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Full text of "Manuale dantesco"

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MANUALE  DANTESCO 
Voi.  II. 


ENCICLOPEDIA  DANTESCA 

Parte  I. 


A"2. 


•r. 


ENCICLOPEDIA 


DANTESCA 


per  l'Abate 


.TAO.  PROF.  FEREAZZI 


Voi.  I. 


'^'^ 


BASSANO 

r  1 1>  0  e  A  L  e  0  G  W  A  1' I  A   SAN  1  lì    1»  0  Z  Z  A  T  0 

1865. 

l'roprii'lii  F.C'ttcraria 


433^ 

V.% 


ALLA  MAESTÀ  DEL  RE 

GIOVANNI  i;  DI  SASSONIA 

DELL' ALTISSLMO  CANTO  TRADUTTORE  INSIGNE 

<(  CHE  IL  GRAN  COMENTO  FEO  » 

DEGLI  STUDI  DANTESCHI  FAUTORE  VERAMENTE  REGIO 

QUESTA  ENCICLOPEDIA  DEL  POETA 

'(  CHE  SOVRA  GLI  ALTRI  COME  AQUILA  VOLA  » 

NEL  DÌ  CHE  IL  BEL  PAESE  DALL'ALPE  AL  MARE 

IL  SECENTENIO  NATALE  FESTEGGIA 

L' ABATE 

GIUSEPPE  JACOPO  PROF.  FERRAZZI 

CON  DEVOTISSIMO  OSSEQUIO  A  TANTO  PRINCIPE 

C. 


XIV  MAGGIO  MDCCCLXV. 


km  3J 


(Sii    ^eito'cc 


frenare  non  solo  il  grande  volume  di  Dante  Allighieri 
in  cui  si  trova  legato  con  amore  e  a  fondo  descritto  tutto 
ciò  che  per  V  universo  si  squaderna,  ma  volgere  tutte  le  altre 
opere  sue  per  farne  una  sintesi  armoniosa;  seguire  anche 
di  lontano  quel  sommo  che  con  la  divinazione  del  genio  si 
spinse  ardimentoso  nell'avvenire;  raccogliere  i  pensamenti 
di  queW 

alta  mente  u'  s\  profondo 
Saver  fu  messo,  che  se  il  vero  è  vero, 
A  veder  tanto  non  surse  il  secondo, 
ella  è  certo  un'  impresa  da  sbigottirsene  non  che  altro  ogni 
più  gagliardo  intelletto.  -  iVè  men  arduo  cimento  si  è  pur 
quello  di  ricordare,  comunque  di  volo,   tutti  quelli  che  si 
inspirarono  neW altissimo  canto;  toccare  degli  studj  che  tanti 
solenni  ingegni  vi  fecero  sopra;  del  sempre  crescente  omaggio 
di  ammirazione  che  rendono  ad  esso  i  due  mondi;  in  breve, 
abbracciare  il  culto  riverente  che  cinque  secoli  professarono 
all'opera  più  stupenda  della  letteratura  risorta  in  Europa. 

Onde  non  sarà  meraviglia  se  molte  lacune  verran  lamentate 
in  questo  mio  lavoro^  se  dovendo  correre  tanti  argomenti  per 
me  nuovi,  io  abbia  fatto  qualche  volta  ritroso  cammino.  Oltre 
di  che  non  vorrei  me  ne  venisse  pur  colpa  per  aver  adottato 
il  metodo  di  semplice  accoglitore,  essendomi  parso  bello  che 
le  dottrine  di  Dante  non  avessero  bisogno  di  essere  infiorate, 


uè  questo  sarebbe  stato  per  avventura  il  compilo  più  iliffivilc, 
come  il  buon  sarlore,  Che,  com'egli  ha  del  panno,  fa  la 
gonna. 

Se  non  altro,  almeno  lo  spero,  varrà  a  trovarmi  grazia 
dell'  ardimento  il  lungo  studio  e  il  grande  amore  che  posi 
al  sacro  poema;  l'aver  voluto  anch'  io,  con  affetto  filiale, 
concorrere  alla  festa  del  dolce  e  verace  mio  padre;  l'aver 
mostrato  desiderio  di  un  opera,  che  da  piii  forti  omeri  sorretta, 
potrebbe  metterci  nel  buon  filo  su  tante  questioni  tuttavia 
combattute,  e  tornarci,  se  male  non  avviso,  di  grandissimo 
giovamento.  -  Che  se  ini  vedessi  confortato  nel  paziente  e 
travaglioso  tentativo,  prenderei  maggior  lena  a  consecrarvi 
anche  per  V  innanzi  i  miei  studj,  onde,  merce  i  consigli,  il 
senno,  le  amorevoli  comunicazioni  dei  più  insigni  Dantisti, 
che  invoco,  potessi,  quando  che  sia,  ridonare  al  mio  paese 
men  incompiuta  questa  Enciclopedia  dell'  altissimo  poeta. 


0  degli  altri  poeti  onore  e  lume, 
Vogliami  il  lungo  studio  e  il  grande  amore. 
Che  m'hiin  fatto  cercar  lo  tuo  volume. 

Tu  se'  lo  mio  maestro  e  il  mio  autore... 
Inf.  I  82. 

Veggo  in  Dante  un'immenso  mistero;  io  non  ne 
lio  la  chiave;  ma  presento  da  lunge  il  dì  che  si  avrà, 
e  che  l'opera  sua  sarà  guardata  da  più  suhlime 
orizzonte.  Gravina. 

«  Quel  popolo  che  ama  con  tanto  entusiasmo  la 
maschia  poesia  dell' Allighieri,  che  sente  commuo- 
versi al  suono  di  quei  versi  pieni  di  magnanima  ira. 
àia  pur  caduto  in  fondo  d'ogni  miseria,  domani  po- 
trà rilevarsi  più  forte  dalla  sua  tomba.  (  fatidiche 
parole!)  Ccreseto.  Dell'Epopea  in  Italia,  cu.  p.3.50. 


S  PECCHIO     CRONOLOGICO 

DELLA  VITA  DI  DANTE  ALLIGHIERI 

E  DEGLI  AVVENIMENTI  CONTEMPORANEI  E  DI  QUELLI 

CHE  PREPARARONO  IL  SUO  SECOLO 

CON  OSSERVAZIONI  CRITICHE 

INTORNO  ALLE  OPERE  DEL  POETA  E  ALLA  LORO  PUBBLICAZIONE 


1089.  Morte  di  Lanfranco,  fondatore  di  celeberrima  scuola, 
redentore  della  scienza  critica,  correttore  dei  codici,  restau- 
ratore della  lingua  latina,  benemerito  della  buona  fìlosoUa, 
maestro  di  Papa  Alessandro  II,  anima  incontaminata. 

lieo.  Graziano,  monaco  benedettino,  dà  vita  al  diritto 
canonico,  e  mette  in  luce  il  decreto;  aiuta  il  foro  civile  e 
il  foro  ecclesiastico,  conciliando  le  leggi  dell'uno  con  le 
leggi  dell'altro.  Par.  x.  104. 

1109.  Morte  di  S.  Anselmo,  eccelso  per  virtù  ed  elo- 
quenza, teologo  esimio,  metafisico  sommo,  uomo  santo.  Par. 
XII.  137. 

1113.  Irnerio,  legista,  fondatore  e  regolatore  dello  studio 
bolognese,  chiosa  ed  interpreta  la  collezione  delle  Pandette. 

1115.  Muore  la  Contessa  Matilde,  facendo  erede  de' suoi 
beni  la  Chiesa,  donna  mirabile  per  coraggio  e  costanza, 
grande  in  ogni  tempo,  e  per  quel  secolo  più  grande  ancora. 

1135. 1  Buondelmonti  venuti  di  Valdigrieve.  Par.  xvi. 
(i6.  -  E  sarebbe  stato  meglio  che  fossero  annegati  nell' fi- 
ma,  anzicchè  transferiti  a  Firenze.  Par.  xvi.  143. 

1152.  Battisterio  di  Pisa,  opera  di  Diotisalvi,  sanese. 

1153.  La  famiglia  dei  Cerchi,  che  stava  a  capo  de'Eian- 
rhi  venuta  dai  boschi  di  Val  di  Sieve,  nel  pivier  d'Acone. 
Par.  xvi.  65.  -  Donde  alla  parte  Bianca  il  soprannome  di 
Selvaggia.  Inf.  vi.  05. 


4  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

U60.  Morie  di  Pier  Lombardo,  professore  a  Parigi,  il 
lodato  maestro  delle  sentenze.  Par.  x.  107. 

1175.  Torre  di  Pisa,  vero  museo  di  colonnette  e  ruderi 
antichi,  opera  di  Bonanno  e  Tommaso  da  Pisa. 

1183.  Fiaccato  a  Legnano  il  superbo  orgoglio  Alemanno, 
l'Imperatore  nella  pace  di  Costanza  riconosce  la  libertà 
delle  città  collegate. 

1210.  La  pittura  rude  e  gretta  per  lo  stile  bizantino, 
sotto  il  pennello  di  Giunta,  pisano,  comincia  a  dare  una 
certa  ombra  di  studio  nel  nudo,  espressione  nelle  teste  ed 
affetto,  ed  una  certa  cura  del  panneggiato. 

1215.  Buondelmonte  rompe  la  fede  data  ad  una  fanciulla 
degli  Amideì  per  isposarsi  con  una  bellissima  dei  Donati. 
Questo  fu  la  cagione  della  morte  del  Buondelmonte,  assa- 
lito ed  ucciso  da' parenti  dell'abbandonata  fanciulla,  il  giorno 
di  Pasqua,  presso  la  chiesa  di  S.  Stefano,  alla  statua  scema 
di  Marte,  a'  pie  del  Ponte  vecchio.  Di  qui  originarono  lo 
fazioni  guelfa  e  ghibellina  che  funestarono  Firenze.  (  Giov, 
Villani,  L.  V.  e.  38;  Atto  Vannuci,  75.)  . 

La  casa  di  che  nacque  il  vostro  fleto, 
Per  lo  giusto  disdegno  che  v'  ha  morti, 
E  posto  fine  al  vostro  viver  lieto, 

Era  onorata  essa  e  suoi  consorti. 
0  Buondelmonte;  quanto  mal  fuggisti 
Le  noJ!ze  sue  per  gli  altrui  conforti!  Par.  xvi.  136. 

E  fu  Mosca  Lamberti,  che  ai  parenti  ed  amici  degli 

Àmidei,  adunati  nella  case  degli  liberti  a  deliberare  la 
vendetta  dell'onta  ricevuta,  incuorandoli  a  vendetta  di  san- 
gue, disse:  Capo  ha  cosa  fatta.  Inf.  xxviii.  107.  Dante  lo 
chiama:  il  mal  seme  della  gente  losca.  Inf.  xxviii.  108. 

-r—  I  Cerchi  (Bianchi),  i  Donati  (Neri),  sopra  porla  S. 
Pietro,  per  le  loro  gare  ed  il  loro  mal  talento,  autori  della 
perdizione  della  lor  patria: 

Sovra  la  porta,  eh'  al  presente  é  carca 
Di  nuova  fellonia  di  tanto  peso, 
Che  tosto  tìa  iattura  della  barca.  Par.  \\i.  94, 

1216,  26  Luglio.  Innocenzo  III  recandosi  a  Pisa  per  pa- 
cificarla con  Genova,  muore  a  Pisa.  Gli  succede  Cencio 
Savelli,  romano,  col  nome  di  Onorio  HI. 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  lì 

1*218.  Costruzione  del  ponte  alla  Carraia,  dal  nome  della 
porta  (  Giov.  YUlani,  L.  iv.  e.  8  -  L.  v.  51.):  fu  compiuto  nel 
1220.  Il  Vasari  lo  vuole  architettalo  da  Lapo  [hi.  L.  v.  52.). 
Ruinato  nella  memoranda  inondazione  dell'Ottobre  1269,  i 
Domenicani  Fra  Sisto  e  Ristoro,  con  grande  maestria  ne 
gittarono  i  piloni  in  pietra;  nuovamente  distrutto  nella 
straordinaria  piena  del  1333,  fu  eretto  da  capo,  tutto  di 
pietra,  per  opera  dì  Fra  Giovanni  da  Campi,  pure  Dome- 
nicano. * 

L'Imperatore  Federico  I,  passando  per  l'Italia,  to- 
glie a  Firenze  il  suo  contado,  ponendolo  sotto  l'autorità 
dell'Impero.  Più  tardi  lo  restituisce,  per  intercessione  del 
Papa,  a  cagione  dei  gloriosi  fatti,  operati  dai  Crociati  fio- 
rentini alla  presa  di  Damiala. 

1220.  Nascita  di  Rrunetto  Latini,  nel  sesto  di  Porla  a 
Duomo. 

1227,  Marzo.  Il  cardinale  Ugolino  de'  conti  di  Segna  e 
d'Anagni  assunto  al  pontificato,  col  nome  di  Gregorio  IX. 

1232.  Nascita  di  Arnolfo  di  Cambio. 

1237.  Fallo  a  monte  il  ponte  Ruhaconte,  dal  nome  di 
messer  Rubaconte  da  Mandella  di  Milano,  podestà  di  Firenze 
[Pure/,  xii.  102.).  Appresso  lo  si  chiamò  ponte  alle  Grazie, 
da  una  cappella  dedicata  a  S.  Maria  delle  Grazie,  che  ancora 
si  vede  sopra  una  delle  sue  pile.- Fu  lastricata  la  città  sin 
allora  ammattonata.  (  G.  Villani,  L.  vi.  e.  24.) 

1240.  Nascila  di  Giov.  Cimabue,  il  primo  di  tutta  la  fa- 
miglia dei  pittori  che  fecero  poi  la  scuola  fiorentina  tanto 
famosa. 

1241,  Agosto.  Morte  di  Gregorio  VII. 

1243,  Giugno.  Sinibaldo  de'  Fieschi,  de'  conti  di  Lavagna, 
di  spiriti  altissimi,  eletto  papa  in  Anagni,  col  nome  d'In- 
nocenzo IV.  (Il  Villani  lo  dice  Oltobuono  de' Fiesohi,  ed 
erroneamente  eletto  nel  1241.  -  L.  vi.  e.  24.) 

1248,  2.  Feb.  Gli  liberti,  cacciano  di  Firenze  i  Guelfi  nella 
notte  della  Candelara,  e  Federigo  II,  tenta  di  stabilire  il 
governo  aristocratico. 

1249.  Pier  delle  Vigne,  capuano,  cancelliere  di  Federigo 
II,  il  buon  cimatore,  ed  autore  di  un  trattato  latiFio  intorno 
alla  potestà  dell'imperatore,    dagl'  invidiosi   cortigiani   è 


&  SPECCHIO- CKOKOLOG ICO 

accusato  d'infedeltà.  Federigo  lo  fa  abbacinare,  e  chiudere 
in  carcere,  dove  disperatamente  s'  uccide,  dando  del  capo 
nel  rauro.  Inf.  xiii.  58 

1*250.  È  presa  parte  di  edificare  il  palazzo  del  Capitano, 
del  popolo,  e  del  Comune  [del  Bargello).  Jacopo  di  Gu- 
glielmo di  Frenzetto  da  Quarata,  Gherardo  di  Gianni  Spe- 
ziale, e  Falco  di  Buono,  Sindaci  a  ciò  nominati  dal  consi- 
glio degli  Anziani,  comperano  non  poche  case  di  legno  e 
di  pietra,  torri,  casolari  ed  orti  nei  popoli  di  S.  Appolonia 
e  di  S.Stefano,  alla  Badia,  tra  il  27  Gen.  1255  (stile  comune; 
ed  il  31  di  Luglio  dell'anno  medesimo.  Fu  edificato  nel  1255. 
11  Vasari  ne  vuole  architetto  quel  Lapo  tedesco  da  cui  ap- 
prese l'arte  Arnolfo  di  Cambio.  11  iSecrologio  di  S.  Maria 
ISovella  ci  fa  sapere  che  vi  lavorarono  anch'essi,  e  vi  fe- 
cero alcune  grandi  volte  quei  due  illustri  architetti  dome- 
nicani fra  Sisto  da  Firenze,  e  fra  Ristoro  da  Campi.  {Pas- 
serini, del  Pretorio  di  Firenze) 

13.  Dee.  Morte  di  Federigo  li  in  Ferentino  della 

Puglia,  prò' dell'armi,  sagace  e  grande  ne' consigli,  promo- 
tore delle  scienze  e  delle  lettere  italiane.  Inf.  x.  119  ;  xiii. 
59,  G8;  xxiii.  66;  Purg.  xvi.  117;  Par.  iii.  120. 

Fiorisce  Guido  delle  Colonne,  rimatore  siciliano 

{De  Vulg.  Et.  L.  1. 12.).  Scrisse  delle  cose  inglesi  [Uistorìa 
de  Begibus  et  rebus  Angliae)  :  tradusse  dal  greco  in  latino, 
ed  ampliò  la  Storia  della  guerra  di  Troia  di  Ditti  e  di 
Darete. 

Fiorisce  Jacopo  da  Leu  tino,  il  Notaio,  poeta.  Purg. 

xxiv.  56;  De  Vulg.  El.  i.  12. 

Volgarizzamento  del  libro  dei  Costumi,  intitolalo  il 

libro  di  Calo,  di  anonimo  autore,  vissuto  a'  tempi  di  Lucano. 
11  Vannucci  ne  pubblicava  per  la  prima  volta  due  volgariz- 
zamenti, nel  1829. 

Guido  Bonatti,  celebre  Astrologo.  Inf.  xx.  108.  - 

[Opus  Guido  Bonatti  continens  x  tractatus  astronomiae,  Aug. 
Vind.  1491.) 

Pergamo  in  S.  Bartolommeo  di  Pistoia,  opera  dì  Gui- 
do di  Como.  (V.   Tigri,  Guida  di  Pistoia  p.  192.) 

Fiorisce  Bonaggiunta,  della  famiglia  Urbicciani,  da 

Lucca,  notaio  e  poeta,  nelle  cui  rime,  se  manca,  per  giù- 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  T 

dizio  di  Dante,  verità  di  affetti,  pure  si  osserva  gentilezza 
di  eloquio  e  gaietà  d'imagini.    Purff.  xxiv.  20. 

1251,  7  Gen.  Il  popolo  fatto  più  animoso  ne' suoi  divi- 
samenti,  per  la  morte  di  Federigo  IL,  richiama  in  patria  i 
profughi  Guelfi. 

Luglio.  Per  la  divisione  civile  i  Guelfi  pongono  il 

giglio  vermiglio  in  campo  bianco.  Nell'arme  antica  di  Fi- 
renze il  giglio  era  bianco  in  campo  vermiglio.  Par.  xvi.  151. 

1252,  11  re  Corrado,  figliuolo  di  Federigo  II.,  viene  nel 
regno  di  Napoli. 

— -  Contese  de'  Fiorentini  co'  Ghibellini  nel  Mugello 
co'  Senesi  e  Pisani.  —  Viene  edificato  il  ponte  di  S.  Tri- 
nità a  casa  i  Frescobaldi  oltrarno  {G.  Villani,  L.  vi.  e.  51.) 
A  pie'  del  ponte,  sulla  destra  dell'Arno,  v'avea  l'antichis- 
sima statua  di  Marte  ricordata  dal  poeta,  {pietra  scema 
Che  guarda  il  ponte.  Par.  xvi.  145.)  caduta  nel  fiume  nella 
memoranda  piena  del  1.  Nov.  1333.  -  Nel  Nov.  del  1232  bat- 
tuti i  primi  fiorini  d'oro  della  purezza  dì  24  caratti,  con 
l'impronta  del  giglio  da  un  lato,  e  di  S.Giovanni  dall'altro, 
in  memoria,  della  libertà  e  delle  vittorie  ottenute  da' fio- 
rentini. {G.  Villani,  L.  vi.  54.) 

20  Ottobre.  Il  popolo  firentino,  afforzatosi  nelle  case 
degli  Anchioni  di  S.  Lorenzo,  si  leva  a  rumore,  stabilisce 
di  governarsi  per  magistrati  liberamente  eletti  da  lor  me- 
desimi. Per  pubblico  voto  i  magistrati  si  levano  di  carica: 
in  luogo  del  podestà  si  crea  come  magistrato  supremo  un 
capitano  del  popolo  con  36  caporali  e  dodici  anziani.  In 
questa  occasione,  al  dire  degli  antichi  cronisti,  si  fece  il  pri- 
mo popolo,  ossia  il  celo  di  mezzo  si  costituì  cogli  ordini 
della  libertà  democratica.  (  Giov.  Villani,  L  vi.  e.  34,  40.) 

1253,  10  Ottobre.  Napoli  si  arrende  a  Corrado.  I  Fio- 
rentini s' impadroniscono  di  Pistoia  e  vi  rimettono  i  Guelfi. 
Guerra  contro  Siena. 

Il  re  Corrado  fonda  l'Università    di  Salerno.  La 

scuola  medica  Salernitana  aveva  già  acquistato  gran  fama 
fin  da'  tempi  de'  Greci  e  degli  Arabi. 

1254,  21  Maggio.  Morte  del  re  Corrado.  Papa  Innocenzo 
IV.  muore  in  Napoli  il  di  7  Dicembre.  Guerra  con  Man- 
fredi. 


8  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

Poggibonsì  e  Volterra  sono  prese  da' Fiorentini,   » 

quali  si  accordano  con  Pisa,  e  rimettono  i  Ghibellini  in  A- 
rezzo,  cacciati  dal  conte  Guidoguerra  de' Conti  Guidi. 

1256. 1  Frali  Umiliati,  a'quali  l'arte  della  lana  andò  de- 
bitrice della  sua  importanza  industriale,  che  dapprima  avean 
preso  stanza  a  S.  Donato,  fuori  della  città,  poscia  a  S.  Lucia 
sul  Prato,  si  riducono  ad  abitare  stabilmente  il  convento  e 
la  chiesa  d'Ognissanti. 

1258,  Luglio.  Gli  liberti  studiano  a  novità;  ma  il  popolo 
avverso  a' Ghibellini,  corre  a  furore  alle  case  degli  liberti  ; 
atterra  da' fondamenti  tutte  le  torri  e  case  loro;  fa  mozzare 
il  capo  all'abate  di  Yalombrosa,  D.  Tesauro  de' Signori  di 
Beccheria  da  Pavia  (in  piazza  S.  Apolinare,  ora  S.Firenze), 
apponendogli  d'aver  avuto  mano  nella  congiura.  Inferno, 
xxvni.  19. 

11  Agosto.  Manfredi  è  coronato  a  Palermo  re  di 

Sicilia. 

— —  Fra  Guidotto  da  Bologna  {Bono  Giamboni?)  scrìve 
il  libro:  Fiore  di  Uettorica  intitolato  a  re  Manfredi,  re  di 
Sicilia. 

1259.  Manfredi  è  scomunicato  dal  papa  Alessandro  IV. 

12G0,  4  Settembre.  Farinata  degli  liberti,  capo  dei  ghi- 
bellini in  Montaperti,  presso  Arbia,  sconfigge  in  sanguinosa 
battaglia  l'esercito  guelfo,  distrugge  la  rabbia  Fiorentina 
che  superba  era  a  quel  tempo  [Purg.  vi.  112;  Villani,  vi.  80.). 
Bocca  degli  Abati,  giostrando  con  la  lancia  di  Giuda,  tronca 
la  mano  con  cui  Jacopo  de' Pazzi,  capitano  de'cavalieri,  por- 
lava  lo  stendardo  {Inf.xxxn.  80.).  Caduta  l'insegna  per 
terra,  non  vi  fu  più  riparo:  lo  scempio  fu  orribile;  nel  san- 
gue si  saziò  la  lunga  sete  dell'odio,  e  l'Arbia  andò  colorata 
in  rosso.  Il  luogo  infame  per  la  scellerata  carnificina  de'fra- 
lelli  conserva  ancora  una  paurosa  tradizione  de'  terribili 
casi.  [Alto  Vannucci;  Gius.  Porri,  Cronache  della  sconfitta 
di  Montaperti.) 

13  Settembre.  Tulli  i  nobili  e  popolani  colle  loro 

famiglie  partono  dolorosamente,  lasciando  Firenze  facile  pre- 
da a' nemici,  e  si  riparano  a  Lucca  che  sola  rimase  a  parte 
guelfa  in  tutta  Toscana.  Il  co.  Guido  Novello,  il  co.  Gior- 
dano, gli  Alberti  di  Mangona,  gli   Aldobrandeschi    di  S. 


DELLA  VITA  DI  DAME.  5 

Fiora,  gli  Ubaldinì  di  Mugello,  cogli  altri  più  polenti  ghi- 
bellini, raccoltisi  a  parlamento  ad  Empoli,  nell'insolenza 
della  vittoria,  sostennero  si  dovesse  tor  vìa  Fìrenza.  Fari- 
nata degli  Uberli,  colla  spada  nuda  alla  mano,  si  levò  im- 
petuosamente contro  la  scellerata  proposta,  e  difese  la 
patria  a  viso  aperto.  All'ardito  atto  tutti  si  rimasero  dal- 
l'empia sentenza,  e,  per  le  energiche  parole  del  prode  ca- 
valiere, Firenze  fu  salva  {Inf.  x.  91  ;  Villani,  vi.  83.).  In  questa 
congiuntura  Margaritone  manda  in  religioso  dono  di  grati- 
tudine al  cittadino  guerriero  un  Crocifisso  grande,  dipinto 
alla  greca,  come  scrive  il  Vasari,  per  avere  fra  molte  altre 
opere  egregie,  da  soprastante  rovina  e  pericolo  la  sua  pa- 
tria liberato  [i.  104.). 

Fiorisce  Folgore  da  S.  Gemignano.  Fra  le  altre 

rime  compose  due  corone  di  Sonetti,  l'una  sopra  i  mesi 
dell'anno,  e  l'altra  sopra  i  giorni  della  settimana. 

Lemmo  di  Giovanni  d'Orlandi,  da  Pistoia,  poeta. 

Nasce  in  Padova  Albertino  Mussato,  autore  del- 
l'//«form  Augusta,  che  contiene  la  storia  di  Arrigo  YII.  e 
de' suoi  tempi,  e  deW  Historia  de  geslis  Italicorum,  scfitiOTe 
d'una  tragedia  intitolata  Ezzelino,  che  destò  tale  entusia- 
smo a  Padova,  che  venne  incoronato.  {\.  Eìniliani  Giudici, 
Storia  della  Let.  It.;  Dott.  Filippo  Zamboni  ecc.) 

Nicolò   Pisano    fa    il   Pergamo   del   Battistero   di 

Pisa. 

1260.  Morte  di  Accorso,  autore  della  celebre  Chiosa,  ri- 
cevuta con  tanto  plauso  dai  più  famosi  giuristi,  e  tenuta 
come  seconda  regola  del  diritto  civile.  Era  nato  in  Bagno- 
lo, a  cinque  miglia  da  Firenze,  il  1182.  Fu  padre  di  Fran- 
cesco, morto  nel  1293,  cui  Dante  pose  nell'  Inferno  fra  i  rei 
di  laide  colpe,  (xv.  110.). 

1261.  Manfredi  dà  Costanza  al  principe  Pietro  d'Aragona. 
Piirg.  VII.  129. 

Origine  de'  frali  Gaudenti  di  Bologna. 

Nicolò  Pisano  fa  l'arco  di  S.  Domenico  in  Bologna. 

1262. 1  Guelfi  fuoruscili,  sconfìtti  dal  co.  Guido,  si  rico- 
verano a  Bologna  dopo  un  accordo. 

1263.  Carlo  d' Angiò  chiamato  da  Urbano  IV.  contro 
Manfredi. 


IO  SPECCUIO  CRONOLOGICO 

Lucca,  e  lutto  il  resto  della  Toscana;  addivengono 

Ghibellini. 

Facciata  di  S.  Pietro  in  Pistoia,  con  disegno  gotico 

antico.  (  Tifivi,  Guida  di  Pistoia,  p.  187.  ) 

1264.  Muore  Farinata  degl' liberti. 

Nascita  di  Francesco  da  Barberino  in  Yaldelsa.  Nel 

1290  cominciò  la  sua  opera  dei  Documenti  d' Amore,  in  cui 
trattò  della  natura  d' amore  secondo  che  a  virtù  o  a  vizio 
s' accosta,  e  dei  costumi  che  a  comporre  vita  onesta  e  mo- 
desta si  addicono.  Scrisse  pure  in  versi  misti  a  novellette 
di  leggiadra  prosa  i  Costumi  e  il  Reggimento  delle  Donne, 
opera  in  cui  parlava  alle  mercantesse  di  Firenze  dei  co- 
slumi  delle  regine  e  delle  donne  di  ogni  grado. 

1265.  Dante,  là  in  cielo,  tra  la  gioia  dei  santi,  e  l' armo- 
nia delle  sfere,  tesse  la  sua  genealogia  :  ei  fa  parlare  al  suo 
tritavo  Cacciaguida: 

Benedetto  sie  tu,  fu,  trino  ed  uno, 
Che  nel  mio  seme  se' tanto  cortese... 

0  fronda  mia,  in  che  io  corapiacemmi 
Pure  aspettando,  io  fui  la  tua  radice: 
Cotal  principio,  rispondendo,  femmi. 

Poscia  mi  disse:  Quei,  da  cui  si  dice 
Tua  cognazione... 
Mio  figlio  fu,  e  tuo  bisavo  fue.  Par.  xv.  47-88. 

A  così  riposato,  a  così  bello 
Viver  di  cittadini,  a  così  fida 
Cittadinanza,  a  così  dolce  ostello. 

Maria  mi  die,  chiamata  in  alte  grida, 
E  neir  antico  vostro  Battisteo, 
Insieme  fui  Cristiano  e  Cacciaguida. 

Moronto  fu  mio  frate  ed  Eliseo; 
Mia  donna  venne  a  me  di  vai  di  Pado, 
E  quindi  il  soprannome  tuo  si  feo. 

Poi  seguitai  lo  iraperador  Currado, 
Ed  ei  mi  cinse  della  sua  milizia. 
Tanto  per  bene  oprar  gli  venni  in  grado. 

Dietro  gli  andai  incontro  alla  nequizia 
Di  quella  legge,  il  cui  popolo  usurpa, 
Per  colpa  del  Pastor,  vostra  giustizia. 

Quivi  fu'  io  da  quella  gente  turpa 
Disviluppato  dal  mondo  fallace. 
Il  cui  amor  molte  anime  deturpa, 

E  venni  dal  martirio  a  questa  pace.  Par.  xv.  130. 
Cacciaguida  degli  Elisei,  che  nacque  il  1106,  avea  preso 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  11 

in  moglie  una  donzella  naia  degli  Aldìghleri  di  Ferrara,  per 
bellezza  e  per  costumi  come  per  nobiltà  di  sangue  pregia- 
ta. Avuto  da  essa  un  figlio,  e  ad  onore  di  essa  nominatolo 
Aldigliiero,  i  suoi  discendenti  presero  il  nome  da  lui  e  si 
chiamarono  Aldìghieri:  comecché  il  vocabolo  poi,  per  de- 
trazione di  questa  lettera  d  corrotto  rimanesse  Allighieri 
[Boc.  Vita  di  Dante).  Di  Allighieri  I,  venne  Bellincione,  da 
Bellincione  Allighieri  II,  maritatosi  da  prima  in  Lapa  Cia- 
luffi,  poi  in  Donna  Bella,  onde  il  nostro  poeta.  Gli  Allighieri 
avevano  per  arme  uno  scudo  diviso  pel  mezzo  in  diritto, 
parte  d'oro  e  parte  nero,  e  tagliato  pel  traverso  piano  da 
una  fascia  bianca. 

Le  case  degli  Allighieri  (che  più  ne  possedevano)  resta- 
vano nel  centro  della  città  e  nel  sesto  di  Por' San  Piero: 
di  fronte  guardavano  la  piazzetta  di  S.  Martino  del  Vesco- 
vo, e,  piegando  a  sinistra,  giugnevano  fino  alla  piazzetta 
de' Giuochi:  a  tergo  rispondevano  sulla  piazza  de' Donati, 
detta  oggi  della  Rena.  Quella  che  dì  recente  si  è  chiamata 
la  casa  di  Dante,  ed  a  cui  venne  apposta  l'Iscrizione:  in 
questa  casa  degli  Allighieri  nacque  il  divino  poeta,  e  che 
resta  di  contro  al  fianco  settentrionale  della  torre  di  Badia, 
e  guarda  quasi  diritto  la  via  de' Magazzini,  non  è  che  una 
di  esse;  ma  il  dir  che  in  quella  appunto  venisse  alla  luce 
il  divino  poeta,  è  un  dir  cosa  non  molto  probabile,  essendo 
essa  la  più  meschina  delle  circostanti,  le  quali  pure  agli 
Allighieri  appartenevano.  Il  Municipio  fiorentino  (Maggio, 
1864.)  incaricava  il  cav.  av.  Emilio  Frullani,  di  fare  le  ne- 
cessarie investigazioni  storiche  dalle  quali  si  possa  con- 
chiudere con  sufiiciente  certezza  l'autenticità  della  vera  casa 
abitata  dall'Allighieri,  per  poi  trattarne  l'acquisto.  Il  Frul- 
lani si  associava  per  le  dette  ricerche  il  signor  G.  Gargani. 
Gli  Allighieri  avevano  delle  possessioni  in  Camerata,  un 
miglio  distante  dalla  porta  a  Pinti,  per  andare  direttamente 
a  Fiesole  (oggi  del  cav.  Guido  Giuntini),  nella  Piaggentina 
0  nel  popolo  di  S.  Ambrogio,  a  S.  Miniato  a  Pagnolle,  e  iu 
piano  di  Ripoli,  luoghi  tutti  vicini  alla  città. 

È  una  tradizione  popolare  che  Dante,  quando  stava  in 
Firenze,  si  recasse  le  sere  della  calda  stagione  sulla  piazza 
di  santa  Maria  del  Fiore,  detta  allora  santa  Reparata,  a  pren- 


12  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

dervì  il  fresco,  assìdendosi  sopra  un  miiricciuolo  in  quel  pun- 
to, ove,  non  ha  molto,  fu  collocata  una  memoria,  che  dice: 
Sasso  di  Dante: 

Gli  antichi  miei,  ed  io  nacqui  nel  loco 
Dove  si  trova  pria  1'  ultimo  sesto 
Da  quel  che  corre  il  vostro  annual  giuoco.  Par.  xvi.  40. 

1263,  14  Maggio.  Nacque  questo  singolare  splendore  ita- 
lico nella  nostra  città,  vacante  il  romano  imperlo  per  la 
morte  di  Federigo  II,  negli  anni  della  salutifera  incarnazione 
dell'universo  MCCLXY,  sedente  papa  Urbano  IV  nella  cat- 
tedra di  San  Pietro.  {Boccaccio,  Vita  di  Dante,  p.  8.  )  — 
Dante,  non  iscevro  delle  credenze  astronomiche,  attribuisce 
all'influsso  della  costellazione  dei  Gemini  il  sortito  ingegno: 

0  gloriose  stelle,  o  lume  pregno 
Di  gran  virtù,  dal  quale  io  riconosco 
Tutto,  qual  che  si  sia,  il  mio  ingegno; 

Con  voi  nasceva,  e  s'ascondeva  vosco 
Quegli  eh' è  padre  d'ogni  mortai  vita, 
Quand'  io  senti'  da  prima  l'aer  tosco.  Par.  xxii.  112. 

E  Brunetto  Latini,  dalla  stella  che  potè  sul  suo  nascere, 
gli  predice: 

Se  tu  segui  tua  stella, 
Non  puoi  fallire  a  gloriosa  porto.  Inf.  xv.  53. 

Dante  pregiavasi  di  essere  di  famiglia  nobile,  e  veramente 
credevasi  discendere  da  uno  di  quei  Romani  che  coloniz- 
zarono Firenze,  firilia  primogenita  di  Roma.  Inf.  xv.  77. 
Di  quei  Roman,  che  vi  rimaser,  quando 
Fu  fatto  il  nido  di  malizia  tanta. 

Tutti  i  maggiori  di  Dante  furono  Guelfi;  e  per  tali  due 
volte  cacciati  dal  Ghibellini.  Un  Brunetto  Allighieri,  zio  di 
Dante,  Irovossi  alla  battaglia  di  Montaperti,  ove  tenne  un 
posto  assai  distinto,  poiché  era  una  delle  guardie  del  Car- 
roccio. Inf.  X.  46. 

Fu  battezzato  in  S.  Giovanni  di  Firenze,  eh'  ei  chia- 
ma il  mio  bel  San  Giovanni.  Inf.  xix.  17. 

Ed  ei  vi  voleva  prendere  la  corona  di  alloro  di  poeta 
In  sul  fonte 
Del  mio  battesmo  prenderò  il  cappello.  Par.xw.S. 

Fra  Nicola  Pisano,  con  fra  Guglielmo  da  Pisa,  scol- 

pUce  l'Arca  di  S.  Domenico  in  Bologna. 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  13 

1266,  26  Feb.  Battaglia  di  Benevento.  Manfredi  è  tradito 
dai  Baroni  pugliesi:  sdegnando  di  sopravvivere  alla  scon- 
fitta, si  lancia  ove  più  ardente  la  zuffa,  e  rimane  sul  cam- 
po con  la  persona  rotta  da  due  ferite  mortali.  —  Fra  mille 
cadaveri,  trovato  il  suo,  gli  alzarono  i  soldati  nemici  una 
mora  di  sassi.  Ma  poi  le  diseppellite  ossa  furono  trasportate 
lungo  il  fiume  Verde.  {G.  Villani,  L.  lvjii.  c.  9.)  Inf.  xxviii. 
15;  Pvrg.m.  105-130. 

Aprile.  Nascita  di  Beatrice  da  Folco  di  Ricovero 

Porti  nari,  e  da  Gilia  di  Gherardo  Caponsacchi.  Par.  xvi. 
121.  I  Portinari  restavano  poc' oltre  di  50  passi  lontano 
dagli  Allighieri,  ed  abitavano  dov'è  ora  il  palazzo  Riccardi, 
già  Salviati,  (oggi  da  Cepparello)  airestremità  di  via  del 
Corso,  presso  il  canto  de'  Pazzi.  La  loro  arme  faceva  una 
porta  con  due  leoni  rampanti. 

— —  Lodaringo,  o  Roderigo  di  Landolo,  e  Catalano  di* 
di  Malevolti,  due  frati  Gaudenti,  corrotti  da'  Guelfi,  turba- 
rono la  pace,  cacciando  e  perseguitando  i  Ghibellini,  ed 
ardendo  le  case  loro,  e  segnatamente  quelle  degli  liberti, 
ch'erano  nel  Gardingo,  del  qual  nome  si  chiamava  una 
contrada  presso  Palazzo  vecchio.  {Villani,L. yiuli) Inf.  xxiii. 
105. 

Di  questo  partito  fu  consigliere  Giovanni  Soldanìeri, 

che  tradì  i  suoi  Ghibellini,  e  li  fece  cacciare  con  Farina- 
ta, e  fu  capo  al  governo  novello.  [Villani,  L.\ii.  e.  74)  Inf. 
XXVII.  121. 

Per  la  sconfitta  e  morte  di  re  Manfredi,   i  Guelfi, 

dopo  la  seconda  cacciata,  tornano  di  bel  nuovo  in  Firenze 
[Villani,  L.  VII.  e.  15.  ):  i  Ghibellini,  quantunque  rassicurati 
che  non  verrebbe  loro  alcun  male,  se  ne  fuggono  per  paura. 
Toscana  tutta,  meno  Pisa  e  Siena,  si  volge  allora  a  parte 
guelfa,  come  prima  della  battaglia  di  Monlaperti  era  tutta 
ghibellina.  [Villani,  L.  vii.  e.  20.)  /«/.  x.  50. 

-- —  I  Domenicani  di  Bologna  fermano  di  erigere  al 
Santo  fondatore  del  loro  instituto  tal  monumento  che  l'Italia 
non  avesse  pari  in  quel  tempo.  Ad  opera  tanto  grande  in- 
vitano Nicolò  Pisano  e  fra  Guglielmo  da  Pisa.  (V.  P.  Marchese. 
Memorie,  ecc.  i.  73.) 

- —  29.  Seti.  Nicola  Pisano,  di  Bologna  si  conduce   in 


14  SPECCHIO  CROKOLOGICO 

patria,  e  con  frale  Melano,  cistcrciense,  ferma  il  contralto  di 
scolpire  il  pulpito  del  Duomo  di  Siena,  con  obbligo  di  con- 
durlo a  termine  in  un  sol  anno,  siccome  fece. 

1267, 16,17  Aprile.  De' Ghibellini  cacciati  in  questo  torno, 
al  venir  di  Guidoguerra,  mendatovi  da  Carlo  d'Angiò,  nes- 
suno ne  tornò  per  allora,  ma  taluni  nel  Feb.  del  1208,  ad 
intercessione  del  legato  Apostolico.  {Yillani,  lib.  7.  cap.  15) 
Inf.  X.  51. 

Dà  lutti  i  perdoni  concessi  a'  Ghibellini,  gli  liberti 

venivano  esclusi.  Inf.  x.  83. 

Agosto.    Venuta  di  re  Carlo  in  Toscana.    Guerra 

contro  Siena. 

1268, 23.  Agosto,  Corradino,  figliuolo  di  Corrado,  nipote 
di  Federigo  II,  nel  plano  di  Tagliacozzo  viene  alle  mani 
con  Carlo  d'Angiò.  Dapprima  vincitore,  e  poi  vinto  dagli 
scaltrimenti,  e  preso  nella  fuga,  il  nobile  giovinetto,  per 
sentenza  di  giudici  iniqui,  a'  29  Ottobre  ebbe  mozza  la  te- 
sta, e  in  lui  finì  la  casa  di  Svevia.  Jnf.  xxviii.  16;  Purg. 
XX.  67.  [G.  Villani,  vii.  26,  28,  29;  mcolini.  Storia  della 
Casa  di  Svevia;  Canto  in  morte  di  Corradino). 

Guerra  contro  Pisa,  e  presa  di  Porto  Pisano,  e  del 

castello  di  Motrone. 

Matteo  Spinello,   da    Giovinazzo,  termina  la   sua 

storia  intitolata  i  Diurnali,  ossia  Giornali,  nella  quale  narra 
i  fatti  accaduti  nel  regno  di  Napoli  dal  1247,  quando  l'au- 
tore era  in  età  di  17  anni,  fino  al  1268;  storia  preziosa  per 
essere  la  prima  Cronaca  italiana. 

Fiorisce  Jacopo,   detto  Lapo   degli  liberti,   iìglio 

del  famoso  Farinata,  poeta  tiorentlno. 

1269,  Giugno.  Disfatta  che  i  Senesi  e  gli  altri  Ghibellini, 
guidali  da  Provenzauo  Salvani,  e  dal  co.  Guido  Novello, 
toccarono  dai  fiorentini,  presso  Colle  di  Yaldelsa.  [Villani, 
L.  VII.  e.  31.)  Purg.  XI.  120;  xui.  Ilo. 

1270.  Gino  da  Pistoia  (Guittoncino  ùq'  Sinibuldi,  de' 67- 
gibuldi,  ed  anche  de'  Sigishuldi),  amicissimo  di  Dante,  e  da 
lui  inlitolato  il  Cantor  dell'Amore,  autore  del  Comento  del 
Codice  e  del   Trattato  delle  Successioni.  De  Vulg.  FA.  ii.  2. 

Nell'anno  stesso  Guido  di  Monforte  uccide  nella 

chiesa  di  Viterbo  Enrico,  figlio  di  Riccardo,  re  de'  Romani, 


DELLA  VITA  DI  DAME.  15 

e  nipote  di  Enrico  III,  re  d'Inghilterra.  [Villani,  L.!.  e.  39) 
Inf.  XII.  118. 

1271.  Gregorio  X  eletto  papa. 

1272.  Morte  di  Enrico  III,  re  d' Inghilterra,  al  quale 
succede  Odoardo  \.  Purg.  vii.  130;  Par.  xix.  121. 

1273, 22.  Lug.  Gregorio  X,  nel  recarsi  al  Concilio  di  Leone, 
passa  per  Firenze:  vi  si  trovavano  pure  Carlo  d'Angiò  e 
Baldovino  II  cacciato  da  Costantinopoli.  In  quest'occasione 
il  Papa  convoca  i  Sindaci  dei  Guelfi  e  dei  Ghibellini,  li 
astringe  al  bacio  di  pace,  fulmina  la  scomunica  contro  chi 
la  rompesse,  e  a  memoria  del  fatto  volle  si  fondasse  una 
Chiesa  di  cui  egli  pose  la  prima  pietra,  che  si  chiamò  San 
Gregorio  della  Pace.  Ma  la  pace  non  durò  che  quattro 
giorni  :  il  papa  sdegnato  si  ritirò  in  Mugello,  presso  il  Card. 
Ubaldini,  e  lasciò  la  città  interdetta.  Fu  ribenedetta  nel 
1276  da  Innocenzo  Y. 

Rodolfo  d'Absburgo,  fondatore  della  grandezza  della 

casa  d'Austria,  eletto  imperatore  di  Germania.  Purg.  vii. 
94  ;  Conv.  iv.  3. 

Per  pacierìa  di  papa  Gregorio  X,  riammessi  gli 

esuli  ghibellini,  ricacciati  dipoi  nel  1275,  e  ritornativi 
nel  1279. 

1274,  7.  Marzo.  Morte  di  S.Tomaso  d'Aquino  in  Fossa- 
nuova,  nel  napoletano,  teologo  impareggiabile,  di  erudizione 
smisurata,  di  liberi  pensamesiti,  politico  sommo  per  quella 
età.  Gravi  autorità  portano  eh'  un  medico  di  Carlo  d'Angiò 
gli  propinasse  il  veleno  [Purg.  xx.  69.),  per  disfarsi  di  quel 
potentissimo  ingegno  che  il  nimicava  per  abborrimento 
della  pessima  signoria;  e  nel  suo  libro  del  governo  dei 
principi,  quantunque  partigiano  della  monarchia,  avea  sfol- 
gorato con  le  più  fiere  invettive  la  tirannide  d'un  solo,  e 
fattone  uno  specchio,  nel  quale  Carlo  potea  guardarsi  e 
riconoscere  le  sue  sembianze.  Par.  x.  98;  xii.  110. 

1  Maggio.  ?sove  giri  di  sole  eransi  compiuti,  quan- 

d'ei  cominciò  la  vita  d'amore.  Beatrice  era  ,in  età  d'otto 
anni  e  quattro  mesi.  «  Nove  fiate  già,  appresso  al  mio  nasci- 
mento, era  tornato  lo  cielo  della  luce  quasi  ad  un  mede- 
simo punto,  quanto  alla  sua  propria  girazione,  quando  alli 
miei  occhi  apparve  prima  la  gloriosa  donna  della  mia  mente, 


16  DELLA  VITA  DI  DAME. 

la  quale  fu  chiamata  da  molli  Beatrice,  1  quali  non  sapeano 
che  si  chiamare.  Ella  era  già  in  questa  vita  stala  tanto,  che 
nel  suo  tempo  lo  cielo  stellato  era  mosso  verso  la  parte  d'o- 
riente delle  dodici  parti  l'una  d'un  grado:  sì  che  quasi  dal 
principio  del  suo  anno  nono  apparve  a  me,  ed  io  la  vidi 
quasi  alla  fine  del  mio  nono  anno.  Ella  apparvemì  vestita  di 
nobilissimo  colore,  umile  ed  onesto,  sanguigno,  cinta  ed 
ornata  alla  guisa  che  alla  sua  giovanissima  elade  si  conve- 
nìa...  D'allora  innanzi  Amore  signoreggiò  l'anima  mia,  la 
quale  fu  tosto  a  lui  disposata...  Egli  mi  comandava  molte 
volte,  eh' io  cercassi  per  vedere  quesl'angiola  giovanissima: 
ond'io  nella  mia  puerizia  molto  fiate  l'andai  cercando.... 
Vita  N.  §.  II.  Eì  fu  suo  tostamente  dalla  sua  puerizia.  Id.  %.  xu. 

Io  sono  stato  con  amore  insieme 
Dalla  circulazion  del  sol  mia  ìiona...  Son.yi.  ediz.Uiul. 

Lo  giorno  che  costei  nel  mondo  venne ,. 
La  mia  persona  parvola  sostenne 
Una  passion  nuova.  Cam.  ni.  S. 

Tosto  che  nella  vista  mi  percosse 
L'alta  virtù,  che  già  m'avea  trafitto 
Prima  eh'  io  fuor  di  puerizia  fosse.  Purg.  xxx.  47. 
Tosto  fu  vostro,  e  mai  non  s'è  smagato.  Ballata  m. 
13.  Lug.  Morte  di  S.Bonaventura  di  Bagnorrea,  teo- 
logo e  filosofo  sommo,  alta  gloria  immortale  della  scienza, 
altamente  pure  da  Dante  celebrato. 

1275.  Pier  della  Broccia,  fatto  morire  da  Filippo  Bello, 
di  Francia,  di  cui  era  segretario.  Purg.  vi.  19. 

— —  Michele  Zanche,  ucciso  a  tradimento  da  Branca 
d'Oria,  suo  genero,  per  occupare  in  sua  vece  il  giudicalo 
di  Logodoro  in  Sardegna,  in/",  xxii.  88;  xxxiii.  lU. 

1276.  Morte  di  Guido  Guinicelli,  nobile  bolognese,  il 
padre  dell'italica  letteratura,  il  massimo  fra  i  poeti  che 
prima  di  Dante  scrissero  in  lingua  volgare.  Purg.xxw.^^. 

Papa  Gregorio  X  muore  in  Arezzo. 

Guglielmo  da  Pisa,  domenicano,  scolpisce  in  Pistoia 

il  Pergamo  di  S.  Giovanni  evangelista,  Forcivita. 

Gioito  di  Bondone  nasce  a  Colle  di  Yespignano. 

Purg.  XI.  94. 

1277.  Mausoleo  di  Papa  Gregorio  X  nel  duomo  di  Arezzo, 
opera  di  Margaritone  Aretino. 


DELLA  VITA  DI  DAME.  17 

Morie  di  Papa  Adriano  Y.  Purg.  xix.  99. 

1277.  Elezione  di  Nicolò  III,  Giovanni  Gaelani,  di  casa 
dogli  Orsini.  [Villani,  L.  vii.  e.  54.)  in/",  xix.  31. 

1278.  Morie  di  OUoearo,  re  di  Boemia.  Purg.  vii.  57. 
Discordie  Ira  gli  Adìmari  conlro  i  Donali,  i  Tosin- 

gbi  e  i  'Pazzi. 

Morie  di  Nicola  Pisano,  il  quale  ridusse  l'archi  let- 
tura, secondo  il  Ticozzl,  se  non  agli  antichi  ordini,  a  più 
grandiosa  maniera,  e  la  scultura  richiamò  prima  d'ogni 
altro  a  nuova  vita,  onde  meritò  d'essere  riguardato  come 
padre  dell'arte  dopo  i  tempi  della  gotica  barbarie. 

Volgarizzamento  dei  Trattati  di  Albertano  Giudice, 

bresciano,  per  Sofi're  di  del  Grazia,  notaio  pisloiese. 

Fontana  grande  in  Perugia.  1  rilievi  sono  di  Gio- 
vanni Pisano  e  di  Arnolfo.  Le  ligure  in  bronzo  e  la  conca 
forono  fuse  da  maestro  Rosso. 

Giovanni  Pisano  pone  mano  all'erezione  del  Cam- 
posanto di  Pisa.  (A.  D.  MCGLXXYIII,  tempore  Domini  Fri- 
derici.  Archiepiscopi  pisani,  et  Domini  Tarlati  poteslatis, 
operarlo  Orlando  Sardella,  Johanne  Magistro  aedificanie.) 

8  Oli.  Ribollendo  tuttavia  gii  sdegni  per  le  antiche  e 

le  nuove  offese  fra  i  Guelfi  e  i  Ghibellini,  giunge  nunzio  di 
pace  il  cardinale  Ialino  Malabranca,  de'  Predicatori,  legato 
di  Nicolò  III.  E  tanto  polè  la  sua  parola,  tanlo  la  sua  carità, 
che  ne'  feroci  pelli,  albergo  di  odii  crudeli,  scese  il  con- 
forlo  dell'  amore  e  della  pace,  e  amiche  si  congiunsero  quelle 
destre  che  ancor  rosseggiavano  di  sangue  cittadino.  [Villani, 
L.  VII.  e.  5G;  P.  Marchese,  Scritli  vari,  p.  21.) 

18  Oltob.  Frate  Latino  card.  Malabranca  fondò  e 

benedisse  la  prima  pietra  della  Chiesa  di  S.  M.  Novella  de' 
frati  Predicatori.  Ne  furono  architelti  i  due  conversi  dome- 
nicani Fra  Sisto  e  Fra  Ristoro. 

1279.  Primo  anno  del  regno  di  Dionisi  li  in  Portogallo, 
/^ar.  XIX.  139. 

Morte  di  Alberto  il  Grande,  dello  dall'  Ozanam, 

atlante  che  portò  sulla  sua  testa  il  mondo  intiero  della 
scienza,  e  non  vi  si  piegò  sotto,  e  che  fece  maravigliare  di 
sé  le  genti.  Par.  x.  98. 

Dante  per  salvare  un  garzonello  de'  CaviciuUi  nel 

VOL.  II.  2 


18  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

fonte  battesimale,  rompea  uno  degli  stalli  de'  battezzatori. 
Non  essendovi  alcun  testimonio  del  fatto,  ne  avvenne  che 
da  qualche  maligno  inimico  fosse  interpretato  a  sacrilegio 
queir  atto  che  a  carità  del  prossimo  si  dovea  attribuire  ; 
ond'  egli  se  ne  scolpa. 

Non  mi  parén  meno  ampi  né  maggiori, 
Che  quei  che  son  nei  mio  bel  San  Giovanni 
Fatti  per  luogo  de'  battezzatori  ; 

L'  un  degli  quali,  ancor  non  è  molt'  anni, 
Rupp'  io  per  un  che  dentro  v'annegava: 
E  questo  sia  suggel  eh'  ogni  uomo  sganni.  Inf.  xix.  1(5. 

Mastro  Adamo  di  Brescia,  falsatore  de'  fiorini  d'oro, 

vien  arso  vìvo.  11  supplizio  fu  eseguito  lungo  la  via  che 
da  Firenze  conduce  a  Romena.  Inf.  xxx.  63. 

1281,  22  Feb.  Il  cardinale  Simone,  già  canonico  di  Tours, 
nativo  di  Moncipè  nella  Brie  in  Francia,  vien  nominato 
Pontefice,  col  nome  di  Martino  IV.  Pur(j.  xxiv.  22. 

19  Agosto.  Morte  di  ISicolò  III,   di  casa  Orsini. 

{Villani,  L.  vu.  e.  58.) 

Ricordano  Malespini,  forse  il  primo  che  incominciò 

a  registrare  gli  avvenimenti  della  città  di  Firenze,  continuò 
la  sua  cronaca  fino  a  quest'anno,  in  cui  morì;  e  quindi 
Giannotto  di  Francesco,  fratello  di  Ricordano  Malaspini,  con- 
tinuolla  fino  al  1286. 

Morte  di  Sordello,  mantovano.  Purg-  vi.  58. 

I  Francesi,   rotti  pure  nello  stesso  anno  presso  a 

Forlì,  dal  Co.  Guido  di  Montefeltro.  Inf.  xxvii.  43. 

1282,  31  Marzo.  Yesperi  siciliani.  Dante  in  tre  versi  ci 
ritrae  compiutamente  il  Yespero.  E  il  poeta  non  solo  trat- 
teggiò la  causa,  ma  ancora  una  delle  circostanze  più  se- 
gnalate del  tumulto,  che  fu  il  perpetuo  grido  :  «  Muoiano  t 
Francesi,  muoiano  i  Francesi  !  »  Onde,  dice  l'Amari,  que'  tre 
versi  resteranno  per  sempre  come  la  più  forte,  precisa 
e  fedele  dipintura,  che  ingegno  d'uomo  far  potesse  del 
Yespero  Siciliano. 

Se  mala  signoria,  che  sempre  accora 
Li  popoli  suggetti,  non  avesse 
Mosso  Palermo  a  gridar:  Mora,  mora.  Par.  yiu.  73. 

[Ariosto,  xxxiii.  20;  Nicollni,  Giov.  da  Procida;  Michele  A- 
mari,  e.  vi.,  Guerra  del  Yespero  Siciliano). 


DELLA  DI  VITA  DAME.  19 

1*282,  lo  Giugno.  Il  popolo  di  Firenze  sì  solleva  contro 
ì  XIV  Signori:  Inslituita  invece  la  Signoria  dei  Priori,  che 
da  prima  fiiron  Ire,  poi  crebbero  a  sei.  Da  principio  ebbero 
l'onore  di  dare  i  Capi  allo  sialo  tre  sole  arti,  poi  sei  delle 
maggiori,  cioè  un  Priore  per  sestiere,  escludendo  l'arte  dei 
Giudici  e  iNolai  che  per  sua  natura  era  già  addetta  all'am- 
ministrazion  governativa.  Niuno  polea  entrare  in  Ufficio  se 
pure  non  era  ascritto  ad  una  delle  sei  arti.  Il  titolo  di 
Grande  era  un  gastigo  che  si  dava  col  nome  d'ammoni- 
zione, per  la  quale  i  cittadini  dichiarati  Grandi  si  venivano 
a  privare  d'ogni  uffizio  nella  città.  {Dino  Compagni,  i;  Yil- 
lani,  L.  VII.  e.  79.) 

Pensando  l'Allighieri  al  dolcissimo  saluto  di  Beatri- 
ce, nove  anni  dopo  che  la  vide,  fu  sopraggiunto  da  un 
soave  sonno,  nel  quale  egli  ebbe  una  mirabile  visione. 
Svegliatosi,  si  propose  di  scrìvere  un  Sonetto,  in  cui  trat- 
tare di  quelle  cose  che  gli  era  sembrato  di  vedere,  e  quindi 
indirizzarlo  ai  più  famosi  poeti  del  suo  tempo,  perchè  gliene 
dessero  la  loro  opinione.  È  il  primo  Sonetto  per  lui  com- 
posto, e  comincia:  A  ciascun' alma  presa,  e  rjentìl  core.  Oltre 
Gino  da  Pistoia  e  Dante  da  Maiano,  gli  rispose  Guido  Caval- 
canti, e  ne  seguì  una  dolcissima  amicizia.  Nella  Vita  Nuova 
intitola  Guido  il  primo  degli  amici  suoi.  V.  Nuova  §  3. 

1284.  Arnolfo  costruisce  la  Loggia  sopra  la  piazza  dì  Orto 
S.  Michele. 

5  Giug.  Rotta  dì  Carlo  d'Angiò,   e  sua  prigionia; 

assalito  da  Ruggiero  di  Lauria,  ammiraglio  di  Pietro  III 
d'Aragona.  {Villani,  L.  vii.  93.)  Purg.  xx.  79. 

6  Agosto.  Famosa  rotta  de' Pisani  alla  Meloria,  la 

maggior  battaglia  navale  del  medio  evo,  dalla  quale  in  poi 
precipitò,  senza  rialzarsi  più  mai,  la  potenza  pisana.  Passò 
questa  allora  in  mare  alla  vincitrice  Genova,  antica  emula 
sua.  (  Villani,  L.  vii.  c.  92.) 

Morte  di  Filippo  III,  Nasello,  di  Francia,  e  principio 

del  regno  di  Filippo  il  Bello.  Morte  di  Pietro  III  d'Aragona. 
Piirg.  VII.  103. 

Giovanni  Pisano  lavora  nel  duomo  di  Siena. 

1285,  Marzo.  Morte  di  Papa  Martino  lY,  avvenuta  in  Pe- 
rugia [Purg.  XXIV.  22.),  ed  elezione  a  papa  di  Onorio  IV, 


20  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

(Iella  casa  de'  Savelli  {Villani,  L.  vi.  e.  107.),  che  muore  a'  3 
Aprile  1287  {id.  e.  113.). 

Enrico  II  regna  in  Cipro.  Par.  xix.  145. 

Il  Comune  decreta  un  nuovo  ingrandimenlo  delle 

mura  della  città,  e  ne  commette  la  cura  ad  Arnolfo.  La  co- 
struzione delle  mura  non  si  cominciò  propriamente  che  nel 
1299,  movendo  dalla  Porta  al  Prato,  e  vennero  incoronate 
di  sessantotto  torri.  L' Architetto,  con  provisione  del  1 
Aprile  1300,  fu  fatto  franco  da  qualunque  gravezza  citta- 
dina. 11  primo  ampliamento,  descrittoci  da  Ricordano  Male- 
spini  e.  Lxvi.,  era  stato  fatto  nel  1078.  Dal  Duomo  alla  Badia 
(fondata  nel  978  dalla  Cont.  Willa,  figliuola  di  Bonifazio, 
Marchese  di  Toscana)  prendevano  le  prime  mura  della  città  : 
Fiorenza,  dentro  alla  cerchia  antica 
Ond'  ella  toglie  ancora  e  terza  e  nona.  Par.  xv.  97. 
Allo  stremo  della  via  Calzaiuoli,  presso  a  S.  Maria  del  Fio- 
re, venne  murata  questa  iscrizione:  -  Che  da  mezzogiorno 
a  ponente  -  Qui  volgesse  il  primo  cerchio  delle  mura  di  Fi- 
renze -  Le  fondamenta  ritrovate  -  Confermano.  -  ISel  picciol 
cerchio  s'entrava  per  la  porta  che  nomavasi  per  quei  della 
Pera.  Par.  xvi.  104.  (presso  piazza  S.  Firenze).  Lo  spazio  che 
occupava  Firenze  nel  tempo  antico  da  settentrione  a  mezzodì 
era  dal  Ponte  vecchio,  dove  v'avea  un'antica  statua  di 
Marte  sopra  Arno  [la  pietra  scema)  e  il  Battistero;  tra 
Marte  il  Battista.  Par.  xvi.  40. 

Finisce  la  Storia  napoletana  di  Saba  Malaspina, 

romano,  segretario  di  papa  Martino  IV,  istorico  prestantis- 
simo, secondo  i  suoi  tempi.  La  prima  parte  giugno  fino  al 
1275,  e  fu  pubblicata,  tra  gli  altri,  dal  Muratori  [Rer.llal. 
Script,  t.  vili.),  e  la  continuazione  infino  al  1285,  impor- 
tantissima per  la  Sicilia,  data  in  luce  dal  Di  Gregorio  [Bibl. 
Arag.X.U.) 

Salvino  d'Armato  degli  Armati,  Firentino,  inventò 

gli  occhiali.  M.  nel  1317,  e  fu  sepolto  in  S.  Maria  Maggiore. 

1286.  Altare  maggiore  del  Duomo  di  Arezzo  fatto  da 
Giovanni  Pisano. 

1287,  Gennajo.  Beatrice  va  a  sposa  di  messer  Simeone 
de' Bardi, 

Guglielmino  di  Ubertino  de' Pazzi,  vescovo  di  Arezzo, 


DELLA  VITA  DI  DAME.  21 

ritolta  a  forza  quella  città  alla  parto  guelfa,  la  annoda  alla 
federazione  ghibellina,  e  muore  dipoi  combattendo  per  l' im- 
pero nella  fatale  giornata  di  Gampaldino. 

20  Maggio.  11  partito  ghibellino   si  rinforza  ad  A- 

rezzo.  I  guelfi  firentini  giungono  lino  alle  porte  di  quella 
città,  ma  mentre  si  tornano  a  Firenze,  cadono  in  un'ag- 
guato leso  loro  dagl'Aretini  presso  la  Pieve  del  Toppo,  e 
molti  ne  rimangono  uccisi.  {Villani,  L.  vii.  e.  120.)  hf.  xui, 
121.  Sembra  che  Dante  prendesse  parte  in  queste  fazioni 
del  contado  Aretino.  Inf.  xxii.  1. 

11  Comune  di  Firenze  decreta  1'  abolizione  della 

schiavitù  dei  servi  con  una  legge  assai  memorabile  ;  perchè 
ragionando  intorno  ai  diritti  dell'  uomo,  usava  un  linguag- 
gio che  sente  della  rivoluzione  del  89,  e  ci  trasporta  quasi 
nel  seno  della  Costituente  di  Francia.  A  Bologna  erasi 
fatto  lo  stesso,  e  nel  modo  medesimo  nel  1251.  -  Cunizza, 
sorella  di  Ezzelino,  fino  dal  V  Aprile  1263,  con  atto  rogato 
in  casa  Cavalcante  Cavalcanti,  il  padre  deU'atfiico  di  Dante, 
avea  donato  libertà  agli  schiavi  di  sua  famiglia,  sterminata 
in  S.Zenone.  {\.  Filippo  prof.  Zamboni,  Gli  Ezzelini,  Dante 
e  gli  Schiavi.) 

1288,  Mercoledì,  IG  Giugno.  Diotidiete  o  Diomidiede,  detto 
anche  Dede  o  Dedì  Buonincontri,  grande  amico  di  Brunetto 
Latini,  compie  il  suo  volgarizzamento  De  Ref/imine  Princi- 
pum  di  Egidio  Colonna,  Generale  dell'ordine  Agostiniano. 

23  Giugno.  Fin  dal  1285.  Folco  Portinari,  padre 

di  Beatrice,  si  avea  posto  in  cuore  di  erigere  uno  spedale, 
e  a  tal  uopo,  con  instrumento  del  24  Aprile,  comperava  al- 
cuni terreni  fuori  della  porta  degli  Albertinelli  nel  popolo 
di  S.  Maria.  Intorno  al  1287  ne  principiò  la  costruzione, 
come  si  raccoglie  da  un  Breve  del  20  Marzo  1287  di  0- 
norio  IV  con  che  si  accorda  ai  frati  di  S.  Egidio  di  per- 
mutare un  pezzo  di  terra  col  Portinari,  quod  ipse  nuper 
quoddam  [[ospitale  ad  opus  pauperum  et  infirmorum  caepit 
aedificare  opere  sumptuoso.  L'atto  della  fondazione  dello 
spedale  ha  la  data  del  23  Giugno  1288.  Da  esso  abbiamo 
come  fosse  la  fabbrica  compiuta,  la  chiesa  pure  consegrala, 
e  che  da  dodici  fossero  i  letti  primati vamcnte  preparati  dal 
fondatore.  Il  Comune  applaudiva  a  quest'opera  santa,  chia- 


22  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

Biava  questo  spedale  la  colonna  dello  Stalo,  gli  faceva  ogni 
anno  una  grossa  elemosina,  e  diceva  di  mandarla  alla  casa 
del  pubblico. 

1289,  12  Marzo.  Morte  di  Ugolino.  Jnf.  xxxiii.  1. 

2  Maggio.  Carlo  Martello  visita  Firenze  in  compa- 
gnia del  padre  che  veniva  di  Spagna,  ov'era  stato  prigione. 
Ei  pare  lìn  d'allora  stringesse  amicizia  con  questo  giovane, 
che  cresciuta  poi  probabilmente  nelle  sue  ambascierie  a 
Napoli,  fu  ad  ogni  modo  più  tenera  e  costante  che  non 
suole  tra  principi  e  privati.  Par.  viii.  58. 

29  Maggio.   Carlo  II.  coronato  re  delle  Sicilie  da 

papa  Niccolò  IV  a  Rieti,  i/if.  xix.  99;  Ptórr/.  vn.  227;  xx.  67. 

11  Giugno.  Memorabile   giornata   di  Campaldino, 

presso  a  Poppi,  nella  contrada  detta  Certamondo,  nel  Casen- 
tino, in  cui  vennero  sconiìtti  i  fuorusciti  ghibellini,  spalleg- 
giati dagli  Aretini  {Villani,  L.  vii.  e.  131;  Dino,  L.  i.).  Dante 
si  trovò  a  quella  battaglia,  e  vi  combattè  valorosamente  a 
cavallo,  nella  schiera  di  Messer  Vieri  de'  Cerchi,  cioè  tra 
quei  feditovi  che  questi  non  volle  disegnare,  ma  si  offrirono 
spontanei. 

Onde  nel  Purgatorio  v.  91.  dimanda  a  Buonconte  che  era 
slato  in  questa  battaglia: 

Qual  forza,  o  qual  ventura 
Ti  traviò  sì  fuor  di  Campaldino, 
Che  non  si  seppe  mai  tua  sepoltura? 

4  Settemb.  Morie  di  Francesca  di  Riminì.  Inf.  v.97. 

(Il  Gennarelli  la  vuole  avvenuta  nel  1285.  -  V.  il  nostro  ar- 
ticolo. Biblioteca  Dantesca  italiana). 

8  Settemb.  Carlo  Martello  incoronato  re  d' Unghe- 
ria. {yt7/am,  L.  vii.  e.  135.) 

Fulgeami  già  in  fronte  la  corona 
Di  quella  terra  il  che  Danubio  riga.  Par.  viii.  64. 

9  Settemb.  Dante  co' Fiorentini  e  co' Lucchesi  fu 

ad  oste  contro  a'  Pisani,  ed  ei  rammenta  la  presa  di  Capro- 
na,  e  l'uscita  del  presidio  vinto  e  sbigottito  tra' vincitori: 
E  cosi  vid'  io  già  temer  gli  fanti 
Ch'uscivan  patteggiati  di  Gaprona, 
Veggendo  sé  tra  nemici  cotanti.  Inf.  xxi.  94. 

Maestro  Ulino  dipinge  nella  sala  /lei  Consiglio  del 

Palazzo  pubblico  di  Slena. 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  23 

31  Decembre.  Morie  di  Folco  Portinari,  padre  di 

Beatrice  buono  in  alto  ({rado.  V.  N.  §.  22. 

1290,  9  Giugno.  Morie  di  Cealrice  Portinari  ne'  Bardi, 
in  età  di  24  anni  e  due  mesi,  e  che  il  poeta  dopo  dieci 
anni  rivede  nel  paradiso  terrestre,  discesa  per  guidarlo  nel 
cielo  : 

Tanto  eran  gli  occhi  miei  fissi  ed  attenti 
A  disbramarsi  la  decenne  sete  ecc.  Purg.  xxxii,  1. 

E  dopo  la  morte  di  Beatrice,  quando  di  carne  a 

spirito  era  salita,  si  abbandona  a'  piaceri,  e  ad  una  vita 
allegra  e  spensierata  assiem  con  Forese.  Inf.i.ì;  Purg. 

\XX,    XXXXl. 

Lassù  di  sopra  in  la  vita  serena, 
Rispos'io  lui,  mi  smarri'  in  una  valle, 
Avanti  che  l' età  mia  fosse  piena,  Inf.  xv.  48. 

Se  ti  riduci  a  mente  (Forese  a  Dante; 
Qual  fosti  meco  e  quale  io  teco  fui. 
Ancor  fia  grave  il  memorar  presente.  Purg.  xxui.  US. 

Fiorisce  Onesto,  bolognese,  poeta,  detto  dall' Alli- 

ghieri  dottor  illustre  e  di  piena  inteUifjenza  nelle  cose  vol- 
nari.  De  Vul  El  i.  15.  {Petr.   Tr.  Am.  iv.) 

Fiorisce  Dante  da  Maiano  del  Poggio  di  Fiesole,  in- 
colto e  pedestre,  ma  allora  di  gran  fama,  e  da  cui  non 
può  andar  disgiunta  la  Nina  Siciliana,  la  pi'ima  femina  che 
s'abbia  notizie  che  poetasse  in  lingua  volgare. 

Fondazione   del   Duomo    di   Orvieto,    monumento 

glorioso  del  genio  italiano,  vero  santuario  dell'arte.  Ne  fu 
archilelto  Lorenzo  Maitani,  senese.  La  prima  pietra  fu  posta 
il  di  13  Novembre  dal  pontelice  Nicolò  IV. 

1291. Il  Soldano  di  Babilonia  con  grandosle  attornia  la 
città  d'Acri,  difesa  indarno  da'  prodi  Templari:  la  sac- 
cheggia tutta,  e  sessanta  mila  rimangono  tra  morti  e  feriti. 
II  commercio  Firentino  n'ebbe  inestimabile  danno;  poiché 
Acri  dal  Villani  era  chiamata  un  elemento  del  mondo. 

Filippo  di  Francia,  per  infame  consiglio   di  due 

italiani,  fa  prendere  quanti  italiani  erano  nel  suo  regno, 
sotto  pretesto  di  punir  gli  usurai,  onde  le  ricche  negozia- 
zioni de'  Fiorentini  furono  rovinate. 

Guido  di  Montefeltro,  signore  di  Pisa,  o  per  difetto 

di  guardia  o  per  baratteria  de'  custodi,  prende  a  Fireiitini 


24  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

Ponl-ad-Era,  il  più  forte  castello  d'Italia  che  fosse  in  piano. 

Morte  di  Nicolò  IV. 

lì)  Luglio.  Rodolfo  Imperatore  muore  a  Spira.  {Vil- 

ìanì,  L.  VII.  e.  146.) 

1*292.  Guglielmo,  marchese  di  Monferrato  in  Alessandria 
della  Paglia,  rinchiuso  da'  suoi  sudditi  in  una  gabbia,  dove 
morì  di  dolore,  onde  la  guerra  tra  gli  Alessandrini,  ed  i 
figliuoli  del  Marchese,  nella  quale  quei  del  Monferrato  e 
del  Canavese  ebber  la  peggio.  Purg.  vii.  133. 

Pitture  eseguite  nel  palazzo  del  Comune  da  Fino 

di  Tebaldo,  Fiorentino. 

15  Feb.  Gianno  della  Bella,  savio,  valente  e  buon 

nomo,  assai  animoso  e  di  buona  stirpe,  offeso  da  Berto 
Frescobaldi,  di  nobile  si  fa  popolano,  e  di  ghibellino  guelfo. 
Dettò  leggi  che  venner  dette  ordini  di  giustizia  contro 
a' potenti  che  facessero  oltraggio  a' popolani.  E  per  questo 
fu  da' grandi  di  atrocissimo  odio  proseguito.  (  Villani,  L.  viii. 
e.  8  -  Dino  Compagni,  L.  i.  )  E  non  parvero  posare,  finche 
non  videro  il  dabbene  cittadino  partirsi  esule  (5.  Marzo 
1294.)  dalla  terra  tanto  caramente  diletta,  abborrente  dal- 
l'esser  favilla  di  maggior  incendio.  Par.  xvi.  127. 

Dante,  consigliato  da' parenti  e  dagli  amici,  prende 

a  moglie  Gemma,  figlia  di  Mannelto  Donati,  non  propria- 
mente di  quella  famiglia,  ond'era  il  celebre  Corso,  che  avea 
le  sue  case  e  le  torri  sulla  piazza  di  S.  Pietro  (oggi  Mer- 
catino, ma  di  quella  probabilmente  (affine  all'altra)  che 
abitava  sulla  piazzetta  della  Rena,  che  fino  a'  nostri  giorni 
si  è  continuala  a  chiamare  la  piazza  de' Donati.  Or  poiché 
le  case  degli  Allighieri  rispondevano  a  tergo  contro  a  quelle 
de'  Donati,  io  ho  sempre  avuto  il  sospetto,  scrive  il  Frati- 
celli, che  la  gentil  donna,  giovane  e  bella,  la  quale,  dopo 
la  morte  di  Beatrice,  guardava  Dante  da  una  finestra  molto 
pietosamente,  sicché  tutta  la  pietade  pareva  in  lei  accolta, 
non  altra  fosse  che  quella,  ch'egli  poi  prese  in  moglie.  V. 
ìY.  §  36.  -  Ebbe  di  Gemma  sette  figli  :  Eliseo  ed  Allighiero  gli 
morirono  in  tenera  età  :  Pietro,  a  cui  si  attribuisce  un  Com- 
mento latino  sulla  Divina  Comedia,  pubblicato  dal  Vernon 
nel  1845  ;  morì  a  Verona  nel  1364  e  fu  sepolto  in  S.  Mi- 
chele di  Cai»pagna.  Jacopo,  a  cui  furono  restituiti  i  beni 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  2(> 

paterni  ;  prese  stanza  a  Firenze  e  condusse  in  moglie  una 
Jacopa  di  Biliotto  degli  Alfani.  Anche  a  Iacopo  s'ascrivono 
due  Commenti  che  vennero  pure  pubblicati  da  lord  Yernon 
nel  1848.  Gli  viene  pure  ascritto  un  componimento  poetico, 
il  Dottrinale,  in  00  capitoli,  ed  un  capitolo  in  terza  rima 
sopra  la  Comedia  di  Dante,  messo  in  luce  per  la  prima 
volta  da  Yindelino  da  Spira,  Venezia,  1477.  -  Di  Gabriele 
sappiamo  solo  che  vivea  nel  1351.  -  Beatrice  vestì  l'abito 
religioso  nel  monastero  di  S.  Stefano,  detto  dell  Uliva  di 
Ravenna.  Nel  1330  G.  Boccaccio  le  recò  dieci  fiorini  d'oro 
a  nome  della  repubblica  fiorentina.  In  Francesco  Allighieri, 
ultimo  dei  tre  tìgli  di  Dante  III,  spirò  la  posterità  masco- 
lina di  Dante,  il  poeta  Sovrano.  Ginevra,  unica  figlia  di 
Pietro  III,  nel  1549  entrò  nei  Sarego  di  Verona,  onde  i  co. 
Sarego  rimasero  eredi  delle  facoltà  e  del  cognome  Aligero. 
Il  Consiglio  generale  della  Comunità  di  Firenze  (Maggio, 
1864)  proponeva  a  S.  M.  il  Re  «  dì  conferire  il  patriziato 
Fiorentino,  a  tutti  i  componenti  la  famiglia  dei  Co.  Sarego- 
Allighieri  di  Verona  e  loro  discendenti  in  linea  mascolina.  » 

Scrive  la   Yìta  JSuova,   il  primo  monumento  di 

gloria  ch'ei  volle  inalzalo  a  quel  nuovo  miracolo  gentile, 
soave  psicologia  amorosa,  che  il  Sigalas  chiamava  il  più 
caro  libriccino  del  cuore,  il  vero  principio  rigeneratore  di 
lutto  ciò  eh'  è  di  bello  e  di  buono  nell'  opere  dell'  arte 
moderna,  e  il  Delécluze  il  primo  e  il  più  spirituale  del 
romanzi  intimi,  rifiorito  cosi  graziosamente  dalle  muse,  come 
meglio  non  sapremo  sperare.  E  ben  a  diritto  ebbe  a  can- 
tare il  nostro  poeta  che  Amore  e  cor  gentil  sono  una  cosa 
(Son.lO),  e  che  Amore  è  il  fonte  del  gentil  parlare  (SonA%, 
se  di  tanta  squisita  armonia  e  inimitabile  semplicità,  di 
tanto  profumo  d' ineffabile  mestizia,  di  tanta  passione  e 
verità  gli  seppe  avvivare  quelle  brevi  pagine  e  colorire 
con  la  più  soave  favella  quegli  improvvisi  tremiti  onde  si 
sentia  dai  polsi  V  anima  partire  [Son.  9),  e  tutti  que'  con- 
tinui movimenti  che  sul  volto  gli  dipingevano  il  color  del 
core,  e  queir  occulta  virtù,  che  al  tempo  de'  dolci  sospiri 
movea  della  sudi  Angela  giovanissima,  benignamente  d'umil- 
tà vestuta.  Onde  non  è  maraviglia  se  anche  le  altre  na- 
zioni invaghissero  di  tanta  grazia  affettuosa  e  verginale, 


26  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

e  gareggiassero  a  renderla  famigliare  nella  lingua  loro; 
e  11  Zeloni  (Paris,  Lacampe,  1844),  e  il  Delécluze  (1841, 
Paris,  Delahays,  1854)  la  facessero  assaggiare  ai  Francesi; 
il  Ltel  (London,  1842.);  il  Garow  (Le  Monnier  1846);  il 
Rossetti  (  The  early  italìan  poets  from  Cìullo  tV Alcamo  to 
Dante  Allighierì  in  the  originai  metres  tor/ether  with  Dante'  s 
Vita  JSuova  translated  hi  D.  G.  Rossetti,  London,  Smith, 
1861  )  ;  il  Martin  (  The  Vita  ISuova  of  Dante.  Translated 
wit  an  Introduction  and  Notes  by  T.  Martin,  London,  1862) 
la  recassero  in  inglese;  I'Oèykuausen  (Lipsia,  1824),  e  C. 
Forster  (Lipsia,  1841)  in  tedesco;  Fr.  Csaszar  (Pest,  1854 
2.  ediz.)  in  ungherese;  come  il  Canzoniere  venisse  voltato 
in  francese  dal  Fertiault  (Paris,  Lecou,  1854,  in  prosa)  dal 
Delécluze  (Paris,  Delhays,  1854)  ;  In  tedesco  da  C.  L.  Kan- 
^EG1ESSER  e  C.  Witte  (Lipsia,  1827,  Lipsia,  1842)  alla  quale 
traduzione  ebbe  pur  parte  W-von  Lùdema.nn;  da  Carlo  Krafft, 
sacerdote  protestante  (Ilatisbona,  1859,  inversi  sciolti),  e 
qualche  componimento  dallo  Sculegel  ;  in  inglese  dal  Burce 
Whytte,  e  rfa/ Rossetti.  -  La  Vita  Nuova  fu  dall'Allighieri 
intitolata  al  suo  primo  amico,  a  Guido  Cavalcanti,  e  in 
volgare  solamente,  perchè  simile. intenzione  si  ebbe  que-- 
sto  suo  amico  {Vita  ISuova,  §.  31.).  Così  l'amicizia,  scri- 
ve il  Giuliani,  è  stata  cagione,  perchè  il  volgare  italico 
già  diffuso  per  Rime  d'amore  s'accreditasse  più  largamen- 
te colla  prima  e  gentile  prosa  d'amore,  In  quale  tempo 
il  poeta  dettasse  questo  suo  primo  lavoro  varia  n'  è  la 
opinione.  Il  Roccaccio  lo  vorrebbe  scritto  nel  1291,  meu- 
tr'era  ancor  vivo  F  affanno  per  la  sua  donna,  desiderata 
dagli  angioli,  di  carne  a  spirito  salita;  né  da  lui  si  dipar- 
tono il  Fauriel  ed  il  Fraticelli;  Rrunone  Rianchi  ed  il  Giu- 
liani nel  1292;  VArrivabene  nel  1293;  il  Foscolo  nel  1694, 
nel  suo  vigesimo  nono  anno;  il  Riscioni  nel  suo  vigesimo 
quarto;  il  Delécluze  nel  1290,  ed  il  Wegele  verso  il  1300. 
E  a  questa  sentenza  si  accosta  pure  il  prof.  Lubin  {Intorno 
all'epoca  della  V.  N.  p.  28.),  e  ne  assegna  l'epoca  dopo  la 
pasqua  del  1300,  e  probabilmente  nella  primavera  dello  stesso 
anno.  Egli  distingue  le  poesie  dal  libello  e  ci  prova  come 
piacesse  al  poeta  ordinare  nel  libro  della  mente  tutte  quante 
le  visioni,  gli  avvenimenti,  le  beatitudini  di  quelF  amore  pu^ 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  27 

rissimo,  e  raccontare  il  tutto  in  bella  prosa,  assembrandovi 
quelle  delle  sue  poesie  liriche  che  bastassero  indicarne  la 
sentenza,  e  darcene  un  saggio  in  ciascun  genere,  affine  di 
farci  conoscere  le  fasi  diverse  della  sua  musa.  -  E  di  varia 
guisa  venne  pure  per  gli  eruditi  interpretato  il  titolo  di 
Vita  JS'uova.  11  Garow  non  ci  vede  che  un  racconto  dell'  e- 
stasi  della  sua  infanzia  [Early  li  fé,  vita  mattutina)  ;  WFauriel 
vi  avvisa  la  preparazione  intellettuale  del  poeta,  lo  svol- 
gersi che  faceva  il  suo  ingegno,  quasi  fiore  ai  raggi  di  un 
candido  e  fervente  affetto;  il  Lubin  la  storia  di  ciò  che  la 
nobile  natura  del  poeta  preparò  nella  prima  età  a  perfezio- 
ne delle  seguenti;  la  storia  deirinlellettuale  e  morale  per- 
fezionamento di  lui,  iniziata  dall'amor  suo  per  Beatrice, 
continuata  dall'amor  suo  per  la  scienza  filosofica  e  teolo- 
gica, e  perciò  quasi  l'introduzione  alla  divina  Comedia, 
proemio  al  Convito;  il  Witte  e  il  Wer/ele  la  confessione 
di  Dante  medesimo  sopra  una  crisi  profonda  che  attraverso 
l'anima  sua,  il  ritorno  alla  religione  deir  infanzia,  dopa 
aver  indarno  cercato  nella  scienza  il  riposo  che  cercava^ 
onde  il  titolo  di  Vita  Nuova  non  significa  per  loro  -  ricorda 
di  fanciullezza,  ricordo  di  (gioventù,  vita  f/iovanile,  come 
vuole  la  più  parte  de'  comentatori,  e  segnatamente  il  Fra- 
ticelli ed  Emilio  Anth,  ma  bensì  con  esaltezza  maggiore: 
vita  nuova,  vita  fortificata  daWesperienza  ed  illuminata  dai 
chiarori  più  puri,  in  breve  vita  trasformata,  o  direi  con 
Dante,  quasi  pianta  novella  rinnovellata  di  novelle  frondi, 
11  Giuliani  poi,  accostandosi  al  Trlvulzio,  ritiene  che  Vita 
Nuova  non  éebba  intendersi:  vita  (jiovine  o  età  della  gio- 
ventù, nò  possa  tanto  meno  significare  età  prima,  eh' è  quella 
àaìV  adolescenza,  ma  la  rigenerazione  in  lui  operata  da  A- 
more,  vita  amorosa,  la  stessa  vita  nuova  di  che  si  parla 
nel  XXV.  del  Purgatorio;  nella  quale  Dante  ancor  pauroso 
della  persona,  sostenne  una  passion  nuova,  sicché  nel  pre- 
sente libro  intende  solo  trattare  della  vita  amorosamente 
vissuta  con  Beatrice,  che  in  essa  non  s'avvisò  neppur  dice- 
vole il  trattare  alquanto  della  partita  che  la  sua  donna  fece 
da  noi  V.  N.  %  29. 

1293.  A  spese  dell'arte  di  Calimala  incrostato  di  marmi 
bianchi  e  neri  il  tempio  di  S.  Giovanni. 


28  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

(L'ultima  notte  di  carnovale)  Vanni  Fucci,  bastardo 

{mulo)  di  messer  Fuccio  de'  Lazzari,  nobile  pistoiese,  ruba 
il  tesoro  di  S.  Jacopo  del  Duomo  di  Pistola,  ladro  alla  sa- 
gristia  di  belli  arredi,  Inf.  xxiv.  138.  (il  dossale,  e  il  pal- 
liotto  d'argento,  entrando  in  chiesa  dalla  porta  grande 
rimpetto  l'aitar  di  S.  Jacopo.)  Il  furto  fu  tentato  ma  non 
posto  ad  efletto.  (Y.  Tiqri,  Guida  di  Pistoia,  p.  124.) 

1294,  5  Luglio.  Celestino  V.  (  Pietro  da  Murrone)  romito 
Abruzzese,  assunto  al  Pontificato.  Ei  volle  tra 'suoi  Abruzzi,  in 
Aquila  consagrarsi,  e  fissò  la  sede  in  Napoli.  Non  guari  dopo 
abdica  al  triregno  per  le  male  arti  del  card.  Benedetto  Gae- 
tani,  che  a'24Decemb.  gli  è  sostituito  in  Napoli,  col  nome 
di  Bonifazio  YIIL  [Villani,  L.  viii.  e.  5.)  Inf.  iii.  59;  Inf. 
XIX.  52. 

3  Maggio.  Si  fonda  la  chiesa  di  S.  Croce  in  Firenze, 

oggidì  famosa  per  li  grandi  Italiani  che  vi  ebbero  pace  [Vil- 
//ul/e.  lani,  L.  vili.  e.  7.  ;  Mosè  Filippo,  Santa  Croce  di  Firenze, 
Illustrazione  storico-artistica  ecc.  Firenze,  1845.) 

Morte  di  Guittone  (Guido)  di  Arezzo,  dell'ordine 

religioso  e  militare  dei  Cavalieri  Gaudenti,  dopo  di  aver 
dato  principio  l' anno  avanti  alla  fondazione  del  monastero 
degli  Angioli.  A  lui  venne  attribuita  la  gloria  di  aver  per- 
fejjionato  il  Sonetto^  dandogli  una  forma  più  regolare  e  di 
aver  dettato  alcune  prose  nelle  quali  si  cominciava  a  veder 
qualche  calore  di  eloquenza  e  stile  ordinato. 

Morte  di  ser  Brunetto  Latini,  notaio  ed  ambascia- 
tore del  comune  ad  Alfonso  di  Spagna,  esule  dopo  la  bat- 
taglia di  3Iontaperti  per  molti  anni  in  Francia.  Fu  m.aestro 
di  Dante,  scrisse  in  francese  il  Tesoro  (voltato  in  italiano 
dal  fiorentino  Bono  Giamboni  ),  eh'  egli  chiama  un  arnia 
di  miele  tratto  di  fiori  diversi,  e  un  composto  delle  più 
preziose  gioie  dell'antico  senno,  opera  enciclopedica  che 
comprende  le  scienze  storiche,  fisiche  e  naturali,  le  belle 
lettere,  e  le  scienze  morali  e  politiche,  lavoro  meraviglioso 
per  quell'età;  ad  autore  del  Tesoretto,  libro  in  versi 
settenarii  italiani,  in  cui  ragionando  di  morale  e  di  filosofia 
naturale  giovò  assai  alla  lingua,  volgendola  a  trattare  le 
gravi  materie.  Il  Tesoro,  e  il  Tesoretto  furono  ridotti  a 
miglior  lezione,  col  soccorso  dei  Codici,  e  illustrati  dall' ab. 


DELLA  VITA  DI  DAME.  29 

G.  B.  Zannoni  (Fir.  Molini,  1824.).  Vorrebbero  alcuni  che  a 
Brunetto  debba  attribuirsi  la  gloria  di  aver  fatto  a  Dante 
concepire  il  disegno  della  Divina  Comedia,  conciossiachè 
il  suo  Tesorelto  abbia  la  forma  di  una  Visione,  ove  l'autore 
si  smarrisce  per  una  selva,  descrive  i  luoghi  fantastici  e 
dipinge  imaginevolmenle  i  vizi  e  le  virtù.  11  31inich  osserva 
come  molte  nozioni  astronomiche  della  D.  C.  si  accordino 
con  quelle  esposte  da  Brunetto  nel  L.  II.  del  suo  Tesoro, 
«L'enciclopedia  del  Tesoro  g  del  Tesoretto,  dice  S.  Benato 
Taillandier,  sono  definitivamente  il  poetico  riassunto  delle 
ricchezze  in  cui  Dante  ha  spigolalo  a  mani  piene.  Maravi- 
glioso  destino  di  quei  due  libri!  il  Tesoro  è  dedicato  a  San 
Luigi,  e  il  Tesoretto  è  stato  il  Manuale  di  Dante.» 

129o.  Morte  di  Carlo  Martello. 

Federigo  III.  d'Aragona  comincia  a  regnare  in  Sici- 
lia. Par.  XIX.  130. 

Morte  di  Taddeo,  medico  fiorentino,  soprannominalo 

ripocratista,  celebre  per  le  sterminate  ricchezzze  cumulate 
con  r  arte  sua.  Par.  xii.  80;  Conv.  1. 10. 

Marco  Polo  ritorna  da'  suoi  viaggi.  Il  Taeffe,  nel 

suo  commento  di  Dante,  vuole  che  questo  celebre  viaggiatore 
fosse  legato  in  amicizia  coH'Allighieri,  e  che  da  lui  avesse 
notizia  di  parecchi  fenomeni  astronomici,  proprii  del  cielo 
e  della  zona  torrida. 

Verso  la  fine  del  1295  muore  Forese  Donali,  con- 
sanguineo di  Gemma,  moglie  di  Dante,  ed  a  lui  carij^imo. 
Purg.  xxii.  76. 

Dante  d'Aldighiero  degli  Aldùfhieri,  poeta  fiorentino 

s'inscrive  all'arte  de' medici  e  degli  speziali  più  prossima 
a  scienza.  Che  Dante  si  ascrivesse  alla  sesta  delle  selle 
arti  maggiori  nel  1295,  e  non  altrimenti,  il  Fraticelli  lo 
deduce  dall' aver  egli  fatto  parte  del  consiglio  speciale,  e 
d'  aver  in  esso  aringato  nel  1295  e  1296,  come  ricavasi 
dalle  provisioni  della  repubblica,  lo  che  non  avrebbe  potuto 
se  prima  non  si  fosse  fatto  ascrivere  ad  un'  arte.  Nella  Sala 
del  B.  Archivio  centrale  di  slato  di  Firenze,  tra  le  imagini 
d'alcuni  uomini  celebri  che  furono  descritti  ad  una  delle 
arti,  vi  ha  pure  quella  di  Dante  con  la  leggenda:  Dante 
Allighieri  Ned.  Spes.  M,  CCXXXXVIL   Anche  in  un  Codice 


30  SPECCUIO  CRONOLOGICO 

dell'Arte  de'  medici  e  de'  speziali,  che  comincia  dal  1297  o 
va  fino  al  1300,  a  pag.  47  si  trova  il  nome  dell' Allighieri 
inscritto  nel  1297. 

1295.  Fiorisce  Lapo  Gianni,  o  sia  Giovanni  Lapo,  notaio, 
amicissimo  dì  Dante  e  di  Guido  Cavalcanti  {Son.  3.).  —  Nel 
Volf).  El.  1.  13.  Dante  pone  Lapo  per  uno  dei  conoscitori 
del  buon  volgare;  infatti  le  sue  rime  sono  dettate  in  uno 
stile  assai  terso,  e  le  immagini  afl'ettuose  e  gentili. 

Fiorisce  Gianni  Alfani,  lìorenlino,  valente  poeta. 

1296.  25  Marzo.  Federigo  d'Aragona  è  proclamato  re  di 
Sicilia  a  Palermo. 

— —  19  Maggio.  Morte  di  Celestino  Y. 

Discordie  cittadinesche  gravissime  a  Pistoia.  Bian- 
chi e  Neri. 

Muore  Bono  Giamboni  Del  Vecchio,  giudice  fioren- 
tino (1262)  del  'popolo  di  S. Brocolo  {Villani,  xii.  35),  e  nel  1282 
del  Sestier  di  S.  Pietro,  volgarizzatore  del  Tesoro  di  BruneUo 
Latini,  delle  Storie  di  P.  Orosio,  dell'  arte  della  guerra  di 
Yeqezio,  della  forma  di  onesta  vita  di  Martino  Dumense; 
autore  dell'  Introduzione  alle  virtù,  della  Miseria  dell'uomo, 
e  del  Giardino  di  Consolazione. 

Papa  Bonifazio  Vili  accresce  notevolmente  l'Uni- 
versità di  Roma. 

Musaici  neir  abside  della  chiesa  di  S.  Miniato  al 

Monte. 

1297.  Secondo  il  Fraticelli  scrive  la  IF  e  la  lY^  parte 
del  Convito,  la  prima  prosa  severa  che  vanti  la  nostra  fa- 
vella, la  prima  che  parli  filosofìa,  il  germe  delle  sue  ope- 
re posteriori,  enciclopedia  della  sapienza  del  suo  secolo. 
Il  Foscolo  vuole  che  rAiligiiieri  componesse  il  Convito  solo 
ne'  suoi  48  anni,  dopo  lo  morte  di  Arrigo  VII,  quando  egli, 
senz' altre  speranze  probabili,  travedeva  e  ritentava  l'oppor- 
tunità di  tornare  in  Firenze  [Sez.  ci.)  ;  Emiliani  Giudici  nel- 
r  intervallo  di  tempo  che  si  frappone  fra  la  partita  sua  dagli 
esuli  e  l'elezione  dì  Arrigo  di  Lussemburgo  a  re  de' Ro- 
mani ;  Tommaseo  sul  torno  del  1306  ;  C.  Balbo  prima  del 
1305;  il  Witle  nel  1308;  Gregoretti,  varcato  il  45^  anno, 
cioè  dopo  il  1310;  lo  Scolari  la  seconda  parte  nel  1292, 
e  la  P  e  IIF  nel  1313.  A.  Lubin  vuole  il  secondo  trattato 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  ti 

anteriore  al  1300;  il  IV  scritto  non  prima  del  luglio  1301, 
non  dopo  il  1308;  il  III  dopo  il  1300;  ili  eh' è  l'introdu- 
zione dell'opera  intera,  quando  Dante  avea  già  in  pronto 
la  materia  di  lutti  i  quattordici  trattati  che  doveano  se- 
guirlo, ai  quali  i^uUa  più  mancava  che  dare  l'ultima  mano, 
e  ritoccarli  specialmente  per  migliorare  lo  stile,  in  un'epoca 
di  parecchi  anni  posteriore  al  1310  [Intorno  ali  Epoca  della 
V.  jS.  con  un  appendice  suW  epoca  dei  trattati  del  Convito, 
Graz.  1862).  Il  Perticari,  seguendo  il  Villani  (1),  cominciato 
solo  ne'  suoi  ultimi  anni,  uè  potuto  per  la  morte  finire  ;  il 
Cento  fanti  vuole  non  solamente  sia  da  porsi  dopo  la  Vita 
Nuova,  ma  necessariamente  innanzi  il  poema,  il  cui  finale 
soggetto  è  il  ritorno  di  Dante  a  Beatrice.  Esso  è  II  libro, 
secondo  lui,  de'  nuovi  amori  e  dei  nuovi  studj  del  poeta, 
quando  la  sua  Beatrice  è  già  morta,  quando  il  fiore  dell'e- 
tà prima  è  passato,  quando  il  frutto  dell'età  virile  debbe 
maturarsi  col  senno,  il  libro  che  rappresenta  anzi  costi- 
tuisce quella  filosofica  disciplina  dell'  uomo  che  illustra 
quella  nuova  poesia  della  vita,  come  la  prosa  della  Vita 
Nuova  illustra  la  poesia  di  quella  prima  età.  La  Vita  Nuova 
fu  scritta  prima  della  sua  entrata  nella  gioventù;  il  Con- 
vito dopo  che  v'  era  entrato  e  ne  avea  r/ià  trapassato  l  in- 
gresso. {Antol.  di  Fireìize,  Voi.  XLV,  Marzo  1832.)  Il  Pic- 
chioni  vuole  scritto  il  I  Trattato  dopo  il  1310,  e  nel  IV 
trova  date  storiche  sicurissime  per  ritenerlo  scritto  oltre 
dieci  anni  avanti  (Gap.  III  e  VI),  e  per  di  più  ne  trae  con- 
seguenza che  le  dottrine  civili  vennero  dal  sommo  poeta 
svolte  nel  Convito  prima  di  esser  mandato  al  confine.  Ri- 
tiene ile.  28  del  Trattato  IV  scritto  dall'Agosto  all'Ottobre 

(1)  E  cominciò  un  Commento  sopra  XIV  delle  sopraddette  sue  Canzoni 
morali  (molto  eccellenti)  volgarmente,  il  quale  per  la  sopravvenuta  morte 
non  perfetto  si  trova,  se  non  sopra  le  tre;  il  quale,  per  quello  che  si 
vede,  alta,  bella  sottile  e  g-randissima  opera  riuscia,  perocché  ornato  ap- 
pare d'alto  dettato  e  di  belle  ragioni  lìlosolìchc  ed  astrologiche.  Gioo. 
Villani^  L.  IX.  e.  133.-Compose  ancora  un  Commento  in  prosa  in  fiorentino 
vulgare  sopra  tre  delle  sue  Canzoni  distese,  comecché  egli  appaia  lui 
avere  avuto  intendimento,  quando  il  cominciò,  di  commentarle  tutte, 
benché  poi  o  per  mutamento  di  proposito  o  per  mancamento  di  tempo 
che  avvenisse,  più  commentate  non  se  ne  trovano  da  lui;  e  questo  intitolò 
Convivio,  assai  bella  e  laudevole  operetta.  Jiocc.  Vita  di  Dante,  p.  67. 


32  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

del  1298.  -  Che  il  li  Trattalo  sia  scritto  poco  prima  del 
1300  Io  lo  riterrei,  anche  francheggiato  dall'  autorità  di 
Dante  stesso,  ove  diversamente  non  si  vogliano  interpre- 
tare queste  parole:  A'oi  siamo  all'ultima  etade  del  secolo, 
Conv.  II.  15.  —  Il  Convito  avre!)l)e  dovuto  comporsi  di  XV 
Trattati,  quattordici  de'  quali  servir  dovefano  ad  illustrare 
altrettante  Canzoni  d'argomento  morale  o  filosofico.  Conv. 
i.  12.  -  La  vivanda  di  questo  Convito  sarà  di  quattordici 
maniere  ordinata,  cioè  quattordici  Canzoni  sì  d'Amore,  come 
di  Virtù  materiale  Conv.  i.ì;  come  un'altro  dovea  far  luogo 
d'Introduzione  a  tutta  l'opera.  Ch'egli  avesse  già  ordita 
tutta  intera  la  tela  di  questa  grande  opera,  e  che  non  ci 
mancasse  che  il  mettervi  la  trama,  è  incontestato.  Nel  VII 
Trattato  ei  dovea  parlare  anche  della  Fortezza  e  della  Ma- 
gnanimità (Co«y.  vi.  26)  ;  nel  penultimo,  XIV. perchè  fosse 
trovato  per  li  savi  il  senso  allegorico,  che  vale  quanto  ve- 
rità ascosa,  sotto  il  manto  della  favola,  o  sotto  bella  men- 
zogna {Conv.  IV.  1.);  e  quivi  pure  più  pienamente  della 
Giustizia,  la  quale  è  solamente  nella  parte  razionale,  ovvero 
intellettuale,  cioè  nella  volontà  (Cony.  1. 12;  iv.  27.);  e  nel- 
l'ultimo Trattato  riserbavasi  trattare  di  quelle  cose  che 
fanno  raen  belle  e  men  gradite  le  virtù  che  sono  beliate 
dell'anima,  come  sarebbero  la  vanità  e  la  superbia  [Conv. 
111.  lo).  La  gran  mente  di  Dante  tracciava  vasto  il  disegno. 
Egli  scrlvea,  dice  il  Fraticelli,  per  far  parte  altrui  dell'im- 
menso tesoro  delle  sue  cognizioni.  Era  un  fiume  che  non 
potea  tenersi  ristretto  fra  brevi  argini  e  si  distendeva  per 
valli  e  pianure,  e  discendeva  per  canali  e  rivoletti  a  fe- 
C43ndar  le  campagne.  Quest'opera,  condotta  che  fosse  stata 
al  suo  compimento,  ci  avrebbe  presentato  insieme  riunita 
intera  la  sapienza  di  quell'età;  età  in  cui  prese  la  mossa 
il  risorgimento  dell'  umano  sapere,  ed  in  cui  furono  gettati 
i  fondamenti  della  nuova  lingua  e  della  nuova  letteratura 
degl'  italiani.  -  Ben  meritarono  dell'  accurata  pubblicazione 
del  Convito  gli  editori  milanesi  Trivulzio,  Monti,  e  Magfii  nel 
1826;  il  Pederzini  nel  1831;  il  Witte,  lo  Scolari  e  soprat- 
tutto il  diligentissimo  Fraticelli.  La  prima  edizione  del  Con- 
vito venne  fatta  in  Firenze  dal  Buonaccorsi,  1409.  (Basilea» 
1557  ;  Basilea,  Oporino  1559,  1566  ;  Strasburgo,  Zetzzero, 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  31^ 

1009;  Ginevra,  Gosse,  (Venezia,  Pasquali,  1740);  Venezia, 
Zana,  1760, 1772;  Venezia,  Pasquali,  1797  ecc.)  -  Il  Convito 
fu  voltalo  in  tedesco  dal  KA^^EalESSER.  Il  Boutenceck  a  ra- 
gione paragona  questa  opera  di  Dante  ai  migliori  trattati 
lilosoiici  deirantichità  [Gescìchte  der  schoenen  Wissenchaften, 
1. 1.  p.  61.). 

1297.  Discordie  di  papa  Bonifazio  Vili  coi  Colonnesi  e 
con  Filippo  il  Bello,  il  quale  è  scomunicato. 

1298.  Guerra  fra  Venezia  e  Genova.  Battaglia  navale 
de'  Genovesi  a  Curzola. 

8  Settembre.  A  testimoniare  la  somma  prudenza 

d'un  popolo  di  origine  grande,  scrive  il  Giuliani,  dai  più 
savi  di  Firenze  si  ordina  ad  Arnolfo  di  comporre  un  disegno 
della  rinovazione  di  santa  Ueparata  con  quella  più  sublime 
magnificenza  che  inventare  non  si  potesse  né  maggiore  né 
più  bella  dal  potere  degli  uomini.  Il  memorabile  decreto 
conchiude:  non  doversi  imprendere  le  cose  del  Comune,  se 
il  concetto  non  è  di  farle  corrispondenti  ad  un  cuore  che 
vien  fatto  grandissimo,  perché  composto  dell'animo  di  più 
cittadini  insieme  uniti  in  un  solo  volere.  11  nuovo  tempio 
intitolavasi  S.  Maria  del  Fiore.  (  Villani,  L.  vm.  e.  9  ;  Va- 
sari, I.  254.  ) 

1298-i;i0l.  Giov.  di  Nicola  Pisano  scolpisce  il  pergamo 
di  S.  Andrea  di  Pistoia,  maraviglioso  capolavoro  del  miglior 
tempo  della  scoltura,  e  nel  quale  superò  di  gran  lunga 
quello  del  Battisterio  di  Pisa,  fatto  dal  padre,  ed  ogni  altro, 
forse  nel  perfetto  disegno,  nella  varietà  dei  gruppi,  spesso 
a  tutto  rilievo,  non  che  poi  nell'  espressione,  forza  di  sen- 
timento, e  Unitezza  di  lavoro. 

30  Dee.  Per  lo  comune  e  popolo  si  fonda  il  palaz- 
zo de'  Priori,  oggi  Palazzo  vecchio.  Era  opinione  che  Arnolfo 
fosse  costretto  fondarlo  a  smusso,  perchè  non  avesse  a 
posare  sul  suolo  occupato  già  dalle  spianate  case  degli 
liberti  {Villani,  L.\ ìli.  e.  26.);  opinione  oggi  dimostrata  fal- 
sa. Esso  non  uscì  di  squadra  se  non  per  le  aggiunte  che 
si  fecero  dipoi.  [M osé  Filippo,  Illustrazione  del  Palazzo  dei 
Priori,  Firenze,  1843.) 

Adolfo  di  Nassau,  guereggiando  per  la  dignità  im- 
periale, muore  in  battaglia,  e  gli  succede  nel  regno  il  suo 

Vtìi.  11.  3 


34  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

compelilore  Alberto  I  che  fu  il  secondo  imperatore  uscito 
di  casa  d'Austria.  Puro.  vi.  97. 

1299,  8  Maggio.  Ambascieria  di  Dante  al  comune  di  S. 
Gemìgnano,  col  quale  stabili  un  accordo  concernente  alcuni 
particolari  della  taglia  guelfa.  [Ex  librìs  Ileformationum 
terrae  S.  Geminiani,  tempore  d.  Mini  de  Tolomeis,  De  Senis 
Potestatis). 

Nicolò  Acciaioli,  d'accordo  con  M.  Baldo  d'Aguglio- 

ne,  altera  il  quaderno,  il  libro  pubblico,  staccandone  una 
carta,  donde  si  potea  aver  la  prova  di  una  sua  ingiustizia.  - 
Durante  de'  Chiaramontesi,  doganiere  e  camerlingo  della  Ca- 
mera del  sale,  toglie  una  doga  dello  staio  per  fare  suo 
profitto  di  tutto  il  sale  o  danaro  che,  vendendo,  avanzava: 

etade 

Ch'era  sicuro  il  quaderno  e  la  doga.  Purq.  xii.  104. 

A  sostener  lo  puzzo 
Del  villan  d'AgugUon,  di  quel  da  Signa 
Che  già  per  barattare  ha  l'occhio  aguzzo.  Par.  xvi.  35. 

1300.  Focaccia  de'  Cancellieri,  nobile  pistoiese,  mozza 
una  mano  ad  un  giovanetto  suo  cugino  per  un'  impertinenza 
fanciullesca  da  lui  commessa,  e  non  contento  di  tale  atroce 
vendetta,  corse  a  casa  il  padre  dell'amputalo  giovinetto, 
che  pur  era  suo  zio  paterno,  e  lo  uccise.  Del  qual  parri- 
cidio ne  derivarono  le  parti  dei  Bianchi  e  dei  Neri,  che 
dapprima  divisero  Pistoia  e  poi  Firenze  (Cerchi  e  Donati). 
Inf.  XXXII.  63. 

22  Febbr.  Papa  Bonifazio  Vili  bandisce  il  primo 

Giubileo.  (  Villani  L.  viii.  e.  36.  )  Inf.  xxvu.  28.  -  Casella 
muore  in  quel  romeaggio.  Purg.  ii.  76. 

Morte  di  Oderisi  da  Gubbio,  famosissimo  miniatore, 

e  che  tenne  fioritissima  scuola  in  Bologna. 

3  Aprile.  Comincia  l' imaginata  azione  del  poema. 

11  Gregorelti  vuole  la  notte  dello  smarrimento  nella  selva 
sia  quella  che  precede  la  domenica  delle  palme,  dal  2  al  3 
Aprile,  segnando  il  calendario  gregoriano  di  queir  anno  la 
pasqua  nel  giorno  10  Aprile  ;  il  Torricelli  ritiene  il  3  Aprile, 
dom.  delle  palme,  come  giorno  proemiale  al  viaggio  ch'ei 
chiama  dei  sette  giorni,  assegnandone  tre  ore  nel  giorno 
ottavo  ;  il  Minich  la  notte  tra  la  domenica  delle  palme  ed 
il  lunedì  santo,  cioè  tra  il  giorno  3  ed  il  4  (Y.  Appendice 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  35 

alle  considerazioni  sulla  sintesi  della  div.  coni.  p.  42);  VAr- 
rivahene  Ira  il  4  ed  il  o;  il  P.  Ponta  [Orologio  di  Dante 
Allighieri)  fa  cominciare  1'  azione  dal  plenilunio  di  Marzo 
(14  giorni  di  luna),  cioè  dal  tramonto  del  sole  del  2  Aprile, 
sabato  di  passione,  e  a  mano  a  mano  ne  descrive  l'itine- 
rario per  i  tre  regni  spirituali.  F.Lanzi,  nel  suo  Ordinamento 
ond'  ebbe  Dante  Allighieri  informato  le  tre  Cantiche  (Roma, 
1856)   ci  ritesse  la  Sinopi,  il  Diario  ed  Orario  del  viaggio 
dantesco,  e  lo  vuole  cominciato  la  notte  del  Giovedì  7  Aprile, 
e  compiuto  il  16  sabato  di  sera,  e  che  vi  consumasse  216  ore, 
e  da  lui  non  si  diparte  il  De  Sanctis  ;  il  Giuliani  lo  vuole  co- 
minciato il  14  Marzo;  Thouar  il  15;  lo  lineili,  ed  il  Tommaseo, 
suir  orme  del  Boccaccio,  lo  vogliono  invece  avvenuto  la  notte 
del  venerdì  della  settimana  di  passione,  24  Marzo  del  1301  ; 
il  Fraticelli,  nella  notte  dell'ultimo  giorno  del  1300  al  primo 
del  1301  ab  incarnatione,  cioè  nella  notte  del  24  al  25  Marzo 
a  nativitate;  Donato  Giannotti  il  martedì  notte  della  setti- 
mana santa,  il  P.  Bartolommeo  Sorio  la  sera  dagli  otto  al 
9  Aprile,  dal  venerdì  santo  sera  al  sabato  santo  ;  P.  Guerra 
dopo  le  sei  pomeridiane  del  Sabato  di  Passione  2  Aprile 
1300,  e  compiuto  dopo  le  sei  pomeridiane  del  successivo 
Sabato  Santo  9  di  esso  mese,  cosicché  l'azione  di  questo 
dramma  sia  rinchiusa  nel  breve  giro  di  sette  giorni.  (  Viaggio 
poetico  di  Dante  Allighieri,  Modena,  Cappelli,  1859.)  L'in- 
signe astronomo  Ernesto  Capocci  nelle  sue  Illustrazioni  co- 
smografiche della  divina  Comedia,  Napoli,  1856,  ci  offre  in 
un  quadro  l'Itinerario,  il  giornale  di  tutto  il  viaggio,  ciie 
mi  piace  di  riportare. 

1.  ;;iorno  -  3«  Domenica  delle  palme 

ore  Inferno 

0.  Notte  -  Dante  smarrito  in  una  selva  oscura, 

vaga  per  essa,  giovandosi  della  luna  piena .  e.  i. 
12.  Al  far  del  dì  trovasi  a'  pie  d'un  colle  dilettoso, 
la  cui  salita  gli  è  impedita  da  tre  lìere,  che 
lo  risospingono  a  rovinar  nella  valle.  Gli  si 
appresenta  l'  ombra  di  Virgilio,  deputato  da 
Beatrice  a  salvarlo;  esortandolo  a  seguirlo 
pel  cammino  inferno^  donde  lo  guiderà  al- 


36  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

r  Empireo.  Danle  si  muove  e  lien  dietro  a 

Virgilio.  

%ì.  [Ripensa  e  si  sgomenta;  è  riconfortato  dal  no- 
vello suo  duce,  rivelandogli  le  tre  donne 
benedette  che  han  di  lui  cura  nel  cielo,  e  la 
discesa  di  Beatrice  in  inferno,  per  muoverlo 
in  suo  soccorso e.  il 

II.  giorno  -  4,  Lunedi  (santo) 

0.  Principia  la  notte  -  Entra  per  la  porta  infernale 

.    a  visitare  le  perdute  genti    ....       e.  in. 
6.  Mezza  notte   r   Giunge,   discendendo   sempre 
(4."  cerchio  guardato  da  Pluto)  ove  son  pu- 
niti gli  avari  e  ì  prodighi  (fuori  le  mura  della 

città  di  Dite) e.  vji. 

12.  Alba  -  Sono  tra  gli  eresiarchi  (dentro  la  città 

di  Dite)  indi  a  poco e.  xi. 

—  Pervengono  più  giù  tra  gì' impostori  dell'arte 

divinatoria  (4."  bolgia) e.  xx. 

18.  Mezzodì  -  Ancora  più  giù,  s'imbattono  tra'  fal- 
satori ed  alchimisti  (10  bolgia)    ...    e  xxix. 

24.  Termina  il  giorno -Sono  giunti  nel  più  profondo 

dell'  abisso,  innanzi  a  Lucifero      .       .       .e. xxxiv. 

III.  giorno  -  5,  Martedì  (santo) 

0.  Principia  la  notte  -  Si  aggrappano  alle  vellute 
coste  di  Lucifero,  e  passano  oltre  il  centro 
della  Terra,  su  per  la  verticale  nell'  altro 
emisfero  ........  id.v.68. 

—  Dopo  un'  ora  e  mezzo  in  circa  si  trovano  sulla 

piccola  sfera,  della  faccia  opposta  alla  Giu- 

decca id.v.96. 

24.  Indi  riprendono,  girando,  a  montar  su,  e  senza 
aver  cura  d'alcun  riposo  riescono  a  riveder 

le  stelle,  alla  fine  del  giorno  -  Qui  termina 

la  prima  Gamica id.v.l39. 

I¥.  giorno  -  e,  Mercoledì  (santo) 

ore  PurgatoriQ 

0.  Alba  -  Questa  seconda  cantica  principia  col 
giorno  naturale  agli  antìpodi,  che  risponde 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  Tj 

al  princìpio  del  giorno  artificiale  del  luogo 

di  partenza e.  i. 

—  S'avvengono  in  Catone,  che  loro  addita  il  da 

.  farsi  per  salire  a'  suoi  7  regni  (il  monte  del 
Purgatorio) id.v.31. 

—  Sta  per  sorgere  il  Sole  -  Sopraggiunge  l'angelo 

che  traghetta  le  anime  a  quelle  sponde      .       e.  ii. 

—  E  già  sorto  il  Sole -Si  mescolano  con  le  anime, 

ansiose  coni' essi  di  salire  il  monte      .       .  id.v.5a. 

—  Declina  il  giorno.  Incontrano  Sordello     .       .       e.  vi. 

—  Sta  per  finire.  Questi  li  mena  nel  fiorito  bur- 

rone, ove  son  astretti  ad  attendere  il  nuovo 
,  giorno e.  VII. 

12.  E  già  finito  il  primo  giorno  -  Favellano  alle 
anime  ivi  raccolte.  Vengono  due  angeli  a  loro 
guardia,  e  fugano  la  biscia  venuta  a  insi- 
diarli        e.  vili. 

16.  Sono  incirca  le  3  in  4  della  notte  -  S'inchina 

in  suir  erba  e  si  addormenta       ...       e.  ix. 

24.  Sta  per  finire.  Sogna  deH'  aquila  che  lo  rapisce,  id.  v.  13. 

%'.  giorno  -  7,  Giovedì  (santo) 

0.  Alba  del  secondo  giorno  -  L' aquila,  cioè  Lucia, 

lo  porta  suir  estremo  dell'  antipurgatorio    .  id.  v.  40 
2.  Già  il  Sole  è  alto  più  che  due  ore  -  Entrano 

la  porla  del  Purgatorio id.v.90. 

o.  Tramonta  la  Luna:  salgono  per  una  pietra  fessa 

sul  primo  ripiano ex. 

().  Mezzodì  -  Un'Angelo  gli  addita  la  scala  pel 
secondo  ripiano,  cancellandogli  il  primo  P  dal- 
la fronte e.  xii 

9.  Vespro -Salgono  il  terzo  ripiano,  ove  gli  vien 
parimenti   cancellato    un   secondo   P  dalla 

fronte e.  xv. 

IO.  Il  Sole  si  appressa  al  tramonto.  Escono  dal  tristo 

fumo,  ove  purgansi  gì'  iracondi  .  .  .e.  xvii. 
12  E  tramontalo  -  Si  fermano  Ira  gli  accidiosi  .id.  v.  70. 
18.  É  mezzanotte  -  Rimangono   tra   gli   accidiosi, 

indi  Dante  si  addormenta      .  e.  xviu. 


38  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

24.  Termin{\  la  notte  -  Sogna  la  femmina  balla  .     e.  xix. 

¥1.  giorno  -  8,  Venerdì  (santo) 

0.  È  già  spuntato  il  sole  (terzo  giorno).  Si  desta, 

va  tra  gli  avari,  golosi  e  lussuriosi     .       .       v.37. 

5.  Manca  un'ora  a  mezzodì  -  Giungono  all'albero 

con  pomi  odorosi  onde  escono  voci  di  tem- 
peranza     e.  XXII. 

8.  Due  ore  circa  dopo  mezzodì  -  Trapassano  dal 

6.°  al  7.*^  ed  ultimo  cerchio,   sormontato  da 
fiamme c.xxv. 

9,  Si  appressa  il  termine  del  giorno -Veggono  tra 

le  fiamme  i  libidinosi  divisi  in  due  schiere 
opposte e.  xxvi. 

11.  Sta  calando  il  Sole -L'angelo  gì' invita  a  pas- 

sar tra  le  fiamme,  per  giungere  a  Beatrice .  e.  xxvii. 

12.  Tramonta  il  Sole;  son  fuori   del  fuoco  e  si 

fermano  a  pernottare  su'  gradini  tagliati  nel 

sasso id.  V.  68. 

23.  Sta  per  finir  la  notte -Gli  appare  Lia  in  sogno,  id.  v.  92. 

24.  È  finita -Si  desta  e  si  leva  con  Virgilio  e  Stazio. id.v.  109. 

VII.  giorno  -  9,  fSabato  (santo) 

0.  Principia  il  giorno  quarto  -  Gmngono  al  Para- 
diso terrestre  in  cima  sul  monte  .       .       .  c.xxviii. 

6.  Mezzodì  -  Matelda  lo  guida  a  bere  del  fonte 

Eunoé,  e  lo  rende  puro  e  disposto  a  salire 
alle  stelle.  Termina  senz'altro  il  giorno  e 

la  Cantica c.xxx. 

vili,  giorno  -  IO,  Domenica  (di  Pasqua) 
ore  Paradiso 
0.  Sorge  il  giorno  quinto  -  Lascia  la  terra  e  sì 
slancia  verso  il  cielo,  trasumanalo,  con  Bea- 
trice  CI. 

18.  Guarda  la  terra,  trovandosi  col  volgersi  co' Ge- 
melli, quasi  sul  culmine  della  gran  secca  .  e.  xxii. 
24.  La  torna  guardare,  sovrastando  a  Cadice  .  e.  xxvii. 
Indi  si  avvia  felice  all'  Empireo  a  prendervi  la  Pasqua 
in  compagnia  «  del  sodalizio  eletto  alla  gran  cena  del  bene- 
detto Agnello.  )> 


DELLA  VITA  DI  DAME.  39 

11  Capocci  confessa  di  aver  verificalo  il  giorno  di  Pasqua 
in  queir  anno,  e  quello  del  plenilunio,  donde  deriva  quanto 
egli  avea  fermato  nel  quadro  dell'  Itinerario.  L' istante  del 
plenilunio  è  dato  dal  calcolo  per  le  2  ore  (da  Parigi)  dopo 
la  mezzanotte  del  5  di  Aprile,  invece  del  3;  ma  ciò  prova 
solo  che  un  colale  istante  egli  non  l'  avea  certo  osservato, 
ma  preso  da'  lunari  del  tempo,  quando  cominciò  a  scrivere 
la  grand' opera;  se  pur  noi  facesse  scientemente,  per  com- 
porre tutto  quanto  il  suo  poema  entro  i  limiti  della  set- 
timana maggiore. 

15  Giugno.  Dante  entrò  ne' Priori  e  vi  stette  sino  il 

15  Agosto.  Ebbe  a  coleghi,  come  abbiamo  dal  Priorista  au- 
tentico della  Signoria  che  si  conserva  nelle  Riformagioni  : 
NolTo  di  Guido,  Neri  di  messer  Jacopo  Giudice,  Nello  d'Ar- 
righetto  Doni,  Bindo  di  Donato  Bilenchi  e  Ricco  Falconetti; 
Gonfaloniere  di  Giustizia,  Faccio  da  Micciole.  «  Tutti  11 
mali,  così  egli  in  una  sua  lettera  ricordata  da  Bruno  Are- 
tino, e  tutti  gì'  inconvenienti  miei  dalli  infausti  comizj  del 
mio  Priorato,  ebbero  cagione  e  principio;  del  quale  Prio- 
rato, benché  per  prudenza  io  non  fossi  degno,  nientedimeno 
per  fede  e  per  età  non  ne  era  indegno.  » 

Musaici  della  facciata  di  Santa  Maria  Maggiore 

in  Roma,  fatti  da  Filippo  Nossuti  e  terminati  da  Gaddo  Gaddi. 

Come  si  divulga  in  Firenze  la  nuova  della  venuta 

in  Italia  di  Carlo  di  Valois,  i  guelfi  fiorentini  veggono 
arrivato  il  tempo  della  vendetta,  prendono  animo,  e  ragù- 
nata  gran  ciurma  nella  chiesa  di  santa  Trinità,  giurano  tutti 
di  profondere  tesori,  usare  accorgimenti,  tentare  ogni  via 
perchè  egli  venisse  a  Firenze,  col  pretesto  di  fermare  la 
pace  e  ricomporre  a  buon  ordine  il  governo,  riputandosi 
certi  che  parte  bianca  ne  sarebbe  per  sempre  disfatta. 
Mandarono  ambasciatori  al  papa,  e  ne  ottennero  l'assenso. 
Bonifacio,  che  avea  già  creato  Carlo  conte  di  Romagna, 
capitano  dell'armi  della  Chiesa,  e  signore  della  Marca  di 
Ancona,  lo  investe  del  titolo  di  paciere,  e  lo  invia  in  Firenze 
col  secreto  comando  di  spegnere  i  Bianchi,  e  ridurre  lailltà 
tutta  a  parte  guelfa.  Dante,  appena  ebbe  conosciuto  le  trame 
de'  Neri,  e  la  deliberazione  di  chiamare  Carlo  in  Firenze, 
col  santo  anlore  del  cittadino  che  preveda  la  certa' ruìna 


'lO  SPECCHIO  CRENOLOGICO 

della  patria,  protestò  contro  lo  iniquo  proponimento,  lo  disse 
congiura  contro  la  salvezza  della  repubblica,  e  dichiarò  di 
opporsi  con  ogni  sforzo,  perchè  il  lupo  non  fosse  introdotto 
in  mezzo  all'ovile.  Eletto  ambasciatore  a  papa  Bonifazio, 
per  islornare  tal  flagello,  è  voce  che  l' uomo  grande,  sen- 
tendo in  se  tutta  l'onnipotenza  del  suo  intelletto,  dicesse: 
Se  io  vo,  chi  rimane  ?  s' io  rimaiufo,  chi  va  ?  Bonifazio, 
temendo  non  si  rialzasse  la  parte  Bianca,  se  Dante  tornava 
a  Firenze,  con  buone  parole  lo  ritiene  presso  luì.  E  però 
di  siffatta  frode  gli  dà  aspro  rabbuffo,  chiamandolo: 
Lo  principe  de'  nuovi  Farisei,  Inf.  xxvii.  83. 

1301,  Gen.  Morte  di  Guido  Cavalcanti. 

Cimabue  lavora  di  musaico  alla  Tribuna  del  Duomo 

di  Siena. 

Pitture  a  fresco  di  Giotto  nel  palazzo  Lateranense 

a  Roma. 

23  Giugno,  l  Bianchi  ed  i  Neri  rivengono  alle  prese, 

incitati  più  che  placati  dalla  mediazione  del  cardinale  di 
Acquasparta:  i  Priori,  per  non  si  mostrare  di  parte,  man- 
dano a  confino  alcuni  tra  i  capi  de'  Neri,  e  alcuni  de'  Bianchi, 
tra'  quali  Guido  Cavalcanti,  amico  di  Dante,  genero  di 
Farinata,  odiato  da  Corso.  {Villani,  L.  viii.  e.  42).  In  questa 
occasione  Guido,  colto  da  gravissima  infermità,  contratta 
dal  pestilente  aere  di  Serazzano  (nella  maremma  volterrana) 
scrisse  la  più  affettuosa  delle  sue  poesie  (  Tu  sentì,  Ballatetta, 
che  morte...)  ed  è  probabile  ch'essa  contribuisse  a  procacciargli 
il  richiamo  dal  bando.  Questo  atto  d'umanità  parve  iniqua 
predilezione  a  danno  di  molti  prestanti  cittadini,  che,  sospi- 
rando, protendevano  le  braccia  ai  parenti  e  alla  negata 
patria,  e  perchè  Dante  era  temuto  e  odiato  da  molti  per  la 
inflessibilità  del  suo  carattere,  per  la  incorrotta  rettitudine 
delle  sue  azioni,  il  ritorno  dell'  amico  gli  fu  apposto  a  par- 
zialità. 

Maggio.  I  Bianchi  Pistoiesi,  coli' aiuto  de' Bianchi 

Fiorentini,  cacciano  di  Pistoia  i  Neri,  i  quali  si  rifugiano  in 
Figtt^e  (  Villani,  L.  viii.  e.  45  ),  e  accostati^  alla  parte  nera, 
fawS  sì  che  questa  prevalga  alla  bianca.  Venuta  al  potere, 
cangia  nella  repubblica  modi  di  governo  e  governanti.  Onde 
la  repubblica  fireritina,  dominata  dai  Neri,  delibera  di  muover 


DELLA   VITA    DI   DANTE.  41 

le  armi  conlro  Pistoia,  perchè  dominata  dai  Bianchi,  ed  a 
meglio  ottenere  la  vittoria  si  collega  con  quella  di  Lucca. 
Capitano  de'  collegati  fu  eletto  Moroello  IV.  Malaspina, 
marchese  di  Giovagallo,  figliuolo  di  Manfredi,  e  marito 
di  Alagia,  in  Lunigiana,  nella  vai  di  Magra,  ond'egli  da 
Dante  chiamato  vapor  di  Valdìmagra.  La  battaglia  av- 
venne Tanno  1302  nel  piano  eh' è  tra  Serravalle  e  Monte- 
catini, nel  campo  Pesciatino,  ch'egli  chiama  Campo  piceno. 
/«/.VI.  66;  XXIV.  142  -  Spezzerà  la  nebbia  allude  all'antica 
Vallis  nebulae  vai  di  nebbia  poi  vai  di  ISievole  dalle  nebbie 
onde  già  fu  ingombra  per  le  sue  acque  stagnanti. 

1  js^ov.  Mentre  Dante  era  in  Roma,  oratore  a  Bo- 
nifazio Vili,  Carlo  di  Yalois  entra  in  Firenze:  addì  cinque, 
riceve  solennemente  la  signoria  e  la  guardia  della  città: 
Corso  pure  vi  ritorna  e  la  guerra  civile  seco:  saccheggiate 
ed  arse  le  case  de' Bianchi:  una  legge  dona  al  podestà  li- 
cenza di  chiamare  a  sindacato  i  fatti  de'  Priori,  anche  assenti. 
(  Villani,  L.  vili.  e.  49  -  Dino  Compagni,  L.  ii.) 

Morte  di  Alberto  della  Scala. 

1302,  27  Gen.  Caute  Gabrielli  d'  Agubbio,  podestà  di 
Firenze,  condanna  Dante  all'esigilo.  -  Z>ow?)mm  Palmerium 
de  Altovilis  de  sextu  Burgi;  Dante  Alagherii  de  sextu  S. 
Petri Majoris ;  Lippum  Becche  de  sexlu  Ultrarni;  Orlanduc- 
cium  Orlandi  de  sextu  Portae  Domus.  (Questa  sentenza  esiste 
tuttavia  nel  libro  del  Chiodo  delle  Riformagioni,  Capitoli, 
Classe  XI,  disi.  i.  n.  19.  a  e.  2.):  e  solo  nel  1772  fu  scoperta 
nell'Archivio  della  comunità  di  Firenze,  dannato  di  bel  nuovo 
in  contumacia  il  10  Marzo,  e  ad  esser  arso  vivo.  -  Con  quella 
stoltezza,  eh' è  la  pena  dell'odio,  accusavasi  il  grande  uomo 
di  baratteria,  e  notinsi  le  parole  della  sentenza:  ex  eo  qnod  ad 
aures  nostras,  et  curiae  nostrae  notitia,  fama  referente,  per- 
venit.-Egli  che  nota  il  villan...  da  Signa  che  già  per  barattare 
ha  l'occhio  aguzzo;  egli  che  nomina  i  barattieri  accanto  ai 
mezzani,  mercenarii  d'amore,  si  vendica  dell'accusa  volgendo 
in  deriso  i  calunniatori  con  una  di  quelle  ironie  delle  quali 
egli  era  maestro  potente  per  più  di  due  canti  continuata. 
Jnf.  XXI.  xxii  -  Ed  ei  doleasi  gagliardamente  che  nell'onore 
dell' esiglio  gli  fosse  accomunato  quel  Lapo  Saltarelli  che 
poi  nel  Paradiso  contristava  d'infamia,  xv.  128  -  Gante  Ga- 


42  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

brielli,  carico  d'oro,  e  delle  maledizioni  dei  buoni  e  dei  tristi 
il  dì  4  aprile  1302,  abbandonava  Firenze  per  altra  non  meno 
onorevole  commissione  in  Sicilia. 

Carlino  de'  Pazzi  dà  per  danari  a  tradimento  il  ca- 
stello di  Piano  dì  Trevigne  a' Neri  di  Firenze,  onde  impri- 
gionato il  presidio  ed  impesine  alcuni.  (  Villani,  L.vui.  e.  53.) 
Inf.  XXXII.  69. 

Folcieri  de'  Calboli,  eletto  Podestà  in  luogo  di  Gante 

de'  Gabrielli  :  corrotto  con  danaro  dai  capi  di  parte  nera, 
fa  pigliare  molti  cittadini,  di  cui  quelli  avevano  gelosia, 
sotto  pretesto  che  conspirassero  co' Bianchi  fuorusciti  e  li 
dà  al  carnefice.  (  Villani,  L.  vni.  e.  59.  ) 

Dante  a  Siena.  Qui  riseppe  meglio  le  sue  vicende 

e  della  casa  bruciata  e  de' terreni  guasti  in  pian  di  Ripoli 
e  altrove.  Scacciato  dalla  guelfa  Siena,  ripara  prima  a 
Gargonza  e  ad  Arezzo,  ove  di  speranza  in  isperanza  dimora 
fino  al  1304.  Intanto  che  gli  esuli  fiorentini,  senza  nulla 
concludere,  si  portano  a  Forlì,  dov'era  capo  Scarpetta  degli 
Ordelaffi,  caldissimo  sostenitore  de' Ghibellini  in  Romagna, 
secondo  il  Troya,  è  spedito  da'  suoi  compagni  di  esiglio 
ambasciatore  a  Bartolommeo  della  Scala,  il  rjran  Lombardo, 
affine  di  ottener  qualche  aiuto  al  partito  suo,  e  vi  si  trat- 
tenne un  certo  tempo,  accolto  e  trattato  splendidamente 
da  quel  Signore.  Il  Troya  vuole  vi  si  recasse  il  7  Marzo 
1304,  ma  io  ritengo  vi  fosse  nel  1303,  perchè  Bartolom- 
meo morì  nel  marzo  del  1304.  Can  Grande  aveva  allora 
nove  anni.  Paracl,  xviii.  18  -  Una  reminiscenza  del  sog- 
giorno di  Dante  a  Verona,  e  dell'aver  quinci  peregrinato 
su  per  la  valle  d'Adige  e  nel  Trentino  trovasi  nell'ibi/",  xii. 
4;  rv.  7;  XX.  61. 

6  Nov.  Il  papa  manda  legato  a  moderare  i  Neri 

quel  medesimo  cardinale  d' Acquasparta,  venuto  già  inutil- 
mente l'anno  innanzi  a  moderare  i  Bianchi. 

1303,  3  Marzo.  I  fuoruscili,  assembrati  a  Mugello,  pren- 
dono il  borgo  e  poggio  di  Puliciano,  e  pongono  l'assedio 
ad  una  fortezza  che  teneano  i  firentini,  ma  vengono  dispersi, 
ed  alcuni  presi  e  decapitati.  [Villani,  L.  viii.  e.  60.) 

Alberto  d'Austria  invade  e  diserta  la  Boemia.  Par. 

XIX.  115. 


DELLA  VITA   DI   DANTE.  43 

7  Sellembre.  Bonifazio,    imprigionalo  in  Anagni, 

per  ordine  di  Filippo  il  Bello,  re  di  Francia.  Sciarra  Colonna 
ed  il  Nogareto,  regolatori  dell'assalto  contro  il  Pontefice. 
Bonifazio  tanto  dolore  ne  prese  da  averne  spenta  la  vita  il 
dì  11  Ottobre  1303  (  Villani,  L.  viii.  e.  63  -  Dino  Compagni, 
L.  II.)  Piirg.  XX.  8o. 

22  Ottobre.  Nicolò  Boccasini,  da  Trevigi,  frate  pre- 
dicatore, ascende  il  soglio  papale  col  nome  di  Benedetto  XI. 
[Villani,  L.  vili.  e.  66.) 

1304,  10  Marzo.  Nicolò  Albertini  da  Prato,  cardinale 
d'Ostia,  gran  politico  e  nemico  del  furor  delle  parti,  in 
qualità  di  ambasciatore,  è  inviato  da  papa  Benedetto  XI  ai 
fìrenlini,  onde  li  persuadesse  a  metter  giù  gli  odii  ed  a 
raccogliere  in  patria  gli  esuli  che  pure  erano  fatelli.  Giunto 
a  Firenze  il  dì  10  Marzo,  scrive  a'  fuorusciti  di  Arezzo,  pro- 
mettendo loro  che  sarebbero  pienamente  riamessi  negli  an- 
tichi diritti,  e  che  sarebbe  loro  ridonata  la  patria  secondo 
i  medesimi  lor  voti.  Dante,  non  solo  a  nome  del  co.  Ales- 
sandro Guidi  da  Romena,  ma  altresì  del  consiglio  de'  dodici 
ghibellini,  di  cui  egli  faceva  parte,  ne  detta  la  risposta. 
{S.  Opere  minori  di  Dante  Allighieri,  per  cura  di  P.  Fraticelli, 
v.  IH.  p.  438.  )  Quantunque  a'  dì  26  aprile,  raunato  il  popolo 
sulla  piazza  di  S.  Maria  Novella,  le  famiglie  nemiche,  con 
rami  di  ulivo  in  mano,  si  pacificassero,  pure  le  benevole 
intenzioni  del  cardinale  e  gli  ardenti  voti  de'  fuorusciti  non 
sortirono  alcun  efletto.  Dopo  alcunrmesi  d'inutili  trattative, 
il  Cardinale  minacciato  dovè  lasciare  la  città  (  4  Giugno  ), 
lanciandole  contro  l'interdetto.  [Villani,  L.  viii.  e.  70.)  - 
Con  questo  giorno  l' Allighieri,  sfidato  d'ogni  speranza, 
credette  che  veramente  fosse  incominciato  il  suo  esigilo. 
Inf.  X.  74.  81. 

1  Maggio.  Gli  abitanti  di  borgo  San  Friano  hanno 

la  bizzarra  idea,  di  fingere  nell'Arno  l'Inferno  sopra  barche 
e  navicelle,  con  fuochi  e  demonj  orribili  a  vedersi  e  con 
tormenti  ed  uomini  nudi  a  guisa  di  anime  tormentate  que- 
relantesi  con  altissime  strida.  Il  ponte  alla  Carraia,  il  quale 
era  allora  di  legname  da  pila  a  pila,  sì  carico  di  tanta  mol- 
titudine accorsa  a  quello  spettacolo,  minato  in  più  parti, 
cagionò  l'eccidio  di  molla  gente.  [Villani,  L.  viii.  e.  70.)  - 


44  SPECCUIO  CRONOLOGICO 

Forse,  scrive  il  Minich,  la  luttuosa  catastrofe  per  la  ruiiia 
dei  ponte  alla  Carraia  sotto  il  peso  dtella  folla  che  assisteva 
al  tìnto  spettacolo  de'  supplizj  inflitti  da'  demonj  agli  spi- 
riti dannati,  scosse  la  mente  dell' AUighieri,  e  lo  indusse 
alla  scelta  del  soggetto  del  suo  poema. 

5  Giugno.  Filippo  il  Bello  che  avea  pur   dianzi 

coperta  d'insulti  la  Chiesa  di  Dio,  forza  il  conclave  perchè 
la  dignità  pontificale  venisse  conferita  ad  un  suo  suddito. 
Il  nuovo  papa  fu  l'arcivescovo  di  Bordeaux,  Bertrando  de 
Got  di  Guascogna  che  prese  il  nome  di  Clemente  V.  Ab- 
bindolato egli  dal  re  francese,  trasse  prigioniera  in  Avignone 
la  sedia  pontiticale.  [Villani,  L.  viii.  e.  80  -  Y.  Rahanis,  Cle- 
ment  V  et  Philippe  le  Bel,  Paris,  1858  -  Lettre  a  M.  Ch. 
Daremberg  su  l'entrevue  de  Bertrand  de  Got  avec  Philippe 
le  Bel.  1858  -  Christophe,  histoire  de  la  Papauté  pendant  le 
XIV  siede,  Paris,  1853.  Voi.  1. 178  e  seg.  (trad.  in  ted.  dal 
Bitter,  Paderbona,  1853)  ;  Ab.  Lacurie,  Dissertation  sur  l'en- 
trevue de  Philippe-le-Bel  et  de  Bertrand  de  Got,  Saintes  ; 
Ab.  André,  Histoire  politique  de  la  Monarchie  pontificale 
au  W  siicele  ^  ou  la  Papauté  à  Avignon,  Paris.) 

20  Luglio.  Nascita  di  Fr.  Petrarca. 

21  Luglio.  Sciaguratissima  impresa  (Baschiera  Tosin- 

ghi)  alla  Lastra,  sopra  Montughi,  a  due  miglia  da  Firenze, 
capitanata  da  Alessandro  dei  conti  Guidi,  signori  di  Romena 
nel  Casentino  {Villani,  L*.  viii.  e.  72).  Poco  dopo  la  rotta 
della  Lastra,  Dante  male'dicendo  la  mallezza  de'  suoi  com- 
pagni di  esigilo  {Par.  xvii.  61.)  va  allo  studio  di  Bologna, 
e  vi  rimane  probabilmente  non  oltre  il  1.*^  Marzo  1306,  in 
che  i  Bolognesi,  riaccostandosi  ai  Neri  di  Firenze,  cacciarono 
i  fuorusciti  Bianchi,  e  furono  interdetti  e  privati  dello  Studio 
da  un  legato  pontificio. 

27  Luglio.  Morte  del  santo  pontefice  Benedetto  XI 

in  Perugia,  per  veleno,  forse  propinatogli  d'ordine  di  Fi- 
lippo il  Bello.  11  P.  Marchese  la  vuole  avvenuta  il  4  Luglio 
1304  {Villani,  L.  vui.  e.  80). 

1305.  Lettera  di  Dante,  diretta  ad  Oberto  e  Guido  dei 
Conti  Guidi,  nepoti  del  conte  Alessandro  da  Romena,  per 
condolersi  della  morte  del  loro  «io  Alessandro,  esortandoli 
a  farsi  eredi  delle  di  lui  virtù,  com'essi  erano  eredi  delle 


DELLA    VITA    DI    DAME.  41) 

sue  fortune.  Il  Wilte  opina  che  la  lettera  sia  stata  scritta 
fra  gli  anni  1308  e  1311.  [1  Fraticelli  ne  assegna  invece 
quest'epoca  -  Y.  Dante,  Opere  minori,  v.  ni.  p.  445. 

Scrive  il  primo  libro  de  Vulgarì  eloquio,  primo 

documento  della  storia  delle  lingue.  Incominciando  egli  dal- 
l'origine di  ogni  parlare  umano  e  dalla  divisione  delle  lin- 
gue, ei  tratta  queste  due  altissime  questioni  di  filosofìa  e 
di  linguistica,  se  non  adeguatamente  almeno  non  falsamente. 
Venuto  a' dialetti  dell'Europa  romano-barbara  li  divide  in 
tre,  secondo  le  affermazioni  dell' of,  oe'il  e  sì;  fermasi  su 
questo  ultimo,  eh' è  l'attuale  de' popoli  italiani.  Investiga 
l'indole  e  la  condizione  de' quattordici  dialetti  allora  parlali 
nella  penisola,  e  li  esamina  tutti,  e  tutti  li  combatte, 
rigido  di  soverchio  verso  la  sua  Firenze,  negandole  non 
pure  il  privilegio  di  dare  il  nome  alla  lingua,  ma  la  fa- 
coltà di  arricchirla  più  facilmente  col  suo  dialetto;  lo  che 
è  troppo;  ma  ei  forse  facealo  pel  solo  desiderio  di  formare 
una  lingua  comune  all'Italia,  e  di  creare  al  pensiero  nazio- 
nale un  elevala  maniera  di  esprimersi;  e  così  ei  prende  a 
mostrare  che  la  vera  italiana  favella  non  è  né  losca,  né 
lombarda,  né  d'altra  provincia,  ma  una  sola,  e  di  tutta  la 
terra  -  ch'Appenin  parte  e  il  mar  circonda  e  l'alpe.  -  In- 
segnando a' suoi  coetanei,  come  questo  idioma  illustre,  fon- 
damentale non  avea  nessun  limite,  ma  faceasi  bello  di  ciò 
ch'era  migliore  in  ogni  dialetto,  egli  cercava  di  soflbcare 
ogni  contesa  di  primato  in  fatto  di  lingua  nelle  varie  Pro- 
vincie, ed  insinuava  l'alta  massima,  che  nella  comunione 
reciproca  dell'idee  sta  gran  parte  de' progressi  dello  spirilo 
umano.  Nel  II  libro,  non  compiuto,  ei  cerca  per  quali  per- 
sone e  di  quali  cose  abbiasi  da'  poeti  scrivere  nel  volgare 
illustre,  e  specialmente  lien  discorso  della  Canzone,  il  modo 
più  nobile  che  per  lui  si  cercava.  Egli  é  gravemente  a  do- 
lersi, scrive  il  P.  Ponta,  che  quest'opera  sia  rimasta  im- 
perfetta. Se  compievasi.  Dante  assegnava  le  regole  al  volgare 
di  qtial  sia  composizione,  sino  al  parlare  d'una  sola  fami- 
glia; dei  quali  tutti  si  fa  uso  nella  Comedia,  chi  ben  ne 
cerca.  -  Del  disegno  di  quest'opera,  non  ancora  incarnalo, 
ce  ne  fa  egli  parola  nel  Tratt.  I.  del  Conv.  §.5:  »  di  questo 
gi  parlerà  altrove  più  compiutamente  in  un  libro  ch'io  in- 


46  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

tendo  di  fare,  Dio  concedente,  di  Volgare  eloquenza.  Dei 
quattro  libri  che  doveano  comporlo  [De  Vulg.  El.  L.n.  e. 4.) 
non  ne  scrisse  che  due  soli  (1).  Che  il  trattato  de  Vulg.  El. 
fosse  scritto  da  Dante  nel  suo  esigilo  egli  è  fuor  di  dubbio, 
perch'ei  slesso  ce  lo  dice.  (L.  i.  6, 17.)  -  \\  Balbo  lo  vuole 
cominciato  nel  1304,  e  che  prima  del  Gennajo  1305  giugnes- 
se  sino  al  e.  xi.  del  libro  1;  trovandosi  in  questo  mentovato 
come  vivo  tuttavia,  Guglielmo  marchese  di  Monferrato,  che 
morì  in  quel  mese.  Ritiene  inoltre  ch'ei  lo  dettasse  a  Bo- 
logna per  le  molte  lodi  che  ne  dice,  e  pel  magnificare  ch'ei 
fa  sovra  tutti  il  suo  dialetto.  Il  Fraticelli  vuole  scritto  il 
libro  dal  1305  al  1306,  ed  il  secondo  non  più  tardi  del  1307. 
L Emiliani  Giudici,  sull'autorità  del  Villani  e  del  Boccaccio, 
lo  ritiene  scritto  a  Ravenna.  Lo  Scolari  al  contrario  ne  im- 
pugna l'autenticità. 

Solo  nel  1529  fu  pubblicato  in  Vicenza  in  volgare,  ma 
senza  nome  di  traduttore  ;  la  versione  fu  ascritta  al  Trissino. 
{\.  Foscolo,  Discorso  sul  Tes'o,  cxxvi.)  Il  testo  latino  vide 
la  luce  nel  1577  in  Parigi  per  Jacopo  Corbinelli,  da  un  co- 
dice ritrovato  a  Padova,  di  proprietà  di  Pietro  Del  Bene, 
fiorentino.  Fu  esso  tradotto  in  tedesco,  da  C.Kankegiesser, 
Lipsia  1845:  l'argomento  illustrato  da  C.L. Ferkow:  Ueber 
die  Mundarten  der  ital.  Sprache  (Sui  dialetti  della  lingua 
italiana,  nel  libro:  Romische  Studien,  Zurigo,  1808,  voi.  ni. 
p,  211.  e  seg.);  dal  Fughs  :  Ueber  die  sogenannten  unregelmàs- 
Mgen  Zeilwbrter  in  d.  roman.  Sprachen,  nebst  Andeutungen 
iiber  die  wichtigsten  roman.  Mundarten  (Sui  verbi  così  detti 
irregolari  nelle  lingue  romanze,  con  osservazioni  sui  dialetti 
romanzi  più  importanti;  Berlino  1840);  e  da  L.  G.  Blanc: 
Von  den  italien.  Mundarten  (  nella  Grammatica  italiana,  Halle, 

(1)  Fece  un  libretto  che  intitola  De  Vulfiari  Eloquio,  ne  promette  fare 
quattro  libri,  ma  non  se  ne  trova  se  non  due,  forse  per  l' affrettato  suo 
fine,,  ove  con  forte  e  adorno  latino  e  belle  ragioni  riprova  tutti  i  volgari 
d' Italia.  Villani,  ix.  135.  -  Già  vicino  alla  sua  morte,  compose  uno  libretto 
in  prosa  latina,  il  quale  egli  intitolò  De  vulgari  eloquentia,  dove  inten- 
deva di  dare  dottrina  a  chi'  imprendere  la  volesse,  del  dire  in  rima;  e  co- 
mecché per  lo  detto  libretto  apparisca  lui  avere  in  animo  di  dovere 
in  ciò  comporre  quattro  libri,  o  che  più  non  ne  facesse  dalla  morte 
soprappreso,  o  che  perduti  sieno  gli  altri,  non  appariscono  che  due  so- 
lamente. Boccaccio,  Vita  di  Dante,  p.  67. 


DELLA   VITA   DI    DAME.  4i 

18i4,  pag.  622,  677.)  -  V.  iMcolini,  Considerazioni  intorno 
agli  asserti  di  Dante  nel  libro  della  Volgare  Eloquenza  ecc. 
Nicolini,  Opere,  in.  137,  168;  Pertìcari,  Dell'Amor  patrio 
di  Dante  AUigliieri,  e  del  suo  libro  intorno  il  Volgare  eloquio. 

1306.  Dante  a  Padova,  e  vi  chiama  Pietro,  figliuol  mag- 
giore, c\ìQ  l'accompagnò  poscia  a  Ravenna.  Certo  il  27  Agosto 
fu  testimonio  ad  un  contratto,  rogato  nella  contrada  di  S. 
Martino,  in  casa  Papafava,  praesentihus  Dantìno  quondam 
XlUqerii  de  Florentta  et  nunc  stai  Padue  in  conlrata  S. 
Laurentii  Si  vuole  che  quivi  innamorasse  di  Madonna  Pie- 
li-a  degli  Scrovigni.  -  La  casa  abitata  dal  poeta  è  l'antichis- 
sima casa  Carrarese  a  S.  Lorenzo,  per  via  di  donna  venuta 
ai  Gualperti,  indi  ai  Lazzara,  Querini,  Contarini,  oggidì  Jacur. 
Vi  si  legge  l'iscrizione  dettata  dall'egregio  Leoni:  Fazioni 
e  vendette  -  Qui  trassero  -  Dante  -  1306  -  Bai  Carrara  dai 
Giotto  -  Ebbe  men  duro  esilio. 

Ottobre.  È  ospitato  dai  Marchesi  Malaspina  {il  ramo 

(ÌqWo  spino  fiorito)  in  Lunigiana.  [Purf/.  vii.  133)  -  InMulazzo, 
nel  vecchio  Castello,  si  mostra  ancora  un  resto  di  torre 
che  chiamasi  la  torre  di  Dante,  e  lì  presso  una  casa  che 
conserva  sempre  il  nome  di  lui.  -  Benvenuto  da  Imola  ed 
il  Boccaccio  nella  vita  di  Dante  riferirono  che  i  primi  sette 
canti  del  poema  furono  preservati  nell'occasione  del  sacco 
dato  alla  casa  di  Dante  in  Firenze,  e  che  questi  furono 
inviati  all'autore  nel  tempo  del  suo  rifugio  presso  il  Mar- 
chese Moroello  Malaspina.  Quindi  lo  stesso  Boccaccio  credette 
di  trovare  la  giuntura  che  annoda  il  C.  viii.  delia  prima 
Cantica  co'  precedenti  nelle  parole  con  cui  incomincia  il 
canto  medesimo:  lo  dico  seguitando.  Anche  Leonardo  Aretino 
asserisce  nalla  sua  Vita  di  Dante  che  TAUighieri  intraprese 
la  divina  Comedia  prima  di  essere  cacciato  in  esigilo  :  L'Ai  - 
rivabene  vuole  ne  avesse  scritto  dieci  canti  :  Ma  il  Minick 
appoggiato  a  validissimi  argomenti,  trova  preferibile  l'opi- 
nione che  Dante  avesse  intrapreso  il  suo  poema  nella  forma 
presente,  con  unità  di  concetto  e  di  scopo,  soltanto  dopo 
r  esigilo,  e  che  quindi  ei  mutò  e  rifuse  essenzialmente  quei 
primi  canti,  ovvero  li  riprodusse  sotto  altro  aspetto,  e  con 
nuovo  intendimento.  -  Morocllo,  uiiitamante  a  sue  fratello 
Corradlno,  ed  al  suo  cugino  Franceschino  di  Mulazzo,  con- 


48  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

sliluiscono  nel  6  Ottobre  Dante  Allighìeri  in  loro  procuratore 
per  la  pace  da  farsi  tra  essi  ed  il  vescovo  di  Luni.  Abban- 
donala la  corte  di  Moroello,  innamora  di  un  alpigiana  ca- 
sentinese,  e  gliene  scrive.  11  componimento  poetico  di  cui 
fa  cenno  la  lettera  di  Dante,  secondo  il  Witte  ed  il  Fraticelli, 
è  la  Canzone  viii:  Amor,  dacché  convien  pur  ch'io  m  doglia: 
{Dante,  Opere,  Minori,  Y.  I.  p.  139);  Lettera  di  Dante  a 
Moroello  Malaspina,  Dante,  Opere  Minori,  Y.  ni.  p.  450)  - 
Emanuelle  Gerini  nelle  sue  memorie  storiche  della  Luniqiana 
vuole  che  l'ospite  di  Dante  sia  stato  il  Marchese  di  Giova- 
gallo,  marito  d'Alagia  del  Fiesco;  Tommaseo,  il  figliuolo 
di  Alberto,  il  Marchese  Yalditrebbia,  a  cui  fa  tenore  Eugenio 
Branchi  {Piovano  Arlotto,  Sett.  1859);  il  Fraticelli,  invece 
Moroello  di  Yillafranca. 

—  Morte  di  Fra  Jacopone  da  Todi.  Yedi  il  Cantico 
riportato  dal  Nannucci,  Manuale  della  letter.  del  I.^  secolo, 
Yol.  I.  p.  387,  da  lui  composto  nell'estreme  ore  di  vita, 
modello  di  estemporanea  poesia,  nella  quale,  vedesi  avverato 
il  favoloso  canto  de'  cigni,  che  diconsi  allorché  muoiono,  più 
soavemente  cantare. 

1307.  Dante  si  porta  in  Mugello,  ove  interviene  ad  un 
congresso  di  Bianchi  fiorentini  nella  chiesa  abbaziale  di  S. 
Gaudenzio.  Il  nome  suo  sta  scritto  con  altri  venti  in  uno 
strumento  rogato  da  ser  Giov.  d'Ampinana,  in  forza  di  che 
i  più  agiati  fra  gli  esuli  si  obbligavano  di  rifare  le  case 
degli  Ubaldini  d'ogni  spesa,  che  avrebbe  potuto  incorrere 
nell'impresa  di  togliere  il  governo  del  comune  dalle  mani 
de'  Guelfi.  L' impresa  che  allora  medita  vasi  era  contro  il 
castello  di  Monte  A^^cianico.  Il  documento  originale,  tratto 
dall'archivio  di  Firenze  fu  pubblicato  dal  Pelli.  -  Grande 
questione  è  slata  fatta  intorno  la  data  di  questo  documento. 
Il  Brocchi,  il  P.  Idelfonso,  il  Pelli  lo  riferiscono  all'anno 
1307;  il  Troya  ed  il  Balbo  al  Giugno  del  1304;  il  Frati- 
celli poi  dalle  parole  del  documento:  occasione  guerrae 
factae  vel  faciendae  per  Castrum  montis  Accianighi  lo  ri- 
tiene indubitatamente  del  Giugno  1306. 

In  quest'  anno  Frate  Dolcino,  scismatico,  stretto 

dalla  fame  e  dalla  neve,  fu  preso  con  tutti  i  suoi  seguaci 
presso  Novara,  e  con  Margherita,  sua  compagna,  secondo 


DELLA  VITA  Di  DANTE.  49 

il  barbaro  coslume  di  quei  tempi  fu  arso  vivo.  {Villani,  L. 
vili.  e.  84;  Krone,  Fra  Dolcino  ecc.,  Lipsia,  1844;  Schlosser 
C.  F.,  Abàlard  und  Dukin,  ecc.  Gota,  1807.)  /w/".  xxviii.  55. 

Dante   a  Forlì  presso   Scarpetta  degli  Ordelaffi, 

Capitano  generale  dei  Ghibellini.  Secondo  gli  storici  Flavio 
Biondo,  Paolo  Bonoli,  Giorgio  Viviani  Marchesi  nel  1308  ne 
divenne  suo  segretario. 

1308.  1.*^  Maggio.  Alberto  d'Austria  assassinato  dal  suo 
nepole  Giovanni  d'Austria.  Dante  fa  che  l' uccisione  sia 
giudìzio  divino,  predetto  da'  morti  ad  esempio  di  Arrigo 
di  Lussemburgo,  suo  successore  all'impero,  /^wrr/.  vi.  86. 

6  Ottobre.  Corso  Donati,  consanguineo  di  Gemma, 

moglie  di  Dante,  e  fratello  di  Forese  Donati,  sovvertitore 
della  moltitudine  contro  le  antiche  famiglie,  principe  Clelia 
fazione  che  decretò  l'esiglio  dei  ghibellini,  ammogliatosi 
colla  figlia  di  Uguccione  della  Faggiuola,  cade  in  sospetto 
di  aspirare  alla  dittatura:  citato  a  scolparsi,  si  difende 
coir  armi,  finche  abbandonato  da  molti,  si  dà  alla  fuga: 
raggiunto  presso  San  Salvi,  fuori  di  porta  alla  Croce,  da 
alcuni  soldati  Catalani,  è  per  loro  ucciso.  E"  pare  che  nel 
cadere  gli  restasse  un  pie  nella  staffa,  e  che  il  cavallo  lo 
trascinasse  moribondo  per  alcun  tratto.  [Villani,  L.  viii.  e. 
96.)  Purff.  XXIV.  74. 

In  sullo  scorcio  dell'anno  1308  Dante  compie  la  Cantica 
dell'Inferno.  Il  Troya  vuole  che  dal  1304  al  1305  egli  abbia 
composti  0  piuttosto  ritocchi  i  canti  che  dal  sei  vanno  al 
dieci,  e  che  vi  abbia  chiamato  sulla  scena  quell'ignobile 
Ciacco  e  quel  magnanimo  Farinata,  come  due  punti  estremi 
della  miseria  e  della  grandezza  dell'uomo.  Vuole  inoltre  che 
componesse  i  sei  che  vengono  appresso  nel  1305,  avendo 
tuttavia  stanza  nel  Casentino,  presso  il  co.  Guido  Salvatico, 
padre  di  Ruggiero,  conte  di  Dovadola  ;  e  che  pur  nel  1305 
nel  castello  della  Faggiola,  sul  Conca,  dettasse  il  xjx  in 
che  accenna  l' elezione  di  Clemente  V,  apparendovi  ben  re- 
cente il  cruccio  del  poeta  contro  la  laida  opra  e  il  reggitor 
di  Francia.  Dal  6  Ottobre  1306,  in  cui  era  ospite  di  Fr.  Ma- 
laspina,  Marchese  di  Mulazzo,  e  presso  i  cugini  di  lui  Cor- 
radino  e  Moroello  di  Villafranca,  secondo  lo  stesso  Troya, 
furono  scritti  i  canti  dal  20  al  26.  11  ricordo  dei  tristi  casi 

VoL.  II.  4 


30  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

di  fra  Doloino,  che  il  poeta  fa  predire  da  Maometto,  ci 
darebbe  argomento  com'egli  nell'estate  del  1B07  fosse  giunto 
presso  il  line  della  Divina  Comedia,   cioè  al  Canto  xxvjii, 
mentre  viveva  in  Forlì  presso  gli  Ordelaffi.  Di  fatti  d'altro 
più  non  si  parla  che  della  Romagna  nei  4  canti  dal  xxvii 
al  XXXI  dell'Inferno:  ivi  l'episodio  appartenente  a  Guida 
di  Montefeltro;  ivi  s'odono  le  predizioni  di  Pier  da  Medicina 
della  terra  latina;  ivi  le  lodi  degli  Ordelaftì  e  de'Polentani; 
si  preveggono  i  tradimenti  di  Malateslino,  caro,  prima  del- 
l'esigilo  a  Dante,  ma  ora  nel  1307  fieramente  e  giustamente 
da  lui  odiato;   ivi  l'ammirabile  descrizione  dello  stato  po- 
litico di  Romagna,  qua!  era  nel  1300,  e  s'ode  il  ferocissimo 
desiderio  di  Mastro  Adamo  di  veder  giugnere  in  inferno  i 
conti  Guido  ed  Alessandro  di  Romena.  I  tre  ultimi  canti 
dell'Inferno  contengono  un  altra  rimembranza  di  Romagna, 
il  delitto,  cioè,  di  frale  Alberigo  Manfredi  di  Faenza.  Secondo 
lo  stesso  Troya,  Dante  pubblica  l'Inferno  nell'Ottobre  del 
1308,  prima  d'incaminarsi  alla  volta  di  Parigi,  un  40  giorni 
prima  dell'elezione  di  Arrigo  VII  ad  imperatore  di  Germa- 
nia. -  La  divina  Comedia  lino  al  C.  xvi  ricorda  sovente  con 
tenera  cura  i  luoghi  veduti  dal  poeta  di  là  del  Po,  quando 
l'Allighieri  ebbe  il  suo  primo  rifugio  presso  il  gran  Lom- 
bardo nel  1303;  ricorda  le  Alpi  di  Chiarentana  (/w/".  xv.  9.}, 
il  corso  dell'Adige  {Inf.  xii.  3),  e  del  Brenta  [Inf.  xv.  7),  i 
giuochi  ed  i  premi  del  drappo  verde  di  Verona.   [Inf.xv. 
122.)  Nel  xvu  si  prolungano  le  ricordanze  di  Lombardia. 
Nel  solo  XX  il  territorio  di  Brescia,  i  confini  del  Veronese,  la 
fortezza  di  Peschiera,  il  lago  di  Garda,  il  Mincio  che  cade 
in  Po,  le  paludi  mantovane,  la  dominazione  tolta  da'  Buo- 
naccolsi  a'  Signori  di  Casalodi,    sono  argomenti    di  versi 
bellissimi,  che  riconducono  il  pensiero  di  Dante  al  primo 
ostello,  presso  Bartolommeo  della  Scala.  E  tosto  s'incontra 
la  bellissima  descrizione  dell'Arsenale,  da- lui  osservato  in 
Venezia,  (/n/".  XXI.  7.)  La  Lunigiana,  ov'egli  si  aggirava  nel 
1306  presso  i  Malaspina,  forni  vagli  versi  non  meno  belli 
nel  suo  contemplar  l'alpi  Appenine,  sovrastanti  a  Carrara 
ed  a  Luni,  là  dove  l'etrusco  Aronte  abitò  la  spelonca  fra 
i  mairmi,  {Inf.  xx.  46.)  Cosi  sino  al  xxvi  si  rintraccia  Dante 
in  Lombardia  ed  in  Toscana,  dal  1302  al  1306  ed  al  prin- 


DELLA  VITA  DI  DAME.  51 

cipìo  del  1307.  Vi  si  scorgono  inoltre  gli  scolpiti  sdegni 
contro  Bologna,  che  nel  1307  scacciò  i  Bianchi  dal  suo  seno, 
per  danari  avuti  da' Fiorentini...  Recati  a  mente  il  nostro 
avaro  seno  [Inf.  xviii.  63.),  rampogne  generali,  a  cui  tengono 
dietro  le  particolari  contro  Venedico  Caccianemici  e  contro 
i  Frati  Godenti  Catalani  Malavolti  e  Loderingo  degli  Andalò.- 
L' Inferno  fu  dedicato,  secondo  il  Troya,  ad  Uguccione  della 
Faggiuola. 

5  Gennaio.  Incoronazione  di  Arrigo  VII  in  Aquisgrana. 
Dopo  l'interregno  d' un'anno,  anche  a  sollecitazione  di  Cle- 
mente V  che  lo  avea  additato  agli  elettori  come  il  mifjliore 
uomo  di  Lamagna,  il  più  cattolico,  da  venir  a  grandissime 
cose,  era  egli  stato  eletto  ad  imperatore  il  27  Nov.  1308. 
(  Villani,  L.  vili.  102;  L.  ix.  e.  i.  ).  Nel  mese  di  Agosto  del  1309 
ad  Heilbronn  riceve  la  risposta  di  Clemante  V  che  assentiva 
di  coronarlo  ad  imperatore.  (Bolla,  Divinae  sapientiae.) 

Dante  nel  Monastero  di  S.  Croce  del  Corvo,  che 

apparteneva  all'ordine  de'  Benedettini,  vale  a  dire  di  quel- 
l'ordine, di  cui  il  fratello  d'Uguccione  era  uno  de'  superiori, 
e  dì  cui  Uguccione  stesso  era  giusdicente  o  vicario  o  feu- 
datario. Interrogato  da  frate  Ilario,  priore  di  quel  cenobio, 
ciie  dimandasse?  rispondeva  pace.  E  nel  partire  lasciavagli 
un'esemplare  dell'Inferno  affinchè  serbasse  di  lui  più  ferma 
memoria.  -  Famosa  lettera  di  Fra  Ilario  ad  Uguccione  della 
Faggiola,  impugnata  dal  Witte,  dal  Prof.  Venturi,  dal  Prof. 
Centofanti,  sostenuta  dal  Troya,  dal  Balbo,  dal  Minich,  dal 
Fraticelli,  e  da  ultimo  da  Eugenio  Branchi.  {Lettera  di  Eu- 
genio Branchi  a  Pietro  Fraticelli,  il  Poliziano,  Maggio,  1859.) 

Di  Lunigiana  parte  alla  volta  di  Parigi.  Passa  per 

le  due  riviere,  di  che  è  chiara  reminiscenza  quel  passo, 
in  sul  principio  del  Purgatorio,  ove  nomina  i  due  punti 
estrerai  di  quella  marina  (^m?v/.  in.  ^9)  ;  e  l'altro,  dove 
accenna,  come  una  delle  più  scoscese,  la  discesa  di  Noli 
{Purg.  IV.  25). -Nella  contrada  di  Fouarre  {Itue  du  Fouarre, 
presso  alla  piazza  Mauhert)  sullo  strame,  dove  sedeva  la 
turba  degli  studenti,  egli,  alunno  immortale,  interviene  alle 
lezioni  del  Prof.  Sigieri,  cui  salvò  dall' obblio.  /'ar.  x.  137. 

a  Essendo  egli  a  Parigi,   e  quivi  sostenendo  in  una  dl- 
sputazionc  De  Quolibet,  che  nelle  scuole  della  Teologia  si 


52  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

faceva,  quattordici  questioni  da  diversi  valenti  uomini  e  di 
diverse  materie,  cogli  loro  argomenti  e  prò  e  conlra  fatti 
dagli  opponenti  senza  mettere  in  mezzo  raccolse  e  ordina- 
tamente come  poste  erano  state,  recitò  quelle;  poi  quel 
medesimo  ordine  seguendo,  sottilmente  solvendo  e  rispon- 
dendo agli  argomenti  contrari  :  la  qual  cosa  quasi  miracolo 
da  tutti  fu  reputata.  »  Bocc.  Vita  di  Dante,  40. 

Morte  di  Carlo  III   di   Napoli.  Roberto  d'Angiò, 

usurpa  il  trono  a'  suoi  nepoti,  figli  di  Carlo  Martello.  Par. 
vili.  75. 

1310.  Alla  novella  che  Arrigo  VII  era  in  sulle  mosse 
per  calare  in  Italia,  Dante  accendendosi  di  nuove  speranze, 
e  vagheggiando  il  trionfo  del  proprio  partito,  indirizza  una 
lettera  ai  due  re  di  Napoli  e  di  Sicilia,  Roberto  e  Federico, 
ai  Senatori  di  Roma,  ai  Duchi,  Marchesi  e  Conti,  ed  a'  po- 
poli tutti  d'Italia.  In  essa  esorta  le  genti  a  dimostrarsi 
fedeli  al  nuovo  principe,  perciocché  chi  resiste  alla  podestà 
imperiale  resiste  agli  ordinamenti  di  Dio.  -  Y.  Dante,  Opere 
Minori,  Y.  iii.  p.  462. 

Ser  Zucchero  Bencivenni  trasporta  in  volgare  fio- 
rentino l'Opere  di  Pietro  Crescenzio:  Delle  bisogna  delle 
ville. 

(  III  idus  Martii)  Morte  di  Arnolfo. 

Ottobre.  Arrigo   discende   in  Italia.  -  In   questa 

occasione  Dante  a  rafforzare  il  Ghibellinismo,  pubblica  il  suo 
trattato  De  Monarchia;  la  vera  e  grande  inspirazione  di 
quella  mente  potentissima,  superiore  alle  superstizioni  legali 
dell'epoca,  in  cui  se  vi  ha  la  cieca  riverenza  del  passato, 
e  quella  persuasione  cavalleresca  che  teneva  infallibile  la 
spada  -  quod  per  duellum  acquiritur  de  jure  acquiritur  - 
ma  vi  ha  anche  la  coraggiosa  tesi  della  indipendenza  del 
potere  civile,  e  l'altissima  e  nuova  idea  di  una  politica  cui 
l'accentramento  universale  di  tutte  le  forze  deve  esser 
mezzo  a  promuovere  V  utile  della  civiltà,  la  potenza  intellet- 
tiva di  lutto  il  genere  umano.  -  Il  Trattato  de  Monarchia  fu 
levato  a  cielo  e  bistrattato,  secondo  le  passioni  de'  critici. 
Strana  abberrazione  di  mente  dello  spirito  ghibellino ,.,.  un 
tessuto  di  sogni  (Yita  di  Dante,  L.  ii.  11,),  mediocre  libro, 
(Sommario  della  gloria  d'Italia  p.  258.)  lo  dice  il  Balbo; 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  53 

abbiettissimo  libro  \ì  Cantù  {Margherita  di  Pusleiia)  ;  teorica 
del  qhibeUinismo,  e  socfno  eroico  il  Gioberti  ;  la  produ- 
zione più  meditata,  più  candida,  eloquente  e  dirittamente 
politica  che  si  fosse  a  quel  tempo  scritta  intorno  alla  fa- 
mosa controversia  dalle  più  forti  potenze  intellettuali  dei 
medio  evo,  V  Emiliani  Giudici  (  Storia  delle  Leti.  Ital.  1. 167.)  ; 
il  primo  libro,  nel  quale  le  scienze  sociali  abbiano  posto  in 
alleanza  tra  loro  i  bisogni  della  speculazione  e  quelli  della 
esperienza,  il  prof.  Curmignani;  saggia  teoria  delle  costi- 
tuzioni del  santo  Impero,  che  riunendo  l'ordinamento  della 
Europa  cristiana  alle  tradizioni  dell'antico  romano  impero 
cerca  alla  fine  nella  profondità  de'  consigli  providenziali 
le  ultime  origini  del  potere  e  della  società,  VOzanam.  Morto 
r  Allighieri,  questo  libro  fu  invocato  da  Lodovico  il  Bavaro, 
al  quale  era  indiritto,  e  che  nel  suo  ghibellinismo  violava  i 
diritti  della  sede  con  le  ambizioni  della  corte;  onde  il  libro  nel 
1328  «  fu  dannato  da  messere  Beltrando  cardinale  del  Pogget- 
to,  e  legato  del  papa  nelle  parti  di  Lombardia,  sedente  papa 
Giovanni  XXII —  e  non  essendo  chi  a  ciò  si  opponesse, 
avuto  il  soprascritto  libro,  quello  in  pubblico,  siccome  cose 
eretiche  coiHenente,  dannò  al  fuoco.  E  '1  simigliante  si  sfor- 
zava di  fare  delle  ossa  dell'autore,  a  eterna  infamia  e 
confusione  della  sua  memoria,  se  a  ciò  non  si  fosse  opposto 
uno  valoroso  e  nobile  cavaliere  fiorentino,  il  cui  nome  fu 
Pino  dalla  Tosa,  il  quale  allora  a  Bologna,  dove  ciò  si  trat- 
tava, si  trovò,  e  con  lui  messer  Ostagio  da  Polenta,  potente 
ciascuno  assai  nel  cospetto  del  cardinale  di  sopra  detto.  » 
{ Boccaccio^  Vita  di  Dante,  p.  60.  )  Alcune  preposizioni  però 
furono  dannate  dal  Concilio  di  Trento.  -  11  Wegele  ed 
il  Witte  vogliono  che  questo  trattato  sia  stato  scritto  da 
Dante  prima  dell' esiglio;  il  Witte,  poi  lo  vuole  una  delle 
prime  opere  di  Dante,  un'opera  che  appartiene  alla  Vita 
Nuova,  e  sviluppa  le  ragioni  che  lo  muovono  ad  assegnare 
una  data  già  di  gran  lunga  anteriore  a  quella  che  general- 
mente gli  si  attribuisce,  cioè  agli  anni  1310-1313.  Il  Fra- 
ticelli vuole  bensì  sia  scritto  prima  del  Volgare  eloquio,  del 
Convito  e  della  Comcdia,  ma  non  già  innanzi  al  suo  esiglio. 
U.  Foscolo,  il  Troya,  il  Bianchi  nel  1312,  nel  suo  sog- 
giorno a  Pisa.  La  prima  edizione  della  Monarchia  venne 


54  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

falla  in  Basilea  nel  1559  per  l'Opporino,  volgarizzala  nel 
UGl  da  Jacopo  dal  Rosso,  e  nel  1467  da  Marsilio  Ficino 
ad  istanza  de'  suoi  amici  Bernardo  del  Neri  ed  Ani.  ManeUi. 
E.  Bollai  ricorda  una  Iraduzione  anonima,  mancarne  d'alcune 
carte,  che  si  trova  nella  Biblioteca  Imp.  di  Parigi,  sotto  il 
n.  1756,  veduta  e  lodata  dal  Marsand  -  Anche  nella  Biblio- 
teca Riccardiana  di  Firenze,  conservasi  una  Iraduzione  fatta 
sulla  line  del  secolo  xv.  (Y.  Abeken  Bernh.  Dante'  s  Bu.ch: 
Von  der,  Monafcìm  in  Auszuge.  Berlin  und  Stettin,  1826; 
Jlaroldt  Basilius  Ioli.  31onarchcy  odereu.  Basilea,  per  Nicolò 
Vescovo,  il  giovine,  1559.) 

1311.  A'  primi  di  Gen.  recasi  a  Milano  a  prestare  omaggio 
personalmente  al  novello  imperatore  Arrigo  VII.  Io  vidi 
te,  quale  si  conviene  alla  imperiale  maestà,  benignissimo,  e 
udii  le  clementissimo,  quando  le  mie  mani  toccarono  i  piedi 
tuoi,  e  le  mie  labbra  pagarono  il  loro  debito.  Allora  esultò 
in  te  lo  spirilo  mio,  e  tacitamente  dissi  tra  me:  »  Ecco 
l'agnello  di  Dio;  ecco  chi  toglie  i  peccati  del  mondo I  » 
Epist.  VII,  2. 

~  12  Aprile.  Mentre  coli' esercito  accampato  in  sulle 
rive  del  Po,  attendeva  Arrigo  all'espugnazione  di  Cremona, 
{Villani,  L.  IX.  e.  14. )  Dante,  impaziente  d'indugio,  a  suo 
nome  ed  a  quello  pure  degli  altri  esuli  ghibellini  toscani, 
gì' indirizza  una  Ietterà,  che  al  dire  del  Foscolo,  spira  fu- 
rore e  ferocia.  Essa  porta  la  data:  scrina  in  Toscana^  sotto 
la  fonte  dell' Arno,  il  16  Aprile  1311.  -II  Co.  Trova  opina 
che  fosse  scritta  nel  castello  di  Porciano,  dei  Conti  Guidi, 
a  cinque  miglia  dalla  sorgente  del  fiume.  Y.  Dante^  Opere 
Minori,  Y.  III.  p.  482;  Par.  xvni.  82;  xxx.  142. 

Passa  di  Casentino  in  Romagna,  e  per  breve  tempo 

si  ferma  a  Forlì,  di  dove  scrive  una  lettera  a  Can  Grande 
della  Scala,  a  nome  di  lutti  gli  esuli  toscani.  In  essa  narra 
l'infelice  successo  della  legazione  di  Arrigo  ai  liorentini, 
de'  quali  deplora  la  cecità. 

Can  Grande  della  Scala,  in  età  di  veni' anni,  re- 
gnante ancora  Jl  suo  fratello  Alboino,  guerreggia  contro 
a' Guelfi  della  trevigiana,  e  per  via  d'accordi  occupa  la 
città  di  Vicenza.  -  Ricciardo  da  Camino  è  trucidato;  v'ha 
ehi  dice  per  tradimento  del  Signor  di  Verona;  tulli  però 


DELLA  VITA  DI  DAME.  53 

consentono  che  la  congiura  sia  stala  tramata  da'  Ghibellini. 
L'anima  amara  di  Dante  contro  alla  famiglia  de'  Caminesi 
traspira  da'  versi  del  Paradiso.  -  C.  ix.  49. 

1312,  29  Giugno.  Incoronazione  di  Arrigo  VII   in   San 
Giovanni  Lalerano. 

Alfonso  comincia  regnare  in  Castiglia. 

19  Sett.  Arrigo  giunge  sotto  Firenze,  e  si  attenda 

alla  badia  di  San  Salvi. 

1B13.  Nascita  di  Giovanni  Boccaccio. 

24  Ag.  Morte  di  Arrigo  VII  in  Buonconvento,  nella 

maremma  toscana.  Alcuni  tennero  che  fosse  stato  avvele- 
nato nell'ostia,  coperta  di  polvere  soltilisssima,  fatta  di 
napello,  erba  mortifera  e  velenosa,  per  fra  Bernardino  da 
Montepulciano.  [Cronaca  Pisana;  Rondoni  Ra/faello,  arcip. 
di  Pisa,  dell'istorie  Pisane,  libri  XVI)  Il  Barlhold  ed  il 
Koo'p  pubblicarono  tre  documenti  (  Uarthold,  llòmerziuf 
K'ònicj  Heinrichs  von  LUtzelburg,  Voi.  II.  Append.  pag.  45 
e  seg.  ;  Koop,  Gescliichlsblatter  aiis  der  Sckweiz-,  \ol.  I. 
p.  122-127,  in  forma  più  corretta)  di  Guido  vescovo  d'A- 
rezzo, di  Federigo  conte  di  Montefeltro,  e  dei  Capitani 
dell'esercito  imperiale.  In  data  di  Arezzo  14  Settembre  1313 
al  Cardinale  vescovo  d'Ostia,  iNiccolò  da  Prato,  intorno 
alla  morte  di  Arrigo  VII,  da'  quali  verrebbe  contestata  la 
falsità  dell'accusa  apposta  a  fra  Bernardino.  Questi  docu- 
menti, in  copie  vidimate,  rilrovansi  a  Lubecca  nell'Archivio 
dell'antico  convento  dei  Predicatori,  ed  in  quello  dell'antico 
convento  de'  Predicatori  a  Lussemburgo,  fondato  da  Arrigo 
VII.  -  11  Prof.  Ficker  inseriva  nel  (jeschichlsblàtter  aus 
der  Schweiz  (Voi.  I.  pag.  312-313.)  un  estratto  del  Chronicon 
Gerhardi  de  Fracheto,  scritto  negli  anni  1316-1334,  Ms. 
nella  Marciana  (CI.  X.  cod.  xlvi,  fol.  174.)  in  cui  leggesi: 
MCCCXIII  die  xxuii  Augusti,  in  festa  beati  Bartliolomei 
Apostoli,  dominus  imperalor  obiit  de  ulcere  carbunculi  in 
terra  de  Bonconvento  districtus  Senensis  ;  ecc.  e  ci  dà  pure 
ragguagli  come  la  pubblica  voce  tenesse  morto  Arrigo  di 
veleno,  per  opera  dello  stesso  frate  [quod  quidam  frater 
Bernardinus  de  Monte  Pulziano...  venenaverat  eum,  dando 
sibi  corpus  Christi),  ma  che  ne  andasse  purgato,  special- 
mente per  le  deposizioni   di    Bartolomeo   di   Yaragnana, 


56  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

bolognese,  chiamalo  a  curare  l' illustre  infermo.  (V.  Dieffcn- 
hach.  De  vero  mortis  genere  ex  quo  Henrìcus  VII  imp.  obiit, 
Francoforle,  1685.)  Ma  il  Leo,  il  Palacky,  (Storia  di  Boemia, 
Voi.  2.  p.  2.  p.  104.)  propugnano  la  storia  dell'avvelenamen- 
to, appoggiati  all'  autorità  del  Chronicon  Aulaereqiae  (di 
Pietro  Abate  di  Kónnigssaal  ),  presso  Dohner,  Monumenta 
hisL  Bohemiae,  Yol.  Y.,  rifiutando  come  supposta  l' epistola 
del  Re  Giovanni,  dei  7  Maggio  1346,  stampata  dal  Baluzio 
{Miscellanea,  i.  326)  sopra  «  veteri  membrana  authentica  »  del 
convento  domenicano  di  Verduno,  e  citata  dal  Bohmer  nelle 
Regesta  del  Re  Giovanni,  p.  345.  -  Anche  un  ritmo  latino 
In  funere  Henrici  VII  Imperatoris,  Anonymi  lamentatiOy 
pubblicato  ììgW Appendice  AeW Archivio  storico  italiano,  n.  18, 
1847,  e  tratto  da  un  manoscritto  della  Biblioteca  reale 
di  Parigi,  farebbe  acquistar  fede  a  tale  credenza.  -  Quan- 
tunque Arrigo  non  avesse  corrisposto  all'alto  concetto  che 
sì  aveano  formato  i  Ghibellini,  col  variar  di  fortuna.  Dante 
non  cambia  di  opinione  verso  di  lui,  e  grato  alle  sue  buone 
intenzioni,  ed  altri  chiamando  in  colpa  del  poco  effetto  di 
queste,  imagina  che  nel  paradiso  fosse  a  lui  preparato 
splendido  seggio.  (  Villani,  L.  ix.  e.  52.)  Par.  xxx.  133. 

1313-15.  Dante  a  Gubbio,  presso  Rosone  de'  Raffaelli. 
Vuoisi  che  Rosone  non  solo  l'accogliesse  nelle  case  sue, 
poste  nel  quartier  di  sant'Andrea,  ma  altresì  nel  suo  ca- 
stello di  Colmollaro,  situato  presso  il  fiume  Saonda,  a  sei 
miglia  da  Gubbio.  Un  Falcucci,  divenuto  possessore  delle 
case  de'  Raffaelli,  poste  nel  quartier  Sant'  Andrea,  presso  la 
porta  Sant'Agostino,  fece  collocare  nella  parete  laterale 
questa  iscrizione  :  Hic  mansit  -  Dantes  Alegherius  poeta  -  Et 
carmina  scripsit  -  Federicus  Falcutius  -  Virtuti  et  poster.  P.- 
Costante  tradizione  è  pure  che  il  Poeta  in  questo  torno  si 
ritraesse  per  alcun  tempo  nel  monastero  dell'ordine  camal- 
dolense  di  Santa  Croce  di  Fonte  Avellana,  situato  nel  ter- 
ritorio di  Gubbio,  sul  fianco  dell'Alpe  detta  Catria;  luogo 
orrido  e  solitario,  [Par.  xxi.  106.)  essendovi  Priore  Fra 
Moricone.  Gli  annali  Avellanesi  segnerebbero  l'arrivo  di 
Dante  nel  1318.  La  camera,  ove  si  tiene  che  egli  abitasse, 
e  vi  scrìvesse  parte  del  suo  poema,  chiamasi  tuttora  la 
camera  di  Dante;  e,  sotto  un  busto  di  marmo  rappresentaiil© 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  37 

il  Poeta,  avvi  in  una  parete  la  seguente  iscrizione. -//occc 
cubkulum  hospes  -  In  quo  Dantes  Aligherius  habUasse  -  In 
eoque  non  minimam  praeclari  ac  -  Pene  divini  operis  sui 
partem  com  -  Posuisse  dicitur  undique  fatiscens  -  Àc  tantum 
non  solo  aequatum  -  Philìppiis  Roduìphius  -  Laurentii  JSi- 
colai  Cardinalis  -  Amplissimi  fratris  filìus  summus  -  Collegii 
praeses  prò  eximia  erga  -  Civem  suum  pietate  refici  hanc- 
que  -  lllius  effigicm  ad  tanti  viri  memo  -  Riam  revocandam 
Antonio  Petreio  -  Canon.  Florent.  procurante  -  Collmiri 
mandavit  -  Kal.  Maii 3IDLV11.  -  Camald.  Monaci  re  vétius 
cognita  -  Hoc  in  loco  ab  ipsis  restaurato  -  Posuerunt  Kal. 
Nov.  MDCXXIL  -  Il  Troya  vuole  che  si  conducesse  presso 
Bosone  nel  1317-18,  e  che  vi  erudisse  i  figli  del  suo  amico 
Bosone,  autore  dell'  Avventuroso  Ciciliano  e  di  Bastiano, 
autore  del  Teleutelogio, 

1314,  20  Marzo.  Dante,  inviato  da  Guido  Polenta,  amba- 
sciatore a'  Veneziani,  per  rallegrarsi  in  di  lui  nome  della 
elezione  a  Doge  di  Giovanni  Soranzo  -  Sua  lettera  a  Guido 
Polenta.  Y.  Dante,  Opere  Minori,  V.  III.  p.  500. 

20  Aprile.  Morte  di  Clemente  V  a  Roqueraaure  sul 

Rodano,  {Villani.  L.  ix.  e.  54.)  di  quella  specie  di  canchero 
delle  scure  o  natiche,  il  quale  da'  medici  del  medio  evo  era 
chiamato  lupus  o  lupulus.  (V.  Lettera  del  cav.  Salvatore 
de  Renzi  al  Co.  Carlo  Troya  sulla  malattia  di  Clemente  V.) 

Lettera  di  Dante  a'  Cardinali  italiani,  perchè  ces- 
sassero lo  scandalo  della  avignonese  cattività,  e  consolassero 
Roma  e  l'Italia,  riconducendo  tra  noi  l'augusto  seggio  di 
Pietro,  che  dell'una  e  dell'altra  è  saldezza  ed  ornamento. 
{Questa  lettera  debb'esser  stata  scritta  prima  del  14  Luglio 
in  che  venne  fatta  violenza  ai  cardinali  Italiani  dal  partito 
guascone.)  Y.  Dante,  Opere  Minori,  Y.  III.  p.  507. 

Lodovico  il  Bavaro  succede  ad  Arigo  YII. 

Morte  di  Filippo  il  Bello,  re  di  Francia.  Por.  xix.  118. 

Can  della  Scala  rompe  di  bel  nuovo  i  Guelfi  della 

Marca  trevigiana,  capitanati  da  Jacopo  di  Carrara.  Par.  ix.  45, 

14  Luglio.  Uguccione  della  Faggiuola,  strenuo  capi- 
tano ghibellino,  podestà  de'  Pisani,  s' insignorisce  di  Lucca. 
Quivi  l'Allighieri,  accolto  amorevolmente,  prese  stanza  fino 
a  che  Uguccione  non  ne  perdette  la  signoria  ;  qui  scrisse  la 


58  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

terz'  ullima  parte  del  suo  Purgatorio  ;  qui  s' innamorò  di 
una  nobile  e  costumata  giovine  lucchese,  di  nome  Gentucca, 
poi  moglie  di  Bernardo  Moria  degli  Antelminelli  Alluccìn- 
ghi.  Purg.  xxiv.  37. 

— —  Clemenza,  figlia  di  Carlo  Martello,  va  moglie  di 
Luigi  X  succeduto  a  Filippo  il  Bello.  Par.  ix.  1. 

29  Agosto.  Celebre  vittoria  di  Montecatini. 

1315,  15  Sett.  Secondo  il  Troya  ed  il  Fraticelli  in  questo 
m^e  compie  il  Purgatorio.  Il  Troya  vuole  che  il  poeta 
incàirnasse  nel  1308  a  Parigi  questa  sua  seconda  Cantica, 
ed  ivi  ne  dettasse  i  primi  otto  canti,  mentre  aspeltavasi 
Arrigo  Yll  in  Italia,  nell'  autunno  del  1300,  a'  quali  pur  si 
debbe  aggiugnere  l'ottavo,  dove  s'odono  le  rimembranze 
si  tenere  dell'  ospitalità  trovata  da  Dante  presso  France- 
schino  Malespina  di  Muiazzo  e  Moroeilo  e  Corrado  di  Yil- 
lafranca.  Testimoni  di  quel  suo  viaggio  sono  ì  ricordi  di 
Lerici  di  ISoli  e  di  Turhia.  La  menzione  di  questi  luoghi 
ne'  primi  quattro  canti  ci  assicura  che  di  tutte  le  vie  aperte 
a  Dante  per  andare  a  Parigi,  ei  trascelse  quella  di  Lunigiana 
e  della  riviera  di  Genova.  L'accenno  ch'ei  fa  di  S.Leo  e 
di  Bismantova  ci  attesta  parimenti  di  aver  egli  riveduto  le 
cime  di  Montefeltro  dalla  Romagna,  ove  fu  segretario  di 
Scarpetta  degli  Ordelaffi  per  alcun  tempo  nel  1308,  e  d'esser 
poscia  disceso  in  Lunigiana  pel  tratto  di  Modena  e  di  Reg- 
gio, all'ombra  quasi  di  Bismantova.  L'aver  mutato  cielo 
sembra  gli  avesse  infuso  nel  petto  la  serenità  dei  primi 
cinque  canti  del  Purgatorio,  melodia  dolcissima  di  un'animo 
stanco,  il  quale  si  va  riconfortando  con  la  memoria  de' primi 
suoi  anni  e  del  cantar  di  Casella.  I  Canti  del  Purgatorio 
die  vanno  dal  viii  al  xi  furono  composti  poco  dopo  111310 
al  più  tardi,  e  però  si  risentono  ancora  del  suo  recente 
viaggio  in  Francia,  là  nel  luogo  dove  il  poeta  in  onore  di 
Oderisi  da  Gubbio  ricorda  l'arte  che  a/Zt/mmare  è  chiamata 
in  Parigi  (xi.81)  —  Dal  Sett.  1§12  al  24  Agosto  1313  (undici 
mesi)  scrisse,  salvo  qualche  ritocco,  i  canti  dal  xiv  al  xviii, 
pieni  d'ira  sovente  contra  coloro  i  quali  si  mostrarono 
tiepidi  amici  dell'  impero.  Anche  Pisa,  nel  xiv,  ebbe  la  sua 
parte  de'  biasimi,  ed  ei  la  disse  abitata  da'  volpi  ripiene  di 
frodi;  ed  accenna  senza  dubbio  alle  parti,  che  già  s' anda- 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  59 

vano  ivi  formando,  capitanate  dai  due  Buonconti,  a'  quali 
pareva,  doversi  con  piena  riverenza  e  sommessione  obbedire 
alle  Bolle  date  in  Avignone  da  Clemente  V.  nel  2  Giugno 
1313,  acciocché  Arrigo  VII  non  recasse  molestia  al  re  Ro- 
berto. Queste  Bolle,  a  senno  di  Dante,  furono  l' inganno 
eh'  egli  non  mai  più  in  tutta  la  sua  vita  perdonò  alla 
memoria  del  Guasco;  Bolle  che  i  Ghibellini  ed  i  Bianchi 
dicevano  essersi  con  gran  pregio  di  danari  comperate  da 
Roberto.  La  pena  di  Adriano  V  e  di  Ugo  Capeto  pare  abbia 
avuto  in  mira  le  ridette  due  Bolle  per  le  quali  era  slata  sì 
violentemente  offesa  la  parte  dei  Ghibellini  [Purg.  xix.  xx). 
Tolta  a'  14  Giugno  1314  Lucca  al  re  Roberto  da  Uguccione, 
Dante  ripara  in  quella  città,  e  riprende  la  tela  del  poema 
rallentata  ed  anche  sospesa  per  qualche  tempo,  e  vi  com- 
pose il  G.  xxiii,  ed  il  XXIV  -  Neil'  intervallo  dei  5  mesi 
fra  l'assedio  di  Cigoli  e  la  vittoria  di  Montecatini,  il  poeta 
avvicendava  la  sua  dimora  fra  Pisa  e  Lucca,  e  componeva 
gli  ultimi  canti.  Quanta  dolcezza  quanta  pace  negli  ul- 
timi sette  canti!  Quale  certezza  di  ritornare  a  Firenze!  11 
Purgatorio  fu  dedicato  dal  poeta  a  Moroello  Malaspina, 
marchese  di  Yillafranca,  o,  secondo  altri  a  Moroello,  mar- 
chese di  Valditrebbia. 

6  Novembre.   Zaccaria  d'Orvieto,   vicario   del  re 

Roberto  in  Firenze,  condanna  per  la  terza  volta  Dante  Alli- 
ghieri,  a  perdere  la  testa  per  mano  del  carnefice,  ov'  egli 
fosse  venuto  nelle  forze  del  Comune. 

1316,  10  Aprile.  Uguccione  cacciato  non  solo  da  Lucca, 
ma  pur  anco  da  Pisa,  ripara  presso  Can  Grande  della  Scala. 
[Villani,  L.  XI.  e.  78.) 

7  Agosto   Elezione  a  pontefice  di  Giovanni  XXII, 

di  Caors  (Jacopo,  vescovo  di  Avignone  Villani,  L.  xi.  e.  81.)  - 
esecrato  sì  spesso  da  Dante.  Par.  xxvii.  58. 

Oltobr.  15  Sett.  Elezione  a  podestà  di  Firenze  del 

Co.  Guido  di  Battifole  [Villani,  L.  ix.  e.  79).  Sotto  il  di  lui 
regime,  il  dì  11  Decembre,  fecesi  uno  stanziamento  pel  quale 
concedevasi  facoltà  a  tutti  i  fuoruscili  di  potere  a  certe 
condizioni  rientrare  in  Firenze.  Ma  Dante,  lasciando  ogni 
cosa  più  caramente  diletta,  non  avea  lasciato  l' altezza 
dell'  anima.  Memoranda  sua  lettera  ad  un  frate  suo  nepole 


60  SPECCnJO  CRONOLOGICO 

(de'  Brunaccì  o  dei  Poggi),  in  cui  disdegna  di  lasciarsi  ribe- 
nedire come  colpevole,  e  ricomperare  il  suo  ritorno  con 
prezzo  vile  al  suo  nome.  Questa  Epistola  è  un  apologia 
della  vita  di  Dante,  perchè  da  essa  apparisce  la  sua  inno- 
cenza, e  lo  studio  continualo  della  filosofia.  Dante,  Opere 
Minori,  V.  III.  p.  521. 

Dante  a  Verona.  Famosa  sua  Lettera  a  Can  Grande 

della  Scala,  che  non  solo  porta  espressi  e  splendidi  i  carat- 
teri dell' AUighieri,  ma  determina  preciso  il  verace  metodo 
di  commentare  il  divino  poema -Dante,  Opere  Minori,  Y.  III. 
p. 528 -Fin  dal  1819,  lo  Scolari  avea  dichiarata  non  genuina 
questa  dedica  del  Paradiso.  Nella  sua  ristampa  delle  note 
del  Perazzini  alla  divina  Comedia,  cercò  di  confutare  minu- 
tamente la  contraria  opinione  esposta  dal  Witte  nel  1827, 
nella  sua  edizione  delle  lettere  di  Dante,  approvala  dal 
Picei,  dal  Torri,  dal  Torricelli.  Ma  le  nuove  ragioni  esposte 
parvero  così  seducenti  al  Picei  (1846)  che  di  poi  si  tenne  con 
lo  Scolari.  In  questi  ultimi  anni  il  P.  Giuliani,  della  cui  ami- 
cizia mi  onoro,  il  più  dolio  tra  i  viventi  comentatori  di  Dante 
in  Italia,  ebbe  scoperta  un'importantissima  testimonianza  di 
Filippo  Villani  in  favore  dell' autenticità,  e  la  stampò  nella 
Gazzetta  di  Venezia  del  16  Ottobre  1847.  E  lo  Scolari  tor- 
nò più  pertinace  in  campo.  Ma  allora  entrò  a  combatterlo 
XìtW Album  romano  il  P.  Ponta,  né  mancarono  repliche  con- 
tro repliche.  Tale  opinione  sostenne  ancora  il  Giuliani  in 
un'accuratissima  e  molto  erudita  dissertazione  sopra  la  lettera 
a  Can  Grande  (G.  Arcadico,  n.  127).  Il  20  Settembre  1855,  nel 
cinquantesimo  anniversario  dell'assunzione  al  sacro  ministe- 
rio  del  suo  amico  Goffredo  Blanc,  il  Witte  svolgeva  i  più 
importanti  argomenti  che  si  ricavano  da  un  antico  mano- 
scritto delle  Lettere  di  Dante  a  Can  Grande  che  si  conser- 
vano nella  biblioteca  di  Monaco.  {Insunt  observationes  de 
Bantis  epistola  nuncupatoria  ad  Canem  Grandem  de  la  Scala, 
(Halis  Saxon.  typis  ed.  Heynemann,  1855.)  Per  quanto  ragio- 
nevoli e  convincenti  si  mostrassero  le  conclusioni  del  Witte, 
ciò  non  di  manco  lo  Scolari  perdurante  nel  suo  sentimento, 
rispose  al  Witte  che  non  polca  con  lui  entrare  in  accordo. 
[De  Dantis  nuncupatoria  ad  Canem  Grandem  de  la  Scala, 
Mediolani   typis  fratrum  Centenarii,  1855).  Ma  da  ultimo 


DELLA  VITA  DI  DANTE.  61 

valorosamente  comenlavala  di  nuovo,  e  propugnavano  l'au-  - 
lenticità  il  P.  Giuliani  da  ritenerne  vinta  la  prova.  (Genova,. 
Sanibolino,  1856;  Giuliani,  Metodo  di  comentare  la  D.  C.  p. 
3-125;  V.  L'Articolo  del  Tigri  sulla  dissertazione  del  Giu- 
liani, Spettatore,  10  Maggio,  1857;  Witte,  Studi  germannici 
sopra  Dante  deli  anno  1855,   Spetattore  4  Maggio,  1856.) 

1318.  16  Dee.  Can  Grande,  in  parlamento  a  Soncino, 
vien  eletto  Capitano  generale  della  lega  ghibellina  in  Lom- 
bardia. 

1319.  I  Biografi  di  Dante  vogliono  che  in  quest'anno 
avesse  stanza  in  Udine  ed  in  Tolmino,  castello  situato  nei 
monti  sopra  Cividale  del  Friuli,  presso  il  Patriarca  Pagano 
della  Torre,  guelfo.  «  In  questo  ultimo  sito  si  crede  che 
Dante  scrivesse  a  compiacenza  di  Pagano  alcune  parti  delle 
sue  cantiche...  E  a  questa  credenza  consente  uno  scoglio 
sporto  sopra  il  fiume  Tolmino,  chiamato  oggidì  dalli  paesani 
Sedia  di  Dante.  »  —  Valvassone. 

1320.  Dante,  scrivendo  «e'  primi  mesi  del  1320  al  Del 
Virgilio,  significavagli  di  non  aver  ancor  terminato  il  Para- 
diso. Pare  però  lo  compiesse  in  quest'anno.  1  primi  ix  canti, 
secondo  il  Troya,  furono  scritti  prima  della  cacciata  di  li- 
guccione;  ed  ei  pur  vuole  che  nel  1317  ordinasse  gli  otto 
canti  che  vanno  dal  x  al  xvii.  -  Opinione  erronea  che  la  II 
Cantica  fosse  intitolata  a  Federigo  111  di  Sicilia.  Yeggasi  il 
bellissimo  articolo  di  Silvestro  Centofanti  :  Se  Dante  dedicasse 
a  Federigo  111,  re  di  Sicilia,  la  Cantica  del  Paradiso,  An- 
tologia di  Firenze,  Marzo  ed  Aprile,  1832. 

20  Gemi,  In  inclyta  urbe  Verona,  in  sacello  Helenae 

gloriosae,  coram  universo  clero  veronensi,  praeter  quosdam, 
qui,  nimia  caritate  ardentcs,  aliorum  rogamina  non  admit- 
tunt,  et  per  humilitatis  virtutem  Spiritus  Sancti  panperes,  ne 
aliorum  excellentiam  probare  videantur,  sermonibus  eorum 
interesse  refugiunt.  -  Et  hoc  factum  est  in  anno  a  nativitate 
I).  N.  J.  C.  1320,  in  die  Solis...  qui  quidem  dies  fuit  se- 
ptimus  a  Januariis  Idibus  et  decimus  tertius  ante  Kalendas 
Februarias  (  §.  24.  )  sosteneva  la  tesi  filosofica  colle  forme 
scolastiche  -  Quaestio  de  Aqua  et  terra:  Se  l'acqua  nella 
sua  sfericità,  vale  a  diro  nella  sua  circoferen?a  sia  in  quaU 
cl>e  parte  più  Alta  della  terra. 


62  SPECCHIO  CRONOLOGICO 

Dante  a  Ravenna,  accoltovi  amorevolmente  da  Gui- 
do V.  Novello,  nipote  della  famosa  Francesca.  Egli  non 
assentì,  scrive  il  Marlinetti,  che  Dante  stesse  nel  suo  prin- 
cipesco palazzo,  sapendo  come  la  filosofia  e  la  poesia  amino 
la  quiete  e  il  riposo,  e  non  le  consuetudini  romorose  che 
sono  nelle  case  de' grandi:  sicché  per  renderlo  libero  e 
indipendente  gli  assegnò  una  sua  abitazione,  la  quale  sem- 
bra sia  quella  in  vicinanza  al  convento  de'  Frati  minori  di 
S.  Francesco  (oggi  appartiene  alla  nobile  famiglia  Fabri  ), 
provvedendolo  nel  medesimo  tempo  di  ciò  che  ad  un  esule, 
condotto  in  miseria,  può  abbisognare.  Quivi  si  condusse 
Pietro,  figliuolo  suo  maggiore,  chiamatovi  dal  Polenlano  a 
tenere  1'  ufficio  di  giudice,  ed  è  fama  che  abitasse  in  S.  Ma- 
ria in  Zenzanigola.  -  Anche  per  opera  dell' Allighieri,  come 
ci  lasciò  scritto  il  Vasari,  si  recò  in  Ravenna  il  celebre  suo 
amico  Giotto  a  dipingervi  alcune  storie  in  fresco  nella  chiesa 
di  S.  Francesco.  La  figlia  di  Dante,  Beatrice,  amando  di 
esalare  lo  spirito,  presso  al  s0{)olcro  del  padre,  si  rese  mo- 
naca nel  convento  di  S.  Stefano  dell'  Uliva,  dove  cessò  di 
vivere.  E  Giovanni  Boccaccio,  allorché  si  condusse  a  Raven- 
na, fu  pure  incaricato  dalla  repubblica  firentina  di  pagare 
dieci  fiorini  d' oro  alla  suddetta  monaca.  Il  Martinelli  vuole 
che  Dante  fin  dal  1318  si  riducesse  a  Ravenna. 

1321.  La  Repubblica  di  Venezia  prende  a  muover  guer- 
ra al  Polentano.  Questi  prega  l'amico  Allighieri  a  voler 
portarsi  con  titolo  di  suo  ambasciatore  a  quella  repubblica 
per  tentare,  se  fosse  stato  possibile,  di  ridurla  a  sensi  di 
pace.  Ma  poco  o  nulla  da  quel  rìgido  Senato-  potè  otte- 
nere; ond'egli  dolente  della  mala  riuscita,  si  dispose  tosto 
alla  partenza.  Se  non  che  negatogli  da'  Veneziani  il  passo 
per  mare,  dovè  prendere  la  via  di  terra;  e,  transitando  con 
disagio  per  quei  luoghi  paludosi,  contrasse  la  febbre,  e 
tornò  infermo  a  Ravenna. 

— —  14  Settembre.  Morte  di  Dante.  -  Il  Villani  la  vuole 
avvenuta  nel  mese  di  Luglio.  [Villani,  L.  ix.  e.  135.)  In  un 
pregevole  codice  di  questo  storico,  che  si  conserva  nella 
Marciana  di  Venezia,  si  legge  nel  mese  di  Settembre.  V  iscri- 
zione sepolcrale,  dettata  da  Giovanni  del  Virgilio,  amico  di 
Dante,  termina  così: 


DELLA  VITA  DI  DAìNTE,  6.t 

Mille  tercentis,  ter  septem  Numinis  annis, 
Ad  sua  septembris  idibus  astra  redit. 

Il  Villani  (lice  che  fu  seppellito  in  Ravenna,  dinanzi  alla 
porta  della  Chiesa  maggiore,  a  grande  onore,  in  abito  di 
poeta  e  di  grande  filosofo.  11  Martinelli,  nella  Chiesa  dei 
frati  Minori  francescani,  in  una  cappella  dell' Ardica,  per  la 
brevità  del  tempo,  in  un  umile  sepolcro.  -  G.  Eoccaccio, 
dopo  di  aver  con  eloquenti  parole  rimproverato  ai  Fiorentini 
l'immeritato  esigilo  del  grande  poeta,  così  prosegue  :  «Ahi, 
misera  madre,  apri  gli  occhi  e  guarda  con  alcuno  rimordi- 
mento  quello  che  tu  facesti...  se  le  ire,  gli  odii  e  le  inimicizie 
cessano  per  la  morte  di  qualunque  è  che  muoia,  come  si 
crede,  comincia  a  tornare  in  le  medesima,  e  nel  tuo  diritto 
conoscimento  comincia  a  vergognarti  di  avere  fatto  contra 
la  tua  antica  umanità;  comincia  a  voler  apparerò  madre  e 
non  più  inimica;  concedi  le  debite  lagrime  al  tuo  tigliuolo; 
concedigli  la  materna  pietà;  e  colui  il  quale  tu  riliutasli, 
anzi  cacciasti  vivo  siccome  sospetto,  desidera  almeno  di  ri- 
averlo morto  ;  rendi  la  tua  cittadinanza,  il  tuo  seno,  la  tua 
grazia  alla  sua  memoria...  Cerca  di  voler  essere  del  tuo 
Dante  guardiana,  raddomandandolo.»  Ma  egli  già  antivedeva 
che  Ravenna  che  degli  onofi  di  Firenze  si  gloriava  tra'  futuri 
non  l'avrebbe  certo  renduto  (1).  Fin  dal  1396  la  Repubblica 
firentina  decretava  di  erigere  al  suo  poeta  un  magnifico 
sepolcro,  ove  le  sue  ceneri  si  fossero  impetrate  da  Ravenna. 
Ma  la  preghiera  cadde  vuota  d' efletto.  E  questo  desiderio 
di  fare  ammenda  dei  torti  aviti  si  svegliò  più  vivo  nel  1429, 
e  ne'  fasti  consolari  delle  Riformagioni  di  Firenze  leggesi  la 
lettera  dal  Comune  indiritta  il  10  Febb.  1429  ad  Ostagio  Polen- 
ta, che  venne  pubblicala  dal  Gaye.  Ma  anche  questa  volta 
non  ne  fu  nulla.  Né  perciò  si  ristettero  i  horentini  ;  ed  ai  20 
Ottobre  lo  19  l'Accademia  medicea  indirizzava  a  Papa  Leone 
X  un  memoriale  a  questo  medesimo  line,  e  Michelangelo 
olTrivasi  di  prestar  la  sua  opera  a  innalzare  a  quelle  ossa 
rimpatriale  un  monumento,  che  ispirato  da  quel  suo  por- 
tentoso ingegno  e  da  quel  suo  ardentissimo  cuore,  sarebbe 

(Ij  E  quella  savia  Ravenna,  che  serba 

11  tuo  tesoro,  allegra  se  ne  goda, 
Cbo  e  degna  per  gran  !oda.  Ci  no,  cxii. 


64  SPECCDIO  CRONOLOGICO 

riuscito  veramente  degno  di  esse.  [Io  Michclangiolo  Schul- 
tore  il  medesimo  a  vostra  Santità  suplicho,  offerendomi  al 
Divin  Poeta  fare  la  SepuUtira  sua  chondecente  e  in  locho 
onorevole  in  questa  città.  -  11  documento  originale  sì  con- 
serva nel  R.  Archivio  di  Stalo.)  Ma  il  nobile  divisamento  non 
sortì  il  sospirato  effetto.  Se  non  che  Fiorenza  era  entrata 
in  isperanza  di  poter  aprire  la  solennità  centenaria  del  di- 
vino poeta  coir  entrata  in  Firenze  delle  sue  ossa,  richiamate 
alla  fine  dall'esilio  che  dura  da  cinque  secoli  e  mezzo.  11 
Consiglio  generale  del  Municipio  fiorentino  indirizzava  una 
preghiera  alla  città  di  Ravenna  (4  Maggio  1864)  per  otte- 
nere da  essa  come  fraterno  dono,  quanto  più  doloroso,  tanto 
più  nobile,  la  restituzione  delle  ossa  di  Dante,  chiedendo 
di  poter  porre  dove  furono  serbate  una  epigrafe  che  ricor- 
dasse la  generosità  ravennate  e  la  fiorentina  riconoscenza. 

Ma  a  Ravenna  non  pativa  l'animo  di  staccarsi  da  quel 
tesoro  per  cinque  secoli  e  mezzo  religiosamente  serbato,  e 
adonestava  il  rifiuto  con  questa  deliberazione: 

»  Considerando  esser  debito  de' nepoti  tributare  perenne 
e  reverente  omaggio  agli  atti  che  onorano  gli  avi  ;  » 

))  Considerando  che  il  deposito  delle  sacre  ossa  di  Dante 
Allighieri  in  Ravenna  non  può,  {)ei  destini  felicemente  mu- 
tati d'Italia,  considerarsi  come  perpetuazione  d'esilio,  una 
essendo  la  legge  che  raccoglie  con  duraturo  vincolo  tutte 
le  città  italiane;  » 

»  Considerando  che  la  città  di  Ravenna,  desiderosa  dì 
associarsi  alla  celebrazione  del  sesto  centenario  di  Dante, 
non  si  appresterebbe  in  retta  guisa  ad  onorare  la  memoria 
del  grande  Italiano,  abbandonando  altrui  quelle  sacre  ceneri 
che  furono  e  sono  oggetto  dì  tanto  culto  ed  amore  del 
cittadini  ravennati;  » 

»  11  Consiglio  municipale  incarica  la  Giunta  d' indirizzare 
a  nome  della  città  dì  Ravenna  una  fraterna  parola  al  Consì- 
glio municipale  di  Firenze  esprimente  rammarico  di  non 
potere  accogliere  la  sua  preghiera.  >> 


65 
BIOGRAFI  ED  ELOGISTI  DI  DANTE 


Dettarono  Vite,  Biografie  ed  Elogi  del  divino  poeta  tra 
gr italiani:  Amurosoli  Fr.  -  Arici  Cesare  -  Balbo  Cesare 
(trad.  in  inglese  dal  Bunbury,  Londra,  1862.)  -  Boccaccio  Gio- 
vanni -  Borghi  Gius.  -  Bruni  Leonardo  -  Cereseto  G.  B.  - 
CoRNiANi  G.  B.  -  Costa  Paolo  -  Crescimbeni  Giovan  Maria  - 
Domenico  di  Maestro  Bandino  -  Fabroni  Angelo  -  Fanelli 
G.B. -Ferrucci  Catterina  -  Filelfo  Mario  -  Fossati  Luigi- 
Fraticelli  Pietro  -  Giudici  Emiliani  Paolo  -  Gregoretti 
Francesco  -  Landino  Cristoforo  -  Litta  Pompeo  -  Maffei 
Giuseppe  -  Mannetti  Giannozzo-Missirini  Melchiore  -Orelli 
T.  C.  -  Pelli  Giuseppe  -  Polentone  Sicco  -  Redi  Francesco  - 
RiNUCciNi  Filippo  -  Sacchi  Defendente  -  Salpi  Aurelio  -  San- 
soviNO  Francesco  -  Serassi  Pietro  Ant.  -  Tirabosghi  Girol.  - 

ThOUAR   PIETRO  -  YeLUTELLO   ALESSANDRO  -  YlLLANI   FILIPPO. 

Tra  gli  Stranieri:  Abeken  Bernardo  Rodolfo  (1826)  - 
Arndt  Lodov.  (1846  -  Baciienschwanz  L.  (176")-Blang  L.  G. 
(18;V2)  -  Blangiiard  P.  (1805)  -  Chabanon  M.  (1773)  -Fauriel  C. 
f  1839)-FellerF.X.  (1797)-FLoro  Hartwig  (1858)- Grasse  Giov. 
Teod.  (1842)  -  Grohmann  Gmv.  (1796)  Kannegiesser  Carlo 
LoD.  (1814)-K0HLER  Luigi  (1839)  -  Kopisch  Aug.  (1842)-La,- 
MENNAis  F.  (1855) -Massoni  Papirio  (1587)  -Mongis  T.  A.  (1831) 
Montor  Artaud  (1841)-Nordmann  Giov.  (1852)  -  Oettinger 
Edoardo  (1850) -Pricigi  C.  (1853)  -  Quinet  Ed.-Raumer  Cab. 
(1842)  -  Reumont  Alf.  (1838)  -  Strechfuss  Carlo  (1824)  - 
Struckow  D.  (1842)  -  Wagner  Adol.  (1826)  -  Wegele  Franc. 
(1852)  -  WisMAYR  Gius.  (1815)  -  Witte  Carlo  (1831).  -  Zeloni 
C.  (1844). 

