciascheduno, perocché se nello inferno si ammira
l'arte di ben variare i gruppi e le movenze, e d'immaginar
queste con atteggiamenti vivi e prontissimi, sentesi però
il desiderio di un maggior legame di linee nella composi-
zione. E se nel Purgatorio è da pregiarsi la quieta mestizia
di que' numerosi vaganti, non può starsi contenta la ragione
artistica ad un sistema d'aggruppare slegato alquanto, e
non sempre acconciamente bilanciato. Ma queste macchiuzze
spariscono nel Paradiso, scena proprio inspirata, splendida
visione d' una mente vigorosissima. Non poteasi meglio
schierare dinanzi allo sguardo la maestà de' celestiali cori,
e la serena lietezza de' Serali e de' Cherubi; né meglio
variare tante attitudini in quei volanti per l'aere, né più
contrastarne ingegnosamente gli ufficii. - Ben può dirsi,
considerando a questo egregio disegno, che il Gazzotto
avvistò collo intelletto ciò che il poeta pennelleggiava colla
parola, e che, al pari del pittore Eufranore, nell' udire il
brano di Omero descrivente la maestà di Giove, egli,
leggendo i versi divini, ridusse ad imagine gli spirili ange-
licati dell'immortale italiano. » P. Selvatico, Arte ed Artisti,
Studii e racconti, p. 56, Padova, Sacchetto, 1863. — E il
Bettini nel suo Viaggio artistico attraverso rEspos. ital. del
1861 (p. 100) : « Il lavoro veramente stupendo, che fa per am-
mirazione inarcare le ciglia ai riguardanti, sono i 3 quadri del
S.'^Vicenzo Gazzotto di Padova, rappresentanti l'Inferno, il
Purgatorio e il Paradiso di Dante, pensieri originali, eseguiti
a penna dal valente pittore. S'egli non avesse avuto il pen-
siero di scrivere sotto a' suoi quadri codeste indicazioni, tutti
avrebbero di leggieri creduto ch'essi andavano compresi nel
numero delle incisioni finissime e non avrebbe dubitato
che, anche in quella categoria, loro non toccasse il primo
posto. — Come concetto, i quadri del S."" Gazzotto vanno
innanzi a tutti quelli esposti nel gran palazzo, non escluso
quello dell' Ussi. La grande teologia dantesca non è cosa
da pigliarsi a gabbo, e fa duopo di grande studio e d' in-
calcolabili fatiche per porsi in grado di tradurre in un
grandioso disegno i sublimi pensieri dello sdegnoso Ghi-
bellino... I conienti (in qui hanno affogalo il testo della
382 DANTE E LE BELLE ARTI.
divina Comedia. A noi pare che se tulli gli artisti cercassero,
come il Gazzotlo, di render sensibili agli occhi degl'Italiani
i versi del primo poeta d'Italia, si sarebbe fatto un gran
passo verso la completa intelligenza del divino poema. Come
il Gazzotlo abbia dato forma al suo sublime concetto non
è da noi giudicare. Ma se fosse, diremo che non si poteva
fare di più, né meglio. Il quadro del Paradiso è cosa che
sorpassa quanto altri mai potesse imaginare. » - ( Y. Roberti,
Co. Tiberio, Scritti d'Arte, p. 95). Questi disegni si trovano
presso il S/ Antonio Sacchetto, in borgo Rogati, in Padova,
per cui commissione furono eseguili. Nel 1858, in occasione
di una lotteria, a beneficio degli asili infantili di Padova, i
due primi disegni furono litografali per Pietro Sinigalia.
Rhéal Sébastien, de Cesena, Moyen àge Dévoilé, Le Monde
Dantesque, Première Galerie illustrée, Les papes de la Terre,
de l'Enfer et du Purgatoire, Paris, Librairie centrale des
pubblications illuslrées, 1857.
Vogel de Vogelstein prof. Carlo. Grande e bellissimo
disegno del Paradiso {Par. iii. v. 88). Di proprietà di S. M.
il re di Sassonia. Il Vogelstein condusse inoltre 56 disegni
dell'Inferno, 10 del Purgatorio, Il del Paradiso; in quelli
dell'Inferno gli piacque pure con bellissimo pensiero di rap-
presentarvi molte similitudini del poeta, le più caratteri-
stiche e parlanti. Oltre di che, l' illustre Professore nel 1842
imprendeva a bella posta un viaggio in Italia per rilrarvì
col pennello, dal vero, que' luoghi stessi che l' Ampère nel
suo viaggio dantesco avea descritto con la penna. Il nome
del Vogelstein ci è arra più che sicura a persuaderci della
bellezza e dell'importanza di questi disegni; e noi non pos-
siamo non fare caldissimi voti di vederli presto pubblicali.
Il sommo Cantore dei Ire regni fu sempre la suprema sua
delizia e il suo grande amore. « Dante, così egli mi scriveva,
mi sta sempre nel cuore, e tutta mi signoreggia la mente;
io soggiaccio all'allraimento di questa costellazione sì po-
tente, che nella sua celeste rotazione attira a sé checché
le si avvicina. Dante è il poeta non solo dell'Italia, ma
del genere umano intero. Chi studia nella divina Comedia,
e non fa progresso nella rettitudine della mente, non l'ha
studiato mai daddovero.
DANTE E LE BELLE ARTI. 383
Étex Antonio, di Parigi, allievo di Dupaly e d' Ingres,
Disegni sulle divina Comedia. - L'Étex è studiosissimo di
Dante; nel 1835 condusse in marmo un bassorilievo della
Francesca di Rimini, pregiato assai. 1 suoi disegni (Paris,
1854, Bry, Ainé, Impr. Lacour); fregiano la versione fran-
cese della Div. Comedia di Sebastiano Rhéal.
Stiirler Adolfo. - VEnfer de Dante AlWjhierl, Quaranta
dessine, photographies par Bertsche et Arnaud, Premiere
partie (fol. transv) ; Paris, 1859, lith. Delarue. {L'ouvrage se
composera de irols volumes, U Enfer, Le Purgatoire et le
Paradis.) » Lo Stiirler. svizzero di origine, francese di edu-
cazione, italiano per elezione di studii . . . Nessuno artista
io conosco in Italia che possegga un' individualità più
pronunziata e profonda. Ciò che fa, è veramente, radicalmente
suo. Le sue composizioni, come quelle dell'alemanno Gor-
nelius, sono dotte, e vi domina eminentemente un carattere
filosofico e poetico ad un tempo che lo inalzano al di sopra
di molti. I suoi disegni d'invenzione, tratti dalla divina
Comedia, che dopo tanti esploratori antichi e moderni che
vi furono, seppe farli ancora originali, dicono essi soli dì
qual tempra è l'ingegno dello Stiirler, che in una condizione
indipendente, fa l'arie all'antica soltanto per se, non essendo
inteso dalla millesima parie dei pseudo-amatori e pseudo-
mecenati da cui è inondata, come tante altre città capitali,
Firenze ancora. Questi che cercano il bello in un nudo
accademicamente ben disegnato, in una briosa e per eleganza
seducente figura di donna dalle morbidissime carni e dai
voluttuosi contorni, troverebbero a ridire sulla correzione
di quei disegni, che non vanno certo esaminali sotto questo
aspetto. Artista di tanta mole passa inosservato e non
compreso dai più. » - Camillo Pucci, Dell' arti belle in Italia,
Rivista Contemporanea, Nov. 1855. - Lo Sturler riproduce
i suoi disegni danteschi, mediante la fotografia.
Dorii Gustavo, L'Énfer de Dante, Traduction de M. P. A.
Fiorentino, accompagnée du texle italien, avec les dcssin do
M. Gustavo Dorè, Parigi, Ilachette, 1861.- « Tous ses instinets
le portaienl bien plus vers le syslòme de Michel-Ange que vers
cclui de Flaxman, et il n'a poinl hésité. Ne lui contcstons pas
sa majcurc... Pris à l'àge de onze ans par M Philippou pour
38Ì DANTE E LE BELLE ARTI.
travaìller sous luì, à l'àge où l'on commence à peine à
éludier déjà il produisait. A vingt-neuf ans qu'il a aujour-
d'hui savez vous combiens il a ifail de dessins? Trcnte
mille ! . . . Trente mille dessins, en dix- huit ans, calculez :
cela fait par an 1,644 et une fraction, mais onl peul bien
negliger les fractions avec un homme si riche: 1,644 dessins
par an, cela fait 137 dessins par mois, quatre dessins et
demi par jour, y compris les fétes et les dimanches, les
jours de maladie et les jours de repos. Mais il paraìt que
le repos et la maladie sont deux faiblesses que M. Gustave
Dorè ne connait pas. Son seul besoin, c'est de produire,
un besoin de nature, un instinct, comme à l'arbre de tleurir,
corame à l'oiseau de chanter... Son début honore à la fois
son talent et son caractère... ,Toutes les qualilés de seve,
d' abbondance et de recondite, toutes les qualités de verve,
de fougue, de furia francese qui caractérisaient sa première
manière, se retrouvent dans la seconde, mais mieux ordon-
nées et mieux réparties, mais mieux dìrigées, sans qu'elles en
soient ralenties, par la science, par la méditation, par l'esprit
de combinaison Pour s' en convaincre, qu' à ouvrir à
l'aventure ce splendide hommagerendu k idi Divine Comédie.
On sera étonné de la science de dessin et de coraposition,
de la justésse de poses, de la profondeur de sentiment, de
la simplicité et souvent méme de la sobriété de ce tres
heureux, mais tres-aventureux improvisateur de la veille.
Et le paysagiste n' a pas pris moins au sérieux ses devoirs
que le peintre de figures. Or le paysage tient une place
trés considerale, - un peu trop considérable peut-étre, dans
l'oeuvre de M. Dorè Les imperfections tiennent, pour
la plupart à la jeunesse de l'auteur, - une imperfection,
celle-là, qui se corrige d'elle-méme et trop vite; - elles.
viennent princìpalement d' une exubérance de seve, d' une
noble ambition toujours portée à dépasser la but, qui non-
seulement ne se marchande pas le travail et fait trois dessins
pour un sur le méme sujet; mais, dans le méme dessin,
accumule parfois les fìgures aux dépens du groupe, et
prodigue sa science du dessin avec l'ostentation d'un nouvel
enrìchi. On sent que. M. Dorè a, depuis quelque temps,
étudié avec amour l'anatomie, et quand sera-t-on prodigue,
DAME E LE BELLE ARTI. 385
si ce n'esl pas dans la lune de miei? Après avoir rendu,
lanl bien que mal, juslice à T interprete de Dante, n'oublions
pas, à leiir tour, les interprèles de M. Dorè, les graveurs
qui lont si bien seconde dans celle enlreprise ardue; les
graveurs, car il en a plUvSieurs, il en a beaucoup ; - sa verve
feconde a de quoi occuper bien des burins;- il en a tant
que, pour ne pas déprécier l'éloge en le mulliplianl, je ii'en
veux citer qu'eun seul, dcux: tout au plux, M. M. Penne-
maker et Pisan, corame, après une bataille gagnée, on décore
syraboliquement tout un corps d'armée dans la personne d'un
ou deux généraux » — Leon de Waìlly, ìllustratìon, 17
Aout, 1861. N. 904. — Farmi plusieurs habiles artistes, nous
nommerons spécialement M. Pisan corame étant celui qui
peut-étre est le mieux entré dans l'esprit du poète et dans
la pensée du dessinaleur. Son exécution, moins pure, moins
correcte souvent que celle de ses confrères, atteinl cepen-
danl des eflets qui soni plus en harraonie avec la sorabre
poesie de Dante, et qui en font mieux comprendre l'é-
trangelé, ainsi qu'on pourra s'en convaincre par l'examen
des prìncipales gravures Vedi lutto l'Articolo, l'iie
interprétation pittoresque de Dante^ L'Enfer de Dante, tra-
duction de M. P. A. Fiorentino, accompaonée du texte italien,
avec les dessins de M. Gustave Dorè, par Monlégut, Revue
des deux Mondes; 15 Nov. 1861, p. 433-466. - Y. E:*''' J.
Delécluze, Débats, 18 Sept. 1861. — Je connais toutes les
lentatives failes par les artistes à partir de 1481 pourorner
de gravures les editions que l'on a données de Dante, et
je crois pouvoir affirmer que l'oeuvre de M. Dorè est supé-
rieure à toutes cèles de ce genre qui Toni précedée sans
ecceptèr méme les vingl planches de Botlicelli. - Dans une
fuite de compositions dessinées, doni quelques unes tigurent
a l'Exposition, M. G. Dorè a rcprésénté plusieurs scénes des
poeraes de Dante avec une verve et une originalité vraiment
remarquables. Tout ceux qui ont vu la collection complète
de ce dessins à l'Exposition (8 Mai 1861) du boulevard des
ilaliens oni rendu homraage au merite incontestable de
l'habile composileur. » -V. Teofdo Gautier ecc. ecc. - Y. Revue
Germanique, 1 Fcv. 1862. l'articolo: Gustave Dorè et les
YOL. U. 25
386 DANTE E LE BELLE ARTI.
lllustrations de V Enfer de Dante par M. F. Baudry. — I
disegni sull'Inferno montano a seltanlasei.
Scaramuzza Francesco. V illustre cav. Farini, allorquando
tenne il governo dell'Emilia, non appena nacque a taluno
il pensiero che l'Italia celebrasse il sesto centenario del-
la nascila di Dante nel 1865, subito accolse il nobile
concetto, e volle che le Provincie da esso governate vi
contribuissero degnamente. In conseguenza egli allogò allo
egregio pittore Scaramuzza, di Parma, un' illustrazione in
disegni della Gomedia, e dispose perchè uomini preclari
dell'Emilia raccogliessero materiali con cui preparare una
nuova edizione del massimo poeta da rendersi alla luce per
l'avvenimento del suddetto Centenario, su di che mi scri-
veva cortesemente il Prof. Scaramuzza ( 16 Giugno 1861 ) :
La divina Comedia che già da molti anni è sempre il mio
primo amore, fu ognora soggetto di esercizio ne' miei studi
di composizione, e fin dal 1838 mi accinsi con qualche
alacrità a farne per mio solo uso un' illustrazione com-
pleta; vale a dire, figurare di essa tutto quanto poteva essere
figurabile: pensiero per verità tanto vasto quanto ardito
e presontuoso (allora io era giovine!) : che perciò era ben
lungi dall'idea di renderlo un giorno di pubblica ragione.
Il caso (Dio voglia non sia sventura) volle che qualche
amico, cui non era ignoto questo mio veramente temerario
tentativo, credette poterlo lodare a persona di molta in-
fluenza, ed amorevole di tali studi; la quale senz' altro
procacciò dal Governo eh' io dovessi continuare le già note (?)
mie Illustrazioni che servir dovrebbero per una grande e
nuova edizione della divina Comedia, principalmente redatta
sovra un Codice Modenese di gran valore. Io ne rimasi
spaventato, e corsi a Modena per vedere di tornii d'addosso
sì grave peso, tanto più che avrei dovuto compiere il la-
voro in sei anni, e quello ch'io aveva eseguito sopra soli
26 canti dell'Inferno con ben 170 quadri di schizzi a penna,
non avrebbe potuto punto servire al per me vasto e diffi-
cile, sibbene onorevolissimo scopo Fu vana ogni
rimostranza, e il decreto era venuto; non ebbi coraggio di
rifiutare la soma »... Ed il 13 Agosto del 1861 scrivevami
pure: « 11 numero preciso de' disegni d'illustrazione alla
DAME E LE BELLE ARTI. 3S7
divina Comedia, che ora sono appena qualtordici, dovreb-
be salire a un di presso ai 130 o 200; giacché molti canti
vi sono ch'esigono per lo meno due o tre ed anche quattro
quadri. E siccome poi ho cominciato ad eseguirli a penna,
un po' più che a mezza macchia, e di grandezza abbastanza
rilevante, perchè la mia vista ne sotlVa il meno possibile, così
mi costano tempo e fatica appena credibili, per cui temo
che all'epoca fissata non potrò averli tutti recati a termine.
Se però la salute mi durerà, e manderò, a chi la voglia,
la Direzione di questo Instituto Accademico che mi ruba e
moltissimo tempo, chi sa non riesca a finire il mio compito.
I disegni li eseguisco a penna, perchè col mezzo della foto-
grafia si potranno ridurre alla dimensione che si vorrà e
riesciranno come altrettanti originali. L'operazione insomma
riescirebbe più perfetta, più uniforme più economa, e simu-
lerebbero aflatto l'incisione all'acqua forte, senza alterazione
di tocco e di disegno: non li faccio poi a soli contorni,
perchè trattandosi di una edizione di lusso, e dovendo ser-
vire assai più pei letterati che non per gli artisti, fa duopo,
a mio vedere, che non solo vi sieno manifesti i concetti,
ma altresì l'elTetto del chiaroscuro, almen tanto quanto
basti a rendere i quadri ben distinti, intelligibili a tutti.
A farli incidere, costerebbero un occhio di cristiano, cia-
scuno: difficoltà somma trovare incisori di valore che
volessero occuparsene, ed anche trovati (non ne vorrebber
meno di 30 o 40 ), non riuscirebbero ad egual valore, ad
egual forza ad egual disegno, e tutti, o poco o molto, vi toglie-
rebbero dell'originalità. - S'ella verrà a Parma le farò vedere
un' unica prova, che per esperimento ho fatto qui eseguire
da un nostro bravo fotografo, e da sé stessa potrà giudi-
care quale eccellente artiste sia la Fotografìa in questo
genere di cose ; e pensare che se ne possono tirare migliaia
di copie, d'ogni dimensione, senza che mai si alteri di un
punto il disegno originale! Ed ora che si è trovato modo
di fissarli in guisa da essere duraturi in eterno, non veggo
perchè si debba usare d'altro mezzo più costoso, meno
esatto, e di più lunga lena. »
RITRAITI STATUE ED ALTRI DIPINTI
RIGUAUDANTI DANTE ALLIGHIERI.
. Giotto Stefano. L'inglese Seymour Kìrhip, uno de' più
dotti ed instancabili ricercatori di quanto riguarda Dante
e Giotto, fu il primo che diede opera perchè Dante, dipinto
da Giotto, da prima invano per lui cercato in S. Croce,
fosse scoperto nella Cappella del Podestà. Al Rirkup si
associarono nella nobile ricerca l'americano Wild, ed il
piemontese Giovanni Bezzi. Il dipinto tornò a rivedere la
luce il 20 luglio 1840 (giusta la Guida di Firenze, Piatti,
1861, il 10 luglio), ma guasto assai, mancante d'un occhio,
bucato da un arpione, e stracciato nella guancia, come
egli è a vedere nella cromilotografia, cavata sul calco fatto
sopra il ritratto appena scoperto, e pubblicata dalla società
Arundel di Londra. Fu desso egregiamente restaurato dal mo-
desto e cosciemmo prof. A. 3Iarini.-(( È stato scoperto il vero
ritratto di Dante dipinto da Giotto circa il 1298 nella Cap-
pella del Podestà in Palagio. Dai Yandali paesani era stalo
dato di bianco a questi affreschi, e per più centi d'anni erano
rimasti sepolti i miracoli di Giotto, e i volti venerandi dei
nostri antichi sotto le pennellate d' un imbianchino . . . Con
somma diligenza e con arte mirabile hanno tolto. appoco
appoco la crosta sovrapposta, e dopo vari tentativi le forme
di Dante fresche di giovinezza (perchè quando fu ritratto
ivi, aveva 32 o 33 anni, sono apparse alla meraviglia e
alla venerazione di noi tardi e tisici nipoti. Si sapeva da
Giorgio Yasari che doveva esistere questo dipinto, ma si
è aspettato fino a qui a farne ricerca: meglio una volta
che mai. É stata una vera gioia per tutti il vedere che i
ritratti che avevamo di Dante erano veri, e che almeno
in quanto a lui non avevamo adorato un idolo bugiardo. »
Gius, Giusti, Epistolario, L 209. - « Cesi un visage d'ado-
DAME E LE BELLE ARTI. 389
li^sccnt austère, et oìi sout déjà dessinés les profondes
Fides et les graiids traits désolés de l'homrae futar. Jamais
iniroir charnel n' a élé moins opaqiie; on seni que l'àme
qui s'y rélléchit est une àme sans joie, prédlsposée à toutes
les souffrances, réservée à de grandes destinées cepeudant,
mais à des destinées qu' aucun homme ne voudrail acheter
à un tei prix- 11 n'y a encore sur ce visage que de la
mélancolie; mais cette mélancolie est déjà] irrémédiable,
comme le sera plus tard la tristesse. Jamais physionomie
d'adolescent ne porta mieux le sceau prophétique des
futures destinées de l' homme, et c'est en toute vérité qu'en
le contemplant on assiste à la naissance de la source abon-
dante Che spande di parlar sì larr/o fiume. » - Emìle Mon-
téqut. Une interprètatìon de Dante, Revue des deux Mondes,
15 Novembre 1861, p. 461. - Il Fraticelli e il Cavalcasene
vogliono che Giotto dipingesse la Cappella nel 1301, subito
dopo le pitture da lui eseguite a Roma per papa Bonifazio
Vili; epoca in cui a Firenze vi fu pace fra Bianchi e Neri.
11 Passerini così opina: Intorno al 1290, o poc' oltre, dovè
Giotto dipingere la Cappella, sapendosi che questo fu uno
dei primi lavori ch'egli condusse, e ciò si puote ancora con-
getturare dal vedersi ritratto Dante Allighìeri in età giovanile,
la qual cosa non potè di sicuro avvenire prima del 1283 in
cui Dante compiè l'anno vigesimo, né dopo il 1301, mentre
l'infelice poeta era maledetto nella sua patria, e provava
siccome ' sa di sale Lo pane altrui, e com' è duro calle Lo
scendere e il salir per V altrui scale. Rafforza le congetture
il trovarvisi l'effigie di Corso Donati, capo allora dei Magnati,
che di sicuro non si sarebbe dipinto dopo gli ordinamenti
dì giustizia nel 1293, ed infine l'esservi ritratto Messer Bru-
netto Latini che morì nel 1294. - Del Pretorio di Firenze,
Lezione Accademica, detta nella tornata della Società Co-
lombaria f undici Luglio 1858, da Luigi Passerini, Firenze,
Tip. delle Murate, 1858. p. 11.
Ma il Passerini si ricredette di poi; ed egli e il cav.
Milanesi nella loro Relazione a S. Ec. il Ministro della pub.
Istruzione sul piìi autentico ritratto di Dante, s'argomentano
di mostrare che non potè esser dipinto da Giotto nel 1290,
come ritenevasì comunemente, perchè nel 1290, Giotto era
390 DANTE E LE BELLE ARTI.
in sui 11) anni; non dopo il 1303, perchè l'artefice non
avreijbe di certo effigiato l'amico suo con quel Corso Donati,
cagione principale della condanna e dell' esiglio di lui; e
assai meno gli sarebbe stato assentito di dipingerlo nel
palazzo del Podestà, dove Gante de' Gabrieli, nel 1303, avea
proferito la sentenza che dannavalo al fuoco; non dopo
il 13*21, quando all'odio delle fazioni nemiche era successa
l'ammirazione de" suoi concittadini, perchè le pitture della
Cappella del palazzo Pretorio dovettero andar perdute nel-
r incendio del 28 Febraro 133*i, e in quello del 1343, nella
occasione della cacciata del Duca d'Alene. Dall'arme dipinta
a' piedi della figura orante del Potestà, che fece fare quelle
pitture, deducono con certezza il tempo in che vennero
eseguite, appartenendo quell'arma a messer Tedice dei
Fìeschi di Genova, che tenne queir ufiicio per un anno,
cominciato il di 31 Ottobre 1358. I S.'4*asserlni e Milanesi
rivendicano questo ritratto a Taddeo Gaddi, il più amato
e il più valente dei discepoli di Giotto; che forse lo con-
dusse sui disegni del maestro, il quale dovea aver conservato
tra i suoi ricordi le sembianze dell'amico poeta. - Y. jRe/a-
zione dìL. Passerini e Gaet. Milanesi sul più autentico ritratto
di Dante. - Ma il Monti, il Gar<jani, e V avvocato Checcacci
ne sostennero l'autenticità, e il Cavalcasene specialmente
conchiude : « che il principio e la fine, i due poli, per cosi
dire, delle ricerche per rintracciare le vere sembianze
di Dante devono essere il dipinto nel palazzo del Potestà,
e la maschera cavata da Dante dopo morte. - Giotto dipinse ;
Marini dis.; BoUagay litog. - Seymour Kircoup dis.; G.Kum-
ming Dundee ine. Lyell, Londra, Molini, 1844 - Kircoup dis.,
Lasinio ine, Ediz. Firenze, Piatti, \M'2.- Richard dis.. Nocchi
ine. - 1. P. ine, ediz. da Buti, Pisa, Nistri - Cav. Antonio
Perfetti incise; Prima esposiz. ital. 1861.
. Giotto dipinse inoltre l'Allighieri in S. Croce nella navata
minore, a tramontana, presso una delle porte principali. Ma
anche questo ritratto fu imbiancato nell'occasione che il
Vasari aggiunse le colonne e i frontespizi degli altari (V.
Guida cit. di Fir. p. 311). - Ed una terza volta voleva egli
ritratta l'effigie dell'amico nella cappella degli Scrovignì
di Padova, assai simigliante a quella che vedesi nella Gap-
DAME E LE BELLE ARTI. 391
pella del Potestà di Firenze, tenendo in tutte e due il poeta
in mano la melagrana, simbolo dell' Inferno. - Il prof. Giov.
Sauro, nella Crocilìssione, dipinta in fresco in S. Fermo da
Giotto, su l'arco interno della porta di mezzo, tra le molte
ligure che quel disegno gli offerse, vide ivi raffigurato alle
[altezze conte il volto dell'AUighieri, rappresentato da un
divoto posto inginocchioni, in un tratto angusto tra le
Marie e la Croce, col volto in alto levalo e le mani giunte
in atto di orare il Crocifisso. {Ritratto di Dante Allighieri,
scoperto nuovamente in Verona, pel prof. Giovanni Sauro,
Venezia, Antonelli 1842). Lo scultore Enrico Pazzi possiede
un' effigie, proveniente da Ravenna, e ritenuta per quella
di Dante, e qual pittura di Giotto ; ma i Sig." Passerini e Mi-
lano la giudicano meglio di un qualche signorotto del sec.
XV, e forse di Sigismondo Pandolfo Malatesta, come può
riscontrarsi dalle medaglie del P. Zanelle e di Matteo Posti.
Non pochi ritratti di Dante restano ancora in Firenze,
lutti del secolo XV, alcuni in miniatura, altri a fresco o a
tempera. Il codice 320, della già Palatina, ne ha uno toccalo
in penna e lumeggialo con bistro; ma esso è evidentemente
opera del secolo XVI, alla quale età debbe del pari ripor-
tarsi la scrittura del libro, nonostante che il cav. Palermo
lo abbia, nel dotto catalogo di quella Biblioteca, assegnalo
al secolo antecedente. 11 Cavalcasene lo vuole eseguilo sulla
fine del 1300, poiché vi si riscontrano quelle caratteristiche
e quel modo che veggionsi nelle figure dìpinle da Agnolo
Gaddi. - Altro ne ha il codice Laurenziano, eh' è il 174, di
provenienza Strozzi, coiranno 1327, e per tal cagione si
liene custodito sotto cristallo, e si mostra agli stranieri,
come uno dei cimelii della Biblioteca. Ma i S." Passerini
e Milanesi sostengono sia falsa la data (già prima avver-
tila dall' Album di Roma, 8 Giugno 1861 ), e perchè il
codice contiene i Trionfi del Petrarca, e perchè scritto
da Bese Ardinghelli, vissuto oltre il 1470, e per conseguenza
vorrebbero fosse tolto dalle rarità poste in pubblica mostra.
Ma il Gargani e G. N. Monli lo trovano più pregevole di
quello che non si vorrebbe, per la sua provenienza da un
Ardinghelli, che probabilmente debbe averlo levato dalla
Cappella di famiglia in S. Trinila di Firenze, in cui Lorenzo
392 DAME E LE BELLE ARTI.
Monaco, come ci ricorda il Vasari fece di naturale il ritratto
di Dante, avendo il Laurenziano (in piedi ed in costume)
tutta la verisimiglianza di esser stato levato da un originale
di qualche grandezza, ed approssimativamente al vero. -
Il Cavalcasene lo dice scorretto nel disegno, ed una cari-
catura del tipo dantesco in età avanzata. Dalla tecnica
esecuzione, ancli'egli lo ritiene eseguito nella seconda metà
del secolo decimo quinto. Al contrario assai 'prez-ioso pei
S." Passerini e Milanesi, è il ritratto dell' AUiqhieri che sta
nel codice Riccordiano, 1040, appartenuto, a quanto appare
dallo stemma e dalle iniziali a Paolo di Jacopo Giannotti,
nato nel 1430, nel quale si trovano pure le poesie minori
di Dante, insieme a quelle di messer Bindo Bonichi. - Questo
ritratto, eh 'è di grandezza del vero, e colorato all'acquerello,
rappresenta il Poeta, secondo le sue caratteristiche fattezze,
nell'età di oltre quaranta anni, senza quella esagerazione
dei posteriori artisti che hanno fatto di Dante un profilo di
brutta vecchia, caricando il naso e la prominenza del labbro
inferiore e del mento; onde lo ritengono, unitamente a quello
del Michelino, i più autentici ritratti, come quelli che meglio
ci hanno tramandate le sembianze del grande Allighieri, e
danno ad essi la preferenza su tutti gli altrF ritratti Danteschi.
Ma il Gargani, dall'epigramma latino sotto al ritratto, ed
esprimente come e chi quello facesse fare, lo ritiene poste-
riore aggiunta al codice, e lavoro d'un certo Mario Equicola,
filosofo Abruzzese, che scrisse un trattato della Natura
d'Amore, in cui distingue un bel capitolo dal nome di
Dante, che prese cura del codice, e per gratitudine de' suoi
studj, nel 1521, lo volle decorato dell' imagine del divino
poeta. Né solo posteriore, ma non vi trova in esso che una
imagine tirata più di maniera che d' altro, un ritratto che
trionfa più del colore che dell'esattezza dei lineamenti. Ma
l'Avv. Checcacci per contrario lo ritrova somigliante a quello
del palazzo Pretorio, come l' imagine dello specchio ritiene
la somiglianza del dipinto che vi si pone di rincontro. Man-
cano, ei dice, nel ritratto del Pretorio le grinze della pelle, più
roseo è il colorito, meno sentita la sporgenza del labbro
inferiore, ma identico è il naso che non muta cogli anni,
identico il taglio, il colore degli occhi, identico il tescMo
DAME E LE BELLE ARTI. 393
che solto la carne all' uno e all' altro ritratto trasparisce.
Il Clieccacci conchìude, ritenendo il ritratto Riccardiano opera
non di un cinquecentista, come vuole il Gargani, ma di un
epoca molto anteriore, e, a suo avviso, di Giotto. Ma il Ca-
valcasene, considerata l'esecuzione tecnica del ritratto, lo
ritiene lavoro dal 1400 al 1500, riscontrandovi pure nella
foggia del vestire una modificazione più sensibile.
LoRENZETTi AMBROGIO. - « Yolcndo cou visil)ile documento
insegnare alla sua patria, che non alle discordi e sciagurate
moltitudini, ma ai pochi savi e virtuosi cittadini s'affidasse,
fece un venerando vecchio, cinto di real corona, per sim-
boleggiare il reggimento di Siena; e intorno ad esso ritrasse
di naturale ventiquattro de' più illustri e benemeriti uomini ,
fra i quali era Dante Allighieri ; come colui, che, avendo
meglio d'ogni altro conosciuto la mala radice delle discordie
d'Italia, seppe altresì additare il modo di sbarbarla in quel
poema, che a ragione è stato chiamato della rettitudine;
e come fu la maggiore e più viva espressione di quel se-
colo, così divenne specchio di vera civiltà ai secoli avve-
nire. - (Nella maggior Sala del palazzo di Siena.) Ranalli,
Storia delle belle arti in Italia, i. 87.
Gaddi Taddeo, (n. e. il 1300, viveva nel 1366) - « Sotto
il tramezzo che divide la Chiesa (di S. Croce), a man sini-
stra, sopra il Crocifisso di Donato (ora nella cappella dei
Bardi) dipinse a fresco una storia di S.Francesco, d'un
miracolo che fece nel risuscitar un putto ch'era morto ca-
dendo da un verone, coli' apparire in aria. In questa storia
ritrasse Giotto suo maestro. Dante poeta e Guido Caval-
canti. » - Vasari, ii. HO. - Questa pittura è pure ricordata
da Leonardo Aretino: «l' effigie sua propria si vede nella
Chiesa di Santa Croce, quasi al mezzo della chiesa, dalla
mano sinistra andando verso l'altare maggiore, e ritratta
al naturale ottimamente per dipintore perfetto di (juel
tempo.» - Vita di Dante. - Md tolto il tramezzo dal Vasari,
nel 1566, per ordine di Cosimo I, anche gli affreschi se ne
andarono.
Orgagna Akdrea. - 11 Trova è d'avviso che Andrea
Orcagna dipingesse Dante nel Camposanto di Pisa nella
Cavalcata detta dei Re. Ciò che maggiormente farebbe
394 DANTE E LE BELLE ARTI.
attribuire a Dante le sembianze del cavaliere di Andrea
Orcagna (da altri voluto Gaddo de' Gherardeschi) è il focale,
ossia le bende pendenti da un berretto, le quali si rannoda-
vano sotto al mento.
Massaggio di Ser Giovanni di Simone Guidi di S. Giovanni
Di Yaldarno. - 11 gran Masaccio dipinse l'effigie e la per-
sona di Dante in uno dei personaggi del quadro del Martirio
di S.Pietro nella prodigiosa Cappella del Carmine; e il
sapiente pittore, oltre averlo decorato dell'abito prìorale,
gli ha impartito tale autorità che si pare che gli astanti,
che interrogano il suo senno, manifestino nell'atto volersi
acquetare alla sua sentenza. » - Misslrlnì, Appendice, N.° II. -
11 Gargani appunta il ritratto del Massaccio d'indifferenza
di carattere, e di non curanza de' veri lineamenti del poeta,
trasmessici da' biografi, ragione per cui questa effigie rimase
così indietro che pochissimi sono quelli che la ricordano. -
Nel Vasari non trovo che il Massaccio dipingesse l'Allighieri
nella Cappella del Brunacci : anzi egli è omai incontrastato
che la Crocifissione di S. Pietro, e S. Paolo dinanzi al Pro-
consolo che formano nella stessa parete un partimento solo,
sono opere di Filippino Lippi. I ritratti ch'ei vi dipingeva
oltre il proprio, sono quelli di Sandro Botticelli e del Pol-
laiuolo, inginocchiati avanti S. Pietro: gli altri cinque diritti
che vengono dipoi, dipinti pure da Filippino, sono quelli
del poeta Luigi Pulci, di Tomaso Soderini, di Pietro Guic-
ciardini e di Pietro del Pugliese.
D. Lorenzo Pittore, Monaco Camaldolese degli Angeli
DI Firenze. (Prima memoria del 1410) - « In S. Trinità dì
Firenze dipinse a fresco la Cappella e la tavola degli Ar-
dinghelli che in quel tempo fu molto lodata, dove fece di
naturale il ritratto di Dante e del Petrarca (opera che più
non si vede). - Vasari, IL 211.
Dal Castagno Andrea, di Mugello, (n. dentro i primi
anni del sec. XV; m. circa il 1480). - Dipinse a Legnaia,
presso a Soffiano, a Pandolfo Pandolfini, in una sala molti
uomini illustri (oggi ridotta a casa colonica: appartiene
al Marchese Rinuccini). Delle quattro pareti dipinte, una
sola è quella che al presente conserva le pitture; le altre
sono coperte di bianco, ed in parte fors'anco distrutte.
DANTE E LE BELLE ARTI. 395
Nella parete superstite v'ha l'effigie di Dante, alla quattro
braccia, ritta in pie, condotta con pratica di colore, riso-
lutezza e intelligenza di disegno, per quel tempo sorpren-
dente. Ha la sopravveste rossa in dosso, in capo un
cappuccio rosso con il mazzocchio foderato di vaio, e piccoli
focali a gole bianche. Colla destra sostiene il poema sacro,
colla sinistra, alquanto alzata e stesa, sta come in atto di
favellare. Porta scritto: Dantes de Alegìerìs Florenlinus. -
Questa pittura, trasportata sulla tela, trovasi ora nella Galleria
degli Uffizii. 11 Passerini e G. Milanesi osservano invece che
il Castagno effigiò Dante quale lo vedeva nella sua fantasia;
niente conservando delle note fattezze di lui, che rammen-
tano quelle della razza elrusca, e si riscontrano in grandis-
sima parte negl'illustri fiorentini di quel tempo e degli
anni posteriori.
Benozzo Gozzoli. (n. 1424 m. 1485) - In una Cappella
laterale della Chiesa di S. Francesco in Montefalco nell'Um-
bria compose dodici storie della vita di questo Santo; e in
dieci tondi i busti dei più chiari uomini di quell'ordine;
ed in tre altri, i ritratti di Giotto, di Dante e del Petrarca,
come dice il motto latino eh' è sotto a ciascuno. Sotto
Dante è scritto: Teoìo(/us Dantes nulììus dofjmatìs expers;
sotto Giotto: Pktorum eximìus Jottus fundamentum et lux ;
sotto Petrarca : Laiireatus Petrarca, omnium virtutum mo-
narca. {Opus Benoziì de Florenzia, constructa atque deputa
est hec capella ad honorem ijloriosi Ilyeronimi. m. ecce. Lii.
Die Primo JSovembris) - V. Commentario alla Vita di Benozzo
Gozzoli, Vasari, iv. 194. - Sciaguratamente i danni del tempo
ed ì successivi restauri, e l'ultimo del 1858, gli hanno tal-
mente deturpati da non lasciar loro niente del carattere
originale.
Mantegna Andrea. ( n. 1431, m. 1506 ) Questo ritratto
conservasi in casa Biadego di Verona.
Domenico di Francesco detto dì Michelino. - Questa
tavola si vede a sinistra di chi entra nella Metropolitana
di Firenze, presso una porta di fianco. Fu essa per lunghis-
simo tempo attribuita all'Orcagna, fino a che il Gaye nella
Prefazione del 2.'^ volume del suo Carteggio d'artisti non
l'ebbe coll'aìuto di autentici documenti restituita al suo vero
396 DANTE E LE BELLE ARTI.
autore.' Secondo questi documenti, venne essa allogala, per
commissione degli operai, al Michelino, allievo di Fra Giovanni
da Fiesole, il di 30 Gen. 1465: Allor/harono a Domenicho di
Michelino dipintore presente consentiente et conducente, una
fi<)hura in forma a f/uisa del poeta Dante la quale debbe
fare dipinta e colorire di buoni colori a oro mescolato coli
ornamenti, come appare dal modello dato per Alexo Baldo-
vinetti, dipintore . . . la quale sia nel luogo ove è la capella
che e in Santa Maria del Fiore. Il Michelino convenne di
eseguirla entro sei mesi e per lire cento, ma n'ebbe poi
lire 155, avendo i periti dell'arte giudicato il lavoro di
maggior pregio della mercede pattuita. I Sig.ri Passerini
e Milanesi lo tengono senza dubbio il più antico ed accertato
tra i ritratti dell' AUighieri che rimangono ancora, potendosi
congliietturare che sia stalo fatto, tenendo ad esempio quello
di Taddeo Gaddi, dipinto in S. Croce. Il Cavalcasene lo
aggiudica fiacco assai, quale era il sentire del pittore e la
scuola alla quale fu educato.
« Penetrate col pensiero l'augusta soglia di S. Maria del
Fiore, e ammirate sovresso una delle sacre porte la maestà
di Dante che è lì posta a discacciare i profani. Che dignitoso
portamento! Quanto è mai serena quella fronte 1 si direbbe
ch'ei pregusta le dolcezze del suo figurato paradiso! Né
|X)teva essere più convenevolmente collocato Colui che
seppe con verità e mirabile artifizio disegnare il regno dei
cieli. Ed è pur anco in questa Chiesa maggiore che la divina
Comedia veniva spiegata sul pergamo, ciò non stimandosi
indegno allora quando la parola di Dante ben raccoglievasi
quale uno dei più vivi splendori della parola di Dio. » -
Giuliani, sul vivente linguaf/gio della Toscana, Lettera XV.
p. 58. - V. Ampère, Viaggio dantesco, p. 37.
SiGNORELLi Luca, Nella Madonna d'Orvieto, nella Cappella
che già vi aveva cominciato fra Giovanni da Fiesole. - « Sono
da osservare ancora, nello spazio sottostante alle grandi
composizioni, quattro quadrati, dove il pittore ha rappre-
sentato a chiaroscuro i poeti Ovidio, Virgilio, Claudiano e
Dante; e dentro un tondo, il ritratto di Esiodo a colori, mez-
za figura : quindi sono alcuni altri tondi, con dentrovi soggetti
tratti dai loro poemi. » Annotaz. alla vita di L. Signorellì
DAME E LE BELLE ARTI. 397
del Vasari, Voi. VI.. 142. 11 ritratto è disegnalo con quella
forza ed energia di cui era capace quel maestro.
Raffaello Sanzio. - >Jello stupendo dipinto del Parnaso.
Evvi, così il Vasari, la dotta Saffo, ed il divinissimo Dante,
il leggiadro Petrarca e lo amoroso Boccaccio che vivi vivi
sono. - « Contemplativo e macro, quale gli studi e le sventure
lo aveano fatto Nò si potrebbe mai dire la vivezza di
quelle teste, che nella loro bellezza spirano un fiato di
divinità, quale rappresentano le loro opere immortali. r> -
Ranallì, Storia delle belle urti, i. 369. - Il ritratto del poeta
vi comparisce ( nel Parnaso ) con tipo o carattere così
ardito, che alla presenza di quella immagine ci porlii
piuttosto a dire che non l'arte ma la sua poesia lo abbia
rappresentato. Jsè v'ha dubbio che Raflaello, perfetto ri-
trattista qual egli era, che dipingeva a Roma e nel Vaticano,
protetto da papa Leone X, non abbia potuto sicuramente
sapere e procacciarsi quella pittura e quel disegno che
meglio al naturale gli porgesse le sembianze del poeta. Onde
il Fantoni ritiene quello del Vaticano, nella sua nattirale
grandezza, ìion impicciolito, trasfigurato, e da la mano di
unUaffaello, il vero ritratto di Dante.- Ancho weWiH Disputa
dei Dottori lo effigiò assieme coi S. Domenico, Francesco,
Tommaso ti' Aquino, Bonaventura, Scolo, Nicolò da Liri, e
fra Girolamo Savonarola. Forse nel collocarlo tra i teologi
n'ebbe consiglio dair Ariosto, sapendosi ch'ei fu da lui
consultato per lettera intorno i personaggi da introdurre
in questa pittura. — «Ad illustrare e nobilitare il soggetto,
e dell'aver posto tra questi Dante Allighierì, mostrò ch'egli
non avea solamente letto la divina Comedia, ma ne avea
inteso l'alto senso per dar luogo al poeta tra' teologi che
disputavano sull'Eucaristia « - Hanalli, Id. i. 3G3 - «Nelle
sale del Vaticano contemplai effigiato l'altissimo poeta in
mezzo ai solenni e gravi dottori che compiono la Disputa
del Sacramento, non ultimo jirodigio dell'arto e dell'ingegno
di Raffaello. Non però me ne prese meraviglia, quasi ci mi
paresse in luogo suo, sì nelle scienze teologiche si può ag-
guagliare a quei difensori ed illuminatori del Cristianesimo.
Ma non mi cessa lo stupore, dacché riiuiro Dante fatto quasi
custode del tempio (di S. Maria del Fiore), e l'onoro pen-
398 DANTE E LE BELLE ARTI.
sando che il suo nome e la sublime dQllrlna risonarono ad
una cogli oracoli slessi della Divinità. » l*. Giuliani, Lettera
cit. - V. Amphre, Viaggio dantesco, 90.
Un altro ritratto di Dante sull' originale di Gioito, dello
slesso Raffaello, vuoisi posseduto dal S."^ Mooris Moore di
Londra (ora residente in Roma, dinanzi al palazzo Barberini).
Il S."" Moore conforta anche la sua opinione colla storia spe-
ciale di quel ritratto, mentre egli dimostra come Raffaello
10 esegui per commissione del cardinal Bembo, e che dopo
tre passaggi in altre famiglie signorili egli si è il quarto
attuale possessore.
Tra i disegni di Raffaello, conservati nella Galleria del-
l'Arciduca Carlo di Vienna, ve ne ha pure uno rappresen-
tante Dante in profilo, in atto di tenere la Divina Comedia
sul petto : la parte inferiore non è che leggermente tracciala.
11 disegno venne fotografato dall' i./mare di Firenze.
Del Sarto Andrea, n. 1448. m. 1530. - Nella predicazione
del Battista alle turbe, dipinta per la Compagnia dello
Scalzo, nel cortile murato dirimpetto al celebre orlo di S.
Marco. - Ranalli, Storia delle belle arti, i. 522.
AGGELO DI Cosimo, detto il Bronzino, n. nel borgo di
Monticelli, fuori di porta S. Friano, 1502, m. 1572. — « A
Bartolommeo Bellini, per empiere alcune lunette di una sua
camera, fece i ritratti di Dante, Petrarca, ligure dal mezzo
in su bellissime. » - Vasari xni. 161.
Vasari Giorgio, (n. 1512, m. 27 Giugno 1574) - Nel 1544,
in un solo quadro, per commissione di Luca Martini, ritraeva
Dante, Petrarca, Guido Cavalcanti, il Boccaccio, Gino da Pi-
stoia e Guittone d'Arezzo, cavati com'ei dice, dalle loro
leste antiche accuratamente; del quale ne sono state fatte
più copie. - Vasari, i. 23. - Una di queste esiste nella Gal-
leria del Duca di Orleans. - Nel Monastero di S. Maria di
Scolca, a tre miglia da Rimini, - « nella Cappella, ovvero
tribuna, feci quattro grandissime figure che trattano delle
lodi di Cristo e della sua stirpe e della Vergine, e questi
sono Orfeo ed Omero con alcuni motti greci, Virgilio col
motto latino: jam redit et virgo ; e Dante conquesti versi:
Tu se' corti che l' umana natura
Nobilitasti sì, elle il suo Fattore
DANTE E LE BELLE ARTI. 399
Non disdegnò di farsi sua fattura... Par. xxxiu. 4
Vasari, i. 32.
Ignoto, (scuola del Gozzoli) ; Nell'Accademia dì belle ani
in Pisa.
Ignoto, [scuola Toscana); Nella Galleria degli Uflìzj dt
Firenze, Prima sala della Scuola toscana; - e Sez. xi. degli
affreschi, primo spazio.
Ignoto, (Nella biblioteca de' Canonici di Verona); Fu legato
ad essa dal Perazzinì.
Nardini..., Palazzo Corsini di Firenze, 1. Camera.
Calamai B., ■— Palazzo Capponi, 5. Stanza.
Zanobi Canovai, — Esposiz. fìr. 1856.
Bianchi ... Affresco, nel R. Archivio Centrale di Stato in
Firenze, nella sala dedicata specialmente agli Archivii delle
Ani, e segnatamente al disopra dello scaffale ove sono
disposti i documenti dell'Arte dei medici e degli speziali,
con la leggenda: Dante Allìghieri Med. Spez. MCCLXXXYIL
N. ìY. Quadro a olio che fece dipingere il Cesari, e poneva
nella sua villa di Beccacivetta, a cinque miglia da Verona,
con sotto l'epigrafe: Danti . AlÌ(jherio . poelae . omnium .
primo . magistro . et . auctori . suo . feci. A. C. MDCCCXXI.
Quod . vivo . et . placeo . si . placco tuum esU
JX. iV. Quadro ad olio che si fece dipingere il prof. Gius.
Manuzzi in Firenze; a cui appose l'inscrizione da lui dettata:
A-Dante Allìghieri - principe di guanti mai furono poeti al
mondo - al primo e sommo autor suo - dedica Giuseppe Ma-
nuzzi-non meno riverente che affezionato- MDCCCXXXIL
Albertini Luigi, mezza figura; Esposiz. ven. 1852.
Barrias Francesco : - Dai versi del Barbier : Ecco quegli
che viene a sua posta daW Inferno; Esposiz. del Louvre, 1853.
Vibert Giulio, Dante e Beatrice, nella Biblioteca del
Castello di Nozet; Esposiz. univ. di Parigi, 1855.
Agricola Filippo, Dante e Beatrice.
SiGNOL Emilio, di Parigi, Beatrice; Esposiz. univ. di
Parigi, 1855.
Barucco Felice, Beatrice; Esposiz. di Torino, 1863.
Ritratto di Dante, che credesi formato dal vero, e git-
talo in creta l'anno 1321 {d'apres le masque in terre cuite
400 DAME E LE BELLE AUTl.
moulé a Ravenne le jour de la mort di Dante). In casa dei
Marchesi Luigi e Carlo Torrigiani, Firenze: - Lyell fece fare
a Londra un incisione elegantissima di questo prezioso
avanzo dell'arte del XI Y. secolo. - Dis. Philips, Ut. Jt. G.
Lane, 1844. - Ignoro se il ritratto in marmo, fortunata-
mente scoperto in Ravenna dal prof. Luigi Grisoslomo Fer-
rucci sia Io slesso od un altro.
Un altro bassorilievo, forse dalla testa di Dante fatta
cavare dell' Arcivescovo di Ravenna ( Cinelli Tose. Leti. T.
I. e. 340, Manoscr 306. Magliabech. ), trovasi in Roma^
presso i R. R. Can. Regg. a S. Pietro in Vincoli, nella Sa-
cristia attigua al Mosè del Buonarroti. (I)
Lombardi Pietro, Monumento in Ravenna, 1483. - Di
forma quadrata, coperto di una cupola emisferica, elegante
assai per la struttura e pegli ornati; ha la dimensione di
metri 3, 35 per ogni lato. Nei penacchì della cupola vi hanno
quattro medaglioni, in che sono raffigurati Virgilio, Brunetto
Latini, Cangrande della Scala e Guido Polentani, lavoro a
stucco di Paolo Giabani, Luganese; le pareli pure sono
fregiate di stucchi elegantemente disposti : nel mezzo surge
l'urna di marmo greco che racchiude le ceneri del poeta,
su la quale vi è scolpila l'inscrizione, con le sigle S. ^. F.
Jura Monarchiae, Superos, Phlegetonta, Lacusque
Lustrando, cecini, voluerunt fata quousgue ;
Sed quia pars cessit melioribus liospita castris,
Auctorenique suiira petiit felicior astris,
Hic claiidor Dantes, patriis extorris ab oris,
Quem genuit parvi Fiorentia mater amorls.
L'urna è sormontala dall'effigie del divino poeta, scolpita a
mezzo rilievo dal Lombardi: egli è in atto di tenere gli
occhi in un volume posto sopra un leggio, colla mano sini-
stra sorreggesi il mento, e colla destra poggia su d' una
breve tavola. In allo sta una ghirlanda che chiude in mezzo
(1) Quanto alla maschera cavata da Dante dopo morte, una ne[ aveva
Stefano Ricci, che doveva servire per il suo monumento in S Croce...; un
altra ne aveva lo scultore Bnrtolini, proveniente da Ravenna, la quale
passò nelle mani del Sig. Seymour Kirkup . . . Portata questa maschera
davanti al ritratto dipinto nel palazzo del Potestà, si riscontrarono le
«tesse fattezze, lo stesso tipo, la stessa sagoma, solo che mostra essere
più vecchio, e tale età appunto combinerebbe con quella che aveva U
poeta alla sua morte, cioè dai 56 ai 57 anni. G. B. Cavalcasene.
DAISTE E LE BELLE ARTI. 401
le parole: Vìrtuti et honori. - È offeso nel profilo; ed il
Cavalcasene lo dice una caricatura, ma riscontra in esso la
provenienza della vera maschera di Dante. - Di questo
monumento se ne debbe il merito a Bernardo Bembo, pa-
dre del cardinal Pietro, come ce ne fa fede l'iscrizione che
tuttavia si legge:
Exigua tumuli, Dantes, hic sorte jacebas,
Squallenti nulli cognite pene situ;
Ai nunc marmoreo subnixus conderis arco,
Omnibus et cultu splendidiore nites.
Nimirum Bembus, Musis inccnsus etruscis,
Hoc tibi, quem in primis hae coluere, dedit.
Anno Salutis MGGGGXXXIII. VI. Kal. Jun.
Bernardus Bembus Praetor aere suo posuit.
In questa occasione scomparve l' antica iscrizione che verso
la metà del secolo XIY, si leggeva su quel sepolcro, dettata
da Giovanni del Virgilio, e di cui parla il Boccaccio:
Theologus Dantes, nuUius dogmatis expers,
Quod foveat claro pbilosopbia sinu;
Gloria Musarum, vulgo gratissimus auctor,
Hic jacet, et fama pulsat utrumque polura:
Qui loca defunctis gelidis, regnumque gemellum
Distribuii, loicis, rhetoricisque modis.
Pascua Pieriis demum resonabat avenis :
Atropos beu! lectuni livida rupit opus.
Huic ingrata tulit tristem Florentia fructum,
Exilium vati patria cruda suo.
Quem pia Guidonis gremio Ravenna N'ovelii
Gaudet honorati conticuisse ducis.
Mille trecentenis ter septem Numinis annis,
Ad sua septembris idibus astra redit.
Ricci Stefano, « Monumento di S. Croce in Firenze (1829).-
«II monumento dell'esule era debito di Firenze. Solenne-
mente conveniva riaprire le sue porte a luì, al quale il
cielo, come Michelangelo canta, non^contese le sue... Il
monumento di lui è quasi il decreto solenne di sua rivo-
cazione, è atto di politica ammenda. In un tempio egli pro-
fetava a se stesso di dover essere incoronato poeta; e il
suo monumento fu collocato in un tempio ... La Poesia,
mezzo prostesa sul monumento, per Dante non piange, ma
piange le sventure, retaggio dei disprezzati e perseguitati
annunziatori d'austere verità; l'Italia spira gravità virile
e religione imperiosa, perchè tale spirava ne' suoi pensicr
YoL. 11. n
402 DANTE E LE BELLE ARTI.
ignudo siede li poeta, quasi imaglne delle anime altere e
forti, viventi in tempo di calunnia e di discordia; il go-
mito posa sull'opera che V ha fatto per più anni macrn,
per denotare che le avversità della vita e la smania di
legittime speranze, miseramente deluse, tanto possono sul
cuore de' più sofferenti, da far loro dimenticare ogni idea
di conforto, e fino il sentimento della propria grandezza. » -
Tommaseo. - Il dall' Ongaro cosi ci descrive il monumento
del Ricci. - « Lo scultore fiorentino sembra essersi inspirato
al mausoleo innalzato dallo scultore Veneto al papa Rezzo-
nico. Abbiamo dunque un'opera canoviana di seconda mano.
Abbiamo la figura colossale di Dante seduto, anzi accosciato
suir urna vedova ancora delle sue ceneri. La figura è mezzo
ignuda e mezzo vestita, per serbare il giusto mezzo acca-
demico. Ma ciò non monta. La faccia di Dante non ha la
serena gravità che i Greci davano agli eroi e ai semidei
che scolpivano ignudi ne' teatri o ne' templi. Il poeta fio-
rentino, benché coronala la fronte, anzi il cappuccio, del
lauro desiderato, guata accigliato dinanzi a sé come rim-
proveri ai fiorentini gli antichi rancori e la^ presente mol-
lezza. L'aspetto non è d'un padre che ritorna in seno alla
famiglia desiderata, è piuttosto d'un giudice, d'un Minosse,
Di quel conoscitor delle peccata
Che esamina le colpe nell'entrata . . .
Belle sono le due figure allegoriche che sorgono ai lati:
l'Italia stellata in fronte, che addita agli astanti quel verso
dantesco scolpito sull'urna:
Onorate l' altissimo poeta ;
e la Poesia che s'abbandona afflitta e piangente sul gran
volume, proprio sulla pagina in cui Dante rivelava il se-
creto dell'arie sua:
lo mi son un che quando
Amore spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo' significando.
Ed hai ragione di piangere, o bella Musa, non perchè il
poeta che scrisse quei versi sia morto, ma perchè il secreto
del suo genio è perduto... Il Mondo illustrato, 1861, p. 187. -
?sel basamento si legge: Danti Aligherio - Tusci - honora-
rium tumuhim - Ter a majoribus frustra decretum - Anno
ttocccxxix - Feliciter excitarunt.
DANTE E LE BELLE ARTI. 403
Demi Emilio (1842), Statua, in Firenze, nelle nicchie degli
Officj. - «L'aspetto di Dante è iroso ed arcigno, ed alza
il dito con espressione non facile a definire, e certo non
bella. » Dall' Ongaro, Id. - Appiè della statua sì legge: Dante
Allighieri.
Statua, neir Accademia dei Pellegrini in Firenze. Il
Doni nell'occasione che inauguravasi la statua di Dante,
Petrarca, Boccaccio, dettava questa iscrizione che venne
pure scolpita: Per eterna memoria - Gli Accademici Pellegrini-
Uanno posto qui per corona - Della gloria toscana le statue -
Di Dante Petrarca e Boccaccio - Le quali consacrano al gran
padre della virtù - Lo ili.""* et Ecc."^" Sig. Cosimo Medici -
Duca di Fiorenza e Siena.
Statua, Nella facciata del palazzo Altoviti (borgo degli
Albizzi), che il volgo suol chiamare dei Visacci. Baccio Valori,
Senatore del granduca Ferdinando I, fece scolpire in marmo
e in tre ordini a guisa di termini, i ritratti di quindici
illustri fiorentini. Nel primo ordine superiore, consacrato
alle Musae etiam florentinae, prima di tutti vi è la statua
di Dante. Questi ritratti furono illustrati da Filippo di Baccio
Valori neir Opera : Termini di mezzo - rilievo e di tutta
dottrina, Fir. 1604, Marescotti ; - ma non indica chi ne sia
l'autore.
Statua, in Firenze, alla porta di S. Pier Gattolino (Romana),
al principio dello Stradone che conduce al Poggio Imperiale.
Questa statua fu tolta dall' incompiuta facciata del Duomo,
allorché per le nozze del gran principe di Baviera fu de-
molita, per dar luogo ad altra che non ebbe poi effetto.
Busto (I587j. « Sendo Console dell'Accademia fiorentina
il senatore Baccio Valori, fu inaugurato il busto di Dante
di ottima scollura, e molto traente alla simiglianza di na-
tura, sulla porta dello Studio fiorentino, quasi Nume che
togliesse in tutela il progresso della patria sapienza. Il qual
marmo ora è stato in più degna parte collocato. » - Missirini.-
Come è manifesto da una lettera del Valori, 10 Gennajo
1587, il busto di Dante fu eseguito col salario di uno anno
già stanziato a due lettori sopra Dante e Petrarca, hoggi
vacante che imporla scudi 48. - Feud. Leopoldo Del Migliore
ci fa sapere, come oltre la testa di marmo di Dante, principe
404 DANTE E LE BELLE ARTI.
sovrano dell eloquenza, vi fosse pure l'arma della republica
unita a quella dello studio firentino, ch'era un cherubino
rosso in campo d'argento. - Firenze, città nobilissima illu-
strata, p. 386. - Il busto di Dante, ivi posto dagli Accademici
ad eccitamento degli ingegni, al principio del presente
secolo fu tolto da quel degno luogo, e allogalo nelle scuole
Eugeniane; né il perchè ben non si seppe.
Busto, suir ameno boschetto degli Strozzi, sopra una
collina del Monteliveto, a cavaliere di Firenze,
Busto, in Camerata, fuori della porta a Pinti, presso
Fiesole, ad un miglio da Firenze, in casa Pinzanti, oggi
appartenente al cav. Guido Giuntini, antica casa e podere
degli Allighieri.
Pazzi Enrico, Modello di una statua, in forma colossale,
rappresentante il divino poeta in atto di maledire le di-
scordie che agitavano l'Italia (Esposiz. (ir. 1845). Allo zoccolo
vi pose l'aquila romana che volge il capo al poeta quasi
gli si raccomandi. L'opera esprime non solo il poeta ma
l'uomo politico che esponeva ai dotti il proprio sistema nel
libro de Monarchia, e lo predicava al popolo nella divina
Comedia. - Sarà inalzata nel 1865. S'inslitui in Firenze un
Consiglio dirigente la società per lo scolpimento della ridetta
statua colossale.
Statua, nella bella e magnifica villa Puccini, detta il
villone di Scornio, un miglio presso Pistoja (1827). - Sotto
la statua del poeta seduto e gridante: Ahi serva Italia . . .
si legge la seguente epigrafe di P. Giordani. - Acqueta il
tuo magnanimo dolore - 0 Dante padre nostro - Alla tua
Italia serva non più volontaria - E già dolente di sua lunga
pigrizia - Or sono in cospetto i tempi che tanto desiderasti, -
Dedicato da JSicolao Puccini - l'anno DLXil dalla nascita
di Dante.
Demi Emilio, Statua, nell'Accademia Labronica di Livorno.
iV. iV. Busto in bronzo del secolo XIV nel Museo di
Napoli. « Egli è assai difficile di poter assegnare al secolo
XIY un busto di bronzo, non avendosi alcun'altra memoria
che questa usanza di rappresentar gli uomini illustri fosse
nella pratica dell'arte e nei costumi di quel tempo. - L.
Passerini, Gaet. Milanesi, Relazione sul più autentico ritratto
DANTE E LE BELLE ARTI. 405
(li Dante. » - Il Cavalcasene, da oUime teslimonianze, lo
dice una derivazione della vera maschera dantesca.
D'EsTE Alessandro, Busto, a Roma, nella Prolometeca del
Museo Capitolino: sotto il busto sta scritto: A - Dante
Àllìghieri - Antonio Canova - MDCCCXIII.
MiLESi Bianca, Busto, Esposiz. mil. 1817.
CoMOLLi . . . , Busto, Villa Melzi, nel lago di Como.
Briganzol . . . , Busto; Esposiz. tor. 1859.
Faveau Felicita, Statua, in Casa Portalis, Parigi.
Cavelier Pietro Giulio, Busto in bronzo; Esposiz. unlv.
di Parigi, 18bo.
Préault . . . , Medaglione in bronzo; Esposizione di Parigi,
1853.
Rietschel e.. Statua nel R. Museo di Dresda (1847-54).
L' egregio S."" Petzbold, bibliotecario di S. M. il re di Sasso-
nia, mi scrìveva a' 24 Settembre 1861. - « Alter arti-
fex Dresdensis Oppenheimiiis, an. 1854, ima(finem hujiisce
staluae photofiraphicam fecit. Praeter hanc Rietschelianam
Dresdae invenitur altera figura Dantis dimidia, quae, nescio
quo artifice, ex marmore Carrarensi, pulcherrime extructa
est. liane alleram fìguram quondam b. rex Prussiae Fride-
ricus Gulìelmus IV. nostro regi potentissimo Johannì dono
dedit. (1)
Raffaello Sanzio, Beatrice (nella sua Teologia) V. Ampè-
re, 90.
Lanfredini . . . , Beatrice, 1855.
Canova A., Beatrice, busto, 1819, pel Co. Leopoldo Cico-
gnara - Riprodotto nel 1822, pel cav. Stefano Szechevy, -
Id. Erma, pel S.^ Berring di Londra, 1822.
CoiiOLLi . . . , Beatrice, busto, nella villa Melzi, sul lago
di Como.
Borro Luigi, Beatrice, ideale tratto da un Sonetto di
Dante, busto in gesso ; Esposiz. ven. 1800.
Fari Altini Francesco, Beatrice, Statua; I. Esposiz. ilal.
1861.
(1) De' monumenti votali da Municipi Italiani alla memoria di Dante,
a festeggiare degnamente il sesto Centenario della sua nascita, toccberò
più avanti.
406 DANTE E LE BELLE ARTI.
Ruo Giacomo, di Napoli, Beatrice; I. Esposiz. ital. 1861,
Proprietà della R. Casa di Napoli.
Bentivoglio Marchese Nicolò, di Ferrara, Beatrice, busto ;
I. Espos. ital. 1862.
Hancock Giov., Inglese, Beatrice, Statua; Esposiz. univ.
di Parigi, 1855.
Fabisgh Giuseppe, d'Aìx, Beatrice, Statua ; Esposiz. univ.
di Parigi, 1855.
DIPINTI RIGUARDANTI LA VITA
DI DANTE ALLIGHIERI.
Bellucci Giuseppe, Dante divenuto gravemente infermo
dopo la morte di Beatrice, e dopo molti mesi di languore,
c^rca sollievo negli studii della Filosofìa ; Esposiz. fìr. 1857.
Barrucco Felice, Dante, in atto di chi rapito a melodia
celeste, si arresta colla penna sulla carta, e ascolta e nota
quanto amore gli significa; Esposiz. tor. 1855.
PoDESTi Cav. Francesco, Dante e Giotto, quadro illustrato
dal Co. d'Arco, Esposiz. mil.
MoNGERi Giuseppe, Dante col musico Casella e Giotto;
Esposiz. mil. 1845.
Caimi Antonio, Dante delineato ed effigiato da Gioito,
in casa del musico Casella ; Esposiz. mil. 1847.
Ghedina Giuseppe, Dante nello studio di Giotto, in atto
di recitargli qualche brano della divina Comedia; Esposiz.
yen. 1857.
Bompiani Roberto, dì Roma, Lo stesso soggetto; Prima
Esposiz. ital. 1861.
De Keyser..., Nell'atto che Giotto è tutto intento a
dipingere una Madonna da un modello. Dante gli comunica
le sue idee sull'arte; Esposiz. artistica di Anversa, 1861.
Barrias Giuseppe, di Pariffi, Pellegrini che si rendono
a Roma pel Giubileo del 1300 - Dante, Villani e Gioito;
Esposiz. univ. di Parigi, 1855.
DAKTE E LE BELLE ARTI. 407
Masiki . . . , Dante ambasciatore a Bonifacio YIII, dipinto
illustralo da Ottaviano Gigli.
BoTAzzi Agostino, Vicentino, Dante che visita Giotto a
Padova nella capella degli Scrovigni; Esposiz. ver. 1864.
ToMASELLi Albano, L' esigilo di Dante; Tomaselli dis.
Ahrens ine (Nel Monumento di carità di Trieste, 1857).
Zanetti BoRziNO, (Signora) Dante ramingo; Esposizione
genov. 1858.
De Pans Carlo, Dante che dall'altura di un colle guarda
Firenze da lui tanto vilipesa eppure tanto amata; Esposiz.
rom. 185G.
Gagliazza Giuseppe, di Trecate, Dante Allighieri in cerca
di ricovero al monastero di Avellana; Esposiz. 1863.
Bertini Giuseppe, Dante, peregrinando, entra nel convento
dei monaci agostiniani eremitani di Corvo in Lunigiana,
Opera coronata dall'Accad. di Milano ; Espos. mil. 1845.
Bezzuoli Giuseppe, Dante e Fra Ilario.
GuALDi Antonio, Fra Ilario che riceve da Dante la prima
parte della Divina Comedia.
Crosa . . . , Dante che si congeda da Frate Ilario, al con-
vento della Spezia; Esposiz. tor. 1857.
De Biasio Domenico, Dante esule accetta l'ospitalità of-
fertagli da Guglielmo dei conti di Castelbarco nel Castello
di Lizzana, presso Bovereto; Esposiz. ven. 1851),
Melchi Giuseppe Luigi, Dante che declama la Divina
Comedia alla corte di Mastino della Scala; Esposizione
ven. 1857.
Sanesi Nicolò, Il profugo divino in atto di prendere
licenza dà Cangrande della Scala, signor di Verona; Espos.
tose. 1858.
Celentano..., di Aapoli, Dante deriso dalle popolane di
Firenze (??), le quali vedendolo scarno e abbronzito lo cre-
dono veramente tornato da' regni bui; Esposiz. tor. 1863.
Chiecchi Basilio, da Montorio, [Veronese) L'AUighieri che
chiude le orecchie per non sentire le stonature fatte da due
donne de' suoi versi ; Esposiz. ver. 1864.
MoccHi Giovanni, Dante che presenta Giotto a Guido di
Ravenna ; Espos. fior. 1855.
Larese-Morktti Eugenio, La morte di Dante a Ravenna,
408 DAME E LE BELLE ARTI.
affresco, dipinto in una parte che fiancheggia la maggior
sala del museo di Torino (scoperto il 20 Dee. 1863).
Maranghi Amico, di Pistoia, La morte di Dante Allighieri,
tocco in penna; Prima Esposiz. ilal. 1861.
Giacomelli Yicenzo, Giov. Boccaccio che legge e spiega il
canto di Francesca di Riminì nella chiesa di S. Stefano;
Esposiz. ven. 1842.
Banfi Antomo, Il Genio delle scienze delle arti rigene-
rato dall'Italia alla fonte di Dante; Esposiz. mil. 1844.
INCISIONI
Verico, dis. ed incise. - Ediz. della div. Goni., Firenze,
Gaietti, 1827. - Raf. inv.. Scolto dis. ed ine; Ediz. fir. alla
insegna di Pallade, 1818-21. - Lasinio figlio ine; Firenze,
Ciardetti, 1821.- Cateni dis., Lasinio ine; Firenze, Borghi,
1827. - Giotto inv.; Kircup dis., G. Kumming Dundee ine;
London, 1842. - Kircup dis., Lasinio ine; Firenze, Piatti,
l^iì. - Pier accini dis., Zignani ine; Firenze, all'insegna di
Dante. -Zowfo ine; Fir. Passigli, 1840; -Firenze, Terni, 1852.-
Bonaiuti dis., Borteau ine; Passigli, 1840-44 (con 16 incis.
disegnate dal Marcovich, incise dal Viviani). - Dal Bene dis.,
Viviani ine; Firenze, Le Monnier, 1837.
Morghen dis. ed ine; Pisa, Gapurro, 1827. - To fanelli
dis.; ediz. dell'Ottimo, Pisa Gapurro, l^^l, - Morghen dis.
Tofanelli ine; Livorno, Masi, e Firenze, Gabinetto di Palla-
de. - Giotto inv., T.P. incise; ediz. da Buti, Pisa, Nistrì. -
Lapi ine; Firenze, 1778, Livorno, Masi.
Bossi dis. Garavaglia ine; Milano, ^eiioni. - Buccìnelli
ine in acciaio; Milano, Vdignom. - Bramati dis., Rados ine;
Milano, Silvestri, 1820 e 1845.- Benaglia ine; Milano, Glas-
sici, 1804. Raffaello inv., Giaconi ine; Mantova, Garanenlì.
Zandomeneghi iWs., Dala Inc.; Yenezia, Antonelli, 1832.-
Lisca ine; Venezia, Gatti. ll'ò'i.-Zuliani ine; Venezia, Ga-
sparì 1827. - Cornale dis., Heylbroitch ine; Padova, Gomino,
1727. - dal dipinto ùeW India, più volte riprodotto col bu-
lino. - Derif dis., Miliara dir., Aliprandi ine ; Udine, Mat-
tìuzzi, 1823 (Dante alla grotta di Tolmino)
DAME E LE BELLE ARTI. 40'J
Durantini inv., Testa ine. ; ediz. romana del de Romanis,
1810 - Rossi ine. (medaglione), Roma, Fulgoni, 1791 - Carli
ine; Napoli, Rondinella, 18ì)4.
Schiavonetti dis. ed ine. ; Londra, Zolli, 1808. - Morghen
dis., Grave R. incise; Londra, Gorrol, 1823. - Robinson ine.;
Londra, Rolandi, 1844.
Moreau dis., Godefroy ine.; Parigi, Praul, 1768. - Litretl
dis, ed ine. da un quadro posseduto dal Floneel di Parigi. -
Lemercier ine.; nell'opera del Boissard, Paris, Doumol, 1834. -
Raf inv., Dien ine.; nell'Histoire du Dante AUighieri, Le
Giare, Paris, 1841.- Claye ine. inacc.; Paris. Paulin et Che-
valier, 1853.
Raffaello inv.^Schwerdfieburth ine. ; Lipsia, Fleischer, 1826
e 1855, Slef/ert Rrest Rosmàster ; Dresda 1828 nella versione
del Kanegissier.
MEDAGLIE IH 0!\ORE DEH' AUIGHIERI.
L (uNiL.) Dantes Florentinus. Busto a destra ( di grande
modulo, nel Museo di Vienna).
IL (av.) Dantes Florentinus. Busto a destra.
(rov.) Fra due lauri le seg. sigle: F. S. K. J.-P.F.T.
Apostolo Zeno, ehe ha disposto il Museo Viennese,
confessa d'ignorarne il significato. Egli aggiunge ehe le
medesime sigle per 1' appunto, con la stessa distribuzione
si leggono in un' altra medaglia che nel diritto rappresenta
la lesta di Pietro Pisano, distinto artefice di medaglie,
intorno a cui vi ha la leggenda: Pisanus Pictor. {Apostolo
Zeno, Epist. iv. 1. p. 140; V. Vasari, iv. 175).
IIL (av.) Dantes Florentinus. Busto a destra.
(rov.) La sfera armillare: Dell' istesso modulo che
la precedente.
lY. (un:l.) Dantes. poeta, vulgaris. primus. Ritratto a
destra, col mazzocchio.
Le impronte che vi si veggono nel rovescio non sono
che segni della fusione.
410 DANTE E LE BELLE ARTI.
V. (uNiLAT.) Aligeri-Dante - Busto coronalo a destra.
VI. (av.) Danthes Florentinus - Busto coronalo a sinistra.
— (rov.) Danle diritto, laur. co' piedi nudi : ha un libro
aperto nella manca : vi si vede il monte del Purgatorio, a
figura di un cono tronco, sopra cui vi ha l'albero della
vila, e appiè di esso i pr/m« parenti; alla squarcialura
delle falde vi si vede mollo gregge di anime ignude, sim-
bolo dell' Inferno ; al di sopra, i cerchi del Paradiso - (di 53
millimetri: nel Museo di Vienna e nella Marciana).
VII. (uNiLAT.) Aliger. Florentes. Busto coronalo.
(30 mil.: nel Museo della Marciana di Venezia).
Vili, (av.) Dante Allighieri. Busto coron. a destra.
(rov.) Italicae - poesis - conditor - Es. L. Cossa
/". 1819 (incisa a Milano -mil. 48).
IX. (av.) Dante Allighieri.
(rov.) La quale e il quale a voler dir lo vero. Roma
con elmo ed asta: con la destra lìene sul ginocchio un libro
aperto: è appoggiala allo stemma del Ponlefice Gregorio
XVI; sormontalo dalle chiavi e dal Triregno - Esergo: 11.
Febbraio MDCGCXXXY.
(Lavoro dello Sliore; è di 48 mil. - Fu promossa dallo
Scolari, nell'occasione che il Ballagia riproduceva per le
slampe il Trionfo della S. Sede e della Chiesa, di Mauro
Cappellari, già pubblicalo nel 1799).
X. (av.) Dantes Alligherius. Busto incoronalo a sinislra:
esergo: A. Fabris Utin. sculps.
(rov.) Entro una nicchia il Mausoleo di S. Croce di
Firenze : esergo : Florentiae - a. mdcccxxxi. di mil. 54.
XI. (AV.) Dante Allighieri. - Busto a sin : e*. F. Putinati.
(ROV.) Quale nelVArsenà de' \eneziani. Inf. xxi. 7.- La
prospelliva dell'Arsenale di Venezia, e avanli ad essa, da
un lato grossa nave a cui vien data la pece, e appunto
neir allo descritto dal poeta. - Esergo : I. Stiore ven. f. a.
MDCccxLvu. - (di mil. 48. Fu incisa in occasione del vii.
Congresso ilaliano in Venezia.
XII. (AV.) Dantes Alligherius. - Busto a sin. con fiori.
Esergo : N. Gerbera f.
(ROV.) Quod- divini -poematis - potentia - saeculum no-
vum condidit-BniTO a laurea -Serie di Roma.
DANTE E LE BELLE ARTI. 411
V1II.(AV.) Dante Allighieri - Busto a sinistra. Esergo:
Gayard f.
(Rov.) JSatus - Florentiae - in Italia - an. m. ce . lxv. -
obiit - MGCC - XXI - Scries numismatica universalis virorum
illustriiim. M. Dccc. xix. - Diirand edidit. Serie di Monaco.
COMPONIINTI POETICI tì ONORE DEll'AllIfiniERI. (1)
Agnillo G. B. - Storia e profezia, ovvero Dante e l' Italia
nel 1862, Cantica. Revista Conleìnporanea, 1862. Fase. Maggio.
Alfieri Vittorio, Sulla tomba di Dante, Sonetto.
Allighieri Jacopo, Questo Capitolo fece Jacopo figlio di
Dante Allighieri di Firenze il quale parla sopra tutta la
Comedia (p. 211, V, Gino da Pistoia, Ediz. diam. Barbèra).
Bernardi Paolo, Dante, Ganti due, Viaggio di Dante, -
Apologia di Dante (senza data, ma pubblicati circa il 1810).
Treviso, Trento.
Boccaccio Giovanni, Dante, Sonetto, p. 384 ; Prosopopea
di Dante, Sonetto (p. 389) - Argomento in terza rima alla
divina Comedia di Dante Allighieri ( p. 390 ) - Sopra la
lettura della divina Comedia eh' ei fece nel 1373, Sonetto
(p. 517). Rime di Gino da Pistoia e d'altri del suo secolo,
Firenze, Tip. Barbera; Ediz. diamante.
Bon Brenzoni Gatterina, Dante e Beatrice, Canto, 20
Agosto 1853, Pisa Pieracini, 1853, - Ediz. Barbera - Bianchi,
1857, p. 165.
Brofferio A. Un sogno della vita ed il lamento di Dante,
Poesie, Milano, 1825.
(1) Al S.r Guido Corsini venne In pensiero di raccogliere In un volume
quel che di bello dettarono in versi i più illustri ingegni suU' Allighieri,
dal trecento sino a' giorni nostri, sciegliendo 1 fiori e gittando le spine.
Sarà questa Strenna Dantesca un nuovo tributo di onoranza reso al som-
mo Poeta, il quale, dice il Corsini, nella festa a lui consacrata, parrà
eorae risorto ad inaugurare il nuovo evo d' Italia.
412 C0MPOM3IENTI IN ONORE DELL'aLLIGHJERI.
Brizio Fortunato, Dante richiamalo dall' esiglio, Poeniel-
to, Firenze, Fumagalli, 1845.
Buonarroti Michelangelo, Sonetti due. - Nel primo sì
duole delle sventure di quel Grande; ma per l'aspro suo
esiglio con le sue virtù, darebbe il più felice stato del
mondo; nell'altro: Dante fu il maggior uomo che il mondo
avesse mai, siccome l' esiglio suo fu il più ingiusto. —
Firenze, ediz. diam. Barbèra-Bianchi, 1858, p. 287.
Bosone da Gubbio, Sopra 1' esposizione e divisione della
Comedia di Dante Allighieri di Firenze; in casa del quale
messer Bosone esso Dante della meravigliosa sua opera ne
fé e compì la buona parte. Il quale canto in tre parti si
divide ; prima dividendo la prima parte della Comedia,
poscia la seconda, all' ultimo la terza, come chiaro sì ma-
nifesta leggendo, (p. 202, Rime di Gino da Pistoia, ecc.).
Byron Giorgio, La profezia di Dante - Fu recata in
Italiano, Italia 1819; Lugano, Yanelli, 1827, senza nome dì
traduttore; da Giovanni Giovio, Milano, Bernardoni 1856;
accomodata all' indole del verso italiano da' Melchiore Missì-
rini, per cura di Fr. Longhena, Milano, Guglielmini, 1858.
Gagnoli Agostino, Dante alla pietra di Bismantova, Stanze.
Cantoni Yicenzo, Carme suU' alto senso della I. Cantica
della div. Com., Imola, 1849.
Capua Giovanni, La divina Comedia disegnata dal Buo-
narroti; il Buonarroti che s' ispira alla div. Comedia, Sonetti,
Strenna, il 3hituo Soccorso, di Roveredo, 1863.
Carcano Giulio, Amore, Esiglio, Morte. - Cantica, in 3
Canti - (1835) Firenze, Le Monnier, 1861.
Carducci Giosuè, Canzone, San Miniato, 1857.
Celesia Emanuele, Dante Allighieri, Canti, Milano, Gu-
glielmini, 1843.
Centofanti Silvestro, Stanze, (1838).
Cino ( de' Sinibaldì ), da Pistoia, Risposta dì M. Cino a
Dante Allighieri, Sonetto, (al Sonetto : A ciascun alma presa.
p. 47) - A Dante Allighieri, in morte di Beatrice, Canzone,
(p. 9) - Risposta dì M. Cino a Dante, (al Sonetto: Poich'io
non trovo chi meco ragioni, (p. 103) - A Dante Allighieri,
Sonetto (p. 106) - Risposta di M. Cino a Dante (al Sonetto :
Io mi credea del tutto esser partito, (p. 108) - A Dante
COMPONIMENTI IN ONORE DELL'aLLIGHIERI. 413
Allighieri, Sonetti due. (p. 116. 117) - Per la morte dì Dante
Allighieri, Canzone, (p. 136). Rime di M. Gino da Pistoia,
Firenze, Barbèra, ediz. diamante.
Dalmistro Angelo, A Diodoro Siculo, Sermone sopra
l'indegna censura da lui fatta alla divina Comedia nelle
sue lettere pseudo-vigiliane, Padova, Crescini 1828.
De Pazzi Alfonso, Sulla grandezza indicibile del Poeta
(Dante), e la poca sufiìcicnza del Gello e del Yellutello nel
comentarlo, MS. Palatini, editi da F, Palermo, V. II. p. 143.
Desehamps Antoni, Dante à l'entrée du paradis terrestre,
voit descendre Béatrix, et est abbandonò par Virgile, Bru-
xelles, 1837.
Fumaf/alli doti. Brizio, Dante richiamato dall' esiglìo.
Poemetto, Firenze, Fumagalli, 1846.
Gherardo Quinto, Veneto del sec. XYI, In laude di Dante,,
Venezia, Longo, 1862 (pub. da Em. Cicogna).
Giusti Giuseppe, Canzone nell'occasione che fu scoperto
a Firenze il vero ritratto di Dante, fatto da Giotto; Ediz.
Le Monnier, 1832, p. 132.
Kannefjiesser Ludwig, Zu Dante' s Leben und Gotllicher
Koffiòdie, Breslau, Freund, 1842.
Leopardi Jacopo, Sopra il monumento che si preparava
a Firenze, Canzone; Ediz. Le Monnier, 1845, Voi. I. p. 9.
Majfei A. Imitazione dal tedesco Arte, affetti, fantasie,
\). 57.
Malipiero Trailo, Il Co. Ugolino in fondo della torre,
Sciolti, Tip. Pinelli, 1813.
Mamiani Terenzio, Sul monumento di Dante, Sonetto,
voltato in altrettanti versi inglesi n^W'àBritsh andForeign
Review, Apr. 1836, Fir. Le Monnier, 1857, p. 338.
Marchetti Giovanni, Una Notte di Dante, quattro canti.
Mezzanotte A., Dante nel Monistero di S. Corvo.
Milli Giannina, Alfieri sulla tomba di Dante, Stanze, im-
prov. a INapoli il dì 30 Marzo 1851. (Milli, Opere, I. 153) -
Dante che da lontano guarda Firenze, Stanze, improv. a
Portici il 19 Ott. 1851. (1. 163) - Dante che muore in esilio.
Ode, improv. a Brindisi il 27 Gen. 1855. (I. 315) - La Bea-
trice di Dante, Stanze, improv. a Roma il 5 Maggio 1857.
(I. 396) - La Casa di Dante, Stanze, improv. a Firenze il 26
414 COMPONIMENTI IN ONORE DELL' ALLIGHIERI.
Selt. 181)7. (1.466) L'ombra di Dante in cima alle Alpi
improv. in Teramo il 17 Ottobre 1863.
Mucchio, da Lucca, In morte di Dante Allighieri, Sonetto,
(V. Gino, Poesie, ediz. diam. Barbèra, p. 200).
jy. N. Stanze su Dante Allighieri, pubblicate in occasione
del monumento innalzato a S. Croce ( Senza indicazione
di luogo e di anno: sono 100 Stanze).
Nicolini Giambattista, Pel ritrovamento della vera ima-
gine di Dante, effigiata da Giotto nella Cappella del Podestà,
Canzone.
Paradisi Agostino, Epistola al can. Gioseffo Ritorni sopra
Dante, Bologna, S. Tomaso d'Aquino, 1762.
Pellico Silvio, La morte di Dante, Torino, Chirio, 1857.
Ramhaldi Domenico, Canzone a Dante, Firenze, 1856.
Rossetti Gabriele, L'ombra di Dante, Firenze, ed. diam.
Barbèra, 1862.
Rossi Scotti Giambattista, Una visita al monastero di
Avellana.
Rovatti Giuseppe, Epistola sul poema di Dante, Modena,
soc. tipogr. 1772.
Saviozzo da Siena, Opus Simonis de Senis super Ires
Comoedias Dantes - Terzine (Y. Gino ediz. diam. Barbèra,
p. 573).
Schlegel Wilhelm, Dante ein Sonett, Leipzig, Weidmann,
1846.
Simone Maestro di Siena, La morte di Dante, Capitolo
pubblicato per cura di Enrico Narducci ( Giornale Arcadico,
Luglio-Agosto, 1858).
Tedaldi Pietraccio, In morte di Dante Allighieri, Sonetto,
(Y. Gino Poesie, ediz. Barbèra, p. 199 >.
Taddei Rosa, Confronto fra Beatrice e Laura (p. 9); Il
lamento di Ugolino vedendo spirare l'ultimo suo figlio (p. 14)
Trieste, Maldini.
Villardi Francesco, L' Esigilo di Dante Allighieri, Yisione,
Milano, Classici, 1820. - Dell'amor patrio di Dante, Epistola,
Treviso, 1826. (Estratto dal Gior. Scienze e lettere ) - Sopra
il poema di Dante, Epistola, Treviso, Andreola, 1828 ; Mo-
dena, Yicenzi, 1828. - Dell'accuse date a Dante, e dei pregi
generali di lui, Sermone, Milano, Pagliani, 1822. (Sermoni
COMPONIMENTI IN ONORE DELL'aLLIGHIEBI. 415
(li Fr. Villardi, p. 21-3*2) - Il terzo Novissimo, ossia l'Inferno
in terza rime d'un italiano, (in venti canti) Italia, Giu-
gno, 18-26.
Vollo Benedetto, Sul passo di Francesca, e di Paolo, e
di Ugolino della div. Gom. Sonetti.
Zambusi Confortini Lucia, Dante.
COMPOMJIESTI DRAMMATICI.
Biondi Luigi, Dante in Ravenna, Dramma, Torino, Ghi-
no, 1837.
Campello Co. Pompeo, Dante Allighieri, Dramma, in S
Atti in versi, Torino, Biancardi, 1858.
Caravaggio Evandro, La morte di Dante, Dramma, Pavia
Fusi, 1859.'
Ferrari Paolo, Dante a Verona, Gommedia in 5 Atti
(Voi. IV.) Milano, Sanvilo.
Fontebasso Giovanni, La morte di Dante, frammento
drammatico, Milano, Borroni-Scotti. 1853.
Molbech, Dante, Dramma, Gopenhague, 1852.
Torelli Serafino, Dante e Bice, Melodramma storico,
fantastico, Milano, Tip. Lucca.
Zappali A. Dante Allighieri, Dramma diviso in due parti
e sette epoche. Bastia, 1846.
A. Reumont dettava pagine passionate su Beatrice (Bea-
trice, Aus Dante s Jugendleben, Berlin, Dunker, 1838); il
Kòhler una novella isterica romantica: Dante, llistoriscli'
romantische ISovcUe, Dresden, und Leipzig, Arnold, 1850);
e la SigJf» liìgcnia Zauli Sejani una affettuosa leggenda,
intitolata, Beatrice, Torino, 1853.
A spese della Gesarea Accademia delle Scienze, Vienna,
1851, veniva stampalo il Dante Ebreo, ossia, il plcciol San-
tuario, Poema didattico, in terza rima, contenente la filosofia
antica e tutta la storia letteraria giudaica fino all'età sua.
416 COMPONIMENTI IN ONORE DELL* ALLIGHIERl.
dal Rabbi Mese, medico di Rieti, che fiori in sul principio
del Secolo XV, per la prima volta, secondo un manoscritto
rarissimo dell'Augustissima Biblioteca Palatina in Vienna,
confrontato con un altro privato non men raro, pubblicato
da J. Goldenthal. - Hoc opus scrive il Petzholdl, niillam
divinae Comediae versionem continet, sed polius scrìpttonis
Danteae reproductionem haehraico sensu factum repraesenlat.-
Rieti und Marini oder Dante und Ovid in hebraischer Um-
kleidung. Von Goldenthal. (Aus dem Juni-Hefte des Jahr-
ganges 1851 der Sitzungsberichte der philos. hist. Classe
der kais. Akademie der Wissenschaften besonders abge-
druckt) Wien, 1851.8.
A. Torri, nel 1861, pubblicava le Epigrafi onorarie ita-
liane di Autori diversi per Dante Allighieri da lui raccolte
ed annotate, (Pisa, Citi. -Nelle nobili nozze Serego Allighieri
e Noris di Verona.) Ove non fosse si tosto mancato di vita,
ci avrebbe pur dato le epigrafi latine che in egual modo
avea raggranellato, forse, egli aggiunge, meglio interessanti
per la storia biografica del sovrano poeta, cominciando esse
fino dalla morte di lui. - Alle iscrizioni italiane riportate
dal Torri si devono aggiungere le due seguenti dell'Ab.
Giambalista Rambaldi, la prima delle quali ei vorrebbe
collocata a S. Calterina (Treviso, nel luogo ora Deposito
dei Treni militari). - Qui fu il palazzo - Dei Caminesi -
Ove - Dante abitò - An. MCCCY. circa. - Il Pollanzani
asseriva essere incontestato che Dante ebbe casa a Trevigi,
ed appoggia il suo argomento anche dalle osservazioni di
Dante sulla lingua al suo tempo parlata in Trevigi [De
Viilgari Eloquio, e. xiv), ch'ei avea trovata sconcia e rozza,
perchè proferiva le v. consonante per f. - La seconda ei
vorrebbe murata al ponte dell' Impossibile che traversa il
Cagnano, sboccante nel Sile: - Dante esule - mirando questi
due fiumi scrisse - a E dove Sile e Cagnan s' accompagna ì> -
An. MCCC. circa - Il qual silo portava seco in disegno
l'erudito inglese H. C. Barlow, e il Sig.»* Giov. Mazzocchi
fece incidere dal Nani. [Iscrizioni Patrie desunte dalle tre-
vigiane memorie con analoghe illustrazioni Treviso, Longo,
1862) -E l'egregio dantofilo Francesco Scipione Fapanni
COMPOMMEMl IN ONORE DELL' ALLIGHIERI. 417
nelle sue Iscrizioni per onorare Trivigiani illuslri {\Gnez\ii,
Perini, 18o8) avea prima illustrato questo sito:- m. ecc. xn. -
Spento Ricciardo da Camino - Che superbo signoreifdiò -
Dove Sìle a Cagnano si accompagna - Dante - Il sito fece
immortale - E da lui - Questo ponte si noma. - v. pure
Le ViUeggiatnre di Michelangelo Codemo, p. 184. - E il Leoni
pubblicava queste Iscr. in onore del divino Poeta (Messag.
Tir., 2 Gen. 03., N.^ 1). Dante - Cristiano Prometeo - Tauma-
turga apoteosi - Italia impersonò - Sublime ira fremendo -
Immenso amore versando - Poetò storia filosofia patria fede -
Punì insolenti corone e tiare ~ Titanica possa oUrumana -
Splendore e superbia di Dio - Natura eternità infinito ignoto -
Tutte afferrando sommitii - Padre maestro profeta - Unico
sopra ogni fama. - E questa da collocarsi sulla torre di
Gargonza - Dante AUighieri - Potenza e gloria dei secoli -
Da furibondi settari - Svelto dalla patria - Qui - ISe' più
crudi giorni dello esilio - Il bollente genio - Conflagrò a
quell'ira - Quanto il mondo - Eterna. - E quest'altra: -
Dante - Re dei poeti - Il casto sonante idioma - Creando
rifuse - Z>' Italia grandezza suprema - Ardì prima V idea -
Che ricostrusse il mondo - Divinamente felice - Tempo spazio
fama domasti - Infelicissimo - Vittima di loro - Al tuo grido
immortale - Rigenerati.
E il Prof. Luteri nell'Epigrafi lagarine (7/ Mutuo Soc-
corso, Strenna pel 1864, p. 99). Opera di mano Romana -
Sede dei Raroni - Che primi Rovereto moderarono - Campo
di sangue -Di antiche e novelle ambizioni - Pochi li ricor-
dano - 0 mio Castel di Lizzana - Ma ogni italico petto -
Si riscuote al pensiero - Dante - Aver da tuoi spaldi can-
tato - La RUINA CHE NEL FIANCO - Di QUA DA TRENTO LADiGE
PERCOSSE.
VOL II.
SOGGETTI
%
INSPIRATI DALLA DIVINA COMEDIA
Silvio Pellico, Francesca di Rimi ni (/n/". v. 73), Tragedia.
Capozzi Fr. La pietosa istoria di Fr. da Rimini, Orvieto,
Pompei, 1840.
Fola Cav. Paolo, Francesca di Rimini, Dramma per
musica.
Bongìni Michele, La Pìccarda Donati, {Par. iii. 37) Firenze,
1861, Yol. 2.
Pielracqua Luigi, Bocca degli Abati [Inf. xxxii, 106.),
Tragedia.
Semproni Giov. Leone, di Urbino, Ugolino [Inf. xxxiii.)
Tragedia, Roma, Salvioni, 1724.
Rubi P. Andrea, della C. di Gesù, Ugolino, Tragedia,
Bassano, Remondini, 1779; Venezia, Rosa, 1807.
Bellini Bernardo, Ugolino, Tragedia, Cremona, Bianchi,
1818.
Zamiini G.B., Ugolino, Tragedia, Belluno, Tissi, 18:M.
Gerstenburg, Ugolino, Tragedia.
Succhi A., Ugolino, Tragedia, Empoli, 1841, in 8.*^
Rosini Giovanni, Il Co. Ugolino della Gherardesca e i
Ghibellini di Pisa, Romanzo. Milano, 1843.
Troilo Malipieri, Il Co. Ugolino, Sciolti, Pinelli, 1813.
Sestini Bartolommeo, La Pia, {Purg. v. 131), Leggenda.
Marenco Carlo, La Pia, Tragedia.
Camarano G-, La Pia, Tragedia lirica.
Morrione Leonardo, Pia de' Tolomei, Palermo, 1830.
Camarano G., Buondelmonle, Tragedia lirica.
Marenco Carlo, Buondelmonte e gli Amidei, Tragedia,
Torino, Pomba, 1817.
GazzoleUi Ant., Piccarda Donati, Racconto; Gazzoletti
Poesie, Trieste, Weis, 1841; Firenze, Le Monwicr, p. 95-117.
Sabattini G. Piccarda Donati, Dramma.
Arabia Tomaso, Piccarda Donati, Tragedia, Salerno, 1856.
LtlfOl!! Di:i.LA DI\I.\A COIIEDIA
Quando sii5iioro^ii:iavano in Firenze i Guellì Neri, quan-
do, giiisia Matteo Villani, vi si proclamava parte (juelfa
esser rocca ferma e stabile della libertà d'Italia, contraria
a tutte le tirannie per modo che se alcuno divenisse tiranno
conveniva che per forza divenisse ghibellino, la repubblica
iiorenlina, con decreto del 12 agosto 1373, (con cento ottan-
lasei voli favorevoli, non ostanti diciannove in contrario)
erigeva una cattedra dalla quale la divina Comedia, a
documento del buon vìvere, fosse pubblicamente spiegata. -
« Pro parte quamplurium civium civitatis Florentiae, desi-
derantium lam prò se ipsis,... quam etiam proeorum posteris
et descendentibus, instrui in libro Dantis, ex ({uo tam in
fuga vitiorum quam in acquisitone virlutum, (juam In
ornatu eloquentiae, possunt etiam non gramatlci informari;
rcverenter supplicant vobis domlnis Prioribus... ut dignemlni
opportune providere et facere solempniter reformari, quod
vos possitis eligere unum valentem et sapientem virum in
lìujusmodi poesiae scienlia bene doctum, prò eo tempore quo
velitis non majore unius anni, ad legendum lìbrum qui vul-
garìter appellatur «/ Z^a-nfe, in civitale Fior, omnibus audire
volenlibus, continuatis diebus non feriatis, et per continuas
lectiones, ut in similibus lìeri solet » - (Prov. lìlz. 6*2).
Erano ancor vivi gli amici e gl'inimici di Dante, scrive
il Perticari, e i Bianchi e i Neri, e i figli e i nipoti dei
lodati e dei vituperati sì assidevano a quella lettura, e forse
avevano al -fianco le armi tinte dì sangue non ancora pla-
ccato. I Savi, che di quei giorni governavano Firenze, con
pubblica provvisione del Sii Agosto, condussero Giovanni
Boccaccio per un' anno, da cominciare a' 18 del seguente
ottobre {Polizza di parlamento del 31 dee. 1373 che si con-
serva nelV Archivio di Stato di Firenze, Libro dell'uscita della
Camera), e gli fermarono lo stipendio di fiorini cento, affinchè
rinnovasse quei rabuffi di Dante, e seguisse la coraggiosa
420 LETTORI DELLA DIVINA COMEDIA.
opera già cominciala da quel fortissimo, di ajularc cioè la
repubblica a sanarsi dei mali che l'aveano quasi moria.
Del quale slanziamenlo ne venne a un tempo una gran
difesa al nome deirAllighieri, e un argomento meraviglioso
della fiorentina sapienza, che anche in questo si fece simile
alla sapienza ateniese. Uscì dunque il boccaccio dalla sua
solitudine, in che viveva travagliato dall' indigenza e da
lunga infermità, e si accinse alla santa ed onorevole impre-
sa. A' 23 ottobre del 1373, nella chiesa di S.Stefano, oggi
della Vergine, presso il Ponte Vecchio, cominciò egli la sua
prima lettura. Confortavasi che potesse spendere gli ultimi
suoi anni nel propagare la religione del sommo degl'Italiani.
E non ostante lo scoramento continuo ond' era abbattuto,
e la vacillante salute che gli rendeva incresciosa la vita,
ebbe forza di scrivere le sue lezioni, ma non vi durò che
soli due anni, cioè fino al 1375, in che morte lo colse, e
non potè giungere col suo comenlo che fino al xvii canto
dell' Inferno.
Antonio Pievano, di Vado, succedeva nel 1381 al Boccaccio,
come ci è chiaro da un sonetto di Franco Sacchetti a luì
indirizzato. Indi soltentrò Filippo Villani che il Mehus,
vuole incominciasse l'interpretazione di Dante nel 1391,
coir emolumento di 150 fiorini. Il Salvini e lo Strozzi vo-
gliono invece che ciò avvenisse solo a' 18 ottobre del liOl,
e che per una provvisione del 1404 fosse quel valentuomo
riconfermalo per cinque anni nella cattedra dantesca. Lo
Strozzi poi ritiene che pel primo anno gli fossero assegnati
80 fiorini d'oro, e 50 per gli anni appresso. Il chiarissimo
P. Ponta nel 1847 rinveniva nel codice LVII, 253 della
biblioteca Ghigiana a Roma il comento latino del Villani,
in cui, chiosando il proemiale canto dell'Inferno, più volte
ricorda l' Epistola (fi Dante a Can Grande, come un' intro-
duzione che il poeta avesse voluto premettere alle sue
cantiche, e specialmente a quella del Paradiso. Lo che
valse al Giuliani per vieppiù stabilire e propugnare l'au-
tenticità di queir importantissimo documento.
Successore al Villani fu il ravennate Cxiovanni Malpaqhìnis
che professava prima lettere belle nello Studio fiorentino.
Con altre provvisioni del 1412 e del 10 giugno 1419 fu
LETTORI DELLA DIVIZIA COIIEDIA. 421
raffermalo a leggere pubblicamente la divina Commedia
ne' giorni festivi. - Da vari libri dell' archivio delle Rifor-
magioni è manifesto che nel 1417, 1421, 1423, 1424 un
Giovanni Gherardo da Prato interpretasse la trilogia dan-
tesca, e nel 1423 le Canzoni morali dello stesso poeta. -
Un' annotazioae posta sul codice Ì03G della Riccardiana
proverebbe cha un P. Anlonio dei Minori sponesse nel 1130
la poetica enciclopedia del fiorenliuo in S. Maria del Fiore,
e che anzi, secondo il prezioso documento rinvenuto dal
dott. Gaye, vi avesse fatto dipingere ed appendere in Santa
Maria del Fiore il ritratto del poeta, già perito « per ricor-
dare a' cittadini che facciano amicare le ossa di Dante a
Firenze, e fargli onore, com'è' meriterebbe in degno luogo. »
Al quale oggetto fra gli altri versi avea fatto scrivere sotto
questa tavola:
Onorate l'altissimo poeta,
Che nostro è, e tiellosi Ravenna,
Perchè di lui non è chi n'abbia pietà.
Certo è però che ivi la sponesse Francesco Fllclfo, da To-
lentino, nel 1431 e 1432 che dì Bologna erasl tramutato
air università di Firenze, accoltovi con sommo plauso, avendo
ogni di da sopra quattrocento discepoli ad ascoltarlo. Di che
la repubblica riconoscente dichiaravalo concittadino del gran
poeta. - Anche i Domenicani, scrive l'egregio P. Marchese,
si diedero a promovere le dottrine dantesche, dischiudendo
al popolo quel tesoro d'ogni sapienza e di ogni eleganza
collo sporre e dichiarare in S. Maria del Fiore la divina Co-
raedia, tra' quali specialmente va ricordato il P. Domenico
di Giovanni da Corella che successe al Filelfo nell'onore-
volissimo ufficio. - Seguono poi Lorenzo di Giovanni da
Pisa, canonico di S. Lorenzo, nel 1431 e nel 1435; Antonio
da Castello di S. Niccolò, casentinese, pubblico interprete
nella chiesa del B.Fiorenzo nel 1332; Antonio da Arezzo
nel 1432-33; Cristoforo Landino nel 1457, che poi dava
alla luce il suo comento nel 1481. E ci narra Marsilio
Ficino, come Firenze, non appena pubblicavasi questo dotto
lavoro del Landino, ne ebbe tanta cagione di gioja, quanta
ne avrebbe potuto avere se Dante medesim;) tornando in
umane spoglie fosso stalo restii uito alla patria e coronato
d'alloro.
422 I.ETTOm DELLA DIVINA COMEDIA.
Iiislituilasi rArcademia fiorentina per Cosimo I, si tennero
lezioni dagli arrademici sulle immortali cantiche nello Studio
fiorentino, talvolta in un salone del i^alazzo Vecchio, ed
anche in palazzo Medici, in Via Larp^a. Jienedetlo Varchi vi
lesse più volte nel suo consolato (loio) ; G.B. (ìeìU in quelli
del Guidi, del Rorghini, del Laudi (1543 e seg. ); oltre al
(iìamhuUari ed a parecchi altri. Venuto poi per la seconda
volta al consolato lìaccio Valori (1587), uno de'j)iìi teneri della
memoria di Dante, si adoperò gagliardamente per tornarvi
in amore lo studio delFAllighieri, ei lettori di quell'anno,
come sul)letto principale, presero ad isvolgere ed illustrare
il divino poema (1). 11 primo a leggervi fu Jacoipo Mazzoni,
illustre filosofo e letterato romagnuolo, lamico e il maestro
più caro che avesse il Galileo, e già notissimo pel suo di-
scorso che nel 1573 avea pubblicato in difesa del sovrano
j)oeta. Rincuorato dal niaeslro suo, giovine a venliquattro
anni, il (hdìleo, la più gran mente che abbia onorato
l'Italia nella scienza, il creatore della vera fisica e della
meccanica, discese nell'onorevole palestra, difensore del
Manetti e delFAccademia, tuttavia invendicata dall' ing:iurie
lanciatele dal Vellutello. Dinanzi dunque il fiore della sa-
j)Ienza fiorentina raccolto in essa accademia, dovea entrare
(1) Baccio Valori, Consolo dell' Accademia, a' 10 Gcnn. 11587, dirigeva
al Granduca di Toscana la seg. lellora :
Al Gh. Sig-. Card. Granduca di Toscana, suo signor unico.
L'Accademia fiorentina, parsogli che l'etìigie di Dante meriti luogo più
celebre che dove è dentro in dozzina con altri ritratti, risolve quattro dì fa.
e vinse partito doverseli, del pubblico o privato, lesta di marmo sopra
la porta, con animo quanto a me che lo proposi, di chiedere a V. A. S.
che il salario di uno unno già stanziato qui a due lettori soitra Dante,
e Petrarca, hogiji vacante, si convertisse in questo, che importa scudi
48. E quando ella resti più sei'Vita che tal assegnamento si mantenga ;i
lettura sola, senio pronto di lasciar del mio tal memoria per non gravare
gli Accademici, i quali riceveranno per graziato ogni suo rescritto e
beneplacito, pregandole da Dio ogni felicità, come figliuolo.
Baccio Valori, Consolo.
E a' '2o Gennaio n'ebbe questo rescritto:
S. A. l'approva e lo desidera et così si faccia ; et il salario d' uno anno
di quella lettura, cioè scudi 48 già stanziali, si voltino a detto etletto ;.
et volendo S. A. che la lettura sopra Dante et il Petrarca si seguitino,
mandinsi in nota i subietti per eleggersi da S. A. i Lettori.
Belisario Vinta.
LETTORI DELLA DIVINA COMEDIA. 42l>
egli in giudice di questione sì ardua. Volendo pertanto far
sua la materia, riprese la questione da alto, e con le no-
zioni scientiliche che potevano essere nella mente di Dante,
rifacendo le induzioni e i calcoli sui quali si era fondato
il Manelti, non dissimulò le prove in contrario addotte dal
Velluteiro, e dopo averle convinte di falsità, dimostrò come
l'opinione del Manetti fosse in tutto conforme all'idea con-
cepita da Dante. Queste due lezioni fruttarono al giovine
geometra la cattedra di Pisa che gli fu data Tanno ap-
presso. - Anche Benedetto Buonmattei nel 1G32 (17 e 24 gen.,
3 e 1 1 Marzo) rese illustre la cattedra dantesca fiorentina, che
si tacque nel 1780 colla morte di Bartolommeo (ìel TeqUa,
Se non che gì' ingegni, al dire dell'egregio abate Finazzi,
erano da per tutto fortemente percossi alla nuova .uce e
al nuovo sole che facea sorgere quel sommo, che nel sacro
poema avea tolto a cantare cilorni non nati Dante traeva
a se gli animi di tutti i suoi contemporanei, che riguarda-
vano in lui non solo il poeta, ma pure il filosofo ed il leo-
logo del suo secolo, e riputavano doversi volgere gli studi
alla sua Commedia, come alla somma letteraria, filosofica
e teologica di tutto il medio evo. Onde non solo nella sua
patria, ma nelle città più cospicue d'Italia sorgevano a
questo apposite cattedre, e solenni maestri si deputavano
a schiudere i germi della profonda dottrina, che ben cre-
devano ascondersi sotto il velame del divino poema. Fran-
cesco (lì Bartolo da Butì (1375 a 1394) chiosavalo a Pisa ,
nel qual magistero ebbe a degno successore il Buonmattei
(1634, 1637 j. - Il Bambaldi (1375) sponeva Dante a Bo-
logna e intitolava il suo Comento al Marchese Nicolò II
d' Este; Filippo da Bcfiaio ( 1399) interprelavalo a Piacenza,
e [iiii Vài'iVi (jìabriello Squario (Squarcione) veronese, a Ve-
nezia; e Marianno da Tortona a Milano (1).
(1) Anello in Ferrara nel ilo» Ie;,^gevasi puldjlicamente la Divina
Coinedia, come ei ha AaW Esortazione allo studio del saero poema, di
autor anonimo^ indirizzata a[Iiorso d'Esle /, Duca di Ferrara, (Fcrrariae.
Xlll. Kal.Majas MCCCCLVIIIi, e in cui efficacemente il conforta a studiare
e meditare l'opera del poeta fiorentino, come quella ^n che troverà mao-
stralraente trattata ogni disciplina e nobile scienzji, secondo ch'eiili prova
per esempi continui. « Sono indulto, cosi egli, e commosso a persuadere
424 LETTORI DELLA DIVINA COMEDIA.
Né a questo movimento degli studiosi erano straniere
le corti dei principi e le aule dei polenti, e in quella, Ira
le altre, de' Visconti, più che mai veneralo suonava il nome
del lìorentino poeta. Ivi fin dal ISSO, Giovanni, arcivescovo
e signor di Milano, chiamato dal Foscolo anUjhiheUino, car-
dinale di un antipapa (Sez. GLXXIX), raccoglieva a sé il
fiore dei dotti italiani, due teologi, due filosofi e due letterali,
e forse tra questi il Petrarca, onde degnamente interpre-
tassero la divina Commedia. Se vero è che il loro libro sia
tuttavia da vedersi nella libreria Laurenziana (I), soggiunge
il Foscolo, forse che n'uscirebbero dichiarazioni più libere
d'allusioni, toccate timidamente o trasandate dagl'interpreti
destituiti di protettori. Ma forse anche paleserebbesi il pes-
simo del comenli; quanto è fatale a' letterati, qualvolta
seggano in concistoro, d' essere, chi più chi meno, codardi
alla tua celsitudine, provocando ella allo stiulio e meditazione del sacra-
tissinio poeni'i di Dante Aliigliieri fiorentino poetn, la cui gloriosa fama
rendendomi certo esserti nota, ma curi esplicarla massimamente perchè
ne' superiori giorni avendo noi pubblicamente letto in questa tua alma città
(li Ferrara, avendomi la tua signoria concesso il cemento di Benvenuto
da Imola sopra la prima parte dell'Inferno, mediante il favore del pre-
clarissimo maestro Girolamo da Castello, tuo familiare fisico, il perché a
tutto il popolo si è divulgato il divino ingegno e suttilissima invenzione.
Quest'opera adunque, eccelso principe, potrà faciimenle adempiere o
quietare ogni tuo desiderio e volontà di sapere, perche ella è tanto e si
universale, che qualunque scienza è venuta a cognizione delle umane
menti in essa si comprende.,.. Per la qual cosa supplico io alla tua cel-
situdine, illustrissimo principe, ti voglia degnare, adducendo io alla tua
excellentia si gloriosa opera volere presenzialmente trovarsi a dare audìta
alle mie lezioni, quantunque io sia indegno che un tanto signore mi venga
ascoltare... » (Dal Codice Riccardiano, N. 2360. - Y. Fanfani, il liorghini,
1, 111, a. l8(J3j.
(1) La soprascritta exposicion^ chiosa o varo postille furono facte
et composte per dui excel lentissimi maestri in teologia et per dui
valentissimi filosofi et per dui fiorentini et fuoro facte fare per lo
excellentissimo in christo patre misser Johanni per la dio gratia ar-
civescovo di milaìio nelli anni mccgl, nella città di Milano, li nomi de
liquali expositori sono dipinti e storiati nella cancelleria del magnifico
signore masser barnabò lequali exposicioni furono extracte et cavate
dallo libro del dicto misser larcivescovo lo qual libro è nella dieta
cancellarla incatenato in catene d'argento. (Codice Plut. xc. sup. n. cxv
della Laurenziana}. 11 Balines ci prova come il Cemento fatto compilare
dall'arcivescovo Visconti non é punto diverso dal Cemento di Jacopo
della Lana.
LETTORI DELLA DIVINA COMEDIA. 425
tulli; non per natura, ma perchè ove anche ciascuno fosse
disposto a professare le proprie dottrine da martire, chi
mai vorrebbe star a pericoli per le altrui ? (Sez. CLXXIX). -
E memore per avventura di questo nobile esempio, più
tardi, Filippo Maria, quantunque nella fortunosa sua vita
poco agio avesse di poter coltivare e promuovere le lettere,
nondimeno, considerando il profitto che si polea sperare
dal tener vivi gli sludi sulla divina Commedia, volle che
di leggerla e di spiegarla a pubblico benefìcio si incaricasse
il bergamasco Guiniforti Barziza (1430 circa).
Per infino i Padri del Concilio di Costanza occupavansi
della lettura di Dante; e Giovanni di Serravalle, arcivescovo
di Fermo, ad istanza di molti vescovi e cardinali, e segna-
tamente degli inglesi Nicolò Bubwich, vescovo di Bath,
e Roberto Halm, vescovo di Salisburg, prese a scrivere un
Comentario latino sull'immortale poema.
Nel secolo nostro non v'aveano più cattedre speciali
della divina Commedia, onde il Perticari gridava: Essere
vergogna verissima dell'età presente non vi fosse scuola
in Italia dove sieno esposte e predicate le opere del padre
nostro {Giorn. Arcaci. XV, p. 184) (l). -Ma se coloro che
sortirono il freno delle belle contrade, credettero pericolosa,
0 per lo meno inopportuna una cattedra speciale dantesca,
non mancarono di tratto in tratto alcuni benemeriti, che,
(ti Anctie il Giordani sentiva il l)isosno di questa cattedra dantesca,
d;i lui altamente accarezzata. Ond'eji;li al marchese di Montrone, il 24
Sett. ISOiJ: « Ln friorno parlando coti Giusti egli disse: erano una volta
cattedre per Dante ; voglio dire ad Aldini che ne proponga una por Bo-
logna, l'altra per Pavia: uno dei nominati potresti esser tu. Come al
nome Tube in sulla morte ecc , così io a quel di Dante. Sai, una soia
scintilla che incendio inette nella mia imaginazione; la quale presto di-
vampando, cominciai ad esporre un piano per questa cattedra, nuovo
allatto affatto, grandissimo e luminosissimo. Cominciai dall' osservare
che tutte le nazioni civili hanno un poeta che fa l'onore della nazione :
ma due soli hanno un poema che possa chiamarsi nazionale. .. poemi dt
Omero e di Dante sono nazionali per la Grecia e per l'Ilalia... la Divina
Somedia è un tesoro di sapienza per noi Poi concepii una prolusione a
questa cattedra, di genere affatto nuovo e di effetto mirabile come di
inaspettata e sorprendente scena, e quindi imaglnai cinque o sei discorsi,
i quali andar potrebbero sino a trecento o più, non volendo io formare
uu comento come gli altri, ma tante dissertazioni, le quali potessero
326 LETTORI DELLA DIVINA COMEDIA.
meditando, come quelle pagine sacre contenessero a un
lempo le memorie antiche del passato ed i responsi infal-
libili dell'avvenire, a renderle direi popolari, impresero
pubblici corsi dì lezioni nelle più cospicue città d'Italia.
L'illustre professore Rosini sponeva Dante, specialmente
negli anni 1841-42 e 43, nell'Ateneo pisano; il chiarissimo
Cento fanlì nel 1844; il Ciardi di S. Croce nel 1845; C. Scar-
lahelli in una sala terrena del villino Buggiani, in via Mi-
chelangelo nel 1857; il Casella a Firenze nel 1840; In Roma
nel 1846; in Milano nel 1862; Cesare Malapica (1838) nel
Poliorama di Napoli ; il P. Maniera ed il Paravia nel liceo
(li Torino, il Critico napoletano, prof, de Sanctis nelle sale
di S.Francesco, pure in Torino (1854-55), e poi con tanto
grido nel Politecnico di Zurigo; W Dall' Ong aro con vivace
ed ornata parola nel 1846-47 a Trieste; nel 1851 a Londra,
nelle sale del signor Milner Gibson, e nel 1859 nella sala dello
Spettatore italiano a Firenze ; il professor Ab. Pietro Canal
(1856-59) con molto acume di senno e di critica nel Semi-
nnrìo filologico di Padova (1). - Onde il valentissimo prof.
anche stare ciascuna da sé. e tutte insieme facessero un corpo magnifico
e bene organizzato, essendo mio scopo di riprodurre il secolo di Dante,
tal quale si presentava a quella divina fantasia: e alle occasioni poi far
sentire quale utile trar si possa da quel poema e per raddrizzare le arti,
e per destare il calor civile, » E il 4 Dicembre 1807 scriveva allo stesso
marchese di Monlrone : «Se Aldini vuol proporre all'Imperatore una
cattedra di Dante, già sa Aldini ch'io sono sufficiente a questa.»
(1) E queste pubbliche letture su Dante e sulla divina Commedia
continuano applauditissime nelle città più cospicue d' Italia, Il prof. Ca-
stroQiovanni, palermitano, nel magsio del 1862 (4. 11, 28 e sue. ), nella
grande aula dell' università di Torino divideva le sue lezioni in due p Tti,
letteraria e politica, ^'ella prima prendeva a mostrare come Dante fu la
sua storia contemporanea alzaia a poesia; nell'altra dava il rufigimitio
deQli attuali sistemi politici con quelli di Dante; parlava dei sublime
in fienerale ed in ispecie di quello di Dante, ec. ec. - Giov. Battista
Niccoiini, nella sala filodrammatica Marchisio di Torino, a' 19, 26 aprile
e 3 maggio 1863, dava pur pubbliche lezioni su Dante e il suo poema -
e l'unità d' Italia- e il potej^e temporale dei papi. - Il N. 29 del Nou-
velliste Vaudois ci parla di un corso libero di lezioni che il cav. /\'scan-
ttnt diede a Losanna. Il professore si era proposto di mostrare la parte
presa nella lotta impugnata, durante il secolo, fra 1' Uaha e la corte ro-
mana, e divideva il suo soggetto in tre periodi corrispondenti alle tre
epoche principali della nostra storia moderna, quella di Dante, di Mac-
chiavelli e di Vittorio Emanuele.
LETTORI DELLA DIVINA COMEDIA. 4'27
Paolo Emiliani-Giudici con falidici accenlì, divinando II non
lontano tempo In cui il gran concetto del gran padre Alli-
ghieri risusciti l'Italia, e ch'ei ne venga salutato II reden-
tore polllico, volea che intanto l' Italia si affrettasse ad
innalzare un monumento più degno e più concorde a' voli
di lui, ristabilendo la cattedra intenta ad Interpretare la divi-
na Comedia... « Ormai, disfatti i ruderi dello inutile edificio, so
ne rialzi un altro che onori il poeta, e risponda al progresso
del tempo presente. In cui il bisogno di spingere a scopo
più nobile gli studii della letteratura è sentito da tutti; si
rivesta della dignità d'interprete uu pensatore profondo e
potente a riprodurre agli occhi degli Italiani que' tanti e si
peregrini tesori di scibile, i quali armonizzando sotto quella
sintesi speciosa, che simboleggia intero un grande evo nella
vita intellettuale dell' umanità, si prestano da sé alla mente
che sappia comporli in un prospetto. In tal guisa lo interprete
della Commedia, non umiliato dal carattere di gretto chio-
satore, abbraccerebbe tutto quanto il medio evo nei moltiplici
suoi aspetti, e ridirebbe agli Italiani, nella storia delle loro
vicissitudini, commessi furono iniziatori e diflonditorl al
moderno universo di quello incivilimento, che, varcato lo
emisfero, va ognora facendosi via ai più riposti confini della
terra. E forse il prosiìetto della vita passata con tutti i
mali che l'accompagnarono, in contrasto con la presente
iridolenza, varrà a scuotere la vergogna, ritemprare gli
animi, ed elevarci una terza volta a primo fra' popoli del
mondo. Qui in questa terra di gloria, dove ogni cosa lì
suscita una rimembranza, ogni monumento ti testilìca una
grandezza; qui, centro alle lettere e alla coltura della Pe-
nisola ; qui dove dalle più remote regioni del mondo mi-
gliaia di stranieri accorrono, e, meravigliando di tanta
magnificenza congiunta a sì peregrina bellezza, si stanno
come ammaliati da una sirena, la instituzione duna scuola
d'onde venisse dispensata la scienza de' tenìj)! del Poeta,
e ad un'ora illustrata la sua poesia, sarebbe un evento da
stabilire per la letteratura un'epoca fra le più notevoli del
secolo decimonono.
Nell'ora che l'Italia risorgeva a libertà e a regno di
futura grandezza, pel Governo della Toscana presieduto dal
428 LETTORI DELLA DIVINA COMEDIA .
Barone Ricasoli, il 22 Dicembre del 1859, inslitulvasl in
Firenze la cattedra di Eloquenza e di Poesia Haliana per
la Esposizione della Divina Comedia, come parte della se-
zione di Filolojia Q Filosofia ùqW hlitulo di studi superiori
e di perfezionamento. A questa cattedra veniva chiamalo
il degno P. Giambattista Giuliani, professore di Eloquenza
sacra e Dottor di collegio nella facoltà di filosofia e lettere
dell' Università di Genova, già notissimo in Italia pe' suoi
studi su Dante, per le sue Lettere sul vivente linguarifiio
della Toscana e soprattutto pel nuovo suo Metodo di spicca-
re Dante con Dante. Ardita impresa! ma condotta per lui
con fervido amore e si felicemente, che fa bene sperare di
vederla recata al termine desiderato. 11 4 Marzo 1860, nella
sua splendida prolusione, il Giuliani faceasi a mostrare le
benemerenze di Dante verso V Italia e verso la Civiltà; e
il di 11 vi cominciava il suo corso di Lezioni, svolgendo
mano a mano un ampio programma così diviso:
La letteratura di un popolo ne dimostra e determina il
grado di civiltà. — Del Medio-Evo in generale. — Forma-
zione delle nuove lingue europee. — Della letteratura ita-
liana. — Cagioni che la promossero. — Caratteri onde vuol
essere distinta dalla letteratura bi' lica, greca e latina e da
ogni altra dell'Europa moderna. — Vicetule a cui soggiac-
que fino alla metà del secolo XIIL— Dante e il suo secolo. -
Religione e Politica. — Pontificato e Diipcro. — Guelli e
Ghibellini. — Neri e Bianchi. — Lettere, arti e scienze. —
Origine e singoiar natura della Divina Commedia. — Fini
principali che Dante si propose nello scriverla. — Se, e come
sia essa capace di Commento. — Metodo che in ciò si tenne
e fu prescritto dall'Autore nella sua Epistola a Cangrande. —
Quanto l'abbiano osservato gli espositori dal secolo XIV
insino a noi. — Pregi e difetti che possono riscontrarsi negli
antichi e moderni espositori di Dante. — Importanza delle
sue opere minori, e loro utilità rispetto alla divina Comme-
dia. — A che principio, e giusta quali norme, deve essere
conformata l'Esposizione del sacro Poema, che oggidi mas-
simamente raccomanda il nome di Dante all'Italia e ad
ogni gente civile.
Queste sono a un dipresso le materie su che sì aggira-
LETTORI DELLA DIVINA COMEDIA. 429
rono le Lezioni del primo anno; le quali ne' tre successivi
abbracciarono intiera l'Esposizione delle tre Cantiche. Nel
condurre questa esposizione ei volle attendere a raflermarc
il senso sì lelleraie che allegorico del Poema, non omettendo,
ad ogni passo che occorreva, di paragonarne i divini canti
coi libri poetici della Bibbia, con l'Odissea e l'Iliade, colla
Eneide, e co' poemi di Millon e di Klopstock. Specialmente
poi le lezioni riguardarono al fine, che nella divina Com-
media si riconoscano esemplificali gli ammaestramenti della
eloquenza e Poesìa Italiana, vi si attingano i principj e le
norme del Bello in ogni arie, e Dante si dimostri sempre
il perfettissimo scrittore e il costante educatore della nostra
nazione. La sì numerosa e scelta udienza che trae alle sue
lezioni, crescente d' anno in anno, tanto che al presente si
contano da un dugento uditori, il plauso unanime con che
viene salutata 1' ornata ed eloquente sua parola, son bene
una solenne testimonianza e un dolce compenso alle onorate
fatiche dell'egregio Professore che altamente confessava e
mostra in effetto: « Tre amori essersi in lui confusi in uno
a regger la sua vita, l' amore alla Verità, all'Italia e a Dante
che, dopo Dio, è slato il suo massimo benefattore. »
E questo studio e questo culto religioso pel sovrano
dei nostri poeti non si ristette nella bella Penisola, ma gli
uomini più insigni di lutto le più civili nazioni fecero a
prova affine di comprendere veramente il gran concello
dantesco, e penetrare nei recondili misteri di un poema
che, al dire di G. Blanc, è come specchio e tesoro delle
speculazioni, delle cognizioni, dell' istoria e dei costumi
dell'età in cui fu scritto, addentrandosi quindi nella storia,
nella filosofia e specialmente nella teologia del XIII secolo.
Il gran filosofo Schelling, dalla maggiore università della
Prussia, annunziava l'importanza d'una Cattedra dantesca,
ne predicava i vantaggi ed accennava quasi il metodo da
tenersi. Difatti, in Germania è letto Dante in pressoché
tutte le università e singolarmente a Dresda, a Berlino,
Bonna, Breslavia, Koiiisberga, Halle. La cattedra di Heidel-
berg fu illustrala dallo Schlosser, quella di Basilea da
Ilartwlcf Viotto e dal Picchioni, quella di Halle dal sommo
Blanc, che nel 1832 pubblicò un pregevole estratto delle
430 LETTORI DELLA DIVINA COMEDIA.
sue lezioni e nel 1852 il suo Vocabolario dantesco, eh' ei
chiama IVutto di trenta anni di lettura e di assiduo studio
della divina Commedia. « Da venti anni in qua, scriveva
egli nel J841 a Cesare Balbo, ho letto pubblicamente Dante
per ben dodici volte. E non solamente lo si legge in pub-
blico per la studiosa gioventù, ma abbiamo fatto lìn qui
da sette anni una piccola brigata di persone dotte, composta
di un professore di teologia, di uno di giurisprudenza, di
due di lìlosoiia, del borgomastro della nostra città, di un
curato, i quali si radunano nell'inverno una volta per
settimana a leggere la divina Commedia, e ne siamo già
alia seconda lettura, avendo finito il Paradiso l' inverno
passato, e ricominciato da pochi giorni a leggere l'Inferno» -
ìN' oublions pas, così Saint-René Taillandier, de mentionner
les lecons enthousiastes qu' un ancien disciple de Hegel,
M. Goeschel, vient de faire à Berlin sur la cìhine Comedle.
M. Goeschel ne s' est jamais séparé du christianisme ; la
philosophie hégélienne, dans les libres interprétations de
cet affectueux esprit, était une préparation à V intelllgences
des dogmes révélés; on comprendra que le brillant songenr
soit plus à son aise aujourd'hui qu'il expose la philosophie
du christianisme d'après les Cantiques (ìeDMe. Les lecons
de M. Goeschel ont été un événement à Berlin, et le roi
<]e Prusse les a honorées de sa présence [Revue des deux
Mondes, 15 aoùl 1853). - Il professore Ermanno Trìben, con
un discorso su Dante, preludeva il 22 marzo 1858 alia riu-
nione scientifica alemanna, tenuta in Stettin Stettin Nahmer.
A Parigi, Dante fu spiegato tanto alla facoltà delle let-
tere, quanto alla Sorbona; dal Faurìel nel 1833-34; dal
Lenormant nel 1839 ; nel 1840 dall' Ozanam, ed in appresso
dal sig. Edgardo Quìnet. Anche l' italiano Cicconì vi apriva
nel marzo 1836 un corso privato sul Panteismo politico di
Dante, e nel 1841, il Casella, romano, un corso dichiarativo
della divina Commedia neirAteneo reale. Ricordo le parole
€on cui TArtaud rendeva omaggio all' interprete italiano:
< M. Casella a montré les mysteres de Dante à plus de
mille élèves. M. Casella conviendrait surtout pour expliquer
Dante à Paris. Cette reunion si rare d'une grande habilité
à enseigner sa langue nationale, et d'une penetration sin-
LETTORI DELLA D1V1>'A COMEDL\. 431
guUère qui lui a fait deviner les delicalesses de nolrc
idionie, le reud propre selon moi, à devenir avec succes
un professeur de la divine Comédie le meilleur que l'oa
puisse irouver parmi nous, car ce professeur doli élred'ua
age mur el italien. »
Fra i principali promotori degli sludj danteschi in In-
ghilterra vanno annoverati Brougham, JMacaulay, Carlyle,
Robert Hall, Sidney Smith, Bario w, e 1 traduttori Broyd
Gary, Wright, Pollosk, sommo di tutti il Vernon.
Anche il mondo transatlantico gareggia col nostro e
TAmerica stessa reca il suo tributo di ammirazione a Dante,
erigendo in molte città apposite cattedre per leggerlo e per
comentarlo.
Così il genio teutonico, conchiuderò col Labltte, si è
inchinato questa volta al genio meridionale; e la patria di
Shakspeare, del pari che quella di Goethe, sono venute a
gittare il loro obolo appiè dell' antica statua dcU'AHighieri.
COMENTATORI
Comeuto o spDsiziine dev' esser luce la quale
ogui colore di sentenzia fa pai'vente. < onc. 1. I,
Lo senso letterale sempre dee andare iunanai
ogni altro, siccome quello nella cui sentenza
gli altri sono incbiusi, e senza lo quale sarebbe
impossibile e iirazionale intendere gli altri e
iiias-simamente l'allegorico... Uisogna prima ragio-
nare la litterale sentenza, e appresso di quella la
sua allegoria, cioè 1' ascosa yerità. .. . La storia
della lettera, o il senso letterale deve stare e cor-
rere da sé; gli altri poi a quest' uno s'appoggioau,
come 1' editizio al fondamento. Conv. II. 1.
SECOLO XIV.
Della Lana Jacopo. [Bolognese, frate (jaudenle, contem-
poraneo e amico di Dante.) Venezia, \indelin da Spira, 1417.
Innesto Coniente fu scritto, secondo l'osservazione giu-
stissima del Wilt, prima del 1328, in volgare, mentre il
Ialino non è che una traduzione di Alberico da Rosciate.
432 COMEMATORl.
bergamasco, morto nel 1854 (1). Un grande argomento della
stima in che dovettero averlo 1 nostri maggiori è, che il
primo Comento divulgato poco dopo l'invenzione della
stampa fu appunto questo. 11 Nidobeato, nella sua edizione
così ne parlava: Jacobus Laneus materna eadem et bono-
niensi omnes superare est visus.... Equidem haud abnuerim
nlìam esse sententiam, uìlum paulo obscurius verbum, quod
non comentator noster, infuna etìam ingenia sortitis, intelli-
gendum praebeat. Venne esso stampato col nome di Benve-
nuto da Imola, non so se per opinione che allora ne corresse,
0 per ignoranza dell'editore Cristoforo Berardi, che par
l'autore del gotìb sonetto di conchiusione. Dopo la slampa
Yindelina non ebbe l'onore di altre edizioni; a' Bolognesi
era venula voglia nel 1834 di ripubblicarlo, ma poi non
ne fu nulla.
Il prof. Luciano Scarabelli faceva voti perchè il marinifico
e f/razioso e dotto comento Laneo nella prossima congiun-
tura della grande solennità parentale, rivedesse la luce,
raffrontato prima ed esemplato ai codici Palatino, Maglia-
becchianoeRiccardiano, a quest'ultimo specialmente, sebbene
l'edizione antica sia d'italiana dicitura più netta e più
franca. Questo comento, cosi lo Scarabelli, di nessuna per-
sona, 0 cosa, 0 luogo nominalo dimentica l'istoria, né di
niun passo resj)licazione, né di alcuno che sia stato autore
d'opera tace titolo e natura de' libri; tutti i modi e le
frasi del dire della Divina Commedia dichiara. È il più
ampio, il più dotto, il più erudito commento che ne' vecchi
tempi siasi scritto, e ha un pregio che a tutti manca, per-
ché qua e colà dove riferisce o conta od esplicazioni ag-
giunge: e questo so dall' autore, la quale avvertenza dagli
grande autorità ... Del solo Inferno ho estratto 56 racconti,
dal Purgatorio 31 e del Paradiso 18, belli tutti, ai quali ho
(1) Rune Comentum tocius hujus comedie composuit quidem dominus
Jacobus dola lanabononiensis licentiatus in artibus et teologia et fuit
filius fratris philippi dela lana ordinis Qaudencium et fedi in sermone
vuUjari tusco. Et quia tale idioma non est omnibus notum ideo ad
utilitatem volencium stadere in ipsa Comedia transtuli de vulvari tusco
in gramaticum literarum cf/o albericus de roxiate dictusinuiroq.jur.
peritus pergamensis....
COMENTATORI. 433
fallo le noie convenienli, e varranno per chi le voglia slam-
pare. Ma non é in Uillo il volume una linea che sia senza
imporlanza, e non c'è comenlo, compreso rOUimo, che
non abbia pescalo in quello. Ond'è lauto più niaraviglioso
che gli edilori di libri in ìlalia slansi innamorali conlinuo
de' plagiari, e lascialo coslanlemenle da parte questo ori-
ginale, che fu agli altri maestro... Con cotesto volume alia
mano io voleva dimostrare donde sia derivata la scienza
di lutti gli altri comentalori, e come taluni, male inten-
dendo, male esposero, e come altri non seppero esporre,
perchè non posero l'occhio dove trovalo avrebbero da il-
luminarsi... il Borghlni, A. II. p. 330 - I Giornali avean fatto
sperare che il rarissimo quanto ceieiìre comenlo Lanneo
verrebbe pubblicalo in occasione del Centenario di Dante,
a spese del Municipio e della Provincia bolognese, a cura
specialmente dal senatore Gozzadini. Ma la novella, ci fa
risapere il prof. Scarabelli, fu un giuoco poco nobile e poco
degno. Se non che il bravo e valoroso tipografo Civelli di
Milano si é assunto l'ardua impresa della pubblicazione; ed
a' primi di Aprile il Comenlo del Lana sarà stampato,
corretto nella dizione, fornito delle varianti, delle voci di
€he son vuoti i vocabolari e delle note filologiche appor-
lune.... Il Lana avrà lìnalmenle il premio degno di ricom-
parire rimproveralore diluiti coloro che spoglialo l'ebbero
e noi nominarono, e di coloro che non si curarono di co-
noscerlo nominalo. I DantoUli che si affaticano a spiegare
tante inspiegabili cose, e credono di aver trovato grandi
segreti, rilevalo un qualche passo, vedranno che altro far
resta loro: correggere gli avventati giudizi, e cancellare
molto dello scritto da loro per iscrivere altro, o soddisfarsi
del posto da quell'illustrissimo chiosatore. - Scarabelli,
Borfjhini, V. II. p. 564 - Il Batines numera quanladue codici
conosciuti del Comenlo Laneo. Olire il Rosciate, lo voltò in
latino Guglielmo de lìernardis [reduxi de lini/uà vuhjari
in literatam, 1348). Nella Laurenziana si conservano inoltre
due altre anonime traduzioni.
Anonimo, Comenlo alla Cantica dell'Inferno di Dante AIU-
ghieri di autore anonimo, ora per la prima volta dato in
luce, Firenze, Baracchi, 1848 di [>ag. 274. Ne fu editore Lord
VuL. 11. 28
434 COMENTATORI.
Yernon, e per lui intitolato a V. Nannucci, a Brunone Bianchi,
a Pietro Fraticelli. Venne riprodotto dai codice Poggiali,
e pubblicato conforme l'originale sua ortografia. 1 più lo
attribuiscono a Jacopo, come lo proverebbero le parole:
Jo Jacopo, suo figliuolo, per maternale prosa dimostrare
intendo parte del suo profondo ed autentico intendimento:
l'Audin invece ad autore anonimo. Ma a quale di essi
appartenga, egli è incontrastabile che per la sua antichità
e bontà della lingua e per le notizie storiche che racchiude
ha de' pregi non comuni. Anche l'Audin lo dice stimabile
per più partì. L'Avvoc. Ferrari, di Reggio, lo ritiene pur-
gatissìmo di lingua, ricco di originali documenti di storia
firentina, che non si trovano in altri conienti, e che rive-
lano una mano toscana. Venne composto nel 1328, come
apparisce dalla Chiosa al v. 112 del C. xxi. dell'Inferno:
«La Chiosa dice: E correvano gli anni della Nativitade del
Signore MCCLXXXXVIIII, e oggi corrono MCCCXXVIII:
però dire si puote che XXVII anni compiti sieno eh' elli
comincìoe questa opera. « Sarebbe dunque anteriore a tutti
quelli fin qui noti, a quelli almeno con data certa. » Un altro
passo di questo Comento dimostra che fu composto prima
del 1333; ed è quello in cui parla della statua di Marte:
Elessero Miro pratrono, e se non fosse stato che una statua
di quello marte che ancora si vede sopra il ponte d' Arno
nella detta citlade... Il Batines cita sette codici conosciuti di
questo Commento.
Allighieri Jacopo, Chiose ad esso attribuite, Firenze,
Baracchi, 1848.
Se ne debbe la pubblicazione a Lord Vernon. Il comento
non abbraccia che il solo Inferno - Vi si nolano queste
parole: Chorsero gli anni del Signiore della passione MCCLXYI,
e lo Signore nostro fosse viulo in carne mortale arm/ XXXIII,
e intorno a quelli della passione sia eco che coreano gli anni
del Signiore della A'ativitade MCCLXXXVIII oggi corrono
MCCCXXIIII anni compiuti sieno Malachoda avea apparec-
chiato cheli chomincioe ecc. Il Fraticelli dice le Chiose e il
Comento attribuiti a Jacopo « meschlnissima cosa. Non con-
tenendo essi alcuna particolarità intorno la vita del Poeta,
ritiene che non appartengano a un figlio di Dante. Il
COMEMATORI. 433
Balìnes altribuìsce pure a Jacopo certe Annotazioni lati-
ne contenute in parecclii Godici che stima singolari ed
importanti, giudicate buone assai anche dal Bandini. A
questo Jacopo credesi per i più che appartenga quel com-
ponimento poetico, diviso in sessanta capitoli, e intitolato
Dottrinale, il quale fu stampato la prima volta nel volume
III delle Rime anlìche Toscane, Palermo, 1817; ed altresì
quel capitolo in terza rima sopra la Comcdia di Dante, che
Vindelino da Spira stampò in Venezia nel 1477. [Y. Delle
vere chiose di Jacopo di Dante Allighieri e del Comento ad
esso attribuito, Notizie di S. L. G. E. Aiidìn di Rians, Firenze,
Baracchi, 1848).