Una  Rivista  critica  de'  Biografi  di  Dante  fu  dettata  da 
Teodoro  Paur:  Ueber  die  Ouellcn  der  Lebensgerschichte 
Dante'  s,  Gorlizza,  1862  ;  e  da  Carlo  Labitte,  Biographes  et 
Traducteurs  de  Dante,  Revue  des  deux  Mondes,  lOct.  1841. 


VOL.  U. 


CARATTERE  MORALE  DI  DANTE 


E  se  il  mondo  sapesse  il  cuor  eh' egli  ebbe., 
Assai  lo  loda,  e  più  lo  loderebbe.  Par.  VI.  140. 


Amore.  —  Il  primo  affetlo,  la  prima  educazione  ili  questo 
spirito  singolare  ardentissimo  fu  l'Amore.  E  quando  per 
lui  l'Amore  divenne  non  più  che  una  memoria  ei  la  narrò 
con  incredibile  soavità  di  melanconia  in  quella  prosa  fervida 
e  passionata,  cli'ei  medesimo  intitolò  Vita  Nuova.  Novenne, 
nella  dolce  stagione,  nel  tempo  nel  quale  la  dolcezza  del 
cielo  riveste  de'  suoi  ornamenti  la  terra  (Boccaccio),  in  casa  i 
Portinari,  vide  per  la  prima  volta  Beatrice  in  sugli  otto  anni. 
Al  primo  sorriso,  alla  prima  parola  parlata,  le  vergini  anime 
di  que'  fanciulli  armonizzarono  in  un  soave  ed  arcano  con- 
cento d'  amore:  la  persona  sua  purvola  sostenne  una  passion 
nova,  lo  spirito  della  vita  gli  prese  a  tremare  sì  fortemente 
che  apparia  nelli  menomi  polsi  di  lui  orribilmente:  Vita 
iYMoya,  §2, 12;  Son.Yi.,  Ediz.  (riuL;  Canz.iu.'ó;  Ballata,ìu; 
Purg.  XXX.  41.  D'allora  innanzi  Amore  signoreggiò  l'anima 
sua,  la  quale  fu  sì  tosto  a  lui  disposata...  che  gli  convenia 
far  compiutamente  lutti  i  suoi  piaceri  :  Amore  gli  comandava 
molte  volte  ch'eì  cercasse  di  questa  Angiola  giovanissima. 
Vita  ISuova  §  2.  Ne'  18  anni,  pel  suo  dolcissimo  salutare, 
gliene  prese  tanta  dolcezza,  che,  come  inebbriato  si  partì 
dalle  genti:  in  questa  congiuntura  ebbe  una  visione  che 
fa  manifesta,  col  suo  primo  Sonetto,  a  tutti  i  fedeli  d'Amore: 
Vita  N.  §  3.  Se  non  che  questo  sentimento  in  picciolo 
tempo  gli  distruggea  la  persona,  e  già  portavane  nel  viso 
tante  delle  insegne  di  Amore  che  non  se  ne  poteva  rico- 
prire: Vita  JS.  §  4.  Accortosi  che  il  suo  segreto  non  era 
svelato  altrui,  quantunque  alquanto  conosciuto  da  Beatrice 
per  lunga  consuetudine,  [Vita  IS.  §12)  ei  pensa  d'altra 
donna  gentile  farsi  schermo  della  verità  :  Vita  N.  §  5.  xMa, 
partitasi  essa  di  Firenze,   so  ne  disconforta,   ne  fa  lamen- 


CARATTERE  MORALE  DI  DAiNTE.  67 

lanza  con  un  Sonetto  {Vita  N.  §7);  va  per  lei  {VitaN.  §9); 
si  duole  che  sì  tosto  non  rivenga,  onde  per  consiglio  d'A- 
more sceglie  un  altra  gentile  che  sia  velo  al  vero  amor  suo: 
Vita  jy.  §  10.  Se  non  che  di  queste  dimostrazioni  d'affetto 
si  ragionava  oltre  li  termini  della  cortesia,  in  guisa  che 
Beatrice  se  ne  offende,  e  gli  niega  il  dolcissimo  salutare, 
nel  quale  dimorava  la  sua  beatitudine,  fine  di  tutti  li  suoi 
desideri.  Vita  ]\.  §  10,  18.  Di  che  gli  giunge  tanto  dolore 
che,  appartatosi  dalle  genti,  come  pargoletto  battuto,  piange 
amarissimamente,  finché  vinto  e  lasso  s' addormenta.  Ma 
Amore  fra  il  sonno  lo  riconforta,  lo  indetta  a  scriverle 
una  Ballata,  adorna  di  soave  armonia,  profferendosi  egli 
stesso  interprete  dell'ardente  sua  passione  presso  Beatrice  : 
Vita  ìY.  §  12.  Combattuto  dipoi  da  una  battaglia  di  pen- 
sieri, se  Amore  sia  o  no  buona  cosa,  scrive  su  ciò  un  Sonetto: 
Vita  ìY.  §  13.  -  Un  bel  giorno  persona  amica  lo  conduce 
dove  erano  di  molte  gentili  donne  adunate,  ma  la  vista  di 
Beatrice  gli  vince  ciascun  sentimento,  onde  V  amico  avvi- 
stosi dalla  sua  trasfigurazione  il  toglie  di  quel  luogo  ;  ed 
egli  a  ritornarsi  nella  camera  delle  lagrime,  dolersi  di  sua 
condizione  che  disconfiggeva  la  poca  sua  vita,  non  però 
ammaestrato  dalle  passate  passioni  dal  non  cercar  più  la 
ìl^duta  di  lei:  Vita  i\.  §14,15.  10.  Fatto  ornai  chiaro  il 
suo  segreto,  anche  per  le  molte  durate  sconfitte,  vien  chiesto 
per  alcune  donne  gentili  del  fine  dell'amor  suo.  Dacché 
da  Beatrice  eragli  negato  il  saluto,  il  supremo  suo  bone 
essere  nelle  parole  che  lodano  la  donna  sua.  Onde  si  pro- 
pose di  prendere  quindi  innanzi  per  materia  del  suo  par- 
lare sempre  mai  quello  che  fosse  loda  di  quella  gentilissima: 
Vita  iV.  §  18.  Tra  la  bellezza  do'  campi,  lungo  le  pure 
acque  correnti  di  un  limpido  ruscello,  la  sua  lingua  quasi 
per  se  slessa  mossa  disse:  Donne  che  avete  intelletto  d'amore, 
e  queste  parole  le  si  ripone  nella  mente  con  gran  letizia, 
sicché  ritornato  alla  città,  pensando  alquanti  di,  dettò  l'in- 
tera Canzone.  In  essa  parla  alle  donne  e  alle  donzelle,  che 
non  era  cosa  da  parlarne  altrui.  E  fa  che  un  angelo  parli 
a  Dio  d'  un  nuovo  miracolo  gentile  che  si  vede  nel  mondo 
e  che  fin  lassù  risplende;  ma  del  quale  il  cielo  patia  difetto. 
Iddio  risponde:    Aspettale  alquanto  si   che  gli  uomini  Ju 


68  CARATTERE  MORALE  DI  DA>TE. 

possano  ancora  godere,   e  colui  che  andrà  all'  inferno  dei 
malnati  racconti  :  lo  vidi  la  speranza  de'  beati.  Quindi  venen- 
do a  narrare  le  doli  di  questa  desiderata  dagli  Angeli,  dice 
due  versi  che  toccano  il  subblinie:  E  qual  so/frisse  di  starla 
a  vedere  Diverria  nobil  cosa,  o  si  morria  :   Vita  A'.  §  19.  In 
questa  Canzone  vi  à  il  germe  dei  tre  regni  visitati  o  veduti 
in  visione,  che  poi  dovea  incarnare  coU'altissinìo  suo  can-, 
lo.  -  Appresso,  pregato  a  spiegare  che  cosa  fosse  Amore, 
lo  fa  in  un  Sonetto  (  y<7a  iV.  §  20)  ;  ed  in  un  altro  ne  dice, 
che  questo  amore  è  per  Beatrice  destato  in  atto  anche  dove 
non  sarebbe  in  potenza  da  chi  è  da  lei  veduto:  Y.  iV.  §21. 
ISon  guari  dopo  muore  il  padre  di  Beatrice,  e  canta  il  dolore 
di  lei  [V.  N.  §  22);  inferma  egli  stesso,  e  delirando  imagina 
che  Beatrice  sia  morta,  e  cajita  l'ambascia  di  quel  delirio  : 
Vita  A'.  §  23.  Ma  come  Beatrice,  tutta  splendente  di  virtù 
e  di  bellezza,   nel   fiore  degli   anni,   fu  dal  Signor  della 
//m^r/^m  chiamata  a  gloriare  sotto  l'insegna  di  quella  rei- 
na  benedetta  Maria,  {  Vita  ]\uova  §  29)  egli  in  tanto  do- 
lore, in   tante  afflizioni,   in  tante   lagrime  rimase  (1)   che 
parca  di  fuori  una  vista  dì  terribile  sbigottimento:  Vita  N. 
§  36.    Né  per  volgere  di  tempo  il  dolore  si  disacerba  ;  né 
alcun  conforto  gli  valea   [Conv.  ii  12);   riaccendendosi  lì 
sospiri,   gli  si  riaccendea  pure  il  sollevato  lagrimarc.  Hi 
guisa  che  li  suoi  occhi  parevano  due  cose  che  desiderassero 
di  piangere:  Vita  Nuova  §40.   Al  compiersi  delFannovale 
della  morte,  scrive  un  Sonetto  [Vita  Nuova  §  35)  per  mesta 
commemorazione  di  lei,  che  in  cielo  si  vivea  cogli  Angeli  e 
in  terra  coli' anima  sua:  Comimi.  2.  Se  non  che  un  pensiero 
soave,  piacente  dilettoso  trasporlavalo  spesso  in  l'alto  cielo, 
nel  reame  ove  gli  Angeli  hanno  pace,  e  a  pie  di  Dio.  Quivi 
per  graziosa  rivelazione  dell' istessa  sua  viva  Beatrice  beata 
[Conv.  11.9)  sa  per  vero  ch'ella  é  in  cielo,  onde  ne  trae 
lauta  consolazione  (Conv.  n.  10),  e  ne  va  quasi  rapito  dalla 
«lolcezza,  la  quale  é  sì  lauta  che  lo  fa  desioso  della  morte 
per  andar  là  dov'  ella  era  :  Conv.  n,  8  ;  Canz.  iv.  6  ;  vii.  2,  3; 

(1)  Era  divenuto  quasi  come  una  cosa  salvatica  a  riguardare.  Bocc, 
Vita  di  /)aMÌc.- Vedi  Canzone  vii.  Di  Gino  da  Pistoia,  a  Dante  AUighieri 
per  la  morte  di  Beatrice;  e  il  Sonetto  di  Guido  Cavalcanti:  lo  vengo  H 
giorno  a  te  infinite  volte. 


CARATTERE  MORALE  DI  DANTE.  69 

Vili.  l.  E  siccome  aveale  Dio  per  maffglor  grazia  dato,  che 
non  può  mal  finir  chi  le  ha  parlato;  così  acquista  certezza 
di  passare  anch' egli  ben  presto  ad  altra  vita  migliore,  là 
dove  quella  gloriosa  donna  vive  della  quale  fu  l' anima  sua 
innamorata  :  Conv.  ii.  9.  E  quanta  semplicità  e  purezza  di 
affetto,  quanta  verità  di  passione,  che  profumo  d'ineffabile 
tristezza  non  vi  traspira  per  entro  a  quelle  care  pagine, 
rivelatrici  de'  più  intimi  de'  più  segreti  palpiti  del  suo  cuore! 
Come  in  esse  fatto  tesoro  di  ogni  più  piccola  circostanza, 
lenendosi  egli  sempre  stretto  diretro  al  dittatore! 

La  prima  volta  che  la  vide  indossava  una  vestina  leg- 
germente sanguigna  {Vita  iY.  §2,3,39):  nove  anni  dopo, 
11  dì  ch'ebbe  il  primo  saluto,  gli  apparve  vestita  di  color 
bianchissimo:  Vita  JSuova  §3.  L'aveva  il  viso  d'un  color 
pallido,  quasi  come  d'amore  [Vita  JS.  §37;  Canz.w.L); 
però  bella  tanto,  ch'era  l'esempio  della  bellezza  vera;  onde 
di  lei  diceva  Amore  :  Per  esempio  di  lei  beltà  si  prova.  Canz. 
11.  4  -  in  lei  s' accoglie  d' ogni  beltà  luce.  Canz.  vu.  4;  -  e 
perfino  da  non  parere  cosa  mortale,  ma  un  novo  miracolo 
gentile  {Vita  N.  §3,14,26),  anzi  uno  de'  bellissimi  angeli 
del  cielo:  Vita  A'.  §  26.  Ma  più  che  bella,  la  sua  beati- 
tudine (F.  N.  §  5,  9),  il  primo  diletto  dell'anima  sua  {Conv.  ii. 
12.),  la  gloriosa  donna  della  sua  mente  {Vita  iV.  §  2.)  era 
buona;  anzi  in  altissimo  grado  di  bontà:  Vita  J\\  §  22. 
Ella  donna  di  virtù  {Inf.  ii.  76)  ;  d'ogni  ben  la  vera  porta 
(  Canz.  V.  1.);  distruggitrice  di  tutti  i  vizi,  e  regina  della 
virtù  {Vita  j\.  §  11.);  quella  in  cui  Dio  mise  grazia  tanta: 
Canz.  V.  4.  -  Chi  per  virtù  non  è  degno  del  cielo  e  non 
merta  salute  Non  speri  mai  d'aver  sua  compagnia.  Bai.  ii.  - 
E  bastava  il  lume  de'  giovinetti  suoi  occhi,  perchè  il  suo 
fedele  {  Vita  i\.  §  12.  Inf.  ii.  98  ;  Purg.  xxxi.  134)  tenesse  il 
diritto  camino  [Purg.  xxx.  121;  Canz.  iv.  2);  perchè  il  suo 
intendimento  si  guardasse  sempre  da  tutte  cose  vili  (  Vita 
N.  §  13),  e  si  reggesse  sempre  col  consiglio  della  ragione: 
Vita  1\.  §  2.  L' amor  di  Dante  non  distrugge  ma  feconda, 
aggiunge  una  forza  immensa  al  sentimento  del  dovere,  in 
breve,  ha  la  virtù  santifìcatrice  dell'anima.  La  potenza  di 
continuo  processo  alla  perfezione  e  alla  purificazione  {di 
buono  in  migliore,  di  migliore  in  ottimo  Conv.  i.  2)  che  ri- 


70  CARATTERE  MORALE  DI  DAiNTE. 

tletleva  in  luì  da  Beatrice  è  subbiello  conlinuo  de'  suoi 
versi.  «  Quando  ella  apparia  da  parte  alcuna . . .  nullo  ne- 
mico mi  rimanea,  anzi  mi  giungea  una  fiamma  di  caritade, 
ia  quale  mi  facea  perdonare  a  chiunque  m'avesse  offeso:  e 
ohi  allora  m'avesse  addimandato  di  cosa  alcuna,  la  mia  ri- 
sponsione  sarebbe  stala  solamente  Amore,  con  viso  vestito 
d'umiltà:  Vita  N.  §  11.  Ma  non  ancor  conlento  di  questa 
prima  freschissima  corona  di  che  infiorò  le  tempie  all'amor 
suo,  quasi  da  mirabile  visione  rapito,  ei  vede  cose  che  lo 
fecero  proporre  di  non  dir  più  di  quella  Benedetta,  infìno  a 
lauto  che  non  potesse  più  degnamente  trattare  dì  lei:  e  dire  di 
lei  quello  che  mai  non  fu  detto  d' alcuna  :  Y.  iV.  §  43.  Ove  il 
suo  desiderio  si  adempia,  ei  più  non  vorrebbe  che  morire. 
Beatrice  adunque  fu  la  donna  miracolosa  che  spirò 
il  poeta,  che  gli  fece  significare  ciò  che  dentro  dettavagli 
Amore  [Purg.  xxiv.  43)  ;  che  guidò  le  penne  delle  sue  ali  a 
così  alto  volo  {Par.  xxv.  49)  ;  principio  e  cagione  del  più 
gran  poema  di  che  si  onori  Fumano  ingegno.  »  Non  appena  si 
accosta  alle  soglie  del  paradiso,  Virgilio  abbandona  il  poeta,  e 
s' avanza  Beatrice,  l'amore  de' suoi  giovani  anni,  colei  i  cui 
occhi,  lucevano  più  che  la  stella  :  essa  lo  deve  guidare  per 
le  sfere  celesti.  La  donna  del  suo  cuore  si  è  trasformata 
nella  teologia,  nella  scienza  divina,  in  un  idea.  Ogni  volta 
che  sì  parla  di  Dio,  gli  occhi  di  Beatrice  sfavillano  di  una 
luce  che  il  rapito  amante  non  può  sostenere  ;  ella  dice  cose 
dietro  cui  la  mente  dell'altissimo  vate  si  perde.  E  final- 
mente, giunti  presso  alla  suprema  luco,  ella  siede  fra  le 
anime  più  vicine  a  Dio,  ed  al  poeta  è  concessa  un  istante 
la  visione  celeste.  Ecco  la  fine  del  lungo  viaggio,  ecco  dove 
viene  a  compiersi  il  desiderio  de' due  amanti  {P.Villari).  E 
bene  //  Sire  della  cortesia  esaudì  i  suoi  voti.  Quando  egli 
ebbe  degnamente  detto  di  lei  ;  quando  ebbe  raccolto  in  un 
volume  ciò  che  per  l'universo  si  squaderna,  quando  ebbe 
compiuto  r  immortale  poema,  la  più  sublime  apoteosi  dì 
creatura  umana,  allora  quegli  che  a  tanto  ben  sortillo  Pia- 
cque di  trarlo  suso  alla  sua  mercede  {Par.  xi.  109)  ;  e  la  sua 
anima  se  ne  andò  a  vedere  la  gloria  della  sua  Donna,  cioè  di 
quella  benedetta  Beatrice,  che  gloriosamente  mira  nella  fac- 
ti(k  dì  C^lui  qui  est  per  omnia  saecula  benediclus:  V.  iV.  §  43. 


CARATTl'UE  MORALE  DI  DANTE.  71 

Sua  fede  nell'amicizia.  —  Dante  amò  Sempre  a  fede. 
Dell'amistà  osservò  per  miiiulo  i  gradi;  e  secondo  questi 
misurò  ogni  suo  atto,  ed  eziandio  quelli  riguardi  che  me- 
glio conducono  a  raffermarli  :  Vita  JSuova  §  33.  Guido  Ca- 
valcanti fu  per  lui  intitolato  il  primo  de'  suoi  amici:  Y.  JS. 
§  33,  e  nella  Vita  j\.  §33  ci  ricorda  pure  l'amico  a  lui 
immediatamente  dopo  il'  primo.  Così  come  amò  Casella  nel 
mortai  corpo,  così  Vamò  sciolto  {Purg.n.  88);  e  ricorda 
con  affetto  quale  fosse  stalo  Forese  con  lui,  e  quale  egli 
con  Forese  [Purg.  xxiii.  113),  e  di  aver  pianto  sull'estinto 
suo  volto  (/^?^f(/.xxiii. 55);  ed  ei  si  loda  dell'incendio  d'affetto 
di  cbe  ardea  per  lui  Cino  da  Pistoia  [Ep.  iv.  1.)  ch'eì  chia- 
ma carissimo  fratello  [Ep.  iv.  5),  e  per  antonomasia  /'  amico 
suo  :  De  VuUj.  El.  i.  9  ;  ii.  2.  -  E  siccome  non  meno  dissimili 
chi  simili  di  stato  conglungonsi  per  fede  d'amicizia,  che 
anche  tra  Dio  e  l'uomo  non  viene  per  dismisura  ad  im- 
pedirsi l'amicizia  [Ep.  a  Cangrande,  §2),  ei  amò  assai 
Carlo  Martello,  ed  ebbe  ben  onde,  e  si  duole  che  anzi  tempo 
sia  morto,  perchè  se  più  fosse  stato,  avrebbegli  mostrato  ben 
oltre  che  le  fronde  del  suo  amore  [Par.  vui.  55)  ;  dichiara 
che  se  per  sola  udita  fu  benevolo  con  una  certa  soggezione 
d'animo,  per  veduta  poi  e  devotissimo  ed  amico  divenne 
a  Cangrande  della  Scala:  Ep.  a  Cangrande,  §1.  Dell'ami- 
cizia dettò  memorandi  precetti;  e  quantunque  volte  avve- 
niagli  ricordare  questa  nobile  virtù,  più  sereno  e  più  lieto  si 
facea  lo  stile,  e  di  più  allo  affetto  impresse  uscivang'U  le 
parole:  Canz.  i.  3;  Purg.  xxvi.  113;  138;  Par.  viii.  55. 

Oentiiezza  d'  animo.  —  Fin  da' primi  anni  preselo  uno 
squisito  amore  alle  cose  gentili,  onde  ei  confessava:  aver 
vita  in  lui  un  pensiero  che  conducealo  con  sua  dolce  favella 
À  rimirar  ciascuna  cosa  bella  Con  più  diletto  quanto  è  più, 
piacente  (  Canz.  xii.  2)  ;  e  diceasi  pure  coìito  a  leggiadria 
[Canz.  XVII.  8);  e  faceva  dire  di  se  ad  Amore:  Così  leggiadro 
questi  lo  cor  ave  :  Ballala  i.  -  Ver  Dante  cortesia  e  onestadc  è 
tutt'uno  :  [Conv.  iv.  27)  che  valore  e  cortesia  non  si  scom- 
pagnano mai:  /n/".  xvi.  07;  Pwrf/.  x vi.  115.  Il  più  gentile 
degli  affetti,  l'amore,  si  apprende  solo  a  cuore  gentile:  Jnf. 
V.  106;  Purg.  xiv.  109:  Amore  e  cor  gentil  sono  una  cosa 
Son.  10. -E  nella  Canz.  xvii.  cantava  pure:  Leggiadria,  eh 'è 


72  CARATTERE  MORALE  DI  DANTE. 

bella  tanto  Che  fa  degno  di  manto  Imperiale  colui  dov'ella 
regna,  Ella  è  verace  insegna,  La  qual  dimostra  u'  la  virtù 
dimora.  -  La  quale  cortesia,  avvegnacchè  a  ciascuna  età  sia 
bella,  alla  gioventù  massimamente  la  si  rende  necessaria: 
Conv.  IV.  26.  Onde  osserva  bene  il  Giuliani,  come  sempre 
il  poeta  a'  costumi  gentili  sì  fosse  informato  e  si  tenesse 
molto  obbediente.  Nella  Yita  Nuova  ci  narra,  come  in  quel 
giorno,  nel  quale  si  compiva  Tanno  che  la  sua  donna  era 
fatta  de'  cittadini  di  vita  eterna,  si  sedesse  in  parte  nella 
quale,  ricordandosi  di  lei,  disegnava  un  Angelo  sopra  certe 
tavolette  ;  e  mentre  disegnava,  volgendo  gli  occhi,  vedesse 
lungo  sé  uomini  a'  quali  si  convenia  di  fare  onore:  §  35. 
Non  appena  se  n'accorse  muove  incontro  ad  essi  in  atto 
di  riverenza,  come  a  gente  degna.  Nò  di  questi  segni  di 
gentile  onoranza  si  tenne  contento,  ma  venutogli  in  pen- 
siere  di  dire  parole  per  rima,  quasi  per  annovale  della  sua 
donna,  il  cuore  lo  eccita  a  rivolgerle  a  quei  cortesi  della 
cui  visita  si  avea  per  grandemente  onorato. 

Amore  al  vero  -  Freno  all'  ingegno.  —  E  da'  primi 

anni  pure  il  prese  grandissimo  amore  al  vero:  In  amore 
veritatis  a  puerìtia  mea  continue  siim  mitritus  (Quaestio  de 
aqua  et  terra  §  1,),  Né  al  vero  si  fece  mai  timido  amico 
{Par.  xvii.  118);  anzi  egli  sì  gloria  di  aver  sortito  la  gloriosa 
missione  di  tuonare  contro  le  turpitudini  de' grandi,  e  di 
annunciare  l'austera  e  pericolosa  verità,  come  vento  per- 
cuoto le  più  alte  cime,  e  ne  spera  non  poco  argomento  di 
onore.  Avrebbe  temuto,  tacendo,  di  perdere  vita  tra'  posteri, 
quella  vita  sovra  ogni  altra  cosa  da  lui  idoleggiata.  Eppure 
non  disconosceva  i  pericoli  del  suo  franco  ed  ardito  poe- 
tare, {Inf.  XVI.  79;  Par.  xvii.  HO.)  che  aveagli  fruttato  non 
poche  amarezze.  Ma  dal  vero,  scrive  il  Tommaseo,  gli  venne 
il  suggello  del  genio.  -  E  l'alto  ingegno  dì  che  la  Provvi- 
denza r  ebbe  potentemente  fornito  tenne  a  freno,  acciocché 
non  corresse  senza  la  scorta  della  virtù,  o  dalla  giustizia 
divìso.  Temeva  il  poeta  che  questo  dono  divino,  abusandone, 
non  solo  gli  cadesse  sfruttato,  ma  eh' è  peggio,  gli  tornasse 
perpetualmente  a  danno:  Inf.xwu  21. 

Gratitudine  a' bcncfizii.  —  L' Ospitalità,  ricevuta  dai 
Malaspina,  è  celebrata  per  lui  con  espressioni  si  gentili,  ..o 


CARATTERE  MORALE  DI  DANTE.  73 

impresse  di  si  grande  affetto,  che  ben  vi  traluce  tutta  la 
nobiltà  dell'anima  sua  -  E  di  lassù,  dal  cielo  di  Marte,  dove 
tesse  la  genealogia  della  sua  famiglia,  unisce  le  lodi  e  celebra 
la  magnitìceuza  di  quel  della  Scala,  il  quale  pare  che  per  pro- 
prio pudore  risparmiasse  il  pudore  dell'altrui  necessità,  e, 
prima  dell'altrui  chiedere,  desse  e  facesse:  Par.  xvii.  85. 
E  a  mostrargli  più  oltre  che  le  fronde  del  suo  amore,  egli 
alteramente  confessa:  dì  aver  spesso  molto  e  molto  ri- 
mirati i  suoi  donuzzoli,  e  segrecjatili  a  vicenda  e  segregati 
percorsi,  ricercando  quello  che  tornasse  a  lui  più  degno  e 
piti  grato;  e  soggiunge  che  nulla  alla  preminenza  di  lui 
aver  riconosciuto  più  confacevole  che  la  sublime  cantica  della 
Comedia  la  quale  si  fregia  col  titolo  di  Paradiso;  e  quella 
sub  praesenti  epistola,  tanquam  sub  epigrammate  proprio 
dedicatam,  Yobis  adscribo,  Vobis  offero,  Yobis  denique  re- 
comendo.  Ep.  a  Cangrande,  §3. -Della  povertà  dell'esiglio 
talora  doleasi  acerbamente,  ma  solo  perchè  gli  toglieva  i 
mezzi  d'adempiere  a'  più  sentiti  affetti  di  gratitudine  {Ep, 
11.  3.  )  ;  .ed  egli,  così  potente  maestro  di  stile,  doleasi  pure 
di  non  avere  tanto  profonda  affezione  che  bastasse  rendere 
grazia  per  grazia,  supplicando  Quei  che  vede  e  puote  al 
suo  difetto  rispondesse.  Par.  iv.  121. 

Confessione  delle  proprie  colpe.  —  Dante  llOn  iscese 

mai  a  velare  coli' ipocrisia  i  suoi  difetti:  le  sue  confessioni 
sono  conformi  al  carattere  franco  e  schietto  di  lui:  Inf.  n. 
103;  Purg.  ix.  118;  xxxii.  115;  xxxi.  D'invidia  non  si 
tenne  al  tutto  netto;  fu  superbo,  e  noi  nascose.  Nel  C.  xi 
va  chino  co'  superbi,  e  dice  ad  un  di  loro  :  lo  tuo  ver  dir 
m'incuora  Buona  umiltà,  e  gran  lumor  m'appiani,  v.  118. 
Nel  xiii  se  ne  accusa  di  nuovo: 

Gli  occhi,  diss'  io,  mi  fieno  ancor  qui  tolti  ; 
Ma  picciol  tempo,  che  poca  è  l' oITesa 
Fatta  per  esser  con  invidia  volti. 

Troppa  è  più  la  paura,  ond'é  sospesa 
L'anima  mia,  del  tormento  di  sotto. 
Che  già  lo  incarco  di  laggiù  mi  pesa,  v.  133. 

Ma  dell'umano  superbire  non  tacque  la  Lassa  radice  ed 
i  mali  effetti.  Anzi  quest'anima  nobilmente  altera  portava 
sincerisslmo  affetto  alla  virtù  creatrice  della  vera  grandezza, 
l'umiUà,  Del  che  veggansi:  Le  lodi  date  all'umiltà  dal  su- 


74  CARATTERE  MORALE  DI  DA>TE. 

perbo  poeta;  Tommaseo,  p.  23,  (Milano,  Reina,  lSo4)  Come 
Dante  sentisse  la  bellezza  deW  umiltà,  Tomm.  p.  363.  E  ben 
di  sovente  nella  Yila  Nuova  ricorre  la  parola  umiltà;  e 
pareaanzi  se  ne  compiacesse  (1).  Anche  il  risorgere  dell' «- 
mile  pianta  o  del  giunco  schietto  (  Purg.  1. 131  ),  là  dove  fu 
svelto,  ci  veniva  simbolo  come  la  virtù  radicata  nell'umiltà 
non  vien  meno,  e  che  dove  questa  in  un  cuore  retto  si  tra- 
pianti, sempre  nuove  cagioni  ad  alimentarla  sorgono  dal  nostro 
limo,  miseri  ftyliiioli  d'Eva  che  siamo  noi.  [Ptirg.  xn.  70.) 
Entrando  nel  fumo,  soffre  la  pena  degli  irosi  (  Purg.  xvii. 
13.);  e  fra' golosi  trova  Forese  a  cui  dice:  -  Se  ti  riduci 
alla  mente  Qual  fosti  meco  e  quale  io  teco  fui:  Purg.  xxiii. 
115  -  Giunto  fra  i  lussuriosi,  si  purga  passando  attraverso 
le  fiamme  {Purg.  xxvii.  13 ;  xxxi.  22-67) ;  né  in  altri  luoghi 
si  tace  di  alcuni  suoi  men  che  onesti  amori:  Canz.ww;  Ep. 
IH.  2.  Ma  né  d'accidia  né  d'avarizia  s'incolpa  mai,  che 
anzi  contro  accidiosi  ed  avari  si  scaglia  sempre  con  ira 
sublime.  La  virtù  contraria  all'avarizia  è  per  lui  grandemen- 
te onorata,  non  per  vili  cupidigie,  ma  perché  dall'avarizia 
deduceva  tutte  le  miserie  del  mondo:  Inf.i.  49;  Purg.  viii. 
124  ;  Par.  xvii.  73.  Il  poeta  nella  imagine  della  liberalità 
parea  comprendere  ogni  amorevolezza,  e  sentiva  più  che  altri 
la  gran  sentenza  di  Boezio,  come  l'avarizia  faccia  sempre 
gli  uomini  odiosi,  la  larghezza  chiari. 

Tempera  di  Dante.  —  La  tempera  di  Dante  pativa 
più  presto  rompersi  che  piegarsi:  E  l'animo  del  poeta  è 
ritratto  vero  ed  espresso  nei  versi: 

Vien  dietro  a  me,  e  lascia  dir  le  genti  ; 
Sta,  come  torre,  fermo,  che  non  crolla 
Giammai  la  cima  per  soffiar  di  venti.  Purr/.  v.  14. 

La  potenza  di  dispettare,  da  molti  vantata,  ma  che  natura 
a  ben  pochi  largì  davvero;  e  della  quale  colmò  a  Dante  la 


(1)  Ecco  i  luoghi  donde  questo  sentimento  agevolmente  rivelasi:  §  i. 
color  umile;  §  xi.  Viso  vestito  d'umiltà;  §  xn.  E  si  l' umilia -eh'  ogni 
offesa  oblia;  §  xxi.  Pcjisiero  umile  ;  §  xxiii.  Pregava  l' una  l'ultra 
umilementc  ;  ivi:  lo  diveniva  nel  dolor  si  umile  vedendo  in  lei  tanta 
umiltà;  §  xxvi.  D' umiltà  vestuta  ;  §  xxvii.  La  vista  sua  face  ogni  cosa 
umile;  %  xxviii.  si  è  cosa  umil  che  non  Si  crede;  §  xxxii.  Ch'è  luce 
della  sua  umiltade  ;  §  xxxv.  Nel  del  dell'  icmiltate.  or' è  Maria. 


CARATTERE  MORALE  DI  DAISTE.  /D 

misura,  fu  a  lui  fonie  del  più  alto  compiacimento,  che  iu 
elevalo  intelleUo  possa  capire: 

Lo  collo  poi  con  le  braccia  mi  cinse. 
Baciommi  il  volto,  e  disse:  Alma  sdegnosa. 
Benedetta  colei  che  in  te  s'incinse.  Inf.  vm.  43. 

L'ira  sua,  dice  il  Foscolo,  fu  inesorabile  ;  appo  luì  lo  sdegno 
era  non  puro  impeto  di  natura,  ma  debito,  e  pregustò  nella 
conscia  mente  quella  tarda,  ma  certa  ed  in  eterno  dura- 
tura vendetta,  che 

Dolce  fa  r  ira  sua  nel  suo  segreto.  Purg.  xx.  9C. 

Taci,  e  lascia  volger  gli  anni: 
Sì  eh'  io  non  posso  dir,  se  non  che  pianto 
Giusto  verrà  dirietro  a'  vostri  danni.  Par.  ix.  4. 

Altri  potrebbe  facilmente  cavare  il  ritratto  di  lui  dai  versi 

seguenti: 

Ella  non  ci  diceva  alcuna  cosa  ; 
Ma  lascìavane  gir,  solo  guardando 
A  guisa  di  leon  quando  si  posa.  Purg.  vi.  04. 

Lo  sdegno,  soggiunge  il  Nicolini,  in  Dante  fu  indizio  di 
animo  forte;  e  in  tante  mutazioni  di  tempi  di  persone  e  di 
costumi,  non  vi  ha  magnanimo  che  contro  quelle  cose,  le 
quali  principalmente  biasimale  furono  dall' AUighieri,  non 
arda  d'onestissima  indignazione. 

Amore  di  patria.  -  Suo  esi^^lio.  —  Ei  che  SCriveva 

esserci  di  tutte  le  terre  più  prossima  quella  dove  l'uomo 
tiene  se  medesimo,  perchè  è  ad  essa  più  unito  [Conv.i.  12.), 
sentiva  pure  potentemente  questo  legame  di  natura  che  il 
tenea  stretto  alla  terra  natia,  —  Alla  salute  della  patria 
con  ardentissimo  affetto,  quasi  per  lo  desiderio  so(jnando, 
fu  sempre  intento  :  Ep.  i.  2.  Per  nove  anni  la  repubblica 
l'ebbe  tutto.  «Onde  ninna  legazione  si  ascoltava,  a  niuna 
si  rispondeva,  niuna  legge  si  fermava,  niuna  se  ne  arrogava, 
niuna  pace  si  facea,  niuna  guerra  pubblica  s' imprendeva,  e 
brevemente,  niuna  deliberazione  la  quale  alcuno  pondo 
portasse  si  pigliava,  se  egli  in  ciò  non  desse  in  prima  la  sua 
sentenza.  In  lui  tutta  la  pubblica  fede,  in  lui  ogni  speran- 
za, in  lui  sommariamente  le  divine  cose  e  le  umane  pareano 
essere  fermate  ».  Nella  ferocia  de' partiti  che  laceravano 
la  patria  sua,  «  il  maturo  uomo  nel  santo  seno  della  filo- 
solia  allevato  e  nutrito,  pose  ogni  sua  cura  ed  ogni  studio 


76  CARATTERE  MORALE  DI  DANTE. 

a  voler  riducere  ad  unità  il  diviso  corpo  della  sua  repub- 
blica. Ma  perchè  vide  tornar  vane  le  sue  fatiche,  veggendo 
che  per  se  medesimo  non  poteva  una  terza  parte  tenere, 
la  quale  giustissima  la  ingiustizia  dell'altre  due  abbattesse, 
tornandole  ad  unità;  con  quella  si  accostò,  nella  quale, 
secondo  il  suo  giudicio,  era  più  di  ragione  e  di  giustizia; 
operando  continovamente  ciò  che  salutevole  alla  sua  patria 
e  a'  suoi  concittadini  conosceva  :  »  Boccaccio  Yita  di  Dante. 
Né  si  creda,  dice  Nicolini,  fare  oltraggio  al  Poeta,  chiaman- 
dolo fazioso:  chiunque  abbia  sortito  dalla  natura  un'indole 
risentita  e  gagliarda,  diventa  necessariamente  uomo  di  parte, 
e  dallo  sceglierne  una,  deriva  ogni  forza  nell'individuo  come 
uelle  nazioni.  -  Dante  amò  la  patria,  non  già  a  modo  di  lusin- 
ghiero e  falso  adultero,  ma  di  casto  evirile  amatore  [Perticari]: 
le  stesse  urenti  invettive  con  che  vitupera  la  mal  guidata,  la 
città  partila  ;  la  città  che  di  giorno  in  giorno  più  spolpavasi 
di  bene,  già  disposta  a  triste  mina  [Purg.  xxiv.  79j,  fanno  ma- 
nifesto quanto  gliene  piangesse  il  vederla  carica  di  nuova 
fellonia  di  tanto  peso,  onde  ne  verrebbe  certa  la  jattura  della 
barca.-\\  grande  Cittadino,  in  quanto  poteva  gli  errori  della 
gente  abbominava  e  dispregiava,  non  per  infamia  o  vituperio 
degli  erranti,  ma  degli  errori,  e  gridava  solo  alla  gente  che 
per  mal  camino  andavano,  acciocché  per  dritto  calle  s' in- 
drizzassero: Conv.  i\.l;  7^ar.xvi.95.  Nel  fondo  dell'inferno, 
nelle  vallee  del  Purgatorio,  negli  splendori  del  Paradiso, 
la  sua  Firenze  è  sempre  presente  al  suo  pensiero  da  rite- 
nerla r  eroina  di  quel  poema,  consecrato  alla  pittura  del- 
l'invisibile. -Di  essere  fiorentino  si  teneva  ad  onore;  ma 
solo  di  nazione,  non  di  costumi,  de'  quali  facea  di  forbirsi. 
In  fronte  al  poema  ei  scolpiva  questa  terribile  confessione: 
Florentinus  natione  non  moribus.  Sbandeggiato  innocente, 
ei  se  ne  partì  qual  Ippolito  d'  Atene  per  la  spietata  e 
perfida  noverca  [Par.  xvii.  46)  ;  ma  non  per  questo  divenne 
tepido  di  carità  del  natio  loco:  Ep.  i.L  In  nome  de' fuoru- 
sciti nel  1304  indirizzava  al  card.  Nicolò  di  Prato,  che 
proponeasi  il  richiamo  in  città  degli  esuli  Bianchi,  queste 
memorande  parole:  «  E  per  qual  altro  fine  a  civil  guerra  cor- 
»  reramo?  a  che  levammo  al  vento  le  candide  nostre  inse- 
»  gne?  E  le  nostre  spade  e  lance  per  qual  altra  impresa  ros- 


CARATTERE  MORALE  DI  DAISTE.  il 

"  segglano,  se  non  perchè  coloro,  i  quali  con  folle  presunzione 
>'  avevano  spezzali  i  diritti  civili,  sottomettessero  il  collo  al 
»  giogo  (li  pietosa  legge,  e  alla  pace  della  patria  per  forza 
»  si  conducessero?  Perchè  la  punta  legiitinia  della  nostra 
»  intenzione,  dal  nervo  che  tendevamo  scoccando,  al  solo 
»  riposo,  alla  sola  libertà  del  popolo  fiorentino  mirava,  mira 
»  e  mirerà  nel  tempo  avvenire.  Ora,  se  per  benefizio  a  noi 
»  gradissimo  vegliate  con  tanta  cura,  e  ponete  così  vivo 
»  studio  aflìnchè  i  nostri  avversari  tornino  ai  solchi  di 
»  buona  cittadinanza,  chi  sarà  s\  ardito  di  renderne  a  voi 
»  grazie  condegne?  Non  è  ciò  possibile  a  noi,  né  a  quanta 
»  lìorentina  gente  trovasi  in  terra.  Ma  se  in  cielo  è  pietà 
»  che  proveda  a  rimunerare  colali  benedette  opere,  ella 
»  ne  renda  a  voi  le  giuste  mercedi,  a  voi  che  di  così  nobile 
»  città  vestiste  misericordia,  e  i  profani  litigi  de'  cittadini 
»  correte  a  spegnere.  Certamente  da  poi  che  per  Frate  L., 
»  uomo  di  santa  religione,  persuasore  di  cittadinanzar  e  di 
»  pace,  fummo  da  voi  ammoniti  e  instantemente  richiesti, 
»  come  annunziavano  le  stesse  vostre  lettere,  di  por  ter- 
»  mine  ad  ogni  assalto  e  ardimento  di  guerre,  e  di  com- 
»  mettere  in  tutto  le  nostre  persone  nelle  paterne  vostre 
»  mani,  noi,  figliuoli  a  voi  devotissimi  e  amici  della  pace 
»  e  del  giusto,  deposte  oggìmai  le  spade,  con  sincera  e 
»  spontanea  volontà  ricoveriamo  sotto  il  vostro  arbitrio,  come 
»  vi  sarà  narrato  per  le  risposte  del  sopraddetto  Frate  L. 
»  vostro  messo,  e  per  pubblici  solenni  strumenti  si  vedrà 
»  manifesto.»  Lctt.  1.  al  Cardinal  d'  Ostia.  -  Per  cessare  l'a- 
cerbità dell' esigilo  usò  di  ogni  arte:  s' ingegnò  di  rendersi 
caro  ai  suoi  concittadini  con  istudi  ed  opere  che  gli  acqui- 
stassero fama,  fece  pratiche  amichevoli  coi  capi  del  governo 
fiorentino;  tentò  di  rientrare  in  patria  colle  armi,  e  fu 
cogli  altri  fuorusciti  all'impresa  della  Lastra,  dopo  la  quale  w0Ji^«^^ 
sentì  farsi  più  duro  lo  strale  dell'  esilio,  perchè  al  danno  ^*y^'' 
si  unì  la  vergogna  del  poco  senno  e  del  poco  valore  tuc^/'*^ 
degli  esuli  in  quello  sciagurato  tentativo.  Allora  cominciò  '  ' 
a  dispregiare  i  suoi  compagni  d' infortunio,  e  reputò  bello 
il  farsi  parte  da  sé  stesso.  Fallitagli,  per  la  morte  di  Enrico 
MI,  ogni  speranza  di  ritorno,  non  può  non  sospirare  con 
incessiuUe  desiderio  il  ritorno  al  suo  bel  fiume  d' Arno,  alla 


78  CARATTERE  MORALE  DI  DAME. 

(fran  villa  [Inf.  xxiii.  95.),  dove  uvea  sentito  da  prima  l'acr 
tosco:  Pa?\  xxii.  117.  -  Egli  solo,  povero,  dannalo  al  fuoco, 
tenero  padre,  assai  figliuoli,  senza  la  donna  sua,  il  suo 
patrimonio  ridotto  in  pubblico,  che  avea  a  Campaldino  e 
a  Caprona  sudato  per  lei  nell'arme,  più  nella  toga,  già  il 
primo  oratore  e  l'ottimo  dei  magistrati,  vedeasi  condotto 
a  tremar  per  ogni  vena,  mendicando  a  uscio  a  uscio 
un  pane,  e  per  durissimo  calle  scendere  e  salire  le  scale 
altrui:  Par.  xvii.  58.  -  Eppure  egli  exsul  immerilus  (passim; 
Villani,  IX.  135;  xii.  44;  Boccaccio,  Vita,  §  22);  egli,  bianco 
fiore,  per  giudizio  o  forza  di  destino  fra'  i  persi  versato 
[Canz.  XIX.  6),  sentiasi  alla  fortuna,  come  vuol,  presto  {Inf. 
XV.  53);  ben  tetragono  ai  colpi  di  ventura  (Par.  xvii.  23); 
perchè  più  grave  torna  V  infortunio  a  chi  più  vi  s' abban- 
dona (Par.  XVII.  407.),  e  perch'ei  vedea  infuturarsi  la  sua 
vita  vie  più  là  che  il  punire  delle  perfidie  de' suoi  nemici: 
Par.,\\\i.  98.  Che  se  pur  un'  istante  parca  fiaccasse  sotto 
la  mole  della  sventura  che  il  gravava,  era  per  sorgere  più 
grande  : 

Come  la  fronda,  che  flette  la  cima 
Nel  transito  del  vento,  e  poi  si  leva 
Per  la  propria  virtù  che  la  sublima.  Par.  xxvi.  85. 

Nell'abbandono  e  nella  miserrima  solitudine  dell' esiglio 
non  si  abbassò  mai  a  supplicazioni  a  lamenti  codardi,  ma 
ritenne  tutta  la  indomita  alterezza  dell'animo;  che  aWalto 
disperso  rimanea  la  più  sublime  delle  consolazioni;  la  si- 
curtà della  propria  coscienza,  quella  buona  compagnia  chQ 
r uom  francheggia,  sotto  l usbergo  del  sentirsi  pura:  Inf. 
XX vili.  115.  Ed  allora  che  gli  fu  offerta  la  speranza  di 
rimpatriare  e  di  riavere  i  suoi  beni,  purché  si  dichiarasse 
perdonato,  e  quindi  colpevole,  rifiuta  i  vili  patti  con  queste 
magnamine  e  sdegnose  parole  :  «  É  egli  adunque  questo  il 
»  glorioso  modo,  per  cui  Dante  Allighieri  si  richiama  alla 
»  patria  dopo  l'affanno  d'un  esiglio  quasi  trilustre?  È  questo 
r>  il  merito  dell'innocenza  sua  ad  ognun  manifesta?  Questo 
»  or  gli  fruttano  il  largo  sudore  e  le  fatiche  negli  studi 
»  durate?  Lungi  dall'uomo  della  filosofia  famigliare  questa 
»  bassezza  propria  d'un  cuor  di  fango,  eh'  egli  a  guisa  d'un 
»  eerto  Ciolo,  e  di  altri  uomini  di  mala  fama,  patisca,  quasi 


CARATTERE  MORALE  DI  DANTE.  79 

*»  prigioniero,  venire  offerto  al  riscatto I  Lungi  dairuomo', 
»  banditore  di  giustizia,  ch'egli,  d'ingiuria  offeso,  ai  suoi 
j>  offensori  (juasi  a'  suoi  benemerenti  paghi  il  tributo!  Non 
%  è  questa  la  via  di  ritornare  alla  patria,  o  Padre  mio;  ma 
»  se  un'altra  per  voi  o  per  altri  se  ne  troverà,  che  la  fama 
»  e  l'ouor  di  Dante  non  isfregii,  lo  per  quella-  mi  metterò 
»  prontamente.  Che  se  in  Fiorenza  per  via  onorata  non  si 
»  entra,  io  non  entrerovvi  giammai.  E  che?  non  polrò  io  da 
»  qualunque  angolo  della  terra  mirare  il  sole  e  le  stelle? 
»  Non  potrò  io  sotto  ogni  plaga  del  cielo  meditare  le  dol- 
»  cissime  verità,  se  pria  non  mi  renda  uom  senza  gloria, 
»  anzi  d' ignomìnia,  in  faccia  al  popolo  e  alla  città  di  Fio- 
»  renza?-Nè  il  pane,  io  confido,  verrammi  meno.))  i:p.  x. 
3.4.- Eppure  la  vita  dell'esule  gli  era  amara  che  poco  più 
morte;  eppure  la  carità  del  natio  loco  struggeagli  l'anima; 
il  caro  nome  del  fiorito  suo  nido  rampollavagli  sempre  nella 
niente  ;  ed  ei  commoveasi  tutto  mi  per  lo  dolce  suon  della 
sua  terra,  onde  con  profondo  dolore  e  con  ardente  afletto 
ricorda  spesso  il  bel  paese  ch'avea  lasciato  [Caìiz.  i.  1.);  il 
bel  seijno  degl'occhi  suoi  che  per  lontananza  gli  era  tolto 
dal  viso  (  Canz.  xix.  3.)  ;  il  suo  bel  san  Giovanni,  dove  uu 
dì  ruppe  un  fonte  battesimale  per  salvare  un  fanciullo 
che  vi  annegava  (  Jnf.  xix.  17.  )  ;  e  dove  era  entrato  nella 
fede  che  fa  conte  l'anime  a  Dio  {Purg.  xxv.  10);  ed  egli 
non  cessa  mai  di  sperare  che  il  poema  sacro  al  quale  avea 
posto  mano  e  cielo  e  terra  potesse  vincere  un  giorno  la 
crudeltà  che  H  serrava  fuori  del  bello  ovile,  in  che  avea 
dormito  agnello  e  nemico  a'  lupi  divoratori  della  patria,  e, 
ritornandovi  poeta,  prendere  la  corona  d'alloro  in  sul  fonte 
del  suo  battesmo  (1);  di  ritornare  nel  dolce  seno  della  sua 
Fiorenza,  che  ei  amò  sempre,  benché  vota  d'amore  e  nuda 
di  plelate  iCanz.  vili.  (>);  della  sua  Fiorenza,  ìiella  quale  e 


(1)  E  perche  veggasi  come  ne'  veri  poeti  il  canto  sia  storico  e  nei 
reri  storici  la  narrazione  sia  radice  e  frutto  di  poesia,  rammentiamo  le 
parole  dolcemente  consonanti  con  queste  di  Dino  Compagni  :  «  Cari  e 
valenti  concittadini,  i  quali  comunemente  tutti  prendeste  il  sacro  bal- 
tesimo  di  questa  fonte...  Sopra  questo  sacrato  fonte  onde  traeste  il 
santo  battesimo  tjxurate  tra  voi  buona  e  perfetta  pace.  -  La  memoria 
del  fonte  battesimale  era  a  quc"  tempi  tenuta  meritamente  sacra. 


80  CARATTERE  MORALE  DI  DANTE. 

nudrtto  fu  fino  al  colmo  della  sua  vita,  e  nella  quale,  con 
buona  pace  dì  lei,  desiderava  con  tutto  il  cuore  dì  riposare 
V anima  sua,  e  terminare  il  tempo  che  gli  era  dato:  Conv. 
1.  3.  Eppure  tanto  cuocevagli  l' esigilo  ch'ei  considera  la 
morte  come  un  bando,  e  il  bando  come  una  morte  :  Inf. 
XV.  81.  Onde  non  è  meravìglia  se  l'esule  poeta,  cui  la 
patria  per  suo  ben  far  gli  era  diventata  nemica  {Inf.w.  64), 
tornasse  più  spesse  volte  a  colorire  pietosamente  nei  suoi 
versi  il  peregrino  dal  nativo  suo  cielo  lontano.  -  La  cam- 
pana della  sera  che  pare  che  pianga  il  giorno  che  finisce, 
più  viva  raccende  nel  novo  peregrin  cV  amore  la  mestizia  e 
il  desiderio  della  cara  patria:  Purg.  viii.  8.  -  Tra'  duo  liti 
d' Italia  sur gon  sassi,  E  non  molto  distanti  alla  tua  patria: 
Par.  XXI.  106  -  Quanta  poesia  in  questo  ultimo  verso  sì 
semplice!  -  E  già,  per  gli  splendori  antelucani,  Che  tanto 
ai  peregrin  surgon  più  grati.  Quanto  tornando  albergan  men 
lontani:  Purg.  xxvii.  109.  Che  cara  e  pietosa  imagine  in 
.bocca  d'un  esule  indarno  vicino  alla  patria!  -  Ed  è  ricor- 
dato da  lui:  il  peregrino  che  tornar  vuole:  Par.  i.  5;  ed  i 
peregrini  che,  pensosi,  giungono  per  cammin  gente  non  nota. 
Che  si  volgono  o^l  essa  e  non  ristanno:  Purg.  xxm.l^;  e 
quello,  che  si  ricrea  ]\el  tempio  del  suo  voto  riguardando, 
E  spera  già  ridir  com' elio  stea:  Par.  xxxi.  43;  e  perfino 
quello  di  Croazia  che  viene  a  veder  la  Veronica  nostra. 
Che  per  V antica  fama  non  si  sazia:  Par.  xxxi.  103.  -  V. 
Conv.  IV.  12;  V.  JS.  §  41.  Anche  nel  Volgare  Eloquio,  ii.  6., 
cadendogli  di  dare  un  esempio  sui  molti  gradi  delle  co- 
struzioni, ne  trae  uno  melanconicamente  pietoso  dall'esule  : 
Piget  me  cunctis,  sed  pietatem  majorem  ftlorum  habeo,  qui- 
cumque  in  exilio  tabescentes,  patriam  tantum  sommando 
revìsunt  {!). 

(1)  »  Ahi  piaciuto  fosse  al  Dispensatore  dell'universo,  che  la  capiot^e 
della  mia  scusa  mai  non  fosse  stata  ;  che  né  altri  contro  a  me  avria  fal- 
lato; né  io  sofferto  avrei  pena  ingiustamente;  pena,  dico,  d'esilio  «  di 
povertà.  Poiché  fu  piacere  de'cittadmi  della  bellissima  e  famosissima 
figlia  di  Roma,  Fiorenza,  di  gettarmi  fuori  del  suo  dolcissimo  seno  (  nel 
quale  nato  e  nudrlto  fui  fino  al  colmo  della  mia  vita,  e  nel  quale,  con 
l)UO,na  pace  di  quella,  desidero  con  tutta  il  cuore  di  riposare  l'animo 
stanco,  e  terminare  il  tempo  che  m'  é  dato),  per  le  parti  quasi  tutte,  alle 
quali  questa  lingua  si  stende,  peregrin  ,  quasi  mendicando,  sono  andato, 


CARATTERE  MORALE  DI  DANTE.  81 

Dante  Cristiano.  —  E  l'alllssinio  poeta  era  intimamente 
cristiano.  Con  altera  umiltà  e  coraggio  professava  le  proprie 
credenze,  i  propri  sentimenti  che  alla  fede  s'attengono.  Il 
verso  :  e  quel  che  spera  ocjni  fedel,  com'  io,   {Par.  xxvi.  60) 
nella  sua  nohile  semplicità  onora  il  poeta,  in  cui  la  speranza 
raflerma  la  fede  e  muove  a  carità  l'animo  dalle  ire  troppo 
sovente  agitato.-  Né  la  sua  mente  s' infiorava  solo  della  cri- 
stiana speranza  {Par.  xxv.  40),  di  vedere  nella  divina  essenza 
per  sé  noto  ciò  che  lenea  per  fede,  non  dimostrato  {Par,  ii.  48); 
né  solo  se  ne  dilellava  {Par.  xxv.  83),  ma  n'ora  sì  pieno  da 
pioverla  e  riversarla  in  altrui  {Par.  xxv.  78),  non  tenendosi 
a  veruno  inferiore,  onde  potea  francamente  dire:  La  chiesa 
militante  alcun  figliuolo  ]\on  ha  con  più  speranza:  Par.  xxv. 
52.  E  la  fede  dava  ali  allo  sperar  suo:  E  chi  noi  sa,  se 
egli  ha  la  fede  mia?  E  soggiungeva,  che  lassù  nel  cielo 
non  era  occulto   come  egli  amava  bene  e  bene  sperava 
e  bene  credeva:  Parad.  xxiv.  40.  Della  Chiesa  Cattolica 
madre  piissima  e  sposa  {Ep.  ix.  7)  e  secretaria  del  Croci- 
fisso {Conv.  11.  6),   egli,  una  delle  minime  fra  le  pecorelle 
della  greggia  di  G.  Cristo  { Ep.  ix.  5  ),   fu  sempre  figlio  te- 
mostrando,  contro  a  mia  voglia,  la  piaga  iloUa  fortuna,  che  suole  ingiu- 
stamente al  piagato  molte  volte  essere  imputata.  Veramente  io  sono  stato 
legno  senza  vela  e  senza  governo  portato  a  diversi  porli  e  foci  e  liti  dal 
vento  secco  che  vapora  la  dolorosa  povertà  :  e  sono  vile  apparito  agli 
occhi  di  molli,  che  forse  per  alcuna  fama  in  altra  forma  m'aveano  imagina- 
to;  nel  cospetto  de'  quali  non  solamente  mia  persona  invilio,  ma  di  minor 
pregio  si  fece  ogni  opera,  sì  già  fatta,  come  quella  che  fosse  a  fare.  » 
Conv.  1.  3  -  «  Conciossiacosaché  io  mi  sia  quasi  a  tutti  gl'Italici  apprc- 
sentato,  per  che  fatto  mi  sono  forse  più  vile  che  '1  vero  non  vuole,  non 
solamente  a  quelli  alli  quali  mia  fama  era  già  corsa,  ma  eziandio  agli 
altri,  onde  le  mìe  cose  senza  dubbio  meco  sono  alleviate...»  Conv.\.  4  - 
Ma  noi,  a  cui  il  mondo  è  patria,  sì  come  a' pesci  il  mare,  quantunque 
abbiamo  bevuto  l'acqua  d'  Arno  avanti  che  avessimo  denti,  e  che  amiamo 
tanto  Firenze,  che  per  averla  amala,  patiamo  ingiusto  esigilo. . .  E  benché 
secondo  il  piacer  nostro,  ovvero  secondo  la  quiete  della  nostra  sensualità, 
non  sia  in  terra  loco  più  ameno  di  Fiorenza...  ove  son  nato  e  di  cui  son 
cittadino  "  De  VuUi.  El.i.iì  -  E  tanto  gli  fu  dura  la  povertà   nel  suo 
esiguo,  che  neanche  gli  consentì  d'intervenire  all'esequie  del  suo  bene- 
fattore, Alessandro  conte  di  Romena,  scusandosene  per  iscritto  ai  nepoti 
di  lui  Uberto  e  Guido:  Me  vestrum  vestrae  discretioni  excuso  de  absentia 
lacryraosis  exequiis;  quia  nec  negligentia,  neve  ingratiludo  me  tenuil, 
sed  inopina  paupertas  quam  fecit  exilium.  Kp.  ii.  3.  lì  allo  Scaligero 
scriveva-  Urget  me  rei  familiaris  cgeatas.  Ep.  xi.22. 

VOL.  II.  6 


82  CARATTERE  MORALE  DI  DAINTE. 

nerisslmo  e  riverente.  Che  se  pur  gli  avveniva  alzare  la 
voce  e  propugnare  invidiosi  veri,  egli  facealo  sempre  con 
quella  riverenza  che  debbesi  usare  ogni  volta  che  di  per- 
sone  a  noi  superiori  giudichiamo   {De  Yulq.  El.  i.  3);  e 
temendo  ufficio  non  commesso  lasciava  di  por  mano  all'ar- 
ca, e  teneasi  contento  a  solo  pungere  i  buoi  calcitranti 
e  per  impervio  calle  vaganti:  Epist.  ad  Card.  §  5.  -  La  Chiesa 
Cattolica  non  può  dire  menzogna,  {Conv.  ii.  4.)  perocché  il 
fondamento  della  Chiesa  è  Cristo:  De  Mon.  iii.  10.  La  cristia- 
na sentenza  è  di  maggior  vigore,   ed  è  rompilrice  d'  ogni 
calunnia,  mercè  della  somma  luce  del  Cielo,  che  quella  al- 
lumina:  Co?ir.  IV.  lo.    Ravvalorato  solo  nel  celeste  aiuto, 
ei  dice  di  metter  mano  all'opera  della  Volfuire  Eloquenza; 
e  tutto  fidente  nel  lume  del  supremo  donatore,  che  dà  ad 
ognuno  ed  a  nessuno  rimprovera,  alla  grande  e   difficile 
opera  della  Monarchia:  ìlla  reverentia  fretus  quam  pius  filius 
debet  patri,  quam  pius  filius  mairi,  pius  in  Cliristtcm,  pius 
in  Ecclesiam,  pius  in  paslorem,  pius  in  omnes  Christianos 
religionem  profitentes  prò  salute  veritatis,  in  hoc  libro  cer- 
tamen  incipio:   De  Mon.  in.  3  -  JSè  vuole  dar  termine  al 
trattato  poetico  di  sacra  dottrina,  rinchiuso  nell'immortale 
Cantica,  che  nel  nome  di  quel  Dio  eh' è  benedetto  nei  secoli: 
Ep.  XI.  33.   n  pensiero  che  lassù  ne'  cieli  vi  ha  un  giusto 
sire  che  nel  rimeritare  i   suoi   servi  vince  ogni  misura, 
facevagli  dimenticare  ogni  rancore  verso  i  nemici  suoi,  e 
dirizzando  gli  occhi  al  cielo,  laudando  il  creatore,  egli  crea- 
tura, innamoravasi  di  sempre  più  lodarlo.  Che  se  facevasi 
contemplare  il  gran  premio  venturo,  sentiasi  più  e  più  pronto 
a  far  sacriiìcio  del  suo  volere  a  Dio  :  Son.  43.  La  vita  era 
poco  desiderabile  per  lui  :  la  morte,  quando  si  vive  in  una 
triste  società,  dove  l'uomo  onesto  ha  sempre  la  peggio,  è 
una  vera  grazia  di  Dio;  onde  il  poeta  diceva  di  sé: 
Lunga  vita  ancora  aspetta, 
Se  innanzi  tempo  grazia  a  se  noi  chiama.  /«/".  xxxi.  128. 

Non  so..,  quant' io  mi  viva; 
Ma  già  non  fla  '1  tornar  mio  tanto  tosto, 
Che  io  non  sia  col  voler  prima  alla  riva.  Purg.  xxiv.  76. 
Olire  di  che  il  pensiero  del  gaudio  che  la  pioggia  eterna 
del  beatifico  lume  produce  ne'  ben  finiti,  facevagli  riguardare 
la  morie  come  una  benedizione  di  Dio  : 


CARATTERE  MORALE  DI  DANTE.  ^'^ 

Qual  si  lamenta  perché  qui  si  moiii 
Per  viver  coiassù,  non  vide  quive 
Lo  refrigerio  dell'eterna  ploia.  l'ar.  xiv.  25. 

Fervidissimo  egli  nella  preghiera,  ci  appreiuicva  come  doli- 
l)iamo  orare,  onde  ffrazki  ci  s'impetri:  l*ur.\\s..ìil.  Perchè 
la  sia  accetla  a  Dio  è  di  mestieri  che  sia  pronta  e  divoiAi 
[Par.  XIV.  22)  ;  che  surf^a  su  di  cor  che  in  grazia  viva  {Par. 
iv.  134);  che  sia  fatta  con  affezione,  sì  clie  dal  dicer...  h 
cuor  non  parta:  /*af.  xxxii.  144.  L'uomo  con  la  preghiera, 
calda  iV  amore  e  di  viva  speranza,  vince  la  volontìi  divina, 
non  per  avanzamento  di  forza,  come  avviene  che  un'uomo 
vinca  un  altro,  ma  perchè  è  Dio  stesso  che  vuole  esser 
cinto,  e  dà  i  mezzi  perchè  si  vinca,  cosicché  può  dirsi  che  la 
divina  volontà  vinca  nell'  esser  vinta  :  Par.  xx.  94.  Ed  ei 
di  sé  ci  dice,  che  Cuor  di  mortai  non  fu  mai  sì  digesto 
A  divozion  ed  a  rendersi  a  Dio  Con  tutto  il  suo  gradir 
cotanto  presto  (/^ar.x.o5),  come  lui  ;  e  che  devoto  guani' esser 
potca  più,  ringraziava  Iddio  [Par.  ii.  140);  e  che  con  tutto 
il  cuore,  e  con  quella  favella  eh'  è  una  in  tutti  gli  facea 
olocausto,  guai  conveniasi  alla  grazia  novella  per  lui  rice- 
vuta: Par.  xiv.  88.  E  chi,  se  non  un  anima  a rdcntemen te- 
innamorata  di  Dio,  potea  ritrovare  le  sì  dolci  note  per  ritrarci 
la  soavità  della  preghiera  di  quell'anime  nella  valletta  del 
Purgatorio  (vm.  10),  tanto  che  al  leggerle  solo  fanno  noi 
a  noi  uscir  di  mente? 

E  il  Poeta  pregava  che  1"  anima  sua  già  fat'.a  sana, 
piacente  a  Dio,  avesse  a  disnodarsi  del  corpo  [Par.  xxxi.  85.;, 
e  fosse  resa  degna  di  risalire  all'  ultima  salute  (Par.  xxxiii. 
27);  ond' egli  piangeva  spesso  le  peccata  sue,  e  percoteasi 
il  petto,  perchè  non  gli  fallisse  il  ritorno  al  devoto  trionfo 
(Par.  xxii.  106);  e  pregava  pure  che  gli  fossero  conservati 
mni  gli  affetti,  e  che  colla  guardia  della  Vergine  fosse  vinto 
in  [[lì  ogni  movimento  umano:  /\/r.  xwiii.  35.  E  con  quanta 
dolcezza  non  ci  parla  sempre  dell'amor  divino,  di  quell'u- 
lama luce,  che  vista  sola  sempre  amore  accende  [Par.\.H.), 
sicché  il  poeta  non  può  non  esclamare:  fìen  è  che  senza  termi- 
ne si  doglia  Chi,  per  amor  di  cosa  che  non  duri  Eternalmente, 
di  quell'amor  si  spoglia:  Par.  \v.  10.  -  Né  disconfessa  esser 
concorsi  in  lui  tulli  quei  morsi  che  [MJtcano  fare  il  suo  cuore 


84  CARATTERE  MORALE  DI  DANTE. 

volgere  a  Dìo:  Par.  xwì.'Òù;  V essere  del  mondo  l'essere 
suo,  la  morte  che  il  suo  Dio  sostenne,  per  eh'  ei  vivesse  {Id. 
V.  08)  ;  e  che  la  conoscenza  viva  de'  divini  e  degli  umani 
argomenti  avealo  tratto  del  mare  dell'  amor  torlo  e  postolo 
alla  riva  del  diritto:  Id.  v.  GÌ.  11  perchè  non  dubitava 
chiamarsi:  dolce  fico  tra  li  lazzi  sorbi:  Inf.  xv.  65;  apiello 
del  bello  ovile  a'  lupi  nemico  divoratori  della  patria:  Por. 
XXV.  5;  anima  bu'ona:  Inf.  in.  127;  a  cui  di  ben  far  ffiova: 
Par.  IX.  24  ;  buon  cristiano,  cui  colpa  non  menava  ai  tor- 
menti: Inf  xxviii.  46;  fifflìuolo  di  grazia:  Par.  xxxi.  112; 
anzi  nella  divina  grazia  grandemente  rinchiuso  :  Par.  xxvii. 
2;  anima  santa:  Purg.xwu.lì;  e  contraddistinta  da  evi- 
denti segnali  ch'era  amata  da  Dio  {Purg.  xiii.  148),  e  perciò 
sicura  di  cenare  alle  nozze  celesti:  /^o?\  xxx.  135. 

Devozione  affettuosa  a  M.  \,  e  a  H,  Lucia.  —  Ei 
fu  affetuosamente  devoto  di  Maria  e  dell'illustre  vergine 
Siracusana  S.  Lucia.  -  Nel  Convito  ci  fa  sapere  che  se  egli 
avesse  ad  imporre  il  nome  a  due  città,  intitolerebbe  l' una 
Maria  e  l'altra  Lucia:  Conv.  ni.  5.  E  si  dice  fedele  di  Lucia, 
la  quale,  nemica  di  ciascun  crudele,  chiesta  dalla  donna 
gentile,  si  facea  a  raccomandare  il  poeta  impigliato  nella 
selva,  alla  sua  Beatrice  (Inf.  11,  97),  e  trassela  a  simboleg- 
giare la  grazia  divina,  ed  assegnavale  nel  cielo  altissimo 
seggio  di  presso  a  Maria. -U^  la  Madonna  sempre  mattina 
e  sera  invocava,  e  diceva  VAve  Maria: 

11  nome  del  bel  fior,  eh'  io  sempre  iìivoco 
E  mane  e  sera.  Par.  xxiii.88. 

E  ben  quattro  volte  nel  sacro  poema  nominò  VAve  Maria, 
che  sì  dolcemente  gli  suonava  all'anima:  Puff/,  xiv.  40; 
/^(ir.  Ili  121;  xvi.  34;  xxxii.  92. -E  sovente  gli  piace  d'in- 
trodurre il  nome  di  Maria,  e  la  divozione  ad  essa,  dove 
vuole  addolcire  ed  ingentilire  le  rimembranze,  di  che  è  solo 
vederne  l'origine  nel  cuore  di  lui:  Purg.  v.  105;  xviii.  19; 
Par.  XV.  133.  -  E  di  questo  suo  amore  alla  Regiìia  della 
gloria  ne  parla  anche  nella  Yita  Nuova,  e  si  compiace  che 
ne  fosse  pure  innamorata  la  sua  Beatrice  (§  5)  ;  e  scrive  di 
lei:  che  lo  Signore  della  giustizia  chiamò  questa  gentilis- 
sima a  gloriare  sotto  l'insegna  di  quella  reina  benedetta 
Mc^Tia,  lo  cui  nome  fu  in  grandissima  reverenza  nelle  parole 


CARATTERE  MORALE  DI  DANTE.  85 

di  questa  Beatrice  beata:  §  29  -  E  nelle  sue  rime  egli 
colloca  la  morta  donna  nel  ciel  delV  umiltà  dov'è  Maria: 
Son.  24. 

Con  quali  Imagini  poi  purissime  e  tulle  maravigliose 
e  tulle  celesti  non  ci  ritrae  quella  Donna  eccelsa,  ottima  di 
tutte  l'altre...  laidezza  ed  onore  dell'umana  generazione 
(Coni).  IV.  5),  che  ad  apr/r  /'  alto  Amor  volse  la  chiave, 
circondata  in  forma  di  Rosa  dai  Santi  e  dagli  Angeli  più 
sublimi!  11  Tommaseo,  e  dopo  lui  moltissimi  altri,  nella 
Donna  (jentile,  mossasi  prima  in  aiuto  a  Dante,  con  inter- 
pretazione feconda  d'alia  bellezza,  avvisa  Maria  Vergine, 
che  di  lei  sola  polca  venir  detto:  che  frange  lassù  duro 
giudizio  (7«/".  11.  9G);  di  lei  sola:  che  quul  vuol  grazia  e 
a  lei  non  ricorre,  la  sua  disianza  vuol  volar  senz'  ali:  Par. 
xxxiii.  14.  -  E  di  fatti  nella  candida  Rosa,  coronante  Maria 
Vergine  nel  Paradiso,  è  il  seggio  di  Beatrice,  ed  a  quella 
spicca  il  volo  quando  lascia  Danle  {Par.  xxxi.  1);  in  quella 
egli  la  vede  per  1'  ultima  volta,  giunte  le  mani,  a  pregare 
Maria  Vergine  per  lui:  Par.  xxxiii.  38.  E  divinamente  inspi- 
rala è  la  preghiera  che  nell'  ultimo  Canto  indirizza  a  questa 
umile  ed  alta  più  che  creatura. -Ed  io  son  d'avviso,  meglio 
che  all'arte  dei  Notai  e  dei  Giudici,  amasse  inscriversi  a 
quella  dei  Medici  e  degli  Speziali,  per  quel  sentimento 
divoto  e  riverentemente  afleltuoso  eh'  egli  nutrì  sempre 
per  Nostra  Donna,  siccome  a  quell'Arte,  ch'entro  al  campo 
vermiglio  avea  S.  Maria  col  figliuolo  al  collo. 

Anche  il  Petrarca  moslrossi  quanto  mai  tenerissimo  della 
Vergine,  in  onore  della  quale  dettava  la  bellissima  Canzone 
Vergine  bella,  dove  ad  ogni  stanza  è  ripetuto  con  istante 
fervore  e  con  soavità  penetrante  il  dolce  nome  di  Vergine. 
«  Le  poesie  che  il  Petrarca,  scrive  il  Foscolo,  dettò  intorno  a 
Laura,  finiscono  con  una  delle  sue  più  belle  Canzoni.  E  que- 
sta rivolta  alla  Beala  Vergine,  e  come  a  quella,  eh' avea 
sentito  i  più  santi  afletti,  e  congiunto  in  sé  stessa  i  tre 
più  teneri  e  più  soavi  nomi  sulla  terra,  di  madre,  di  fi- 
gliuola e  di  sposa,  si  confida  il  poeta  che  gli  sarebbe 
misericordiosa.  Poi  con  una  sublimità  e  con  un  affetto  che 
verun  poeta  non  arrivò  mai  a  superare,  invoca  l'aiuto  di 
lei,  onde  poter  cessare  nella  sua  vecchia  eia  di  struggersi 


S6  CARATTERE  MORALE  DI  DA?>TE. 

in  lagrime,  sopra  le  ceneri  di  tale  che  avea  riempiuto  la  sua 
vita  di  lagrime  e  di  guai.  »  E  il  Petrarca  teneasi  sempre 
con  seco  ne'  suoi  peregrinaggi,  come  cosa  cara  e  santis- 
sima, r  imagine  della  Vergine,  egregio  dipinto  di  Giotto, 
che  poi,  morendo,  legava  al  Signor  di  Carrara,  dono,  dico 
il  Tommaseo,  da  poeta,  e  più  che  da  principe. 

Ritratto.  —  (1)  «  Fu  questo  nostro  poeta  di  mediocre 
statura,  e  poiché  alla  matura  età  fu  pervenuto,  andò  alquanto 
curvetto,  ed  era  il  suo  andare  grave  e  mansueto,  di  onestis- 
simi panni  sempre  vestito  in  quello  abito  eh'  era  alla  sua 

(Ij  N.  Tommaseo,  nel  discorso  aggiunto  al  C.  xxvi.  dell'Inferno,  così  ci 
ritrae  l'indole  e  la  natura  del  poeta,  desunta  da'  passi  della  Divina  Co- 
media,  eh'  io  mi  farò  anche  di  citare.  -  Ingegno  ardito,  ma  frenato  dal 
dovere  (  Inf.  xxv.  21  )  :  caldo  talvolta  di  febbre  superba  (  Pura.  xm.  136), 
ma  sdegnoso  di  volpini  accorgimenti:  si  compiace  nell'ira,  nell'odio, 
nella  vendetta  {Inf.  viii.  37;  xxvi.  10);  ma  le  villane  significazioni  della 
rabbia  impotente  non  loda:  Inf.  xw.ll  ;  xxv  1.  Breve  ed  arguto  nel  dire 
(Pwfj.  m.  78),  non  bugiardo;  nemico  degl' ippocriti,  aperto  a'  sapienti, 
come  specchio  che  rende  le  imagini  delle  cose  di  fuori.  Sorride  dignitoso 
alle  umane  follie,  ama  talvolta  dipingere  le  bassezze  de'  tristi  { Inf.  xxx. 
130);  ma  ben  presto  s'innalza  e  piange  fin  sui  meritati  dolori:  Inf.  xvj. 
47;  Parq.yi.  Docile  all'autorità  de'  grandi,  riverente  alla  Chiesa  {Purg. 
11.  100;  xxii.  71;  Par.  v.  7C);  si  scusa  fin  d'atti  apparentemente  audaci 
{Inf.  XIX.  16),  ma  osati  a  fin  di  bene;  l'adulazione  gli  è  in  odio  {Inf. 
svili  )  ;  la  costanza  nelle  avversità  gli  desta  meraviglia  fin  ne'  malvagi, 
{Inf.  X.30;  xviii.  83  ),  quando  provocatrice  non  sia:  Inf.  viii.  37;  xiv.  4, 
Ogni  vero  e' ha  faccia  di  menzogna  egli  evita  (Inf.  xvi.  118. j:  egli  negli 
studi  s'affanna  e  suda  (Purg.  xxv.  3;  xxix.37;  xxxi.  140;  Par.  xxv.  1; 
font;.  111.  9;  De  Vul.  El.  ni.  1;  Ep.  li.  a  Moroello  Ulalaspina];  quasi  scul- 
tore, modella  e  intaglia  e  pulisce  l'opere  sue.  Negli  amori  invescato  (Purg. 
XXIV.  37;  XXXI.  49,  Cans,  vili):  da  ogni  avarizia  abborrente  {  passfw ),  e 
ancor  più  d'  ogn'  invidia  (  Purg.  xm.  133  ).  -  Amante  della  lode,  si  loda 
da  sé  (Inf.  iv.  104;  Inf.  xv.  55;  xvi.  127;  Purg.  xvii.  94;  Purg.xxw.  49; 
Par.  n.  1;  xxv.  1  );  ma  i  proprll  falli  confessa  {Inf.  ii  105;  Purg.  i.  58; 
IX.  112;  xxx.  115)  e  degli  amici  suoi.  Sdegna  i  beni  della  sorte,  e  al 
dolore  di  lunga  mano  si  apparecchia:  /n/".x.  76,127;  xv.  88;  Par.  xvii.SÌ 
Ama  conoscere  nuovi  uomini  e  nuove  cose,  ma  le  prime  consuetudini  gli 
son  care,  e  le  prime  amicizie  :  V.  N.  3,  24,  25,  33,  35  ;  Purg.  li.  88.  Par. 
Yiii.  55;  Da  Vul.  El.  i  9,  u.  2,  Ep.  iv.  Ep.  xi.  -  Tutto  ciò  che  é  alto  e 
gentile  nella  umana  natura  riconosce,  e  lo  venera  dove  che  sia,  e  ad 
uomini  tali  ubbedisce  e  teme  i  rimproveri  loro:  Inf.  xxx.  141.  -  Ama  la 
gravità  iie|la  voce,  negli  sguardi,  negli  atti  (  /«/.  iv.  112;  Purg.  iii.  10. 
87;  XXIX.  134;  Par.  xxxi  49;  Conv.  4,  7,  8;  iv.  25);  teme  che  il  tempo 
non  gli  passi  perduto:  Inf.  xi.  14;  Purg.  iii.  78;  xii,  81;  xyiiJ.  103; 


CARATTERE  MORALE  DI  DA^TE.  87 

maturila  convenevole,  il  suo  volto  fu  lungo,  e  '1  naso  aqui- 
lino, e  gli  occhi  anzi  grossi  che  piccioli,  le  mascelle  grandi, 
e  dal  labbro  di  sotto  era  quel  di  sopra  avanzalo  ;  e  il  colore 
era  bruno,  e'  capelli  e  la  barba  spessi,  neri  e  crespi,  e 
sempre  nella  faccia  maninconico  e  pensoso..,  Ne' costumi 
pubblici  e  domestici  mirabilmente  fu  composto  e  ordinato, 
e  in  tutti  più  che  alcun  altro  cortese  e  civile.  !Nel  cibo  e 
nel  poto  fu  moderato,  s\  in  prenderlo  all'ore  ordinale,  e  si 
in  non  trapassare  il  segno  della  necessità  quel  prendendo  ; 
né  alcuna  curiosità  ebbe  mai  più  in  uno  che  in  un  altro: 
i  dilicati  lodava,  e  il  più  si  pasceva  de'  grossi,  oltremodo 
biasimando  coloro,  i  quali  gran  parte  del  loro  studio  pon- 
gono e  in  avere  le  cose  elette,  e  quelle  fare  con  somma 
diligenza  apparecchiare;  affermando,  questi  colali  non  man- 
giare per  vivere,  ma  piuttosto  vivere  per  mangiare.  Ninno 
altro  fu  più  vigilante  di  lui  e  negli  studi  e  in  qualunque 
altra  sollecitudine  il  pugnesse;  intantochè  più  volle  e  la 
sua  famiglia  e  la  donna  se  ne  dolsono,  primachè  a'  suoi 
costumi  adusale,  ciò  mettessero  in  non  calere.  Rade  volte, 
se  non  domandalo,  parlava,  e  quelle  pensatamente  e  con 
voce  conveniente  alla  materia  di  che  diceva;  non  pertanto, 
laddove  si  richiedeva,  eloquenlissimo  fu  e  facondo,  e  con 
ottima  e  pronta  prolazione.  -  Sommamente  si  dilettò  in  suon 
e  in  canti  nella  sua  giovanezza,  e  a  ciascuno  che  a  que'  tempi 
era  ottimo  cantatore  o  sonatore  fu  amico  ed  ebbe  sua  usan- 
za ;  ed  assai  cose  da  questo  diletto  tirato  compose,  le  quali 
di  piacevole  e  maestrevole  nota  a  questi  colali  facea  rivestire. 
Quanto  ferventemente  esso  fosse  ad  amore  sottoposto,  assai 
chiaro  è  già  mostrato:  questo  amore  è  ferma  credenza  di 
tulli  che  fosse  movilore  del  suo  ingegno  a  dovere,  prima 
imitando,  divenire  dicitore  in  vulgare,  poi  per  vaghezza  di 
più  solennemente  dimostrare  le  sue  passioni,  e  di  gloria, 
sollecitamente  esercitandosi  in  quella,  non  solamente  passò 
ciascuno  suo  contemporaneo,  ma  in  tanto  la  dilucidò  e  kce 
bella,  che  molli  allora  e  poi  di  dietro  a  sé  n'  ha  fatti  e 
farà  vaghi  di  essere  esperti.  Dilettossi  similmente  d'essere 
solitario  e  rimolo  dalle  genti,  acciocché  le  sue  contempla- 
zioni non  gli  fossero  interrotte;  e  se  pure  alcuna  che  molto 
piaciuta  gli  fosse  ne  gli  veniva,  essendo  esso  tra  gente, 


88  CARATTERE  MORALE  DI  DANTE. 

quantunque  di  alcuna  cosa  stato  fosse  addomandato,  giam- 
mai infino  a  tanto  che  egli  o  fermata  o  dannata  la  sua 
immaginazione  avesse,  non  avrebbe  risposto  al  dimandante; 
il  che  molte  volte,  essendo  egli  alla  mensa,  e  essendo  in 
cammino  con  compagni,  e  in  altre  parti  dimandato,  gli 
avvenne...»  Boccaccio,  \ita  dì  Dante,  37  -  «Fu  il  nostro  poeta, 
oltre  alle  cose  predette,  di  animo  alto  e  disdegnoso  molto... 
Preelesse  di  stare  In  esìlio,  anziché  per  isconvencvole  via 
tornare  in  casa  sua.  Oh  isdegno  laudabile  dì  magnanimo, 
quanto  virilmente  operasti  reprimendo  lo  ardente  disio  del 
ritornare  per  vìa  meno  che  degna  ad  uomo  nel  grembo 
della  filosofia  nutricato!  Molto  simigliantemente  presunse 
di  sé,  né  gli  parve  meno  valere,  secondocché  li  suoi  con- 
temporanei rapportano,  eh'  e'  valesse ...  Oltre  a  queste  cose, 
fu  questo  valente  uomo  in  tutte  le  sue  avversità  fortissimo ... 
Tra  cotanta  virtù,  tra  cotanta  scienza...  trovò  amplissimo 
luogo  la  lussuria,  e  non  solamente  nei  giovanili  anni,  ma 
ancora  ne'  maturi ...  Boccaccio,  Vita  dì  Dante,  53. 


POLITICA  DI  DA^TE 


Ogni  speculazione  politica  deve  avere  per  incopo  l'utile 
della  civiltà  dell'umano  genere -De  Mun.  I.  1. 

Scopo  della  civiltà  è  il  proniovimento,  lo  sviluppo  alla 
potenza  intellettiva  del  genere  umano.  -  DeMon.  1.3. - 
(Nemmeno  a'  nostri  tempi,  nei  quali  tanto  di  ciò  ol 
discorre,  nulla  di  piii  largo  e  di  più  preciso  insieme 
fu  detto  da  alcuno.  Balbo,  Vita  di  Bante,  L.II.  e.  11.) 

Dante  fu  l'italiano  più  italiano  che  sia  stato  mai. 
BALBO. 


Nella  Divina  Comedia,  nel  Trattato  De  Monarchia,  il 
solo  e  il  migliore  Commento  politico  del  poema,  nei  Capitoli  4, 
5,  6  del  Convivio,  nelle  sue  Epistole  si  legge  interamente 
tratteggiato  il  sistema  politico  dell' Allighieri.  Noi  esporremo 
a  brevi  cenni,  anche  sull'orme  di  riputati  scrittori,  quello 
che  Dante  credeva  nel  secolo  XIII. 

«  Dio  è  uno  -  l'universo  è  un  pensiero  di  Dio  {Mon.  l.  §  10; 
Par.  XI11.52)  -  quindi  anch'esso  è  uno:  Par.  1. 103.  Le  cose 
tutte  vengono  da  Dio -e  tutte  partecipano  più  o  meno  alla 
divina  natura,  secondo  il  line  per  cui  furono  create.  Tutte  si 
muovono  a  diversi  porti  per  lo  gran  mare  dell'Essere  (  Conv. 
11.2;  Par.  1. 112.),  ma  tutte  son  mosse  dalla  stessa  volontà. 
Fiori  nell'orto  del  Signore,  tutte  nreritano  il  nostro  amore 
secondo  il  grado  di  eccellenza  di  cui  ciascuna  è  naturata: 
Par.  XXVI.  64...  -  L'umanità  è  una:  Conv.  iv.  15.  Dìo  non  fece 
nulla  indarno:  se  quindi  esiste  una  moltitudine  di  uomini 
raccolti  sotto  un'unità  collettiva,  egli  è  perchè  v'ò  uno 
scopo  unico  per  lutti  -  un'opera  che  deve  compiersi  da 
lutti  assieme:  Mon.  i.  §  4.  L'umanità  intera  deve  quindi  dar 
opera  perchè  tutte  le  potenze  intellettuali  diffuse  nel  suo 
seno  possano  ricevere  il  più  alto  sviluppo  possibile  nella 
sfera  del  pensiero  e  dell'azione:  (DeMon.i.^-ò)  e  questo 
può  solo  ottenersi  coli' armonia,  e  per  conseguenza  coll'as- 
sociazione.  L'  umanità  dev'  essere  una,  come  uno  è  Iddio  - 
una  nella  organizzazione  come  lo  è  cerlamenle  nell'origine. 


90  POLITICA  DI  DANTE. 

L'unità  viene  Insegnala  dalla  intenzione  di  Dio  (  l)c  Mon.  i. 
§  11)  manifestata  nel  mondo  esterno,  e  dalla  necessità  di  uno 
scopo.  Or  essa  richiede  tal  cosa  da  cui  possa  venire  rappresen- 
tata, e  questa  è  l'unità  di  governo.  E  allora  è  necessario 
un  centro  a  cui  salga  la  generale  ispirazione  dell'Umanità, 
per  ridiscenderne  in  forma  di  leqrfe  -  un  potere  forte  della 
unità  e  dell'appoggio  dei  più  alti  intelletlL  naturalmeiltc 
destinati  a  dirigerlo,  (Ij  che  provegga  con  tranquilla  sa- 
li] Né  punto  differente  è  la  sua  teoria  nella  Divina  Comedia.  L'au- 
torità imperiale  fu  sempre  per  Dante  raltissimo  unico  ed  eterno  principio 
dei  suo  sistema  politico;  onde  quella  continua  adorazione  alla  podestà 
imperiale,  quasi  fatata  dal  cielo,  a  quel  sogno  eroico,  come  disse  Gioberti, 
della  Monarchia  universale,  avente  Roma  a  capo.  E  perfino  nel  paradiso 
tìgli  imaginava  una  Roma  di  cui  Cristo  è  cive  Romano  (Purg.  xxxii,  102)  ; 
un  Impero  di  cui  egli  è  l' Imperatore,  dove  avea  la  sua  cittade  e  l'alio 
seggio  (/nf.  1. 174),  con  una  Corte  co' suoi  Conti  e  Baroni  (Par.xxiv.112, 
115;  Par.  xxv.  42),  a  modo  di  quella  che  sostiene  volere  Iddio  sulla  terra.  - 
Dio  avea  preparato  a  Giulio  Cesare  la  Monarchia,  come  mezzo  di  quella 
pace  ch'egli  voleva:  Augusto  è  per  lui  sommo  eroe,  sommo  fondatore, 
tipo  degl'Imperatori.  Costantino,  trasportando  la  sedia  imperiale,  andava 
contra  il  Cielo,  e  il  cielo  malediceva  l'opera  sconsigliata:  frutto  della 
maledizione  la  rovina  d'Italia,  e  il  disfacimento  dell'Impero.  Lo  ristabi- 
raento  dunque  dell'Impero  era  di  volere  divino;  ed  egli  teneasi  il  pre- 
scelto a  predicarlo  ed  a  disporlo;  egli  il  precursore  e  l'apostolo:  Inf.u. 
20.  L' Impero  romano,  fondato  con  tanti  chiari  argomenti  del  divino  fa- 
vore è  il  solo  imperio  legittimo,  sotto  il  quale  può  l'umanità  esser  queta 
e  virtuosa:  disfatto  ©menomato  quello,  tutto  è  disordine:  ogni  altro 
governo  temporale  è  un'  usurpazione,  un  fomite  di  discordia  civile  e  di 
delitti:  Inf.  xiv.  103-114;  Par.  xvi.  oH;  xviii.  98.  -  Al  bene  dunque  del- 
l'umana società  é  necessaria  la  Monarchia,  l'esercizio  della  quale  appar- 
tiene di  diritto  aire  de'  Romani.  «  La  pietosa  provvidenza  deireterno  re... 
dispose  che  le  cose  umane  dovessero  esser  governate  dal  sagrosanto 
Imperio  de'  romani,  aftìchè  sotto  la  serenità  di  sì  eccelso  governo  il 
genere  umano  si  stesse  in  pace,  ed  ovunque,  siccome  chiede  natura,  si 
vivesse  vita  civile.  Queglino  che  temerariamente  presumendo  ergon  la 
fronte  contro  questa  manifestissima  volontà  di  Dio,  perchè  la  spada  di 
colui  che  dice  la  vendetta  è  mia  non  cadde  ancora  dal  cielo,  tingano 
fin  d'ora  le  guance  di  pallore,  perché  su  loro  già  pende  la  sentenza  del 
severo  giudice.  »  Ep.  vi.  1.  «  Chi  resiste  alla  podestà,  resiste  al  comanda- 
mento di  Dio,  e  chi  repugna  al  divino  comandamento,  recalcitra  contro 
la  volontà,  coeguale  dell'onnipotenza:  è  dura  cosa  calcitrare  contro  allo 
stimolo.  Ep.  V.  5.  -  Non  provate  voi  terrore  della  morte  seconda,  dapoiché 
primieri  e  soli  abborrendo  dal  giogo  della  libertà,  contro  la  gloria  del 
romano  principe,  re  del  mondo  e  ministro  di  Dio  tumultuaste?  Epist.w. 
2.  -  Cristo . . .  quand'  egli  era  in  ceppi  . .  affermò  che  quel  potere,  onde 
cogtyi  giccome  Vicario  di  Cesare  si  vantava,  dall'alto  proveniva  Ep.  v.  4. 


POLITICA  DI  DAME.  91 

pienza  a  tulle  le  varie  funzioni  da  adempiersi  -  i  distinti 
impieghi,  cioè  -  e  sostenga  egli  stesso  le  parti  di  pilota,  di 
capo  supremo,  onde  recare  alla  più  alta  perfezione  quella, 
che  Dante  chiama  V  universale  Reluiione  dell' umana  specie: 
Conv.  II.  4.  E  così  verrà  mantenuta  la  concordia  fra  i  reggi- 
tori di  Stati,  e  questa  pace  si  diffonderà  dal  centro  nelle 
cittadi,  e  da  queste  in  ogni  gruppo  d'abitazioni,  in  ogni 
c^sa,  nel  petto  d'ogni  persona.»  {hi.) 

«E  dove  sarà  il  seggio  dell'Impero?» 

a  A  tale  inchiesta  Dante  abbandona  ogni  argomento  ana- 
litico, assumendo  il  linguaggio  d'una  assoluta  e  sintetica 
asserzione,  come  se  gli  recasse  sorpresa  la  minima  espres- 
sione di  dubbio.» 

«  Egli  non  è  più  ^/oso/o,  ma  credente.  Mostra  Roma  \a  santa 
città,  come  la  chiama,  di  cui  anche  le  pietre  son  degne,  a 
suo  avviso,  di  riverenza:  «Quivi  è  l'alto  seggio  dell'impero.» 
Non  v'ebbe,  né  vi  sarà  mai  popolo  dolalo  d'una  mansue- 
tudine maggiore  per  esercitare  il  comando,  di  più  fermezza 
per  sostenerlo,  e  d'una  maggior  capacità  per  acquistarlo, 
che  l'italiano,  e  sovra  lutto  il  santo  popolo  romano  :  Conv. 
11.4;  De  Mon.  ii.  passim.  Dio  scelse  Roma  d' infra  tutte  le 
genti.  Essa  ha  già  dato  al  mondo  due  volte  unità,  ed  è 
nel  suo  seno,  che  il  mondo  la  troverà  ancora,  e  per  sempre. 
Credete  voi  che  la  sola  forza  materiale  abbia  assoggettato 
tante  nazioni  a  Roma,  che  non  era  più  che  una  città  e  un 
branco  d'uomini?  Dante  confessa  anch'egli  d'averlo  creduto 
un  momento,  e  che  tutta  la  sua  anima  era  per  rivoltarsi 
contro  una  tanta  usurpazione.  Ma  poi  i  suoi  occhi  furoiM) 
aperti:  nelle  pagine  della  storia  di  quel  popolo  vide  spie- 
garsi l'opera  della  Vrow'KÌenzdi :-praedestinationem  divinam- 
necessitava  che  il  mondo  venisse  preparato,  fosse  quasi 
allivellalo  sotto  la  regola  di  un  solo  potere,  onde  la  pre- 
dicazione di  Gesù  potesse  far  sorgere  una  nuova  vita  su 
tutta  quanta  la  terra.  Dio  consecrò  Roma  a  questa  opera  - 
ecco  il  segreto  della  di  lei  forza.  Roma  individualmente 
non  avea  ambizione,  essa  non  combattea  per  proprio  inte- 
resse, ma  si  era  volata  a  una  missione.  Populus  ille  sanctus, 
pius  et  gloriosus,  propria  commoda  neglexisse  videtur,  ut 


02  POLITICA  DI  DAME. 

pubblica  prò  salute  immani  f/entis  procurarci  (1).  E  quando 
l'opra  fu  compiuta,  Roma  posò  dalle  faliche,  lìnchè  il  mondo 
non  ebbe  bisogno  del  secondo  Vangelo  di  unità.  Si  cerchi 
negli  scritti  stessi  di  Dante  (giacche  le  nostre  citazioni 
si  farebber  troppo  frequenti)  lo  sviluppo  di  questo  tema, 
ch'egli  appoggia  all'autorità  dei  poeti,  da  lui  sempre  evo- 
cata innanzi  tutte,  giù  venendo  sino  a  quella  di  Gesù,  che 
riconobbe,  com'egli  afferma,  colla  sua  morte  la  legittimità 
della  giurisdizione  che  Roma  esercitava  su  tutta  la  specie 
umana.  Il  libro  II  de  Monarchia,  il  capitolo  IV  e  V  del 
Trattato  II  del  Convito  sono  un  solo  inno  a  questa  idea 
che  Dante  venerava  come  religiosa.  Ma  oltre  a  quanto  si 
riferisce  più  particolarmente  al  nostro  soggetto  vi  ha  molto 
da  apprendere  negli  scritti  di  Dante,  come  può  scorgersi  dai 
pochi  e  sparsi  pensieri  di  lui,  che  abbiamo  citati.  Vi  ha  la 
tradizione  della  filosofia  italiana  che  mira  a  fondere  insieme 
la  scuola  di  Pitagora  con  quella  di  Telesio,  di  Campanella 
e  di  Giordano  Bruno  :  vi  ha  un'  autorità  da  aggiungersi 
all'altre  che  parlano  in  favore  della  dottrina  del  Progresso; 
autorità  che  finora  non  vedemmo  avvertita  da  alcuno,  seb- 
bene la  più  esplicita  forse  e  la  più  antica  di  tutte.  La  vi- 
ta collettiva  della  specie  umana,  la  legge  di  continuo 
sviluppo,  il  suo  moto  ascendente  all'appoggio  dì  sempre 
più  estese  associazioni;  la  previsione  dell'unità  sociale  che 
sorgerà  dalla  distribuzione  di  tutte  le  varie  funzioni  in  or- 
dine allo  scopo  comune  -  la  teoria  del  dovere,  con  tutto 
quello  che  forma  la  base  e  il  merito  d'una  scuola,  che  si  vuole 
(  non  iscorgesi  su  che  fondamento  )  chiamar  francese  -  tutto 
troviamo  chiaramente  indicato  in  questi  libri  di  un  Italiano 

(1)  S.Tommaso,  nel  libro  de  Redimine  principum,  prova  che  ogni 
dominio  è  da  Dio,  e  che  il  dominio  de'  Romani  fu  previsto  da  lui  propter 
zeium  patriae  et  zelum  justitiae,  e  conclude  che  i  Romani  acquisierunt 
principatum  quodam  jure  naturae,  a  quo  ìiabet  exordium  omne  ju- 
stura  principium.  E  S.  Agostino  scrisse:  Deo  placuit  orbem  terrarum 
per  Romanos  debellare,  ut  in  unam  wcietatem  reipublicae  legumque 
perductum  longe  lateque  pacaret.  E  S.  Leone:  Dispositio  divinitus  operi 
maxime  conqruebat,  ut  multa  regna  uno  confoederarentur  imperio  et 
cito  pervios  haberet  populos  praedicatio  generulis  quos  unius  tencret 
regimen  civitatis, 


POLITICA  DI  DANTE.  93 

del  secolo  decimoterzo,  che  senza  dubbio  non  dovettero 
che  aUa  forma  loro  inatlraente  l'obblio  che  li  ha  lunga- 
mente coperti.  » 

«  E  necessario  quindi  che  siavi  un  potere  che  governi  e 
che  il  suo  seggio,  l'impero  cioè,  appartenga  air  Italia,  a 
Roma.  Giunto  a  questa  conclusione,  Dante  dovea  natural- 
mente fermarsi  a  cercare  i  mezzi  per  realizzare  un  tale 
concetto.»  Scrìtti  lettor,  di  un  italiano  vivente.  Voi.  Hip.  lìiiO. 

«  L'errore  di  aver  cercato  in  Germania  il  liberatore 
d'Italia,  dice  Gioberti,  merita  scusa,  perchè  questa  divisa, 
debole  discorde  non  avca  un  braccio  capace  di  tanta  ope- 
ra. Parvegli  di  trovare  il  principio  egemonio  nell'imperio 
tedesco  :  il  quale,  se  per  la  sua  stirpe  era  forestiero,  pel 
titolo  e  la  successione  apparente  polca  credersi  italiano. 
Ma  non  volle  già  sottoporre  l'Italia  a' stranieri:  giacché 
l'imperatore,  recandola  ad  essere  nazione,  dovea  rimettervi 
l'avito  seggio  e  rendersi  nazionale.  Perciò  Dante  sostituen- 
do allo  scettro  bastardo  ^di  Costantino  e  Carlomagno  il 
giuridico  di  Giulio  Cesare,  restituendolo  a  Koma  e  annul- 
lando l'opera  del  principe  che  lo  trasferiva  a  Bisanzio,  e 
dei  pontefici  che  lo  trapiantavano  in  Francia,  poi  nella 
Romagna,  si  mostrò  italianissimo.»  Gioberti^  Rinnovamento. 
(Y.  Scritti  letterari  di  un  italiano  vivente.  Voi.  Ili  p.  3o8. - 
Willemainy  Corso  di  Letteratura  del  M.  Evo.  Lez.  XII.) 

Nel  terzo  libro  ei  prende  a  dimostrare,  come  il  diritto 
dell'imperatore  e  divino  e  per  conseguente  la  sua  indi- 
l)endenza,  ne'  diritti  e  neiresercizìo  di  monarca  universale, 
dal  sommo  Pontelice  (Ij.   Del  tutto  conforme  alla  Politica 


;i)  Dante  suppose  che  lo  spirito  e  la  materia  fossero  ciascuna  con 
>ua  vita  propria,  senza  inirerenza  (iell'altra,  e  ne  inferì  la  indipenilenzii 
do'  due  poteri  spirituale  e  temporale.  Una  volta  entrato  questa  porta,  si 
dà  carriera  e  li  edillca  a  suo  modo.  11  popolo  e  corrotto  ed  usurpatore,  la 
società  viziosa  e  discorde.  Unica  medicina  l'imperatore.  Gli  attribuisce  tutti 
i  privilegi  del  papa,  e  come  il  papa  lo  fa  immediatamente  da  Dio...  Non 
è  un  semplice  ritorno,  come  pretende  Wegele,  al  passato.  Ci  è  del  pas- 
sato e  del  futuro,  del  progresso  e  del  regresso.  Ci  è  in  germe  l'alTranca- 
mento  del  laicato,  e  il  camino  a  più  larga  unità.  Intravvedi  la  nazioiR* 
die  succede  al  comune.  K  un  sogno  cl»e  in  parte  diventa  storia,  lira  iu 
fondu  il  sogno  dei  lihilielliui.  Il  merito  di  Dante  è  d'averlo  allargato  a 
sistema,  e  di  esserne  slato  il  lilosofo.  ed  essersi  alzato  tino  al  concellu 


94  POLITICA  DI  DA>TÉ. 

propugnala  in  questo  libro  della  Monarchia  è  quella  che 
professa  nella  Divina  Coniedia.  -  I  GueKì  volendo  la  supre- 
mazia della  Chiesa  sull'impero  chiamavano  questo  luna,  sole 
(juello  [De Non.  iii.  4);  all'inversa  i  Ghibellini.  Dante  per  lo 
contrario  li  chiama  due  soli,  volendo  indicare  che  tutti  e  due 
furono  stabiliti  dalla  Provvidenza,  e  che  quindi  devono 
sussistere  indipendentemente  dall'altro,  in  un  giusto  lem- 
[)€ramento  di  forze  e  di  eguale  autorità:  De  Mon.  iii.  11. 
L'Imperatore  è  il  sole  sotto  la  cui  guida  soltanto  l'umana 
famiglia  può  esser  felice  e  virtuosa  su  questa  terra,  è  il 
sole  che  dalla  santa  città  debbe  spandere  da  per  tutto  i 
luminosi  suoi  raggi:  Purf}.  xni.  16.  Ma  nel  loco  santo  vi 
debbe  pur  risiedere  il  successor  del  maf/gior  Piero  :  Jnf.  i. 
21}.  Sull'orizzonte  dunque  de'  sette  colli  doveano  levarsi 
questi  due  soli  (l);  il  sole  imperiale  che  illumina  le  vie 
della  vita  ;  il  sole  pontificio  che  illumina  i  religiosi  destini 
dell'umanità  ed  il  camino  del  cielo;  forte  l'uno  del  diritto 
della  spada,  l'altro  dell'ascendente  morale,  frenantisi  scam- 
bievolmente. Maggiore  questo  di  quello,  il  quale  benché  dallo 

dell' umanità.  La  base  è  fragile,  ma  l'edifizio  è  bello  per  ampiezza  di 
disegno  e  concordia  di  parli.  De  Sanctis,  Carattere  di  Dante  e  sua  utopia, 
lìevista  Contemporanea  di  Torino,  Gennaio,  1838. 

(1)  Ci  fu  bisogno  all'uomo  di  due  direttivi,  secondo  i  due  suoi  fini: 
C408  del  sommo  Pontefice,  il  quale  a  norma  delle  rivelazioni  dirizzasse 
l'umana  generazione  alla  felicità  spirituale,  e  dell'imperatore  che,  giusta 
le  filosofiche  dottrine,  la  guidasse  alla  temporale  felicità  (  ne  Mon.  ni. 
lo;  Conv.  4)  -  «  La  virtù  di  dare  autorità  al  regno  della  nostra  mortalità 
è  contro  alla  natura  della  Chiesa:  adunque  non  è  nel  numero  delle  virtù 
sue ...  La  forma  della  Chiesa  non  è  altro  che  la  vita  di  Cristo  ne'  detti  e 
fatti  suoi  compresa.  Infatti  la  vita  sua  fu  uno  esempio  della  Chiesa  mi- 
litante, specialmente  de'  pastori,  e  massime  del  sommo  Pontefice,  l'ufficio  . 
del  quale  è  pascere  gli  agnelli  e  le  pecore:  Dato  v'  ho  esempio  che  come 
ho  fatto  io  così  voi  facciate;  e  specialmente  disse  a  S.  Pietro,  poiché 
l'officio  del  Pastore  gli  ebbe  commesso  come  in  S.  Giovanni  si  legge: 
Pietro  seguita  me.  Ma  Cristo  in  presenza  di  Pilato  questo  regno  dinegò 
dicendo:  se  regno  di  questo  mondo  fosse,  i  ministri  miei  combattereb- 
bero, che  da'  Giudei  non  fossi  preso,  ma  ora  qui  non  è  il  regno  mio:'* 
Ds  Mon.  in.  li.  -  «  Ogni  legge  divina  nel  grembo  dei  due  Testamenti 
si  contiene,  nel  qual  grembo  non  posso  trovare  la  cura  delle  cose  tem- 
porali al  primo  o  novissimo  sacerdozio  essere  commessa,  ma  piuttosto 
trovo:  Sacerdoti  da  quella  per  comandamento  essere  rimossi,  come  app»- 
risce  per  le  parole  di  Dio  a  Mosè,  ed  i  sacerdoti  ulti;ni  per  le  parole  di 
Cristo  a'  discepoli  »  Dtf  Mon.  in.  i;J. 


POLITICA  DI  DAME.  T6 

spirituale  non  riceva  l'essere  né  la  sua  aulorltà,  pure  riceve 
che  più  virtuosamente  adoperi  per  lo  lume  della  rjrazia,  il 
quale,  in  cielo  e  in  terra  f/rinfonde  la  benedizione  del  pon- 
tefice: De  Mon.  ni.  4.  Questi  due  soli  si  videro  uscire  della 
loro  orbita,  scrive  l'egregia  Ozanam,  (P.  ii.  e.  4.  §  2.)  urtarsi 
l'un  contro  l'altro,  e  si  credette  che  fossero  spenti.  La  Chiesa 
non  può  prclendcre  la  signoria  sulF Impero;  essa  non  ebbe 
parte  alcuna  al  suo  stabilimento:  nessun  titolo  l'autorizza 
a  rivendicarne  un  omaggio.  Essa  non  può  farsi  un  regno 
in  questo  mondo  senza  agire  contro  le  proprie  costituzioni: 
un  altro  impero  le  appartiene  ben  più  degno  di  lei,  quelk) 
dell'eternità.  Il  misto  e  confuso  governo  al  quale  aspira 
non  può  attecchire,  è  mestieri  che  mini,  perchè  l'una  auto- 
rità ove  trascorra,  non  può,  come  dovrebbe,  esser  dall'altra 
infrenata  (1). 

Soleva  Roma,  che  il  buon  mondo  feo, 

Duo  Soli  aver,  che  l'una  e  l'altra  strada 

Facèn  vedere,  e  del  mondo  e  di  Beo. 
L'un  l'altro  ha  spento;  ed  è  giunta  la  spada 

Col  pasturale;  e  l'uno  l'altro  insieme 

Per  viva  forza  mal  convien  che  vada; 
Perocché,  giunti,  l'un  l'altro  non  teme. 

Se  non  mi  credi,  pon  mente  alla  spiga, 

Ch'ogni  erba  si  conosce  per  lo  seme.  .. 
Dì  oggimai  che  la  Chiesa  di  Roma, 

Per  confondere  in  sé  duo  reggimenti. 

Cado  nel  fango,  e  sé  brutta  e  la  soma. 
0  Marco  mio,  diss'io,  bene  argomenti; 

Ed  or  discerno,  perchè  del  retaggio 

Li  figli  di  Levi  furono  esenti.  Purg.  xvi.  lOC. 

Quindi  quelle  sue  frequenti  e  passionate  invettive  contro 
la  credula  donazione  di  Costantino,  ai  tempi  di  Silvestro, 
''ome  (iiielld  clic  recò  gran  danno  alla  santità  della  Chiesa  (2). 

(1)  li  figliuolo  di  Dio...  fatto  uomo,  mentre  a  rivelazione  del  Santo 
Spirito  evangelizzava  in  terra,  come  se  partisse  due  regni,  distribuendo  a 
sé  ed  a  Cesare  tutte  le  cose,  giudicò  si  rendesse  all'uno  ed  altro  ciò  che 
gli  appartiene.  Ep.  v.  9  -  V.  Puro.  vi.  91;  xx.  10;  xxxiii.  70;  Par.  ix. 
12G-140;  XV.  123;  xvi.  r>9  ;  xxvii.  147. 

(•2)  La  donazione  di  Costantino  è  oggi  con  evidentissime  prove  ne- 
gata dalle  storia,  ma  creduta  e  difesa  sino  al  sangue  nel  medio-evo.  -  Il 
DoUiuQcr,  Die  Puiìsl-Fulclen  dea  MìUclalters,  (Le  favole  del  Medio-Evo 
intorno  ai  papi)  Monaco,  1S0.1,  consacra  il  terzo  articolo  alla  Donazione 
di  Costa>ntino,  già  conosciuta  sotto  il  titolo  di  Edictum  o  di  Conslitutum 


96  POLITICA  DI  DAME. 

Oh  popolo  felice  !  oh  gloriosa  Italia  !  se  quegli  che  Vi  scemò 
l'Impero  mal  non  fosse  nato,  ovvero  la  sua  pia  intenzione 
non  mai. incannato  l'  avesse.  De  3/o7i.  ii.  11. 

1/  altro  che  sesue,  con  le  leggi  e  meco, 
Solln  buona  intenzion  clic  fé  mal  frutto. 
Per  cedere  al  Pastor  si  fece  {,M-eco. 

Ora  conosce  come  il  mal,  deilutto 
Dal  suo  hene  operar,  non  gli  e  nocivo,  « 

Avvegna  che  sia  il  mondo  indi  distrutto.  Par.  xx.  55. 

Ahi,  Costantin,  di  quanto  mal  fu  maire, 
Non  la  tua  conversion,  ma  quella  dote 
Che  da  te  prese  il  primo  e  ricco  patre!  Inf.  xix.  115.  (1) 

La  Chiesa,  seguita  il  poeta,  in  nessun  modo  era  disposta 
a  ricevere  cose  temporali  per  il  precetto  che  espressamente 

10  vieta,  come  abbiamo  da  Matteo...  Per  la  qual  cosa,  se 
la  Chiesa  non  poteva  ricevere,  dato  che  Costantino  avesse 
potuto  fare  questo,  nientedimeno  tale  azione  non  era  possi- 
bile riceversi,   non  essendo  il  paziente  disposto.  Adunque 

0  di  Priviledium  Constantini,  che  leggesi  fra  le  false  Decretali  d'Isidoro 
ilercatore.  lì  Dolliìuier  vuole  che  la  donazione  Constantiniana,  anziché  di 
origine  greca,  come  altri  la  disse,  indubitatamente  fosse  fabbricata  in 
Roma  da  un  membro  del  clero  romano  tra  il  752  e  il  774,  allo  scopo 
di  favorire  l'acquisto  che  allora  meditavano  i  Papi  della  signoria  tem- 
porale di  tutta  r  Italia,  e  di  ottenere  nuove  onorilicenze  al  clero  romano. 

11  DoUmger  ritiene  che  Adriano  I  accennasse  incontrastabilmente  al  Diplo- 
ma della  Donazione  in  una  sua  lettera  a  Carlomagno,  del  777.  La  Civiltà 
Cattolica  colloca  l'origine  della  Donazione  nella  prima  metà  del  secolo  IX, 
essendo  stati  i  primi  a  farne  menzione  Enea  Vescovo  di  Parigi,  a.  871  ; 
Incmaro  di  Reims,  m.  882,  e  Adone  di  Vienna,  m.  875  -  E  la  vuole  pure  di 
patria  francese;  giacché  ivi  fece  la  prima  comparsa,  ed  ivi  pure,  oltre 
le  false  Decretali,  si  coniarono  i  falsi  Capitolari  di  Benedetto  Levita,  Oltre- 
dicché  ritiene  che  lo  scopo  di  quella  falsa  Donazione  si  fu  di  confermare 
in  Francia,  coli' autorità  di  Costantino  Magno,  l'inaugurazione  del  nuovo 
Impero  d'Occidente,  fatta  dal  Papa  in  Carlomagno,  ed  attutare  così  le  ire 
e  le  pretendenze  de'  Greci,  sdegnatissimi  contro  il  nuovo  Impero  e  in- 
sofferenti della  perdita  d'Italia,  Civ.  Cuttol.  Voi.  X.  p.  303. 

(1)  E  il  grande  poeta  ghibellino  dell'Alemagna,  Gualtiero  di  Voltiul- 
tpoide,  ha  mondato  un  simile  grido:  si  direbbe  che  Dante  traducesse 
questi  versi  di  Vogelwoide  :  «L'Imperatore  Costantino  prodiga  al  seggio 
»  di  Roma  più  doni  che  dire  non  saprei:  gli  dona  la  spada,  la  croce,  la 
»  corona.  A  questa  vista  un  angelo  grida  ad  alta  voce  :  Sciagura,  scla- 
»  gura.  tre  volte  sciagura!.. ,  La  Chiesa  era  risplendente  di  bellezza  ed 
"  ora  il  veleno  serpeggia  entro  le  sue  vene,..  Questi  doni  hanno  recato 
«  molto  di  «lale  al  mondo.»  V.  Facto  dogli  Uberti,  Dillumondo,  u.  11 
Ariosto,  xxxiv.  SO. 


POLITICA  DI    DAME.  97 

e  manifesto  che  la  Chiesa  non  lo  poteva  ricevere  per  modo 
di  possessione,  né  egli  per  modo  di  alienazione  conferire: 
De  Non.  ni.  §  10. 

Il  P.  Berardinelli  della  C.  di  Gesù  non  trova  che  Dante 
abbia  mai  negato  la  facoltà  di  possedere,  o  V  uso  conve- 
niente della  dominazione  temporale,  anzi  ei  vi  legge  in  più 
luoghi  della  D.  Comedia  e  della  Monarchia  espressa  grave- 
mente la  sentenza  contraria.  Il  P.  Serio  vuole  che  Dante 
non  abbia  che  vagheggiato  il  pensiero  della  .Monarchia 
universale  di  Rorfia  cristiana,  e  solo  abbia  preso  a  cantare 
il  sacro  romano  impero  instituito  dai  papi  in  Carlomagno, 
alla  propagazione  del  Cristianesimo  per  tutta  la  terra  ed 
al  mantenimento  della  giustizia  e  della  pace;  conciossiacchè 
il  sacro  romano  impero  fu  stabilito  per  lo  loco  santo  U'  siede 
il  successor  del  magr/ior  Piero,  a  conservarvi  in  perpetuo 
la  Sede  Pontificale  Apostolica,  ed  a  mantenerla  nella  sua 
debita  libertà  del  cattolico  magistero,  e  della  sua  vera  giu- 
risdizione che  ha  dal  primato  apostolico  su  tutto  il  mondo.»  - 
Veggasi  Berardinelli,  Il  Concetto  della  Divina  Comedia,  p. 
iì^d-ìTò-  Marcucci  G.Ji.  La  Monarcìiia  temporale  del  romano 
Pontefice  secondo  rAllifihieri,  p.7;  30-36  -  La  Civiltà  Cattoli- 
ca, 2  Luglio,  1864,  p.  84.  ecc.  ecc.  -  E  degli  Alemanni  veg- 
gasi Schreibcr  Wilfi.  Die  politischcn  und  relif/iosen  Doctrinen 
unter  Ludwig  dem  Baiern  (Le  dottrine  politiche  e  religiose 
sotto  Lodovico  il  Bavaro)  Landishuta,  1858;  nella  qual  opera 
è  pur  esposta  l'opinione  di  Dante  intorno  alla  questione 
dei  confini  dell'  autorità  pontificia  e  delle  relazioni  tra  lo 
impero  e  il  pontificato:  llasse,  IL  G.  Ueber  die  Vereini- 
guwj  dcr  geistlichen  und  welllichen  Obergetcall  in  romi- 
sclien  Kirchenstaatc  (Sull'unione  del  potere  ecclesiastico  col 
temporale  ecc.),  Harlem,  1852,  opera  premiata  dalla  società 
Teyleriana  d'Harlem  ;  DoeUinger  ./.  J.  J.  Kirchc  und  Kirchen, 
Papstthum  und  Kirchenstaat.  Ilistorisch-politische  Betra- 
clitungen  (Chiesa  e  Chiese,  Pontiticato  e  stato  della  Chiesa, 
Considerazioni  storico-politiche,  Monaco  1861);  Beuchlin  II., 
Kirchenstaat,  Kirche  und  ISationalstaat  (Stato  ecclesiastico, 
Chiesa  e  Slato  nazionale)  nella  Ilistorische  Zeitschrift  di  IL 
V.  Sybel,  1862,  Voi.  I.  p.  47-107. 

Se  Dante    sia  sfato    Ohibellino.  —    Dante     nacquo 
YoL.  11.  7 


98  POLITICA  D[  DANTE. 

Guelfo,  Guelfo  crebbe,  Guelfo  combattè,  Guelfo  amò.  Guelfo 
governò  la  sua  patria:  Inf.  x.  40.    Per  i  più  si  volle  che 
dopo  l'esiglio  mutasse  parie  e  co' Ghibellini  tenesse,  anzi  per 
antonomasia  fu  chiamato  il  poeta  ghibellino.  II  Faurieì,  il 
WiUemain,  VAmpère  lo  Schlegel  vogliono,  non  allrimenti  che 
Coriolano,  da  guelfo  per  vendetta  si  rimutasse  in  rabbioso 
ghibellino.  VArtaud  fa  due  esseri  distinti,  del  poeta  e  del 
politico,  e  come  politico  lo  chiama  volubile  indeciso,  non 
per  viltà  ma  per  ira.    Giov.  di  Sassonia,   il  Wegele  ed  il 
Wìtte  solamente  ideale  ritengono  il  ghibellinismo  del  poeta. 
Il  Boccaccio  dichiara  che  niuno  più  fiero  Ghibellino  ed  ai 
Guelfi  avversario,  fu  come  lui.  C.  Balbo,  feroce  ghibellino  al- 
l'ultimo  per  ira,  e  molto  troppo,  quantunque  ei  non  credesse 
di  esserlo,  e  professasse  di  non  esserlo.  Strana  apologia, 
scrive  San  Renato  Taillandier,  che  rassomiglia  ad  un  in- 
sulto. Il  P.  Berardinelli,  ghibellino,  e  massimamente  ;  tuttavia 
lo  scevera  dal  vulgo  dei  perturbatori  civili.   Secondo  il 
Tommaseo,  Dante  pretto  ghibellino  non  fu  mai,  ma  il  ghi- 
bellinismo a  certe  sue  proprie  norme  attemperava^  così  non 
fu  mai  guelfo  pretto.  Mostrarsi  tutto  intero  di  parte  non 
poteva,  come  pure  ad  una  parte  attenersi  gli   era  quasi 
forza,  che  meno  infedelmente  rispondesse  alle  sue  dottrine 
a'  suoi  desideri  alle  sue  passioni.  Il  Buongiovanni,  ne'  suoi 
Prolegomeni,  non  solo  il  ritiene  mai  ghibellino,   ma  guelfo 
sempre,  e  guelfo  di  moderazione  e  di  senno,  in  tutto  devoto 
alla  Chiesa,  che  vide  sempre  nel  loco  santo  ed  in  Roma  la 
grandezza  d'Italia.  Anche  lì  Picchioni  ci  prova  com'ei  fu  guelfo 
moderatissimo  fin  da  principio,  e  non  che  aver  cambiato 
sua  parte,   fedelissimo  vi  si  mantenne,    scostandosi  dagli 
esagerati   di  essa,  e  scostandosene  poi  quando  non  più  ai 
Pontefici,  ma  ora  agli  Angioini  di  Napoli,  ora  a'  Reali  di 
Francia  inclinava.  Dante  tentò  sempre  la  difficilissima  parte 
di  conciliatore  nelle  celebri  contese  del  primato  che  già  da 
due  secoli  tra  l'autorità  ecclesiastica  e  civile  si  agitavano, 
non  che  di  paciere  fra  le  accanite  parti  che  l'Italia  tra- 
vagliavano  miseramente.    G.  Giusti,    di  semplice    Guelfo, 
nella  suddivioiie  del  1300,  lo  dice  divenuto  Guelfo  bianco  : 
Inf.  xxiv.  150.    La  somiglianza  de'  casi  e  l' esiglio  rac- 
cozzò i  Bianchi  co' Ghibellini,  non  per  essere  d'uno  stesso 


POLITICA  DI  DANTE.  90 

sentimento,  ma  perchè  avevano  comune  la  mira  di  tornare 
in  patria.  Dal  130o  non  si  trovò  bene  d'  essersi  unito  con 
questi  usciti,  e  ben  presto  senti  il  bisogno  di  dividersi  da 
loro,  procacciarsi  ventura  da  sé;  e  difatti  si  elesse  un  par- 
tito tutto  suo,  tendente  ad  un  fine  più  alto  ed  universale. 
Esulando  egli  qua  e  là  per  l' Italia,  accolto  con  eguale  cor- 
dialità e  benevoglienza  cosi  dal  Vicario  Imperiale,  da  Uguc- 
cione,  dal  ramo  Ghibellino  Malaspina,  come  da  un  Guido 
Salvatico,  da  un  Pagano  della  Torre,  da  un  Guido  ^'ovello, 
capi  di  parte  Guelfa,  ei  appigliavasi  via  via  a  tutti  coloro 
che  gli  davano  speranza  di  sanare  le  piaghe  d'Italia  che 
l'avevan  morta.  Né  vaglia  il  dire,  che  quando  il  settimo 
Arrigo  discese  in  Italia,  con  lettere  veementissime  invitasse 
questo  liberatore  a  percuotere  quel  nido  di  Neri,  quella 
città  che  spandendo  la  mala  semente  del  fiorino  d' oro, 
disviava  dalla  retta  via  il  romano  pontefice,  inducendolo 
a  tenere  una  parte  del  popolo  battezzato  a  destra,  l'altra  a 
sinistra.  Che  ad  Arrigo  ricorressero  e  Ghibellini  e  Bianchi, 
Giovanni  Villani  il  dice  chiaramente.  Ed  egli  è  pur  notevole 
che  quando  Arrigo  calò  a  Firenze  e  ne  assediò  una  porta, 
egli  non  vi  volle  essere,  con  sentimento  di  vero  cittadino, 
il  quale,  sebbene  adirato  con  la  patria,  ricusa  di  por  mano 
a  minarla  ;  pari  a  Temistocle,  che  elesse  morire  di  veleno, 
anziché  capitanare  le  armi  incitate  contro  la  Grecia. 

E* chi  più  di  lui  ha  inesorabilmente  flagellato  le  fraterne 
lotte,  in  cui  l'ira  va  del  pari  del  danno,  e  la  piaga  della 
fortuna  suole  ingiustamente  al  piagato  essere  imputata? 
Conv.  I.  3  ;  Par.  xvn.  32  -  Ed  il  poeta  dannava  i  seminatori 
di  scandali  e  di  dissensioni  a  pena  di  sangue,  ad  essere 
tagliati  di  fendente  nella  nona  bolgia  dell'  ottavo  tremendo 
cerchio  [Inf.  xxviii.),  mostrandosi  fierissimo  e  pressocchè 
crudele  con  Filippo  Argenti  [Inf.  viii.  4o)  che  accendeva  lo 
spirito  di  parte.  -  Egli  pensava  che  il  parteggiare  dei  cit- 
tadini avrebbe  sul  venerando  capo  d' Italia  accumulato 
secoli  di  quella  sventura  che  fa  vili,  di  quella  servitù  che 
non  ha  speranze,  e  coli' occhio  deliamente  credeva  di  ve- 
derla, come  il  Lucifero  del  suo  Inferno,  da  tutti  i  pesi  del 
mondo  costretto.  Quindi  ingenerata  la  mina  delle  città: 
Purg. xiy.  64;  xxm.  HO;  Par.  xvi.  136.  Onde  non  può  frena- 


100  POLITICA  Di  DAKTE. 

re  II  dolore  e  l'ira,  vedendo  l'Italia  spezzata  in  brani,  tutta 
in  balia  di  discordie  di  fazioni  di  guerre  tra  stato  e  stato, 
tra  paese  e  paese,  tra  famiglia  e  famiglia:  Purg.  vi.  7G.  e 
scg.  -  Quindi  le  gagliarde  e  fìerlssime  invettive  contro  le 
città  e  Provincie  parleggianti  e  rodentisi  ferocemente  l'una 
l'altra;  contro  Pistoia  [Inf.  xxv.  10);  contro  Lucca  {Inf. 
XX..  41);  contro  Siena  (/w/.  xxiv.  129);  contro  Pisa  (Inf. 
xxxiii.  79);  contro  Genova  (iw/".  xxxiii.  151);  contro  la 
Romagna  (/n/".  xxvii.37);  la  Marca  Trevigiana,  la  Lombardia 
e  la  Romagna:  Purg.  xvi.  115.  E  però  si  scaglia  contro  la 
dolce  terra  latina  che  dalle  proprie  discordie,  e  dalle  forze 
e  fazioni  straniere  era  miseramente  lacera  e  divelta  {Inf. 
xxvii.  27)  ;  contro  la  dolce  terra  latina  che  potea  ripigliare 
il  comando  dei  popoli,  ed  invece,  per  contrarietà  di  umori, 
era  ridotta  vilmente  a  servire  :  Inf.  xxviii.  70. 

Ma  sovrattutto  se  ne  dolca  delle  fazioni  che  dilaniavano 
fieramente  la  dolce  patria  sua,  onde  gli  prorompe  dall'anima 
contristata  questo  grido  eloquente  :  0  misera,  misera  patria 
mia!  quanta  pietà  mi  strigne  per  te,  qual  volta  scrivo  cosa 
che  a  reggimento  civile  abbia  rispetto:  Conv.w.'^l.  E  nella 
Canz.  XX.  st.  1. 

Ahi!  quanto  in  te  la  iniqua  gente  è  pronta 
A  sempre  congregarsi  alla  tua  morte, 
Coft  luci  bieche  e  torte, 
Falso  per  vero  al  popol  tuo  mostrando.  « 

Dacché  la  città  partita  (  in/',  vi.  61  )  si  è  aggiunta  a  Marte 
[Canz.  XX.  2),  non  più  regna  onorata,  non  più  gli  egregi  cit- 
tadini la  fioriscono  in  tutti  i  loro  gran  fatti,  ma  notasi  male 
r  eccelso  suo  nome;  sicché  tra  i  traditori  è  punito  per  esso 
lei  qual  verace  non  segue  V  asta  del  vedovo  giglio,  reso  ornai 
sudicio  e  vano,  posto  a  ritroso  sull'aste,  e  fatto  vermiglio 
per  divisione:  Par.  xvi.  152  -  Di  questo  mal  seme  lo  studio 
di  cose  nuove,  l'incostanza  dei  reggimenti,  il  mutare  e 
rimutare  perpetuo  delle  leggi,  delle  monete,  dei  costumi, 
dì  tutto  :  Purg.  vi.  139.  La  sua  Firenze  è  divenuta  specchio 
di  parte;  {Canz.w.^)  simile  al  bambino  che  morendo  di  fame, 
caccia  da  sé  la  balia  che  vorrebbe  ristorarlo  [Par.  xxx. 
139);  (i\V  inferma  che  non  può  trovar  posa  in  su  le  piume, 
ma  con  dar  volta  suo  dolore  scherma   {Purg.Yì,U^);  al 


POLITICA  DI  DAME.  101 

flusso  e  riflusso  perpetuo  del  mare  che  cuopre  ed  iscuopre 
i  liti  senza  jwsa  :  Par.  xvi.  82.  Sicché  egli  con  voce  pa- 
ternamente minacciosa  esclama: 

Ma  se  non  muti  alla  tua  nave  guida, 
Maggior  tempesta  con  fortunal  morte 
Attendi  per  tua  sorte, 
Che  le  passate  tue  piene  di  strida. 
Elefigi  ornai,  se  la  fraterna  pace- 
Fa  più  per  te,  o'I  star  lupa  rapace.  Canz.  x\.  4. 

Il  poeta  ebbe  egualmente  in  ira  le  due  fazioni,  guelfa  e 
ghibellina,  ond'era  divisa  l'Italia,  perchè  volendo  soltanto 
il  bene  di  questa,  l'una  e  l'altra  ugualmente  vituperava  :  Purg. 
VI.  31. 97.  Il  Guelfo  oppone  i  gigli  gialli,  cioè  le  armi  di  Carlo 
n,  re  di  Puglia,  al  pubblico  segno,  cioè  all'  insegna  romana, 
eh 'è  l'insegna  dell'impero  universale  del  mondo. -Il  Ghibel- 
lino dicendosi  sostenitore  dell'  impero,  fa  in  elTetto  per  sé, 
usurpatore  al  pari  del  Guelfo: 

Perchè  tu  veggi  con  quanta  ragione 
Si  muove  centra  il  sacrosanto  segno, 
E  chi  '1  s'appropria,  e  chi  a  lui  s'oppone.  Par.  vi.  31. 

11  Ghibellino  la  politica  dell'impero  fa  propria  di  una  fa- 
zione, e  volgela  ad  argomenti  d'interessi  privali  e  spesso 
di  delitti: 

Ornai  puoi  giudicar  di  que'  colali, 
eh'  io  accusai  di  sopra,  e  de'  lor  falli, 
Che  son  cagion  di  tutti  i  vostri  mali. 

L' uno  al  pubblico  segno  i  gigli  gialli 
Oppone,  e  l' altro  appropria  quello  a  parte, 
Sì  eh' è  forte  a  veder  qual  più  si  falli, 

Faccian  gli  Ghibellin,  faccian  lor  arte 
Sott' altro  segno;  che  mal  segue  quello 
Sempre  chi  la  giustizia  e  lui  diparte: 

E  non  l'abbatta  esto  Carlo  novello 
Co'  Guelfi  suoi,  ma  tema  degli  artigli 
Ch'  a  più  alto  leon  trasser  Io  vello.  Par.  vi.  97. 

Ora  uno,  che  non  piegando  da  alcuna  costa,  accusa  i  Ghi- 
bellini in  un  mazzo  coi  Guelfi  di  tutti  mali  del  suo  tempo, 
osserva  egregiamente  il  Giusti,  si  dirà  che  sia  Ghibellino? 
Sicché  la  fortuna  serbavagli  tanto  onore  che  /'  una  parte  e 
V  altra  avrebbero  fame  di  lui,  ma  lungi  fia  dal  becco  V  erba 
[Inf.  XV.  70)  ;  anzi  confessa  di  essersi  sceveralo  da'  suoi  com- 
pagni slessi  di  esigilo,  ingrati  al  bene  che  vorrebbe  far  loro, 


102  POLITICA  DI  DAME. 

Stolli  neiruUle  proprio,  e  di  averli  abbandonali  a  loro  stessi, 
lasciando  di  più  parteggiare  con  tali  bestie  malte.  Anche 
le  teorie  sviluppate  dal  poeta  nel  Trattalo  de  Monarchia 
sono  egualmente  opposte  alle  due  parti  Ghibellina  e  Guelfa, 
poiché  mirano  all'equilibro  e  all'armonia  dei  due  poteri, 
mentre  ciascuna  fazione  tendeva  a  promuovere  il  predominio 
dell' un  potere  sull'altro  (l).  Egli  non  errò  fra  i  due  campi 
rivali,  così  l'Ozanam  [P.  iv.  1),  piantò  la  propria  tenda 
sur  un  terreno  indipendente,  non  per  tenersi  in  un  terreno 
indifferente  ma  per  combattere  solo  colla  potenza  del  suo 
genio.  E  quando  le  fazioni  sembravano  invilupparlo  nei  loro 
tumultuosi  movimenti  e  renderlo  mallevadore  dei  loro  delitti, 
egli  protestava  altamente  contro  di  esse;  le  sue  severe 
parole  discendevano  come  alterni  colpi  di  una  mazza  infa- 
ticabile sulla  testa  degli  autori  e  dei  compagni  del  suo 
esilio,  sui  Neri  ed  i  Bianchi,  sui  Ghibellini  ed  i  Guelfi.  Egli 
non  temette  di  moltiplicare  fra  i  contemporanei  il  numero 
dei  propri  nemici,  onde  conservare  il  suo  nome  puro  da 
ogni  alleanza  umiliante  agli  occhi  della  posterità.  La  po- 
sterità ha  delusa  per  gran  tempo  questa  legittima  speranza, 
ma  l'attuale  progresso  degli  studj  storici  lascerebbe  ine- 
scusato  il  pregiudizio  volgare.  È  giunta  l'ora  di  rendere  al 
vecchio  Allighieri  quella  ambita  testimonianza  eh'  egli  si 
fece  rendere  prima  dall'avolo  Cacciagulda  nella  maravi- 
gliosa  conferenza  descritta   nel  Paradiso;   non  aver   egli 

(1)  Dante  non  voleva  i  regni  le  Provincie  ed  i  municipi  dispogliati 
delle  lor  leggi,  de'  loro  usi,  delle  loro  libertà;  non  era,  al  dire  del  Gar- 
mignani,  colla  sua  3Ionarcliia  centralizzatore  dell'autorità  e  del  potere, 
le  condizioni  civili  d' allora  non  permettendo  pur  di  pensare  alla  moderna 
centralizzazione,  ed  alla  costituzione  di  vasti  stati  e  potenti  rearai  ;  ma 
era  piuttosto  municipalizzatore  dell'umanità,  ravvisando  nel  municipio 
un  mezzo  produttore  e  conservatore  dell'indipendenza  individuale  -  i\on 
solamente  ei  predicava  :  serbate  all'  Imperatore  obbedienza,  ma  predicava 
ben  anco:  serbate  come  liberi  il  reggimento,  con  che  voleva  ammonite 
ie  città  a  non  sacrificare  il  proprio  governo,  le  proprie  franchigie,  la 
propria  libertà.  La  devozione  in  lui  non  fu  né  poteva  mai  essere  servilità. 
Tutte  le  nazioni,  regni,  città,  egli  pur  scrive,  hanno  le  loro  proprietà, 
per  le  quali  bisogna  con  differenti  leggi  governarle,  perchè  la  legge  è 
regola  che  drizza  la  vita:  De  Man.  1. 16.  Dante  voleva  conciliare  l'unità 
politica  con  le  civili  libertà,  gli  opposti  vantaggi  di  parte  guelfa  e  di 
parte  gbibeUina, 


POLITICA  DI  DANTE.  103 

confusa  la  propria  causa  con  quella  d' una  razza  eitìpìa,  ed 
aver  avuto  la  gloria  di  crearsi  una  parte  speciale  a  lui 
stesso,  a  lui  solo: 

A  te  na  bello 
Averti  fatta  parte  per  te  stesso.  Par.  xvii.  68.  (1) 

II  più  caldo  voto  del  suo  cuore  era  col  civile  riordina- 
mento la  pubblica  pace,  quella  lagrimata  pace  {Purg.  x.  33) 
che  tanto  ardentemente  di  mondo  in  mondo  andava  cercando: 
Purg,  v.  61.  -  Né  più  bello  saluto  di  questo  gli  possono 
rendere  le  ombre  benedette  che  si  abbattono  in  lui:  Frati 
miei:  Dio  vi  dea  pace:  Purg.  xxi.  113.  -  E  la  bella  Arimi- 
nese  che  tratteggiava  la  terra  dov'era  nata,  sedente 

Sulla  marina  dove  il  Po  discende 

Per  aver  pace  co'  seguaci  sui,  (Inf.  v.  96.) 

a  ricompensa  di  tanta  pietà  sentita  dal  poeta  al  suo  mal 
perverso,  avrebbe  pregato  Iddio  per  la  sua  pace,  se  Iddio 
le  fosse  stato  amico  :  Inf,  v.  41.  -  E  le  cose  vedute  voleva 
gli  fossero  documento  e  scuola 

....  perchè  non  scuse 
D' aprir  lo  cuore  all'acque  della  pace, 
Che  dall'eterno  fonte  san  diffuse.  Purg.  xv.  131. 

Errando  egli  su  per  i  monti  della  Lunigiana,  picchiava 
un  giorno  alle  porte  del  monistero  di  S.  Croce  del  Corvo. 
Il  monaco  che  gli  apriva,  lesse  al  primo  sguardo  tutta  una 
lunga  storia  di  dolori  sul  macro  e  pallido  volto  dello  stra- 
niero, e  che  cercate  voi?  gli  chiedeva:  Dante,  girato  lo  sguardo 
attorno,  uno  di  quegli  sguardi  che  sono  testimoni  del  core, 
lentamente  rispondeva  :   Pace.  -  Scrivendo  egli  a'  grandi 

(Ij  V.  Minich  Seruf  R.  Appendice  alle  Consider.  sulla  Sintesi,  p.  1-2  - 
«  Il  reprit  le  bàton  de  pélerin,  et  pendant  dix  aiinées  (1311-i:ì21),  errant  de 
ville  en  ville,  accueilli  tour  a  tour  chez  des  gibelins  et  cbcz  des  guelfes  in- 
difl'érent  aux  opinlons  de  ses  hòlos,  car  il  habitait  toujours  une  spbere 
.«;upérieure  aux  parlis,  il  s'obslina  à  espérer  cantre  tonte  esperance.  Il 
croyait   invinciblement  à  la  venne  d'  un  rédempteur.  Il  se  preparali  à 
rentrer  à  Florence  avec  le  consécration  de  la  gioire...  en  attendant  cette 
réparation  et  ce  triomphe,  il  se  glorifait  lui  -  moine  dans  la  cité  divine... 
Dante  pouvait  répéter  fierement  àsadernièrelieure  l'èloge  que  luiadresse 
s;on  aieul  Cacciaguida,  aun  dix-septiéme  chant  du  Paradisi 
A  te  fia  bello 
Averti  fatta  parte  per  te  stesso. 
Saint-René  Taillundier,  Revue  des  deux  Mondes,  1  Dee.  18o6^  p.  489 


104  POLITICA  Di  DAME. 

della  terra,  non  s'intitola  che  per  uno  che  pre(ja  pace,  o 
gli  piace  di  unire  il  suo  nome  a  quelli  de' Toscani  che 
universalmente  pace  desiderano:  Ep.  vii.  -  «La  pace  uni- 
versale, egli  dice,  tra  tutte  le  cose  è  la  più  ottima  a  conse- 
guitare l'umana  beatitudine.  Di  qui  avvenne  che  sopra  ai 
pastori  venne  dal  cielo  un  suono  che  non  disse:  Ricchez- 
ze, piaceri,  onori,  lunga  vita,  sanità,  gagliardia,  bellezza; 
ma  disse  Pace;  perchè  la  celestiale  compagnia  cantò:  Sia 
gloria  in  Cielo  a  Dio  e  in  terra  affli  uomini  di  buona  vo- 
lontà sia  pace.  E  questa  era  ancora  la  propria  salutazione 
del  Salvatore:  A  voi  sia  pace;  perchè  era  conveniente  al 
sommo  Salvatore  esprimere  una  salutazione  umana.  Il  qual 
costume  servarono  di  poi  i  suoi  discepoli,  e  Paolo  nelle 
salutazioni  sue,  come  a  ciascheduno  può  esser  manifesto: 
De  Non.  L.  i.  §  5. 

Né  con  altro  nome  gli  piace  tante  volte  chiamare  il 
regno  dei  cieli  che  con  quello  della  pace: 
Nel  beato  concilio 
Ti  ponga  in  pace  la  verace  corte, 
Che  mi  rilega  nell'eterno  esilio.  Purg.x's.ì.  16. 
Quinci  si  va  clii  vuole  andar  per  pace.  Purg.  xxiv.  lil. 
0  anime  sicure 
D'  aver,  quando  che  sia,  di  pace  stato.  Purg.  xxvi.  53. 
Il  del  della  divina  pace.  Par.  ii.  112. 
In  la  sua  volontade  è  nostra  pace.  Par.  in.  8o. 
E  da  esilio  venni  in  questa  pace.  Par.  x.  129. 
E  venni  dal  martirio  a  questa  pace.  Pur.  xv.  148. 
0  vita  intera  d'amore  e  di  pace  !  Par.  xxvii.  8. 
Che  solo  in  lui  vedere  (la  creatura)  ha  lasuapace.  Par  xx.\.102. 
Neil' eterna  pace.  Par,  xxxui.  8. 
Che  anzi  ove  la  patria  non  tornasse  all'antica  virtù, 
nuli' altro  ei  più  vorrebbe  che  morire: 
Lunga  vita  ancora  aspetta, 
Se  innanzi  tempo  grazia  a  sé  noi  chiama.  Inf.  xxxi.  128. 

Non  so,  risposi  lui,  quant' io  mi  viva; 
3Ia  già  non  fia  '1  tornar  mio  tanto  tosto, 
Ch'io  non  sia  col  voler  prima  alla  riva. 
Perocché  il  luogo,  u'  fui  a  viver  posto, 
Di  giorno  'n  gi  rno  più  di  ben  si  spolpa, 
E  a  trista  ruina  par  disposto.  Purg.  xxiv.  76. 

E  da  questa  ruina  egli  non  voleva  campare;  voleva  in- 
contrarla e  cadervi,  per  non  vedersi  vivo  quando  la  patria 
fosse  morta.  Questa  imagine  si  fa  veramente  pietosa  e  le- 


POLITICA  DI  DAME.  105 

neiissima,  e  sovra  tutto  quando  noi  guardiamo  che  egli 
scrisse  queste  cose  nel  bando. 

I  diritti  politici  dei  popoli  e  delle  nazioni  non 
si  prescrivono.  —  E  nou  sapete,  sfrenati  e  folli,  che  i 
diritti  pubblici  non  hanno  fine  se  non  col  termine  del  tempo, 
non  possono  andar  soggetti  al  computo  di  prescrizione  al- 
cuna? Certo  gli  articoli  delle  leggi  altamente  dichiarano, 
e  l'umana  ragione  argomentando  stabilisce,  i  dominii  pu- 
blici  delle  cose,  per  qualsivoglia  lunghezza  di  tempo  tra- 
sandati, non  poter  giammai  venir  meno,  né,  assotigliati  che 
siano,  venir  conquistati.  Perciocché  quello  che  all'  utile 
universale  è  ordinato,  non  può  senza  danno  di  tutti  perire, 
od  anco  solo  infievolire.  E  questo  né  vuole  Iddio,  né  vuol 
la  natura,  e  il  consenso  degli  uomini  l'avrebbe  al  tutto  in 
orrore:  Epist.  vi.  §  2. 

Canoni  politici.  —  Al  ben  essere  di  tutti  gli  uomini 
e  di  ciascheduno  in  particolare  richiedesi  che  vivano  in 
società  a  che  gli  ordinò  natura:  Conv.  iv.  4.  -  Né  civile 
compagnia  potrebb' esservi  senza  un  ripartimento  di  uffici 
diversi,  e  senza  una  disuguaglianza  di  condizioni,  all'ordine 
universale  necessarie  : 

E  può  egli  esser  (cive),  se  giù  non  si  vive 
Diversamente  per  diversi  uffici?  Par.  viii.  118. 

La  società  importa  leggi:  la  legge  è  la  regola  direttiva 
della  vita:  De  Mon.  i.  15;  è  la  ragione  scritta:  Conv.  iv.  9; 
è  un  freno  che  ratliene  l'uomo  dentro  a  sua  meta,  che  in- 
dirizza l'istinto,  e  che  governa  le  umane  tendenze,  affinchè 
non  corrano  dietro  al  torto  amore:  onde  convenne  legge 
per  fren  porre  :  Piirg.  xvi.  94.  Ma  perchè  una  civile  comu- 
nanza, uno  stato  cresca  e  fiorisca,  fa  mestieri  che  le  leggi 
non  sieno  un  nome  vano  senza  subbietto.  Che  imporla  che 
vi  sieii  le  leggi,  se  pochi  pongon  mano  adesse?  Piirg.wi. 
97.  -  Dinanzi  alla  veneranda  maestà  della  legge  non  vi 
debbono  essere  né  immunità  né  privilegi;  tanto  più  che 
dove  l'argomento  della  mente  S'aggiunge  al  mal  volere  e 
alla  possa.  Nessun  riparo  vi  può  far  la  gente:  Inf.  xwi. 
55.  -  L'osservanza  alle  sacrosante  leggi,  che  della  naturale 
giustizia  imitano  l'imagine,  se  lieta  è,  se  franca,  non  sola-r 
mente  provasi  non  essere  servitù,  ma  anzi  a  chi  guarda 


lOG  POLITICA  DI  DANTE. 

fiìligenlemenle,  apparisce,  qual  essa  è,  la  maggiore  delle 
libertà.  E  che  è  altro  infatti  la  libertà,  se  non  il  libero 
passaggio  della  volontà  all'azione,  passaggio  che  le  leggi 
appianano  ai  loro  seguaci?  Epist.  vi.  §  5. 

'  I  tre  fondamenti  della  felicità  d'uno  stato  sono  le  ric- 
chezze, la  pace  la  sapienza.  Procuran  la  prime  soprattutto 
l'agricoltura  'e  il  commercio;  la  seconda  le  buone  leggi,  la 
vigilanza,  la  virtuosa  educazione  ;  la  terza  gli  studi  onorati 
e  protetti  :  Purg.  vi.  137. 

La  semplicità  poi  del  costumi  è  custode  alla  loro  pu- 
rità, e  quindi  alla  pace,  senza  la  quale  non  può  esservi 
libertà  vera  né  ferma.  Però,  siccome  nel  C.  xxiii.  ^4  del 
Purgat.  egli  biasima  gli  svergognati  portamenti  delle  fì- 
rentine  del  tempo  suo,  e,  novello  Isaia,  [Isaia  iii.  16)  a 
castigo  dell'inverecondo  vestire  delle  femine,  si  fa  valici- 
natore  di  pubbliche  calamità,  cosi  nel  xvi.  115  del  Paradiso 
comenda  altamente  delle  antiche  il  vivere  modesto. 

Dov'  è  gara  di  valore  e  di  cortesie,  quivi  tutte  le  più 
belle  virtù  cittadine  ed  il  nerbo  della  floridezza  civile:  Inf. 
XVI.  67;  Purg.  xiv.  109  ;  xvi.  115;  Par.  xvi.  130.  -  Mancata 
questa  gara 

Superbia,  invidia  ed  avarizia  sono 
La  tre  faville  e' hanno  i  cori  accesi.  Inf.  vi.  74. 

Gente  avara,  invidiosa  e  superba:  Inf.  xv.  68. 

La  tua  città  eh'  è  piena 
D'invidia  si,  che  già  trabocca  il  sacco.  Inf.  vi.  49. 

La  gente  nuova,  e  i  subiti  guadagni, 
Orgoglio  e  dismisura  han  generata, 
Fiorenza,  in  te,  sì  che  tu  già  ten  piagni.  Inf.xvi.lZ. 

Onde  i  vizi  della  democrazia  e  il  fasto  villano  de'  mer- 
cadanti  firentini  senza  rispetto  abbominava:  Inf.  xv;  Purg. 
xxiii;  Par.  xvi.  L'esperienza  dimostra  vagli  che  il  plebeo 
e  il  villano  levati  al  potere  per  tutt' altro  che  grandezza 
d'animo  e  un  vero  merito,  e  i  venuti  da  povertà  subita- 
mente in  ricchezze  per  arti  ladre  e  vili,  sono  superbi  e 
insolenti,  e  pur  tra  i  fregi  e  l'oro  sentono  sempre  della 
lordura  da  cui  son  sorti.  L'orgoglio  nasce  da  ruvida  e 
villana  natura  e  da  egoismo,  qual  suol  essere  della  gente 
nuova,  che  non  imparò  al  mondo  altra  arte  che  far  danari, 
né  altro  stima  che  il  danaro.  La  dismisura  comprende  la 


POLITICA  DI  DANTE.  107 

ambizione,  l'invidia  e  lutti  gli  altri  disordini  a  cui  spinge 
l'insolenza  delle  ricchezze,  dove  sono  impotenti  le  leggi.  - 
E  Dante  chiama  ritrosi  passi  [Purg.  x.  123')  quelli  dei  su- 
perbi, e  aggiunge  che  senza  T alimento  del  cielo  a  retro  va 
chi  più  di  gir  s  affanna  iPurg.Xi.X^};  con  le  quali  due 
sentenze  il  fiorentino  tremendo  dimostrava  chiaro  che  l'u- 
miltà fosse  il  motore  unico  di  quello  che  noi  chiamiamo 
progresso.  Il  che,  quanto  s'accordi  con  l'opinione  e  col 
sentire  dì  certi  politici  d'oggidì  lascio  al  secolo  giudicare. 
/?.  Bianchi. 

Il  germe  delle  sventure  e  de'  vizi  che  tanto  costarono 
a  Firenze  può  dirsi  che  fosse  nell'origine  stessa  delle  varie 
schiatte,  come  al  male  de'  corpi  il  cibo  indigesto  : 
Sempre  la  confusion  delle  persone 
Principio  fu  del  mai  della  cittade, 
Come  del  corpo  il  cibo  che  s'appone.  Par.  xvi  67. 
Pensiero  di  molta  filosofia,  da  servire  di  documento  a  co- 
loro che  ancor  oggi  pensano  dal  violento  accozzare  de'  po- 
poli diversi  derivar  forza  agli  imperi  e  alle  nazioni. 

La  forza  mal  diretta  è  anzi  a  danno  che  a  tutela.  La 
vera  grandezza  delle  nazioni  è  meno  riposta  nella  forza 
materiale,  che  nella  sapienza  de' principi.  Quando  manca 
chi  con  senno  diriga  le  forze,  si  hanno  gravissimi  mali. 
L'anarchia  è  terribile,  perchè  vi  hanno  forze  materiali  in 
istato  di  violenza:  Par.  xvi.  70.  Le  cose  umane  non  sono 
perenni:  muoiono  le  città,  muoiono  i  regni;  ma  ciò  che 
può  conservarli  più  lungamente  si  è  la  virtù  :  Par.  xvi.  76. 

Dei  Re,  e  de'  loro  ministri.  Come  debbano  con- 
dursi nel  governo  dei  popoli.  —  «  Amate  il  lume  della 
Sapienzia,  si  scrive  nel  libro  di  Sapienza,  voi  tutti  che  siete 
dinanzi  a'popoli;  cioè  a  dire  :  Congiungasi  la  filosofica  autorità 
colla  imperiale  a  bene  e  perfettamente  reggere.  Oh  miseri, 
che  al  presente  reggete  1  e  oh  miserissimi,  che  retti  siete  !  che 
nulla  filosofica  autorità  si  congiugne  colli  vostri  reggimenti, 
né  per  proprio  studio,  né  per  consiglio;  sicché  a  lutti  si 
può  dire  quella  parola  dello  Ecclesiaste:  »  Guai  a  te,  terra, 
lo  cui  re  è  fanciullo,  e  li  cui  principi  la  domane  mangia- 
no: «  e  a  nulla  terra  si  può  dire  quello  che  seguila:  »  Beata 
la  terra,  lo  cui  re  è  nobile,  e  li  cui  principi  usano  il  suo 


108  POLITICA  DI  DANTE. 

tempo  a  bisogno,  e  non  a  lussuria.  »  Ponetevi  mente,  nemici 
(ir  Dio,  a' fianchi,  voi  che  le  verghe  de' reggimenti  d'Italia 
prese  avete.  E  dico  a  voi  Carlo  e  Federigo  regi,  e  a  voi 
altri  principi  e  tiranni  :  e  guardate  chi  a  lato  vi  siede  per 
consiglio:  e  annumerate  quante  volte  il  di  questo  fine  della 
umana  vita  per  li  vostri  consiglieri  v'  è  additato.  Meglio 
sarebbe  voi,  come  rondine,  volare  basso,  che,  come  nibbio, 
altissime  rote  fare  sopra  cose  vilissime  :  Conv.  iv.  6.  -  «  Lo 
rege  si  letificherà  in  Dio,  e  saranno  lodati  tutti  quelli  che 
giurano  in  lui,  perocché  serrata  è  la  bocca  di  coloro  che 
parlano  le  inique  cose.  »  Queste  parole  posso  io  qui  vera- 
mente proporre;  perocché  ciascuno  vero  Rege  deve  mas- 
simamente amare  la  verità.  Onde  è  scritto  nel  libro  ;di 
Sapienzia:  ((  Ambite  il  lume  di  Sapienzia,  voi,  che  siete 
dinanzi  alli  popoli:»  e  il  lume  di  Sapienzia  è  essa  verità: 
Convito,  IV.  16.  -  Il  re  deve  additare  della  vera  e  ben  ordi- 
nala società  almen  la  parte  principale,  cioè  la  giustizia  : 

Convenne  rege  aver,  che  discernesse 
Della  vera  cittade  almen  la  torre.  Purg.  xvi.  93. 

Salomone  chiesto  da  Dio  a  dimandare  ciò  che  meglio  gli 
tornasse,  non  chiese  di  tutta  specie  sapienza,  ma  il  senno 
di  re  : 

chiese  senno, 
Acciocché  re  sufficiente  fosse.  Par.  xiii.  95. 

e  perchè  regale  prudenza  ottenne.  Dante  lo  dice  il  più  veg- 
gente dei  re  (W.v.104).  E  le  sante  creature  vedute  nella  fa- 
cella  Gioviale,  s'atteggiano  in  forma  di  lettere,  descriventi  un 
precetto  ai  re  della  terra,  ai  duci  del  mondo:  Dilif/ite  justitiam 
qui  judicatis  terram  :  Par.  xviii.  91.  -  Non  sono  i  cittadini  pei 
consoli,  né  la  gente  pel  re,  sendo  le  leggi  per  la  civiltà,  e  non 
questa  per  quelle.  Consoli  e  re,  per  rispetto  della  via,  sono 
signori  degli  altri,  ministri  per  rispetto  del  termine:  {De 
Mon.  i.  §  14.  -  Il  re  porga  benevola  l'orecchia  ai  richiami  si 
de' grandi  che  de' miseri:  siccome  il  Re  dei  re,  così  i  re  della 
terra  non  deggiono  avere  accettazione  di  persone.  Quando  può 
rendere  sollecita  giustizia  non  pretessa  colorate  cagioni  di 
indugio:  Chifia  dov'io  La  ti  farà.  Che  gli  si  possono  rendere 
le  parole  della  vedovella,  di  lagrime  atteggiata  e  di  dolore,  a 
Trajaiio  :  L'altrui  bene  A  te  che  (la,  se  'l  tuo  metti  in  obblio? 


POLITICA  DI  DAME.  109 

Puvfj.  X.  85.  -  La  più  bella  prerogativa  di  un  Principe  è 
l'indulgenza  e  il  perdono.  Il  tipo  dei  Cesari,  l'imperatore 
idoleggiato  dal  poeta,  «  perifonerà  a  tutti  che  misericordia 
chiederanno,  essendo  egli  Cesare,  e  la  maestà  derivando 
dal  fonte  della  pietà:  cltè  il  giudizio  di  lui  abborre  da  ogni 
severità  e  nel  punire  arrestasi  di  qua  dal  mezzo;  al  di  là 
del  mezzo  guiderdonerà:  »  Ep.  v.  §  3.  -  «  Quantunque  per 
divina  concessione  abbia  in  mano  la  verga  del  temporale 
castigo,  pure,  perchè  sappia  odore  di  Colui,  dal  quale  come 
da  un  punto  si  biforca  la  potestà  di  Pietro  e  di  Cesare, 
volentieri  corregge  la  sua  famiglia,  ma  più  volentieri  le 
usa  misericordia»  :  Ep.  v.  §  5.  -  E  neWEpìst.  vu.  §  2  dice  di 
aver  veduto  il  suo  Arrigo,  quale  si  conviene  all'imperiale 
maestà  benignissimo,  e  udito  clementissimo.  -  Ufiìzio  pure 
del  principe  si  è  pur  quello  di  proteggere  la  Religione  e 
i  suoi  ministri.  «  Cesare  quella  riverenza  usi  a  Pietro,  la 
quale  il  primogenito  figliuolo  usare  verso  il  padre  debbe, 
acciocché  egli  illustrato  dalla  luce  della  paterna  grazia,  con 
più  virtù  il  circolo  della  terra  illumini.»  De  Mon.  §  15.- 
Se  non  che  i  regi  son  molli,  ma  l  buon  son  rari:_  Par. 
xui.  108.  - 11  governo  oppressivo  e  tirannico  sempre  con- 
trista e  muove  all'ira  i  popoli  soggetti:  dolore  e  vendetta 
n'è  sempre  naturale  e  funestissima  conseguenza: 
Se  mata  signoria,  che  scmjyre  accora 

Li  popoli  suggetti,  non  avesse 

Mosso  Pulermù  a  gridar:  Mora,  mora.  Purg.  vni.  73. 

I  grandi  uffizj  sieno  ben  locali;  non  s'innalzi  di'  mag (fior i 
gradi  che  gente  degna  d'onore,  e  che  poi  porti  fede  al  glo- 
rioso uffizio: 

Delle  tue  ricchezze  onora  e  fregia 
Qual  ligliiiol  te  più  pregia, 
Non  recando  a' tuoi  ben  chi  non  n'è  degno.  Canz.xx.Z. 

Pochi  sono  gli  onorati  Romei  che  poveri  e  vetusti  discenda- 
no dal  potere!  La  trista  ?«<//:; m,  satellite  della  tirannia,  usa 
solo  ad  impinguarsi  dell'avere  dei  popoli,  a  far  dei  denti 
succhio,  è  la  più  terribile  jattura  di  uno  stato,  e  mina 
estrema  degli  stessi  re: 

E  se  mio  frate  questo  antivedesse, 
L'avara  parerla  di  Catalogna 
Già  fuggirla,  perchè  non  gli  offendesse; 


110  polìtica  DI  DANTE. 

Che  veramente  provveder  bisogna 
Per  lui,  0  per  altrui,  sì  cha  sua  barca 
Carica  più  di  carco  n(^n  si  pogna. 

La  sua  natura  che  di  larga  parca 
Discese,  avria  mestier  di  tal  milizia 
Che  non  curasse  di  mettere  in  arca.  Par.  viii.  76. 

Vizio  delle  corti  è  l'invidia:  questa  laida  meretrice  non 
torce  mai  r/li  occhi  putti  dall'ospizio  dei  Cesari:  per  essa 
i  lieti  onori  tornano  in  tristi  lutti.  Pier  delle  Vigne  è  di 
sua  grandezza  in  basso  messo,  e  per  fufjffire  disdegno  di 
giusto  divenne  ingiusto:  Inf.  xiii.  56.  L opera  grande  e  bella 
di  Romeo  fu  mal  gradita:  le  parole  bicce  mossero  il  prin- 
cipe di  Provenza  a  dimandare  ragione  a  questo  giusto  che 
gli  avea  assegnato  sette  e  cinque  per  diece  :  Par.  vi.  127. 

E  con  coraggio  sicuro  si  fa  il  poeta  a  percuotere  le 
prime  altezze  della  società  del  suo  tempo,  e  la  tirannide 
scostumata  che  malmenava  l'umanità,  e  ci  dispiega  il  vo- 
lume che  nel  novissimo  dì  sarà  aperto,  in  cui  sono  scritte 
tutte  le  iniquità  e  V  opere  sozze  onde  i  re  cattolici  sono  a 
Dio  e  al  mondo  in  dispregio:  Par.  xix.  1.12.  Come  l'uomo 
è  locato  più  alto  nella  gerarchia  dei  poteri,  tanto  più  grave 
pesa  su  lui  la  responsabilità  delle  sue  operazioni.  Quei  regi, 
che  disconobbero  il  supremo  loro  uftìzio,  staran  poi  laggiuso, 
come  porci  in  brago,  di  sé  lasciando  orribili  dispregi:  Inf. 
vili.  49. 


DEGLI  STUDI  DI  DANTE 

E  DEL  CONCETTO  CH'AVEA  DEL  PROPRIO  INGEGNO 
E  DELLE  SrE  OPERE  (1) 


Brunetto  liatini  gpli  fu  Iflaestro. 

Che  in  la  mente  m'è  fitta,  ed  or  m'accora, 
La  cara  e  buona  imagine  paterna 
Di  voi,  quando  nel  mondo  ad  ora  ad  ora 

M'insegnavate  come  l'uom  s'eterna: 
E  quanto  io  l' abbo  in  grado,  mentr'  io  vivo, 
Convien  che  nella  mia  lingua  si  scerna.  Inf.  xv.  82. 
Ardore  che  avea  di  avanzare  nejs^li  studii. 
^'ulla  ignoranza  mai  con  tanta  auerra 
Mi  fé  desideroso  di  sapere. ..  Purg.  xx.  145. 
Dante  confessa  che  prima  della  morte  di  Beatrice  gli 
era  ancor  difficile  l'intendere  bene  il  latino.  Le  parole  che 
rivolsegli  Amore  gli  sapeano  molto  oscure,  onde  prosegui 
in  volgare:  Vita  i\.  §  xii.  E  fu  solo  dopo  ch'ei  perdette  il 
primo  dilelto  della  sua  anima.  Che  si  mise  a  leggere  il  libro 
della  Consolazione  di  Boezio  e  (ìdWAmicizia  di  Tullio.  Ma 
avvegnacchè,  cosi  ne  ocrive,  duro  mi  fosse  prima  entrare 
nella  loro  sentenza,  finalmente  v'entrai  tant' entro,  quanto 
V  arte  di  Grammatica,  eh'  io  avea,  e  un  poco  di  mio  iufiegno 
potea  fare:  Conv.  ii.  13.  E  furono  Boezio  e  Tullio,  quelli  che 
colla  dolcezza  del  loro  sermone  inviarono  lui  nell'amore,  cioè 
nello  studio  di  quella  gentilissima  Filosofia,  colli  raggi  della 
stella  loro,  la  qual  è  la  scrittura  di  quella. 

Prima  di  questo  tempo,  come  ei  stesso  confessa,  era 
ben  tenue  e  fuggevole  nella  sua  mente  il  lume  delle  grandi 
cognizioni,  onde  l'ingegno  suo  vedea  di  molte  cose  quasi 
come  sognando  :  Conv.  ii.  13.  Da  indi  in  qua  cominciò  ad 
andare  là  ove  la  Filosofia  si  dimostrava  veracemente,  cioè 

fi)  Leonardo  Aretino  ci  fa  sapere  che  Dante  avea  una  bellissima  mano 
di  scritto:  ei  fu,  die' egli,  scrittore  perfetto,  ed  era  la  sua  lettera  magra 
e  lunga  e  molto  corretta,  secondo  io  ho  veduto  in  alcune  pistole  di  pro- 
pria mano  scritte. 


112  DEGLI  STUDI  DI  DAME. 

nelle  scuole  de'  religiosi,  e  alle  disptitazioni  de'  fdosofanti ; 
sicché  ili  piccol  tempo,  forse  di  30  mesi,  cominciò  tanto  a 
sentire  della  sua  dolcezza,  che  il  suo  amore  cacciava  e 
distruggeva  ogni  altro  pensiero.  E  non  solamente  invaghì 
di  lei,  ma  di  tulle  quelle  persone  che  alcuna  prossimitade 
avessero  a  lei  o  per  familiarità,  o  per  parenlela  alcuna:  Conv. 
111.  1.  -  E  dal  principio  essa  filosoha  parca  a  me,  quanto 
dalla  parte  del  suo  corpo  (cioè  sapienzia),  fiera,  che  non  mi 
ridea,  in  quanto  le  sue  persuasioni  ancora  non  intendea; 
e  disdegnosa,  che  non  mi  volgea  V  occhio,  cioè,  eh'  io  non 
potea  vedere  le  sue  dimostrazioni  ....  E  di  lutto  questo 
il  difetto  era  dal  mio  lato:  Com?;.  ni.  15.  Che  «gli  occhi 
della  sapienza  sono  le  sue  dimostrazioni,  colle  quali  si  vede 
la  verità  certissimamente  ;  e  '1  suo  riso  sono  le  sue  persua- 
sioni, nelle  quali  si  dimostra  la  luce  interiore  della  sapienza 
sotto  alcuno  velamenlo  :  e  in  queste  due  si  sente  quel  pia- 
cere altissimo  di  beatitudine,  il  qual  è  massimo  bene  in 
Paradiso.  Conv.  iii.  15. 

Dante  ne'  suoi  18  anni  avea  veduto  per  se  medesimo, 
senza  aiuto  d'alcun  maestro,  l'arte  del  dire  parole  per  rima: 
V.  ly.  §  IH.  Il  che  mostra  che  per  lui  l' arte  del  poetare 
fu  tutta  ispirazione  ed  eccitamento  di  natura.  Ei  salutava 
col  primo  Sonetto  tulli  i  fedeli  di  Amore,  e  pregavali  che 
giudicassero  la  sua  visione. 

E  ci  apprende  il  modo  per  lui  seguito  ne' suoi  compo- 
nimenti. La  sua  lingua  parla  quasi  come  per  se  stessa  mossa: 
F.  iV.  §  XIX.  Dapprima  nota  (ripone  nella  mente)  V ispira- 
zione d'Amore.  E  poi  sovressa  pensando,  ecco  che  dopo 
alquanti  dì  Amore  gli  detta  di  nuovo  in  cuore  (gli  favella 
dentro),  ed  egli  giusta  che  ode,  scrive.  Amore  che  spira, 
fa  notare  le  spirazioni  e  da  ultimo  le  detta,  ecco  tutta  la 
poesia  di  Dante:  V.  N.  §  xix.  xxii.  Non  diversa  è  l'arte 
de'  sommi  poeti  che  bastano  ad  avvivare  e  ingagliardire 
la  propria  nazione  e  rendersi  maestri  del  mondo  civile. 
Ma  dì  s' io  veggio  gui  colui  che  fuore 

Trasse  le  nuove  rime,  comiaciando: 

Donne,  ch'avete  intelletto  d'amore. 
Ed  io  a  lui:  r  mi  son  un  che,  quando 

Amore  spira,  noto,  ed  a  quel  modo 

Che  detta  dentro,  vo'  significando.  Pwrg.  xxiv.  49. 


DEGLI  STUDI  DI  DANTE.  113 

11  sovrano  poeta  accenna  qui  alle  due  scuole  d'  italiana 
poesia;  l'antica  di  Guittone  d'Arezzo,  del  Notaio  Lentino,  di 
Bonaggiunta,  e  quella  del  dolce  sHl  nuovo,  inspirata  dal 
vero  amore:  Purg.  xxiv.  55. 

Ma  però  non  ci  tace  come  talora  sgomentasselo  il  pen- 
siero che  la  sua  lingua  non  fosse  di  quello  che  lo  intelletlo 
vedea  compiutamente  seguace:  Cowìmii.  3  {la  mia  lìngua  non 
è  di  tanta  facondia  che  dir  potesse  ciò  che  nel  pensier  mio 
se  ne  ragiona:  Conv.iu.L-per  la  debilità  del  nostro  intel- 
letto e  la  cortezza  del  nostro  parlare  lo  qual  dal  pensiero 
è  vinto  sicché  seguire  egli  non  lo  puote  appieno:  Id.).  Onde 
scrivea  nella  V.N.  §.  18:  Così  dimorai  alquanti  dì  con  desi- 
derio di  dire  e  con  paura  di  cominciare.  Il  pensiero  della 
fatica,  comenta  egregiamente  il  Giuliani,  ardua  e  grande 
alla  quale  altri  è  per  cimentarsi,  sgomenta  l'animo,  e  nel 
desiderio  che  pur  lo  eccita  a  dire,  una  segreta  forza  lo 
ritiene  dal  cominciare.  Imperocché,  presa  una  volta  la  via, 
ci  conviene  procedere,  e  tra  per  i  pericoli  e  la  coscienza 
della  propria  debolezza,  1'  uomo  sente  di  dover  raccogliere 
tutte  le  sue  forze  per  non  essere  sopraffatto  dall'alta  im- 
presa e  mostrarsi  vinto  da  viltà  nel  ritirarsene. 

Delle  sue  Canzoni  compiacevasi,  e  con  diletto  ne  reci- 
tava i  versi  a  gloriarsi  ch'era  primo  fra  i  nuovi  lirici;  e, 
senza  avere  mai  letto  Pindaro,  n'adempiva  i  precelti,  e  forse 
ne  sorpassava  gli  esempi. 

Casella  ricorda  il  principio  di  una  sua  canzone  bellissi- 
ma e  filosofica,  che  trovasi  nel  Convito,  e  che  pare  sia  stata 
da  lui  messa  in  musica: 

Amor  che  nella  mente  mi  ragiona, 
Cominciò  egli  allor  sì  dolcemente, 
Che  la  dolcezza  ancor  dentro  mi  suona.  Purg.  ii.  112. 
E  Carlo  Martello,  dal  cielo  di  Venere,  ricorda  il  principio 
della  prima  Canzone  del  Convito: 
Tu  nel  mondo  già  dicesti: 
Voi  che  intendendo  il  terzo  del  movete.  Par.  viii. 37. 

Un  altro  principio  lo  fa  riconoscere  all'  ombre  de'  rima- 
tori che  lo  aveano  preceduto: 

Ma  di'  s' io  veggio  qui  colui  che  fuore 
Trasse  le  nuove  rimo,  cominciando: 
Donne,  ch'avete  intcUclto  d'umore.  Furg.  xxiv.  49. 

VOL.  II.  8 


114  DEGLI  STUDI  DI  DANTE. 

Grandezza  e  difficoltik  del  tema  assuntosi. 

Che  non  è  impresa  da  pifiliare  a  gabbo, 
Descriver  fondo  a  tutto  l'  universo.  Inf.xxxu.  7. 

Se  mo  sonasser  tutte  quelle  lingue 
Che  Pollnnìa  con  le  suore  fero 
Del  latte  lor  dolcissimo  più  pingue, 

Per  aiutarmi,  al  millesmo  del  vero 
Non  si  verria,  cantando  il  santo  riso, 
E  quanto  il  santo  aspetto  facea  mero. 

E  così,  figurando  il  Paradiso, 
Convien  saltare  il  sacrato  poema, 
Come  chi  trova  suo  cammin  reciso. 

5Ia  chi  pensasse  il  ponderoso  tema, 
E  r  omero  mortai  che  se  ne  carca. 
Noi  biasmerebbe,  se  sott'  esso  trema. 

Non  è  pareggio  da  picciola  barca 
Quel  che  fendendo  va  r  ardita  prora. 
Né  da  nocchier  eh'  a  sé  medesmo  parca.  Par.  xxm.  o'^ 

Nel  Purgatorio,  l'ingegno  del  poeta  è  picciola  nave  (i.l); 
e  nel  Paradiso  a  chi  lo  segue  e'  dà  sdegnoso  coTisiglio  : 

0  voi  che  siete  in  piccioletta  barca, 
Desiderosi  d' ascoltar,  seguiti 
Dietro  al  mio  legno  che  cantando  varca. 

Tornate  a  riveder  11  vostri  liti, 
Non  vi  mettete  in  pelago;  che  forse, 
Perdendo  me,  rimarreste  smarriti. 

L'acqua  ch'io  prendo  giammai  non  ài  corse: 
Minerva  spira,  e  conducemi  Apollo, 
E  nove  3Iuse  mi  dimostran  l'Orse. 

Voi  altri  pochi,  che  drizzaste  il  collo 
Per  tempo  al  pan  degli  Angeli,  dei  quale 
Vivesi  qui,  ma  non  sen  vien  satollo, 

Metter  potete  ben  per  r  alto  sale 
Vostro  navigio,  servando  mio  solco 
Dinanzi  all'acqua  che  ritorna  eguale.  Par.  ii.  1. 

Quantunque  nel  C.  XIV  del  Purgatorio,  v.  20,  ei  dica 
di  sé  :  Dirvi  chi  sia,  saria  parlare  indarno;  Che  7  nome  mio 
ancor  molto  non  suona;  quantunque  sfugga  parlare  di  sé, 
e  solo  per  necessità  registri  il  suo  nome  [Purcj.  xxx.  63), 
pure  egli  aveva  coscienza  delia  grandezza  del  suo  nobile 
ed  elevato  ingegno: 

Tu  se'  solo  colui,  da  cui  io  tolsi 
Lo  bello  stile  che  m'  ha  fatto  onore.  Inf.  i.  86. 

Perocché  ciascun  meco  si  conviene 
Nel  nome  che  sonò  la  voce  sola, 
Fannomi  onore  e  di  ciò  fanno  bene.  Inf.  vi.  91. 


DEGLI  STUDI  DI  DAME.  1 1'> 

E  più  d' onore  ancora  assai  mi  fenno, 
Ch'essi  mi  fecer  della  loro  schiera, 
Si  eh'  io  fui  sesto  Ira  cotanto  senno. 

Così  n'andammo  inflno  alla  lumiera, 
Parlando  cose^  che  il  tacere  è  bello, 
Sì  com'era  il  parlar  colà  dov'  era.  Inf.  iv.  100. 

Se  tu  segui  tua  stella, 
Non  puoi  fallire  a  glorioso  porto, 
Se  ben  m' accorsi  nella  vita  bella. 

E  s'io  non  fossi  sì  per  tempo  morto, 
Veggendo  il  cielo  a  te  cosi  benigno. 
Dato  t'  avrei  all'  opaca  conforto.  Inf.  xv.  35. 

Ed  ei  chiama  soave  la  sua  nota,  e  gentile  la  Ballata  sua, 
dalla  quale  gliene  verrebbe  onore  [Bai.  in),  e  di  soave  armo- 
nìa e  di  dolce  suono  vuole  sieno  adorne  le  sue  parole,  nelle 
quali  vi  sarà  Amore  tutte  le  volte  che  farà  mestieri  (F.  ìY. 
§  XII.  )  ;  e  ne'  suoi  pensieri  cerca  le  dolci  rime  e  il  soave 
stile  che  poi  tenne  sempre  nel  ragionar  d'Amore  (Conu. iv.l.), 
e  ricorda  l' amorosa  lima  che  ha  pulito  i  suoi  delti,  e  ì  bei 
colori  che  per  Beatrice  ha  trovati  e  messi  in  rima  :  Son.  33  ; 
Professione  di  Fede.  Alla  prima  Canzone  del  Convito  ei 
facea  dire:  diletta  mia  novella:  ponete  mente  almen  com' io 
son  bella.  A  guai  versi  egli  stesso  faceva  comento:  0  uomi- 
ni, che  vedere  non  potete  la  sentenza  di  questa  Canzone, 
non  la  rifiutate  però;  ma  ponete  mente  la  sua  bellezza, 
ch'è^ande,  si  per  costruzione...,  si  per  l'ordine  del  ser- 
mone.... Si  per  lo  numero  delle  sue  parli...  Le  quali  cose 
in  essa  si  possono  belle  vedere,  per  chi  bene  guarda.  » 
Conv.  II.  12,  -  Ed  un  altra  sua  Canzone  chiama  piena  di 
bontà,  dolce  ed  amorosa:  Canz.  xui.  Chiusa. 

Ed  egli  alla  sua  poesia  dimanda  un  linguaggio  forte  ad 
un  tempo  ed  imitativo,  perchè  le  sue  descrizioni  spirino 
col  suono  quel  terribile  che  dentro  all'anima  sente  [Inf. 
xxxii.  1);  e  perchè  il  suo  dire  non  suoni  diverso  del  fatto 
{Inf.  xxxii.  12)  ;  e,  quando  lo  chiegga  il  soggetto,  più  lumi- 
noso sialo  stile  e  più  potente  l'arte:  Pnrff.  ix.  70.  Le  sue 
invocazioni  alle  Muse  rivelano  il  vivo  sentimento  che  avea 
della  potenza  del  suo  genio. 

0  Muse,  0  alto  ingegno,  or  m'aiutate: 
0  mente,  che  scrivesti  ciò  ch'io  vidi, 
Qui  si  parrà  la  tua  nobilitate.  Inf.  ii.  7. 

0  buono  .\pollo,  all'ultirao  lavoro 


116  DEGLI  STUDI  DI  DAME. 

Fammi  del  tuo  valor  sì  fallo  vaso, 
Come  dimandi  a  dar  ramato  alloro. 

Insino  a  qui  l'un  gioito  di  Parnaso 
Assai  mi  fu,  ma  or  con  ambedue 
M'è  uopo  entrar  nell'arinfjo  rimase 

Entra  nel  petto  mio,  e  spira  tue 
Si  come  quando  Marsia  traesti 
Della  vagina  delle  memhre  sue. 

0  divina  virtù,  se  mi  ti  presti 
Tanto,  che  V  ombra  del  beato  regno 
Segnata  nel  mio  capo  io  manifesti, 

Venir  vedrà'  mi  al  tuo  diletto  legno, 
E  coronarmi  allor  di  quelle  foqlie 
Che  la  materia  e  tu  mi  farai  degno.  Par.  1. 13. 

0  diva  Pegasea,  che  gì'  ingegni 
Fai  gloriosi,  e  rendili  longevi, 
Ed  essi  teco  le  cittadi  e  i  regni. 

Illustrami  di  te,  sì  ch'io  rilevi 
Le  lor  figure  coni' io  l'ho  concette: 
Paia  tua  possa  in  questi  versi  brevi.  Par.  xvm.  82. 

Egli  nomo  d' intellelto  [Inf.  ii.l9);  egli  non  ignaro  d'essere 
uscito  coir  altezza  del  suo  ingegno  {Inf.  x.  58  ;  Far.  xxii.  1 12) 
della  volgare  schiera  {Inf.  ii.  105),  riponea  tutta  la  sua  spe- 
ranza nel  gran  poema  cui  avea  posto  mano  e  cielo  e  terra, 
che  gli  avesse  ad  aprire  11  ritorno  alla  bene  amata  sua 
patria  : 

Se  mai  continga  che  il  poema  sacro, 
Al  quale  ha  posto  mano  e  cielo  e  terra, 
Sì  che  m'ha  fatto  per  più  anni  macro, 

Vinca  la  crudeltà,  che  fuor  mi  serra 
Del  bello  ovile,  ov'io  dormii  agnello 
Nimico  a'  lupi,  che  gli  danno  guerra; 
Con  altra  voce  omai,  con  altro  vello 
Ritornerò  poeta,  ed  in  sul  fonte 
Del  mio  battesmo  prenderò  il  cappello.  Par.  xxv.  I. 
E  tale  era  pure  il  generoso  volo  di  Virgilio:  Primus  ego 
in  patriam  mecum,  modo  vita  super sit,  Aonio  rediens  dedu- 
cam  vertice  Musas,  ecc.  Georg,  iii.  10. 

Ed  alla  sua  Musa  chiedeva  canti,  di  cui  gli  slessi  suoi 
nemici  ed  emoli  sentano  la  grandezza,  e  nella  loro  dispe- 
rata invidia  sì  consumino.  Par.  i.  12. 

Non  vo'  però  che  a'  tuoi  vicini  invidie, 
Poscia  che  s' infutura  la  tua  vita 
Via  piii  là  che  il  punir  di  lor  perfidie.  Par.  xvii.07. 

E  dal  nobile  suo  canto  ripromettevasi  l'immortalità; 


DEGLI  STUDI  DI  DANTE.  117 

Se  '1  nome  tuo  nel  mondo  tegna  fronte,  Inf.  xxvii  47. 

Se  la  fama  tua  dopo  te  luca.  Inf.  xvi.  66. 

Per  le  note 
Di  questa  Gomedìa,  lettor,  ti  giuro, 
S' elle  non  sien  di  lunga  grazia  vote.  Inf.  xvi.  127. 

Ed  il  primato  dell' italiana  poesia: 

Credette  Ciniabue  nella  pintura 
Tener  lo  campo,  ed  ora  ha  Giotto  il  grido. 
Si  che  la  fama  di  colui  s'oscura. 

Cosi  ha  tolto  l'uno  all'altro  Guido 
La  gloria  della  lingua,  e  forse  è  nato 
Chi  l'uno  e  l'altro  caccerà  di  nido.  Purg.xnH.  (1) 

Nell'interpretazione  del  poema  ci  voleva  poi  avvertiti 
di  guardare  al  senso  allegorico  nascosto  sotto  la  lettera, 
dove  altissimi  concetti  e  morali  e  politici  sono  adombrati 

da  poetiche  finzioni.  {Epistola  Magnifico Domino  Kant 

grandi...  §  7.) 

(1  j  E  i  contemporanei  il  salutarono  subito  ad  una  voce  la  maggior  musa 
italiana.  Gino  di  Pistoia  cantava  in  morte  del  poeta  :  Su  per  la  costa, 
Amor,  dell'  alto  monte,  Drieto  allo  stil  del  nostro  ragionare.  Or  chi  potria 
montare.  Poi  che  son  rotte  l'  ale  d'  ogni  'ngegno  ecc.  Gino,  GXIl.  -  Questi 
fu  sommo  poeta  e  filosofo  e  retorico  perfetto,  tanto  in  dittare  e  versificare, 
come  in  aringhiera  parlare,  nobilissimo  dicitore,  e  in  rima  sommo:  col  più- 
pulito  e  bello  stile  che  mai  fosse  in  nostra  lingua  insino  al  suo  tempo 
e  più  innanzi.  G.  Villani,  IX  135.  -  Questi  fu  quel  Dante  che  a'  nostri  se- 
coli fu  conceduto  di  speziale  grazia  da  Dio  ;  questi  fu  quel  Dante,  il  quale 
primo  doveva  al  ritorno  delle  muse  sbandite  d' Italia,  aprire  la  via.  Per 
costui  la  chiarezza  del  fiorentino  idioma  è  dimostrata;  per  costui  ogni 
bellezza  di  vulgar  parlare  sotto  debiti  numeri  è  regolata;  per  costui  la 
morta  poesia  meritamente  si  può  dire  resuscitata.  Boccaccio,  Vita  di 
Dante,  p.  7.  -  Egli  primo  la  poesia  italica,  non  altrimenti  tra  noi  italici 
esaltò  e  recò  in  pregio,  che  la  sua  Omero  tra'  Greci  o  Virgilio  tra'  Latini. 
Davanti  da  costui,  comecché  per  poco  spazio  d'anni  innanzi  si  creda  che 
trovata  fusse,  ninno  fu  che  sentimento  o  ardire  avesse  (dal  numero  delle 
sillabe  e  dalla  consonanza  dalle  parti  estreme  in  fuori  J  Ji  farla  essere 
strumento  di  alcuna  artificiosa  materia;  anzi  solamente  in  leggerissime 
cose  di  amore  con  essa  si  esercitavano.  Gostui  mostrò  con  effetto,  con  essa 
ogni  altra  materia  potersi  trattare,  e  glorioso  sopra  altro  fece  il  vulgar 
nostro,  /d.p.27.  -  E  la  critica  di  tutte  le  nazioni  con  le  più  calde  ed  entu- 
siastiche parole  salutò  l'Allighieri  il  sovrano  poeta  della  civiltà  risorta. 
Veggasi  specialmente  il  Lamennais,  Esquisse  d'  une  philosophie,  Tome 
troisiéme,  livre  IX,  chap.  ix  ;  Id,  La  Divine  Comédie  de  Dante  Allighieri, 
V  Introduction,  i.  xii.  lxu.  lxui.  lxiv.  ecc ,  Villemain.,  Cours  de  Lit- 
térature  au  moyen-àge,  L.  XII.;  Schelling  F.  W.  Ueber  Dante  infilo- 
sofischer  Beziehung.  (  Gonsiderazionl  sulla  fllosofla  dantesca.) 


118  DEGLI  STUDI  DI  DANTE. 

0  voi,  ch'avete  gl'intelletti  sani, 
Mirate  la  dottrina  che  s'asconde 
Sotto  il  velame  degli  versi  strani.  Inf.  ix.  61. 

Aguzza  qui,  lettor,  ben  gli  occhi  al  vero, 
Che  il  velo  è  ora  ben  tanto  sottile. 
Certo,  che  '1  trapassar  dentro  e  leggiero.  Purg  viu.  19. 

Suo  amore  alla  lingua  italiana.  —  La  lingua  italia- 
na a'  suoi  tempi  non  era  che  bambina;  la  lingua  che  chiamava 
mamma  e  babbo:  iwf.  xxvii.7;  in  qua  et  m'uìierculae  comu- 
nicant:  Ep.  a  Cangrande  §  10.  Cose  scritte  oltre  150  anni 
non  aveva  (Vita  iV.  §25);  molti  vocaboli  nel  brieve  torno 
di  50  anni  erano  spenti  nati  e  variati:  Conv.  i.  5;  il  bello 
volgare  era  corruttibile  non  istabile;  governato  a  legge  del 
solo  piacimento,  dell'wso  solo  e  non  deWarte  seguace:  Conv. 
1. 5.  Brunetto  Latini  confessava  di  aver  scritto  il  suo  Tesoro 
in  lingua  francesca,  perchè  la  parlatura  francesca  era  piìi 
dileltevole  e  più  comune  che  tutti  gli  altri  linguaggi:  Tesoro, 
1. 1.  -Ma  Dante  sentiva  poter  accrescere  alla  propria  lingua 
e  nobiltà  e  grandezza:  e  che  avrebbe  potuto  ben  dire  d'essa: 
r idioma  ch'io  usai  e  ch'io  feci:  Par.  xxvi.  114. 

E  il  vivissimo  amore  per  la  propria  loquela,  per  lui 
nobilmente  arricchita,  traspare  sovente  da' suoi  versi: -Za 
sua  loquela  ti  fa  manifesto  Hi  quella  nobil  patria  natio: 
Jnf.  X.  25.  -  La  tua  chiara  favella:  Inf.  xviu.  13.  -  In  sua 
favella  :  Inf.  ii.  57.  -  ]\ostra  favella:  Par.  xviu.  72.  -  Questa 
moderna  favella  :  Par.  xvi.  33.  -  Parlar  materno  :  Purg.  xxvi. 
117.  -  Li  dolci  detti  vostri  Che,  quanto  durerà  l'uso  moderno. 
Faranno  chiari  ancora  i  loro  inchiostri:  Purg.\x.\ì.\Và.-Be\ 
paese  là  dove  il  sì  suona:  Inf.  xxxiu.  80. 

Né  solamente  del  nativo  suo  volgare  si  fece  amico,  ma 
amore  e  perfettissimo  amore  di  lui  sempre  lo  prese:  Conv.i. 
12.  «Il  volgare  fu  congiungitore  delli  suoi  generanti  che 
con  esso  parlavano,...  fu  suo  introducitore  nella  via  della 
scienza,  eh' è  l'ultima  perfezione,  in  quanto  con  esso  entrò 
nello  latino,  e  con  esso  gli  fu  mostrato,  il  quale  latino  poi 
gli  fu  via^  per  andare  innanzi,  e  cosi...  gli  fu  grandissimo 
benefattore:»  Conv.  i.  Va.  -  «Dal  principio  della  mia  vita 
ebbi  con  esso  benevolenza  e  conversazione,  e  usato  quello 
deliberando,  interpretando  e  questionando,  per  che  se  l'ami- 
»l£t  s'accresce  per  la  consuetudine,  siccome  manifestamente 


DEGLI  STUDI  DI  DA?JTE.  119 

appare,  manifesto  è  ch'essa  è  in  me  massimamente  cre- 
sciuta, che  sono  con  esso  volgare  tulio  mio  lemix)  usato  :  » 
Conv.  1. 12. 

Ed  ci  porgea  ammonimento  che  mom  rfe&èa  alcuno  l'ori- 
qinal  sua  favella  lasciare  per  alcun'  altra,  dove  necessità  non 
lo  costringesse:  Conv.  i.  IO.  Che  quantunque  non  sia  bene 
senza  lode  d'ingegno  apprendere  la  lingua  strana,  egli  è  bia- 
simevole comendare  quella  oltre  la  verità,  per  farsi  glorioso 
ditale  acquisto:  Conv.  1. 11.  E  se  naturale  amore  principal- 
mente muove  l'amatore  a  Ire  cose:  l'una  si  è  a  magnificare 
l'amato:  l'altra  è  a  essere  geloso  di  quello;  la  terza  è  a 
difendere  lui  ;  queste  tre  cose,  ei  aggiunge,  mi  fecero 
prendere  lo  nostro  Volgare,  lo  quale  naturalmente  e  acci- 
dentalmente amo  e  ho  amato  {Id.)  -  e  a  propugnarlo,  a  per- 
petuale infamia  e  depressione  dcUi  malvagi  uomini  d'Italia, 
che  commendano  lo  Volgare  altrui,  e  lo  proprio  dispregiano 
(Coni'.  1. 11);  sicché  lieramente  doleagli  che  a  dispetto  di 
esso  altri  comendasse  la  lingua  d'  Oco,  dicendo  eh'  è  più 
bella  e  migliore,  dipartendosi  dalla  verità  {Conv.  LIO);  e 
pieno  di  nobile  disdegno,  scagliavasi  contro  gli  abbominevoli 
cattivi  d'Italia  che  hanno  a  vile  questo  prezioso  volgare, 
lo  quale  se  è  vile  in  alcuna  cosa,  non  è  se  non  in  quanto 
egli  suona  nella  bocca  meretrice  di  questi  adulteri:  Conv. 
1.13. -E  intendimento  suo,  e  quello  dell'amico  suo  Guido 
Cavalcanti,  fu  di  scrivere  la  Vita  JSuova  per  volgare  {V. 
N.  §.  31);  e  scriveva  in  volgare  il  Convito  pel  naturale 
amore  alla  propria  loquela,  nella  gran  bontà  di  quel  vol- 
gere in  che  altissimi  e  novissimi  concetti  convenevolmente^ 
sufficientemente  e  acconciamente  quasi  come  per  esso  latino 
si  esprimono  {Conv.  1. 10),  volendo  che  nel  suo  Comento  si 
vegga  l  agevolezza  delle  sue  sillabe,  la  proprietà  delle  sue 
condizioni,  e  le  soavi  orazioni  che  di  lui  si  fanno:  le  quali 
chi  bene  agguarderà,  vedrà  essere  piene  di  dolcissima  ed 
amabilissima  bellezza:  Cony.  1. 10. -E  delle  splendide  glorie 
di  questo  vulgare,  per  lui  condotto  a  nobilissima  perfezione, 
divinava:  «  Questo  sarà  quello  pane  orzalo,  del  quale  si 
satolleranno  migllaja,  e  a  me  ne  sovcrchieranno  le  sporte 
piene.  Questo  sarà  luce  nuova,  sole  nuovo;  il  quale  surgerà 
ove  r  usalo  (il  latino)  tramonterà,  e  darà  luce  a  coloro  che 


120  DEGLI  STUDI  DI  DANTE. 

sono  in  tenebre  e  in  oscurità  per  lo  usato  sole  che  a  loro 
non  luce:  Conv.ì.Vò.  -  Nel  libro  de  Vulvari  Eloquio  de- 
finisce il  proprio  volgare:  quello,  che  in  ciascuna  dita 
appare,  e  che  in  ninna  riposa ...  quello  eh' è  di  tutte  le  città 
italiane,  e  non  pare  che  sia  di  ninna  i.  16:  -  E  nell'opera 
istessa  così  favella  di  sé  e  del  suo  amico  Gino  da  Pistoia  : 
«  Quelli  che  più  dolcemente  e  più  sottilmente  han  scritto 
poemi,  sono  stati  suoi  domestici,  e  famigliari,  cioè  Gino  da 
Pistoia  e  V  amico  suo'.y)  -  i.  IO  «  Il  Volgare,  il  quale  è 
innalzato  di  magislerio  e  di  potenza,  innalza  i  suoi  di  onore 
e  di  gloria.  Gh'el  sia  da  magisterio  innalzato,  si  vede, 
essendo  egli  di  tanti  rozzi  vocaboli  Italiani,  di  tante  per- 
plesse costruzioni,  di  tante  difettive  pronunzie,  di  tanti 
contadineschi  accenti,  così  egregio,  così  districalo,  così 
perfetto  e  così  civile  ridotto,  come  Gino  da  Pistoia,  e  V Amico 
suo  nelle  loro  Canzoni  dimostrano:  »  De  Vul.  El.  1. 17.  -  Gosi 
il  sovrano  maestro  delle  lettere  italiane  al  nobile  proposito 
tenne  fermo,  fin  che  raggiunse  il  termine  fisso,  e  a  confu- 
sione di  quelli  che  dispregiano  ed  accusano  bastò  a  mostrar 
pienamente  ciò  che  potea  la  lingua  nostra. 

La  lingua  piacque  a  Dante  determinarla  dalla  particella 
eh' è  più  frequente  nell'  umano  discorso,  e  propria  all'afler- 
mazìone  della  verità  :  Jnf.  xxxni.  80  ;  V.  N.  §  25;  Conv.  i.  2. 


AMMAESTBAJiEMl  DI  lEITiRATURA 


Mostrerolli 
Oltre,  quanto '1  potrà  mentar  mia  scuola.  Purg.  XXI. 

Perchè  conoscili , . .  quella  scuola 
C'bai  seguitata,  e  veggi  sua  dottrina.  Purg.  XXXIII.  8 


L'arte.  —  La  Natura  procede  da  Dio,  l'Arte  dalla  Na- 
tura. La  Natura  segue  l'Arte 

come  '1  maestro  fa  'l  discente, 
Sì  che  vostr'  arte  a  Dio  quasi  è  nepote.  Inf.  xi.  97. 

La  Natura  non  solo  ne'  suoi  aspetti  e  movimenti  esterni 
ci  dà  norme  non  fallaci  del  bello  e  del  buono;  ma  quel 
eh' è  più,  ci  fornisce  anche  i  segni  e  lo  stromento  per 
rappresentarli,  mercè  del  gran  dono  della  favella,  e  della 
podestà  in  ciascuna  nazione  di  perfezionarla. 

Opera  naturale  è  eh'  uom  favella  ; 
Ma,  cosi  0  cosi,  natura  lascia 
Poi  fare  a  voi  secondo  che  v'  abbella.  Par.  xxvi.  130. 

A  bene  approfittare  nelle  discipline,  non  basta  l'ingegno, 
ma  ci  vuole  per  giunta  l'arte,  cioè  la  coltura  dell'ingegno, 
e  l'uso  eh' è  la  perseveranza  della  coltura.  L'ingegno,  ri- 
trova e  combina;  l'arte  conduce  ad  effetto  conveniente- 
mente il  pensiero  della  mente:  Par.  x.  43.  -  Perchè  Virgilio 
potesse  dichiarare  il  suo  allievo  signore  assoluto  di  sé  me- 
desimo era  duopo  che  pria  guidato  riavesse  con  ingegno  e 
con  arte:  Purg.  xxvi.  130.  -  Né  solo  si  dee  ascoltare  l'orbe 
(la  pratica),  ma  si  anco  la  ragione  (la  teoria).  Par.xxvi.  123. 

La  regola  dell'arte  vuole  si  osservi  una  giusta  propor- 
zione delle  parti  di  un  tutto  fra  loro,  e  questa  regola  mo- 
deratrice che  debbe  governare  la'  fantasia  è  chiamata  dal 
poeta  lo  fren  dell'  arte.  Nelle  menti  vigorosissime  una 
grande  inquietudine  agita  aflollatamente  i  pensieri*  e  li 
rimodella  in  più  guise,  e  gli  aduna  continuatamente  in  varie 
disposizioni,  finche  poi  l'animo  riposato,  sceverando  gl'in- 
convenienti dell'abbondanza,  l'ingegno  assoggettasi  all'or- 
dine, al  freno  dell'arte:  Purg.xxxiu.Hì. 


122  AMMAESTRAMENTI  DI  LETTERATURA. 

Ogni  arte  ha  i  suoi  confini  : 

Ma  or  convien  che  il  mio  seguir  desista 
Più  dietro  a  sua  bellezza  poetando  ; 
Come  alVultimo  suo  ciascun  artista.  Par,  xxx.3. 

11  poeta  non  consentì  mai  alla  fantasia  di  violare  quelle 
leggi  che  prima  avea  poste  all'ingegno.  Nella  Vita  Nuova 
egli  è  vago  di  mostrarci  l'ossatura  de'  suoi  componimenti, 
e  la  ragione  produttrice,  notando  perfino  come  l'una  stanza 
fosse  ancella  e  servigiale  dell'altra  (§  19),  non  che  di  dichia- 
rarne i  sensi  nascosti;  lo  che,  osserva  egregiamente  il 
Tommaseo,  ci  dimostra  com'egli  solesse  i  voli  della  fantasia 
alle  misure  del  raziocinio  adattare,  e  desiderare  che  altri 
vegga  com'è'  li  avesse  adattati.  Nò  certamente  l'Italia  ha 
poeta  che  tanto  volo  lasciasse  alla  fantasia,  né  poeta  che 
con  più  forti  legami  sapesse  la  fantasia  moderare: 

E  più  lo  'ngegno  allreno  eli'  io  non  soglio 

Perchè  non  corra,  che  virtù  noi  guidi; 
Sì  che  se  stella  buona,  o  miglior  cosa 
M'ha  dato  il  ben,  ch'io  stesso  noi  m'invidi,  /n/".  xxvi.  21. 

Del  che  si  deduce  un'altro  nobilissimo  precetto:  Chi  sorti 
un  felice  ingegno,  debbe  coltivarlo,  indirizzarlo  alla  virtù, 
altrimenti  lo  si  perde. 

Dante  distingueva  due  scuole  di  poesia  italiana:  l'antica 
di  Guittone  d'Arezzo,  del  Notaio,  di  Bonaggiunta  e  degli 
altri  coetanei,  freddi  concettisti,  e  la  nuova,  quella  dei 
dolce  sili  nuovo,  e  delle  nuove  rime,  inspirate  da  vero  amore, 
della  quale  egli  stesso  con  compiacenza  dicevasi  fondatore. 
Nella  vecchia  scuola,  l'amore,  per  mezzo  di  consonanze  e 
di  ritmi,  amava  ciarlare  piuttosto  che  di  parlare  il  linguaggio 
della  passione  e  del  cuore.  Della  qual  cosa  Dante  conobbe 
il  difetto;  volle  provarsi  ad  unire  all'armonia  dei  versi  il 
calore  del  sentimento,  e  così,  sulle  rovine  dell'  antica,  fon- 
dava una  scuola  novella,  e  gli  riuscì  appieno  la  prova: 
r  mi  son  un  che,  quando 

Amore  spira,  noto,  ed  a  quel  modo 

Che  detta  dentro,  vo  significando. 
*  0  frate,  issa  vegg' io,  diss'egli,  il  nodo 

Che  il  Notaio,  e  Guittone,  e  me  ritenne 

Di  qua  dal  dolce  stil  nuovo  ch'i'  odo. 
lo  veggio  ben  come  le  vostre  penne 

Diretro  al  dittator  sen  vanno  strette. 

Che  delle  nostre  certo  non  avvenne.  Purg,  xxiv.  52. 


AMMAESTRAMEMl  DI  LETTERATURA.  123 

In  questi  versi,  prima  dei  Baumgarten  e  del  Wiiikel- 
man,  Dante  definisce  bene  l'estetica:  in  essi  si  comprende 
il  segreto  della  poesia  e  dell'eloquenza  e  di  tutte  l'arti 
del  vivere.  Prima  condizione  al  poeta,  il  cuore,  senza  il 
quale  si  posson  far  versi  ma  non  poesia:  1' mi  son  un  che 
quando  Amore  spira,  noto  (attendo,  noto  colla  mente):  Se- 
conda condizione  necessaria  ;  espressione  conveniente  e  pari 
agli  affetti  sentiti:  ed  a  quel  modo  che  detta  dentro,  vo  si- 
fini  ficando.  Veggio  ora  la  cagione  che  fu  impedimento  a 
Jacopo  da  Lentino,  a  Guittone,  ed  a  me  (Bonaggiunta), 
che  non  giungessimo  a  poetare  si  dolcemente.  Questa  ca- 
gione fu  il  non  essere  eglino  accesi  di  amore,  siccome  fu 
Dante,  eh' è  quanto  a  dire  la  mancanza  di  sentimento  e 
d'espressione.  E  Dante  si  crede  d'aver  creato  la  scuola 
dell'inspirazione: 

Poca  favilla  gran  fiamma  seconda: 
Forse  diretro  a  me  con  miglior  \oci 
Si  pregherà  perchè  Cirra  risponda.  Par.  i.  34. 

Ma  chi  per  venire  in  grado  alla  gente,  scrivendo  d'Amore, 
si  mette  oltre  ad  Amore  dettatore  (Pttrr/.  xxiv.  48),  questo 
scrittore  è  un  cieco  che  non  vede,  non  sente  la  differenza 
-che  corre  tra  uno  stile  copiatore  fedele  della  natura  e  del 
sentimento,  ed  uno  caricato  e  falso  : 

E  qual  più  a  gradire  oltre  si  mette, 
Non  vede  più  dall'uno  all'altro  stilo.  Purg.  xxiv.  61. 

Dello  stile.  —  iiiffiicoitsk  dell'espressione.  —  La  ma- 
teria fallisce  spesso  all'intenzione  dell'artefice,  e  gli  è  restia 
al  concetto,  non  potendo  imprimere  la  forma  che  vorrebbe  : 

Vero  è  che,  come  forma  non  s'accorda 
Molte  fiate  alla  intenzion  dell'arte, 
Perch'  a  risponder  la  materia  è  sorda.  Par.  1. 127. 

Similemente  operando  all'artista, 
C'ha  l'abito  dell'arte  e  man  che  trema.  Par.  xiii.  77. 

Molte  volte  al  fatto  il  dir  vien  meno.  Inf.  xiv.  04. 

11  mio  veder  fu  maggio 
Che  il  parlar  nostro,  che  a  tal  vista  cede, 
E  cede  la  memoria  a  tanto  oltraggio.  Par.  xxxiii.  33. 

Chi  porla  mai  pur  con  parole  sciolte 
Dicer  del  sangue  e  delle  piaghe  appieno, 
Ch'i' ora  vidi,  per  narrar  più  volte? 

Ogni  lingua  per  certo  verrìa  meno 
Per  lo  nostro  sermone  e  per  la  mente, 


12Ì  AMMAESTRAMENTI  DI  LETTERATURA. 

C hanno  a  tanto  comprender  poco  seno.  Inf.  xxviii.  1. 

Ma  voglia  ed  argomento  ne'  mortali... 
Diversamente  son  pennuti  in  ali.  Par.  xv.  79. 

Però  se  le  mie  rime  avran  difetto, 
Ch'entreran  nella  loda  di  costei, 
Di  ciò  si  biasmi  il  debole  intelletto, 
E  '1  parlar  nostro,  che  non  ha  valore 
Di  ritrar  tutto  ciò,  che  dice  Amore.  Cam.  xv.  1. 
«  Non  pure  a  quello  che  lo  intelletto  non  sostiene,  ma 
eziandio  a  quello  ch'io  intendo,  sufficiente  non  sono,  pe- 
rocché la  lingua  mia  non  è  di  tanta  facondia,  che  dir  po- 
tesse ciò  che  nel  pensiero  mio  se  ne  ragiona...  Se  difetto 
sia  nelle  mie  parole...  di  ciò  è  da  biasimare  la  debilità 
dello  'ntelletto  e  la  cortezza  del  nostro  parlare  ;  lo  quale 
dal  pensiero  è  vinto  sicché  seguire  lui  non  puote  appieno... 
Nostro  intelletto,  per  difetto  della  virtù,  della  quale  trae 
quello  ch'el  vede  (ch'è  virtù  organica,  cioè  la  fantasia), 
non  puote  a  certe  cose  salire,   perocché  la  fantasia  noi 
puote  aiutare,  e  che  non  ha  lo  di  che...  Più  ampli  sono  li 
termini  dello  'ngegno  a  pensare,  che  a  parlare,,  e  più  ampli 
a  parlare,  che  ad  accennare  il  pensiero  nostro,  ma  sola- 
mente quello  che  a  perfetto  intelletto  non  viene,  non  eziandio 
quello  che  a  perfetto  intelletto  si  termina,  è  vincente  del 
parlare  :  Conv.  in.  4.  -  Onde  il  poeta  invocava  la  sua  Musa  : 
Illustrami  di  te,  si  ch'io  rilevi 
Le  lor  figure  cora'  io  l' ho  concetto.  Par.  xvm.  85. 
E  rendeva  avvertito  il  suo  lettore  che  non  prendesse 
meravìglia,  s'ei  cercava  di  sostenere  con  più  arte,  e  con 
più  luminoso  stile  la  materia  sublime  di  ch'ei  favellava; 
sì  che  del  fatto  il  dir  non  fosse  diverso.  Inf.  xxxii.  12. 
Lettor,  tu  vedi  ben  com'io  innalzo 
La  mia  materia,  e  però  con  più  arte 
Non  ti  maravigliar,  s' io  la  rincalzo.  Purq,  ix.70. 

Or  convien  ch'Elicona  per  me  versi, 
E  Urania  m'aiuti  col  suo  coro, 
Forti  cose  a  pensar,  mettere  in  versi.  Purg.  xxix.  39. 

V affetto  e  il  senno... 
D' un  peso  per  ciascun  di  voi  sì  fenno.  Par.  xv.  73. 
Il  sentimento,  l'attitudine  a  bene  esprimerlo,  bisogna  che 
sìeno  d'un  medesimo  peso  e  valore. 

Il   dar    colore   e   forza   all'  idee   col   suono    della 
parola  è  uno  de'  necessarii  requisiti  dell'arte. 

S' io  avessi  le  rime  aspre  e  chiocce. 


AMMAESTRAME^T1  DI  LETTERATURA.  125 

Come  si  converrebbe  al  tristo  buco, 

Sovra  '1  qual  pontan  tutte  l'altre  rocce, 
(E  nel  mio  parlare  vor/lio  esser  aspro:  Caw2.  ix.  1;  con  rima 
aspra  e  sottile  :  Canz.  xvi.  l.  -  E  dice  aspra,  quanto  al  suono 
del  dettato,  che  a  tanta  materia  non  conviene  esser  leno: 
Conv.  IV.  2.) 

r  premerei  di  mio  concetto  il  suco 

Più  pienamente;  ma  perch'io  non  l'abbo, 

Non  senza  tema  a  dicer  mi  conduco. 
Che  non  è  impresa  da  pigliare  a  gabbo, 

Descriver  fondo  a  tutto  l'universo, 

Né  da  lingua  che  chiami  mamma  e  babbo. 
Ma  quelle  Donne  aiutino  il  mio  verso, 

Ch'  aiutaro  Anflone  a  chiuder  Tebe, 

Sì  che  dal  fatto  il  dir  non  sia  diverso.  Inf.  xxxii.  1. 

Il  poeta  dimandava  un  linguaggio  forte  ed  imitativo, 
perchè  la  sua  descrizione  fosse  piena,  e  spirasse  anche  col 
suono  quel  terribile  che  dentro  egli  sentiva:  l'armonia  in 
lui  era  spesso  frutto  d'arte  più  possente. 

E  visibile  parlare  [Purg.  x.  95)  chiama  il  modo  da  lui 
tenuto  per  agguagliare  con  le  parole  gli  effetti  della  scol- 
tura. E  ci  dà  con  questo  un  utilissimo  insegnamento.  Poiché 
indarno  confidasi  uno  scrittore  di  dare  al  suo  stile  tanta 
evidenza,  quanta  sogliono  avere  le  arti  del  disegno,  se  da 
esperte  mani  sieno  trattate;  ove  quello  non  si  componga 
di  voci  rappresentanti  imagini  vive,  atte  ad  impressionarci 
gagliardamente  la  fantasia.  -  Dante,  non  v'ha  dubbio,  diede 
anche  talvolta  connato  al  decoro  ed  alla  perspicuità,  ma 
sempre  per  crescer  fedeltà  alle  dipinture,  e  profondità  ai 
concetti.  Egli  dice: 

Parla,  e  sii  breve  ed  arguto.  Purg.  xiii.  78. 

Sfuaio  de' classici.—  «Una pianura  à,con  certi  sentieri, 
campo  con  siepi,  con  fossati, con  pietre,  con  legname,  con  tutti 
quasi  impedimenti  ;  fuori  delli  suoi  stretti  sentieri.  E  nevato 
è  SI,  che  tutto  cuopre  la  neve,  e  rende  una  (igura  in  ogni 
parte,  sicché  d'alcuno  sentiero  vestigio  non  si  vede.  Viene 
alcuno  dall'una  parte  della  campagna,  e  vuole  andare  a  una 
magione  eh' è  dall'altra  parte,  e  per  sua  Industria,  cioè  per 
accorgimento  e  per  bontà  d'ingegno,  solo  da  sé  guidato, 
per  lo  diritto  cammino  si  va  là  dove  intende,  lasciando  le 
vestigie  de'  suoi  passi  dietro  da  sé.  Viene  un  altro  appresso 


126  AMMAESTRAMENTI  DI  LETTERATURA. 

costui,  e  vuole  a  questa  magione  andare,  e  non  gli  è  me- 
stiere se  non  seguire  le  vestigie  lasciale,  e  per  suo  difetto 
il  cammino,  che  altri  senza  scorta  ha  saputo  tenere,  questo 
scòrto  erra,  e  tortisce  per  li  pruni  e  per  le  ruine,  ed  alla 
parte  dove  dee  non  va...  Chi  ha  alcuna  scorta,  e  bene  non 
camina,  lo  suo  errore  e  il  suo  difetto  non  può  essere  mag- 
giore. Conv.  IV.  7.  -  Il  Perticari,  chiamata  bellissima  e  piena 
di  evidenza  questa  pittura,  quanto  un  quadro  di  Rafaello, 
egregiamente  annotava:  così  pwò  dirsi  di  chi  abbandona 
la  via  segnata  dai  Classici. 

Quanto  più  strettamente  imitiamo  i  grandi  poeti,  tanto 
più  dirittamente  componiamo;  e  però  noi,  che  volemo  porre 
nelle  opere  nostre  qualche  dottrina,  ci  fu  bisogno  le  loro  poe- 
tiche dottrine  imitare:  De  Vulg.  El.  ii.  4.  E  Dante  c'insegna 
che  dobbiamo  avere  in  riverenza  ed  amore  la  bella  scola 
[Inf.  IV. 92),  cioè  gli  esempi  sommi  dell'arte;  dai  quali  solo 
deve  trarsi  il  bello  stile  che  fa  le  opere  immortali.  Da  essi 
apprese  egli  a  scegliere  nel  discorso  quell'espressione  eh' è 
la  migliore,  a  dare  alle  parole  quell'ordine  che  ad  esse 
conviene,  a  serbare  ne'  concetti  le  debite  proporzioni,  ì  ne- 
cessari ornamenti,  a  conoscere  quelle  idee  accessorie,  che 
vagliono  a  modificare  la  principale. 

Ed  ascoltava  i  lor  sermoni  * 

Gh'a  poetar  mi  davano  intelletto.  Purg.  xxu.  128. 

In  Virgilio,  la  nostra  maggior  Musa,  fu  sì  continuo  da 
poter  confessare  che  sapeva  tutta  a  mente  l'Eneide: 

Euripilo  ebbe  nome,  e  così  '1  canta 
L' alta  mia  Tragedia  in  alcun  loco, 
Ben  lo  sai  tu,  che  la  sai  tutta  quanta.  Inf.xx.Uì. 

0  degli  altri  poeti  onore  e  lume. 
Vagliami  il  lungo  studio  e  il  grande  amore. 
Che  m'  han  fatto  cercar  lo  tuo  volume. 

Tu  se'  lo  mio  maestro  e  il  mio  autore: 
Tu  se'  solo  colui,  da  cui  io  tolsi 
Lo  bello  stile  che  m'  ha  fatto  onore.  Inf.  i.  82. 
e  fa  clic  Stazio  dica  a  Virgilio: 

Al  mio  ardor  fur  seme  le  faville, 
Che  mi  scaldar,  della  divina  fiamma, 
Onde  sono  allumati  più,  di  mille; 

Dell'Eneida  dico,  la  guai  mamma 
Fummi,  e  fummi  nutrice  poetando  : 
Senz'-essa  non  fermai  peso  di  dramma.  Purg.  xxi.  94. 


AMMAESTRAMENTI  DI  LETTERATURA.  1 27 

Tu  prima  m'inviasti 
Verso  Parnaso  a  ber  nelle  sue  grotte,  Purg.  xxii.  64. 

Orazio,  Ovidio,  Lucano  vengono  da  Dante  allegati  tutti 
insieme  (  V.  iY.  §.  25  ;  Inf»  iv.  79  ),  quasi  autori  che  più  gli 
dovettero  essere  famigliari  e  raccomandati  al  cuore.  Da 
essi  sembra  riconoscere  T  eccellente  magistero  che  gli  ac- 
quistò tanta  gloria. -Né  le  lodi  dei  contemporanei  si  tace; 
ed  ei  chiama  Guido  Guinicelli  il  Massimo  {De  Yulg.  El.\. 
13),  e  \\  padre  suo  e  degli  altri  migliori  che  usassero  mai 
rime  d'amore,  dolci  e  leggiadre:  Purg.  xxvi.  57. 