L'Ottimo, Comento della dicina Comedia, Testo inedito
di un. Contemporaneo di Dante, citato dagli Accademici
della Crusca, Pisa, ISic. Capurro 18*27-29. Questa pubblica-
zione, col testo nell'alto delle facce, fu eseguita sul Codice
Laurenziano, Plut. XL, n. XIX, trascritto dal Follini e colla-
zionato dal Bencini, e se ne debbe il merito al chiarissimo
Sig.r Torri. (I Voi. di p. G68, 1827; il Voi. di p. 622, 1828;
IH Voi. di p.772, 28 Luglio 1829).
« Di maggior momento senza comparazione, e per lingua
e per dottrina e per notizia di molte proprietà di quei
tempi migliore, è un Comentalore di Dante, del quale, per
diligenzia che messa ci abbiamo, non ci è venuto fatto di
ritrovare il nome, onde è da noi chiamato quando il buono,
e quando /' antico comentatore. Né è Benvenuto da Imola
costui, quantunque molte cose ne cavasse egli, e molle
(a parlar propriamente) ne copiasse; e la diversità di molti
luoghi che sono in questo, facilmente ce ne assicura; oltre che
fu generalmente Benvenuto nelle cose di filosofia e teologia
di questo molto inferiore. La lingua è intorno al CCCXXX,
cioè neir ultima età di Dante, del quale fu coetaneo, e forse
famigliare. -/Vocmfo alle annotazioni e discorsi sopra alcuni
luoghi del Decanìerone, [alta dai Deputati alla correzione del
medesimo, Firenze, Le Mounier, 1852, p. 28. -Ne' primi tempi
deir Accademia della Crusca, l' Anonimo fu tenuto per
Alberigo di Rosate; anzi coetaneo e forse famigliare dì
Dante. Per la bontà della dicitura lo nominavano il Buo-
no, e quando V Antico e poscia anche V Ollimoy e un testo
436 COMEMATORI.
a penna della biblioteca Laurenziaha somministrò esem-
pj al Vocabolario Da quel tanto del suo Comento
che] m'è toccalo di leggere, pare che niuno, da Dante in
fuori, abbia mai sapulo si addentro ogni secreto della Co-
media. Cosi venisse fatto a noi di sapere chi egli si fosse;
e forse l'autorità del suo nome acqueterebbe moltissime
liti.' Altrove si è mostrato come quattro e cinque anni dopo
r esigilo il Poeta si trovava a Padova, e questo Anonimo
v'era anch'esso intorno a quel tempo» . . . Che l'autore
non solo fosse coetaneo, ma dippiù avesse usato con Dante
si fa chiaro per due luoghi dell'opera sua, Tuna al C. x
pag. 183, dove leggiamo : lo scrittore udii dire a Dante ch«
mai rima noi trasse a dire altro che quello che area in suo
proponimento: l'altro, al C. xni, pag. 285, sul proposito' della
statua di Marte, e dice cosi : Elli (cioè Dante ) fu di Firenze ;
e però qui recita una falsa opinione, che ebbero (jli antichi
di quella cittade, la quale io scrittore domandandomele, udii
così raccontare, ecc., « Ovunque il Poeta fa motto di casali
0 individui fiorentini, l'Anonimo li descrive come se sapesse
ogni cosa e di loro e della loro vita domestica, e della
loro indole, e delle condizioni della loro posterità. Ove gli
pare che importi, registra le date puntualmente . . . Molli
de' dubbi metafisici e dottrinali che gl'interpreti per non
averli originalmente pensati da sé, e non poterli intendere
a un tratto, sono costretti a spianare con lungo discorso,
e lasciarli intricali a ogni modo, escono dalle brevi perifrasi
dell'Anonimo schietti e sicuri come se fossero ridotti a defi-
nizioni dalla mente che aveali meditati a condensarli in
sentenze e rivestirli di poesia. Lo siile altresì del Comento
rifiuta gl'idiotismi e persevera nella precisione grammati-
cale, doti perpetue delle prose di Dante. » - Foscolo, Discorso
sul Testo, CLXXXIX, CXC, CXCII. - Esso fu pure dal Salviati
lodato per seuiplice eloquenza e purgata favella. - Y. Bibliot.
hai. dee. 1829. - « Un solo fra tutti, ed è conosciuto sotto il
nome di Anonimo, famigliare di Dante, sembra che sappia
le vie di penetrare nel cuore e nella mente del poeta e
leggervi profondo. Nondimeno anch' egli, quantunque sia il
più coraggioso ed intrepido e longanime, è sempre circo-
spetto : se non che di quando in quando, quasi il fervore dellii
cojiEMAToai. 437
giovinezza e della speranza gli soverchiano il cuore, il vero fa
forza nel suo intcllelto, e scoppia a rivelazioni nuovissime;
ma lo scrittore, a guisa di atterrito, subitamente si riusciva
dentro i mentali avvolgimenti d'onde osava uscire. Allo stile
gagliardo, compresso, significativo, dignitoso, alla lingua pu-
rissima ed eletta vi ravviseresti quel Jacopo spirito fervente,
a cui r ombra del padre apparendo pare che lo]avesse voluto
eleggere scopritore e depositario della Comedia. E quel
rinunziare alla gloria che gli sarebbe venuta da quella
esposizione che è la più ampia, la più profonda, la meglio
congegnala, ed insieme la più antica di tutte, non li dice
egli che il discepolo, ad esempio del suo maestro, si sia
voluto involgere nel mistero » ? - Emiliani Giudici, Storia
della letteratura Italiana, Voi. I, p. '206, tip. Le Monnier.
Il Jìatines poderosamente argomenta come il Gomenlo
dell'Ottimo non sia originale, ma un misto o un compendio
de' Conienti esistenti al tempo della sua Compilazione; e cita
a riprova delle chiose letteralmente tolte dal Gomenlo di
Jacopo e di Ser Grazioso Bambagiuoli. Dalla seguente chiosa
che si legge al C. xiii egli apparirebbe manifesto l'anno
in che fu compilato : « Onde cadendo il ponte sopra '1 quale
èra la statua (di Marte) siccome cadde la notte del dì quattro
di JS'ovembre 1333, anno prossimo passato, n E nel Paradiso,
dove mette per ordine i maestri Generali, dell'ordine di S.
Domenico, soggiunge: Fra Ugo di Valsamano al presente
eletto, nel xMCCCXXXIII. Che il compilatore fosse giovine ap-
parirebbe pur chiaro dalla chiosa al verso 84 del e. vii dell'in/.:
Necessità la fa esser veloce: dove, dopo aver riportalo le al-
trui opinioni, soggiunge, che quanto a sé dichiarerà quello
che intende, secondo la discrezione della sua giovinezza.
Il Balines dalle sigle A. L. N. F. che si leggono in alcuni co-
dici, alla fine del Paradiso, deduce che Andrea Lancia, notajo
fiorentino ne fosse il compilatore. Il Balines novera da 22
Codici dell'Ottimo, e ci faceva sperare una nuova edizione,
per cura del Sig.r Francesco Corrotti, sotto-bibliotecario
della Corsiniana, rafl'ronlala con la miglior parte dei Codici
conosciuti. - Si può consultare suW Ottimo Comento un articolo
del North American Review, Boston, Ottobre, 1839; Uno
studio di Colombo di Batines, Studi inediti su Dante, Firenze,
438 COMENTATORl.
1846, eie interessami ricerciie di Carlo Wille: Quando e da
chi sìa composto V Ouimo Comento di Dante, lettera al Sig.r
Seymour Kirkiip pittore inglése a Firenze, Lipsia, 1847.
Petri Allegherii, super Dantis ipsius genitori^s Comae-
diam Commentar ium, nunc primum in lucem editum, Consilio
et sumtibus G. F. Bar. Vernon, curante Sincentio ISannuccio,
Florentiae, Garlnei, 1840. (di p.74l - Varianti, Correzioni dei
passi degli antichi scrittori citati nel Comento e che si leggono
ne' Codici guasti o travisati. - Indice degli Autori citati nel
Commento, di p. CUI), (l)
Qualunque ne sia l'Autore, scrive nella sua Prefazione
il Nannucci, è uno de' più antichi conienti che abbiamo,
essendo al certo del 1340, ed è sparso di ogni genere di
dottrina, né dubitiamo che non sia per giovare alla più
facile intelligenza di molti luoghi della Comedia, e special-
mente delle Cantiche del Purgatorio, e del Paradiso... Quello
che potea farsi dal canto nostro si era di emendare, almen
dove lo richiedeva il bisogno, i passi degli scrittori citati
del Comentatore, e che si leggono ne' codici quasi sempre
(1) ]1 Pelli vuole che Pietro morisse a Treviso nel 1364, e che fosse sep-
pellito nella Chiesa di S. Margherita (oggi magazzino di fieno), in un bel
deposito, su cui si scolpi l' Iscrizione, in caratteri gotici, che tuttavia
si conserva nelle stanze del Capitolo di Treviso. La ridelta Iscrizione lo
dice genitum Dantis, e che ebbe interpretato ne' luoghi oscuri librum
patris. N. Mauro, cronista trevigiano, vorrebbe che gli Allighieri pones-
sero stanza in Treviso, sul torno del 1300, {Fiorentina gens nobilis Ali-
gera fuit^ quasi alas gerena nam et in eorum insigni alam cxpansam
tenent, qui ex Me gente descendunt }, e che Pietro, figlio di Dante,
cittadino di Trevigi, chiosasse l'opera paterna, riducendola a facile in-
telligenza ; lo che riferisce pure il Bonifazio, 1. Vili, p, 236. - Ma il Fraticelli
ritiene che non a Treviso ma a Verona fermasse sua dimora, mentre da
incontestati documenti si rileva che nel 1337 fosse ivi giudice, e nel 1361
vicario del collegio di detta città, e del podestà Nicolò Giustiniani,
e che qui*i pure morisse, e fosse sepolto nella Chiesa di S, Michele in
Campagna, come apparirebbe manifesto dal Necrologio delle Monache
di essa Chiesa, riportato dal Maffei e da G. B. Biancolini. - A. 1364 - Do-
minus Petrus judex, filius quondam Dantis de Aliyheriis, condidit testa-
mentum Veronae, praesentibus intcr alios domino Francisco judice filio
domini Rolandini de Mafeis de sancto Benedicto : heredem fecit Dantem
filium sum: legavit societati Sanctae Mariae de Orlo jwpuli sancii
Michells domum suam positam in populo sancii Martini Episcopi de
Florentia... xi Kalendis Majus obitus domini Pelri Dantis de Aligeris,
'patris iororum Allogerie, Gemme et Lucie; MCCCLXllL
COMENTATORI. 439
slraiiatì barbaramente... di trar fuori un iiifinilà di luoghi
che Pietro ha presi dal Convito e dalla Monarchia di Dante,
dal Maestro delie sentenze, da S. Agostino, da S. Tomaso
e da altri senza cilarli, e pe' quali si vengono pure ad
emendare molli errori del testo. Per questo lavoro nutriamo
la speranza di aver provveduto alla parte più rilevante del
Comento, come quella che addita i fonti .dai quali Dante
attinse tutta la dottrina teologica e filosofica che prese a
svolgere nel suo poema... Il codice dal quale è trascritto
è il Riccardlano: degli altri, si è trasportato a' pie di pagina
ogni volta che si è creduto necessaria la diversa lezione
{Ricard. N. 1075 ; Laurenz. N. 118, Plut. XG sup. ; Ms. Rosellù
già del Turco, del 1475; Ms. Laurenziano, Plut. XL. n. 38;
Cod. Sem. Pad.; Cod. Vat. N. 170; Cod. Vat. N. 4782). -
« L' autenticità del Comento latino di Pietro di Dante è
impugnala dal Tiraboschi, per ciò che non vi si trova, ne
il figlio di Dante, ne il cittadino fiorentino, né l'uomo
intendente di poesia, e neppure gli squarci più nobili del
poema — Ma la tradizione antichissima, dice il Foscolo,
dell'origine degli esemplari oggimai concatenasi per tanto
ordine dì leslimonj e di tempi, che le prove congetturali
allegale a distruggerla, ove fossero ammesse, ogni nome
di autore sarebbe a rischio di esser cancellato dall'opere
sue... Il nome del figlio dell'autore indusse ragionevol-
mente ogni uomo a sperar bene di quel Comento, come
quello, dice il Filelfo, che meglio dovea ritrarre il pensiero
paterno... Ma al figlio dell'AUighieri, sollecito di procacciarsi
gli avanzi dell'avito patrimonio da' Guelfi, tardava più che
mai di sviare ogni memoria Ghibellina, onde vengono notate
di brevissime e fredde le chiose intorno alle storie de' tempi...
Cosi, perchè il figlio circondato di pericoli, industriavasi
di colorire ripieghi, la tradizione della profezia propagò
astrologiche significazioni di libro in libro, e tali alle volte
da convertire fino agi' increduli. - Foscolo, Testo sul poema,
CLXXX, CLXXXl - « Preziosissimo m'è un Comento attribui-
to a Piero, figliuolo di Dante, dal quale attingo esposizioni
e allusioni nuove, o le già note, ma non certe confermo. »
Tommaseo, Prcfaz. al suo Comento, dell' ediz. di Venezia. -
Ma il Fraticelli notava come nel Comento attribuito a Pietro
440 COMENTATORI.
si riferiscano notizie e parlicolarilà di Firenze cosi storte
e false eh' è impossibile che sieno scritte da un fiorentino,
da uno che avesse passato in Firenze la sua gioventù,
mostrando costui di non aver veduto mai questa città. Nel
Comento medesimo si dicono di Dante cose che un figlio
non avrebbe mai detto, nò avrebbe mai potuto dire {Vita
dì Dante AlUghim, Capo ix, nota 5). - E 1' Emiliani Giudici
COSI ne scriveva: I figliuoli medesimi, paiono non meno
stranieri degli stessi stranieri alle abitudini, alle dottrine,
ai metodi del padre; sovente le più semplici allusioni con-
temporanee loro riescono misteri, ed ove loro non sia
possibile nasconderli, gli espongono con fredde circonlo-
cuzioni, e tremando. Poveri figli, esuli innocenti! Se aveano
poca speranza di riveder la patria, bramavano in tutte le
guise di ricuperare le reliquie del paterno retaggio, che la
ostinata ferocia de' Guelfi tuttavia usurpava. E tutti quanti
ravvolgendosi in generalità interminabili, si sfogano magni-
ficamente e inveiscono in istile di dottissimi predicatori...
Pietro AUighieri si adopera di trovare la traccia de' simboli
del poema nella credenza e nella scienza de' tempi... Nella
sua interpretazione degli ultimi tredici versi del C. xxx del
Purgatorio, non ostante il perpetuo accorgimento di non
rimuovere il velo delle allusioni, eh' egli sapeva, e che,
rivelate gli sarebbero tornate fatali, si lasciò sfuggire dalla
penna le seguenti memorabili parole, quasi le scrivesse,
dettante il padre: tanta è la sicurezza onde le notai « Gigas
figurai regem et potenliam regum Franciae, tenentium guher-
nationem Eccleslae sìcut homo amasiam. Qui rex si perpendal
ut Ecclesia alibi respìciat, ut modo fecit secundum simula-
tionem auctoris, flagellat eara. Et hoc est quod dicit, scilicet
quoniam traxit eam secum per silvam, idest quod fecit, ut
curia romana tracia est ultra montes in suo {regls Franciae)
territorio de Roma. {Storia della Letterat. hai I. 206 e 213) -
Il Batines cita 14 Godici del comento di Pietro. - Y. Osser-
vazioni del P. Marco Giov. Ponta sul Comento di Pietro di
Dante; -Dionisi, Preparazione istorico-critica, e. 3;- Censura
del Comento creduto di Pietro figlio di Dante AUighieri, Verona,
Merlo, 1783. II Aneddoto, eAned.W. - Tiraboschi, Y. p. 2.
fac. 3Uo. Batines, i. 635. -Del Furia, Alti della Crusca II. 253.
COMENTATORI. 411
Petrarca Francesco, Cliiose, Correzioni e Osservazioni a
Dante (Manoscrllli Palatini di Firenze, ordinati da Francesco
Palermo, Voi. II Firenze, Bibliot. Palatina, 18GI).
Son traile dal Codice Palatino CLXXX, che il Palermo dal
carattere eguale, rotondo, minutissimo ed esilissimo non solo
ritiene autografo del Petrarca, ma per di più scritto da lui nel-
l'età malura, cioè nel torno del 131)0. Nella Prefazione, in che ci
tesse la descrizione e la storia di questo Codice (p. 599-647)
egli ci avverte che, meno le abbreviature frequenti e difficili
nelle Chiose, ei si attenne strettamente al Codice nella dispo-
sizione della scrittura, nei diversi componimenti, nell'ortogra-
fia, e sino, quanto è stato possibile, ne' segni che vi sono
adoperati. Circa poi le Chiose e le varianti le quali sono e a
mezzo de' versi, e fra le colonne, e a margine e in ogni dove
ei le ridusse uniformemente a pie della poesia. Sotto il nome
di Chiose egli allogò quel eh' è proprio del Petrarca, con
che egli dà luce al significato. E col nome di Osservazioni
ciò che talvolta fu di mestieri non già a comentare, ma
solo a certificare i fatti e la verità. Il codice Palatino non
ha che una parte della Cantica del Paradiso, cioè dal C. x.v.
3. al C. XXX. (p. 75-881), e ci lascia, dice il Palermo, «as-
setati principalmente del Chiosatore, ma nondimeno si falli
punii il Petrarca vi ha stabilito, che avendoci a concordar»^
il poema intero, noi, come al lampeggiar fra le tenebre, scor-
giamo quanto fuori del camino vanno le usale guide, e
quanto diverso è il termine del viaggio». Il Palatino con-
tiene inoltre buona parte delle poesie liriche dell' Ailighieri,
con chiose ed osservazioni, che vennero pure pubblicate
dal Palermo (p. 049-714). - Il Fracassetti niega recisamente
credenza alla scoperta del Palermo. Il Petrarca nella lettera
15, 1, XXI delle Famigliari, dice svelatamente di non aver
mai posseduto né letto il poema di Dante, per fuggire il
pericolo di mettere il piede sull'orme da lui calcate, e
perdere l'originalità del suo siile, e solo essersi indotto a
leggerlo nel 1359, quando l'amico Boccaccio gli ebbe man-
dato in dono la bella copia, fatta di sua mano, che tuttavia
si conserva nella Biblioteca Vaticana (Cod, N. 3199). Egli è
però certo che dopo la lettura che ne fece, il Petrarca,
anima netta d'invidia, lo riconobbe e riverì per principe
442 COMENTATORl-
dell'eloquio volgare, si confessò secondo, anzi terzo dopo
di lui nella schiera de' poeti, e ad un suo contemporaneo
parlando in Milano, disse che le cose soltili e profonde nella
Divina Comedia non si potevano conoscere senza sinf/olare
f/rasia e dono di Spirito Santo.
Boccaccio Giovanni, con Annotazioni di Anton Maria
Salvini, Firenze (Napoli), Accarelli; Firenze, Moutier, 1831;
Firenze, Fraticelli, 1834, e 1844; Firenze, Le Mounier 1863.
Un Fiore di questo Comento, ad uso della gioventù, per
Ignazio Montanari, pubblicavasi in Firenze dal Le Mounier
1842; in Pisa dal Ricordi, 1842. (1)
Questo nostro scrittore fu a Dante affezionatissimo, e (quel-
lo che importa il tutto in questo proposito) l'ebbe si fisso
sempre nell'animo, e cotanto famigliare in bocca, che assai
volte esprime li concetti suoi con le parole di quel poeta,
e non poche cava le parole da' concetti di lui. Annotaz.
sopra alcuni luoghi del Dccamerone, Proemio, 24. - Ebbe
«iugulare affezione a quello che molti chiamano Divin poeta...
Egli non è a dire quanto questo bell'ingegno, e, come si
confessa per tutti, ottimo maestro di questa lingua, lo
(1) La prima edizione venne condotta conforme la copia di un testo
della Libreria Jlagliabecchiana, oggi segnato Palchetto iv, num. 58, fatta
cavare da Anton Maria Salvini, il quale vi pose alcune sue erudite anno-
tazioni. Sono in quel codice alcune postille marginali di Lionardo Salviati,
che forse ne fu uno de' più più antichi possessori. Ma la stampa riuscì
piena di errori, parte per la poca diligenza dell' editore, e parte per la
scorrezione dello stesso testo. Né il Jloutier, che a nostri giorni (1831) Io
ripubblicò nella Raccolta delle opere volgari del Boccaccio, potè correggerli
tutti, specialmente quelli che nascevano dal difetto dei rammentati codi-
ce ; essendo quasi impossibile di condurre una buona edizione d' un' opera,
coli' aiuto di un solo testo, se già non fosse l'autografo. Il Milanesi poi
condusse la sua pregiata edizione su altri tre testi di presente conosciuti, due
Magliabecchiani del secolo xv, dei quali l'uno è in pergamena, scritto a
due colonne, segnato di numero al; l'altro è cartaceo, e fu stro/ziano,
die ha il numero 1430; e il terzo, Riccardiano, parimente cartaceo, di bella
e grossa lettera, e forse più antico degli altri, segnato 1033, ma mutilo
in principio, perchè comincia dal V Canto dell'Inferno. Questo codice,
eh' è assai corretto, fu già de' Guadagni, come si vede dalla loro arme
miniata a basso dalla prima carta, e poi di Anton Maria Salvini, il quale,
secondo il suo costume, vi pose ne' margini alcune brevi postille.
COMENTATORI. 443
Stimasse, lo ammirasse, e se ne servisse . . . Yeggasi come
spesso egli aiuta questa sua opera (del Decamerone) dei
concelti di quel Poeta, e la abbellisce e innalza delle parole-
Or quanto il Boccaccio avesse a cuore questo poema, mostra
con averlo tanto spesso in bocca, e che per tutto si vede
pieno di parole e motti danteschi : che e' ne fusse studio-
sissimo, e che lo intendesse, ce ne assicura, si può dire
non solo la esperienza, ma un fatto ancora di quei tempi,
perchè faticato lungamente, e alla fine forzato dalle pre-
ghiere de' suoi cittadini, si mise a sporlo pubblicamente;
il che seguì con tanta soddisfazione e contento universale,
che, come cosa notabile, giudicarono degna gli scrittori di
que' tempi della quale si facesse memoria : onde si legge
nella Cronichetta del Monaldi : Domenica a dì tre di ottobre
1373 incominciò a leggere il Dante messer Giovanni Boccac-
cio. Id. p. 101. Ma troppo lunghi saremmo se volessimo
qui annoverare a uno a uno i modi, i luoghi e le parole...
ch'egli sommo amatore e ammiratore di questo Poeta, e
grandissimo conoscitore delle sue bellezze, per abbellirla
et aggrandirla insieme sparse per tutta l'opera sua. Onde,
come spesso egli l' ha in bocca, si può sicuramente dire di
lui quel ch'ai Poeta stesso fu dell'opera di Virgilio detto:
Ben lo sai tu, che la sai tutta quanta.
«Nel 11160 trascrisse il Bocaccio di sua propria mano
tutta la Divina Comedia, e la mandò al Petrarca come il
più caro dei doni, accompagnata da un suo poetico compo-
nimento. Avendo i Firentìni stanziato, a preghiera di lui, di
metter su una cattedra dove si leggesse e si comentasse
la Divina Comedia, ed avendo dato tal carico ad esso, non
dubitò di accettarlo ; e tutto che di età avanzata,ed infermo,
si mise all'opera, la qual per altro non potè continuare
più là che il XVI dell'Inferno. Egli avea mostrato la sua
scienza in molli trattati latini, ed avea pure censurato nelle
ecloghe i costumi del secolo, ma in questa sua opera s'in-
gegna di ritrarre al possibile la erudizione e la severità
dell'Autore che cementava: e certamente essa è piena di
mirabil dottrina, secondo quei tempi, ed è eloquente, ed è
scritta in fiorita sì, ma ad un'ora in semplice e garbata
favella». V. Fanfani, Vita dì Dante, premessa al Decamerone.
414 COMExNTATORI.
^(È il presente Comento assai notabile per le belle ed
erudite esposizioni di molli luoghi della Coniedìa; notabilis-
simo poi in alcuni altri, dove più splende la sua elegante
facondia che talvoltar s' innalza fino alla vera eloquenza. Se
non che, per aver egli seguitato il metodo proprio di quei
tempi, cioè delle frequenti divisioni e distinzioni scolastiche,
riesce spesso alquanto minuto e noioso; come si mostra
più ingegnoso che vero nel dichiarare taluna delle allegorie
del Poema. Di più, anche in questa sua ultima fatica, appa-
riscono, sebbene in minor parte, que' medesimi difetti di
stile e di soverchio artifizio, di che non a torto è accusato
nelle altre sue composizioni volgari». Gaetano Milanesi. -
Tra le opere del Boccaccio, il Comento è quella che si legge
con più diletto per avventura e con più profitto di tutte
le altre da esso scritte in volgare, tanto essa è varia nella
erudizione, e ricca nella elocuzione, dove spesso ài trova
eloquenza vera». P. Fanfani, Il Borghini, I. p. 255. - Opera
eccellente e rara, ed un elegante esempio di stile piano
puro ìiìsegn'àViYO.- Giordani -y. Ferrucci Franceschi Catte-
rina, I primi 4 secoli della Letteratura hai Y. I. p. 390.
Emiliani Giudici, Storia della Leti. Ital. ecc. ecc. (1)
Chiose sopra Dante, Testo inedito, ora per la prima
volta pubblicato, Firenze, Piatti, 1846. (di pag. 899).
Fu messo in luce da loro Yernon, e da lui intitolato a
(1) Nel codice della Strozziana N. D. D. 1226, ora allaMasliabecchiana,
CI. XXY. N. 593, a carte 431, si trovano tre estratti colla data del 20
Febbraio e 17 Marzo 1376 e 10 aprile 1377, Da un libro di Richiami fatti
dinanzi a' Consoli dell' Arto del Cambio cominciato nel 1376, eaistente
in detta arte. Sono tre scritture relative al richiamo fatto da Jacopo
Boccaccio, fratello di Giovanni, e da' suoi esecutori testamentnri, innanzi
a'Consoli dell'arte del Cambio, contro Francesco di Lapo Bonamichi, chia-
mato Morello, per rivendicare il Comento sulla Divina Comedia lasciato
dal Boccaccio. Nel primo di questi documenti si legge: La Disposizioìie
sopra il primo libro di Dante disposto per Mess. Giovanni mio fratello,
sono xxiv quaderni in bambagine, e altri quadernucci piccoli di quella
medesima opera; e nel terzo: 2i quaderni e li quadernucci tutti vn
carta di bambagia, non legati insieme, ma l'uno dall'altro diviso da
uno iscritto, ovvero isposizione sopra 16 capitoli e parte del 17, del
Dante, il quale scritto il detto messer Giovanni non compiè. I Consoli
dell'arte del cambio riconobbero legittimo questo richiamo per la rela-
zione di messer Parente da Prato.
COMEMATOill. 445
Sir Tliomas Gage Saunders Sebright (23 Novembre 1846).
^ i si trova il fac simile del codice Rìcardiano N. 1037, e
Magliabecclìiano N. 47, Palch.i. (Strozziano, 1424). -11 codice
Riccardiano, di pertinenza del Segni, comprende tutto intero
il comento, e porta il nome di messer Giovanni da Cerlaldo,
Il lavoro, ollrecchè ricco di storici documenti, è disteso in
purgata favella, e vi s' incontrano frasi e modi di dire
espressi e nalurali da giovare assaissimo all' incremento
della lingua. Ed è anco da notarsi che questo Cemento è
il solo fra gli antichi che sia stato scritlo, per quanto
sappiamo, con ispirilo ghibellino. Luigi Rigoli lesse un di-
scorso su questo Comento nell'adunanza della Crusca del
dì 10 Maggio 1829. Il Rigoli lo ritiene scritlo sul torno
del 137o. ^
Ramiìaldi Benvenuto da Imola, Illustrato nella sua vita
e nelle sue opere, e di lui comen'o latino sulla divina Co-
media di Dante Allighieri, voltato in italiano dall'Avvocato
Giov. Tamburini, Imola, Galeali Yol. 3 (1. Voi. di pag. 848;
li di p. ():>6; Hi di p. Gl2i - Benvenuto da Imola m. nel 1399.
Nel 1375 espose la divina Comedia in Bologna, ma
sembra non iscrivesse il Comento che nel 1379. In una
chiosa del C. xviii dell'Inferno si legge: Proh dolor! istud
sumptuosum opus destructum et prostratum est de prafh-
senti annoUCCCLWMlW per populum romanum.-I Deputati
alla Correzione del Decamerone dicono che Benvenuto tras-
se, anzi copiò molle cose dall'Ottimo. Il S."" Parenti nelle
Annotas. al Diz. della lingua Ital., 1. 127 ne parla di questa
guisa: « Taluno si è beffato dello scrivere di quel Cemen-
tatore, senza riilettere che dovendo esporre Ialinamente
ai suoi discepoli un poema volgare pieno di ardui sensi,
era costretto di scendere alle frasi più triviali per accostarsi
alla loro intelligenza; serbando a miglior scopo lo stile
colto e regolare, di cui non era certamente digiuno, come
si vede nella dedicazione del suo libro al Marchese Nicolo
d' Este. »
Benvenuto, contemporaneo di Dante, conobbe de' fatti
e luoghi particolari, anzi ebbe commercio con quei viventi,
e non son pochi nella Comedia, le cui anime non pertanto
si figuraro già dannale ai tormenti da lui; quindi le storie
446 COMENTATORI.
singolari e recondite, le biografie che non poleano Inirsi
né da storie, nò da cronache, né da giornali di quei tempi.
E se dal Petrarca al Boccaccio, che valgono essi soli il
giudizio di lutti gli altri, era salutato primo erudito e
filosofo del suo secolo, qual meraviglia se il Comento della
divina Comedia sia pieno di storia, di filosotia, di mitologia
uon solo antica, ma di studj, di biografie, di costumi e
credenze a' tempi suoi? Anche rispetto alla lingua volgare
attese a mostrarne la- grazia, la proprietà, l'eleganza ed il
colore, doti nelle quali nessuno arriva l'AHighieri. Palesa
l'artifìcio poetico, la novità dei pensieri, dei trovali, dei
partiti, delle pitture di atteggiamento, del risalto alle più
minute particolarità di natura che formano gli attributi
del sommo e del genio. » - Tamburini - La parte storica
del Comento era già stata pubblicata dal Muratori, Rerum
itaUcarum script. Voi. I.
Da BuTi Frakcesco, Comento sopra la divina Comedia
pubblicato per cura di Crescentino Giannini; Pisa, bistri.
1850. - Inferno, pag'. xxxviii, 866. pub. il 31 Dee. 1858. -
Purgatorio, Voi. II. pub. il Feb. 1860. pag. viii-826; Paradiso,
Voi. Ili, pag. x-904. pub. nel Maggio 1802.
Nacque il Buti sui colli di Pisa neri354, m. a' 25 Luglio
1406 e fu sepolto nel primo chiostro dei Francescani di
Pisa, dove anche oggi una lapida latina ricorda Maestro
Francesco Dottore in Grammatica.
Il Foscolo lo dice ricco di aneddoti, ma credulo assai,
abbondante e spesso eloquente in via di digressioni e rac-
conti, per lo più di memoria, quasi avesse a cuore di
ammaestrare, di dilettare i suoi uditori, di comporre il
numero delle lezioni alle quali s'era obbligato, e di spendere
in ciascheduna lezione il tempo richiesto dall'istituto della
sua cattedra. Dov'è veritiero, sembra nuovo, perchè studia
di amplificare fatti accennati da' suoi predecessori... Foscolo,
Discorso sul Testo, CXC - Francesco Buti non ha la ric-
chissima copia del dire, eh' è tutta opera del Certaldese,
né come questi e l'Imolese esercita la vivacità dell'ingegno
intorno al testo di Dante, narrando storie e cogliendo ogni
occasione di soddisfare abbondevelmente a sé stesso, ma
di quei che si dilettano di brevità e stanno contenti ad
COMENTATORI, 447
una chiara e nella e intera spiegazione del libro. Non
allegazioni di aulorilà, né prove, se non quando lo renda
necessario il dello medesimo dell' aulore. Il suo melodo è
d' interprete fedelissimo, il quale stimi di avere ad eseguire
tanto più degnamente il suo officio, quanto meglio avrà
saputo dimenticare se slesso, per. non dover, pensare se non
al testo da interpretarsi... Ei vide innanzi nella costituzione
scientifica della divina Gomedia, e seguitò i legami organici
che congiungono la speculazione e la pratica di questo
sistema ideale. » - Cento fanti, Prefazione al Comento. -
Dottissimo, avea acume da penetrare ne' più reconditi pen-
sieri di Dante, e come vissuto in tempi vicini a quei del
poeta, potea conoscere molte delle cose obliate in appresso.
11 Buti pone ogni studio in ispeculare « le grandissime
verità deir aulore altissimo, nella sua materia sottilissimo,
ne' suoi sermoni, e spera dalla \)oca favilla della sua debile
e lieve lettura seconderà gran fiamma, cioè « seguiterà
grandissima e validissima lettura degli altri valentissimi
ingegni che piglieranno a leggere incitati per esempio di
lui. 0 È mosso anche dalla speranza che per le sue parole
si allargheranno li ampli ingegni de' suoi auditori e risplen-
deranno in gran fiamma d^ intendere. Al principio d'ogni
canto egli ne dà tutto il disegno e ne distingue le parti,
e poi espone la sentenza letterale e quindi il senso alle-
gorico e morale che sta sotto la crosta della lettera. - Della
allegoria dà spesso le medesime spiegazioni che abbiamo
anche negli altri conienti, ma quanto alla lettera la espone
sempre con rara cliiarezzae chiaramente e senza lungaggini,
narra la storia e la favola a cui accenna il poeta, ed usa
sempre una lingua propria e vaghissima e che di rado
puzza d'antico: e per ciò sarà cibo ghiotto a tutti quelli
die cercano la venustà del 300. Per gli studiosi di Dante
poi crediamo di non errare aflermando che in ninno altro
troveranno meglio spiegali i signiiicali delle parole, e mal-
grado le ripetizioni che talvolta potranno aver sembiante
d'inutili, da questa lettura trarranno alimento vitale. - 11
testo venne cavato da un codice della Riccardiana di Firenze,
N.*^ 1006, 7. 8 e raffrontato con altro codice della Maglia-
becchiana, Palch. I. n. 20. - 11 Giannini ha speso molto
448 COMENTATOR!.
eccellenti cure in questa edizione; vi ha premesso una
ililigente notizia della vita del Bull, ha arricchito il comenlo
di noterelle gramatiche, e non ha risparmiato fatica per
rendere il libro corretto, onde ne sarà lodato da tutti gli
amatori di Dante, e de' buoni studj italiani. Il 1". Volume
si arricchisce anche di un bel discorso del professore Cen-
tofanti, il quale, colla sua usala eloquenza, si è ingegnato
di moslrare quanto il Buti vedesse innanzi nella costituzione
della divina Comedia, e in qual grado debba tenersi questo
fra tutti gli antichi comenli. - Sulla casa in che nacque il
Buti venne apposta questa iscrizione: - M.CCCXXIV. Tre
anni dopo la morte di Dante AlWihieri - In questa casa
nacque - Francesco di Bartolo - Il primo che in Italia -
Comcntasse la divina Comedia. - Y. Vannucci, Riv. Firentina,
1859. V. 5. p. 53. - Il Batines cita XXV codici di questo
Comento per lui veduti, oltre altri quattro che trovò citati.
Akonimo, Fiore di un Comento di Dante del lB4o, i primi
16 Canti deir Inferno, (dal Codice Riccardiano n. 10 IG) Estratto
dall' £'^rMnVf, pag. 64, in 8.^ 1854.
11 Codice ond' è tolto questo Comento segna la data del
1343; ma ì postillatori lo ritengono di mano assai posteriore.
L'autore lo divise in parte narrativa ed interpretativa;
e ci parve esso notevolissimo pe' costruiti elegantissimi,
la sceltezza e la sobrietà dì parola, pel candore e la bre-
vità efticace della narrazione. Tra le altre cose ci parve
bellissima la breve descrizione topografica dell'inferno Dan-
tesco, la pittura delle tre fiere che impediscono il misterioso
cammino del poeta, anche pe' bei colpi di colore rappre-
sentanti la natura de' malvagi animali. Leggansi ivi la storia
di Mosè, i fatti di Cesare, esposti con sì concisa ed incal-
zata narrazione che pare avesse voluto ritrarre la mirabile
ed operosa celerità di quel fulmine di guerra che arrivava
vedeva e vinceva; la pietosa storia della Ariminese, non
die quella di Pier delle Vigne condotta con rarissima mae-
stria di dettalo. - il Fanfanl ci fa sperare che presto lo
vedremo tutto Intero, per opera sua pubblicalo, ritenendolo
fra' Commenti antichi forse il migliore, come quello che
prevale nella parte storica, e dà spesso notizie biografiche
e sloriche aneddote di grandissimo conio. Anche per questo
COMEMATORl. 44(Ì
lavoro si renderà assai benemerita de' buoni studij la R.
Commissione de' lesti di lingua. Y. Borfjhini, Ottobre, 1863,
p. G09.
SECOLO XV.
Bargigi DELLi GuiMFORTE, L' Iiifemo, Comento tratto da
due Manoscritti inediti del Sec.W (il primo posseduto
dal SlgJ Gaslon de Flotte, letterato Marsigliese, l' altro esi-
stente nella Biblioteca di Parigi) con Introduzione e Note
del Zaccheroni, UMsWìdi, Mossi, 1839; Firenze, Molini, 1839;
di pagine 760.
Nato in Bergamo nel 1406, m. circa il 1460.
Del Guiniforte non abbiamo che il Comento della sola
prima Cantica. Ei ne fece una compiuta esposizione testuale,
storica, filosofica, teologica. Scopo del Bargigi, il .togliere
ogni asprezza, ogni durezza ammollire, ed appianare ogni
difficoltà, talché il senso si faccia a tutti intelligibile e quasi
volgare. Ed egli attiene fedelmente la sua promessa. Quanto
alla sposizione testuale con assai facile e naturale dizione,
con istlle assai piano e disinvolto recasi con ogni studio
a sporre minutamente e a dilucidare la lettera del suo poema...
Dove gl'incontri di doversi allargare per maggior dichia-
razione del testo, in alcuni iratti che sieno di storia antica
0 moderna, di mitologia, di geografia o d'altra scienza na-
turale egli spiega divizia d'ogni dottrina e tratta le cose
con tanta maestrevolezza ed opportunità da mostrarsi tutto
insieme non meno erudito che verace sapiente... Né men
valente si mostra nei savi e schietti giudizj sui personaggi
che nella storia appaion più eminenti, non avuto riguardo
a bagliore di vana gloria e di falsa virtù da cui sieno cir-
condati . . . Espertissimo pure ci si mostra nell'altre scienze
alla storia affini, come sarebbe nella Geografia .... Nella
esposizione de' fatti mitologici niun forse fra gli antichi
comentatori, e non saprei dire quale fra i moderni, mostri
tanta dottrina né tanta eletta sapienza. Egli non si contenta,
come i più fanno, di sporre a lungo con fatue narrazioni
la lettera, a così dire, di queste favole che ci vennero dalla
mitologia, ma entra più innanzi a ricercare gì' intimi spiriti
VoL. 11. 29
450 COMENTATORI.
di quelle antiche imaginazioni dei popoli, ne scopre le vere
origini, ne penetra 1 simboli e tutto trae a verità di storia
e a sapienza di morale documento. Ma la parte più impor-
tante di questo Gomento è quella che riguarda la storia delle
notizie contemporanee che tanto valgono a metterci dentro
agl'intimi spiriti del divin poema . . . Tutte le storie par-
ticolari che possono introdurci nelle intime cognizioni del-
l'età, che forma il soggetto del divino poema, vengono a
mano a mano descritte dal Barzìza, e con tal garbo di
lìngua, e con sì nativa ingenuità di stile da ricordarci il
Villani e il Compagni. Oltre di che un'altra bellissima lode
ei merita nella sua qualità di storico dei fatti a lui più
vicini, ch'egli con un raro giudizio seppe esser piano e mi-
surato, narrando cose che potessero risuscitare le gare non
ancora bene spente delle diverse fazioni, tanto ch'egli alla
lealtà di un sincero storico seppe congiungere la prudenza
del buon cittadino che studia alla pace e alla concordia
.dei popoli... E con molta ampiezza di cognizioni e con
molta sapienza seppe pur isvolgere e comentare la parte
filosofica e insieme la teologica del sacro poema. 11 Zacche-
roni vorrebbe che il Barzìza a per esser troppo servila
cattolico avesse mal compreso Dante nella parte religiosa
del suo poema, onde pensò di tralasciare ogni dottrina
teologica, per quanto la materia del testo, e la connessione
delle cose in esso spiegate glielo hanno permesso. » Dì che
con calde ed eloquenti parole mena giusto lamento il
Finazzi, dolendogli che per amor di parte mutilasse il testo
che avrebbe potuto almeno per la prima volta pubblicare
bello ed intero come uscì dalla penna del suo valente
autore. L'edizione sotto ogni rapporto fu condotta con tale
accuratezza, e dirò, con sì rara magnificenza, da doversene
insieme pregiare il tipografo e l'editore. Essa va inoltre
abbellita di vignette, ricopiate dalle curiose e vaghe minia-
ture di che si adorna il Codice Marsigliese. - Il libro è
intitolato a Papa Gregorio XYI, e la lettera di dedica porta
la data di Marsiglia, 15 Agosto 1838. - [Y.Di Guinìforte
Barzìza, e dì un suo Comento suir Inferno di Dante, Discorso
dell 'Ab. Giovanni Finazzi, Bergamo, Crescini, 1845).
TfiRZAGO Guido, Insubre {diiyovara); ^idobemo ed altri,
COMEMATORI. 451
Milano, n78. { finita la prima Cantica, adixvii Sept. 1477;
la seconda, adi 22 Nov. 1477; la terza, quinto idus Febb.
1477).
Il Gonfiente che fu curalo in Milano dal Nidobealo e dal
Terzago può reputarsi la somma delle interpretazioni più
stimale della divina Comedia dall'eia dell' AUighieri a quel
tempo. E già il Nidobealo, numerando nella prefazione al
marchese di Monferrato gli olio comentalori allor conosciuti
comunemente, cioè Pielro, e Francesco figliuoli di Danle,
Jacopo della Lana, Benvenuto da Imola, Giovanni Boccaccio,
frale Riccardo, carmelitano, Andrea di Napoli, ed ultimo,
e di quel tempo, Guiniforte Barziza, avea protestalo che
delle fatiche di lutti prenderebbe vantaggio: Et nos ali-
quibus locis pleraque conjunximus aut usu comparata, aut
ex divcrsis auctoribus et annaìibus tamquam ex flumìnibm
derivata; quae cum juvarc, tum etìam delectare legenlem
possint. Ma essi mantennero più che non avean promesso;
poiché il fondo di quel comenlo è di Jacopo della Lana,
il quale nella stessa prefazione a lutti gli altri è anteposto;
il rimanente è come il prodotto degli sludii di que' dotti
sopra gli antichi espositori. Dove questi consenlono insieme
il comenlo procede con brevità e franchezza; dov'è difterenza
di opinioni, la notano con diligenza, lasciando per lo più al
lettore l'arbilrio della scelta. Di tal che fra gli altri pregi
di questa edizione, che sono moltissimi, uno de' precipui è
da dire, che ci preserita come in un corpo le primitivo
interpretazioni della divina Comedia, e ci fa certi essa sola
dell'unanime consentimento degli anlichi sul primo e ge-
nerale concetto di quella. - Berardinelli,
Lakdiiso Cristofouo, per Nicholò di Lorenzo della Magna,
1481. - 1484, 23 Marzo, per Octaviano Scoto da Monza. -
1487, ultimo di Marzo, in Bressfl, per Boninuni de Boninis
de Raguxi. - 1491, 3 Marzo, per Bernardino Renali, el
Malhio da Parma. - 1491, 18 Nov. per Petro Cremonese, dito
Veronese. - 1493, 29 novembre, per Matheo di Chodeca
da Parma. -1497, Il ottobre, per Piero de Zuanne di Qua-
rengii da Palazogo, bergamasco. - 1507, 17 Giugno, per
Bartholomeo de Zanni, da Portesc. - 1512, 23 Novembre,
per Bernardino Stagnino, da Trino Monferrato.- 1520,28 Marzo,
452 COMEMATORl.
M. - 1329, 23 Gennaro, per Jacob del Burgofranco, pavese. -
1536, ad inslantia di Gioanni Giolito, da Trino; in fine,
Bern. Slagnino. - Anche le dichiarazioni che si trovano
nelle edizioni di Lione per Giovanni di Tournes, 1547 ; e
di Venezia per Domenico Farri, 1372, 1373, furono lolle dal
Comenlo Landiniano.
Il Landino nacque a Firenze il 1424 ; m. a Borgo, alla
Collina, nel 1304.
« Non appena apparve alla luce questo Gomento, scrive
Marsilio Ficino, che Firenze ebbe cagione di tanta gioia,
quanta ne avrebbe potuto avere se Dante medesimo, tor-
nando in umane spoglie, fosse stato restituito alla patria
e coronato di alloro. » - Il Landino, reputatissimo uomo
fra' più dotti del secolo XV, imprese a comentare la Comedia
quand'era maturo negli anni; a compire il lavoro durò
lunghissimi studj, e lo tenne come il maggiore monumento
della propria gloria. Lo pubblicò nel 1481 in Firenze, in
una magnifica edizione, e ne presentò la Repubblica di un
esemplare in pergamena, ornato di peregrine miniature, e
di parecchie slampe fatte secondo i disegni, a quanto pare,
del Bolticelli. Questo prezioso libro si conserva nella Ma-
gliabecchiana. La Repubblica fiorentina rimeritò splendida-
mente il dottissimo uomo, donandogli un palazzo nella città
di Colle. Chi abbia voglia di sapere con che accanimento
il Landino tenesse e difendesse le opinioni guelfe, e con
quanta virulenza calunniasse ed esecrasse le ghibelline, legga
una lettera ch'egli dirige ad un maestro Paolo Lucchese,
che predicava contro i Guelfi disturbatori della pace. La
lettera con parecchi altri documenti sta nello Specimen
literaturae /?oren?/nae del Bandini, Voi. II, p. \\^.- Emiliani
Giudici. - Lo spagnuolo Yives chiama il Landino troppo
speculativo e filosofo nefle sue note; il Ridolfi stimabile
per le cose firentine; il Corniani troppo pedante, e il Bon-
giovannì lo dice dottissimo e degno maestro del Poliziano
e di Lorenzìno de' Medici. - Il sistema, dice il Minich, pura-
mente ragionevole, con cui fu interpretata la divina Comedia
dovea presentarsi col progredire del tempo e col succedersi
solto una forma mollo più larga e complessa. L'antico sistema
delle generazioni ebbe il suo termine ed insieme il suo maggiore
COMEMATORI. 453
sviluppo nel riputato CoiiieiUo di Cristoforo Landino, prima
della line d el secolo XY. - « Avcc la seconde moitié du XV.®
siede une période nouvelle comnience pour les interprètes de
h Divine Comédie. Dans cet essor d'inspiralions platoniques
qui signala vers cette epoque la vie leltéraire de Florence,
l'oeuvre de Dante oflrait une riche matière à la pensée.
Deux hommes surtout représentent cette direction plus
haute, j'ai nommé Cristoforo Landino et Alessandro Vel-
lutello. Dante était si supérieur au moyen àge, que le moyen
àge ne l'avait pas compris ; ce fut la renaissance, inspirée
par Platon, qui la première souleva un coin du voile et
penetra dans la grande àme d'Allighieri. On a étudié Dante
de nos jours avec bien autrement de vigueur et de préci-
sion; pour certaines parties de l'interprétation philosophique
et religieuse, Landino sera toujours consulte avec fruit.
Tout récemment encore, un des hommes qui admirent le
mieux la Divine Comédie et la Vie nouvelle, t'historien
Schlosser proclamait les sentimens d'édification religieuse
qu'a enlretenus chez lui la lecture de Cristoforo Landino.
11 associe à cette louange le commentaire d' Alessandro
Vellutello, qui appartient au commencement du XYF siede
et qu'anime le méme platonismo chrélien degagé des subtì-
lités scolastiques. Pour qui connait la sévérité grondeuse
de M. Schlosser, un tei hommage est un événement dont
l'histoirc littéraire doit conserver le souvenir; en lisant
ces contìdences du vieil historien liberal, j'ai mieux apprécié
le caractère de cette seconde période des commentateiirs
dantesques. » «- Saint-René Taillandier, Revue des deux
Mondes, 1. Dee. I806, p. 476.
SECOLO XVI.
Vellutello Alessandro, Venezia, Marcolini, 1544; id. Mar-
colini, 1554. - Ze nuove ed utili esposizioni sopra la Divina
Comedia, unite all'edizione di Lione pel Rovilio, 1551, 1552,
1570; di Venezia, per Giovan Antonio Morando del 1554
furono tolte dal Vellutello. - L'edizioni di Venezia del 1564,
1578, 1596 per Marchiò Sessa (Tip. Rampazelti) portano
454 COMEMATORI.
unile l'esposizioni del Landino e del Velhitello per cura di
Francesco Sanso vi no.
Nacque in Lucca al principio del Secolo XVI ; morì, secondo
il Tiraboschi, nel 1566, secondo il Fonlanini, nel 1569.
« L'accresciula lettura della divina Comedia, mercè le
prime edizioni pubblicatesi colla stampa, fece sentire mag-
giormente il bisogno di studiare quel poema colla guida
storica dei fatti spettanti alla vita ed al secolo dell' Alli-
ghieri, e si cominciò ad indagare la spiegazione di quei
passi a cui sembra che il poeta faccia allusioni a' perso-
uaggi più notabili del suo tempo. Antesignano di questi fu
il Yellutello : nel suo Comento, che venne in luce verso la
metà del secolo XVI, si trova enunciata per la prima volta
l'opinione tuttora ammessa e prevalente che il veltro alle-
gorico, accennato nel L*^ canto del Poema, raffiguri Can Grande
Scaligero, signore di Verona. » - Minkh. - Il Yellutello è
copioso, ma talora e spesso non la coylìe. Lettera del Ridolfi
al Conte Magalotti. -Quanto alla parte scientifica il Yellutello
sta tuttavia sopra gli altri. P. Sorto, Lettera L* Dantesca,
Roma, 1863. - Y. sopra, Landino, il giudizio di Saint-René
Taillandier anche sul Comento di A. Yellutello.
BuoNANNi YiCENZO, Discorso sopra la prima cantica
del divinissimo Theologo Dante dWlerfhieri del Bello, nobi-
lissimo fiorentino, intitolata Comedia, Fiorenza, Sermatelli,
1561
Il Buonanni afferma di avere acutamente rivisto e
collazionato il Testo dell' Inferno unito alla sua opera.
Quanto al Comento, il Lasca lo tacciò d'oscurità in uno
de' suoi sonetti ; e a buon diritto, dice il Poggiali.
Dolce Lodovico, Venezia, Giolito de' Ferrari, 1855. Le
Postille del Dolce furono ripubblicate in Venezia dal Farri,
1509, 1578; dall'Occhi, 1774, 1810; dal Galli, 1799, 1812;
in Bergamo, dal Lancellotti, 1752; 1795; in Milano, dall'A-
gnelli, 1816.
Nacque in Yenezia nel 1508; vi morì nel 1566.
Il Fontanini, dice il Foscolo, riferisce come Lodovico
llolce ricavasse l'edizione sua dalla copia scritta di mano
di Pietro, figliuolo di Dante, e poi posseduto da uno degli
Amaltei, concittadino antico del Fontanini. Taccio che in-
COMENTATORl. 455
torno a' codici miracolosi, a ni uno degli editori di quell'età,
e al Dolce meno che ad altri è da credere ; quando tutti a lor
beneficio e de' librai loro mecenati armeggiavano a sollevare
le loro edizioni recenti sulla rovina delle passate: così il Dol-
ce infamava da sé di pieno proposito le sue prime Edizioni
d'un autore a fine d'aiutare lo smercio dell'ultima. Sino
dal frontespizio vantasi il Dolce di avere ridotto di nuovo
il Poema alla sua vera lezione e con l'aiuto di molti anti-
chissimi esemplari, e per quanto molti ed antichi si fossero,
certo è che nessuno de' manoscritti e stampati ebbe mai
quel titolo di Divina, prefìsso primamente alla Comedia dal
Dolce, benché altri anche prima d'allora l'avesse rimutata in
Visione di Dante, altri in Terze Rime, altri in Dante.- Foscolo,
Discorso sul Testo, Sez. ccii. - Le dichiarazioni e le allegorie,
di ciascun canto, le Postille in margine, e l'Indice, ch'eb-
bero molte ristampe, non furono senza lode. Il Corniani
chiama il Dolce fra i mediocrissimi ingegni il più fecondo
de' pedestri raffazzonalori che vendono la manuale lor opera
agli stampatori.
Daniello Bernardino, (lucchese) Venezia, Pietro da Figno,
1'd68.
Questo Comento fu a torto attribuito a Gabriello Trifone.
« Daniello è buono, ma scarso. » Lettera del Ridolfi al
Magalotti,
SECOLO XVIII.
Volpi Giovanni Antonio, GV Indici, Padova, Comino, 1726.
Vennero essi riprodotti in Venezia dallo Zatta, 1784 e 1798;
dal Vivarelli nel 1811 e 1827; dal Bernardi nel 1811; dal
Molinari nel 1819; dal Gaspari nel 1827; in Firenze, dal
Carli 1813; in Pisa, dall'Amoretti, 1804-09; in Londra, dal
Roland! 1842; in Torino, dal Lampato, tipogr. econ., 1852.
Nacque in Padova, 10 Nov. 1686; vi mori a' 28 Ott. 1766.
Gl'Indici ricchissimi appostici dal Volpi, tengono luogo di un
Comento. -Il Volpi usò gl'Indici, metodo di laudabile sobrielii,
ma non bastevoli a dar chiarita la ragione poetica dell'opera. -
y. Lr. Blanc, prefazione al suo Vocabolario dantesco, p. xii.
4d() COMIÙMATORI.
Venturi P. Pompeo, Lucca, Capurro, 1732. - Riprodotto in
Venezia, dal Pasquali, 1739, 1751, 1772; dal Zatta, 1752, 1760,
1772; dal Gatti, 1793; in Verona, dal Berno, 1749; in Firenze,
dal BastiancUi, 1774-74, dal Carli, 1813, dal Maiotti, 1819,
dal Ciardetti, 1821-26, dal Gaietti, 1827, dal Formigli, 1830,
1837; in Livorno, dal Masi, 1817-18; in Lucca, dal Berlini,
1811; in Torino, dal Pomba, ritoccato dal /?o6f'o/a, 1830 ; in
Palermo, dal Barcellona, 1834; in Parigi, dal Truchy, 1841;
In Bassano, dal Remondini, 1815, 1820, 1826, 1852.
Nato in Siena il 21 Sett. 1693; mori in Ancona 11 12
Aprile 1752.
«Il Sant'Uffizio Spagnuolo, fattosi potente in Italia de-
cretò: che da tutte le edizioni con esposizioni e senza si
abolissero tre lunghe allusioni, da che i valentuomini non
ne vedevano più che tante. Indi l'Italia, per tutti quei cento
e trent'annì fra l'edizioni della Crusca e del Volpi, a pena
udiva dì Dante più in là del nome . . . Parve a' Gesuiti di
non temporeggiare a farsene critici dell'opera ed espositori
alla gioventù. La dedicarono a Clemente XII ; la censura-
rono, la palliarono, come se l'autore, per ostentazione di
sapere, peccasse balordamente di irreligione. Il P. Venturi
gli fa da maestro di teologia insieme e di poesia ... La
scuola gesuitica e gli eunuchi metastasiani e l'Arcadia pa-
revano congiurati ad esporre Dante alla derisione del mondo.
Ma la rivoluzione, dalla quale la mente umana in Europa
sembrò concitata instantaneamente, s' approssimava palese
ed irresistibile sino d'allora; e molte nuove opinioni erano
promosse come pe;* impeto di fatalità da quegli uomini
a' quali importava di perseverare pur nelle antiche. Pio
VI compiacevasi che il suo nome si sotterrasse con le
ossa di Dante in Ravenna, e la divina Comedia esaltata
dall'Inquisitore cominciò ad essere stampata alle porte del
sacro Palazzo in Vaticano. » - Foscolo, Discorso sul Testo,
Sez. CCVI. - Il P. Venturi, il quale come se non avesse mai
appreso che Dante era un'anima intemerata, intesa sola-
mente alle più austere virtù, fa alte le meraviglie sul ri-
gore delle sue dottrine sul voto, e sfoga le sue meraviglie
in puerili sarcasmi: similmente ogni qualvolta Dante di-
pinge e punisce severamente ì perversi costumi del suo
COMEP<TATOIU. 4o7
tempo, il P. Yenlurl s'inquieta e prorompe in maldicenza
e in molli freddamenle piccanti. - Egli lo ha sparso a piene
mani di amare espressioni, di molti satirici, e di spirito-
saggini contro il poeta. Ciò non nuoce alla fama di Dante,
il sappiamo, perchè ha trionfato sì gloriosamente delle
persecuzioni del tempo e degli uomini, e si è levata sì
gigantesca che può insultarsi ma non offendersi mai. Pure
il Dante maltrallato dal P. Venturi è quello che più re-
golarmente dai maestri è messo in mano dei giovani, ed
è certamente per essi un male non lieve che le prime
impressioni non sieno tulle favorevoli. - Il P. Venturi spiega
solo il senso letterale, e in ciò il più delle volte coglie nel
segno: la sua spiegazione è assai chiara e concisa, come
si conviene a libro destinato a' scolari; ma per ciò che ri-
guarda al senso morale egli se ne passa senza far parola:
nessuna osservazione di estetica, nessuna avvertenza sulle
tante bellezze del poema. È vero che il bello bisogna sen-
tirlo da sé, ma un libro fallo pei giovani certi pezzi vanno
notati, certe bellezze bisogna accennarle, perchè tuttavolta
sono cosi recondite, che l'occhio non avvezzo ad osservar
tanto per lo sottile, non può a prima vista conoscerle. Il
Venturi non ha fatto nulla di lutto ciò, e forse avea le sue
belle ragioni di non farlo. » - Atto Yannucci. - Il Giusti
dice pregiudicato il Venturi, e che dovea esserlo.
1791. Lombardi Fra Baldassare, Roma, Fulgoni, e dallo
stesso ripubblicalo nel 1815, 1820; in Jenna, dal Forman,
1807; in Padova, Tip. Minerva, 1830 ; in Firenze, dal Ciar-
dctti, 18B0; e dai Passigli 1838. Vi à anche un'edizione di
Napoli del 1820. - Il Poggiali, nelle annotazioni preposte
alla sua edizione si attenne in gran parie al Comento del
Lombardi, Livorno, Masi, 1807-13.
«Il P. Lombardi, francescano, dell'ordine di Papa Gan-
ganelli che abolì 1 Gesuiti, collazionò l'edizione Nidobeatina...
che gli fu sorgente ricca, ma non sempre limpida di emen-
dazioni, e fu corrivo ad usarne . . . Opponendo fatti veri,
perseveranza di metodo e senso comune, redense il poema
dalle interpretazioni gesuitiche, e dall'autorità conceduta
sovr'esso alla critica della Crusca. Se non che, o non ve-
dendo, 0 più veramente non potendo più in là, tenne le
458 COMENTATORI.
allusioni alla religione fra' termini degli antichi. Non mi-
gliorò il modo usato d' esposizione, ma ne scemò la verbo-
sità, e sciolse nodi spesso intricati dagli altri. Era anzi
temperato ad intendere che a sentire la poesia ; o forse
a non potere esprimere quant'ei sentiva. Scrive duro ed
inelegante, per non dire plebeo, e non giureresti che fosse
dotto »... Foscolo, Discorso sul Testo, CCYIII. - Coli' acu-
tezza della mente e coli' amplitudine della dottrina illustrò la
divina Comedia per modo che si lasciò addietro ogni altro
Comentatore. - Foscolo, Voi. IV. p. 105. - Riguardo alla spie-
gazione egli si valse dell'opera dei comentatori che lo
precedettero, transcrivendo fedelmente le loro chiose quando
le credette chiare e sufficienti, ed inserendovi le proprie
allorché si avvide che gli altri non aveano colto nel segno.
Procurò finalmente il Lombardi di difendere il nostro poeta
dall'altrui ingiuriose accuse, e principalmente del Castel-
vetro e del Venturi, e vi adoperò tal magistero che spesse
volle sfolgoreggia il bello ed il sublime, ove appunto si
pretendeva far comparire incoerenze e fanciullaggini, ond'è
che in seguito de' suoi dotti conienti la divina Comedia
dopo tre secoli e più ch'era stata pubblicata per tutta
l'Europa ottenne per la prima volta di essere stampata
anche colla data dì Roma. - Edit: Rom. - Le poche mie
osservazioni, scriveva il Monti al Federici ( 16 Giugno 1819 ),
sono tutte senz'ordine, o disperse sul margine del mio
Dante eh' è quello del Lombardi. - Il Giusti dice il Lom-
bardi diligentissimo, ed il migliore fra i grammatici, ma
poco ordinato.
SECOLO XIX.
PoRTiRELLi L.; Ferrario GiuLio, Milano, Tip. Classici Ita-
liani, 1804.
Con le sue brevi annotazioni il Portirelli intende a dare
una spiegazione netta e precisa, restringendosi a poche
cose, a quelle che riguardano soggetti storici o mitologici,
e trattando assai distesamente le illustrazioni dei passi più
importanti, o rimaste senza particolare illustrazione nei
COMEMATORI. 459
conienti precedenti. Le più sono tratte dal cemento del
Lombardi, e da quello di Jacopo della Lana: quelle del
Paradiso sono opera di Giulio Ferrano, a cui molto giova-
rono gli astronomi di Milano, che gli furono cortesi di
illustrazioni per le cose astronomiche che occorrono nella
divina Comedia.
ZoTTi Romualdo, Lontlra, Zolti, 1808; fu ripubblicato
dallo stesso Zolti nel 1819.
ARR1VABE^E Fr. Parafrasi in prosa, Bologna, Franzini,
1811
Rossetti Gabriele, Parafrasi in prosa delli xi primi
Canti delV Inferno, Londra, Murray, 1826.
G. C. 1 aprimi Canti de W Inferno ed il principio del ir
in prosa, Blois, Giroud, 1829.
Rotondi Pietro, Dante offerto alV intelligenza dì alcuni
giovanetti, Milano, Fanfani, 1841.
Lord Yernon, Parafrasi in prosa dei primi 7 Canti del-
l' Inferno, Firenze, Piatti, 1842.
Carpaneti Selmo, Il Purgatorio in verso e in prosa, Fi-
renze, Le Mounier, 1844.
Carpaneti Selmo, L'Inferno di Dante Allighieri inverso
r in prosa, Firenze, Le Mounier, 1847.
Trissino Francesco, La Divina Comedia illustrata, col
testo oriffinale a riscontro ad utilità e comodo degli studiosi
della sublime poesia, Vicenza, Paroni, 1 857 ; Ritoccata in più
illustrativi luoghi dall'autore, ed accresciuta di un oppor-
tuno corredo di note, con 18 vignette, disegnate dal piti.
Salvatore Mazza. In corso di stampa, Milano, Schiepatti.
Castrogiovanni Giovanni, La Divina Comedia illustrata
ed esposta e renduta facile in prosa, Palermo, Lo Bianco,
1858.
« Coloro che si accingono alla fatica di volgere in prosa
la divina Comedia sembrano non far assegnamento sulla
percezione intuitiva, onde il bello poetico è sentito quasi
più che compreso dalle menti non addottrinate, né esperti
della finezza dell'arte. Si vogliono condur per mano i lettori
affinchè non inciampino; ma a forza di farli avvertili della
via, s'impedisce loro di scorgere le bellezze che han sotto
gli occhi, 1 giovani e il popolo han la fantasìa facilmente
460 COMEMATORl.
eccitabile e pronta a impressionarsi delle cose alte e mira-
bili. Accadrà più di leggieri ch'essi afiferrino di slancio un
concetto astruso, ma espresso poeticamente, di quello che
vi arrivino per le vie tortuose di una logica spiegazione.
Farla comprendere colla prosa elevarle in parte il prestigio,
è come far vedere a uno spettatore il di dietro delle scene,
per scemargli così l'attrativa dell'illusione quando si rimet-
terà nellla platea. Si lasci pur Dante in mano ai giovani
senz'altro aiuto che delle note, e se questi faticheranno a
capirlo, non sarà spesa indarno quella fatica, e i lettori
saran lieti di dovere a se stessi l' intenderlo e ne porte-
ranno più viva e durevole l'impressione. Piuttosto vorremo
che chi offre a lettura di giovani o di persone men che
mediocremente colte la divina Comedia la illustrasse con
tutte quelle dichiarazioni che valgano a farla ben compren-
dere e gustare... Quanto alla versione, noi non esitiamo a
dirla opera inesiguibile a un tempo e dannosa. Lasciamo
stare ch'essa pure avezza troppo facilmente 1 giovani a
fuggir la fatica del meditare, sicché si perde per essi il
beneficio di quella ginnastica mentale, a cui obbliga lo stile
non sempre facile e aperto del poema... Come gustare la
bellezza dì certe forme e l' armonia di certi versi, dopo
averli masticati in umile prosa, e peggio ancora, in una
prosa che per necessità serba alcun po' dello stile del poema,
e sarà quindi un' intarsio di modi danteschi e di modi pro-
prii del traduttore...? Y. Crepuscolo, 1859. n. 10.
BiAGiOLi Giuseppe, Parigi, Dondey -Duprè, 1818 - Ripro-
dotto in Milano, dal Silvestri, 1819, 1820, 1829, 1838, 1845;
in Napoli, pel Rondinelli, Tip. Palma, 1854; per Andrea
Festa, 1855.
Nacque a Vezzano, piccol borgo del Genovesato, presso
a Sarzana ; morì a Parigi nel Decembre 1830.
«Il Comenlo pubblicato da lei mi dolse tanto più,
quanto che non essendo accomodato al secolo nostro, riesce
macchiato qua e là di motti aspri e forse anche illiberali
e insieme impotenti, ma indegni più che altro, sì di lei che
li ha scritti, e sì del P. Lombardi ch'ella assale a ogni poco,
e che fu benemerito più eh' altri mai del poema . . . Ella
ascriva quanto scrissi e scriverò intorno all'opinioni del
COMENTATORI. 461
SUO Comenlo, non a voglia di gara-gara? e a che prò? -
bensì a lungo costume fatto sistema, e a natura inflessìbile
in me, ogni qualvolta, illudendomi o no, a me paia di
rivendicare ciò che io credo negletto e manifestamente
vero. » - U. Foscolo al Biaqioli, Londra, 16 Marzo 1827. - Y.
Epistolario, Voi. III. p. 257. - « Nessuno, a mio parere, è
mai andato sì addentro allo spirito di questo gran padre
della poesia italiana. Ma voi, mio caro, mi carminate
troppo spietatamente quel povero frate Lombardi. Abbiatene
un poco di compassione, e ne sarete, credetelo, più lodato
e stimato. » - Vie. Monti al Jìiagioli, Milano, 2 Dee. 1818,
Monti, Voi. VI. p. 330. - « Nelle chiose del Biagioli sono molte
cose assai buone, ma non è piccolo il numero delle cattive,
e delle cento volte eh' egli attacca il Lombardi, su novanta
ha torto marcio. Io l' ho postillato tutto dal primo all'ultimo
verso, ed ho notato di più e mostrato che alcuna volta il
Biagioli, accettando la lezione del Lombardi, ha accettato
la falsa, e si è accostato al suo antagonista ove più dovea
fuggirlo. - Monti, Sesto di Monza, 10 Settembre 1821, a
Fortunato Federici. - Anche il Colelli bistrattò troppo
acremente il comento del Biagioli. Il Giusti lo dice prolisso
e fanatico.
Costa Paolo, Bologna, Gxamberini Parmeggiani, 1819;
riprodotto nel 1826 dagli stessi e dal Cardinali Frulli; in
Firenze dalla Tipogr. all' insegna di Dante, 1830; dal Ma-
gheri, 1856; dal Fabris, 1840; dal LeMonnier, 1844, e nel
1846 e 1849, con lagiuiita delle chiose di Brunone Bianchi;
dal Balelli, 1856; in Colle dal Pacini, 1844; in Prato dal
Passigli, 1852; in Napoli dal Ferrano, 1830, 1837, 1839, e dal
Tramaler 1844, 1849; in Voghera, dal Giani, 1842; in Ge-
nova dal Grandona, 1839; in Milano, dal Bonfanti, 1827, dal
Pagnonì; dal Borroni Scotti, 1850, 1855; in Monza, dal Cor-
Wtla, 1837, 1855; in Venezia, dairAnlonelli, 1832, 1856; dal
Tasso, 1852.
P. Costa, n. in Ravenna il 13 Giugno 1771; vi mori il
21 Dee. 1836.
« Comento in cui racchiuse le interpretazioni dei più
accreditati chiosatori, spiegò con probabilità molti oscuri
luoghi, a tale brevità attenendosi che l'animo di chi legge
462 COMENTATORl.
con affello nel sacro poenia non venisse punto a raffreddarsi,
con che prestò di vero gran servigio all'italiana lettera-
tura. » - Rambelli, Biografia di P. Costa. - Il Colelll lo dice
migliore di tutti, quantunque ve n'abbiano di più pieni e
più circostanziati. ^Arcangeli nel suo articolo i Comentatori
di Dante lo dice prezioso; il Crepuscolo, il comento II più
divulgato, e sebbene diligente ed erudito, in qualche parte
troppo frondoso e sazievole, in qualche altra insufficiente
{1857, p.407).
Cesari Antonio, Bellezze della divina Comedia, Verona,
Libanti, 1819. - Riprodotte in iNapoli" nel 1827 e nel 1855,
per Francesco Rossi-Romano, Tip. Agrelli; in Milano pel
Silvestri, 1845, 1855; in Parma pel Fiaccadori, 1844; in
Yenezia pel Tasso, 1859.
Nacque a Verona il 16 Gen. 1760; ra. a Ravenna il 1.
Ottobre 1820.
«.Niuno de' comentatori avea per anche ricerco le qua-
lità principali di questa Cantica, le quali rendono indu-
bitatamente l'autor suo il primo poeta del mondo: ciò
sono le grazie, la bellezza e dovizia della lingua da lui
maestrevolmente adoperata : l' inarrivabile magistero del-
l' arte poetica, che per tutto il lavoro signoreggia, e da
ultimo la maschia terribile eloquenza, che assai risentita-
mente sfolgoreggia a' propri luoghi. Ora il Cesari pigliò
sopra sé medesimo questo carico; e l'adempiè per forma...
di raffermare, essere queste Bellezze opera perfetta nel suo
genere. Per menomar la stanchezza del camino, cessar la
sazietà dei leggitori, e con più chiaro ordine procedere,
egli mise le cose in dialogo; e così si apri la strada mollo
bene a poter dar luogo a quelle tante osservazioni che si
era proposto, ed a fiorirle di quelle tante grazie di lingua
e di stile, ond'era sì dovizioso; dando eziandio alla favella
nostra, con mirabile chiarezza forza e garbo, nuove att'rtii-
dini, tragetti nuovi, e forme svariate, molteplici e risentite,
quanto è grande il suo regno, né mai per inanzi adoperate
o vedute da altri. Le bellezze del poema, come intendimento
suo principale, mostra e ricerca con molta sottigliezza e
gusto, in tutti e tre i proposti argomenti, ma in quello
della lingua per modo, che non si potea né più né meglio...
COMEMATORI. 463
Infiniti sono i luoghi, dove mostra appunto colla pratica
dei modi natii della lìngua i comenlatori aver fallato; da
che nelle lingue la sola critica non basta: essendo che esse
non la metafisica, si l'uso il solo maestro legittimo: e per
uso intende non quel del popolo ma degli scrittori classici,
co' quali è da stare al tutto chi non vuol fallare... De' luoghi
più oscuri, 0 di dubbia intelligenza ed incerta, dà illustra-
zioni chiarissime... E questa opera del Cesari contribuisce
pure a far assaggiare e conoscere una buona parte del
bello meraviglioso del linguaggio nostro dolcissimo... Oltre
che gli studiosi gli debbono anche saper grado dell'aver
qua e là seminato i suoi pensamenti intorno al modo di
studiare o far altrui studiare sì l'arte poetica come l'ora-
toria. - « G.Manuzzi, Della vita e dell'opere di À. Cesari,
XX. x\i. » - Il troppo affetto per Dante lo porta talvolta
ad una certa preoccupazione che partecipa dell' idolatria,
ed affascina la vista in modo da parer bello ciò che tale
non è... L'ammirazione affettuosa per lui non gli ha lasciato
luogo a dichiarare le ragioni del bello e dell'ammirabile,
cosi che in questo caso sembra che l' affetto e la meraviglia
gli abbiano preoccupato, e vinto l' ingegno. - Bihi Italiana. -
E assennatissimo ci pare il giudizio che ce ne diede il
Ranalli : « Fra tutti gli espositori e comentalori e interpetri
della divina Comedia reputiamo maggiormente profittevole
il padre Antonio Cesari, che principalmente mirò a mettere
in luce le stupende bellezze della poesia di Dante. E a
quest'opera (da alcuni indegnamente schernita) rimandiamo
i nostri lettori, se vogliono ogni più minuto e singolare
pregio dello stile e sermone dantesco avvertire: senza che
gli debba ritenere o alienare il modo più tosto uniforme
e poco animalo del dialogo, dove tutti favellali d' accordo
e come all' unisono ; qualche errore d' interpretazione e dì
lezione, confessato dallo stesso autore; alcuna prolissità
ne' proemi, entrature e digressioni; e finalmente quel sover-
cliio di convenevoli, ceremonie e amorevolezze fra gì' inter-
locutori, che talora sanno di smorfia e di affettazione. Ma
fuori di questi difetti (perdonabili a uno scrittore cotanto
meritevole), un lavoro migliore a far gustare quel che più
importa di gustare in Dante, uon conosciamo. « - Ammae-
464 COMENTATORI.
stramenti dlletteratiira, Voi. IV. p. 667. Ediz. Le Monnìer. -
Il Cesari avea in animo d' intitolare questo lavoro al papa
Leone XII, ma egli avea deliberalo dì non accettare dedica-
zioni: bella scusa! [Cesari, all'ai). Pietro Beltrami di Koveredo,
a' 16 Giugno 1824). 11 Cesari in una sua lettera ad un'amico
di Treviso, 6 Feb. 1825, si duole che la Biblioteca Italiana
gli abbia carminato senza pettine le sue Bellezze (V. Leti,
al Pezzana, 19 Agosto 1827, e al P. Villardi, 4 Decembre 1825j.
E al Fracassetti di Fermo, addi 2 Maggio 1824, scriveva
pure : Non so io medesimo quello eh' io mi creda di quelle
povere Belle z'ze mie: tanto è traviato e strano il dire che
se ne fa. Chi le loda a cielo, chi le manda nella Caina,
chi freddamente tocca qui o qua, e lascia il meglio, e chi
nulla ne dice. Nel qual termine di cose, e sbalestrar di
giudizj io non so che mi credere, e vorrei pure venire al
fermo. - Il Rosmini gliele lodava, solo gli parean soverchie
le troppe ceremonie che mette in bocca agi' interlocutori :
oltre a ciò crede nel dialogo sieno necessarii i sali inaspet-
tati ed il continuo qarbo d' ingegnosi concetti per farsi
leggere con piacere, di che ce ne porge un esempio mera-
viglioso il Monti [Cesari a Rosmini, 23 Decembre 1824). -
Il Villardi ne dettava un articolo di lode nel giornale
torinese V Amico d'Italia, di che il Cesari ne lo ringrazia
(4 Decembre 1825).
Rossetti Gabriele, Londra, John Murray, 1826.
Nato in Vasto degli Abruzzi il 28 Feb. 1783; m. a Londra
il 16 Aprile 1854.
Il concetto fondamentale del Comento del Rossetti si è:
avere Dante con altri scrittori del suo tempo, sotto il velo
di una lingua arcana, allegorica, con una quasi simbologia
massonica, esposto le più ardile dottrine metatisiche reli-
giose e politiche (V. Bibl. hai Agosto, 1826). Il Rossetti
ebbe a propugnatori l' Ugoni, l'Orioli, il Maroncelli, il
tedesco Mendelsohn e il francese Delècluze, il quale ebbe
a dire de toutes les clèfs données jusqu' à present pour
entrer dans le sanctuaire de Dante celle qn' a forgéi, 3J.
Rossetti est encore celle qui oiivre le plus des portes. Questa
teoria fu gagliardamente impugnata dallo Schlegel, dal Witte,
dal Le Normant, dal ministro anglicano C. Lyell, dairOzanam*
COMEMATORI. 465
dal Drouilhet de Sigalas e dal Canlìi. — Il Rosselli, così
(t. Giusli, fa di Dante un settario, e per volerci veder
troppo, aggira sé e il lettore in un laberinto d' illustrazioni,
buone e nuove talora, talora ingegnose, qualche volta non
buone né nuove. Pure quel lavoro sarà di molta utilità:
risparniierà tempo e fatica a chi verrà dopo, e desterà am-
mirazione alla somma industria e alla infaticabilità del
bravo ^'apoletano. ( Giusti, Scrini vari, p. IIH ).
Borghi Giuseppe, Firenze, Borghi, 1827; riprodotto dallo
stesso Borghi, 1828, 1833; ed in Firenze pure dalla tipografia
della Speranza, 1837 ; in Milano dalla Tip. de' Classici, 1832;
in Parigi dal Baudry, 1843, 1844.
Jsato in Bibbiena il 4 Maggio 1790 ; m. a Roma nel
Maggio 1847.
Brevissime sono le note onde il Borghi corredava la sua
edizione, meglio letterali che altro. Pure qualche cosa per
avventura non piacque interamente nel testo, qualche altra
riesci dubbia o manca nell'illustrazione, onde l'autore nelle
nuove edizioni diede all'uno e all'altra le seconde sue cure.
Bibliot. hai
Tommaseo Nicolò, Venezia, Tip. Gondoliere, 1827; ripro-
dotto a Napoli nel 1840, per Giuseppe Ciofli,
« In questo Commento, cosi il Tommaseo preludeva al suo
lavoro, m'ingegno di stringere in poco le cose sparse per
molli volumi. Interpreto sovente citando: perchè le cita-
zioni dichiarano la lettera, illustrano il concetto, mostrano
onde Dante l' attinse, o con quali intelligenze e fantasie la
intelligenza e fantasia di lui si riscontrò, e come egli fu
creatore imitando. Cito sovente lui slesso, che nelle prose
e nelle rime e ne' luoghi simili del poema si riconoscono
gl'intendimenti suoi e le forme dello stile. Più frequenti a
rammentare mi cadono la Bibbia e Virgilio, S. Tomaso e
Aristotile. M'aiuto di fonti inedile... Cerco nella prosa antica
gli esempi di quelle che finora parvero licenze poetiche ; le
cerco nel toscano vivente. E di tutte queste citazioni escono
insegnamenti e considerazioni ed afl'elti, quali nessuna parola
di critico può suscitare : si conosce quello che è proprio all'uo-
mo, quello che al secolo; quale e quanta armonia tra T ima-
ginazione e r intelletto, la natura e l'arte, la dottrina e
VOL. II. 30
466 COMEMATORI.
l'amore. Le nuove mie interpretazioni difondo in breve,
senza magnilicarne la bellezza ; né le contrarie combatto. Pr^
scelgo le più semplici; e solo là dove è forte il dubbio, ne
pongo due. Le lezioni del testo confermo all'autorità di più
codici e stampe, ligio a nessuna. Se circa le lezioni o le inter-
pretazioni mie cadrà disputa, potrò sostenerla o correggerle:
ma lo spedienle del citare parvemi buono appunto a troncar
molle liti ; e la brevità parvemi debita cosa nello illustrare uno
de' più parchi scrittori che onorino l'Italia e la natura uma-
na». - 11 Comento del Tommaseo ha una duplice autorità,
quello di aiutare gli studiosi a bene intendere la lingua e i
concetti dall'Allighieri, e quella altresì di mostrare coU'esem-
pio di che studj pazienti e minuti debba nutrirsi chiunque
sia desideroso di sollevarsi a qualche maggiore ampiezza di
note storiche, e talvolta anche a qualche maggior cura per
far sentire la relazione delle voci e frasi dantesche con
quelle citate dal Gomentatore. - Biblioteca Italiana, Aprile,
1838, n. 268. - Non mancano a luogo dichiarazioni sloriche,
fini tocchi di critica, e soprattutto bellissimi argomenti
premessi ad ogni canto che vagliono essi soli il prezzo della
lettura. Ritrae in poche righe il concetto del poeta, e ti
manda con animo apparecchiato a udirlo eccheggiare divi-
namente nei versi. - Carrer, Gondoliere, 20 Gen. I8;ì2, n. li -
Queste note sono il più parco e il più completo comento
eh' io sappia. - Dall' Ongaro.
Martini Lorenzo, La Divina Comedia dichiarata secondo
i principj della filosofia, Torino, Marietti, 1840.
Nato in Cambiano il 19 Settembre 1783; m. a Torino il 'ò
Aprile 1844.
« Io cerco, così il Martini, nel suo divinissimo Poema
e lume e conforto, per accingermi poscia allo studio dei
Principi della metafisica: e desidero la gioventù italiana
mi accompagni. I comentatori dell'Allighieri sono moltissimi;
ma niuno, ch'io mi sappia, consultò quel Genio come oracolo
di filosofìa: si limitarono a svolgere le bellezze relative
alla letteratura: alcuni, ad agevolarne l'intelligenza, vi an-
nestarono le notizie biografiche, e politiche di lui e di coloro
de' quali fa menzione. Io non volli ripetere così fatti co-
menti; sì perchè si possono facilmente rinvenire, e sono
COMENTATORl. 4G7
nolissiml a lutti ; e sì ancora perchè desidero, che il mio
lettore fissi tutta la sua attenzione alla metafìsica. Sovente
spiego i vocaboli; ma quando essi racchiudono in se un
principio 0 psicologico, od ontologico, logico, o morale. Non
pochi concetti sono più e più volte ripetuti: ma Dante vi
aggiunge sempre una qualche bella varietà, ed io non doveva
prettermettcrli. Tson pretendo di aver esaurito la filosolia
della divina Comedia. Essa è una miniera inesauribile a
chicchessia . . . non vi ha parola, non sillaba che non sia
spirito; vale a dire luce, calore, vita, fonie di altissima
sapienza.» L'insigne autore della storia della filosofia ben
ci attenne la sua promessa. Nelle sue annotazioni, oltre lo
svolgimento della sapienza filosofica del grande poeta, vi
ci trovi tutta l'etica cristiana con parole calde e passionate
che rivelano l'integrità e la rettitudine dello scrittore.
BiA>cni Brunoke, Firenze, Le Mounier, 1854; riprodotto
dallo stesso nel 1857.
« Ho mirato principalmente ai giovani, cosi egli prelude
al suo Comenlo, coi quali non si vuol essere uè troppo
parchi, per non lasciarli al buio o imbarazzali, nò di sover-
chio copiosi, per non recar loro fastidio. Perciò io annoto
tutto, ma tutto speditamente: poche citazioni, pochissimi
confronti, e allora soltanto che sian richiesti dalla necessità
di convincere il lettore: rarissime quelle esclamazioni, così
frequenti ad altri moderni comentatori, sulla bellezza dei versi,
dei concetti, delle descrizioni, perchè troppo ripetute stancano;
e sono poi anco vane, quandoché chi ha un po' d'anima la
sente da se stesso senza bisogno di svegliarino, e chi non
l'ha, non serve che il comentatore gli gridi: bada bada.
Quanto all'accennata difficoltà della lezione, e per quel che
riguarda l'allegoria principale, per la prima ho sempre
seguito la più semplice e quella che ho stimalo la più
conveniente al contesto, scegliendo dai codici e dalle edizioni
più accreditate, e fuggito in ogni caso l'arbitrio, a costo
anco di ritenere talvolta quei che apparisce men chiaro o
men buono. Quanto alla seconda, persuaso che quella alle-
goria non sia governata da un sok) e medesimo concetto
(conciossiachè, secondo i princlpj di Dante, la Rigenerazione
morale, che certamente e l' intendiménto primario del poe-
468 COMENT ATORl.
ma, non si possa operare senza la riforma politica, perchè
il (jueìfismo è disordine necessario, e solo \ impero conduce
11 mondo a virtù, s\ che l'uno è rispellivamente quasi
sinonimo dall'altro), ho messo in mano ai giovani questa
doppia chiave, di cui volgendo accortamente or 1' una parte
or r altra, potranno aprirla quanto basti ad intenderla. » -
Il Bianchi pubblicò da prima nell'Agosto del 1844 alcune
aggiunte al Comenlo del Costa; ne arrecò di nuove nella
edizione del 1846; notabilmente le accrebbe in quella del 1849
(Ed. Le Mounier), segnandole di due asterischi, e preponendo
gli argomenti a ciascun canto: onde numerosissimi i cambia-
biamenti per ogni maniera da lui fatti alle chiose di quel
valente filologo. Solo nel 18o4 il comenlo uscì col solo suo
nome. Sobrio, limpido, vivace, a quando a quando ti accenna
le più singolari bellezze dell'autore, non senza metterti in
rilievo assai opportunamente, ove gli venga il destro, i
concetti politici e morali del poeta dei filosofi e del fiso-
sofo dei poeti. A nostro avviso, il Comento del Bianchi è
il più adatto tra tutti ai giovani, oiTerendo esso nell'in-
sieme, dirò con le sue parole, quanto basti ad intendere
l'altissimo canto della Rigenerazione, se ti accosti a leggere
con anima che senta il bello e il grande, al difetto della
quale non v'ha comento che possa supplire. -«Il Canonico
Brunone Bianchi di Firenze ci diede nel Dante pubblicato
dal Le Mounier un buon comenlo che divenne popolare in
questi anni, ed a giusta ragione. » Fr. Selmi, Rev. Contemp.
di Torino, Aprile, 1861.
Fraticelli Pietro, Firenze, Fraticelli, 1852. - Id. Nuova
edizione con giunte e correzioni, Firenze, Barbera, 1860. -
3.* Ediz. Firenze, Barbera, 1864.
Ecco rintendi mento dell'illustre interprete. «Divisai di por-
re insieme un Comento che servisse spezialmente al giovani,
e che potesse generalmente essere ammesso nelle scuole;
non troppo prolisso, ma neppur troppo breve; non troppo
ricercato ed artificioso, ma neppur troppo semplice e dis-
adorno... Ho profittato de' lavori di tulli i chiosatori che
mi han preceduto; e poiché sempre, e più particolarmente,
ho avuto sott' occhio i Cementi del Venturi, del Lombardi,
del Costa e del Bianchi, così da questi quattro Comenli
COMENTATORl- 469
ho annunziato nel frontespizio di aver tratte alcune note,
0(1 almeno la sostanza di esse. Il dir poi, ch'io ho profit-
tato assai de' dotti lavori filologici del Nannucci, è quasi
un dir cosa inutile; poiché qual è l'illustratore di antiche
italiane scritture, che alle opere del Nannucci non debba
riccorrere? - Un comento, che non fosse in alcuna parte man-
chevole, sia per l'iulorprelazione della frase come del con-
cetto, sia per la dichiarazione storica e mitologica come
dell'architettura allegorica del Poema, e che al tempo stesso
non fosse d'una mole, e quindi d'una spesa soverchia, fu
quello ch'io mi proposi di compilare. Il perchè mi studiai
d'esser breve e conciso, ma tino a tal limite, che non
recasse danno alla chiarezza dell'esposizione, o che non
lasciasse insoluta una parte eziandio piccola delle difficoltà e
dubbiezze che alla piena intelligenza del testo fa di mestieri
chiarire. » E neir avvertenza alla seconda edizione, il Fra-
ticelli ci assevera, «come tutto ebbe l'animo a migliorare
il suo Comento, per quanto gli fosse dato, così nell'ordine
come nella sostanza, sia ritoccando in molte parti il lavoro,
sia accrescendolo, e anche notevolmente, là dove pareagli
non esser abbastanza. Nel che lare non ebbe alterato né
punto nò poco il metodo che dapprima si prefisse di seguire.;)
Tommaseo Nicolò, Comcdia di Danle Aììif/hìeri, Con Ra-
ijUmamcnli e con JSote, Milano, Rcjna, 1854.
N. Tommaseo nelle sue .Memorie dettava il seguente
ritratto di Dante: M'accorsi che la poesia si compone di
tutti questi elementi che ora dirò: lingua, stile, numero,
alletto, immaginazione, memorie, desiderii, amore della bel-
lezza estrinseca, della bellezza morale, della patria, di Dio.
Tutte insieme queste condizioni congiunte darebl)ero il poeta
sommo; chi più ne ha, più è grande, e più dura e più giova.
A molli le dette (piaiilà pare che reciprocamente s'oppu-
gnino, e costoro non parlino di poesia. L' uomo che più ne
raccolse, e che, dopo i profeti, fu innanzi a lutti poeta, è un
cittadino della repubblica di Firenze». Oltreché il Tomma-
seo narrando come l'ingegno suo si venisse svolgendo, ei
confessa d'aver avuto da Dcinie ogni cosa, e or/ni cosa avergli
Dante insegnalo.- Tommaseo, Inspirazione e Arte, p. 488. -
Uipieiìo il cuore e la mente di tali sentimenti, il Tommaseo
470 COME?iTATORl.
era ben degno di accostarsi a sacerdote ed interprete del
divino poeta. Su questo Comento riprodotto e quasi rifatto
dal Tommaseo ci giova riportare l'assennatissimo giudizio di
E. Dall' Ottaviana, Rev. Contempor. Voi II, A. II. p. 707. -
« Crediamo di poter asserire, senza taccia di esagerazione,
che questo è il migliore Comento che noi abbiamo dello
altissimo poeta. 11 merito suo è di aver talmente rifuso i
lavori altrui col proprio da risultarne un lutto perfetto e
improntato del suggello dell'autore... Le note leilerali sono
parche, ma più che sufficienti alla piena intelligenza del
testo, ed a rilevarne le bellezze qua n io a lingua. Le storiche
e letterali sono preziosissime, in quanto che, ponendo a
riscontro i luoghi paralleli delie diverse opere di Dante e
della stessa divina Comedia, ed i passi de' poeti latini e greci,
delle Scritture e de' santi Padri, dai quali Dante attinse
quelle frasi, o quel concetto, gettano una luce inaspettata su
quei passi della Divina Comedia, e te la fa gustare in tutta
la sua dolcezza.... Dicasi altrettanto delle note filosofiche,
per cui il Comento svela l' intento del poeta, il quale dettò
i suoi versi, perchè fossero avviamento ed incoraggiamento
a virtù, e non già perchè forsero un'ammasso di ciancie
sonore, come sogliono essere troppo sovente 1 poeti. Ci
voleva un uomo nudrito di forti e severi studj, senza però
rifiutare il latte delle muse, qual è Nicolò Tommaseo, per
apporre a Dante un Comento, .in cui fossero insieme uniti
ed intarsiati la Bibbia ed Aristotile, Virgilio e S. Tomaso,
i Padri della Chiesa coi poeti e prosatori dell'antichità
pagana, le scienze quali erano nel secolo di Dante, e quali
son ora dopo otto secoli di progresso... E il tutto in breve,
con chiarezza, con eleganza, con precisione. Chi conosce lo
siile di N.Tommaseo non esiterà a dire: Questi e desso,
e, secondo noi, non mai meglio si vide che in questo suo
Comento studiato Dante. Un lungo studio di Dante, delle
cose sue e del suo secolo lo pose in istato di mettersi den-
tro alle più scerete cose del suo autore. » ...... Con-
veniva trasportarsi in quel secolo, viver di quella vita,
respirare in quell'atmosfera, informarsi a quella società
mista di squisita civiltà e di rozza barbarie; insomma con-
veniva conoscere a pieno quel secolo colle sue virtù, coi
COMEMATORl. 471
suoi vizi. Quanto da .questo lato fosse anclie ben munito
il Tommaseo, è facile il vedere chi vorrà percorrere le
sessanta e più pagine che sono poste innanzi a questa
edizione del Rejna, le quali vanno tutte in prefazioni e
dissertazioni in cui si tratta del Secolo di Dante, - della
Vita di Dante, - deW Amore di Dante, - Ancora deli Amor
di Dante, - delle Rime, - del Nuovo Amore, - Dante e Pe-
trarca, - Aobiltà di Dante, - Guelfi e Ghibellini, -Dottrine
'politiche di Dante, Monumento a Dante in Firenze, - Trionfo
di Dante, ecc.
Gregorettì FRA^CESco, Venezia, Narratovich, 1856.
Così il Gregoretti nel preposto Avvertimentou « jSon cerco
fama pubblicando un nuovo comento della divina Gomedia:
mio unico scopo è di procacciarle popolarità, rendendone
facile l'intelligenza. Sono molti che ne hanno letto qua e
là i brani più celebri, pochissimi che l'abbiano letta da capo
a fondo. E la colpa è degli Annotatori, che sovrabbondano
di parole ove non é mestieri, e i passi oscuri dissimulano,
e infastidiscono poi con frequenti polemiche, e lasciano
perplesso il lettore novizio, il quale niente più brama che
di avere in breve la interpretazione tenuta per migliore e
andare innanzi. . . Io diedi bando assoluto ad ogni discus-
sione; bensì, non avendo ommesso ne' punti controversi di
leggere e meditare tutto ciò che venne stampato intorno
a quelli, sono pronto ad entrare in campo con chiunque
il voglia per difendere la spiegazione alla quale ho data la
preferenza, o che da altri non detta mi parve migliore. Il
medesimo s'intenda riguardo alle lezioni dubbie nel testo.
Del rimanente, non ho lasciato senza nota vocabolo o passo
alcuno per poco che ne fosse d'uopo, ed ho poi sempre
avuto cura di essere parco al possibile di parole, senza
danno però della chiarezza, alla quale ho inteso principal-
nienle. » - Il Crepuscolo di Milano così giudicava questo
Comento: « Il Gregoretti intesa a render domestica la lettura
del poema in un'edizione, che deposto ogni apparecchio
erudito, desse nondimeno aiuto bastevole, ai giovani spe-
cialmente, a penetrare giustamente il senso e le bellezze...
Ridurre le note 'a poche e succose, e al tempo stesso piene
e bastevoli, lasciare ogni discussione, porgere infine quel
472 COMEMATORI.
sussidio che non dispensi dal meditare, e supponga coltura
non ignobile nel lettore è un servigio reso agli studiosi.
L'edizione del Gregoretti è lodevole per sobrietà di note,
non iscarse, ma brevi e succinte, ne ingombre mai di di-
spute: scella un'interpretazione, egli le porge sempre di-
mostrazióne 0 difesa, e senza indugiarsi su quelle seguite
da altri. Di che ninno sarà che non l'approvi. E nondimeno
anche nel suo Comento non mancano le superfluità, e certe
spiegazioni linguistiche o grammaticali, anche se destinate
a' giovani, potrebbero essere troncate senza danno del libro...
Buona è la lezione seguita in questa edizione, fatta sulle
più purgate. -Crepuscolo, 1857. p. 407.
RoMAM Matteo, La divina Comedla spiegala al popolo,
Reggio, G. Diavolio, 1858.
« li Romani si propone di far conoscere il poema dan-
tesco nel suo concetto, religioso e politico non solo, ma
eziandio nella orditura delle parli, nell'indole dell'inven-
zione e nei varii aspetti che lo compongono. L' idea è cer-
tamente lodevole; e noi non potremmo che approvare chi
desse oggidì un comento della Divina Comedia, come già
usarono i vecchi espositori, seguendo la forma di discorso
illustrativo, e portandovi tutti quei maggiori lumi di critica
che il corso dei tempi e degli studii hanno accumulato ai
dì nostri. Chi poi lo tenesse e semplice e piano in guisa da
renderlo accessibile agrintellelli meno esercitati, e da in-
vogliare anche i più restii a una lettura non facile e a una
certa gravità di meditazione, che divulgasse in una parola
r intelligenza del poema collo spogliarlo di quanto ha di
irto e disameno la scolastica dei comenlatori o la pedan-
teria degli accozzalori di note, farebbe opera di somma
utilità. Come, per esempio, comprendere giustamente il
carattere e l' importanza del viaggio dantesco, se non si
evocano le leggende popolari che precedettero il poema,
e da cui questo prese le mosse per incarnare un concetto
ch'era in cima in tutte le preoccupazioni del tempo? Come
vedere al vivo quanto la divina Comedia riepiloghi in sé
ed esprima gli elementi ideali e reali dell'epoca che in essa si
riflette, senza ricorrere all'indagine storica che svisceri la vita
tumultuosa della repubblica iìrontina a' tempi di Danle, e le
COMEKTATORI. 473
condizioni civili e religiose della società del Medio Evo? Il
Signor Romani non ha posto mente a ciò, e conduce d' un
tratto i lettori per entro al labirinto del poema, cercando
mostrare l'intento cli'ebbe l'autore, e dimenticando che il
miglior modo di spiegar Dante è di osservarlo alla luce
dei tempi In cui visse e nel succedersi del casi suoi e della
nazione. Quel eh' egli premette adunque al suo Comento
intorno all'argomento del poema, al fine a cui mira, alla
Introduzione del personaggio di Virgilio, avrebbe potuto
additargli la necessità di più largo esame delle circostan-
ze, che concorsero a dar forma e sostanza alla creazione
dantesca ; e noi avremmo amato che a queste indagini si
estendesse la sua illustrazione. Certo le deduzioni a cui
sarel)be slato condotto da una minuta e diligente conoscenza
dell'età, che produsse la divina Comedia, avrebbe e amplialo
il campo delle sue Idee circa II poema medesimo, e modi-
Ikate alcune sue opinioni che non appaiono sorrette da
suflicienti argomenti... Il S.'" Romani è Infervorato a voler
provare che l'argomento della divina Comedia è morale e
non politico, e sostiene questo suo assunto con ragioni un
po' deboli, e che svelano appunto una scarsa conoscenza
delle indagini storiche, fra cui si svolse II poema... Il lavoro
del Romani, comunque In molte parti angusto e manchevole,
pur non è privo di qualche pregio, e può essere di sussidio
a coloro che senza molla fatica vogliono esser posti addentro
nel senso della divina Comedia. Certo esso va lodato pel
tenlallvo, ed è vero quel eh' egli dice nella sua prefazione
che non è far poco anche solo II mostrare la via agli altri. -
Crepuscolo, 1859, 31 Maggio.
A. F. La Divina Comedia di Dante Allighieri alla inleLi-
qenza di tutti, Studio di un Solitario, 2.^ediz. Firenze, Fioretti,
1862.
Oltre la ragione premessa a cadaun canto, piacque al
Comentatore aggiungervi le Note letterali a piò del testo,
ed alcune osservazioni sulle cose più notevoli. Cinque
discorsi, cioè uno sul poema in generale, uno alla Une idi
ogni cantica, ed uno lìnale crescono pregio al lavoro. Avvi
da ultimo un utilissimo repertorio alfabetico che sommi-
nistra le cognizioni d'ogni maniera, mitologiche, storiche,
474 COMENTATORI.
filologiche, aneddotiche, artistiche, scientifiche che sono
opportune all'intelligenza del poema.
Andreoli Raffaele, La Coniedia di Baule AUUjhkri, col
Comento compilato su tutti ì migliori, e particolarmente su
quello del Lombardi, del Costa, del Tommaseo, del Bianchi,
Napoli, Lauriel - Rondinelli, 1850, - Il Edlz. interamente
rifatta, Napoli, slamp. naz. 1863.
Il Sig. Andreoli ci rammenta di avere atteso a tre cose
singolarmente: al testo, al comento e agli ammlnicoli.
Quanto è alla lezione del testo egli generalmente ha seguilo
quella dell'ultima edizione fiorentina del Le Monnier; non
ommeltendo di darne la ragione, dove gli è sembrato
doversene scostare. 11 Comento poi ne dichiara d' averlo
composto, profittando dcHopera dì quanti ne lo precedettero
da Pietro, figliuolo di Dante, fino al Bianchi. Ma nel saperne
a tutti il debito grado, ei ne alVerma che nella sostanza e
nella forma vi ha posto tanto di suo, da ben potere, quanto
molti altri, chiamarlo un nuovo comento. Come amminicoli
poi della divina Comedia introdusse la Vita di Dante scritta
da Leonardo Aretino e rifece gli argomenti a ciascun Canto,
agggiungcndo una indicazione delle cose più notabili nello
immortale poema. Or tutti questi lavori furono condotti
dall' Andreoli con moltissimo ingegno e con dottrina non
comune e soprattutto con un giudizio profondo e sapiente.
Le note vi sono trascelle, bene, e raro è che, rispetto alla
lezione del testo, non vi sembri la meglio quella da lui
accolta 0 proposta. Ma un pregio che distingue singolar-
mente le note stesse è il modo semplice con cui sono dettate.
Ond'è desiderabile che questo libro corra per le mani degli
studiosi di Dante; ì quali nell' attingere luce a vie più in-
tendere il poeta riconosceranno a un tempo e con visibile
esempio 1' utilità che se ne può trarre anche per lo scri-
vere in prosa. Di questo comento così scriveva P. Fanfani:
« Cominciai a guardare così in generale il modo tenuto
dall'anlore; a considerare l'ordine e la economia del lavoro;
a volere anche farci su V im/eniosus ; e quanto più guar-
davo, tanto più me ne contentavo, per forma che ne sono
venuto alla conclusione, che, se l' Andreoli non ha tutte
quante le parti dell'ottimo comentatore, ha per altro le più
COMENTATORl. 475
e le più nobili ; e che il suo comento, se non è da meltersi
innanzi a tulli gli altri stali falli sin qui, che sarebbe un
dir lrop|30, è tale per altro che ne avanza parecchi de' più
vociferali ; tale che Io studioso vi trova quasi sempre tem-
perato e digeribil pascolo al suo appetito; come quel lavoro
eh' è semplice e senza ciarlataneria, fondato sulla cognizione
della antica lingua, governalo sempre da ottimo senno,
alieno da quelle spavalde invettive e da quelle puerili
sottigliezze che tanto stomaco fanno in certi altri comen-
latori. Insomma parmi, e frcmant aliqul licei, lìberius
dicam, esser questo Comento dell'Andreoli il più acconcio
per mettersi in mano a' giovani. « Il Borghinì, 1864, p.
170.
COJVIENTI PARZIALI
1477. Jacopo di Dame. In un Capitolo stampalo dal
Vindelin da Spira, attribuito a Jacopo, v'ha un sunto bre-
vissimo delle tre Cantiche, e vi è pure tanto del line morale
della divina Comedia, dice il Berardinelli, che ci è d'avanzo
per intendere qual senso a lui rendesse nel valore allegorico
il poema del Padre. - Anche Busone da Gubbio, amico ed
ospite di Dante, ci lasciò come un'argomento in terza rima
della divina Comedia e del fine che ha. (V. Berardinelli^
Il Concetto della Div. Comedia, p. 21 e seg.) -
1547. (27 Giugno) Lezioni d'Accademici fiorentini sopra
Dante. Questo libro contiene dieci Lezioni di Fr. Verini, di
G. B. Gelli, di Giov. Strozzi, di Pier Fr. Giambullari, di
Cosimo Burtoli, di G.B.da Cerreto, t Mario \Tanci. Firenze,
appresso il Doni, Tip. Torrenlino.
1551. Gelli Giambattista, Lezioni XU sopra varii luorfln
di Dante ; Firenze, Torrenlino: furono ripubblicate in Fi-
renze nel 1554. In quest'anno dava pur alla luce la sua
prima Lettura sopra Dante che comprende un'orazione e
XII Ltzioni sopra l'Inferno; nel 1555 la sua seconda Let-
tura, e comprende un'orazione e X Lezioni; nel 1556 la
terza Lettura con un'orazione e IX Lezioni ; nel 1558 la
476 COMENTATORI.
quarta Lettura con X Lezioni; nel 1558 la quinta Lettura
con X Lezioni; nel 15G1 la sesta Lettura con X Lezioni;
nel 1561 la settima Lettura con XI lezioni. Furono tutte
queste lezioni stampate a Firenze pel Torrentino. L'ottava
Lettura giace tuttavia inedita e comprende XXI lezioni.
1567. GiAMBULLARi PiER FRANCESCO, Lczioìii quatlro a
schiarimento di alcuni luofilii della divina Comedia, [Del Sito
del Purc/atorio; Della Carità; Degi influssi celesti ; Dell'or-
dine dell'universo). Firenze, Torrentino.
1567. Bartoli Cosimo, Baqionamenti sopra alcuni luoghi
difficili di Dante con alcune invenzioni e significali, Venezia,
De Franceschi.
1727. Castelvetro Lodovico, Alcune cosette intorno la
Divina Comedia, pubblicate da L. A. Muratori, Lione, Frappens.
1749. Atavanti P. Paolo, Gesuita : Nel suo Quaresimale,
stampalo a Milano, si leggono alcune chiose sulla divina
Comedia. 11 Negri, il Cionacci e l'Agostini vogliono ne
avesse fatto l'intero Comento.
1751. Rosa Morando Filippo, Osservazioni sopra il Comento
della divina Comedia di Dante Àllighieri, stampato a Verona
/'anno 1749, Verona, Ramanzoni. Questo opuscolo fu ripro-
dotto nell'edizione del Zalta 1757 col titolo di Osservazioni
di Filippo Rosa Morando Accademico fiorentino sopra le tre
Cantiche. Il Uosa Morando mancò di vita a soli 24 anni;
Fu, dice il Cesari, grand'uomo in letteratura, compose tragedie
ed un bellissimo Canzoniere. Dante in ispezialità amò, e al
suo nome prestò assai utile servigio, singolarmente nelle
contrannote fatte al comento del P. Venturi. Gran conoscenza
avea del latino e del greco, anzi pur del tedesco. Per tanta
dottrina e per non minore pietà lasciò di sé alla patria un
acerbissimo desiderio. E Ippolito Pindemonti ne lasciò scritto :
Le Osservazioni del Morandi ricomparvero non poco accre-
sciute nella veneta edizione di Dante che Antonio Zatta con
gran pompa di rami ci diede: ricomparvero, che l'autore già
più non era tra i vivi. Vi si scorge oltre la perspicacia, il
giudicio, ed il gusto, tal dimestichezza con gli scrittori Greci,
Latini e Italiani, e anco Provenzali, che leggere, ammirare,
e dolersi fino all'anima di morte così immatura, è una cosa.
Forse un po' troppo, è vero, di ridondanza, e di lusso; forse
COME?iTATOrJ. 4 i ;
alcune citazioni, che più, che ad aggiunger prove, a osten-
tar servono erudizione: ma queste cose medesime io non
so bene, se, massime considerala l'età, di perdono sieno
più degne o di lode. [Elocjio di Rosa Morando, p. 201.) Del
Rosa Morando abbiamo altre annotazioni della D. C. inedite,
in fine delle quali lasciò scritto: Terminate di copiare le
presenti annotazioni da varie carte volanti, distese in molle
volte, prima sulla prima edizione di \erona, e poscia accre-
sciute nella seconda, questo dì 28 Liujlio 1757. Termina con
Yarie Lezioni tratte dall'Aldina del 1502, e tralasciate nella
edizione decjli Accademici del 1595.
1757. Pehazzum Bartolommeo, Correctiones et Adnolatio-
nes in Dantis Comaediam, {Extunt in editione tractatuum
divi Zenonis, Verona, Morroni) - Venezia, all' insegna del-
l'Ancora, 1844. Gli Editori di Padova, 1822, si giovarono
del lavoro del Perazzini.
1795. DiONiSi Jacopo, Illustrazioni della divina Comedia,
Parma, Tip. Bodoni; Brescia, Beltoni, 1810.
1814. Ferrosi Pietro, Illustrazioni di alcuni passi della
Divina Comedia, Atti della Crusca; Riprodotte in Firenze,
all'insegna di Dante, 1828.
1817. Renzi A.; Marini G. ; Muzzi G. Annotazioni alla
Divina Comedia, Firenze, all'Insegna dell'Ancora. - Per queste
annotazioni si servirono gli Autori dell' antico Comenlo,
attribuito a Jacopo della Lana, del Comento attribuito al
Boccaccio, di quello di Piero, figlio di Dante, di quello dì
Francesco da Buti, e finalmente di un'esemplare dell'edizione
di Lucca, 1732, tutto pieno di note marginali che si vo-
gliono del Lami.
1818. Alfieri Vittorio, Bellezze di Dante, Parigi Dondey-
Duprò. - iSel Ms. leggesi nella prima faccia : Estratto di Dante,
1776: si notano i versi belli d'armonia, e ne -notava sino
a 5936.
1819. Perticari Giulio, Annotazioni sopra la divina
Comedia, Bologna, Gamberini-Parmeggiani. - Riprodotte
nell'edizione di Roma, 1820; di Milano, 1823; di Firenze,
1836.- Anche il Tipografo Rolandi pubblicava in Londra la
divina Comedia con le postille del Perticari.
1818. Scolari Filippo, i\ols ad alcuni luoghi dei primi
478 co MESTATORI.
V Canli della divina Comedla, Venezia, Picolli, in fine della
sua Difesa di Dante Allighierì in punto di Religione (1836),
e nelJa sua Lettera critica intorno alle Epistole latine di
Dante, Venezia, 1844. - Lo Scolari si è reso benenierilo assai
degli sludi Danteschi, e il suo nome suona a bel difillo
onoralo in Italia e fuori. Né solo egli attese ad illustrare
la Divina Comedia (1818, 1821, 1826, 1828, 1844,1847) ma
pose lodata opera al Convito (Padova, 1823j; d^\h Monarchia
(Vicenza, 1833); alla Vita Nuova (Livorno, 1842; aìV Epistole
latine (Venezia, Tip. dell'Ancora, 1841); ^W Egloghe latine
(Venezia 18il, e 1843). Lo Scolari difese inoltre il grande
poeta in punto di religione e costume (Belluno, 183Gj; fu il
primo a pubblicare in italiano il viaggio dell'Ampère (Tre-
viso, 1841); e gagliardamente sostenne che il cognome
dell' Allighieri dovesse scriversi con la doppia /. (Treviso,
1841; Venezia, 1844.)
1819. Magalotti Lorenzo, Comento sui primi V Canti
dell' Inferno, Milano, I. R. Stamperia.
1820. BuTTURA A., Aote alla divina Comedia, Parigi, Le-
fevre.
1822. Fariki Ab. Pellegrino, Discorsi sopra alcuni passi
dì Dante, Bologna, jNobili.
1822. Comenti di varj sopra la divina Comedia. U edi-
zione della Minerva, oltre il Comenlo del Lombardi, contiene
parecchie aggiunte tolte dai lavori danteschi del Magalotti,
Bonari, Lami, Torelli, Perazzini, Rosa-Morando, Dionisi, De
Costanzo, Lampredi, Strocchi, De Romanis, Costa, Parenti,
De Cesare, Cancellieri, Marchetti, Rosini, Scolari, Betti.
1822. CoLELLi Scipione, Illustrazione della divina Comedia
in rettificazione e supplemento all' edizione Macchiavellana,
Rieti, Bassoni.
1823. ViviANi QuiRico, J\ote Critiche e Filologiche alla
Divina Comedia, Udine, Mattiuzzi, Tip. Cecile.
1824. Ambrosoli Francesco, j\ote raccolte sopra la divina
Comedia, Milano, Bettoni.
1821. Muzzi L., Osservazioni sopra alcuni luoghi di Dante,
Bologna, Nobili. -Forlì, Bodandini, 1830.-11 Muzzi dettò anche
nel Poligrafo di Verona, e nel Solerte di Bologna molle
altre sue osservazioni ed illustrazioni.
COMENTATORI. 479
1825. Biondi Luigi, Ragionamenti intorno alla Divina
Coniedia (Inseriti nei voi. 23, 27, 29, 31, 32, 33, 36, 37,
42, 44, 49 del Giornale Arcadico di Roma ).
1825. MoMi ViCENZo, MoMi Peìiticari Costanza, iXote,
Milano, Bottoni. - Y. Monti colla face della critica illustrò
molti passi, ed infervorò coli' esempio gli animi dei giovani
allo studio ed all'imitazione del divino poema. Eiscriveva
al Betti: Il Comento dell'edizione che il Beltoni promette
di Dante sarà mio lavoro. Ma del mio non vi sarà parola.
Bensì molta parte vi avrà la vedovella, voglio dire Costanza,
la quale non trova altro sollievo al suo dolore che uno
studio continuo sopra Dante. E per vero può slare a petto
di qualsisia chiosatore (5 Maggio 1824). - E Costanza a
sua volta scriveva: L'AUighleri è un tal poeta che invano
si comenta coli' ingegno, ma si comenta coli' anima. - E il
14 Maggio 1823 scriveva pure il Monti al Federici: Delle
molle mie postille alla divina Comedia non voglio che se
ne parli. Queste tìn d'ora saranno tutte a vostra disposi-
zione, e se manderete persona che le trascriva dal margine
dell'edizione del BìagioH io ne lascierò in sua mano lo
autografo, come già vi feci intendere dalla viva voce del
Viviani, se pure fu per luì ben adempita la mia commis-
sione. 11 Viviani non ha avuto alle mani che le postille
apposte alla Cantica dell'Inferno, poiché questa era già da
voi pubblicata. Le altre tutte sono a voi solo. - E il di
16 Giugno 1819 allo stesso Federici: Le poche mie osser-
vazioni sulla divina Comedia sono tutte senz'ordine, e
disperse nel margine del mio Dante, eh' è quello del Lom-
bardi. - V. Postille del Monti al Comento del Biafiioli sul
Purgat. dal i al xxni; e Monti Opere, Yol. IV, Firenze, Le
Mounier, 1847.
1825 Foscolo Ugo, Discorso sul Testo, Londra, Pickering,
1842. - La divina Comedia illustrata, a spese di Pietro
Rolandi, Bruxelles, con data di Londra, presso Melini e
Cans.
Il Foscolo scriveva al Biagioli il 16 Marzo 1827: Io mi
professo di sgomberare, per quanto le mie forze il consen-
tano, i molti antichissimi errori che vanno e andranno tut-
tavia raddensandosi a rannuvolare il poema e le intenzioni
480 COMEMATORl.
di Dante. - Ugo Foscolo, ove dalla morie non fosse sialo
ìnipedìlo di compire l'edizione della divina Comedia, nelle
illustrazioni che andava preparando, avrebbe condotte ad
evidenza talune verità, che nel Discorso sul Testo si con-
tentò di annunziare come ipolesi soltanto. Quel discorso,
capolavoro di critica e di siile, aprì la via vera ed unica,
onde conoscere il Poeta ne' suoi tempi. - Gli scritti critici
del Foscolo, e segnatamente uno intorno a Dante e al suo
secolo, rese celebratissimo il nome dell' esnle onorando . . .
Il Discorso sul Tcslo, così come fu pubblicato, ridotto a
minori dimensioni, è il più filosofico lavoro che si sia finora
scritto intorno al gran padre della nostra letteratura . . .
Dopo le idee del Foscolo l'Europa tutta ha veduto in Dante
l'uomo politico, il poeta inspirato, che fa servire l'arte alla
civile rigenerazione de' popoli parlando la favella nella quale
egli modulò l'altissimo canto. - Emiliani Giudici, Storia
della letteratura italiana. - Ed il Panizzi scriveva al Foscolo:
( 25 Feb. 1826 ) : Ho letto, non posso dirle con quanto diletto
e meraviglia, il suo bel discorso, sul testo di Dante; né potrei
mai dirle quanlo mi sembri superiore a quanto si è scritto
in Italia non solo in questa materia, ma in ogni altra cri-
tica. [Epist. Foscolo, Y. Ili, pag. 460, Ediz. Le Mounier). E
Gius. Mazzini così parla di questo nobilissimo lavoro: Il
Foscolo distrusse il rispetto alle congetture avventale, alle
imposture letterarie, agli anacronismi eruditi, ai mille errori
accettati senza esame, solo perchè patrocinati dall'autorità
di un nome o di un'accademia. Distrusse la cieca fede nei
Codici, tulli posteriori di molti anni al Poeta, e da correg-
gersi col confronto e colla logica e colla conoscenza della
vita e della mente di Dante. Distrusse i sistemi originati
dalle meschine vanità locali o dalla riverenza adulalrice
a' discendenti d'illustri famiglie, che alteravano la storia
dei pellegrinaggi di Dante, e contaminavano l'anima più
nobilmente altera che mai si fosse or di calcolo or di basso
rancore - la venerazione al pregiudizio toscano fatale al
testo - l'abitudine di dar predominio all' estetica sul pen-
siero, alla forma sull'idea, allo studio dei mezzi sulla ricerca
del fine. Condusse la critica sulle vie della storia. Cercò
in Dante non solsrmente il poeta, non solamente il padre
COMENTATORI. 481
della lingua nostra, ma il riltadino, il riformatore, l'apo-
stolo religioso, il profeta della nazione. Schiuse a noi tutti
la via, che i tempi, l'educazione, la vita infelicissima e
alcuni errori delia mente, dai quali egli non potè eman-
ciparsi, vietarono a lui di correre intera. E s'oggì gli studj
su Dante muovono più severi e filosofici, e di certo più
gradevoli alla gioventù d'Italia che non tutte le industrie
sudate di spiluccatori di sillabe, è dovuto pei due terzi,
comunque altri pensi, al Dìscorw sul Testo e agli altri
scritti di Foscolo intorno a Dante: se un giorno avremo
un'edizione del Poema da non ritoccarsi più oltre, sarà
dovuto alle norme con che Foscolo condusse l'emendazione
del Testo e la scelta delle varianti nel lavoro che or pub-
blichiamo. » V. Prose letterarie dì ^'.Fosco/o, IH, 90, Ed. Lem.;
Scritlì letterari di un letterato vivente. III, 3;i4. - V. Lettere
del Foscolo, 650, ad Hudson Gurney; 652, 665, a Edgardo
Taylor, 656; a Gino Capponi, YoK 111, Ediz. Le Mounier, e
le lettere del Pannizzi al Foscolo nell'istesso Volume.
1826. Tassoni Alessandro, Postille alla divina Comedia,
Reggio, Fiaccadori. - Anche il Tassoni fece delle postille
ai versi del divino poeta, ma non gli cadde mai in pensiero
di dare in pubblico ciò che non dovea servire che al suo
studio privalo. Lodo però l'editore, il quale ce ne ha dato
men che ha potuto, pensando bene che nessuna curiosità
può sostenersi, quando non vi corrisponda molto diletto e
molla utilità. Fra le poche eose osservabili che inconlransi
nelle Postille del Tassoni sarà per alcuno osservabilissima
la cura con cui egli va notando le voci non toscane ado-
perate dal nostro maggior poeta. Il Tassoni fu uno de' più
grandi studiosi della lingua che possa imaginarsi; e di che
occhio ei guardasse quelle voci è facile congetturarlo.
1827. Talia P. GiAMB. Comenlo estetico de' sei primi canti
dell' Inferno [Principi di Estetica), Venezia, Milano, Fon-
lana.
1828. Galvani Giovanni, Sac](iio di alcune postille alla
Div. Comedia, (ai primi 10 canti) Modena, Vicenzl.
1829. Tasso Torquato, Postille sopra i primi \\\\ Canti
dell Inferno, Bologna, Masi- Pisa, Capurro, 18:11.- Le scrisse
in Pesaro sopra un Dante di stampa dal Giolito. Le Postilli
VOL. II. 31
482 COMEMATOUl.
del Tasso furono consultate per l'appendice alle nolo del-
l'edizione di Firenze, 1838. Ne fu editore Gaetano Mazzocchi
di Cento. - L'n Dante del Giolito, postillato dal Tasso, si
conserva nella libreria Giordani di Pesaro, che quivi dettavate,
orrevolmenle ospitato dal ridetto Giordani. - T. Tasso era in-
namoratissimo del grande po(3ta; fu continuo nel grande poema,
de' modi più eletti, e perfino di versi interi ne ingemmò la
sua Gerusalemme. Né fu contento di postillare la divina Co-
media, ma segnò ne' margini i passi più belli del Convito,
e vi appose pure di quando in quando interessantissime
osservazioni, che vennero pubblicate dagli editori Milanesi.
1830. RoiiiOLA Atonmaria, Le Chiose del Venturi per lui
ritoccate^ aggiuntevi alcune sue j\ote, Torino, Poniba.
1832. Bozzo Giuseppe, La Divina Comedia, co' migliori
conienti per lui scelti ed ordinati ed esposti, Palermo, Pedoni
e Muratori. - li Bozzo, scriveva il Gargallo, è dei promotori
più instancabili degli studi Danteschi che si abbia la Sicilia.
Dopo aver dettali discorsi or intorno ad una or intorno ad
altra parte del gran poema, si fece a pubblicare un' edizione,
in cui ne reca la lezione più approvata da dotti uomini,
con brevi conienti, scelti da' migliori che ne sono stati fin
qui. - Antologia di Firenze, Giugno, 1832, p. 177.
1834. Torelli Giuseppe, Postille della Divina Comedia, Pisa,
Capurro. - Il Torelli, scrive il Cesari, fu di Dante in ispczia-
llta conoscentissimo e innamorato ... Il manoscritto originale
portava questo titolo: Variazioni ed aggiunte per le Chiose
della D. C.da me compilate V anno 1775. J.J\.D. IO Gen. 1776 :
e in margine : S. JS. D. B. Finito di rivedere il giorno 15 Aprile
di detto anno. G. T. Anteriormente gli editori di Padova, 1822,
se ne erano giovati sopra un manoscritto loro partecipato
dal Labus, in fine del quale v'avea questa nota: L. D. G.
lo Gius. Torelli Veronese terminai di stendere queste di-
chiarazioni sopra la Divina Comedia di Dante, cominciando
dal Canto xiii dell' Inferno, e da quello imparandolo a mente
questa mattina delli 11 Giugno 1775 in Verona. Gli editori
della Minerva osservano che comentò anche i primi xii canti,
e che trovarono questo lavoro nel sèguito del manoscritto.
1837. Lami Giovanni, Postille su Dante, Firenze, Fraticelli . '
Esse sono in gran parte dirette a confutare o a meglio
COMENTATORI. 483
«piegare le note falle a Daiile dal Padre Pompeo Venturi,
gesuita, e molle sono teologiche, specialmente quelle del
Paradiso, le altre etimologiche. Alcune Postille del Lami
erano già state pubblicate nell'edizione dell'Ancora e nella
padovana della Minerva.
1839. Balijo Cesaue, Comento de' due primi canti, Torino
Pomba. (Nella sua Vita di Dante, - V. Ediz. Le Mounier, p. 445.)
1839. NA^^uccl \ uncenzo, Intorno alle voci usate da Dante^
secondo i Comentatori a cafjione della rima, Corfù, Tip. del
Governo.
18iL Varchi Benedetto, Lezioni su Dante. Cinque n'erano
già state pubblicate: le altre quattordici furono estratte da
un Codice della Rinucciana, Firenze, Socielà editrice. - (Due
dichiarazioni s'aggirano sul xxv del Purg.; due letture sul
verso 91, e. xvii del Purg.; due letture sul i canto del Para-
diso; 4 letture sul ii del Paradiso; e da ultimo due letture,
sul verso 133 e seg. del e. xxii del Paradiso.)
1841.RONNA A., Postille sopra la divina Comedia, Parigi,
Truchy.
1842. Malagoli Ercole, la divina Comedia studiata, Canti i
e m dell'Inferno (impresse a parte dal Giornale Arcadico).
1842. Torricelli Fr. M. La divina Comedia di Dante Al-
lighieri co' conienti, Inf. i-iii, Fossombrone, - {iSelV Antologia
oratoria poetica e storica.)
1843. Picei Giuseppe, 1 luoghi più, oscuri e controversi
della divina Comedia dichiarati, con tre appendici, Brescia
Minerva.
Questi studi sopra Dante furono decorati del primo
premio dall'Ateneo di Brescia, dove l'autore gli avea letti
nell'anno 1843. - Contengono essi i seguenti capitoli. L
Introduzione e piano dell'opera; JSote. - IL Confutazione
del senso morale della Selva allegorica; Note. ìli. Dimostra-
zione del senso storico della Selva allegorica; JSote. - IV.
// veltro, e il cinquecento dieci e cinque ; Note. - V. Quando
abbia Dante compiuta la Divina Comedia e particolarmente
la Cantica dell' Inferno ; Note. VL Musaici ed anagrammi
nella Divina Comedia, e nuova interpretazione del verso di
di Piuto. - Appendice L Idiotismi bormiesi in Dante e in
altri classici toscani. - Appendice IL Ottantasette nuove le_
484 COMEMATORI.
zioni della Divina Comedia proposte a' suoi futuri editori. -
Appendice III. Biblioteca Dantesca de' secolo XIX. - Il va-
lentissimo Picei, benenierilo assai delia lelteralnra dantesca,
pubblicava inoltre i seguenti scritti : Dei nuovi Studj sopra
Dante pubblicati da M. Giovanni Ponta, Milano, Bernardoni,
1844. - La interpretazione storica della Divina Comedia,
Padova, Tip. Liviana, 1847. - Della Letteratura dantesca
contemporanea, Milano, Redaelli, 1846; Padova, Crescini,
1848. - Teonimia Dantesca. Rev. Ginnas. fase, o, 18ì)o. -
Della Luna tonda nella Divina Comedia, Riv. Gin. 1836;
ecc. ecc.
1844. Pareisti Marcantonio, Lettere ad un giovine filologo
sopra alcuni passi di Dante, Modena, Soliani,
1845. Poma P. Marco G., Interpretazione di alcune pa-
role di Petrarca e di Dante, Roma, Tip. delle Belle arti. -
Interpretazioni dell'addiettivo vivo e morto, e del verbo 5</wa-
drarc- Interpretazione del verso di Dante : Perch' io te sopra
te corono e mitrio (Roma, 1842.)
Il P. Ponta, Somasco, fu si Innamorato dello stupendo
poema di Dante, da parergli, dirò con le parole dell'egregio
suo laudatore, il P. Calandri, sempre più degno de' suoi
pensieri, sì che nel resto della vita non ebbe quasi potere
di richiamare altrove la mente. Di tanto sentì scaldarsi a
quella fiamma divina! Nel 1843 pubblicò il suo Auoro
esperimento della principale allerioria della divina Comedia
(riprodotto in Novi, Moretti, 1845), che gli valse amplissime
lodi di tutti i più illustri danteschi, e dell' Ozanam segna-
tamente. Nel 1843 diede pure alla hicQ L Orologio di Dante
Allighieri per conoscere con facilità e prontezza dei segni
dello Zodiaco le fasi diurne e le ore indicate e descritte
nella divina Comedia (Roma, 1843 ; Novi, 1845) ; i cui pregi
furono bellamente esposti dall' affettuosissimo amico suo,
il P. Giuliani (Roma, 1844). A continuazione deirOrologia
fece seguire La tavola cosmografica per agevolare l' intelli-
dnza di alcuni punti cosmografici della divina Comedia
(Roma, 1843). Il P. Ponta combattè inoltre con molte e molte
studiate ragioni l'autenticità della lettera di Dante del 20
Maggio 1314 a Guido Novello da Polenta, sostenuta dal
dottissimo G. Bernardoni {Gior. Are. Roma, 1845) ; dettò U
COMENTATORI. 485
Saggio di Critica ai nuovi studi di Dante alighieri del eh.
profess. Picei (Roma, 1845 e 1847); saggio riputato dal
Picchioni qual modello compito e perfetto, sagacemente
pensato e maturamente condotto ; illustrò con note molto
assennate l'osservazioni che l'astronomo Lodovico Ciccolini
avea fatto sulle quattro stelle ricordate nel i. Canto del
Purgatorio (Roma, 184G); richièsto da Lord Vernon, tenne
e riconfermò per autentico il comenio di Pietro, figliuolo
di Dante, contro le impugnazioni del Dionisi (Dissertazione
premessa alla slampa, 1845; Gior. Arcad., 1845; Roma, 1846) ;
stette gagliardamente pel Giuliani, nel ritenere di Dante
la famosa epistola a Can grande della Scala, combattuta
dallo Scolari (Giorn. Are. 1848); ritenne, fondatamente che
il comento del da Buti fosse apparito a luce non dal 1385
al 1394, come il Torri e il Batines, ma nel 1397 (Roma, 1848) ;
esplorò la vera disposizione delle beate sedi, secondo il
concetto dantesco, e dettò la Rosa celeste (Roma, 1848); di
cui scriveva il Fracasselti : « Non vide me' di me chi vide
il vero. L'Orologio la Cosmografia e la descrizione del
paradiso, sou lavori condotti con precisione geometrica, e
tale da rendere ogni contraddizione impossibile. » Oltrecchè
eì scrisse delle età che in sua persona Dante raffigura nella
divina Comedia (Roma, 18i8), da cui si viene a certa cono-
scenza che Dante dal i Canto dell' Inferno sino al xxvm
<lel Purgatorio rappresenti in sé stesso la prima parte della
umana vita, che adolescenza e vita nuova si appella, e che
da quel luogo in poi e per lutto il paradiso raffiguri la
gioventii la vecchiezza e il senio, allorché l'anima del
viatore per alta speculazione si rimarita a Dio. Le ultime
sue Memorie riguardarono il Saggio di Comento sulla Comedia
pubblicato dal bolognese M.Aurelio Zanni de Ferranti; una
nuova illustrazione del verso Pape Sutan, Pape Satan, Aleppe;
diede pure una nuova interpretazione del famoso Veltro;
pose diligente opera al libro della Monarchia, molto con-
ducente a conoscere la politica del cantore dei regni eterni,
e intese alla spiegazione di molte sentenze di tal libro, e
a renderne sincera la lettura. Lasciò inoltre inedita una
dissertazione sugli intendimenti di Dante Allighieri intorno
al Volgare Eloquio, pubblicata poi dal Torri. Delle opere
480 COMENTATOni.
del l'onta scriveva il Giuliani che vorrebbero essere più
celebri e studiale : perocché a quella lettura V uomo sentasi
tremolare avanti /' intelletto una luce sì vivace come se gli
fosse raggiata dal poeta stesso.
11 P. Ponta nacque in Arquata, a poche miglia da Novi,
il 14 Aprile 1799; m. in Casal-Monferrato il 21 Luglio 1850.
1845. Brunetti Alessandro, Annotazioni tolte da' più ac-
creditati espositori, Parigi, Thierrot.
1846. Emiliani Giudici Paolo, JSuove annotazioni alla
divina Comedia, Firenze, Poligrafia Italiana. - Le note die
accompagnano il Testo, ei dice nella Prefazione, saranno
concepite a modo di brevissimi richiami, e desunte quasi
unicamente da' comenlatori, tìgli, discepoli e coevi al Poeta,
0 vissuti entro il secolo XIY.
184G. M. Aurelio Zani de' Ferranti, La Comedia di Dante
Allighieri, con illustrazioni antiche e moderne, Parigi, Baudry.
Lo Zani si mostra valente nel notare le bellezze poetiche
e nell'attingere il senso letterale della Comedia, ma il P. Ponta
lo ritenne inetto a discoprirne l'allegoria, non potendo bene
interpretare Dante chi è educato alla scuola del Rossetti.
1854.ScALViNi GìO\nA,bresciano.-?ìh di dieci anni fa, scrive
il Tommaseo, lasciò a me, morendo, gran parte de' suoi scritti
letterari, che io li scegliessi e dessi in luce ordinati. Tra'
quali erano alcune noterelle al poema di Dante gettate
qua e là come principio e saggio di più ampio lavoro; ma
dimostrano arguto ingegno che egli era e ornato di studii
eleganti. Tanti conienti, scriveva egli, abbiamo alla divina
Comedia, e si pochi che non valgono (siamo arditi dire) più
spesso a spargerla di dubbiezze e a raffreddarne la passione,
anzi che metterla in luce e farla (se pur tanto mai possono)
più efficace al commuovere. Queste noterelle congiungiamo
con le nostre a' suoi luoghi ( Tommaseo, Comedia di
Dante Allighieri, 65).
1855. BoRGHiNi YiCENZo, Introduzione al Poema di Dante per
l'Allegoria. -Difesa di Dante come cattolico.- Errori di alcuni
Commentatori di Dante e principalmente di un falso Vellutello.
Sensi e voci dichiarate nelle lor proprietà, e valore. - Varie
lezioni cavate da antichi codici della Divina Comedia, con
osservazioni sulla loro bontà e scelta - Osservazioni sopra
COMENTATORl. 487
le bellezze notate ne' Canti dell' In (. xvii-xxm - Pensieri
diversi [snl divino Poema - Questi importanlissimi lavori
del Borghini furono per la prima volta pubblicati per cura
ed opera di Ottavio Gigli, Firenze, Le Mounier, 1855.
1856. Betti Salvatore, Lettere Dantesche, Firenze, Emilio
Torelli.
1858. BoNGiovANNi Domenico, Saggio della nuova Inter-
pretazione - Argomento del Canto l.^ - Sposizione Storico-
morale - Sposizione estetica - (Prolegomeni del nuovo
Comenlo Storico-morale-estelico). Forlì, Bordandini.
La Civiltà Cattolica, che con troppo acri parole combattè
l'intendimento del Bongiovanni, non potè negare che nella
parte estetica il libro vada ricco di belle e sapienti consi-
derazioni.
1861. Giuliani Giambatista, Metodo di comentare la
Comedia di Dante Allighieri per lui proposto, Firenze, Le
Mounier.
«In prima cercai di raffrontare la Comedia ne' luoghi
simili, e degli uni mi valsi ad illustrare gli altri, o a vi-
cenda. Poscia dispiegatemi alla mente le svariate fila di
quella immensa tela, m'ingegnai, per quanto era in me,
di contesserle insieme con quelle della Yita]\uova, del Con-
vito, della Monarchia, delle Lettere, delle Canzoni, delle
LJgloghe e del Volgare Eloquio. Ciò fatto, mi sono in ispecial
maniera giovato degli autori che Dante lungamente studiò
e fece a noi conoscere quali suoi cari e fidi maestri. Rin-
tracciai nelle antiche scritture de' nostri e dei Provenzali,
e nel perseverante linguaggio della Toscana le orme più
sincere e le dimostrazioni dell'idioma che chiama mamma
e babbo, e valse a descrivere l' universo. Qualora poi mi
fallirono questi convenienti soccorsi, mi rivolsi agli antichi
comentatori, degnissimi sempre della fede maggiore ; e se le
interpretazioni loro mi si chiarivano in accordo colle aperte
e costanti opinioni del Poeta, liberamente le elessi. Pari-
menti mi diedi a leggere e studiare ne' moderni : e dove
questi non manifestarono i leggiadri sogni delle loro vivaci
fantasie o la importuna ricchezza del loro sapere, o gli stràni
giudizi delle loro particolari opinioni, li seguitai con amore;
e tanto più, quanto mi venivan parendo esperti non pure
488 COMEiNTATORI.
nella Comedla, ma e si nello opere di Dante che ebbero minor
grido, e che pel gran vantaggio di simili studi si vorreb-
bero, più che all'universale non sono, conosciute e pregiate.
Quando tutto ciò mi venne meno, disperato di buon riu-
scimento, lasciai che ciascheduno vedesse e giudicasse a
modo suo, non volendo io sopraggravare co' miei i dubbi
altrui. » Cosi il prof. Giuliani nella sua Introduzione. - Il
Giuliani fin dal 1851 pubblicava in Genova pel Samboino
la prima proposta del suo nuovo Gomento di spiegar Dante
con Dante, al quale aggiugneva un nuovo Saggio nel 185i,
Firenze, Tipogr. Italiana, il lavoro ora per lui pubblicato,
oltre un' estesissima investigazione ed un' accurato Gomento
dell'Epistola di Dante a Gan Grande della Scala, abbraccia
l'interpretazione dei Ire primi cauli di ciascuna Cantica,
massimamente del primo Canto dell' Inferno che vuol rite-
nersi, com'è, il Proemio o l'Introduzione a tutto il poema,
Yeggasi r assennato articolo del Crepuscolo, n.^ 48. 1852. -
Sul Giuliani, veggasi il nostro articolo : Lettori della divina
Comedia, pag. 428.
1863. Giusti Giuseppe, Sttidj e Conienti intorno alla Di-
vina Comedia; JXote ed osservazioni sopra la Comedia, (^iegli
scritti vari in prosa e in versi, Firenze, Le Mounier). ,
Anche Giuseppe Giusti avea preparato moltissimi appunti
sulla divina Comedia, e avea in animo, come scriveva ci
stesso ad Atto Yannucci, di riunirli, e darli fuori in forma
di lettere agli amici, nelle quali senza rifarsi tanto dall'alto,
avrebbe voluto riunire tutto ciò eh' è stato detto dai migliori
sul divino poema, e manifestare il suo modo di vederci
dentro (Lett. 113, ed, LeMonnIer). Ed il Frassi narra nella
vita del Giusti, che quando i tanti patimenti gli davano
qualche tregua, el continuava a lavorare, e segnatamente
intorno al Gomento di Dante, e che tanto era assorto in
questo suo lavoro, che non vi era modo di parlare con lui
di altra cosa che Dante non fosse. - La divina Comedia
fu sempre il prediletto de' suoi libri, ed ei confessa di aver
tempestato su Dante la parte sua (Lett. 308, a Gino Capponi);
e scrivendo al Tamburini (Lett. 131), ei protesta d'aversene
fatto una perpetua norma: «Chi direbbe che l'amore portata
a Dante mi avesse fruttato quei quattro scherzi tanto lon-
COMENTATORl. 489
laiii dalla maniera dantesca? Eppure è cosi, e per anni e
anni non ho conosciulo altro libro.» - Ei voleva che invece
di aflastellare note sopra note, si premettesse a ogni canto
un argomento a modo di dichiarazione, esteso più o meno
a seconda dell'importanza della materia ivi contenuta;
sulla base di quelli del Borghi con qualche rettificazione.
Poche note e quelle poche e brevi, e più che altro spettanti
alla storia e alla ragione grammaticale, tornando superflue
le altre e per i discorsi generali premessi al poema, e per
gli argomenti di ciascun canto. Cercare e nei discorsi e
negli argomenti e nelle note di riavvicinare lutti quei passi
che nelle diverse opere dell' Allighieri versano sopra una
stessa materia, ossia comentare Dante con Dante. Nelle
varianti esser cauto e parco. Tenersi alle migliori edizioni,
e quando il senso lo chiede, aver coscienza, ma non esser
bigotto.
1864. Ambrosi Francesco, Il C. xii dell'Inferno, Comento
'' riflessioni, (Nella Strenna roveretana, il Mutuo Soccorso)
Rovereto, Caumo.
1860-64. Rezza Eugenio. - Finora pubblicò il Comento dì
'l'I canti dell'Inferno, e di alcuni del Purgatorio e del Pa-
radiso. Il Rezza sì è proposto di fare una sposizione del
divino poeta, utile alla gioventù studiosa delle scuole se-
condarie, con un comento piano, e indirizzalo particolarmente
alla critica e all' estetica. Da' saggi che abbiamo avuto sol-
l' occhio 11 lavoro del Rezza ci parve importantissimo, e
degno dello scopo che sì prefisse. Venne esso pubblicato
nella Gioventù dì Firenze, nella Famiglia di Ferrara, e
nella Gazzetta delle scuole Italiane di Genova.
490 COMEMATORI.
COHESTI IN CORSO DI STAMPA
Da Marzo prof. Antonio Gualberto, Comento su la divina
Comedia, Bari, Gissi e C.
« Non ne sono usciti, che i due primi fascìcoli che con-
tengono un'assennato discorso delConientatore; la vita di
Dante scritta dal Boccaccio, con annotazioni critiche, e tutto
il primo canto dell'Inferno, con parte del secondo. 11 me-
todo tenuto dal comentatore a me par bello e bisognevole:
a ciascun terzetto, ed anche a ciascun verso, fa un comento
morale, estetico, storico, dove ci cade, e filologico. Dal
Saggio che ne dà questo primo canto si argomenta che
debb' esser lavoro di somma importanza, ed assai ben con-
dotto, se non quanto ad alcuno potrà senbrare un poco
troppo prolisso. Ma aspettiamo vedere il seguito, e allora ne
prenderemo materia ad un lavoro critico. » P. Fanfani,
Borghini, 1869, 1. p. 510.
Dopo i due fascicoli usciti, a Bari, il Comentatore venuto
in Toscana ha ricominciato da capo la stampa con maggior
eleganza e con nuove cure (Firenze, Grazzini, Giannini).
A quest' ora non uscirono che 3 fascicoli : che se il buon
giorno si conosce dal mattino, il lavoro del S.'^ De Marza
promette di voler esser buono ed utilissimo. V. Borghini,
18G3, li. 574. - Questo Comento ci parve nella sua abbon-
danza non confuso uè inutile, e che la divisione fattagli
dall'autore in morale, in estetica, in storia e in filologia,
come amplia grandemente la sfera critica nella quale si
distinsero i precedenti, così risponde da tutti i lati dai
quali })uò essere la divina Comedia argomento di studio.
G. C. Il Centenario, p. 171.
Bi-NASSUTi Luigi, Arciprete di Cerea, Diocesi di Verona,
(Manif. di associazione, 12 Giugno 1864, Verona, Civelli).
Doj)pio è r intendimento che si prefigge il Benassuti nel
suo comento. Prima ei vuole rivendicare al cattolicismo un
poeta profondamente cattolico, e che scrisse la divina Co-
COMEMATORl. 491
media con solo fine cattolico ed ascetico, come, non solo
nel discorso preliminare, ma amano a mano nell'interpre-
tazione ei si farà a provare, parendogli che, ne' moderni
interpreti vi sia piuttosto una progressione nel falso che nel
vero, avendo essi ridotto Dante ad un concetto o puramente
naturale e civile, o appena appena con solo un'ombra di
cattolicismo. In secondo luogo egli intende illustrare qualche
cenlinajo di passi non finora compresi e lasciati nella loro
antica oscurità e difficoltà, e che sono le bellezze maggiori
del poema. - Il lavoro del Benassuli andrà corredato di op-
portune tavole illustrative; parte tipografiche, e parte lito-
grafiche 0 di disegno. Le tipografiche vanno distinte ciascuna
in 7 riparti che sono i seguenti : I." JSumero dei canti; 11.^ Con-
cedo ; III.*^ Tempo; IV.° Luogo; \.^ Persone ; VI." Brani più
difficili, poco 0 nulla intesi; VII." Dante ad uso dei pittori. -
Li tre riparti Tempo, Luogo, Persone si suddivono in tanti
riparta secondarli. Il Tempo comprende sotto di sé li se-
guenti casellini: ì.^ Epoca fittizia o poetica: ÌU PJpoca reale
0 storica: \\\.^ Stagione ; e questa si suddivide ancora in
tre casellini: (a) dopo l'equinozio di ecc.: (6) «luanti
(giorni dopo: [c] Sole In ecc. - IV." Lunazione, e questa
pure si suddivide: (a) segano: [b) fase: (e) giorno. - Y."
Mese. VI," Giorno del mese. VII." Settimana. \III." Giorno
di settimana. IX." Ore del giorno. X." Giorni di viaggio.
W."^ Ritardi. XW Eccitamenti alla fretta: XIII." Accenni
cronologici.
Finito il Tempo viene il Luogo che va diviso così in
tanti casellini: \.^ Luogo fittizio o poetico: 11.'^ Luogo reale
0 storico: U\.^ Punto di partenza: l\.^ Aggiramenti. \.^ Di-
rezioni: VI." Stazioni: \\\.^ Dimensioni geometriche in miglia:
(a) di circonferenza: [b] diametro di circonferenza:
[e) di «trada - al Purg. [d] di altezza. Vili." Accenni
geometrici: W.^ Accenni topografici: X." Via ascetica: W.°
Prove di altezza: - Seguono le persone che comprendono
sotto di se; I." Visitanti, divisi così : ia) «uida: (6) Uuidato:
IL" Visitati: divisi così: (a) Ans^eli: (6) Domini: ic) Col-
pe: [d) Pene. - Queste tavole tipografiche dovrebbono
offrire a colpo d'occhio tutte le ricerche escogitabili, e dare
il convincimento matematico' nella soluzione di qualunque
492 COMENTATORI.
dubbio ci possa sorgere in capo, onde, com'ei si ripromelle,
chiunque si accosti a consultarle, dovrebbe trovare il nesso
di tutto e vedervi l'unità del gran pensiero, non polendo
non rimaner colpito dallo sterminalo Ingegno creatore di
Dante, come da cosa non vista mai.
I brani non inlesi sarebbero numerati nel lor casellino,
e in Une d'ogni tavola ei ne darà la somma.
II Dante ad uso del pittori è un copioso accenno di passi
pi ttorici.
Le tavole litografiche abbracciano o diseqni de' iuofjlù
percorsi del poeta o tavole astronomiche e geoffra fiche alla
intelligenza dei passi, ch'el crede per lo più errali d'assai
tino dai fondamenti. Questi disegni sono preceduti da un
disegno generico dei due nostri emisferi che dimostrerà la
Divina Comedia essere una sintesi della Bibbia. Questo
disegno, unito al primo volume, viene poi spiegato nel di-
scorso preliminare, ed è come la chiave di tutto. Quanto
alle tavole astronomiche, ei spera di far comprendere con
esse anche ad un fanciullo le cose più astruse di Dante. -
Queste notìzie ci furono cortesemente comunicate dall'Au-
tore (10 Decemb. 1864), e ci parvero troppo interessanti per
non farne cenno... Il primo volume uscirà nel Febbrajo, e
noi ne aflrettiamo col desiderio la pubblicazione, perchè
.siamo ben certi, checché ne sia stato detto in contrario,
senza vederlo, che il lavoro dell' egregio Benassuti non sia
per essere salutato con molto favore. E dolse a noi pure
che nel manifesto di associazione il S."" Benassuli abbia
per avventura portato giudizio men riverente di tanti valo-
rosi ingegni che per cinque secoli faticarono intorno al
divino poema: certo che ove il programma fosse stalo più
rimesso, e direi meno arrisicalo, ed ove più ampliaraente
avesse svolto il disegno del suo lavoro, sarebbe esso stalo
accollo con plauso. Io spero che il S."" Benassuti vorrà
perdonare alla schiettezza di chi veracemente lo slima.
Il Testo del Comenlo sarà del P. Sorio da V,erona che
fece a tal uopo di molti e gravi 'sludi comparativi, e di
cui pubblicò parecchi saggi.
PiìDiuM Bartolommeo, [Parvoco de' Ss. Apostoli in Ve-
nezia) Venezia, Tipografia pel Patronato dei Ragazzi.
COMENTATOHI. 493
li Pedrlni ci fa sapere d' avere impiegato più anni nello
sUuiio dell'opera di Dante e di aver vegliato sopra i più
rinomati Comentatori. Ei liromeile un interpretazione facile e
piana della divina Comedia che possa servire d'introduzione
allo studio grave e serio della medesima, e che sia utile
a quelle persone le quali vogliono semplicemente leggerla e
intenderne il senso. (?j Le noie saranno per lo più storiche,
brevi anche queste, e chiare.
COMENTI INEDITI
Francesco di Dante (?], citato dal Nidobeato, dal Landino
e dall' Ubaldini. - Micchino da Mezzano, canonico ravennate,
contemporaneo ed amico di Dante, citato da Colnccio Salu-
tati. - Zanobi da Strada, morto nel 1329, ricordalo dal
Caconi. - Bosone da Gubbio, a cni viene attribuito il Comento
il falso Boccaccio, conservato nella Magliabecchiana. -.Arrono
de' Bonfantini, francescano, inquisitore, citato (ìtiW Ottimo. -
Bonagrazia, detto poi Graziuolo, figlio di Bambagliolo,
notaio, l'autore del Trattato delle virili morali, in cento
cobbole, a imitazione dei Documenti d'Amore del Barberino,
comentò la divina Comedia prima del 1330. È citalo dal-
l'0/^iwo, [Inf. C. VII ; C. xin. ) col nome di Cancelliere di
Bologna. - Fra Guido da Pisa, carmelitano, e contempo-
raneo di Dante. Scrisse l'aureo libro la Fiorita d'Italia, in
cui spiega molli luoghi della divina Comedia, e di più
compose un comento col titolo : expositiones et glosae
super Comaediam Dantis. - Domenico Bandini, d'Arezzo,
grammatico del secolo XIV, lasciavaci memoria del suo
Comento nel suo Fons memorabilium e nella vita di Bru-
nello Latini. - Cecco Meo Ugurgieri di Siena. - Questo
Comento volevasi conservato nel secolo decorso fra i mano-
scritti di S. Michele di Murano in Venezia, ma che andasse
poi smarrito. È ricordalo dal Miltarelli. Il De Angelis ne
fa invece autore un Giacomo (Irifolo di Siena, mentre altri
lo vogliono semplice copiatore, come meglio apparirebbe
dalla fac. 384. Che Ciampolo di Meo degli Ugurgieri fosse
494 . COMEMATORI.
Studiosissimo del divino poeta è indubbiamente manifesto
dal suo volgarizzamento dell'Eneide di Virgilio. Il virgiliano
aff nosco velcris vestigia flammae è per lui tradotto: e nosco
i ser/ni dell antica fiamma. Olire a ciò, specialmente nel
libro VI, e dovunque molte frasi e parole e perfino molti
interi versi portano in fronte il suggello che vi impresse
Dante. Giampolo dovrebb' esser nato dal 1290 al 1300: Il
primo ricordo che si trova di lui nell'Archìvio dei contralti
di Siena è del 1324, e nel 1347, come si rileva dall'Archi-
vio delle Riformagioni di Siena, egli, in compagnia di Nicolò
di messere Slricca e di Niccolò di ser Niccola, fu degli
uffiziali sopra lo Studio sanese. - Filippo Villani comentò
la prima Cantica, a cui prepose pure un' Introduzione. Il
codice si conserva nella Chlgiana al n.^ L. vii. 208. Sembra
che il Villani non si ristrignesse all' interpretazione dell'In-
ferno, allegando nel comento del primo conto dell'Inferno
una sua chiosa al C. xxx del Purgatorio. - 3Iatteo Ronto :
le sue postille son dette dal Balines importanti per l' intel-
ligenza del testo e de' luoghi storici. - Coluccio Salutati
morì nel 1406: è citato dal Mehus. - Jacopo Gradenigo,
veneziano, alla line del secolo XIV. Il suo Comento diccvasi
esistente al cadere del secolo scorso, nella libreria del car-
dinale Garampi. - Riccardo, carmelitano, ed Andrea, napo-
litano, citati dal Nidobeato e dal Landino. - Benedetto,
forse de Florentia, Agostiniano: il Comento fu compiuto
in Pisa, e conservasi nella Biblioteca del marchese Giacomo
Filippo Durazzo di Genova. - Frate Stefano, domenicano,
in sul principio del quattrocento dettò molte e purgate chiose
latine.' Il codice si conserva nella Trivulziana al n.*^ IV, VII. -
Bortolommeo di Piero di S. Gimignano, secondo il FoHini,
non sarebbe diverso da Bartolommeo di Pietro Traviani di
Neruccis, che nel 1462, fu ambasciatore a Siena, e tenuto
per uomo assai ragguardevole: Il suo breve comentario
conservasi nella Magliabecchiana. Secondo il Muzzi, la forma
del Comento è spesso elegante, la materia conserta di
erudizione e di dottrina. - Giovanni Bertoldi, di Serravalle,
arcivescovo di Fermo : il solo esemplare che si conosca di
questo Comento conservasi nella Vaticana. - Alessandro
Astcsi, da Pistoia: il Comento fu per lui compiuto il di 16
COMENTATORI. 495
Agosto 1445, e per lai dedicato alla S. di Pio II. Pare che
chiosasse la divina Comcdia dinanzi al Ponteiìce stesso : in
lectlone Dantis per ipsum liabita coram Sanctilate sua. lì
codice è conservato dal Priore Scapucci di Pistoia. - Paolo
A'icoleUt, di Udine, frate Agostiniano: il Comento latino che
secondo il Negri ed il Crescimbeni, custodivasi nella Libreria
Landi di Padova, venivagli attribuito dal Possevino, dal
Negri e dal Sansovino: l'Alberici ed il Cicognara lo vogliono
invece lavoro di Paolo Alberlini, de' Serviti, veneziano.
Nella sua iscrizione sepolcrale leggevasi: explkuit nobile
Dantis opus. -Bar [olommeo Ce/Jonì: le sue postille, compilate
nel 1432, stanno nei margini del Codice della Riccardiana,
al n.^ 130G. - Bartolommeo da Colle, detto Lippi, francesca-
no: il comento fu compiuto nel 1480, e conservasi nella
Vaticana. Al Ponla parve prezioso per la grande erudizione,
per la precisa ed elegante spiegazione della lettera ne' suol
vocaboli, nella storia, nella mitologia, nelle scienze ed arti
tutte, e da ultimo per la giudiciosa dichiarazione dell' alle-
goria. - Giovanni Enrico de' Tonsi, francescano e Sanraari-
nese: il Comento sì conserva in San Marino. - Giovanni
Michele Alberto Carrara, bergamasco, nel 14G0, presentava
ad Antonio Marcello, nobile veneto, un bel Dante co' dotti
suoi comenli. -Matteo Chiromonio: comento Dante nel 14G1,
e se ne conserva il lavoro nel codice Barberino, n." 3i0. -
Nicolò Clarecini, letterato e giureconsulto friulese: di costa
alla divina Comedia per lui trascritta nel 1466, si leggono
di molte sue erudite annotazioni: il codice è tuttavia custo-
dito nella libreria Clarecini di Cividale. - Antonio lucci
Martelli: in un codice della Magliabecchiana, del 1462, si
trovano parecchie chiose brevi, marginali, accompagnale
da qualche figura astronomica. Furono esse riputate di
grande rilievo: sovente l'Autore spiega Dante con Dante
medesimo. - Bartolommeo Baldinolli, pistoiese, professore
di legge neir università di Pisa, dettava nel 1478 un lungo
comento, oggidì smarrito. - Marsilio Ficino : le sue inter-
pretazioni riguardano la più parte al sistema teologico e
lìlosoUco, a' costumi ed al tempo di Dante. Si conservano
in un codice posseduto dal principe Caetani di Roma.
396 COMKNTATORI.
SECOLO XVI.
Agi' interpreti di Dante, ì cui conienti generali o parziali
rimangono tuttavia inediti, vanno annoverati: Girolamo
Benivieni; Pellefjrino Moretto; Donato Gianotti; Francesco
Gìambullari; Baccio Valori ; Bartolommeo Barhadoni; Giov.
Brevio; Giacomo Tieipolo; il card. Bembo; Benedetto dell' iva ;
Benedetto Varchi; Lodovico Beccadelii; Gabriele Tri foni;
Lodovico Castelvetro; Marcantonio Mureto; Sperone Speroni;
Francesco Sanleonini; Giulio Ottonelli; Filippo Sassetti;
Giovanni Berti ; Jacopo Corbinelli ; Celso Cittadini ; Alessan-
dro Sardi.
SECOLO XVIL
D. Carlo Barberini; Francesco Bracciolini; Federico
Ubaldini; Uberto Benvoglienti; Pomponio Torelli; Benedetto
Buommattei; Pietro Pietri, di Danzica; Carlo Strozzi; Alfonso
di Giuliano Gioia; Antonmaria Salvini.
SECOLO XVIII.
Marcantonio Mozzi; Domenico M. Marmi; Antonmaria
Biscioni; Giovanni Gentiii; Filippo Bosa Morando; Girolimo
TarlaroHi; Antomo Cocchi.
SECOLO XIX.
Giuseppe Pelli, Francesco Begis, Francesco Enrico Acerbi,
Luigi Biondi, Leonardo Casella, Mauro Ferrante: (Il testo del
Ferrante, condotto secondo la lettera principalmente di due
codici Ravegnani, venne pubblicato a' 14 Settembre 1848,
in Ravenna DXXVIl anni da la morte di Dante per i
fratelli Maricotti ; ma le nuove Chiose promesseci dal Ma-
nifesto 16 Aprile 1846, non che dal frontespizio del Testo
sono tuttavia un desiderio).- 6^/o6era* Vicenza. (Del Convento
Gioberliano, posseduto dall'Ab. Giovanni Boglino, l'egregio
COMENTATORt. 497
Ghiaia pubblicava un lodatissimo saggio nella Revìsta Con-
temporanea di Torino, Febbraio e Giugno 1857, Fase. 40 e
44). - Camillo Berini, romano. ^Conienlo ricordalo dal doti.
Filippo Zamboni. Il Berinì mancò di vita a' 16 Febbraio 18^7,
a soli venli anni ). (1)
(1) De' Francesi comentarono neUe loro traduzioni la Divina Comcdia :
Grangier Baldassare. 1S91: Moutonnct de Clairfons, 1776; il conte de
liivarol, 1783: A. F. Artaud, 1811: Enrico Terasson^ 1817: Brait de la
Mathe, 1823: /. C. Tarver, 18-20: Carlo Callemard de la Fayette, 1835:
Pier Anrjelo Fiorentino, 1840: Briseux A. 1842: Aroux P. 1842: Bhéal
Sebastiano, 1843: Ozunum A. F., 18G2-De"f edeschi: C. Streckfuss, 1824;
Lod. C. Kanìierji esser, 1823: Rodolfo Abeken, 1826: L. Ilorwarter, 1830:
L G. Diane, 1832, 1861: Giovanni Nepomuceno, redi Sassonia (Fi^aiete),
1833: Augusto Kopisch, 1837: C. Granì, 18i3.- Degl'inglesi; Enrico Boyd,
1802: Natanielle Howard, 1807: A.Taelfe, 1822: Lord Vernon, 1842:
T. Parsons. 1843: Lcight liunt, 1845; Giov. Carlyle, 1849: M. A.
Broohsbanch, 1854: Tom.Weslei, 1859. - Degli Spagnuoli : Ferdinando
de Villcgus. 1553.
Voi., li
TRADUTTORI
I. - TRADUZIONI IN DIALETTO
1811. Porta Carlo, Frammenti dell' Inferno di Dante in
dialetto milanese, col testo a fronte. - Canto i, e frammenti
dei Canti ii. iii e vu, pubblicati insieme coli' altre sue poesie,
scritte in dialetto milanese, Milano, Ferrano, 1837; Milano,
Borroni Scotti, 1844. - La prima edizione del 1811 portala
data d'Italia.
1838. Di Lorenzo... (in dialetto napolitano).
1860. Candiani Francesco, V Inferno di Dante esposto
in dialetto milanese, Milano, Salvi.
II. - TRADUZIONI LATINE
RoNTO Matteo, Monaco olivetano, nella Chiesa di San
Leopoldo di Pistoia. La sua versione latina (1381), in esametri,
verso per verso, è tullavia inedita. Vi presero parte, com'egli
stesso dichiara, Bartolommeo pisano, cav. dello Speron d'oro,
e i due pistoiesi, Michele de Casis, medico, e fra Francesco,
dell'ordine dei minori. Un magnifico codice membranaceo
di essa conservasi nella Biblioteca di Lucca. Vi hanno altri
codici in quelle di S. Genovieffa di Parigi, nella Magliabec-
chiana e Laujrenziana di Firenze. Il Tommaseo ne reca dei
saggi nel suo articolo: Dante e i suoi traduttori^ Revista
Contemporanea dì Torino, 26 Nov. 1835. Il Sfitte nella
prefazione alla versione del Piazza riporta per intero i'epi-
TRADUZIONI LATLNE. 499
sodio della Francesca di Rimini, tolto dal codice Magliabec-
chiano, per cura del pittore Kirkup. La versione Ronloniana
è detta barbara dal Witte. Miglior sentenza ne porta il
Tommaseo.
AnOxMMO, Frammenlì inediti delV Inferno in versi esamelri,
traiti dal Codice Fontaniano, pubblicati dall'Ab. Viviani, nel
Voi. Ili della sua edizione della divina Comedia, 1823.
11 Witte così ne parla : « Rontoniana paulo recentior et mi-
nus barbara videtur versio aliquot capitulorum inferni, quam
ex unico Fontaniano codice protraxil Vivìanus, cujusque par-
ticulam doclis nolis illustralam recudi curavit OrelUiis. Quam
exhibentes a refutatione eorum abstinendum credimus, qui
lios versus inconditos, sententiamque Italici carminismendose
reddentes, legitimum aliquandoAlligherii partum primosque
divinae Comoediae conatus judicaverunt: neminem enim
hujus opinionis seclatorem hodie superesse putamus. «
Salutati Colucgio, Traduzione in versi esametri. È tut-
tavia inedita, meno un brano del XIII del Purgatorio che
si legge nel suo libro De Fato et de Fortuna, riportato dal
Mehus e dal Corniani.
Della Marca \>tomo, dell^ Ordine dei Minori^ - La sua
traduzione in versi latini, sulla fede del Crescimbeni e del
Yandelìi, trovavasi nel convento di Fano: oggidì smarrita.
Giovanni di Serra valle, Vescovo di Fermo. Il Concilio
di Costanza, dice il Witte, destava in Germania le prime
scintille della divina Comedia. Ad istanza del cardinale
Amadeo di Saluzzo, e dei vescovi di Salisburgo e di Balh
accignevasi egli a dettare una versione latina ed un vasto
comenlario all' inìmortale poema, in quell'anno medesimo
in cui Girolimo da Praga sosteneva la pena del fuoco
innanzi alle porte di Costanza. Metteva mano all'opera il
primo Febbraio 1416; e compievala il 16 Febbraio dell'anno
seguente, onde per l' afl'rettato lavoro chiede scusa de
rusticana latinilate incompfaque et iìicpta translatione. Il
tempo brevissimo, speso da Fra Giovanni in sì grave fatica,
dice il Foscolo, basta a far sospettare, ch'egli a fine di
spedirsene, compilasse quante mai chiose gli erano sommi-
nistrate, e dai libri che gì' incontrava di avere alla mano,
e dalla sua memoria, e forse anche, alle volte, dalla sua
SOO TRADUZIONI LATINE.
fantasia. In falli, se lulle le cose ch'ei raccontava, non
erano deslitulle di verità, o, ron fosse altro, di tradizione,
com'è dunque che lutti i comenlalori da' quali fu preceduto
ne hanno ignorato di parecchie, e non sono stale tolte mai
alla dimenticanza da niuno di quanti vennero succedendogli
sino ad oggi? - Y. Foscolo, Discorso sul Testo, LXIII.
Anonimo, Parte del C. Y. dell' Inferno, v. 70-1 42. Tra-
duzione del secolo XY. Edidit et notis instrvxìt Jo. Caspar
Orellms, 1839. (Y. Petzholdt Calai. Bibl. Danleae, 1855,
pag.28).
Tommaseo Nicolò, L' Episodio di Francesca da Rimini,
in versi esametri, Revista Contemporanea, 1855. - Nei suoi
Nuovi Scrittici diede pure un Saggio di traduzione del \. Canio
dell' Inferno. (/)/G/o?iario Estetico, Parte antica, p. 110).
Testa Francesco, V Episodio dì Francesca di lUmini e
del Co. Ugolino non volgarizzati da Carlo d'Aquino, Padova,
Minerva, 1835. (Per le Nozze Melilupi di Soragna-Piovene).-
11 Testa tradusse inoltre i Cauli x e xxv. dell' Inferno.
(Padova, Carlalier, 1836, pubblicati nelle Nozze Piovene-Fran-
ceschinis), e due brani del Canto xi e xxxiii del Paradiso.
Questi ultimi furono già pubblicali nel 1835, e 1837; ri-
prodotti a Padova, Tip. Cartelier-Sicca, 1838. - La traduz.
dell'Episodio di Francesca fu ratì'ronlata dal Tommaseo: il
Piegadi trova nel Testa fedeltà rigorosa, eletto stile, verso
canoro.
Anonimo, Saggio di una versione latina del C- xxxiii, in
versi esametri, Modena, SoUiani, 1843.
Lebeau Carlo, Tradazione in versi latini del C. xxxiii,
dell' Inferno (Carmina latina, Parigi 1782 e 1816).
Cesarotti Melchiore, Episodio di Ugolino ( Yol. XXXIII
delle sue opere, p. 374). Fu una delle primissime prove
de' suoi progressi nella lingua del Lazio. « Per tutto fra-
granza e soavità virgiliana, proprietà di parole, sceltezza
di frase, eleganza di stile, verso fluido ed armonico, con-
servata l'evidenza dantesca ed una fedeltà giudiziosa.»
Piegadi^
Costa Giovanni, Traduzione dell' Episodio di Ugolino
(ne' suoi Giambi Senarii), Padova, Tip. Sem. 1798.
IsoNVRAi UciucciONE, MessicauOy Morie del Co. Ugolino,
TRADUZIONI LATINE. 501
Quadro dì messcr Dante AlUrjhieri, ritrailo in metro latino,
e da altri sei celebri autori. Venezia, Merlo, 1S64.
Ne fu editore l'ab. Alessandro Piegadi. Olire la bella
ed elegante versione del Nouvrai, contiene le versioni del
P. Carlo d' Afjuino, di Melchiore Cesarotti, dì Francesco
Testa, di Gaetano Piazza, di Antonio Catelacci, e l'inedita
del ragiisino Biarfio barone de Ghetaldi. Ogni versione è
accompagnata da alcune accurate e giudiziose osservazioni
critiche dell' ab. Piegadi. L'utile che si ricava da queste
versioni riunite egli si è di vedere come la lingua latina
diversamente si atteggi per esprimere i diversi concetti. -
Da ultimo vi è esposta l'opinione delNonvrai sul verso 73
del C. xxxiii dell' Inferno : Poscia più che il dolor potè il
digiuno, contro il comento di Benvenuto Rambaldi da Imola.
Dalla Vecchia Mons. Cav. Luigi, La Morte del co. Ugolino,
con prefazione, Venezia, Fontana, 1864.
Per bellezza, fedeltà, e nerbo di espressione non punto
inferiore alle più belle.
DoLFiN Gian Paolo. L'autografo della sua traduzione
inedita in versi latini esametri esiste presso i suoi eredi.
D'Aquino Carlo, Le similitudini della divina Comedia,
trasportate verso per verso in lingua latina, Roma, Komark,
1707.
— La divina Comedia, trasportata in verso latino eroico
con l'aggiunta del testo italiano, e di brevi annotazioni,
Napoli, Mosca (Roma, Pietro Rernabò), 1728. - Traduzione
fedele ed elegante. Il d'Aquino lasciò alcune lacune nel suo
lavoro, a fronte di alcuni passi che non si conveniva,
còni' egli stesso dice nella sua prefazione, di propagare a
ben costumalo e religioso scrittore. Il Witte, nella prefaz.
alla versione del Piazza, pag. xxiii, riporta l'episodio della
Francesca di Rimini, tralascialo nell' edizione di Napoli.
L' edizione veramente fu eseguila in Roma per Rocco Ber-
nabò; ma non essendosi fino allora permesso di stampare
in Roma la divina Comedia, il P. d'Aquino ottenne di pub-
blicarla con la falsa data di Napoli, come anche si rilieva
dal condizionale permesso del Maestro del sacro Palazzo
che trovasi alla pag. 13. - V. Tommaseo, articolo citato. -
Di essa così parla il Witte : Cui operi etsi lidei, non lamen
502 TRADLZIOM LATINE.
eleganliae laudem negaverunl utriusque linguae periti
qui lalinam quuiìi facoret divinam Comediani, aemulalioni
elegantiaruni Nasonis plus aequo dederit. Il Piegadi chiama
la versione del P. Aquino stemperala paraholosa e noievole ;
nondimeno dice la sua latinità attinta alle classiche fonti,
e ci trova specialmente assai del fare facile fluido ed ar-
monioso di Ovidio.
Della Scarperia Cosimo. Morì nel 1778. L'Autografo
inedito si conserva nella biblioteca del Seminario di Firenze,
a cui fu donato da Antonio Dall' Ogna, Pievano di San
Giovanni Maggiore in Mugello. Alla traduzione precede la
dedicatoria a Mylord Nassau Clavering, conte di Co w per
e Pari della Gran Bretagna. La società Colombaria fece
stampare il primo Canto nelle sue Memorie storiche, Firenze,
tip. Albrizziana, 1803. - Nel Poligrafo di Milano, 23 Mag-
gio 1813, fu pubblicata la versione del Y. dell'Inferno. È
pure uno dei traduttori raffrontali dal Tommaseo nel
citato articolo. Il Witte chiama la versione dello Scarperia
<■( elegiacis versibns non ineleganter composilam, et sen-
tentiam auctoris accuratius quam illa Caroli Aquinatis
reddentem.
Carli Ab. Giovanni Girolimo, Saggio di una traduzione
in esametri latini. - Lavoro inedito, citato dal S."" Lorenzo
Ilari, nel suo Indice della biblioteca di Siena.
Catellacgi Antonio, L'Inferno di Dante, ossia la prima
Cantica, tradotto e schiarito a senso preciso di frase in
altrettanti versi eroici latini, Pisa, Prosperi, 1819.
Il Catenacci cominciò la sua versione nel Feb. 1817;
la compiè nel marzo 1818. - Fu pure raffrontata del Tom-
maseo - « Ultra Infernum, dice il Witte, versio non est
pregressa, ncque eorum tulit suffragia, quibus bis de rebus
sententiam dicere competit.» - Atto Vannucci però non nega
a questa versione bellezza di frase latina, chiarezza del dire,
versi sonanti, intelligenza di testo.
Piazza Gaetano, Quinque capitula ex Purgatorio Dantis
lalinitate donata, Vicetiae, Longo, 1844.
— Dantis Alligherii Divina Comoedia hexametris latinis
reddita ab abbate Dalla Piazza Vicentino, praefatus est et
vitfnm Plazzae adiecit Carolus Witte antecessor Ualensis,
TRADUZIONI LAThNE. o03
Lipsiae, 1848, sumplibus Joan. Ambros. Barlh, lypis J. B.
Hirschfeldii.
N. in Schio, il 31 Luglio 1768; m. in Vicenza nel 1844.
L'opera maggiore del Piazza, alla quale si raccomanda
meritamente il sno nome, è la traduzione latina della divina
Comedia, intrapresa con ardore giovanile nell' anno sessan-
tesimo dell' età sua. In essa cercò conforto alle noie ed
agli incomodi della vecchiezza ; per essa fece nuovi e più
severi studii sopra Virgilio, spigolando ogni frase ed ogni
parola che rispondesse al bello stile di Dante che dal gran
Mantovano lo tolse; e molte cose pure ripescando in Lucre-
zio per quel che riguarda in modo speciale il linguaggio
scientifico. Consultò a voce e per lettera i dotti suoi amici
suir interpretazione più chiara di alcuni passi ; ne fece
argomento a dotte e piacevoli conversazioni : visse in somma
gli ultimi anni tutto in questo lavoro, e l'ultimo suo desi-
derio fu che fosse stampato per comodo degli studiosi . . .
Dal Piazza ricavasi quanta parte di Virgilio sia nello stile
di Dante... La tempera dello stile, il colore, il numero è
tutto diverso. Parla più conciso assai, scolpisce più che
dipinge: ha la parsimonia virgiliana ma più severa: de-
genera quasi in avarizia. Dante disse di togliere da Virgilio
lo stile, e non d'imitarlo; toglie gli elementi coi qual'
formare uno stile che fosse suo, penetrare nella midolla
di queir autore ammirabile, non imitarne le parti più
appariscenti, e sembrare eco ed imagine piuttostochè voce
viva ed emulalrice. Dante ha tolto da Virgilio le parole,
le frasi ed ì modi, tutti gli elementi insomma di una
limpida, elegante, pittorica elocuzione... Edora più d'ogni
altro lo dimostra questa traduzione del Piazza, nella quale
questo artifizio mirabile del gran poeta si manifesta, e si
spiega più chiaramente che non siasi fatto fin ([ui qual
sia "il significato vero del bello stile che Dante dice d'aver
tolto dal Mantovano. Quindi é che grande utilità ti si può
ricavare per lo studio delle due lingue da questa dotta ed
elegante traduzione, la quale, ultima per il tempo della
pubblicazione, non dubitiamo di chiamare primissima per
la fedeltà ed eleganza, e per questo merito, superiore ad
ogni altro, di far conoscere passo per passo quanta parte
504 TRADUZIONI LATINE.
dell' elocuzione virgiliana avesse messo Danio nella Come-
dia. Onde non parrà esageralo quanlo scrisse Carlo Witle
nella Prefazione cilala (xxvi) dove, dopo aver recalo le
traduzioni latine fatte da vari del famoso tratto della
Francesca da Rimini così conclude: « IIos complurium
saeculorum conalus inler se conferens, lector, intelliges,
Piazzae conversionem non infclicibus ausis utramque con-
seclatam esse laudem, tam lìdei quam casti sermonis, nec
a superioribus saeculis nostro praereplam palmam esse
judicabis. » Ed Ambrosio Barili aggiugneva : « Is enim vir,
studiis humanitalis ac literarum eleganlium perpoliliis, nihil
omnino praetermisil, quod ìnterprelationi lalinae suae vir-
lutem dignitalemque vindicaret, qua ad oplimorum carmi-
num auctoritatera accedere viderelur. Superavit sane illud
Propertianum m maf/nis voluisse sat est, ncque, ut Horatii
verbis utamur, onus suscepit, quod liumeri ferre recusa-
renl... Niliilo tamen minus, qui est hominum vituperandi
prurilus, erunt, qui eum hic illic sibi minus satisfecisse
conclament, qui hoc ìllove versu minus numerose sonante
miuusque aple cadente offendantur, qui liane illamve verbo-
rum conslructionem nimis obsolelam, inusitatam, placitisque
gramaticorum minus convenienlem in judicium vocent et
damnent, qui adeo aliquid barbarismorum, qui dicuntur,
sapere singula aulument. Hi sì bene circumspexerint et
paulisper consideraverint, longe diftìcillimum esse et in
verbis et in sentenliis, quantumcunque fieri polest, poetae
recentioris aevi in linguam latinam transferendo servare
fidem et eadem opera emendate elegaalerque loqui ; iidem,
inquimus, si perpenderint et secum reputaverint, ipsos viros
doclissimos linguaeque lalinae peritissimos, in pangendis
polissimum carminibus, fere nunquam satis tulos esse, quln
quid in sermonem purum atque emendatum peccent, eique
inopinantes alieni quiddam et ipsorum linguae palriae pro-
prii immisceanl, non solum aliquantum de severilate ani-
madversionis suae remillent, sed eliam intelligent, Piazzam
perbene probavisse, ad res diversissimas traduci posse
linguae lalinae ingenium; quid, quod admirabunlur, Profes-
sorem Yicenlinum in via ardua et piena periculorum tam
bene stetisse, tantis difficuUalibus impedilum rem suam tam
TRADUZIONI FRANCESI. 505
forlilcr gessisse et gloriosam quandam victoriam reportasse »
(xxxviii - xLi - Y. iv). Il Bath iutUolava questa versione
Principi Serenissimo Joanni Duci Saxoniac ariium lellera-
Tumque cultori et patrono summe venerabili.
III. - TRADLZIOÌSI FRA^CESI
1591. Grangier Balthazard, La Comédie de Dante, de
r Enfer, du Purgatoire et Paradis, mise en ryme francoise
et comentèe, Paris, Ges&elin, 3 Voi. in 12."
Prima traduzione francese a slampa, dedicata al Re En-
rico W.-UIievue des deux Mondes (iNov. 1840, p. 437) ne
reca questo giudizio : « Le bon abbé Grangier s' est arrangé
pour traduire vers pour vers, et mot pour mot. Quand il
il ne peul pas traduire, il fourre tout simplement le passage
italien dans son vers, et il continue. Ce qui fait qu' il est
aussi simple de cherclier le sens de Grangier dans la divine
Comédie, que le sens de la divine Comédie dans Grangier. »
E San Renato Taillandier: Chez nous, la traduction en rimes
francaises de Baltliazar Grangier (1591), malgré ses gràces
naives et l'inlérét qui s'y attaché; n'éiait guère de nature
à populariser le grand Florentin. - Le noie, secondo VArtaud,
sono chiare e piene di utili notizie, ed ei non dubita di
chiamarle eccellenti. [V.Revue des deux Mondes, 1841, 1 Oct. ;
Demeulin, l'Artiste, 1857, Juin).
1776. MouTONNET DE Clauifons, La Divine Comédie de Dante
Alighieri, L'Enfer, Troduction francaise, en prose, accom-
pagnée du texte, de Notes historiques et critìques et de la
vie du poete, Paris, Le Clero et Le Boucher, in 8.*^
Questa versione viene così giudicala dal Labitte nella
Rédue des deux Mondes (1840, xxiv, 457) : Son procède est
encore plus simple. Au moins, quand Grangier ne comprend
pas un mot italien, il le met tei quel dans sa traduction,
s'en rapportant à la grace de Dieu et à l'intelligence du
lecteur. M. Moutonnet lui n'y fait pas tant de fagons, line
met rien du toul; seulement il fait une nòte, pour dire que
la difl'érence du genie des deux langues l'a empéché de
traduire le passage sauté. - E l'Artaud; L'auteur avoit lu
506 TRADUZIONI FRANCESI.
altentivement soii poète, et il le prouve souvenl, mais
quelque cliose de puissanl, d' energique, d' anime a ce
traducteur, qui obliiil cependant des siiccès, devanl les
quels Rivarol, aussì admirateur de Danio, déclare qu'il ne
pourait pas dormir.
1777. Watelkt, Traduction en prose lìe l épisode r/' Ugolln
(Pubblicala dal Marmontel, nella Poélique frangaise, Liège,
V. Y. p. 35):
1783. RiVAROL De ... . L'Enfer, traduction notivelle en
prose avec notes, Paris, Merigol el Barrois, in S.**
a Rivarol de spiriluelle mémoire, est un traducteur du
Danle fori rldicule. Le 18.*^ siede avec ses prélentions phi-
losophiques el son érudition plus que superficielle, ne pouvait
pas comprendre l'oeuvre profonde et théologique de Danle ;
il s'en moquait: c'eut été bìen s'il ne s'était pas avisé de
la traduire; mais quelle traduction, bonDieu! Cesi unechose
à la fois triste et comique de voir Voltaire el Rivarol donner
des lecons de bon góul à l'auleur de la Divine Comédie.
Tanlòt il trouve que les noms des démons soni mal sonnants,
tantòl il renvoie Dante au Dictionnaire de la Fable, ne
comprenant pas, le pauvre homne! que le sysleme mylho-
logique de Dante s'écarte à dessein des tradilions payennes,
parcequ' il rentre dans la théorie donnèe par les Pères sur
l'origine du Polytheìsme. » [Revue des deux JUondes, art.
cit.) - Ben allrimenli ne giudicarono l'Arlaud e Saint-René
Taillandier: Elle est tres recherchée, sentenzia V Artaud: il
y a des morceaux remplis de moeuvement, de style de
hardiesse, d'estro ilalien qui font beaucoup d'bonneur a
Rivarol. E Sain-René Taillandier, art. cit.: Nolre XVII.®
siede a ignoré Danle, le XYIII.*^ s'en est moqué par la
bouche de Voltaire, et Rivarol le premier, à la veille de la
revolution, a devine l'originalité de son style, la puissance
de son vers, de ce vers ([ui se tieni debout par la se ale
force du substantif et du verbe, sans le concours d'une
seule épithète. - Le noie che Y Artaud chiama dotte sono
tolte in gran parte dal Comento Venturiano. - « Les belles
infidèles, dites classiques, doni Rivarol offrali le type. »
Rhéal Préface.
1796. CoLBERT d' EsTOUTEViLLE, La Divine Comédie de
TRADUZIOM FRANCESI. 507
Dante Alighieri, contenant la descriptioìi de l Enfer, du
Purgatoire et du Paradis, Paris Sallior.
Pul)blìcazlone postuma, in prosa: la versione è tenuta
inesattissima e di poco rilievo.
1085 Carrion NisAS, Traduction en vers du chant V de
VEiifer du Dante (Magasin Encyclopédique parMillin; Mo-
niteur Universe), 1805, IS. 226.)
Il Bridel l'appunta di poca fedeltà.
1805. Bridel Louis, Traduction envers franraisdu Y. Chant
de V Enfer, lìasle, Haas.
11 Bridel, nella lettera che precede questa versione, ac-
cenna di aver per intero compiuto quella dell'Inferno.
1811. Un Membre de la Soc. Colombaire de Florence
{Artaud de Montor), Le Paradis, poème de Dante, traduit
de ritalien, précède d'une introduction, de la vie du poète,
suivi de j\otes ewplicatives pour chaque chant, ecc. Paris,
Treuttel, et Wurtz. in 8.«
1812. — L' Enfer poémc de Dante, Paris. Smith, in S.''
181-3. — Le Purgatoire, poéme de Dante, Paris, Blaise,
in 8.« - II Edition, Paris, Firmin Didot, 1828-30; III. Id.
Paris, Firmin Didot, 1845.
«Une traduction en prose ne saurait reproduire l'ori-
ginai avec autant de chaleur et de vie qu'une traduction
en vers ; mais elle a beaucoup plus de moyen d'étre lìdéle ;
et, dans l'ètat actuel de la langue et du góut elle peut
trouver, dans cetle lìdélilé mème, des sources nombreuses
d'energie, d'originalité et de couleur locale. - L'Auteur de
la traduction que j'annonce n'a point fait, pour se rappro-
cher de son modéle, tout ce que nolre epoque lui permettait
ou plutòt tout ce qu'elle exigeait de lui. Son ouvrage, il
est vrai, a été publié, pour la première fois, il y a dix-
sept ans, on concoit qu'il doive porter l'empreinte da
goùt timide de la période de l'empire; mais, des ce temp-là
méme, le traducteur pouvait, loul en s'eloignant des mots,
demeurer fidèle au sens du texte, et c'est ce qui il n'a pas
toujours fait L'inexactitude du traducteur consiste
souvenl, ainsi qu'on l'a, déja vu, dans le periphrases qu'il
substitue aux mols propres employès par Dante Je ne
doule pas que M. Artaud ne se soit livré à des docles et pè-
408 TRADUZIONI FRANCESI.
nibles études pour iroaver des équivalenls de loutes sorles
aux expressions sans nombre qui dans le Dante lui ont
paru ou Irop simples, ou Irop crucs, out Irop ligurées. Eh
bien! qu'il fasse un elTort de plus; que, revoyant sa Ira-
duction d' un ceil sevère, il mette à contribution loutes
les ressources actuelles de notre langue pour se rapprocber
du sens, du tour et des niots du texte, dans les nonibreux
passages, ou il s' en est éioigné » Chauvet, Revue
t!nGyclopedique, Mai, 1829. - La traduclion de M. Arlaud
qui a de la répulation, et qui lui a couté 24 années de
ti'avaux, conslitue la plus grande déception de sa vie ; ea
general cette malheureuse traduction ne traduit rien de
loul que les idées de M. Artaiid, qui ne sont pas ordinai-
rement celles de Dante. Ajoutons qu'il y a des hérésies pour
faire bruler cent fois M. Artaud, si Tlnquisition exlslail
encore. Nous n'exagérons rien en affìrmant du fonds de
nótre sincérité de nótre loyaulé, que nous ne savons par quel
bout la prendre, et à quels exemples donner la préférence,
afin de justitìer ce que nous avauQons - ... Tout cela ne signifie
pas que M. Artaud soit un homme sans mérile, mais outre
que la traduction du Dante était une tache difficile, c'était
encore une oeuvre en déhors de l' intelligence de son temps.»
Revue des deux Mondes, art.cit. - AU'Artaud non bastarono
le simpatie del Medio Evo, per impossessarsi di Dante, e non
tolsero che la sua non restasse una perafrasi accademica.
Crepuscolo, Gli studj italiani in Franeia, 15 Luglio, 1855.
1817. Terasso.^ Henri, L'Enfer, poème de Dante, traduction
en vers francais, avec Notes, Paris, Pillet, in 8.°
L' Artaud intitola il Terrasson : poete tres distincfué.
1820. Le Clerc Joseph Victor, Traduction en vers fran-
gaìs des èpisodes de Froncoise de Rimini et du Comte Ugolin.
{Nel Lycée francais, Parigi, 1820.)
1823. Brait de la Matue M., Traduction en vers de
l Enfer de Dante d' dpres le nouveaux Comentaires de Bia-
gioli, avec le texte en regard, et enrichie d' un Discours sur
le Dante, de Notes littèraires et historiques, et d'un pian
geometral de V Enfer, Paris, Bossange.
Non fu troppo felice l'esperimento. - Y. Revue Encyclo-
pédique, XXI. 419-20, l'articolo dettato da A. Salfi.
TRADUZIONI FRANCESI. 509
1826. Tarver I. e. LEnfer de Dante traduìt cn francais,
accompafjné de ]\oles expìicatìves raisonées et historiques,
siiivi de Remarques qénérales sur la vie de Dante et sur les
faclions des Guelfes et des Gibelins, Londres, Dulau, in 8.°
Al legji^ere il poema di Dante, dice il Tarver, prima ne
ebbi disgusto, poi un nuovo spettacolo si ofTii al mio sguardo
e si dissipò quella nebbia che mi ascondeva scene impor-
tantissime, alti sensi e pieni di buona moralità, concetti
ardili, fatti storici di sommo interesse, idee peregrine del
cuore umano, quanto nuove tanto maestrevolmente delineate,
ed io mi trovai padrone di un vasto campo, ove ogni spiga
che raccoglieva era per me una sorgente di piacere e di
gioia. - Il lavoro del Tarver può meglio considerarsi come
una dichiarazione in prosa francese dei sensi del poeta
firentlno onde rendere più piana l'intelligenza dell'originale.
Sotto questo aspetto è lodevole il disegno e 1' esecuzione.
?sel secondo volume vi anno le 'dichiarazioni concernenti
alle idee morali e lìlosofiche dell'autore, ai passi storici e
alle persone di cui si parla nella Comedia. A meritare lo
applauso degli studios! gli vaglia il lungo studio e il grande
amore che gli han fatto cercare il sommo volume. - .le ai
lu, dice VArlaiid, la traduction di M. Tarver; elle est fidèlc,
et, quoique l'auteur ne soil "pas francais, il s'exprime tres-
élegamment dans notre langue.
1829. Deschamps Antony, La Divine Comhlie de Dante,
trad. en vers francais, Paris, Gosselin.
^'on è che la traduzione dai Canti i. ii. ni. v. xv. xix.
\x. XXI. xxiii. x\v. xxxiii ìMV Inferno; dei Canti i. u. vi.
IX. x. XI del Purgatorio, e dei Canti v. vi, xv. xvn e parte
del XXV del Paradiso. - « Le traducteur nous avertit que,
pour rendre le style du Dante, il n'a poinl choisi cette
langue courtisanesque qui serait dèplacée raéme dans une
traduction de Yirgile. - Locutions dantesques, répétitions des
formes, expressions latines, nous avons, dit-il, tout reproduit
scrupuleusement ; comme en faisant une traduction de l'Ilia-
de, nous aurions respecté les épithètes sacramentelles et ces
belles manières de dire homèriques (jui donnent tant de
caraclère au slylc. Donc, toutes le fois que notre tra-
duction parailra inexacle, ce ne sera point système, mais
510 TRADUZIONI FRANCESI.
ìmpuissance, car nous ne sommes pas de ceiix qui croieul
avoir le droit de changer et de mulller les graiids auleurs,
le tour et la concision poétiques à la paraphrase prosaìque.
En un mot, nous n'avons janiais transporté le conienlalre
dans le texte, et nous nous sommes livrés en tonte conlìance
à notre poète, marchant quand il marche, nous arrétanl quand
il s'arréte et le suivant pas a pas, comme lui méme sui vani
Yirgile dans son fatale voyage - Ce systèmc de traduction
serait fort bon, si en francais il était praticable. Malheu-
reusement le conlraire n'est pas douteux pour quiconque
a une connaissance approfondie des deux langues et par-
ticuliérement de celle que le Dante a parlée... Vivement
épris de son modéle il a quélquefois réussi, au delà de
loute espérance, à reproduire ses beautès... Je n'insistcrait
point sur le longueurs et sur le autres défauts de.cette
version. Il en est un qui les domine tous: e' est l'absence
des presliges de l'originai, e' est la simplicité prosàique. »
Chauvet, Revue Encyclopédìque, Avril, 1850. - « En 1829
Peschamps a donne les premiers modèles de la couleur dantes-
que. Jihéal - « Cetle traduction a donne du Dante une idée
plus exacte que pas une autre en prose. « Hatisbone. - Il
Deschamps ed il Barbier si lanciarono in pien colorito ihn-
iesco. - Crepuscolo, Gli studj Italiani in Francia, 15 Luglio,
1855. - « Quelques fragments trop peu nombreux de M.
Antoni Deschamps avaient donne 1' exemple d' une fidélité
énergique ethardie.» - Saint-René Taillandier, Revue des
Deux Mondes, 1 Dee. 1856. p. 516. -V. Lecretelle, Globe,
1830.
1831. De GoiRBiLLON Josepu Antoine, Dante, trad. en vers
francais par stances correspondantes aux terzets lextuels, sur
un iexte nouveau quant au choix des varianles et au mode
de ponctuation, L' Enfer, Paris, AuiTray, in 8." gr.
Il Gourbillon spese intorno al poema di Dante venti anni
continui di studio; consultò tutti i comentatori da Boccac-
cio sino a Viviani, esaminò quanti codici e quante stampe
potè avere ; e ninna fatica gli parve troppa che lo potesse
condurre a formare, con quanto più di certezza fosse pos-
sìbile, il vero testo di tutti i luoghi dubbiosi delle cantiche.
Poi volle rendersi capace aCTatto dei pensieri del divino
TRADUZIOM FUAiNCESI. 511
poeta, volle farli suol: tradusse lutto l'Inferno in prosa,
parola per parola. Questo lavoro di molta difficoltà e di
pazienza maggiore, gli fece conoscere quanto male consiglialo
si fosse di afiidarsi, come pur si affidava da prima, troppo
facilmente ai conienti, anche dei migliori; e quanto ingan-
natrice torni spesso l'autorità, anche dei gran nomi, in
particolare nella critica. Ne trasse poi il vantaggio inesti-
mabile che nella traduzione in versi della suddetta cantica,
non ebbe a lottare, che contro gli ostacoli (grandissimi)
della lingua poetica francese, non più contro a quelli d'in-
intendere il suo originale. Gourbillon arricchiva la sua tra-
duzione : I. Di considerazioni preliminari sopra Dante, il suo
poema e i suoi comentatori, con una tavola sinottica delle
divisioni generali e particolari dell'Inferno: li. Di un cata-
logo cronologico dei principali comentatori da Gio. Bocaccio
lino al Biagioli ed al Yivianì : III. Di un analisi ragionata
sopra ciascun canto: lY.Dcl testo dell'Inferno, colla versione
a fronte in quartine corrispondenti a ciascuna terzina dell'ori-
ginale: IV. Di note e comentarj sul testo. -Q. Viviani, l'U-
goni, il Giannone, il Bianchetti, il Marchangy tennero in
pregio questa versione. \. Antolo:iia di Firenze, XXIII, 62;
Politjrafo di \erona, VI II. 435.
1833. Maggiolo L., Trois chants choisis de la Divine Co-
médie de Dante AWiliicri, avec des i\otes, et une nolice sur
sa vie et ses ouvrages, Traduction interlinéaire dn 3.® Chant
de L Enfer, Luneville, Creusat, in 12."
183o-37. De la Fayette Calemard Cuarles, L' Enfer, tra-
duit en vers francais, uvee le texte ilaìien en regard, une
Prèfaee et des ÌS'otes da traducteur, Paris, L'Auteur, 2 voi.
18-36. Dumas Alex., Traduction en vers (rancais du Chant
1. de l' Enfer, avec lA'otes. (Nel Yol. Y della Revue des
deux Mondes, p. 53y-4i: fa parte d'un articolo che s'inti-
tola : (luelfes et Gihelins.
1837. BouLLÉE M. Fraf/menls d'une traduction de Dante,
Épisode du Corale Vgolin (Mémoires de la Société accadé-
mique de Savoie), Chambery, Puthod, 1835.
1837. Le Dreuille A. La Divine Comedie de Dante Ali-
qhieri, Enfer, traduction nouvclle en vers librcs, Paris, De
Faiu.
512 TRADUZIONI FRANCESI.
« Il Sig/ Dreuille non si è obbligalo a vcrun metro,
il che se forse aslraltamenle potrebbe parer non lodevole,
nel fatto crediamo che abbia contribuito non poco alla
bontà delia traduzione. Essa è una delle più fedeli che noi
conosciamo, cosi pei concetti, come per lo spirito generale
del poema.» Bìblioleca Italiana, Luglio, 1830. - Le Revue
dei dcux Mondes la giudicò con queste poche parole: «M.
Le Dreuille a mis la Divine Comédie en couplets aux quels
il ne manque qu'un air.» \. Bibl. Genève, xvii 312-313.
1838. MoNGis J. (procureur general pris la cour imperiale
de Dijon) Dame Aìlifjhieri, L' Enfer, poème traduit en vers
alexandrins, Paris, Barba, in 8.^ - L' intero poema, Dijon,
Peutet - Pommey editeur; Paris, Hachetle, 1857, (Edizione
magnifica ).
« Le traducteur, cosi il Mongis, ne doit tendre qu' à
s'effacer. Qiiand, à l'aide d'un travail lout à la fois
pénible et charmant, il est parvenu à faire revìvre son
modèle, à le faire admirer, comme il l'admire, aimer comme
il l'aime, sa tàche est remplie, son ambilion satisfaite. Plus on
l'oublie, plus il est heureux et fier; sa gioire est d'entendre
dire en lisaiit: Dante était un grand poele. J' ai donc été
tres-sombre de commenlaires: ne prenant la parole dans
quelques notes rejetées a la fin du poéme, que pour faire
mieux ressortir quelque beante cachée; eclaircirun passage
obscur, hasarder parfois une critique respectense ce n'est
pas que 1' épreuve ne fiìt pour 1' auteur bien rude et bien
perilleuse . . . . Ahi! quanto a dir qual era è cosa dura.
Traduire un poeme en vers, c'est, je le sais, un crime
devant notre epoque Unissant, aulant qu' il ra'a été
possible, une rigoureuse exactitude à une élégance sobre
et sevère, laissant loujours sentir sous un vélement em-
prunté les formes pures ou les fiers contours du modèle;
dissimulant, mais sans les effacer, sous les plis de sa robe
nouvelle, les couleurs trop tranchées qui feraient tache aux
yeux de notre epoque m'attachant à conserver dans l'en-
semble les allures, l'accenl, l'esprit, le parfum de l'oeuvre
ce je ne sais quoi qui s' appelle la physionomie et qui
constitue la rassemblance, qui n' est pas dans les traits du
visage mais qui est à la régularité des formes ce que la
TRADUZIONI FaANCESl. J)13
gràce est à la beante cherchanl enfili et surtout à n'oùblier
janiais que je dévais falre adinirer Dante non pas à des
Italiens du XIV.^ siede mais à des Fran^ais du XIX.^ el que,
suivant un excellenl précepte: Sur le ton des Francaìs il
faut chanter en France. » Préface.
1840. FiOREMiNO Pier Angelo, La Divine Comédie de
Dante Allighieri, traduction nouvelle accompagnée de J\oles,
Gosselin, in 18 - Riprodotta dal Gosselin nel 1843; dal
Passigli, Florence, 1846; dall' Ha chette, Paris, 1861.
« Vu toules les dificullés de langue et les difficullés
d' idées qui se présentent à l'entrée du poeme du Dante,
nous félicitons la liltérature francaise de l'ceuvre remar-
quable dont M. Angelo Fiorentino vient l' enrichir. Il faut
qu' il ait fait une étude bien approfondie de la langue
italienne pour avoir compris à ce point le sens littéraire
du Dante, et il faut encore qu'ìl ait fait une étude bien
plus approfondie des grandes el sublimes matières qui sont
Irailées dans la divine Comédie, pour en avoir à ce point
rendu le sens mora!. Les notes précises et claires, qui
accompagnent la traduction, décèlent un homme d* un
esprit droit, et bien sur de lui méme. « - Revue des deux
Nondrs, ISov. 1840. - Teotìlo Gautier, scriveva nella sua
prefazione: VAroux portait dernièremcnt aux nues la ver-
sione del Fiorentino. - Il Fiorentino, in una versione in
prosa, restiluì il genuino senso del poema che l'Artaud
avea palliato del paludamento dei Classici. - Il Crepuscolo,
artic. citato. - V. Montéqul, Revue des deux Mondes, Vò
Nov. 1861.
1842. Briseuk a.. La Divine Comedie, traduction { in
prosa) Paris, Charpentier, in 18; II. ed. Paris, Charpentier,
1847.
« Il Briseux, nella pregevole sua traduzione, delle mi-
gliori che mai si posseggano, ha evitato accortamente quelle
iperboli che son di sermone; se non che seguendo egli le
tracce del signor Fiorentino, che restituì alla nostra lingua
il suo stretto senso al poema di Dante, si è un po' troppo
abbandonato a questo nuovo metodo di traduzione, in cui,
mirando solo alla fedeltà letterale, si propone l'insieme
delle parti, lo spirito della parola, e trascurasi la grandezza,
VOL. II. 33
514 TRADUZIONI FRANCESI.
il immero, l'energia, tulio in somma che consliluisce il
carallere generale dello siile. Del reslo noi non sapremo
mai troppo lodare V ingegnoso interprete della sagacia e
dell' inlendimenlo poetico eh' ei pose in questo lavoro. -
Labìtte, Biografi, e Traduttori di Dante, \. Revue des deux
Mondes, 1 Olt. 1841. - Briseux spinse allo scrupolo l'osser-
vanza letterale, pago di rendere le membrature, a scapilo
qualche volta dell' assieme. - Crepuscolo, articolo citalo. -
« L' auteur de Marie, dans une prose sobre, nelle, tour à
tour énergique et charmante, suivit le voi du poèle depuis
le malebolge de VEnfer jusqu'aux conslellalions dnParadis.» -
Saint-René Taillandier, ari. cil. p. 51 6 - Anche Saint-Bcuve
dà molle lodi alla versione del lirìseux. - De toutes les
traduclions que nous avons pu comparer, celle (de M. Fio-
rentino) est encore la seule qui unisse à un égal degré
la ciarle et la fidelilé, et qui presente ce que j' appellerai,
faule d'un aulre mot, un large et facile courant de lexte.
Ce soni là des mérites qui on élé Irop ignorés des tradu-
cteurs de ce grand, mais difficile et parfois énigmalique
poèle. Fidèles Ils soni obscurs; clairs, il soni infidèles.
Un des meilleurs et des plus zélés, notre poèle Auguste
Brizeux, ne parvient pas, malgré lous ses efforts, à créer
ce courant de Iraduclion doni nous parlons, et ne fait
guère que des renconlres heureuses; une ligne d'une vul-
garilé plus que prosaique termine la Iraduclion poetiquement
commencée d'un tercel; des expressions vives, senlanl leur
poèle et rendanl a merveille Ielle ou Ielle image. Ielle ou
telle épilhete du lexte ilalien, se trouvent enchàssées dans
des phrases languissantes et monolones à force de fidelilé,
si bien que celle Iraduclion, Irès poèlique par les détails et
souvent Irés méritoire, donne l'impression que donneraient
quelques rares bijoux brillants dans un bric-à-brac de maus-
sades objects de plomb et d'étain. Montégut, Revue des
deux Mondes, 15 Nov. 1861. p. 4116.
1842. Aroux P., La divine Comèdie, Enfer, Purgatoire,
Paradis, tradiiite m vers, avec le texte en regard, accom-
pagnée des ]\otes et eclaircissements, Paris, Monlanier, 3 voi.
in 12.^ - La Comèdie de Dante, Enfer, Purgatoire, Paradis;
tradiate en vers, selon la lettre et commentée selon T esprit.
TRADtZIOM FRANCESI. ol5
sutvle de la de f chi ìantjcKje symbolique des fidèles cV Amour,
Paris, Renouakl, 1857.
«Cesi lout aii plus si nous aurons droit au tilrft plus
modeste de versificaleur, et encore ne sarait-ce pas sans
liavail, cai* il est Ielle tercine qu' il nous a fallu reniettre
maintes fois à la fonte, puis liraer, clseler, polir et retoucher
à plusieurs reprises. Quoi qu' il en soit, il n'est pas que,
dans quelqu'une de ses parties, nolre version rimce n'ait
à trouver gràce a des yeux indulgents et à fournìr la preuve
à ces critiques dilettanti qui se retranchent derrière le
tableau de Scheffer, nous refusent, en dernier ressort, toni
sentiment poélique, que nous n'en somnies pas entiérement
dénués. » - Aroux, Preface. - « Dante est un franc-macon.
Il parie un langage inlelligible seulement aux initiés. Yous
avezcru lire l'cBuvre d'un chrétìen bardi qui juge les papes
et les cardinaux, les empereurs et les peuples au noni de
la loi du Cbrist; vous étes tombés en extase devant le
manucl de U franc-maconnerie au XIY.® siècle. En fa(?e
de l'églìse du Cbrist s'agite dans l'ombre une église béré-
tique, nianicbéenne, à la fois mystique et sensuelle, la mon-
slrueuse église des hérétiques. Dante esipusleur de V église
alhi(jeoise dans la ville de Florence. Vous demanderez les
preuves de cette accusation ; l'auteur de ce beau systènie
a un procède bien simple: il ne prouve pas, il affirme. Assis
sur un tribunal infailiible, il fall des révélations et prononce
des oracles. Pour apprécier Dante, il a lu tous les livres
de franc-maconnerie, et, preparò de la sorte, il retrouve
à chaque vers les diableries dont il a meublé sa cervelle.
Yirgile dit:w Je suis Lombard. «0 impudence! le Yirgile
danlesque proclamo lui-méme ses accointances avec les
Albigerois de la Lombardie : ìlabemus confitentem reiim. Toutes
les argumentations sont de cette force. Est-ce une gageure?
est-ce une bullonnerie ? ?son, la cbose est sérieuse. M. Aroux
a fait beaucoup de recberrbes sur la litléralure italienne;
mais sa monomanie le suit partout, et ce, qu'il a lu, il l'a
lu de travers. Ce qu' il y a de plaisant, e' est qu' il veut
absolumenl que nous lisions comme lui. Après avoir fait
une réquisitoire contre Dante révolutionnaire et socialiste,
il a fait une traduclion de la Divine Comédie (et quelle
516 TRADUZIOM FRANCESI.
Iraductioii, bon Dieul) avec des noles qui Iraveslissent
chaque scène. Ce n' élait pas encore assez: il a compose
un diclionnaire de Dante où lous ^ies mots employés [)ar
le poéte prennent un sens diaboliqiie. L'auleiir dit le pam
des anges ; lisez la doclrine sectaìre. Il dit Beatrice; lisez
la foi sectaìre. 11 dit le soiiverain bien; lisez le Dleu
sectaìre. A l'aide de ce léger changement, vous com-
prendrez la Divine Comédìe. Dante décrit un arbre pare
de feuilles et de fleurs, e' est un Albigeois; un arbre
mort, e' est un catholique. Il peìnt une forét, il parie de
l'hiver, dii froid, de la nuit, de la mort; autant d'injures
contre le catholicisme. Il cite le nom du seigneur de Ve-
rone Can Grande della Scala ; vous croyez qu' il parie de
son ami et de son hòle? Délrompez-vous; il est question
du khan des Tartares. le chef mysterieux des Albigeois et
des franc-magons orientaux. Tout est bon pour accabler le
malheureux poète; l'indignation de l' accusateur est armée
de calembours. » - Saint-René Taillandier, La lìtterature
dantesque en Europe, Y. Revue des Deux Mondes, 1.® Dee.
18o(), p. 513. - V. Glorn. Arcadico, fase. 92, p. 312-322. -
V. Prof/resso di Napoli, 1842, fase. 59.
1843. Rhéal Sebastien, [di Cesena) Les Oeuvres de Dante,
traduiles en prose rytmique, Paris, Lavigne. - Avec des notes
d'après les meilleur^ commentaires par Louis Barre, ilhi-
stration par Antoine Etex, Paris, J Bry Ainé, 1854, 1 voi.
in 8.° (imprim. Lacour).
Ecco r intendimento del traduttore. «Nous avons eu pour
but de reproduire à la fois dans toute la mesure du possible,
avec le sens litteral rationel, la forme, la couleur etl'har-
monie, les trois parties capitales dont se compose tout livre
compiei, tout vrai poète. L'auleur des trois cantiqucs, on
le sait, présente des difficultés inouies à une iransplanlation
intégrale: son tour concis et brut, son mélange de ihéo-
logisme et de symbolisme, la langue exceplionelle qu' il
s'est crée, ses obscurités fn'quenles, son ascension perpe-
luelle par tercels, voritable rocher de Sysiphe, forcent le
Iraducleur à subir toules les angoisscs. Malgró ma sim-
pathie pour le verbo des rauses, je ne pouvais esperer y
reunir les quatre conditions essenlielles, ni surtoul le popu-
TRADLZIOM FRANCESI. 517
larisor aiiìsi panni nous. J'ai préféré la prose rhylmique
Oli rhytmée, seconde poesie, flexible et majesleuse, rajeiinie
par nos grands écrivains modernes, et à laquelle les livres
sacrés ont accoutumé nolre public ; elle sera l' inslrument
le plus proplce pour transplanter les hautes conceplions épi-
(|ues, donllamélopée peul exactemenl s'y empreiudre sans
les eatraves de la rime ni de la cesure. » - Jìhcal, Prò face.
1844. Levol FlerimoiNd, Épìsode du Conte Uqolin, Lyon,
«Marie.
1852. Saim Mauris .Victor, La divine Comèdie du Dante,
Paris, Amyot, 2 voi. in 8." (in prosa).
1855. Lamennais F., La Divine Comédie de Dante Alif/hieri,
précedée d^ une introduction sur la vie, les doctrincs et les
ieuvrrs du Dante, Paris, Paulin et le Chevalier; Paris, Di-
dier 1862; id. 1863; Paris, Forgues, 2 voi. in 12,« 1864.
« Il Lamennais ha fatto un miracolo di lavoro, ha co-
stretto la lingua francese ad ubb dire Dante. È una versione
letterale. In questa maniera di tradurre la lettera per lo
più uccide lo spirito; oltrecchè si dà il signilicato, di
rado la poesia. 3Ia la nuda lettera sotto la penna del La-
mennais diventa pensiero e immagine, colore e musica. Quel
sostituire parola a parola è fatto con tanta intelligenza
del testo, e con tanta scrupolosa esattezza, che il pensiero
si trasmette limpidamente dall'una nell'altra lingua. Questo
è già molto, chi pensi quanto Dante sia di diftìcile inten-
dimento anche ad un italiano. Ma questo è merito volgare
allato al rimanente. Innanzi al Lamennais non islà già la
parola italiana a cui cerchi l'altra che le risponda, ma il
pensiero tutto intero e vivo, che trapassa in francese coi
suoi accessori, col suo colorito, con la sua armonia ; e questo
€1 fa senza sforzo, senza frasi, con tanta evidenza e con
un fare si naturale, che quel pensiero ti par nato in fran-
cese: cosa mirabile! è una traduzione potentissima, ed
insieme strettamente letterale. Con la sapiente colloca-
zione delle parole, con 1' audacia delle inversioni, egli
ti crea nna specie di prosa ritmica, che simula l'armonia
dantesca ; con ardite elissi, con tragetti e scorciature
ed uso maestrevole di particelle serba tutto il nervo e
la brevità della maniera dantesca. Dante dice cose prò-
S18 TRADUZIOM FRANCESI.
fonde in imaginl vive e spesso con seniplicilii ; la metafisica
slessa di sotto alla sua penna esce statua: alla quale per-
fezione plastica si alza non di rado il Lamennais, fatto
despota della sua lingua, ma dcsposla intelligente. E si è
con molto accorgimento aiutato dei primi Classici, lai che
nel colore e nel giro senti un sapore che li ricorda Amyot
e Montaigne. » - De Sanctis, Cimento di Torino, 15 Luglio
1855. - «Se a ragguagliare le diversità che fra autori e
traduttori mette il luogo e il tempo e la lingua diversa,
giova in parte la comune origine delle lingue e degli scrit-
tori, la conformità dell'ingegno e dell'animo, degH sludi
e della vita; non pochi vantaggi nel tradurre il poema di
Dante s'aveva il Lamennais, che nell'arte dello siile fece
accurati sludi, più che i moderni non sogliono, e fin negli
anni suoi ultimi leggeva antichi libri della sua lingua, di
quando eli' era più affine all'italiana, e che conosceva, se
non l'antica filosofia, le dottrine dei Padri a cui Dante
attinse; e amava l'Italia; e dell'Allighieri aveva gli sdegni
tra impazienti e superbi, e gii alletti non senza dignità pas-
sionati Ma tante restano tra lui e il suo autore dif-
ferenze e d'ingegno e di scienza e di fede, che chiedergli
una traduzione adeguata, quand'anche ciò fosse possibile
a uomo veruno, sarebbe indiscreto; e tanto più che questo
è lavoro dell'età cadente, stanca delle proprie e dell'altrui
vicende, lavoro non potuto correggere com'egli amava e
sapeva. » ... Tommaseo, Dante e i suoi Traduttori, Y. Rivista
Contempor. Psov. 1855. - « La traduction de M. Lamennais
est bien loin d'étre irréprochabie. Tanlòt litlérale jusq' à
la barbarie, tantót s'éloignant du lexte sans nécessité, on
dirait une ébauche à laquelle Tauteur n'a pu donner la
dernière main. Lcs contre-sens méme n'y manquent pas,
et d'inexplicables élourderies vieunent souvent arréter le
lecteur. Il faut reconnaitre pourtant à travers ces fautes un
amour passione du modèle. Là méme où l'interprete est
obscnr et nous force de recourir au lexte, on seni qu' il
a voulu rendre la physionomie du poéte empreinte dans
les coupures, les ellipses et les brusques mouveraents' de
son langage. Lamennais a prouvé qu' il avait bien compris
l'ensemble des inspiralions dantesques; si son Introduclkm
TRADUZIOM FRANCESI. 519
manqiie parfois de netlelé, s'il paraìl incliner cà et là vers le
système de Rosselli, il concini cependant que Dante, ennemi
implacable du ponvoir leniporel des papes, élait demeuré
sincèrement calholique. Son analyse de la Divine Comédie
élincelle de beaulés du premier ordre; personne n'avalt
t\pliqué aussi poéliqnenient le dixìème chant de l Enfer,
la scène de Farinata et de Cavalcanti. - Saint-René Tail-
ìandier. La litterature dantesque cn Europe. - « Lamennaìs
CSI digne à tous égards, de se misurer avec le grand poéle
Florentin.- irow^- «La prose^^de Lamennais fait des mira-
cles. » - Ratisbonne. - V. llauréau, llluslration, 2 Juiii
ìHdo- Traducliou trop laborieusemcnt fidèle. Montegut, Revue
des deux Mondes, 15 Nov. iSOl. p. 447.
1855. Mesnaiid M., (Premier \ice Président du Senal,
Président à le cour de Cassalion) La Divine Comédie de
Danio Alli'jhieri, traduction noiwelle (in prosa), Enfer 1854;
Purfi. 1855; Par. 1857, Paris, Amiol, Claye Imprimerle.
Plus on étudie le Dante, così il Mesnard nella sua Pre-
fazione, plus on admire le puissance de son genie, et à
mesure qu'on l' admire davanlage, la séduction dévient plus
forte de reproduire dans un autre idlome les beaulés, en-
core si neuves de la Divine Comédie. - Celle élrange et
magniilque epopèe qui résumé toules les conceplions du
moyen àge, ou toul est mèle, la fable et la Ihèologie, les
guerres civiles et la philosophie, le vieil Olympe et le ciel
chrètien, n'a pas encore Irouvè d'interprete d'un esprit
assez palient ou assez ilexible, pour se préter aux formes
si variées d'un drame qui louche atout, d'une poesie qui
chante sur tous les tons... Traduire le Dante, e' est se ra-
jeunir de six cents ans ; c'esl se piacer en plein moyen àge,
au milieu d'un monde nouveau à force d'élre ancien; c'est
relrouver l'esprit humain à l'une des pliases les plus in-
léressanles (la moins hien appréciée peul-étre) de ses nom-
breuses èvolulion; c'esl assister à ce grand mouvement
d' idées d'ou élait sorlie une puissanle philosophie, la
scolastica, et qui conduisail à la Renaissance ; c'est vlvre
enlourè des charmantes naivelés de la legende et des sou-
venìrs de la savanle anliquilé, à chaque pas évoq^iès par
le poele Fiorentini Comment resister à un pareli altrait?
520 TRADUZIOM FRANCESI.
{Viroflay, octobre, 1854) - «Les vers de M. Ratisbonne, com-
me la prose de M. Mesnard, visenl trop à l'élégance, et ne
reproduisent pas l'allure du Florentin. Ces leiilatives, si
inconipléles qu'elles soient, révelènt pourlanl d'heureiix
symptómes. Si qiielqu'un se rappelle la traducUoii de M.
Arlaud de Monlor, qu'il compare à ce style ridicule la
simplicilé de M. Mesnard; toni en regrellant que le studiciix
magislrat n'ait pas déployé plus de force et de hardiesse,
11 verrà dans ces estimables pages le progrès du goùl public.
Encore une fois, ces traductions n'infirraent pas le juge-
ment que j'ai porte; e' est par le sentimenl de l'art et de
la beante poétiqnc que la France a marqué sa place dans
ce concours.» - Saint René TaUlandier, art. cit. - Anche
Saint Beuve parla con molla lode di questa versione.
1855. Ratisbonne Louis, V Enfcr traduit en vers; Le
Purgatoire, 1856; Le Paradis, 1859, Paris, Michel Lévy, Typ.
Silbermann, a Strasbourg. Voi. 6.
« Suivre Dante, così il Traduttore, vers per vers, d'un
bout à l'autre de la Divine Comédie, garder ses aspérités,
ses élrangetés, ses ombres comme ses vigueurs de langue,
ses tours orlginaux et ses simples sublimités sans les cou-
vrir d'un fard moderne d'élégance unie et banale, éviter
pourtant l'écueil des traductions tròp littérales qui ont
besoin à leur tour de traduction; conserver ce que le vers
Seul peut donner, i'harmonie, si capitale chez Dante, le
rhythme qui soutient dans les passages les plus pénibles
du vieux poète et sans le quel les plus beaux se déforment
et se décolorent, voilà le travail que j'ai tenté... Je sais
que les vrais, les meilleurs traducteurs d'un poéte sont les
artistes, les peintres et les sculpteurs. Ils incarnent son
idéal. Dante en a eu de sublinies. Giotto, le Pérugin,
Michel Ange, Raphael, voilà ses vrais interprètes. Et de nos
jours, faut-il taire la gioire des vivants? Quand le pinceau
spiritualiste d'Ary Scheffer reproduisait la figure chaste et
passionée de Frangoise de Rimini, le peintre ne donnait-il
pas de ce réve da poéle la seule traduction qu'on puisse
citer après le modèle (Dee. 1852)? ... «Con queste parole
il Sig."" Yillemain giudicava i primi sforzi del Ratisbonne
nella pubblica seduta dell'Accademia francese (I854j. )> Mal-
TRADUZIONI FRANCESI. 521
gre le prodigleux effort de taleiit et de langue nécessaire
pour tradulre un poete en vers, M. Louis Ralisbonne n' a
pas seuleiuent reudu le sens, il a reudu la forme, la couleur,
l'accent, le son. Il a communiqué au mélre francais la
vlbralion du mètre loscan, il a transformé à force d'ari,
la période poélique frangaise en tercels du Dante: le cbéf-
d' oeuvre de vigueur et d' adresse dans le jeune écrivain
est tout à la fols un chéf-d' oeuvre d'intelligence de son
modèle... E nella solenne seduta del 24 Agosto 18G0, in
che l'Accademia francese assegnava alla compiuta versione
del Ratisbonne il premio Bordin, fondalo per l' incoraggia-
mento dell' alta letteratura, soggiungeva il Yillemain : « Un
grand travail termine, une (cuvre de systéme et de patience,
mais d' une patience parfois créatrice, a lìxé le cboix de
l'Accadèmie, e' est la traduction en vers du Paradis de
Dante, par M. Ratisbonne. L'xVccadémie a pensé que l'aché-
vemenl d' un^ entreprise, doni le début avait été déjà
récompensé par son sudrage, méritait une distinction publi-
que. Elle a vu ce qui devait manquer au succès d' un lei
effort. L'epoque de Dante, le caractère extraordinaire de
son genie, 1' aspecl d'antiquité indigène, il est vrai, qu'il
a méme pour ses lecteurs ralionaux d' aujourd' bui, sem-
blaient rendre souvent imposslble la renaissance de sa
poesie dans des vers francais, calqués maintenanl sur les
siens. Combien la diction et le rhythme de notre langue
n' auraient-ils pas à souflrir d'une Ielle contraintel Que
de Ibis notre vers se briserail sous le poids de la pensée
du poeto! Que de fois la lidelité litlerale paraitrait inculte
et prosaique! Souvent aussi celle pensée originale, rendue
dans sa rudesse, ne le serail pas dans sa naiveté et ne
semblerait plus que bizarre. Il n' est pas un de ces repro-
ches que l' interprete nouveau de Dante ne puisse encourir
dans quelque parile de son ouvrage; et cependant il a osé
avec lalent et s' est inspiré de sa persevérance égalanl
parfois, dans ses rimcs fran^alses, 1' harmonie des tercels
italiens, et donnant ca et là par quelque vers forls etsimples
comme l'empreinle du poéte originai. Sa traduction en vers
est alors bien autremenl fidèle que la prose fran^aise
n avait tenie de 1' élre dans les mémes passages, sous des
522 TRADUZIONI FRANCESI.
mains habiles. Enfin, ce qui est plus encore, malgré les
fautes de néglìgence ou de nécessilé, malgré les choses
ìnattendues qui choqueiit, poni* pn\ de ce long Iravail; de
cette pieuse admiratiori de Dante on sent par moments
comme un souile de celle melodie doni les sons n'arrivent
pas tout entiers jusqu' à nous. - L'Accademie, non sans
se souvenir des aalres parlies de Fceuvre achevée par M.
Ratisbonne, dècerne à son traduclion en vers des chants
du Paradis le prix. fonde pour une oeuvre de haute litté-
rature. » Rapport sur les concours de littérature, présente
par M. \iUemaìn, secrétaire perpétuel de l'Accadèmie Fran-
caise, 2i Aoul 1860. - Sa traduclion est, sans contredit, et
plus fidéle et plus ulile que toules les aulres. La forme
mesurée et musicale de la poesie aide à lire nombre de
passages oìi le vieux poéte italien est aride ou obscur, et
elle conserve à toul le reste sa forme, sa coujeur, sa beauté.
Qu' on sache ou non l' Italien, on peut au'Jourd' bui se
former de la Divine Comédie une idée exacte et complete.
Le texle bravement mis en regard provoque 1' examen et
souvent dèlie la comparaison.... » Feuilleton de l' Indepen-
dance Belge, 31 Janvier 1860. - Il Mesnard loda « Le mer-
veilleiix tour de force de Ratisbonne. » - Préface - Il Mornand
la dice tradidle en fort belle poesie et avec une exactitude
rigoureuse. - V. Arnoud Fremy, lllvstration, 5 Feb. 1853 ;
Leon de Waìlhj, lUustration, 19 Mai 1860 ; Prevost Paradel,
Débats.
1856. TopiN HiPPOLYTE, La divine Comédie de Dante Alli-
(jhieri, Ylngt- Iluitième chant du Purgatoire traduit en vers
francais, Catane, Fevrier, Musemici - papale - 1 Chant de
VEnfer, 3.^^- lO.""^- 24."^<^' 25.*^^' 26."^*^' du Paradis traduìts en
vers francais, avec notes r La Divine Comédie de Dante
Allighieri, 11."*^' 12.™^' 23.*"^' cAow« f/w Paradis traduits en
vers francais faisant suite aux Chants, prérédement publìés,
Florence Gulilecenne - Paris, 1857, Dee. 1857. Dedicata ad
Alessandro Torri. - A l'Accadèmie de Yaldarno del Poggio;
Hommage de traducteur.
18G2. ToppiN HiPOLYTE, Le Divine Comédie di Dante Alli-
ghleri, Le Paradis, traduclion nouvelle en vers francais {tercet
en triple rime) précédée d\ine chronologie de la vie de Dante -
TRADUZIONI FRANCESI. 523
D'un discours préUmmaìre - Traducteurs modernes angìais,
allemands, francais - Dante et Klopstoch - Dante poèle sati-
rìque, ecc. Et suivie de notes^ Tome premier in 8.* p. 335,
Livourne, Guillaume, Libraire.
1863. OzANAM, Le Purffatoìre de Dante, Traduction et
commentaìre avec tcxte en refjard, 8.*^ 587. Paris, LecolTre.
11 IX Volume delT opere dell' Ozaiiam contiene la tra-
duzione del Purgatorio, condotta con rara fedeltà forza
e squisitezza di stile. Il Comento che lo correda mostra
quanto questo scrittore fosse addentro nelle cose dan-
tesche. Sopra ciascuno ha saputo comprendere e ritrarre
il vero concetto deir autore chi ha saputo entrare
ne' più ascosi recessi dell'antica lingua italiana, e recato
quella sublime poesia nella più cara, più semplice, e ad
un'ora più efficace prosa francese fu il buono e caro Oza-
nam... L'Ozanamavea in animo di tradurre tulio quanto
il poema di Dante, ma lasciò compiuto il solo Purgatorio,
avendo egli una specie di predilezione per questa cantica,
ordinata a celebrare il rinnovellamenlo dell' uom colpevole,
e tutta piena di consolazione e di speranze celesti. A cia-
scun canto fanno seguito delle note, e in fine ci è un
Comentario generale degli ultimi otto canti. Le quali note
e commentario sono come appunti di un commento disteso
ch'egli avea disegnato di fare, ma nondimeno hanno dei
passi scritti meravigliosamente, e contengono delle cose
nuove e delle indicazioni preziose a coloro che attendono
specialmente allo studio di Dante, e alla storia di questo
secolo. - Questo bel volume in somma, che è il IX dell'opere
dell' Ozanam, ma che sta anco da sé è cosa d'averla caris-
sima, e da studiarla con molto profitto. » - P. Fan [ani. Il
Bor(}hinl, 18G3, i. 03. (1)
Il dotto e benemerito Carlo Witte, nel suo proemio alla
versione latina del P.azza, ci ricorda due antiche versioni
(1) Un' alilo dantesco di polso, il veccliio Casella Romano, ha fatto
Jinch' e^Ii una traduzione di Dante in liii^'ua francese, di cui è perilis-
sinio, ma finora non ha trovato editori ne jo Francia, ove si trattenne
mollo tempo, né in Italia.
524 TRADUZIONI FRANCESI.
francesi, tullavia inedite della divina Comcdla; l'una esi-
stente nel codice Oendorfiano Viennese, N. 43, 10201, l'altra
nel codice dell' università di Torino, N. cxxii. i. v. 33. Ef.
{Pasini Codices, iVss. biblioth.reg. Taur, Athenm, p. 191.-
Maffei in Ephemeridibus litter. M. 474, et in opuscolis eccle^
siasticis, II. 1. 599 - Pelli, Memorie per la vita di Dante,
Ed. II. 175 - De Batines, 247-48), e di tulle e due ne riporta
per intero l'episodio di Francesca di Kimini che copiavagli
dal Viennese il eh. prof. ab. D.'" Pietro Mugna, e dal Torinese
il dotto Co. Vesme. - Il Tommaseo nel suo articolo Dante
e i suoi Traduttori (Rev. Conleinp. di Torino, JNov. 1855),
prende questa pietosa narrazione, e ci viene raffrontando
i lavori latini del Codice Bartoliniano, del Ronto, del P.
d'Aquino, del Catellacci, del Piazza, dello Scarperia, del Testa,
e le versioni francesi del Mesnard, delRatisbonne, delLamen-
uais con le antiche succennate. Io ricordo alcune osserva-
zioni del Tommaseo. - Il Francese di Torino (v. 73-75)
allunga ma senza indebolire: prova che non nel minor nu-
mero delle sillabe sta la brevità né la forza. - Il Francese
di Torino (76-78) mi pare di nj^ano maestra. - Il più valente
di tutti (V. 79-81) è quel di Torino. - Il Torinese (v. 82-84)
nella sua libertà è più fedele che il letterale del Lamennais. -
11 Torinese (v. 101-103) conserva la tenera e rispettosa
amigliarilà che ha in questo il costui. - Una (v. 121-123)
delle'poche infelici nel Torinese. - V empaindre (v. 130-133)
del Torinese è anch'esso polente, e gioverebbe che fosse
rimasto ai Francesi come agii italiani Vimpinqere che dice
altro dal pingere, smarrito anch'esso, ma non perduto nella
lingua del popolo toscano; e che se rivivesse nell'uso se-
gnerebbe gradazioni de' moli non denotate da spingere e
da sospingere. JYos deux vis è di cara semplicità, e fa più
vivente il quadro in ogni sua parte. V amoureux del To-
rinese (v. 137) è più gentile che V amant e rammenta il
moroso dei Veneziani e d' altri dialetti, più nobile del
ganzo e dell'amico dei Toscani. - Codice Viennese. - Il
pousser del vecchio (v. 79-80) è potente, e mette nel chia-
mare e nel portare del testo una libera forza di moto e
d'amore. - Quel di Vienna (v. 88-90) è qui il più gentile,
forse più dell'Italiano, se è lecito dire tanto. - Ravit (v.l02)
TRADUZIOM FRANCESI. 525
del Viennese è efficace, il resto è languido. - Il Viennese
(V. 103-105) ripete il perdonare, come se nel francese di
quel tempo egli avesse il sigi\i(icato che Dante gli dà; e
con licenza fedelissima tramuta la bella persona dalla donna
all'uomo, come per farne una cosa, e rendere il carne una
e il confilutinatus est della Bibbia. - Il penscr (v. 122) del
Viennese s'accosta più del ressouvenlr al rkonlarsi di
Dante; perchè in questo, olire al sentimento del cuore c'è
una operazione attiva della memoria che si riflette sul
proprio dolore. - 11 Viennese (129) lucida il suo verso su
quello di Dan le, parola a parola mirabilmente. - 11 Viennese
(133-134) è libero ma con grazia. - Codici francesi inediti. -
Quel dei due vecchi (v. 94-96) è nell'insieme fedelmente
bello. - Ne' due antichi (v. 97-99) ogni cosa più schietta e
lucente. - Al paragone degli antichi (103-105j il Lamennais
è più languido e men modesto. - Sempre 1 due vecchi fran-
cesi (v. 112-114), come cavalieri che caracollando tirano a
imbroccare nel segno, quasi senza badarvi, ci colgono. -
Il Sig.*" Vegezzi jluscala dice di aver consultalo il codice
Torinese in lingua iV oil, e di averlo trovato incompiuto,
essendo laceri gli ultimi fogli del Canto xxviii, e mancando
tutti quelli del seguente. Egli poi vuole la versione di poco
valore, epperò meno lamenta che il codice sia imperfetto.
[Rivista Conlempor. Dee. 1857).
Tandis que ce travail de cinq slècles s'accomplissait en
Italie (dello studio di Dante) la France, l'Angleterre et l'A-
lemagne étaient reslées à peu près étrangères au débal;
ellcs ont pris aujourd'hui le premier rang (?), et Dante,
gràce à leurs éludes, est entré dans le domaine commun
de la poesie européenne. Chez nous, la traduclion en rimes
/ranctt<5eò' de Balthazar Grangier (1591), malgré ses gràces
naìves et l'inlérét qui s'y attaché, n'élait guère de nature
à populariser le grand Florenlin. N'olre xvii.*^ siede a ignorò
Dante, le xvui.^ s'en est moqué par la bouche de Voltaire,
etRivarol le premier, à la velile de la revolution, a devine
r originante de son slyle, la puissance de son vers, de ce
vers qu' se tient debout par la seiile force du subslantif et
du verbe, sans le concours d' une sente épitkète... C'est donc
à la fin du xviu^ siede et au commencement du xix'* que
526 TRADUZIONI FRANCESI.
les conlrées savantes de l'Europe s'associenl au long ira-
vail (le l'Italie sur la trilogìe dantesque. Cu dirait qu'un
concours s'est ouvert: chaque peuple y apporto les qualltés
qui le distlnguent. Tandis que l'Italie cherche dans ces
éludes des inspiratioiis palriotiques, la France, avec M.
Fauriel elM. Villemain, y dévelope sa nettelé d'esprit, son
goiìt de la beauté liltéraire.... En France, M. Fauriel, M.
Villemain, M. Ampère, M. Ozanam, M. Lamennais, sans
compier des traducleurs habiles, voilà les hommes qui ont
penetrò le plus avant dans F intelligence du vieil Alighieri...
C'est par le sentiment de l'art et de la beauté poélique
que la France a marqué sa place dans ce concours.» Saint-
René TaiUandier, La liltérature danlesque eu Europa.
lY. - TRADUZIONI INGLESI
1773. Anonimo, Translation from Dante, G.xxxiii. London,
CWatl, Bibl. Britt. i. 194.)
1782. RoGERS Cu. The Inferno of Dante, transhilcd inlo
Enijlish hlanks verse, London.
1783. BoYD Henry, A Translation of the Inferno of Dante
Alighieri in Enrilish verse, London.
1802. The divine Comedi) of the Inferno, Purr/atory,
and Paradise, London, Cadell junior and Davies.
1806. Cary Fr. Henry, The Inferno of Dante, with an
English translation in blancks verse, Aotes and Life of
the Author, London.
1814. The vision or Hell, Purgatori} and Paradise,
of Dante AUighicri translated, London.
1818. With Life of Dante, j\otes and Index, London.
1819. London, John Tayler.
1831. London, Jonh Tayler.
1844. A neic edition corrected with the life of Dante
chronological, View of his age, ecc. London, William Smith.
1856. The vision or liell, Purgalory and Paradise^
London, Henry Bohn, York Street.
« Il Cary fu preceduto da due o tre traduttori inglesi,
e li vinse di tanto che gl'intendenti credono che altri
mai non potrà contrastargli ; si giovò dello stile severo di
TRADUZIONI INGLESI. 527
Milton e del verso sciolto Nella vita ch'ei scrisse del
poeta pende alle volte a credere a tradizioni ed aneddoti
apocrifi Della sua lingua, stando a chi pnò giudi-
carne, pare maestro ; nell' italiana pare versato, non però
quanto richiedesi a non perdere il conllato d'idee che in
tulli i poemi, ma più in questo che in altri, si accoppiano
ad ogni parola. Quindi gli avviene di tenere per lezioni
genuine alcune varianti di glosatori e appigliarvisi. Fran-
lende vocaboli, benché di rado. » - Foscolo. - Il Cary con-
travviene frequentemente a una tesi del suo autore, il quale,
affidato più ch'altro dall' efl'etlo della propria versificazione,
dice: che nulla cosa per leijame musaico armonizzata sì imo
della sua loquela in altra tramutare, che non si distrugga
tutta la sua dolcezza ed armonia. Convito. - Foscolo, Pa-
rallelo tra Dante e Petrarca. - Nel Cary vi ha un travesti-
mento elegante adulterato della grand' anima del poeta ita-
liano del secolo XIV in foggie neo-classiche tolte dagli
archìvi del risorgimento letterario dell'Inghilterra ne' secoli
di Milton, di Dresden e di ?o\ìq.-Rìv. di Firenze, Corrispon-
denza dall' Inghilterra. -l\ Cary primeggia tra i volgarizzatori
in versi sciolti. Xa sua versione cominciata nel 1797 non venne
pubblicata per intero che nel 1814. Essa è fedele per ogni
verso, quantunque non di rado oscura, gagliarda general-
mente e sempre informata da un'intima conoscenza ed un
vero amore dell'originale che ben mostrano come Cary
chiudesse in se qualche poetica dantesca scintilla. Noi ab-
biamo manco però della musica dell'Alighieri e di quella
dolcezza inelTabile che spira da quando a quando come un
balsamo di benedizione anche attraverso le regioni più buie
e più desolanti dell' Inferno di Dante, che allieta il Purga-
torio e tutta compenetra l'atmosfera del suo Paradiso. -
G. Slraforello, Rev. Contemp. Agosto, 18G3, p. 309. - « La
traduction de M. Cary est consacrée par le succes. » Saint-
René Taillandier.
1807. Howard Nathamel, The Inferno of Dante Alighieri
translated into English blancks verse, with JXotes historical
and classical,andexplanatory, and life of the author, London.
1812. HuME W., The Inferno, a translation of Dante
Alìghieriy into English hlanks verse, London.
528 TRADDZIOM INGLESI.
1822. Taeffe a», Commera onl the divine Comedy of DanLB
Alifihieri (Inf. i-viii) London, Murray (Pisa, Capurro).
« 11 TaelTe, da Pisa, dove soggiornò per molli anni, invia
alla patria il dono di questa sua 'versione. Né si meravi-
glino i lettori ch'egli abbia sinora pubblicalo un solo vo-
lume, composto di 300 pagine, e intorno a' soli primi otto
canti dell'Inferno, perchè ogni sentenza di Dante è grande
argomento agli altrui pensieri, e l'anonimo inglese discorre
con libero e sagace intendimento ... I versi men belli ; in
alcuni squarci però si scorge l'impronta d'un vero talento
poetico. Le illustrazioni ed il cemento sono le parti più
preziose.» - Benci, Antologia di Firenze.- «Questo nKOVo
comento merita gratitudine dagl'italiani, e lode da tutti,
perch'ei studiò infaticabile, e stando a lunga dimora in
Toscana, esplorò codici e librerie, ralfrontò date, scrittori ed
aneddoti, e benché s'inganni assai volte intorno i gradi di fede
ch'ei nega o concede agli autori, ei raduna assai numero di
notizie, e le sue opinioni arrischiate da non reggere sempre
all'esame sono nuove talvolta ed acute. Se non che forse
la prolissità dell'opera sconforterà molti dal leggerla e
l'autore dal proseguirla.» Foscolo, Discorso sul Testo, V.
tutta la Sezione XX.
1833-40. Wright Ichabod Ch., The Inferno, the Purga-
tory, the Paradise of Dante Alighieri, transìated iute english
verse, with thirly four engravings of onstcel after Fiaxman,
London Bohn; id. 1854; id. 18G2.
Il Wright vi si pose con diligente cura e con un lungo
amore, nò gli falliva l'impresa per ciò che riguarda la fe-
deltà letteraria della traduzione. Ma chi potrà mai travasare
in forme straniere, senza scolorarla e ingrettirla l'inspira-
zione che dà vita e inimitabile originalità al poema sacro?
Però al Wright non valeva la riverenza pel genio di Dante
a sostenerlo nella sua fatica. Le sue rime alternate con
due sole consonanze procedono sovente monotone e fioche,
e le viventi imagini dell'arte dantesca appaiono in questa,
come nell'altre traduzioni dell'intraducibile comedia, dove
più (love meno meschine e smorte al confronto. - Uevista
Fir. del Vannucci, 1857, Corrisp. dati Inghilterra, p. 377. -
I Critici inglesi la pongono in capo di quelle in terza rima.
TRADUZIONI INGLESI. 529
Il verso ò scorrevole, ed è maneggialo con facile mano
l'inglese, e coir abilità di un dotto se non di un poeta.
Ma noi sentiamo ch'egli non è un traduttore poeta, un
uomo che ha in sé qualche riverbero del divin sole di Dante,
un traduttore quale sarebbe Dennyson ad es., il più grande
dei viventi poeti, se ciò fosse per lui possibile. Nel Wrighl
svaporano le ineffabili qualità dell'originale: gì' inglesi che
imparano a conoscer Dante nelle terze rime di lui, ben
possono ottenere una idea più esatta della forma poetica del-
l'originale che non nella versione sciolta di Cary ma non
devono sperare di addentrarsi, come col Cary, dietro il
velo ove siede la maestà grandiosa di Dante. 6\ Straforello,
Rie. Conlempor. Fas. 117, Agosto 1863, p. 399.
1843. Parsons T. W., The first ten Caiitos of the Inferno
of Dante Alighieri. JSeioly translated into English verse
{with ewplanatory notes) Boston, Tickner.
1844. FRANck FuAN., Versione inglese del xxxi del Pa-
radiso, Ferrara, Taddei.
1844. Dayman John, The Inferno translated in the terza
rima of the originai With notes, London, Painter.
1849. Carlile John A., Dante 's Divine Comedy: the In-
ferno, A literal prose translation, toith the text of the ori-
ginai collated from the best editions, and explanatory notes,
Londbn, Chapman and linll. (Il Carlyle ha pubblicalo in
appresso l'intera versione della Divina Comedia.)
<f Ps'est-ce pas d'elle (Angleterre) aussi que nous vien-
nent ces pages où l'un des penseurs les plus originaux de
notre epoque a pénétré si vivement dans le cceur d'Ali-
ghieri? Thomas Carlyle a place le florentin dans ce petit
groupe de héros qui représentent pour lui l'histoire entière
du monde; entro les prophòtes et les prélres, le poète de
la Divine Comédie est dessiné et peint en trails de fiamme....
Thomas Carlyle a marqué en traits de feu ce caractère du
poète; le mysticisme et la colere, une colere toute sainle,
un mysticisme d'une incomparable douceur, voilà, selon le
philosophe anglais, l'inspiration d'Allighieri. Au seul examen
du portrait de Dante attribué a Giotto, Carlyle volt en lui
un liomme qui proteste de toutes les forces de son élre, qui
se bat contre un monde, qui ne se rendra jamais, the face
VoL. 11. 34
530 TRADUZIONI INGLESI.
of one wholly in protest, ayid Ufe-long unsurrendering battio,
against the world (una fisoiiomla di un tale ch'è continua-
mente in protesto per tutta la vita, e non mai diman-
dando quartiere, si batte contro tutto il mondo). Et avec cela,
ajoute-il, quelle tendresse chez le poète de l' Enfer, naive
comme les caresses d'un enfant, profonde comme le coeur
d'une mère! Dante, pour Carlyle, e' est une àme adora-
blement suave, une àme tout éthérée, à l'aspecl sombre,
sinistre, implacable. Par là raéme il est l'exacte image du
moyen àge. Sans lui, le moyen àge se serait évanom à jamais,
et nous n'aurions entendu ni le chant de ses joies ni le cri
de ses douleurs. Il est, à lui seul, la voix: de dix siede muets,
voice of ten sileni centuries (voce di dieci silenti centurie)...
La traduction de Carlyle révèle un rare sentiment du style
danlesque. - Saint René Taillandier. - La traduzione del
Carlyle vuoisi annoverare tra le migliori, come molto più
informata dell'antico e schietto stile dell'originale. - Re-
vista Fir. del Vanmicci, 1857, p. 377, Corrispondenza dal-
Inghilterra. - Per coloro che non amano gli abbellimenti
metrici e vogliono una riproduzione sincera del senso del-
l'originale ha provveduto il D."" Carlyle con la sua schietta
e mirabilmente vigorosa versione in prosa dell' Inferno,
arricchita del testo inglese, diligentemente collazionato e
corredato di una introduzione e note pregevolissime. Com-
piuta che sia questa versione, poco o nulla lascierà da de-
siderare ai dantofili inglesi. - Straforello, Rev. Contemp.
Fas. 117, Agosto 1863, p. 309.
1852. DoiNNEL Rev. E. Translalion of the divina Comedia,
London.
1854. Cailey C. B. Dante' s Divine Comedy translated in
the originai ternary rhytne, London, 1851-54.
Cailey est un négociant que les intéréts de son com-
merce ont confine long-temps dans un port de la Russie
septentrionale. Pour se consoler dans sa solitude, pour
retrouver le soleil au milieu des glaces et des brumes, il
a fait amitié avec Dante: une passion sincère anime son
talent. La iangue anglaise avec sa précision et sa force se
prétait merveilleusement à l'interprélation du vieux maitre;
M. Cailey a mis à profit toutes ses ressources ... La tradu-
TRADUZIONI INGLESI. 531
cllon de M. Cary est coiisacrée par le succès, celle de
Carlyle révèle un rare senliment du style dantesque. Le
iravail de M. Cailey n' est pas moins remarquable.-Sa«n«-
René TaiUandier. - « Il Cailey è un traduttore qualificato
all'arduo assunto dallo studio indefesso e minuto di Dante
e dal lungo amore che gli hanno fatto cercare lo suo volume.
Egli è dotato per giunta d'una genuina ed originale facoltà
poetica, molto affine a quelle grandi imaginazioni antiche
e primitive quando gli uomini facevansi ad afirontare con
la forza dei giganti e la semplicità dei fanciulli quelle
uUime e supreme cose, la morte e il giudizio. Di quando in
quando ne' passi critici ove Wright sfiora il comune, Cailey
è vivido e vigoroso, in forza del suo intuitivo poetico. La
versione del Wright, dopo quella del Cary, è più apprezzata
e divulgata in Inghilterra, che quella del Cailey, e ciò
avviene perchè il Cailey per vaghezza di fedeltà e concisione
dà spesso nel rozzo nel contorto nell'arcaico e nell'oscuro.
L'inglese del Cailey, come inglese, non è sempre trasparente
come r italiano di Dante, come italiano, è sempre. È inutile
il dire che 1' armonia di Dante svanisce nella terza rima
del Cailey come in quella del Wright. - Straforello, Rev.
Contemp. Fas. 117, Agosto 1863, p. 309 - Il Cailey dedicava
la sua versione al suo amico Franklin Leifchil mettendo in
fronte i versi di Lucrezio : Nec me animi fallit ecc.. Libro 1.
V. 137 al V. 146.
1854. Brooksbank M. A. Dante' s Divine Comedy, The
first Part. translated in the metre of the originai with Notes.
London.
1854. PoLLOCK Fred. The divine Comedy; or, the Inferno,
Purgatory, and Paradise, of Dante AUighieri. Rendercd
into English, wilh fifiy lllustrations drawn by George Scharf
cngraved by Dalziel, London, Chapman and Hall.
Intendimento del Pollok (largamente adempiuto) fu di
attenersi strettamente all'espressione letterale, per qtianlo
il comportava la differenza degl'idiomi, di conservare l'a-
spetto dell' originale e de' versi fin anco, se possibile, di
non aggiungere che le note slreltamente necessarie. La
versione del Pollock sta a quella di Cary a un dipresso
che quella di Wright e di Cailey. È più semplice, più
532 TRADUZIONI INGLESI.
scorrevole e di più facile lettura, ma porla impronte assai
minori di genio e di sentimento poetico. Come aiuto a
coloro che principiano a leggere Dante essa è quasi cosi
giovevole, come una versione letteraria in prosa, ed è bene
in fondo in fondo considerarla come tale o poco più. Lo
sforzo che fa spesso il Pollock per rendere l' inflessione
italiana, produce un'affetto stentato ed inceppa T andamento
generalmente scorrevole della traduzione. In nessun passo,
abbiamo cerco, ci venne fatto di trovare il Pollock bale-
nante, e fra le lezioni controverse egli elegge sempre la
più razionale e plausibile. Coloro che cercano una traduzione
inglese di Dante, non come surrogalo all' originale, ma
come introduzione ad esso, non potrebbero scegliere una
più acconcia di quella di Pollock. - StraforeUo, Rev. Conf.
Fas. 117. Agosto, 1863. - Il Pollock è mollo fedele ma non
sempre felice. Crepuscolo, 1854, p. 720.
1859-62. Wesley Thomas Iohn, The trìlotjy, of Dante ' s
three visions. hiferno, or the vision off hell : translated into
english, in the metre and triple rhy me of the oriijinal; with
notes and illustratìons, London, Henry J. Bòhon,suret,covent
garden York Street.
11 Wesley non agguaglia i migliori passi di Cailey, ma
gli sta di presso. Più stretto e più accurato di Wright,
men rozzo e men vieto di Caley, ma non dotato di poetico
intuito. Anch' egli incappa nel mancamento inevitabile dei
traduttori metrici (Caley men di tutti), d' infrascare e na-
scondere con epiteli la nudità muscolosa dei sustantivi di
Dante che paion lì parati alla lotta come atleti ignudi.
Quando Dante ha nn epiteto gli è perchè è strettamente
essenziale al pensiero suo. Nella traduzione in versi della
divina Comedia si vede sempre che l'epiteto è lì per com-
piere la misura del verso e non per altra ragione. Fra
tutte le varie versioni, Caley, non ostante ai suoi difetti,
più si accosta alla meta, e Thomas lo segue assai da vicino.
Ma essendo pressocchè impossibile condurre una traduzione
metrica rimata degna del poema che descrive fondo a tutto
r universo, nulla più comendevole di una schietta ed accu-
rata traduzione in prosa come quella del dott. Carlyle, od
wna, se metrica, che non pretende riprodurre il metro
TRADUZIONI INGLESI. 53IJ
rimalo difficilissimo dell' originale, la terza rima, e svinco-
landosi per tal modo dalla necessità dì affastellare epiteti
oziosi, e non molto dissimile ad una versione in prosa,
quale si è quella del Pollock. - G. Straforelìo, Rev. Cont.
Fas. 117. Agosto 1803, p. 309.
1863. WiLCHiE W. P. advocatc, Danlr/ s Divina Comedia:
The Inferno translated, Edimburgo.
Traduzione intollerabile, che non ha né la grazia del
metro né la fedeltà della prosa. Piglia spesso svarioni
stempiati, ed è a volta perafrastico, alle volte dittico,
inelegante, infelice nell' espressione, e le sue parole troppo
spesso dure rozze scolorite e frigide. Non di rado senza la
scusa del metro egli tira dentro pei capelli degli epiteti
oziosi, e ne salta spesso a pie pari qualcuno calzante e
delicato. - Straforelìo, llev. Conlemp. fas. 117,, Agosto 1803,
pag. 309.
« En Angleterre, le deux évéques qui avaient rapporté
du concile de Costance la traduction latine de Serravalle
ne semblent pas l'avoir répandue dans leur pays; à part
quelques imitations de Chaucer au XIY.^ siede, de Milton
au XVIF, on ne trouve pas la trace d'Allighieri sur la
terre de Shakspeare jusqu' à l'epoque recente oncore
oìi le moyen àge y est devenu comme chez nous roi)jet
de maintes investigations... Il ne faut pas oublier Tzingle-
terre; elle a provoqué les éludes d'Ugo Foscolo, elle a
accueilli et encouragé Rossetti, elle a elle-méme des critiques
(M. Barlow, par exemple) qui, en examinant le texte de
Dante, ont rivalisé d'exactitude avec les érudits d'Allema-
gne; enfm elle a donne des traductions qui, pour la fidélité,
la force et la souplesse, sont peut-élre supérieurcs à tout
ce qu' ont produit les autres pays de l'Europe. N'est-ce
pas d'elle aussi que nous vicnnent ces pages où l'un des
penseurs les plus originaux de nolre epoque a penetrò si
vivemenl dans le coHir d'Allighieri (Carlyle)?... M. Simpson
est un erudii estimable; M. IJarlow a étudié le texte de
Dante avec la iìnesse d' un Italien et la coscience d' un
AUemaud. - Taillandier, art. cit. p. 478. 518. - A sospingere
J)34 TRADUZIONI INGLESI,
gì' inglesi negli studii danteschi giovarono polenlemente le
onorale e pregevoli fatiche del Boyd, del Cary e del Tarver,
i quali a un suon concorde gridarono e celebrarono il nostro
Dante pel sommo dei poeti che siensi mai irraggiati alla
luce della filosofia. E tal fama, non che cessi al presente,
per l'egregie fatiche di Carlo Lyell e di Lord Vernon, va
crescendo maggiore e distendendosi più largamente. - P.
Giuliani - E fu Lorenzo da Ponte, cenedese, che nel 1808
recava insieme all' insegnamento della lingua italiana il
conoscimento e 1' affetto del massimo nostro poeta in Ame-
rica. » Son passati ormai, egli scriveva nel 1833, 28 anni
da che sono in America. Conobbi all' arrivo mio che niente
si sapea- della lingua e letteratura italiana, ed animalo da
patrio zelo e dall' amore del bene, credei che fosse cosa da
me l'introdurvele. Se quegli, dicevo io, che porta un'erba
salutifera, un fiore leggiadro, una pianta di frutto raro in
un paese straniero è dalla gente lodato, di quanta maggior
lode non dee reputarsi degno colui che pella prima volta
vi porla la più dolce di tutte le favelle e la più colta e
ammirabile letteratura? Io toccava 1' anno 56 quando giunsi
in America, e all' anno 59 mi posi al nobile cimento. Sono
vicino al 85 o in questo spazio di tempo, io solo, io non
favorito dalla fortuna, anzi da continue disavventure e
peripezie travagliato e sbattuto, ebbi il costante coraggio
d' introdurre e questa lingua e questa letteratura nella più
ampia parie del globo, d' instruire più di due mila persone,
di spargerne il fulgóre per tutte le sue principali città, di
eccitare 1' ammirazione e il desiderio de' suoi tesori colle
pubbliche letture, cogli scritti, colle autorità, coi cataloghi
degli scrittori ... Tolsi più di 24 mila volumi di scelte opere,
e quanto di più mirabile ha l' antica e moderna italica
scuola nelle più gravi e astruse scienze non che nelle belle
lettere ed arti fu recato da me negli stati Uniti d'America,
incominciando da Dante. - Y. La divina Comedia interpre-
tata la prima volta da Lorenzo da Ponte agli Americani,
Lettera dell'Ab. prof. Cav. Bernardi a Guglielmo Stefani,
Revisla Contempor. fas. 89. 186 L
THADUZIOM TEDESCHE. 535
V. - TRADUZIONI TEDESCHE
1767-60. Bachenschwakz L. Dante Allùjhieri voti der
IlÓlle, von (lem Fegfcner, von dem Paradiese. Aus dem Ita-
lidnìschen uberselzt und mit Anmerkunfjen begleìtet, Leipzig,
auf Koslen des Uebersetzers.
L' Inferno del Bachenschwanz in prosa fu pubblicalo
nel 1767. Questa traduzione trovò tanto favore che nel
medesimo anno ne convenne fare una ristampa. Ne' due
anni susseguenti tennero dietro il Purgatorio ed il Paradiso,
e queste due cantiche furono dedicate all' Imperatrice
Catlerina di Russia. Secondo l'Arlaud, alcuni passi vi si
veggono resi cos'i fedelmente, e cosi bene che bastano essi
soli ad attestare la capacità del traduttore tedesco [Vie
du Dante p. o'2;}j. Il Graesse ìduììCQ tres fidele ; Taillandier,
mediocres ébauches.
1780. Iageman C. L. Weimar - Il solo Inferno in versi
iambici sciolti.
1795. Schlegel Wilhelm, Dante' s Hólle, BìissungsweU und
Ilimmelreich, nachgebìldet und erliiutert (traduzione libera
tedesca di varii frammenti della divina Comedia). Si trova
nel Sagr/ìo sopra Dante dello Schlegel, Berlino, Borges -
Opere dello Schlegel, raccolte da Eduardo Bòcking, Y. III.
p. 109-381, Leipzig, Weidmann 1846.
La traduzione dello Schlegel è ancor sempre inarrivabile.-
Witte. - « 11 faut attendre les fragmens de Dante si bien
Iraduils par Wilhelm Schlegel pour voir s' ouvrir ce mou-
vement d'études qui ne se ralentit pas depuis soixante
ans. L'exemple de Schlegel inspire de studieux disciples. » -
Taillandier. - Della versione dello Schlegel scrivevami un
dottissimo Alemanno: Ex his quae verlit Schlegel semper
ingenìum poetae spirant, qui idem Shakespearium nobis
donavit.
1807-46. Forster Karl, Dante' s Ilólle. Fiinfter Gesang,
uberselzt, Berlin; Dresden, Gottschalck, 1846.
1809. Kannegiesseu C. L. (u L. Hain) Dante' s gótlliche
Komódie, uberselzt (in terza rima) mit. (30) umrisscn nach
536 TRADUZIONI TEDESCHE.
Flaxman u IJummel et Àlias in 4, Amsterdam e Leipzig,
Kuntz. - Leipzig und AUenburg, Brockhaus, 1814 - 18*21 ; id.
1825 ; id. 1832. - Mit Dante' s Bildniss, den Pliinem der Halle,
des Fegefeuers und des Paradieses und einer Karte von
Oher-und Mittel-ltalicn, Leipzig, Brockhaus, 1843, id. 184(>.
N. a Vandemark, paesello del Brandeburgo, 1781; m. il 14.
Settembre 1861.
M. Kannegiesser donne à ses compatriotes la première
traduction sèrieuse de la divine Comédie. - Taillandier. -
1 Tedeschi non furono scossi ai tremendi sogni dell'Alli-
ghieri fino a che non vennero loro presentati interi e in
copia fedele dal Kannegiesser. Per lui, dalla penomi)ra in
che Bachenschwanz, lageman, e Schlegel aveano collocalo
il genio di Dante, comparve questo sfolgorante di luce sul
tripode a innamorare di sé e della sua nazione i robusti
intelletti germanici, si che il culto del divino poeta diventò
un bisogno di essi a progrediente coltura, e la sua Comedia
ebbe molti nuovi traduttori... Biografia del Kannefjiesser,
Messaggìere Tirolese, 24 Gen. 1862.
1824. Streckfdss Karl, Die (jottliche Komòdie des Dante
Alliqhieri; iihersetzt und erlaiitert, Zweite verbesserte Ausffa-
be in Einem Bande, Halle, Schwetscke u. Sohn ; id. Wien,
Gerold, 1834; id. Dante AUighieri' s gbttliche Komòdie,
Uebersetzf erlciutert. Halle, Schwetschke, n Sohn, 1840; id.
Brunsvich, Schwelschte, 1856. (Mori a Berlino nel 1844,
Consigliere intimo attuale di reggenza).
L'esperimento dello Streckfuss gli riuscì felice, non
però tanto che togliesse altrui la speranza del meglio. -
Giuliani.
1828. Philaletes (Giovanni di Sassonia), Dante' s Gòttli-
che Komòdie. Hòlle (Gesang i-x) Metrisch ilbertraqen und
mit Erliiuterungen versehen, Dresden, gedruckt in der
Gàrtner'schen Buchdnckerci (in versi iambici sciolti).
1833. — Dante' s Goettliche ììomódie. Bólle. (Gesang xi.
xxxiv.) Metrisch iibertragen und mit kritisclien und histo-
risclien Erlàuterungen versehen, Dresden, Id.
1839. — Dante Alighieri s Goettliche Comoedie. Metrisch
iibertragen und mit kritischen und historischen Erliiuterun-
gen versehen, Th. I. Die Hòlle. Zweite vermehrte Auflage,
TRADUZIONI TEDESCHE 537
uebst einem Tìtelhtpfer von M. Bctzsch, einer Karte, iind
zwci Grundrissen der ìJólle. Dresden a Leipzig-, Arnold. -
Tli. II : Das Fegefeucr. i\ehsl einem Titelkupfer von H. IJess,
einer Skizze von M. Retzsch, einer Karie, und einem Grun-
drisse des Feyefeuers, Dresden u Leipzig, Arnold, 1840. -
Th. Ili: Das Paradies. - Nebst einem Titelkupfer von E.
Bendemann, einer Umschlagsldzze von L. Ricliler, einem
Grundriss von Florenz, einer Darstelhiny des Sitzes der
Seligen und einer Karte. Dresden, u Leipzig, 1849.
Il benemerito V.Eustachio della Latta, (nato in Came-
rino il dì 8 Luglio 1816, m. il 24 Luglio 1857) troppo presto
rapito all'onore delle lettere italiane, lasciava un volga-
rizzamento inedito della traduzione e delle note del Prìncii)6
Giovanni Nepomuceno, ora re di Sassonia.
Per dare a conoscere l' intendimento che l' augusto
Principe si ebbe in questo lavoro, e come siasi adoperato
di compierlo degnamente ci piace ai riportare parte del
Proemio della sua traduzione. - Dante è da lungo tempo uno
degli scrittori a me prediletti, e le malagevolezze medesime
eh' ei presentava, furono per me un nuovoj incitamento a
consacrarmi a lui con affetto ognora più vivo.
L' impronta caratteristica d' un uomo supremamente
distinto da ogni altro ed espressivo, in un tempo suprema-
mente distinto da ogni altro tempo, del quale non posse-
diamo altra opera sì compiuta; una lingua, che tanto più
facea contrasto all'ingegno del poeta, in quanto che egli
dovea pel primo crearla, l'alta dignità morale e la diligenza
infinita nella esecuzione, mi furono d'un attrattiva irresi-
stibile.
La divina Comedia mi ha sempre avuto l'aspetto d'una
cattedrale gotica, dove il sopraccarico d'alcuni ornamenti
può sì offendere il nostro gusto raffinato, intanto che la
sublime ed austera impressione del tutto e la finitezza e
varietà dei particolari ci riempiono l'anima di meraviglia.
L'una siccome l'altra sono viventi prodotti di quell'età
feconda di commozioni, di quell'evo medio che oramai è
tornato un'altra volta in onore.
Con questa predilezione per Dante s'accese per tempo
iu me la premura di renderne la grande opera nella ma-
538 TRADUZIONI TEDESCHE.
terna mia lìngua, e ciò con la più possibile fedeltà lelle-
rale, per quanto almeno il permettesse lo spirito della
lingua tedesca, e non solamente la grammatica di essa.
A questo scopo io preferii di tradurlo, esattamente sì se-
condo la quantità sillabica dell'originale, ma libero affatto
dalla rima. Io sperava con ciò d'essermi proposto uno scopo
diverso da quello de' miei predecessori, intanto che quello
che inevitabilmente io perdeva da una parte nella forma,
era forse per l'altra parte in grado di guadagnarlo con
una maggiore esattezza e chiarezza, al che io pel grande
alleviamento che a me concedea mi tenni doppiamente
obbligato. . . Un poeta quale si è Dante, pieno di rapporti
storici, teologici, astronomici, ecc., non si potrebbe gustare
senza annotazioni. Io però mi sono limitato solo a quelle
che sono necessarie all'intelligenza, essendo che io non
pensava a scrivere un comentario.
« Le roi Jean, plus compiei que M. Ozanam dans son
appréciation de Dante, interrogeant dans la Divine Comédie
le poète et riiistorien en méme temps que le théologien
philosophe, il a cependanl une préférence marquée pour le
disciple de saint Thomas d' Aquin. Il a étudiè à fond la
théologie du XIF et du XIIF siede; il connait, il cite lous
les passages des docteurs qui onl inspiré Alighieri. Bien
que son livre ne ressemble pas à celui de M. Ozanam, il
est évident qu' une méme pensée les anime. L' auguste
écrivain qui se cache sous le noni de Philalélhès n'a pas
loujours réussi dans sajtraductiou de la Comedia, il est souvent
pale, diffus, languissant: son commentaire est l'un des plus
savans et des plus originaux qu'ont ait écrils. Or Beatrice,
en ce commentaire, apparaìt loute resplendissanle de clartés.
Certes rien ne dispense de lire le texte méme de Dante;
c'est là qu'il faut voir la donna du poète, unie encore à
r humanilé dans les derniers chants du Purgatoìre, s'épurer
peu à peu, s'illuminer, puis, devenant plus belle de cercle
en cercle, s'asseoir enfin sur les trónes de la sainte hié-
rarchie et» se faire une couronne en réfléchissanl les
éternels rayons. » Le commentaire du roi Jean ajoute pour-
tant quelque chose, si on l'ose dire, à ces merveilleuses
peintures. L'interprete s'efface, ce sont les maìlres du poète
TRADIZIOM TEDESCHE. 539
(jui prennent la parole. Tous ces docteurs dont Beatrice
résumé renseignement vlennent lui rendre témolgnage, et
les rapprocliemens soni sì heureux, les cllalions si ben
choisies, que la glose de l'érudit devient une oeuvre d'art. -
Le prince Jean est deveiiu roi de Saxe le 9 Aoùt 1854;
le roi Jean est reste ce qu'il était ; il più illustre fra i
cultori di Dante, come Tappelle M.Charles Wille. Ghaque
année, le jour de sa fète, M. Witte lui dédie quelque étude
de philologie dantesque, en italien ou en allemand. L'un
des plus distingués parmi ces frères servans dont parie M.
Witte, le vénérable M. Blanc, professeur à l'unì versile de
Halle et docteur en théologie, avait publié déjà sous le
patronage -du prince un livre d'une rare valeur, le Voca-
bolario dantesco ou Dictionnaire critlque et raisonné de la
Divine Comédie, l.|Yol. Leipzig, 1852. Le noni du roi Jean
est inséparable désormais des noms de Dante et de Beatrice.
Uva quelques années, le prince était gravement malade,
et se desolali de ne pouvoir mellre la dernière main à son
comnientaire du Paradis; un écrivain du nord de l'Alle-
magne, M. Victor Strauss, composa à ^ette occasion de
gracieuses strophes où II invoquait Beatrice, et la conjurait
de rendre la sanie au plus dévoué de ses fidéles. Beatrice
écoute la requète; elle envoie Dante auprès du prince Jean,
comme aulrefois Virgile auprès de Dante, et le poète dévolle
au commentaleur les myslères de son oeuvre. N'y a-t-il
pas quelque chose de touchant dans celle pieuse commu-
nauté littéraire, dans celle réunion de fratelli cultori, où des
hommes tels que Schlosser, Wegele, Charles Witte, soni
assoclés à l'un des souverains de l'Allemagne? - Citons
encore un fait qui prouve que le roi Jean est depuis long-
lemps apprécié en Italie. L'abbé Dalla Piazza, de Vicence,
avait consacré une partie de sa vie à traduire en vers
lalins la Divine Comédie. Il mourul; en 1844 sans avoir
pu imprimer son Iravail, et il exprima le voeu que celle
pubblication fùt falle dans le royaume de Saxe. M. Charles
Witte a accompli le voeu du sludieux abbé ; il a publié sa
traduction à Leipzig, et l'a dédiée au roi Jean. - Saint-Bene
Taillandier, La liltdrature dantesque en Europe, Revue deux
Mondcs, l.« Dee. 185G, p. 506. - L. Blanc nella Prefazione
510 TRADUZIONI TEDESCHE.
alla sua versione (1863) ne reca questo splendido giudizio.
Ove si voglia aver riguardo alla premura, alla diligenza
e all'accuratezza nel cercare e rinvenire le espressioni cor-
rispondenti, non che alla ricchezza ed al pieno dominio
della propria lingua, non si può non asserire che la ver-
sione di Giovanni I.^ Re di Sassonia, edita sotto il nome
di Filalete, non tenga il primo posto. - Ed un dottissimo
Alemanno pur mi scriveva : De Philalete pradicant quod
non alter tantum adtulit ad expUcandum poetam difficilimum.
Ejiis adnotationes plurimi aeslimantur. (1) - Il Graesse la
ritiene per la miglior traduzione Alemanna. - y.Rutli, Dante
von Philalethes [Ueber die Bedeutunr/ des\ir(jil in der Di-
vina Comedia. Aus den Ueidelb. Jalirbb. de Literatur. 1850.
bcsonders abgedruckt).
1830-34. Fromm Leberecht, Die Dollenstrafe der Fròmmler.
Zwei 'neuenldeckte Gesànge zur llolle des Dante Alifjkieri
iibersdtzt und herausgegeben, ecc. Leipzig, Weidmann.
Dio Ilóllenstrafe der Fr'ómmler. Ein neuentdechler
Gesang zur Halle des Dante Alighieri ùbersetzt itnd heraus-
gegeben. {Nebst der Entdeckungsgeschichte und Anmerkungen)
Leipzig, Weidmann.
1830-32 HoRWARTER, J. B. - e K. von Enk, Dante Ali-
ghieri s gottiiche Kombdie, in deutsche prosa iibertragen,
und mit den nothwendigsten Erlduterungen versehen (Inferno
e Purgatorio) Insbruck.
1835. Rousseau Joh. Baptl, Dante' s Lobgesang auf den
h. Franz von Assisi (ini Farad. Ges. xi.)
1836-37 Heigelin Johan, Friedrich, Dante Alighieri. Die
gottiiche Komódie, oder Wallfarhrt durch die drei Geister -
Reich, Halle, Fegefener, und Paradies, von Dante Alighieri
(Peregrinaggio attraverso i tre regni spirituali); [rei iiber-
(1) Tout le livre II du traile de Monarchia, si brillamment est resumé
dans le discours de 1' empereur Justinien au 6e chant du Parudis. En
expliquant ce discours de Justinien, le roi de Saxe a jeté la plus vive
lumière sur le système politique de Dante. Yoici le titre de l'ouvrage du
roi de Saxe, publié par lui sous le pseudonyme de Philalethes; Dante
AUighierV s Goettlicke ComOdie, metrisch ùbertragcn und mit hritischen
und historischen Erlauterungen versehen. V. Saint-René Taillandìer,
La littérature dantesque en Europe, Revue des deux Mondes. 1 Dee.
185G, p, 492.
TRADUZIONI TEDESCHE. Mi
■srtzt und mit Anmerìnintjen versehen (libera traduzione).
Blaubeuren, MangokI (in versi sciolti).
Di questa versione mi scrivea il sullodalo prof. Ale-
manno: Prorsus laude caret Uórwartcr, cujus prosaicam
versìoncm autumant mclius in scrinus latitasse.
1841. GusECK Bern., (pscud. di Gustavo de Berneck) Di^
góttliche Komódie voti Dante AUfihieri, uebersetzt. Mit einem
StahJstich. Pforzheim, Finck. - Stuttgart, Rieger, 1855. -
Karl Gustav von Berneck, Bern. Guseck, Stuttgart Niegr'
sche verlags Buchehandlung, 1856.
1841. Das ìieue Loben. Aus dein Italianischen ilber-
sclzt und crlaurterty Leipzig.
1842-43. Graul Karl, Dante Alighieri^s (jòttlichc Kom'òdie
in s Deutsche ilbertrafjen und liìstorisch, asthetisch und vor-
nehmlich theologisch erlautert ; Th. 1. Die Ubile, Leipzig,
Dorflling.
Il Graul, sacerdote protestante, si sforza di continuo di
dimostrare nelle sue dissertazioni Dante dissenziente dalle
cattoliche dottrine; e mentre, a suo malgrado, si trova
costretto a confessare che il poeta non è dispregiatore del
passato in sé stesso, e che trovasi « non poco discosto »
dalla perfetta intelligenza della sostanza della riforma, si
consola colf avere scoperto che il Veltro è Lutero, corri-
spondendo lìnanco le lettere del nome. Forse, e senza
forse, la più strana tra le non poche strane visioni, dei
comentatori della Divina Comedia.
1842. Kopiscu AuGUST, Die góttliche Komodie des Dante
Alighieri Metrische Uebersetzung nebst beigedrucktem Ori-
ginaltexte mit Erlliuterungen, Abhandlungen und Uegister;
In einem Bande. Mit Dantes Bildniss und zwei Karten seines
Welt-systems, Berlin, Enslin. - In versi sciolti. - li. edizione,
Berlino, 1862.
Traduzione in egual numero di versi a quelli dell'ori-
ginale, con savio consiglio sciolti da rima . . . Essa ci porge
un nuovo esempio della pieghevolezza e della Aicilità con
cui la lingua alemanna può esprimere un qualsivoglia con-
cetto. Forse sonvi qua e colà dizioni intricale anzi che no,
molto meno però che in altre traduzioni, avute carissime,
di poeti antichi; cosa da' tedeschi volentieri sofferta, tanto
542 TRADUZIONI TEDESCHE.
che alla fedellà serva non pur de' conceili e delle figure,
ma ancora della misura. La quale se venne dall'egregio
traduttore con delicatissimo scrupolo mantenuta, non sem-
pre per avventura fece della prima altrettanto, avviso,
che venne anche dai critici alemanni troppo severamente
confermato. PicchionL - Le dissertazioni aggiunte alla tra-
duzione del Kopisch, dopo quelle di Filalete, sono tra le
migliori, ed hanno il merito particolare di dimostrare
il nesso tra il poema e la Bibbia, coincidendo in tal modo
colle spiegazioni del Tommaseo. JSeque improbantury così il
ricordato Professore, versiones Graul et Gusek: non ila
laudatur Kopisch, potius vUuperatur, ut qui et contra sen-
tentiam poetac, et contra poesìm ipsam multum peccaverit.
1849. GòscHEL C. F. Dante Alighieri' s Osterfeier im
Zwillingsfiestirn des himmlìschen Paradieses. ( Gesang xxiv-
XXVI.) Eine Ostergahe, Halle, Miihlmann.
1861. WiTTE Karl, Die ersten Gcsànge von Dante' s
gottligher Comódie, Halle. (Dedicata al Blanc.)
1863. Braun Julius, Dante Alighieri Die Holle fiir das
deutsche bolf bearheitet, Berlin, Berlag von Th. Chr. Fr.
Enslin. (pag. 356.) Dante Alighieri, l'Inferno, ridotto pel
popolo tedesco. La traduzione è in versi sciolti. - É prece-
duta da una dissertazione di pag. 127.
Dante, cosi l'egregio Braun, al Prof. Nicola Gaelani
Tamburini, appartiene all'universo; e la patria di lui è la
storia dell'umanità; ed il suo giubbileo sarà anche per noi
Tedeschi un punto, onde conteremo le stazioni del nostro
progresso sulla strada dell'umanità e della libertà nostra.
Vi è un fatto assai conosciuto, che col mischiare le stirpi
si hanno generazioni più vigorose: né altrimenti avviene
nella provincia dello spirito, perchè nutrendo il genio na-
zionale col genio d'altre nazioni, si producono in esso i
germi fruttiferi d'una vita più virile, e si dilata quasi il
clima morale proprio di ogni nazione ... Io credo che i Te-
deschi, dopoché si sono abbastanza arricchiti del genio di
Shakspeare, devono ade?so far loro proprio il grande Ita-
liano... Dante si é fatto un monumento csre perennius tmWa.
Divina Comcdia, monumento che durerà fino a che vi avranno
nomini che sappiano comprendere il grande ed il bello.
TRADUZIONI TEDESCHE. 543
Egli si è fatto un altro rnonumenlo, cioè la vostra libertà
e la fondazione della vostra nazione... Un monumento de-
gno del vostro più gran genio non può essere una statua,
ma un grandioso instituto, una università, una Accademia
Allì(]hieri, una scuola per tutto il grande ed il bello, dal
quale confortata la generazione futura coronerà la grandezza
e la gloria presente della nazione.... (Rehme, Vestfalia, 5
Marzo 18G4).
Né sterile si fu l'ammirazione del Braun pel nostro
altissimo poeta; che non solo cercò con lungo studio e
con grande amore 1' immortale volume, ma volle dargli
nuova veste alemanna. Di questo lodatissimo lavoro ebbi
da fonte autorevole questo giudizio. - Quod si hucusque Ires
illi priores (Kannecjiesser, Streckfuss, Philaletes) maxima
gloria ulebantur, nec suo merito unquam erunt destituti, -
forma versìonum in nullo ab omni parte laudabilis esse
videtur - hodie vcrslones J Braun et Blanc haud dubie
primum locum obtinebunt, ille propterea quod studuil
concinno sermone poetara quasi hospitem in Germaniam
inducere: lune ea qu» versioni pra^misit lucide et bene
scripta sunt. Nescio an Braun in futurum ille sit qui gustui
Germanorum imprimis arrideal, licet terzinas poematis omi-
serit quas servai Blanc, unus ex iis qui Dautem per totam
vitam pelracta veruni.
18G4. Blanc L. G. Dia góllliche Knm'ódic des Dante Alli-
(fhieri ueberselet iind erlautet, mil einem Bildnisse Dante ' s
von Prof hilius Thiiter, Halle.
Le ragioni della sua versione stanno nella prefazione di
che cui piace di recare la parte più importante.
Chi, al pari di me, per molti anni si occupò dello studio
di un grande poema, sente al line il bisogno di pervenire
ad una conclusione de' suoi lavori. A questo punto due vie
gli si offrirebbero. L' una immensa, lunga e diflìcile ed
affatto impossibile ad un uomo della mia eia, sarebbe un
profondo (lomento, ovvero anche una rappresentazione del
suo fine e del suo meraviglioso organismo, la quale abbrac-
ciasse ogni parte del grande poema. V altra, se si compari
con quella, agevole ed attuabile è per l'appunto una ver-
sione del lutto. Questo cammino, come il solo a me possibile.
bA4 TRADUZIONI TEDESCHE.
io ho ballulo. - La mia traduzione è metrica ma senza
rime, primamente perchè io non son poeta, ed in secondo
luogo perchè di questa sola forma mi parve che si potesse
ritrarre una fedele immagine dell'originale, la quale sovra
l'odierno leggitore tedesco facesse presso a poco la mede-
sima impressione che V originale sovra gli odierni italiani.
La forma delle terzine si collega intimamente con l'intiero
organismo del poeta, ed olTre però al traduttore che vuol
serbar la rima difficoltà veramente insuperabili. Oltre a ciò
accade che la rima tedesca suona all' orecchio infinitamente
più sorda che l' italiana, e giusto per ciò vien meno notala.
Tuttavia questo non si vorrebbe mai considerare di fronte
air essenziale, all' infinite bellezze di espressione che si
debbono sacrificare. Kannegiesser, Grul e Gussek oiTrono
di questa opinione la più compiuta testimonianza, e lo
slesso, del rimanente molto più pregevole, Streckfuss ha
pur dovuto far molli sacrifizii di cosiffatta maniera. - Sem-
brami all' opposto della massima importanza esprimere non
solo intiero e compiuto il senso dell'originale nella versio-
ne, di modo che possibilmente nessun vocabolo rimanga
senza traduzione, ma sì ancora, per quanto sia possibile,
mantenere la costruzione e la disposizione di parole proprie
dell' originale. - Cosi pur sembrami non solo permesso ma
veramente necessario che la versione, del pari che l' origi-
nale, riceva una lieve tinta d' antico, la quale offra qua e
là alcune poche voci ed espressioni a' dì nostri meno ado-
perate, alcune più forti contrazioni di vocaboli, alcune
inusate apostrofi ed alcune trasposizioni di parole meno
usate, non troppo tollerabili per verità nella prosa, ma qui
per l'appunto imposte...