Né  ci  basta  leggere  i  grandi  maestri  del  dire,  ma  ci  è 
duopo  il  fermarsi  entro  quelli,  e  meditare  bene  addentro 
le  opere  lette  : 

Or  ti  riman,  lettor,  sopra  '1  tuo  banco, 
Dietro  pensando  a  ciò  ehe  si  preliba, 
S'esser  vuoi  lieto  assai  prima  che  stanco. 

Messo  t' ho  innanzi  :  ornai  per  te  ti  ciba.  Par.  x.  22. 
Egli  ci  è  inoltre  necessario  il  ritornare  sovente  coli' amo- 
roso pensiero  sugli  ammaestramenti  ricevuti,  e  ritenere  nella 
memoria  quello  che  l'intelletto  una  volta  ha  inteso: 
che  non  fa  scienza, 
Senza  Io  ritenere,  avere  inteso.  Par.  v.  41. 

Dante  diceva:  io  pensava,  andando,  Prode  acquistar  nelle 
parole  sue.  Purg.  xv.  41. 

l\[eccssità,    dello    studio    per    coBsscgiiire   1'  abito 

dell'arte  e  della  i^cieuza.  —  Quella  cosa  che  più  adorna  e 
comenda  le  umane  operazioni,  e  che  più  dirittamente  a  buon 
fine  le  mena  si  è  quelle  disposizioni  che  sono  ordinate  allo 
inteso  line:  Conv.i.o.  -Ver  l'abito  della  scienza  potemmo 
la  verità  speculare:  Conv.  ii.  14.  -  Nulla  cosa  è  utile,  se 
non  in  (juanto  è  usata,  che  senza  uso  non  è  essere  perfet- 
tamente: Conv.  1.  9.  -  È  uno  studio  il  quale  mena  l'uomo 
all'abito  dell'arte  e  della  scienza,  è  un  altro  studio,  il  quale 
nell'abito  acquistato  adopera,  usando  quello:  e  questo  primo 
è  quello,  ch'io  chiamo  qui  Amore...  Conv.  ni.  12. 
Vagliami  il  lunf/o  studio  e  il  (ìrande  amore, 
Che  m'han  fatto  cercar  lo  tuo  volume.  Inf.  i.  83. 
Lungo  studio  e  grande  amore,  ecco  le  due  condizioni  ne- 
cessarie ad  aprofittare  nelle  umane  discipline.  Lo  studio 
s'avviva  nell'amore,  e  questo  in  quello,  cosi  l'uomo  giun- 
ge air  abito  dell'arte  e  della  scienza.  Ma  pochi  sono  quelli 


128  AMMAESTRAMENTI  DI  LETTERATURA. 

che  all'abito  da  lutti  desiderato  possono  pervenire  {Conv. 
1. 1.  )  ;  conciosiacosachè  se  non  per  ispazio  di  tempo  ed  as- 
siduità di  studio  si  possono  prendere  le  regole  e  le  dottrine  : 
De  Vulg.  El  1. 1.  -  E  Dante  stesso,  mirabile  ingegno  ed 
unico,  per  conseguire  l'abito  dell'arte,  diede  opera  tanto 
assidua  a  studio  di  leggere,  che  gliene  rimasero  debilitati  gli 
spiriti  visivi  (Coni',  ni.  9);  e  per  non  fallire  a  glorioso  porlo 
studiò  quanto  più  potè  (F.  iY.§43);  si  fece  pallido  [Purg.  x\xi. 
140)  e  per  più  annimacro  [Par.xwi.  1.)  sotto  V ombra  di  Par- 
naso; sofj'erse  fami,  freddi  e  vigilie:  Pwrr/.  xxix.37.  Oh  quante 
notti  furono,  egli  stesso  ci  aggiunge,  che  gli  occhi  dell'altre 
persone  chiusi  dormendo  si  posavano,  che  limici  nell'abi- 
tacolo del  mio  Amore  (nella  lilosolìa)  fisamente  miravano! 
Conv.m.X.  -E  nell'Epistola  II,  a  Moroello  Malaspina,  ricorda 
le  sue  Meditationes  assiduas  quihus  tam  caelestia  qiium  ter- 
restria  intuebar.  (1)  Il  senno  e  la  scienza  non  vengono  da 

(IJ  E  il  Boccaccio  nella  Vita  di  Dante  ci  lasciò  scritto:  «Dal  princi- 
pio della  sua  puerizia  avendo  già  li  primi  elementi  delle  lettere  impresi, 
non  secondo  i  costumi  de' nobili  odierni  si  diede  alle  fanciuUescIie  lascivie 
e  agli  ozii,  nel  grembo  della  madre  impigrendo,  ma  nella  propria  patria 
la  sua  puerizia  con  istudio  continovo  diede  alle  liberali  arti,  e  io  quelle 
mirabilmente  divenne  esperto.  E  crescendo  insieme  cogli  anni  l'animo  e 
lo  ingegno,  non  a'  lucrativi  studj,  a'  quali  generalmente  corre  oggi  cia- 
scuno, si  dispose,  ma  ad  una  laudevole  vaghezza  di  perpetua  fama, 
sprezzando  le  transitorie  ricchezze,  liberalmente  si  diede  a  voler  avere 
piena  notizia  delle  finzioni  poetiche  e  dello  artiflzioso  dimostramento  di 
quelle.  Nel  quale  esercizio  famigliarissimo  divenne  di  Virgilio,  di  Orazio, 
dì  Ovidio,  di  Stazio  e  di  ciascuno  altro  poeta  famoso...  Partendo  i  tempi 
debitamente,  le  istorie  da  sé,  e  la  filosofìa  sotto  diversi  dottori  si  argo- 
mentò, non  senza  lungo  affanno  e  studio  d' intendere.  E  preso  dalla  dol- 
cezza del  conoscere  il  vero  delle  cose  racchiuse  dal  cielo,  né  niun'  altra 
più  cara  di  questa  trovandone  in  questa  vita,  lasciando  del  tutto  ogni 
altra  temporale  sollecitudine,  tutto  a  questa  sola  si  diede.  Ed  acciocché 
niuna  parte  di  filosofia  non  vista  da  luì  rimanesse,  nelle  profondità  al- 
tissime della  teologia  con  acuto  ingegno  si  mise,  né  fu  dalla  intenzione 
lo  effetto  lontano,  perciocché  non  curando  né  caldi,  né  freddi,  né  vigilie, 
né  digiuni,  né  alcuno  altro  corporale  disagio,  con  assiduo  studio  per- 
venne a  conoscere  della  divina  essenza  e  delle  altre  separate  intelligenze, 
quello  che  per  umano  ingegno  qui  se  ne  può  ancor  prendere.  E  cosi  come 
In  varie  etadì  varie  scienze  furono  da  lui  conosciute  studiando,  cosi  in 
vari  studi  sotto  vari  dottori  le  comprese.  »  Boccaccio,  Vita  di  Dante,  p.  9. 
«  Ne'  suoi  studj  fu  assiduissimo,  quanto  a  quel  tempo  che  ad  essi  si 
disponea,  in  tanto  che  nicuna  novità  che  s'udisse,  da  quelli  il  potea  ri- 
luuovere.  »  Id.  p.  39.  (Veggasi  ivi  quanto  gli  accadde  a  Siena  nello  Stanzone 


AMMAESTRAMEISTI   DI    LETTERATURA.  129 

sè,  ma  si  acquistano  per  isludio  indefesso:  Tra  colanlo 
senno  Dì  quanto  per  tua  cura  fosti  pieno,  diceva  Virgilio 
a  Stazio:  Purg.  xxi.  23.  Il  sapere  non  è  dolce  ne' suoi  prin- 
cipii:  la  letizia  ne  sarà  poi  la  ricompensa;  ma  non  viene 
che  in  seguito  alle  veglie  durale:  Pur.  x.  31.  Onde  non 
ci  dobbiamo  sgomentare  se  il  camino  in  sulle  prime  ci 
sembri  aspro,  ronchioso  malagevole  ;  che  la  montagna  della 
scienza  è  tale  Che  sempre  al  cominciar  dì  sotto  è  grave,  E 
quanto  uom  pia  va  su,  e  men  fa  male  :  Purg.  iv.  90.  -  Se 
noi  non  temeremo  labore  di  studio  e  liti  di  dubitazioni  che 
al  cominciar  dcW  eria  multiplicatamente  surgono,  noi  acqui- 
steremo il  dilettoso  monte:  continuando  la  luce  della  fi- 
losofia ad  irradiarci,  cadranno  tutte  le  dubitazioni,  qìiasi 
nebuletta  mattutina  alla  faccia  del  sole,  e  rimarrii  libero  e 
pieno  di  certezza  lo  familiare  intelletto,  siccome  V  aere  dalli 
raggi  meridiani  purgato  e  illustrato.  Coni),  ii.  16.  -  L'amore 
della  sapienza  vince  tutti  gli  afietti.  Platone  disse  che  ove 
la  si  potesse  vedere  con  gli  occhi  della  carne  desterebbe 
mirabili  amori.  E  Dante  per  la  dolcezza  della  r//or/a. ebbe 
dimenticato  ogni  disagio  e  V  esigilo:  De  Yulg.  Et.  i.  17. 
Né  dolcezza  di  figlio,  né  la  pietà 

Dei  vecchio  padre,  né  il  debito  amore, 

Lo  qual  dovea  Penelope  far  lieta, 

Vincer  potevo  dentro  a  me  l'  ardore 

Ch'  i'  ebbi  a  divenir  del  mondo  esperto, 

E  degli  vizii  umani  e  del  valore.  Jnf.  xxvi.  9i. 

Egli  fa  dunque  mestieri,  secondo  il  precetto  del  poeta: 
Lascia  lui,  e  varca. 
Che  qui  è  buon  con  la  vela  e  co'  remi 
Quantunque  può  ciascun,  pinger  sua  barca.  Purg.  xii.  5. 
Che  seggendo  in  piuma,  infama  nonsivien,  né  sotto  coltre: 
Inf.  XXIV.  47.  Ed  il  nostro  sommo  tra  le  tre  orribili  infer- 
mità nella  mente  degli  uomini  annovera  pure  la  jattanza, 
essendovi  «  molti  tanto  presuntuosi,  che  si  credono  tutto 
sapere  ;  e  per  questo  le  non  certe  cose  afl'ermano  per  certe  : 

d'uno  speziale).  -  «  Non  poterono  gli  amorosi  desiri,  nò  Le  dolenti  lagrime, 
né  la  sollecitudine  casalinga,  ne  la  lusinghevole  gloria  de'  pubblici  offici, 
né  il  miserabile  esilio,  nò  la  intollerabile  povertà  giammai  colle  loro 
forze  rimuovere  il  nostro  Dante  dal  principale  intendimento,  cioè  da' sacri 
studi;  perocché...  egli  nel  mezzo  di  qualunque  più  fiera  delle  passioni  so- 
praddette, si  troverà  componendo  csbCisi  e&ercitato.  »  Id.  p.  20. 

VOL.  II.  9 


130  AMMAESTRAMENTI   DI   LETTERATURA. 

lo  qiial  vizio  Tullio  massimamente  abbomina  nel  primo  degli 
Officii,  e  Tommaso  nel  suo  Contra  -  Gentili  dicendo  :  »  Sono 
molli,  tanto  di  loro  ingegno  presuntuosi,  che  credono  col 
suo  intelletto  potere  misurare  tutte  le  cose,  stimando  lutto 
vero  quello  che  a  loro  pare,  e  falso  quello  che  a  loro  non 
pare.  E  quinci  nasce,  che  mai  a  dottrina  non  vengono, 
credendo  da  sé  sufficientemente  essere  dottrinali,  mai  non 
domandano,  mal  ascoltano,  disiano  essere  domandati,  e,  anzi 
la  domandazlone  compiuta,  male  rispondono:  Conv.  iv.  15.  - 
Yergogninsi  gli  idioti  di  avere  da  qui  innanzi  lauta  au- 
dacia che  vadano  alle  canzoni,  dei  quali  non  altrimenti 
solemo  riderci,  di  quello  che  si  farebbe  di  un  cieco  il  quale 
distinguesse  i  colori:  De  Vul  El.  ii.  13. 

Modo   di  procedere   nel  rintracciare   la   veritù   e 

nell'acquisto  delle  cog^nizioui.  —  Poni  ben  mente  al 
modo  ch'io  or  tengo  nel  rintracciare  la  verità  che  tu  de- 
sideri conoscere,  e  sì  ti  giovi,  che  altra  volta  tu  sappi 
senza  altra  guida  indirizzarti  alla  verità  cercata: 
Riguarda  bene  a  me  sì  com'  io  vado 

Per  questo  loco  al  ver  che  tu  desiri. 

Sì  che  poi  sappi  sol  tener  lo  guado.  Par.  ii.  124. 

Ogni  verità,  che  non  è  un  principio,  si  manifesta  per  la 
verità  d'alcun  principio,  è  necessario  in  ciascheduna  in- 
quisizione avere  notizia  del  principio,  al  quale  analiticamente 
si  ricorra,  per  certezza  di  tutte  le  proposizioni  che  poi  sì 
assumono  :  De  Mon.  i.  2.  -  Come  nelle  superiori  questioni 
abbiamo  fatto,  similmente  nella  soluzione  di  questa  si  vuole 
pigliare  qualche  principio  fermo,  nella  virtù  del  quale  si 
formino  gli  argomenti  della  verità,  ch'ai  presente  si  ricerca. 
Imperocché  senza  un  principio  prefisso,  non  giova  affaticarsi 
ancora  dicendo  il  vero  ;  conciossiaché  solo  il  principio  è  la 
radice  del  pigliare  i  mezzi:  De  Mon.wi,^.  -  La  natura  vuole 
che  ordinatamente  sì  proceda  nella  nostra  conoscenza,  cioè 
procedendo  da  quello  che  conoscemo  meglio,  in  quello  che 
conoscemo  non  così  bene  ;  dico  che  la  natura  vuole,  in  quanto 
questa  via  di  conoscere  è  in  noi  naturalmente  innata.  Conv. 
u.  1.  -  Quegli  che  conosce  alcune  cose  in  genere,  non  co- 
nosce quelle  perfettamente:  Co7iìm. 6. -Innegabile  principio 
nel  quale  sono  d' accordo  Aristotile  e  Locke  -  inù  le  nostre 


AMMAESTRAMENTI   DI   LETTERATURA.  131 

idee  50)10  generali,  più  sono  incomplete.  (  Locke  )  -  Mal  Iragge 
al  segno  quello  che  noi  vede,  e  così  mal  può  ire  a  questa 
dolcezza  chi  prima  non  l'avvisa:  Conv. ly.'^^.  -  Per  l'abito 
della  scienza  potemo  la  verità  speculare:  Con?;,  ii.  14. 

Ciò  fa  contro  que' molli  che  sono  di  sì  lieve  fantasia^ 
che  in  tutte  le  loro  ragioni  trasvanno,  e  anzi  che  sillogizzino 
hanno  conchiuso.  E  di  quella  conclusione  poi  vanno  di  su- 
bito trasvolando  nell'altra,  e  pare  loro  sottilissimamente 
argomentare,  e  non  si  muovono  da  niuno  principio,  e  nulla 
cosa  veramenle  veggiono  vera  nella  loro  immagine:  Coìii\ 
IV.  13.  -  Il  sillogismo  con  falsi  principii,  dimostrando,  non 
conchiude  verità  :  Conv.  iv.  9. 

Ad  acquistar  cognizioni  non  vuoisi  sempre  disputare; 
né  solo  vuoisi  osservare,  ma  avvicendare  i  ragionamenti  e  le 
osservazioni.  Queste  danno  i  materiali,  e  quelle  le  nozioni, 
ossia  la  forma  delle  cognizioni  :  Inf.  x.  19.  I  veri  sapienti 
riguardano  sempre  con  gratitudine  chiunque  può  avvantag- 
giare la  non  mai  compiuta  ricchezza. 

Il  dubbio  buono  e  fecondo,  quello  che  viene  da  Istinto  di 
natura  e  che  serve  di  a^ensione  dell'anima  umana,  è  il 
dubbio  che  nasce  a' piedi  del  vero,  ed  è  germe  di  quello 
Se  l'uomo  dubita,  il  genere  umano  crede;  se  l'uomo  esita, 
l'umanità  procede;  se  alcuni  uomini  si  dividono  tra  sé, 
la  famiglia  umana  si  aduna  in  se  stessa  più  e  più  intima- 
mente: Par.  IV.  129.  -  Il  poeta  si  mostra  quasi  sempre  inetto 
ad  accertare  da  sé  stesso  il  vero,  per  line  di  rivolgere  la 
nostra  ragione  alla  disciplina  ed  all'esempio  del  maestro: 
Coni'.  IV.  7.  DI  qui  è  che  ove  uopo  il  chieda,  ricorre  ai 
suoi  fidati  e  savi  guidatori,  con  ripeter  loro  nell'una  gui«i 
«)  nell'altra  :  Conviemmi  udirlo  da  voi...  che  io  per  me  indarno 
a  ciò  contemplo:  Par.  xxviii.  57. 

L'esperienza  è  il  fondamento  di  tutte  le  scienze  e  le 
arti  umane.  Ingenerale  l'arte  è  l'imitazione  della  natura 
[Inf.  XI.  103),  e  le  prove  della  esperienza,  giovando  a  raf- 
fermare le  singolari  cognizioni  di  ciò  che  nella  natura  è 
costante,  porgono  fondamento  all'arte,  e  stabiliscono  la 
verità  dell' wso  comune:  Par.  x.  63. 

Esperienza,  se  giainmai  Ja  pruovi, 
Ch'  esser  suol  fonte  a'  rivi  di  vostrarti.  Par.  fi.  95. 


132  AMMAESTRAMEMl    DI   LETTEIIATURA. 

Si  perdoni  al  poeta,  egregìamenle  annoia  il  Tommaseo, 
l'aver  fatto  didattica  del  suo  poema  in  alcuna  parte.  Ne 
ripete  egli  le  cose  volgarmente  note,  ma  cerca  il  nuovo 
del  vero  e  del  noto,  trasceglie  il  più  certo,  e  lo  condensa 
in  sentenze  talvolta  potenti,  e  del  cercare  il  vero  segna 
anche  la  via,  poeta  logico  non  meno  che  teologico,  siccome 
là  dove  pone  il  dubbio  (in/',  xi.  93.  )  modesto  ed  onesto 
come  fonte  di  scienza,  e  qui  dove  dice  dell'  esperienza  che 
esser  suol  fonte  a'  rivi  di  vostr'  arti,  ì  due  dettami  che  a 
taluni  paiono  rivelati  all'umanità  dal  Cartesio  e  da  Bacone. 

Poesia.  -  Definizione  della  Poesia.  —  La  Pocsia   non 

è  altro  che  una  finzione  rettorica,  e  posta  in  musica:  De 
Yul.ELu.  4.  -Li  poeti  coli' arte  musaica  le  loro  parole  hanno 
legate:  Conv.  iv.  6.  —  Le  parole  sciolte  sono  più  capaci  a 
ben  descriver  le  cose.  Inf.  xxviu.  1. 

A  poeti  è  conceduta  maggior  licenza  di  parlare  che  alli 
prosaici  dicitori  :  Vita  N.  §  25. 

Materie  da  trattarsi  colla  poesia.  —  La  salute,  i  pia- 
Céri  di  Venere  e  la  virtù  sono  quelle  tre  grandissime  materie, 
che  si  denno  grandissimamente  fc-atlare,  com'è  la  gagliar- 
dezza dell'armi,  l'ardenza  dell'amore,  e  la  regola  della 
volontà.  Circa  le  quali  tre  cose  (  se  ben  risguardiamo)  tro- 
veremo gli  uomini  illustri  aver  volgarmente  cantalo;  cioè 
Beltramo  di  Bornio  le  armi;  Arnaldo  Daniello  lo  amore: 
Gerardo  de  Bornello  la  rettitudine;  Cino  da  Pistoia  lo  amore; 
lo  Amico  suo  la  rettitudine  :  De  Vulg.  El.  ii.  2. 

stile  sublime.  —  Noi  usiamo  lo  stile  tragico,  (il sommo 
degli  stili)  quando  colla  gravità  delle  sentenzie,  la  superbia 
dei  versi,  la  elevazione  delle  costruzioni,  e  la  eccellenzia 
dei  vocaboli  si  concorda  insieme...  Che  a  trattare  lo  stile 
tragico  qui  è  la  di/ficultà,  qui  è  la  fatica;  perciò  che  mai 
senza  acume  d' ingegno,  né  senza  assiduità  d' arte,  ne  senza 
abito  di  scienza  non  si  potrà  fare.  De  Vulg.  El.  ii.  4. 

Scienza  e  dottrina  necessaria  al  poeta.  — Per  esser 
vero  poeta  conviene  onorare  (saper  profondamente)  ogni 
scienza,  ed  ogni  arte.  Chi  solo  fa  versi  è  cinguettiere  cantan- 
te, non  poeta.  Epperò  Dante  a  bel  diritto  inlolava  Virgilio: 
colui  che  onora  ogni  scienzia  ed  arte:  iw/.  iv.  73.  —  Quel 
savio  gentil  che  tutto  seppe.  Inf.  vii.  3.  —  Non  si  dee  dicere 


AMMAESTRAMEMl   DI   LETTERATURA.  133 

vero  filosofo  alcuno  che  per  alcuno  dile'.to  colla  sapienza  in 
alcuna  parte  sia  amico;  siccome  sono  molti  che  si  dilettano 
in  dire  Canzoni  e  di  studiare  in  quelle,  e  che  si  dilettano 
studiare  in  Reltorìca  e  in  Musica,  e  V  altre  scienze  fuggono 
e  abbandonano,  che  sono  tutte  membra  di  sapienza:  Conv. m.lì. 
Scelta  del  subietto.  —  Ciascuno  debbe  pigliare  il 
peso  della  materia  eguale  alle  proprie  spalle,  acciò  che  la 
virtù  di  esse  dal  troppo  peso  gravala,  non  lo  sforzi  a  ca- 
dere nel  fango  :  De  Yulg.  El.  ii.  4.  -  Le  cose  buone  ai  degni, 
le  migliori  ai  più  degni,  e  le  ottime  ai  degnissimi  si  con- 
vengono: Z^e  yi!//f/.jÈ7.  11.  1.  -  Dante  non  voleva  cimentarsi  a 
parlare  della  sua  Donna  sì  altamente,  che  poi  divenisse  vile, 
cioè  abbandonasse  l'impresa  per  temenza  di  non  poter  se- 
guitare in  guisa,  da  raggiungere  con  le  parole  si  alte  cose: 
Ed  io  non  vo'  parlar  sì  altamente, 
Che  divenissi  per  temenza  vile.  Canz.  ii.  1. 

Si  confessi  dunque  la  sciocchezza  di  coloro,  i  quali  senza 
arte,  e  senza  scienzia,  confidandosi  solamente  nel  loro  in- 
gegno, si  pongono  a  cantare  sommamente  le  cose  somme. 
Adunque  cessino  questi  tali  da  tanta  loro  presunzione,  e  se 
per  la  loro  naturale  desidia  sono  oche,  non  vogliano  l'a- 
quila, che  altamente  vola,  imitare  :  De  Yulg.  El.  ii.  4. 

Eloquenza.  E  qual  cosa  è  di  maggior  potenzia  che  quella 
che  può  i  cuori  degli  uomini  voltare  in  modo  che  faccia 
colui  che  non  vuole  volere,  e  colui  che  vuole  non  volere? 
De  Yulg.  El.  i.  17. 

L'ordine  del  sermone  si  pertiene  alli  Rettorie!.  Conv. 
11. 12.  -  Lo  sermone  è  ordinalo  a  manifestare  lo  concetto 
umano.  É  virtuoso  quando  quello  fa  ;  e  più  virtuoso  è 
quello  che  più  lo  fa:  Conv.  i.  5.  -  In  ciascuna  scienza  la 
scrittura  è  stella  piena  di  luce,  la  quale  quella  scienza  di- 
mostra: Coni).  11. 16.  -  In  ciascuna  cosa  di  sermone  lo  bene 
manifestare  del  concetto  è  più  amato  e  comendato:  Conv. 
1. 12.  -  (  Da  qui  vedesi  come  Dante  facesse  gran  conto  della 
chiarezza  del  favellare,  il  che  sia  detto  a  coloro  che  si  com- 
piacciono d'una  sublimità  tenebrosa.  Tor.  Tasso  interlineava 
questa  sentenza.)  La  loquela  è  necessario  istromento  ai  nostri 
concetti;  non  altrimenti  che  il  cavallo  al  soldato;  e  con- 
venendosi gli  ottimi  cavalli  agli  ottimi  soldati.    T ottima 


134  AMMAESTRAMENTI  DI  LETTERATURA. 

loquela  agli  ottimi  concetti  si  conviene:  De  Vulfj.  El.  ii.  1.  - 
Gli  ottimi  concetti  non  possono  essere  se  non  dov'è  scienza 
ed  ingegno:  De  Yiilg.  El.  ii.  -  La  bontà  e  la  bellezza  di 
ciascun  sermone  sono  in  tra  loro  partite  e  diverse  ;  che  la 
bontà  è  nella  sentenza,  e  la  bellezza  nell'ornamento  delle 
parole:  e  l'una  e  l'altra  è  con  diletto,  avvegnacchè  la  bou- 
tade sia  massimamente  dilettosa:  Con?;,  ii.  12.  (Il  Perticarl 
annotava  :  Dunque  anche  dalla  parte  del  diletto  Dante  facea 
più  stima  della  sentenza  che  delle  parole.  ) 

Esordio.  —  Il  proemio  è  il  principio  dell'orazione,  co- 
me il  prologo  nella  poesia,  ed  il  preludio  nel  suono.  Questo 
proemio  per  lo  più  denominato  esordio,  si  fa  dai  poeti  in 
un  modo  e  dai  retori  in  un  altro.  Perocché  questi,  a  con- 
ciliarsi l'animo  dell'uditore,  sogliono  prelibare  la  proposta 
materia  ;  ma  ì  poeti,  oltre  a  ciò  soggiungono  pur  anco  una 
qualche  invocazione...  Ad  esordir  bene  richieggonsi  tre 
cose,  secondo  Tullio  nella  nuova  Rettorica,  e  sono;  che 
altri  renda  benevolo  e  attento  e  docile  l' uditore  :  In  uti- 
litate  dicendorum  benevolentia  paritur:  in  admirabìlitate 
attentìo  :  in  possibilitate  docilìtas.  Lett.  a  Cangrande  della 
Scala,  §  18, 19. 

In  ciascuna  maniera  di  sermone  lo  dicitore  massimamente 
dee  intendere  alla  persuasione,  cioè  all'abbellire  dell' au- 
dienza,  siccome  quella  eh'  è  principio  di  tutte  le  altre  per- 
suasioni, come  li  Rettoricì  fanno,  e  potentissima  persuasione 
sia,  a  rendere  l'uditore  attento,  promettere  di  dire  nuove 
e  grandiose  cose:  Conv.  ii.  7. 

Parlare  di  sé  medesimo  non  par  lìcito.  Non  si  concede 
per  li  Rettorici  alcuno  di  sé  medesimo  senza  necessaria  ca- 
gione parlare:  Conv.  i.  2. 

Confutazione.  —  Acciò  che  alla  nostra  investigazione 
possiamo  avere  un  picciolo  calle,  gittiamo  fuori  della  selva 
gli  arbori  attraversati  e  le  spine:  De  Ynlg.  El.  1. 11.  -  Giova 
prima  riprovare  il  falso  e  poi  trattar  lo  vero: 

Certo  assai  vedrai  sommerso 
Nel  falso  il  creder  tuo,  se  bene  ascolti 
L' argomentar  cU'  io  gli  farò  avverso.  Par.  ii.  61. 

Il  che  è  richiesto  dalla  natura  de'  nostri  intelletti,  i  quaK 
piegando  alle  opinioni  correnti,  non  di  rado  avviene  che 


AMMAESTRAMENTI  DI  LETTERATURA.  133 

ne  restino  occupati,  si  che  poscia  si  rendano  difficili  ad  ac- 
cogliere e  sostenere  la  luce  della  verità:  Par.  xiii.  Ii8.  -  In- 
tanto s' intende  riprovare  lo  falso,  in  quanto  la  verità  si 
fa  meglio  apparire,  e  acciocché  fugate  le  male  opinioni, 
la  verità  poi  sia  più  liberamente  ricevuta.  E  questo  modo 
tenne  il  maestro  dell'umana  ragione,  Aristotile,  che  prima 
sempre  combattè  gli  avversari  della  verità,  e  poi,  quelli 
convinti,  la  verità  mostrò:  Conv.  iv.  2.  -  E  con  tutta  licenza, 
con  tutta  franchezza  d'animo  è  da  ferire  nel  petto  alle  vi- 
ziate opinioni,  quelle  per  terra  versando,  acciocché  la  ve- 
race, per  questa  mia  vittoria,  tenga  lo  campo  delle  menti  di 
coloro  per  cui  fa  questa  luce  avere  vigore:  Conv.w.  9.  -Gassi 
gli  argomenti  degli  avversari,  e  così  falsificato  il  lor  pa- 
rere (  Par.  11.  83  ),  T  intelletto  rimarrà  libero  in  guisa  che 
dì  loro  false  ragioni  nulla  ruggine  rimanga  nella  mente 
che  alla  verità  sia  disposta:  Couv.iv.  15. 

itrsomentazionc.  —  Quella  Orazione  si  può  dire  che 
I)ene  venga  dalla  fabbrica  del  Rettorico,  la  quale  a  cia- 
scuna parte  pone  mano  al  principale  intento:  Conv.  ni.  1.- 
Fastidium  est  in  rebus  manifestissimis  probationes  adducere: 
De  Mon.  ni.  §  13.  -  Gli  argomenti  debbono  essere  stringenti: 
(Deve  armarsi  d'ogni  ragione:  Par.  xxiv.  49.  -  Con  aperta 
ragione:  Jnf.  xi.  33.  -  Aperte  prove:  Par.  xiii.  124.  -  Argo- 
menti gravi:  Inf.  xxvii.  106.  -  È  sillogismo,  che  ,la  mi  ha 
conchiusa  Acutamente  sì,  che  in  verso  d'  ella  Ogni  dimo- 
strazion  mi  pare  ottusa:  Par.  xxiv.  94.  -  I  tuoi  argomenti 
Mi  son  sì  certi,  e  prendon  sì  mia  fede,  Che  gli  altri  mi  sarian 
carboni  spenti.  Inf.  xx.  100.) 

E  bel  modo  rettorico,  quando  di  fuori  (apparentemente) 
pare  la  cosa  disabbellirsi,  e  dentro  veramente  s'abbellisce: 
Conv.  11.  8. 

Il  Rettorico  dee  molta  cautela  usare  nel  suo  sermone, 
acciocché  l'avversario  quindi  non  prenda  materia  di  sturbare 
la  verità:  Conv.  ii.  8. 

Siccome  molte  volte  avviene  che  l'  ammonire  pare 
presuntuoso  per  certe  condizioni,  così  suole  lo  Rettorico 
indirettamente  parlare  altrui,  dirizzando  le  sue  parole,  non 
a  quello  per  cui  dice,  ma  verso  un  altro:  Cony.ii.  12. -Queste 
parole  fa  che  sieno  quasi  un  mezzo,  sì  che  tu  non  parli  a 


136  AMMAESTRAMENTI  DI  LETTERATURA. 

lei  immediatamente,  che  non  è  degno:  Vita  i\tiova,  §.12. 

È  mollo  laudabile  in  Retlorica  la  Dissimulazione,  e  anche 
necessaria,  cioè  quando  le  parole  sono  a  una  persona,  e 
la  intenzione  è  a  un' altra;  perocché  l'ammonire  è  sempre 
laudabile  e  necessario,  e  non  sempre  sta  convenevolmente 
nella  bocca  di  ciascuno...  È  simigliante  all'opera  di  quello 
savio  guerriero  che  combatte  il  castello  da  un  lato  per  le- 
vare la  difesa  dall'altro,  che  non  vanno  a  una  parte  la 
intenzione  dell' aiutorlo,  e  la  battaglia:  Conw.  ni.  10. 

Definizione  è  quella  ragione  che  il  nome  significa:  Conv. 
111.  li. 

Mi  volgo  alla  Canzone,  e,  sotto  colore  d'insegnare  a  lei 
come  sé  scusare  le  conviene,  scuso  quella.  Ed  é  una  figura 
questa,  quando  alle  cose  inanimate  si  parla,  che  si  chiama 
dalli  Rettorici  Prosopopea  ;  ed  usanla  molto  spesso  li  poeti  : 
Conv.  111.  9. 

Gli  argomenti  più  robusti  si  debbono  tenere  per  ultimi 
perchè  facciano  maggior  colpo: 

Come  colui  che  dice, 
E  il  più  caldo  parlar  dietro  riserva,  Purg.  xxx.  "1. 

Sempre  quello  che  massimamente  dire  intende  lo  dicitore, 
(quello  che  più  di  tutto  gli  sta  a  cuore  sia  inleso)  si  dee 
riservare  di  dietro  :  perocché  quello  che  ultimamente  si  dice, 
più  rimane  nell'animo  dell'uditore:  Conv.u.  9. 

Ciascuno  buono  fabbricatore  nella  fine  del  suo  lavoro 
quello  nobilitare  e  abbellire  dee,  in  quanto  puote,  acciocché 
più  celebre  e  più  prezioso  da  lui  si  parta:  Co«y.  iv.  30. 

Grammatica  —  La  Grammatica,  la  prim"  arte  {Par.  xii. 
138.),  debb'essere  una  inalterabile  conformità  di  parlare  in 
diversi  tempi  e  luoghi  pel  comune  consenso  di  molte  genti 
regolata:  non  soggetta  al  singolare  arbitrio  di  ninno:  tro- 
vata acciocché  per  la  variazione  del  parlare  (il  quale  per 
lo  singolare  arbitrio  si  muove)  non  ci  fossero  in  tutto  tolte 
0  imperfettamente  date  le  autorità,  ed  i  fatti  degli  antichi, 
e  dì  coloro  dai  quali  la  diversità  de'  luoghi  ci  fa  essere 
divìsi:  De  Vulg.  El.  i.  9.  (  Conv.  ii.  14.) 

Traduzioni.  —  Nulla  cosa  per  legame  musaico  armo- 
nizzata si  può  della  sua  loquela  in  altra  tramutare  senza 
rompere  tutta  sua   dolcezza   e   armonia.  E   questa   ò   la 


AMMAESTRAMENTI  DI  LETTERATURA.  137 

ragione  per  che  Omero  non  si  mutò  di  greco  in  latino, 
come  l'altre  scritture  che  avemo  da  loro:  e  questa  è  la 
ragione  per  che  i  versi  del  Psaltero  sono  senza  dolcezza 
di  musica  e  d' armonia  ;  che  essi  furono  trasmutati  di 
ebreo  in  greco,  e  di  greco  in  latino,  e  nella  prima  trasmu- 
tazione tutta  quella  dolcezza  venne  meno:  Conv.  i.  7.  (Y. 
CowiM.  10.  pag.  99.) 

Commenti.  —  La  sposizione  dev'  esser  luce,  la  quale  ogni 
colore  della  sentenzia  {degli autori)  faccia  parvente:  Conv. i.l. 
Intende  essa  mostrare  la  vera  sentenza  di  quelle  (  delle  sue 
Canzoni)  che  per  alcuno  vedere  non  si  può,  s'io  non  la  conto, 
perch'è  nascosa  sotto  figura  d'allegoria;  e  questo  non  so- 
lamente darà  diletto  buono  a  udire,  ma  sottile  ammaestra- 
mento, e  a  cosi  parlare,  e  a  così  intendere  le  altrui  scritture  : 
Conv.  I.  2.  -  Questo  Signore,  cioè  queste  Canzoni,  alle  quali 
questo  Comento  è  per  servo  ordinato,  comandano,  e  vogliono 
essere  esposte  a  tutti  coloro  alli  quali  può  venire  si  lo  loro 
intelletto,  che  quando  parlano  elle  sieno  intese:  (Vogliono 
essere  esposte  a  tutti  coloro,  i  quali  hanno  già  tanta  co- 
gnizione d'esse  Canzoni,  che  quando  parlano,  elle  possano 
essere  intese  d'un  intelligenza  almeno  estrinseca  e  mate- 
riale.) Co?iy.  I.  7.  -  Parlare,  sponendo,  troppo  a  fondo,  pare 
non  ragionevole:  Conv.  L'i. 

Li  lunghi  capitoli  sono  nemici  della  memoria:  Conv.  iv.  4. 

i.ettcrati  venali.  —  Non  SÌ  devono  cliiamare  letterali, 
lo  dico  a  vituperio  di  loro,  quelli  che  acquistano  le  lettere, 
non  per  lo  suo  uso,  ma  in  quanto  per  quelle  guadagnano 
danari  e  dignità...  La  malvagia  disusanza  del  mondo  haja- 
sciato  la  letteratura  a  coloro  che  l' hanno  fatta  di  donna 
meretrice  :  Conv.  i.  9.  -  Non  si  dee  chiamare  vero  filosofo 
colui  eh'  è  amico  dì  sapienzia  per  utilità....  Conv.  iii.  11. 

Ciiudizio  dell'opere.  —  Nel  giudicio  dell'opere  si 
debbe  aver  dinanzi  non  tanto  i  precetti  della  teoria  che 
della  pratica.  Gl'inetti,  e  son  molti,  vuoti  di  discernimento, 
ma  gonfi  di  superbia,  decidono  con  ridicola  prosopopea  del 
merito  dei  libri,  senza  pur  averli  letti,  o  se  letti,  certo 
non  intesi;  e  lodano  o  vituperano,  secondo  che  udirono  o 
lodarli  o  vituperarli  da  chi  e  come  non  importa.  E  stato 
sempre  così,  ed  è  così.  B.  Bianchi. 


138  AMMAESTRAMENTI  DI  LETTERATURA. 

A  voce  più  eh'  al  ver  drizzan  li  volti, 
E  così  ferman  sua  opinione 
Prima  ch'arte  o  ragion  per  ior  s'ascolti.  Pur(j.xx\\.lt\. 

Oltre  di  che  dobbiamo  moverci  lento,  e  sempre  col  piombo 
a'  piedi,  nel  criticare  e  calunniare  le  dottrine  dei  maggiori 
e  de'  coetanei.  Egli  può  essere  che  i  loro  concetti  sieno 
diversi  da  quello  che  ci  son  presentati  dalle  loro  parole,  e 
che  la  sostanza  di  essi  sia  tale  da  non  meritare  di  essere 
derisa  : 

E  forse  sua  sentenzia  è  d' altra  guisa 
Che  la  voce  non  suona,  ed  esser  puole 
Con  intenzion  da  non  esser  derisa.  Par.  iv,  53. 
Rispetto  reciproco  tra  i  cultori  d'  un'arte  mede- 
sima, tra  gli  uomini  di  lettere.  -Fra  quelli  che  profes- 
sano una  medesim'arte  non  deve  regnare  invidia.   «  Chi 
un  valente  uomo  infama  è  degno  d'essere  fuggito  dalla 
gente,  e  merita  di  essere  da  tutti  scacciato»:  Conv.  iv.  29. 
L'invidioso  non  ama  l'arte  ma  sé  slesso,  e  così  gli  manca 
lo  stimolo  a  divenir  grande.  Chi  per  contrario  ama  vera- 
mente un'arte,  gode  ch'essa  avanzi  e  venga  illustrata,  e 
perciò  ricorda  ed  ascolta  i  nomi  onorati,  ne  ritrae  con  af- 
fezione l'opere  degne  {Inf.  xvj.  60),   le  raccomanda  allo 
studio  ed  all'  ossequio  altrui,  non  ne  nutre  che  una  nobile 
emulazione,  derivante  dall'amore  dell'arte  medesima: 

Perocché  ciascun  meco  si  conviene 
Nel  nome  che  sonò  la  voce  sola, 
Fannomi  onore,  e  di  ciò  fanno  bene.  Inf.  iv.  91. 

Gli  uomini  illustri  godono  di  vedersi  dì  conoscersi  e  di 
gtìraarsi  a  vicenda:  Grazioso  fia  lor  vedervi  assai:  Piircj.  viu. 
45.  -  Onde  Virgilio  a  Dante  che  pensava  di  bel  soggiorno  : 
Menerotti  ad  esse  ,  E  non  senza  diletto  ti  fien  note  :  Purg.  vii. 
47.  -  E  l'affettuoso  discepolo  cui  stava  a  cuore  la  cono- 
scenza di  color  che  sanno,  soggiungeva:  Menane —  là 've 
dici.  Ch'aver  si  può  diletto  dimorando:  Piirg.wi.  62.  Dante, 
vedendo  in  luogo  aperto  luminoso  ed  alto  la  schiera  degli 
spiriti  illustri,  avea  il  sentimento  del  sublime,  ed  espri- 
mealo  in  quel  verso  meraviglioso: 

Che  di  vederli  in  me  stesso  m' esalto.  Inf.  iv.  120. 
Magnifico  concetto!  Questo  verso  era  la  passione  di  lord 
Byron,  e  ripetealo  sovente. 


AMMAESTRAMENTI  DI  LETTERATURA.  139 

Però  egli  non  tace  di  ricordare  l'alterezza  e  la  schifiltà 
d'alcuni  uomini,  sommi  in  vero,  ma  che  vinti  dal  gran  disw 
dell'  eccellenza,  vivendo,  non  sono  cortesi  da  rendere  altrui 
il  meritato  tributo  di  lode  ;  lo  che  serve  al  poeta  di  fare 
una  bellissima  tirata  sopra  le  umane  vanità:  Purg.xi.^o.- 
L'uomo  non  deve  insuperbirsi  e  schifare  altrui,  per  ingegno 
eh'  egli  abbia  ;  perocché  non  v'  è  mai  merito  sì  grande  che 
non  possa  darsene  uno  maggiore  :  Purg.  xi.  94.  -  Quanto 
cara  e  bella  insieme  non  è  la  pittura  del  grande  uomo  di 
intelletto  che  ci  lasciò  il  Tasso  nella  sua  Aminta,  Atto  1. 
Scena  II. 

Era  su  l' uscio, 
Quasi  per  guardia  delle  cose  belle, 
Uom  d'aspetto  magnanimo  e  robusto,... 
Che  con  fronte  benigna  insieme  e  grave. 
Con  regal  cortesia  invitò  dentro 
Ei  grande  e  'n  pregio  me  negletto  e  basso. 
Oh  che  sentii!  che  vidi  allora! 


FILOSOFIA  DI  DANTE 


"  L'Ozanain  cliiama  Dante  il  più  grande 
filosofo  de'  suoi  tempi,  e  come  ciò  fosse  poco, 
ecco  il  Gioberti  prender  le  mosse  da  lui  per 
fondare  l' immensa  sintesi,  che  richiamando 
a'  piincipii  la  filosofia,  la  storia,  1'  estetica  e 
la  fede  italiana,  sorge  glorioso,  ad  impugnarv 
il  colosso  del  panteismo  moderng. 

DALL'  OKGABO 


Lodi  della  Filosofia.  —  Sposa  dell'  imperatore  del 
cielo...  e  non  solamente  sposa  ma  suora  e  figlia  dilettissi- 
ma: Conv.  ìli.  12.  -  La  bellissima  onestissima  figlia  dell'impe- 
ratore dell'universo:  Conv.u.ì^.  -  Donna  dell'intelletto: 
Cont).  111.  19.  -  Questa  donna  fu  figlia  d'Iddio,  regina  di  tutto, 
nobilissima  e  bellissima  Filosofia:  Coni',  u.  13.  -  Veramente 
è  donna  piena  di  dolcezza,  ornala  d'onestade,  mirabile  di 
savere,  gloriosa  di  libertade...  Gli  occhi  di  questa  donna 
sono  le  sue  dimostrazioni,  le  quali  dritte  negli  occhi  dell'in- 
telletto, innamorano  l'anima,  liberata  nelle  condizioni.  Oh 


140  FILOSOFIA  DI  DANTE. 

dolcissimi  ed  ineffabili  sembianti,  e  rubatori  siibitani  della 
mente  umana,  che  nelle  dimostrazioni,  cioè  negli  occhi  della 
Filosofia  apparite,  quando  essa  alli  suoi  drudi  ragiona!  Ve- 
ramente in  voi  è  la  salute,  per  la  quale  si  fa  beato  chi  vi 
guarda,  e  salvo  dalla  morte  della  ignoranza  delli  vizi: 
Cony. II.  16. -Della  Filosofia  è  cagione  efficiente  la  verità... 
fine  della  Filosofia  è  quella  eccellentissima  dilezione  che 
non  paté  alcuna  intermissione  ovvero  difetto,  cioè  vera  feli- 
cità, che  per  contemplazione  della  verità  s'acquista:  Conv. 

III.  11.  (V.  Conv.  III.  tutto  il  cap.  11).  Iddio,  che  tutto  gira 
é  intende,  in  suo  girare  e  suo  intendere  non  vede  tanto 
gentil  cosa,  quant'elli  vede  quando  mira  là  dov'è. questa 
Filosofia...  in  quanto  perfettissimamente  in  sé  la  vede... 
Filosofia  è  uno  amoroso  uso  di  sapienza  (  Y.  Conv.  ni.  12. 
p. 241). -Quella  luce  virtuosissima  Filosofia,  i  cui  raggi  fanno 
1  fiori  rinfronzire  e  fruttificare  la  verace  degli  uomini  nobil- 
tà: Conv.  IV.  1. 

Desiderio  della  seienza.  -  La  scienza  non  si  deve 
nascondere  ma  comunicare.  —  Tutti  gli  uomini  natu- 
ralmente desiderano  di  sapere.  La  scienza  è  l' ultima  per- 
fezione della  nostra  anima,  nella  quale  sta  la  nostra  ultima 
felicità,  sicché  tutti  naturalmente  al  suo  desiderio  siamo  sug- 
getti:  Conv. LÌ. -lì  desiderio  della  scienza  non  è  sempre  uno, 
ma  è  molti  :  e  finito  1'  uno,  viene  l'altro  ;  sicché,  propriamente 
parlando,  non  è  crescere  lo  suo  dilatare,  ma  successione 
di  piccola  cosa  in  grande  cosa...  Questo  cotale  dilatare  non 
è  cagione  d' imperfezione,  ma  di  perfezione  maggiore:  Conv. 

IV.  13.  -  Nel  desiderare  della  scienza  successivamente 
finiscono  li  desideri!,  e  viensi  a  perfezione...  Scienza  per- 
fetta è  nobile  perfezione,  e  per  suo  desiderio  perfezione 
non  perde:  Conv.iw.  13.  -  Chi  gltta  via  la  sapienza  e  la 
dottrina  è  infelice...  Per  l' abito  della  sapienza  seguita  che 
s' acquista  e  felice  essere  e  contento,  secondo  la  sentenza 
del  Filosofo:  Conv.  ni.  15.  -  Oh  beati  que' pochi  che  seggono 
a  quella  mensa  ove  il  pane  degli  Angeli  si  mangia,  e  mi- 
«eri  quelli  che  colle  pecore  hanno,  comune  cibo!  Conv.\.l.- 
{Pochi  drizzan  il  collo  Per  tempo  al  pan  cleijli  Angeli,  del  quale 
Vivesi  qui  ma  non  sen  vlen  satollo:  Par.  ii.  10.)  -  Quelli,  alla 
cui  anima  questo  raggio  divino  non  risplende,  sono  siccome 


FILOSOFIA  DI  DAME.  141 

valli  volte  ad  aquilone,  ovvero  spelonche  sotterranee,  dove 
la  luce  del  Sole  mai  non  discende  se  non  ripercossa  da 
altra  parte  da  quella  illuminata:  Conv.  iv.  20. -  Ond' egli  si 
fa  ad  esclamare:  0  ineffabile  sapienza  che  così  ordinasti, 
quanto  è  povera  la  nostra  mente  a  te  comprendere!  E  voi, 
a  cui  utilità  e  diletto  io  scrivo,  in  quanta  cechità  vivete,  non 
levando  gli  occhi  suso  a  queste  cose,  tenendoli  fissi  nel 
fango  della  vostra  stoltezza  !  Conv.  in.  5.  -  Oh  peggio  che 
morti,  che  l'amistà  di  costei  fuggite!  Aprite  gli  occhi  vo- 
stri, e  mirate  che  anzi  che  voi  foste,  ella  fu  amatrice  di 
voi,  acconciando  e  ordinando  il  vostro  processo;  e  poiché 
fatti  foste,  per  voi  dirizzare,  in  vostra  similitudine  venne 
a  voi:  e  se  tutti  al  suo  cospetto  venire  non  potete,  onorate 
lei  ne'  suoi  amici,  e  seguite  li  comandamenti  loro,  siccome 
quelli  che  v'annunziano  la  volontà  di  questa  eternale  Im- 
peradrice...  Non  chiudete  gli  orecchi  a  Salomone  che  ciò  vi 
dice,  dicendo  che  «  la  via  de'  giusti  è  quasi  luce  splendente, 
che  procede  e  cresce  infino  al  dì  della  beatitudine»  andando 
loro  dietro,  mirando  le  loro  operazioni,  ch'esser  debbono  a 
voi  luce  nel  cxmmino  di  questa  brevissima  vita:  Conv.  in.  15. 
Ma  la  scienza  non  si  deve  nascondere  ma  comunicare  - 
{V.De  Non.  i.  1.):  Gli  uomini  illustri  perchè  illuminati  di 
potenz'Li  sogliono  con  giustizia  e  carità  gli  altri  illuminare, 
ovvero  perchè  eccellentemente  ammaestrati,  eccellentemente 
ammaestrare:  De  ViiUj.  FA.  1. 17.  -  Coloro  che  sanno  debbono 
liberalmente  porgere  della  loro  buona  ricchezza  alli  veri 
poveri,  e  sicno  quasi  fonte  vivo,  della  cui  acqua  si  refrigera 
la  naturai  sete  che  mai  non  sazia:  Conv.  \.  1. 


FILOSOFIA  DI  D.ÌNTE 
IL  VERO 


La  virtù  della  verità  ogni  autorità  con- 
vince. Conv.  rV'.  3. 

Ho  meco  il  maestro  de'  Filosofi,  il  quale 
domatizzando  d'  ogni  morale  soggetto,  la  ve- 
rità insegnò  esseie  sopra  tutti  gli  aauici  da 
preferirsi.  Ep.IX.  5. 


I  Filosofi  antichi  vaneggiarono  nella  ricerca  del  vero; 
da  Parmenide  e  da'  superbi  suoi  eleatici  che  gittavansì  nella 
profondità  del  ragionamento  senza  conoscere  dove  dessero 
di  capo,  li  quali  andavan  e  non  sapean  dove  (Par.  xiii.  125) 
fino  ad  Epicuro  e  a' suoi  seguaci  che  l'anima  col  corpo 
morta  fanno  {Inf.x.Vò)',  da  Pitagora,  che  fa  discendere 
le  anime  attraverso  a  tutti  i  gradi  della  creazione,  sino  a 
Platone  che  le  vede  risalire  alle  stelle  donde  emanaro- 
no: Par.  IV.  2lì.-  Zenone  vide  e  credette  il  fine  della  vita 
umana  essere  solamente  la  rùjida  onestà,  donde  la  setta 
degli  Stoici  ;  Epicuro  la  voluptà,  cioè  diletto  senza  dolore  ; 
Socrate  con  Platone  posero  il  fine  nella  nostra  opera- 
zione, senza  soperchio  e  senza  difetto,  misurata  col  mezzo 
per  nostra  elezione  preso,  eh' è  viriti:  e  questa  setta  dal- 
l'Accademia, dove  Platone  studiava,  s'intitolò  degli  Acca- 
demici; da  ultimo  i  Peripatetici,  seguaci  d'Aristotile,  che 
Uììiùro  e  a  perfezione  la  Filosofia  morale  ridussero  :  Conv.  iv.6. 

II  poeta  biasima  duramente  i  filosofi  del  suo  tempo  per- 
chè le  ambagi  della  scolastica  facessero  loro  smarrire  la 
buona  via,  e  l'amore  dei  sistemi  vincesse  in  essi  l'amore 
del  vero  :  Par.  xiii.  97. 

Voi  non  andate  giù  per  un  sentiero 
Filosofando;  tanto  vi  trasporta 
L'amor  dell'apparenza  e  il  suo  pensiero.  Par. xiii. 81. 
Fuori  di  Dio  non  si  spazia  nessun  l'ero. 

Io  veggo  ben  che  giammai  non  si  sazia  » 

-Castro  intelletto,  se  il  Ver  non  lo  illustra, 


IL  VERO.  143 

Di  fuor  dal  qual  nessun  vero  si  spazia. 

Posasi  in  esso,  come  fera  ia  lustra, 
Tosto  che  giunto  l'ha:  e  giunger  puollo  ; 
Se  non,  ciascun  desio  sarebbe  frustra. 

Nasce  per  quello,  a  guisa  di  rampollo, 
Appiè  del  vero  il  dubbio,  ed  é  natura, 
Ch'ai  sommo  pinge  noi  di  collo  in  collo.  Par.  iv.  124. 

In  queste  poche  terzine  è  compresa  la  filosofia  dì  molti 
libri.  L'intelletto  dell' uomo  si  adagia  in  alcune  verità,  come 
una  fiera  nella  sua  caverna,  e  la  storia  fa  splendida  e  do- 
lorosa fede  cli'ei  le  difende  con  una  ferocia,  la  quale  vince 
d'assai  quella  delle  belve.  Che  dal  prudente  dubitare  nasca 
il  vero,  e  dal  vero  il  dubbio,  siccome  rampollo  al  pie  d' un 
albero,  si  conferma  nei  risultamenti  d'ogni  scoperta  che 
si  faccia,  la  quale  quei  limiti  che  sono  nel  campo  dello  sci- 
bile allontana,  ma  non  toglie.  E  alla  speranza  che  ha  l'uomo 
di  arrivare  al  primo  vero,  non  dà  la  filosofia  ^miglior  fon- 
damento che  la  sentenza  compresa  in  questo  verso:  Se  non^ 
ciascun  disio  sarebbe  frustra.  Infatti,  per  quanti  siano  1 
giorni  del  mortale  su  questa  terra,  egli  l'abbandona  senza 
esser  giunto  al  suo  scopo,  senza  che  in  alcuna  cosa  gli 
si  acqueti  il  cuore  e  la  mente.  Non  meno  gravi  di  pro- 
fondi, ma  invidiosi  veri,  sono  le  ultime  parole  della  ricor- 
data terzina:  ed  è  natura,  Ch'ai  sommo  pinge  noi  di  collo 
in  collo.  L'amore  del  vero,  dal  quale  deriva  il  corso  delle 
nazioni  e  il  progresso  della  civiltà,  è  natura:  cosicché  ta 
guerra,  la  quale  vien  fatta  alla  ragione,  è  una  crudeltà  in- 
sensata. Non  è  dato  a  potenza  alcuna  rompere  quello  che 
il  Vico  chiamò  legge  [dell'umanità;  e  su  gli  stoltamente 
malvagi,  che  indarno  lo  tentano,  pesa  ad  un  tempo  l'infa- 
mia e  la  sventura.  Mirabilmente  concorda  con  Bacone  l'Al- 
lighieri  osservando  che  noi  siamo  spinti  al  sommo  di  collo 
in  collo,  d'altezza  in  altezza,  e  saliti,  per  così  dire,  su  quelli 
che  ci  precedono  :  quindi  le  care  speranze  di  quei  progressi 
che  le  leggi  immutabili  della  natura  promettono  alle  gene- 
razioni future,  le  quali  godranno  la  vera  utilità  del  tempo, 
di' è  l'esperienza.  »  iMcolini,  Dell' universalità  e  nazionalità 
della  Divina  Comedia.  Y.  Nicolini,  Opere,  IH.  2;);J. 

L'  uomo  appas^iionato  non  è  vero  né  giuHto  esti- 
matore di  sé  e  delle  cose. 


144  FILOSOFIA  DI  DANTE. 

0  insensata  cura  de'  mortali, 
Quanto  son  difettivi  sillogismi 
Quei  che  ti  fanno  in  basso  batter  l'ali  !  Par.  xxi.  1. 

L'occhio  carnale  è  rocchio  che  non  vede  il  vero:  Purg. 
XV.  234.  -  «L'animo  è  infermo  allorché  è  di  troppo  desi- 
derio passionato;  e  allora  falsa  nel  parere  le  cose,  che  ci 
si  appresentano  discordanti  dal  vero:  »  Conv.  in.  10.  -  «  Il 
giudizio  è  mezzo  Ira  l'apprensione  e  l'appetito.  Imperoc- 
ché prima  la  cosa  s'apprende,  e  poich'ella  é  compresa  si 
giudica  buona  o  mala,  e  ultimamente  colui  che  ha  giudicalo 
0  la  seguita  o  la  fugge.  Adunque  se  il  giudizio  muove  in  tutto 
l'appetito,  e  non  è  in  alcun  modo  da  lui  prevenuto,  certa- 
mente è  libero.  Ma  se  il  giudizio  è  mosso  dall'appetito  in 
qualunque  modo  preveniente,  non  può  esser  libero,  ma  è 
menato  da  altri  e  preso:»  De  Mon.  i.  14.  -  «  Agli  uomini, 
che  volano  con  lo  appetito  innanzi  alla  considerazione  della 
ragione,  sempre  questo  seguita:  ch'eglino  male  disposti,  e 
posposto  il  lume  della  ragione,  sono  tirati  come  ciechi, 
dall'affetto,  e  pertinacemente  la  loro  cecità  niegano.  Onde 
spesso  avviene,  che  la  falsità  non  solamente  ha  patrimonio, 
ma  che  molti,  de'  loro  termini  uscendo,  discorrano  pei 
campi  altrui,  ov'  eglino  nulla  intendendo,  nulla  sono  intesi  ; 
e  così  provocano  alcuni  ad  ira  ed  indignazione,  altri  a  riso  :  « 
De  Mon.  in.  3.  -  «  Siccome  la  parte  sensitiva  dell'anima 
ha  suol  occhi,  colli  quali  apprende  la  differenza  delle  cose, 
in  quanto  elle  sono  di  fuori  colorate;  così  la  parte  razionale 
ha  suo  occhio,  col  quale  apprende  la  differenza  delle  cose, 
in  quanto  sono  ad  alcuno  fine  ordinate:  e  quest'è  la  di- 
screzione. E  siccome  colui  ch'é  cieco  degli  occhi  sensibili 
va  sempre,  secondo  che  gli  altri,  giudicando  il  male  e  'l 
bene;  così  quelli  ch'é  cieco  del  lume  della  discrezione, 
sempre  va  nel  suo  giudicio  secondo  il  grido,  o  diritto  o  falso 
che  sia.  Onde  qualunque  ora  lo  guidatore  è  cieco  conviene 
che  esso,  e  quello  anche  cieco  eh'  a  lui  s'appoggia,  ven- 
gano a  mal  fine:  Conv.  1. 11. 

L'amore  della  propria  opinione  lega  V intelletlo  ed  im- 
pedisce l'esaminare  sottilmente  quanto  è  necessario  onde 
preservarsi  dall'errore:  Par.  xiii.  118.  -  Della  falsa  opinione 
nascono  i  falsi  giudici,  e  de'  falsi  giudizi  nascono  le  non 


IL  VERO.  145 

giuste  riverenzic,  e  vilìpensioni  ;  per  che  li  buoni  sono  in 
villano  dispetto  tenuti,  e  li  malvagi  onorati  ed  esaltati.  La 
qual  cosa  è  pessima  confusione  del  mondo:  Conv.  iv.  1.  - 
Pericolosissima  negligenzia  poi  è  a  lasciare  la  mala  opinione 
prendere  piede;  che  cosi  come  l'erba  multiplica  nel  campo 
non  cultivato,  e  sormonta  e  cuopre  la  spiga  del  formento, 
sicché,  disparte  agguardando,  il  formento  non  pare,  e  per- 
desi  il  frutto  finalmente  ;  così  la  mala  opinione  nella  mente 
non  gastigata,  nò  corretta,  cresce  e  multiplica,  sicché  la 
spiga  della  ragione,  cioè  la  vera  opinione  si  nasconde,  e 
quasi  sepulta  si  perde  :  Conv.  iv.  7. 

L' intelletto  delF  uomo  è  cinto  di  nebbia  :  La  verità  sola 
può  disnebbiarlo  e  purgare  la  caligine  che  lo  lìede  :  Pur- 
gat.xxvm.  89.  Questa  luce  più  che  altro  si  trova  nel  Verbo 
rivelato.  Purg.  xxvm.  81. 

La  dimostrazione  della  verità  debbe  farsi  per  prove  chiare 
ed  evidenti,  valide  sì  nell' aifermare  che  nel  contraddire. 

Quel  Sol,  che  pria  d'amor  mi  scaldò  il  petto, 
Di  bella  verità  m'avea  scoverto, 
Provando  e  riprovando  il  dolce  aspetto.  Par.  ni.  1. 

Gilè  r  animo  di  quel  eh'  ode,  non  posa 
Ne  ferma  fede  per  esemplo  ch'aia 
La  sua  radice  incognita  e  nascosa, 

Né  per  altro  argomento  che  non  paia.  Par  xvii.  131). 

Vie  più  che  indarno  torna  alla  ricerca  del  vero  colui 
ch'é  privo  d'arte,  poiché  dopo  d' essere  slato  per  vie  torte 
in  cerca  del  vero,  non  solo  torna  indietro,  privo  di  sapere, 
siccome  era  innanzi,  ma  in  peggior  condizione,  cioè  pieno 
di  errori:  (V.  pag.  130) 

Vie  più  che  indarno  da  riva  si  parte, 
Perchè  non  torna  tal  qual  ei  si  move, 
Chi  pesca  per  lo  vero  e  non  ha  l  arte.  Par.  xiii.  121. 

Né  solo  r  Allighieri  era  osservatore  delte  cose,  ma  pro- 
cedeva anche  all'esperienza,  e  se  ne  serviva  nelle  sue  di- 
mostrazioni : 

Da  questa  Instanzia  può  dìliherarti 
Esperienza,  se  (jiammai  la  pruovi. 
Ch'esser  suol  fonte  a'  rivi  di  vostr'arti.  Par.  ii.  94. 

Delle  nuove  cose  il  fine  non  è  certo,  perciocché  l' espe- 
rienza non  è  mai  avuta,  onde  le  cose  usate  e  servate  sono 

YOL.  II.  10 


146  FILOSOFIA  DI  DANTE. 

e  nel  processo  e  nel  fine  commisurate.  Però  si  mosse  la  Ra- 
gione (il  dirillo  civile)  a  comandare  che  l'uomo  avesse  di- 
ligente riguardo  a  entrare  nel  nuovo  cammino,  dicendo: 
che  nello  statuire  le  nuove  cose,  evidente  ragione  dee  essere 
quella  che  partire  ne  faccia  da  quello  che  lungamente  è 
usato:  Conv.].  10. 

DifBdensEa  dei  sensi  nei  nostri  giudizi.  —  Nostra 
conoscenza  comincia  dal  senso  :  Conv.  ii.  3.  -  Omnis  opinio 
quae  est  contra  sensum  est  mala  opinio:  Qunes.  De  Ter.  et 
Aq.  §  5.  -  Dove  il  senso  non  apre  la  verità,  avviene  che 
il  giudizio  de'  mortali  vada  fuori  del  vero  : 

Egli  erra —  L'opinion...  de' mortali, 
Dove  chiave  di  senso  non  disserra.  Par.  n  52. 

Bene  spesso  anche  dietro  a'  sensi  la  ragione  va  poco  avanti, 
s'alza  poco: 

dietro  a'  sensi 
Vedi  che  la  ragione  ha  corte  l'ali.  Par.  ii.  56. 

Il  senso  s'inganna  di  lontano:  Inf.\x\i.  25.  -  L obbietta 
comiin...  il  senso  inganna:  Purg.xxix.  il.  -  «Il  sensuale 
parere,  secondo  la  più  gente,  è  molte  volte  falsissimo, 
massimamente  nelli  sensibili  comuni,  là  dove  il  senso  è  spesse 
volte  ingannato  »  :  Conv.  iv.  8.  Imperocché  «  li  nostri  occhi 
intellettuali,  non  altrimenti  che  le  pupille  del  vipistrello, 
sono  chiusi  mentre  che  l'anima  è  legala  e  incarcerata  per 
gli  organi  del  nostro  corpo:  »  Conv.  ii.  6.  -  Il  savio  primie- 
ramente attingerà  alle  fonti  dell'osservazione,  poi  lento 
avanzerà  nelle  vie  del  ragionamento;  avrà  piombo  a' piedi; 
senza  l'appoggio  di  una  distinzione  aiutatrice  non  valicherà 
i  due  passi  difficili  del  sì  e  del  no: 

Veramente  più  volte  appaion  cose, 

Che  danno  a  dubitar  falsa  niatera, 

Per  le  vere  cagion  che  son  nascose.  Purg.  xxii.  28. 
Con  questa  distinzion  prendi  il  mio  detto; 

E  così  puote  star  con  quel  che  credi 

Del  primo  padre  e  del  nostro  Diletto. 
E  questo  ti  fia  sempre  piombo  a'  piedi, 

Per  farti  muover  lento,  com'uom  lasso, 

E  al  si  e  al  no,  che  tu  non  vedi  ; 

Che  quegli  è  tra  gli  stolti  bene  abbasso, 

Che  senza  distinzione  afferma  o  niega. 

Cosi  ucir  un  come  neir  altro  passo. 


IL   VERO.  14' 

Perch'egP  incontra  che  più  volte  piega 
L  '  opinion  correnfe  in  falsa  parte, 
lì  poi  l'affetto  lo  intelletto  lega... 

Non  sien  le  genti  ancor  troppo  sicure 
A  giudicar,  sì  come  quei  che  stima 
Le  Liade  in  campo  pria  che  sien  mature.  Par.  xjii.  100 


COSMOLOGIA  DANTESCA 

Dio  è  il  primo  Motore  di  tulio  [Purg.  xw.^ì);  è  il 
primo  puiilo  dell' atlrazione  universale,  è  l'anima  insomma, 
la  vita  dell'  immensa  creazione  :  Par.  ii.  128. 

Quanto  esiste  fu  creato  dal  nulla.  Il  motivo  per  cui  Dio 
creò  tulle  le  cose,  non  fu  il  bisogno  cli'eì  ne  avesse,  ma 
perchè  vi  fosse,  anche  fuori  di  lui,  in  chi  sussistesse  il  suo 
splendore,  cioè  perchè  vi  fosse  chi  partecipasse  della  sua 
infinita  perfezione.  Le  creature  intelligenti  poi  furono  fatte 
per  amarlo,  ed  il  motivo  per  cui  Dio  le  creò  fu  l'amore, 
a  guisa  che  ben  sì  può  dire  che  nella  loro  creazione  s'a- 
perse in  novi  amor  l  eterno  Amore.  Dio  nella  sua  eternità, 
fuori  dei  limili  del  tempo,  e  fuori  d'ogni  limite  comprensibile 
dell'uomo,  senza  che  possano  propriamente  usarsi  le  voci 
innanzi  e  dopo,  creò.  La  creazione,  quale  stava  nel  concetto 
di  Dio  fu  compiuta  con  un  solo  atto,  senza  processo  dì 
tempo,  né  questo  vieta  che,  secondo  quel  concetto,  venis- 
sero poi  le  creature  svolgendosi  in  nuove  specie,  corona 
e  perfezionamento  delle  prime,  le  quali  tutte  non  solamente 
non  erano  fuori  del  concello  di  Dio,  ma  ne  cosUluivano  il 
line  diretto.  V.  Par.  xxix.  10  e  seg. 

Sapienza  di  Dio  in  tutto  il  sistema  della  creazione: 
Quanto  per  mente  o  per  occhio  si  gira 
Con  tanto  ordine  fé,  eh'  esser  non  puote 
Senza  gustar  di  lui  chi  ciò  rimira.  Par.  x.  4. 

Creature  intelligenti,  specchi  che  da  sé  rilletlono  i  raggi 
della  divina  luce,  vere  imagini  di  superiore  perfezione: 

Vedi  l'eccelso  ornai  e  la  larghezza 
Dell'eterno  Valor,  poscia  che  tanti 
Speculi  fatti  s'ha,  in  che  si  spezza, 

Uno  manendo  in  sé,  come  davanti.  Par.  xxix.  142. 
Iddio  pinge  la  sua  virtù   in  cose  per  modo  di  diritto 


148  FILOSOFIA  DI  DAME. 

raggio,  ed  in  altre  per  modo  di  splendore  riverberato,  onde 
neir  intelligenze  raggia  la  divina  sua  luce  senza  mezzo, 
nell'altre  si  ripercuote  da  queste  intelligenze  prima  illu- 
minate. Par.  II.  112;  vii.  64;  viii.  17;  xiii.  52. 

L'universo,  come  un  complesso  dì  forze  vive  che  ram- 
pollano dall'  atto  creatore,  ciascuna  per  istinto,  officj  e  vi- 
talità dinamica  diversa  dall'altro,  ma  che  tutte  afiaticale 
da  un  perenne  conato  si  movono  per  lo  gran  mare  deli'  es- 
sere a  porti  diversi: 

Le  cose  tutte  quante 
Ilann' ordine  tra  loro;  e  questo  è  forma 
Che  l'universo  a  Dio  fa  simigliantc. 

Qui  veggion  l'aite  creature  l'orma 
Dell'eterno  valore,  il  quale  e  fine, 
Al  quale  è  fatta  la  toccata  norma. 

Nell'ordine  ch'io  dico  sono  accline 
Tutte  nature  per  diverse  sorti. 
Più  al  principio  loro  e  men  vicine  ; 

Onde  si  movono  a  diversi  porti 
Per  lo  gran  mar  dell'essere,  e  ciascuna 
Con  istinto  a  lei  dato  che  la  porti .. .  Par.  1. 103. 

Accennata  queir  alta  legge  ontologica,  in  cui  s' inchiude, 
come  in  germe,  la  filosofia  della  storia,  che  non  è  poi  altro 
che  la  storia  dell'eterna  sua  vita,  il  progresso  dell' univer- 
sale incivilimento,  legge  suprema,  secondo  la  quale  l'uma- 
nità via  via  trasformandosi  compie  i  suoi  destini  sopra  la 
terra,  legge  che  Vico  chiama  legge  dell'umanità,  e  che  fu 
svolta  con  profonda  sapienza  dal  Centofanti,  indovinata  dal- 
l'iAllighieri  ed  espressa  nel  C.  iv.  del  Paradiso,  v.  124-133. 

Piano  della  Provvidenza,  rispetto  al  nostro  mondo  figu- 
rato in  uno  spirito  moderatore,  rappresentante  II  principio 
della  causalità,  i  cui  rapporti  delle  cose  sono  spesso  inacces- 
sibili al  nostro  intendimento.  Inf.  vii.  73. 

L'ordine  universale  ebbe  corainciamento  simultaneamente 
alla  creazione,  comprendendovi  gli  Angeli  e  le  altre  crea- 
ture. Questa  coordinazione  armonica,  dice  il  Giambullari, 
fa  vedere  quanto  sublimiore  filosofia,  con  altissima  dottrina 
peripatetica  avesse  Dante.  In  soli  sei  versi  rinchiuse  la  so- 
stanza, l'atto  puro,  la  potenza,  il  composto  di  questi  due, 
il  modo  della  loro  creazione,'  e  l'ordine  col  quale  sono 
(lisposlì  e  legati  insieme; 


COSMOLOGIA.  149 

Concreato  fu  ordine  e  costrutto 
Alle  sufilanzie,  e  quelle  furon  cima 
Del  mondo,  in  che  puro  atto  fu  produtto. 

Pura  potenzia  tenne  la  parte  ima  ; 
Nel' mezzo  strinse  potenzia  con  atto 
Tal  vime,  che  giammai  non  si  divima.  Par.  xxix.  31. 

La  legge  della  perfezione  cosmico-morale  riesce  più  am- 
mirabile, qualora  la  si  consideri  in  armonia  col  piano  del- 
l'ordine  universale.  Par.  1. 103.  -  ii.  130. 


METAFISICA  E  PSICOIOGIA. 


* 

La  prima  Filosofia.  Conv.  I.  I. 

La  prima  scienza...  la  Metafisica.  Couv.  IL  14. 

La  Metafisica  tratta  delle  prime  sustanze,  le 
quali  noi  non  potemo  simiglianteraente  inten- 
dere, se  non  per  li  loro  effetti...  La  Metafisica 
tratta  delle  cose  senza  materia  e  clie  non  sono 
sensibili.  IL  15. 


Generazione  umana.  Plirr/.  XXV.  37;  IV.  21. 

Dell'Anima.  —  Platone  voleva  che  l'anima  umana 
discendesse  dalle  stelle;  e  che  per  la  morte  alle  stelle  si 
ritornasse:  Par.  iv.  12. 

Opinione  di  Aristotile  e  dei  Peripatetici.  —  Nell'a- 
nima, distinte  tra  loro  ma  tuttavia  unite,  e  l'una  reggentesi 
sull'altra,  esistono  tre  forze,  vegetativa,  animale,  razionale: 
Anima  fatta  la  virtute  attiva, 
Qual  d' una  pianta,  in  tanto  differente, 
Che  quest'  è  in  via,  e  quella  è  già  a  riva, 

Tanto  ovra  poi,  che  già  si  muove  e  sente. 
Come  fungo  marino;  ed  ivi  imprende 
Ad  organar  le  posse  ond'  è  semente. 

Or  si  spiega,  figliuolo,  or  si  distende 
La  virtù  eh'  è  dal  cuor  del  generante, 
Dove  natura  a  tutte  membra  intende. 
Ma,  come  d'animai  divegna  fante, 
Non  vedi  tu  ancor:  quest' è  tal  punto 
Che  pili  savio  di  te  già  fece  errante; 


130  FILOSOFIA  DI  DANTE. 

Sì  clic,  per  sua  dottrina,  fé  disgiunlo 
Dall'  anima  il  possibile  intelletto, 
Perché  da  Ini  non  vide  organo  assunto. 

Apri  alla  verità  che  viene  il  petto, 
E  sappi  che,  sì  tosto  coni' al  feto 
L' articolar  del  cerebro  é  perfetto. 

Lo  Motor  primo  a  lui  si  volge  lieto, 
Sovra  tant'arte  di  natura,  e  spira 
Spirito  nuovo  di  virtù  repleto, 

Che  ciò  che  truova  attivo  quivi  tira 
In  sua  sustanzia,  e  tassi  un'alma  sola. 
Che  vive  e  sente,  e  se  in  sé  rigira.  Purfj.  xxv.  52. 

Opinione  di  Avicenna,  d'Alg^azel,  di  Pittagora  e 
di  Aristotile.  V.  Conv.  IV.  21. 

L'anima  ha  la  sua  sede  nel  sangue,  conforme  la  dotlrìna 
di  Empedocle: 

Ma  li  profondi  fori, 
Ond'  uscì  '1  sangue,  É  sul  qual  io  secìea.  Purq.  v.  73. 

Ristretta  s'è  fi' anima)  entro  in  mezzo  del  core, 
Con  quella  vita  che  rimane  spenta 
Solo  in  quel  punto  ch'ella  sen  va  via.  Canz.  in.  3. 

11  Cuore,  principio  del  cervello,  secondo  le  teorie  allora 
universalmente  seguite  dal  grande  Aristotile,  il  quale  dice 
esser  quivi  il  principio  della  vita,  e  T  officina  degli  spiriti 
vitali,  onde  si  forma  in  gran  parte  il  cervello. 
Partito  porto  il  mio  cerebro,  lasso  ! 
Dal  suo  pr indino,  eh' è  'n  questo  troncone. /n/'.  xxvtii.141. 

L'anima  umana,  emanazione  dello  spirito  divino:  essa 
la  parte  celeste  dell'uomo:  distinzione  dell'anima  e  del 
corpo. 

Lo  Motor  primo  a  lui  si  volge  lieto 
Sovra  tant'  arte  di  natura,  e  spira 
Spirito  nuovo  di  virtù  repleto.  furg.  xxv.  "70. 

E  quando  Lachesis  non  ha  più  lino, 
Solvesi  dalla  carne,  ed  in  virtute 
Seco  ne  porta  e  V  umano  e  il  divino.  Purg.  xxv.  79. 

Tu  te  ne  porti  di  costui  V  eterno 
Per  una  lagrimetta  che  '1  mi  toglie  ; 
Ma  io  farò  dell'  altro  altro  governo.  ?urg.  v.  106. 
Immortalità  dell'  anima.  —  L' anima  umana,  come 
spirata  immediatamente  da  Dio  è  immortale.  Dio  nello  spi- 
rarlfi  la  innamora  di  sé,  sicché  sempre  ella  lo  desidera: 
Ciò  che  da  lei  senza  mezzo  distilla 
Non  ha  poi  fine,  perché  non  si  muore 


METAFISICA  E  PSICOLOGIA.  151 

La  sua  imprenta,  quand'  ella  sigilla.  Par.  vii.  67. 

La  nostra  vita  senza  mezzo  spira 
La  somma  beninanza,  e  la  innamora 
Di  sé,  si  che  poi  sempre  la  desira.  Par.  vii.  142. 
E  qui  mi  piace  riportare  la  sua  professione  di   fede 
suir immortalila  dell'anima,  bella  per  se  quanto  ogni  altra 
ch'io  conosca  fra  quelle  date  da' filosofi;  atta  poi  a  mo- 
strare quanto  Dante  si  scostasse  da  coloro  che  a  suo  tempo 
eran  detti  Epicurei;   e  bellissima  per  l'affetto  che  gliela 

ispira. 

«  Intra  tutte  le  bestialitadi  quella  è  stoltissima,  vilissima 
e  dannosissima  chi  crede,  dopo  questa  vita,  altra  vita  non 
essere:  perciocché,  se  noi  rivolgiamo  tutte  le  scritture,  si 
de'  filosofi,  come  degli  altri  savi  scrittori,  tutti  concordano 
in  questo,  che  in  noi  sia  parte  alcuna  perpetuale.  E  questo 
massimamente  par  volere  Aristotile  in  quello  deW Anima; 
questo  par  volere  massimamente  ciascuno  Stoico  :  questo 
par  volere  Tullio  spezialmente  in  quello  libello  della  Vec- 
chiezza ;  questo  par  volere  ciascuno  poeta,  che  secondo  la 
fede  de'  Gentili  hanno  parlato  ;  questo  vuole  ciascuna  Leg- 
ge, Giudei,  Sarncini  e  Tartari,  e  qualunque  altri  vivono 
secondo  alcuna  ragione.  Che  se  tutti  fossero  ingannati, 
seguiterebbe  una  impossibilità,  che  pure  a  ritrarre  sarebbe 
orribile.  Ciascuno  è  certo  che  la  natura  umana  è  perfetlis- 
ma  di  tutte  le  altre  nature  di  quaggiù:  e  questo  nullo  niega; 
e  Aristotile  l'aflerma,  quando  dice  nel  duodecimo  degli  Ani- 
mali, che  l'uomo  è  perfettissimo  di  tutti  gli  animali.  Onde 
conciossiacosaché  molti  che  vivono,  interamente  siano  mortali, 
siccome  animali  bruti,  e  sieno  senza  questa  speranza  tutti 
menlrecché  vivono,  cioè  d'altra  vita,  se  la  nostra  speranza 
fosse  vana,  maggiore  sarebbe  lo  nostro  difetto,  che  di  nullo 
altro  animale;  conciossiacosaché  molti  sono  già  stati,  che 
hanno  data  questa  vita  per  quella  :  e  cosi  seguiterebbe,  che  '1 
perfettissimo  animale,  cioè  l'uomo,  fosse  imperfettissimo;  ch'è 
impossibile  :  e  che  quella  parte,  cioè  la  ragione,  che  è  sua  per- 
fezione maggiore,  fosse  a  lui  cagione  di  maggiore  difetto;  che 
del  tutto  pare  diverso  a  dire.  E  ancora  seguiterebbe,  che  la 
natura,  contro  a  sé  medesima,  questa  speranza  nella  mente 
umana  posta  avesse  ;  poiché  detto  è,  che  molti  alla  morte  del 
corpo  sono  corsi,  per  vivere  nell'altra  vita  ;  e  questo  è  anche 


152  FILOSOFIA  DI  DANTE. 

impossibile.  Ancora  vedemo  continua  sperienza  della  nostra 
immortalità  nelle  divinazioni  dei  nostri  sogni,  le  quali  essere 
non  potrebbono,  se  in  noi  alcuna  parte  immortale  non 
fosse  :  conciossiacosaché  immortale  convegna  essere  lo 
revelante,  o  corporeo  o  incorporeo  che  sia,  se  ben  si  pensa 
sottilmente.  E  dico  corporeo,  o  incorporeo  per  le  diverse 
opinioni  ch'io  truovo  di  ciò;  e  quel  che  è  mosso,  ovvero 
informato  da  informatore  immediato,  debba  proporzione 
avere  allo  informatore:  e  dal  mortale  allo  immortale  nulla 
sia  proporzione.  Ancora  n'accerta  la  dottrina  veracissima 
di  Cristo,  la  quale  è  via,  verità  e  luce  :  via,  perchè  per  essa 
sanza  impedimento  andiamo  alla  felicità  di  quella  immor- 
talità; verità,  perchè  non  sofferà  alcuno  errore;  luce,  perchè 
illumina  noi  nelle  tenebre  dell'ignoranza  mondana.  Questa 
dottrina,  dico,  che  ne  fa  certi  sopra  tutte  altre  ragioni; 
perocché  Quelli  la  n'ha  data,  che  la  nostra  immortalità 
vede  e  misura,  la  quale  noi  non  potemo  perfettamente  vede- 
re, menlrechè  '1  nostro  immortale  col  mortale  è  mischiato; 
ma  vedemolo  per  fede  perfettamente;  e  per  ragione  lo 
vedemo  con  ombra  d'oscurità,  la  quale  incontra  per  mi- 
stura del  mortale  coli' immortale.  E  ciò  dee  essere  poten- 
tissimo argomento,  che  in  noi  l'uno  e  l'altro  sia;  ed  io  così 
credo,  così  affermo,  e  così  certo  sono,  ad  altra  vita  migliore 
dopo  questa  passare;  là  dove  quella  gloriosa  donna  vive, 
della  quale  fu  l'anima  mia  innamorata.  »  Conv.,  Trai.  II. 
cap.  IX,  p.  149. 

L'anima  si  congiunge  col  corpo,  come  la  causa  coli' ef- 
fetto, l'atto  con  la  potenza,  la  forma  alla  materia.  Ha  l' u- 
nione  con  la  materia,  ma  non  l'identità.  Detta  anche  forma 
sostanziale: 

Ogni  forma  sustanzial,  che  setta 

É  da  materia,  ed  è  con  lei  unita, 

Specifica  virtude  ha  in  sé  colletta,. 
La  qual  senza  operar  non  è  sentita, 

Né  si  dimostra  ma  che  per  effetto, 

Come  per  verdi  fronde  in  pianta  vita.  Purg.  xviii.  49. 
Eenchè  l'anima  nostra  abbia  facoltà  distinte,  ella  è  una; 
onde  per  questa  sua  unità  non  può  esser  capace  di  ricé- 
vere in  un  solo  istante  due  simultanee  impressioni.  Vero  è 
che  il  nostro  spirito  passa  con  tal  rapidità  da  un'idea  al- 


METAFISICA  E  PSICOLOGIA.  153 

l'altra,  che  la  successione  può  sembrare  simultaneità:  ma 
se  la  percezione  può  esser  veloce,  non  è  così  dell'atten- 
zione. Non  bisogna  confondere  le  impressioni  forti  colle 
fuggitive;  onde  il  poeta  filosofo  mirabilmente: 

Quando  per  dilettanze  ovver  por  doglie, 
Che  alcuna  virtù  nostra  comprenda, 
L' anima  bene  ad  essa  si  raccoglie, 

Par  eh' a  nulla  potenzia  più  intenda: 
E  questo  è  centra  quello  error,  che  crede 
Che  un'anima  sovr' altra  in  noi  s'accenda. 

E  però  quando  s'ode  cosa  o  vede, 
Che  tenga  forte  a  sé  l'anima  volta, 
Vassene  il  tempo,  e  l'uom  non  se  n'avvede: 

Ch'  altra  potenzia  è  quella  che  l' ascolta, 
E  altra  è  quella  che  ha  l'anima  intera: 
Questa  è  quasi  legata,  e  quella  è  sciolta.  Purg.  iv.  1.   ' 

L'immaginazione  talora  ne  rapisce  fuori  di  noi  stessi, 
fino  a  restarcene  sordi  allo  strepito  di  mille  trombe  che 
ci  squillino  d'appresso.  È  ritenuta  facoltà  mista,  che  anche 
d'olire  senso  ritragga  lume  e  subbietto: 
0  immaginativa,  che  ne  rube 
Talvolta  sì  di  fuor,  ch'uom  non  s'accorge, 
Perchè  d'intorno  suonin  mille  tube. 

Chi  muove  te,  se  i],  senso  non  ti  porge? 
Muoveti  lume,  che  nel  ciel  s'informa, 
Per  sé,  0  per  voler  che  giù  lo  scorge.  Purg.  xvii.  13. 

La  mente  divisa  in  più  pensieri  è  men  forte  ad  ognuno  : 
Che  sempre  l' uomo,  in  cui  pensier  rampolla 
Sovra  pensier,  da  sé  dilunga  il  segno, 
Perchè  la  foga  l' un  dell'  altro  insella.  Purfj.  v.  IG. 
Un'appetito,  un  desiderio,  un'affetto,  quando  sono  molto 
intensi,  attutiscono  gli  altri: 

Tanto  eran  gli  occhi  miei  fissi  ed  attenti 
A  disbramarsi  la  decenne  sete. 
Che  gli  altri  sensi  m'eran  tutti  spenti.  Pwn/.  xxxii.  1. 

Purché  pur  ardi 
Si  neir  affetto  delle  vive  luci, 
E  ciò  che  Vieri  diretro  a  lor  non  guardi?  Purg.  xxix.  61. 

E  là  m'apparve,  sì  com'egli  appare 
Subitamente  cosa  che  disvia 
Per  meraviglia  tutt'  altro  pensare.  Purg.  xxvm.  37. 

Quando  l'anima  è  concentrata  in  sé  stessa,  non  è  più 
impressionata  da  cose  esterne.  Questo  addiviene  in  una 
profonda  meditazione  e  tanto  più  nell'estasi: 


154  FILOSOFIA  DI  DAISTE. 

Te  lucis  ante  sì  divotamente 
Le  uscì  di  bocca,  e  con  sì  dolci  note, 
Cue  fece  me  a  me  uscir  di  mente.  Purg.  vili  13. 

Quanto  più  stretta  è  l'anima  col  corpo,  più  viva  si  fa 
la  sensibilità  che  ne  deriva: 
Ritorna  a  tua  scienza, 
Che  vuol,  quanto  la  cosa  è  più  perfetta. 
Più  senta  '1  bene,  e  così  4a  doglienza.  Inf.  vi  lOC. 

La  memoria  nell'alte  speculazioni  e  contemplazioni  non 
ha  la  virtù  di  tener  dietro  all'intelletto,  suo  infaticabile 
corriere  : 

Perchè,  appressando  sé  al  suo  disire, 
Nostro  intelletto  si  profonda  tanto, 
Che  retro  la  memoria  non  può  ire.  Par.  i.  7. 

Maggior  cura  toglie  spesso  la  memoria  rispetto  all'altre 
che  meno  interessano: 

Forse  maggior  cura, 
Che  spesse  volte  la  memoria  priva. 
Fatto  ha  la  mente  sua  negli  occhi  oscura.  Purg.  xxxiii.  124. 

Dell'Amore.  —  L'Amore  regge  tutte  le  creature.  Dal 
creatore  alia  più  umile  delle  creature  veruna  sfugge  alla 
gran  legge  di  Amore: 

A'è  Creator,  né  creatura  mai, 
....    fu  senza  amore, 
0  naturale  o  d'animo.  Purq.  xvii.  91. 

E  così  il  poeta  argomenta  della  genesi  dell'Amore.  «  Lo 
Istinto  naturale  primo  dell'amore  è  sempre  retto:  l'anima, 
ancorché  sia  come  fanciulla  che  pargoleggia  tra  il  pianto 
e  il  riso,  e  siccome  creata  da  quel  Bene  eh'  è  autore  d'ogni 
gioia,  aspiri  a  gioire,  nel  gusto  de' piccoli  beni  s'inganna 
se  non  sia  guidata  e  or  rattenuta  :  Purg.  xvi.  85.  Il  primo 
movimento  d'amore  è  sempre  buono;  il  male  incomincia 
laddove  il  bene  minore  assorbe  maggiore  desiderio  ed 
eccita  più  viva  allegrezza.  Qui  la  materia  è  buona  di  per 
sé,  rea  la  forma  che  vi  s' imprime  ;  buona  la  cera,  non  bella 
l'Immagine  del  sigillo:  Purg.xvn.^òL  Può  la  libertà  dun- 
que errare  o  considerando  e  amando  meno  l'oggetto  più 
degno,  0  più  il  meno.  Il  bene  immenso  può  l'uomo  amarlo 
immensamente,  quanto  le  sue  forze  consentono  ;  ne'  beni 
secondi  egli  dee  misurarsi  ;  ma  a  nessun  bene  per  dappoco 
che  paia  e  per  materiale  che  sia,  negare  il  suo  pregio,  se 


METAFISICA  E  PSICOLOGIA.  155 

non  quand'esso  impedisca  il  conseguimento  di  beni  mag- 
giori, cioè  quando  perda  la  sua  natura  di  bene,  come  non 
è  guadagno  un  acquisto  cui  segua  danno.  » 

E  più  di  proposito  nel  C.  xvni.  del  Purgatorio:  -  «L'anima, 
eh'  è  creata  pronta  ad  amare,  si  muove  agilmente  verso 
ogni  cosa  che  piace,  e  il  senso  del  piacere  la  desta  airs|if- 
fetto.  La  mente  è  così  insieme  destata  ad  attendere,  e  però 
meglio  apprendere  l'idea  della  cosa  piacente;  e  perchè  il 
piacere,  in  quanto  tale,  è  un  bene  vero,  né  male  divelta 
se  non  quando  ci  priva  di  piaceri  maggiori,  però  l'affetto 
della  cosa  che  piace  trae  sempre  origine  da  veritii.  La 
mente  che  la  apprende,  la  viene  svolgendo,  e  con  la  per- 
suasione muove  il  libero  arbitrio,  e  converte  il  desiderio 
in  volere.  Questa  conversione  è  l'amore;  amore  eh' è  moto 
di  natura,  ma  che  per  la  riflessione  seguita  da  un  nuovo 
piacere  diventa  più  forte.  C'è  dunque  un  primo  moto  di 
piacere  animale,  il  quale  precede  [la  riflessione;  e  c'è  un 
secondo  il  qual  segue  ad  essa.  I  piaceri  riflessi  sospingono 
più  fortemente  la  volontà,  e  misurati  che  sieno,  le  aggiun- 
gono vigore  ;  secondati,  la  spossano.  Amore  pertanto  è  moto 
spirituale,  giacché  la  riflessione  ci  ha  parte;  e  sebbene  il 
suo  oggetto  gli  venga  di  fuori  ;  sebbene  le  impressioni  este- 
riori possano  indebolire  la  volontà,  nondimeno  in  quanto 
egli  è  riflessione,  cioè  in  quanto  è  amore,  riman  sempre 
libero.  La  potenza  del  conoscere  e*  del  volere  è  messa  in 
atto  dalle  cose  di  fuori,  senza  la  cui  impressione  non  sa- 
rebbe sentita  da  noi  stessi,  e  per  quella  più  occasione  che 
causa  l'anima  si  viene  svolgendo,  come  la  vita  della  pianta  in 
verzura  di  fronde.  La  virtù  d'essa  vita  è  prodotta  dall'intimo 
della  pianta,  ma  è  promossa  dagli  esterni  elementi,  i  quali 
senza  il  germe  non  produrebbero,  né  il  germe  senz'  essi  :  ma 
nel  germe  è  la  vita.  Le  prime  notizie  del  vero,  e  le  disposizioni 
dei  primi  desiderii  sono  nell'uomo  come  nell'ape  l'istinto 
del  fare  il  miele  ;  e  in  que'  moti  non  ha  luogo  né  merito  né 
demerito;  ma  è  innata  insieme  la  virtù  del  consiglio,  cioè 
della  riflessione  deliberante,  la  quale  deve  preceder  l'assenti- 
mento, e  star  quasi  custode  alla  soglia  di  quello.  Il  bene  e  il 
male  non  è  nel  sentimento,  ma  si  nell'assenso.  Onde  quando 
anco  l'uomo  non  avesse  elezione  nel  prescegliere  gli  oggetti 


156  FILOSOFIA  DI  DANTE. 

più  buoni  e  più  belli  da  vagheggiare,  e  nel  munirsene  lutto 
intorno  per  modo  che  i  men  belli  e  i  mcn  buoni  non  giun- 
gano a  far  impeto  nell'anima  sua;  quando  questi  forzassero 
la  guardia  e  ì  ripari  con  subito  prepotente  assalto,  l'anima 
avrebbe  pur  armi  da  respingerli,  e  rimanere,  imperatrice 
di  sé.  (  Tommaseo,  del  Concetto  del  BellOy  Y.  Bellezza  e 
Clmltliy  p.  40,  Firenze,  Le  Mounier.  -  Y.  Giusti,  Dottrina 
di  Dante  sull'Amore,  Lettera  a  Ferdinando  Grazzini  :  Giusti, 
Scritti  vari.  p.  242.) 

Amore  è  dunque  seme  di  giustizia  e  di  peccato: 

Esser  conviene 
Amor  sementa  in  voi  d'ogni  virtute, 
E  d' ogni  operazion  cbe  merla  pena.  Purg.  xviii,  103. 

Dottrina  sull'influsso  degli  astri.  — Sono  dessi  tante 

deità,  0  intelligenze  ministre  della  Provvidenza:  da  loro 
emana  la  vita  sparsa  in  tutte  le  famiglie  delle  piante,  e 
in  tutte  le  specie  degli  animali: 

L'anima  d'ogni  bruto  e  delle  piante 
Di  complession  potenziata  tira 
Lo  raggio  e  il  moto  delle  luci  sante.  Par.  vu.  139. 

E  VAmor  che  move  il  sole  e  V altre  stelle  diffonde  un  molo 
preordinato  all'  universo  in  virtù  dei  giri  del  cielo  empireo, 
che  via  via  si  propagano  sempre  più  rapidi  di  pianeta  in 
pianeta  sino  alla  terra.  L'ordine  impreterribile  del  lor  molo 
dispensa,  a  chi  più  a  chi  meno  fra  gli  umani  individui,  e  a 
chi  l'una  e  a  chi  l'altra,  le  virtù  divine  di  che  le  stelle  sono 
diversamente  dotate.  -  Come  il  suggello  impronta  la  docile 
cera,  così  la  virtù  loro  imprime  incancellabile  carattere 
alle  anime  degli  uomini  dal  giorno  della  loro  nascita:  Purg. 
XXVI.  73;  XX.  13;  xxx.  109;  Par.  iv.  58;  xxii.  112.  -  Il 
cielo  certamente  esercita  una  specie  d'iniziativa  sulla  più 
parte  dei  movimenti  della  nostra  sensibilità,  ma  questa 
iniziativa  non  lega  la  volontà  dell'uomo:  essa  può  in  noi 
trovare  una  resistenza,  la  quale,  faticosa  da  prima,  diventa 
inevitabile,  dopo  aver  fedelmente  combattuto: 

Voi  che  vivete  ogni  cagion  recate 
Pur  suso  al  cielo,  sì  come  se  tutto 
Movesse  seco  di  necessitate. 

Se  così  fosse,  in  voi  fora  distrutto 
Libero  arbitrio,  e  non  fora  giustizia, 


METAFISICA  E  PSICOLOGIA.  lo7 

Per  ben,  letizia,  e  per  male,  aver  lutto. 

Lo  cielo  i  vostri  movimenti  inizia; 
Non  dico  tutti;  ma.  posto  eh'  io  '1  dica, 
Lume  v'è  dato  a  liene  ed  a  malizia, 

E  libero  voler  cbe,  se  fatica 
Nelle  prime  battaglie  col  ciel  dura, 
Poi  vince  tutto,  se  ben  si  notrica,  Purg.  xvi.  67. 

Libertà  umana.  —  Una  potenza  più  grande,  quella  dì 
Dio,  opera  In  noi  senza  coslringerci.  Ha  egli  in  noi  creato 
questa  potenza  migliore  di  noi  stessi,  che  non  è  per  nulla 
sommessa  alla  potenza  del  cielo  :  egli  ci  ha  compartito  libera 
la  volonlà  ;  e  questo  dono,  il  più  eccellente  e  il  più  degno 
della  sua  bontà,  il  più  prezioso  agli  occhi  suoi,  tutte  le 
creature  intelligenti  lo  hanno  ricevuto: 

A  maggior  forza  ed  a  miglior  natura 
Liberi  soggiacete,  e  quella  cria 
La  mente  in  voi,  che  '1  ciel  non  ha  in  sua  cura.  Purrj.  tcvi.  79. 

Lo  maggior  don,  che  Dio  per  sua  larghezza 
Fesse  creando,  e  alla  sua  bontatc 
Più  conformato,  e  quel  ch'ei  più  apprezza. 

Fu  della  volontà  la  libertate, 
pi  che  le  creature  intelligenti, 
E  tutte  e  sole  furo  e  son  dotate.  Par.  v.  19. 

IJaec  lihertas,  swe  princìpium  hoc  lotius  nostrae  ìiberlatis 
est  maximum  donum  humcmae  naturac  a  Deo  coìlatum.  De 
Mon.  1. 14. 

Color  che  ragionando  andaro  al  fondo, 
S'accorser  d'està  innata  libertate; 
Però  moralità  lasciaro  al  mondo. 

Onde  pognam  che  di  necessitate 
Surga  ogni  amor  che  dentro  a  voi  s'accende, 
Di  ritenerlo  è  in  voi  la  potestate.  Purg.  xviii.  C7. 

La  volontà  non  saprebbe  piegarsi  che  per  la  propria 
determinazione,  pari  ad  una  fiamma  cui  gli  sforzi  replicati 
di  una  forza  straniera  non  possono  costringere  sì  che  di- 
scenda quando  la  sua  naturale  tendenza  la  fa  salire.    Egli 
è  vero  che  la  volonlà  sembra  talvolta  cedere  alla  violenza, 
ma  questo  ancora  dipende  dalla  propria  elezione;  gli  è  un 
male  ch'ella  patisce  per  la  paura  di  un  mal  peggiore: 
Se  violenza  è  quando  quel  che  paté 
Niente  conferisce  a  quel  che  sforza  ; 
Non  f  ur  quest'  alme  per  essa  scusate  ; 
Che  volontà  se  non  vuol,  non  s'ammorza, 


1S8  FILOSOFIA  DI  DAME. 

Ma  fa  come  natura  face  in  fuoco, 
Se  mille  volte  violenza  il.  torza  ; 

Perchè,  s'ella  si  piega  assai  o  poco, 
Segue  la  forza  ...  V.  Par.  iv.  73-103. 

Vero  è  che  i  movimenti  istintivi  sfuggono  al  suo  do- 
minio, e  che  spesso,  mal  suo  grado,  il  sorrìso  e  le  lagrime 
tradiscono  i  più  segreti  pensieri:  Purg.  xxi.  125.  Ma  fuor 
di  quéste  circostanze,  la  volontà  padroneggia  la  propria 
elezione.  -  In  fra  due  oggetti  che  egualmente  la  muovessero 
si  rimarrebbe  eternamente  indecisa:  Par. iw.l,  [Ov.Met.w. 
5:  Tigris  ut  audltis..,)  Dunque  è  bisogno  ammettere  colla 
volontà  una  facoltà  che  la  consigli  e  vegli  il  principio  del 
consentimento  per  accogliere  o  respingere  le  buone  e  mal- 
vagie affezioni  :  Purg.  xviii.  Per  tal  guisa  supponendo  in 
noi  una  fatale  necessità  che  presieda  al  nascimento  dello 
amore,  v'ha  in  noi  ugualmente  una  potenza  capace  d'impe- 
dirne il  trabocco. 

Dell'Idee.  -  Non  SÌ  può  spiegar  l'origine  delle  idee  prime: 

11  ver  primo  che  l' uom  crede.  Par.  ii.  45. 
Onde  vegna  l' intelletto 

Belle  prime  notizie,  uomo  non  sape.  Purg.  xviu.  35. 

Le  quali  se  uomo  rifiuta  di  confessare  innate,  almeno  è 
mestieri  ammettere  come  tali  le  facoltà  che  compongono 
l'intimo  dell'essere  nostro: 

Innata  v'è  la  virtù  che  consiglia.  Purg.xvni.  63. 
Esistono  pertanto  dei  principj  che  non  ci  vengono  dal 
di  fuori,  e  che  noi  non  ci  siamo  punto  procurati.  Avvi  una 
creazione  interiore  continua  che  ne  annuncia  la  invisibile 
presenza  della  divinità. 

Il  nostro  cervello  resta  segnato  dalle  percezioni: 
Sì  come  cera  da  suggello, 
Che  la  figura  impressa  non  trasmuta.  Purg.  xxxiii.  79. 

È  malagevole  il  seguitare  gli  andamenti  dello  spirito 
umano  perchè  nel  numero  delle  percezioni  originate  da 
obbietti  dissimili  può  ad  una  più  che  ad  un'altra  rivolgersi  ; 
e  allor  questa  nuova  idea  trae  seco  tutti  gli  accessori  che 
le  son  propri,  i  quali  possono  col  proceder  del  tempo  di- 
venire in  questa  percezione  la  parte  principale.  Quindi 
avviene  che  la  mente  umana  giunga  ad  uno  scopo  diverso 
da  tutto  quello  che  in  principio  si  è  proposta: 


METAFISICA  E  PSICOLOGIA.  159 

Glie  sempre  l'uomo,  in  cui  pensier  rampolla 
Sovra  pensier,  de  sé  dilunga  il  segno, 
Perchè  la  foga  l'un  dell'altro  insella.  Pura. v.  16. 

Avvi  neiruomo  una  facoltà  che  delle  sensazioni  s'im- 
padronisce, che  svolge  e  coglie  i  rapporti  implicitamente 
veduti,  e  li  propone  alle  operazioni  dell'intelletto,  la  qual 
facoltà  dicesi  apprensione. 

Vostra  apprensiva  da  esser  verace 
Tragge  intenzione,  e  dentro  a  voi  la  spiega, 
Sì  che  l'animo  ad  essa  volger  face.  l'urg.  xviii.  2*2. 

Cosi  il  fatto  sensibile  è  T  elemento  necessario  d'ogni  nozione 
intelligibile.  Questa  iniziativa  dei  sensi  nelle  operazioni  dello 
spirito  umano  è  una  delle  fatalità  di  nostra  natura,  la  causa 
principale  di  nostra  debolezza,  e  nel  medesimo  tempo, 
maraviglia  a  dirsi  I  la  condizione  del  nostro  perfezionamento 
razionale,  e  per  conseguenza  della  nostra  grandezza. 

Vostro  ingegno 
.  .  .  solo  da  sensato  apprende 
Ciò  che  fa  poscia  d' intelletto  degno.  Par.  iv.  40. 

Il  pensiero  concepisce  sé  stesso,  ma  sé  stesso  tuttavolta 
al  suo  nascimento  non  comprende;  e  non  avviene  se  non 
per  una  operazione  continuata  ch'egli  prende  conoscenza 
e  possesso  di  sé  ;  l' attività,  portata  al  suo  più  alto  grado, 
si  fa  rillessione: 

Non  m'accors'io,  se  non  com'uom  s'accorge, 
Anzi  il  primo  pensier,  del  suo  venire.  Par.  x.  35. 


FENOMENI 

CHE  PRECEDONO  ACCOMPAGNANO  E  SEGUONO  " 
IL  SONNO  ED  IL  SOGNO 

Slato  di  rilassamento  mentale  che  precede  immediata- 
lamenle  il  sonno: 

Poi  quando  fur  da  noi  tanto  divise 
Quell'ombre,  che  veder  più  non  potersi, 
Nuovo  pensier  dentro  da  me  si  mise, 

Del  qual  più  altri  nacquero  e  diversi  : 
E  tanto  d'  uno  in  altro  vaneggiai, 
Che  gli  occhi  per  vaghezza  ricopersi, 

E  il  pensamento  in  sogno  trasmutai.  Purg.  xviii,  130. 


160  FILOSOFIA  DI  DANTE. 

Un  sonno  soave  concilia  il  sonno.  Questo  pur  sanno  per 
istinto  le  madri,  mentre  cercano  di  addormentare  i  loro 
bambini.  Sì  potrebbe  forse  dedurre  un  tal  effetto  da  au- 
mento, ma  però  moderato,  di  eccitamento:  Pure/,  xxxii.  61. 
Chi  assonna  non  sa  più  pronunciar  parola  per  diminuta 
e  perturbata  innervazione: 

E  caddi,  come  l' uom,  cui  sonno  piglia.  Inf.  iii,  136. 
Mi  richinava  come  1'  uom  ch'assonna.  Par.  vii.  15. 
Si  che  non  parli  più  com'uom  che  sogna.  Purg.  xxxin.  33. 

Mirabile  evidenza  con  che  il  poeta  esprime  un  sogno 
penoso  : 

E  quale  è  quei  che  suo  dannaggio  sogna, 
Che  sognando  desidera  sognare, 
Si  che  quel  eh'  è,  come  non  fosse  agogna.  Inf.  xxx.  13C. 

E  r  oppressione  che  si  prova  sognando  quando  ci  vorremmo 
aiutare  in  un  gran  pericolo  e  non  si  può: 

Quell'ombre...  andavan  sotto  il  pondo. 
Simile  a  quel  che  talvolta  si  sogna. 

Disparmente  angosciate  tutte  a  tondo, 
E  lasse  .. .  Par.  xi.  26. 

Nel  sogno  destansi  tali  percezioni  che  il  cessano: 
L'altra  prendeva,  e  dinanzi  l'apriva 
Fendendo  i  drappi,  e  mostravami  il  ventre: 
Quel  mi  svegliò  col  puzzo  che  n'usciva.  Purg.  xix.  31. 

Ivi  pareva  eh'  ella  ed  io  ardesse, 
E  sì  l'incendio  immaginato  cosse, 
Che  convenne  che  il  sonno  si  rompesse. 

Purg.  IX.  31,  e  xxxii.  71. 

Il  sonno,  rotto  che  sia,  non  muore  del  tutto,  non  dà 
subito  luogo  a  una  perfetta  vigilia,  ma  rimane  di  lui  qual- 
che cosa  e  s'adopra  per  ricomporsi: 

Come  si  frange  il  sonno,  ove  di  Lutto 
rsuova  luce  percuote  il  viso  chiuso, 
Che  fratto  guizza  pria  che  muoia  tutto.  Purg.  xvu.  40. 

Lenti 
Ad  usar  lor  vigilia  quando  riede.  Purg,  xv.  137. 

Fenomeno  del  destarsi  improvvisamente,  e  del  trovarsi 
ancora  sotto  la  impressione  dei  sognali  fantasmi: 
Qual  è  colui  che  sonniando  vede, 
E  dopo  il  sogno  la  passione  impressa 
Rimane,  e  l'altro  alla  mente  non  riede.  Par.  lixxiii.  58. 

E  come  al  lume  acuto  si  disonna 
Per  lo  spirto  visivo  che  ricorre 


DEL  S0>>0  E  DEI  SOGNI.  161 

Allo  splendor  che  va  di  gonna  in  gonna, 
E  lo  svegliato  ciò  che  vede  abborre, 
Sì  nescia  è  la  sua  subita  vigilia, 
Fin  che  la  stiraativa  noi  soccorre.  Par.  xxvi.  70. 

Che  mi  scoss'  io,  sì  come  dalla  faccia 
Mi  fuggì  '1  sonno,  e  diventai  smorto, 
Come  fa  l'uom  che  spaventato  agghiaccia.  Purg.  ix.40. 
L'uomo  che  sogna  crede  le  visioni  sue  esser  appren- 
sione di  cose  veramente  esistenti,  e  del  proprio  inganno 
si  accorge  solo  quando  risvegliato  può  paragonare  le  im- 
magini sognate  che  restano  nella  memoria  con  l'apprensione 
vivissima  ch'egli  per  mezzo  dei  sensi,  non  più  legati  dal 
sonno,  ha  degli  obbietti  presenti: 

Quando  l'anima  mia  tornò  di  fuori 
Alle  cose,  che  son  fuor  di  lei  vere, 
Io  riconobbi  i  miei  non  falsi  errori,  Purg.  xv.  115. 


FILOSOFIA  MORALE 


Quelle  parole 
Con  le  quai  la  tua  Etica  pertratta...  Inf.  XI.  79. 
La  moralità  e  bellezza  della  Filosofia... 
la  bellezza  della  sapienza...  risulta  dall' or- 
dine delle  viftù  morali,  che  fanno  quella 
piacere  sensibilmente...  Sua  beltà,  cioè  mo- 
ralità, piove  fiammelle  di  fuoco,  cioè  appetito 
diritto,  che  si  genera  nel  piacere  della  mo- 
rale dottrina;  il  quale  appetito  ne  diparte 
dalli  vizii  naturali,  non  che  dagli  altri  (1). 
Conv.  in.  15. 


IVobiltd  e  grandezza  dell'  uomo  -  ISuo  fine  -  Vita 
umana   che    cosa    sia.    -   Della   vita    speculativa    e 

contemplativa.  —  In  tra  gli  effetti  della  divina  sapien- 
za, r  uomo  è  mirabilissimo:  Conv.  iii.  8.  -  La  natura 
umana  è  perfettissima  di  tutte  le  altre  nature  di  quaggiù: 
Conv.  11. 9.  -La  nobiltà  umana,  quanto  è  dalla  parte  di  molti 

(1)  La  morale  Filosofia  ordina  noi  all'altre  scienze:  Conv.  ii.  15. -Ces- 
sando la  morale  filosofia,  l'altre  scienze  sarebbero  celate  alcun  tempo,  e 
non  sarebbe  generazione,  ne  via  di  felicità,  e  indarno  sarebbero  scritte 
e  per  antico  trovate:  M.  -  Mirando  costei...  ogni  viziato  tornerà  diritto 
e  buono....  costei  ch'umilia  orini  perverso,  cioè  volge  dolcemente  chi 
fuori  del  debito  ordine  è  piegato:  Conv.  ni.  15. 

VOL.  II.  11 


162  FILOSOFIA  MORALE. 

suoi  frulli,  quella  dell'Angelo  soperchia,  lutlocchè  l'angelica 
in  sua  unitale  sia  più  divina:  Conv.  iv.  19  -  L'anima  umana 
la  qual  è  colla  nobiltà  della  potenzia  ultima,  cioè  ragione, 
(la  nobiltà  della  potenza  più  sublime)  partecipa  della  divi- 
na natura  a  guisa  di  sempiterna  Intelligenza:  perocché 
l'anima  è  tanto  in  quella  sovrana  potenzia  nobilitata,  e 
dinudata  da  materia,  che  la  divina  luce,  come  in  Angiolo, 
raggia  in  quella,  e  però  è  l'uomo  divino  animale  da' Filo- 
sofi chiamato:  Conv.  ni.  2.  -  Onde  di  questa  così  mirabile 
creatura,  non  pur  colle  parole  è  da  temere  di  trattare,  ma 
eziandio  col  pensiero:  Conv.  in.  2. 

Egli  è  perciò  che  l'uomo  debbe  avere  sempre  dinanzi 
agli  occhi  la  dignità  di  sua  natura:  egli  non  è  nato  per  la 
vita  materiale  de'  bruti,  ma  per  seguir  virtute  e  conoscenza: 
Considerate  la  vostra  semenza: 
Fatti  non  foste  a  viver  come  bruti, 
3Ia  per  seguir  virtute  e  conoscenza.  Inf.  xxvi.118. 

Cliiàmavi  11  cielo,  e  intorno  vi  si  gira, 
Mostrandovi  le  sue  bellezze  eterne, 
E  l'occhio  vostro  pure  a  terra  mira.  Purg.wv.  148. 

Batti  a  terra  le  calcagne, 
Gli  ocelli  rivolgi  al  logoro,  che  gira 
Lo  rege  eterno  con  le  rote  magne.  Pwrg.  xis.  61. 

0  gente  umana,  per  volar  su  nata,   > 
Perchè  a  poco  vento  cosi  cadi?  Purg.  xu,  93. 

La  vita  dell'uomo  è  un  mare;  il  porto  il  cielo,  al  quale 
bisogna  continuamente  vogare  coi  desideri  e  coli' opere, 
affinchè  poi  non  si  ribalta  il  mal  tardato  remo.  Pur/j.  xvii. 
87.  La  vita  non  è  che  una  selva  oscura  ed  erronea  {Inf. 
I.  1;  Conv.  IV.  24);  un'assai  picciola  vigilia  de'  nostri 
semi  [Inf.  xxvi.  113);  nou  è  che  una  milizia  {Par.  v.  3; 
XXV.  1)7);  un  viaggio  all'eternità  (Inf.  x.  132;  Canz.  xvin.  2)  ; 
un  camin  corto  ch'ai  termine  vola  {Purg.  xx.  38);  un  cor- 
rere alla  morte  {Purg.  xxxiii.  34)  ;  onde  acconciamente  nel 
C.  XI.  del  Purgatorio,  v.  19,  le  anime  purganti  dopo  aver 
pregato:  «  Nostra  virtù...  Non  spermentar  con  l'antico  avver- 
saro.  Ma  libera  da  lui,  che  sì  la  sprona»,  soggiungevano: 
Quest'ultima  preghiera.  Signor  caro,  Già  non  si  fa  .per  noi, 
che  non  bisogna,  Ma  per  color  che  dietro  a  noi  restare. 
La  città  vera  ferma  e  stabile,  destinala  da  Dio  alle  anime, 
è  il  Paradiso  :  0  frate  mio,  ciascuna  è  cittadina  D' una  vera 


FILOSOFIA  MORALE.  163 

cillà;  ma  tu  vuoi  dire.  Che  vivesse  in  Italia  perefirlna:  Purcf, 
xiii.  94. 

Ciascuna  cosa  massimamente  desidera  la  sua  perfezione, 
e  in  quella  s' acquieta  ogni  suo  desiderio,  e  per  quella  ogni 
cosa  è  desiderata.  E  questo  è  quello  desiderio  che  sempre 
ne  fa  parere  ogni  dilettazione  manca;  che  nulla  dilettazione 
è  sì  grande  in  questa  vita,  che  all'anima  umana  possa  torre 
la  sete,  che  sempre  lo  desiderio,  che  detto  è,  non  rimanga 
nel  pensiero:  Conv.m.^.  E  questa  sete  appunto  perchè 
naturale,  e  perpetua  [Par.  ii.  19),  mai  non  sì  sazia  se  non 
alla  fonte  dell'eterno  vero  (Par.  iv.  126);  ivi  solo  si  queta 
l'anima  nostra:  Comu.  in.  15.  -  L'unico  bene  dell'intelletto 
[Inf.  HI.  18;  Conv.  ii.  14);  il  sommo  intelligibile  è  Iddio  {Conv. 
IV.  22):  esso  solo  il  principio  della  pace  {Vita  N.  §  2o); 
la  nostra  beatitudine  somma  (Cony.  iv.  22);  l'ultimo  desi- 
derabile (Cony.  IV.  12);  il  termine  ultimo  del  sommo  bene 
dell'  uomo  :  Conv.  iv.  12.  In  Dio  solo  s' accoglie  tutto  il  bene, 
ed  ogni  altro  bene  fuori  di  lui  è  difettivo:  Par.  xxxiii.  103. 

Lume  non  è  se  non  vien  dal  sereno 
ìa  Che  non  si  turba  mai,  anzi  è  tenebra, 

Od  ombra  della  carne,  o  suo  veneno.  Par.  xix.  03. 

Ciò  che  non  muore  e  ciò  che  può  morire 
Non  è  se  non  splendor  di  quella  idea 
Che  partorisce,  amando,  il  nostro  Sire.  Par,  xiii.  32. 

Ciascun  ben  che  fuor  di  lei  (dell'essenzia  divina)  si  trova 
Altro  non  è  che  di  suo  lume  un  raggio.  Par.  xxvi.  32. 

L'uomo,  considerato  nella  mortale  sua  condizione  sulla  terra, 
non  è,  egli  è  vero,  più  che  un  difettoso  insetto,  [entomata 
in  difetto)  ma,*  compiendosi  la  sua  formazione,  gli  verranno 
date  ali  per  volare  verso  il  bene  supremo:  Noi  non  siamo 
che  vermi,  ma  vermi  da  cui  usciranno  le  angeliche  farfalle  : 
Par.  X.  124. 

L'uomo  dunque  dee  esser  denominato  dalla  ragione,  e 
non  dal  senso;  né  da  altro  che  sia  meno  nobile,  onde 
quando  si  dice:  vìvere.,  si  dee  intendere  usare  la  ragione, 
eh' è  sua  speziai  vita,  ed  atto  delia  sua  più  nobile  parte. 
E  però  chi  dalla  ragione  si  parte,  e  usa  pur  la  parte 
sensitiva,  non  vive  uomo,  ma  vive  bestia:  Conv.  ii.  8.  - 
Vivere  nell'uomo  è  ragione  usare.  Dunque  se  vivere  è 
l'essere  dell'uomo,  e  così  da  quello  uso  partire  è  partire 


164  FILOSOFIA  MORALE. 

da  essere,  e  così  è  essere  morto.  E  non  si  parie  dall'uso 
della  ragione  chi  non  ragiona  il  line  della  sua  vita?  E  non 
si  parte  dall'uso  della  ragione  chi;  non  ragiona  il  cam- 
mino] che  far  dee?  Certo  si  parte,...  e  ciò  si  manifesta 
massimamente  in  colui  che  ha  le  vestigie  innanzi  e  non  le 
mira...  Levando  l'ultima  potenzia  dell'anima,  cioè  la  ragione, 
non  rimane  più  uomo,  ma  cosa  con  anima  sensitiva  sola- 
mente, cioè  animale  bruto:  Con?;,  iv.  7.  -Ma  la  maggior 
parte  degli  uomini  vivono  secondo  senso,  e  non  secondo 
ragione,  a  guisa  di  pargoli;  e  questi  cotali  non  conoscono 
le  cose  se  non  semplicemente  di  fuori,  e  la  loro  boutade, 
la  quale  a  debito  fine  è  ordinata,  non  veggiono,  perocché 
hanno  chiusi  gli  occhi  della  ragione,  i  quali  oltrepassano 
senza  vedere  quel  fine,  cui  la  bontà  è  ordinala,  onde  tosto 
veggiono  tutto  ciò  che  possono,  e  giudicano  secondo  la  loro 
veduta...  Questi  cotali  tosto  sono  vaghi,  e  tosto  sono  sazii  ; 
spesso  sono  lieti,  e  spesso  sono  tristi  di  brievi  dilettazioni 
e  tristizie;  e  tosto  amici,  e  tosto  nemici;  ogni  cosa  fanno 
come  pargoli,  senza  uso  di  ragione  :  Conv.  i.  4. 

Uomo,  da  sé  virtù  fatta  ha  lontana,  Uomo  non  già,  B)a 
bestia  ch'uom  somiglia:  0  Dio,  qual  maraviglia,  Voler  cadere 
in  servo  di  signore!  Ovver  di  vita  in  morte  1  Caw:;.  xviii. 
2.  -  Servo  non  di  signor,  ma  di  vii  servo  Si  fa,  chi  da 
cotal  signor  si  scosta.  Id.  3. 

In  questa  vita  noi  potemo  avere  due  felicità,  secondo 
due  diversi  cammini  buoni,  e  ottimi,  che  a  ciò  ne  menano  : 
runa  è  la  vita  attiva,  e  l'altra  la  contemplativa,  la  quale 
(avvegnacché  per  l'attiva  si  pervegna  a  buona  felicità)  ne  mena 
a  ottima  felicità  e  beatitudine...  La  felicità  della  vita  con- 
templativa è  più  eccellente  che  quella  dell'attiva....  Conv. 
IV.  17.  -  Imperocché  l'uso  del  nostro  animo  é  doppio,  cioè 
pratico  e  speculativo  (pratico  è  tanto  quanto  operativo), 
r  uno  e  r  altro  dilettosissimo  :  avvegnacché  quello  del 
contemplare  sia  più.  Quello  del  pratico  si  è  operare  per 
noi  virtuosamente,  cioè  onestamente,  con  prudenza,  con 
temperanza,  con  fortezza,  e  giustizia;  quello  dello  specula- 
tivo si  è  non  operare  per  noi,  ma  considerare  le  opere  di 
Dio  e  della  natura:  e  quest'uso  e  quell'altro  è  nostra 
beatitudine  e  somma  felicità...  Veramente   di  questi   usi 


FILOSOFIA  MORALE.  165 

l'uno  è  più  pieno  dì  beatitudine,  che  l'altro;  siccome  è  lo 
speculativo,  il  quale  senza  mistura  alcuna  è  uso  della  nostra 
nobilissima  parte  eh' è  l'intelletto.  E  questa  parte  in  questa 
vita  perfettamente  lo  suo  uso  avere  non  può,  lo  quale  è 
vedere  Iddio  (che  è  sommo  intelligibile  )  se  non  inquanto 
r  Intelletto  considera  lui  e  mira  lui  pei*  I  suoi  effetti...  La 
contemplazione  è  più  piena  di  luce  spirituale,  che  altra 
cosa  che  quaggiù  sia...  E  così  appare,  che  la  nostra  beatitu- 
dine, questa  felicità  di  cui  si  parla,  prima  trovare  possiamo 
imperfetta  nella  vita  attiva,  cioè  nelle  operazioni  delle  mo- 
rali virtù,  e  poi  quasi  perfetta  nelle  operazioni  delle  virtù 
intellettuali  ;  le  quali  due  operazioni  sono  vie  spedite  e  di- 
rittissime a  menare  alla  somma  beatitudine:  Cowy.  iv.  22. - 
La  vita  contemplativa....  è  pi*  eccellente  e  più  divina.... 
Questa  vita  è  più  divina,  e  quanto  la  cosa  è  più  divina, 
è  più  di  Dio  somigliante;  manifesto  è  che  questa  vita  è 
da  Dio  più  amata:  Conv.  ii.  5.  -  In  Lia  e  Rachele  sono  adom- 
brate dal  poeta  queste  due  vite: 

Io  mi  son  Lia,  e  vo'  movendo  intorno 
Le  belle  mani  a  farmi  una  ghirlanda. 

Per  piacermi  allo  specchio  qui  m'adorno; 
Ma  mia  suora  Rachel  mai  non  si  smaga 
Dal  suo  miraglio  e  siede  tutto  giorno. 

Eiré  de'  suoi  begli  occhi  veder  vaga. 
Coni' io  dell'adornarmi  colle  mani; 
Lei  lo  vedere  e  me  l' ovrare  appaga.  Purg.  xxvu  101. 
Vanittk  delle  cose  mondane, 

0  vanagloria  dell'  umane  posse, 
Com' poco  verde  in  sulla  cima  dura...!  Purg.  \i.  91. 

Non  è  il  mondan  rumor  altro  che  un  fiato.. .  Vurg.  xi.  100. 
La  vostra  rinomanza  è  color  d'erba...  Purg.  xi.  11^. 
0  insensata  cura  de'  mortali...  Purg.  xi.S. 
Udir  come  le  schiatte  si  disfanno...  Par.  xvi.  76. 

Ella  è  cosa  troppo  indegna  dell' ente  ragionevole  affac- 
cendarsi tanto  per  cose  fuggitive  e  caduche  e  nessun  pen- 
siero darsi  delle  sempiterne.  -  La  nostra  anima  per  sua 
natura  si  volge  verso  tutto  ciò  che  la  diletta,  ed  in  prima 
sente  appetito  [sapore]  delle  cose  materiali;  e  solo  a  que- 
sti beni  ferire  è  ghiotta,  di  questi  si  pasce,  e  più  altro 
non  chiede:  Purfiat.  xvi.  91-101.  Ma  questo  picciol  bene 
non  ci  può  rendere  quaggiù  felici;  è  desso  impotente  a 


166  FILOSOFIA  MORALE. 

quietare  l'anima  nostra,  anzi  le  diviene  sorgente  di  rovina, 
se  lo  si  abbracci  con  più  cura  che  non  si  dee:  Altro  ben 
è  che  non  fa  l'uom  felice;  Non  è  felicità,  non  è  la  buona 
Essenzia,  d'ogni  ben  frutto  e  radice:  Purg.wn.  Ilio.  -  Ibeni 
commessi  alla  fortuna  non  sono  che  un  breve  soffio  {corta 
buffa  In f.  VÌI.  ^\); -vanità  con  breve  uso  (iPMrf/.  xxxi.  60); 
eppure  noi  corriam  dietro  ad  essi  e  c'inganniamo  {Pur(j. 
XVI.  32)  trattando  l'ombra  come  cosa  salda  (Pwr/7.xxi.l36); 
noi  ci  rabbuffiamo  con  lena  affannata  per  codeste  apparenze 
mutabili  e  passaggere  ;  per  false  imaf/ini  di  bene,  che  nulla 
promission  rendono  intiera  {Purg.  xxx.  131),  anzi  sommet- 
tendo  ciò  che  promettono,  apportano  il  contrario  [Conv. 
IV.  12):  l'occhio  nostro  fisso  alle  cose  terrene  pur  di  con- 
tinuo a  terra  mira  [Purg.  xvi.  130;  xix.  52),  né  mai  s  aderge 
in  allo  :  Purg.  xix.  118.  -  Con  quanto  senno  e  con  quanta 
novità  dal  poeta  filosofo  la  ricchezza,  la  potenza,  tutti  gli 
splendori  mondani  sono  paragonati  alla  luce  che  per  natura 
si  diffonde,  e  passa  di  cosa  in  cosa  che  nessuno  può  far 
sua  e  che  di  necessità  si  divide!  /«/■.  vii.  73.  -  Al  vedere 
poi  dall'alto  dei  cieli  questo  globo,  che  ci  fa  tanto  feroci, 
ei  sorrideva  del  vii  sembiante  di  questa  aiuola  {areota  mor- 
talium:  De  Mon.)  e  davaci  per  miglior  consiglio  di  averla 
per  meno,  e  chiamare  uomo  veramente  probo,  chi  apprende 
a  volgere  altrove  i  suoi  pensieri,  cioè  al  cielo.  -  Aggiun- 
gasi che  il  mondo  fallace  {Par.  xv.  156),  l'amore  delle 
cose  presenti,  col  falso  lor  piacere,  volgono  i  nostri  passi 
a  via  non  vera  {Purg.  xxx.  130;  xxxi.  35),  deturpano  le  a- 
nime  {Purg.  xv.  146),  e  fanno  si  che  noi  adoriamo  la  fattura 
di  Dio  contro  il  Fattore  :  Purg.  xvii.  102.  Ma  verrà  poi 
tempo  che  ci  ricrederemo,  ma  troppo  tardi,  della  bugiarda 
vita  :  Purg.  xix.  108.  Onde  il  poeta,  altamente  cattolico, 
non  può  a  meno  di  non  gìttare  dal  più  profondo  dell'anima 
questo  grido  potente: 

Ben  è  che  senza  termine  sì  doglia 
Chi,  per  amor  di  cosa  che  non  duri 
Eternalraente,  quell'amor  si  spoglia.  Par. xv.  10. 
Virtù:  in  esisa  ogni  vero  bene  ed  ogni  vera  gran- 
dezza.  Rende   1'  uomo  felice   e   libero:    come   se   ne 
acquisti  l'abito.  Cammino  della  virtù. 

Li  costumi  sono  beltate  dell'anima:  Conv.  ni.  lo.  -  Nulla 


FILOSOFIA  MORALE.  167 

fa  tanto  grande,  quanto  la  grandezza  della  propria  bontà, 
la  quale  è  madre  e  conservatrice  dell'altre  grandezze.  Onde 
nulla  grandezza  puote  l'uomo  avere  maggiore,  che  quella 
della  virtuosa  operazione,  eh' è  sua  propria  bontà,  per  la 
quale  le  grandezze  delle  vere  dignitadì  e  delli  veri  onori, 
delle  vere  potenzie,  delle  vere  ricchezze,  delli  veri  amici, 
della  vera  e  chiara  fama,  e  acquistate  e  conservate  sono: 
Conv.i.W.  -  L'uso  della  virtù  conduce  mirabili  bellezze, 
'  cioè  contentamento  in  ciascuna  condizione  di  tempo  e  dispre- 
giamento  di  quelle  cose  che  gli  altri  fanno  signori:  Conv. 
ili.  13.  -  Chi  è  nella  virtù  è  nella  luce:  i  raggi  del  pianeta 
celeste  gli  inondano  l'anima,  il  tristo  invece  è  nella  selva 
oscura  dei  vizi,  amara  che  poco  è  più  morte:  Inf.i.  16.-  Ove 
questo  amore  splende,  tutti  gli  altri  amori  si  fanno  scuri  e 
quasi  spenti;  imperocché  il  suo  oggetto  eterno  impropor- 
zionalmente  gli  altri  oggetti  vince  e  soperchia  :  Conv.  in.  14. 
Virtù  fa  l'uomo  felice  in  sua  operazione  :  Canz.  xvi.  5.  -  Non 
può  esser  savio  chi  non  è  buono:  Conv.  iv.  27.  -  Senza 
oprar  virtute  nessun  puote  acquistar  verace  lode  :  Canz. 
XIII.  5.  -  Virtute,  al  suo  fattor  sempre  sottana.  Lui  obbedisce, 
a  lui  acquista  onore  :  Canz.  xviii.  5.  -  La  virtù  è  possession 
che  sempre  (jìova...  essa  sola  fa  l'uom  sìgnou  di  se  [Canz. 
XVIII.  2),  libero  in  sua  potestà,  eh' è  la  ragione:  Conv.  iv.  13.- 
L' anima  disposata  a  virtù  è  donna,  altrimenti  è  serva  fuor 
d'ogni  libertà:  Comn  iv.  2.  -  La  virtù  non  cura  la  morie, 
non  temendola  punto,  dacché  mal  può  la  morte  distruggere 
essa  virtù,  ne  il  seguace  onore. 

Ma  ne  avverte  il  filosofo  poeta,  che  «  quella  cosa  che 
più  adorna  e  comenda  le  umane  operazioni  e  che  più  dirit- 
tamente a  buon  line  le  mena,  si  è  l' abito  di  quelle  dispo- 
sizioni che  sono  ordinate  all'inteso  fine»  Conv.  i.  5.  -Nulla 
cosa  è  utile,  se  non  in  quanto  usata  nella  sua  bontà  in  po- 
tenza, che  senza  uso  non  è  essere  perfettamente  :  Coni',  i.  9.  - 
L'abito  di  virUide  si  morale  che  intellettuale  subitamente 
avere  non  si  può,  ma  conviene  che  per  usanza  si  acquisti  : 
Conv.  I.  11.  -  Per  essere  virtuoso  fa  mestieri  non  solamente 
operar  virtute,  ma  l'abito  della  virtù  avere:  Conv.  iji,  13.- 
11  benigno  seminatore  non  attende  se  non  che  la  natura 
umana  gli  apparecchi  la  terra  a  sen>inare.  Oh  beati  quelli 


168  FILOSOFIA  MORALE. 

che  lai  semente  coltivano  come  si  conviene...  Se  l'appetito 
dell'animo  non  è  bene  culto  e  sostenuto  diritto  per  buona 
consuetudine,  poco  vale  la  sementa,  e  meglio  sarebbe  non 
essere  seminato.  E  pero  vuole  Santo  Agustino,  e  ancora 
Aristotile  nel  secondo  (\q\V Etica,  che  l'uomo  s'ausi  a  ben 
fare  e  a  rifrenare  le  sue  passioni,  acciocché  questo  tallo, 
per  buona  consuetudine,  induri,  e  rifermisi  nella  sua  retti- 
tudine sicché  possa  fruttificare,  e  del  suo  frutto  uscire  la 
dolcezza  dell'  umana  felicità  :  Conv.  iv.  21. 

Agi'  incipienti  la  via  della  virtù  è  faticosa  ;  ma  a  misura 
che  uno  vi  si  avanza,  si  fa  piana,  e  finisce  poi  col  divenire 
un  piacere  ed  un  bisogno  dell'anima:  Questa  montagna 
è  tale,  Che  sempre  al  cominciar  di  sotto  è  grave,  E  quanto 
uom  più  va  su,  e  men  fa  male  :  Purg.  iv.  88.  -  La  virtù  è 
rassomigliata  ad  un  monte;  la  salita  n'è  malagevole,  ma  il 
monte  dilettoso  Princìpio  e  cagìon  di  tutta  fjioja:  In f.i.ll.- 
I  buoni  propositi  vanno  spinti  all'eflelto  con  crescente  ar- 
dore: il  solo  arrestarsi  nel  cammino  della  perfezione  è 
un  dare  indietro  :  uno  dei  segni  d' essere  perfetto  nella 
virtù  è  il  diletto  che  nell' operarla  si  sente:  Come,  per 
sentir  più  dilettanza.  Bene  operando  1'  uom,  di  giorno  in 
giorno  S'accorge  che  la  sua  virtute  avanza:  Par. xviii. 58.  - 
Seguette,  come  a  cui  di  ben  far  giova  :  Par.  ix.  24.  -  Nel 
cammino  della  virtù  un  passo  indietro  per  viltà  d'animo 
è  un  fallo  enorme,  una  rovina:  Purg.  iv.  37.  -  Un  debolis- 
simo assalto  all'improvviso  ci  può  vincere,  specialmente  se 
la  virtute  è  stanca.  Noi  stessi  non  ci  sappiamo  ben  ridire, 
come  abbiasi  smarrita  la  diritta  via  :  noi  siamo  in  istato  di 
sonnolenza  morale.  -  Il  virtuoso,  cui  nso  e  natura  privile- 
gia, perchè  gli  altri  torcano  dall'onesto,  solo  va  dritto,  e 
il  mal  camin  dispregia  ;  non  guarda  il  fare  dei  più,  guarda 
solo  alla  legge  [Purg.  viii.  130);  egli  lascia  dir  le  genti,  ma 
sta,  come  torre,  fermo  che  non  crolla  :  Purg.  v.  13.  -  Ogni 
ancor  che  leggiero  fallo  all' uom  buono  si  rende  grave, 
perchè  coli'  abitudine  gli  si  raffina  il  sentimento  del  ben 
fare,  tanto  eh'  egli  sembra  farsi  timido,  pure  ascoltando  i 
falli  altrui  :  Par.  xxvii.  33.  -  Ad  una  coscienza  dignitosa  e 
netta,  anche  un  picciolo  fallo  è  amaro  morso  :  Purg.  in.  8.  - 
Quanto  più  r  uomo  si  purifica  con  lo  spirito,  tanto  più  forte 


FILOSOFIA  MORALE.  169 

diviene  nella  contemplazione  del  Vero,  sorgente  del  più  puri 
e  dei  più  grandi  piaceri  :  Purg.  xv.  32. 

Il  contrasto  del  vizio  con  la  virtù,  eh'  era  il  soggetto 
d' una  favola,  come  sìmbolo,  fu  caro  a'  mitogralì  dell'  anti- 
chità, come  lezione  a'  filosofi.  Dante  se  ne  impadronisce  e 
e  la  fa  ringiovanire.  A  lui  due  donne  appariscono,  delle 
quali  l'una  pallida,  informe  balba  ;  ma  lo  sguardo  fisso  sopra 
lei  sembrava  renderle  la  beltà,  il  colorito  e  la  voce:  ella 
cantava,  e,  sirena  armoniosa,  già  cattivava  le  orecchie  im- 
prudenti. L'altra  moslravasi  per  lo  contrario  semplice  e  ve- 
neranda, gittando  uno  sguardo  disdegnoso  sopra  la  sua  ri- 
vale, e  stracciandole  nell'  indignazioni  le  vesti,  ne  rivelava 
le  brutture  di  che  era  tutla  contaminata.  L'una  di  queste 
femmine  era  la  voluttà,  l'altra  la  saggezza: 

Mi  venne  in  sogno  una  femmina  balba .  . .  Puro.  7.  3i. 
DI  fatti  alla  luce  della  verità,  al  subentrare  della  ragione, 
svanisce  il  prestigio  dei  sensi,  e  il  vizio  comparisce  nella 
sua  vera  deformità.  -  li  vizio  si  veste  sempre  di  forme  e 
di  atti  lusinghieri  per  insinuarsi  nel  cuore:  Fra  r erba  e 
i  fior  venia  la  mala  striscia.  Volgendo  ad  or  ad  or  la  testa, 
e  il  dosso  Leccando  come  bestia  che  si  lìscia:  Purg.  vui.  101. 
Quindi  maggiore  il  pericolo  ;  che  quelle  cose  che  prima  nou 
mostrano  i  loro  difetti  sono  più  pericolose,  perocché  dì 
loro  molte  volte  prendere  guardia  non  sì  può  :  Conv.  iv.  9. 

Dell'appetito  sensitivot  debbc  ubbidire  alla  ra- 
gione: S^i  appetiti  viziosi,  ove  a  tempo  si  domino, 

possono  cangiar  natura.  —  L'appetito  sensitivo  è  av- 
versario della  ragione  (  Vita  Nuova  §  40  )  :  perchè  da  servo 
che  dovrebb' essere  se  ne  fa  signore,  e  tanto  divien  bal- 
danzoso, che  gli  occhi,  che  alla  mente  lume  fanno.  Chiusi 
per  lui  si  stanno  alla  luce  del  vero:  Canz.  xviii.  3.  Sicché 
l'uomo  che  se  ne  lascia  vincere  fatto  ha  la  mente  sua  negli 
ocelli  oscura  [Purg.wwu.  126):  e  però  l'occhio  dell'anima 
intento  alle  folli  cose  è  fuori  di  conoscenza  e  di  verità. 
Quando  la  malizia  vince  nell'anima,  essa  si  fa  seguitatrice 
di  viziose  dilettazioni,  nelle  quali  riceve  tanto  inganno,  e 
per  quelle  ogni  cosa  tiene  a  vile  :  Conv.  1. 1.  Onde  questo 
appetito  conviene  essere  cavalcato  dalla  ragione  ;  che  siccome 
uno  sciolto  ciivallo,  quanto  eh'  elio  sia  di  natura  nobile,  \^t 


170  FILOSOFIA  MORALE. 

sè  senza  il  buono  cavalcatore  bene  non  sì  conduce,  e  cos'i 
questo  appetito,  che  irascibile  e  concupiscibile  si  chiaftia, 
quanto  ch'elio  sia  nobile,  alla  ragione  ubbidire  conviene; 
la  quale  guida  quello  con  freno  e  con  isproni:  Conv.  iv.  2G. 

I  viziosi  appetiti,  domati  dai  teneri  anni  per  buona  edu- 
cazione, son  meno  lìeri  contro  la  ragione;  Lìbero  voler  che, 
se  fatica  Nelle  prime  battaf/lie  col  del  dura,  Poi  vince  lutto, 
se  ben  si  notrica  :  Purg.  x\i.  76.  E  il  poeta  ci  assenna  esservi 
«  un  modo  quasi  d'insetare  l'altrui  natura  sopra  diversa 
radice.  E  però  nullo  è  che  possa  essere  scusato;  che  sedi 
sua  naturale  radice  l'uomo  non  acquista  sementa,  bene  la 
può  avere  per  via  d'insetazione:  così  fossero  tanti  quelli 
di  fatto  che  s'insetassero,  quanti  sono  quelli  che  dalla 
buona  radice  si  lasciano  disviare  »  :  Conv.  iv.  22. 

Come   si   debbano   combattere   e   Tincere    le   pas- 
sioni. -—  Le  passioni  possono  esser  combattute  e  vinte 

Da  quei  e  banno  al  voler  buona  radice.  Vurg.  xi.  33. 
E  per  vincerle  fa  mestrieri  la  corrispondenza  dell'uomo;  la 
quale  giova  a  custodire  e  ad  accrescere  la  grazia  di  Dio: 
Egli  è  folle  chi  non  si  rimove  Per  tema  di  vergogna  da 
follia:  Canz.xu.  Chiusa: 

Se  la  lucerna  che  ti  mena  in  alto 
Trovi  nel  tuo  arbitrio  tanta  cera, 
Quant'è  mestiere  infino  al  sommo  smalto.  Purg.\in.m. 

Ad  una  passione  che  ne  signoreggi  dobbiamo  opporre  il 
combattimento  d'un'opposita  virtù:  la  vigilanza  e  il  pre- 
dominio dello  spirito  libero  e  retto  sull'appetito  disordinato; 
onde  il  poeta:  Io  avea  una  corda  intorno  cinta,  E  con  essa 
pensai  alcuna  volta  Prender  la  lonza  alla  pelle  dipinta:  Inf. 
XVI.  106.  -  I  vizi  consuetudinarii  si  fuggono  e  si  vincono  per 
buona  consuetudine,  e  fassi  l'uomo  per  essa  virtuoso...  Le 
passioni  consuetudinarie  per  buona  consuetudine  del  lutto 
vanno  via;  perocché  '1  principio  loro,  cioè  la  mala  consue- 
tudine, per  lo  suo  contrario  si  corrompe  ;  ma  le  connaturali, 

II  principio  delle  quali  è  per  natura  del  passionato,  tutto 
che  mollo  per  buona  consuetudine  si  facciano  lievi,  del 
lutto  non  se  ne  vanno,  quanto  al  primo  movimento;  ma 
vannòsene  bene  del  tutto,  quanto  a  durazione,  perocché  la 
consuetudine  è  equabile  nella  natura,  nella  quale  è  il  prin- 


FILOSOFIA  MORALE.  171 

cìpio  (li  quelle  (quantunque  rimanga  sempre  il  molo  primo 
delle  naturali  passioni,  pure  la  buona  consuetudine  ne 
impedisce  il  processo,  percliè  la  sua  forza  equivale  a  quella 
della  natura).  E  però  è  più  laudabile  l'uomo  che  indirizza 
sé  e  regge  sé  malnaturato  contro  all'impeto  della  natura, 
che  colui  che  bene  naturato  si  sostiene  in  buono  reggimen- 
to :  Conv.  III.  8. 

Gradi  diversi  nel  male.  -  Genesi  delle  passioni.  — 

Nel  male,  ove  si  ponga  mente  alle  sue  cagioni,  a'  suoi  effetti, 
ed  alle  diverse  sue  applicazioni,  l'occhio  del  savio  vi  scorge 
diversi  gradi,  secondo  che  in  esso  vi  ebbe  parte  l' immo- 
derato appetito  della  natura,  o  l'astuta  malizia  della  ragione. 
Anche  la  qualità  della  cosa  o  della  persona  in  cui  viene 
operato  il  male,  gli  dà  maggiore  o  minore  bruttezza.  — 
Filosolìca  classificazione  dei  vizi,  e  da  prima: 

L'  anime  triste  di  coloro 
Che  visser  senza  infamia  o  senza  lodo,  Inf.  iii.  35. 

La  setta  dei  cattivi 
A  Dio  spiacenti  ed  a'  nemici  sui.  Inf.  iii.  C2. 

Poi  è  la  bassa  schiera  de'  sensuali,  che  seguono  come  bestie 
rappelito  {Purg.  xxvi.  84),  o  vau  dietro  al  piaceri  della 
libidine,  la  ragione  sommettendo  al  talento  (/«/".  v.  39);  o 
si  danno  la  preda 

Alla  dannosa  colpa  della  gola.  Inf.  vi.  33. 
Appresso  son  dannati  i  falsi  estimatori  dei  beni  della  for- 
tuna, i  quali 

Fur  guerci 
Si  della  mente  in  la  vita  primaia, 
Che  con  misura  nullo  spendio  lerci.  Inf.ya.  40; 

E  sì  annoverano  di  poi 

L'anime  di  color  cui  vinse  l'ira.  Inf.  vii.  116; 
E  di  quelli 

Cile  portar  dentro  accidioso  fummo,  /n^  vii.  123. 
Ai  vizii  dell'umana  fragilità  ne  seguono  di  colpe  mag- 
giori, quelle  che  da  sola  malizia  si  derivano.  11  sapiente 
poeta  Investiga  il  fine  d'ogni  malizia,  e  conosciuto  essere 
sempre  l'ingiuria,  i  cui  effetti  sono  o  la  violenza  o  la  frode, 
da  ciò,  come  da  una  sorgente,  fa  sgorgare  tutti  i  mali  che 
il  mondo  maggiormente  contristano: 


172  FILOSOFIA  MORALE. 

D'ogni  malizia  ch'odio  in  cielo  acquista, 
Ingiuria  è  il  fine,  ed  ogni  fin  cotale 
0  con  forza  o  con  frode  altrui  contrista.  Inf.  xi.  22. 
Quindi  nella  ingiuria  che  si  esercita  con  forza,  comprese  i 
malvagi  violenti,    e  nell'ingiuria   esercitata   per  frode,  ì 
malvagi  frodolenti.  Sulle  vestigia  di  Cicerone,  il  poeta  fi- 
losofo sentenzia  la  fraude  più  nera  della  violenza  :  violenti 
vi  hanno  di  più  ragioni: 

A  Dio,  a  sé,  al  prossimo  si  puone 
Far  forza  ;  dico  in  loro  ed  in  lor  cose, 
Com'  udirai  con  aperta  ragione. 

Morte  per  forza  e  ferute  dogliose 
Nel  prossimo  si  danno,  e  nel  suo  avere 
Ruine,  incendj  e  collette  dannose  ; 

Onde  omicide  e  ciascun  clie  mal  fiere, 
Guastatori  e  predon, . . 

Puote  uomo  avere  in  sé  man  violenta 
E  ne'  suoi  beni... 

Puossi  far  forza  nella  Deitade, 
Gol  cor  negando  e  bestemmiando  quella, 
E  spregiando  natura  e  sua  bontade,  Inf.  xi.  32, 
Anche  nella  frode  son  distinti  molti  gradi  di  reità,  e  ci 
apprese  come  possa  l'uomo  usarla  In  colui  che  si  fida  ed 
in  quei  che  fidanza  non  imborsa: 

Questo  modo  di  retro  par  che  uccida 
Pur  lo  vincol  d' amor  che  fa  natura.  Inf.  xi.  52. 

E  quindi  sono  colpevoli  a  questo  modo: 

Ipocrisia,  lusinghe  e  chi  affatura. 
Falsità,  ladroneccio  e  simonia, 
Ruffian,  baratti,  e  simile  lordura. 

Per  l'altro  modo  quell'amor  s'obblia 
Che  fa  natura,  e  quel  eh'  é  poi  aggiunto, 
Di  che  la  fede  speziai  si  cria,  Inf.  xi,  58. 

E  tra  i  falsi  vanno  annoverati  quelli  che  frodarono  al- 
trui con  cosigli  perfidi,  e  fecero  quasi  urj  furto  del  vero, 
i  seminatori  di  discordia,  quelli  che  falsarono  la  verità  con 
parole,  o  il  prezzo  delle  cose  con  l'opera,  le  qual  specie 
di  frode  esercitansl  per  lo  più  contro  chi  non  ha  fiducia 
speciale,  e  però  offendono  la  fede  pubblica  e  la  società, 
non  infrangono  i  più  stretti  e  i  più  sacri  legami.  Ma  sotto 
alle  bolgie  digradanti,  nel  profondo,  i  traditori  punisce ,  quei 
che  tradirono  fratelli  o  altri  congiunti;  che  tradirono  la 
patria,  eh'  è  parentela  più  intima,  come  di  madre  ;  quel  che 


FILOSOFIA  MORALE.  173 

tradirono  i  benefallori  che  son  da  tenere  più  che  se  padri  ; 
quel  che  tradirono  Dio,  o  il  re,  che,  nel  concetto  di  Dante, 
era  l'immagine  di  Dio  sulla  terra.  Secondo  il  sistema  di 
Aristotile,  seguito  da  Dante,  lutti  i  peccati  possono  passare 
per  tre  gradi: 

Le  tre  disposizion,  che  il  Ciel  non  vuole, 

Incontinenza,  malizia,  e  la  matta 
Bestialitade,  e  come  incontinenza 
Meu  Dio  offende  e  men  Liasimo  accatta.  Inf,  xi.  82. 

Levando,  dice  il  Tommaseo,  a  questa  distinzione  la  corteccia 
scolastica,  resta  un  succo  di  buona  e  teologica  fìlosoiìa. 
Incontinenza  è  la  corruzione  del  volere  ;  malizia  vi  aggiunge 
la  perversione  dell'intelletto:  bestialità,  l'operazione  di- 
slruggitrice  della  social  fede  e  unità.  E  direbbesi  adombrata 
la  triplice  distinzione  nelle  parole  dell'Apostolo:  crimina- 
tores,  incontinentes,  immiles. 

La  genesi  e  l'ordine  delle  passioni,  secondo  la  divisione 
di  S.  Tommaso,  sono  toccati  anche  in  altro  luogo  del  divino 
poema,  giusta  il  quale  si  stabilirebbe  che  l'ordine  dell'amore 
corrotto  consiste  nei  quattro  peccati  spirituali  della  superbia, 
dell'invidia,  dell'ira,  e  dell'accidia,  e  nei  tre  carnali  della 
avarizia,  della  gola  e  della  lussuria.  Purg.  xvii.  109, 137, 

Della  Superbia.  —  Della  Superbia  cosi  sentenziava  il 
poeta  :  11  superbo  non  pensa  alla  comune  madre:  Purg.  xi. 
63.  -  Il  figliuolo  di  Eva  va  col  viso  altero  senza  guardarti 
a  sua  vìa;  Purg.  xii.  71.  -  Il  verme  non  s'accorge  della 
sua  piccolezza,  l'embrione  e  l'aborto  del  verme  invanisce 
dell'imperfezione  sua  :  Purg.  x.  124.  -  Le  posse  degli  uomini 
mìseri  e  lassi  montano  in  vanagloria  e  non  sanno  di  volare 
incontro  a  quella  giustizia,  innanzi  a  cui  l'umana  albagia 
non  ha  schermo:  Purg.  x.  123  e  seg.  -  Quel  sole  che  fa 
spuntare  la  gloria,  quel  medesimo  la  fa  morire;  quella 
fama  per  cui  gelosia  l'uomo  è  scortese,  è  un  fiato  mula- 
bile,  una  luce  oscurata  da  altra  luce  che  segue,  è  un  punto 
impercettibile  rispetto  aireternità:  Purg.  xi.  100.  -  L'orgoglio, 
e  il  gran  desio  delV eccellenza,  è  infermità  dell'occhio  e  della 
mente:  Pwrf/.x.  122.  -  è  caligine  e  tumore;  Purg.xi.  31.119  - 
febbre  superba:  Jnf.  xxix.  97  -  giogo  di  servitù:  Purg.xu. 
1  -  contrazione  che  rannicchia  le  forze  e  le  rende  scono- 


174  FILOSOFIA  MORALE. 

scibili:  Parg.  x.  116.  13G  -  sogno  di  alìanno  che  fa  ire  senza 
riposo:  Pur<j.  xi.  26,  -  ed  a  passi  radi  e  sovente  riirosi: 
Purg.  X.  123,  -  e  trae  al  malanno  le  intere  generazioni. 
Purg.  XI.  67. 

Dell' afletto  che  quest'anima  altera  ebbe  alla  virtù  crea- 
trice della  vera  umana  grandezza,  l' umiltà,  veggansi  i  passi 
riportati  dal  Tommaseo,  ComecUa  di  Dante  Aitigli  ieri,  con 
Ragionamenti  e  J\ote,  Milano,  Reina,  1854,  p.  363. -Anche  il 
risorgere  ùqìV  umile  pianta  o  del  giunco  schietto  [Purg.i. 
42o},  là  dove  fu  svelto,  ci  mostra  che  la  virtù  radicata  nella 
umiltà  non  vien  meno,  e  che  dove  questa  in  un  cuore  si 
trapianti,  sempre  nuove  cagioni  ad  alimentarla  sorgono  dal 
nostro  limo,  miseri  ftgliuoli  d'Eva  che  siamo  noi:  Purg.  xii. 
70.  Fa  d'uopo  che  umilmente  senta  di  se,  chi  pretende 
a  cose  alte,  acciocché  mentre  s'innalza  sopra  sé,  non  cada 
da  sé.  Né  al  sommo  della  virtù  e  della  felicità  si  perviene 
senza  aver  prima  gittato  buon  fondamento  nella  vera  umiltà, 
e  disnebbiato  1'  animo  dalle  caligini  del  mondo. 

Dell'Invidia.  — L'Invidia,  come  suona  il  vocabolo  suo, 
non  vede,  o  mal  vede,  o  non  vuol  vedere  i  meriti  altrui,  che 
non  le  approda  all'  intelletto  il  sole  del  vero.  -  L' Invidia  è 
cagione  di  mal  giudicio;  perocché  non  lascia  la  ragione  ar- 
gomentare per  la  cosa  invidiata,  e  la  potenza  giudicativa  è 
allora  come  quello  giudice  che  ode  pure  l' una  parte.  Onde 
quando  questi  cotali  veggiono  la  persona  famosa,  inconta- 
nente sono  invidi,  perocché  veggiono  assai  pari  membra  e 
pari  potenza  ;  e  temono,  per  la  eccellenzia  di  quello  cotale, 
meno  gssere  pregiati;  e  questi  non  solamente  passionati 
mal  giudicano,  ma,  diffamando,  agli  altri  fanno  mal  giudicare: 
Conv.  1.  4.  La  invidia  è  sempre  dov'è  alcuna  paritade:  Conv. 
1. 11.  E  Gino  pure  cantava  :  ISon  dà  invidia  quel  eh'  è  me- 
raviglia.  Lo  quale  vizio  regna  ov' è  paraggio.  -  Il  livore 
suole  fabbricar  menzogne  a  danno  degli  assenti  degni  di 
invidia,  e  trasmuta  le  cose  dette  bene:  Quaest.  de  Aqua  et 
Terra.  §  l.-Se  vede  alcuno  sormontare,  e  l'invidia  n'attrista: 
la  teme  che  non  ci  sieno  più  per  esso  lei  podere,  grazia, 
onore  e  fama  [Purg.  xvii.  118):  se  uno  si  fa  lieto  in  vista, 
e  il  lividore,  che  le  riarde  perfino  il  sangue,  le  pare  in 
tutto  il  volto  [Par.  xv.  82):  se  altri  addolora,  ed  ella  si  fa 


FILOSOFIA  MORALE.  175 

lieta  de' danni  altrui  assai  più  che  di  sue  venture!  Puvff. 
XIII.  HO.  E  figlia  primogenita  del  diavolo:  la  sua  invidia 
fé' dipartire  dall'inferno  i  vizi  a  tribolare  l'umana  radice, 
a  recare  la  miseria  e  la  morte  nel  mondo  (/«/'.  1. 117),  onde 
tuttavia  la  sua  invidia  è  tanto  pianta:  Par.  ix.  127.  Essa 
è  morte  comune,  perchè  cagione  che  gli  uomini  si  facciano 
miseri  scambievolmente  (/n/".  xiii.  Gi):  più  che  altrove  ha 
il  suo  trono  nelle  corti,  perchè  in  quelle  esercita  l'occhio 
maligno,  e  mena  le  arti  sue  puttanesche. 

Dell'Ira.  —  L'Ira  snatura  affatto  l'uomo,  il  mette  in 
furia,  e  nel  suo  violento  erompere  dentro  il  fiacca  [Inf.  xilIq); 
onde  l'irato  si  gorgoglia  voci  nella  strozza  senza  parola 
integra  [Inf.wn.  125);  incomposto  della  persona,  non  altri- 
menti che  tauro  ferito  che  gir  non  sa,  ma  qua  e  là  saltella 
(  Inf.  XII.  24  )  ;  ove  non  possa  difogarsi  con  altri,  si  volge 
in  sé  medesmo  co'  denti  {Inf.  viii.  63),  e  consuma  dentro  sé 
con  la  sua  rabbia  {Inf.YU.l);  onde  il  poeta  filosofo  la 
dice  cieca  e  folle:  Inf.  xii.  49  -  Ad  essa  è  opposta  la  Man- 
suetudine che  modera  la  nostra  ira  e  la  nostra  troppa  pa- 
zienza contro  a' mali  esteriori:  Conv.w.Vì, 

Beir  Accìdia.  —  L'Accidia  è  V  amore  del  bene  scemo 
di  suo  dovere  (Pwr//.  xvn.  85),  cioè  men  vivo  di  quel  che 
è  debito  al  bene  vero.  Guai  a  chi  si  lascia  sopraffare  dal- 
l'accidia: la  debolezza  cresce  da  farsi  invincibile.  Chi  si  fa 
coraggio  acquista  un  che  dì  vigore,  e  l'opera  successiva 
l'accresce:  Inf.  xxiv.  52.  I  tiepidi  nell'esercizio  della  loro 
virtù  ben  presto  aggelansi:  Inf.u.ì^i. 

Dell'Avarizia.  —  Tutte  le  passioni  son  tormentose, 
ma  r  avarizia  è  una  bestia  sì  malvagia  e  ria  che  ci  fa  senza 
pace  (in/".  1.58):  l'avaro  trema  sempre  di  perder  l'acqui- 
stato, onde  in  tutti  i  suoi  pensier  piange  e  s'attrista  [Inf. 
1.  55):  dove  signoreggia  l'avarizia  ivi  il  sol  tace;  cessa  ogni 
attività  eh' è  indizio  di  vita  (/«/'.  i.  60  \  perchè  i  tesori  che 
sono  a  mano  dell'avaro,  sono  in  più  basso  luogo,  che  non 
è  la  terra  là  ove  il  tesoro  è  nascosto:  Cowy.  i.  9.  L'avaro 
non  empie  mai  la  sua  bramosa  voglia  (/n/".  i.  98);  la  sua 
fame  senza  fine  cupa,  quantunque  più  che  tutte  l  altre 
bestie  abbia  preda  {Purg.xx.lì.):  esso,  pieno  a  gola,  dopo 
il  pasto  ha  più  fame  che  pria:   Par,  1.99.  L'avaro  male- 


176  FILOSOFIA  MORALE. 

dello  non  s'accorge  che  desidera  sé  sempre  desiderare, 
andando  dietro  al  numero  impossibile  a  giungere:  Conv. 
111.  15.  -  L'avarizia  è  il  male  che  ocnipa  tutto  il  mon(U) 
[PuTcj.  XX.  8.);  il  gran  nemico  degli  uomini  [Inf.  vi.  115),  che 
sempre  li  fé'  vivere  grami:  Inf.  i.  51.  Non  più  per  lei  sen- 
limento  d'umanilà,  che  essa 

Vende  la  carne  loro,  essendo  viva, 
Poscia  gli  ancide  come  antica  belva: 
Molti  di  vita,  e  sé  di  pregio  priva.  Purg.  xiv.  61; 

né  più  per  lei  vincoli  di  sangue,  che 

Veggio  vender  sua  figlia,  e  patteggiarne, 
Come  fan  li  corsar  dell'altre  schiave. 

0  avarizia,  che  puoi  tu  più  farne, 
Poi  c'hai  il  sangue  mio  a  te  sì  tratto, 
Che  non  si  cura  della  propria  carne?  furg.  xx.  80; 

né  più  rlspello  al  luogo  santo,  che  forta  nel  tempio  le  cu- 
pide vele  (Pur//.  XX.  13),  e  fa  baratto  perfino  delle  cose 
più  sante: 

Le  cose  di  Dio,  che  di  bontate 
Deon  essere  spose,  e  voi  rapaci 
Per  oro  e  per  argento  adulterate.  Inf.  xix.  2. 

Tulle  le  passioni  sono  idolatre,  ma  più  che  l'altre  l'ava- 
rizia che  l'oro  adora,  e  per  l'oro  dispoglia  tulli  i  sensi 
dell'umanità: 

Fatto  V'  avete  Dio  d' oro  e  d'  argento  : 

E  che  altro  è  da  voi  all'idolatre, 

Se  non  ch'egli  uno,  e  voi  n'orate  cento?  Inf.  xix.  112. 

In  breve: 

Avarizia  spense  a  ciascun  bene 
Lo  nostro  amore,  onde  operar  perdesi.  Pwrf/.xix.l21. 

Avea  ben  donde  il  poeta  di  esclamare  col  Maestro  suo: 

Perchè  non  reggi  tu,  o  sacra  fame 
Dell'oro,  l'appetito  de' mortali?  Purg.-si\nAO; 

e  d'interrogare  nel  Canzoniere  l'avaro: 
Kon  sa  dove  vada, 
Per  dolorosa  strada  ; 
Come  l'avaro  seguitando  avere, 
Ch'a  tutti  signoreggia: 
Corre  l'avaro,  ma  più  fugge  pace 
(0  mente  cieca,  che  non  puoi  vedere 
Lo  tuo  folle  volere!  ) 
Col  numero,  ch'ognora  passar  bada, 


FILOSOFIA  MORALE.  177 

Che  infinito  vaneggia. 
Ecco  giunti  a  colei  che  ne  pareggia: 
Dimmi,  che  hai  tu  fatto, 
Cicco  avaro  di!?fatto? 
Rispondimi,  se  puoi  altro  che  nulla: 
3Ialedetta  tua  culla, 
Che  lusingò  cotanti  sonni  invano: 
Maledetto  lo  tuo  perduto  pane, 
Che  non  si  perde  al  cane; 
Che  da  sera  e  da  mane 
Hai  ragunato,  e  stretto  ad  arabe  mano, 
Ciò,  che  sì  tosto  ti  si  fa  lontano...  Canz.xyiu.L  e  seg. 
Della  iiola.  —  E  l'Allighieri  chiama  dannosa  la  colpa 
della  gola   [Inf.  vi.  537),  perchè  dannosa  agli  averi,   alla 
salute  e  alla  chiarezza  della  ragione.  E  ce  lo  spiega  l'istesso 
poeta  nel  xxiv.  del  Purg.  v.  128,  dicendone  a  maggior  lume, 
che  le  colpe  della  gola  son  seguite  da   miseri  guadagni. 
L'amore  del  gusto,  cioè  il  naturai  trasposto  del  bere  e  del 
mangiare  non  deve  accendersi  in  troppo  desiderio,  e  diven- 
tar passione  [troppo  desio  non  fuma)  ;  nella  qual  parola  fama 
ci  moslra  bellamente  come  la  crapula  turbi  ed  offuschi  lo 
intelletto  coi  fumi  che  manda  al  cerebro.  Nei  cibi  dobbiamo 
attenerci  a  un  giusto  mezzo,  il  quale  debbe  esser  determi- 
nato dal  puro  bisogno,  e  non  far  di  esso  come  ultimo  e 
principale    fine    del  godimento   umano:  Esuriendo  sempre 
quanto  è  giusto:  Purg.  xxiv.  ró2. 

E  bellissima  è  la  lode  che  ci  fa  della  Temperanza  ;  regola 
e  freno  della  nostra  golosità  e  della  nostra  sopcrchievole 
astinenza  nelle  cose  che  conservano  la  nostra  vita:  Conv.ìw.ll. 
E  le  Romane  antiche  per  lor  bere 
Contente  furon  d'acqun,  e  Daniello 
Dispregiò  cibo,  ed  acquistò  savere. 

Lo  secol  primo  quanl'oro  fu  bello; 
Fé  savorose  con  lame  le  ghiande. 
E  nettare  con  sete  ogni  ruscello. 

Mèle  e  locuste  furon  le  vivande. 
Che  nudriro  il  Battista  nel  diserto; 
Perch'egU  è  glorioso,  e  tanto  grande. 
Quanto  per  l'Evangelio  v'é  aperto,   /'w;//.  xxu.Uo. 
Al  servizio  di  Dio  mi  fei  si  fermo. 
Che  pur  con  cibi  di  liquor  d'  ulivi. 
Lievemente  passava  e  caldi  e  gieli. 
Contento  ne'  pensier  contemplativi,  /'«r.  xxi.  114. 
Incontinenza.  —  E  gl'inconlinentì  involti  ne'  diletti  della 
VoL.  n.  12 


178  FILOSOFIA  MORALE. 

carne,  non  servano  umana  lefjge,  ma  creature  fuor  d' inlelli- 
ffcnza,  sommetlono  al  talento  la  ragione,  seguendo  come  bestie 
l'appetito  (/?i/.  V.  39;  Pwrr/.  xwi.  84.),  sì  che  par  che  Circe 
(jìi  abbia  in  pastura  :  Purg.  xiv.  42. 
Qual  non  dirà  fallenza 

Divorar  cil)o,  ed  a  lussuria  intendere?  .  .  . 

Non  moverieno  il  piede 

Per  donneare  a  guisa  di  leggiadro; 

Ma  come  al  furto  il  ladro, 

Così  vanno  a  pigliar  vilian  diletto.  Canz.  xvii.  2,  3. 

Bruttezza  del  peccato.  —  Chi  pecca  fa,  quanto  è  in 
lui,  licito  il  libito  {libito  fa  lecito  in  sua  legge:  /n/".  v.  56): 
il  licito  è  la  legge,  il  libito  è  la  volontà.  Il  tempo  che 
l'uomo  passa  nell'errore  è  tempo  perduto,  com'uom  che 
torna  alla  smarrita  strada,  Che  infino  ad  essa  li  par  ire 
invano  :  Purg.  i.  119.  Il  peccato  ci  fa  nell'intelletto  di 
pietra:  Purg.  xxxii.  73.  Chi  pecca  e  si  compiace  di  peccare 
è  giustamente  pareggiato  a  bestia:  vita  bestiai  mi  piacque 
e  non  umana:  Inf.  xxiv.  124.  Nissuna  condizione  d'uom  reo 
è  infatti  tanto  spaventevole,  quanto  quella  di  colui,  che  sfac- 
ciatamente e  senza  alcun  timore  di  Dio  fa  tutto  ciò  che  gli 
piace  ;  e  da  questo  castigo  è  spesso  percosso  l'empio,  cioè  che 
morendo  dimentichi  sé  stesso,  egli  che  vivendo  dimenticò 
Iddio...  Egli  è  da  credere,  avvenir  talvolta  per  mirabii 
giudizio  di  Dio  che  per  la  stessa  via  onde  l'empio  si  pensa 
di  sfuggire  a'meritati  castighi,  per  essa  più  gravemente  preci- 
piti; e  che  quegli  che  sciente  e  volente  ripugnò  al  comando 
divino,  non  volente  ed  insciente  si  faccia  stromento  di  esso: 
Ep.  VI.  2,  3. 

Per  le  Furie  dal  sovrano  poeta  dipinte  nel  C.  ix.  dello 
Inferno,  v.  37,  ei  ci  voleva  significato  il  rimorso,  onde 
sono  più  specialmente  seguiti  i  delitti  di  pura  malizia;  ed 
è  questo  il  ministro  più  crudele  dell'ira  di  Dio  nei  pec- 
catori sì  in  questa  vita  che  nell'altra.  Il  volto  poi  di 
Medusa,  che  avea  potenza  d' impietrare  la  gente,  e  contro 
cui  Virgilio  tien  chiusi  gli  occhi  del  suo  Alunno,  rappresenta 
il  piacere  sensuale  che  indura  il  cuore  dell'Homo,  ne  oscura 
l'intelletto,  e  spegne  in  lui  ogni  gusto  delle  cose  divine. 
E  bene  le  maligne  Furie  vollero  servirsi  di  questo  mezzo 
per  impedire  a  Dante  la  magnanima  impresa.  Ma  Virgilio 


FILOSOFIA  MORALE.  179 

gli  ha  insegnalo  col  fatto  due  grandi  armi  contro  il  terri- 
bile Gorgone,  la  custodia  degli  ocelli,  figurata  nel  chiuder- 
gli da  sé  stesso,  e  lo  studio  delle  cose  filosofiche,  signi- 
(icato  nell'aiuto  di  Virgilio.  —  B. — 

Etd  dell'uomo  -  IjSì  vita  nostra  è  un  cammino  va- 
riabile, secondo  il  variar  dell'età,  che  richiede  studi 

e  operazioni  diverse.  —  Altro  SÌ  conviene  a  dire  e  operare 
a  una  etade,  che  ad  altra;  perchè  certi  costumi  sono  idonei 
e  laudabili  a  una  etade,  che  sono  sconci  e  biasimevoli  ad 
altra  :  Conv.  1. 1.  -  Altri  costumi  e  altri  portamenti  sono 
ragionevoli  ad  una  età  più  che  ad  altre...  L'anima  nobilitata 
ordinatamente  procede  per  una  semplice  via,  usando  li  suoi 
atti  nelli  loro  tempi  e  etadi  siccome  all'  ultimo  suo  frutto 
sono  ordinati  :  Conv.  iv.  24  -  A  ciascuna  parte  della  nostra 
età,  siccome  dice  Tullio  in  quello  di  Seneitute,  è  data  sta- 
gione a  certe  cose:  Conv.  iv.  27. 

La  prima  età  o  adolescenza  dura  fino  al  venticinquesimo 
anno,  ed  è  porta  e  via,  per  la  quale  s'entra  nella  buona 
vita.  Infino  a  quel  tempo  V  anima  nostra  intende  al  crescere 
e  all'abbellire  del  corpo,  onde  molte  e  grandi  trasmutazioni 
sono  nella  persona:  Conv.  iv.  24  -  L'adolescente  per  mino- 
ranza d' etade  lievemente  merita  perdono  [Conv.  iv.  26)  ;  che 
in  lui  la  parte  razionale  non  può  ancora  perfettamente 
discernere;  per  che  la  Ragione  vuole  che  dinanzi  a  quell'età 
non  possa  certe  cose  fare  senza  curatore  di  perfetta  età: 
Co7iy.iv.24.  Suo  precipuo  intendimento  è  di  acquistare  quello 
che  a  perfezione  e  a  maturità  venire  possa.  Conv.  iv.  27.  - 
Quattro  cose  rendonsi  necessarie  all'entrare  nella  città 
del  ben  vivere:  obbedienza,  soavità^  vcrgorpia,  adornezza 
corporale:  Co«y.  iv.  24  (Cans.  xvi.  7).  A  questa  età  è  pur 
necessario  d' essere  rifrenato  ;  sicché  non  trasvada  ;  non  che 
d'esser  penitente  del  fallo,  sicché  non  si  ausi  a  fallare: 
Conv.  IV.  25. 

La  Gioventù  si  compie  nel  quarantacinquesimo  anno  : 
Co«y.  IV.  24;  ed  è  il  colmo  della  naturai  vita:  Con?;,  iv.  7, 
26.  Ad  essa  é  data  la  perfezione  e  la  maturità;  acciocché 
la  dolcezza  del  suo  frutto  a  sé  e  altrui  sia  profittabile,  che, 
siccome  Aristotile  dice,  l'uomo  è  animale  civile,  onde  gli 
si  richiede  non  pur  a  sé,  ma  ad  altrui  essere  utile:  {Conv. 


180  FILOSOFIA  MORALE. 

IV.  27)  :  ad  essa  si  vuole  essere  temperala,  forte  ed  amo- 
rosa, e  cortese  e  leale:    CoJit;.  iv.  2G ;   Cyanz.xw.l. 
Che  si  conviene  ornai  altro  cammino 
Alla  mia  nave,  già  lunge  dal  porlo.  Son.  40  a  Cino. 

Appresso  la  propria  perfezione,  la  quale  s' acquista  nella 
gioventute,  conviene  venire  a  quella  che  alluma  non  pur 
se,  magli  altri;  e  conviensi  aprire  l'uomo  quasi  come  una 
rosa  che  più  chiusa  stare  non  può;  e  l'odore  ch'è  dentro 
generato,  spandere;  e  questo  conviene  essere  nella  terza 
età,  cioè  nel  senio  [Conv.  iv.  27),  che  dura  di  presso  a  dieci 
anni:  Conv. iv. 24.  -  L'anima  nobile  nella  senetta  si  è  'pru- 
dente, si  è  giusta,  si  è  larga  e  allegra  di  dire  bene  e  prò 
d'altrui,  e  d'udire  quello,  cioè  eh' e  affabile:  Id.  iv.  27. 

Da  ultimo  nella  quarta  parte  della  vita  A  Dio  si  rimarita. 
Contemplando  la  line  che  l'aspetta,  E  benedice  li  tempi 
passati  :  Canz.  xvi.  7.  -  Come  il  buono  marinaro,  che  come 
esso  appropinqua  al  porto  cala  le  sue  vele,  e  soavemente 
con  debole  conducimento  entra  in  quello  ;  (Quando  mi  vidi 
giunto  in  quella  parte  Di  mia  età,  dove  ciascun  dovrebbe  Calar 
le  vele  e  raccoglier  le  sarte.  Inf.  xxvii.  79  ),  così  noi  doverne 
calare  le  vele  delle  nostre  mondane  operazioni,  e  tornare  a 
Dio  con  tutto  nostro  intendimenlo  e  cuore  ;  sicché  a  quello 
porto  si  vegna  con  tutta  soavità  e  con  tutta  pace.  E  in 
ciò  avemo  dalla  nostra  propria  natura  grande  ammaestra- 
mento di  soavità,  che  in  essa  cotale  morte  non  è  dolore, 
né  alcuna  acerbità;  ma  siccome  un  pomo  maturo  leggier- 
mente e  senza  violenza  si  spicca  dal  suo  ramo;  così  la  nostra 
anima  senza  doglia  si  parte  dal  corpo  ov'ella  è  stata... 
Rendesi  dunque  a  Dio  la  nobile  anima  in  questa  età.  e 
attende  la  fine  di  questa  vita  con  molto  desiderio,  e  uscire 
le  pare  dell'albergo  e  ritornare  nella  propria  mansione: 
uscire  le  pare  di  cammino  e  tornare  in  città:  uscire  le  pare 
di  mare  e  tornare  a  porto.  Oh  miseri  e  vili  che  colle  vele 
alte  correte  a  questo  porto:  e  là  dove  dovreste  riposare, 
per  lo  impeto  del  vento  rompete,  e  perdete  voi  medesimi 
là  ove  tanto  camminato  avete!  Conv.  iv.  28. 

Della   Famiglia   -   Genitori   e   Figli.    —    L' UOmo    è 

compagnevole  animale; a   sua  sufficienza  ei  richiede 

compagnia  domestica  di  famiglia:  Conv.  iv.  1.  -  ^'ella  casa 


FILOSOFIA  MORALE.  181 

il  line  è  preparare  la  famiglia  al  ben  vivere:  uno  bisogna 
che  sia  regola  e  regga,  quale  padre  di  famiglia  si  chiama, 
ovvero  bisogna  che  in  luogo  suo  sia  un'altro,  secondo  la 
sentenza  d'Aristotile:  ogni  cosa  è  dal  più  antico  governata: 
l'officio  del  quale,  secondo  Omero,  è  dare  regola  agli  altri 
e  legge:  De  Mon.  i.l.  Quando  più  cose  a  uno  fine  sono 
ordinate,  una  di  quelle  conviene  essere  regolante,  ovvero  reg- 
gente, e  tutte  l'altre  rette  e  regolate  da  quella  :  Conv.wA.  - 
Di  questo  nasce  la  concordia  eh' è  uniforme  movimento  di 
più  volontà:  />e  iH/on.  1. 17.  -  (Una  parola  intuiti  era  ed  un 
modo,  Sì  cheparea  tra  esse  ogni  concordia:  Purg.  xvi.  20.) 
Non  v'ha  così  intima  amistà  come  quella  da  buon  padre 
a  buon  figliuolo,  e  da  buon  figliuolo  a  buon  padre:  Yita^. 
§  22  -  Il  primo  comandamento  di  Salomone  quando  intendea 
correggere  il  suo  tiglio,  suonava  così  :  «  Odi,  tiglio  mio,  l'am- 
maestramento del  tuo  padre.»  E  poi  lo  rimuove  incontanente 
dall'allrui reo  consiglio  e  ammaestramento,  dicendo:  «  Non 
ti  possano  quel  fare  di  lusinghe,  ne  di  diletto  li  peccatori, 
che  tu  vadi  con  loro.»  Onde  sì  tosto  com'è  nato  lo  tìglio 
alla  mammella  della  madre  s'apprende;  così  tosto,  come 
alcuno  lume  d'aniiiio  in  esso  appare,  si  dee  volgere  alla 
correzione  del  padre,  e  'l  padre  lui  ammaestrare.  E  guardisi 
che  non  gli  dea  di  sé  esemplo  nell'opera,  che  sia  contrario 
alle  parole  della  correzione;  che  naturalmente  vedemo  cia- 
scuno iiglio  più  mirare  alle  vesllgie  delli  paterni  piedi,  che 
all'altre.  E  però  dice  e  comanda  la  Legge,  che  a  ciò  prov- 
vede, che  la  persona  del  padre  sempre  santa  e  onesta  dee 
apparere  a'  suoi  tigli ...  Al  padre  si  dee  reducere  ogni  altra 
obbedienzia;  onde  dice  l'Apostolo  alli  Colossensi:  «Figliuoli, 
ubbidite  alli  vostri  padri  per  tutte  cose;  perciocché  questo 
vuole  Iddio.  »  E  se  non  é  in  vita  il  padre,  reducere  si  dee 
a  quello  che  per  lo  padre  è  nell'ultima  volontà  in  padre 
lasciato;  e  se  'l  padre  muore  intestato,  reducere  si  dee  a 
colui  cui  la  Ragione  commette  il  suo  governo:  Comimv. 24- 
Ottime  sta  ogni  hgliuolo,  quando  secondo  le  forze  della 
propria  natura  seguila  le  vestigio  del  padre  perfette  :  De 
.t/o/i.  1,  11.  -  E  pero,  dice  Tullio,  che  il  hgliuolo  del  valente 
uomo  dee  procurare  di  rendere  al  padre  buona  testimo- 
nianza :    Conv.  IV.  29.  Ma  quelli  che  dal  padre  o  da  alcuno 


182  FILOSOFIA  MORALE. 

SUO  maggiore  di  schiatta  è  nobilitato,  e  non  persevera  in 
quella,  non  solamente  è  vile,  ma  vilissimo,  e  degno  d'ogni 
dispetto  e  vituperio  più  clie  altro  villano:  Conv. iv.7.  L'uomo 
vile  disceso  degli  buoni  maggiori,  è  degno  d'essere  da  lutti 
scacciato:  e  deesi  il  buono  uomo  chiudere  gli  occhi  per  non 
vedere  quello  vituperio  vituperante  della  bontà  che  in  sola 
la  memoria  è  rimasa  :  Conv.  iv.  20. 

Riverenza  a'  Maggiori  ed  a'  iHaestri.    UnO   de'  più 

belli  e  dolci  frutti  della  discrezione  (la  parte  razionale  ha 
suo  occhio  col  quale  apprende  la  differenzia  delle  cose,  ii> 
quanto  sono  ad  alcuno  line  ordinale,  e  quest'è  la  Discre- 
zione :  Conv.  I.  2  ;  Discrezione,  (  discernimento  )  che  fa 
conoscere  l'ordine  di  una  cosa  ad  altra  ed  è  proprio  allo 
di  ragione  :  Coni',  iv.  8  )  è  la  riverenza  che  debbe  al  mag- 
giore il  minore Reverenza  non  è  altro  che  confessione 

di  debita  soggezione  per  manifesto  segno.  Irreverenza,  è 
disconfessare  la  debita  soggezione  per  manifesto  segno. 
IN'on  reverenza  è  negare  la  debita  suggezione:  Conv.  iv. 
8.  -  Siccome  quelli  che  mai  non  fosse  stalo  in  una  città, 
non  saprebbe  tenere  le  vie  senza  insegnamento  di  colui  che 
le  ha  usale;  così  l'adolescente  eh' enlra  nella  selva  erronea 
di  questa  vita  non  saprebbe  lenère  il  buon  cammino,  se 
dalli  suoi  maggiori  non  gli  fosse  mostrato.  Né  il  mostrare 
varrebbe,  se  alli  loro  comandamenlì  non  fosse  obbediente  : 
Conv.  IV.  24.  -  Chiunque  imprende  il  camino  della  virtù,  e 
vuol  ragionare  il  fine  della  sua  vita,  deve  seguitare  fedele 
il  savio  maestro...  cui  la  ragione  commette  il  suo  governo: 
Conv.ìY.S.  -  Il  discente  quanto  puote,  segue  il  maestro: 
Inf.  XI.  104.  -  Sicché  debbono  essere  ubbiditi  i  maestri  e 
maggiori  ;  che  in  alcuno  modo  pare  dal  padre,  o  da  quelU) 
che  il  loco  paterno  tiene  essere  commesso  :  Conv.  iv.  24.  - 
La  vera  obbedienza  conviene  avere  Ire  cose,  senza  le  quali 
essere  non  può:  vuole  essere  dolce,  e  non  amara;  e  coman- 
data interamente  e  non  spontanea;  e  con  misura  e  non 
dismisurata  :  Conv.  i.  7.  -  In  ciascuna  arte  e  in  ciascuno 
mestiere  gli  artefici  e  li  discenti  sono  ed  esser  deono  sug- 
gelli al  principe  e  al  maestro  di  quelle,  in  quelli  mestieri  e 
in  quella  arte:  Coni). iv. 9. -Ei  si  parte  dall'uso  della  ragione 
colui  che  ha  le  vestigie  innanzi  e  non  le  mira»  e  però  dice 


FILOSOFIA  MORALE.  183 

Salomone  nel  quinto  cap.  dei  Proverbi  :  «  Quelli  morrà  che 
non  ebbe  disciplina,  e  nella  moltitudine  della  stoltizia  sarà 
ingannato,))  cioè  a  dire;  colui  è  morto  che  non  si  fé  di- 
scepolo, che  non  segue  il  maestro  :  Conv.  iv.  7.  -  Però  in 
ciascuna  dottrina  dal  maestro  si  vuole  aver  rispetto  alla 
[acuità  del  discente,  e  per  quella  via  menarlo,  che  più  a  lui 
sia  lieve  :  Conv.  iv.  17.  Ed  allora  il 

discente...  a  dottor  seconda 
Pronto  e  libente  ia  quel  eh'  egli  è  esperto, 
Perchè  la  sua  bontà  si  disasconda.  JPar.xxv.  64. 

Né  solo  obbedienza,  ma  dobbiamo  pure  amore  ai  maggiori 
nostri,  dalli  quali  abbiamo  ricevuto  ed  essere  e  nutrimento 
e  vita,  sicché  non  paiamo  ingrati:  Conv.  iv.  26. 

A  costor  si  vuol  esser  cortese: 

E  se  non  fosse  il  fuoco  che  saetta 
La  natura  del  luogo,  i'  dicerei, 
Che  meglio  stesse  a  te,  che  a  lor,  la  fretta,  /?)/.  xvl15. 

lo  non  osava  scender  della  strada 
Per  andar  par  di  lui:  ma  '1  capo  chino 
Tenea,  com'uom  che  riverente  vada.  /n/".  xv.43. 
(  davanti  a  suo  maestro  Brunetto  Latini  ) 

Lo  Duca  mio  allor  mi  die  di  piglio, 
E  cor>  parole  e  con  mani  e  con  cenni 
Reverenti  mi  fc  le  gambe  e  il  ciglio.  Purg.  i.  49. 
(  davanti  a  Catone  ) 

Uella  Bellezza  -  Si  fa  manifesta  massimamente 
nella  faccia,  ma  disfavilla  ncj^li  occhi  e  nella  boc- 
ca. —  Tra  le  corporali  boutadi  vanno  annoverate  :  bellezza, 
fortezza  e  quasi  perpetua  valetudine  :  Conv.  iv.  19.  -  La  bel- 
lezza del  corpo  risulla  dalle  membra,  in  quanto  sono  debi- 
tamente ordinate:  C'onr.  iii.  5.  -  Quella  cosa  dice  l'uomo 
esser  bella,  le  cui  parti  debitamente  rispondono,  perchè 
dalla  loro  armonia  risulta  piacimento,  onde  pare  T  uomo 
esser  bello,  quando  le  sue  membra  debitamente  rispondono: 
Conv.  1.  5.  -  Quando  (il  corpo)  è  bene  ordinato  e  disposto, 
allora  è  bello  per  tutto  e  per  tutte  le  parti,  che  l'ordine 
debito  delle  nostre  membra  rende  un  piacere  non  so  di  che 
armonia  mirabile:  e  la  buona  disposizione,  cioè  la  sanità, 
getta  sopra  quelle  un  colore  dolce  a  riguardare  :  Coni',  iv. 
fò.  -  Non  si  può  avere  buona  abitudine  di  membra  senza 
la  sanità:  De  Man.  ii.  6. 


184  FILOSOFIA  MORALE. 

Nella  faccia  dell'  uomo  l'anima  più  adopera  del  suo  uf- 
ficio, che  in  alcuna  parte  di  fuori,  tanto  sottilmente  intende, 
che  per  sottigliarsi  quivi,  tanto  quanto  nella  sua  materia 
puote,  nullo  viso  ad  altro  è  simile;  perchè  l'ultima  po- 
tenzia della  materia,  la  qual  è  in  tutto  quasi  dissimile, 
quivi  si  riduce  in  atto.  -  Ma  nella  faccia,  massimamente  in 
due  luoghi  adopera  l'anima,  negli  occhi  e  nella  bocca,  e 
quelli  massimamente  adorna,  e  quivi  pone  lo  intento  tutto 
a  far  bello,  se  puote:  e  questi  due  luoghi  per  bella  simi- 
litudine si  possono  appellare  balconi  dell'anima,  avvegnac- 
chè  quasi  velata,  spesse  volle  vi  si  dimostra.  Dimostrasi 
negli  occhi  tanto  manifesta,  che  conoscer  si  può  la  presente 
passione,  chi  bene  la  mira...  Di  nulla  cosa  puote  l'anima 
esser  passionata,  che  alla  finestra  degli  occhi  non  vegna 
la  sembianza,  se  per  grande  virtù  dentro  non  si  chiude... 
Dimostrasi  nella  bocca,  quasi  siccome  colore  dopo  vetro. 
E  che  è  ridere  se  non  una  coruscazione  e  dilettazione  del- 
l'anima,  cioè  un  lume  apparente  di  fuori  secondo  che  sta 
dentro?  Conv.  ni.  8. 

Portamento  esteriore.  —  Debbe  V  uomo  porre  Ogni 
studio  in  quelle  operazioni  che  sono  proprie  dell'  anima  ra- 
zionale, dove  la  divina  luce  più  espeditamente  raggia,  cioè 
nel  parlare  e  negli  alti,  che  reggimenti  e  portamenti  so- 
gliono essere  chiamati  :  Conv.  ni.  7.  -  E  a  ben  entrare  nella 
porla  della  gioventù  gli  fa  mestieri  esser  soave  e  grazioso. 
La  grazia  s'acquista  per  soavi  reggimenti  che  sono  dolce 
e  cortesemente  parlare,  dolce  e  cortesemente  servire  e  ope- 
rare :  Conv.  IV.  25.  -  La  soavità  degli  atti  che  avvalora  ed 
accende  Amore  consiste  in  tutti  li  sembianti  della  persona 
onesti,  dolci,  e  senza  soperchio  alcuno  :  Conv.  ni.  14. 

E  al  severo  poeta  piace  di  scolpirci  spesso  questi  atti 
esteriori,  questi  nobili  e  laudabili  portamenti  [V.JS.  §2.), 
quasi  bellezza  risplendente  in  suW  onestà  :  Conv.  iv.  8.  - 
L' orrevole  gente  del  castello  della  nobiltà  ci  è  dipinta 
con  occhi  tardi  e  gravi,  E  di  grande  autorità  ne'  lor  sem- 
hianti:  Inf.  iv.  112.  -  La  gente  d'anime  trovata  a' pie  del 
monte  del  Purgatorio,  andava  pudica  in  faccia  e  nell'an- 
dare onesta:  Purg.  in.  ^1;  ed  ei  ci  ricorda  l'atto  onestato 
^  sodo:  Purg.  xxix.  134;  e  gli  atti  ornati  di  tutte  onestati: 


FILOSOFIA  MORALE.  185 

Par.  XXXI.  49  ;  e  il  viso  e  fili  atti  di  riverenza  adorni: 
Purcj.  XII.  82.  -  Gli  alti  villani  sieno  lungi  da  noi:  Conv. 
IV.  25.  -  Atto  lil)ero  è,  quando  una  persona  va  volentieri 
ad  alcuna  parte  che  si  mostra  nel  tenere  volto  lo  viso  in 
quella:  atto  sforzato  è,  quando  contro  a  voglia  si  va,  che 
sì  mostra  in  non  guardare  nella  parte  dove  si  va:  Conv.  i.  8. 

Sia  moderato  il  riso  con  un'  onesta  soavità,  e  con  poco 
movimento  delle  membra,  sicché  l'anima  paia  modesta  e 
non  dissoluta.  E  il  poeta  con  soavissima  espressione  ne  di- 
pinge il  mirabile  riso  della  sua  donna  che  mai  non  si  sentia 
se  non  dell'occhio:  Conv.  ni  8. 

La  fretta  toglie  il  decoro  alla  movenza  delle  membra, 
e  disconviene  alla  maestà  della  persona  :  La  fretta  che  /'  o- 
nestà  dismaffa:  Pur(/.  ni.  11.  Alla  quale  sentenza  fa  chiosa 
il  precetto  di  Seneca,  ricordatoci  negli  AmmaeslramenH  degli 
Antichi,  Z)/s.  VII.  1. 18:  Sia  il  tuo  andare  senza  disordina- 
mento.... nell'apparenza  e  nei  movimenti  si  deve  servare 
più  diligentemente  regola  d'onestà,  in  quanto  che  gli  atti 
dimostrano  quello  che  la  persona  è;  e  quello  dello  Somma, 
1,  2, 102:  -  All'onestà  e  gravità  nuoce  la  fretta.  (L'esser 
bene  usante  con  affabile  piacevolezza,  cortese,  amorevole, 
giocondo  e  bene  complessionato,  avere  la  loquela  graziosa 
e  pronta  e  feconda,  la  voce  soave,  dolce  e  ben  sonora; 
avere  lo  sguardo  e  l'andare  composto  e  gli  altri  sembianti 
con  bella  maniera.  Passavanti,  Specchio  della  vera  Peni- 
tenza, Trattato  della  Vanagloria.  C.  iv.  p.  270.) 

L'uomo  buono  dee  la  sua  presenza  dare  a  pochi  e  la 
familiarità  dare  a  nàeno,  acciocché  il  nome  suo  sia  ricevuto 
e  non  ispregiato:  Conv.  i.  4.  -  Alle  secretissime  cose  noi  do- 
vemo  avere  poca  compagnia:  Conv.  ii.  1. 

Della  Donna:  sua  bellezza;  quanto  è  più  semplice 
è  più  bella.  Inverecondo  vestire.  Doti  di  che  debbe 
andar  fornita  una  d<»nna.  Pudore.  Paura  del  diso- 
nore. Innanzi  a  donna  non  si  tengano  parole  men 
che  oneste.  A  chi  debba  la  donna  concedere  i  suol 

affetti.  — Beltà  e  saggezza  sono  le  virtù  con  che  la  donna  può 
svegliare  e  ridurre  in  atto  amore  nell'uomo:  Son.  10.  Ma  la 
bellezza  d'una  donna  non  si  può  manifestare,  quando  gli 
adornamenti  dell'  azziniare  e  delle  veslimenta  la  fanno  più 
ammirare  ch'essa  medesima   {lyon  donne  contlgiate,  non 


186  FILOSOFIA  MORALE. 

cintura  Che  fosse  a  veder  più  che  la  persona:  Par,  xv.  101)  ; 
onde  chi  vuole  bene  giudicare  d'una  donna,  guardi  quella 
quando  solo  sua  naturai  bellezza  si  sia  con  lei  da  tulio 
accidentale  adornamenlo  discompagnala:  Conv.i.ìO.  -  Le 
donne,  con  semplicità  di  stile  e  abbondanza  di  parola  affet- 
tuosa, con  soavità  impareggiabile  di  poesia  esaltale  a  cielo  dal 
poeta,  venivano  dallo  specchio  senza  il  viso  dipinto,  intente 
al  fuso  ed  al  pennecchio,  e,  madri  affettuose,  vegghiavano 
a  studio  della  culla,  e,  consolando  usavano  l'idioma  che  pria 
li  padri  e  le  madri  trastulla:  Par.  xv.  117.  -  Indizio  di 
grande  corruttela  è  il  vestire  disonesto  nella  donna.  Il  bel 
sesso  è  per  natura  pudibondo.  Quand'esso  perdette  il  pu- 
dore, si  può  dire  che  la  corruzione  è  al  colmo.  E  il  poeta 
gridava  con  parole  di  fuoco  contro  le  sfacciale  e  svergo- 
gnate firentine  {Purg.xxm),  ed  a  castigo  dello  sfoggiato 
ed  inverecondo  vestire  si  fa  preveggente  annunziatore  di 
calamità  alla  sua  patria.  E  nella  Canz.  xviii.  2,  ei  pur  canta: 
Ornarsi,  come  vendere 

Si  volesse  ai  mercato  rie' non  saggi? 

Che  il  savio  non  pregia  uom  per  vestimenta, 

Perché  sono  ornamenta, 

Ma  pregia  il  senno  e  li  gentil  coraggi. 
E  nel  Conv.  ni.  4:  «  Yeggano  li  cattivi  malnati,  che  pongono 
lo  studio  loro  in  azziniare  la  loro  persona,  che  dee  essere 
tutta  con  oneslade  ;  che  non  è  altro  a  fare,  che  ornare  l'o- 
pera d'altrui,  abbandonare  la  propria.»  -Né  alcuno  meni  mai 
vanto  di  «  beltade  eh'  abbia  nel  suo  corpo,  che  non  fu  egli 
di  ciò  fattore:  Iddio  è  Signore,  esso  fece  noi  e  non  essi 
noi:»  Conv.  in.  4  -  E  la  beltà  in  donna  non  sia  scompagnala  da 
saggezza.  E  ch'è  piìi  bello  in  donna  che  savere?  Ma  oltre  che 
saggia  il  filosofo  la  vuole  pure  cortese  nella  sua  grandezza: 
Canz.ix.L  Nulla  cosa  in  donna  sta  più  ben  che  cortesìa  :  Conv. 
11.  11.  -  Cortesia  e  oneslade  è  luti' uno:  Id.  -  E  perchè  la 
donna  si  possa  dire  gentile  negli  alti  ed  amorosa,  Canz.  xii. 
3.  (Adorna  assai  di  gentilezze  umane:  Caw:;.  iv.  1.  Gentile 
e  piena  di  lutti  i  piaceri:  V.  JS.  §26),  debbe  andar  coro- 
nala di  umiltà:  V.N.  §26;  cinta  ed  ornata  alla  guisa  che 
alla  etade  si  conviene:  Y.  J\.  §2;  vestita  di  gentilezza,  di 
amore  e  di  fede:  5on.  18;  essere  di  molto  leggiadro  par^ 
lare:  V.  N.  §.  18.  -  In  donna  è  da  pregiar  virtute.  Bai  u  - 


FILOSOFIA  MORALE.  187 

{Donna  di  virlù.  Inf.w.  18.)  Donna  onesta  permane  di  sé 
sicura,  per  la  coscienza  di  sua  integrila:  al  pur  udire  il 
fallo  altrui  divicn  timida:  per  l'altrui  fallanza  timida  sì 
rimane:  /^ar  xxvii.  31.  -  Guardiano  d'ogni  più  bella  virtù 
nella  donna  è  il  Pudore.  Il  Pudore  è  un  ritraimento  d'ani- 
mo da  laide  cose,  con  paura  di  cadere  in  quelle;  siccome 
vedemo  nelle  vergini  e  nelle  donne  buone  e  neili  adolescenti, 
che  tanto  sono  pudici,  che  non  solamente  là  dove  richiesti 
0  tentati  sono  di  fallare,  ma  ove  pure  alcuna  imaginazione 
di  venereo  compiacimento  avere  si  possa,  tutti  si  dipingono 
nella  faccia  di  pallido  o  di  rosso  colore...  Oh  quanti  fallì 
rifrena  questo  pudore!  quante  disoneste  cose  e  domande 
fa  tacere!  quante  disoneste  cupiditati  raffrena!  quante  male 
tentazioni  non  pur  nella  pudica  persona  diffida,  ma  eziandio 
in  quello  che  la  guarda!  quante  laide  parole  ritiene!  Conv. 
IV.  25.  -  In  donna  è  pur  laudabile  la  paura  del  disonore 
per  colpa:  sfacciatezza  in  esso  lei  è  viltà  e  ignobililà:  Conv. 
IV.  19.  -  Nullo  atto  è  laido  che  non  sia  laido  quello  nomi- 
nare. Lo  pudico  e  nobile  uomo  mai  non  parlò  sì,  che  a  una 
donna  non  fossero  oneste  le  suo  parole.  Ahi  quanto  sta 
male  a  ciascun  uomo  che  onore  vada  cercando,  menzionare 
cose,  che  nella  bocca  d'ogni  donna  slieno  male!  Conv.  iv.  2o. 

E  donna  leggiadra  non  deve  amare  se  non  chi  segue 
virtù  e  conoscenza.  La  bella  ch'Amore  consente  essere  in 
donna  sin  dal  suo  decreto  antico,  non  fu  formata  che  per 
disposarsi  a  virtù:  Canz.  xviii.  1.  -  Onde  ognuna  che  sente 
dipillo  pregio  delia  bellezza  con  onesto  e  bel  disdegno  do- 
vrebbe coprire  quanto  di  beltà  è  in  lei  dinanzi  ad  uomo  non 
virtuoso,  perchè  virtù  debb' esser  seano  d'amore.  -  Oh  pe- 
risca colai  donna,  che  per  cagion  di  voler  amare  un  tristo 
uòmo,  disgiunge  sua  beltà  da  bonlà  naturale,  e  crede  Amore 
un  appetito  irrazionale,  fuor  d'orlo  di  rafjione,  quando  è 
invece  appetito  d'animo,  spettando  pur  alla  volontà  e  allo 
intelletto:  Canz.  xviii.  7. 

Vergogna,  Verecondia.  —  Vergogna    è    tema    di   di- 

sonoranza  :  Conv.  iv.  19.  Vi  è  una  vergogna  che  nasce  dal 
pentimento  del  fallo  e  questa  è  bella  e  santa,  e  lava  ogni 
maggior  difetto  [Inf.xxx.  143);  e  ve  n'  ha  un'altra  che  nasce 
da  dispiacere,  e  questa  è  trista:  Inf.  xxiv.  142.  Vergogna 


188  FILOSOFIA  MORALE. 

non  sempre  in  lutti  può  far  l)uona  scusa  al  fallo,  ma  solo 
nei  giovani  e  negli  inesperti:  ( Conv.  iv.  19, 25. ) 
Del  color  consperso 
Che  fa  l'uom  di  perdon  talvolta  degno.  Punì.  v.  2o. 

La  Verecondia  è  una  paura  di  disonoranza  per  fallo 
commesso;  e  di  questa  paura  nasce  un  pentimento  del 
fallo,  il  quale  ha  in  se  un'amaritudine,  eh' è  gastigamenlo 
a  più  non  fallire:  Conv.  iv.  23. 

Amore.  —  L'amore  attesta  gentilezza  d'animo,  che: 

Amor, ...  al  cor  gentil  ratto  s'  apprende.  Inf.  v.  100. 
Amore  e  cor  gentil  sono  una  cosa.  Son.  10. 

ed  ,è  detto  pur  di  lui  : 

11  fonte  del  gentil  parlare.  Son.  42. 
Amore  è  che  congiunge  e  unisce  l'amante  con  la  per- 
sona amata:  Coni'.  IV.  1.  -  Le  cose  congiunte  comunicano 
naturalmente  in  tra  sé  le  loro  qualità;  intantochè  talvolta 
è  che  l'una  torna  del  tutto  nella  natura  dell'altra,  incontra 
che  le  passioni  della  persona  amata  entrano  nella  persona 
amante,  sì  che  l'amor  dell'una  si  comunica  nell'altra,  e 
così  l'odio  e '1  desiderio  e  ogni  altra  passione;  per  che 
gli  amici  dell'  uno  sono  dall'  altro  amati,  e  li  nemici  odiali  ; 
perchè  in  greco  proverbio  è  detto:  «  Degli  amici  esser  deon 
tulle  le  cose  comuni»  :  Conv.  iv.  1  -  Amore,  veramente  pi- 
gliando e  sottilmente  considerando,  non  è  altro  che  uni- 
niento  spirituale  dell'anima  e  della  cosa  amata,  nel  quale 
unimento  di  propria  sua  natura  l'anima  corre  o  tosto  o 
tardi,  secondochè  è  libera  o  impedita  :  Conv.  in.  2.  -  Non 
subitamente  nasce  amore  e  fassi  grande  e  viene  perfetto, 
ma  vuole  alcuno  tempo  e  nutrimento  di  pensieri,  massi- 
mamente là  dove  sono  pensieri  contrarli  che  lo  impediscono. 
Allora  prima  che  questo  amore  divenga  perfetto,  conviene 
molta  battaglia  intra  '1  pensiero  del  suo  nutrimento,  e  quello 
che  gli  è  contrario:  Conv.  n.  2.  -  La  mente  si  diletta  sem- 
pre nell'uso  della  cosa  amata,  eh' è  frutto  d'amore,  in  quella 
cosa,  che  massimamente  è  amata,  è  1'  uso  massimamente 
dilettoso  :  Conv.  iv.  22.  -  Ogni  cosa  amabile  tanto  più  è  amala, 
quanto  è  più  propinqua  all'amante:  De  Mon.  I.13  (/«/". v.  127). 
Quanto  l'agente  più  al  paziente  sé  unisce,  tanto  più  è  forte 
però  la  passione...  Onde  quanto  la  cosa  desiderata  più  si 


FILOSOFIA  MORALE.  189 

appropinqua  al  desiderante,  lanlo  il  desiderio  è  maggiore  ;  e 
l'anima  più  passionata,  più  si  unisce  alla  parte  concupisci- 
bile e  più  abbandona  la  ragione:  Conv.  iii.  10.  -  Due  sorte 
(li  amori  vi  hanno,  sensuale  ed  intellettuale: 

.  ,  .  amar  si  può  bellezza  per  diletto, 
E  amar  puossi  virtù  per  alto  oprare.  Son.  42. 

Amicizia.  —  Il  nome  di  amico  è  sacro,  ma  più  sovente 
profanato:  i  più  sono  amici  della  ventura:  lnf.\\.^^\  onde 
il  proverbio  :  amico  di  ventura  come  rota  si  ffira.  -  E  della 
amicizia  ci  apprendeva  questi  nobilissimi  dettati:  Quegli  si 
dice  amico,  la  cui  amistà  non  è  celata  alla  persona  amata, 
ed  a  cui  la  persona  amata  è  anche  amica;  sicché  la  be- 
nevolenza sia  d'ogni  parte:  Conv.  iii.  Il  -  L'operazione  della 
virtù  per  se  dee  essere  acquistatrice  di  amici,  conciossia- 
cosacchè  la  nostra  vita  di  quelli  abbisogni:  Conv.  i.  8. 
Dall'amore  alla  verità  e  alla  virtù  nasce  la  vera  perfetta 
amistà:  Conv.  in. 'ò.  Della  vera  amistà  è  cagione  efficiente 
la  virtù...  Fine  dell'amistà  vera  è  la  buona  dilezione  che 
procede  dal  convivere....  secondo  ragione:  Conv.  iii.  11. 
Amore, 
Acceso  di  virtù,  sempre  altro  accese 
Pur  che  la  fiamma  sua  paresse  fuore.  Furg.  xxii.  10. 

L' amistà  per  onestà  fatta  è  vera  e  perfetta  e  perpetua  ;  quella 
per  diletto  fatta  o  per  utilità,  non  è  amistà  vera,  ma  per  acci- 
dente... l'amistà  i^er  utilità,  meno  amistà  si  può  dire  :  Conv. 
IH.  11  -  La  maggior  parte  dell'  amistadi  si  paiono  seminare 
nell'età  prima,  perocché  in  essa  comincia  l'uomo  a  esser 
grazioso:  la  qual  grazia  s'acquista  per  soavi  reggimenti 
che  sono  dolce  e  cortesemente  parlare,  dolce  e  cortesemente 
servire  e  operare  :  Conv.  iv.  25.  Intra  dissimili  di  eostumi 
amistà  esser  non  può,  dovunque  amistà  si  vede,  similitudine 
s'intende,  corre  comune  la  lode  e  lo  vitupero:  Conv.  iii.  1. 
Simile  a  simil  correr  suole:  Canz.  viii.  3;  ni.  1.  Simiglianza 
fa  nascer  diletto:  Canz.  xvui.  3.  -  Alcun  vizioso  dunque  non  si 
mostri  amico,  perchè  in  ciò  si  prende  opinione  non  buona 
di  colui  cui  amico  si  fa  :  Conv.  ni.  1  -  E  non  meno  dissimili 
che  simili  di  stato  congiungonsi  per  fede  d'amicizia.  Dacché, 
se  vogliasi  riguardare  le  amicizie  dilettevoli  ed  utili,  a  chi 
vi  bada,  si  parrà  che  ben  sovente  per  esse  stringonsi  le 


190  FILOSOFIA  MORALE. 

preemìnenli  alle  inferiori  persone.  Ove  poi  rivolgasi  lo 
sguardo  all'amicizia  vera  e  per  sé,  forse  non  consterà  che 
ari  illustri  e  sommi  principi  assai  di  frequente  s'amicarono 
uomini  di  fortuna  oscuri  e  per  onestà  preclari?  E  come 
no?  se  anche  tra  Dio  e  l'uomo  non  vien  per  dismisura 
ad  impedirsi  l'amicizia?  Ep.  a  Cangrande,  ^  ^.  -  ^e  non  che 
nelle  persone  dissimili  di  stato  conviene,  a  conservazione 
di  quella,  una  proporzione  essere  in  tra  loro,  che  la  dissi- 
militudine a  similitudine  quasi  riduca,  siccome  intra  il 
signore  ed  il  servo:  Conv.  ni.  1.  -Ciascun  amico  si  duole  del 
difetto  di  colui  ch'egli  ama:  Conv.  1. 1.  Nessuno  dee  l'amico 
suo  biasimare  palesemente,  perocché  a  sé  medesimo  dà  del 
dito  nell'occhio:  Conv.mA.  All'amico  dee  l'jiiomo  lo  suo 
difetto  contare  segretamente:  Conv.  L'i.  Quando  l'amico 
conosce  che  vergogna  crescerebbe  al  suo  amico  quello 
ammonendo,  o  menomerebbe  suo  onore,  o  conosce  l' amico 
suo  non  paziente,  ma  kacondo  all'amonizione,  ei  s'adopera 
come  quello  savio  guerriero  che  combatte  il  castello  da  un 
lato  per  levare  la  difesa  dall'altro,  che  non  vanno  a  una 
parte  la  'ntenzione  dell' aiutorlo,  e  la  battaglia:  Conv.  in.  10. 
li  naturale  amore  principalmente  muove  l'amatore  a  tre 
cose:  l'una  si  è  a  magnificare  l'amato;  l'altra  è  a  esser 
geloso  di  quello;  la  terza  a  difendere  lui...  Quanto  1' amico 
ha  di  boutade  in  podere  ed  occulto,  ei  lo  fa  avere  in  atto 
e  palese...  La  gelosia  dell'amico  fa  l'uomo  sollecito  a  lunga 
provvedenza:  Con?;.  1. 10.  -  Provenzano  Salvani  liberamente 
nel  campo  di  Siena,  Ogni  vergogna  deposta,  s'affìsse:  E  lì 
per  trar  V amico  suo  di  pena.  Che  sostenea  nella  prigion  di 
Carlo,  Si  condusse  a  tremar  per  ogni  vena:  Purg.  xi.  134  -  Gli 
amici  sono  quasi  parti  di  un  tutto,  perocché  'l  tutto  loro 
è  uno  volere  e  uno  non  volere:  Conv.  i.  6.  Uno  medesimo 
studio  dev'essere  tra  loro,  perchè  di  questa  concordia  l'a- 
mistà è  confermata  e  accresciuta...  L'amistà  si  accresce  per 
la  consuetudine:  Conv.  1. 13  -Un  sol  volere  è  d'ambedue: 
Jnf.  II.  138:  Tanto  m'é  bel,  quanto  a  te  piace:...  sai  ch'io 
non  mi  parto  dal  tuo  volere:  Inf.  xix.  38:  Esser  non  puote 
il  mio  (voler)  che  a  te  si  nieghi:  Purg.  i.  57.  Se  gli  amici 
hanno  uno  stesso  volere,  dunque  gli  stessi  desideri!,  dunque 
la  stessa  fisionomia  per  cui  vengono  appalesati: 


FILOSOFIA  MORALE.  191 

Pur  mo  venieno  i  tuoi  pensier  Ira'  miei 
Con  simil  atto  e  con  simile  faccia. 
Sì  che  d'  entrambi  un  sol  consiglio  fei.  Inf.  xxin.  28. 

^'olisi  la  gravità  e  la  nobiltà  della  sentenza  racchiusa  nei 
versi  seguenti  all'intuito  degna  del  sommo  poeta: 
Che  tutti  i  carchi  sostenere  addosso 

De'  l'uomo  infino  al  peso  eh' è  mortale. 

Prima  che  '1  suo  magi,More  amico  provi, 

Che  non  sa,  qual  sei  trovi  ; 

E  s'  egli  avvìen  che  gli  risponda  male, 

Cosa  non  è  che  costi  tanto  cara; 

Che  morte  n'ha  più  testa  e  più  amara.  Canz.  i.  3. 
Consiglilo  e  Consig;iicrc.  —  Male  tragge  al  segno 
quello  che  noi  vede;  e  così  mal  può  ire  a  questa  dolcezza  chi 
prima  non  l'avvisa...  Onde  nobilissimo  e  necessario  è  questo 
segno  vedere,  per  dirizzare  a  quello  l'arco  delle  nostre 
operazioni,  e  massimamente  è  da  gradire  quegli  che  a  coloro 
noi  ve;?giono,  l'addita:  Cony.  iv.  22.  Nelle  nostre  dubbiezze 
adunque  ci  è  mestieri  ricorrere  agli  altrui  consigli,  se  da  noi 
medesimi  aver  non  li  possiamo  :  Purg.  in.  62.  Il  buon  con- 
sigliere ci  sarà  in  quelle  di  conforto  [hif.  iv.  18),  e  ad  ogni 
nostro  uopo  di  soccorso:  Purg.  xvm.  13.  Uno  de'  caratteri 
di  buon  consigliere  si  è  che  abbia  esperienza  del  mondo, 
perchè  egli  allora  ha  le  cose  conte:  Inf.xw.  62;  e  perchè 
dalla  prudenza  vengono  i  buoni  consigli,  i  quali  conducxDno 
sé  ed  altrui  a  buon  line  nelle  umane  nostre  operazioni  : 
Conv.  iv.  27.  Qualunque  ora  lo  guidatore  è  cieco,  convien 
ch'esso  e  quello  cieco  ch'a  lui  s'appoggia,  vengano  a  mal 
fine:  Conv. i.  lì.  Tutte  le  qualità  del  buon  consigliere  sono 
mirabilmente  espresse  dal  nostro  poeta  in  questo  verso: 

Che  vede,  e  vuol  dirittamente,  ed  ama.  Par.  xvni.  105. 
La  sua  parola  ornata  fia  la  nostra  scoria:  Purg.  xii. 45;  essa 
ci  mostrerà  ciò  che  ci  è  necessario  al  nostro  campare  {Inf. 
II.  67),  e  con  desiderio  disporrà  il  nostro  cuore  al  bene 
{Inf.  II.  1*35),  onde  noi  acquisteremo  prode  nelle  parole  sue  : 
Purg.  XV.  141.  Il  consigliere  prudente  non  attenderà  i 
dimandati  consigli,  ma  preveggendo  per  lui,  senza  richiesta, 
ce  ne  sarà  liberale,  siccome  la  rosa  che  non  pure  a  quello  che 
va  a  lei  per  lo  suo  odore,  rende  quello,  ma  eziandio  a  qua- 
lunque appresso  le  va  :  Conv.  iv.  27.  Come  ci  abbiamo  scelto 
il  consiglio  saggio  {Purg.  xiu.  75),  cui  il  cielo  ci  ha  concesso 


192  FILOSOFIA  MORALE. 

per  nostra  salute,  dobbiamo  considerarlo  qual  dolcissimo 
padre  {Pura.  xxx.  50),  acquetarsi  in  lui;  esso  intenderà  me- 
glio che  noi  ragioniamo:  Inf.  ii.  35.  E  sarà  pur  bella  cosa 
a  noi,  del  suo  ammonir  usi  [Purg.  \u.  85),  comunicargli  i 
nostri  pensieri,  ez'.andij  quando  ci  paiono  scevri  d'ogni 
dubbio,  cosi  meglio  ci  sarà  confermalo  il  vero: 

Maestro  mio,  risposi,  per  udirti 
Son  io  più  certo:  ma  già  mi  era  avviso 
Cile  così  fusse,  e  già  voleva  dirti.  Inf.  xxvi.  49. 