L'endecassillabo di Blanc è facile e piano, e però gua-
dagna in evidenza ciò che gli manca in eleganza. Ad un
conoscitore tanto intimo della nostra lingua com' è il Blanc,
osserva il Degubernatis, sarebbe far torto ed essere forse
indiscreti, il chiedere alcun ritocco a certi luoghi meno
fedelmente tradotti, essendo egli per io più traduttore
perfetto. Il lavoro di Blanc, conchiude egli, è destinato a
divenir popolare in Germania ed a preoccupare gli sludii
di lutti i Dantofili; la sapienza che governa l'insieme e la
TRADUZIONI TEDESCHE. 545
diligenza per la quale hanno come una propria vita le sin-
gole parli, assicurano T immortalila a queslo mirabile fruito
delle veglie dantesche del venerando alemanno. Di questa
versione cosi mi scriveva un dottissimo prof, di Monaco:
Unus ex iis qui Dantem per totam vitam assiduo studio
pertractaverunt. De hoc pubblicum judicium nondum appa-
ruit, quantum sciam: mea sententia super at multum prioreSy
ita tamen ut fide verborum maxime auctorem reddere stu-
duerit, vertendo poetam ìnterpretans. E d' altra autorevolis-
sima fonie ebbi pure queslo giudizio: E una versione alla
lettera, quale più non si potrebbe né anco in prosa italiana^
e quindi di (jrande utilità per V intelligenza del testo, e a
meglio dire per sapere come ad ogni luogo la pensi il Blanc,
eli è un autorità di prima riga.
11 Goeschel osservava come il 1853 fosse una specie di
centenario per lo studio di Dante in Germania. Isell'anno
1755 il poeta cesareo Niccolò Ciangulo, presso gli eredi
Heinsius in Lipsia, ha stampato da principio a modo di
saggio quattro canti, e subito dopo l'intera cantica del-
l'Inferno con brevi noie, tolte per la maggior parie al \en-
luri, e questa si fu la prima edizione apparsa in Germania...
Queslo primo lentalivo di far conoscere Dante in Germania
non rimase senza effetlo nei tempi posteriori. Due anni
dopo l'edizione dell'Inferno, noi troviamo Ciangulo legato
con T. L. B. Bachenschwanz quale edìlore per gli scrini ita-
liani e tedeschi, e dieci anni dopo apparve l'Inferno di
Dante Allighierl tradotto da L. Bachenschwanz. Questa tra-
duzione venne in tanto favore, che nello slesso anno fu
mestieri rifarne la stampa. Nei due anni susseguenti tennero
dietro il Purgatorio e il Paradiso, e queste due cantiche furono
dedicale all' Imperatrice Caterina di Russia, appunto come
dieci anni prima dal librajo veneziano Zatla era stata de-
posta appiè del trono della czarina Elisabetta la splendida
sua edizione delle opere di Dante. Però Meinhard aveva
già in qualche modo prevenuto il Bachenschwanz. Eccitalo,
com'egli dice, dal vedere che un critico cosi savio, come
il celebre Bodmer, avea desiderato una traduzione della
intera Comedia di Dante, stampò nel 1763 ne' suoi Saggi
VoL. II. 35
546 TRADUZIONI TEDESCHE.
sopra il carattere e l'opere dei migliori poeti italiani un
ben inteso e non breve compendio del divino poema. Nel-
l'anno 1795 furon pubblicati vari frammenti della tradu-
zione in metro di A. G. Schlegel, traduzione ancor sempre
inarrivabile; e nel 1809 ebbe luogo la prima edizione della
traduzione di Kannegìesser. - Le più antiche traccie ch'io
abbia potuto scoprire intorno allo studio della divina Co-
media nella letteratura tedesca ascendono ad un secolo
anteriore alla prima edizione di Ciangulo, e trovansi nelle
avvertenze di A. Griphius al Moribondo Papiniano { 1659,
verso 704). Ivi è tradotta una parte del canto dodicesimo
dell'Inferno. Un secolo addietro, nell'estrema parte sud-
ovest della Germania, erasi taluno occupato di Dante in
uno scritto, più tardi interamente dimenticato. Neil' anno
1559 Gerolamo Fricker, presso Oporino in Basilea, pubblicò
per la prima volta il piccolo libro de Monarchia, ma nello
strano errore che questo fosse lavoro di un secondo Dante,
vìssuto sul finire del secolo XV, e stato in amichevole re-
lazione con Angelo Poliziano. Nello stesso anno fu pubbli-
cato in Basilea per opera di Giovanni Heroldl la traduzione
tedesca di questo libro (presso Niccolò Bischoff), e nel 1536
apparve di nuovo presso Oporino, per cura di Schardius,
una edizione molto esatta del testo latino. Altre ristampe
se ne fecero sul principio del secolo xvii (1609 e 1610)
in Strasburgo ed Offenbach. Il Concilio di Costanza desto
in Germania le prime scintille per lo studio della Di-
vina Comedia. Ad istanza di un Cardinale e di due vescovi
inglesi, Giovanni di Serravalle scrisse un vasto comen-
tario latino sull'immortale poema di Dante, e in quello
anno medesimo, in cui Girolamo da Praga sosteneva la
pena del fuoco innanzi alle porte di Costanza.» Witte,
Degli studii su Dante fattisi in Germania nel 1855, Blatter
filr Uterarische iinterhaslung, n. 2, 10 gen. 1856; arti-
colo riprodotto dallo Spettatore di Firenze, 4 Maggio
1856 - «L'Allemagne y brille aussi au premier rang par
les qualités qui lui sont propres ; elle a reconstruit le sy-
stème de Dante et retrouvé l'unite de cette grande àme.
Si Dante est bien compris aujourd' hul, e' est à elle qu' il
faut en rapporter l'honneur. Les traductions de Streckfuss,
TRADUZIONI TEDESCHE. 04i
«le Kannegiesser, aii commencement do ce siècle, plus
récemment celles de M. Auguste Kopisch el du roi de Saxe,
donneraieni lieu, si on les examlnail en délall, à plus
d'un reproche sérieux; les Iravaux des hìstoriens, les dé-
rouvertes de M. M. Charles WiUe, Franz Wegele, Émile
Ruth, les patientes éUides du roi Jean, sont de véritables
conquétes pour la science. - TuiUandicr, Revue des deux
Mondes, 1 Dee. 317. - Y. Id. p. 479.
V. - TRADUZIONI SPAGISUOLE, CASTIGLIANE,
CATALANE.
1513. ViLLEGAS DOjs PERO Fernandez, Arcediano de Rurgos.
La traduccion del Dante de lengua Toscana en verso castella-
no: yporel comentado allende de losofros glosadores ; por la
mandado la de la muy eccelentc Sennora donna Juana deAra-
(jon, duquesa de frias y Condessa de Baro fija del muy pode-
roso Rcy don Fernando de Castìlla y de Aragon. Umado el
calholico Con olros dos cratados uno q se dlze querella de
la fé y olro aversi on del mudo y covcrsio a dios - Impri-
iniose est a muy provechosa y notabile obra eii la muy
noble y mas leai cibdad de Burgos por Federique alemau
de Basilea ac abose Lunes a dos dias de Abril del ano de
nuestra redempciou de mill y quinientos y quinze annos.
La traduzione in prosa del celebre D. Enrico di Aragona,
marchese di Villena, morto nel 14S4, è tuttavia inedita.
Anche la Catalana di Andrea Februcr, (li2S) la più antica
traduzione in versi in una lingua moderna, non venne mai alla
luce. Si conoscono di essa due manoscritti, l'uno all'Escurial,
in fogl., di fac. 2G9; l'altro al Convento de' PP. Geronimiti
di S. Michele de los reyes di Valenza extra muros. Il Sig.*"
F. R. Camboulill, professore di retorica, e membro della
operosa accademia di Mompellieri, ci diede uno squarcio
di questa versione di merito singolare [Essai sur Vhìstoire
de la littérature catalane, Paris, 1837). Anche il S."" Eugenio
Baret, professore di lettere straniere a Clermont, nel suo
bei lavoro Espaqne et Provence, si occupò di questa notevole
versione. Y. l'Articolo del Ycgezzi-Ruscalla, Rcv. Contcm-
548 THADUZlOM SPAG?>UOLE.
poranea di Torino, Decemijrc, 1857. - « Je ne parie pas de
r Espagne; Danio y avait pénélré de bonne heure; mai»
rinquisition, plus sevère que J'église romaine, se bàia de
jeter l'inlerdil sur l'oeuvre du poèle de Florence. Gel inlerdit
n'a pas élé leve par la curiosile el le libéralisme de no»
jours. L' Espagne avail trop à l'aire avec sa propre lilléralure.
Avant de réveiller le souvenir de Danle, ne fallail-il pas
lirer de l'oublì les anivres nationales, depuis le poème de
C id imqiv'àwx drames de Calderon?» Saint-René Taillan-
dier. (1)
VI. - TRADUZIONI SVEDESI E DANESI
MoLBECU CuR.K. F., Guddomelige Komcdie Oversal afM...
Ejòbenhaven - Deel (nondum edita). 2. Skiirsilden, 1855 ;
Paradiset, 1862. '
Secondo Saint-René Taillandier, l'Inferno sarebbe slato
pubblicalo nel 1852.
« Traduction en vers où la terza rima du Florenlin est
employée, m'assure-l-on, avec une habileté rare, et Iriomphe
de mainles difficultés. - On doit aussi à M. Molbech un
drame en vers doni Alighieri est le héros: Danle, Copenha-
gue, 1852. L' action se passe sous le priorat du poèle et ■
se termine par son banissement. L'oeuvre de M. Molbech
est peu dramalique, mais à défaut d'invention elle est pleine
de senlimens élevés et témoigne d'une connaisance appro-
fondie du sujet. Saint-René Taillandier.
1853. BoTTiGEs Wilhelm, 1 primi x canti dell' Inferno,
(ne' suoi Jtalienska studier, Upsal). - « M. Botliger étudie
surlout les origines de la poesie italienne, et il a inséré
dans son livre une traduction svédoise de dix premiers
chanls de la Divine Gomédie. » - Saint-René Taillandier.
.... NlLS LOVVEN ...
(1) li Prof. Gaetano Viclal sta per pubblicare una traduzione spagnuola
della divina Comedia del Sec. XV con illustrazioni, intorno alla quale
lavora da sei anni. Questa interessantissima pubblicazione sarà seguita
da altra traduzione del sacro Poema, fatta dallo stesso Yidal, parimenti
in lingua spagnuola.
TRADUZIONI RUSSE. 549
MI. - TRADUZIONI RUSSE
1843 Yan-Dima, {Divina Comoedia Dantis Alighcrii, In-
fevnum, additis delineationibiis Flaxmanì et italico textu.
Versio ex italica lingua a Y. \an-Dima reddita, introductio
et vita Dantis a D. Struchow facta ; St. Petropoli, Edilio E.
Fischeri).
« Déjà en 1843 M. Van-Dima avait publié à Saint- Pé-
lersbourg une version en prose des treule-lrois chants de
V Inferno; M. Dmitri Min a eu l'ambitioa de les reproduire
en vers, et son oeuvre a élé accueillie avec éloges par les
critiqiies du Nord. On vanto surtout les disserlalions qui
raccompagnent. N. Dmitri Min a largement mls à profit
les iravaux des Allemands; il cmprunte beaucoup d'idées
à M. Wegele, à M. Witle, à M. Rulh, au roi Jean, mais il
y ajoule aussi des vues qui lui soni propres. » - Saint-René
Taillandier. - « Ottimo traduttore in versi è pur anche
Demetrio Min profes. dell'arte veterinaria all' università di
Mosca... Tradusse in terza rima tutto l'Inferno di Dante e
pubblicollo. La terza rima è difticile nella lingua russa,
perchè il numero delle rime non vi abbonda come nell'i-
taliano, e perchè la prosodia russa esige un ordine tra le
rime chiamate masculine ossia tronche, e le feminine ossia
piane, lo che accresce la diflicollà di quel metro. Min ha
saputo vincere questa difiìcoltà con arte perfetta. La sua
versione di Dante è così fedele che fa meraviglia ai cono-
scitori del testo italiano. Ma il gusto del pubblico nutrito
dagli alimenti leggieri del giornalismo, non sa apprezzare
tali lavori, e la traduzione non favorita dal pubblico non
avanza e non si vende. - Scev ire [-Rubini.
« Les étais scandinaves, la Russie et l'Amérique en soni
au poinl où nous en étions nous-mcmcs il y a un demi-
siècle: on n'y lit encore que V Enfer. Dante n'est pas un
de ces poètes qui peuvenl élre pénélrés du premier coup.
L'hislorien Schlosser a lu neuf fols la Divine Comedie avant
d' y trouver un vrai plaisir ; aujourd' bui il la lit avec en-
550 TRADUZIOM RUSSE.
thouslasme, cornine un bréviaire de morale religieuse, et il
commenlc le Para^is dans de gracieiiscs lellres à un ami.
11 faut cello volonlé persévéranle pour forcer la porle du
sanctuaire. L'inlilìalion a commencé pour l' Amérique, la
Russie el Ics peuples scandinaves. Ce Iravail sera mene
à bien, et Danle aciièvera ses conquéles. - Ce relour uni-
verse! à l'elude de la Divine Conuklie est un symplòme
que nous rccueillons avec joie. Il senible, au premier abord,
qu'une oeuvre comme celle de Danle ne doive inléresser
désormais que la curiosile des érudils; sa cosmograpliie
est détruile, ses mysliques éloiles se sontévanouies devant
la sclence de Newton.... Sous l'appareil condamné de ses
iiclions, au milieu des préjugés d'un autre àge, il y a là
une inspiration immorlelle, la passion de la justice. Ce
poète qu' on a tant éludié au point de vue de l' histoire
el de Tari, il reste à l'inlerroger encore au nom de la
morale militante. Il y a plus d'un rapport enlre Pascal el
Dante: lant que durerà l'humanilé, les Pensées de Pascal,
et surtout sa théorie des trois ordres, seront la nourriture
des àmes fières ; tanl que les lois de la suprème justice ne
seront pas exécutées sur la terre, la Divine Comédie offrirà
à ceux qui souffrent de sublimes consolations. Aujourd'
Imi parliculièremenl je comprends trop pourquoi Dante peut
devenir un des poèles favoris de notre xix^ siede. Danle
élait Seul au milieu des factions qui déchiraient sa patrie;
supérieur aux lultes de son temps, ne voyanl partoul que
fraude, convoitise, faiblesse, servilité, c'esl-à-dire toutes les
formes de l'intérét, il s'élail réfugié dans la cilé ideale con-
struite par son genie. Nous aussi nous sommes mal à l'aise dans
ce monde, et nous apercevons au-dessus des parlis dévoyés
l'éternelle morale qui nous offre un asile. Cesi làquesont
les ressources de l'avenir; e' est là qu'il faut dépouiller le
vieil homme pour «créer l'homme nouveau. Au milieu de
ses extases, Allighieri était une intelligence pralique ; il ne
séparait pas la vie aclive de la conlemplation; il ne s'esl
jamais détaché de la terre el de laréalilé. Faisons comme
lui. Soyons notre parti a nous seuls, recomposons en si-
lence l'elite généreuse dont l'iiumanilé a besoin. Ayons
notre enfer el notre paradis en nous-mémes, punissons el
TRADUZIONI RUSSE. 531
réconipensons les hommes au tribunal secret de notre con-
science ; sachons aimer, et puisqu' il le faiit aussi en ce
triste monde, sachons hair! Sachons aimer le bien, sachons
hair le mal ! Entrelenons en un mot cette force spirituelle,
celte passion du bien, cette soif de justice, qui est à travers
les siècies le signe inelYafable du grand gibelin. C'est le
meilleur moyen d'obéir à l'inscription de Santa Croce: Ono-
rate r altissimo poeta. » -Saint-Rene Taillandier, p. 150.
BIBLIOGMFIA DANTESCA ITAllAM (1)
1. - VITA DEL POETA, E RICERCHE INTORNO LA SUA VITA
Thouar Pietro, Dante, Milano, Ublcinì, 18b5.
Il Thouar in questo suo lavoro ci reca la biografia di
Dante, coli' esame della sua mente e delle sue opere, e un
cenno delle vicende storiche e letterarie d' Italia, secondo
che si riferiscono ai casi del poeta, o al concetto della sua
poesia, 0 alla luce che da quella si riverbera sugli studii
posteriori. E diviso in tre parti, determinate dalla natura
medesima del soggetto, la vita cioè di Dante, V esposizione
del suo poema, e le fasi della scuola dantesca in Italia.
L'intento morale che si palesa da tutte le pagine di questo
volumetto in gran parte compensa lo scarso concetto let-
terario di qualche suo brano. Se v' è alquanto debole la
parte critica, vi ha invece un'elevatezza di sentimenti, ed
una nobiltà di linguaggio che son fatte per destare ed ac-
cendere le migliori facoltà negli animi giovanili. Le due
prime parti sono più largamente composte ed eseguite con
maggior cura, la prima specialmente in cui si leggono pa-
gine squisite per semplicità e per robustezza di pensiero.
Anche l'esposizione del poema è fatta con cura, ma non
(1) Della Ribliografia dantesca Italiana ricordo solo le opere che
vennero scritte dopo la pubbiiciìzione della pazientissima ed accuratissima
Bil)liogralla dantesca del Batines. Degli altri autori non accenno che il
nome, giacché se volessi tessere il semplice catalogo delle opere loro non
farei che ricopiare il Batines, - Debbo poi rendere pubblica testimonianza
di grato animo all'egregio ed erudito Sig. Francesco Scipione Fapanni
di Venezia, appassionatissimo ed assonnatissimo raccoglitore delle cose
Dantesche, che eoa cortesia piuttosto singolare che rara mi fece copia
della sua ricca collezione, qualunque volta me ne venisse bisogno,
onde mi venne agevolata la fatica delle ricerche, e potei notevolmente
accrescere il mio lavoro.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 553
forse colla pienezza di critica necessaria a sviscerare il
concetto della divina Comedia, e a mostrarne al vivo il
carattere e l'importanza.
Fraticelli Pietro, Storia della Vita di Dante AUighieri,
compilata sui documenti in parte raccolti da Giuseppe Pelli,
in parte inediti, Firenze, Barbera, 18()1.
II libro del Fraticelli, secondo ch'egli stesso ne dice
nella Prefazione, contiene tutto quello che il Pelli raccolse,
tranne le cose evidentemente erronee, ma non è uti lavoro
modellato su quello di lui, o di qualunque altro biografo
dell' AUighieri. Ei non dà una nuda raccolta di memorie,
non dà una vita in quel largo signiiicato che oggi suol
darsi a titoli consimili, ma dà una storia della vita di Dante,
compilala sui documenti, e scritta con quella critica, la
quale si richiede a siffatti lavori. Ei .rappresenta l' uomo
nel suo secolo, ma non in modo che nella storia del secolo
scompaia l'uomo: la sua figura, siccome la principale in
un dipinto, dee campeggiar convenientemente, e non rima-
nere affogata dagli accessorii. Delle questioni letterarie non
volle impacciarsi, si imprese a risolvere le storiche, senza
parte e senza alcun preconcetto.
Gregoretti Francesco, Vita di Dante AUighieri desunta
dalle sue opere e col riscontro delle sue alle presenti opi-
nioni politiche e religiose in Italia, Venezia, Naratovich,
Gennaio 18()4.
Il Gregoreili fa precedere questa breve Annotazione:
« Questa ^ ita venne scritta e si pubblica affinchè ognuno
possa conoscere agevolmente leggendola quanto fu grande
l'Italiano della cui nascita si sta per festeggiare il sesto
secolare anniversario. »
Mercuri Filippo, Quale sia stato il primo rifugio e il
primo ostello di Dante, Roma, Pucinelli, 1814.
Se Dante fosse veramente morto nel 1321, Napoli,
Nobile, 1813.
Telam Giuseppe, Intorno alla dimora di Dante al ca-
stello diLizzana, Rovereto, Marchesani, 1834. - Lettera in
aggiunta ad altra lettera sua intorno alla dimora di Dante
al castello di Lizzana, Rovereto, Marchesani, 1835 ^Opuscoli
non citali dal Ratines).
554 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
Il Telani si fa a provare che Dante fu ospite in Llzzana
di, Guglielmo di Caslelbarco, Signore di tutta la valle La-
garlna. Ei vuole che dal castello appunto di Lizzana ei
potesse a meraviglia vedere la ruma per lui descritta al
C. xiii dell'Inferno, volgarmente chiamata gli Slavini di
Marco, dal paesello che le sia di presso. Ribatte l'opinione
del Cesari che ritiene il poeta accennasse a quel dirupo
di monte stagliato al Castello di Pietra ; a poca distanza da
Calliano, sulla vecchia via da Trento a Rovereto; impugna
pure quella del Mafìei che asserisce ricordata la ruina della
Chiusa, presso Rovereto, seguita nel 1310, e lo scoglio al-
lora cadde difatti nell' Adige e lo percosse. Francheggia
la sua opinione colle parole dello storico Ambrogio Franco
che chiama nobilissimo il paesello di Marco, non perchè
vi abbia Dante soggiornato ma perchè nelle cantiche divine
gli abbia dato nominanza; coli' autorità del Co. Benedetto
Giovanelli, accuratissimo investigatore delle patrie memorie
(Inspruck, Wagner, 1832); e per infmo con quella del
Petrarca che nell'Epistola YI a Guglielmo da Pastrengo
delinea ad evidenza la ruina di Marco: Vidi horrifìcam
solido de monte ridnam ecc. Molti spositori, non eccettuati il
Tommaseo ed il Fraticelli, menzionano la ruina di Monte
Barco, presso Rovereto, il qual monte non esiste neppure,
come osserva il roveretano Telani, ma bensì il villaggio
di Marco, che come si è detto di sopra, è assai vicino allo
scoscendimento descritto dal poeta. Del resto il Tommaseo
consente col Telani, tanto più, coni' ei dice, che la ruina
di Monte Barco ha alcuna via per iscendere, quella della
Chiusane, almeno adesso. E acciocché regga la similitudine
del borro infernale qualche via ci dev'essere; e V alcuna
della terzina seguente non può significare nessuna. Aggiun-
gasi che il C. xn fu probabilmente composto avanti il 1310. -
y. Ambrosi, Comento al C xu dell'Inferno, il Mutuo soccorso
di Rovereto. (Strenna, del 1864).
ZoTTi Raffaelle, Della Visita e dimora dì Dante Allì-
f/hieri nel Trentino, Dissertazione storico-critica (pubblicala
da prima nell'Appendice del Messaggere di Rovereto) Ro-
vereto, Caumo, Luglio 18(54, di pag. 84.
Premessa la storia e la descrizione del castello di Lizzana,
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 555
a (lue miglia da Rovereto, il Zotti, francheggiato (lall'autorità
di Ambrogio Franco ( n. 1559 ), di Michelangelo Mariannl
(sec. XVII), di Jacopo Tartarotli, del P. Benedetto Bonella,
del Co. Adamo Chiusole, del Cav. Giuseppe ValerlanoYanelti,
ed inoltre del Telani, del Pederzani, ecc. ei prova come
Dante visitasse il Trentino, ospite del march, di Castelbarco,
amico degli Scaligeri, che alternava la sua dimora tra
la valle Lagarina e Verona. - E da prima ei prende ad
investigare in qual anno Dante si recasse per la prima volta
a Verona, e riportate le opinioni del Boccaccio, del Bruni,
dì Girolimo Della Corte, del Biondo, del MafVei, non che
quelle del Lombardi, del Trova, del Fraticelli, del Tommaseo,
conchiude che dal Gennajo loOS al Marzo 1304 trovasse il
primo rifugio e il primo ostello presso il gran Lombardo.
Ponendo poscia mente come nell'Inferno, in ben tre luoghi,
nominasse palesemente il Trentino, ei s'induce a credere
che lo visitasse prima del 1308. - Oltre a ciò prende a con-
siderare le ragioni dell* intimità ed amicizia tra gli Scaligeri
ed il Castelbarco, onde ne trae la conseguenza che dal
Castelbarco fosse invitalo a respirare le aure fresche delle
valli trentine, a deliziarsi in qtielle amene e pittoresche
vedute, ad inspirarvisi in Une per condurre ivi a termine
r immortale suo lavoro.
Ma le prove le più sicure, le più incontrastate ei le
trova nel grande volume. E di certo il poeta non avrebbe
potuto ritrarre con tanta evidenza gli Slavìni di Marco,
giudicar della cima del monte, onde si mosse; conoscere
come da quella al piano la roccia è sì discoscesa; non avrebbe
potuto sapere che quantunque selvaggia aspra e forte, pure
alcuna via darebbe a chi su fosse, se non percorrendo e
minutamente osservando tutta la ruina nella sua vasta
estensione. - ISè la magnifica descrizione del Benaco {ìoteva
esser fatta con si evidente geografica precisione, se non da
chi vi ci fosse slato, tanto è si specificatamente circonscritta,
che nessuno potreblie. meglio. Un novello argomento ei lo ri-
trova nella Chiarentana del C. xv. egregiamente interpretala
dal Prof. Lunelli (Giorn. La Fenice, 1843, p. 205 e 214 ; Trento
Monauni, 1864), sicura riprova delle cognizioni locali che
Dante possedeva intorno alla topografia del Trentino, cogni-
ì)56 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
zioni che diftìcilmenle avrebbe potuto procurarsi a quei tempi
così poveri di mezzi di comunicazione, se non vi avesse fatto
lungo soggiorno. Anche nel L. ii, e. 15 de Yuhjari Eloquio il
poeta parla così precisamente del dialetto trentino, da dover
inferire a bel diritto ch'egli ne avesse perfetta e piena
conoscenza. Da ultimo il Sig."" Zotti inclinerebbe a ritenere
col Vanetti che la bella montanina che in mezzo all' alpi
nella valle del fiume avealo innamorato, fosse della valle
del Lagaro, appoggiato anche in questo ad una tradizione
popolare, riportata da un frate Carmelitano di Rovereto,
{secondo il Zotti, il P.Francesco daTrevigi) che nel 1550
0 in quel torno lasciava scritto : Dante visse et dimorò per
qualche spatio di tempo in la villa di Lizzana^ qual è pros-
sima alle rovine di Marco, et kivi havea la sua innamorata,
come ho io udito per tradizione dalla bocca degli piii vecchi
del paese. - (V. Giuseppe Valeriano Yannetti, padre del
celebre cav. dementino. Intorno ad alcune circostanze della
vita di Dante, e dell' aver egli dimorato nella valle Laga-
rina e quivi composto una sua canzone, Lettera al Sig."" Pietro
Moneta, fiorentino, dei 3 Decembre 1757, Venezia, Zatta,
1759).
Bianchi Ab. Giuseppe, Del preteso soggiorno di Dante in
Udine ed in Tolmino, durante il Patriarcato di Pagano
dulia Torre, Udine, Turchetto, 1844.
E divulgatissima la credenza che Dante nel 1319 facesse
non breve soggiorno in Udine, ed ospitale accoglienza vi
trovasse in corte del Patriarca Pagano della Torre, ed ivi
componesse alcuni canti dell'immortale suo poema, ed il
Balbo, il Thouar, il Tommaseo, il Sigalas ecc. lo ripetono
nelle lor vite dell' Allighieri. Ma il Bianchi, quantunque
friulese, combatte gagliardamente questa asserzione; im-
pugna il Candido, che solo nel 1500 fu il primo a spacciare
questa favola ; sostiene fosse reso impossibile ogni ravvi-
cinamento fra Dante e Pagano, dalla religione non meno
die dalle politiche opinioni, dagl'interessi rispettivi, dagli
obblighi e relazioni antecedentemente contratte. Per compro-
vare le venuta di Dante in Friuli si allegano documenti o
che non esisterono giammai, o che si vollero in un incen-
dio periti, e che se anche tuttavia sussistessero, secondo
BIBLIOGRAFIA DAISTESCA 1TALIA^A. 557
il criterio logico, proverebbero il contrario. Confuta valorosa-
mente Jacopo di Yalvassone di Maniago, che, primo di
tutti, con argomenti all'atto imaginari, sognò un nuovo
soggiorno di Dante a Tolmino, additando per infino uno
scoglio posto sopra il fiume Tolmina, chiamato sedia di Dante,
e volendo che quivi scrìvesse sulla natura de pesci. Ma il
Bianchi con prove incontestate ne convince che i Patriar-
chi di Udine non ci ebbero mai stanza; che Soffumbergo, e
non Tolmino era il luogo delle loro villeggiature ; che Tol-
mino fino all'otto Agosto 1319 fu in potere del Co. di
Gorizia; e con altri documenti alla mano segue il Patriarca
Pagano della Torre per tutto il resto del l'òl9 a Cividale,
ad Udine, a Gemona, e ne chiarisce che non andò mai a
Tolmino. La tradizione essere solo appoggiata all'ideale
racconto del A'alvassone. Da ultimo mostra inefficaci le
prove che si vorrebbero desunte dall'opere del nostro poeta.
Scolari Filippo, Del doversi scrivere e stampare costan-
temente Dante AUiffhicri con doppia l e non altrimenti,
Venezia, 1841 ; Naratovich, 1861.
Torri Alessandro, La grafia del casato di Dante AUi-
ghieri rivendicato alla legitima originaria lezione contro l'uso
erroneamente invalso, Lettera al cav. Davide Bertolotti, II.
ediz. Pisa, Prosperi, 1853.
Aunms DE Riaks Stefano, Esercitazione filologica sul ca-
sato e suir arme di Dante, Firenze, Baracchi, 1853.
Scolari Filippo, All' onorevole Audin de Rians, 1854.
Anche la grafia del casato di Dante diede luogo ad
accerrime oppugnazioni. Lo Scolari, il Torri ecc. guerreggia-
rono per la doppia /; il Fraticelli, Audin de Rians per la
/ semplice. Si fecero forti i primi dei codici che porgono
il casato di Dante con doppia /, i quali stanno a petto
degli altri in proporzione di g ad / ; della forma originale e
legittima Aldìgkieri, dalla quale ne viene pure insepara-
bile la nuova forma Allighieri, per la naturale e certa
mutazione della d in/; dell'autorità del Bocaccio che nella
vita di Dante scriveva che alla moglie di Cacciaguida, la
quale era degli Aldighieri di Ferrara piacque di rinnovare
il nome de' suoi passati in un suo figlio, e nominollo Aldi-
ghieri, comecché il vocabolo per detrazione di questa lettera
558 BIBLIOGRAFIA DA>TESCA ITALIANA.
(1 corrono rimanesse AUujhieri. Ma il Fraticelli, rovistando
■pure gli antichi documenti, ci prova del contrario: de' 33
esempi ch'egli ci allega quattro sono con due/; ventiotlo
con una /; uno allatto senza /; ne aggiunge che mutavasi
hensì il d in l, solo però ove 11 d si trovasse alla / pre-
posto, ma non mai in caso diverso; da ultimo il Fraticelli
in luogo di detrazione, appoggiato a' codici più sicuri ed
antichi, legge sottrazione, lo che muta d'assai il senso del
concetto. Ma anche comunque leggere si voglia quella
parola, ei ritiene francheggi sempre più l'opinione sua. Né
se ne cura punto dell' «/a d'oro in campo azzurro, arme
degli Aldighieri, perchè quell'arma fu solo assunta alla (ine
del secolo XY, od al principiare del secolo XYI. Ed è pur
notevole che in Firenze, nel Panteon italiano, si legga Ali-
ghieri, con un solo /, e sotto la statua collocata nel Log-
giato degli Uffizi, stia scritto invece Allifjhierì con due,
cosi decretando la Deputazione firentlna, incaricata della
decorazione di quel luogo. Così pure nell' iscrizione adottata
nel nuovo Teatro comunale di Ravenna, teatro che fu appunto
intitolato dal nome del casato dantesco, si legge i/Z/iy/uer/,
secondo la nuova riforma ortografica. 11 riputato giornale
il Crepuscolo, ( 2(> Dee. 1832) dagli argomenti del Torri e
dello Scolari vuole definita la questione: Carlo Troya ar-
meggia invece pel Fraticelli e gli dà vinta la palma {Del
yeltro allegorico de' Ghibellini, Napoli, 185(), 370). Ma gli
AHighieri di Verona non si acquetano agli argomenti del
Fraticelli, ed il Co. Pietro Serego AHighieri, discendente
del grande poeta, protestava solennemente di non voler
mutare la grafia del suo casato, e che anche per l' innanzi
continuerebbe a scrivere AHighieri, (Gaz. di Venezia, 18
Maggio, 18GI) -V. Troya, Del Veltro Allegorico dei Ghibel-
lini, Napoli; Vaglio, 1836, p. 3G9. Osservazioni sul Cognome
di Dante: - Secondo il Rians la I. sentenza di condanna
del poeta a' 27 Gen. ha Dante AUaghleri: la seconda del
10 Marzo, Danlem Alaghieri (Archivio Rifor. CI 2. Dis. 5. Cod.
67, libro consulti.
Dal 1300 al 1303 di pugno di Bonsignore olim Gueczi
civis mntinensis leggesi costantemente Dante Ahgheri con
un l solo. Nella necrologia delle Monache di S. Michele
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 539
l)ubl)licata da G. B. Biancolini, nelle notizie delle Chiese
veronesi, i discendenti del poeta sono nominati ora Aldi-
geri, 0 Aligeri; e altri discendenti seppelliti nella Chiesa
di S. Fermo Maggiore, Aligheri.
MiNicn Prof. Serafino Rafaele, Del cognome di Dante
AlUghicrì (Dissertazione in corso di stampa).
Per iscuoprire ed accertare la derivazione del cognome
di Dante l'egregio professore si vale dell'irrecusabile testi-
monianza dello stesso Poeta, che intorno all'origine del
suo cognome pose nel C. xv della III Cantica sul labbro
del suo trisavo Cacciaguida queste due dichiarazioni: Quel,
da cui si dice tua cognazione . . . mio figlio fu e tuo bisavo
fue . . . 3Iia donna venne a me di Val di Pado, e quindi
il soprannome tuo si feo. - Osserva circa il primo di questi
due passi, la cui significazione è abbastanza manifesta e
comunemente accettata, che da Alighieri od Aldighiero,
bisavo di Dante, si trasmise il cognome alla sua famiglia,
ma esclude l'induzione o l'insinuazione, che possa inten-
dersi per parentela femminile il vocabolo cognazione, il
quale presso gli antichi scrittori, e nel passo presente,
equivale soltanto a consanguineità maschile; e conseguen-
temente possa arguirsi che il cognome degli Aldighieri
derivasse dal easato Aldighieri della moglie di Cacciaguida. -
Quanto all'altro passo, eh' è del tutto luminoso ed atto a
risolvere la questione, egli si fonda ad interpretarlo sulla
congiunta espressione delle tre parole irrefragabili - quindi -
soprannome - e si feo - il cui retto senso non può soggia-
cere a controversie: vale a dire - quindi di qui, ovvero
perciò - soprannome tuo - un soprannome che poi appartenne
anco a Dante, essendone divenuto il cognome, e - si feo -
cioè si fece allora, e non era già formato, ossia non pre-
esislcva. - Argomenta pertanto colla guida di tutte e delle
soie parole di Dante, che dall'essere venuta dalla vallo
del Po la donna di Cacciaguida, siasi creato quel soprannome
di Alighiero, che fu poscia il cognome di Dante : e perchè nel
medio evo si estendeva dal Finale di Modena o dal Bondeno
sino a Ravenna una regione palustre detta con proprio nomo
la Yalpadusa, ossia la Fa/rf/Parfo, congettura che dall'alighe
di cui abbondava quella maremma, sia slato allribuilo al figlio
560 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
di Cacciaguitia, bisavo di Dante, da' suoi coiicilladini Tequi-
valente soprannome, e quindi provenuto a' suoi discesi 11
cognome di AUighieri, cioè portatori di alighe, o derivali dalla
regione dell'alighe. - Qualunque sia il grado di probabilità
di tale congettura, gli sembra ad ogni modo che il detto
passo della Divina Comedia contraddica l' opinione del
Boccaccio che il cognome AUighieri facea derivato da quello
degli Aldighieri di Ferrara. L'uso poi di scrivere AUighieri
eoa doppia /, da lui pure adottato, invalse forse per quella
opinione, o per arbitrio di ortografìa, o per l'obblio della
vera origine del cognome di Dante attestata dallo stesso
Poeta. Né lascia da ultimo di risolvere alcune obbiezioni,
rimosse le quali, la sua congettura acquista maggior grado
di verisimiglianza. -Questa Memoria fu letta all'Accademia
di Padova il di 8 Maggio 18G4, cioè, com'ei cortesemente
mi scriveva, nel mese stesso che ricorda i natali di Dante,
e quasi alle vigilia del sesto secolare loro anniversario.
STUDI CRITICI
Cantù Ignazio, Dante considerato come uomo di scienza.
Discorso recitato all'Accademia tisio-medico-statistica il 1 .^
Aprile, 1847.
Mazzini Giuseppe, [Scritti letterarii di un italiano vi-
vente) Lugano, Tipog. della Svizzera italiana, 1847.
Vi si trovano gli scritti seguenti, caldi di patrio affetto,
e ricchi di acute osservazioni: Dante, 15 Sett. IMI. - Del-
l'amor patrio di Dante, prime linee scritte dall'autore, af-
facciatosi appena agli studii, 1826. - Prefazione all' edizione
di Dante Alighieri, illustrato da Ugo Foscolo, 1842. - Scrini
Minori di Dante, dalla Forzign Quaterly Review.
Dall' Ongaro Francesco, Sullo stato attuale degli studii
danteschi e sulla influenza nella letteratura e nell'arte con^
temporanea, Prelezione al corso di Lezioni sull'interpreta-
zione della divina Comedia (Quaderno YI del G'wrn. Euganeo,
1847). - Perchè il poema, di Dante sìa il piii moderno di
tutti. Introduzione al corso di Conferenze sulV Inferno [Rev.
Contemp. Fas. 77-78, Marzo ed Aprile, 1860. - Monumenti
Danteschi, Mondo Illustrato, 1861.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 561
Emill\ni Giudici Paolo, (Compendio della Storia della
Leti. itul. Firenze, Poligratia Ital., 1832. Lez. IV e V, p. 73-
125 ; Storia della Leti. Hai. Firenze, Le Monnier, 1855, Voi. I.
118-250. - Veggasi il Crepuscolo 1852, p. 86).
Cereseto G. B-, Studi sulla Storia letteraria d' Italia. -
Dell'Europa in Italia, considerata in relazione colla storia
della civiltà, Torino, Pomba, 1833. - Storia della poesia
Italiana, Milano, Silvestri, 1857.
In tutte queste opere del Cereseto vi hanno degli arti-
coli suU'Allighieri, e sul suo poema che si raccomandano
grandemente per calore di siile, e per acume di critica.
Agrati Giovanni, Manuale di Letteralnra, poetico-cri-
stiana. Dante, Milano e Lodi, Wilmant, 1852.
In questo Manuale si desidera maggior pienezza, maggior
diligenza e sodezza maggiore di giudizii. Il più dei problemi,
che si annodano al poema dantesco, sono lasciati in disparte;
alcuni appena accennati, altri mal compresi e travisati ; la
parte storica poi vi è affatto insufficiente e ribocca d'ine-
sattezze. Qualche lato più comendevole è nella dichiara-
zione considerata a brani, ma anche questa manca di acconcia
veduta generale, e di queir esposizimie dottrinale che sola
può dar la chiave dell'intero edilìzio dantesco. Quel che
troviamo nel libro è una grande e sincera ammirazione pel
sacro poema, la quale lo trae a sentirne e a notarne qua
e là le bellezze e dichiararle con chiarezza e con affetto.
Considerato parte a parte ha qualche pagina lodevole, ma
nel suo insieme è libro non bene ordinato, né adeguato al
soggetto che tratta.
Leoncavallo Ruggiero, Manuale Dantesco, Livorno, Car-
rozzi, 1853.
L' autore si propone di farci conoscere le condizioni del
secolo e del poeta, la forma, l'ordine, lo stile, con le bel-
lezze dì che si fece sovrano modello in ogni maniera di
comporre il divino Allighieri. L'orditura è buona, ma in
molte partì il libro ci sembra assai manco ed imperfetto.
Noi vorremmo piuttosto dare ai giovani più scarse notizie,
ma più piene e pensate. - E. T. P. A., veronese, nella Rivista
Ginnasiale, fascic. Maggio e Giugno 1855, ne dettava un
articolo critico, ma torlo e preconcetto ci parve il giudizio:
VoL.lI. 30
ì)62 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
basti solo il ricordare che appone colpa all'Autore per aver
propugnato l'autenticità dell'Epistola di Dante a Cangrande
Della Scala.
De Sanctis Francesco, La divina Comedian versione di
Fel. Lamennais, con un introduzione sulla vita, la dottrina
e le opere di Dante, Il Cimento, 15 Luglio, 1855 - Dello
argomento della divina Comedia, Rivista Contempor. Nov.
1857 - Carattere di Dante, e sua utopia, id. Gen. 1858.
e-cc. ecc.
11 De Sanctis, napolitano, successore nell' insegnamento
della gioventù della sua patria al Puoti, di cui fu discepolo,
professore di lettere italiane nel Politecnico di Zurigo, e
già ministro della pubblica istruzione del regno d' Italia,
nel 1854 e 1855, diede a Torino un corso applauditissimo
di lezioni sulla divina Comedia. La critica del de Sanctis
è elevala acuta filosofica. Il saggio delle lezioni ch'ei diede
alla luce ha fatto nascere in tutti a bel diritto un vivissimo
desiderio di vederle pubblicate, che per avventura non
avremo il comento più bello della divina Comedia.
BoRGHiNi YiCENZo, Ossevvazioui sopra le bellezze notate
ne' canti dell' Inf. xvii-*xxiii. - Pensieri diversi. - Ragioni
che lo hanno fatto tornare sopra i pensieri che in giovanile
età avea scritto su Dante. - Proprietà del parlare di Dante. -
Comparazione fra Dante e Petrarca.- Yoci antiche innovate. -
Se Dante è da imitare o no. - Di Forese e Guido Caval-
canti (Studi sulla divina Comedia pubblicali per cura di
Oli. Gigli). Firenze, Le Mounier, 1855.
« Poco di notevole vi ha nel frammento intorno alla
bellezza del poema. Più bella mi pare la difesa di Dante
contro gli appunti del Bembo che si dilettava più della
poesia dolce e minuta del Petrarca, che della grande e fiera
di Dante. Il confronto tra i due poeti è pure assai bello,
dove dà la palma in certo modo a Dante, anche nelle can-
zoni, dicendolo di stile più profondo e più alto, e, come
dicevano, più tragico e magnifico. Il meglio degli studii
mi pare la parte filologica, messa fuori in occasione di
alcune noie ridicolissime, che un ignorante avea tratto dai
Yellulello. L' avversario non è pregevole che per aver dato
appicco a queir uomo inlendenlissimo e giudiziosissimo di
BIBLIOGRAFIA DAMESCA ITALIANA. 563
sciorinare alcune proprietà del dire fiorentino. » Crepuscolo,
1855, p. 128.
Tossiti Giovanni, Dello studio morale dì Dante, Orazione,
Treviso, Andreola, 1856.
Guasti Cesare, Dello studio dì Dalile presso gl'italiani
nel secolo XIX, Memoria letta all'Ateneo Italiano di Firen-
ze, 1857.
Bertini Giacomo, Dante e le lettere. Orazione inaugurale
detta nel Collegio di Sale, Tortona, Rossi, 1857.
Giuliani Giambatista, Delle henemerenze dì Dante verso
V Italia e la civiltà. Prolusione alle lezioni sulla divina
Comedia, detta il 4 Marzo 1860, nel R. Insti luto di studj
superiori a Firenze, Firenze, Tip. Galileiana, 1860.
Per conclusione delle lezioni sulla divina Comedia,
Discorso recitato il di 11 Giugno nell'Instituto di perfezio-
namento in Firenze, Firenze, 1863. Tip. Galileiana.
Castrogiovanni Giovanni, Fraseologia poetica, e Dizio-
nario generale della divina Comedia, Palermo, Lo Bianco,
1858-61.
Granata Mauro, Cassinese, da Messina, Florilegio e
Dizionario dantesco, Napoli, Tipogr. Carluccio, 1855.
Il Caslrogiovanni ritiene necessaria una Regia Parnasi
che contenga tutti i tesori dell'italiano Parnaso. Ei dice
avervi dato da più anni opera assidua e laboriosa: intanto
prende le mosse dal più degno, ed inaugura l'opera dal
divino poeta. -Il Granata dice di avere attinto nel suo
lavoro « qual ape industriosa che s'infiora, tutto il mele
della divina Comedia.» Ilo tutte frugato e ritratto al possibi-
le in formole generali le sue bellezze filologiche: vi ho dato
il nome di Florilegio, congiunto a un dizionarietto dantesco.
In esso offre esemplificate il più delle forme elette del dire
dantesco, « perchè sieno più facilmente imitabili su l'autorità
di questo fabbro del parlare materno, che sola è tanta da
poterci condurre ad uno siile attico si nella prosa che
ne' versi. »
Suzzi Celestino, Illustrazione de' versi del C.x. deW In-
ferno: Filosofia a chi l intende. Discorso di prolusione agli
studi, letto nel collegio Bosizio di Monza, 1863.
In esso ne dimostra con un breve e succoso lavoro Tal-
5C4 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
lissiiiio coiiccllo, applicandolo e proponendolo per norma
ben ordinata alla istruzione della gioventù. V. Borghini,
1863, p. 127.
GiAMBELLi Carlo, di Morlara (nel prendere la laurea di
dottore in belle lettere), Dissertazione sulla divina Comedia,
Y. Inslitutore, 1863, p. 517.
Ne scrìssero inoltre:
Ambrosoli Francesco - Angelini Lodovico - Azzolino
Pompeo - Bagnoli Pietro - Bartoli Cosimo - Borghi
Giuseppe - Benci Antonio • Bertini Giacomo - Bian-
cliini Giuseppe - Brocclii Giambatista - Cancellieri
Francesco-Cerretti Luigi -De Cesare Giuseppe -Cesari
Antonio - Conti Antonio -Corniani G.B.-Crcscimbeni
Giovanni - Dandolo Tullio - Denina Carlo - Fioretti
Benedetto • Forleo Leonardo - Foscolo L'go - Gioberti
¥icenzo - Gravina Ticenzo - De Gregorio - Leoni
Carlo - lUaffei Giuseppe - Damiani della Bovere Te-
renzio - Mazzoni Jacopo - Montanari G. 1. - Montani
L. • Monti Vicenzo - ]\'apione Galeani de Cocconato
Giovanni - ]%[icolini G. B. - Paravia Pier Alessandro -
Parini Giuseppe - Quadrio Francesco Saverio - Rosa
Morando Filippo - Rosini Giovanni - Salii Aurelio -
Sordo Alessandro - Scolari Filippo - Sperone Speroni -
Tasso Torquato - Tiraboschi Girolimo - Tommaseo
]\icolò - Torricelli Francesco - Torti Francesco -
Pecchioni Carlo.
STCDI SII TESTO, FIIOIOGICI ED IlllSTRATIVl
Zanni de Ferranti Aurelio, La Comedia di Dante Allighieri,
Illustrazioni antiche e moderne, Parigi, Baudry, 1846. - È
intitolata a Yicenzo Gioberti.
Di varie lezioni da sostituirsi nelV Inferno di Dante,
Saggi, Bologna, Marsigli Rocchi, 1855.
Le lezioni in generale da lui prescelte recano l'impronta
del buon gusto e del buon senso. Forse il lavoro sarebbe
stato di miglior giovamento se invece di porgere così alla
spicciolala le varianti di questo o di quel verso ci avesse
recata tutta per disteso la Divina Comedia, ponendovi a
tempo e a luogo le varianti co' comentarii. Due cose però
BIBLIOGRAFIA DAMESCA ITAL1A>"A. 565
scemano pregio all'opera dello Zani. La prima è il poco
conio e direi quasi lo sprezzo in cui tiene la lezione vul-
gata della Crusca, e le stoccate che quei cattivelli toccano
sono un ritornello ad ogni pie sospinto di questo libro. Il
Tommaseo invece voleva che quella gli fosse norma ordinaria,
siccome quella che gli parca consigliata da un senso della
bellezza delicato e sincero. L'altra cosa che ci pare nello
Zani riprovevole è quel coniare una lezione a dispetto di
tutte l'edizioni e dei Codici, od abbracciarne una, benché
sostenuta da pochissime autorità contro la comunemente
abbracciata per la sola autorità della ragic^ne.
SoRio P. Bartolommeo, Sopra un iM^noscritto della Di-
vina Comedia posseduto dai Campostrini di Verona, Verona,
Sanvido, 1847.
Lezioni sopra alcune Correzioni da fare alla stampa
della divina Comedia.
Al C. IX V. 37 dell'Inferno, la vulgata ha serpentelli e
ceraste avean per crine. Il Sorio trova soperchia la parti-
cella congiuntiva e. Francheggia la sua lezione coli' appoggio
dei Mss.i Estensi viii. F. 22; viii. F. 21; iii. o; e dei due
codici Campostrini, e dei tre del Seminario di Padova M."
31(), n.« 2, 2.
Al C. XI. V. 55 vuole falsata dagli ammanuensi la lezione
uccida pur lo vincol d'amor, alla quale vorrebbe sostituita
incida. Il vincolo s' incide non s| uccide. - Al C. xii. v. 10
dee leggersi se stesso morse e non se stessa esigendolo il
costrutto accordato colla seguente voce quei, pronome
relativo di genere mascolino. Molti codici inoltre da lui
citati sulìragherebbero la nuova lezione. - Totila e non
Attila fu il distruttore di Firenze (Inf. xni. 143), e il P.
Sorio vuole purgare Dante di questo anacronismo. Accen-
nate anzi tutte le ragioni onde di quei tempi confondevansi
questi due nomi, egli ci prova come Dante, coerente alla
verità slorica, conlata eziandio da Giovanni Villani, suo
intimo amico (Vita di Dante per Filippo Villani), e coerente
a sé stesso, cioè al suo Vulfiare Eloquio, (IL 6) leggesse
il verso così : Sul cener che di Totila rimase, e non come
fanno le stampe: Sovra 7 cener che d'Attila rimase. - E vuole
si legga al v. 149 del C xiii dell' Inf. Io fei giubbetto a me
1)66 BIBLIOGRAFIA DAMESCA ITALIANA.
delle mie case, anzicchè gihctto; e appoggia questa sua
lezione alla postilla pure riportala del codice Cassinese:
Giuhbetum est quaedam turris Parisiìs, ubi homines suspen-
rìuntur. Fu dunque mutala, ei dice, la lezione testuale
comune giubbetto, nell'altra gibetlo, ma fu fatto non bene,
anzi guastato il passo. Giiibetto volle dire e non gibetto il
poeta a far recitare a quell'anima disperata, che delle sue
proprie case fece a sé quella torre di cui parla il codice
Cassinese, nella quale si piantavano le forche ad impiccar
per la gola i pazienti. - Al C. xv, col Mss. Campostrini ul-
timo del 1558, si legge il terzo verso così: Sì che dal fuoco
salva l'acqua gli argini, cioè il fumo del ruscello adom-
brando, e lenendo umida e pregna di vapore acqueo l'aria
di sopra agli argini, li salva dalle fiammelle del fuoco, sì
che vi si possa camminar sopra senza essere incese le
persone dalle tìiimmelle. E al v. 27 dello stesso canto ar-,
risica r opinione che si debba leggere - Giace poi ceni' anni
Senza rotarsi, in luogo di arrostarsi. [Rev. Ginnas.j e Voi. XI
degli Opus, religiosi, letterari e morali, Modena, Soliani ).
11 P. Sorio vuole che il benemerito D. Barlolommeo Pe-
razzini arciprete di Soave, col suo aureo libro delle corre-
zioni da farsi all' edizione della divina Comedia fosse il
primo ad iniziare in Italia e in Europa l' era liantesca a
correggere il testo dalle troppo false lezioni. [Il vero con-
cetto cattolico della divina Comedia. Voi. I.'^ Serie 11.^ degli
Opuscoli succennati) Modena, Soliani.
V. P. Sorio, Lezione Accademica sopra tw luoghi della
divina Comedia che sono tuttavia da emendare, Milano,
Centenari, 1855. - Lezione sopra un passo d^ Dante, (C. viii)
tuttavia da correggere colle stampe, Portogruaro, Castion,
1856, ecc.
Aneddoto Dantesco (Verona, 31 Agosto 1863).
È la quarta delle sue lettere dantesche, in che ci dà
una nuova interpretazione di un terzetto del C. i. dell' Inf.
JSacqui sub Julia, ecc. Il P. Sorio vuole che questo ne sia
il senso: Nacqui sub Lucio Julia Caesare, sotto il cui
consolato non pur nacqui, ma vissi bensì al tempo degli
dei falsi e bugiardi, ma colla aspettazione del prossimo
venturo Messia, di che era tardi, è già sul finire i^l paganesimo -
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 567
11 lesto secondo la lezione addottala dal P. Sorìo uscirà fra
breve unito al Comenlo dell' Arcip. Benassulti, coi tipi del
Civelli di Verona.
AuDiN DE RiENS STEFANO, Delle vcre chiose di Jacopo di
Dante AUighieri, ad esso attribuite, Firenze, Baracchi, 1848.
Comenlo di Anonimo sopra l Inferno, Firenze, Ba-
racchi, 1848.
• Chiose di Jacopo Allighieri alla Cantica deW Inferno,
Firenze, Baracchi, 1848.
Palesa Agostino, AUvj Inerì Pietro, il Canto sulla Divina
Comedia, corretto dietro due codici del secolo XV. Padova,
Bandi, 1859.
LoRiNi Agramante, Le varianti della Divina Comedia,
tolte dal codice membranaceo cortonese, Cortona, Bimbi, 1857.
N. N. (Marinoni Giovanni), Un senso letterale, ed alcuni
ingegnosi passi della Divina Comedia diversi da quelli at-
tribuiti ad essi dai più, accreditati comentatorì, Venezia,
Cecchelti, 1850.
Arcangeli Giuseppe, Lezione letta alV Accademia della
Crusca il dì 27 Aprile 1852.
In essa si fa a difendere i tratti pennelli [Purg. xxix.75)
ricordali dall' Allighieri, contro ì pannelli che l'av. Ferrari
voleva sostituire col suffragio del giornale VEtruria, e non
solo difende la parola ed il senso che le fu dato dagli Accade-
mici della Crusca {pennello, strumento noto dei dipintori, e
non Banderuola o Bandiera, significazione propugnata dal
Monti e dal Biondi, e molto prima dal Daniello), ed oltre
agli argomenti già tanto calzanti riportati dall'accademico
Del Furia, aggiunge l'autorità di T. Tasso, che intese
nel modo stesso quel passo, il quale nel C viii della
Gerusalemme descrivendo il raggio di luce che dal cielo
scendendo in terra illumina la morta spoglia di Sveno,
assimiglia quel raggio ad un tratto di pennello. Il Gentili
annoiando quel passo, riporta quello dell'Allighieri, e spiega
V aureo tratto per aurea linea, la quale non è che uu tratto
0 flusso del punto. - 11 Perticari, il Biondi, e il Betti co-
mentano: aveano sembiante di banderuole distese, e questo
ultimo, oltre gli esempi del Sacchetti e dell'Ariosto, allegati
dal vocabolario di Bologna, alla voce pennello per bande-
568 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
mola, ne aggiunge due altri del Pulci, Ciri/fo Cahanco, I,
126, e del Berni, Ori Inn. l. xx, 19.
Lezione detta il 8 Magfjio 1855, sopra la voce Borni
del C, XXVI dell'Inferno.
Alla voce Borni la Crusca col Landino, il Vellulello,
l'Alunno diede la significazione di ciechi; di ladri l'Ottimo;
di pietre o morse che sogliono avanzar fuori d'alcun muro
il Daniello, il Bergantino, il Lombardi, il Tommaseo, il Bian-
chi ; il Parenti col Gherardini ed il Tassoni di f/raffiature e
bernoccoli. L'Arcangeli vuole illegittima questa lezione, e
francheggiato dal Bargigi e dal Buti la cangia in buiore,
come voce necessaria al senso morale, tanto più necessaria
quanto si accorda a quello che il poeta avea detto nel C.
XXIV s' era volto in giù,, ma fjli occhi vivi ecc., e cosi il
senso corre spedito e i due passi che si richiamano stanno
d'accordo meravigliosamente.
In un'altra lezione preparala per l'Accademia della
Crusca, ma che non vi fu mai letta, interpreta la parola
penna del G. xxiv. Jnf. v. 2 per freccia, o strale tempralo,
sinedoche usitatissima, [Poesie e prose di G. Arcangeli, Y.
IL p. 124-148; Ediz. Barbèra, 1857.)
Caetani Duca di Sermoneta Michelangelo, Della dottrina
che si asconde nell'ottavo e nono canto della Divina Come-
dia, Roma, 1852.
Il Caetani vuol provare che la persona la quale aprì le
porle di Dite che i demoni avean chiuso in petto a Virgilio,
non fu altrimenti un Angelo, ma il figlio di Anchise, l'eroe
dello slesso Virgilio, Enea! Pare strano, ma la dimostra-
zione è tanto ingegnosa da credere che colui non potè
essere un angelo, e duole di non poter credere che sia
stato Enea.
Landoni Teodorico, Dichiarazioni di alenili luoghi del
Paradiso, Proposta, Ravenna, Semin. 1855.
Dichiarazioni proposte di alcuni luoghi del Paradiso
di Dante, con un esame della bellezza e del riso di Beatrice,
U.^ ediz. rivista ed accresciuta, Firenze, Le Mounier, 1859.
Il Parenti nelle sue esercitazioni filologiche, parlando
del Landoni, lo disse un ingegno perspicace, e chiamò sen-
satissime le dichiarazioni di lui, invitando il modesto e
BIBLIOGRAFIA DAMESCA ITALIANA. 569
ponderalo critico a rendere il servigio medesimo agli stu-
diosi pe' luoghi delle altre cantiche ove abbia trovato da
esercitarvi similmente l' ingegno. Ed il Sorio, dopo aver
paragonato il Landoni al Perazzini e al Torelli, soggiunge,
rispetto 3i\V Esame della bellezza e del riso di Beatrice, che
si è questa tale una sintesi del Paradiso dantesco, che, a bene
entrare nello spirito di tutto questo lavoro, immensamente
giova la chiave che il Landoni ne dà, ed è come il filo da
passeggiar brevemente e senza smarrire, e veder tutto
r ordine vero e diritto di questo meraviglioso edilìzio intel-
lettuale. Anche il iSannucci, tanto alieno dall' adulare, trovò
le medesime giustissime e dettate con fino gusto e con
raro criterio, e il Vannucci molto ingegnose e che fan bella
prova della perizia dell'autore in siffatti studj.
BoRGHiM YiCENZO, Varie lezioni cavate da antichi codici
della divina Comedia, con osservazioni sulla loro bontà e
scelta - Errore di alcuni Comentatori di Dante, e principal-
mente di un falso \ellutello. Sensi e voci dichiarate nella
lor proprietà e valore - Riscontro e scelta delle varianti di
sette manoscritti della divina Comedia - \ocie modi dichiarati
dal Borf/hini (Studi della dìv. Comedia per cura di 0. Gigli,
Firenze, Le Monnier, 1835).
Il Borghini difende Dante dall'ignoranza degli espositori,
che, imperiti di lingua toscana, ne manomettevano il lesto
e ne corrompevano l' intelligenza. Con questa occasione il
Borghini dimostrò sì bene alcune particolarità del dire
toscano che le sue note riescono la parte più ghiotta del
libro. Né inlese soltanto a dimostrare la proprietà ed a
spiegare il vero valore de' vocaboli, ma altresì a sciorinare
alcune bellezze del divino poema, e a cribrarne le varianti,
e tutto in quello stile, e con quel fare che muta in oro
lutto quello che tocca.
Monti Pietro, Saggio di Vocabolario della Gallìa cisalpina
e Celtico, e appendice al Vocabolario dei dialetti della città
e diocesi di Como, Milano, Tip. Classici, 1856.
Il volume di questo vocabolario si chiude con alcune
illustrazioni di voci della Divina Comedia spiegate colle voci
dei dialetti e più specialmente di quello della Yaltellina.
Intorno alla briga e rapina già avea pubblicalo una nota
570 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
esplicativa; ora egli spiega il gran verino nel significalo
proprio di serpente, che tale suona questa voce in Valtellina ;
e il cantare per parlar fuori dei denti, voce affatto lombar-
da, e lo sprangare per tirar calci, e il dismagare per privar
di sensi, vocaboli pur essi vivi in Yaltellina, ed altre voci
spiegate similmente con riscontri spagnuoli e celtici. E in
tutte queste ricerche appare l'acume e il sapere dell'autore,
il quale, anche allora che non coglie esattamente nel vero,
reca però luce nuova ed ampia nel campo da lui preso a
percorreire.
ToDESCHiNi Gius. Interpretazione letterale di tre luoghi
dell' Inferno di Dante, Padova, Bianchi, 1856.
ToDESCHiNi Giuseppe, Difesa di alcune interpretazioni
dantesche impresse a Padova nel 1856, Padova, Bianchi,
21 Gen. 1857.
11 Prof. Todeschini imprende con nuovi argomenti a
provarci che 1' addieltivo costretti [Inf. xvi. 21), si abbia a
collegare non cogli spiriti maledetti del v. 29, ma co' tre
cerchietti del v. 17, e che il vocabolo valli del C. xvui. Inf,
V. 9, sia feminino e non maschile.
Torri Alessandro, Sul verso 9 della Cantica i. di Dante
Allighieri, esercitazione accademica, Pisa, Prosperi, 1855.
Nella più parte dell' edizioni della div. Gomedia il nono
verso così si legge : Dirò dell' altre cose eh' io v' ho scorte,
e cos\ piacque di leggere al Gregoretti, al Tommaseo, al
Fraticelli, al Bianchi. Il Gelli fu il primo a sostenere la
contraria lezione che porta alte cose, accettata pure da V.
Monti, ed ora con rincalzo di argomentazioni fermamente
propugnata dal Torri. Ma il Gentofanti in un ragionamento
inserito nello Spettatore di Firenze, studiavasi dimostrare
l'assurdità della nuova lezione. 11 Giuliani ne' suoi Comentì
sulla divina Comedia, strettosi al Torri, sostiene gagliarda-
mente essere la lezione alle più propria al caso e indubi-
tatamente la vera. Le cose che Dante vi ha scorte accaddero
fuori della selva e non dentro di essa; laddove il poeta
vuol parlare di quelle che ivi cioè dentro vi ha scorte. La
divina Gomedia è, e si deve riguardare come una poetica
narrazione della mirabile Visione apparsa a Dante presso
a due anni dalla morte di Beatrice (Par. xviii. 28 - Par.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 571
iixii. 130 - Par. xxxm. 140). Ora le alte cose scorte nella
selva sono appunto quelle della visione che iniagìna essergli
ivi apparsa. Il primo canto non è che il prologo della div.
Comedia, era necessario che quivi si dovesse proporre
r intero soggetto di essa, e questo viene a meraviglia costi-
tuito dalle alte cose manifestate a Dante nella sua mirabiU
Visione.
SoLiTRO Giulio, Dichiarazione del r.lOS del C.4. dell' Jnf.
Torino, Artero e Cotta, 1856.
Il Solitro, esposte alcune idee degli spositori intorno al
significato riposto di quel fiumicello, si studia di provare
che Dante volesse intendere per quello la lingua latina. «Il
poeta vuol significare, egli dice, che all'educazione dello
intelletto, v'era, oltre le sette scienze del trivio e del
quadrivio, rappresentate dalle sette mura, anche un'altra
difficoltà, che dovea esser vinta anticipatamente, cioè la
conoscenza del latino, nel quale quegli studi eran fatti. Lo
dice fiumicello, perchè dell'ampio fiume della lingua di
Roma rimaneva vivo appena un ramo, quello usato ne' detti
studi ; e bello perchè il latino seguita arte, e perchè quella
cosa dice V uomo essere bella, cui le parti debitamente
rispondono. »
Paremi Marcantonio, Esercitazioni filologiche, num. 17.
Modena, Soliani (M. in Modena il 2B Giugno 186'2).
Queste esercitazioni sono veramente un preziosissimo dono
che il bravo Parenti era solito da molti anni presentarci
a strenna pel nuovo anno, e sono correzioni che si propon-
gono al testo della divina Comedia, o spiegazioni di alquanti
luoghi controversi, egregiamente sì quelle che questi, secon-
do il consueto di sì illustre filologo. « Mai non furono
strenne Che fosser di piacer a queste iguali. » Noi facciam
voti di vederle raccolte in un solo volume. Il Parenti ci
diede pure un Saggio di un edizione della divina Comedia
secondo i migliori testi colle spiegazioni più necessarie.
Lanci Fortunato, Della forma di Gerionc e di moiri
particolari ad esso demone attribuiti, secondo il dettato della
Comedia di Dante Allighieri, Lettera al chiaris. prof. Salva-
tore Betti, Roma, tip. Ajani, 1858.
A questa lettera vanno congiunte due bellissime tavole
072 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALJANA.
dove è raffigurala mollo (lilìgenlemente la immagine della
Frode che porta Dante e Virgilio, e le figure idei nodi e
delle rotelle di cui è sparsa la pelle del mostro, secondo
il concetto del poeta.
Bernardi Antonio, di Modena, Sulla vera interpretazione
del famoso verso di Dante nel Canto sulla morte del co. Ugo-
linOy premessavi un' Introduzione di G. Fontana, ed agffiun-
tevi due lettere di V. Monti, Venezia, Marlinengo, 1858.
Malvezzi Giuseppe, Intorno alla morte del co. Uffolino,
e alla retta intelligenza del verso 75 del C. xxxiii. (Discorso
preceduto da una lettera dello Scolari), Venezia, Naralo-
vich, 1860. (1)
Betti Salvatore, Scritti Varii. (Dalla pag. 351 alla 441
vi ha una serie importante di lettere dantesche.) Firenze,
Torelli, 1831).
Tre dialoghi storico-critici, Roma, Aiani, 1858.
BuscAiNO Campo Alberto, Sopra un verso della divina
Comedia, non inteso dalla comune degl'interpreti. Lettera
al Prof. Gaelano Daila, (Trapani 10 Feb. 1858) Palermo,
1861. - Pubblicata hqW Iniziatore.
(1) 11 Mcolini nel suo bellissimo discorso del sublime e di Michelan-
gelo scriveva: L' AUighieri nel magnifico episodio del co. Ugolino più di
orrore ci riempie col verso: Poscia piii che il dolor potò il digiuno,
che se avesse narrato distesamente come il misero padre divorò le membra
dei figli. 11 poeta lasciò figurarlo alla fantasia, né alcuna reticenza fu mai
più sublime. Queste parole del Nicolini aprirono il campo ad una pole-
mica non ancor decisa. 11 prof. Barzelletti proponeva V investigazione
filosofica patologica, e medico-legale: Sulla possibilità o impossibilità
che il co. Ugolino sbramasse il digiuno colle carni dei propri figli
morti per esso, Livorno, Masi, 1826. Seguirono poscia gli scritti del Prof.
Gazzeri (14 Feb. 1826), del colonello Gabrielle Pepe (1826) del Profess.
Carmignani (1826) del Prof. Rosini (1826) del Gav. Vincenzo Monti, 18
Gen. e 22 Feb. 1826 ; dello Scolari (1827), del Micara (1828); di L. Mazzi,
15 Giugno 1829; di Cesare Lucchesini, 11 Giugno 1831, ùì Giuseppe Far-
dclla (1826), di Gius. Bozzo 1832, di G. li. e G. M., Agosto 1833.
BIBLIOGRAFIA DAMESCA ITALIANA. b73
IIIISTRATORI DI OUAICIIE IRSO 0 MI DELLA D. COMEDIA
Ansclmi Domenico - Antoni de - Ariib Lelio -
Asquini Fr. - Baji^noli - Barcelloni - Bartoli Cosimo -
Basterò - Bernardi ab. Jacopo - Betti Salv. - Biondi
Luijs^i - Bonsi Lelio - Borjs^liesi Biomede - Bozzo Giu-
seppe - Bride! Luig^i - Buonntattei Benedetto - Bulga-
rini Alessandro - Cannoli A. - Cappello A. - Cardona
Gaetano - Carmignani Giovanni - Cattaneo Carlo -
Cavalieri A. - Cavedoni Al. - Cellini -Cerreto da G.B. -
Di Cesare Gius. - Colleli Scip. - Costa Paolo - Crolli»
Domenico -Dal Furia Fr. -Della Valle P.-Dionisi- (1)
Eroli di Xarni Giovanni -Falconieri - Fanfani Pietro -
Fardella Giuseppe - Fazi Antonio - Fea Carlo - Fer-
rucci L. Grisostomo - Fiacchi - Francesconi - Galvani
Giov. - Garg^allo Tommaso - Gazzeri - Gelli - Gigli -
Guzzoni degli Ancariani - Imbriani - Lampredi Lr-
bano - Lanci Fortunato - Lucchesini Cesare - ]flaga-
lotti Lorenzo - Iflanuzzi Giuseppe - IVIorsari - martelli
iV'icolò - ITIassedaglia - Ifleconi Baimondo - Iflercurl
Filippo - mezzanotte - micara Clemente - montanari
Ignazio -montanari Can. Giuseppe -montani E. -monti
Vi ne. - mazio - muzzi L. - i\annucci V. - ]\apione
Giovanni - ì\adi L. - l%icolini G.B. - Ottonelli Giulio -
Panciani G.B. - Parenti m. A. - Pepe Gabrielle - Per-
ticari Giulio - Perticar! Costanza -Pf ruzzi Agostino-
Pezzana A. - Picei G. - Piccini Balbi Doralice - man-
zoni Giuseppe - Pontam. A. - Bedi Francesco- Renzi -
Riccardi del Vernaccia Francesco - Ricci Domenico -
Ridoìfi - Rinuccini Annibale - Rosini Giovanni - ^al-
fl) L'erudito marchese Giangiacomo Dionisi, canonico fleUa catledrnle
(li Verona, fu il primo, massimamente co' suoi Aneddoti, quanto trascurati
vivente l'autore, altrettanto, lui morto, avuti a pregio e cercati al maggior
prezzo dai letterati, di propagare in Italia e in Europa la scuola della
Illustrazione storico-critica ed allegorica della divina Comedia. Monsignor
Dionisi inizio, si può dire, con maggiore apparato di erudizione la scuola
dantesca illuslraliva del poema divino, e quasi sovrabliondò di notizie
recondite, tratte dai documenti più rari, ad interpretare il concetto di
Dante, sia nella storia, sia nel velame allegorico - /'. Soriu.
574 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
Tini Antonmaria - [Scolari Filippo - (Silvestri Giu-
seppe - Spitorno B. - ìStigliani Francesco Tomaso >
Strocchi Dionigi - Strozzi Giovanni - Strozzi Ales-
sandro - Talentone Giovanni - Tanci IMario - Taverna
Giuseppe - Tommaseo IV.-Taccolini Domenico -Vanni
Cosimo - Tarclii Benedetto - ¥enturi - Verati B. -
Zaccheroni - Zeviani G. B.
ILLUSTRAZIONI STORICHE
CuRTi Pier Ambrogio, Istorie italiane del secolo XIII,
narrate colla scorta della divina Comedia, Milano, Ricchini,
1854.
« Lo scarso e scomposto lavoro d' arte che può farsi
col metodo adottato dal Sig. Curti non compensa del man-
cato alimento di storia che vi cerca il lettore ; peggio poi
se la parte inventiva stuona colla grandezza delle cose
note e reali, e offende quelle imagini poetiche le quali
stanno religiosamente impresse ne' nostri animi ..... Non
diciamo che tutto in questi schizzi storici sia del pari me-
ritevole di critica. Vi ha qualche tratto scritto non senza
cura, e con qualche ricerca di erudizione non sempre infelice.
Ma l'arte, della quale sembra che l'autore abbia mirato
principalmente, è poca, e le diverse narrazioni non sono
concepite e disegnate colla perizia che richiederebbero. La
storia e l'invenzione vi sono mal connesse, e talora l'eru-
dizione e la critica entrano in una scena a soffocare l'una
e l'altra, senza esservi chiamate dalla necessità del soggetto.»
Crepuscolo, 1855. 46.
Cereseto G. B., Rafiionamento storico sull'Italia del Medio
Evo per servire d' introduzione allo studio della divina
Comedia.
Tonini L. Memorie storiche intorno a Francesca da Rimini,
con appendice di documenti, Rimini, Ercolanl, 1852.
Risposta alle osservazioni di M. Marino Marini
intorno la Francesca di Rimini, Rimini, Ercolani, 1853.
In questa memoria il Tonini prova che il primogenito
dei Malatesta era Paolo che nel 1260 avea menato in mo-
glie la ricca erede del patrimonio e dei titoli dei conti di
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 575
Chiagglolo, e che Giovanni, lo Sciancato, solo nel 1275
erasi impalmato con Francesca da Rimini, matrimonio pat-
teggiato come condizione e conseguenza dell'opera prestata
dai Rimìnesì ai Ravennati per assicurarsi dell'agognata
signoria. In tale congiuntura le due famiglie che prima
mortalmente si nimicavano vollero doppiamente stretti i
legami di parentela, giacché Bernardino di Polenta, fratello
di Francesca, condusse in moglie Maddalena Malatesta da
Verrucchio, sorella di Paolo e di Giovanni. - Il Gennarelli
vuole accaduta l'uccisione dei due amanti nel 1285. - M.*"
Marini riliene che S. Arcangelo nell'Agosto del 1289 sia stato
il teatro di questo tragico avvenimento; Pietro Yeroli e Teo-
filo Betti vogliono Pesaro, lo che verrebbe a consolidare una
lapida in caratteri semigolìci di recente rinvenuta a Pesa-
ro; da cui è manifesto che Giovanni di quell'anno era ivi
Podestà ; il Tonini e Giov. Andrea Corsucci a Riminl, e questo
ultimo soggiunge che i due cadaveri furono sotterrati nella
Chiesa di S. Agostino. Il Gennarelli dal racconto del Boc-
caccio, e dalla lapida appunto scoperta a Pesaro (1), si fa
forte a provare che a Rimini si sia consumata la colpa
e la vendetta. Cosi la narrazione del Boccaccio riceve con-
ferma dai nuovi documenti, e i documenti stessi valgono
a determinare una data controversia e a rendere indubi-
tabile quello che d'incerto ha lasciatoli Boccaccio nel suo
Coraentario.
Selmi Francesco, Di alcuni tratti e dell'intero episodio
di Francesca da Rimini (Rev. Cont. Dee. 1862, p. 430-467).
Il Selmi anzi lutto si trattiene ad investigare il valore
del vocabolo Animai ( /n/". v. 88. ), e ne prova per via di
esempi non aver altro significato nella consuetudine comune
che di creatura animale e razionale, e non esser corso in
lingua l'uso del vocabolo animale a chiarire un uomo,
tranne dei casi particolari in cui s'intese di alìndcrnc a
qualche difetto, o menomargli il pregio, inchinandolo cioè
(1) i Anno • Dni . M - ce : LXXXV idict - XHI IPR : T Do' : - On : PP.
mi esi - stente :Pote - lohc : nato : M - Agilici : Viri - Dni : Malate- Anno
Domini MCCLXXXY - Indictione Xlll- Tempore Domini Ilonorii Papao IV. -
esistente Potestato lohanne nato > Magniflci viri DomirM Malatestae.
576 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
verso il bruto, dalla supremazia sua di ragionevole. Appresso
ei prende a considerare quale specialissimo sentimento
possa avere indotto Dante a cominciare da quell'appella-
tivo, ed ei vuole che Francesca al primo avvicinarsi al
Poeta e nelle primissime parole dovette cominciare con
vocabolo adatto alla condizione sua presente, e perciò
incespicare a salutarlo col nome di animale in cambio di
uomo; essendoché paia naturale che tra i dannati di quel
cerchio fosse sbandito o disavezzo il nobile vocabolo che
significa differenza e maggiorità della creatura ragionevole
sulla brutale, né degno che ivi si pronunziasse sulle labbra
di chi aveva in vita propria notato i giorni piuttosto col
contegno animalesco che umano. Ma non appena usci nello
sconcio appellativo, subito dovette accorgersi di avere
errato perchè meno colpevole de' compagni, e perciò, rimasta
meno smemorata della sua alta condizione precedente, ebbe
subito a ricordarsi degli antichi modi cortesi e provvedere
con rapidità e raccomodare il fallo commesso, soccorrendosi
femminilmente di epiteti laudativi, i quali succedettero a
raddolcire, scusare, interpretare il brutto appellativo ; sicché
se ben vi ponderi sopra, tra il motto primo e i due aggiunti
passa tale differenza, come da un atto villano seguilo im-
mediatamente da alcune cortesie squisitissime. Oltrecchè
Dante deve eziandio avere inleso di racchiudere in quella
ingiuria un segreto rimprovero rivolto a sé medesimo, come
ricordo di essere egli stato invescato nelle panie amorose,
né conservala fede alla pudica memoria della sua Beatrice.
Ci prova inoltre come Dante non avesse proposili deter-
minati e studiati, allorquando uscì coli' immortale episodio,
ma vi fosse tratto insuperabilmente da uno di quei moti
spontanei e vigorosi dell'animo, quand'è della tempera
divina che fu il suo. Ed egli assecondò a quel moto, non
guardando se conveniente od a persone od a sito, e ben
fece; imperciocché gli spiriti magni abbiano leggi proprie,
da non dovere ubbidire alla regola comune, né tenersi vin-
colati da strettoie di certe osservanze, avendo uopo di
esplicarsi e spaziare a diletto loro, quando ciò possa giovare
a nuova manifestazione del vero e del bello. Più avanti
ei si fa a considerare la causa per la quale Dante si con-
BIBLIOGRAFIA DAMESCA ITALIANA. 577
ducesse alla contraddizione di condannare in silo dì pene
e di disonore coloro ai quali egli in cuor suo perdonava
ed assolveva, come comparisce dai contesto dell' intero
episodio, e la trova nella viva credenza che vi correa, che
non ci fosse parvità di materia nell'infrazione del sesto
precetto del Decalogo, onde, chiunque macchiatone mortal-
mente nell'anima, e coito dalla morte, senza pentimento,
erasi da reputare perduto in perpetuo, dacché misericordia
non invocata non avrebbelo potuto soccorrere, e la giustizia
divina implacabilmente lo averebbe sentenziato tra i presciti.
Di qui l'autore si apre il cammino a sperare che anche
dopo la gran giustizia, negli eterni decreti, abbia a prevalere
la bontà suH'austerezza, e siano meno inflessibili i divini
giudizi di quello che vorrebbero certe durezze teologiche.
In Dante, nel Canto v. vince la pietà di una sventura gravis-
sima che pagò largamente il fallo, vince la considerazione
di un supplizio ch'esce della ragionevolezza; e d'allora in
poi il poeta non padroneggia più la fantasia propria, ma
questa rimane preoccupata dal nuovo sentimento. In effetto
se bene vi si considera, apparirà di piena evidenza il muta-
mento avvenuto nell'animo di lui: seguita ad invocare in
comparazione uccelli d'indole data agli amori, ma sono le
colombe, simbolo di placidità e di candore: il vento tace,
il mugghio del mare in tempesta non si ode più, la scena
infernale si dilegua dagli occhi, passarono altrove le schie-
re de' carnali e restano da soli il poeta, il suo duca e i
due chiamati con grido affettuoso. Il colloquio che vi sì
tiene comincia da un vocabolo che peranco si conforma al
sito, ma immediatamente il linguaggio si corregge e di-
viene gentile, passionato, dolce, pio, supplichevole: cos'i
che dall' un lato si parla e si piange e sospira, mentre
dall'altro gli affetti si commuovono lino allo smarrimento
dei sensi. Pson siamo più in loco d' Inferno, quantunque
neppure in regione di paradiso, ma o dì nuovo nel limbo,
0 in qualche altro globo terrestre che li accolse con-
giunti, dove dimorano insieme, amandosi in perpetuo, e
perciò non disperati, non diserti d'ogni consolazione, com-
mìseratì con isguardo benigno della clemenza divina. - Dei
che ne verrebbe chiara la significazione del verso mentre
VOL. II. 37
578 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
e he il vento come fa sì tace^ cioè che l'animo mutato nel
poeta lo scusa pure di non essersi avveduto della stortura, *
ed accorgendosene di non avervi riparato con qualche rad-
dolcimento. Il verso e paiono sì al vento esser leggieri^
interpreta col Boccaccio, cioè con minor fatica volanti, lo che
esprimerebbe pure mitezza di supplizio, non che peccato dì
lordura minore onde procedono meno gravi; e anche quel leg-
gieri potrebbe \d.\Qr e fuggevoli al vento, quasi il vento tornasse
leggiero al lor tormento. Chiude poi la dissertazione toccando
per alcun tratto quella magnifica sequenza di sentimenti
delicatissimi per i quali Dante seppe ivi tessere e sviluppare
la storia psicologica dell'amore. La Riminese che accondiscese
agli allettamenti dei senso, è pur nondimeno di tale bellezza
sovrana, e di tanta pietà che il solo Dolce ne trovò di
simigliante nella sua Maddalena, e solo potrebbe ritrarla:
In affissandola non ti avvedi punto che proceda ignuda
del santo velo della castità muliebre, dacché il suo parlare
pudico, e il pianto tacito e contegnoso del compagno li
tolgono ogni sospetto e memoria di cosa impura. E qui fa
un ultima osservazione, notando che mentre all' apparire
di Francesca sulla scena svanisce dal riguardante il colore
d'inferno, e il campo si difosca e si fa l'alba, e si sta
come sorpresi dalla dolcezza dei versi in cui ella, la po-
veretta, dice della gran forza d'amore; inopinatamente si
passa ad una imprecazione sì terribile che ci ripiomba nel
pili oscuro e nel più maledetto degli abissi. Imperocché
Francesca, dopo avere pronunciato parole di affetti teneri,
delicatissimi, da farne ammutolita la bufera e diradata la
caligine, prorompe a vaticinare improvvisamente contro il
marito omicida, che ne vengono i brividi, e si sente co-
me quel crudele non iscamperà del supplizio preparatogli.
Egli scenderà in Caina, frammezzo ai traditori. E così il
discorso quando meno si prevede, rinchiude due voluttà
in mezzo ai tormenti eterni: quella delle passate dolcezze
ravvivate nella narrazione, e l'altra della vendetta sicura
e spaventevole contro l'oppressore. Voluttà d'amore, voluttà
dì vendetta sono le massime del sentimento italiano.
Ventura Giov., Nuova maniera d' intendere una scena
delle piii celebrate nella divina Comedia { della Francesca
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 579
da Rimini), Rev. Encìcl. ItaL (Torino, 185ì). - Dispensa IV.)
Troya Carlo, Delle donne Fiorentine e di Dante AUUjìiieri,
e del suo lungo soggiorno in Pisa ed in Lucca. (Discorso che
avrebbe dovuto far parie del T. V. del codice Longobardo,
inserito nell'Anlologia Contemporanea di Napoli, A. 1. 1857.
num. 3.)
Il Troya prende ad investigare i molivi dell' ire di Dante
contro le sue concittadine (Pwr7.xx111.llO), i quali vogliono
riferirsi al Settembre ed airOttobre del 1312, quando Arrigo
VII imperatore, pose l'assedio a Firenze. Ma nel 1315,
avrebbero dovuto per angoscia e per paura urlare le sver-
gognate firentine, all'appressarsi di Uguccione della Faggiuola.
Vannucci Atto, 1 primi tempi della libertà (trentina, S.''*
ediz. con aggiunte e correzioni, Firenze, Le Mounier, 1861.
Il nome del Vannucci basta solo a raccomandare gran-
demente questo lavoro, più che mai utilissimo a chi voglia
conoscere ben addentro i fatti che si svolsero ne' tempi
in cui visse l'Allighieri, molti de' quali hanno una grande
connessione colle scene e cogli uomini rappresentati nella
divina Comedia.
La Farina Giuseppe, la cui perdita immatura piange ora
altamente l' Italia, ci avea promesso ì suoi studj sul secolo
XIII, che avrebbono dovuto servire di comento alle opere
di Dante Allighieri e de' suoi contemporanei. Il programma
fu pubblicato dai tipografi Borei e Bompard. Da esso rile-
viamo che il lavoro avrebbe abbracciato 80 fogli di stampa,
e sarebbe slato diviso in due libri di cap. 24 1' uno. Anche
l'egregio filologo Ottavio Gigli ci promise ì suoi studj del
priorato di Dante e della sua politica, che avrebber dovuto
veder la luce co' tipi Barbèra di Firenze. Noi attendiamo
con impaziente desiderio le onorate fatiche di questi uomini
illustri.
Fra gli scrittori di studj storici ricordali dal Batines,
accenniamo specialmente i seguenti: Arrivabene Ferdinando,
il Secolo di Dante, comento storico, Monza, Corbeta, 1838 ;
Balbo Cesare, Vita di Dante; Di Cesare Giuseppe, Arrigo
di Abbate, ovvero la Sicilia dal 1292 al 1313; Di Cemre
Giuseppe, Di Manfredi re di Sicilia e di Puglia; Dandolo
Tullio, il Secolo di Dante; Foscolo Ugo, Dante Allighieri
580 BIBLIOGBAFIA DAMESCA ITALIANA.
e il SUO secolo; ]d. Discorso sul lesto; Fea Carlo, Nuove
osservazioni sopra la divina Comedia, specialmente su ciò
ch'esso ha scritto ivi ed altrove dell'impero romano, ecc.
DEII'ORIGIMIIIA DELIA DIVINA COIDIA
Il Malatesta Porla (1589), il Rossi (1589), MJ Bonari
(1748), il Vanozzi, il Fontana, il Canali (22 Aprile 1808),
sostennero che Dante togliesse l'idea del poema dal Gucrin»
il Meschino: il Dionìsi (1773), la forma della rima e il
numero de' canti dal Ritmo Papinìano: il can. 3/assocf/ii
e l'ab. Giustino di Costanzo (1801), e l'inglese Israeli (1823)
dalla ¥isione di frale AiPierico, conservata in un codice
membranaceo dal secolo XYI della Biblioteca di Montecas-
sino; e il Cancellieri (1814) non pure il modello ma una
gran parte ancora dei materiali per comporre il suo am-
mirabile poema. - Un'Accademico di Marsifjlia (19 Apr. 1830)
trova il disegno e l'azione in forma affatto identica al
trattato di Plutarco Dei puniti da Dio, Opinione già
prodotta dall' ab. Riccard nella sua traduzione dell'opere
morali di Plutarco. - Il Wright dettò pure un opera impor-
tantissima (1844) per lo studio del ciclo poetico e leggendaria
al quale appartiene il poema di Dante. - Francesco Forti,
ed il Pozzetti (1810) con un discorso pieno di vera e soda
sapienza ne propugnano l' orir/inalità. I Francesi presero
invece ad investigare la storia delle Visioni, ed il Labitte
dettava un bellissimo discorso intitolato: La Divine c«-
médie avant Dante ( Revue des deux Mondes, 1849):
V Ozanam i suoi studi Sull' orBg:ine della Divina Co-
media (Unlversllé Cathollque, Nov. 1837), e Sulle sorjs^enti
poeticiie delia stessa (Correspondaut di Parigi, 1845) ; e*
V Ampère : le visioni hanno preparato la Divina Co-
media (Parigi, Hachette, 1839). - Yeggasi pure l'articolo
del Mazzarani sugli studi italiani in Francia, Crepuscolo,
1855, p. 124 e 444; Saint-René Taillandier, art. cit. p.507;
Picchioni, la Divina Comedia illustrata da A. Kopisch, G.
Picei e M. G. Ponta, p, 192-268.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALlAxNA. 581
STORIA DEL POEMA
EPOCHE IN CHE VENNERO SCRITTE LE DIVERSE CANTICHE
Yeggasi a pag. 49, 58, 61. - Ne scrissero :
Barcellini, Buonniattei, Cancellieri, Dionisi, Frati-
celli, Grcgoretti.Pianciani, Punta, Raffaelli, Rcpctti,
Troya, Venturi.
DEL CATTOLICISMO DI DAÌSTE
E SPECIALMENTE IN RELAZIONE COL ROMANO PONTEFICE
Scolari Filippo, Roma e la S. Sede con illuslrazioni e
luoffìù relaltvt alla (Jivìna Comedia, Venezia, 1851.
GiULiAM Giambattista, Del cattolicismo dì Danle e del
Veltro a//cf/or«co ; Savona, Sambolino, 1851.
Questa memoria venne Iella all' accademia Tiberina il
27 di Maggio 1844; pubblicala in Roma nel 1845, ristampala
a Torino nel 1847, e da ultimo a Genova, 1851, aggiuntovi
la seconda parte del Veltro allegorico. Il Gli. autore prende
a dimostrare come Dante si mantenne cattolicamente devoto
alla suprema autorità della chiesa di Roma, e aspettò da
un Ponielìce santo la salute dell'universale popolo cristiano.
BoRfcHLM Vincenzo, Difesa di Dante come caltolico (Sludi
delia divina Comedia per Oli. Gigli, Firenze, Le Mounier,
1855, p. 177-227).
11 Borghini si propone di dimostrare come il concetto
principale dell' Allegoria dantesca sia d'insegnare agli uomini
dì conoscere la bruttezza del vizio e del peccato, e la pena
che porta seco anco in questa vita; e dopo d'averla cono-
sciula, liberarsene vivendo virtuosamente, arrivando per
ultimo a quella cristiana perfezione, ove non dominando
in essi se non la legge e volontà del Signore, purgati di
<iuesle terrene passioni, vivano conformi al fine per il quale
sono stali creati. E il Borghini, scrive il Gigli, ha saputo
così bene intesserne le prove, che sono riuscite indubitate,
S82 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
e hanno messo insieme una difesa a Dante come cattolico,
che non si sa in qual altro modo si potesse fare più vera
e più sua.
SoRio P. Bautolommeo, Il vero concetto della divina Co-
media di Dante, Roijionamento (Opuscoli Religiosi, Letterari
e Morali, Yol. I. Serie IL), Modena, Soliani.
Duole al P. Sorio che i più vogliano giudicare di una
sacra epopea del medio evo, senza voler pensare col medio
evo. Il principale pensiero della divina Comedia, fiore
deir asceticismo e del misticismo dei Ss. Padri e dei Dottori
del medio evo, è la santificazione dell' uomo in un corso
di santi spirituali esercizi nella via ascetica, e nel ritiro
della settimana santa, in un viaggio mistico di sette giorni.
La cosmografia e la topografia dantesca è perciò da cercare
nei mistici del medio evo; l'astronomia più nel calendario
ecclesiastico che in altra guida astronomica, la politica
vera dantesca nella diplomazia papale colla fondazione in
Carlo Magno del sacro romano impero, a fondare la monar-
chia divina cattolica, da essere ogni uomo di qualunque
nazione senza fine cive Di quella Roma onde Cristo è romano.
Dante dunque, e con lui l' uomo e l' umanità in generale,
dietro la guida di Virgilio e di Beatrice viaggia le principali
parti del sacro triregno pontificale, cioè della Monarchia
di Dio, visitando l' Inferno, il Purgatorio ed il Paradiso,
e da quelle due guide imparando le leggi fondamentali di
essa Monarchia, cioè la legge dì natura ossia Velica filosofica
sotto il magistero di Virgilio, e la legge di grazia, ossia
r etica teologica sotto il magistero di Beatrice. 11 bene che
ne coglie è la soddisfazione espiatoria ; soddisfazione che
giustifica nella contemplazione del male (Inferno) ; soddisfa-
zione che purifica nella contemplazione del male e del bene
(Purgatorio); soddisfazione la quale santifica nella contem-
plazione del sommo bene e assoluto (Paradiso). - A parere
del P. Sorio, il concetto vero di Dante sarebbe stato egregia-
mente illustrato dall' Ozanam, dal Torricelli di Torricella,
dal P. Marco Giovanni Ponta, Somasco, e dal P. Berardinelliy
gesuita.
Marclcci Giambattista, La Monarchia temporale del ro-
mano Pontefice secondo Dante Allighieri, Lucca, Giusti, 1864.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 583
Il Marcucci crea una specie di scena in un' osteria : n' è
protagonista un soldato. Questi ad uno, che ragionava sul
dominio temporale dei Papi e citava i versi dell' Allighieri
sull'unione delle due autorità, prende a fare una parlata
che occupa tutto il libro. Soggetto principale di questa è
il dimostrare in primo luogo che Dante non vuole si tolga
al pontefice la signoria delle sue terre, quantunque nel
civile voglia un monarca nell'universale. Ed in secondo
luogo gli argomenti che adduce in grazia dell'Imperatore,
considerati attentamente, mostrano che /' autorità impera-
toria sopra tutti i consoli e re meglio starebbe nel pontefice.
Per asseirer questo si giova di tutte le opere dell' Alli-
ghieri, ma si appoggia in modo particolare alla Divina
Comedia, e al trattato De Monarchia. L' opuscolo del
Marcucci venne combattuto da Giovanni Sforza [Giornale
del Centenario, N." 15 e 16 ). I Redattori della Civiltà
Cattolica lodano nel Marcucci la molta erudizione critica,
non comune e grande dirittura di animo, ma vi desiderano
maggior vigore di dimostrazione, un'ordine più accurato, e
nello stile un andamento più disinvolto e castigato. Civiltà
Cattolica, 2 Aprile 1864, p. 89.
Teodorani Prof. E., Dante antipapista, Saggio storico
fitosoftco intorno la divina Comedia. ( Giornale del Centenario
dì Dante, 20 Ottobre, 10 e 20 Decembre 1864, N. 26, 31, 32.)
Il Prof. Teodorani, esule dal 1849, lodatore entusiasta
dell' operoso amore che d' oltr' alpi si porla al genio dì
Dante, si duole fieramente che ì Dantisti italiani, perdutisi
in isterilì disquisizioni sull^ filologia e sull' ascetica del
sacro poema, non si curino punto d'investigare V ideologia,
dì dedurne il sovrano concetto, di determinarne il vero
intendimento. Egli è il S."" Teodorani che finalmente viene
a metterci nel buon filo, ad inalzare a noi profani il velo
dì questa Iside misteriosa, finora incompresa, a disgropparcì
il nodo, a sciorinare il grande responso. Ecco il frutto dei
lunghi, diligenti e spassionati suoi studi, del suo frequente
conversare coi più dotti cultori della mirabile Trilogia,
incontrati nel suo decenne pellegrinaggio per Francia,
Germania ed Inghilterra. - L'idea dantesca appartiene al
razionalismo cristiano di Arnaldo da Brescia e non al catto-
584 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
licismo romano dei papi, come si tiene in Italia, e dove fin
qui si volle fare dell'AHighien un cattolico frenetico, e della
sua Comedia un catechismo da convento. Pregiudizi!, scuole,
preti, frati, pel Teodorani, son tutte tenebre che nell'ordine
filosofico velarono il Sole dantesco. Se non che per buona
nostra ventura l'egregio Professore, ragionando, andò al fondo,
ed egli che ha l' intelletto sano, manifesta ormai all'Italia che
si dissonna e gli occhi svef/liati rivolgendo gira, la dottrina che
s' asconde sotto il velame degli versi strani. Dante è nien-
temeno che un antipapista, un templario, un battagliere, ma
a visiera calata, per la libertà politica religiosa e civile
d' Italia, combinata a creare l' Imperatore papa. Ma udia-
mone le prove. Dante, ed è bene che una volta da tutti
chiaramente lo si sappia, non parlò mai daddovero, egli
nascose sempre l' idea subbiettiva sotto il velo dell'allegoria
obbiettiva; egli si vide costretto da imperiosa, fatale gra-
vissima necessità di ricorrere all'anfibologia, a coprire
di forme convenzionali tutte l' espressioni del pensiero e
del cuore, ma specialmente dopo la catastrofe dei Templari,
egli, per tema di perdere sé stesso e il suo lavoro didasca-
lico, dovette a bello studio simularsi guelfo, vestire tutti i
personaggi del suo gran dramma dell' indumento cattolico.
Tsè basta. Chiunque non voglia trarre dalla storia dantesca
queste filosofiche induzioni niega a Dante quella onnipotenza
di genio che non ha rivali in niun tempo, in ninna nazione,
e non riconosce in lui la sintesi storica del XIV secolo e
la perfezione filosofica della riforma. - Dante, conchiude il
prof. Teodorani, fu trascinalo dall'onda tempestosa che
dall' Oriente era mossa a rovesciare la vecchia chiesa di
Occidente... Ei dettò la sua Comedia nell'intento d'indirizzare
i suoi contemporanei alla riforma politica e religiosa professata
(lai Templari. Se non che egli aspetta il giudizio dalla giova-
ne Italia, il quale o corrobori fermamente o inappellabil-
mente condanni la sua idea e la proscriva dal campo letterario
nazionale. Ma la giovine Italia, come lo furono i padri
suoi, come lo fu eminentemente il suo più grande poeta,
sarà sempre cattolica: la mala semente non attecchirà
giammai. Noi tutti respingiamo con alto disdegno tale
ingiuriosa proposta, e sempre più e' inchineremo riverenti
BlBLIOGRAriA DANTESCA ITALIANA. 585
davanti a quel gran genio, che in sul fonte del suo baltesmo
volea ricevere Vamato alloro, siccome premio del sacro poema
al quale avea posto mano e cielo e terra. - Vedi Dante
cristiano, p. 81 : Del Romano Pontefice, p. 226.
Ne scrissero, secondo il Balines:
Bellarmino, Berti, Fanelli, Fea, Pianciani, Schenardi,
Theiner, Torricelli, Zinelli.
11 Sistema antipapale del Rossetti e deWAroux fu impu-
gnato dal Delècluze, dal Pianciani e dallo Schlegel.
FILOSOFIA
Trezza G. La divina Comedia considerata in relazione
coir ontologia, con ima risposta di L. Castellazzo, Verona,
Vicentini Franchini, 1854.
Frapporti Giuseppe, sulla Filosofia di Dante Àllighierì,
Cómentario, Aicenza, Longo, 1855.
È un esposizione delle dottrine filosofiche del divino
poeta, nella mira, com' ei scrive, di raccoglierle in un corpo
compiuto, ed ordinarle secondo che nell'opere sue testual-
mente si leggono. Ei vi ha compreso la filosofia nello stretto
senso della parola, escludendo le matematiche, le scienze
naturali, e di teologia e di politica dando luogo a quel
tanto che a completamento del sistema filosofico si richiedeva.
AssoN MicuELANGELO, La Sintesi dantesca, Venezia, An-
tonelli, 18():3.
/ Preso da forte amore, ricercò i volumi deirAllighieri,
e dedicò ad essi lunghi e profondi studj, portando in questi
r alto ingegno, di cui fu privilegiato, le cognizioni di cui
seppe far tesoro, un raro discernimento e un' acutissima
critica. Munito di tai presidii egli si propose di considerare
attentamente « le varie ripartizioni della scienza dantesca
della quale la divina Comedia è ripartizione estetica. »
Questo lavoro pertanto è rivolto, dice l'autore, a chiarir
le attinenze di Dante co' tempi suoi, di questi e di lui con le
opere sue ; di tali opere tra se. E nella divina Comedia che
tutte le riassume, e n'esprime poeticamente la suprema idea,
mirerà questo scritto a palesare il nesso comune degli
586 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
estremi contrarii di spazio, di tempo, di enti, di moto, di
azione, di luce, con tutte le intermezze graduazioni a ma-
nifestare il legame tra il simbolo e la realtà, la scienza e
l'arte, i mezzi e l'altissimo scopo. E il lavoro del dottor
Asson pienamente adempì gli ardui assunti, e le cose in
esso discorse, come dice l'Autore, incontrastabilmente di-
mostrano quanta parte abbiano nella testura, nel mirabile
magistero del poema di Dante la scienza ; tale che il mede-
simo possa definirsi la rappresentazione estetica della scienza
stessa, affine d' indirizzarla all' alto scopo di sollevare 1' u-
mana specie a quella perfezione, a quella beatitudine nelle
due vite che la Provvidenza volle da essa. » In tal modo
la dottrina concordemente seguita da tutti gli antichi co-
mentatori è ora confermata dagli studj e dall' autorità del
cementatore moderno, il quale discendendo a una nuova
palestra, non si mostrò a se stesso ed alla sua fama infe-
riore, e fece con questa opera bellissima prova del suo
ingegno e del suo sapere. (Gaz. Yen., 2 Giugno 1863, N." 1*22).
Conti Augusto, prof, alla Università di Pisa, Storia della
Filosofia, Firenze, Barbera, 1864.
Augusto Conti, l'egregio autore della pregiatissima opera
Amore Evidenza e Fede, anima candida e religiosa, nel 1861,
al R. Instituto di studi superiori, leggeva sulla Sfona della
Filosofia. Il fiore più eletto dell'attica Firenze traeva ad
udirlo; e la vivida, elegante ed eloquente sua parola era
da un plauso unanime salutata. Cinque di queste lezioni
erano per lui intitolale a S. Tomaso ed a Dante, ed in esse
si facea ad esporre tutta la filosofia del Poeta, unitamente
a quella dell' Aqulnate. Ci duole di non poterne dare un
estratto, come sarebbe stato nostro vivo desiderio, non
essendoci ancora giunta alle mani l'opera del Sig."^ Conti,
pur ora uscita dai tipi del Barbera.
AUTORI citati DAL BATINES
Azvolini Pompeo, Gioberti Yicenzo, Martini Lo-
renzo.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. S87
COGNIZIONI SCIENTIFICHE, FISICO-MATEMATICHE
Rambelli Gianfrancesco, Discorso su Dante, Cesena, Biasi
1863. - In esso con eletta dottrina e con elegante favella
ci porge quel grande come precorritore ed indovinatore di
molte invenzioni riputate moderne.
Il Batines ricorda i lavori del Bottagisio, del Peroni,
del Libri, del Xagliazucclii, del Torcili, del \ accolini.
GIURISPRUDENZA
De Antonelli Ciriaco, Dei 'principi di diritto penale
che si <;ontengono nella divina Comedia, Napoli, Tip. del-
l'Iride, 1860."
Contiene 1 seguenti articoli - Dei reati e delle pene -
Distribuzione delle pene e proporzione delle stesse ai reati -
Dell'imputabilità - Classificazione dei reati: contro la Re-
ligione : contro lo Stalo: della calunnia e della falsa testi-
monianza : degli abusi dell'autorità pubblica : de' reati contro
la fede pubblica: de' reati che attaccano l'ordine delle
famiglie.
COGNIZIONI MEDICHE
Asson Michelangelo, Intorno alle cofinizioni biologiche e
mediche di Dante AUiyhieri; Venezia, Antonelli, 1861: (Me-
moria eslratta del Voi. VI serie HI degli Atti del Veneto
Instituto.)
L'egregio D.*" Asson fu il primo a segnare ordinatamente,
e a raccogliere tutte le notizie biologiche e mediche sparse
qua e colà per le opere dantesche e in ispecie per la Divina
Comedia, e a farne obbietlo di esplicito lavoro. « Meglio
non si saprebbe, ei chiude la sua bellissima dissertazione,
che non facesse Dante, discernere i principii che legano la
scienza medica alla morale ; né, con evidenza maggiore che
esponendole, si può dimostrare siccome quel sommo sa-
piente rivolgere sapesse la biologia e la medicina al sublimo
scopo a cui, nelle opere sue, volle consacrata ciascheduna
588 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
parte della scienza divina ed umana, la perfezione e la
beatitudine dell'uomo, l'apoteosi, in ambedue le vite, della
umanità. )>
Anche V Arrìvahene consacrava il Capitolo VI del suo
Secolo di Dante a Dante Medico. Il Maqalotti facea soggetto
di una sua lettera al RidoUi (10 Gen. IG60) se Dante avesse
conoscenza della cìrcoìaz-ione del sangue. Benedetto Varclii
ncirAccademia Fiorentina il dì 25 Giugno 1543 leggea una
sua lezione sulla generazione del corpo umano, prendendo
ad interpretare il C. x\\ del Purgatorio v. 37-70. Il IJatines
ci ricorda quattro Ragionamenti inediti del prof. Filippo
Civinini Sulla scienza Medico-fìsica da Dante espressa nella
divina Comedia. Da ultimo nel N.*^ 2 del Centenario di Dante
Allighieri, 20 Feb. 18C4, il Prof. Filippo Cardona inseriva un
suo articolo intitolato: Del Dottor Dante Allighieri.
COGNIZiOrsI ASTRO.NOMICHE
Galileo Galilei, Due lettere astronomiche e una lezione
sui Canti IX e xxvii del Purgatorio, (Studli sulla divina
Comedia, Firenze, Le Monnier, 1853).
Capocci Ernesto, Illustrazioni cosmografiche della Divina
Comedia, Napoli, Stamperia dell'Iride, 1856.
Il Capocci imprende a illustrare tutto ciò che nel poema
di Dante spetta alla cosmografia, e lo fa eoo tanta esat-
tezza e con tanta precisione da esserci di guida sicura e
piacevolissima per seguire le orme del poeta nel suo mi-
sterioso viaggio ai tre regni dell'anime. Il dialogo, eh' è
la forma adoperata dal Capocci, è scorrevole, disinvolto,
vivacissimo: le dichiarazioni hanno la lucidezza delle dimo-
strazioni matematiche. Dai comenti del Capocci, Dante risalta
il più profondo cosmografo de' suoi tempi. L' illustratore,
che pel sommo poeta sente profonda riverenza, ma non
idolatria, si serve francamente della ragione, notando gli
errori che Dante non poteva evitare perchè erano dottrine
della scienza, ne fa vedere le divinazioni, le verità trovate
quasi per istinto, che poi furono ampliate e dimostrate
dai dotti.
MiNiCH Serafino Rafaelle, Della interpretazione di molti
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 589
passi della divina Comedia che spettano alle notizie astro-
nomiche, Memoria Iella all' I. R. Inslituto Veneto, Aprile e
2 Giugno 1852.
SoRio P. Bartolommeo, Un problema dantesco astronomico.
Verona, Franchini, 1862.
Il proposto problema è questo. Come fosse vespero là
presso gli Antìpodi di Gerusalemme, e qui mezza notte e
quale fosse il luogo indicato per l'avverbio qui Purg. xv.
V. 1. - Per dar il vero valore al computo dantesco è me-
stieri, dice il P. Sorio, stare sulle tavole delle longitudini
antiche. Confutata appresso l'interpretazione del S."" Guerra,
ritiene che il giorno in che il poeta recita questo passo
controverso, ma d'una esattezza astronomica veramente
ammirabile, sia tra il giorno 8 ed il 9;| e che siccome al
monte del Purgatorio erano le ore 2, 25 pomer., come a
Gerusalemme le 2, 25 ant-, cosi in Italia erano 2 ore e 25
minuti più indietro da Gerusalemme, cioè le ore 12 ossia
la mezza notte. Dal contesto ritiene che pel cjui debba in-
tendersi Verona, e che per conseguente quel canto sia stato
scritto in quella città.
IIIIIÌARIO DELLA DIllA COlDiA
DiONisi Marc. Giano iacomo, L' epoca della visione di Dante ;
Esame delle opinioni de' moderni su II epoca della visione;
Si conferma la visione neW equinozio vernale; Si stabilisce
l'epoca della visione. (Aneddoto iv. C. 6-10.)
PiANCiANi G. B., Di una nuova opinione intorno alV anno
in cui Dante fìnge di aver fatto il suo poetico viaggio,
Roma, 1842.
Venturi Prof. Pietro, Del vero giorno in che avvenne il
pieno della luna di Marzo nelV anno 1300 e della vera epoca
in che ebbe cominciamento la visione di Dante Allighieriy
(Rivista di Roma, 11 Sett. 1843.)
Lanci Fortunato, Dei Spiritali tre regni cantati nella
Divina Comedia, Analisi per tavole sinottiche, Roma, Chiani,
1856.
Il dottissimo autore divise l'opera sua in due parli,
comprendendo nella prima le investigazioni degli ordina-
S90 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
menti ond'ebbe informata il poeta la prima Cantica (Roma,
1855); e nella seconda le investigazioni che si riferiscono
agli ordinamenti della seconda e terza Cantica (Roma, 1856).
Il Lanci ci diede con non minor dottrina che diligenza e
chiarezza la corografia, la cronologia, e per così dire la
cronometria, la fisiologia e l'economia di tutto il sublimissimo
canto, e, com'egli dice, l'ortografia morale delle tre sedi;
per modo che la mente può tener dietro passo passo al
poeta in lutto il suo viaggio, oppure scorrerlo tutto intero
a gittata d'occhio, senza perdere alcuna delle più minute
circostanze, e particolari di tempo, di luogo, di persone,
d'incontri, d'avvenimenti, proprio come se si avesse ad
apprestare un programma per rappresentarlo sulla scena.
Capocci Ernesto, {j\elle sue Illustrazioni Cosmografiche
dalla pag. 162 alla 167.)
Longhena Francesco, Itinerario Astronomico di Dante
Allighieri per V Inferno e pel Purgatorio narratoci da lui
stesso co' suoi versi, Milano, Boniardi-Pogliani, 1861.
É un estratto dei dialoghi di Messer Donato Giannotti
ora per la prima volta pubblicati, Firenze, Cellini, 1859,
per cura di Filippo Luigi Po Udori II Longhena n'elegge
la sola parte della verità esposta ed omette la confutazione
del falso sistema del Landino e de' suoi seguaci. L'opuscolo
del Giannotti, a confessione del Sorio e del Longhena
istesso, c( è di rara eccellenza, e fu opera di merito insigne
il pubblicarlo, ed è come la guida necessaria ad intendere
almeno il sistema del viaggio dantesco nello Inferno e nel
Purgatorio: e l'ingegno e l'esatta dottrina astronomica
dell'AUighieri da questo opuscolo si conosce assai bene e
le lodi che si sono date al divino poeta se le merita tutte,
e n'è questo opuscolo un documento irrefragabile. »- Il
Giannotti vuole il poeta scendesse nella sera del Giovedì
dopo Pasqua, e vi consumasse due giorni per andare fino
al centro, un altro per salir dal centro alla superficie della
terra, e 4 nel salire e girare tutto il monte del Purgatorio,
in tutto giorni 7. Quanti poi ne impiegasse in Paradiso non
si sa perch'egli non ne paria. Con questo discorso l'Autore
contraddice a Benvenuto da Imola e prova l'errore in cui è
caduto.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 591
SoRio P. Bart. Giorno precìso di Pasqua, secondo Dante,
nel 1300 e del plenilunio. (Lelt.V. Yerona 15 Sett. 1863)
Roma, llp. delle belle arti, 1863.
Il P. Sorio, avuto per cerio l'aureo numero, l'epatla,
la lettera Domenicale del 1300, da tutte e due le maniere
che ci vengono Insegnate dalla regola de fcstis mohilihus
viene a chiarirci che II dì di pasqua nel 1300 sia caduto
a' 10 di Aprile. Prende poscia ad investigare se nel venerdì
santo sia dal poeta considerato II plenilunio nel significato
fisico e vero, o nel senso morale della commemorazione
fattane dal calendario ecclesiastico. Proposta una tabella
sinottica comparativa della luna, secondo fu fatta erronea-
mentQ nel calendario eccles., e della luna come si dovea
fare secondo le varie fasi lunari, mostra come gì' interpreti
s'ingannino nel pigliare in servigio del viaggio dantesco
le lune vere e non le nominali; onde trasse che il poeta
deve aver cominciato il suo viaggio la sera degli otto ai
9 di aprile, dal venerdì santo sera al sabato santojj ed a
conferma cita e comenta alcuni passi danteschi che gli
vengono a proposito.
Lnoffo di partenza e direzione del viaggio Infernale,
Lett. II e Ili (23 Agosto 1863). Roma, tip. Belle Arti.
I moderni interpreti fissano comunemente l'Italia il
punto vero della partenza pel viaggio infernale. Il P. Sorio,
mostrata l'importanza di una tale investigazione, essendo
questo luogo di partenza il perno di tutta l' invenzione dan-
tesca, e di tutta la macchina e dell'Inferno e del Purgatorio
e del Paradiso, ritiene che sia Gerusalemme, perchè sola
Gerusalemme, cosi a contrappiede del Purgatorio, potea
essere la imboccatura infernale, per la quale sul diametro
interno della terra si vada a sbucare nell'altro emisfero
occidentale sul monte antipode, eh' è il purgatorio dantesco.
Con questo itinerario espiatorio infernale che il poeta im-
prende non sensibilmente ma idealmente, alla visita del
monte Calvario e del monte Sion in Gerusalemme, volle egli
acquistare l'indulgenza del Giubileo, bandito da Bonifazio
YIII nel 1300. La direzione vera del viaggio, secondo gli
accenni testuali del i e del ii dell' Inferno, è dalla sinistra,
cioè a sud, ma non a perfetto mezzodì, ma a sud-ovest. Con
592 BIBLIOGRAFIA DAMESCA ITALIANA.
maggiore esattezza geografica Dante lo spiega nel canto xwi
dell'Inferno, laddove ci descrive il medesimo viaggio fatto
a sud-ovest partendosi da Gaeta i'iisse, quando andò pa-
rimente all'altro emisfero, poco distante dal monte del
Purgatorio Dantesco. - E in un altra lettera, colla carta
topografica di Gerusalemme, il P. Sorio riscontra tutte
le parti a suo luogo, e le mosse del poeta corrispondenti
alla topografia. La selva per lui è l'Egitto; la dìrilta via
è da Gerusalemme, e più precisamente dal Monte Oli-
veto al Calvario, da est ad ovest; la valle, quella di Gio-
safat, per tutta la sua lunghezza da sud a nord irrigata dal
torrente di Cedron, il quale è la fiumana onde il mar non ha
vanto, e va a terminare a nord tra le mura di Gerusalem-
me ed il monte Oliveto: e da questo per alla volta del
monte Calvario ad un terzo di strada comincia la pia(]qia
diserta, la quale è la via diritta e più corta che mena al
monte della salute, al Calvario.
Ènella valle di Giosafat, che Dante s'abbatte in Virgilio,
e precisamente davanti alla porta orientale di Sion che
mena nel tempio per questa porta detta delle acque, e, Vir-
gilio entra e Dante gli lien dietro, e dalla parte sinistra
passa Virgilio con Dante alla porta laterale da mezzodì,
la qual mena alla fontana di Siloe ed alla piscina probatica,
simbolo della confessione sacramentale; passa dunque per
questa, eh' è la Porta di San Pietro, e seguitando a ca-
minare per la direzione di sud-ovest trova la Valle dello
Inferno, eh' è l'imboccatura infernale. Il P. Sorio a mano
a mano ci spiega i simboli de' luoghi precorsi. La topografia
biblica dell'antica Gerusalemme che dovette aver sott' occhio
il poeta, è quella di El-Edrisi, il quale la scriveva circa al
1150 per Ruggero re di Sicilia.
Guerra D."" Pietro, Viafjgio poetico di Dante AlUyhìeri,
sperimento sottoposto al (jiudizio dei letterati filosofi d' Italia
cultori dell' una e dell'altra scienza, Modena, Cappelli, 1859.
Due scritture, scrive il P. Sorio, sul Viaggio poetico di
Dante furono contemporaneamente pubblicate di un merito
insigne ambedue. L' itinerario aslronomico per l' Inferno e
pel Purgatorio narratoci co' suoi versi, già scritto in Dia-
loghi da Messer Donato Giannotli nel cinquecento, e il
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 593
vlagffio poetico del Sig/ Guerra. Sori queste due solenni
scritture sull'argomento medesimo, ma diverse per quel
diverso rispetto che ne hanno in trattarlo. La differenza
è questa che il Guerra comincia il Viaggio nel sabato di
Passione alle ore 6 pomeridiane del 2 Aprile 1300, e lo
termina alle ore 6 pomeridiane del successivo sabato santo
9 Aprile onde è fatto durare 7 giorni naturali. Il Gian-
notti Io fa cominciare per entro all' Inferno la sera del
Giovedì santo, che riesce a di 7 Aprile 1300, e due
giorni impiega nell'Inferno ed un giorno nel salire dal
centro infernale alla superficie della terra nell' altro emi-
spero; e dal Purgatorio esce Dante la sera del Giovedì
consumando nel Purgatorio 4 dì naturali, ed uno nell'An-
lipurgatorio e due giorni nell'Inferno (senza il primo dì
della Selva selvaggia) in tutto tra l'Inferno ed il Purga-
torio 7 dì naturali. - Il Guerra ha più vasta dottrina del
Giannotti, che per allro è più ovvio, e forse è più critico;
ma il Guerra sopra il Giannotti ebbe la perspicacia mira-
bile di trovare la bussola per distinguere i giorni e le ore
anche nel viaggio del Paradiso sulla traccia che Dante
lasciò ne' suoi versi del Paradiso a poterli fissare nelle
costellazioni per le quali egli passava e nel loro rispetto
col sistema astronomico. - Il lavoro del Guerra è accom-
pagnalo di molte note, alcune delle quali interessanti. Alla
Isola 8, appoggiato ad autorevoli documenti, combatte la
testimonianza di Dante che Obizzo d' Esle sia stato spento
dal figliastro su nel mondo, ma anzi ritiene il figlio sal-
vasse la vita del padre dal pugnale dell'avverso partito; ed
alla nota 35 sostiene che Dante seppe di Greco. Al Viaggio
poetico tien dieìro un'Appendice che comprende 24 Tavole
distributrici dell' ore destinale alla recitazione dell'ore
canoniche; dodici cioè dell'ore diurne, o stazioni, e 12
dell'ore notturne o vigilie, ciascuna di esse formala sopra
il Convito di Dante (iii 6, iv 23); e secondo la posizione
geografica di Modena. - Il Viaggio poetico del D.*" Guerra,
già Archivista secreto di Corte, è ora quasi irreperibile.
Stampato nel 1859, eì lo dedicava da prima a S. A. il Duca
Francesco V; poscia ne ritirava tutte le copie, né volle
più pubblicarle. - V esemplare eh" io tengo è imperfello,
VOL. U. 38
094 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
e ne sono debitore alla specchiata gentilezza de! mio ca-
rissimo amico prof. Paolo Terrachini, che non risparmiò
molte cure aflettuose per compiacere alla mia inchiesta.
Il P. Ponta pubblicò V Orologio di Dante AUifihieri per
conoscere con facilità e prontezza le posizioni dei segni dello
Zodiaco, le fasi diurne e le ore indicate e descritte nella
divina Comedia, Roma, tip. delle belle Arti, 1843 ; e nel-
l'anno stesso la l'avola cosmografica per agevolare l'intel-
ligenza di alcuni punti cosmografici della divina Comedia,
in continuazione del suo Orologio. Vedi p. 484.
DEL SITO E DELLA FIGURA DELL'INFERNO (I)
Galileo Galilei, Lezioni intorno la figura, il sito e la
grandezza dell'Inferno di Dante Allighieri (Studi sulla divina
Cemedia, pubblicati per cura di 0. Gìgli, Firenze, Le
Mounier, 1861)
Queste due stupende lezioni furono dettate in difesa e
confermazione di quanto avea già dichiarato il buon geo-
metra Manetti, ritraendo dalla Divina Gomedla il disegna
dell'Inferno in tutte le sue dimensioni e ne' suoi scompar-
timenti, e di cui avea già fatto menzione ne' suoi conienti
il Landino, contraddetto poi dal Vellutello che a si grandiosa
(IJ U primo che prese a fare accurate indagini sulla topografia del-
l'Inferno fu l'esperto matematico Antonio Manstti, fiorentino. Tuttavia
nulla produsse a luce; solo diede un suo lavoro al Landino il quale lo
rifece a modo di dissertazione: Del sito, forma e misura dell' Inferno,
che si legge in ogni edizione del suo comento. In appresso, nel 130G,
Girolimo Benivieni, amico del Manetti, pubblicò due dialoghi, ne' quali
le idee del Manetti in parte dichiara per minuto, in parte allarga, e qun
e là rettifica l'opera del Landino. Anche Francesco Giambullari diede
in luce nel 1514 una dissertazione sulle forme e le dimensioni dell'Inferno,
ove in alcuni punti differisce dall'opinione del Manetti Tutto ciò fu fatto
da' Fiorentini ; quivi s'oppose loro il Lucchese Alessandro Vellutello, e
rese pubblica alla sua volta una sua dissertazione circonstanziata e
adorna di disegni sopra la topografia dell'Inferno. Con questo lavoro che
trovasi in tutte l'edizicni del suo comento, il Vellutello s'ingegnò di
ridurre a meno le dimensioni dell' Inferno. Ma se n' offese la vanità dei
Fiorentini, a Baccio Valori, di quel tempo presidente dcìV Accademia
/iortjn t ina, indusse il Gnlilei ad esaminar l'opinione del Landino, oa me-
glio dire iitì Manetti e del Vellutello e di rapportare all'Accademia. - Blanc.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 395
c solida archilclUira sostituiva un di gran lunga più an-
gusto e caduco edilìzio. Meravigliosa cosa in vero è la
dimostrazione del Galilei, e di tanta evidenza confortata
con la luce di quella sua mente geometrica e fatta per
divinare, egli tra i primi, le arcane leggi della meccanica
mondiale, che non mai eraci occorso di comprendere s\
luminosamente lo smisurato concetto e la sapiente economia
di quella fabbrica della città dell'eterno dolore, come dalla
lettura di questa limpidissima dimostrazione delle due lezioni
che il grand' uomo all'età di 24 anni recitava innanzi al
consesso dell' Accademia fiorentina, di cui e del Manetti sì
vendicava l'onore vilipeso dall'arroganza del Yellutello.
BoRGOGNiM Adolfo, Del sesto cerchio dell' Inferno Dan-
tesco, Bologna, all'insegna di Dante, 1863.
Chi sì togliesse a guida gli interpreti per divisare i
Cerchi dell'inferno dantesco, non si potrebbe, per ciò che
ne dice il Borgognini, così facilmente raccapezzare nel
trarre il novero de' medesimi. Perocché mentre dall' un
ranto ti dicono tutti ad una voce che i Cerchi sono nove;
dall'altro, nel bel meglio ti scambiano le carte in mano,
trabalzandoti così senz'altro avviso dal quinto al settimo.
E che Dante avesse inteso di far veramente nove Cerchi
non si può mettere in dubbio, se non fosse altro, perchè
giunto al penultimo si fa dire dal conte Guido da Monte-
{"eltro che quello è l'ottavo: Inf. xwn. 123. Tuttavia inco-
minciando a numerare nel Limbo, che è quello che Dante
esso nomina primo cerchio, e seguitando giù giù insino
all'ultimo do traditori non si trovano più di otto; perciocché
il sepolcreto degli eretici, dove incomincia la Città di Dite,
non può constituire un Cerchio per sé, volendo le ragioni
topografiche stabilite dal Poeta, che stia nel medesimo piano
della palude Stigia, cioè nel quinto. Ora due vie propone
l'Autore di risolvere la quistione : Tuna più sbrigativa che
è di supporre una inavvertenza nel poeta; l'altra più ono-
revole a Dante, e per conseguenza più accettabile, che è
di tener conto di quel luogo in che sono condannati i
Poltroni. E, che si possa^ non v'ha dubbio, come si può
benissimo dire primo gradino della scala quello che si
conlinua con tutto il piano della sala; ed anzi si deve. In
596 BIBLIOGRAFIA DANTESCA irALlA^A.
questa ipotesi Dante, per la ragion, diciam cosi, formale,
non lo reputa, quasi per conformarsi al decreto della Divina
Giustizia che condanna quella gentaglia alla noncuranza e
al disprezzo, e però chiama primo il Cerchio del Limho.
Dall'altro lato facendo quel luogo parte di tutta la distri-
buzione dell'Inferno non può non calcolarlo secondo la
ragione materiale ; e così i Cerchi sono nove. (Civ. Cattol.
Voi. IX. p. 347.)
SoRio P. Bartolommeo, Misure fjenerali del tempo e
luoffo neir Itinerario Infernale di Dantey Milano, Boniardi-
Pogliani, 1803.
Additati da prima gli equivoci presi dal Giannotli, ei
vuole dimostrare come il viaggio infernale non sia di tre
giorni naturali ma di 26 ore, dalle 7 pom. del venerdì santo
alle 5 di sera del sabato santo; cioè, come in 24 ore per-
corresse il raggio terrestre da Gerusalemme al centro infer-
nale; e 3890 miglia in 24 ore, 162 1/12 all' ora. Percorse
poi in un' ora e mezzo il raggio terrestre dal centro infer-
nale alla circonferenza dell'altro emisfero, facendo- miglia
43 2/9 al minuto e quindi 2893 1/2 all'ora. Siccome l'Inferno
di Dante è fatto in forma di cono con la punta in giù, ed
è diviso in varii riparti, così le misure metrjche d'ogni
luogo sono due. Quella di circonferenza, e quella di profon-
dità dalla superficie del centro. Per trarne le misure precise
s' appoggia alla circonferenza assegnata da Dante stesso
alla IX bolgia (C. xxix. 9) e a quella pure assegnata alla
X bolgia (C. XXX. 86). Secondo i calcoli instituiti, l'atrio
nella sua bocca più alta ha la circonferenza di miglia 418.
Il primo cerchio avrebbe miglia 209, e così successivamente
in tutti i riparti superiori alla decima bolgia, degradando di
miglia 11 per ogni giro diverso. Riguardo ai riparti inferiori
ritiene la medesima proporzione ma decrescente della metà,
come era accrescente alla metà andando in su; salvo che
lo spazio tra l'ottavo cerchio ed il nono, al pozzo dei gi-
ganti, invece di miglia cinque e mezzo, metà dell'undici,
circonferenza della decima bolgia, sarebbe di miglia cinque,
perchè, non essendo luogo fatto per abitarvi ma un semplice
rivellino, ragion voleva che fosse di qualche cosa minore.
In quanto alla profondità ci sembra che il calcolo non corra
BIBLIOGRAFIA DAÌSTESCA ITALIANA. 597
rosi lurido come in quello della circonferenza. Tulio l'in-
ferno di Danle non sarebbe lungo ossia profondo che sole
miglia 95: l'atrio invece miglia 3120. Il primo cerchio
avrebbe la larghezza di miglia 9 lf2, e avanzando al cenlro
della X bolgia all' ingiù si trova la larghezza, ovvero
la profondila di solo 1/b4 di miglio, occupalo dalla crosta
della ghiaccia, la quale da mezzo il petto di Lucifero va
sino al suo ombelico, che è il centro infernale; onde
né verrebbe che Lucifero dalla metà del petto insino
all'ombelico era lungo 1/64 di miglio.
Nell'ordinaria seduta del 7 Agosto 1862 del Veneto
Ateneo, il Doti. Francesco Gre(jorelti leggeva una Memoria
intorno al sito alia forma ed alla grandezza dell'Inferno,
e al sito e la forma del Purgatorio e del Paradiso di
Dante. Il Gregorelli, scostandosi dalle divergenti opinioni
emesse nel sec. XYI dal Manetli e dal Yellutello non che
da quanto a favore del Manelti sentenziava Galileo Galilei,
ne' suoi anni giovanili, divisava il sito, l' ampiezza e la
forma del regno del fallire, la divisava mediante la descri-
zione ricavata da' luoghi stessi di Dante, avvalorata da una
rappresentanza a disegno geometrico. E di tal metodo valeasi
del pari per descrivere e delineare il sito e la forma del
Purgatorio e del Paradiso, dimensioni delle quali tacque il
Poeta. Con molta diligenza e rara esattezza vennero condotti
dal Gregorelli i disegni esibili a convalidare la rettitudine
de' suoi argomenti, e ad agevolare agli uditori la intelligenza.
LETTERA DI FRATE ILARIO
Lorenzo Mclms la trasse il primo, nel 1759, dal celebra-
tissimo codice Lriurenziano, Plul. xxix. Cod. 8, pag. 131.
Giulio Perticari voltavala poscia in volgare, e fu tenuta
da lui in estimazione di schietta e genuina. Ad Emanuele
Uepetii nacquero nel 1820 i primi dubbi (Cenni sull'alpe
Apuana, Fir.), poscia professori yr<7^c (Antol. Fir. N.'^ 69,
Seti. 1826), G Silvestro Cento fanti (id. N."135, Marzo, 1832)
si fecero a deriderla e a dichiararla una manifesta impo-
stura. Al Centofanti tenne dietro il prof. Venturi che nel
Giornale Arcadico di Roma (Lugl. 1844, N.® 298) pubblicava
598 BIBLIOGRAFIA DAMESCA ITALIANA.
un lungo scritto intorno le falsità di un tal documento.
Appresso il prof. L. Muzzi (Versione di 3 Epistole di Dante,
Prato, 1845) con più modestia e temperanza propose dodici
dubbi sull'autenticità della lettera di Fra Ilario a Uguccione
della Faggiuola, a' quali rispose il Marchetti (Museo di
Scienze e lettere di Napoli, Agosto, 1845, N. 35). Allora
dal Centofanti si rinovò l'assalto {Studi inediti su Dante),
e pubblicava nel 1846 una lettera tenuta in serbo per molti
anni, e scritta fin dal 4 Settembre 1834. 11 Repetti poi si
ricredette negli ultimi anni, e ne propugnò l'autenticità,
come è a vedersi alle voci Ameglia, Corvo, Monte Marcello
del suo Dizionario geografico. Da ultimo nuovo e non aspet-
tato lume recava nella controversia il profess. Sebastiano
Ciampi, mostrandoci come il codice Laurenziano accennato,
appartenesse non solo al Boccaccio, ma che per di più ci
trascrivesse interi squarci della medesima nella &ua vita
di Dante. V ai\YOc. Eugenio Branchi, nel fascicolo di Maggio
1859 del Poliziano, non solo se ne fece sostenitore, ma si
fece a provare che il Monastero di S. Croce del Corvo di
Lunigiana, anzi che all'ordine di S. Agostino, come sin qui
erasi ritenuto, appartenesse a quello di S. Benedetto. - Ne
propugnarono l'autenticità il Troya, il Fraticelli, il Balbo,
il Bepetti, il Baldacchini, il Marchetti, il Ciampi, il Monti-
celli, il Branchi; l'avversarono il Witle ed il Centofanti. -
y. Troya, Del Veltro allegorico dei Ghibellini, Napoli, tip.
del Vaglio, 1856, p. 227-233, e pag. 409. - Fraticelli, Storia
della vita di Dante Allighieri, Firenze, Barbera, 1861, C.
XVI. p. 352 e 357.
LETTERA DI DANTE
A CANGRANDE DELLA SCALA
Di questa lettera ne abbiamo parlato anche a pag. 60. -
Il Giuliani la vuole scritta tra il 1317 e il 1318, allorché
il poeta riparava alla corte del signor di Verona. Essa non
fu conosciuta che troppo tardi ai moderni comentatori;
giacché il Mazzoni appena la ricorda, e venne solo divulgata
per le stampe sul principio del secolo scorso (1700, nella
Galleria della Minerva). Ma per istabilirne T autenticità
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 599
soverchiano le prove addotte dal Witte ; alle quali abbattere
indarno si pretende la mancanza d'un codice contemporaneo.
Imperocché il Boccaccio, assai fedele testimonio, ci trasmise
volgarizzali parecchi e ben notevoli luoghi di essa lettera,
seguitando in ciò gì' interpreti che il precedettero. Che poi
questi veramente recassero in uso proprio e assumessero
a norma V espresse parole di Dante, ne abbiamo certa fede
da Filippo Villani, il quale sottentralo nel 1391 all' ufficio
di pubblico lettore della Comedia, si recò a strettissimo
debito di pigliare principio con esporre l' introduzione pre-
messavi dall'autore... Se altri manoscritti anteriori al
secolo XVI non sopravvennero ancora a testimoniarcela
poco rilieva, quando in effetto i primi e veridici comentatorì
mostrano al sicuro che la ebbero alle mani, e gli amanuensi
del codice magliabecchiano ci attestano di averne esaminalo
e ritratto un antico esemplare. Inoltre l'Epistola riceve
conferma, ed è come improntata dal sigillo della verità
dal singolarissimo autore che la dettava. Ivi per fermo si
scorge ogni concetto, ogni frase e parola interamente con-
forme a lutti gli altri scritti danleschi. Quivi occorrono
le istessissime frasi, le voci barbare e scolastiche, il duro
stile, gli esempi, sin anco i sillogismi che s'incontrano qua
e colà nelle opere di Dante latinamente scritte. - Ne pro-
pugnarono l'autenticità Carlo Troya, Witte, Tommaseo,
Ozanam, Balbo, Torri, Betti, Ponta, Fraticelli ; pertinacissimo
tra lutti gli oppugnatori lo Scolari.
Questa epistola fu da prima tradotta dal Fraticelli, e
quindi dal Missirini, la versione del quale fu riportata dal
Torri nella sua pregiata edizione dell'Epistole di Dante, e
da ultimo dal Giuliani, il quale volle tenersi stretto in ogni
possibile modo ai pensieri dell'autore, e adoperando, se-
condo che gli è occorso, le conformi parole che Dante
somministravagli nella divina Comedia e nelle opere minori. -
V. Giuliani, Dell' autenticità dell'Epistola di Dante a Can-
grande della Scala.- Cementi di suddetta Epistola, ecc.. Me-
todo di comentare la Comedia, p. 3-125, Firenze, Le-Monnier,
1861.- Witte, Insunt observationes de Dantis epistola nun-
cupatoria ad Canem Grandem de la Scala, Ualis, Saxon.
lypis Heynemann, 1855. - Id. Studi germanici sopra Dante
600 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
dell' anno 1855, Lo Spettatore di Firenze 4 Maggio 1856. -
fraticelli. Opere Minori di Dante, V. Ili, p. 528.
Venne pure mossa la questione: Se Dante dedicasse a
Federigo III re di Sicilia la cantica del Paradiso. Il Cento-
fanti nel 1832 ne scrisse un importantissimo articolo che
fu inserito nell'Antologia di Firenze (Yol.45). Nel 1845
ripubblicava questo suo scritto col titolo: Se Dante dedicasse
a Federigo III re di Sicilia la cantica del Paradiso, e della
lettera di Idrate Ilario a Uguccione della Faggiola, indagine
storico-critica di Silvestro Cento fanti per servire alla storia
dei sentimenti politici dell' AH ighieri.- Questo medesimo sog-
getto prendeva ad isvolgere nel 1856 Michele Proudnikoff
di Pietroburgo (Imprimerle du Journal de Saint-Petersbourg)
col titolo di Elucubrazione intorno all' opera dantesca,
ed ispedivala per le città italiane a darci lume sui falli
nostri, e a raccoglierne significazioni onorifiche! Nella
lettera con che accompagna il suo libro all'Accademia della
Crusca assevera eh' era già stato da essa premiato col titolo
di Accademico!!! Messo a riscontro l' opuscolo stampalo a
Firenze con quello dipoi a Pietroburgo si è trovata cosi
perfettamente V Elucubrazione nella Indagine storico-critica,
e la Indagine storico-critica nella Elucubrazione ut unum
fieret e duobus. Che tanto suona quanto la persona del Cen-
lofanti era divenuta quella del Proudnikoff e il Proudnikoff
erasi immedesimato coi Cenlofanli. Risum teneatis amici!
Ne scrissero inoltre:
Buoninsittci > Collcllì - Del Rosso - diambullari -
maneiti - Pouta - Veliutello - Zotti.
ALLEGORIA DEL POEMA.
PiccHiONi, La Divina Comedia illustrata da A. Kopisch,
G. Picei, e M. G. Ponta, Milano, Tip. Classici Ital. 1846.
Il Picchioni ritiene « con la sentenza già addotta del sapien-
te Carlo Witte, che si il Picei che il P. Ponta se ne vada con
suo brano di verità ; conciossiachè al Poema sacro tal quale ci
è pervenuto abbia di certo immediata cagione dato l' esigilo
deirAllighleri ; in esso poi venga allegoricamente narrata
BIBLIOGUAFIA DANTESCA ITALIANA. GOl
la conversione del poeta, qiianliinque non dal f/uelfismo al
(ihihellinismo, come si vuole ora dire modernamente; di esso
per ultimo sia da cercarne l' interpretazione nominatamente
nelle sacre Scritture e nelle discipline dei filosofi e teologi
di quei dì, come si studiò appunto di fare il dotto signor
Kopisch, senza tuttavia abusar di tante analogie d' ogni
maniera, a misurar diremmo con le seste ogni invenzione
0 troppo poetico, e dedurne poscia imaginose interpreta-
zioni. » Picchioni.
Picei Giuseppe, L interprelazione storica della prima e
principale allegoria della Divina Comedia difesa, Padova,
Liviana, 1847.
Delle criiiche di L. Picchioni, M. G. Ponta e di P.
Fraticelli sopra la moderna interpretazione storica della
Divina Comedia. (Giornale Euganeo, 1847; Quaderni Y. ed
\lll.j
La selva, secondo il profess. Picei, è un luogo disabitato,
di smarrimenlo e di errore: la diritta via, quella del ritor-
no alla patria: \ì sonno, gl'infausti comizi del suo priorato :
Lo smarrimento vero di Dante fu la cura de' pubblici uffici,
e l'esiglio che gliene seguì, e sì quello che questi incon-
trarongli nella valle d'Arno: il ben trovato nella selva, il
conforto dell'ospitale amicizia e degli studj : l'abbandono
della verace via, l'amore di Beatrice e de' pacifici studj:
il passo che non lasciò giammai persona viva, Firenze, a cui
per le illusioni della speranza, alle prime novelle della
venuta di Arrigo, erasi l'animo dell'esule poeta rivolto,
come l'uomo che già credesi in porlo : il colle, il Falterona,
ultimo termine di Vaidarno Superiore, onde scende il fiume,
appiè del quale appunto trovavasi il poeta, allorquando
accolse nell'anima afflitta i primi conforti della speranza,
per la discesa d'Arrigo, simboleggiati, questi nel «o/e, e
quelli ne' raggi del pianeta, onde apparve il colle vestito,
simboli che al paro che l'ora del tempo e la dolce stagione
rispondono appieno a quelli con che in modo affatto somi-
gliante il poeta salutava l'imperatore stesso nell'epistole,
a quel tempo medesimo dettate appunto appiè del colle
sotto le fonti deli Arno. Egli avvisa nella lonza, Firenze,
simbolo della cillà partila in Bianchi e in Neri, la quale
602 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
eragli ognora presente al pensiero, e alla cui divisione e
discordia sperava avrebbe Arrigo recalo pace: nel leone,
Roberto, re di Puglia, che l'impresa dell'imperatore e le
speranze sventò: nella lupa, il rapace guelfismo, e la po-
tenza ed avarizia dei Guelfi; nel veltro, il Messo di Dio il
prode capitano, signore di potente stato, ricco d'armi e
d'oro, forte la mano ed il senno, degli esuli ghibellini ospite
liberale e magnanimo proleggitore, e soprattutto ancora
florido di giovinezza, Can Grande della Scala, che all' in-
dignato spirito del poeta prometteva liberare l'Italia de' tanti
suoi tiranni, uccidere la lupa rapace, cioè il Guelfismo, risu-
scitare le glorie dell' antico impero romano. Virgilio poi è un
personaggio letteralmente vero, lo stesso poeta mantovano,
e l'immortale epopea di lui, mercè il cui studio, potò
Dante condurre l'opera della divina sua cantica. - L'espo-
sizione del prof. Picei è meglio un' illustrazione, in qualche
parte modificata, di quella del Marchetti.
Poma P. Marco Giovanni, JSuovo esperimento della prin-
cipale allcfforia della divina Comedia, Novi, Moretti, 1845.
Mancati alla società italiana i due soli, l'imperatore e il
papa che la scorgevano alla felicità civile e spirituale. Dante
si smarrì in una selva di uomini ignoranti, parteggiatori,
perciò intrattabili, superbi invidi e viziosi. 11 perchè lutto
angosciato per la mala vita che ivi si traeva, tanto adoperò
che slrascinossi fuori di quella noiosa e vile ignoranza fino a
pie del monte della perfezione e felicità sociale. Onde raccon-
solatosi alquanto, entrò in ferma speranza di rendere felice
sé ed i suoi concittadini, conducendoli per la rinvenuta via
della perfezione. Ma con questo adoperare, prima si attirò
contro la gioventù {la lonza di pel maculato) con tutti i seguaci
della concupiscenza, poi l'età virile [il leone) con tutti i signori
e potenti e quanti sono dominati dalla superbia, da ultimo
la vecchiezza {la lupa), il clero e quanti sono signoreggiati
dall'avarizia. A questi ostacoli il riformatore guelfo si loglio
della impresa e abbassa le ciglia per rovinare a valle. Qui
compare Virgilio, quale duca, maestro e signore, il quale
consiglia il misero pellegrino di abbandonare la cura morale
altrui, e pensare solo alla riforma di sé medesimo. Questa
sarà compiuta in un viaggio corporalmente fatto per lo
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 603
Inferno e il Purgatorio, e poscia solio altra scoria per
il Paradiso. Ma intanto sorgono forti dubbi nella mente del
poeta. Virgilio allora gli afferma che quella gita pei Ire
regni dei trapassati è consiglio maturato in cielo da tre
donne di alto grado: la Regina del cielo averne dato com-
missione e cura alla santa vergine Lucia: questa averne
raccomandata l'opera a Beatrice, la quale le avea fatto
preghiera di guidare T errante suo amico sino al paradiso
terrestre, ond'ella in persona lo eleverebbe alla corte dello
imperatore che sempre regna. E ottimamente gioverà questo
viaggio a sfiduciare Dante di qualunque parte politica, e
affezionarlo unicamente allo impero, e gli farà toccare con
mano che Roma fu stabilita sede imperiale e pontificia
capitale di tutto il mondo cristiano, e principio della civiltà
universa.
Zappa Giuseppe, di Milano, alunno della CI. VI. del gin-
nasio comunale di S. Marta, Sulla spiegazione deli allegorìa
della I cantica, Memoria premiata dalla Direz. del Giorn.
l'Educatore. (Educatore, Anno II. p. 221-243.)
Torricelli F.M. di Torricella, Studj del poema sacro, Na-
poli, all'insegna del Diogene 1850 (Voi. I. di pag. 840 con
8 Tavole, Voi. 2. di p. 503 con 34 Tavole. - Il 2.'^'' Voi.
comprende: Esposizione del i Canto - Dichiarazione di al-
cuni vocaboli e modi sacri usati da Dante Allighieri nel
Ci.- Delle parti della monarchia di Dio - Del viaggio di
selle giorni - Mansioni del poema sacro.
« Il co. Torricelli, ideando una sacra interpretazione
dell'intero poema, arricchì di dotte notizie gli studj teolo-
gici intorno alla Div. Comedia, e ridestò così l'attenzione
degli studj sui sensi meno avvertili, morale ed anagogico.
Per convalidare il suo sistema quel valente scrittore fu
indotto non solo ad istabilire alcune speciali distinzioni
circa il senso letterale, ma inoltre ad ammettere nel poema
un doppio senso allegorico, cioè un' allegoria teologica, ed
una seconda allegoria poetica o storica, ch'egli spiega in
quinto senso da lui chiamate civico, pel quale col mistico
pellegrinaggio del poeta si scorgerebbe simultaneamente
descritto un viaggio di Dante dalla piazza di S. Croce in
Firenze alla Basilica di S. Maria del Fiore. Per questo senso
604 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
cìvico la lupa allegorica (Canio i) e la meretrice fuia (Purff.
xxxisi) rappresenterebbe Corso Donati. Lucifero coniìllo
nel centro della terra accennerebbe un Ormanno Forabo-
schi, guelfo nero, che abitava in fondo al Sesto dello Scan-
dalo in Firenze: ed il cinquecento e quindici, messo di Dio,
che sarà l'uccisore della fuia, del pari che il vellro, il
quale verrà a far morire di doglia la lupa, sarebbe quel
soldato Catalano che atterrò di cavallo il fuggitivo Corso
Donati (cioè un catuhis in lana - veltro tra feltro e feltro).
Ammessa la coesistenza d'una seconda allegoria civica o
storica, non v' ha più motivo di rifiutare credenza ad una
terza allegoria storico-politica, e perciò quel dotto scrittore
concede a chi lo vuole di credere alle fantasmagorie pro-
poste dal Rossetti, purché non si accolgano con esse le
nocive opinioni. Sembra però che lo stesso Autore abbia
dubitato della veracità di questo senso civico, o quinto senso,
e siasene occupato quasi ad esercizio od a ricreazione dello
ingegno, poiché dichiarò di proporlo, e non di propugnarlo».
Minich.
Torricelli F. M. di Torricella. Il Canto i. della Monarchia
di Dio, poema sacro di Dante Allighieri, Napoli all'insegna
del Diogene, 1835. (di p. 254)
Il Gomento del i. Canto di Dante sarà forse troppo
erudito, me ne attinsi più verità sconosciute che da verun
altro interprete, e meritava che se ne profitasser meglio i
comentatori dal 1853 in poi. Con questo Comentatore mi
congratulo assai del suo merito originale della perspicacia
vasta e profonda nel senso vero di Dante, cioè nel senso
cattolico. P. Sorio, Lettera 1. Dantesca, p. 12.
Torricelli di Torricella F. M., La poesia di Dante ed
il suo Castello al Limbo, Venezia, Gasparì, 1864.
Egli ci sarà impossibile, secondo il Torricelli, penetrare
nella stragrande macchina del sacro poema, e tutto svol-
gerne l'artifìcio, senza il lume della mistica, senza l'aiuto
dei padri, delle leggende allegoriche, delle poesie sacre dei
cristiani, senza lo studio del linguaggio ieratico della Chiesa.
La chiave di tutto il segreto è : Dante descrisse il viaggio dei
sette giorni, di cui ne fu tipo il viaggio del popolo ebreo
da Ramesse al Giordano. In lutti e due lo stesso luogo
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA . 605
di azione, islessissimo il tempo ; nò vi mancano le guide, e
perfino il proemio, anche questo similissimo al proemio del
Viaggio dei sette giorni, in ambo vassi dalla Porta di S.
Pietro della Gerusalemme terrestre alla Porta di S. Pietro
della Gi'rusalemme celeste, percorrendo la Via lunfia, o la ,
Via santa, che stendevasi sull' inferiore Cammin di Vita, e
però passava per V Inferno, il Purgatorio ed il Paradiso.
Il tempo, dal Lunedì santo al giorno di Pasqua. Dante di-
scese all'Inferno il 4 Aprile, e giunse a Dio finitone il dì
10. Nell'idioma sacro di Dante, la Via diritta, sarebbe la
Via «lei Libano; 11 bene trovato nella selva, il loco della
penitenza: la valle che compunge il cuore per cui è forza
di transitare, un atto di dolore; l'arrivo al colle, il
pittarsi a pie del Crocifisso; il riposarsi fra le spalle
del colle, il confessarsi a Bio: il riprendere via pel de-
serto, il rifiutarsi di far penitenza; la lupa, il leone
e la lonza, la Morte, il Mondo e la Csarne ; l'altro viag-
gio che si dee tenere, il prendere la via della penitenza;
il Veltro, ossia il canis gregis di S. Gregorio, la vita; il
cibar Sapienza Amore e Virtule, essere una delle tre per-
sone divine; il tra feltro e feltro, ossia l' inter perus et
pccus di Ezechielle, tra le pecorelle ; lì veder la porta di
S.Pietro, confessarsi saj^ramentaliuente; il visitar lo
Inferno, il fare la soddisfazione necessaria ; il vedere il Pur-
gatorio, il fare la soddisfazione che appieno purifica, il salire
alle genti beate, il far la soddisfazione preservatrice e
santificatrice.
Torricelli di Torricella F. M. La Poesia di Dante ed
il suo Castello del Limbo, Venezia, Gaspari, 1863.
Nel Castello dove soggiornano pur {'anime che fur per
fama note. Dante v'introdusse tanti personaggi etnici quante
sono le specie di virtù morale acquisita, e in che solo pos-
sono risplendere le ombre dcgl' infedeli. E volendo pure
laudare il nome di quelli che più dura e più, onora, ei
celebra sovra gli altri ì Temperanti studiosi, a' quali va
innanzi la bella scuola del signor dell' altissimo canto. Tra'
forti laudo per militare perseveranza Camilla e Penlesilea,
e per domestica. Latino e Livia. Nel verso Lucrezia, Julia,
Marzia, e Corniglia, che il Torricelli chiama più meraviglioso
606 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
di lutti, racchiuse divinamente le quattro Prudenze, rcgna-
liva, politica, economica e militare. Saladino è il solo (/insto,
nel prato del Castello; sta in parte, perchè la virtù morale
eh' e' rappresenta, dalle altre tre, da tanti personaggi rap-
presentate, è distinta. Tra i Temperanti studiosi, onorò
i Filosofi Teologi (Platone e Socrate); i filosofi fisici (De-
mocrito, Diogene, Anassagora, Talete, Empedocle, Eraclito);
non dimenticò i cultori delle belle arti celebri al suo tempo,
sotto i nomi di Trivio e di Quadrivio, alle quali ne ag-
giunse Ire di nobilissime, quella dei poeti, già ricordata,
dei medici e degli interpreti dei Filosofi.
Minici! Serafino Rafaele, Sulla Sintesi della Divina Co-
media, e sulla interpretazione della l.^ Cantica, secondo la
ragione dell intero poema considerata, Padova, Sicca, 1854.
Appendice alle Considerazioni sulla Sintesi della
divina Comedia, ed introduzione ad uno studio analitico
delle tre Cantiche, Sicca, 1835.
Secondo l'egregio profess. Minich, l'intendimento
finale del poema è: redintegrazione morale del poeta, ed
insegnamento atto a rigenerare il civile consorzio.
Selva, Firenze o più propriamente tutto lo stato sociale
di Firenze: diritta via, tutta la società forviata dal retto
sentiero: selvaggia, lo stato di selvatichezza e di abbruti-
mento a cui era ridotta la società: passo mortale, il modo
con cui Dante usci di Firenze, a cagione della sua condanna,
ed ebbe quindi motivo a ritirarsi dall' errore, ed a conse-
guire il suo perfezionamento morale; mortale, micidiale
per tutti , nessuno de' suoi compagni di sventura seppe
imitarne l'esempio: sonno, la debolezza o l'imperfezione
dell'umana natura ed il bisogno della riparazione: colle,
quello della virtù: guarda in alto, l'intento del poeta dì
risorgere dalla prostrazione morale e di conseguire la sua
riabilitazione: sole^ il lume della ragione divina: dove il
sol tace, v'è abisso di perdizione;, ove cessa la parola della
verità e non penetra il lume della ragion divina: le tre
tìere i vizi che concorsero a produrre la condanna del poeta,
preparala dall'invidia (lonza), eh' è mobile versipelle e fal-
lace; maturata dalla superbia (leone), con la venuta in
Firenze di Carlo di Valois, che fece prevalere il partito
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 607
(lei Neri, ed aggravata dall'avarizia (lupa), la quale corca
di molte brame, e non paga di manomettere e confiscare
i beni dell' esigliato, volle rapirgli l' onore con una sentenza
infamante: nel Veltro allegorico, simboleggiato un sommo
Pontefice, dalla cui promozione alla cattedra di S. Pietro
attendeva la repressione dell'avarizia, poiché la sola auto-
rità pontificia può combattere moralmente un peccato: in
Virgilio, la guida dell' umana sapienza, sotto cui Dante
imprendeva la sua mistica peregrinazione. Ma la sola sa-
pienza umana non sarà sufficiente a guidarlo nella via della
redenzione, onde verragll a nuova scorta Beatrice, simbolo
della teologia, ossia della scienza delle cose divine, il cui
npme stesso e la cui rimembranza accenna la beatitudine
e 'la celeste contemplazione.
BoRGiUNi YiCENZO, Introduzioìie al poema di Dante, Al-
legoria, (Studi sulla divina Comedia per cura di 0. Gigli,
Firenze, Le Mounier, 1853.)
Intendimento finale della divina Cantica è di ridurre
l'uomo dal peccalo al bene operare, e dallo stato vizioso
a quello della virtù, dimostrando non solo in che consista
la vera felicità e perfezione umana, ma insegnando Insieme
la strada certa e sicura por arrivarvi.
Castiglia Benedetto, Dante Allir/hierì, ou le probleme
de r humanité au nioyen-age, Lettres a M. de Lamartine,
Paris, Dentu, 1857.
Fr. Perez che nel 183G avea pubblicato In Palermo un
importantissimo suo scritto, con acume d'Ingegno e pro-
fondità di studi sulla prima Allegoria del Poema, si duolo
altamente del Castiglia che lo abbia cacciato tra les réveurs
che vedono in Dante il riformatore politico, e soggiungeva:
L'interpretazione ch'el dà dell'idea dominante del poema
e del sistema dantesco è poco più poco meno la stessa che
io diedi all'opuscolo da lei citato, salva la correlazione in
cui si sforza di porla con un sistema religioso soclaic...
Qual è l'ultima espressione dell'idee da me pubblicate? I
mali lutti dell'umanità derivano dall'essere traviate le due
guide disposte da Dio a condurla nelle vie del tempo o
dell' eternità: Impero e Chiesa. Danto, rappresentando in
sé tutta r umaniià, è guidalo dalla scienza morale, Indi
608 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
dalla teologica, a conoscere la cagione de' traviamenti e il
rimedio. Da ciò il viaggio speculativo e simbolico ne' tre
regni del male, della purgazione, del bene. - Quale è la
somma delle idee ultime del Sig. Castiglia? 11 Perez prova
apertamente e con le slesse parole del Castiglia, non essere
che affatto la sua.
Buono IO VANNI Domenico, Prolegomeni del nuovo Comento
storico-morale -estetico della Divina Comedia, Forlì, Bordaii'-
dinì, 18S8.
Il fine del poema è di rendere gli uomini assennati e
religiosi, per disporli a qiieirordinamento politico che meglio
abbia a conferire alla temporale e spirituale felicità. Questo
fine è triplice ; m_orale, religioso e civile: Ire fini particolarri
che si compendiano in questo solo: // ritorno dell'uomo
a Dio.
La selva è il secolo di Dante avvolto nelle tenebre della
selvatichezza e della barbarie per difetto di unità nel reg-
gimento civile: 0 più brevemente, lo stato immorale della
umana generazione. — Il beìie che vi trovò, la filosofia,
mossa dagli occhi lucenti di Beatrice, od illustrata dalla
cattolica verità : Dio e la sua giustizia, rispetto alla quale
anche la pena o il gastigo è un bene. - Il colle, che il
Poeta tentò di salire, cinto i fianchi della corda dell'equità,
figura la virtù che ci solleva a Dio nella vita attiva. - Il
Pianeta che ne veste le spalle, la dottrina del Cristo, qui
deslruxit mortem et ilhiminavit vitam: onde mena dritto
per ogni calle, cioè per la vita attiva e contemplativa, per
la civile e per la spirituale. - La ìiotte passata nella selva
con tanto affanno sarà la sete decenne da che fu arso
mentre visse legato al senso, e che doveva poi sbramare
negli occhi di Beatrice, o più chiaramente, la vita mondana
ed oscura del poeta dalla morte di Beatrice. - La salita
faticosa del colle e la subita rovina dinanzi alla lupa, il
Priorato, o il periodo luminoso della vita di Dante, e gli
amari frutti che poi ne colse per gli uomini, che nelle
cose basse e terréne avvallando, imbestiavano. - Il passo che
non lasciò fiiammai persona viva, il valico dell' adolescenza^,
allorché la ragione si disvia dietro ai sensi, si smarrisce,
si perde, se grazia speciale del cielo non la soccorre. - La
BIBLIOGRAFIA ITALIANA DANTESCA. 609
lonza in senso politico, la tirannide popolare, le torte de-
mocrazie, e massime la fiorentina, che il poeta sperava di
raddrizzare: in senso morale, la cupidità incontinente pu-
nita, secondo che imagina Dante, ne' primi gironi d'inferno. -
Il leone, nel primo senso le oligarchie corrotte o la tiran-
nide dei Grandi, che, subentrata alla popolare, gli mosse
aspra guerra, gli mise paura ; in senso morale, la cupidità
violenta, che ci porta alle opere leonine, flagellate entro
la città di Dite. - La lupa simboleggia, in senso politico, la
tirannide di un solo, che è il pessimo di tutti i governi
corrotti : in senso morale, la cupidità frodolenta, che per
sacrilega avarizia, ci spinge alle opere di volpe, sprofondate
dall'ira divina nel luogo più oscuro e più lontano dal cielo.
Radix omnium malorum est cupiditas, disse già S. Gregorio,
e Dante aspettava l'Imperatore che venisse a. cacciar dal
mondo questa cupidità. - Il gran deserto significherà l'esilio
di Dante dopo V ultimo tentativo fatto dai Bianchi per
rientrare, giusta quello che l'Esule iiorenlino scrisse nella
lettera ai principi e popoli d'Italia :- Noi vedremo l'aspet-
tata allegrezza, i quali da lungo tempo dimoriamo nel
deserto. - Il Veltro, la ristaurazione della Monarchia catto-
lica; l'Imperatore, quale egli lo aveva disegnato e dipinto
nella sua teoria politica; e non un capo di parte, un ca-
gnotto ghibellino; sì il Yeliro, che, seduto accanto al Pastore
della Chiesa, desse la caccia ai lupi che infestavano il
gregge del Cristianesimo. - Virailio, la filosofia naturale che
venne a mitigargli l'amarezza del tristissimo esigilo. - /^ea-
irice, la scienza delle cose divine, alla quale, al dire del
Borghini, la filosofia non è che un obbediente e devota ancella.
Berardinelli W Francesco, Il Comento della Divina Come-
dia di Dante Alliffhieri, Dimostrazione (un Voi. di pag. 496),
Napoli, Rondinella, 1859.
Due allegorie sostanziali, secondo il Berardinelli, com-
pongono il sistema dantesco; l' una nel proemio, l'altra
nelle tre Cantiche. La prima espone il perchè Dante intra-
prendesse il viaggio, la seconda denota il viaggio stesso;
quella dimostra un male, per cui evitare, è necessario il
viaggio, questa un bene che distruggerà questo male. Il
bene delia seconda allegoria è la conversione perfetta del
voL. II. . ;>a
610 BIBLIOGRAFIA DAMESCA ITALIANA.
peccatore rappresentala in Dante protagonista. In effetto
neir Inferno, al cospetto delle pene inflitte al peccato, Dante
ne concepisce orrore, e si dispone al sacramento della
confessione che riceve prima di entrare nel Purgatorio: gli
restano le reliquie dei peccati, ond'egli si sveste di grado
in grado nel camino del Purgatorio fino a ridursi a quello
stato ordinalissimo, proprio di chi trovasi nel Paradiso
terrestre. Ottenuto un tal raddrizzamento, ei può subito
elevarsi, e si eleva di cielo in cielo alla contemplazione dei
divini attributi, fino a unificare là sua volontà con la
divina. Ecco il bene della seconda allegoria. Dunque il male
della prima è lo stato di peccato, le fiere saran dunque
figure delle tre principali tentazioni, la superbia, la lussuria,
l'avarizia; che se dall'avarizia ebbe più contrasto Dante,
ciò fu perch'essa ha forza più generale e più efficace. La
quale avarizia, potendosi considerare come male dell'indi-
viduo e della società può avere un doppio rimedio; l'uno
individuale, ed è la conversione religiosa, fine primario del
poema ; l'altro sociale, ed è per Dante l'attuazione della sua
idea politica della Monarchia, fine ulteriore del poema. - I
dissidi e i mali costumi di Firenze, e più generalmente
delle città d'Italia hanno per origine l'avarizia della parte
guelfa : a cessarla nei reggimenti civili non è bastante altra
forza da quella in fuori della Monarchia universale. Questa
s'invochi, si aiuti, si sostenga di tutto potere: in quelle
che ciascun italiano attende per via della religione alla
emendazione de' suoi vizii particolari. Così convertitisi prima
nell'individuo, pos^Ja nelle comunanze i reggimenti, la
società s'acquisterà quella perfezione maggiore ch'è possibile
In terra. Tale è il vincolo con cui Dante collega le due
intenzioni.
Eroli di Narni Giovanni, Libro della Sapienza, con al-
cuni nuovi importanti stuclj sopra la divina Comedia, la
profezia di Sofonia il Magnificat e la Salve Regina, tradu-
zione in versi rimati, Narni, Tip. del Gattamelala, 1839.
L'Eroi! vuole che Dante ordisse la tela del suo poema sugli
scritti del celebre ab. Chiaravallese. L'ultimo canto ci av-
visa di essere ammaestrato e guidato da S. Bernardo alla
dolce ed inefl"abile contemplazione della verità. - Anche
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. Gì l
l'allegoria generale del poema venne modellala per Dante
non solo sopra la Bibbia, ma eziandio sulle opere di San
Bernardo, eccellente interprete delia medesima. Il perchè
chiunque voglia penetrare bene addentro il velo dell'allegoria
dantesca deve innanzi tutto studiare e meditare nei libri del
famoso dottore. -Il sermone III in yhjìlìa ISatimtalis Domini,
e il sermone xvn in Cantic. I. ci avvalora ad addentrarci
nello spirito del I Canto; e il serm. 96 de diversis signìficat.
ci guida a levare il velo delle tre donne del canto secondo.
Per l'Eroli la Donna gentile è figura deWii virtù, Lucia della
carità. Beatrice della rer/fà, Virgilio della sapienza allegorica
personale. - Il sermone 40 de septem gradibus ci è di veris-
simo comento al C. ix del Purgatorio.
Ricci Teodoro, Proposta di una nuova interpretazione
alla principale Allerioria del poema di Dante AUighieri,
Rimini, Albertini, 1800.
L'Autore opina che Dante abbia simboleggiato nella selva
le intestine discordie, in mezzo cui vivevano i Fiorentini senza
alcuna norma di diritto o ragione, ovvero la pessima Reggen-
za fiorentina: nella valle crede sia simboleggiata Firenze
ed il suo territorio: nel colle o dilettoso monte (il Castello
dei Sanesi che porta questo nome e confinava colla repub-
blica fiorentina, presso il quale convennero nel 1303 gli
esuli Bianchi e Ghibellini per tentare un colpo sopra Fi-
renze ) un luogo di speranze in genere, ed in particolare la
patria; Vesiglio ììq\ deserto ed anche naWdi deserta piaggia;
per gli altri simboli contenuti nelP Allegoria egli segue le
chiose del Marchetti. Su questo opuscolo dettava un assen-
natissimo articolo il Can. Giov. Della Valle col titolo: Esame
di una nuova interpretazione alla principale Allegoria del
poema di Dante Allighieri, Voi. I. de' suoi scritti, p. 67-82.
Ferroni Paolo, di Comacchio, La Religione e la politica
di Dante Allighieri, ossia lo scopo ed i sensi della Divina
Comedia, Torino, Stamperia dell'Unione Tipografica, 1861.
. Il Ferroni si propone di provare ch'esistono nella Divina
Comedia ambo i sensi religioso e politico, i quali da chi
l'uno, da chi l'altro si sono fino a qui contrastati ; e che se
lutti due convengono ad un ultimo scopo, hanno però ciascuno
un fine proprio particolare. L'Allegoria poi principale, quella
612 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
Cioè che si rivela specialmente nei primi due canti dello
Inferno, non avrebbe nulla di comune con qualunque senso
che si racchiude per entro il Mistico poema. Il lavoro del
Ferroni va diviso in 4 capi, cioè: C. i; Divisamenlo dei
motivi, dello scopo, dei sensi della Divina Comedia: C. ii;
Dichiarazione delia Allegoria principale: C. in; Scopo del
poema, cioè dichiarazione del senso morale: G. iv; Il senso
anagogico. Dietro queste tracce, ei ritiene che non abbia a
rimanere alcuna parte dì Dante che sia oscura; anzi lutto
si spiegherebbe perchè tutto sarebbe chiaro ; e quello che
è più si verrebbe a ravvisare in tutta la sterminata sua
grandezza l'inarrivabile mente dell'eccelso poeta, lutto
quanto il suo amore di patria e di Dio, il suo gran pensiero
dell'italica rigenerazione e quanto giustamente potesse
cantare che il suo poema lo avea fatto vivere macro per
più anni.
Mancini Luigi, La Divina Comedia di Dante AUighìeri;
Quadro sinottico analitico, Fano, Lana, 1861.
L'allegoria dell'epico canto, secondo il Mancini, (Gior.
Utile f?w/c/ d' Imola, N.° 3. Gen. 1843 j è questa: - Il perfe-
zionamento dell' uomo e la felicità di tutto il genere umano
col mezzo della monarchia universale e del cattolicismo.
Il fine dell' uomo è la felicità che si può ottenere soltanto
nella monarchia universale. - La colpa d' origine fu la causa
di tutti i mali del mondo: la mancanza del monarca uni-
versale li mantiene. Il doppio reggimento temporale del
monarca spirituale, del Vicario di Cristo, è il rimedio alla
colpa di Adamo. - L' Inferno è il quadro dell' umanità de-
viala dal suo fine e dei mali che in tale deviamento inon-
dano la terra, non governata dal monarca universale : vale
a dire una pittura del mondo ai tempi di Dante. Il Purga-
torio è il metodo delia riforma del mondo col mezzo della
monarchia universale e dell'amore, i cui vincoli sono dalla
monarchia stessa intrecciati. - Il Paradiso è il quadro della
umana felicità nella monarchia universale e dell'amore. -
L'AUighieri inoltre col sistema della sua monarchia pensava
far tutto il mondo cattolico. Armonizza egli la scienza umana
colla rivelazione, identifica società e religione, tempo ed
eternità: egli coordina insieme il senso tropologico, anago-
BIBLIOGIIAFIA DAMLSCA ITALIANA. Gll^
gico, politico e civile, cospiranti tatti ad un fine; ed in
un quadro solo racchiude le terrene e le superne destina-
zioni. - L'opera del Mancini, contiene oltre un comento del
1." e del 2.*^ canto dell' Iiiferno, una rivista generale dello
Inferno e del Purgatorio e del Paradiso per ogni canto ed
ogni sfera.
Della Valle Can. Giovanni, j\tiovo comento della prima e
principale AUcfforia del poema di Dante, Ravenna, Stam-
peria iSaz. 1802. (Voi. 1.*^ de' suoi scritti, dalla pag. 3-63.)
La selva è figura dello stato politico-sociale, in cui Dante ,
si ritrovò, massime nel 300, stato travaglioso, malagevole
e pieno di paura: la cima del colle rappresenta la concordia
e la pace dei fiorentini, che il poeta fu mandato ad oflerire
a Papa Bonifazio Vili, e della quale aveva argomenti di
bene sperare. La quale ambascieria però non riuscì a buon
termine, e causa ne furono Firenze, cioè i firentini di parte
Nera, la casa di Francia e Roma ; potentati e signorie
simboleggiati nelle tre fiere. E poiché era rimasto senza
successo queir importante e vitale negozio, che ridonando
la pace a Firenze avrebbe posto fine alle amarezze e ai
travagli indivisibili dalla condizione pul)blica, in cui Dante
si ritrovava, non rimaneva a lui verun' altro mezzo a questo
scopo, che ritornare nella vita privata a' suoi diletti studii,
e por mano ad una grande opera poetica. La quale non solo
desse a conoscere l'alto suo ingegno e la vasta sua dottrina
ai contemporanei e ai futuri, ma che gli aprisse anche il
campo a dire degli uomini più celebri, e massimamente di
quelli, che al suo tempo furono più noti di fama per virtù
e pei vizii, onorando nella memoria dei posteri i primi, e
caricando di vituperio i secondi. Ora quale soggetto più
ampio e più fecondo per varietà, e che gli si porgesse più
opportuno a trattare di tutte queste cose, che (juello dei tre
regni ? Ma a questo notissimo lavoro gli occorreva l'aiuto del
principe de' poeti latini che egli tanto onorava, e quello della
mistica Beatrice. Ed ecco la Visione cosi felicemente ima-
ginata dall' Allighieri, dove finge d' essersi smarrito in
quell'oscura e spaventevole selva, dalla quale, poiché fu
levalo dinanzi alla lupa da Mrgilio mandatogli da Bealrice,
s'incammina con lui nelle regioni eterne dei morii. Ed ecco il
614 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
miracoloso suo viaggio dell' Inferno, del Purgatorio e del
Paradiso: viaggio che forma il vasto argomento della Divina
Comedia. Per tal guisa ei pensa, che per le dichiarazioni
che ha dato dei simboli contenuti nell'Allegoria, non solo
si leghino naturalmente tra loro questi simboli, ma che
vengano altresì a collocarsi nel loro vero e più stretto
rapporto col soggetto del poema. Il quale dal primo canto
all'ultimo forma un tutto, che acquista per tal modo la più
perfetta ed evidente unità, che dalle altre interpretazioni
dell'Allegoria non gli pare che riceva. Imperciocché in
quella degli antichi Comentatori non è dichiarato il motivo,
pel quale Dante siasi dipoi messo a scrivere il poema dei
tre regni: solo vi si fa conoscere la ragione, per la quale
si conduce a visitarli, né altro ci é detto. E quanto al
comento dei moderni, e a quello del Marchetti in partico-
lare, vero è che vi si dice, che Dante sperava di essere
richiamato nella patria per l'alto grido che di sé avrebbe
levato col suo poema; ma non crede si potesse affermare
che a questo fine ei togliesse a compierlo. Da un altra
parte é noto che prima dell' esigilo lo avea già cominciato,
compiendone i primi canti. - Notevole, scrive il Fanfani, è
ciò che il Della- Valle dettò sulla prima Allegoria del poema,
dove ingegnose interpretazioni novelle sono sostenute da
sottilissimo raziocinio e da larga erudizione. - 11 Borghini,
1864, p. 319.
Della Valle Giovanni, Osservazioni critiche intorno al
senso religioso e politico che la principale Allegoria del
poema di Dante ebbe dai Comentatori, Ravenna, tipografia
Nazionale, 1863.
Il Della Valle trova ben poco probabile il senso religioso
ed il politico offertoci dai comentatori, quando meglio non
sia falso del tutto. E ne trova la ragione perchè si volle
dagl'interpreti che l'Allegoria chiudesse il disegno generale
del poema, talché questo sia strettamente legato con quella e
da lei dipendente nella generalità delle sue parli. Il Della
Valle crede la Divina Comedia un quadro di figure, che
senza lasciar di accennare il soggetto del poema, adom-
brano alcuni avvenimenti politici, i quali a que' tempi, e
lopratlutto nel 1300, toccarono da vicino l'Allighieri, e che
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 615
mostrano il come e il perchè egli ponesse mano al poema.
Ed è sotto questo aspetto soltanto, ei conchiude, che si
possa fuggire alle conseguenze poco Yerisimili e false,
come specialmente si fece a provare nelle interpretazioni
recate dal Marchetti e dal Fraticelli, che derivano dal con-
siderare l'Allegoria dantesca nel modo, in cui finora si è
voluta considerare.
Giusti Giuseppe, Delfine del Poema (Studi vari, p. 189).
Secondo il Giusti, lo scopo che Dante si propone nel
suo poema è di ricondurre le cose d' Italia ai loro principii
tanto civili che religiosi. Come cristiano, non solo riconosce,
ma rispetta e vuole che stia in vigore la dignità e l'autorità
del pontefice che risiede a Roma capo visibile della chiesa ; e
come cittadino d' Italia, devoto del nome e della grandezza
romana, tiene la Germania come una provincia dell'impero,
e vuole che la famiglia erede del trono dei Cesari, lasci
le cose di là e torni a fissare a Roma la sede imperiale...
La selva oscura è immagine di quell'epoca traviata; il
monte dilettoso, vestito dei raggi del sole, principio e ca-
gione di tutta gioia, è simbolo di una vita di verità e di
pace; la Lonza il Leone e la Lupa che gì' impediscono di
passare a un tratto dall'ultimo fondo del male all'altezza
del bene, figurano il diletto dei sensi, la sete di dominare
è l'avidità dell'avere. - E a pag. 195: Lo scopo di Dante
è di proporre un modello di riordinamento al suo secolo
guasto, non una riforma religiosa e politica, ma di richia-
mare nel suo pieno vigore il diritto romano e nella sua
primitiva purità la morale evangelica. Il poeta nella Co-
media dal lato politico non è ghibellino, ma monarchico;
non è antipapale dal lato religioso, ma antiteocratico. Vuole
che Roma torni ad esser capo del mondo, è ad esser tale
la crede destinata da Dio: vuole che a Roma risiedano i
due capi dell'universe genti, l'Imperatore e il Papa, cia-
scuno dei due indipendente dall'altro nella sua giurisdi-
zione, ambedue d' accordo nel procacciare il bene degli
uomini; l'Imperatore tenendo il freno delle leggi perchè
non irrompano nelle cose vietate, il Pontefice guidandoli
coir esempio e col precetto nella via della virtù. Forte
V «00 del diritto della spada, l' altro dell' ascendente morale,
616 BIDLIOCRAFIA I)x\MESCA lTALlA^A.
frenanlisi scambievolmente. - Ytrf/ilio ò imagine di saviezza
umajia, Catone siinliolo di retlitudiue secondo ragione umana,
ìkalrice di scienza divina. Dante medesimo rappresenta
moralmente l'umana natura sviala, poi ricondotta sulla via
retta, e finalmente guidata e ricongiunta a Dio. Il viaggia
per r Inferno, latto scendendo più al basso, di cerchio in
cerchio, simboleggia la considerazione degli errori passati.
Quello del Purgatorio, salendo di giro in giro, rappresenta
lo spogliarsi a mano a mano delle male abitudini, incam-
minandosi alla verità. Parte dalla selva selvaggia, e tutto
rinnovato entra nella selva ridente che ricorda l'Eden
antico, ove fu innocente l' umana radice. - L' ascensione a
Dio di cielo in cielo è simbolo del ricondursi che fa la
creatura al creatore di virtù in virtù. Finisce il poema colla
contemplazione del mistero dell'Incarnazione, simbolo del
congiungimento dell' uomo a Dio. - Y. p. 211, 222, 231, 251,
255, 256, 302.
Vedovati Ab. Filippo, Intorno ai due primi Canti della
divina Comedia, Esercitazioni cronologiche, storiche morali,
Venezia, Tip. del Commercio, 1864.
Il Vedovati dal senso litterale del primo Canto, appog-
giandosi, com'ei dice, alla Storia, ed alle sue ragioni, si
conduce ad investigare l' allegorico, cioè /' ascosa verità
storica, che vi sta coperta. - Secondo il Vedovati, l'epoca
trascelta alla poetica entrata nella selva sarebbe il Marzo
1301 (Inf. h 1 ; VI. 65). - 7 tre Soli s' interpretino per tre
giorni - Inf. x. 46; - le quasi cinquanta volle di raccensione
s' intendano non ad ogni mese, ma raccensione a faccia
novella in ognuna delle quattro fasi mensili - Inf. xxi 112;
Purg. li. 88. - La selva è per lui Firenze; la Valle la To-
scana; la piaggia diserta l'Italia. Nel monte irradiato dal
Sole vi scorge il conseguimento del desiderato ordine civile,
col mezzo o forse anco della papale autorità. La Lonza
raffigura le parti guelfe Bianca e IS'era; il Leone Carlo di
Aalois; la Lupa la discordia seminata e mantenuta da Pa-
pa Bonifazio Vili; il Veltro Benedetto XI - Virgilio che
gli si accosta a guida è il genio poetico; il bene trovato
l'eccitamento ad applicarsi di nuovo agli studi; V altro
viaggio che dovrebbe tenere la risoluzione di abbandonare
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 017
le cose civili per alleiidere alla composizione del sacro
poema.
Nella II." parte, che abbraccia il. canto secondo, egli
intende di ofl'rirci alcuni schiarimenti del senso lllterale-
allefforìco, ed una qualche interpretazione ncll' alleqorico-
morale. - Il Vedovali ritiene nella Donna gentile del cielo
moralmente simboleggiala la Divina Provvidenza; in Lucia
la Divina Rivelazione; in Beatrice la Religione cristiana,
anche nella sua vita contemplativa; in Virgilio la Poesia;
e il concetto morale correrebbe cosi : - La Divina Provvi-
denza mossa a compassione delle acerbe sciagure in cui
era ravviluppato il misero Dante, usando (giusto l'eterno
suo ordinamento) della Rivelazione eh' è prima luce che
illumina la Cristiana Religione, cui è strettamente congiunta,
dispone: che la Religione ispiri la Poesia: e che questa
susciti il genio poetico dell' Allighieri a descrivere gli alti
lai dell'Inferno, le pene espiatorie del Purgatorio, e le beate
delizie del Paradiso: assicurato, che toglierebbesi cosi dalle
gravi angustie che lo circondavano; e che di tal maniera
riescirebbe a se stesso, ed altrui, di sommo conforto e di
morale profitto. - Queste due memorie furono lette dal-
l'egregio Vedovati all'Ateneo di Venezia nelle tornate del
25 Giugno e del 22 Luglio 1863.
Alle ricordate esercitazioni sui due primi canti seguono
due Appendici, 1' una ad un passo del Convito che si vor-
rebbe oscuro ( Tratt. ix. e. 2 j ; illustrativa l' altra del famoso
verso di Dante: Pape Satan, Pape Satan, aleppe. Recata
r interpretazione del Cellini, suggeritagli dalle parole fran-
cesi Paix, paix, Satain, allez, pais che udi gridare nella
grande sala di Parigi da un giudice nel civile, Luogotenente
del re, e eh' ei traslatò : sta cheto, sta cheto. Satanasso, e
levati di costì, e sta cheto; il Vedovati ci olire del motto
succennato la seguente traduzione letterale italiana; No7i
pace, 0 Castellano, alla spada, alla quale aggingne la tra-
duzione libera: All' erta ; nessuna concessione, non sì permetta
r entrata, cui non s' appartiene: Signor custode, signor Ca-
stellano, mano all'armi; usale, a tutta forza^ resistenza,
fino agli estremi.
LiBiis Amomo, Prof. all'I. R. Università di Gratz, Alle-
618 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
goria morale, ecclesiastica, politica nelle due prime Cantiche
della Divina Comedia di Dante Allir/hieri, ovvero dei van-
tafjfji che per l intelligenza della Divina Comedia si possono
trarre dalla conoscenza della cultura del suo Autore, Dis-
sertazione letta all' Ateneo di Bussano nella tornata del 3
Marzo 1864, con Aggiunte, Gralz, 1864, Kienreich.
.La principale causa della discordia degl' interpreti di
Dante è da attribuirsi, secondo il Lubin, a ciò, che ciascuno
vuole interpretarlo colle idee del suo tempo, e senza usar
il debilo riguardo alla cultura di Dante e del tempo di
Dante. - Se la Divina Comedia contiene lo scibile di quel
tempo, questo è da ricercarsi, sia per la sostanza che pel
rnelodo allora osservato, nelle opere lette e scritte da Dante.
Egli sarà quindi bene di preparare le menti dei leggitori
alla lettura della Divina Comedia, facendo loro conoscere i
tratti delle opere lette e scritte da Dante e che hanno
relazione alle cose trallate od accennate nelle Cantiche im-
morlali. - Poiché ebbe egli slabililo, che, come la Babilonia
e la Gerusalemme d'Ugo da S. Vittore, T Inferno e il Pur-
gatorio di Dante, considerati tropologicamente, sono il primo
l'immagine dei malvagi del secolo; il secondo la vita spiri-
tuale, 0 l'immagine di quelli che si esercitano nelle virtù ;
dimostra che il Purgatorio è anche figura della Chiesa di
Cristo, nella quale solo le virtù sono meritorie di vita eter-
na. - La Provvidenza divina, per restaurare l'umanità
prevaricala, le assegnò due reggimenti, il civile e l'eccle-
siastico, il politico e il religioso. E però, dinanzi al tribu-
nale di Dio, i codici dei due reggimenti formano un codice
solo, e quindi gli osservatori delle leggi dei due reggimenti
sono da Dio egualmente premiati, come ne sono egualmente
puniti i prevaricatori. Ond'è che nella Divina Comedia,
considerata allegoricamente, l'Inferno sarà l'imagine del
reggimento che il principio del male oppone ai due reggi-
menti civile ed ecclesiastico, conducendo all'infelicità quelli
che vi si ascrivono. Il Purgatorio sarà la figura dei due reggi-
menti civile ed ecclesiastico di maniera, che V Antipurgatorio
figuri il reggimento civile affidato alla custodia del virtuoso
Catone ; il Purgatorio vero e il Paradiso terrestre figurino il
reggimento ecclesiastico, affidato alla custodia di Pietro.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 619
Le sette giornate del viaggio saranno tropologicamente le
sei epoche assegnate dagli ascetici all' esercizio delle buone
opere; e la settima l'epoca del riposo eterno in Dio. Alle-
goricamente le sei epoche, in cui i teologi dividono la storia
della restaurazione dell'umanità, e la settima della beatitu-
dine eterna in cielo.
Gli argomenti di che si arma sono la Bibbia ed i Padri,
e de' Padri segnatamente Ugo da s. Vittore, del quale si
mostra famigliarissimo, senza dire delle opere tutte del-
l'Allighieri che ha sempre pronte alle sue dimostrazioni.
Oltre di che i Giganti (p. 9-11); 1 superbi e gli invidiosi
(p. 10-13); il Padre Mostro (p. 32-33); il Veglio d'Ida
( p. 64-68) ; Catone (p. 69-74) ; Bordello (p. 77-80) ; Virgilio
(p. 85-88) e il Veltro (p. 103-108) ricevono spiegazioni o
nuove 0 più complete del solito.
Barelli Vlncenzo, L'Allegoria della Divina Comedia di
Dante Allighieri, (Un voi. in 16.™^ di pag. x\viii.-376) 1864.
Ci spiace di non poter toccare di questo lavoro, non
essendoci ancora giunto alle mani.
AURE l^IERPREIAZIOM DELIA PRINCIPALE ALLEGORIA
per mille penne è torta
La sua sentenza; e chi là entro pesca,
Per gran sete d' attingere vi porta
Ambagi e sogni onde i semplici invesca.
Uno la fugge, un altro la coarta,
O va di carta in carta
Tessendo enimmi, e sforza la scrittura
D' un tempo che delira alla misura. Giù*. Oiusti.
COMENTATORi ANTICHI. Intendimento della Divina Comedia. -
Gli antichi Comentatori sono concordi che Dante nel divino
poema abbia inleso adombrare l'uomo schiavo del peccato,
ed impedito dalle passioni nel suo ritorno alla virtù, il quale,
illuminandolo la Grazia celeste, riconosciuto l'errore, mercè
della fede, apre gli occhi delia mente perfino a' misteri
incomprensibili ed all'immortale beatitudine. - La Filosofìa
morale, e la Teologia, dice V Ottimo, l'una col fargli com-
prendere dall'acerbità delle pene la turpitudine de' vizi,
l'altra dall' inefTabile grandezza dei premi la bellezza della
C20 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
virtù, han per iscopo lui, e in esso lui l'umanità ad onesto
e costumato vivere ricondurre. Secondo l' Oliimo stesso.
Dante pone sé medesimo in forma del libero arbitrio incli-
nante alla sensualità. » Non sa come l' uomo entri nei vizj,
perchè naturalmente a ciascuno è ignota tal entrata per lo
principio della puerizia nella quale si dorme... 11 sonnoglioso
molte volte erra la via... 11 sonno è immagine di morte...
end' egli uscì del diritto camino ed entrò nella selva del-
l'errore. - Dalla bassezza dell'ignoranza, ossia della valle
in ch'era smarrito ei giugne a pie d'un colle, quello della
virtù. Non si viene a virtù se non per l'ardua salita del
monte, dell' alto inlumlnato di sapienza. Le tre fiere che
l'ascesa gli contrastano essere li tre vizi che più comu-
nemente occupano le umane generazioni : pungendo sé slesso,
voler egli insieme trafiggere i corrotti costumi del secolo.
Pel Boccaccio rappresentan esse li tre principali nostri ne-
mici : la carne [lonza], il mondo [leone], il demonio [lupa).
V Anonimo ravvisa nel Veltro il monarca di Dante, quale
ei lo descrisse nel C40nvito e nella Monarchia: Pietro Alli-
ffhieri, un'anima virtuosissima che avrà il governo del
mondo e lo drizzerà alla virtù, all'amore, alla pace, che
sarà salute principalmente d' Italia, occupala più che qual-
sivoglia altro paese dalle guerre e dalla tirannide. L'Autore
delle Chiose falsamente attribuite al Boccaccio, vi scorge
la restaurazione dell' Impero in un soggetto senza parte
veruna, savio e giusto, a sbandire la cupidità e la tirannia:
Il Boccaccio, alcuno poveramente nato, che per virtù e lau-
devoli operazioni in tanta eccellenza di principato perver-
rebbe, che drizzando tutte le sue opere a magnificenza,
senza avere in alcun atto animo e appetito ad alcun acquisto
di reami e di tesori, ed avendo in singolare abbominazione
il vizio dell'avarizia, e dando di se ottimo esempio a tutti,
inducesse gli animi de' sudditi a fare il somigliante onde
la cupidità sarebbe cacciata universalmente dal mondo. Gli
altri espositori, da Benvenuto fino al Landino nulla aggiun-
sero di più, onde si raccoglie essere opinione abbracciata
dagli interpreti antichi che il Veltro figuri un imperatore
non cupido, ma sapiente, amorevole virtuoso, senza parie,
ch'era nei voli del poeta a salute dì tutta la cristiana re-
BIBLIOGRAFIA DAMKSCA ITALIANA. 621
pubblica e segnatamente d'Italia da cieca cupidigia amma-
liala. - In Mrffilio videro gli antichi adombrala la Filosolia
morale; la Teologia \n Beatrice, dal Boccaccio della invece
la Bontà divina; in Lucia la Grazia cooperante; in Rachele
r Illuminante; nella Donna Gentile la Preveniente e pel
Boccaccio l' Orazione.
Marchetti Giovanni (1822). - Intendimento del Poema. -
L'Allighieri avvisa all'arduo e nobilissimo lavoro di un
Poema, dove le divine opere di Virgilio raggiandogli la
mente e levandola a mirabile altezza d'invenzione di con-
celli e di stile, sarebbe cagione che ne acquistasse cosi
gloriosa fama che i suoi concittadini vergognando avere
privalo di cotanto lume la patria, ve lo riponessero. Onde
pel più malagevole cammino, quel della gloria, sperava di
giugnere per la via più breve e spedita, cioè della giustizia.
La selvosa e deserta valle, significare la miseria di Dante
privato di ogni più cara cosa : // dilettoso monte la conso-
lazione e la pace di cui quel travagliato spirito, uscendo
pure degli affanni dell'esiglio, desiderava ardentissimamenle
di godere : lo andare di lui dalla selva al monte, il crescere
nell'animo suo di quella dolce speranza : la luce del nuovo
dì i conforti ch'egli ebbe a sperare: la lonza, il leone e
la lupa, che il suo salire impedirono, Firenze Francia e
Roma che alla sua pace si opposero : /' apparire di Virr/ilio
mandato(jli da Beatrice, (cioè di quella cara anima, di cui
altra non poteva essere nel cielo più desiderosa a soccor-
rerlo) l'alleviamento degli affanni recaligli dalla dolcezza
degli sludii: la via per la quale \irriilio promise trarlo
di quella valle, il mirabile lavoro di un poema onde gli
verrebbe cotanta gloria, che la sua patria per vaghezza di
ornarsi di lui, Irarrebbelo dall' esigilo ; e la scorta avuta
per quella via da Virgilio, la virtù necessaria a tale uopo
derivatagli dal meditare le opere dell altissimo poeta.
Fu il Dionisi, che avvisando il primo ncWAneddotó 11.*^
de' suoi Blandimenti funebri, come le passioni rappresentate
dall'Allighieri in persona di fiere a certe potenze e citlà
fossero peculiari, portò opinione che storicamente non altro
denotassero che le signorie ed i potentati stessi, e quindi
l'Allegoria della divina Comedia alle selle, alle discordie
622 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
ed all'altre cose che corsero nei secoli XIII e XIY doversi
pure riferire. Sebastiano Réhal nella lupa volle vedervi sim-
boleggiale le Ire grandi branche dell'impero di Carlo Magno,
Italia, Francia, Alemagna, divenute guelfe; il leone francese,
la pantera firentina e l'altre belve araldiche comparirvi e
figurarvi come campioni particolari.
Balbo Cesare (1839). « Nel mezzo di sua vita, ai 8H anni,
quanti n'aveva appunto nell'Aprile dell'anno del Giubileo
1300, ei si trovò per una seba oscura, selvaggia, ed aspra e
forte; e questa, al senso allegorico morale, certo è la selva
dei vizi umani. Ma certo è pure Firenze, ch'ei chiama al-
trove trista selva [Purg. xiv. 64), chiamando sé stesso pianta
di essa [Lnf. xv. 74), e selva pure altrove il regno di Fran-
cia {Purg. XXXII. 58) : ondecchè vedesi, che selva in generale
ei chiamava il mondo di quaggiù, i regni e le città ; e
ielva selvaggia Firenze, perchè allora nel 1300 ella era in
mano della parte Selvaggia de' Bianchi. La selva, dunque, è
selva de' vizii, ma de' vizii fiorentini. Segue a dire, che non
può spiegare come v'entrasse, tanto era pien di sonno
quando v' entrò, abbandonando la vera [diritta] via, cioè
la fedeltà a Beatrice, la vita virtuosa tenuta per amor di
lei finch' ella visse ; ed aggiunge, che la rimembranza di
quel tempo tanto gli è amara, che poco è piìi morte. Dalla
selva, in fondo ad una valle, ei giugne appiè d' un colle,
e lo vede rischiarato dal sole levante [Par. x. 14) ; cioè dalla
scienza o filosofia umana e divina, a che egli aveva aspirato
tìn dalla morte di Beatrice. Ma tale studio, tal desiderio
essendo stato già abbandonato da lui dall'anno 1293 fino al
1300 per la vita lussuriosa e giovanile, per gli uffizi, per
le parti, per tutti i vizj fiorentini, ei dice ora qui, che da
essi sotto figura di tre fiere [Geremia, Thr. v. 6) una Lonza,
un Leone ed una Lupa, gli fu impedita la salita al chiaro
monte. Quindi, non par dubbia l'antichissima interpretazione,
che' queste significhino, nel senso morale, la lussuria, la
superbia od ambizione, e l'avarizia. Ma la lussuria è lussuria
fiorentina [Purg. xxiii.94. 108 - lonza, lnf. xvi. 106), che fece
pericolare Dante in quegli anni ; la superbia è superbia
principalmente de' Reali di Francia ( leone, Par. vi. 108 ), e
particolarmente di Carlo di Yalois, che già minacciava Fi-
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 623
renze nel 1300; e l'avarizia è quella del Guelfi che chia-
mansì lupi in tulio 11 poema. Così inlese le Ire fiere, ogni
parola, ogni sillaba, non che intendersi, è fonte di bellezze.
Tulle e tre si oppongono alla salila di Dante al monte
rischiarato; ma la Lupa, la parte guelfa, è quella che gli
dà la maggiore e T ultima noia. Allora gli si affaccia Virgilio,
rappresentante della Poesia, anzi del pensiero stesso del
Poema, il quale l'ammonisce, che per tal via diretta non
gli riuscirà mai di salire al monte, impedito che sarebbe
dalla Lupa ; predice le malvagità e le vicende di questa,
cioè di parie guelfa, finch'ella non sarà vinta da un Vellro,
cioè un ghibellino dell'Italia meridionale, che certo volle
dire Uguccione della Fagglola, a cui è dedicala la Cantica.
Adunque, continua Virgilio, gli è mestieri prendere altra via-
Torni al pensiero del Poema, scenda con esso all'Inferno, al
Purgatorio; saliranno egli poscia con un'anima più degna al
Paradiso. E a ciò consente Dante animoso, dandosi tutto a
Virgilio e al Poema. — Emmanuele Rocco, chiosando il
Balbo, si periglia ad esporre una nuova sua interpretazione
sulle tre fiere. Il leone, die' egli, come ognun sa, era l'im-
presa di Firenze, la lupa di Siena, di Lucca la paniera o
lonza: il verso Molti son gli animali a cui s ammoglia sa-
rebbe una poetica traduzione del proverbio che correva
intorno alla lupa sanese, rammentalo da Dino Compagni...
Ma di questo non più; e mi si permetta di passare a esporre
un altro mio sogno, che forse ha qualche maggior fonda-
mento. Nella supposizione che le ire fiere dinotin vizii, da cui
Dante era stalo distolto dallo studio della filosofia, come mai
si potrà dare alla lupa il senso allegorico di avarizia? come
mai supporre che Dante si confessi avaro? egli sì acre
vituperalor degli avari? Più tosto, come già osservammo,
egli si confessa un tantino invidioso, un po' più superbo,
e mollo lussurioso; ecco dunque la lonza dinotar l'invidia,
il leone la superbia, e la lupa, come sempre, la lussuria;
0 pure, se vogliasi tor di mezzo l'invidia, sarà la lonza il
parteggiare : o pure in fine ( e questo più si avvicina a
quanto dice il llalbo ) lasciando la lonza per la lussuria e
il leone per la superbia, prendasi la lupa per l'invidia,
dicendo appunto il Poeta che la lupa fu dall' invidia dipar-
624 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIAìNA.
tita dair inferno, e rappresentando pure la parte guelfa figlia
dell'invidia contro l'Impero.
Bianchi Bullone, Intendimento dei divino Poema. - La
formazione di un poema sullo stalo della vita futura, avente
per fine di migliorare i dissoluti costumi degli italiani, col-
l'orrore dei castighi, e coH'allettamenlo dei premj, e col
quadro miserabile delle turbolenze e dei delitti di che era
sempre pieno il reggimento popolare, e dello scadimento
d'ogni bella instituzione, persuaderli intorno alla giustizia
e ai vantaggi dell'Impero. - La selva rappresenta pertanto
il disordine morale e politico, in generale d'Italia, e più
specialmente di Firenze: la dice trista selva, perchè ivi
perduta ogni virtù ed ogni lume di civile sapienza, talché
più che abitazione di uomini era divenuta nido di bestie.
Egli pure partecipò a quella trista selva, si quanto alle
opinioni politiche, essendo egli stato fautore del governo
popolare, quanto a licenza di vivere, conseguenza del cat-
tivo reggimento s\ temporale che spirituale. Ma breve fu
il suo traviamento, ed eft'cllo solo dì fragilità ed inganno. -
La via diritta quella della ragione e della giustizia: il sonno
quello delle passioni e dell' ignoranza, il silenzio della
ragione, lì colle a' cui pie ei giunge rappresenta un concetto
opposto a quello della selva. La selva, come dicemmo, è disor-
dine, mal costume e tirannide: il colle, ordine virtù, e civile
libertà. 11 Sole che lo illumina è primieramente Cristo sole
di giustizia, e la dottrina del suo Vangelo che illumina
ogni uomo che viene nel mondo e lo dirige [per la retta
via, ma ben anche l'Imperatore che deve reggere rumaiiilh
secondo lo spirito di Cristo {Purg. xvi). Nelle tre fiere che
gli contrastano la salita al dilettoso monte, al civile e morale
riordinamento della sua patria, egli avvisa generalmente i
vizi che fan trista la selva, superbia (leone), invidia (lonza)
ed avarizia (lupa), le tre faville che hanno i cuori accesi;
particolarmente i tre potentati che più allora avversano
l'acquisto del monte, il ristabilimento dell'ordine, solo
possibile, secondo Dante, pel rinnovamento dell' impero
latino, e sono la stessa invidiosa Firenze, leggera mobile
parleggiante [la lonza leggera e presta e di pel maculato);
la superbia ambizion di casa di Francia, dominante anche
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 625
in Napoli (// leone dalla testa alta), e la Curia papale, che
in antico ebbe voce di avara {la lupa sempre affamata).
Ma in questo mezzo gli appare Virgilio, Virgilio principe
(ieir italiana epopea, il cantore della divina origine dello
impero latino, che gli sarà guida a percorrere ì regni della
morta gente, a compiere il gran poema avente per (ine di
ammigliorare i dissoluti costumi degl'italiani col terrore
dei castighi e coH'alettamento dei premj. Beatrice è riguar-
dala come idea insieme e della filosoiìa e della teologia,
per le quali appunto l'umana generazione supera d'eccellenza
ogni altra cosa terrena, avendo dall'una le cognizioni umane,
dall' altra le divine. Il Veltro poi sarebbe Can Grande della
Scala che distruggerebbe ogni influenza politica della curia
romana, coU'abolizione dell'autorità temporale dei papi.
Fraticelli Pietro (1837) : Intendimento del divino Poema. -
11 fine politico è la riforma delle insti tuzioni civili, onde
ricondurre gli italiani a quell'ordine che risulta dall'esercizio
delle morali virtù, ed aftinché l' Italia, gittate le armi fra-
tricide, abbia a ricomporsi a pace e a concordia, e che
riuniti tutti in un corpo sotto il supremo governo di un
solo, torni a divenir capo e centro del romano impero. Ei
voleva che la riforma morale coadiuvasse e spingesse la
riforma politica, e che la riforma politica procurasse la
r.forma morale.
La selva in una bassa valle rafhgura il disordine politico
e morale, prodotto dallo spirito di divisione e dai vizi del
suo secolo, che ingenera l'anarchia e l'immoralità, la di-
scordia e la miseria, la guerra e la servitù, onde la barbarie,
ossia l'infelicità pubblica e privata. La selva è priva di
lume, perchè in senso politico la barbarie non conosce né
apprezza ciò eh' è retto e giusto, ed in senso morale, un
anima ravviluppata dai vizi eh' è pur priva del lume della
ragione. Nel dilettoso monte illuminato dai rar/gì del sole
ei vi scorge la civiltà, e con esso lei la pace e la felicità,
le quali, vinti i guelfi, e fermata l'autorità dell'impero, ei
sperava di vedere in Italia : nel senso morale, la consola-
zione e la pace che arriva a godere un anima virtuosa
dalla Grazia assistila. Nelle tre fiere, nel senso morale, i
tre vizi che più comuncnìente si oppongono all'uomo al
Vo;.. 11. 40
fi26 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
conseguimento della virtù, cioè la lussuria, la superbia e
l'avarizia; politicamente, la guelfa Firenze, la possanza di
Francia, la secolare potenza papale, le tre principali potenze
guelfe che tenevano T Italia divisa, ed ostavano all'autorità
imperialo, e per conseguenza al ristabilimento dell'ordine.
Nel Veltro egli avvisa la potenza dell'armi ghibelline, ossia
l'eroe che nutrirassì di amore di sapienza e di virtù, che
colla forza dell'armi distruggendo il guelfismo procurerà
il riordinamento e la felicità d'Italia ; in Virgilio, la scienza
delle cose umane; nel poeta, l'uomo colla sola ragione
naturale; in Beatrice, la scienza delfe cose divine, che può
sola distaccare l'uomo da questa terra ed innalzarlo al cielo;
in Lncia la Grazia illuminante; nella Donna yentil» la
Preveniente.
MissiRiNi Melciiiore, Intendimento finale del poema. - Il
poeta si e proposto di raddrizzare i torti giudizi degli uo-
mini, di combattere i loro errori e di correggere i loro
costumi. Illuminare lo intelletto con la luce del sapere,
purgare il cuore colla disciplina della morale. Ei prese di
mira soprattutto la prepotenza guelfa, sorgente di alTanni,
per riconciliarle con la morale, per ispogliarla delle usur-
pazioni, per impedirla di nuocere, lasciandole tutto il campo
di fare il bene. In breve, ei si propone la redenzione dello
umano intelletto, la correzione dell' errore e del vizio, la
creazione di una nuova civiltà.
La selva, Firenze al tempo del suo priorato, in cui vi
avea un mescimento confuso di pareri e di opposte ambi-
zioni, ove ninno obbedia e discorrea a cose smisurate. Ei
pure si era avvolto fra intricati e faziosi movimenti, ove
non era lume d'intelletto, e dove era perduta la via di fare
il bene : sonno, il sonno dell'intelletto, per aver abbandonato
la pace degli studi suoi, onde gittarsi colà : il colle illumi-
nato dal sole, l'alto loco dove abita la filosofia, tutta
radiante come un sole allo splendore della verità la quale
sola mena dritti gli uomini per ogni sentiero: la lonza, la
patria macchiata di bianco e di nero, con che allude alle
due fazioni de' Bianchi e de' Neri, e sceglie a raffigurarla
la lonza, emblema dell' ingratiludine e della perfidia: il
leone, tutto il gueìfismo prevalente, che avealo sbandeggiato,
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 627
e gli veniva incontro con ingorda fame per divorarlo: il
leone è ano degli stemmi di Firenze : la lupa, la curia
romana, indivisibile compagna del guelfismo, anzi il suo
mantice principale: èqui posta dopo il leone la lupa, eh 'è
anche l'insegna di Roma: il Veltro, se medesimo; e certa-
mente se da forza di umano ingegno era lecito sperare un
miglioramento nell' intelligenza italiana, e nel pubblico
costume dovea aversene (iducia nel solo suo ingegno :
Virgilio, la sapienza umana, ossia la ragione naturale e la
filosofia, ovvero la stessa ragione, ma illuminata dalla
scienza. Beatrice, la ragione sacra, ossia la teologia che
dovea guidarlo al paradiso, perchè il lume intellettuale e
filosofico sia ivi santificato colla religione, e meglio v'impari
le virtù e le verità eterne che dovea dettare agli uomini.
Gioberti Vicenzo. - La selva, le passioni della giovinezza
che inducono il vizio e l'errore; e lai selva è valle perche
abbassa l'uomo, e lo concentra nella parte inferiore del
suo essere, cioè nel diletto dei sensi e nel culto del corpo:
dove il sol tace, bel senso filosofico. La valle di cui si parla
è il vizio che abbassa l'uomo, nel cui intelletto tace il
lenso morale, cioè la divinità: quivi il passo che mai
lasciò persona viva, perchè il tumulto della concupiscenza
genera il peccato che dà morte all'anima. 11 colle, figura
della verità e della virtù, la quale è ardua e meno facile
al primo cammino della valle, cioè nella strada dell'errore
e del vizio, ma a mano a mano che l'uomo vi si avanza,
confortato dalla purezza dell'aere che gli dà vigore alle
membra, e dalla luce del sole che gli avviva e diletta la
vista: laddove la valle a prima fronte graziosa si empie
poi di caligine che ammorba ed offusca, e si fa forte di
dumi e sterpi e paurosa. Questo bel paragone della carriera
della bontà e quello della malvagità a un cammino è più
antico di Dante: ognuno conosce la favola di Ercole al
bivio. La piaggia è diserta, perchè pochi seguono la via
della verità-, ardua ne' suoi principj. Per il Sole poi che
illumina il colle della virtù inlendcsi Dio, sole dell'anima,
dietro il sermone biblico in cui si paragona la verità e la
virtù alla luce, l'errore alle tenebre. Il Sole illumina il
eolio della virtù perchè il senso religioso rinforza o rischiara
628 BIBLIOGRAFIA DAINTESCA ITALIANA.
li senso morale. Questo pianeta è allegoria della (iivinità
eh' è via verità e vita. La lonza raffigura la libidine che
avea investito Dante nella sua gioventù; il Icone l'ambi-
zione che lo travagliò nell'età virile. Camminando egli verso
l'età matura, e per conseguenza avendo finito la carriera
dei piaceri e dell' ambizione non rimanevagli a vincere che
l'ingorda fame dell'oro (lupa).
Gregoretti Francesco (1856). Intendimento finale del poe-
ma. - Al poeta stava a cuore di essere utile alla patria sua,
di sopprimerne le dissensioni, e dì ravviarla a buon reggi-
mento. Al qual line avea assunto l'incarico di Priore. Ma
il suo magnanimo avviso gli andò fallito. Mutato proposito,
non dispera tuttavia divenirne a capo; ma indirettamente,
anzicchè direttamente; coi versi meglio che coli' opera.
L'oscura selva: Firenze, la città parteggiante, le gare
tra i nobili e i popolani, onde ben ispesso si venne al
sangue: Verace via: i suoi studii: il colle illuminato dal
sole: l'ordinato e lieto vivere, a cui Dante, quando fu dei
Priori, avea cercato di tornare l'amata sua terra: lonza,
il popolo fìrentino, leggero vario volubile e vano che gli
si attraversava nella bell'opra più volte abbandonata: dalla
fialetta pelle: Dante sperava nel popolo, e di quello da
principio si rafforzava: il leone: la fazione ^lei ISeri e dei
nobili che lo contrariavano fieramente, e riescirono a recare
tutto il potere nelle lor mani: la lupa: ia corte di Roma,
che per avarizia ed altri mondani interessi favoriva i Neri.
Ma il dominio temporale le sarà tolto da Can Grande, che
l"arà morir di doglia l'affamata lupa.
Giuliani P, Giambatista (1832): Intendimento [male del
Poema: - Rimuovere i vìventi della presente vita dallo stato
di miseria e condurli a quello di felicità, (Dante, Ep. a Can
Grande, §o), della terra e del cielo ( De Mon. 1. 3, e. ult.;.
Dante rappresentando nella sua persona l'uomo in univer-
sale, attribuisce a se quello che suole comunemente avve-
rarsi dell'uomo, e per proprio esempio dimostra per quali
considerazioni possiamo fuggire i danni eterni, come avviarci
per la via delle virtù morali e intellettuali alla terrena
felicità, e meritare l'acquisto della beatitudine celeste. -
La sacra Comedia, presa nel senso morale, puossi riguar-
BIBLIOGRAFIA DAMESCA ITALIANA. 629
dare un Irasiim tarsi che V AUighieri fece di miseria a stalo
di felicità, e questa oltre all'apparecchiare per somma parte
la materia ne constituisce ancora il principalissimo fine; onde
mira raddrizzare gli uomini dal mal camino in via di virtù,
e a divertirli da miserevole stato a vita felice. Il soggetto
allegorico del poema sacro è l' uomo, in .quanto per lo li-
bero arbitrio può meritare e demeritare, e cosi incontrar
premio e gastigo presso la vendicatrice giustizia. - Il poema
sacro è un compiuto trattato delFarle della perfezione ci-
vile e cristiana, una scuola per tutti ad apprendere ii
camino della virtù e della felicità celeste, o si consideri
l'uomo individuo d'ogni condizione grado ed età conveniente,
0 nella comunanza civile e religiosa a cui appartiene. Nella
Comedia, dove l'uomo il mondo e Dio si rannodano in
ammirabile accordo e unità di effetto e di causa, di princi-
pio e di fine, si esalta, poetando, la sovraumana potenza
dell'amore, la rettitudine, la giustizia, l'eccellenza della
filosofia divina, la salute dell'uomo, la felicità non che
dell" Italia, del mondo universo, il sacro diritto della mo-
;iarchia, il trionfo della Chiesa, la gloria di Dio; veramente
a terra e il cielo vi han posto mano.
La Selva rappresenta lo stato dei vizi, o vogliam dire
la vita viziosa, in che Dante sonnolento si giacque fino a
mezzo il cammino di sua vita (Purg. xxiii. 118) : il passo non
mai passato da persona viva; chiunque vi entra dismette
l'esser uomo per vivere bestia: è morto uomo, e vive bestia
fConv. l. 2. e. 8). L'uomo, smarrita la via della verità che
Dio (Par. IV. 21), e occupato dal sonno mentale le tenebre,
onde la carne perturba il sereno lume della ragione, (Par.
XIX. 66) trasvia, pel mal cammino, quasi dimenticando se
stesso. - Sonno, il sonno onde viene occupata l'anima, quando
abbandona e dimentica Dio; verace via, quella della verità:
basso luogo, la vile servitù del vizio: il colle, la sublime
contemplazione e l'ottima felicità a che l'uomo può giun-
gere in questa vita. Dante, non così tosto si riscosse della
orribile vita de' vizj, che gli venne desiderio di darsi tutto
alla vita contemplativa, per la quale, come pel più corto
camino si previene al bel monte, ossia ad ottima felicità
e beatitudine. Il pianeta, ossia l'alto sole di giustizia, il
630 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
quale è vita dei giusti in sulla terra (Par. v. 39), spasimante
desiderio delle anime purganti (Par. vii 26), e perenne bea-
titudine dei santi: Purg. xiv. 96. La piagnia del monte della
felicità è deserta, dacché il mondo dietro sua guida era
sviato pel mal cammino (Purg. xvi. 83), e fatto deserto di
ogni virtù: (vi. 58). Contenta ai beni della terra, la gente
umana non pensava alla felicità migliore. - L'egregio P. Mar-
chese nella lettera al P. Giuliani, intitolata del P. Anfielico
del medio evo, vede nel colle l'AHighieri movente verso
la cima del monte, cioè all'acquisto della morale felicità.
Le fiere rappresentano i vizi dell'umana natura che gli
muovono guerra per proibirgli il corto andare al bel monte :
nella lonza leggera e presta molto, ossivero magra e snella
raffigurata la lussuria, essendo che tal vizio è pronto per
sorprendere l'uomo che non si riguarda (Purg. xxv 120), e
come l'ha occupato, sì lo consuma e distrugge, non pur
nell'atto, ma si nel desiderio inspirato dall'amore: il pel
maculato ond'era coperta e la gaietta pelle ben rende figura
della bellezza muliebre di che nasce piacimento e quindi
amore. A prendere cotal bestia, unico argomento essere la
virtù della continenza ; ed a tal uopo portava egli a' fianchi
una corda, mercè della quale cattivava lo spirito della
carne: Inf. xvi. 116. L'ora mattutina gli è cagione a bene
sperare, perchè in quell'ora la mente ascolta più agevol-
mente i consigli della ragione, ed è men larda a ricevere
la luce del sommo sole di giustizia: Purg. ix. 17. Il leone
è per lui la superbia [alte le fronti, Inf. vi. 70 - colla lesta
alta. Par. IX. 51 - alto leone, Par. vi. 108): la lupa, l'ava-
rizia della corte di Roma ai tempi di Bonifacio YIII, e in
genere non pur quella di Roma o di Firenze o d'altra gente
che vogliasi. Il P. Marchese sarebbe di credere nella lupa
dantesca volersi delinealo il guelfismo, non l'avarizia della
corte romana, e assai meno l'avarizia in genere, perciocché
secondo ne parve anche a Gaspare Gozzi, a niun Veltro
per quantunque possente e felice, sarebbe mai conceduto
cacciare del mondo e spegnere al lutto quella sozza e feroce
bestia dell'avarizia, ma sì ritrarsi con poetica e verissi-
ma allegoria l'uomo il più avaro e il più ambizioso che
fosse ai tempi di Dante, Filippo lY de' francesi, appel-
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. C3l
lato il Bello, - Nel Veltro poi, come accennammo, avvisa
il vaticinio di un pontefice che dovea dirizzare 1' umana
generazione a vita eterna, e dovea rinettare la chiesa di
siffatta maledizione dell'avarizia, e in esso saluta il pontefice
Benedetto XI: in yirijilw, il duca il signore il maestro di
Dante, che lo avrebbe ravviato con filosofici insegnamenti
ìnfino all'acquisto della felicità della vita civile ed attiva:
in Beatrice, la donna di virtìi, la nuova scorta che lo avrebbe
ammaestrato nell'operazione della vita contemplativa, in
tutto quello che risguarda non solo la scienza divina, ma
sì anche nella fisica, nell'astrologia, nella metafìsica e in
tutte le altre parti della sapienza, ossia della filosofia divina.
Onde la divina Comedia è come la glorificazione di Beatrice
per l'impetrata giustificazione e salute di Dante.
Foscolo Ugo, (1826). Intendimento del Poema. Legazione
evangelica di Dante, a santificare i costumi, ridurre a
concordia il popolo cristiano, riformare tutta la disciplina e
parte anche dei riti e dei dogmi della chiesa papale, in
breve, fondare una nuova scuola di religione in Europa,
non fosse altro in Italia. Questo il sommo ed unico fine
del poema. - In tutte e tre le Cantiche persevera nel metodo
di rincalzare ragioni minacce ed autorità per siffatta rifor-
ma di proprio diritto, e senza timore di sacrilegio, e sì
consacra a questo apostolato con rito sacerdotale nell'al-
tissimo dei cieli. Ed egli si aggiudica la corona, aspettan-
dola non dall'applauso, nò dal perdono dei fiorentini, né
dal giudizio d' uomo veruno, bensì dal decreto divino, per
legittima autorità della sua missione, e il merito di aver
militato contro la chiesa puttaneggiante. La Divina Comedia
è surta come il Corano, e Dante ne sarebbe stato il Mao-
metto, se le circostanze dei tempi e dei luoghi fossero ap-
parite conformi a quelle onde potè giovarsi l'arabo profeta.
La selva, il mondo e i viventi: l' adoloscenza ch'entra
nella selva erronea della vita non saprebbe tenere il buon
camino: Convito. La lonza, pardo o pantera, i suoi vari
colori e la sua ferocia e la leggerezza denotano Firenze
divisa in Bianchi e in Neri, e crudele di tutte le libidini di
una moltitudine instabile ed avventata: W Leone, Filippo il
Bello, imagène del tiranno di S. Paolo ( 2. Thim. 4) : la Lupa,
632 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
(onde lupanare) l'avidità meretricia e venale della Chiesa:
il Veltro, Cane della Scala che avrebbe annientato la po-
tenza della curia romana e de' Guelfi.
Rossetti Gabriele, ArouxE.-YuW Foscolo che facendo
di Dante un precursore di Wiclefo, e mettendolo a capo di
una riforma ebbe spianato la via ai lavori del Rossetti.
Anche il VUlemain, dopo di aver detto che Dante fu guelfo
per patriolismo, ghibellino per vendetta, aggiugneva che
fu un Lutero anticipato di tre secoli; ^mw^nel Feltro vede
pur prefigurato Lutero ; Ph. Charles propugna ed allarga il
Foscoliano concello. Una simile stravaganza era pure ima-
ginata dal P. Hardouin, il quale nel giornale di Trevoux (17*27)
pretese perfino di provare che la Divina Comedia fosse
lavoro di uno sconosciuto, seguace delle dottrine dei nova-
lori di Wiclefo. Il Protestantismo in Alemagna, in Svizzera,
in Francia, tagliati i nervi dell'idea religiosa, credette di
trovare in Dante lo spirito antipapale, il disprezzo dei sa-
gramenti, e delle pratiche religiose, un'odio giurato, una
guerra aperta ai troni agli altari. {\.31useé cles Protestans
celèbres rédk/è par une societè de r/ens de letlr. Paris,
18£2.) - Il Rossetti fu il primo ad accampare e sostenere
la tesi di un tale significato, e di un intendimento settario
delle opere di Dante. Ei vuole che sotto il velo di una
lìngua arcana allegorica, con una quasi simbologia masso-
nica, abbia esposto le più ardite dottrine metafisiche reli-
giose e politiche. Nel W^t ei pubblicava in Londra la sua
opera : » Sullo spirilo antipapale che produsse la riforma, e
sulla secreta influenza ch'esercitò sulla letteratura di Eu-
ropa, e specialmente di Italia, come risulta da' molti suoi
classici, sovrattutto da Dante, Petrarca e Boccaccio ». Anche
r entusiastico amore di Dante e del Petrarca verso Beatrice
e Laura non è per lui che un simbolismo d' innovaziooi
pericolose nello stato della Chiesa e nella scienza, e toglie-
valo a svolgere nel suo libro il mistero dell amor platonico
(1850) e nella Beatrice di Dante. La storia, dice il Leoni,
contraddice al dotto scrittore, perchè la Riforma intendeva
e intende a spogliare il Papa ben più che del dominio
temporale di quasi ogni autorità spirituale. Il Rossetti ebbe
a propugnatori l'Ugoni, l'Orioli, il Maroncellif il tedesco
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 633
Mendelsohn, e il francese Delécluze; ma tra gli altri il
Balbo, lo Schlegel (15 Agosto 1836), il Panciani (1840),
rOzanam, il De Sigalas moslrarouo la falsità di tale opinione
che fa risalire il suo principio ad un'epoca troppo remota,
ed a' tempi troppo dissimili da quei di Lutero. O^gìVAronx,
invidioso di quella polvere di biblioteca in cui l'acerbo
Schlegel relegava la compilazione del Rossetti, torna, benché
sia con opposto intento, alla sterile fatica del torcere e
spremere ogni verso di Dante per cavarne una confessione
di conspiratore. [Dante hcrétique, répuhlicain et socialiste -
La Comédie de Dante, Enfer, Purgatoire, Paradls, traduite
en vers, selon la lettre, et commentée selon V esprit, siiivie
de la clef du langafje symholique des fidèles d' Amour.) No-
vello inquisitore della coscienza del poeta, lo denunzia alla
cristianità innorridita, come il più tristo il più ippocrita
dei settarj, T antesignano del socialismo, della rivoluzione,
dì tutte le grandi calamità fra cui egli ha la disgrazia di
vivere. Il S.*" Aroux s'avventa più tenacemente al grande
poeta, e a tutti gli scrittori suoi contemporanei, e li getta
in braccio al demonio, e quasi crea per loro una nuova
bolgia di tormenti. Per lui il linguaggio dell'opere maggiori
e minori di Dante non è altro che un enigmatico gergo di
setta, un massonico intreccio di logogrifi e di acrostici di
cui gl'iniziati custodiscono soli le chiavi. I versi sono un
bel nulla, la dottrina ch'essi nascondono è tutto. Questa
dottrina è la pèle mèle di tutte le eresie, di tutte le reli-
giose opposizioni, di tutti gli scismi nati nella Chiesa
cattolica. In conseguenza il triplice poema è il breviario
di tutte le sette vere o presunte ricordate dalla storia,
fuse e combinate nella società segreta dei fedeli di amore.
E a farne proprio toccare con mano che la Comedia non
ha niente di poetico in se, ce ne dà egli del proprio
una traduzione letterale con quel buon gusto che ognuno
può tìgurarsi, accompagnata da un Coraento secondo lo
spirito, che solo può dar la chiave di quel massonico
edifìcio. - Il Foscolo lamentava addensate, non ch'altro,
quelle tenebre, dalla selva selvaggia dei Conienti, e a tale
siamo oggimai, dopoché la manìa del paradosso rincari
sulla smania dell'arcano, da poter dire che il simbolo, non
634 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
meno della lellera uccide. Cerio la improbazione degli abusi
contemporanei, che tuonava sul labbro di S. Bernardo e di
S. Anselmo di Cantorbery, propugnatori ardenti della pre-
rogativa sacerdotale, è in Dante tenace proposito ; e Foscolo
poteva senza pecca dì esagerazione mostrarne profonde e
continue le tracce nel corso delle tre Cantiche.. . Le sette
frequenti nel medio evo, non si cingevano di silenzio; ©
la musa di Dante saliva animosa e senza veli sul tripode;
e non aveva che fare di logogrifi e d'acrostici, bastandole
il cuore a libera invettiva {Crepuscolo, 1855, 447). Il Cantù
{ Gaz. Piemontese, Feb. 1854) si avventò all'edificio accata-
»lato dell' Aroux, e lo scassinò, lo abbattè, non vi lasciò
pietra sopra pietra, rivendicando al cattolicismo il nome e
le opere di Dante. È questo il lume che sfolgoreggia di più
vìvida luce nel buio di quei tempi, e il Cantù lo sostenne
eoll'amore e coli 'accorgimento di un entusiasta della sua causa.
WiTTE Carlo. (1) Intendmento finale del poema. - Il ritorno
dell'uomo alla santità, mercè della ragione avvalorata dalla
rivelazione e dalla fede.
Ne' teneri anni dell'innocenza, ebbe Dante aperto il cuore
al più puro al più santo degli amori, e la Vita A'uova n'è
la rivelazione. Ma giunto all'età virile, e rapitagli per morte
Beatrice, lungo tempo ei la pianse, come si fa la perduta
innocenza. Aiettato da' nuovi vezzi, e preso da un nuovo
amore, ma amore più inquieto e più tormentoso, l'amore
della filosofia, glie n' è suo interprete l' amoroso Convito.
Così viene condotto a speculare sopra ogni cosa che gli sì
pari alla mente, ad entrare nei pubblici uffizi nella vita
civile. Ma la rabbia delle sette minaccia di travolgerlo nel
turbine delle cure mondane e delle più sfrenate passioni.
(1) 11 Witte voleva da prima che la Divina Coraedia adombrasse
Roma, chiamata a divenir signora del mondo. In selva selvaggia ( Wildtiiss}
cresciuta, esserlesi fatto incontro l'ingordo Gallo, il superbo Pirro e il
voluttuoso Cartaginese, e sì impeditala ne' suoi progressi, finché, postasi
nelle orme del suo divin fondatore, coi severi castighi della militar di-
sciplina e con la distribuzione giusta ed assennata delle ricompense, di
splendore e di perenne gloria nei tempi felici di Cesare le venne fatto di
adornarsi.- Udber das Miss verstendniss Dantes, Hermes, N. XXII. 1824,
p. 155. e seg
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 635
Ma date le spalle agli aleltamenli terreni, ed alla scena
de' loro furiosi conflitti, ponsi a poggiare pei più erti sen-
tieri della speculazione; se gli venisse fatto di giungere a
mirare nel sole dell'eterno vero, di riconoscere l'essenza
della divinità. Ei lo tenta colla ragione naturale, ma tosto
s'avvede della sua pochezza ; falsa esser la via, per la quale
erasi messo ad arrivar colà dove solo la rivelazione può
felicemente scorgere. Già da un pezzo scostatosi dalla re-
ligione del Cristo, mancangli le tre virtù ad essa peculiari ;
e le basse passioni, preso il luogo di quelle, di forza il
trascinano indietro nella caligine di tempestosa vita. Non
ispera nel venturo regno di Dio, egli tuttavia preso delle
presentì cose e de' diletti loro ; egli col cuore tuttavia in
preda dello sregolato amore di sé. Invece di credere, ed
alla divina rivelazione sottomettersi, l' orgoglio filosofico,
abbacinandolo, il persuade dover poter bastare la ragione
a penetrare infino ad imo gli abissi dell' infinito. Finalmente
non amore, ma odio che lo infiamma contro suoi i fratelli
traviati, o d'avviso dal suo discorde, e sì lo fa schiavo
allo spirito di fazione, all'invidia ed all'intolleranza. Ma
ecco la divina grazia riaccendergli in petto il lume della
religione, ed egli a pentirsi del suo abbandono al filosofico
orgoglio ; la prima fede, il primo amore della sua Beatrice
a ravvivarsi più che mai fervente in lui; e nel giorno
appunto che il divin Redentore ebbe l'uman genere salvo,
ecco anch' esso il poeta reso alla libertà nel suo dentro.
Da qui il cominciamento della divina Comedia, e ciò egli
crede bastevole a dimostrare la Vita Nuova e V Amoroso
Convito constituiscano un solo tutto ed un gran poema, il
quale è l' universale ed universalmente vera epopea di
nostra vita interiore: la storia della figliale e candida
schiettezza nella fede, della segreta apostasia e della pietosa
chiamata, per la quale Dio misericordioso ne riconduce a
ciò, che solo è luce, verità e vita. Eccoti in questo poeta
lutto il genere umano caduto e chiamato a redenzione.
Migliaia di peccati e d'ogni maniera l'opprimono al fondo,
ma Cristo mille braccia gli stende a rilevarlo e stringerselo
al seno. Dante adunque non l'angusta misura de' propri
falli espia col pentimento, ma egli piange i peccati di tutto
636 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
il mondo, ed in persona di tutti i traviati tenta di far
ritorno alla via di salvezza. » - Pkchioni.
KopiscH A. (1842) -// colle di tutta gioia, l'elevarsi che fa
l'uomo coi pensieri a Dio. La pietra dell'angolo e del
fondamento di quello è Cv'isio.- La strada diritta. Cristo. -
La selva^ la moltitudine degl'ignoranti, accidiosi ed empj
perduti dietro le mondanità. - 7/ «otmo, l'umana debolezza,
che ne fa dimenticar Cristo. - La valle, la temporalità con
ogni sua miseria e travaglio. - Il procedere in essa, lo studio
del poeta di giungere con la scorta della filosotia a con-
templare il mondo, spogliatasi prima ogni anticipata opi-
nione. - La luna, la lilosofìa sublunare ed umana, che
scorgevalo col suo lume. - La fine della valle, il confine
delle umane cognizioni, al quale il poeta giunse con l'aiuto
della luna. - Il pie del colle, il principio delle cose sopran-
naturali 0 divine. - La luce mattutina, il primo ed incerto
sentimento delle cose divine. - Verta, Cristo, via chiusa
e pietra di scandalo. - Il poggiar per Verta, lo studio di
giungere con umani argomenti a cognizioni soprannaturali. -
Il Sole, l' inspirazione immediata, e luce divina. - La pan-
tera che non si parte dinanzi al volto, la sensualità irretita
(Die befangene Sinnlichkeit). - La vista del leone, la con-
templazione delle violenze mondane, che incutono timore
all'irretito nelle mondanità. - L' aspetto disperato della lupa,
il pensiero della cupidigia, che agi' irretiti nelle sensualità
toglie coraggio, e minaccia guastar loro ogni felicità ter-
rena. - Il rQvinare in basso loco, il sentimento che la ragione
umana è troppo debole a penetrare nelle disposizioni di Dio
circa le sì fatte temporalità. - L' apparizione di Virgilio,
il mutarsi di colai sentimento in chiara cognizione. - Vir-
gilio, r intelligenza umana, sempre avida di penetrar più
avanti in suo sapere. - Il vaticinio del veltro, l'interno
convincimento che lo zelo delle cose divine vincerà quando
che sia la cupidigia delle mondane. La risoluzione presa
dal poeta di seguir Virgilio nelV inferno e nel purgatorio, il
proponimento di volger la contemplazione dalle cose tem-
porali alle eterne. - P/cc/i/owi. - Il Picchioni chiama la fatica
del Sig."" Kopisch utilissima e comendabile in molte parti, e
forse radice da produr dolcissimi frutti in avvenire.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 637
San Renato Tailla>dier. - Scopo finale del Poema. Lo scopo
(li quest'opera tanto nel suo tutto che nelle sue parti è
di strappare i viventi alla loro miseria e condurli alla fe-
licità.
Le spiegazioni della critica moderna ci danno il vero
senso di questa frase. La Divina Comedia è un quadro
della cristianità ed un giudizio solenne delle generazioni
al nome della lìlosofia religiosa e politica del poeta. Coloro
che hanno violato l'ordine spirituale e temporale sono
tuflati nell'Inferno; il Paradiso ed il Purgatorio appartiene
a coloro che hanno servito l'impero e la chiesa; e quello
Inferno, quel Purgatorio e quel Paradiso non sono soltanto
nelle regioni percorse dal sublime visionario, ma in questo
mondo. L'Inferno è a Roma sotto il regime dei papi simo-
niaci ; il Paradiso è nel cuore degli uomini rimasti fedeli
alla legge providenziale dell'impero ed alla legge più alta
ancora di Gesù Crocilìsso. Nel maggiore slancio della sua
estasi, Dante ha sempre gli occhi su questo mondo; e dalla
soglia dei regni invisibili si rivolge alla terra e apostrofa
la cristianilà; il suo poema diviene una predicazione. Ecco
il senso di quelle parole scritte nella dedica a Caii Grande:
ììhuuovere lìuUo stalo di miseria quelli che nella presente
vita vivono e condurli allo stalo di felicità. A questa interpre-
tazione data da Dante medesimo, il Wegele ne aggiunge un'al-
tra che Dante non poteva manifestare. La divina Comedia,
secondo lo storico tedesco, nel mentre che è una predicazione
del ghibellinismo ideale, contiene altresì la esposizione sim-
bolica delle diverse fasi per le quali è passata l'anima del
poeta. Questa storia spirituale di Dante è accennata a
frammenti nelle sue produzioni anteriori, e quivi la pittura
è completa. L'amore, la scienza, la politica, la religione
iianno occupato una dopo l'altra quella sovrana intelligenza.
I rapimenti d'amore risplendono nella Vita i\uova; la
scienza riempie il Convito; la politica è il soggetto della
Monarchia, e la religione frammista a tutti quei soggetti li
vivifica co' suoi raggi. Nella Divina Comedia religione, politi-
ca, Ulosolìa, amore, sono riuniti in una sintesi armoniosa, e
questo elaborato che instinlivamente operavasi neiranima
di Dante non era tampoco avvertito, e toccava alla critica il
638 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
porlo in evidenza; ciò che WiUe e Wegele hanno adem-
piuto in un modo di precisione magistrale. Il poema d'Alli-
ghieri nella primitiva inspirazione è dunque nel tempo
stesso il quadro delle fasi diverse ch'ebbe il suo genio
percorse ed il giudizio della cristianità tutta intera, in nome
dell'ordine providenziale costrutto dal suo pensiero. Due
grandi tipi istruiscono la divina Comedia. Attraverso un
popolo innumerevole cui Dante rianima col suo soffio, in
mezzo a quei dannati giganteschi, in mezzo a quei dolci
penitenti che aspirano al cielo ed a quei mistici eletti che
nuotano nella luce increata, Virgilio e Beatrice dominano
l'immenso quadro; e cos'è Virgilio, cos'è Beatrice! Tutti
i comentatori prima del secolo XIX rispondevano molto
vagamente essere Virgilio la ragione umana, Beatrice essere
la scienza umana. Guardando pia dappresso a queste formolo
generiche, esse racchiudevano un senso preciso che la critica
moderna ha indovinato. A metà del camino della vita, l' anno
alesso in cui il gran giubileo raduna a Roma migliaia di
pellegrini, l'anno in cui un nuovo secolo comincia, data pro-
pizia al simbolico pellegrinaggio, il poeta si è smarrito in una
foresta di sinistro augurio; arriva al piede di una montagna
il di cui vertice è illuminato dal sole, e quando sta per
ascendere, contento di fuggire da quella landa desolata, ecco
improvvisamente una pantera agile, svelta, maculata, poi un
leone terribile, indi una lupa famelica, dai fianchi magri ed
ansanti, che gli sbarran la strada e lo fanno indietreggiare
al basso. Allora un uomo, un salvatore si presenta, ed è Virgi-
lio, il poeta di Mantova, che per salvar Dante si offre condurlo
versoi regni eterni. Quella pantera, quel leone, quella lupa
sono la lussuria, l'orgoglio, la cupidigia, i tre flagelli del
cuore dell'uomo che hanno trascinato Dante fuori della via
del bene, e sono pure le piaghe della cristianità corrotta.
Dante dipinge sé medesimo dipingendo il suo secolo, e
ritornando a Dio vuol ricondurvi anche il mondo cristiano
colla contemplazione dell'ordine providenziale. Beatrice ha
mandalo Virgilio in suo soccorso, e Virgilio comincia la
guarigione che Beatrice compierà più tardi. Che cosa rappre-
sentano dunque, ripetiamo, Virgilio, che cosa Beatrice? La
tradizione i>opolare faceva di Virgilio il primo do'negromantl...
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 639
li sapienti uno dei precursori del cristianesimo ... egli, agli
occhi degli uomini del medio evo, era un intermediario tra
l'antico e il nuovo mondo. Dante ritrae qualche cosa delle
due tradizioni di cui ho parlato. Allorché la sua guida al
C. IX dell' Inferno gli racconta che una volta è già disceso
nel circolo di Giuda mercè gì' incantesimi di Erisitone non
diventava il Virgilio della leggenda popolare unito al ri-
cordo di un episodio di Lucano? e il Virgilio precursore
del Cristianesimo non apparisce forse ad ogni pagina del-
l'Inferno e del Purgatorio? Ma questi richiami non bastano
al poeta, e trasmuterà la tradizione a suo senno per farnela
entrare nella simmetria della sua opera. Il Virgilio della
divina Comedla è soprattutto l'illustratore dell'impero Ro-
mano: è nato sotto Cesare ed ha cantato Augusto: ecco i
suoi titoli agli occhi dell'Alllghleri : e v'ha di più, che quel-
r impero che ha celebrato il Mantovano appare ne' suoi
poemi come il compendio di tutta la storia di Roma. Il
cantore di Augusto è pure il celebratore del popolo romano
e de' suoi trionfanti destini ed ha gloiilìcato in versi im-
mortali quella nazione reale - populum late regcm - nata
per governare l'universo. Tutta la filosolia della storia del
Convilo e del libro de Monarchia ha i suol fondamenti
ntìV Eneide .. . Virgilio è adunque il teorico dell'impero,
il rappresentante dell'ordine stabilito sulla terra dai decreti
divini. - Vedete quale simmetria nella tessitura del poema!
Se il cantore di Enea è il rappresentante provvidenziale
di quaggiù, avvi per Dante un'altra guida che gli rileverà
l'ordine celeste, e da per tutto nella divina Comedla tro-
verete questo gran dualismo che abbraccia l'universo. Le
due città di cui parla S. Agostino sono incessantemente
presenti al pensier dell'autore; la città di Dio rischiara la
città dell'uomo, e Beatrice spiega Virgilio, e qui riscon-
triamo le belle ricerche d'Ozanam e del re di Sassonia
Giovanni I.'* Di tutti gì' interpreti Ozanam e il re di Sassonia
8on certo coloro che han sparso più viva luce sul perso-
naggio di Beatrice Ozanam è in estasi, come Dante
medesimo, innanzi a quel raggiante simbolo... Egli mantiene
in essa uniti il carattere umano od il carattere mistico, e
ne fa assistere a questa IrasGgurazione dell'amore... Beatrice
640 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
poi nel cemenlario del re Giovanni apparisce Uilta risplen-
dente di luci . . . Ella è l'amore ricondotto alla sua sorgente,
l'amor divino senza del quale tutta la scienza dei dottori
è lettera morta. 1 principj delle scuole passando per sua
bocca acquistano una nuova virtù. Ed è in lai modo che
Beatrice compie l'opera di Virgilio : questi insegna l'ordine
temporale, Beatrice l' ordine spirituale; il più nobile dei
poeti glorilìca i diritti dell'impero; i diritti della Chiesa
sono glorificali da un'anima che non è che amore: duplice
lezione inscritta in ogni pagina del poema: l'Impero con-
sigliato dalla saggezza, la Chiesa inspirala dall' amore, ecco
il sogno di Dante (1).
Scrissero inoltre : Anselmi Domenico - Azzolini Pom-
peo - Benvog;liciiti Alberto - Boris^lti Giuseppe - Cam-
pagana Giacinto - Cicconi Liuig;i - Costa Paolo- Dionisi
Gian Jacopo - Dolce Lodovico - Dupret Melchiorre -
Ferrucci L. Grisostomo - Giorgiui G. Battista - Gozzi
Carlo - Marchetti Giovanni - Martini IH. - Mauro
(IJ II Picchioni trova i seguenti concetti ed iraagini nella Sacra
Scrittura, alla quale vorrebbe cbe avesse pur attinto l' AUighieri. - Valle
simbolica dei Profeti, ricettacolo di coloro cui piace ogni via non buona,
figura delle temporalità, alle quali Beatrice rimprovera il poeta d'essersi
volto, ed abbandonato in preda. - Salmo 83, 6. - Selva e valle - Deuto-
ronomio, xxxu. 32, - Geremia, ii. 19-x\i. i;j.-Osea, ii. 1-2; Ezechiele, xx. 43.-
Usitatissima da' profeti la ligura delia vigna inselvatichita, degli amari suoi
frutti a significare il disobbediente Israele. - Via diritta - Isaia, xxxv. 8. -
Gesù è la via, la verità e la vita. Giov. xiv. 6. - Selva amura che poco
è più morte: 0 mors, quam amara est memoria tua. Eccles. xli. 1. - In
pace amaritudo mea amurissima: Isaia, xxxvin. 17. - Reg. i. xv, 32. -
Jer. u. 19. - 11 Sole. Isaia, lx. 19. - Apoc, xxi. 23. 24; xxii. 5. il sole di
intelligenza che sorge e tramonta per questo mondo, splende perenne
agli eletti e di eterna luce. - Colle e pietra. Salmo cxvii. 20; Isaia, viii.
13. xxviii. 16; 5Iath. xxi. 42; Marc. xn. 9; Act. Apos. iv. 40; Lp. ad Kom.
»x. 23; 1 Pei. II. 6. - Lo studiarsi che facea 11 poeta smarrito nelle mon-
danità di sollevar l'anima alle cose divine, simboleggiato dal sacro Slune,
Ja cui via e pietra del fondamento e il Verbo. - Le fiere da Geremia
minacciate al principi e guidatori del popolo che spezzarono 11 giogo e
strapparono 11 freno, gli attraversano il cammino. - Il leone, Ger. v. 6;
Cant. IV. 8. - La lonza, il pardo. - Cant. vi. 8. v. 6. - La corda onde
pigliò la lonza, Isaia, xi. - Prov. xxi. 17. - La lupa, Jer. v. 6; Soph. m. 3;
Math. VII. 15; Act. Ap. xx. 29. - Il veltro, simbolo di vigilanza e di cu-
stodia, approprialo dipoi ai papi, guardiani del gregge di Cristo. - Isaia,
LVl. 9.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 641
Domenico - Ulicara Clemente - Parenti Marc' Antonio -
Perez Fr. - Ponta Marco - Rossetti Gabriele -Scolari
Filippo - Taverna Giuseppe - Vecchioni Carlo.
DEI SIMBOLI DELLA DIVINA COMEDIA
Perazzi Luigi, di Viadana, Frigeri Innocenzo, Dir. del
Ginnasio di Viadana, Sui Sìmboli della Divina Comedia, La
Gioventù, 1863, Voi. 4. N. 7. p. 202-209.
Beatrice sarebbe la rappresentazione dell'anima umana
tendente a Dio colle ali dell'amore e del pensiero, o in
altri termini, un simbolo dell'umanità tendente al supremo
suo fine. La teologia naturale e la rivelazione paiono agli
autori comprese nel pensiero, per lo addentellato dell'una
verso l'altra e per la disposizione di amendue a fare una
sola scienza. Un simbolo analogo a Beatrice o dell'umanità
glorificantesi in Dio avremmo in Psiche nascente con l'ali
di farfalla. In Lucia l'umanità illuminata dalla rivelazione.
11 primo vero innalza gli animi alla contemplazione di sé,
rivelandosi ad essi, in quanto è possibile e di sé innamo-
randoli. Lia e Rachele, oscuratasi fra i gentili la primitiva
rivelazione, rappresenterebbero il popolo ebreo. - Matilde e
Beatrice, quasi simbolo che ripiglia le prime proporzioni
anzi le amplifica, poiché da una contem{)lazione limitala o
dalle opere che l'accompagnano, si giunge ad una con-
templazione purissima e ad operazioni compiute. - Virgilio,
il simbolo di contemplazione, rappresentante l'umanità gen-
tilesca, quasi continuata anche dopo il grande riscatto. -
Catone, il simbolo dell'umanità sperante, sul confine direi
quasi dell'umanità redenta. Dante, l'umanità peregrinante
verso il supremo suo fine.
Il Prof. Giulio Solitro interpretando la parola gentile
che secondo lui suona come nobile meglio che il moderno
leggiadro, argomentasi provare come nella Vergine, la donna
gentile, sia più degnamente rappresentala la nobiltà ori-
ginaria dell' umana natura che in altra qualsiasi umana
creatura. Il S."" IS'icola JS'icolini contraddiceva a questa in-
terpretazione {Borghini, a. IL p. 464).
YoL. II. 41
642 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
Giuseppe Giusti, Di Beatrice, Studi vari, Le Monnier,
1863. (p. 245-255.)
Delia figlia di Folco Dante fece un apoteosi, e mentre
faceva rappresentare all' animale binato, conducitore del
carro. Cristo fondatore della Chiesa, volle che Beatrice
sedutavi sopra significasse la scienza divina, ch'è l'altissima
di tutte le scienze, come quella che ci conduce a conoscere
il principio delle cose tutte. Nel senso lìtterale, Beatrice
è la figlia di Folco, amata dal poeta e morta giovinetta
sul fiore della bellezza e della leggiadria, lasciando il misero
amante solo, abbandonato al vortice del mondo e che dopo
dieci anni sapendolo smarrito In una selva, e combattuto
da tre fiere, scende dal cielo nel Limbo per pregare Virgilio
di soccorrerlo. Nel senso allegorico, è la scienza divina che
per volere della grazia illuminante soccorre l' uomo caduto
nel vizio, accendendolo dell'amor del sapere, il quale per
l'esperienza delle cose umane conduce di grado In grado
alla contemplazione d'Iddìo... Ella dunque riunisce In se
queste due qualità, di donna mortale amata dal poeta in
vita, e di Essere beato e destinato da esso a rappresentara
in un suo lavoro la divina scienza. Il Giusti ci mostra come
nella mente d' un poeta un essere terreno assuma celesti
qualità, come una cosa diventi un'idea, come la Beatrice
Portinari, che con l' amore inspiratogli da giovinetta acce-
se Dante dell'amore agli studi e della virtù, diventi la
scienza divina, che per volere d' Iddio, dalle misere brighe
del secolo ritrae 1' uomo alla investigazione degli alti fini
dell' uomo, alla contemplazione delle divine immutabili
verità.
DI Beatrice ne scrìssero: Arri vabene Ferdinando.
Biscioni Antonmaria - Dionisi Gian Jacopo - iMuxxi
Luigi - Torri Alessandro.
Aguilhon Prof. Cesare, di Monza, Il Catone dì Dante,
(11 Borghini, 1864, p. 457-467).
La 11.^ Cantica è costrutta in morali virtù, si risolve
finalmente in quella libertà ch'è regno dello spirito sulla
materia: il monte rappresenta la caduta e la riabilitazione
dell'umana natura, cioè il libero arbitrio offeso da colpa,
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 643
c reso manco od merle, e risanalo da pena amaramente
bramata, e si rintegrato nell'essere suo primo; ne quelle
anime sentono di aver soddisfallo il debito loro se non si
risveglia in esse libera volontà dì miglior soglia. Le luci
che si richiarano in bassa spiaggia su in alto son ninfe in
porporino o regio ammanto, a significare che conferiscono
air uomo libera e vera signoria di sé. Dante stesso accede
al monte cercando libertà, e sente di racquistarla di mano
in mano che sale d'uno in altro girone, sicché all'ultimo,
pagato certo scotto d'arsura, la ricovera intera sì che ha
di quella mitria e corona, cioè ha quella balia di sé che
altri di stato o di beneficio per investitura e per segno di
corona e di mitra. Essendo questo l'assunto della Cantica
parrà bell'arte farci abbattere sin dal principio in Catone,
balio e re dei sette regni, il cui nome, antonomastico di
libertà, fa la protasi della Cantica stessa . . . Dante ritraeva
dalla vita e dalla storia dei tipi che, meglio accomodando
al dramma, servono principalmente all'idea .. . Quantunque
il soggetto sia determinato da nome storico T astrazione é
patente. Giacché la libertà lodata da Catone adombra la
libertà morale che a tutte l'altre è fondamento, ed é quella
stessa eh' è oggetto del pellegrinaggio di Dante. 11 regno
dato a Catone allude al freno che ei tenne signorilmente
di tutte le male cupidità, sì che fu sempre padrone di sé
e della fortuna; dominò le passioni onde scaturiscono i
peccati puniti o purgati ne' sette regni o gironi del Pur-
gatorio, a' quali è preposto; che insomma gli è data la
signoria di regno in quel senso e in quel modo che Dante
stesso, cancellati i sette P dalla fronte, piglia di sé mitra
e corona. 11 concetto di Dante è come uno stillato di sa-
pienza storica e civile della religione naturale e della
teologia, ed é fecondo in moralità.
11 Prof. Luhin ravvisa nel Catone di Dante il tipo del
vero principe, viva imagine di tutte le virtù cittadine,
dotato dei più nobili e generosi sentimenti; che non vive
per sé, ma pel bene dei cittadini e della patria, per la cui
libertà è sempre disposto a dare anche la \\ldi. - Allegoria
Morale, EcclesiasUca, Politica nelle due prime canliche,
p. 69-74.
644 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
DEL VELTRO
Del \ellro allegorico si è disputato assai, né si rimane
di battagliare. VeUufello, il primo, quantunque voglia il
Dionigi che in ciò abbia seguito un Anonimo che scrisse
nel 1447, vi avvisò il potente capo di tutta la lega ghi-
bellina, €an grande della «Scala, Che più VOlte aiutò
la parte Bianca in Toscana, ed al quale Dante indirizzava
quella lettera famosa, eh' è dedica del Paradiso, e insieme
dichiarazione dell'intero poema, quasi per indicare che
l'intero poema sotto gli auspici di lui veniva alla luce.
Tennero per lo Scaligero il Venturi, il Dionifii, il BiariioH,
il Lombardi, il Marchetti, il Foscolo, il Costa, il Colelli,
il Gioberti, il Picei, il Gregoretti, il Bianchi, il Ruth, e
campione più poderoso, il Tommaseo. Con molta dovizia
di erudizione storica, con argomentazioni stringenti che
talora si direbbe trionfare di ogni obbiezione, il valoroso
Troya (l) vi raffigura invece il capo futuro dei ghibellini,
il debellatore dei guelfi, Lguccione della Faggìola. e
combattono con lui il Balbo ed il Borr/hi, quantunque que-
st' ultimo in tutto il resto si tenga stetto sull' orme del
Marchetti. Il Rocco, napolitano, vi scorge Arrigo dì Lu-
eemburgo, e Gab. Pepe Castruceio Ca^fracane. - Altri
in luogo di un eroe ghibellino, invocato dal poeta anelante
ad una feroce vendetta, amarono meglio simboleggiare un
pontefice di santi costumi, angelico, che si farebbe ban-
ditore di una nuova era di felicità e di pace. Il Ponta, il
(1] Del Veltro allegorico dei Ghibellini, con altri scritti intorno
alla Divina Comedia, Napoli, Tip. del Vaglio, 1838 - Il Troya ci diede
r esempio nel cercar che fece la mente del poeta in mezzo a tutti gli
elementi storici da lui ricostruiti. Pocbi scrittori penetrarono sì ad-
dentro e con sì vivo lume di critica in quel labirinto dantesco, in cui
sembrano destinati ad ismarrirsi i mediocri ed i pedanti. La storia di
cui s'imbeve la finzione del poema e tutte le circostanze di cui s' intes-
sono i tempi e la vita del poeta e le vicissitudini del suo pensiero sono
esaminate con molta acutezza ed erudizione nel libro del Troya. Questo
lavoro, tanto autorevole per copia e squisitezza di storica dottrina era
già stato pubblicato fin dal 1826, Firenze, Martini: in questa nuova
edizione, fu rifatto in più parti dall' Autore, e di molti importantissimi
documenti notevolmente arricchito.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 645
Retti, il De Cesare, il Giuliani, il P. Marchese (l) salutarono
nel veltro Nicolò Boceasini, de' frali Predicatori, che
salito alla cattedra di Pietro col nome di Benedetto XI,
avea racceso le più luminose speranze, e, la cui mercè,
al dire del P. Marchese, confidavasi il poeta sarebbe vinta
finalmente l'insolenza del Bello. Quantunque il Minich sia
lunge dal vedervi raffigurato Benedetto XI, non accennando,
secondo lui, le parole di Virgilio che un lontano avvenire,
pure vi avvisa anch' egli un sommo Pontefice, dalla cui
premozione alla sedia di S. Pietro attendeva Dante la re-
pressione dell' avarizia, non potendo che la sola morale
autorità combattere moralmente un peccato. Il Kospick vuole
raffiguri il tipo fantastico nobilissimo del romano pontefice:
il Pessina, ed il Picchioni (2), un pontefice destinato dalla
Provvidenza a trionfare della corruzione della Chiesa, a
rigenerare la società cristiana, della provincia di Monte-
feltro, non caduta mai sotto la conquista longobardica,
della terra latina per eccellenza, pura d'ogni innesto bar-
barico, con la missione di purificare il costume e di combat-
tere l'ingordigia del clero. Ed il Pessina ravvalora questa sua
opinione con la lettera indirizzata dal poeta ai cardinali
nel 1314, perchè avessero ad eleggere un italiano alla sedia
pontificia. Né questa interpretazione è nuova, giacché F Autore
delle Chiose, pochi lustri dopo la morte di Dante, la accenna
tra molte altre, poi come falsa la rigetta. -Il /?e//erman?i e il
forlivese Bongiovanni, tenendosi sulle vestigia dell'Ottimo,
(1] Betti Salvatore, Scritti vari, Lettera vii delle Dantesche, al mar-
chese Cario Santacroce. Questa opinione era fino dal 1845 esposta dal
Betti i\cU' Album di Roma e nel Lucifero di Napoli. In un suo articolo
pubblicato nel Giornale Arcadico ( Sett. 1842) avea da prima tenuto con
Benvenuto da Imola e col Landino che fosse Gesù Cristo, opinione che
disdisse, anzi die reputò di poi grandissima vanità. - Giuliani P. Giam-
battista, Del Veltro alleijorico della Comedia (Modo di Comentare, ecc.
Firenze, Le Mounier, p. 206-223). - Marchese P. Vincenzo, Del papa
Angelico del Medio Evo e del Veltro allegorico della Divina Comedia
( Scritti varj, Firenze, Le Mounier 18oa. p.289-3n.
(2) Pessina Enr., Del Veltro allegorico di Dante Allighieri (Dallo
Spettatore Napolitano) Napoli, AgrcUi, 1857. - Picchioni L., Del Senso
allegorico e pratico, e dei valicinii della Divina Comedia, Lezioni du4
recitate alla Società accademica di Basilea, Basilea. Schwesghauser.
1857. (di pag. 107 i
640 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
si armano di molle ragioni a francheggiare nelVellro il tipo
fantastico ideale perfettissimo del Itlonarca di Dante,
quale egli Io ritrasse principalmente nel Convito e nella
Monarchia. L'Avv. Giacomo Ferrari [Etriiria, n. 329, 331, 1851)
vede che la qualità di Veltro Capitano, potè successivamente
dall'AUighieri attribuirsi a più guerrieri. Gli parve, che il
Veltro del primo canto dell'Inferno avesse una qualche cosa
ùeW Urjuc rione della Faggiuola; che quello del e. xvii del
Paradiso di Can Grande della Scala; che il Messo di Dio
del Purgatorio fosse lo stesso Veltro in generale, non ben
sa se dell' Inferno o del Paradiso ; ma che Dante nascondere
voleva il suo futuro campione sotto discordanti allegorie
per non esporsi con precise allusioni alla taccia di falso
profeta, eh' egli perciò di questo enigma forte riservò lo
scioglimento ai fatti, ma i fatti si stettero muti. -Agli occhi
di Andrea di Volterra (1370) Feltro e Feltro non è che
una parola francese, dinotante l'ascelle del corpo umano;
e però il Veltro è un Eroe che avrà un gran cuore in petto. -
Il Marchese Azzolini vi scorge il progresso della civiltà,
da che la sola filosofia, posta in seggio nel mondo, po-
teva abbattere gli errori e la prepotenza funesta dello
uman vivere: il Missirini bizzaramente i' Aiiighierì me-
desimo: W Landino, V Imolese, e di questi ultimi giorni
il Co. Torricelli si fece caldissimo propugnatore dell'opi-
nione difl'usa fin ai tempi del Boccaccio, e strana da lui
chiamata, che voleva significato nel Veltro e Cristo, il
restauratore della Chiesa non solo ma dell' umanità. Né
meno singolare è l'interpretazione dell'Arcangeli, la quale,
come per avventura men nota, mi piace di riportare. - Il
Veltro, secondo lui, sarebbe Cino da Pistoja, « nutrito di
sapienza, amore e virtute, \)evchè sapientissimo giureconsulto,
poeta d'amore fra i primi, virtuoso sostenitore dei diritti
imperiali a Roma, assessore di Lodovico Pio di Savoia,
mandato colà dall' Imperatore e creatovi senatore; difensore
acerrimo a Siena d' un decreto contro Roberto. Potrei mo-
strare, egli dice, come il ghibellinismo dei dotti riducevasi
a difendere il diritto imperiale contro il diritto canonico
ck& fin dal secolo XIII avea preso molta preponderanza
coir istituzione della Rota romana, tribunale supremo di
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 647
tutta cristianità. Quindi è che Dante, non riconoscendo il
vantaggio che Graziano recò all'wno e alV altro foro col
suo Decreto, se la prende cogli ecclesiastici che più stu-
diavano le Decretali che le Scritture, e loda S. Domenico
di non affannarsi dietro 1' Ostiense, e di guardare più al
bene spirituale dell'anime che all'acquisto di temporale
potenza. La guerra dei civilisti coi canonisti formulava nel
modo più netto la questione dell'impero e della Chiesa, e
Dante che avea veduto qual poco conto era da tenersi degli
Imperatori dopo che Arrigo avea sì malamente corrisposto
ai voti dei ghibellini, potea benissimo attaccarsi a Cino e
operare dalla sua somma sapienza e dal suo coraggio civile
e dal credito eh' egli avea grandissimo per tutta Italia la
conservazione del principio. E Cino era l'amico suo: era
laureato ed acclamato maestro di diritto romano a Bologna,
l'anno 1B14, pressoché all'epoca stessa che Dante mise
fuori la Monarchia, la più vera dichiarazione, come avverto
il medesimo Yillemain, dell' intimo senso della Comedia.
Cino era pur ghibellino ed esule, come lui: perseguitato
dai Canonisti in vita come lo fu poi dopo rfiorte. Dante
doveva amarlo grandemente e crederlo di tanta importanza
a sostenere colla dottrina e coli' eloquenza un principio in
cui vedeva la salute d' Italia. Che se su questa supposizione
si richiedessero più minuti particolari direi che Cynus,
come egli slesso scriveva, accenna al greco Cinos, del cane,
ambizioso ravvicinamento a Cane e Mastino ghibellini di
Lombardia. Direi che non cibò terra né peltro perchè né
ricco né potente; nacque d'umil condizione tra feltro e
feltro, in povero panno, come significa appunto feltro in
Giovanni Villani: e quando ciò non piacesse, non mi si darà
di strano considerando quello che su ciò hanno fantasticalo
tanti altri, se io dirò che vuoisi significare ch'ei nascesse
fra monte e monte fra i gioghi dell'Appennino pistoiese,
ove la sua famiglia ebbe qualche possesso, come ricavasi
dal nome ancor vivo di Rio di Cino, o Selvermino e Man-
dromino da Mino figlio di lui. »
F. Al. prof. Il veltro profetico dell'anno 1815 e 1800 il
D. V. del C. xxxii del Purgatorio riconosciuto in Napoleone
IH e Vittorio Emanuele re d'Italia, ministri di funzione
048 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITMIANA.
Politica del Veltro sostanziale o formale supremo e vaticinato
SOO anni fa nei versi dell' Allighierij Sviluppo I e II, Prato,
1860, in 8.» gr.
Ne scrìssero : Di Cesare Giuseppe - Ferracci Luigi -
Grisostomo - Pascal Emilio - Pepe Guglielmo - Picei
Giuseppe - Ponta HI. A. - Repetti Eni. - iStrocclii Dio-
nisio - Tommaseo I%[. • Torricelli Fr.
DELLA MATELDA.
Anonimo, Matelda nella divina foresta della divina Co-
media, Napoli, 1858.
Trevisan Gaetano, La Matelda di Dante, Firenze. (Album,
a. XXV. Distribuz. 31.)
Betti Salvatore, La Matelda della Divina Comedia, Roma,
1858. tip. Belle Arti. (Gior. Are. di Roma, T. VI. Nuova serie.)
L'Anonimo napolitano, combattendo l'opinione di aK
cuni comentatori, e tra gli altri del Balbo e del Betti i
quali vogliono scorgere nella Matelda la famosa contessa
Matilde, sostenitrice del papato, dichiara doversi in quel-
la ravvisare Matilde, moglie d'Arrigo l'Uccellatore, re di
Germania, e madre dì Ottone il grande. E tale interpre-
tazione s'appoggerebbe, secondo lui, al concetto del poeta,
il quale non può aver voluto glorificare quella contessa
che fu avversaria tenacissima dell'impero e accrebbe il
dominio temporale dei papi con una donazione, con una
di quelle donazioni, dì cui Dante stesso ebbe a riprovare
il principio ìu Costantino: Ahi Costantln, di quanto mal fu
maire, com'egli esclama nell'Inferno. E non gli pare inoltre
che nel momento del poema, in cui più si palesano le
antipatie guelfe, Dante avrebbe scelto ad accompagnarlo
dinanzi alla celeste Beatrice l'amica ed alleata di Gregorio
VII; mentre al contrario la madre di Ottone, regina e santa,
conviene assai meglio al disegno ghibellino del Purgatorio,
e non disdice neppure per le sue qualità al tipo che no
offerse il poeta. Opinione questa la quale trovò appoggio nello
scritto accennato di Gaetano Trevisani. - Veramente non ve-
dremmo perchè Dante abbia voluto personificare una regina
cosi rimota da tutte le idee storiche e politiche del poema
BIBLIOGRAFIA DAMESGA ITALIANA. (ì49
per averla introdullrice alla visione della somma sapienza.
Senza dire che questa leggiadra e fanlaslica Matelda, la più
bella ed eterea figura che appaia nella divina Comedia
perde della sua idealità a volerla per forza concretare in
un personaggio storico. Non basta ch'ella ci si presenti
sulle soglie del paradiso, come il passaggio dalla vita attiva
alla contemplativa, di cui essa risente il duplice ritlesso in
un medesimo tipo di bellezza?
LuBiN Antonio, La Matelda dì Dante, Graz, Kienreich,
1860.
Il Lubin vuol vedervi la B. Metilde, monaca benedettina,
nel convento di Helpede, presso Eisleben, nella Sassonia
prussiana, sorella della B. Geltrude, morta nel 1292. Di
questo libro io cosi scriveva all'autore: Le rivelazioni di
quella B. Matelda mi parvero un vero gioiello di soavità.
Che care e fiorite imagìni, quale amenità di allegorie,
quale linguaggio di amore! È mirabile poi la simiglianza
dell' uflìcio delle due germane con quello delle donne di
Dante. Il parlar di Matelda inonda e scalda sì le vergini
sorelle che più e più s'avvivano nell'ardor santo: e son sì
dolci le note del suo canto con che mattina lo sposo ce-
leste che par donna innamorata ; ella spiritale interprete
de' salmi che canta e legge sì da intendervi per entro cose
che a nessuno mai caddero in mente; ella conforlatrice di
quanti non sono amici della ventura; ella ricca di buone
opere che sono i veri fiori onde s'allieta il mistico giardino
del Signore; mentre Gertrude, la sorella sua, solo de' suoi
begli occhi è a veder vaga, e come l'una appaga l'ovrare,
l'altra solo il vedere. Ma ciò che mi parve sovra tutto
notevole si fu la Visione del monte della virtù con qujella
simiglianza di riplani, con quelle virtù che contrastano ai
vizii, con quella conformità di pene, con quel paradiso sulla
cima del monte, e quella soavità di augelletti che non la-
sciano d'operare ogni lor arte e infine con quella vigna
del Signore; in somma, io vi ci trovai tanto lume di verità
e nella variazion de' freschi mai onde e s' inghirlanda il
deserto e il monte verde, e in tante e tante altre imaginl
belle fresche liorite, ch'io ben volentieri mi sentirei incli-
Dalo ad adagiarmi alla di lei opinione^ tanto almeno è
650 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
Speciosa ed appariscente. - {Il libro della (jrazìa e delle
Rivelazioni di S. Metilde Vergine, monaca dell'ordine di San
Benedetto, Colonia, 1657.)
MiNicn Salvatore Rafaelle, Sulla Matelda di Dante ^
Dissertazione (Estratto dal Voi. X. delle Memorie del Yenelo
Instituto) Venezia, Antonelli, 1862.
Il chiaris. Rafaelle Minich, nella sessione del U Luglio
1861 dell'I. R. veneto Instituto, leggeva una sua memoria
intorno alla Matelda di Dante, della quale mi piace di
recare il sunto di che mi fu cortese l'Autore anche prima
della pubblicazione. L' opinione del Minich oltreché nuova
mi par gentile, e forse quella che meglio si accosti al vero.
Egli si propose di studiarne il duplice senso allegorico e
storico, dissentendo dalle opinioni finora ricevute, e sosti-
tuendovi quanto al significalo allegorico una spiegazione
che gli sembra assai verisimile, e quanto al senso storico
una semplice congettura, giacche il poeta medesimo non
diede alcun cenno onde si possano attingere le prove della
significazione letterale e slorica di Matelda. Perciò la Me-
moria è divisa in quattro articoli, nel primo de' quali si
dimostra che la figura di Matelda non potrebbe rappresentare,
siccome è universalmente creduto, la vita attiva; né, se-
condo il Buti, la dottrina della Chiesa Cattolica. - In altro
articolo si toccano le ragioni principali, per cui non è
probabile che Dante abbia inteso di accennare storicamente
in Matelda verun personaggio di questo nome, che sia
celebre nella storia per nobili gesta o per santità di vita.
Nel terzo articolo si prova col riscontro di tutti i passi che
si riferiscono alla Matelda dantesca, ch'essa è il simbolo
0 \Si rappresentazione allegorica dell'Innocenza, ossia della
vita innocente de' primi nostri progenitori nel paradiso
terrestre. - Finalmente in un quarto articolo per rendere
qualche ragione dell'aver rAllighieri addottalo il nome
storico di Matelda, si propone la congettura ( qualora non
si creda desunto dalla significazione di compagna del Signore
0 di nobile compagna, che gli viene da alcuni lessicografi
attribuito), che fosse questo il nome di un amica d'infanzia
0 di puerizia di Beatrice, della quale è fatta menzione nel
§viii della Vita Innova che incomincia: Appresso ilpartin
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA. 651
di questa gentildonna fu piacere del Signore degli Angeli
di chiamare alla sua gloria una donna giovane, ecc. Uno
dei passi più notevoli da cui Iraluce l'inlerprelazione alle-
gorica è il V. 70 del C. xxviii del Purgatorio:
Tre passi ci facea 'l fiume lontani,
il cui senso morale, fuorché dal Buti, non fu mai avvertito
né compreso dai Comentatori, e significa i tre gradi della
penitenza, al pari dei tre scaglioni allegorici, su cui si as-
side l'angelo guardiano al limitare del Purgatorio nel C ix
di quella cantica. - E il 18 Ottobre 1861 mi rescriveva:
a L' avvertenze da lei additate sono conformi ad alcune
delle non poche osservazioni che si leggono nel mio scritto
onde provare che tutti i passi della divina Comedia relativi
alle figura di Matelda, non meno che l'ufficio di questa
vergine antesignana di Beatrice, si attemprano a confermare
l'interpretazione da me proposta, la quale pone in rilievo
altri luoghi rimasti finora oscuri ed inesplicabili. Così, a
cagion d' esempio, ne acquista evidente ed opportuna signi-
ficazione la similitudine di Matelda in Proserpina in questo
ternario del G. xxviii del Purgatorio (v. 49-51):
Tu mi fai rimembrar dove e qual era
Proserpina nel tempo che perdette
La madre lei, ed ella primavera.
Anco le immagini ed I colori adoperati dal poeta nelle
descrizioni e ne' concetti spettanti a Matelda, e gli attri-
buti che le vengono assegnati di vergine, bella, pudica ed
amorosa sono del tutto convenienti all'Innocenza, che si
dee credere in essa effigiata. Basti all' uopo citare i mirabili
versi (52 e seg.) del canto suddetto che susseguono al
ternario testé riportato.
Come si volge, con le piante strette
A terra ed intra sé, donna che balli,
E piede innanzi piede appena mette;
Volsesi in su vermigli ed in su' gialli
Fioretti verso me, non altrimenti
Che vergine che gli occhi onesti avvalli.
Cosi il Minich, matematico distinto, conforta l'auslerilà
dei più severi studi coi fiori più begli delle lettere, e amo-
roso ritorna sovente al sacro poema, facendoci dono dello
sue sensale ed importanti illustrazioni, e facendoci pur
652 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
manifesto com'eì sappia unire in eletto sodalizio così di-
stanti e così dispari discipline.
11 Tommaseo ribatte l'opinione di quelli che voglion
Matelda un nome ideale, una radice greca. Egli vede nella
signora di tanta e sì bella parte d'Italia, ed a cui molto
dovette la nostra civiltà, non la donatrice di tante posses-
sioni alla chiesa, ma meglio l'arra e come il preludio della
unità italiana. Ned è meraviglia che Dante, non ghibellino
pretto, ma Bianco e nato guelfo, e guelfo sempre nell'anima,
onorasse ed ornasse di poetiche ghirlande Matelda, grande
in ogni tempo, e nel decimo primo secolo più grande ancora,
anzi con gentile accorgimento la volesse collocata nel
sommo del monte da che gli umani spiriti volano al cielo.
E col Tommaseo consente pure l'egregio Yannucci^ che vede
nella conlessa, mirabile per coraggio e costanza, la Matelda
quasi santificata da Dante ( 1 primi tempi della libertà fio-
rentina, Ci X. p. 40 ). E G. Vegni ( La contessa Matilde e
Roma pontificale per D. Luigi Tosti - La grande italienne,
Mathelde de Toscane, per Amédée Renée, Paris, 1859) così
si esprime: sulla Matilde Dantesca, dopo il tanto che ne
fu detto a' dì nostri, niente rimane ad aggiungere, ed è
pur sempre questione da non venirne a capo. Se l'autorità
di tutti i comentatori da Pietro Allighieri sino a' moderni,
e certe ragioni di convenienza del Lombardi e dello Stroc-
chi non possono farmi ritenere indubitabilmente la Matilde
toscana, neppure gli argomenti che voglionsi trarre da
principii politici del poeta saprebbero muovermi a ripu-
diarla, perchè gran divario correva dai tempi di Matilde
a quelli di Dante, e perchè questi, più che i ciechi sfoghi
di parte, amava la religione e la giustizia, come ne die
prova solenne in tutto il poema, onde non vedo sì strano,
come ad altri parve, eh' egli potesse onorare le religiose
e civili operosità di una Donna, de' cui fatti era ancor piena
r Italia. Unico vero ed invincibile ostacolo nasce dal non
averne l' Allighieri, contro ciò che usa con altri, contornalo
il nome d'alcun indizio che fosse d'aiuto a distinguere la
persona, ma oltreciò l'eguale difficoltà milita per la Matilde
alemanna ultimamente proposta, né vorrei ammettere la
madre di Ottone L a contendere dell'apoteosi poetica cou
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIAÌSA. 653
la figlia di Bonifazio se prima io non fossi fatto ben certo
che quella abbia mai gareggiato di rinomanza con questa.
Chi poi non sapesse adattarsi a riconoscere storico quel
personaggio, lo ritenga pure simbolico, quando non tema
di perdersi nell' intrigato labirinto delle etimologie [Archivia
storico Ital. T. XIII. disp. I. 1861). - Auf/usto de Gori vede
chiara l'identicità fra la Matilde storica e quella dantesca,
ponendo mente alla popolarità che Matilde si ebbe a' tempi
suoi e che perdurava a quelli di Dante, ai quali era pur
tuttavia comune nel popolo toscano il nome battesimale
di Tessa derivato da Contessa, e derivante da quella con-
tessa di cui si aveva santo concetto. E se le parole di
Dionisone e quelle dell'epigrafe sepolcrale nella chiesa di
S. Benedetto di Polirone, rammentate dal Vegni, ritrovano
un riscontro nella terzina.
Deh, bella Donna, eh' a' raggi d' amore
Ti scaldi, s' i' vo' credere a' sembianti.
Che soglion esser testimon del core. Purg. xxviii. 43
sembra che non manchi queir indizio della persona che
r autore lamenta, e d'altronde, giustamente osserva il Tom-
maseo, che Dante leale e generoso com'era non poteva
non amare il leale e generoso coraggio di quella donna
amata e tremenda. - Il Tosti che di questi ullimi tempi
ne scrisse la storia sembra sia del contrario avviso, giacché
non fa cenno di questa quasi apoteosi della sua eroina,
né certo avrebbe obliato di porle sul capo il nobilissimo
serto di onore intessutole dal grande poeta. - B. Bianchi
vuole che la Matelda dantesca non sia che una pura idea.
Fasolo Frakcesco, Pensieri sopra la Divina Comcdia di
Dante AUif/hieri, Napoli, Delken, 1863.
L' opera del Fasolo contiene i seguenti articoli : I." Con-
cetto artistico della Divina Comedia.-ll.^ La donna gentile. -
III." Le tre Furie. - IV." Il Veglio del monte Ida. - V." La
corda che cingeva Dante nel cerchio dei Sodomiti. - VI." Mao-
metto, autore di scisma o-di scandali. -VII." Pensieri sul Canto
xii del Paradiso, e lo spirito profetico dell' ab. Giovacchimo.
Tommaseo Nicolò, Le Ascensioni di Dante - Altezza della
654 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ITALIANA.
meta ecc. Riv. Coni. 1863, Gcn. p. ^(ÌO.- Prontezza varia dei
movimenti per infino alV estrema possibile rapidità, Id.Mar. 420.
Il verso di Dante: sì che il pie fermo sempre era il
pili basso non va preso alla lettera. Ivi significa che ve-
uendo da male a bene il desiderio sempre riposa sulla
memoria del passato.
Mauro Domenico, Concetto e forma della divina Comedia,
Napoli, 1863.
Zamboni doti. prof. Filippo, Gli Ez Zellini, Dante e gli
Schiavi, Pensieri storici, e letterari, Firenze, Molini, 1865.
Il prof. Zamboni sì fa a ricercare perchè Dante solle-
vasse al cielo Cunizza di Romano, la sorella del più feroce
nemico della chiesa, la donna che visse troppo amorosa-
mente, ed ei ne trova la cagione nel famoso atto del 1
Aprile 1265, l'anno istesso e quasi lo stesso mese in cui
nacque Dante, lo slesso mese in che nacque Beatrice, in
casa dell'alto e più provetto suo amico. Guido Cavalcanti,
col quale essa poneva in liberlà tutti gli uomini di ma-
snada che furono de' suoi fratelli. Il poeta universale, dice
il Zamboni, che in se accolse ogni civiltà e tutto il sapere
de' suoi tempi, il quale fu in lui maggiore dei tempi slessi
ed è sapienza ; quel divino la cui mente rappresentò tulio
il mondo morale, ed a cui non mancò mai retto giudizio
del bello e del buono, beatificando nel cielo colai poeti-
ca donna, fece secondo il suo cuore e il suo intelletto.
Commosso egli allamente alla condizione di molti esseri
miseramente fissi sopra solchi bagnati di servo sudore,
ovvero che nelle opulentissime case pativano ogni ultima
miseria, non potea non glorificare quella donna che avea
tanti uomini, imagini di Dio, di servi tratti a liberiate, cioè
^al libero passaggio della volontà all'azione. Oltre a ciò
il Zamboni è d'opinione che la voce autorevole di Dante
e di Guido suo conferisse piìi che mai alla legge fermatasi
a Firenze nel 1289, con che vennero afi'rancati gli schiavi
della gleba, gloria tutta esélusiva dei soli nostri liberi
comuni che fenno r antiche leggi, e fu^on sì civili, il prof.
Zamboni dice di aver levato moltissime sue note di bellezze
dantesche, qua è là recate in queslo suo eruditissimo lavoro,
da un suo Cemento estetico della Comedia.
BIBIIOGMFIA DANTESCA FRANCESE
Ampère J., Les Vision ont préparé la div. Coméd. ( Hist.
liner, de la France, avant le XII siede, Paris, Hachelle,
1839, V. II. 363.)
yoyage Dantesque. - La Grece, Rome, et Danle^
études litléraires, Paris, Didier, 1846, - Id. 1859 [Mein Weg
in Dante 's Fusstapfen Nach. J. J Ampère bearbilet von
Theodor Hell, Dresden und Leipzig, Arnold, 1840.)
Questo lavoro dell'Ampère fu da prima pubblicalo nella
Rcvue des deux Mondes 15 Nov. et 15 Dèe. 1839 ; riprodotto
nella Revue des Revues di Bruxelles, Nov, 1839: venne
voltato in tedesco dal Cons. Winkler, sotto il pseudonimo
di Teodoro Hell; ed ia Italiano per B. de G., Treviso,
Molena, 18 il. - Il nome del traduttore Alemanno traeva
in errore l' editore Scolari a credere opera originale ciò che
non era che una versione dal francese. Anche il Le Mounier
pubblicava nel 1855 questa viaggio dantesco dell'Ampère,
reso italiano dal Martìnetti-Cardoni, ravegnano, lieto di aver
potuto il primo offrire questo lavoro agli affezionati di
Dante. Ma bene osservava il Vannucci (Fase. XII. Rev. Enc.
che il Martinelli avrebbe potuto facilmente supplire alle
inesattezze ed alle ommissioni del viaggio di Ampère, con-
sultando le osservazioni già fatte da un Anonimo [Giovanni
Mazzocchi, bolognese e stampate dal Crescini di Padova,
1841 ) e le nuove osservazioni dello stesso, Treviso, An-
dreola, 1845. - Le quali lacune e le non poche mende
che mano mano s'incontrano furono pure poste in rilievo,
dal S."" Delàtre, nel Monitore Toscano, 24 Sett. 1855. - II
Martinetti al Yiagfjio dantesco aggiugncva nella sua versione
il Dante in Ravenna, giovandosi, com'egli dice, delle me-
morie che potè avere dai cronisti e dagli storici ravegnani
intorno al soggiorno dantesco alla corte Polentana. - « L'orme
di Dante, così il Massarani ne' suoi assennati e pregiatissimi
articoli sugli studi italiani in Francia [Crepuscolo, 1855. n.
28), ridivennero sacre pei visitatori che cercano nel bel
656 BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE.
paese meglio l'istoria della civiltà che il pallore degli ulivi
e la fragranza dei cedri, e il dolio pellegrinaggio dell'Ampère
ai luoghi ricordati nella Comedia, l'assiduo amore posto a
ogni traccia del poeta » nelle città in cui visse, nelle
montagne ov'errò, negli asili che lo accolsero «ci valse
in tenue mole un'erudizione preziosa che non si perde, come
troppi nostri itinerarj in isterilì Iriche ; ma, come ha detto
un po' liberamente l'Autore, coglie in fragrante l'ingegno
del poeta nell'atto in cui si unisce alla realtà per procreare
l'ideale. » - V. \annucc% Rivista Fir. A. I. N. 3.
Aroux Eugene, Vie et siede du Dante.
Dante hérétique, révolutionaire et socialiste ; Révé-
lations d'un catholique sur le moyen-àge, Paris, Renouard,
1834.
L' hérésie de Dante démontrée par Francesca de
Rimini et coup d' ceil sur les romans du Saint-Graal, no-
tamment sur le Tristan de Léonneis^ Imprimerle Romquet,
1854.
Preuves de V hérésie de Dante et d'une fusion opé-
rée vers 1312 entre la Massénie albigeoise, le Tempie et
les Gibelins pour constituer le Franc-3Iaconnerie, Id. ^
( Veggasi a pag. 632.)
Artaud de Montor, Histoire de Dante Allùfhieri, Paris,
Le Clero et Cie, 1841 ; Paris, Levy, 1845.
Giuseppe Mazzini nella Forein Quaterly Review di Londra
ne portò questo giudizio. « Senza discernimento od ombra
di critico acume T Artaud cita alla rinfusa scrittori degni
di fede ed inetti compilatori: il Filelfo, il Tiraboschi, il
Muratori, fra Giovanni da Serravalle son tutto uno per lui.