I  consigli  che  non  hanno  rispetto  alla  nostr'arle,  e  che 
procedono  solo  da  quel  buono  senno  che  Iddio  ci  diede 
(eh' è  prudenzìa)  noi  non  li  dobbiamo  vendere  a' figliuoli 
di  colui  che  ce  li  ha  dati.  Quelli  che  hanno  rispetto  all'arte, 
la  quale  abbiam  comperata,  vender  possiamo,  ma  non  s'i 
che  non  si  convengano  alcuna  volta  decimare  e  dare  a  Dio, 
cioè  a  quelli  miseri,  a  cui  solo  il  grado  divino  (F  esser  cari 
a  Dio)  è  rimaso  :  Conv.  iv.  27. 

Prudenza.  —  A  esser  prudente  si  richiede  buona 
memoria  dalle  vedute  cose  per  trarne  documento,  e  buona 
conoscenza  delle  presenti  per  non  prender  inganno  a  deter- 
minarsi all'azione,  e  buona  provveden:^a  dalle  future:  Conv. 
IV.  27.  E  il  Paruta  dal  nostro  filosofo  tolse  di  peso  la  sua 
definizione  della  prudenza:  Prudenza  è  ricordarsi  delle  cose 
passate,  il  conoscere  le  cose  presenti  e  il  provedere  le  future.  - 
«  Prudenzia,  cioè  Senno,  per  molti  è  posta  tra  le  morali 
virtù,  da  Aristotile  anche  tra  le  intellettuali  :  avvegnacchè 
essa  sia  conducitrice  delle  morali  virtù,  e  mostri  la  via 
per  che  elle  si  compongono,  e  senza  quella  èssere  non 
possono.  «  Conv.  ìv.  11.  -  Alle  forti  imprese  non  dobbiamo 
sbadatamente  avventurarci,  ma  ci  è  duopo  guardare  la  nostra 
virtù  s' e\h  è  possente,  fidarci  poi  aW alto  passo:  Inf.u.XÌ.- 
II  prudente  va  sempre  atteso  innanzi:  Pwrg.  xii.  76;  non 
delibera  mai  subito:  innanzi  di  mettersi  ad  alcuna  opera 
sì  fa  di  tratto  bene  a  considerarla:  dopo  alcun  consiglio 
eletto  seco  ;  Inf.  xxiv.  22,  poi  ne  esamina  la  mente,  e  deli- 
bera ;  alla  perfine,  dispostosi  all'uopo,  non  tarda  a  compierla. 
La  prudenza  esige  che  si  preveggano  le  difficoltà  che  po- 
trebbero attraversare  la  nostra  via,  perchè  non  ci  vengano 
meno  gli  argomenti  necessari  a  vincerle.  Il  prudente  ade- 


FILOSOFIA  MORALE.  193 

pera  ed  istìma  Che  sempre  par  che  innansi  sì  prover/qia:  Inf. 
XXIV.  2'J.  -  Egli  è  buono  armarsi  di  provedenza:  Par.  xwi. 
109.  La  prudenza  e  la  cautela  non  è  mai  soverchia  : 

Presso  a  color,  che  non  vej^gon  pur  l'opra, 
Ma  per  entro  i  pensier  miran  col  senno.  Inf.  xvi  119. 

L'imprudente  ha  varihezza  e  senno  poco.  Inf.  xxix.  114. 

Pusillanimità.  —  Il  pusillanimo. . .  sempre  si  tiene 
meno  che  non  è...  il  pusillanimo  sempre  fa  maggiori  gli 
altri  che  non  sono...  Con  quella  misura  che  l'uomo  misura 
sé  medesimo  misura  le  sue  cose,  che  sono  quasi  parte  di 
sé  medesimo  :  Conv.  1. 11. 

Fortezza  nelle  sventure  —  Nell'avversità  non  ci 
venga  mai  manco  la  fortezza;  ma  dobbiamo  essere  presti, 
come  vuol,  alla  fortuna  {Inf.  xx  53),  e  sentirci  ben  tetragoni 
ai  colpi  dì  ventura  (  Par.  xvii.  24  j,  i  quali  son  più  gravi 
a  chi  più  s'abbandona:  Par.  xvii.  107.  -  Aristotile  disse 
che  quanto  più  l'uomo  soggiace  all'intelletto,  tanto  meno 
soggiace  alla  fortuna:  Conv.  iv.  11.  -  Onde  il  poeta  che  nella 
durezza  dell' esigilo  avea  purificato  la  grande  sua  anima, 
con  queste  sublimi  e  cristiane  parole  confortava  il  suo  amico 
Gino:  «  Ioti  esorlo,  fratello  carissimo,  ad  esser  paziente  con- 
tro 1  dardi  di  Nemesi.  Leggi,  ti  prego,  i  rimedi  delle  sventure 
che  dall'  eccellentissimo  fra  i  lìlosofi,  Seneca,  a  noi  come 
da  un  padre  ai  figli  son  porti;  e  dalla  memoria  tua  non 
cada  un  momento  quella  sentenza:  se  voi  foste  cosa  del 
mondo,  il  mondo  ciò  eh' è  sua  cosa  amarebbe:  Ep.iv.Ho. 

Del  Tempo  t  buon  uso  del  Tempo.  —  Tutte  le  nostre 
brighe,  se  bene  vegnamo  a  cercare  li  loro  principii,  procedono 
quasi  dal  non  conoscere  V  uso  del  tempo...  che  in  tutte  nostre 
operazioni  si  deve  attendere  ;  Conv.  iv.  2. 

Così  '1  Maestro;  ed  io:  Alcun  compenso, 
Dissi  lui,  trova,  che  '1  tempo  non  passi 
Perduto  :  ed  ejji  :  Vedi  «he  a  ciò  penso.  Inf  xi.  13. 

Prenderai 
Alcun  buon  frutto  di  nostra  dimora.  Pur^.x vii. 89. 
Non  perder  l'ora.  Inf  xin.80. 
Pensa  che  questo  di'  mai  non  raggiorna ... 
Io  era  hcn  del  suo  ammonir  uso, 
Par  di  non  perder  tempo...  Pwry.  xii.84. 

Ratto,  ratto,  che  il  tempo  non  si  perda 
Per  poco  amor  ...  l'urg.  xvm.  103. 
VOL.  11.  u 


191  FILOSOFIA  MORALE. 

Il  tempo  che  e'  è  imposto 
Più  utilmente  compartir  si  vuole.  Purg.  xxiii.  3. 

Quanto  uno  è  più  avanti  nella  cognizione  delle  cose, 
tanto  più  apprezza  II  tempo  che  trova  sempre  breve  in 
confronto  di  ciò  che  gli  rimane  ad  imparare  e  a  fare  per  il 
suo  perfezionamento  : 

Di  perder  tempo  a  chi  più  sa  più  spiace.  Purg.  in.  78. 
Del  parlare.  —  L' uomo  Stolto  moltiplica  le  parole,  dice 
la  Sapienza.  Il  volgo  misura  la  dottrina  dal  numero  delle 
parole  e  forte  s'inganna.  Il  Savio  misura  le  parole  con 
discrezione:  {(7onv.iv.  2),  e  sceglie  loco  e  tempo  opportuni 
al  parlare:  Inf.  xxvi.  77.  In  tutte  nostre  operazioni  si  dee 
attendere,  e  massimamente  nel  parlare,  se  vogliamo  le  nostre 
parole  sieno  ricevute  e  fruttifere  vengano  :  Conv.  tv.  2.   Le 
troppe  parole,  e  malamente  gettate,  potrebbero  non  essere 
ben  ricevute  e  tutte  andare  in  erba  vana;  e  le  troppo  scarse 
potrebbero  esser  cagione  di  sterilità  d'opere  buone  agli 
ascoltanti:   Conv.  iv.  2.  Il  nostro  parlare  non  debb' essere 
indarno  ovvero  di  soperchio  {V.  A'.  §  14),  lo  che  sarebbe 
male,  dovendo  essere,  quasi  seme  ci'  operazione,  {Conv. iy.  2) 
e  sempre  ad  alcun  intendimento  e  utilità .  E  perchè  le  nostre 
parole  ottengano  il  migliore  e  più  sicuro  efletto,  il  savio 
suole  proferirle  con  voci  soavi  dilettose  o  piacenti  a  chi  le 
ode,  e  indi  persuasive  della  verità   di  cui  sono  interpreti 
fedeli:   Co?tr.  ii.  2.  -  I  nobili  spiriti  che  avean  stanza  nel 
castello  della  Psobiltà,  descritto  al  C.  iv.  dell'  Inferno,  par- 
lavan  rado  con  voci  soavi;  e  la  sua  Beatrice  dicea  soave 
e  piana  {Inf.  ii.  36),  e  in  suono  amoroso  {Par.  xvii.  7),  e  in 
sorrise  paroletle  brevi  (Par.  i.  95]  ;  ed  ei  pur  ricorda  con 
affetto  il  parlare  onesto  e  la  parola  ornata  del  suo  Maestro: 
inf.  II.  67,  113;  in/,  x.  23.  Il  dolce  dire  adesca  e  ne  con- 
cilia la  benevoglienza  altrui:  //i/".  xiii.  53.  -  Taluna  volta 
pel  mollo  affetto  la  parola  ci  si  fa  più  scolpita  ed  animata, 
onde  Dante; 

Talor  parliamo  l'un  alto,  e  l'altro  basso, 
Secondo  l'  affezion  eh' a  dir  ci  sprona^ 
Ora  a  maggiore,  ed  ora  a  raiuor  passo.  Purg.  xx.  118. 
La  voce  mia  di  granile  affetto  impressa.  Par.  vni.  44. 

Ma  ci  sarà  buono  l'aver  sempre  alla  mente  il  precetto  del 
poeta  : 


FILOSOFIA  MORALE.  195 

Parla,  e  sii  breve  ed  arquto.  Purg.  xiii.  78. 
.Non  dimandar  più  die  utile  ci  sia.  V.  N.  §  12. 

Il  Savio  poi  conosce  quando 

Più  è  tacer,  che  ragionare,  onesto.  Par.  xvi.  43. 

né  parla  mai  olire  li  lerniini  della  cortesìa:  V.  ìY.  §  10. 

Ised  è  pur  buono  lo  sciorinare  quanto  fu  per  noi  dagli 

altri  udito  ;  che  non  di  rado  fia  laudabile  il  tacerci:  Inf. 

XV. 103;  ed 

Il  tacere  è  bello, 
Sì  coni'  era  M  parlar  colà  doV  era.  Inf.  iv.  101; 

consiglio  che  pure  Grazinolo  de'  Bambagluoli  ritraea  dal 

nostro  poeta:  -  Si  convien  seguir  e  tempo  e  loco...  E  '1  mezzo 

e  7  bel  tacer  tra  "1  troppo  e  'l  poco. 

Lode  e  disprezzo  di  sé  stesso  >  Lode  d'altrui.  — 

<i  Parlare  alcuno  di  sé  medesimo  pare  non  lecito...  Non  si 
concede  per  li  reltorici,  alcuno  di  sé  medesimo  sanza  ne- 
cessaria cagione  parlare...  Lodare  sé  é  da  fuggire  in  quanto 
lodare  non  si  può,  che  quella  loda  non  sia  maggiormente 
.vituperio;  è  loda  nella  punta  delle  parole,  è  vituperio  chi 
cerca  loro  nel  ventre.  Chi  loda  sé,  mostra  che  non  crede 
essere  buono  tenuto;  che  non  gì' incontra  senza  maliziata 
coscienza...  E  ancora  la  propria  loda  e  il  proprio  biasimo 
è  da  fuggire,  perchè  non  é  uomo  che  sia  di  sé  vero  e  giusto 
e^siimatore  :  tanto  la  propria  carità  ne  inganna:  »  Conv.  i.  2.  - 
L'essere  lodatore  di  sé  medesimo  é  «/  postutto  biasimevole 
a  chi'l  fa:  Y.  iY.  §  29.  -  Di  qui  è  manifesto  perchè  Dante 
neir  esprimere  il  suo  nome  siasene  scusato,  come  da  ne- 
cessità costretto  a  registrarlo:  Purfi.  xxx.  G3.  -  «  Dante, 
ancorché  altra  cagione  avesse  del  nominarsi  che  e'  fece 
una  volta  sola  nella  sua  grande  opera,  tuttavia  si  vede 
quanto  accuratamente  e'  se  ne  scusa,  e  come  e'  rigetta 
la  colpa  nella  necessità,  che  di  vero  basta  a  scusare  ogni 
uomo:  Quando  io  mi  volsi  al  suon  del  nome  mio  Che  dì 
necessità  qui  si  registra.  »  Annotazioni  al Decamcrone.,]). i2.  - 
Che  se  non  par  lecito  lodare,  è  pur  biasimevole  il  dispre- 
giare sé  medesimo,  perché  all'amico  dee  l'uomo  lo  suo 
difetto  contare  segretamente;  e  nullo  è  più  amico  che  l'uomo 
aisò;  onde  nella  camera  de' suoi  pensieri  sé  medesimo  ri- 
prendere dee  e  piangere  li  suoi  difetti  e  non  palese  :  Conv.  i.  2. 


196  FILOSOFIA  MORALE. 

«  L'uomo  è  degno  di  loda  o  dì  vituperio  solo  in  quelle 
cose  che  sono  in  sua  podestà  di  fare  o  di  non  fare;  ma  in 
quelle,  nelle  quali  non  ha  podestà,  non  merita  né  vituperio, 
ne  loda;  perocché  l'uno  e  l'altro  è  da  rendere  ad  altrui, 
avvegnacchè  le  cose  siano  parte  dell'uomo  medesimo:» 
Conv.  111.  2.  -  «  Villania  fa  chi  loda  o  chi  biasima  dinanzi 
al  viso  alcuno  :  »  Conv.  i.  2.  -  L' uomo  non  dee  esser  pre- 
sontuoso a  lodare  altrui,  non  ponendo  bene  propio  mente 
s'egli  è  piacere  della  persona  lodata;  perchè  molle  volle 
credendosi  alcuno  dare  loda,  dà  biasimo,  o  per  difetto 
dello  dicitore,  o  per  difetto  di  quello  che  ode.  Onde  molta 
discrezione  in  ciò  avere  si  conviene  :  Conv.  iii.  10. 

Compagni  cattivi.  —  Le  cose  congiunte  comunicano 
naturalmente  in  tra  se  le  loro  qualità,  intanto  avviene  che 
talvolta  l'una  torna  del  lutto  nella  natura  dell'altra:  Conv. 
IV.  1.  -  In  ciascuno  è  ciascuno  vizio  assembro,  Perchè  ami- 
stà nel  mondo  si  confonde  :  Canz.  xviii.  7. 

Da'  lor  costumi  fa  che  tu  ti  forbì.  Inf.  xv,  C9. 
Se  cavaliei-  t' invita,  o  ti  ritiene, 

Innanzi  che  nel  suo  piacer  ti  metta. 

Spia  se  far  lo  puoi  della  tua  setta; 

E  se  non  puote,  tosto  l'abbandona, 

Che  '1  buon  col  buon  sempre  camera  tiene. 

Ma  egli  avvien,  che  spesso  altri  si  getta 

In  compannia,  che  non  ha  che  disdetta 

Di  mala  fama,  eh'  altri  di  lui  suona. 

Con  rei  non  star  né  ad  inciegno  né  ad  arte; 

Che  non  fu  mai  saver  tener  lor  parte.  Canz.  xm.  Chiusa. 

Del  bnono  e  del  cattivo  esempio.  —  La  via  dei  giu- 
sti, dice  Salomone,  è  quasi  luce  splendente  che  procede  e 
cresce  infino  al  dì  della  beatitudine,  andando  loro  dietro, 
mirando  le  loro  operazioni,  eh'  esser  debbono  a  noi  luc«  nel 
cammino  di  questa  brevissima  vita:  Conv.uL  15. 
Uomini  furo,  accesi  di  quel  caldo 
Che  fa  nascere  i  fiori  e  i  frutti  santi.  Par.  xxn.  47. 

Quivi  son  li  gigli, 
Al  cui  odor  si  prese  il  buon  cammino.  Par.  xxiu.  74. 

E  r  amorosa  fronde 
Di  radice  di  bene  altro  ben  tira. 
Poi  suo  simile  è  in  grado.  Canz.  xvm.  7. 

Stoltamente  ei  si  crede  parlando  bene,  e  male  operando, 
gli  altri  nella  vita  e  nei  costumi  ammaestrare  :  le  mani  di 


FILOSOFIA  MORALE.  197 

Giacobbe  persuaderanno  più  che  le  parole,  benché  queste 
persuadessino  il  falso  e  quelle  il  vero:  De  Mon.  i.  lo.  -  L'e- 
sempio è  assai  più  efficace  che  la  parola:  1' esempio  spesso 
basta  ;  quasi  mai  la  parola: 

Altra  risposta,  disse,  non  ti  rendo, 
Se  non  lo  far:  che  la  dimanda  onesta 
Si  dee  seguir  con  1'  opera  tacendo.  Inf.  xxiv.  76. 
Anche  ì  buoni  per  l'altrui  esempio  cattivo,  di  leggeri 
si  guastano: 

Nepote  ho  io  di  là  ch'ha  nome  Alagia: 
Buona  da  sé,  purché  la  nostra  casa 
^'on  faccia  lei  per  esemplo  malvagia,  ?urg.  xix.  142. 
E  più  funesto  e  ruinoso,  se  il  malo  esempio  vien  dato 
dal  grandi: 

La  mala  condotta 
È  la  cagion  che  il  mondo  ha  fatto  reo.  Purfj.  xvi.  103. 
Perdono  a'  nemici.  —  «  Perdonate,  perdonate  oggimai 
carissimi,  che  con  meco  avete  ingiuria  sofferto;  affinchè  il 
pastore  vi  conosca  pecorelle  del  suo  gregge:»  Zp.  v.  §  ì5. 
Amate  da  cui  male  aveste.  Purij.  xm.  36. 
Lo  mal  eh'  avem  sofferto 
Perdoniamo  a  ciascuno,  e  tu  perdona 
Benigno,  e  non  guardare  al  nostro  merto.  Purg.  xv.  16. 
Qualunque  che  adonta  per  iwihirìa,   e  si  fa  ghiotto  della 
vendetta,  e  ferma  nella  sua  mente  il  danno  di  chi  l' offese 
vii  male  altrui  impronti),  P^r^.  xvii.  121;   non  faccia  scusa 
W  aprir  lo  cuore  all' acque  della  pace.  Che  dall' eterno  fonte 
son  diffuse.  Purg.xv.  130. 

Della  ivobiif  £k.  —  Perchè  veggiono  fare  le  parentele  e  gli 
alti  matrimoni,  gli  edificii  mirabili,  le  possessioni  larghe, 
le  signorie  grandi,  la  più  gente  credono  quelle  essere  ca- 
gioni di  nobiltà,  anzi  essa  nobiltà  credono  quelle  essere: 
Coni;.  IV.  8.  -  Egli  è  tanto  durata  La  così  falsa  opinion  tra 
nui,  Che  Vuom  chiama  colui  Uomo  fjentil,  che  può  dicere:  i  fui 
ISipote  0  fìllio  di  cotal  valente.  Benché  sia  da  niente:  Ma 
vilissimo  sembra  a  chi  1  ver  guata  Chi  avea  scorto  il  cam- 
mino, e  poscia  V  erra,  E  tocca  tal,  eh'  è  morto  e  va  per  terra... 
Che  le  divìzie,  (siccome  si  crede)  Non  posson  gentilezza 
dar,  né  tórre.  Perocché  vili  son  di  lor  natura:  Canz.  xvi  2. 
{Benichi,\].)  Vedete,  quanti  sono  coloro  che  sono  ingannati I 
Cioè  coloro  che  per  essere  di  famose  e  antiche  generazioni. 


198  FILOSOFIA  MORALE. 

e  per  essere  discesi  di  padri  eccellenti  credono  essere  no- 
bili, nobiltà  non  avendo  in  loro.  Conv.  iv.  29. 
Rade  volte  risurge  per  li  rumi 
L'  umana  probitale...  Punj.  vii.  121 . 

La  nobiltà...  rende  esemplo  del  cielo...  :  De  Mon.  ii.  3.  Do- 
vunque è  virtù,  quivi  è  nobiltà...  non  virtù  dovunque 
nobiltà:  Conv.  iv.  19.  -  La  nobiltà  se  di  generazione  in 
generazione  non  si  rinfranca  con  novelle  virtù  vien  meno, 
siccome  un  manto  al  quale  se  non  s'aggiunge  di  quando 
in  quando  un  pezzo  dove  si  logora,  il  tempo  colle  sue  for- 
bici lo  riduce  a  nulla: 

0  poca  nostra  nohiltà  di  sangue, 
Se  gloriar  di  te  la  gente  fai 
Quaggiìi,  dove  l'affetto  nostro  langue,  . .  . 

Ben  se'  tu  manto  cbe  tosto  raccorce, 
Sì  che  se  non  s'appon  di  die  in  die, 
Lo  tempo  va  d' intorno  con  le  force.  Par.  xvi.  1. 

Nessuno  per  poter  dire:  io  sono  di  cotale  schiatta;  non 
dee  credere  esser  con  essa  ;...  se  i  frutti  delle  virtù  non  sono 
in  lui  [se  non  possedè  del  miglior  retaggio:  Purg.  vii.  120) 
che  il  divino  seme  non  cade  in  ischiatta,  cioè  in  istirpe, 
ma  cade  nelle  singulari  persone;  la  stirpe  non  fa  le  sin- 
gulari  persone  nobili,  ma  le  singulari  persone  fanno  no- 
bile la  stirpe:  Conv.  iv.  20.  -  L'uomo  vile,  disceso  degli  buoni 
maggiori,  è  degno  d'esser  da  tutti  scacciato:  e  deesi  lo 
buono  uomo  chiudere  gli  occhi  per  non  vedere  quello  vi- 
tuperio vituperante  della  bontà  che  in  sola  la  memoria  è 
rimasa  :  Conv.  iv.  29. 

Delle  Ricchezase.  —  Le  ricchezze  pericolosamente  nel 
loro  accrescimento  sono  imperfette,  che  sommettendo  ciò 
che  promettono,  apportano  il  contrario.  Promettono  le  false 
traditrici  sempre,  in  certo  numero  adunate,  rendere  il  rau- 
natore  pieno  d'ogni  appagamento;  e  con  questa  promissione, 
conducono  l'umana  volontà  in  vizio  d'avarizia...  Promettono 
le  false  traditrici,  se  ben  si  guarda,  di  tórre  ogni  sete  e 
ogni  mancanza,  e  apportar  saziamento  e  bastanza:  e  questo 
fanno  nel  principio  a  ciascuno  uomo,  questa  promissione 
in  certa  quantità  di  loro  accrescimento  affermando;  e  poiché 
quivi  sono  adunate,  in  loco  di  saziamento  e  di  refrigerio, 
danno  e  recano  sete  di  casso  febricanle  intollerabile:  e  in 


FILOSOFIA  MORALE.  199 

loco  di  bastanza,  recano  nuovo  termine,  cioè  maggior  quan- 
tità a  desiderio;  e  con  questo  paura  e  sollecitudine  grande 
sopra  r  acquisto.  Sicché  veramente  non  quetano,  ma  più 
danno  cura,  la  qual  prima  senza  loro  non  s'avea...  Conv. 
IV.  12.  A  misura  che  si  viene  acquistando  gli  umani  desideri! 
si  fanno  più  ampii.  Id.  -  Pongasi  mente  alla  vita  di  coloro 
che  dietro  vanno  a  queste  false  meretrici,  piene  di  tutti  ì 
difetti,  come  vivono  sicuri,  quando  di  quelle  hanno  rannate, 
come  s'appagano  come  si  riposano.  E  che  altro  cotidiana- 
mente  pericola  e  uccide  le  città,  le  contrade,  le  singulari 
persone,  tanto  quanto  lo  nuovo  raunamento  d'avere  appo 
alcuno?  lo  quale  raunamento  nuovi  desideri!  discuopre,  al 
fine  delli  quali  senza  ingiuria  d'alcuno  venire  non  si  può: 
Coìiv.w.  12. -La  possessione  delle  ricchezze  è  dannosa  per 
due  ragioni:  l'una  ch'è  cagione  di  male;  l'altra  ch'è  pri- 
vazione di  bene.  Cagione  è  di  male,  che  fa  pure  vegghiando 
lo  possessore  timido  e  odioso.  Quanta  paura  è  quella  di  colui 
che  appo  sé  sente  ricchezza,  in  camminando,  in  soggiornando, 
non  pur  vegghiando,  ma  dormendo,  non  pur  di  perdere 
l'avere,  ma  la  persona  per  l'avere!  Ben  lo  sanno  li  miseri 
mercatanti  che  per  lo  mondo  vanno,  che  le  foglie,  che  1 
vento  fa  dimenare,  li  fan  tremare,  quando  seco  ricchezze 
portano:  e  quando  senza  esse  sono,  pieni  di  sicurtà,  can- 
tando e  ragionando  fanno  lo  cammino  più  breve...  E  quanto 
odio  è  quello  che  ciascuno  al  posseditore  della  ricchezza 
porta,  0  per  invidia,  o  per  desiderio  di  prendere  quella 
possessione?...  Anche  è  privazione  di  bene  la  loro  posses- 
sione, che  possedendo  quelle,  larghezza  non  si  fa,  che  è 
virtù,  la  quale  è  perfetto  bene,  e  la  quale  fa  gli  uomini 
splendienti  e  amati...  L'uomo  di  diritto  appetito  e  di  vera 
conoscenza  le  ricchezze  mai  non  ama;  e  non  amandole  non 
si  unisce  ad  esse;  ma  quelle  sempre  di  lungi  da  sé  essere 
vuole,  se  non  in  quanto  ad  alcuno  necessario  servigio  sono 
ordinate  :  ed  è  cosa  ragionevole,  perocché  il  perfetto  collo 
imperfetto  non  si  può  congiungere...  L'animo,  ch'è  diritto 
d'appetito  e  verace  di  conoscenza,  per  loro  perdita  non  si 
disface:  Conv.  iv.  13. 

La  descrizione  che  fa  il  poeta  della  fortuna  (  Inf.  vil 
73.  96),   è  importantissima  pel  concetto  contrario  a  quello 


200  FILOSOFIA  MORALE. 

tleir antichità.  Se  presso  a'  Gentili  essa  è  una  Dea  cieca 
che  dispensa  pazzamente  i  beni  del  mondo,  in  lui  è  un 
angelo  ministro  della  Provvidenza,  che  governa  sapiente- 
mente la  successione  di  questi  beni,  e  il  loro  giro,  e  trovasi 
così  l'analogia  tra  l'ordine  fisico  e  il  morale.  Questa  vicenda, 
conseguenza  di  una  legge  providenziale  di  equilibrio,  è  oltre 
la  cUfension  de'  senni  umani,  giacché  per  quanto  savio  e 
polente  sia  l' uomo  non  può  impedire  tali  vicende,  e  ciò  ha 
dimostrato  la  convinzione  dei  secoli. 

Delle  Yirtù  caritative.  Pietà;   ÌVIisericordia  ;    Be- 
neficenza ;    L<arghezza.    Di  una    sorta    di    lar ji^hezza 

detestabile.  —  Pietà  ed  umiltà,  massimamente  congiunte, 
fanno  della  persona  bene  sperare,  e  massimamente  la  pietà, 
la  quale  fa  rlsplendere  ogni  altra  bontà  col  lume  suo.  Pietà 
non  è  passione,  anzi  una  nobile  disposizione  di  animo, 
apparecchiata  di  ricevere  amore,  misericordia  e  altre  cari- 
tative passioni.  Misericordia,  cioè  dolersi  dell'altrui  male, 
è  uno  speziale  effetto  della  pietà:  Conv.  u.  11  -Misericordia 
è  madre  di  beneficenza:  Co7iy.  1. 1  -  Dare  e  giovare  a  uno 
è  bene  ;  ma  dare  e  giovare  a  molti  è  pronto  bene,  in  quanto 
prende  simiglianza  da'  beneficj  di  Dio,  eh'  è  universalissimo 
benefattore:  Conv.  i.  8.  La  virtù  dee  esser  lieta  e  non  trista 
in  alcuna  sua  operazione,  onde  se  il  dono  non  è  lieto  nel 
dare  e  nel  ricevere,  non  è  in  es?o  perfetta  virtù  né  pronta  : 
id.-La  dimanda  onesta  Si  dee  seguir  con  l'opera  tacendo: 
Inf.  XXIV.  77.-  Com' anima  gentil  che  non  fa  scusa.  Ma  fa 
sua  twglia  della  voglia  altrui,  Tosto  com'è  per  segno  fuor 
dischiusa  :  Purg.  xxxiii.  130.  -  La  nostra  carità  non  serra 
porte  A  giusta  voglia:  Par.  ni.  43.  La  virtù  dee  avere  atto 
libero  e  non  isforzato  ; . . .  onde  la  provata  liberalità  si  è 
dare  non  dimandato  :  perciocché  dare  'l  domandato  è  da  una 
parte  non  virtù,  ma  mercatanzia;  perocché  quello  ricevitore 
compera,  tuttoché  il  datore  non  venda  ;  perché  dice  Seneca  : 
che  nulla  cosa  più  cara  si  compera,  che  quella  dove  e'prieghi 
si  spendono:  Conv.  i.  8.-  Io  vo'  che  ciascun  m'oda:  Qualcon 
tardare,  e  guai  con  vana  vista,  Qual  con  sembianza  trista 
Volge  il  donare  in  vender  tanto  caro.  Quanto  sa  sol  chi  tal 
compera  paga.  Volete  udir,  se  piaga?  Tanto  chi  prende 
smaga.  Che  '/  negar  poscia  non  gli  pare  amaro:  Così  altrui 


FILOSOFIA  MORALE.  201 

e  sé  concia  lavaro.  Canz.  xvui.  7  -  Chi  al  vedere  il  bisogno 
altrui  non  apre  subito  le  ali  delle  mani,  ma  attende  che 
gli  si  dimandi  l'opportuno  soccorso  prima  di  prestarlo, 
già  ha  negato:  Che  quale  aspetta  prego,  e  Vuopo  vede,  Ma- 
lignamente già  si  mette  al  nego:  Purg.  xvii.  59.  Quegli, 
a  cui  di  ben  far  giova  (Par.  ix.  24),  conosce  lo  altrui  biso- 
gna, e  ciò  eh' ad  essa  è  buono:  Purg.xwiu.^^.  La  sua 
benignità  non  pur  soccorre  A  chi  dimanda,  ma  molte  fiale 
Liberalmente  al  dimandar  precorre:  Par.  xxxiii.  16.  Il  dono 
poi  deve  andar  condito  con  soavi  ed  accorte  parole,  perchè 
Vovra  è  tanto  piii  gradita  Dell'  operante,  quanto  più  ap- 
presenta  Della  bontà  del  cuore  ond'  è  uscita:  Par.  vn.  106.  - 
La  faccia  poi  del  dono  dee  essere  simigliante  a  quella  del 
ricevitore;  cioè  a  dire,  che  si  convenga  con  lui,  e  che  sìa 
utile:  Conv.  i.  8.  -  In  tra  tutti  i  beneficii  è  maggiore  quello 
eh'  è  più  prezioso  a  chi  lo  riceve  ;  e  in  quello  è  detta  pronta 
liberalità  di  colui,  che  cosi  discerne  donando  :  Conv.  1. 13.  - 
Nel  datore  dee  essere  la  provvedenza  in  far  sì  che  dalla  sua 
parte  rimanga  1'  utilità  dell'onestate,  eh' è  sopra  ogni  utilità; 
e  far  sì,  che  al  ricevitore  vada  l'utilità  dall'uso  della  cosa 
donata,  e  così  sarà  V  uno  e  l' altro  lieto,  e  per  conseguente 
sarà  più  pronta  liberalità...  L'utilità  suggella  la  memoria 
dell'immagine  del  dono,  il  quale  è  nutrimento  dell'amistà,  e 
tanto  più  forte  lo  suggella,  quanto  essa  è  migliore:  Conv.  i.  8. 
Quando  poi  l'uomo  riceve  beneficio  deve  mostrarsi  cono- 
scente ver  lo  benefattore  :  Conv.  ii.  7.  -  Avvegnacchè  non 
possiamo  simile  beneficio  rendere...  ci  corre  obbligo  rendere 
quello  che  migliore  per  noi  si  può  con  tanta  sollecitudine 
e  prontezza,  e  cosi  almeno  mostrare  la  nostra  buona  vo- 
lontà: Cony.  in.  1.  -  Ma  non  è  rado  che  l'opra  grande  « 
bella  riesca  mal  gradita:  Par.  xi.  128;  e  che  di  buon  seme 
.si  mieta  mal  frutto,  e  torni  molto  diverso  il  guiderdon  dal- 
l' opre. 

Larghezza  è  virtù,  la  quale  è  perfetto  bene,  e  la  quale 
fa  gli  uomini  splendidi  e  amati:  Conv.w.  13.  -  Ma  la  lar- 
ghezza vuole  essere  a  luogo  e  tempo,  tale  che  il  largo 
non  neccia  a  sé,  nò  ad  altri  :  la  qual  cosa  non  si  può  avere 
sanza  prudenza  e  sanza  giustizia  :  Conv.  iv.  27.  -  E  il  filosofo 
tocca  il  sublime,  quando  con  veemente  eloquenza,  sgorga- 


202  FILOSOFIA  MORALE. 

tagli  dal  cuore,  tuona  contro  certi  ostentatori  di  larghezze, 
stillanti  dello  spremuto  sangue  de'  poveri. 

(f  Ahi  malaslrui  e  malnati,  che  disertate  vedove  e  pupilli, 
che  rapite  alti  meno  possenti,  che  furate  ed  occupate  l'  al- 
trui: e  di  quello  corredate  convili,  donate  cavalli  e  arme, 
robe  e  danari;  portate  le  mirabili  vestimenla;  edificale  li 
mirabili  editicil;  e  credetevi  larghezza  fare:  e  che  è  questo 
altro  fare,  che  levare  il  drappo  d'in  su  l'altare,  e  coprirne 
il  ladro  e  la  sua  mensa!  Non  altrimenti  si  dee  ridere,  ti- 
ranni, delle  vostre  messioni,  che  del  ladro  che  menasse 
alla  sua  casa  li  convitali,  e  la  tovaglia  furata  di  su  l'altare 
con  li  segni  ecclesiastici  ancora  ponesse  in  su  la  mensa, 
e  non  credesse  che  altri  se  n'accorgesse:  Conv.  iv.  27. 


DOTTRINE  TEOLOGICHE. 


La  divina  scienza...  piena  è  tutta  di  pace,  la  quale 
non  sofferà  lite  alcuna  d'opinioni,  o  di  Kofìstici 
argomenti,  per  la  eccellentissima  certezza  dol 
suo  suggello  lo  quale  è  Iddio...  Questa...  per- 
fettamente ne  fa  il  vero  vedere,  nel  quale  si 
cheta  l'anima  nostra.  COKV.  II.  15. 
Thelogus  Dantes  nullius  dogmatis  expers.  -  GIOV. 
DAI.  VIRGILIO. 

Ed  ho  imparato  più  teologia 

In  questi  giorni  clie  ho  riletto  Dante 
Che  nelle  scuole  fatto  non  avia. 

SALVINI  a  F.  REDI. 
Raffaello  nella  disputa  del  Sacramento  colloca  tra 
teologi  Dante  :  u'  era  degno  per  l'intima  dottrina 
penetrante  per  tutto  il  poema.  -  Tommaseo. 
L'epopèe  divine  par  excellence,  c'est  le  poèmc  du 
Dante.  Le  divine  Comédie  est  l'eipression  poé- 
tique  du  Christianisme  orthodoxe,  du  Ch;i.stia- 
iiisme  plein  de  jeunesse  et  de  foi.  MAGNIN. 

Della   Ragione    e    della    Rivelazione.    —    L'  UOmO 

debb' esser  conlento  a  quelle  dimostrazioni  che  si  possono 
ricavare  dagli  effetti,  pei  quali  si  viene  in  cognizione  delle 
cagioni  loro,  e  non  presumere  d'intendere  più  in  là  di 
quello  che  i  falli  gli  mostrano,  che  circa  le  cose  superiori 
alle  forze  del  senso  ed  a  quelle  della  ragione  ci  ammaestra 
la  Fede: 


DOTTRINE  TEOLOGICHE.  203 

A  soffcrìr  tormonli  e  caldi  e  pieli 
Simili  corpi  la  Virtù  dispone, 
Che  come  fa  non  vuol  eh'  a  noi  si  sveli. 
Malto  è  chi  spera  che  nostra  ragione 
Possa  trascorrer  la  infinita  via, 
Che  tiene  una  sustanzia  in  tre  persone.  Pur^.m.  31. 
Se  coli'  umana  ragione  si  potesse  tulio   comprendere, 
non  si  sarebbe  veduto  nel  mondo  desiar  senza  fruito  tanti 
sublimi  intelletti,   in  cui  si  sarebbe  quetato  quel  desiderio 
che  ora  è  dato  loro  eternamente  per  lutto. 

state  contenti,  umana  gente,  al  quia , 
Che  se  potuto  aveste  veder  tutto. 
Mestier  non  era  portorir  Maria  ; 

E  disiar  vedeste  senza  frutto 
Tai,  che  sarebbe  lor  disio  quetato. 
Ch' eternalraente  è  dato  lor  per  lutto.  Purg.  iii,  3". 

Onde  noi  dobbiamo  raffrenarci  dal  soverchio  investigare 
il  perchè  delle  cose.  Ed  a  simile  intendimento  n'avverte 
che  a  certo  fine  bada  la  nostra  potenza  non  pure  dalla 
parte  dell'uomo  desiderante,  ma  da  parte  dello  scibile  de- 
siderato: e  però  Paolo  dice:  Non  più  sapere,  che  sapere  sì 
convenga,  ma  sapere  a  misura  :  Conv.  iv.  13.  -  Tutto  non  è 
possibile  di  conoscere,  dacché  la  divina  Provvidenza  che 
del  tutto  l'angelico  e  l'umano  intendimento  soverchia, 
occultamente  a  noi  molte  volte  procede  :  Conv.  iv.  5.  -  E 
nell'opuscolo  intorno  agli  elementi  dell'acqua  e  della  terra: 
«  Desinant  homines  quaerere  quae  supra  eos  sunt,  et  quaerant 
usque  quo  possunt,  ut  trahant  ad  se  immortalia  et  divina 
prò  posse,  ac  malora  se  relinquant.  Audiant  amicum  Job, 
diccntem  :  Numquid  vestigia  Dei  comprehendes  et  omnipo- 
lentem  usque  ad  perfectionem  reperies?  Audiant  Psalmistam 
dicentem:  Mlrabilis  facta  est  sclentia  tua,  et  me  confortata 
est,  et  non  poterò  ad  eam.  Audiant  Isaiam  dicentem  :  Quam 
distant  coeli  a  terra,  tantum  distant  viae  meae  a  viis  veslris. 
Loquebatur  equidem  in  persona  Dei  ad  hominem.  Audiant 
vocem  Apostoli  ad  Romanos  :  0  altitudo  divitiarum  scientiae, 
et  sapìentiae  Dei!  quam  incomprehensibilia  judicia  ejus,  et 
Invesligabiles  viae  ejus?  Et  denique  audiant  propriam  Crea- 
loris  vocem  dicentis:  Quo  ego  vado,  vos  non  potestis 
venire.  Et  haec  sufficiant  ad  inquisitionem  intentae  veritatis:  » 
§  22.  -  E  nel  Cont\  Tratt.  IV.  e.  5:  Oh  istoltissime  e  vilisslme 


204  DOTTRINE  TEOLOGICHE. 

besliuole  che  a  guisa  d'uomini  pascete,  che  presumete  contro 
a  nostra  Fede  parlare  ;  e  volete  sapere,  filando  e  zappando, 
ciò  che  Iddio  con  tanta  prudenza  ha  ordinato!  Maladetti 
siate  voi  e  la  vostra  presunzione,  e  chi  a  voi  crede. 

E  debole  la  filosofia,  a  cui  è  guida  solo  l'umana  ragione: 
Purg.  xxxiii.  83.  La  Rivelazione  è  il  fanale  che  sta  di  mezzo 
tra  l'umano  intelletto  e  Dio. 

Quella  .    . 
Lume  ti  fia  tra  '1  vero  e  l' intelletto.  Purg.  vi.  44. 

Quanto  ragion  qui  vede 
Dir  ti  poss'io;  da  indi  in  là  t'aspetta 
Pure  a  Beatrice,  eh'  è  opra  di  fede.  Purg,  xviii.  46. 

«  Lo  Spìrito  Santo  pe' profeti  e  sacri  scrittori,  per  l'eterno 
figliuolo  di  Dio  Gesù  Cristo,  e  pe'  suoi  discepoli,  le  verità 
sopranaturali,  e  le  cose  a  noi  necessarie  ci  rivelò....  » 
De  Non.  iii.  §  15. 

Misterj.  —  Impenetrabilità  dei  Misterj  del  creatore  del 
cielo  della  terra  e  degli  abissi  ;  perciò  il  poeta  teologo  disse 
che  Dio  stesso  per  la  grandezza  dei  medesimi  fu  costretto 
rìserbarne  gran  parte  per  sé.  Ei  gli  sarebbe  stato  impossibile, 
se  anche  lo  avesse  voluto,  farsi  comprensibile  alla  mente 
umana  : 

Colui  che  volse  il  sesto 
Allo  stremo  del  mondo,  e  dentro  ad  esso 
Distinse  tanto  occulto  e  manifesto, 

Non  poteo  suo  valor  si  fare  impresso 
In  tutto  r  universo,  che  il  suo  verbo 
Non  rimanesse  in  infinito  eccesso.  Par.  xix.  40. 

Noi  non  possiamo  veder  per  entro  all'altezza  de' Misteri, 
mentre  che  il  nostro  immortale  col  mortale  è  mischiato,  ma 
vedremolo  per  fede  perfettamente  ;  e  per  ragione  lo  vedemo 
con  ombra  cV  oscurità,  la  quale  incontra  per  mistura  del 
mortale  coli' immortale:  Conv.  iv.  -  Le  verità  della  fede  si 
vedranno  in  Dio  non  dimostrate  da  altri  principii  ;  giacché 
ivi  è  il  Principio  della  verità,  il  vero  onde  ogni  vero  deriva 
e  si  chiarisce: 

Lì  (nel  cielo)  si  vedrà  ciò  che  tenem  per  fede, 
>'on  dimostrato;  ma  fia  per  sé  noto, 
A  guisa  del  ver  primo  che  1'  uom  crede.  Par.  ii.43. 

I  misterj  accendere  ne  debbono  di  voglia  di  vedere  Dio, 
onde  conoscere  ciò  che  noi  teniam  per  fede  :  Por.  ii.  37. 


DOTTRINE  TEOLOGICHE.  205 

Della  Creazione.  —  DÌO  nella  sua  eternità,  fuor  dei 
limili  del  tempo,  e  fuor  d'  ogni  limite  comprensibile  del- 
l'uomo,  senza  che  possa  dirsi  che  innanzi  della  creazione, 
intorno  a  lui  fosse  nulla,  e  senza  che  possano  propriamente 
usarsi  le  voci  ìnnaìizi  e  dopo  creò.  La  creazione  quale  stava 
nel  concetto  di  Dio  fu  compiuta  in  un  solo  atto,  senza 
processo  di  tempo,  nò  questo  vieta  che,  secondo  quel  con- 
cetto venissero  poi  le  creature  svolgendosi  in  nuove  specie, 
corona  e  perfezionamento  delle  prime,  le  quali  tutte  non 
solamente  non  erano  fuori  del  concetto  di  Dio,  ma  ne 
costituivano  il  fine  diretto.  Par.  xxix. 

L'eterno  Amore  creò  gli  Angeli  non  per  accrescere  le 
sue  magnificenze; 

Non  per  avere  a  sé  di  bene  acquisto, 
Ch'esser  non  può,  ma  perchè  suo  splendore 
Potesse,  risplendendo,  dir:  sussisto; 

In  sua  eternità,  di  tempo  fuore, 
Fuor  d'ogni  altro  comprender,  come  i  piacque, 
S'aperse  in  nuovi  amor  l'eterno  Amore.  l*ar.  xxix.  13. 

Degli  Angeli  e  della  loro  caduta.  —  «L'esistenza  di 

spirituali  creature  e  i  loro  ministeri  furon  presentiti  dagli  uo- 
mini di  tutti  i  tempi,  tutto  che  imperfettamente  li  abbiano 
dimostrati.  I  pagani  le  nomarono  Dei;  Platone  le  chiamò 
Idee;  nel  linguaggio  comune  sono  gli  Angeli,  e  i  filosofi  si 
piacquero  chiamarle  piuttosto  col  nome  d'Intelligenze.  La 
fede  ha  squarciato  il  velo  che  ne  separava  da  queste 
creature  eccellenti.  Seminate  nell'universo,  con  cui  esse 
nacquero,  per  mantenervi  l'ordine  e  la  vita,  il  loro  numero 
va  di  paro  colle  loro  perfezioni:  Par.  xxix.  *U  e  seg. - 
Il  loro  intendimento,  fermo  nella  costante  visione  della 
verità,  non  conosce  questa  alternativa,  a  noi  propria,  di 
oblio  e  di  rlminisccnza:  Par.  xxix.  70.  La  grazia  illu- 
minante, cui  meritò  la  loro  fedeltà  nel  giorno  della  tentazione, 
conferma  per  sempre  la  loro  volontà,  la  quale  non  cessa 
mai  d'esser  libera  nell'abitudine  della  giustizia  :  Par.  xxix. 
58.  In  quelle  dunque  la  potenza  non  si  distingue  punto 
dall'atto;  l'alto  semplice  constituisce  il  loro  modo  di  essere, 
esse  sono  intelligenze,  sono  amore  :  Par.  xxi.  74.  -  Ciò  non 
pertanto,  ineguali  tra  loro,  esse  si  dividono  in  tre  gerarchle, 
ciascuna  delle  quali  in  tre  ordini.  A  ciascuna  gerarchici  è 


206  DOTiaiNE  TEOLOGICHE. 

attribuita  la  contemplazione  speciale  d'una  delle  tre  persone 
della  Trinità;  a  ciascun  ordine  un'attribuzione  differente, 
ciascuna  persona  divina  potendo  essere  considerata  in  sé 
stessa  0  ne' suoi  rapporti  colle  altre  due:  Par.  xxix.  32. 
A  queste  attribuzioni  contemplative  corrisponde  un  ministero 
attivo.  I  nove  cori  degli  angeli,  sono  i  motori  delle  nove 
sfere  dei  cieli;  loro  comunicano  una  celerità  proporzionata 
agli  ardori  di  cui  essi  medesimi  sono  infocati,  e  intervengono 
a  tutti  i  fenomeni  del  mondo  fisico  :  Par.  ii.  27  ;  vni.  34.  etc.  : 
Ma  soprattutto  la  loro  azione  si  esercita  nel  mondo  morale. 
I  nove  ordini  della  scienza  umana  s'informano  a  queste 
gerarchie,  e  sul  loro  modello  si  costruiscono:  Conv.  ii.  14, 
lo.  Per  loro  mezzo  il  seme  della  virtù  s'infonde  e  si  svolge 
nell'anime.  Se  nelle  gioie  del  paradiso  si  mescono  coi  beati, 
nel  purgatorio  invece  si  mostrano  giudici,  guardie  e  con- 
solatori dei  giusti  sofferenti.  Le  loro  apparizioni  terribili 
nell'inferno,  vi  rischiarano  le  tenebre  quando  vogliono  fiac- 
care l'audacia  dei  demonj.  Sulla  terra  riscontrano  i  medesimi 
nemici,  e  li  combattono  con  esito  alterno,  perchè  la  salute 
e  la  perdita  delle  anime  sono  il  prezzo  delle  loro  contese  : 
Par.  XXXI  ;  Pura.  v.  1 04  ;  viii.  9o;  ix.  76  ;  Inf.  ix.  85.  e  passim.  - 
Ozanam,  Dante  e  la  Filosofìa  cattolica.  P.  II.  cap.  lY.  §  4. 

Una  parte  degli  angeli  appena  creata  prevaricò,  ^el 
Convito,  11.  6,  ei  ritiene  che  una  decima  parte  non  fosse 
fedele  a  Dio  :  principio  del  cadere 

Fu  il  maledetto 
Superbir ...  Par.  xxix.  49  e  seg. 

«  Ei  pare  che,  caduti  dall'altezza  del  mondo  spirituale  dove 
avevano  il  primo  posto,  questi  angeli  ribelli  abbiano  subito 
vergognosamente  una  trasformazione  materiale,  e  abbiano 
del  pari  ricevuto  forme  corporee  {Inf.  passim,  soprattutto  Jnf. 
xii.  XVII.  xxxi);  nel  mentre  che  loro  si  concede  un  impero  quasi 
supremo  sulla  natura.  Ad  essi  sono  soggette  le  tempeste, 
i  fulmini,  e  al  loro  cenno  si  raccolgono  le  acque  [Purr/.  v. 
112),  appagano  talvolta  la  loro  vendetta  sulle  reliquie  dei 
morti,  se  l'anime  ad  essi  sfuggirono:  Purij.\.  124.  Al  quale 
intervento  soprannaturale  si  legano  i  colpevoli  imprendìmen- 
ti  della  magìa;  ma  essi  esercitano  un'azione  più  generale 
e  più  costante  sugli  umani  destini:  la  tentazione  è  l'opera 


-% 


DOTTRINE  TEOLOGICHE.  207 

loro.  Noi  li  vedemmo  tciulere  insidie  lungo  l'arduo  cammino 
della  scienza.  Li  vedemmo  aprire  alle  Ire  sorla  di  concu- 
piscenza le  porte  dell'inferno.  Somiglianti  a  pescatori  che 
non  si  stancano,  ascondono  sotto  ingannevole  esca  l'amo 
che  attira  le  volontà  ondeggianti  :  Purr/.  xiv.  145.  Inseguono 
la  preda  sino  oltre  la  tomba,  né  temono  di  contenderla  agli 
angeli,  e  di  rinovare  cos'i  le  lotte  de' primi  giorni:  Inf.xwu. 
112;  7^wrr/.v.ll2.  Nella  punizione  sta  il  loro  secondo  ufficio. 
Essi  regnano  sulla  gente  perduta  nel  luoghi  infernali,  a 
ciascuno  de'  quali  presiede  uno  dì  essi.  Così  sulla  soglia 
tra  la  turba  dei  disgraziati  si  scontrano  quegli  angeli  indif- 
ferenti che  al  tempo  della  ribellione  celeste: 

Non  furono  ribelli, 
Ne  fur  fedeli  a  Dio,  ma  per  sé  foro.  Inf.  in.  -28. 

Così  per  una  reminiscenza  della  poesia  pagana  che  la  teolo- 
gia cattolica  non  disconfessava,  Caronte,  Minosse,  Cerbero, 
Pluto,  Flegia,  le  Furie,  i  Centauri,  le  Arpie,  Gerione,  Caco, 
i  Giganti,  mutali  in  demonj,  sono  fatti  guardiani  dello 
bolgie  successive.  -  Legioni  innumerevoli  stanno  o  ai  luoghi 
elevati  della  città  dolente,  o  in  diverse  parli,  e  ricevono 
dileltamenlo  dallo  spettacolo  terribile  che  reciprocamente 
si  danno:  /m/".  viii.  82;  xxi.  Ma  queste  legioni  dipendono 
da  un  solo  padrone,  che  è  il  primogenito,  già  il  più  bello 
tra  gli  spiriti,  e  che  ora  è  la  pura  volontà,  che  cerca  soltanto 
il  male,  la  fonte  d'ogni  dolore,  il  vecchio  nemico  della 
umanità.  Trista  e  bugiarda  parodìa  della  divinità,  imperatore 
del  regno  dei  dolori,  egli  ha  il  suo  trono  di  ghiaccio  in  un 
punto  che  è  il  mezzo  e  il  fondo  dell'abisso,  attorno  al  quale 
stanno  in  diversi  ordini  le  nove  gerarchie  de'  reprobi  ;  sul 
quale  posa  tulio  il  sistema  dell'iniquità.  Il  peccato  e  il 
dolore  che  per  le  anime  sono  ciò  che  è  la  gravezza  pel 
corpo,  lui  hanno  precipitato  dove  è  il  centro  istesso  della 
terra,  a  cui  tendono  tutti  ì  corpi.  La  generale  gravitazione 
lo  avvolve,  pesa  sovr'esso,  da  tutte  i)arli  lo  stringe;  il  suo 
delitto  fu  di  voler  attirare  a  sé  tulle  le  creature,  la  pena 
è  di  essere  oppresso  sotto  il  peso  della  creazione.  -  Ozanam, 
Dante  e  la  Filosofia  catloUca  nel  XII  secolo,    parte  II,  e. 

Depravazione  della  creatura.  —    Le    Religioni   se- 


208  DOTTRINE  TEOLOGICHE. 

gnano  nei  loro  dogmi  la  depravazione  della  natura.  Lucifero 
è  l'antesignano  di  questo  movimento  di  degradazione: 

S'  ei  fu  sì  bel  com'  egli  è  ora  brutto, 
E  contra  'I  suo  Fattore  alzò  le  ciglia, 
Ben  dee  da  lui  procedere  ogni  lutto.  Inf.  xxxiv.  34. 

Questa  natura  al  suo  Fattore  unita  ; 
Qual  fu  creata,  fu  sincera  e  buona  ; 

Ma  per  sé  stessa  pur  fu  isbandita 
Di  Paradiso,  perocché  si  torse 
Da  via  di  verità  e  da  sua  vita.  Par.  vn.  35. 

L' idolatria,  il  primo  errore  dei  primi  popoli.  Par.  iv. 
fil:  vili.  1.  e  seg. 

Della  Redenzione.  —  Con  prove  teologiche,  signifi- 
cate con  meravigliosa  chiarezza  dimostra  la  necessità  delia 
venuta  del  Verbo  e  della  morte  del  Redentore,  e  comincia 
a  dire: 

Vostra  natura,  quando  peccò  tota 
Nel  seme  suo,  da  queste  dignitadi, 
Come  di  Paradiso  fu  remota.  Par.  vii.  85. 

Che  poteasi  dunque  fare  allora?  0  Dio  doveva  rimettere 
in  grazia  l'uomo,  o  l'uomo  doveva  dare  a  Dio  una  ripara- 
zione ;  ma  l'uomo  non  potea  tanto  inchinarsi,  quanto  aveva 
voluto  innalzarsi  con  la  sua  superbia:  dunque  Iddio  solo 
poteva  riparare,  e  lo  fece  più  che  se  Iddio  avesse  tentato 
di  farlo  per  sé  medesimo  senza  umanarsi: 

0  che  Dio  solo  per  sua  cortesia 
Dimesso  avesse,  o  ehe  l' uom  per  sé  isso 
Avesse  soddisfatto  a  sua  follìa... 

Non  potea  1'  uomo  ne'  termini  suoi 
Mai  soddisfar,  per  non  poter  ir  giuso 
Con  umiltate,  obbediendo  poi. 

Quanto  disubbidendo  intese  ir  susoj 
E  questa  è  la  ragion  perchè  l' uom  fue 
Da  poter  soddisfar  per  sé  dischiuso. 

Dunque  a  Dio  convenia  con  le  vìe  sue 
Riparar  l' uomo  a  sua  intera  vita. 
Dico  con  1'  una,  o  ver  con  ambedue ... 

....  Più  largo  fu  Dio  a  dar  sé  stesse 
In  far  r  uom  sufficiente  a  rilevarsi. 
Che  s'egli  avesse  sol  da  sé  dimesso. 

E  tutti  gli  altri  modi  erano  scarsi 
Alla  giustizia,  se  il  Figliuol  dì  Dio 
Non  fosse  umiliato  ad  incarnarsi.  Par.  vii.  91. 


DOTTRINE  TEOLOGICHE.  209 

Vcggasi  quanta  lucidezza,  felici  là,  ingenuità  di  poesia  teo- 
logica in  mister]  cos'i  ardui! 

Il  Paradiso  si  aperse  solo  dopo  la  Redenzione... 
Ci  vidi  venire  (nel  Limbo)  un  Possente 
Con  segno  di  vittoria  incoronato. 
Trasseci  l'ombra  del  primo  parente... 

Ed  altri  molti;  e  fedeli  beati: 
E  vo'  che  sappi  che,  dinanzi  ad  essi, 
Spiriti  umani  non  eran  salvati.  Inf.  iv.  53. 

Prescienza  di  Dio.  —  La  prescienza  di  Dio  intorno 
alle  cose  nostre  e  al  nostro  line  non  importa  necessità,  né 
distrugge  la  libertà  del  nostro  volere,  perciocché  é  l'evento 
che  fa  la  scie\iza,  non  la  scienza  l'evento: 

La  contingenza,  che  fuor  del  quaderno 
Della  vostra  materia  non  si  stende. 
Tutta  è  dipinta  nel  cospetto  eterno. 

Necessità  però  quindi  non  prende, 
Se  non  come  dal  viso  in  che  si  specchia 
Nave  che  per  corrente  giù  discende.  Par.  xvii.  38. 
Giustizia  dei  giudizi  di  Dio: 

Però  nella  giustizia  sempiterna 
La  vista  che  riceve  il  vostro  mondo, 
Com'  occhio  per  lo  mare,  entro  s'interna; 

Che.  benché  dalla  proda  veggia  il  fondo, 
In  pelago  noi  vede;  e  nondimeno 
Egli  è  ;  ma  cela  lui  l' esser  profondo.  Par.  xix.  58. 

Della  Grazia.  —  La  cagione  movente  Dio  a  infondere 
la  Grazia  è  impenetrabile  all'  umano  intelletto  : 
Per  larghezza  di  grazie  divine, 
Che  sì  alti  vapori  hanno  a  lor  piova. 
Che  nostre  viste  là  non  van  vicine.  Purg.  xxx.  112. 

É  indispensabile  a  noi  la  Grazia  divina  a  ben  appro- 
tittare: 

Dà  oggi  a  noi  la  cotidiana  manna, 
Senza  la  qual  per  questo  aspro  diserto 
A  retro  va  chi  più  di  gir  s'affanna.  Purg.  xi.  13. 

La  sollecitudine  di  ben  operare  rinnovella  in  noi  la 
Grazia: 

studio  di  ben  far  grazia  rinverda.  Purg.  xvni.  105. 

Il  merito  si  accresce  nel  ricevere  la  Grazia  in  ragione 
dell'  affetto  con  che  la  si  raccoglie  : 

E  non  Yoglio  che  (Jubbi,  ma  sie  certo, 
voL.  n.  14 


210  /)0TTR1^E   TEOLOGICHE. 

Clic  ricever  la  grazia  è  meritorio, 
Secondo  che  l'affetto  1'  è  aperto.  Par.  xiix.  64. 

Quando 
Lo  raggio  della  grazia,  onde  s'accende 
Verace  amore,  e  che  poi  cresce  amando, 

Multiplicato  in  te  tanto  risplende. 
Che  ti  conduce  su  per  quella  scala, 
U'  senza  risalir  nessun  discende.  Par.  x.  82. 

Per  la  scala  del  Paradiso,  donde  nessuno  discende  senzn 
risalirla.  Gustale  una  volta  le  delizie  del  cielo,  non  si  può 
scendere  al  fango  della  terra,  o  rimanervi  disceso. 

Nella  vita  mortale,  acciò  Dio  ci  si  manifesti,  conviene 
studiarci  a  liberar  l'anima  daW ombra  o  tcnebj-a  della  carne 
che  impedisce  il  lume,  onde  la  ragione  possa  discernere  la 
verità  illuminatrice  della  via  che  conduce  a  vita  beata: 
Correte  al  monte  a  spogliarvi  lo  scoglio, 
Ch'esser  non  lascia  a  voi  Dio  manifesto.  Par.  ii.  121. 

Tirfii  CardiiBaii.  —  Furono  esse  fra  gli  uomini  di  tutti 
i  tempi,  foriere  della  rivelazione,  lìreparanli  la  via  dinanzi 
a  lei:  Pur().  x\ix.  130;  xxxi.  104. 

Virtiii  'rcoio;;?ai3.  —  Scouosciute  a  quelli  che  non  co- 
noscono la  rivelazione,  solo  con  essa  discesero  dal  cielo, 
destinate  a  ritornarvi  un  giorno:  Puvf/.  ww.  131.  -  Pury. 
XXXI.  109.  -  Egli  è  necessario  che  a  queste  virtù  miri 
ben  fiso  chi  vuole  conseguire  la  celeste  beatitudine: 
Ciò  che  vlen  quassù  del  njortal  mondo, 
Convien  eh' a'  nostri  raggi  si  maturi.  Par.  xxv.  35. 

B>eiia  Fede.  —  Fede,  secondo  la  sublime  definizione  di 
S.  Paolo,  letteralmente  tradotta  da  Dante,  è  sustanzia  dì 
cose  sperate,  E  arf}omento  delle  non  parventi:  Par.  xxiv.  04.  - 
Chiesto  egli  lassù  ne' cieli  delle  cose  ch'ei  credesse  e  delle 
ragioni  del  suo  credere  risponde:  l'autorità  delle  scritture  e  i 
miracoli  ;  i  quali  se  non  fossero  sarel)he  il  miracolo  massimo 
l'essersi  senza  miracoli  propagata  la  fede  sì  ardua  all'umana 
debolezza  da  uomini  poveri  ed  astinenti.  Le  cose  che  crede 
sono:  l'unità,  eternità  immutabilità  di  Dio,  dimostrategli  da 
prove  fisiche  e  metafisiche  e  dalle  Scritture  sante.  La  fede 
gli  viene  da  queste,  e  da'  miracoli  che  le  confermaiio;  (1) 

(1)  «  Principalissimo  fondamento  della  fede  nostra  sono  i  miracoli 
fatti  per  colui  che  fu  crocifisso,  il  quale  creò  la  nostra  ragione,  e  volle 


DOTTRINE   TEOLOGICDE.  21.1 

Le  prove  della  religione  detta  naturale  gli  vengono  anco 
dalla  scienza,  ma  la  divina  autorità  la  corrobora  e  la  ri- 
schiara. Poi  soggiunge  di  credere  alla  Trinità  e  tal  credenza 
attingere  dal  Vangelo:  C.  xxiv. -La  porta  della  fede  è  il  bat- 
tesimo: Inf.  IV.  35.  La  Fede  è  il  princìpio  di  salvazione: 
Inf.  II.  28;  essa  fa  conte  V  anime  a  Dio:  Par.  xxv.  10. 
Al  regno  de'  cieli  non  sali  mai  chi  non  adorò  debitamente 
Dio:  Inf.  IV.  38. 

Né  salì  mai  chi  non  credette  in  Cristo, 
Né  pria  nò  poi  cli'el  si  chiavasse  al  legno.  Par.  xix.  104. 

«  La  fede  verace  {Par.  xiv.  41)  vince  ogni  errore  [Inf.  iv. 
48),  essendo  che  illuminata  dalla  somma  luce  del  cielo  ogni 
nutorilfi  convince,  nò  può  mentire,  né  torcersi  da  via  di 
verità,  eh' è  Dio,  onde  la  stessa  fede  ha  vita:  Conv.i\.V6: 

Senza  la  fede  hen  far  non  hasta.  Purg.  xxu.  CO. 
«  Nemo,  quantumcumque  moralibus  et  inlellectualibus  virluti- 
bus,  ctsecundum  habltum  etsccundum  operationem  perfeclus, 
absque  lìde  salvari  potest:  dato,  quod  nunquam  aliquid  de 
Christo  audiverit;  nam  hoc  ratio  humana  per  se  justum 
inlueri  non  potest,  fide  tamen  adjuta,  potest:»  De  Mon.u. 
§  8  -  «  Qui  in  filium  Dei  Christum,  sive  venturum,  sive 
praesentem,  sive  jam  passum  crcdidcrunt,  et  credendo 
ì^peravenint,  et  sperunlcs  cUar itale  arsernnt,  et  ardentes  ci 
cohaeredes  factos  esse  mundus  non  dubitat:»  De  Non.  in. 
3.  -  «  La  fede  più  che  tutte  le  altre  cose  è  utile  a  tutta 
l'umana  generazione,  siccome  quella  per  la  quale  campiamo 
da  eternai  morte,  e  acquistiamo  eternai  vita:  »  Conv.m.  7.  - 
Ma  egli  non  basta  picchiarsi  il  petto  pel  conseguimento 
della  salute;  la  fede  senza  l'opere  è  morta: 

Ma  vedi,  molti  irridan  Cristo,  Cristo, 
Che  saranno  in  iiindicio  assai  men  propc 
A  lui,  che  tal  che  non  conobbe  Cristo.  Par.  \\\.  106. 
Della  l^pcranza.   — 

Speme  ...  è  uno  attender  certo 

clic  ros.=;e  minore  del  suo  potere,  e  fatti  poi  nel  nome  suo  per  li  santi 
suoi.  Molti  sono  sì  ostinati  che  dì  quei  miracoli  per  alcuna  nebbia  siano 
dubbiosi,  e  non  possano  credere  miracolo  alcuno,  senza  visibilmente 
avere  di  ciò  sperienza».  Conv.  iii.  7.  -  <- Il  miracolo  é  mediante  la  ope- 
razione del  primo  principio,  senza  l'  operazione  dei  secondi  fattori,  come 
S.  Tommaso  nel  terzo  vonivo  a'  Gcnlili  pruova.  D^  Mon.u.  §  4. 


212  D0TTR1^E  TEOLOGICHE. 

Della  gloria  futura,  il  qual  produce 
Grazia  divina  e  precedente  merto.  Par.  xxv.  6". 
Da  molli  chiarissimi  sacri  scrittori,  ma  soprattutto  dai  su- 
blimi cantici  di  Davidde,  l' alta  Teodìa,  e  dell'  epistola 
di  S.  Jacopo  vennero  al  poeta  i  fondamenti  di  quella  speranza 
die  bene  innamora,  eh' è  luce  piovuta  e  insieme  stillata 
dall'alto.  Le  anime  amiche  di  Dio  hanno  per  oggetto  della 
loro  speranza  la  beatitudine  del  corpo  e  dell'anima. 

Della  Carità.  —  Iddio  infinito  ed  inejfahil  bene  deve 
essere  il  nostro  supremo  amore  :  Filosoiìa  e  autorità  rivelata 
ce  lo  insegnano.  Filosofia  che  ci  apprende  che  quanto  più 
l'oggetto  conoscesi  buono,  e  più  s'ama,  che  però  Dio,  bene 
sommo,  più  merita  amore.  L'autorità  de'  filosofi  pagani, 
che  scende  anch'essa  da  tradizioni  rivelate  in  origine,  in- 
segna che  Dio  è  il  supremo  desiderio  delle  cose  immortali, 
e  ci  comprova  insieme  con  l' eternità  di  Dio  l' immortalità 
degli  spiriti.  L'autorità  rivelata  specialmente  per  bocca  di 
Mosè  e  dell'  Apostolo  della  carità,  Giovanni,  ci  dice  che  Dio 
è  autore  primo  del  bene  e  rinnovatore  di  quello.  Ragioni 
ed  indirizzi  all'amore  ci  devono  essere  la  bellezza  e  bontà 
dell'  universo,  i  doni  da  Dio  largiti  [all'  umana  natura,  la 
redenzione,  la  gloria  sperata  da'  fedeli  e  i  beni  che  pre- 
parano ad  essa: 

Lo  raggio  della  grazia,  onde  s'accende 
Verace  amore,  e  che  poi  cresce  amando.  Par.  x.  83. 

Che  il  hene,  in  quanto  ben,  come  s'intende, 
Così  accende  amore,  e  tanto  maggio, 
Quanto  più  di  bontate  in  sé  comprende. 

Dunque  all'  essenzia,  ov'  è  tanto  avvantaggio, 
Che  ciascun  ben  che  fuor  di  lei  si  trova 
Altro  non  è,  che  di  suo  lume  un  raggio.  Par.  xxvi.  28. 

Lume  non  è,  se  non  vien  dal  sereno 
,  Che  non  si  turba  mai,  anzi  è  tenebra, 

Od  ombra  della  carne,  o  suo  veneno.  Par.  xix.  64. 

Perocché  il  ben,  eh' è  del  Yolere  obietto. 
Tutto  s' «accoglie  in  lei,  e  fuor  di  quella 
È  difettivo  ciò  che  è  lì  perfetto.  Par.  xxxiii.  103. 

L'eterna  luce, 
Che  "Vista  sola  sempre  amore  accende; 

E  s'  altra  cosa  vostro  amor  seduce, 
Non  è,  se  non  di  quella  alcun  vestigio 
Mal  conosciuto,  che  quivi  traluce.  Par.  v.  8. 

Il  divino  amore  è  tutto  eterno,  dove  questo  amore  splende 


DOTTRINE  TEOLOGICHE.  213 

lulti  gli  altri  amori  si  fanno  scuri  e  quasi  spenti;  impe- 
rocché il  suo  oggetto  eterno  improporzionaimente  gli  altri 
vince  e  soperchia  :  Conv.  ni,  14. 

Dalla  fede  vien  la  speranza  del  preveduto  desiderare, 
per  la  speranza  nasce  l'operazione  della  carità,  per  le  quali 
Ire  virtù  si  sale  a  filosofare  a  quella  Atene  celestiale,  dove 
gli  Stoici  e  Peripatetici  ed  Epicurei,  per  l'arte  della' verità 
eterna  in  un  volere  concordevolmente  concorrono.  Conv.m.Vò. 

Il  Peccato.  —  Il  peccato  toglie  ed  avvilisce  la  sovrana 
dignità  dell'anima: 

Solo  il  peccato  è  quel  che  la  dis franca, 
E  falla  dissimile  al  sommo  bene, 
Perchè  del  lume  suo  poco  s'imbianca.  Pai\  vii.  Id. 

Trascinata  la  volontà  negli  ultimi  abissi  del  vizio,  pare  che 
ivi  la  colga  la  morte,  innanzi  cioè  che  la  vita  fisica  abbia 
compiuto  l'ultima  ora,  manca  la  vita  morale,  e  l'anima 
è  già  chiusa  nel  carcere  infernale,  a  cui  venne  dannata. 
C)uindi  il  suo  corpo  è  come  in  possesso  di  altra  anima,  di 
altra  vita,  di  altra  volontà  satanica.  Né  solo  la  morte  è 
una  condanna  anticipata;  in  luogo  dell'uomo  non  è  più 
un'animale  che  rimane,  è  un  demonio. 

Tosto  che  l'anima  traile, 

Come  fec'io,  il  corpo  suo  l'è  tolto 
Da  un  (limonio,  che  poscia  il  governa 
Mentre  che  '1  tempo  suo  tutto  sia  volto,  /n/".  xxxiii.  129. 

11  peccatore  non  si  debbe  mai  abbandonare  alla  dispe- 
razione: fino  all'ultima  ora  della  vita  dura  verde  il  ramo 
della  speranza,  e  il  fiore  del  pentimento  vi  può  sbucciare: 

Si  non  si  perde, 
Che  non  possa  tornar  Teterno  amore, 
Mentre  che  la  speranza  ha  fior  del  verde.  Purg.  ni.  133. 

Confessione  sacrsiuicntale.  Doti  di  un  buon  Con- 
fessore. —  Il  colpevole  mal  saprebbe  essere  giudice  della 
propria  sincerità,  arbitro  della  misura  delle  lagrime  che  dee 
versare,  esecutore  delle  pene  ch'egli  ha  meritato.  Quindi  la 
necessità  d'un  ministero  esteriore,  d'un  tribunale  dell'anime, 
il  cui  giudice,  riducendosi  in  sua  mano  le  due  chiavi  della 
scienza  e  dell'autorità,  possa  dischiudere  e  serrare,  secondo 
iJ  merito,  la  porta  della  riconciliazione. 
Vidi  una  porta,  e  tre  gradi  di  Botto, 


21 4  DOIiTRIKE   TEOLOGICHE. 

Per  sire  ad  essa,  di  color  diversi.  Purg.  ix.  70. 

Divoto  mi  gettai  a'  santi  piedi  : 
Misericordia  chiesi,  e  cli'ei  m'aprisse; 
Ma  pria  nei  petto  tre  fiate  mi  diedi.  Id.  109. 

Nella  porta  simboleggiava  il  poeta  la  sacramentale 
confessione;  negli  scalini  di  diverso  colore,  le  disposizioni 
necessarie  al  peccatore  per  conseguire  la  grazia  della  giu- 
stificazione; nello  scalino  bianco,  la  sincerità  con  che  de- 
vonsi  scoprire  al  sacerdote  le  colpe,  in  quello  tinto  più  che 
perso  e  (runa  pietra  arsiccia  e  per  lo  lungo  e  per  traverso 
crepato,  la  contrizione  del  cuore,  per  cui  viene  a  spezzarsi 
la  sua  antica  durezza,  e  il  lutto  e  l'amaritudine  dell'anima 
nella  ricordanza  di  Dio  olìeso  col  peccato;  nello  scalino 
che  pare  di  un  porfido  fiammeggiante  e  sanguigno,  l'amore 
di  Dio,  che  come  fiamma  deve  accendersi  nel  penitente, 
sendo  che  in  ragione  di  quello  si  rimettano  i  peccati. 

Scienza  e  discrezione  necessarie  nel  Confessore  per  ben 
dirigere  il  penitente,  a  medicar  le  piaghe,  e  perchè  non 
abbia  indebitamente  ad  assolvere  chi  non  è  ben  disposto. 
Difficoltà  di  usare  convenientemente  la  chiave  d'argento: 
esigesi  in  lui  molta  arte  ed  accortezza,  molla  dottrina, 
gran  cognizione  del  cuore  umano,  ed  oltre  a  ciò  un  cuore 
acceso  di  carità  e  pieno  di  Dio:  Purg.  ix.  122. 

Umiltà  e  mestizia  ond'è  preso  il  cuore  del  Sacerdote 
alla  vista  dei  mali  dell'anima,  per  cui  si  unisce  col  pec- 
catore ad  implorare  con  le  lagrime  la  divina  misericordia: 
Purg.  IX.  116. 

Le  macchie  e  le  male  inclinazioni  che  1  peccati  lasciano 
neiranima  del  Cristiano,  anche  dopo  la  sacramentale  assolu- 
zione, debbono  essere  lavale  ad  una  ad  una  per  la  temporale 
penitenza  e  con  le  opere  salisfaltorie  dal  sacro  ministro 
imposte:  Purg.  ix.  112. 

Il  dolore  è  necessario  all'espiazione  della  colpa:  Par. 
IX.  91;  VII.  82. 

Il  pentimento  disarma  la  divina  Giustizia:  Purg.ww.^^. 

La  porla,  in  cui  è  adombrata  la  Confessione,  apre  il 
varco  d'un  aringo  umiliante  e  faticoso,  ma  dove  la  fatica 
va  scemando,  e  l'ignominia  si  cancella  grado  a  grado  che 
il  peccatore  si  avvicina  al  termine.  Guai  se  alcuno  riguardi 
indietro  1  per  lui  verrebbe  meno  il  frutto  delle  sostenute 


D0TTU1^E   TEOLOGICHE.  215 

prove:  Purg.  i\.  132.  -  Quegli  che  vorrà  camìnare  sino  al 
termine  delia  via  si  appliclierà  da  prima  alla  meditazione 
degli  esempi  che  T  istoria  profana  e  le  sanie  Scritture  gli 
presenteranno  sui  vizj  ondegli  si  è  purgato  e  sulla  virtù 
a  loro  contraria.  Cosi  il  vizio  e  la  virtù,  considerale  in  tipi 
viventi,  dov'  ebbero  la  loro  più  completa  espressione,  non 
saprebbero  paragonarsi  senza  che  nello  slesso  tempo  non 
determinassero  una  energica  preferenza:  Purgai,  passim, 
soprattutto  xiii.  37.  Da  quel  punto  si  appiglierà  senza  esi- 
tare alla  pratica  degli  atti  opposti  a  quelli  dei  quali  vuol 
in  sé  distruggere  le  traccie.  L'abitudine  con  egual  forza 
distruggerà  le  disposizioni  perverse  formate  dall'  abitudine, 
e,  divenuta  una  seconda  natura  ella  stessa  neutralizzerà  le 
malvage  inclinazioni  della  natura:  Purgai,  passim.  Questi 
sforzi  e  le  resistenze  che  s'incontrano,  conducono  all'eser- 
cizio della  spontanea  sofl'erenza  come  mezzo  di  reprimere, 
0,  per  |)arlare  il  linguaggio  ascetico,  di  mortilìcare  e  an- 
nullare gli  sregolati  appetiti.  L'imagine  di  Dio  che  riempie 
l'anima  innocente,  disparve  per  lo  peccato,  lasciando  in 
sua  vece  un  volo  cui  solo  il  dolore  puote  a  riparazione 
riempiere:  Pwrr/.  xix.  91  ;  /^ar.  vii.  79.  Tultavolla  i  molti 
soccorsi  che  la  scienza  più  profonda  del  cuor  umano  può 
più  prestare  al  più  austero  coraggio,  sarebbero  ancora 
insufficienti;  imperocché  v'hanno  dei  secreti  orrori  che  si 
levano  a  intorbidar  la  memoria,  e  il  demonio  del  terrore 
si  mette  ancora  a  traverso  al  cammino  della  penitenza  : 
Pura.  vili.  91.  E  d'altra  parte  l'opera  della  rigenerazione 
morale  è  una  seconda  creazione,  la  quale  non  potrebbe 
compirsi  senza  l' intervento  della  divinità.  Perciò  verrà 
sollecitandone  l'adempimento  colla  preghiera;  la  preghiera 
che  fa  dolce. forza  alla  stessa  onnipotenza,  la  (piale  si  è  fatta 
una  soave  legge  di  lasciarsi  vincere  dall'amore,  per  vincere 
poi  alla  sua  volta  colla  bontà:  Parf/.  vi.  28;  ix.  82.  xi.  l; 
Par.  XX.  94.  -  infine,  al  termine  del  corso  espiatorio,  come 
al  suo  principio,  così  per  uscirne  come  per  entrarvi,  con- 
verrà sottommettersi  ancora  ad  un'  autorità  religiosa,  ed 
accettare  quelle  medesime  condizioni  senza  le  quali  Dio 
non  tratta  punto  con  noi:  la  confessione  per  l'obblio  delle 
colpe,  le  lacrime  per  la  consolazione,   e  il  pentimento  per 


216  DOTTRINE   TEOLOGICHE. 

la  riabilitazione  definitiva:  Purg.  xwi.ì.  La  riabilitazione 
restituisce  all'uomo  la  serenità  della  primitiva  innocenza; 
e  lui  ritorna  quale  egli  era  all'uscire  delle  mani  del  Crea- 
tore, e  ricostruisce  nella  letizia  della  coscienza  una  specie 
d'Eden  mortale,  una  beatitudine  che  la  maggiore  non  si 
può  gustar  sulla  terra.  Questa  beatitudine  terrestre  è  posta 
nell'esercizio  virtuoso  dell'umana  facoltà,  e  in  un'attività 
costante  che  a  se  rende  testimonianza  della  legittimità  delle 

proprie  azioni:   Purri.xwìi.  e  se^ Ozanam,  Dante  e  la 

Filosofia  Cattolica  nel  XIII  secolo,  Parte  II,  cap.  III.  §  1. 

Conversione.  —  Principio  al  pentimento  è  la  conoscenza 
di  sé  medesimo  e  de'  proprii  falli,  e  l' odio  della  cosa  dianzi 
amata,  onde  il  rimorso.  Purg.  xxxi.  83. 

Assolver  non  si  può,  chi  non  si  pente; 
Né  pentere  e  volere  insieme  puossi, 
Per  la  contraddizion  che  noi  consente.  Inf.  xxvii.  82. 

Di  tutt' altre  cose,  qual  mi  torse 
Più  nel  suo  amor,  più  mi  si  fé  nemica.  Purg.  xxxi.  85. 

Dà  addietro  nella  via  di  Dio,  e  perde  la  grazia  chi  nel 
tempo  della  penitenza  si  volge  con  qualche  affetto  alle 
terrene  cose  già  abbandonate:  Purg.  iv.  132. 

La  purgazione  delle  passioni,  e  la  conversione  è  difficile, 
ma  non  impossibile  a  chi  voglia  con  fermezza,  ed  abbia 
l'aiuto  della  Grazia:   Purg.iv.^'è. 

Conversione  nello  scorcio  della  vita  :  Purg.  iv.  132;  v.  53. 

Non  si  può  disperare  della  clemenza  del  cielo,  finché 
vi  abbia  alito  di  vita  :  Purg.  in.  135. 

Santificazione  delle  fe^tc.  —  Diem   Solis,    quem  .  .  . 

noster  Salvator   per  gloriosam  suam  nalivitatem,  ac  per 
admirabilem  suam  resurrectionem  nobis  ìnnuit  venerandum: 
Quaestio  de  aqua  et  terra,  §  24. 
Efficacia  della  prejs^hiera. 

Orando,  grazia  convien  che  s'impetri.  Par.  xxxii.  147. 
Decreto  del  Cielo  orazion  piega.  Purs.  vi.  30; 

specialmente  qualora  s'elevi  da  un'anima  in  istato  di  grazia, 
che  i  peccatori  non  possono  meritare  né  per  sé,  né  per  altri  : 
Se  orazione  in  prima  non  m'aita, 
Che  surfja  su  di  cor  che  in  grazia  viva: 
L'altra  che  vai,  che  in  del  non  è  udita?  Furg.  iv.  133. 

Che  lassù  nel  cielo  è  ascoltala  la  voce  degl'innocenti: 


DOTTRINE  TEOLOGICHE.  217 

Di  a  Giovanna  mia,  che  per  me  chiami 
Là  dove  agi'  innocenti  si  risponde.  Purg.  vm.  71. 

Dig;iuno. 

Mèle  e  locuste  furon  le  vivande, 
Che  nudriro  il  Batista  nel  diserto: 
Pcrch'egli  è  glorioso,  e  tanto  grande, 

Quanto  per  1'  Evangelio  v'  è  aperto.  Purg.  xxii.  151. 

Tale,  halbuzicndo  ancor,  digiuna, 
Che  poi  divora,  con  la  lingua  sciolta, 
Qualunque  cibo  per  qualunque  luna.  Par.  xxvii.  132, 

Voto.  —  Dante  argomenta  l'alto  valore  del  voto  dal 
valore  della  libertà  che  consacra  sé  stessa  spontaneamente. 
Ma  appunto  perchè  spontanea,  l'obbligazione  è  più  sacra,  in 
quanto  che  nessun  vincolo  di  legge  positiva  o  naturale, 
imponendo  una  più  o  meno  indiretta  necessità,  limita  quella 
facoltà  del  volere  per  cui  l'uomo  è  simile  a  Dio  e  tende 
ad  esso.  Se  non  che  condizione  essenziale  al  valore  del  voto 
è  la  spontaneità  piena,  la  qual  richiede  la  piena  intelli- 
genza di  quel  che  si  fa  ;  e  tutte  quelle  circostanze  che  de- 
traggono alla  pienezza  del  volere  o  dell'  intendere  scemano 
l'obbligazione.  Ed  essendo  il  voto  atto  altamente  ragione- 
vole, la  promessa  di  cose  non  conformi  a  ragione,  cioè 
cattiva  in  sé,  non  è  cosa  santa.  -  La  Chiesa  dispensa  dal 
voto,  0  perchè  non  in  tutto  conforme  a  ragione,  o  perchè 
nuove  condizioni  lo  rendono  tale  che,  se  il  promettente 
dovesse  rifarlo,  se  ne  asterrebbe  per  meglio  compiere  1 
proprii  doveri,  o  perchè  l'intelligenza  e  la  spontaneità  non 
fu  piena.  Ma  Dante  distingue  la  materia  del  voto,  cioè  gli 
atti  promessi  di  fare  o  non  fare,  e  il  patto  stretto  con  Dio; 
e  aflerma  che  gli  atti  possono  permutarsi,  ma  il  patto 
rimane,  e  che  quella  permutazione  stessa  dee  farsi  non  dal 
difficile  al  facile,  ma  dal  mono  al  più,  sì  che  il  baratto  non 
paia  un  volere  far  gai)bo  a  Dio  e  agli  uomini  e  alla  pro- 
pria coscienza.  Alla  Chiesa  stessa  nega  egli  la  licenza  di 
permutare  il  meno  col  più,  se  non  quanto  il  merito  dei 
sacrilizj  interiori  compensa  l'alleggerimento  degli  atti  este- 
riori; di  che  i  preti  non  possono  essere  giudici,  ma  ciaschedun 
uomo  negli  intimi  suoi  pensieri.  Tommaseo.- Par.  in.  29-49; 
V.  22.  ao. 

Culto  delle  sacre  imag;iiii.  —  Lo  spirito  della  Chiesa, 


218  I)OTTUl^E   TEOLOGICHE. 

noi  cullo  delle  sacre  imagiiii,   egregiamente  compreso  da 
Dante  : 

Co?i  piirlar  conviene!  al  vostro  ingegno. 

Perocché  solo  da  sensato  apprende 

Ciò  die  fa  poscia  d' intelletto  degno. 
Per  questo  la  Scrittura  condescende 

A  vostra  facultate,  e  piedi  e  mano 

Attribuisce  a  Dio,  ed  altro  intende  ; 
K  Santa  Chiesa  con  aspetto  umano 

Gabrielle  e  Michel  Ai  rappresenta .  .  .  Par.  iv  40. 
La  Chiesa  Cattolica.  —  La  Chiesa  Cattolica  è  madre 
pìissima  e  sposa  (/i;9. ix. §7.)  e  segretaria  di  Cristo:  Conv.  ii. 
G  -  La  santa  Chiesa  non  può  dir  menzogna  :  Conv.  ii.  4  -  La 
cristiana  sentenza  è  di  maggior  vigore  ed  è  rompitrice  d'ogni 
calunnia,  mercè  della  somma  luce  del  cielo  che  quella 
illumina:  Conv.  iv.  15  -  La  dottrina  veracissima  di  Cristo 
è  via,  verità  e  luce;  via,  perchè  per  essa  senza  impedi- 
mento andiamo  alla  felicità  di  quella  immortalità;  verità, 
perchè  non  sofferà  alcuno  errore;  lume,  perchè  illumina 
noi  nelle  tenebre  dell'ignoranza  mondana:  Conv.  ii.  9.  Fuori 
della  Chiesa  cattolica  apostolica  romana  non  vi  ha  salute  : 
Purg.  II.  100. 

Gli  eresiarchi,  e  i  loro  seguaci  d'ogni  setta,  sono  dan- 
nali alle  pene  d'Inferno:  Inf.  ix.  127;  Inf.  x. 

s.s.  ScrittHre.  —  Ed  il  poeta  aveva  in  tanta  venera- 
zione la  Bibbia  che  parevagli  gran  fallo  il  contraddire  ad 
essa,  ancorché  ciò  gli  avvenisse  in  sogno.  «  Oh  summum 
facinus,  etiamsi  contingat  in  somniis,  aeterni  splritus  In- 
lenlione  abuti!  Non  enim  peccatur  in  Moysen,  non  in 
David,  non  in  Job,  non  in  Malha^um,  nec  in  Paulum,  sed 
in  Spiritum  Sanclum  qui  loquitur  in  illis.  Nam  quamquam 
Scriplores  divini  eloquìi  multi  sint,  unicus  tamen  dictalor 
est  Deus  qui  beneplacitum  suum  nobis  per  multorum  cala- 
mos  explicare  dignatus  est  «  :  De  Man.  i.  4  -  E  duramente  pur 
riprende  coloro  che  interpretano  il  senso  delle  Ss.  Scritture 
in  modo  diverso  da  quello  che  dalla  Chiesa  fu  stabilito: 

§  ancor  questo  quassù  si  comporta 
Con  men  disdegno,  che  quando  è  posposta 
La  divina  scritlura,  o  quando  è  torta. 

Non  vi  si  pensa  quanto  sangue  costa 
Seminarla  nel  mondo,  e  quanto  piace 
Chi  umilmente  con  essa  s'accosta,  far.  xxix.  88. 


DOTTRmE  TEOLOGICHE.  219 

Oltre  il  vecchio  e  nuovo  Testamento,  il  quale  è  mandato  in 
efenio,  abbiamo  l'autorità  de' venerandi  Concili  ne' quali 
Cristo  esser  stato  presente  nessun  fedele  dubita,  concios- 
siachè  noi  abbiamo.  Cristo  aver  detto  a'  discepoli,  avendo 
a  salire  in  cielo:  Ecco,  io  sono  con  voi  or/ni  dì,  infmo  alla 
consumazione  del  secolo,  come  Matteo  testimonia.  Sono 
ancora  le  scritture  de'  dottori,  di  Agostino  e  degli  altri, 
i  quali  aver  avuto  l'aiuto  dello  Spirito  Santo  chi  dubiterà. 
Dopo  la  Chiesa  sono  le  Costituzioni,  le  quali  chiamano 
Decretali  che  pur  souo  da  venerare  per  l'Apostolica  auto- 
rità :  De  Non.  ni.  3.  -  La  cristiana  sentenza  è  di  maggior 
vigore...  mercè  della  somma  luce  del  cielo  che  quella  allu- 
mina: Cony.  IV.  15.  Onde  amaramente  si  duole  che  i  Dottor 
Marini  sieno  derelilli,  (Par.  ix.  133)  che  facevano  vedere  l'una 
e  l'altra  strada,  del  mondo  e  dì  Dio:  Purg.  xvi.  108.-  «Ah! 
madre  piissima,  Sposa  di  Cristo,  quai  figli  generi  spiritual- 
mente nell'acqua  a  tuo  rossore  medesimo!...  Giace  Gregorio 
tuo  fra  le  tele  de' ragni:  giace  Ambrogio  negli  abbandonati 
ripostigli  de'Cherici;  giace  Agostino;  non  si  curano  Dionisio, 
Damasceno  e  Beda;  e  non  so  quale  Specchio,  Innocenzio 
e  l'Ostiense  si  predicano.  E  perchè  ciò?  Quelli  intendevano 
a  Dio,  siccome  al  vero  line  ed  all'ottimo;  questi  a  conse- 
guire censi  e  benelìzii:  Ep.  ix.  7. 

neiraiiiiDia  discioita  da!  corpo.  —  Quando  l'anima 
si  disgiunge  dal  corpo  dlsciolto,  seco  adduce  tulle  le  fa- 
coltà divine  ed  umane  che  le  appartennero;  le  primarie, 
cioè  la  memoria,  T  intelligenza  e  la  volontà  fatte  più  at- 
tive; le  seconde,  cioè  quelle  che  tutte  si  raccolsero  sotto 
il  nome  di  sensibilità,  iuerti  all'intutto.  Il  suo  merito  o  de- 
merito, quasi  forza  che  la  trascina,  determina  il  suo  luogo 
di  pena,  di  espiazione,  o  di  ricom[)ensa.  Giunta  appena  al 
luogo  assegnato,  esercita  intorno  di  sé  la  potenza  informa- 
trice ond' è  dotata.  E  come  l'atmosfera  umida  si  colora 
de' raggi  che  vi  si  rilletlono,  cos\  l'aria  prende  la  nuova 
forma  che  le  viene  impressa,  e  ne  risulta  un  corpo  sottile 
in  cui  ciascun  scuso  ha  l'organo  suo  proprio,  ciascun  pen- 
siero la  sua  esterna  espressione,  in  cui  l' anima  ripiglia 
gli  uflicj  della  sua  vita  animale,  e  appalesa  la  sua  presenza 
colla  parola,  col  sorriso  o  colle  lagrime: 


220  DOTTRINE   TEOLOGICHE. 

E  quando  Lachesis  non  ha  più  lino, 
Solvesi  dalla  carne,  ed  in  virtute 
Seco  ne  porta  e  1'  umano  e  il  divino. 

L'altre  potenzie  tutte  quante  mute; 
Memoria,  intellìgenzia,  e  volontade. 
In  atto,  molto  più  che  prima,  acute  . . . 

Tosto  che  luogo  lì  la  circonscrive, 
La  virtù  formativa  ratrgia  intorno, 
Cosi  e  quanto  nelle  membra  vive  .  , , 

Così  l'aer  vicin  quivi  si  mette 
In  quella  forma,  che  in  lui  suggella 
Virtualmente  1'  alma  che  ristette  . . . 

Perocché  quindi  ha  poscia  sua  paruta, 
È  chiamai' ombra;  e  quindi  organa  poi 
Ciascun  sentire  insino  alla  veduta.  Purg.  xxv.  80. 

Purgatorio.  —  Nel  pensare  alla  gravezza  delle  pene 
dell'anime  purganti  che  pur  si  convertirono,  non  dobbiamo 
smarrirci,  né  rimuoverci  spaventali  dal  buon  proponimento 
di  tornare  a  Dio.  Anzicchè  alla  natura  delle  pene  dobbiamo 
meglio  por  mente  a  quello  che  ad  esse  succederà,  cioè  alla 
!)eatitudine  del  Paradiso.  Al  peggio  che  possa  accadere, 
queste  pene  non  potranno  durare  al  di  là  del  giudizio 
universale: 

Non  vo'  però,  lettor,  che  tu  ti  smaghi 
Di  buon  proponimento,  per  udire 
Come  Dio  vuol  che  il  debito  si  paghi. 

Non  attender  la  forma  del  martire; 
Pensa  la  succession  ;  pensa  che,  a  peggio, 
Oltre  la  gran  sentenzia  non  può  ire.  Purg.  x.  106. 
Tsel  Purgatorio  la  pena  è  sofferta  con  letizia  :  Purg.  xii. 
112;  XXIII.  71.86. 

Le  preghiere  dell'anime  purganti  non  hanno  virtù  di 
mondarle  dai  peccali,  perchè  tuttavia  disgiunte  da  Dio  : 
Non  s'ammendava,  per  pregar,  difetto, 
Perchè  il  prego  da  Dio  era  disgiunto.  Pur^.  vi.  41. 

Posta  da  un  lato  la  purità  della  giustizia  dell'Ente  che 
è  il  fine  ultimo  dell'umanità,  posta  dall'altro  l'imperfezione 
dell'uomo  e  la  possente  volontà  di  quell'Ente;  ne  segue 
che,  per  pura  che  un'anima  sia,  non  può  esser  fatta  di 
subito  degna  del  pieno  godimento  di  lui,  e  che  una  prova 
di  aspettazione  più  o  men  dolorosa  concilia  i  due  grandi 
attributi  della  giustizia  e  della  bontà,  e  salva  l'uomo  dalle 
ruine  della  speranza  superba  e  della  superba  disperazione, 


DOTTRINE   TEOLOGlCnE.  221 

e  gli  rende  meno  affannosa  la  morte,  e  diffonde  il  pensiero 
de'  cari  suoi,  quasi  luce  avvivalrice,  tra  le  tenebre  del 
sepolcro,  e  così  conforta  i  viventi  e  li  rende  migliori  ;  ed 
esercitando  l'affetto  sì  nel  passato  e  sì  nel  tempo  avvenire, 

10  amplia  e  lo  innalza;  e  fa  del  mondo  visibile  e  dello 
invisibile  una  vita,  e  de'  viventi  e  de'  morti  una  sola  ope- 
rosa e  cospirante  famiglia  -  T.  -  V.  Purg.  xxvii. 

Orazione  de'  vivi  utile  alla  anime  purganti.  Purg,  iii. 
140,  144;  IV.  132;  vi.  26;  vm.  71;  xi.  22.  31.  127;'xiii. 
125,  147;  xxiii.  79,  87;  xxvi.  130;  Par.  xv.  95. 

Inferno.  —  La  tradizione  popolare,  forse  dai  fenomeni 
vulcanici,  ha  posto  l' inferno  nelle  viscere  del  globo  terrestre. 
L'antica  scienza  rappresentava  questo  luogo  come  il  più 
basso  dell'universo,  e  il  più  lontano  dall'empireo.  Egli 
era  naturale  che  vi  si  relegassero  le  anime  allontanate  per 
sempre  dal  soggiorno  di  Dio  per  la  ragione  del  peccalo. 
Tuttavolta  l'Inferno  conserva  i  segni  dell'Immensità  divina. 

11  potere,  la  sapienza  e  l'amore  lo  preparano  sin  dal  prin- 
cipio; diciamo  l'amore,  perciocché  è  giusto  che  eterni  dolori 
sieno  la  parte  di  quelli  che  posero  in  non  cale  l'eterno 
amore!  -  Oz.  - 

Giustizia  mosse  il  mio  alto  fattore: 
Fecemi  la  divina  potestate, 
La  somma  sapienza  e  il  primo  amore,  Inf.  ni.  4. 

Le  pene  d'inferno  cresceranno  quando  le  tombe  dischiu- 
se avranno  ridonato  i  morti  ad  una  vita  senza  fine  ;  per- 
ciocché quanto  più  completo  è  un  essere,  più  compiutamente 
si  esercitano  le  sue  funzioni  ;  e  quanto  più  stretta  è  l'unione 
dell'anima  e  del  corpo  più  viva  si  fa  la  sensibilità  che 
ne  deriva: 

Ritorna  a  tua  scienza, 
Che  vuol,  quanto  la  cosa  è  più  perfetta. 
Più  senta  '1  bene,  e  cosi  la  doglienza.  Inf.  vi.  106, 
A  pena  dell'intelletto  rimane  la  memoria  del  passato; 
ma  la  memoria  della  colpa  senza  il  pentimento   è  un  tor- 
mento di   più:  Inf.  x.  46;  xv.  55.  Stranieri   al  presente, 
quantunque  si  scopra  a'  loro  sguardi  l'avvenire;  somiglianti 
a'  quei  vecchi  la  cui  vista  indebolita  discerné  le  cose  lon- 
tane, le  quali  più  si  avvicinano,  tanto  più  loro  diventano 
oscure.  Ma  questa  profetica  chiarità,  solo  riflesso  che  arriva 


222  DOTTRINE   TEOLOGICHE. 

iiisliio  ad  essi  della  luce  eterna,  si  ecclisserà quando,  consumali 
ì  tempi,  si  chiuderanno  le  porte  dell'avvenire.  Allora  ogni 
conoscenza  in  essi  sarà  spenta:  Inf.vi.^i;  xxviii.  76;  x. 
97:  Quelle  slesse  idee  che  qui  durano  ancora  sono  confuse, 
tenebrose,  nò  punto  al  livello  della  scienza,  e  meno  a  quello 
della  Ulosolìa,  la  quale  è  formata  dalT amore,  e  l'amore  vi 
è  estinto.  Pertanto  gli  spirili  dell'inferno  sono  privi  della 
contemplazione  di  s\  bella  cosa,  eh' è  beatitudine  dell' inlel- 
lelto,  la  cui  privazione  è  amarissima  e  piena  di  ogni  tri- 
stezza. -  La  mancanza  dell'amore  è  l'ultimo  supplizio  delle 
volontà  colpevoli.  Quindi  quell'odio  reciproco  per  cui  a 
vicenda  si  maledicono,  quell'odio  contro  sé  stesse  che  le 
incita  e  le  precipita  contro  i  tormenti  (  Inf.  ni.  58  ),  quell'o- 
dio contro  Dio  disfidato  nel  mezzo  delle  loro  pene:  Inf.  xiv. 
52;  XXV.  l.  Quindi  le  bestemmie  contro  il  Creatore,  contro 
il  genere  umano,  il  luogo,  il  tempo,  i  parenti;  quel  desi- 
derio del  nulla,  che  non  mal  sarà  soddisfatto  :  7«/.iii.  100. 
Agitati  ancora  dalle  passioni  ch'ebbero  al  mondo,  avidi 
ancora  di  lodi,  di  voluttà  e  di  vendette,  non  cessano  di 
meritare  e  soffrire  castighi  interminati,  dolori  infiniti  [Inf. 
V. 7();  XXXI. /G)  nella  durala  e  nella  intensità,  perchè  tutti 
ingenerati  dalla  perdita  del  bene  supremo,  ossia  di  Dio.  - 
Ozaìiam,  P.  II.  C.  II.  §  3. 

Lassù  in  cielo  per  letiziare  si  acquista,  si  aumenta  splen- 
dore, ma  giù  nell'inferno  le  ombre  dei  dannati  si  fanno 
più  oscure  a  misura  che  sono  tristi  e  dolenti:  Par.  ix.  70. 

Neir inferno  i  lamenti  sono  feroci,  nel  purgatorio  ral- 
legrati dalla  speranza  e  dal  piacere  di  Dio:  Pur /.  xii.  11^; 
xxin.71.86. 

Più  larga  è  la  via  che  mette  all' inferno  che  al  purga- 
torio: Purf}.  X.  2. 

EilKcrEiltà  delle   pene  d*  Inferno. 

io  eterno  duro: 
Lasciate  ogni  speranza,  voi  ch'entrate.  Inf.  iii.  8. 
E  pietà  il  non  averne  alcuna  pei  dannati:  sarebbe  scel- 
lerato colui  che  sentisse  compassione  in  mirare  ne'  rei  gli 
eiVelli  della  giustizia  di  Dìo: 

Qui  vive  la  pietà  quando  è  ben  morta. 
CJii  è  più  soelerato  di  colui 
Ch'ai  giudicio  diviii  passion  porta?  Inf.  \^.  i8. 


dottrim;  teologiche.  223 

l»aradiso.  —  Al  (li  \i\  delle  sfere  celesti,  dove  si  segui- 
tano le  rivoluzioni  degli  astri,  oltre  il  nono  cielo  che  in- 
vilui)[)a  gli  altri  nel  suo  vortice  immenso,  si  trova  il  cielo 
<>ni[)ireo,  pura  luce,  luce  intellettuale  piena  d'amore,  amore 
ikì  vero  bene,  fonte  d'ogni  gioia,  gioia  che  avanza  ogni 
dolcezza  :  Par.  \\\.  37. 

Nel  primo  del  Paradiso  è  posta  la  dottrina  dell'  ordine,  e 
strumento  dell'ordine  è  posto  l'amore;  nel  secondo,  l'idea 
<leir ordine  viene  applicala  ai  moti  de'  cieli,  e  all'intel- 
ligenze che  li  muovono  amando,  e  alla  gioia  che  da  essi 
traluce,  come  da  viva  pupilla;  nel  terzo  mostrasi  l'amore, 
come  vincolo  alla  società  dei  beati  e  forma  di  loro  bea- 
titudine. Dante  domanda  a  Piccarda:  Desiderate  voi  più  alto 
luogo  di  questo  a  maggiore  felicità?  Ed  ella  risponde:  La 
carità  è  che  contenta  il  nostro  volere,  il  quale  ha  pace 
dal  conformarsi  al  volere  di  Dio;  la  carità  è  che  ci  fa  go- 
dere del  bene  de'  consorti  nostri,  qualunque  esso  sia, 
dacché  Iddio  vuole  che  sia.  E  questo  è  il  principio  del  Cri- 
stianesimo, da  cui  solo  può  avere  anche  la  vita  sociale 
quel  tanto  di  felicità  che  le  è  dato  sulla  terra,  perchè  sola 
l'obbedienza  ad  un  volere  invitto  e  provvido  ed  amoroso 
può  rendere  rassegnati,  ed  insieme  santamente  sdegnosi  d'ogni 
altro  volere  coìitrario  a  quello;  solo  l'amore  de'  fratelli 
può  nelle  ineguaglianze  inevitabili  poste  dalla  natura,  o 
cagionate  dalla  volontaria  debolezza  nostra,  costituire  alcun 
principio  d*  uguaglianza.   Tommaseo. 

Dio  unico  in  sostanza;  la  potenza,  la  sapienza  e  l'amore 
pigliano  in  luì  una  triplice  personalità,  per  modo  che  nel 
linguaggio  degli  uomini  consente  esser  chiamato  col  plu- 
rale e  col  singolare:  Inf.  in.  4.  -  Par.  xiv.  21.  -  xxiv.  139. 
Egli  è  spirito,  egli  è  il  centro  indivisibile  ove  s' appuntano 
tutti  i  luoghi  e  tutti  i  tempi  :  Par.  xxix.  12.  Egli  è  il  cir- 
colo che  circoscrive  il  mondo  e  che  per  nulla  è  circon- 
scritto: Purff.w.ì.-Par.xiv.^O.  Immenso,  eterno,  im- 
mutabile egli  è  il  primo  Vero  fuori  del  quale  tutto  è  te- 
nebre :  Par.  iv.  96.  -  xix.  6i.  xxxiii.  04.  Nel  suo  pensiero 
tutte  le  creature  si  trovano  previste  e  coordinate  al  loro 
fine.  I  fatti  stessi  contingenti  vi  si  rillcttono  anticipata- 
mente senza  divenir  però  necessarj  ;   così  la  vista  dello 


224  DOTTRINE   TEOLOGICHE. 

spettatore  seduto  sopra  la  sponda  segue  il  corso  del  na- 
viglio sulle  onde,  e  non  lo  dirige:  Par.  xvii.  37.  Egli  è 
la  bontà  senza  contini  ;  e  come  bene  supremo  [Par.  xxvi.  16), 
egli  è  l'invariabile  oggetto  della  sua  propria  volontà,  la 
quale  diventa  la  sorgente  e  la  misura  di  tutta  la  giustizia. 
Pure  questa  giustizia  ha  tali  profondità  a.  cui  non  saprebbe 
pervenire  la  corta  nostra  ragione,  come  il  fondo  del  mare 
cui  l'occhio  impotente  del  nocchiero  mal  può  scandagliare: 
y«/.  XX.  20.  ~  Par.  IV.  07;  xix.  86.  Da  ultimo  lutti  i  suoi 
attributi,  levati  al  medesimo  grado  di  perfezione  suprema, 
danno  un  equilibrio  indistruttibile,  per  guisa  che,  adope- 
randosi il  linguaggio  dei  numeri,  ne  sarebbe  conceduto 
definire  Iddio  la  prima  I^fjualità  :  Par,  xv.  74. 

Quanto  maggiore  è  il  numero  dei  beali  in  Cielo  tanto 
maggiore  è  lo  splendore  ed  il  gaudio  del  celeste  soggiorno  ; 
Par.  XV.  53. 

I  Beali,  secondo  i  proprii  meriti,  partecipano  più  o  meno 
dell'eterna  gloria,  che  Dio  spira  negli  eletti:  Par.  iv.  34. 

L'anime  in  Paradiso  son  tulle  liete  del  posto  loro  assegnalo. 
Sentono  esse  medesime  la  giustizia  di  una  varia  proporzione 
di  gloria;  e  la  coscienza  che  ne  hanno  si  fa  un  elementi 
constilulivo  della  loro  felicità;  perciocché  l'amore  che  le 
rende  beale,  concentra  la  volontà  loro  nella  volontà  divina, 
dove  si  perdono,  come  le  acque  che  mettono  nell'Oceano. 
Per  tal  guisa,  in  differenti  condizioni,  trova  ciascuna  il 
termine  dei  suoi  desiderj,  cioè  la  somma  della  felicità, 
ond'essa  è  capace;  e  dalla  medesima  varietà  del  ben  operare 
ridonda  un  concerto  meraviglioso  a  lode  del  supremo  lli- 
muneratore:  Par.  iii.  70.  e  seg. 

La  chiarezza  della  luce  in  cielo  è  dunque  crescente 
secondo  l'ardor  dell'amore,  l'amore  secondo  gli  splendori 
della  visione,  la  visione  secondo  la  grazia  operante  sul 
pensiero  insieme  e  l'affetto:  Par.xw;  xxi.  Cosi  l'amore 
sta  tra  la  bellezza  visibile  e  la  intelligibile,  e  la  forza 
dell'  intelligenza  sta  tra  la  grazia  meritoria  del  libero  amore 
umano  con  la  gratuita  dell'amore  divino,  che  è  lo  Spirito 
uno  con  la  potenza  e  la  sapienza.  -  Rivestito  il  corpo  ter- 
reno, la  persona  umana  otterrà  la  sua  perfetta  interezza, 
accrescendosi  quel  lume  gratuito  che  illustra  la  mente,  e 


DOTTRINE   TEOLOGICHE.  225 

quindi  F ardore  del  cuore,  e  quindi  l'esterna  chiarezza,  la 
cui  luce  non  potrà  affaticare  i  beati,  perchè  gli  organi  stessi 
del  corpo  saranno  forti  a  ogni  più  intenso  diletto.  E  intende, 
tra  r  altre  cose,  che  le  facoltà  delio  spirito  in  armonia 
esercitate,  spandono  fin  negli  organi  corporei  armonia  con- 
temperata di  venustà  e  di  vigore,  condizioni  indivisiljili 
d'integra  bellezza.  -  Tommaseo,  Bellezza  e  Civiltà,  Firenze, 
Le  Monnier,  1837,  pag.  43. 

La  beatitudine. degli  eletti  è  tutta  riposta  nella  visione 
di  Dio  (Par.  xxviii);  a  questo  immenso  specchio,  in  una 
sola  e  fìssa  veduta,  scoprono  essi  ciò  che  fu,  è,  o  sarà,  e 
prima  ancora  della  parola  la  quale  li  esprima,  e  del  fatto 
che  li  verifichi,  scoprono  anche  il  concetto  e  il  desiderio. 
La  loro  vista  tanto  più  vi  si  sprofonda,  quanto  ne  sono 
maggiori  i  meriti  (  Visione  di  Dio,  Par,vm.  91  ;  ix.  61-73  ;  xi.  19  ; 
XV.  GÌ;  XXI.  88;  xxix.  1  -  Conoscenza  il eir avvenire,  passim, 
soprattutto  nelxvii.l3).  L'atto  per  cui  veggono  è  adunque 
la  base  e  come  la  materia  della  loro  felicità;  Tatto  per 
cui  essi  amano  n'è  la  forma;  i  decreti  eterni  nel  punto 
che  si  lasciano  dai  beati  comprendere,  li  sforzano  ad  accet- 
tarli e  ad  eseguirli  :  Par.  ni.  79.  E  per  quella  guisa  che 
l'intuizione  appartiene  all'intendimento,  e  la  dilettazione 
alla  volontà  ;  cosi  conoscenza  e  amore  è  beatitudine,  ossia 
l'uomo  innalzato  alla  più  alta  potenza.  Considerata  poi 
sott' altro  rapporto,  la  beatitudine  è  Dio  slesso  che  si  dà 
altrui  a  godere,  e  l'uomo  e  Dio,  il  soggetto  e  l'obietto, 
si  toccano  senza  confondersi,  e  il  finito  sussiste  distinto  in 
cospetto  dell'  infinito.  -  Ozanam  - 

Il  Paradiso,  creato  da  Dio,  perchè  fosse  stanza  propria 
delle  genti  umane,  e  quindi  più  conveniente  alla  natura 
loro.-  Laonde  l'umana  generazione  sarebbe  qui,  quasi  pianta 
fuori  del  suo  cielo,  e  pero  [>iù  fiacca:  Par.  i.  57. 

ì^ecessità  di  meditare  i  novissimi  per  l' acquisto 
della  virtù. 

Oh!  dissi  lui,  per  entro  i  luoghi  tristi 
Venni  stamane,  e  sono  in  prima  vita.  Purg.  viii.  58. 

Risurrezione  de'  corpi.  —  L' Ombra  deve  un  giomo 
sfumare  innanzi  alla  realtà;  questi  corpi  caduchi  devoìio 
cedere  a  quelli  che  rianimati  usciranno  della  tomba,  perchè 

YOL.  II.  15 


2^26  DOTTRINE   TEOLOGICHE. 

la  corrutlibililà,  se  è  la  legge  comune  delle  creature,  è  legge 
di  quelle  creature  soltanto  che  sono  l'opera  d'altri  esseri 
creati  ;  cosi  hanno  fine  le  cose  prodotte  dal  concorso  della 
materia  prima,  e  della  influenza  degli  astri  ;  ma  sono  eterne 
quelle  che  vengono  immediatamente  dalle  mani  del  Crea- 
tore. L'Eterno  non  dà  una  vita  caduca;  l'umanità  è  opera 
sua,  r  intera  umanità,  e  anima  e  corpo,  si  formò  dalle  sue 
mani,  animata  dal  suo  soffio,  il  sesto  giorno  del  mondo  ; 
nell'ultimo  intiera,  e  corpo  ed  anima,  risorgerà.-  Oz.  - 

Ciò  che  da  lei  senza  mezzo  distilla 
Non  ha  poi  fine ...  Par.  vii.  67. 

E  quinci  puoi  argomentare  ancora 
Vostra  resurrezion,  se  tu  ripensi 
Come  r  umana  carne  fessi  allora, 

Che  li  primi  parenti  intrambo  fensi.  Par.  vii.  145. 

Più  non  si  desta 
Di  qua  dal  suon  dell'  angelica  tromba. 
Quando  verrà  la  nimica  podestà, 

Ciascun  ritroverà  la  trista  tomba, 
Ripiglierà  sua  carne  e  sua  figura. 
Udirà  quel  che  in  eterno  rimbomba.  Inf.  vi.  94. 


8EI  ROMANO  PONTEFICE 


Non  vi  è  quasi  tesi  di  Teologia  riguardaute  la 
supremazia  del  Romano  Pontefice  che  nou 
potrebbe  intitolarsi  di  qualche  verso  di  Dante. 
P.  BERAKDrNELLI,  il  Concetto  della  Divina 
Coraedia.  p.  429. 


Gesù  Cristo  volle  che  fra  gli  Apostoli  Pietro  avesse  il 
primato,  e  ciò  principalmente  significò  con  dare  a  lui  sim- 
holicamente  le  chiavi  del  regno  dei  cieli:  Inf.  xix.  91; 
Furg.  IX.  127;  Par.  xxiv.  35;  xxxii.  49,  124. 

S.  Pietro  fu  Vescovo  di  Roma,  e  vi  finì  ì  suoi  giorni 
col  martirio,  e  ciò  non  a  caso,  ma  per  divina  predestina- 
zione che  la  città  di  Roma  dovesse  essere  la  sede  di  Pietro 
e  de'  suoi  successori  :  Roma  è  lo  loco  santo,  U'  siede  il  suf- 
eessor  del  magr/ior  Piero  :  Inf.  n.  23.  -  Yaticano,  e  V  altre 


DEL   ROMANO  POiNTEFICE.  2*27 

partì  elette  Dì  Roma,  che  san  state  cimitero  Alla  milizia 
che  Pietro  seguette:  Par.  ix.  139.  Solo  alVuso  suo  creata 
santa  :  Le  pietre  che  dentro  le  mura  sue  stanno^  son  degne 
dì  riverenza:  e  il  suolo  dov  ella  siede,  è  degno  oltre  quel- 
lo che  per  gli  uomini  è  predicato  e  provato  :  Conv.  vi.  5.  - 
Egli  non  fu  che  per  noi  e  per  la  salute  nostra  fu  detto 
a  quei  che  della  carità  fu  interrogato  tre  volte:  Pasci, 
0  Pietro,  il  sacrosanto  ovile,...  e  per  cui  da  Pietro  ancora 
e  Paolo,  r  apostolo  delle  genti,  fu  Roma  consacrata  qual 
sede  apostolica  col  proprio  sangue  :  Ep.  ix.  2.  -  La  sede  della 
sposa  di  Cristo  è  Roma:  Ep.ix.ll. 

Nuova  e  più  vasta  unità  che  dovea  sostituirsi  all'antica 
unità  politica  dell'Impero  Romano,  ed  a  cui  questa  unità 
dell'Impero  era  servita,  secondo  il  verissimo  concetto  di 
Dante,  di  preparazione  ed  agevolamento.  La  Roma  dei  Papi 
dovea  raccogliere  e  stringere  intorno  a  se  la  gran  famiglia 
delie  nazioni,  meglio  che  non  avea  fatto  la  Roma  dei 
Consoli  e  dei  Cesari,  soggiogandole  colla  spada;  e  di 
queste  nazioni,  che  sotto  il  magistero  di  lei  già  professavano 
il  Cristianesimo,  dovea  formare  le  Cristianità,  tutte  congiun- 
gendole in  una  gran  società  religioso-politica,  il  cui  Rettore 
altri  non  poteva  essere  che  il  supremo  Pastore  della  Chiesa, 
cioè  il  Romano  Pontefice. 

Ne'  Vescovi  di  Roma  si  debbono  riconoscere  i  successori 
di  Pietro,  ne' quali  vi  ha  un'eguale  autorità  di  lui  nel  reg- 
gere la  Chiesa  universale,  con  primato  non  solamente  di 
onore,  ma  eziandio  di  giurisdizione  :  Purg.  xx.  86;  xxvii.  46; 
Par.  V.  71];  xxvii.  47;  xxx.  142. 

La  Chiesa  romana  nel  C.  xix.  dell'Inferno  è  chiamata  la 
bella  Donna  ;  nel  C.  ii  del  Purgatorio  ci  apprende  che  chi 
non  muore  nel  seno  della  Chiesa  romana,  segregato  da  cosi 
fatto  principio  della  unilicazione  cattolica,  non  si  salva,  li 
sacrosanto  ovile  romano  e  quello  dell' ork'  universo;  la 
chiesa  di  Roma  e  la  Chiesa  universale  ;  il  pastore  romano  e 
il  centro  dell'unità  cattolica,  vincolo  della  fede  comune, 
anzi  forma  della  fede  istessa,  il  pastore  di  tutta  quanta  e 
ampia  e  dilatata  la  Chiesa  di  Cristo,  era  una  stessa  cosa  per 
lui:  Epist.  IX.  ad  Card. 

E  il  poeta  amaramente  si  doleva  della  sedia  pontificia, 


228  DEL  ROMANO  PONTEFICE. 

quasi  pianta,  fuor  distia  regione,  trasportata  in  Avignone: 
Inf.  XIX.  86;  Par.  xxxii.  154.  La  santa  Gerusalemme  è 
pressoché  estinta:  il  carro  della  sposa  del  Crocifisso  è  fuori 
della  sua  orbita,  la  città  di  Roma,  d'ambedue  i  suoi  lumi- 
nari destituta,  sola  sedentesi  e  vedova,  è  degna  di  esser 
compianta  da  Annibale  non  che  da  altri  {Ep.  ad  Card.);  ed 
egli  si  rivolge  a' Cardinali  italiani,  prima  schiera  della  chiesa 
militante,  archimandriti  del  mondo,  affinchè  «  tutti  unanimi 
per  la  Sposa  di  Cristo,  per  la  Sede  della  sposa,  eh' è  Roma, 
per  l'Italia  nostra,...  per  tutta  l'università  dei  peregrinanti 
in  terra,  virilmente  combattano...  sì  che  l'obbrobrio  dei 
Guaschi,  ì  quali,  di  tanto  furibonda  cupidigia  accesi,  inten- 
dono ad  usurpare  la  gloria  dei  Latini,  resti  a'  posteri  in 
esempio  per  tutti  i  secoli  avvenire  :  Ep.  ai  Card,  raccolti  in 
conclave  a  Carpentras,  §  11.  (Y.  Petrarca,  Rerum  Senilium,  e. 
vii;  S.  Catterina  da  Siena,  Leti.  4,  5,  6,  7,  8,  9, 10  ;  Capacelatro, 
Storia  di  S.  Catterina,  lib.  Y.) 

In  moltissimi  luoghi  della  Divina  Comedia  apparisce 
manifesta  la  riverenza  grandissima  del  poeta  verso  la  sedia 
romana  ed  il  Pontetìce.  E  onorevoli  sono  sempre  i  nomi 
con  cui  egli  lo  intitola,  qualora  gli  venga  dato  di  ricordarlo  : 
di  successor  del  maggior  Piero;  [Inf.n.'il)-  Vicario  di  Cristo; 
{Piirg.  XYì.^iì)-  Romano  pastore;  {Purg.  xix.  107)  -  Gran 
pastore;  ( Pwrgf,  xvi.  60 )  -  Gran  prete;  [Inf.xwn.  40)  - 
Sommo  pastore  ;  (Par.  vi.  17)  -  Dal  sommo  ufficio;  {Inf. 
xxvii.  91.  )  -  Santo  ufficio;  [Par.  xxx.  46)  -Il  pastore  che 
precede  e  si  fa  guida;  [Purg.  xvi.  98)  -  Marito  e  sposo 
legittimo  della  Chiesa;  (Inf.  xix.  37,  111)  -  Prefetto  del  foro 
divino;  {Par.  xxx.  H2)  -  Sole  che  fa  vedere  la  strada  di 
Dio:  Purg.  xvi.  106,  -  Ed  aggiungne  che  oltre  la  dignità 
del  gran  manto,  che  non  può  non  pesare  a  chi  la  guarda 
dal  fango,  non  si  può  più  salire  in  questa  vita:  Purg.  xix. 
110.  -  Oltre  il  vecchio  ed  il  nuovo  Testamento  rammenta 
ai  Cristiani  che  hanno  il  Pastore  della  Chiesa  a  lor  guida  ; 
questo  bastare  a  lor  salvamento:  Par.  v.  76.  -  Per  Dante 
è  la  stessa  cosa  seguire  la  navicella  di  Pietro  ed  il  rendersi 
cristiano,  {Purg.  xxii.  61  )  ;  il  muovere  i  piedi  con  la  Chiesa 
ed  il  secondare  la  sua  dottrina  ed  il  fido  consiglio  del 
Pontefice  :  Par.  vi.  22, 


■DEL    ROMANO   PONTEFICE.  229 

Fuori  della  Chiesa  romana  non  si  dà  riparo  a  salute. 
Niuno  può  essere  ricevuto  dall'Angelo  guidatore  dell'anime 
nella  via  del  cielo,  se  non  si  accoglie  dove  l'acqua  di  Te- 
vere s'insala:  Purg.  ii.  100. 

Al  Pontefice  solo  conferita  Tauloritìi  delle  somme  Chiavi, 
ond'  ei  può  serrare  e  disserrare  il  cielo  :  {Inf.  xxvii.  103)  ; 
ed  esso,  principio  e  fonte  di  ogni  autorità  e  giurisdizione  nei 
ministri  inferiori  della  Chiesa,  sicché  tanta  parte  ne  derivino 
essi  quanta  ne  viene  loro  da  quello  comunicata;  ed  esso,  rap- 
presentante la  suprema  podestà  evangelica,  sicché  Domenico 
nel  XII  del  Paradiso  v.  88,  si  fa  a  chiedere  riverente  alla  Sedia 
la  licenza  di  disseminare  legittimamente  la  parola  di  Dio, 
di  combattere  contro  il  mondo  errante,  e  non  comincia  il  suo 
apostolato  che  coli' autorità  delegatagli  dal  sommo  Ponte- 
iìce  con  l'ufficio  apostolico.  Isè  per  lui  è  disconfessato  il 
valore  delle  scomuniche  [Purg.  in  137)  ;  la  podestà  di  pro- 
sciogliere dal  voto  (Par.  V.  35);  di  prescrivere  digiuni;  di 
impedire  si  mangi  qualunque  cibo  per  qualunque  luna  (Par. 
xxvii.  132);  di  concedere  indulgenze  [Purg.  ii.  98);  e  nota 
come  ogni  religioso  Instituto  debba  prima  ricevere  il  sug- 
gello delle  sante  chiavi:  Par.  xi.  98. 

I\è  dissimili  sono  i  sentimenti  del  poeta  nell'altre  sue 
opere.  Nell'epistola  ad  Arrigo  il  romano  pastore  è  nominato 
padre  dei  padri  (^p.  vii.  7);  il  suo  dominio  è  neW  ambito 
della  paternità  {De Mon.  m.U);  nella  apostolica  Monarchia, 
la  cui  unità  attaccare  non  si  può  (Zip.  vii.  3),  successore 
di  Pietro,  che  veramente  porta  le  chiavi  del  celeste  regno 
[De  Non.  iii.  1);  sommo  pontefice  e  Vicario  di  Cristo,  e 
successore  di  Pietro:  3Ion.  iii.  3.  L'Imperatore  è  il  minor 
lume;  cui  il  Pontefice  illumina  della  sua  apostolica  bene- 
dizione: Ep.  v.  10.  Non  che,  egli  scrive,  il  principe  romano, 
non  sia  al  romano  pontefice  in  alcuna  cosa  soggetto,  con- 
ciossiacliè  questa  mortale  felicità  alla  felicità  immortale 
sìa  ordinata.  Cesare  adunque  quella  riverenza  usi  a  Pietro, 
la  quale  il  primogenito  figliuolo  usare  verso  il  padre  debbe, 
acciocché  illustrato  dalla  luce  della  paterna  grazia  irraggi 
la  terra  con  maggior  virtù,.  Alla  quale  è  da  colui  solo  pre- 
posto il  quale  è  di  tutte  cose  spirituali  e  temporali  gover- 
natore: De  Mon.  ui.  15.  E  ponendosi  a  dimostrare  che 


230  DEL  ROMANO  PONTfiFlCE. 

l'uffizio  del  Monarca  dipendeva  immcdialamenle  da  Dio  e 
non  dal  Pontefice,  e  sospettando  per  avventura  non  altri  po- 
tesse in  mala  parte  volgere  il  suo  discorso,  si  espresse  in 
questi  termini:  «  Illa  rcverentla  frelm,  quam  plus  fìlius 
debet  patri,  quam  plus  fillus  matri,  plus  in  Chrlstuìn,  pius 
in  Ecclesiam,  plus  in  Pastorem,  plus  in  omnes  christianam 
rellfflonem  profitentes,  prò  salute  veritatis  in  hoc  libro  cer- 
tamen  inciplo:  De  Man.  iii.  3. 

Egli  è  ben  vero  che  caccia  nel  limbo  per  dapocaggine 
Celestino  Y,  Martino  V  nel  Purgatorio  per  ghiottoneria,  ed 
ivi  stesso  Adriano  per  avarizia,  che  sfolgora  fra  gli  eretici 
Anastasio  II,  fra'  simoniaci  Nicolò  III,  Bonifacio  YIII,  e  Cle- 
mente y,  a'  quali  ancor  vivi  ei  forava  la  buca  infocata, 
e  che  fin  da'  cieli,  con  quest'ultimo,  fa  fulminare  da  S.  Pietro 
il  francese  Giovanni  XXII;  egli  è  ben  vero  che  con  vele- 
nosissime parole  ricorda  come  il  capo  reo  torceva  il  mondo 
(Par.  vili.  131);  che  l'umana  famiglia  sviavasi,  non  vi  es- 
sendo chi  ben  la  governasse  {Par.  xxvii.  140);  che  1  privi- 
legi eran  venduti  e  mendaci  (Par.  xxvii.  135);  che  si  com- 
perava e  vendeva  dentro  dal  tempio  fondato  sul  sangue 
dei  martiri,  e  sulla  verità  dei  miracoli  [Par.  xviii.  123)  ;  che 
Roma  faceva  mercato  di  Cristo  {Par.  xvii.  51)  ;  che  la  buona 
pianta,  seminata  da  Pietro,  di  vite  tralignava  nella  mali- 
gnità di  un  pruno  (Par.  xxix.  Ili);  che  la  mistica  vigna 
imbiancava  per  la  reità  del  vignaio  {Par.  xii.  87)  ;  che  non 
colle  spade  ma  facevasi  guerra  col  pane  che  la  pietà  del 
Signore  a  tutti  liberamente  dispensa  {Par.  xviii.  125)  ;  che 
l'avarizia  nei  pontefici  usava  il  suo  soperchio,  attristava  il 
mondo,  calcando  i  buoni  e  sollevando  i  pravi  {Inf.  xxix.  105); 
ch'ei  si  aveano  fatto  Dio  d'oro  e  d'argento  {Id.  v.  112),  ed 
eransi  trasmutati  del  tutto  dalla  primitiva  chiarezza  {Par. 
xxii.  93);  che  l'occhio  loro,  fisso  pure  alle  cose  terrene,  non 
adergeasi  in  alto  (Pwr//.  xxix.  118),  e  mentre  le  sostanze 
de'  loro  consorti  moltiplicavano,  ninna  cura  li  prendea  che 
quelle  della  Chiesa  andassero  disperse  :  Mon  ii.  20.  - 

Oltre  a  ciò  gli  parca  strano  che  le  chiavi  di  S.  Pietro 
fossero  segnacolo  in  vessillo  che  contri  i  battezzati  com- 
battesse {Par.  xxvii.  51),  e  che  il  Vicario  di  Cristo  parteg- 
giasse, e  che  il  capo  della  religione,  tutta  pace  ed  amore, 


DEL   ROMANO   PONTEFICE.  231 

fosse  fautore  di  discordie  fraterne.  Se  non  che  il  poeta 
percuote  l'individuo  tralignante,  non  la  sedia  che  per  sé 
non  traligna  :  Purg.  xii.  90.  -  Ed  è  pur  bello  il  vedere, 
comechè  l'impeto  del  suo  indocile  sdegno  lo  sospingesse 
ad  usar  parole  ancor  più  gravi  di  quelle  onde  rimproverò 
l'avarizia  di  Nicolò  III,  pur  tuttavia  egli  senta  frenarsi  dalla 
riverenza  delle  somme  chiavi  che  questi  tenne  nella  vita 
lieta:  Inf.  xix.  100.  Oltre  a  ciò,  giunto  là  dove  si  purga 
l'avarizia,  e  dove  la  giustìzia  e  la  speranza  fanno  men  duro 
il  soffrire,  com'egli  ebbe  richiesto  ad  uno  spirito  chi  fosse, 
ed  avutone  in  risposta,  che  fu  successore  di  Pietro,  sen- 
tendosi rimorso  dalla  sua  dignitosa  e  netta  coscienza,  si 
inginocchiò  in  atto  di  riverire  l'eccelsa  dignità  di  colui. 
E  non  prima  si  levò  in  piedi,  che  da  quel  pontefice,  Adriano 
Y,  gli  fosse  stalo  imposto  di  cosi  fare:  Purg.  xix.  130.- 
Rivolgasi  inoltre  il  pensiero  a  considerare,  come  il  cantore 
delia  rettitudine,  infiammato  com'  era  da  veemente  ira 
contro  alla  persona  di  Bonifacio  YIII,  tanto  da  credere 
vacante  al  cospetto  dì  Dio  (non  però  degli  uomini)  il  santo 
luogo  di  Pietro,  quando  ricorda  la  prigionia  che  di  lui  fece 
quella  mala  peste  di  Francia,  quell'audacissimo,  quel  ri- 
baldo Filippo,  (li  nome  il  Bello,  ma  di  costumi  vizialo  e 
lordo,  esce  con  empito  in  parole  così  poderose  dì  sentenza, 
e  sì  fortemente  efficaci  eh' è  buono  recarle  qui  innanzi: 

Perchè  men  paja  il  mal  futuro  e  il  fatto 
Veggio  in  Alagna  entrar  lo  liordaliso, 
E  nel  Vicario  suo  Cristo  esser  catto. 

Veggiolo  un'altra  volta  esser  deriso; 
Veggiolo  rinnovellar  l'aceto  e  il  fele, 
E  tra  nuovi  ladroni  essere  anciso. 

Veggio  il  nuovo  Pilato  sì  crudele 
Che  ciò  noi  sazia,  ma,  senza  decreto. 
Porta  nel  tempio  le  cupide  vele.  Purg.  xx.  85. 

Onde  pel  poeta  l'autorità  pontificia  tocca  un  grado  sì 
alto  da  farne  dell'uomo  un  Vicario  dì  Dìo  su  la  terra,  e 
da  rendere  la  persona  del  Pontefice  quasi  altrettanto  sacra 
che  quella  del  Figliuolo  di  Dio.  In  Bonifazio,  nel  pontefice 
tante  volte  per  lui  svituperato,  non  vede  che  l'ìmagìne  di 
Cristo,  la  seconda  volta  confitta  in  croce. 

Non  si  può  tacere  del  resto,  come   più  sieno  i  papi 


232  DEL   ROMANO  PONTEFICE. 

rammentati  dal  poeta  con  lode,  Pietro,  Lino,  Clemente,  Sisto, 
Pio,  Agapito,  Callisto,  Urbano,  Silvestro,  non  ostante  la 
donazione  alla  quale  egli  credeva,  Gregorio  il  Grande,  e 
nel  secolo  precedente  al  suo,  Innocenzio  ed  Onorio.  -  (Vedi 
Giamb.  Giuliani,  Del  Cattolicismo  di  Dante  Allighieri  e  del 
Yeltro  allegorico  della  Divina  Comedia,  Savona,  Sambo- 
lino  1851.) 

Fasto  de'  Cardinali  e  prelati  avari  :  Par.  xxi.  124.  (jFac- 
ciasì  il  confronto  di  questo  brano  con  quello  di  Fazio  degli 
liberti,  Ditam.  ii.  11,  che  ritrae  dell' amarulenta  bile  del 
nostro  sommo). 

Contro  a' Prelati  avari  e  simoniaci:  Inf.  xix.  lOG. 

Gli  ecclesiastici  non  debbon  considerarsi  come  padroni 
dei  lor  benefìzi  e  delle  loro  rendite,  ma  solo  come  deposi- 
tari: Quantunque  la  Chiesa  guarda  tutto  È  della  gente  che 
per  Dio  dimanda:  Par.  xxii.  82.  -  De  Mon.  ii.  10. 

Contro  il  Papa  ed  i  sacerdoti  avidi  de'  beni  terreni  :  Par. 
IX.  133;  xviii.  137.  [Oh  vitam  et  mores,  non  oh  ficlem  et  do- 
ctrinam.  Bellarmino). 

Scomuniche  e  loro  efficacia:  Purg.  iii.  112. 

Abuso  delle  censure:  Par.  xviii.  127. 


ORDINI  RELIGIOSI  (1) 

La  Provvidenza  divina  stabilì  per  la  sua  Sposa,  la  Chiesa, 
due  principi  in  favore  di  lei,  S.  Francesco  e  S.  Domenico  : 
Par.  XI.  28. 

L'approvazione  degli  ordini  religiosi  appartiene  di  di- 
ritto ai  romani  pontefici:  Par.  xi.  97. 

Lode  degl'  instituti  religiosi  fondati  da  S.  Domenico  e 
da  S.  Francesco  :  Par.  x.  82. 


(1)  Non  torna  a  religione  pur'quelli  che  a  San  Benedetto  e  a  San- 
t' Agustino  e  a  San  Francesco  e  a  San  Domenico  si  fa  d'abito  e  di  vita 
simile,  ma  eziandio  a  buona  e  vera  religione  si  può  tornare  in  matri- 
monio stando,  che  Iddio  non  vuole  religioso  di  noi  se  non  il  cuore:  Coni\ 
IV.  28. 


ORDINI  RELIGIOSI.  233 

Nella  corruzione  generale  dei  costumi,  Iddio  conserva 
sempre  dell'anime  sante,  le  quali  mantengono  il  primitivo 
fervore  del  proprio  instituto:  Par.  xi.  130;  xii.  121. 

Ordini  religiosi  lodati,  ed  approvata  la  risoluzione  di 
chi  vi  entra:  con  questo  si  riconosce  apertamente  che  l'en- 
trarvi, in  ammenda  delle  proprie  colpe,  è  argomento  di 
salute:  Inf.  xxvii.  67. 

Fra  Matteo  d'Acquasparta,  che  poi  fu  cardinale,  dodice- 
simo generale  dell'  ordine  francescano,  nel  1287  portò  assai 
rilassamento  alla  regola.  Fra  Ubaldino  di  Casale,  nel  capi- 
tolo del  suo  Ordine  tenuto  a  Genova  nel  1310,  si  fece 
capo  dei  rigoristi  :  Par.  xii.  124. 

Chi  si  è  legato  co'  voti  monastici  a  Dio,  forzato  contra 
suo  grado  ad  escire  dal  chiostro,  non  appena  il  possa, 
debbe  tornarsene  :  Par.  in.  107.  Ove  non  ci  tornasse,  accon- 
discenderebbe alla  fattagli  violenza  :  Par.  iv.  80. 

Biasimo  a' frati  degenerati:  de' Francescani  buoni,  poche 
le  carte  in  tutto  il  volume,  e  poco  panno  volersi  alle  cappe 
de'  buoni  Domenicani  :  Par.  xii.  125. 

Contro  a'  frati  Francescani  e  Domenicani  :  Par.  xi.  124-137. 

Contro  a'  frati  Camaldolesi:  Par.  xxi.  119. 

Contro  a'  frati  Benedettini:  Par.  xxii.  74. 

Contro  a'  frati,  predicatori  vani,  del  suo  tempo  :  Par. 
XXIX.  87. 

Frati  di  S.  Maria,  o  di  Madonna,  detti  poi  frati  Godenti: 
Inf.  xxiii.  103;  xxxiii.  118;  Purg.  vi.  17. 


COGNIZIONI  SCIENTIFICHE  (d) 

FISIOLOGIA 


Piante  criptogame.  —  Dante  accenna  alle  piante 
microscopiche  e  criptogame,  nate  senza  che  ne  veggiamo 
il  seme,  o  senza  che  le  seminiamo: 
Quando  alcuna  pianta 
Senza  seme  palese  vi  si  appiglia. 

E  saper  dèi  che  la  campagna  santa, 
Ove  tu  se',  d'ogni  semenza  è  piena, 
E  frutto  ha  in  sé  che  di  là  non  sì  schianta.  Purg.  xxviii.  118 

il  qual  teorema  è  maggiormente  ravvalorato  al  C.  xxvii  del 
Par.  V.  U8: 

E  vero  frutto  verrà  dopo  il  fiore. 
Dalle  quali  sentenze  chiaro  apparisce  che  con  Linneo  e  tutti 
1  Botanici  del  secol  nostro,   ammetteva  l'Allighieri,  che  il 
fiore  precede  il  frutto  ed  il  seme,  dal  quale  nasce  poi  no- 
vella pianta.  -  Targioni  Tozzetti. 

Dalle  piante  scosse,  da  venti  tanto  diversi  e  variabili, 
l'aria  ritrae  e  s'impregna  della  loro  virtù,  che  indi  trasporta 
e  scuote  sul  rimanente  della  terra,  la  quale  concepe  e  figlia, 
fa  propagare  diverse  piante,  diverse  legna;  secondo  la  na- 
tura di  tali  virtù,  e  della  propria  qualità  del  suolo  e  del 

(1)  Isella  Divina  Comedia  si  è  in  mezzo  a  inesauribili  ricchezze,  e  ad  ogni 
passo  che  vi  si  trova  in  germe  qualche  idea,  il  di  cui  sviluppo  fu  poi  la  glo- 
ria di  un  epoca  e  di  un  nome.  P.  Lioy.  -  La  Divine  Comédie  embrasse  tout. 
C'est  le  réve  des  sciences  découvertes,  et  le  réve  dessciences  iconnues. 
Lorsque  la  terre  manque  auxpieds  de  l'homme,  les  ailes  du  poéte  l'en- 
lèvent  au  elei,  et  l'on  ne  sait  en  lisan  ce  merveilleux  poèraequ'admirer 
davantage,  de  ce  que  sait  l'esprit,  ou  de  ce  que  l'imagination  devine. 
Al.  Dumas.-  Quel  sommo  sapea  quanto  il  suo  secolo  e  più  del  suo  secolo. . 
Tommaseo.  -  Con  la  divinazione  del  genio  spinse  ardimentoso  il  pensiero 
nell'avvenire.  Vaisnucgi. 


FISIOLOGIA.  235 

clima.  CIÒ  posto,  non  dee  far  meraviglia  il  vedersi  provare 
in  una  contrada  taluna  pianta  senza  seme  palese  che  le  dia 
origine.  Molti  naturalisti,  venuti  anche  dopo,  si  farebbero 
un  vanto  di  tali  idee  cosi  ben  espresse.  -  Capocci. 

maturazione  delle  frutta.  —  Previene  l'opinione  del 
Galilei  che  il  vino  altro  non  sia  che  la  luce  del  sole, 
maritata  coli' umido  della  vile.  Il  Redi  scriveva  al  Maga- 
lotti: leggete  Dante,  quel  Dante  che  quasi  lutto  sapete  a 
mente,  quel  Dante  con  tanti  bellissimi  passi  del  quale  ornata 
avete  la  vostra  lettera,  leggete  Dante,  vi  dico,  e  tro- 
erele : 

E  perchè  meno  ammiri  la  parola, 

Guarda  il  caler  del  Sol,  che  si  fa  vino 

Giunto  all'  umor  che  dalla  vite  cola.  Purg.  xx.y.76  -  Vaccolim.. 
Se  si  considerino  le  similitudini,  l'enfatiche  espressioni, 
prese  dalle  funzioni  che  le  piante  esercitano  nella  vegeta- 
zione, chiaro  apparisce  che  ninno  dopo  Teofrasto  meglio 
di  Dante  ha  fatto  vedere  tali  fisiche  verità.  Da  non  mollo 
lempo  dobbiamo  alle  scoperte  del  Lavoisier  e  dei  Neochimici 
la  spiegazione  della  maturazione  dei  fruiti,  ed  il  modo  per 
cui  i  sughi  da  prima  acidi  dei  medesimi,  in  dolci  e  soavi 
si  trasmulino,  e  perchè  di  vario  colore  sì  vestano  le  foglie 
delle  piante:  la  spiegazione  dei  quali  fenomeni  si  riduce 
alla  proprietà  che  ha  la  luce  di  togliere  agli  acidi  quella 
sostanza,  la  quale  combinala  ed  intimamente  unita  con 
altre,  converte  queste  in  acidi,  la  qual  sostanza  Lavoisier 
disse  ossigene,  cioè  generatore  degli  acidi,  per  il  che  la  luce 
del  sole  togliendo  o  facendo  esalare  nell'atmosfera  l'ossi- 
geno, miti  e  dolci  rende  i  sughi  dei  fruiti  che  in  principio 
acidi  0  aspri  si  ritrovavano.  Eppure  Dante  avea  dello: 
guarda  il  calar  del  sol  che  si  fa  vino,  ecc.  mostrando  così 
che  il  calore  del  sole,  sempre  congiunto  alla  luce,  produce 
questa  mutazione  del  sugo  acido  dell'agresto  in  quello 
dolce  dell'uva  matura  alta  a  far  vino.  Il  gran  Galileo, 
accostandosi  più  d'ogni  altro  alle  moderne  scoperte  fisico- 
chimiche, andò  si  può  dire  del  pari  al  sentire  di  Dante, 
attribuendo  alla  luce  la  maturazione  dell'  uva,  e  gli  elemen- 
ti che  formano  il  vino  con  quella  sentenza  illustrata  dal 
Magalotti:   «  il  vino  altro  non  è  se  non  la  luce  del  sole 


236  COGNIZIONI   SCIENTIFICHE. 

mescolala  con  l'umido  dell'uva.  »  Lett.  V.  delle  scientifiche.  - 
Tarfiioni  Tozzetti. 

Azione  della  luce   e   del    sole   sui  fiori,    e   sulla 

vegetazione.  E  Dante  conosceva  pure  l'influenza  e  l'a- 
zione ch'esercita  la  luce  del  sole  sopra  i  fiori,  per  cagione 
della  quale  essi  aprono  i  petali,  e  discuoprono  all'  apparire 
dell'astro  benefico  gli  stami  ed  i  pistilli  per  celebrare  le 
nozze,  e  fecondare  i  germi  contenuti  negli  oviarii  o  pistilli, 
la  quale  ammirevole  operazione  quattro  secoli  dopo  fu  resa 
certa  e  determinata  da  Linneo  Sponsalia  plantarum,  sul 
quale  è  fondato  il  sistema  detto  perciò  sessuale  di  s\  grande 
investigatore  della  natura.  -  Targioni  Tozzetti. 

Quale  i  fioretti  dal  notturno  gelo 
Chinati  e  chiusi  poi  che  '1  Sol  gì'  imbianca, 
Si  drizzan  tutti  aperti  in  loro  stelo.  Inf.  ii.  127. 

Questo  terzetto  è  citato  anche  dai  Libri,  (Hisloire  des 
Mathèmatiques,  ii.  175),  come  una  delle  più  belle  osserva- 
zioni di  scienza  naturale,  fatte  dall'Allighieri. 

Ed  anche  più  energicamente  il  nostro  poeta  al  xxii  del 
Par.  55  :  dove  espresse  lo  schiudersi  della  rosa  a'  rai  del 
sole,  più  0  meno  secondo  la  propria  possanza  che  suona 
vitale  virtù: 

Cosi  m' ha  dilatata  mia  fidanza, 

Come  il  Sol  fa  la  rosa,  quando  aiierta 
Tanto  divien  quant' ella  ha  di  possanza. 

Ed  espresse  pure  il  vivificante  influsso  della  Itìce  sulla 
vegetazione,  V  inturgidire  delle  piante,  quando  il  sole  dello 
ariete  le  riscalda  de' benefici  raggi,  e  il  colore  che  liete 
rinovano  avanti  che  quella  luminosa  sorgente  di  vita  aggiunga 
altra  stella:  Purg.  32. 

Ma  non  tanto  conobbe  l' influenza  della  luce  sulla  fio- 
ritura e  fecondazione  del  frutto  che  al  fiore  succede,  quanto 
anche  come  a  tal  bisogno  cooperasse  l'aere  sereno,  l'aura 
lieve  dei  venti  che  ne  scuotesse  il  pulviscolo  fecondante 
degli  stami  e  lo  trasportasse  ai  pistilli  per  effettuare  la 
fecondazione  dei  germi  e  dei  semi,  e  come  contraria  a  tale 
operazione  fosse  l'aria  umida,  la  nebbia  e  la  pioggia,  in 
modo  tale  da  far  abortire  e  distruggere  il  frutto  desiderato. 
Targioni  Tozzetti. 


FISIOLOGIA.  237 

Ben  fiorisce  negli  uomini  il  volere; 
Ma  la  pioggia  continua  converte 
In  bozzacchioni  le  susine  vere.  Par.  xxvn.  124. 

Le  piante  ed  i  fiori  riempiono  i  zefiri  della  loro  virtù  ani- 
HKìtiva,  ch'essi  poi  spargono  e  quasi  delle  loro  ali  scuotono: 
E  la  percossa  pianta  tanto  puote, 

Che  deliba  sua  virtute  l'aura  impregna, 

E  quella  poi  girando  intorno  scuote.  Puro,  xxviii,  109. 
Funzioni  della  vegetazione.  —  Nò  minor  cognizione 
delle  funzioni  della  vegetazione  dimostra  di  aver  avuto  il 
nostro  poeta  quando  ripone  la  vita  delle  piante  nel  color 
delle  foglie: 

Come  per  verdi  fronde  in  pianta  vita.  Pwrff.xviii.54. 
E  qui  è  duopo  osservare  che  ora  è  dimostrato  che  il  verde 
delle  foglie  dipende  dalla  scomposizione  del  medesimo  aereo 
acido  carbonico  assorbito  dalle  piante  o  in  esse  raccolto, 
0  prodotto  dalla  forza  vegetativa  delle  medesime,  la  quale 
scomposizione,  come  la  maturazione  dei  frutti,  si  deve  alla 
luce  del  sole,  perchè  facendo  essa  esalare  nell'atmosfera 
dalle  piante  ossigene  o  aria  vitale  e  respirabile  dell'acido 
carbonico,  rende  salubre  l'aria  che  respiriamo,  e  frattanto 
il  carbonico  si  deposita  nelle  foglie,  e  di  vario  colore  le 
dipinge,  per  lo  che  sempre  più  verdi  sono  le  piante  esposte 
alla  gran  luce,  di  quelle  all'ombra,  e  tanto  più  verdi  sono 
le  foglie  di  quegli  alberi  che  mai  non  se  ne  spogliano,  perchè 
tutto  l'anno  esposte  alla  luce  del  giorno.  Che  se  si  privano 
le  piante  della  luce,  o  con  portarle  all'oscurità  o  con  sot- 
terrarle 0  cuoprirle  con  corpi  opachi  perdono  il  color  verde. 
E  questa  teoria  non  vi  sembra  ottimamente  esposta  dal  poeta 
(juando  cantava: 

La  vostra  nominanza  è  color  d' erba, 

Che  viene  e  va,  e  quei  la  discolora. 

Per  cui  eli'  esce  della  terra  acerba.  Purrj.  xi.  118. 

Sapeva  adunque  che  le  piante,  vicino  a  terra,  e  sotto  di 
essa,  non  sono  verdi,  al  che  allude  queir  esce  della  terra 
acerba,  cioè  che  non  hanno  provato  1'  azione  della  luce  del 
sole,  e  che  altresì  si  scolorano  se  di  nuovo  dalla  terra  sieno 
coperte,  ed  impedito  loro  l'influsso  benefico  del  sole,  il 
qual  color  verde  a  poco  a  poco  prendono  le  nascenti  foglie, 
e  sempre  tinte  di  un  verde  più  gaio  che  cupo  le  sono  nel 


238  COGNIZIONI   SCIENTIFICHE. 

tenero  loro  sviluppo  e  giovinezza,  che  quando  sono  adulte 
ed  indurate.  Di  tal  gentil  colore  volle  vestire  gli  Angeli 
discesi  nella  valle  del  Purgatorio  a  guardia  del  serpente: 

Verdi,  come  fogliette  pur  mo  nate, 
Erano  in  veste,  Purg.  vui.  28.  -  Targiom  Tozzetti. 

Circolazione  delle  piante.  —  Pare  anche  che  non 
fosse  ignota  a  Dante  l'ascesa  del  succo  nelle*piante,  o  quasi 
specie  di  circolazione,  confermata  modernamente.  Perciò  egli 
conoscendo  con  qual  forza  il  succhio  sale  dalle  radici  alla 
estremità  degli  alberi,  fa  che  soffi  e  spumi  il  rotto  tronco 
dallo  sterpo  della  selva  de'  violenti  {Inf.  xiii  43  ),  portando 
la  similitudine  di  un  legno  verde  e  non  stagionato,  messo 
ad  ardere  sul  fuoco,  dal  calore  del  quale  rarefatti  e  spinti 
l'umido  e  l'aria  contenuti  nei  vasi  del  legno  e  della  cor- 
leccia,  escono  in  forma  di  spuma,  e  con  sibilo  dalle  ricise 
estremità  dei  predetti  vasi  e  tubi  : 

Come  d'un  stizzo  verde,  ch'arso  sia 
Dall' un  de'  capi,  che  dall'altro  geme, 
E  cigola  per  vento  che  va  via.  In/".  xiii.40.-Targioni  Tozzetti. 

Il  Redi  ed  altri  naturalisti,  dall' istessa  terzina,  dimo- 
strano le  medesime  piante  avere  un  sentimento,  quasi  uno 
spirito  interno,  una  letizia  un  gemito. 

iVatura  delle  piante.  —  Che  se  SÌ  voglia  ricercare  se 
Dante  avesse  cognizione  della  natura  delle  piante  e  del 
loro  diverso  modo  di  crescere,  lo  possiamo  ben  rilevare 
dall'ordine  che  Virgilio  ebbe  da  Catone  Uticense  di  cingere 
a  Dante  la  testa  di  un  giunco  schietto,  cioè  senza  nodi  o 
foglie,  scirpus  romanus,  pianta  detta  monocotiledoni  da 
Jussieu,  l'accrescimento  delle  quali  si  fa  sempre  per  la  parie 
inferiore,  con  ispingere  dalla  radice  all'atmosfera  le  parti 
che  si  sviluppano  dalle  sotterranee  gemme  della  radice,  al 
contrario  che  nelle  altre  piante,  dette  dicotiledoni,  succede, 
le  quali  si  sviluppano,  crescono  e  si  distendono  nelle  parli 
estreme  del  tronco.  Tali  piante  monocotiledoni  hanno  pro- 
prietà di  riprodurre  sempre  nuovi  rampolli  o  steli  simili  da 
altre  gemme  della  radice;  per  lo  che,  tagliandone  i  virgulti, 
nuovi  e  simili  ne  ripullulano,  ed  ecco  come  esprime  questo 
fenomeno  l'Allighieri,  parlando  del  giunco  di  cui  fu  cinto 
da  Virgilio: 


FISIOLOGIA.  2;^9 

Quivi  mi  cinse,  sì  com'  altrui  piacque  • 
0  maraviglia  :  che  qual  egli  scelse 
L"  umile  pianta,  cotal  si  rinacque 

Subitamente  là  onde  la  svelse.  Puro.  >•  133. 

Targioni  'Pozzetti.  (  V.  Conv.  iii.  3.  ) 

classiGcaziune  dei  vcgpetabili.  —  Quantunque  Dante 
parlasse  in  senso  figurato,  io  sospetterei  quasi  eh'  egli  pre- 
sagisse la  teoria  eh' è  la  gloria  di  Cesalpino,  prima  che  di 
Jussieu,  sulla  classificazione  dei  vegetabili,  appoggiata  alla 
costituzione  dell'embrione,  e  ciò  quando  disse: 

Ogni  erba  si  conosce  per  lo  seme.  P?^rsf.xvi.ll4.-P.  Liot. 

Le  recenti  scoperte  delle  chimica  vegetale  che  onorano 
Liebig,  Bonssingault  e  tanti  altri  insigni  scienziati,  le  rela- 
zioni fra  il  mondo  inorganico  e  l'organico,  le  rimutazioni 
delle  materie  non  trovansi  espresse  in  quel  verso  sublime: 

Il  ramo 
Rende  alla  terra  tutte  le  sue  spoglie?  Inf.  ni.  113.  -P,  Lioy. 

Coltivazione  delle  piante.  —  Nò    la  SOla  cognizione 

delle  piante,  come  oggetto  filosofico,  si  rivela  nel  divino  canto- 
re, ma  volle  egli  mostrarsi  ancor  perito  nella  coltivazione  di 
esse,  facendo  vedere  come  le  piante  abbandonate  a  sé  stesse 
ed  inselvatichite  crescono  distorte  e  senza  frutto,  e  tali  le 
pose  nell'orrida  selva  dei  violenti:  Inf.  xiii.  4.  97. -Neppure 
vi  è  dimenticata  la  cognizione  del  terreno  e  del  nutrimento, 
e  la  dimestichezza  delle  piante  che  dalla  buona  coltura 
dell'attento  agricoltore  si  ottiene,  come  per  lo  contrario  il 
degenerare  che  accade  nelle  piante  quando  sono  abbando- 
nate a  sé  stesse,  ed  é  negletta  la  coltivazione  del  terreno, 
come  sì  rileva  dai  seguenti  versi: 

Ma  tanto  più  maligno  e  più  Silvestro 
Si  fa  il  terren  col  mal  seme,  e  non  colto, 
Quant'egli  ha  più  di  buon  vigor  tcrrestro.  Purg.  xxx.  118. 
Targioni  Tozzetti. 

Polrebbonsì  numerare  i  vari  fiori  e  le  piante  nominate  da 
Dante  nella  sua  Cantica,  dal  che  potrebbesì  trarre  argo- 
mento della  sua  cognizione  individuale  e  speciale  delle  piatite, 
per  es.  dal  xxxii.  del  Purg.  v.  58  : 

Meri  che  di  ro<ic  e  più  che  di  viole 
Colore  aprendo. 


FISICA 


Tu  ben  la  mia  Fisica  nota.  Inf.  XI.  101. 
Delle  cose  sensibili,  universalmente  pigliandole, 
tratta  la  Fisica...  Delle  cose  corruttibili,  che 
cotidianamente  compiono   lor  via,   e  la  loro 
materia  si  muta  di  forma  in  forma  , . . 

CONV.  II.  15. 


l^eve.  — Poteva  la  Fìsica  venire  in  miglior  soccorso  delia 
poesia,  che  in  quel  terzetto,  dove  si  parla  della  formazione 
della  neve? 

Sì  come  di  vapor  gelati  fiocca 
In  giuso  l'aer  nostro,  quando  il  corno 
Della  capra  del  ciel  col  Sol  si  tocca  Pur.  xxvii.  67.  -  Ranalli. 

Pioggia.  —  L'accumulazione  dei  vapori  acquei  in  seno 
dell'atmosfera  si  scioglie  in  pioggia  per  un  abbassamento 
dì  temperatura;  allorché  la  massa  d'aria  che  n'è  satura, 
s' imbatte  in  freddi  venti,  o  finalmente  quando  una  corrente 
d'aria  umida  viene  ad  incontrarsi  con  un'altra,  come  il 
nostro  Poeta  ha  mirabilmente  espresso: 

Ben  sai  come  nell'aer  si  raccoglie 
Quell'umido  vapor  che  in  acqua  riede, 
Tosto  che  sale  dove  '1  freddo  il  coglie.  Purg.  v.  109. 
(Vedi  Dante,  Canz.  x.  St.  3  ;  Ganz.  xi.  St.  1  ;  Conv.  iv.  18.) 

Avrebbe  potuto  meglio  esprimersi,  aggiunge  il  Capocci,  il 
povero  nostro  amico  Melloni  presentemente  se  ancor  vivesse? 
Ed  il  Petrarca  cantava: 

L'aer  gravato,  e  l'improvvisa  nebbia 
Compressa  intorno  da  rabbiosi  venti, 
Tosto  conven,  che  si  converta  in  pioggia.  Sest.  in.  1. 

I  vapori  son  principio  e  cagione  alle  pìoggie.  Purg.  xxx. 
118. 

E  parla  dell'altezza  delle  nuvole  elettriche,  quando  dice: 

Tra  duo  liti  d'Italia  surgon  sassi, 
E  non  molto  distanti  alla  tua  patria, 
Tanto,  che  i  tuoni  assai  suonan  più  bassi.  Par.  xxi.  106.  -  Lioy. 


FISICA.  241 

debbia.  —  La  nebbia  non  è  che  vapore  acqueo  e  con- 
densato dal  freddo  aere: 

Vapor  che  l'aere  stipa.  Inf.  xxxi.  36, 

Xeve.  —  Anche  la  neve  non  è  che  vapore  acqueo, 
stretto  in  gelo:  Par.  xxvn.  G7.  La  neve  per  forza  dei  raggi 
del  sole  riman  privata  dei  freddo  e  delia  bianchezza,  e  al 
sol  si  dissigilla:  Par.  ii.  127;  xxxiii.  64. 

Venti.  —  Tremuoto.  —  Le  moderne  osservazioni  di 
Franklin,  di  Dove,  di  Kaemts,  che  servono  a  ediiicare  la 
bellissima  teoria  dei  venti,  oggi  adottate  in  meteorologia, 
rinvengonsì  come  miniate  in  quelle  parole: 

11  vento 
Impetuoso  per  gli  avversi  ardori.  Inf.  ix.  69.  -  Lioy.  - 

Egli  è  noto  che  una  delle  cagioni  del  vento  è  disequi- 
librio di  calorico  nell'atmosfera.  -  Ed  osservò  non  solo  dai 
vapori  e  da' raggi  solari  nascesse  il  turbamento  dell'aria 
{Inf.  xxxiii.  105),  ma  anche  dal  foco  interno  della  terra;  o 
da  vapori  accesi  pur  sotto  terra  per  nascente  zolfo  o  per 
altra  incognita  cagione  :  Inf.  x.  77. 

La  terra  lagrimosa  diede  vento.  Inf.  in.  133. 

E  di  questa  misteriosa  agitazione  dell'  aria  che  spira 
quando  danna  parte  e  quando  dall'altra,  edora  si  chiama 
borea,  libeccio,  maestrale  e  via  dicendo,  potea  meglio  e  più 
brevemente  e  più  spiccatamente  indicare  che  col  verso: 

E  muta  nome,  perchè  muta  lato?  Purg.xi.  102. 
Ed  accenna  la  opinione  di  Aristotile,  il  quale  dice,  che 
i' vapori  caldi  e  secchi  montando  all'estremo  della  terza 
regione  dell'aria,  percossi  da  fredde  nuvole,  commuovono 
l'aria,  indi  il  vento:  Par.  viii.  22.  -  Aristotile  pure  distingue 
l'umido  vapore  dal  secco,  dall'umido  la  pioggia,  la  neve 
la  grandine,  la  brina:  dal  secco  il  vento  :  vento,  se  il  vapore 
è  sottile:  se  più  forte,  tremuoto: 

Trema  forse  più  giù  poco  od  assai  ; 
Ma,  per  vento  che  in  terra  si  nasconda, 
Non  so  come,  quassù  non  tremò  mai.  Purg.  xxi.  55. 

Così  originavano  il  tremuoto  ;  ma  forse  ei  credeva  in  con- 
fuso quella  forza  elettrica  che  dà  sovente  origine  a  tutte 
le  meteore. 

Tuono.  —  Ed  osservò  pure  come  scoppi  il  tuono  e  si 
spanda  per  l'aere: 

voL.  II.  le 


242  COGNIZIONI   SCIENTIFICHE. 

E  fug'^'ìo,  come  tuon  clie  si  dilegua, 
Se  subito  la  nuvola  scoscende.  Purt).  xiv.  134. 

E   secondo  pure  la  dottrina  di  Aristotile  i  tuoni  si  for- 
mano  nella  seconda  regione  dell'aria:  Par.xx^.  105. 
Folgore.  —  Ed  accenna  alla  formazione  delle  folgori: 

Come  fuoco  di  nube  si  disserra. 
Per  dilatarsi  sì  che  non  vi  cape, 
E  fuor  di  sua  natura  in  giù  s'  atterra.  Par.  xxiii.  40. 

La  qual  comparazione  saprebbe  forse  darla  meglio  in 
versi,  oggidì  il  primo  de'  fisici  viventi  Alessandro  Volta,  o 
meglio  l'avrebbe  data  l'americano  Franklin,  di  cui  si  di- 
rebbe che  strappò  il  fulmine  di  mano  a  Giove,  con  più  ve- 
rità che  gli  antichi  non  dissero  di  Prometeo  aver  rapito  il 
foco  del  cielo?  -  Yaccolini. 

Aristotile,  S.  Toma  so,  Seneca  tengono  i  fulmini  non  ca- 
dere se  non  quando  le  nuvole  si  alzino  presso  la  sfera 
del  fuoco,  sì  ch'esso  fuoco  in  loro  s'imprigioni.  Non  dice 
già  che  i  fulmini  cadano  quando  piove,  ma  quando  sta  per 
piovere,  quando  le  nuvole  pregne  di  pioggia  si  alzano 
fin  lassù: 

Non  scese  mai  con  sì  veloce  moto 
Fuoco  di  spessa  nube,  quando  piove 
Da  quel  confine  cbe  più  è  remoto.  Purg.  xxxii.  109. 
Acque  e  Fiumi.  —  Il  Mengotti  nell'Idraulica:  «I  fiumi 
provengono  dall'acque    cadenti   dal  cielo,   e  queste  dalle 
perpetue  immense  evaporazioni  che  dalla  superficie  di  tutti 
1  mari  e  di  tutte  le  terre  si  sollevano  nell'  atmosfera,  e  pòi 
si  rappigliano  in  pioggie  ed  in  nevi.»  -  Dante,  meglio  di 
Buffon,  ne  esprime  la  relazione  fra  l'evaporazione  del  mare, 
e  le  acque  che  raccolgonsi  nei  fiumi,  e  vi  dice  che  l'Arno 
dal  suo  principio 

Infin  là,  've  si  rende  per  ristoro 
Di  quel  che  il  ciel  della  marina  asciuga, 
Ond'  hanno  i  fiumi  ciò  che  va  con  loro.  Purg.  xiv.  34. 
Vaccolini  -  LlOY. 

Più  l'acqua  è  fonda,  più  quella  di  sopra  preme  e  fa 
rapide  le  correnti  di  sotto: 

Quasi  torrente  eh'  alta  vena  preme.  Par.  xu.  99. 
Preme,  legge  idraulica  che  le  colonne  superiori  dell'acqua, 
premendo,  aggiungano  rapidità  alle  colonne  di  sotto,  E  |nel 
xxviii.  del  Purg.  v.  121. 


FISICA.  243 

L'acqua  che  vedi  non  surge  di  vena 
Che  ristori  vapor  che  giel  converta, 
Come  liurae  ch'acquista  o  perJc  lena. 

E  qui,  dice  il  Capocci,  splendono  del  pari  giuste  e  pei- 
felte  nozioni  di  fisica,  che  a  que'  tempi  sono  certamente 
un  prodigio:  imperocché,  per  esprimersi  in  colai  modo, 
convien  che  egli  intenda  appieno  la  generazione  de'  fonti, 
che  1  vapori  alimentano,  riducendosi  in  pioggie  nelle  parli 
superiori  de'  monti,  e  che  i  geli  infievoliscono,  temporanea- 
mente arrestando  parie  delle  loro  acque  fluenti;  insomma 
acquistano  cosi  e  perdono  lena  precisamente  com'è'  divisa. 

E  con  molta  esattezza  dichiara  come  l'esalazioni,  e  i  va- 
pori che  s'innalzano  dalle  acque  e  dalla  terra,  si  elevano 
quanto  più  il  calore  li  rarefa  : 

L'  esalazion  dell'  acqua  e  della  terra, 
Che,  quanto  posson,  dietro  al  caler  vanno.  Purg.  xxviii.  98. 

Capocci. 

Flusso  e  riflusso  del  mare.  —  E  meglio  del  Galilei 

tre  secoli  dopo,  come  notavano  il  Magalotti  ed  il  Capocci, 
parla  del  flusso  e  del  riflusso  del  mare,  attribuendo  alla 
Luna  la  vera  preponderanza  che  ha,  nell' effettuarlo: 

E  come  il  volger  del  del  della  luna 
Cuopre  ed  iscuopre  i  liti  senza  posa.  Par.  xvi.  82. 

Bussola. 

Si  mosse  voce,  che  1'  ago  alla  stella 
Parer  mi  fece  in  volgermi  al  suo  dove.  Par.  xii.  29. 

Ecco,  dice  il  Capocci,  un'  altra  meraviglia.  Quanta  esat- 
tezza, quanta  vivacità,  dirci  pure,  quanto  affetto  è  espresso 
in  questa  comparazione!  iNotisi  ancora  il  modo  di  esistere 
di  questa  nobile  intelligenza:  la  Bussola,  almeno  la  sospen- 
sione dell'ago  calamitato,  che  il  nostro  Flavio  Gioia  fornì 
ai  naviganti,  era  allora  allora  inventala  (1302).  Dante  in- 
tanto lo  conosce,  senza  1'  aiuto  delle  gazzette,  ne  rimane 
colpito,  lo  consacra  negl'immortali  suoi  versi!  -  (Che  sì 
come  si  gira  L'ago  alla  calamita  per  natura.  Fazio  degli 
liberti) -Onde  vcdemo  la  calamita  sempre  dalla  parte  della 
sua  generazione  ricevere  virtù:  Conv.  ni.  3. 

Luce.—  E  designava  la  luce  essere  immateriale. 

Com'  acqua  recepe 
Raggio  di  luce  permanendo  unita.  Par.  u.  33. 


244  COGNIZIONI  SCIENTIFICOE 

E  com'  essa  luce  e  il  sole  assorbiscano  dalla  terra  i  va- 
pori e  l'umidità: 

Ch'Amor  consunse  come  sol  vapori.  Par.  xii.  15. 

Or,  come  ai  colpi  degli  caldi  rai 
Della  neve  riman  nudo  il  suggello 
E  dal  calore  e  dal  freddo  primai.  Par.  ii.  106. 

«  E  chi  può  tacere,  scrive  il  Yaccolini,  come  bene  il 
poeta  ci  dipinga  quell'Angelo,  che  nel  xii  del  Pim/.  v.  88. 
venne  per  indicare  a  lui  ed  a  Virgilio  la  scala  onde  salfre 
al  secondo  girone?» 

A  noi  venia  la  crealura  bella 
Bianco  vestila,  e  nella  taccia  quale 
Par  tremolando  mattutina  stella. 

E  dopo  tutto  questo,  se  io  vi  dirò  che  il  nostro  Dante  sen- 
tisse molto  innanzi  anche  in  ciò,  eh'  è  della  luce  riflessa  e 
rifratta,  e  perfettamente  conoscesse  il  giuoco  della  luce,  e 
quindi  anticipasse  la  dottrina  prospettiva  che  Montuda  ha 
supposto  essere  stata  conosciuta  da'  moderni  verso  la  fine 
del  secolo  XIV  forse  voi  mi  darete  la  baia:  ma  abbiate 
pazienza,  e  leggete  come  nel  ii.  88.  del  Paradiso  ei  si  mostra 
degli  specchi  conoscitore,  e  ci  apprende  come  al  suo  tempo 
si  facessero  foderati  di  foglie  di  piombo: 

E  indi  r  altrui  raggio  si  rifonde 
Cosi,  come  color  torna  per  vetro, 
Lo  qual  diretro  a  sé  piombo  nasconde. 

ed  al  xxiii  dell'in/*,  v.  25. 

S' io  fossi  d' impiombato  vetro, 
L' Immagine  di  fuor  tua  non  trarrei 
Più  tosto  a  me,  che  quella  d' entro  impetro. 

La  virlù,  che  da  Beatrice  gli  diviene  a  poter  fissare  nel 
sole,  è  da  lui  paragonata  al  raggio  riflesso  eh'  esce  dello 
incidente  : 

E  sì  come  secondo  raggio  suole 
Uscir  del  primo  e  risalire  insuso.  Par.  i.  49. 

Intorno  alla  meccanica  della  luce  ben  puossi  dalle  cose 
dette  inferire  la  dottrina  del  poeta:  ma  perchè  questa  me- 
glio vi  si  manifesti  intorno  alla  legge  fondamentale  della 
catottrica,  udite  come  bene  si  esprime  nel  xv  del  Purg. 
V.  16  a  significare  che  i  suoi  occhi  furono  percossi  da 
angelico  splendore: 


FISICA.  245 

Come  quando  dall'  acqua  o  dallo  specchio 
Salta  lo  raggio  all'  opposita  parte, 
Salendo  su  per  lo  modo  parecchio 

A  quel  che  scende,  e  tanto  si  diparte 
Dal  cader  della  pietra  in  igual  tratta. 
Sì  come  mostra  esperienza  ed  arte; 

Così  mi  parve  da  luce  rifratta 
Ivi  dinanzi  a  me  esser  percosso; 
Perchè  a  fuggir  la  mia  vista  fu  ratta. 

I  raggi  non  sono  altro  che  un  lume  che  viene  dal  prin- 
cìpio della  luce  per  l'aere  infìno  alla  cosa  illuminala:  Conv. 
II.  7. 

Ed  altra  prova  della  profonda  sua  dottrina  ed  acuzia 
neir  osservare  ogni  fenomeno  importante  in  fatto  di  fisica 
l'abbiamo  nel  xxix  del  Purg.  v.  73. 

E  vidi  le  fiammelle  andare  avante, 
Lasciando  dietro  a  se  l'aer  dipinto, 
E  di  tratti  pennelli  avean  sembiante; 
Sì  che  di  sopra  rmianea  distinto 
Di  sette  liste,  tutte  in  quei  colori, 
Onde  fa  l'arco  il  Sole,  e  Delia  il  cinto. 
Questi  stendali  dietro  eran  maggiori 
Che  la  mia  vista . , . 

Veggasi  com'ebbe  bene  analizzato  e  distinto  i  colori  della 
luce,  senza  attendere  Newton  che  la  decomponesse  col  prisma! 
Veggasi  ancora  quanto  mirabile  sia  la  scelta  ch'ei  fa  di 
questi  due  bei  fenomeni  ottici,  per  dare  adeguata  idea  dì 
quelle  vaporose  e  splendide  liste,  che  seguivano  a  perdila 
di  vista  i  sette  candelabri.  Senzachè  con  tale  associazione 
mostrasi  eziandio  inslrulto  dell'analogia  Ira  T origine  del- 
l'arco baleno  e  dell'alone  lunare.  Lascio  poi  di  ammirare 
l'altro  portento  di  provvedere  nel  medesimo  tempo,  con  le 
slesse  due  sole  parole,  de'  convenienti  arnesi  mitologici 
Apollo  e  Diana  secondo  il  lor  proprio  bisogno. 

Arco  baleno.  —  Molto  innanzi  che  Antonio  de  Dominis 
aprisse  agli  altri  la  strada,  egli  dimostravacì  come  l'Arco 
baleno  formisi  per  le  rotonde  goccio  dì  pioggia,  in  cui  la 
luce  del  sole  si  rinfranga  e  rifletta: 

E  come  l' aere,  quand'  è  ben  plorno, 
Per  r  aUrui  raggio  che  in  se  ^i  rillette, 
Di  diversi  color  si  mostra  adorno,  Purg  xxv.  91. 

E  pongasi  mente  a  quel  luogo  del  xii.  v.  10  del  Paradiso, 


24G  COGNIZIONI   SCIENTIFICHE 

dove  per  dire  che  una  corona  di  liicenli  spiriti  cominciò 
a  girare,  ed  intorno  ad  essa  n'apparve  una  maggiore  com- 
posta d'altri  beati,  si  vale  di  una  similitudine  presa  appunto 
da  que' due  archi  che  veggionsi  il  più  delie  volte,  l'uno 
interno,  e  l'altro  esterno: 

Come  si  volgon  per  tenera  nube 
Due  archi  paralleli  e  concolori, 
Quando  Giunone  a  sua  ancella  julte, 

Nascendo  di  quel  d'  entro  quel  di  fuori, 
A  guisa  del  parlar  di  quella  vaga, 
Ch'  amor  consunse  come  Sol  vapori. 

0  portento  della  sua  arte  e  della  sua  parola!  Quante 
cose,  e  quanto  esattamente  e  graziosamente  dipinte  in  si 
brevi  tocchi!  Yoi  vedete  l'arco  principale  più  colorito  e 
spiccante;  vedete  il  secondario  coi  colori  in  ordine  inverso, 
a  guisa  di  una  riverberazione,  d'un  eco  del  primo  arco. 
L'eco  indi,  che  vi  ha  tanto  mirabilmente  servito  a  rappre- 
sentarvi il  primo  concetto,  diviene  a  sua  volta  argomento 
di  un  altro  vaghissimo  quadro:  la  tenera  ninfa  che  amor 
consunse  con  le  sue  fiamme;  soggiungendo  finalmente,  per 
colmar  la  misura,  l' altro  mirabile  paragone  de'  vapori  al 
modo  stesso  dileguati  dai  raggi  ardenti  di  quell'altro  Dio, 
Capocci  -  V.  Libri,  Yaccolini. 

Perch'io  la  veggio  noi  verace  speglio  (la  voglia  tua) 
Che  fa  di  se  pareglie  l'altre  cose, 
E  nulla  face  lui  di  sé  pareglio.  Par.  xxvi  106. 

Eccoci  innanzi  all'improvviso  una  scena  bellissima,  pen- 
nelleggiata  con  una  sola  parola,  co'  suoi  soliti  colori  freschi, 
ricchi,  abbaglianti  :  pareglio,  qui  vale  quel  bel  fenomeno  che 
talvolta  si  ammira  nell'atmosfera,  ove  con  ottica  illusione 
è  ripetuto  al  vivo  l'imagine  splendente  del  Sole  e  della  Luna 
col  più  vaghi  colori  dell'iride.  Yeggasl  di  qual  momento  sia 
r  introduzione  di  questo  soggetto,  e  quanto  propria,  poetica, 
evidente,  efficacissima  la  comparazione  che  adopera  per  ren- 
derne sensibile  l'astrusa  idea  della  mistica  intuizione  del  cosmo 
nel  suo  divino  Autore.  -  Veggo  il  tuo  desiderio  nel  verace 
specchio  che  fa  di  sé  parelio,  larva,  vero  specchio  insomma, 
alle  altre  cose;  e  nulla  fa  di  sé  parelio  a  Lui,  unico,  immenso, 
inimitabile.  -  Capocci.  - 


FISICA.  247 

stelle  ardenti.  —  Di  questi  fuochi  parlò  Virgilio,  come 
nella  sentenza  del  volgo:   Georfj.  i.  ^565;  jEn.  y.  527.  Ma  il 
poeta  filosofo  con  più  verità  e  più  vicino  a  natura  : 
Vapori  accesi  non  vid'io  sì  tosto 
Di  prima  notte  mai  fender  sereno.  Purq.  v.  37. 

Quale  per  li  seren  tranquilli  e  puri 
Discorre  ad  ora  ad  or  subito  fuoco, 
Movendo  gli  occbi  che  stavan  sicuri, 

E  pare  stella  che  tramuti  loco, 
Se  non  che  dalla  parte  onde  s'accende 
Nulla  sen  perde,  ed  esso  dura  poco.  Par.  xv.  13. 

Veggasi,  dice  il  Capocci,  come  non  lasci  verun  fenomeno 
interessante,  senz'avvertenza:  e  ne  presenta  bellamente  il 
trasalir  che  si  prova  al  subito  trascorrere  pel  cielo  de' globi 
Igniti  e  delle  stelle  cadenti  ;  spiegando  disinvoltamente  che 
non  si  tratta  mica  di  vere  stelle;  perchè  ninna  ne  manca 
nel  luogo  onde  quella  larva  fatua  e  fugace  di  stella  sì,  è 
mossa.  Del  resto  ora  noi  abbiamo  riconosciuto  che  tra 
queste  diverse  generazioni  di  corpi  non  vi  è  tutto  quel 
divario  che  prima  i  saggi  credevano;  poiché  le  stelle  cadenti, 
benché  di  mole  picciolissima,  sono  anch'esse  veri  corpi 
celesti,  che  s'incendono  nel  cadere  verso  la  terra. 

Attrazione  universale.  —  I  presentimenti  della  teoria 
dell'attrazione  universale  che  la  storia  della  scienza  rico- 
nosce in  Filopone,  in  Cecco  d'Ascoli,  in  Keplero  e  in  altri, 
non  mancano  in  Dante;  egli  vi  parla  del  centro  della  terra, 
come  di  un 

—  punto 
Al  qual  si  traggon  d'  ogni  parte  i  pesi.  Inf.  xxxiv.  10. 

11  ferventissimo  appetito,  di  cui  si  ragiona  nel  Convito,  ram- 
menta la  virtus  tractoria  di  Keplero.  -  Lioy. 

Dove  la  gloria  del  poeta  vince  il  nostro  immaginare  si 
é  nell'aver  egli  dell'attrazione  universale  dato  cenno  assai 
prima  che  Newton,  aiutato  dalle  scoperte  del  Galilei,  ne 
elesse  il  gran  sistema  del  mondo.  E  per  ciò  ch'é  dell'attra- 
zione celeste:  «  Italia  nostra  può  andare  con  ragione  superba, 
che  Dante  sia  stato  altresì  il  primo  a  discoprire  e  pubblicare 
il  sistema  intorno  all'attrazione,  sviluppato  poi  ed  illustrato 
dall'inglese  Isacco  Newton.  11  poeta,  chiaramente  l'espresse 
in  quel  terzetto:  »  Par.  xxviii.  127. 


248  COGNIZIONI  SCIENTIFICHE 

Questi  ordini  di  su  tutti  rimirano, 
E  di  fjiù  vincon  sì,  che  verso  Dio 
Tutti  tirati  sono,  e  tutti  tirano. 

Cosi  l'Editore  romano;  e  il  dìligenlissimo  Portirelll  ne 
fa  accorti  che,  non  altrimenti  notò  Giuseppe  Barctti,  cui 
piacque  di  leggere  di  su  tutti  mirano,  allegando  una  dis- 
sertazione del  matematico  Tagliazucchi,  sopra  la  quale  i 
critici  più  severi  sentenziando,  questo  non  sanno  negare 
al  postutto,  che  nel  v.  129  è  quasi  un  germe  poetico,  ed 
una  perfigurazione  della  grande  idea  di  Newton.  Quanto 
poi  all'attrazione  terrestre,  ecco  le  parole  di  Guido  Guini- 
celli  e  di  Giulio  Perticari,  interlocutori  nel  più  gran  dialogo 
della  Proposta,  di  che  ha  fatto  dono  all'Italia  il  cav.  Monti. 

GuiD.  Egli  (Dante)  invece  di  dire  :   Tu  passasti  il  centro 
della  terra,  ecco  che  ti  presenta  al  pensiero  una  delle  più 
alte  verità  della  fisica,  la  principale  delle  sue  leggi,  dicendo  : 
Tu  passasti  il  punto 
Al  qual  si  traggon  d' ogni  parte  i  pesi. 

in  questa  sublime  imagine  non  ti  par  egli  proprio  di  vedere 
da  tutta  la  terrestre  circonferenza  i  corpi  tutti  a  linea  retta 
potentemente  tirati  verso  quel  punto? 

Peri.  Se  questo  passo  di  Dante  per  avventura  fosse 
venuto  sotto  gli  occhi  di  Newton,  m'avviso  che  a  concepire 
il  sistema  dell'attrazione,  questo  solo  verso  gliene  avrebbe 
destato  il  pensiero  meglio  che  l'accidentale  caduta  di  un 
pomo  a  un  bel  raggio  di  luna  nel  suo  giardino.  -  Vaccolini. 

Suppone,  (e  ciò  fa  grande  onore  al  suo  acume  ed  alla 
sua  scienza,  avuto  riguardo  all'ignoranza  in  cui  allora  si 
era  sulle  vere  leggi  della  fisica  costituzione  del  nostro 
globo)  che  i  pesi,  i  corpi  gravi,  sono  d'  ogni  parte  tratti 
verso  il  centro  terrestre,  e  questo  è  verissimo.  Però  con 
giusta  logica  è  indotto  a  credere  che  a  misura  che  ci  avvi- 
ciniamo a  cotal  punto,  la  sua  virtù  debba  divenire  sempre 
più  forte.  Ma  la  cosa  nel  fatto  non  va  così...  Capocci. 

Antipodi.  —  Anche  bene  degli  Antipodi,  già  tanto 
oscuri  alla  mente  degli  uomini,  prima  che  il  lume  dell'  i- 
taliano  Colombo  li  rischiarasse,  non  meno  che  della  gravi- 
tazione, presentiva  l'altissimo  poeta,  laddove  per  uscire  del 
baratro  infernale  avvinghiossi  egli  al  corpo  di  Lucifero  che 


FISICA.  249 

tiene  (nel  suo  concetto)  il  centro  della  terra:  girò  attorno 
a  quel  centro,  a  cui  tendono  tutti  i  gravi:  ed  allora  rove- 
sciatosi sopra  sé  medesimo,  ivi  forse  dove  sembrato  era 
che  fosse  disceso.  Che  se  non  foste  contento  a  questo,  ponete 
sulla  bilancia  della  critica  quello  eh' è  detto  fra  gli  altri 
luoghi  nel  i.  del  Paradiso  v.  43. 

Fatto  avea  di  là  mane  e  di  qua  sera 

Tal  foce,  e  quasi 

e  verrete,  ne  sono  certo  nella  mia  opinione.  (V.  Purg.wA.) 
Anche  Fr.  Petrarca  :  Sest.  i.  3. 

E  le  tenebre  nostre  altrui  fann'alba. 
Nella  stagion  che  'i  Ciel  rapido  inchina 
Verso  occidente,  e  che  il  dì  nostro  vola 
A  gente  che  di  là  forse  l'aspatta.  Petr.  Canz.iv.  1. 
e  il  Pulci  :  Morg.  Mag.  xxv.  229. 

Sappi  che  questa  opinione  e  vana, 
Perche  più  oltre  navicar  si  puote, 
Però  che  l'acqua  in  ogni  parte  è  piana... 

E  puossi  andar  giù  nell'  altro  emisperlo, 
Però  che  al  centro  ogni  cosa  reprime  : 
Sì  che  la  terra  per  divin  misterio 
Sospesa  sta  fra  le  stelle  sublime. 
E  laggiù  son  città,  castella  e  imperio 
3Ia  noi  conobbon  quelle  genti  prime. 
Cirandi  cataclismi  mondiali.  —  Che  diremo  poi  della 

grande  idea  che  il  mondo  a  certi  periodi  stabiliti  soflra 
una  rivoluzione  e  si  rinnovelli  ?  Il  qual  fenomeno  gli  antichi 
chiamano  il  grande  anno: 

Per  lo  quale  è  chi  creda 
Più  volte  il  mondo  in  caos  converso.  Inf.  xu.  41. 
Platone  di  questo  parlò,  e  molto  più  Cicerone,  e  Marco 
Antonio,  ma  ninno  con  tanta  poesia  e  novità,  siccome  fece 
Dante,  il  quale  finse  il  mondo  universo  come  un'essere 
senziente,  che  sentisse  amore,  e  in  quegli  ardori  rinnovasse 
so  medesimo. 

Opera  più  magnifica  dell'umano  intelletto  della  teoria 
con  cui  oggi  si  spiega  la  storia  geologica  del  nostro  pianeta 
credo  sia  difficile  citare.  Ebiiene,  al  genio  di  Dante  balenò 
la  splendida  luce  della  teoria  degli  abbassamenti  e  dei 
sollevamenti  che  rende  immortali  i  nomi  di  Cordier,  di  Elia 
de  Beaumont  e  di  Leopoldo  de  Buch.  Questa  teoria  del 
resto  quasi  un  secolo  prima  era  stata  esposta  dal  friulano 


250  COGNIZIONI  SCIENTIFICHE  -  FISICA. 

Lazzaro  Moro  e  da  Cirillo  Gennerelli.   Noi  crediamo  che 
codesta  teoria  onde  si  servono  i  fisici  per  ispiegare  le  cata- 
strofi geologiche  onde  la  terra  va  soggetta,   palesemente 
risulti  dalle  due  seguenti  terzine  dell'Inferno: 
T)a  questa  parte  cadde  giù  dal  cielo; 

E  la  terra  che  pria  di  qua  si  sporse, 

Per  paura  di  lui  fé  del  mar  velo, 

E  venne  all'  emisperio  nostro  ;  e  forse 

Per  fuggir  lui  lasciò  qui  il  luogo  voto 

Quella  che  appar  di  qua,  e  su  ricorse.   Inf,  xxxiv.  120.  -  Lioy. 

Manifeslum  est,  quod  virtus  elevans  est  illis  stellis,  quae 
sunt  in  regione  coeii  istis  duobus  circulis  contenta  (cioè 
fra  la  linea  equinoziale  e  quella  che  descrive  il  polo  dello 
zodiaco  intorno  al  polo  del  mondo),  sive  elevet  per  moclum 
attractionìs  ut  magnes  attrahil  ferrum,  sive  per  modum 
piilsionis,  generando  vapores  pellentes,  ut  m  particularibus 
montuosltaUhus.  Quaestio  de  aqua  et  terra,  §  21. 

Il  Prof.  Yolpicelli  nell'accademia  Tiberina  leggeva  nel  1862 
alcuni  suoi  discorsi  intorno  le  verità  della  Divina  Comedia, 
enunciate  implicitamente  ed  esplicitamente  prima  che  fos- 
sero professate  dalla  scienza,  come,  per  esempio,  certe  verità 
intorno  alla  velocita  e  riflessione  della  luce,  al  moto  dei 
(jravi  cadenti,  al  prodursi  delle  brine,  al  carbonizzarsi 
dei  combustibili,  alle  vibrazioni  sonore,  ed  altri  fatti  di 
scienze  naturali. 


SUIEilTICOE  E  GEOMETRIA.  (1) 


Quest'  uomo  singolare  si  piace  di  usare,  a  mo'  di 
dire,  il  nostro  proprio  linguaggio  :  le  sue  espres- 
sioni sono  come  tanti  segni  stenografici,  tanti 
segni  algebrici,  che  vi  rappresentano  i  pensieri 
più  vasti  come  riconcentrati  in  una  formola  ;  dif- 
finendovi  sovente  il  moto,  il  tempo,  lo  spazio 
per  mezzo  d'  una  equazione.  -  CjVPOCCI. 


Dell'Aritmetica.  —  Del  lume  dell' Arisniellca  tutte  le 
scienze  s'alluminano;  perocché  i  loro  suggelti  sono  lutti 
sotto  alcun  numero  considerati,  e  nelle  considerazioni  di 
quelli  sempre  con  numero  si  procede...  L'Arismetica  è  la 

(1)  Se  v'ha  chi  desideri  di  vedere  i  profondi  calcoli  della  Geometria 
sottommessi  alla  ragione  poetica,  legga  Dante  perchè  Dante  è  sommo 
Geometra.  V.  Monti.  -  Che  se  Michelangelo  fu  debitore  del  sublime  dina- 
mico, che  riluce  nella  fiera  e  tragrande  persona  del  suo  Mosè  e  nel  tre- 
mendo Giudizio  al  cantordi  Catone,  di  Capaneo,  di  Farinata,  dell'empireo 
e  dell'abisso,  vogliam  credere  che  l' architettura  dantesca  non  sollevasse 
la  sua  mente  al  sublime  matematico,  e  non  gli  suggerisse  il  pensiero  di 
mettere  in  cielo  l'opera  del  Brunelleschi?  La  geometria  e  l'architettonica 
del  Purgatorio  e  dell'Inferno  sono  fondate  sul  sistema  curvilineo  del 
cono,  cho  nell'antica  simbologia  era  emblema  fallico  ed  emanatistico,  e 
un  addolcimento  del  sistema  piramidale  più  vetusto  e  parimente  espres- 
sivo del  Teocosmo.  Ma  la  sostituzione  della  linea  torta  alla  diritta  ac- 
cenna da  un  lato  al  trapasso  estetico  del  sublime  al  bello,  e  della  età 
cosmogonica  alla  succedente,  e  dall'altro  lato  al  surrogamento  del  prin- 
cipio di  creazione  al  dogma  panteistico;  giacché  il  passaggio  della  linea 
retta  alla  curva,  e  del  poligono  al  cerchio,  importa  quello  dell'  infinito 
al  finito,  e  si  fonda  sulla  doppia  attinenza  dell'atto  creativo  verso  i  due 
estrerai  della  forinola....  La  geometria  dantesca  risale,  come  la  geografia, 
la  cosmogralia  e  l'astronomia  mitiche  che  l'accompagnano,  all'antichità 
classica  ed  orientale,  secondochè  si  vede  nel  monte  del  Purgatorio,  il 
cui  emblema  ligurale  (  somigliantissimo  anche  in  botanica  all'Edcne  di 
Linneo)  si  accoppia  coU'antictono  di  Platone,  di  Aristotile,  di  Cicerone, 
di  Macrobio,  di  Manilio,  di  Jlela,  di  Eratostene,  e  si  può  dire,  di  tutta 
ia  scuola  d'  Alessandria,  tranne  Ipparco  e  i  suoiseguaci...  Gioberti,  Del 
Primato. 


252  COGNIZIONI  SCIENTIFICHE 

scienza  del  numero...  il  numero,  quanto  è  in  sé  considerato, 
è  infinito  :  Conv.  n.  14. 

Il  numero  non  è  che  un  aggregato  di  unità:  -  Rata 
Dall' un,  se  si  conosce,  il  cinque  e  il  sei:  Par.  xv.  56. 

Della  Geometria.  —  Del  Cerchio.  —  La  Geometrìa  SÌ 

muove  intra  due  repugnanti  ad  essa  ;  siccome  tra  'l  punto 
e  '1  cerchio  (e  dico  cerchio  largamente  ogni  ritondo,  o  corpo, 
0  superfìcie);  che,  siccome,  dice  Euclide,  il  punto  è  prin- 
cipio di  quella,  e,  secondo  ch'e'  dice,  il  cerchio  è  perfettissima 
figura  in  quella,  che  conviene  però  aver  ragione  di  fine; 
sicché  tra  '1  punto  e  '1  cerchio,  siccome  tra  principio  e  fine, 
si  muove  la  Geometria.  E  questi  due  alla  sua  certezza  re- 
pugnano; che  '1  punto  per  la  sua  indivisibilità  e  immisura- 
bile, e  il  cerchio  per  lo  suo  arco  è  impossibile  a  quadrare 
perfettamente,  e  però  è  impossibile  a  misurare  appunto.  - 

E  ancora  la  Geometria è  senza   macula   d'errore,   e 

certissima  per  se,  e  per  la  sua  ancella  che  si  chiama  Pro- 
spettiva: Conv.  11. 14. 

E  fa  pure  ricorso  all'istessa  geometria,  e  precisamente 
air  impossibilità  di  dimostrare  la  quadratura  del  circolo,  per 
dimostrare  fin  dove  gli  è  conceduto  di  ritrarre  con  parole 
la  vista  ultima  di  Dio: 

Qual  è  il  geometra  che  tutto  s'afJìge 
Per  misurar  io  cercliio,  e  non  ritrova, 
Pensando,  quel  principio  ond'  egl'indige: 

Tale  era  io  a  quella  vista  nuova  : 
Veder  voleva,  come  si  convenne 
L'imago  al  cerchio,  e  come  vi  s' indova; 

Ma  non  eran  da  ciò  le  proprie  penne.  Par.  xxxui.  133. 

E  dalla  stessa  fonte  è  pur  tratta  la  sublime  imagine 
dell'Eterno,  contemplato  come  centro  delle  grandi  rivolu- 
zioni, in  quel  punto  a  cui  tutti  li  tempi  son  presenti.  Quel 
punto  centrale  è  l'occhio  sempre  aperto  del  pitagorico  De- 
miurgo, dinanzi  a  cui  tutte  le  creazioni  e  spente  e  vive 
e  future  non  sono  che  un  breve  ed  unico  punto  di  vista. 
Y.  Monti. 

E  nel  XIII  del  Par.  v.  101,  volendo  recare  esempi  di 
cose  impossibili  a  dimostrare,  usa  fra  le  altre  un'assai  poe- 
tica maniera  tolta  pure  dalla  Geometria:  se  in  un  semi- 
cerchio si  possa  iscrivere  triangolo,  un  lato  del  quale  sia 


MATEMATICHE  E  GEOMETRIA.  253 

(liamelro   del  cerchio,   senza  che  formi  un  angolo  retto: 

Se  del  mezzo  cerchio  far  si  puote 
Triangol  sì  eh'  un  retto  non  avesse. 

NÒ  potea  egli  più  vivamente  significare  l'alta  ripa  del 
Purgatorio,  quasi  impossibile  a  salire  anche  carpando,  di  quel 
che  si  legge  nel  iv  e.  del  Purg.  v.  40: 

Lo  sommo  er'alto  che  vincea  la  vista, 
E  la  costa  superba  più  assai, 
Che  da  mezzo  quadrante  a  centro  lista. 

Un  quadrante,  ossia  un  quarto  di  cerchio,  contiene  90"  ; 
il  suo  punto  di  mezzo  per  conseguenza  dista  dai  due  estremi 
di  45*^,  Una  lìnea  dal  detto  mezzo  al  centro  del  quadrante, 
fa  un  angolo  con  uno  de' suol  lati,  precisamente  di  45^. 
Egli  chiama  lista  quella  tal  linea,  perchè  allora  ed  anche 
poi,  si  è  usato  uno  stromento  per  misurar  gli  angoli,  detto 
quadrante,  ch'era  appunto  quel  che  indicava  il  suo  nome. 
Quando  uno  de'  suoi  lati  si  poneva  a  perpendicolo,  con  un 
filo  a  piombo,  l'altro  lato  a  squadra,  teneva  naturalmente 
la  linea  orizzontale;  ed  un  raggio,  una  lista  girevole  dal- 
l'un  de'  capi  intorno  al  centro  dello  stromento,  dirigendosi 
ad  un  astro  ad  un  campanile  ecc.,  dava  suU'  arco  del  qua- 
drante ove  rispondeva  l'altra  estremità,  l' altezza  angolare 
suir  orizzonte  dell'  oggetto  in  proposito.  Disagevolissimo 
dovea  dunque  essere  il  pendio  superando  più  assai  i  43^ 
d'inclinazione  sul  piano  dell'orizzonte.  -  Capocce. 

L'irrefragabile  verità  d'una  proposizione  è  espressa,  di- 
cendo che  la  medesima  si  fa  nel  vero  come  il  centro  in  uu 
circolo.  L'esatta  croce  ch'è  formata  da'  beati  spiriti,  costellati 
nelle  sfere  di  Marte,  è  detta  il  venerabil  segno,  die  fa 
giuntura  di  quadrato  in  tondo:  Par-  xiv.  101. 

Tetragono.  —  Allorché  nel  xvu  del  Par.  parlando  del  suo 
trisavolo  Cacciaguida,  vuol  dire  ch'ei  sente  l'animo  forte  a 
sostenere  le  gravi  sciagure  che  gli  sono  predette,  non  pa- 
ragona egli  già  la  sua  fermezza  né  alle  roveri  nò  alle  rupi, 
come  Virgilio  quella  di  Enea  e  del  re  Latino,  ma  alla  più 
solida  delle  figure  geometriche,  al  tetragono,  (figura  qua- 
drata 0  cubica)  che  comunque  tu  lo  volga  e  rivolga,  sempre 
è  lo  stesso: 

Dette  mi  fur  di  mia  vita  futura 
Parole  gravi  ;  avvegnach'  io  mi  senta 


254  COGNIZIONI   SCIENTIFICHE. 

Ben  tetragono  ai  colpi  di  ventura.  Par.  xvii.  22. 
Ecco  un  bel  fiore  di  sentimento  germoglialo  sugli  aridi 
rovi  delia  geometria.  Y.  Monti. 

In  un  triangolo  non  possono  contenersi  due  an- 
goli ottusi.  —  E  più  bello  e  di  più  allo  concetto  è  quel- 
l'altro nel  medesimo  canto,  v.  13,  ove  la  chiara  e  perfetta 
conoscenza  che  hanno  in  Dio  delle  mondane  future  cose 
i  beati,  vien  comparata  alla  chiarezza  di  quell'assioma,  che 
in  un  triangolo  non  possono  contenersi  due  angoli  ottusi  : 

0  cara  pianta  mia  (che  sì  t'insusi, 
Che,  come  veggion  le  terrene  menti 
Non  capere  in  triangolo  due  ottusi, 

Così  vedi  le  cose  contingenti, 
Anzi  che  sieno  in  sé,  mirando  il  punto 
A  cui  tutti  li  tempi  son  presenti  ). 

Ecco  di  nuovo  la  geometria  chiamala  ad  ornare  la  poesia 
senza  alterarne  il  costume,  senza  tirarla  fuor  di  strada. 
(  Quadrangolo,  triangolo,  pentagono,  ricordati  :  Conv.  iv.  7  ). 

L'angolo  d'incidenza  eguale  all'angolo  di  rifles- 
sione.—QuestO  sarebbe  linguaggio  di  cattedratico  prosatore. 
Ma  si  farà  poetico  se  parlando  della  luce  dirai  :  Il  raggio 
che  scende  pari  al  raggio  che  sale: 

Come  quando  dall'acqua  o  dallo  specchio 
Salta  lo  raggio  all'opposita  parte, 
Salendo  su  per  lo  modo  parecchio 

A  quel  che  scende,  e  tanto  si  diparte 
Dal  cader  della  pietra  in  igual  tratta 
Sì  come  mostra  esperienza  ed  arte.  Purg.  xv.  16. 

Il  Torelli  in  una  sua  lettera  al  Sibiliali  prende  a  chiosare 
questo  passo  di  Dante,  e  cita  una  proposizione  della  catot- 
trica di  Euclide,  e  ci  reca  una  figura  geometrica. 

Linea  perpendicolare.  —  Neil'  accennata  bellissima 
comparazione  del  raggio  che  da  acqua  o  da  specchio  si 
ripercuote,  egli  ha  bisogno  di  esprimere  la  perpendicolare. 
Chi  saprebbe  collocare  questa  voce  con  un  qualche  garbo 
nel  verso  e  collocarvela  senza  prosa?  Credo  che  Apollo 
stesso  noi  saprebbe!  Che  farà  adunque  in  tale  stretta  il 
nostro  poeta?  Risolverà  nei  suoi  principii  l'idea  di  questa 
linea,  e  osserverà  che  un  grave  descrive  cadendo  una 
perpendicolare,  troverà  non  solamente  la  via  di  signilicar 
quella  linea,   ma  te  la  dipìngerà  e  te  la  renderà  visibile, 


MATEMATICHE  K  GEOMETRIA.  255 

chiamandola  con  elegantissimo  rigor  matematico  il  cader 
(Iella  pietra.  Artificio  di  poesia  bellissima  ed  evidentissima.  - 
V.  Monti. 

Vuol  egli  cavare  un  paragone  meglio  adattato  ad  espri- 
mere la  smisurata  idea  della  eternità?  Ed  egli  lo  trae  dal 
moto  proprio  del  cielo  delle  stelle  fìsse,  il  quale  sì  compie 
per  la  precessione,  in  26  mila  anni,  ed  allora  credevasi 
che  si  compisse  in  36  mila.  Potevansi  forse,  dice  il  Capocci, 
trovar  termini  più  lontani?  Purg.  xi.  106. 


ASTRONOMIA 


"  E  che?  Non  potrò  io  ogni  dove  mirare  gli 
specchi  del  sole  e  degli  astri?  Non  d'ogni  dove, 
sotto  il  cielo,  speculare  dolcissime  veritadi  ?  „ 
DANTE,  Ep.X,§4. 

„  Vedete  Humboldt  accennare  alle  quattro 
stelle  del  Purgatorio,  salutando  il  Poeta  italiano 
come  il  Colombo  delle  costellazioni  antartiche, 
più  meraviglioso  in  questo  di  Leverrier  che  di- 
vinò col  calcolo  l' esistenza,  or  confermata  di 
nuovi  pianeti.  DALL'  ONGARO. 


Con  che  vaghezza  e  varietà  d'imagini  e  di  colorì  presi 
dall'astronomia,  non  ci  dipinge  le  diverse  età  del  giorno, 
dal  primo  albeggiare  al  fitto  più  alto  della  notte? 

Eia  notte  si  appressa  al  suo  termine .  —  Ed  eCCOCÌ 

i  Pesci,  stando  il  Sole  nel  segno  dell'Ariete,  già  levati 
sull'orizzonte,  ed  il  carro  di  Boote  giacere  ad  occidente 
sopra  quella  parte  donde  spira  Coro: 

I  pesci  guizzali  su  per  l' orizzonta, 
E  U  Carro  tulto  sovra  'l  Coro  giace.  Inf.  xi.  112. 

Ed  eccoci  pure  l'Aurora,  fregiata  di  questi  stessi  pesci, 
con  quel  nobilissimo  solitario  di  Venere  per  soprappiù: 

Lo  bel  pianeta  che  ad  amar  conforta, 
Faceva  tutto  rider  1'  oriente, 
Velando  i  pesci  eli' erano  in  sua  scorta.  Purg.i.  19. 

quasi  oscurando  col  suo  maggior  lume. 


?56  COGNIZIONI   SCIEMIFICIIE. 

Ed  ora  la  Luna  è  giunta  all' orrizzonle,  al  confine  oc- 
cidentale dei  due  emisferi  :  il  Sole,  che  le  è  opposto,  di 
presso  al  plenilunio,  è  in  sul  sorgere: 
Già  tiene  il  confine 
D'iimbcdiie  gli  emisperi,  e  tocca  l'onda 
Sotto  Sibilili  Caino  e  le  spine. 

E  già  iernotte  fu  la  luna  tonda,  Inf.  xx.  124. 

All'ultima  ora  della  notte  e' son  alzali  tutto  Acquario,  e 
parte  dei  Pesci  :  il  calor  diurno  del  dì  precedente  è  al  tutto 
estinto:  dovuta  alla  terra  1* efficacia  di  tale  esinanimento: 
con  che,  dice  il  Capocci,  quantunque  nulla  di  nuovo  ci 
apprenda,  pure  fa  meraviglia,  come  in  quel  secolo,  in  cui 
per  certo  non  facevansi  osservazioni  meteorologiche,  egli 
si  mostri  cosi  biioa  intendente  di  fisica: 
^'el^  ora  che  non  può  11  calor  diurno 

Intiepidar  più  il  freddo  della  luna, 

Vinto  da  Terra  o  talor  da  Saturno; 

Quando  i  geomanti  lor  maggior  fortuna 

Yeggiono  in  oriente,  innanzi  all'alna, 

Surger  per  via  che  poco  le  sta  bruna.  Purg.  xix.  1. 

A  sei  mila  miglia  lontano  gli  era  mezzodì,  ed  egli  a  seicento 
miglia  più  ad  oriente:  onde  manca  oltre  un'ora  al  sorgere 
del  sole.  L'ombra  della  terra  gli  sì  era  inclinala  quasi  al 
piano  dell'orizzonte,  al  letto  piano.  In  questo  mentre  il 
mezzo  del  cielo,  la  sua  parte  culminante,  per  la  luce  cre- 
puscolare, comincia  a  farsi  profondo  come  se  si  allontanasse: 
poiché  ogni  stella  minore  perde  il  parere,  non  si  vede  più 
dal  fondo  ove  trovasi  il  riguardante  ;  ed  a  misura  che  vien 
oltre  l'Aurora,  la  chiarissima  ancella  del  sole,  si  dileguano 
man  mano  anche  le  stelle  più  grandi,  infìno  alle  più  belle: 
Forse  semita  miglia  di  lontano 

Ci  ferve  l'ora  sesta,  e  questo  mondo 

China  già  l'ombra  quasi  al  letto  piano, 

Quando  il  mezzo  del  cielo  a  noi  profondo 

Comincia  a  farsi  tal,  che  alcuna  stella 

Perde  il  parere  infìno  a  questo  fondo; 
E  come  vien  la  chiarissima  ancella 

Del  Sol  più  oltre,  così  il  ciel  si  chiude 

Di  vista  in  vista  infìno  alla  più  bella.  Par.  xxx.  1. 
Notisi  quanto  stia  bene  quel  dire  infino  a  questo  fondo  in 
corrispondenza  della  leggiadra  idea,  venutagli  di  farci  ri- 
guardare la  disparizione  delle  stelle,  come  se  il  cielo  si 
allontanasse,  facendosi  più  profondo. 


ASTRONOMIA.  257 

Imagine,  dice  il  Ranalli,  che  trascende  ogni  possibilità 
di  concepirne  altra  più  ingegnosa.  Da  quanti  poeti,  e  in 
quante  maniere  diverse  non  era  stata  figurala  quell'ora 
che  precede  il  sole?  Perchè  tornasse  a  fare  effetto,  quasi 
imagine  non  mai  figurata,  usa  una  perifrasi  tolta  da' calcoli 
della  scienza  astronomica.  Cosi  Dante  non  solo  le  cose 
comuni,  come  il  dire:  manca  un'ora  circa  al  nascer  del 
soie,  abbellisce  con  imagine  poetica,  ma  ancor  l' imagine 
poetica  rende  più  peregrina  con  dottrine  cavate  dalla  scienza 
astronòmica. 

Quivi,  ne  aggiunge  il  prof.  Minich,  con  meravigliosa 
approssimazione  accenna  la  durala  del  crepuscolo  mattutino 
poco  dopo  l'equinozio  di  primavera,  all'istante  in  cui  sva- 
niscono le  stelle  meno  appariscenti  fino  al  sorgere  dell'alba. 
Se  la  lunghezza  dell'arco  terrestre,  indicato  dall' Allighieri, 
sì  dovesse  prendere  sull'equatore,  quel  periodo  di  tempo 
sarebbe  poco  minore  di  un'ora  e  quattro  minuti.  Ma  se 
si  debba  valutare  la  detta  estensione  sopra  un  circolo  di 
altezza,  l'alba  comincerebbe,  secondo  il  poeta,  allorché  il 
Sole  si  trova  a  16  gradi  sotto  l'orizzonte,  e  la  durata  del 
crepuscolo  cos'i  stabilita,  sarebbe  ancora  più  prossima  al- 
l'attuale misura  teorica,  e  si  potrebbe  applicare  ad  ogni 
stagione. 

E  per  significare  essere  già  vicino  il  comparire  del  sole 
nel  Purgatorio,  con  bellissima  imagine  ci  dice  ch'esso  era 
giunto  a  ponente  all'orizzonte  di  quello  di  levante.  La 
notte  che  gira  opposta  (  in  direzione  opposta  )  al  Sole,  (  non 
essendo  essa  altro  che  l'ombra  della  terra  che  ne  intercetta 
i  raggi)  esce  fuori  del  Ganc/e  (oriente)  nel  nostro  emisfero, 
giacché  il  Sole  si  trova  in  opposizione  al  tramonto: 
Già  era  il  Soie  all'orizzonte  §:iunto, 

Lo  cui  meridian  cerchio  coverchia 

Jerusalem  col  suo  più  alto  punto: 

E  la  notte  che  opposita  a  lui  cerchia. 

Uscia  di  Gange  fuor  colle  bilance, 

Che  le  caggion  di  man  quando  soverchia; 
Sì  che  le  bianche  e  le  vermiglie  guance, 

Là  dove  io  era,  della  bella  Aurora 

Per  troppa  etate  divenivan  rance.  Putq.w.  1. 
Tre  diversi  colori  si  veggiono  in  cielo  prima  dello  spun- 
tar del  Sole:  il  bianco  dell'ora  mattutina,  il  vermiglio  della 

VOL.  II.  1" 


258  COGNIZIONI  SCIENTIFICHE. 

aurora,  e  il  rancio  che  precede  di  poco  il  Sole.  E  Dante, 
volendo  mostrare  il  sorgere  del  Sole,  rappresenta  il  terzo 
di  questi  effetti:  —  Può  darsi,  dice  il  Capocci,  più  felice 
idea  del  far  succedere  al  dilicato  candore  della  prima  età, 
il  roseo  colore  della  fiorita  gioventù,  ed  u  questo  finalmente 
la  tinta  avvizzita,  e  come  itterica  della  troppa  ctale?  Con 
cui  finisce  questa  fugace  illusione,  come  tante  altre  di  questo 
mondo!  —  Il  Caro  nella  sua  lettera  a  Taddeo  Zuccaro  ad- 
ditandogli il  come  avesse  a  dipingere  l'Aurora  gli  rammenta 
che  essa  ha  tre  stati  e  tre  colori  distinti,  cosi  ha  tre  nomi  : 
alba  vermiglia  e  rancia. 

I  primi  raggi  del  sole  nascente  incominciano  a  vestire 
di  luce  le  cime  de' monti  :  Inf.  1. 16.  -  Ed  il  sole  nascente 
col  suo  calore  ravviva  le  membra  intirizzite  dal  freddo 
della  notte: 

Il  Sol  conforta 
Le  fredde  membra  che  la  notte  aggrava.  Purg.  xix.  10. 
É  un'ora  e  mezzo  di  Sole  al  tempo  dell'equinozio; 

E  già  il  sole  a  mezza  terza  riede.  Inf.  xxxiv.  %. 
Son  due  ore  di  Sole: 

E  il  sole  er'  alto  già  più  che  due  ore.  Purg.  ix.  44. 
E  a  quest'ora  ci  presenta  una  caccia  astronomica,   in   cui 
il  Capricorno  dal  mezzo  del  cielo,  ove  slavasi,  passa  all'altra 
banda  del  meridiano: 

Da  tutte  parti  saettava  il  giorno 
Lo  Sol,  eh'  avea  colle  saette  conte 
Di  mezzo  '1  ciel  cacciato  il  capricorno.  Purg.  ii.  SSi, 

Modo  leggiadrissimo,  dice  il  Ranalli,  chiamando  saette  i 
raggi  solari,  come  pure  lucida  tela  li  avea  chiamati  Lucrezio. 

A  quattro  ore  di  Sole,  nel  quarto  g^iorno  dopo  il 
plenilunio: 

Lo  scemo  della  luna 
Rigiunse  al  letto  suo  per  ricorcarsi.  Purg.  x.  74. 

Notisi  la  proprietà  di  quel  nominare  lo  scemo  della  luna, 
invece  della  luna  stessa,  che  dipinge  la  cosa  più  evidente- 
mente; conciossiacchè  la  parte  scema  della  luna,  quando 
essa  è  mancante,  dopo  il  plenilunio,  è  volta  a  ponente,  e 
perciò  tocca  primamente  l'orizzonte,  quando  quella  giunge 
al  tramonto: 


ASTRONOMIA.  2o9 

Son  le  dieci  ore  a  un  bel  circa  t 

Ben  cinquanta  gradi  salito  era 
Lo  Sole. . .  Purg.  iv.  15. 

Son  presso  le  nudici  : 

E  già  le  quattro  ancelle  eran  del  giorno 
Rimase  addietro,  e  la  quinta  era  al  temo, 
Drizzando  pure  in  su  l' ardente  corno.  Purg.  xxii.  118. 
È  mezzo  giorno: 

Ferve  1'  ora  sesta.  Par.  xxx.  2. 

Vienne  ornai,  vedi  eh' è  tocco 
Meridian  dal  Sole,  ed  alla  riva 
Copre  la  notte  già  col  pie  Marocco.  Purg.  iv.  107. 

Virgilio  dice:  sol  medium  caelo  conscenderat  igneus  orbem. 
Ma  vi  è  forse  la  bellezza  che  negli  accennati  versi  dell'Al- 
lighieri,  che  il  rappresenta  dall'effetto  e  con  un  pensiero 
tanto  peregrino?  Imperciocché  essendo  mezzodì  nel  luogo 
ov'ei  finge  di  trovarsi,  portava  che  fusse  notte  sopra  Ma- 
rocco 0  Mauritania.  E  vuoi  più  gentile,  più  vera,  più  poe- 
tica figura  di  questa  per  la  medesima  significazione  del 
meriggio? 

Vedi  che  torna 
Dal  servigio  del  di  l' ancella  sesta.  Purg.  xu.  80. 

Quando  il  Sole  si  appressa  al  meridiano  è  più  splendente, 
e  va  più  rimessamente,  con  più  lenti  passi,  cangiando  al- 
tezza. Il  meridiano  varia  di  posizione,  come  l'orizzonte, 
secondo  il  luogo  degli  spettatori,  «  qua  e  là  come  gli  aspetti 
fassi  : 

E  più  corrusco,  e  con  più  lenti  passi, 

Teneva  il  Sole  il  cerchio  di  merigge, 

Che  qua  e  là,  come  gli  aspetti,  fassi,  Purg.  xxxiii.  103. 

Nel  xxiii.  del  Farad,  v.  11,  il  cerchio  del  mezzodì  è  chiamalo 
la  plaga  Sotto  la  quale  il  Sol  mostra  men  fretta. 