Da lungo tempo non ebbimo trovato un libro (in 635 pa-
gine 1) così spoglio di erudizione e pieno d'ampollosità
accademiche, di una tanta vanità sotto la maschera di una
ippocrita e bigotta modestia, cosi diffuso e confuso, oscuro
e triviale. E un tal libro venne proclamato in Francia come
l'alta e conscienziosa produzione di un dotto. . . Dante ci
appare in lui incompleto, inconseguente, debole, iroso,
volubile, obbiettivo più che subbieltivo, pieghevole al soffio
degli eventi, e non fermo a sfidarli e dirigerli, tutto a fram-
menti e multiforme ...» La Storia di Dante del S.'" Artaud
BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE. 6o7
tlì Montor, scrìve il" Labìtle, è concella con tuli' altro si-
sleina da quello con cui fu concetta la Vita di Dante del
signor Balbo, alla quale è di gran lunga in ogni parte in-
leriore. Tu non ritrovi più quel metodo semplice, conspicuo,
che va spigolando i lesti senza abbicarli, e gli scioglie di
cheto nel suo discorso; il Sig. Artaud, all'incontro, non
isceglie, cita tulio, e v'inserisce di lunghi frammenti da
qualunque mano gli vengano, e cosi come vengono, senza
troppo scrupoleggiare intorno alle fonti, e senza troppo
curarsi che cadano opportuni. 11 qual miscuglio e ammas-
samento non può far alla lunga di non annoiare. Tutto
«erve di pretesto all' autore per nominare alla rinfusa gli
amici suoi, i suoi colleghi, per intarsiarvi cose che non vi
han niente a che fare, per moltiplicare i nomi propri. Ognun
de' suoi faticosi capitoli rassomiglia ad una confusa dis-
sertazione di qualche dotta società di provincia. Alcune
rilevale investigazioni, molti curiosi testi, alcuni estratti
prima non conosciuti, alcune nuove osservazioni vengono
nullameno a compensarci dello spirito critico che vi manca,
e rendono indispensabile questa benché poco metodica
compilazione a coloro che fanno sludj intorno all'Allighie-
ri. » (Revue des deux Mondes, Biographes et Tradncteurs de
Dante. l.^Oct. 1841). Anche il Massarani la dice un lavoro
di troppe tarsie [Cre-p. 1855, n. 25).
D'AuBiGNY Estelle, Première epoque de la litlératurc
ilalienne. Dante, ( Essai sur la littérature llalienne, p. 33 a
08) Paris, Treuttel e Wurtz, 1839.
Bach George Henri, Thèse de littérature sur Dante, et
S. Thomas, de i état de V àme depiiis le jour de la mort,
jusqu'à celui de jugement dernier, d'apres ces deux auleurs,
Kouen, Periaux, 1833. (Questo lavoro del Bach fu anche
inserito nel Journal des Savants, Aoul, 1838.)
« Gomme Dante avait étudié la théologic dans les
écoles de Paris, il en était revenu thomiste. M. de Lamen-
nais le constate, après M. Ozanam: mais il ne fait pas assez
remarquer l' influence censidérable, qu' eul le maitre sur
son iidèle disciple. Un jeune docteur, que la mort est venne
si tòt nous ravir, M. Georges Bach, a fori bien traile ce
sujct davanl la Sorbonne. Saint Thomas est, en iogique,
Voi., il. i-i
C58 BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE.
l'oracle dii bon seiis, et il n' y a giière, en celle panie, de
prudence supérieure à la sieniie. Mais après le logicien,
écoutez le Ihéologien: que son imagination est feconde!
avec quelle facililé se poursuivenl et se développenl ses
réves! qu' il va loin dans ces domaines du possihle, haiilés,
disent les logiciens, par de pures chimères! M.Bach dé-
montre parfaitemenl que si Dante n'a pas semblé, de son
lemps, trop léméraire, méme pour un poele, dans sa de-
scription des lieux invisibles, e' est qu' on n'aurail pu
r accuser sans metlre en cause la théologie de salnl Thomas.
Et Rome elle-méme ne 1' eùt pas fait sans Irembler. » -
B. Hauréau, lUuslration, 1835, n. 640.
De Batines Colomb, Bibliografia Dantesca, ossia Catalogo
delle edizioni, traduzioni, codici manoscritti e comenli della
divina Comedia, traduzione italiana, fatta sul Manoscritto
francese dell' editore. Prato, Tip. Aldina editr. - Voi. I.
p. 1. 1845. Yol. I. p. 2, finito di stampare il dì xxx Giugno
1846. - Yol. II, tinilo di stampare il xxx Agosto 1848.
(Mori il Balines a 43 anni in Firenze il 14 Gen.1855).
Questo diligentissimo lavoro va diviso in quattro parti;
la prima comprende la bibliografia propriamente detta della
divina Comedia; la seconda la bibliografia critica; la terza
i Conienti stampati; l'ultima la bibliografia manoscritta.
Il Balines poco pratico del nostro idioma dettava in fran-
cese questi suoi annali bibliografici, che poi sul manoscritto
rendea italiani per la stampa Giovanni Costantini. Egli ci
fa sapere, come udendo le bellissime lezioni che il Villemain
improvvisava alla Sorbona sul nostro sovrano poeta si sen-
tisse potentemente incuorato a questo suo lavoro, onde,
a titolo di riconoscenza, glielo intitola, perchè del bel frutto
cólto ne riconosce in lui il seme. E l' Italia debbe saper
ben grado alle tante accurate, pazienti, e coscienziose ri-
cerche del dotto Visconte, giacché è per lui solo che
possiamo gloriarci di una esalta bibliografia degli studii
danteschi. - Un laborieux Frangais devenu Florentin par
amour de la Divine Comedie, M. Colomb de Balines, a été
l'un des plus zélés ouvriers qui aient travaillé à celle re-
slauration de Dante: il a consacré sa vie à une Bibliographie
dantesque. Plusìcurs savans, Volpi, Torri, Picei, Fraticelli,
BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE. G59
avarenl déjà entrepris celle luche sans pouvoir Iriompher
des difticullés qii' elle présente; M. Colomb de Balines y a
réussl. A pari quelques erreurs signalées par M. Charles
Witte dans son Iravail sur l' Otiìmo Comento, la Biblior/rafM
dantesca de nolre compalriote est une oeuvre d' une valeur
ineslimable. - M. le vicomte Paul Colomb de Balines habilait
Florence depuis longues années; il y est mori le 14 janvier
1855, entouré de 1' eslime generale. La France doit un sou-
venir à l'homme modeste et laborieux. qui a si dìgnement
Roulenu l'honneur de 1' érudition fran^aise au milieu des
savans de l' Italie. Outre celle Bibliografia Dantesca, qui
est lo monument de sa vie, il a publié un grand nombre
de mémoires et d' éludes dans les Studii inediti su Dante
(Florence 1846), ecc. - Saint-René Taillandier,Revue des d4iu.x
Mondes, \P Dee. 1856.
BoissARD Ferjus, Dante révolutionnaire et socialiste mai%
non hérétique, Bévélation sur les Révélations de M. Aroux,
et défense d' Ozanam, Paris, Douniol, 1854.
Duplice apologia, in cui il Boissard fa prova non meno
di nobil animo che di assennala critica e varia dottrina. -
Paravia,
CiiABANON, Vie du Dante, avec une notice detaillee, de
9€s Ouvraqps, Paris, Lacombe, 1773.
De La Tom M. A, Laure, Beatrix et Fiammetta. E una
difesa di Dante, Petrarca e Boccaccio, intitolata al S."" Rosselli,
e pubblicala nella Bevue de Paris, Mag., 1834, pag. 233-243.
Delécluze e. J., Dante Alifjhieri, ou la poesie amoureuse,
Paris, Amyot, 1847. Voi. 2; Paris, Delahys, 1857.
Dante était-il hérétique? (Revue des deu\ Mondes,
15 Fevr. 1834. )
Florence et ses vicissitudes. Paris, Gosselin, 1837.
Vi ha un saggio sopra Dante dalla pag. 194 alla 203.
Delomcle Cu., De poesie et de morale catholiques, Dante.
Rev. Indépendanle, 1-15 Jan. 18G3.
Drouilhet de SiGALAS Pail, De l art en Italie, Dante
Alli(fhieri et ia div. Com. Paris, Firmin DiUot, 1853, deux.
odit. (Recata in italiano dal P, Marcellino da Civezza, (le-
nova, Slabil. lipog. ligustico, 1853.)
Il barone di Sigalas appartiene a quel drappello di cri-
660 BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE.
liei entusiasti dell'arte esistiana, di cui 1' Ozanam fu-uno
dei più ferventi e più infaticabili illustratori. È anzi agli
scritti dell' Ozanam, a quella sua calda e quasi poetica
maniera d'interrogare la storia, a quella sua adorazione
del medio evo che sembra essersi inspiralo nel concetto
non solo, ma perfino nello stile medesimo di questo libro.
A Dante, come a centro dello spiritualismo cristiano, che
annoda in sé quanto dà l' arte, la scienza, la fede nel ri-
sorgimento del mondo moderno, è consecrato pertanto questo
lavoro, in cui l'autore svolge con calore di eloquenza le-
popea del pensiero cattolico in Italia nei secoli di mezzo. Più
esclusivo dello stesso Ozanam, il quale non obhliò del tutto
gli elementi fecondatori discesi dall' antichità, esso non ripe-
te le origini della civiltà moderna, se non dal medio evo,
e nelle stirpi barbariche soltanto vede il germe rinnovatore
dell' umanità. L' arte stessa, così splendida nella civiltà
pagana, è da lui sconsiderata e depressa al paragone di
quella che animossi col soffio del misticismo cristiano; né
la Grecia, né Roma che pur ebbero espressione così com-
piuta del loro pensiero in relazione agli elementi *tillora
conosciuti di civiltà, trovano grazia agli occhi dell'Autore,
il quale non vede nel moto della rinascenza che la morte
dell'arte in Italia, così come il principio della sua decadenza
nazionale. Il suo studio pertanto non risguarda che l'opera
dantesca, in quanto compendia la somma del sapere e delle
credenze nel medio evo, consacrata dallo splendore d' una
poesia inarrivabile. Ed egli ne ricerca le origini, e ne segue
gli effètti e gì' influssi posteriori, dalle prime visioni mona-
stiche fino al Giudizio di Michelangelo, suggello alle inspi-
razioni ed alle preoccupazioni del mondo soprannaturale nella
arte. Quanto al culto rinato di Dante al secolo XYIII, questo
esce dall'ordine tracciato alle sue indagini, ed è estraneo
a quel concetto spirituale dell' arto, a cui è volto ogni suo
aifetto. L' Autore anzi invoca che l' Italia torni in grado
oggidì di comprendere il suo poeta e di continuare la tra-
dizione, quanto all' intento religioso della poesia, e chiude
la sua opera con un apostrofe piena d' affetto a questo
paese, che ebbe già missione di riscattare V intelletto mo-
derno, e da cui, come nei secoli di mezzo, egli augura che
BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE. 661
parla una nwova luce ad irradiare l' incerto occidente. La
parola ardente e simpatica dell'Autore e il profondo con-
vincimento che si palesa in tutto il libro gli danno interesse,
non ostante l'angustia e l'esclusività del concettot; e la
effusione d' un animo commosso fa perdonare in lui la scar-
sità d' una critica, più appassionata che nudrita di robusta
dottrina. - Il Massarani lo chiama volume di fastosa estetica
che nasconde l'esilità dell' ossatura sotto lo strascico scin-
tillante dello stile. - Studi Jtal. in Francia, Crepuscolo,
1855, n. 28. -
Dumas Alexandre, Elude sur la Divine Comédìe, Guelfes
et Ghibellins, (Revue des deux Mondes, 1 Mars 1836.)
DuQUESNEL Amédée, Etude sur la Divine Comédìe, V. È-
tudes philosophiqties sur la littératture avant le cliristia-
nisme. Revue Européenne di Parigi, 1835, II, 212-228.
EsQUiROs Alphonse, Dante, Elude littéraire, France lii-
téraire, 1834, xvi. 31-72).
Feller F. X. Dante Allighieri, poete Italien (1797). Nel
suo Dizionario storico.
Fauriel Cl. Dante, Revué des deux Mondes 1. Oct. 1834.
Biographie de Dante, 1836. (Biografia di Dante, tradotta
neW Indicatore Lombardo da G. B. Menini, 1835, e nel Su-
balpino di Torino, 1838.)
Dante, et les orifjines de la langue et de la létlera-
.ture italiennes, Cours fait à la [acuite des lettres de Paris,
Paris, Durand, 1854. (Recalo in italiano per Girolimo Ar-
dizzone, Palermo, Russo e Comp. 1856).
Fauriel fu anch' egli un'accuratissimo biografo di Dante.
Nella tranquilla sua narrativa si desidera forse quel dolce
calore, quel profumo di poesia che si svolge dalle pagine
del Balbo: ma non v'è neppure l'insistente sforzo che si
adopera ansioso ad ottundere, per paura della presente, le
passioni di una remota età. Quello di che il Fauriel non parve
abbastanza compreso è il gran concetto organizzatore che
si celava sotto la veste ghibellina dei tempi. Se colle altre
opere minori avesse pigliato in esame il libro De Monarchia,
la vera e grande aspirazione di Dante, gli sarebbe apparsa
superiore alle superstizioni legali dell'epoca, perchè vi è
bensì la cieca riverenza del passato, e quella persuasione
662 BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE.
cavalleresca che teneva infallibile la spada; mn vi è anche
la coraggiosa tesi dell'indipendenza del potere civile, e l'al-
tissima e nuova idea di una politica cui l'accentramento uni-
versale di tutte le forze deve esser mezzo a promuovere l'utile
della civiltà, la potenza intellettiva di tutto il genere umano. Né
valse nelle questioni di sentimento al Fauriel l'acume critico
e la sapienza, quanto ad altri l'intelletto d'amore. E però
di quella gentile psicologia amorosa eh' è la Vita Nuova,
del Dante amatore e cavaliero che vi respira, furono in-
terpreti più felici, non che il Quinet, i minori iniziati, il
Sigalas e il Lafayette. » - Massarani - Il Fauriel, l'amico
del Manzoni, il traduttore delle sue tragedie e dei Profughi
di Parga del Berchet, 1' appassionato della lingua e delia
letteratura italiana, quell'uomo si acutamente ed ingegno-
samente erudito, nei due anni 1833 e 1834 dalla cattedra
di letteratura straniera al Collegio di Francia, prendeva a
subbietto delle sue lezioni le origini della nostra lingua,
e la divina Comedia. Ma la postuma pubblicazione' fu fatta
sopra appunti imperfetti per opera del Sig. Giulio Mohl. Il
primo volume comprende dieci lezioni di prolegomeni in-
torno alle vicende letterarie della divina Comedia, allo
stato politico dell' Italia, ai tempi danteschi, alla costituzione
delle repubbliche italiane, alla costituzione di Firenze, alla
vita di Dante, ai trovatori provenzali in Italia, all'influenza
di quella lor poesia tra noi, alla poesia cavalleresca italiana,
divisa in siciliana e bolognese, e parecchi frammenti di
esposizione della divina Comedia, ne' quali si esaminano le
facoltà intellettuali di Dante, l'idea del poema sacro, l'unità
religiosa deW Inferno, il motivo e il fine del viaggio pei
tre regni, gli episodii di Francesca, di Ugolino, di Sordello,
e i mangiatori di suppe sulle sepolture degli uccisi per
fuggire la vendetta dei consorti. Il Crepuscolo, dopo di
averne fatta un'accuratissima analisi, conchiude: Certo da
venti anni in qua gli studi danteschi hanno assai progredito,
e il meglio dei concetti dell'insigne francese fu o da lui
stesso esposto in parziali pubblicazioni, o raccolto alle site
lezioni, e messo in giro da monelieri più o meno onesti,
di che né gran novità ne gran profondità vi si può pre-
tendere. Eppure certe parti sono bene toccate e l'ingegno
BIBLIOGRAFIA DAMESCA FRANCESE. 663
del rritico spicca vivissimo Ìq alcuni luoghi. - Crepuscolo,
[). 12i. - « Tandis que T Italie cherce dans ces éludes (dan-
teschi) des inspirations patrioliques, la France avec M.
Fauriet, et M. Villeniain, y déploye sa nettelé d'esprit, son
góut de la beante litléraire... Fouriel deux ou trois années
après M. Witte, dans son cours de 1833, a soumis ausai la
Vita Nuova et le Convito à sa judicieuse critique, mais
Fauriel s'atlache surtout ày trouver la préparation inlel-
lectuelle du poète. S' il ne s'agii que de déraéler dans ces
onvrages la nature complexe de l'inspiration d'Alighieri, son
mélange d'enthousiasme et de subtilité,ces combinaisons géo-
métriques, astronomiques, siétrangementassociéesaux exla-
ses de l'amour, iln'y arien à ajouter aux dissertations de
Fauriel.» -Saint-Uene Taillandier.-\. C)'epw5Co/o, 1855. p. 124.
Feriault F. Rimes de Dante, Sonnets, Canzones et Ballades,
Traductìon, Paris, Lecou, 1854.
FoucHER DE Careil C Dante et son Poeme, Paris, Didier,
18G4. (Forma parte delle Conferences Litteraires de la Salle
Barthélemy.)
GiNGUEM^, idées préliminaires sur la div. Comédie. - Pian
rjénéral du Poème - Invention - Sources où le Dante a ()u
puiser - Analyse de chaque cantique. (Hist. littér. d'Italie,
Paris, Michaud, 1811. Voi. I. 480-492. Voi. II. 1. 266.)
Le opinioni del Ginguené furono prese ad esame da M.
A. Parenti, V. Memorie di Modena, III. 75-138; lY. 275-301;
VI. 263-289.
GoujET Giudizio letterario sopra Dante [Bibliotfièque
francaise, ou [list. Hit, de la France, Paris, Guerin Delatour,
1755, VII. 294.)
Klagzko Dante et la critique moderne. (Revue cont.
l5iNov.l854.)
Hillebrand Carl, (ted. prof, di Letterat. a Bordeaux) Dino
Compagni, Etude ìiislorique et littéraire sur Vépoque de Dante, in
8.^ di p. XYI-439, Paris, Durand, Bordeaux, Gounouilhon, 1861.
De sacro opud Christianos Carmine epico dissertatio,
seu Dantis, Millonis, hìopstockii poetarum collatio, Parigi, 1861.
Labitte Gii. La divine Comédie avant Dante. (Revue des
deux Mondes, l Sept. 1842 - Oeuvres de Dante Alighieri,
Paris, Charpentier, 1843.)
664 BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE.
La divina Comedia prima di Dante contiene otto articoli
coi titoli seguenti : I. L'Antichità ; - Er l'Armeno ; - Tespesio;-
La Bibbia. IL Prime visioni cristiane. - Carpo ; - Saturo ; -
Perpetua; - Cristina. IH. Il soldato di S. Gregorio Magno; -
Trajano in Cielo;- I Pellegrini di S. Macario.; - Santo Fur-
seo ; - San Salvi. lY. Sogno di Gontramo;-Dritelmo inglese ;-
11 risuscitato di S. Bonifazio ; -Dagoberto; - Carlomagno; -
Wetino. Y. Il prete degli annali di S. Bertino; - Bernoldo;-
Carlo il Grosso. - Il Finimondo. YI. Yiaggio di S. Bren-
dano; - Sermone di Gregorio YII ; - Frate Alberico; -
Caverna di S. Patrizio; - Timarione YII. Dominio del grot-
tesco per i Trovieri; - Adamo di Ross ; - Rutebeuf ; - Raolo
di Houdan ; - Novelle in versi. YIII. Dipinti e sculture; -
Mistero rappresentato a Firenze; - Tesorelto del Latini; -
Dante; - Conchiusione.
Labitte Ch. Biofjraphes et traducleurs de Dante. (Revue
des deux Mondes, 1.'^ Oct. 1841. - Articolo tradotto dal Toc-
cagni, ed inserito nella Rivista Europea, 1845, p. 102-134.
Lafayette de Calemard Charles, Dante, Michel-Ange,
et Macliiavel, Paris, Didier, 1832.
È una monografìa dettata con quella ridondanza gio-
venile, che sgorga spontanea da un cuore appassionato, e
più d' un saggio poetico che pare strappato dal bisogno
di rendere, quand'anche inadequatamente, un'emozione
profondamente sentita. Massarani, Crepuscolo, 185S, p. 443.
LamenpsAis F., Introduction sur la vie, les doctrines et
les ojuvres de Dante, Paris, Paulin et le Chevalier, 1855.
(La Divine Coni. Enfer. p. I. C xxiv).
L' introduzione è divisa in otto capitoli : nel primo ci fa
uno schizzo della storia del mondo dalla caduta dell'impero
romano fìno a' nostri giorni ; in altri due ne parla di Dante
e delle sue opere ; ne' due che seguono delle sue dottrine
filosofiche e politiche; negli ultimi tre ci tesse un esposi-
zione del poema nel suo significato generale e nelle su©
parti. - « Il Lamennais fa come certi storici, che credono
di darti un concetto filosofico della storia, scrivendo capi-
toli della religione, delle istituzioni, delle arti, delle scienze
ecc., non comprendendo che questi elementi debbono far
parte della narrazione e comparire nel seno stesso dei fatti
BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE. 665
in reciprocanza di azione, a volta a volta motori e mossi :
questo astrarti dall'azione è un cavarli fuori della vita o
della storia, e ridurli a nudi concetti. Così il Lamennais,
volendo spiegarci la poesia dantesca, in luogo di riprodurre
come critica quella immagine che il poeta ha dato fuori
come arte, comincia dall' annullarla, dal dissolvere con un
softìo quella magnifica creazione in elementi sparsi, reli-
gione, politica, morale, filosofia, avvenimenti, ecc. Egli non
ha preso la penna dopo letto, e caldo ancora della lettura....
invece di un' esposizione animata e drammatica, ci ha dato
dissertazioni dichiarative. Nondimeno questa sorta di lavori
han.no pure la loro utilità: essi servono immediatamente
air intelligenza del poema, e per indiretto giovano pure alla
critica, raccogliendo e fermando i fatti, sui quali dev'esser
fondata ... Il Lamennais vi si è messo senza avere chiara
innanzi una concezione qualsiasi dell' unità dantesca. Quindi
egli procede a tentoni, alcune parti tratta inutilmente,
trattate già, e bene, da altri ; alcune questioni importan-
tissime risolve con un sì e no, con leggerezza; e quando
talora mostra di voler dire alcuna cosa di nuovo, mentre noi*
guardiamo quel pezzo di cielo, già ci si oscura dinanzi . . .
Le quistioni intorno a Dante rimangono le stesse: il La-
mennais vi è passato, e non vi ha lasciato alcuna orma . . .
Nel capitolo primo e nel quarto e nel quinto vediamo
qualche nuovo orizzonte: lo stile è più colorito e animato.
Se non che l' autore vi si è posto con certe preoccupazioni,
guardando più a' nostri tempi che a Dante. Nella civiltà
moderna entra come fattore il soio elemento cattolico ed
il germanico, o anche l'elemento latino? Il cattolicisrao
può stare con la libertà? Il papato è stato favorevole alla
libertà italiana? Onistioni gravissime senza dubbio, ma qui
la divina Comedia non è più il principale, ma un'occasione,
di cui si vale il Lamennais per gitlare prima di morire la
sua ultima parola nelle appassionate discussioni che si agi-
tano al presente. Ed essendo quistioni incidenti, non è
meraviglia eh' elle non sieno trattate in quel modo definitivo
che toglie l'adito alla replica: sono piuttosto sfoghi di
animo indegnato contro il tristo presente, che ragionamenti
fatti con uno scopo serio ... Ma se al suo lavoro manca
666 BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE.
quel vedere da allo e da lungi, che ci fa addenlrare In un
soggetto ad afferrarne tutte le parli vive, non vi desideri
mai alcuna dote esterna di stile, chiarezza, efficacia, splen-
dore ... I tre ultimi suoi capitoli non possono essere e non
sono che un sommario delle tre cantiche. Il contenuto
esposto innanzi, come semplice fatto, che dovrebbe ora
riapparire come fatto poetico, è dimenticalo: quei cinque
"capitoli gli è come se non fossero: egli rifa un simulacro
di parte generale, gittando osservazioni suU' immortalila
dell'anima, suH' eternità delle pene, sulla predestinazione
ecc., che non hanno alcun legame col rimanente, né alcuna
applicazione, \iene il sommario, cioè a dire, una esposizione
analitica delle tre cantiche. Che cosa è questa ? Senza una
concezione del poema e di ciascuna cantica altro che vaga
e confusa, senza un centro ed un punto di partenza, il
critico segue il poeta passo passo: trasanda alcune cose
che gli sembrano indifferenti o poco notabili, si ferma a
certe altre che gli paiono belle ... Il Lamennais si affida
alla squisitezza del suo sentire ed alla finezza del suo gusto.
Ecco in che modo procede. Fatto in pochi tratti il disegno
del luogo, si gitta appresso al poeta, e via innanzi, narrando,
compendiando. In questo rapido sunto, dove trovi di neces-
sità molle lacune, quando si avviene in qualche cosa che
lo tira a sé, si arresta come invaghito, e riferisce per intero
il luogo. Poi tutto caldo della impressione ricevuta, esce
in esclamazioni ammirative, gittando qua e là un tesoro di
osservazioni delicatissime, che sono la parte nuova di tutto
il lavoro . . . Fr. De Sanctis, il Cimento, 15 Luglio 1855.
Leclerg Yict., Dante et Slger de Brabant, ou le>s Ecolea
de la me du Fouarre au XIU siede, Débats 11 et 20 Aout
1843. - Histoire littéraire de la France, XXI, 105 et suiv.
« Dante arrivait dans cette ville (di Parigi), l' immagi-
nation pleine de 1' éclat que venali de répandre sur les
chaires parisiennes un enfant de l'Italie, saint Thomas
d' Aquin, et que continuait un de ses plus fameux disciples,
Sigier de Brabant, physionomie originale retrouvée par l'éru-
dition moderne et qui exerga une attraction singulière sur
le genie bardi du Dante » - Rathery - Le sapienti ricerche
di Vittore Ledere, decano della facoltà delle lettere, provano
BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE, 667
che il nome di Sigieri, per arditezza d'insegnamento caduto
sospetto d'eresia, e che, come dice il poeta, leggendo nel vico
degli strami sillogizzò invidiosi veri non perì senza lasciare
orma di sé nella storia delle scienze. Inoltre ci fa sapere il me-
desimo Ledere che gl'insegnamenti e le opere di questi)
professore menavano grande rumore tra i sapienti di quel tem-
po; conciossiachè non è mai l'istoria degli uomini volgari, anzi
essa, quand' altro non fosse, si congiunge sempre ad un nome
di alcun rilievo. Ora il Ledere trovò la storia di Sigieri
in molti comentari manoscritti della div. Comedia. Anzi,
come cosa riferita da uno di tai antichi comentatori, cita
una singolare visione del filosofo. - Uno dei discepoli di
Sigieri, ch'era morto, in una notte gli apparve, narrandogli
le sofferenze ch'ei durava; il quale per accertarlo della
verità di sua apparizione, gli prese la mano e sopra vi
lasciò scorrere una goccia del sudor della sua fronte, la
quale, come cocente che era, dettegli cosiffatto dolore, da
risvegliarsene in un attimo ; onde abbandonati gli studi,
divenne un santo amico di Dio. » - Droiiilhet de Sigalas.-
Le Normant, Lecons sur Dante dans le cours d' histoire
moderne, Paris, 1839.
Magniek Edmond, Dante et le moyen-àge, ouvrage, cou-
ronné par r Accademie d' Arras, Boulogne-sur-Mer, impri-
merìe Aigre, 1859; Paris, Blèriot, 1860.
È uno studio paziente e sincero, premiato dall' Accad.
di Arras in \m concorso letterario. Il giovine autore, non
ravvisando in Dante che il gran pensatore e il gran poeta
ne racconta sobriamente la vita, e concentra tutti i suoi
sfarzi nel giudizio del pensatore appunto e del poeta. Egli
«fmmira le bellezze impareggiabili della divina Comedia, ma
osa rilevarne, e non senza acume le imperfezioni e le mende
inseparabili da ogni cosa umana comechò grande. Ei dà la
palma alla cantica del Paradiso, confessando però che lo
Inferno rimarrà sempre letterariamente più popolare. - L'Ab.
Robitaille ne portava questo giudizio nella seduta del 25
Agosto 1858 dell' Accad. di Arras Dante sous ce titre
il contient l'étude de toutes les connaissances humaines
dans la serie des siècles antèrieurs au XIII siede et de
leur influence sur les siècles suivanls. Orthodoxe par con-
668 BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE.
viiiclion, Dante n'est pas d'une exaclilude rigoureuse dans
son langage ; mais il n'a rien de coni un avec ies proteslants
si ce n'est Ics injures con ire le papauté. Sa philosophie
est un éclétisme chréticn forme des doctrines platoniciennes
représentées par S. Bonaventure et de celles d' Aristote
reproduites par S.Thomas d' Aquin. De qualorze idiómes
qui regnaient de son temps en Italie, il a compose la
langue la plus douce et la plus harmonieuse du monde
d'alors, en sorte que la linguistique luì doit plus qu'à
Pétrarque lui-méme. Gomme poète, on peut le piacer après
Homère, Yirgile et Milton. Il n'est pas un historien national,
il avait trop de préjugés et d'esprit de vengeange pour
écrire l'histoire avec impartialité, a plus forte raison ne
Irouvera-t-on pas dans ses ceuvres un essai d' histoire
universelle-dont l'idée n'a surgi que plus tard. Sa politique
a varie selon Ies temps, Ies circostances et ses intéréts
personnels, son influence a souvent été désastreuse a point
de vue moral et religieux, à cause de sa baine contre
plusieurs souverains pontifes, mais avec Ies grands hommes
du XIII siede, et en particulier avec saint Thomas et saint
Bonaventure, il a donne le signal des fortes études et doit
étre règardé comme le point de depart de la renaissance
qu'il fa ut par consequent reculer de deux siècles. Ajoutez
à tous ces titres celui de docteur de Sorbona et celui de
docteur en medicine et vous aurez l'idée de cet homme
véritablement étonnant . . . Une érudion vaste, souvent sùre
et qu' il est difficile de croire partout de seconde main, des
aperQus larges, des jugements solidement motivés, des
appreciations sages des hommes et des choses, une entière
indèpendance de caractère, une grande impartialité méme
vis-à vis de son hèros, des vues droites, des sentiments con-
stamment louables sous le rapport moral religieux et poli-
tique, exprimés avec beaucoup de verve et d'entrait : voilà ce
qui frappe le lécleur attenif. L'auteur donne des preuves
d'une haute capacité intelectuelle et d' une brillante imagina-
lion. Il fera, s'il le veut, un livre, remarquable, méme après
Ies nombreux trauvaux de ses illustres devanciers. Aussi
la Commission considérant la valeur intrìusèque du mémoi-
re, le vaste savoir de l'auteur, ses vues profondes et son
BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE. 669
coup-d'fleil sur, domande pour lui une mention honorahlc
et une médaille d'or. >>
M BRIAN Jou. Beun. ( di famiglia Basileense, nato nel 1723,
morto a Berlino nel 1807 parroco prot. e presid. concisi.) Origing
de la poesie iUillenne du \IY siede, Science du Dante.
Questa memoria letta all'Accademia di Berlino venne
inserita nelle iSouveaiix Mtmoires, Berlino, Dicker, 1786;
fu poi tradotta dal PoUdorì o pubblicata da Romualdo Zotti
nel voi. lY della sua ediz. della divina Comedia, Londra,
Zotti, 1806-07.
MoNGis J. A. Vie de Dante Alirjhieri, Paris, Barba et
Fourne, 1839.
OzANAM A. F., Les poètes franciscains en Italie au XIII
siede, avec un choise des petites fteurs de saint Francois
traduilcs de V Italien, suivies de recherches nouvelles sur les
sources poètiques de la divine Comédie, Paris, Ragon, 1859,
trois. edit. (Tradotta in tedesco dal D.'^Jw/m^, Mùnster, 1855.)
Dante et la pliilosophie catholique au trcizieme siede.
Paris, Perisse frère, 181^9 - Id., Nouvdle editìon, corrigée
et augmentée, suivie de recherches nouvelles sur les sources
poètiques de la divine Comédie, Paris, LecolTre et Cie, 1845.
(Resa italiana dal Molinelli, Milano, Tip. Classici, 1841; e
dallo Scandifili, Pistoia, Gino, 1844 ; voltala in tedesco,
Munster Deifors, 1844).
« Ozanam amava l'Italia ov'era nato. Egli la visitò
parecchie volte: Il suo disegno era di seguire il progresso
dell'incivilimento delle lettere in Italia dal Y secolo per
iniino al XIII. Nelle note del suo corso che si riferiscono
a questo vasto subbietto, egli comincia dall'arrivo dei Goti
in Italia: le opere di Boezio, gli scritti di S. Gregorio vi
sono analizzati, la vita di questo gran papa ci è narrala.
Dopo i racconti storici sui comuni italiani, sarebbero venuti
gli scritti che furon pubblicati, le poesie dei Francescani,
e l'opera su Dante, perchè la maestosa figura di Dante
dovea apparire al sommo dell'edilìzio, come quelle ligure
di santi e di profeti che formano alla chiesa di S. Giovanni
in Laterano una corona si magnifica e spiccano sì nobil-
mente nel cielo di Roma. )) - Ampère. - « Il S."" Ozanam ha
consideralo Dante da una parie speciale; egli altro non
670 BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE.
vide in lui che il filosofo, il discepolo di S. Tomaso; egli
ha ricoslrutlo, con grande sussidio di erudizione e di lesti,
quel ch'ei si pensava essere il sistema dell' AUighieri. Già
un chiaro professore il Sig. Bach, rapito ancor giovine alla
scienza, aveva, in un opuscolo poco divulgato, prelibato
questo punto curioso, e notato i riscontri più evidenti fra
la Somma e la Divina Comedia, onde il Sig. Ozanam altro
non fece che svolgere con maggior ampiezza e solennità
l'argomento. Ognun vede ciò che d'arbitrario esser vi dee
in un metodo che scempia cos'i pensatamente un'^uomo, e
vuole di tutta forza trovare unicamente un filosofo sotto
un poeta. Spesso gli asserti di Dante sono ondeggianti,
poetici, e il signor Ozanam, riempiendo i vacui, li riduce
a forni ole di rigore, tanto che se l'antico AUighieri po-
tesse ancora ritornar dall' inferno, come le femminette di
Ravennaidicevano, egli assai difficilmente forse riconosce-
rebbe sé stesso nell'opera del Sig. Ozanam, o per lo meno
ci troverebbe il suo saper filosofico in singoiar modo am-
pliato e raffermato. » - Labilte. - «A buon diritto l' Ozanam
personificò la filosofia del Medio Evo in Dante, siccome que-
sti avea personiTicato in Virgilio la filosofia antica. Più
dotto e più sincero interprete potevasi difficilmente trovare ;
nel pieno convincimento del suo soggetto egli comprende
col medesimo amore il poeta ed il filosofo. 11 suo stile
grave ed animato risponde alla sublimità dei concetti che
esprime. » - P. Molinelli. - « L' Ozanam, soavissimo e la-
grimato nome, assolto delle involontarie parzialità dalla
convinzione sincera Pericoloso abbaglio fu il suo il
credere e predicare educativa quella vaniloquenza degli
scolastici che sotto il presuntuoso apparato della disputa
celò invece troppo a lungo alle menti la loro stessa vacuità,
e ritardò di tre secoli l'espansione della scienza vera e
viva Non s'avvide l' Ozanam che traviare il pensiero
umano in un labirinto di parole era peggio che lasciarlo a sé
stesso, peggio che attaccarlo di fronte ; perché era togliergli
anche lo stimolo che sorge dagli ostacoli, e svellerne anche
la consapevolezza del saper nulla, e uccidere nella curiosità
il germe d'ogni sapienza.» - Crepuscolo, 1835, p. 379 e
424.- «Nessuno, prima dell' Ozanam, avea pensato ridurre
BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE. 671
a sistema la dantesca filosofia e presentarlo siccome un
quadro agli studiosi. A questo egli si accinse, raccogliendo
con intelligenza e amore i pensieri tutti del gran Firentino
sparsi qua e là pe' suoi scritti si latini che volgari, ne
compose un sol tutto, e chiaramente ordinolli a guisa di
una completa trattazione. La fisica, l'ontologia," la politica,
la morale e l'ortodossia vi sono sì ben disposte e col legate
fra loro, si ben desunte dalle dottrine allora vigenti, che
nella filosofia di Dante vediamo lutto rappresentato lo sci-
bile di quel secolo, il più fecondo e il più glorioso per la
scolastica filosofia — Con viste più elevate e più nuovo
dell' Ozanani, nell'Introduzione della filosofia italiana ai
tempi di Dante, un Italiano la contemplò da un punto più
nobile, più elevato, con viste esclusivamente italiane
Cercò la filosofia piuttosto negli scritti che nei fatti, piut-
tosto negl'individui che nella massa, epperò benché abbia
sentito quanto luomo su cui meditava fosse maggiore del
secolo in cui respirò, benché abbia segnalati alcuni suoi
nuovi pensieri, in complesso però cel dipinse quel talento
enciclopedico più che mente investigatrice, più da' suoi
tempi mosso che motore, più compendiatore dei fatti, che
rivelatore del da farsi. » - Pezzarosa, Instiluto Lombardo,
1841. Voi. 1. - «M. Ozanam a osé glorifier en lui un des
plus hardis précurseurs des sociétés nouvelles. M. Ozanam a
raison; supérieur à tous les personnages de son temps, l'au-
teur du Convito et du De Monarchia s'élève aussi au-dessus
de son propre syslème... De tous les interpròtes de Dante,
M. Ozanam et le roi régnant de Saxe sont cerlainement
c^uxqui ont répandu la plus vive lumière sur le personnage
de Beatrice. On sait qu'en étudiant AUighieri avec une
piélé si tendre, M. Ozanam n'a pas prétendu mesurer toul
cntière V inspiration du poète. Qui ne reculerait devant
une pareille tàclie? Théologien, philosophe, moraliste, hi-
storien, politique, et avec toul cela artiste incomparable,
Dante est pour un esprit qui pense un sujet de médila-
tions saus fin; chacua peut choisir dans son poème un
cercle lumineux: ou sombre qui contieni des trésors. M.
Ozanam avaìt choisi le théologien philosophe... Toutes les
tìgurcs si neltement dessioées par Dante s'elTacent dans le
672 BIBLIOGRAFIA DAMESCA FRANCESE.
commenlaire de M. Ozanam pour ne laisser briller quc la
pensée pure. Une seule a trouvé gràce devant le procède
de r interprete, e' est Beatrice. Avec quel bonheur il se
dedommage lei des inconvéniens de sa méthode!... Évilaut
ici les abslractions dont il ne s'est pas loujours suflìsam-
ment abstenu, il raaintient à la fois le caractère humain
et le caractère mystique du personnage, et nous fait assi-
ster à cetle transtìgurallon de l'amour » Saint-René
TaiUandier. (V. Clemens Jac. nel Giornale Cattol. del prof.
Dieringer, Colonia, 1844. Voi. I.)
PuYMAiGiiE DE TiiÉODORE, Diiìite AlUghìeri, Esquisse bio-
graphique et critiqiie, Meiz, Gerson-Levy, 1845.
QuiNET Edgard, Lecons sur Dante faites à la Sorbonne
de Paris.
« Ninno più ingegnosamente del Qui net seppe far sca-
turire dalla vita stessa del poeta la genesi del poema.
Pensivo fin dall' infanzia, Dante nasce a Firenze, nella patria
predestinata della poesia civile, in mezzo ai primi raggi
della bellezza rediviva nell'arte. Un amore precoce imper-
sona le sue fantasie ; sventurato, le raggentilisce nel dolore ;
più salda tempra avranno dalie battaglie della vita. Soldato
a Campaldino, ospite della scienza a Parigi, dove la Scuola
siloyizza gV invidiosi veri dell' epoca, oratore all'alma Roma,
quando tutta la Cristianità versa nel suo grembo le devote
fratellanze del giubileo, educato all' autorità nei magistrali
della repubblica, proditoriamente esiliato e spoglialo e con-
dannato e infamato assente, tutto ei provò. Come l'amore
gli avea aperto il paradiso, l' odio gli spalanca l' inferno.
Fallile riscosse e speranze, l' amaro esigilo gì' insegna a
farsi parte da sé stesso, e patria il mondo; ma il cuore è
a Firenze. Ramingando per ogni contrada d' Italia, raccoglie
da ogni contrada le sparse membra dell' idioma, gì' incon-
diti accenti del perpetuo dolore e della speranza immortale
che in lui troveranno colla coscienza, la vita. Ecco l'uomo. -
Qual era al venir suo la tradizione dell'amore, delle cre-
denze, della poesia, delle speculazioni filosofiche? Quale
r ha egli lasciata, e dalla potenza del genio quali impulsi
ci vennero come onda da onda fino all' ultimo lido, o quali
prescienze balenarono a lui del lontano avvenire?... La
BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE. 673
Beatrice che sen va pei fioriti sentieri della Vita nuova,
Benùjnamente iV umiltà vestuta e dà per gli occhi una dol-
cezza al core Che intender non la può chi non la prova,
ebbe patria terrena e italiana ; e nessun amore fu più vero
e più grande di quello che della donna perduta si propose
non dire più . . . finche non possa più degnamente trattare
'di lei . . . e dire di lei quello che mai non fu detto d'alcuna.
Laonde nella Vita Nuova non solo si chiude l'idea madre
della divina Comediu ; ma tutto il romanzo inlimo e la poesia
analitica dei moderni è, come ha detto il Sigalas, in quel
libriccino del cuore. Ofelia e Cordelia e Giulietta, la bella
incognita di Milton, e la Carlotta di Goethe, e la Maria dei
primi versi di Byron, e l'Amelia di Chateaubriand, l'Elvira
di Lamartine, sono sorelle minori della divina Beatrice.
Senonchè la logica irresistibile di una età addottrinata
e meccanica trascinò Goethe e Byron, Fausto e Manfredi,
sull'orlo della negazione assoluta, e respinse gli altri in
quel vago che non è per la poesia più fecondo: laddove
Dante si tenne ancorato alle robuste credenze dei tempi . . .
Primo ad aflerrare la personalità umana fu Dante; e tre
secoli prima di Shakespeare, l' individualismo che si predica
elemento nuovo conferito all'arte dalla comedia umana
dell'inglese, regnava nella divina Comedia del nostro:
nessuna creazione di poeta ha maggior copia e verità, e
varietà di caratteri, di persone operanti e viventi. La leg-
genda volgare, ringagliardita tuttavia di una terribilità e
maestà tutta sua, non fu altro per Dante che intelajatura
a fermarvi l' immensa tela delle passioni umane. E anzi
tutto, come vide il Quinet, la novità della situazione e per
essa quella dello stile, provennero da questo, che per la
prima volta la personalità stessa del poeta pervase intera
l'opera sua, e osò crearsene unico perno. E sì presente e
sì desta è dessa in ogni luogo, che ogni parvenza diventa
realtà. Dante ha propriamente veduto in idea quel che
racconta, e talvolta impaurisce delle proprie creazioni sì
che a ricordarle la mente di sudore ancor si bagna; e n'è
compreso al punto, da trattar V ombre come cosa salda. Alla
viva fiamma della sua fantasia si rifondono in una lega
e in una forma e le reminiscenze pagane e le nuove cre-
Voi .11. i3
674 BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE.
(lenze; e non sono spaganizzale soltanto le imagìnì, ma
v' è trasfuso il sentimento del medio evo. L' Acheronte
sotterraneo, il Caronte demonio, il Cerbero gran termo son
metamorfosi che non rilevano, a petto di quella nuova e
sublime maniera di tormento, posta là dove il Poeta più.
crede accostarsi a Virgilio . . . E sol dì tanto offesi Che senza
speme vivemo in desio. V Inferno, dettato fra le recenti
ambascio dell'esilio, è l'eco della guerra civile; l'affrali-
mento di un'anima che dimanda pace si riflette nei melan-
conici orizzonti del Purgatorio; il distacco dalla terra e
dalle sue speranze esalta il poeta a inviarsi fra le sfere e
l'impalpabile etere del Paradiso. Né gli esseri ch'egli evoca
sulla sua via sono meno viventi di lui; ciascuno è assai più
cittadino della terra che delle regioni eterne; la patria
evince l' eternità. Non è però il gretto materialismo della
istoria quello in cui Dante si compiaccia; anche dove la
prossimità del vero sembra doverlo indugiare colla copia
dei particolari, ei fugge il macchinoso, e cerca il lato intimo,
affettivo, umano; e, anche questo, rende con rapida e in-
cisiva potenza. » - Massarani, Crepuscolo, 18od, p. 443.
Rathery e. J. B., Influence de l Italie sur les lettres
Francalses, depuis le Xlll.^ siede jusqu' au règne de Louis
XIV, Mémoire auquel V Accademie Francaise a decerne une
récompense dans sa séance du 19 Aout 1832, Paris, Didot,
1833. (Danfe, p. 20-29.)
L'Allighieri conosceva bene secondo il Rathery, l'idioma
francese, qu'il parlait, qu'il écrivait, et don il a su dès lor
démèler avec justesse les qualités les plus saillantes: egli si
conduce a compiere i suoi studj a Parigi, che di quei giorni
era tenuta comme la ville souveraine des sept arts, ou des
études littéraires et philosophiques : quivi ei cerca la Yole
du Paradis del Rutebeuf,; la Voie ou le Songe d' Enfer di
Raoul deHoudan e si lega in amicizia con Giovanni de Meung.
Il Rathery vuole che quivi abbia appreso « celte dialectique
vigoureuse, cetle théologie subtile qui remplissent tant de
pages de son poéme; ces idées ardues et obscures que son
talent saivait rendre et mettre en relief; cette exposition
abstraite des facultés de l'esprit et des mystères de la
raison, qu' il savait revétir de couleurs si éclatantes et
BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRAKCESB. 675
(i'images si pitloresques ; celle variélé de connaissancesqui
fall de sa Divine Comédie la véritable encyclopédie de l'e-
poque, on peut croire que Dante en avait puìsé le germe
dans nos écoles, et maini passage vieni à l'appai d'une
supposilion si honorable pour notre enseignement nalional. »
Egli aggiugne che sempre, perfino nel Paradiso, il nostro
poeta serbava un memore affetto per le scuole Parigine.
Il Ralhery trova poi un curioso ravvicinamento tra la Di-
vina Comedia, e le Roman de la Rose, e più che altro tra
l Inferno e le Tesiament de Jean de Meiing.
SiSMONDi SiSMONDO, Analìjse de la divine Comédie - In-
fìuence du Dante sur son siécle [De la littér. du Midi de
i Europe, Paris, Treuttel Wurlz, 1813. I. 345-392)
Taillaisdier SAl^T-REìSÉ, La littérature dantesque en Eu-
rope. ( Revue des deux Mondes, 1 Dee. 1856, p. 473-520. -
Recato in Hai. nella Gaz. di Verona, n. 145, 146, 153, 154,
155, 159, 167, 169 dell'anno 1857.)
Importantissimo articolo, e di cui ne feci tesoro più e
più volte in questo mio lavoro.
ViLLEMAiN, Elude sur Dante [Cours de littérature au
moy^n-àge, Paris, Pichou-Didici\ 1830, Voi. I. 330- 406).
«Chi primo forse annunziò in Dante nella Francia l'in-
stauratore di un'idioma, il creatore della moderna poesia, e
nella divina Comedia l'enciclopedia di un secolo e di una
nazione, dove all'éntusiamo e alla fede de' tempi primitivi
si combina una reminiscenza di quell'età dotta e analitica,
che fu l'antichità greco-romana, e quasi un presentimento
dell' umanità moderna, non fu altrimenti un fautore entu-
siasta dei tempi di mezzo, ma un critico acutissimo e mo-
dernissimo il Villemain. Per lui, e per tutta la generazione
che s' infervorò delle cose nostre, il culto di Dante fa parte
di una restaurazione largamente concetta, che alla gelosa
personalità critica del secolo preceduto sostituì universali
e intelligenti simpatie per lutto quanto ha prodotto di
grande 1' umano pensiero. » - Mussarani - « M. Villemain
expliquant à grands traits l'imagination du Florentin, M.
Ampère chercant dans les lieux qu'il habita Ics inspirations
de ce peinlrc si expressif et si sincère, n'ont élé égalcs par
aucuo des critiques de l'Europe. » - Saint-René Tailhndier.-
676 BIBLIOGRAFIA DANTESCA FRANCESE.
WiTTE Bruce M. a., Dante Allighieri, créaicur de l'idiome
poètique ilalicn - Balsons de croire qu' il connaissait le Grec. -
Mots de son poème expliqués par le Bréton et VArmoricuin. -
Nul poète ancien ou moderne n' a mieux tire parti de l'as-
sociation des idées ; ses vers appelés imitatifs. - On ne sauraìt
juger la Divine Comédie en se bornant aux épisodes. - Beautés
et défauts qui la distinr/uent. - Fausseté de l'opinion generale
que ce poème na ni action ni ìieros. (Hisloire des langues
Romanes et de leur littérature, Paris, TreiiUel, e Wurtz,
1841, III, 228-280.)
Poésies lyriques de Dante. {Examen et traduction
anglaise de pliisieurs Canzoni e sonnets de Dante; nature
des sentìmenls qu' il aiment. On ne peut le regarder comme
un poéte érotique ; accord de ses odes sur Beatrice avec
son Paradis. Plusieurs sonnets lui sont faussement attribués.
Id. p. 281-337.
Zeloni Vita JSuovtty ou vie de ses jeunes annees.,
écrite par lui-mème, Version francaise, précédée d'une Notice
historique sur la vie extraite des auteurs de temps le plus
accredites, par le méme, Londres, Rome, Paris, 1844.
BlBllOGHiFlA DANTESCA AIEMAIA
Abeken Bernhard Rudolph, Bcitrlige fiìr der Studium
fìer Góttlichen Kombdie Dante Aliqhìerì's, Berlin und Stettii),
Isìcolal, 1826. (Saggi per servire allo studio della Divina
Comedia. )
«L'opera si divide in tre parti: la prima col titolo:
Secolo di Dante, dà un epilogo storico dei fatti politici, i
quali ebbero efficacia sulla vita del poeta, un'esame dello
stato della Chiesa, delle scienze e delle arti nel XIII secolo,
e una vita di Dante. La seconda intitolata: Trattati sopra
vari punti concernenti la Divina Comedia è un comentario
del poema, e specialmente dell' Inferno: la terza discorre
del teatro della Divina Comedia e della sua applicazione.
L'autore prometteva una continuazione del suo lavoro, ma
non si è veduto più nulla. » - Batines. - Y. l'analisi critica
di F. W. Val Schmidt negli Annali di Letteratura viennesi.
(JahrbUcher der Literatur, V. XXXIX.)
Arndt LoDOVicus RoDERicus, De Dante Alighieri scriptore
ghibellino. Dissertano ecc. una cum adjectis thcsibus con-
troversis, opponentibus: R. Caspary, 0. Mitzsch, T. Schulz,
Bonnae, litteris Kruger, 1846.
Baur J. K. Dante' s goltliche ComÒdic in ihrer Anord-
nung nach liaum und Zeit mit einer iibersiclillichen Darslel-
lung des Inhalts. Vortràge, gehalten von J. K. liahr. JSebst
lif.hographirten IHànen der drei Reiche und 13 ustronomi-
schen Zeichnungen in JJolzschnitt, Dresden, Kunlze, 1852.
( La Divina Comedia di Dante secondo il suo ordinamento
quanto a spazio e tempo, con breve dichiarazione del con-
tenuto della medesima, con tre piante litografiche dei 3
regni, e 13 disegni astronomici intagliati in legno.)
Bellerman Christian, (Parroco protestante a Berlino:
visse molti anfii in Napoli e Lisbona, (jual Cappellano delle
legazioni prussiane.] leber den Yellro in Danlc's goltlicher
678 BIBLIOGRAFIA DAMESCA ALEMANNA.
Komodie. (Nella sua opera: EnnneruìUjen aus Siideuropa;
Gescliichtlìche, topographische iind liierarische Mittheilungen
aus llalien, dem sudliclien Frankreich, Spanien und Porlugal.
p. 71-114. - Rimembranze dell' Europa, Spagna e Portogallo,
Berlino, Reimer, 1831.)
L'autore propugna l'opinione che non riconosce nel
Yeltro una persona slorica dell' epoca dantesca, ma sibbene
un futuro imperatore che avrebbe salvata l'Italia: l'eroe
ideale vagheggiato dal Ghibellinismo e già credulo perso-
nificato in Arrigo VII.
Blang L. G. Dante AUìghieri [nach seinem Leben und
litterarischen Wirchen geschildert. - Articolo inserito nella
Encicopledia universale di scienze lettere arti dì Ersch
e Gruber, Sez. I. Voi. XXIII. p. 34-79) Leipzig, Brockhaus,
1833.
— - (De Inferni, CI, et II.) Die beiden ersten Gesànge
der góttlichen Komodie, mit Riicksicht auf alle friiheren
Erkldrungsversuche, erldulertj Halle, Schwetschke u Sohn,
1832.
Ueber die bisherigen Leislungen filr Textkritik,
Intcrpretation und Uebersetzimg der Divina Comedia, Halle,
1830.
Versuch einer blos philologischen erklarung meh-
rerer dunklen und streitigen stellen der góttlichen Komodie. -
J die Eolie Ileft, Halle, Anton, 1860 - Gesang I. xvii.
Serie di osservazioni illustrative e critiche sull'Inferno.
Versuch einer blos philologischen erklarung mehrerer
dunklen und streiiigen stellen der Góttlichen Komodie, I Die
Holle, 1861. [Saggio di una interpretazione filologica di pa-
recchi passi oscuri e controversi della Divina Comedia.)
Halle, 1861.
Il titolo che piacque all'Autore di dare alla sua opera
non potrebbe essere più modesto. E a dire il vero più che
di un saggio di spiegazione su parecchi passi oscuri g
controversi . . . trattasi nel fatto di una interpretazione alla
slessa su presso che tutti i luoghi, de' quali non è bene
certa la lettera o il senso. Dalla proprietà di una particella,
dalla forma di una parola andata in disuso, a volte dalla
semplice punteggiatura, in somma dagli accidenti più mi-
BIBLIOGRAFIA DAMESCA ALEMA^^A. 679
nimi, si arriva colla sua scoria a togliere molti errori di
interpretazione oramai universali e ad ammirare più da
presso la verità del pensiero dantesco. Coleste osservazioni
mi paion simili alle lenti della lanterna magica; sono pic-
cole e in vista di nessun conto; però chi vi fermi ben
rocchio sopra stupisce delle molte e grandi cose che per
esse gli vengon vedute Né è da credersi che 1' opera
del Blanc sia tutta secca grammatica ... Le questioni da lui
mosse ci portano a conoscere più da vicino le opinioni del
poeta, gl'intendimenti di lui nella particolare divisione del
suo Inferno, nella scelta de' personaggi, nella varietà dei
discorsi, nella economia del luti' insieme, e ci lasciano quasi
sempre, il che rileva al più, la persuasione di aver dato
nel segno. La eccellenza dell'arte del sommo maestro per
tante speciali osservazioni ci è messa d' innanzi agli occhi
nel suo maggior lume; l'Inferno dantesco, tullochè opera
arditissima di sublime fantasia possiamo girare e rigirare
come luogo noto, che della struttura delle bolge, dei ponti
che grado grado le cavalcano, del diverso svoltarsi delle
rocce stagliate, di ogni più minimo accidente ci è data
ragione. E non v'ha certo chi dubiti come spiegati segno
per segno tutti cotesti particolari, la finzione poetica non
vesta qualità di cosa reale; e tanto lo studioso si adden-
tri nelle finezze dell'arte, quanto di tal modo si appressa
alla mente del sommo artista. Sopracciò, mano mano che
occorrano controversie sulla storia contemporanea del poeta,
0 sopra le persone del suo poema, sull'astronomia cono-
sciuta a quei tempi, sulla postura e condizione dei paesi
ricordati, l'egregio comenlatore non soltanto allega nella
sua interpretazione le notizie più accertate, ma l'esamina
e le svolge alla breve con profondo giudizio . . . Parimente
è a dirsi delle annotazioni di diverso argomento; son sempre
fatte da maestro, che vi si ammira sempre svariata dottrina,
e conoscenza profondissima del divino poema. - Occioni. -
11 prof. Blanc ci fa sperare tra breve anche il suo comenlo
sul Purgatorio.
Il lavoro del Blanc venne tradotto dal valentissimo
prof. Onorato Occioni, Direttore del Ginnasio-Liceale Italiano
della città di Trieste. {Nitidissima edizione del Coen, Trieste,
C80 BIBLIOGRAFIA DAMESCA ALEMA»'A.
1865.) - Ei ci bastava il nome dell' Occioni, nome caro allo
lettere italiane, per raccomandarci ancora più questo
libro. La Prefazione ci parve calda d'affetto, e condotta
con molto lume di critica; la versione con tanta purezza
ed eleganza di lingua da invogliarli a non ismetterne la
lettura se non l'abbi compiuta. Preziose poi sono le postille
appiè di pagina, quando per correggere le citazioni errate
nell'originale, quando per riempiere qualche lacuna, e a
dire ciò cb'egli dall'Autore dissente. Ne meno interessanti ci
parvero alcune aggiunte ed osservazioni che stanno alla fine
del libro. L'ammirazione per gli uomini che più sanno, egre-
giamente scrive rOccioni, come ne fa riguardosi nelFesporre il
parer nostro e ne insegna a meditare, cosi ne tornerebbe del
maggior danno ove ne togliesse la libertà del pensiero, e
la franchezza del significarlo. Possa, cosi conchiude, o lettore,
tornarti c/rad ita la mia fatica; la quale io continuerò vo-
lentieri, tosto che il Boti. Blanc faccia pubblico il seguito del
suo lavoro. Possa almeno apparirti non indegno tributo di
omaggio alla memoria del gran poeta, e tanto più ora che
con nobilissima emulazione, di cui dal suo secolo al nostro
non s'ebbe esempio, si fa a gara di festeggiare il sesto an-
niversario della sua nascita; accennando a segni non dubbi
di ammirazione e di amore il restauramento di quella ma-
schia letteratura di che egli, comprendendo e rivelando il
suo secolo, fu primo e sommo maestro. ( Venezia, nel Seti.
1864.)
Blanc L. (j. Vocabolario Dantesco ou Dictionnaire crìti-
que et raisonné de la Divine Comòdie de Dante Alighieri,
Leipsic, Barth, 1852 (recato in Italiano da G. Carbone, Fi-
renze, Barbera, 1859).
Il Vocab. dantesco dell'illustre Blanc fu salutato con am-
mirazione in Europa come uno de' lavori più accurati, con-
scienziosi e profittevoli che fossero mai posti insieme sulla
Divina Comedia.
Il valente filologo Fanfani fu il primo a dar contezza
airilalia di questo lavoro dell'illustre Alemanno n^\ Moni-
tore Toscano, n. 68, 23 Marzo 1853. « Non si può dire, così
egli, di quanta utilità sia per riuscire il lavoro del Signor
Blanc agli studiosi della Divina Comedia: esso può chia-
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA. 681
marsi un comento universale, il più utile che proporre si
possa, tanta è la perizia che l'autore mostra delle cose
dantesche e delle più celate proprietà e bellezze della lingua
italiana ; può chiamarsi anche il più certo, posciacchè dai
migliori interpreti ha egli colto veramente il fiore, e colto
con raro senno e discrezione. Lascio di toccare quanto torni
acconcia allo studioso la forma di un vocabolario, e quel
trovare li ad un'occhiata ogni voce del poema con la sua
dichiarazione e con l' accennamento del canto e del verso:
quel trovare lì a covo, come dice il nostro popolo, tutte
le notizie di qualsivoglia persona o luogo ricordate da
Dante: quel poter riscontrare le varie opinioni de'comen-
tatori sui luoghi più oscuri ed altri simili utilità. » - Il
Vocabolario dantesco, specie di repertorio generale di tutta
l'erudizione storica, teologica, grammaticale, necessaria a
possedersi per la migliore interpretazione del poema. Non
è un comento propriamente detto, nò un lavoro dì critica
illustrativa, ma piuttosto un libro elementare di filologia
dantesca, in cui l'autore si propone di additare il signifi-
cato di ogni parola, adoperata nel poema, non eccettuate
neppure le più note e comuni, neppure le semplici particelle
del discorso. Il pensiero, com'egli slesso afferma modesta-
mente, non è nuovo, e già il Volpi avea dato fin dal prin-
cipio del secolo scorso quei suoi Indici ricchissimi... Nella
interpretazione dei passi più ardui egli si tenne pago di
produrre le opinioni più note e pregiate, ponendole a ri-
scontro tra loro, ma senza tirarne una conchiusione sua
propria. E per le parole rimaste inesplicabili non fece se
non additare il luogo del poema in cui si leggono. La mate-
ria cosi vi è compita e benissimo ordinala, talché chi voglia
cercarvi il significato di una voce, e il modo proprio in cui
Dante l'ha adoperala, e il numero de' passi in cui s'incontra,
e le diverse modificazioni che può aver subito nel poema
potrà con facilità somma averne contezza. Ed è anche bello
a scorrersi questo Vocabolario per iscorgervi raccolta tutta
quella ricchezza originale di lingua, che da Dante prese
forma e stabilità, e a cui ricorresi ancora oggidì come a
modello ed a fonte inesauribile dagli scrittori. Lavoro im-
menso e paziente di compilazione, pel quale il Sig. Blanc
68*2 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA.
andrà lungamente benemerito degli sludi danteschi, y, —
Crepuscolo, 1863, n. 34. - « Questo pregialo lavoro, frullo
di tanti anni di assidue cure, esercitale dall'autore nello
studio e nella pubblica esposizione della divina Comedia, ò
un benefizio non lieve recato agii studiosi ed all'interpre-
tazione del grande poema, onde ravvicinare e coordinare
i passi più disgiunti ed agevolarne l'investigazione, né si
saprebbe se sia più da lodarsi nel benemerito autore il
pregio della diligenza, e in generale della precisione, o la
inlelligenza del soggetto. » - Mìnicìi. -
L'ab. Giuseppe Polanzani, circa l'anno 1819, die pure
mano ad un Indice di tutte le voci della Divina Comedia,
nel quale registrasi con esattezza perfino quante volte ed
in quali luoghi quella stessa voce sia dall'Allìgiiieri usala.
Questo lavoro fu compiuto nel 1822 dall'ammirabile di-
ligenza del Polanzani, che allora avea intenzione di pub-
blicarlo nel formato stesso e cogli stessi caratteri della
edizione Patavina, quale appendice di essa (Prefaz. al Voi.
IV dell' Ediz. della Minerva). Come poi Vindice dantesco
del Polanzani sìa rimasto inutile fatica tra le sue carte
mal saprebbesi spiegare, se non forse trattenuto da quel
soverchio desiderio di perfezione, che dell'opera propria
mai si tiene contento ; rattepidito poscia dalla difficile im-
presa di procurarne un' edizione, e finalmente impedito
dalla svogliata inerzia, eh' è propria dell'età cadente. Così
al Polanzani rimase il merito dell' avere idealo primo il
lavoro; merito già al solito disconosciuto dagli stranieri, i
quali delle cose nostre si valgono francamente, senza né
anche, per gratitudine, ricordare il nome nostro Ora
questa fatica enorme di lui rimane capace ancora di frutto;
perocché il Blanc fa memoria di ogni verbo, registrandone
r infinito, il Polanzani ha notato invece separatamente una
per una anche le declinazioni del verbo non solo, ma
aggiunse talvolta, alla occorrenza, una breve dichiarazione,
0 filosofica, 0 storica, o geografica, o di lingua, secondo la
qualità del vocabolo riferito. Non so quindi perdonare al-
l' ottimo Polanzani, conchiude l' egregio D.*" Fapanni, una
soverchia modestia o noncuranza, per la quale tanta sua
fatica rimase sino a qui inoperosa. - Della vita e degli Studi
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA. C83
del Sacerdote Polanzoni, Trìvùjiuno, Treviso, 1861, Andreola-
Medesin. - Yeggasi il diffuso elogio nell'Appendice della
Gazzetta di Venezia, 29 Novembre 1856, n. 273. - Il Polan-
zoni nacque a Treviso il 27 Aprile 1786; vi morì il 4 Ago-
sto 1859. L'Autografo è posseduto dal Sig.'" Fapanni.
BouTERWECK Fr., Geschìte der poesie, (Studio letterario
sopra Dante e il suo poema.) Gottingen, Koner, 1801-19,
I. p. 61-141.
Fernow C. L. Ueher die Mundarten der ital. Sprache.
( Sui dialetti della lingua italiana : nel libro Romische Studien,
Zurigo, 1808, Yol. III. p. 211.)
11 FernoAV prende pure ad illustrare in questo libro
r opera di Dante de Vulqari Eloquio. Anche il Fuchs ne
trattò nella sua opera: Ueber die soffenannten unregelmàS'
sigen Zeitworter in d. roman. Sprachen, nebst Àndeutunqen
iiher die wichtigsten roman. Mundarten. - Sui verbi cosi
detti irregolari nelle lingue romanze, con osservazioni sui
dialetti romanzi più importanti. Berlino, 1840; e da ultimo
il Diane: Von den Jtalien. Mundarten. (nella Grammatica
italiana, Halle, 1844, pag. 622-677.)
Fischer AntOxN, Die Theologie der divina Comedia, Miin-
chen, 1857. (Della Teologia della divina Comedia. In un
Programma Scolastico.)
Floto IIartwig, Dante Alighieri, sein Lehen und seine
Werhe. (Dante Allighieri, la sua vita e le sue opere.) Slutl-
garda, Belffcr, 1838.
Lezioni pronunziate nell'inverno 1836-57 nell'Aula del-
l'Università di Basilea.
Forster D.''F. Der Staatsgedanke des Miltelalters. (L'idea
politica del medio evo.) Greifswalde, 1861.
Lezione suH' idea dominante politica del medio evo,
derivante principalmente dalle dottrine di Aristotile, ed in
particolare sul sistema politico di Dante esposto nel libro
della Monarchia.
FòiiSTER Karl, Das ncue Lehen von Dante Alighieri; Aus
dem Italienischen iibersetzt und erldutert, Leipzig, Brock-
haus, 1841.
Goschel C. F. Aus Dante' s Comodie. Von den gòttlichen
Dingen in menschlicher Sprache zu eineni fróhlichen Ausgange,
684 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA.
ISaumburg, gedr bei KlalTenbach, 1834. (Della Comedia di
Dante. Sulle cose divine in lingua umana, ecc.); Zeilz,
Webel, 1834.
Dante Alighieri s Unterweisung iiher Weltschopfung
und Weltordìiung diesseits und jenseits. (Ammaestramento
di Dante A. sulla creazione e suU' ordinamento del mondo
terrestre e celeste). Berlino, Enslin, 1842.
L'Autore intende di dimostrare come la poesìa s' innalza
alla filosofia, e come la filosofia s'incorpora nella poesia;
come il mondo sensibile stia in connessione col mondo in-
telligibile, la natura collo spirito, la religione, non ancora
dalla natura svincolata, colla rivelazione dello spirito.
DantelAUghieri 's Osterfeìer ini Zwillingsgeslirn des
himmlischen Paradieses (Gesang xxiv-xxvi). Bine Ostergabe,
Halle, Miihlmann, 1849. (La celebrazione di Pasqua di Dan-
te Allighieri nella costellazione dei Gemelli, Strenna di
Pasqua.)
Zur Erinnerung an den Ahend des 8 Febr. 1845.
ilìine Vorlesung iiber Dante s Paradies von C.F. Goschel)
Berlin, gedr. bei Starcke. ( A ricordo della sera 8 Feb. 18413.
Esortazione sul Paradiso di Dante.
• Mittlieilungen aus der góttlichen Comodie. Ein Yor-
trag auf VeranstaUung des evangelischen Yereins fiir kir-
chliche Zwecke am 25 Januar 1853 gehalten von C. F. Goschel,
Berlin, Schultze, 1853. (Discorsi sulla divina Comedia.)
Lezione detta in una radunanza evangelica.
Vortràge und Studien iiber Dante, Berlin, 1863.
Delle lezioni del Goèschel tenute a Berlino sulla Divina
Comedia, vedi pag. 430.
Gbieben Hermands, De variis quibus Dantis Aligera Di-
vina Comoedia explicatur rationibus, Dissertatio cantra
adversarios Aug. Rudolph, Guil. Koch, Lud. Sonnenburg,
Vratislavìae, Freund, 1845.
Dante Allighieri ein Vertrag, ecc., Stettin, Nahmer,
1858.
Grohmann Gottfried Johann, Dante Alighieri, ein Italià-
nischer Dichter. (Dante Allighieri, poeta Italiano. Continelur
ejusdem opere: JSeues hislorisch-biographisches Jlandwor-
terbuch. LIL) Leipzig, Baumgàrtner, 1796.
BIBLIOGRAFIA DAMESCA ALEMA^■^■A. 685
Hape C, Dante, Album 1 Heft Mitlheillnngen aus der
Divina Comedia, Jena, 1863.
Hegel Carl. ( prof, di storia nell' università di Erlangen,
in Baviera) Dante iiber Staat und Kirche. (Opinioni di Dante
sull'impero e sulla Chiesa.) Rostock, 1842. - Programma
accademico.
JusTi K., Dante und die gottìiche Comodie. (Dante e la
divina Comedia:) StuUgarda, 1862.
Lezione accademica, di pag. 40, faclente parte di una
raccolta intitolala : Oeffentliche Yortràge gehalten von einem
Verein ahademischer Lelirer zu Marhurg. - Fu anche stam-
pata a parte.
KA^^EG1ESSER Karl Ludwig, Ein Blick auf die poìitischen
und religiósen Verhnllnisse von Europa, Ualien und Florenz
vor und zu der Zeit Dante's, sowie auf die geistige Bildung
oder den Zustand der Wissenschaften und Kunste in jenen
Jahrhunderten, nebst dem Leben des Dichters und einer
Detrachtung seiner Schriften, besonders des Gottlichen Ko-
módie. (Conlinelur ab eodem facla versione, Leipzig. 1832.)
Zu Dante's Leben und Goltlicher Komódie. (Continetur
libello ab eodem confecto: Terzinem, Breslau, Freund, 1846.)
Kannegiesser-Witte. EJdogen, ubersetzt und erkliirt von
Karl Ludicig Kannegiesser, und Karl Witte. (Continenlur
editione ab iisdem facla: Dante Alighieri' s lyrische Gedichte,
Leipzig, Brockaus, 1842.)
Gedichte aus der Vita ISuova, Ubersetzt underkldrt,
Leipzig, Brockaus, 1342.)
Dante Alighieri' s lyrische Gedichte. Ubersetzt und
erlildrt von Karl Ludwig Kannegiesser und Karl Witte.
Ziceite, vermehrte und verbesserte Auflage, Leipzig, Brockhaus,
1842.
11 primo volume contiene la versione del Kannegiesser:
il secondo le note del Witte prolegomenis bibliographico-criticis
adjectis.
KouLER Ludwig, Dante. Ilistorisch- romanesche ISovelle
(Continetur opere: Abend-Zeiiung. Vcrantw. Redacteur: C.
G. Th. Winldcr, Dresden und Leipzig, Arnold, 1839.)
KopiscH August, Dantes Leben. (Nella sua versione della
Divina Comedia.) Berlin, 1842.
686 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA.
Krafft Karl, (Sacerdote protestante) Dante Alighieri' s
lyrische gedichte und poetischer dreswechsel, Regensburg,
1859. (Yi è anche la traduzione dell'epistole poetiche a
Giov. di Virgilio.)
La rima sì fedelmente riprodotta dal Kannegiesser fu
tralasciata dal traduttore, il quale v'aggiunse una disserta-
zioncella sull'erroneo significato allegorico attribuito alle
poesie liriche di Dante. - Perhona est, scrivevami un dotto
professore alemanno, versio Krafft carminum minorum, eam
ut propter elegantiam sermonis ita oh (idem omnes collaudant.
Lemcke F., Zur Textkritik und Erklàrung der Divina
Commedia. (Intorno alla critica del testo e alla spiegazione
della D. C. - Nel Jalirbuch fiir romanische und engliscke
Literatur: Annuario per le letterature romanza ed inglese
del prof. A. Ebert, Voi. IV. Berlino, 1861.)
LiESSKE C. RoB., Dante und seine Stelhing zu Kirche,
Schule und Staat seiner Zeit. (Dante e la sua posizione ri-
guardo alla Chiesa, all' insegnamento e allo stato del suo
tempo.) Dresda, 1838.
Discorso in occasione di solennità letteraria.
LowosiTZ J. B., Dante und der Katholizismus in Franh-
reich, (Dante e il Cattolicismo in Francia.) Konigsberga, 1847.
Lezione pronunziata nella R. Società Germanica di Ko-
nigsberga.
Mendelssorn J., (senza nome di autore) Bericht uber
lìossettr s Ideen ecc. (SulF idee del Rossetti esposte nel co-
menlo analitico e nel libro sullo spirito antipapale.) Ber-
lino, 1840.
ìNoudmann Joh., (pseud prò Rumpelmaier) Dante. Lileràr-
historische Studien. (Dante, Studj di storia letteraria.) Parte
P. Dresden, Kuntze, 1852.
Questa prima parte, che ha anche per titolo : Il Secolo di
Dante è composta dei seguenti undici capitoli: 1. Il Cre-
puscolo (primi secoli del medio-evo); 2. Origine delle
lingue romanze ; 3. Beltrando del Bornio;; 4. Provenzali
italiani ; 5. Potere spiritua-le; 6. Contese; 7. Scienze pratiche;
8. Michele Scoto; 9. Poeti anteriori a Dante; 10. Trivi um e
Quadrivium; 11. Sentenza di morte ed espiazione. - Non
è altro fuorché una compilazione a cui servirono l'opera
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA. 687
del Diez su i Trovatori, la filosofia dì Dante dell' Ozanam,
la vita di Dante del Balbo, le note del principe, ora re,
Giovanni di Sassonia alla sua versione della divina Co-
media ecc.
NÓTTER Friedrich, 0 Vortràger iiher Dante. (Lezioni cri-
tiche storiche ed estetiche.) Stuttgart, Yiray, 1861.
Considerazioni sull'allegoria della divina Comedia e in
particolare sopra Beatrice, con breve vita dell' Allighieri.
Dante, Ein Romanzcn, (Poesie su Dante.) Stuttgart,
Yiray, 1861.
Oeinhausen C. Das neue Leben. Die vita JSuova des Dante
ùberselzt und herausgeben, Leipzig, 1824.
Paur Theodor, Ueber die Quellen der Labensgeschichte
Dante' s, Gòilitz (Gorlizza), Buchandlung (Remer) 1862. (Ri-
vista critica dei biografi di Dante, di pag. 58.)
Ergdngungen Ebenda, 1863, (p. 506-509.)
.Vergleichende Bemerkungen iiber Dante, Milton und
Klopstock, Neisse, gedr. bei Rosenkrans et Bar, 1847.
Petzuoldt Julius, Cathalogus bibliothecae Danteae. Dre-
sdae, Teubner, 1844.
Continuatio, Dresdae, Teubner, 1849.
Continuatio altera, Dresdae, Kuntze, 1851.
Nova editio, Dresdae Kuntze, 1855.
È un catalogo della collezione Dantesca di S. M. il re
di Sassonia.
PiPER F., Uber Benutzung mythologische Yorstellungen in
D.'s Komódie. Sull'uso della rappresentazione mitologica
della Divina Comedia - Nella sua opera: Mithologie u Sym-
bolick der christUchen: Mitologie e simboli dell'arte cri-
stiana, Wein, 1847, p. Uì-Wi.
Eine deutsche studie uber Dante - (Evangelische
Kalender " fur " 1865) Uno studio tedesco su Dante, Berlin,
Wiegand und Grieben.
Il Piper pubblicava un articolo intitolato Dante e la sua
Teologia. In esso ei si studia di sviluppare i pensieri fon-
damentali della teologia di Dante, come pure i suoi rap-
porti verso la Chiesa il papismo e verso la Riforma. In
Dante ei venera un principe nel regno dell'intelletto, e
che perciò ha un diritto eminente alla slima alla riverenza
688 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA.
di tulli i credenli crlsliani, a qualunque confessione appar-
tengano, di quelli specialmente della confessione protestante,
onde tulli deggiono solennizzarne la memoria nel prossimo
seicentesimo giubbileo della sua nascita. Il grande poeta,
secondo il profess. Piper, (protestante) non solo protesta
contro gli abusi della sua Chiesa, ma appoggiasi pur anco
al positivo fondamento della fede evangelica, e in vista
del completo suo piano apologetico (del poema) gli si com-
pete un posto distinto tra i confessori evangelici. Dante è,
come sono tanti altri uomini d'Italia de' tempi posteriori, un
precursore della Riforma. Il perchè l'autore dell'articolo,
ed editore pure del Calendario Evanf/elko succennato, trovò
d' inserirlo nel migliorato Calendario Evangelico che precede
al suo Annuario, collocandone il nome ai 14 Settembre,
giorno della sua morte. Y. B-ldtter fiir lìterarische Unter-
hattiingen, N. 48, 24 Nov. Leipzig - foglio di trattenimenti
letterari, pubblicato dal D."" Edoardo Brockhaus.
Raumer Karl, (prof, nell'univ. di Erlangen in Baviera)
Dante [Sein leben und seine Verhe. -Ldi sua vita e le sue
opere.) Continetur ejusdem opere: Geschichte der Piida-
gogik vom Wlederaufbluhn, klassìscher Studien bis anf unsere
Zeit. ( Storia della Pedagogia dal rinascimento degli Studi
classici sino al nostro tempo. ) Stuttgart, Liesching, l843-ì)o;
III ediz. 1857-1862.
Reumont Alfred von, Dichterfirliber. Ravenna, Arqvà,
Certaldo, (I sepolcri dei poeti ecc.) Berlino, 1846.
Descrizione e notizie storiche dei luoghi dove riposano
l'Allighicri, il Petrarca, il Boccaccio, dei quali si raccontano
le vicende riguardanti i loro ultimi anni. Le diverse iscri-
zioni leggonsi in Appendice.
Bibliografia dei lavori pubblicati in Germania
sulla Storia d'Italia, Berlino, Decker, 1863.
La prefazione è datata da Roma nella Domenica Eito
mihi. In essa confessa di essersi giovato delle varie opere
tedesche di bibliografia, e specialmente dell' Ersch, dei
compendi dello Stenzel e del Dahlmann, ecc. Il lavoro è
importantissimo, e condotto con una diligenza ed accura-
tezza meravigliosa. Per esso riesce incontestabile V operosità
della dotta Germania nel campo delle storie Italiane, ope-
BIBLIOGRAFIA DxVKTESCA ALEMA^^■A. 689
rosità senza pari, arf/omento a considerazioni che oltrepassano
(li assai le preoccupazioni del giorno d' oggi e le rimembranze
del prossimo passato. È inutile V aggiungere eh' io vi attinsi
di molle notizie riguardanti la Bibliografia dantesca alemanna.
Beatrix. Aiis Dante 's Jugendleben. (Continelur ejus-
sdem opere: Italia, Berlin, Duncker, 1838.) .
RosE^KRA^z K., (prof, di filosofìa nell'univ. di Konigsberga)
Ueber den Titurel und Dante 's gottliche Komòdie, 1829.
(Della filosofia dantesca. 11 Titurel, poema epico-mistico
composto da Wol frani von Esclienbach, uno dei poeti più
rinomati della più bella epoca della letteratura alemanna
del Medio-evo.)
KuTH Emil., (Dott. a Heidelberga: visse molti anni a
Firenze.) Geschichte der italienischen Poesie. (Storia della
poesia italiana.) Leipzig, Brockhaus, 1844-47. (Voi. I. pag.
354-5-27. )
L' Introduzione al primo volume contiene considerazioni
sullo sviluppo politico, religioso e morale della moderna
Italia sino dalla rovina del romano impero. Segue la storia
della formazione della lingua volgare (p. 149-278). 1 poeti
antecessori di Dante (p. 324-353) cominciano la storia let-
teraria propriamente delta, che poi continua con Dante
354-527. )
Studien iiber Dante Alighieri. Fin Beitrag zum
\erstandniss der gottlichen Comodie. (Studi sopra Dante
Allighieri. Saggio per servire all'intelligenza della Divina
Coniedia.) Tiibingen, Fues, 1853.
Due dissertazioni formano il contenuto del presente Vo-
lume. La prima « il sistema di Dante » (pag. 5-175) presenta
in nove capitoli l'idee di Dante sullo universo e sulle leggi
divine che lo reggono, compilate dagli scritti del poeta.
Nella seconda si ha la «spiegazione delle allegorie del pen-
siero fondamentale della div. Comedia coll'aiuto del sistema
di Dante. » - « 11 Ruth riflette che due cose rendono mala-
gevole per l'ordinario l'intelligenza della divina Comedia;
prima l'ignoranza delle idee filosofiche e teologiche di
quel tempo e del concetto politico di Dante, e poi la
oscurità e la confusione degli stessi coraentatori. I comen-
tatori sogliono concentrarsi nell' esposizione di un solo
VoL. il. 44
690 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA.
lato del poema, lo storico, il teologico o altro che sia,
e non curarsi del resto, anzi immolare il resto al loro
prediletto punto di vista. A fuggir questi mali l'autore ha
creduto dover cercare il pensiero in Dante e negli altri
suoi scritti, e coglierlo dov'è chiaro e indubitato, e valersene
alla spiegazioqe del testo della divina Comedia. L'assunto
non è nuovo in Italia, e si viene valorosamente continuando,
in tra gli altri, dal Giuliani. » - Crepuscolo, 1854, p. 78. -
Di questa opera scrissero C. L. Diane nella Allgemeìne
Monatscìirift di Halle, 1834, fas. II, e Carlo Witte nel LUe-
rar. Centralhlaìt, 1854, n. 12.
Il chiarissimo prof. ab. Pietro Mtigna recherà in italiano
questo lavoro del Ruth, intendendo ei pure eli pigliare in
tal maniera una parte attiva alla festa che Italia prepara
al plìi grande de' suoi figli e maestri.
Dante von Philaletes. Ueher die Bedeutung des
Virgil in der divina Comedia. Aus den Heidelb. Jahrbb. d.
Literatur 1850 besonders abgedruckt. (Negli annali di Let-
teratura di Heidelberga - Del significato del poeta Virgilio
nella Div. Comedia.)
M. Rossetti, dans son commentaire, est le premier, je crois,
qui ait concu ainsi le Ylrgile dantesque (le Yirgile pré-
curseur du christianisme ... le chantre du peuple romain et
des ses triomphantes destinées; il a glorifié en vers immorlels
cotte nation royale, populum late regem, née poìir le gou-
vernement de l'univers); M. Émile Ruth a repris cette
•théorie et l'a développée avec une lumineuse évidence. 11
a suivi pas à pas le guide de Dante à travers V Enfer et
le Purgatoìre ; il a note ses paroles, ses gestes, sa physiono-
mie, et chaque incident lui a fourni une preuve nouvelle.»
Saint-René Taillandier.
On voit circuler et se croiser à Iravers la littérature du
moyen àge deux traditions très ditìérentes sur Yirgile, la
traditlon populaire et la tradition savante. D'après la tra-
ditlon populaire, Yirgile est le premier des nécromans.
Poesie, science, vertu magique, toutes ces choses se cou-
fondent, dès le début de l'epoque barbare dans des ima-
ginations naivement eiVarouchées. Transmis par Ics dernicrs
siècles du monde antique à des généralioiis ignorautes et
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA. GDI
avides, ce noni de Yirgille cveillait l'idée de ce qu '1 y
avait de plus grand icl-bas ; le peuple atlrlbiia aii poèle
la science des forces secrèles de la nature et le pouvoir
de les gouverner à son gre. Toutes les légendcs des premiers
siècles du clirislianisuìe, recueillies en panie dans les Gesta
Romanorum, nous montrenl le chanlre de Didon et d'Ari-
slée émerveillanl les humains par des prodiges. Des lé-
gendes du peuple, ce lype singulier passe dans les poèmes
chevaleresques; Wolfram d' Eschembach le consacre dans
le Parceval, et pour l' auteur inconnu de la Guerre de la
Warlbourg, Virgile de Naples est Ténuile de Basian de Go-
stanlinople et deFlagétanis de Bagdad, {\oyezder Sinfierkriec
uf Warlburr, publié par M. Ellmiiller. ilmenau, 1830, p. 12;.
La tradition savanle est plus digne de ce suave genie;
elle en fall un des précurseurs du christianisme. Le chanL
de Pollion fournissait un lexle magnifique à celte transii-
guralion du poète. Déjà l'empereur Constantin, dans son
Diacours a l' assemblée des fidèles, avait expliqué longuemenl
le róle de Virgile, en qui il reconnaissait un prophèle de
Jesus. Tout le moyen àge est plein de cette idée. Une
tradition très répandue, et dont les traccs subsislent encore
à Mantoue, prélendait que Saint Paul, passant à Naples,
était alle saluer le lombeau du poéte, et qu' il s' étalt écrié
les yeux en larmes: « Pourquoi ne t'ai-je pas Irouvé vi-
vant, ò le plus grand despoétes? Conibien j'eusse élé heu-
reux de faire de loi un chrétienl » (1) Ce que n' avait pu
Saint Paul, le moyen àge l'a fait; il a associé Virgile à
r lìisloire du Christianisme. Le Mystère de saint Mardal
de IJmofjes, écrit au XI siede, monlre le poèle de Mantoue
siégeant au milieu des prophètes et annon^ant avec eux
la venne du Bédempteur. - Saint-Rene TaiUandier, La
liltératiire danlesque en Europe, Revue dcx dcux Mondes;
1." Dee. 185G, p. 502.
(1) Aujourd' hui cncorc à Mantoue, le jour de la Saint-Paul, on
rhante pendant la messe un hymne dont voici unestrophc: Ad Maronia
mausoleum Ductus, fudit super cum Pine rorcm lucrymae: Quem k,
inquU.reddidisscm. Si te vìvumjnvenisscm, l'oetarum maxime. - Saint
René Taillandicr.
692 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA.
Del Virgilio del Medio Evo scrissero: Zapperl Giorqio:
YirgiV s Fortleben in iMiltelalter. Eìn Beilrat/ zur Gcschicht^
der klassischen Literahir. (L'esistenza di Virgilio protratta
nel medio-evo. Saggio per servire alla storia della lette-
ratura classica nel medio-evo.) Vienna, 1849. - Genthe F. IV.
Leben uìid Forldauer des Publius Vmjilius Maro ah Dichter
und Zauberer. (Vita ed esistenza dì P.Virgilio Marone, come
poeta e mago. -Nella raccolta delle tradizioni popolari, per lo
più medievali intorno all'altissimo poeta, le cui tracce si
ritrovano cosi spesso nella letteratura de' bassi tempi. -
(Inf. IX. 22) li Edizione, Lipsia, 1837. - Piper F., ViroUius
ah Theolog und Profet des Ifeidcnthuìns in der Kirche.
(Virgilio, come teologo e profeta del paganesimo nella
Chiesa.) ^e,\V Evanfielischer Kalender, Berlino, 1862; per ta-
cermi dell' opere di G. Goerres e di Valentino Schmidt. -
Anche il francese Rossìgnol, pubblicava un interessante
lavoro su Virgilio precursore del Cristianesimo: Virgile et
Costantin le Grand; da ultimo il Sìg- Emilio Combes pub-
blicava nella Itevue Contemporaine, 15 Nov. 18G4, un suo
articolo intitolato: Virgile poete dìdactique et médecìn.
Schelling F. W. (Filosofo tra i più celebri della Germania,
nato nel 1773 aLeonberg, nel ducato di Wurteraberg, morì
nel 1834 a llagatz nella Svizzera, essendo consigliere intimo
e membro della R. Accad. delle scienze di Berlino.) Ueber
Dante in filoso fisclter Beziehung. (Dante sotto l' aspetto
lìlosofico.) Stuttgardt, 1839.
« Questo scritto venne alla luce nel 1803 nel giornale
crìtico di filosofia, pubblicato da^Schelling e Hegel, Stuttgardt,
1802-03. Voi. IL pag. 34-50. - Perchè il seme degli studii
danteschi in Germania gettasse larghe radici, e radici tanto
più profonde quanto più dotti erano gl'ingegni, dovea ba-
stare pur la notizia che Schelling avesse parlato in favore
del poema di Dante. Giovine di 28 anni, Schelling era già
autore della Filosofia naturale, dell'anima del mondo e dello
idealismo trascendentale, e quindi autorevole doveva riuscire
la sua parola, lorchè diceva l'opera di Dante non solo opera
di un'epoca o di uno speciale grado di coltura, ma originale
e per l'universalità ch'essa congiunge alla più rigorosa
individualità, per la sua vaistilà mediante cui uiuna parta
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA. 69:^
della vita e della coltura rimane esclusa, e finalmente per
la forma che non si presenta quale un tipo determinato,
ma quale tipo comprensivo dell' Universo. » - Witte - De
Dantis ingenio, scrivevami un dotto critico alemanno, et
quo loco in historia generis humani sit ponendus, tamquam
novae poeseos inventor nescio an nullus nec Germanicus
nec Italus, nec cujuscunque nationis polita scripserit inge-
niosius simul ac verius quam Schellinr/ ; ejus licet brevis-
sima commentatio mihi quidem divinalio divinae Gomoediae
esse videtur; digna quae magis innotescat, et in Italia
ipsa iegatur ac relegalur. - Il Nicolini volea che queste
Considerazioni filosofiche del più celebre filosofo della Ger-
mania tenessero dietro alla sua lezione Dell' universalità
della divina Comedia. (Nicolini Opere, Voi. III. ed. Le Monnier,
p. 263.) Per opera del Fabbrucci venivano pure inserite
nelle lettere del mio concittadino G. B. Brocchi, Bonn, I8,i6.
Schlegel Wilhelm, (nato a Hannover nel 1767, segret.
del principe reale di Svezia - Bernadotto - durante la gran
guerra contro Napoleone, e compagno dei viaggi della
Baronessa di Stael, mori profes. di lettere orientali a Bonne
nel 1845.) Dante, Petrarca limi Boccaz. (Geschichte der alten
and neuen litterat.) Vienna, Schamburg, 1815,11.3-38-
Riprodotto nella collezione delle sue opere, Vienna, Mayer,
1822, li. 7-38.
Le Dante, Pétrarque et Boccace à propos de l'otivrage
de M. Rossetti. (Revue des deux Mondes, 15 Aóut 1836, ristam-
pata negli Essais litteraires et /a"s f or /f/we* dell'autore, Bonna,
1842.
Noi eravamo e siamo stati persuasi, dice lo Schlegel,
che quei poeti originali fossero siali di schietta inspirazione,
e che veramente animati dal soffio dalle loro muse avessero
SI parlalo il linguaggio degli Dei. Ma ora tutto ciò è un
sogno , che il Rossetti ne insegna non essere quella poesia
altro che un gergo d'indovinelli. Lo Schlegel, dice l'Ozanam,
combattendo i paradossi del Rossetti, cancellava per sem-
pre quel marchio di fellonia che per (piesli veniva sulla
fronte dei tre grandi italiani.
Canzone von Dante (Donna pietosa. Voi. Ili, pag.
383-86), Leipzig, Weidmann, 1846.
691 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA.
Ballate von Dante f Poiché saziar non posso, V.
p.:i82).
Zwei Sonctte von Dante (Un dì sen venne - Deli
peregrini, Y. 387).
ScHLOssER e. F. Uber Dante, Heidelberg, Oswald, 1825.
Dante Sludien, (SUidj sopra Dante.) Leipzig und
Heidelberg, Binler' schee Berlagshandlurlg, 1855. — (Lo
Schlosser, il celebre storico dell' antichità e del secolo XYHI,
nacque a Jever, il 17 INov. 1776, mori nel 186 1, consigliere
intimo e profess. di storia a Heidelberga, dove era vissuto
sin dal 1817.;
Raccolta di varie memorie critiche ecc. sul maggior
poeta del medio-evo. - 1. Osservazioni sulla connessione in
cui stanno la Yita Nuova e la Divina Comedia, con alcune
aggiunte bibliografiche sulla letteratura moderna spettante
a Dante; notizie troppo incomplete per poter servire di guida
in sì vasto campo; 2. I Comentatori di Dante, con particolar
riguardo alle opinioni di Gius. Picei : 3. La Divina Comedia
secondo il Landino e il Yellutello; ristampa, in vari luoghi
modificata, di uno scritto pubblicato dall'autore nel 1824
(negli Annali di Letteratura di Heidelberga) a proposilo
della versione della Yita Nuova dell'Oeynhausen e di quella
dell' Inferno dello Streckfuss ; 4. Introduzione alla Divina
Comedia, sulle orme di G. Rossetti, divisa in tre parti;
la prima tratta del Yirgilio di Dante, la seconda delle tre
fiere, e l'ultima della Selva; 5. Due lettere sui Canti i. a
VI del Paradiso, pubblicate primieramente nell'Archivio per
la storia e la letteratura di Schlosser e Bercht, Yol. I. II,
Francoforte, 1830 e seg. - Reumont.
Quand'io, scriveva di se medesimo il Witte, dopo aver
lottalo per più di 25 anni a fine di ben intendere la Div.
Comedia, mi sentiva cadere di animo, riconfortavami colla
idea dell' amico Schlosser. Io pensava meco slesso : Schlosser
ha letto nove volte il poema, e ciascuna volta ha deposto di
mano il libro colla persuasione di non averlo inteso : alla de-
cima volta egli ha conosciuto l'intreccio di questo meravi-
glioso tessuto de' più profondi pensieri, e d'allora in poi non
passa anno senza ch'egli non percorra con sempre crescente
diletto in compagnia del poeta i tre regni ollraraondanì. Come
BIBLIOGRAFIA DxiMESCA ALEMANNA. 693
riesce confortevole T udire ripetere da un uomo (il quale
deve saper grado soltanto ai propril studi di aver potuto
percorrere con maggiore acutezza di vedute che tutti altri
il vasto campo della storia) come egli nella grave età di
80 anni in compagnia di Dante abbia fatte quelle più care
sue osservazioni,- che ora qui riordinate comunica a noi,
suW amore e sulla vita, sulla interna visione e meditazione
della natura divina, suU' intima relazione di tutti i fenomeni
del mondo. Quale copia di tesori intellettuali non deve
poi presentare un poeta, le cui opere sono con uguale
predilezione profondamente meditate e da uno Schelling a
ventotto e da uno Schlosser ad ottant' anni !- De' cinque
scritti dello Schlosser che sono qui insieme pubblicati il
più antico (che apparve nel 1834 sotto il titolo sopra Dante)
fu il frutto di 20 anni di studio; i due più recenti (sopra
il rapporto della Vita Nuova colla Divina Comedia, e il
Dichiaratore di Dante) appartengono ai due anni passali,
e sono ora, per quanto io sappia, pubblicati qui per la
prima volta. Negli anni 1830 e 1833 uscirono le lettere
sopra i primi sei canti del Paradiso e il ragguaglio sulla
esposizione dell'Inferno, del Rossetti, le quali due memorie
già erano conosciute neWArchivio di Storia e Letteratura.
Fra le cose già stampate e maggiormente ritoccate vi ha
10 scritto più antico, del quale nella presente sua forma
veggo malvolentieri mancare il ragguaglio sull'argomento
della Vita Nuova (p. 9 a 14 della prima edizione) ... Io sti-
mo gemme della sovraccennata raccolta le due memorie :
11 Dichiaratore di Dante e \e Lettere sopra i sei primi canti
del Paradiso. Intorno alle svariate opinioni dei comentatori
di Dante, lo Schlosser dice non meno bellamente che ve-
ramente (p. 14) : « Le molteplici significazioni di un cosi vasto
poema quale è la divina Comedia possono nello stesso
tempo essere vere per ispiriti affatto differenti, il che avviene
molto meno perchè il poeta stesso abbia così pensalo e
giudicato, quanto perchè egli è l'organo di un più allo
spirilo vivente nella umanità, e manifeslantesì dentro e
per mezzo delle singole cose, e la sua opera è una crea-
zione di molteplice significazione come le creazioni divine
del mondo esteriore. » Malgrado questa riconosciuta mol-
C96 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA.
leplice significazione del sacro poema, lo Schlosser, non
lasciandosi trarre in inganno dalla sua parzialità per il
visionario Rossetti, con piena ragione si dichiara contro
le politiche e sociali interpretazioni di molti moderni espo-
sitori. Picchioni, Ponta e Giuliani, gli scritti de' (fuali non
sembrano conosciuti all' autore, gli sarebbero stati va-
lorosi alleati opportuni per combattere quei troppo prosaici
errori. Le lettere sopra i sei primi canti del Paradiso, che
senza difficoltà avrebbero potuto fondersi colla disserta-
zione sopra Dante, cominciano in sostanza col canto 28
del Purgatorio, e costituiscono una facile, vasta e vivace
introduzione alle più arcane istruzioni del Paradiso dantesco.
Si conosce agevolmente come il sublime storico universale,
nella esposizione di Dante vuol istruirci della storia del
mondo e de' suoi rivolgimenti all'epoca del poeta, ma non
perciò è meno da lamentare il vasto tratto che separa queste
lettere dal comentario di Gòschel sopra i tre ultimi canti
del Paradiso [La Pasqua di Dante, Halle, 1849). Oltre l'errore
che nel sistema mondiale tolemaico dantesco suppone due
cieli cristallini invece di uno, riesce strana la confusione
(colpa, non v'ha dubbio, di antichi comentatori), del conosciuto
capo dei Neri fiorentini Corso Donati con Francesco d'Accorso
glossatore dei libri legali di Giustiniano. » - Witte, nel Giorn.
ted. Blatter fUr literarische unterhaslunfi, n. 2, 10 Gennaio
1856, Studi germanici sopra Dante, articolo riportato nello
Spettai, fir. 1856. u. 18. - Lo Schlosser sotto il suo ritratto
non seppe trovare motto migliore che i versi del divino
poeta : Ilo io appreso quel che, s' io ridico, - A molti fia savor
di forte agrume; - E s'io al vero son timido amico, - Temo
di perder vita tra coloro - Che questo tempo chiameranno
antico. Pav. xvii. 116.
ScHREiBER WiLH. Die poUtischcn und religidsen Doctrinen
unt e r Ludwig dem Baicrn. (Le dottrine politiche e religiose
sotto Lodovico il Bavaro.) Landishuta, 1858.
Dissertazione la quale espone varie opinioni del XIV
secolo intorno alla questione dei confini dell'autorità ponli-
licia e delle relazioni tra l'impero e il pontificalo, tenendo
a confronto quattro scrittori principalissimi, cioè Dante
AUighieri, espositore della morale nella div. Comedia, espo-
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA. 697
sltore della politica nella Monarchia, e sostenitore dell'idea
di una Monarchia universale di cui la bibbia e la storia gli
offrono le fondamenta. Marsilio dì Padova, 1838, seguace
nelle sue opinioni politiche di Aristotele, propugnatore della
somma potestà del Concilio da convocarsi dall'autorità laica,
scrittore cui l'amore dell' armonia tra chiesa e impero
procacciò il nome di defensor pacis. Leopoldo di Bebenburg
vescovo di Bamberga (m. 1362), il cui esame storico-legale
del diritto dell'Imperatore esclude la necessità assoluta della
translatio mperiì per parte del pontefice, già da Marsilio
dichiarata atto di assenso formale senza facoltà di denegazio-
ne 0 di deposizione. Guglielmo d'Occam (m. 1347), l'avv.
dell' imp. Lodovico nella contesa con Giovanni XXII, contro
cui scrisse il notissimo Compendium errorum. L'opposizione
politica contro alla estensione della pontifìcia autorità nel senso
del .medio-evo, nuovamente propugnata dai pontefici Avigno-
nesi, a malgrado dei contrasti gravi cui essa andò incontro
al tempo di Bonifazio Vili, risulta maggiormente dal conciso
esame delle idee dei predetti scrittori. - A. ReumonL -
Streckfuss Karl, Ueber Danle's Leben und Schriften.
(In Germanica ab eodem confecta versione, 1840.)
YoGEL VON A'OLGESTEiN Carl, Die JJauptmomente aus
Goethe' s Faust Dante' s Divina Commedia und Yir(jiV s
Aeneis. Bidlich darqesteUt und nach ihrem innern Zusam-
laenhange erldutert, (I momenti principali del Fausto di Goethe,
della divina Comedia e dell' Eneide, raffigurati ed illustrati
secondo l' interna loro connessione.) Monaco, 1862, con tre
tavole in fol.
L' autore, pittore della corte di Sassonia, stampò vari
anni fa a Roma i suoi pensieri sulla divina Comedia ad
illustrazione di un quadro che si potrebbe chiamare sinot-
tico, eseguito per S. A. I. R. il fu granduca Leopoldo dì
Toscana, Nel presente lavoro, riassumendo l' istesso argo-
mento, s'ingegna a spiegare la parte allegorica dei tre
grandi poemi dell' antichità, del medio-evo i e dell' età
moderna. - Vedi pag. 3ol, 353, 363, 367, 369, 382.
Wagner Xdolvo, Sac/gio sopra Dante Allighieri. (Continetur
editione ab eodem parata div. Comoediae, Lipsia, Fleischer,
1826.)
()98 BIBLIOGUAFIA DANTESCA FRANCESE.
Sono 2*2 fac. di Prolegomeni all'edìz. della dlv. Comedia.
Il saggio contiene tre parti, intitolale: Dnnte e il-suo secolo-
La divina Comedia e la sua intenzione - Osservazioni intorno
al tempo in cui probabilmente è stala dettala la Divina
Comedia, alla lingua, alla verseggiatura, al testo ed alla
di lui critica.
Wegele Franz X. (già professore nell' univ. di Jenna, ora
in quella di Erbipoli - Wiirzburg. -) Dante' s Leben und Werhe.
(Vita ed opere di Dante nella loro connessione colla Storia
dell' incivilimento.) Iena, Mauke, 1852.
Fu pubblicato in Jena un ottimo libro sopra la \Ua e
le opere di Dante, che intende ad elevare il poeta all'altezza
dei problemi storici, Iraendola dal cerchio degli scrittori
mirabili solo per l'ingegno e per l'arte. - Crepuscolo, 1854.
78. - Tout récemment M. Franz Wegele, professeur à l'uni-
versité d'Jéna dans la Vìe et les oéuvres de Dante, s'est
attaché surtout à recomposer l'histoire intérieure du grand
poète florentin ... M. Wegele ne voìt chez Alighieri que le
législateur polilique et mystique du moyen àgc... La Divine
Comédie, selon l'historien allemand, en méme lemps qu'elle
est une prédicalion du gibelinisme idéal, contieni aussl
l'exposé symbolique des différenles phases par lesquelles
a passe l'àme du poète. Cette histoire spiriluelle de Danle
est indiquée par fragmens dans ses produclions anlérieures.
lei, la peinture est complète. L'amour, la science, la poli-
lique, la religìon, ont occupé tour à tour cette souverainc
intelligence. Les ravissemens de l'amour illuminent la Vie
nouvelle, la science remplit le Convito, la polilique est le
sujel du De Monarchia, et la religion, mélée à toutes ces
choses, les éclaire de ses rayons. Dans la Divine Comédie,
religion, polilique, pliilosophie, amour, soni réunis dans
une synthèse harmonieuse. Ce travail qui s'est fall instin-
ctivemenl dans son àme. Dante n'en avait pas le secret,
e' élait à la crilique de le mettre en lumière, et MM.
Wllte et Wegele ont rempli celle tàche avec une précisìon
magistrale. Le poème d'Alllghieri, dans son inspiralion
première est donc à la fols le tableau des différenles phases
qu'a traversées son genie, et le jugement de la chrélienté
lout entière, au nom de cet ordre providenliel construil
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA. 699
par sa pensée ... Un des récens commentateurs a pu recom-
poser avec VEnfer el le Purgatoire le code penai d'Allighieri,
code compiei, où se relrouvenl à la fois le droit romain,
le droit canon el le droil germanique du moyen àge. Cesi
M. Wegele qui a eii celle idée. Il esl fàcheux. que le doclc
historien compromelte lei la valeur de ses recherches en
voulant prouver que le droit germanique tieni plus de
place dans la Divine Comédie que le droil canon et le droil
romain. Cesi précisément le conlraire quieslvrai; l'origi-
nalilé du droil germanique en malière pénale esl de punir la
faute pour la faute elle-méme, landis que le droil romain se
préoccupe surtout des crimes commis contre l'élal, el le droit
canon, des infraclions aux lois de l'église. Dante, avec son infle-
xible logique, réserve ses plus crucis cliàlimens aux ennemis
de l'église el de l'empire; il rend des arréls de jlislice
sociale plulól qu'il n'applique les lois de la morale privée.
Comment M. Wegele a-l-il méconnu ici le syslème du poèle
après l'avoir si bien mis en lumière ? Ajoutons seulemenl, pour
èlre lout à fait exacl, que l'esprit évangélique apparali sans
cesse dans les senlences d'Allighieri. Sa libre dislribulion
des chàlimens esl le triomphe de la justice chrélienne. La
conscience du coupable esl mise à nu, et plus il élail place
ha ut dans la hiérarchie des pouvoirs, plus lourde pése sur
lui la responsabililé de ses ceuvres. Polnl de ménagemens
pour les grands de ce monde \... - Saint-Reìié Taillandier.
WisMAYR .losEPH, Dante Allighieri (nach seinem Leben
und lillerarischem Wirken. - In ejusdem opere Pantheon
Jtaliens, Miinchen, 1815.)
Il Cons. Wismayr non solo ci diede la vita dell' Allighieri,
ma innoltre alcuni suoi saggi di versione della div. Comedia
in cui a giudizio di un dotto critico, « con tale maestria e
chiarezza ci rappresenta i concetti del poeta, che se fosse
non di una sola parte, ma di tutto il poema, l'Aleraagna
non potrebbe gustar meglio l'energia e la sublimità. «
WiTTE Karl, ( Cons. ini. di giustizia e prof, di diritto
neirUniversilà dì Halle, già a lìreslavia. ) // terzo Canto
di Dante, corredalo di molte varianti, esaminato sui codici,
1826.
l'ebcr Dante, IS'eu bearbitet. (Sopra Dante, nuova
700 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA.
trattazione.) Breslau, Pelz, i8BL (In questo libro prende più
copiosamente a sviluppare il suo sistema che fin dal 1824
avea esposto neW Hermes Rivista letteraria, pubblicata dal
Brockhaus a Lipsia.
Gedichte aus der Vita JSuova iibersetzt und erkldrt
von Karl Ludwig Kanneriiesser und Karl Wilte, Leipzig,
Brockhaus, 1842.
Quando e da chi sia composto V Ottimo Comenlo a
Dante, Lipsia, 1847.
Lettera a Seymour Kirkup, pittore inglese a Firenze,
(conosciuto per 1' amore eh' egli porla a Dante e per i bei
lavori artistici intorno alla vita e alle opere di lui, di cui
molti compariranno in luce nell'edizione dell'Inferno da
lord Vernon da lungo tempo preparata), nella quale vanno
sottoposti ad esame i fatti e le congetture dal Colomb de
Batines enunciati nella memoria: Del Comenlo su la Divina
Comedia appellato V Ottimo, e di quello attribuito a Jacopo
della Lana, negli Studi inediti su Dante, Firenze, 1846. Alle
osservazioni sulF autore, e sulla data dell' Ottimo Gomento,
tengon dietro alcune aggiunte e correzioni al primo Vo-
lume della Bibliografia Dantesca del medesimo Colomb de
Batines. Intorno all'opuscolo del Witte e ad alcune altre
pubblicazioni si di Germania che di altri paesi sopra Dan-
te, vedi A. Reumont nella Gazzetta di Stato prussiana,
1847, N.« 26-28-29. - Reumont. -
Dante Alighieri' s lyrische Gedichte. Ubersetzt und
erklàrt von Karl Ludwig Kannegiesser, und Karl Witte,
Zweite, vermehrte und verbesserte Auflage, Leipzig, Brokhaus,
1842.
Eklogen, ubersetzt und erkldrt, Leipzig, Brockhaus,
1842.
Dantes Domino Marocllo, Marchiani Malaspinae. Epi-
stola, Ilerausgegebenvon Karl Witte, Leipzig, Brockhaus, 1842.
Della Monarchia di Dante, (nel Giornale Blatter
fiir literarische Unterhallung, 4 Juin 1853.)
Cento e più correzioni al testo delle opere Minori
di Dante Allighieri, proposte agli illustri signori Accademici
della Crusca da un loro Socio Corrispondente, Halle, Hendel,
1853.
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA. 701
Innova Centuria di Correzioni al Convito di Datìte
AUiffhieri, (Dedicala al Re Giovanni di Sassonia) Lipsia,
Weigel, 185i.
Observationes de Dantis Epistola nuncwpatoria ad
Canem Grandem de la Scala, Ilalis. Saxon. Heynemann (29
Seti. 1855.)
Dante, und die italienisclien Fragen. Ein Yortraff.
(Dante e le questioni italiane, lezione) Halle, 1861 in 8."
In questo scritto viene dimostrato col contenuto delle
opere dell' AHighieri, e soprattutto della Divina Comedia,
quali sono le relazioni in cui stanno le di lui opinioni colle
questioni che ora agitano l'intera Italia, cioè l'indepen-
denza ed unità della penisola, il dominio straniero, e il
potere temporale dei ponteiìci. Esame, nel quale anche co- ]
loro i quali, o in un punto o nell'altro, non consentono al
giudizio del chiarissimo autore, riconosceranno lo studio
profondo del sommo poeta e del di lui tempo, l'equità e
la pacatezza del suo sentire, e l'amore che porta all'Italia.»
Archivio storico, n. 27 p. 158.
De Bartolo a Saxo ferrato, Dantis AUujlierii studioso,
commentantiuncula. Halle, in S.*'
Contiene il comento, maggiormente polemico, del cele-
i)re Bartolo intorno alla canzone di Dante: Le dolci rime
d'amor che solca; stampalo già nel libro del medesimo:
De dicjnitatihus (Lipsia 1493). - Con epistola gratulatoria al
eh. Lodovico Pernice, allora prof, diritto e commissario regio
nell'Università di Halle, morto pochi mesi dopo, nel 181)1.
Numerosi sono i lavori di Carlo Witte sopra l' AHighieri
in varj giornali tedeschi inseriti. Di parecchie opere trat-
temi di quest'argomento egli diede ragguaglio in un'analisi
critica stampata w^iW Uermes, giornale pubblicato da Broc-
khaus a Lipsia, 1824, No. xxii, p. 134-166 - Dei due piti,
antichi commentatori della Divina Comedia egli dissertò negli
Annali di Iclteratura di Vienna (1828, Voi. XLIV. pag. 1.
43.) recando l'elenco dei codici daini conosciuti dell'Otti-
mo e di Jacopo della Lana. In un articolo sull'edizione
della Divina Comedia procurata dagli Accademici della Cru-
sca Becchi, ISiccolini, Capponi e Borghi (Fir. 1837), inserito
negli Annali di critica scientifica Berlinesi, i)fig. 038-656
702 . BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMA.NNA.
diede un analisi dei lavori falli sino a quei lempo sul teslo
del Poema. Del Conviio pubblicalo a Modena da ]F. Cavaz-
zoni Pcderzini, della yUa A'uova, edizione di Pesaro 1829,
procurata da L. C Ferrucci, e (ìeìV Ottimo edito da A. Torri,
parlò nei medesimi Annali (183:3, No. 91-93] ; articolo in
cui disserta anche del Cod. Laurenziano xl., 7, nel quale
egli credè già avere scoperto il comento di Ser Graziolo:
\qA\ Antologia, 1831, Agosto; e Osservazioni di G.B. Piccioli
e di ìY. Tommaasco, \d. Ottobre. Tenendo dietro a lutto
quello che in Italia ed altrove si sta pubblicando sopra
Dante, il Witte ha dato varie analisi dei moderni lavori,
specialmente nel giornale: Fogli per la Conversazione let-
teraria di Lipsia. Merita particolar attenzione la disamina del
libro: De Monarchia e dell'epoca in cui venne composto;
Vedi Arch. Star. llal. Append. voi. ix pag. 602-608.
« M. Charles Witte, professeur de droit à V université
de Halle, est certainement de tous les dantophiles de notre
àge le plus fidòlc à sa religion ... M. Witte s'esl enfermé
dans les (Buvres d'Aligheri comme un moine dans sa cellule.
Cella continuata dulcescit, a dit l'auteur de V imitai ion de
Jésiis-Christ; à force de rester dans sa cellule, on y Irouve
douceur inlìnie. Yoilà Irente ans que M. Charles Witte habite
la sienne, et elle lui est devenue si douce qu'il non sortirà
plus. Si vous le visilez à l' université de Halle, il vous
montrera sa bibliothèque dont Alighieri seul a fait les
frais; loules les éditions de ses oeuvres depuis l'édilion
de 1472, loules les traductions de la Divine Comédie, Ira-
duclions lalines, frangaises, espagnoles, anglaises, alleman-
des, danoises, hébraiques, tous les commentateurs depuis
V Ottimo et Boccace jusqu'au livre public hier à Florence
ou à Paris, à Venise ou à Berlin, en un mot tonte la lil-
léralure dantésquc a été rassemblée là par M. Witte avec
l'exactitude d'un savant, et la piété d'un levile. On dirait
le sancluaire du vieux poète. M. Witte est si profondément
initié à tous les arcanes de Dante, qu'il a fini per prendre
plaisir aux détails Ics plus minces. Uno pérlode, un vers,
un mot lui fourniraient un lexte inépuisable. Il s' occupe
en ce moment à confronter, à collalioner les principaux
manuscrits de la Divine Comédie, el savez-vous ce qu'il
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA. 703
en fair? Il les groupe comme des produclions de la nature
en familles, en genres et en espèces. Ce sont là, si Fon
veul, les enfantillages de la plélé; mais M. WiUe ne s'est
pas loujoiirs amusé à de pareilles minulles, ses premiers
travaux révèlenl un critique supérìeur, et personne, je le
répèle, n'a salsi comme lui le lien logique et lumlneux de
la pensée du poòte à travers ses iluctuations apparenles.
Le syslème de M. Witte est adopté aujourd'hui par les
premiers romanistes de l'Alemagne (moins Ruth) ; M. Auguste
Kopisch, M. Franz Wegele, M.Sclilosser lui-méme sont entrés
dans la voie qu'il a ouverte. Plusieurs critiques italiens,
M. Piccliioni, M. Giuliani, d'autres encore, ont accueilli avi-
(lement les vues du professeur de Halle, et les ont prepagées
parmi les leltrés de la péninsule. Il y a là tout un évé-
uement litléraire. Qu'a dono fait M. Witte? Avant Fauriel
et Ozanam, M, Witte a prouvé que les Opere Minori de
Dante, la YiUx di Dante et le Convito élaìent Tintruduction
de la Divine Comédie, et que ces trois ouvrages, à y re-
garder de près, composent un lout Ce n'est pas là
cependant, aux yeux de M. Charles Witte, le seul intérét
que présenlent les Opere Minori; la Yila Nuova et le
Convito unis à la divine Comédie sont pour lui une sèrie
de mémoires intimes oli le poòle nous raconte le travail
inlérieur de son genie et la transformation de ses croyances.
Avant les études de M. Witte, tout était obscur dans les
opinions d' Alighieri. Était-il sincère quand il se battait
sous le drapeau des guelfes? Obéissait-il à sa conviction
ou à d" implacables rancunes quand il passait dans le camp
des gibclins? Aulant de questions insolubles . • . Avec une
élévation de vues vraiment digne du sujet, avec une force
morale qui honore l'homme autaul que le critique, M.
Charles Witte a retrouvé la pensée de Dante; e' est là son
oeuvre. D'autres sont venus et ont complète ses indications.
Je citerai au premier rang M. Wegele, qui, dans la Vie ei
Ics (Buvres de Dante, s'est attaché surtout à recomposer
Ihistoire intérieure du grand poòle florentin. MM. Witte
et Wegele ont obtenu d'importans résultals; les voici en
peu de mols. Dante n'a pas atlendu sa scntcnce d'exil pour
devenir giheliu . . . Saint-lkné TaHlandier.
704 BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA.
Di Enrico di Lusscmbiir;;o. - Enrico di Lussemburgo,
scrive San Renalo Taillandier, ha una parie imporlanle della
vlla del poela, e si dura falica a comprendere che lanli Co-
menlalori ahbian trascurato di collocare quella singolare
fisonoraia nel poslo che gli conviene. Dante ed Enrico: il
poela e llmperalore sono i due ultimi tipi di una stessa idea.
Presso l'uno l'inspirasione è cavalleresca, teologica presso
l'altro, ma in massima è le stesso sistema, e per comprendere
r AUigliieri e la sua epoca è indispensabile di porli a affron-
to. Enrico di Luxembourg è l'utopia di Dante che assume
una forma: è il moderatore d'Italia che invocava nel Convito
e nella Monarchia, è l'uomo ch'ei collocherà nelle più
raggianti glorie del paradiso e ch'ei chiamerà il grande En-
rico: Vallo Arrigo.
Tra i tedeschi ne scrissero: Corrado Wezer, Segr. nella
Corte di Carlo Y. - Libellus de rebus gestis Henrici VII Impe-
ratoris-DiefJenbach 31., De vero mortìs genere ex quo Henricus
VII Imp. obiit. Francoforte, 1865. - Giov. Paolo de Gundling,
Gran-Maestro delle cerimonie. Consigliere intimo e Storio-
grafo di Prussia sotto il re di Federigo Guglielmo 1 : La
vita di Arrigo VII, 1819. - Olenschldger Joh. Daniel von:
Geschichte des romischen Kaiserthums in dem vierzehnten
Jahrhundert. I. Ildlfte. ( Storia deli' Impero Romano nel
XIY secolo.) Francoforte, 1755, in 4.^ con documenti. Opera
insigne di dotto storico e pubblicista, importante sopra
tutto per il tempo di Arrigo MI. - Mailer i.. De Vita
Henrici MI Imper. Romani, Berlino, 18i28. - Barthold F. W.
(mori nel 1859, prof, di Storia nell'Università di Greifswalde
in Posnania) - Der Ròmerzug Kónig Heinrichs von Liil-
zelburg (il re Arrigo di Lussenburgo in Italia), 1830-31,
2 Voi. - E divisa in sei libri: Il 1". contiene la storia po-
litica d'Italia, dalla rovina della Casa di Svevia fino al
1308: il 2." Arrigo in Germania, e i preparativi della spe-
dizione; il 3.^ L'arrivo del re in Italia, e gli avvenimenti
in Lombardia fino al Maggio 1311: il 4.", La continuazione
della lotta co' Guelfi lombardi, le cose toscane e di Genova,
fino al febbraio 1312; il 5.", Il soggiorno del re a Pisa,
l'incoronazione a Roma, l'assedio di Firenze, e il campo
invernale a Monte Imperiale, lino al Marzo 1313; final-
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA. 70i)
mente il 6.^ il princìpio della spedizione contro al re Ro-
berto, e la morte dell' Imperatore, cui fanno seguito le
nuove misure del Papa e la battaglia di Montecatini. -
Barthold F. W., Yerzeìchniss der Kostharheiten im Aachlass
Kaiser Ilemrichs VII. (Elenco delle preziosità trovate tra gli
averi lasciati da Arrigo VII Imperatore alla sua morte.)
Articolo inserito nel Giornale per la conversazione letteraria
di Lipsia 1849, n. Ìi^ò.-Donniges W., (già professore di scienze
politiche nell'Università di Berlino, ora Consigliere intimo
di legazione del re di Baviera) Ada Henrici VII Imperaloris
liomanorum, et monumenta quaedam alia mcdii aevi, nunc
primum luci dedit ; Berlino, 1839. - Dai Mss. originali del-
l'Archivio di Torino, contenente: Libri consiliarii sive Com-
menlarii actorum in curia Henrici VII (colle legazioni e
relazioni ) ; Ada reyistraia seu transsumpla in libros curiales;
Diplomata quae ad historiam Henrici Vii spectant ; varii
documenti in relazione colla storia dell' Imperatore. - Don-
niges W., Geschichte des teutschen, ecc. (Storia dell'Impero
Germanico nel secolo XIV, dall' Imperatore Arrigcf VII lino
alla morte di Carlo IV, 1308-1378. - Prima sezione e prima
parte. - Critica delle fonti per la storia di Arrigo di Lus-
semburgo.) Berlino, 1841, in 8.° - Bolimer J. Fr., Regesla
regimi atque Imperatorum romanorum inde a Conrado 1.
usque ad Heinricum VIJ, Francoforte, 1831. - Jd, Uegesta
Impera inde ab anno 3ICCXLVI usque ad annum MCCCXIII
(sotto Enrico Raspe, Guglielmo, Riccardo, Rodolfo, Adolfo,
Alberto ed Arrigo VII), Stuttgarda, 1844. - Additamentum
primum, Stuttgarda, 1846. - Additamentum secundum, Stutt-
garda, 1847. - Kopp J. Zi'., Heinrich der Siebente ah Kònig
und Kaiser und scine Zeil. (Arrigo VII, come re ed Impe-
ratore, e il suo tempo.) Lucerna, 1854 in 8.^ - Kopp J. E.,
Kaiser Heinrich VII ist nicht vergi flet worden. (L'Impe-
ratore Arrigo VII non è stato avvelenato.)- Kopp J. E.,
Urhunden aus Pisa. (Documenti, facienti parte delle carte
della Cancelleria imperiale rimaste a Pisa dopo la morte di
Arrigo VII.) - Ròhmer-Biichner Doti. Die Wahl und Kronung
der, ecc. (L'elezione e l'incoronazione degl'Imperatori ger-
manici a Francoforte sul Meno), Francoforte, 1858. - Di
particolare importanza iu questa opera è la storia della
VOL. 11. 43
706 BIBLIOGRAFIA DAMESCA ALEMANNA.
elezione Arrigo VII traila dal Codice Baldovino dell'Archivio
di Coblenza, compilalo nel 1353 dall' Arcivescovo-Elettore
Baldovino, fratello del Lussemburghese. - Ostreich Zur
Geschichle des. ieuschen Reichs unter Kaiser Henrich Vii.
(Saggio sulla storia dell'Impero germanico sotto Arrigo VII
Imperatore, - Rossel, 1855, Programma Scolaslico.) - Wyss
G. voti. Graf Wernhcr von Uomberg ecc. (11 co. Guarnieri
di Homberg, capitano generale imperiale in Lombardia al
tempo di Arrigo YII.) Zurigo, 1860.
E da tenersi gran conto del giudizio che intorno ad
Arrigo YII ed agli sforzi suoi per restaurare 1' antica maestà
dell' impero pronunzia il Droysen nella storia politica Prus-
siana (\'ol. L, Berlino, 1833, p. 152), giudizio che accostan-
dosi all' idea dantesca nel modo più esplicito, contraddice
alle vedute di coloro che nel Lussemburghese altro non
iscorgono se non un visionario. - Si connette alla storia
di questo Imperatore parte vistosa dell' opera che ha per
tìtolo: Baldcwin von Lutzelburg, Erzbischof und Kurfurst
von Trier, von Al. Domìnicus. (Baldovino di Lussemburgo,
arcivescovo ed elettore di Treviri.) Coblenza, 1802 in 8.°;
opera premiata dalla Commissione storica della R. Accade-
mia di scienze di Monaco. (Nell'Archivio provinciale di
Coblenza esiste la raccolta dei documenti spettanti al go-
verno di Baldovino, da lui medesimo ordinata, con aggiunta
di 73 disegni rappresentanti i fatti della storia sua e di
quella di Arrigo VII Imperatore.)
Anche il nostro insigne prof. Bonaini ci promise le Re-
gesta del Lussemburghese. [N. Alcuni documenti inediti di
Arrigo VII negli xinnali dell' Università toscane. Voi. 1.
Pisa, 1843.) - Del sepolcro di Arrigo a Pisa, e di alcune
memorie dei suoi seguaci in Santa Maria Araceli sul Cam-
pidoglio di Roma, nelle Neue rómische Briefe, 1. 150, 210. -
Della morte di Arrigo VII veggasì a pag. 55.
Di Fra Dolcino. - Krone JuLy Fra Dolcino und di$
Patarener ; historische Episode aus den piemontesischen
Religionskriegen. Mil kirchen-cultur-und rechtsgeschichtlichen
Erlduterungen nach Originalquellen. (Fra Dolcino e 1 Pa-
lareni, Episodio storico della guerra di religione nel Pie-
BIBLIOGRAFIA DANTESCA ALEMANNA. "07
monte; con commentario sulla Storia Ecclesiastica, dello
incivilimento e del diritto, tratti da fonti originali,) Lipsia,
1844. -Opera composta principalmente coli' aiuto del libro
pubblicato sopra Fra Dolcino dal prof. G. Baggiolini Vercellese,
Novara, Artaria, 1838.
Schlosser C F., Abalard und Dolcìn, oder Lehen und
Meinungen eiìies Sch.warmers und eines Filosofen. (Abelardo
e Dolcino, ossia no vite ed opinioni di un entusiasta e di
un filosofo.) Gota, Klcl, 1807.
Di Celestino V. scrisse il Conz e. P., Peter von Morone
oder Papst Colestìn V. (Pier da Morone, ossia Papa Celestino:
Ne' piccoli scritti prosaici dell' autore, 1825.)
Di Bonifacio VIIJ. - Ilofler Const ,RuckblÌck auf P.Bo-
nifacius Vili und die Lileratur seiner Geschichte ecc. (Occhiata
sopra Papa Bonifazio YIII e la letteratura della sua storia;
con un documento importante tratto dall'Archivio Vaticano.
Negli Atti della II. Accademia delle scienze di Monaco;
Classe storica, 1843, Xoì.Wll.)- Drumann W., Geschichte
Bonifacìus des Achten (Storia di Bonifacio Vili), 2. voi. in
8., Konigsberga, 1862. - L'autore, già professore e Kognig-
sberga, cui dobbiamo una pregevole storia di Roma negli
ultimi tempi della Repubblica, si è ingegnato di produrre
un quadro generale dell'azione esercitata dalla Santa sede
sul mondo Cristiano verso il principio del Trecento. (V.
Lilerarisches Centralblatt, 1852, N. 38.) - La storia del Pon-
tilìcato di Bonifacio Vili del P. Luiffi Tosti, Cassinese,
(Mante Cassino, 1846.) venne tradotta intedesco col titolo:
Geschichte Bonifacìus des Achten und ciner Zeit. Aus des
Italienischeny 2. vol.,'Tubinga, 1848-49.- {\. Difesa di varii
punti della vita di Bonifazio Vili di Mons. Avicolo If'ise-
man. - Inf. x\vii.22; Purg. x\. 86, 80. - Negli Annali delle
scienze religiose di Roma, XI. 257-281. - Bonifazio Vili e
Dante Allighieri, discorso di 3Ions. Agostino Peruzzi, Bolo-
gna, tip. della Volpe, 1842. - Dfinte ambasciatore de' Firen-
lini a Bonifazio Vili, per Ottavia Giglio Roma, PuccincUi,
1840.)
Anche negli storici alemanni delle varie lelleralure si
708 , BIBLIOGRAFLA DANTESCA ALEMAN>A.
potranno trovare de' giudizi sul nostro poeta. Veggasi il
Burckhardt Jac. (Basilea); il Bauterweck (Gottinga, 1800);
il Blanchard ( Pesth, 1805); V Ebert ( Morburgo, 1854);
ì'Emmert (Giesse, 1818); il Genthe (Magdeburgo, 1832); il
(fVassc (Dresda, 1837-U): il (/Vo/imaj^n (Lipsia, 179G); Vlde-
ler (Berlino, 1800-102); il Jageman (Lipsia, 1777-1781); il
Juclier (Lipsia, 1750); \ì Meinhard (Brunswicli, 1774);
VOrelli (Zurigo, 1810); il Baumer (Stultgarda, 1843-55,
1855-62); il Banke (Berlino, 1837); il Ruth (Lipsia, 1854-47);
il Wolf (Berlino, 1860).
BIBLIOGRAFIA DANTESCA INGLESE
Barlow Henry Clark, La Divina Comedìa. Remarks on
the readinrj of the Fifty-mìnth verse of the fìth Canto of
the Inferno, 1850. (Sul verso 59 del e. v. dell'Inferno.)
L'importante discussione insorta nel 1836 sulla retta
lezione di questo verso dall' Ab. Federici di Milano e che
ha tanto occupalo i critici d' Italia e di Alemagna venne
ripresa dal Barlow.
Francesca da Rimini. lìer lament and vindication
with a brief of the Malatesti, London, David Nuli, 1859.
7/ qran rifiuto. What it was who made it, and how
fatai to Dante Allighieri, Disertatìon on verses fifty to Sixtus-
Three of the thind Canto of the Inferno, London, Trùbner
et co. 60 Paternoster Row, 1862.
Il Barlow confutando l'opinione comune, riconosce in
eoAù che fece il gran rifiuto non già Celestino V ma Vieri
de' Cerchi capo di parte bianca in Firenze ai lempi del-
l'Allighierl; opinione confutala dal prof. Fabio Nannarelli,
Centen. di Dante, p. 225.
Il Co. Ugolino e V Arcivescovo Buggieri, a Sketch
from the Pisa Chronicles, London, id. 1862.
The Young King and Bertrand de Born, London,
id. 1862.
« M. Barlow a étudié le lexle de Dante avec la finesse
BIBLIOGRAFIA DANTESCA INGLESE. 709
d' un Ilalien et la cosciencc d' uu Allemaiid. » - Saint-René
Taillandier.
Il valente ed instancabile dantofilo Barlow ha pure pub-
blicato un lavoro, in cui prende a mostrare che Dante
visitò r Inghilterra, Londra, l'università di Oxford, ecc. Ed
ei francheggia la sua opinione coli' autorità del Boccaccio,
che in alcuni versi latini indirizzati al Petrarca, con una
copia del poema, riferisce che Dante si recò a Parigi e in
Inghilterra : Parisios dudum, exfremosqiie Britannos. Alla cui
autorità aggiunge pur quella di Fra Giovanni di Serravalle
che scrisse : Dante se in juventule dedit omnibus ariibus
lìberalibus, sludens cas Paduae, Bononiae, dcmum Oxoniis
[Oxford] et Parisiis ubi fecit multos actos mirabiles. - Ap-
presso ci viene parlare dei venti codici preziosissimi posseduti
dalla famosa biblioteca Bodleiana di Oxford, fra quali ri-
tiene più importanti il Codice segnato di tre numeri 103,
106, 107, e i Codici 109, 108, 97, 103, 9o, e 46. - Egli
ci lascia da ultimo a sperare uu catalogo accurato dei
Godici italiani della raccolta Canonici dei manoscritti lasciati
dal conte Mortara, dal quale si potrà vedere quali tesori
italiani accolgansi nella Bodleiana.
Byuon Lord Giorgio, La Profezia di Dante.
« Quand'io partii da Venezia, Byron promise di visitarmi
a Ravenna; la tomba di Dante, la classica pineta e le an-
tiche reliquie erano uìì bastevole pretesto porch" io lo invi-
tassi ed egli tenesse l'invito. Egli venne nel Giugno 1819, e
giunse a Ravenna il di della festa del Corpus Domini. Egli
era privo de' suoi libri, de' suoi cavalli, di lutto quanto io
occupava a Venezia, ed io lo pregai di scrivere qualche cosa
J5U Dante. Colla facilità e colla rapidità sua abituale, compose
la Profezia.» -Cosi parla la contessa Guiccioli, e di rado
tanta poesia della vita venne per uno scrittore ad unirsi
colla solitaria poesia della mente. E impossibile leggere
queste linee e le cantica di Byron senza pensare al come
e dove fu scritta, all'ispirazione <!el poeta nel silenzio di
(juelle città italiane piene di memorie e inondate di sole,
e sotto l'inllusso della più nobile pas?ione che abbia oc-
cupalo il suo cuore, dopo quella della Grecia e delia libertà. -
Dante e l'Italia su-io la duplice ispirazione di questa cantica.
710 BIBLIOGRAFIA DANTESCA INGLESE.
Danto, la cui grande figura appare sulla soglia dell' Italia
inlclietluale, ed il cui libro, scritto ne' pellegrinaggi dello
esiglio, doveva alla sua volta pellegrinare con tanti pro-
scritti I L' Italia in cui Byron non ha solo sentito lo splendore
della natura o la plastica poesia dell'arte, ma anche il
dolore degli uomini, le ingiustizie della sorte, e le grandi
malinconie della storiai In questa Profezìa il pensiero
predominante di Byron è quello ch'esce da tutta la storia ita-
liana, dall' eterno disaccordo fra tanta civiltà d'arte, di scienza
e di poesia e cosi indeprecabile ira dei destini nazionali. Quando
gli giungono sulle labbra i nomi di Petrarca, di Torquato, di
Michelangelo, gli trabocca eloquentemente dall'animo quella
sua amara e sdegnosa mestizia. Così è, pur troppo. Anche
Byron, vide lungo le vicende del tempi il pensiero italiano,
essere sempre accanto, alla vera storia, l'altra storia glo-
riosa e lamentosa d'un Italia ideale, e udì questo grido di
dolore che sorge dai secoli, qaesto coro desolato di poeti,
di filosofi, d'artisti che dimandano la patria, come le que-
rule torme degli abitanti di una distrutta città che apparvero
a Cesare in sogno patriam cìamantes- Crepuscolo, 1846, p. 468.
Bruge Wuyte, Examen et traduction anglaise de pleusieurs
catizoni e sonets de Dante. (Continetur ejusdem libro: ÌJi-
sloire des langues Romanes, ecc. Paris, Treuttel et Wiirtz,
1841.)
Carlile John, A hrlef Account of the most remarhabìe
3fanuscripts, Edclìons, Comments and Translations of Dante' s
Divine Comedy, London, Chapman, 1849.
Carlyle Thomas, On heroes hero-worship, and the ìicroie
in history.
« Thomas Carlyle a place le Florentin dans ce petit
groupe de'hérosquireprésentent pour lui l'histoire entière
du monde, entre les prophètes et les prétres, le poète de
la Divine Comédie est dessiné et peint en traits de fiam-
me ... En Angleterre, M. Thomas Carlyle, M. Cary, M. Bar-
low voilà les hommes qui ont pénétré le plus avant dans
l'intelligence du vieil Alighieri Que de scènes, que
de paysages, que de portraits inspirés par cette unique
pensée et développés avec une variété incomparablel On
ne tlent compte ordinairement que d' un petit nombrc d'é-
BIBLIOGRAFIA DANTESCA INGLESE. 711
pisodes emprunlés à V Enfer, grave erreur doni Thomas
Carlyle a fail justice. L' intérél de ces visions ardentes,. l'in-
lérét du Purgatoire et du Paradis, aussi bien que de VEnfer,
e' est la passion du poèle qui y éclate sous maintes formes;
il y a là une àtne qui souffre, qui prie, qui jelle des édairs.
Ne la perdoiis pas de vue, et nous comprendrons mieux
la sublimile de ses conceptions. Satires impitoyables et
mystiques ravissemens, tout prend alors une signification
plus précise. L'harmonie de son oeuvre, retrouvée par la
critique, donne une valeur inaltendue à toutes les parlies
qui la composent.» Saint-René Jae7/an(/«<?r. - Y. p. 529.
Croos Maurice. Sludìo su Dante - Nel Giornale Selections
fromthe Endiburgh Review, London, Longman, 1833.
CuuRCH W. Essai su Dante, London, 18o3.
Dante by R. W. Cliurch M. A. late fellow of Orici
College Oxford, London, 1854.
La teologia metafisica di Dante, secondo il Churcli, sta
tutta tra il platonismo cristiano di S. Agostino e il realismo
pratico della scuola italiana. Toglieva egli dal primo le
idee e i simboli di che s'informa l'edificio spirituale della
sua poesia, il concetto fondamentale della relazione tra Dio
e le cose create, la dottrina della grazia, sebbene tempe-
rata dalla coscienza del libero arbitrio; ritenevalo il secondo
dalle speculazioni nelle incomprensibili regioni del dogma,
e d'ogni dubbio posto oltre i confini dell'intelletto razionale,
faceagli rimettere la soluzione alla Fede. Di qui la necessità
di studiare nell'Allighieri queste due disposizioni che si
contempcravano con forze proporzionate nell'animo suo, la
realità e V idealità. Il Church accenna tutte le circostanze
della vita pubblica e privala che più direttamente influirono
su Dante, e come uomo politico e come scrittore, entra
nella storia del iMedio-Evo, parla delle fazioni che dalla
discesa di Carlo di Yalois sino all'esigilo di Dante trava-
gliarono r Italia, fa un confronto tra il poeta della Vita
Nuova e della Divina Comcdia, parla dei molteplici sensi
dell'allegoria, delle qualità estetiche del grande poema, fa
cenno de' materiali somministratigli dalla Bibbia, dal Nuovo
Testamento, dai riti, dalla poesia vivente della Chiesa e
che pur conferirono alla creazione dantesca, ed indagai
712 BIBLIOGRAFIA DANTESCA INGLESE.
motivi che indussero il poeta a vestire il suo poema delle
forni» volgari. Per il Sig. Curch il poema di iDanle è il primo
poema cristiano, che iniziò la nuova letteratura europea,
come quello di Omero iniziò quella di Grecia e di Roma ;
esso rivelò la prima volta all'Europa cristiana e moderna
che aver dovea una letteratura spontanea, una lette-
ratura grande e degna, sebbene vestita d'idiomi volgari, e
sostanziata d'idee sue proprie. Questo saggio del Curch è
per fermo una delle più notevoli produzioni inglesi con-
temporanee su tale argomento.
Garrow Joseph, Tlie early li fé of Dante ÀlUjhieri lo-
fjcther with the originai in paralleles pages, Florence. Le
Monnier, 1846.
«Le dernier traducteur anglais, M. J. Garrow, a été plus
conséquent; décide à ne voir aucune allégorie dans lelivre
de Dante, mais seulement un récit des extases de son en-
fance, il traduit simplement early life. - Sanit-René Tail-
landier.
Griffin Edmond, Criticism of poem of Dante. (Romains,
of the Edmund Griffin, New-York, 1831. - V. The ISort
American Iteview, Boston, 1833. 27. 500-536.