Ed  il  Sole  a  mezzodì  passa  in  un  subito  dal  quadrante 
orientale  all'occidentale: 

Il  Sol  muta  quadra  all'  ora  sesta.  Par.  xxvi.  142. 

È  nn'ora  circa  dopo  mezzo  giorno.  —  Ad  indicarci 

quesl'  ora,  si  serve  della  luna  opposta  al  Sole,  come  farebbe 
chi  per  indicare  l'ora  in  un  quadrante  di  orologio,  si  ser- 
visse dall'altra  estremità  più  l3reve  dell'indice,  aggiungen- 
dovi dodici  ore.  -  La  luna  in  un  giorno  e  mezzo  da  che 


260  COGNIZIONI   SClENTIFlCnE. 

fu  piena,  cioè  in  perfetta  opposizione  col  sole,  si  è  avanzata 
tanto  verso  oriente,  che  quando  la  giunge  sotto  i  nostri 
piediy  al  meridiano  inferiore,  il  Sole  si  è  dovuto  inoltrare 
ad  occidente,  dopo  di  aver  passato  da  più  di  un'ora  il 
meridiano  di  sopra. 

E  già  la  Luna  è  sotto  i  nostri  piedi.  Inf.  xxix.  10. 
Son  passate   due  ore  d(>po  il  mezzodì.    —    li   Sole 

eh'  è  in  Ariete,  ha  lasciato  il  meridiano  al  Toro.  Se  ivi  nel 
meridiano  vi  avea  il  segno  del  Toro,  agli  Antipodi  dovea 
culminare  il  segno  dello  Scorpione  che  gli  è  opposto,  perciò 
la  notte  è  come  in  potere  dello  Scorpione: 
Al  Sole  avea  il  cerchio  di  merigge 
Lasciato  al  Tauro,  e  la  notte  allo  Scorpio.  Purg.  xxv.  2. 
Restano  tre  ore  di  Sole.  —  Quanto  tratto  dalla  sfera 
celeste  corre  tra  l'ora  terza  compiuta  e  il  nascer  del  Sole 
(cioè  45  gradì),  tanto  gli  rimane  a  percorrere: 

Quanto  tra  l'ultimar  dell'ora  terza, 
E  '1  principio  del  di'  par  della  spera, 
Che  sempre,  a  guisa  di  fanciullo,  scherza, 

Tanto  pareva  già  in  ver  la  sera 
Essere  al  Sol  del  suo  corso  rimaso: 
Vcspero  là,  e  qui  mezza  notte  era.  Purg.  xv.  I. 
Il  Sole  prog^redisce  sensibilmente  verso  sera  :  ed 
il  poggilo  volto  a  levante  getta  l'omtira: 

Vedi  ornai  che  '1  poggio  l'ombra  getta.  Purg.  vi.  31. 
Salendo  alla  dirittura  di  oriente,  vediamo  innanzi  la  nostra 
propria  ombra,  originata  dall' intercettare  che  fa  il  corpo 
i  raggi  solari,  che  vengono  dall'occidente.  Il  sole  ne  tra- 
monta dietro  le  spalle,  e  lo  sentiamo  per  mezzo  della  vista 
della   disparizione  della    nostra  ombra  che  ci  è  innanzi. 
L'orizzonte  si  fa  tutto  d'un' aspetto  coll'abbuiarsi : 
Dritta  salia  la  via  per  entro  il  sasso, 
Verso  tal  parte,  eh'  io  toglieva  i  raggi 
Dinanzi  a  me  del  Sol  eh'  era  già  lasso. 

E  di  pochi  scaglion  levammo  l  saggi. 
Che  il  Sol  corcar,  per  l' ombra  che  si  spense, 
Sentimmo  dietro  ed  io  e  gli  miei  Saggi. 

E  pria  che  in  tutte  le  sue  parti  immense 
Fusse  orizzonte  fatto  d'un  aspetto, 
E  Notte  avesse  tutte  sue  dispense...  Purg.  xxvii.  64. 

Sì  sa  che  quella  parte  dì  cielo  che  prima  appariva  azzurra, 


ASTRONOMIA.  261 

avvicinandosi  il  Sole,  in  un  bel  dì  sereno,  diventa  bianca, 
massime  presso  dell'orizzonte,  ove  appunto  il  Sole  va  ca- 
lando, il  qual  effetto  più  veduto  che  avvertito  fa  cantare 

al  poeta: 

Feriami  '1  Sole  in  su  V  omero  destro, 
Che  già,  raggiando,  tutto  1'  occidente 
Mutava  in  bianco  aspetto  di  cilcstro.  Purg.  xxvi.  5. 
Il  tramonto  è  di  presso  :  Ed  il  poeta  prende  occa- 
sione a  parlarci  di  un  fenomeno  che  lo  avea  colpito  a  mezzo 
alle  nebbie  delle  montagne,  ove  il  disco  solare,  dispogliato 
della  sua  radiosa  ghirlanda,  può  essere  sostenuto  e  con- 
templato a  bell'agio  sotto  insolito  aspetto: 

Ricorditi,  lettor,  se  mai  nell'alpe 
Ti  colse  nebbia,  per  la  qual  vedessi 
Non  altrimenti  che  per  pelle  talpe  ; 

Come,  quando  i  vapori  umidi  e  spessi 
A  diradar  cominciansi,  la  spera 
Del  Sol  debilemente  entra  per  essi; 

E  fla  la  tua  immagine  leggiera 
In  giugnere  a  veder,  com'  io  rividi 
Lo  Sole  in  pria,  che  già  nel  corcare  era.  Purg.  xvii.  1. 

Ed  eccoci  una  nuova  dipintura  perfetta,  come  in  un  daghe- 
rotipo  di  quel  che  tutti  veggiamo  la  sera,  al  cessar  della 
luce  diurna,  ma  senza  troppo  badare  al  modo  onde  questa 
luce  va  gradatamente  ad  estinguersi.  -  Questa  coccoletta, 
che  noi  chiamiamo  il  globo  terrestre,  è  avviluppata  in  una 
sottil  falda  di  aria,  la  quale  la  ricopre  come  la  peluria 
intorno  a  una  pesca.  Ma  l'aria  si  va  diradando  per  modo 
che  ne' suoi  strati  superiori,  che  all'altezza  di  40  miglia 
cessa  al  tutto  di  rifletterci  la  luce  del  sole,  quando  esso 
si  è  abbassato  a  18*^  circa  sotto  dell'orizzonte.  Allora  ogni 
luce  crepusculare  vien  meno  e  sovraggiunge  la  notte.  Ma 
prima  di  questo  punto,  gli  ultimi  raggi  del  sole,  che  la  notte 
serjue,  a'  quali  vien  dietro  la  notte,  illuminano  una  porzione 
sempre  più  piccola  del  menisco,  della  cupola  aerea  che  ci 
sovrasta  :  al  punto  del  tramonto,  gli  ultimi  raggi  del  sole 
l'illuminano  tutta;  ma  a  misura  che  questo  si  abbassa,  i 
detti  raggi  tangenti  alla  superficie  terrestre,  s'inalzano; 
rimanendo  nel  perfetto  buio  la  parte  opposta  dell'atmosfera 
di  sotto,  verso  oriente;  prescindendo  dalla  luce  ivi  difl'usa 
dagli  altri  strati  ancora  illuminati  più  in  allo,  fino  a  ponente  : 


262  COGNIZIONI   SCIENTIFICHE. 

Già  eran  sopra  noi  tanto  levati 
Gli  ultimi  raggi  che  la  notte  segue, 
Cbe  le  stelle  apparivan  da  più  lati.  Piirg.  xv».  70. 
Veggasi  quanto  sìa  esalto  e  ben  detto,  quel  levarsi  sopra 
di  essi  di  quegli  ultimi  rar/gì  che  cosi  permettono  di  ap- 
parire alle  più  belle  stelle  da  vari  lati.  E  al  C.  xx  del  Pa- 
radiso, V.  1  : 

Quando  colui  che  tutto  il  mondo  alluma 
Dell'  emisperio  nostro  si  discende, 
E  il  giorno  d'ogni  parte  si  consuma, 

Lo  ciei,  che  sol  di  lui  prima  s'accende, 
Subitamente  si  rifa  parvente 
Per  molte  luci,  in  che  una  risplende. 

ffiion  due  ore  di  notte  pas»sate,  ed  è  per  compiersi 
la  terza: 

E  la  notte  de'  passi  con  che  sale, 
Fatti  avea  duo  nel  loco  ov' eravamo, 
E  il  terzo  già  chinava  in  giuso  l'ale.  Purg.ìx.1. 
É  cominciata  la  quarta  ora  di  notte» 

Già  eran  quasi  che  atterzate  l'ore 
Del  tempo  eh'  ogni  stella  è  più  lucente.  Son.  i. 

É  mezzanotte: 

Già  ogni  stella  cade,  che  saliva 
Quando  mi  mossi.  Inf.  vii.  98. 
Dal  tramonto  del  sole  sino  alla  mezzanotte  le  ultime  stelle 
che  spuntano  sull'orizzonte  ascendono  al  meridiano,  cac- 
ciando innanzi  quelle  tutte  che  le  precedono,  quindi,  passate 
quelle,  discendono  per  altre  sei  all'occidente. 

E  al  C.  XX vili  del  Purg.  v.  1  ci  dà  «no  sfoggio  di  eru- 
dizione astronomica  per  darci  l'ora  anche  a  quattro  canti 
del  mondo,  secondo  i  dati  geografici  di  quei  giorni  conosciuti. 
E  al  C.  vili,  del  Purg.  v.  133.  volendo  esprimere  vaga- 
mente e  poeticamente  che  non  passeranno  sette  anni  che 
egli  nel  tempo  del  suo  esigilo  dovrà  sperimentare  la  cor- 
tesia dei  signori  Malaspina,  cosi  fa  parlare  all'ombra  di 
Corrado  : 

Or  va,  che  11  Sol  non  si  ricorca 
Sette  volte  nel  letto  che  il  Montone 
Con  tutti  e  quattro  i  pie  copre  ed  inforca, 

Che  cotesta  cortese  opinione 
TI  fla  chiavata .... 
E  novera  pure  il  tempo  dal  rinovarsì  e  Io  spegnersi  del 
lume  della  luna. 


ASTRONOMIA.  263 

Mi  non  cinquanta  volte  fia  raccesa 
La  faccia  della  donna  che  qui  regge...  Inf.  \.  79. 

Cinque  volte  racceso,  e  tante  casso, 
Lo  lume  era  di  solto  dalla  luna.  Inf.  xxvi.  130. 

E  con  la  sua  solila  sagacia  e  profondila  dice  di  sotto  dalia 
luna  anzicchè  il  lume  della  lima,  perocché  la  luce  della 
luna,  che  ne  porge  mezzo  di  noverare  le  lunazioni  con  le 
sue  fasi,  è  quella  che  illumina  Temisfero  disotto,  l'inferiore 
visibile;  quello  ciie  accade  nell'altro  emisfero,  disopra,  noi 
noi  veggiamo  giammai:  perciò  quel  di  sotto  è  dello  sapien- 
temente, e  non  a  caso,  è  detto  da  vero  maestro. 

Sole.  —  11  Sole,  secondo  la  teoria  di  Dante  è  fonte 
universale  di  luce  [Conv.  u\.l),  di  che  poi  tutte  k  altre 
stelle  s'informano:  {Conv.  u.\ì)  esso  di  sensibile  luce  sé 
prima  e  poi  tutti  li  corpi  celestiali  ed  elementali  allumina 
{Coni',  ili.  22),  esso  padre  d'ogni  mortai  vita,  che 
da  levante 

Avante,  infino  a  tanto  che  s'asconde, 

Con  li  bei  raggi  infonde 

Vita  e  virtù  quaggiuso 

Nella  materia  sì,  com'  è  disposta,  Canz.  xvii.  6; 

e  indi  riduce  le  cose  a  sua  similitudine  di  lume,  quanto 
esse  per  la  loro  disposizione  possono  dalla  sua  virtù  lume 
ricevere:  Conr.  iii.  4  ;  iii.  7  -  Gl'influssi  del  sole  divengono 
più  potenti  per  quelli  della  Costellazione  in  che  il  gran 
pianeta  si  ritrova:  Canz.  xvn.  7;  Purg.  xxxii.  53;  Par.  i.  40. 
Cicerone  nel  Sonno  di  Scipione  avea  chiamalo  il  Sole 
Mente  del  mondo.  Ma  Dante  si  alzò  eminente  sopra  lutti 
i  poeti,  quando  con  un  solo  verso  racchiuse  la  più  ma- 
gnifica lode  di  che  mai  possa  esaltare  11  Sole  l'imaginazione, 
cantando  : 

Lo  ministro  maggior  della  natura.  Par.  x.  28. 
Metti  ben  addentro  alla  mente  la  grande  idea  della  Natura, 
e  alia  vista  di  questo  suo  grande  ministro,  che  altamente 
seduto  sul  trono  della  luce  distribuisce  e  vibra  in  tutta  la 
creazione  il  moto  e  la  vita,  ti  sentirai  compreso  di  gran- 
dissima meraviglia.  E  allora  farai  un  riso  di  compassione 
sull'intonso  nume  di  Delo,  sul  biondo  figlio  di  Latona,  e 
quanti  altri  sterili  nomi  gli  profonde  la  poesia  greca  e 
laliua. -E  chiama  il  Sole  e  la  Luna  occhi  del  cielo:  Purg. 


264  COGNIZIONI  SCIENTIFICHE. 

XX.  132.  Ovidio  nel  iv.  delle  Metamorfosi,  chiamando  il  sole 
occhio  del  mondo  avea  già  delibalo  questo  pensiero,  mirando 
forse  a  Piatone  che  in  quel  suo  notissimo  epigramma  amo- 
roso, conservatoci  da  Laerzio,  chiama  occhi  del  cielo  le 
stelle,  metafora  leggiadrissima,  imitata  pur  dall'  Ariosto, 
C.  XIV.  39,  e  dal  Tasso,  Ger.  x.  22.  Dante  però  che  non 
usurpa  mai  cosa  alcuna  senza  farla  migliore,  considerando 
che  gli  occhi  del  cielo  per  eccellenza,  secondo  il  giudizio 
de'  nostri  sensi,  sono  veramente  il  Sole  e  la  Luna  ha  con- 
centrato in  questi  due  fuochi  tutta  la  sparsa  luce  dell'idea 
platonica,  e  rendendone  più  vivo  l'effetto,  ha  reso  nuovo 
anche  il  concetto,  e  più  poetica  l'espressione.  -  \.ìÌìo?ì//. - 
Ed  il  Sole  pure  n'è  misuratore  del  tempo: 

Lo  ministro  maggior  della  natura, 
Che  del  valor  dei  cielo  il  mondo  imprenta, 
E  col  suo  lume  il  tempo  ne  misura.  Par.  x.  28. 

Chi  potrebbe  dire,  aggiugne  il  Ranalli,  quanto  sia  bello  e 
nuovo  indicarsi  il  sole  sotto  questa  figura  eli'  è  tutta  nuova, 
e  con  la  quale  consuona  quest'altra  del  Petrarca: 

Quando  '1  Pianeta  che  distingue  l'ore, 
Ad  albergar  col  Tauro  si  ritorna, 
Cade  virtù  dall'  infiammate  corna 
Che  veste  il  mondo  di  novel  colore.  San.  8. 

Ma  se  ben  si  rifletta,  questo  meraviglioso  indice  lumi- 
noso, a  tutti  visibile,  ci  rende  cotali  servigi  per  via  del  suo 
moto,  che  prendendo  le  cose  un  po'  alia  grossa,  ce  lo 
possiamo  supporre  uniforme.  Onde  l' esattezza  di  cotal 
misura  dipende  dalla  conoscenza  più  o  meno  esatta  di  quel 
suo  moto.  La  durata  dell'anno  tropico,  è  data  dal  ritorno 
del  Sole  allo  slesso  tropico,  cioè  allo  stesso  solstizio;  di- 
pendendo da  ciò  il  corso  delle  stagioni,  legate  tra  loro 
immutabilmente.  Questa  durata  è  esattamente  di  365  giorni 
e  24222  centomillesime  parti  di  giorno,  ossia  (trascurando 
le  minori  frazioni)  circa  24  centesime  parti  di  un  giorno. 
Giulio  Cesare,  nella  sua  famosa  riforma  del  Calendario, 
aveva  posta  cotal  parte  frazionaria  un  po'  più  grande,  cioè 
l'avea  fatta  di  23  centesimi,  l'avea  accresciuta  di  un  cente- 
simo; eh' è  appunto  quella 

Centesma  eh' è  laggiù  negletta.  Par.  xxvn,  143, 


ASTRONOMIA.  265 

a  cui  Dante  allude.  Perciò  quel  calendario,  il  giuliano,  ai 
suoi  tempi  in  uso,  dietro  tale  supposizione  de' 23  centesimi, 
cioè  di  1/4  di  giorno,  portava  un  intero  giorno  di  più  dopo 
4  anni,  il  quale  quarto  anno  invece  di  3G3  giorni  ne  ave- 
va 366  -  Sicché  quel  centesimo  di  più,  cumulandosi  per 
cento  anni,  dava  d'avanzo  un  intero  giorno,  e  dopo  un 
secolo  si  era  fatto  un  bisestile  di  più  del  bisogno.  -  E  Dante 
se  n'era  accorto  :  In  questo  ne  sapeva  quasi  quanto  il  Lilio 
ed  il  Clavio,  che  nel  1582  operarono  la  nuova  riforma  del 
Pontefice  Gregorio  XIII  che  rimediò  a  questo  sconcio  - 
Capocci  - 

Pervenuto  il  poeta  al  primo  balzo  del  Purgatorio,  e 
volendo  significare  con  poetica  imagine  ch'egli  era  in  un 
cmisperio  opposto  al  nostro,  finge  di  stupirsi  di  vedere  il 
Sole  fra  sé  e  l'aquilone,  e  ne  dimanda  la  spiegazione  a 
Virgilio,  il  quale  così  risponde: 

Se  Castore  e  Polluce 
Fossero  in  compagnui  di  quello  specchio, 
Che  su  e  giù  del  suo  lume  conduce, 
Tu  vedresti  il  Zodiaco  rubecchio 
Ancora  all'Orse  più  stretto  rotare, 
Se  nwi  uscisse  fuor  del  cammin  recchio.  Purg.  iv.  Gì. 

Egli  è  consueto  a'  poeti  il  dire  «  la  tal  cosa  splende  al 
par  del  sole,»  e  Dante  trova  nella  cognizione  dell'astro- 
nomia una  maniera  tutta  nuova  e  leggiadrissima: 

Poscia  tra  esse  un  lume  si  schiarì, 
SI  che,  se  il  cancro  avesse  un  tal  cristallo. 
Il  verno  avrebbe  un  mese  d'un  sol  dì.  Pur.  xxv.  100. 

Diametro  del  Sole.  —  a  Alla  più  gente  il  Sole  pare 
di  larghezza  nel  diametro  di  un  piede  [Epist.  a  Can^rande 
§  2):  e  si  è  ciò  falsissimo,  che,  secondo  il  cercamento  e  la 
invenzione  che  ha  fatto  la  umana  ragione  coli' altre  sue 
arti,  il  diametro  del  corpo  del  Sole  è  cinque  volte  quanto 
quello  della  terra,  e  anche  una  mezza  volta;  conciossiaco- 
achè  la  terra  per  lo  diametro  suo  sia  seimila  cinquecento 
miglia,  lo  diametro  del  Sole,  che  alle  sensuale  apparenza 
appare  di  quantità  d'uno  piede,  è  Irentacinque  mila  sette- 
cento cinquanta  miglia:  Conv.  iv.  8. 

Luna.  —  Teoria  del  poeta   sulle  ntacchic  lunari. 

Ei  le  attribuisce  ai  corpi  rari  e  densi  della  sua  superficie. 


266  COGNIZIONI   SCIENTIFICHE. 

Par.  II.  -  Dante  per  bocca  di  Beatrice  confuta  l'opinione  da 
lui  recata  nel  Conv.  ii.  14  sull'ombra  della  luna,  e  d'essersi 
ingannato  ritorna  a  parlare  nel  C.  xxii.  del  Par.  v.  139.  Ei 
slavagli  a  cuore  di  mostrarsi  ricreduto  di  quell'errore. 

La  Luna  nel  suo  plenilunio  sorge  a!  cader  del  Sole,  che 
le  è  in  opposizione.  Sorgendo  poscia  di  di  in  di  circa  un 
50  minuti  più  tardi,  la  quinta  notte  sorge  un  quattro  ore 
dopo.  Onde  al  suo  apparire  sull'orizzonte  le  stelle  appaion 
più  rade,  dileguando,  come  suole,  le  minori  col  suo  chia- 
rore : 

La  luna,  quasi  a  mezza  notte  tarda, 
Facea  le  stelle  a  noi  parer  più  rade, 
Fatta  com'un  seccliion  che  tutto  arda.  Purg.  xviii.  76. 

E  dai  secchioni  di  rame  col  fondo  sferico,  ne'  quali  i  ma- 
rinai fanno  bollir  la  pece  onde  rimpalmarne  le  navi,  trasse 
egli  il  paragone  esatto  e  lampante.  Se  avvenga  per  avven- 
tura che  quel  pattume  bituminoso  ad  un  tratto  si  accenda, 
avrassl  il  secchione  ardente,  tal  quale  occorreva  di  far 
osservare.  La  Luna  si  trovava  non  lungi  dall'ultimo  quarto, 
se  vi  si  fosse  trovata  esattamente  ei  l'avrebbe  assomigliata 
piuttosto  ad  una  scodella:  perocché  essa  essendo  nel  de- 
crescere, la  sua  parte  piena.  Torlo  rotondato,  era  volto  al 
Sole  a  levante  e  però  in  basso;  così  la  mezza  Luna  nel 
nascere  sarebbe  apparsa  come  posata  sull'orizzonte  col  suo 
diametro  in  alto,  che  avrebbe  rappresentato  in  profilo  Torlo 
della  scodella.  Ma  la  Luna  essendo  ancor  lontana  di  un 
tre  giorni  dal  detto  quarto,  era  ancor  gibbosa  ;  ed  invece 
di  offrir  superiormente  un  profilo  rettilineo,  T  avea  rilevalo 
sensibilmente  nel  mezzo:  più  o  meno,  ed  alla  rinfusa,  per 
le  parti  più  o  men  chiare  che  ricoprono  la  sua  supertìcie. 
Ora  a  questo  aggiungasi,  che  presso  al  contatto  dell'oriz- 
zonte, il  gioco  variabile  dei  vapori  e  delle  rifrazioni,  danno 
sovente  alla  parte  frastagliata  di  quell'astro,  rivolta  insù, 
un'apparenza  diffusa  e  vagante,  come  se  veramente  la  fosse 
in  fiamme.  -  Capocci.  -  (V.  De  Mon.  i.  §  13;  in.  4J. 

Aurora  Lunare. 

La  concubina  di  Titone  antico 
Già  s'  imbiancava  al  balzo  d'oriente, 
Fuor  delle  braccia  del  suo  dolce  amico: 

Di  gemme  la  iua  fronte  era  lucente, 


ASTRONOMIA.  267 

Poste  in  figura  del  freddo  animale, 

Che  con  la  coda  percuote  la  gente: 
•  E  la  notte  de'  passi,  con  che  sale, 

Fatti  avea  duo,  nel  loco  ov' eravamo, 

E  il  terzo  già  chinava  in  gluso  l'ale.  Purg.  m.  1. 
Non  è  da  leggersi,  dice  il  Ranalli,  cosa  più  bella  e  stupenda 
per  novità  di  concetto  e  splendore  dì  voci.  -  Col  qualitativo 
concubina  egli  intende  distinguere  e  dinotare  l'aurora  della 
Luna,  l'albor  crepuscolare  che  precede  il  suo  nascere:  in 
sulle  tre  ore  di  notte  circa,  la  Luna  era  prossima  ad  alzarsi, 
e  la  sua  aurora  avea  ingemmata  la  fronte  delle  belle  stelle 
dello  Scorpione  (sull'orizzonte  ad  oriente);  e  la  notte,  dei 
passi  con  che  sale,  delle  parti  che  percorre  nell'arco  semi- 
diurno  ascendente,  dall'orizzonte  al  suo  culminare  a  mez- 
zanotte; n'avea  fatti  due  di  cotali  passi,  cioè  due  terzi  del 
suo  corso  orientale,  per  giungere  in  mezzo  al  cielo  nel 
meridiano,  e  stava  per  finire  l'altro  terzo.  Chi  è  poi  esperto 
nella  contemplazione  del  corso  notturno  degli  astri,  può  al 
giusto  valutare  la  bellezza  di  questo  dire  poetico.  Perocché 
egli  avendo  così  immaginosamente  personificata  la  Dea  dallo 
stellato  ammanto,  le  trasferisce  il  modo  usato  dagli  astri  nel 
loro  trascorrere  per  la  tolta  celeste:  questi  nelle  prime 
due  terze  parti  del  loro  apparente  corso  ascendente  si 
elevano  rapidamente,  e  nell'altra  terza  parte  si  vanno  molto 
più  rimessamente  elevando;  per  modo  che  presso  al  meri- 
diano corrono  per  un  certo  tratto  senza  più  guadagnar 
quasi  nulla  in  altezza.  Sicché  attribuendo  questo  procedere 
delle  stelle  alla  Notte,  vedesi  bene  quanto  propriamente 
dica  che  quel  suo  terzo  passo  già  chinava  in  gìuso  l'ale, 
cioè  già  già  le  raccoglieva  e  non  le  portava  più  in  alto. - 
Capocci. 

Anche  il  prof.  Minich  ritiene  qui  indicata  l'aurora  lunare, 
anzicchè  la  solare,  e  conferma  questa  induzione  coli 'esame 
dei  primi  versi  del  C.  xx\  del  Paradiso,  in  cui  l'AUighieri 
accenna  con  meravigliosa  approssimazione  la  durata  del 
crepuscolo  mattutino  poco  dopo  l'equinozio  di  primavera. 

E  ne  ricorda  I'  alone  lunare  t 

Cosi  cinger  la  figlia  di  Latona 
Vedem  tal  volta,  quando  1'  aere  è  pregno 
Sì,  che  ritenga  il  fll  che  fa  la  zona.  Par.  \.  67. 

Quando  il  vapor  che  il  porta  più  è  spesso.  Par.  iitìii.  U. 


268  COGNIZIONI  SCIENTIFICHE. 

Costellazione  della  Crociera.  —  Le  Stelle  (Iella  CrOCe 

australe  vennero  scoperte  due  secoli  dopo  Dante,  quando 
l'ardimento  europeo  spinse  i  nostri  navigatori  sotto  l'altro 
emisfero: 

Vidi  quattro  stelle 
Non  viste  mai  fuor  che  alla  prima  gente.  Purg.  i.  32. 

Le  quattro  chiare  stelle,  Purg.  viii.  88. 

Si  trovano  esse  descritte  non  solo  nel  Catalogo  di  Tolomeo, 
ma  anche  da  Marco  Polo,  e  figurate  pure  in  un  Globo, 
costruito  da  Abou-Cassem  nel  1225. 

Il  Yespucci  si  vantava  nel  1501  dì  aver  veduto  co'  suoi 
occhi  le  quattro  stelle,  a  noi  invisibili  per  l'elevazione  del 
polo  boreale,  «  non  mai  viste  innanzi,  eccetto  che  dalla 
prima  coppia  umana.  »  Andrea  Corsali,  illustre  navigatore 
lìrentino,  in  una  sua  lettera  a  Giuliano  de'  Medici,  duca 
di  Firenze,  (6  Gen.  1515)  le  chiamava:  croce  meravigliosa, 
la  più  gloriosa  di  tutte  le  costellazioni  dei  cieli.  Di  fatti 
il  cielo  ivi  ingemmato  di  quelle  belle  stelle,  prossime  altre- 
sì all'altre  due  fulgidissime  del  Centauro,  ed  incastonale, 
direi,  nel  più  vivo  bagliore  della  Yia-lattea  che  colà  si 
addensa,  offre  uno  spettacolo  unico  ed  ammirando.  Il  sito 
deve  rispondere  in  mezzo  al  grande  Oceano  pacifico,  un 
po' più  al  sud  dell'isola  di  Baas,  dell'arcipelago  dell'isole 
della  Società,  tanto  famose  pei  racconti  del  Gook.  Il  Capocci, 
seguendo  l'Humboldt,  il  Dante,  come  ei  lo  chiama  -della 
moderna  filosofia  naturale,  con  le  sue  calcolazioni  ne  con- 
vince, come  circa  a  7  mila  anni  addietro,  il  polo  australe 
si  trovasse  abbastanza  lontano  dalla  Croce  per  renderlo 
visibile  alla  prima  gente  in  quelle  regioni  patriarcali  del- 
l'Asia, e  che  per  conseguenza  Dante  conoscesse  il  moto  di 
processione  degli  equinozj,  e  non  solo  si  avesse  presente 
lutto  il  cielo  nel  ten>po  della  sua  visione,  ma  si  ancora  ai 
primordi  del  mondo. 

Questa  dantesca  anticipazione  del  vero,  scrive  V.  Monti, 
è  forse  stata  un  puro  caso,  ma  quando  noi  veggìamo  la 
imaginazione  di  Dante  indovinare  i  segreti  della  sapienza 
divina,  do])biam  concludere  che  anche  I  sogni  di  queir  al- 
tissimo ingegno  sono  impressi  di  un  certo  carattere  di 
grandezza  e  di  verità  che  inspirano  riverenza,  e  debbono 


ASTR0^0M1A.  269 

togliere  ad  ogni  sensato  lettore  il  coraggio  di  giudicarli. 
Lesione  ix. 

«  Vi  ha  pure  una  bella  stampa,  inventata  dallo  Stradano  e 
incisa  meravigliosamente  dal  Galle  nel  sec.  XVI,  dove  è 
giusto  rappresentato  Amerigo  Vespucci  in  atto  di  osservare 
coU'astrolabio  si  fatte  costellazioni.  Da  un  lato  della  quale 
stampa  vi  è  il  ritratto  di  Dante  posto  in  mezzo  di  tali 
parole:  Dantes  AUfierìus  florentinus  poeta  anno  salutis 
M.  ecc.  descrìpsit  mi  stellas  antarcticas  cap.^  primo  Purga- 
torti  his  ah  Americo  Yespucci  in  suis  epistolis  adductis.  Sotto 
al  ritratto,  eh 'è  figurato  come  in  un  pilastro,  si  leggono  ì 
versi  danteschi  recati  dal  Yespucci,  sotto  i  quali  la  tradu- 
zione latina  così: 

Ego,  inde  versus,  intuebar  aethera 

Poli  Nothi,  adnotavi  ibi  astra  quatuor, 

Nisi  a  priori  gente  visa  nemini. 
Nitet  micatque  fiamma  quadrupla  aethere 

Mihi  plaga  orbis  orba  esse  cerneris 

Nequis  videre  quando  tanta  lumina. 
P.  Fanfani,  il  Borrjhini  i.  58. 

Le  tre  stelle  vespertine: 

Tre  facelle 
Di  che  il  polo  di  qua  tutto  arde.  Purfj.  viii.  89. 

Trovansi  esse  assai  più  vicine  alla  circonferenza  della  ruota, 
l'equatore,  che  all'asse:  Piirg.  viii.  86.  Il  Capocci  vuole 
sieno  V  Achernaar,  e  ìq  famose  nubi  di  Magellano,  due  bel- 
lissime e  mirabili  nebulose,  d'una  forma  e  d'una  luce  sin- 
golarissima, 0  per  dir  meglio  de' cumuli  d'innumere  nebulose 
conglobate  insieme,  e  che  ne  avesse  cognizione  da  Marco 
Polo,  0  da  qualche  altro  traflicante  italiano  contemporaneo, 
0  meglio  le  scorgesse  in  qualche  globo  arabo,  sul  cui  terso 
metallo  trovansi  effigiate  a  guisa  di  fiamme.  -  Un'  abile 
astronomo,  ora  defunto,  dice  il  Minich,  ha  pensato  che  le 
tre  stelle  vespertine  dell' AUighieri  corrispondessero  a  Fo- 
malliaut,  Achernaar,  e  Canopo,  ossia  alle  stelle  principali 
nelle  costellazioni  del  Pesce  Australe,  deW  Eridano  e  della 
JSave  degli  Argonauti.  Il  Minich  poi  vuole  non  abbiano  che 
una  simbolica  ed  ideale  significazione. 

Ma  per  dimostrare  a  qual  segno  ei  si  giovasse  della 
astronomia  per  rendere  le  sue  imagi  ni  sommamente  poetiche 


270  COGNIZIONI  SClENTlFICnE. 

e  leggiadre,  vaglia  il  principio  del  xiii  del  Paradiso,  dove, 
a  fare  intendere  il  meraviglioso  spettacolo  de'  24  beali 
spiriti,  che  divisi  in  due  circoli,  l'uno  dentro  dell'altro, 
danzano  intorno  a  luì  e  alla  sua  donna,  vuole  egli  che 
sfimmagini  una  riunione  di  24  stelle,  le  più  lucenti  del 
lìrmamento,  le  quali  facciano  due  corone  roteanti  ugualmente 
runa  dentro  l'altra.  Ei  dunque  ci  pone  dinanzi  agli  occhi 
un  bellissimo  campo  stellato,  con  le  quindici  stelle  fisse 
di  prima  grandezza  onde  s'ingemmano  le  diverse  regioni 
del  cielo,  appresso  le  sette  dell'  Orsa  minore,  da  ultimo  le 
due  che  terminano  la  maggiore. 

Anche  al  xxx  del  Purg.  v.  5  ricorda  le  sette  stelle  della 
maggior  Orsa,  il  settentrione  piii  basso,  che  servono  ad  ad- 
ditare il  polo  al  nocchiero,  per  guidare  le  navi  in  porto. 

stella  Veneree 

Neil'  ora  credo,  che  dell'  oriente 
Prima  raggiò  nel  monte  Citerea, 
Che  di  fuoco  d' amor  par  sempre  ardente.  Purg.  ixvu.  94. 

Lo  bel  pianeta  che  ad  amar  conforta, 
Faceva  tutto  rider  V  oriente.  Pura.  1. 19. 

La  stella 
Che  '1  Sol  vagheggia  or  da  coppa  or  da  ciglio.  Par.  viii.  lì 

Notisi  l'attenzione  che  Dante  fa  al  girar  di  Venere  intorno 
al  Sole  or  da  coppa  or  da  ciglio.  Nella  Canz.  xi.  1  ci  dice 
che  nell'inverno  La  stella  d'amor  ci  sta  rimota  Per  lo 
raggio  lucente,  che  la  'n forca  Sì  di  traverso,  che  le  si  fa 
velo.  Anche  ei  viene  a  segnare  il  tempo,  che  Venere  è  guar- 
data dal  Sole,  interposto  fra  esso  pianeta  e  la  Terra,  che 
perciò  riceve  in  minore  copia  le  amorose  influenze. 

La  stella  di  Venere  due  fiate  era  rivolta  in  quello  suo 
cerchio  che  la  fa  parere  serotina  e  mattutina,  secondo  i 
due  diversi  tempi  :  Conv.  ii.  2.  -  Il  cielo  di  Venere  ha  due 
proprietadi  :  l'una  si  è  la  chiarezza  del  suo  aspetto,  eh' è 
soavissima  a  vedere  più  che  altra  stella,  l'altra  si  è  la  sua 
apparenza,  or  da  mane,  or  da  sera:  Conv.  ii.  14. 

Mercurio  e  Venere.  —  E  merita  veramente  attenzione 
quel  che  pure  nota  sui  pianeti  inferiori  Mercurio  e  Venere, 
ponendoli  a  dirittura  in  giro  intorno  al  Sole  circa  e  vicino 
a  lui,  come  ha  poi  dimostrato  il  Copernico.  Il  circa  ac- 
coppiato con  vicino  è  un'esplicita  definizione  del  suo  pen^ 


ASTR0^0M1A.  271 

siero.  E  ove  pongasi  mente  al  valore  della  parola  circck  non 
ne  resterà  più  dubbio:   e  questo  valore   lo  si   ritrae  da 
un'  altro  passo  della  div.  Comedia  [Par.  xu.  19). 
L'aspetto  del  tuo  nato,  Iperione, 
Quivi  sostenni,  e  vidi  coni'  si  muove 
Circa  e  vicino  a  lui  Maia  e  Dione,  far.xxii.  143. 
mercurio. 

E  sì  come  saetta  che  nel  segno 
Percuote  pria  che  sia  la  corda  queta, 
Così  corremmo  nel  secondo  segno.  Par.  v.  91. 

Gitlando  gli  occhi  sopra  una  mappa  planetaria,  scorgesi 
manifesto  come  nel  giro  che  Mercurio  fa  intorno  al  Sole 
non  possa  mai  appressarsi  a  noi  quanto  Venere.  Infatti 
Venere  pcrigea,  cioè  alla  minore  distanza,  è  lontana  dalla 
terra  23  milioni  di  miglia;  Mercurio  perigeo  rimane  più 
lontano  del  doppio.  Ma  il  sistema  tolemeaico  allora  portava 
che  tutti  i  pianeti  girassero  intorno  alla  Terra:  la  Luna  a  160 
mila  miglia;  Mercurio  a  310  mila;  Venere  ad  832  mila:  ed 
il  Sole  a  sei  milioni  e  60  mila  miglia!  È  chiarissimo  di 
quanto  s' ingannassero  in  tutto,  ma  questo  allora  credevasì. 
Del  resto  egli  colla  sua  gran  mente  già  sembra  che  trave- 
desse questi  errori  intorno  alla  posizione  di  Mercurio,  avendo 
notato  le  sue  strette  attinenze  col  Sole,  dicendo  più  sotto: 

Che  si  vela  ai  mortai  con  gli  altrui  raggi. 
Mercurio  è  la  più  piccola  stella  del  cielo;  che  la  quantità 
del  suo  diametro  non  è  più,  che  di  dugento  trentadae 
miglia,  secondo  pone  Alfergano,  che  dice  quello  essere, 
delle  vent'otto  parti,  Tuna  del  diametro  della  Terra,  lo  qual 
è  sei  mila  cinquecento  miglia:  l'altra  proprietà  si  è,  che 
più  va  velata  de'  raggi  del  Sole,  che  nuli' altra  stella: 
Conv.  II.  14. 

Marte. 

Ed  ecco  quaì,  su  '1  presso  del  mattino, 
Per  li  grossi  vapor  Marte  rosseggia 
Giù  nel  ponente  sopra  '1  suol  marino: 

Cotal  m'apparve,  s'io  ancor  Io  veggia. 
Un  lume  per  lo  mar  venir  sì  ratto...  Purg.  ii.  13. 

Notisi  la  proprietà  del  paragone  di  questo  pianeta  rossa- 
stro col  lume  apparso  all'Allighieri,  e  sovraltutto  nell'averlo 
posto  vicino  al  tramonto  sopra  il  suol  marino;  per  che,  a 
quella  poca  altezza,  vie  più  vedesi  rosseggiante  Ira'  vapori 


272  COGNIZIONI  SCIENTIFICHE. 

più  grossi;  senzacchè  l'analogia  locale  sopra  la  faccia  del 
mare,  de'  due  termini  del  suo  confronto  il  lume  e  1'  astro 
non  può  esser  più  bella.  Ed  è  pure  da  osservarsi  che  non 
gli  sfuggisse  che  quando  Marte  è  in  opposizione  col  Sole, 
e  perciò  in  sul  tramonto,  allorcliè  queslo  è  in  sul  sorgere, 
allora  il  pianeta  sia  più  vicino  a  noi  e  molto  più  radiante. 
E  dice  già  nel  ponente,  perchè  in  Toscana,  sulle  rive  del 
Tirreno,  non  può  scorgersi  mai  il  suol  marino  orientale  di 
là  dei  monti.  —  E  questo  pianeta  nel' XIV  del  par.  v.  8G. 
vien  chiamato: 

L'affocato  riso  della  stella. 
Marte  disecca  e  arde  le  cose,  perchè  il  suo  calore  è  simile 
a  quello  del  fuoco  ;  e  questo  è  quello  per  che  esso  appare 
affocato  di  colore,  quando  più  e  quando  meno,  secondo  la 
spessezza  e  rarità  delli  vapori  che  '1  seguono,  li  quali  per 
loro  medesimi  molte  volte  s'accendono:  Conv.  ii  14. 

Saturno.  —  //  pianeta  che  conforta  il  gelo,  Canz.xi.  l; 
e  Purg.  xix.  3:  //  freddo  pianeta;  e  Conv.  ii.  14,  freddura  di 
Saturno.  Era  opinione  degli  antichi  astrologi  che  Saturno  tro- 
vandosi nell'emisfero  notturno  apportasse  gran  freddo.  E  nel 
Conv.  II.  14  ne  reca  pure  le  due  proprietà,  secondo  l'astrologia 
del  suo  tempo,  del  Cielo  di  Saturno:  cfL'una  si  è  la  tar- 
dezza del  suo  movimento  per  dodici  segni;  che  ventino  ve 
anni  e  più,  secondo  le  scritture  degli  Astrologi,  vuole  di 
tempo  lo  suo  cerchio  ;  l' altra  si  é,  che  sopra  tutti  gli  altri 
pianeti  esso  è  alto. 

Giove.  —  Ci  ricorda  il  candore  che  veramente  si  rav- 
visa nella  luce  di  questo  gran  pianeta: 

Quando  m' apparve  il  temperar  di  Giove 
Tra  '1  padre  e  '1  figlio.  Punì.  xxii.  145. 

Lo  candor  della  temprata  stella.  Par.  xvni.  08. 

Giove  è  stella  di  temperata  complessione:  Conv.  ii  14. 

stelle.  —  Nei  monti  che  più  si  elevano,  fuori  dei   più 
bassi  e  più  densi  strati  dell'atmosfera,  ove  non  giungono 
le  crasse  esalazioni  terrestri,  si  veggono  risplendere  le  stelle 
più  chiare  e  grandi  del  solito: 
Vedev'io  le  stelle 
Di  lor  solere  e  più  chiare  e  maggiori.   Purg.  xxvii.  89. 

E  dall'alto  dei  cieli  si  sta  pure  Dante  godendo  la  bella 
veduta  del  sistema  planetario  a  volo  d'uccello:  Par.  xxii. 


ASTRONOMIA.  273 

Via  Lattea.  —  La  Galassia  cioè  quel  bianco  cerchio,  che 
il  vulgo  chiama  la  via  di  Santo  Jacopo  ;  e  mostraci  Funo  dei 
poli,  e  l'altro  ci  tiene  ascoso:  e  mostraci  un  solo  movi- 
mento da  Oriente  a  Occidente  e  un  altro  che  da  Occidente 
a  Oriente,  quasi  ci  tiene  ascoso:  Conv.  ii.  15  -(Opinioni  di- 
verse sulla  Via  Lattea.  Id.) 

Questa  bella  zona  albicante,  meravigliosa,  fosforescente, 
che  cinge  il  cielo  intorno  intorno,  e  che  tanta  bellezza  accre- 
sce allo  stellato  della  notte,  non  apparì  pei  poeti  che  per 
quella  regione  riarsa  per  cui  trascorse  il  carro  del  Sole  mal 
guidato  da  Fetonte  (ynf.xvii.lOG),  e  pei  filosofi  non  altro  che 
la  saldatura  dei  due  emisferi  l'un  contro  l'altro,  e  al  tempo 
di  Dante  tutto  al  più  una  specie  di  meteora  sullunare.  Ma 
nel  XIV.  del  Par.  v.  97  il  poeta  si  slancia  verso  la  giusta 
divinazione  di  quel  portentoso  fenomeno  che  eccede  in 
sublimità  ogni  più  ardita  ed  iperpoetica  iraaginativa.  Eì 
vuole  insinuarci  che  quei  lumi  minori  e  mag(}i  insieme 
albicanti  abbiano  una  nobile  origine  ed  appartengano  alle 
regioni  sideree: 

Come  distinta  da  minori  e  maggi 

Lumi  biancheggia  tra  i  poli  del  mondo 

Galassia  sì,  che  fa  dubbiar  ben  saggi. 

Fin  dal  1750,  scrive  P.  Lioy,  cioè  fino  da  Tommaso  Wright, 
la  Via  Lattea  era  stata  considerata  ora  con  Aristotile  quale 
un  immensa  cometa,  ora  con  Tychone  quale  una  massa 
d' etere  cosmico  in  un'agglomerazione  incipiente.  A  di  nostri 
r  astronomia  non  ignora  che  la  Via  Lattea  è  un'  ammasso 
stellare,  e  la  bianca  luce  suffusa  di  cui  risplende,  che  Huy- 
gene  attribuiva  ad  una  nebulosità  generale,  venne  coli' aiuto 
dei  più  forti  telescopi  riconosciuta  dipendere  da  strati  di 
stelle  stipate  fra  loro  in  numero  indefinito.  Galileo,  senza 
il  soccorso  dei  telescopi  potenti  clie  oggidì  ingrandiscono 
l'orizzonte  degli  astronomi,  indovinava  la  costituzione  fisica 
delle  Nebulose  ;  Dante  e  Giordano  Bruno  indovinavano  la 
costituzione  fisica  della  Via  Lattea. 

Equatore. 

Che  'l  mezzo  cerchio  del  moto  superno, 
Che  si  chiama  Equatore  in  alcun'  arte, 
E  che  sempre  riman  tra  il  Sole  e  il  verno.  Pura.  iv.  79. 
Dante   chiama   l'Equatore   cerchio   del  molo  superno^  per 

VOL.   II.  18 


274  COGNIZIONI  SGIENTIFICnE. 

la  suprema  velocità  del  cielo  nell'  apparente  suo  giro  diurno 
in  quel  cerchio  ;  fuori  del  quale,  ne'  successivi  paralleli,  va 
sempre  scemando,  sino  a  divenir  nulla  affatto  ai  polì.  Indi 
ci  fa  notare  ch'esso  Equatore  sempre  rimane  tra  il  Sole  e 
il  verno;  ciò  eh' è  assolutamente  vero,  come  vedesi  col 
globo,  pel  luogo  da  essi  occupato  fuori  de'  tropici.  Poiché 
il  verno  è  prodotto  dal  maggior  abbassamento  del  Sole 
sull'orizzonte,  e  questo  accade  pe'  luoghi  del  nostro  emisfero 
boreale,  quando  il  Sole  si  accosta  al  tropico  australe  dall'al- 
tra parte  dell'Equatore;  e  per  l'opposto  nell'emisfero  au- 
strale, quando  il  Sole  va  al  tropico  boreale  da  quest'altra 
banda.  Ond'è  sempre  vero  ch'esso  Equatore  trovasi  tramezzo 
al  Sole  ed  al  verno: 
E  nel  X.  del  Par.  v.  8. 
A  quella  parte 
Dove  l'un  moto  all'altro  si  percote. 

Credevasi  allora  che  il  moto  diurno  di  tutto  il  cielo  del 
primo  mobile  (da  oriente  a  ponente)  venisse  ad  incontrarsi 
col  moto  orbitale  opposto  degli  altri  inferiori  (da  occidente 
ad  oriente).  E  in  ciò  consiste  quel  percuotersi  d'un  moto 
air  altro.  E  in  ciò  che  soggiunge  indica  poi  con  precisione 
eh'  ei  voleva  intendere  al  punto  stesso  dell'Equatore,  ove 
il  moto  diurno  è  più  violento: 

Vedi  come  da  indi  (dall'  Equatore)  si  dirama 
L'obliquo  cerchio  che  i  pianeti  porta.  Par.  x.  13. 

Così,  dice  Y.  Monti,  senza  usurpare  alla  fisica  celeste  una 
sola  parola  tecnica,  ei  n'esprimo  con  rigorosa  esattezza  i  più 
astrusi  misteri,  e  la  sua  lìiosoiìa  procede  sempre  in  abito 
di  poesia. 

E  al  V.  del  Paradiso,  v.  87,  l'Equatore  è  pur  chiamato 
quella  parte  ove  il  mondo  è  più  vivo,  essendo  realmente 
dottrina  provata  che  sotto  l'Equatore,  sì  ne' corpi  celesti, 
come  ne'  terrestri  tutto  ha  più  movimento,  e  per  conse- 
guente più  vita. 

Il  IBìole  è  sull'Equatore,  al  punto  degli  equinozi!.  _. 

Coll'intersezione  de'  quattro  cerchi  (l'orizzonte  stesso,  l'equa- 
tore, r  eclittica  ed  il  cloruro  degli  equinozj)  si  formano  tre 
croci,  dal  qual  punto  dell'orizzonte  il  Sole  esce  congiunto  con 
miglior  corso  e  con  miglior  stella.   E  con  ciò  ne  viene  a 


ASTRONOMIA.  Zio 

dichiarare  la  temperie  di  quella  stagione  atta  a  riscaldare 
la  materia  terrestre,  a  disporla  a  rivestirsi  delle  novelle 
forme,  nell'annuale  svolgimento  del  regno  organico: 

Surge  a'  mortali  por  diverse  foci 
La  lucerna  del  mondo  ;  ma  da  quella 
Cbe  quattro  cerclii  giugne  con  tre  croci. 

Con  miglior  corso  e  con  migliore  stella 
Esce  congiunta,  e  la  mondana  cera 
Più  a  suo  modo  tempera  e  suggella.  Par.  i.  37. 

Ed  altrimenti  ripete  questa  idea,  cioè  che  il  Sole  è  presso 
l'Equatore,  presso  l'intersezione  di  questo  con  l'eclittica, 
ove  han  principio  ì  segni  zodiacali.  E  per  togliere  l'equi- 
voco, aggiugne  che  si  trovava  nel  punto  in  cui,  venendo 
indi  a  descrivere  le  spire  ne'  paralleli  successivi,  si  trovava 
ove  in  dette  spire  si  appresenta  (a  noi  dell'emisfero  boreale) 
sempre  [Viii  tosto:  giacché  di  là  dall'equinozio  di  primavera 
accade  una  progressiva  anticipazione  nel  sorgere  del  Sole: 
Lo  ministro  maggior  della  natura, 

Che  del  valor  del  cielo  li  monJo  imprenta, 

E  col  suo  lume  il  tempo  ne  misura, 
Con  quella  parte  clie  su  si  rammenta 

Congiunto,  si  girava  per  le  spire 

In  che  più  tosto  ognora  s'  appresenta.  Par.  x.  28. 

DeirEcliltica  che  segna  in  due  parti  l'Equatore,  dei  poli,  ecc. 
V.  Conv.  111.  5. 

Zodiaco.  —  Lo  Zodiaco  è  nobilmente  chiamato  :  strade 
che  il  sole  infiamma:  Purg,  xviii.  79;  e  al  x.  del  Par.  v.  V,]. 

L'  obliquo  segno  che  i  pianeti  porta. 
Se  l'obliquità  dello  Zodiaco,  ossia  dell'eclittica  eh' è  nel  suo 
mezzo,  fosse  diversa  da  quel  eh' è,  le  stagioni  ed  il  loro 
avvicendarsi  porterebbero  grande  perlurbazionne  alle  nostre 
faccende,  quasi  oqni  potenza  (juaggiìi  sarebbe  morta:  Par. 
X.  15. 

I.UCC  Zodiacale.  —  Si  pretende  che  i  primi  a  por 
mente  alla  luce  zodiacale  sieno  stati  Childrey,  Chardyn  e 
0  Rothmann  ;  altri  dicono  un  certo  iTanccsco  Noci  nel  1084. 
Cassini  la  considerò  come  un  anello  di  corpi  planetarj  mi- 
nutissimi esteso  da  Venere  a  Marte.  Rifiutata  tale  ipotesi 
si  ricorse  a  quella  oggidì  addottala  che  riguarda  la  luce 
zodiacale  come  un  anello  di  materia  vaporosa  fuggila  dalla 
atmosfera  del  Sole.  Leggo  in  Dante  : 


276  COGNIZIONI  SCIENTIFICUE. 

Fetonte  abbandonò  li  freni. 
Perchè  '1  ciel,  come  pare  ancor,  si  cosse.  /«/",  xvii.  107. 

I  comentalori  giurano  sull'autorità  l'uno  dell'altro  chequi 
Dante  intenda  parlare  della  Via  Lattea.  Per  me  ricordo  l'o- 
pinione ben  altrimenti  scientifica  che  sulla  Via  Lattea  ha 
esposto  l'AUighieri  nel  xiv.  del  Paradiso;  ricordo  il  filosofo 
precursore  di  Vico  e  di  Herder,  e  m'impunto  a  credere  che 
Dante  in  quei  due  versi  abbia  inteso  favellare  della  luce 
zodiacale,  e  ne  abbia  favellato  con  una  metafora  che  in  sé 
racchiude  il  senso  della  teoria  oggi  dagli  astronomi  adot- 
tata su  tal  fenomeno  celeste.  P.  Lioy. 

Errori  Astronomici.  —  A'  SUOi    dì    Credevasi    che    la 

sfera  elementare  del  fuoco  tenesse  la  parte  più  sublime 
dell'aria  sino  al  concavo  dell'orbe  lunare  {Par.  i.  38;  Conv. 
111.  3);  e  la  sfera  del  fuoco  fosse  sito  proprio  del  folgore, 
donde  fugge  velocissimo  quando  si  precipita  su  d'una  nube, 
0  su  qualche  oggetto  terrestre  :  Par.  i.  92. 

E  secondo  Tolomeo,  che  l'ombra  conica  della  Terra,  da 
una  parte  illuminata  dal  Sole,  terminasse  con  la  sua  punta 
nel  pianeta  di  Venere  :  Par.  ix.  108. 

Dante  prende  partito  di  attribuire  le  macchie  che  vi 
hanno  nella  Luna  ai  corpi  rari  e  densi  della  sna  superficie  : 
Par.  II.  69.  Riteneasi  a'  suoi  tempi  che  la  luna  distasse 
dalla  Terra  a  160  mila  miglia,  onde  ne  toglievano  meno  di 
50  mila. 

E  che  Mercurio  perigeo  fosse  più  vicino  alla  Terra  che 
Venere  {Par.  v.  93);  e  che  la  rivoluzione  di  Marte  si  com- 
pisse in  quasi  due  anni  (Cowi;.  ii.  15;  Par.  xvi.  38),  e  che  il 
cielo  in  24  ore,  complesse  l'immenso  suo  giro  Intorno  alla 
terra:  Par.  ii.  21. 

E  credevasi  pure  allora  che  il  moto  diurno  di  tutto  il 
cielo  del  primo  motore  (da  oriente  a  ponente)  venisse  ad 
incontrarsi  col  moto  orbitale  opposto  dagli  altri  cieli  infe- 
riori (da  occidente  a  ponente]:  Par.x.l. 

E  che  le  stelle  splendessero  non  già  di  luce  propria, 
ma  retlessa  dal  Sole,  come  i  pianeti  :  Par.  xx.  6;  xxiii.  -  Esse 
possono  tramandare  II  riverbero,  sol  quando  II  Sole  che 
illumina  tutto  il  mondo,  dell' eìnisperio  nostro  si  discende. 


ASTRONOMIA.  277 

E  che  le  orbite  dei  pianeti  varie,  influendo  in  varie  di- 
rezioni, creassero  vari  efl'etti  nella  terra  :  Par.  x.  17.  -  Ma 
nel  C.  XX  del  Purfj.  v.  20,  il  grande  uomo,  con  un  lampo 
di  dubitanza,  si  eleva  sopra  i  varii  pregiudizi  del  secolo, 
quantunque  col  debito  riserbo  che  la  prudenza  impone 
ad  ogni  individuo  contemporaneo,  che  non  voglia  esser  preso 
per  pazzo. 

Questa  terra  è  fissa  e  non  si  gira;  essa  col  mare  è 
centro  al  cielo:  Conv.m.  5. 

Il  Capocci,  dopo  di  averci  mostrato  come  il  poeta  dal 
centro  della  terra  alla  sua  superficie  in  un  solo  giorno  per- 
corresse 3400  miglia  a  piombo,  lo  segue  nel  meraviglioso 
rapidissimo  volo  ch'ei  fa  nei  cieli:  in  pochi  minuti  secondi 
è  già  alla  prima  stella,  al  cielo  della  Luna;  ed  ha  valiche 
200  mila  miglia  {Par.  ii);  poi  in  un  attimo,  in  un  volo  molto 
più  sterminato  di  un  50  milioni  di  miglia,  tocca  il  cielo 
di  Mercurio  [Par.y);  appresso  con  un  salto  più  mortale 
trapassa  in  Venere,  la  quale  quando  si  accosta  più  a  noi, 
rimane  sempre  di  là  20  milioni  di  miglia,  e  nella  sua  mas- 
sima distanza  ne  si  allontana  oltre  140  [Par.  vm);  indi  in 
un  tempo  ancor  più  breve,  e  quasi  in  un  baleno  raggiugne 
il  Sole,  percorrendo  un  tratto  doppio  del  precedente  [Par.x); 
dopo  il  pianeta  di  Marte  (Par.  xiv),  facendo  un  altro  gran 
salto  verso  l'empireo,  ascende  in  Giove,  nel  sesto  pianeta 
[Par.  xviu)  ;  donde,  in  men  che  noi  dico,  nel  settimo  di 
Saturno  :  Par.  xxi.  In  questo  mezzo  il  poeta  si  è  discostato 
dal  centro  orbitale  della  terra  più  di  nove  in  dieci  volte 
la  distanza  media  del  sole,  cioè  10  volte  83  milioni  di  miglia. 
Ma  questo  bel  tratto  di  800  milioni  è  un  gioco  appetto  al 
volo  eh' è  già  per  fare  infino  alle  stelle.  La  più  vicina  delle 
stelle  ov'ei  si  slancia,  rimano  da  noi  lontana  più  di  200 
mila  volte,  cioè  dugento  mila  volte  83  milioni  di  miglia 
(Par.  xxii)  ;  di  là  alla  stella  dei  Gemini,  donde  si  piace  di 
godere  la  bella  veduta  del  sistema  planetario  a  volo  di 
aquila.  Quivi  ei  si  muove  con  quella  costellazione  dal  me- 
ridiano a  occidente  in  6  ore,  con  una  velocità  di  incirca 
un  1300  milioni  per  minuto  secondo.  -  Già  ei  fa  l'ultimo 
passo  ascendente  su  per  i  cieli  corporei  :  dal  nido  di  Leda, 


278  COGNIZIOM  SClEMiFlClIK. 

cioè  dall'  ottava  sfera  ei  passa  nella  nona,  eh'  è  il  più  ve- 
loce cielo,  il  velocissimo,  il  primo  mobile,  che  rapisce  lutti 
gli  altri  inferiori  con  sé  nel  moto  diurno:  Par.  xxviii. 

Errori  geografici.  —  Secondo  la  Geografia  de'  suoi 
tempi,  Dante  pone  i  termini  dei  climi  ai  termini  del  nostro 
emisfero  :  Par.  xxvii.  82. 

Supponeva  che  il  Mediterraneo  avesse  90  gradi  di  esten- 
sione, mentre  non  ne  ha  che  50  :  ove  ne  avesse  90,  sarebbe 
vero  che  ci  farebbe  meridiano,  dove  prima  era  orizzonte, 
perchè  tanto  accade  a  chi  si  muove  sulla  terra  per  90  gradi 
di  longitudine,  cioè  per  un  quarto  di  circonferenza  di  essa 
terra  :  Par.  ix.  86. 

11  Poeta  per  altro  egregiamente  chiamava  il  Mediterraneo: 
La  maggior  valle  In  che  l'acqua  si  spanda.  Par.  ix.  82. 
E  tale,  dice  il  Capocci,  è  veramente  rimasa  anche  dopo  che 
si  è  frugato  per  tutto  il  globo  terracqueo,  sendocchè  le 
valli  degli  oceani  non  contano:  ivi  è  la  terra  che  propria- 
mente si  spande  tra  le  acque.  Lo  che  è  detto  con  molta 
proprietà  e  da  buon  geologo. 

Il  Marocco  distava  assai  meno  da. Gerusalemme  da  quello 
che  il  poeta  suppone  ;  ma  quello,  dice  il  Capocci,  era  allora 
lo  stato  d'incertezza,  massime  per  le  longitudini,  nelle  posi- 
zioni geografiche.  Ed  a  me,  aggiunge  egli,  sta  in  testa  che 
egli  che  sapeva  tutto  quel  che  poteva  sapersi  in  quel  tempo, 
con  quel  suo  meraviglioso  acume,  dovea  nudrire  qualche 
sospetto  d'un  tale  errore;  laonde  piacemi  dì  attribuire  a 
quella  espressione  alla  riva  copre  la  notte  già  col  pie  Ma- 
rocco (/%r/7.  IV.  138),  l'intendimento  di  designar  un  luogo 
anche  più  occidentale,  ove  prolungar  dovevansi  le  rive  di 
quell'impero. 

Poneva  l'Italia  a  mezza  strada  tra  Gerusalemme  e  Ma- 
rocco, cioè  a  45*^  più  ad  occidente  di  quella  città  che  son 
tre  ore  del  giro  diurno. 

Ma  indicava  Marsiglia  con  la  precisione  del  Nautical- 
Almanac.  Buggea  e  Marsiglia  hanno  esattamente  lo  stesso 
grado  di  longitudine,  e  perciò  lo  stesso  meridiano:  Par. 
IX.  91. 

Siviglia  non   si   dilunga  da  Gerusalemme  che  di  50 


As^il0^0MIA.  279 

anziccliè  90  :  Inf.  xx.  124  -  Ma  devesi  riflettere,  ne  dice 
11  Capocci,  clic  il  poeta  non  aveva  a'  suoi  servigi  quel  bel 
globo  che  ora  noi  abbiamo  in  sul  tavolo.  Né  la  terra  ai 
suoi  tempi  era  così  ben  compassata  in  lungo  ed  in  largo, 
come  ora  è,  né  lo  stesso  Marco  Polo,  suo  contemporaneo, 
poteva  esprimersi  con  maggior  precisione  di  lui  su  tale 
oscura  bisogna.  Di  più  quando  egli  ne  dice  che  la  Luna 
toccava  V  onda  sotto  Sibilla,  vedete  che  positivamente  ci 
dinota,  che  la  non  si  trovava  più  culminante  sopra  Siviglia, 
ma  più  oltre  in  sull'oceano  Atlantico;  e  con  quel  sotto 
Sibilia,  conferma  che  la  era  già  discesa  nel  suo  curvo  giro 
diurno,  più  giù  verso  occidente. 

Da  Gibilterra  a'  lidi  opposti  di  Siria,  non  vi  ha  che  la 
metà  de'  90,  eh'  egli  suppone,  per  far  che  l' orizzonte  di  uno 
de'  detti  due  luoghi  sia  meridiano  per  l'altro:  Par.  ix. 
Tal  era  allora  lo  stato  infantile  della  geografia  e  della 
nautica,  priva  per  anco  della  bussola,  e  de'  sussidii  poscia 
trovati  per  la  esatta  determinazione  delle  longitudini. 

E  presuponeva  che  a  ponente  in  Ispagna  ove  cadono 
in  mare  le  acque  dell' Ebro,  sovrastasse  latta  Libra,  la 
Libra  celeste,  e  per  l'opposto  ad  oriente,  le  onde  dell'altro 
fiume,  il  Gange,  si  muovesse  sotto  la  sferza  del  Sole  ivi 
culminante:  Purrj.  xxvu.  1. 


MEDICINA 


Un  de'  famigliari 
Di  quel  sommo  Ippocratc,  clie  natura  • 

Agli  animali  fé  ch'ella  ha  più  cari.  Parg.  XXIX.  136. 

Tenne  le  cose  della  medicina  in  tal  conto 
da  divenirne  dottissimo.  VARCHI. 

Costretto  a  scegliere  tra  le  arti  diverse  onde 
erano  distinti  i  cittadini  di  Firenze,  erasi  messo  nel 
corpo  dei  medici.  Né  usurpava  tale  qualità.... 
OZAJi^AM,  C.  IV.  (1) 

Non  è  finezza  di  scienza  biologica,  frenolo- 
gia e  fisionomica,  che  non  possa  avvenirsi  nella 
dantesca  biologia.  D.r  ASSON. 


Medici  ricordati.  —  Dei  medici  ci  ricorda  Ippocrate, 
Greco,  da  Coo  {Inf.ìY.lì^;Purg.xs.i\.\^l;  Conv.i.S); 
Galeno,  di  Pergamo  in  Asia,  (in/,  iv.  143;  Conv.i.S);  ed 
Avicenna,  Arabo,  [Inf.  iv.  143;  Conv.  ii.  14, 15;  in.  14;  iv.  21); 
Avverrois,  kr^ho,  (in/,  iv.  144;  Coni;,  iv.  13. )  ;  e  de' suoi 
tempi  Taddeo,  medico  fiorentino,  di  gran  reputazione  nelle 
scienze  fisiche  che  mori  in  Bologna  nel  1293  (?)  Par.xu.  83. 

Della  generazione.  —  La  scienza  fisiologica  ed  insie- 
me la  patologica  gli  rese  agevole  di  fare  della  generazione 
de' corpi  e  dell'infusione  dell'anima  in  essi,  la  più  bella 
e  nuova  e  filosofica  e  insieme  poetica  spiegazione.  Per  essa  di 
leggieri  si  scorge  come  le  antiche  opinioni  presentissero 
alcune  scoperte  della  moderna  embriologia,  e  che  forse  po- 
trebbero farsi  germe  a  qualche  altra  nuova  scoperta .  -  Sulla 
generazione,  scrive  l' egregio  D'*.  Asson,  pensava  con  Ari- 
stotile, che  lo  sperma  (parte  elaborata  e  perfetta  del  sangue) 
non  assorbito  dalle  vene,  ma  rimasto  come  alimento  che 
dalle  mense  si  leva,  acquisti  nel  cuore  quella  virtù  infor- 

(1)  Nella  gran  Sala  del  R.  Archivio  centrale  di  Stato  di  Firenze,  de- 
dicata specialmente  agli  Archivi  delle  arti,  tra  le  altre  iraagini,  si  vede 
dipinta  quella  di  Dante  Allighieri  Med,  Spez.  MGGLXXXVH. 


MEDICINA.  281 

maliva  medesima,  che  vi  prende  il  sangue,  che  poi  discorre 
le  vene  a  ingenerare  tutte  le  membra.  Trasportato  quindi 
agli  organi  genitali  dell'uomo,  e  spinto  nell'utero  a  immi- 
schiarsi col  sangue  mestruo,  sopra  questo  come  potenza 
allora  operando,  lo  coagula  e  lo  ravviva,  e  n'esce  l'embrione, 
che  di  piaula  fatto  animale  diviene  aliìne  uomo  pensante: 
Purg.  XXV. 

Dante  nominò  l'ombelico  dalla  sua  vera  funzione,  la 
parte  donde  è  preso  prima  nostro  alimento;  e  definì  l'inte- 
stino dalla  più  ignobile  tra  le  sue  elaborazioni,  che  vi 
sostengono  gli  alimenti;  forse  per  servire  all'opportunità 
dell'orrida  bolgia  tutta  ingombra  di  sangue,  di  membra 
sparse,  di  viscere  dilaniate:  Inf.  xxviii.  -  DJ  Asson. 

Le  dottrine  esposte  nel  Convito  sulla  generazione  si  ri- 
sentono un  poco  degli  errori  degli  Averroistici,  da  Dante 
stesso  rigettati  nel  Purgatorio:  Conv.  iv.  21. 

E  il  Prof.  Filippo  Cardona  scriveva:  Ben  sapevasi  da 
quell'altissimo,  quasi  al  par  degli  odierni,  come  accada  il 
mistero  della  generazione  ;  onde  parla  a  dilungo  e  da  maestro, 
percorrendo  lamodernità,  vuoi  nel  concedere  all'  uomo  l'of- 
ficio attivo  e  dare  alla  donna  il  passivo  nel  lavorìo  for- 
mativo del  portato,  vuoi  nel  fare  a  questo  portato,  come 
a  soggetto  della  forza  vitale  correre  il  ciclo  di  vegetante 
di  senziente  e  di  razionale.  Sapeva  benissimo  in  che  modo  la 
creatura  mediante  il  cordone  ombellicale  od  ilo,  viva  di 
conserva  colla  pregnante;  giacché  in  un  medesimo  Canio 
parla  due  volte  di  quel  delicato  vincolo  sanguifero,  sia  quan- 
do, a  fare  intendere  la  cicatrice  che  sta  in  mezzo  del  ventre, 
dicendo  ove  comincia  nostra  labbia,  e  quando  per  descrivere 
il  cavo  del  ventre  favella  di  quella  parte,  dove  è  primamente 
preso  il  nostro  alimento  intrauterino  :  Inf.  xxv.  86. 

Le  tre  vite,  scrive  pure  il  D"".  Asson,  che,  seguendo  A- 
rìstotile.  Dante  ammise  nell'uomo,  rappresentano  quelle  Ire 
manifestazioni  somme  della  vita,  alle  quali  si  fanno  riuscire 
anche  oggidì  tutte  le  funzioni,  in  cui  ne  consiste  il  magi- 
stero: le  vegetabili*  o  nutritive,  le  animali  o  sensitive  e 
motrici  e  le  intellettuali:  Conv.  Tr.  m.  e.  2;  Purg.  xx\. 
Dante  espose  egregiamente  l'ordine,  con  cui  vanno  succe- 
dendosi queste  funzioni  nell'umano  embrione.  Questo,  in- 


*i82  COGNIZIONI  SCIENTIFICHE. 

iiauzi  lutto,  è  pianta,  diverso  dalla  vera  pianta  in  ciò,  che 
esso  è  in  sulla  via,  e  quella  al  termine  di  sua  tipica  for- 
mazione. In  vero  ascende  quel  primo  sbozzo  d' essere  orga- 
nico per  la  scalea  della  vita,  e  fassi  animale,  e  tal  si  palesa 
perchè  si  muove  e  sente:  primi  alti  dell'animalità,  che  il 
nostro  poeta  concede  al  zoolito,  o  fungo  marino,  estremo 
anello  della  serie: 

Tanto  ovra  poi  che  già  si  muove  e  sente, 
Come  fungo  marino. 

Quinci  sì  vanno  formando  e  perfezionando  gli  organi  :  e  al  fine 
si  palesano  le  alterne  e  antagonistiche  posizioni  del  piegarsi 
e  dello  stendersi,  i  movimenti.  Come  poi  il  feto  di  semplice 
animale  divenga  fante,  cioè  acquisti  con  la  favella  intelletto. 
Dante  n'  apprende  che,  quando  la  testura  del  cerebro  è  per- 
fetta. Dio,  lieto  della  meravigliosa  opera  sua,  vi  soffia  un 
novello  spirilo  pieno  di  virtù,  l'anima  razionale,  che  tira 
in  propria.sostanza  le  altre  due  anime,  una  sola  formandone, 
che  sola  governando  le  funzioni  di  tutte,  vegeta,  sente,  riflette: 

Che  vive,  sente,  e  sé  in  sé  rigira. 
Così  l'anima  razionale  uscita  da  Dio,  'si  fa  per  Dante  ca- 
gione e  atto  del  corpo  mostrando,  colle  maravigliose  azioni 
a  cui  lo  muove,  la  bontà  dell'origine,  e,  benché  una,  a  diverse 
potenze  conformasi,  e  nelle  diverse  membra  risolvesi:  Conv. 
Tratt.  HI.  e.  2.  -  Consegue  spontanea  da  questa  dottrina 
un  obbiezione  a  una  sentenza  di  Averroe,  che  lo  intelletto 
passivo  0  possibile  (come  chiamavasi  allora  dalla  scuola), 
voleva  dall'animo  separato.  E  nel  vero  in  esso  era  posto 
lo  intendimento  eh' è  facoltà  dell'anima  razionale.  Meno 
spontanea,  anzi  oserei  dire  meno  rigorosamente  giusta,  ne 
sorge  un'opposizione  ad  altra  sentenza,  allora  dominante, 
che  feriva  dirittamente  il  principio  dell'unità  dell'anima: 
ed  era  che  le  tre  anime  l'una  all'altra  si  succedessero. 
Come  Dante  potesse  o  sapesse  conciliare,  colla  sua  dottrina, 
che  assente  alla  successione  delle  tre  anime,  la  negazione 
di  quella,  io  non  dirò.  Certo  che,  ammettendo  poi  l'uni- 
ficazione delle  due  inferiori  nella  razionale,  cerca  di  porre 
in  accordo  due  opinioni,  a  prima  giunta,  irreconciliabili,  la 
successione  di  tre  anime  e  l'unità  dell'anima.  Egli  mira 
indubbiamente  a  combattere  la  successione  delle  anime,  e 


MEDICINA.  283 

a  provare  l'unità  dell'anima  in  quel  passo  della  divina  Come- 
dia,  ove  statuito,  che,  sebbene  l'anima  possegga  parecchie 
potenze,  l' esercizio  al)bastanza  intenso  di  una  è  valevole 
a  tutte  assorbirle  e  concentrarle  in  se,  aggiunge: 

E  questo  è  contni  quello  error,  che  crede, 
Che  un'anima  sovr'altre  in  noi  s'accenda.  Pwrgf,  iv.  5. 

Del  cuore  e  del  sangue.  —  Dante  nella  Vita  ISuova, 
aveva  stabilito  a  dimora  dello  spìrito  vitale  il  cuore.  Circa 
poi  le  funzioni  di  questo  centro  rilevantissimo  della  vita,  sa- 
rebbe vanità  il  voler  scorgere,  in  pochi  versi,  descritta  la 
circolazione  del  sangue,  quale  Cesalpino  ed  Arveo  la  trovarono 
e  descrissero  \m.-D/Asson.-{È  il  Biagioli  che  interpretando 
il  V. 90  del  C.  1.  dell'in/',  inclina  a  credere  che  Dante  a- 
vesse  un'anticipata  conoscenza  della  circolazione  del  sangue. 
Il  Magalotti  vuole  che  pigliasse  ivi  i  polsi  per  le  arterie, 
donde  lo  terrebbe  per  dotto  nei  movimenti  e  nell'  ufficio 
delle  arterie). 

Dopo  Dante,  che  chiamò  lago  la  parte  ima  e  cava  del 
cuore  (/n/".  1. 20),  Arveo  chiamò  questo  «tnr/wmjs  promptua- 
rium  et  cisterna.  Osservo  che,  durante  la  notte  trascorsa 
dallo  smarrito  poeta  nell'orrida  selva,  gli  si  mantenne  la 
paura  stretta  al  lago  del  cuore  perchè  il  pericolo  lo  mi- 
nacciava, ma  non  instava.  Ma  quando  la  liera  lupa  rese 
imminente  il  pericolo,  allora  l'impressione  del  terrore  si 
fece  di  centrale  periferica,  e  fecegli  tremare  le  vene  e  i 
polsi.  Le  vene  e  Varterie  interpretano  alcuni.  Nella  Vita 
Muova,  dice  Dante  che  alla  prima  comparsa  di  Beatrice  lo 
spirito  vitale,  abitante  nel  cuore,  cominciò  tremare  s\  for- 
te, che  appariva  ne'  menomi  polsi.  E  in  una  Canzone,  at- 
tribuiva, come  elVetto  di  mestizia  per  amore,  la  pallidezza 
al  reflusso  del  sangue,  disperso  per  le  vene,  al  cuore.  -  E 
il  sangue  eh' è  per  le  vene  disperso  Fuggendo  corre  verso 
Lo  cor,  che  il  chiama,  ed  io  divengo  bianco.  -  Questa  chiamata 
del  cuore  potrebbe,  da  qualche  moderno  tisiologo,  esser  intesa 
per  quella  facoltà  assorl)ente  attiva  che  fu  di  recente  ac- 
cordata a'  ceppi  venosi  del  cuore.  Io,  dal  mio  canto,  la 
stimo  pura  espressione  poetica.  Comunque  sia  direi,  che  il 
poeta,  ne'  precitati  passi,  meglio  che  il  compiuto  ministero 
del  circolo  sanguigno  intendesse   a  fisiologicamente  espri- 


284  COGNIZIONI   SCIENTIFICHE. 

mere  l'influsso  delle  passioni  sugli  organi  deslinati  a  sì 
rilevante  funzione.»  DJ Asson.  (Lo  Scolari,  inlerpretando 
il  V.  20  del  C.  I.  dell'/»/".,  vi  vuole  trovare  regolarmente  de- 
scritta l'affluenza  e  il  ristagno  di  questo  fluido  nel  cuore 
di  Dante  per  effetto  della  paura,  e  pensa  che  il  poeta  in 
più  luoghi  abbia  parlato  dei  movimenti  del  sangue  con  per- 
fetta conoscenza  di  causa). 

«  Che  se  pose  lo  spirito  vitale  nel  cuore,  non  considerò 
il  sangue  straniero  alla  vita,  né  subordinata  interamente 
la  vita  del  sangue  a  quegli  organi  alla  foggia  de' moderni 
.  solidisti.  Egli  si  uniformò  a  Mosè,  secondo  il  quale  il  sangue 
è  V  anima,  e  ad  Empedocle  che  questo  liquido  chiamò  il 
latice  alla  vita.  In  vero,  l'anima  di  Iacopo  del  Cassero, 
stato  assassinato  nel  vicino  Oriago  per  vendetta  di  A  zzo  VI 
marchese  di  Ferrara,  cosi  diceva: 

Gli  profondi  fori, 
Ond'usci  il  sangue,  in  sul  qual  io  sedea, 
Fatti  mi  furo  in  grembo  agli  Antenori.  Purg.  v.  73  »  -Dot.  Asson. 
Del  cervello.  —  Il  famoso  Floriano  Caldani  pensò  che 
Dante  nel  far  dire  a  Bertramo  del  Bornio: 
Partito  porto  il  mio  cerebro,  lasso! 
Dal  suo  principio,  eh'  è  'n  questo  troncone.  Inf.  xxvni,  140 
significar   volesse   diviso    dalla  midolla  spinale,   eh'  è  nel 
tronco  delle  vertebre,  e  di  cui  il  cervello  è  un  rigonfiamento, 
seguendo  così  l' opinione  di  Aristotile,  il  quale  fu  di  parere 
che  il  cervello  si  dovesse  considerare  quale  appendice  della 
midolla  spinale.  Erano  di  tal  sentenza  anche  Aristotile,  Pras- 
sagora  e  Plistonico,  al  riferire  di  Galeno. 

Del  passo.  —  Seguì  il  nostro  poeta  anche  nella  de- 
scrizione del  passo  i  dettali  della  fisiologia.  Dopo  aver 
riposate  nella  selva  le  membra  stanche  dal  lungo  camino, 
riprese  egli  la  via  nella  deserta  piaggia: 

Si  che  il  pie  fermo  sempre  era  il  più  basso.  Inf.  i.  30. 
.  Poscia,  al  cominciar  dell'  erta,  gli  mossero  incontro  le  fiere. 
Quando  si  camina  sul  piano,  il  piede  fermo  è  sempre  il  più 
basso.   Con  quel  verso  adunque  espresse  Dante,   che  dal 
luogo  ove  riposò  le  membra  alla  prima  salita  del  colle,  la 
via  era  piana.  Altrove  chiamò  il  passo  un  muover  d'anca. 
Sì . .    che  noi  eravam  nuovi 
Di  compagnia  ad  ogni  muover  d'anca.  Inf.  xxiii.  71. 


MED1CI^•A.  285 

Apprendono  l'analomla  e  la  fisiologia,  che  centro  della 
progressione  è  la  giuntura  dell'anca,  intorno  alla  quale 
muovesi  il  tronco,  per  traslocarsi  nella  progressione,  ubbe- 
dendo  alle  potenze  muscolari  de'  membri  inferiori,  che 
alternativamente  l'uno  appresso  l'altro  si  fermano  e  muo- 
vono, avanzando  e  acquistando  terreno  nel  passo. -D/Asson.- 
Del  cibo.  —  Certi  cibi  fan  gli  uomini  formosi  e  membru- 
ti, e  ben  veracemente  coloriti,  certi  fanno  lo  contrario  di 
questo:  Conv.  ni.  13. 

Egli  non  basta  il  prendere  cibo,  perchè  il  corpo  se  ne 
rinfranchi,  ma  è  necessario  che  lo  stomaco  lo  dispensi  equa- 
bilmente in  tutte  le  parti  onde  ne  viene  la  digestione.  La 
digestione  è  aiutata  dal  riposo: 

Convienti  ancor  sedere  un  poco  a  mensa, 
Perchè  11  cibo  rigido  e'  hai  preso 
Richiede  ancora  aiuto  a  tua  dispensa.  Par.  \.  ZI. 

Il  cibo  bene  smaltito  sarà  salutare,  e  lascierà  vitale  nutri- 
mento :  Par.  xvii.  131.  Il  soperchio  di  cibo,  o  la  mescolanza 
di  più  cibi  è  dannosa  alla  salute: 

La  dannosa  colpa  della  gola,  Jnf.  vi.  53. 
Colpe  della  gola, 
Seguite  già  da  miseri  guadagni.  Purg.  xxiv.  128. 

Principio  fu  del  mal ... 
Del  corpo  il  cibo  che  s'  appone.  Par.xwi.  138. 

Lo  Stomaco  pieno  d'umori  venenosi  e  contrarli ...  vivanda 
non  tiene  :  Conv.  i.  1. 

V  amore  del  gusto,  cioè  il  naturai  appetito  del  bere  e 
del  mangiare,  non  deve  accendersi  in  troppo  desiderio,  e 
diventar  passione  (troppo  desio  non  fuma)  nella  qual  parola 
fuma  ci  mostra  bellamente  come  la  crapula  turbi  ed  olfu- 
schi  r  intelletto  coi  fumi  che  manda  al  cerebro.  Nei  cibi 
dobbiamo  attenerci  a  un  giusto  mezzo,  il  quale  debb'  esser 
determinato  dal  puro  bisogno:  esuriendo  sempre  quanto  è 
(jiusto:  /^wr//.  XXIV.  152. 

Il  bisogno  del  cibo  è  maggiore  nei  corpi  teneri,  perchè 
i  tessuti  non  solamente  debbono  ristorare  le  perdite,  ma 
di  più  pigliare  incremento.  Dante,  spertissimo  della  tisiolo- 
gia, come  di  tutte  le  altre  discipline,  fa  morire  di  fame  i 
tìgliuoli  di  Ugolino  più  o  men  presto,  secondocchè  la  loro 
età  ei:a  minore  o  maggiore:  Inf.  xxviii.  70. 


286  COGNIZIONI  SCIEMIFICUE. 

Oltre  alle  azioni  e  funzioni  naturali  del  corpo  umano, 
pose  Dante  la  mente  ad  alcuni  stati  morbosi,  e  fu  in  questo 
non  meno  verace  e  vivo  pennelleggiatore. 

Febbre.  —  Egli  non  dimentica  alcuno  dei  fenomeni, 
quando  ci  entra  la  febbre.  Ei  segna  il  triemito  e  il  dibat- 
timento de'  denti  in  noia  di  cicogna,  quel  gelo  che  stringe 
le  viscere  e  discorre  in  tutta  la  persona,  e  perfino  la  smorta 
unghia,  onde  il  febbricoso  non  vorrebbe  uscir  del  sole,  e 
al  veder  pur  l'ombra  triema: 

Quale  colui,  cb'è  sì  presso  al  riprezzo 
Della  quartana,  e'  ha  già  1'  unghie  smorte, 
E  triema  tutto  pur  guardando  il  rezzo.  Inf.  xvii.  83. 

E  segna  lo  sbadiglio  precursore,  non  appena  cominciamo 
sentir  di  febbre: 

Co'  pie  fermati  sbadigliava 
Pur  come...  febbre  l'assalisse.  /w/".xxv.  89. 

E  quando,   la  febbre  monta  sul  gagliardo  dell'accessione, 
duole  forte  il  capo,  bruciano  le  membra,  un'  arsura  e  un 
molesto  aridore  ci  cuoce  le  fauci,  inestinguibile  la  sete,  e 
per  infino  un  fumo  puzzolente  ne  viene  dall'ardore  febbrile: 
Tu  hai  l'arsura,  e  77  capo  che  ti  duole.  Inf.  xxx.  129. 
A  te  sia  rea  la  sete  onde  ti  crepa 
La  lingua  .  .  .  Che  s' io  ho  sete  .  .  .  Inf.  xxx.  121. 120. 

Li  duo  tapini, 
Che  fuman  come  man  bagnata  il  verno  .  .  . 
Per  febbre  acuta  gittan  tanto  leppo. 

Quanto  più  languidamente  il  Petrarca: 

Quel  ha  già  l  nervi  e  i  polsi  e  i  pensier  egri, 
Cui  domestica  febbre  assalir  suole.  San.  56.  p.  2. 

Nel  Trat.Y.  del  Convito,  e.  12,  ricorda  la  sete  dì  casso  (petto) 
fehricunte  intollerabile. 

9iaciienza.  --  Estrema  macilenza  induce  somma  debo- 
lezza; apporta  ora  torpore  ed  ora  somma  sensività:  Purn. 
xxu.  34.  -  Inf.  xxxiu.  61. 

idropc  o  Ascite.  —  E  l' idropico  descrive  con  tale  ve- 
rità che  ne  disgrada  un'opera  nosologìca  e  medica;  e  vi 
nota  il  volto  e  il  collo  arido  e  scarno,  e  l'ingrossamento 
de'  visceri  ipocondriaci,  onde  grosso  assai  il  ventre  pel 
putrido  umore  che  lo  goniìa,  e  il  ventre  incroiato  e  du- 
»ro.  E  nota  come  T  ascite  guasti  e  corrompa  gli  umori, 


MEDICINA.  287 

rivolgendosi  questi  dove  non  dovrebbero,  onde  dispaiale 
le  membra,  mentre  altre  ingrossano,  dimagrano  l'altre.  Né 
dimentica  i  fenomeni  più  salienti  di  questa  malattia,  la 
sete  ardente  ed  Inestinguibile,  e  la  stanchezza,  effetti  es- 
senzialmente legati  alla  natura  del  morbo: 

r  vidi  un  fatto  a  ^uisa  di  Uuto, 
Pur  ch'etrli  avesse  avuto  l'anguinaia 
Tronca  dal  lato  che  l' uomo  ha  forcuto. 

La  grave  idropisia  che  sì  (Us\mia 
Le  membra  con  l'  umor  che  mal  converte, 
Che  '1  vis'o  non  risponde  alla  ventraia, 

Faceva  lui  tener  le  labbra  aperte,  ... 
....  che  mi  vai,  eh'  ho  le  membra  legate  .  .  . 
,  .  ,  .  un  gli  percosse  l' epa  croia  . 

....  ancor  che  mi  sia  tolto 
Lo  muover  per  le  membra  che  son  (jravi  .  . 

A  te  sia  rea  la  sete  onde  ti  crepa, 
Disse  '1  Greco,  la  lingua,  e  l' acqua  marcia 
Che  't  ventre  innanzi  agli  occtii  si  t'assiepa. 

S' i'  ho  sete,  ed  umor  mi  rinfarcia.  Inf.  xxx.  49  e  seg. 

Etisìa.  —  E  ricorda  pure  la  sete  che  di  continuo  cruc- 
cia l'etico: 

Faceva  lui  tener  le  labbra  aperte, 
Come  l'etico  fa,  che  per  la  sete 
L'un  verso  '1  mento  e  l'altro  in  su  riverte.  Inf.  xxx.  Sii. 

Epilessia. —  L'epilessia,  0  morbo  sacro,  avvilisce  e 
meglio  interrompe  il  senso  e  l'intlusso  della  volontà.  E  i 
sintomi  ddV  oppila z ione  (licantropia,  o  chiudimento  dei 
sensi)  che  seguir  sogliono  l'applicazione  degli  agenti  più 
dirittamente  infesti  alla  vita  non  possono  celarsi  agli  oc- 
chi del  medico  in  questa  famosa  comparazione.  Al  cessare 
dell'insulto  non  rintegransi  tosto  il  senso  e  il  movimento 
volontario:  rimane  ancora  una  stupidezza  un  languore. 
A' tempi  di  Dante  dominava  in  medicina  l'iimorismo,  e  questa 
malattia  deducevasl  dagli  umori  rattenuti  nel  loro  discor- 
rimento : 

E  qual  e  quei  che  cade,  e  non  sa  corno. 
Per  forza  di  denion  che  a  terra  il  tira, 
0  d'altra  opjnlazion  che  lega  l'uomo, 
Quando  si  leva,  che  intorno  si  mira, 
Tutto  smarrito  dalla  grande  angoscia 
Ch'egli  ha  so/ferta,  e  guardando  sospira.  Inf.  xxiv.  112. 

ruraiisi.  —  E  ricorda  un'altro  morbo  nervoso,  una  specie 


288  COGNIZIONI  SCIENTIFICHE. 

(li  tetano,  che  potrla  chiamarsi  Iropostono,  in  cui  egli 
immagina  che  né  davanti  ne  di  dietro,  né  di  fianco  si  curvi 
0  torca  la  persona  degl'indovini,  ma  che  con  un  certo 
scavezzamento  di  collo  la  testa  si  gira  in  guisa  di  guardare 
le  spalle: 

Forse  per  forza  già  di  parlasia 
Si  travolse  così  alcun  del  tutto, 
Ma  io  noi  vidi,  né  credo  che  sia.  Inf.  xx.  16. 

Da  sé  stesso  però  dice,  che  in  patologia  questo  travolgi- 
mento non  si  conosce,  facendo  così  aperto  ch'egli  era  in 
quella  disciplina  molto  innanzi,  e  che,  penetrato  l'andamento 
della  morale  caducità,  sapeva  rallargare  il  campo  nosologico. 
Scabbia.  —  Né  dimentica  quelle  alterazioni  del  tessuto 
cutaneo,  che  sono  delli  malori  della  pelle,  onde  mirabilmente 
dipinge  gli  scabbiosi  : 

r  vidi  duo  sedere  a  se  poggiati. 
Come  a  scaldar  s'  appogy:ia  tegghia  a  tegghia, 
Dal  capo  a' pie  di  schianze  maculati; 

E  non  vidi  giammai  menare  stregghia 
Da  ragazzo  aspettato  dal  signorso, 
Né  da  colui  che  mal  volentier  vegghia; 

Come  ciascun  menava  spesso  il  morso 
Dell'  unghie  sovra  sé  per  la  gran  rabbia 
Dai  pizzicor,  che  non  ha  più  soccorso. 

E  si  traevan  giù  l'unghie  la  scai)bia. 
Come  coltel  di  scardova  le  scaglie, 
0  d'altro  pesce  che  più  larghe  r  abbia.  Inf.  xxix.  73. 

«  Dietro  Galeno,  i  Greci  del  basso  impero  e  gli  Arabi  rap- 
presentano la  lebbra  per  una  forma  squamosa  di  cutanea 
malattia.  Dante,  nello  assomigliare  le  squame  a  quelle  dello 
scardova,  o  d'altro  pesce  che  più  larghe  l'abbia,  mostrava 
riguardare  a  quella  sembianza  di  malattia  squamosa,  che 
i  moderni  discernono  col  nome  (Vittiosi,  e  che  a  quei  tempi 
era  indistinta,  e  andava  confusa  con  le  altre  lebbre.  » 
.  DJ  Àsson. 

Malattia  d'Occhi.  —  L'oi'gano    visivO,    Cioè  l'OCChio, 

lo  quale  per  infermità  e  per  fatica  si  trasmuta  in  alcuno 
coloramento,  e  in  alcuna  debilità;  siccome  avviene  spesse 
volte,  che  per  essere  la  tunica  della  pupilla  sanguinesa 
molto  per  alcuna  corruzione  d' infermitade,  le  cose  paiono 
quasi  tutte  rubiconde  ....  E  per  essere  lo  viso  debilitato 


MEDICINA.  289 

Incontra  in  esso  alcuna  disgregazione  di  spirilo,  sicché  le 
cose  non  paiono  unite,  ma  disgregale,  quasi  a  guisa  che  fa 
la  nostra  lettera  in  sulla  carta  umida.  E  questo  è  quello 
per  che  molti  quando  vogliono  leggere  si  dilungano  le  scrit- 
ture dagli  occhi,  perchè  la  imagine  loro  venga  dentro  più 
lievemente  e  più  sottile;  e  in  ciò  più  rimane  la  lettera 
discreta  (ben  composta)  nella  vista  ....  Per  aflalicare  lo 
viso  molto  a  studio  di  leggere,  in  tanto  debilitai  gli  spiriti 
visivi,  che  le  stelle  mi  pareano  tutte  d'alcuno  albore  om- 
brate: e  per  lunga  riposanza  in  luoghi  scuri  e  freddi,  e  con 
aflreddare  lo  corpo  dell'occhio  con  acqua  chiara,  rivinsi 
la  virtù  disgregata,  che  tornai  nel  primo  buono  stato  di 
vista:  Coni?,  in.  9. 

Il  Presbita  non  iscorge  che  a  gran  distanza  gli  oggetti, 
mentre  dappresso  gli  son  confusi:  rioi  veggiam,  come  quei 
e' ha  mala  luce:  Inf.  x.  100.  -  Il  miope  animica,  per  discer- 
nere bene  i  soli  oggetti  vicinissimi  che  di  lontano  non  gli 
giunge  il  nerbo  del  viso:  Inf.  v.  21. 

Pazzia.  —  Precipua  cagione  del  delirio  e  della  mania 
è  un  forte  dolore. 

Tanto  il  dolor  le  fé  la  mente  torta.  Inf.  xxx.  21. 
Ed  è  la  mente  non  sana  per  l'alterazione  del  cerebro:  Conv. 
IV.  151. 

Sen  glo  come  persona  trista  e  matta.  Inf.  xxvii.  111. 

Né  dimentica  l'inquietudine  onde  son  travagliati  gli 
infermi  : 

Vedrai  te  somigliante  a  quella  inferma, 
Che  non  può  trovar  posa  in  su  le  piume, 
Ma  con  dar  volta  suo  dolore  scherma.  Purg.  vi.  149. 
E  ricorda  il  salasso  t 

Come  sangue  che  fuor  di  vena  spiccia.  Purrj..  ix.  102. 
Pestilenze,  e  luo{;;;lii  miasmatici.  —  E  ricorda  pure 

la  provenienza  dall'  Africa,  non  meno  che  de'  rettili  velenosi, 
delle  pestilenze:  Inf.  xxiv.  85.  Nò  disconosce  gl'influssi 
de'  luoghi  miasmatici,  e  grama  chiamò  nella  slate  quella 
lama  che  il  Mincio  impaluda  [Inf.  xx.  81)  ;  e  rammenta  la 
infezione  e  il  puzzo  che  si  leva,  tra  la  slate  e  l'  autunno, 
dagli  spedali  di  Valdichiana,  di  Maremma  e  di  Sardegna,  e 
l'antica  micidial  conlagione  d'Egina:  Jnf.  xxix.  46.  -  Don. 
Asson. 

Sui.  II.  19 


290  COGMZIOM  SCIEMIPICHE. 

iissidcrazionc.  —  E  delinea  pure  l'assiderazìone  delle 
anime  immerse  nella  ghiacciaia  del  cupo  abisso,  notando 
la  lividezza  della  faccia,  lo  stridore  dei  denti,  l'insensibilità 
della  parte  esposta  al  freddo,  quasi  fosse  incallita,  e  lo 
aggelamento  delle  lagrime  che  rincaccia  e  rinconcentra  la 
ambascia  del  cuore:  Inf.  xxxii.  33.  -  DJ  Associ.  - 

Paure  e  patemi  d'animo.  —  NÒ    gli    fuggirono   allo 

sguardo  scrutatore  tutti  i  fenomeni  che  ingenera  in  noi  la 
paura  ed  i  forti  patemi  di  animo. 

La  paura,  non  che  un  gagliardo  morale  commovimento, 
agita  il  sangue   per  tutte  le  membra  e  accelera  il  battito 

dei  polsi  : 

Mi  fa  tremar  le  vene  e  i  polsi.  Inf.  i  90. 
Men  che  dramma 
Di  sangue  m'è  rimasa  che  non  tremi.  Purg.\i\.  ìt. 
Si  condusse  a  tremar  per  ogni  vena.  Purg.  xu.  138. 

il  quietarsi  dalla  paura  importa  il  cessare  di  quel  tremito 
ch'essa  genera  nella  cavità  del  cuore,  ove  il  sangue  s'aduna. 
Donde  avviene  che  nella  paura  l' uomo  si  fa  pallido,  perchè 
il  sangue  per  le  vene  disperso  Fuggendo  corre  verso  li  cor 
che  'l  chiama:  Cans.  i.  3. 

Allor  fu  la  paura  un  poco  queta, 
Che  nel  lago  del  cuor  m'era  durata.  Inf.  1. 19. 

il  sangue  per  se  non  triema,  ma  in  un'estremo  abbatli- 
mento,  il  cuore  e  l'arterie  scemano  di  molto  l'azione  loro, 
per  lo  che  il  sangue  sembra  sostare  ed  oscillare. 

La  paura  sconcerta  l' innervazione,  onde  ne  segue  somma 
diminuzione  degli  atti  vitali,  e  sovrattutto  nella  tempera- 
tura vitale  una  quasi  sospensione  di  esistenza;  il  perchè 
assennatamente  Dante  diceva  che  della  paura  era  tuffo 
gelafo:  Purg.  viii.  42.  Nò  solo  può  diminuirne  gli  atti,  ma 
interromperli  e  quasi  abolirli  :  Inf.  iii.  135. 

Nella   paura   il  nostro  cuore   si  rimpicciolisce,   è  in  sé 
ristretto.  Ma  quando  si  siam  fatti  sicuri,  il  cuore  pare  di- 
latarsi e  diffondere  forza  a  tutto  il  corpo: 
Non  aver  tema .... 
Fatti  sicur,  che  noi  siamo  a  buon  punto: 
Non  stringer,  ma  rallurga  ogni  vigore.  Purg.  ix.  4(5. 

Un  altro  fenomeno,  degno  di  attenzione,  notava  nello 
influsso  della  paura  :  essa  sgagliarda  e  dà  forza,  lo  che  non 


MEDICINA.  291 

SÌ  potrebbe  altrimenti  spiegare  che  invocando  l'istinto  con- 
servatore :  Inf.  xxv.  25-28. 

La  paura  fa  che  si  senta  il  male,  quando  ancóra  non 
ci  è;  l'anticipa.  Dante  era  tanto  paventoso  dei  demoni  che, 
sebbene  lontani,  già  gli  sentiva  dappresso: 

Io  glMnimagino  sì,  che  già  li  sento.  Inf.  xxiii.  24. 

Un'oggetto  che  già  veramente  eccitò  l'anima,  ancorché 
ci  si  tolga  dinanzi,  lascia  tuttavia  la  continuazione  de'  me- 
desimi effetti.  Intervenendo  poi  che  cessino  alquanto,  si 
risvegliano  ben  tosto  e  con  impeto  uguale,  qualvolta  l'ob- 
bietto  ritorni  presente  all'  immaginativa.  In  molti  luoghi 
della  div.  Comedia  viene  espresso  tal  costante  procedimento 
di  natura.  Cosi  lo  spavento  che  Dante  ebbe  di  quel  tremuoto 
è  tale  che  ancora  a  pensarci  gli  eccita  il  sudore  ;  sì  grande 
fu  il  travaglio  sofferto:  Inf.  iii.  132.  E  quando  vide  alcuni 
visi  fatti  cagnazzi  per  gran  freddo,  egli  ne  ricorda  che 
gli  venne  paura  e  verrà  sempre  (mirando)  dei  gelati  guazzi, 
perchè  questi  gli  richiameranno  ognora  quelle  orribili  viste 
[Inf.  xxxii.  70):  altrove  dice  similmente:  Io  vidi,  ed  anche 
il  cuor  mi  s'accapriccia  [Inf.  xxii.  31)  :  Aimè,  che  piaghe  vidi 
ne'  lor  membri  Recenti  e  vecchie  dalle  fiamme  incese  !  Ancor 
men  duol,  pur  ch'io  me  ne  rimembri:  Inf.  xvi.  IO. 

Sovente  un  forte  patema  interrompe  in  un  punto  Fin- 
nervazione,  onde  la  persona  cade  vinta:  Inf.  v.  141;  Purg. 
XXXI.  85. 

Sovente  ce  ne  viene  un'  abbattimento  nervoso  ;  il  cuore 
conserva  in  paye  la  sua  attività,  né  solo  son  privati  gli 
organi  estremi,  ma  poco  stante  il  cuore  rende  virtù  di 
fuore:  Purr/.  xxxi.  91. 

E  spesso  ancora  non  si  può  piangere  né  sospirare;  ma 
questo  stato  non  è  durevole  ;  vi  succedono  poco  stante  i 
sospiri  e  le  lagrime,  quasi  crisi  della  malattia:  certo  T in- 
terna ambascia  viene  alleviata:  Purg.xw.^ì. 

Sovente  producono  contrarli  effetti,  norj  contemporanei 
ma  successivi.  L' immenso  dolore  del  Co.  Ugolino  dapprima 
r  impietosì  (V.  42),  poi  gli  vietò  il  pianto,  gli  tolse  la  pa- 
rola, lo  impietrì  (v.  49),  indi  d'un  tratto  il  fé' per  dolore 
mordergli  le  labbra:  v.  58.  Per  Tafilizione  del  cuore,  l'a- 
zione del  comune  sensorio  sui  muscoli  riraan  quasi  sospesa. 


292  COGNIZIONI   SClENTiriCUE. 

l'innerva  zione  è  siffaltamenle  interrotta,  che  non  può  esservi 
secrezione  delle  lagrime,  e  questo  è  il  primo  effetto  ;  nasce 
il  secondo  da  diffusione  di  eccitamento. 

L' assuefazione  ottunde  il  se  nso.  Dante  fa  dire  a  Virgilio 
che  conviene  scendere  adagio,  a  ffinchè  il  senso  a  poco  a 
poco  s'avvezzi  al  triste  fiato: 

Lo  nostro  scender  conviene  esser  tardo, 
Sì  che  s'ausi  prima  un  poco  il  senso 
Al  triste  fiato  .  .  .  Inf,  xi.  10. 


GIURISPRUDENZA  DANTESCA 

SPECIALMENTE  PENALE 


Tatto  «uo  amor  laggiù  pose  a  dritta». 
Par.   XX.  121. 
Diligite  justitiam ...  qui  jndicatis  terram. 
Pai.  XVni.  91. 
Nella  serie  de'ritratti  dei  giureconsulti,  lUnstrinm 
jnreconsultorum     imagines,    Romae   1366,   in   lY. 
trovasi    il  ritratto    di  Dante    tolto   dal  Museo  di 
Marco  Maotora  Benavids,  giureconsulto  padovano. 
SCOLARI. 


Graziano  da  Chiusi,  ordinando  i  canoni,  diede  un  intero 
sistema  di  giurisprudenza  ecclesiastica,  e  si  meritò  le  lodi 
del  più  grande  italiano  del  medio  evo: 

Queir  altro  fiammeggiare  esce  del  riso 
Di  Grazian,  che  l' uno  e  r  altro  fóro 
Aiutò  sì,  che  piace  in  paradiso.  Par.  x.  103. 

E  dal  cielo  di  Mercurio  il  poeta  fa  che  Giustiniano,  il 
riformatore  delle  leggi,  ritessa  l'istoria  dell'aquila  romana 
e  ne  mostri  i  diritti  divini  {Par.  vi);  ed  ei  pure  si  piace 
di  assegnare  alto  seggio  di  gloria  a  quei  che  amarono  la 
giustizia  e  bene  l' amministrarono  nei  popoli  :  Par.  xviii. 

La  legge.  —  Dio  Creò  l'uomo  sociale,  né  v'ha  alcuno 
che  abbia  il  bene  dello  intelletto  che  lo  neghi.  La  società 
è  la  naturale  ed  ispontanea  unione  delle  forze  comandata 
all'uomo  dalla  providenza,  e  regolata  dalla  légge  della 
necessità  per  raggiungere  lo  scopo  comune  della  prosperità, 


GIURISPRUDENZA.  293 

mercè'  Il  per  fezìonamento.  Dunque  la  società  importa  leggi  : 
la  1  egge  è  la  regola  direttiva  della  vita  {De  Mon.  1. 15)  ;  è 
la  ragione  scritta  (Conv.  iv.  9);  è  una  guida  o  freno  che 
ìnd  irizza  l' istinto,  che  governa  le  umane  tendenze,  onde 
non  corrano  dietro  al  torto  amore,  e  che  debba  tener  Vuomo 
dentro  a  sua  meta  [Purg.xw.lii).  È  arte  di  bene  e  d'equità: 
Conv.  IV.  9.  -  Se  gli  uomini  bene  conoscessero;  l'equità,  e  co- 
nosciuta la  servassero,  la  Ragione  scritta  non  sarebbe  me- 
stieri: Id. 

Onde  convenne  legge  per  fren  porre.  Purg.  xvi.  94, 
e  certo:  senz'esso  fora  la  vergogna  meno.  Purg.  vi.  90. 

La  ragione  jus  è  una  proporzione  reale  e  personale  tra 
uomo  e  uomo,  la  quale  quando  si  osserva  conserva  1'  umana 
congregazione,  e  quando  è  corrotta  la  corrompe...  È  neces- 
sario che  il  fine  di  qualunque  ragione  sia  il  bene  comune, 
ed  è  impossibile  che  sia  ragione  quella  che  non  attende 
al  bene  comune.  E  però  Tullio  nella  i^rimdi  Rettorica  dice: 
che  sempre  si  vuole  interpretare  le  leggi  a  utilità  della  Re- 
pubblica. E  se  le  leggi  non  si  dirizzano  a  utilità  di  coloro 
che  sono  sotto  la  legge,  hanno  solo  il  nome  di  leggi,  ma 
in  verità  non  possono  essere  leggi.  Imperocché  conviene 
che  le  leggi  uniscano  gli  uomini  insieme  a  utilità  comune  : 
De  Mon.  ii.  o.  -  Non  è  la  civiltà  a  fine  delle  leggi,  ma  anzi 
le  leggi  a  fine  di  civiltà:  De  Mon.  i.  14. 

Perchè  una  civile  comunanza,  uno  stato  cresca  e  fiorisca, 
fa  mestieri  che  le  leggi  non  sieno  un  nome  vano  senza 
subbietto.  Che  importa  se  vi  sien  le  leggi,  se  pochi  pongono 
mano  ad  esse?  Purg.wì.^l.  Dinanzi  alla  veneranda  auto- 
rità della  legge  non  vi  debbono  essere  né  immunità  né 
privilegii;  tanto  più  che  dove  V  argomento  della  mente 
S'aggiugne  al  mal  voler  e  alla  possa  Nessun  riparo  vi  può 
far  la  gente  :  Inf.  xxxi.  53. 

«  L'osservanza  alle  sacrosante  leggi,  che  della  naturale 
giustizia  imitano  V  imagine,  se  lieta  é,  se  franca,  non  sola- 
mente provasi  non  essere  servitù,  ma  anzi,  a  chi  guarda 
diligentemente,  apparisce,  qual  essa  è,  la  maggiore  delle 
libertà:  E  che  é  altro  infatti  la  libertà,  se  non  il  libero 
passaggio  della  volontà  all'  azione,  passaggio  che  le  leggi 
appianano  ai  loro  seguaci?  »  {Epist.  vi.  §  5.) 


294  COGNIZIONI   SCIENTIFICHE. 

Le  leggi  debbono  essere  chiare,  nette  e  precise,  né  sog- 
gette alla  troppo  facile  interpretazione  altrui.  Giustiniano 
è  altamente  lodato  perchè  d'entro  alle  ler/f/ì^  con  che  quel 
savio  imperatore  racconciò  il  freno  ali  llalia  (Pwrr/.  vi.88), 
trasse  il  troppo  e  il  vano  {Par.  vi.  13),  e  per  esse  illuminò 
le  genti  a  vita  civile.  —  Le  leggi  vogliono  esser  corrette 
con  discrezione  [co\Y  occhio)  della  ragione  mercè  cui  essa 
apprende  la  differenza  delle  cose  in  quanto  sono  ad  alcuno 
fine  ordinate  [Conv.  1. 11),  e  con  amore  e  zelo  della  giusti- 
zia, onde  il  poeta,  rivolgendosi  alla  patria  sua,  esclamava: 

E  le  focose  tue  mal  giuste  leggi 
Con  discrezion  correggi, 
Sicché  le  laudi  '1  mondo  e  '1  divin  regno:  Caìiz.  xx.  3. 

La  frequente  mutabilità  delle  leggi  èruinosa  sempre  al  regime 
pubblico  ;  sicché  il  poeta  con  iierissimo  disdegno  rimprovera 
Fiorenza  pei  suoi  tanto  sottili  provvedimenti,  che  a  mezzo 
novembre  non  giungeva  quello  che  filava  d'ottobre:  Purg. 
VI.  139. 

Anche  nella  giurisprudenza  si  debbono  lasciare  le  dot- 
trine vaghe,  incomprensibili  ed  inapplicabili.  Torna  sempre 
vero  che  l'esperienza,  giusta  i  dettati  dell'italica  scuola, 
è  fondamento  solidissimo  di  tutte  le  scienze  e  di  tutte  le 
arti  umane: 

Da  questa  instanzia  può  deliberarti 
Esperienza,  se  giammai  la  pruovi, 
Ch'esser  suol  fonte  ai  rivi  di  vostr'arti.  Par.  u.  94. 

Ed  ei,  non  come  ghibellino,  ma  come  filosofo,  taccia  di 
presontuosi  i  giureconsulti,  e  li  danna  al  silenzio,  perchè 
dispregiavano  la  filosofia  speculativa  :  De  Mon.  ii.  10. 

Le  idee  dell'Allighieri  sulla  nozione  del  diritto,  così  il 
prof.  Carmignani  {Dissertaz.  sulla  Monarchia  di  Dante)  ra- 
zionalmente considerato,  sulla  libertà,  sulla  giustizia,  sulla 
legge  come  espressione  della  mente  e  della  volontà  sociale, 
sono  d'una  meravigliosa  esattezza,  e  d'una  più  meravigliosa 
originalità.  Gli  Scolastici  non  seppero  imaginare  un  diritto, 
che  dalla  volontà  d'un  superiore  e  da  una  legge  preesi- 
stente non  derivasse.  Dante  lo  ravvisa  nella  ragione  e  nelle 
sue  leggi,  perchè  per  queste  sole  leggi  son  consciute  ed 
esistono  le  proporzioni,   definendolo  una  personale  o  reale 


GIURISPRUDENZA.  295 

proporzione  da  uomo  a  nomo,  osservata  la  quale  avvi  rela- 
zione sociale  Ira  loro.  Nella  quale  definizione  cinque  grandi 
verllà  si  ravvisano.  La  prima  è,  che  non  polendo  la  delinl- 
zione  convenire  al  principio  morale,  per  cui  un'  azione  è 
buona  o  cattiva  in  se  stessa,  senza  relazione  ai  diritti  di 
alcuno,  bisogna  concludere  che  l'Allighieri  concepì  la  diffe- 
renza razionale  tra  la  morale  e  il  diritto.  La  seconda  è,  che, 
nel  sistema  suo,  il  diritto  non  è  una  facoltà,  la  quale  è 
forza  inerente  alla  volontà,  ma  è  una  nozione,  la  quale 
spetta  airuflicio  dell'  intelletto.  La  terza,  e  segnabile,  è  che 
il  diritto,  come  nozione,  ha  un'esistenza  propria,  indipen- 
dente da  quella  d'una  obbligazione  che  vi  corrisponda  ;  ed 
infatti  egli  di  obbligazione  non  parla.  La  quarta  consiste 
nel  dare  al  diritto  per  origine  e  titolo  l' eguaglianza  di 
ragione,  la  quale  si  converte  in  eguaglianza  in  faccia  alla 
legge,  in  quanto  che  non  potrebbero  i  diritti  stare  in  pro- 
porzione tra  loro  se  eguali  non  fossero.  La  quinta  finalmente 
è,  che  il  diritto  non  può  concepirsi  tra  gli  uomini  che  nel 
loro  slato  di  società,  il  quale  solo  gli  pone  in  relazione  gli 
uni  cogli  altri.  -  Dante  sagacemente  soggiunge,  essere  una 
vanità  cercare  il  fine  del  diritto  senza  conoscerlo,  essendo 
il  diritto  il  vero  e  solido  fondamento  dell'ordine;  e  giusta- 
mente gloriasi  dell'  originalità  della  nozione  del  diritto  posta 
da  lui,  ed  osserva  che  ne' Digesti  filosofica  nozione  del  diritto 
non  vi  è,  né  altra  notizia  ve  ne  ha  che  quella  che  ne  for- 
nisse il  suo  uso.  È  osservabile  che  Dante,  a  differenza 
della  comune  de'  moderni  scrittori  di  filosofia  del  diritto, 
e  delle  più  celebri  politiche  epigrafi,  pone  il  <//rz7fo  avanti 
la  libertà,  non  la  libertà  avanti  il  diritto;  e,  come  alcuni 
filosofi  praticarono,  non  defini  il  diritto  per  la  libertà.  Egli 
la  considera  al  diritto  inerente  ;  di  guisa  che  senza  diritto 
parlar  non  si  possa  di  libertà.  Egli  distingue  sagacemente 
la  libertà  giuridica  dal  libero  arbitrio,  distinzione  non 
avvertita  dai  parteggiatori  del  priiicipio  della  utilità,  tutto 
il  sistema  de'  quali  riposa  su  questo  gravissimo  errore.  La 
libertà  giuridica  è,  nel  sistema  dell'AUighieri,  la  facoltà  che 
compete  ad  ogni  uomo  di  giudicare  della  rettitudine  delle 
sue  azioni  :  il  libero  arbitrio  è  dagli  appetiti  determinabile  ; 
dai  quali  appetiti  la  libertà    giuridica  non  dee  mai,   per 


296  COGNIZIONI  SCIENTIFICHE. 

esser  tale,  prendere  il  proprio  carattere.  Definita  per  tal 
modo  la  libertà,  egli  la  considera  lo  stato  ottimo  del  genere 
umano.  -  La  società  civile  è  considerala  dall'AUighieri,  nel 
suo  vero  filosofico  punto  di  vista,  il  mezzo  necessario  a 
promuovere  la  civiltà  umana,  ch'egli  fa  consistere  nel  mag- 
giore sviluppamento  possibile  dell'umano  intelletto.  La  legge 
ne  è  il  comento,  e  se  tale  non  è,  non  merita  il  nome  di 
legge:  la  quale  proposizione,  riferendola  alla  difinizione  da 
lui  data  al  diritto  e  alla  libertà,  significa  che  la  legge  è  la 
espressione  delle  proporzioni  o  personali  o  reali  tra  gli 
uomini  conviventi  in  società  civile  tra  loro. 

Dante  in  un  secolo  in  cui  la  ragione  umana  era  ancor 
nell'infanzia,  proclamava  la  scienza  nemica  di  crudeltà: 
Lucia  nemica  di  ciascun  crudele.  Inf.  ii.  100. 

Dante  che  avea  a  fjiustizìa  suo  dìsire,  che  nel  Convito 
diceva  di  se  medesimo  come  abboni  inasse  e  dispregiasse  gli 
errori  delle  genti,  non  per  infamia  o  vituperio  degli  erranti, 
ma  degli  errori  (Conv.  iv.  1),  acciocché  la  gente,  che  per  mal 
cammino  andava,  per  dritto  calle  si  drizzasse;  Dante,  il 
cantor  della  rettitudine  {De  Vul.  Et.  ii.  2),  nel  xi  dell'  Inferno  e 
nel  XVII  del  Purgatorio,  si  fa  sapientemente  a  classare  e 
librar  con  giusta  lance  ogni  operazion  che  merla  pena  [Purg. 
XVII.  115),  e  crea  un  nuovo  codice  penale.  Secondo  la  viltà 
della  colpa  ei  segna  la  gradazione  e  ne  giudica  la  gravità.  - 
«  Un  des  récens  commentateurs  a  pu  recomposer  avec 
r Enfer  et  le  Purgatoire  le  code  penai  d'Allighieri,  code 
complet,  où  se  retrouvent  à  la  fois  le  droil  romain,  le 
droit  canon  et  le  droit  germanique  du  moyen  àge.  Cesi 
M.  Wegele  qui  a  eu  cette  idée.  Il  est  fàcheux,  que  le  docte 
historien  compromette  ici  la  valeur  de  ses  recherches  en 
voulant  prouver  que  le  droit  germanique  tient  plus  de 
place  dans  la  Divine  Comédie  que  le  droit  canon  et  le 
droit  romain.  C'est  précisément  le  contraire  qui  est  vraei, 
r originante  du  droit  germanique  en  matière  pénale  est  de 
punir  la  faute  pour  la  fante  elle-méme,  tandis  que  le  droit 
romain  se  preoccupo  surtout  des  crimes  commis  contre 
l'état,  et  le  droit  canon,  des  infractions  aux  lois  de  Y  église. 
Dante,  avec  son  inflexible  logique,  réserve  ser  plus  crucis 
cUàtiraens  aux  ennemis  de  l' église  et  de  l'empire,  il  rend 


GIURISPRUDENZA.  297 

des  arréls  de  juslice  sociale  plulót  qu'il  n' applique  les 
lois  de  la  morale  privée.  Comment  M.  Wegele  a-l-il  méconnu 
ici  le  système  du  poòle  après  l'avoir  si  bien  mis  en  lumiè- 
re? Ajoutons  seulement,  pour  étre  tout  à  fall  exact,  que 
l' esprit  évangélique  apparali  sans  cesse  dans  les  sentences 
d'Allighieri.  Sa  libre  dislribution  des  chàtimens  est  le  triomphe 
de  la  juslice  chrétienne.  La  coscience  du  coupable  est  mise 
à  mi,  et  plus  il  élait  place  haut  dans  la  hiérarchie  des 
pouvoirs,  plus  lourde  pése  sur  lui  la  responsabililé  de  ses 
oeuvres.  Point  de  ménagemens  pour  les  grands  de  ce  monde  l 
a  Combien  se  tiennent  là-haut  póur  de  grands  rois,  qui 
seronl  couchés  comme  des  porcs  dans  ce  bourbier,  ne  lais- 
sant  d'eux-mémes  que  d'horribles  mépris!»  -  Saint- René 
Taìllandier.  - 

Dell'  imputabiiitù.  —  L'  uomo  è  imputabile  ne'  suol 
traviamenti,  avendo  egli  innata  la  virtii  che  consiglia,  la 
quale  dee  custodire  la  porta  dell'  assenso-,  aprendola  a' buoni 
desiderii,  e  chiudendola  a' cattivi:  Pwrr/.  xvii.  G2.  -  Quelle 
sono  nostro  operazioni  che  soggiacciono  alla  ragione  e  alla 
volontà....  Sono  anche  operazioni  che  la  ragione  considera 
nell'atto  della  volontà,  siccome  offendere  e  giovare...  stare 
casto  e  lussuriare,  e  queste  del  tutto  soggiacciono  alla  no- 
stra volontà,  e  però  semo  delti  da  loro  buoni  e  rei,  perchè 
elle  sono  proprie  nostre  del  tulio;  perchè  quanto  la  nostra 
volontà  ottenere  puote,  tanto  le  nostre  operazioni  si  sten- 
dono: Co)u\  IV.  9.  -  Nel  volere  e  nel  non  volere  nostro  si 
giudica  la  malizia  e  la  boutade  :  Conv.  i.  2 

Quest'  è  il  principio  là  onde  si  piglia 
Cagion  di  meritare  in  voi,  secondo 
Che  buoni  e  rei  amori  accoglie  e  viglia.  Purg.  xvin.  6i. 

Lume  V'  è  dato  a  bene  ed  a  malizia, 
E  libero  voler  che,  se  fatica 
Nelle  prime  battaglie  col  c»€l  dura 

Poi  Vince  tutto,  se  ben  si  notrica.  Purg.  xvi.75. 

Questi  versi  racchiudono  l'espressione  dei  principi  supremi 
del  reato,  e  dell'  imputabilità  cioè  nozione  ingenita  del  bene 
e  del  male  e  libero  arbitrio.  Un'  azione  dunque  prodotta  dal 
consenso  (\q\V intelligenza  e  della  Ubera  volontà  dell'agente  è 
imputabile.  L' uomo  che  ha  la  coscienza  del  bene  e  del  male 
e  che  ha  libera  scelta  vincerà  sempre  nella  lotta  della  pas- 


298  COGNIZIONI   SCIENTIFICHE. 

sione,  se  egli  non  vorrà  cedere  all'  impulso  malvagio.  Laonde 
anche  gli  appetiti  e  le  male  cupidìgie  che  surgono  entro 
noi  per  forza  di  necessità,  ove  non  sien  frenate,  e  si  torcano 
a  nequizia,  sono  capaci  per  sé  stesse  di  biasimo  e  di  pena: 
Merto...  di  biasmo  cape   {Purij.  wììì.  60);  perchè 

Di  ritenerli  in  noi  è  la  potestate.  Purg.  xviii,  72. 
onde  il  poeta  cantava  di  sé  medesimo: 

E  più  lo  'ngegno  affreno  eh'  io  non  soglio, 

Perchè  non  corra,  che  virtù  noi  guidi; 
Sì  che  se  stella  buona,  o  miglior  cosa. 
Mi  ha  dato  il  ben,  eh'  io  stesso  noi  m' invidi.  Inf.  xxvi.  19. 

Gl'Istinti,  ne'  cuori  mortali  per  motori,  sono  fatali,  ma  non 
sono  tutti  né  sempre,  né  da  tutti  vincibili  :  ove  fosse  di- 
strutto 

Libero  arbitrio,  non  fora  giustizia 
Per  ben,  letizia^  e  per  male,  aver  lutto.  Purg.  xvi.  71. 

Dante  distingueva  l'azione  che  non  é  più  tale,  per  vio- 
lenza, e  quella  che  non  lo  é  per  timore.  Questa,  quantun- 
que avvertita  dalla  legge,  non  é  assolutamente  involontaria; 
coacta  voluntas,  voluntas  est.  -  Coactus  volui: 

Se  violenza  è  quando  quel  che  paté 
Niente  conferisce  a  quel  che  sforza ... 

Che  volontà,  se  non  vuol,  non  s'  ammorza, 
Ma  fa  come  natura  face  in  fuoco, 
Se  mille  volle  violenza  il  torza  ; 

Perchè,  s'  ella  si  piega  assai  o  poco, 
Segue  la  forza... 

Molte  fiate  già,  frate,  addivenne 
Che,  per  fuggir  periglio,  contro  a  grato 
Si  fé  di  quel  che  far  non  si  convenne... 

A  questo  punto  voglio  che  tu  pense 
Che  la  forza  al  voler  si  mischia,  e  fanno 
Sì  che  scusar  non  si  posson  le  offense. 

Voglia  assoluta  non  consente  al  danno, 
Ma  consentevi  in  tanto,  in  quanto  teme. 
Se  si  ritrae,  cadere  in  più  affanno.  Par.  iv.  73.  e  seg. 

Le  azioni  adunque  che  si  fanno  per  timore,  affine  di  sfug- 
gire qualche  grave  sciagura  che  ne  soprastì,  non  lasciano 
però  d'essere  volontarie;  imperocché  partono  da  principio 
intrinseco,  e  si  fanno  con  pienissima  cognizione.  «  La  vo- 
lontà eccitata  dal  timore  non  lascia  di  esser  volontà ...  Que- 
sto volontario  misto,  perchè  per  esso  vorrebbe  l'uomo  non 


GIURISPRUDENZA.  299 

far  ciò  che  fa,  ma  pure  lo  fa,  volendolo  fare,  e  volendo 
con  dispiacere,  pare  in  certo  modo  che  voglia  e  non  voglia.» 
{ Antol.  mor.  filos.  e.  \y)  Però  subita  paura  sf/af/liarda:  Inf. 
XXI. 2d.  -  Vinse  paura  la  mìa  buona  voglia:  /«/".  xvi.  50. 

In  due  modi  si  fa  ingiuria  o  con  forza  o  con  frode  {Cic. 
De  Off.  1. 137).  La  frode  che  abusa  della  mente  è  più  rea 
della  violenza,  sicché  i  frodolenti  posseggono  le  infime  bolge 
e  però  più  tormentati: 

D'ogni  malizia  ch'odio  in  cielo  acquista, 
Ingiuria  è  il  fine,  ed  ogni  fin  cotale 
0  con  forza  o  con  frode  altrui  contrista.  Inf.  xi.  22. 

I  gradi  dell'imputabilità  in  qualunque  reato  si  valutano 
in  ragione  diretta  dell'influenza  che  su  lo  stesso  esercita  e 
la  intelligenza,  e  la  volontà  delV  agente,  perchè  quando  V  ar- 
gomento della  mente  è  aggiunto  al  malvolere,  cha  pur  mal 
chiede,  che  cerca  solo  di  nuocere  {Purg.  v.  12),  ed  alla  possa, 
nessun  riparo  vi  può  far  la  gente:  i^t/".  xxxi.  55.  [La  forza 
e  il  mal  voler  giunto  air  ingegno  Sai  che  può  tutto.  Pulci, 
Morg.  Mag.  i.  24.  ) 

Della  pena.  —  La  pena  (l)  e  essenzialmente  la  ripara- 
zione di  un  dovere  violato,  la  retribuzione  del  male  per  male, 


(1)  Ci  si  consenta  recare  alcune  delle  più  celebri  teorie  sulla  genesi 
del  diritto  punitivo.  Degli  Italiani,  il  Rossi,  seguendo  la  dottrina  di  Kant, 
pone  il  fondamento  della  punizione  nel  principio  morale  dell'espiazione; 
il  Mancini  nella  giustizia  e  nell'  utilità  fuse  insieme  in  un  principio 
composto;  ìì  Mamiani  nella  giustizia  retributiva;  il  l'essimi  fa  consistere 
il  principio  supremo  della  pennuta  non  nella  moralità,  nò  certo  nel  fare 
la  giustizia  umana  imitatrice  della  divinn,  ma  nel  considerare  la  giustizia 
umana  come  una  face  delia  giustizia  eterna,  nel  riconoscere  il  diritto  in 
sé  medesimo,  ovvero  l'attuazione  obbiettiva  del  bene  assoluto  nella  forma 
di  retribuzione  contro  la  sua  violazione;  il  Carrara  nel  principio  della 
tutela  giuridica,  essendo  mestieri  che  il  violatore  del  diritto  ripari  a 
scapito  dei  proprii  diritti  l'audace  negazione  che  col  delinquere  fece  alla 
legge;  il  Tolnmei  nel  diritto  di  far  fidempiere  la  legge,  di  far  conseguire 
quel  dato  line  a  cui  la  legge  e  e  dev'essere  rivolta,  nel  diritto  insomma 
di  giuridica  sanzione  civile.  De'  Francesi  il  Jìertauld  vuole  che  la  san- 
zione penale  inchiuda  diie  conseguenze:  la  prima,  il  diritto  per  il  potere 
sociale  di  costringere  direttamente  all'esecuzione  del  suo  comando;  la 
seconda,  il  diritto  di  castigare  la  ribellione  e  di  distruggere  col  castigo 
il  triste  effetto  dell'esempio:  Disobbedienza  alla  legge  e  punizione» son 
due  idee  che  necessariamente  si  concatenano  fra  loro.  Faustino  Uélia 
ritiene  che  la  giustizia  penale  esista  perchè  la  società  esiste,  perchè  e 


300  COGNIZIONI  SCIENTIFICHE. 

il  risarcimento  del  danno  sociale,  cagionato  dall'azione  crimi- 
nosa, ed  ha  per  oggetto  il  timore  e  l'esempio,  onde  altri 
fufjf/a  il  male  per  altrui  commesso,  e  pecff/io:  Jnf.  1. 132.  -  La 
sua  ragione  di  essere  sta  nella  violazione  del  precetto  -  perchè 
io  fui  ribellante  alla  sua  legge  :  Jnf.  1. 125.  -  la  sua  applicazio- 
ne dev'essere  impreteribile,  né  può  dipendere  da  eventuali 
successi.  Oltre  della  sua  certezza,  il  principio  della  tutela 
giuridica  esìge  per  logica  necessità  che  sia  irredimibile. 

Lasciate  ogni  speranza,  voi  che  entrate. 

Nulla  speranza  gli  conforta  mai, 
Non  che  di  posa,  ma  di  minor  pena. 

La  società  vuol  che  il  debito  si  paghi:  Purg.  x.  108. 
Pianto  giusto  debbe  venir  dirietro  a'  danni  :  Par.  ix.  5.  Il 
princìpio  vero,  sul  quale  deve  sorgere  la  dottrina  del  pro- 
porzionare la  pena  al  delitto  è  speculativo  e  logico,  non 
istintivo  ed  empìrico.  Non  si  potrebbe  rinvenire  una  norma 
sì  giusta  alla  quantità  delle  pene  da  applicarsi,  ove  si  tras- 
curasse del  tutto  di  tener  ragione  della  quantità  del  male 
che  si  racchiude  nel  commesso  reato,  lo  che  Dante  accenna 
come  necessario  a  riguardarsi: 

Purché  sia  colpa  e  duol  d'una  misura.  Purg.  xxx.  108, 
Il  martirio  debb' essere  al  furor  dolor  compito:  Inf.  xiv, 
65.  l  gaggi  commensurati  col  merlo  [Par.vi.ìi^);  W  remune- 
rare altrettanto  del  merto:  jPar.xx.40,  -Anche  il  Petrarca 
cantava  che  debbe:  Gir  del  pari  la  pena  col  peccalo.  La 
pena  se  alla  colpa  si  misura,  nulla  giammai  si  giustamente 
morse:  Par.  vii.  40.  -  L'uomo,  ne'  termini  sui,  dovrebbe  sod- 
ano degli  attributi,  una  delle  condizioni  della  sua  vita,  siccome  conse- 
guenza immediata  e  diretta  del  dovere  che  è  imposto  alla  società  di  pro- 
vedere alla  propria  conservazione  ;  il  prof.  Ortolan  vuole  che  lo  scopo 
del  diritto  penale  sia  quello  di  concorrere  alla  conservazione  e  al  buon 
essere  sociale,  contribuendo  all'osservanza  del  diritto  nella  società,  mercé 
l'applicazione  di  un  male  inflitto  in  certi  casi  a  colui  che  ha  violato  il 
diritto.  E  due  sono  per  riuscire  a  questo  fine  remoto  ji  fini  prossimi 
della  pena:  l'esempio  e  la  correzione  morale,  dei  quali  il  più  importante 
per  la  società  é  l'esempio.  Tissot  ritiene  complesso  il  principio  supremo 
e  compiuto  del  diritto  penale,  come  quello  che  ha  la  sua  ragione  nella 
utilità  e  la  sua  misura  nella  giustizia:  con  la  pena  si  ristabilisce  la 
eguaglianza  negata  dal  delitto.  Ad.  Franck  trova  la  legislazione  penale 
fondata  sul  principio  della  ripa  razione  e  del  diritto  che  ha  la  società  al 
pari  dell'  individuo  di  conservarsi  e  di  difendersi. 


GIURISPRUDENZA.  .301 

disfare,  ohedlendo  poi  quanto  (ììsuhbìdendo  intese  ir  suso: 
Par.  VII.  97.  Lo  che  per  fermo  non  si  Irasanda  dai  seguaci 
della  teorica  del  Romagnosì,  del  Giuliani,  e  del  Rosmini. 

Le  circostanze  che  accompagnano  la  colpa  possono  cre- 
scere e  diminuire  l'imputabilità.  Chi  fa  forza  nelle  cose  e 
in  l'avere  del  prossimo  merita  pena;  ma  più  grave  se  adopera 
violenza  {Inf.  xii.  46)  ;  e  maggiore  se  non  solo  la  violenza, 
ma  anche  la  frode:  Inf.  xxv.  25.  Così  si  fa  più  nera  la  colpa, 
quando  il  delinquente,  ({hiotto  della  vendetta,  impronta  il 
male  altrui  {Purg.  xvn.  2*2),  e  tutto  adopera  a  provveduto 
fine,  sì  come  cocca  in  suo  segno  diretta  {Par.  vin.  104),  aspet- 
tando a  nuocere  e  tempo  e  luogo  (1)  [Petr.  5on. 21),  ed  iscemasl 
quando  altri  è  spinto  dall'  ira  o  dallo  sdegno  dì  momentanea 
offesa.  E  la  ragione  è  manifesta,  qerchè  la  mente  nel  bollore 
dell'ira  cieca  e  folle  non  ha  tempo  di  raccogliere  le  sue 
forze,  né  a  vedere  lo  stato  delle  cose,  né  a  riconoscere  i 
suoi  doveri,  giacché  da  un  violento  affetto,  al  dire  di  Seneca, 
Commota  semel  et  concussa  mens  ei  servii  a  quo  impellitur  (2). 
L' impubere  età,  a  cui  non  isplende  ancora  la  luce  discretiva 
non  è  imputabile: 

Innocenti  Iacea  r  età  novella.  Inf.  xxxiii.  88. 
L'adolescente  per  minoranza  d'etade,  lievemente  merita  per- 
dono  {Conv.  iv.  26),  che  in  lui  la  parte  razionale  non  può 
ancora  perfettamente  discernere:  Conv.  iv.  24.  Così  pure 
va  scevro  di  colpa  chiunque  ha  torta  la  mente,  e  non  sano 
l'intelletto:  secondo  difetto  di  corpo  può  esser  la  mente  non 
sana...  per  l'alterazione  del  cerebro:  Conv.  iv.  15. -Maggior 
carico  poi  acquistasi  pel  mài  uso  che  fruga  il  reo  alla  rica- 
duta: Inf.  I.  97;  V.  55.  -  Di  qui  la  ragione  perche  altri  sosten- 
ni E  dietro  un  canto  postosi  di  piatto  L'attende,  come  il  cacciatore 
al  loco.  -Ar.  IX.  73.  Con  agguatevok  ingannò  falsamente  colorato.  Dino 
Compagni. 

(8)  Qual  duro  freno,  o  qual  ferrigno  nodo, 

Qual,  s' esser  può,  catena  di  diamante 

Farà  che  V  ira  servi  ordine  e  modo, 

Che  non  trascorra  oltre  il  prescritto  inante  ?... 
E  s'  a  crudel,  s'ad  inumano  effetto 

Queir  Impeto  talor  l'animo  svia  ; 

Merita  escusa  ;  perchè  allor  del  petto 
.  Non  ha  ragione  imperio,  né  balia.  Ariosto,  xlii.  1.  S. 


302  COGNIZIONI  SCIENTIFICnE. 

fifano  minor  penitenza,  e  perchè  6i\' \V\n  felli  sien  dipartiti,  e 
perchè  men  crucciata  la...  giustizia  gli  martelli:  Jnf.M.Hl. 
Oltre  di  che  si  rendono  imputabili  anche  coloro  che 
prestano  concorso  morale  alla  colpa  [Inf.  \\x.  40),  non  solo 
col  consiglio  fraudolente  {Inf.  xxiii.  115.;  xxvii.  116;  xxviii. 
97),  ma  anche  inducendo  a  delinquere  coi  mai  conforti  e 
00'  malvagi  pungelli:  Inf.  xxviii.  Ilio,  138;  xxx.  89. 

Allora  soltanto  trionfa  la  libertà,  secondo  la  sentenza 
di  Montesquieu,  quando  le  leggi  traggono  ciascuna  pena 
dalla  peculiar  natura  del  delitto.  Il  più  grande  degl'Italiani, 
dice  C.  Sozzi,  nel  poema  il  più  sublime  che  vanti  l'umana 
fantasia,  volle  tornata  in  onore  questa  dottrina,  special- 
mente nel  C.  VII.  del  Paradiso: 

Di  tutte  queste  cose  s' avvantaggia 
L'umana  creatura:  e,  s'una  manca, 
Di  sua  nobiltà  convien  clie  caggia. 

Solo  il  peccato  è  quel  che  la  disfranca, 
E  falla  dissimile  al  sommo  bene. 
Perchè  dal  lume  suo  poco  s'imbianca. 
Ed  in  sua  dignità  mai  non  riviene, 
Se  non  riempie  dove  colpa  vota, 
Contra  mal  dilettar  coìi  giuste  pene.  Par.  vu  76. 
Egli  vuole  osservato  il  contrapasso  [Inf.  xxviii.  142),  il  pa- 
tire cioè  commisurato  al  precedente  operare  (/«/.  xxx.70j, 
massime  nelle  azioni  ingiuriose.   Questa  legge  si  osserva 
in  pressocchè  tutti  i  supplizj  per  lui  immagnati. 

La  colpa  commisa  non  vuol  esser  solo  giudicata  secondo 
la  materia,  ma  secondo  la  mente  del  legislatore.  Il  disub- 
bidire su  un  punto,  che  non  esiga  violenza  nell' ubbidire, 
aggrava  la  colpa: 

....  non  il  gustar  del  legno 
Fu  per  sé  la  cagion  di  tanto  esilio, 
Ma  solamente  il  trapassar  del  segno.  Par.  xxvi.  115. 
Il  mondo  vuol  dare  colpa  all'oppresso,  ma  la  pena  venuta 
dal  vero,  dirà  dov'è  il  vero  fallo: 

La  colpa  seguirà  la  parte  offensa 
In  grido,  come  suol  :  ma  la  vendetta 
Fia  testimonio  al  ver  che  la  dispensa.  Par.  xvir.  115  . 
Ecco,  dice  Tommaseo,   personificata  colpa,   vendetta,'  cioè 
pena,  vero  dispensator  della  pena,  ed  ecco  nell'idolo  poetico 
una  dottrina  di  jus  criminale  da  farne  una  nuova  genesi. 
Del  Giudice.  —  La  punizione  non  è  semplicemente  pena 


GIURISPRUDENZA.  303 

allo  Ingiurianle,  ma  pena  data  allo  ingiuriante  da  chi  ha 
una  giurisdizione  di  punire.  Onde  se  la  pena  non  è  data 
dal  giudice  ordinario,  non  è  punizione,  ma  piuttosto  in- 
giuria :  De  Mon.  ii.  2. 

Il  giudice  deve  guardarsi  da  ogni  apparenza  di  cupidità: 
la  cupidità  facilmente  travia  la  mente  degli  uomini...;  la 
cupidità  per  poca  ch'ella  sia,  o  nubila  o  abbaglia  l'abito 
della  giustizia:  De  Mon.  i.  13.  -  E  perciò  debbono  essere 
scacciati  quelli  che  riducono  il  giudice  a  perturbazione 
d'animo:  Id.  -  Il  giudice  non  deve  ascoltare  pure  l'una 
parie:  Conv.  i.  5.  -  L'opinione  corrente  non  lo  debbe  pie- 
gare in  falsa  parte,  né  V affetto  piegargli  V intelletto:  Par. 
xiii.  119.  -  Guai  se  la  pena,  eli  è  giudicata  in  su  le  ac- 
cuse (/«/".  xxviii.  44),  non  è  giusta  vendetta  ed  è  fatta 
contro  coscienza.  Guai  se  altri  potesse,  dire:  Ov'è  questa 
giustizia  che  7  condanna?  Ov'è  la  colpa  sua?  Par.  xix.  77.  - 
La  corte  dev'esser  verace  {Purg.xw.  17),  né  soggetta  ad 
inganno:  A  Minos  fallir  non  lece:  Inf.  xxix.  120.  -  L'altrui 
giustizia  non  ci  francherebbe  di  colpa:  L'altrui  bene  a  te 
che  fia  se  'l  tuo  metti  in  obhlio?  Purg.  x.  89.  -  Dante  chia- 
ma l'esercizio  dell'autorevole  ministerio  .del  giudice,  qual  è 
l'esame  ed  il  giudizio  dei  rei,  Vatto  di  cotanto  uffizio:  Inf. 
v.  18.  -  Giudice  esperto  sa  forzare  il  reo  alla  confessione 
della  propria  colpa:  A  tanta  accusa  Tua  confession  con- 
viene esser  congiunta:  Purg.  xwi.^ò. 

Oltre  di  che  ci  avverte  che  sentenza  irrevocabile  non 
si  pronunzi  se  non  se  dopo  la  più  diligente  e  matura  di- 
samina, onde  non  paia  ingiusta  la  nostra  giustizia  agli  occhi 
de' mortali:  Par.  iv.  07.  -  «  Giustizia  in  sé,  e  in  propria 
natura  considerata,  è  una  certa  rettitudine  e  regola,  che 
da  ogni  parte  scaccia  il  torto:  »  De  Mon.  i.  13. 

Molti  han  consiglio  ia  cor,  ma  tardi  scocca. 
Per  non  venir  senza  consiglio  all'arco.  Purg.  \1.1Z0. 

Quelli  che  intendono  il  giusto  e  vogliono  il  giusto,  prima 
di  dar  sentenza,  per  timore  di  errare  ci  pensano  bene,  e 
lardi  scoccano  un  arco,  da  cui  una  volta  uscito  lo  strale 
non  può  revocarsi.  Gl'ingiusti,  o  I  men  saggi,  fanno  II  con- 
trario, a  mo'  degli  antichi  lìorentini  verso  Danto,  e  a  loro 
bene  sta  il  suo  rimprovero: 


304  COGNIZIONI  SCIENTIFICHE. 

Ma  11  popol  tuo  l'ha  in  sommo  della  bocca. 
hanno  sempre  pronto  il  loro  giudizio,  han  la  giustizia  sulle 
labbra,  fan  deliberazioni,  pronunciano  decreti  che  dicon  di 
giustizia,  ma  se  sia  veramente  giustizia,  non  imporla. 

Ogni  grave  soggetto  vuoisi  discutere  nel  silenzio  delle 
passioni  e  nella  calma  della  ragione: 

E  questo  ti  fla  sempre  piombo  a'  piedi 
Per  farti  muover  lento,  com'uom  lasso...  ecc.  Pa?-.  xm,  112. 

....  tenetevi  stretti 
A  giudicar  ....  Par.  xx.  133. 

Del  giuramento.  —  Sulla  prestazione  del  giuramento 
nelle  cause  criminali  e  civili  molti  sono  del  contrario 
avviso,  ritenendolo  come  un  allo  superfluo,  non  potendo 
esso  aggiungere  nulla  alla  forza  della  promessa  che  dalla 
morale  e  dal  diritlo  non  derivassero.  Ci  sembra  che  l'Alli- 
ghleri  approvasse  la  prestazione  del  giuramento  là  ove  dice: 

Tutto  m' offersi  pronto  al  suo  servigio 
Con  l'affermar  che  fa  credere  altrui.  Purg.  xxvi.  104. 

versi  che  si  spiegano  coll'altro  che  segue: 

Ma  se  le  tue  parole  or  ver  giuraro.  Purg.  v.  109. 
Come  pure  il  Macchiavelli  quando  scrisse  :  «  Nei  governi 
bene  istituiti  i  cittadini  temono  assai  più  rompere  il  giu- 
ramento che  le  leggi,  perchè  temono  assai  più  la  potenza 
dì  Dio  che  quella  degli  uomini.  »  La  scuoia  tedesca  è  con- 
traria alla  prestazione  del  giuramento  in  tutti  i  negozii  sì 
civili  che  criminali. 

Dante,  che  sapea  trar  profitto  di  tutto  ciò  che  osservava 
nella  circostante  natura,  sì  che  la  sua  poesia  è  l'idealità 
del  reale,  seppe  cavare  anche  dalla  vista  di  un  dannato  a 
morte  una  bellissima  similitudine: 

....  mi  prese  un  gielo  ; 
Qual  prender  suol  colui  eh'  a  morte  vada.  Purg.  xx.  129. 


COG^IZIOM  POIICIOTIB 


G.  Venturi  pubblicava  nel  1811  un  saggio  di  una  dis- 
sertazione [Gaz.  Veronese,  n.  Il)  con  che  facevasi  a  consi- 
derare l'Allighìeri  sotto  l'aspetto  di  Po/(9/oWo,  nel  che  egli 
dice,  «  è  stato  il  primo,  per  non  dire  l' unico  fra  i  poeti 
d'ogni  nazione.  Basta  scorrere  qua  e  là  il  suo  immortale 
poema  per  riscontrare  dovunque  modi  e  parole  affatto  stra- 
niere al  linguaggio  italiano,  che  a  bella  posta  con  piacevole 
arte,  secondo  la  diversità  dei  soggetti,  quasi  altrettante 
gemme,  inserite  si  ritrovano. 

Dalla  lingua  latina:  in/",  i.  70;  xxxiv.  1.:  Purg.  i.  46; 
vili.  13;  IX.  140;  x.44;  xii.llO;  xiii.29;  xv.  38;  xix.  50. 
73.  99  ;  XX.  3  ;  xxx.  17  e  seg.  ;  Par.  vii.  1.  e  seg. ,  xii.  93  ; 
xiii.  100;  XV.  28;  xxiii.  128  ;  xxv.  98;  xxviii.  91.  93. 

Dalla  provenzale  e  spaynuola:  Purfj.  xxvi,  1  e  seg. 

Dalla  greca:  Inf.  xx.  9;  xxiv.  11. 86. 87;  xxxi.  61  ;  Purg. 
X.  128  ;  xxviii.  131  ;  Par.  i.  99  ;  xiv.  96, 99  ;  xvu.  24;  xxi.  Ili  ; 
xxvi.  17;  XXXI.  104.  (1) 

(1)  Nel  Convito  trovansi  citate  le  greche  parole:  Protonoe:  n.  4;  An- 
tictona  :  IH.  5  ;  Autentin  :  iv.  0  ;  Ilormen  ;  iv.  22  ;  Polysemus  :  Epis.  xi,  §  7  ; 
Alleon:  Id. ;  Comos,  tragos,  oda:  Id.  §10.  -  Prov.  Greco  citato:  Cont.n. 
15.  -  11  Perticari  dalle  seguenti  parole  del  Convito,  ii.  15  si  fa  a  dedurre 
che  Dante  non  sapesse  di  greco:  Quello  che  Aristotile  si  dicesse  di  ciò, 
non  si  può  bene  sapere;  perchè  la  sua  sentenza  non  si  trova  cotale 
nell'  una  translazione,  come  nell'  altra.  B  credo  che  fosse  l'errore  dei 
traslatori...,  perchè  altrimenti  non  confesserebbe  la  sua  ignoranza  sul  pa- 
rere di  Aristotile  per  la  discrepanza  delle  traslazioni.  51a  il  Fraticelli,  in- 
terpretatele altrimenti,  ci  mostra  come  Dante  più  volte  nelle  sue  opere 
desse  segno  di  aver  letto  i  poemi  di  Omero,  che  certo  gli  fu  mestieri 
aver  letto  nell'  originale,  perché  a  suo  tempo,  come  ne  dice  Dante  mede- 
simo, non  era  ancora  mutato  di  greco  in  latino,  come  l' altre  scritture 
de' greci:  Conv.  i.7.  -  Un'articolo  sul  Grecismo  di  Dante  trovasi  in  un 
Mss.  del  secolo  XVIU  della  Palatina,  contenente  alcune  Postille  sulla 
Divina  Comedia  del  Lanzi  e  di  G.D.  S.-Ne  scrissero  inoltre  Giangirolimo 
Gradenigo  nel  suo  Jlagionamento  intorno  alla  Letteratura  Greco-ita- 
liana; Domenico  M.  Mapni  nplla  sua  lezioue  Dell'antichità  delU  laikre 
VOL.  II.  20 


306  COGMZIOiM  POLIGLOTTE. 

Dalla  francese:  Inf.  xm.  Vói;  xxiii.  48,  95;  xxvii.  67; 
Piirg.  XI.  51;  xvi.  126;  xx.  48;  Par.  xi.  89. 

Dalla  tedesca:  Inf.  xiv.  8;  xxxii.  26. 

Dalla  inglese:  Inf.  xxxi.  113. 

Dalle  lingue  orientali:  Inf.  vii.  1;  x.  11;  xii. 88;  xxxi. 
67;  Purg.  xi.  11  ;  xxiii.  74  ;  xxix.  51  ;  Par.  vii.  1, 3  ;  xxxi.  127. 

Pietro  Giuseppe  Maggi  nel  1854  prendeva  ad  illustrare 
il  verso  che  Dante  pone  in  bocca  del  gigante  Nembrotto, 
da  lui  collocato  al  nono  e  più  basso  cerchio  dell'Inferno: 
Raphel  mai  amech  sabì  almi.  Qualche  spiegazione  n'era  già 
stala  tentata,  fin  dal  cinquecento,  ed  anche  a'  dì  nostri  la 
linguistica,  specialmente  in  Germania,  s'affaticò  a  scioglierne 
l'enigma,  ma  non  sembra  che  gl'interpreti  abbiano  colto 
nel  vero  il  concetto  di  Dante,  o  indovinata  la  lingua,  da 
cui  tolse  quel  verso.  Il  Maggi  non  esita  ad  affermare  che 
Dante  ha  inteso  veramente  di  chiudere  un  significalo  in 
quelle  parole,  desumendole  dalle  lingue  orientali  note  al 
suo  tempo.  Yersatissimo  in  questa  sorta  di  studj,  ei  pure 
ne  proponeva  una  più  corretta  lezione,  leggendo  invece  il 
verso:  Raph  el  mai  amech  zahi  ai-mi,  cavandone  l'in- 
terpretazione nel  lesto  medesimo  della  Sacra  Scrittura, 
donde  il  poeta  è  presumibile  ne  togliesse  le  voci,  e  lo  tra- 
duce: {del)  gigante  air  acqua,  al  profondo  [del]  Zabio,  cantra 
chi  {vieni)?  Il  che  consuona  col  contesto  della  scena  de- 
scritta, ove  Nembrotto,  torreggiando  a  mezza  persona  dal 
pozzo,  si  volge  gridando  colla  fiera  bocca  a  Virgilio  che 
gli  si  accosta,  e  dicendo,  secondo  la  nuova  versione  :  contro 
chi  vieni  tu  all'acqua  del  gigante,  al  profondo,  ossia  al 
pozzo,  del  Zabio.  Noi  non  seguiremo  l'illustratore  nella 
minuta  analisi,   sulla  quale  appoggia  questa  versione,   né 

greche  in  Firenze  ;  il  Lenzoni  ed  il  Mazzoni  nelle  loro  Difese  di 
Dante;  il  Bulgarini  nella  Risposta  al  Cariero;  il  de  Romanis  nelle  sue 
Annotazioni  alla  vita  di  Dante  del  Tiraboschi;  il  Dionisi  nell'Ane- 
doto  V;  r  Arrivabene  nel  suo  Secolo  di  Dante;  il  Panizzi  nel  suo  Essay 
on  the  romantic  narrative  poetry  of  the  Italians  ;  il  Bruce  Whyte  nella 
sua  Uist.  des  langues  Bomanes.  Da  ultimo  l'ab.  Celestino  Cavedoni  pub- 
blicava le  sue  Osservazioni  critiche  intorno  alla  qusetione  se  Dante 
sapesse  di  yrcco,  Modena,  Soliani,  1800,  in  cui  con  GiannozzoManetti,  va- 
lente polij?lotta  del  secolo  XV,  col  Boccaccio,  con  Pier  Vettori,  col  SalvinI, 
ritiene  cbe  Dante  ignorasse  la  greca  lingua. 


COGNlZIOiM  POLIGLOTTE.  307 

nella  dotta  spiegazione  che  dà  del  vocabolo  ZahiOy  nome 
di  setta,  o  piuttosto  di  capo  religioso.  Ci  basti  aggiungere 
com'esso,  a  giustificare  in  Dante  la  conoscenza  dell'ebraico, 
cita  allre  voci  di  questa  lingua  da  lui  adoperate  nel  poema, 
oltre  all'erudizione  di  cose  arabe  che  si  scorge  nel  Convito. 
[Dal  Giornale  dell'  Istituto  Lombardo). 

r Abate  M.  A.  Land  (Roma  1819,  Contedini;  Giorn, 
Arcad.  Maggio,  2  Luglio  1819)  trova  chiara  e  certa  l'in- 
terpretazione del  verso  Raphel  mai  ecc.  nell'arabo  idioma, 
e  vuole  che  suoni  letteralmente:  Esalta  lo  splendor  mio 
neW  abissOy  siccome  rifoUjorò  per  lo  mondo,  e,  armato  dì 
buone  armi  ebraiche,  interpreta  il  Pape  Satan,  pape  Satan 
aleppe:  Ti  mostra  Satanasso!  ti  mostra  nella  maestà  dei 
tuoi  splendori,  principe  Satanasso.  -  In  un  articolo  pubblicalo 
nella  Rivista  ital.  N.^  36,  31  Gen.  1864,  si  vuole  questo  verso 
un  miscuglio  di  ebraico  e  caldaico,  linguaggi  faraigliaris- 
simi  all'israelita  Manoello,  amico  di  Dante,  come  ci  tra- 
mandò l'Allacci,  e  che  in  volgare  suonerebbe:  Lascia  o  Dio! 
perchè  dissolvere  il  mio  esercito  (la  mia  potenza)  nel  mondo? 
Anche  il  Venturi  e  il  de  Cesare  ci  diedero  altre  interpre- 
tazioni di  questo  verso. 

Dal  dialetto' romagnuolo:  Inf.xviu.Gi;  xxiii.  7;  xxvii. 
21;  Purg.  xxiv,  55.  (l) 

Dal  dialetto  tridentino:  -  Il  Prof.  F.  Lunelli  pubblicava 
l'elenco  di  alcuni  vocaboli  usati  da  Dante  nel  suo  poema 
che  si  riscontrano  anche  nel  dialetto  tridentino,  che,  se- 
condo luì,  sommano  a  117. 

Dal  dialetto  friulano  :  Par.  xiv.  27. 

Dal  dialetto   lombardo:  In f.  ]ix.l&;    xxiii.  7;   xxiv.  12; 


fi)  H  Boccaccio  nel  Comento  del  ix  dell'Inferno  v.  133,  dice  che  la 
voce  Spaldo  è  pur  voce  romajrnuola  ;  e  il  Perticarì  trova  pure  ronia- 
gnuola  la  voce  rÌQuardi  (  Inf.  xxvi.  108j,  quel  solo  termine  proprio  che  ì 
Ilomagnuoli  adoperano  a  nominare  i  termini  che  dividono  i  campi,  i  pali 
e  le  colonne  che  difendono  le  vie;  non  che  creasse  dal  gavagno  di  essi 
Ilomagnuoli  il  ringavagna  del  G.  xxiv.  Inf.  v.  12;  e  lo  Strocchi  ritiene  che 
dai  rustici  di  Romagna  traesse  la  voce  cotenna  a  significare  il  porco, 
per  dire  che  Filippo  il  Bello  sarebbe  morto  in  caccia  dall'impeto  d'un 
cinghiale.  Par,  xix.  120. 


308  COGNIZIOM  POLIGLOTTE. 

xxvii.  20,  25;  Purg.  ni.  128;  xin.  52;  xx.  70;  Par.  xix.  67  ; 
XXI.  15.  (1) 

Senza  nulla  parlare  del  tanti  nomi  di  diavoli,  non  a 
capriccio  inventati  da  Dante,  ma  che  hanno  acconcia  eti- 
mologia all'ufficio  in  cui  egli  ha  voluto  impiegarli  nella 
sua  1.^  Cantica.  -  Il  ridetto  articolo  aggiungeva  che  il  Ven- 
turi aveva  pronta  la  materia  per  un  volume  non  piccolo, 
cui  gli  piaceva  intitolare:  Dante  esotico  o  poliglotto. 


(I)  Pietro  Monti  nel  suo  Saggio  di  Vocabolario  della  Gallia  Cisalpina 
e  Celtico,  e  appendice  del  Vocabolario  dei  dialetti  delle  Città  e  Diocesi 
di  Como,  Milano,  Classici,  1856,  prende  ad  illustrare  nel  line  alcune  voci 
della  divina  Gomedia  spiegate  colle  voci  dei  dialetti,  e  più  specialmente 
di  quello  della  Valtellina. 


DANTE  E  LA  MUSICA  (1) 


La  Musica  è  tutta  relativa,  siccome  si 
vede  nelle  parole  armonizzate,  e  nelli  canti, 
de'  quali  tanto  più  dolce  armonia  resulta, 
quanto  più  la  relazione  è  bella,  perchè  mas- 
simamente in  essa  s'intende.  La  Musica  trae 
a  sé  gli  spinti  umani,  che  sono  quasi  principal- 
mente vapori  del  cuore,  sicché  quasi  cessano  da 
ogni  operazione;  si  è  l'anima  intera  (alla  dolce 
armonia)  quando  1'  ode,  e  la  virtù  di  tutti 
quasi  corre  allo  spirito  sensibile  che  riceve 
il  suono.   Con\.  t.  2.  e.  14. 

Non  voglio  mandare  in  oblivione  lasua- 
vissima  musica  e  piena  di  sensuale  diletta- 
zione, la  quale  per  tutta  1'  opera  è  contenuta 
per  le  joconde  e  limate  rime  con  mirabile 
arte  composte,  et  eziando  per  la  proporzione 
dei  versi  con  giusta  e  debita  misura.  Lettore 
Anonimo  della  Div.  Com.  in  Ferrara,  del  1450 
Cod.  Riccard.  2560. 


Storia  della  musica.  —  Amò  sopra  gli  altri  Casella, 
cantore  eccellentissimo,  e  dopo  morte  singolarmente  onorollo, 
e  nel  sacro  poema  lo  fece  immortale.  Si  crede  che  costui 
nella  musica  gli  fosse  maestro  :  Purg.  ii.  76. 

Né  solamente  all'ingegno  di  costui  fu  amorevole;  ma 
fece  onore  ad  un'altro  suo  cittadino,  Belacqua;  e  nome 
eterno  gli  diede  in  guiderdone  del  piacere  avutone  in  vita  : 
poiché  fu  usato  di  andare  domesticamente  a  sentir  sonar 
colui,  ch'era  compositore  di  celere  e  di  altri  strumenti 


(1)  Sommamente  si  dilettò  in  suoni  e  in  canti  nella  sua  giovinezza,  e  a 
ciascuno,  clic  a  qiie'  tempi  era  ottimo  cantore  e  sonatore,  fu  amico  ed  ebbe 
sua  usanza  ;  ed  assai  cose  da  questo  diletto  tirato  compose,  le  quali  di 
piacevole  e  maestrevole  nota  a  questi  cotali  facea  rivestire.  Boccaccio, 
Vita  di  Dante,  p.  38.- Dilettossi di  musica  e  di  suoni.  Aretino.  -  La  musica 
è  l'algebra  della  bellezza.  Rosmini.  -  Chi  potrebbe  descrivere  la  soavità 
e  la  varietà  musicale  della  verseggiatura  dantesca,  e  i  pellegrini  concetti, 
che  l'armonioso  plettro  del  cantore  di  Casella  può  destare  negli  studiosi 
dall'arte  principe?  Gioberti.  - 11  Paradiso  ò  uua  vera  musica  delle  sfere... 
Nel  paradiso...  la  pura  musica  della  luce.  Schelling. 


310  DANTE    E  LA   MUSICA. 

musici,  i  colli  e  le  teste  de'  quali  ornava  di  sculture  e 
d'intagli.  Purg.  iv.  121. 

Né  di  piccolo  pregio  gli  è  obbligata  la  storia  di  questa 
arte,  conciossiacchè  prendendo  spesso  da  lei  le  comparazioni, 
qualora  gli  occorse  di  rappresentare  con  similitudine  di 
sensibile  esempio  alcun  suo  più  nuovo  ed  elevato  concetto, 
ebbe  quindi  occasione  a  conservare  memoria  di  alcuni  istru- 
menti  e  di  alcune  usanze  dell'arte,  che  per  lo  mutare  dei 
tempi  sarebbero  ora  ignorate.  Così  da  un  luogo  del  canto 
XXX  della  prima  cantica  (v.  49)  dedusse  Vincenzo  Galilei 
l'antichità  del  liuto.  Così  dalle  dantesche  descrizioni  argo- 
mentò la  differenza  degli  antichi  organi  e  de'  moderni.  Così 
della  giga,  (strumento,  che  al  dire  di  Francesco  Buti,  faceva 
dolcissimo  suono)  chi  ha  riserbato  ricordanza  fuorché  il 
quattordicesimo  della  ni  Cantica?  v.  118. 

Così  ci  tenne  memoria  di  un  modo  di  cantare  a  più  voci, 
quando  una  sta  ferma  sullo  stesso  tuono,  e  un'altra  va  va- 
riando tuono: 

E  come  in  voce  voce  si  discerné, 
Quando  una  è  ferma  e  l'altra  va  e  riede.  Par.  viii.l7. 

e  d'una  foggia  di  cantare  che  tuttavia  si  usa  nelle  chiese, 
mostra  com'ella  sia  antica: 

lo  mi  rivolsi  attento  al  primo  tuono, 
E,  Te  Deum  luudamus,  mi  parea 
Udir  in  voce  mista  al  dolce  suono. 

Tale  immagine  appunto  mi  rendea 
Ciò  ch'i'  udiva,  qual  prender  si  suole 
Quando  a  cantar  con  organi  si  stea  : 

Ch'or  sì  or  no  s' inlendon  le  parole.  Purg.  ix.  139. 

Il  nostro  secolo  si  é  avanzato  troppo  in  un  vizio  pessimo 
di  separare  le  arti,  che  per  compagnia  si  aiutano  e  si  avva- 
lorano. La  musica  ora  dispregia  manifestamente  la  poesia, 
senza  la  quale  una  volta  non  fece  mai  passo.  Il  suono  de- 
gl' instrumenti  par  che  superbisca  di  volersi  scompagnare 
dall'umana  voce;  e  qualora  le  si  unisce,  eie  fa  la  più  rea 
compagnia  rea  del  mondo,  e  studiasi  di  offuscarla  ed 
assordarla.  Ne'  balli  si  direbbe  che  di  mal  grado  la  musica 
si  mescoli,  poiché  quanta  parte  di  lei  s'intromette?  poca, 
e  la  più  trista;  tanto  appena  per  notare  e  misurare  i  tempi. 
Ma  nella  età  di  Dante  la  poesia,  il  canto,  il  suono,  la  danza 


DAME   E   LA    MUSICA.  311 

(come  nei  secoli  felici  della  Grecia  maestra  d'ogni  genti- 
lezza) si  facevano  bellissima  e  amichevolissima  compagnia  : 
ondechè  il  nome  di  ballata  rimane  in  testimonio  ad  alquante 
poesie  di  Petrarca  e  di  Boccaccio,  che  uomini  e  donne  al 
suono  di  musica  ballando  cantavano.  Talora  avveniva  che 
per  intervalli  di  cadenze  o  dì  pause  convenienti  alle  ragioni 
varie  de'  balli  un  poco  si  arrestassero  le  voci  e  la  danza, 
continuando  tuttavia  il  suono  ;  dal  quale  scorte  le  persone, 
a  tempo  il  ballare  e  il  canto  ripigliavano.  Accadeva  talora 
che  cantando  e  danzando  in  giro  dovessero  esprimere  cosa 
onde  l'allegrezza  crescesse:  di  che  la  danza  rinforzando, 
gli  avresti  veduto  spinger  quei  davanti,  tirare  quei  dietro 
che  si  teneano  per  mano,  alzar  la  voce,  farsi  nella  faccia 
e  ne'  gesti  più  gai:  7^wf(3f.xiv.l9.-/^af.x.-70.  Par.xviii.7G. 
Lodi  della  nasica.  —  Oltre  che  istorico  della  musica, 
quanto  lodatore  di  essa  !  Egli  ti  dice  che  la  percezione  dei 
suoni  è  delle  più  nette  e  insieme  più  all'animo  gradite. 
E  quindi  Cacciaguida  afferma  ch'egli  chiaramente  vede  in 
Dio  quello  che  avvenir  dee  al  suo  pronipote  Dante  come 
l'uomo  riceve  per  l'orecchia  nell'animo  una  grata  conso- 
nanza di  voci  e  di  strumenti: 

Da  indi,  si  come  viene  ad  orecchia 
Dolce  armonia  d'organo,  mi  viene 
A  vista  il  tempo  che  ti  s'apparecchia.  Par.  xvn,  13. 

Anzi  egli  tiene  che  a  commover  l'animo  in  qualunque  af- 
fetto, nulla  sia  più  efficace  de'  suoni,  che  veramente  al 
cuore  con  maravigliosa  possa  discendono.  Egli  vuole  de- 
scriver la  sera  :  un  comunal  poeta  avrebbe  cominciato  a 
stendere  sulla  terra  le  brune  ali  e  'l  bruno  manto  della 
notte  ecc.:  questo  poeta  afl'ettuosissimo  ti  richiama  a  quella 
tenera  melanconia  che  sul  cadere  del  giorno  risente  chiun- 
que la  mattina  si  divise  dalle  sue  cose  più  care,  o  per  cercare 
in  mar  ricchezza,  o  per  negozi  con  viaggio  terrestre.  E  questa 
melanconia  nel  terrestre  viaggiatore  vicn  desia  dal  suono 
delle  campane  che  in  quell'ora,  annunziando  il  fine  delle 
diurne  fatiche,  soleva  chiamare  i  cristiani  a  ringraziar  Dio 
dei  beneficj  della  giornata.  E  vedi  nel  C.  vui  del  Purg.  v.  l. 
quanta  anima  egli  dà  a  quel  llebile  suono,  e  come  lo  fa 
signore  del  cuor  nostro. 


312  DANTE  E   LA   MUSICA. 

E  tali  concelti  avea  egli  della  musica  da  dilettarsene 
con  infinita  avidità.  Yeggasi  com'  egli  esprima  il  diletto 
che  gli  dava  il  canto  dell'amico  suo  Casella,  dal  quale  ri- 
trovatolo nel  Purgatorio  si  fa,  secondo  l'usanza  che  aveva 
in  questa  mortale  vita,  cantare  una  canzone.  Yeggasi  con 
che  affetto  prega  il  gentil  musico  a  donargli  un  poco  del 
piacere  dell'arte  sua  ;  veggasi  com'egli  vuole  che  tu  intenda 
che  il  piacer  della  musica  è  di  tutti  sovrano,  e  sugli  animi 
potentissimo,  che. dice  che  quelle  anime  le  quali  doveano 
pur  avere  tanta  ansia  di  finire  il  lor  purgativo  viaggio,  e 
giungere  alla  tanto  sospirata  gloria,  si  arrestarono  come 
incantate  alla  dolcezza  di  quella  musica, 

Quasi  obliando  d'ire  a  farsi  belle.  Purg.  n.  75. 
Ascolta  il  divin  poeta: 

Ed  io  :  Se  nuova  legge  non  ti  toglie 
Memoria  o  uso  all'  amoroso  canto, 
Che  mi  solea  quetar  tutte  mie  voglie, 

Di  ciò  ti  piaccia  consolare  alquanto 
L'anima  mia,  che,  con  la  sua  persona 
Venendo  qui,  è  affannata  tanto. 

Amor  che  nella  mente  mi  ragiona^ 
Cominciò  egli  allor  sì  dolcemente, 
Che  la  dolcezza  ancor  dentro  mi  suona. 

Lo  mio  Maestro,  ed  io,  e  quella  gente 
Ch'  eran  con  lui,  parevan  si  contenti, 
Com'  a  nessun  toccasse  .altro  la  mente. 

Noi  eravam  tutti  fissi  ed  attenti 
Alle  sue  note,  ed  ecco  il  veglio  onesto...  PUrg.  ii.  200. 

E  ben  egli  sentiva  come  in  tutti  i  mali  è  grande  e  dol- 
cissimo conforto  la  musica.  Però  appena  uscito  dagli  orrori 
disperati  d'Inferno,  e  venuto  a'  tormenti  consolabili  del 
Purgatorio,  procura  a  sé  stesso  e  a  quelle  anime  buone 
alcuno  alleggiamenlo  di  cantare. 

Ahi  quanto  son  diverse  quelle  foci 
Dalle  infernali!  che  quivi  per  canti 
S'entra,  e  laggiù  per  lamenti  feroci.  Purg.xu.  112. 

Quegli  asprissimi  dolori. 

Ove  r  umano  spirito  si  purga, 
E  di  salire  al  elei  diventa  degno.  Purg.  i.  4, 

vincerebbono  la  pazienza  e  ucciderebbono  la  speranza  di 
quelle  povere  genti  elette,  se  a  ciascun  girone,  dove  il  do- 


DANTE   E   LA   MUSICA.  313 

lore  ineffabile  sligne  il  sucidiime  della  moria!  vita,  non 
avessero  perpetuo  rimedio  di  canti  devoti. 

E  la  musica  del  secondo  regno  è  pur  del  modo  umano 
che  noi  conosciamo.  Ma  nell'animo  a  lui  capiva  un'armonia 
ancora  più  beata  e  alta  e  troppo  maggiore  del  nostrg  cadu- 
co intendere.  Di  questa  riempì  il  suo  Paradiso,  nel  quale  non 
è  altro  diletto  altra  cura  che  contemplare  gli  eterni  veri, 
e  con  suoni  e  con  melodie  e  danze  perpetue  celebrare  il 
sommo  vero.  E  qui  ci  mancherebbe  il  tempo  se  con  lui 
volessimo  volare  per  quelle  sfere,  tra  quei  Santi,  e  splen- 
dori, e  beare  alquanto  l' affannata  anima  con  quelle  musiche 
celestiali.  Or  volete  sapere  per  alcun  modo  che  ragione 
elle  abbiano  allo  strepito  della  nostra  terrena  musica?  Udite, 
udite  il  forte  concetto  del  divinissimo  poeta: 

Qualunque  melodia  più  dolce  suona 
Quaggiù,  e  più  a  sé  l'anima  tira, 
Farebbe  nube  che  squarciata  tuona, 

Comparata  al  sonar  di  quella  lira ...  Par.  xxni.  97. 

E  in  dolcezza,  eh'  esser  non  può  nota, 
Se  non  colà  dove  il  gioir  s'insempra.  Par.  x.  147. 

Volete  intendere  quali  s'immaginasse  Dante  quelle  sovru- 
mane armonie?  come  nella  mente  le  sentisse?  com'enlro 
l'anima  gli  risonassero?  Egli  dice  che  talora  ne  fu  inebriato; 
che  talvolta  non  potè  rinovarsene  l' idea,  benché  ne  serbasse 
eternamente  vivo  il  piacere: 

Si  che  m' inebbriava  il  dolce  canto.  Par.  xxvu.  3. 

Da  mia  memoria  labile  e  caduco.  Par.  xx.  12. 

Che  mai  da  me  non  si  parti  '1  diletto.  Par.  xxui.  123. 

Che  più?  conoscete  quanto  indicibilmente  egli  amava  la 
sua  donna;  come  tutto  viveva  in  lei,  come  per  appressar- 
sele un  poco  là  suir  uscire  di  Purgatorio  egli  si  lanciasse 
per  mezzo  un'incendio  smisurato.  E  nondimeno  fu  talvolta 
che  quella  musica  di  Paradiso  gli  tolse  perfino  il  pensiero 
della  sua  Beatrice:  Par.  x.  GO;  xviii.  118. 

musica  nel  Poema.  Tutta  la  Divina  Comedia 
piena  di  musica  e   di  armonia.  —    Ma    Dante    per    la 

musica  fece  ben  più  che  amarla  e  dilettarsene  e  lodarla. 
Quanta  e  quale  ne  porse  nelle  sue  dolcissime  poesie  1  Già 
col  canto  e  col  suono,  lui  vivente,  solcano  i  musici  ac- 
compagnarle; come  si  vede  in  quella  bellissima  Canzone: 


314  DANTE   E   LA   MUSICA. 

Amor  che  nella  mente  mi  ragiona, 
ch'egli,  ripigliando  gli  usi  della  vita  terrena,  si  fa  dal  suo 
Casella  cantare  nell'ingresso  del  Purgatorio;  dalla   quale 
soavità  vedemmo  rapiti  il  poeta  stesso  e  il  suo  compagno 
Virgilio  e  quelle  anime  fortunale. 

Tutto  il  sacro  poema  è  mirabilmente  pieno  d'armonia  e 
musica  verissima.  Primieramente  dico  la  musica  ossia  la 
temperatura  e  modulazione  de' suoni  propria  unicamente 
del  nostro  idioma,  la  quale  come  si  trova  eccellente  in 
questo  autore,  così  fu  in  diversi  gradi  comune  a  molti  di 
quel  secolo  beatissimo:  nel  sedicesimo  venne  alterata  al- 
quanto e  ristretta;  peggiorò  assai  nell'età  seguente:  a  tempi 
nostri  è  caduta  in  tanta  confusione  e  barbarie,  che  non  oso 
parlarne.  Chi  vuol  dunque  rinvenirla  pura  schietta  ricchis- 
sima gli  conviene  cercarla  in  Dante  che  n'è  vero  tesoro.,. 
Egli  è  pienissimo  di  quella  musica  la  quale  con  varii  e  ac- 
cordati [suoni  imita  ed  esprime  gli  umani  affetti Dove 

furon  mai  più  gentili  e  più  teneri  gli  amori?  dove  gli 
sdegni  più  lieri?  dove  le  disperazioni  più  atroci?  dove  lo 
sperare  più  caro?  dove  il  giubilare  più  estatico?  il  dolersi 
più  miserabile?  dove  più  affettuosa  la  gratitudine?  dove 
più  graziosa  la  riverenza?  dove  più  cortese  il  salutare? 
dove  il  pregar  più  efficace?  dove  più  impero  ne'  comandi? 
più  terrore  ne'  rimproveri  e  nelle  minacce?  Egli  veramente 
descrisse  fondo  all'universo  nella  sacrata  opera,  alla  quale 
poser  mano  e  cielo  e  terra....  -  Giordani,  V.  Abozzo  dì 
scritto  sopra  Dante  e  la  Musica,  e  il  Discorso,  Meriti  di 
Dante  sulla  Musica,  Opere  di  Pietro  Giordani,  T.  IX.  p.  140, 
Milano,  Borroni  e  Scotti,  1856. 

«  Il  notare  nel  divino  poema  i  luoghi,  ne'  quali  le  parole 
sono  scelte  sì  proprie  e  sì  propriamente  accomodate  da  ren- 
dere col  suono  materiale  l' effetto  de'  sentimenti,  sarebbe 
non  terminarla  mai  ;  che  ninno  di  questa  armonia  imitativa, 
0  sia  massima  proprietà  ed  eleganza,  fu  cercatore  quanto 
l'Allighieri,  il  quale  nel  principio  'del  xxi%  dell' Inf.  ce  lo 
dice  egli  stesso  con  quei  versi,  che  pur  sono  di  essa  armonia 
bellissimo  esempio: 

Se  io  avessi  le  rime  e  aspre  e  chiocce. 
Come  si  converrebbe  al  tristo  buco, 


DANTE   E   LA   MUSICA.  315 

Sovra  '1  qual  pontan  tutte  l'altre  rocce, 
Io  premerei  di  mio  concetto  il  succo 
Più  pienamente;  ma  perchè  io  non  l'abbo, 
Non  senza  tema  a  dicer  mi  conduco.  Ranalli,  i.  640 

E  il  Tommaseo  in  una  sua  lettera  a  Giovanni  Salghetti 
e'  indicava  i  versi  più  musicabili  nella  Divina  Comedia. 
«  Per  saggio  de'  passi  d'  autori  illustri,  passi  che  a  me 
pajouo  più  accomodali  alla  musica,  e  da  onorare  in  doppia 
maniera  l'arte  italiana,  ecco  quelli  di'  io  ho  intanto  Irascelti 
da  trentatrè  canti  de'  cento  di  Dante.  Avvertite  che  non 
tutte  di  questi  canti  ho  notate  le  bellezze  maggiori,  sì 
perchè  ce  n'è  di  riposte  da  non  poter  accostare  a  una 
moltitudine  di  uditori;  si  perchè  ciascuna  arte  bella  ha  la 
sua  indole  propria  e  i  proprii  confini:  onde  non  è  tutto 
musicabile  quel  eh' è  poetico;  né  tutto  quel  che  in  pittura 
piace  e  commove  si  può  scolpire  acconciamente;  né  nel- 
l'arte stessa  della  parola,  quel  che  riesce  potentemente 
narrato,  si  può  con  pari  efficacia  dialogare.  Se,  nello  sce- 
gliere con  tale  intendimento,  io  abbia  colto  nelle  ragioni 
dell'arte  e  nel  vostro  talento,  vedrete  voi,  che  saprete 
certamente  da  voi  stesso  discernere  quel  che  meglio  vi  torna. 

L'uscire  che  Dante  fa  della  valle  pericolosa,  e  il  riguar- 
dare dall'alto,  collo  spavento  negli  occhi  e  l'affanno  nell'a- 
nima, quasi  presentendo  i  nuovi  pericoli  che  l'aspettano  (l), 
fa  contrapposto  all'uscita  d'Inferno  sulla  pianura  solinga, 
e  alle  serene  imaglni  che  lo  allegrano,  il  dolce  colore  del 
cielo,  il  bel  pianeta,  le  quattro  stelle,  la  fresca  rugiada,  il 
tremolar  della  marina,  il  giunco  schietto  che  sull'onda 
commossa  rinasce  (2).  E  se  dal  proemio  del  Purgatorio 
ascendasi  a  quello  del  Paradiso,  dalla  letizia  delle  bellezze 
naturali  il  pensiero  è  rapito  a  veramente  soprannaturale 
grandezza  (3)  ;  e  la  musica  che  tenesse  dietro  a  quel  volo, 
solleverebbe  con  se  gli  ascoltanti  a  intentata  sublimità. 

All'angusta  lenta  salita  (4)  per  la  prima  scala  del  monte 


(1)  Inferno,  Canto  1,  terz.6.  Guardai  in  allo...  aterz.9,  persona  viva. 

(2)  Purgatorio,  CI.  t.5.  Dolce  color,  a  13,  fosse  davante.  -  Poit.3«. 
Va  dunque,  alla  fine  onde  la  svelse. 

(3)  Paradiso,  C.  1,  1. 1.  La  gloria  a.  t.  3,  non  può  ire. 

(4)  Purg.  C.  10,  t.  3.  Noi  salivam  a  t.  7,  per  deserti. 


316  DANTE  E   LA  MUSICA. 

sanlo  si  contrappongono  in  forma  che  può  essere  ispiratrice 
alla  musica  le  ascensioni  di  Beatrice  con  Dante  dal  monte 
alla  regione  luminosa  (1),  e  per  essa  al  ciel  della  luna  (2), 
e  da  questo  al  pianeta  dove  appariscono  al  poeta  coloro 
che  fecero  il  bene  non  per  puro  generoso  amore  del  bene, 
ma  in  parte  per  voglia  di  fama  (3). 

Pitture  variate,  la  mesta  ora  della  sera  (4),  il  sorriso 
d'una  valle  fiorita,  ove  le  anime  operando  pregano  (o)  ;  e 
contrapposto  a  queste  il  primo  entrare  la  disperata  porta 
d'Inferno  (6),  il  primo  affondare  gli  occhi  nel  bujo  sem- 
piterno (7).  A  Caronte  (8),  e  alla  bufera  agitante  coloro 
cui  travolse  il  tumulto  de'  sensi  (9),  alle  Furie,  le  cui 
minacce,  e  le  diaboliche  ire  sono  represse  dallo  spirito  sde- 
gnato camminante  sull'acque  (10)  ;  avete  di  contro  l'apparire 
dell'angelo  navigante  e  volante  (11);  e  i  due  che  col  suono 
delle  verdi  ali  fanno  fuggire  la  biscia  insidiante  alla  valle 
de'  pii  (12). 

I  tormenti  de'  golosi  (13),  de'  violenti  (14),  degli  acci- 
diosi invidi  e  iracondi  (15),  hanno  riscontro  nelle  pene  che 
purgano  i  pigri  ^16)  e  i  superbi  (17),  i  superbi  in  Purga- 
torio ridicono  l'orazione  insegnata  agli  uomini  da  Gesù  (18), 
da  Dante  recala  in  parole  semplici  e  affettuose:  e  al  loro 

(I)  Par.  C.  1,  1. 16.  Quando  Beatrice  a  t,  31,  ad  esso  riedi. 
(2J  Par.  C.  2,  t.  9.  Giunto  mi  vidi  a  1. 12,  permanendo  unita. 

(3)  Par.  C.  5,  t.  30.  Lo  suo  tacer  a  t.  33,  amori. 

(4)  Purg.  C.8,  1. 1.  Era  già  V  ora  a  t.  2,  si  muore. 

(5)  Purg.  C.  7,  t.  23.  Oro  e  argento  a  t.  20,  parSn  di  fiori 

(6)  Inf.  C.  3,  1. 1.  Per  me  si  va  a  1. 10,  turbo  spira. 

(7)  Inf.  C.  4,  1. 1.  Ruppemi  a  t.  4,  veruna  cosa. 

(8)  Inf.  C.  3,  t.  33.  Quinci  fur  quete  a  t.  42,  volge  in  desio. 

(9)  Inf,  C.  5,  t.  9.  Ora  incomincian  a  1. 14,  minor  pena. 

(10)  Inf.  C.  9,  1. 12.  E  altro  disse  a  t.  40,  alcun  ritegno. 

(II)  Purg.  C.  2,  t.5.  Ed  ecco,  qual  a  t.  8,  a  lui  n' uscio 

(12)  Purg.  C.8,  t.  8.  r  vidi  a  1. 14,  verrà  via  via.  E  poi  t,  33.  Da 
quella  parte  a  t.  36,  rivolando  iguali. 

(13)  Inf.  C.  6,  t.  2.  Nuovi  tormenti  a  t.  3,  è  somersa. 

(14)  Inf.  12, 16.  Ma  ficca  a  t.21,  l' arco  tiro.  Poi  32.  Noi  ci  movemmo 
a  t.  36,  dolorosi  anni. 

(15)  Inf.  7.  36.  Una  palude  a  t.  42,  parola  integra. 
(16J  Purg.  4,  29.  Ma  se  a  te  Sl  1. 10,  carro  mena? 

(17)  Purg.  11.  38.  Io  cominciai  alla  fine,  non  posso. 

(18)  Purg.  11,  1.  0  Padre  a  t.  7,  sprona. 


DANTE  E   LA  MUSICA.  317 

pregare,  curvati  sotto  gran  soma,  s'oppongono  le  altere 
parole  di  Farinata  che  s'alza  coi  petto  e  colla  fronte,  quasi 
avesse  in  dispetto  l'Inferno  e  i  suoi  strazii  (1).  Dal  fiero 
Fiorentino  nemico  agli  avi  di  Dante,  passate  al  Fiorentino 
amico  di  Dante,  Casella  (2);  e  questa  imagìne  mite  s'in- 
terponga tra  Farinata  e  Sordello,  anima  amorevole  nel  disde- 
gno (3);  e  Sordello  vi  farà  meglio  sentire  Romeo  (4),  e 
Casella  meglio  sentire  Carlo  Martello,  tuttoché  principe, 
amato  da  Dante  (5). 

Ma  se  cercate  luoghi  d'affetto,  avete  l'apparire  di  Beatrice 
che,  mossa  da  amore,  [raccomanda  a  Virgilio  l'amico  suo  (6); 
e  in  Inferno  Francesca  (7),  in  Purgatorio  la  Pia  (8),  in 
Paradiso  Piccarda  ,(9).  Piccarda  apparisce  cantando  Ave 
Maria;  e  vi  rammenta  VAve  che  suona  scolpito  sulle  labbra 
dell'angelo  nel  monte  santo  (10). 

Avete  in  Paradiso  danze  armoniose  e  raggianti  (11).  E 
le  parecchie  comparazioni  de'  giri  celestiali  alle  danze  ter- 
rene mi  muovono  a  interrogarvi  se  certe  similitudini  sparse 
per  luoghi  non  musicabili,  non  vi  paressero  poter  musicarsi 
da  sé,  in  modo,  se  non  da  comporne  un  trattenimento  tutto 
tessuto  di  quelle,  da  darle  per  intermezzi  e  riposi.  Tali  mi 
parrebbero  le  similitudini  delle  pecorelle  semplici  (12),  del 
loro  infuriato  (13),  delle  colombe  quiete  (14).  Poi  quelle 


(I)  Inf.  10,  8.  0  Tosco  a  t.  27,  ben  quell'arte. 

(2J  Purg.  2,  23.  U  anime  a  t.  3,  TpeuU  vai  ?  Poi  3G,  Ed  io  a  t.  41, 
Dio  manifesto. 

(3)  Purg.  6,  20.  Ma  vedi  a  t.  24,  abbracciava. 

(4)  Par.  6,  43.  E  dentro  alla  line  loderebbe. 

(5)  Par.  8,  5.  Io  non  m'accorsi  a  t.  25.  mora  mora. 

(6)  Inf.  2.  68.  Io  era  a  t.  24,  mi  fa  parlare. 

(7)  Inf.  5,  25.  Io  cominciai  a  32,  si  tace.   Poi  42  Ma  se   a  conoscer 
alla  fine,  morto  cade. 

(8)  Purg.  0,  44.  Deh  quando  alla  fine,  gemma. 

(9)  Par.  3,  4.  Quali  per  vetri  a  t.  8,  occhi  santi.  Poi  41,  Cosi  par- 
lommi  a  4i,  piit  tardo. 

(10)  Purg.  10,  12.  L'Angel  1. 16;  suggella. 

(II)  Par.  7,  3.  Ed  essa  a  t.  6,  felice.  Par.  10.20  Poi  ti  cantando  a 
t.  27,  rivolte. 

(12j  Purg.  2, 17.  Come  le  28.  non  sanno. 

(13)  Inf.  12,  8.  Qual  è  a  saltella. 

(14J  Purg.  2,  42-43.  Come  quando-  Maggior  cura. 


318  DAME  E  LA   MUSICA. 

della  gloria  umana  che  smuore  (1)  come  colore  d'erba. 
Del  coraggio  di  Dante,  che  si  riha  come  fiore  al  mattino  (2)  ; 
di  Beatrice  che  guarda  a  lui  con  pietà  come  madre  a  figliuolo 
vaneggiante  (B);  del  suo  svilupparsi  dalle  anime  chiedenti 
suflragio,  come  chi  vince  al  giuoco  dai  domandanti  la  man- 
cia (4);  e  di  chi  dubita  se  vegga  o  no  il  vero  (5);  e  di 
chi  intende  tra  i  suoni  dell'organo,  or  sì  or  no,  le  paro- 
le (6);  e  dell'orinolo  che  armoniosamente  richiama  alla 
mattutina  preghiera  le  anime  amanti  (7). 

Se  questi  cenni  punto  punto  vi  fanno,  seguiterò  sopra 
Dante  e  il  Tasso  e  l'Ariosto  e  il  Petrarca  e  altri  Lìrici  :  se 
no,  smetteremo.  Addio  di  cuore.  -  J\.  Tommaseo. 

\.TommdiSQO,  Bellezza  e  Civiltà,  all'articolo:  Corrispon- 
denza della  Musica  con  la  Poesia,  Firenze,  Le  Mounier,  1837. 
pag.  127. 

V.  Tommaseo,  Inspirazione  e  Arte,  all'articolo:  Dionisi 
d' ilicarnasso,  dell'arte  retorica:  Saggio  delle  note,  Firenze, 
Le  Mounier,  1858,  p.  547-363. 


(1)  Purg.  11,  39.  Le  vostra  -  Acerba. 

(2)  Inf.  2,  43.  Quale  i  fioretti  -  stelo. 

(3)  Par.  1,  34.  Ond'  ella  appresso  -  deliro. 
(4    Purg.  6, 1.  Quando  5  da  essa. 

(5)  Purg.  7,  4,  Quale  è  colui  -  non  è. 

(6)  Purg.  9,  49.  Tale  imagine  -  parole. 

(7)  Par.  10,  47.  Indi  come  alla  fine. 


HISICOGRAFIA  DELIA  DIVISA  COMEDIA. 


Galilei  Vicenzo,  Il  lamento  del  Co.  Ugolino.  Questa 
Composizione  Musicale  dell'  illustre  genitore  del  gran  Galileo 
è  ricordata  dal  Pselli  e  dall'Arteaga. 

Donizzetti  Gaetano,  Il  Canto  xxxiii,  L'Ugolino,  Napoli 
Calcografia  de'  reali  teatri,  1827, 

Ziwjarelll JSìcolò,  L'Ugolino.  —  «Se  tu  odi  la  terribile 
cantica  dove  quel  disperato  padre  piange  insieme  e  ragiona 
del  crudelissimo  strazio  e  della  morte  sua  e  de'  figliuoli, 
stimerai  che  la  sdegnosa  anima  dell'Allighieri  fosse  passata 
ad  informare  il  corpo  del  Zingarelli,  quando  trovava  quei 
fieri  e  lugubri  accordi.  E  tralasciare  non  dovrei  di  toccare 
di  questo  suo  lavoro,  che  invitato  al  collegio  musicale  di 
Parigi,  fu  messo  a  stampa  come  esempio  di  sovrana  eccel- 
lenza di  arte.  »  Puoti. 

Morlacchi  Francesco,  Perugino,  Parte  del  Canto  xxxiii, 
dell'  Inferno,  posta  in  musicale  declamazione  con  accompa- 
gnamento di  Piano-forte,  Milano  Ricordi,  1834.  —  Ne  ha 
parlato  il  Mezzanotte  neWOrniologia  di  Perugia  ed  il  prof. 
Bacciomeo  nel  l\uovo  Giornale  dei  letterati  di  Pisa. 

Dalle  Osservazioni  sopra  la  poesia  dei  Trovatori  del  Co. 
Galvani  rileviamo  che  varii  canti  di  Dante  furono  messi  in 
musica,  nel  XYI  secolo  dal  Josquinio  dal  Yillacrt  e  da  altri 
compositori  fiamminghi. 

11  Maestro  Cav.  Paccini  componeva  (1864)  una  sinfonia 
intitolata  Dante:  Vi  si  dipinge  col  magistero  de' suoni  i 
tormenti  dell'  Inferno  [P.  i),  le  pene  mitigate  dalla  speranza 
nel  Purgatorio  (P.  ii),  la  beatitudine  nel  Paradiso  (P.  in),  e 
finalmente  il  ritorno  trionfale  di  Dante  sulla  terra  accla- 
mato e  celebrato  da  tutte  le  genti. 


DAME  E  lE  BEILE  ARTI. 


Io  mi  sedea  in  parte,  nella  quale  rieordaii- 
domi  di  lei,  disegnava  un  angelo  sopra 
certe  tavolette.  VITA  NUOVA,  §  35. 

A  intender  Dante  é  bisogno  saper  l' arte 
cristiana,  poich'  egli  non  è,  a  cosi  dire, 
che  la  glorificazione  in  versi  della  scul- 
tura e  della  pittura  e  dei  monumenti 
religiosi  dei  tempi  di  mezzo.  LAPITl'K. 


Storia  dell'arte.  —  A  misura  che  l'arti  belle  si  avan- 
zano al  loro  perfezionamento,  la  gloria  dei  passati  artisti 
si  va  ecclissando,  e  chi  vien  dopo  fa  dimenticare  chi  fu 
avanti,  se  già  non  succedano  etati  grosse,  tempi  in  che 
l'ingegno  non  vi  fiorisce,  annebbiato  dalle  tristi  usanze. 
0  vanagloria  delle  umane  posse, 
Cora'  poco  verde  in  sulla  cima  dura, 
Se  non  è  giunta  dall'  etati  grosse  !  Purg.  xi.  91. 

A  Cimabue  la  pittura  debbe  i  principii  del  suo  rinasci- 
mento,  e  la  gloria  di  aver  dato  origine  ad   una  nuova 
maniera  di  disegnare  e  di  colorire;  ma  il  sole  della  pittura 
sorse  con  Giotto;  egli  tant' oltre  condusse  l'arte  da  venirne 
a  modello  di  grandezza  e  tenerne  il  principato. 
Credette  Cimabue  nella  pintura 
Tener  lo  campo,  ed  ora  ha  Giotto  il  grido, 
Sì  che  la  fama  di  colui  oscura.  Purg.  xi.  95. 

Oderisi  da  Gubbio,  della  scuola  di  Cimabue,  miniatore 
a'  tempi  di  Dante  celebratissimo,  o  come  dicono  i  Francesi 
enluminer,  riman  vinto  dal  suo  discepolo  Franco,  bologne- 
se, nella  varietà  ed  armonia  dei  colori,  e  nelle  altre  belle 
qualità  della  composizione  e  del  disegno.  Da  questo  Franco 
ebbero  principio  le  glorie  della  Felsina  pittrice,  e  al  dire 
del  Malvasia,  il  retaggio  della  buona  pittura  : 

0,  dissi  lui,  non  se'  tu  Oderisi, 
L'onor  d'Agubhio,  e  l'onor  di  quell'arte 
Ch' alluminare  è  chiamata  in  Parisi? 


DAME   E   LE   BELLE  ARTI.  321 

Frate,  diss'egli,  più  ridon  le  carte 
Che  pennellcggia  Franco  bolognese: 
L'onore  è  tutto  or  suo,  e  naio  in  parte.  Purg.  xi.  TI. 

Dell'Arte.  —  Anche  Iddio,  colui  che  mai  non  vide  cosa 
nuova,  che  disegna  sempie  da  sé,  che  dipinge,  ma  non  ha 
chi'l  guidi  [Par.  xviii.  109;,  ama  tanto  la  sua  arie  che 
sempre  la  mira  con  compiacenza,  e  mai  non  leva  io  sguardo 
da  essa: 

....  comincia  a  vagheggiar  nell'arte 
Di  quel  Maestro  che  dentro  a  sé  1'  ama 
Tanto,  che  mai  da  lei  l'occhio  non  parte.  Par.  x.  10. 

L'arte  di  Dio  è  la  Natura:  De  Mon.  i.  4.  La  natura  è 
nella  mente  del  primo  movitore  eh' è  Iddio,  dipoi  nel  cielo 
come  in  instrumento,  mediante  il  quale  la  similitudine 
dell'eterna  bontà  nella  materia  inferiore  si  spande...  il  cielo 
è  instrumento  dell'arte  divina...  dello  arletlce  Iddio:  ì)e 
Mon.  il.  2.  Quando  il  supremo  arlelìce  prende  a  disporre 
la  materia  di  sua  propria  mano,  a  sigillarvi  la  chiara  luce 
e  perfezione  della  prima  ideale  virtù,  o  vogliam  dire  della 
eterna  idea  da  lui  chiaramente  vista  nella  sua  mente,  allora 
in  questa  cera  Tutta  la  per {ezion...  s'acquista:  Par.xm.l'ù. 
L'arte  si  chiama  anche  nipote  a  Dio: 

Si  che  vostr' arie  a  Dio  quasi  è  ner>ote,  /n/".  xi.  105; 
però  imiti  essa  la  natura,  siccome  norma  del  bello.  Ove 
l'arte  imiti  l'arte,  sempre  più  s'allontana  dalla  parentela 
celeste.  Gli  artisti  non  dci^giono  imitare  a  modo  servile, 
ma  dai  capolavori  ricavar  forza  di  sguardo  a  contemplar 
la  natura. 

L' ingegno   non   dcbbe   andar   scompagnato   dall'  arte  ; 
ritrova  e  combina  l'uno,  conduce  l'altra  ad  elìetlo  conve- 
nientemente il  pensier  della  mente: 
Natura  lo  suo  corso  prende 
Dal  divino  intelletto  e  da  su'  arte.  Inf.  xi.  99. 

e  altrove: 

Tratto  t'ho  qui  con  infjegno  e  con  arte. 

Purg.  xxvn.  130  ;  ix.  71  ;  x.  8. 

I  precetti  della  ragione  abbiano  autorità  d'inviolabili  :  l'arte 
sia  freno  dell'ingegno: 

Non  mi  lascia  più  ir  lo  fren  dell'arte.  Purg.xxxiu.lil. 
Ogni  arte  ha  un  limite,  che  trascendere  anco  a'  supremi 

VOL.  II.  21 


322  DANTE   E   LE    BELLE   ARTI. 

ingegni  è  vietalo:  ogni  arlista,  come  sia  giunto  air.cslremo 
di  suo  potere,  per  toccare  la  perfezione  dell'  opera  sua, 
debbe  rimanersene;  altrimenti,  dice  il  Guerrazzi,  il  bello 
precipiterebbe  nelle  rovine  delia  maniera,  e  meglio  Dante: 
non  sarebbcr  arti  ma  mine:  Par.  viii.  108. 
lì  qiial  più  a  gradire  oltre  si  mette, 
:<Jon  vede  più  dall'uno  all'altro  stilo.  Purg.x\i\.(il. 

...  or  convien  die  '1  mio  seguir  desista 
Più  dietro  a  sua  bellezza,  poetando, 
Come  all'ulttrìiO  suo  ciascuno  artista.  Par.  xxx.  31. 
(all'  ideale  dell'arte) 

Difficoltà  dell'espressione.  —  Difficoltà  dell'  artista, 
tenuto  a  valersi  di  mezzi  al  lutto  materiali,  nell' esprimere 
adeguatamente  la  poesia  del  concetto  che  quasi  nella  mente 
fjH  raggia  {Conv.uiA);  spesso  la  materia  arrendevole  gli 
fallisce,  e  mal  risponde  al  disegno  ed  al  fine  imaginato: 
Vero  è  clìe,  come  forma  non  s' accorda 
Molte  fiate  alla  'ntenzion  dell'arte, 
Pefcli'  a  risponder  la  materia  è  sorda.  Par.  1. 127. 
Non  è  disposta  ed  apparecchiata  a  ricevere  quella  forma:  Conv. 
II.  1.- Spesso  anche  la  scienza  e  Vahito  delVarte  è  impotente  a 
ritrarre  la  forma  che  gli  sta  nell'intelletto,  a  rilevare  le 
figure  com'  ei  le  ha  concctte  :  Par.  xviii.  86. 
L' artista 
dia  V  abito  dell'  arte  e  man  che  trema.  Par.  xiii.  77. 
Quindi  quella  grande  idea  del  bello  che  l'artefice  sublime 
non  crede  aver  mai  afferrata,  presentandosi  sempre  maggiore 
dell'opera  il  concetto,  e  la  perfezione  diviene  perpetuo  de- 
siderio dell'  arte,  anche  quantunque  la  man  obbedisca  al- 
l'intelletto. Buonarroti,  Son.  i. 

Fine  dell'arte.  —  Il  fine  dell'arte  è  la  rappresenta- 
zione della  bellezza,  il  piacere  : 

Mai  V  appresentò  arte  Piacer —  Purg.  xxxi.  49. 

E  il  Buonarroti  cantava:  3Ia  non  potea  se  non  somma 
bellezza  Accender  me,  che  da  lei  sola  tolgo  A  far  mie  opre 
eterne,  lo  splendore  :  Son.  39.  -  Per  fido  esempio  alla  mìa 
vocazione  Nascendo,  mi  fu  data  la  bellezza  Che  di  du'  arti 
m'è  lucerna  e  specchio:  Madr.  vii.  Ma  questa  rappresenta- 
zione del  bello  non  debb' esser  l'unico  e  supremo  fine  dello 
artista,  che  egli  non  ha  da  mirare  solo  al  diletto,  sì  an- 
cora e  sovratlutto  valersi  di  questo  per  cattivare  la  miglior 


DAME  E  LE  BELLE   ARTI.  'i*2Ji 

parte  di  noi:  lo  che  vale  quanto  innamorarla  del  ben  ri- 
chiesto al  vero  ed  al  IrashiUo  [Par.  xiv.  93),  commuoverla 
di  grandi  e  gentili  afletti: 

Arte  fé'  pasture 
Da  pigliar  occhi  per  aver  la  mente.  Par.  xxvii.  9i. 

L'artista  non  può  infondere  nell'opere  dell'Ingegno,  e 
dalle  opere  riflettere  sulla  moltitudine  la  virtù  che  non  ha  : 

Chi  pinae  figura 
Se  non  può  esser  lei,  non  la  può  porre.  Cam.  xiu.  3, 

e  all'austero  verso  faceva  comento;  «che  nullo  dipintore 
potrebbe  porre  alcuna  ligura,  se  intenzionalmente  non  si 
facesse  pria  tale,  quale  la  figura  esser  dee:»  Conv.  iww. 
e.  10.  -  Il  vizio  dell' artefice  si  apprende  di  leggieri  all'o- 
pera, e  perchè,  come  dice  il  Buonarroti  :  è  natura  altrui 
pinger  sé  slesso,  Ed  in  ogni  opra  palesar  V affetto;  e  qual 
perchè  il  vizio  trovò  sempre  grandi  fomenti  nell'arti,  ogni 
volta  ebbero  dimenticato  la  divina  origine  ed  il  nobile 
officio. 

luspirarJonc.  —  Come  nelle  lettere,  anche  nelle  arti 
belle,  ciriamale  mirabilmente  dal  poeta  visibile  parlare  (Purg. 
X.  D5j,  è  necessaria  l'inspirazione:  senza  questa  celeste  fa- 
villa l'arte  non  si  alzerà  mai  a  vera  grandezza: 

r  mi  son  un  che,  quando 
Amore  spira,  noto,  ed  a  quel  modo 
Che  detta  dentro,  vo  significando.  Purg.  xxiv.  32. 

Raflaollo  chiamava  inspirazione  certa  idea,  che  in  mancanza 
di  bella  donna  da  copiare,  nascevagli  nell'animo  [Leti.  piti. 
1.84);  e  il  Buonarroti  :  hai  mortale  al  divin  non  vanno  gli 
occhi  Che  sono  infermi.,  e  non  ascendon  dove  Ascender  sen- 
za grazia  è  pensìer  vano.  -  Onde  non  a  caso  diccsi  in- 
spirazione. ■ 

Dell'Arte  cristiana.  —  Il  divino  e  lo  spirilo,  di  lor 
ragione,  non  sono  capaci  di  bellezza  artistica,  e  non  pos- 
sono diventar  Ijelli  se  non  in  qualche  modo  umanandosi  e 
svelandosi  sensatamente  nel  modo  stesso  che  le  qualità  spi- 
rituali dell'animo  si  fanno  a  noi  manifeste  per  l'espressione 
e  l'arieggiare  dei  volti: 

Trasumanar  significar...  Non  si  poria.  Par.  i.  11. 
Volendo  pertanto  sotto  forma  sensibile  ritrarre  esseri 


324  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

puramente  s\i\v\lm\\,' spiritali  bellezze:  Canz.vn.^.)  è  mestieri 
accordare  T  elemento  artistico  con  la  dottrina  cattolica  della 
condizione  dei  corpi  glorilìcati  {Par.  iv.  43)  ;  è  mestieri  che 
ne'  mirabili  aspelli  rappresentati  risplenda  non  so  che  divino 
che  li  trasmuti  da'  primi  concetti  {  Par.  u\.  58),  se  vogliamo 
che  abbiano  spirto  sol  di  pensier  santi:  Par.  xx.  15.  Allora 
t  lor  lieti  sembianti,  amore  e  meraviglia  e  dolce  sguardo, 
ci  faranno  esser  cagion  de'  pensier  santi:  Par.  xi.  76.  -  In 
questo  tutta  la  teoria  dell'  arte  cristiano. 

Dante,  dice  il  Blamonti,  è  lo  scrittore  più  sublime  dopo 
1  libri  divinamente  inspirati,  dai  quali  tolse  concetti,  imma- 
gini, similitudini  per  significare  a  dovere  le  glorie  celesti, 
è  altresì  la  scorta  più  sicura  del  pittore  cristiano,  e  insieme 
fonte  inesausta  delle  più  recondite  e  squisite  bellezze,  e 
tutte  spirituali  e  nobilissime.  Yeggasì  con  quali  immagini 
ci  ponga  innanzi  e  ci  dipinga  le  forme  e  la  sembianza  di 
quegli  spiriti  avventurosi  che,  sciolti  dal  corpo  mortale  e 
rivestiti  di  etere  sottilissimo,  si  rendono  visibili  agli  occhi 
poi.  Nella  Piccarda  de'  Donati  {Par.  ni.  10-15.  Id.  58)  vi  ha 
tanta  bellezza  artistica  e  tanta  idealità,  quanta  a  mente 
umana  è  dato  pensare  ad  esprimersi.  Certo  nessuno  aggiunse 
Dante  nel  ritrarre  gli  Angeli  in  tanta  copia  e  con  si  variate 
immagini  nel  Purgatorio  e  nel  Paradiso,  e  nessun  poeta, 
non  eccettuati  Byron  e  Moore,  seppe  trarre  da  questa  cre- 
denza tanta  e  così  profonda  poesia  :  Purg.  viu.  25  ;  Par.  ii. 
31;  XXXI.  130;  xxxii.  105,112. 

Potenza  artistica  del  poeta.  —  Dante  meraviglia  la 
abilità  dell'artista,  che  con   tanta  varietà  e  vivezza  avea 
effigiato  le  immagini  istoriate  nel  x  e  nel  xii  del  Purgatorio: 
Qunl  di  pennel  fu  maestro  e  di  stile, 

Che  ritraesse  l'ombre  e  gli  atti,  ch'ivi 

Farien  mirar  ogni  ingegno  sottile? 
Morti  li  morti,  e  i  vivi  parean  vivi: 

Non  vide  me' di  me  chi  vide  il  vero...  Purg.  xii.94. 
Ma  anche  il  poeta,  nel  descrivernele,  si  mostra  potente 
di  parola  e  maestro  di  stile.  Come  signor  della  parola  e 
poeta  veramente,  cioè  oratore,  aggiunge  il  parlar  vivo  che 
spira  visibile  dalla  pietra.  Que'  mirabili  intagli,  altri  a  linee 
ombreggiate  (segnate  nella  superficie  con  righe  a  modo  che 
s'incide  nel  rame,  parvi  discriminis  umbrae.  Metam.  i.  6.), 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  325 

altri  a  rilievo,  ci  sono  eloquenti  all'occhio  e  alla  mente, 
e  per  parole  clie  volano  e  si  scolpiscono  nel  pensiere  e  per 
fantastiche  visioni  che  prendono  l'intelletto.  Dante,  colla 
teoria  e  coli' esempio,  ci  apprende  i  più  alti  segreti  dell'arte. 

E  Dante  sapea  bene  osservare  ciò  che  chiamarci  pro- 
spettiva, che  dal  suo  maestro  avea  bene  imparate  tutte  le 
iìnezze  dell'arte,  ed  un  bell'esempio  ne  abbiamo  nel  Purf/. 
il,  ov'è  descritto  l'Angelo  che  veniva  da  lungi  sopra  una 
barca. 

E  nel  X  del  P?/tv/.  v.  94.  si  scusa  dell'aver  posto  che 
una  effigie  possa  esprimere  con  l'atto  non  uno  solo,  ma 
più  affetti  consecutivi  ;  perchè  Colui  che  mai  non  vide  cosa 
nuova  Produsse  esso  visibile  parlare.  L'artista  potrà  benis- 
simo giungere  a  imprimere  negli  atteggiamenti  e  nel  volto 
delle  sue  figure  la  domanda  e  la  risposta,  ma  non  mai  un 
dialogo  continuato,  perchè  l'attitudine  delle  figure  inta- 
gliate e  dipinte,  è  una  e  permanente. 

E  il  poeta  dei  pittori,  non  solo  nella  divina  sua  Comedia 
valse  a  significar  colle  parole,  dice  G.  B.  Nicolini,  ma 
seppe  atteggiarli,  come  richiedea  il  loro  costume,  le  loro 
passioni,  i  personaggi,  che  la  natura  del  suo  tema  gli  con- 
sentiva di  metter  sulla  scena  per  brevi  istanti,  e  con  quel 
senso  squisito  del  vero,  del  bello,  e  del  sublime,  che  la  na- 
tura concede  a  pochi  artisti.  Di  quanta  sapienza  e  fantasia 
era  mestieri  per  trovar  le  attitudini  abituali  e  proprie  dei 
vizii,  alcuni  dei  quali  son  partiti  fra  loro  di  cosi  breve  con- 
fine, e  di  esprimere  nei  gesti  ì  rapidi  movimenti  dell'animo 
in  un  modo 

Più  chiaro  assai  che  per  parlar  distinto.  Par.  iv  12, 
Fu  notato  che,  dopo  aver  letto  la  descrizione  della  divina 
Comedia,  si  crede  aver  visitato  una  galleria. 

L' AUighieri,  segue  lo  stesso  Mcolini,  colla  mente  la  più 
poetica  e  la  più  capace  d'ardite  visioni,  seppe  ordinare  con 
maraviglioso  accorgimento  le  parti  del  suo  lavoro,  disporre 
colla  facilità  di  un  grande  artista  le  masse  della  sua  vasta 
pittura,  e  senza  scuotere  il  frcn  deirurte,  sollevarsi  sugli 
altri  poeti  coll'ardire  e  colla  felicità  dell'aquila...  Aicolini, 
Opere,  Dell  Universalità  e  nazionalità  della  Divina  Comedia^ 
Volili,  243. 


320  DAME   E  LE   BELLE   ARTI. 

Ma  clil  potrebbe  dare  al  nostro  poeta  sufficiente  ammi- 
razione pel  modo  di  pennelleg^iare  o  meglio  scolpire  ogni 
suo  personaggio?  In  qual  altro  poema  si  trovano  ritraiti 
gli  uomini  con  colori  sì  veri  e  vivi  e  proprii  e  variati,  come 
sono  nella  divina  Comedìa,  Filippo  Argenti,  Farinati,  Ca- 
valcante, Pier  delle  Vigne,  Brunetto,  Bonifazio  Vili,  Vanni 
Fucci,  Guido  di  Montefellro,  Beltramo,  Adamo  di  Brescia 
e  il  conte  Ugolino?  E  procedendo  nel  Purgatorio,,  ehi  fece 
mai  più  belio  e  venerando  il  secondo  Catone?  E  chi  mai 
dipinse  costume  più  soave  di  quello  tVi  Casella,  più  affet- 
tuoso di  quel  di  Manfredi,  e  più  commovente  di  quello  di 
Buonconte  e  più  magnanimo  di  quello  di  Sordelk)?  I  ritratti 
dì  Guido  del  Duca,  di  Ugo  Capelo^,  del  poeta  Stazio,  di 
Forese,  di  Guido  GuiniceUi,  sono  quali  dovevano*  essere.  E  nel- 
Paradiso,  principalmente,  folgoreggiano  i  ritraili  di  S.  Tomaso 
d'Aquino,  di  Cacciaguida,  di  S.Pier  Damiano,  di  S-BenedellO" 
e  di  San  Pietro,  sfavillante  di  non  più  udita  ira  contro  gli 
indegni  usurpatori  del  loco  suo...  Nei  modo  di  significare- 
le  cose  con  quella  brevità,,  eleganza,  vivezza  che  te  le  fa 
apparir  megfio  uno  scultore  che  un  pittore,,  non  ha  alcuno- 
pur  uguale,  ma  è  superiore  a' più  perfetti;  giacché  in  lui 
non  pur  vedi  le  forme,  ma  le  vedi  tondeggianti  e  rilevanti 
come  nella  scultura  o  intaglia  che  sia,  e  ben  gli  si  puè 
dire  eolle  stesse  sue  parole  : 

Maestro,  i  tuoi  ragionamenti 
Mi  son  sì  eerti,  e  pi-endon  sì  mia  fedt. 
Che  gli  altri  mi  sarian  carboni  spenti.  Inf,  xx.  100. 

Ranalli,  Ammaesh\  della  Lelterut.  IV,  (»(i2-€ec. 

In  Dante  la  parala  dipinge  e  offre  al  quadro  del  pittore 
belli  e  pronti  e  armonicamente  temprati  i  colori.  -  Tommaseo^ 
Bellezza  e  Civiltà,  p.  IG'à. 

Dante,  nel  descrivere  ralleggiamenlo,  il  modo,  l'abito 
corporeo,  il  gesto,  le  fattezze  de'  suoi  personaggi,  è  pitlore 
a  scultore,  seconda  le  occorrenze,  eleggendo  il  punta  di 
prospettiva  propria  delle  due  arti,  e  ora  lavorando  a  giuoco 
di  colori  e  di  tinte,  sfumando  i  contorni  e  divertsificandoU 
col  chiaroscuro,  ora  dando  alle  sue  immagini  il  risentito  e 
il  preciso  dello  scalpello,  dal  poco  risalto  dei  bassi,  dei 
aiezzirilievi  sino  airinterno  contorno;  al  perfetto  spiccare 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  327 

e  londcggìare  delle  statue.  E  chi  dubita  che  i  divini  crea- 
tori della  pittura  e  della  statuaria  italiana  a  quella  poesia 
non  s'inspirassero?  La  poesia,  infatti,  è  l'arte  in  cui  si 
riuniscono  e  s'immedesimano  i  pregi  delle  due  industrie 
lìgurative,  i  quali  sono  spesso  impossibili  ad  accordare  col 
pennello  e  colle  raspe,  che  lavorano  sopra  una  materia 
esteriore,  in  cui  i  contrarli  non  possono  simultaneamente 
attuarsi;  dove  che  la  poesia,  che  ha  per  tratto  l' immagina- 
tiva e  il  pensier  umano,  conciliatore  delle  differenze  nella 
unità  propria,  e  si  serve  dello  strumento  soffice,  duttile  e 
arrendevole  della  parola,  per  esprimere  le  opposizioni  e 
accoppiare  insieme  il  bello  pittorico  e  scultorio...  V.  Gioberti, 
Del  Primalo,  p.  378. 

L'Inferno  di  Dante,  scrive  lo  Schelling,  è  il  regno  delle 
figure,  la  parte  plastica  del  poema,  il  Purgatorio  la  parte 
pittoresca. 

Potenza  degli  Artisti.  —  Anche  dalle  finte  sciagure 
valgono  a  spremerci  dagli  occhi  lagrime  vere: 
Come,  per  sostentar  solaio  o  tetto, 

Per  mensola  talvolta  una  figura 

Si  vede  giunger  le  ginocchia  al  petto, 
La  qual  fa  del  non  ver  vera  rancura 

Nascere  a  chi  la  vede ...  Pury.  x.  130. 

Del  colorito.  —  A  renderci  le  pieghe  de'  panneggia- 
menti non  sono  acconci  i  colori  troppo  vivi,  ma  ci  fa  duopo 
romperli  con  altre  tinte,  onde  ne  viene  una  delicata  e  soave 
sfumatura  di  colori: 

Però  salta  la  pennn,  e  non  lo  scrivo, 
Che  r  immaginar  nostro  a  colai  pieghe., 
Non  che  '1  parlare,  è  troppo  color  vivo.  Par.  xxiv. 25. 

li  disegno  adombra  la  cosa;  i  colori  l'avvivano:  E  l'A- 
riosto,  1.  58: 

Ch'  io  non  adombri  o  incarni  il  mio  disegno. 
Del  modello.  —  E  ci  è  ricordato  per  lui  il  pittore  che 
dipìnge  col  modello  sott'occhio: 

Come  pintor  che  con  esemplo  pinga.  Purg.  wxii.  6. 

E  Jacopo  da  Lentino  avea  prima  cantato  : 

Com'  uomo,  che  ha  mente 
In  altro  esemplo,  e  pinga 
La  simile  pentura. 


328  DANTE   E   LE   BELLE   ARTI. 

E  ci  avverte  come  l' esemplo  e  l' esemplare  abbiano  ad  andar 
iVun  modo:  Par.  xxviii.  35. 

liiice  necessaria  ad  una  pittura.   —  NÒ    dimentica 

]a  luce  necessaria  ad  una  pittura;  qualora  la  si  collochi 
in  parie  dove  il  sole  non  giunga,  non  può  mostrarsi  qual 
è,  nò  dilettare  gli  altrui  sguardi  colla  bellezza  de'  colori  e 
dell'arte  che  vi  pose  il  maestro: 

Come  pintura  in  tenebrosa  parte 
Glie  non  si  può  mostrare, 
>'è  dar  diletto  di  color  nò  d'arte.  Canz.xiì.ì. 

vedea 

Un'altra  istoria  nella  roccia  imposta: 
Per  eh'  io  varcai  Virgilio,  e  fé'  mi  presso, 
Acciocclic  fosse  agli  occhi  miei  disposta.  Purg.  x.  52. 

Capolavori  de^li  Artisti.  —  I  capolavori  degli  artisti, 
figurati  secondo  V  artifizio  di  miglior  sembianza,  ci  attrag- 
gono in  modo  che  in  pur  vederli  in  noi  stessi  ne  esaltiamo. 
E  per  le  loro  bellezze,  e  perchò  ci  mostrano  qual  era  artista 
che  li  creava,  ci  sono  cari  e  desiderabili: 

3Icntr'  io  mi  dilettava  di  guardare 
Le  immagini  di  tante  umilitadi, 
E  per  lo  Fabro  loro  a  veder  care.  Purg.  \.  97. 

Gli  occhi  miei  eh' a  mirar  erano  Intenti, 
Per  veder  novitadi,  onde  son  vajihi.  Purg.  x.  104. 

Qui  si  rimira  nell'arte  che  adorna 
Cotanto  effetto.  Par.  ix.  106. 

Esser  non  puote 
Senza  gustar  di  lui  chi  ciò  rimira.  Par.  x.  5 

Ma  il  gusto  ed  il  sentimento  s'acquista  per  ventura  e 
non  per  arte. 

Nell'arti  belle  tanto  diletto  riceviamo  quanto  per  natura 
siamo  disposti  a  riceverne: 

....    a  veder  queste  cose 
Non  ti  Ila  grave,  ma  fleti  diletto, 
Quanto  natura  a  sentir  ti  dispose.  Purg.  xv.  3J. 


INFLUENZA  DI  DANTE 
SULLA  POESIA  DELL'ARTE  DELLA  SUA  NAZIONE  d) 


Giotto  STEFA^o.  (n.l276,  m.  1336)  -  Gioito,  raccogliendo 
l'idea  dalle  mani  della  natura,  non  la  chiese  che  per  ve- 
stirla d'un  tenue  velo,  da  cui  più  vaga  e  desiderata  traspa- 
risse. Adunossi  intorno  al  maestro  una  bella  e  numerosa 
scuola  che  durò  presso  a  due  secoli:  da  essi,  che  ci  piace 
chiamare  artisti  poeti  (cioè  creatori),  furono  compiutamente 
svolle  le  leggi  dell'inventiva,  in  (juanto  s'attiene  alia  parte 
sentimentale  e  poetica  dell'arte;  e  in  ciò  fu  vano  poi,  sarà 
sempre  vano,  il  volerli  passare.-  Guasll,  Del  purismo  ncl- 

(1)  >'el  San  Pietro  e  nel  Giudizio,  e  nel  Mo.«è  e  nelln  Cena  e  nella 
S.  Cecilia  e  nella  Traflìsiirazione,  si  trovano  i  vestigi  e  lo  ini^pirazioni 
or  grandiose,  or  terribili,  ora  tenere  e  dolci  di  queir  ingegno  che  creò 
Catone,  P'arinata,  Gapaneo,  Gerione,  Maleida  e  Beatrice  e  gli  altri  miracoli 
della  Cantica.  Giobcrii,  Del  y/cZ/o.  -  L' altissimo  canto  ha  come  Omero 
comune  la  gloria  di  aver  infiuito  non  solo  sullo  stile  poetico  della  stia 
nazione,  ma  pure  sulla  poesia  dell'arte.  C.  B.  Nicolini^  ni.  29.  -  Nel  tre- 
cento, secolo  così  fecondo  d'artisti  e  sì  glorioso  per  l'arte  cri.-liana, 
quando  oanuno  bramava  leggere  sulle  pareti  del  tempio  le  pagine  più 
suDiimi  della  Bibbia,  le  leggende  popolari,  e  perfino  la  Cantica  dell'Alli- 
ghieri...  P.  .turchese,  Memorie  de' viltm-i  ecc.  1. 1-22. -La  poesia  di  Dante, 
dove  l'arte  della  parola  fu  la  perfezione  stessa,  valse  ad  informare  di 
quella  terribile  grandezza  quanti  dopo  lui  furono  più  grandi  pittori,  scul- 
tori ed  architetti  .  ..  Ranaili,  Storia  delle  belle  arti  in  Italia,  i.  95.  - 
Il  sacro  poema,  improntato  ad  ogni  pagina  di  forte  ed  originale  sentire, 
tosto  che  uscì  in  luce,  stampò  nel  secolo  gagliarde  impressioni.  Tutti 
i  pittori  sincroni  o  dì  poco  posteriori  al  suo  comparire,  allorché  tolsero 
a  rappresentare  i  Novissimi,  ne  segnalarono  palmo  a  palmo  le  tracce  ... 
P.  Estense  Selvatico,  Scritti  d'arte,  2o;i.  -  Il  poema  di  Dante  cominciò 
ad  esercitare  la  sua  influenza  sulla  fantasia  degli  artisti,  e  per  loro  meza» 
su  quella  del  popolo  .  .  .  Bastò  appena  un  mezzo  secolo  della  divina  Come- 
dia  perch'olla  pigliasse  luogo  non  solo  fra  i  capolavori  dell'umano  inge- 
gno, ma  eziandio  fra  le  popolari  leggende,  compiendo  di  sé,  comccliesìa, 
ogni  cosa  appresso  il  popolo  ed  ì  sapienti.  E  di  fatto  è  tale  in  essa  un'or- 
dine d' ideali  creazioni,  il  quale  dovea  senza  dubbio  agevolare  all'arte  il 
Buo  volo  verso  le  altre  regioni  del  bello.  Rio,  Form,  de  l'art.  Peinlum, 
eh.  III. 


330  DAME   E   LE   BELLE   ARTI. 

l'arie.  -  Genio  multiforme  e  sublime,  il  primo  che  si  af- 
franca dai  tipi  bizantini  e  crea  una  pittura  nazionale,  che 
nello  studio  delia  natura  e  nell'arie  di  significare  il  suo 
concetto  niun  ebbe  mai  superato  . .  .  Giotto  fu  da  Cimabuc 
indirizzalo  all'arte,  ma  dall' Allighieri  educato  ai  sublimi 
concepimenti. . .  -  Guasti.  -  Uomo  di  sì  elevato  sentire,  di 
sì  penetrante  veduta,  da  poter  solo  esser  paragonato  a 
quel  sommo,  il  quale  col  forte  poema  vestì  di  pensieri  di 
bronzo,  da  cui  raggiarono  a  tutta  l'odierna  civiltà  inse- 
gnamenti ed  affetti  immortali.  E  al  pari  di  quella  di  Dante, 
fu  vasta  la  mente  di  Gioito;  ma  senza  il  sommo  poeta  non 
ne  usciva  forse  il  sommo  pittore:  che  Dante  solo  potè 
additargli  come  si  mediti  sul  vero,  onde  intravvederne,  non 
già  l'apparenza  materiale,  ma  il  soffio  avvivatore.  -  5e/i'a- 
Iko.  -  Dante  inspiratore  a  Giotto  ed  amico:  trattò  Dante 
1  pennelli;  Giotto  poetò.  Maggiori  di  quei  due  non  si  vi- 
dero. -  Guasti,  Giorf/io  Vasari.  -  A  me  sembra  che  nella 
qualità  di  saper  tutto  esprimere  acconciamente  le  cose 
volgari  come  le  peregrine,  e  le  umili  come  le  grandi,  Giotto 
traesse  mirabilmente  dall'amico  suo  e  inspiratore  Dante 
Allighieri.  -  Guasti,  La  Cappella  dei  Bardi.  -  Le  storie 
dell'Apocalisse  in  S.  Chiara  di  Napoli  furono  invenzioni  di 
Dante,  come  per  avventura  furono  anco  quelle  tanto  lodate 
di  Assisi.  Nel  Giudizio  affrescato  nclV Arena  di  Padova, 
giganteggia  Lucifero  quasi  fosse  il  signor  dell' Di ferno.  Nel 
vederlo  col  pelo  arrufì'alo,  divorarsi  colla  triplice  bocca  i 
dannati  tornano  a  mente  i  robusti  versi  di  Dante,  quando 
ci  adombra  l'angelo  rubello  fatto  tricìpite,  che 

Con  sei  occhi  piangeva,  e  per  tre  menti 
docciava  il  pianto  e  sanguinosa  bava. 

Da  ogni  Locca  tiirompea  co'  denti 
Un  peccatore  a  guisa  di  maciulla, 
Si  che  tre  ne  facea  così  dolenti.  Inf.  xxxiv.  33. 

Parmì  sia  da  pensare  che  il  sommo  Ghibellino  giovasse 
l'amico  nelle  ligure  allegoriche  delle  \irtìi  e  dei  Yizii, 
perocché  in  esse  tante  si  veggono  allusioni  al  sacro  Poema, 
e  tale  una  finezza  di  concepimento;  da  far  presupporre  il 
soccorso  della  mente  la  più  acutamente  vasta  del  secolo.  - 
/*.  Estense   Selvatico,   Scritti  d'arte,   I  Freschi   di   Giotto 


DANTE   E   LE   RELLE  ARTI.  331 

nell'Arena  di  Padova.  -  Vasari,  file  de'  pia  eccellenti  pit- 
tori, ecc.,  Y.  L  p.  i^2.5.  -  Kanulfi,  Sìoria  delle  belle  arti  in 
Italia,  1.  95.  -  Rio,  Form,  de  l'art  Peinture,  eh.  in.  -  Drouilhet 
de  Sigalas,  L'Arte  in  Italia,  p.  ii.  e.  vi.  -  Batine»,  i.  p.  i.  p. 
343.  -  Ampère,  Yiarffjio  dantesco,  p.  65;  120,  1. 5*2.  ecc.  ecc. 

I/ingeiiuilà  ncU' espressione,  cosi  ii  Crepu^coU  {ISoo. 
p.  44t)),  dei  sentimento  interiore  ò  pur  quella  che  fu  tutto 
il  prestigio  dei  nostri  frescanti  del  secolo  XI Y.  e  per  dirk> 
passando,  dobbiam  saper  grado  al  Duniènil,  che  celebrando 
1  giotteschi  non  abbia  dimenticato  Dante,  e  non  siasi  la- 
sciato andare,  come  troppi  sogliono,  ad  ammirare  in  lom 
l' infantile  rigidità  dei  contorni,  compressi  ancora  dalle  fasce 
del  rituale  bizantino,  sebbene  in  quella  bontà,  neiraria  dei 
volli,  come  l'ha  chiamata  uu' aulico  istorico  dell'arte,  quei 
che  noi  diremo  candore  di  verità,  eh' è  dote  e  tradizione 
al  lutto  dantesca. 

(jlarikmo  allievo  di  Gioito).  —  «Nella  Chiesa  degli 
Eremitani  di  Padova  vi  hanno  alcune  pitture  a  fresco  di 
Guariento,  padovano,  coetaneo  pure  di  Dante,  morto  nei 
1338,  colle  quali  l'Artista  si  è  attenuto  più  fedelmente  al 
poeta.  Nel  coro  di  questa  Chiesa  vedonsi  figurali  i  sette 
pianeti  presso  la  Passione  e  la  Kesurrezione,  mediante 
quell'associazione  delle  idee  teologiche  ed  astronomiche,  sulla 
quale  è  basala  tutta  la  tessitura  del  Paradiso.  Alcune 
circostanze  servono  a  rendere  anche  più  polente  il  ravvici- 
namento fra  il  pittore  ed  11  poeta.  I  ditlerenti  segni  dello 
Zodiaco  son  qui  collocati  presso  ai  personaggi  che  appari- 
scono in  ogni  pianeta,  in  quella  slessa  guisa  che  Dante 
procura  sem[)re  d' indicare  con  minuziosa  esattezza,  ad  ogni 
passo  del  suo  viaggio  ad  un  tempo  mistico  e  cosmologico, 
in  qual  segno  dello  Zodiaco  si  trovi  il  sole.  ~  A  Padova, 
Marte  è  rappresentato  da  un  guerriero,  e  Dante  colloca  in 
(jueslo  pianeta  i  guerrieri  morii  per  la  fede.  La  Luna  di 
(ìuariento  è  una  donna  che  posa  il  piede  su  due  globi  che 
stanno  a  significare  l' instabilità  attribuita  dai  pregiudizi 
astrologici  a  tutto  ciò  che  nasce  sotto  l' influenza  di  quel- 
r  astro.  Dante,  guidato  dagli  slessi  progiudizi,  ha  posto 
nella  Luna  le  anime  di  coloro  che  involonlar'.amente  hanno 
rolli  i  loro  voli.  Inline,  la  Terra  è  circondata  da  raggi  rossi. 


332  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

certamente  per  denotare  la  sfera  di  fnoco  che  l' inviluppava, 
secondo  il  sistema  di  Tolomeo,  seguito  in  tutto  da  Dante.  - 
11  poeta,  che  non  trasanda  una  sola  occasione  di  ablnittere 
il  papato,  non  avrebbe  disapprovalo  l'ardila  e  bizzarra 
allegoria  colla  quale  il  Guaricnlo  ha  signi  ficaio  il  nostro 
piuncla.  Egli  lo  porsonilìca  sotto  le  forme  d'  un  uomo  assiso 
sopra  un  trono,  coronato  di  tiara,  con  la  destra  armala 
del  globo,  e  l'altra  di  uno  scettro  termi iialo  con  una  croce. 
Con  che  viene  a  chiaramente  accennare  alle  pretensioni 
del  papato  sul  mondo.  -  A)ìì})ère,  Yiaf/n^o  dantesco,  p.  H'I.  - 
V.  sul  Paradiso  dipinto  dal  Guaricnlo  a  colori  nella  sala 
del  Consiglio  di  Venezia,  Batines,  V.  i.  p.  344. 

lìUFFAMALGO  BuoisAiJico.  (vivtìva  nel  1351]  -  In  un  dipinto 
del  Campo  Santo  di  Pisa  ha  egli  rappresentato  l'universo 
con^)Osto  di  nove  sfere,  secondo  il  sislema  di  Tolomeo,  e 
sostenuto  dalle  mani  del  Cristo,  la  cui  Icsla  s'innalza  sopra 
r  ultima  sfera.  Quella  che  serve  di  base  alla  costruzione 
del  Paradiso^,  ii  una  connessione  eguale  fra  l'idee  cristiane 
e  quelle  di  Tolomeo.  Dante  sale  ad  un  tempo  di  pianeta 
in  pianeta,  da  verità  a  verità,  da  virtù  a  virtù,  lino  al 
princii)io  motore  di  tutto  l'universo;  a  tal  punto,  egli  è 
pervenuto  alla  i)iù  alla  manifestazione  dell'essenza  e  trinità 
divina.  Egli  riferisce  i  diversi  gradi  delia  contemplazione 
religiosa  alle  differenti  sfere  celesti  immaginate  da  Tolomeo, 
quivi  poste  fra  le  braccia  del  Cristo  e  dominate  dalla 
radiante  sua  testa.  In  ambedue  i  casi,  avvi  un  medesimo 
accordo  della  scienza  cosmologica  di  quel  tempo  con  lo 
spirito  teologico.  Qui  il  pittore  non  ha  copialo  il  poeta: 
non  esiste  fra  loro  che  analogia  d'inspirazione.  -  Ampère^ 
Yiuddio  dunlcsco,  p.  17.  -  L'Inferno  frescate  nella  Cappella 
dei  Bolognini  in  S.  Petronio  di  Bologna  è  pure  diviso  nelle 
sette  bolge  dantesche.  Il  Vasari  (I.  52),  e  chi  lo  seguiva, 
vogliono  (jnelle  pitture  del  secolo  di  Dante;  e  il  Malvasia 
nella  sua  Pittura  dì  Ihlo,jna,  le  dice  incominciate  da  Buo- 
«amico  Buffamalco,  e  condotte  a  termine  da  Vitale  e  da 
Lorenzo  di  Bologna.  Ma  giustamente  osserva  11  Gualandi 
nella  sua  recente  Guida  di  lìoloqna,  che  quantunque  questa 
Cappella  fosse  la  prima  aperta  al  pubblico  cullo,  pure  non 
Jo  fu  che  nel  1392,  essendosi  solo  nel  1388,  decretala  Te- 


DAME   E   LE  BELLE  ARTI.  333 

rczione  di  questo  tempio  insigne.  Oltrecchè  il  testamento 
(li  Bartolommeo  della  Seta,  fatto  nel  1408,  ci  assicura  non 
essere  a  quel  tempo  pur  anche  dipinta  la  Cappella  del 
Bolognini,  commettendo  esso  che  si  iinisca,  e  descrive  le 
storie  che  vi  si  doveano  figurare,  le  quali  sono  le  stesse  che 
ancor  oggi  si  veggono,  erroneamente,  come  dicemmo,  attri- 
buite a  Bulìamalco,  e  agli  altri  due  pittori  Vitale  e  Lorenzo. 
LoRENZETTi  AMBROGIO.  (  u.  1300  circa,  m.  1348)  -  0  Lo- 
renzetli,  eri  tu  più  filosofo  o  artefice  allora  quando,  nella 
Sala  che  si  chiamò  della  Pace,  esprimevi  per  modo  di  al- 
legoria, nascere  dall'equo  reggimento  la  concordia,  e  per 
la  concordia  fiorire  le  virtù  religiose  e  civili,  che  danno 
ai  governi  la  forza  e  della  forza  l'uso  sapiente?  Certo  eri 
tu  immaginoso  poeta  quando,  a  mostrare  gli  effetti  dell' ol- 
lima  e  delia  pessima  signoria,  esponevi  dall' un  lato  le  opere 
dei  vìzii  nefande,  e  (di  quelle  efl'etto  )  castella  dirute  ed 
arse,  o  abbandonate  a  quella  solitudine  che  è  desolazione, 
e  la  chiamano  pace:  mentre  dall'altra  parte  ritraevi  la  tua 
Siena,  frequente  di  cittadini,  prospera  di  commerci,  d'arti, 
di  campestre  ubertà,  rallegrata  dai  balli  delle  sue  graziose 
fanciulle,  abbandonata  a  quella  gioia  che  tu,  uomo  di  altri 
tempi,  potesti  vedere,  e  noi  tardi  nepoli  venghiamo  a  con- 
templar nei  dipinti.  »  -  Guasti,  La  virtù  inspiratrice  del 
bello.-  «Pseile  pitture  delle  Sale  dell'Archivio  delle  Rifor- 
mazioni ho  esaminalo  diligentemente  il  gran  lavoro  di  Am- 
brogio di  Lorenzo,  e  vi  avverto  che  le  virtù  richieste  a  un 
buon  governo  e  le  tristissime  laidezze  della  tirannia  non 
potevano  meglio  raffigurarsi,  né  con  simboli  più  appropriate. 
Ninno  dei  nostri  artisti,  a  me  sembra,  che  abbia  cos'i  preso 
dallo  spirito  dell'  Allighieri,  come  il  Lorcnzetti  in  quel 
dipinto,  dove  fra  l'altre  le  figure  della  Prudenza  e  del- 
la Frode  appariscono  quali  son  tratteggiate  nella  Divina 
Comedia.  Giamh.  Giuliani,  Lettere  sul  vivente  linqua(ifjio 
della  Toscana,  p.  18.  -  Nella  figura  della  Giustizia  vi  appose 
la  scritta:  DiUijitc  justitiam  quijudicatis  terram,  come  Dante 
nel  xvin  del  Paradiso,  glorifica  le  anime  dei  beati  che  am- 
ministrarono dirittamente  la  giustizia  nel  mondo,  le  quali, 
volitando  nel  cielo  di  Giove,  descrivevano  coi  loro  corpi  in 
più  figure  queir  istessa  leggenda. 


134  DAME  E  LE   BELLE  ARTI. 

Orcag>'a  Andrea,  (  nacque  Vóti,  movi  1389)  -  Ne'  Ire  gran 
drammi  per  lui  figurati  sulle  melauconiclie  mura  del  mo- 
numento di  Giovanni  da  Pisa,  the  som  il  Trionfo  della 
Morle^  il  Giudizio  fimalc  e  V  Inferno  vi  risplendono  le  idee  e 
l' inspirai  ione  diintesca,  Noadim^no  non  sì  pensi  essersi 
l'artista  messo  ad  una  servite  imitazione  della  cantica  dello 
Inferno,  ma  si  vede  chiarissimamente  ciregli  avcN^a  in  cima 
a  tutti  i  suoi  pensieri  l' Inferno  di  Dante  quando  colorava 
queir  affresco,  conciossiacckè  tu  ci  vedi  da  per  tutto  tras- 
parire il  dolore,  la  maledizione  e  la  disperazione  della  prima 
parie  della  divina  Comedia;  anzi  in  quella  grande  e  odiosa 
figura  di  Satana,  la  quale  stritola  co'  suoi  denti  un  dannato, 
costretto  in  quelle  sformate  sue  mascelle,  non  è  possibile  non 
riconoscere  altro  che  la  terrìbile  e  gigantesca  creazione  dello 
Allighieri.  Ma  né  quivi  solo,  ma  spesso  l'Orcagna  ripro4:kisse 
alcuni  pensieri  dell'epopea  di  Dante,  che  anche  a  Firenze 
nella  chiesa  di  S,  Maria  Novelìa  si  mirano  come  rinovatì  i 
belli  affreschi  del  final  "Giudizio,  del  Paradiso  e  dell'Inferno, 
aggiuntivi  pure  i  girl  e  le  divisioni  immaginale  dal  poeta.  - 
Drouilhet  de  Sigialas,  L' arte  in  Italia^  Y.  II,  e,  6,  -  Nella 
Cappella  Stroy^i  dipingeva  l'Orcagna  i  due  Isovissimi,  F In- 
ferno e  il  Paradiso.  E  come  la  divi/ìa  Coraedia  formava  di 
già  le  delizie  del  popolo,  e  l'Orcagna  n'era  ollremodo  in- 
vaghito, divise  l'Inferno  secondo  le  bolge  dantesche,  le 
popolò  di  spiriti  maledetti,  gii  atteggiò  agli  spasimi,  ai 
dolori,  nei  diversi  e  orribili  toruienli  immaginati  dal  poeta. 
Argomento  che  avea  esercitato  l'ingegno  di  Nicola  Pisano, 
di  Giotto,  ecc.,  e  che  si  ti-ova  così  sovente  e  con  tanta  mae- 
stria riixituto  dai  giotteschi.  Se  l'arte  non  vi  è  perfetta,  se 
il  nudo  non  ha  buon  disegno,  se  la  composizione  è  ben  so- 
vente confusa;  vi  regna  però  tutta  la  poesia  di  Dante,  tulio 
l'orrore  di  quei  luogo  ov'è  sbandita  la  speranza,  e  sembra 
in  vederlo  di  udire: 

'     Diverse  lingue,  orribili  favelle. 

Parole  di  dolore,  acc<;nli  d' ira, 

Voci  alte  e  fioche,  e  suon  di  man  con  elle.  Inf.  ni.  23. 

Di  Centro  effigiò  la  gloria  dei  celesti,  ed  ivi  spiegò  tanta 
bellezza  e  tanta  maestria  che  da  due  diversi  artefici  sem- 
brano eseguili  questi  due  Novissimi.  -  P.  Yintenzo  Marchese, 


DANTE   E   LE   DELLE   ARTI.  335 

Memorie  dei  più  insigni  Artisti  domenicani,  V.  I.  p.  128.  - 
Andrea  Orcagna,  audace  in  declinare  le  venerate  orme  di 
Giotto,  primo  osò,  squarciando  il  velo  delle  allegorie,  snu- 
dare gli  umani  affetti,  e  all'ideale  più  sublime  mescolare 
la  realtà  perfino  schifosa;  novatore  nel  concetto  e  nella 
maniera  quale  ci  appare  nell'inferno  a  S.  Maria  Novella  e 
nel  Trionfo  della  Morte  nel  Camposanto  di  Pisa  -  Giorcjio 
Vasari. -^Gì  freschi  dell' Orcagna,  rappresentanti  l'Inferno, 
ciascuno  riconosce  le  scene  già  tracciate  dal  pennello  dì 
Dante;  ed  evvi  Satana  in  alto  d'ingoiare  nelle  sterminale 
sue  fauci  tre  corpi  umani,  com'è  descritto  nell'Inferno  dan- 
tesco. Uguale  è  il  numero  delle  vittime.  In  Dante  sono 
Giuda,  Bruto  e  Cassio...  L'Orcagna,  dipingendo  Satana  sul 
divorare  ì  Ire  dannali,  non  poteva  avere  altro  scopo  che 
quello  d'imitar  Dante,  del  quale  il  fresco  nel  Camposanto 
può  dirsi  realmente  una  copia.  Ivi  si  veggono  pure  le  bolge, 
immensi  pozzi  circolari,  ove  l'autore  della  divina  Comedia 
ha  posto  le  differenti  specie  di  dannati;  vi  ha  rappresentalo 
una  figura  decapitata,  la  quale,  come  Bertramo  del  Bornio, 
tiene  pei  capelli  la  propria  testa,  grondante  sangue,  a  guisa 
di  lucerna;  espressione  familiare  ma  nonpertanto  terribile, 
poiché  di  un'esattezza  pittoresca,  che  fa  tornare  alla  menl<ì 
il  quadro  che  l' Orcagna  non  ha  paventato  di  mostrare  agli 
occhi.  -  Ampère,  Viurfrjìo  danlcsco,  IG.  -  Ivi  (in  S.  Maria 
Novella)  danteggiò  dipingendo  le  glorie  del  Paradiso  e  le 
pene  della  gente  perduta  :  ma  per  alcuno  s'avvisa  che  della 
imitazione  del  sovrano  poeta  troppo  si  compiacesse,  dimen- 
ticando che  il  decoro  e  le  leggi  della  pittura  non  concedono 
d'offrire  alla  vista  ciò  che  alla  fantasia  rappresenta  il  poeta. 
Ne  fuggì  questo  biasimo,  ch'egli  divide  con  Giotto,  quando 
nel  Camposanto  di  Pisa  trattò  lo  slesso  argomento...  L'Or- 
cagna mostrò  il  primo  nella  sua  Loggia  dei  Lanzi  questo 
accordo  felice  (della  solidità  colla  bellezza),  altro  prelu- 
dio a  quello  che  nell'  età  dappresso  eseguito  avrebbe  lo 
immenso  genio  del  Brunellesco.  Osservate  i  due  grandi 
archi,  i  quali  appoggiali  agli  esterni  pilastri  percorrono  la 
larghezza  della  loggia:  essi  dal  lato  opposto  non  posano  sul 
vivo  della  muraglia,  ma  da  essa  sporgendo  in  fuori  s'appog- 
giano principalmente  su  due  figure  curvale  in  queir altilu- 


336  DANTE  E  LE  BELLE  AUTI. 

dine  che  Dante  nel  decimo  della  sua  seconda  cantica  espresse: 

Come,  per  sostentar  solaio  o  letto, 
Per  mensola  talvolta  una  n^ura 
Si  vede  giuiijier  le  ginocchia  al  petto, 

La  qual  la  del  non  ver  vera  rancura 
Nascere  a  chi  la  vede  . . . 

JMcoltnl,  Elogio  di  Andrea  Orcufjna,  Y.  III.  p.  28  e  3G.  — 
Sulla  Lo(j(jia  de'  Lanzi,  V.  Am\ììire,  p.  36.  -  V.  Yasari,  ii.  123, 
125,  m.-Ranalli,  Storia  delle  belle  Arti,  V.  I.  p.  84.  88.  - 
Salvatico,  Scritti  d'arte,  253.  -  Da  Ilio,  C  m.  -  liutines,  i. 
p.  5.  p.  334,  337.  - 

Bartolo  Taddeo,  (m.  1410)  «  Intorno  al  1394,  lavorò  in 
Volterra  certe  tavole  a  tempera;  ed  In  Monte  Oliveto  una 
tavola,  e  nel  muro  un  Inferno  a  fresco,  nel  quale  segui 
r  invenzione  di  Dante,  quanto  attiene  alla  divisione  de' pec- 
cati e  forma  delle  pene,  ma  nel  sito  o  non  seppe,  o  non 
potette  0  non  volle  imitarlo.-  Vasari,  Vite  de' più  eccellenti 
pittori,  Y.  II.  p.  220.  -  (La  pittura  è  perita). 

Fra  Giovanni  da  Mugello,  o  il  B.  Angelico,  (n.  1287,  m. 
1455).  -  «  Richiamate  ora  alla  mente  la  tavola  del  Paradiso 
dell'Angelico,  della  quale  si  adorna  la  Galleria  degli  Uftìzj, 
0  l'altra  del  finale  Giudizio  dell'Accademia  Fiorentina,  e 
ditemi  se  in  quelle  care  figurine  non  vedete  la  trasparenza, 
la  leggerezza,  la  venuslà,  l'amore  e  il  gaudio  di  questi 
spiriti  danteschi?  In  queste  immagini  deirAllighieri  non 
è  gran  folgore  di  luce,  perchè  Piccarda,  e  gli  altri  sono 
racchiusi  nel  pianeta  della  luna:  ma  nel  canto  settimo 
questo  stesso  concetto  e  questa  ìmagine  del  dileguarsi 
degli  spiriti  si  riveste  di  forma  luminosa.  È  l'imperatore 
Giustiniano  e  gli  altri  che  dopo  un  lungo  colloquio  si  di- 
partono dall'Allighieri: 

Così,  volgendosi  alla  rota  sua, 
Fu  viso  a  me  cantare  essa  sustanza, 
Sopra  la  qual  doppio  lume  s'addua: 

Ed  essa  e  l'altre  mossero  a  sua  danza, 
E,  quasi  velocissime  faville, 
Mi  si  velar  di  subita  distanza.  Par.  v.  4. 

Questo  danzare  e  torneare  a  mo'  di  rota  fu  stupendamente 
significato  dall'Angelico  nella  Incoronazione  della  Vergine, 
che  dipìnta  ad  affresco  si  vede  in  una  cella  del  convento  di 


DAME   E   LE   BELLE   ARTI.  337 

S.  Marco;  ove  sono  sei  figure  dì  Santi  rapili  in  estasi,  e  chiusi 
entro  un  arcobaleno  nel  cui  mezzo  è  Maria  e  il  Redentore. 
Ma  bello  a  meraviglia  fu  il  modo  tenuto  d^llo  stesso  pittore 
neir  esprimere  quel  dileguarsi  e  vanire,  quasi  velocissime 
faville,  in  due  corpi  gloriosi  nel  finale  Giudizio  dell'Acca- 
demia ;  i  quali  rapiti  in  aere  e  presso  la  soglia  del  Paradiso, 
fece  trasparenti  e  raggianti  di  luce  per  guisa  che,  serbato 
della  forma  umana  sol  quanto  bastasse  a  raffigurarli,  non 
altro  appariscono  da  lungi  se  non  due  corpi  luminosi  con 
moto  velocissimo  rapiti  e  tirati  al  cielo...  Avvertì  Cesare 
Balbo,  e  prima  di  lui  il  Ginguenè,  la  predilezione  di  Dante 
per  gli  Angeli,  eh'  egli  ritrasse  in  tanta  copia  e  con  sì 
variate  immagini  nel  Purgatorio  e  nel. Paradiso;  e  aggiunge 
con  ragione,  che  niun  poeta  cristiano  (non  eccettuato  Byron 
e  Moore)  trasse  da  questa  credenza  tanta  e  così  perfetta 
poesia  come  l'Allighieri:  Purg.u.'ii;  viii.  25...  Nel  xxxii 
del  Paradiso  rammentate  la  bella  descrizione  dell'Angelo 
Gabriele,  innamorato  sì  che  par  di  fuoco,  e  nel  precedente 
quella  degli  Angioli  che  stanno  intorno  al  seggio  di  Maria... 
11  Vasari  trovò  gli  Angeli  di  fra  Angelico  tanto  belli  e  tanto 
paradisiaci,  che  li  dice  piovuti  dal  cielo.  Parmi  adunque 
doversi  tenere  come  indubitato,  che  niuno  ritrasse  meglio 
gli  Angeli  che  Dante  e  l'Angelico;  e  se  l'uno  e  l'altro  sì 
attenne  all'  ideale,  questa  era  la  sola  via  a  ben  rappresen- 
tarli; ma  il  farlo  al  pari  deirAllighieri  e  dell'Angelico  non 
fia  più  dato  ad  alcuno ...  P.  Marchese,  ScritfA  vari,  590-593.  - 
La  figura  dell'Angelo  (nella  tavola  deWAnnunziazione  della 
fì.  Verfiine)  è  di  una  meravigliosa  bellezza.  Piegato  alquanto 
il  ginocchio,  le  braccia  incrociate  sul  petto,  con  dolce  sor- 
riso, con  avida  aspettazione  attende  il  sospirato  assenso. 
Non  altrimenti  descrisselo  l'Allighieri  nel  xxxii  Canto  del 
Paradiso ...  P.  Marchese,  Vite,  ecc.  i.  259.  —  Lo  studio  e 
l'imitazione  di  Dante  tal  fiata  nell'Angelico  si  riscontra 
persino  nelle  più  piccole  particolarità;  così  a  ragion  d'esem- 
pio, se  l'Allighieri  scrive  dell'Angelo  Ga'jriele  che  etjU  è 
quegli  che  portò  la  palma  gitiso  a  Maria,  il  pittore  del 
Mugello  nella  tavola  dell'Annunziala  in  Santo  Alessandro 
di  Brescia,  in  luogo  del  giglio,  com'è  costume,  pone  vera- 
mente in  mano  all'Angelo  la  palma.  -  P.  Marchese,  Scrini 

VOL.  II.  22 


338  DAME  E  LE  BELLE  ARTI. 

vari,  592.  -  NeW  Incoronazione  della  Vergine,  che  ai  tempi 
del  Vasari  vedevasì  nel  trammezzo  alla  Chiesa  di  s.  Maria 
Novella,  e  che  nel  1823  passò  alla  Galleria  degli  Uffizj, 
uno  de' più  rari  dipinti  che  l'arte  e  la  pietà  dell'Angelico 
producesse,  dal  volto  e  dalle  movenze  degli  Angeli  traluce 
una  grazia,  un'  estasi  un  affetto  meraviglioso,  onde  a  quella 
vista  ricorrono  tosto  al  pensiero  le  parole  di  Dante: 
Ed  a  quel  mezzo  con  le  penne  sparte 

Vidi  più  di  mille  Angioli  festanti, 

Ciascun  distinto  e  di  fulgore  e  d' arte. 
Vidi  quivi  a'  lor  giuochi  ed  a'  lor  canti 

Ridere  una  bellezza,  che  letizia 

Era  negli  occhi  a  tutti  gli  altri  santi.  Par.  xxxi.  130. 

Sopra  tutte  le  altre  bellissima,  nella  quale  appare  sovrano 
maestro  nel  rendere  le  ineffabili  gioie  del  cielo,  è  la  Inco- 
ronazione della  Vergine...   Sopra  candida  nuvoletta,  tutta 
da  vaga  iride  circondata,  ritrasse  la  Vergine  biancovestita... 
Qui   parci  ch'egli  abbia  viemeglio  seguitata   la  cantica 
dell'Allighieri,   conciosiachè  egli  dispose  queste  sei  figure 
(di  santi)  sopra  una  linea  semicircolare,  quasi  una  di  quelle 
ghirlande  di  spirili  beati,  i  quali  di  continuo  cantano  e 
danzano  intorno  al  trono  di  Dio ...  Tutti  a  un  modo  stesso 
tengono  sollevati  gli  occhi  e  le  mani  al  cielo  e  traluce 
dai  loro  volti  un  gaudio,   una  beatitudine  che  in  vederli 
sembra  esser  rapiti  fra  il  consorzio  dei  comprensori.  -  /'. 
Marchese,  Vite,  ecc.  p.  236,  267.  -  Nella  Discesa  al  Limbo 
dei  Padri,  ch'egli  ritrasse  nella  cella  di  Santo  Antonino, 
parve  al  professor  Rosini,  avere  di  forza  e  di  poesia  vinto  e 
superato  sé  stesso  e  quasi  direi  gareggiato  coU'Allighieri./- 
P.  Marchese,  Id.  p.  266.  —  Restaci  ora  a  descrivere  quel 
Giudizio  finale  che  fra  tutte  le  meraviglie  dell'Angelico, 
è,  a  mio  avviso,  la  più  stupenda.  Da  Nicola  Pisano  fino  a 
Michelangelo  Buonarroti,  questo  terrìbile  argomento  eser- 
citò l'arte  e  l' ingegno  de'  più  valenti  artefici,  i  quali,  nella 
più  parte,   gareggiarono  in  ritrarre  a  colore  quanto  delle 
gioie  dei  giusti  e  del  forsennato  disperar  dei  dannati  avea 
nel  suo  carme  divino  cantato  l'Alilghieri:  E  bene  avevano 
costoro  esauriti  tutti  i  concetti  nel  ritrarre  il  tardo  disin- 
ganno, gli  spasimi  atroci  e  l'eterna  disperazione  di  quei 
miseri  riprovali  ;  rinvenute  le  più  nuove  e  le  più  orribili 


DAME  E  LE  BELLE  ARTI.  339 

maniere  di  tormenti;  nuove  e  disusate  forme  di  dolore; 
sicché  un  subilo  raccapriccio  invade  tosto  la  mente  e  il 
cuore  alla  vista  di  quella  scena  terribile,  che  parano  innanzi 
il  Signorelli  in  Orvieto,  e  il  Buonarroti  in  Roma.  E  invero, 
l'uomo  per  lunghe  e  durissime  prove  è  da'  più  teneri  anni 
ammaestrato  dal  dolore;  e  ben  sa  egli  con  veri  colori  e 
con  eloquenti  parole  ritrarlo  in  tela  o  in  versi;  ma  ove 
egli  si  accinga  a  significare  le  gioie  celesti,  e  i  gaudii  inef- 
fabili dei  beati,  a  lui  vengon  tosto  meno  le  immagini  e  le 
forme  come  rappresentarli...  Dante,  non  pago  di  noverare 
i  tormenti  ai  quali  sottopose  quegli  sciagurati,  o  le  gioie 
che  finse  gustassero  gli  eletti  ;  volle  non  pure  dirci  il  nome 
de'  più  chiari  fra  loro,  ma  narrarci  eziandio  i  vizi  e  le  virtù 
per  cui  ebbero  sorte  cotanto  diversa  ;  giovando  ciò  a  far 
viemeglio  detestare  i  primi,  ad  ammirare  i  secondi.  Pare 
che  al  medesimo  scopo  mirasse  l'Angelico.  Quindi  tu  vedi 
fra  ì  maledetti  persone  di  ogni  età,  grado  e  condizione,  e 
specialmente  assai  ministri  del  santuario...  Non  altrimenti 
avea  fatto  l'Allighieri  per  diverse  cagioni,  a  solenne  e  per- 
petuo ammaestramento  dei  popoli...  Divise  l' inferno  in  sette 
gironi  0  bolge,  in  ognuna  delle  quali,  secondo  la  natura 
dei  sette  vizj  capitali,  sono  diversi  i  tormenti  e  i  tormen- 
tati... Assai  poetica,  e  tolta  dall'AUighieri,  parci  l'idea  di 
tìgurare  nell'  ima  parte  dell'  Inferno,  /'  Imperator  del  dolo- 
roso regno,  che  ornato  di  tre  teste: 

Da  ogni  bocca  dirompea  co'  denti 
Un  peccatore  a  guisa  di  maciulla, 
Si  che  tre  ne  facea  così  dolenti.  Inf.  xxxiv.  53. 

Figura  veramente  terribile,  della  quale  ninno  avria  creduto 
autore  un  artista  solo  adusato  a  ritrarre  immagini  ornate 
di  celestiale  bellezza.  —  P.  Marchese,  Vite,  ecc.  p.  277-280. 
GiovANiNi  DI  Paolo,  (pittore  nel  1427,  ascritto  all'arte  sua 
nel  1428)  -  Nell'Accademia  delle  belle  arti  (di  Siena)  mi  venne 
anche  ammirata  una  tavola  operata  da  Giovanni  di  Paolo, 
sanese,  nella  quale  è  espresso  il  Giudizio  universale,  la  gloria 
dei  beati  e  la  confusione  dei  reprobi.  Tra  questi  notai  l'Ugoli- 
no che  rode  il  capo  all'Arcicivescovo  Ruggieri,  e  con  tale  atto 
rabbioso,  che  quasi  non  se  ne  può  sostenere  la  veduta.  An- 
cora sarei  tenuto  di  credere  che  dall'  inarrivabile  architettore 


340  DAME  E  LE  BELLE  ARTI. 

dell'  Inferno  fosse  dedotto  il  concetto  di  confinar  gli  avari 
obbligali  a  trascinar  de' grossi  pesi;  i  traditori  fitti  nel 
ghiaccio;  1  carnali  correnti  su  lastre  infocate;  i  golosi 
costretti  ad  ingozzare  del  fango,  e  gli  usurieri  cui  i  demoni 
olirono  delle  borse  piene  del  mal  tolto  danaro.  A.d  ogni 
modo  convien  dire  che  il  pittore  avvivò  la  sua  fantasia 
nelle  cantiche  del  sovrano  poeta  ed  artista,  e  per  questo 
potè  dare  tanto  forte  espressione  a  quelle  ligure  da  disgra- 
darne rOrgagna  stesso.  Davvero,  che  pittori  come  Dant(^ 
non  se  né  videro  mai,  giacche  l'arte  per  lui  divenne  na- 
tura, e  tal  natura,  eh' è  somma  gloria  di  potervisi  accostare, 
non  che  altri  si  argomenti  di  sopravanzarlo  per  virtù  dei 
pennello  o  della  parola.  »  -  Giuliani,  Lettere  sul  vivente 
linguagfjio  della  Toscana,  pag.  18.  -  Guardate  la  gran  tavola 
più  antica,  il  Giudizio,  ove  dall' un  lato  l'esultazione  dei 
buoni  è  in  mille  ingenui  e  nobili  aspetti  rappresentata; 
dall'altro  i  condannati,  altri  respinti  nelle  fiamme  da  un 
angiolo,  altri  nelle  fiamme  tirati  da  un  demonio,  gli  avari 
e  i  prodighi  che  voltano  gran  pesi  per  forza  di  petto,  le 
lascive  cavalcate  da  diavoli,  o  infilate  in  un  palo  rovente; 
e  nel  tutto  una  vita  quale  oggidì  non  saprebbe  ritrarre  la 
più  potente  parola.  -  Tommaseo,  Bellezza  e  Civiltà,  386.  - 
V.  Nuove  indagini,  con  documenti  inediti,  per  servire  alla 
Storia  della  Miniatura,  Vasari,  Voi.  VI.  p.  185.  -  V.  Catal. 
delle  tavole  dell'antica  Scuola  Sanese,  riordinato  nel  1842, 
Slena,  Tip.  dell'Ancora,  1842. 

DOMEMCO  DI  Michelino.  (  dipingeva  nel  1465)  In  S.  Maria 
del  Fiore  evvi  rappresentato  Dante  appiè  delle  mura  di 
Firenze,  le  cui  porte  sono  chiuse  per  lui,  coperto  di  una 
veste  rossa,  e  con  in  mano  il  suo  volume.  Presso  di  lui 
vedesi  l'antro  che  mena  all'Inferno;  Dante  lo  mostra  a  dito, 
e  pare  che  dica  a'proprii  nemici:  mirate  di  qual  luogo  io 
dispongo.  Ma  la  fronte,  per  tristezza  inclinata,  esprime  piut- 
tosto il  dolore  che  la  minaccia:  il  cuore  dell'esule  non  trova 
conforto  nella  vendetta.  Più  lungi  s' innalza  la  montagna 
del  Purgatorio  co' suoi  gironi,  alhi  cui  vetta  sta  l'albero 
della  vita  del  Paradiso  terrestre.  Il  Paradiso  è  contrassegnato 
da'  cerchi  quasi  invisibili,  che  abbracciano  tutto  il  quadro. 
Qui  trovi  Dante  col  suo  volume  e  la  sua  cruda  sorte.  — 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  3il 

Ampère,  p.  37.  —  Al  P.  Antonio  dei  Minori,  già  pubblico 
spositore  della  Divina  Comedia  in  S.  Maria  del  Fiore,  si 
debbe  la  bellissima  lode  di  aver  fatto  dipingere  questa 
tavola,  coir  intendimento  di  ricordare  a'  suoi  concittadini 
il  debito  che  loro  correva  di  ricuperare  da'  Ravennati  le 
ceneri  di  quel  grande.  -  P.  Marchese,  Vite,  ecc.  i.  309.  (1) 
SiGNORELLi  Luca.  (n.  1440.  m.  1521)  —  «  Gli  ammirabili 
freschi  rappresentanti  il  Giudizio  finale,  opera  di  Luca  Signo- 
relli,  richiamano  alla  mente  certe  pitture  di  Dante  per  molte 
particolarità.  Qui,  come  alla  cappella  Sistina,  la  barca  piena 
di  dannati  rassomiglia  a  quella  in  cui  Caronte  li  ammon- 
ticchia a  colpi  di  remo.  Alcuni  Angeli  gettano  con  molta 
grazia  i  fiori,  altri  li  spandono  a  piene  mani  attorno  a  Bea- 
trice :  Purg.  xxx.  3G.  Il  celebre  gruppo,  rappresentante  un 
demone  che  trasporta  a  volo  sugli  omeri  una  peccatrice  è 
copiato  esattamente  da  Dante:  Inf.xw.  Zi.-  Ampère,  93.- 
Di  questo  Giudizio  dipinto  dal  Signorelli  nel  Duomo  di 
Orvieto,  cosi  sentenzia  l'egregio  P. Marchese:  Probabilmente 
Michelangelo,  non  pure  il  Cristo  giudice  dell'Angelico,  ma 
assai  dovette  ancora  avere  studiato  il  rimanente  dell'  opera 
eseguita  dal  Signorelli,  veduta  la  quale,  scemerà  in  parte 
r  ammirazione  che  provasi  alla  vista  del  tremendo  Giudizio 
del  Buonarroti;  conciosiachè  per  il  concetto  grandissimo, 
per  la  bellezza  delle  imagini  e  per  lo  studio  del  vero,  questo 
dipinto  di  Luca  mi  parve  sempre  cosa  veramente  stupenda. 
Reca  poi  meraviglia  il  franco  e  corretto  disegno,  l' intelli- 
genza del  nudo,  l'ardire  degli  scorti  e  la  nobiltà  delle 
forme:   pregi  tutti  che  in  un  pittore  del  secolo  XIV,  son 


(1)  Così  l'Osservatore  Fiorentino,  V.  VI.  p.l23,  in  nota,  e  cita  a  questo 
proposito  un  Manoscritto  di  Bartolommeo  Ceffoni  eh'  è  nella  Riccardiana, 
sotto  il  n.  1036.  -  Trascritta  l' iscrizione  che  era  sotto  U  ritratto,  il  Cef- 
foni cosi  si  esprime:  Questi  13  versi  qui  di  sopra  chesson  dipi  iscritti 
nella  dipinttura  dove  dipintto  Dantte  i  sanità  Liperata  ora  sanità 
Maria  del  Fiore  dove  si  lege  al  presente  il  Dante  p  maestro  Anttonio 
frate  disan  francesco  (1430J  et  detto  maestro  Antonio  feee  fare  la  detta 
dipinttura  a  riscordhare  accittadini  che  fanno  arechare  tossa  di  dantte 
a  Firenze.  Egli  è  dunque  evidente  che  il  dipinto  fatto  eseguire  nel  1430 
dal  P.  Antonio  non  potea  essere  del  Michelino,  il  quale,  come  è  manifesto 
dai  documenti  citati  del  Gaye,  non  lo  condusse  che  nel  1465,  e  che  per 
conseguenza  l'antica  pittura  fu  tolta  al  sopravvenir  della  nuova. 


342  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

degni  (lì  maggior  considerazione.  -  Memorie  dei  piìi  insi(/ni 
pittori,  ecc.  Yol.  I.  p.  300.  -  Ranalli,  Storia  delle  belle  arti, 
1.  244.  -  Batines,  T.  I.  p.  I.  pag.  342.  - 

Leonardo  da  \inci.  (n.  1452  m.  1019),  —  Parallelo  fra 
Leonardo  da  Vinci  e  Dante.  -  V.  Ranalli,  Storia  delle  belle 
arti  in  Italia,  V.  L  p.  296-299.  —  «  Guardando  alle  ligure 
del  gran  Cenacolo,  troviamo  nella  Divina  Comedia  (per  chi 
sa  cercarvi)  il  riscontro  dell'  espressioni  de'  varii  moti 
dell'animo  prodotte  ne' discepoli  di  Cristo  dall'annuncio 
del  divino  maestro,  che  un  di  essi  lo  tradirà,  da  potersi 
bene  inferir  questo,  che  se  fra  massimi  pittori  si  avesse 
dovuto  scegliere  uno,  sopra  ogni  altro  acconcio,  sì  per 
r  ingegno  e  sì  per  la  mano,  a  condurre  in  pittura  tutta  la 
Divina  Comedia,  di  guisa  che  fosse  perfettissimamente  ritrat- 
ta la  mente  e  l'arte  dell'Allighieri,  quel  desso  sarebbe  stato 
Leonardo.  E  se  dall'  unghia  si  giudica  del  leone,  possiamo 
dal  modo,  con  cui  nel  Cenacolo  sono  ritratti  i  vari  affetti 
degli  Apostoli  giudicare,  che  al  Yinci  soltanto  non  sarebbe 
fallita  tutta  la  difficile  e  desiderabilissima  opera  ;  perocché 
i  detti  affetti  si  riscontrano  in  guisa  nel  misterioso  viaggio 
dantesco,  che  paiono  con  la  medesima  forza  sentiti  e  rap- 
presentati. —  «  Vedi  Ranalli,  Degli  Ammaestramenti  di 
letteratura,  IL  p.  426-433. 

Raggio,  sensale,  (contemporaneo  di  Filippo  Lippi)  -  «  Nella 
storia  che  segue  ritrasse  (il  Lippi)  Sandro  Botticello,  suo 
maestro,  e  molti  altri  amici  e  grandi  uomini  ;  e  infra  gli 
altri,  il  Raggio  sensale,  persona  d'ingegno  e  spiritosa  molto; 
quello  che  in  una  conca  condusse  di  rilievo  tutto  l' Inferno 
di  Dante,  con  tutti  i  cerchi  e  partimenli  delle  bolgie  e  del 
pozzo,  misurate  appunto  tutte  le  figure  e  minuzie,  che  da 
quel  gran  poeta  furono  ingegnosissimamente  immaginate 
e  descritte;  che  fu  tenuta  in  questi  tempi  cosa  maravi- 
gliosa.  »  Vasari,  Le  Vite  ecc.  Y.  244. 

Fra  Bartolommeo  di  S.  Marco,  ossia  Baccio  Della  Porta. 
(n.  1469,  m.  1517)  -  //  S.  Bernardo,  ossia  l'apparizione  della 
N ergine  al  più  tenero  fra  i  suoi  devoti  :  Bellissima  è  questa 
composizione ...  :  Sotto  un  loggiato,  che  dà  accesso  ad  una 
molto  lieta  e  ridente  campagna,  la  quale  con  lontana  e 
bella  prospettiva  peruginesca  forma  il  fondo  del  quadro, 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  3Ì3 

vedesi  prostrato  il  S.  Abate  di  Chiaravalle,  colui,  eh'  ab- 
belliva di  Maria,  Come  del  sol  la  stella  mattutina:  Par. 
xxxii.  lOG.  Sopra  un  deschetto  e  in  terra  spartì  sono  i 
volumi  che  T affetto  caldissimo  dettava  al  mellifluo;  e  se 
fosse  alcuno  che  avesse  in  dispetto  questo  nome  di  mellilluo, 
che  il  consenso  di  molti  secoli  ebbe  a  lui  conceduto,  legga 
quelli  aurei  volumi  e  sentirà  dolcezza  di  paradiso.  Il  solitario 
scrìveva  appunto  le  lodi  di  Maria,  quando  dall'alto  cielo 
sopra  candida  nuvoletta,  tu  la  miri  lieve  lieve  scendere 
al  suolo  col  pargoletto  Gesù,  circondata  da  un  coro  di  An- 
geli, beare  di  sé  il  santo  e  innamoralo  vecchio;  e  a  quella 
vista  egli,  per  la  meraviglia  sollevale  le  palme,  di/fuso  per 
gli  occhi  e  per  le  gene  Di  benigna  letizia,  in  atto  pio  (C.  xxxi. 
62),  stimi  voglia  dare  incominciamenlo  a  quella  bella  e 
devota  canzone,  che  nella  bocca  di  lui  pone  1  Allighieri  nel 
xxxiii.  e.  del  Paradiso: 

Vergine  madre,  figlia  del  tuo  figlio, 
Umile  ed  alta  più  che  creatura, 
Termine  fisso  d' eterno  consiglio  . .  . 

Oh  come  nel  vollo  e  nella  persona  del  santo  si  legge  il 
caldissimo  affetto,  e  l'estasi  divina!  -  P.  Marchese,  Vite  ecc., 
II.  36.  37. 

BuoiNARROTi  Michelangelo,  (n.  1474,  m.  1564)  -  Michelan- 
gelo è  un  genio  trovatore  e  operatore  di  concetti  e  forme 
singolari:  non  volle  obbligarsi  a  legge  antica  o  moderna  e 
parve  che  volesse  mostrar  l'arte  nella  stessa  natura.  Io  lo 
vedo  nella  moltitudine  degli  artefici,  come  il  Saladino  fra 
gli  spiriti  magni  del  limbo  dantesco  solo  in  parte.  -  Guasti, 
Giorgio  Vasari.  -  L'animo  del  firentino  poeta  tornò  a  rivi- 
vere in  Buonarroti,  il  quale,  aggiungiamo  di  più,  n'è  stata 
come  una  più  larga  manifestazione.  E  per  certo  non  pur 
ammirandosene,  continuo  studiava  in  Dante,  anzi  l'amava 
come  il  padre  suo,  come  il  suo  genio  inspiratore,  o,  secondo 
la  bella  fras.e  del  poeta,  come  suo  autore.  Or  pieno  l' animo 
di  questo  grande  amore  che  fecondava  il  suo  pensiero,  e 
riboccante  tutto  di  sdegno  dell'abbandono  e  proscrizione 
onde  fu  misero  il  poeta  fin  dopo  la  sua  morte,  egli  divisava 
erigergli  di  sua  mano  un  mausoleo  ;  se  non  che,  con  danno 
immenso  dell'arte,  tal  generoso  pensiero  non  venne  in  4t- 


'Mi  DAME  E  LE  BELLE  ARTI. 

lo  (1).  Ma  certa  cosa  è  che  compagna  di  sue  faticose  veglie, 
e  musa  di  sua  solitudine,  gli  fu  sempre  la  divina  Comedia, 
a  cui  perpetuare  e  divulgare  nelle  forme  dell'arte  egli 
attese  con  isludio  costante.  E  già,  applicatovi  lungamente 
l'ingegno,  i  concetti  del  divino  divinamente  comentava, 
conducendo  egli  molli  disegni  sui  cento  canti  del  poema; 
ma  pur  troppo  tale  e  prezioso  lavoro  perì  in  un  viaggio  da 
Civitavecchia  a  Livorno  (2).  ISè  altri  fuori  che  '1  genio  di 
Michelangelo  era  tanto  da  tentare  ed  eseguire  opera  cotanto 
difficile.  -  Buonarroti  ha  dunque  improntate  le  sue  opere 
dell'ispirazione  e  dello  stile  di  Dante,  ed  in  effetto  senza 
escir  di  Roma,  ov'è  il  seggio  di  tutte  le  arti,  quivi  ci  sarà 
facile  il  ravvisare  questo  riflesso  della  luce  dantesca  nei 
raggi  del  triplice  genio  dell'artista.  -  \.])roiiilhet  de  Sigalas, 
L'arte  in  Italia,  p.  ii.  e.  6,  tutto  II  §  5.  -  «  In  una  messe 
Lia  figliuola  di  Laban,  per  la  vita  attiva,  con  uno  specchio 
in  mano  per  la  considerazione  si  deve  avere  per  le  azioni 
nostre  ;  e  nell'altra,  una  grillanda  di  fiori,  per  le  virtù  che 
ornano  la  vita  nostra  in  vita,  e  dopo  la  morte  la  fanno 
gloriosa.  L'altra  fu  Rachel  sua  sorella,  per  la  vita  contem- 
plativa, con  le  mani  giunte,  con  un  ginocchio  piegato,  e 
col  volto  che  par  stia  elevata  in  ispirilo.»  (Sul  sepolcro  dì 
Giulio  IL)  -  Vasariy  Vita  di  Michelangelo  Buonarroti,  Y.  xii. 
217.  -  Sul  Giudizio  finale  di  Michelangelo,  Y.  Yasari,  Id. 
XII.  217.-  «Chi  fra  voi  ignora  che  Dante  a  Michelangelo  dettò 


(1)  Il  Buonarroti,  a' 20  Ottobre  1319,  come  uno  dei  membri  dell'Acca- 
demia Medicea,  indirizzando  a  Papa  Leone  X  un  memoriale  per  chiedere 
di  trasportare  da  Ravenna  a  Firenze  le  ossa  di  Dante  Alligbleri,  sotto- 
scriveva a  quella  supplica  così  :  lo  Michelaqniolo  Schultore  il  medesimo 
a  Vostra  Santità  supplicho,  offerendomi  al  Divin  Poeta  fare  la  Sepol- 
tura sua  chondecente,  e  in  loco  onorevole  in  questa  città.  Questo  prezioso 
documento,  il  cui  originale  si  conserva  nel  R.  Archivio  di  Stato,  fu  stam- 
pato per  la  prima  volta  da  A.  F.  Cori  nelle  sue  annotazioni  alla  Vita  di 
Michelangelo,  scritta  dal  Condivi.  Vasari,  Prospetto  cronologico,  ecc. 
Xli,  337. 

(2)  Quel  prezioso  volume  venne  in  possesso  di  Antonio  Montanti, 
scultore  ed  architetto  fiorentino,  il  quale,  impiegatosi  in  Roma,  fece  im- 
barcare a  Livorno  le  sue  robe,  e,  tra  queste,  il  detto'  libro,  per  farle  tra- 
sportare per  mare  a  Civitavecchia:  ma  per  viaggio  naufragò  la  barca,  e 
tutto  il  carico  col  suo  conduttore  miseramente  perì.  -  Nota  al  Vasari, 

y.%u.  p.  217. 


DAME  E  LE  BELLE  ARTI.  345 

(jiiella  maeslà  dì  dolori  senza  lacrime  che  impresse  sul  volto 
della  Madre  di  Dio?  Dante  insegnò  colle  rime  severe  della 
sua  cantica  quel  terrore  che  accumulato  dall'ardito  pen- 
nello signoreggia  nelle  pareti  del  Yaticano.»  -  JSkolinì,  0- 
pere,  V.  III.  p.  9;  irf.  p.  80  -  «Il  Buonarroti  ha  specialmente 
ammirato  Dante,  dilettato  del  mirabile  ingegno  di  quell'uo- 
mo, qual  egli  ha  quasi  tutto  a  mente.»  -  Condivi^  Vita  del 
Buonarroti,  p.  1158.  -Qui  n'aimeroit  à  lire  une  page  de  la 
divine  Comédie  devant  la  Chapelle  Sixtine?  Qui  n' ameroit 
à  reconna'itre  dans  Michel  Ange  le  seul  Commentateur  légi- 
time  du  Dante?  Ch.  Lahitte,  Le  divine  Comédie  avant  Dante,  - 
Ampère,  Viaggio  dantesco,  90.  -  Ranalli,  Storia  delle  belle 
arti  in  Italia,  i.  296-299.  -  Batines,  T.  I.  p.  I.  pag.  3B8.  -  De 
Stendhal  (Beyle),  Storia  della  pittura  in  Italia,  II.  346-379; 
The  life  of  31. A.  Buonarroti,  by  R.  Duppe,  London,  Murray; 
il  paragrafo  intitolato:  Jlis  admìration  of  the  Works  of 
Dante,  p.  165-168.  -•  Quatremère  de  Quincy,  Histoire  de  la 
vie  et  des  ouvraijes  de  Michel-Ange,  Paris,  Didot,  1835, 115- 
128  ;  Planche,  Elude  per  Michel  Ange,  Revue  des  deux  Mon- 
des,  1834,  268-269. 

Raffaello  Sanzio  d'Urbino,  (n.  1483,  m.  1520)  —  «Al 
divin  Sanzio  avvenne  dì  vagheggiare  la  dolce  luce  e  serena 
delle  eteree  regioni,  e  quei  raggi  danteschi  che  cantano, 
e  i  profili  delle  vergini,  e  il  casto  tipo  ideale  di  Beatrice, 
simbolo  della  donna  rigenerata,  l'estasi  e  l'ebbrezza  di 
amore,  il  raggiare  degli  eletti  e  le  infinite  tenerezze  dell'a- 
nima santa...  sì  per  fermo  lo  scolare  diligente  del  Perugino 
non  fu  men  sollecito  discepolo  di  Dante:  testimonio  spe- 
cialmente gli  affreschi  del  Yaticano,  ove  non  era  possibile 
mettere  tanta  vita,  tanta  varietà  ed  eleganza,  senza  che  il 
suo  animo  non  fosse  stato  altamente  commosso  ed  informato 
da  spirito  poetico.  Che  là  per  vero  trasparisce  in  tutte  parti 
queir  unione  dell'  ideale  col  reale,  del  senso  vero  col  figu- 
rato, e  quella  misura  d'imagini  e  d'idee,  e  tutto  quel  mistico 
simbolismo,  nella  cui  misteriosa  rete  tutta  quanta  s'avvolge 
l'opera  dell'Allighieri.  Quelle  pitture,  a  ben  considerarle, 
non  può  stare  che  non  rivelino  lo  studio  serio  e  profondo 
che  r  autore  mise  nella  divina  Comedia  ;  anzi  ben  di  leg- 
gieri, 0  direni  quasi  a  prima  giunta,  chi  le  contempla  con 


346  DAME  E  LE  BELLE  ARTI. 

occhio  d' artista,  vede  che  quindi  proprio  attinse  quel  senso 
allegorico,  e  quel  vero  spirito,  che  studiossi  di  riprodurre 
ne' suoi  lavori.  Ond'è  da  dire  veramente  rara  felicità  d'in- 
spirazione, onde  si  fece  a  mettere  in  atto  nella  pittura  il 
sistema  dantesco.  Imperciocché  filosofo  e  poeta  sopra  tutti 
gli  artisti,  non  altrimenti  dal  fiorentino,  egli  cela  la  sua 
idea  sotto  il  sottil  velo  dell'allegoria;  sicché  vuoi  nell'uso 
e  nelle  forme  del  simbolismo,  vuoi  nelle  aspirazioni  verso 
il  bello,  e  in  somma  in  tutto  quello  che  tocca  la  metafisica 
dell'arte,  egli  ti  richiama  a  mente  Platone  e  Dante.  Onde, 
anima  piena  d'immaginazione  e  di  sublimi  pensieri,  o  piut- 
tosto spirito  contemplativo  che  non  ha  chi  l'agguagli,  il 
Sanzio  si  dà  a  yedere  in  tutto  lo  splendore  delle  sue  facoltà 
di  poeta  e  di  filosofo  nelle  stanze  del  Vaticano,  si  veramente 
che  nel  Palazzo  dei  Pontefici  di  Roma,  tempio  vero  dell'arte, 
il  genio  di  Raffaello  ha  anch'  egli  mirabilmente  incarnata 
la  sua  epopea,  ma  di  certo  al  potente,  ben  che  lontano 
influsso  0  dittatura  di  comune  e  cristiana  inspirazione  di 
Dante.  E  soprattutto  nella  sala  della  Segnatura,  i  cui  affre- 
schi sono  avuti  in  conto  non  sol  di  capolavori  dello  stesso 
sommo  artista,  ma  eziandio  d'ultima  perfezione  dell'arte 
cristiana,  direni  come  quasi  che  palpita,  respira  e  anima 
i  colori  di  vita  immortale,  la  tradizione  dell'AUighieri.  Del 
resto  par  proprio  che  Raffaello  avesse  in  animo  di  agognare 
al  titolo  di  passionato  traduttore  della  Divina  Coraedia; 
conciosiaché  non  si  cura  affatto  di  nascondere  le  sorgenti 
alle  quali  attinse,  né  quella  sua  nobile  e  dantesca  parentela 
ed  origine;  anzi  raccomanda  le  sue  opere  all'alta  protezione 
di  Colui,  che  gli  accese  in  petto  il  fuoco  nascosto  del  genio. 
Cosi  nei  quattro  grandi  affreschi,  nei  quali  si  rappresenta  • 
tutta  quanta  l' ampia  sfera  dell'  attività,  fra  i  cui  recinti 
a  quei  dì  si  adoperava  l' umana  intelligenza,  cioè  la  Teologia, 
la  Filosofia,  la  Poesia,  la  Giurisprudenza,  non  solo  come  una 
seconda  creazione  vi  brilla  l' idea  di  Dante,  anzi  proprio 
essa  vi  apparisce  per  ben  tre  volte  l' austera  e  melancolica 
figura  di  lui,  con  la  sua  trista  corona  in  capo.  Dapprima 
vedi  quel  caro  e  venerando  viso  nell'affresco  della  Teolo- 
gia, ossia  della  Disputa  del  santo  Sacramento  ;  poi  nell'altro 
della  Filosofia,  vale  a  dire  nella  Scuola  d'Atene,  ed  in  ultimo 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  347 

in  quello  della  Poesia,  ossia  del  Parnaso.  Nella  prima  delle 
quali  il  severo  e  lungo  profilo  del  fiorentino  Exìmio  Theo- 
logo,  fa  bella  mostra  di  sé  in  mezzo  ai  teologi  ed  ai  dottori 
della  Chiesa;  nelle  altre  due  poi  sta  con  Omero  e  Virgilio 
a  formare  uno  dei  lati  di  quello  splendido  triangolo,  o 
direm  meglio,  una  delle  persone  di  quel  trino  genio  ch'ebbe 
dettata  l' epopea  dell'  umanità.  Inoltre  in  questa  medesima 
sala  ha  pure  tale  ravvicinamento  d' idee  simili  e  lontane, 
ma  grandi,  operato  dall'artista,  che  non  possiamo  qui  lasciar 
senza  commemorazione.  Ed  è  tale:  vale  a  dire  la  figura 
simbolica  della  Teologia  apparisce  un'  inspirazione  visibilis- 
sima del  canto  xxx,  della  divina  Gomedia;  perciocché  ha 
tutti  ì  colori  di  Beatrice.  E  di  fatti  il  velo  bianco,  la  veste 
rossa,  il  manto  verde,  e  la  corona  d'oliva,  sono  quelli  pro- 
pri coi  quali  ella  apparve  al  poeta,  simboleggiante  l'ideale 
dell'  assoluta  bellezza.  E  basti  che  tu  veda  questa  divina 
creatura,  perché  tosto  ti  corrano  alla  mente  que'  versi  : 

Sovra  candido  vel  cinta  d' oliva 
Donna  m' apparve,  sotto  verde  manto. 
Vestita  di  color  di  fiamma  viva.  v.  31. 

\.  Drouilhet  de  Sigalas,  L'Arte  in  Italia,  p.  2.  e.  6.  -  Ogni 
volta  che  nel  Canto  IV.  dell'  Inferno  dantesco  leggiamo  quel 
concilio  di  sapienti,  siamo  forzati  a  ricordarci  della  scuola 
d'Atene  pennelleggiata  da  Raffaello  nella  prima  stanza  del 
Vaticano,  e  quando  ci  accade  di  guardar  questa,  tornaci  a 
mente  la  descrìzion  dantesca.  -  Ranalli,  Defili  Ammaestra- 
menti di  Letteratura,  in.  234.  —  Ranalli,  Storia  delle  Belle 
Arti  in  Italia,  i.  H63.  -  Ampère,  Viaggio  dantesco,  90.  -  Rio, 
Form,  de  V  art  Peinture,  eh.  viii.  ecc.  ecc. 

TiNTORETTO  GIACOMO,  ROBUSTI,  (u.  1512,  m.  1594)  E  avvi- 
siamo particolarmente  rimemorare  una  tavola  del  Tintoretto, 
eh' è  di  presente  a  Parigi,  nel  Museo  del  Louvre,  rappre- 
sentante il  Paradiso,  pensiero,  come  ognuno  può  vedere  al 
tutto  dantesco.  Nella  parte  superiore  di  questo  dipinto 
splende  quell'eterna  ed  increata  luce  contemplata  dal  poeta, 
la  quale  alimenta  e  feconda  sé  stessa,  e  diffonde  intorno 
infinito  splendore  :  di  sotto  poi  è  Gesù  Cristo  che  incorona 
la  Vergine  :  vengono  appresso  gli  Apostoli,  gli  Evangelisti, 
i  Padri  della  Chiesa,  i  Martiri,  e  i  cori  degli  Angeli,  disposti 


348  DAME  E  LE  BELLE  ARTI. 

secondo  i  loro  meriti  e  distribuiti  in  giri  gerarchici,  come 
sono  descritti  dall'Allighieri.  La  Gloria  del  Paradiso  del 
medesimo  pittore,  che  ritrovasi  nell'ampia  sala  del  Palazzo 
dei  Dogi  in  Venezia,  in  vasta  tela  di  trenta  piedi  di  altezza, 
e  àettantaqualtro  di  lunghezza,  è  del  pari  tutta  quanta  piena 
dell'  idea  di  Dante.  -  Droiiìlket  de  Sifialas,  Id.  -  Colelll,  Illus. 
della  divina  Comedia,  xviii. 

D'Empoli  Giacomo,  Chimemi.  (nel  1600). -  Gli  Allighieri 
possedevano  nella  Chiesa  priorale  di  S.Remigio,  anticamente 
S.  Romeo,  una  cappella  gentilizia  al  lato  destro  dell'  aitar 
maggiore.  Caduta  in  proprietà  di  Nicolò  Caddi,  lasciava  per 
testamento  a'  suoi  eredi  che  vi  fosse  dipinta  una  tavola, 
rappresentante  l'immacolata  Concezione  della  Tergine, 4 e 
che  se  ne  togliesse  il  concetto  dalla  divina  Comedia.  L'opera 
fu  allogata  a  Jacopo  d' Empoli  che  condusse  il  lavoro  ad 
imagine  del  pensiero  di  Dante,  che  nella  visione  della  Ma- 
donna, C.  xxiii.  V.  95  del  Paradiso  dice: 
Per  entro  ii  cielo  scese  una  facella, 

Formata  in  cerchio  a  guisa  di  corona, 

E  cinsela,  e  girossi  intorno  ad  ella... 
Io  sono  amore  angelico,  che  giro 

L' alta  letizia  che  spira  del  ventre, 

Che  fu  albergo  del  nostro  desiro  ; 

E  girerommi,  Donna  del  ciel,  mentre 

Che  seguirai  tuo  Figlio,  e  farai  dia 

Più  la  spera  suprema,  perchè  gli  entre. 
CoRNELius  Pietro.  Il  Cornelius  condusse  nove  disegni 
tolti  dal  Paradiso  di  Dante  eh'  ei  dovea  colorire  nel  Casino 
Massimi  in  Roma,  presso  S.  Giovanni  Laterano.  Dì  questi 
Cartoni  così  ne  parla  l'Artaud:  Il  y  a  neuf  lableaux,  l'or- 
donnance  est  sage,  les  poses  sont  majesteuses,  la  composition 
a  de  la  verité,  les  draperies  sont  amples  et  bien  raisonnées. 
.le  trouverraìs  peut-etre  quelque  chose  de  trop  vif,  dans  les 
regards  des  personnages  graves,  qui  ont  les  uns  avec  les 
autres  une  ressemblance  qu'  il  faut  eviter,  mais  les  visages 
des  anges  sont  variés  et  pleins  de  charmes.  Artaud,  Histoire 
de  Dante  Allighieri.  Il  Batines,  l'Ampère,  il  Druilhel  de  Sigalas 
vogliono  che  il  Cornelius  vi  avesse  pure  affrescato  i  suoi 
disegni,  ma  vi  furono  invece  dipinti  da  Filippo  Weit,  perchè 
allora  da  Roma  fu  chiamato  a  Monaco,  i.  Piccarda  e  Costanza: 
Par.  C.  iii-v.;  ii.  Giustiniano  Imperatore  e  Romeo:  C.v-vi; 


DAME  E  LE  BELLE  ARTI.  349 

HI.  Carlo  Martello,  Cunizza  eRaab:  C.  viii.  e  ix;  iv.  e  v. 
S.  Tomaso  e  S.  Bonaventura:  C.  x-xiv;  v.  Camagidda:  C. 
xiv-xviii;  VI.  David  e  Trajano:  C.  xviii-xx.  vii;  S.  Pietro 
Damiano  e  S.  Benedetto;  S.  Macario  e  S.  Romualdo:  G.xxi- 
xxii;  vin,  S.  Pietro,  S.  Jacopo  e  S.  Giovanni:  C.  xxiii-xxvii; 
IX.  La  Ss.  Trinità:  C  xxvu-xxxiii.  -  Il  Cornelius  nel  1859, 
espose  a  Berlino  i  suoi  Cartoni,  ma  I  Danteschi  furono  tra 
gli  altri  applaudi lissimi . 

Giuseppe  Cook,  tirolese,  nella  ridetta  villa  Massimi 
affrescava  pure  due  grandiosi  dipinti:  nel  primo  vi  ritrasse 
Dante  investito  dalle  fiere,  e  in  un  sol  quadro  tutti  i 
tormenti  dell'  Inferno  ;  nel  secondo,  Dante  con  Virgilio  alla 
porta  del  Purgatorio,  e  ivi  pure  la  montagna  ove  si  hee  lo 
dolce  assenzio  de' martiri  (P^r*/.  xxiii.  85),  e  che  dirizza 
coloro  che  il  mondo  fece  torti:  Id.  iii.  125. 

Scaramuzza  FraìNCesco.  (prof.  dell'Accad.  di  Parma)  -  Io 
non  saprei  meglio  ricordare  i  dipinti  del  prof.  Scaramuzza, 
artista  tra  valente  e  gentile,  non  so  qual  più,  e  da  lui  con- 
dotti con  rarissimo  magistero  nella  sala  della  R.  Biblioteca 
di  Parma,  che  con  le  stesse  parole  con  che  complacevasi 
di  far  pieno  il  mio  desiderio.  -  »  Ivi,  per  esperimentare  un 
mio  metodo  particolare  di  dipingere  a  cera  sul  muro,  mi 
fu  allogata  dal  Governo  di  M.Luigia  (1842)  una  parete, 
per  la  quale...  accolsi  l'idea  di  rappresentarvi  una  scena 
della  divina  Comedia,  e  precisamente  quella  dell'incontro 
di  Dante  e  Virgilio  coi  quattro  altri  maggiori  poeti  della 
antichità.  Dietro  codesto  primo  saggio  mi  venne  affidala 
altra  parete  della  stessa  sala,  e  vi  dipinsi  il  Maestro  di 
color  che  sanno  sedente  tra  filosofica  famiglia.  Parve 
non  dispiacesse  del  tutto  quel  lavoro,  perchè  di  Ti  a  breve 
tempo  me  ne  venne  allogata  anche  la  gran  volta,  e  si  fu 
allora  solamente  che  mi  venne  pensiero  di  farne  una  stanza 
che  poi  dovesse  dirsi  di  Dante,  collegando  le  due  scene 
già  eseguite  ad  un  concetto  che  non  fu,  ma  che  avrebbe 
dovuto  essere  'primogenito  ;  che  perciò  dovei  indi  usare 
ogni  mio  potere  per  farlo,  a  lavoro  finito,  credere  o  parer 
tale.  Come  io  vi  sia  poi  riuscito,  il  lavoro  è  là  per  essere 
da  chicchessia  giudicato:  fatto  si  è  che  della  parte  orna- 
mentale giudicai  fare  come  un  sunto  simbolico  della  divina 


350  DANTE   E   LE   BELLE   ARTI. 

Comeclia,  dipingendovi  le  qualità  parsonificate,  che,  a  mio 
parere,  più  caralierizzano  il  sacro  poema,  e  così:   la  Giu- 
stizia; la  Yerilà;   la    Storia;   la  Religione;  la  Teologia; 
r Armonia;  la  Filosofia  e  la  Satira;  poi  l'Amor  della  gloria, 
del  Prossimo,  di  Dio,  ecc.  ecc.:  vi  simboleggiai  l'Inferno,  il 
Limbo,  il  Purgatorio  ed  il  Paradiso  cui  corrispondono  nelle 
relative  parli  diversi  scudetti  con  analoghi  episodj,  e  nel 
centro  della  volta,  come  a  bassorilievo,  un  grande  meda- 
glione rappresentante  il  poeta  medesimo  in  atto  di  suonare 
il  plettro,   nel   mentre  che  implora  l' aiuto   delle  Muse, 
dell'  alto  ingegno,  e  della  Mente  che  avea  scrìtto  dò   che 
avea  veduto;  indi,  per  legarmi  a  quanto  era  già  stato  di- 
pinto nelle  sottoposte  due  pareti,  cominciai  dal  rappresentare 
in  uno  de'  quattro  grandi  specchi  che  rimanevano  della 
volta,  la  divina  Clemenza,  che,  chiamata  Lucia,  le  incombe 
di  recarsi  da  Beatrice  ;  e  di  contro.  Lucia  stessa  che  invita 
e  pressa  Beatrice  al  soccorso  di  Dante:  per  gli  altri  due 
specchi  non  mi  venne  di  trovare  altro  spediente,  per  non 
uscire  dalla  complessiva  unità  che  mi  era  proposto  che  di 
rappresentarvi  due  cori  di  Angioli  e  Angioletto;  l'uno  di 
cantori  e  arpeggiatori  che  sospendono  le  loro  celesti  ar- 
monie, mentre  parla  la  divina  Clemenza;   l'altro,  come  di 
seguito  a  Lucia,  recando  fiori  ed  ulivo  in  segno  di  gioia 
e  di  pace,  cui  la  missione  della  Loda  di  Dio  vera  era  in 
fine  per  apportare,  col  mezzo  di  Beatrice,  al  travagliato 
poeta.  -  Così  passando  alle  ancor  vuote  pareti  inferiori,  potei 
raffigurare  Dante,  quando  e  come  quei  che  con  lena  affanata 
Uscito  fuor  del  pelago  alla  riva^  Si  volge  all'acqua  perigliosa, 
e  guata  ...  Si  volge  indietro  a  rimirar  lo  passo  »  ....  Di 
seguito,  quando  egli  s'incontra  in  Virgilio,  gridando:  Mi- 
serere...,  poi  li  ho  figurati  davanti  la  porta  dell'Inferno,  dove 
Virgilio  lo  eccita  a  deporre  ogni  viltà;  vedesi  poscia  il  vecchio 
bianco  per  antico  pelo.  Gridando:  Guai  a  voi,  anime  prave..., 
e  da  queste  rappresentazioni  si  viene  ai  due  quadri  del 
Limbo  sovraccennati.  -  Rimanevano  altri  minori  vani,  che 
per  la  lor  forma  e  posizione  non  ammettevano  di  continuare 
l'argomento,  senza  manifesto  sconcio  d'ordine  e  di  unità, 
per  cui   mi  decisi   di  coprirli   con  qualche   altra  cosa   di 
simbolico  e  di  ornamentale  allusivo  però  sempre  al  soggetto 


DAME  E   LE   BELLE   ARTI.  351 

medesimo  ;  e  così,  ai  due  triangoli  o  pennacchi  della  prin- 
cipale finestra  semicircolare,  dipinsi  due  geni  della  Fama: 
sopra  due  spazi  irregolari  che  stanno  superiormente  ad 
altre  due  lìncstre  della  sala,  sono  dipinti  a  basso  rilievo, 
intrecciati  a  fogliami,  geni  della  poesia  che  declamano 
suonando  la  lira,  e  figure  rappresentanti  pure  l'Inferno,  il 
Limbo,  il  Purgatorio  ed  il  Paradiso:  in  altre  due  liste 
di  muro  agli  angoli  della  stessa  parete  ho  figurato,  nell'una, 
i  sette  vizi  capitali;  nell'altra,  la  Fede,  la  Speranza,  la  Ca- 
rità, la  Prudenza,  la  Temperanza,  e  la  Fortezza  ;  finalmente 
sulla  porta  maggiore  d'entrala  è  la  dedica  a  Dante,  cui 
fanno  corona  de' putti  a  chiaroscuro,  con  guindane  di  frutti 
e  di  fiori.»  -  La  Sala  fu  condotta  a  termine  nel  1857  :  il  lavoro 
lodatissimo.  Pure,  mi  aggiungeva  l'egregio  professore  Sca- 
ramuzza, che  ove  l'allogagione  della  sala  fossegli  subito  stala 
affidata  per  intero,  se  i  tempi  fossero  corsi  meno  rei  alle 
arti  belle,  più  grande  senza  meno  ne  sarebbe  se^guito  lo 
svolgimento  del  concetto  che  avrebbe  esteso  a  tutto  il  Poema: 
d'ordinario,  quanto  maggiori  sono  a  superarsi  le  difficoltà 
delle  opere,  l'artista  si  ratìbrza  dì  maggiore  entusiasmo, 
s' ingiganteggia  per  si  dire,  e  de'suoi  sforzi  si  è  anco  meglio 
disposto  ad  ottemperarne  il  giudizio;).  (16  Giugno  1861) 

YoGEL  DI  VoGELSTEiN  Carlo,  La  Comeclìa  di  Dante  Alli- 
ghìeri  (1844)  —  A  ninno,  così  il  mio  carissimo  amico  prof. 
Giuliani,  nella  sua  nobile  illustrazione  di  questo  dipinto,  a 
niuno  tuttavia  era  fin  qui  entrato  nell'animo,  non  dirò 
( cosa  che  sarebbe  stata  d'impossibile  riuscimento)  di  tutta 
dipìngerla  in  un  sol  quadro,  ma  dì  prendere  a  figurarne 
quel  tanto  che  bastando  all'unità,  esprimesse  viva  l'idea 
ed  il  fine  di  quel  miracolo  dell'umano  ingegno.  A  questa 
impresa  però  difficile  a  condursi,  applicossi  coli' animo  e 
cjoìh  mano  il  valente  artista  e  dotto  letterato  Carlo  Yogel 
dì  Yogelstein.  L'amore  grandissimo  che  in  luì  s'accese 
verso  il  sommo  cantore  dei  tre  regni,  e  che  per  lunghi  e 
continui  anni  andò  rinfiammandosi,  gliene  destò  nel  pensiero 
il  gran  disegno  :  e  come  quegli,  cui  le  forze  rinvigorite  dal 
buon  volere  pareano  bastare  a  tanto,  usò  il  pennello  ad  in- 
carnarlo :  e  ciò  fece  con  tanta  maestria  da  maravigliare 
ogni  più  sottile  intenditore La  tavola  architettata, 


3o2  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

secondo  lo  siile  di  queir  eia,  presentasi  a  un  dipresso 
siccome  la  facciala  del  duomo  di  Orvielo,  e  in  altezza  d'un 
dieci  palmi  e  mezzo,  e  in  larghezza  di  otto.  Il  sollerraneo 
del  tempio  rimane  spaccato  e  aperto  in  archi  avvoltati 
sopra  quattro  pilastri,  e  su  nel  piano  terreno  a  giusta 
distanza  ed  in  armonica  prospettiva  dispiegasi.  Firenze  colla 
bellezza  del  suo  orizzonte  e  colla  maestà  de'  suoi  edilizi, 
sovrastandole  il  monte  dell'antica  Fiesole.  L'atrio  si  con- 
forma ad  arco  soverchiato  da  un  frontone  ;  quinci  e  quindi 
lo  fiancheggiano  due  colonne  intrammezzate  da  un  conve- 
niente spazio,  e  sostenenti  da  ambe  le  parli  un  frontone 
minore  in  grandezza,  ma  somigliante  a  quello  di  mezzo. 
Sopra  questo  s'inalbera  la  Croce,  e  nell'altro  a  destra  avvi 
in  figura  di  statua  il  Papa,  e  nel  sinistro  è  similmente 
collocato  r  Imperatore.  E  ciò  era  richiesto,  e  ben  egli,  l' in- 
signe artefice,  seppe  valersene  a  significare  che  la  Religione, 
il  Papato  e  l' Impero,  le  parti  guelfa  e  ghibellina,  si  furono 
le  cagioni  che  potentissime  operarono  sul  divino  poema. 
Secondo  l' ordine  e  la  convenienza  di  queste  parti  si  ammi- 
rano disposti  e  figurati  i  soggelti.  E  Dante,  in  figura  maggiore 
di  proporzione  a  tutte  le  altre,  campeggia  nel  mezzo  quasi 
rimanesse  dentro  dell'  atrio  del  tempio,  e  la  sua  persona 
stesse  co'  pie  sul  sarcofago  di  Beatrice.  -  L'Inferno  è  imagi- 
nato  nella  parte  inferiore,  che  al)braccia  tre  scompartimenti. 
ISel  primo  a  destra  si  finge rAllighieri  nellatto  che  fuggilo 
dalla  selva  ed  impedito  nel  nuovo  camino  da  tre  orribili 
fiere,  s' incontra  con  Virgilio  ;  il  quale  a  trarre  l' infelice 
da  un  sì  mal  passo,  lo  conforta  a  prendere,  ed  intanto  gliela 
viene  additando,  la  via  per  all'inferno:  Inf.  i.  90.  Nella  parte 
mezzana  lo  vediamo  già  bene  Innoltralo  nel  faticoso  viaggio, 
ed  in  quella  di  essere  alle  prese  con  Filippo  Argenti:  Inf. 
viiL  31.  Lo  strazio,  che  di  costui  prendono  le  genti  fangose, 
porge  a  Dante  il  maggior  saggio  che  delle  pene  infernali 
sì  potesse  mal.  In  lontananza  mirasi  Dite  colle  sue  infocale 
torri  [Inf.  viii.  67),  e  in  disparte  è  l'Angelo  che  si  muove 
ad  aprirne  l'entrata  ai  poeti.  Neil' ultimo  quegli  ci  appare 
tutto  pieno  di  spavento  e  come  abbandonandosi  e  volendosi 
stringere  a  Virgilio  per  divellersi  dall'abisso.  -  Il  pittore, 
usando  di  quei  vani  e  quasi  peducci  che  si  formano  dagli 


DAME    E   LE    BELLE   ARTI.  3ol{ 

archi  avvolgendosi  su  i  pilastri,  ci  presentò  in  piccolo  ed 
in  chiaroscuro  alcuni  dei  moltissimi  tormentali,  di  cui  è 
piena  la  Cantica' dell'Inferno.  Ciò  sono,  a  cominciare  dalla 
sinistra  del  riguardatore  i  peccatori  carnali,  i  simoniaci, 
i  barattieri  ed  i  ladri.  -  Le  scene  del  Purgatorio  si  contem- 
plano rappresentate  dentro  allo  spazio  compreso  nelle  co- 
lonne; e  perocché  questo  intramezzo  distendevasi  troppo 
più  alto  che  largo,  fu  acconciamente  partito  in  due.  Nel 
primo,  a  manca  dèlia  pittura,  ci  ritrae  Dante  non  ancor  del 
lutto  colla  persona  riuscito  all'altro  émìsferio,  ma  già 
rivedendo  le  stelle;  in  quello  di  rincontro  lo  vediamo  con- 
solarsi al  dolce  canto  di  Casella;  e  nell'altro  di  sopra  e 
dalla  sinistra,  lutto  compunto  chiedere  misericòrdia  all'An- 
giolo, acciocché  gli  sia  dischiusa  l'entrata  al  Purgatorio: 
Purfj.  IX.  109.  Sulla  porta  di  questo  ed  in  lontana  vista 
sta  ligurato  in  parte  il  girone  dei  superbi:  x.  112.  Dirim- 
petto al  quale,  ma  più  basso,  ci  si  rappresenta  il  fuoco  a 
elle  si  rimonda  il  peccalo  di  carne  (xxlV.  130):  e  ad  una 
eguale  altezza  è  il  paradiso  terrestre,  dove  Matelda,  intrec- 
ciandosi una  corona  di  fiori,  si  fa  innanzi  al  gran  poeta: 
xxvui.  40.  -  il  frontone  destro  ci  mette  in  vista  il  Carro 
tirato  dal  Grifone  con  in  gran  parte  quelli  che  lo  accom- 
pagnavano (xxix.  43;  XXX.  73.),  e  Beatrice,  la  quale  si  leva 
il  velo  dalla  faccia  per  iscoprirlà  al  suo  lido  amante.  Nel 
sinistro,  tutta  lieta  e  ridente  ci  si  rappresenta  la  quarta 
famiglia  [Par.  x.  e  xi.)  dell'altissimo  Padre.  Quello  di  mezzo 
ne  invila  \m  a  contemplare  la  milizia  santa  intorno  intorno 
all'eccelso  .ti'ono  di  Maria,  e  sovrastata  43d  illuminata  dalla 
piena  luce  che  dillbndono  le  tre  santissime-  Persone:  Par. 
xxxii.  xxxin.  Chi  voglia  conoBcere  le  bellezze  di  questo 
mirabile  dipinto  legga  per  disleso  il  Ragionamento  succen- 
nato  del  Prof.  Giuliani,  Alcune  prose,  ecc.  Genova,  Ferrando, 
1851,  pag.  57-109. 

—  PJpmdes  principanx  du  Faust,  de  la  Divine  Comédie 
et  de  VEnéide  de  Vìrgile,  avec  Introduction  ou  texte  cxplì- 
catif.  Munich,  Libraire  E.  A.  Flcischmann,  1863. 

Tra  il  gentilesimo  di- Virgilio  e  la  filosofia  del  secolo  di 
Goethe,  cioè  tra  T antichità  e  l'evo  moderno,  Dante  merita- 
mente in  sulla  tomba  di  Beatrice  s'asside,  e  sta  nel  mezzo, 

VOL.  II.  83 


354  DANTE   E   LE   BELLE  ARTI. 

cantore  e  maeslro  airurnanilà  della  sola  strada  per  cui  le 
fia  dato  di  cogliere  il  meglio  possibile  nella  presente  ed  il 
perfetto  e  non  più  perituro  della  vita  eterna.  Chi  non  dirà 
pertanto  sapientissimo  il  concetto  dell'insigne  artista  e  pit- 
tore Cav.  Vogel  di  Vogetstein,  che  per  dar  risalto  e  mettere 
in  evidenza  la  santità  e  prevalenza  del  principio  cattolico 
e  dell' insegnamento  teologico  ha  voluto  e  saputo  ravvicinare 
al  cantore  del  cristianesimo  quello  dell'antica  Roma  e  della 
moderna  Germania?  Fausto,  nel  mezzo  di  un'ancona,  distri- 
buita a  comparti  gotici,  che  resta  abbarbagliato  dalla  luce 
superna,  di  cui  non  sostiene  lo  splendore,  mentre  d'attorno 
sono  bellamente  rappresentati  i  fatti  principali  di  quel  poe- 
ma ...  La  seconda,  nel  modo  stesso  fa  veder  Dante  affissato 
con  franche  pupille  nella  divina  luce  che  gli  piove  dall'alto, 
e  trionfa  nel  mezzo  dei  quadri  principali  della  sua  trina 
canzone:  la  terza,  scompartita  in  forma  di  stile  romano, 
mostra  nel  mezzo  l'incendio  di  Troia,  Enea  che  fugge,  e 
spiegata  nel  contorno  tutta  la  pompa  dei  fatti  principali 
scolpiti  nell'insuperabile  Eneide...  Fatto  confronto  tra  il 
concetto  filosofico  di  Goethe,  il  teologico  di  Dante  ed  il 
pagano  di  Virgilio  ci  sarà  forza  ammirare  nel  gran  toscano 
quel  sole  in  pien  meriggio  che  tutti  in  sé  concentra  i  raggi 
della  teologica  luce 

e  del  vigor  del  cielo  il  mondo  impreota. 
Filippo  DJ  Scolari,  Yen.  19  Marzo  1862  -  V.  Gaz.  Yen.  3. 
Apr.  1862. 

Bertini  Giuseppe,  milanese  (1852),  -Dante,  grande  ve- 
triera  colorata.  -  «  Essa  è  ordinata  in  modo  da  poter  ap- 
plicarsi ad  un  grandioso  fenestrone  archiacuto,  che  misurato 
orizzontalmente  fino  allo  svoltar  dell'arco,  abbia  la  larghezza 
di  2  metri,  e  7  di  altezza  dalla  serraglia  dell'arco,  perpendico- 
larmente alla  base.  Il  soggetto  è  una  rappresentazione  alle- 
gorica al  più  grande  dei  poeti  italiani,  a  Dante;  ed  è 
spartito  in  quattro  campi  principali,  tre  de'  quali  si  alzano, 
quasi  tre  liste  perpendicolari,  dalla  base,  e  vanno  divisi 
dalle  barre  che  volgonsì  ad  arco-acuto  sopra  ciascun  d'essi, 
lasciando  poi  formarsi  un  quarto  campo  nello  spazio  com- 
preso nel  timpano  dell'  arco  ...  E  ben  la  sventura  sta  tutta 
sulla  nobile  fronte  di  Dante  del  Bertini.  Egli  occupa  il  campo 


DAME  E  LE  BELLE  ARTI.  355 

largo  delle  liste  laterali.  Tiensi  di  faccia,  ed  è  seduto  su 
d'un  magnifico  stallo  di  pietra,  ricco  di  dilicate  colonnette 
e  di  leggieri  musaici,  sormontato  da  un  elegante  pinacolo 
tutto  a  trafori  svariati.  Leggermente  inclinato  in  avanti 
colla  parte  superiore  del  torso,  sulle  sovrapposte  ginocchia 
il  poeta  protende  ambe  le  braccia;  le  mani  si  congiiingono 
posate  sui  fogli   staccati  del  suo  poema,   mentre  lo  stilo 
inerte  s'intreccia  nella  destra;  pur  quasi  in  atto  di  vergare 
uno  di  quei  tremendi  versi  che  il  rimpianto  della  terra  na- 
tale strappa  all'esule  e  che  i  secoli  venturi  si  tramandano 
come  un  eco  di  maledizioni.   Un  ampio  lucco  violaceo  gli 
involge  il  corpo,  e  sopra,  una  cappa  scarlatta  che  in  larghe 
pieghe  gli  cade  lungo  il  basso  dello  stallo  e  s'adagia  sotto 
ai  piedi,  che  sporgono  insieme  con  tutto  lo  stinco  dello 
sparato  del  lucco  con  tale  perfezione  di  disegno,  che  par 
di  vederle  agitarsi  convulse.  Il  capo  è  coperto  da  un  bianco 
cappuccio,   ricinto  del  becchetto,   come   lo  vediamo  nella 
imagine  giovanile,  opera  di  Giotto,  da  pochi  anni  trovata 
in  Firenze.  Anche  nei  lineamenti  è  serbato   in  gran  parte 
questo  singoiar  tipo,   onde  ci  sorse  una  più  vera  e  spiri- 
tual idea  delle  forme  del  poeta  di  quello  che  ci  traman- 
dassero le  consuete  imagini  arcigne  e  contratte  della  sua 
ultima  età.  Nel  suo  complessivo  atteggiarsi,  nella  semplicità 
grandissima  delle  linee  che  lo  disegnano  allo  sguardo,  avvi 
un  non  so  che  di  colossale  ed  imponente  che  par  proprio 
il  leone  quando  si  posa.  Il  labbro  si  pronuncia  a  sdegno,  le 
nari  si  gonfiano  d' ira,   e  lo  sguardo  grande,  acuto,  fiam- 
meggia sotto  l'ombra  dell'occhiaia  profonda,   e  s'affisa: 
in  chi?   No,  non  è  né  volto  al  cielo,   né  chino  alla  terra; 
par  ch'egli  s'intenda  in  alcuna  tremenda  cosa,  sull'estremo 
orizzonte,  par  che  una  lagrima  gli  righi  la  gota:  certo  ei 
sogna  la  patria  perduta.  -  Nello  scomparto  perpendicolare, 
a  sinistra  del  poeta,  é  la  sua  donna.  Posta  su  d'un  piano 
più  basso,  e  ritta  della  persona,  sta  in  alto  di  muovere  il 
passo,  raccogliendo  la  lunga  veste  cremesina  ed  il  ricco 
mantello  broccato  in  oro,  ma  con  piglio  cosi  gentile  e  con- 
tegnoso che  non  oserebbesi  dubitare  di  vedersi  dinanzi  la 
giovinetta  figlia  di  Folco  Porlinari,   quando  tenne  il  cuor 
di  Dante,  prima  chW  fuor  di  puerizia  fosse,  ech'eglican- 


3o()  DAME   E   LE   BELLE   ARTI. 

tava  ne'  suoi  primi  versi  qual  cosa  venula  dal  cielo  per 
mìracol  mostrare.  Essa  è  una  figura  indescrivibile  nella  sua 
verginal  limpidezza,  nella  sua  posa  soavemente  tranquilla; 
e  la  luce  che  la  irradia  lulla  di  rimbalzo,  comecché  essa 
le  venga  dietro  la  spalla  destra,  v'aggiunge  un'aria  di 

mistero  e  di  grazia  incomparabile La  sua  Malelda   fa 

degno  riscontro  alla  Beatrice;  è  quasi  il  secondo  genio  tu- 
telare del  poeta,  quello  per  cui  andò  mondo  d'ogni  labe 
nel  ruscello  di  Lete.  Essa  è  raffigurata,  come  il  verso  della 
leggenda:   cantando  e  scegliendo  fior  da  fiore,  e  muove  di 
fianco,  come  chi  mette  piede,  appena  innanzi  piede,  alzando 
il  capo  nell'estasi  del  canto,  e  mentre  colla  sinistra  mano 
sostiene  in  grembo  della  verde  vesta,  trapunta  di  bianche 
stelle,  i  fiori  già  raccolti,  stende,  quasi  astrattamente,  la  destra 
al  gambo  d' un  lussureggiante  papavero,  in  atto  di  spicear- 
nelo.  -  Nel  quarto  campo  principale  che  si  apre,  come  dicem- 
mo, nella  sommità  del  timpano,  sta  seduta  la  regina  del  celeste 
regno,  in  bianche  vesti;  sostiene  nella  destra  il  mistico  giglio, 
ed  ai  fianchi  di  lei  uno  stuolo  volante  d'angeli  devoti  si 
china,  cantando  le  sue  lodi.  Havvi  tale  una  semplicità,  ed 
una  convenienza  di  concetto  e  di  forme  in  questo  gruppo 
che  appare  di  primo  tratto,   come  il  Bcrtìni,   nell'alto  di 
delinearlo,  s'inspirasse  direttamente  nelle  tavole  del  beato 
da  Fiesole.   Quasi  poi  a  dividere  e  scompartire  all'occhio 
questi  quattro  campi,  corrono  lungo  le  aste  perpendicolari 
dei  tralci  che  vengono  ad  attortigliarsi  sopra  le  figure  e 
formare  dei  sottoarchi   acuti  e  ad  incrociarsi  di  nuovo  in 
diversi  sensi,  dando  così  origine  nel  timpano  a  diversi  spazii, 
a  segmenti  acuti,  a  nodi  e  gruppi  donde  spiccano  e  si  svol- 
gono fogliami  a  lembo  ottusamente  intagliali,  ripiegandosi 
in  graziosi  modi,  come  li  vediamo  attortigliarsi  lungo  i 
frontini  dei  monumenti  del  XIV  secolo.  L'artista  seppe  ben 
anche  trar  parte  dagrinterstizii  lasciati  nelle  spire  superiori 
di  questi  meandri:  sopra  la  Matelda  s'apre  in  piccolo  spazio 
l'aspetto  infocato  della  città  di  Dite,  e  poi  verso  il  nasci- 
mento dell'arco  si  tiene,   in  piccola  figura,   S.Domenico; 
dall'opposto  lato,  corrispondono  l'incontro  delle  belve  nella 
selva  selvaggia,  ed  11  Serafico  d'Assisi;   nel  mezzo  a  solo 
chiaro-scuro,  è  il  poeta  caduto  pel  racconto  di  Francesca. 


DANTE   E   LE   BELLE   ARTI.  357 

In  Ionio  intorno  a  tu  ila  la  forma  della  vetriera  corre  una 
larga  zona  a  rosoni  quadrilobali,  alterni  con  un  dentello 
nero  su  fondo  cremesino,  che  serra,  quasi  cornice,  tutta 
insieme  questa  composiziouc  ...»  MoìKjerl,  Crepuscolo  di 
Milano,  N.*'  4. 1853.  -  È  questa  l'opera  più  bella,  scriveva 
I.  Cantù,  e  piìi  commovente  che  sia  slata  commessa  alla 
lucida  superlicie  del  vetro.  Traeva  la  moltitudine  milanese 
a  veder  questa  aftettuosa  rappresentazione  del  più  gran 
poema  e  del  più  gran  cantore  italiano,  e  ammirare  come 
un  '  giovine,  poco  oltre  i  venti  anni,  avesse  saputo  in- 
terpretarlo così  potentemente.  Anche  a  Londra  il  lavoro 
del  giovine  italiano  arrestava  la  comune  attenzione,  e  Blan- 
qui  con  un  semplice  ma  entusiastico  aggettivo  lo  chiama- 
va vetro  stupendo.  Così  l'Italia  avea  mandato  a  gareggiare 
nobilmente  un  saggio  dell'arte  rinata  coi  saggi  che  vi 
mandò  la  fabbrica  di  Parigi  e  quella  ancor  più  meravigliosa 
di  Monaco-  -  Y.  il  Sonetto  del  Cav.  A.  3Ialfei  a  Giuseppe 
Berlini,  quando  recava  all'esposizione  di  Londra  l'apoteosi 
di  Dante  da  lui  smaltata  sul  vetro.  (  Versi  edili  ed  inediti 
1.81). 

BiGiOLi  PROF.  Cav.  Filippo.  Galleria  Dantesca,  o  la  di- 
vina Comedia  interpretata  dalla  pittura.  —  Quante  sono 
nazioni  educate  al  culto  delle  lettere  e  dell'arte  tradussero 
e  comentarono  nel  proprio  idioma  la  Divina  Comedia  di 
Dante  Allighieri,  che  a  buon  diritto  si  appella  il  poeta  uni- 
versale, il  poeta  dell'  umanità.  Siccome  però  ai  commenti  e 
alle  versioni  non  è  dato  dì  parlare  alle  moltitudini,  così  a 
popolarizzare  quell'immenso  poema,  si  è  volulo  che  la  pit- 
tura pagasse  anch' ella  il  suo  tributo  di  ammirazione  al 
cantore  dei  tre  regni.  Quest'opera  difficile  ed  interessante, 
ideata  e  condotta  a  termine  con  gravi  dispendii  e  fatiche 
dal  cav.  Romualdo  Genlilucci,  venne  confidata  al  valore 
artistico  del  prof.  Filippo  Bigioli,  che  inventò  e  disegnò  i 
27  grandi  quadri  (metri  G  per  4)  coloriti  dal  medesimo, 
dal  eh.  prof.  Chierici  di  Modena,  dal  rinomato  Vincenzo 
Palìotli  di  Napoli,  dal  Grandi,  dal  Guerra  ed  altri  distinti 
artisti.  La  Divina  Comedia  pertanto,  il  poema  che  fu  germe 
di  civiltà  e  sarà  sempre  la  meraviglia  dei  secoli,  è  stalo 
compendiato  ne' seguenti  argomenti. 


358  DANTE   E   LE   BELLE   ARTI. 

Jnf.  I.  Dante  smarrito  nella  selva.  —  Grandi  Fran- 

cesco. 

II.  Dante  alla  vista  delle  tre  belve.  —  Pa- 

liolti  Vicenzo. 

III.  Dante  e  Virgilio  alla  porta  dell' Inferno-  — 

Gìierra  Achille. 

IV.  Caronte  al  tragitto  dell'anime.  --  Paìiotti 

Yicenzo. 

V.  Gli  spiriti  magni  ai  campi  Elisi.  —  Grandi 

Francesco. 

VI.  Giudizio  di  Minosse.  —  Guerra  Achille. 
VII.  Paolo  e  Francesca  nella  bufera.  —  Bifjioli 

cav.  Filippo. 
vili.  Ciacco  fra  gl'ingordi.  —  Palloni  Vicenzo. 
IX.  Strazio  di  Filippo  Argenti.  —  Biffioli  cav. 

Filippo. 
X.  L'Angelo  che  sgrida  i  demoni  dì  Dite.  — 

Cherici  prof.  Alfonso. 
11.  L'Arche   di   Dite   e   Farinata.  —   Grandi 

Francesco. 
XII.  Capaneo  fra  i  violenti  contro  Dio.  —  Cherici 

prof.  Alfonso. 
Xiii.  Furore  dei  demoni  acquetali  da  Malacoda.  — 

Paliolti  Vicenzo. 
XIV.  Gl'Ipocriti  e  Caifasso.  —  Guerra  Achille. 
XV.  Bertram  dal  Bornio.  —  Guerra  Achille. 

XVI.  Ugolino  e  l'Arcivescovo  Ruggieri  nell'Ante- 

nora.  —  Grandi  Francesco. 

XVII.  Lucifero  nella  Giudecca.  —  Guerra  Achille. 
Para.  XVIII.  Virgilio  e  Dante  innanzi  Catone.  —  Grandi 

Francesco. 

XIX.  La  nave  governata  dall'Angelo.  —  Paìiotti 

Vicenzo. 

XX.  I  due  poeti  e  le  anime  intente  al  canto  dì 

Casella,  —  Chierici  prof.  Alfonso. 
XXI.  Dante  sogna  l'aquila  d'oro.  — 

XXII.  L'Angelo  a  custodia  del  Purgatorio.  —  Che- 

rici prof.  Alfonso. 

XXIII.  I  superbì  caricati  di  pietre.—  Guerra  Achilli. 


DAME   E   LE  BELLE  ARTI.  359 

XXIV.  Matilde  nel  paradiso  terrestre.  — 

XXV.  Il  carro  (ii  Beatrice.  —  Grandi  Francesco. 
Par.     XXVI.  Il  trono  della  Vergine.  —  Paliotti  Vicenzo. 

XXVII.  Il  trionfo  della  Divinità.  —  Paliotti  Vicenzo. 
Dì  questa  Galleria  dantesca,  oltre  la  Minerva  Romana, 
V Album  e  V Eplacordo,  giornali  artistici  letterari!  di  Roma, 
ne  portarono  favorevolissimi  giudizii  i  rinomati  professori 
Podesti,  Gagliardi,  Coqhetti,  Consoni,  Gnaccarini,  Brodsky 
Wolf,  Porcelli,  e'  Ormerville,  de  Paris,  Lavalleri,  Capalli. 
Gaspare  Mastini  raccolse  tutte  queste  autorevoli  opinioni 
in  un  libro  che  gli  piacque  intitolare  Giornale  della  Gal- 
leria Dantesca,  Roma,  Aureli  1861.  -  E  fu  veramente  un 
giorno  festivo  per  Roma  il  7  Feb.  1861,  in  cui  dinanzi  al 
sacro  Collegio,  al  Municipio  romano,  alla  Prelatura,  agli 
artisti  che  compongono  la  Pontificia  Accademia  di  S.  Luca, 
e  l'insigne  Congregazione  dei  Virtuosi  al  Panteon,  e  al  fiore 
della  nobiltà  romana  venne  per  la  prima  volta  nella  Bi- 
blioteca del  palazzo  Altieri  esposta  la  Galleria  Dantesca. - 
E  l'Accademia  pure  dei  Quiriti,  nell'adunanza  solenne  del 
21  Aprile  1861,  in  che  ha  per  costume  di  celebrare  il 
natale  di  Roma,  regina  dell'arti,  volle  festeggiato  il  sommo 
poeta  italiano,  e  convenne  ad  applaudire  le  stupende  conce- 
zioni pittoriche  che  compendiano  i  sublimi  suoi  versi.  «  Ben 
cinquecento  persone  assistevano  a  tale  straordinaria  ed  in 
vero  imponente  festa,  che  chiamiamo  dantesca . . .  Allo 
scuoprirsi  di  ciascuna  tela,  o  meglio  nei  27  quadri  che 
compendiano  il  poema  dell' Allighieri,  furono  recitate  altret- 
tante composizioni  poetiche,  allusive  ognuna  al  quadro  che 
si  mostrava  »...  Questa  Galleria  dantesca  che  costò  al  suo 
proprietario  cav.  Genti  lucci  oltre  150  m.  lire,  imprenderà 
il  giro  delle  principali  città  di  Europa.  -  I  gran  quadri,  con 
facile  meccanismo,  nello  spazio  di  due  ore,  si  svolgono 
l'uno  dopo  l'altro,  sotto  una  colossale  cornice  senza  inter- 
ruzione. 


TELE  AFFRESCHI  E  SCUITLRE 

IL  CUI  SOGGETTO  È  PRESO  DALLA  DIVINA  COMEDIA  (D 


FiletU  Giulio,  dì  Messina,  Dante  nella  selva  [Inf.  i.)  ;  Prima 
espos.  Hai.  in  Firenze,  1861. 

3forfihen  Antonio,  Dante  impaurito  per  V  incontro  delle 
tre  fiere  {Inf.  i.  31);  Esposiz.  firentina,  1836. 

Bisi  Giuseppe,  Selva  con  Dante  e  Virgilio,  [Inf.  i.  61.) 


(1)  Lcs  nrtistes  se  sont  toiijours  phi  à  reconnaìtre  un  frère  dans 
le  plus  pla«t,ique  des  poètes,  ils  ont  aimé  à  luttor  avec  la  majjìe  colorée 
de  ses  paroles  et  le  dessin  si  précis  et  si  fier  deses  tercets:  lutte  difficile 
et  dangereu?e,  et  d' où  est  sorti  vaìnqueur  la  plupart  du  temps  le  poète, 
qui  n'avait  cependant,  pour  combattre  contre  les  puissans  moyens  niaté- 
riels  dont  dispose  l'artiste,  que  le  armes  en  apparence  abstraites  de  le 
parole  et  du  rhythme.  Dante  interesse  les  artistes  non-seulement  comme 
les  intcressent  les  autrés  poètes,  en  tant  qu'hommes  doués  du  sens  du 
heau  et  prédisposés  par  les  habitudes  de  leur  profession  àie  sentir sous 
!es  formes  diverses  dont  peuvent  le  revétir  les  arts  rivaux  de  celui  qu' 
ils  exercent,  mais  en  tant  qu'  tiommes  de  niétier,  en  tant  que  peintres  et 
sculpteurs.  Ils  l' interrogentavec  curiosité,  comme  s'il  avait  àleur  révéler 
quelque  secret  important  sur  leur  art,  tant  ses  procédés  poétiques  et  ses 
méthodes  leur  paraissent  analogues  aux  leurs,  Ils  trouvent  dans  ses  visions 
tliémes  les  mieux  appropriés  à  leur  inspirations.  Il  leur  semble  qu'  en 
s'emparant  d'un  de  ses  épisodes,  ils  n'aient  qu'à  faire  une  transcription 
lìdèle  et  correcte  de  ses  paroies  pour  composer  une  oeuvre  qui  satisfasse 
à  toutes  les  exigences  de  la  peinture  ou  de  la  sculpture.  Us  sentent  que 
leur  seul  danger  dans  une  telle  transcription  est  de  parler  moins  forte- 
ment  aux  yeux  par  les  lignes  et  les  couleurs  que  ne  parie  le  poète  par 
iaseule  force  de  son  discours,  et  que,  malgré  les  moyens  dont  ils  dispo- 
sent,  ils  doivent  craindrede  ne  pouvoirsurpasser  l'expression  pitloresque 
de  ses  tableaux.  Qu'est-ce  que  la  sculpture  peut  ajouter  en  effet  à  l'at- 
titude  que  le  poète  a  donneo  dans  un  seul  vers  à  Sordello  ;de  Mantoue  ? 
Et  que  pourrait  ajouter  ia  peinture  la  plus  dramatique  à  l'expression  de 
Farinata  se  dressant  dans  la  fantasmagorique  clairobscur  de  sa  fosse 
aulfureuse,  et  regardant  autour  de  lui  comme  s'il  eùt  eu  l'enfer  engran 
roèpris  ?  Vou$  voyez  de  queis  points  extrèmes  Yìcnnent  les  adrairatcurs  de 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  361 

Sìgnol  Emilio,  di  Parigi,  Beatrice  discende  dal  cielo  e 
viene  a  Virgilio,  perchè  muova  a  soccorso  di  Dante  impe- 
dito nella  selva,  onde  ne  resti  consolata  [hf.  ii.  32);  Esposiz. 
iiniv.  di  Parigi,  1855. 

Dies  Cesare,  di  Roma,  Lo  stesso  soggetto;  I.'^  Espos.  ital. 
in  Firenze,  1861. 

MancineUi  Giuseppe,  Dante  e  Virgilio  alla  porta  d'In- 
ferno ilnf.  III.  1);  Esposiz.  napol.  1833. 

Flandria...  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  di  Parigi,  1853.  - 
Appartiene  al  Museo  di  Lione. 

Consoni  A'icolò,  di  Roma,  Dante  al  Limbo  {Inf.  iv.).  Di- 
pinto illustrato  da  C.  Correnti,  V.  Gemme  d'arti  Italiane, 
A.  IV.  1848. 

Degli  Antoni  prof.  Andrea,  di  Palermo,  Gli  Spiriti  Magni 
{hf.  IV.  85);  Esposiz.  fir.  1842. 

Mainardi  Tommaso,  Lo  stesso  soggetto:  Dipinse  in  Roma. 

Triqueti  Enrico,  di  Conflans,  Dante  presentato  da  Virgilio, 
al  poeta  sovrano  e  agli  altri  sommi  che  gli  fanno  corona, 
sicché  fu  sesto  tra  cotanto  senno  {Inf.w.^^);  Bassorilievo 
in  pietra  dura;  Esposiz.  di  Parigi,  1847. 

Delacroix  Eugenio,  Lo  stesso  soggetto.  Affresco  nella 
cupola  della  Biblioteca  della  Camera  dei  Pari. 

Degli  Antoni  prof.  Andrea,  Il  Giudizio  di  Minosse,  {Inf. 
v.  4);  Prima  esposiz.  ital.  di  Firenze  (L.  18750). 

Bezzuoli  Giuseppe,  Francesca  di  Rimini  {Inf.  v.  73);  E- 
sposiz.  (ir.  1816. 

Jngres  Giovanni  Augusto  Domenico,  Lo  stesso  soggetto: 
dipinse  in  Roma  nel  1819.  Appartiene  al  co.  Turpin  di 
Crlssé  -  Esposiz.  univ.  di  Parigi,  1855. 

Monti  Nicolò,  Pistoiese,  Lo  stesso  soggetto:  percommis- 


Dantc,  à  combien  d' inlelligcnces  ii  sait  parler,  de  combien  de  publies 
en  un  mot  s'est  grossi  pour  lui  le  public  déjà  si  vaste  des  grands  poétes. 
Aussi,  panni  Ics  cortéges  qui  accoinpagnent  à  travers  Ics  siécies  les 
grandes  renommées,  n'y  en  a-t-il  pas  de  plus  imposant,  de  plus  yarié  et 
qui  fassc  penser  davaiitage  aux  poinpes  royales.  James  eulte  poétique 
n'a  élé  célèbre  par  des  mains  plus  diverses,  et  n'a  recontré  de  croyans 
de  races  plus  opposées,  plus  enncmies,  plus  éloignées  les  unes  des 
autres.  »  Emile  Montègut,  Une  interprelation  de  Dante,  Revue  dee  deux 
Moades,  lì>  >ov.  I8(il,  p  43o, 


368  DANTE   E   LE   BELLE   ARTI. 

sione  di  Luigi  Faufuel  di  Livorno.  Fu  disegnalo  dal  Gozzini, 
ed  inciso  dal  Soldani. 

Piattoli  Gaetano,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  fir.  1820. 

Cataneo  Felice,  Lo  stesso  soggetto  ;  Esposiz.  mìl.  1826. 

Fraschieri  cav.  Gius.,  di  Savona,  Lo  stesso  soggetto;  Esp. 
mil.  18'2();  Prima  Esposiz.  ital.  1861:  Appartiene  al  Marchese 
Ala  Ponzoni. 

Fournier  Francesco,  Lo  stesso  soggetto,  Due  miniature  ; 
Esposiz.  fir.  1628. 
'  Busi  Cesare,  Lo  stesso  soggetto  ;  Esposiz.  mil.  1831. 

Liverati  Carlo  Ernesto,  Lo  slesso  soggetto;  Esposiz.  fir.l833. 

Schejfer  Ary,  Olandese,  Lo  stesso  soggetto;  Esposizione 
del  Louvre,  1835;  Riprodotto  nel  1855,  a  M.me  Mariolin 
Scheffer.  -  Cesi  une  repetion  nioins  chaude  du  couleur, 
mais  plus  serrée  de  dessin  et  de  modéle  falle  per  Scheffer 
lui-méme  et  à  la  quelle  il  travallait  encore  dans  ses  derniers 
annees  de  l'originai  qui  fui  aclielé  43,000  fr.  à  la  venie 
du  due  d'Orleans.  «  Burly,  Gaz.  des  beaux-arts,  1859.  p.58  - 
La  Francesca  di  Rimini  couronnail  pour  Ary  Scheffer  la 
seconde  pliase  de  sa  vie  d'artiste...  Ah  que  ne  puis-je  ici, 
comme  lorsqu'elle  parut  au  Salon  de  1835,  apprecier  ainsi 
qu'elle  le  mèrito  celle  dernière  composilion  la  plus  com- 
plète et  la  plus  perfaile  que  Scheffer  ail  lassèe  parmi  celles 
du  méme  genie  et  du  méme  lemps...  7rf. -Ampère  lo  dic^ 
un  quadro  che  lutto  arieggia  una  delicata  poesia:  il  De 
Sigalas,  dipintura  piena  di  tanto  affetto  che  ben  si  può 
«enlire  e  non  esprimere  a  parole,  e  che  di  lei  spira  tal 
poesia  che  proprio  li  mette  nel  cuore  le  medesime  commo- 
zioni che  sentiresti  alla  lettura  di  quel  canto  dell'Allighieri.  - 
Incisa  da  L.  Calamatla,  di  Civitavecchia;  Esposiz.  univ.  di 
Parigi,  1855  -  Miniatura,  dal  dipinto  dello  Scheffer  di  Gius. 
Gaye  dì  Tarbes;  Esposiz.  univ.  di  Parigi,  1855. 

Corpiaìii  Angelo,  Torinese,  Lo  slesso  soggetto;  Esposiz. 
ter.  1838; 

Cosmi  Condulmieri  Cosimo,  Lo  slesso  soggetto;  dipinse 
nel  1839. 

Decaisne...,  Lo  slesso  soggetto;  Esposiz.  del  Louvre,  1841. 

Monti  Enrico,  Lo  stesso  soggetto,  Esposiz.  mil.  1842. 

Franchi  Romualdo,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  fir.  1844. 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  365 

Farina  Achille,  Lo  slesso  soggetto;  Esposiz.  fìr.  1845. 

Descoudres  di  Duffeldolf,  Lo  stesso  soggetto;  E&posìz. 
univ.  di  belle  arti  dì  Bruxelles,  1851. 

Pelavero  Gitiseppe,  Lo  stesso  soggetto,  Esposiz.  mil.  1832. 

De  Laderèze,  dell'Accad.  di  Pietroburgo,  Lo  stesso  sog- 
getto, Esposiz.  ven.  1852. 

Giuliano  Francesco,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  tor.  1856. 

Carlini  Giulio,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  ven.  1857. 

Baccaccini  Francesco,  Lo  stesso  soggetto,  copia  a  tempera 
sopra  pergamena  di  un  quadro,  ecc.  ;  Esposiz.  mil.  1858. 

Di  Fauveau  Felicita,  Lo  stesso  soggetto.  Gruppo  in  mar- 
mo ,  presso  il  Co.  Pourtalés  di  Parigi. 

Etex  Antonio,  di  Parigi,  Lo  stesso  soggetto.  Bassorilievo 
in  marmo;  Esposiz.  univ.  di  Parigi,  183 L 

Motelli  Gaetano,  Lo  stesso  soggetto.  Bassorilievo  in 
marmo;  Esposiz.  univ.  di  Londra,  1852. 

Munro  A.,  Inglese,  Lo  stesso  soggetto,  Gruppo  in  marmo; 
Esposiz.  univ.  di  Parigi:  Proprietà  di  Lord  Gladstone. 

Buzzi  Leone  Luigi,  di  Milano,  bassorilievo  in  marmo, 
prima  esposiz.  di  Firenze,  1861. 

Yogel  de  Vogelstein  prof.  Carlo,  Lo  stesso  soggetto:  E 
caddi  come  corpo  morto  cade.  ~  Questo  soggetto  fu  per  ben 
due  volte  eseguito  dall'  illustre  pittore,  e  1'  uno  di  questi 
dipinti  è  posseduto  da*  S.  M.  la  Regina  di  Sassonia,  l'altro 
da  un  signore  Russo  a  Kieff. 

Robert  v.  Langer,  di  Monaco,  Lo  stesso  soggetto,  1838. 
11  Robert  v.  Langer,  come  mi  scrisse  il  chiaris.  de  Vogelstein, 
condusse  altri  soggetti  tolti  dalla  divina  Comedia. 

Delacroix  Eugenio,  n.  a  Charenton-Saint-Maurice.,DdiTìiQi 
e  Virgilio  che  attraversando  la  morta  gera  nella  barca  di 
Flegias  veggono  il  supplizio  di  Filippo  Argenti  ilnf.  viii.  31); 
Esposiz.  di  Parigi,  1822,  e  univ.  1855.  -  Appartiene  al  Museo 
di  Luxembourg  -  Cette composition,  d'un  aspcct  saisissant, 
et  qui  resterà  dans  l' oeuvre  du  maitre  conime  une  des 
pages  Ics  plus  saillantes,  fit  sensation  au  Salon  de  1822... 
M.  Thiers,  chargé  dans  le  Constitutionnel  de  la  critique  du 
Salon,  devina  dans  ce  tableau  d'  un  jeune  homme  inconnu 
tout  un  gloricux  avenir,  et  cette  prophétie,  entre  plusieurs 
autres,  est  une  des  bonne»  forlunes  de  cet  esprit  sagace. 


3G4  DAME  E  LE  BELLE  ARTI. 

«  Aucun  tableau,  dit-il,  ne  révèle  mieux  à  mon  avis, 
l'avenir  d'un  grand  peintre  que  cclui  de  M.  Dclacroix. 
C  est  là  surtout  qu'  on  peut  remarquer  ce  jet  du  lalent, 
cet  élan  de  la  supériorité  naissanle  qui  raninie  les  espéran- 
ces  un  peu  découragées  par  le  mérite  trop  niodéré  de  tout 
le  reste...  Il  y  a  là  l'égoisme  et  le  désespoir  de  l'enfer.  Dans 
ce  sujet,  si  voisin  de  l'exageration,  on  troùve  cependant 
une  sévérité  de  goùt,  une  convenance  locale  en  quelque 
sorte,  qui  relève  le  dessin,  auquel  des  jugtìs  sévères,  mais 
peu  avisés  ici,  pourraient  reproctier  de  manquer  de  noblesse. 
Lepinceau  est  large  et  ferme;  la  couleur  simple  et  vigou- 
rcuse...  A.J.  du  Pays,  lllustration,  1852,  Y.  XX.  p.  206,  Y. 
JllustruUon,  1855,  n.  643.  -  li  De  Sigalas  la  dice  una  delle 
più  belle  tele  del  Delacroix  -  Pittura  in  porcellana  dal 
quadro  di  Delacroix,  Devcrs  Giuseppe  di  Torino;  Esposiz. 
di  Parigi  1850;  Esposiz.  univ.  di  Parigi,  1855. 

Espalter  Giovanni,  Spagnuolo,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz. 
fìr.  1825. 

Barucco  Felice,  Lo  stesso  soggetto.  Esposi/,  lorin.  1852. 

Allori  Alessandro,  Bronzino,  Farinata  degli  Uberti  (Inf. 
X.  31);  Palazzo  dei  Co.  della  Gherardesca  di  Firenze. 

Calamai  Baldassare,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz. fir.  1825. 

Sahatelli  Giuseppe,  Lo  stesso  soggetto,  per  commissione 
di  Nicolò  Puccini,  poi  ceduto  al  Granduca  di  Toscana  che 
lo  acquistava  dal  Sabatelli  per  scudi  due  mila.  Quadro 
illustrato  dal  Guerrazzi,  Oraz.  funebri,  p.  167. 

Dall'Acqua  Cesare,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  ven. 
1852. 

Lima  Beniamino,  n.  a  Blobimeheim,  Alto  Reno,  Lo  stesso 
soggetto;  Esposiz.  univ.  di  Parigi,  1855. 

Patlen  G.,  di  Londra,  Dante  accompagnato  da  Yirgilio 
riconosce  tre  suoi  concittadini  (Guidoguerra,  Tegghiaio, 
Rusticucci    [Inf.  xvl  15);  Esposiz.  univ.  di  Parigi,  1855. 

Bompiani  Boberlo,  Bomano,  Yirgilio  e  Dante  trasportati 
dal  Gerione  {Inf.  xvii.  79);  Esposiz.  univ.  di  Parigi,  1855,  e 
prima  Esposiz.  Hai.  1861.  -  11  Yasari  ricorda  come  si  fosse 
fatta  una  Girandola  rappresentante  Gerione  con  Virgilio  e 
Dante  addosso,  siccome  da  esso  Dante  si  dice  neW Inferno: 
Yasari,  x.  175. 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  365 

Anonimo,  C.  xxii.  dell' /n/".  Miniatura  da  un  codice  della 
Laurenziana,  fotografata  dall' i/?nari,  di  Firenze. 

Reynolds,  inglese,  il  Co.  Ugolino,  i  Inf.  xxxui.  1)  -  É 
tenuto  pel  capolavoro  del  Sig.  Reynolds.  Lo  comperò  per 
10  m.  franchi  il  Duca  di  Dorsel,  che  lo  conserva  nella  sua 
villa  di  Knowle.  INel  1774  fu  inciso  in  mezzatinta  dal  Discon, 
e  poi  in  bulino  dal  Raimbach. 

Marsicfli Napoìitano,  Lo  stesso  soggetto. 

Banfi  Antonio,  Lo  stesso  soggetto  ;  Esposìz.  mil.  1828. 

3Jiriìiara  Cav Lo  slesso  soggetto,  dipinto  su  stoffa 

serica;  Espos.  tor.  1832. 

Biotti  Giuseppe,  Cremonese,  Lo  stesso  soggetto  ;  Esposiz. 
mil.  1832.  -  Su  questo  applauditìssimo  dipinto  furono  dettati 
moHi  articoli  che  poi  furono  raccolti  in  un  solo  opuscolo 
dal  Manin  di  Cremona.  Fu  inciso  da  Cesare  Ferrari.  Il 
Diotti  riproduceva  questo  suo  dipinto;  l'uno  dei  quali  è 
conservato  nella  Galleria  Tosi  di  Brescia,  l'altro  nella  Gal- 
leria Uboldo  di  Milano. 

Bezziioli  Giuseppe,  Lo  stesso  soggetto;  fu  dipinto  nel 
1835  ;  ed  ora  è  posseduto  dal  prof.  Orazio  Greenouch,  scultore 
americano. 

Calamai Baldassare,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  fir.  1838. 

Gualdi  Antonio,  Lo  slesso  soggetto;  Espos.  milan.  1838. 

Scaramuzza  Francesco,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz. 
mil.  1838.  -  Il  pittore  ha  rappresentata  la  dolorosa  scena 
nel  punto  a  cui  accennano  i  versi  di  Dante:  Ond' io  mi 
diedi  Già  cieco  a  brancolar  sovra  ciascuno. 

Pinet  Claudio,  Lo  stesso  soggetto  ;  Esposìz.  mil.  1838.  - 
Di  questi  tre  dipinti,  esposti  nel  1838  in  Brera  a  Milano,  ne 
parlò  la  Biblioteca  Italiana,  fas.  xci.  107. 

Cosmi  Condulmieri  Cosimo,  Lo  stesso  soggetto;  dipinto 
nel  1839. 

Benvenuti  Pietro,  Aretino.  Lo  stesso  soggetto;  Espos.  (ir. 
1843.  -  É  posseduto  dal  Co.  della  Gherardesca,  e  fu  ripro- 
dotto a  Parigi  in  litografia.-  Y.  Selvatico,  Arte  ed  Artisti, 
p.  13. 

Farina  Achille,  di  Faenza.  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz. 
fir.  1845. 

Sereno  Costantino,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  lor.  1745. 


366  DAxNTE   E   LE  BELLE  ARTI. 

i}fontebu(jnolo  Pietro,  Lo  slesso  soggetto,  Mezza  figura, 
opera  premiata  dall' Accad.  di  Bologna,  al  piccolo  Concorso 
Curlandieri,  1843. 

Pierino  da  Vinci,  Lo  slesso  soggetto,  -  Ei  messe  mano 
a  fare  una  storia  di  cera,  per  gettarla  di  bronzo,  alta  più 
d'un  braccio  e  larga  tre  quarti,  nella  quale  fece  due  lì- 
gliuoli  del  conte  morti,  uno  in  atto  di  spirare  l'anima,  uno 
che  vinto  dalla  fame  è  presso  all'estremo,  non  pervenuto 
ancora  all'ultimo  liato,  il  padre  in  atto  pietoso  e  miserabile, 
cieco,  e  di  dolore  pieno,  va  brancolando  sopra  i  miseri 
corpi  de'  figliuoli  distesi  in  terra.  Non  meno  in  questa  opera 
mostrò  il  Vinci  la  virtù  del  disegno,  che  Dante  ne'  suoi 
versi  il  valore  della  poesia;  perchè  non  men  compassione 
muovono  in  chi  riguarda  gli  atti  formati  nella  cera  dalle 
sculture,  che  faccino  in  chi  ascolta  gli  accenti  e  le  parole 
notate  in  carta  vive  da  quel  poeta.  E  per  mostrare  il  luogo 
dove  il  041S0  seguì,  fece  da  pie  il  fiume  d'Arno,  che  tiene 
tutta  la  larghezza  della  storia,  perchè  poco  discosto  dal 
tìume  è  in  Pisa  la  sopraddetta  torre;  sopra  la  quale  figurò 
ancora  una  vecchia  ignuda,  secca  e  paurosa,  intesa  per  la 
fame,  quasi  nel  modo  che  la  descrive  Ovidio.  Finita  la  cera, 
gettò  la  storia  di  bronzo,  la  quale  sommamente  piacque, 
ed  in  corte,  e  da  tulli  fu  tenuta  cosa  singolare.  »  -  Vasari, 
Vile,  Voi.  X.  287.  -  Questo  bassorilievo  fu  per  alcuni  erro- 
neamente attribuito  a  Michelangelo,  e  col  suo  nome  fu  dato 
inciso  nel  V.  HI  della  serie  dei  Ritratti  o  Elogi  degl'illustri 
toscani  al  n.  5,  poi  da  A.  Zobi.  Il  Batines  lo  dice  di  Nicolò 
detto  il  Tribolo.  Si  conserva  nel  palazzo  del  Co.  della  Ghe- 
rardesca,  presso  la  porta  a  Pinti. 

Bongiovanni  Salmtore,  Lo  stesso  soggetto.  Bassorilievo 
in  gesso;  Esposiz,  fir.  1837. 

Gibertini Il  Co.  Ugolino,  Automa. 

Daìla  Torre  Co.  Torquato,  di  Verona,  Gaddo,  uno  dei 
Ogli  di  Ugolino,  in  atto  di  gittarsi  a'  piedi  del  padre,  di- 
cendo: padre  mio  che  non  mi  aiuti?  Statua  in  marmo; 
Esposiz.  unìv.  di  Parigi,  1853. 

Dorè  Gustavo,  Dante  e  Virgilio  nel  nono  cerchio  dello 
Inferno  che  visitano  i  traditori  condannati  al  supplizio  della 
ghiaccia  {Inf.  xxxui.);  Esposiz.  di  Parigi,  1861. 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  S67 

Curzon ....  Mentre  Dante  e  Virgilio  sono  tuttavia  sul 
lido,  pensando  a  lor  cammino,  veggono  venire  una  navicella, 
governata  da  un  Angelo,  che  sbarca  una  moltitudine  di 
anime  destinate  al  Purgatorio  (  Purg.  ii.  10  )  ;  Esposiz.  del 
Louvre  1857.  Appartiene  al  Museo  di  Lussemburgo. 

Zanobi  Canovai,  Dante  che  prega  Casella  che  canti  e  Io 
ìnebbri  di  melodia,  com'era  uso  di  fare  al  mondo  dei  vìvi. 
Soggetto  messo  a  concorso  di  pittura  dall'Accad.  di  Firenze 
nel  1855  {Purg.  ii.  106). 

Borzino  Ulisse,  Dante  alla  spiaggia  del  Purgatorio  :  Ecco 
V angel  di  Dìo,  piega  le  mani...  ;  Esp.  genov.  1848. 

Meli  Giuseppe,  Dante  che  incontra  Manfredi  nel  Purga- 
torio [Purg.  HI.  103)  ;  Esposiz.  fir.  1838. 

Rai  Pietro,  di  Vicenza,  11  cadavere  di  Manfredi,  ricono- 
sciuto da'  suoi  famigliari  alla  presenza  di  Carlo  d' Angiò 
{Purg.  III.  103);  Prima  esposiz.  ital.  1861. 

Bezzuoli  Giuseppe,  Lo  stesso  soggetto  ;  Prima  EsposiziODC 
italiana,  1861:  Appartiene  al  Co.  A.  Demidoff. 

Valaporla  Francesco,  Manfredi  re  di  Sicilia  sconfitto  da 
Carlo  d'Angiò,  ed  ucciso  nella  famosa  giornata  di  Benevento. 
Le  sue  ossa  per  ordine  dell'Arcivescovo  di  Cosenza  sono 
diseppellite,  e  gittate  sulla  sponda  del  fiume  Verde;  Espos. 
lor.  1864. 

Lamherlini  Michele,  La  morte  dì  Jacopo  dal  Cassero, 
{Purg.  v.  64):  Nella  Pinacoteca  di  Bologna. 

Smergiassi  del  Vasto  Cav.  Gabriele,  di  Napoli,  L'Angelo 
che  s'impossessa  dell'anima  di  Buonconte  da  Montefeltro, 
e  scaccia  Satana  {Purg.v.  88);  Prima  esposiz.  ital.  1861. 
Acquistato  da  S.  M.  Vittorio  Emanuele  li.  Re  d'Italia. 

Vogel  de  Vogelslein  prof.  Carlo,  Lo  stesso  soggetto:  Tu 
te  ne  porti  di  costui  l'eterno  Per  una  lagrimetta  che  '/  mi 
toglie;  Ma  io  farò  dell'altro  altro  governo:  Purg.  v.  107. 
(1804). 

Pellaveri  Gaetano,  La  Pia  de'  Tolomeì  (  Purg.  v.  133  )  ; 
Esposiz.  rail.  1854. 

Rizzi  Lodovico,  Lo  slesso  soggetto;  Esposiz.  ven.  1855. 

Giara*  Francesco,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  tor.  1855. 

Adcmollo  Carlo,  Lo  slesso  soggetto;  Esposiz.  fir.  1857. 

Gastaldi  Andrea,  Lo  slesso  soggetto;  Esposii.  lor.  1857. 


368  DANTE  E  LE  BELLE  A!\T1. 

Vertuno  Achille,  di  JSayoli,  Lo  stesso  sogello  ;  Esposiz. 
mil.  1858. 

Molmenti  Pompeo,  Lo  stesso  soggetto,  Esposiz.  ven.  1853  ; 
Illustrato  da  Giov.  Veludo,  Yen.  Filippi,  1853. 

Carlini  Giulio,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  ven.~1862. 

Massola  prof.  Giulio,  Lo  stesso  soggetto,  Prima  esposiz. 
ita!.  1801.  Proprietà  del  Marchese  Luigi  Spinola. 

Polastrini  prof.  Enrico  di  Livorno,  resid.  in  Pisa,  Lo 
slesso  soggetto;  Prima  esposiz.  ital.  1861.  Proprietà  del  R. 
Governo  italiano. 

Tasso  Francesco,  di  Padova,  Lo  stesso  soggetto,  Basso- 
rilievo in  bronzo,  con  piedestallo  gotico;  Prima  esposiz. 
ital.  1861. 

Gastaldi  Andrea,  Sordello  nel  momento  che  interrogato 
da'  due  poeti,  non  degna  loro  di  rispondere  e  guarda  liso 
a  guisa  di  leon  quando  si  posa  {Purg.  vi.  58)  ;  Esposiz.  lor. 

Zaffarini  Feder.  Sordello  e  Cunizza  [Purg.  vi  ;  Par,  ix.); 
Espos.  tor.  1864. 

Barucca  Felice,  L'ora  del  pensiero  [Purg.  viii.l);  Esposiz. 
tor.  1851. 

Gia7ii  Francesco,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  lor.  1855. 

Melchi  Giuseppe,  Dante  alle  porte  del  Purgatorio  [Purg. 
IX.  76);  Esposiz.  ven.  1851. 

Mariani  Annibale,  Direttore  dell'Accad.  di  belle  arti  in 
Pisa,  Dante  condotto  da  Virgilio  alle  porte  del  Purgatorio; 
Prima  esposiz.  fir.  ital.  1861. 

Delacroix  Eugenio,  La  giustizia  di  Traiano  [Purg.  x.  73), 
dipinto  nel  1840;  Esposiz.  univ.  di  Parigi  1855. -Proprietà 
del  Museo  di  Rouen. 

Mondini  Giacomo,  di  Yerolanuova  Bresciana,  Dante  e 
Virgilio  che  incontrano  Oderisi  da  Gubbio  [Purg.  xi.  74j  ; 
Prima  Esposiz.  ital.  1861  (fr.  3000j. 

Giuliani  Bartolommeo,  Provengano  Salvani,  [Purg.  xi. 
109);  Esposiz.  tor.  1858. 

Malatesti  Adeodato,  di  Modena,  Dante  che  nel  Purgatorio 
si  abbatte  a  Sapia  [Purg.  xhl  106)  ;  Esposiz.  mil.  1841. 

Pierotlo  Gius.,  di  Castelnuovo,  residente  in  Firenze,  Corso 
Donali  ferito  presso  S.  Salvi  è  trasportato  dai  Monaci  a 
quella  Badia  (Pwf^.  XXIV.  82). 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  36  9 

Buonarroti  Michelangelo  -  Rachele  per  la  vita  contem- 
plativa e  Lia  per  la  vita  attiva  (Pur//,  xxviii.  100).  Nel 
monumento  di  Giulio  III. 

Gherardi  Cristo f ano,  detto  Doceno,  dì  Borgo  S.  Sepolcro 
[lì.  1508,  m.  loofij,  Lo  stesso  soggetto  :  Nella  facciata  del 
palazzo  Ricasoli,  posto  sulla  coscia  del  ponte  Carraia.  A 
questa  pittura  venne  dato  di  bianco. 

Gastaldi  Andrea,  Lia  [Purg.  xxvii.  97);  Esposiz.  tor.  1851. 

Paoletti  Antonio,  Dante  e  Matelda  [Purg.  xxviii.  37-97; 
XXXI.  100)  ;  Esposiz.  ven.  1858. 

Agujarì  Tito,  Lo  stesso  soggetto  ;  Esposiz.  ven.  1859. 

Fontani  JMcolò,  Lo  stesso  soggetto  ;  Esposiz.  tir.  1843. 

Vogel  de  Vogelstein  prof.  Carlo,  La  Beatrice  velata  sopra 
il  carro  mistico;  Dante  in  ginocchio  con  molte  altre  ligure; 
Purg.  C.  XXIX.  1  e  17.  -  L'egregio  artista,  a  cui  va  unita 
l'eccellenza  dell'ingegno  con  la  più  squisita  delicatezza  del 
sentimento,  offriva  questo  suo  quadro  al  Municipio  di  Fi- 
renze, con  questa  solenne  dichiarazione  di  manifestare  la 
gratitudine  per  tanti  conforti  di  mente  e  di  cuore  procac- 
ciatigli dal  sacro  poema.  Queste  nobili  espressioni  non  hanno 
bisogno  di  comento. 

Scheffer  Ary,  V  apparizione  di  Beatrice  a  Dante  {Purg. 
XXX.  28).  Inciso  da  Aarciso  Zecoi/ire  di  Parigi  ;  Esposiz.  unìv. 
di  Parigi,  1855. 

Delcborde  Enrico,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  del  Lou- 
vre, 1840. 

Vogel  de  Vogelstein  prof.  Carlo,  Guardommi  ben:  ben  son, 
ben  son  Beatrice:  Come  degnasti  d'accedere  al  monte?  Non 
sapei  tu,  che  qui  è  V  uom  felice?  Purg.  xxx.  73. 

D'Ancona  Vito,  di  Firenze,  Lo  stesso  soggetto:  Proprietà 
del  D.""  Corinaldi  di  Pisa. 

Ferut...  di  Marsiglia,  Dante  che  si  stacca  da  Virgilio, 
simbolo  della  filosofìa  pagana,  per  seguire  Stazio  e  Beatrice, 
allegorie  della  poesia  e  dell'amor  cristiano;  Esposiz.  di 
Parigi,  1857. 

Fabisch  Giuseppe,  di  Aix,  Beatrice  tutta  ncll'  eterne  rote 
Fissa  con  gli  occhi  stava;  ed  io,  in  lei  Le  luci  fisse  di  lassù, 
rimote  {Par.  i.  65).  Statua  in  marmo  ;  Esposiz.  univ.  di  Pari- 
gi, 1855. 

VoL.  II.  J4 


370  DAME  E  LE  BELLE   ARTI. 

Bongiovanni  Salvatore,  Dante  schiarito  da  Beatrice  nei 
suoi  dubbi  (/*ar.  I.  82),  Bassorilievo;  Esposiz.  fir.  1830. 

Toncinì...  prof,  deli Accad.  di  Piacenza,  Piccarda  Donati 
{Par.  HI.  36);  Esposiz.  mll.  1846. 

Rubio  Luigi,  di  Roma,  Dante  che  parla  con  Piccarda  e 
Costanza  nel  cerchio  della  Luna  (/*ar.  ni.  36);  Esposiz.  mll.  1846. 

De  Albertis  Sebastiano,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  mil. 
181)4. 

D'Andrea  Jacopo,  Lo  stesso  soggetto;  Esposiz.  mil.  1854. 


DISEGNI  ILLUSTRAZIONI  ED  INCISIONI 
DEL  DIVINO  POEMA. 


Chi  volesse  conoscere  appieno  l'influenza  di- 
retta ch'ebbero  nell'arti  lo  studio  dell» 
divina  Comedia,  dovrebbe  fare  une  storia  dei 
disegni  suggeriti  da  questo  poema,  comin- 
ciando da  Sandro  Botticello  ....  venendii 
fino  a  Giovanni  Flaxman,  al  Pinelli  e  al 
nostri  giorni  ....  GIOBERTI,  Del  Bello. 


BoTTiCELLi  Sapjdro.  { Filipepi,  n.  1447,  m.  IdId)  -  'x  Per 
esser  persona  sofistica,  comentò  una  parte  di  Dante,  e  fi- 
gurò lo  Inferno,  e  lo  mise  in  stampa  ;  dietro  al  quale  con- 
sumò di  molto  tempo:  per  il  che,  non  lavorando,  fu  cagione 
d' infiniti  disordini  alla  vita  sua.  »  -  Yasari,  Vita  di  Sandro 
Botiicelli,  Voi.  Y.  p.  117.  -  ^Le  stampe  ch'ei  fece  per  la  ce- 
lebre edizione  di  Dante  nel  1481  (  impressa  in  Firenze,  per 
Nicolò  di  Lorenzo  della  Magna,  a'  di  30  Agosto  1481  ),  di 
cui  disgraziatamente  non  ci  rimane  che  uno  strettissimo 
numero,  offrono  una  solenne  riprova  della  direzione  già 
presa  del  suo  bulino,  e  della  sua  fantasia  ;  il  che  si  spiega 
non  solo  coli' analoga  tendenza  che  il  Savonarola  cercava 
in  allora  precisamente  di  dare  a  tutte  le  belle  arti,  ma 
anche  coli' entusiasmo  che  invadeva  il  Botticelli,  amico  in- 
limo del  Baldini,  per  la  divina  Comedia,  sulla  quale  si 


DAME  E  LE  BELLE  ARTI.  371 

arrovellava  la  mente  per  comentarla  negli  estremi  del 
viver  suo.  -Giudizioso  n'è  il  disegno  e  netta  l'incisione: 
sono  dicianove,  ove  si  voglia  numerare  la  terza  eh'  è 
in  tutto  uguale  alla  seconda.  [Inf.  i.  65-ii.  127.-iii.  1.  v. 
l.-vi.  13.-V1I.  l.-viii.  31.-IX.  64.-X1.  7.-XII.  lO.-xui.  l.-xiv.8- 
xv.16.-xvi.  91.-XV1I.  l.-xvin.  4.-xix.  22).  -  11  De  Angelis, 
l'Heinecker,  l'Ab.  di  S.  Leger,  l' Huber,  l' Ottley,  il  Jansen, 
il  Y illardi  ed  il  Bartsch  vollero  del  Botticelli  soltanto 
i  disegni,  e  del  Baldini  gl'intagli;  ma  il  Borghini,  il  Gan- 
dellini,  il  Gaburri  al  Botticelli  rivendicarono,  oltre  i  disegni, 
anche  gl'intagli.  Questi  disegni  furono  esattamente  ripro- 
dotti da  Michele  Keil  (Nachrichten  von  Kiinsllern  und 
Kunst-Sachen,  Th.  L,  Leipzig,  Krauss,  1768. 8. 2  Taf.  zu  p.  280). 
Nel  Monte  Santo  di  Dio,  libro  oggimai  rarissimo,  vi  ha 
la  terza  incisione,  in  che  è  rappresentata  una  scena  del- 
l'Inferno dantesco.  È  larga  6  pollici,  alta  da  4  a  5  linee. 
Credesi  generalmente  disegnata  da  Sandro  Botticelli,  ed 
incisa  0  da  lui  stesso  o  da  Baccio  Baldini.  Fuvvi  però  chi 
ritenne  che  tanto  il  disegno  quanto  l'incisione  sieno  del  Bal- 
dini (1).  Il  Bartsch  cosi  descrive  questa  tavola:  «  Au  milieu 
de  r  estampe  Lucifer  vu  à  mi-corps  est  dans  un  bassin 
rempli  de  bourbier  infernal.  Sa  téte  cornue  offre  trois  vi- 
sages,  l'un  au  milieu,  les  deux  autres  au  dessus  des  épaules. 
Deux  grandes  ailes  de  la  forme  d'une  cheuve-souris  sor- 
tent  au  dessous  de  chacun  de  ses  visages.  Il  tieni  dan 
chacune  des  ses  gueules  un  pécheur,  qu'  il  brise  avec  ses 
dents.  Celui  du  milieu  est,  suivant  Dante,  Judas  Iscariote  ; 
sa  téte  est  engloutie  dans  la  gueule  de  Lucifer:  il  agite 
violemment  ses  pieds.  Brutus  est  suspendu  la  téte  en  bas 
dans  la  gueule  de  drolte.  Le  troisième  est  Cassius.  Deux 
aulres  pécheurs  se  voient  dans  la  main  de  Lucifer  qui 
en  tient  un  de  chacune.  Autour  de  Lucifer  sont  sept  abimes. 


(1)  Il  S.r  "William  Ottley  nelle  sue  ^otices  of  engravers  {  London, 
Longman,  1831)  ricorda  un' incisione  dell'Inferno  dantesco  attribuita  al 
Baldini.  -  Fra  le  incisioni  in  legno  degli  antichi  maestri  tedeschi,  raccolte 
da  GiQvanni  Alberto  de  Derschau,  e  pubblicate  dal  signor  A.  Z.  Becker, 
(  Gotha  1808),  si  osserva  un  Giudizio  tinaie,  (  allo  14  pollici,  largo  9  e  » 
linee]  che  senza  dubbio  fu  ispirato  all'  artista  dalla  lettura  della  Divina 
Comedia. 


372  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

3  à  gauche,  3  à  droìle,  et  un  au  milieu  de  la  planche.  Ces 
abinies  sont  plus  ou  moins  peuplés  de  damnés  lourmenlés 
par  des  démons  eri  différentes  manières.  »  Y.  Rio,  Form,  de 
l'art  Peinttire,  Ch.  ix. 

Zucchero  Federigo,  (di  S.  Angelo  in  Vado,  n.  1340  circa, 
m.  in  Ancona  1609)  -  «Durante  la  sua  dimora  in  Ispagna 
egli  disegnò  una  parte  delle  invenzioni  sopra  la  Divina  Co- 
media.  Esse  oggi  si  conservano  nella  R.  Galleria  di  Firenze, 
la  quale  possiede  molti  altri  disegni  dei  due  Zuccheri.  Sono 
più  di  novanta  composizioni,  in  foglio  alcune,  altre  in  più 
fogli  unite  assieme,  eseguite  con  grande  studio  a  matita 
rossa,  nera,  o  a  penna.  A  tergo  di  ciascun  disegno  è  trascritto 
di  stampatello  a  mano  a  mano  tutto  il  poema  di  Dante,  con 
note  di  corsivo.  Nel  frontespizio  si  legge:  Dante  istoriato 
da  Federigo  Zucchero,  l'anno  MDLXX...  (1586).  A  tergo  del 
disegno  [del  Canto  xxxi  del  Purgatorio,  eh' è  il  Trionfo 
della  Chiesa,  di  mano  di  Federigo  è  scritto  :  dicembre  1587, 
neir  Escuriale  in  Spagna.  Similmente  a  tergo  del  primo  di- 
segno del  Paradiso:  Addi  16  .¥a rzo  1588,  nelV Escuriale  in 
Spagna. 

Della  Strada  Giovanni,  detto  Stradano,  Fiamingo  (n. 
a  Crugnes  nel  1523,  m.  il  2  Nov.  1605),  Disegni  sopra  lo 
Inferno  e  il  Paradiso  di  Dante.  Sono  28  disegni,  a  bistro, 
condotti  con  mirabile  delicatezza,  e  si  conservano  nella 
Laurenziana  (Cod.  Mediceo-Palatino,  N.  75).  Furono  eseguiti 
nel  1587  e  nel  1589,  né  mai  incisi.  Oltre  a  questi,  che  ap- 
partengono tutti  alla  prima  Cantica,  ve  ne  hanno  altri  undici 
appena  abbozzati,  riguardanti  pure  1'  Inferno,  ed  undici  il 
Paradiso,  a  bistro  turchino,  ma  di  lunga  mano  inferiori, 
onde  il  Bandini  li  giudica  lavoro  d'altro  artista. 

Pocetti  Bernardo,  disegnò  il  Corso  della  vita  dell'  uomo, 
ovvero  l'Inferno,  il  Purgatorio,  il  Paradiso,  Comento  pit- 
torico della  divina  Comedia.  Fu  inciso  da  Jacopo  Callot,  e 
dedicato  a  Cosimo  I,  Granduca  di  Toscana,  con  lettera  20 
Maggio  1612.  (1) 

(1)  Il  Batines  ricorda  anche  le  seguenti  edizioni  della  Divina  Come- 
dia  del  secolo  XV  con  figure  intagliate  in  legno  :  I.,  Brescia  per  Bo- 
ninum  de  Bonini,  1487  :  vi  sono  08  figure,  grandi  quanto  il  foglio,  una 
per  ogni  Canto  duU'  Inferno  e  del  Purgatorio,  ed  una  in  fronte  del  primo 


DANTE   E  LE   BELLE  ARTI.  373 

FLAXMAN  GIOVANNI  (scultove  inglese,  II.  17oS,  m.  1826).  La 
Divina  Comedia  di  Dante  Allighieri...  -  Sono  111  disegni,  a 
puco  contorno,  compresi  due  frontespizj  ;  39  relativi  all'In- 
ferno; 39  al  Purgatorio,  e  33  al  Paradiso.  Furono  dapprima 
intagliati  da  Tomaso  Piroli,  romano,  Roma,  1793  :  Id.  1822; 
Id:  1826.  -  Londra,  nella  Iraduz.  del  Boyd,  1807;  -  rinta- 
gliati  dal  Pistrucci,  Milano,  Batelli-F anfani,  1822  con  120 
tavole,  dieci  delle  quali  aggiunte  dal  Pistrucci;  Milano, 
Biblioteca  classica  del  Yallardi,  1823;  nuovamente  incisi 
dall'  Ilumel,  Pennig,  Dienemann,  1804  ;  Carlsruhe,  Kunts 
Verlag,  1833-35:  —incisi  da  Paolo  Lasìnio,  Firenze,  Ciardetti, 
1830  ;  —  da  Luigi  Ntiti,  in  più  piccole  dimensioni  ;  —  da 
L.  Morghen,  in  120  incisioni,  Napoli,  JSohile  1833;  ripub- 
publicati  nel  1859;  —  London,  lleuTy  Bohn,  1856,  nella 
versione  del  Wriglit.  «Les  époques  le  plus  ardentes  à  pro- 
duire  ne  sont  pas  le  plus  favorables  à  la  traduction.  Et  cela 
se  congoit:  dans  ces  conditions,  le  sol  de  l'arte  n'  a  que 
faire  de  cet  engrais.  Pour  étre  uu  traducteur  fidèle,  il  faut 
étre  dans  un  méme  courant  d'idées,  ou,  à  défaut  d'une 
epoque  analogue,  il  en  faut  une  d'èclectisme  ou  de  scepli- 
cisme,  -  ce  qui  se  rassemble  beaucoup,  -  une  de  ces  époques 
auxquelles  l'absence  de  passion  permei  de  toul  comprendre, 
el  où  le  manque  d'individualité  favorise  l'esprit  d'imitation.- 
Né  en  1735  et  mort  en  1826,  lohn  Flaxman  vécut  en  un 
de  ces  temps  propices  à  un  tal  genre  de  travail  ;  et,  comme 

del  Paradiso.  -  II,  Venezia,  per  Bernardino  Benali  e  Mathio  da  Parma, 
1491,  in  foglio:  questa  edizione  ha  cento  vignette:  le  tre  che  stanno  in 
fronte  dei  primi  Canti  dell'Inferno,  Purgatorio  e  Paradiso  occupano  tutto 
il  foglio  ;  le  altre,  tutte  poste  al  principio  degli  altri  Canti,  sono  aggiu- 
state fra  mezzo  al  testo.  -  III,  Venezia  per  Pietro  Cremonese,  li97,  in 
foglio:  ha  pure  cento  vignette,  tutte  aggiustate  fra  mezzo  al  testo,  in  prin- 
cipio de'  Canti,  di  piccole  dimensioni.  -  IV,  Venezia,  per  Matteo  di  Chodeca, 
da  Parma,  1493,  in  foglio:  Contiene  tre  figure  grandi,  e 97  piccole,  come 
nell'altra  di  Venezia,  Benali,  1491.  -  V,  Venezia,  per  Piero  de  Zuanne, 
147(5,  in  foglio:  ha  cento  figure,  come  nella  edizione  di  Venezia,  Pietro 
Cremonese,  1491. -Del  secolo XVI  sono  pure  illustrate  le  Venete  edizioni, 
di  Bartolomeo  de  Zani,  da  Porlese,  VòOl  ;  di  Bernardino  Slagnino,  1512, 
lolG  e  1320;  di  Jacob  del  Burriofrancn,  Pavese,  Vò-29;  di  Giovanili  Giolito, 
13'.ÌG;  di  Francesco  Marcolini,  lo44;  di  Giambatista  Marchiò  Sessa, 
lo«4;  di  Pietro  da  Fino,  1368;  e  del  secolo  XVIII  la  Veneta  del  /ulta 
del  1737  e  del  1784. 


374  DANTE   E  LE   BELLE  ARTI. 

proleslant.  Il  fut  dans  dcs  condllions  meilleures  pour  bien 
reiidre  l'esprit  de  Dante,  eu  ce  sens  qae  le  protestantisme 
se  rapproche  bIen  plus  du  catholicisme  gothlque  que  le 
sensuallsme  de  la  renaissance.  -  Il  possèdait  d'alUeurs,  à  un 
très-haut  point,  une  qualité  fort  rare  chez  les  Anglais,  le 
sentlment  du  style  et  du  caractère.  Ses  dessins  sur  Homère, 
Héslode  et  Eschyle  sont  tous  Imprégnés  de  la  couleur  de 
l'antlquité,  et  la  Divine  Comédie  luì  a  fournl  une  nouvelle 
occasion  de  déployer  tonte  la  souplesse  de  son  talent,  de 
montrer  toule  la  sùreté  de  son  goùt.  Il  n'étalt  guère  pos- 
sible  de  mieux  s'Identifier  avec  Dante  et  le  moyen  àge. - 
Il  est,  sì  je  ne  me  trompe,  une  sphère  d' Idées  trop  haute 
pour  que  l'art  y  puisse  entrer  de  plaln-pled.  Il  ne  luì  est 
donne,  comme  "a  Ylrgile,  que  d'avancer  jusqu'au  seull,  et, 
arrlvé  là,  l'immaginatlon  est  la  Béatrlx  qui  dolt  désormais 
servir  de  guide  à  celui  qu'il  escortalt  naguère.  L'imagìna- 
tìon,  elle,  peut  s'élever  aux  réglons  du  suruaturel  elle 
est  de  méme  essence.  L'office  de  l'art  est  de  lui  ouvrìr  la 
vole,  de  luì  donner  l'impulslon;  mais  qu'il  s'abstìenne  de 
l'accompagner  dans  l'espolr  de  la  soutenir.  Il  ne  ferait  qu' 
alourdir  son  vo.l  A  un  certaìn  degré,  le  grandiose  et  le 
vague  échappent  à  l'étrelnte  de  l'art.  A  quo!  bon  lutter 
corps  à  corps  avec  l'ìnsaìsissable?  Le  plus  sage  est  de  traiter 

symboliquement  ces  sortes  de  sujets Sì  cette  théorìe  du 

symbollque,  de  l'elliptique,  est  vrale  pour  la  littérature,  à 
combien  plus  forte  raìson  pour  l'art  bIen  plus  restreint, 
bIen  plus  matèrici,  du  dessin?  Et  sì  elle  est  vraie  en  ge- 
neral, à  combien  plus  forte  raìson,  lorsqu'ils'agitdetraduire 
le  poete  qui  en  a  été  l'expression  la  plus  saillante?  -  C'est 
ce  qu'avec  un  parfall  jugement  a  compris  Flaxman.  Il  a 
méme  poussé  plus  loin  sa  réserve  de  traducteur;  car,  pour 
laisser  encore  à  rimagìnation  plus  de  latitude,  pour  lutter 
contre  le  vague  à  armes  moins  inégales,  il  n'a  poìnt  fait 
de  dessins  achevés,  et  s' est  contente  d'un  sìmple  traìt.»  - 
Leon  de  Wailly,  lllustration,  17  Aout,  1861,  N.  964. 

«  Je  saìs  bìen  que  la  sèrie  de  dessins  que  Flaxman  a 
consacrés  à  VEnfer  de  Dante  est  inférleure  à  ses  autres 
oeuvres;  mais  cette  sèrie  est  Inférleure  précìsément  parceque 
son  imagination  manque  de  souplesse,  et  que  dans  ce  sujet, 


DAME  E  LE  BELLE  ARTI.  375 

à  la  foìs  grandiose  et  élrange,  elle  s'est  Irouvée  dépaysée. 
Flaxman  n'esl  à  son  aise  que  dans  les  sujels  grecs,  et  ne 
comprend  bien  que  certains  caractères  du  genie  et  de  l'art 
grecs.  Sur  ce  terrain,  il  peut  défier  tout  le  monde,  et  quel- 
ques-uns  des  dessins  de  son  Homére,  et  surtout  de  son 
Hésiode,  l'oeuvre  la  plus  charmante,  à  mon  avis,  qui  soit 
sortie  de  son  crayon  élégant,  correct  et  froid,  méritent  tonte 
admiration...  Dans  les  illustratìons  de  Dante  ont  reconnait 
immédiatement  leur  nationalité.  Le  caractère  italien  du 
poème  lui  a  compiè  tement  échappé,  ou  plutót  il  n'a  pas  su 
assouplir  son  genie  aux  conditions  de  l'oeuvre...  Gependant, 
quoiqu'  il  soit  dans  cette  production  inférìeur  à  lui-méme, 
il  reste  encore  trés  grand  artiste,  et  M.  Dorè  pourrait  encore 
apprendre  de  lui  quelques  legons:  par  exemple,  comment 
il  est  inutile  de  multiplier  les  détails  pour  obtenir  un  effet 
puissant,  et  comment  les  détails  trop  multipliès  finissent 
par  ressembler  à  ce  qu'en  littèrature  on  appello  prolixité, 
parce  qu'alors  ils  ne  sont  pour  ainsi  dire  que  la  rèpèlition 
d'eux-mémes,  et  qu'  au  lieu  de  faire  contraste,  ils  ne  font 
qu'encombrement.  11  pourrait  apprendre  aussi  de  lui  à  ne 
pas  torturer  et  épuiser  un  sujet  de  manière  à  lui  fare  rendre 
tout  ce  qu'  il  contient,  parce  que  ce  procède  excessif  en- 
lève  à  l'imaginalion  du  spectateur  tout  horizon,  et  prive 
l'oeuvre  de  l'artiste  de  cette  puissance  d'inspirer  la  réverie 
qui  est  le  plus  sympathique  et  le  plus  mystèrieux  des  prì- 
vilèges  des  grandes  oeuvres  d'art.  Or  ce  privilège,  Flaxman, 
qui  ne  comprend  pas  Dante  aussi  bien  que  M.  Dorè,  le 
possedè  presque  toujours,  tandis  que  M.  Dorè  ne  le  possedè 
que  très  rarement.  Quel  joli  dessin  que  celui  que  Flaxman  a 
compose  sur  ce  vers  qui  clòt  l'épisode  de  FrauQoise  de 
Uimini.  E  caddi  come  corpo  morto  cadde.,.  Ce  que  M.  Dorè 
n'a  pas  égalé  non  plus,  e' est  le  dessin  simple  et  poignant 
que  Flaxman  a  consacrò  à  l'épisode  d'Ugolin...  Ce  sont  les 
deux  plus  beaux  dessins  de  cette  sèrie  de  Flaxman;  mais 
combien  d'aulres  encore  sont  dignes  d'étre  citès  après 
ceux-là!  La  planche  qui  représente  Dante  et  Virgile  con- 
versant  avec  les  flammes  qui  contiennent  les  àmes  d'Ulysse 
et  de  Diomede  est  pleine  d'esprit  dans  sa  simplicité....  Le 
dessin  où  Dante  et  Virgile  soni  menacès  par  les  diables 


376  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

facélleux  qui  habilenl  l'enfer  des  miillótiers,  celui  où  est 
représenlé  le  supplice  de  Navarrais  Clampolo,  onl  une  expres- 
siond'énergie  diabolique  que  M.  Dorè  n'a  pas  surpassée.  Le 
voyage  sur  le  dos  de  Géryon,  !es  porlraits  des  Euménides, 
un  peu  trop  sereinement  belles  pourlant,  peuvenl  encore 
soulenir  la  comparaison  avec  les  desslns  correspondans  de 
M.  Dorè.  Dans  tous  les  aulres,  dans  la  forél  des  suicides, 
dans  l'enfer  de  giace,  dans  la  procession  des  hypocrites, 
dans  le  supplice  par  les  serpens,  dans  la  représentalion  de 
la  ville  de  Dite,  méme  dans  le  passage  des  ombres  (ce 
dernier  dessin  offre  pourtant  des  détails  pleìns  d'energie), 
Flaxman  me  semble  inférieur  à  M.  Dorè.  Il  a  èie  vaincu  non 
pas  prècisèmenl  conime  artiste,  mais  conime  interprete  de 
Dante...  Émìle  Montagut,  Une  Jnterprétation  de  Dante,  Re- 
vue  des  deux  Mondes,  15  Nov.  1861,  p.  443. 

Sahatelli  dìs.  Bettelini  ine.  —  Il  Co.  Ugolino  {Inf.xwm. 
1);  —  Sabalellì  inv.  —  Ermini  </w.:  Dante  e  Virgilio  che  si 
incontrano  in  Sordello  (Pwf^.  vi.  58);  Ermini  dis.  Lapi  ine: 
Beatrice  che  invita  Dante  a  fisar  gli  occhi  in  cielo,  Par. 
xxiii.  19.  Queste  tre  incisioni  fregiano  l'  edizione  pisana 
del  Resini  1804-09.  Furono  esse  tirate  anche  a  parie,  ed  il 
catalogo  Molini  ne  segna  il  prezzo  in  paoli  50,  ed  in  paoli 
90  avanti  lettera. 

Giacomelli  Sofia  (M.""^  Chomel),  La  Divina  Comedia  dise- 
gnala ed  incisa,  Parigi,  Blaise,  1813  in  4.°  Son  cento  figure 
a  contorno,  ad  ornamento  della  Iraduz.  francese  della  Div. 
Comedia  dell' Artaud. 

Ingres  Giov.  Augusto  Domenico,  Disegno  dell'Episodio 
rappresentante  Francesca  di  Rimini,  1816.  E  posseduto  dal 
Cav.  Artaud.  Nel  1819  l' Ingres,  lo  condusse  a  colori,  ed  il 
dipinto  è  ora  proprietà  del  Cav.  Turpin  de  Cressé. 

Adamolli  Luigi,  Nenci. Francesco,  —  «  Renderanno  sempre 
cara  e  gradita  l'edizione  magnifica  dell'Ancora  {Firenze, 
1817-19.  in  fogl.)  que' tacili  Comentatori  che  colla  punta 
del  bulino  valsero  a  presentarci  i  reconditi  pensieri  del 
gran  poeta.  Luigi  Adamolli  inventò  e  in  gran  parte  intagliò 
le  tavole  delle  Cantiche  dell'Inferno  e  del  Purgatorio;  e 
Francesco  Nenci  inventò  e  disegnò  tutte  quelle  del  Paradiso. 
Se  nelle  prime  dispiacque  a' conoscitori  di  trovare  talvolta 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  377 

trascurato  il  lavoro  si  nell'invenzione  che  nell'esecuzione, 
nelle  seconde  del  Nenci,  che  rlsguardano  una  parte  del 
Purgatorio  e  tutto  il  Paradiso,  si  ammiranno  da  pittore 
valente  spiegate  e  rappresentate  le  più  belle  imagini  del 
poeta.»  B.  Gamba  —  «  Libro  veramente  magnifico,  tanto 
per  la  bellezza  e  splendidezza  del  lavoro  tipografico,  quanto 
per  l'eccellenza  dei  disegni  che  contiene...  Le  figure  dello 
Inferno  sono  in  tutte  44,  furono  disegnate  da  Luigi  Ademollo^ 
incise  in  parte  da  lui  medesimo,  parte  dal  Lasinio  ;  anche 
quelle  del  Purgatorio,  che  sono  40,  furono,  meno  una  sola, 
disegnate  ed  incise  dalFAdemollo;  quelle  del  Paradiso,  41  in 
tutte,  furono  disegnate  dal  Aenci,  e  incise  da  Giov.  Maselli^ 
Erm.  Lapi,  Innoc.  Mìgliavacca,  Lasinio  e  Y.  Benuccì.  —  Il 
Foscolo  le  dice  esagerate  nell'espressione  e  nella  composi- 
zione dei  gruppi. 

MacckiavelU  Gìovan-Gìacomo,  Bolognese  ;  (Bologna,  Gam- 
berini  e  Parmeggiani,  1819-23).  Sono  101  tavole  dantesche, 
pel  Macchiavelli  inventate  ed  incise  in  Roma  negli  anni  1806, 
1807.  Grande  maestria  nell'arte  e  profonda  intelligenza  del 
poema  si  rivela  in  queste  tavole,  giudicate  ancora  più  belle 
di  quelle  bellissime  dell'Ancora.  L'Agincourt  ne  fa  grandis- 
sima lode;  il  Colelli  però  le  crede  interpreti  non  troppo 
fedeli  dell'idea  del  poeta,  e  fa  sovra  ciascuno  dei  disegni 
analoghe  osservazioni. 

Gallina  Gallo  (1822).  Il  Co.  Ugolino,  in  quattro  tavole, 
disegnate  ed  incise  da  un  pensiero  di  Pelagio  Pelagi  (Milano, 
presso  l'autore). 

Livizzani  Ercole;  L'Ugolino,  (1823)  quadricello  lungo 
pollici  11  parigini,  alto  7  :  Le  figure  non  eccedono  5.  Questo 
disegno  venne  illustrato  dal  Meneghelli,  Voi.  II.  p.  73,  ed 
appartiene  al  Cav.  Filippo  Scolari. 

Pinelli  Bartolommeo,  Romano,  Invenzioni  sul  poema  di 
Dante  di  propria  mano  incise,  Roma,  presso  l'Autore,  1824- 
26,  3.  voi.  in  fogl.  gr.  bislungo.  -  Sono  in  tutte  144  tavole 
disegnate  ed  incise  dal  Pinelli,  delie  quali  63  tolte  dall'In- 
ferno, 42  dal  Purgatorio,  34  dal  Paradiso.  Per  la  bellezza  della 
composizione,  come  per  la  correzione  del  disegno,  non  han 
punto  da  invidiare  le  più  belle  del  Flaxman.  Il  Cicconi  in 
un  articolo  graziosissimo  dettato  in  francese,  intitolalo  :  Une 


378  DANTE   E  LE   BELLE   ARTI. 

charge  par  Pinelli,  Scéne  de  moeurs  italìennes,  mettendo  in 
iscena  un  inglese  ammiratore  dell'artista  romano,  a  propo- 
sito de'  suoi  disegni  danteschi  gli  fa  dire  :  Et  ces  diables  em- 
prunlés  à  V  Enfer  du  Dante  n'ont  ih  'pas  quelque  chose  de 
piquant?  Il  les  a  burinés  avec  un  soin  tout  particulier,  etje 
dirai  presque  avec  une  tendresse  de  pére. 

Koch  Giuseppe.  —  Sono  40  disegni  per  lui  condotti  in 
Roma  nel  1824.  -  ì;lnf.  i.  88. 90-ii;  Inf.  il  118.  120-iil  Nuovo 
disegno  sui  medesimi  versi  -  iv;  Inf.  in.  9.  l8-v;  Inf.  ni.  109- 
iii.-vi  ;  Inf.  VI.  86-l02-vn.  Inf.  v.  73-78-viii  ;  Inf.  vn.  2o-27-ix  ; 
Inf.Yii.l-n-x;  Inf.  vili.  40-42-xi; /n/.  ix.89-90-xii:  7n/".  x; 
22-23-xni  ;  Inf.  xi.  4-12-xi  v;  Inf.  xn.  58-66-xv  ;  Inf.  xiii.  31- 
39-xvi  ;  Inf.  xiv.  67-75-xvn  ;  Inf.  xv.  22-30-xin  ;  Inf.  xvi.  1-xix; 
/nAxvii.ll8-123-xx;7n/".xviii.40-5l-xxi;iw/'.xix.3l-3G-xxii; 
Inf.  XX.  23-32-xxin; Inf.  xxi.  3 l-3f)-xxiv;  Inf,  xxii.  46-37-xxv  ; 
Inf.  xxiii.  79-90-xxvi;  yw/",  xxiv.82-99-xxvn;7n/'.xxv.  44-57- 
xxviii  ;Inf-  XXVI.  43-48-xxix  ;  Inf.  xxvii.  lG-33-xxx.  Nuovo  di- 
segno sui  medesimi  versi  -  xxxi;  /w/".  xxvni.  32-xxxii  ;  in/*. 
XXIX.  100-108-  xxxin;  /«/■.  xxx.  22-30-xxxiv;  Inf.  xxxi.  130- 
32-xxxv  ;  Inf.  xxxii.  97-  99-xxxvi  ;  Inf.  xxxni.  1-13-xxxvii  ; 
in/",  xxxiv.  37-69-xxxviii  ;  Piirg.n.  13-51-xxxix;  Purg.ix. 
1-63-xl;  Purg.  xxviii.  34-09.  -  Questi  disegni,  com'è  da 
da  vedere  nel  Petzholdt,  si  conservano  nella  R.  Biblioteca  di 
di  Dresda.  Il  Koch  condusse  pure  a  olio  molte  scene  della 
divina  Comedìa,  ricordate  dal  Mordachini  nelle  sue  Memorie 
sulle  belle  arti,  Roma,  iv. 

\arii  (1830  e  1839).  - 1.  L.  Richter,  Inf.  i.  31-63-n.  Retzsch; 
Inf.  1. 83-84-111.  B.  Neher,  (1842.  pina)  ;  Inf.  v.  25-78-iv.  Giov. 
Sc/morr,  (1835);  /«/".  ix.  64-90-v.  C.  G.  Carus  pinx;  Inf.x\. 
18-19-vi.F.  Rietschel  (1835);  iw/". xv.  22-30-vii.  Retzsch;  Inf. 
xviL  100-26-vni.  C.  F.  Ruìmohrjnf.xx.  ^\-l^-ix. Retzsch; Inf. 
XXL22-87-X.  C.Begajiìm^)-  Inf.  xxiiL  34-66-xl  E.  Hdhnel 
pina  (1844)  ;  Inf.  xxiv.  79-99;  /n/".  xxv.  16-30-xii.  G.A.Hennig 
(1835)  ;  Inf.  xxvi.  54-57  ;  88-102  ;  136-1 42-xiii.  Retzsch  (1834)  ; 
Inf.  xxvii.  112-20-xiv.  Tr.  Faber;  Inf.  xxxi.  40-41-xv.  Arri- 
goni;  Inf.  xxxiii.  22-26-xvi.  Peschel;  Inf.  xxxni.  26-36-xvii. 
Peschel:  Inf.  xxxni.  67-69-xvin.  Giov.  ^Tw/mer  (1839)  ;  Purg.  i. 
28-51-xix.  ^m,  pinx.  (1838);  Purg.  ii.  13-5l-xx.  A.  Rethel 
(1850)  ;  Purg.  in.  127-29-xxi.  C.  Fr.  Lessing  (1852)  ;  Purg.  w. 


DANTE  E  LE   BELLE  ARTI.  379 

100-36-xxii.  e.  Schurùi;  Purrj.  v.  8o-136-xxiii.  C.  Bdliv,  plnx. 
(1840)  ;  Purg.ww,  22-42  ;  93-108-xxiv.  B.  Genelli;  Piirg.  ix. 
19-W-x\\.Peschel{ìS'ò%y,  Purg.\x.T^-Ì^O-x\\i. E Bendemann 
(1836),  Puri/.  x.34-4d;  112-20;  130-39;  xi.  l-30;73-90;  xii. 
23-27-xxvH.  A.  Ehrhardt  (1851)  ;  Purg.  xxvii.  ()-36-xxviii.  G. 
Iliilmer  (1841)  ;  Purg.  xxviii.22-51-xxix.  Ilensel;  Purg.  xxx. 
57-99-xxx.  E.Bendemann  (1843);  Par.  i.  58-69-xxxi.  C.  G.  Ca- 
rus;Par.  xvi.l21-22-xxxii.F//.  Veit;  Par.  xxiv.  31-78-xxxiii, 
Mor.  de  Sciwind,  di  iMoiiaco(l849)  ;Par.  xxiv.  148-54-  Questi 
disegni,  riportali  dal  Petzlioldt,  si  conservano  nella  R.  Biblio- 
teca di  Dresda. 

Varii  -  1.  Efiìgies  Danlis,  del.  A.  Marini.  -  u.  Statua  Dantis, 
quae  ornamento  novi  Musaci  Dresdensis  inservit,  photogra- 
phice.  -  HI.  Ad  Inf.  vn.  «  im  ersten  glorreicheu  Jahre  der 
deutschen  Enigkeit  gezeichnet  von  W.  Kaulbach,  1848;  iv. 
ad  Parad.  del  K.  L.  Richler.  Dresd.  1849  ;  v.  ad  Farad,  del. 
K.  L,  Hichtcr.  Dresd.  1849;  ad  Parad.  del.  et  pinxit  P.  Cor- 
nelius;  vi.  ad  Parad.  \-\[i.  pinx?;  ad  Parad.  xviii.  28-51. 
del.  E.  Steinle;  viii.  ad  Parad.  xx.  127-30.  del.  Bary,  1854; 
IX.  ad  Parad.  xxi-28,  del.  G.  Jàger,  1847.  »  Petzlioldt,  Calai. 
Biblioth.  Dresdensis,  p.  43. 

Cornelius  Petr.  Umrisse  zu  Dante  Paradies,  Mit  erkla- 
rendera  teste  von  />.'"  Dollingery  Raccolta  di  9  ligure  a 
contorno  con  cinque  carte  di  testo,  Longman  (1833-40). 
Raccolta  d' incisioni,  pubblicate  dal  Longman  e  che  servono 
di  ornamento  alla  versione  della  divina  Comedia  del 
Wright. 

Postiglione  Raffaelle,  Gli  spirili  magni  descritti  da  Dante 
{Inf.  IV.  85).  —  Disegno.  Esposiz.  del  Museo  Borbonico  di 
Napoli,  1837. 

Eabris  Domenico  (1840-42j.  Le  vignette  di  che  11  Fabris 
corredava  la  propria  edizione  firentina,  sono  copia  dei  no- 
tissimi lavori  del  Flaxman,  del  Pinelli,  dell' Ademollo,  ecc. 
e  furono  disegnate  ed  incise  dal  Fabris,  dal  Balestrieri, 
dalla  S.'"'^  Elisa  Mariani,  da  G.B.  Biscarra  ed  altri. 

Von  Adolfo,  (n.  a  EschwUer,  Mosella,  allievo  di  Paolo 
Delaroche.  La  Colere,  dessin,  Enfer,  eh.  vii.  (  Salon,  1848  ) 
La  Luxure,  dessin,  Enfer,  eh.  V.  (Salon,  1848)  -  LAvarice^ 
Enfer,  vii  (Salon,  XU'Ò)  -  U Orgueil,  iJn/".  x*.  -  (Salon,  1850- 


380  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

51).  Esposiz.  univ.  di  Parigi.  Appartengono  questi  disegni 
al  Museo  dell' Havre. 

Genelli  Bonaventara  (1849).  «  Umrisse  en  Dante,  Gotlli- 
cher  Comòdie,  Miinchen,  in  Comm-der  Liter-artisticheii 
Anstalt  (perfectum  1849),  transv.  fol.  -  Sono  36  disegni,  incisi 
in  acciaio;  16  tolti  dall'Inferno,  12  dal  Purgatorio  8  dal 
Paradiso  (Riproduconsi  di  presente  a  Monaco  nella  Beuro 
und  Kunstanstalt  von  Cotta). 

Boni  Giovanni,  Caron  dimonio  con  gli  occhi  di  bragia. 
Disegno  di  figura,  premiato  al  grande  concorso  dell' Accad. 
bolognese  nel  1853. 

Gazzotto  Viccnzo,  Padovano.  V  imaginoso  Gazzolto,  di- 
stinto pittore,  condusse  a  penna  tre  disegni,  veramente 
meravigliosi,  il  cui  concetto  fu  tolto  dalla  divina  Comedia. 
Ognuno  di  essi  è  largo  metri  uno,  centimetri  16,  alto 
centimetri  80.  In  ciascuna  di  queste  erculee  pagine,  il  va- 
lente Padovano  effigiò,  piuttosto  che  un  momento  speciale 
delle  sublimi  cantiche,  lo  spirito,  1'  essenza,  il  carattere,  se 
così  posso  dire,  di  ognuna  di  esse.  Neil'  Inferno,  eseguilo 
in  27  giorni  nel  1852,  ci  presentò,  entro  la  sua  barca. 
Caronte  col  piglio  orribilmente  feroce,  che  annuncia  alle 
anime  dei  dannati  di  doverle  condurre  all'altra  riva,  nelle 
tenebre  eterne  in  caldo,  in  gelo.  E  quelle,  intese  le  parole 
crude,  par  proprio  che  nelle  colleriche  movenze  e  nel  reci- 
proco accapigliarsi,  bestemmino M/o  e  i  lor  parenti.  L'umana 
specie,  il  luogo,  il  tempo,  il  seme  Di  lor  semenza,  è  di  lor 
nascimenti.  —  Nel  Purgatorio,  compiuto  nel  1854,  effigiò 
sulla  poppa  del  vascello  snelletto  e  leggero  l'Angelo  di  Dio, 
mentre  sulla  spiaggia  si  gettano  gli  spiriti  purganti,  fra' quali 
il  poeta  trova  il  suo  amico  Casella,  la  dolcezza  delle  cui 
note  gli  suonava  sempre  si  cara  nella  memoria.  Finalmente 
nel  terzo,  condotto  nel  1860,  espresse  il  Gazzotto  tutta  la 
mistica  e  serafica  dolcezza  del  Paradiso,  in  mezzo  alla  quale 
pose  l'Allighieri,  nell'  atto  di  contemplare  estatico  la  milizia 
santa  Che  nel  suo  sangue  Cristo  fece  sposa.  Egli  sta  per 
indirizzar  la  parola  a  Beatrice,  ma  questa  gli  sfugge  inos- 
servata, e  riceve  invece  risposta  da  S.  Bernardo,  apparsogli 
in  quel  punto  diffuso...  di  benigna  letizia  in  atto  pio.  — 
L'invenzione,  sebbene  svolta  con  feconda  ed  insieme  raffre- 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  381 

nata  fantasia,  in  tutti  e  tre  ì  disegni,  non  si  mostra  di  pari 
merito  in  ciascheduno,  perocché  se  nello  inferno  si  ammira 
l'arte  di  ben  variare  i  gruppi  e  le  movenze,  e  d'immaginar 
queste  con  atteggiamenti  vivi  e  prontissimi,  sentesi  però 
il  desiderio  di  un  maggior  legame  di  linee  nella  composi- 
zione. E  se  nel  Purgatorio  è  da  pregiarsi  la  quieta  mestizia 
di  que'  numerosi  vaganti,  non  può  starsi  contenta  la  ragione 
artistica  ad  un  sistema  d'aggruppare  slegato  alquanto,  e 
non  sempre  acconciamente  bilanciato.  Ma  queste  macchiuzze 
spariscono  nel  Paradiso,  scena  proprio  inspirata,  splendida 
visione  d' una  mente  vigorosissima.  Non  poteasi  meglio 
schierare  dinanzi  allo  sguardo  la  maestà  de'  celestiali  cori, 
e  la  serena  lietezza  de' Serali  e  de'  Cherubi;  né  meglio 
variare  tante  attitudini  in  quei  volanti  per  l'aere,  né  più 
contrastarne  ingegnosamente  gli  ufficii.  -  Ben  può  dirsi, 
considerando  a  questo  egregio  disegno,  che  il  Gazzotto 
avvistò  collo  intelletto  ciò  che  il  poeta  pennelleggiava  colla 
parola,  e  che,  al  pari  del  pittore  Eufranore,  nell'  udire  il 
brano  di  Omero  descrivente  la  maestà  di  Giove,  egli, 
leggendo  i  versi  divini,  ridusse  ad  imagine  gli  spirili  ange- 
licati  dell'immortale  italiano.  »  P.  Selvatico,  Arte  ed  Artisti, 
Studii  e  racconti,  p.  56,  Padova,  Sacchetto,  1863.  —  E  il 
Bettini  nel  suo  Viaggio  artistico  attraverso  rEspos.  ital.  del 
1861  (p.  100)  :  «  Il  lavoro  veramente  stupendo,  che  fa  per  am- 
mirazione inarcare  le  ciglia  ai  riguardanti,  sono  i  3  quadri  del 
S.'^Vicenzo  Gazzotto  di  Padova,  rappresentanti  l'Inferno,  il 
Purgatorio  e  il  Paradiso  di  Dante,  pensieri  originali,  eseguiti 
a  penna  dal  valente  pittore.  S'egli  non  avesse  avuto  il  pen- 
siero di  scrivere  sotto  a' suoi  quadri  codeste  indicazioni,  tutti 
avrebbero  di  leggieri  creduto  ch'essi  andavano  compresi  nel 
numero  delle  incisioni  finissime  e  non  avrebbe  dubitato 
che,  anche  in  quella  categoria,  loro  non  toccasse  il  primo 
posto.  —  Come  concetto,  i  quadri  del  S.""  Gazzotto  vanno 
innanzi  a  tutti  quelli  esposti  nel  gran  palazzo,  non  escluso 
quello  dell' Ussi.  La  grande  teologia  dantesca  non  è  cosa 
da  pigliarsi  a  gabbo,  e  fa  duopo  di  grande  studio  e  d' in- 
calcolabili fatiche  per  porsi  in  grado  di  tradurre  in  un 
grandioso  disegno  i  sublimi  pensieri  dello  sdegnoso  Ghi- 
bellino... I  conienti  (in  qui  hanno  affogalo  il  testo  della 


382  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

divina  Comedia.  A  noi  pare  che  se  tulli  gli  artisti  cercassero, 
come  il  Gazzotlo,  di  render  sensibili  agli  occhi  degl'Italiani 
i  versi  del  primo  poeta  d'Italia,  si  sarebbe  fatto  un  gran 
passo  verso  la  completa  intelligenza  del  divino  poema.  Come 
il  Gazzotlo  abbia  dato  forma  al  suo  sublime  concetto  non 
è  da  noi  giudicare.  Ma  se  fosse,  diremo  che  non  si  poteva 
fare  di  più,  né  meglio.  Il  quadro  del  Paradiso  è  cosa  che 
sorpassa  quanto  altri  mai  potesse  imaginare.  »  -  (  Y.  Roberti, 
Co.  Tiberio,  Scritti  d'Arte,  p.  95).  Questi  disegni  si  trovano 
presso  il  S/  Antonio  Sacchetto,  in  borgo  Rogati,  in  Padova, 
per  cui  commissione  furono  eseguili.  Nel  1858,  in  occasione 
di  una  lotteria,  a  beneficio  degli  asili  infantili  di  Padova,  i 
due  primi  disegni  furono  litografali  per  Pietro  Sinigalia. 

Rhéal  Sébastien,  de  Cesena,  Moyen  àge  Dévoilé,  Le  Monde 
Dantesque,  Première  Galerie  illustrée,  Les  papes  de  la  Terre, 
de  l'Enfer  et  du  Purgatoire,  Paris,  Librairie  centrale  des 
pubblications  illuslrées,  1857. 

Vogel  de  Vogelstein  prof.  Carlo.  Grande  e  bellissimo 
disegno  del  Paradiso  {Par.  iii.  v.  88).  Di  proprietà  di  S.  M. 
il  re  di  Sassonia.  Il  Vogelstein  condusse  inoltre  56  disegni 
dell'Inferno,  10  del  Purgatorio,  Il  del  Paradiso;  in  quelli 
dell'Inferno  gli  piacque  pure  con  bellissimo  pensiero  di  rap- 
presentarvi molte  similitudini  del  poeta,  le  più  caratteri- 
stiche e  parlanti.  Oltre  di  che,  l' illustre  Professore  nel  1842 
imprendeva  a  bella  posta  un  viaggio  in  Italia  per  rilrarvì 
col  pennello,  dal  vero,  que'  luoghi  stessi  che  l' Ampère  nel 
suo  viaggio  dantesco  avea  descritto  con  la  penna.  Il  nome 
del  Vogelstein  ci  è  arra  più  che  sicura  a  persuaderci  della 
bellezza  e  dell'importanza  di  questi  disegni;  e  noi  non  pos- 
siamo non  fare  caldissimi  voti  di  vederli  presto  pubblicali. 
Il  sommo  Cantore  dei  Ire  regni  fu  sempre  la  suprema  sua 
delizia  e  il  suo  grande  amore.  «  Dante,  così  egli  mi  scriveva, 
mi  sta  sempre  nel  cuore,  e  tutta  mi  signoreggia  la  mente; 
io  soggiaccio  all'allraimento  di  questa  costellazione  sì  po- 
tente, che  nella  sua  celeste  rotazione  attira  a  sé  checché 
le  si  avvicina.  Dante  è  il  poeta  non  solo  dell'Italia,  ma 
del  genere  umano  intero.  Chi  studia  nella  divina  Comedia, 
e  non  fa  progresso  nella  rettitudine  della  mente,  non  l'ha 
studiato  mai  daddovero. 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  383 

Étex  Antonio,  di  Parigi,  allievo  di  Dupaly  e  d' Ingres, 
Disegni  sulle  divina  Comedia.  -  L'Étex  è  studiosissimo  di 
Dante;  nel  1835  condusse  in  marmo  un  bassorilievo  della 
Francesca  di  Rimini,  pregiato  assai.  1  suoi  disegni  (Paris, 
1854,  Bry,  Ainé,  Impr.  Lacour);  fregiano  la  versione  fran- 
cese della  Div.  Comedia  di  Sebastiano  Rhéal. 

Stiirler  Adolfo.  -  VEnfer  de  Dante  AlWjhierl,  Quaranta 
dessine,  photographies  par  Bertsche  et  Arnaud,  Premiere 
partie  (fol.  transv)  ;  Paris,  1859,  lith.  Delarue.  {L'ouvrage  se 
composera  de  irols  volumes,  U  Enfer,  Le  Purgatoire  et  le 
Paradis.)  »  Lo  Stiirler.  svizzero  di  origine,  francese  di  edu- 
cazione, italiano  per  elezione  di  studii . . .  Nessuno  artista 
io  conosco  in  Italia  che  possegga  un'  individualità  più 
pronunziata  e  profonda.  Ciò  che  fa,  è  veramente,  radicalmente 
suo.  Le  sue  composizioni,  come  quelle  dell'alemanno  Gor- 
nelius,  sono  dotte,  e  vi  domina  eminentemente  un  carattere 
filosofico  e  poetico  ad  un  tempo  che  lo  inalzano  al  di  sopra 
di  molti.  I  suoi  disegni  d'invenzione,  tratti  dalla  divina 
Comedia,  che  dopo  tanti  esploratori  antichi  e  moderni  che 
vi  furono,  seppe  farli  ancora  originali,  dicono  essi  soli  dì 
qual  tempra  è  l'ingegno  dello  Stiirler,  che  in  una  condizione 
indipendente,  fa  l'arie  all'antica  soltanto  per  se,  non  essendo 
inteso  dalla  millesima  parie  dei  pseudo-amatori  e  pseudo- 
mecenati da  cui  è  inondata,  come  tante  altre  città  capitali, 
Firenze  ancora.  Questi  che  cercano  il  bello  in  un  nudo 
accademicamente  ben  disegnato,  in  una  briosa  e  per  eleganza 
seducente  figura  di  donna  dalle  morbidissime  carni  e  dai 
voluttuosi  contorni,  troverebbero  a  ridire  sulla  correzione 
di  quei  disegni,  che  non  vanno  certo  esaminali  sotto  questo 
aspetto.  Artista  di  tanta  mole  passa  inosservato  e  non 
compreso  dai  più.  »  -  Camillo  Pucci,  Dell'  arti  belle  in  Italia, 
Rivista  Contemporanea,  Nov.  1855.  -  Lo  Sturler  riproduce 
i  suoi  disegni  danteschi,  mediante  la  fotografia. 

Dorii  Gustavo,  L'Énfer  de  Dante,  Traduction  de  M.  P.  A. 
Fiorentino,  accompagnée  du  texle  italien,  avec  les  dcssin  do 
M.  Gustavo  Dorè,  Parigi,  Ilachette,  1861.-  «  Tous  ses  instinets 
le  portaienl  bien  plus  vers  le  syslòme  de  Michel-Ange  que  vers 
cclui  de  Flaxman,  et  il  n'a  poinl  hésité.  Ne  lui  contcstons  pas 
sa  majcurc...  Pris  à  l'àge  de  onze  ans  par  M  Philippou  pour 


38Ì  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

travaìller  sous  luì,  à  l'àge  où  l'on  commence  à  peine  à 
éludier  déjà  il  produisait.  A  vingt-neuf  ans  qu'il  a  aujour- 
d'hui  savez  vous  combiens  il  a  ifail  de  dessins?  Trcnte 
mille  ! . . .  Trente  mille  dessins,  en  dix-  huit  ans,  calculez  : 
cela  fait  par  an  1,644  et  une  fraction,  mais  onl  peul  bien 
negliger  les  fractions  avec  un  homme  si  riche:  1,644  dessins 
par  an,  cela  fait  137  dessins  par  mois,  quatre  dessins  et 
demi  par  jour,  y  compris  les  fétes  et  les  dimanches,  les 
jours  de  maladie  et  les  jours  de  repos.  Mais  il  paraìt  que 
le  repos  et  la  maladie  sont  deux  faiblesses  que  M.  Gustave 
Dorè  ne  connait  pas.  Son  seul  besoin,  c'est  de  produire, 
un  besoin  de  nature,  un  instinct,  comme  à  l'arbre  de  tleurir, 
corame  à  l'oiseau  de  chanter...  Son  début  honore  à  la  fois 
son  talent  et  son  caractère...  ,Toutes  les  qualilés  de  seve, 
d' abbondance  et  de  recondite,  toutes  les  qualités  de  verve, 
de  fougue,  de  furia  francese  qui  caractérisaient  sa  première 
manière,  se  retrouvent  dans  la  seconde,  mais  mieux  ordon- 
nées  et  mieux  réparties,  mais  mieux  dìrigées,  sans  qu'elles  en 
soient  ralenties,  par  la  science,  par  la  méditation,  par  l'esprit 

de  combinaison Pour  s' en  convaincre,   qu'  à  ouvrir  à 

l'aventure  ce  splendide  hommagerendu  k  idi  Divine  Comédie. 
On  sera  étonné  de  la  science  de  dessin  et  de  coraposition, 
de  la  justésse  de  poses,  de  la  profondeur  de  sentiment,  de 
la  simplicité  et  souvent  méme  de  la  sobriété  de  ce  tres 
heureux,  mais  tres-aventureux  improvisateur  de  la  veille. 
Et  le  paysagiste  n'  a  pas  pris  moins  au  sérieux  ses  devoirs 
que  le  peintre  de  figures.  Or  le  paysage  tient  une  place 
trés  considerale,  -  un  peu  trop  considérable  peut-étre,  dans 

l'oeuvre  de  M.  Dorè Les  imperfections  tiennent,  pour 

la  plupart  à  la  jeunesse  de  l'auteur,  -  une  imperfection, 
celle-là,  qui  se  corrige  d'elle-méme  et  trop  vite;  -  elles. 
viennent  princìpalement  d'  une  exubérance  de  seve,  d' une 
noble  ambition  toujours  portée  à  dépasser  la  but,  qui  non- 
seulement  ne  se  marchande  pas  le  travail  et  fait  trois  dessins 
pour  un  sur  le  méme  sujet;  mais,  dans  le  méme  dessin, 
accumule  parfois  les  fìgures  aux  dépens  du  groupe,  et 
prodigue  sa  science  du  dessin  avec  l'ostentation  d'un  nouvel 
enrìchi.  On  sent  que.  M.  Dorè  a,  depuis  quelque  temps, 
étudié  avec  amour  l'anatomie,  et  quand  sera-t-on  prodigue, 


DAME  E  LE  BELLE  ARTI.  385 

si  ce  n'esl  pas  dans  la  lune  de  miei?  Après  avoir  rendu, 
lanl  bien  que  mal,  juslice  à  T  interprete  de  Dante,  n'oublions 
pas,  à  leiir  tour,  les  interprèles  de  M.  Dorè,  les  graveurs 
qui  lont  si  bien  seconde  dans  celle  enlreprise  ardue;  les 
graveurs,  car  il  en  a  plUvSieurs,  il  en  a  beaucoup  ;  -  sa  verve 
feconde  a  de  quoi  occuper  bien  des  burins;-  il  en  a  tant 
que,  pour  ne  pas  déprécier  l'éloge  en  le  mulliplianl,  je  ii'en 
veux  citer  qu'eun  seul,  dcux:  tout  au  plux,  M.  M.  Penne- 
maker  et  Pisan,  corame,  après  une  bataille  gagnée,  on  décore 
syraboliquement  tout  un  corps  d'armée  dans  la  personne  d'un 
ou  deux  généraux  »  —  Leon  de  Waìlly,  ìllustratìon,  17 
Aout,  1861.  N.  904.  —  Farmi  plusieurs  habiles  artistes,  nous 
nommerons  spécialement  M.  Pisan  corame  étant  celui  qui 
peut-étre  est  le  mieux  entré  dans  l'esprit  du  poète  et  dans 
la  pensée  du  dessinaleur.  Son  exécution,  moins  pure,  moins 
correcte  souvent  que  celle  de  ses  confrères,  atteinl  cepen- 
danl  des  eflets  qui  soni  plus  en  harraonie  avec  la  sorabre 
poesie  de  Dante,  et  qui  en  font  mieux  comprendre  l'é- 
trangelé,  ainsi  qu'on  pourra  s'en  convaincre  par  l'examen 

des  prìncipales  gravures Vedi  lutto  l'Articolo,  l'iie 

interprétation  pittoresque  de  Dante^  L'Enfer  de  Dante,  tra- 
duction  de  M.  P.  A.  Fiorentino,  accompaonée  du  texte  italien, 
avec  les  dessins  de  M.  Gustave  Dorè,  par  Monlégut,  Revue 
des  deux  Mondes;  15  Nov.  1861,  p.  433-466.  -  Y.  E:*'''  J. 
Delécluze,  Débats,  18  Sept.  1861.  —  Je  connais  toutes  les 
lentatives  failes  par  les  artistes  à  partir  de  1481  pourorner 
de  gravures  les  editions  que  l'on  a  données  de  Dante,  et 
je  crois  pouvoir  affirmer  que  l'oeuvre  de  M.  Dorè  est  supé- 
rieure  à  toutes  cèles  de  ce  genre  qui  Toni  précedée  sans 
ecceptèr  méme  les  vingl  planches  de  Botlicelli.  -  Dans  une 
fuite  de  compositions  dessinées,  doni  quelques  unes  tigurent 
a  l'Exposition,  M.  G.  Dorè  a  rcprésénté  plusieurs  scénes  des 
poeraes  de  Dante  avec  une  verve  et  une  originalité  vraiment 
remarquables.  Tout  ceux  qui  ont  vu  la  collection  complète 
de  ce  dessins  à  l'Exposition  (8  Mai  1861)  du  boulevard  des 
ilaliens  oni  rendu  homraage  au  merite  incontestable  de 
l'habile  composileur.  »  -V.  Teofdo  Gautier  ecc.  ecc.  -  Y.  Revue 
Germanique,  1  Fcv.  1862.  l'articolo:    Gustave  Dorè  et  les 

YOL.  U.  25 


386  DANTE   E   LE   BELLE  ARTI. 

lllustrations  de  V  Enfer  de  Dante  par  M.  F.  Baudry.  —  I 
disegni  sull'Inferno  montano  a  seltanlasei. 

Scaramuzza  Francesco.  V  illustre  cav.  Farini,  allorquando 
tenne  il  governo  dell'Emilia,  non  appena  nacque  a  taluno 
il  pensiero  che  l'Italia  celebrasse  il  sesto  centenario  del- 
la nascila  di  Dante  nel  1865,  subito  accolse  il  nobile 
concetto,  e  volle  che  le  Provincie  da  esso  governate  vi 
contribuissero  degnamente.  In  conseguenza  egli  allogò  allo 
egregio  pittore  Scaramuzza,  di  Parma,  un'  illustrazione  in 
disegni  della  Gomedia,  e  dispose  perchè  uomini  preclari 
dell'Emilia  raccogliessero  materiali  con  cui  preparare  una 
nuova  edizione  del  massimo  poeta  da  rendersi  alla  luce  per 
l'avvenimento  del  suddetto  Centenario,  su  di  che  mi  scri- 
veva cortesemente  il  Prof.  Scaramuzza  (  16  Giugno  1861  )  : 
La  divina  Comedia  che  già  da  molti  anni  è  sempre  il  mio 
primo  amore,  fu  ognora  soggetto  di  esercizio  ne'  miei  studi 
di  composizione,  e  fin  dal  1838  mi  accinsi  con  qualche 
alacrità  a  farne  per  mio  solo  uso  un'  illustrazione  com- 
pleta; vale  a  dire,  figurare  di  essa  tutto  quanto  poteva  essere 
figurabile:  pensiero  per  verità  tanto  vasto  quanto  ardito 
e  presontuoso  (allora  io  era  giovine!)  :  che  perciò  era  ben 
lungi  dall'idea  di  renderlo  un  giorno  di  pubblica  ragione. 
Il  caso  (Dio  voglia  non  sia  sventura)  volle  che  qualche 
amico,  cui  non  era  ignoto  questo  mio  veramente  temerario 
tentativo,  credette  poterlo  lodare  a  persona  di  molta  in- 
fluenza, ed  amorevole  di  tali  studi;  la  quale  senz'  altro 
procacciò  dal  Governo  eh'  io  dovessi  continuare  le  già  note  (?) 
mie  Illustrazioni  che  servir  dovrebbero  per  una  grande  e 
nuova  edizione  della  divina  Comedia,  principalmente  redatta 
sovra  un  Codice  Modenese  di  gran  valore.  Io  ne  rimasi 
spaventato,  e  corsi  a  Modena  per  vedere  di  tornii  d'addosso 
sì  grave  peso,  tanto  più  che  avrei  dovuto  compiere  il  la- 
voro in  sei  anni,  e  quello  ch'io  aveva  eseguito  sopra  soli 
26  canti  dell'Inferno  con  ben  170  quadri  di  schizzi  a  penna, 
non  avrebbe  potuto  punto  servire  al  per  me  vasto  e  diffi- 
cile,  sibbene  onorevolissimo  scopo Fu  vana   ogni 

rimostranza,  e  il  decreto  era  venuto;  non  ebbi  coraggio  di 
rifiutare  la  soma  »...  Ed  il  13  Agosto  del  1861  scrivevami 
pure:  «  11  numero  preciso  de'  disegni  d'illustrazione  alla 


DAME   E   LE   BELLE  ARTI.  3S7 

divina  Comedia,  che  ora  sono  appena  qualtordici,  dovreb- 
be salire  a  un  di  presso  ai  130  o  200;  giacché  molti  canti 
vi  sono  ch'esigono  per  lo  meno  due  o  tre  ed  anche  quattro 
quadri.  E  siccome  poi  ho  cominciato  ad  eseguirli  a  penna, 
un  po'  più  che  a  mezza  macchia,  e  di  grandezza  abbastanza 
rilevante,  perchè  la  mia  vista  ne  sotlVa  il  meno  possibile,  così 
mi  costano  tempo  e  fatica  appena  credibili,  per  cui  temo 
che  all'epoca  fissata  non  potrò  averli  tutti  recati  a  termine. 
Se  però  la  salute  mi  durerà,  e  manderò,  a  chi  la  voglia, 
la  Direzione  di  questo  Instituto  Accademico  che  mi  ruba  e 
moltissimo  tempo,  chi  sa  non  riesca  a  finire  il  mio  compito. 
I  disegni  li  eseguisco  a  penna,  perchè  col  mezzo  della  foto- 
grafia si  potranno  ridurre  alla  dimensione  che  si  vorrà  e 
riesciranno  come  altrettanti  originali.  L'operazione  insomma 
riescirebbe  più  perfetta,  più  uniforme  più  economa,  e  simu- 
lerebbero aflatto  l'incisione  all'acqua  forte,  senza  alterazione 
di  tocco  e  di  disegno:  non  li  faccio  poi  a  soli  contorni, 
perchè  trattandosi  di  una  edizione  di  lusso,  e  dovendo  ser- 
vire assai  più  pei  letterati  che  non  per  gli  artisti,  fa  duopo, 
a  mio  vedere,  che  non  solo  vi  sieno  manifesti  i  concetti, 
ma  altresì  l'elTetto  del  chiaroscuro,  almen  tanto  quanto 
basti  a  rendere  i  quadri  ben  distinti,  intelligibili  a  tutti. 
A  farli  incidere,  costerebbero  un  occhio  di  cristiano,  cia- 
scuno: difficoltà  somma  trovare  incisori  di  valore  che 
volessero  occuparsene,  ed  anche  trovati  (non  ne  vorrebber 
meno  di  30  o  40  ),  non  riuscirebbero  ad  egual  valore,  ad 
egual  forza  ad  egual  disegno,  e  tutti,  o  poco  o  molto,  vi  toglie- 
rebbero dell'originalità.  -  S'ella  verrà  a  Parma  le  farò  vedere 
un'  unica  prova,  che  per  esperimento  ho  fatto  qui  eseguire 
da  un  nostro  bravo  fotografo,  e  da  sé  stessa  potrà  giudi- 
care quale  eccellente  artiste  sia  la  Fotografìa  in  questo 
genere  di  cose  ;  e  pensare  che  se  ne  possono  tirare  migliaia 
di  copie,  d'ogni  dimensione,  senza  che  mai  si  alteri  di  un 
punto  il  disegno  originale!  Ed  ora  che  si  è  trovato  modo 
di  fissarli  in  guisa  da  essere  duraturi  in  eterno,  non  veggo 
perchè  si  debba  usare  d'altro  mezzo  più  costoso,  meno 
esatto,  e  di  più  lunga  lena.  » 


RITRAITI  STATUE  ED  ALTRI  DIPINTI 

RIGUAUDANTI  DANTE  ALLIGHIERI. 


.  Giotto  Stefano.  L'inglese  Seymour  Kìrhip,  uno  de'  più 
dotti  ed  instancabili  ricercatori  di  quanto  riguarda  Dante 
e  Giotto,  fu  il  primo  che  diede  opera  perchè  Dante,  dipinto 
da  Giotto,  da  prima  invano  per  lui  cercato  in  S.  Croce, 
fosse  scoperto  nella  Cappella  del  Podestà.  Al  Rirkup  si 
associarono  nella  nobile  ricerca  l'americano  Wild,  ed  il 
piemontese  Giovanni  Bezzi.  Il  dipinto  tornò  a  rivedere  la 
luce  il  20  luglio  1840  (giusta  la  Guida  di  Firenze,  Piatti, 
1861,  il  10  luglio),  ma  guasto  assai,  mancante  d'un  occhio, 
bucato  da  un  arpione,  e  stracciato  nella  guancia,  come 
egli  è  a  vedere  nella  cromilotografia,  cavata  sul  calco  fatto 
sopra  il  ritratto  appena  scoperto,  e  pubblicata  dalla  società 
Arundel  di  Londra.  Fu  desso  egregiamente  restaurato  dal  mo- 
desto e  cosciemmo  prof.  A.  3Iarini.-((  È  stato  scoperto  il  vero 
ritratto  di  Dante  dipinto  da  Giotto  circa  il  1298  nella  Cap- 
pella del  Podestà  in  Palagio.  Dai  Yandali  paesani  era  stalo 
dato  di  bianco  a  questi  affreschi,  e  per  più  centi  d'anni  erano 
rimasti  sepolti  i  miracoli  di  Giotto,  e  i  volti  venerandi  dei 
nostri  antichi  sotto  le  pennellate  d' un  imbianchino  . . .  Con 
somma  diligenza  e  con  arte  mirabile  hanno  tolto. appoco 
appoco  la  crosta  sovrapposta,  e  dopo  vari  tentativi  le  forme 
di  Dante  fresche  di  giovinezza  (perchè  quando  fu  ritratto 
ivi,  aveva  32  o  33  anni,  sono  apparse  alla  meraviglia  e 
alla  venerazione  di  noi  tardi  e  tisici  nipoti.  Si  sapeva  da 
Giorgio  Yasari  che  doveva  esistere  questo  dipinto,  ma  si 
è  aspettato  fino  a  qui  a  farne  ricerca:  meglio  una  volta 
che  mai.  É  stata  una  vera  gioia  per  tutti  il  vedere  che  i 
ritratti  che  avevamo  di  Dante  erano  veri,  e  che  almeno 
in  quanto  a  lui  non  avevamo  adorato  un  idolo  bugiardo.  » 
Gius,  Giusti,  Epistolario,  L  209.  -  «  Cesi  un  visage  d'ado- 


DAME   E  LE   BELLE  ARTI.  389 

li^sccnt  austère,  et  oìi  sout  déjà  dessinés  les  profondes 
Fides  et  les  graiids  traits  désolés  de  l'homrae  futar.  Jamais 
iniroir  charnel  n'  a  élé  moins  opaqiie;  on  seni  que  l'àme 
qui  s'y  rélléchit  est  une  àme  sans  joie,  prédlsposée  à  toutes 
les  souffrances,  réservée  à  de  grandes  destinées  cepeudant, 
mais  à  des  destinées  qu'  aucun  homme  ne  voudrail  acheter 
à  un  tei  prix-  11  n'y  a  encore  sur  ce  visage  que  de  la 
mélancolie;  mais  cette  mélancolie  est  déjà]  irrémédiable, 
comme  le  sera  plus  tard  la  tristesse.  Jamais  physionomie 
d'adolescent  ne  porta  mieux  le  sceau  prophétique  des 
futures  destinées  de  l' homme,  et  c'est  en  toute  vérité  qu'en 
le  contemplant  on  assiste  à  la  naissance  de  la  source  abon- 
dante  Che  spande  di  parlar  sì  larr/o  fiume.  »  -  Emìle  Mon- 
téqut.  Une  interprètatìon  de  Dante,  Revue  des  deux  Mondes, 
15  Novembre  1861,  p.  461.  -  Il  Fraticelli  e  il  Cavalcasene 
vogliono  che  Giotto  dipingesse  la  Cappella  nel  1301,  subito 
dopo  le  pitture  da  lui  eseguite  a  Roma  per  papa  Bonifazio 
Vili;  epoca  in  cui  a  Firenze  vi  fu  pace  fra  Bianchi  e  Neri. 
11  Passerini  così  opina:  Intorno  al  1290,  o  poc' oltre,  dovè 
Giotto  dipingere  la  Cappella,  sapendosi  che  questo  fu  uno 
dei  primi  lavori  ch'egli  condusse,  e  ciò  si  puote  ancora  con- 
getturare dal  vedersi  ritratto  Dante  Allighìeri  in  età  giovanile, 
la  qual  cosa  non  potè  di  sicuro  avvenire  prima  del  1283  in 
cui  Dante  compiè  l'anno  vigesimo,  né  dopo  il  1301,  mentre 
l'infelice  poeta  era  maledetto  nella  sua  patria,  e  provava 
siccome  '  sa  di  sale  Lo  pane  altrui,  e  com'  è  duro  calle  Lo 
scendere  e  il  salir  per  V  altrui  scale.  Rafforza  le  congetture 
il  trovarvisi  l'effigie  di  Corso  Donati,  capo  allora  dei  Magnati, 
che  di  sicuro  non  si  sarebbe  dipinto  dopo  gli  ordinamenti 
dì  giustizia  nel  1293,  ed  infine  l'esservi  ritratto  Messer  Bru- 
netto Latini  che  morì  nel  1294.  -  Del  Pretorio  di  Firenze, 
Lezione  Accademica,  detta  nella  tornata  della  Società  Co- 
lombaria f  undici  Luglio  1858,  da  Luigi  Passerini,  Firenze, 
Tip.  delle  Murate,  1858.  p.  11. 