Israeli ... The origine of Dantes Inferno. ( A second Series
of curiosites of literatiire.) London, Murray, 1823.
Questo articolo si riferisce alla visione d'Alberico, 8
massimamente a quella di Carlo il Grosso.
IIallam F, Arthur Henry, Rcmains in verse and prose^
1843.
Arturo Hallam in una sua erudita dissertazione prende
a confutare l'ipotesi del Rossetti sull'allegoria politica della
Divina Comedla, e l'opinione che Beatrice non abbia mai
esistito se non qual mito della fantasia del poeta.
Landor Savage W. Dante and Beatrice. (Articolo inserito
nel IJoods Magazine) for March, London, Renshaw, 1845 (e
riprodotto nel Thè London and Paris Ohserver^ 1845. p.
186-187.)
Sopra Dante. ( The Pentameron and Penlalogia,
London, 1837. - Lavoro analizzato nella Quaterly Pievicw^
LXiv, 396 - 407 )
Leight Hunt, Dante; or the llalian pilgrinis progress-^
BIBLIOGRAFIA DANTESCA INGLESE. 713
being a Summary in prose of the Inferno, Purgatorio,
and Paradiso, Wìth comments Iroughout, occasionai passages
tersificd, and a criticai ISotice of the authof s life and
genius, London Chapman, 1845.
È la più gran parte del tomo primo delle Stories from
the Jtalian poets del medesimo scrittore.
Lyell Carlo, On the Anti-papal spìrit of Dante Allighieri,
London, 1842. (Dello spirilo catlolico di Dante AHighieri. -
Venne tradotto dall'inglese da Gaetano Polidori, London,
C. F. iMolini, 1844, in 4." pie. di xxx-246 fac.
Dante's Canzoniere including the poems of the \ita
?\ova and Convito, London, Molini, 1835, 1842.
MartIxN T., The Vita JSiiova of Dante, translated with
an Inlroduction and JSotes, London, 1861.
Rossetti D. G., The early italian Poets from Cìullo
d' Alcamo to Dante Alighieri in the originai metres logethcr
with Dante's Vita i\uova translated, London 18i)l.
SiMPsoN Leonardo, The liierature of Italy,
11 Taillandier, lo chiama un érudit estimable.-M. Léonard -
Francis Sìmpson a essayé lui aussi, une analyse, détaillée
du poéme de Dante. Son travail bien moins étendu qae col ni
de Lamennais embrassé d' une vue moins haute, noiirri
d' une science bien moins varice, est cependant une a^uvre
consciencieuse et d'utile emplai. E. D. Forgues.
Yernon-Warren Giorgio Giovanni.
Lord Vernon è uno de' più appassionati ammiratori del
nostro grande poeta, cultore zelantissimo e promotore ge-
neroso dogli studi danteschi. Se l'Italia ha per le stampe
il Comcnto di Pietro AlUghieri, le Chiose sopra Dante, il
Comento alla Cantica delV Inferno di Autore Anonimo, le
Chiose attribuite a Jacopo AlUghieri a lui solo se ne debìve
il merito, e dal canto nostro una devota riconoscenza. Ki
ci dava inoltre una magnifica edizione delle quattro stampe
principi della Divina Comedia (1858); e da lui pure atten-
diamo una novissima edizione del poema immortale, con
ricchissime illustrazioni.
Wright Thomas, St Patricli's Purgatory ; an Essay on
the legends of Purgatory, Hell, and Paradise, current du-
riny the middle Ages^ London, RusseH Snìilh 1844.
714 BIBLIOGRAFIA DANTESCA INGLESE.
Opera mollo dotta e utile, a consultare per lo studio
del ciclo poetico e leggendario al quale appartiene 11 poe-
ma di Dante. La sua importanza fu messa in bella luce
dalla Revue de bihliotjraphie analyliqiie, 1844, p. 340-343.
CODICI PIÙ ILLUSTRI
DELLA DIVINA COMEDIA
Firenze. - L.aurcnzBana. - La Laurenziana va ricca di ben
87 Codici ; 50 del sec XIV ; 37 del XV. - Parecchi prendono
il nome onde vennero, cioè di S. Croce, Gaddiani, Tempiani,
Strozziani, Mediceo-Palatiniy Acquistati, Della Badia di Fi-
renze, della Ss. Annunziala. Illustratore ne fu il Bandinì.
Fra questi sono insigni: il Codice cartaceo di S. Croce,
detto anche Codice Villani, o di Frate Tebaldo (Plul. xxvi.
Sin. N.'^i.) in foglio grande, del secolo XIV, di 212 pagine,
con larghi margini, di bellissima lettera, in caratteri grandi
ed ottimamente conservato. Ha pure alcune Postille margi-
nali, non che varianti marginali ed interlineari assai nume-
rose. A detta del fìatines è assai prezioso. - Di questo
Codice così sentenzia il Witte : x il Dionisi lo preferiva, e
per quel ch'io credo a ragione, a tutti gli altri. Per ben
due volte presenta la data del 1343. L'una di esse si leg-
geva sull'antica coperta del Mss., ma è senza dubbio di
piano assai più moderna, e dovrebb' esser aggiunta dopo
ia morte di Fra Tebaldo della Casa, il quale almeno nel
1406 era ancor vivente. L'altra, posta nel fine dell'opera,
completa in festo S. Aìinae 26 di Luglio in quo dux Athe-
narum, Gualterius tyramnus civitatis Florenliae pulsus est,
1343, fu creduta dal Batines della mano del copista. Né può
cader dubbio sullo scrittore: la soprascritta dell'antica
coperta lo dice scritto per mano di Messer Filippo Villani, r)
(Secondo il Witte, non di Filippo Villani, il Comentatore,
che visse SHioall405, ma di Filippo fratello degli storici che
si trova ricordato in un contratto del 23 Maggio 1343, e
nel 1324 fu de' Signori di Firenze.) Il Witte si attenne
sovrattutto alV autorità preponderante di questo Codice per
la sua edizione della divina Comedia. (Berlino, Decker, 1862.)
Io 8on persuaso, egli aggiugneva, che nuovi editori do-
CODICI PiU ILLLSTRI DELLA D.C. 715
vranno più strettamente seguire questo purgatisslmo Codice,
e se dovessi rifare il lavoro, molte delle sue lezioni che
ora occupano i margini sarebbero addottale nel testo. - K
altrove: Per la correzione del testo e pel carattere primi-
tivo delie lezioni nessuno supera anzi agguaglia il Mss. di
Filipi^o Villani. Primo a richiamarvi F attenzione fu Donir-
nìco Manni nel 1740 ... Io mi diedi a copiarlo letteralmenle
nel mese di settembre, e dopo la mia partenza con iscru-
polosità non minore fu condotto a termine dall'accuratissimo
Sig. G.B. Uccelli. - Il Tempiano 3Iar/rfiore, la Divina Comedia,
bellissimo Codice membranaceo, in foglio grande, della fine
del secolo XIV, legato alla Laurenziana dal Marchese Tempi,
di antica lezione, e adorno di vaghissime miniature. Il Ba-
tines dice d' aver veduto pochi Codici che gli possano essere
agguagliati. Il Becchi confessa di averne tratto grande van-
taggio per la sua edizione di Firenze. Le principali varianti
di questo Codice furono notate anche dal Montani. A questo
Codice, dice il Witte, si vuole aggiustare la data del 1328.
Al giorno d'oggi tutti concordano a leggere nelle sottoscritte
del Purgatorio e del Paradiso 1398 invece di 1328. Anche
il Witte lo ritiene senza dubbio uno elei testi più corretti
del poema. - La Divina Comedia col Cemento italiano del-
l' Ottimo ( Plut. XL. n. xix ), bel Codice membranaceo, in foglio
grande, del secolo XIV, di 175 carte, in carattere tondo
mezzo gotico, di bellissima lettera e ottimamente conservato.
Questo prezioso Codice fu spogliato dal Perazzini nel 1789,
e consultato dagli editori dell'incora. - La Divina Comedia,
col Comento italiano, detto dell' Arciv. Visconti, {?ìuì.\l. n.i.).
Codice in parte membranaceo, e in parte cartaceo, in foglio,
del secolo XV, di 339 carte a 2 colori, in carattere mezzo
gotico: è fregiato di pitture di assai buona maniera e tal-
volta singolari che il Mehus propone a modello di una
edizione figurata della divina Comedia. - La Divina Comedia
(Plut. XL. n. ut.), magnifico Codice membranaceo in foglio,
del secolo XV, bellissimo ed elegantissimo di 246 carte in
grandi lettere tonde mezzo gotiche. La prima carta di cia-
scuna Cantica è fregiata di una bella miniatura e di ricchi
rabeschi. Graziose iniziali a oro e colori, argomenti in lettere
d'oro (che non vanno oltre al C. x del Paradiso) stanno
716 CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C
in principio d'ogni Canio; altre piccole iniziali Irovansi in
principio d'ogni verso, e sono altcrnamenle dorate, rosse
0 azzurre. Questo Codice è imo de' più belli che si possano
vedere. - Il Wiile annovera Ira i Codici più correlli il
Gaddiano, (Plul. xc. Sup., n. cxxv) scritto da Francesco di
Ser Nardi nel 15i7, ma è mancante di un quarto circa
della divina Comedia.
Ulagliabecchiaiia, ora IVazionale. — Conta 35 Co-
dici ; 14 del secolo XIV ; 20 del XY, ed 1 del XVI: parecchi
le vennero dai Conventi di S. Marco e delia Ss. Annunziala. -
La Crusca si servì dei Codici : La divina Comedia (Palch. i.
n. 42; ci. vii, n. 1330); La divina Comedia, con Annotazioni
(Palch. I. n. 30; ci. vii. n. 1233 \ e del Giraldi per la com-
pilazione del suo Vocabolario. Notevolissimo e veramente
magnifico è il Codice membranaceo la divina Comedia, col
Comento di Francesco da Biili (Palch. i. n.29; cl.vn.n. 1232),
in foglio, del principio del secolo XV, si per la bellezza
del carattere mezzo gotico in cui è scritto, che perla ric-
chezza degli ornamenti in oro e delle miniature e per le
graziose figure che rappresentano vari concetti significati
nel divino Poema. Le miniature sono pregevoli per hi finezza
del lavoro e la freschezza del colorilo. Oltre V Aecademia
della Crusca, se ne servì il Becchi per il testo della sua
edizione di Firenze 1837, ed il Bernardoni per la sua lettera
sopra le varie Lezioni della Divina Comedia. Molti de' Co-
dici Magliabecchiani furono illustrati dal Follini.
Riccardiana. — Ha 36 Codici; 17 del secolo XIV,
19 del XVI. - Il Becchi per la sua edizione di Firenze si
servì dei Codici: La divina Comedia, n. 1025 (ii. ni. 361);
La divina Comedia, n. 1027 ; l' Inferno di Dante, n. 1026
(il. 111. 359); La divina Comedia, n. 1031; che fu già di Mi-
chelangelo Buonarolti il giovine; La divina Comedia, col
Comento dell' Ottimo, n. 1004 (antic. n 239.) - V Accademia
della Crusca de' Codici : La divina Comedia con annotazioni
latine, n. 1033 (0. J. xxiu); La divina Comedia, n. 1047
(antic. n. 384); L'Inferno di Dante, col Comento detto il
falso Boccaccio, n. 1028 (0. J. xiv.) - Il Tommaseo chiama
di buona lezione il Codice n. 1024 (antic. n. 283) ; ollimo
il n. 1025 (li. Hi. 381); vicinissimo alla lezione della Crusca
CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C. 717
il n. 1026 {il. 111. irò9), e se ne valse per la sua edizione
del 1837. - Il n. 1046, (Bai. 144), dice il ÌViUe, porla la
5()tloscrizione : Scrìpto per mano ili Paolo Duccio Tosi di
Pisa negli anni Dni MCCCXXYIUl adì Vili di scpt.: Tro-
vandosi che due allri lesli scrini dallo slesso Paolo di
Duccio Tosi da Pisa datano dal 1403 (Parigi n. 72oo, Bai.
431), e dal 1405 (Milano, Trivulz. iN.« 4. Bai. 261) questa
dala dev' essere errala, e deve dire 1391), oppure 1421).
Del resto il Codice è assai corretto, ma le lezioni n:ioderrwì
vi si trovano numerose.
Galleria degli Uffizi. — La divina Comcdia, con di-
segni di Federigo Zuccheri, Codice in foglio grande scritto
nel 1586.
Palatina. ( ora unita alla Magliabecchiana, o Nazionale ) -
Quattordici Codici novera la Palatina: 1 della prima metà
del secolo XIV; 7 dell' ultima metà; 5 del XV. - Prezioso
è il Codice PoQqiali, la divina Comedia, con Comento di
incerto (n. 178), in foglio della prima metà del sec. XIV
di cui quel celebre bibliofilo livornese si valse per la sua
edizione del 1807, e eh' egli non credeva posteriore del 1330.
Esso, assieme a' Codici Poggiali 180, 261, 6o5, 177, 171),
furono consultati dagli Accademici della Crusca per la loro
edizione del 1595. - Interessantissimo è pure il Frammento
del Paradiso (Bai. 165, Palermo 180) che abbraccia 3240
versi, ossia 3/13 della divina Comedia. Il primo a conoscerne
r importanza fy il Borghini, il quale, come si conosce dalla
pubblicazione recente del Gigli, chiamandolo il Quinterno
il confrontò pei Canti x-xix del Paradiso con un testo
comenlalo nel 1337, con uao di quei del Cento, e con alcuni
allri di minqre rilievo. Ultimamente il cav. Palermo, cre-
dendo riconoscervi il carattere del Petrarca lo stampò tutto
intero con esattezza diplomatica nel li Voi. dei Mss. della
Palatina p. 715-880. - Chiunque ne sia stalo lo scrillore,
dice il Witle, non si può negare a questo Codice il vanto
di una correzione, rarissimo nei testi a penna. Il Quinterno
Palatino è un testo eccellente, al quale, quantunque non
di rado già si allontani dal testo primitivo, sarebbe da ac-
cordarsi un luogo distinto, se per disgrazia non fosse ridono
a emno- di un quarto del poema.
718 CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C.
Altre Biblioteche private di Firenze. — La Biblio-
teca Frullani possiede pure un buon Codice, di cui si servi
il Becchi nella sua edizione del 1837; uno la Martelliana,
col Comenlo italiano, detto il falso Boccaccio che fu con-
sultato dagli Accademici della Crusca per la compilazione
del loro Vocabolario; due di preziosi, a giudizio del Ba-
lines, la Biblioteca Kirhup. Anche quella di Lord Vernon
vanta un Codice non senza pregio ed in cui il JSannucci
notò assai buone varianti. Le Biblioteche Baldovinetti, Ferroni^
Itinuccini, Vernaccia, ^^ozs/ posseggono Codici danteschi.
Cortona. — La Biblioteca àdV Accademia- Etnisca vanta
un prezioso Codice membranaceo in foglio della prima mela
del secolo XIY con belle miniature. Fu spesso cosultato
per le molte importantissime varianti che contiene. 11 Lo-
rini pubblica vale nel 1838, lavoro eseguito con somma di-
ligenza. Di questo Codice cosi parla il Wittc. Trovai si
grande il numero delle varianti di questo unico lesto, e
molte di esse tanto lontane dal testo stampato, che non
mi bastava l'animo di ammetterle tutte nel brevissimo spazio
rimastomi a pie' di pagina. Ciò non ostante ho consultato
assiduamente questi confronti per farmene dirigere nella scelta
delle lezioni da adottarsi nel lesto.
Pistoja. -La Giaccheriììcnse possiede un Codice cartaceo,
in foglio piccolo, del secolo XIY, con rare postille. - Anche
la Capilolarc ha un bel Codice membranaceo del sec. XV.
•Siena. — La Comunale ha sei Codici, i più appartenenli
ai Conventi di Siena. Il Codice segnalo i. vi. 29, l'Inferno
e parte del Purgatorio, che già apparteneva ai frati del-
l' Osservanza di Siena, presenta alcune varianti dalla lezione
comunemente seguita, ed è perciò degno di essere dili-
gentemente esaminato.
Modena. — La ex Ducale Biblioteca Estense va ricca
di 7 codici, de' quali ottiene il vanto il membranaceo, in
fogl. del sec. XIV, N. Vili, CI. VI, detto per la sua rara
eccellenza fra gli altri, V Estense. La sua bellezza non si
manifesta solo dalla scrittura, ma anche dalle pregevoli
pitture che adornano questo insigne esemplare. Il testo ò
pure stimabilissimo per la quasi perpetua bontà della sua
leiloue. Mollo varianti di questo codice prezioso ci furono
CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C. 719
recate dal Parenti e dal Sicca. Il Montfaucon lo chiama :
codex auctori pene aetfualis egregie descriptus. Ma il Witte
è del contrario avviso. «Ella non è veramente cosa difficile,
egli ci dice, di scegliere dalle tante centinaia di lezioni di
un testo a penna un bel numero di tali che abbagliano
per la loro novità ed adattabilità. Ma il criterio per farcì
giudicare delle bontà di un codice, invece delle numerose
varianti, consiste nella costante purgatezza del testo la quale
certamante non si trova in quel codice Modenese. -Y. Foscolo,
Discorso sul Testo, Sez. LXX. - 11 Codice della biblioteca
Coccopani Imperiali va distinto per molte postille anonime
del buon secolo, generalmente slese con molta naturalezza
e proprietà. Se ne serviva il suUodato signor Parenti per
le sue Annotazioni al Dizionario della lingua Italiana.
Parma. - La Ducale parmense ha tre codici ; le varianti
furono pubblicate dal signor Yiviani nella sua edizione udi-
nese, e gliele vennero comunicate dal Pezzana.
Piacenza. — La Biblioteca Landi ha pure un prezioso
codice membranaceo in fogl. del sec. XIV, le cui varianti
furono riportate dal Sicca nella sua Rivista delle varie Le-
zioni della Divina Comedia. Il IFitte lo dice corretto e di
lezione più primitiva. Porta la data del 1336. Ciò non ostante
anch'esso non manca di alterazioni progressive che il testo
serbò nei manoscritti del 300.
Bergamo. - Un bellissimo codice possiede la Bibliote-
ca Grumelli ed uno V Albani. Le varianti di questo ultimo
furono riportate dal Sicca.
iHantoYa. — 11 Parenti ci diede conto dei due Codici
delle biblioteche Bagno e Cavriani, e registravacì le prin-
cipali varianti, confrontate con quelle del codice Bartoli-
niano, e dell'edizione del Lombardi.- La biblioteca CapiUipi
possiede un codice pregevolissimo per la buona lezione del
testo e l'utilità del Comento. Se ne giovò anche il Cesari
per le sue Bellezze della Divina Comedia. Di questi tre il
Witte dice «più corretto il Codice Cavriani, benché l'orto-
grafia vi tenga molto del latino, e il testo che concorda per
lo più con la lezione volgata ma non antichissima, non
sia esente di qualche variante o erronea, o almeno non
Ispaileggìata da altro buca lesto. »
720 CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C.
Milano. L' Ambrosiana. — li codice membranaceo in
fogl. (N.°C. CXCYIII. Pars ìnf.) coli figure e miniature
dorale, secondo il giudizio dell' xib. Vìviani che ne fece uso
per la sua ediz. è preziossimo e di otlima lezione, in gran
parte diversa da quella del testo della Crusca, e concorde
al codice Bertoliniano. Il Catena lo crede della prima metà
del sec. XIV. All' epoca delia repubblica francese venne esso
trasportato a Parigi, come lo dimostra il suggello che vi
si vede impresso, colla scritta: Dihlìothéque JSationale. -
11 Porlirelli per la sua edizione di Milano si valse del Co-
dice IS. A. XL. Pars Inf., U Inferno di Dante, col comento
di Jacopo della Lana. Il testo di esso, secondo lui, è più
conforme alla lezione ISldoheatina che a quella degli Acca-
demici della Crusca. Anche il Yiviani consultavalo per la
sua edizione dì Udine. È di buona lezione : e pur consultato
dal Yiviani iwW Codice N. D. DXXXIX. Pars In f. La Divina
Comedia col comento di Jacopo della Lana, fatto da Anoni-
mo: la milanese del 1804 facea pur uso di molte varianti
che vi si riscontrano.
Milano. _ Brera. — Stupendamente bello chiama il
Batines il Codice N.^ A. N. XY. 17, La Divina Comedia, Il
Bernardoni giovavasl del Codice N.° A. F. XI, 131, L'Inferno
e il Purgatorio di Dante, per la sua lettera sopra le varie
lezioni della Divina Comedia.
Milano. - Trivuiziana. — DI ben 22 Codlci va ricca
la Trivulziana. Preziosissimo, ed uno dei più antichi, secondo
il Batines, con data certa e perfettamente conservato, con
molte bellissime varianti è il Codice membranaceo, in foglio,
della prima metà del sec. XIV, e con miniature (N. II). Ad
ogni canto precede un breve argomento in prosa scritto
in ottima lingua. Questi argomenti furono pubblicati dal
Viviani nella sua edizione di Udine, dove reca pure un
facsimile della scrittura di questo Codice. Quantunque,
dice il Witte, questo Codice porli la data del 1337, puro
non manca anch'esso di alterazioni progressive che il testo
serbò nei manoscsitti del 300. Però anch'agli lo giudica
assai corretto e di più primitiva lezione. - Sono pure im-
portanti il Codice N. I, V Inferno e il Purgatorio di Dante,
che appartenne al pittore Bossi e da lui altamente pregialo.
CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C. 721
e le cui varianti pubblicava nella edizione della Divina
Comedia ch'eseguiva in Milano nel 1809. - Il Codice N. VII,
la divina Comedia con Chiose di Fr. Stefano, è pregiatissimo
pure per le molte Varianti, e per le chiose contenutevi,
citato dal Torelli, e tenuto in gran considerazione del Can.
Dionisi: - Del Codice XIII, la Divina Comedia, scrive-
va l'Ab. Viviani: la correzione della lettera di questo bel
Codice, da me riscontrato con diligenza fa sì eh' io lo re-
puti uno dei migliori testi a penna del sec. XIV: - il n.
XVIII, la Divina Comedia, con Cementi latini ed italiani, è
preziosissimo per le molte notizie sparse nelle chiose, e
perchè scritto non da un semplice copista, ma da un grande
amatore e studioso di Dante.
miiano — Archinto. — Di due preziosi Codici dan-
teschi va ricca la biblioteca Archinto, specialmente di quello
dell' Inferno di Dante, con Comento di Frate Guido da Pisa,
mirabile per la bellezza e conservazione: a pie' delle facce
si ammirano di molle leggiadrissime miniature, che se
non sono di Giotto, sono di certo della sua scuola. Inoltre
a ciascun canto trovansi altre eleganti miniature, fregiate
a oro e colori. Anche i Codici Archinti furono consultati
dal Yiviani, e riportatene le Varianti dal Sicca.
Padova. — La Biblioteca del Seminario possedè 4 Co-
dici, tra' quali ottiene il vanto il n. ix. la Divina Comedia;
magnilico Codice membranaceo, in foglio, del secolo XIV,
in bel carattere, con gran margine, adorno al principio di
ogni caria di figure e miniature singolari. I Codici patavini
furono consultati dall' Ab. Viviani, e le Varianti pubblicate
dal Sicca nella sua Rivista delle varie lezioni della Divina
Comedia. %
Treviso. — La Biblioteca municipale possedè un Codice
membranaceo in 4.", del secolo XIV, di bellissimo carattere
chiaro e regolare, di eccellente lezione e con isplendide
miniature d' oro. 11 Comento a questo Codice consiste in
alcune poche e brevissime postille fatte sopra le parole
del testo fra 1' una e l'altra riga, ed ora sopra i margini,
uè già in tutta l'opera, ma soltanto nell'Inferno. Lo Scolari
lo ritiene uno de' più importanti che si conservino nelle
Biblioteche italiane. Il Sicca ne recò le più notabili Varianti.
Voi.. H. 4C
722 CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C.
Il benemerito ab. Po/a«3aMi instlluì diligenlissimi confronti
(tuttavia inediti) tra il codice dantesco Trevigiano ed il
Bartoliniano, e raccolse di molte preziose varianti e mostrò
quanto il primo sia da preferirsi al secondo. - 11 Bonifazio
(L. YIII.) sull'autorità de' vecchi cronisti trevigiani, asseri-
sce che questo codice fu lasciato dalia famiglia Aliighieri
che dal 1327 pose stanza a Treviso, e fu ascritta a quella
nobiltà ( 14 Giugno 1394 ), e vi si trattenne lino al 1350. -
Tra le altre varianti del codice trivigiano mi piace di
riportare le due terzine del e. 34 v. 46-52.
Sotto ciascuna uscivan due grand' ali,
Quanto si convenia a tanto uccello:
In mar non vidi mai vele colali.
Non avean penne, ma di vipistrello
Era lor modo, e quelle suso alzava,
Sì che tre venti si movean da elio.
Verona. — 11 Manoscritto legato dal Fontana alla Bi-
blioteca del Seminario va adorno di miniature a più colori
e ad oro, di figure e di rabeschi con fruiti fiori ed animali.
Fu consultato dal Yiviani. Il Sicca ne riportò le Varianti. -
11 P. Bartolommeo Sorio, p. dell' Oratorio, ha dettato alcune
lezioni accademiche sul testo Compostriniano.
Udine. — Bartolinìana. — PrCZiOSO è il Codice già
posseduto dal celebre antiquario e filologo M.*" Dalla Torre,
vescovo di Adria, acquistato poi dal Co. Bartolini, da cui
gli venne il nome. Fu letteralmente pubblicato dal Viviani. -
Sulle varie lezioni di esso scrissero il Lampredi, il Parenti,
il Foscolo ed il Co. Puppi. - Y. Foscolo, Discorso sul Testo
dalla Sez. xi alla xiv. - Sez. xxiii e seg. lix. lxix. - « La
vanità letteraria, dice il Witle, offusca gli encomiatori ed
editori di Codici, persino a farli sopprimere tutto quello
che suppongono recar pregiudizio all'aureola della quale
vorrebbero incoronato il Codice da loro idolatrato. Ciò non
ostante il testo Cartoliniano potrebbe essere benissimo, se
non il più autentico di tutti, almeno uno dei migliori, di
modo che il lavoro non condotto a buon termine dal Viviani,
fosse da rifarsi. 11 testo del Codice è da ritenersi di buona
mano, ma il maggior suo difetto consiste nell' esser passato
per le mani di persone che raschiando ed alterando, ne
CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C *723
fecero sparire la lezione primitiva. Può dirsi ch'esso rap-
presenti il tipo dei testi scritti intorno o dopo la metà dei
300, cioè quando in sostanza i Codici davano ancora il
poema nell'originaria sua purità, ma quando già ben molti
passi erano stati alterati dall'ignoranza o dalia saccenteria
degli ammanuensi, quando dunque la Volgata già era in
parte costituita. - Su questo Codice così sentenzia la Civiltà
Cattolica (Quaderno 326, 17 Ottobre 1863, p. 241.): iNoi
siamo molto tenuti di anteporre il celebre Bartoliniano
di Udine allo stesso S. Croce, che ha cotanta autorità sul
Sig. Witte. Certo coli' esperimento che ne abbiamo fatto
co' quattro Codici del Witte, abbiamo veduto che spesso
là dove r uno o V altro di essi, o anche tutti insieme danno
in ciampanelle, 1' udinese solca diritto, sicché quasi quasi
diremmo che questo solo vale i quattro Codici ( S. Croce,
Vaticano, Caetani, Berlinese), Vero è che il Witte mostra
dubitare della fedeltà del Yiviani nel riprodurre quel Co-
dice : ma se puossi concedere che nelle cose minori il Yi-
viani è stato inesatto, non vi ha però nessuna ragione di
supporre che artatamente abbia alterato il testo, che avea
promesso di dare nella sua integrità, sol correggendo la
rea ortografia. - La libreria Fiorio possiede un Codice del
secolo XIV decorato da vari ornati, di bellissima ecorret-
tissimajezìone. Il Sicca ne riportò le Varianti. - La biblioteca
Torriani possiede due ^''rammenti del Paradiso che voglionsi
scritti al tempo in cui Dante dimorava presso la famiglia
della Torre. Il benemerito Can. Dalla Torre ne indicava le
principali varianti, che il Sicca accoglieva pure nella sua
Rivista.
S.Daniele del Friuli. - La Biblioteca Comunale pos-
scdc un Codice membranaceo in foglio massimo del secolo
XI Y, V Inferno e il Purgatorio di Dante, col Comento ita-
liano dell' Ottimo, e con altro Comento latino. V edizione
udinese del 1838 riporta un facsimile di questo Codice.
Cividaie del Friuli. - La Biblioteca Clarecini ha un
Codice membranaceo in 4.^ del secolo XV, la Divina Comedia
con Postille. Dottissime sono le postillo interlineari ed in
margine, scritte di pugno di IS'icolò Clarecini di Cividaie,
letterato e giureconsulto del secolo XV. Nel 1839 venne
724 CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C.
pubblicato un opuscolo col tìtolo: Varianti della Divina
Comedia del Codice Clarecini in confronto del Bartoliniano.
Queste varianti furono riportate dal Sicca.
Genova. - 11 Codìce Baratta fu lodato dal Grassi per
le molte varianti di gran rilievo non più notate. Il P. Giu-
liani se ne giovò per l'edizione de' suoi sludi Danteschi. -
Lodato pure dal Giuliani per la correzione del testo è il
Codice D. N.^ VII, La Divina Comedia illustrata co' Conienti
di Benedetto, nel 1408, che appartiene alla Biblioteca del
Marchese Diira^zo; ma sovrattutto il prezioso Codice D. N.^
XXXYI, la Divina Comedia con Postille.
{Savona. - La Comunale possiede un Codice membra-
naceo, in foglio, a 2 colonne, in carattere semigotico. 11
testo è buono: esaminalo, darebbe per avventura ottime
varianti.
Torino. - La Biblioteca dell' Università ha tre Codici,
uno in bellissima pergamena, in 4.^ del secolo XIV, in
carattere tondo, nitidissimo ed adorno di eleganti miniature
a oro e colori, e di lettere iniziali, fregiate a colori. Gli
altri due sono del sec. XV.
Venezia. - La Marciana va ricca di 20 Codici, lutti
consultati dall'Ab. Ylviani per la sua edizione Udinese, non
che per le sue varianti dal Sicca. Copioso di belle lezioni
è quello al N.*^ LIV ; correttissimo il Codice CI. IX. n.^XXX ;
di buona ed esalta dettatura il Paradiso di Dante, CI. IX.
n.*^ XXXVII ; di qualche pregio quello al n." LV, La Divina
Comedia, col Comento di Jacopo della Lana, veduto e citato
dal Salviati ne' suoi Avvertimenti della lingua sopra il
Decamerone.
Roma. - La Vaticana va ricca di ben 23 Codici; Vi
del secolo XIII; 9 del XV; 1 del XYL Dal luogo onde
vennero prendono il nome di Urbinati, Palatini, Ottoboniani,
Capponi, della Regina di Svezia. - Stupendo è il Codice
3199, La Divina Comedia, con alcune postille attribuite al
Petrarca. Apparliene al secolo XIV, ed è di 80 pag. a 2
colonne, in carattere tondo alquanto gotico, per esecuzione
calligrafica e per conservazione meraviglioso, con membrane
candidissime e con larghi margini. Ad ogni canto sono i
titoli in ìncliloslro rosso, e iniziali fregiate a oro e colori, e
CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C. 725
piccole iniziali colorite ad ogni terzina. Sul cadere del sec.
XY era posseduto dal Card. Bembo, cui pervenne con altri
scritti del Petrarca. Nel 1798 fu trasportato a Parigi, com'è
manifesto dal sigillo della Biblioteca Reale, venne di poi
ricuperalo il 14 Ottobre 1815, - V. Foscolo, Discorso sul
Testo, Sez. LXIX. - L'edizione della Divina Comedia, pub-
blicata dal Fantoni nel 1820, è copia di questo manoscritto,
che si vuole per tradizione fosse di mano del Boccaccio, e
postillato dal Petrarca, cui si crede appartenesse. - Il PFìtte
non lo vuole né scritto dal Boccaccio, ne postillato dal
Petrarca. Benché, egli aggiunge, i non pochi errori che vi
s'incontrano sieno stati da altri rilevati, pur questo Codice
esibisce dall' un de' lati un testo quasi già immune da ri-
toccamentl ed alterazioni degli ammanuensi posteriori ....
L'importanza di questo testo per la costituzione della lezione
volgata della nostra stampa basta per renderne indispen-
sabile l'accurato confronto. - Bellissimo è pure il Codice
membranaceo Ottobonìano N. 2358, La Divina Comedia col
comento di Jacopo della Lana, in foglio, della line del sec.
XIV, a 2 colonne, di bella lettera e di buona conservazione,
composto di 210 carte. Venne donato alla Vaticana da
Benedetto XIV. - Veramente magnifico é inoltre V Urbinate
N." 365, La Divina Comedia, Codice membranaceo, in foglio,
del secolo XV, in bel carattere tondo e mirabilmente con-
servato. È il più notabile, dice il Batines, se non forse il
primo, tanto per l'esecuzione calligrafica, quanto per le
pitture che ne lo adornano. Le membrane poi sono candide,
con larghi margini, e ben proporzionate, ed é splendida-
mente legato. Ha 110 grandi miniature, cioè 41 nell'Inferno;
46 nel Purgatorio ; 33 nel Paradiso. L' Agincourt crede che
quelle del Paradiso sieno dello Zucchero, e alla scuola del
Perufjino appartengano quelle del Purgatorio. - Il Cod. N."
3197 racchiude tutte le poesie di Dante e del Petrarca. »
E scritto in papiro perniano del Bembo, infoi. Sul principio
della Div. Comedia il Bembo annotò il giorno in che diede
mano al lavoro: Sexto Jul, MDl, nel quale, come rilevasi
dalja nota Tinaie, non Ispese che un'anno e 20 giorni:
Finitus in Recano (la villa di Baccano, celebrata da Tito
Vespasiano Strozzi, padre di Ercole, sotto il nome di « rus
726 CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C
Pclosellae), rure Ilerculis S(rozzae mei Septimo hai. Auff.
MDll. Questo Codice, dal cominciar del frontespizio sino
air ultimo verso, conviene letteralmente colla slampa Aldina,
terminala pochi giorni dopo quel 2() di Luglio. L'islessissima
ortografia, i segni di puntature, d'apostrofazione e di accenti
si trovano tanto nell'una che nell'altra. Si vede adunque
che l'Aldo avea cominciato a stampare, quando il Bembo
era ancora nel bel mezzo del lavoro, che foglio per foglio
sarà stato spedito da Reccano a Venezia. » - Wilte.
Di molti altri Codici vanno fornite le altre Biblioteche
pubbliche e private di Roma. Secondo il Batines 3 ne conta
la Casanatense; 12. la Corsinìana; 3. V Angelica; 1. quella
del principe Borghese; 20. la Chiyìana; l. la Biblioteca del
Collegio Romano; 1. quella del Convento di S. Pantaleo; 1.
quella del conte Pier Fiorenzi; 1. quella del comendator
De Rossi; 12. la Barberiniana, e molti di essi notevoli
tra' quali primeggia il Codice n." 2192. La Divina Comedia
col Comento di Jacopo Della Lana, ottimamente scritto e
di buona conservazione, non che adorno di iniziali miniate
a rabeschi ed oro. Il Sig. Rezzi dice che n'è buona la
lezione e che merita di essere consultato. - li celebre testo
Caetani, (Duca di Sermoneta ) dice il Witte, non é men
corretto del codice di Berlino, anzi lo sorpassa qualche
volta nel carattere genuino della lezione. Da esso trassero
assai scelte lezioni gli ed Editori romani del 1820.
Anche la Biblioteca dell' Università di Bologna vanta
2 Codici : 1. la Forlivese ; 3. la Perugina ; 2. la Classense di
Ravenna (Y. Bibliot. Classense illustrata nei principali suoi
Codici e nelle più pregevoli sue edizioni pel co. Alessandro
Cappi, Rimini, Orfanelli e Grandi, 1847); 1. la biblioteca
Gambalunga di Rimini; 2. quella di Foligno. - Prezioso è
poi il Codice Antaldino (Pesaro) e da gran tempo notissimo
nella repubblica letteraria ; il de Romanis che se ne valse
per la sua edizione romana del 1820 ne scriveva: Codice
cartaceo, in fogl. di carattere rotondetto e non antichissimo,
ma così ricco di ottime lezioni, che si può dire essere la
copia di un assai vecchio e prezioso manoscritto; per questo
è tenuto in gran pregio da' letterati. Il Batines dice purga-
tis^imo il Codice Oliveriano pure di Pesaro. Egli ha la data
CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C 727
più antica di tulle le apposte ai Codici della divina Comedia,
se si potesse prestar fede alla nota marginale che vi si
trova al principio del C. ix. del Purgatorio: Palmìzanus de
Palmizanis, foroliviensis, 1328. Ma la scritta di questa nota
visibilmente differisce da quella del testo, e il Marchese
Antaldi la giudico a ragione aggiunta da qualche falsario
per ingannare chi non ha perizia degli scritti. Il WUte lo
vuole invece uno del pessimi fra i cattivi.
Oltre a quattro Codici che possedè la Biblioteca già
Borbonica di Napoli, ne hanno pure le biblioteche napoli-
tane de' PP. Geroìimini e del Principe Pio. - Il Codice del
Monastero di Monte Cassino fu spogliato da Euslazio Di-
eearclieo. (P. Ab. di Costanzo.) Quantunque non rappresenti
il testo più antico e genuino, è scritto con molta diligenza
e merita di essere annoveralo fra i buoni. L'ortogralìa è
assai più corretta che nel maggior numero degli altri lesti. »
fritte. - Un Codice pure è posseduto dalla Biblioteca del
Monastero di S. A'icolò di Arena di Catania ; uno da quella
dei 11 R, P.P. Filippini dell' Olivella dì Palermo (illustrato
da Agostino Gallo, Effemeridi letterarie di Sicilia N.^ 1832,
e nel Centenario di Dante, p. 179 ) ; ed uno dalla Biblioteca
(lei P. P. Benedettini di Monreale.
Dei Codici stranieri ricorderò solo che la Biblioteca Im-
periale di Parigi ne possedè 32 ; de' quali, secondo il reggiano
Ferrari, il più prezioso è il n. IO Fonds de Réserve, La
divina Comedia, e che può anche gareggiare in merito e
in antichità coi più celebrali d'altre Biblioteche. Non ha
dola certa, ma lutto concorre ad indicarlo della prima metà
del secolo XIY. Apparteneva alla Biblioteca di Pio \1, il
quale portava speciale affetto a Dante e a questo pregia-
tissimo Codice ; il perchè lo aveva preso seco nell' esigilo,
non lo lasciava mai, e, lui morto, fu trovato sul suo letto.
Il Codice è scritto a caratteri tondi, ma piuttosto magri.
I segni ortografici mancano lutti, e le parole non sono
divise colle debite distanze. Al principio di ogni Canto vi
sono delle vignette con figure vagamente miniale; miniale
pure sono le lettere d'ogni Canio, ma grossamente, maiu-
scole le iniziali d'ogni terzetto, minuscole le altre. Gji
argomenti che precedono i Canti, sono dettati colla sera-
728 CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C.
plicilà e la purità della favella del buon secolo. Ha gran
copia di varie lezioni che spirano odore dantesco. - Di
meravigliosa correzione lo slesso Ferrari chiama il Codice
Foncls de Réscrve N.o 3 ; di buona lezione e dei migliori
della Biblioteca il 6874; ottimo per la bontà del testo il
7764; di buonissima lettura, e tolto da un testo antico ed
eccellente, con ortografia scrupolosamente corretta, costante
e ricco di varianti, il Codice Fonds de Reserve J\\o 8, 2 ;
tolto pure da prezioso esemplare e da tenersi in molto conto
il Codice Fonds de Réserve, JS.o 7002, e di lettura veramente
purgata il N.° 7252.
Il Witte pone fra i pregiatissimi per somma correzione
del testo quello che dopo di esser stato del Sig. Tommaso
Rood e D.'' Giorgio Feder Nott passò alla Biblioteca R. di
Berlino. Generalmente parlando, ei dice, la lezione è antica
e primitiva, e questo eccellente testo è stato più volte
l'unico sull'autorità del quale potei fondare la lezione che
io credo genuina.
Il catalogo dei Codici Mss. compilato dal fiati nes li fa
ascendere a 187; ma questa numerazione, secondo il Witte,
è assai inesatta. Non meno di 24 Codici ricorrono sotto un
altro numero. Questa coincidenza è indicata dall'Autore
slesso ai numeri 197, 199, 200, 201, 202, 203, 204, 205,
206, 207, 208, 209, 210, 211, 212, 213, 214, 216, 217, 218,
471, 521, 536. - Non la vide pur nei numeri 426, e 441
che sono identici col 418 e 435. - Oltre a questi sono da
levarsi 5 Codici che non contengono che Conienti e forse
qualche brano del poema (37, 49, 147, 303 e 473, N.° ,22^
23, e 24); 8 altri per lo più di data recentissima che invece
dell'opera di Dante ne danno poverissimi estratti, e sono
i numeri: 121, 122, 133, 160, 161, 331, 340, 390; e 5 che
per essere dopo la fine del 400 non possono dirsi Codici,
e sono i numeri: 120, 162, 250, 341, 373. Finalmente anche
i testi smarriti, almeno pel momento, ed enumerati dal
Batines in 17 Numeri (192 (due) 193, (quasi tutti i testi
consultati dagli Accademici) 194, 195, 196, (tre) 198, 217,
(tre) 392, (due) 395, 396, 317,449, 465, 466,467,468,472);
due cartacei non possono prendersi in considerazione. Cosi
il numero è ridotto a 478. Ma anch'esso non è esalto.
CODICI PIÙ ILLUSTRI DELLA D. C. 729
Alcuni numeri del di Batines comprendono più codici: il
n. 85 ha 3 lesti dell' Inferno, 2 del Purgatorio, e due del
Paradiso; e il ii. 393 ne registra due. Altri manoscritti,
benché mentovati dal di Batines non ottennero da lui nu-
merazioni: due trivulziani a p. 145; il Ferrarese, p. 211, e
un Codice del Dott. iSott di Winchester, p. 268. Altri final-
mente rimasero sconosciuti a quel diligentissimo francese:
(s'aggiunga dopo il n. 186 un Codice della Sig.'^ Marchesa
Venturi ne' Ginori ; dopo il n. 220 un Codice di Pioppi in
Casentino, mentovato dal Sig. Barlow ; dopo il 256 un se-
condo parmigiano; dopo il 393 un terzo bolognese; ed in
fine dell' opera tre testi nuovi acquistati dal Museo Bri-
tannico (registrati dal Sig. Barlow), due, poco tempo fa,
posti in vendila dal librajo Laemlein di Sciafussa, e dal
libraio Potier di Parigi; e tre che furono del Marchese
Arnaldo Arnaldi di Pesaro. Inoltre si sostituisca ai due
Codici cartacei dell' Escuriale (472), che non esistono, un
membranaceo della Biblioteca Nazionale di Madrid. Con
questi 20 Codici il numero totale arriva a 498.
EDIZIONI PRIEIPAII DELIA DIVINA COJIEDIA
1472. Comincia la Comedia di Dante AlWjliieri di Fiorenza
nella quale tracia delle pene et punilione de vitii et demeriti
et premii delle virtù (nel quarto mese adi cinque et sei)
Fulìgno, per Giov. Numeister ed Evangelista Mei, in foglio
pie. carattere soprassilvio, senza segnature numerazioni e
richiami. - Rarissima. - Prima edizione, con data certa,
e tenuta anteriore a quella di Jesi e di Mantova. - Racco-
mandasi essa non solo per la sua rarità, ma eziandio per
la bontà della lezione, ed a giudizio del Yiviani, è fra le
antiche quella che meglio concorda coi buoni Codici.
1472. Dantis Alif/erii, poetae fiorentini, Inferni Capitulum
primum incipit ( Magister Georgius et Magister Paulus leu-
tonici hoc opus Manluae impresserunt adiuvante Golumbino
730 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
veronensi): impressa a due colonne, senza cifre richiami
e segnature: non ha che 91 fogli. - Rarissima. - li lesto
seguilo in questa edizione gareggia in rarità coirantecedente.
Il Yiviani se le professa debitore di molte preziose lezioni.
Un bellissimo esemplare è conservato nell' Arcivescovile
dì Udine.
1472. Liber Dantis, impressus a lìJar/istro Federico Vero-
nensi: (qiiartodecimo Kalendas Augusti, in4."gr.). Questa
edizione di Jesi, concorda in parte con pregiatissimi tesli,
e per rarità indubbiamente avanza le precedenti, ma è assai
scorretta. Un bello esemplare esiste nella biblioteca Corsini.
1473. Comincia la Comedia di Dante Alleghieri di Fio-
rcnze, nella quale tratta delle pene de' vidi et demeriti et
premii delle virtù, Napoli, Reusinger, in fogl. pie. - Debbesi
questo prezioso cimelio alle cure di Francesco del Tuppo,
napolitano. L'ediz. veramente non ha data: si argomenta
però che debba riuscire al torno di quest'epoca, benché
il Balìnes le assegni il 1471. - In fine del Purgatorio si
leggono le parole: Soli Beo gloria: erubescat Judaeus in-
felix. M. V. - Dalla preposta prefazione è manifesto che
un Giudeo si fosse gagliardamente adoperato ad impedire
la pubblicazione della divina Comedia, onde puossi a ra-
gione dedurre sia questa la prima edizione napolitana.
( Per queste quattro prime edizioni, Y. l' edizione di Londra,
per cura di G. Warren, lord Yernon, l8o8.)
1477. Incominciano le Cantiche della Comedia di Dante
AUighieri fiorentino, Napoli, Matteo Moravo, in fogl. picc. -
Ediz. rarissima, fatta su buona carta e bei caratteri romani
grandi e rotondi, e senza abbreviature, la più bella, a parere
diDibden, di tutte quelle ch'escirono alle luce sino a quella
epoca. Anche il Witte la dice meno scorretta delle ante-
cedenti.
1477. Dante, col Contento di Benvenuto da Imola, Yenezia,
per Yindeliu da Spira, mezzo fogl. -Assai rara. - Edizione
in graziosi caratteri gotici, accuratissima per l'esecuzione
tipografica. Il Comento, a torto attribuito a Benvenuto è
nel comune assegnalo a Jacopo della Lana. In questa edi-
zione, dice il Witte, cure più assidue vi pose Yindelino da
Spira (oppure Cristoforo Berardi, pesarese). La veneta del
EDIZIOM PRINCIPALI DELLA D. C. 731
ViiKlelino li mette soli' occhio la \oIgata del maggior nu-
mero de' codici buoni ma non anlichisslmi, si trova più
libera anche degli errori materiali che offendono il lettore
a prima vista.
1477-78. Dantìs Comocdia cum Comentariis, Mecìiolani^
edente Martino Paolo IS'ìdobeato ISovariemi, in fogl. - Rara, -
Edizione celebre, e dal nome dell'editore detta iV?V?o6eatjna.
La stampa della prima Cantica fu compiuta a' 27 Settembre
li77; quella della seconda a' 22 novemb. 1477; della terza
nel 1478. Questo testo venne adottato per l'edizioni romane
del 1791, 1815 e 1820, e per la milanese del 1804, ed anche
dagli editori di Padova. In questa edizione furono ommessì
gli ultimi 39 versi del e. xv dell'Inferno, ed i versi 118-
19 del XIX del Purgatorio. - La ISidobeatina, dice il Witte,
ha conservato non poche lezioni che rimontano a un tempo
anteriore allo stabilimento del testo volgalo. - Nel 1478
Maestro Filippo (C. Lucio Lelio) fece in Venezia un'altra
edizione della divina Comedia, detta rarissima dal Witte,
in cui curioso è il titolo: (f Comincia la prima parte chia-
mata Inferno della Comedia del Venerabile poeta Dante
Alighieri.» Nell'edizione di Venezia, fatta a cura di Fran-
cesco Figino, nel 1491, fu chiamato il poeta inclito e divo ;
in altra stampa pure di Venezia per Bernardino Stagnino,
1512, s'intitolò divino, e finalmente fu chiamata per la
prima volta divina la Comedia nell'edizione di Venezia per
Bernardino Stagnino, 1516.
1481. Comento di Cr iato foro Landino sopra la Comedia
di Dante AlUahieri, poeta fiorentino, Firenze, Della Magna,
in fogl. gr. con figure (30 Agosto). Prima edizione firentina
e veramente magnifica, e la sola, dice il Foscolo, procurala
con alcun sentimento di critica, sì perchè il Landino era
uom dotto e scrittore non vano, e sì perchè ad illustrare
il poema ebbe aiuti e consigli di uomini pari suoi, ed ci
vi spese lunghissimo studio e vigilie. La correzione però
non corrispose al lusso tipografico. - Ed il Witte: il primo
a fare un lavoro veramente critico sulla Comedia di Dante
sembra essere stalo il Landino nella celebratissima slampa
di Lorenzo Della Magna, riprodotta senza mutamenti essen-
ziali per 5 e più volte nel corso degli ultimi due decenHÌ
732 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
del secolo. Non solo ei si diede a spurgare il lesto dei tanti
idiotismi che i copisti vi aveano intrusi, piegando la lingua
di Dante al dialetto proprio, ma pure sembra fuori di dubbio
eh' egli abbia confrontato alcuni buoni Codici, presceglien-
done quella lezione che sembravagli corrispondere meglio
tanto al senso, quanto al genio di Dante. - Bellissimi esem-
plari se ne conservano nella Biblioteca Reale di Parigi, e
nella Palatina, Riccardiana, e Magliabecchiana di Firenze,
adorni d'incisioni e di eleganti disegni a penna. Prezioso
e quanto mai rarissimo è 1' esemplare in pergamena che
conservasi nella Malgliabecchiana.
1502. Le Terze Rime di Dante, Venezia, in aedibus Aldi,
in 8.*^ - Graziosa e rara edizione, assai pregiata per la sua
correzione. È la prima volta che si vegga adoperala l'An-
cora aldina, non però in lutti gli esemplari. - Nel sec. XVI,
scrive Ottavio Gigli, si abbandonò la lezione delle stampe
del secolo XIV, in alcune delle quali era assai buona, per
seguire con l'autorità di un gran nome, una lezione che
si diede per ottima, e in fatto noi fu. La stampa di cui
parlo, che fece sì gran danno alla buona lezione del Poema,
secondo è opinione di molti, si conformò ad una copia
manoscritta del Bembo, ora fra i codici vaticani num. 3197
(V. il codice indicato). Su questa fu cavata l'altra del 1315
( Dante, col sito et forma dell' Inferno tratta dall' istessa
descrizione del Poeta, impressa in Vinegia nelle Case d'Aldo
et d'Andrea di Asola suo suocero nell'anno MDXY, nel mese
di Agosto in 8.^, ediz. dedicata a Vittoria Colonna), servita
al Borghini pei suoi confronti, e da lui in tal modo giu-
dicata nel notare una Variante nel Canto xix del Paradiso:»
Così ha il testo vulgato; e per fuggir confusione, intendo
per vulgato il testo stampalo da Aldo nel 15, che questo
ho innanzi, e mi riesce peggiore di tutti gli altri che erano
stampati innanzi, tal che comincio a pensare che sia stalo
corretto per conietlura a fantasia da qualcheduno, che si
può dire più giustamente corrotto. E in altro luogo dei
confronti dice: «che aumenta la sospizlone dell'essere il
testo di Aldo rassettato da qualcuno a fantasia e secondo
la regola de' moderni.» Ed il Witte: «L'Aldina del 1502
si può dire il fondamento di tutte le stampe del libro di
EDIZIOISI PRINCIPALI DELLA D.C. 735
Dante che nel corso di 3 secoli e mezzo, e smo al giorno
(l'oggi furono falle in Italia e fuori. Innumerevoli per certo
furono le correzioni, ovvero i guasti che ci fecero i posteri,
ma il fondo materiale del testo rimase sempre intallo lo
Aldino. Si è creduto quasi sempre che per. questa edizione
il celebre tipografo veneto si sia prevalso dell'opera del
Bembo L'Aldina, servendo di base ad innumerevoli
edizioni posteriori, ottenne un'autorità senza pari, pure le
persone più intelligenti non rimasero soddisfatte. » - Questa
lezione fu adottata dalla Crusca per la stampa del 1595,
dal Volpi per la padovana del 1727, ed anche oggi dagli
Accademici per la quinta impressione del loro Vocabolario. -
Il Borghini ci ha lasciato il lesto del 15, di cui parla, lutto
postillato di sua mano, con alcune notevoli varianti, senza
allegazioni di codici, e con altre chiose marginali che for-
mano un comento cavato da altri ed anche proprio, e che
riguarda il senso letterale allegorico, le proprietà di lingua,
e la storia di cui Dante si valse. Questo esemplare del
Borghini è ora posseduto dal marchese Commendatore
VicenzoAnlinori. -Nella Magliabecchiana si conserva inoltre
un altro prezioso esemplare del 15, nella cui ultima pagina
perniano di Baccio Valori si legge scrìtto: stampato l'anno
1515 e riscontralo nel 1546 con sei testi in San Gavino dal
Varchi, Luca Martini, Alessandro Menchi, Camillo Malpigli,
e Guglielmo Martini; dei quali lesti ì migliori furono due
di Luca Martini, uno in carta pecora, e l' altro in carta
bambagina. E Camillo Martini ci lasciava memoria, in un
foglio trovatosi fra la carte del Borghini, che annoiarono
più di duecento laonhi che mutavano sentenzia. - Nell'islessa
Magliabecchiana si conserva pure una stampa dell'edizione
Aldina del 1502, postillata dal cav. Leonardo Salviati, la
cui vi hanno qua e là importantissime osservazioni, e dove
tra l'altre cose si legge*, lo per me direi che nelV Inferno
Dante è più che uomo, nel Purgatorio mi pare un angelo,
nel Paradiso divino. (V. Spettatore di Firenze, 1856, p. 503.)
La Trivulziana possiede un esemplare aldino con postille
marginali di Sperone Speroni e di Alessandro Tassoni. -
Nel 1802 l'Aldina del 1502 fu esattamente e perfettamente
conlrafatla, e credesi stampala a Lione per Barlolommeo
734 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
Trolh. - La seconda Aldina, a giudizio del Witte, non si
distìngue dalla prima che per qualche cambiamento negli
apostrofi e buon numero di nuovi errori. Quella del 1502,
benché molto corretta, non è però senza mende tipografiche.
1506. Comedia dì Dante, insieme con un Dialogo circa il
iìto forma et misure dello Inferno, Firenze, Giunti (a' 20
Agosto), in 8." - Graziosa edizione, accuratissima e rarissima :
la precede un Cantico di Girolimo Benivieni, fiorentino, in
laude dello excellentissimo poeta, ed un dialogo di Antonio
Manelti circa al sito, forma e misura dell'Inferno, accom-
pagnato da sei incisioni in legno. Il testo di questa edizione
fu dal Yiviani giudicato eccellente, e pieno di molte belle
lezioni. - Il Witte vuole abbia fondamento indipendente
dall'Aldina, ma che però, malgrado questa independenza
poco le si discosti.
1544. La Comedia di Dante Allighieri, con la nuova espo^
sizione di Alessandro Vellutello, Venezia, Marcolini, in4.*'-
Rara. - Edizione bellissima, decorata di eleganti intagli, e
dal Yellutello dedicata alla S. di Paolo III. Questa edizione,
a giudizio del Witte, in gran parte ritorna al testo dell»
edizioni antiche.
1555. La Divina Comedia di Dante di nuovo alla sua
vera lezione ridotta con l'aiuto di molti antichissimi esem-
plari, Venezia, Giolito, in 12.'' - Rara edizione ed elegan-
tissima. Quantunque il Dolce asseveri di averla fatta sopra
un'esemplare trascritto di mano d'un figliuolo di Dante,
e per conseguenza d'avere in molti luoghi diligentissima-
mente emendato il testo, pure lascia desiderio di maggiore
correzione. - Le varie lezioni registrate dal Dolce, dice il
Witte, molte delle quali non sono che differenze di orto-
grafia, sono in numero minore di 68, e derivano in gran
parte, non dal codice del preteso figlio di Dante, ma dalle
stampe del Landino e del Vellutello.
1562, Dante con Vesposizione di Cristofano Landino e di
Alessandro Vellutello, riformato, riveduto e ridotto alla sua
vera lettura per Francesco Sansovino, Venezia, Marchiò
Sessa e frat. in foglio. - Dedicò il Sansovlno questa edizione
al Pontefice Pio V. Ebbe grande credito a' suoi tempi, sicché
ne fu replicata la slampa pure in Venezia negli anni la'S
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C. 735
0 1505, sempre in foglio. Su quest'ultima nominatamente
cadde la censura deW Incììce Spafjnuolo (pubblicato in Ma-
drid r anno 1614) intorno ad alcuni passi del comento
Landiniano, e si ordinò che dal poema di Dante di qualsiasi
stampa si dovessero togliere vianelC. xi dell'Inferno i versi
8 e 'J; nel G. XIX del Purgatorio i versi 106 a 118, e nel
C. IX del Paradiso i versi 136 sino alla line del canto.
1568. Dante con l esposizione di M. Bernardino Daniello
di Lucca, Venezia, Pietro da Fino, in 4.^ piccolo. - Edizione
in corsivo, molto ricercata, per amor del Comento che di
quei giorni fu pregiato assai. Esso è disposto attorno il testo
ed è impresso in caratteri romani più piccoli. In questa
edizione, dice il Witte, si trova qualche rara mutazione del
testo aldino, e per lo più in meglio, ma come il Daniello
uon dice donde abbia ricavato le sue varianti, s'ignora in
quale conto esse sieno da tenersi.
1595. La Divina Comedia di Dante AlWfiiieri, nobile
fiorentino, ridotta a miglior lezione dafjli Accademici della
Crusca, Firenze, Manzani, in 8.^'. - Decantata" edizione della
Accademia della Crusca, o per dir meglio di Bastiano dei
Rossi, lo In ferrigno. La prefazione ci ragguaglia che « le
prime e le principali tra le cagioni che indussero gli Ac-
cademici ad imprendere questa fatica sia stata l'opera del
Vocabolario della nostra favella, » che allora avevano tra
mano. Si dolgono anch'essi di aver trovalo il divino poema
così lacero e mal governo e da' copiatori e dalla stampa,
ed eziandio da' comentatori, che poco se ne potessero in
essa acconciamente servire, se prima non cercassero di
sanarlo dalle sue piaghe. Aggiungono poi di averlo fatto
in modo che l'autorità e le ragioni sopra le quali sono
fondati i loro mutamenti, nel margine apparissero palesi.
Ma assai diversamente, scrive il Witte, si è giudicato del
lavoro degli Accademici del 95. Mentrechè gli editori del
600 e quasi tutto il 700 non credeva poter far meglio che
di ripetere letteralmente il testo del Manzani, e mentrechè
ristesso Foscolo tocca le accuse fatte contro il testo dello
Inferrigno, di accuse che sanno di servitù che si vendica
di tiranni scaduti, queste accuse non cessarono mai, e i
primi a non assoggettarsi al parere di quella edizione citata
736 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
erano i Vocabolaristi all'uso dei quali era stala fatta. L'er-
rore principale di questi Accademici mi sembra di essere,
che invece di ricostruire tutto di pianta il lesto del divino
poema, si contentarono di fare un qualche numero di mu-
tazioni dall' Aldina, Le varianti introdottevi dagli Accademici
montano a 650, cioè 6 o 7 per canto. Si troveranno moltissimi
esempi di lezioni, le quali, benché sostenute dal consenso
quasi unanime dei codici non furono, non dico adottate,
ma nemmeno mentovate dal Rossi. Essa è dunque cosa
certissima che se gli Accademici confrontarono veramente
verso per verso tutta la divina Comedia nei Codici che
aveano a mano, e non si contentarono forse di riscontrare
in tale e in tal altro lesto quei passi che ne credevano
più degni, almeno la maggior parte delle lezioni che doveano
aver osservate fu da essi soppressa. Cinquanta furono i
lesti consultati per la correzione, anzi si potrebbe dire 61,
essendoché fra I libri somministrati da Luigi Alamanni e
Cosimo Bar ioli si trovano i confronti già anteriori falli di
altri II Testi. Il Wille aggiugne che ì 400 e più lesti da
lui confrontati o fatti confrontare per il iii e. dell'Inferno
prova che gli Accademici non attendevano troppo ai prin-
cipii da loro nella prefazione emmessi Si renda però
ogni giustizia agli Accademici del gran merito di aver
restituito alla vera lezione numerosi passi della Comedia,
ma si conceda nell'islesso tempo, il materiale critico da
essi registrato sui margini ed in fine del Volume essere
di pochissimo lavoro per chi desidera di continuare il lavoro
da loro solamente comincialo. » - Questa riputatissima ediz.
caduta sventuratamente in mano di stampatore negligen-
lissimo, riuscì zeppa di errori, e per giunta alla derrata
fu impressa in caratteri Stanchissimi.
1726-27. La Divina Comedia dì Dante AlWihieri già
ridotta a miglior lezione dagli Accademici della Crusca,
accresciuta di un doppio Rimario e di tre Indici, Padova,
Cornino, Voi. 3. in 8.^ con ritratto. - Gli Accademici della
Crusca giudicarono la presente edizione molto più di quella
del Manzani emendata e corretta. Pregiatissimi e più volle
pubblicati sono gl'Indici ed i Rimarli aggiunti dal Volpi.
Cento e sassanla errori, così gli Editori, notati ch'erano
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C. 737
in fine dell'edizione del Manza ni abbiam tolti via... si sono
rimesse ne' loro siti varie Postille che nella fiorentina erano
fuori di luogo, in dette Postille sonsi distinte le citazioni
degli Autori colla varietà de' caratteri e si sono aggiunti
ad esse contrassegni più esatti. Abbiam notato, (e supplito
ancora dove si è potuto, coll'aiuto del testo aldino dell'anno
1502 che fu adottato dagli Accademici) molte varie lezioni
tralasciale per inavvertenza nella fiorentina . . . finalmente
nella tavola dell' autorità dei Testi ... si sono accennate
le mancanze de' numeri delle stesse autorità che s' incon-
trano nella suddetta tavola dell' edizione fiorentina. Nella
Cominiana, dice il Witte, si trova lutto quanto è contenuto
neir edizione originale, ma per di più si veggono con somma
diligenza espurgate le numerosissime mende, di modo che
quasi lutti, da questo tempo in poi, che si volevano servire
del testo degli Accademici si contentarono della slampa
Cominiana. Il Serrassi nel 1752, il Venturi nel 1732, il
Zatla nel 1757 la riprodussero fedelmente. (V. Foscolo,
Discorso sul Testo, sez. ccv. )
1732. Dante con una breve e sufficiente dichiarazione
del senso letterale, diversa in più luorjhi da quella decjli
antichi Comentatori, Lucca, Sebastiano-Domenico Capurro,
Voi. 3 in 8.^ gr. - È la prima edizione col Comento Venturi,
benché non se ne legga il nome, ed è oggidì divenuta rara.
Vi ebbe pur parte il P. Fr. Antonio Zaccaria. L' editore G.B.
Placidi dedicavala a Clemente XI. Se ne moltiplicarono le
edizioni, ma la più comendevole, ed in cui la dichiarazione
si ridusse alla sua integrità si è la veronese per Giuseppe
Berno, 1749, Voi. 3, in 8.^ e che venne intitolala al celebre
Scipione Maffei.
1757-58. La divina Comedia di Dante AlWjhieri, con varie
annotazioni, e copiosi rami adornata e con /' agfiiunta di
tulle le altre opere, Venezia, Ani. Zatla, Voi. 5 in 4.° -
Edizione falla con lusso, secondo il Gamba, ma con poco
buon gusto. Va fregiala di 106 incisioni eseguile con molla
diligenza. 11 testo adottato, meno pochi cambiamenti, è il
Cominiano del 1727. Venne dedicata a S. M. Elisabetla
Pclrowna, imperatrice di tutte le Russie.
1791. La divina Comedia di Dante AUighieri, nuovamente
VOL. II. 47
738 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
corretta spiedata e difesa da Baldassare Lombardi 31. Coni\
Roma, Ani. Fulgoni, Voi. 3, in 4.'^ - 11 Lombardi tenne a
primaria sua scorta 1' edizione Nidobeatina, anzi tanto le
si era legato di amore, al dire del Foscolo, che dove le
altre discordavano da essa, faceane pochissimo conto. In-
trodusse nel testo non poche felici emendazioni. - Il Lom-
bardi, scrive il Witte, fu il primo a riassumere dopo 96
anni gli studii critici sulla divina Comedia. Seguì il testo
della famosa Nidobeatina, ma non interamente. La Nido-
beatina nei tre primi Canti esibisce all' incirca 50 lezioni
almeno degne dì essere prese in considerazione. Il Lom-
bardi ne adottò 11, aggiugnendo nella tavola posta in
fine del Volume altre 12 come pregiabili. Ma le altre
sono tanto lungi dall' essere senza valore che diversi editori
recenti ne raccolsero non poche nel testo, senza dubitarsi
ch'esse si trovassero nella Nidobeatina. Il Lombardi con-
frontò per questa sua edizione alcune stampe del 400,
segnatamente quelle di Foligno e di Mantova del 1472; la
Veneta di Vindelin da Spira del 1477, quella del Landino
del 1481 e non pochi testi a penna delle librerie romane.
I Godici, più degli altri da lui esaminati, sono i Corsiniani.
Inoltre si trovano delle lezioni prese da alcuni Codici
Vaticani (Caponi 266; Vaticano 3200, 2866, 3201 e Caponi
336.-Batines 322, 327, 312, 335, 336), due della Casanatense
Cod. m. 5 (Batines, 344), 2 HI. 4 (Bat. 442); 2 di Casa
Chigi, L. VII. 251, e L. VI. 212. (Bat. 379, 385), uno del Card.
Garampi (Cod. nella Biblioteca Gambalunga di Rimini, Bat.
404); due del Card. Zelada, li quali sarebbero passati in.
Ispagna. Non furono essi consultati a norma di un certo
sistema critico, ma a caso ed a capriccio, dove qualche
passo al Lombardi pareva dubbio o scabroso, ora l'uno ed
ora l'altro. - Questa edizione venne accolta da applausi
quasi unanimi. Veramente l'avere spurgato il lesto di Dante
da non pochi errori particolari all'Aldina, ed ai mss. che
le avean servito di fondamento, e da' numerosi capricci di
Bastian de' Rossi è un merito che si debbe riconoscere al
P. Lombardi. Ma si avverta che nel medesimo tempo il
nuovo editore, privo della scorta dei principìi di una soda
crìtica, sostituì assai di spesso alla lezione dagli Accademici
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C 739
cavala da' testi più antichi im' altra più moderna, che dai
Codici più recenti era passala nella Nidobeatina. Ciò non
ostante l' edizione romana, ovvero testualmente, oppure con
qualche mutazione men essenziale fu riprodotta sovente. -
Fu riprodotta nel ISlo, ma avvantaggiata dal de Romanis
(Voi. 4. in 4.«j, e nel 1820, Voi. 4. in 8.« - V. Edizione de
Romanis. (Y. Comentì Parziali, 1825, iVoìiti Yicenzo).
1795. La Div. Comedia di Dante, Parma, Bodoni, Voi. 3 in
fol. reale. -« Magnilìca edizione, di cui furono tirati soli 130
esemplari numerati, 25 de' quali in fol. stragrande. Fu
eseguita sulle nuove lezioni procurate da Mons. Can. Giov.
Jacopo de' Marchesi Dionisi, veronese, passionato ammiratore
di Dante. É osservabile quanto intorno al testo dionisiano
scrisse Ugo Foscolo: » Ristoratore del testo dantesco, e atroce
emulo del Lombardi... proverbiando gli Accademici della
Crusca, e pur fiorentineggiando più ch'essi, ogni idiotismo
e arcaismo toscano era per Dionisi lezione purissima, l
codici, ove brulicavano di mostri, tanto più gli venivano
in grazia ; e purché vi spiasse interpretazioni inaudite, a
lui parevano modi originali di lingua degni della divinità
del poema. Leggeva, viaggiava, sognava a illustrarlo con
anticaglie minute ed aneddoti, contraddicendo sempre ad
ogni uomo; anzi per lavare l'autore di ogni macchia umana
che mai gli scrittori amici e nemici gli abbiano attribuito,
contraddiceva anche a Dante, e anclie dove ha parlato di
se. Così fattosi martire del poema e del poeta, provocava
altri a ridere insieme e resistergli; perch'era acuto, osti-
nato, imperterrito: e i più lo credevano vittorioso, quando
pochi si trovano d'aver tanto d'ozio e di vocazione da
sincerarsi del merito in si fatte dispute; onde il Bodoni si
tenne beato di lasciargli emendare il testo di una edizione
splendida : e l'arte del tipografo preserverà i sogni dell'anti-
quario. Pur tanti n' aveva il Dionisi per fantasia, e li
riguardava e spianavali in mille modi, che dove gli altri
critici aveano disperato del vero, ci talor vi coglieva. Sco-
perse alcuni documenti ignotissimi ed utili, e richiamò gli
studj alla storia della Divina Comedia. Foscolo, Discorso
sul Testo del poema di Dante, Sez. ccvii. - « Il Dionisi, cos'i
il Wilte, più ch'altro ebbe ricorso al Codice di S. Croce,
740 EDIZIOM PRINCIPALI DELLA D. C.
e senza dubbio le lezioni da esso desunte formano il mag-
gior pregio della splendida edizione del 1795 da lui pub-
blicala coi tipi Bodoniani, e per 3 volte ripetuta in 6;**
minore. - Ei dà per fondo della sua ediz. la celebre firen-
lina del 1595, ossia la ristampata dal Cornino da Padova,
0 quella ch'egli chiama Volgata per essere in sostanza
lutt'uno. Egli aggiunge non essersi scostalo mai dal testo
di essa che per seguir da presso, quanto potè, l'autorità
de' Manoscritti e la scorta della ragione, dietro al condotto
de' canoni della critica, e dell'altrui e della sua propria
esperienza. Ciò non ostante l'edizione del Dionisi rappre-
senta assai meglio il testo detto di Filippo Yillani che la
edizione del Lombardi e quella della Nidobeatina. Ad onta
però di meriti così evidenti e vistosi non ebbe un'accoglienza
troppo favorevole..... ed invece di esserne ringraziato fu
immeritamenle vilipeso da non pochi. »
1804. La Divina Comedia di Dante AlUfjhierì, illustrata
di note da L. Portirelli, Milano, Società tipog. de' Class,
ilal. voi. 3. in 8.^ - Devesi alle cure del Portirelli la pre-
sente edizione, in cui segui la Nidobeatina da lui giudicata
la migliore, affermando di averla seguita con maggior fe-
deltà di quello che facessero gli editori romani del 1791;
e, perchè al lettore sia data facoltà di giudicare dal mag-
gior pregio della sua lezione, ha riportalo in nota le varie
lezioni adottate nell' altre edizioni, specialmente, in quella
degli Accademici. - « Il Portirelli, dice il Witte, prese a
modello la Nidobeatina, non però limitandosi a quella sola
edizione Nidobeatina che il Lombardi avea approvato, ma
adottando ancora un bel numero di lezioni da esso trascu-
rate... se il Lombardi rende un quarto della lezione Nido-
beatina, il Portirelli ne dà i tre quarti ma non più. Lo
spoglio di varianti del Codice di Monte Cassino pubblicato
dal P. Ab. Costanzo fino dal 1811 non pervenne alle mani
del Portirelli che dopo terminata la stampa dell'Inferno.
Egli lo mise a profitto per le due ultime Cantiche, e ne
supplì le lezioni più importanti dell'Inferno nella Prefazione
del Purgatorio.» - Un'esemplare di questa edizione è ge-
losamente custodito dal comune di Saluzzo, ed è l'esem-
plare permesso a Silvio Pellico di avere nelle carceri dì
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C 741
Venezia, di cui egli parla al C. VI. delle mie Prigioni. Questo
10 segui in Moravia, dove poi gli venne ritolto d'ordine
del governatore, siccome ivi è raccontato al C. LXXX. I
volumi sono legati in semplice cartone, e compatibilmente
bene conservali. Essi portano sulla prima pagina la lìrma
dì Silvio Pellico di suo pugno. I margini del poema sono
qua e là segnati con linee a matita, di note a penna, po-
chissime e concise, relative soltanto all'interpretazione di
qualche verso. [Mondo lelter. 12 Marzo 1859.)
1804. La Divina Comedia con la versione tedesca, Pen-
nìng in Sassonia, a spese di Fr. Dienemann e Comp. voi. 3
in 4.*^ gr. car. vel. - Bella edizione, giudicata correttissima,
per cura del Prof. Fernow, bibliotecario di Jenna. Una
specie di Atlante, in foglio bislungo, contiene 39 figure
incise dall' Humel, sul fare del Flaxman, tutte per l'Inferno.
L'editore ha seguito la lezione degli Accademici della
Crusca, sull'edizione datane dal Zatta nel 1737, conferen-
dola con quella del Lombardi.
1804-09. La Divina Comedia di Dante Allighieri, con
Illustrazioni, Pisa, dalla Società letteraria, voi. 4, in fol. -
Bella edizione, pubblicata per cura del prof. Giovanni Ro-
sini, tirata in soli 2S0 esemplari, 20 de' quali in carta velina
di Francia, ed uno in pergamena. La lezione adottata è
quella degli Accademici della Crusca, ma l'editore si giovò
pure delle varie lezioni che offrono le più riputate edizioni:
11 ritratto del poeta fu inciso dal Morghen.
1807. La Divina Comedia, già ridotta a miglior lezione
dagli Accademici della Crusca, ed accuratamente corredata
accresciuta di varie lezioni tratte da un antichissimo Codice,
con note di Gaetano Poggiali, Livorno, Masi e comp., coi
tipi Bodoniani, voi. 4, in 8." - Edizione molto pregiata per
la correzione e nitidezza, mercè le cure del celebre biblio-
grafo Gaetano Poggiali, e da esso dedicata alla Maestà di
Maria Luisa, Infanta di Spagna e Regina d'Etruria. È adorna
di un ritratto di Dante inciso dal Morghen, e di un Piano
dell'Inferno, secondo il Manetti. - La lezione adottata è
quella degli Accademici della Crusca. A prescegliere questo
testo, dice il Poggiali, ci ha determinato la somma perizia
4ii quei valentuomini che con tanto studio, e colla scorta della
742 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
accurata edizione Aldina del 1402, e d'un gran numero
di antichi codici niss. presero a stabilire la più plausibile
lezione di questo meraviglioso poema, onde fu esso testo, da
chi ha fior d'ingegno, risguardato sempre come T ottimo. -
Questa edizione, scrive il Witte, fu corredala dal Poggiali
di alcune ma ben poche lezioni di un suo codice, che si
crede essere stato di Pier del Nero, ed attualmente si tro-
va nella Palatina di Firenze (Batines 163). Sembra al
Poggiali che la scrittura di esso non debba oltrepassare 11
1330, e lo trova fornito di parecchie varianti a suo cre-
dere assai comendablll ed atte ad Illustrare e migliorare
molti luoghi del poema. Egli confessa però, aver rilevato
da un più diligente esame che, unite alle migliori, altre
ve n'erano inferiori a quelle degli Accademici, onde gli
sembro più sano consiglio di notare soltanto In pie di
pagina quelle tra le varie lezioni che gli sembrarono me-
ritevoli di particolare osservazione. Concorda con questo
giudizio il De Batines. Il Palermo dubita della data, e rileva
1 non pochi errori che sfigurano il testo. L'esame però di
queste lezioni c'induce ad annoverare il codice Poggiali
fra 1 buoni, non però fra 1 migliori. - Il Foscolo,' nelle sue
Postille alle Rime di Guido Cavalcanti ci fa sapere di avere
postillato di sua mano una stampa della Dlv. Comedia fatta
dal Poggiali in Livorno, Yol. I, e di avervi scritto un Di-
scorso Intorno a Guido Cavalcanti. Ma per quante ricerche
si sieno state falle non si riuscì a sapere presso chi esista
oggi quella copia, che certo, come può congetturarsi spesso
dal Discorso sul testo, e dalle poche illustrazioni rimasteci,,
dovette essere al Foscolo di precipuo sussidio a quel suo
lavoro, come quella, acuì ne' margini e negl'i nterfogli^
secondo era suo stile, egli avea forse consegnala la maggior
parte delle riflessioni, del pensieri e de' ragionamenti che gli
accadeva di fare e comporre a mano a mano ch'el leggeva e
studiava 11 suo divino AUighlerl, e ch'egli cita spessissimo,
come già messi al loro luogo nel citato Discorso sul testo. Un
altra copia della stessa edizione del Poggiali, con alcune brevi
postille autografe del Poggiali, per dono degli eredi della
Donnei gentile, è ora posseduta dall'egregio mio amico France^
sco Silvio Orlandini, benemerito tanto dell'opere Foscoliane,
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C. 743
1808. La Divina Comedia, illustrata di note da Romualdo
Tolti, Londra, Zolli, Voi. 3. in 18. gr. - Graziosa e nitida ediz.
adorna del ritrailo di Danle, inciso dallo Schiavonetli. 11
lesto è dell' edizione del 1791.
1809. La Divina Comedia, Milano, Mussi, 3. voi. in fol. gr.
(l Maggio). Edizione splendidissima, tirala in soli 72 esem-
plari, cioè 62 in carta bianca, 8 in turchina, 2 in caria
distinta. Venne essa assistila dal cav. Lamberti e dal prof.
Ottavio Morali, i quali assieme col pittore Giuseppe Bossi,
attesero diligentemente alla slampa del poema, che, a mal-
grado del ridicolo di cui la sparge il Foscolo, riuscì mira-
bilmente corretta. - « Il Mussi, così il Witte, accompagnò
la sua edizione del 1809 di alcune varianti prese da un
testo delle due prime cantiche che in quel tempo era del
Bossi, ed ora fa parte della splendida raccolta del Trivulzio
(Bai. 259). Gli eruditi, citati dal Mussi, giudicarono questo
Codice coevo deliautore, scritto per avventura quando la
terza Cantica non era ancor pubblicata, ma sono persuaso
che fra ì critici odierni ben pochi saranno dello stesso av-
viso. Taccio dell' ortografia che si può dire rozzissima, ma
la stessa lezione del lesto per 1 ben molti errori che la
sfigurano, si conosce lavoro di un qualche copista materiale. »
1818-17. La slessa, Roma, de Romanis.- L'editore romano,
dice il Foscolo, mostra quanto la volontà perseverante
riesca spesso a compensare moUi difelli; ed egli per le
sue edizioni vuoisi considerare il più benemerito fra gli
stampatori della Divina Comedia. - Vi assistette, così il
Witte, il Prof. Ruga. Oltre alle varie lezioni del Codice
Cassinese inserite a suo luogo sulla fede del P. Costanzo,
vi troviamo alcune del codice Caelani, confrontate per la
prima volta, benché un poco alla leggiera, dal Ruga. Forse
non meno di CO di queste lezioni furono introdotte nel
lesto, stampandole però per modo di contrassegno, in ca-
rattere corsivo. I confronti di non meno che 4 testi a
penna somministrarono al do Romanis un buon numero di
nuove varianti per la 3.* sua edizione pubblicala a Roma
<ial 1820 al 1822. Il Codice più esaltamente esaminalo per
questo scopo sembra essere il Valicano N. 3199, da molti,
come già si disse, creduto scritto di proprio pugno del
744 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C
Boccaccio. UQ'altro codice confrontato fu l'Anlaldino primo.
(Batines 400). Lo spoglio delle varianti fu fatto dalla Contessa
Monti Perticari. Ma il de Romanis trascurò di profittarne
per gii ultimi 14 canti dell'Inferno, e non mantenne H
sacramento fatto dirlstamì^arlo tutto infine delV opera. Ancora
più insufficienti sono le varianti estralte da un Codice
Chigiano (Batines, 382). Vediamo nella Prefazione al Pur-
gatorio che il celebre ab. Fea che le avea notate tutte ne
fece dono al de Romanis. Ciò non ostante esso non se ne
servi che dal xv Canto della IF Cantica in poi, e non pensò
di darle a modo di supplemento per la prima metà del
poema. Ma parimenti per gli ultimi 52 Canti 1' editore
romano non cita le nuove lezioni di questo mss. che quando
gli apparivano belle e speciose o quando confermavano la
lezione di Nidobeato o la comune, o quando s'accordava
con gli altri famosi Codici che avea fin allora adoperato.
Non sembra che i termini nei quali il de Romanis crede
dover riferire le varianti del 4 Codice (Angelico T. 6. 22,
de Batines, 357) sieno molto più estesi. Egli si limita a
dirne nella prefazione che col favore dì questo mss. qualche
dubbiezza era stata schiarita, ed in alcuni luoghi essere
stato impossibile di non riformare la lezione di Nidobeato.
Un quinto Codice allora posseduto da Milord Glembervic,
ed ora passato al Museo britannico (N. 10317 - De Batines
503, 536) fu consultalo per alcuni passi del paradiso. Con
maggior cura fu tutta nuovamente collazionala col Codice
Caetani. Mentre l'edizione del 15 non ne recava nessuna
variante, pei 3 primi canti dell'Inferno, qui ne troviamo 21.
Anche questo però non basta di gran lunga. La nostra
edizione oltre all'aver adottate 22 lezioni del Codice Caetani
rifiutate dal de Romanis ne riporta come varie sui margini
di questi 3 canti non meno di 31.
1817-19. Za Divina Coniedìa, con Tavole in rame, Firenze,
all' insegna dell'Ancora, 4 Voi. in fol. grande, carta velina,
adorni di 125 tavole. - Libro veramente magnifico, tanto
per la bellezza e splendidezza del lavoro tipografico, quanto
per r eccellenza dei disegni che contiene. Ne furono editori
Antonio Rienzi, G. Marini e Gaetano Muzzi che lo intito-
larono a Canova. La lezione è quella della Crusca : il quarto
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C. 145
Volume è ricco di estratti dai Comenti dell'Anonimo, di
Pietro Allighieri e del Boccaccio, e di alcune note di uomini
letterati dei tempi più tardi, e taluni viventi, dettale con
discernimento e dottrina. Luigi AdamoUì inventò e gran
parte intagliò le tavole delle Cantiche dell' Inferno e del
Purgatorio, e Francesco ISenci tutte quelle del Paradiso.
Se nelle prime dispiacque talvolta a' conoscitori di trovare
il lavoro trascurato si nel disegno che nell' esecuzione,
nelle seconde del Nenci si ammirano spiegate e rappresentale
da pittor valente le più belle imagini del poeta.
1818. La stessa, col Comento di Giosa fatte Biagioli, Pa-
rigi, Dondey-Duprè, 3 Voi., in 8." - Bella e nitida e corret-
tissima edizione. L'editore si giovò di un estratto delle
Bellezze di Dante, lavoro inedito dell'Alfieri, e pubblicò
nuove varianti, tolte da un mss. del secolo XIV, posseduto
dal cav. Stuart. 11 Salfi raccomanda grandemente agli stu-
diosi dì Dante questa edizione, dicendola una guida sicura
ed illuminata per chiunque desideri rendersi famigliare la
maniera e lo stile del gran poeta. Venne anche lodata dal
Monti. (V. Comenti parziali, Monti Vincenzo.) - Il Biagioli,
così il Witte, tolse le varianti del Purgatorio e del Paradiso
da un Codice allora posseduto da Milord Stuart (Bai. 50);
scelta che riesci assai scarsa di numero, e le poche lezioni
riportate nell'edizione parigina non bastano per dare un
giudizio del valore intrinseco del testo. Del rimanente il
Biagioli, benché strenuo difensore degli Accademici, massi-
mamente contro il Lombardi, si allontanò non troppo di
rado dalle stampe del Manzani e del Comino.
1819-24. La stessa, con tavole in rame, Bologna, Gam-
berini e Parmeggiani, 3 Voi. in 4." gr. - Bella edizione,
dovuta alle cure diiW ab. Filippo Macchiavelli. Vennero in
essa per la prima volta pubblicate 101 tavole dantesche,
inventate ed intagliale nel 180G e 1807 da Giovan-Giacomo
Macchiavelli, bolognese, morto in Roma nel 1811. Molta
vita e grande maestria nell' arte e profonda intelligenza
del poema si rivela in queste tavole, giudicate ancor più
belle di quelle dell'incora. Alla fine di ciascheduna Cantica
gli editori bolognesi aggiunsero osservazioni e discorsi or
buoni or disutili, come avviene, dice il Foscolo, ove i suo-
746 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
nalori d' orchestra son parecchi, e niuno fa da maestro
all' orchestra ... Del resto l' edizione è di uomini savi, ed
utile a chiunque attende allo studio più che alle dispute
intorno al poema. Trascelsero e strinsero in brevi e lucide
note i Comenti migliori, e le apposero ai margini, si che
l'occhio precorre quasi ad un tempo i versi e le spiega-
zioni, onde la mente non patisce distrazioni.
1820. La Divina Comedia, traila da un manoscritlo del
Boccaccio, Roveta, negli Occhi santi di Bice, Yol. 3 in 4.®picc.
con una tavola rappresentante i ritratti di Dante, del Petrarca
e del Boccaccio (comparatane l' impressione a' 23 Settembre
1823). È copia del celebre Codice Vaticano, creduto auto-
grafo del Boccaccio, e dall' editore Fantoni tratta, al dire
del Witte, con fedeltà diplomatica a Parigi, prima che fosse
il Codice Vaticano restituito. L'edizione fu eseguila in
Roveta, piccola villa, in uno stremo d' Italia, in mezzo le
Alpi, tra i gioghi altissimi del Presolano, ed è registrala
tra i testi di lingua. Ila pregio di molta accuratezza.
1822. La Divina Comedia, col Comento del P. Baldassare
Lombardi, ora nuovamente arricchita di molte illustrazioni
edite ed inedite, Padova, tip. della Minerva, 5 ,Vol. in 8.° gr.
Ne furono editori Giuseppe Campi, Fortunato Federici e Giu^
seppe Maffei : sopraintese all' esecuzione tipografica Angelo
Sicca che vi pose ogni cura, e riuscì a rendere 1' edizione
correttissima e per avventura la migliore delle moderne.
Veggonsi in essa ristrette in poco le diverse opinioni dei
più accreditati Comentatori moderni, cioè Magalotti, Lami,
Bottari, Torelli, Dionisi, Perazzini, Strocchi, Lampredi,
Parenti, de Romanis, Macchiavelli, Cancellieri, Bossi, Betti,
e più d' ogni altro del Lombardi, al cui comento l' univer-
sale suffragio assegnava il primato, fra quanti il secolo ne
aveva sin allora veduti. La lezione trascelta, la Nidobeatina,
secondo l'edizioni romaoe del 1791 e del 1815, di alcuni
pochi e leggeri mutamenti in fuori, suggeriti dal confronto
fatto con qualche Codice riputatissimo, non che dalle più
eccellenti edizioni, specialmente quelle degli Accademici, del
Poggiali, del Biagioli e del Macchiavelli. Importantissime
sono pure le varie illustrazioni che le si aggiunsero. Fu
dedicata a Vincenzo Monti, Men favorevolmente la giudica
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C. 747
il Foscolo. «Edizione di altra mole, d'altra tendenza e
d'altro uso assai che non la bolognese del Macchiavelli.
I.a direste intrapresa a somministrare prelesti di contro-
versie, ragioni, erudizioni e sofismi a' duellanti di penna ;
e contro alla buona coscienza degli editori, a' quali il lavoro
tornò fatto diverso da qHello che ei disegnavano, forse
[lerchè non aveano disegno veruno ne' materiali apparec-
chiati innanzi tratto. Modestissimi editori ei sono a ogni
modo, da che fra tanto cozzo di opinioni, s' inframmettono
cauti e decidono raramente. Ma se fossero andati men ti-
midi in questo, e più guardinghi a ragunare tutto, e ùa
lutti, forse che la loro edizione sarebbe meno voluminosa
e insieme più utile. » - Gli editori della Minerva, scrive
il Wille, con modestia lodevole non si vantano che di aver
fedelmente ristampato il testo e 1' apparalo critico della
ctilzione romana, non mutando nel primo che pochissimi
passi, che giudicarono aVerne bisogno. Veramente arricchi-
rono quell'apparato di giunte assai meritorie. Consultarono
nominatamente quattro testi a penna del seminario di
Padova, e riferirono le varie lezioni del Codice Estense men-
tovato dal Parenti nelle sue annotazioni ai Dizionario del
Cardinali. Confesso che quelle tante giunte e sopraggiunte
rendono un poco difficile a maneggiare quella vasta congerie
di varianti,
1823. La stessa, giu.sta la lezione del Codice Bartoliniano,
Udine, Mattiuzzi, tip. Cecile (1823-27), Voi. 4, in 8.° - Accu-
rata e corretta edizione, dovuta all' ab. Quirico Vìvianì,
ed essa pure ricca di molti indici ed illustrazioni. L' autorità
del Codice Bartoliniano fu acremente impugnata dal Foscolo:
V. Discono sul Testo, Sez. xi a xiv; Lviii, lxiv. - Y. Articolo
del Benci, Osservazioni criliche sopra alcune lezioni del
Codice li arto limano. Antologia di Firenze, Voi. XVIII. -
1/ edizione udinese, dice il Witte, continuando il lavoro
cominciato dal de Romanis mondava il lesto del poema di
ben molte lezioni capricciose, introdottevi dall'Aldo e dal
Rossi sull' autorità di qualche Codice poco degno di fede,
ma ncir istesso tempo si troverà che le lezioni da esso
sostituitevi sieno non di rado di origin.e secondaria e più
o meno lontana da quanto avea scritto l'AUighieri. Una
748 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
tavola di 65 numeri regisjlra i testi a penna consaltati per
1' edizione udinese. Non dice dunque il Yiviani che un so-
lenne confronto di tutti questi Codici si sia fatto verso per
verso anzi confessa di essersi limitato a consultargli dove
la lezione del suo Codice Bartoliniano gli sembrava aver
Insogno di qualche appoggio. Giìi per questo si conosce il
carattere tutto arbitrario di questi confronti. - Questo la-
voro non corrisponde all' esigenze critiche, non cita mai i
Codici trovati concordi col Bartoliniano, si contenta del-
l'osservazione generale che le lezioni sono conformi col
suo testo.
1825. La stessa, Milano, Beltoni, Voi. 3, in 8." gr. - Edi-
zione che fa parte della Biblioteca classica antica e moderna,
pubblicata dal Bettonì. Ti sopraintese Vincenzo Monti, il
quale si attenne alla lezione adottala dagli editori pado-
vani del 1822, aggiungendovi alcune varianti tratte dalla
Bartoliniana, non che dalla sua Proposta. Le note a pie' di
pagina sono compendiate dai più celebri Comenti, meno
alcune inedite del Monti, del Perticari e di Costanza Monti
moglie di lui.
1826-27. La stessa, con Comento analitico di Gabriele
ììossetti, Londra, John Murray, 2 Voi. in 8;° Bella edizione.
Dei sei Volumi che si promettevano, due soli se ne pub-
blicarono.
1830. La stessa, postillata da Torquato Tasso, Pisa, Ca-
purro, co' caratteri di Fr. Didot, 3 Voi. in L^ pie. - Bella
edizione in soli 166 esemplari. All' edit. prof. Giovanni Ro-
sini piacque di seguire la lezione degli Accademici, con-
ferendola bensì colle recenti lezioni più accreditate. Le
Postille del Tasso, poste a pie' di pagina, furono eslralte
da tre esemplari della divina Comedia che si assicurano
da esso annotate, l'uno del Giolito, l'altro del Sessa 1564,
il terzo di Pietro da Fino del 1568.
1830. La stessa, con note di Paolo Costa, da lui per
questa edizione nuovamente riviste ed emendate, Firenze,
all' insegna di Dante, in 24.^ - Graziosa e nitida edizione,
eseguila interamente sulla milanese del 1927 di Angelo
Boufanti, con l'aggiunta di nuove note del Costa, del
Biondi e del Belli.
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C. "749
1830-32. La stessa, col Comento del Lombardi, ora nuo-
vamente arricchita dì molte illustrazioni edite ed inedite,
con rami disecfnati dal Flaxman ed incisi dal Cav. Lasinio,
Firenze, CiarclelU (Molini), 6 Voi. in 8.^ - Bella edizione,
adorna dì 112 intagli. Il testo è copiato dalla padovana,
serbandosi perfino la stessa numerazione delle pagine. Si
aggiungono per altro alcune varianti tratte dall' edizione
dì Udine del 1823.
1832. La stessa, coi miqliori Conienti scelti, ordinati ed
esposti da Gius. Bozzo, Palermo, Pedoni e Muratori, 3 Voi.
in 12.*^ - Molte lodi ne fece il marchese Gargallo, racco-
mandandola specialmente come molto corretta. In essa fu
adottato il testo della Crusca, e vi si aggiunsero varianti
tratte dai Codici più riputati e dalle migliori edizioni.
1837. La stessa, col Comento del P. Pompeo Venturi,
nuova edizione, a mir/lior lezione ridotta ed arricchita di
inedite postille da Giov. Lami e Pietro Fraticelli, Firenze,
Formigli, 5. voi. in 18. - Molta lode si vuol dare al Fraticelli
per questa edizione accuratissima, e scevra affatto dello
mende che deturparono la più gran parte delle molte ri-
stampe del comento Yenturiano, sia quanto all'integrità
del comento stesso, sia quanto alla correzione del Testo.
Sei fra le più approvate edizioni, cioè quelle del Landino
e del Sansovino, l'Aldina, quella della Crusca, la Cominiana,
e finalmente quella di Padova dell822 furono dal Fraticelli
accuratamente conferite fra loro per la lezione del poema.
1837. La stessa, col Comento di J\. Tommaseo, Venezia,
Gondoliere, in 8." gr. - Edizione nitidissima, assistita da
Giov. Bernardini, solerte direttore dì quella tipografia. « Le
lezioni del testo, cosi il Tommaseo nella sua Prefazione,
confermo all'autorilà di più codici e stampe ; ligio a nessuna.
Se circa le lezioni mie cadrà disputa, potrò sostenerle o
correggerle: ma lo spediente del citare parvemi buono
appunto a troncar molte liti ; e la brevità parvemi debita
cosa n'ìllo illustrare uno de' più parchi scrittori che onorino
rilalia e la natura umana. »
1837. La stessa, ridotta a mifjlior lezione, coll'aiuto di
varii testi a penna da G. B. JSicolini, Gino Capponi, Gius.
Borghi, Fruttuoso Becchi, Firenze, Le Mounier, 2 voi. inS.**
7!ì0 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
gr. - Questa edizione venula alla luce sotto gli auspici di
uomini COSI noti all'Italia fu accolta con grande amore
dagli studiosi di Dante. - Il principio degli Accademici
del 1837, come il Becchi protesta nella prefazione, a nome
ancora degli altri colleghi, non fu di riformare da capo a
fondo la lezione della divina Comedia; ma sì Riesaminare
dove fosse da rigettarsi la lezione della Crusca^ dove da
serbarsi intera. Adunque posta per fondamento V edizione
degli Accademici (del 1595) essi misero mano a confrontarla
con vari Codici, parecchi de' quali di gran pregio, e colle
antiche stampe più riputale. Con questi sussidi sotto gli
occhi, e co' lavori di altri eletti ingegni, che erano stali
ugualmente solleciti di emendare il testo di Dante, dove
(essi dicono) la ragione, la critica e il buon gusto lo vole-
vano, Iramularono l' antica edizione in altra, col comune
suffragio e sulla fede di que' monumenti giudicata miglioro.
Sicché, con insigne sapienza e temperanza, si contennero
come nel mezzo tra la improvida fiducia della propria
spertezza, e il troppo cieco rispetto dell' autorità degli an-
tichi . . . Indotti da giusto rispello alla Vulgata essi assai
parcamente, e soltanto dov'erano sicuri del fatto loro, si
arrogarono la facoltà di mutare qualche lezione: per rispetto
agli altri luoghi, di cui non d'ano del tutto certi, si con-
tentarono di nolare a pie di pagina, o in altra guisa, le
varianti discoperte da loro... Il testo che essi ci hanno
reso, se non è in tutto qual si potrebbe desiderare, almeno
non gli manca molto per queir ultimo di perfezione a che,
avuto riguardo ai mezzi che si hanno, j)uò esser recalo. Di
questa edizione cosi sentenzia il Witte : Più imporlante di tutti
è senza dubbio l'insigne lavoro di Fruttuoso Becchi, G.B.
^'icolini, Gino Capponi, e Giuseppe Borghi, Accademici
della Crusca. Questi valentuomini rinovarono per così dire
le fatiche degli accademici del 1595. Mettendo a profitto i
materiali critici raccolti dagli editori sinora registrati da
Vicenzo Borghini, dal Parenti e dal Montani, essi confron-
tarono di nuovo 20 Codici, cioè uno dei Tempiani (Bat.7.;,
11 Cod. FruUani (Bat. 179), dieci che allora spettavano al
marchese Gius. Pucci ed attualmente si trovano al Museo
Britannico (Bat. 450, 432, 457, 453, 456, 454, 458, 455, 459,
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C. T6Ì
e 557), un Magliabeccliiano (Bat. 102), 7 Rìccardiani (Bat.
U'i, 124, 134, 12a, 136, 129, 136). Anche questi confronli
però non erano confronti letterali, non comprendevano ogni
verso parola per parola, anzi si limitarono a un certo nu-
mero di passi, la lezione de' quali già per lo innanzi era
stata disputata. Non intendevano dunque gli editori del 37
di costruire un nuovo testo, ma bensì di decidere almeno
una parte di tante liti insorte sopra il testo già costituito.
Suppongo inoltre che i confronti non si siano fatti siste-
maticamente, voglio dire che non ad ogni passo si siano
riscontrati tutti ì codici, ma por avventura 10 all'uno ed
altri 10 ad un'altro. Trovo finalmente che gli editori (invece
di avvalorare il pregio relativo dei 20 testi), attribuendo
ad ognuno 4'essi un'autorità pari, se non si attengono a
qualche ragione interna di scuso o di eufonia, prendono
per sola norma di decidersi fra le varie lezioni il numero
dei lesti a favore dell'una o dell'altra di esse. Perchè poi
si sapesse quali argomenti di autorità e di ragione abbiano
fatto scegliere piuttosto una lezione che un'altra, gli editori
significaronli negli Avvertimenti sul Testo della Div. Comedia^
citando quasi sempre individualmente I codici che stanno
in favore dell'una o dell'altra parte. Convengo che questa
scelta il più delle volte abbia dato nel segno, ma non mi
pare il modo tenuto per arrivarci quello voluto dalla critica.
Falso per esempio dovrà dirsi il principio emesso dal Becclii,
p. 15, ed assai spesso volte posto in uso: « in due lezioni,
delle quali una ha chiarezza e l'altra no, son d'opinione
che sia lodevole intendimento quello di dare alla prima
anzi che alla seconda una preferenza, » chi riflette che un
copista inconsiderato, non intendendo un passo oscuro del
poema, credeva correggere il lesto, sostituendovi una le-
zione di senso ovvio e facile, mentrechè veramente lo
falsava, vedrà benissimo esser più che giusta la regola
critica: che la lezione difficile è da preferirsi alla facile.
Ciò non ostante ripeto con piena persuasione quanto già
da più di 20 anni fu dello da me, cioè superare la edi-
zione del 37 tanto per 1' estensione dei lavori che le
servirono di base, quanto per l' imparzialità e la pondera-
zione del giudizio tutte le altre che la precederono. {Jahr-
752 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
bùcher fiir wissenschaftlìche Kritich, Berlino, 1838, 638-656,
Annali di critica scientifica) - V. Biblioteca Italiana, Ottobre,
1837, p. 115.
1838. L' Inferno della Comedia dì Dante^ col Cemento di
Messcr Giiiniforte delli Barbigi, tratto da due ìnanoscrilti
del secolo XV, e corredato di un' introduzione e di note
dell' Avvoc. Giuseppe Zaccheroni, Marsiglia, Mossy ; Firenze,
Molini, in S.^gr. - Bella e nitida edizione, adorna di grandi
e piccole Iniziali, intagliale in legno, vignette e fiorami,
con titoli in carattere gotico, con un fac-simile parimenti
in gotico dei caratteri e dicitura dei mss. Bargigi, ecc. ecc.
Ne furono tirati pochissimi esemplari. Il Buggeri nel Pro-
gresso di Napoli r ebbe molto a lodare per le sue belle
varianti.
1841-42. La stessa, adorna di 50 vignette in legno, inven-
tate dai primi artisti italiani e stranieri, antichi e moderni,
disegnate ed incise da A. Fabris, sotto la direzione dei
professori G.B. JSicolini, e G. B. Bezzuoli, Firenze, Fabris,
Yol. 4., in 8.*^ - Graziosa e nitida edizione incarta lustrata:
le vignette che in parte sono copie dei dottissimi lavori
del Flaxman, del Pinelli, deWAdamolli furono disegnate ed
incise dal Fabris, dal Balestrieri, dalla Signora Elisa Ma-
rianni, dal Biscarra e da altri.
1842-43. La stessa, illustrata da Ugo Foscolo, Londra,
(Bruxelles, presso Melline e Cans) a spese di Pietro Rolandi,
4. Voi. in 8." grande. - Bella e nitidissima edizione, alla
quale fanno beli' ornamento: 1.*^ un ritratto di Dante, nell'età
sua di 25 anni, copiato su quello che Giotto consegnava ad
una parete della cappella del palazzo del podestà, restituito
alla pubblica ammirazione nel 1840; 2.^ altro bel ritratto
di Dante, in età ormai avanzata, copiato su quelli che si
riguardano come ì più autentici, ed inciso in acciaio; 3.*'
ritratto dì U. Foscolo, inciso in acciaio, copiato su quelli
posseduti da Lady Dacre, Hudson Gurney e G. Murray ; 4.*^
due vignette, T una che rappresenta la Chiesa di Ravenna (?)
nella quale è il sepolcro di Dante, e l'altra il cimitero di
Chiswich, dove fu posta una memoria alle ceneri di Ugo
Foscolo ; 5.*^ ì piani dell' Inforno, del Purgatorio e del Para-
diso; 6.° un fac-simile del carattere del Foscolo, consistente
EDIZIONI PRINCIPALI DELLx\ D. C. 753
nel notissimo sonetto, dov' ei dipinge sé stesso. - Due codici
per intero furono collazionati dal Foscolo, quello del Maz-
zucchelli e quello del Roscoe. Offre però l'edizione molte
varianti estratte dai Codici Cassinese, Caetani, Angelico,
Vaticano, Antaldino, Bartoliniano, Stuardino, Poggiali, non
che dalle edizioni date dagli Accademici, dal Lombardi e
dal liodoni; dalla fiorentina del 1817, dalla bolognese del
1819, dalla padovana del 1822, dall'udinese del 1823.
Neil' Inferno queste varianti sono accompagnate da osser-
vazioni belle e non brevi; nell'altre due non sono cìie
accennate, lo che ne fa persuasi non aver potuto il Foscolo
dare l'ultima mano al suo lavoro. 11 discorso sul Testo
della divina Comedia, pubblicato nel 1825, pieno di errori
dal PIckering, e due anni dopo con nuovi errori dal Ruggia,
vi è ripubblicato con maggiore esattezza di correzione, e
con emendazioni ed aggiunte considerevoli, desunte da un
esemplare postillato a mano dell' autore. Il Manoscritto
venne ricomprato a prezzo di 400 lire sterline dalle mani
di un libraio inglese da un libraio italiano in Londra, Pietro
Rolandi. - 11 Foscolo, così il Witte, confessa che i soli
codici da lui esaminati sieno stati i due regalatigli dall'il-
lustre Roscoe (ora del Pani/.zi) e dal generale Mazzucchelli,
e li dice pessimi tutti e due le più volte. Le varianti del
codice Mazzucchelli non vanno oltre la prima Cantica. Il
Foscolo non fece che compilare le varie lezioni riferite
nell'edizioni anteriori; lavoro tutto materiale, che forse
per convenir troppo poco al suo genio poetico non fu ese-
guito con troppa accuratezza. Assai spesso si om mettono
delle lezioni d' importanza, ed invece se ne riportano
dell'altre che non sono che differenze ortografiche. Qualche
volta 4 codici e le edizioni che danno le varianti riferite
sono confuse fra di loro, oppure il nome di que' codici
rimase nella penna dell'autore. Generalmente questa con-
gerie inordinata di tante e tante varie lezioni sembra cosa
di ben poca utilità. Le ragioni che determinarono la scelta
del Foscolo, le quali, come già si vede, non sono esposte
che nelle note all' Inferno, sono quasi sempre dedotte da
argomenti secondarli, come sarebbe l' armonia del verso,
l'eufonia e cose simili; ma invano si cerca di stabili prin-
Voi . II. 48
754 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
cipii di critica, che, escludendone l'arbitrario, potessero
dar certa legge alla scelta da farsi fra le lezioni. »
1848. La Comedia di Dante AlUqhieri con nuove Chiose,
secondo la lettera principalmente di due Codici Raveqnani,
con la scorta defili altri testi a penna noti, e delle stampe
del XV e XVI secolo, e con le varianti fin qui avvisate, a tutte
cure di Mauro Ferranti. Alla fine del volume si legge:
Finisce la Comedia, altrimenti poema sacro di Dante Alli-
ghieriy fatto imprimere ove riposano le ceneri di luì questo
dì XIV Settembre MDCCCXLVUl pei fratelli Maricotti di
Senigallia la prima volta dopo DXXVJl anni da la partita
del poeta, a tutte cure di Mauro Ferranti sacerdote italiano
da Ravenna. Esci solo il primo volume che contiene il testo :
il secondo delle Chiose è tuttavia desiderato. - I codici,
secondo la cui lettera, il Ferranti appoggiava la sua edizione
(Batines 402, 403) offrono poco di particolare. Il primo di
essi fu scritto nel 1361 da un tale Bettino de' Pili, il quale,
per quel che pare, faceva il mestiere di copiar Danti. L'or-
togratia del testo è assai barbara, e il testo corrisponde
per lo più alla volgata, generalmente diffuso nella seconda
metà del 300. Il secondo, assai men nitido, non differisce
essenzialmente dal primo. Nessuna delle tante stampe della
divina Comedia, non eccettuando quella del Buonanni, adottò
un tal numero di lezioni bizzare quanto quella del Ferranti. -
Witte. -
1853. La divina Comedia, ecc. per cura di C. Princigi,
Lipsia, Tauchniz, Nitida ed accurata edizione. Assai nitida
ed eleganti sono pure le parigine del Didot, 1853, e del
Montainier, 1853.
1854. Comedia di Dante AÌlighieri con Ragionamenti e
JSote di Niccolò Tommaseo, Milano per Giuseppe Reiua, coi
tipi di G. Bernardoni, 1. Yol. in 8.** gr. - Bella nitida ed
accurata edizione. - « Alle lezioni del testo, così il Tomma-
seo, m'è norma ordinaria la stampa della Crusca, siccome
quella che mi pare consigliata da un senso della bellezza
delicato e sicuro. Nò questo pregio le è tolto dalle non
poche lezioni erronee che la critica venne poi emendando.
Ma a poco a poco la critica volle tener le veci del gusto,
e ne vennero quelle lezioni strane, quelle edizioni blasfe-
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C. 755
malorie che tutti sappiamo. Al che sì aggiunge la mania
cominciata già a prevalere di pubblicar la Comedia tutta
fedelmente secondo la lezione d'un codice solo, il quale,
per quanto sia puro e autorevole, non può mai offrire tutte
le varianti più sane. S' aggiunga la smania di volere a ogni
costo far qualche mutazione nel testo, pur per alterare
comechesia la vulgata. Contraria dovrebbe essere, io credo,
la cura degli editori di Dante. Postasi per fondamento una
edizione, un codice (e l'edizione della Crusca sarà sempre
ad ogni uomo di gusto il miglior fondamento), a questo
quasi canone dovrebbersi osare quelle varianti sole che la
logica e la poesia richieggono ; alle restanti dar bando. Ma
a questo fine gioverebbe possedere le varianti di tutti o dì
gran parte almeno dei molti codici della Comedia; sì per
tarpare ogni ardimento ai novelli editori che venissero a
presentare un codice nuovo come grande scoperta, e sì per
procedere con sicurezza. Allora forse vedrebbesi che, quan-
tunque di molti sieno i codici, tutti si riducono a certe
quasi famiglie, secondo che il signor Witte ingegnosamente
pensava; delle quali non si può nulla determinare giusta
certe divisioni di luoghi e di tempi ; ma si può con sicuri
indicii notarne le differenze. Né questa del raccogliere tutte
le varianti sarebbe opera infinita. Imaginate venti persone^
che sappiano dicifrare gli antichi manoscritti: l'uno d'essi
legga ad alta voce, gli altri lo seguan coli' occhio ; e cia-
scuno noti le varietà che nel suo codice trova» In un mese
venti lettori compiono la revisione di venti codici, in un
anno di dugento quaranta, in tre l'opera è quasi compiuta.
Ne uscirebbe un'edizione critica della Comedia, con tutte
a pie di pagina le varianti, accennale per abbreviatura, e
con brevità esaminate. - Tommaseo, Prefazione alla nuova
ristampa, pag. 64.
1854. La Comedia di Dante Allighieri fiorentino nuova-
mente riveduta nel testo e dichiarata da Brunone Bianchi,
Firenze, Le Monnier, 1854, 1 Voi. in 16. gr. - In quanto
alla lezione, dice il Bianchi, ho sempre seguito la più sem-
plice e quella che ho stimato la più conveniente al contesto,
scegliendo dai codici e dalle edizioni più accreditate, e
fuggito in ogni caso l' arbitrio, a costo di ritenere talvolta
756 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
quel che apparisce men chiaro o men buono. - Il Wittc
chiama eccellente l'edizione procurataci dal Bianchi. Il Le
Monnier, anche dal lato tipografico, la condusse con amore,
e arricchivala del Rimario dantesco.
18o3-56. Jìambaldi Benvenuto da Imola illustrato nella
sua vita e nelle sue opere e di lui comento sulla divina
Comedia di Dante Allighìeri, voltato in italiano dalV Avvoe.
Giov. Tamburini, Imola, Galeati. - 11 Comento di Benvenuto
da Imola, a giudizio del Witte, dovrebbe dirsi tuttora
inedito, benché tre grossi volumi stampati a Imola nel
1855, e 1856 pretendano di esibirlo voltato in Italiano da
Giovanni Tamburini. Un finissimo conoscitore di Dante,
Il sig. Garles Eliot Norton Amerio. (A review of a transla-
lion into Italian of the Gomm. by Benv. da Imola on the
div. Gomm., Gambridge, Massachussets, 1861) diede ultimo
giudizio assai severo di questa malaugurata impresa. Gbi
volesse conoscere la lezione sul testo di Dante seguita dal-
l'Imolese dovrebbe ricorrere tuttora ai Codici manoscritti.
1856. La Comedia di Dante Allighicri interpretata da
Francesco Gregoretti, Yenezia, Naratovich, 1. voi. in 16. -
Edizione assai nitida e corretta. - «Io diedi bando assoluto,
cosi il Gregoretti nel suo Avvertimento, ad ogni discussione ;
*l3ensì, non avendo ommesso ne' punti controversi di leggere
e meditare lutto ciò che venne stampato intorno a quelli,
sono pronto ad entrare in campo con chiunque il voglia
per difendere la spiegazione alla quale ho data la preferenza,
0 che da altri non delta mi parve migliore. Il medesimo
s'intenda riguardo alle lezioni dubbie nel testo.»
1858. Da Buti Francesco, Comento sopra la Divina Co-
media, pubblicato per cura di Crescentino Giannini, ?ìs?i,,
ISistri. - Il Purgatorio, Yol. II, 1860. - Il Witte chiama ec-
cellente questa edizione, e insigne il lavoro del Giannini,
condotto con sommo studio e con molta intelligenza critica.
1858. Le prime quattro edizioni della Divina Comedia,
letteralmente ristampate per cura di G. Warren, Lord Yer-
non, Londra, 1 Agosto, presso Tommaso e Guglielmo Boone,
1 voi. in 4.^' di pag. 748 (The first four edition s'of the
divine Comedy literaly riprented by G. J. Warren, lord
Yernon, London, Boone), Edizione veramente splendidissima
EDIZIONI PRLNCIPALI DELLA D. C. 757
con fac-simile in legno. Va preceduta da una Prefazione
del Panizzi, ed è dedicata agli Accademici della Crusca.
Le prime quattro edizioni ristampate sono, l'edizione prin-
cipe di Fuligno di Numeister 1472; quella di Jesi per Fe-
derigo Veronese dello stesso anno, e che il Panizzi dice
più rara: quella di Mantova pei fratelli Giorgio e Paolo,
Tedeschi, contemporanea alle due precedenti, e secondo lui
forse forse primogenita, e da ultimo l'edizione di Napoli
per Francesco del Tuppo, stampata dal Neussinger, pure
tedesco, negli anni 1475 e 147G, assai più rara di tutte le
altre. - Le quattro prime edizioni, cosi il Witte, della
Divina Comedia, nuovamente riprodotte a spese di Milord
Warren Vernon, tanto benemerito degli studìi danteschi,
non sono che copie letterali di codici, non scelti con giu-
dizio critico, ma casualmente capitati in mano a chi ne
intraprese la stampa. Anche gli errori più evidenti furono
ripetuti nella slampa, quali giacevano nel testo. Il giudizio-
sissimo Panizzi, che sopraintese alla riproduzione di quelle
-Lampe, confessa che abbondano tutte di ridicoli farfalloni,
che gli stessi errori solenni, i medesimi strafalcioni mador-
nali, che solo un'ignorante compositore poteva commettere
si ritrovano nelle due di Foligno e di Napoli. Non ardirei
veramente, continua il dotto bibliotecario del Museo bri-
tannico affermare che l'edizione di Fuligno sia tra le an-
tiche la migliore, ed aggiunge, la edizione napolitana non
esser sempre copia servile comecché pur troppo spesso lo
sia, della ediz. di Numeister (Fulginate). Più sfavorevole
ancora è quanto ei dice dell'edizione di Federigo Veronese.
Quella di Jesi è certo zeppa dì errori grossolani di stampa ;
e forse, supera in questo le altre tre, che pur esse ne hanno
in abbondanza. Le ommissloni in questa edizione sono molte
e notevoli. Venendo all'ultima delle slampe del 1472, dice
il Panizzi: «l'edizione di Mantova è quella che par più cor-
retta con maggior cura dell'altre tre, ed è quella il cui
testo sarei disposto, generalmente parlando, a preferire. »
Le mie proprie ricerche mi fanno aderire a quanto asserisce
il Panizzi, non essendo sfuggito nemmeno a questo dotto
bibliografo l'esistere una qualche parentela fra le stampe di
Mantova e di Jesi, e fra quelle di Foligno e di Napoli. Si
758 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
aggiunga che anche nella Mantovana, benché men scorretta
dell'altre i manifesti errori e spropositi sono assai frequenti.
1859-60 La Divina Comedìa, conforme la più chiara le-
zione, desunta da ottime stampe e da preziosi codici per
Anrfelo Sicca, Yol. 3, Padova, Randi. - Il Sicca, tipografo
padovano, è già nolo come diligente dantista, fm da quando
nel 1832 dava in luce le sue varie lezioni della Divina
Comedia, che sommavano a oltre quattro mila, illustranti
mila e cento passi diversi; ed eran frutto di ricerche nuove,
e copia inaspettata dopo il tanto che vi aveano già spi-
golato accurati ed insigni espositori. Era da attendersi
che egli, facendo tesoro di quelle scoperte, e raffrontandole
tra loro, e valutandole secondo gli- studj suoi e la lunga
pratica del poema, apparecchiasse un'edizione della Divina
Comedia portante tutte quelle varianti e correzioni ch'egli
riputava migliori. E vi die opera infatti, notando a ciascun
cambiamento l'autorità su cui fondavasi, e la fonte ond'era
tratto, sicché la pubblicazione di quel testo, accompagnalo,
com' egli voleva, da brevi dichiarazioni, sarebbe tornata di
non lieve importanza per gli studi i danteschi. Ma vi si
oppose, com'egli dice, la mal ferma salute, la quale non
gli permise di compiere il lavoro; ond'è che, a non ritar-
dare quelle correzioni, deliberò di far precedere il testo,
appurato bensì, ma senza le note e 1" indicazione delle fonti,
offrendo solo contrassegnati da asterisco quei versi che si
scostano dalla lezione comune. Con che abbiamo una messe
di varianti, su cui può esercitarsi l' acume degli illustratori ;
ma r opera loro non è agevolata, come potrebbe esserlo,
dall' autorità dei Codici e dal rincalzo delle opinioni e delle
osservazioni dell'editore ... Ad ogni modo chi vorrà atten-
dere quind' innanzi alla stampa della Divina Comedia non
potrà trasandare questa edizione che di molto agevolerà
la fatica dei futuri emendatori . . . Y. Crepuscolo, 1859, n. 7.
1860. La divina Comedia di Dante Allighieri col Comento
di Pietro Fraticelli, nuova edizione con giunte e correzioni,
ecc. Firenze, Barbèra edit., 1863. - Quanto alla lezione,
così il Fraticelli, io ho preferito quella, che mi è sembrata
la più facile e la più naturale, e quella che più pieno e
armonioso rendeva il verso : ma non per questo ho mancato
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C. 759
di notare a quando a quando quelle varianti che son degne
di una qualche considerazione, o che si prestano a variare,
od anco solo a modificare il concetto . . . Dirò com' abbia
premesso al poema alcuni Cenni storici intorno la vita
di Dante, e com' abbia apposto tre tavole (una per Cantica)
rappresentanti i tre regni descritti dal Poeta: le quali, io
spero, saranno trovate più esatte dell'altre, che comune-
mente si veggono nei libri della divina Comedia. Inoltre
l'Editore ha voluto arricchire il Volume di un ritratto di
Dante fatto copiare dall' affresco dì Giotto, e aggiungere
non solo il Rimario, che riesce s\ comodo a chi voglia ri-
trovare alcun passo dell' autore, ma anche un Indice dei
nomi proprii contenuti nel poema : il quale può certo riuscire
di non lieve utilità agli studiosi. Dirò finalmente, che la
revisione essendo slata affidata alla cura e all' intelligenza
del colto giovine Sig. Torquato Gargani, ho luogo di rite-
nere che, anco per questo titolo, la presente edizione sia
riuscita migliore dell'altra. - Bellissima è pure l'edizione
diamante che ci hanno dato i Barbèra-Bianchi nel 1859.
1862. La divina Comedia di Dante Allighieri ricorretta
■wpra quattro dei piìi autorevoli testi a penna da Carlo
Witte, Berlino, Ridolfo Decker, stampatore del re (Yerlag
der Kòniglichen Geheimen Ober-Hotbuchdruckerel (R. De-
cker) - (Pracht Ausgabe Mit Dante 's Biiste in Photographie
als Titebild, und seinem Bildnisse in Cameendruch 1862
102 Bogen 4 Geheftet 12 Thl. - Elegant gebunden mit
Goldschnilt 13 Thlr 10 Sgr.) - L' edizione è^intitolata -Al
più profondo illustratore - della recondita poesia dì Dante -
Sua Maestà - il re Giovanni di Sassonia - omaggio umil-
mente offerto - Dair editore. Precedono la divina Comedia
i Prolegomini critici, col motto : Molle volte taglia - Piti
e meglio una che le cinque spade, portano la data: Halle,
sulla Sala, G Nov. 1861. - Vi ha pure la giunta: Rettifica-
zione delle Varianti del Caetani. I^ Lezioni erroneamente
attribuite al Codice Caetani: li. L^ezioni che oltre ai testi
per esse citati si trovano nel Codice Caetani. IH. Correzione
di Varianti del Codice Caetani inesattamente riportate: IV.
Lezioni del Codice Caetani che rimasero inosservate. Il ma-
nifesto di questa edizione usciva il 1. Luglio 1856, flalle in
760 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
Prussia. - Il Wilte così ci parla di questo lavoro ne' suoi
Prolegomeni. « lo cominciai 35 anni or sono, e scelsi per
campione il 3."^ Canto deli' Inferno. Perseverando assidua-
mente, non istancandomi a far numerosi viaggi, ad intrat-
tenermi con esteso carteggio, a sacrificare delle somme
assai al di sopra delle mie circostanze, pure ho dovuto
convincermi che per esser eseguita bene, l' intrapresa sor-
passa la forza di una sola persona, scarseggiata de' mezzi
opportuni, e separata per tante centinaia di miglia dalle
librerie più doviziose dei testi a penna. Sperava di poter
pervenire per questi lavori a poter distribuire per famiglie
tutti ì Codici esistenti, formandone per cosi dire un grande
albero genealogico. Ma nel processo delle mie fatiche ho
dovuto conoscere che moltissimi Codici che almeno in parte
saranno stati originali di quelli che ci rimasero, sono smar-
riti, e che in mancanza di questi anelli di mezzo, la catena
deve restar lacunosa. Ho compreso ancora che ben molti
sono i testi pei quali difficile si troverebbe in queir altre
genealogie. Veramente sarebbe stata una bella cosa, se i
capi delle famiglie de' Codici, per così dire i patriarchi, si
fosser potuti rintracciare con evidenza. Allora il confronto
di essi sarebbe stato da sostituirsi a quelli di tutti i discen-
denti della stessa schiatta. Ora non essendosi pienamente
giunto a questo punto di mira, 1' unica cosa che si poteva
fare era di scegliere fra tante centinaia di testi a penna
quei pochi che offrono la lezione più primitiva e più corretta.
I confronti d^ ^.^ Canto dell' Inferno eseguiti sopra 407
Codici mss. ci offrirono la pietra di paragone. 1 Codici più
degni di considerazione sono i: 1, 16, 52, 72, 82, 98, 112,
127, 130, 177, 221, 236, 264, 293, 301, 319, 323, 365, 366,
375, 407, 420, 448, 454, 474, 525. - Per la correzione del
s testo e pel carattere primitivo delle lezioni nessuno supera
anzi agguaglia il Mss. di Filippo Villani, a cui tengono dietro
il Vaticano 3199; quello di Sir Rood della Biblioteca di Ber-
lino, ed il celebre Codice Caetani . . . Questi quattro testi
furono r unico fondamento della presente edizione. Non vi
è parola, non sillaba che non s'appoggi sull'autorità di
almeno di uno di quei testi. Fra di essi ho creduto scegliere
liberamente, attribuendo però l'autorità preponderante al
EDIZIOiNl PRINCIPALI DELLA D. C 761
Codice di S. Croce . . . Dove il pensiero del poeta e la con^
nessione del senso non bastano per decider la scella fra
le differenti lezioni ho avuto ricorso alle altre autorità,
molte delle quali furono accennate di sopra. Alcune ma
rarissime volte, la lezione che credo da preferirsi alle altre
non si trova in nessuno dei quattro Codici. Allora, per non
dipartirmi dal mio principio fondamentale, mi sono attenuto
nel testo alla, lezione dei mss., ma ho contrassegnato col-
l'aslerisco la variante che giudico corrispondente alla propria
scritta dal poeta. Acciocché la presente edizione fosse cor-
redata di tutti i materiali critici raccolti nelle stampe an-
teriori, e negli altri scritti che s'occupano della correzione
del testo di Dante, ne ho fatto lo spoglio a misura di quanto
s' è detto di sopra. Trascurando le differenze ortografiche,
ho messo a pie di pagina tutte le varie lezioni in questo
modo riunite, che per non trovarsi nei 4 testi a penna o
nella 3.^ edizione (Aldina 1502; Crusca 1395; Becchi 1837)
non erano registrate nei margini. L' irregolarità colla quale
furono fatti i confronti che aveano servito a questi lavori,
e r incertezza in cui ci troviamo sul valore relativo dei
testi confrontati m'hanno fatto giudicar inutile l'apporre
ì nomi dei Codici nei quali queste lezioni furono riscon-
trate. Generalmente parlando si troverà che a paragone
delle varianti dei 4 Codici tutte le altre sono di poca im-
portanza.
L'autore dell'assennatissimo articolo inserito nella Civiltà
Cattolica (Quaderno 326, 327, 17 Ottobre e 7 Novembre 1863)
ci prova che il presupposto del sig. Witte, che mancasse
un testo sicuro ed autorevole della Divina Comedia non
reggeva in nessun modo; però tutti gli studii di lui e le in-
dustrie più sottili non sarebbero potuto riuscire giammai a
costituire una lezione, che fosse tutto insieme diversa dalla
comune, e rendesse la dettatura originale, o poco meno,
della Divina Comedia. Dall'altro canto, se veramente era
necessario ricostituire il testo della Divina Comedia, il me-
todo con cui egli si accinse a farlo non offeriva guarentigia
sufficiente, perchè si dovesse avere piena fiducia della
prova che farebbe. Da ultimo discende a dirci del giudicio
che si debbe recare di quei luoghi del testo del sig. Witte,
762 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
I quali divariai! dalia Vulgata, e conchiude che un'assai
piccolo numero avrebbe buon dirillo di entrare nel lesto,
ma che non meno di tre quarte parti sarebbero da scartare,
siccome lezioni che non riescono ad altro che a guasto, ^d
a sconciatura del divino Poema. Onde egli viene ad inferire
che il miglior frutto della novella edizione è di avere ri-
confermata con una felice ripruova l'eccellenza della nostra
Vulgata, almeno dopo l'ultima correzione del 1837. E difatti
l'autore dell'articolo critico succennato dice di aver para-
gonalo esattamente il testo che il Witte ci offre co' tre
testi della nostra Vulgata, cioè coli' aldino, con quelle della
Crusca del 1595, e coli' altro degli accademici del 1837.
Tenendo conio de' luoghi, ne' quali si differenzia non già
dall'uno de' due primi solamente, ma ancor dal terzo che
è correzione di quelli, dice d'aver registrato le varianti
che vi s'incontrano di qualche importanza: ed esse per
la intera prima Cantica dell' Inferno sommano a 167;
per quella del Purgatorio a 133; finalmente per l'ultima
del Paradiso a 112; in lutto a 412. Queste 412 varianti
entro ai 14,233 versi della Divina Comedia sono certo
pochissima cosa. Di questo bisogna eccettuare non punto
meno di 216, quante cioè si ritrovan conformi ad uno o
più codici di que' quattro, che il Sig. Witte propone sic-
come tipi più perfetti : di queste 76 hanno il solo suffragio
del codice valicano, e le altre 140 quelle di uno o due
degli altri Ire codici, a non contare il vaticano, che il più
delle volte ci concorda ancor esso: sicché per questo riguardo
non hanno minore autorità delle lezioni da lui invece in-
trodotte nel testo.
Quanto all'edizione, considerata in sé stessa, aggiunge
aver esso reso un grande servigio agli studiosi della divina
Comedia, perciocché essendo una, rappresenta interamente
e senza confusione sette edizioni, cioè le tre più autorevoli
della Vulgata, secondo i miglioramenti successivi che venne
ricevendo, e quattro codici de' più eccellenti che si cono-
scono. Oltre a tulio questo non vi ha quasi variante di
qualche conto, la quale non sia notata in fondo di pagina
jGoIla indicazione del luogo corrispondente.
E da dolere però, che il chiaro raccoglitore, per rispar-
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C 763
mio (li tempo e di spazio, ha credulo di non dover citare
i codici che ne sono le fonti, né le stampe che le hanno
ammesse; quando potevano si gli uni e sì le altre aggiu-
gnere o sminuire il pregio almeno estrinseco, secondo il
peso rispettivo di autorità : e chi avesse voluto instituire
confronti o farvi sludi più accurati vi avrebbe ritrovali gli
opportuni indirizzi. Sicché il testo della Divina Comedìa
così disposto dal Witte e co' corredi di tante varianti, adu-
nategli intorno con sì bell'ordine ci mette soli' occhio le
differenze più degne di nota di tanti codici, in guisa da
poterle comprendere quasi con un intuito; ed è come la
sintesi, almeno per la parte materiale di tulli gli studj
falli sin qui sul testo dantesco. Laonde questo lavoro è
tale che ninno che voglia con qualche proposilo studiare nel
testo del poema dell' Allighieri ne può far senza. - (Vedi sulla
nuova edizione della Divina Comedia di Dante Allighieri,
pubblicata a Berlino da Carlo Witte, la lettura del D.'" Fran-
cesco Grerjoretti, falla nell'Ateneo Veneto il dì 10 Aprile
1862, Venezia, Naratovich, 1862; V. Rivista scienze lettere
ed arti coli' effemeridi della pubblica istruzione, l'articolo
di C. Pasqualif/o, 16 Feb. 1863. N. 126.)
EDIZIONI DEGNE DI MENZIONE
IN CORSO DI STAMPA
La divina Comedìa di Dante Allighieri, col testo curato dal
P. Bartolommeo Sorio, e con Comentì dell Ab. Luigi Benassuti,
in 4 volumi. Il quarto volume comprenderà 25 tra tavole
e disegni. Verona, Civelli, 1865. - Vedi p. 490.
La divina Comedia, con Comenti in gran parte inediti
di ISiccolò Tommaseo, edizione splendidissima, ornata di 40
finissime incisioni in rame ed in acciaio ; Milano, Pagnoni,
1865.
La divina Comedia, secondo il Codice Cassinese.
Su questa edizione mi piace di riportare il programma
pubblicalo dai Monaci. di Monte Cassino:
Sono alcuni dì nella vita delle nazioni, in cui queste
contemplano qualche cosa, che è come la idea tipica della
loro storia. Nell'anno 1265 nasceva Dante Allighieri ; e per
764 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C
cinque secoli nella gioconda contemplazione di quel fallo
la ilallana coscienza ha gridalo: Onorate V altìssimo poeta.
Al sesto grido anche noi monaci di Monte Gassino oggi
rispondiamo, perchè l'onore reso alla memoria dei grandi
uomini va dirillo a Colui che li ebbe creati, e perchè
Dante e San Benedetto nel nostro pensiero furono sempre
congiunti dal vincolo di una poetica simpatia. Da quel dì
in cui l'Allighieri scontrò San Benedetto nel Paradiso della
sua fantasia su per quelle cime delle cento sperule, donde
sgorga la vena della cristiana estetica, che irriga le pagine
del suo poema, una pietosa tradizione si è fatta via fino
a noi. E fama che l'Allighieri, traendo a Napoli oratore
della fiorentina repubblica, sostasse in questa Badia e
mangiasse il pane dell'ospizio, come mangiò quello del-
l'esilio nel monastero dell'Avellana; che leggesse la Visione
del nostro Alberico, il quale con tutto il medio-evo gli fu
precursore nel viaggio del mondo di là. Cara tradizione,
impalpabile dalla fredda mano della critica, immortale per
la carità dell'affetto che risveglia, incarnata in quel volume,
dei più antichi che avanzino, della divina Gomedia, che
come cosa santa, è conservato nell'Archivio Cassinese. Que-
sto codice interrogato e citato da molti, conosciuto da pochi,
noi mettiamo letteralmente a stampa, per volgarizzare quella
riverente voluttà che sentono i dotti a svolgerne le pagine.
Questa è la votiva offerta che mandiamo alla patria di
Dante, anche In nome delle meridionali provincie, nel
secolare anniversario del natale di lui.
Questo manoscritto del XIV secolo in carta bambagina,
assai ricco di comenli, quasi sincrono del Poeta, come si
farà chiaro nel prolegomeni a questa edizione, non è solo
un documento archeologico, ma anche un monumento di
arte. Egli va pregiato in ogni sua parte, nella carta, nella
scrittura e fino nelle molte imperfezioni del menante, le
quali sono nel divino poema come quelle piante parassite,
che serpono su le vecchie fabbriche e ne poetizzano la vista.
Perciò il manoscritto, che ora la prima volta pubblichiamo
nella sua interezza, sarà reso senza tocchi e ristauri, lasciando
ai dotti la cura di sceverare le mende del copista dalla
probabile ragione delle varianti lezioni.
EDIZIOM PRINCIPALI DELLA D. C 765
Perchè poi la nostra opera potesse un giorno giovare
ad una più perfetta edizione della divina Comedia, abbiamo
profusa ogni cura a comparare il lesto del nostro Codice
con le più antiche e pregiale edizioni, che abbiamo potuto
avere a mano, a chiarirne le varianti. Ubertosa compara-
zione, che è come, una storia dei casi che ha corso lìnora
il gran poema, per la ignoranza dei trascrittori o per la
irriverente dottrina dei commentatori. Né è a riputare
superflua la nostra opera, dopo la bella edizione della div.
Comedia curala in Berlino nel 18G2 da Carlo Witte. Impe-
rocché questo infaticabile dantofilo ha limitato i suoi riscontri
a soli quattro Codici per la emendazione del lesto del poema,
aggiungendo a pie di pagina, delle innumerevoli varianti,
solo quelle che gli son parule più ragionevoli. Tacendo
dei Mss. e delle edizioni, donde le abbia tratte, egli sottrae
il fondamento essenziale al giudizio che potrebbe «iarne
italiano eslimatore. AH' avara sintesi del dotto Tedesco
abbiamo sopperito con la esuberanza della nostra analisi,
comparando il nostro testo anche con le quattro più antiche
edizioni della divina Comedia del XV secolo riprodotte da
lord Vernon, le quali riputate infruttuose dal Wilte, a noi
son sembrate degne di studio, massime quella di Mantova
1472, che segui testi a penna di ottima lezione.
Avremmo voluto curare gli slessi raffronti anche coi
quattro Mss. della divina Comedia che sono nella Nazionale
di Napoli, e con quello assai prezioso del 1378 del Principe
di Santo-Pio in Napoli, una volta posseduto dal Cardinale
Imperiale; ma non potendo averli a mano, e premendo il
tempo della pubblicazione del nostro codice, da farsi nell'an-
niversario dantesco, lasciammo ad altri quella cura. Usammo
però del Codice membranaceo che é nella Biblioteca dei
Preti dell'Oratorio in Napoli, di bellissima lettera, del XIV
secolo, istoriato a colori come si faceva ai beati tempi del
Giotto, e ricco di comenti marginali. La cortesia di quelli
eruditi Padri che ci fornì le lezioni di quel Mss. raffrontale
alle varianti che raccoglievamo, farà conoscere un Codice,
che la prima volta sarà da noi citato.
Se potranno, come che sia, queste povere fatiche gio-
vare ai curatori avvenire di una meno imperfetta edizione
766 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA 0. C.
della divina Comedia, certo che ce ne avremo merito oltre
le nostre speranze.
Un di Dante sbattuto ed affranto dalla febbre dell'esilio
si affacciò al convento di Santa Croce di Corvo; e interro-
galo da Frate Ilario, che chiedesse, rispose: Pace; e egli
porgeva il libro del cristiano Poema, come tessera del suo
diritto alle consolazioni della Croce. Noi oggi restituiamo
al Poeta quel volume, dopo sei secoli, come documento
della più splendida glorificazione dell' italiano pensiero.
Fu notato che gli studii danteschi ebbero in Italia la
stessa vicenda del pensiero civile. Ogni volta che le forze
della nazione parvero, comunque, impigrire. Dante giacque
negletto o franteso: ogni riscossa della coscienza fu un
ritorno a Dante (1). - L'edizioni della Div. Comedia pubblicale
dall'anno 1472 al 1863, cioè nel corso di trecento e novau-
tadueanni, secondo il ragguaglio che ne dà l'accuratissimo
Fapanni, montano al numero di 295, comprese 13 edizioni
del testo, che stanno a fronte di traduzioni in diverse lin-
gue. Sette edizioni furono cominciate e non compiute, cioè
quella comenlata dal Buonanni nel 1570 e sei altre che
appartengono al secolo nostro. Nò in questo novero conta
37 ediz. di dubbia esistenza. La città che dal 1477 al 1859
ha pubblicate più edizioni della Divina Comedia è Venezia
che ne fece 57; cioè 7. nel sec. XV; 20. nel XVI; 1. nel
XVII; 12. nel XVIII, e 19. nel XIX. Firenze ha seconda il
vanto di 48 edizioni; Milano di 31; Parigi di 28; Napoli
di 27 ; Londra di 8 ; Roma di 7 ; Lione di 6 ; Padova, Ber-
lino, Pisa, Bologna, Torino di 5; Parma, Bassano, Palermo
di 4 ; Brescia, Lipsia, Livorno, Prato di 3 ; Vicenza, Lucca,
Verona, e Colle di 2. - Prime città che stamparono la Div.
Comedia furono: Foligno, Mantova e Iesi nel 1472; Napoli
circa il 1476, Venezia e Milano nel 1477, Firenze nel 1481,
Brescia nel 1484. La prima edizione pubblicata fuori d'Italia
• (I) U Guicciardini scriveva al Macchiavelli come avesse dovuto cercare
lunghissimo tempo nelle Romagne, prima di trovarvi un' esemplare della
divina Comedia, ed ancbe senza Cbiosc.
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C. 767
è quella di Lione del 1547. Il lesto della Divina Comedia si
stampò in Francia 35 volte, 13 in Germania, ed 8 in In-
ghilterra. Di tutte l'edizioni la più grande di sesto è quella
del Mussi (Milano, 1809), in foglio imperiale, lungo centim.
57, largo centim. 38. La piìi piccola ediz. per sesto, ed anche
per minutezza di caratteri è quella in due tonnetti pubblicata
nel 1823 in Londra a spese di G. Pickering. È lunga cent.
9, larga cent. 4. I due volumetti sono formati di 380 pagine.
Oltre a ciò il Fapanni ne dà il Prospetto ed il paragone
degli anni nei quali furono stampate le edizioni della Div.
Comedia ; cioè 15. nel sec. XV ; 30. nel sec. XYI ; 3. nel
XVII, e 31 nel secolo XIX. Le 216 edizioni pubblicate nel
secolo XIX anderebbero divise così: dal 1807 al 1810, n."