Ma  il  Passerini  si  ricredette  di  poi;  ed  egli  e  il  cav. 
Milanesi  nella  loro  Relazione  a  S.  Ec.  il  Ministro  della  pub. 
Istruzione  sul  piìi  autentico  ritratto  di  Dante,  s'argomentano 
di  mostrare  che  non  potè  esser  dipinto  da  Giotto  nel  1290, 
come  ritenevasì  comunemente,  perchè  nel  1290,  Giotto  era 


390  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

in  sui  11)  anni;  non  dopo  il  1303,  perchè  l'artefice  non 
avreijbe  di  certo  effigiato  l'amico  suo  con  quel  Corso  Donati, 
cagione  principale  della  condanna  e  dell' esiglio  di  lui;  e 
assai  meno  gli  sarebbe  stato  assentito  di  dipingerlo  nel 
palazzo  del  Podestà,  dove  Gante  de'  Gabrieli,  nel  1303,  avea 
proferito  la  sentenza  che  dannavalo  al  fuoco;  non  dopo 
il  13*21,  quando  all'odio  delle  fazioni  nemiche  era  successa 
l'ammirazione  de"  suoi  concittadini,  perchè  le  pitture  della 
Cappella  del  palazzo  Pretorio  dovettero  andar  perdute  nel- 
r  incendio  del  28  Febraro  133*i,  e  in  quello  del  1343,  nella 
occasione  della  cacciata  del  Duca  d'Alene.  Dall'arme  dipinta 
a'  piedi  della  figura  orante  del  Potestà,  che  fece  fare  quelle 
pitture,  deducono  con  certezza  il  tempo  in  che  vennero 
eseguite,  appartenendo  quell'arma  a  messer  Tedice  dei 
Fìeschi  di  Genova,  che  tenne  queir  ufiicio  per  un  anno, 
cominciato  il  di  31  Ottobre  1358.  I  S.'4*asserlni  e  Milanesi 
rivendicano  questo  ritratto  a  Taddeo  Gaddi,  il  più  amato 
e  il  più  valente  dei  discepoli  di  Giotto;  che  forse  lo  con- 
dusse sui  disegni  del  maestro,  il  quale  dovea  aver  conservato 
tra  i  suoi  ricordi  le  sembianze  dell'amico  poeta.  -  Y.  jRe/a- 
zione  dìL.  Passerini  e  Gaet.  Milanesi  sul  più  autentico  ritratto 
di  Dante.  -  Ma  il  Monti,  il  Gar<jani,  e  V  avvocato  Checcacci 
ne  sostennero  l'autenticità,  e  il  Cavalcasene  specialmente 
conchiude  :  «  che  il  principio  e  la  fine,  i  due  poli,  per  cosi 
dire,  delle  ricerche  per  rintracciare  le  vere  sembianze 
di  Dante  devono  essere  il  dipinto  nel  palazzo  del  Potestà, 
e  la  maschera  cavata  da  Dante  dopo  morte.  -  Giotto  dipinse  ; 
Marini  dis.;  BoUagay  litog.  -  Seymour  Kircoup  dis.;  G.Kum- 
ming  Dundee  ine.  Lyell,  Londra,  Molini,  1844  -  Kircoup  dis., 
Lasinio  ine,  Ediz. Firenze,  Piatti,  \M'2.- Richard  dis..  Nocchi 
ine.  -  1.  P.  ine,  ediz.  da  Buti,  Pisa,  Nistri  -  Cav.  Antonio 
Perfetti  incise;  Prima  esposiz.  ital.  1861. 

.  Giotto  dipinse  inoltre  l'Allighieri  in  S.  Croce  nella  navata 
minore,  a  tramontana,  presso  una  delle  porte  principali.  Ma 
anche  questo  ritratto  fu  imbiancato  nell'occasione  che  il 
Vasari  aggiunse  le  colonne  e  i  frontespizi  degli  altari  (V. 
Guida  cit.  di  Fir.  p.  311).  -  Ed  una  terza  volta  voleva  egli 
ritratta  l'effigie  dell'amico  nella  cappella  degli  Scrovignì 
di  Padova,  assai  simigliante  a  quella  che  vedesi  nella  Gap- 


DAME   E  LE  BELLE   ARTI.  391 

pella  del  Potestà  di  Firenze,  tenendo  in  tutte  e  due  il  poeta 
in  mano  la  melagrana,  simbolo  dell'  Inferno.  -  Il  prof.  Giov. 
Sauro,  nella  Crocilìssione,  dipinta  in  fresco  in  S.  Fermo  da 
Giotto,  su  l'arco  interno  della  porta  di  mezzo,  tra  le  molte 
ligure  che  quel  disegno  gli  offerse,  vide  ivi  raffigurato  alle 
[altezze  conte  il  volto  dell'AUighieri,  rappresentato  da  un 
divoto  posto  inginocchioni,  in  un  tratto  angusto  tra  le 
Marie  e  la  Croce,  col  volto  in  alto  levalo  e  le  mani  giunte 
in  atto  di  orare  il  Crocifisso.  {Ritratto  di  Dante  Allighieri, 
scoperto  nuovamente  in  Verona,  pel  prof.  Giovanni  Sauro, 
Venezia,  Antonelli  1842).  Lo  scultore  Enrico  Pazzi  possiede 
un'  effigie,  proveniente  da  Ravenna,  e  ritenuta  per  quella 
di  Dante,  e  qual  pittura  di  Giotto  ;  ma  i  Sig."  Passerini  e  Mi- 
lano la  giudicano  meglio  di  un  qualche  signorotto  del  sec. 
XV,  e  forse  di  Sigismondo  Pandolfo  Malatesta,  come  può 
riscontrarsi  dalle  medaglie  del  P.  Zanelle  e  di  Matteo  Posti. 

Non  pochi  ritratti  di  Dante  restano  ancora  in  Firenze, 
lutti  del  secolo  XV,  alcuni  in  miniatura,  altri  a  fresco  o  a 
tempera.  Il  codice  320,  della  già  Palatina,  ne  ha  uno  toccalo 
in  penna  e  lumeggialo  con  bistro;  ma  esso  è  evidentemente 
opera  del  secolo  XVI,  alla  quale  età  debbe  del  pari  ripor- 
tarsi la  scrittura  del  libro,  nonostante  che  il  cav.  Palermo 
lo  abbia,  nel  dotto  catalogo  di  quella  Biblioteca,  assegnalo 
al  secolo  antecedente.  11  Cavalcasene  lo  vuole  eseguilo  sulla 
fine  del  1300,  poiché  vi  si  riscontrano  quelle  caratteristiche 
e  quel  modo  che  veggionsi  nelle  figure  dìpinle  da  Agnolo 
Gaddi.  -  Altro  ne  ha  il  codice  Laurenziano,  eh'  è  il  174,  di 
provenienza  Strozzi,  coiranno  1327,  e  per  tal  cagione  si 
liene  custodito  sotto  cristallo,  e  si  mostra  agli  stranieri, 
come  uno  dei  cimelii  della  Biblioteca.  Ma  i  S."  Passerini 
e  Milanesi  sostengono  sia  falsa  la  data  (già  prima  avver- 
tila dall'  Album  di  Roma,  8  Giugno  1861  ),  e  perchè  il 
codice  contiene  i  Trionfi  del  Petrarca,  e  perchè  scritto 
da  Bese  Ardinghelli,  vissuto  oltre  il  1470,  e  per  conseguenza 
vorrebbero  fosse  tolto  dalle  rarità  poste  in  pubblica  mostra. 
Ma  il  Gargani  e  G.  N.  Monli  lo  trovano  più  pregevole  di 
quello  che  non  si  vorrebbe,  per  la  sua  provenienza  da  un 
Ardinghelli,  che  probabilmente  debbe  averlo  levato  dalla 
Cappella  di  famiglia  in  S.  Trinila  di  Firenze,  in  cui  Lorenzo 


392  DAME   E   LE   BELLE   ARTI. 

Monaco,  come  ci  ricorda  il  Vasari  fece  di  naturale  il  ritratto 
di  Dante,  avendo  il  Laurenziano  (in  piedi  ed  in  costume) 
tutta  la  verisimiglianza  di  esser  stato  levato  da  un  originale 
di  qualche  grandezza,  ed  approssimativamente  al  vero.  - 
Il  Cavalcasene  lo  dice  scorretto  nel  disegno,  ed  una  cari- 
catura del  tipo  dantesco  in  età  avanzata.  Dalla  tecnica 
esecuzione,  ancli'egli  lo  ritiene  eseguito  nella  seconda  metà 
del  secolo  decimo  quinto.  Al  contrario  assai  'prez-ioso  pei 
S."  Passerini  e  Milanesi,  è  il  ritratto  dell' AUiqhieri  che  sta 
nel  codice  Riccordiano,  1040,  appartenuto,  a  quanto  appare 
dallo  stemma  e  dalle  iniziali  a  Paolo  di  Jacopo  Giannotti, 
nato  nel  1430,  nel  quale  si  trovano  pure  le  poesie  minori 
di  Dante,  insieme  a  quelle  di  messer  Bindo  Bonichi.  -  Questo 
ritratto,  eh 'è  di  grandezza  del  vero,  e  colorato  all'acquerello, 
rappresenta  il  Poeta,  secondo  le  sue  caratteristiche  fattezze, 
nell'età  di  oltre  quaranta  anni,  senza  quella  esagerazione 
dei  posteriori  artisti  che  hanno  fatto  di  Dante  un  profilo  di 
brutta  vecchia,  caricando  il  naso  e  la  prominenza  del  labbro 
inferiore  e  del  mento;  onde  lo  ritengono,  unitamente  a  quello 
del  Michelino,  i  più  autentici  ritratti,  come  quelli  che  meglio 
ci  hanno  tramandate  le  sembianze  del  grande  Allighieri,  e 
danno  ad  essi  la  preferenza  su  tutti  gli  altrF  ritratti  Danteschi. 
Ma  il  Gargani,  dall'epigramma  latino  sotto  al  ritratto,  ed 
esprimente  come  e  chi  quello  facesse  fare,  lo  ritiene  poste- 
riore aggiunta  al  codice,  e  lavoro  d'un  certo  Mario  Equicola, 
filosofo  Abruzzese,  che  scrisse  un  trattato  della  Natura 
d'Amore,  in  cui  distingue  un  bel  capitolo  dal  nome  di 
Dante,  che  prese  cura  del  codice,  e  per  gratitudine  de'  suoi 
studj,  nel  1521,  lo  volle  decorato  dell'  imagine  del  divino 
poeta.  Né  solo  posteriore,  ma  non  vi  trova  in  esso  che  una 
imagine  tirata  più  di  maniera  che  d' altro,  un  ritratto  che 
trionfa  più  del  colore  che  dell'esattezza  dei  lineamenti.  Ma 
l'Avv.  Checcacci  per  contrario  lo  ritrova  somigliante  a  quello 
del  palazzo  Pretorio,  come  l' imagine  dello  specchio  ritiene 
la  somiglianza  del  dipinto  che  vi  si  pone  di  rincontro.  Man- 
cano,  ei  dice,  nel  ritratto  del  Pretorio  le  grinze  della  pelle,  più 
roseo  è  il  colorito,  meno  sentita  la  sporgenza  del  labbro 
inferiore,  ma  identico  è  il  naso  che  non  muta  cogli  anni, 
identico  il  taglio,  il  colore  degli  occhi,  identico  il  tescMo 


DAME  E  LE  BELLE  ARTI.  393 

che  solto  la  carne  all'  uno  e  all'  altro  ritratto  trasparisce. 
Il  Clieccacci  conchìude,  ritenendo  il  ritratto  Riccardiano  opera 
non  di  un  cinquecentista,  come  vuole  il  Gargani,  ma  di  un 
epoca  molto  anteriore,  e,  a  suo  avviso,  di  Giotto.  Ma  il  Ca- 
valcasene, considerata  l'esecuzione  tecnica  del  ritratto,  lo 
ritiene  lavoro  dal  1400  al  1500,  riscontrandovi  pure  nella 
foggia  del  vestire  una  modificazione  più  sensibile. 

LoRENZETTi  AMBROGIO.  -  «  Yolcndo  cou  visil)ile  documento 
insegnare  alla  sua  patria,  che  non  alle  discordi  e  sciagurate 
moltitudini,  ma  ai  pochi  savi  e  virtuosi  cittadini  s'affidasse, 
fece  un  venerando  vecchio,  cinto  di  real  corona,  per  sim- 
boleggiare il  reggimento  di  Siena;  e  intorno  ad  esso  ritrasse 
di  naturale  ventiquattro  de'  più  illustri  e  benemeriti  uomini , 
fra  i  quali  era  Dante  Allighieri  ;  come  colui,  che,  avendo 
meglio  d'ogni  altro  conosciuto  la  mala  radice  delle  discordie 
d'Italia,  seppe  altresì  additare  il  modo  di  sbarbarla  in  quel 
poema,  che  a  ragione  è  stato  chiamato  della  rettitudine; 
e  come  fu  la  maggiore  e  più  viva  espressione  di  quel  se- 
colo, così  divenne  specchio  di  vera  civiltà  ai  secoli  avve- 
nire. -  (Nella  maggior  Sala  del  palazzo  di  Siena.)  Ranalli, 
Storia  delle  belle  arti  in  Italia,  i.  87. 

Gaddi  Taddeo,  (n.  e.  il  1300,  viveva  nel  1366)  -  «  Sotto 
il  tramezzo  che  divide  la  Chiesa  (di  S.  Croce),  a  man  sini- 
stra, sopra  il  Crocifisso  di  Donato  (ora  nella  cappella  dei 
Bardi)  dipinse  a  fresco  una  storia  di  S.Francesco,  d'un 
miracolo  che  fece  nel  risuscitar  un  putto  ch'era  morto  ca- 
dendo da  un  verone,  coli' apparire  in  aria.  In  questa  storia 
ritrasse  Giotto  suo  maestro.  Dante  poeta  e  Guido  Caval- 
canti. »  -  Vasari,  ii.  HO.  -  Questa  pittura  è  pure  ricordata 
da  Leonardo  Aretino:  «l' effigie  sua  propria  si  vede  nella 
Chiesa  di  Santa  Croce,  quasi  al  mezzo  della  chiesa,  dalla 
mano  sinistra  andando  verso  l'altare  maggiore,  e  ritratta 
al  naturale  ottimamente  per  dipintore  perfetto  di  (juel 
tempo.»  -  Vita  di  Dante.  -  Md  tolto  il  tramezzo  dal  Vasari, 
nel  1566,  per  ordine  di  Cosimo  I,  anche  gli  affreschi  se  ne 
andarono. 

Orgagna  Akdrea.  -  11  Trova  è  d'avviso  che  Andrea 
Orcagna  dipingesse  Dante  nel  Camposanto  di  Pisa  nella 
Cavalcata  detta  dei  Re.  Ciò  che   maggiormente   farebbe 


394  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

attribuire  a  Dante  le  sembianze  del  cavaliere  di  Andrea 
Orcagna  (da  altri  voluto  Gaddo  de'  Gherardeschi)  è  il  focale, 
ossia  le  bende  pendenti  da  un  berretto,  le  quali  si  rannoda- 
vano sotto  al  mento. 

Massaggio  di  Ser  Giovanni  di  Simone  Guidi  di  S.  Giovanni 
Di  Yaldarno.  -  11  gran  Masaccio  dipinse  l'effigie  e  la  per- 
sona di  Dante  in  uno  dei  personaggi  del  quadro  del  Martirio 
di  S.Pietro  nella  prodigiosa  Cappella  del  Carmine;  e  il 
sapiente  pittore,  oltre  averlo  decorato  dell'abito  prìorale, 
gli  ha  impartito  tale  autorità  che  si  pare  che  gli  astanti, 
che  interrogano  il  suo  senno,  manifestino  nell'atto  volersi 
acquetare  alla  sua  sentenza.  »  -  Misslrlnì,  Appendice,  N.°  II.  - 
11  Gargani  appunta  il  ritratto  del  Massaccio  d'indifferenza 
di  carattere,  e  di  non  curanza  de'  veri  lineamenti  del  poeta, 
trasmessici  da'  biografi,  ragione  per  cui  questa  effigie  rimase 
così  indietro  che  pochissimi  sono  quelli  che  la  ricordano.  - 
Nel  Vasari  non  trovo  che  il  Massaccio  dipingesse  l'Allighieri 
nella  Cappella  del  Brunacci  :  anzi  egli  è  omai  incontrastato 
che  la  Crocifissione  di  S.  Pietro,  e  S.  Paolo  dinanzi  al  Pro- 
consolo che  formano  nella  stessa  parete  un  partimento  solo, 
sono  opere  di  Filippino  Lippi.  I  ritratti  ch'ei  vi  dipingeva 
oltre  il  proprio,  sono  quelli  di  Sandro  Botticelli  e  del  Pol- 
laiuolo,  inginocchiati  avanti  S.  Pietro:  gli  altri  cinque  diritti 
che  vengono  dipoi,  dipinti  pure  da  Filippino,  sono  quelli 
del  poeta  Luigi  Pulci,  di  Tomaso  Soderini,  di  Pietro  Guic- 
ciardini e  di  Pietro  del  Pugliese. 

D.  Lorenzo  Pittore,  Monaco  Camaldolese  degli  Angeli 
DI  Firenze.  (Prima  memoria  del  1410)  -  «  In  S.  Trinità  dì 
Firenze  dipinse  a  fresco  la  Cappella  e  la  tavola  degli  Ar- 
dinghelli  che  in  quel  tempo  fu  molto  lodata,  dove  fece  di 
naturale  il  ritratto  di  Dante  e  del  Petrarca  (opera  che  più 
non  si  vede).  -  Vasari,  IL  211. 

Dal  Castagno  Andrea,  di  Mugello,  (n.  dentro  i  primi 
anni  del  sec.  XV;  m.  circa  il  1480).  -  Dipinse  a  Legnaia, 
presso  a  Soffiano,  a  Pandolfo  Pandolfini,  in  una  sala  molti 
uomini  illustri  (oggi  ridotta  a  casa  colonica:  appartiene 
al  Marchese  Rinuccini).  Delle  quattro  pareti  dipinte,  una 
sola  è  quella  che  al  presente  conserva  le  pitture;  le  altre 
sono  coperte  di  bianco,  ed  in  parte  fors'anco  distrutte. 


DANTE   E  LE   BELLE  ARTI.  395 

Nella  parete  superstite  v'ha  l'effigie  di  Dante,  alla  quattro 
braccia,  ritta  in  pie,  condotta  con  pratica  di  colore,  riso- 
lutezza e  intelligenza  di  disegno,  per  quel  tempo  sorpren- 
dente. Ha  la  sopravveste  rossa  in  dosso,  in  capo  un 
cappuccio  rosso  con  il  mazzocchio  foderato  di  vaio,  e  piccoli 
focali  a  gole  bianche.  Colla  destra  sostiene  il  poema  sacro, 
colla  sinistra,  alquanto  alzata  e  stesa,  sta  come  in  atto  di 
favellare.  Porta  scritto:  Dantes  de  Alegìerìs  Florenlinus.  - 
Questa  pittura,  trasportata  sulla  tela,  trovasi  ora  nella  Galleria 
degli  Uffizii.  11  Passerini  e  G.  Milanesi  osservano  invece  che 
il  Castagno  effigiò  Dante  quale  lo  vedeva  nella  sua  fantasia; 
niente  conservando  delle  note  fattezze  di  lui,  che  rammen- 
tano quelle  della  razza  elrusca,  e  si  riscontrano  in  grandis- 
sima parte  negl'illustri  fiorentini  di  quel  tempo  e  degli 
anni  posteriori. 

Benozzo  Gozzoli.  (n.  1424  m.  1485)  -  In  una  Cappella 
laterale  della  Chiesa  di  S.  Francesco  in  Montefalco  nell'Um- 
bria compose  dodici  storie  della  vita  di  questo  Santo;  e  in 
dieci  tondi  i  busti  dei  più  chiari  uomini  di  quell'ordine; 
ed  in  tre  altri,  i  ritratti  di  Giotto,  di  Dante  e  del  Petrarca, 
come  dice  il  motto  latino  eh'  è  sotto  a  ciascuno.  Sotto 
Dante  è  scritto:  Teoìo(/us  Dantes  nulììus  dofjmatìs  expers; 
sotto  Giotto:  Pktorum  eximìus  Jottus  fundamentum  et  lux  ; 
sotto  Petrarca  :  Laiireatus  Petrarca,  omnium  virtutum  mo- 
narca. {Opus  Benoziì  de  Florenzia,  constructa  atque  deputa 
est  hec  capella  ad  honorem  ijloriosi  Ilyeronimi.  m.  ecce.  Lii. 
Die  Primo  JSovembris)  -  V.  Commentario  alla  Vita  di  Benozzo 
Gozzoli,  Vasari,  iv.  194.  -  Sciaguratamente  i  danni  del  tempo 
ed  ì  successivi  restauri,  e  l'ultimo  del  1858,  gli  hanno  tal- 
mente deturpati  da  non  lasciar  loro  niente  del  carattere 
originale. 

Mantegna  Andrea.  (  n.  1431,  m.  1506  )  Questo  ritratto 
conservasi  in  casa  Biadego  di  Verona. 

Domenico  di  Francesco  detto  dì  Michelino.  -  Questa 
tavola  si  vede  a  sinistra  di  chi  entra  nella  Metropolitana 
di  Firenze,  presso  una  porta  di  fianco.  Fu  essa  per  lunghis- 
simo tempo  attribuita  all'Orcagna,  fino  a  che  il  Gaye  nella 
Prefazione  del  2.'^ volume  del  suo  Carteggio  d'artisti  non 
l'ebbe  coll'aìuto  di  autentici  documenti  restituita  al  suo  vero 


396  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

autore.'  Secondo  questi  documenti,  venne  essa  allogala,  per 
commissione  degli  operai,  al  Michelino,  allievo  di  Fra  Giovanni 
da  Fiesole,  il  di  30  Gen.  1465:  Allor/harono  a  Domenicho  di 
Michelino  dipintore  presente  consentiente  et  conducente,  una 
fi<)hura  in  forma  a  f/uisa  del  poeta  Dante  la  quale  debbe 
fare  dipinta  e  colorire  di  buoni  colori  a  oro  mescolato  coli 
ornamenti,  come  appare  dal  modello  dato  per  Alexo  Baldo- 
vinetti,  dipintore  . . .  la  quale  sia  nel  luogo  ove  è  la  capella 
che  e  in  Santa  Maria  del  Fiore.  Il  Michelino  convenne  di 
eseguirla  entro  sei  mesi  e  per  lire  cento,  ma  n'ebbe  poi 
lire  155,  avendo  i  periti  dell'arte  giudicato  il  lavoro  di 
maggior  pregio  della  mercede  pattuita.  I  Sig.ri  Passerini 
e  Milanesi  lo  tengono  senza  dubbio  il  più  antico  ed  accertato 
tra  i  ritratti  dell'  AUighieri  che  rimangono  ancora,  potendosi 
congliietturare  che  sia  stalo  fatto,  tenendo  ad  esempio  quello 
di  Taddeo  Gaddi,  dipinto  in  S.  Croce.  Il  Cavalcasene  lo 
aggiudica  fiacco  assai,  quale  era  il  sentire  del  pittore  e  la 
scuola  alla  quale  fu  educato. 

«  Penetrate  col  pensiero  l'augusta  soglia  di  S.  Maria  del 
Fiore,  e  ammirate  sovresso  una  delle  sacre  porte  la  maestà 
di  Dante  che  è  lì  posta  a  discacciare  i  profani.  Che  dignitoso 
portamento!  Quanto  è  mai  serena  quella  fronte  1  si  direbbe 
ch'ei  pregusta  le  dolcezze  del  suo  figurato  paradiso!  Né 
|X)teva  essere  più  convenevolmente  collocato  Colui  che 
seppe  con  verità  e  mirabile  artifizio  disegnare  il  regno  dei 
cieli.  Ed  è  pur  anco  in  questa  Chiesa  maggiore  che  la  divina 
Comedia  veniva  spiegata  sul  pergamo,  ciò  non  stimandosi 
indegno  allora  quando  la  parola  di  Dante  ben  raccoglievasi 
quale  uno  dei  più  vivi  splendori  della  parola  di  Dio.  »  - 
Giuliani,  sul  vivente  linguaf/gio  della  Toscana,  Lettera  XV. 
p.  58.  -  V.  Ampère,  Viaggio  dantesco,  p.  37. 

SiGNORELLi  Luca,  Nella  Madonna  d'Orvieto,  nella  Cappella 
che  già  vi  aveva  cominciato  fra  Giovanni  da  Fiesole.  -  «  Sono 
da  osservare  ancora,  nello  spazio  sottostante  alle  grandi 
composizioni,  quattro  quadrati,  dove  il  pittore  ha  rappre- 
sentato a  chiaroscuro  i  poeti  Ovidio,  Virgilio,  Claudiano  e 
Dante;  e  dentro  un  tondo,  il  ritratto  di  Esiodo  a  colori,  mez- 
za figura  :  quindi  sono  alcuni  altri  tondi,  con  dentrovi  soggetti 
tratti  dai  loro  poemi.  »  Annotaz.  alla  vita  di  L.  Signorellì 


DAME   E   LE   BELLE   ARTI.  397 

del  Vasari,  Voi.  VI.. 142.  11  ritratto  è  disegnalo  con  quella 
forza  ed  energia  di  cui  era  capace  quel  maestro. 

Raffaello  Sanzio.  -  >Jello  stupendo  dipinto  del  Parnaso. 
Evvi,  così  il  Vasari,  la  dotta  Saffo,  ed  il  divinissimo  Dante, 
il  leggiadro  Petrarca  e  lo  amoroso  Boccaccio  che  vivi  vivi 
sono.  -  «  Contemplativo  e  macro,  quale  gli  studi  e  le  sventure 

lo  aveano  fatto Nò  si  potrebbe  mai  dire  la  vivezza  di 

quelle  teste,  che  nella  loro  bellezza  spirano  un  fiato  di 
divinità,  quale  rappresentano  le  loro  opere  immortali.  r>  - 
Ranallì,  Storia  delle  belle  urti,  i.  369.  -  Il  ritratto  del  poeta 
vi  comparisce  (  nel  Parnaso  )  con  tipo  o  carattere  così 
ardito,  che  alla  presenza  di  quella  immagine  ci  porlii 
piuttosto  a  dire  che  non  l'arte  ma  la  sua  poesia  lo  abbia 
rappresentato.  Jsè  v'ha  dubbio  che  Raflaello,  perfetto  ri- 
trattista qual  egli  era,  che  dipingeva  a  Roma  e  nel  Vaticano, 
protetto  da  papa  Leone  X,  non  abbia  potuto  sicuramente 
sapere  e  procacciarsi  quella  pittura  e  quel  disegno  che 
meglio  al  naturale  gli  porgesse  le  sembianze  del  poeta.  Onde 
il  Fantoni  ritiene  quello  del  Vaticano,  nella  sua  nattirale 
grandezza,  ìion  impicciolito,  trasfigurato,  e  da  la  mano  di 
unUaffaello,  il  vero  ritratto  di  Dante.-  Ancho  weWiH  Disputa 
dei  Dottori  lo  effigiò  assieme  coi  S.  Domenico,  Francesco, 
Tommaso  ti' Aquino,  Bonaventura,  Scolo,  Nicolò  da  Liri,  e 
fra  Girolamo  Savonarola.  Forse  nel  collocarlo  tra  i  teologi 
n'ebbe  consiglio  dair Ariosto,  sapendosi  ch'ei  fu  da  lui 
consultato  per  lettera  intorno  i  personaggi  da  introdurre 
in  questa  pittura.  —  «Ad  illustrare  e  nobilitare  il  soggetto, 
e  dell'aver  posto  tra  questi  Dante  Allighierì,  mostrò  ch'egli 
non  avea  solamente  letto  la  divina  Comedia,  ma  ne  avea 
inteso  l'alto  senso  per  dar  luogo  al  poeta  tra' teologi  che 
disputavano  sull'Eucaristia  «  -  Hanalli,  Id.  i.  3G3  -  «Nelle 
sale  del  Vaticano  contemplai  effigiato  l'altissimo  poeta  in 
mezzo  ai  solenni  e  gravi  dottori  che  compiono  la  Disputa 
del  Sacramento,  non  ultimo  jirodigio  dell'arto  e  dell'ingegno 
di  Raffaello.  Non  però  me  ne  prese  meraviglia,  quasi  ci  mi 
paresse  in  luogo  suo,  sì  nelle  scienze  teologiche  si  può  ag- 
guagliare a  quei  difensori  ed  illuminatori  del  Cristianesimo. 
Ma  non  mi  cessa  lo  stupore,  dacché  riiuiro  Dante  fatto  quasi 
custode  del  tempio  (di  S.  Maria  del  Fiore),  e  l'onoro  pen- 


398  DANTE  E  LE   BELLE  ARTI. 

sando  che  il  suo  nome  e  la  sublime  dQllrlna  risonarono  ad 
una  cogli  oracoli  slessi  della  Divinità.  »  l*.  Giuliani,  Lettera 
cit.  -  V.  Amphre,  Viaggio  dantesco,  90. 

Un  altro  ritratto  di  Dante  sull'  originale  di  Gioito,  dello 
slesso  Raffaello,  vuoisi  posseduto  dal  S."^  Mooris  Moore  di 
Londra  (ora  residente  in  Roma,  dinanzi  al  palazzo  Barberini). 
Il  S.""  Moore  conforta  anche  la  sua  opinione  colla  storia  spe- 
ciale di  quel  ritratto,  mentre  egli  dimostra  come  Raffaello 

10  esegui  per  commissione  del  cardinal  Bembo,  e  che  dopo 
tre  passaggi  in  altre  famiglie  signorili  egli  si  è  il  quarto 
attuale  possessore. 

Tra  i  disegni  di  Raffaello,  conservati  nella  Galleria  del- 
l'Arciduca Carlo  di  Vienna,  ve  ne  ha  pure  uno  rappresen- 
tante Dante  in  profilo,  in  atto  di  tenere  la  Divina  Comedia 
sul  petto  :  la  parte  inferiore  non  è  che  leggermente  tracciala. 

11  disegno  venne  fotografato  dall' i./mare  di  Firenze. 

Del  Sarto  Andrea,  n.  1448.  m.  1530.  -  Nella  predicazione 
del  Battista  alle  turbe,  dipinta  per  la  Compagnia  dello 
Scalzo,  nel  cortile  murato  dirimpetto  al  celebre  orlo  di  S. 
Marco.  -  Ranalli,  Storia  delle  belle  arti,  i.  522. 

AGGELO  DI  Cosimo,  detto  il  Bronzino,  n.  nel  borgo  di 
Monticelli,  fuori  di  porta  S.  Friano,  1502,  m.  1572.  —  «  A 
Bartolommeo  Bellini,  per  empiere  alcune  lunette  di  una  sua 
camera,  fece  i  ritratti  di  Dante,  Petrarca,  ligure  dal  mezzo 
in  su  bellissime.  »  -  Vasari  xni.  161. 

Vasari  Giorgio,  (n.  1512,  m.  27  Giugno  1574)  -  Nel  1544, 
in  un  solo  quadro,  per  commissione  di  Luca  Martini,  ritraeva 
Dante,  Petrarca,  Guido  Cavalcanti,  il  Boccaccio,  Gino  da  Pi- 
stoia e  Guittone  d'Arezzo,  cavati  com'ei  dice,  dalle  loro 
leste  antiche  accuratamente;  del  quale  ne  sono  state  fatte 
più  copie.  -  Vasari,  i.  23.  -  Una  di  queste  esiste  nella  Gal- 
leria del  Duca  di  Orleans.  -  Nel  Monastero  di  S.  Maria  di 
Scolca,  a  tre  miglia  da  Rimini,  -  «  nella  Cappella,  ovvero 
tribuna,  feci  quattro  grandissime  figure  che  trattano  delle 
lodi  di  Cristo  e  della  sua  stirpe  e  della  Vergine,  e  questi 
sono  Orfeo  ed  Omero  con  alcuni  motti  greci,  Virgilio  col 
motto  latino:  jam  redit  et  virgo  ;  e  Dante  conquesti  versi: 

Tu  se'  corti  che  l' umana  natura 
Nobilitasti  sì,  elle  il  suo  Fattore 


DANTE  E  LE   BELLE  ARTI.  399 

Non  disdegnò  di  farsi  sua  fattura...  Par.  xxxiu.  4 
Vasari,  i.  32. 

Ignoto,  (scuola  del  Gozzoli)  ;  Nell'Accademia  dì  belle  ani 
in  Pisa. 

Ignoto,  [scuola  Toscana);  Nella  Galleria  degli  Uflìzj  dt 
Firenze,  Prima  sala  della  Scuola  toscana;  -  e  Sez.  xi.  degli 
affreschi,  primo  spazio. 

Ignoto,  (Nella  biblioteca  de' Canonici  di  Verona);  Fu  legato 
ad  essa  dal  Perazzinì. 

Nardini...,  Palazzo  Corsini  di  Firenze,  1.  Camera. 

Calamai  B.,  ■—  Palazzo  Capponi,  5.  Stanza. 

Zanobi  Canovai,  —  Esposiz.  fìr.  1856. 

Bianchi  ...  Affresco,  nel  R.  Archivio  Centrale  di  Stato  in 
Firenze,  nella  sala  dedicata  specialmente  agli  Archivii  delle 
Ani,  e  segnatamente  al  disopra  dello  scaffale  ove  sono 
disposti  i  documenti  dell'Arte  dei  medici  e  degli  speziali, 
con  la  leggenda:  Dante  Allìghieri  Med.  Spez.  MCCLXXXYIL 

N.  ìY.  Quadro  a  olio  che  fece  dipingere  il  Cesari,  e  poneva 
nella  sua  villa  di  Beccacivetta,  a  cinque  miglia  da  Verona, 
con  sotto  l'epigrafe:  Danti  .  AlÌ(jherio  .  poelae  .  omnium  . 
primo  .  magistro  .  et .  auctori .  suo  .  feci.  A.  C.  MDCCCXXI. 
Quod  .  vivo  .  et  .  placeo  .  si  .  placco  tuum  esU 

JX.  iV.  Quadro  ad  olio  che  si  fece  dipingere  il  prof.  Gius. 
Manuzzi  in  Firenze;  a  cui  appose  l'inscrizione  da  lui  dettata: 
A-Dante  Allìghieri  -  principe  di  guanti  mai  furono  poeti  al 
mondo  -  al  primo  e  sommo  autor  suo  -  dedica  Giuseppe  Ma- 
nuzzi-non  meno  riverente  che  affezionato- MDCCCXXXIL 

Albertini  Luigi,  mezza  figura;  Esposiz.  ven.  1852. 

Barrias  Francesco  :  -  Dai  versi  del  Barbier  :  Ecco  quegli 
che  viene  a  sua  posta  daW Inferno;  Esposiz. del  Louvre,  1853. 

Vibert  Giulio,  Dante  e  Beatrice,  nella  Biblioteca  del 
Castello  di  Nozet;  Esposiz.  univ.  di  Parigi,  1855. 

Agricola  Filippo,  Dante  e  Beatrice. 

SiGNOL  Emilio,  di  Parigi,  Beatrice;  Esposiz.  univ.  di 
Parigi,  1855. 

Barucco  Felice,  Beatrice;  Esposiz.  di  Torino,  1863. 

Ritratto  di  Dante,  che  credesi  formato  dal  vero,  e  git- 
talo  in  creta  l'anno  1321  {d'apres  le  masque  in  terre  cuite 


400  DAME  E  LE  BELLE  AUTl. 

moulé  a  Ravenne  le  jour  de  la  mort  di  Dante).  In  casa  dei 
Marchesi  Luigi  e  Carlo  Torrigiani,  Firenze:  -  Lyell  fece  fare 
a  Londra  un  incisione  elegantissima  di  questo  prezioso 
avanzo  dell'arte  del  XI Y.  secolo.  -  Dis.  Philips,  Ut.  Jt.  G. 
Lane,  1844.  -  Ignoro  se  il  ritratto  in  marmo,  fortunata- 
mente scoperto  in  Ravenna  dal  prof.  Luigi  Grisoslomo  Fer- 
rucci sia  Io  slesso  od  un  altro. 

Un  altro   bassorilievo,   forse  dalla   testa  di  Dante  fatta 
cavare  dell' Arcivescovo  di  Ravenna   (  Cinelli  Tose.  Leti.  T. 

I.  e.  340,  Manoscr 306.  Magliabech.  ),  trovasi  in  Roma^ 

presso  i  R.  R.  Can.  Regg.  a  S.  Pietro  in  Vincoli,  nella  Sa- 
cristia  attigua  al  Mosè  del  Buonarroti.  (I) 

Lombardi  Pietro,  Monumento  in  Ravenna,  1483.  -  Di 
forma  quadrata,  coperto  di  una  cupola  emisferica,  elegante 
assai  per  la  struttura  e  pegli  ornati;  ha  la  dimensione  di 
metri  3,  35  per  ogni  lato.  Nei  penacchì  della  cupola  vi  hanno 
quattro  medaglioni,  in  che  sono  raffigurati  Virgilio,  Brunetto 
Latini,  Cangrande  della  Scala  e  Guido  Polentani,  lavoro  a 
stucco  di  Paolo  Giabani,  Luganese;  le  pareli  pure  sono 
fregiate  di  stucchi  elegantemente  disposti  :  nel  mezzo  surge 
l'urna  di  marmo  greco  che  racchiude  le  ceneri  del  poeta, 
su  la  quale  vi  è  scolpila  l'inscrizione,  con  le  sigle  S.  ^.  F. 
Jura  Monarchiae,  Superos,  Phlegetonta,  Lacusque 

Lustrando,  cecini,  voluerunt  fata  quousgue  ; 

Sed  quia  pars  cessit  melioribus  liospita  castris, 

Auctorenique  suiira  petiit  felicior  astris, 

Hic  claiidor  Dantes,  patriis  extorris  ab  oris, 

Quem  genuit  parvi  Fiorentia  mater  amorls. 
L'urna  è  sormontala  dall'effigie  del  divino  poeta,  scolpita  a 
mezzo  rilievo  dal  Lombardi:  egli  è  in  atto  di  tenere  gli 
occhi  in  un  volume  posto  sopra  un  leggio,  colla  mano  sini- 
stra sorreggesi  il  mento,  e  colla  destra  poggia  su  d'  una 
breve  tavola.  In  allo  sta  una  ghirlanda  che  chiude  in  mezzo 

(1)  Quanto  alla  maschera  cavata  da  Dante  dopo  morte,  una  ne[  aveva 
Stefano  Ricci,  che  doveva  servire  per  il  suo  monumento  in  S  Croce...;  un 
altra  ne  aveva  lo  scultore  Bnrtolini,  proveniente  da  Ravenna,  la  quale 
passò  nelle  mani  del  Sig.  Seymour  Kirkup  .  .  .  Portata  questa  maschera 
davanti  al  ritratto  dipinto  nel  palazzo  del  Potestà,  si  riscontrarono  le 
«tesse  fattezze,  lo  stesso  tipo,  la  stessa  sagoma,  solo  che  mostra  essere 
più  vecchio,  e  tale  età  appunto  combinerebbe  con  quella  che  aveva  U 
poeta  alla  sua  morte,  cioè  dai  56  ai  57  anni.  G.  B.  Cavalcasene. 


DAISTE  E  LE  BELLE  ARTI.  401 

le  parole:  Vìrtuti  et  honori.  -  È  offeso  nel  profilo;  ed  il 
Cavalcasene  lo  dice  una  caricatura,  ma  riscontra  in  esso  la 
provenienza  della  vera  maschera  di  Dante.  -  Di  questo 
monumento  se  ne  debbe  il  merito  a  Bernardo  Bembo,  pa- 
dre del  cardinal  Pietro,  come  ce  ne  fa  fede  l'iscrizione  che 
tuttavia  si  legge: 

Exigua  tumuli,  Dantes,  hic  sorte  jacebas, 

Squallenti  nulli  cognite  pene  situ; 
Ai  nunc  marmoreo  subnixus  conderis  arco, 

Omnibus  et  cultu  splendidiore  nites. 
Nimirum  Bembus,  Musis  inccnsus  etruscis, 

Hoc  tibi,  quem  in  primis  hae  coluere,  dedit. 
Anno  Salutis  MGGGGXXXIII.  VI.  Kal.  Jun. 

Bernardus  Bembus  Praetor  aere  suo  posuit. 

In  questa  occasione  scomparve  l' antica  iscrizione  che  verso 
la  metà  del  secolo  XIY,  si  leggeva  su  quel  sepolcro,  dettata 
da  Giovanni  del  Virgilio,  e  di  cui  parla  il  Boccaccio: 
Theologus  Dantes,  nuUius  dogmatis  expers, 

Quod  foveat  claro  pbilosopbia  sinu; 
Gloria  Musarum,  vulgo  gratissimus  auctor, 

Hic  jacet,  et  fama  pulsat  utrumque  polura: 
Qui  loca  defunctis  gelidis,  regnumque  gemellum 

Distribuii,  loicis,  rhetoricisque  modis. 
Pascua  Pieriis  demum  resonabat  avenis  : 

Atropos  beu!  lectuni  livida  rupit  opus. 
Huic  ingrata  tulit  tristem  Florentia  fructum, 

Exilium  vati  patria  cruda  suo. 
Quem  pia  Guidonis  gremio  Ravenna  N'ovelii 

Gaudet  honorati  conticuisse  ducis. 
Mille  trecentenis  ter  septem  Numinis  annis, 
Ad  sua  septembris  idibus  astra  redit. 
Ricci  Stefano,  «  Monumento  di  S.  Croce  in  Firenze  (1829).- 
«II  monumento  dell'esule  era  debito  di  Firenze.  Solenne- 
mente conveniva  riaprire  le  sue  porte  a  luì,  al  quale   il 
cielo,  come  Michelangelo  canta,  non^contese  le  sue...  Il 
monumento  di  lui  è  quasi  il  decreto  solenne  di  sua  rivo- 
cazione, è  atto  di  politica  ammenda.  In  un  tempio  egli  pro- 
fetava a  se  stesso  di  dover  essere  incoronato  poeta;  e  il 
suo  monumento  fu  collocato  in  un  tempio  ...  La  Poesia, 
mezzo  prostesa  sul  monumento,  per  Dante  non  piange,  ma 
piange  le  sventure,  retaggio  dei  disprezzati  e  perseguitati 
annunziatori  d'austere  verità;  l'Italia  spira  gravità  virile 
e  religione  imperiosa,  perchè  tale  spirava  ne'  suoi  pensicr 
YoL.  11.  n 


402  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

ignudo  siede  li  poeta,  quasi  imaglne  delle  anime  altere  e 
forti,  viventi  in  tempo  di  calunnia  e  di  discordia;  il  go- 
mito posa  sull'opera  che  V ha  fatto  per  più  anni  macrn, 
per  denotare  che  le  avversità  della  vita  e  la  smania  di 
legittime  speranze,  miseramente  deluse,  tanto  possono  sul 
cuore  de'  più  sofferenti,  da  far  loro  dimenticare  ogni  idea 
di  conforto,  e  fino  il  sentimento  della  propria  grandezza.  »  - 
Tommaseo.  -  Il  dall'  Ongaro  cosi  ci  descrive  il  monumento 
del  Ricci.  -  «  Lo  scultore  fiorentino  sembra  essersi  inspirato 
al  mausoleo  innalzato  dallo  scultore  Veneto  al  papa  Rezzo- 
nico.  Abbiamo  dunque  un'opera  canoviana  di  seconda  mano. 
Abbiamo  la  figura  colossale  di  Dante  seduto,  anzi  accosciato 
suir  urna  vedova  ancora  delle  sue  ceneri.  La  figura  è  mezzo 
ignuda  e  mezzo  vestita,  per  serbare  il  giusto  mezzo  acca- 
demico. Ma  ciò  non  monta.  La  faccia  di  Dante  non  ha  la 
serena  gravità  che  i  Greci  davano  agli  eroi  e  ai  semidei 
che  scolpivano  ignudi  ne'  teatri  o  ne'  templi.  Il  poeta  fio- 
rentino, benché  coronala  la  fronte,  anzi  il  cappuccio,  del 
lauro  desiderato,  guata  accigliato  dinanzi  a  sé  come  rim- 
proveri ai  fiorentini  gli  antichi  rancori  e  la^  presente  mol- 
lezza. L'aspetto  non  è  d'un  padre  che  ritorna  in  seno  alla 
famiglia  desiderata,  è  piuttosto  d'un  giudice,  d'un  Minosse, 
Di  quel  conoscitor  delle  peccata 

Che  esamina  le  colpe  nell'entrata  .  .  . 
Belle  sono   le  due  figure  allegoriche  che  sorgono  ai  lati: 
l'Italia  stellata  in  fronte,  che  addita  agli  astanti  quel  verso 
dantesco  scolpito  sull'urna: 

Onorate  l' altissimo  poeta  ; 
e  la  Poesia  che  s'abbandona  afflitta  e  piangente  sul  gran 
volume,  proprio  sulla  pagina  in  cui  Dante  rivelava  il  se- 
creto dell'arie  sua: 

lo  mi  son  un  che  quando 

Amore  spira,  noto,  ed  a  quel  modo 

Che  detta  dentro,  vo'  significando. 

Ed  hai  ragione  di  piangere,  o  bella  Musa,  non  perchè  il 
poeta  che  scrisse  quei  versi  sia  morto,  ma  perchè  il  secreto 
del  suo  genio  è  perduto...  Il  Mondo  illustrato,  1861,  p.  187.  - 
?sel  basamento  si  legge:  Danti  Aligherio  -  Tusci  -  honora- 
rium  tumuhim  -  Ter  a  majoribus  frustra  decretum  -  Anno 
ttocccxxix  -  Feliciter  excitarunt. 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  403 

Demi  Emilio  (1842),  Statua,  in  Firenze,  nelle  nicchie  degli 
Officj.  -  «L'aspetto  di  Dante  è  iroso  ed  arcigno,  ed  alza 
il  dito  con  espressione  non  facile  a  definire,  e  certo  non 
bella.  »  Dall'  Ongaro,  Id.  -  Appiè  della  statua  sì  legge:  Dante 
Allighieri. 

Statua,  neir  Accademia  dei  Pellegrini  in  Firenze.  Il 
Doni  nell'occasione  che  inauguravasi  la  statua  di  Dante, 
Petrarca,  Boccaccio,  dettava  questa  iscrizione  che  venne 
pure  scolpita:  Per  eterna  memoria  -  Gli  Accademici  Pellegrini- 
Uanno  posto  qui  per  corona  -  Della  gloria  toscana  le  statue  - 
Di  Dante  Petrarca  e  Boccaccio  -  Le  quali  consacrano  al  gran 
padre  della  virtù  -  Lo  ili.""*  et  Ecc."^"  Sig.  Cosimo  Medici  - 
Duca  di  Fiorenza  e  Siena. 

Statua,  Nella  facciata  del  palazzo  Altoviti  (borgo  degli 
Albizzi),  che  il  volgo  suol  chiamare  dei  Visacci.  Baccio  Valori, 
Senatore  del  granduca  Ferdinando  I,  fece  scolpire  in  marmo 
e  in  tre  ordini  a  guisa  di  termini,  i  ritratti  di  quindici 
illustri  fiorentini.  Nel  primo  ordine  superiore,  consacrato 
alle  Musae  etiam  florentinae,  prima  di  tutti  vi  è  la  statua 
di  Dante.  Questi  ritratti  furono  illustrati  da  Filippo  di  Baccio 
Valori  neir  Opera  :  Termini  di  mezzo  -  rilievo  e  di  tutta 
dottrina,  Fir.  1604,  Marescotti  ;  -  ma  non  indica  chi  ne  sia 
l'autore. 

Statua,  in  Firenze,  alla  porta  di  S.  Pier  Gattolino  (Romana), 
al  principio  dello  Stradone  che  conduce  al  Poggio  Imperiale. 
Questa  statua  fu  tolta  dall'  incompiuta  facciata  del  Duomo, 
allorché  per  le  nozze  del  gran  principe  di  Baviera  fu  de- 
molita, per  dar  luogo  ad  altra  che  non  ebbe  poi  effetto. 

Busto  (I587j.  «  Sendo  Console  dell'Accademia  fiorentina 
il  senatore  Baccio  Valori,  fu  inaugurato  il  busto  di  Dante 
di  ottima  scollura,  e  molto  traente  alla  simiglianza  di  na- 
tura, sulla  porta  dello  Studio  fiorentino,  quasi  Nume  che 
togliesse  in  tutela  il  progresso  della  patria  sapienza.  Il  qual 
marmo  ora  è  stato  in  più  degna  parte  collocato.  »  -  Missirini.- 
Come  è  manifesto  da  una  lettera  del  Valori,  10  Gennajo 
1587,  il  busto  di  Dante  fu  eseguito  col  salario  di  uno  anno 
già  stanziato  a  due  lettori  sopra  Dante  e  Petrarca,  hoggi 
vacante  che  imporla  scudi  48.  -  Feud.  Leopoldo  Del  Migliore 
ci  fa  sapere,  come  oltre  la  testa  di  marmo  di  Dante,  principe 


404  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

sovrano  dell  eloquenza,  vi  fosse  pure  l'arma  della  republica 
unita  a  quella  dello  studio  firentino,  ch'era  un  cherubino 
rosso  in  campo  d'argento.  -  Firenze,  città  nobilissima  illu- 
strata, p.  386.  -  Il  busto  di  Dante,  ivi  posto  dagli  Accademici 
ad  eccitamento  degli  ingegni,  al  principio  del  presente 
secolo  fu  tolto  da  quel  degno  luogo,  e  allogalo  nelle  scuole 
Eugeniane;  né  il  perchè  ben  non  si  seppe. 

Busto,  suir  ameno  boschetto  degli  Strozzi,  sopra  una 
collina  del  Monteliveto,  a  cavaliere  di  Firenze, 

Busto,  in  Camerata,  fuori  della  porta  a  Pinti,  presso 
Fiesole,  ad  un  miglio  da  Firenze,  in  casa  Pinzanti,  oggi 
appartenente  al  cav.  Guido  Giuntini,  antica  casa  e  podere 
degli  Allighieri. 

Pazzi  Enrico,  Modello  di  una  statua,  in  forma  colossale, 
rappresentante  il  divino  poeta  in  atto  di  maledire  le  di- 
scordie che  agitavano  l'Italia  (Esposiz.  (ir.  1845).  Allo  zoccolo 
vi  pose  l'aquila  romana  che  volge  il  capo  al  poeta  quasi 
gli  si  raccomandi.  L'opera  esprime  non  solo  il  poeta  ma 
l'uomo  politico  che  esponeva  ai  dotti  il  proprio  sistema  nel 
libro  de  Monarchia,  e  lo  predicava  al  popolo  nella  divina 
Comedia.  -  Sarà  inalzata  nel  1865.  S'inslitui  in  Firenze  un 
Consiglio  dirigente  la  società  per  lo  scolpimento  della  ridetta 
statua  colossale. 

Statua,  nella  bella  e  magnifica  villa  Puccini,  detta  il 
villone  di  Scornio,  un  miglio  presso  Pistoja  (1827).  -  Sotto 
la  statua  del  poeta  seduto  e  gridante:  Ahi  serva  Italia . . . 
si  legge  la  seguente  epigrafe  di  P.  Giordani.  -  Acqueta  il 
tuo  magnanimo  dolore  -  0  Dante  padre  nostro  -  Alla  tua 
Italia  serva  non  più  volontaria  -  E  già  dolente  di  sua  lunga 
pigrizia  -  Or  sono  in  cospetto  i  tempi  che  tanto  desiderasti,  - 
Dedicato  da  JSicolao  Puccini  -  l'anno  DLXil  dalla  nascita 
di  Dante. 

Demi  Emilio,  Statua,  nell'Accademia  Labronica  di  Livorno. 

iV.  iV.  Busto  in  bronzo  del  secolo  XIV  nel  Museo  di 
Napoli.  «  Egli  è  assai  difficile  di  poter  assegnare  al  secolo 
XIY  un  busto  di  bronzo,  non  avendosi  alcun'altra  memoria 
che  questa  usanza  di  rappresentar  gli  uomini  illustri  fosse 
nella  pratica  dell'arte  e  nei  costumi  di  quel  tempo.  -  L. 
Passerini,  Gaet.  Milanesi,  Relazione  sul  più  autentico  ritratto 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  405 

(li  Dante.  »  -  Il  Cavalcasene,  da  oUime  teslimonianze,  lo 
dice  una  derivazione  della  vera  maschera  dantesca. 

D'EsTE  Alessandro,  Busto,  a  Roma,  nella  Prolometeca  del 
Museo  Capitolino:  sotto  il  busto  sta  scritto:  A  -  Dante 
Àllìghieri  -  Antonio  Canova  -  MDCCCXIII. 

MiLESi  Bianca,  Busto,  Esposiz.  mil.  1817. 

CoMOLLi . . . ,  Busto,  Villa  Melzi,  nel  lago  di  Como. 

Briganzol  . . . ,  Busto;  Esposiz.  tor.  1859. 

Faveau  Felicita,  Statua,  in  Casa  Portalis,  Parigi. 

Cavelier  Pietro  Giulio,  Busto  in  bronzo;  Esposiz.  unlv. 
di  Parigi,  18bo. 

Préault  . . . ,  Medaglione  in  bronzo;  Esposizione  di  Parigi, 
1853. 

Rietschel  e..  Statua  nel  R.  Museo  di  Dresda  (1847-54). 
L' egregio  S.""  Petzbold,  bibliotecario  di  S.  M.  il  re  di  Sasso- 
nia, mi  scrìveva  a'  24  Settembre  1861.  -  «  Alter  arti- 
fex  Dresdensis  Oppenheimiiis,  an.  1854,  ima(finem  hujiisce 
staluae  photofiraphicam  fecit.  Praeter  hanc  Rietschelianam 
Dresdae  invenitur  altera  figura  Dantis  dimidia,  quae,  nescio 
quo  artifice,  ex  marmore  Carrarensi,  pulcherrime  extructa 
est.  liane  alleram  fìguram  quondam  b.  rex  Prussiae  Fride- 
ricus  Gulìelmus  IV.  nostro  regi  potentissimo  Johannì  dono 
dedit.  (1) 

Raffaello  Sanzio,  Beatrice  (nella  sua  Teologia)  V.  Ampè- 
re, 90. 

Lanfredini  . . .  ,  Beatrice,  1855. 

Canova  A.,  Beatrice,  busto,  1819,  pel  Co.  Leopoldo  Cico- 
gnara  -  Riprodotto  nel  1822,  pel  cav.  Stefano  Szechevy,  - 
Id.  Erma,  pel  S.^  Berring  di  Londra,  1822. 

CoiiOLLi . . . ,  Beatrice,  busto,  nella  villa  Melzi,  sul  lago 
di  Como. 

Borro  Luigi,  Beatrice,  ideale  tratto  da  un  Sonetto  di 
Dante,  busto  in  gesso  ;  Esposiz.  ven.  1800. 

Fari  Altini  Francesco,  Beatrice,  Statua;  I.  Esposiz.  ilal. 
1861. 

(1)  De'  monumenti  votali  da  Municipi  Italiani  alla  memoria  di  Dante, 
a  festeggiare  degnamente  il  sesto  Centenario  della  sua  nascita,  toccberò 
più  avanti. 


406  DANTE   E   LE   BELLE   ARTI. 

Ruo  Giacomo,  di  Napoli,  Beatrice;  I.  Esposiz.  ital.  1861, 
Proprietà  della  R.  Casa  di  Napoli. 

Bentivoglio  Marchese  Nicolò,  di  Ferrara,  Beatrice,  busto  ; 
I.  Espos.  ital.  1862. 

Hancock  Giov.,  Inglese,  Beatrice,  Statua;  Esposiz.  univ. 
di  Parigi,  1855. 

Fabisgh  Giuseppe,  d'Aìx,  Beatrice,  Statua  ;  Esposiz.  univ. 
di  Parigi,  1855. 


DIPINTI  RIGUARDANTI  LA  VITA 
DI  DANTE  ALLIGHIERI. 


Bellucci  Giuseppe,  Dante  divenuto  gravemente  infermo 
dopo  la  morte  di  Beatrice,  e  dopo  molti  mesi  di  languore, 
c^rca  sollievo  negli  studii  della  Filosofìa  ;  Esposiz.  fìr.  1857. 

Barrucco  Felice,  Dante,  in  atto  di  chi  rapito  a  melodia 
celeste,  si  arresta  colla  penna  sulla  carta,  e  ascolta  e  nota 
quanto  amore  gli  significa;  Esposiz.  tor.  1855. 

PoDESTi  Cav.  Francesco,  Dante  e  Giotto,  quadro  illustrato 
dal  Co.  d'Arco,  Esposiz.  mil. 

MoNGERi  Giuseppe,  Dante  col  musico  Casella  e  Giotto; 
Esposiz.  mil.  1845. 

Caimi  Antonio,  Dante  delineato  ed  effigiato  da  Gioito, 
in  casa  del  musico  Casella  ;  Esposiz.  mil.  1847. 

Ghedina  Giuseppe,  Dante  nello  studio  di  Giotto,  in  atto 
di  recitargli  qualche  brano  della  divina  Comedia;  Esposiz. 
yen.  1857. 

Bompiani  Roberto,  dì  Roma,  Lo  stesso  soggetto;  Prima 
Esposiz.  ital.  1861. 

De  Keyser...,  Nell'atto  che  Giotto  è  tutto  intento  a 
dipingere  una  Madonna  da  un  modello.  Dante  gli  comunica 
le  sue  idee  sull'arte;  Esposiz.  artistica  di  Anversa,  1861. 

Barrias  Giuseppe,  di  Pariffi,  Pellegrini  che  si  rendono 
a  Roma  pel  Giubileo  del  1300  -  Dante,  Villani  e  Gioito; 
Esposiz.  univ.  di  Parigi,  1855. 


DAKTE  E  LE  BELLE  ARTI.  407 

Masiki  . . . ,  Dante  ambasciatore  a  Bonifacio  YIII,  dipinto 
illustralo  da  Ottaviano  Gigli. 

BoTAzzi  Agostino,  Vicentino,  Dante  che  visita  Giotto  a 
Padova  nella  capella  degli  Scrovigni;  Esposiz.  ver.  1864. 

ToMASELLi  Albano,  L' esigilo  di  Dante;  Tomaselli  dis. 
Ahrens  ine  (Nel  Monumento  di  carità  di  Trieste,  1857). 

Zanetti  BoRziNO,  (Signora)  Dante  ramingo;  Esposizione 
genov.  1858. 

De  Pans  Carlo,  Dante  che  dall'altura  di  un  colle  guarda 
Firenze  da  lui  tanto  vilipesa  eppure  tanto  amata;  Esposiz. 
rom.  185G. 

Gagliazza  Giuseppe,  di  Trecate,  Dante  Allighieri  in  cerca 
di  ricovero  al  monastero  di  Avellana;  Esposiz.  1863. 

Bertini  Giuseppe,  Dante,  peregrinando,  entra  nel  convento 
dei  monaci  agostiniani  eremitani  di  Corvo  in  Lunigiana, 
Opera  coronata  dall'Accad.  di  Milano  ;  Espos.  mil.  1845. 

Bezzuoli  Giuseppe,  Dante  e  Fra  Ilario. 

GuALDi  Antonio,  Fra  Ilario  che  riceve  da  Dante  la  prima 
parte  della  Divina  Comedia. 

Crosa  . . . ,  Dante  che  si  congeda  da  Frate  Ilario,  al  con- 
vento della  Spezia;  Esposiz.  tor.  1857. 

De  Biasio  Domenico,  Dante  esule  accetta  l'ospitalità  of- 
fertagli da  Guglielmo  dei  conti  di  Castelbarco  nel  Castello 
di  Lizzana,  presso  Bovereto;  Esposiz.  ven.  1851), 

Melchi  Giuseppe  Luigi,  Dante  che  declama  la  Divina 
Comedia  alla  corte  di  Mastino  della  Scala;  Esposizione 
ven.  1857. 

Sanesi  Nicolò,  Il  profugo  divino  in  atto  di  prendere 
licenza  dà  Cangrande  della  Scala,  signor  di  Verona;  Espos. 
tose.  1858. 

Celentano...,  di  Aapoli,  Dante  deriso  dalle  popolane  di 
Firenze  (??),  le  quali  vedendolo  scarno  e  abbronzito  lo  cre- 
dono veramente  tornato  da' regni  bui;  Esposiz.  tor.  1863. 

Chiecchi  Basilio,  da  Montorio,  [Veronese)  L'AUighieri  che 
chiude  le  orecchie  per  non  sentire  le  stonature  fatte  da  due 
donne  de'  suoi  versi  ;  Esposiz.  ver.  1864. 

MoccHi  Giovanni,  Dante  che  presenta  Giotto  a  Guido  di 
Ravenna  ;  Espos.  fior.  1855. 

Larese-Morktti  Eugenio,  La  morte  di  Dante  a  Ravenna, 


408  DAME  E  LE  BELLE  ARTI. 

affresco,  dipinto  in  una  parte  che  fiancheggia  la  maggior 
sala  del  museo  di  Torino  (scoperto  il  20  Dee.  1863). 

Maranghi  Amico,  di  Pistoia,  La  morte  di  Dante  Allighieri, 
tocco  in  penna;  Prima  Esposiz.  ilal.  1861. 

Giacomelli  Yicenzo,  Giov.  Boccaccio  che  legge  e  spiega  il 
canto  di  Francesca  di  Riminì  nella  chiesa  di  S.  Stefano; 
Esposiz.  ven.  1842. 

Banfi  Antomo,  Il  Genio  delle  scienze  delle  arti  rigene- 
rato dall'Italia  alla  fonte  di  Dante;  Esposiz.  mil.  1844. 

INCISIONI 

Verico,  dis.  ed  incise.  -  Ediz.  della  div.  Goni.,  Firenze, 
Gaietti,  1827.  -  Raf.  inv..  Scolto  dis.  ed  ine;  Ediz.  fir.  alla 
insegna  di  Pallade,  1818-21.  -  Lasinio  figlio  ine;  Firenze, 
Ciardetti,  1821.-  Cateni  dis.,  Lasinio  ine;  Firenze,  Borghi, 
1827.  -  Giotto  inv.;  Kircup  dis.,  G.  Kumming  Dundee  ine; 
London,  1842.  -  Kircup  dis.,  Lasinio  ine;  Firenze,  Piatti, 
l^iì.  -  Pier accini  dis.,  Zignani  ine;  Firenze,  all'insegna  di 
Dante. -Zowfo  ine;  Fir. Passigli,  1840; -Firenze,  Terni,  1852.- 
Bonaiuti  dis.,  Borteau  ine;  Passigli,  1840-44  (con  16  incis. 
disegnate  dal  Marcovich,  incise  dal  Viviani).  -  Dal  Bene  dis., 
Viviani  ine;  Firenze,  Le  Monnier,  1837. 

Morghen  dis.  ed  ine;  Pisa,  Gapurro,  1827.  -  To fanelli 
dis.;  ediz.  dell'Ottimo,  Pisa  Gapurro,  l^^l,  -  Morghen  dis. 
Tofanelli  ine;  Livorno,  Masi,  e  Firenze,  Gabinetto  di  Palla- 
de. -  Giotto  inv.,  T.P.  incise;  ediz.  da  Buti,  Pisa,  Nistrì.  - 
Lapi  ine;  Firenze,  1778,  Livorno,  Masi. 

Bossi  dis.  Garavaglia  ine;  Milano,  ^eiioni.  -  Buccìnelli 
ine  in  acciaio;  Milano,  Vdignom.  -  Bramati  dis.,  Rados  ine; 
Milano,  Silvestri,  1820  e  1845.-  Benaglia  ine;  Milano,  Glas- 
sici, 1804.  Raffaello  inv.,  Giaconi  ine;  Mantova,  Garanenlì. 

Zandomeneghi  iWs.,  Dala  Inc.;  Yenezia,  Antonelli,  1832.- 
Lisca  ine;  Venezia,  Gatti.  ll'ò'i.-Zuliani  ine;  Venezia,  Ga- 
sparì  1827.  -  Cornale  dis.,  Heylbroitch  ine;  Padova,  Gomino, 
1727.  -  dal  dipinto  ùeW India,  più  volte  riprodotto  col  bu- 
lino. -  Derif  dis.,  Miliara  dir.,  Aliprandi  ine  ;  Udine,  Mat- 
tìuzzi,  1823  (Dante  alla  grotta  di  Tolmino) 


DAME    E  LE  BELLE  ARTI.  40'J 

Durantini  inv.,  Testa  ine.  ;  ediz.  romana  del  de  Romanis, 
1810  -  Rossi  ine.  (medaglione),  Roma,  Fulgoni,  1791  -  Carli 
ine;  Napoli,  Rondinella,  18ì)4. 

Schiavonetti  dis.  ed  ine.  ;  Londra,  Zolli,  1808.  -  Morghen 
dis.,  Grave  R.  incise;  Londra,  Gorrol,  1823.  -  Robinson  ine.; 
Londra,  Rolandi,  1844. 

Moreau  dis.,  Godefroy  ine.;  Parigi,  Praul,  1768.  -  Litretl 
dis,  ed  ine.  da  un  quadro  posseduto  dal  Floneel  di  Parigi.  - 
Lemercier  ine.;  nell'opera  del  Boissard,  Paris,  Doumol,  1834.  - 
Raf  inv.,  Dien  ine.;  nell'Histoire  du  Dante  AUighieri,  Le 
Giare,  Paris,  1841.-  Claye  ine.  inacc.;  Paris.  Paulin  et  Che- 
valier,  1853. 

Raffaello  inv.^Schwerdfieburth  ine.  ;  Lipsia,  Fleischer,  1826 
e  1855,  Slef/ert  Rrest  Rosmàster  ;  Dresda  1828  nella  versione 
del  Kanegissier. 


MEDAGLIE  IH  0!\ORE  DEH' AUIGHIERI. 


L  (uNiL.)  Dantes  Florentinus.  Busto  a  destra  (  di  grande 
modulo,  nel  Museo  di  Vienna). 

IL  (av.)  Dantes  Florentinus.  Busto  a  destra. 

(rov.)  Fra  due  lauri  le  seg.  sigle:  F.  S.  K.  J.-P.F.T. 
Apostolo  Zeno,  ehe  ha  disposto  il  Museo  Viennese, 
confessa  d'ignorarne  il  significato.  Egli  aggiunge  ehe  le 
medesime  sigle  per  1'  appunto,  con  la  stessa  distribuzione 
si  leggono  in  un'  altra  medaglia  che  nel  diritto  rappresenta 
la  lesta  di  Pietro  Pisano,  distinto  artefice  di  medaglie, 
intorno  a  cui  vi  ha  la  leggenda:  Pisanus  Pictor.  {Apostolo 
Zeno,  Epist.  iv.  1.  p.  140;  V.  Vasari,  iv.  175). 
IIL  (av.)  Dantes  Florentinus.  Busto  a  destra. 

(rov.)  La  sfera  armillare:   Dell' istesso  modulo  che 
la  precedente. 

lY.  (un:l.)  Dantes.  poeta,  vulgaris.  primus.  Ritratto  a 

destra,  col  mazzocchio. 
Le   impronte  che  vi  si  veggono  nel  rovescio  non  sono 
che  segni  della  fusione. 


410  DANTE  E  LE  BELLE  ARTI. 

V.   (uNiLAT.)  Aligeri-Dante  -  Busto  coronalo  a  destra. 

VI.  (av.)  Danthes  Florentinus  -  Busto  coronalo  a  sinistra. 
—   (rov.)  Danle  diritto,  laur.  co'  piedi  nudi  :  ha  un  libro 

aperto  nella  manca  :  vi  si  vede  il  monte  del  Purgatorio,  a 
figura  di  un  cono  tronco,  sopra  cui  vi  ha  l'albero  della 
vila,  e  appiè  di  esso  i  pr/m«  parenti;  alla  squarcialura 
delle  falde  vi  si  vede  mollo  gregge  di  anime  ignude,  sim- 
bolo dell'  Inferno  ;  al  di  sopra,  i  cerchi  del  Paradiso  -  (di  53 
millimetri:  nel  Museo  di  Vienna  e  nella  Marciana). 

VII.  (uNiLAT.)  Aliger.  Florentes.  Busto  coronalo. 

(30  mil.:  nel  Museo  della  Marciana  di  Venezia). 
Vili,  (av.)  Dante  Allighieri.  Busto  coron.  a  destra. 

(rov.)  Italicae  -  poesis  -  conditor  -  Es.  L.  Cossa 
/".  1819  (incisa  a  Milano -mil.  48). 
IX.  (av.)  Dante  Allighieri. 

(rov.)  La  quale  e  il  quale  a  voler  dir  lo  vero.  Roma 
con  elmo  ed  asta:  con  la  destra  lìene  sul  ginocchio  un  libro 
aperto:   è  appoggiala  allo  stemma  del  Ponlefice  Gregorio 
XVI;  sormontalo  dalle  chiavi  e  dal  Triregno  -  Esergo:  11. 
Febbraio  MDCGCXXXY. 

(Lavoro  dello  Sliore;  è  di  48  mil.  -  Fu  promossa  dallo 
Scolari,  nell'occasione  che  il  Ballagia  riproduceva  per  le 
slampe  il  Trionfo  della  S.  Sede  e  della  Chiesa,  di  Mauro 
Cappellari,  già  pubblicalo  nel  1799). 

X.  (av.)  Dantes  Alligherius.  Busto  incoronalo  a  sinislra: 
esergo:  A.  Fabris  Utin.  sculps. 

(rov.)  Entro  una  nicchia  il  Mausoleo  di  S.  Croce  di 
Firenze  :  esergo  :  Florentiae  -  a.  mdcccxxxi.  di  mil.  54. 

XI.  (AV.)  Dante  Allighieri.  -  Busto  a  sin  :  e*.  F.  Putinati. 
(ROV.)  Quale  nelVArsenà  de'  \eneziani.  Inf.  xxi.  7.-  La 

prospelliva  dell'Arsenale  di  Venezia,  e  avanli  ad  essa,  da 
un  lato  grossa  nave  a  cui  vien  data  la  pece,  e  appunto 
neir  allo  descritto  dal  poeta.  -  Esergo  :  I.  Stiore  ven.  f.  a. 
MDCccxLvu.  -  (di  mil.  48.  Fu  incisa  in  occasione  del  vii. 
Congresso  ilaliano  in  Venezia. 

XII.  (AV.)  Dantes  Alligherius.  -  Busto  a  sin.  con  fiori. 
Esergo  :  N.  Gerbera  f. 

(ROV.)  Quod- divini -poematis  -  potentia  -  saeculum  no- 
vum  condidit-BniTO  a  laurea -Serie  di  Roma. 


DANTE  E  LE  BELLE  ARTI.  411 

V1II.(AV.)  Dante  Allighieri  -  Busto   a  sinistra.  Esergo: 
Gayard  f. 

(Rov.)  JSatus  -  Florentiae  -  in  Italia  -  an.  m.  ce  .  lxv.  - 
obiit  -  MGCC  -  XXI  -  Scries  numismatica  universalis  virorum 
illustriiim.  M.  Dccc.  xix.  -  Diirand  edidit.  Serie  di  Monaco. 


COMPONIINTI  POETICI  tì  ONORE  DEll'AllIfiniERI.  (1) 


Agnillo  G.  B.  -  Storia  e  profezia,  ovvero  Dante  e  l' Italia 
nel  1862,  Cantica.  Revista  Conleìnporanea,  1862.  Fase.  Maggio. 

Alfieri  Vittorio,  Sulla  tomba  di  Dante,  Sonetto. 

Allighieri  Jacopo,  Questo  Capitolo  fece  Jacopo  figlio  di 
Dante  Allighieri  di  Firenze  il  quale  parla  sopra  tutta  la 
Comedia  (p.  211,  V,  Gino  da  Pistoia,  Ediz.  diam.  Barbèra). 

Bernardi  Paolo,  Dante,  Ganti  due,  Viaggio  di  Dante,  - 
Apologia  di  Dante  (senza  data,  ma  pubblicati  circa  il  1810). 
Treviso,  Trento. 

Boccaccio  Giovanni,  Dante,  Sonetto,  p.  384  ;  Prosopopea 
di  Dante,  Sonetto  (p.  389)  -  Argomento  in  terza  rima  alla 
divina  Comedia  di  Dante  Allighieri  (  p.  390  )  -  Sopra  la 
lettura  della  divina  Comedia  eh' ei  fece  nel  1373,  Sonetto 
(p.  517).  Rime  di  Gino  da  Pistoia  e  d'altri  del  suo  secolo, 
Firenze,  Tip.  Barbera;  Ediz.  diamante. 

Bon  Brenzoni  Gatterina,  Dante  e  Beatrice,  Canto,  20 
Agosto  1853,  Pisa  Pieracini,  1853,  -  Ediz.  Barbera  -  Bianchi, 
1857,  p.  165. 

Brofferio  A.  Un  sogno  della  vita  ed  il  lamento  di  Dante, 
Poesie,  Milano,  1825. 


(1)  Al  S.r  Guido  Corsini  venne  In  pensiero  di  raccogliere  In  un  volume 
quel  che  di  bello  dettarono  in  versi  i  più  illustri  ingegni  suU' Allighieri, 
dal  trecento  sino  a' giorni  nostri,  sciegliendo  1  fiori  e  gittando  le  spine. 
Sarà  questa  Strenna  Dantesca  un  nuovo  tributo  di  onoranza  reso  al  som- 
mo Poeta,  il  quale,  dice  il  Corsini,  nella  festa  a  lui  consacrata,  parrà 
eorae  risorto  ad  inaugurare  il  nuovo  evo  d' Italia. 


412  C0MPOM3IENTI  IN  ONORE  DELL'aLLIGHJERI. 

Brizio  Fortunato,  Dante  richiamalo  dall'  esiglio,  Poeniel- 
to,  Firenze,  Fumagalli,  1845. 

Buonarroti  Michelangelo,  Sonetti  due.  -  Nel  primo  sì 
duole  delle  sventure  di  quel  Grande;  ma  per  l'aspro  suo 
esiglio  con  le  sue  virtù,  darebbe  il  più  felice  stato  del 
mondo;  nell'altro:  Dante  fu  il  maggior  uomo  che  il  mondo 
avesse  mai,  siccome  l' esiglio  suo  fu  il  più  ingiusto.  — 
Firenze,  ediz.  diam.  Barbèra-Bianchi,  1858,  p.  287. 

Bosone  da  Gubbio,  Sopra  1'  esposizione  e  divisione  della 
Comedia  di  Dante  Allighieri  di  Firenze;  in  casa  del  quale 
messer  Bosone  esso  Dante  della  meravigliosa  sua  opera  ne 
fé  e  compì  la  buona  parte.  Il  quale  canto  in  tre  parti  si 
divide  ;  prima  dividendo  la  prima  parte  della  Comedia, 
poscia  la  seconda,  all'  ultimo  la  terza,  come  chiaro  sì  ma- 
nifesta leggendo,  (p.  202,  Rime  di  Gino  da  Pistoia,  ecc.). 

Byron  Giorgio,  La  profezia  di  Dante  -  Fu  recata  in 
Italiano,  Italia  1819;  Lugano,  Yanelli,  1827,  senza  nome  dì 
traduttore;  da  Giovanni  Giovio,  Milano,  Bernardoni  1856; 
accomodata  all'  indole  del  verso  italiano  da'  Melchiore  Missì- 
rini,  per  cura  di  Fr.  Longhena,  Milano,  Guglielmini,  1858. 

Gagnoli  Agostino,  Dante  alla  pietra  di  Bismantova,  Stanze. 

Cantoni  Yicenzo,  Carme  suU'  alto  senso  della  I.  Cantica 
della  div.  Com.,  Imola,  1849. 

Capua  Giovanni,  La  divina  Comedia  disegnata  dal  Buo- 
narroti; il  Buonarroti  che  s' ispira  alla  div.  Comedia,  Sonetti, 
Strenna,  il  3hituo  Soccorso,  di  Roveredo,  1863. 

Carcano  Giulio,  Amore,  Esiglio,  Morte.  -  Cantica,  in  3 
Canti  -  (1835)  Firenze,  Le  Monnier,  1861. 

Carducci  Giosuè,  Canzone,  San  Miniato,  1857. 

Celesia  Emanuele,  Dante  Allighieri,  Canti,  Milano,  Gu- 
glielmini, 1843. 

Centofanti  Silvestro,  Stanze,  (1838). 

Cino  (  de'  Sinibaldì  ),  da  Pistoia,  Risposta  dì  M.  Cino  a 
Dante  Allighieri,  Sonetto,  (al  Sonetto  :  A  ciascun  alma  presa. 
p.  47)  -  A  Dante  Allighieri,  in  morte  di  Beatrice,  Canzone, 
(p.  9)  -  Risposta  dì  M.  Cino  a  Dante,  (al  Sonetto:  Poich'io 
non  trovo  chi  meco  ragioni,  (p.  103)  -  A  Dante  Allighieri, 
Sonetto  (p.  106)  -  Risposta  di  M.  Cino  a  Dante  (al  Sonetto  : 
Io  mi  credea  del  tutto  esser  partito,  (p.  108)  -  A  Dante 


COMPONIMENTI  IN  ONORE  DELL'aLLIGHIERI.  413 

Allighieri,  Sonetti  due.  (p.  116. 117)  -  Per  la  morte  dì  Dante 
Allighieri,  Canzone,  (p.  136).  Rime  di  M.  Gino  da  Pistoia, 
Firenze,  Barbèra,  ediz.  diamante. 

Dalmistro  Angelo,  A  Diodoro  Siculo,  Sermone  sopra 
l'indegna  censura  da  lui  fatta  alla  divina  Comedia  nelle 
sue  lettere  pseudo-vigiliane,  Padova,  Crescini  1828. 

De  Pazzi  Alfonso,  Sulla  grandezza  indicibile  del  Poeta 
(Dante),  e  la  poca  sufiìcicnza  del  Gello  e  del  Yellutello  nel 
comentarlo,  MS.  Palatini,  editi  da  F,  Palermo,  V.  II.  p.  143. 

Desehamps  Antoni,  Dante  à  l'entrée  du  paradis  terrestre, 
voit  descendre  Béatrix,  et  est  abbandonò  par  Virgile,  Bru- 
xelles, 1837. 

Fumaf/alli  doti.  Brizio,  Dante  richiamato  dall'  esiglìo. 
Poemetto,  Firenze,  Fumagalli,  1846. 

Gherardo  Quinto,  Veneto  del  sec. XYI,  In  laude  di  Dante,, 
Venezia,  Longo,  1862  (pub.  da  Em.  Cicogna). 

Giusti  Giuseppe,  Canzone  nell'occasione  che  fu  scoperto 
a  Firenze  il  vero  ritratto  di  Dante,  fatto  da  Giotto;  Ediz. 
Le  Monnier,  1832,  p.  132. 

Kannefjiesser  Ludwig,  Zu  Dante'  s  Leben  und  Gotllicher 
Koffiòdie,  Breslau,  Freund,  1842. 

Leopardi  Jacopo,  Sopra  il  monumento  che  si  preparava 
a  Firenze,  Canzone;  Ediz.  Le  Monnier,  1845,  Voi.  I.  p.  9. 

Majfei  A.  Imitazione  dal  tedesco  Arte,  affetti,  fantasie, 
\).  57. 

Malipiero  Trailo,  Il  Co.  Ugolino  in  fondo  della  torre, 
Sciolti,  Tip.  Pinelli,  1813. 

Mamiani  Terenzio,  Sul  monumento  di  Dante,  Sonetto, 
voltato  in  altrettanti  versi  inglesi  n^W'àBritsh  andForeign 
Review,  Apr.  1836,  Fir.  Le  Monnier,  1857,  p.  338. 

Marchetti  Giovanni,  Una  Notte  di  Dante,  quattro  canti. 

Mezzanotte  A.,  Dante  nel  Monistero  di  S.  Corvo. 

Milli  Giannina,  Alfieri  sulla  tomba  di  Dante,  Stanze,  im- 
prov.  a  INapoli  il  dì  30  Marzo  1851.  (Milli,  Opere,  I.  153)  - 
Dante  che  da  lontano  guarda  Firenze,  Stanze,  improv.  a 
Portici  il  19  Ott.  1851.  (1. 163)  -  Dante  che  muore  in  esilio. 
Ode,  improv.  a  Brindisi  il  27  Gen.  1855.  (I.  315)  -  La  Bea- 
trice di  Dante,  Stanze,  improv.  a  Roma  il  5  Maggio  1857. 
(I.  396)  -  La  Casa  di  Dante,  Stanze,  improv.  a  Firenze  il  26 


414  COMPONIMENTI  IN  ONORE  DELL' ALLIGHIERI. 

Selt.  181)7.  (1.466)  L'ombra  di  Dante  in  cima  alle  Alpi 
improv.  in  Teramo  il  17  Ottobre  1863. 

Mucchio,  da  Lucca,  In  morte  di  Dante  Allighieri,  Sonetto, 
(V.  Gino,  Poesie,  ediz.  diam.  Barbèra,  p.  200). 

jy.  N.  Stanze  su  Dante  Allighieri,  pubblicate  in  occasione 
del  monumento  innalzato  a  S.  Croce  (  Senza  indicazione 
di  luogo  e  di  anno:  sono  100  Stanze). 

Nicolini  Giambattista,  Pel  ritrovamento  della  vera  ima- 
gine  di  Dante,  effigiata  da  Giotto  nella  Cappella  del  Podestà, 
Canzone. 

Paradisi  Agostino,  Epistola  al  can.  Gioseffo  Ritorni  sopra 
Dante,  Bologna,  S.  Tomaso  d'Aquino,  1762. 

Pellico  Silvio,  La  morte  di  Dante,  Torino,  Chirio,  1857. 

Ramhaldi  Domenico,  Canzone  a  Dante,  Firenze,  1856. 

Rossetti  Gabriele,  L'ombra  di  Dante,  Firenze,  ed.  diam. 
Barbèra,  1862. 

Rossi  Scotti  Giambattista,  Una  visita  al  monastero  di 
Avellana. 

Rovatti  Giuseppe,  Epistola  sul  poema  di  Dante,  Modena, 
soc.  tipogr.  1772. 

Saviozzo  da  Siena,  Opus  Simonis  de  Senis  super  Ires 
Comoedias  Dantes  -  Terzine  (Y.  Gino  ediz.  diam.  Barbèra, 
p.  573). 

Schlegel  Wilhelm,  Dante  ein  Sonett,  Leipzig,  Weidmann, 
1846. 

Simone  Maestro  di  Siena,  La  morte  di  Dante,  Capitolo 
pubblicato  per  cura  di  Enrico  Narducci  (  Giornale  Arcadico, 
Luglio-Agosto,  1858). 

Tedaldi  Pietraccio,  In  morte  di  Dante  Allighieri,  Sonetto, 
(Y.  Gino  Poesie,  ediz.  Barbèra,  p.  199  >. 

Taddei  Rosa,  Confronto  fra  Beatrice  e  Laura  (p.  9);  Il 
lamento  di  Ugolino  vedendo  spirare  l'ultimo  suo  figlio  (p.  14) 
Trieste,  Maldini. 

Villardi  Francesco,  L' Esigilo  di  Dante  Allighieri,  Yisione, 
Milano,  Classici,  1820.  -  Dell'amor  patrio  di  Dante,  Epistola, 
Treviso,  1826.  (Estratto  dal  Gior.  Scienze  e  lettere  )  -  Sopra 
il  poema  di  Dante,  Epistola,  Treviso,  Andreola,  1828  ;  Mo- 
dena, Yicenzi,  1828.  -  Dell'accuse  date  a  Dante,  e  dei  pregi 
generali  di  lui,  Sermone,  Milano,  Pagliani,  1822.  (Sermoni 


COMPONIMENTI  IN  ONORE  DELL'aLLIGHIEBI.  415 

(li  Fr.  Villardi,  p.  21-3*2)  -  Il  terzo  Novissimo,  ossia  l'Inferno 
in  terza  rime  d'un  italiano,  (in  venti  canti)  Italia,  Giu- 
gno, 18-26. 

Vollo  Benedetto,  Sul  passo  di  Francesca,  e  di  Paolo,  e 
di  Ugolino  della  div.  Gom.  Sonetti. 

Zambusi  Confortini  Lucia,  Dante. 


COMPOMJIESTI  DRAMMATICI. 


Biondi  Luigi,  Dante  in  Ravenna,  Dramma,  Torino,  Ghi- 
no, 1837. 

Campello  Co.  Pompeo,  Dante  Allighieri,  Dramma,  in  S 
Atti  in  versi,  Torino,  Biancardi,  1858. 

Caravaggio  Evandro,  La  morte  di  Dante,  Dramma,  Pavia 
Fusi,  1859.' 

Ferrari  Paolo,  Dante  a  Verona,  Gommedia  in  5  Atti 
(Voi.  IV.)  Milano,  Sanvilo. 

Fontebasso  Giovanni,  La  morte  di  Dante,  frammento 
drammatico,  Milano,  Borroni-Scotti.  1853. 

Molbech,  Dante,  Dramma,  Gopenhague,  1852. 

Torelli  Serafino,  Dante  e  Bice,  Melodramma  storico, 
fantastico,  Milano,  Tip.  Lucca. 

Zappali  A.  Dante  Allighieri,  Dramma  diviso  in  due  parti 
e  sette  epoche.  Bastia,  1846. 

A.  Reumont  dettava  pagine  passionate  su  Beatrice  (Bea- 
trice, Aus  Dante  s  Jugendleben,  Berlin,  Dunker,  1838);  il 
Kòhler  una  novella  isterica  romantica:  Dante,  llistoriscli' 
romantische  ISovcUe,  Dresden,  und  Leipzig,  Arnold,  1850); 
e  la  SigJf»  liìgcnia  Zauli  Sejani  una  affettuosa  leggenda, 
intitolata,  Beatrice,  Torino,  1853. 

A  spese  della  Gesarea  Accademia  delle  Scienze,  Vienna, 
1851,  veniva  stampalo  il  Dante  Ebreo,  ossia,  il  plcciol  San- 
tuario, Poema  didattico,  in  terza  rima,  contenente  la  filosofia 
antica  e  tutta  la  storia  letteraria  giudaica  fino  all'età  sua. 


416  COMPONIMENTI  IN  ONORE  DELL*  ALLIGHIERl. 

dal  Rabbi  Mese,  medico  di  Rieti,  che  fiori  in  sul  principio 
del  Secolo  XV,  per  la  prima  volta,  secondo  un  manoscritto 
rarissimo  dell'Augustissima  Biblioteca  Palatina  in  Vienna, 
confrontato  con  un  altro  privato  non  men  raro,  pubblicato 
da  J.  Goldenthal.  -  Hoc  opus  scrive  il  Petzholdl,  niillam 
divinae  Comediae  versionem  continet,  sed  polius  scrìpttonis 
Danteae  reproductionem  haehraico  sensu  factum  repraesenlat.- 
Rieti  und  Marini  oder  Dante  und  Ovid  in  hebraischer  Um- 
kleidung.  Von  Goldenthal.  (Aus  dem  Juni-Hefte  des  Jahr- 
ganges  1851  der  Sitzungsberichte  der  philos.  hist.  Classe 
der  kais.  Akademie  der  Wissenschaften  besonders  abge- 
druckt)  Wien,  1851.8. 

A.  Torri,  nel  1861,  pubblicava  le  Epigrafi  onorarie  ita- 
liane di  Autori  diversi  per  Dante  Allighieri  da  lui  raccolte 
ed  annotate,  (Pisa,  Citi. -Nelle  nobili  nozze  Serego  Allighieri 
e  Noris  di  Verona.)  Ove  non  fosse  si  tosto  mancato  di  vita, 
ci  avrebbe  pur  dato  le  epigrafi  latine  che  in  egual  modo 
avea  raggranellato,  forse,  egli  aggiunge,  meglio  interessanti 
per  la  storia  biografica  del  sovrano  poeta,  cominciando  esse 
fino  dalla  morte  di  lui.  -  Alle  iscrizioni  italiane  riportate 
dal  Torri  si  devono  aggiungere  le  due  seguenti  dell'Ab. 
Giambalista  Rambaldi,  la  prima  delle  quali  ei  vorrebbe 
collocata  a  S.  Calterina  (Treviso,  nel  luogo  ora  Deposito 
dei  Treni  militari).  -  Qui  fu  il  palazzo  -  Dei  Caminesi  - 
Ove  -  Dante  abitò  -  An.  MCCCY.  circa.  -  Il  Pollanzani 
asseriva  essere  incontestato  che  Dante  ebbe  casa  a  Trevigi, 
ed  appoggia  il  suo  argomento  anche  dalle  osservazioni  di 
Dante  sulla  lingua  al  suo  tempo  parlata  in  Trevigi  [De 
Viilgari  Eloquio,  e.  xiv),  ch'ei  avea  trovata  sconcia  e  rozza, 
perchè  proferiva  le  v.  consonante  per  f.  -  La  seconda  ei 
vorrebbe  murata  al  ponte  dell'  Impossibile  che  traversa  il 
Cagnano,  sboccante  nel  Sile:  -  Dante  esule  -  mirando  questi 
due  fiumi  scrisse  -  a  E  dove  Sile  e  Cagnan  s' accompagna  ì>  - 
An.  MCCC.  circa  -  Il  qual  silo  portava  seco  in  disegno 
l'erudito  inglese  H.  C.  Barlow,  e  il  Sig.»*  Giov.  Mazzocchi 
fece  incidere  dal  Nani.  [Iscrizioni  Patrie  desunte  dalle  tre- 
vigiane memorie  con  analoghe  illustrazioni  Treviso,  Longo, 
1862) -E  l'egregio  dantofilo  Francesco   Scipione   Fapanni 


COMPOMMEMl  IN  ONORE  DELL' ALLIGHIERI.  417 

nelle  sue  Iscrizioni  per  onorare  Trivigiani  illuslri  {\Gnez\ii, 
Perini,  18o8)  avea  prima  illustrato  questo  sito:- m.  ecc.  xn. - 
Spento  Ricciardo  da  Camino  -  Che  superbo  signoreifdiò  - 
Dove  Sìle  a  Cagnano  si  accompagna  -  Dante  -  Il  sito  fece 
immortale  -  E  da  lui  -  Questo  ponte  si  noma.  -  v.  pure 
Le  ViUeggiatnre  di  Michelangelo  Codemo,  p.  184.  -  E  il  Leoni 
pubblicava  queste  Iscr.  in  onore  del  divino  Poeta  (Messag. 
Tir.,  2  Gen.  03.,  N.^  1).  Dante  -  Cristiano  Prometeo  -  Tauma- 
turga  apoteosi  -  Italia  impersonò  -  Sublime  ira  fremendo  - 
Immenso  amore  versando  -  Poetò  storia  filosofia  patria  fede  - 
Punì  insolenti  corone  e  tiare  ~  Titanica  possa  oUrumana  - 
Splendore  e  superbia  di  Dio  -  Natura  eternità  infinito  ignoto  - 
Tutte  afferrando  sommitii  -  Padre  maestro  profeta  -  Unico 
sopra  ogni  fama.  -  E  questa  da  collocarsi  sulla  torre  di 
Gargonza  -  Dante  AUighieri  -  Potenza  e  gloria  dei  secoli  - 
Da  furibondi  settari  -  Svelto  dalla  patria  -  Qui  -  ISe'  più 
crudi  giorni  dello  esilio  -  Il  bollente  genio  -  Conflagrò  a 
quell'ira  -  Quanto  il  mondo  -  Eterna.  -  E  quest'altra:  - 
Dante  -  Re  dei  poeti  -  Il  casto  sonante  idioma  -  Creando 
rifuse  -  Z>'  Italia  grandezza  suprema  -  Ardì  prima  V  idea  - 
Che  ricostrusse  il  mondo  -  Divinamente  felice  -  Tempo  spazio 
fama  domasti  -  Infelicissimo  -  Vittima  di  loro  -  Al  tuo  grido 
immortale  -  Rigenerati. 

E  il  Prof.  Luteri  nell'Epigrafi  lagarine  (7/  Mutuo  Soc- 
corso, Strenna  pel  1864,  p.  99).  Opera  di  mano  Romana  - 
Sede  dei  Raroni  -  Che  primi  Rovereto  moderarono  -  Campo 
di  sangue -Di  antiche  e  novelle  ambizioni  -  Pochi  li  ricor- 
dano -  0  mio  Castel  di  Lizzana  -  Ma  ogni  italico  petto  - 
Si  riscuote  al  pensiero  -  Dante  -  Aver  da  tuoi  spaldi  can- 
tato -  La  RUINA  CHE  NEL  FIANCO  -  Di  QUA  DA  TRENTO  LADiGE 
PERCOSSE. 


VOL    II. 


SOGGETTI 
% 

INSPIRATI  DALLA  DIVINA  COMEDIA 


Silvio  Pellico,  Francesca  di  Rimi  ni  (/n/".  v.  73),  Tragedia. 

Capozzi  Fr.  La  pietosa  istoria  di  Fr.  da  Rimini,  Orvieto, 
Pompei,  1840. 

Fola  Cav.  Paolo,  Francesca  di  Rimini,  Dramma  per 
musica. 

Bongìni  Michele,  La  Pìccarda  Donati,  {Par.  iii.  37)  Firenze, 
1861,  Yol.  2. 

Pielracqua  Luigi,  Bocca  degli  Abati  [Inf.  xxxii,  106.), 
Tragedia. 

Semproni  Giov.  Leone,  di  Urbino,  Ugolino  [Inf.  xxxiii.) 
Tragedia,  Roma,  Salvioni,  1724. 

Rubi  P.  Andrea,  della  C.  di  Gesù,  Ugolino,  Tragedia, 
Bassano,  Remondini,  1779;  Venezia,  Rosa,  1807. 

Bellini  Bernardo,  Ugolino,  Tragedia,  Cremona,  Bianchi, 
1818. 

Zamiini  G.B.,  Ugolino,  Tragedia,  Belluno,  Tissi,  18:M. 

Gerstenburg,  Ugolino,  Tragedia. 

Succhi  A.,  Ugolino,  Tragedia,  Empoli,  1841,  in  8.*^ 

Rosini  Giovanni,  Il  Co.  Ugolino  della  Gherardesca  e  i 
Ghibellini  di  Pisa,  Romanzo.  Milano,  1843. 

Troilo  Malipieri,  Il  Co.  Ugolino,  Sciolti,  Pinelli,  1813. 

Sestini  Bartolommeo,  La  Pia,  {Purg.  v.  131),  Leggenda. 

Marenco  Carlo,  La  Pia,  Tragedia. 

Camarano  G-,  La  Pia,  Tragedia  lirica. 

Morrione  Leonardo,  Pia  de'  Tolomei,  Palermo,  1830. 

Camarano  G.,  Buondelmonle,  Tragedia  lirica. 

Marenco  Carlo,  Buondelmonte  e  gli  Amidei,  Tragedia, 
Torino,  Pomba,  1817. 

GazzoleUi  Ant.,  Piccarda  Donati,  Racconto;  Gazzoletti 
Poesie,  Trieste,  Weis,  1841;  Firenze,  Le  Monwicr,  p.  95-117. 

Sabattini  G.  Piccarda  Donati,  Dramma. 

Arabia  Tomaso,  Piccarda  Donati,  Tragedia,  Salerno,  1856. 


LtlfOl!!  Di:i.LA  DI\I.\A  COIIEDIA 


Quando  sii5iioro^ii:iavano  in  Firenze  i  Guellì  Neri,  quan- 
do, giiisia  Matteo  Villani,  vi  si  proclamava  parte  (juelfa 
esser  rocca  ferma  e  stabile  della  libertà  d'Italia,  contraria 
a  tutte  le  tirannie  per  modo  che  se  alcuno  divenisse  tiranno 
conveniva  che  per  forza  divenisse  ghibellino,  la  repubblica 
iiorenlina,  con  decreto  del  12  agosto  1373,  (con  cento  ottan- 
lasei  voli  favorevoli,  non  ostanti  diciannove  in  contrario) 
erigeva  una  cattedra  dalla  quale  la  divina  Comedia,  a 
documento  del  buon  vìvere,  fosse  pubblicamente  spiegata.  - 
«  Pro  parte  quamplurium  civium  civitatis  Florentiae,  desi- 
derantium  lam  prò  se  ipsis,...  quam  etiam  proeorum  posteris 
et  descendentibus,  instrui  in  libro  Dantis,  ex  ({uo  tam  in 
fuga  vitiorum  quam  in  acquisitone  virlutum,  (juam  In 
ornatu  eloquentiae,  possunt  etiam  non  gramatlci  informari; 
rcverenter  supplicant  vobis  domlnis  Prioribus...  ut  dignemlni 
opportune  providere  et  facere  solempniter  reformari,  quod 
vos  possitis  eligere  unum  valentem  et  sapientem  virum  in 
lìujusmodi  poesiae  scienlia  bene  doctum,  prò  eo  tempore  quo 
velitis  non  majore  unius  anni,  ad  legendum  lìbrum  qui  vul- 
garìter  appellatur  «/ Z^a-nfe,  in  civitale  Fior,  omnibus  audire 
volenlibus,  continuatis  diebus  non  feriatis,  et  per  continuas 
lectiones,  ut  in  similibus  lìeri  solet  »  -  (Prov.  lìlz.  6*2). 

Erano  ancor  vivi  gli  amici  e  gl'inimici  di  Dante,  scrive 
il  Perticari,  e  i  Bianchi  e  i  Neri,  e  i  figli  e  i  nipoti  dei 
lodati  e  dei  vituperati  sì  assidevano  a  quella  lettura,  e  forse 
avevano  al -fianco  le  armi  tinte  dì  sangue  non  ancora  pla- 
ccato. I  Savi,  che  di  quei  giorni  governavano  Firenze,  con 
pubblica  provvisione  del  Sii  Agosto,  condussero  Giovanni 
Boccaccio  per  un'  anno,  da  cominciare  a'  18  del  seguente 
ottobre  {Polizza  di  parlamento  del  31  dee.  1373  che  si  con- 
serva nelV  Archivio  di  Stato  di  Firenze,  Libro  dell'uscita  della 
Camera),  e  gli  fermarono  lo  stipendio  di  fiorini  cento,  affinchè 
rinnovasse  quei  rabuffi  di  Dante,   e  seguisse  la  coraggiosa 


420  LETTORI  DELLA  DIVINA  COMEDIA. 

opera  già  cominciala  da  quel  fortissimo,  di  ajularc  cioè  la 
repubblica  a  sanarsi  dei  mali  che  l'aveano  quasi  moria. 
Del  quale  slanziamenlo  ne  venne  a  un  tempo  una  gran 
difesa  al  nome  deirAllighieri,  e  un  argomento  meraviglioso 
della  fiorentina  sapienza,  che  anche  in  questo  si  fece  simile 
alla  sapienza  ateniese.  Uscì  dunque  il  boccaccio  dalla  sua 
solitudine,  in  che  viveva  travagliato  dall'  indigenza  e  da 
lunga  infermità,  e  si  accinse  alla  santa  ed  onorevole  impre- 
sa. A' 23  ottobre  del  1373,  nella  chiesa  di  S.Stefano,  oggi 
della  Vergine,  presso  il  Ponte  Vecchio,  cominciò  egli  la  sua 
prima  lettura.  Confortavasi  che  potesse  spendere  gli  ultimi 
suoi  anni  nel  propagare  la  religione  del  sommo  degl'Italiani. 
E  non  ostante  lo  scoramento  continuo  ond'  era  abbattuto, 
e  la  vacillante  salute  che  gli  rendeva  incresciosa  la  vita, 
ebbe  forza  di  scrivere  le  sue  lezioni,  ma  non  vi  durò  che 
soli  due  anni,  cioè  fino  al  1375,  in  che  morte  lo  colse,  e 
non  potè  giungere  col  suo  comenlo  che  fino  al  xvii  canto 
dell'  Inferno. 

Antonio  Pievano,  di  Vado,  succedeva  nel  1381  al  Boccaccio, 
come  ci  è  chiaro  da  un  sonetto  di  Franco  Sacchetti  a  luì 
indirizzato.  Indi  soltentrò  Filippo  Villani  che  il  Mehus, 
vuole  incominciasse  l'interpretazione  di  Dante  nel  1391, 
coir  emolumento  di  150  fiorini.  Il  Salvini  e  lo  Strozzi  vo- 
gliono invece  che  ciò  avvenisse  solo  a'  18  ottobre  del  liOl, 
e  che  per  una  provvisione  del  1404  fosse  quel  valentuomo 
riconfermalo  per  cinque  anni  nella  cattedra  dantesca.  Lo 
Strozzi  poi  ritiene  che  pel  primo  anno  gli  fossero  assegnati 
80  fiorini  d'oro,  e  50  per  gli  anni  appresso.  Il  chiarissimo 
P.  Ponta  nel  1847  rinveniva  nel  codice  LVII,  253  della 
biblioteca  Ghigiana  a  Roma  il  comento  latino  del  Villani, 
in  cui,  chiosando  il  proemiale  canto  dell'Inferno,  più  volte 
ricorda  l' Epistola  (fi  Dante  a  Can  Grande,  come  un'  intro- 
duzione che  il  poeta  avesse  voluto  premettere  alle  sue 
cantiche,  e  specialmente  a  quella  del  Paradiso.  Lo  che 
valse  al  Giuliani  per  vieppiù  stabilire  e  propugnare  l'au- 
tenticità di  queir  importantissimo  documento. 

Successore  al  Villani  fu  il  ravennate  Cxiovanni Malpaqhìnis 
che  professava  prima  lettere  belle  nello  Studio  fiorentino. 
Con  altre  provvisioni  del  1412  e  del  10  giugno  1419  fu 


LETTORI  DELLA  DIVIZIA  COIIEDIA.  421 

raffermalo  a  leggere  pubblicamente  la  divina  Commedia 
ne' giorni  festivi.  -  Da  vari  libri  dell' archivio  delle  Rifor- 
magioni  è  manifesto  che  nel  1417,  1421,  1423,  1424  un 
Giovanni  Gherardo  da  Prato  interpretasse  la  trilogia  dan- 
tesca, e  nel  1423  le  Canzoni  morali  dello  stesso  poeta.  - 
Un' annotazioae  posta  sul  codice  Ì03G  della  Riccardiana 
proverebbe  cha  un  P.  Anlonio  dei  Minori  sponesse  nel  1130 
la  poetica  enciclopedia  del  fiorenliuo  in  S.  Maria  del  Fiore, 
e  che  anzi,  secondo  il  prezioso  documento  rinvenuto  dal 
dott.  Gaye,  vi  avesse  fatto  dipingere  ed  appendere  in  Santa 
Maria  del  Fiore  il  ritratto  del  poeta,  già  perito  «  per  ricor- 
dare a'  cittadini  che  facciano  amicare  le  ossa  di  Dante  a 
Firenze,  e  fargli  onore,  com'è'  meriterebbe  in  degno  luogo.  » 
Al  quale  oggetto  fra  gli  altri  versi  avea  fatto  scrivere  sotto 
questa  tavola: 

Onorate  l'altissimo  poeta, 

Che  nostro  è,  e  tiellosi  Ravenna, 

Perchè  di  lui  non  è  chi  n'abbia  pietà. 
Certo  è  però  che  ivi  la  sponesse  Francesco  Fllclfo,  da  To- 
lentino, nel  1431  e  1432  che  dì  Bologna  erasl  tramutato 
air  università  di  Firenze,  accoltovi  con  sommo  plauso,  avendo 
ogni  di  da  sopra  quattrocento  discepoli  ad  ascoltarlo.  Di  che 
la  repubblica  riconoscente  dichiaravalo  concittadino  del  gran 
poeta.  -  Anche  i  Domenicani,  scrive  l'egregio  P.  Marchese, 
si  diedero  a  promovere  le  dottrine  dantesche,  dischiudendo 
al  popolo  quel  tesoro  d'ogni  sapienza  e  di  ogni  eleganza 
collo  sporre  e  dichiarare  in  S.  Maria  del  Fiore  la  divina  Co- 
raedia,  tra'  quali  specialmente  va  ricordato  il  P.  Domenico 
di  Giovanni  da  Corella  che  successe  al  Filelfo  nell'onore- 
volissimo ufficio.  -  Seguono  poi  Lorenzo  di  Giovanni  da 
Pisa,  canonico  di  S.  Lorenzo,  nel  1431  e  nel  1435;  Antonio 
da  Castello  di  S.  Niccolò,  casentinese,  pubblico  interprete 
nella  chiesa  del  B.Fiorenzo  nel  1332;  Antonio  da  Arezzo 
nel  1432-33;  Cristoforo  Landino  nel  1457,  che  poi  dava 
alla  luce  il  suo  comento  nel  1481.  E  ci  narra  Marsilio 
Ficino,  come  Firenze,  non  appena  pubblicavasi  questo  dotto 
lavoro  del  Landino,  ne  ebbe  tanta  cagione  di  gioja,  quanta 
ne  avrebbe  potuto  avere  se  Dante  medesim;)  tornando  in 
umane  spoglie  fosso  stalo  restii uito  alla  patria  e  coronato 
d'alloro. 


422  I.ETTOm  DELLA  DIVINA  COMEDIA. 

Iiislituilasi  rArcademia  fiorentina  per  Cosimo  I,  si  tennero 
lezioni  dagli  arrademici  sulle  immortali  cantiche  nello  Studio 
fiorentino,  talvolta  in  un  salone  del  i^alazzo  Vecchio,  ed 
anche  in  palazzo  Medici,  in  Via  Larp^a.  Jienedetlo  Varchi  vi 
lesse  più  volte  nel  suo  consolato  (loio)  ;  G.B.  (ìeìU  in  quelli 
del  Guidi,  del  Rorghini,  del  Laudi  (1543  e  seg.  );  oltre  al 
(iìamhuUari  ed  a  parecchi  altri.  Venuto  poi  per  la  seconda 
volta  al  consolato  lìaccio  Valori  (1587),  uno  de'j)iìi  teneri  della 
memoria  di  Dante,  si  adoperò  gagliardamente  per  tornarvi 
in  amore  lo  studio  delFAllighieri,  ei  lettori  di  quell'anno, 
come  sul)letto  principale,  presero  ad  isvolgere  ed  illustrare 
il  divino  poema  (1).  11  primo  a  leggervi  fu  Jacoipo  Mazzoni, 
illustre  filosofo  e  letterato  romagnuolo,  lamico  e  il  maestro 
più  caro  che  avesse  il  Galileo,  e  già  notissimo  pel  suo  di- 
scorso che  nel  1573  avea  pubblicato  in  difesa  del  sovrano 
j)oeta.  Rincuorato  dal  niaeslro  suo,  giovine  a  venliquattro 
anni,  il  (hdìleo,  la  più  gran  mente  che  abbia  onorato 
l'Italia  nella  scienza,  il  creatore  della  vera  fisica  e  della 
meccanica,  discese  nell'onorevole  palestra,  difensore  del 
Manetti  e  delFAccademia,  tuttavia  invendicata  dall' ing:iurie 
lanciatele  dal  Vellutello.  Dinanzi  dunque  il  fiore  della  sa- 
j)Ienza  fiorentina  raccolto  in  essa  accademia,  dovea  entrare 

(1)  Baccio  Valori,  Consolo  dell' Accademia,  a' 10  Gcnn.  11587,  dirigeva 
al  Granduca  di  Toscana  la  seg.  lellora  : 

Al  Gh.  Sig-.  Card.  Granduca  di  Toscana,  suo  signor  unico. 

L'Accademia  fiorentina,  parsogli  che  l'etìigie  di  Dante  meriti  luogo  più 
celebre  che  dove  è  dentro  in  dozzina  con  altri  ritratti,  risolve  quattro  dì  fa. 
e  vinse  partito  doverseli,  del  pubblico  o  privato,  lesta  di  marmo  sopra 
la  porta,  con  animo  quanto  a  me  che  lo  proposi,  di  chiedere  a  V.  A.  S. 
che  il  salario  di  uno  unno  già  stanziato  qui  a  due  lettori  soitra  Dante, 
e  Petrarca,  hogiji  vacante,  si  convertisse  in  questo,  che  importa  scudi 
48.  E  quando  ella  resti  più  sei'Vita  che  tal  assegnamento  si  mantenga  ;i 
lettura  sola,  senio  pronto  di  lasciar  del  mio  tal  memoria  per  non  gravare 
gli  Accademici,  i  quali  riceveranno  per  graziato  ogni  suo  rescritto  e 
beneplacito,  pregandole  da  Dio  ogni  felicità,  come  figliuolo. 

Baccio  Valori,  Consolo. 

E  a'  '2o  Gennaio  n'ebbe  questo  rescritto: 

S.  A.  l'approva  e  lo  desidera  et  così  si  faccia  ;  et  il  salario  d'  uno  anno 
di  quella  lettura,  cioè  scudi  48  già  stanziali,  si  voltino  a  detto  etletto  ;. 
et  volendo  S.  A.  che  la  lettura  sopra  Dante  et  il  Petrarca  si  seguitino, 
mandinsi  in  nota  i  subietti  per  eleggersi  da  S.  A.  i  Lettori. 

Belisario  Vinta. 


LETTORI  DELLA  DIVINA  COMEDIA.  42l> 

egli  in  giudice  di  questione  sì  ardua.  Volendo  pertanto  far 
sua  la  materia,  riprese  la  questione  da  alto,  e  con  le  no- 
zioni scientiliche  che  potevano  essere  nella  mente  di  Dante, 
rifacendo  le  induzioni  e  i  calcoli  sui  quali  si  era  fondato 
il  Manelti,  non  dissimulò  le  prove  in  contrario  addotte  dal 
Velluteiro,  e  dopo  averle  convinte  di  falsità,  dimostrò  come 
l'opinione  del  Manetti  fosse  in  tutto  conforme  all'idea  con- 
cepita da  Dante.  Queste  due  lezioni  fruttarono  al  giovine 
geometra  la  cattedra  di  Pisa  che  gli  fu  data  Tanno  ap- 
presso. -  Anche  Benedetto  Buonmattei  nel  1G32  (17  e  24  gen., 
3  e  1 1  Marzo)  rese  illustre  la  cattedra  dantesca  fiorentina,  che 
si  tacque  nel  1780  colla  morte  di  Bartolommeo  (ìel  TeqUa, 
Se  non  che  gì'  ingegni,  al  dire  dell'egregio  abate  Finazzi, 
erano  da  per  tutto  fortemente  percossi  alla  nuova  .uce  e 
al  nuovo  sole  che  facea  sorgere  quel  sommo,  che  nel  sacro 
poema  avea  tolto  a  cantare  cilorni  non  nati  Dante  traeva 
a  se  gli  animi  di  tutti  i  suoi  contemporanei,  che  riguarda- 
vano in  lui  non  solo  il  poeta,  ma  pure  il  filosofo  ed  il  leo- 
logo  del  suo  secolo,  e  riputavano  doversi  volgere  gli  studi 
alla  sua  Commedia,  come  alla  somma  letteraria,  filosofica 
e  teologica  di  tutto  il  medio  evo.  Onde  non  solo  nella  sua 
patria,  ma  nelle  città  più  cospicue  d'Italia  sorgevano  a 
questo  apposite  cattedre,  e  solenni  maestri  si  deputavano 
a  schiudere  i  germi  della  profonda  dottrina,  che  ben  cre- 
devano ascondersi  sotto  il  velame  del  divino  poema.  Fran- 
cesco (lì  Bartolo  da  Butì  (1375  a  1394)  chiosavalo  a  Pisa  , 
nel  qual  magistero  ebbe  a  degno  successore  il  Buonmattei 
(1634,  1637  j.  -  Il  Bambaldi  (1375)  sponeva  Dante  a  Bo- 
logna e  intitolava  il  suo  Comento  al  Marchese  Nicolò  II 
d'  Este;  Filippo  da  Bcfiaio  (  1399)  interprelavalo  a  Piacenza, 
e  [iiii  Vài'iVi  (jìabriello  Squario  (Squarcione)  veronese,  a  Ve- 
nezia; e  Marianno  da  Tortona  a  Milano  (1). 


(1)  Anello  in  Ferrara  nel  ilo»  Ie;,^gevasi  puldjlicamente  la  Divina 
Coinedia,  come  ei  ha  AaW  Esortazione  allo  studio  del  saero  poema,  di 
autor  anonimo^  indirizzata  a[Iiorso  d'Esle  /,  Duca  di  Ferrara,  (Fcrrariae. 
Xlll.  Kal.Majas  MCCCCLVIIIi,  e  in  cui  efficacemente  il  conforta  a  studiare 
e  meditare  l'opera  del  poeta  fiorentino,  come  quella  ^n  che  troverà  mao- 
stralraente  trattata  ogni  disciplina  e  nobile  scienzji,  secondo  ch'eiili  prova 
per  esempi  continui.  «  Sono  indulto,  cosi  egli,  e  commosso  a  persuadere 


424  LETTORI  DELLA  DIVINA  COMEDIA. 

Né  a  questo  movimento  degli  studiosi  erano  straniere 
le  corti  dei  principi  e  le  aule  dei  polenti,  e  in  quella,  Ira 
le  altre,  de'  Visconti,  più  che  mai  veneralo  suonava  il  nome 
del  lìorentino  poeta.  Ivi  fin  dal  ISSO,  Giovanni,  arcivescovo 
e  signor  di  Milano,  chiamato  dal  Foscolo  anUjhiheUino,  car- 
dinale di  un  antipapa  (Sez.  GLXXIX),  raccoglieva  a  sé  il 
fiore  dei  dotti  italiani,  due  teologi,  due  filosofi  e  due  letterali, 
e  forse  tra  questi  il  Petrarca,  onde  degnamente  interpre- 
tassero la  divina  Commedia.  Se  vero  è  che  il  loro  libro  sia 
tuttavia  da  vedersi  nella  libreria  Laurenziana  (I),  soggiunge 
il  Foscolo,  forse  che  n'uscirebbero  dichiarazioni  più  libere 
d'allusioni,  toccate  timidamente  o  trasandate  dagl'interpreti 
destituiti  di  protettori.  Ma  forse  anche  paleserebbesi  il  pes- 
simo del  comenli;  quanto  è  fatale  a' letterati,  qualvolta 
seggano  in  concistoro,  d' essere,  chi  più  chi  meno,  codardi 

alla  tua  celsitudine,  provocando  ella  allo  stiulio  e  meditazione  del  sacra- 
tissinio  poeni'i  di  Dante  Aliigliieri  fiorentino  poetn,  la  cui  gloriosa  fama 
rendendomi  certo  esserti  nota,  ma  curi  esplicarla  massimamente  perchè 
ne'  superiori  giorni  avendo  noi  pubblicamente  letto  in  questa  tua  alma  città 
(li  Ferrara,  avendomi  la  tua  signoria  concesso  il  cemento  di  Benvenuto 
da  Imola  sopra  la  prima  parte  dell'Inferno,  mediante  il  favore  del  pre- 
clarissimo  maestro  Girolamo  da  Castello,  tuo  familiare  fisico,  il  perché  a 
tutto  il  popolo  si  è  divulgato  il  divino  ingegno  e  suttilissima  invenzione. 
Quest'opera  adunque,  eccelso  principe,  potrà  faciimenle  adempiere  o 
quietare  ogni  tuo  desiderio  e  volontà  di  sapere,  perche  ella  è  tanto  e  si 
universale,  che  qualunque  scienza  è  venuta  a  cognizione  delle  umane 
menti  in  essa  si  comprende.,..  Per  la  qual  cosa  supplico  io  alla  tua  cel- 
situdine, illustrissimo  principe,  ti  voglia  degnare,  adducendo  io  alla  tua 
excellentia  si  gloriosa  opera  volere  presenzialmente  trovarsi  a  dare  audìta 
alle  mie  lezioni,  quantunque  io  sia  indegno  che  un  tanto  signore  mi  venga 
ascoltare...  »  (Dal  Codice  Riccardiano,  N.  2360.  -  Y.  Fanfani,  il  liorghini, 
1,  111,  a.  l8(J3j. 

(1)  La  soprascritta  exposicion^  chiosa  o  varo  postille  furono  facte 
et  composte  per  dui  excel  lentissimi  maestri  in  teologia  et  per  dui 
valentissimi  filosofi  et  per  dui  fiorentini  et  fuoro  facte  fare  per  lo 
excellentissimo  in  christo  patre  misser  Johanni  per  la  dio  gratia  ar- 
civescovo di  milaìio  nelli  anni  mccgl,  nella  città  di  Milano,  li  nomi  de 
liquali  expositori  sono  dipinti  e  storiati  nella  cancelleria  del  magnifico 
signore  masser  barnabò  lequali  exposicioni  furono  extracte  et  cavate 
dallo  libro  del  dicto  misser  larcivescovo  lo  qual  libro  è  nella  dieta 
cancellarla  incatenato  in  catene  d'argento.  (Codice  Plut.  xc.  sup.  n.  cxv 
della  Laurenziana}.  11  Balines  ci  prova  come  il  Cemento  fatto  compilare 
dall'arcivescovo  Visconti  non  é  punto  diverso  dal  Cemento  di  Jacopo 
della  Lana. 


LETTORI  DELLA  DIVINA  COMEDIA.  425 

tulli;  non  per  natura,  ma  perchè  ove  anche  ciascuno  fosse 
disposto  a  professare  le  proprie  dottrine  da  martire,  chi 
mai  vorrebbe  star  a  pericoli  per  le  altrui  ?  (Sez.  CLXXIX).  - 
E  memore  per  avventura  di  questo  nobile  esempio,  più 
tardi,  Filippo  Maria,  quantunque  nella  fortunosa  sua  vita 
poco  agio  avesse  di  poter  coltivare  e  promuovere  le  lettere, 
nondimeno,  considerando  il  profitto  che  si  polea  sperare 
dal  tener  vivi  gli  sludi  sulla  divina  Commedia,  volle  che 
di  leggerla  e  di  spiegarla  a  pubblico  benefìcio  si  incaricasse 
il  bergamasco  Guiniforti  Barziza  (1430  circa). 

Per  infino  i  Padri  del  Concilio  di  Costanza  occupavansi 
della  lettura  di  Dante;  e  Giovanni  di  Serravalle,  arcivescovo 
di  Fermo,  ad  istanza  di  molti  vescovi  e  cardinali,  e  segna- 
tamente degli  inglesi  Nicolò  Bubwich,  vescovo  di  Bath, 
e  Roberto  Halm,  vescovo  di  Salisburg,  prese  a  scrivere  un 
Comentario  latino  sull'immortale  poema. 

Nel  secolo  nostro  non  v'aveano  più  cattedre  speciali 
della  divina  Commedia,  onde  il  Perticari  gridava:  Essere 
vergogna  verissima  dell'età  presente  non  vi  fosse  scuola 
in  Italia  dove  sieno  esposte  e  predicate  le  opere  del  padre 
nostro  {Giorn.  Arcaci.  XV,  p.  184)  (l).  -Ma  se  coloro  che 
sortirono  il  freno  delle  belle  contrade,  credettero  pericolosa, 
0  per  lo  meno  inopportuna  una  cattedra  speciale  dantesca, 
non  mancarono  di  tratto  in  tratto  alcuni  benemeriti,   che, 


(ti  Anctie  il  Giordani  sentiva  il  l)isosno  di  questa  cattedra  dantesca, 
d;i  lui  altamente  accarezzata.  Ond'eji;li  al  marchese  di  Montrone,  il  24 
Sett.  ISOiJ:  «  Ln  friorno  parlando  coti  Giusti  egli  disse:  erano  una  volta 
cattedre  per  Dante  ;  voglio  dire  ad  Aldini  che  ne  proponga  una  por  Bo- 
logna, l'altra  per  Pavia:  uno  dei  nominati  potresti  esser  tu.  Come  al 
nome  Tube  in  sulla  morte  ecc ,  così  io  a  quel  di  Dante.  Sai,  una  soia 
scintilla  che  incendio  inette  nella  mia  imaginazione;  la  quale  presto  di- 
vampando, cominciai  ad  esporre  un  piano  per  questa  cattedra,  nuovo 
allatto  affatto,  grandissimo  e  luminosissimo.  Cominciai  dall' osservare 
che  tutte  le  nazioni  civili  hanno  un  poeta  che  fa  l'onore  della  nazione  : 
ma  due  soli  hanno  un  poema  che  possa  chiamarsi  nazionale.  ..  poemi  dt 
Omero  e  di  Dante  sono  nazionali  per  la  Grecia  e  per  l'Ilalia...  la  Divina 
Somedia  è  un  tesoro  di  sapienza  per  noi  Poi  concepii  una  prolusione  a 
questa  cattedra,  di  genere  affatto  nuovo  e  di  effetto  mirabile  come  di 
inaspettata  e  sorprendente  scena,  e  quindi  imaglnai  cinque  o  sei  discorsi, 
i  quali  andar  potrebbero  sino  a  trecento  o  più,  non  volendo  io  formare 
uu  comento  come  gli  altri,  ma  tante  dissertazioni,  le  quali  potessero 


326  LETTORI  DELLA  DIVINA  COMEDIA. 

meditando,  come  quelle  pagine  sacre  contenessero  a  un 
lempo  le  memorie  antiche  del  passato  ed  i  responsi  infal- 
libili dell'avvenire,  a  renderle  direi  popolari,  impresero 
pubblici  corsi  dì  lezioni  nelle  più  cospicue  città  d'Italia. 
L'illustre  professore  Rosini  sponeva  Dante,  specialmente 
negli  anni  1841-42  e  43,  nell'Ateneo  pisano;  il  chiarissimo 
Cento fanlì  nel  1844;  il  Ciardi  di  S.  Croce  nel  1845;  C.  Scar- 
lahelli  in  una  sala  terrena  del  villino  Buggiani,  in  via  Mi- 
chelangelo nel  1857;  il  Casella  a  Firenze  nel  1840;  In  Roma 
nel  1846;  in  Milano  nel  1862;  Cesare  Malapica  (1838)  nel 
Poliorama  di  Napoli  ;  il  P.  Maniera  ed  il  Paravia  nel  liceo 
(li  Torino,  il  Critico  napoletano,  prof,  de  Sanctis  nelle  sale 
di  S.Francesco,  pure  in  Torino  (1854-55),  e  poi  con  tanto 
grido  nel  Politecnico  di  Zurigo;  W  Dall'  Ong aro  con  vivace 
ed  ornata  parola  nel  1846-47  a  Trieste;  nel  1851  a  Londra, 
nelle  sale  del  signor  Milner  Gibson,  e  nel  1859  nella  sala  dello 
Spettatore  italiano  a  Firenze  ;  il  professor  Ab.  Pietro  Canal 
(1856-59)  con  molto  acume  di  senno  e  di  critica  nel  Semi- 
nnrìo  filologico  di  Padova  (1).  -  Onde  il  valentissimo  prof. 

anche  stare  ciascuna  da  sé.  e  tutte  insieme  facessero  un  corpo  magnifico 
e  bene  organizzato,  essendo  mio  scopo  di  riprodurre  il  secolo  di  Dante, 
tal  quale  si  presentava  a  quella  divina  fantasia:  e  alle  occasioni  poi  far 
sentire  quale  utile  trar  si  possa  da  quel  poema  e  per  raddrizzare  le  arti, 
e  per  destare  il  calor  civile,  »  E  il  4  Dicembre  1807  scriveva  allo  stesso 
marchese  di  Monlrone  :  «Se  Aldini  vuol  proporre  all'Imperatore  una 
cattedra  di  Dante,  già  sa  Aldini  ch'io  sono  sufficiente  a  questa.» 

(1)  E  queste  pubbliche  letture  su  Dante  e  sulla  divina  Commedia 
continuano  applauditissime  nelle  città  più  cospicue  d' Italia,  Il  prof.  Ca- 
stroQiovanni,  palermitano,  nel  magsio  del  1862  (4.  11,  28  e  sue.  ),  nella 
grande  aula  dell'  università  di  Torino  divideva  le  sue  lezioni  in  due  p  Tti, 
letteraria  e  politica,  ^'ella  prima  prendeva  a  mostrare  come  Dante  fu  la 
sua  storia  contemporanea  alzaia  a  poesia;  nell'altra  dava  il  rufigimitio 
deQli  attuali  sistemi  politici  con  quelli  di  Dante;  parlava  dei  sublime 
in  fienerale  ed  in  ispecie  di  quello  di  Dante,  ec.  ec.  -  Giov.  Battista 
Niccoiini,  nella  sala  filodrammatica  Marchisio  di  Torino,  a' 19,  26  aprile 
e  3  maggio  1863,  dava  pur  pubbliche  lezioni  su  Dante  e  il  suo  poema  - 
e  l'unità  d' Italia-  e  il  potej^e  temporale  dei  papi.  -  Il  N.  29  del  Nou- 
velliste  Vaudois  ci  parla  di  un  corso  libero  di  lezioni  che  il  cav. /\'scan- 
ttnt  diede  a  Losanna.  Il  professore  si  era  proposto  di  mostrare  la  parte 
presa  nella  lotta  impugnata,  durante  il  secolo,  fra  1'  Uaha  e  la  corte  ro- 
mana, e  divideva  il  suo  soggetto  in  tre  periodi  corrispondenti  alle  tre 
epoche  principali  della  nostra  storia  moderna,  quella  di  Dante,  di  Mac- 
chiavelli  e  di  Vittorio  Emanuele. 


LETTORI  DELLA  DIVINA  COMEDIA.  4'27 

Paolo  Emiliani-Giudici  con  falidici  accenlì,  divinando  II  non 
lontano  tempo  In  cui  il  gran  concetto  del  gran  padre  Alli- 
ghieri  risusciti  l'Italia,  e  ch'ei  ne  venga  salutato  II  reden- 
tore polllico,  volea  che  intanto  l' Italia  si  affrettasse  ad 
innalzare  un  monumento  più  degno  e  più  concorde  a'  voli 
di  lui,  ristabilendo  la  cattedra  intenta  ad  Interpretare  la  divi- 
na Comedia...  «  Ormai,  disfatti  i  ruderi  dello  inutile  edificio,  so 
ne  rialzi  un  altro  che  onori  il  poeta,  e  risponda  al  progresso 
del  tempo  presente.  In  cui  il  bisogno  di  spingere  a  scopo 
più  nobile  gli  studii  della  letteratura  è  sentito  da  tutti;  si 
rivesta  della  dignità  d'interprete  uu  pensatore  profondo  e 
potente  a  riprodurre  agli  occhi  degli  Italiani  que'  tanti  e  si 
peregrini  tesori  di  scibile,  i  quali  armonizzando  sotto  quella 
sintesi  speciosa,  che  simboleggia  intero  un  grande  evo  nella 
vita  intellettuale  dell' umanità,  si  prestano  da  sé  alla  mente 
che  sappia  comporli  in  un  prospetto.  In  tal  guisa  lo  interprete 
della  Commedia,  non  umiliato  dal  carattere  di  gretto  chio- 
satore, abbraccerebbe  tutto  quanto  il  medio  evo  nei  moltiplici 
suoi  aspetti,  e  ridirebbe  agli  Italiani,  nella  storia  delle  loro 
vicissitudini,  commessi  furono  iniziatori  e  diflonditorl  al 
moderno  universo  di  quello  incivilimento,  che,  varcato  lo 
emisfero,  va  ognora  facendosi  via  ai  più  riposti  confini  della 
terra.  E  forse  il  prosiìetto  della  vita  passata  con  tutti  i 
mali  che  l'accompagnarono,  in  contrasto  con  la  presente 
iridolenza,  varrà  a  scuotere  la  vergogna,  ritemprare  gli 
animi,  ed  elevarci  una  terza  volta  a  primo  fra'  popoli  del 
mondo.  Qui  in  questa  terra  di  gloria,  dove  ogni  cosa  lì 
suscita  una  rimembranza,  ogni  monumento  ti  testilìca  una 
grandezza;  qui,  centro  alle  lettere  e  alla  coltura  della  Pe- 
nisola ;  qui  dove  dalle  più  remote  regioni  del  mondo  mi- 
gliaia di  stranieri  accorrono,  e,  meravigliando  di  tanta 
magnificenza  congiunta  a  sì  peregrina  bellezza,  si  stanno 
come  ammaliati  da  una  sirena,  la  instituzione  duna  scuola 
d'onde  venisse  dispensata  la  scienza  de' tenìj)!  del  Poeta, 
e  ad  un'ora  illustrata  la  sua  poesia,  sarebbe  un  evento  da 
stabilire  per  la  letteratura  un'epoca  fra  le  più  notevoli  del 
secolo  decimonono. 

Nell'ora   che  l'Italia  risorgeva  a  libertà  e  a  regno  di 
futura  grandezza,  pel  Governo  della  Toscana  presieduto  dal 


428  LETTORI  DELLA  DIVINA  COMEDIA  . 

Barone  Ricasoli,  il  22  Dicembre  del  1859,  inslitulvasl  in 
Firenze  la  cattedra  di  Eloquenza  e  di  Poesia  Haliana  per 
la  Esposizione  della  Divina  Comedia,  come  parte  della  se- 
zione di  Filolojia  Q  Filosofia  ùqW hlitulo  di  studi  superiori 
e  di  perfezionamento.  A  questa  cattedra  veniva  chiamalo 
il  degno  P.  Giambattista  Giuliani,  professore  di  Eloquenza 
sacra  e  Dottor  di  collegio  nella  facoltà  di  filosofia  e  lettere 
dell'  Università  di  Genova,  già  notissimo  in  Italia  pe'  suoi 
studi  su  Dante,  per  le  sue  Lettere  sul  vivente  linguarifiio 
della  Toscana  e  soprattutto  pel  nuovo  suo  Metodo  di  spicca- 
re Dante  con  Dante.  Ardita  impresa!  ma  condotta  per  lui 
con  fervido  amore  e  si  felicemente,  che  fa  bene  sperare  di 
vederla  recata  al  termine  desiderato.  11  4  Marzo  1860,  nella 
sua  splendida  prolusione,  il  Giuliani  faceasi  a  mostrare  le 
benemerenze  di  Dante  verso  V Italia  e  verso  la  Civiltà;  e 
il  di  11  vi  cominciava  il  suo  corso  di  Lezioni,  svolgendo 
mano  a  mano  un  ampio  programma  così  diviso: 

La  letteratura  di  un  popolo  ne  dimostra  e  determina  il 
grado  di  civiltà.  —  Del  Medio-Evo  in  generale.  —  Forma- 
zione delle  nuove  lingue  europee.  —  Della  letteratura  ita- 
liana. —  Cagioni  che  la  promossero.  —  Caratteri  onde  vuol 
essere  distinta  dalla  letteratura  bi'  lica,  greca  e  latina  e  da 
ogni  altra  dell'Europa  moderna.  —  Vicetule  a  cui  soggiac- 
que fino  alla  metà  del  secolo XIIL— Dante  e  il  suo  secolo. - 
Religione  e  Politica.  —  Pontificato  e  Diipcro.  —  Guelli  e 
Ghibellini.  —  Neri  e  Bianchi.  —  Lettere,  arti  e  scienze.  — 
Origine  e  singoiar  natura  della  Divina  Commedia.  —  Fini 
principali  che  Dante  si  propose  nello  scriverla.  —  Se,  e  come 
sia  essa  capace  di  Commento.  —  Metodo  che  in  ciò  si  tenne 
e  fu  prescritto  dall'Autore  nella  sua  Epistola  a  Cangrande. — 
Quanto  l'abbiano  osservato  gli  espositori  dal  secolo  XIV 
insino  a  noi.  —  Pregi  e  difetti  che  possono  riscontrarsi  negli 
antichi  e  moderni  espositori  di  Dante.  —  Importanza  delle 
sue  opere  minori,  e  loro  utilità  rispetto  alla  divina  Comme- 
dia. —  A  che  principio,  e  giusta  quali  norme,  deve  essere 
conformata  l'Esposizione  del  sacro  Poema,  che  oggidi  mas- 
simamente raccomanda  il  nome  di  Dante  all'Italia  e  ad 
ogni  gente  civile. 

Queste  sono  a  un  dipresso  le  materie  su  che  sì  aggira- 


LETTORI  DELLA  DIVINA  COMEDIA.  429 

rono  le  Lezioni  del  primo  anno;  le  quali  ne'  tre  successivi 
abbracciarono  intiera  l'Esposizione  delle  tre  Cantiche.  Nel 
condurre  questa  esposizione  ei  volle  attendere  a  raflermarc 
il  senso  sì  lelleraie  che  allegorico  del  Poema,  non  omettendo, 
ad  ogni  passo  che  occorreva,  di  paragonarne  i  divini  canti 
coi  libri  poetici  della  Bibbia,  con  l'Odissea  e  l'Iliade,  colla 
Eneide,  e  co'  poemi  di  Millon  e  di  Klopstock.  Specialmente 
poi  le  lezioni  riguardarono  al  fine,  che  nella  divina  Com- 
media si  riconoscano  esemplificali  gli  ammaestramenti  della 
eloquenza  e  Poesìa  Italiana,  vi  si  attingano  i  principj  e  le 
norme  del  Bello  in  ogni  arie,  e  Dante  si  dimostri  sempre 
il  perfettissimo  scrittore  e  il  costante  educatore  della  nostra 
nazione.  La  sì  numerosa  e  scelta  udienza  che  trae  alle  sue 
lezioni,  crescente  d'  anno  in  anno,  tanto  che  al  presente  si 
contano  da  un  dugento  uditori,  il  plauso  unanime  con  che 
viene  salutata  1'  ornata  ed  eloquente  sua  parola,  son  bene 
una  solenne  testimonianza  e  un  dolce  compenso  alle  onorate 
fatiche  dell'egregio  Professore  che  altamente  confessava  e 
mostra  in  effetto:  «  Tre  amori  essersi  in  lui  confusi  in  uno 
a  regger  la  sua  vita,  l' amore  alla  Verità,  all'Italia  e  a  Dante 
che,  dopo  Dio,  è  slato  il  suo  massimo  benefattore.  » 

E  questo  studio  e  questo  culto  religioso  pel  sovrano 
dei  nostri  poeti  non  si  ristette  nella  bella  Penisola,  ma  gli 
uomini  più  insigni  di  lutto  le  più  civili  nazioni  fecero  a 
prova  affine  di  comprendere  veramente  il  gran  concello 
dantesco,  e  penetrare  nei  recondili  misteri  di  un  poema 
che,  al  dire  di  G.  Blanc,  è  come  specchio  e  tesoro  delle 
speculazioni,  delle  cognizioni,  dell'  istoria  e  dei  costumi 
dell'età  in  cui  fu  scritto,  addentrandosi  quindi  nella  storia, 
nella  filosofia  e  specialmente  nella  teologia  del  XIII  secolo. 
Il  gran  filosofo  Schelling,  dalla  maggiore  università  della 
Prussia,  annunziava  l'importanza  d'una  Cattedra  dantesca, 
ne  predicava  i  vantaggi  ed  accennava  quasi  il  metodo  da 
tenersi.  Difatti,  in  Germania  è  letto  Dante  in  pressoché 
tutte  le  università  e  singolarmente  a  Dresda,  a  Berlino, 
Bonna,  Breslavia,  Koiiisberga,  Halle.  La  cattedra  di  Heidel- 
berg fu  illustrala  dallo  Schlosser,  quella  di  Basilea  da 
Ilartwlcf  Viotto  e  dal  Picchioni,  quella  di  Halle  dal  sommo 
Blanc,  che  nel  1832  pubblicò  un  pregevole  estratto  delle 


430  LETTORI  DELLA  DIVINA  COMEDIA. 

sue  lezioni  e  nel  1852  il  suo  Vocabolario  dantesco,  eh' ei 
chiama  IVutto  di  trenta  anni  di  lettura  e  di  assiduo  studio 
della  divina  Commedia.  «  Da  venti  anni  in  qua,  scriveva 
egli  nel  J841  a  Cesare  Balbo,  ho  letto  pubblicamente  Dante 
per  ben  dodici  volte.  E  non  solamente  lo  si  legge  in  pub- 
blico per  la  studiosa  gioventù,  ma  abbiamo  fatto  lìn  qui 
da  sette  anni  una  piccola  brigata  di  persone  dotte,  composta 
di  un  professore  di  teologia,  di  uno  di  giurisprudenza,  di 
due  di  lìlosoiia,  del  borgomastro  della  nostra  città,  di  un 
curato,  i  quali  si  radunano  nell'inverno  una  volta  per 
settimana  a  leggere  la  divina  Commedia,  e  ne  siamo  già 
alia  seconda  lettura,  avendo  finito  il  Paradiso  l' inverno 
passato,  e  ricominciato  da  pochi  giorni  a  leggere  l'Inferno»  - 
ìN'  oublions  pas,  così  Saint-René  Taillandier,  de  mentionner 
les  lecons  enthousiastes  qu'  un  ancien  disciple  de  Hegel, 
M.  Goeschel,  vient  de  faire  à  Berlin  sur  la  cìhine  Comedle. 
M.  Goeschel  ne  s'  est  jamais  séparé  du  christianisme  ;  la 
philosophie  hégélienne,  dans  les  libres  interprétations  de 
cet  affectueux  esprit,  était  une  préparation  à  V  intelllgences 
des  dogmes  révélés;  on  comprendra  que  le  brillant  songenr 
soit  plus  à  son  aise  aujourd'hui  qu'il  expose  la  philosophie 
du  christianisme  d'après  les  Cantiques  (ìeDMe.  Les  lecons 
de  M.  Goeschel  ont  été  un  événement  à  Berlin,  et  le  roi 
<]e  Prusse  les  a  honorées  de  sa  présence  [Revue  des  deux 
Mondes,  15  aoùl  1853).  -  Il  professore  Ermanno  Trìben,  con 
un  discorso  su  Dante,  preludeva  il  22  marzo  1858  alia  riu- 
nione scientifica  alemanna,  tenuta  in  Stettin  Stettin  Nahmer. 
A  Parigi,  Dante  fu  spiegato  tanto  alla  facoltà  delle  let- 
tere, quanto  alla  Sorbona;  dal  Faurìel  nel  1833-34;  dal 
Lenormant  nel  1839  ;  nel  1840  dall'  Ozanam,  ed  in  appresso 
dal  sig.  Edgardo  Quìnet.  Anche  l' italiano  Cicconì  vi  apriva 
nel  marzo  1836  un  corso  privato  sul  Panteismo  politico  di 
Dante,  e  nel  1841,  il  Casella,  romano,  un  corso  dichiarativo 
della  divina  Commedia  neirAteneo  reale.  Ricordo  le  parole 
€on  cui  TArtaud  rendeva  omaggio  all' interprete  italiano: 
<  M.  Casella  a  montré  les  mysteres  de  Dante  à  plus  de 
mille  élèves.  M.  Casella  conviendrait  surtout  pour  expliquer 
Dante  à  Paris.  Cette  reunion  si  rare  d'une  grande  habilité 
à  enseigner  sa  langue  nationale,  et  d'une  penetration  sin- 


LETTORI  DELLA  D1V1>'A  COMEDL\.  431 

guUère  qui  lui  a  fait  deviner  les  delicalesses  de  nolrc 
idionie,  le  reud  propre  selon  moi,  à  devenir  avec  succes 
un  professeur  de  la  divine  Comédie  le  meilleur  que  l'oa 
puisse  irouver  parmi  nous,  car  ce  professeur  doli  élred'ua 
age  mur  el  italien.  » 

Fra  i  principali  promotori  degli  sludj  danteschi  in  In- 
ghilterra vanno  annoverati  Brougham,  JMacaulay,  Carlyle, 
Robert  Hall,  Sidney  Smith,  Bario w,  e  1  traduttori  Broyd 
Gary,  Wright,  Pollosk,  sommo  di  tutti  il  Vernon. 

Anche  il  mondo  transatlantico  gareggia  col  nostro  e 
TAmerica  stessa  reca  il  suo  tributo  di  ammirazione  a  Dante, 
erigendo  in  molte  città  apposite  cattedre  per  leggerlo  e  per 
comentarlo. 

Così  il  genio  teutonico,  conchiuderò  col  Labltte,  si  è 
inchinato  questa  volta  al  genio  meridionale;  e  la  patria  di 
Shakspeare,  del  pari  che  quella  di  Goethe,  sono  venute  a 
gittare  il  loro  obolo  appiè  dell'  antica  statua  dcU'AHighieri. 


COMENTATORI 


Comeuto  o  spDsiziine  dev'  esser  luce  la  quale 
ogui  colore  di  sentenzia  fa  pai'vente.  <  onc.  1.  I, 

Lo  senso  letterale  sempre  dee  andare  iunanai 
ogni  altro,  siccome  quello  nella  cui  sentenza 
gli  altri  sono  incbiusi,  e  senza  lo  quale  sarebbe 
impossibile  e  iirazionale  intendere  gli  altri  e 
iiias-simamente  l'allegorico...  Uisogna  prima  ragio- 
nare la  litterale  sentenza,  e  appresso  di  quella  la 
sua  allegoria,  cioè  1' ascosa  yerità. .. .  La  storia 
della  lettera,  o  il  senso  letterale  deve  stare  e  cor- 
rere da  sé;  gli  altri  poi  a  quest' uno  s'appoggioau, 
come  1' editizio  al  fondamento.  Conv.  II.  1. 


SECOLO  XIV. 

Della  Lana  Jacopo.  [Bolognese,  frate  (jaudenle,  contem- 
poraneo e  amico  di  Dante.)  Venezia,  \indelin  da  Spira,  1417. 

Innesto  Coniente  fu  scritto,  secondo  l'osservazione  giu- 
stissima del  Wilt,  prima  del  1328,  in  volgare,  mentre  il 
Ialino  non  è  che  una  traduzione  di  Alberico  da  Rosciate. 


432  COMEMATORl. 

bergamasco,  morto  nel  1854  (1).  Un  grande  argomento  della 
stima  in  che  dovettero  averlo  1  nostri  maggiori  è,  che  il 
primo  Comento  divulgato  poco  dopo  l'invenzione  della 
stampa  fu  appunto  questo.  11  Nidobeato,  nella  sua  edizione 
così  ne  parlava:  Jacobus  Laneus  materna  eadem  et  bono- 
niensi  omnes  superare  est  visus....  Equidem  haud  abnuerim 
nlìam  esse  sententiam,  uìlum  paulo  obscurius  verbum,  quod 
non  comentator  noster,  infuna  etìam  ingenia  sortitis,  intelli- 
gendum  praebeat.  Venne  esso  stampato  col  nome  di  Benve- 
nuto da  Imola,  non  so  se  per  opinione  che  allora  ne  corresse, 
0  per  ignoranza  dell'editore  Cristoforo  Berardi,  che  par 
l'autore  del  gotìb  sonetto  di  conchiusione.  Dopo  la  slampa 
Yindelina  non  ebbe  l'onore  di  altre  edizioni;  a' Bolognesi 
era  venula  voglia  nel  1834  di  ripubblicarlo,  ma  poi  non 
ne  fu  nulla. 

Il  prof.  Luciano  Scarabelli  faceva  voti  perchè  il  marinifico 
e  f/razioso  e  dotto  comento  Laneo  nella  prossima  congiun- 
tura della  grande  solennità  parentale,  rivedesse  la  luce, 
raffrontato  prima  ed  esemplato  ai  codici  Palatino,  Maglia- 
becchianoeRiccardiano,  a  quest'ultimo  specialmente,  sebbene 
l'edizione  antica  sia  d'italiana  dicitura  più  netta  e  più 
franca.  Questo  comento,  cosi  lo  Scarabelli,  di  nessuna  per- 
sona, 0  cosa,  0  luogo  nominalo  dimentica  l'istoria,  né  di 
niun  passo  resj)licazione,  né  di  alcuno  che  sia  stato  autore 
d'opera  tace  titolo  e  natura  de' libri;  tutti  i  modi  e  le 
frasi  del  dire  della  Divina  Commedia  dichiara.  È  il  più 
ampio,  il  più  dotto,  il  più  erudito  commento  che  ne'  vecchi 
tempi  siasi  scritto,  e  ha  un  pregio  che  a  tutti  manca,  per- 
ché qua  e  colà  dove  riferisce  o  conta  od  esplicazioni  ag- 
giunge: e  questo  so  dall' autore,  la  quale  avvertenza  dagli 
grande  autorità ...  Del  solo  Inferno  ho  estratto  56  racconti, 
dal  Purgatorio  31  e  del  Paradiso  18,  belli  tutti,  ai  quali  ho 


(1)  Rune  Comentum  tocius  hujus  comedie  composuit  quidem  dominus 
Jacobus  dola  lanabononiensis  licentiatus  in  artibus  et  teologia  et  fuit 
filius  fratris  philippi  dela  lana  ordinis  Qaudencium  et  fedi  in  sermone 
vuUjari  tusco.  Et  quia  tale  idioma  non  est  omnibus  notum  ideo  ad 
utilitatem  volencium  stadere  in  ipsa  Comedia  transtuli  de  vulvari  tusco 
in  gramaticum  literarum  cf/o  albericus  de  roxiate  dictusinuiroq.jur. 
peritus  pergamensis.... 


COMENTATORI.  433 

fallo  le  noie  convenienli,  e  varranno  per  chi  le  voglia  slam- 
pare. Ma  non  é  in  Uillo  il  volume  una  linea  che  sia  senza 
imporlanza,  e  non  c'è  comenlo,  compreso  rOUimo,  che 
non  abbia  pescalo  in  quello.  Ond'è  lauto  più  niaraviglioso 
che  gli  edilori  di  libri  in  ìlalia  slansi  innamorali  conlinuo 
de'  plagiari,  e  lascialo  coslanlemenle  da  parte  questo  ori- 
ginale, che  fu  agli  altri  maestro...  Con  cotesto  volume  alia 
mano  io  voleva  dimostrare  donde  sia  derivata  la  scienza 
di  lutti  gli  altri  comentalori,  e  come  taluni,  male  inten- 
dendo, male  esposero,  e  come  altri  non  seppero  esporre, 
perchè  non  posero  l'occhio  dove  trovalo  avrebbero  da  il- 
luminarsi... il  Borghlni,  A.  II.  p.  330  -  I  Giornali  avean  fatto 
sperare  che  il  rarissimo  quanto  ceieiìre  comenlo  Lanneo 
verrebbe  pubblicalo  in  occasione  del  Centenario  di  Dante, 
a  spese  del  Municipio  e  della  Provincia  bolognese,  a  cura 
specialmente  dal  senatore  Gozzadini.  Ma  la  novella,  ci  fa 
risapere  il  prof.  Scarabelli,  fu  un  giuoco  poco  nobile  e  poco 
degno.  Se  non  che  il  bravo  e  valoroso  tipografo  Civelli  di 
Milano  si  é  assunto  l'ardua  impresa  della  pubblicazione;  ed 
a'  primi  di  Aprile  il  Comenlo  del  Lana  sarà  stampato, 
corretto  nella  dizione,  fornito  delle  varianti,  delle  voci  di 
€he  son  vuoti  i  vocabolari  e  delle  note  filologiche  appor- 
lune....  Il  Lana  avrà  lìnalmenle  il  premio  degno  di  ricom- 
parire rimproveralore  diluiti  coloro  che  spoglialo  l'ebbero 
e  noi  nominarono,  e  di  coloro  che  non  si  curarono  di  co- 
noscerlo nominalo.  I  DantoUli  che  si  affaticano  a  spiegare 
tante  inspiegabili  cose,  e  credono  di  aver  trovato  grandi 
segreti,  rilevalo  un  qualche  passo,  vedranno  che  altro  far 
resta  loro:  correggere  gli  avventati  giudizi,  e  cancellare 
molto  dello  scritto  da  loro  per  iscrivere  altro,  o  soddisfarsi 
del  posto  da  quell'illustrissimo  chiosatore.  -  Scarabelli, 
Borfjhini,  V.  II.  p.  564  -  Il  Batines  numera  quanladue  codici 
conosciuti  del  Comenlo  Laneo.  Olire  il  Rosciate,  lo  voltò  in 
latino  Guglielmo  de  lìernardis  [reduxi  de  lini/uà  vuhjari 
in  literatam,  1348).  Nella  Laurenziana  si  conservano  inoltre 
due  altre  anonime  traduzioni. 

Anonimo,  Comenlo  alla  Cantica  dell'Inferno  di  Dante  AIU- 
ghieri  di  autore  anonimo,  ora  per  la  prima  volta  dato  in 
luce,  Firenze,  Baracchi,  1848  di  [>ag.  274.  Ne  fu  editore  Lord 

VuL.  11.  28 


434  COMENTATORI. 

Yernon,  e  per  lui  intitolato  a  V.  Nannucci,  a  Brunone  Bianchi, 
a  Pietro  Fraticelli.  Venne  riprodotto  dai  codice  Poggiali, 
e  pubblicato  conforme  l'originale  sua  ortografia.  1  più  lo 
attribuiscono  a  Jacopo,  come  lo  proverebbero  le  parole: 
Jo  Jacopo,  suo  figliuolo,  per  maternale  prosa  dimostrare 
intendo  parte  del  suo  profondo  ed  autentico  intendimento: 
l'Audin  invece  ad  autore  anonimo.  Ma  a  quale  di  essi 
appartenga,  egli  è  incontrastabile  che  per  la  sua  antichità 
e  bontà  della  lingua  e  per  le  notizie  storiche  che  racchiude 
ha  de'  pregi  non  comuni.  Anche  l'Audin  lo  dice  stimabile 
per  più  partì.  L'Avvoc.  Ferrari,  di  Reggio,  lo  ritiene  pur- 
gatissìmo  di  lingua,  ricco  di  originali  documenti  di  storia 
firentina,  che  non  si  trovano  in  altri  conienti,  e  che  rive- 
lano una  mano  toscana.  Venne  composto  nel  1328,  come 
apparisce  dalla  Chiosa  al  v.  112  del  C.  xxi.  dell'Inferno: 
«La  Chiosa  dice:  E  correvano  gli  anni  della  Nativitade  del 
Signore  MCCLXXXXVIIII,  e  oggi  corrono  MCCCXXVIII: 
però  dire  si  puote  che  XXVII  anni  compiti  sieno  eh'  elli 
comincìoe  questa  opera.  «  Sarebbe  dunque  anteriore  a  tutti 
quelli  fin  qui  noti,  a  quelli  almeno  con  data  certa.  »  Un  altro 
passo  di  questo  Comento  dimostra  che  fu  composto  prima 
del  1333;  ed  è  quello  in  cui  parla  della  statua  di  Marte: 
Elessero  Miro  pratrono,  e  se  non  fosse  stato  che  una  statua 
di  quello  marte  che  ancora  si  vede  sopra  il  ponte  d'  Arno 
nella  detta  citlade...  Il  Batines  cita  sette  codici  conosciuti  di 
questo  Commento. 

Allighieri  Jacopo,  Chiose  ad  esso  attribuite,  Firenze, 
Baracchi,  1848. 

Se  ne  debbe  la  pubblicazione  a  Lord  Vernon.  Il  comento 
non  abbraccia  che  il  solo  Inferno  -  Vi  si  nolano  queste 
parole:  Chorsero  gli  anni  del  Signiore  della  passione  MCCLXYI, 
e  lo  Signore  nostro  fosse  viulo  in  carne  mortale  arm/ XXXIII, 
e  intorno  a  quelli  della  passione  sia  eco  che  coreano  gli  anni 
del  Signiore  della  A'ativitade  MCCLXXXVIII  oggi  corrono 
MCCCXXIIII  anni  compiuti  sieno  Malachoda  avea  apparec- 
chiato cheli  chomincioe  ecc.  Il  Fraticelli  dice  le  Chiose  e  il 
Comento  attribuiti  a  Jacopo  «  meschlnissima  cosa.  Non  con- 
tenendo essi  alcuna  particolarità  intorno  la  vita  del  Poeta, 
ritiene    che  non  appartengano  a   un  figlio  di   Dante.    Il 


COMEMATORI.  433 

Balìnes  altribuìsce  pure  a  Jacopo  certe  Annotazioni  lati- 
ne contenute  in  parecclii  Godici  che  stima  singolari  ed 
importanti,  giudicate  buone  assai  anche  dal  Bandini.  A 
questo  Jacopo  credesi  per  i  più  che  appartenga  quel  com- 
ponimento poetico,  diviso  in  sessanta  capitoli,  e  intitolato 
Dottrinale,  il  quale  fu  stampato  la  prima  volta  nel  volume 
III  delle  Rime  anlìche  Toscane,  Palermo,  1817;  ed  altresì 
quel  capitolo  in  terza  rima  sopra  la  Comcdia  di  Dante,  che 
Vindelino  da  Spira  stampò  in  Venezia  nel  1477.  [Y.  Delle 
vere  chiose  di  Jacopo  di  Dante  Allighieri  e  del  Comento  ad 
esso  attribuito,  Notizie  di  S.  L.  G.  E.  Aiidìn  di  Rians,  Firenze, 
Baracchi,  1848). 

L'Ottimo,  Comento  della  dicina  Comedia,  Testo  inedito 
di  un.  Contemporaneo  di  Dante,  citato  dagli  Accademici 
della  Crusca,  Pisa,  ISic.  Capurro  18*27-29.  Questa  pubblica- 
zione, col  testo  nell'alto  delle  facce,  fu  eseguita  sul  Codice 
Laurenziano,  Plut.  XL,  n.  XIX,  trascritto  dal  Follini  e  colla- 
zionato dal  Bencini,  e  se  ne  debbe  il  merito  al  chiarissimo 
Sig.r  Torri.  (I  Voi.  di  p.  G68,  1827;  il  Voi.  di  p.  622,  1828; 
IH  Voi.  di  p.772,  28  Luglio  1829). 

«  Di  maggior  momento  senza  comparazione,  e  per  lingua 
e  per  dottrina  e  per  notizia  di  molte  proprietà  di  quei 
tempi  migliore,  è  un  Comentalore  di  Dante,  del  quale,  per 
diligenzia  che  messa  ci  abbiamo,  non  ci  è  venuto  fatto  di 
ritrovare  il  nome,  onde  è  da  noi  chiamato  quando  il  buono, 
e  quando  /'  antico  comentatore.  Né  è  Benvenuto  da  Imola 
costui,  quantunque  molte  cose  ne  cavasse  egli,  e  molle 
(a  parlar  propriamente)  ne  copiasse;  e  la  diversità  di  molti 
luoghi  che  sono  in  questo,  facilmente  ce  ne  assicura;  oltre  che 
fu  generalmente  Benvenuto  nelle  cose  di  filosofia  e  teologia 
di  questo  molto  inferiore.  La  lingua  è  intorno  al  CCCXXX, 
cioè  neir  ultima  età  di  Dante,  del  quale  fu  coetaneo,  e  forse 
famigliare. -/Vocmfo  alle  annotazioni  e  discorsi  sopra  alcuni 
luoghi  del  Decanìerone,  [alta  dai  Deputati  alla  correzione  del 
medesimo,  Firenze,  Le  Mounier,  1852,  p.  28. -Ne' primi  tempi 
deir  Accademia  della  Crusca,  l' Anonimo  fu  tenuto  per 
Alberigo  di  Rosate;  anzi  coetaneo  e  forse  famigliare  dì 
Dante.  Per  la  bontà  della  dicitura  lo  nominavano  il  Buo- 
no, e  quando  V  Antico  e  poscia  anche  V  Ollimoy  e  un  testo 


436  COMEMATORI. 

a  penna   della  biblioteca   Laurenziaha  somministrò   esem- 

pj  al  Vocabolario Da  quel  tanto  del  suo  Comento 

che]  m'è  toccalo  di  leggere,  pare  che  niuno,  da  Dante  in 
fuori,  abbia  mai  sapulo  si  addentro  ogni  secreto  della  Co- 
media.  Cosi  venisse  fatto  a  noi  di  sapere  chi  egli  si  fosse; 
e  forse  l'autorità   del  suo   nome  acqueterebbe   moltissime 
liti.' Altrove  si  è  mostrato  come  quattro  e  cinque  anni  dopo 
r  esigilo  il  Poeta  si  trovava  a  Padova,  e  questo  Anonimo 
v'era  anch'esso  intorno  a  quel  tempo»  .  .  .   Che  l'autore 
non  solo  fosse  coetaneo,  ma  dippiù  avesse  usato  con  Dante 
si  fa  chiaro  per  due  luoghi  dell'opera  sua,   Tuna  al  C.  x 
pag.  183,  dove  leggiamo  :  lo  scrittore  udii  dire  a  Dante  ch« 
mai  rima  noi  trasse  a  dire  altro  che  quello  che  area  in  suo 
proponimento:  l'altro,  al  C.  xni,  pag.  285,  sul  proposito' della 
statua  di  Marte,  e  dice  cosi  :  Elli  (cioè  Dante  )  fu  di  Firenze  ; 
e  però  qui  recita  una  falsa  opinione,  che  ebbero  (jli  antichi 
di  quella  cittade,  la  quale  io  scrittore  domandandomele,  udii 
così  raccontare,  ecc.,  «  Ovunque  il  Poeta  fa  motto  di  casali 
0  individui  fiorentini,  l'Anonimo  li  descrive  come  se  sapesse 
ogni  cosa  e  di  loro  e  della   loro  vita  domestica,   e  della 
loro  indole,  e  delle  condizioni  della  loro  posterità.  Ove  gli 
pare  che  importi,  registra  le  date  puntualmente  . . .  Molli 
de' dubbi  metafisici  e  dottrinali  che  gl'interpreti  per  non 
averli  originalmente  pensati  da  sé,  e  non  poterli  intendere 
a  un  tratto,   sono  costretti  a  spianare  con  lungo  discorso, 
e  lasciarli  intricali  a  ogni  modo,  escono  dalle  brevi  perifrasi 
dell'Anonimo  schietti  e  sicuri  come  se  fossero  ridotti  a  defi- 
nizioni dalla  mente  che  aveali  meditati   a  condensarli   in 
sentenze  e  rivestirli  di  poesia.  Lo  siile  altresì  del  Comento 
rifiuta  gl'idiotismi  e  persevera  nella  precisione  grammati- 
cale, doti  perpetue  delle  prose  di  Dante.  »  -  Foscolo,  Discorso 
sul  Testo,  CLXXXIX,  CXC,  CXCII.  -  Esso  fu  pure  dal  Salviati 
lodato  per  seuiplice  eloquenza  e  purgata  favella.  -  Y.  Bibliot. 
hai.  dee.  1829.  -  «  Un  solo  fra  tutti,  ed  è  conosciuto  sotto  il 
nome  di  Anonimo,  famigliare  di  Dante,  sembra  che  sappia 
le  vie  di  penetrare  nel  cuore  e  nella  mente  del  poeta  e 
leggervi  profondo.  Nondimeno  anch' egli,   quantunque  sia  il 
più  coraggioso  ed  intrepido  e  longanime,  è  sempre  circo- 
spetto :  se  non  che  di  quando  in  quando,  quasi  il  fervore  dellii 


cojiEMAToai.  437 

giovinezza  e  della  speranza  gli  soverchiano  il  cuore,  il  vero  fa 
forza  nel  suo  intcllelto,  e  scoppia  a  rivelazioni  nuovissime; 
ma  lo  scrittore,  a  guisa  di  atterrito,  subitamente  si  riusciva 
dentro  i  mentali  avvolgimenti  d'onde  osava  uscire.  Allo  stile 
gagliardo,  compresso,  significativo,  dignitoso,  alla  lingua  pu- 
rissima ed  eletta  vi  ravviseresti  quel  Jacopo  spirito  fervente, 
a  cui  r  ombra  del  padre  apparendo  pare  che  lo]avesse  voluto 
eleggere  scopritore  e  depositario  della  Comedia.  E  quel 
rinunziare  alla  gloria  che  gli  sarebbe  venuta  da  quella 
esposizione  che  è  la  più  ampia,  la  più  profonda,  la  meglio 
congegnala,  ed  insieme  la  più  antica  di  tutte,  non  li  dice 
egli  che  il  discepolo,  ad  esempio  del  suo  maestro,  si  sia 
voluto  involgere  nel  mistero  »  ?  -  Emiliani  Giudici,  Storia 
della  letteratura  Italiana,  Voi.  I,  p.  '206,  tip.  Le  Monnier. 

Il  Jìatines  poderosamente  argomenta  come  il  Gomenlo 
dell'Ottimo  non  sia  originale,  ma  un  misto  o  un  compendio 
de'  Conienti  esistenti  al  tempo  della  sua  Compilazione;  e  cita 
a  riprova  delle  chiose  letteralmente  tolte  dal  Gomenlo  di 
Jacopo  e  di  Ser  Grazioso  Bambagiuoli.  Dalla  seguente  chiosa 
che  si  legge  al  C.  xiii  egli  apparirebbe  manifesto  l'anno 
in  che  fu  compilato  :  «  Onde  cadendo  il  ponte  sopra  '1  quale 
èra  la  statua  (di  Marte)  siccome  cadde  la  notte  del  dì  quattro 
di  JS'ovembre  1333,  anno  prossimo  passato,  n  E  nel  Paradiso, 
dove  mette  per  ordine  i  maestri  Generali,  dell'ordine  di  S. 
Domenico,  soggiunge:  Fra  Ugo  di  Valsamano  al  presente 
eletto,  nel  xMCCCXXXIII.  Che  il  compilatore  fosse  giovine  ap- 
parirebbe pur  chiaro  dalla  chiosa  al  verso  84  del  e.  vii  dell'in/.: 
Necessità  la  fa  esser  veloce:  dove,  dopo  aver  riportalo  le  al- 
trui opinioni,  soggiunge,  che  quanto  a  sé  dichiarerà  quello 
che  intende,  secondo  la  discrezione  della  sua  giovinezza. 
Il  Balines  dalle  sigle  A.  L.  N.  F.  che  si  leggono  in  alcuni  co- 
dici, alla  fine  del  Paradiso,  deduce  che  Andrea  Lancia,  notajo 
fiorentino  ne  fosse  il  compilatore.  Il  Balines  novera  da  22 
Codici  dell'Ottimo,  e  ci  faceva  sperare  una  nuova  edizione, 
per  cura  del  Sig.r  Francesco  Corrotti,  sotto-bibliotecario 
della  Corsiniana,  rafl'ronlala  con  la  miglior  parte  dei  Codici 
conosciuti.  -  Si  può  consultare  suW Ottimo  Comento  un  articolo 
del  North  American  Review,  Boston,  Ottobre,  1839;  Uno 
studio  di  Colombo  di  Batines,  Studi  inediti  su  Dante,  Firenze, 


438  COMENTATORl. 

1846,  eie  interessami  ricerciie  di  Carlo  Wille:  Quando  e  da 
chi  sìa  composto  V  Ouimo  Comento  di  Dante,  lettera  al  Sig.r 
Seymour  Kirkiip  pittore  inglése  a  Firenze,  Lipsia,  1847. 

Petri  Allegherii,  super  Dantis  ipsius  genitori^s  Comae- 
diam  Commentar ium,  nunc  primum  in  lucem  editum,  Consilio 
et  sumtibus  G.  F.  Bar.  Vernon,  curante  Sincentio  ISannuccio, 
Florentiae,  Garlnei,  1840.  (di  p.74l  -  Varianti,  Correzioni  dei 
passi  degli  antichi  scrittori  citati  nel  Comento  e  che  si  leggono 
ne'  Codici  guasti  o  travisati.  -  Indice  degli  Autori  citati  nel 
Commento,  di  p.  CUI),  (l) 

Qualunque  ne  sia  l'Autore,  scrive  nella  sua  Prefazione 
il  Nannucci,  è  uno  de' più  antichi  conienti  che  abbiamo, 
essendo  al  certo  del  1340,  ed  è  sparso  di  ogni  genere  di 
dottrina,  né  dubitiamo  che  non  sia  per  giovare  alla  più 
facile  intelligenza  di  molti  luoghi  della  Comedia,  e  special- 
mente delle  Cantiche  del  Purgatorio,  e  del  Paradiso...  Quello 
che  potea  farsi  dal  canto  nostro  si  era  di  emendare,  almen 
dove  lo  richiedeva  il  bisogno,  i  passi  degli  scrittori  citati 
del  Comentatore,  e  che  si  leggono  ne'  codici  quasi  sempre 

(1)  ]1  Pelli  vuole  che  Pietro  morisse  a  Treviso  nel  1364,  e  che  fosse  sep- 
pellito nella  Chiesa  di  S.  Margherita  (oggi  magazzino  di  fieno),  in  un  bel 
deposito,  su  cui  si  scolpi  l' Iscrizione,  in  caratteri  gotici,  che  tuttavia 
si  conserva  nelle  stanze  del  Capitolo  di  Treviso.  La  ridelta  Iscrizione  lo 
dice  genitum  Dantis,  e  che  ebbe  interpretato  ne'  luoghi  oscuri  librum 
patris.  N.  Mauro,  cronista  trevigiano,  vorrebbe  che  gli  Allighieri  pones- 
sero stanza  in  Treviso,  sul  torno  del  1300,  {Fiorentina  gens  nobilis  Ali- 
gera fuit^  quasi  alas  gerena  nam  et  in  eorum  insigni  alam  cxpansam 
tenent,  qui  ex  Me  gente  descendunt },  e  che  Pietro,  figlio  di  Dante, 
cittadino  di  Trevigi,  chiosasse  l'opera  paterna,  riducendola  a  facile  in- 
telligenza ;  lo  che  riferisce  pure  il  Bonifazio,  1.  Vili,  p,  236.  -  Ma  il  Fraticelli 
ritiene  che  non  a  Treviso  ma  a  Verona  fermasse  sua  dimora,  mentre  da 
incontestati  documenti  si  rileva  che  nel  1337  fosse  ivi  giudice,  e  nel  1361 
vicario  del  collegio  di  detta  città,  e  del  podestà  Nicolò  Giustiniani, 
e  che  qui*i  pure  morisse,  e  fosse  sepolto  nella  Chiesa  di  S,  Michele  in 
Campagna,  come  apparirebbe  manifesto  dal  Necrologio  delle  Monache 
di  essa  Chiesa,  riportato  dal  Maffei  e  da  G.  B.  Biancolini.  -  A.  1364  -  Do- 
minus  Petrus  judex,  filius  quondam  Dantis  de  Aliyheriis,  condidit  testa- 
mentum  Veronae,  praesentibus  intcr  alios  domino  Francisco  judice  filio 
domini  Rolandini  de  Mafeis  de  sancto  Benedicto  :  heredem  fecit  Dantem 
filium  sum:  legavit  societati  Sanctae  Mariae  de  Orlo  jwpuli  sancii 
Michells  domum  suam  positam  in  populo  sancii  Martini  Episcopi  de 
Florentia...  xi  Kalendis  Majus  obitus  domini  Pelri  Dantis  de  Aligeris, 
'patris  iororum  Allogerie,  Gemme  et  Lucie;  MCCCLXllL 


COMENTATORI.  439 

slraiiatì  barbaramente...  di  trar  fuori  un  iiifinilà  di  luoghi 
che  Pietro  ha  presi  dal  Convito  e  dalla  Monarchia  di  Dante, 
dal  Maestro  delie  sentenze,  da  S.  Agostino,  da  S.  Tomaso 
e  da  altri  senza  cilarli,  e  pe'  quali  si  vengono  pure  ad 
emendare  molli  errori  del  testo.  Per  questo  lavoro  nutriamo 
la  speranza  di  aver  provveduto  alla  parte  più  rilevante  del 
Comento,  come  quella  che  addita  i  fonti  .dai  quali  Dante 
attinse  tutta  la  dottrina  teologica  e  filosofica  che  prese  a 
svolgere  nel  suo  poema...  Il  codice  dal  quale  è  trascritto 
è  il  Riccardlano:  degli  altri,  si  è  trasportato  a' pie  di  pagina 
ogni  volta  che  si  è  creduto  necessaria  la  diversa  lezione 
{Ricard.  N.  1075  ;  Laurenz.  N.  118,  Plut.  XG  sup.  ;  Ms.  Rosellù 
già  del  Turco,  del  1475;  Ms.  Laurenziano,  Plut.  XL.  n.  38; 
Cod.  Sem.  Pad.;  Cod.  Vat.  N.  170;  Cod.  Vat.  N.  4782).  - 
«  L' autenticità  del  Comento  latino  di  Pietro  di  Dante  è 
impugnala  dal  Tiraboschi,  per  ciò  che  non  vi  si  trova,  ne 
il  figlio  di  Dante,  ne  il  cittadino  fiorentino,  né  l'uomo 
intendente  di  poesia,  e  neppure  gli  squarci  più  nobili  del 
poema —  Ma  la  tradizione  antichissima,  dice  il  Foscolo, 
dell'origine  degli  esemplari  oggimai  concatenasi  per  tanto 
ordine  dì  leslimonj  e  di  tempi,  che  le  prove  congetturali 
allegale  a  distruggerla,  ove  fossero  ammesse,  ogni  nome 
di  autore  sarebbe  a  rischio  di  esser  cancellato  dall'opere 
sue...  Il  nome  del  figlio  dell'autore  indusse  ragionevol- 
mente ogni  uomo  a  sperar  bene  di  quel  Comento,  come 
quello,  dice  il  Filelfo,  che  meglio  dovea  ritrarre  il  pensiero 
paterno...  Ma  al  figlio  dell'AUighieri,  sollecito  di  procacciarsi 
gli  avanzi  dell'avito  patrimonio  da' Guelfi,  tardava  più  che 
mai  di  sviare  ogni  memoria  Ghibellina,  onde  vengono  notate 
di  brevissime  e  fredde  le  chiose  intorno  alle  storie  de'  tempi... 
Cosi,  perchè  il  figlio  circondato  di  pericoli,  industriavasi 
di  colorire  ripieghi,  la  tradizione  della  profezia  propagò 
astrologiche  significazioni  di  libro  in  libro,  e  tali  alle  volte 
da  convertire  fino  agi'  increduli.  -  Foscolo,  Testo  sul  poema, 
CLXXX,  CLXXXl  -  «  Preziosissimo  m'è  un  Comento  attribui- 
to a  Piero,  figliuolo  di  Dante,  dal  quale  attingo  esposizioni 
e  allusioni  nuove,  o  le  già  note,  ma  non  certe  confermo.  » 
Tommaseo,  Prcfaz.  al  suo  Comento,  dell'  ediz.  di  Venezia.  - 
Ma  il  Fraticelli  notava  come  nel  Comento  attribuito  a  Pietro 


440  COMENTATORI. 

si  riferiscano  notizie  e  parlicolarilà  di  Firenze  cosi  storte 
e  false  eh' è  impossibile  che  sieno  scritte  da  un  fiorentino, 
da  uno  che  avesse  passato  in  Firenze  la  sua  gioventù, 
mostrando  costui  di  non  aver  veduto  mai  questa  città.  Nel 
Comento  medesimo  si  dicono  di  Dante  cose  che  un  figlio 
non  avrebbe  mai  detto,  nò  avrebbe  mai  potuto  dire  {Vita 
dì  Dante  AlUghim,  Capo  ix,  nota  5).  -  E  1'  Emiliani  Giudici 
COSI  ne  scriveva:  I  figliuoli  medesimi,  paiono  non  meno 
stranieri  degli  stessi  stranieri  alle  abitudini,  alle  dottrine, 
ai  metodi  del  padre;  sovente  le  più  semplici  allusioni  con- 
temporanee loro  riescono  misteri,  ed  ove  loro  non  sia 
possibile  nasconderli,  gli  espongono  con  fredde  circonlo- 
cuzioni, e  tremando.  Poveri  figli,  esuli  innocenti!  Se  aveano 
poca  speranza  di  riveder  la  patria,  bramavano  in  tutte  le 
guise  di  ricuperare  le  reliquie  del  paterno  retaggio,  che  la 
ostinata  ferocia  de'  Guelfi  tuttavia  usurpava.  E  tutti  quanti 
ravvolgendosi  in  generalità  interminabili,  si  sfogano  magni- 
ficamente e  inveiscono  in  istile  di  dottissimi  predicatori... 
Pietro  AUighieri  si  adopera  di  trovare  la  traccia  de'  simboli 
del  poema  nella  credenza  e  nella  scienza  de' tempi...  Nella 
sua  interpretazione  degli  ultimi  tredici  versi  del  C.  xxx  del 
Purgatorio,  non  ostante  il  perpetuo  accorgimento  di  non 
rimuovere  il  velo  delle  allusioni,  eh'  egli  sapeva,  e  che, 
rivelate  gli  sarebbero  tornate  fatali,  si  lasciò  sfuggire  dalla 
penna  le  seguenti  memorabili  parole,  quasi  le  scrivesse, 
dettante  il  padre:  tanta  è  la  sicurezza  onde  le  notai  «  Gigas 
figurai  regem  et  potenliam  regum  Franciae,  tenentium  guher- 
nationem  Eccleslae  sìcut  homo  amasiam.  Qui  rex  si  perpendal 
ut  Ecclesia  alibi  respìciat,  ut  modo  fecit  secundum  simula- 
tionem  auctoris,  flagellat  eara.  Et  hoc  est  quod  dicit,  scilicet 
quoniam  traxit  eam  secum  per  silvam,  idest  quod  fecit,  ut 
curia  romana  tracia  est  ultra  montes  in  suo  {regls  Franciae) 
territorio  de  Roma.  {Storia  della  Letterat.  hai  I.  206  e  213)  - 
Il  Batines  cita  14  Godici  del  comento  di  Pietro.  -  Y.  Osser- 
vazioni del  P.  Marco  Giov.  Ponta  sul  Comento  di  Pietro  di 
Dante; -Dionisi,  Preparazione  istorico-critica,  e.  3;-  Censura 
del  Comento  creduto  di  Pietro  figlio  di  Dante  AUighieri,  Verona, 
Merlo,  1783.  II  Aneddoto,  eAned.W.  -  Tiraboschi,  Y.  p.  2. 
fac.  3Uo.  Batines,  i.  635.  -Del  Furia,  Alti  della  Crusca  II.  253. 


COMENTATORI.  411 

Petrarca  Francesco,  Cliiose,  Correzioni  e  Osservazioni  a 
Dante  (Manoscrllli  Palatini  di  Firenze,  ordinati  da  Francesco 
Palermo,  Voi.  II  Firenze,  Bibliot.  Palatina,  18GI). 

Son  traile  dal  Codice  Palatino  CLXXX,  che  il  Palermo  dal 
carattere  eguale,  rotondo,  minutissimo  ed  esilissimo  non  solo 
ritiene  autografo  del  Petrarca,  ma  per  di  più  scritto  da  lui  nel- 
l'età malura,  cioè  nel  torno  del  131)0.  Nella  Prefazione,  in  che  ci 
tesse  la  descrizione  e  la  storia  di  questo  Codice  (p.  599-647) 
egli  ci  avverte  che,  meno  le  abbreviature  frequenti  e  difficili 
nelle  Chiose,  ei  si  attenne  strettamente  al  Codice  nella  dispo- 
sizione della  scrittura,  nei  diversi  componimenti,  nell'ortogra- 
fia, e  sino,  quanto  è  stato  possibile,  ne'  segni  che  vi  sono 
adoperati.  Circa  poi  le  Chiose  e  le  varianti  le  quali  sono  e  a 
mezzo  de' versi,  e  fra  le  colonne,  e  a  margine  e  in  ogni  dove 
ei  le  ridusse  uniformemente  a  pie  della  poesia.  Sotto  il  nome 
di  Chiose  egli  allogò  quel  eh' è  proprio  del  Petrarca,  con 
che  egli  dà  luce  al  significato.  E  col  nome  di  Osservazioni 
ciò  che  talvolta  fu  di  mestieri  non  già  a  comentare,  ma 
solo  a  certificare  i  fatti  e  la  verità.  Il  codice  Palatino  non 
ha  che  una  parte  della  Cantica  del  Paradiso,  cioè  dal  C.  x.v. 
3.  al  C.  XXX.  (p.  75-881),  e  ci  lascia,  dice  il  Palermo,  «as- 
setati principalmente  del  Chiosatore,  ma  nondimeno  si  falli 
punii  il  Petrarca  vi  ha  stabilito,  che  avendoci  a  concordar»^ 
il  poema  intero,  noi,  come  al  lampeggiar  fra  le  tenebre,  scor- 
giamo quanto  fuori  del  camino  vanno  le  usale  guide,  e 
quanto  diverso  è  il  termine  del  viaggio».  Il  Palatino  con- 
tiene inoltre  buona  parte  delle  poesie  liriche  dell' Ailighieri, 
con  chiose  ed  osservazioni,  che  vennero  pure  pubblicate 
dal  Palermo  (p.  049-714).  -  Il  Fracassetti  niega  recisamente 
credenza  alla  scoperta  del  Palermo.  Il  Petrarca  nella  lettera 
15,  1,  XXI  delle  Famigliari,  dice  svelatamente  di  non  aver 
mai  posseduto  né  letto  il  poema  di  Dante,  per  fuggire  il 
pericolo  di  mettere  il  piede  sull'orme  da  lui  calcate,  e 
perdere  l'originalità  del  suo  siile,  e  solo  essersi  indotto  a 
leggerlo  nel  1359,  quando  l'amico  Boccaccio  gli  ebbe  man- 
dato in  dono  la  bella  copia,  fatta  di  sua  mano,  che  tuttavia 
si  conserva  nella  Biblioteca  Vaticana  (Cod,  N.  3199).  Egli  è 
però  certo  che  dopo  la  lettura  che  ne  fece,  il  Petrarca, 
anima  netta  d'invidia,  lo  riconobbe  e  riverì  per  principe 


442  COMENTATORl- 

dell'eloquio  volgare,  si  confessò  secondo,  anzi  terzo  dopo 
di  lui  nella  schiera  de' poeti,  e  ad  un  suo  contemporaneo 
parlando  in  Milano,  disse  che  le  cose  soltili  e  profonde  nella 
Divina  Comedia  non  si  potevano  conoscere  senza  sinf/olare 
f/rasia  e  dono  di  Spirito  Santo. 

Boccaccio  Giovanni,  con  Annotazioni  di  Anton  Maria 
Salvini,  Firenze  (Napoli),  Accarelli;  Firenze,  Moutier,  1831; 
Firenze,  Fraticelli,  1834,  e  1844;  Firenze,  Le  Mounier  1863. 
Un  Fiore  di  questo  Comento,  ad  uso  della  gioventù,  per 
Ignazio  Montanari,  pubblicavasi  in  Firenze  dal  Le  Mounier 
1842;  in  Pisa  dal  Ricordi,  1842.  (1) 

Questo  nostro  scrittore  fu  a  Dante  affezionatissimo,  e  (quel- 
lo che  importa  il  tutto  in  questo  proposito)  l'ebbe  si  fisso 
sempre  nell'animo,  e  cotanto  famigliare  in  bocca,  che  assai 
volte  esprime  li  concetti  suoi  con  le  parole  di  quel  poeta, 
e  non  poche  cava  le  parole  da'  concetti  di  lui.  Annotaz. 
sopra  alcuni  luoghi  del  Dccamerone,  Proemio,  24.  -  Ebbe 
«iugulare  affezione  a  quello  che  molti  chiamano  Divin  poeta... 
Egli  non  è  a  dire  quanto  questo  bell'ingegno,  e,  come  si 
confessa   per  tutti,  ottimo  maestro  di  questa   lingua,   lo 


(1)  La  prima  edizione  venne  condotta  conforme  la  copia  di  un  testo 
della  Libreria  Jlagliabecchiana,  oggi  segnato  Palchetto  iv,  num.  58,  fatta 
cavare  da  Anton  Maria  Salvini,  il  quale  vi  pose  alcune  sue  erudite  anno- 
tazioni. Sono  in  quel  codice  alcune  postille  marginali  di  Lionardo  Salviati, 
che  forse  ne  fu  uno  de'  più  più  antichi  possessori.  Ma  la  stampa  riuscì 
piena  di  errori,  parte  per  la  poca  diligenza  dell'  editore,  e  parte  per  la 
scorrezione  dello  stesso  testo.  Né  il  Jloutier,  che  a  nostri  giorni  (1831)  Io 
ripubblicò  nella  Raccolta  delle  opere  volgari  del  Boccaccio,  potè  correggerli 
tutti,  specialmente  quelli  che  nascevano  dal  difetto  dei  rammentati  codi- 
ce ;  essendo  quasi  impossibile  di  condurre  una  buona  edizione  d' un'  opera, 
coli' aiuto  di  un  solo  testo,  se  già  non  fosse  l'autografo.  Il  Milanesi  poi 
condusse  la  sua  pregiata  edizione  su  altri  tre  testi  di  presente  conosciuti,  due 
Magliabecchiani  del  secolo xv,  dei  quali  l'uno  è  in  pergamena,  scritto  a 
due  colonne,  segnato  di  numero  al;  l'altro  è  cartaceo,  e  fu  stro/ziano, 
die  ha  il  numero  1430;  e  il  terzo,  Riccardiano,  parimente  cartaceo,  di  bella 
e  grossa  lettera,  e  forse  più  antico  degli  altri,  segnato  1033,  ma  mutilo 
in  principio,  perchè  comincia  dal  V  Canto  dell'Inferno.  Questo  codice, 
eh' è  assai  corretto,  fu  già  de' Guadagni,  come  si  vede  dalla  loro  arme 
miniata  a  basso  dalla  prima  carta,  e  poi  di  Anton  Maria  Salvini,  il  quale, 
secondo  il  suo  costume,  vi  pose  ne'  margini  alcune  brevi  postille. 


COMENTATORI.  443 

Stimasse,  lo  ammirasse,  e  se  ne  servisse . . .  Yeggasi  come 
spesso  egli  aiuta  questa  sua  opera  (del  Decamerone)  dei 
concelti  di  quel  Poeta,  e  la  abbellisce  e  innalza  delle  parole- 
Or  quanto  il  Boccaccio  avesse  a  cuore  questo  poema,  mostra 
con  averlo  tanto  spesso  in  bocca,  e  che  per  tutto  si  vede 
pieno  di  parole  e  motti  danteschi  :  che  e'  ne  fusse  studio- 
sissimo, e  che  lo  intendesse,  ce  ne  assicura,  si  può  dire 
non  solo  la  esperienza,  ma  un  fatto  ancora  di  quei  tempi, 
perchè  faticato  lungamente,  e  alla  fine  forzato  dalle  pre- 
ghiere de' suoi  cittadini,  si  mise  a  sporlo  pubblicamente; 
il  che  seguì  con  tanta  soddisfazione  e  contento  universale, 
che,  come  cosa  notabile,  giudicarono  degna  gli  scrittori  di 
que'  tempi  della  quale  si  facesse  memoria  :  onde  si  legge 
nella  Cronichetta  del  Monaldi  :  Domenica  a  dì  tre  di  ottobre 
1373  incominciò  a  leggere  il  Dante  messer  Giovanni  Boccac- 
cio. Id.  p.  101.  Ma  troppo  lunghi  saremmo  se  volessimo 
qui  annoverare  a  uno  a  uno  i  modi,  i  luoghi  e  le  parole... 
ch'egli  sommo  amatore  e  ammiratore  di  questo  Poeta,  e 
grandissimo  conoscitore  delle  sue  bellezze,  per  abbellirla 
et  aggrandirla  insieme  sparse  per  tutta  l'opera  sua.  Onde, 
come  spesso  egli  l' ha  in  bocca,  si  può  sicuramente  dire  di 
lui  quel  ch'ai  Poeta  stesso  fu  dell'opera  di  Virgilio  detto: 
Ben  lo  sai  tu,  che  la  sai  tutta  quanta. 

«Nel  11160  trascrisse  il  Bocaccio  di  sua  propria  mano 
tutta  la  Divina  Comedia,  e  la  mandò  al  Petrarca  come  il 
più  caro  dei  doni,  accompagnata  da  un  suo  poetico  compo- 
nimento. Avendo  i  Firentìni  stanziato,  a  preghiera  di  lui,  di 
metter  su  una  cattedra  dove  si  leggesse  e  si  comentasse 
la  Divina  Comedia,  ed  avendo  dato  tal  carico  ad  esso,  non 
dubitò  di  accettarlo  ;  e  tutto  che  di  età  avanzata,ed  infermo, 
si  mise  all'opera,  la  qual  per  altro  non  potè  continuare 
più  là  che  il  XVI  dell'Inferno.  Egli  avea  mostrato  la  sua 
scienza  in  molli  trattati  latini,  ed  avea  pure  censurato  nelle 
ecloghe  i  costumi  del  secolo,  ma  in  questa  sua  opera  s'in- 
gegna di  ritrarre  al  possibile  la  erudizione  e  la  severità 
dell'Autore  che  cementava:  e  certamente  essa  è  piena  di 
mirabil  dottrina,  secondo  quei  tempi,  ed  è  eloquente,  ed  è 
scritta  in  fiorita  sì,  ma  ad  un'ora  in  semplice  e  garbata 
favella».  V.  Fanfani,  Vita  dì  Dante,  premessa  al  Decamerone. 


414  COMExNTATORI. 

^(È  il  presente  Comento  assai  notabile  per  le  belle  ed 
erudite  esposizioni  di  molli  luoghi  della  Coniedìa;  notabilis- 
simo poi  in  alcuni  altri,  dove  più  splende  la  sua  elegante 
facondia  che  talvoltar  s' innalza  fino  alla  vera  eloquenza.  Se 
non  che,  per  aver  egli  seguitato  il  metodo  proprio  di  quei 
tempi,  cioè  delle  frequenti  divisioni  e  distinzioni  scolastiche, 
riesce  spesso  alquanto  minuto  e  noioso;  come  si  mostra 
più  ingegnoso  che  vero  nel  dichiarare  taluna  delle  allegorie 
del  Poema.  Di  più,  anche  in  questa  sua  ultima  fatica,  appa- 
riscono, sebbene  in  minor  parte,  que'  medesimi  difetti  di 
stile  e  di  soverchio  artifizio,  di  che  non  a  torto  è  accusato 
nelle  altre  sue  composizioni  volgari».  Gaetano  Milanesi.  - 
Tra  le  opere  del  Boccaccio,  il  Comento  è  quella  che  si  legge 
con  più  diletto  per  avventura  e  con  più  profitto  di  tutte 
le  altre  da  esso  scritte  in  volgare,  tanto  essa  è  varia  nella 
erudizione,  e  ricca  nella  elocuzione,  dove  spesso  ài  trova 
eloquenza  vera».  P.  Fanfani,  Il  Borghini,  I.  p.  255.  -  Opera 
eccellente  e  rara,  ed  un  elegante  esempio  di  stile  piano 
puro  ìiìsegn'àViYO.-  Giordani -y.  Ferrucci  Franceschi  Catte- 
rina,  I  primi  4  secoli  della  Letteratura  hai  Y.  I.  p.  390. 
Emiliani  Giudici,  Storia  della  Leti.  Ital.  ecc.  ecc.  (1) 

Chiose  sopra  Dante,  Testo  inedito,  ora  per  la  prima 
volta  pubblicato,  Firenze,  Piatti,  1846.  (di  pag.  899). 

Fu  messo  in  luce  da  loro  Yernon,  e  da  lui  intitolato  a 


(1)  Nel  codice  della  Strozziana  N.  D.  D.  1226,  ora  allaMasliabecchiana, 
CI.  XXY.  N.  593,  a  carte  431,  si  trovano  tre  estratti  colla  data  del  20 
Febbraio  e  17  Marzo  1376  e  10  aprile  1377,  Da  un  libro  di  Richiami  fatti 
dinanzi  a'  Consoli  dell'  Arto  del  Cambio  cominciato  nel  1376,  eaistente 
in  detta  arte.  Sono  tre  scritture  relative  al  richiamo  fatto  da  Jacopo 
Boccaccio,  fratello  di  Giovanni,  e  da' suoi  esecutori  testamentnri,  innanzi 
a'Consoli  dell'arte  del  Cambio,  contro  Francesco  di  Lapo  Bonamichi,  chia- 
mato Morello,  per  rivendicare  il  Comento  sulla  Divina  Comedia  lasciato 
dal  Boccaccio.  Nel  primo  di  questi  documenti  si  legge:  La  Disposizioìie 
sopra  il  primo  libro  di  Dante  disposto  per  Mess.  Giovanni  mio  fratello, 
sono  xxiv  quaderni  in  bambagine,  e  altri  quadernucci  piccoli  di  quella 
medesima  opera;  e  nel  terzo:  2i  quaderni  e  li  quadernucci  tutti  vn 
carta  di  bambagia,  non  legati  insieme,  ma  l'uno  dall'altro  diviso  da 
uno  iscritto,  ovvero  isposizione  sopra  16  capitoli  e  parte  del  17,  del 
Dante,  il  quale  scritto  il  detto  messer  Giovanni  non  compiè.  I  Consoli 
dell'arte  del  cambio  riconobbero  legittimo  questo  richiamo  per  la  rela- 
zione di  messer  Parente  da  Prato. 


COMEMATOill.  445 

Sir  Tliomas  Gage  Saunders  Sebright  (23  Novembre  1846). 
^  i  si  trova  il  fac  simile  del  codice  Rìcardiano  N.  1037,  e 
Magliabecclìiano  N.  47,  Palch.i.  (Strozziano,  1424).  -11  codice 
Riccardiano,  di  pertinenza  del  Segni,  comprende  tutto  intero 
il  comento,  e  porta  il  nome  di  messer  Giovanni  da  Cerlaldo, 
Il  lavoro,  ollrecchè  ricco  di  storici  documenti,  è  disteso  in 
purgata  favella,  e  vi  s' incontrano  frasi  e  modi  di  dire 
espressi  e  nalurali  da  giovare  assaissimo  all' incremento 
della  lingua.  Ed  è  anco  da  notarsi  che  questo  Cemento  è 
il  solo  fra  gli  antichi  che  sia  stato  scritlo,  per  quanto 
sappiamo,  con  ispirilo  ghibellino.  Luigi  Rigoli  lesse  un  di- 
scorso su  questo  Comento  nell'adunanza  della  Crusca  del 
dì  10  Maggio  1829.  Il  Rigoli  lo  ritiene  scritlo  sul  torno 
del  137o.  ^ 

Ramiìaldi  Benvenuto  da  Imola,  Illustrato  nella  sua  vita 
e  nelle  sue  opere,  e  di  lui  comen'o  latino  sulla  divina  Co- 
media  di  Dante  Allighieri,  voltato  in  italiano  dall'Avvocato 
Giov.  Tamburini,  Imola,  Galeali  Yol.  3  (1.  Voi.  di  pag.  848; 
li  di  p.  ():>6;  Hi  di  p.  Gl2i  -  Benvenuto  da  Imola  m.  nel  1399. 
Nel  1375  espose  la  divina  Comedia  in  Bologna,  ma 
sembra  non  iscrivesse  il  Comento  che  nel  1379.  In  una 
chiosa  del  C.  xviii  dell'Inferno  si  legge:  Proh  dolor!  istud 
sumptuosum  opus  destructum  et  prostratum  est  de  prafh- 
senti annoUCCCLWMlW  per  populum  romanum.-I  Deputati 
alla  Correzione  del  Decamerone  dicono  che  Benvenuto  tras- 
se, anzi  copiò  molle  cose  dall'Ottimo.  Il  S.""  Parenti  nelle 
Annotas.  al  Diz.  della  lingua  Ital.,  1. 127  ne  parla  di  questa 
guisa:  «  Taluno  si  è  beffato  dello  scrivere  di  quel  Cemen- 
tatore, senza  riilettere  che  dovendo  esporre  Ialinamente 
ai  suoi  discepoli  un  poema  volgare  pieno  di  ardui  sensi, 
era  costretto  di  scendere  alle  frasi  più  triviali  per  accostarsi 
alla  loro  intelligenza;  serbando  a  miglior  scopo  lo  stile 
colto  e  regolare,  di  cui  non  era  certamente  digiuno,  come 
si  vede  nella  dedicazione  del  suo  libro  al  Marchese  Nicolo 
d'  Este.  » 

Benvenuto,  contemporaneo  di  Dante,  conobbe  de'  fatti 
e  luoghi  particolari,  anzi  ebbe  commercio  con  quei  viventi, 
e  non  son  pochi  nella  Comedia,  le  cui  anime  non  pertanto 
si  figuraro  già  dannale  ai  tormenti  da  lui;  quindi  le  storie 


446  COMENTATORI. 

singolari  e  recondite,  le  biografie  che  non  poleano  Inirsi 
né  da  storie,  nò  da  cronache,  né  da  giornali  di  quei  tempi. 
E  se  dal  Petrarca  al  Boccaccio,  che  valgono  essi  soli  il 
giudizio  di  lutti  gli  altri,  era  salutato  primo  erudito  e 
filosofo  del  suo  secolo,  qual  meraviglia  se  il  Comento  della 
divina  Comedia  sia  pieno  di  storia,  di  filosotia,  di  mitologia 
uon  solo  antica,  ma  di  studj,  di  biografie,  di  costumi  e 
credenze  a' tempi  suoi?  Anche  rispetto  alla  lingua  volgare 
attese  a  mostrarne  la- grazia,  la  proprietà,  l'eleganza  ed  il 
colore,  doti  nelle  quali  nessuno  arriva  l'AHighieri.  Palesa 
l'artifìcio  poetico,  la  novità  dei  pensieri,  dei  trovali,  dei 
partiti,  delle  pitture  di  atteggiamento,  del  risalto  alle  più 
minute  particolarità  di  natura  che  formano  gli  attributi 
del  sommo  e  del  genio.  »  -  Tamburini  -  La  parte  storica 
del  Comento  era  già  stata  pubblicata  dal  Muratori,  Rerum 
itaUcarum  script.  Voi.  I. 

Da  BuTi  Frakcesco,  Comento  sopra  la  divina  Comedia 
pubblicato  per  cura  di  Crescentino  Giannini;  Pisa,  bistri. 
1850.  -  Inferno,  pag'.  xxxviii,  866.  pub.  il  31  Dee.  1858.  - 
Purgatorio,  Voi.  II.  pub.  il  Feb.  1860.  pag.  viii-826;  Paradiso, 
Voi.  Ili,  pag.  x-904.  pub.  nel  Maggio  1802. 

Nacque  il  Buti  sui  colli  di  Pisa  neri354,  m.  a' 25  Luglio 
1406  e  fu  sepolto  nel  primo  chiostro  dei  Francescani  di 
Pisa,  dove  anche  oggi  una  lapida  latina  ricorda  Maestro 
Francesco  Dottore  in  Grammatica. 

Il  Foscolo  lo  dice  ricco  di  aneddoti,  ma  credulo  assai, 
abbondante  e  spesso  eloquente  in  via  di  digressioni  e  rac- 
conti, per  lo  più  di  memoria,  quasi  avesse  a  cuore  di 
ammaestrare,  di  dilettare  i  suoi  uditori,  di  comporre  il 
numero  delle  lezioni  alle  quali  s'era  obbligato,  e  di  spendere 
in  ciascheduna  lezione  il  tempo  richiesto  dall'istituto  della 
sua  cattedra.  Dov'è  veritiero,  sembra  nuovo,  perchè  studia 
di  amplificare  fatti  accennati  da'  suoi  predecessori...  Foscolo, 
Discorso  sul  Testo,  CXC  -  Francesco  Buti  non  ha  la  ric- 
chissima copia  del  dire,  eh'  è  tutta  opera  del  Certaldese, 
né  come  questi  e  l'Imolese  esercita  la  vivacità  dell'ingegno 
intorno  al  testo  di  Dante,  narrando  storie  e  cogliendo  ogni 
occasione  di  soddisfare  abbondevelmente  a  sé  stesso,  ma 
di  quei  che  si  dilettano   di  brevità   e  stanno  contenti  ad 


COMENTATORI,  447 

una  chiara  e  nella  e  intera  spiegazione  del  libro.  Non 
allegazioni  di  aulorilà,  né  prove,  se  non  quando  lo  renda 
necessario  il  dello  medesimo  dell'  aulore.  Il  suo  melodo  è 
d' interprete  fedelissimo,  il  quale  stimi  di  avere  ad  eseguire 
tanto  più  degnamente  il  suo  officio,  quanto  meglio  avrà 
saputo  dimenticare  se  slesso,  per.  non  dover,  pensare  se  non 
al  testo  da  interpretarsi...  Ei  vide  innanzi  nella  costituzione 
scientifica  della  divina  Gomedia,  e  seguitò  i  legami  organici 
che  congiungono  la  speculazione  e  la  pratica  di  questo 
sistema  ideale.  »  -  Cento  fanti,  Prefazione  al  Comento.  - 
Dottissimo,  avea  acume  da  penetrare  ne'  più  reconditi  pen- 
sieri di  Dante,  e  come  vissuto  in  tempi  vicini  a  quei  del 
poeta,  potea  conoscere  molte  delle  cose  obliate  in  appresso. 
11  Buti  pone  ogni  studio  in  ispeculare  «  le  grandissime 
verità  deir  aulore  altissimo,  nella  sua  materia  sottilissimo, 
ne'  suoi  sermoni,  e  spera  dalla  \)oca  favilla  della  sua  debile 
e  lieve  lettura  seconderà  gran  fiamma,  cioè  «  seguiterà 
grandissima  e  validissima  lettura  degli  altri  valentissimi 
ingegni  che  piglieranno  a  leggere  incitati  per  esempio  di 
lui.  0  È  mosso  anche  dalla  speranza  che  per  le  sue  parole 
si  allargheranno  li  ampli  ingegni  de'  suoi  auditori  e  risplen- 
deranno in  gran  fiamma  d^  intendere.  Al  principio  d'ogni 
canto  egli  ne  dà  tutto  il  disegno  e  ne  distingue  le  parti, 
e  poi  espone  la  sentenza  letterale  e  quindi  il  senso  alle- 
gorico e  morale  che  sta  sotto  la  crosta  della  lettera.  -  Della 
allegoria  dà  spesso  le  medesime  spiegazioni  che  abbiamo 
anche  negli  altri  conienti,  ma  quanto  alla  lettera  la  espone 
sempre  con  rara  cliiarezzae  chiaramente  e  senza  lungaggini, 
narra  la  storia  e  la  favola  a  cui  accenna  il  poeta,  ed  usa 
sempre  una  lingua  propria  e  vaghissima  e  che  di  rado 
puzza  d'antico:  e  per  ciò  sarà  cibo  ghiotto  a  tutti  quelli 
die  cercano  la  venustà  del  300.  Per  gli  studiosi  di  Dante 
poi  crediamo  di  non  errare  aflermando  che  in  ninno  altro 
troveranno  meglio  spiegali  i  signiiicali  delle  parole,  e  mal- 
grado le  ripetizioni  che  talvolta  potranno  aver  sembiante 
d'inutili,  da  questa  lettura  trarranno  alimento  vitale.  -  11 
testo  venne  cavato  da  un  codice  della  Riccardiana  di  Firenze, 
N.*^  1006,  7.  8  e  raffrontato  con  altro  codice  della  Maglia- 
becchiana,  Palch.  I.   n.  20.  -  11   Giannini    ha  speso  molto 


448  COMENTATOR!. 

eccellenti  cure  in  questa  edizione;  vi  ha  premesso  una 
ililigente  notizia  della  vita  del  Bull,  ha  arricchito  il  comenlo 
di  noterelle  gramatiche,  e  non  ha  risparmiato  fatica  per 
rendere  il  libro  corretto,  onde  ne  sarà  lodato  da  tutti  gli 
amatori  di  Dante,  e  de'  buoni  studj  italiani.  Il  1".  Volume 
si  arricchisce  anche  di  un  bel  discorso  del  professore  Cen- 
tofanti,  il  quale,  colla  sua  usala  eloquenza,  si  è  ingegnato 
di  moslrare  quanto  il  Buti  vedesse  innanzi  nella  costituzione 
della  divina  Comedia,  e  in  qual  grado  debba  tenersi  questo 
fra  tutti  gli  antichi  comenli.  -  Sulla  casa  in  che  nacque  il 
Buti  venne  apposta  questa  iscrizione:  -  M.CCCXXIV.  Tre 
anni  dopo  la  morte  di  Dante  AlWihieri  -  In  questa  casa 
nacque  -  Francesco  di  Bartolo  -  Il  primo  che  in  Italia  - 
Comcntasse  la  divina  Comedia.  -  Y.  Vannucci,  Riv.  Firentina, 
1859.  V.  5.  p.  53.  -  Il  Batines  cita  XXV  codici  di  questo 
Comento  per  lui  veduti,  oltre  altri  quattro  che  trovò  citati. 

Akonimo,  Fiore  di  un  Comento  di  Dante  del  lB4o,  i  primi 
16  Canti  deir  Inferno,  (dal  Codice Riccardiano  n.  10 IG)  Estratto 
dall' £'^rMnVf,  pag.  64,  in  8.^  1854. 

11  Codice  ond' è  tolto  questo  Comento  segna  la  data  del 
1343;  ma  ì  postillatori  lo  ritengono  di  mano  assai  posteriore. 
L'autore  lo  divise  in  parte  narrativa  ed  interpretativa; 
e  ci  parve  esso  notevolissimo  pe'  costruiti  elegantissimi, 
la  sceltezza  e  la  sobrietà  dì  parola,  pel  candore  e  la  bre- 
vità efticace  della  narrazione.  Tra  le  altre  cose  ci  parve 
bellissima  la  breve  descrizione  topografica  dell'inferno  Dan- 
tesco, la  pittura  delle  tre  fiere  che  impediscono  il  misterioso 
cammino  del  poeta,  anche  pe'  bei  colpi  di  colore  rappre- 
sentanti la  natura  de'  malvagi  animali.  Leggansi  ivi  la  storia 
di  Mosè,  i  fatti  di  Cesare,  esposti  con  sì  concisa  ed  incal- 
zata narrazione  che  pare  avesse  voluto  ritrarre  la  mirabile 
ed  operosa  celerità  di  quel  fulmine  di  guerra  che  arrivava 
vedeva  e  vinceva;  la  pietosa  storia  della  Ariminese,  non 
die  quella  di  Pier  delle  Vigne  condotta  con  rarissima  mae- 
stria di  dettalo.  -  il  Fanfanl  ci  fa  sperare  che  presto  lo 
vedremo  tutto  Intero,  per  opera  sua  pubblicalo,  ritenendolo 
fra'  Commenti  antichi  forse  il  migliore,  come  quello  che 
prevale  nella  parte  storica,  e  dà  spesso  notizie  biografiche 
e  sloriche  aneddote  di  grandissimo  conio.  Anche  per  questo 


COMEMATORl.  44(Ì 

lavoro  si  renderà  assai  benemerita  de'  buoni  studij  la  R. 
Commissione  de'  lesti  di  lingua.  Y.  Borfjhini,  Ottobre,  1863, 
p.  G09. 

SECOLO  XV. 

Bargigi  DELLi  GuiMFORTE,  L' Iiifemo,  Comento  tratto  da 
due  Manoscritti  inediti  del  Sec.W  (il  primo  posseduto 
dal  SlgJ  Gaslon  de  Flotte,  letterato  Marsigliese,  l' altro  esi- 
stente nella  Biblioteca  di  Parigi)  con  Introduzione  e  Note 
del  Zaccheroni,  UMsWìdi,  Mossi,  1839;  Firenze,  Molini,  1839; 
di  pagine  760. 

Nato  in  Bergamo  nel  1406,  m.  circa  il  1460. 

Del  Guiniforte  non  abbiamo  che  il  Comento  della  sola 
prima  Cantica.  Ei  ne  fece  una  compiuta  esposizione  testuale, 
storica,  filosofica,  teologica.  Scopo  del  Bargigi,  il  .togliere 
ogni  asprezza,  ogni  durezza  ammollire,  ed  appianare  ogni 
difficoltà,  talché  il  senso  si  faccia  a  tutti  intelligibile  e  quasi 
volgare.  Ed  egli  attiene  fedelmente  la  sua  promessa.  Quanto 
alla  sposizione  testuale  con  assai  facile  e  naturale  dizione, 
con  istlle  assai  piano  e  disinvolto  recasi  con  ogni  studio 
a  sporre  minutamente  e  a  dilucidare  la  lettera  del  suo  poema... 
Dove  gl'incontri  di  doversi  allargare  per  maggior  dichia- 
razione del  testo,  in  alcuni  iratti  che  sieno  di  storia  antica 
0  moderna,  di  mitologia,  di  geografia  o  d'altra  scienza  na- 
turale egli  spiega  divizia  d'ogni  dottrina  e  tratta  le  cose 
con  tanta  maestrevolezza  ed  opportunità  da  mostrarsi  tutto 
insieme  non  meno  erudito  che  verace  sapiente...  Né  men 
valente  si  mostra  nei  savi  e  schietti  giudizj  sui  personaggi 
che  nella  storia  appaion  più  eminenti,  non  avuto  riguardo 
a  bagliore  di  vana  gloria  e  di  falsa  virtù  da  cui  sieno  cir- 
condati . . .  Espertissimo  pure  ci  si  mostra  nell'altre  scienze 
alla  storia  affini,  come  sarebbe  nella  Geografia  ....  Nella 
esposizione  de'  fatti  mitologici  niun  forse  fra  gli  antichi 
comentatori,  e  non  saprei  dire  quale  fra  i  moderni,  mostri 
tanta  dottrina  né  tanta  eletta  sapienza.  Egli  non  si  contenta, 
come  i  più  fanno,  di  sporre  a  lungo  con  fatue  narrazioni 
la  lettera,  a  così  dire,  di  queste  favole  che  ci  vennero  dalla 
mitologia,  ma  entra  più  innanzi  a  ricercare  gì' intimi  spiriti 

VoL.  11.  29 


450  COMENTATORI. 

di  quelle  antiche  imaginazioni  dei  popoli,  ne  scopre  le  vere 
origini,  ne  penetra  1  simboli  e  tutto  trae  a  verità  di  storia 
e  a  sapienza  di  morale  documento.  Ma  la  parte  più  impor- 
tante di  questo  Gomento  è  quella  che  riguarda  la  storia  delle 
notizie  contemporanee  che  tanto  valgono  a  metterci  dentro 
agl'intimi  spiriti  del  divin  poema  . .  .  Tutte  le  storie  par- 
ticolari che  possono  introdurci  nelle  intime  cognizioni  del- 
l'età, che  forma  il  soggetto  del  divino  poema,  vengono  a 
mano  a  mano  descritte  dal  Barzìza,  e  con  tal  garbo  di 
lìngua,  e  con  sì  nativa  ingenuità  di  stile  da  ricordarci  il 
Villani  e  il  Compagni.  Oltre  di  che  un'altra  bellissima  lode 
ei  merita  nella  sua  qualità  di  storico  dei  fatti  a  lui  più 
vicini,  ch'egli  con  un  raro  giudizio  seppe  esser  piano  e  mi- 
surato, narrando  cose  che  potessero  risuscitare  le  gare  non 
ancora  bene  spente  delle  diverse  fazioni,  tanto  ch'egli  alla 
lealtà  di  un  sincero  storico  seppe  congiungere  la  prudenza 
del  buon  cittadino  che  studia  alla  pace  e  alla  concordia 
.dei  popoli...  E  con  molta  ampiezza  di  cognizioni  e  con 
molta  sapienza  seppe  pur  isvolgere  e  comentare  la  parte 
filosofica  e  insieme  la  teologica  del  sacro  poema.  11  Zacche- 
roni vorrebbe  che  il  Barzìza  a  per  esser  troppo  servila 
cattolico  avesse  mal  compreso  Dante  nella  parte  religiosa 
del  suo  poema,  onde  pensò  di  tralasciare  ogni  dottrina 
teologica,  per  quanto  la  materia  del  testo,  e  la  connessione 
delle  cose  in  esso  spiegate  glielo  hanno  permesso.  »  Dì  che 
con  calde  ed  eloquenti  parole  mena  giusto  lamento  il 
Finazzi,  dolendogli  che  per  amor  di  parte  mutilasse  il  testo 
che  avrebbe  potuto  almeno  per  la  prima  volta  pubblicare 
bello  ed  intero  come  uscì  dalla  penna  del  suo  valente 
autore.  L'edizione  sotto  ogni  rapporto  fu  condotta  con  tale 
accuratezza,  e  dirò,  con  sì  rara  magnificenza,  da  doversene 
insieme  pregiare  il  tipografo  e  l'editore.  Essa  va  inoltre 
abbellita  di  vignette,  ricopiate  dalle  curiose  e  vaghe  minia- 
ture di  che  si  adorna  il  Codice  Marsigliese.  -  Il  libro  è 
intitolato  a  Papa  Gregorio  XYI,  e  la  lettera  di  dedica  porta 
la  data  di  Marsiglia,  15  Agosto  1838.  -  [Y.Di  Guinìforte 
Barzìza,  e  dì  un  suo  Comento  suir Inferno  di  Dante,  Discorso 
dell 'Ab.  Giovanni  Finazzi,  Bergamo,  Crescini,  1845). 
TfiRZAGO  Guido,  Insubre  {diiyovara);  ^idobemo  ed  altri, 


COMEMATORI.  451 

Milano,  n78.  { finita  la  prima  Cantica,  adixvii  Sept.  1477; 
la  seconda,  adi  22  Nov.  1477;  la  terza,  quinto  idus  Febb. 
1477). 

Il  Gonfiente  che  fu  curalo  in  Milano  dal  Nidobealo  e  dal 
Terzago  può  reputarsi  la  somma  delle  interpretazioni  più 
stimale  della  divina  Comedia  dall'eia  dell' AUighieri  a  quel 
tempo.  E  già  il  Nidobealo,  numerando  nella  prefazione  al 
marchese  di  Monferrato  gli  olio  comentalori  allor  conosciuti 
comunemente,  cioè  Pielro,  e  Francesco  figliuoli  di  Danle, 
Jacopo  della  Lana,  Benvenuto  da  Imola,  Giovanni  Boccaccio, 
frale  Riccardo,  carmelitano,  Andrea  di  Napoli,  ed  ultimo, 
e  di  quel  tempo,  Guiniforte  Barziza,  avea  protestalo  che 
delle  fatiche  di  lutti  prenderebbe  vantaggio:  Et  nos  ali- 
quibus  locis  pleraque  conjunximus  aut  usu  comparata,  aut 
ex  divcrsis  auctoribus  et  annaìibus  tamquam  ex  flumìnibm 
derivata;  quae  cum  juvarc,  tum  etìam  delectare  legenlem 
possint.  Ma  essi  mantennero  più  che  non  avean  promesso; 
poiché  il  fondo  di  quel  comenlo  è  di  Jacopo  della  Lana, 
il  quale  nella  stessa  prefazione  a  lutti  gli  altri  è  anteposto; 
il  rimanente  è  come  il  prodotto  degli  sludii  di  que'  dotti 
sopra  gli  antichi  espositori.  Dove  questi  consenlono  insieme 
il  comenlo  procede  con  brevità  e  franchezza;  dov'è  difterenza 
di  opinioni,  la  notano  con  diligenza,  lasciando  per  lo  più  al 
lettore  l'arbilrio  della  scelta.  Di  tal  che  fra  gli  altri  pregi 
di  questa  edizione,  che  sono  moltissimi,  uno  de'  precipui  è 
da  dire,  che  ci  preserita  come  in  un  corpo  le  primitivo 
interpretazioni  della  divina  Comedia,  e  ci  fa  certi  essa  sola 
dell'unanime  consentimento  degli  anlichi  sul  primo  e  ge- 
nerale concetto  di  quella.  -  Berardinelli, 

Lakdiiso  Cristofouo,  per  Nicholò  di  Lorenzo  della  Magna, 
1481.  -  1484,  23  Marzo,  per  Octaviano  Scoto  da  Monza.  - 
1487,  ultimo  di  Marzo,  in  Bressfl,  per  Boninuni  de  Boninis 
de  Raguxi.  -  1491,  3  Marzo,  per  Bernardino  Renali,  el 
Malhio  da  Parma.  -  1491, 18  Nov.  per  Petro  Cremonese,  dito 
Veronese.  -  1493,  29  novembre,  per  Matheo  di  Chodeca 
da  Parma. -1497,  Il  ottobre,  per  Piero  de  Zuanne  di  Qua- 
rengii  da  Palazogo,  bergamasco.  -  1507,  17  Giugno,  per 
Bartholomeo  de  Zanni,  da  Portesc.  -  1512,  23  Novembre, 
per  Bernardino  Stagnino,  da  Trino  Monferrato.- 1520,28  Marzo, 


452  COMEMATORl. 

M.  -  1329,  23  Gennaro,  per  Jacob  del  Burgofranco,  pavese.  - 
1536,  ad  inslantia  di  Gioanni  Giolito,  da  Trino;  in  fine, 
Bern.  Slagnino.  -  Anche  le  dichiarazioni  che  si  trovano 
nelle  edizioni  di  Lione  per  Giovanni  di  Tournes,  1547  ;  e 
di  Venezia  per  Domenico  Farri,  1372,  1373,  furono  lolle  dal 
Comenlo  Landiniano. 

Il  Landino  nacque  a  Firenze  il  1424  ;  m.  a  Borgo,  alla 
Collina,  nel  1304. 