15: dal 1811 al 1820, n.«22: dal 1821 al 1830, n.« 52: dal
1831 al 1840, n.« 37: dal 1841 al 1850, n.« 38: dal 1851 al
1860, n.«41: dal 1861 al 1863, n.Ml. - In tutte, n.« 295.
Oltracciò ne dà il numero dell'edizioni della Div. Comedia
c>omparato col numero delle edizioni delle Bime del Petrarca,
dell' Orlando Furioso, dell' Ariosto, e della Gerusalemme
Liberata del Tasso: ìSel secolo XV la Div. Comedia venne
stampata 15 volte e 25 le Rime del Petrarca ; nel sec. XVI
la Divina Comedia 30; il Petrarca 132; l'Orlando 177; la
Gerusalemme 30; nel secolo XVII la Divina Comedia 3; il
Petrarca 17; l'Orlando 36; la Gerusalemme 64; nel secolo
XVIII la Div. Comedia 31; il Petrarca 44; l'Orlando 59;
la Gerusalemme 57; nel ^c. XIX la Div. Comedia 216; il
Petrarca 84; l'Orlando 154; la Gerusalemme 126.
«La Divina Comedia somma tult' insieme, versi 14,228,
dei quali 4715 toccano all'Inferno, 4755 al Purgatorio, e
4758 al Paradiso. E degno di osservazione che la cantica
dell' Inferno, quantunque ecceda di un canto le altre due,
riesce non pertanto delle tre la più breve. La qual diffe-
renza si fa più notabile se rillettiamo che i primi due canti
non appartengono più all'Inferno che all'altre due cantiche,
non essendo che la introduzione generale a tutto il poema,
come quelli che ci danno la ragione del mistico viaggio
del poeta. Questo divario si spiega facilmente dal diverso
carattere che si nota in ciascuna cantica. Nell'Inferno di
(alto, tuttoché le discussioni non manchino, più che a di-
768 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
sputare intende il poeta a descrivere e narrare, e narrando
e descrivendo procede conciso e serrato, sempre cogliendo
per ardite sintesi quel punto dei fatti e delle cose in che
si accentra la importanza loro; nel Purgatorio segue più
volentieri l'affetto, e l'affetto ama adagiarsi in più larga
e libera forma, dove la fatica dell'intelletto meno, appari-
scono; per ultimo nel Paradiso largheggia ancor più, ma
d'altra guisa, in quello cioè per passione, in questo per acu-
me e sottigliezza di concetto, dappoiché in esso il poeta più
che a narrare e descrivere intende a discutere ed insegnare.
Tuttavia, se la brevità vuol essere misurata al numero non
delle parole ma delle idee che ti dà, non esito a dire che
il Paradiso non ostante la sua maggior mole avanza di
brevità l'Inferno stesso, ne credo anzi che altri sapesse mai
esprimere con meno di parole tante idee. - A. Zoncada.
jSon poco poi stimola la curiosità e il desiderio dei dotti
la magnifica edizione che da circa venti anni ne prepara
r illustre dantofilo inglese Lon Vernon, nella quale, oltre
una sua accuratissima esposizione in prosa italiana, ha
riunite in una nuova foggia di comento le fatiche di molti
suoi dotti collaboratori, fra i quali sono annoverati Vicenzo
Nannucci, Brunone Bianchi e Pietro Fraticelli, di fama
chiarissima; e facendo per ultimo complemento dell'opera
un'Album dantesco, nel quale per mano dei più periti dise-
gnatori ed intagliatori sì in rame che in acciaio, si ammirano
artisticamente rappresentati i monumenti, i luoghi, i fatti
e le persone più insigni che sono nel sacro Poema o celebrati
0 mentovati, opera veramente nuova, e ardimento piuttosto
da principesca che da privata fortuna. [Carbone, Avvertenza
del Traduttore del Vocabolario dantesco di L. G. Blanc.)
Ed un pensiero quasi contemporaneo nacque prima negli
uomini preposti al Governo provvisorio dell'Emilia, poscia
in alcuni dotti Toscani di pubblicare nel 1865, sesto cente-
nario della nascila dell'AHighieri, una nuova e più diligente
edizione della divina Comedia. Io accenno le norme con che
uno della Commissione dei Testi di lingua (Cav. prof. Francesco
Selmi, Rev. Contemp. Aprile, 1861) vorrebbe condotto questo
lavoro, acciocché riescisse degno del Governo auspice, e*
della Società promotrice, ed in uno di Dante stesso e d'Ila-
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C. 769
Ila. Riguardo al testo, eì desidera si prescegliesse la ripro-
duzione di uno de' più slimabili, ammendato col confronto
dei codici di più riputata prossimità all'autografo e delle
edizioni piii antiche. La collazione di quello della Crusca
coH'Eslense di Modena del 1327; con quello di S. Croce del
1343; col Trivulziano del 1330; col Landiniano del 1337;
con quello dell'Università di Bologna del 1380; col Mala-
spiniano di Napoli; col notissimo di Monte Cassino e qualche
altro di non dissimile valore, condurrebbero allo scopo.
Quella parte in che tutti concordano, dovrebbe ritenersi ad
invariata lezione: nelle varianti da accettarsi quella di data
più vecchia, di forma più consueta alle maniere dantesche,
più fiorentina, più elittica, scolpitiva, presentanea, più re-
plicata da maggior numero di lesti esaminali, notando a
pie di pagina quelle degli altri codici ed edizioni che
servono al lavoro. Il testo già formato dovrebb' essere
chiamato ad esame più e più volle; ogni verso pesalo; e,
come ultima diligenza, sarebbe da cercarsi, se per avventura
tra le varianti di altri buoni codici si potesse pur raccogliere
qualcuna, splendente di luce nuova e coi segni manifesti
di una vera gemma. Un volume a parte raccoglierebbe la
collezione completa delle varianti tutte, acciò l'edizione
portasse in sé, quasi assommati e riprodotti i frequenti
codici, che giacciono nelle biblioteche italiane e forestiere;
la qualcosa addomanderebbe l'opera paziente e costosa di
molti spogli, con uno spendio non leggiero. Riguardo alla
questione se si debbano trascrivere le varianti quali si
leggono nei manoscritti antichi, ne' quali l'uso dell'inter-
punzione si riscontra parco o nullo, oppure interpretarle
colle norme dell'ortografìa moderna, il Selmi ritiene miglior
consiglio attenersi in tali distrette al senso che risulla dai
vecchi comentalori, e tanto più quanto di prossima età a
quella di Dante, nò mai paresse convenevole di allontanar-
sene, se non ne dia argomento o qualche tratto di altre
opere di Dante che serva ad illustrare il passo, od il ri-
scontro di un'altro autore d'onde egli abbia palesemente
attinta l'idea e fallane imitazione, o dalla ragione intrinseca
della cosa, o dal processo logico del ragionamento. Il giudicio
concorde degli uomini egregi preposti al lavoro autorevo-
VOL. II. 49
770 EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C.
lissimo nella decisione: vuole uno a capo del lavoro con
facoltà inappellabile: gli altri che preparino la materia,
per ciascuno da sé, poscia si comunichino scambievolmente
ì singoli lavori, vi aggiungano le reciproche osservazioni :
il loro giudicio riceva suggello da quello del presidente:
a termine del volume si tenga conto dei dispareri - Il
Selmi divide i Cementi iu postillativi ed illustrativi: i pri-
mi a chiosa del significato dei vocaboli e delle frasi meno
intelligibili, ed a dichiarazione succinta di quegli avveni-
menti che si ricordino nelle Cantiche, non che delle cre-
denze mitologiche e superstiziose cui ivi si accenni o si
alluda: i secondi ed esporre al lettore quali fossero le dot-
trine, le utopie in allora vigenti, certe speciali costumanze
più in voga, quali i sistemi particolari imaginati o pro-
pugnati dal poeta, e le idealità da esso create e vestite
di forma; come in quei tempi si usasse al senso reale
sottoporne parecchi allegorici, che più o meno vi traspa-
rivano, e come dentro ai simboli questo talvolta si nascon-
desse; imperocché senza di ciò e somiglianti cognizioni
la Comedia rimane ai molti un libro sigillato. Ei vuole le
postille brevi chiare e trascelte dai migliori conienti antichi
e moderni, non senza facoltà ai compilatori di mettervi del
proprio, e di manifestare il loro parere su questo o quell'altro
soggetto in questione, sempre però con molta parsimonia.
I propositi capitali, da trattarsi nel cemento illustrativo,
per via di ragionamenti raccolti a parte, sarebbero questi:
Dell'orditura del poema ; dell'architettura dei luoghi percorsi
dal poeta; delle dottrine cosmologiche in allora insegnate;
della scolastica filosofica e teologica; delle sorti diverse
di allegorie secondo cui gli autori contemporanei dall'Alli-
ghieri informarono i loro scritti rendendoli polisensi, e di
quelle in ispecialità proprie del poeta; dei personaggi più
conspicui che in quel secolo influirono sugli avvenimenti
e le sorti d'Italia; delle fazioni e della misura con cui
inlendevasi la libertà; della patria e della nazione; dei
sistemi più accarezzati di reggimento e dì quello che
Dante predicò; dei costumi nella famiglia, nella cosa pub-
blica e nelle corti; del pudore nel linguaggio comune e
nell'aulico; dei rapporti di somiglianza che si riscontrano
EDIZIONI PRINCIPALI DELLA D. C. 771
tra la poesia dantesca, la latina, la greca e la sanscrita;
della religione di Dante; dell'esilio suo; dell'amore per
la donna com'era inteso; degli amori suoi ed in ispecie di
quello per Beatrice. - 11 Selmi nella Riv. Contemp., Luglio
1861, ha pubblicato un'allro scritto: Di uno studio da fare
per i edizione nazionale della Comedia di Dante Allighieri.
BENEMERITI DELL' EMENDAZIONE DEL TESTO
Bene meritarono dell'emendazione del testo colle loro
accurate investigazioni 1 signori: Arcan^^eli Giuseppe;
Becchi Fruttuoso; Bernardoni Giuseppe; Betti S§»al-
Yatore; Biondi Luigi ; Borgliini licenzo ; Bossi Giu-
seppe ; Bozzo Giuseppe; Caetani duca di Sermoneta
]VlichclangeIo ; Canal ab. Pietro; Capponi Gino;
Carpani Palamede; Ciampolini Luigi; CoUelli {Sci-
pione; Dionigi Gian Jacopo; Fanfani Pietro; Fede-
rici Fortunato ; Ferrante IMauro ; Ferrucci Luigi
Crisostomo; Fiacchi Luigi; Foscolo Lgo; Fraticelli
Pietro; Galvani Gio.; Gherardini Giovanni; Kopitar;
Lampredi Lrbano ; Lombardi Baldassare ; Lorini
Agramante ; 9Iezzanotte Antonio ; montani E. ; Monti
¥icenzo; Uluzzi L.; Paravia Pier Alessandro; Parenti
IVIarco Antonio; Pederzini Cavazzoni Francesco;
Perazzini Bartolommeo; Perticari Giulio; Picei Giu-
seppe; Rosini Giovanni; Rossi de Gherardo; Scolari
Filippo; !>»icca Angelo; Todeschini Giuseppe; Tiani
P.Bonaventura; Viviani Quirico; Wagner Adolfo;
Witte Carlo; Zanella Ab. Jacopo.
BENEMERITI DELL'OPERE MINORI
Ne sìa consentilo un'onorevole ricordo agli illustratori
delle Opere Minori del nostro poeta.
Il Convito ci era giunto così lacero e storpialo che in
SI deplorabile condizione non si era trovalo per avven-
tura alcun libro di scrittore antico. 11 chiarissimo Biscioni
che primo lo riprodusse nel 1723 non si curò gran fatto
di ammigliorarne la sformata lezione. 11 primo che cominciò
a studiarvi addentro fu il Dionisi ne' suoi Aneddoti ; appresso
r insigne Perticari rilevò molte piaghe neir aureo suo trai-
772 BENEMERITI DELL* OPERE MINORI.
tato degli Scrillori del Trecento. Ma quelli che si misero
primi all'ardua impresa di ridurre a miglior lezione quella
altissima e sapientissima prosa furono i signori Gìuncfiacomo
Trivulzio, V. Monti e Giov. Antonio J/of/.^i (Mil. 1826, ed
ediz. padov. 1827). Essi si dolgono grandemente dell'orribile
guasto in che trovarono i Codici tutti per loro esaminati;
quindi più che altro autorevolissimo il codice della critica.
Al lume di questo si fecero animosi ad emendare ed illu-
strare i passi viziati ; a rettificare l' interpretazione e l' or-
tografia; ad espugnere senza riguardo i volgari idiotismi,
rea feccia de' menanti; a corredare di annotazioni il testo,
indicando per bella giunta i luoghi contrassegnati dal Tasso,
non senza recarne alcune inedite postille del grande apo-
logista di Dante, Giulio Perticari. - E del Convito bene pure
meritarono per tacermi, dello Scolari del Yacolini, del \i-
vicini, del Veratti{V,, F. Cavazzoni Pederzini (1831, m. 1864 ),
e il dotto alemanno prof. Witte, questo egregio cultore delle
lettere italiane e benemerito tanto degli studii danteschi,
che, anche prima degli editori milanesi, vi avea recato i
pazienti suoi studj, ed ora tuttavia continua a donarci degli
eletti manipoli di sudate correzioni (1853 e 1854). Onde
il Picchioni scriveva: « Dai lunghi e profondi sludi del
sapiente alemanno dobbiamo riconoscere tutte le canzoni,
che a vivanda del suo Amoroso Convito Dante destinato
avea, poste in quell'ordine che la più sana critica ne dice
dover poter esser conforme alla mente del poeta. Dottissimo
Comenlo e quale si può aspettare da sì chiaro uomo viene
nell'opera intitolata: Dante AlifjhierV s lyrische Gedichte^
ecc., Leipzig, 1842; sponendo in un con l'amore celebrato
nel Convito il pensiero recondito del libro, e il tempo nel
•quale furono dettate le singole canzoni, e quello ancora,
nel quale per finzione poetica ne fu post^ la concezione.
(1) Scolari Filippo, Appendice all'edizione del Convito di Dante
Alliqhicri, fatta dalla Tip. della Minerva in Padova nel 1827, Padova,
Crescini, 1828. -Appendice ed Illustrazioni alla Vita Nuova, Convito,
e Lettere di Dante Alligliieri, Livorno, 1842. - Vaccolini Domenico,
Articolo sull'Edizione padovana del 1827, inserito nel Voi. xxxix dei
Giornale Arcadico, Roma, 1828, p. 503.- Fjvtani Q., Emendazioni tratte
dal Contilo ecc. 1828. - Veratti B., Annotazioni sopra i primi capitoli
del Convito di Dante Alligìiìeri, Modena, Soliani, 1834.
BExNEMERITl DELL'OPERE MINORI. 773
Né la parie puranicnte filologica vi è punto trascurala,
che anzi vi si trovano non solo le varianti, ma eziandio di
i^iudiziosissime emendazioni [La Dìv. Com. illustrata, p.31).-
11 Fraticelli si mostra debitore di molte avvantaggiate
lezioni ad un codice Riccardiano, 1844, la comparsa del
quale chiama una fortuna per sé e per g!i amatori delle
cose di Dante. Giò nondimeno ei conchìude che molti codici
dei lìnora veduti farà duopo ancora vedere, e molti più
studj di quelli per lui e per gli altri fatti bisognerà ancora
fare per poter ottenere un risullameuto che si avvicini alla
vera bontà e perfezione desiderabile.
Alessandro Torri si rese assai benemerito dell'edizione
della \ita Nuova, di quel piccolo dramma sì semplice e si
nuovo in che non figurano che due persone, Dante e
Beatrice, onde la sua stampa livornese nel 1843, è tenuta
tra le altre pregevolissima, (l)
Il Dionisi e VArrivabene furono i primi a porre le lor
cure intorno il Canzoniere, incominciando a portarvi sopra
(juella critica che a ciò facea mestieri. Anche il marchese
Gianqìacomo Trivuhio assiem col Magqi aveano approntato
molti appunti che doveano spianar loro il camino per
un' edizione ammigliorata delle liriche dell'AUighieri, ed è
ben a dolersi che l'onorando Marchese, per usare l'espres-
sione del nostro poeta, sia caduto in via con la seconda
soma. Né meno importanti sono le fatiche del Witte sul
Canzoniere. Egli ci diede i Sonetti : Se 7 bello aspetto (v) :
J)i donne io vidi (xiv): Poiché, sfjuardundo (xxix) : To-
(jliete via (xlhi): iS'ulla mi parrà mai (xliv): Lo re, che
merla (xlv): autenticò la Ballala: Per una ghirlandetta
(vii): ed il Sonetto: Per quella via (xxxviii), e ne rettificò
l'erronee lezioni. Ascrive a Dante i Sonetti: Molti, volendo
dir (xLVi) : Ora che '/ mondo (xlvii.), che il Fraticelli pone
tra' dubbii ; vuole pure di Dante la Canzone: Poscia eh' i' ho
perduta, che il Fraticelli ritiene apocrifa ed il Trivulzio di
Gino da Pistoia.
(1) IlDolt. Lutin, prof, di lingua e lellcratura italiana nell'università
di Graz, nel 1802 pul)l)licava una sua erudita dissertazione: Intorno
all'epoca della Vita Nuova di Dante AllìQhicri, con una appendice
sull'epoche dei Trattati del Convito, Graz, Kienreicb.
774 BE^EMERiTl dell'opere minori.
Da ultimo 11 Giuliani non dubitò di tornar sopra alla
Yita ISuova e al Canzoniere: con tenace proposito cercò e
ricercò i codici e le stampe più accreditate; dell'opera
altrui, com'egli stesso modestamente confessa, profittò con
gratitudine riverente, e nella severa ed inviolabile critica
che si propose, altri non volle che Dante interprete e giudice
di sé stesso. Onde, ne' dottissimi coment! di che arricchì
r edizione (Barbèra, 1863, ediz. diamante), l'altissimo poeta
ci viene sempre allato; egli sempre scorta sapvta e fida;
e nelle Canzoni, specialmente filosofiche, coi riscontri para-
lelli del Convito, il Giuliani ci mostra la mente di Dante,
quasi in imaglne specchiata. Quindi egli rinsanguinalo dello
stile e della scienza del suo più che padre verace, non
punto mosso dall' autorità altrui, quantunque di gente assai
pregevole e valorosa, non timido amico al vero, e con
libera franchezza, rigetta 8 Sonetti, 3 Ballate, e 2 Sestine (Son.
5. 22. 29. 33. 39. 42. 43. 45; Bai. 5. 6. 7 ; Sest. 2. 3. edizione
Barbèra, 1836), componimenti dichiarati legittimi dal Witte
e dal Fraticelli; non trovandovi espressi e lucenti i caratteri,
il proprio e verace sigillo di Dante; dubita dell'autenticità
di altri [Son. 33. 44) ; pone tra i dubbi alcuni ritenuti apocrifi,
e astretto da ragioni intime e invincibili, gli negherebbe
recisamente, quantunque le riporti, le celebrate canzoni :
Tre donne intorno al cor mi son venute: - 0 patria degna
di trionfai fama {Canz. 19 20). Oltre a ciò il Giuliani ci si
mostra valentissimo estetico, additandoci quanto nelle liriche
potesse il solenne autore del poema sacro ; ci assenna come
siagli bastato l' ingegno e l' arte per accoppiare strettamente
il senso allegorico al letterale, e di guisa da non oflendere
punto quella bellezza ch'egli idoleggiava costante ne' suoi
pensieri; e quindi a mano a mano ci viene sponendo le più
recondite bellezze di quella poesia (p. 134. 151.163. 168 171.
178. 182. 184. 183. 193. 205. 328. 3i5. 357. 373. 383. 390.391. 417)
che, dal cuore nata solo, favella colla potente lingua d'amore.
In un magnifico volume, pubblicato nell'occasione che
S-M. il re Giovanni di Sassonia, visitava Firenze, Fr. Palermo,
bibliotecario della Palatina, co' tipi della Galileiana, 1857,
metteva in luce alcune Rime di Dante Allighieri e dì
GiaoDOzzo Sacchetti. Ma le rime di Dante o non son per
BE^EMERITl DELL'OPERE MINORI. 775
niiìla opera del divino poeta, o non merllavano ad ogni
modo vedernenfa stampa. (1)
Il Witte si è reso benemerito anche del Trattato della
Monarchia, e dava fuori per saggio il primo libro nella
occasione della solenne distribuzione de' premi all'Accademia
federiciana di Halle [Danfis Alligliierl Monarchia Liber I,
Msstorum ope emendata per Caroliim Witte. Halis, formis
Hendeliis, 1803, In 4.*^). Per condurre tal lavoro egli ha
diligentemente tenuto a riscontro cinque ottimi codici e le
più reputate stampe: ha seguitato il miglior testo, e in
pie della pagina ha registrato le più belle varianti dei
ricordati codici, sotto la rahrlcdi Adnotatlo critica ; aggiun-
gendo poi sotto ad essa, con la rubrica Ad interpretationem
facientla, altre note, dove più che altro si mostrano i
riscontri dell' opera dantesca o con la Bibbia o co' iilosoli
antichi, e massimamente Aristotele, ed anche con altre
opere del divino Poeta. Le varianti recate dal Witte sono
di qualità che molte si potrebbero senza uno scrupolo al
mondo recare nel testo. Egli è da sperare che il chiaris.
Witte dia fuori tutta l'opera conforme al saggio di questo
primo libro, che certo ei renderebbe un novello e segnalato
servigio ai cultori degli studi danteschi. ( Y. Fanfani, Il
Borqhini, Artic. del Fanfani, i. 672.) (2)
Al Torri pure si debbe la lode di averci dato con sommo
studio la pubblicazione di cinque Epistole (1, 3, 5, 6, 8,
Ediz. Barbèra ) dell'Allighieri (1842), dovendosene il merito
dell' altre cinque al Witte che sin dal 1827 gli venivano
additate e trascritte dal D.*" Teodoro Jlcyse di Magdeburgo,
fi) V, Appendice al libro: Rime di Dante Allishieri e di Giannozzo
Sacchetti, sull'autenticità di esse rime, e sul codice 180 Palatino, ecc.
Firenze, Galileiana, 18o8.
(•2) Sulla Monaixhia di Dante vengasi pag. 52. - Anche lo Scolari
pubblicò un Avviamento allo studio della Monarchia di Dante, Vi-
cenza, 18:13, in IC. - Rarissimo venne l'opuscolo di Guidone Vernani
contro la Monarchia col titolo: Guidonis Vernani Arimincnsis Ord.
l'raed.de Polesiate Summi Pontificis et de reprobalione Monarchiae
compositae a Dante Alìgherio Fiorentino, Traclaclus duo, Bononiae,
1146, ap. Th. Coli, in 8. - Il Witte ne fece indarno ricerca per tutta Italia,
e se lo fece trascrivere. - Un nuovo lavoro venne pubblicato nel 1864 in
Milano col titolo: La Monarchia di Dante, Studi storici di Francesco
Lanzani, che non potei ancora vedere.
770 BENEMERITI DELL' OPERE MINORI.
da un Codice valicano palatino ( ex Cod. ìhU» pai. N.'' 1729)
scrino nel 1394 in Perugia da Francesco di Montepulciano.
{Dantts Mliffhcni Epistolae, quae extant cum notis Caroli
Wìtte, Patavii, sub signo Minervae, Vratislaviae, apud edil.,
1827, in 8.° (V.Muzzi Luirii, Tre epistole latine restituite
a più vera lezione annotate e tradotte, con la giunta di altre
cose relative al detto poeta. Prato, Giacchetti, 1845. - Torri
Alessandro, sulV Epistola di Dante Alliqhieri, impressa a Li-
vorno nel 1842, Dichiarazione e protesta dell' editore verso un
bibliografo francese, Pisa, Prosperi, 1848). - Pieno di scor-
rezioni ne' Codici, scrive il Fraticelli, trovavasi il lesto latino ;
lanlocchè il Wilte, sia per mezzo di un diligente confronto
delle varianti, sia col mezzo di una sagace critica, dovette
molto faticare, per mandare in pubblico in una forma con-
veniente la sua stampa del 1827. - Né si tenne contento
di queste prime sue cure, ma gli piacque di riscontrare
di nuovo i Codici, e confrontare le varie lezioni ; e nuova-
mente portando il suo esame critico sopra ogni frase ed
ogni parola del testo, potè rettificare molti passi disordinati,
rendere intelligibili varie frasi oscure, e correggere parecchi
e parecchi errori. La lezione del lesto latino prodotta nella
ultima edizione del Fraticelli è interamente al Wille do-
vuta, (l)
Nel 1834 il D.^ Anicio Bonucci pubblicava: Allighieri
Dante, Laude inedita in onore di nostra Donna, con un
Discorso e col fac simile del Codice da cui avea tolto quella
Laude (Bologna, Rocchi). - Il Fraticelli (Op. Min. Voi. I.° 326) ;
il Colomb de Batines (Monitore Toscano, 19 Gen. 1854); il Gallo
(Gior. offic. di Sicilia, 12 Luglio 1853 ) ; L.31uzzie V. JSannucci
(ivi, 28 Seti. 1853) sono d'avviso che questo Componimento,
il quale non trovasi in nessuno de' molti Codici delle bi-
blioteche di Firenze e di Roma, non sia affatto di Dante
Allighieri. Né esso di fatti può venir al paragone col Credo,*
VAve Maria e il Pater nostro intorno a cui battagliò a lungo
r erudizione italiana, e ne' quali componimenti, quantunque
(1) Sulla Lettera a Can Grande della Scala vedi pag. 60, e 598. -
V. Scolari, Della evidente e certa falsità della letterato Marzo IMi,
contro V ordinaria nobiltà e i costumi del Veneto Patriziato in quanto
si voglia attribuire essa Lettera a Dante Allighieri. Venezia, 1845.
BENEMERITI DELL'OPERE MINORI. 777
deboli ed infermi, pure vi è maggior nerbo e maggior ori-
ginalità di forma pura e schietta che sembrano additare
un'epoca più rimota. L'Ave Maria, dì cui facciam cenno,
offre invece un po' di quella lindura, di quella levigatezza
di modi, di quel non so che di più fiacco e di più musicale
che contrassegna V influenza del Petrarca. Del resto io sono
ben lungi dal ritenere che anche gli altri componimenti
sacri sieno lavoro dell' Allighieri. Chi vi osserva i modi
negletti, insoliti a Dante, insoliti allo stesso trecento, chi
soprattutto vi nota certe forme e certe terminazioni che
sentono l' influenza dei dialetti lombardi, si guarderà dal
consentire facilmente alla loro legittimità. - A. Zeno attri-
buiva quelle poesie al ferrarese Antonio del Beccaio, amico
e contemporaneo del Petrarca.
Del resto, il più grande e benemerito illustratore delle
Opere Minori di Dante è senza dubbio il Fraticelli. Ei si
giovò di tutti i sussidi necessari a rendere pregiata l'opera
sua. La parte bibliografica vi è diligentemente trattata;
la lezione è stala raflronlata coi migliori Codici; la parte
critica per avventura lascierebbe un qualche desiderio. La
edizione ch'ei ci diede nel 1856 e 1837, riprodotta nel
1861-62 di tutte le Opere Minori pel Barbèra, non solo è
la migliore che abbiamo, ma raguna in sé copiosissime materie
sì di erudizione che di filologia.
SERIE DELLE EDIZIONI
DELLA VITA l\X^O¥A
1. La Vita Nuova di Dante Allighieri, con XY Canzoni del
medesimo, e la vita di esso Dante scritta da Giovanni
Boccaccio. In Firenze, nella Stamperia di Bartolomeo Ser-
martelli, MDLXXYl, in ^.^ - Prima edizione, e di Crusca. Poco
corretta, (l).
(1) Le due Canzoni: Donne che avete intelletto d'amore - Donnu
pietosa e di novella etatc, furono la prima volta informemente stampate
in fine della Divina Comedia, Vineyia, per Pietro Cremonese, dito Vcron
nese, 1491, in fol. - I Sonetti e le Canzoni della Vita Nuova si stam-
parono e pubblicarono tutti la prima volta nel raro libro, e di Crusca.-
778 SERIE DELLE EDIZIONI DELLA VITA NUOVA.
2. La Yita Nuova. Nelle Prose di Dante AUighieri e di
Gio. Boccaccio. Firenze, 1723, per Gaetano Tartini e Sante
Franchi, in i.^ Edizione di Crusca.
3. La Yita Nuova. Venezia, Gio. Pasquali, 1739-41, in 8^
4. La \ila Nuova. Venezia, Gio. Pasquali, 171)1, in %.^
5. La Vita Nuova. Venezia, Antonio Zatta, 1756, in 4.*^
6. La Vita Nuova. Venezia, Antonio Zatta, 1760, in 8.»
7. La Vita Nuova. Venezia, Gio. Pasquali, 1772, in 8.®
8. La Yita Nuova. Venezia, Pietro Gatti, 1793, in 8.*^
Queste sei edizioni Veneziane sono una ristampa della
Fiorentina 1723, e fanno parte di tutte le Opere dell' AUi-
ghieri. Ristampa di poco merito.
9. Vita Nuova e le Rime, riscontrate coi migliori esem-
plari e rivedute da GG. Keil,Chemnitz, Carlo Maucke, 1810,
in 8.'' Contiene dalla pag. 1-82; La Yila Nuova; dalla 83
alla 236: le Rime; dalla 237 alla 300: Annolazioni ed
indici.
10. La Vita Nuova, ridotta a lezione migliore. Milano,
Tipografia Pogliani, 1826, in 8.*^ Edizione non venale, di soli
60 esemplari, alcuni dei quali in carta grande azzurra.
11. La Vita Nova, secondo la lezione di un Codice inedito
del secolo XV Pesaro, Tipografia Nobili, 1829, in 8.^ con
piccolo ritratto di Dante inciso nel frontispizio, e con note
impresse in carattere rosso, come stanno nel Codice.
Il Conte Odoardo Machirelli pubblicò questa edizione
nelle nozze d'una sua figlia.
12. La Vita Nova, secondo la lezione di un Codice inedito
del secolo XY, colle varianti dell'edizioni più accreditate.
Pesaro, Tipografia Nobili, 1829, in 8.°, con ritratto inciso,
come sopra. Seconda edizione Pesarese, in caratteri lutti
neri.
13. La Vita Nova, Firenze, Leonardo Ciardetti, 1830, in
^.^ Nel Volume IV delle Opere di Dante.
Sonetti e Canzoni di diversi antichi autori Toscani in dieci libri
raccolte. Firenze, per li liercdi di Philippo di Giunta, 1527, inS° ^
Queste rime furono più volte stampate, e nella ripetizione della Giuntina
suddetta, Yinegia, Fratelli da Sabbio, 1532, in 8.o; Bologna, Pisarri, 1718 ;
Firenze, 1727, in 8.»; Venezia, 1731, Zane, in 8,o; e negli Amori e Rim$
di Dante AlligUierìt Mantova, I8i3, in IG.o, lavoro dell'Arrivabene. (F^p.)
SERIE DELLE EDIZIOM DELLA VITA NUOVA. 779
14. La Vita Nuova, a corretta lezione ridotta, e con illu-
strazioni, dichiarala da Pietro Fraticelli, Firenze, Tip. di Leop.
Allegrinì e Gio. Mazzoni, 1839, in 18.*^ Nel Yol. terzo delle
Opere Minorù
15. La Vita Nuova. Negli Autori che ragionano di sé.
Venezia, tipi del Gondoliere, 1840, in S.^
16. La Vita Nuova. Edizione XVI a corretta lezione ridotta
mediante il riscontro di Codici inediti, e con illustrazioni
e note di diversi per cura di Alessandro Torri. In Livorno,
tipi di Paolo Vannini, 1843, in 8.«
É questa la più ricca edizione della Vita A'uova, rias-
sumendo in sé le note illustrative delle edizioni anteriori.
Fa parte delle Prose e Poesie liricìu di Dante, Voi. primo ;
edizione cominciata e non compiuta dal Torri suddetto.
17. La Vita Nuova. Sta il lesto a fronte della traduzione
inglese fatta da Giuseppe Garrow, col titolo: The early
lifc. Florence, Felix Le Mounier, 1846, in 8.^, col ritratti
di Dante e di Guido Cavalcanti.
18. La Vita Nuova. Napoli, Francesco Rossi - Romano,
1851, in 8.^gr. a due colonne. Sta nelle Opere Minori del
Allighieri. È una ristampa dell'edizione del Fraticelli 1839.
19. La Vita Nuova. Firenze, Feiice LeMonnier, in 12.^
20. La Vita Nuova. Seconda Edizione, procurata (Ììì Au-
relio Gotti- Firenze, Felice Le Monnier, 1856, in ìì.^
, 21. La Vita Nuova. Col Comenlo di Pietro Fraticelli, e con
giunta di note di Francesco Prudenzano. Napoli, Tipografìa
delle Belle Arti, 1856, in 12<>
22. La Vita Nuova/ Con note e illustrazioni di Pietro
Fraticelli. Firenze, Barbèra-Bianchi, 1857, in 8.^ Fa parte del
Voi. IL delle Opere Minori.
23. La Vita Nuova. Torino, Società editrice Italiana di
M. Guigoni. 1858 - A tergo del frontispizio: Milano, Tip.
Z. Brasca, in 12.«
24. La Vita Nuova. Terza edizione. Firenze, Felice LeMon-
nier, 1859, in 12.«
25. La Vita Nuova. Firenze, G. Barbèra, 1861, in S.'' È
la seconda edizione fatta dal Barbèra, cioè ristampa di quella
dei 1857.
26. La Vita Nuova e il Canzoniere commentali da G. B.
780 SERIE DELLE EDIZIONI DELLA VITA NUOVA.
Giuliani. Firenze, G. Barbèra, 1863, in 16.*' Nella Biblioteca
Diamante.
EDIZIONE IN CORSO DI STAMPA.
27. 1865. La Vita Nuova. Venezia, Antonelli. - Questa
edizione sarà pubblicata dall'Antonelli in 500 esemplari, con
lusso di caratteri e di carta, lettere iniziali ornate, non però
con incorniciatura litografica delle pagine, com'era il primo
concetto. L'edizione viene curata dal chiariss. prof. Pizzo
diA'enezia, sulle migliori edizioni, e specialmente sull'ultime
del Fraticelli e del Giuliani. Oltre a ciò il Pizzo si fece ad
instituire i confronti coi codici della Marciana, uno de' quali
fu già usato anche dal Biscioni. [Fer.]
EDIZIONI DEL CONVITO. (1)
1. 1490. Firenze, Francesco Bonaccorsi, in 8.*^ Assai rara.
2. 1521. Venezia, Fratelli da Sabbio, in 8.*^ con ritr. Rara.
3. 1529. Vìnegia, Zoppino, in 8." (Citata dalla Bibl.
Bultelliana, pag. 427.)
4. 1531. Vinegìa, Marchio Sessa, in 8.° Ed. di Crusca.
5. 1723. Nelle Prose di Dante e di Boccaccio, Firenze,
in 4^ Dì Crusca.
6. 1739-41. Venezia, Pasquali, in 8.°
7. 1751. Venezia, Pasquali, in 8.**
8. 1756. Venezia, Zatta, in 4.*^
9. 1760. Venezia, Zatta, in S.*^
10. 1772. Venezia, Pasquali, in 8.*^
11. 1793. Venezia, Gatti, in 8.«
Queste sei edizioni sono una cieca ristampa della Fio-
rentina 1723, e fanno parte di tutte le Opere di Dante.
12. 1826. Milano, Pogliani, in 8." gr. Edizione non venale,
in 60 esemplari.
13. 1827. Padova, tip. della Minerva, in 8.*^ Buona risi.
dell' Edizione Milanese. Va in seguito alla D. C. pubblicata
dalla stessa Tip. della Minerva.
(t) Alla pag. 32 di questo Volume furono erroneamente citate alcuac
edizioni del Convito.
EUlZlOM DEL CONVITO. 781
14. 1831. Modena, Tip. Camerale, in 8.°, con noie di
Fortunato Cavazzoni Pederzini. (m. 1864)
15. 1834. Firenze, AUegrini, in S.*' Ediz. procurata dal
Fraticelli, con le altre Opere Minori.
16. 1853. Napoli, Rossi-Romano, in S'' grande, materiale
ristampa dell' ediz. Fraticelli, con le Opere Minori.
17. 1857. Firenze, Barbèra e Bianchi, in 8.« Edizione del
Fraticelli, migliorata, con le Opere Minori-
18. 1862. Firenze, Barbèra, in 8.« Ediz. simile a quella
del 1857 per cura del Fraticelli.
19. 1862. Reggio nell' Emilia, Davolio, in 8.° Emendato
[a suo modo) da Matteo Romani.
EDIZIONI DELLA MONARCHIA.
1. 1557. Basilea. Ediz. sconosciuta, e di dubbia esistenza.
2. 1559. Alciati Andreas. De formula Romani Imperli libel-
lus. Acces. Dantis de Monarchia, etc. Omnia nunc primum in
lucem edita, Basileae, typis Opporini, in 8." (1).
3. 1566. Schardius Simeon. Syntagma tractatuum de im-
periali jurisdictione, auctoritate et praeminentia ac polestate
ecclesiastica, dequejuribus regni et imperii. Accessit Danlig
de Monarchia, etc. Basileae, typis Opporini, in fol.
4. 1609. Edilio altera, Argentorali ( Strasburgo ), typis
Zelzneri, in fol. - Ristampa dell'ed. del 1566, in fol. (2)
5. 1710. Coloniae Allobrogum, Cosse, in 8.*^ - La data
è apocrifa. Fu stampata a Venezia dal Pasquali, con le altre
Opere Minori 1739-11.
6. 175L Venezia, Pasquali. Con le Opere Minori, in 8.*
7. 1757-58. Venezia, Zatta, Con le Opere Minori, in 4.»
8. 1760. Venezia, Zatta. Id., in 8.«
9. 1772. Venezia, Pasquali. Id-, in 8 «
10. 1793. Venezia, Gatti. Id-, in 8.'^ - Queste cinque
edizioni sono materiale ristampa della Pasqualiana del 1740.
(1) Il merito di questa edizione si debbo a Gerolamo Fricker, m»
nello strano errore che questo lavoro sia di un secondo Dante vissuto sul
line del secolo XV e stato in amichevole relazione con Angelo Poliziano.
Witte. (Fer.)
(2) Il Witte cita pure un edizione del 1010, fatta in Offenbach. [Fer.ì
782 EDIZIONI DELLA MONARCHIA.
11. 1839. Firenze, Allegrini e Mazzoni, in 8.^ Edizione
procurala dal FralicellI con le Opere Minori. A fronte del
lesto sta la traduzione italiana di Marsilio Ficino.
12. 1841. Firenze, Molini, in 8.** - Con le Opere pubblicale
dal Ciardetti 1830-41.
13. 1841. Livorno, Coi tipi degli Artisti tipografici. Con
la traduzione del Ficino, in 8.° -Nelle Opere Minori pubbli-
cale dal Torri.
14. 1853. Torino, Franco, in 8.° -Con la traduzione del
Ficino.
15. e 16. 1857, e 1862. Firenze, Barbèra. Nella edizione
dell' Opere Minori procurata dal Fraticelli.
17. Dantis Alligherii Monarchia, Liber I. Msstorum ope
emendala per Carolum Witte. Halìs, formis Hendellis, in 4.^ -
Il Witte non ne ha pubblicalo che il primo libro; ma
attendesi 1' edizione intera da lui illustrata ed emendala.
EDIZIONI DELL'ELOQUIO VOLGARE.
1. 1529. Della Volgare Eloquenza. In fine: Vicenza,
Tolomeo Janiculo, da Bressa, in fol. Ed. principe del vol-
garizzamento italiano fallo da G. G. Trissino.
2. Della Volgare Eloquenza, libri due tradotti in lingua
italiana. Senza data (sec. XVI.), luogo e nome di stampatore,
in 4.°, di pag. 44.
3. 1577. De Vulgari Eloquentia, Libri duo, Parisiis. Jo.
Corbon, in 8.^ - Pubblicala da Jacopo Corbinelli. - Rarissimo.
4. 1583. Della Volgare Eloquenza, Ferrara, Domenico
Mamarelli, 1583, in 8.^ pie.
5. 1729. De Vulgari Eloquio, Testo latino ed italiano.
Nel Voi. II. delle Opere di G. G. Trissino, Verona, Vallarsi,
in 4.« ■
6. 1741. Venezia, Pasquali, in 8.*^ - Nelle Opere
di Dante.
7. 1751. Venezia, Pasquali, in 8.'' - Nelle Opere
Minori di Dante.
8. 1758. Venezia, Zatta, in 4.« - Id.
9. 17G0. Venezia, Zatta, in 8.° - Id.
10. 1772. Venezia, Pasquali, in 8.« - Jd.
EDIZIONI dell'eloquio VOLGARE. 783
11. 1703. Venezia, Gatti, in 8.° Nelle Opere di Dan-
te. Queste sei ultime edizioni sono materiali ristampe di
quella del 1749.
12. 1830. La sola traduzione italiana, Firenze, Ciardetti.
Nelle Opere di Dante, Voi. lY. - Nel Voi. VI. della stessa
edizione dell Opere, Firenze, Moli ni, 1841, sta il testo la-
tino.
13. 1835-40. Firenze, Mazzoni e Allegrini, in 8."
Nelle Opere di Dante pubblicate dal Fraticelli.
14. 1830. Napoli, Tramater. Fa parte delle Opere
Minori, in 4.° pie.
15. 1855. Livorno, coi Tipi degli Artisti tipografici.
Nelle Prose e Poesie liriche di Dante per cura di Al. Torri.
16. 1857. Napoli, Rossi-Romano, in 8.° gr. - Nelle
Opere Minori.
17-18. 1857 e 1861. Firenze, Barbera, in 8.° - Nelle Ope-
re Minori per cura del Fraticelli.
EDIZIONI DELLE EPISTOLE.
1827. Epistolae, quae extant cum nolis Caroli fVitUy
Palavii, sub signo Minervae, in 8.° - Prima edizione di tutte
l'Epistole, in poc'ii esemplari, non venale, e perciò ra-
rissima.
1840. Epistolae quae extant, cum disquisitionibus atquc
italica interpreta tione Pelri Fraticelli, Fiorenliae, in 18.''
1842. Epistole edite e inedite per cura di Alessandro
Torri, Livorno, Vaccini, 184*2, in 8.*^ - In questa edizione
le Epistole sono 14. - Veggasi l'opuscolo dello Scolari:
Intorno alle Epistole latine di Dante Allighieri, giusta la
edizione fattasene in Breslavia nel 1827, ed ultimamente
in Livorno nel 1843, (cioè 1842.) Lettera critica, Venezia,
1844.
E in tutte le altre Edizioni accennate delle Opere Mino-
ri, (l)
(1) Io mt professo debitore di questi Ciitalogtil dell' EdlzlODi delle
Opere Minori di Dante al solertissimo ed accuratissimo dantofilo Francesco
Scipione Fapanni, alla squisita gentilezza del quale rendo nuove e
pubbliche anioni di grazie.
784
TRADUZIONI DELL'OPERE MINORI
La Vita Nuova venne voltata in Francese dal Cav. Ze-
loni, Parigi, Lacrarnpe, 1844, in 18.^ con ritratto; dal De-
Idcluze, Parigi, Charpentier, 1847, riprodotta nell'opera:
Dante Allighìerl, ou la Poesie amoureuse, Parigi, Amyot,
1847; Delahays, 1844. - In Inglese da Carlo Lyell, Londra,
Molini, 1842, in 8.^, con cinque ritratti; da Giuseppe Gar-
row, Firenze, LeMonnier, 184G, in 8.^, coi ritratti di Dante,
Guido Cavalcanti e Beatrice; (idi Elliot JSorton, Cambridge,
1839, in 4.'', edizione di soli 100 esemplari; da D. G. Bos-
setti, Londra, Smith, 1861, in 8.°; dal Martin, Londra,
1861. - In Ungherese da Francesco Csàszàr, sec. edizione,
Pest, 1854, in 8.^^ con ritratto. - In Tedesco da Fr. Oeyn-
hatisen, Vienna, 1824, in 8.''; da Carlo Forster, Lipsia, 1824,
1841, in 8.«
Le Rime vennero voltate in Francese da F. FeriauU,
Parigi, Lecou, 1854; in Inglese dal Lyell, Londra, Molini,
1844, ed alcune canzoni, da Wilte Bruce 31. A., 1841; in
Tedesco dal Kannegiesser - Witte, Lipsia, 1842; da Carlo
Krafft, Regensburg, 183'J; ed alcune canzoni dallo Schlegel,
Lipsia, 1846.
Il Convito fu tradotto in Tedesco dal Kannegiesser, Lipsia,
1845; in Inglese da Carlo Lyell, Londra, Molini, 1842.
La Monarchia fu tradotta in Tedesco fin dal 1559, da
Basilio Giov. Heroldt e venne pubblicata con questo titolo:
Monarchey oder dasz das Keyserthumh zìi der wolfart diser
welt von nóten: den B'ómern hillich zugehort und allein Goti
dem Herren, sonst niemands hafft seye, auch dem Bapst nit.
Ilerren Dantis Alligherij des florentiners ein zierlichs bii-
ehlein, in drey teyl aussgeteileilt. Unnd vor ziceihundert
dreyssig dreyen jaren zii vertddigung der JFiirdin des
Reychs teutscher JSation Lateinisch beschriben: vormals nie
fiesehen, auch neuwes verdolmetschth: Durch. B. J. IL Gè--
drucht zii. Basel durch Niclaus Bischojf den jiingeren im
Tare. M. D. LIX. 8." (Monarchia, ovvero che V impero alla
prosperità di questo mondo necessario, ai Romani equa-
mente appartiene, e solamente di Dio Signore e non di
TBADIZIOM dell'opere MINORI. 185
aliri è proprio, né anche del Papa. Del signor Dante Al-
lighieri, il fiorentino, elegante libretto, in tre parti diviso;
e da duecento trenta tre anni, alla difesa della dignità
dell impero, alla nazione tedesca, latinamente scritto, per
lo avanti mai veduto, e nuovamente interpretato da B. G.
H. - Stampato a Basilea da Nicolò BiscliolY nell'anno 1559,
in 8.°) - Fu pure tradotta in Tedesco da C. L. Kanneijiesser,
Lipsia, 1845; in Italiano da Jacopo del Rosso, 1461 ; e Mar-
silio Ficino, Firenze, 1839.
L'opera De YuLGARi Eloquio, fu recata in tedesco da
C. L Kannegiesser, Lipsia, 1845 ; in Italiano dal Trissino,
1529.
L'Epistole dallo stesso Kannegiessery Lipsia, 1845.
L'Egloghe dal Kannegiesser-Wilte, Lipsia, 1842.
Oltre le accennate traduzioni della Vita Nuova debbo
aggiugnere la tedesca del Kannegiesser, che in questo
punto venni a conoscere, col titolo : Dante Allighieri '« Pro-
saische schrifter mit ausnahme der Vita JSuova. Ubersetzt
vom Karl Ludwig Kannegiesser, zwei bande (Bibliotek ita-
lienischea klassiker, bande 20, 27) 18.°, Leipzig, 1856.
YUL. 11.
SUPPLEMENTO
Specchio cronologico della \ita di Dante
(Pag. VI.) La Commissione incaricala delle ricerche della
vera casa di Dante colia scorta di tutti quei documenti
che le potevano porger luce nello scuro cammino, confer-
mava autenticata la tradizione che fa della Casetta, distinta
da breve memoria in marmo in Piazza di S. Martino, la
vera Casa di Dante, ed è pervenuta ordinatamente a cono-
scere come questa Casa, ora di proprietà del nobile Sig.
Luigi Mannelli Galilei, descritta insino dai tempi del Bruni
e del Renuccini per quella degli Allighieri in faccia alla
Via che mena diritta a' Sacchetti, passasse dagli Allighieri
a Dante, e da lui a' figli, e da questi alla Pia Società d' Or
S. Michele, e quindi agli Arrighi e da loro a' frati di San
Miniato al Monte, e poscia con vari altri passaggi ai Ga-
lilei, autori del prenominato Sig- Cav. Luigi Mannelli. (Fi-
renze, 9 Seti. 1864. - E. Frulloni. - G. Gargani.)
Cognizioni Poliglotte di Dante (p. 306.)
Luigi Delatre, vuole che il verso Pape Satan, Pape Satan;
Aleppe s'interpreti : Come mai, Satan, come mai, Satan (mio^ re;
sottintendendo: hai permesso ciò che vedo? cioè, la venuta
di Dante in carne e in ossa nel nostro regno. {Giornale del
Centenario, pag. 275.)
Aloisio Pantani, riportate le opinioni di Fr. M. Zanotli,
del Monti, dei Cellini, di Pietro figlio di Dante, del Rossetti
del P. Olivieri, di Yìcenzo Berni degli Antoni, vuole che le
parole sieno tolte dal francese, e le traduce: JSon pace, o
Satana; non pace, o Satana: addosso al sodo (al denso);
a chi non è ombra, ma cosa salda, che fa di sé parete al
sole; che non dà luogo al trapassar dei raggi. E che sieno
tolte dal francese argomenta pure il Dott. Giov. Coltelli.
{Giornale del Centenario, pag. 264.)
SUPPLEMENTO. 187
Dante e le belle Arti
(Pag. 322, 1.20). — L'arte in tre gradi si trova, nella
mente dell'artefice, nello strumento e nella materia for-
mata dall'arte Come quando è perfetto lo artefice e
lo strumento è bene disposto, se errore avviene nella forma
dell'arte, solo si debbe riputarlo dalla materia: De Mon. ii. 2.
Colui mancherebbe della perfezione dell' arte, che attendesse
solo alla forma finale, e non si curasse della materia, per la
quale ad essa finale forma si perviene : De Mon. ii. 7.
(Pag. 325, 1. 3.) — L'immagine rappresentata, egli ci
avverte, che sia sì verace che non sembri imagine che
taccia; sieno i sembianti testimoni del cuore {Purg.x\\ìi\.
40); e l'interna sembianza ci appaia s\ propriamente im-
pressa in allo, come fufiira in cera si suf/gella: Purg. x. 37. -
E Guido Cavalcanti pur cantava: Cotanto è da pregiar
ogni figura. Qua nt' ella mostra in forma ed anco in alti Pura
sembianza del suo naturale. Perocché 1' arte dee seguir
natura A sua possanza, sicché non dischiatti Da simil dise-
gnar suo principale, Né altramente giammai dura, o sale:
Onde le cose, che non proprie stanno A dritto corso, vanno
Fora di fama, di voce e d'onore: Che virtute, e valore
Fanno palese a suo tempo l'inganno, E veritate sua luce
discopre Dinanzi ai buon conoscitor de l'opre. - Dante, con la
teoria e coir esempio ci apprende i più alti segreti dell'arte.
Disegni, Illustrazioni ec. (p. 390)
Molossi- - La Galleria Estense ha due bei disegni del
Molossi, che sull'idea Dantesca rappresentano la discesa di
Gesù Cristo all'Inferno. Sono indicati ai numeri 51 e 77
iS^W Elenco dei disegni antichi in fine dei Cenni storici e
descrittivi intorno alle Pitture della R. Galleria Estense del
Co. Ferdinando Castellani Tarabini. - P. Guerra.
Lidenschmit. - L'autore del bel disegno / tre secoli della
Letteratura inglese, il. quale è stato ammirato dapertutto
al tempo della festa di Shakspcare, ne ha fatto un altro
poco fa in onore di Dante: Dante il suo evo. - G. Hartmann.
788 9UPPLEMEM0.
Del ritratto di Dante attribuito a Giotto,
nella Cappella del Podestà, (pag. 388.)
I Signori Gaetano Milanesi e Luigi Passerini pubblica-
rono una seconda memoria sul ritrailo di Dante nella
Cappella di Firenze, attribuito a Giotto. Son poche pagine,
ma scritte pensatamente. Le ragioni, desunte dalla storia,
dalla critica e dalle prove di fatto ci paiono inoppugnabili.
La questione è tutta di date. Dopo ciò ch'eglino hanno
aggiunto non si può non ritenere sfornita di buon fonda-
mento la volgare credenza che attribuisce a Giotto le pitture
della Cappella del Podestà, e per conseguenza il ritratto
dell' AUighieri. Il Milanesi e il Passerini, anzicchè al Gaddi,
come aveano prima giudicato, inclinano a credere che in
Bernardo Daddi si abbia a riconoscere l'autore di quelle
pitture, ritenendo che dopo la morte di Giotto non fosse
allora in Firenze nessun altro maestro che vincesse il Daddi
in valore e riputazione. Isè non possono ricredersi di quanto
dissero del Marini. Che l'occhio non sarebbe apparso cosi
guasto, se invece di tirar fuori violentemente il chiodo che
v' era infisso, il Marini lo avesse segalo con diligenza. Di
più dal confronto del calco che rappresenta in cromolito-
grafìa lo stato del ritratto appena scoperto e i guasti che
aveva palilo, si vede ch-aro che i colori delle vesti e la
forma del cappuccio erano in parte diversi da quel che
oggi non sono: onde chi dopo 24 anni lo rivede con l'oc-
chio dell'artista, non può fare a meno di dolersi che il
pennello del ristauratore abbialo in parte mutato dalla pri-
mitiva sua forma.
Ritratti dell' AUighieri (p. 398)
D.Lorenzo Pittore, Monaco Camaldolese, (pag. 394.)-
L' immagine dipinta intorno al 1420 nella cappella degli
Ardinghelli in S. Trinila debbe attribuirsi a Giovanni To-
scani e non a Don Lorenzo Monaco, come dopo il Vasari,
ripetevano gli eruditi novelli. - G. Milanesi e L. Passerini, -
Giornale storico degli Archivi Toscani, anno 1860, luglio
e selt. p. 191, 208 e 210.
SUPPLEMENTO. '* 789
Bronzino Alessandro. Introdusse Dante nella Disputa di
Gesù coi Dottori, nell'affresco della Cappella di quelli da
Monlauto alla SS. Nunziata. - Luigi Grisostomo Ferrucci.
Dipinti rigaardanti la Vita dell'AIIigliieri.
(pag. 406.)
Luca di Leiden. Dante nel momento che gli viene rife-
rita la morte di Arrigo MI. - Je lis dan l'abbé Troya que
Lucas de Leyde a fait un tableau tire de la vie d'Alighieri :
Je peintre a choisi le moment ou le proscrit apprend la
mort de Henri de Luxembourg. - Saint-René TaiUandier.
Peterlin. Dante che medita sul divino poema.
JUedag^Iie in onore dell' Alligliieri.
Oltre le medaglie accennate a pag. 409, il Medagliere del
Co. Carlo Taverna, Senatore del Regno d'Italia, come ebbi
cortesemente da lui medesimo, possedè le due seguenti:
.XIV. Dantes Florentinus. Neil' esergo: Yates. Testa e.
Una pianta, e senza leggenda.
XV. Dante Allif/ltieri. Busto laureato, a d.
In cui rivive. Un fiore. (Di modulo piccolissimo.)
Componimenti Drammatiei (p. 415)
Lindncr Alberto, Dante, Dramatisches Gcdicht, Jena,
Lettori della Divina C'omedia
(Pag. 429.) Il seguente specchio del chiarissimo Sig. Hart-
mann ci offre una nuova solennissima riprova in quanto amore
siano tenuti gli studii danteschi nella dotta Aicmagna.
Nel semestre d'estate 1864, l'Hartmann trova quattro
Università che avevano corsi su Dante cosi distribuiti.
Divina Comedia.
Erlangen
(Baviera)
Prof.
Winlerling
Gratz
(Austria)
»
Lubin
Tubinga
(Wurlemberg)
1 »
Piòvre
Bonn (Prussia) » Dietz L'Inferno.
790
SUPPLEMENTO.
Nel semestre d' inverno 1864-65,
ne trovava sei :
Gottinga
(Annover)
Prof. Fittman
-Yila di Dante.
Varburgo
(Baviera)
» Wegele
Dante e le sue opere.
Gratz
(Austria)
» Lubin
Il Paradiso
Vienna
(Austria)
» Mussafia
Vita e Opere di Dante.
»
(« ]
» »
La Divina Comedia.
Idelberga
(Baden)
» Ruth
L' Inferno.
Bonn
(Prussia)
a Delius
Il Purgatorio.
Commentatori
Chiose Anonime alla prima Cantica della Divina Com-
media di un contemporaneo del poeta, pubblicate per la
prima volta a celebrare il sesto anno secolare della nascita
di Dante, da Francesco Selmi, con riscontri di altri anti-
chi commenti editi ed inediti e note filologiche. Un volume
grande, di 10 a 12 fogli di stampa, R. Stamperia di Torino.
iu8.«
Queste Chiose che giacquero inedile e quasi ignorale,
in due codici fiorentini, parvero al prof. Selmi meritevoli
di pubblica ragione, si perchè dettate in quel puro volgare
toscano, che fu proprio del secolo d'oro della lingua; si
per essere forse il più antico commento alia Commedia, di
cui si possa con buoni argomenti determinare il tempo nel
quale fu composto. - L'Autore è sconosciuto quanto al nome,
ma sembra fosse concittadino dell' Allighieri, od almeno
vissuto in Firenze: certo è che appartenne alla fazione dei
Guelfi Neri, e però non amico dei sentimenti espressi nel
Poema; nò dell'intendimento col quale fu immaginalo e
scritto. Non fece pompa d' erudizione, e, quando vi si provò,
spesse volte commise errori in fatto di storia e di mitologia;
non cercò quintessenza di concetti nascosti nelle allegorie ;
e, procedette narrando le opinioni, che allora correvano sul
modo d'interpretarle più propriamente. Scrisse il suo comento
nell'anno medesimo della morte di Dante, o un anno dopo»
come si raccoglie da vari passi che saranno esaminali nella
Prefazione. » ( Manifesto di Associazione. )
SUPPLEMENTO. 791
Traduzioni Tedesclie (pag. 54%)
Braun Julius. Dante AUìghieri, ecc. Berlin, 1863.
Di questo lavoro del Braun così mi venne scritto da
un valentissimo critico, e dotto assai in tutte due le lette-
lerature. - 11 Braun dice di voler spiegare al popolo tedesco,
cioè alla gran moltitudine che sa apprezzarne la vita spirituale
anche di altre nazioni, che cosa significhi il sesto Anni-
versario di Dante, che si sta per festeggiare in Italia, e
prepararlo a prenderne parte degnamente. Bellissimo propo-
sito; confessa che il Poema sacro è poco conosciuto in Ger-
mania, e dà un po' di punta allo stesso Goethe, il quale
non ne conobbe che pochi passi. Tratta la storia del tempo
di Dante con buoni studi e soddisfacente larghezza, quanta
si richiede all'intelligenza del poema. Cose nuove non ne
appresi, però quello eh' è fatto è fatto bene. La versione
è libera anzi che no; tiene la rima, non la forma della
terzina. La versione del Bianc, a mio giudizio, ci va molto
di sopra. Il Blanc traduce alla lettera, e a questo modo,
specialmente con Dante, è meno pericolo di uscir di riga.
Per es. i versi 36. i. Temj/ era ecc., e 70, i. Nacqui sub
JuliOy quanto sono bellamente voltati in tedesco dal Blanc,
tanto mi paiono inutilmente infrondati dal Braun, il quale
del primo ne fa due.
Bibliografia Dantesca italiana.
Caetani Duca Michelangelo, La Cosmografia Dantesca,
Roma.
É un Atlante composto di sei tavole. La prima dimostra
la figura dell'universo quale lo concepiva Dante. La terra
sta immobile nel centro. Uno degli emisferi ha nel diritto
mezzo Gerusalemme. Nell'altro emisfero è il vuoto infernale,
e al di sopra s'erge il monte del Purgatorio. All'intorno,
si estende il Cielo empireo. - La seconda tavola dichiara
tutta la materia dell'Inferno, divisa, secondo l'Etica di
Aristotele, in nove sezioni. Le colpe procedono dalle men
gravi alle più, di mano in mano che si discende al fondo
792 SUPPLEMENTO.
(love regna Lucifero. - Nella terza tavola è la pianta del-
l'Inferno. Una doppia linea segna lutto l'itinerario del
Poeta. - La quarta tavola rappresenta la figura dell'Inferno,
la città di Dite, le diverse bolge, il lago della ghiaccia, i
giganti, e finalmente il gran vermo. - La quinta tavola
illustra il Purgatorio, il quale è diviso in nove parli, come
l'Inferno, e in forza dello stesso principio. - La sesta tavola
spiega la figura e l'ordinamento del Paradiso, che ha dieci
parti, nove per l'anime dei beati e una per le Persone
della Trinità. - Tale è lo schema di questa Opera, indi-
spensabile per ben comprendere l'andamento e il concetto
della trilogia dantesca. Egli è ben a dolersi che questo
prezioso lavoro del Duca di Sermoneta non si trovi ven-
dibile presso i librai. Quindi è che facciam voti perchè
un editore lo riproduca ad uso degli innumerevoli lettori
e ammiratori di Dante.
Barelli Yincenzo. L'Allegoria della divina Commedia di
Dante Àllighieri, Firenze, Cellini, 1865.
Il Concetto, nella spiegazione del chiaro Autore, si as-
somma in questo: che Dante, in figura del peccatore,
lungamente abituato nel male, avendo concepito il desiderio
della virtù cristiana, né potendo pervenirvi immediatamente,
atteso il contrasto delle passioni, è obbligato a ricorrere ai
mezzi più efficaci di purgazione de' suoi vizii. Questi sono
simboleggiati dai viaggi per l' Inferno e pel Purgatorio.
Dopo i quali, purificato di ogni peccato e degli effetti del
peccato, si può elevare alla sublimità della perfezione
cristiana, di cui è figura il Paradiso.
Che sia questo il valore significativo della dantesca
Allegoria è dall'Autore dimostrato in virtù del nesso, che
corre tra l'allegoria del prologo, e l'allegoria di tutto il
Poema. A te convien tenere altro viaggio (avea detto Virgilio
a Dante), Se vuoi campar d' esto loco selvaggio. Adunque
il viaggio proposto da Virgilio, e che fu poi effettivamente
compiuto, ebbe per fine liberare il Poeta dai mali che il
travagliavano in quel luogo, e menarlo all'acquisto de' beni,
ai quali tanto agognava, del Colle opposto. I mali adunque,
simboleggiati dalla Selva e dalle Fiere, sono quelli dai quali
esso si francò col viaggio per l'Inferno e pel Purgatorio;
SUPPLEMENTO. 793
e ì beni, adombrati dal Colle, sono i contrarli a que' mali,
e la felicità acquistata col viaggio pel Paradiso. L'Autore
dimostra con più luoghi evidentissimi del Poema, che i
mali, ai quali cercò e ottenne rimedio il Poeta, viaggiando
per l'altro mondo, sono i peccati e i loro effetti; e i beni,
i quali ottenne, sono il ristoramento della grazia giustificante,
la riordinazione del libero arbitrio e le virtù della vita
contemplativa. Qual dubbio dunque che la Selva significhi
lo stato del peccatore abituato ne' disordini della vita, il
Colle che è opposto alla Selva, la perfezione cristiana, e
finalmente le Fiere, le quali gì' impediscono il cammino del
Colle e lo ricacciano nella Selva, tre generi di gravi ten-
tazioni, mosse da tre passioni capitarissime? E analoghe a
queste idee sono parimenti le spiegazioni, che fa precedere,
de' personaggi allegorici aventi parte nel Poema.
Ma nel divisare e chiarire i sensi, che noi abbiamo
dovuto accogliere in poche parole, egli molte cose parti-
colareggia delle tre Cantiche. Così, a cagione di esempio,
per rispetto all' Inferno, fa scorgere nella stessa configu-
razione e ne' diversi scompartimenti di esso il riguardo,
che avea il Poeta alla significazione morale; nella contem-
plazione poi delle pene, il frutto che ne ricoglie ; finalmente
ne' molti pericoli del viaggio superati, le vittorie da ottenere
delle gravi tentazioni, nello studio del tramutarsi dalla vita
peccaminosa nella buona.
Nel Purgatorio per contrario, che è direttamente opposto
all' Inferno, e secondo il suo significato somministra i mezzi
della perfetta liberazione dello spirito, fa ravvisare il sim-
bolo della Chiesa cattolica, che sola possiede que' mezzi,
conquistatile dal suo Sposo celeste. In particolare, divisando
i tre grandi scompartimenti di esso, si argomenta di tro-
varvi un'applicazione dell'antica disciplina, riguardo ai
penitenti ; la quale se ora, attese le condizioni de' tempi,
non vìge più quanto alla esterna economia, rimane però
nella sostanza; procurando la Chiesa di far conseguire
que' medesimi frutti, benché con mezzi più blandi. Pertanto
la prima regione, che è l'Antipurgatorio, ritrarrebbe quei
peccatori, i quali, determinato di mutar vita, si presenta-
vano alla porta della chiesa: non vi erano però ammessi.
794 SUPPLEMENTO.
e colà fuori dovevano compiere le pratiche di apparecchio.
La seconda regione, la quale costituisce il vero Purgatorio,
e vi si entra per la porta che ha in custodia un Angelo,
e la disserra coli' argomento di due chiavi misteriose,
sarebbe la immagine di quei fedeli che, ricevuti nel vestibolo
delle chiese, entravano nel numero dei penitenti propria-
mente detti. Le diverse purgazioni e gli altri esercizii, che
le anime, introdotte dall'Angelo portinaio nel vero Purga-
torio, vanno compiendo su per le varie cornici, ond'è
aggirata la Montagna, sono spiegati come figurativi delle
opere di penitenza che si eseguivano da' convertili per
ottenere il beneficio dell' assoluzione. La terza regione
finalmente, che è il Paradiso terrestre, in una parte della
quale l'Autore ravvisa lo stadio già compiuto de' penitenti,
quando riconciliati con Dio erano ammessi alla comunione,
rappresenterebbe nel suo lutto la Chiesa, secondo il pieno
concetto di que' due elementi, che i Teologi, prendendo la
somiglianza dal composto umano, sogliono denominare corpo
ed anima di essa Chiesa. Su questo fondamento 1' ufficio
di Matelda, che dee tufl"are il Poeta nel fiume Lete (che
interpreta Penitenza ), condurlo all' aspetto delle virtù car-
dinali, e fargli gustare le acque dell' Eunoè (che interpreta
Eucaristia), dichiara essere quello di significare, in generale,
la vita attiva ; e in particolare « il compito di coloro che
anticamente istruivano i neofili, ed i convertiti di recente,
nelle verità della Fede, ne' riti del battesimo e della peni-
tenza, e nelle virtù proprie del Cristiano. » (1)
Fra le cose che ragiona, e molto più acconciamente
intorno al Paradiso, importantissimo è il ragguaglio, che
fa notare, fra le perfezioni de' beati (sì le generali di tutti,
(li La Civiltà Cattolica non conviene coli' egregio Autore cbe il viaggio
del vero Purgatorio sia stato intrapreso dal Poeta come apparecchio alla
giustificazione; ed abbia per iscopo non più la riparazione della prima
grazia, ma il ristoramento delle potenze dell' anima, sino a toccare.
quanto è possibile, il segno di quella perfezione, che ebbero nel primo
uomo nel Paradiso terrestre. E difatti le acque di Lete sono propriissime
a significare un tanto grado di perfezione, in quanto colla loro virtù
cancellando dall'anima sino le reminiscenze dei peccati, dimostrano che
le sono diventati così estranei, come se mai non gli avesse commessi.
Civiltà Cattolica, 18 Febb. 1865, p. 465.
SLPl'LEMJiMO. 795
SI le peculiari de' varii ordiui loro), e le perfezioni, volute
dal Poeta adombrare, di coloro che attendono alla vita
contemplativa ed unitiva. Il che è grave argomento del
mistico senso contenuto nella terza Cantica, di significare
cioè la condizione de' perfetti. Ma ne porge piena evidenza
il modo allegorico, che il medesimo Poeta adopera, di far
manifesto il suo progressivo avanzamento nel bene; «dipin-
gendo (usiamo le parole dell'Autore) con arte finissima, e
con sempre nuovi e più vaghi colori il volto della sua
donna, che veste bellezze più divine ad ogni salir di cielo;
donde lo sguardo di lui, che quasi mai non si torce dall'amato
viso, acquista nuova potenza, e in lui proporzionatamente
si aumenta l interno 'piacere. » Le quali cose ci basti avere
leggermente toccato, rimettendo al libro chi bramasse di
conoscerne un più minuto svolgimento. - C. C.
L'Autore, dopo aver interpretati i simboli dell' Allighierì
nel senso morale e religioso, gli applica poi alla significa-
zione politica ; sicché la selva debba significare l' Italia delle
nazioni, le Fiere i soliti tre governi, il Colle l'ottimo reg-
gimento, il triplice viaggio i mezzi, un po' remoti veramente,
ma i soli per allora opportuni a fine di ottenerlo. (1)
Galvarpio Pietro. Saggio sulle più importanti Allegorie
della Divina Comedia. (Uscirà in Palermo, in quattro o 5
fascicoli, di pag. 80 per cadauno.)
(fUn lavoro, cos'i l'editore Amenta, da cui sappiansi alla
perfine, gli eflettivi concetti, nascosti sotto le più impor-
ti) Nò in questo punto notabile la Civiltà Cattolica conviene col
Barelli. Le due spiegazioni della Dantesca Allegoria constituiscono due
concetti in tutto rigore diversissimi fra loro della Divina Comedia, sì
compito poema, e perciò Informato di perfetta unità. Onde se la prima
è spacciata come certa, ne sarà distrutta la seconda ; e viceversa: se poi
.«ono date entrambe, come probabili, non si può far altro che scegliere
fra le due. Dante non riconosce, oltre il letterale e l'allegorico in genere
cbe i sensi morale e anagogico, ma questi o sono proprli dei luoghi par-
ticolari, equivalenti a soggetti dì spicciolate considerazioni; o se anche
essi sì distendono per tutto o quasi tutto il corpo dell'opera non pos-
sono esser che modi, estensioni, o riflessi di quel primo, con cui abbiano
ti stretta relazione che vengano ad immedesimarsi con esso, come un tutto.
Il che non può dirsi del senso politico, il quale bisogna partire da un fon-
damento tutto diverso d' interpretazione dell'Allegoria, e che ba materia
diversa, diversi mezzi, diversi intendimenti.
796 SUPPLEMENTO.
tanti Allegorie della Divina Comedia dì Dante Allighieri,
confessiamolo in buona fede, sarebbe una spinta maravi-
gliosamente opportuna a scuoterci dalla inerzia, che ne
divora, in ordine a produzioni d'ingegno; sarebbe un bal-
samo preziosissimo a tante nostre letterarie ferite; sarebbe
eziandio un monumento ben degno di quell'intelletto sano
ed acuto, pel cui possesso, le italiche capacità, poste a
confronto con le dotte e laboriose intelligenze straniere,
sono sempre riuscite superiori e con privilegio, a dispetto
di qualunque emulazione o contrasto. - Oltre al doversi
mettere a calcolo, che un simile lavoro sarebbe, per verità,
una memoria, da ricordare a' posteri più lontani, che il
classicismo volgare, nato un giorno sotto vesti allegoriche
in questa terra di sapienza e di eroi, non potè essere in-
teso e spiegato che lì dove nacque. »
Sorio P. Bartolommeo. Esame del Veltro allegorico di
Dante Allighieri, ne' suoi diversi sistemi. Verona, Rossi,
1864. (Opusc. in 8.« di pag. 20)
Non è questo che un saggio di un assai più lungo la-
voro del P. Sorio. Secondo lui, questa idea preconcetta del
Veltro non era incarnata in nessuna persona particolare
che fosse da Dante designata, né vagheggiata anzi trailo.
Questa idea preconcetta era astratta, non concreta; era
significativa, non era significata;... non una persona da Dante
già conosciuta vivente.
Bernardi Ab. Jacopo. Dante e Beatrice al cuore delle
fanciulle. Torino, Arlero, 1864.
Son poche pagine lette all'alunne della Famìglia di
educazione casalinga, dirette dalla Signora Carlotta Pavan-
Parodi-Giovo, ma tutte spiranti leggiadrissimo affetto.
Scolari Filippo. Dante Cattolico. - Il vero ed unico
intento della Divina Comedia considerata nel più concreto
suo risultamento finale. Memoria, Veneeia, Fontana, 1864,
in 8.'>
Appendice alla Memoria 24 Ottobre intorno al vero
ed unico intento, ecc. Venezia, Fontana, 1865.
Due documenti XVUl lyov. 1302, di autorità pon-
tificia necessariial retto studio della Divina Comedia, Venezia,
Fontana 1865, in 8." (In pochi esemplari.)
SUPPLEMENTO. 797
Ci giova riferire l' ultima conseguenza della sua esposi-
zione; conseguenza che ne forma come la sostanza; ed è
la seguente: «Per poco adunque che la Divina Comedia
sia riguardata e meditata su questa sua solida e ferma
base di sistema Teologico, ninno durerà fatica a conchiudere,
che la Divina Comedia nel suo ultimo risultamento risolvesi
in un Trattato pratico di Teologia dommatica e morale,
applicato ai bisogni religiosi, politici e civili del tempo in
cui scriveva l' incomparabile Autore. »
Leoni Carlo, Dante Storia e Poesia. Venezia, Naratovich,
1865. ( Splendida edizione, di pag. 2oO, pubblicata il 20
Feb. 1865. )
Il Lettore intitolava questo lavoro a suo figlio con la
epigrafe: Al figlio - Unica speranza mia - Perchè -
L'onesto il vero il bello- Tenacemente accolga - E perseveri -
La Poligrafìa dantesca del^ Leoni va divisa ne' seguenti
capitoli: - I. Dante, Salmo, con l'epigrafe: Eternamente
vivi. - IL II dugento, col motto: // dugento cullò i primi
ardimenti civili: al dugento l' incubazione, al trecento la
gestazione. - IIL Sua giovinezza. - Fior di giovinezza è
forse amore ?. - IV. Una battaglia moderna. - Oh degli
umani miserando strazio; - La guerra! - E noi siamo
cristiani !- Pia feroce la femmo e più tremenda, - E in modi
strani-Con arti inique insanguiniam la ferra. -V.Una battaglia
antica (Campaldino) : Una sol lingua parlano e «' uccidono? -
VI. Morte di Beatrice. - Ella è morta. Dante, Vita Nuova. -
Jnvisihil forma - Dal velo sciolta - Che ombrava il fior di
tue virtii - D' ogni beltà radiante - Tra gli accesi cori -
Salivi a Dio - E il tuo fido in terra - Divino spirto -r
Circondavi. - VII. Esilio e Morte. - Dio ti ha dato il genio,
rendigli la virtii. - VII. Scritti e Opinioni. - Chi ben legge
ne' suoi scritti; Egli non fu ne guelfo né ghibellino. - IX-
Sua natura, aneddoti, amori. - Pia forte V ingegno e piii forti
le passioni. - X. Il Secolo in che fiori. - Se fosse Italia ancor
per poco sciolta Regina torneria la terza volta. - XI. Tiranni
e liberatori. - D' anime forti piena e di tiranni. - XIL Muore
la libertà. - Chi poggia altrui è infermo; se non reggi la
spada non fidarla, le catene son di quel ferro che battagliò
per noi... - Xlll. Storia e Storiologia. - La Storia crea la
798 SUPPLEMEMO.
filosofia, questa il progresso o civiltà. - Patria storia è fonte
all' amor patrio. - XIV Poesia. - Fantasiosa - D' eterni estri
reina - Alle soglie superne batti V ale - Poesia divina - E
sol t' acqueti in Dio - Fiamma immortale. - XY. Prima idea
del poema. - L' amore è ala dì un angelo che porta l' anima
a Dio. - XVI. Leggende di Oveins. - Raccogliere le tradi-
zioni leggendarie del medievo, sarebbe nuovo incremento alla
storia. - XVII. La poesia cristiana. - Carità raggio del divino
lume - Creò la nuova legge e il nuovo amore. - XVIII.
L' Inferno. - Jl vero nelV idea, V idea nel bello, questo nel
verbo. Ecco provato lo spirito. - V Inferno, secondo il Leoni,
è la più possente delle tre cantiche, perchè la più drammatica
e più vicina alla storia e alla natura. - XIX. Il Purgatorio. -
0 padre nostro che ne' cieli stai. - Il Purgatorio è la poesia
degli angeli, in esso una progressione amorosa di tutte eteree
e celestiali creature; un coro di pie sostanze, che nella
beatissima fruizione incoronano festanti la gran figura di
Beatrice. Se la composizione dell'Inferno fu soccorsa di
reminiscenze, quella del Purgatorio, comechè più ampia e
difficile, è nuova ed uscita intera dalla mente del poeta. -
XX. Il Paradiso. - Mostrò ciò che potea la lingua nostra,
E più la mente. - Gol paradiso è sciolto il voto, suggellata
r apoteosi eh' egli avea promessa all' amore. - Così nella
santa armonia degli affetti, l'innamorato di Beatrice, l'in-
namorato della virtù, il martire del vero, in quell' estasi di
lutti i santi amori, chiude la grande missione; e compiuta
appena la cantica del Paradiso, trasvola già fatto celeste. -
Egli non dovea che chiudere gli occhi e riaprirli in quelle
dimore già visitate col canto. - E chi avria negato a Dante
il Paradiso? - XXI. Dante e i Papi-Re. - XXII. Amori di
Dante e Petrarca giudicati da G. Barbieri. - XXIII. Dante
in Venezia. - XXIV. Soggiorno in Padova. - XXV. Dante
e Omero. - L'Allighieri emulò l'antico nella vasta sintesi,
lo superò nel concetto e nella varietà. - XXVI. Milton e
Klopstok. - Milton e Klopstok, non provvidi alla storia, né
alla scienza, non pittura e specchio delle patrie loro,
stanno giganti solitari. - Il Paradiso di Dante fu proemio
a quello di Milton. In questo è parte e ragione alla epopea
del Sassone. - Chiara la preminenza del divino su questi
SUPPLEMENTO. 799
due sommi. - XXYIIL Altezza estetica di Dante- - Iscrizioni
a Dante. - Appendice Illustrazioni e Note. - I. Il Natale di
Dante. - II. È falso che Dante iniziasse la riforma. - III.
Definizione della Civiltà e lettera del Guizot. - lY. Figure
storiche nella Divina Comedia. - Y. Della Spiritualità. - YI.
Desideri di nuovi lavori e studi sulle opere di Dante. - YII.
Statistica del moto Dantesco in Italia e fuori. - Ylll. Della
fama di Dante. - IX. Suo soggiorno in Verona. - X. Giudizi
dei Perticare
Vero XiisoniOy (Duca Proto di Maddaloni, Napolitano.)
Il Conte Durante, Racconto per il sesto centenario di Dante,
1864, un Yol. in 16, di pag. XYI-22G, Roma.
Questo libro tiene della Comedia, del Romanzo, della
Satira. Nell'orditura quel viaggio di Dante nella nuova
Italia colle sue vicende e co' suoi scontri si accosta al
romanzo. Nelle scene particolari che spongono i concetti
di Dante e quello delle persone in che si abbatte v'è
tanto di comico che senti subito la comedia. Nell'idea che
informa il libro, nello stile in cui è disteso, nella conver-
sazione ond'è intrecciato, nei fattarelli che vi si raccontano
v'è una continua satira spesso gentile, più spesso pungente
contro la rivoluzione e rivoluzionarli. L'Autore fìnge che
a Dante sia stato concesso uscire del Purgatorio, dove si
stava purificando, per visitare in persona la nuova Italia
e farne giudizio. Il terribile visitatore passa da Firenze a
Napoli, in Sicilia, a Torino ed a Roma. Ed ei ci mostra il
poeta risuscitato passare sdegnoso in rassegna le recenti
conquiste del governo piemontese e giungere a tanto di
indegnazione e di collera da chiedere in grazia a Dio di
poter senza indugio rientrare nel Purgatorio a patto di
non salir mai in Paradiso. (??) Questo racconto esce molto
dalla solita carreggiata degli scritti letterari per la sua
originalità. - Y. Civiltà Cattolica, Quad. 31)6, 21 Gen. 1865.
Tliicppolo Giacomo. Il primo discorso sopra il divino
Poeta Dante Mliqieri. Al magnanimo signor Federico Ba-
doaro.
È un discorso composto intorno al 1358, occupa 94 faccie,
e spiega i (juattro primi terzetti della Divina Camedla. Si
conserva nell' Estense di Modena. È citalo dal Ratines, T. Il-
800 SDPPLEMENTO.
p. 360, 361. Questo discorso verrà pubblicalo dal Sig. Torrm
di Venezia.
Bellomo Bonaventura. Nella festa Nazionale del sesto
eentenario della nascita di Dante Allighieri, ar/giuntivi i
cenni cronologici della vita, delle opere e del secolo di Dan-
te, Firenze, Cellini, 1864. ( Parte 1.^ pag. 46; Farteli.^ di
pag. 56.)
Smania Michelangelo. Sul Monumento da erigersi a Dante
Allighieri in Verona neW anno }SÒ^, Lettera a Giambattista
Turella. Verona, Civelli, 1864.
Provcnsal Aristide. Raccolta di scelte Epigrafi in onon
di Dante. (Questa raccolta verrà pubblicata in Livorno.)
Palagi Giuseppe. Guida storica alle memorie di Dante in
Firenze. (Verrà pubblicata in Firenze.)
Giornali pubblicati
in preparazione della solennità nazionale
della nascita di Dante.
Giornale del Centenario, per cura di Guido Corsini. - Sì;
De cominciò la pubblicazione col giorno 10 Feb. 1864. - Tip.
Galileiana di M. Cellini e C
La Festa di Dante, Letture Domenicali del popolo fioren-
tino, pubblicate \ìer cura della direzione del Giornale del
Centenario. - Ebbe principio col giorno 1 Maggio 1864.
La Scuola di Dante, Giornale commemorativo del sesto
Centenario del divino poeta. - Verrà pubblicato dallo stesso
Corsini, a fascicoli mensili, il primo de' quali uscirà alla
luce col dì 15. Luglio 1865.
Edizioni degne di menzione in corso di stampa
(V. pag. 963.)
La Divina Comedia di Dante illustrata colla fotografia.
(Presso gli Editori Carlo ed Antonio Sacconi, Fotograti Edi-
tori a Milano.) - Gli editori sperano che questa edizione
potrà meritare la preferenza sulle altre per la precisioqe
del testo, il quale verrà pubblicato secondo la dizione dei
migliori Codici, e andrà distinta per la qualità delia caria,
SUPPLEMENTO. 801
per la nitidezza dei caratteri. Oltre a ciò il testo sarà ric-
camente corre.dato di note, avendo cura più specialmente
di seguire quei commentatori che sono oggi stimati fra ì
migliori .... attendendo specialmente coli' ottenere la più
chiara e breve esplicazione del lesto, a dimostrarne la parte
estetica ed allegorica. 1 disegni, che saranno da presso a
dugento, verran composti da egregi e valenti artisti italiani,
dietro la scorta dell' avvoc. prof. Alfonso Cavagnari, cui ò
pure affidato l' incarico dell' illustrazione e dei comenti.
INDICE
DELLE PERSONE RICORDATE
NEL PRESENTE VOLUME
Abeken Bern. 65, 677 - Acerbi Enrico 496 - Accorso
rlei Bonfantini 493 - Ademollo Carlo B67 - Ademollo Luigi
776 - Agrilio G. B. 411 - Agrali Giovanni 561 - Agricola
Filippo ;I99 - Agiiilhon Cesare 642 - Agujari Tito 369 -
Alberlini Luigi 399 - Alfieri Vittorio 4Ì1, 477 - Allori
Alessandro 364 - Ambrosi Francesco 489 - Ambrosoli Fr.
65, 478 - Ampère G. G. 396, 398, 580, 654- Andrea - di - Jacopo
370 - Andreoli Raflaele 474 - Angelico B., Fra Giovanni
da Mugello 336 - Anonimo 365, 399, 448, 499, 500 -
Anselmi Domenico 564, 573, 640 - Antonio da Arezzo 421
Antonio, fra, Minorila 421 - Antonio da Castello di S. Ni-
colò 421 - Arabia Tomaso 418 - Arcangeli Giuseppe 462,
565, 567, 568, 646, 771 - Arici Cesare 65 - Arndt Lod. 65,
677 - Aroux E. 497, 514, 632, 656 - Arrivabene Ferd. 459,
579, 588, 642, 773 - Arlaud de Montor 505, 506, 507, 509,
656 - Artib Lelio 573 - Asquini Fr. 573 - Asson Miche-
langelo 585, 587 - Astesi Alessandro 494 - Attavanti P.
Paolo 436 - Audin de Rians Stefano 434, 435, 557, 567 -
Azzolini Pompeo 364, 586, 640.
Bach Giorgio 657 - Bachenschwanz L. 535, 545, 651 -
Bagnoli Pietro 564, 573 - Bahr G. 677 - Balbo Cesare, 30,
46, 48, 51, 65, 51, 98, 430, 483, 579, 622, 644 - Baldini
Baccio 371 - BaldinoUi Bartolommeo 495 - Balestrieri 379-
Bandini Domenico 593 - Band Antonio 365, 408 - Barba-
doni Bartolomeo 496 - Barberini Carlo 490 - Barcellini
513,581 - Barelli Vincenzo 619, 792 - Baret Eugenio 547-
Bargigi delli Guinifortc 425, 449 - Barlow Enrico 416, 533,
708 - Barrias Frane 399, 406 - Barlh Ambrogio 504 - Bar-
thold F. 704, 705 - Barloli Cosimo 475, 476, 564, 573 -
Bartolo Taddeo 336 - Bartolomeo Fra di S. Marco 342
Bartolomeo da Colle 495 - Bartolomeo di Piero da S. Gi-
mignano 494 - Barucco Felice 332, 364, 368, 399, 406 - Batines
Colombo 332, 658 e passim - Beccadelli Lodovico 496 - Becchi
Fruttuoso 749, 771 -Bellarmino Kob.585-Bellerman Crist.645
677 - Bellini Bernardo 418 - Bellomo Bonavehtura 808 -
Bellucci Gius. 406 - Bembo Pietro 406 - Benassuti Luigi
804 1M)1CE.
490, 763 - Benci Antonio 564 - Benedetto, frate Agostiniano
494 - Benivicni Giuseppe 496 - Benozzo Gozzoli 396 - Ben-
tivoi^Iio INicolò 406 - Benvenuti Pietro 36!i - Benvoglienli
Uberto 496, 640 - Berardinelli P. Francesco 97, 98, 451,
475, 582, 609 - Bernardoni Giuseppe 771 - Beri ni Camillo
496 - Bernardi Antonio 572 - Bernardi Jacopo 534, 573, 796 -
Bernardi Paolo 411 -Berti Gian Lor. 585 -Berti Giovanni 496-
Bertini Giuseppe 354, 407-Bertini Jacopo 563 Beltelini 376 -
Betti Salvatore 487, 572, 645, 648 - Bettini 381 - Bczzuoli
Giuseppe 361, 365, 367, 407 - Biagioli Giuseppe 383, 460,
743 - Biamontì 324 - Bianchi Brunone 26, 107, 179, 467,
621, 644, . 755 - Bianchi Giuseppe 399 - Biblioteca Italiana
436, 463, 464, 466, 512 - Biondi Luigi 415, 479, 496, 573,
771 - BiscaraG.B. 379 - Biscioni Antonmaria 26, 492, 612,
771 - Bisi Giuseppe 361 - Blanc L. G. 46, 48, 65, 429, 543, 678,
680 - Boccaccio Giovanni 17, 26, 78, 86, 117, 128, 307, 411,
419, 442, 620 - Boccaccini Francesco 363 - Boissard Frejus
659 - Bohmer J. F. 705 - Bollai E. 54 - Bompiani Roberto
364, 406 - Bon Brenzoni Catterina 411 - Bongini Michele
418 - Bongiovanni Domenico 98, 452, 487, 608 - Bongìo-
vanni Salvatore 366, 370 - Boni Giovanni 380 - Bonucci
Anicio 776 - Bonsi Lelio 753 - Borghesi Diomede 573 -
Borghi Giuseppe 465, 564, 640, 749 - Borghini Yicenzo 486,
562, 569, 581, 607 - Borghini (Giornale) 424, 433, 444, 449,
475, 490. 520, 614, 641, 771 - Borgognini Adolfo 595 - Borro
Luigi 405 - Borzino Ulisse 367 - Bosone da Gubbio 412
493 -Bossi Giuseppe 743, 771-Bottagisio Giov.581-Botlari
Giovanni 580 - Bottazzi Agostino 407 - Botticelli Sandro
370 - Boyd Enrico 526 - BouUee M. 511 - Bouterweck Fr.
983 - Bozzo Giuseppe 482, 573 - Bracciolini Francesco 496 -
Brait de la Mathe M. 408 - Branchi Eugenio 18, 51, 598 -
Braun Giulio 542, 791 - Brevio Giovanni 496 - Bridel Luigi
507, 573 - Briganzol 405 - Briseux A. 497, 513 - Brizio
Fortunato 412 - Brocchi G. B. 564 - Brofferio A. 411 -
Bronzino Angelo 398 - Bronzino Alessandro 789 - Brook-
sbank M. A. 497, 531 - Bruce Vhythe 26, 710 - Brunetti
Alessandro 486 - Bruni Leonardo 65 - Bucchi A. 418 -
Buffamalco Domenico 332 -Bulgarini Alessandro 573 - Buo-
mattei Benedetto 423, 446, 573, 581, 600 - Buonanni Yi-
cenzo 454 - Buonarotti Michelangelo 63, 322, 323, 343, 369,
412 - Buscaino Campo Alberto 572 - Buti da Francesco 423,
446 - Buttura A. 478 - Buzzi Leone 363 - Byron Giorgio
412, 709.
Caetani Duca di Sermoneta 568, 771, 791 - Gagnoli A.
412, 573 - Cailey C. B. 530 - Calmi Antonio 406 - Cala-
mai Baldassare 364, 365 - Caldani Floriano 281 - Cama-
rano G. 418 - Camboulil F. R. 547 - Campagna Giacinto
640 - Campetto Pompeo 415 - Canal Pietro 426 - Canali 580 -
INDICE. 805
Cancellieri Francesco 564, 580, 581 - Candiani Francesco
498 - Canova Antonio 405 - Cantoni Yicenzo 412 - Cantù
Ignazio 560 - Cantù Cesare 53 - Capello A. 573 - Capocci
Ernesto 35, 234, 243, 246, 248, 253, 256, 258, 265, 266, 267,
268, 588, 590 - Capponi Gino 747, 771 - Gapozzi Fr. 418 -
Capua Giov. 412 - Caravaggio Evandro 415 -Carbone Ginnio
768 - Carcano Giulio 412 - Cardona Filippo 281 - Cardona
Gaetano 573 - Carducci Giosuè 51:: -Carli Giov. Gir. 502 -
Carlini Giulio 363 - Carlyle Giov. 529, 533, 710 - Carlyle
Tomaso 710 - Carmignani 53, 294, 573 - Carpaneti Selnio
459 - Carpani Palamede 771 - Carrara Giovanni Michele
495 - Carrer L. 466 - Carrion Tsisas 507 - Cary Enrico 526 -
Casella Leonardo 426, 430, 496 - Castagno - dall'- Andrea
394 - Castellazzo L. 585 - Caslelvetro Lod. 476, 496 - Ca-
stiglia benedetto 607 - Castrogiovanni Giovanni 426, 459,
563 - Cattaneo Carlo 573 - Cattaneo Felice 362 - Cattellacci
Antonio 502 -Cavalcasene 389, 400-Cavagnani Antonio 801-
Cavalieri A. 573 - Cavedoni Gel. 306, 573 - Cavelier Pietro
Giulio 405 - Ceffoni Bartolomeo 495 - Celentano 407 -
Celesia Emanuele 412 - Centofanti Silvestro 57, 61, 412, 426,
446, 597, 600 - Gerbera N. 410 - Cereseto G. B. 65, 561,
574 - Cerretti Luigi 564 - Cerretto da Giambattista 573 -
Gerrotti Francesco 437 - Cesari Antonio 462, 476, 564 - Ce-
sarotti iMelchiorre 500 - Chabanon 65, 659 - Chaucer 533 -
Chauvet .508, 510 - Ghecacci 389 - Chiecclii Basilio 407 -
Cliiromonio Matteo 495 - Ghurcli Gugl. 711 - Ciampolini
Luigi 771 - Ciangulo iNicolò 545 - Ciardi di S. Croce 426-
Cicconi Luigi 430, 640 - Gino da Pistoia 412 - Civininl
Filippo 589 - Civiltà Cattolica 96, 583, 596, 799, 761. 794,
795, 799 - Clarecini Nicolò 495 - Cocchi Antonio 496 -
Colbert d'Estouteville 506 -GoUelli Scipione UH, 461, 462,
478, 573, 600, 771 -Gombes Emilio 692 -Comolli 405 - Consoni
INicolò 361 -Conti Augusto 586 - Conti Antonio 564 - Conz
G. P. 707-Gook Giuseppe 349 - Gorbinelli .Iacopo 496 -
Cornelius Pietro 348, 379 - Corniani G. B. 65, 564-Corpiani
Angelo 362 - Corsini Guido 800 - Cosmi Condulmieri Co-
simo 362, 365 - Cossa L. 410 - Costa Paolo 65, 561, 573,
640 - Costa Giovanni 500 - Crepuscolo 331, 357, ^i 60, 462,
471, 472, 508, 563 574, 661, 670, 674, 690, 758 - Grescim-
beni Giovanni 65, 564 - Crollis Domeniro 573 - Groos Mau-
rizio 711 - erosa 407 - Gsaszar Fr.26, 784 - Curti Pier Am-
brogio 574 - Curzon 367.
Dame Allkjhieri. Grafìa del Casato 557 -Del Cognome
di Dante 559 - Gasa di Dante 11, 786 - Sua nascita 12 -
Vede per la prima volta Beatrice 15 - Suo primo Sonetto
19 -Prende a moglie Gemma dei Donati 24 - Suoi figli 24 -
S'inscrive all'arte degli Speziali 29 - Suo esigilo 41 - Presso
i Malaspina 47 - Nel Monastero di S. Croce 51 - A'a a
806 INDICE.
Parigi 51 - A Gubbio 56 - Al caslello di Lizzana 553,
556 - In Udine ed a Tolmino 556 - A Ravenna 62 - Sua
morie a Ravenna. Ossa del poela richieste da Firenze 63-
Sue Opere: Vita ISuova 25, 66 - Convito 30 - De Vulqari
Eloquio 45 - De Monarchia 52 - Lettera a Cangrande della
Scala Qii - Della Divina Comedia: Imaginala azióne del poe-
ma 34 - Quando compiuto l'Inferno 49 - Quando il Pur-
gatorio 58 - Quando il Paradiso 61.
D'Acquino Carlo 501 - Daddi Bernardo 788 - Dall'Acqua
Cesare 364 - Dalla Vecchia L. 501 - Dalmistro Angelo
413 - DairOngaro Francesco 402,426, 466 -D'Ancona Vito
369 - Dandolo Tullio 579 - Daniello Bernardino 455 - Da
Ponte Lorenzo 534 - U'Aubigny Estelle 657 - Dayman
Giovanni 529 - De Alberlis Sebastiano 370 - De Antonelli
Ciriaco 587 - De Biasio Domenico 407 - Decaisne 362 -
De Gourbillon Giuseppe Ant. 510 - Degli Antoni Andrea
361 - De Gori Augusto 653 - De Gregorio 564 - De Keiser
406 - Delacroix Eugenio, 361, 363, 368 - De La Fayelle
Calemard Carlo 497, 511 - Della Latta P. Eustachio 537 -
De Laderèze 363 - Della Marca Antonio 499 - Della Scar-
peria Cosimo 502 - Delatre Luicji 786 - Della Torre Tor-
quato 366 - De La Tour M. A. 569 - Della Valle Giovanni
611, 613, 616 - Deleborde Enrico 369 - Delècluze E. 25, 26,
659, 784 - Delius 790 - Delomcle Carlo 659 - Dell' Otta-
viana E. 470 - De Pazzi Alfonso 413 - Del Rosso Jac. 600.
785- Dell' Uva Benedetto 496 - Demeulin 505 - Demi Emilio
403, 407 - Denina Carlo 564 - De Pans Carlo 407 - Depu-
tati alla correzione del Boccaccio 435, 442, 445 - De Rossi
Giov. Gherardo 510 - De Sanctis Francesco 35, 440, 477,
562, 666 - Descamps Antonio 409, 413 - Descoudres di Duf-
feldolf 363 - D'Este Alessandro 405 - Di Cesare Giuseppe
464, 579 - Di Costanzo Giustino 580 - Dieffenbach M.
704 - Dies Carlo 361 - Dielz 789 - Di Lorenzo 498 - Dio-
nisi Jacopo 306, 440, 477, 572, 580, 589, 621, 642, 644, 771 -
Diotli Giuseppe 365 - Doellinger 95, 97 - Dolce Lodovico
454, 600 - Doltìn Giov. Paolo 501 - Domenico di Michelino
340, 395 - Domenico di Maestro Bandino 65 - Domenico P.
di Giovanni da Corella 421 - Donizzetti Gaetano 319 - Don-
nei 530 - Donniges G. 705 - Dorè Gustavo 366, 375, 383 -
Drouilhet de Sigalas Paolo 25, 331, 334, 347, 349, 659, 667 -
Druman 707 - Dumas Alessandro 659 - Duprel Melchiorre
640 - Dusquenel Amadeo 659 - Dusi Cesare 362.
Eliot Norton 784 - Emiliani Giudici Paolo 65, 437, 452,
463, 480, 486 - Empoli de' Giacomo 348 - Ermini 376 -
Eroli di Narni Giovanni 573, 610 - Espalter Giovanni 364 -
Esquiros Alfonso 661 - Etex Antonio 863, 383.
INDICE. 807
Fabì Altinì Fr. 405 - Fabisch Gius. 369 - Fabrìs Dome-
nico 379 - Fabris A. 410 - Fabroni Angelo 65 - Fanelli
Giambattista 65, 585 - Fanfani Pietro 443, 444, 448, 490, 680,
771 - Fantoni L. 746, 787 - Fapanni Fi". Scipione 416, 552,
682, 766, 783 - Fardclla Giuseppe 573 - Farina Achille 363,
365 - Farini Ab. Pellegrino 478 - Fasolo Francesco 653 -
Fauriel Car. 26,65,98, 430, 661 - Fauveau di Felicita 363,
425 - Fazi Antonio 573 - Fea Carlo 573, 580, 585 - Februer
Andrea 547 - Federici Fortunato 771 - Feller Fr. 65, 661,
Fertiault Fr. 26, 663, 784 - Fernow C. L. 46, 683, 741 - Fer-
rari Giulio 459 - Ferrari Paolo 415 - Ferrari (avvoc.) 434-
Ferroni Pietro 477,587 - Ferroni Paolo 611 - Ferrucci Cat-
terina 65 - Ferrucci Luigi Grisostomo 400, 573 640, 648,
771 - Ferut 369 - Fiacchi Luigi 573, 771 - Ficino Marsilio
54, 435, 495, 785 - Ficher 55 - Filalete Giovanni di Sasso-
nia 505, 536, 540, 543, 639 - Filelfo Francesco 65, 421 -Fi-
letti Giulio 360 - Filippo da Reggio 423 - Finazzi Giovanni 450 -
Fiorentino Pier Angelo 497, 513 -Fioretti Kenetto 564 -Fischer
Antonio 683 - Fittmann 790 - Flandria 361 - Flaxman Gio-
vanni 373, 375, 383 - Flotto Hartwig 65, 429, 663 - Fon-
tana 580 - Fontani Nicolò 369 - Fontebasso Giovanni 415 -
Forleo Leonardo 564 - Forster Carlo 535, 683, 784 - Forster
Francesco 683 - Foscolo Ugo 436, 439, 455, 456, 458, 478,
500, 527, 528, 579, 631, 752, 771 - Fossati Luigi 65 - Foucher
de Caréil C. 663 - Fournier Francesco 362 - Fracassetti Gius.
441 - Francesco di Dante 493 - Francesconi 573 - Franchi
Romualdo 362 - Franck Frane- 585 - Frapporti G. 585 -
Fraschieri Giuseppe 362 - Fraticelli Pietro 30, 52, 46, 48, 51,
53, 58, 65, 434, 461, 468, 479, 500, 527, 528, 553, 581, 598,
600, 625, 758, 771, 773, 776 - Friker Girol. 791 - Fuchs
46 - Fumagalli D."" Brizio 413.
Gaddi Taddeo 393 - Gagliazza Giuseppe 407 - Gayard
411 - Galilei Galileo 422 - Galilei Yicenzo 310, 319 - Gal-
lina Gallo 377 - Galvagno Pietro 796 - Galvani Giovanni
481, 573, 771 - Gargallo Tommaso 573 - Gargani 390 - Ga-
row Giuseppe 26, 712, 784 - Gastaldi Andrea 367, 368, 369 -
Gazzeri 573 - Gazzoletti Antonio 418 - Gazzotto Yicenzo
380 - Gelli Giambattista 422, 475, 476, 573 - Gennellì Bo-
naventura 380 - Genthe F. 692 - Gentili Giovanni 496 -
Gerstenberg 418 - Ghedina Giuseppe 406 - Gherardi Cri-
slofano 369 - Gherardini Giovanni 771 - Gherardo Quinto
413 - Ghetaldi Biagio 501 - Giacomelli Yicenzo 408 - Gia-
comelli Sofia 376 - Giambellì Carlo 564 - Giambullari
Francesco 422, 475, 476, 600 - Giani Francesco 367, 368 -
Giannini Crescentino 756 - Gibertini 366 - Gigli Ottavio
562 - Ginguenè 663 - Gioberti Yicenzo 43, 53, 251, 327,
329, 496, 564, 586, 627 - Gioia Alfonso 496 - Giordani
Pietro 314 - Giotto Stefano 329, 388 - Giovanni Paolo de
808 INDICE.
Gudling 74 - Giovanni di Paolo 339 - Giovanni Gherardo
da Prato 421 - Giuliani Giambattista 35, 60, 232, 334, 340,
353, 396, 486, 487, 563, 581, 599, 628, 774 - Giuliano Bar-
tolomeo 368 - Giuliano Francesco 363 - Giusti Giuseppe
98, 101, 389, 413, 457, 458, 461, 465, 488, 615, 642 - Go-
rini Emanuele 48 - Góschel 430, 545, 683 - Goujet 663 -
■ Gozzi Carlo 640 - Gradenigo Jacopo 498 - Gradenigo Gian-
girolamo 305 - Grangier Baldassare 497, 505, 525 - Granata
Mauro 563 - Grasse Giovanni 65.- Graul -Carlo 541, 544 -
Gravina Vicenzo 564 - Grazinolo di Bambagliolo 437, 493 -
Gregoretti Francesco 30, 65, 471, 553, 597, 628, 644, 756,
763 - Grieben Ermanno 684 - Gròhman Goffredo 65, 684 -
Gualdi Antonio 365, 407 - Guarienlo 331 - Guasti Cesare
328, 330, 343, 563 - Guerra Pietro 35, 592, 787 - Guido
Fr. da Pisa 493 - Guseck Bernardo 541, 544 - Guzzoni degli
Ancarani 573.
Hallan F, Arturo 712 - Hancock Giovanni 406 - Hape
C. 685 - Hartmann G. 787, 789 - Hasse H. G. 97 - Hauréau
B. 658 - Hegel Carlo 685 - Heigelin Gio. 540 - Heise Teo-
doro 775 - Hillebrant Carlo 663 - Heroldt Basilio 784 -
Hòtler Cost. 707 - Hórwarter Giamb. 540 - Howard Nata-
niele 497, 527 - Hume Giuseppe 527 - Humel 373.
Idelfonso P. 48 - Imbrianì 573 - Ingres Giovanni Dome-
nico 361, 376 - Israeli 580, 712 - Jacopo di Dante 433,
434 - Jageman C. L. 535 - Josqulnio 319 - Justi C. 685.
Kannegiesser 685, 784, 785 - Keil G. 778 - Kirkup Sey-
mour 388, 400, 700 - Klacztko 663 - Koch Gius. 378 -
Kòhler Lud. 685 - Kop J. E. 55, 705 - Kopisch Aug. 541,
636, 645, 685 - Kopitar 771 - Krafft Carlo 26, 685, 784 -
Krone Giulio 706.
Labltte Carlo 65, 345, 505, 514, 580, 657, 663, 664, 670 -
La Farina Giuseppe 579 - Lafayette de Calemard Carlo 664
Lamberti 743 - Lambertini Michele 367 - Lamennais F. 65,
117, 517, 664 - Lami Giovanni 482, 749 - Lampredi Urbano
573, 771 - Lana (della) Jacopo 431 - Lancia Andrea 437 -
Lanci Fortunato 35, 307, 571, 577, 589 - Landino Cristoforo
65, 421 - Landoni Teodorico 568 - Landor Savage Gug. 712 -
Lanfredini 405 - Langer Roberto 363 - Lapi 376 - Larese
Moretti Eugenio 407 - Lasinio Paolo 373, 377 - Ledere Vet-
tore 666 - Le Dreuillc A. 511 - Leight Hunt. 497, 712 - Le-
mcke Fr. 686 - Le Normant 430, 667 - Leoncavallo Rug-
giero 561 - Leoni Carlo 47, 417, 564, 797 - Leopardi Jacopo
413 - Levol Florimondo 517 - Libri Gugl. 246, 587 - Liesske
A. Rob. 686 - Lindner Alberto 789 - Lindschrail 287 - Lioy
212, 247, 273, 276 - Litla Pompeo 65 - Liverati Carlo Er-
INDICE. 809
neslo 367 - Livizzani Ercole 377 - Lombardi fra Baldassare
457, 738, 746, 771 - Lombardi Pietro 400 - Longhena Fran-
cesco 590 - Lorenzetli Ambrogio 393 - Lorenzo Pittore Mo-
naco 394, 788 - Lorenzo di Giovanni da Pisa 421 - Lorinl
Agramanle 567, 771 - Lowositz Giambattista 686 - Lubin
Ani. 26, 30, 617, 643, 649, 773, 789, 790 - Luca di Leiden
789 - Lucchesini Cesare 573 - Lunelli 307 - Luteri 417 -
Lyell Carlo 26, 713, 784.
Macchiavelli Giovanni Giacomo 377, 743 - Macchiavelii
Filippo 745 - Machirelli Odoardo 778 - Maffeì Andrea 413 -
Matìei Giuseppe 65, 564 - Magalotti Lorenzo 243, 478, 573 -
Maggi Pietro Giuseppe 306, 772 - Maggiolo L. Fr. 511 - Ma-
gnier Edmondo 667 - Mainardi Tomaso 361 - Malagoli Er-
cole 483 - Ma la pica Cesare 426 - Mala testa Porta 580 -
Malatesli Adeodato 368 - Malpagbinls Giovanni 420 - Ma-
iipiero Troilo 313, 418 - Malvezzi Giuseppe 572 - Mamiani
della Rovere Terenzio 413, 564, - Mancini Luigi 612 -
Mancinelli Gius. 361 - Manera P. 426 - Manetli Giannozzo 65,
600 - Manni Domenico M. 305, 496 - Mantegna Andrea 395 -
Manuzzi Gius. 463, 573 - Marchese P. Vicenzo 329, 334, 337,
338, 339, 343, 645 - Maranghi Amico 400 - Marchetti Gio-
vanni 413, 621, 640, 644 - Marcuccì Giambattista 582 -
Marenco Carlo 418 - Marianni Annibale 368 - Mariani Elisa
379 - Marianno da Tortona 423 - Marini A. 379, 389 - Ma-
rini G. 477 - Marinoni Giovanni 567 - Marsigli 365 - Mar-
telli Nicolò 573 - Martini Lorenzo 416, 586, 640 - Martin
T. 640, 713, 784 - Marzo de Ant. Gualberto 490 - Masinì
407 - Massaccio di Ser Giovanni 395 - Massarani 657,
662, 674 - Massedaglia 573 - Massola Giulio 368 - Mas-
soni Papirio 65 - Mauro Domenico 630, 654 - Mazzini
Gius. 480 - Mazzoni Jacopo 306, 422, 564 - Mecconi Rai-
mondo 573 - Meinhard 545 - Mehus Lorenzo 597, 715 -
Melchi Giuseppe 358, 407 - Meli Giuseppe 367 - Mendels-
shon 686 - Mercuri Filippo 553 - Merian Giov. Bern. 664 -
Mesnard M. 519, 522 - Mezzanotte 413, 573, 771 - Mica-
ra Clemente 640 - Micchino da Mezzano 493 - Migliara
365 - Milanesi Gaetano 444, 788 - Milesi Rianca 405 -
Milli Giannina 413 - Min Demetrio 549 - Minich R. Salva-
tore 47, 51, 103, 257, 267, 269, 452, 454, 559, 588, 604,
606, 650, 658, 682 - Missirini Melchiore 65, 394, 626 -
Mocchi Giov. 407 - Molbech Carlo 415, 548 - Molinelli P.
670 - Molmenti Pompeo 368 - Molossi 787 - Mondini Gia-
como 368 - Mongeri Giuseppe 406 - MongisT. A. 65, 512-
Montanari Gius. 564, 573 - Montani E. 564,573,771 - Mon-
lebugnolo Pietro 366 - Montegut Emilio 361, 376, 385, 389,
513, 514, 519 - Monti Enrico 362 - Monti Nicolò 361 - Monti
Pietro 308, 569 - Monti Vicenzo 32, 248, 251, 252, 254,
255, 274, 458, 461, 564, 748, 771, - Morali Ottavio 743 -
810 INDICE.
Morghen Antonio 360 - Morghen L. 373 - Morello Pelle-
grino fi% - Morlacchi Francesco 319 - Morrione Leonardo
/il8 - Molellì Gaetano 363 - Moulonnet de Clairfons 497,
503 - Mozzi Marcantonio 496 - Mucchio da Lucca 414 -
Mugna Pietro 690 - Munro A. 363 - Murelo Marcanlonio
496 - Mussafìa 790 - Muzzi G. 477 - Muzzi Luigi 478, 573,
598, 642, 771, 776 - Muzzi Gaetano 744 - Miiller A. 704.
Nannucci Vincenzo 483, 573, 776 - Napione Galeani de
Cocconato Giov. 574, 573 - Nardini 399 - Nenci Fr. 376 -
Nicoletli Paolo 459 - Nicolini Giambattista 325, 329, 336,
345, 414, 564, 573, 749 - Nidobealo e Terzago 450 - Nils
Loven 548 - Nonvrai Uguccione 501 - Nordman Giovanni
65, 686 - Notler Federico 686 - Nuli Luigi 373.
Occionì Onoralo 679 - Oetlinger Edoardo 65 - Oeynhau-
sen C. 26, 687, 784 - Olenschlàger Giov. 704 - Orcagna
Andrea 334, 393 - Orelli T. C. 65 - Ottimo (L') 435,619-
Ottonelli Giulio 496, 573 - Ozanam 95, 102, 206, 216, .225,
430, 523, 582, 669.
Paccini (Maestro) 319 - Palagi Fr. Giuseppe 800 - Pa-
lermo Fr. 447, 774 - Palesa Agostino 576 - PanizziA. 480,
757 - Paoletli Antonio 369 - Paradisi Agostino 414 - Pa-
ravia Alessandro 426, 564, 771 - Parenti Marcantonio 445,
484, 571, 641, 771 - Parini Giuseppe 564 - Parsons T. 497,
529 - Pascal Emilio 648 - Pasqualigo C. 763 - Passerini
Luigi 389, 395, 788 - Patten G. 364 - Paur Teodoro 65,
687 - Pazzi Enrico 391, 404 - Pederzini 32, 771, 772 - Pe-
drini Bartolomeo 493 - Pellaveri Gaetano 367 - Pellaveri
Giuseppe 363 - Pelli Giuseppe 48, 65, 438, 496 - Pellico
Silvio 414, 418 - Perazzi Luigi 641 - Perazzini Bartolo-
meo 477, 771 - Perez Fr. 608, 641 - Perticari Giulio 31,
47, 126, 305, 307, 477, 771, 772 - Perticari Costanza 479,
573 - Pessina Enrico 645 - Petrarca Francesco 441 - Pelz-
holdt Giulio 416, 687 - Pezzana A. 573 - Pezzarosa 671 -
Panciani G. B. 573, 581, 585, 589 - Pialtoli Gaetano 362 -
Piazza Gaetano 502 - Picei Giuseppe 483, 601, 645, 771 -
Piccini Balbi Doralice 573 - Picchioni 31, 600, 640, 644,
772 - Piegadi Alessandro 500 - Pierino da Vinci 366 - Pierotto
Giuseppe 368 - Pietracqua Luigi 418 - Pietro di Dante 438,
620 - Pietri Pietro 496 - Pievano Antonio di Vado 420 -
Piòvre 789 - Pindemonte Ippolito 476 - Pinelli Bartolomeo
377 - Pinet Claudio 365 - Piper F. 687, 692 - Piroli Tomaso
373 - Pistrucci 373 - Poccetti Bernardo 372 - Pizzo 780 -
Podesti Francesco 406 - Poggiali Gaetano 457, 741 - Pola
Paolo 418 - Polentone Sicco 65 - PoUanzani Giuseppe 416,
684 - Pollastrini Enrico 368 - Polidori 669 - Pollock Ferd.
Uì - Poma Marcantonio 35, 45, 440, 484, 582, 594, 602,
INDICE. 811
641, 645 - Porta Carlo 408 - Porlirelli L. 458, 740 - Po-
stiglione Raffaelle 379 - Pozzetti Pompilio 580 - Preault 405 -
Priiicigi 65, 754 - Proiidnikoff Michele 600 - Provenzal Aristide
800 - Pucci Camillo 383 - Puymaigre Teodoro 672.
Quadrio Francesco Saverio 564 - Quinet F. 65, 430, 672, 673.
Raffaelle Sanzio 345, 397, 405 - Raffaelli 581 - Raggio,
Sensale 342 - Rambaldi Benvenuto da Imola 47, 423, 445 -
Rambaldi Giambattista 416 - Rambaldi Domenico 414 -
Rambelli Gianfrancesco 462, 587 - Ranalli Ferd. 258, 264,
267, 326, 329, 331, 336, 337, 342, 345, 347. 393, 397, 398 -
Ratisbone Luigi 519, 520 - Rathery E. J. B. 674 - Raumer
Carlo 688 - Redi Francesco 65, 235, 573 - Regis Francesco
496 - Reynolds 365 - Renzi A. 477, 573 - Repetti Em. 581,
597, 648 - Reuchliu 97 - Reumont Alfredo 515, 688, 694 -
Rezza Eugenio 489 - Rlieal Sebastiano 382, 497, 506, 510,
516 - Riccardi del Vernaccia Francesco 573 - Riccar-
do, Carmelitano 494 - Ricci Stefano 401 - Rìcci Teodoro
611 - Ricci Domenico 573 - RidolQ 452, 454, 455, 573 -
Rietsckel E. 405 - Rigoli Luigi 445 - Rinucci L. Annibale
473 - Rinuccini Filippo 65 - Rio 329, 331 - Rivarol de.
498, 506, 525 - Rizzi Lodovico 367 - Roberti Tiberio 382 -
Robiola Antonmaria 482 - Robitaille Ab. 667 - Rocco
Emanuele 623 - Rogers Carlo Fr. 526 - Roi Pietro 367 -
Rohmer-Buchner 35 - Romanis 743 - Romani Matteo 472 -
Ronna A. 483 - Ronto Matteo 393, 493 - Rosa Morando
Filippo 476, 496, 507 - Rosenkrans Carlo 689 - Rosini
Giovanni 418, 426, 564, 573, 741, 771 - Rosmini 460 - Rossetti
Gabriele 414, 459, 464, 632, 641 - Rossetti D. G. 26, 713,
784 - Rossi-Scotti Giambattista 414 - Rossi Bastiano
735 - Rossi Gherardo 771 - Rossignol 692 - Rotondi
Pietro 459 - Rottiger Guglielmo 548 - Rousseau Giambat-
tista 540 - Rovatti Giuseppe 414 - Rubi Andrea 418 -
Rublo Luigi 370 - Ruga 743 - Ruo Giacomo 406 - Ruth
Emilio 689, 644, 790 -
Sabatelli Giuseppe 364, 376 - Sabatini G. F. 418 - Sacchi
Defendente 65 - Sacconi Carlo ed Antonio 800 - Saint
Mauris Vettore 517 - Salfi Aurelio 65, 564 - Salutati Co-
luccio 65, 564 - Salvini Antonmaria 496, 574 - Sanesi
Nicolò 407 - Sanleonini Francesco 496 - Sarto (dal) Andrea
598 Sassetti Filippo 496 - Sauro Giovanni 391 - Saviozzo
di Siena 414 - Seal vini Giovita 481 - Scarabellì Luciano
442 - Scaramuzza Francesco 349, 365, 586 - Sceviref Rubini
549 - SchelTer Ary 362, 364 - Schelling 117, 642 - Schenardi
585 - Schlegel 26, 98, 414, 693 - Schlosser C. F. 492, 694,
707 - Schraiber Gùgl. 97 696 - Scolari Filippo 30, 46, 60,
812 INDICE.
354, 477, 581, 641, 771, 772, 776, 796 - Selmi Francesco
468, 575, 768, 790 - Selvatico Estense P. 329, 330, 336, 381 -
Semproni Giov. Leone 418 - Serassi Pietro Antonio 65 -
Sereno Costantino 365 - Seravalle (di) Giovanni 425, 494 -
Sestini Bartolomeo 418 - Sicca Angelo) 758, 771 - Signol
Emilio 361, 399 - Signorelli Luca 341, 396, 533 - Silvestri
Gius. 574 - Simone Maestro di Siena 414 - Simpson 533,
731-Sismondi Sismondo 675 - Smania Michelangelo 800-
Smergiassi del Vasto Gabr. 367 - Solitario, (A. F.) Studio
(li un 473 - Solitro Giulio 571, 643 - Sordo Alessandro
564 - Sorio P. Bartolom. 454, 565, 566. 582, 589, 591, 596,
763, 796 - Speroni Sperone 496, 564 - Spilorno B. 574 -
Squario Gabrielle 473 - Stigliani Francesco Tomaso, 574 -
Stiorre I. 410 - Stradano Giovanni 269, 372 - Stefano, frate
494 - Straforalo G. 527, 529,530, 531, 532, 533 - Streckfuss
Carlo 536, 544, 697 - Strocchì Dionigi 307, 574, 648 - Strozzi
Alessandro 574 - Strozzi Giovanni 574 - Sturler Adolfo
383 - Suzzi Celestino 563.
Taddei Rosa 414 - Taeffe A. 497, 528 - Tagliazucchì
587 - Taillandier S. Renato 103, 297, 430, 453, 505, 510,
516, 519, 520, 526, 527, 533, 540, 548, 549, 551, 637, 659,
659, 663, 672, 675, 690, 691, 703 - Talentone Giovanni 574 -
Talia P. Giambattista 481 - Tamburini Giov. 446, 756 -
Tanci Mario 475,574 - Targìoni Tozzelti 234, 236, 238, 239 -
Tartarotti Girolimo 496 - Tarver J. C. 409 - Tasso Tor-
quato 481, 564, 748 - Tasso Francesco 368 - Tassoni Ales-
sandro 481 - Taverna Giuseppe 574, 641 - Tedaldi Pietrac-
cio 414 - Teglia (del) Bartolomeo 423 - Telani Giuseppe
553 - Teodorani E. 583 - Terasson Enrico 408 - Terzago
Guido 450 - Testa Francesco 500 - Tiepolo Jacopo 496,
799 - Tintoretto Jacopo 347 - Tiraboschi Girolimo 65 -
Theiner 35, 585 - Thouar Pietro 35, 552 - Todeschini Gius.
570, 771 - Tommaseo Nicolò 30, 35, 48, 85, 86, 315, 318,
340, 439, 465, 469, 501, 518, 524, 645, 652, 653, 749, 754,
763 - Tomaselli Albano 407 - Toncini ... 370 - Tonini L.
574 - Tonsi (de) Giovanni Enrico 495 - Topìn Ippolito 522 -
Torelli Gius. 482, 587 - Torelli Serafino 415 - Torelli
Pomponio 496 - Torri Alessandro 416, 570, 642, 773, 775 -
Torricelli Fr. Maria 34, 483, 564, 582, 585, 603, 604, 605,
646, 648 - Torti Francesco 564 - Toscani Giovanni 288 -
Trevisan Gaetano 648 - Trezza G. 585 - Triben Ermanno
430 - Trifoni Gabriele 496 - Triqueti Enrico 361 - Trissino
Fr. 459 - Trivulzio 27, 32, 772 - Troya 49, 51, 53, 57, 58,
90, 558, 579, 644 - Tucci Martelli Antonio 495.
Ubaldini Federico 496 - Ugurgioni Cecco Meo 493 - Dima
Beniamino 364.
IISDICE. 813
Vaccolini Domenico 242, 244, 24G, 574, 587, 772 - Vala-
porla Francesco 367 - Yandima 549 - Yaneltl Valerìano
556 - Vanni Cosimo 579 - Yan micci Alto 448, 457, 502,
579, 656 - Yanozzi 580 - Yarchi Uonedelto 422, 495, 574 -
Yasari Giorgio 331, 336, 342, 344, 371, 393, 394, 396,398-
Vecchioni Carlo 564, 641 -Vedovali Filippo 616 - Yegezzi
lUiscalla 523 - Yegni G. 652 - Vcllulello Alessandro 65,
453, 600 - YenUira Giov. 578 - Yenluri Pompeo 456 -
Yenturl Pietro 51, 581, 589, 597 - Yerali B. 574 - Yernon
Waren Giorgio Giov. 434, 444, 459, 713, 756, 768 - Yero
Ausonio 799 - Yertuno Achille 368 - Viani P. Bonaventura
771 - Yibert Giulio 399 - Yidal Gaetano 548 - Yillaerl
319 - Villani Filippo 65, 420, 494 - Yillardi Francesco
414 - Yillegas Ferdinando 547 - Yillemain 520, 675 - Vii-
lena Marchese di (D.Enrico di Aragona) 547 - Vinci Leo-
nardo 342 - Yiroilay 520 - Viviani Enrico 478, 747, 771,
772 - Yogel de Yogelstein Carlo 351, 353, 363, 367, 369,
id. 382, 697 - Vogelwoide di Gualtiero 96 - Yollo Benedet-
to 415 - Yolpi G. 4o5, 736 - Yolpicelli 250 - Yon Adolfo
379.
Wagner Adolfo 65, 697, 771 - Wailly Leone 374, 385,
522 - Watelel 509 - Wegele Francesco 698, 760 - Wesley
Tomaso 497, 532 - Wezer Corrado 704 - Wilchie Giuseppe
533 - Wild 388 - William OUlev 371 - Winlerling 789 -
Wismavr Giuseppe 65, 699 - Wi'ss G. 706 - Witte Carlo
30, 48,' 51, 60, 438, 502, 542, 598, 599, 634. 694, 699 704,
759, 771, 772, 775 - Wright Tomaso 528, 580, 713.
Zaccheroni Giuseppe 574, 752 - ZalTarini Federico 368-
Zamboni Filippo 654 - Zambusi Confortini Lucia 415 -
Zanella Jac. 771 - Zanetti Bonzino 407 - Zanobi Canovai
367 - Zanobi da Strada 493 - Zanni de Ferranti Aurelio
486, 564 - Zannini Giamb. 418 - Zappa Gius. 603 - Zappert
Giorgio 692 - Zappoli A. 415 - Zauli Sejani Ifigenia 415 -
Zeloni C. 65, 676, 784 - Zeviani G. B. 574 - Zinelli Fed.
35, 585 - Zingarelli Nicolò 319 - Zoncada A. 768 - Zolli
Romualdo 459, 600 - Zolli Raffaelle 554 - Zucchero Fede-
INDICE GENERALE
Specchio cronologico della vita di Dante
Alligliieri, e degli avvenimenti contemporanei
e di quelli che prepararono il suo secolo, con
osservazioni critiche intorno alle opere del
Poeta e alla loro pubblicazione 3
Biografi ed Elogisti di Dante 65
Carattere morale di Dante 66
Amore. G6. - Sua fede nell' amicizia. 71. - Gentilezza ili
animo. 71. - Amore al vero: Freno all'ingegno. 72. -
Gratitudine a' benefizii. 72. - Confessione deife proprie
colpe. 73. - Tempera di Dante. 74. - Amore di patria.
Suo esigilo. 75. - Dante Cristiano. 81. - Devozione af-
fettuosa a Maria Vergine e a S. Lucia. 84. - Ritratto. 86.
Politica di Dante 88
Prlncipii politici. 88. - Se Dante sia siato ghibellino.
97. - I diritti dei popoli e delle nazioni non si pre-
scrivono. 105. - Altri canoni politici. 105. - Dei Re, e
de' loro ministri : come debbano condursi nel governo
dei popoli. 107.
Degli studi di Dante e del concetto che avea
del proprio ingegno e delle sue opere 111
Rrunello Latini gli fu maestro. lU. - Ardore che
aveva di avanzare negli studi- tll. - Grandezza e dif-
ficoltà del tema assuntosi. 114. - Suo amore alla lin-
gua volgare. 118.
Ammaestramenti di letteratura 121
L'Arte. 120. - Ogni arte ha i suoi confini. 122. -
Dello Stile. Difficoltà dell'espressione. 123. - Il dar
colore e forza alle idee col suono della parola ò uno
dei uecessarii requisiti dell'arte. 124. - Studio dei
Classici. 125. - Necessità dello studio per conseguire
l'abito dell'arte e della scienza. 127. - Modo di pro-
cedere nel rintracciare la verità e neirac(iu!Sto delle
INDICE GENERALE. S15
cognizioni. 130. - Poesìa. Definizione della poesìa. 132. -
Materie da irallarsi colla poesia. 132. - Stile sublime.
132. - Scienza e dottrina necessaria al poeta. 132. -
Scelta dol subbietto. 133. - Eloquenza. 133. - Esordio.
134. - Confutazione. 134. - Argomentazione. 135. -
Grammatica. 136. - Traduzioni. 136. - Conienti. 137. -
Letterali venali. 137. - Giudizio dell'opere. 137. - Ri-
spetto reciproco tra ì cultori di un arie medesima, tra
gli uomini di lettere. 138.
Filosofia di Dante 139
Lodi della Filosofia. 139. - Desiderio della scienza. La
scienza non si deve nascondere ma comunicare. 140.
Il Vero 142
Fuori di Dio non si spazia nessun Vero. 142. - L'uo-
mo appassionato non è né vero né giusto estimatore
di se e delle cose. 143. - Diflidenza dei sensi nei no-
stri giudizi. 146.
Cosmologia Dantesca 147
Metafisica e Psicologia 149
Generazione umana. 149. - Opinione di Aristotile e dei
Peripatetici. 149. - Di Avicenna, di Aigazel, di Pit-
tagora e di Aristotile. 150. - Immortalità dell'anima.
150. - Dell'Amore. 154. - Dottrina sull' influsso degli
astri. 156. - Libertà umana. 157. - Dell" idee. 158.
Fenomeni che precedono accompagnano
e seguono il sonno e il sogno 159
Filosofia Morale 160
Nobiltà e grandezza dell' uomo. - Suo fine. - Vita umana
che cosa sia. - Della vita speculativa e contemplativa.
161. - Vanità delle cose umane. 165. - Virtù: in essa
ogni vero bene ed ogni vera grandezza. Rende l' uomo
felice e libero: come se ne acquisti l'abito. Cammino
della virtù. 166. - Dell' api)elilo sensitivo: debbe ub-
bidire alla ragione: gli appetiti viziosi, ove a tempo
si domino, possono cangiar natura. 169. - Come si
debbano comballere e vincere le passioni. 170. - Gradi
diversi del male. - (ienesi delle passioni. 171. - Della
Superbia. 173. - Dell" Invidia. 173. - Dell'Ira. 175. - Del-
l'Accidia. 175. - Dell'Avarizia. 175. - Della Gola. 187. -
Deirincontinenza. 177. - Prultezza del peccalo. 178.-
Elà dell'uomo. - La vita nostra é un rammino variabile,
secondo il variar dell' età, che richiede studi e ope-
razioni diverse. 179. - Riverenza a' Maggiori ed ai
Maestri. 182. - Della Bellezza : si fa manifesta massima-
mente nella faccia, ma disfavilla negli occhi e nella
bocca. 183. - Portamento esteriore. 18i. - Della Do»na:
816 INDICE GEISERALE.
sua bellezza; quanto è più semplice è più bella. In-
verecondo vestire. Doti di che debbe andar fornita
una donna. Pudore. Paura del disonore. Innanzi a
donna non si tengano parole men che oneste. A chi
debba la donna concedere i suoi affetti. 185. - Ver-
gogna e Verecondia. 187. - Amore. 188. - Amicizia.
189. - Consiglio e Consigliere. 191. - Prudenza. 192. -
Pusillanimità. 193. - Fortezza nelle sventure. 193. -
Del Tempo: buon uso del Tempo. 193. - Del Parlare.
194. - Lode e disprezzo di sé stesso. - Lode d'al-
trui. 19Ì3. - Compagni cattivi. 196. - Del buono e del
cattivo esempio. 196. - Perdono a' nemici. 197. - Della
Nobiltà. 197. - Delle Ricchezze. 198. - Delle virtù ca-
ritative: Pietà: Misericordia: Beneficenza: Larghezza.
Di una sorta di larghezza detestabile. 200.
Dottrine Teologiche 201
Della Ragione e della Rivelazione. 202. - Misterj. 204. -
Della creazione. 205. - Degli Angeli e della loro ca-
duta. 205. - Depravazione della creatura. 207. - Della
Redenzione. 208. - Prescienza di Dio. 209. - Giustizia
dei giudizj di Dio. 209. - Della Grazia- 209. - Virtù
cardinali e teologali. 210. - Della Fede. 210. - Della
Speranza. 211. - Della Carità. 212. - Il Peccato. 213. -
Confessione sacramentale: doti di un buon Confessore.
213. -Santificazione delle Feste. 216. - Efficacia della
preghiera. 216. - Digiuno. 217. - Volo. 217. - Culto
delle sacre imagini. 217. - La Chiesa Cattolica. 218. -
Ss. Scritture. 218. - Dell'anima disciolta dal corpo.
219. - Purgatorio. 220. - Inferno. 221. - Eternità delle
pene dell' Inferno. 222. - Paradiso. 223. - Necessità di
meditare i novissimi per l'acquisto della virtù. 225. -
Risurrezione dei corpi. 225.
Del Romano Pontefice 226
Ordini Religiosi 232
Cognizioni Scientifiche - Fisiologia 234
Piante criptogame. 234. - Maturazione delle frutta.
235. - Azione della luce e del sole sui fiori e sulla
vegetazione. 236. - Funzioni della vegetazione. 237. -
Circolazione delle piante. 238. - Natura delle piante.
238. - Classificazione dei vegetabili. 239. - Coltivazione
delle piante. 239.
Fisica 240
Neve. - 240. Piogi-ia. 240. - Nebbia - Neve - Venti -
Tremuoto - Tuono 241. - Folgore. 242. - Acqua e fiu-
mi. 242. - Flusso e riflusso del mare. 243. - Bussola.
243. - Luce 243. - Arco baleno. 245. - Pareglio. 246. -
1^'DICE GENERA LB. 817
Attrazione universale. 247. - Antipodi. 248. - Grandi
cataclismi mondiali. 249.
Matemàtiche e Geometria 251
Dell'Aritmetica. 231. - Della Geometria. - Del Cerchio.
252. - Tetragono. 2o3. - In un triangolo non possono
contenersi due angoli ottusi. 254. - L'angolo d'in-
cidenza eguale all'angolo di rillessione. 264. - Linea
perpendicolare. 254.
Astronomia 255
Diverse età del giorno, dal primo albeggiare al più
fitto della notte, dipinte con vaghezza di colori
presi dall'astronomia. 255. - Sole. 263. - Diametro
del Sole. 265. - Luna: Teorie del poeta sulle macchie
lunari. 265. - Aurora Lunare. 266. - Alone lunare.
267. - Costellazione della Crociera. 268. - Le tre stelle
vespertine. 269. - Venere. 270. - Mercurio. 271. - Marte.
271. - Saturno. 272- - Giove. 272. - Stelle. 272. - Via
Lattea. 273. - Il Sole è sull'Equatore al punto degli
cquinozii. 275. - Zodiaco. 275. - Luce Zodiacale. 275. -
Errori astronomici. 276. - Errori geografici. 278.
Medicina 280
Medici ricordati. 280. - Della generazione. 280. - Del
cuore e del sangue. 283. - Del cervello. 284. - Del
passo. 284 - Del cibo. 285. Febbre. 286. - Macilenza.
286. - Idrope o Ascile. 286. - Etisia. 287. - Epilessia.
287. - Scabbia. 288. - Malattia d' occhi. 288. - Pazzia.
289. - Pestilenze e luoghi miasmatici. 289. - Asside-
derazione. 290. - Paura e patemi d'animo. 290.
Giurisprudenza Dantesca e specialmente
penale 292
La Legge. 292. - Dell'imputabilità. 297. -Della pena. 299.-
Del Giudice. 302. - Del giuramento. 304.
Cognizioni Poliglotte 305
Dante e la Musica 309
Storia della Musica. 309. - Lodi della Musica. 311.
311. - Musica nel Poema. Tutta la Divina Comedia
piena di musica e di armonia. 313.
Musicografia della Divina Comedia 319
Dante e le Belle Arti 320
Storia dell'Arte. 320. - Dell'Arte. 32L - Difficoltà della
espressione. 422. - Fine dell'Arte. 322. -Inspirazione.
323. - Dell'arte cristiana. 323. - Potenza artistica dei
poeta. 324. - Potenza degli artisti. 327. - Del colorilo.
327. - Del modello. 327. - Luce necessaria ad una pit-
tura. 328. - Capolavori degli artisti. 328.
818 INDICE GENERALE.
Influenza di Dante sulla poesia delP arte
della sua nazione 329
Gioito. 320. - Guariento. 331. - Buffamalco Buonamico.
332. - LorenzelU Ambrogio. 333. - Orcagna Andrea.
334. - Bartolo Taddeo. 336. - Fra Giovanni da Mugello.
336. - Giovanni di Paolo. 339 - Domenico di Michelino.
342. - Signorelli Luca. 341. - Leonardo da Vinci. 342 -
Raggio, sensale. 342. - Fra Bartolomeo di S. Marco,
ossia Baccio della Porta. 342. - Buonarotti Michelan-
gelo. 243. - Raffaello Sanzio d'Urbino. 345. - Tintoretto
Giacomo. 347. - D'Empoli Giacomo. 348. - Cornelius
Pietro. - Cook Giuseppe. 349. - Scaramuzza Francesco.
349. - Vogel de Vogelstein Carlo. 351. - Bertini Giu-
seppe. 354. - Bigioli Filippo. 357.
Tele, Affreschi e Sculture, il cui soggetto
fu preso dalla Divina Comedia 360
Disegni, Illustrazioni ed Incisioni del Di-
vino Poema • 370, 787
Ritratti, Statue ed altri dipinti riguardanti
Dante Allighieri 388, 788
Dipinti riguardanti la vita di Dante Alli-
ghieri 406, 789
Incisioni 408
MedagUe 409, 789
Componimenti poetici in onore dell' Alli-
ghieri 41 1
drammatici 415, 789
Soggetti inspirati dalla Div. Comedia 418
Lettori della Divina Comedia 418, 789
Comentatori 431, 790
Comenti parziali 475
Cementi in corso di stampa 490
Comenti inediti 493
Traduttori
Traduzioni in dialetto. 498. - Latine. 498. - Francesi.
305. - Inglesi. 526. - Tedesche- 535, 791. - Spagnuole,
Casllgliane, Catalane. 547. - Svedesi e Danesi. 548. -
Russe. 549.
Bibliografia Dantesca Italiana 552
Vita del Poeta, o ricerche intorno la sua vita. 552.-
Studi critici. 560. - Studi sul Testo, filologici ed illu-
1^D1CE GENERALE. 819
mirativi. 564. - Illusiralori di qualche verso o voce
della Divina Comedia. 573. - Illustrazioni storiche.
574. - Dell'originalità del Divino Poema. 580. - Storia
del Poema. 581. - Del Cattolicismo di Dante. 581, 796-
Filosofia. 585. - Cognizioni scientifiche, fisico-matema-
tiche. 587. - Giurisprudenza. 587. - Cognizioni Mediche.
587. - Cognizioni Astronomiche. 588. - Itinerario della
Divina Comedia. 589. - Del sito e della figura dell'In-
ferno. 594, 791. - Lettera di Frate Ilario. 597. - Lettera
di Dante a Cangrande. 598. - Allegoria del poema.
600, 792. - Dei Simboli della Divina Comedia. 641. -
Del Veltro. 644, 796. - Della Matelda. 648.
Bibliografia Dantesca Francese 655, 791
Alemanna 677
Inglese 708
Codici pii\ illustri della Div. Comedia 714
Edizioni principali 729
Edizioni degne di menzione in corso di
stampa 763, 800
Benemeriti dell'emendazione del Testo 771
Benemeriti dell' Opere Minori. 771
Serie delle Edizioni dell'Opere Minori 777
Della Vita Nuova. 777. - Del Convito. 780. - Della
Monarchia. 781. - Dell'Eloquio Vulgare. 782. - Delle
Epistole. 783.
Traduzioni dell' Opere Minori 784
Supplemento 786
Indice delle persone ricordate nel presente
volume 803
Indice generale 814
PQ Terrazzi, Giuseppe Jacopo
U'Ì?>U Manuale dantesco
V.2
PLEASE DO NOT REMOVE
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77M^-
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