«  Non  appena  apparve  alla  luce  questo  Gomento,  scrive 
Marsilio  Ficino,  che  Firenze  ebbe  cagione   di  tanta  gioia, 
quanta  ne  avrebbe  potuto  avere  se  Dante  medesimo,   tor- 
nando in  umane  spoglie,  fosse  stato  restituito  alla  patria 
e  coronato  di  alloro.  »  -  Il  Landino,  reputatissimo  uomo 
fra'  più  dotti  del  secolo  XV,  imprese  a  comentare  la  Comedia 
quand'era   maturo   negli  anni;    a  compire   il  lavoro   durò 
lunghissimi  studj,  e  lo  tenne  come  il  maggiore  monumento 
della   propria  gloria.  Lo  pubblicò  nel  1481  in  Firenze,  in 
una  magnifica  edizione,  e  ne  presentò  la  Repubblica  di  un 
esemplare  in  pergamena,  ornato  di  peregrine  miniature,  e 
di  parecchie  slampe  fatte  secondo  i  disegni,  a  quanto  pare, 
del  Bolticelli.  Questo  prezioso  libro  si  conserva   nella  Ma- 
gliabecchiana.  La  Repubblica  fiorentina  rimeritò  splendida- 
mente il  dottissimo  uomo,  donandogli  un  palazzo  nella  città 
di  Colle.  Chi  abbia  voglia  di  sapere  con  che  accanimento 
il  Landino  tenesse  e  difendesse  le  opinioni  guelfe,  e  con 
quanta  virulenza  calunniasse  ed  esecrasse  le  ghibelline,  legga 
una  lettera  ch'egli  dirige  ad  un  maestro  Paolo  Lucchese, 
che  predicava   contro   i  Guelfi  disturbatori  della  pace.  La 
lettera   con  parecchi  altri   documenti  sta  nello   Specimen 
literaturae  /?oren?/nae  del  Bandini,  Voi.  II,  p.  \\^.- Emiliani 
Giudici.  -  Lo  spagnuolo    Yives  chiama  il  Landino  troppo 
speculativo  e  filosofo  nefle  sue  note;  il  Ridolfi  stimabile 
per  le  cose  firentine;  il  Corniani  troppo  pedante,  e  il  Bon- 
giovannì  lo  dice  dottissimo  e  degno  maestro  del  Poliziano 
e  di  Lorenzìno  de'  Medici.  -  Il  sistema,  dice  il  Minich,  pura- 
mente ragionevole,  con  cui  fu  interpretata  la  divina  Comedia 
dovea  presentarsi  col  progredire  del  tempo  e  col  succedersi 
solto  una  forma  mollo  più  larga  e  complessa.  L'antico  sistema 
delle  generazioni  ebbe  il  suo  termine  ed  insieme  il  suo  maggiore 


COMEMATORI.  453 

sviluppo  nel  riputato  CoiiieiUo  di  Cristoforo  Landino,  prima 
della  line  d  el  secolo  XY.  -  «  Avcc  la  seconde  moitié  du  XV.® 
siede  une  période  nouvelle  comnience  pour  les  interprètes  de 
h  Divine  Comédie.  Dans  cet  essor  d'inspiralions  platoniques 
qui  signala  vers  cette  epoque  la  vie  leltéraire  de  Florence, 
l'oeuvre  de  Dante  oflrait  une  riche  matière  à  la  pensée. 
Deux  hommes  surtout  représentent  cette  direction  plus 
haute,  j'ai  nommé  Cristoforo  Landino  et  Alessandro  Vel- 
lutello.  Dante  était  si  supérieur  au  moyen  àge,  que  le  moyen 
àge  ne  l'avait  pas  compris  ;  ce  fut  la  renaissance,  inspirée 
par  Platon,  qui  la  première  souleva  un  coin  du  voile  et 
penetra  dans  la  grande  àme  d'Allighieri.  On  a  étudié  Dante 
de  nos  jours  avec  bien  autrement  de  vigueur  et  de  préci- 
sion;  pour  certaines  parties  de  l'interprétation  philosophique 
et  religieuse,  Landino  sera  toujours  consulte  avec  fruit. 
Tout  récemment  encore,  un  des  hommes  qui  admirent  le 
mieux  la  Divine  Comédie  et  la  Vie  nouvelle,  t'historien 
Schlosser  proclamait  les  sentimens  d'édification  religieuse 
qu'a  enlretenus  chez  lui  la  lecture  de  Cristoforo  Landino. 
11  associe  à  cette  louange  le  commentaire  d' Alessandro 
Vellutello,  qui  appartient  au  commencement  du  XYF  siede 
et  qu'anime  le  méme  platonismo  chrélien  degagé  des  subtì- 
lités  scolastiques.  Pour  qui  connait  la  sévérité  grondeuse 
de  M.  Schlosser,  un  tei  hommage  est  un  événement  dont 
l'histoirc  littéraire  doit  conserver  le  souvenir;  en  lisant 
ces  contìdences  du  vieil  historien  liberal,  j'ai  mieux  apprécié 
le  caractère  de  cette  seconde  période  des  commentateiirs 
dantesques.  »  «-  Saint-René  Taillandier,  Revue  des  deux 
Mondes,  1.  Dee.  I806,  p.  476. 

SECOLO  XVI. 

Vellutello  Alessandro,  Venezia,  Marcolini,  1544;  id.  Mar- 
colini,  1554.  -  Ze  nuove  ed  utili  esposizioni  sopra  la  Divina 
Comedia,  unite  all'edizione  di  Lione  pel  Rovilio,  1551,  1552, 
1570;  di  Venezia,  per  Giovan  Antonio  Morando  del  1554 
furono  tolte  dal  Vellutello.  -  L'edizioni  di  Venezia  del  1564, 
1578,   1596  per  Marchiò  Sessa  (Tip. Rampazelti)  portano 


454  COMEMATORI. 

unile  l'esposizioni  del  Landino  e  del  Velhitello  per  cura  di 
Francesco  Sanso vi no. 

Nacque  in  Lucca  al  principio  del  Secolo  XVI  ;  morì,  secondo 
il  Tiraboschi,  nel  1566,  secondo  il  Fonlanini,  nel  1569. 

«  L'accresciula  lettura  della  divina  Comedia,  mercè  le 
prime  edizioni  pubblicatesi  colla  stampa,  fece  sentire  mag- 
giormente il  bisogno  di  studiare  quel  poema  colla  guida 
storica  dei  fatti  spettanti  alla  vita  ed  al  secolo  dell' Alli- 
ghieri,  e  si  cominciò  ad  indagare  la  spiegazione  di  quei 
passi  a  cui  sembra  che  il  poeta  faccia  allusioni  a'  perso- 
uaggi  più  notabili  del  suo  tempo.  Antesignano  di  questi  fu 
il  Yellutello  :  nel  suo  Comento,  che  venne  in  luce  verso  la 
metà  del  secolo  XVI,  si  trova  enunciata  per  la  prima  volta 
l'opinione  tuttora  ammessa  e  prevalente  che  il  veltro  alle- 
gorico, accennato  nel  L*^  canto  del  Poema,  raffiguri  Can  Grande 
Scaligero,  signore  di  Verona.  »  -  Minkh.  -  Il  Yellutello  è 
copioso,  ma  talora  e  spesso  non  la  coylìe.  Lettera  del  Ridolfi 
al  Conte  Magalotti. -Quanto  alla  parte  scientifica  il  Yellutello 
sta  tuttavia  sopra  gli  altri.  P.  Sorto,  Lettera  L*  Dantesca, 
Roma,  1863.  -  Y.  sopra,  Landino,  il  giudizio  di  Saint-René 
Taillandier  anche  sul  Comento  di  A.  Yellutello. 

BuoNANNi  YiCENZO,  Discorso  sopra  la  prima  cantica 
del  divinissimo  Theologo  Dante  dWlerfhieri  del  Bello,  nobi- 
lissimo fiorentino,  intitolata  Comedia,  Fiorenza,  Sermatelli, 
1561 

Il  Buonanni  afferma  di  avere  acutamente  rivisto  e 
collazionato  il  Testo  dell'  Inferno  unito  alla  sua  opera. 
Quanto  al  Comento,  il  Lasca  lo  tacciò  d'oscurità  in  uno 
de'  suoi  sonetti  ;  e  a  buon  diritto,  dice  il  Poggiali. 

Dolce  Lodovico,  Venezia,  Giolito  de'  Ferrari,  1855.  Le 
Postille  del  Dolce  furono  ripubblicate  in  Venezia  dal  Farri, 
1509,  1578;  dall'Occhi,  1774,  1810;  dal  Galli,  1799,  1812; 
in  Bergamo,  dal  Lancellotti,  1752;  1795;  in  Milano,  dall'A- 
gnelli, 1816. 

Nacque  in  Yenezia  nel  1508;  vi  morì  nel  1566. 

Il  Fontanini,  dice  il  Foscolo,  riferisce  come  Lodovico 
llolce  ricavasse  l'edizione  sua  dalla  copia  scritta  di  mano 
di  Pietro,  figliuolo  di  Dante,  e  poi  posseduto  da  uno  degli 
Amaltei,  concittadino  antico  del  Fontanini.  Taccio  che  in- 


COMENTATORl.  455 

torno  a'  codici  miracolosi,  a  ni  uno  degli  editori  di  quell'età, 
e  al  Dolce  meno  che  ad  altri  è  da  credere  ;  quando  tutti  a  lor 
beneficio  e  de'  librai  loro  mecenati  armeggiavano  a  sollevare 
le  loro  edizioni  recenti  sulla  rovina  delle  passate:  così  il  Dol- 
ce infamava  da  sé  di  pieno  proposito  le  sue  prime  Edizioni 
d'un  autore  a  fine  d'aiutare  lo  smercio  dell'ultima.  Sino 
dal  frontespizio  vantasi  il  Dolce  di  avere  ridotto  di  nuovo 
il  Poema  alla  sua  vera  lezione  e  con  l'aiuto  di  molti  anti- 
chissimi esemplari,  e  per  quanto  molti  ed  antichi  si  fossero, 
certo  è  che  nessuno  de'  manoscritti  e  stampati  ebbe  mai 
quel  titolo  di  Divina,  prefìsso  primamente  alla  Comedia  dal 
Dolce,  benché  altri  anche  prima  d'allora  l'avesse  rimutata  in 
Visione  di  Dante,  altri  in  Terze  Rime,  altri  in  Dante.- Foscolo, 
Discorso  sul  Testo,  Sez.  ccii.  -  Le  dichiarazioni  e  le  allegorie, 
di  ciascun  canto,  le  Postille  in  margine,  e  l'Indice,  ch'eb- 
bero molte  ristampe,  non  furono  senza  lode.  Il  Corniani 
chiama  il  Dolce  fra  i  mediocrissimi  ingegni  il  più  fecondo 
de'  pedestri  raffazzonalori  che  vendono  la  manuale  lor  opera 
agli  stampatori. 

Daniello  Bernardino,  (lucchese)  Venezia,  Pietro  da  Figno, 
1'd68. 

Questo  Comento  fu  a  torto  attribuito  a  Gabriello  Trifone. 
«  Daniello  è  buono,  ma  scarso.  »  Lettera  del  Ridolfi  al 
Magalotti, 

SECOLO  XVIII. 

Volpi  Giovanni  Antonio,  GV Indici,  Padova,  Comino,  1726. 
Vennero  essi  riprodotti  in  Venezia  dallo  Zatta,  1784  e  1798; 
dal  Vivarelli  nel  1811  e  1827;  dal  Bernardi  nel  1811;  dal 
Molinari  nel  1819;  dal  Gaspari  nel  1827;  in  Firenze,  dal 
Carli  1813;  in  Pisa,  dall'Amoretti,  1804-09;  in  Londra,  dal 
Roland!  1842;  in  Torino,  dal  Lampato,  tipogr.  econ.,  1852. 

Nacque  in  Padova,  10  Nov.  1686;  vi  mori  a'  28  Ott.  1766. 
Gl'Indici  ricchissimi  appostici  dal  Volpi,  tengono  luogo  di  un 
Comento. -Il  Volpi  usò  gl'Indici,  metodo  di  laudabile  sobrielii, 
ma  non  bastevoli  a  dar  chiarita  la  ragione  poetica  dell'opera. - 
y.  Lr.  Blanc,  prefazione  al  suo  Vocabolario  dantesco,  p.  xii. 


4d()  COMIÙMATORI. 

Venturi  P.  Pompeo,  Lucca,  Capurro,  1732.  -  Riprodotto  in 
Venezia,  dal  Pasquali,  1739,  1751,  1772;  dal  Zatta,  1752,  1760, 
1772;  dal  Gatti,  1793;  in  Verona,  dal  Berno,  1749;  in  Firenze, 
dal  BastiancUi,  1774-74,  dal  Carli,  1813,  dal  Maiotti,  1819, 
dal  Ciardetti,  1821-26,  dal  Gaietti,  1827,  dal  Formigli,  1830, 
1837;  in  Livorno,  dal  Masi,  1817-18;  in  Lucca,  dal  Berlini, 
1811;  in  Torino,  dal  Pomba,  ritoccato  dal /?o6f'o/a,  1830  ;  in 
Palermo,  dal  Barcellona,  1834;  in  Parigi,  dal  Truchy,  1841; 
In  Bassano,  dal  Remondini,  1815,  1820,  1826,  1852. 

Nato  in  Siena  il  21  Sett.  1693;  mori  in  Ancona  11  12 
Aprile  1752. 

«Il  Sant'Uffizio  Spagnuolo,  fattosi  potente  in  Italia  de- 
cretò: che  da  tutte  le  edizioni  con  esposizioni  e  senza  si 
abolissero  tre  lunghe  allusioni,  da  che  i  valentuomini  non 
ne  vedevano  più  che  tante.  Indi  l'Italia,  per  tutti  quei  cento 
e  trent'annì  fra  l'edizioni  della  Crusca  e  del  Volpi,  a  pena 
udiva  dì  Dante  più  in  là  del  nome  . .  .  Parve  a'  Gesuiti  di 
non  temporeggiare  a  farsene  critici  dell'opera  ed  espositori 
alla  gioventù.  La  dedicarono  a  Clemente  XII  ;  la  censura- 
rono, la  palliarono,  come  se  l'autore,  per  ostentazione  di 
sapere,  peccasse  balordamente  di  irreligione.  Il  P.  Venturi 
gli  fa  da  maestro  di  teologia  insieme  e  di  poesia  ...  La 
scuola  gesuitica  e  gli  eunuchi  metastasiani  e  l'Arcadia  pa- 
revano congiurati  ad  esporre  Dante  alla  derisione  del  mondo. 
Ma  la  rivoluzione,  dalla  quale  la  mente  umana  in  Europa 
sembrò  concitata  instantaneamente,  s'  approssimava  palese 
ed  irresistibile  sino  d'allora;  e  molte  nuove  opinioni  erano 
promosse  come  pe;*  impeto  di  fatalità  da  quegli  uomini 
a'  quali  importava  di  perseverare  pur  nelle  antiche.  Pio 
VI  compiacevasi  che  il  suo  nome  si  sotterrasse  con  le 
ossa  di  Dante  in  Ravenna,  e  la  divina  Comedia  esaltata 
dall'Inquisitore  cominciò  ad  essere  stampata  alle  porte  del 
sacro  Palazzo  in  Vaticano.  »  -  Foscolo,  Discorso  sul  Testo, 
Sez.  CCVI.  -  Il  P.  Venturi,  il  quale  come  se  non  avesse  mai 
appreso  che  Dante  era  un'anima  intemerata,  intesa  sola- 
mente alle  più  austere  virtù,  fa  alte  le  meraviglie  sul  ri- 
gore delle  sue  dottrine  sul  voto,  e  sfoga  le  sue  meraviglie 
in  puerili  sarcasmi:  similmente  ogni  qualvolta  Dante  di- 
pinge e  punisce  severamente  ì  perversi  costumi  del  suo 


COMEP<TATOIU.  4o7 

tempo,  il  P.  Yenlurl  s'inquieta  e  prorompe  in  maldicenza 
e  in  molli  freddamenle  piccanti.  -  Egli  lo  ha  sparso  a  piene 
mani  di  amare  espressioni,  di  molti  satirici,  e  di  spirito- 
saggini contro  il  poeta.  Ciò  non  nuoce  alla  fama  di  Dante, 
il  sappiamo,  perchè  ha  trionfato  sì  gloriosamente  delle 
persecuzioni  del  tempo  e  degli  uomini,  e  si  è  levata  sì 
gigantesca  che  può  insultarsi  ma  non  offendersi  mai.  Pure 
il  Dante  maltrallato  dal  P.  Venturi  è  quello  che  più  re- 
golarmente dai  maestri  è  messo  in  mano  dei  giovani,  ed 
è  certamente  per  essi  un  male  non  lieve  che  le  prime 
impressioni  non  sieno  tulle  favorevoli.  -  Il  P.  Venturi  spiega 
solo  il  senso  letterale,  e  in  ciò  il  più  delle  volte  coglie  nel 
segno:  la  sua  spiegazione  è  assai  chiara  e  concisa,  come 
si  conviene  a  libro  destinato  a' scolari;  ma  per  ciò  che  ri- 
guarda al  senso  morale  egli  se  ne  passa  senza  far  parola: 
nessuna  osservazione  di  estetica,  nessuna  avvertenza  sulle 
tante  bellezze  del  poema.  È  vero  che  il  bello  bisogna  sen- 
tirlo da  sé,  ma  un  libro  fallo  pei  giovani  certi  pezzi  vanno 
notati,  certe  bellezze  bisogna  accennarle,  perchè  tuttavolta 
sono  cosi  recondite,  che  l'occhio  non  avvezzo  ad  osservar 
tanto  per  lo  sottile,  non  può  a  prima  vista  conoscerle.  Il 
Venturi  non  ha  fatto  nulla  di  lutto  ciò,  e  forse  avea  le  sue 
belle  ragioni  di  non  farlo.  »  -  Atto  Yannucci.  -  Il  Giusti 
dice  pregiudicato  il  Venturi,  e  che  dovea  esserlo. 

1791.  Lombardi  Fra  Baldassare,  Roma,  Fulgoni,  e  dallo 
stesso  ripubblicalo  nel  1815,  1820;  in  Jenna,  dal  Forman, 
1807;  in  Padova,  Tip.  Minerva,  1830  ;  in  Firenze,  dal  Ciar- 
dctti,  18B0;  e  dai  Passigli  1838.  Vi  à  anche  un'edizione  di 
Napoli  del  1820.  -  Il  Poggiali,  nelle  annotazioni  preposte 
alla  sua  edizione  si  attenne  in  gran  parie  al  Comento  del 
Lombardi,  Livorno,  Masi,  1807-13. 

«Il  P.  Lombardi,  francescano,  dell'ordine  di  Papa  Gan- 
ganelli  che  abolì  1  Gesuiti,  collazionò  l'edizione  Nidobeatina... 
che  gli  fu  sorgente  ricca,  ma  non  sempre  limpida  di  emen- 
dazioni, e  fu  corrivo  ad  usarne  . . .  Opponendo  fatti  veri, 
perseveranza  di  metodo  e  senso  comune,  redense  il  poema 
dalle  interpretazioni  gesuitiche,  e  dall'autorità  conceduta 
sovr'esso  alla  critica  della  Crusca.  Se  non  che,  o  non  ve- 
dendo, 0  più  veramente  non  potendo  più  in  là,  tenne  le 


458  COMENTATORI. 

allusioni  alla  religione  fra'  termini  degli  antichi.  Non  mi- 
gliorò il  modo  usato  d' esposizione,  ma  ne  scemò  la  verbo- 
sità, e  sciolse  nodi  spesso  intricati  dagli  altri.  Era  anzi 
temperato  ad  intendere  che  a  sentire  la  poesia  ;  o  forse 
a  non  potere  esprimere  quant'ei  sentiva.  Scrive  duro  ed 
inelegante,  per  non  dire  plebeo,  e  non  giureresti  che  fosse 
dotto  »...  Foscolo,  Discorso  sul  Testo,  CCYIII.  -  Coli' acu- 
tezza della  mente  e  coli' amplitudine  della  dottrina  illustrò  la 
divina  Comedia  per  modo  che  si  lasciò  addietro  ogni  altro 
Comentatore.  -  Foscolo,  Voi.  IV.  p.  105.  -  Riguardo  alla  spie- 
gazione egli  si  valse  dell'opera  dei  comentatori  che  lo 
precedettero,  transcrivendo  fedelmente  le  loro  chiose  quando 
le  credette  chiare  e  sufficienti,  ed  inserendovi  le  proprie 
allorché  si  avvide  che  gli  altri  non  aveano  colto  nel  segno. 
Procurò  finalmente  il  Lombardi  di  difendere  il  nostro  poeta 
dall'altrui  ingiuriose  accuse,  e  principalmente  del  Castel- 
vetro  e  del  Venturi,  e  vi  adoperò  tal  magistero  che  spesse 
volle  sfolgoreggia  il  bello  ed  il  sublime,  ove  appunto  si 
pretendeva  far  comparire  incoerenze  e  fanciullaggini,  ond'è 
che  in  seguito  de'  suoi  dotti  conienti  la  divina  Comedia 
dopo  tre  secoli  e  più  ch'era  stata  pubblicata  per  tutta 
l'Europa  ottenne  per  la  prima  volta  di  essere  stampata 
anche  colla  data  dì  Roma.  -  Edit:  Rom.  -  Le  poche  mie 
osservazioni,  scriveva  il  Monti  al  Federici  (  16  Giugno  1819  ), 
sono  tutte  senz'ordine,  o  disperse  sul  margine  del  mio 
Dante  eh' è  quello  del  Lombardi.  -  Il  Giusti  dice  il  Lom- 
bardi diligentissimo,  ed  il  migliore  fra  i  grammatici,  ma 
poco  ordinato. 

SECOLO  XIX. 

PoRTiRELLi  L.;  Ferrario  GiuLio,  Milano,  Tip.  Classici  Ita- 
liani, 1804. 

Con  le  sue  brevi  annotazioni  il  Portirelli  intende  a  dare 
una  spiegazione  netta  e  precisa,  restringendosi  a  poche 
cose,  a  quelle  che  riguardano  soggetti  storici  o  mitologici, 
e  trattando  assai  distesamente  le  illustrazioni  dei  passi  più 
importanti,   o  rimaste  senza  particolare  illustrazione  nei 


COMEMATORI.  459 

conienti  precedenti.  Le  più  sono  tratte  dal  cemento  del 
Lombardi,  e  da  quello  di  Jacopo  della  Lana:  quelle  del 
Paradiso  sono  opera  di  Giulio  Ferrano,  a  cui  molto  giova- 
rono gli  astronomi  di  Milano,  che  gli  furono  cortesi  di 
illustrazioni  per  le  cose  astronomiche  che  occorrono  nella 
divina  Comedia. 

ZoTTi  Romualdo,  Lontlra,  Zolti,  1808;  fu  ripubblicato 
dallo  stesso  Zolti  nel  1819. 

ARR1VABE^E  Fr.  Parafrasi  in  prosa,  Bologna,  Franzini, 
1811 

Rossetti  Gabriele,  Parafrasi  in  prosa  delli  xi  primi 
Canti  delV  Inferno,  Londra,  Murray,  1826. 

G.  C.  1  aprimi  Canti  de  W  Inferno  ed  il  principio  del  ir 
in  prosa,  Blois,  Giroud,  1829. 

Rotondi  Pietro,  Dante  offerto  alV  intelligenza  dì  alcuni 
giovanetti,  Milano,  Fanfani,  1841. 

Lord  Yernon,  Parafrasi  in  prosa  dei  primi  7  Canti  del- 
l' Inferno,  Firenze,  Piatti,  1842. 

Carpaneti  Selmo,  Il  Purgatorio  in  verso  e  in  prosa,  Fi- 
renze, Le  Mounier,  1844. 

Carpaneti  Selmo,  L'Inferno  di  Dante  Allighieri  inverso 
r  in  prosa,  Firenze,  Le  Mounier,  1847. 

Trissino  Francesco,  La  Divina  Comedia  illustrata,  col 
testo  oriffinale  a  riscontro  ad  utilità  e  comodo  degli  studiosi 
della  sublime  poesia,  Vicenza,  Paroni,  1 857  ;  Ritoccata  in  più 
illustrativi  luoghi  dall'autore,  ed  accresciuta  di  un  oppor- 
tuno corredo  di  note,  con  18  vignette,  disegnate  dal  piti. 
Salvatore  Mazza.  In  corso  di  stampa,  Milano,  Schiepatti. 

Castrogiovanni  Giovanni,  La  Divina  Comedia  illustrata 
ed  esposta  e  renduta  facile  in  prosa,  Palermo,  Lo  Bianco, 
1858. 

«  Coloro  che  si  accingono  alla  fatica  di  volgere  in  prosa 
la  divina  Comedia  sembrano  non  far  assegnamento  sulla 
percezione  intuitiva,  onde  il  bello  poetico  è  sentito  quasi 
più  che  compreso  dalle  menti  non  addottrinate,  né  esperti 
della  finezza  dell'arte.  Si  vogliono  condur  per  mano  i  lettori 
affinchè  non  inciampino;  ma  a  forza  di  farli  avvertili  della 
via,  s'impedisce  loro  di  scorgere  le  bellezze  che  han  sotto 
gli  occhi,  1  giovani  e  il  popolo  han  la  fantasìa  facilmente 


460  COMEMATORl. 

eccitabile  e  pronta  a  impressionarsi  delle  cose  alte  e  mira- 
bili. Accadrà  più  di  leggieri  ch'essi  afiferrino  di  slancio  un 
concetto  astruso,  ma  espresso  poeticamente,  di  quello  che 
vi  arrivino  per  le  vie  tortuose  di  una  logica  spiegazione. 
Farla  comprendere  colla  prosa  elevarle  in  parte  il  prestigio, 
è  come  far  vedere  a  uno  spettatore  il  di  dietro  delle  scene, 
per  scemargli  così  l'attrativa  dell'illusione  quando  si  rimet- 
terà nellla  platea.  Si  lasci  pur  Dante  in  mano  ai  giovani 
senz'altro  aiuto  che  delle  note,  e  se  questi  faticheranno  a 
capirlo,  non  sarà  spesa  indarno  quella  fatica,  e  i  lettori 
saran  lieti  di  dovere  a  se  stessi  l' intenderlo  e  ne  porte- 
ranno più  viva  e  durevole  l'impressione.  Piuttosto  vorremo 
che  chi  offre  a  lettura  di  giovani  o  di  persone  men  che 
mediocremente  colte  la  divina  Comedia  la  illustrasse  con 
tutte  quelle  dichiarazioni  che  valgano  a  farla  ben  compren- 
dere e  gustare...  Quanto  alla  versione,  noi  non  esitiamo  a 
dirla  opera  inesiguibile  a  un  tempo  e  dannosa.  Lasciamo 
stare  ch'essa  pure  avezza  troppo  facilmente  1  giovani  a 
fuggir  la  fatica  del  meditare,  sicché  si  perde  per  essi  il 
beneficio  di  quella  ginnastica  mentale,  a  cui  obbliga  lo  stile 
non  sempre  facile  e  aperto  del  poema...  Come  gustare  la 
bellezza  dì  certe  forme  e  l' armonia  di  certi  versi,  dopo 
averli  masticati  in  umile  prosa,  e  peggio  ancora,  in  una 
prosa  che  per  necessità  serba  alcun  po'  dello  stile  del  poema, 
e  sarà  quindi  un'  intarsio  di  modi  danteschi  e  di  modi  pro- 
prii  del  traduttore...?  Y.  Crepuscolo,  1859.  n.  10. 

BiAGiOLi  Giuseppe,  Parigi,  Dondey  -Duprè,  1818  -  Ripro- 
dotto in  Milano,  dal  Silvestri,  1819,  1820, 1829,  1838,  1845; 
in  Napoli,  pel  Rondinelli,  Tip.  Palma,  1854;  per  Andrea 
Festa,  1855. 

Nacque  a  Vezzano,  piccol  borgo  del  Genovesato,  presso 
a  Sarzana  ;  morì  a  Parigi  nel  Decembre  1830. 

«Il  Comenlo  pubblicato  da  lei  mi  dolse  tanto  più, 
quanto  che  non  essendo  accomodato  al  secolo  nostro,  riesce 
macchiato  qua  e  là  di  motti  aspri  e  forse  anche  illiberali 
e  insieme  impotenti,  ma  indegni  più  che  altro,  sì  di  lei  che 
li  ha  scritti,  e  sì  del  P.  Lombardi  ch'ella  assale  a  ogni  poco, 
e  che  fu  benemerito  più  eh'  altri  mai  del  poema . . .  Ella 
ascriva  quanto  scrissi  e  scriverò  intorno  all'opinioni  del 


COMENTATORI.  461 

SUO  Comenlo,  non  a  voglia  di  gara-gara?  e  a  che  prò?  - 
bensì  a  lungo  costume  fatto  sistema,  e  a  natura  inflessìbile 
in  me,  ogni  qualvolta,  illudendomi  o  no,  a  me  paia  di 
rivendicare  ciò  che  io  credo  negletto  e  manifestamente 
vero.  »  -  U.  Foscolo  al  Biaqioli,  Londra,  16  Marzo  1827.  -  Y. 
Epistolario,  Voi.  III.  p.  257.  -  «  Nessuno,  a  mio  parere,  è 
mai  andato  sì  addentro  allo  spirito  di  questo  gran  padre 
della  poesia  italiana.  Ma  voi,  mio  caro,  mi  carminate 
troppo  spietatamente  quel  povero  frate  Lombardi.  Abbiatene 
un  poco  di  compassione,  e  ne  sarete,  credetelo,  più  lodato 
e  stimato.  »  -  Vie.  Monti  al  Jìiagioli,  Milano,  2  Dee.  1818, 
Monti,  Voi.  VI.  p.  330.  -  «  Nelle  chiose  del  Biagioli  sono  molte 
cose  assai  buone,  ma  non  è  piccolo  il  numero  delle  cattive, 
e  delle  cento  volte  eh'  egli  attacca  il  Lombardi,  su  novanta 
ha  torto  marcio.  Io  l' ho  postillato  tutto  dal  primo  all'ultimo 
verso,  ed  ho  notato  di  più  e  mostrato  che  alcuna  volta  il 
Biagioli,  accettando  la  lezione  del  Lombardi,  ha  accettato 
la  falsa,  e  si  è  accostato  al  suo  antagonista  ove  più  dovea 
fuggirlo.  -  Monti,  Sesto  di  Monza,  10  Settembre  1821,  a 
Fortunato  Federici.  -  Anche  il  Colelli  bistrattò  troppo 
acremente  il  comento  del  Biagioli.  Il  Giusti  lo  dice  prolisso 
e  fanatico. 

Costa  Paolo,  Bologna,  Gxamberini  Parmeggiani,  1819; 
riprodotto  nel  1826  dagli  stessi  e  dal  Cardinali  Frulli;  in 
Firenze  dalla  Tipogr.  all' insegna  di  Dante,  1830;  dal  Ma- 
gheri,  1856;  dal  Fabris,  1840;  dal  LeMonnier,  1844,  e  nel 
1846  e  1849,  con  lagiuiita  delle  chiose  di  Brunone  Bianchi; 
dal  Balelli,  1856;  in  Colle  dal  Pacini,  1844;  in  Prato  dal 
Passigli,  1852;  in  Napoli  dal  Ferrano,  1830,  1837,  1839,  e  dal 
Tramaler  1844,  1849;  in  Voghera,  dal  Giani,  1842;  in  Ge- 
nova dal  Grandona,  1839;  in  Milano,  dal  Bonfanti,  1827,  dal 
Pagnonì;  dal  Borroni  Scotti,  1850,  1855;  in  Monza,  dal  Cor- 
Wtla,  1837,  1855;  in  Venezia,  dairAnlonelli,  1832,  1856;  dal 
Tasso,  1852. 

P.  Costa,  n.  in  Ravenna  il  13  Giugno  1771;  vi  mori  il 
21  Dee.  1836. 

«  Comento  in  cui  racchiuse  le  interpretazioni  dei  più 
accreditati  chiosatori,  spiegò  con  probabilità  molti  oscuri 
luoghi,  a  tale  brevità  attenendosi  che  l'animo  di  chi  legge 


462  COMENTATORl. 

con  affello  nel  sacro  poenia  non  venisse  punto  a  raffreddarsi, 
con  che  prestò  di  vero  gran  servigio  all'italiana  lettera- 
tura. »  -  Rambelli,  Biografia  di  P.  Costa.  -  Il  Colelll  lo  dice 
migliore  di  tutti,  quantunque  ve  n'abbiano  di  più  pieni  e 
più  circostanziati.  ^Arcangeli  nel  suo  articolo  i  Comentatori 
di  Dante  lo  dice  prezioso;  il  Crepuscolo,  il  comento  II  più 
divulgato,  e  sebbene  diligente  ed  erudito,  in  qualche  parte 
troppo  frondoso  e  sazievole,  in  qualche  altra  insufficiente 
{1857,  p.407). 

Cesari  Antonio,  Bellezze  della  divina  Comedia,  Verona, 
Libanti,  1819.  -  Riprodotte  in  iNapoli"  nel  1827  e  nel  1855, 
per  Francesco  Rossi-Romano,  Tip.  Agrelli;  in  Milano  pel 
Silvestri,  1845,  1855;  in  Parma  pel  Fiaccadori,  1844;  in 
Yenezia  pel  Tasso,  1859. 

Nacque  a  Verona  il  16  Gen.  1760;  ra.  a  Ravenna  il  1. 
Ottobre  1820. 

«.Niuno  de' comentatori  avea  per  anche  ricerco  le  qua- 
lità principali  di  questa  Cantica,  le  quali  rendono  indu- 
bitatamente l'autor  suo  il  primo  poeta  del  mondo:  ciò 
sono  le  grazie,  la  bellezza  e  dovizia  della  lingua  da  lui 
maestrevolmente  adoperata  :  l' inarrivabile  magistero  del- 
l' arte  poetica,  che  per  tutto  il  lavoro  signoreggia,  e  da 
ultimo  la  maschia  terribile  eloquenza,  che  assai  risentita- 
mente sfolgoreggia  a'  propri  luoghi.  Ora  il  Cesari  pigliò 
sopra  sé  medesimo  questo  carico;  e  l'adempiè  per  forma... 
di  raffermare,  essere  queste  Bellezze  opera  perfetta  nel  suo 
genere.  Per  menomar  la  stanchezza  del  camino,  cessar  la 
sazietà  dei  leggitori,  e  con  più  chiaro  ordine  procedere, 
egli  mise  le  cose  in  dialogo;  e  così  si  apri  la  strada  mollo 
bene  a  poter  dar  luogo  a  quelle  tante  osservazioni  che  si 
era  proposto,  ed  a  fiorirle  di  quelle  tante  grazie  di  lingua 
e  di  stile,  ond'era  sì  dovizioso;  dando  eziandio  alla  favella 
nostra,  con  mirabile  chiarezza  forza  e  garbo,  nuove  att'rtii- 
dini,  tragetti  nuovi,  e  forme  svariate,  molteplici  e  risentite, 
quanto  è  grande  il  suo  regno,  né  mai  per  inanzi  adoperate 
o  vedute  da  altri.  Le  bellezze  del  poema,  come  intendimento 
suo  principale,  mostra  e  ricerca  con  molta  sottigliezza  e 
gusto,  in  tutti  e  tre  i  proposti  argomenti,  ma  in  quello 
della  lingua  per  modo,  che  non  si  potea  né  più  né  meglio... 


COMEMATORI.  463 

Infiniti  sono  i  luoghi,  dove  mostra  appunto  colla  pratica 
dei  modi  natii  della  lìngua  i  comenlatori  aver  fallato;  da 
che  nelle  lingue  la  sola  critica  non  basta:  essendo  che  esse 
non  la  metafisica,  si  l'uso  il  solo  maestro  legittimo:  e  per 
uso  intende  non  quel  del  popolo  ma  degli  scrittori  classici, 
co' quali  è  da  stare  al  tutto  chi  non  vuol  fallare...  De' luoghi 
più  oscuri,  0  di  dubbia  intelligenza  ed  incerta,  dà  illustra- 
zioni chiarissime...  E  questa  opera  del  Cesari  contribuisce 
pure  a  far  assaggiare  e  conoscere  una  buona  parte  del 
bello  meraviglioso  del  linguaggio  nostro  dolcissimo...  Oltre 
che  gli  studiosi  gli  debbono  anche  saper  grado  dell'aver 
qua  e  là  seminato  i  suoi  pensamenti  intorno  al  modo  di 
studiare  o  far  altrui  studiare  sì  l'arte  poetica  come  l'ora- 
toria. -  «  G.Manuzzi,  Della  vita  e  dell'opere  di  À.  Cesari, 
XX.  x\i.  »  -  Il  troppo  affetto  per  Dante  lo  porta  talvolta 
ad  una  certa  preoccupazione  che  partecipa  dell'  idolatria, 
ed  affascina  la  vista  in  modo  da  parer  bello  ciò  che  tale 
non  è...  L'ammirazione  affettuosa  per  lui  non  gli  ha  lasciato 
luogo  a  dichiarare  le  ragioni  del  bello  e  dell'ammirabile, 
cosi  che  in  questo  caso  sembra  che  l' affetto  e  la  meraviglia 
gli  abbiano  preoccupato,  e  vinto  l' ingegno.  -  Bihi  Italiana.  - 
E  assennatissimo  ci  pare  il  giudizio  che  ce  ne  diede  il 
Ranalli  :  «  Fra  tutti  gli  espositori  e  comentalori  e  interpetri 
della  divina  Comedia  reputiamo  maggiormente  profittevole 
il  padre  Antonio  Cesari,  che  principalmente  mirò  a  mettere 
in  luce  le  stupende  bellezze  della  poesia  di  Dante.  E  a 
quest'opera  (da  alcuni  indegnamente  schernita)  rimandiamo 
i  nostri  lettori,  se  vogliono  ogni  più  minuto  e  singolare 
pregio  dello  stile  e  sermone  dantesco  avvertire:  senza  che 
gli  debba  ritenere  o  alienare  il  modo  più  tosto  uniforme 
e  poco  animalo  del  dialogo,  dove  tutti  favellali  d' accordo 
e  come  all'  unisono  ;  qualche  errore  d' interpretazione  e  dì 
lezione,  confessato  dallo  stesso  autore;  alcuna  prolissità 
ne'  proemi,  entrature  e  digressioni;  e  finalmente  quel  sover- 
cliio  di  convenevoli,  ceremonie  e  amorevolezze  fra  gì'  inter- 
locutori, che  talora  sanno  di  smorfia  e  di  affettazione.  Ma 
fuori  di  questi  difetti  (perdonabili  a  uno  scrittore  cotanto 
meritevole),  un  lavoro  migliore  a  far  gustare  quel  che  più 
importa  di  gustare  in  Dante,  uon  conosciamo.  «  -  Ammae- 


464  COMENTATORI. 

stramenti  dlletteratiira,  Voi.  IV.  p.  667.  Ediz.  Le  Monnìer.  - 
Il  Cesari  avea  in  animo  d' intitolare  questo  lavoro  al  papa 
Leone  XII,  ma  egli  avea  deliberalo  dì  non  accettare  dedica- 
zioni: bella  scusa!  [Cesari,  all'ai).  Pietro  Beltrami  di  Koveredo, 
a' 16  Giugno  1824).  11  Cesari  in  una  sua  lettera  ad  un'amico 
di  Treviso,  6  Feb.  1825,  si  duole  che  la  Biblioteca  Italiana 
gli  abbia  carminato  senza  pettine  le  sue  Bellezze  (V.  Leti, 
al  Pezzana,  19  Agosto  1827,  e  al  P.  Villardi,  4  Decembre  1825j. 
E  al  Fracassetti  di  Fermo,  addi  2  Maggio  1824,  scriveva 
pure  :  Non  so  io  medesimo  quello  eh'  io  mi  creda  di  quelle 
povere  Belle z'ze  mie:  tanto  è  traviato  e  strano  il  dire  che 
se  ne  fa.  Chi  le  loda  a  cielo,  chi  le  manda  nella  Caina, 
chi  freddamente  tocca  qui  o  qua,  e  lascia  il  meglio,  e  chi 
nulla  ne  dice.  Nel  qual  termine  di  cose,  e  sbalestrar  di 
giudizj  io  non  so  che  mi  credere,  e  vorrei  pure  venire  al 
fermo.  -  Il  Rosmini  gliele  lodava,  solo  gli  parean  soverchie 
le  troppe  ceremonie  che  mette  in  bocca  agi'  interlocutori  : 
oltre  a  ciò  crede  nel  dialogo  sieno  necessarii  i  sali  inaspet- 
tati ed  il  continuo  qarbo  d' ingegnosi  concetti  per  farsi 
leggere  con  piacere,  di  che  ce  ne  porge  un  esempio  mera- 
viglioso il  Monti  [Cesari  a  Rosmini,  23  Decembre  1824).  - 
Il  Villardi  ne  dettava  un  articolo  di  lode  nel  giornale 
torinese  V Amico  d'Italia,  di  che  il  Cesari  ne  lo  ringrazia 
(4  Decembre  1825). 

Rossetti  Gabriele,  Londra,  John  Murray,  1826. 

Nato  in  Vasto  degli  Abruzzi  il  28  Feb.  1783;  m.  a  Londra 
il  16  Aprile  1854. 

Il  concetto  fondamentale  del  Comento  del  Rossetti  si  è: 
avere  Dante  con  altri  scrittori  del  suo  tempo,  sotto  il  velo 
di  una  lingua  arcana,  allegorica,  con  una  quasi  simbologia 
massonica,  esposto  le  più  ardile  dottrine  metatisiche  reli- 
giose e  politiche  (V.  Bibl.  hai  Agosto,  1826).  Il  Rossetti 
ebbe  a  propugnatori  l' Ugoni,  l'Orioli,  il  Maroncelli,  il 
tedesco  Mendelsohn  e  il  francese  Delècluze,  il  quale  ebbe 
a  dire  de  toutes  les  clèfs  données  jusqu'  à  present  pour 
entrer  dans  le  sanctuaire  de  Dante  celle  qn'  a  forgéi,  3J. 
Rossetti  est  encore  celle  qui  oiivre  le  plus  des  portes.  Questa 
teoria  fu  gagliardamente  impugnata  dallo  Schlegel,  dal  Witte, 
dal  Le  Normant,  dal  ministro  anglicano  C.  Lyell,  dairOzanam* 


COMEMATORI.  465 

dal  Drouilhet  de  Sigalas  e  dal  Canlìi.  —  Il  Rosselli,  così 
(t.  Giusli,  fa  di  Dante  un  settario,  e  per  volerci  veder 
troppo,  aggira  sé  e  il  lettore  in  un  laberinto  d' illustrazioni, 
buone  e  nuove  talora,  talora  ingegnose,  qualche  volta  non 
buone  né  nuove.  Pure  quel  lavoro  sarà  di  molta  utilità: 
risparniierà  tempo  e  fatica  a  chi  verrà  dopo,  e  desterà  am- 
mirazione alla  somma  industria  e  alla  infaticabilità  del 
bravo  ^'apoletano.  (  Giusti,  Scrini  vari,  p.  IIH  ). 

Borghi  Giuseppe,  Firenze,  Borghi,  1827;  riprodotto  dallo 
stesso  Borghi,  1828,  1833;  ed  in  Firenze  pure  dalla  tipografia 
della  Speranza,  1837  ;  in  Milano  dalla  Tip.  de'  Classici,  1832; 
in  Parigi  dal  Baudry,  1843,  1844. 

Jsato  in  Bibbiena  il  4  Maggio  1790  ;  m.  a  Roma  nel 
Maggio  1847. 

Brevissime  sono  le  note  onde  il  Borghi  corredava  la  sua 
edizione,  meglio  letterali  che  altro.  Pure  qualche  cosa  per 
avventura  non  piacque  interamente  nel  testo,  qualche  altra 
riesci  dubbia  o  manca  nell'illustrazione,  onde  l'autore  nelle 
nuove  edizioni  diede  all'uno  e  all'altra  le  seconde  sue  cure. 
Bibliot.  hai 

Tommaseo  Nicolò,  Venezia,  Tip.  Gondoliere,  1827;  ripro- 
dotto a  Napoli  nel  1840,  per  Giuseppe  Ciofli, 

«  In  questo  Commento,  cosi  il  Tommaseo  preludeva  al  suo 
lavoro,  m'ingegno  di  stringere  in  poco  le  cose  sparse  per 
molli  volumi.  Interpreto  sovente  citando:  perchè  le  cita- 
zioni dichiarano  la  lettera,  illustrano  il  concetto,  mostrano 
onde  Dante  l' attinse,  o  con  quali  intelligenze  e  fantasie  la 
intelligenza  e  fantasia  di  lui  si  riscontrò,  e  come  egli  fu 
creatore  imitando.  Cito  sovente  lui  slesso,  che  nelle  prose 
e  nelle  rime  e  ne'  luoghi  simili  del  poema  si  riconoscono 
gl'intendimenti  suoi  e  le  forme  dello  stile.  Più  frequenti  a 
rammentare  mi  cadono  la  Bibbia  e  Virgilio,  S.  Tomaso  e 
Aristotile.  M'aiuto  di  fonti  inedile...  Cerco  nella  prosa  antica 
gli  esempi  di  quelle  che  finora  parvero  licenze  poetiche  ;  le 
cerco  nel  toscano  vivente.  E  di  tutte  queste  citazioni  escono 
insegnamenti  e  considerazioni  ed  afl'elti,  quali  nessuna  parola 
di  critico  può  suscitare  :  si  conosce  quello  che  è  proprio  all'uo- 
mo, quello  che  al  secolo;  quale  e  quanta  armonia  tra  T  ima- 
ginazione e  r intelletto,  la  natura  e  l'arte,  la  dottrina  e 

VOL.  II.  30 


466  COMEMATORI. 

l'amore.  Le  nuove  mie  interpretazioni  difondo  in  breve, 
senza  magnilicarne  la  bellezza  ;  né  le  contrarie  combatto.  Pr^ 
scelgo  le  più  semplici;  e  solo  là  dove  è  forte  il  dubbio,  ne 
pongo  due.  Le  lezioni  del  testo  confermo  all'autorità  di  più 
codici  e  stampe,  ligio  a  nessuna.  Se  circa  le  lezioni  o  le  inter- 
pretazioni mie  cadrà  disputa,  potrò  sostenerla  o  correggerle: 
ma  lo  spedienle  del  citare  parvemi  buono  appunto  a  troncar 
molle  liti  ;  e  la  brevità  parvemi  debita  cosa  nello  illustrare  uno 
de'  più  parchi  scrittori  che  onorino  l'Italia  e  la  natura  uma- 
na». -  11  Comento  del  Tommaseo  ha  una  duplice  autorità, 
quello  di  aiutare  gli  studiosi  a  bene  intendere  la  lingua  e  i 
concetti  dall'Allighieri,  e  quella  altresì  di  mostrare  coU'esem- 
pio  di  che  studj  pazienti  e  minuti  debba  nutrirsi  chiunque 
sia  desideroso  di  sollevarsi  a  qualche  maggiore  ampiezza  di 
note  storiche,  e  talvolta  anche  a  qualche  maggior  cura  per 
far  sentire  la  relazione  delle  voci  e  frasi  dantesche  con 
quelle  citate  dal  Gomentatore.  -  Biblioteca  Italiana,  Aprile, 
1838,  n.  268.  -  Non  mancano  a  luogo  dichiarazioni  sloriche, 
fini  tocchi  di  critica,  e  soprattutto  bellissimi  argomenti 
premessi  ad  ogni  canto  che  vagliono  essi  soli  il  prezzo  della 
lettura.  Ritrae  in  poche  righe  il  concetto  del  poeta,  e  ti 
manda  con  animo  apparecchiato  a  udirlo  eccheggiare  divi- 
namente nei  versi.  -  Carrer,  Gondoliere,  20  Gen.  I8;ì2,  n.  li  - 
Queste  note  sono  il  più  parco  e  il  più  completo  comento 
eh'  io  sappia.  -  Dall'  Ongaro. 

Martini  Lorenzo,  La  Divina  Comedia  dichiarata  secondo 
i  principj  della  filosofia,  Torino,  Marietti,  1840. 

Nato  in  Cambiano  il  19  Settembre  1783;  m.  a  Torino  il  'ò 
Aprile  1844. 

«  Io  cerco,  così  il  Martini,  nel  suo  divinissimo  Poema 
e  lume  e  conforto,  per  accingermi  poscia  allo  studio  dei 
Principi  della  metafisica:  e  desidero  la  gioventù  italiana 
mi  accompagni.  I  comentatori  dell'Allighieri  sono  moltissimi; 
ma  niuno,  ch'io  mi  sappia,  consultò  quel  Genio  come  oracolo 
di  filosofìa:  si  limitarono  a  svolgere  le  bellezze  relative 
alla  letteratura:  alcuni,  ad  agevolarne  l'intelligenza,  vi  an- 
nestarono le  notizie  biografiche,  e  politiche  di  lui  e  di  coloro 
de'  quali  fa  menzione.  Io  non  volli  ripetere  così  fatti  co- 
menti;  sì  perchè  si  possono  facilmente  rinvenire,  e  sono 


COMENTATORl.  4G7 

nolissiml  a  lutti  ;  e  sì  ancora  perchè  desidero,  che  il  mio 
lettore  fissi  tutta  la  sua  attenzione  alla  metafìsica.  Sovente 
spiego  i  vocaboli;  ma  quando  essi  racchiudono  in  se  un 
principio  0  psicologico,  od  ontologico,  logico,  o  morale.  Non 
pochi  concetti  sono  più  e  più  volte  ripetuti:  ma  Dante  vi 
aggiunge  sempre  una  qualche  bella  varietà,  ed  io  non  doveva 
prettermettcrli.  Tson  pretendo  di  aver  esaurito  la  filosolia 
della  divina  Comedia.  Essa  è  una  miniera  inesauribile  a 
chicchessia  .  .  .  non  vi  ha  parola,  non  sillaba  che  non  sia 
spirito;  vale  a  dire  luce,  calore,  vita,  fonie  di  altissima 
sapienza.»  L'insigne  autore  della  storia  della  filosofia  ben 
ci  attenne  la  sua  promessa.  Nelle  sue  annotazioni,  oltre  lo 
svolgimento  della  sapienza  filosofica  del  grande  poeta,  vi 
ci  trovi  tutta  l'etica  cristiana  con  parole  calde  e  passionate 
che  rivelano  l'integrità  e  la  rettitudine  dello  scrittore. 

BiA>cni  Brunoke,  Firenze,  Le  Mounier,  1854;  riprodotto 
dallo  stesso  nel  1857. 

«  Ho  mirato  principalmente  ai  giovani,  cosi  egli  prelude 
al  suo  Comenlo,  coi  quali  non  si  vuol  essere  uè  troppo 
parchi,  per  non  lasciarli  al  buio  o  imbarazzali,  nò  di  sover- 
chio copiosi,  per  non  recar  loro  fastidio.  Perciò  io  annoto 
tutto,  ma  tutto  speditamente:  poche  citazioni,  pochissimi 
confronti,  e  allora  soltanto  che  sian  richiesti  dalla  necessità 
di  convincere  il  lettore:  rarissime  quelle  esclamazioni,  così 
frequenti  ad  altri  moderni  comentatori,  sulla  bellezza  dei  versi, 
dei  concetti,  delle  descrizioni,  perchè  troppo  ripetute  stancano; 
e  sono  poi  anco  vane,  quandoché  chi  ha  un  po'  d'anima  la 
sente  da  se  stesso  senza  bisogno  di  svegliarino,  e  chi  non 
l'ha,  non  serve  che  il  comentatore  gli  gridi:  bada  bada. 
Quanto  all'accennata  difficoltà  della  lezione,  e  per  quel  che 
riguarda  l'allegoria  principale,  per  la  prima  ho  sempre 
seguito  la  più  semplice  e  quella  che  ho  stimalo  la  più 
conveniente  al  contesto,  scegliendo  dai  codici  e  dalle  edizioni 
più  accreditate,  e  fuggito  in  ogni  caso  l'arbitrio,  a  costo 
anco  di  ritenere  talvolta  quei  che  apparisce  men  chiaro  o 
men  buono.  Quanto  alla  seconda,  persuaso  che  quella  alle- 
goria non  sia  governata  da  un  sok)  e  medesimo  concetto 
(conciossiachè,  secondo  i  princlpj  di  Dante,  la  Rigenerazione 
morale,  che  certamente  e  l' intendiménto  primario  del  poe- 


468  COMENT  ATORl. 

ma,  non  si  possa  operare  senza  la  riforma  politica,  perchè 
il  (jueìfismo  è  disordine  necessario,  e  solo  \  impero  conduce 
11  mondo  a  virtù,  s\  che  l'uno  è  rispellivamente  quasi 
sinonimo  dall'altro),  ho  messo  in  mano  ai  giovani  questa 
doppia  chiave,  di  cui  volgendo  accortamente  or  1'  una  parte 
or  r  altra,  potranno  aprirla  quanto  basti  ad  intenderla.  »  - 
Il  Bianchi  pubblicò  da  prima  nell'Agosto  del  1844  alcune 
aggiunte  al  Comenlo  del  Costa;  ne  arrecò  di  nuove  nella 
edizione  del  1846;  notabilmente  le  accrebbe  in  quella  del  1849 
(Ed.  Le  Mounier),  segnandole  di  due  asterischi,  e  preponendo 
gli  argomenti  a  ciascun  canto:  onde  numerosissimi  i  cambia- 
biamenti  per  ogni  maniera  da  lui  fatti  alle  chiose  di  quel 
valente  filologo.  Solo  nel  18o4  il  comenlo  uscì  col  solo  suo 
nome.  Sobrio,  limpido,  vivace,  a  quando  a  quando  ti  accenna 
le  più  singolari  bellezze  dell'autore,  non  senza  metterti  in 
rilievo  assai  opportunamente,  ove  gli  venga  il  destro,  i 
concetti  politici  e  morali  del  poeta  dei  filosofi  e  del  fiso- 
sofo  dei  poeti.  A  nostro  avviso,  il  Comento  del  Bianchi  è 
il  più  adatto  tra  tutti  ai  giovani,  oiTerendo  esso  nell'in- 
sieme, dirò  con  le  sue  parole,  quanto  basti  ad  intendere 
l'altissimo  canto  della  Rigenerazione,  se  ti  accosti  a  leggere 
con  anima  che  senta  il  bello  e  il  grande,  al  difetto  della 
quale  non  v'ha  comento  che  possa  supplire.  -«Il  Canonico 
Brunone  Bianchi  di  Firenze  ci  diede  nel  Dante  pubblicato 
dal  Le  Mounier  un  buon  comenlo  che  divenne  popolare  in 
questi  anni,  ed  a  giusta  ragione.  »  Fr.  Selmi,  Rev.  Contemp. 
di  Torino,  Aprile,  1861. 

Fraticelli  Pietro,  Firenze,  Fraticelli,  1852.  -  Id.  Nuova 
edizione  con  giunte  e  correzioni,  Firenze,  Barbera,  1860.  - 
3.*  Ediz.  Firenze,  Barbera,  1864. 

Ecco  rintendi mento  dell'illustre  interprete.  «Divisai  di  por- 
re insieme  un  Comento  che  servisse  spezialmente  al  giovani, 
e  che  potesse  generalmente  essere  ammesso  nelle  scuole; 
non  troppo  prolisso,  ma  neppur  troppo  breve;  non  troppo 
ricercato  ed  artificioso,  ma  neppur  troppo  semplice  e  dis- 
adorno... Ho  profittato  de' lavori  di  tulli  i  chiosatori  che 
mi  han  preceduto;  e  poiché  sempre,  e  più  particolarmente, 
ho  avuto  sott' occhio  i  Cementi  del  Venturi,  del  Lombardi, 
del  Costa  e  del  Bianchi,   così  da  questi  quattro  Comenli 


COMENTATORl-  469 

ho  annunziato  nel  frontespizio  di  aver  tratte  alcune  note, 
0(1  almeno  la  sostanza  di  esse.  Il  dir  poi,  ch'io  ho  profit- 
tato assai  de'  dotti  lavori  filologici  del  Nannucci,  è  quasi 
un  dir  cosa  inutile;  poiché  qual  è  l'illustratore  di  antiche 
italiane  scritture,  che  alle  opere  del  Nannucci  non  debba 
riccorrere?  -  Un  comento,  che  non  fosse  in  alcuna  parte  man- 
chevole, sia  per  l'iulorprelazione  della  frase  come  del  con- 
cetto, sia  per  la  dichiarazione  storica  e  mitologica  come 
dell'architettura  allegorica  del  Poema,  e  che  al  tempo  stesso 
non  fosse  d'una  mole,  e  quindi  d'una  spesa  soverchia,  fu 
quello  ch'io  mi  proposi  di  compilare.  Il  perchè  mi  studiai 
d'esser  breve  e  conciso,  ma  tino  a  tal  limite,  che  non 
recasse  danno  alla  chiarezza  dell'esposizione,  o  che  non 
lasciasse  insoluta  una  parte  eziandio  piccola  delle  difficoltà  e 
dubbiezze  che  alla  piena  intelligenza  del  testo  fa  di  mestieri 
chiarire.  »  E  neir  avvertenza  alla  seconda  edizione,  il  Fra- 
ticelli ci  assevera,  «come  tutto  ebbe  l'animo  a  migliorare 
il  suo  Comento,  per  quanto  gli  fosse  dato,  così  nell'ordine 
come  nella  sostanza,  sia  ritoccando  in  molte  parti  il  lavoro, 
sia  accrescendolo,  e  anche  notevolmente,  là  dove  pareagli 
non  esser  abbastanza.  Nel  che  lare  non  ebbe  alterato  né 
punto  nò  poco  il  metodo  che  dapprima  si  prefisse  di  seguire.;) 

Tommaseo  Nicolò,  Comcdia  di  Danle  Aììif/hìeri,  Con  Ra- 
ijUmamcnli  e  con  JSote,  Milano,  Rcjna,  1854. 

N.  Tommaseo  nelle  sue  .Memorie  dettava  il  seguente 
ritratto  di  Dante:  M'accorsi  che  la  poesia  si  compone  di 
tutti  questi  elementi  che  ora  dirò:  lingua,  stile,  numero, 
alletto,  immaginazione,  memorie,  desiderii,  amore  della  bel- 
lezza estrinseca,  della  bellezza  morale,  della  patria,  di  Dio. 
Tutte  insieme  queste  condizioni  congiunte  darebl)ero  il  poeta 
sommo;  chi  più  ne  ha,  più  è  grande,  e  più  dura  e  più  giova. 
A  molli  le  dette  (piaiilà  pare  che  reciprocamente  s'oppu- 
gnino, e  costoro  non  parlino  di  poesia.  L' uomo  che  più  ne 
raccolse,  e  che,  dopo  i  profeti,  fu  innanzi  a  lutti  poeta,  è  un 
cittadino  della  repubblica  di  Firenze».  Oltreché  il  Tomma- 
seo narrando  come  l'ingegno  suo  si  venisse  svolgendo,  ei 
confessa  d'aver  avuto  da  Dcinie  ogni  cosa,  e  or/ni  cosa  avergli 
Dante  insegnalo.-  Tommaseo,  Inspirazione  e  Arte,  p.  488. - 
Uipieiìo  il  cuore  e  la  mente  di  tali  sentimenti,  il  Tommaseo 


470  COME?iTATORl. 

era  ben  degno  di  accostarsi  a  sacerdote  ed  interprete  del 
divino  poeta.  Su  questo  Comento  riprodotto  e  quasi  rifatto 
dal  Tommaseo  ci  giova  riportare  l'assennatissimo  giudizio  di 
E.  Dall'  Ottaviana,  Rev.  Contempor.  Voi  II,  A.  II.  p.  707.  - 
«  Crediamo  di  poter  asserire,  senza  taccia  di  esagerazione, 
che  questo  è  il  migliore  Comento  che  noi  abbiamo  dello 
altissimo  poeta.  11  merito  suo  è  di  aver  talmente  rifuso  i 
lavori  altrui  col  proprio  da  risultarne  un  lutto  perfetto  e 
improntato  del  suggello  dell'autore...  Le  note  leilerali  sono 
parche,  ma  più  che  sufficienti  alla  piena  intelligenza  del 
testo,  ed  a  rilevarne  le  bellezze  qua n io  a  lingua.  Le  storiche 
e  letterali  sono  preziosissime,  in  quanto  che,  ponendo  a 
riscontro  i  luoghi  paralleli  delie  diverse  opere  di  Dante  e 
della  stessa  divina  Comedia,  ed  i  passi  de' poeti  latini  e  greci, 
delle  Scritture  e  de'  santi  Padri,  dai  quali  Dante  attinse 
quelle  frasi,  o  quel  concetto,  gettano  una  luce  inaspettata  su 
quei  passi  della  Divina  Comedia,  e  te  la  fa  gustare  in  tutta 
la  sua  dolcezza....  Dicasi  altrettanto  delle  note  filosofiche, 
per  cui  il  Comento  svela  l' intento  del  poeta,  il  quale  dettò 
i  suoi  versi,  perchè  fossero  avviamento  ed  incoraggiamento 
a  virtù,  e  non  già  perchè  forsero  un'ammasso  di  ciancie 
sonore,  come  sogliono  essere  troppo  sovente  1  poeti.  Ci 
voleva  un  uomo  nudrito  di  forti  e  severi  studj,  senza  però 
rifiutare  il  latte  delle  muse,  qual  è  Nicolò  Tommaseo,  per 
apporre  a  Dante  un  Comento,  .in  cui  fossero  insieme  uniti 
ed  intarsiati  la  Bibbia  ed  Aristotile,  Virgilio  e  S.  Tomaso, 
i  Padri  della  Chiesa  coi  poeti  e  prosatori  dell'antichità 
pagana,  le  scienze  quali  erano  nel  secolo  di  Dante,  e  quali 
son  ora  dopo  otto  secoli  di  progresso...  E  il  tutto  in  breve, 
con  chiarezza,  con  eleganza,  con  precisione.  Chi  conosce  lo 
siile  di  N.Tommaseo  non  esiterà  a  dire:  Questi  e  desso, 
e,  secondo  noi,  non  mai  meglio  si  vide  che  in  questo  suo 
Comento  studiato  Dante.  Un  lungo  studio  di  Dante,  delle 
cose  sue  e  del  suo  secolo  lo  pose  in  istato  di  mettersi  den- 
tro alle  più  scerete  cose  del  suo  autore.  »  ......  Con- 
veniva trasportarsi  in  quel  secolo,  viver  di  quella  vita, 
respirare  in  quell'atmosfera,  informarsi  a  quella  società 
mista  di  squisita  civiltà  e  di  rozza  barbarie;  insomma  con- 
veniva conoscere  a  pieno  quel  secolo  colle  sue  virtù,  coi 


COMEMATORl.  471 

suoi  vizi.  Quanto  da  .questo  lato  fosse  anclie  ben  munito 
il  Tommaseo,  è  facile  il  vedere  chi  vorrà  percorrere  le 
sessanta  e  più  pagine  che  sono  poste  innanzi  a  questa 
edizione  del  Rejna,  le  quali  vanno  tutte  in  prefazioni  e 
dissertazioni  in  cui  si  tratta  del  Secolo  di  Dante,  -  della 
Vita  di  Dante,  -  deW  Amore  di  Dante,  -  Ancora  deli  Amor 
di  Dante,  -  delle  Rime,  -  del  Nuovo  Amore,  -  Dante  e  Pe- 
trarca, -  Aobiltà  di  Dante,  -  Guelfi  e  Ghibellini,  -Dottrine 
'politiche  di  Dante,  Monumento  a  Dante  in  Firenze,  -  Trionfo 
di  Dante,  ecc. 

Gregorettì  FRA^CESco,  Venezia,  Narratovich,  1856. 

Così  il  Gregoretti  nel  preposto  Avvertimentou  «  jSon  cerco 
fama  pubblicando  un  nuovo  comento  della  divina  Gomedia: 
mio  unico  scopo  è  di  procacciarle  popolarità,  rendendone 
facile  l'intelligenza.  Sono  molti  che  ne  hanno  letto  qua  e 
là  i  brani  più  celebri,  pochissimi  che  l'abbiano  letta  da  capo 
a  fondo.  E  la  colpa  è  degli  Annotatori,  che  sovrabbondano 
di  parole  ove  non  é  mestieri,  e  i  passi  oscuri  dissimulano, 
e  infastidiscono  poi  con  frequenti  polemiche,  e  lasciano 
perplesso  il  lettore  novizio,  il  quale  niente  più  brama  che 
di  avere  in  breve  la  interpretazione  tenuta  per  migliore  e 
andare  innanzi. . .  Io  diedi  bando  assoluto  ad  ogni  discus- 
sione; bensì,  non  avendo  ommesso  ne' punti  controversi  di 
leggere  e  meditare  tutto  ciò  che  venne  stampato  intorno 
a  quelli,  sono  pronto  ad  entrare  in  campo  con  chiunque 
il  voglia  per  difendere  la  spiegazione  alla  quale  ho  data  la 
preferenza,  o  che  da  altri  non  detta  mi  parve  migliore.  Il 
medesimo  s'intenda  riguardo  alle  lezioni  dubbie  nel  testo. 
Del  rimanente,  non  ho  lasciato  senza  nota  vocabolo  o  passo 
alcuno  per  poco  che  ne  fosse  d'uopo,  ed  ho  poi  sempre 
avuto  cura  di  essere  parco  al  possibile  di  parole,  senza 
danno  però  della  chiarezza,  alla  quale  ho  inteso  principal- 
nienle.  »  -  Il  Crepuscolo  di  Milano  così  giudicava  questo 
Comento:  «  Il  Gregoretti  intesa  a  render  domestica  la  lettura 
del  poema  in  un'edizione,  che  deposto  ogni  apparecchio 
erudito,  desse  nondimeno  aiuto  bastevole,  ai  giovani  spe- 
cialmente, a  penetrare  giustamente  il  senso  e  le  bellezze... 
Ridurre  le  note  'a  poche  e  succose,  e  al  tempo  stesso  piene 
e  bastevoli,  lasciare  ogni  discussione,  porgere  infine  quel 


472  COMEMATORI. 

sussidio  che  non  dispensi  dal  meditare,  e  supponga  coltura 
non  ignobile  nel  lettore  è  un  servigio  reso  agli  studiosi. 
L'edizione  del  Gregoretti  è  lodevole  per  sobrietà  di  note, 
non  iscarse,  ma  brevi  e  succinte,  ne  ingombre  mai  di  di- 
spute: scella  un'interpretazione,  egli  le  porge  sempre  di- 
mostrazióne 0  difesa,  e  senza  indugiarsi  su  quelle  seguite 
da  altri.  Di  che  ninno  sarà  che  non  l'approvi.  E  nondimeno 
anche  nel  suo  Comento  non  mancano  le  superfluità,  e  certe 
spiegazioni  linguistiche  o  grammaticali,  anche  se  destinate 
a'  giovani,  potrebbero  essere  troncate  senza  danno  del  libro... 
Buona  è  la  lezione  seguita  in  questa  edizione,  fatta  sulle 
più  purgate.  -Crepuscolo,  1857.  p.  407. 

RoMAM  Matteo,  La  divina  Comedla  spiegala  al  popolo, 
Reggio,  G.  Diavolio,  1858. 

«  li  Romani  si  propone  di  far  conoscere  il  poema  dan- 
tesco nel  suo  concetto,  religioso  e  politico  non  solo,  ma 
eziandio  nella  orditura  delle  parli,  nell'indole  dell'inven- 
zione e  nei  varii  aspetti  che  lo  compongono.  L' idea  è  cer- 
tamente lodevole;  e  noi  non  potremmo  che  approvare  chi 
desse  oggidì  un  comento  della  Divina  Comedia,  come  già 
usarono  i  vecchi  espositori,  seguendo  la  forma  di  discorso 
illustrativo,  e  portandovi  tutti  quei  maggiori  lumi  di  critica 
che  il  corso  dei  tempi  e  degli  studii  hanno  accumulato  ai 
dì  nostri.  Chi  poi  lo  tenesse  e  semplice  e  piano  in  guisa  da 
renderlo  accessibile  agrintellelli  meno  esercitati,  e  da  in- 
vogliare anche  i  più  restii  a  una  lettura  non  facile  e  a  una 
certa  gravità  di  meditazione,  che  divulgasse  in  una  parola 
r  intelligenza  del  poema  collo  spogliarlo  di  quanto  ha  di 
irto  e  disameno  la  scolastica  dei  comenlatori  o  la  pedan- 
teria degli  accozzalori  di  note,  farebbe  opera  di  somma 
utilità.  Come,  per  esempio,  comprendere  giustamente  il 
carattere  e  l' importanza  del  viaggio  dantesco,  se  non  si 
evocano  le  leggende  popolari  che  precedettero  il  poema, 
e  da  cui  questo  prese  le  mosse  per  incarnare  un  concetto 
ch'era  in  cima  in  tutte  le  preoccupazioni  del  tempo?  Come 
vedere  al  vivo  quanto  la  divina  Comedia  riepiloghi  in  sé 
ed  esprima  gli  elementi  ideali  e  reali  dell'epoca  che  in  essa  si 
riflette,  senza  ricorrere  all'indagine  storica  che  svisceri  la  vita 
tumultuosa  della  repubblica  iìrontina  a' tempi  di  Danle,  e  le 


COMEKTATORI.  473 

condizioni  civili  e  religiose  della  società  del  Medio  Evo?  Il 
Signor  Romani  non  ha  posto  mente  a  ciò,  e  conduce  d' un 
tratto  i  lettori  per  entro  al  labirinto  del  poema,  cercando 
mostrare  l'intento  cli'ebbe  l'autore,  e  dimenticando  che  il 
miglior  modo  di  spiegar  Dante  è  di  osservarlo  alla  luce 
dei  tempi  In  cui  visse  e  nel  succedersi  del  casi  suoi  e  della 
nazione.  Quel  eh'  egli  premette  adunque  al  suo  Comento 
intorno  all'argomento  del  poema,  al  fine  a  cui  mira,  alla 
Introduzione  del  personaggio  di  Virgilio,  avrebbe  potuto 
additargli  la  necessità  di  più  largo  esame  delle  circostan- 
ze, che  concorsero  a  dar  forma  e  sostanza  alla  creazione 
dantesca  ;  e  noi  avremmo  amato  che  a  queste  indagini  si 
estendesse  la  sua  illustrazione.  Certo  le  deduzioni  a  cui 
sarel)be  slato  condotto  da  una  minuta  e  diligente  conoscenza 
dell'età,  che  produsse  la  divina  Comedia,  avrebbe  e  amplialo 
il  campo  delle  sue  Idee  circa  II  poema  medesimo,  e  modi- 
Ikate  alcune  sue  opinioni  che  non  appaiono  sorrette  da 
suflicienti  argomenti...  Il  S.'"  Romani  è  Infervorato  a  voler 
provare  che  l'argomento  della  divina  Comedia  è  morale  e 
non  politico,  e  sostiene  questo  suo  assunto  con  ragioni  un 
po'  deboli,  e  che  svelano  appunto  una  scarsa  conoscenza 
delle  indagini  storiche,  fra  cui  si  svolse  II  poema...  Il  lavoro 
del  Romani,  comunque  In  molte  parti  angusto  e  manchevole, 
pur  non  è  privo  di  qualche  pregio,  e  può  essere  di  sussidio 
a  coloro  che  senza  molla  fatica  vogliono  esser  posti  addentro 
nel  senso  della  divina  Comedia.  Certo  esso  va  lodato  pel 
tenlallvo,  ed  è  vero  quel  eh'  egli  dice  nella  sua  prefazione 
che  non  è  far  poco  anche  solo  II  mostrare  la  via  agli  altri.  - 
Crepuscolo,  1859,  31  Maggio. 

A.  F.  La  Divina  Comedia  di  Dante  Allighieri  alla  inleLi- 
qenza  di  tutti,  Studio  di  un  Solitario,  2.^ediz.  Firenze,  Fioretti, 
1862. 

Oltre  la  ragione  premessa  a  cadaun  canto,  piacque  al 
Comentatore  aggiungervi  le  Note  letterali  a  piò  del  testo, 
ed  alcune  osservazioni  sulle  cose  più  notevoli.  Cinque 
discorsi,  cioè  uno  sul  poema  in  generale,  uno  alla  Une  idi 
ogni  cantica,  ed  uno  lìnale  crescono  pregio  al  lavoro.  Avvi 
da  ultimo  un  utilissimo  repertorio  alfabetico  che  sommi- 
nistra le  cognizioni  d'ogni  maniera,  mitologiche,  storiche, 


474  COMENTATORI. 

filologiche,  aneddotiche,  artistiche,    scientifiche  che  sono 
opportune  all'intelligenza  del  poema. 

Andreoli  Raffaele,  La  Coniedia  di  Baule  AUUjhkri,  col 
Comento  compilato  su  tutti  ì  migliori,  e  particolarmente  su 
quello  del  Lombardi,  del  Costa,  del  Tommaseo,  del  Bianchi, 
Napoli,  Lauriel  -  Rondinelli,  1850,  -  Il  Edlz.  interamente 
rifatta,  Napoli,  slamp.  naz.  1863. 

Il  Sig.  Andreoli  ci  rammenta  di  avere  atteso  a  tre  cose 
singolarmente:  al  testo,  al  comento  e  agli  ammlnicoli. 
Quanto  è  alla  lezione  del  testo  egli  generalmente  ha  seguilo 
quella  dell'ultima  edizione  fiorentina  del  Le  Monnier;  non 
ommeltendo  di  darne  la  ragione,  dove  gli  è  sembrato 
doversene  scostare.  11  Comento  poi  ne  dichiara  d' averlo 
composto,  profittando  dcHopera  dì  quanti  ne  lo  precedettero 
da  Pietro,  figliuolo  di  Dante,  fino  al  Bianchi.  Ma  nel  saperne 
a  tutti  il  debito  grado,  ei  ne  alVerma  che  nella  sostanza  e 
nella  forma  vi  ha  posto  tanto  di  suo,  da  ben  potere,  quanto 
molti  altri,  chiamarlo  un  nuovo  comento.  Come  amminicoli 
poi  della  divina  Comedia  introdusse  la  Vita  di  Dante  scritta 
da  Leonardo  Aretino  e  rifece  gli  argomenti  a  ciascun  Canto, 
agggiungcndo  una  indicazione  delle  cose  più  notabili  nello 
immortale  poema.  Or  tutti  questi  lavori  furono  condotti 
dall' Andreoli  con  moltissimo  ingegno  e  con  dottrina  non 
comune  e  soprattutto  con  un  giudizio  profondo  e  sapiente. 
Le  note  vi  sono  trascelle,  bene,  e  raro  è  che,  rispetto  alla 
lezione  del  testo,  non  vi  sembri  la  meglio  quella  da  lui 
accolta  0  proposta.  Ma  un  pregio  che  distingue  singolar- 
mente le  note  stesse  è  il  modo  semplice  con  cui  sono  dettate. 
Ond'è  desiderabile  che  questo  libro  corra  per  le  mani  degli 
studiosi  di  Dante;  ì  quali  nell' attingere  luce  a  vie  più  in- 
tendere il  poeta  riconosceranno  a  un  tempo  e  con  visibile 
esempio  1'  utilità  che  se  ne  può  trarre  anche  per  lo  scri- 
vere in  prosa.  Di  questo  comento  così  scriveva  P.  Fanfani: 
«  Cominciai  a  guardare  così  in  generale  il  modo  tenuto 
dall'anlore;  a  considerare  l'ordine  e  la  economia  del  lavoro; 
a  volere  anche  farci  su  V  im/eniosus  ;  e  quanto  più  guar- 
davo, tanto  più  me  ne  contentavo,  per  forma  che  ne  sono 
venuto  alla  conclusione,  che,  se  l' Andreoli  non  ha  tutte 
quante  le  parti  dell'ottimo  comentatore,  ha  per  altro  le  più 


COMENTATORl.  475 

e  le  più  nobili  ;  e  che  il  suo  comento,  se  non  è  da  meltersi 
innanzi  a  tulli  gli  altri  stali  falli  sin  qui,  che  sarebbe  un 
dir  lrop|30,  è  tale  per  altro  che  ne  avanza  parecchi  de'  più 
vociferali  ;  tale  che  Io  studioso  vi  trova  quasi  sempre  tem- 
perato e  digeribil  pascolo  al  suo  appetito;  come  quel  lavoro 
eh' è  semplice  e  senza  ciarlataneria,  fondato  sulla  cognizione 
della  antica  lingua,  governalo  sempre  da  ottimo  senno, 
alieno  da  quelle  spavalde  invettive  e  da  quelle  puerili 
sottigliezze  che  tanto  stomaco  fanno  in  certi  altri  comen- 
latori.  Insomma  parmi,  e  frcmant  aliqul  licei,  lìberius 
dicam,  esser  questo  Comento  dell'Andreoli  il  più  acconcio 
per  mettersi  in  mano  a'  giovani.  «  Il  Borghinì,  1864,  p. 
170. 


COJVIENTI  PARZIALI 


1477.  Jacopo  di  Dame.  In  un  Capitolo  stampalo  dal 
Vindelin  da  Spira,  attribuito  a  Jacopo,  v'ha  un  sunto  bre- 
vissimo delle  tre  Cantiche,  e  vi  è  pure  tanto  del  line  morale 
della  divina  Comedia,  dice  il  Berardinelli,  che  ci  è  d'avanzo 
per  intendere  qual  senso  a  lui  rendesse  nel  valore  allegorico 
il  poema  del  Padre.  -  Anche  Busone  da  Gubbio,  amico  ed 
ospite  di  Dante,  ci  lasciò  come  un'argomento  in  terza  rima 
della  divina  Comedia  e  del  fine  che  ha.  (V.  Berardinelli^ 
Il  Concetto  della  Div.  Comedia,  p.  21  e  seg.)  - 

1547.  (27  Giugno)  Lezioni  d'Accademici  fiorentini  sopra 
Dante.  Questo  libro  contiene  dieci  Lezioni  di  Fr.  Verini,  di 
G.  B.  Gelli,  di  Giov.  Strozzi,  di  Pier  Fr.  Giambullari,  di 
Cosimo  Burtoli,  di  G.B.da  Cerreto,  t  Mario  \Tanci.  Firenze, 
appresso  il  Doni,  Tip.  Torrenlino. 

1551.  Gelli  Giambattista,  Lezioni  XU  sopra  varii  luorfln 
di  Dante  ;  Firenze,  Torrenlino:  furono  ripubblicate  in  Fi- 
renze nel  1554.  In  quest'anno  dava  pur  alla  luce  la  sua 
prima  Lettura  sopra  Dante  che  comprende  un'orazione  e 
XII  Ltzioni  sopra  l'Inferno;  nel  1555  la  sua  seconda  Let- 
tura, e  comprende  un'orazione  e  X  Lezioni;  nel  1556  la 
terza  Lettura  con   un'orazione  e  IX  Lezioni  ;  nel  1558  la 


476  COMENTATORI. 

quarta  Lettura  con  X  Lezioni;  nel  1558  la  quinta  Lettura 
con  X  Lezioni;  nel  15G1  la  sesta  Lettura  con  X  Lezioni; 
nel  1561  la  settima  Lettura  con  XI  lezioni.  Furono  tutte 
queste  lezioni  stampate  a  Firenze  pel  Torrentino.  L'ottava 
Lettura  giace  tuttavia  inedita  e  comprende  XXI  lezioni. 

1567.  GiAMBULLARi  PiER  FRANCESCO,  Lczioìii  quatlro  a 
schiarimento  di  alcuni  luofilii  della  divina  Comedia,  [Del  Sito 
del  Purc/atorio;  Della  Carità;  Degi  influssi  celesti  ;  Dell'or- 
dine dell'universo).  Firenze,  Torrentino. 

1567.  Bartoli  Cosimo,  Baqionamenti  sopra  alcuni  luoghi 
difficili  di  Dante  con  alcune  invenzioni  e  significali,  Venezia, 
De  Franceschi. 

1727.  Castelvetro  Lodovico,  Alcune  cosette  intorno  la 
Divina  Comedia,  pubblicate  da  L.  A.  Muratori,  Lione,  Frappens. 

1749.  Atavanti  P.  Paolo,  Gesuita  :  Nel  suo  Quaresimale, 
stampalo  a  Milano,  si  leggono  alcune  chiose  sulla  divina 
Comedia.  11  Negri,  il  Cionacci  e  l'Agostini  vogliono  ne 
avesse  fatto  l'intero  Comento. 

1751.  Rosa  Morando  Filippo,  Osservazioni  sopra  il  Comento 
della  divina  Comedia  di  Dante  Àllighieri,  stampato  a  Verona 
/'anno  1749,  Verona,  Ramanzoni.  Questo  opuscolo  fu  ripro- 
dotto nell'edizione  del  Zalta  1757  col  titolo  di  Osservazioni 
di  Filippo  Rosa  Morando  Accademico  fiorentino  sopra  le  tre 
Cantiche.  Il  Uosa  Morando  mancò  di  vita  a  soli  24  anni; 
Fu,  dice  il  Cesari,  grand'uomo  in  letteratura,  compose  tragedie 
ed  un  bellissimo  Canzoniere.  Dante  in  ispezialità  amò,  e  al 
suo  nome  prestò  assai  utile  servigio,  singolarmente  nelle 
contrannote  fatte  al  comento  del  P.  Venturi.  Gran  conoscenza 
avea  del  latino  e  del  greco,  anzi  pur  del  tedesco.  Per  tanta 
dottrina  e  per  non  minore  pietà  lasciò  di  sé  alla  patria  un 
acerbissimo  desiderio.  E  Ippolito  Pindemonti  ne  lasciò  scritto  : 
Le  Osservazioni  del  Morandi  ricomparvero  non  poco  accre- 
sciute nella  veneta  edizione  di  Dante  che  Antonio  Zatta  con 
gran  pompa  di  rami  ci  diede:  ricomparvero,  che  l'autore  già 
più  non  era  tra  i  vivi.  Vi  si  scorge  oltre  la  perspicacia,  il 
giudicio,  ed  il  gusto,  tal  dimestichezza  con  gli  scrittori  Greci, 
Latini  e  Italiani,  e  anco  Provenzali,  che  leggere,  ammirare, 
e  dolersi  fino  all'anima  di  morte  così  immatura,  è  una  cosa. 
Forse  un  po' troppo,  è  vero,  di  ridondanza,  e  di  lusso;  forse 


COME?iTATOrJ.  4  i  ; 

alcune  citazioni,  che  più,  che  ad  aggiunger  prove,  a  osten- 
tar servono  erudizione:  ma  queste  cose  medesime  io  non 
so  bene,  se,  massime  considerala  l'età,  di  perdono  sieno 
più  degne  o  di  lode.  [Elocjio  di  Rosa  Morando,  p.  201.)  Del 
Rosa  Morando  abbiamo  altre  annotazioni  della  D.  C.  inedite, 
in  fine  delle  quali  lasciò  scritto:  Terminate  di  copiare  le 
presenti  annotazioni  da  varie  carte  volanti,  distese  in  molle 
volte,  prima  sulla  prima  edizione  di  \erona,  e  poscia  accre- 
sciute nella  seconda,  questo  dì  28  Liujlio  1757.  Termina  con 
Yarie  Lezioni  tratte  dall'Aldina  del  1502,  e  tralasciate  nella 
edizione  decjli  Accademici  del  1595. 

1757.  Pehazzum  Bartolommeo,  Correctiones  et  Adnolatio- 
nes  in  Dantis  Comaediam,  {Extunt  in  editione  tractatuum 
divi  Zenonis,  Verona,  Morroni)  -  Venezia,  all'  insegna  del- 
l'Ancora, 1844.  Gli  Editori  di  Padova,  1822,  si  giovarono 
del  lavoro  del  Perazzini. 

1795.  DiONiSi  Jacopo,  Illustrazioni  della  divina  Comedia, 
Parma,  Tip.  Bodoni;  Brescia,  Beltoni,  1810. 

1814.  Ferrosi  Pietro,  Illustrazioni  di  alcuni  passi  della 
Divina  Comedia,  Atti  della  Crusca;  Riprodotte  in  Firenze, 
all'insegna  di  Dante,  1828. 

1817.  Renzi  A.;  Marini  G. ;  Muzzi  G.  Annotazioni  alla 
Divina  Comedia,  Firenze,  all'Insegna  dell'Ancora.  -  Per  queste 
annotazioni  si  servirono  gli  Autori  dell'  antico  Comenlo, 
attribuito  a  Jacopo  della  Lana,  del  Comento  attribuito  al 
Boccaccio,  di  quello  di  Piero,  figlio  di  Dante,  di  quello  dì 
Francesco  da  Buti,  e  finalmente  di  un'esemplare  dell'edizione 
di  Lucca,  1732,  tutto  pieno  di  note  marginali  che  si  vo- 
gliono del  Lami. 

1818.  Alfieri  Vittorio,  Bellezze  di  Dante,  Parigi  Dondey- 
Duprò.  -  iSel  Ms.  leggesi  nella  prima  faccia  :  Estratto  di  Dante, 
1776:  si  notano  i  versi  belli  d'armonia,  e  ne  -notava  sino 
a  5936. 

1819.  Perticari  Giulio,  Annotazioni  sopra  la  divina 
Comedia,  Bologna,  Gamberini-Parmeggiani.  -  Riprodotte 
nell'edizione  di  Roma,  1820;  di  Milano,  1823;  di  Firenze, 
1836.-  Anche  il  Tipografo  Rolandi  pubblicava  in  Londra  la 
divina  Comedia  con  le  postille  del  Perticari. 

1818.  Scolari  Filippo,  i\ols  ad  alcuni  luoghi   dei  primi 


478  co  MESTATORI. 

V  Canli  della  divina  Comedla,  Venezia,  Picolli,  in  fine  della 
sua  Difesa  di  Dante  Allighierì  in  punto  di  Religione  (1836), 
e  nelJa  sua  Lettera  critica  intorno  alle  Epistole  latine  di 
Dante,  Venezia,  1844.  -  Lo  Scolari  si  è  reso  benenierilo  assai 
degli  sludi  Danteschi,  e  il  suo  nome  suona  a  bel  difillo 
onoralo  in  Italia  e  fuori.  Né  solo  egli  attese  ad  illustrare 
la  Divina  Comedia  (1818,  1821,  1826,  1828,  1844,1847)  ma 
pose  lodata  opera  al  Convito  (Padova,  1823j;  d^\h  Monarchia 
(Vicenza,  1833);  alla  Vita  Nuova  (Livorno,  1842;  aìV Epistole 
latine  (Venezia,  Tip.  dell'Ancora,  1841);  ^W Egloghe  latine 
(Venezia  18il,  e  1843).  Lo  Scolari  difese  inoltre  il  grande 
poeta  in  punto  di  religione  e  costume  (Belluno,  183Gj;  fu  il 
primo  a  pubblicare  in  italiano  il  viaggio  dell'Ampère  (Tre- 
viso, 1841);  e  gagliardamente  sostenne  che  il  cognome 
dell' Allighieri  dovesse  scriversi  con  la  doppia  /.  (Treviso, 
1841;  Venezia,  1844.) 

1819.  Magalotti  Lorenzo,  Comento  sui  primi  V  Canti 
dell'  Inferno,  Milano,  I.  R.  Stamperia. 

1820.  BuTTURA  A.,  Aote  alla  divina  Comedia,  Parigi,  Le- 
fevre. 

1822.  Fariki  Ab.  Pellegrino,  Discorsi  sopra  alcuni  passi 
dì  Dante,  Bologna,  jNobili. 

1822.  Comenti  di  varj  sopra  la  divina  Comedia.  U  edi- 
zione della  Minerva,  oltre  il  Comenlo  del  Lombardi,  contiene 
parecchie  aggiunte  tolte  dai  lavori  danteschi  del  Magalotti, 
Bonari,  Lami,  Torelli,  Perazzini,  Rosa-Morando,  Dionisi,  De 
Costanzo,  Lampredi,  Strocchi,  De  Romanis,  Costa,  Parenti, 
De  Cesare,  Cancellieri,  Marchetti,  Rosini,  Scolari,  Betti. 

1822.  CoLELLi  Scipione,  Illustrazione  della  divina  Comedia 
in  rettificazione  e  supplemento  all'  edizione  Macchiavellana, 
Rieti,  Bassoni. 

1823.  ViviANi  QuiRico,  J\ote  Critiche  e  Filologiche  alla 
Divina  Comedia,  Udine,  Mattiuzzi,  Tip.  Cecile. 

1824.  Ambrosoli  Francesco,  j\ote  raccolte  sopra  la  divina 
Comedia,  Milano,  Bettoni. 

1821.  Muzzi  L.,  Osservazioni  sopra  alcuni  luoghi  di  Dante, 
Bologna,  Nobili. -Forlì,  Bodandini,  1830.-11  Muzzi  dettò  anche 
nel  Poligrafo  di  Verona,  e  nel  Solerte  di  Bologna  molle 
altre  sue  osservazioni  ed  illustrazioni. 


COMENTATORI.  479 

1825.  Biondi  Luigi,  Ragionamenti  intorno  alla  Divina 
Coniedia  (Inseriti  nei  voi.  23,  27,  29,  31,  32,  33,  36,  37, 
42,  44,  49  del  Giornale  Arcadico  di  Roma  ). 

1825.  MoMi  ViCENZo,  MoMi  Peìiticari  Costanza,  iXote, 
Milano,  Bottoni.  -  Y.  Monti  colla  face  della  critica  illustrò 
molti  passi,  ed  infervorò  coli' esempio  gli  animi  dei  giovani 
allo  studio  ed  all'imitazione  del  divino  poema.  Eiscriveva 
al  Betti:  Il  Comento  dell'edizione  che  il  Beltoni  promette 
di  Dante  sarà  mio  lavoro.  Ma  del  mio  non  vi  sarà  parola. 
Bensì  molta  parte  vi  avrà  la  vedovella,  voglio  dire  Costanza, 
la  quale  non  trova  altro  sollievo  al  suo  dolore  che  uno 
studio  continuo  sopra  Dante.  E  per  vero  può  slare  a  petto 
di  qualsisia  chiosatore  (5  Maggio  1824).  -  E  Costanza  a 
sua  volta  scriveva:  L'AUighleri  è  un  tal  poeta  che  invano 
si  comenta  coli' ingegno,  ma  si  comenta  coli' anima.  -  E  il 
14  Maggio  1823  scriveva  pure  il  Monti  al  Federici:  Delle 
molle  mie  postille  alla  divina  Comedia  non  voglio  che  se 
ne  parli.  Queste  tìn  d'ora  saranno  tutte  a  vostra  disposi- 
zione, e  se  manderete  persona  che  le  trascriva  dal  margine 
dell'edizione  del  BìagioH  io  ne  lascierò  in  sua  mano  lo 
autografo,  come  già  vi  feci  intendere  dalla  viva  voce  del 
Viviani,  se  pure  fu  per  luì  ben  adempita  la  mia  commis- 
sione. 11  Viviani  non  ha  avuto  alle  mani  che  le  postille 
apposte  alla  Cantica  dell'Inferno,  poiché  questa  era  già  da 
voi  pubblicata.  Le  altre  tutte  sono  a  voi  solo.  -  E  il  di 
16  Giugno  1819  allo  stesso  Federici:  Le  poche  mie  osser- 
vazioni sulla  divina  Comedia  sono  tutte  senz'ordine,  e 
disperse  nel  margine  del  mio  Dante,  eh'  è  quello  del  Lom- 
bardi. -  V.  Postille  del  Monti  al  Comento  del  Biafiioli  sul 
Purgat.  dal  i  al  xxni;  e  Monti  Opere,  Yol.  IV,  Firenze,  Le 
Mounier,  1847. 

1825  Foscolo  Ugo,  Discorso  sul  Testo,  Londra,  Pickering, 
1842.  -  La  divina  Comedia  illustrata,  a  spese  di  Pietro 
Rolandi,  Bruxelles,  con  data  di  Londra,  presso  Melini  e 
Cans. 

Il  Foscolo  scriveva  al  Biagioli  il  16  Marzo  1827:  Io  mi 
professo  di  sgomberare,  per  quanto  le  mie  forze  il  consen- 
tano, i  molti  antichissimi  errori  che  vanno  e  andranno  tut- 
tavia raddensandosi  a  rannuvolare  il  poema  e  le  intenzioni 


480  COMEMATORl. 

di  Dante.  -  Ugo  Foscolo,  ove  dalla  morie  non  fosse  sialo 
ìnipedìlo  di  compire  l'edizione  della  divina  Comedia,  nelle 
illustrazioni  che  andava  preparando,  avrebbe  condotte  ad 
evidenza  talune  verità,  che  nel  Discorso  sul  Testo  si  con- 
tentò di  annunziare  come  ipolesi  soltanto.  Quel  discorso, 
capolavoro  di  critica  e  di  siile,  aprì  la  via  vera  ed  unica, 
onde  conoscere  il  Poeta  ne'  suoi  tempi.  -  Gli  scritti  critici 
del  Foscolo,  e  segnatamente  uno  intorno  a  Dante  e  al  suo 
secolo,  rese  celebratissimo  il  nome  dell' esnle  onorando  . .  . 
Il  Discorso  sul  Tcslo,  così  come  fu  pubblicato,  ridotto  a 
minori  dimensioni,  è  il  più  filosofico  lavoro  che  si  sia  finora 
scritto  intorno  al  gran  padre  della  nostra  letteratura  . .  . 
Dopo  le  idee  del  Foscolo  l'Europa  tutta  ha  veduto  in  Dante 
l'uomo  politico,  il  poeta  inspirato,  che  fa  servire  l'arte  alla 
civile  rigenerazione  de'  popoli  parlando  la  favella  nella  quale 
egli  modulò  l'altissimo  canto.  -  Emiliani  Giudici,  Storia 
della  letteratura  italiana.  -  Ed  il  Panizzi  scriveva  al  Foscolo: 
(  25  Feb.  1826  )  :  Ho  letto,  non  posso  dirle  con  quanto  diletto 
e  meraviglia,  il  suo  bel  discorso,  sul  testo  di  Dante;  né  potrei 
mai  dirle  quanlo  mi  sembri  superiore  a  quanto  si  è  scritto 
in  Italia  non  solo  in  questa  materia,  ma  in  ogni  altra  cri- 
tica. [Epist.  Foscolo,  Y.  Ili,  pag.  460,  Ediz.  Le  Mounier).  E 
Gius.  Mazzini  così  parla  di  questo  nobilissimo  lavoro:  Il 
Foscolo  distrusse  il  rispetto  alle  congetture  avventale,  alle 
imposture  letterarie,  agli  anacronismi  eruditi,  ai  mille  errori 
accettati  senza  esame,  solo  perchè  patrocinati  dall'autorità 
di  un  nome  o  di  un'accademia.  Distrusse  la  cieca  fede  nei 
Codici,  tulli  posteriori  di  molti  anni  al  Poeta,  e  da  correg- 
gersi col  confronto  e  colla  logica  e  colla  conoscenza  della 
vita  e  della  mente  di  Dante.  Distrusse  i  sistemi  originati 
dalle  meschine  vanità  locali  o  dalla  riverenza  adulalrice 
a' discendenti  d'illustri  famiglie,  che  alteravano  la  storia 
dei  pellegrinaggi  di  Dante,  e  contaminavano  l'anima  più 
nobilmente  altera  che  mai  si  fosse  or  di  calcolo  or  di  basso 
rancore  -  la  venerazione  al  pregiudizio  toscano  fatale  al 
testo  -  l'abitudine  di  dar  predominio  all' estetica  sul  pen- 
siero, alla  forma  sull'idea,  allo  studio  dei  mezzi  sulla  ricerca 
del  fine.  Condusse  la  critica  sulle  vie  della  storia.  Cercò 
in  Dante  non  solsrmente  il  poeta,  non  solamente  il  padre 


COMENTATORI.  481 

della  lingua  nostra,  ma  il  riltadino,  il  riformatore,  l'apo- 
stolo religioso,  il  profeta  della  nazione.  Schiuse  a  noi  tutti 
la  via,  che  i  tempi,  l'educazione,  la  vita  infelicissima  e 
alcuni  errori  delia  mente,  dai  quali  egli  non  potè  eman- 
ciparsi, vietarono  a  lui  di  correre  intera.  E  s'oggì  gli  studj 
su  Dante  muovono  più  severi  e  filosofici,  e  di  certo  più 
gradevoli  alla  gioventù  d'Italia  che  non  tutte  le  industrie 
sudate  di  spiluccatori  di  sillabe,  è  dovuto  pei  due  terzi, 
comunque  altri  pensi,  al  Dìscorw  sul  Testo  e  agli  altri 
scritti  di  Foscolo  intorno  a  Dante:  se  un  giorno  avremo 
un'edizione  del  Poema  da  non  ritoccarsi  più  oltre,  sarà 
dovuto  alle  norme  con  che  Foscolo  condusse  l'emendazione 
del  Testo  e  la  scelta  delle  varianti  nel  lavoro  che  or  pub- 
blichiamo. »  V.  Prose  letterarie  dì  ^'.Fosco/o, IH, 90,  Ed.  Lem.; 
Scritlì  letterari  di  un  letterato  vivente.  III,  3;i4.  -  V.  Lettere 
del  Foscolo,  650,  ad  Hudson  Gurney;  652,  665,  a  Edgardo 
Taylor,  656;  a  Gino  Capponi,  YoK  111,  Ediz.  Le  Mounier,  e 
le  lettere  del  Pannizzi  al  Foscolo  nell'istesso  Volume. 

1826.  Tassoni  Alessandro,  Postille  alla  divina  Comedia, 
Reggio,  Fiaccadori.  -  Anche  il  Tassoni  fece  delle  postille 
ai  versi  del  divino  poeta,  ma  non  gli  cadde  mai  in  pensiero 
di  dare  in  pubblico  ciò  che  non  dovea  servire  che  al  suo 
studio  privalo.  Lodo  però  l'editore,  il  quale  ce  ne  ha  dato 
men  che  ha  potuto,  pensando  bene  che  nessuna  curiosità 
può  sostenersi,  quando  non  vi  corrisponda  molto  diletto  e 
molla  utilità.  Fra  le  poche  eose  osservabili  che  inconlransi 
nelle  Postille  del  Tassoni  sarà  per  alcuno  osservabilissima 
la  cura  con  cui  egli  va  notando  le  voci  non  toscane  ado- 
perate dal  nostro  maggior  poeta.  Il  Tassoni  fu  uno  de'  più 
grandi  studiosi  della  lingua  che  possa  imaginarsi;  e  di  che 
occhio  ei  guardasse  quelle  voci  è  facile  congetturarlo. 

1827.  Talia  P.  GiAMB.  Comenlo  estetico  de'  sei  primi  canti 
dell'  Inferno  [Principi  di  Estetica),  Venezia,  Milano,  Fon- 
lana. 

1828.  Galvani  Giovanni,  Sac](iio  di  alcune  postille  alla 
Div.  Comedia,  (ai  primi  10  canti)  Modena,  Vicenzl. 

1829.  Tasso  Torquato,  Postille  sopra  i  primi  \\\\  Canti 
dell  Inferno,  Bologna,  Masi-  Pisa,  Capurro,  18:11.-  Le  scrisse 
in  Pesaro  sopra  un  Dante  di  stampa  dal  Giolito.  Le  Postilli 

VOL.    II.  31 


482  COMEMATOUl. 

del  Tasso  furono  consultate  per  l'appendice  alle  nolo  del- 
l'edizione  di  Firenze,  1838.  Ne  fu  editore  Gaetano  Mazzocchi 
di  Cento.  -  L'n  Dante  del  Giolito,  postillato  dal  Tasso,  si 
conserva  nella  libreria  Giordani  di  Pesaro, che  quivi  dettavate, 
orrevolmenle  ospitato  dal  ridetto  Giordani.  -  T.  Tasso  era  in- 
namoratissimo del  grande  po(3ta;  fu  continuo  nel  grande  poema, 
de'  modi  più  eletti,  e  perfino  di  versi  interi  ne  ingemmò  la 
sua  Gerusalemme.  Né  fu  contento  di  postillare  la  divina  Co- 
media,  ma  segnò  ne'  margini  i  passi  più  belli  del  Convito, 
e  vi  appose  pure  di  quando  in  quando  interessantissime 
osservazioni,  che  vennero  pubblicate  dagli  editori  Milanesi. 

1830.  RoiiiOLA  Atonmaria,  Le  Chiose  del  Venturi  per  lui 
ritoccate^  aggiuntevi  alcune  sue  j\ote,  Torino,  Poniba. 

1832.  Bozzo  Giuseppe,  La  Divina  Comedia,  co'  migliori 
conienti  per  lui  scelti  ed  ordinati  ed  esposti,  Palermo,  Pedoni 
e  Muratori.  -  li  Bozzo,  scriveva  il  Gargallo,  è  dei  promotori 
più  instancabili  degli  studi  Danteschi  che  si  abbia  la  Sicilia. 
Dopo  aver  dettali  discorsi  or  intorno  ad  una  or  intorno  ad 
altra  parte  del  gran  poema,  si  fece  a  pubblicare  un'  edizione, 
in  cui  ne  reca  la  lezione  più  approvata  da  dotti  uomini, 
con  brevi  conienti,  scelti  da'  migliori  che  ne  sono  stati  fin 
qui.  -  Antologia  di  Firenze,  Giugno,  1832,  p.  177. 

1834.  Torelli  Giuseppe,  Postille  della  Divina  Comedia,  Pisa, 
Capurro.  -  Il  Torelli,  scrive  il  Cesari,  fu  di  Dante  in  ispczia- 
llta  conoscentissimo  e  innamorato  ...  Il  manoscritto  originale 
portava  questo  titolo:  Variazioni  ed  aggiunte  per  le  Chiose 
della  D.  C.da  me  compilate  V  anno  1775.  J.J\.D.  IO  Gen.  1776  : 
e  in  margine  :  S.  JS.  D.  B.  Finito  di  rivedere  il  giorno  15  Aprile 
di  detto  anno.  G.  T.  Anteriormente  gli  editori  di  Padova,  1822, 
se  ne  erano  giovati  sopra  un  manoscritto  loro  partecipato 
dal  Labus,  in  fine  del  quale  v'avea  questa  nota:  L.  D.  G. 
lo  Gius.  Torelli  Veronese  terminai  di  stendere  queste  di- 
chiarazioni sopra  la  Divina  Comedia  di  Dante,  cominciando 
dal  Canto  xiii  dell'  Inferno,  e  da  quello  imparandolo  a  mente 
questa  mattina  delli  11  Giugno  1775  in  Verona.  Gli  editori 
della  Minerva  osservano  che  comentò  anche  i  primi  xii  canti, 
e  che  trovarono  questo  lavoro  nel  sèguito  del  manoscritto. 

1837.  Lami  Giovanni,  Postille  su  Dante,  Firenze,  Fraticelli .  ' 
Esse  sono  in  gran  parte  dirette  a  confutare  o  a  meglio 


COMENTATORI.  483 

«piegare  le  note  falle  a  Daiile  dal  Padre  Pompeo  Venturi, 
gesuita,  e  molle  sono  teologiche,  specialmente  quelle  del 
Paradiso,  le  altre  etimologiche.  Alcune  Postille  del  Lami 
erano  già  state  pubblicate  nell'edizione  dell'Ancora  e  nella 
padovana  della  Minerva. 

1839.  Balijo  Cesaue,  Comento  de' due  primi  canti,  Torino 
Pomba.  (Nella  sua  Vita  di  Dante,  -  V.  Ediz.  Le  Mounier,  p.  445.) 

1839.  NA^^uccl  \  uncenzo,  Intorno  alle  voci  usate  da  Dante^ 
secondo  i  Comentatori  a  cafjione  della  rima,  Corfù,  Tip.  del 
Governo. 

18iL  Varchi  Benedetto,  Lezioni  su  Dante.  Cinque  n'erano 
già  state  pubblicate:  le  altre  quattordici  furono  estratte  da 
un  Codice  della  Rinucciana,  Firenze,  Socielà  editrice.  -  (Due 
dichiarazioni  s'aggirano  sul  xxv  del  Purg.;  due  letture  sul 
verso  91,  e.  xvii  del  Purg.;  due  letture  sul  i  canto  del  Para- 
diso; 4  letture  sul  ii  del  Paradiso;  e  da  ultimo  due  letture, 
sul  verso  133  e  seg.  del  e.  xxii  del  Paradiso.) 

1841.RONNA  A.,  Postille  sopra  la  divina  Comedia,  Parigi, 
Truchy. 

1842.  Malagoli  Ercole, la  divina  Comedia  studiata,  Canti  i 
e  m  dell'Inferno  (impresse  a  parte  dal  Giornale  Arcadico). 

1842.  Torricelli  Fr.  M.  La  divina  Comedia  di  Dante  Al- 
lighieri  co'  conienti,  Inf.  i-iii,  Fossombrone,  -  {iSelV Antologia 
oratoria  poetica  e  storica.) 

1843.  Picei  Giuseppe,  1  luoghi  più,  oscuri  e  controversi 
della  divina  Comedia  dichiarati,  con  tre  appendici,  Brescia 
Minerva. 

Questi  studi  sopra  Dante  furono  decorati  del  primo 
premio  dall'Ateneo  di  Brescia,  dove  l'autore  gli  avea  letti 
nell'anno  1843.  -  Contengono  essi  i  seguenti  capitoli.  L 
Introduzione  e  piano  dell'opera;  JSote.  -  IL  Confutazione 
del  senso  morale  della  Selva  allegorica;  Note.  ìli.  Dimostra- 
zione del  senso  storico  della  Selva  allegorica;  JSote.  -  IV. 
//  veltro,  e  il  cinquecento  dieci  e  cinque  ;  Note.  -  V.  Quando 
abbia  Dante  compiuta  la  Divina  Comedia  e  particolarmente 
la  Cantica  dell'  Inferno  ;  Note.  VL  Musaici  ed  anagrammi 
nella  Divina  Comedia,  e  nuova  interpretazione  del  verso  di 
di  Piuto.  -  Appendice  L  Idiotismi  bormiesi  in  Dante  e  in 
altri  classici  toscani.  -  Appendice  IL  Ottantasette  nuove  le_ 


484  COMEMATORI. 

zioni  della  Divina  Comedia  proposte  a'  suoi  futuri  editori.  - 
Appendice  III.  Biblioteca  Dantesca  de'  secolo  XIX.  -  Il  va- 
lentissimo Picei,  benenierilo  assai  delia  lelteralnra  dantesca, 
pubblicava  inoltre  i  seguenti  scritti  :  Dei  nuovi  Studj  sopra 
Dante  pubblicati  da  M.  Giovanni  Ponta,  Milano,  Bernardoni, 
1844.  -  La  interpretazione  storica  della  Divina  Comedia, 
Padova,  Tip.  Liviana,  1847.  -  Della  Letteratura  dantesca 
contemporanea,  Milano,  Redaelli,  1846;  Padova,  Crescini, 
1848.  -  Teonimia  Dantesca.  Rev.  Ginnas.  fase,  o,  18ì)o.  - 
Della  Luna  tonda  nella  Divina  Comedia,  Riv.  Gin.  1836; 
ecc.  ecc. 

1844.  Pareisti  Marcantonio,  Lettere  ad  un  giovine  filologo 
sopra  alcuni  passi  di  Dante,  Modena,  Soliani, 

1845.  Poma  P.  Marco  G.,  Interpretazione  di  alcune  pa- 
role di  Petrarca  e  di  Dante,  Roma,  Tip.  delle  Belle  arti.  - 
Interpretazioni  dell'addiettivo  vivo  e  morto,  e  del  verbo  5</wa- 
drarc-  Interpretazione  del  verso  di  Dante  :  Perch'  io  te  sopra 
te  corono  e  mitrio  (Roma,  1842.) 

Il  P.  Ponta,  Somasco,  fu  si  Innamorato  dello  stupendo 
poema  di  Dante,  da  parergli,  dirò  con  le  parole  dell'egregio 
suo  laudatore,  il  P.  Calandri,  sempre  più  degno  de'  suoi 
pensieri,  sì  che  nel  resto  della  vita  non  ebbe  quasi  potere 
di  richiamare  altrove  la  mente.  Di  tanto  sentì  scaldarsi  a 
quella  fiamma  divina!  Nel  1843  pubblicò  il  suo  Auoro 
esperimento  della  principale  allerioria  della  divina  Comedia 
(riprodotto  in  Novi,  Moretti,  1845),  che  gli  valse  amplissime 
lodi  di  tutti  i  più  illustri  danteschi,  e  dell' Ozanam  segna- 
tamente. Nel  1843  diede  pure  alla  hicQ  L  Orologio  di  Dante 
Allighieri  per  conoscere  con  facilità  e  prontezza  dei  segni 
dello  Zodiaco  le  fasi  diurne  e  le  ore  indicate  e  descritte 
nella  divina  Comedia  (Roma,  1843  ;  Novi,  1845)  ;  i  cui  pregi 
furono  bellamente  esposti  dall' affettuosissimo  amico  suo, 
il  P.  Giuliani  (Roma,  1844).  A  continuazione  deirOrologia 
fece  seguire  La  tavola  cosmografica  per  agevolare  l' intelli- 
dnza  di  alcuni  punti  cosmografici  della  divina  Comedia 
(Roma,  1843).  Il  P.  Ponta  combattè  inoltre  con  molte  e  molte 
studiate  ragioni  l'autenticità  della  lettera  di  Dante  del  20 
Maggio  1314  a  Guido  Novello  da  Polenta,  sostenuta  dal 
dottissimo  G.  Bernardoni  {Gior.  Are.  Roma,  1845)  ;  dettò  U 


COMENTATORI.  485 

Saggio  di  Critica  ai  nuovi  studi  di  Dante  alighieri  del  eh. 
profess.  Picei  (Roma,  1845  e  1847);  saggio  riputato  dal 
Picchioni  qual  modello  compito  e  perfetto,  sagacemente 
pensato  e  maturamente  condotto  ;  illustrò  con  note  molto 
assennate  l'osservazioni  che  l'astronomo  Lodovico  Ciccolini 
avea  fatto  sulle  quattro  stelle  ricordate  nel  i.  Canto  del 
Purgatorio  (Roma,  184G);  richièsto  da  Lord  Vernon,  tenne 
e  riconfermò  per  autentico  il  comenio  di  Pietro,  figliuolo 
di  Dante,  contro  le  impugnazioni  del  Dionisi  (Dissertazione 
premessa  alla  slampa,  1845;  Gior.  Arcad.,  1845;  Roma,  1846)  ; 
stette  gagliardamente  pel  Giuliani,  nel  ritenere  di  Dante 
la  famosa  epistola  a  Can  grande  della  Scala,  combattuta 
dallo  Scolari  (Giorn.  Are.  1848);  ritenne,  fondatamente  che 
il  comento  del  da  Buti  fosse  apparito  a  luce  non  dal  1385 
al  1394,  come  il  Torri  e  il  Batines,  ma  nel  1397  (Roma,  1848)  ; 
esplorò  la  vera  disposizione  delle  beate  sedi,  secondo  il 
concetto  dantesco,  e  dettò  la  Rosa  celeste  (Roma,  1848);  di 
cui  scriveva  il  Fracasselti  :  «  Non  vide  me'  di  me  chi  vide 
il  vero.  L'Orologio  la  Cosmografia  e  la  descrizione  del 
paradiso,  sou  lavori  condotti  con  precisione  geometrica,  e 
tale  da  rendere  ogni  contraddizione  impossibile.  »  Oltrecchè 
eì  scrisse  delle  età  che  in  sua  persona  Dante  raffigura  nella 
divina  Comedia  (Roma,  18i8),  da  cui  si  viene  a  certa  cono- 
scenza che  Dante  dal  i  Canto  dell'  Inferno  sino  al  xxvm 
<lel  Purgatorio  rappresenti  in  sé  stesso  la  prima  parte  della 
umana  vita,  che  adolescenza  e  vita  nuova  si  appella,  e  che 
da  quel  luogo  in  poi  e  per  lutto  il  paradiso  raffiguri  la 
gioventii  la  vecchiezza  e  il  senio,  allorché  l'anima  del 
viatore  per  alta  speculazione  si  rimarita  a  Dio.  Le  ultime 
sue  Memorie  riguardarono  il  Saggio  di  Comento  sulla  Comedia 
pubblicato  dal  bolognese  M.Aurelio  Zanni  de  Ferranti;  una 
nuova  illustrazione  del  verso  Pape  Sutan,  Pape  Satan,  Aleppe; 
diede  pure  una  nuova  interpretazione  del  famoso  Veltro; 
pose  diligente  opera  al  libro  della  Monarchia,  molto  con- 
ducente a  conoscere  la  politica  del  cantore  dei  regni  eterni, 
e  intese  alla  spiegazione  di  molte  sentenze  di  tal  libro,  e 
a  renderne  sincera  la  lettura.  Lasciò  inoltre  inedita  una 
dissertazione  sugli  intendimenti  di  Dante  Allighieri  intorno 
al  Volgare  Eloquio,  pubblicata   poi  dal  Torri.   Delle  opere 


480  COMENTATOni. 

del  l'onta  scriveva  il  Giuliani  che  vorrebbero  essere  più 
celebri  e  studiale  :  perocché  a  quella  lettura  V  uomo  sentasi 
tremolare  avanti  /'  intelletto  una  luce  sì  vivace  come  se  gli 
fosse  raggiata  dal  poeta  stesso. 

11  P.  Ponta  nacque  in  Arquata,  a  poche  miglia  da  Novi, 
il  14  Aprile  1799;  m.  in  Casal-Monferrato  il  21  Luglio  1850. 

1845.  Brunetti  Alessandro,  Annotazioni  tolte  da'  più  ac- 
creditati espositori,  Parigi,  Thierrot. 

1846.  Emiliani  Giudici  Paolo,  JSuove  annotazioni  alla 
divina  Comedia,  Firenze,  Poligrafia  Italiana.  -  Le  note  die 
accompagnano  il  Testo,  ei  dice  nella  Prefazione,  saranno 
concepite  a  modo  di  brevissimi  richiami,  e  desunte  quasi 
unicamente  da'  comenlatori,  tìgli,  discepoli  e  coevi  al  Poeta, 
0  vissuti  entro  il  secolo  XIY. 

184G.  M.  Aurelio  Zani  de'  Ferranti,  La  Comedia  di  Dante 
Allighieri,  con  illustrazioni  antiche  e  moderne,  Parigi,  Baudry. 

Lo  Zani  si  mostra  valente  nel  notare  le  bellezze  poetiche 
e  nell'attingere  il  senso  letterale  della  Comedia,  ma  il  P. Ponta 
lo  ritenne  inetto  a  discoprirne  l'allegoria,  non  potendo  bene 
interpretare  Dante  chi  è  educato  alla  scuola  del  Rossetti. 

1854.ScALViNi  GìO\nA,bresciano.-?ìh  di  dieci  anni  fa,  scrive 
il  Tommaseo,  lasciò  a  me,  morendo,  gran  parte  de'  suoi  scritti 
letterari,  che  io  li  scegliessi  e  dessi  in  luce  ordinati.  Tra' 
quali  erano  alcune  noterelle  al  poema  di  Dante  gettate 
qua  e  là  come  principio  e  saggio  di  più  ampio  lavoro;  ma 
dimostrano  arguto  ingegno  che  egli  era  e  ornato  di  studii 
eleganti.  Tanti  conienti,  scriveva  egli,  abbiamo  alla  divina 
Comedia,  e  si  pochi  che  non  valgono  (siamo  arditi  dire)  più 
spesso  a  spargerla  di  dubbiezze  e  a  raffreddarne  la  passione, 
anzi  che  metterla  in  luce  e  farla  (se  pur  tanto  mai  possono) 
più  efficace  al  commuovere.  Queste  noterelle  congiungiamo 

con  le  nostre  a'  suoi  luoghi (  Tommaseo,  Comedia  di 

Dante  Allighieri,  65). 

1855.  BoRGHiNi  YiCENZo,  Introduzione  al  Poema  di  Dante  per 
l'Allegoria. -Difesa  di  Dante  come  cattolico.- Errori  di  alcuni 
Commentatori  di  Dante  e  principalmente  di  un  falso  Vellutello. 
Sensi  e  voci  dichiarate  nelle  lor  proprietà,  e  valore.  -  Varie 
lezioni  cavate  da  antichi  codici  della  Divina  Comedia,  con 
osservazioni  sulla  loro  bontà  e  scelta  -  Osservazioni  sopra 


COMENTATORl.  487 

le  bellezze  notate  ne'  Canti  dell' In (.  xvii-xxm  -  Pensieri 
diversi  [snl  divino  Poema  -  Questi  importanlissimi  lavori 
del  Borghini  furono  per  la  prima  volta  pubblicati  per  cura 
ed  opera  di  Ottavio  Gigli,  Firenze,  Le  Mounier,  1855. 

1856.  Betti  Salvatore,  Lettere  Dantesche,  Firenze,  Emilio 
Torelli. 

1858.  BoNGiovANNi  Domenico,  Saggio  della  nuova  Inter- 
pretazione -  Argomento  del  Canto  l.^  -  Sposizione  Storico- 
morale  -  Sposizione  estetica  -  (Prolegomeni  del  nuovo 
Comenlo  Storico-morale-estelico).  Forlì,  Bordandini. 

La  Civiltà  Cattolica,  che  con  troppo  acri  parole  combattè 
l'intendimento  del  Bongiovanni,  non  potè  negare  che  nella 
parte  estetica  il  libro  vada  ricco  di  belle  e  sapienti  consi- 
derazioni. 

1861.  Giuliani  Giambatista,  Metodo  di  comentare  la 
Comedia  di  Dante  Allighieri  per  lui  proposto,  Firenze,  Le 
Mounier. 

«In  prima  cercai  di  raffrontare  la  Comedia  ne'  luoghi 
simili,  e  degli  uni  mi  valsi  ad  illustrare  gli  altri,  o  a  vi- 
cenda. Poscia  dispiegatemi  alla  mente  le  svariate  fila  di 
quella  immensa  tela,  m'ingegnai,  per  quanto  era  in  me, 
di  contesserle  insieme  con  quelle  della  Yita]\uova,  del  Con- 
vito, della  Monarchia,  delle  Lettere,  delle  Canzoni,  delle 
LJgloghe  e  del  Volgare  Eloquio.  Ciò  fatto,  mi  sono  in  ispecial 
maniera  giovato  degli  autori  che  Dante  lungamente  studiò 
e  fece  a  noi  conoscere  quali  suoi  cari  e  fidi  maestri.  Rin- 
tracciai nelle  antiche  scritture  de'  nostri  e  dei  Provenzali, 
e  nel  perseverante  linguaggio  della  Toscana  le  orme  più 
sincere  e  le  dimostrazioni  dell'idioma  che  chiama  mamma 
e  babbo,  e  valse  a  descrivere  l' universo.  Qualora  poi  mi 
fallirono  questi  convenienti  soccorsi,  mi  rivolsi  agli  antichi 
comentatori,  degnissimi  sempre  della  fede  maggiore  ;  e  se  le 
interpretazioni  loro  mi  si  chiarivano  in  accordo  colle  aperte 
e  costanti  opinioni  del  Poeta,  liberamente  le  elessi.  Pari- 
menti mi  diedi  a  leggere  e  studiare  ne'  moderni  :  e  dove 
questi  non  manifestarono  i  leggiadri  sogni  delle  loro  vivaci 
fantasie  o  la  importuna  ricchezza  del  loro  sapere,  o  gli  stràni 
giudizi  delle  loro  particolari  opinioni,  li  seguitai  con  amore; 
e  tanto  più,  quanto  mi  venivan  parendo  esperti  non  pure 


488  COMEiNTATORI. 

nella  Comedla,  ma  e  si  nello  opere  di  Dante  che  ebbero  minor 
grido,  e  che  pel  gran  vantaggio  di  simili  studi  si  vorreb- 
bero, più  che  all'universale  non  sono,  conosciute  e  pregiate. 
Quando  tutto  ciò  mi  venne  meno,  disperato  di  buon  riu- 
scimento,  lasciai  che  ciascheduno  vedesse  e  giudicasse  a 
modo  suo,  non  volendo  io  sopraggravare  co'  miei  i  dubbi 
altrui.  »  Cosi  il  prof.  Giuliani  nella  sua  Introduzione.  -  Il 
Giuliani  fin  dal  1851  pubblicava  in  Genova  pel  Samboino 
la  prima  proposta  del  suo  nuovo  Gomento  di  spiegar  Dante 
con  Dante,  al  quale  aggiugneva  un  nuovo  Saggio  nel  185i, 
Firenze,  Tipogr.  Italiana,  il  lavoro  ora  per  lui  pubblicato, 
oltre  un'  estesissima  investigazione  ed  un'  accurato  Gomento 
dell'Epistola  di  Dante  a  Gan  Grande  della  Scala,  abbraccia 
l'interpretazione  dei  Ire  primi  cauli  di  ciascuna  Cantica, 
massimamente  del  primo  Canto  dell'  Inferno  che  vuol  rite- 
nersi, com'è,  il  Proemio  o  l'Introduzione  a  tutto  il  poema, 
Yeggasi  r  assennato  articolo  del  Crepuscolo,  n.^  48. 1852.  - 
Sul  Giuliani,  veggasi  il  nostro  articolo  :  Lettori  della  divina 
Comedia,  pag.  428. 

1863.  Giusti  Giuseppe,  Sttidj  e  Conienti  intorno  alla  Di- 
vina Comedia;  JXote  ed  osservazioni  sopra  la  Comedia,  (^iegli 
scritti  vari  in  prosa  e  in  versi,  Firenze,  Le  Mounier).   , 

Anche  Giuseppe  Giusti  avea  preparato  moltissimi  appunti 
sulla  divina  Comedia,  e  avea  in  animo,  come  scriveva  ci 
stesso  ad  Atto  Yannucci,  di  riunirli,  e  darli  fuori  in  forma 
di  lettere  agli  amici,  nelle  quali  senza  rifarsi  tanto  dall'alto, 
avrebbe  voluto  riunire  tutto  ciò  eh'  è  stato  detto  dai  migliori 
sul  divino  poema,  e  manifestare  il  suo  modo  di  vederci 
dentro  (Lett.  113,  ed,  LeMonnIer).  Ed  il  Frassi  narra  nella 
vita  del  Giusti,  che  quando  i  tanti  patimenti  gli  davano 
qualche  tregua,  el  continuava  a  lavorare,  e  segnatamente 
intorno  al  Gomento  di  Dante,  e  che  tanto  era  assorto  in 
questo  suo  lavoro,  che  non  vi  era  modo  di  parlare  con  lui 
di  altra  cosa  che  Dante  non  fosse.  -  La  divina  Comedia 
fu  sempre  il  prediletto  de'  suoi  libri,  ed  ei  confessa  di  aver 
tempestato  su  Dante  la  parte  sua  (Lett.  308,  a  Gino  Capponi); 
e  scrivendo  al  Tamburini  (Lett.  131),  ei  protesta  d'aversene 
fatto  una  perpetua  norma:  «Chi  direbbe  che  l'amore  portata 
a  Dante  mi  avesse  fruttato  quei  quattro  scherzi  tanto  lon- 


COMENTATORl.  489 

laiii  dalla  maniera  dantesca?  Eppure  è  cosi,  e  per  anni  e 
anni  non  ho  conosciulo  altro  libro.»  -  Ei  voleva  che  invece 
di  aflastellare  note  sopra  note,  si  premettesse  a  ogni  canto 
un  argomento  a  modo  di  dichiarazione,  esteso  più  o  meno 
a  seconda  dell'importanza  della  materia  ivi  contenuta; 
sulla  base  di  quelli  del  Borghi  con  qualche  rettificazione. 
Poche  note  e  quelle  poche  e  brevi,  e  più  che  altro  spettanti 
alla  storia  e  alla  ragione  grammaticale,  tornando  superflue 
le  altre  e  per  i  discorsi  generali  premessi  al  poema,  e  per 
gli  argomenti  di  ciascun  canto.  Cercare  e  nei  discorsi  e 
negli  argomenti  e  nelle  note  di  riavvicinare  lutti  quei  passi 
che  nelle  diverse  opere  dell' Allighieri  versano  sopra  una 
stessa  materia,  ossia  comentare  Dante  con  Dante.  Nelle 
varianti  esser  cauto  e  parco.  Tenersi  alle  migliori  edizioni, 
e  quando  il  senso  lo  chiede,  aver  coscienza,  ma  non  esser 
bigotto. 

1864.  Ambrosi  Francesco,  Il  C.  xii  dell'Inferno,  Comento 
''  riflessioni,  (Nella  Strenna  roveretana,  il  Mutuo  Soccorso) 
Rovereto,   Caumo. 

1860-64.  Rezza  Eugenio.  -  Finora  pubblicò  il  Comento  dì 
'l'I  canti  dell'Inferno,  e  di  alcuni  del  Purgatorio  e  del  Pa- 
radiso. Il  Rezza  sì  è  proposto  di  fare  una  sposizione  del 
divino  poeta,  utile  alla  gioventù  studiosa  delle  scuole  se- 
condarie, con  un  comento  piano,  e  indirizzalo  particolarmente 
alla  critica  e  all'  estetica.  Da'  saggi  che  abbiamo  avuto  sol- 
l' occhio  11  lavoro  del  Rezza  ci  parve  importantissimo,  e 
degno  dello  scopo  che  sì  prefisse.  Venne  esso  pubblicato 
nella  Gioventù  dì  Firenze,  nella  Famiglia  di  Ferrara,  e 
nella  Gazzetta  delle  scuole  Italiane  di  Genova. 


490  COMEMATORI. 


COHESTI  IN  CORSO  DI  STAMPA 


Da  Marzo  prof.  Antonio  Gualberto,  Comento  su  la  divina 
Comedia,  Bari,  Gissi  e  C. 

«  Non  ne  sono  usciti,  che  i  due  primi  fascìcoli  che  con- 
tengono un'assennato  discorso  delConientatore;  la  vita  di 
Dante  scritta  dal  Boccaccio,  con  annotazioni  critiche,  e  tutto 
il  primo  canto  dell'Inferno,  con  parte  del  secondo.  11  me- 
todo tenuto  dal  comentatore  a  me  par  bello  e  bisognevole: 
a  ciascun  terzetto,  ed  anche  a  ciascun  verso,  fa  un  comento 
morale,  estetico,  storico,  dove  ci  cade,  e  filologico.  Dal 
Saggio  che  ne  dà  questo  primo  canto  si  argomenta  che 
debb' esser  lavoro  di  somma  importanza,  ed  assai  ben  con- 
dotto, se  non  quanto  ad  alcuno  potrà  senbrare  un  poco 
troppo  prolisso.  Ma  aspettiamo  vedere  il  seguito,  e  allora  ne 
prenderemo  materia  ad  un  lavoro  critico.  »  P.  Fanfani, 
Borghini,  1869,  1.  p.  510. 

Dopo  i  due  fascicoli  usciti,  a  Bari,  il  Comentatore  venuto 
in  Toscana  ha  ricominciato  da  capo  la  stampa  con  maggior 
eleganza  e  con  nuove  cure  (Firenze,  Grazzini,  Giannini). 
A  quest'  ora  non  uscirono  che  3  fascicoli  :  che  se  il  buon 
giorno  si  conosce  dal  mattino,  il  lavoro  del  S.'^  De  Marza 
promette  di  voler  esser  buono  ed  utilissimo.  V.  Borghini, 
18G3,  li.  574.  -  Questo  Comento  ci  parve  nella  sua  abbon- 
danza non  confuso  uè  inutile,  e  che  la  divisione  fattagli 
dall'autore  in  morale,  in  estetica,  in  storia  e  in  filologia, 
come  amplia  grandemente  la  sfera  critica  nella  quale  si 
distinsero  i  precedenti,  così  risponde  da  tutti  i  lati  dai 
quali  })uò  essere  la  divina  Comedia  argomento  di  studio. 
G.  C.  Il  Centenario,  p.  171. 

Bi-NASSUTi  Luigi,  Arciprete  di  Cerea,  Diocesi  di  Verona, 
(Manif.  di  associazione,  12  Giugno  1864,  Verona,  Civelli). 

Doj)pio  è  r  intendimento  che  si  prefigge  il  Benassuti  nel 
suo  comento.  Prima  ei  vuole  rivendicare  al  cattolicismo  un 
poeta  profondamente  cattolico,  e  che  scrisse  la  divina  Co- 


COMEMATORl.  491 

media  con  solo  fine  cattolico  ed  ascetico,  come,  non  solo 
nel  discorso  preliminare,  ma  amano  a  mano  nell'interpre- 
tazione ei  si  farà  a  provare,  parendogli  che,  ne'  moderni 
interpreti  vi  sia  piuttosto  una  progressione  nel  falso  che  nel 
vero,  avendo  essi  ridotto  Dante  ad  un  concetto  o  puramente 
naturale  e  civile,  o  appena  appena  con  solo  un'ombra  di 
cattolicismo.  In  secondo  luogo  egli  intende  illustrare  qualche 
cenlinajo  di  passi  non  finora  compresi  e  lasciati  nella  loro 
antica  oscurità  e  difficoltà,  e  che  sono  le  bellezze  maggiori 
del  poema.  -  Il  lavoro  del  Benassuli  andrà  corredato  di  op- 
portune tavole  illustrative;  parte  tipografiche,  e  parte  lito- 
grafiche 0  di  disegno.  Le  tipografiche  vanno  distinte  ciascuna 
in  7  riparti  che  sono  i  seguenti  :  I."  JSumero  dei  canti;  11.^  Con- 
cedo ;  III.*^  Tempo;  IV.°  Luogo;  \.^  Persone  ;  VI."  Brani  più 
difficili,  poco  0  nulla  intesi;  VII."  Dante  ad  uso  dei  pittori.  - 
Li  tre  riparti  Tempo,  Luogo,  Persone  si  suddivono  in  tanti 
riparta  secondarli.  Il  Tempo  comprende  sotto  di  sé  li  se- 
guenti casellini:  ì.^  Epoca  fittizia  o  poetica:  ÌU  PJpoca  reale 
0  storica:  \\\.^  Stagione  ;  e  questa  si  suddivide  ancora  in 
tre  casellini:  (a)  dopo  l'equinozio  di  ecc.:  (6)  «luanti 
(giorni  dopo:  [c]  Sole  In  ecc.  -  IV."  Lunazione,   e  questa 

pure  si  suddivide:   (a)   segano:  [b)  fase:   (e)  giorno.   -  Y." 

Mese.  VI,"  Giorno  del  mese.  VII."  Settimana.  \III."  Giorno 
di  settimana.  IX."  Ore  del  giorno.  X."  Giorni  di  viaggio. 
W."^  Ritardi.  XW  Eccitamenti  alla  fretta:  XIII."  Accenni 
cronologici. 

Finito  il  Tempo  viene  il  Luogo  che  va  diviso  così  in 
tanti  casellini:  \.^  Luogo  fittizio  o  poetico:  11.'^  Luogo  reale 
0  storico:  U\.^  Punto  di  partenza:  l\.^  Aggiramenti.  \.^  Di- 
rezioni: VI."  Stazioni:  \\\.^  Dimensioni  geometriche  in  miglia: 
(a)  di  circonferenza:  [b]  diametro  di  circonferenza: 
[e)  di  «trada  -  al  Purg.  [d]  di  altezza.  Vili."  Accenni 
geometrici:  W.^  Accenni  topografici:  X."  Via  ascetica:  W.° 
Prove  di  altezza:  -  Seguono  le  persone  che  comprendono 
sotto  di  se;  I."  Visitanti,  divisi  così  :  ia)  «uida:  (6)  Uuidato: 

IL"  Visitati:  divisi  così:  (a)  Ans^eli:  (6)  Domini:  ic)  Col- 
pe: [d)  Pene.  -  Queste  tavole  tipografiche  dovrebbono 
offrire  a  colpo  d'occhio  tutte  le  ricerche  escogitabili,  e  dare 
il  convincimento  matematico' nella  soluzione  di  qualunque 


492  COMENTATORI. 

dubbio  ci  possa  sorgere  in  capo,  onde,  com'ei  si  ripromelle, 
chiunque  si  accosti  a  consultarle,  dovrebbe  trovare  il  nesso 
di  tutto  e  vedervi  l'unità  del  gran  pensiero,  non  polendo 
non  rimaner  colpito  dallo  sterminalo  Ingegno  creatore  di 
Dante,  come  da  cosa  non  vista  mai. 

I  brani  non  inlesi  sarebbero  numerati  nel  lor  casellino, 
e  in  Une  d'ogni  tavola  ei  ne  darà  la  somma. 

II  Dante  ad  uso  del  pittori  è  un  copioso  accenno  di  passi 
pi  ttorici. 

Le  tavole  litografiche  abbracciano  o  diseqni  de' iuofjlù 
percorsi  del  poeta  o  tavole  astronomiche  e  geoffra fiche  alla 
intelligenza  dei  passi,  ch'el  crede  per  lo  più  errali  d'assai 
tino  dai  fondamenti.  Questi  disegni  sono  preceduti  da  un 
disegno  generico  dei  due  nostri  emisferi  che  dimostrerà  la 
Divina  Comedia  essere  una  sintesi  della  Bibbia.  Questo 
disegno,  unito  al  primo  volume,  viene  poi  spiegato  nel  di- 
scorso preliminare,  ed  è  come  la  chiave  di  tutto.  Quanto 
alle  tavole  astronomiche,  ei  spera  di  far  comprendere  con 
esse  anche  ad  un  fanciullo  le  cose  più  astruse  di  Dante.  - 
Queste  notìzie  ci  furono  cortesemente  comunicate  dall'Au- 
tore (10  Decemb.  1864),  e  ci  parvero  troppo  interessanti  per 
non  farne  cenno...  Il  primo  volume  uscirà  nel  Febbrajo,  e 
noi  ne  aflrettiamo  col  desiderio  la  pubblicazione,  perchè 
.siamo  ben  certi,  checché  ne  sia  stato  detto  in  contrario, 
senza  vederlo,  che  il  lavoro  dell' egregio  Benassuti  non  sia 
per  essere  salutato  con  molto  favore.  E  dolse  a  noi  pure 
che  nel  manifesto  di  associazione  il  S.""  Benassuli  abbia 
per  avventura  portato  giudizio  men  riverente  di  tanti  valo- 
rosi ingegni  che  per  cinque  secoli  faticarono  intorno  al 
divino  poema:  certo  che  ove  il  programma  fosse  stalo  più 
rimesso,  e  direi  meno  arrisicalo,  ed  ove  più  ampliaraente 
avesse  svolto  il  disegno  del  suo  lavoro,  sarebbe  esso  stalo 
accollo  con  plauso.  Io  spero  che  il  S.""  Benassuti  vorrà 
perdonare  alla  schiettezza  di  chi  veracemente  lo  slima. 

Il  Testo  del  Comenlo  sarà  del  P.  Sorio  da  V,erona  che 
fece  a  tal  uopo  di  molti  e  gravi  'sludi  comparativi,  e  di 
cui  pubblicò  parecchi  saggi. 

PiìDiuM  Bartolommeo,  [Parvoco  de'  Ss.  Apostoli  in  Ve- 
nezia) Venezia,  Tipografia  pel  Patronato  dei  Ragazzi. 


COMENTATOHI.  493 

li  Pedrlni  ci  fa  sapere  d' avere  impiegato  più  anni  nello 
sUuiio  dell'opera  di  Dante  e  di  aver  vegliato  sopra  i  più 
rinomati  Comentatori.  Ei  liromeile  un  interpretazione  facile  e 
piana  della  divina  Comedia  che  possa  servire  d'introduzione 
allo  studio  grave  e  serio  della  medesima,  e  che  sia  utile 
a  quelle  persone  le  quali  vogliono  semplicemente  leggerla  e 
intenderne  il  senso.  (?j  Le  noie  saranno  per  lo  più  storiche, 
brevi  anche  queste,  e  chiare. 


COMENTI  INEDITI 


Francesco  di  Dante  (?],  citato  dal  Nidobeato,  dal  Landino 
e  dall'  Ubaldini.  -  Micchino  da  Mezzano,  canonico  ravennate, 
contemporaneo  ed  amico  di  Dante,  citato  da  Colnccio  Salu- 
tati. -  Zanobi  da  Strada,  morto  nel  1329,  ricordalo  dal 
Caconi.  - Bosone  da  Gubbio,  a  cni  viene  attribuito  il  Comento 
il  falso  Boccaccio,  conservato  nella  Magliabecchiana. -.Arrono 
de'  Bonfantini,  francescano,  inquisitore,  citato  (ìtiW Ottimo. - 
Bonagrazia,  detto  poi  Graziuolo,  figlio  di  Bambagliolo, 
notaio,  l'autore  del  Trattato  delle  virili  morali,  in  cento 
cobbole,  a  imitazione  dei  Documenti  d'Amore  del  Barberino, 
comentò  la  divina  Comedia  prima  del  1330.  È  citalo  dal- 
l'0/^iwo,  [Inf.  C.  VII  ;  C.  xin.  )  col  nome  di  Cancelliere  di 
Bologna.  -  Fra  Guido  da  Pisa,  carmelitano,  e  contempo- 
raneo di  Dante.  Scrisse  l'aureo  libro  la  Fiorita  d'Italia,  in 
cui  spiega  molli  luoghi  della  divina  Comedia,  e  di  più 
compose  un  comento  col  titolo  :  expositiones  et  glosae 
super  Comaediam  Dantis.  -  Domenico  Bandini,  d'Arezzo, 
grammatico  del  secolo  XIV,  lasciavaci  memoria  del  suo 
Comento  nel  suo  Fons  memorabilium  e  nella  vita  di  Bru- 
nello Latini.  -  Cecco  Meo  Ugurgieri  di  Siena.  -  Questo 
Comento  volevasi  conservato  nel  secolo  decorso  fra  i  mano- 
scritti di  S.  Michele  di  Murano  in  Venezia,  ma  che  andasse 
poi  smarrito.  È  ricordalo  dal  Miltarelli.  Il  De  Angelis  ne 
fa  invece  autore  un  Giacomo  (Irifolo  di  Siena,  mentre  altri 
lo  vogliono  semplice  copiatore,  come  meglio  apparirebbe 
dalla  fac.  384.  Che  Ciampolo  di  Meo  degli  Ugurgieri  fosse 


494  .       COMEMATORI. 

Studiosissimo  del  divino  poeta  è  indubbiamente  manifesto 
dal  suo  volgarizzamento  dell'Eneide  di  Virgilio.  Il  virgiliano 
aff nosco  velcris  vestigia  flammae  è  per  lui  tradotto:  e  nosco 
i  ser/ni  dell  antica  fiamma.  Olire  a  ciò,  specialmente  nel 
libro  VI,  e  dovunque  molte  frasi  e  parole  e  perfino  molti 
interi  versi  portano  in  fronte  il  suggello  che  vi  impresse 
Dante.  Giampolo  dovrebb' esser  nato  dal  1290  al  1300:  Il 
primo  ricordo  che  si  trova  di  lui  nell'Archìvio  dei  contralti 
di  Siena  è  del  1324,  e  nel  1347,  come  si  rileva  dall'Archi- 
vio delle  Riformagioni  di  Siena,  egli,  in  compagnia  di  Nicolò 
di  messere  Slricca  e  di  Niccolò  di  ser  Niccola,  fu  degli 
uffiziali  sopra  lo  Studio  sanese.  -  Filippo  Villani  comentò 
la  prima  Cantica,  a  cui  prepose  pure  un'  Introduzione.  Il 
codice  si  conserva  nella  Chlgiana  al  n.^  L.  vii.  208.  Sembra 
che  il  Villani  non  si  ristrignesse  all'  interpretazione  dell'In- 
ferno, allegando  nel  comento  del  primo  conto  dell'Inferno 
una  sua  chiosa  al  C.  xxx  del  Purgatorio.  -  3Iatteo  Ronto  : 
le  sue  postille  son  dette  dal  Balines  importanti  per  l' intel- 
ligenza del  testo  e  de'  luoghi  storici.  -  Coluccio  Salutati 
morì  nel  1406:  è  citato  dal  Mehus.  -  Jacopo  Gradenigo, 
veneziano,  alla  line  del  secolo  XIV.  Il  suo  Comento  diccvasi 
esistente  al  cadere  del  secolo  scorso,  nella  libreria  del  car- 
dinale Garampi.  -  Riccardo,  carmelitano,  ed  Andrea,  napo- 
litano, citati  dal  Nidobeato  e  dal  Landino.  -  Benedetto, 
forse  de  Florentia,  Agostiniano:  il  Comento  fu  compiuto 
in  Pisa,  e  conservasi  nella  Biblioteca  del  marchese  Giacomo 
Filippo  Durazzo  di  Genova.  -  Frate  Stefano,  domenicano, 
in  sul  principio  del  quattrocento  dettò  molte  e  purgate  chiose 
latine.' Il  codice  si  conserva  nella  Trivulziana  al  n.*^  IV,  VII.  - 
Bortolommeo  di  Piero  di  S.  Gimignano,  secondo  il  FoHini, 
non  sarebbe  diverso  da  Bartolommeo  di  Pietro  Traviani  di 
Neruccis,  che  nel  1462,  fu  ambasciatore  a  Siena,  e  tenuto 
per  uomo  assai  ragguardevole:  Il  suo  breve  comentario 
conservasi  nella  Magliabecchiana.  Secondo  il  Muzzi,  la  forma 
del  Comento  è  spesso  elegante,  la  materia  conserta  di 
erudizione  e  di  dottrina.  -  Giovanni  Bertoldi,  di  Serravalle, 
arcivescovo  di  Fermo  :  il  solo  esemplare  che  si  conosca  di 
questo  Comento  conservasi  nella  Vaticana.  -  Alessandro 
Astcsi,  da  Pistoia:  il  Comento  fu  per  lui  compiuto  il  di  16 


COMENTATORI.  495 

Agosto  1445,  e  per  lai  dedicato  alla  S.  di  Pio  II.  Pare  che 
chiosasse  la  divina  Comcdia  dinanzi  al  Ponteiìce  stesso  :  in 
lectlone  Dantis  per  ipsum  liabita  coram  Sanctilate  sua.  lì 
codice  è  conservato  dal  Priore  Scapucci  di  Pistoia.  -  Paolo 
A'icoleUt,  di  Udine,  frate  Agostiniano:  il  Comento  latino  che 
secondo  il  Negri  ed  il  Crescimbeni,  custodivasi  nella  Libreria 
Landi  di  Padova,  venivagli  attribuito  dal  Possevino,  dal 
Negri  e  dal  Sansovino:  l'Alberici  ed  il  Cicognara  lo  vogliono 
invece  lavoro  di  Paolo  Alberlini,  de'  Serviti,  veneziano. 
Nella  sua  iscrizione  sepolcrale  leggevasi:  explkuit  nobile 
Dantis  opus. -Bar [olommeo  Ce/Jonì:  le  sue  postille,  compilate 
nel  1432,  stanno  nei  margini  del  Codice  della  Riccardiana, 
al  n.^  130G.  -  Bartolommeo  da  Colle,  detto  Lippi,  francesca- 
no: il  comento  fu  compiuto  nel  1480,  e  conservasi  nella 
Vaticana.  Al  Ponla  parve  prezioso  per  la  grande  erudizione, 
per  la  precisa  ed  elegante  spiegazione  della  lettera  ne'  suol 
vocaboli,  nella  storia,  nella  mitologia,  nelle  scienze  ed  arti 
tutte,  e  da  ultimo  per  la  giudiciosa  dichiarazione  dell' alle- 
goria. -  Giovanni  Enrico  de'  Tonsi,  francescano  e  Sanraari- 
nese:  il  Comento  sì  conserva  in  San  Marino.  -  Giovanni 
Michele  Alberto  Carrara,  bergamasco,  nel  14G0,  presentava 
ad  Antonio  Marcello,  nobile  veneto,  un  bel  Dante  co' dotti 
suoi  comenli.  -Matteo  Chiromonio:  comento  Dante  nel  14G1, 
e  se  ne  conserva  il  lavoro  nel  codice  Barberino,  n."  3i0.  - 
Nicolò  Clarecini,  letterato  e  giureconsulto  friulese:  di  costa 
alla  divina  Comedia  per  lui  trascritta  nel  1466,  si  leggono 
di  molte  sue  erudite  annotazioni:  il  codice  è  tuttavia  custo- 
dito nella  libreria  Clarecini  di  Cividale.  -  Antonio  lucci 
Martelli:  in  un  codice  della  Magliabecchiana,  del  1462,  si 
trovano  parecchie  chiose  brevi,  marginali,  accompagnale 
da  qualche  figura  astronomica.  Furono  esse  riputate  di 
grande  rilievo:  sovente  l'Autore  spiega  Dante  con  Dante 
medesimo.  -  Bartolommeo  Baldinolli,  pistoiese,  professore 
di  legge  neir  università  di  Pisa,  dettava  nel  1478  un  lungo 
comento,  oggidì  smarrito.  -  Marsilio  Ficino  :  le  sue  inter- 
pretazioni riguardano  la  più  parte  al  sistema  teologico  e 
lìlosoUco,  a'  costumi  ed  al  tempo  di  Dante.  Si  conservano 
in  un  codice  posseduto  dal  principe  Caetani  di  Roma. 


396  COMKNTATORI. 

SECOLO  XVI. 


Agi' interpreti  di  Dante,  ì  cui  conienti  generali  o  parziali 
rimangono  tuttavia  inediti,  vanno  annoverati:  Girolamo 
Benivieni;  Pellefjrino  Moretto;  Donato  Gianotti;  Francesco 
Gìambullari;  Baccio  Valori  ;  Bartolommeo  Barhadoni;  Giov. 
Brevio;  Giacomo  Tieipolo;  il  card.  Bembo;  Benedetto  dell' iva  ; 
Benedetto  Varchi;  Lodovico  Beccadelii;  Gabriele  Tri  foni; 
Lodovico  Castelvetro;  Marcantonio  Mureto;  Sperone  Speroni; 
Francesco  Sanleonini;  Giulio  Ottonelli;  Filippo  Sassetti; 
Giovanni  Berti  ;  Jacopo  Corbinelli  ;  Celso  Cittadini  ;  Alessan- 
dro Sardi. 

SECOLO  XVIL 

D.  Carlo  Barberini;  Francesco  Bracciolini;  Federico 
Ubaldini;  Uberto  Benvoglienti;  Pomponio  Torelli;  Benedetto 
Buommattei;  Pietro  Pietri,  di  Danzica;  Carlo  Strozzi;  Alfonso 
di  Giuliano  Gioia;  Antonmaria  Salvini. 

SECOLO  XVIII. 

Marcantonio  Mozzi;  Domenico  M.  Marmi;  Antonmaria 
Biscioni;  Giovanni  Gentiii;  Filippo  Bosa  Morando;  Girolimo 
TarlaroHi;  Antomo  Cocchi. 

SECOLO  XIX. 

Giuseppe  Pelli,  Francesco  Begis,  Francesco  Enrico  Acerbi, 
Luigi  Biondi,  Leonardo  Casella,  Mauro  Ferrante:  (Il  testo  del 
Ferrante,  condotto  secondo  la  lettera  principalmente  di  due 
codici  Ravegnani,  venne  pubblicato  a'  14  Settembre  1848, 
in  Ravenna  DXXVIl  anni  da  la  morte  di  Dante  per  i 
fratelli  Maricotti  ;  ma  le  nuove  Chiose  promesseci  dal  Ma- 
nifesto 16  Aprile  1846,  non  che  dal  frontespizio  del  Testo 
sono  tuttavia  un  desiderio).-  6^/o6era*  Vicenza.  (Del  Convento 
Gioberliano,  posseduto  dall'Ab.  Giovanni  Boglino,  l'egregio 


COMENTATORt.  497 

Ghiaia  pubblicava  un  lodatissimo  saggio  nella  Revìsta  Con- 
temporanea di  Torino,  Febbraio  e  Giugno  1857,  Fase.  40  e 
44).  -  Camillo  Berini,  romano.  ^Conienlo  ricordalo  dal  doti. 
Filippo  Zamboni.  Il  Berinì  mancò  di  vita  a'  16  Febbraio  18^7, 
a  soli  venli  anni  ).  (1) 


(1)  De' Francesi  comentarono  neUe  loro  traduzioni  la  Divina  Comcdia  : 
Grangier  Baldassare.  1S91:  Moutonnct  de  Clairfons,  1776;  il  conte  de 
liivarol,  1783:  A.  F.  Artaud,  1811:  Enrico  Terasson^  1817:  Brait  de  la 
Mathe,  1823:  /.  C.  Tarver,  18-20:  Carlo  Callemard  de  la  Fayette,  1835: 
Pier  Anrjelo  Fiorentino,  1840:  Briseux  A.  1842:  Aroux  P.  1842:  Bhéal 
Sebastiano,  1843:  Ozunum  A.  F.,  18G2-De"f edeschi:  C.  Streckfuss,  1824; 
Lod.  C.  Kanìierji esser,  1823:  Rodolfo  Abeken,  1826:  L.  Ilorwarter,  1830: 
L  G. Diane,  1832,  1861:  Giovanni  Nepomuceno,  redi  Sassonia (Fi^aiete), 
1833:  Augusto  Kopisch,  1837:  C.  Granì,  18i3.- Degl'inglesi;  Enrico  Boyd, 
1802:  Natanielle  Howard,  1807:  A.Taelfe,  1822:  Lord  Vernon,  1842: 
T.  Parsons.  1843:  Lcight  liunt,  1845;  Giov.  Carlyle,  1849:  M.  A. 
Broohsbanch,  1854:  Tom.Weslei,  1859.  -  Degli  Spagnuoli  :  Ferdinando 
de  Villcgus.  1553. 


Voi.,  li 


TRADUTTORI 


I.  -  TRADUZIONI  IN  DIALETTO 


1811.  Porta  Carlo,  Frammenti  dell'  Inferno  di  Dante  in 
dialetto  milanese,  col  testo  a  fronte.  -  Canto  i,  e  frammenti 
dei  Canti  ii.  iii  e  vu,  pubblicati  insieme  coli'  altre  sue  poesie, 
scritte  in  dialetto  milanese,  Milano,  Ferrano,  1837;  Milano, 
Borroni  Scotti,  1844.  -  La  prima  edizione  del  1811  portala 
data  d'Italia. 

1838.  Di  Lorenzo...  (in  dialetto  napolitano). 

1860.  Candiani  Francesco,  V  Inferno  di  Dante  esposto 
in  dialetto  milanese,  Milano,  Salvi. 

II.  -  TRADUZIONI  LATINE 

RoNTO  Matteo,  Monaco  olivetano,  nella  Chiesa  di  San 
Leopoldo  di  Pistoia.  La  sua  versione  latina  (1381),  in  esametri, 
verso  per  verso,  è  tullavia  inedita.  Vi  presero  parte,  com'egli 
stesso  dichiara,  Bartolommeo  pisano,  cav.  dello  Speron  d'oro, 
e  i  due  pistoiesi,  Michele  de  Casis,  medico,  e  fra  Francesco, 
dell'ordine  dei  minori.  Un  magnifico  codice  membranaceo 
di  essa  conservasi  nella  Biblioteca  di  Lucca.  Vi  hanno  altri 
codici  in  quelle  di  S.  Genovieffa  di  Parigi,  nella  Magliabec- 
chiana  e  Laujrenziana  di  Firenze.  Il  Tommaseo  ne  reca  dei 
saggi  nel  suo  articolo:  Dante  e  i  suoi  traduttori^  Revista 
Contemporanea  dì  Torino,  26  Nov.  1835.  Il  Sfitte  nella 
prefazione  alla  versione  del  Piazza  riporta  per  intero  i'epi- 


TRADUZIONI   LATLNE.  499 

sodio  della  Francesca  di  Rimini,  tolto  dal  codice  Magliabec- 
chiano,  per  cura  del  pittore  Kirkup.  La  versione  Ronloniana 
è  detta  barbara  dal  Witte.  Miglior  sentenza  ne  porta  il 
Tommaseo. 

AnOxMMO,  Frammenlì  inediti  delV  Inferno  in  versi  esamelri, 
traiti  dal  Codice  Fontaniano,  pubblicati  dall'Ab.  Viviani,  nel 
Voi.  Ili  della  sua  edizione  della  divina  Comedia,  1823. 

11  Witte  così  ne  parla  :  «  Rontoniana  paulo  recentior  et  mi- 
nus  barbara  videtur  versio  aliquot  capitulorum  inferni,  quam 
ex  unico  Fontaniano  codice  protraxil  Vivìanus,  cujusque  par- 
ticulam  doclis  nolis  illustralam  recudi  curavit  OrelUiis.  Quam 
exhibentes  a  refutatione  eorum  abstinendum  credimus,  qui 
lios  versus  inconditos,  sententiamque  Italici  carminismendose 
reddentes,  legitimum  aliquandoAlligherii  partum  primosque 
divinae  Comoediae  conatus  judicaverunt:  neminem  enim 
hujus  opinionis  seclatorem  hodie  superesse  putamus.  « 

Salutati  Colucgio,  Traduzione  in  versi  esametri.  È  tut- 
tavia inedita,  meno  un  brano  del  XIII  del  Purgatorio  che 
si  legge  nel  suo  libro  De  Fato  et  de  Fortuna,  riportato  dal 
Mehus  e  dal  Corniani. 

Della  Marca  \>tomo,  dell^  Ordine  dei  Minori^  -  La  sua 
traduzione  in  versi  latini,  sulla  fede  del  Crescimbeni  e  del 
Yandelìi,  trovavasi  nel  convento  di  Fano:  oggidì  smarrita. 

Giovanni  di  Serra  valle,  Vescovo  di  Fermo.  Il  Concilio 
di  Costanza,  dice  il  Witte,  destava  in  Germania  le  prime 
scintille  della  divina  Comedia.  Ad  istanza  del  cardinale 
Amadeo  di  Saluzzo,  e  dei  vescovi  di  Salisburgo  e  di  Balh 
accignevasi  egli  a  dettare  una  versione  latina  ed  un  vasto 
comenlario  all' inìmortale  poema,  in  quell'anno  medesimo 
in  cui  Girolimo  da  Praga  sosteneva  la  pena  del  fuoco 
innanzi  alle  porte  di  Costanza.  Metteva  mano  all'opera  il 
primo  Febbraio  1416;  e  compievala  il  16  Febbraio  dell'anno 
seguente,  onde  per  l' afl'rettato  lavoro  chiede  scusa  de 
rusticana  latinilate  incompfaque  et  iìicpta  translatione.  Il 
tempo  brevissimo,  speso  da  Fra  Giovanni  in  sì  grave  fatica, 
dice  il  Foscolo,  basta  a  far  sospettare,  ch'egli  a  fine  di 
spedirsene,  compilasse  quante  mai  chiose  gli  erano  sommi- 
nistrate, e  dai  libri  che  gì'  incontrava  di  avere  alla  mano, 
e  dalla  sua  memoria,  e  forse  anche,   alle  volte,  dalla  sua 


SOO  TRADUZIONI  LATINE. 

fantasia.  In  falli,  se  lulle  le  cose  ch'ei  raccontava,  non 
erano  deslitulle  di  verità,  o,  ron  fosse  altro,  di  tradizione, 
com'è  dunque  che  lutti  i  comenlalori  da' quali  fu  preceduto 
ne  hanno  ignorato  di  parecchie,  e  non  sono  stale  tolte  mai 
alla  dimenticanza  da  niuno  di  quanti  vennero  succedendogli 
sino  ad  oggi?  -  Y.  Foscolo,  Discorso  sul  Testo,  LXIII. 

Anonimo,  Parte  del  C.  Y.  dell'  Inferno,  v.  70-1 42.  Tra- 
duzione del  secolo  XY.  Edidit  et  notis  instrvxìt  Jo.  Caspar 
Orellms,  1839.  (Y.  Petzholdt  Calai.  Bibl.  Danleae,  1855, 
pag.28). 

Tommaseo  Nicolò,  L'  Episodio  di  Francesca  da  Rimini, 
in  versi  esametri,  Revista  Contemporanea,  1855.  -  Nei  suoi 
Nuovi  Scrittici  diede  pure  un  Saggio  di  traduzione  del  \.  Canio 
dell' Inferno.  (/)/G/o?iario  Estetico,  Parte  antica,  p.  110). 

Testa  Francesco,  V Episodio  dì  Francesca  di  lUmini  e 
del  Co.  Ugolino  non  volgarizzati  da  Carlo  d'Aquino,  Padova, 
Minerva,  1835.  (Per  le  Nozze  Melilupi  di  Soragna-Piovene).- 
11  Testa  tradusse  inoltre  i  Cauli  x  e  xxv.  dell'  Inferno. 
(Padova,  Carlalier,  1836,  pubblicati  nelle  Nozze  Piovene-Fran- 
ceschinis),  e  due  brani  del  Canto  xi  e  xxxiii  del  Paradiso. 
Questi  ultimi  furono  già  pubblicali  nel  1835,  e  1837;  ri- 
prodotti a  Padova,  Tip.  Cartelier-Sicca,  1838.  -  La  traduz. 
dell'Episodio  di  Francesca  fu  ratì'ronlata  dal  Tommaseo:  il 
Piegadi  trova  nel  Testa  fedeltà  rigorosa,  eletto  stile,  verso 
canoro. 

Anonimo,  Saggio  di  una  versione  latina  del  C-  xxxiii,  in 
versi  esametri,  Modena,  SoUiani,  1843. 

Lebeau  Carlo,  Tradazione  in  versi  latini  del  C.  xxxiii, 
dell'  Inferno  (Carmina  latina,  Parigi  1782  e  1816). 

Cesarotti  Melchiore,  Episodio  di  Ugolino  (  Yol.  XXXIII 
delle  sue  opere,  p.  374).  Fu  una  delle  primissime  prove 
de'  suoi  progressi  nella  lingua  del  Lazio.  «  Per  tutto  fra- 
granza e  soavità  virgiliana,  proprietà  di  parole,  sceltezza 
di  frase,  eleganza  di  stile,  verso  fluido  ed  armonico,  con- 
servata l'evidenza  dantesca  ed  una  fedeltà  giudiziosa.» 
Piegadi^ 

Costa  Giovanni,  Traduzione  dell'  Episodio  di  Ugolino 
(ne'  suoi  Giambi  Senarii),  Padova,  Tip.  Sem.  1798. 

IsoNVRAi  UciucciONE,   MessicauOy  Morie  del  Co.  Ugolino, 


TRADUZIONI  LATINE.  501 

Quadro  dì  messcr  Dante  AlUrjhieri,  ritrailo  in  metro  latino, 
e  da  altri  sei  celebri  autori.  Venezia,  Merlo,  1S64. 

Ne  fu  editore  l'ab.  Alessandro  Piegadi.  Olire  la  bella 
ed  elegante  versione  del  Nouvrai,  contiene  le  versioni  del 
P.  Carlo  d' Afjuino,  di  Melchiore  Cesarotti,  dì  Francesco 
Testa,  di  Gaetano  Piazza,  di  Antonio  Catelacci,  e  l'inedita 
del  ragiisino  Biarfio  barone  de  Ghetaldi.  Ogni  versione  è 
accompagnata  da  alcune  accurate  e  giudiziose  osservazioni 
critiche  dell' ab.  Piegadi.  L'utile  che  si  ricava  da  queste 
versioni  riunite  egli  si  è  di  vedere  come  la  lingua  latina 
diversamente  si  atteggi  per  esprimere  i  diversi  concetti.  - 
Da  ultimo  vi  è  esposta  l'opinione  delNonvrai  sul  verso  73 
del  C.  xxxiii  dell'  Inferno  :  Poscia  più  che  il  dolor  potè  il 
digiuno,  contro  il  comento  di  Benvenuto  Rambaldi  da  Imola. 

Dalla  Vecchia  Mons.  Cav.  Luigi,  La  Morte  del  co.  Ugolino, 
con  prefazione,  Venezia,  Fontana,  1864. 

Per  bellezza,  fedeltà,  e  nerbo  di  espressione  non  punto 
inferiore  alle  più  belle. 

DoLFiN  Gian  Paolo.  L'autografo  della  sua  traduzione 
inedita  in  versi  latini  esametri  esiste  presso  i  suoi  eredi. 

D'Aquino  Carlo,  Le  similitudini  della  divina  Comedia, 
trasportate  verso  per  verso  in  lingua  latina,  Roma,  Komark, 
1707. 

—  La  divina  Comedia,  trasportata  in  verso  latino  eroico 
con  l'aggiunta  del  testo  italiano,  e  di  brevi  annotazioni, 
Napoli,  Mosca  (Roma,  Pietro  Rernabò),  1728.  -  Traduzione 
fedele  ed  elegante.  Il  d'Aquino  lasciò  alcune  lacune  nel  suo 
lavoro,  a  fronte  di  alcuni  passi  che  non  si  conveniva, 
còni'  egli  stesso  dice  nella  sua  prefazione,  di  propagare  a 
ben  costumalo  e  religioso  scrittore.  Il  Witte,  nella  prefaz. 
alla  versione  del  Piazza,  pag.  xxiii,  riporta  l'episodio  della 
Francesca  di  Rimini,  tralascialo  nell'  edizione  di  Napoli. 
L' edizione  veramente  fu  eseguila  in  Roma  per  Rocco  Ber- 
nabò; ma  non  essendosi  fino  allora  permesso  di  stampare 
in  Roma  la  divina  Comedia,  il  P.  d'Aquino  ottenne  di  pub- 
blicarla con  la  falsa  data  di  Napoli,  come  anche  si  rilieva 
dal  condizionale  permesso  del  Maestro  del  sacro  Palazzo 
che  trovasi  alla  pag.  13.  -  V.  Tommaseo,  articolo  citato.  - 
Di  essa  così  parla  il  Witte  :  Cui  operi  etsi  lidei,  non  lamen 


502  TRADLZIOM   LATINE. 

eleganliae  laudem  negaverunl  utriusque  linguae  periti 

qui  lalinam  quuiìi  facoret  divinam  Comediani,  aemulalioni 
elegantiaruni  Nasonis  plus  aequo  dederit.  Il  Piegadi  chiama 
la  versione  del  P.  Aquino  stemperala  paraholosa  e  noievole  ; 
nondimeno  dice  la  sua  latinità  attinta  alle  classiche  fonti, 
e  ci  trova  specialmente  assai  del  fare  facile  fluido  ed  ar- 
monioso di  Ovidio. 

Della  Scarperia  Cosimo.  Morì  nel  1778.  L'Autografo 
inedito  si  conserva  nella  biblioteca  del  Seminario  di  Firenze, 
a  cui  fu  donato  da  Antonio  Dall' Ogna,  Pievano  di  San 
Giovanni  Maggiore  in  Mugello.  Alla  traduzione  precede  la 
dedicatoria  a  Mylord  Nassau  Clavering,  conte  di  Co w per 
e  Pari  della  Gran  Bretagna.  La  società  Colombaria  fece 
stampare  il  primo  Canto  nelle  sue  Memorie  storiche,  Firenze, 
tip.  Albrizziana,  1803.  -  Nel  Poligrafo  di  Milano,  23  Mag- 
gio 1813,  fu  pubblicata  la  versione  del  Y.  dell'Inferno.  È 
pure  uno  dei  traduttori  raffrontali  dal  Tommaseo  nel 
citato  articolo.  Il  Witte  chiama  la  versione  dello  Scarperia 
<■(  elegiacis  versibns  non  ineleganter  composilam,  et  sen- 
tentiam  auctoris  accuratius  quam  illa  Caroli  Aquinatis 
reddentem. 

Carli  Ab.  Giovanni  Girolimo,  Saggio  di  una  traduzione 
in  esametri  latini.  -  Lavoro  inedito,  citato  dal  S.""  Lorenzo 
Ilari,  nel  suo  Indice  della  biblioteca  di  Siena. 

Catellacgi  Antonio,  L'Inferno  di  Dante,  ossia  la  prima 
Cantica,  tradotto  e  schiarito  a  senso  preciso  di  frase  in 
altrettanti  versi  eroici  latini,  Pisa,  Prosperi,  1819. 

Il  Catenacci  cominciò  la  sua  versione  nel  Feb.  1817; 
la  compiè  nel  marzo  1818.  -  Fu  pure  raffrontata  del  Tom- 
maseo -  «  Ultra  Infernum,  dice  il  Witte,  versio  non  est 
pregressa,  ncque  eorum  tulit  suffragia,  quibus  bis  de  rebus 
sententiam  dicere  competit.»  -  Atto  Vannucci  però  non  nega 
a  questa  versione  bellezza  di  frase  latina,  chiarezza  del  dire, 
versi  sonanti,  intelligenza  di  testo. 

Piazza  Gaetano,  Quinque  capitula  ex  Purgatorio  Dantis 
lalinitate  donata,  Vicetiae,  Longo,  1844. 

—  Dantis  Alligherii  Divina  Comoedia  hexametris  latinis 
reddita  ab  abbate  Dalla  Piazza  Vicentino,  praefatus  est  et 
vitfnm  Plazzae  adiecit  Carolus  Witte  antecessor  Ualensis, 


TRADUZIONI   LAThNE.  o03 

Lipsiae,  1848,  sumplibus  Joan.  Ambros.  Barlh,    lypis  J.  B. 
Hirschfeldii. 

N.  in  Schio,  il  31  Luglio  1768;  m.  in  Vicenza  nel  1844. 

L'opera  maggiore  del  Piazza,  alla  quale  si  raccomanda 
meritamente  il  sno  nome,  è  la  traduzione  latina  della  divina 
Comedia,  intrapresa  con  ardore  giovanile  nell'  anno  sessan- 
tesimo dell'  età  sua.  In  essa  cercò  conforto  alle  noie  ed 
agli  incomodi  della  vecchiezza  ;  per  essa  fece  nuovi  e  più 
severi  studii  sopra  Virgilio,  spigolando  ogni  frase  ed  ogni 
parola  che  rispondesse  al  bello  stile  di  Dante  che  dal  gran 
Mantovano  lo  tolse;  e  molte  cose  pure  ripescando  in  Lucre- 
zio per  quel  che  riguarda  in  modo  speciale  il  linguaggio 
scientifico.  Consultò  a  voce  e  per  lettera  i  dotti  suoi  amici 
suir  interpretazione  più  chiara  di  alcuni  passi  ;  ne  fece 
argomento  a  dotte  e  piacevoli  conversazioni  :  visse  in  somma 
gli  ultimi  anni  tutto  in  questo  lavoro,  e  l'ultimo  suo  desi- 
derio fu  che  fosse  stampato  per  comodo  degli  studiosi . . . 
Dal  Piazza  ricavasi  quanta  parte  di  Virgilio  sia  nello  stile 
di  Dante...  La  tempera  dello  stile,  il  colore,  il  numero  è 
tutto  diverso.  Parla  più  conciso  assai,  scolpisce  più  che 
dipinge:  ha  la  parsimonia  virgiliana  ma  più  severa:  de- 
genera quasi  in  avarizia.  Dante  disse  di  togliere  da  Virgilio 
lo  stile,  e  non  d'imitarlo;  toglie  gli  elementi  coi  qual' 
formare  uno  stile  che  fosse  suo,  penetrare  nella  midolla 
di  queir  autore  ammirabile,  non  imitarne  le  parti  più 
appariscenti,  e  sembrare  eco  ed  imagine  piuttostochè  voce 
viva  ed  emulalrice.  Dante  ha  tolto  da  Virgilio  le  parole, 
le  frasi  ed  ì  modi,  tutti  gli  elementi  insomma  di  una 
limpida,  elegante,  pittorica  elocuzione...  Edora  più  d'ogni 
altro  lo  dimostra  questa  traduzione  del  Piazza,  nella  quale 
questo  artifizio  mirabile  del  gran  poeta  si  manifesta,  e  si 
spiega  più  chiaramente  che  non  siasi  fatto  fin  ([ui  qual 
sia  "il  significato  vero  del  bello  stile  che  Dante  dice  d'aver 
tolto  dal  Mantovano.  Quindi  é  che  grande  utilità  ti  si  può 
ricavare  per  lo  studio  delle  due  lingue  da  questa  dotta  ed 
elegante  traduzione,  la  quale,  ultima  per  il  tempo  della 
pubblicazione,  non  dubitiamo  di  chiamare  primissima  per 
la  fedeltà  ed  eleganza,  e  per  questo  merito,  superiore  ad 
ogni  altro,  di  far  conoscere  passo  per  passo  quanta  parte 


504  TRADUZIONI   LATINE. 

dell' elocuzione  virgiliana  avesse  messo  Danio  nella  Come- 
dia.  Onde  non  parrà  esageralo  quanlo  scrisse  Carlo  Witle 
nella  Prefazione  cilala  (xxvi)  dove,  dopo  aver  recalo  le 
traduzioni  latine  fatte  da  vari  del  famoso  tratto  della 
Francesca  da  Rimini  così  conclude:  «  IIos  complurium 
saeculorum  conalus  inler  se  conferens,  lector,  intelliges, 
Piazzae  conversionem  non  infclicibus  ausis  utramque  con- 
seclatam  esse  laudem,  tam  lìdei  quam  casti  sermonis,  nec 
a  superioribus  saeculis  nostro  praereplam  palmam  esse 
judicabis.  »  Ed  Ambrosio  Barili  aggiugneva  :  «  Is  enim  vir, 
studiis  humanitalis  ac  literarum  eleganlium  perpoliliis,  nihil 
omnino  praetermisil,  quod  ìnterprelationi  lalinae  suae  vir- 
lutem  dignitalemque  vindicaret,  qua  ad  oplimorum  carmi- 
num  auctoritatera  accedere  viderelur.  Superavit  sane  illud 
Propertianum  m  maf/nis  voluisse  sat  est,  ncque,  ut  Horatii 
verbis  utamur,  onus  suscepit,  quod  liumeri  ferre  recusa- 
renl...  Niliilo  tamen  minus,  qui  est  hominum  vituperandi 
prurilus,  erunt,  qui  eum  hic  illic  sibi  minus  satisfecisse 
conclament,  qui  hoc  ìllove  versu  minus  numerose  sonante 
miuusque  aple  cadente  offendantur,  qui  liane  illamve  verbo- 
rum  conslructionem  nimis  obsolelam,  inusitatam,  placitisque 
gramaticorum  minus  convenienlem  in  judicium  vocent  et 
damnent,  qui  adeo  aliquid  barbarismorum,  qui  dicuntur, 
sapere  singula  aulument.  Hi  sì  bene  circumspexerint  et 
paulisper  consideraverint,  longe  diftìcillimum  esse  et  in 
verbis  et  in  sentenliis,  quantumcunque  fieri  polest,  poetae 
recentioris  aevi  in  linguam  latinam  transferendo  servare 
fidem  et  eadem  opera  emendate  elegaalerque  loqui  ;  iidem, 
inquimus,  si  perpenderint  et  secum  reputaverint,  ipsos  viros 
doclissimos  linguaeque  lalinae  peritissimos,  in  pangendis 
polissimum  carminibus,  fere  nunquam  satis  tulos  esse,  quln 
quid  in  sermonem  purum  atque  emendatum  peccent,  eique 
inopinantes  alieni  quiddam  et  ipsorum  linguae  palriae  pro- 
prii  immisceanl,  non  solum  aliquantum  de  severilate  ani- 
madversionis  suae  remillent,  sed  eliam  intelligent,  Piazzam 
perbene  probavisse,  ad  res  diversissimas  traduci  posse 
linguae  lalinae  ingenium;  quid,  quod  admirabunlur,  Profes- 
sorem  Yicenlinum  in  via  ardua  et  piena  periculorum  tam 
bene  stetisse,  tantis  difficuUalibus  impedilum  rem  suam  tam 


TRADUZIONI  FRANCESI.  505 

forlilcr  gessisse  et  gloriosam  quandam  victoriam  reportasse  » 
(xxxviii  -  xLi  -  Y.  iv).  Il  Bath  iutUolava  questa  versione 
Principi  Serenissimo  Joanni  Duci  Saxoniac  ariium  lellera- 
Tumque  cultori  et  patrono  summe  venerabili. 

III.  -  TRADLZIOÌSI  FRA^CESI 

1591.  Grangier  Balthazard,  La  Comédie  de  Dante,  de 
r  Enfer,  du  Purgatoire  et  Paradis,  mise  en  ryme  francoise 
et  comentèe,  Paris,  Ges&elin,  3  Voi.  in  12." 

Prima  traduzione  francese  a  slampa,  dedicata  al  Re  En- 
rico W.-UIievue  des  deux  Mondes  (iNov.  1840,  p.  437)  ne 
reca  questo  giudizio  :  «  Le  bon  abbé  Grangier  s' est  arrangé 
pour  traduire  vers  pour  vers,  et  mot  pour  mot.  Quand  il 
il  ne  peul  pas  traduire,  il  fourre  tout  simplement  le  passage 
italien  dans  son  vers,  et  il  continue.  Ce  qui  fait  qu'  il  est 
aussi  simple  de  cherclier  le  sens  de  Grangier  dans  la  divine 
Comédie,  que  le  sens  de  la  divine  Comédie  dans  Grangier.  » 
E  San  Renato  Taillandier:  Chez  nous,  la  traduction  en  rimes 
francaises  de  Baltliazar  Grangier  (1591),  malgré  ses  gràces 
naives  et  l'inlérét  qui  s'y  attaché;  n'éiait  guère  de  nature 
à  populariser  le  grand  Florentin.  -  Le  noie,  secondo  VArtaud, 
sono  chiare  e  piene  di  utili  notizie,  ed  ei  non  dubita  di 
chiamarle  eccellenti.  [V.Revue  des  deux  Mondes,  1841,  1  Oct.  ; 
Demeulin,  l'Artiste,  1857,  Juin). 

1776.  MouTONNET  DE  Clauifons,  La  Divine  Comédie  de  Dante 
Alighieri,  L'Enfer,  Troduction  francaise,  en  prose,  accom- 
pagnée  du  texte,  de  Notes  historiques  et  critìques  et  de  la 
vie  du  poete,  Paris,  Le  Clero  et  Le  Boucher,  in  8.*^ 

Questa  versione  viene  così  giudicala  dal  Labitte  nella 
Rédue  des  deux  Mondes  (1840,  xxiv,  457)  :  Son  procède  est 
encore  plus  simple.  Au  moins,  quand  Grangier  ne  comprend 
pas  un  mot  italien,  il  le  met  tei  quel  dans  sa  traduction, 
s'en  rapportant  à  la  grace  de  Dieu  et  à  l'intelligence  du 
lecteur.  M.  Moutonnet  lui  n'y  fait  pas  tant  de  fagons,  line 
met  rien  du  toul;  seulement  il  fait  une  nòte,  pour  dire  que 
la  difl'érence  du  genie  des  deux  langues  l'a  empéché  de 
traduire  le  passage  sauté.  -  E  l'Artaud;  L'auteur  avoit  lu 


506  TRADUZIONI  FRANCESI. 

altentivement  soii  poète,  et  il  le  prouve  souvenl,  mais 
quelque  cliose  de  puissanl,  d'  energique,  d' anime  a  ce 
traducteur,  qui  obliiil  cependant  des  siiccès,  devanl  les 
quels  Rivarol,  aussì  admirateur  de  Danio,  déclare  qu'il  ne 
pourait  pas  dormir. 

1777.  Watelkt,  Traduction  en  prose  lìe  l  épisode  r/'  Ugolln 
(Pubblicala  dal  Marmontel,  nella  Poélique  frangaise,  Liège, 
V.  Y.  p.  35): 

1783.  RiVAROL  De  ... .  L'Enfer,  traduction  notivelle  en 
prose  avec  notes,  Paris,  Merigol  el  Barrois,  in  S.** 

a  Rivarol  de  spiriluelle  mémoire,  est  un  traducteur  du 
Danle  fori  rldicule.  Le  18.*^  siede  avec  ses  prélentions  phi- 
losophiques  el  son  érudition  plus  que  superficielle,  ne  pouvait 
pas  comprendre  l'oeuvre  profonde  et  théologique  de  Danle  ; 
il  s'en  moquait:  c'eut  été  bìen  s'il  ne  s'était  pas  avisé  de 
la  traduire;  mais  quelle  traduction,  bonDieu!  Cesi  unechose 
à  la  fois  triste  et  comique  de  voir  Voltaire  el  Rivarol  donner 
des  lecons  de  bon  góul  à  l'auleur  de  la  Divine  Comédie. 
Tanlòt  il  trouve  que  les  noms  des  démons  soni  mal  sonnants, 
tantòl  il  renvoie  Dante  au  Dictionnaire  de  la  Fable,  ne 
comprenant  pas,  le  pauvre  homne!  que  le  sysleme  mylho- 
logique  de  Dante  s'écarte  à  dessein  des  tradilions  payennes, 
parcequ'  il  rentre  dans  la  théorie  donnèe  par  les  Pères  sur 
l'origine  du  Polytheìsme.  »  [Revue  des  deux  JUondes,  art. 
cit.)  -  Ben  allrimenli  ne  giudicarono  l'Arlaud  e  Saint-René 
Taillandier:  Elle  est  tres  recherchée,  sentenzia  V  Artaud:  il 
y  a  des  morceaux  remplis  de  moeuvement,  de  style  de 
hardiesse,  d'estro  ilalien  qui  font  beaucoup  d'bonneur  a 
Rivarol.  E  Sain-René  Taillandier,  art.  cit.:  Nolre  XVII.® 
siede  a  ignoré  Danle,  le  XYIII.*^  s'en  est  moqué  par  la 
bouche  de  Voltaire,  et  Rivarol  le  premier,  à  la  veille  de  la 
revolution,  a  devine  l'originalité  de  son  style,  la  puissance 
de  son  vers,  de  ce  vers  ([ui  se  tieni  debout  par  la  se  ale 
force  du  substantif  et  du  verbe,  sans  le  concours  d'une 
seule  épithète.  -  Le  noie  che  Y  Artaud  chiama  dotte  sono 
tolte  in  gran  parte  dal  Comento  Venturiano.  -  «  Les  belles 
infidèles,  dites  classiques,  doni  Rivarol  offrali  le  type.  » 
Rhéal  Préface. 

1796.  CoLBERT  d' EsTOUTEViLLE,    La  Divine   Comédie   de 


TRADUZIOM   FRANCESI.  507 

Dante  Alighieri,  contenant  la  descriptioìi  de  l Enfer,  du 
Purgatoire  et  du  Paradis,  Paris  Sallior. 

Pul)blìcazlone  postuma,  in  prosa:  la  versione  è  tenuta 
inesattissima  e  di  poco  rilievo. 

1085  Carrion  NisAS,  Traduction  en  vers  du  chant  V  de 
VEiifer  du  Dante  (Magasin  Encyclopédique  parMillin;  Mo- 
niteur  Universe),  1805,  IS.  226.) 

Il  Bridel  l'appunta  di  poca  fedeltà. 

1805.  Bridel  Louis,  Traduction  envers  franraisdu  Y.  Chant 
de  V  Enfer,  lìasle,  Haas. 

11  Bridel,  nella  lettera  che  precede  questa  versione,  ac- 
cenna di  aver  per  intero  compiuto  quella  dell'Inferno. 

1811.  Un  Membre  de  la  Soc.  Colombaire  de  Florence 
{Artaud  de  Montor),  Le  Paradis,  poème  de  Dante,  traduit 
de  ritalien,  précède  d'une  introduction,  de  la  vie  du  poète, 
suivi  de  j\otes  ewplicatives  pour  chaque  chant,  ecc.  Paris, 
Treuttel,  et  Wurtz.  in  8.« 

1812.  —  L' Enfer  poémc  de  Dante,  Paris.  Smith,  in  S.'' 
181-3.  —  Le  Purgatoire,  poéme  de  Dante,  Paris,  Blaise, 

in  8.«  -  II  Edition,  Paris,  Firmin  Didot,  1828-30;  III.  Id. 
Paris,  Firmin  Didot,  1845. 

«Une  traduction  en  prose  ne  saurait  reproduire  l'ori- 
ginai avec  autant  de  chaleur  et  de  vie  qu'une  traduction 
en  vers  ;  mais  elle  a  beaucoup  plus  de  moyen  d'étre  lìdéle  ; 
et,  dans  l'ètat  actuel  de  la  langue  et  du  góut  elle  peut 
trouver,  dans  cetle  lìdélilé  mème,  des  sources  nombreuses 
d'energie,  d'originalité  et  de  couleur  locale.  -  L'Auteur  de 
la  traduction  que  j'annonce  n'a  point  fait,  pour  se  rappro- 
cher  de  son  modéle,  tout  ce  que  nolre  epoque  lui  permettait 
ou  plutòt  tout  ce  qu'elle  exigeait  de  lui.  Son  ouvrage,  il 
est  vrai,  a  été  publié,  pour  la  première  fois,  il  y  a  dix- 
sept  ans,  on  concoit  qu'il  doive  porter  l'empreinte  da 
goùt  timide  de  la  période  de  l'empire;  mais,  des  ce  temp-là 
méme,  le  traducteur  pouvait,  loul  en  s'eloignant  des  mots, 
demeurer  fidèle  au  sens  du  texte,  et  c'est  ce  qui  il  n'a  pas 

toujours  fait L'inexactitude   du   traducteur   consiste 

souvenl,  ainsi  qu'on  l'a,  déja  vu,  dans  le  periphrases  qu'il 

substitue  aux  mols  propres  employès  par  Dante Je  ne 

doule  pas  que  M.  Artaud  ne  se  soit  livré  à  des  docles  et  pè- 


408  TRADUZIONI  FRANCESI. 

nibles  études  pour  iroaver  des  équivalenls  de  loutes  sorles 
aux  expressions  sans  nombre  qui  dans  le  Dante  lui  ont 
paru  ou  Irop  simples,  ou  Irop  crucs,  out  Irop  ligurées.  Eh 
bien!  qu'il  fasse  un  elTort  de  plus;  que,  revoyant  sa  Ira- 
duction  d'  un  ceil  sevère,  il  mette  à  contribution  loutes 
les  ressources  actuelles  de  notre  langue  pour  se  rapprocber 
du  sens,  du  tour  et  des  niots  du  texte,  dans  les  nonibreux 

passages,   ou  il  s'  en   est  éioigné »  Chauvet,  Revue 

t!nGyclopedique,  Mai,  1829.  -  La  traduclion  de  M.  Arlaud 
qui  a  de  la  répulation,  et  qui  lui  a  couté  24  années  de 
ti'avaux,  conslitue  la  plus  grande  déception  de  sa  vie  ;  ea 
general  cette  malheureuse  traduction  ne  traduit  rien  de 
loul  que  les  idées  de  M.  Artaiid,  qui  ne  sont  pas  ordinai- 
rement  celles  de  Dante.  Ajoutons  qu'il  y  a  des  hérésies  pour 
faire  bruler  cent  fois  M.  Artaud,  si  Tlnquisition  exlslail 
encore.  Nous  n'exagérons  rien  en  affìrmant  du  fonds  de 
nótre  sincérité  de  nótre  loyaulé,  que  nous  ne  savons  par  quel 
bout  la  prendre,  et  à  quels  exemples  donner  la  préférence, 
afin  de  justitìer  ce  que  nous  avauQons  - ...  Tout  cela  ne  signifie 
pas  que  M.  Artaud  soit  un  homme  sans  mérile,  mais  outre 
que  la  traduction  du  Dante  était  une  tache  difficile,  c'était 
encore  une  oeuvre  en  déhors  de  l' intelligence  de  son  temps.» 
Revue  des  deux  Mondes,  art.cit.  -  AU'Artaud  non  bastarono 
le  simpatie  del  Medio  Evo,  per  impossessarsi  di  Dante,  e  non 
tolsero  che  la  sua  non  restasse  una  perafrasi  accademica. 
Crepuscolo,    Gli  studj  italiani  in  Franeia,  15  Luglio,  1855. 

1817.  Terasso.^  Henri,  L'Enfer,  poème  de  Dante,  traduction 
en  vers  francais,  avec  Notes,  Paris,  Pillet,  in  8.° 

L' Artaud  intitola  il  Terrasson  :  poete  tres  distincfué. 

1820.  Le  Clerc  Joseph  Victor,  Traduction  en  vers  fran- 
gaìs  des  èpisodes  de  Froncoise  de  Rimini  et  du  Comte  Ugolin. 
{Nel  Lycée  francais,  Parigi,  1820.) 

1823.  Brait  de  la  Matue  M.,  Traduction  en  vers  de 
l  Enfer  de  Dante  d'  dpres  le  nouveaux  Comentaires  de  Bia- 
gioli,  avec  le  texte  en  regard,  et  enrichie  d' un  Discours  sur 
le  Dante,  de  Notes  littèraires  et  historiques,  et  d'un  pian 
geometral  de  V  Enfer,  Paris,  Bossange. 

Non  fu  troppo  felice  l'esperimento.  -  Y.  Revue  Encyclo- 
pédique,  XXI.  419-20,  l'articolo  dettato  da  A.  Salfi. 


TRADUZIONI  FRANCESI.  509 

1826.  Tarver  I.  e.  LEnfer  de  Dante  traduìt  cn  francais, 
accompafjné  de  ]\oles  expìicatìves  raisonées  et  historiques, 
siiivi  de  Remarques  qénérales  sur  la  vie  de  Dante  et  sur  les 
faclions  des  Guelfes  et  des  Gibelins,  Londres,  Dulau,  in  8.° 

Al  legji^ere  il  poema  di  Dante,  dice  il  Tarver,  prima  ne 
ebbi  disgusto,  poi  un  nuovo  spettacolo  si  ofTii  al  mio  sguardo 
e  si  dissipò  quella  nebbia  che  mi  ascondeva  scene  impor- 
tantissime, alti  sensi  e  pieni  di  buona  moralità,  concetti 
ardili,  fatti  storici  di  sommo  interesse,  idee  peregrine  del 
cuore  umano,  quanto  nuove  tanto  maestrevolmente  delineate, 
ed  io  mi  trovai  padrone  di  un  vasto  campo,  ove  ogni  spiga 
che  raccoglieva  era  per  me  una  sorgente  di  piacere  e  di 
gioia.  -  Il  lavoro  del  Tarver  può  meglio  considerarsi  come 
una  dichiarazione  in  prosa  francese  dei  sensi  del  poeta 
firentlno  onde  rendere  più  piana  l'intelligenza  dell'originale. 
Sotto  questo  aspetto  è  lodevole  il  disegno  e  1'  esecuzione. 
?sel  secondo  volume  vi  anno  le  'dichiarazioni  concernenti 
alle  idee  morali  e  lìlosofiche  dell'autore,  ai  passi  storici  e 
alle  persone  di  cui  si  parla  nella  Comedia.  A  meritare  lo 
applauso  degli  studios!  gli  vaglia  il  lungo  studio  e  il  grande 
amore  che  gli  han  fatto  cercare  il  sommo  volume.  -  .le  ai 
lu,  dice  VArlaiid,  la  traduction  di  M.  Tarver;  elle  est  fidèlc, 
et,  quoique  l'auteur  ne  soil  "pas  francais,  il  s'exprime  tres- 
élegamment  dans  notre  langue. 

1829.  Deschamps  Antony,  La  Divine  Comhlie  de  Dante, 
trad.  en  vers  francais,  Paris,  Gosselin. 

^'on  è  che  la  traduzione  dai  Canti  i.  ii.  ni.  v.  xv.  xix. 
\x.  XXI.  xxiii.  x\v.  xxxiii  ìMV Inferno;  dei  Canti  i.  u.  vi. 
IX.  x.  XI  del  Purgatorio,  e  dei  Canti  v.  vi,  xv.  xvn  e  parte 
del  XXV  del  Paradiso.  -  «  Le  traducteur  nous  avertit  que, 
pour  rendre  le  style  du  Dante,  il  n'a  poinl  choisi  cette 
langue  courtisanesque  qui  serait  dèplacée  raéme  dans  une 
traduction  de  Yirgile.  -  Locutions  dantesques,  répétitions  des 
formes,  expressions  latines,  nous  avons,  dit-il,  tout  reproduit 
scrupuleusement  ;  comme  en  faisant  une  traduction  de  l'Ilia- 
de, nous  aurions  respecté  les  épithètes  sacramentelles  et  ces 
belles  manières  de  dire  homèriques  (jui  donnent  tant  de 
caraclère  au  slylc.  Donc,  toutes  le  fois  que  notre  tra- 
duction parailra  inexacle,  ce  ne  sera  point  système,  mais 


510  TRADUZIONI  FRANCESI. 

ìmpuissance,  car  nous  ne  sommes  pas  de  ceiix  qui  croieul 
avoir  le  droit  de  changer  et  de  mulller  les  graiids  auleurs, 
le  tour  et  la  concision  poétiques  à  la  paraphrase  prosaìque. 
En  un  mot,  nous  n'avons  janiais  transporté  le  conienlalre 
dans  le  texte,  et  nous  nous  sommes  livrés  en  tonte  conlìance 
à  notre  poète,  marchant  quand  il  marche,  nous  arrétanl  quand 
il  s'arréte  et  le  suivant  pas  a  pas,  comme  lui  méme  sui  vani 
Yirgile  dans  son  fatale  voyage  -  Ce  systèmc  de  traduction 
serait  fort  bon,  si  en  francais  il  était  praticable.  Malheu- 
reusement  le  conlraire  n'est  pas  douteux  pour  quiconque 
a  une  connaissance  approfondie  des  deux  langues  et  par- 
ticuliérement  de  celle  que  le  Dante  a  parlée...  Vivement 
épris  de  son  modéle  il  a  quélquefois  réussi,  au  delà  de 
loute  espérance,  à  reproduire  ses  beautès...  Je  n'insistcrait 
point  sur  le  longueurs  et  sur  le  autres  défauts  de.cette 
version.  Il  en  est  un  qui  les  domine  tous:  e' est  l'absence 
des  presliges  de  l'originai,  e' est  la  simplicité  prosàique.  » 
Chauvet,  Revue  Encyclopédìque,  Avril,  1850.  -  «  En  1829 
Peschamps  a  donne  les  premiers  modèles  de  la  couleur  dantes- 
que.  Jihéal  -  «  Cetle  traduction  a  donne  du  Dante  une  idée 
plus  exacte  que  pas  une  autre  en  prose.  «  Hatisbone.  -  Il 
Deschamps  ed  il  Barbier  si  lanciarono  in  pien  colorito  ihn- 
iesco.  -  Crepuscolo,  Gli  studj  Italiani  in  Francia,  15  Luglio, 
1855.  -  «  Quelques  fragments  trop  peu  nombreux  de  M. 
Antoni  Deschamps  avaient  donne  1'  exemple  d'  une  fidélité 
énergique  ethardie.»  -  Saint-René  Taillandier,  Revue  des 
Deux  Mondes,  1  Dee.  1856.  p.  516.  -V.  Lecretelle,  Globe, 
1830. 

1831.  De  GoiRBiLLON  Josepu  Antoine,  Dante,  trad.  en  vers 
francais  par  stances  correspondantes  aux  terzets  lextuels,  sur 
un  iexte  nouveau  quant  au  choix  des  varianles  et  au  mode 
de  ponctuation,  L' Enfer,  Paris,  AuiTray,  in  8."  gr. 

Il  Gourbillon  spese  intorno  al  poema  di  Dante  venti  anni 
continui  di  studio;  consultò  tutti  i  comentatori  da  Boccac- 
cio sino  a  Viviani,  esaminò  quanti  codici  e  quante  stampe 
potè  avere  ;  e  ninna  fatica  gli  parve  troppa  che  lo  potesse 
condurre  a  formare,  con  quanto  più  di  certezza  fosse  pos- 
sìbile, il  vero  testo  di  tutti  i  luoghi  dubbiosi  delle  cantiche. 
Poi  volle  rendersi  capace  aCTatto  dei  pensieri  del  divino 


TRADUZIOM   FUAiNCESI.  511 

poeta,  volle  farli  suol:  tradusse  lutto  l'Inferno  in  prosa, 
parola  per  parola.  Questo  lavoro  di  molta  difficoltà  e  di 
pazienza  maggiore,  gli  fece  conoscere  quanto  male  consiglialo 
si  fosse  di  afiidarsi,  come  pur  si  affidava  da  prima,  troppo 
facilmente  ai  conienti,  anche  dei  migliori;  e  quanto  ingan- 
natrice torni  spesso  l'autorità,  anche  dei  gran  nomi,  in 
particolare  nella  critica.  Ne  trasse  poi  il  vantaggio  inesti- 
mabile che  nella  traduzione  in  versi  della  suddetta  cantica, 
non  ebbe  a  lottare,  che  contro  gli  ostacoli  (grandissimi) 
della  lingua  poetica  francese,  non  più  contro  a  quelli  d'in- 
intendere  il  suo  originale.  Gourbillon  arricchiva  la  sua  tra- 
duzione :  I.  Di  considerazioni  preliminari  sopra  Dante,  il  suo 
poema  e  i  suoi  comentatori,  con  una  tavola  sinottica  delle 
divisioni  generali  e  particolari  dell'Inferno:  li. Di  un  cata- 
logo cronologico  dei  principali  comentatori  da  Gio.  Bocaccio 
lino  al  Biagioli  ed  al  Yivianì  :  III.  Di  un  analisi  ragionata 
sopra  ciascun  canto:  lY.Dcl  testo  dell'Inferno,  colla  versione 
a  fronte  in  quartine  corrispondenti  a  ciascuna  terzina  dell'ori- 
ginale: IV.  Di  note  e  comentarj  sul  testo. -Q.  Viviani,  l'U- 
goni,  il  Giannone,  il  Bianchetti,  il  Marchangy  tennero  in 
pregio  questa  versione.  \.  Antolo:iia  di  Firenze,  XXIII,  62; 
Politjrafo  di  \erona,  VI II.  435. 

1833.  Maggiolo  L.,  Trois  chants  choisis  de  la  Divine  Co- 
médie  de  Dante  AWiliicri,  avec  des  i\otes,  et  une  nolice  sur 
sa  vie  et  ses  ouvrages,  Traduction  interlinéaire  dn  3.®  Chant 
de  L  Enfer,  Luneville,  Creusat,  in  12." 

183o-37.  De  la  Fayette  Calemard  Cuarles,  L'  Enfer,  tra- 
duit  en  vers  francais,  uvee  le  texte  ilaìien  en  regard,  une 
Prèfaee  et  des  ÌS'otes  da  traducteur,  Paris,  L'Auteur,  2  voi. 

18-36.  Dumas  Alex.,  Traduction  en  vers  (rancais  du  Chant 
1.  de  l' Enfer,  avec  lA'otes.  (Nel  Yol.  Y  della  Revue  des 
deux  Mondes,  p.  53y-4i:  fa  parte  d'un  articolo  che  s'inti- 
tola :  (luelfes  et  Gihelins. 

1837.  BouLLÉE  M.  Fraf/menls  d'une  traduction  de  Dante, 
Épisode  du  Corale  Vgolin  (Mémoires  de  la  Société  accadé- 
mique  de  Savoie),  Chambery,  Puthod,  1835. 

1837.  Le  Dreuille  A.  La  Divine  Comedie  de  Dante  Ali- 
qhieri,  Enfer,  traduction  nouvclle  en  vers  librcs,  Paris,  De 
Faiu. 


512  TRADUZIONI  FRANCESI. 

«  Il  Sig/  Dreuille  non  si  è  obbligalo  a  vcrun  metro, 
il  che  se  forse  aslraltamenle  potrebbe  parer  non  lodevole, 
nel  fatto  crediamo  che  abbia  contribuito  non  poco  alla 
bontà  delia  traduzione.  Essa  è  una  delle  più  fedeli  che  noi 
conosciamo,  cosi  pei  concetti,  come  per  lo  spirito  generale 
del  poema.»  Bìblioleca  Italiana,  Luglio,  1830.  -  Le  Revue 
dei  dcux  Mondes  la  giudicò  con  queste  poche  parole:  «M. 
Le  Dreuille  a  mis  la  Divine  Comédie  en  couplets  aux  quels 
il  ne  manque  qu'un  air.»  \.  Bibl.  Genève,  xvii  312-313. 

1838.  MoNGis  J.  (procureur  general  pris  la  cour  imperiale 
de  Dijon)  Dame  Aìlifjhieri,  L' Enfer,  poème  traduit  en  vers 
alexandrins,  Paris,  Barba,  in  8.^  -  L' intero  poema,  Dijon, 
Peutet  -  Pommey  editeur;  Paris,  Hachetle,  1857,  (Edizione 
magnifica  ). 

«  Le  traducteur,  cosi  il  Mongis,  ne  doit  tendre  qu'  à 
s'effacer.  Qiiand,  à  l'aide  d'un  travail  lout  à  la  fois 
pénible  et  charmant,  il  est  parvenu  à  faire  revìvre  son 
modèle,  à  le  faire  admirer,  comme  il  l'admire,  aimer  comme 
il  l'aime,  sa  tàche  est  remplie,  son  ambilion  satisfaite.  Plus  on 
l'oublie,  plus  il  est  heureux  et  fier;  sa  gioire  est  d'entendre 
dire  en  lisaiit:  Dante  était  un  grand  poele.  J' ai  donc  été 
tres-sombre  de  commenlaires:  ne  prenant  la  parole  dans 
quelques  notes  rejetées  a  la  fin  du  poéme,  que  pour  faire 
mieux  ressortir  quelque  beante  cachée;  eclaircirun  passage 
obscur,  hasarder  parfois  une  critique  respectense  ce  n'est 
pas  que  1'  épreuve  ne  fiìt  pour  1'  auteur  bien  rude  et  bien 
perilleuse  . . . .  Ahi!  quanto  a  dir  qual  era  è  cosa  dura. 
Traduire  un  poeme  en  vers,  c'est,  je  le  sais,  un   crime 

devant  notre  epoque Unissant,  aulant  qu' il  ra'a  été 

possible,  une  rigoureuse  exactitude  à  une  élégance  sobre 
et  sevère,  laissant  loujours  sentir  sous  un  vélement  em- 
prunté  les  formes  pures  ou  les  fiers  contours  du  modèle; 
dissimulant,  mais  sans  les  effacer,  sous  les  plis  de  sa  robe 
nouvelle,  les  couleurs  trop  tranchées  qui  feraient  tache  aux 
yeux  de  notre  epoque  m'attachant  à  conserver  dans  l'en- 
semble les  allures,  l'accenl,  l'esprit,  le  parfum  de  l'oeuvre 
ce  je  ne  sais  quoi  qui  s' appelle  la  physionomie  et  qui 
constitue  la  rassemblance,  qui  n'  est  pas  dans  les  traits  du 
visage    mais  qui  est  à  la  régularité  des  formes  ce  que  la 


TRADUZIONI   FaANCESl.  J)13 

gràce  est  à  la  beante  cherchanl  enfili  et  surtout  à  n'oùblier 
janiais  que  je  dévais  falre  adinirer  Dante  non  pas  à  des 
Italiens  du  XIV.^  siede  mais  à  des  Fran^ais  du  XIX.^  el  que, 
suivant  un  excellenl  précepte:  Sur  le  ton  des  Francaìs  il 
faut  chanter  en  France.  »  Préface. 

1840.  FiOREMiNO  Pier  Angelo,  La  Divine  Comédie  de 
Dante  Allighieri,  traduction  nouvelle  accompagnée  de  J\oles, 
Gosselin,  in  18  -  Riprodotta  dal  Gosselin  nel  1843;  dal 
Passigli,  Florence,  1846;  dall' Ha chette,  Paris,  1861. 

«  Vu  toules  les  dificullés  de  langue  et  les  difficullés 
d' idées  qui  se  présentent  à  l'entrée  du  poeme  du  Dante, 
nous  félicitons  la  liltérature  francaise  de  l'ceuvre  remar- 
quable  dont  M.  Angelo  Fiorentino  vient  l' enrichir.  Il  faut 
qu'  il  ait  fait  une  étude  bien  approfondie  de  la  langue 
italienne  pour  avoir  compris  à  ce  point  le  sens  littéraire 
du  Dante,  et  il  faut  encore  qu'ìl  ait  fait  une  étude  bien 
plus  approfondie  des  grandes  el  sublimes  matières  qui  sont 
Irailées  dans  la  divine  Comédie,  pour  en  avoir  à  ce  point 
rendu  le  sens  mora!.  Les  notes  précises  et  claires,  qui 
accompagnent  la  traduction,  décèlent  un  homme  d*  un 
esprit  droit,  et  bien  sur  de  lui  méme.  «  -  Revue  des  deux 
Nondrs,  ISov.  1840.  -  Teotìlo  Gautier,  scriveva  nella  sua 
prefazione:  VAroux  portait  dernièremcnt  aux  nues  la  ver- 
sione del  Fiorentino.  -  Il  Fiorentino,  in  una  versione  in 
prosa,  restiluì  il  genuino  senso  del  poema  che  l'Artaud 
avea  palliato  del  paludamento  dei  Classici.  -  Il  Crepuscolo, 
artic.  citato.  -  V.  Montéqul,  Revue  des  deux  Mondes,  Vò 
Nov.  1861. 

1842.  Briseuk  a..  La  Divine  Comedie,  traduction  { in 
prosa)  Paris,  Charpentier,  in  18;  II.  ed.  Paris,  Charpentier, 
1847. 

«  Il  Briseux,  nella  pregevole  sua  traduzione,  delle  mi- 
gliori che  mai  si  posseggano,  ha  evitato  accortamente  quelle 
iperboli  che  son  di  sermone;  se  non  che  seguendo  egli  le 
tracce  del  signor  Fiorentino,  che  restituì  alla  nostra  lingua 
il  suo  stretto  senso  al  poema  di  Dante,  si  è  un  po'  troppo 
abbandonato  a  questo  nuovo  metodo  di  traduzione,  in  cui, 
mirando  solo  alla  fedeltà  letterale,  si  propone  l'insieme 
delle  parti,  lo  spirito  della  parola,  e  trascurasi  la  grandezza, 

VOL.  II.  33 


514  TRADUZIONI  FRANCESI. 

il  immero,  l'energia,  tulio  in  somma  che  consliluisce  il 
carallere  generale  dello  siile.  Del  reslo  noi  non  sapremo 
mai  troppo  lodare  V  ingegnoso  interprete  della  sagacia  e 
dell'  inlendimenlo  poetico  eh'  ei  pose  in  questo  lavoro.  - 
Labìtte,  Biografi,  e  Traduttori  di  Dante,  \.  Revue  des  deux 
Mondes,  1  Olt.  1841.  -  Briseux  spinse  allo  scrupolo  l'osser- 
vanza letterale,  pago  di  rendere  le  membrature,  a  scapilo 
qualche  volta  dell' assieme.  -  Crepuscolo,  articolo  citalo.  - 
«  L' auteur  de  Marie,  dans  une  prose  sobre,  nelle,  tour  à 
tour  énergique  et  charmante,  suivit  le  voi  du  poèle  depuis 
le  malebolge  de  VEnfer  jusqu'aux  conslellalions  dnParadis.»  - 
Saint-René  Taillandier,  ari.  cil.  p.  51 6  -  Anche  Saint-Bcuve 
dà  molle  lodi  alla  versione  del  lirìseux.  -  De  toutes  les 
traduclions  que  nous  avons  pu  comparer,  celle  (de  M.  Fio- 
rentino) est  encore  la  seule  qui  unisse  à  un  égal  degré 
la  ciarle  et  la  fidelilé,  et  qui  presente  ce  que  j' appellerai, 
faule  d'un  aulre  mot,  un  large  et  facile  courant  de  lexte. 
Ce  soni  là  des  mérites  qui  on  élé  Irop  ignorés  des  tradu- 
cteurs  de  ce  grand,  mais  difficile  et  parfois  énigmalique 
poèle.  Fidèles  Ils  soni  obscurs;  clairs,  il  soni  infidèles. 
Un  des  meilleurs  et  des  plus  zélés,  notre  poèle  Auguste 
Brizeux,  ne  parvient  pas,  malgré  lous  ses  efforts,  à  créer 
ce  courant  de  Iraduclion  doni  nous  parlons,  et  ne  fait 
guère  que  des  renconlres  heureuses;  une  ligne  d'une  vul- 
garilé  plus  que  prosaique  termine  la  Iraduclion  poetiquement 
commencée  d'un  tercel;  des  expressions  vives,  senlanl  leur 
poèle  et  rendanl  a  merveille  Ielle  ou  Ielle  image.  Ielle  ou 
telle  épilhete  du  lexte  ilalien,  se  trouvent  enchàssées  dans 
des  phrases  languissantes  et  monolones  à  force  de  fidelilé, 
si  bien  que  celle  Iraduclion,  Irès  poèlique  par  les  détails  et 
souvent  Irés  méritoire,  donne  l'impression  que  donneraient 
quelques  rares  bijoux  brillants  dans  un  bric-à-brac  de  maus- 
sades  objects  de  plomb  et  d'étain.  Montégut,  Revue  des 
deux  Mondes,  15  Nov.  1861.  p.  4116. 

1842.  Aroux  P.,  La  divine  Comèdie,  Enfer,  Purgatoire, 
Paradis,  tradiiite  m  vers,  avec  le  texte  en  regard,  accom- 
pagnée  des  ]\otes  et  eclaircissements,  Paris,  Monlanier,  3  voi. 
in  12.^  -  La  Comèdie  de  Dante,  Enfer,  Purgatoire,  Paradis; 
tradiate  en  vers,  selon  la  lettre  et  commentée  selon  T esprit. 


TRADtZIOM   FRANCESI.  ol5 

sutvle  de  la  de f  chi  ìantjcKje  symbolique  des  fidèles  cV Amour, 
Paris,  Renouakl,  1857. 

«Cesi  lout  aii  plus  si  nous  aurons  droit  au  tilrft  plus 
modeste  de  versificaleur,  et  encore  ne  sarait-ce  pas  sans 
liavail,  cai*  il  est  Ielle  tercine  qu'  il  nous  a  fallu  reniettre 
maintes  fois  à  la  fonte,  puis  liraer,  clseler,  polir  et  retoucher 
à  plusieurs  reprises.   Quoi  qu' il  en  soit,  il  n'est  pas  que, 
dans  quelqu'une  de  ses  parties,  nolre  version  rimce  n'ait 
à  trouver  gràce  a  des  yeux  indulgents  et  à  fournìr  la  preuve 
à   ces  critiques  dilettanti  qui    se   retranchent  derrière  le 
tableau  de  Scheffer,  nous  refusent,  en  dernier  ressort,  toni 
sentiment  poélique,  que  nous  n'en  somnies  pas  entiérement 
dénués.  »  -  Aroux,  Preface.  -  «  Dante  est  un  franc-macon. 
Il  parie  un  langage  inlelligible  seulement  aux  initiés.  Yous 
avezcru  lire  l'cBuvre  d'un  chrétìen  bardi  qui  juge  les  papes 
et  les  cardinaux,  les  empereurs  et  les  peuples  au  noni  de 
la  loi  du  Cbrist;   vous  étes  tombés  en  extase  devant  le 
manucl  de  U  franc-maconnerie  au  XIY.®  siècle.   En  fa(?e 
de  l'églìse  du  Cbrist  s'agite  dans  l'ombre  une  église  béré- 
tique,  nianicbéenne,  à  la  fois  mystique  et  sensuelle,  la  mon- 
slrueuse  église  des  hérétiques.  Dante  esipusleur  de  V  église 
alhi(jeoise  dans  la  ville  de  Florence.  Vous  demanderez  les 
preuves  de  cette  accusation  ;  l'auteur  de  ce  beau  systènie 
a  un  procède  bien  simple:  il  ne  prouve  pas,  il  affirme.  Assis 
sur  un  tribunal  infailiible,  il  fall  des  révélations  et  prononce 
des  oracles.   Pour  apprécier  Dante,  il  a  lu  tous  les  livres 
de  franc-maconnerie,   et,  preparò  de  la  sorte,   il  retrouve 
à  chaque  vers  les  diableries  dont  il  a  meublé  sa  cervelle. 
Yirgile  dit:w  Je  suis  Lombard.  «0  impudence!  le  Yirgile 
danlesque  proclamo  lui-méme   ses  accointances   avec  les 
Albigerois  de  la  Lombardie  :  ìlabemus  confitentem  reiim.  Toutes 
les  argumentations  sont  de  cette  force.  Est-ce  une  gageure? 
est-ce  une  bullonnerie  ?  ?son,  la  cbose  est  sérieuse.  M.  Aroux 
a  fait  beaucoup  de  recberrbes  sur  la  litléralure  italienne; 
mais  sa  monomanie  le  suit  partout,  et  ce,  qu'il  a  lu,  il  l'a 
lu  de  travers.  Ce  qu' il  y  a  de  plaisant,  e' est  qu'  il  veut 
absolumenl   que  nous  lisions  comme  lui.   Après  avoir  fait 
une  réquisitoire  contre  Dante  révolutionnaire  et  socialiste, 
il  a  fait  une  traduclion   de  la  Divine  Comédie   (et  quelle 


516  TRADUZIOM  FRANCESI. 

Iraductioii,  bon  Dieul)  avec  des  noles  qui  Iraveslissent 
chaque  scène.  Ce  n' élait  pas  encore  assez:  il  a  compose 
un  diclionnaire  de  Dante  où  lous  ^ies  mots  employés  [)ar 
le  poéte  prennent  un  sens  diaboliqiie.  L'auleiir  dit  le  pam 
des  anges ;  lisez  la  doclrine  sectaìre.  Il  dit  Beatrice;  lisez 
la  foi  sectaìre.  11  dit  le  soiiverain  bien;  lisez  le  Dleu 
sectaìre.  A  l'aide  de  ce  léger  changement,  vous  com- 
prendrez  la  Divine  Comédìe.  Dante  décrit  un  arbre  pare 
de  feuilles  et  de  fleurs,  e' est  un  Albigeois;  un  arbre 
mort,  e' est  un  catholique.  Il  peìnt  une  forét,  il  parie  de 
l'hiver,  dii  froid,  de  la  nuit,  de  la  mort;  autant  d'injures 
contre  le  catholicisme.  Il  cite  le  nom  du  seigneur  de  Ve- 
rone Can  Grande  della  Scala  ;  vous  croyez  qu'  il  parie  de 
son  ami  et  de  son  hòle?  Délrompez-vous;  il  est  question 
du  khan  des  Tartares.  le  chef  mysterieux  des  Albigeois  et 
des  franc-magons  orientaux.  Tout  est  bon  pour  accabler  le 
malheureux  poète;  l'indignation  de  l' accusateur  est  armée 
de  calembours.  »  -  Saint-René  Taillandier,  La  lìtterature 
dantesque  en  Europe,  Y.  Revue  des  Deux  Mondes,  1.®  Dee. 
18o(),  p.  513.  -  V.  Glorn.  Arcadico,  fase.  92,  p.  312-322.  - 
V.  Prof/resso  di  Napoli,  1842,  fase.  59. 

1843.  Rhéal  Sebastien,  [di  Cesena)  Les  Oeuvres  de  Dante, 
traduiles  en  prose  rytmique,  Paris,  Lavigne.  -  Avec  des  notes 
d'après  les  meilleur^  commentaires  par  Louis  Barre,  ilhi- 
stration  par  Antoine  Etex,  Paris,  J  Bry  Ainé,  1854,  1  voi. 
in  8.°  (imprim.  Lacour). 

Ecco  r  intendimento  del  traduttore.  «Nous  avons  eu  pour 
but  de  reproduire  à  la  fois  dans  toute  la  mesure  du  possible, 
avec  le  sens  litteral  rationel,  la  forme,  la  couleur  etl'har- 
monie,  les  trois  parties  capitales  dont  se  compose  tout  livre 
compiei,  tout  vrai  poète.  L'auleur  des  trois  cantiqucs,  on 
le  sait,  présente  des  difficultés  inouies  à  une  iransplanlation 
intégrale:  son  tour  concis  et  brut,  son  mélange  de  ihéo- 
logisme  et  de  symbolisme,  la  langue  exceplionelle  qu'  il 
s'est  crée,  ses  obscurités  fn'quenles,  son  ascension  perpe- 
luelle  par  tercels,  voritable  rocher  de  Sysiphe,  forcent  le 
Iraducleur  à  subir  toules  les  angoisscs.  Malgró  ma  sim- 
pathie  pour  le  verbo  des  rauses,  je  ne  pouvais  esperer  y 
reunir  les  quatre  conditions  essenlielles,  ni  surtoul  le  popu- 


TRADLZIOM    FRANCESI.  517 

larisor  aiiìsi  panni  nous.  J'ai  préféré  la  prose  rhylmique 
Oli  rhytmée,  seconde  poesie,  flexible  et  majesleuse,  rajeiinie 
par  nos  grands  écrivains  modernes,  et  à  laquelle  les  livres 
sacrés  ont  accoutumé  nolre  public  ;  elle  sera  l' inslrument 
le  plus  proplce  pour  transplanter  les  hautes  conceplions  épi- 
(|ues,  donllamélopée  peul  exactemenl  s'y  empreiudre  sans 
les  eatraves  de  la  rime  ni  de  la  cesure.  »  -  Jìhcal,  Prò  face. 

1844.  Levol  FlerimoiNd,  Épìsode  du  Conte  Uqolin,  Lyon, 
«Marie. 

1852.  Saim  Mauris  .Victor,  La  divine  Comèdie  du  Dante, 
Paris,  Amyot,  2  voi.  in  8."  (in  prosa). 

1855.  Lamennais  F.,  La  Divine  Comédie  de  Dante  Alif/hieri, 
précedée  d^  une  introduction  sur  la  vie,  les  doctrincs  et  les 
ieuvrrs  du  Dante,  Paris,  Paulin  et  le  Chevalier;  Paris,  Di- 
dier 1862;  id.  1863;  Paris,  Forgues,  2  voi.  in  12,«  1864. 

«  Il  Lamennais  ha  fatto  un  miracolo  di  lavoro,  ha  co- 
stretto la  lingua  francese  ad  ubb  dire  Dante.  È  una  versione 
letterale.  In  questa  maniera  di  tradurre  la  lettera  per  lo 
più  uccide  lo  spirito;  oltrecchè  si  dà  il  signilicato,  di 
rado  la  poesia.  3Ia  la  nuda  lettera  sotto  la  penna  del  La- 
mennais diventa  pensiero  e  immagine,  colore  e  musica.  Quel 
sostituire  parola  a  parola  è  fatto  con  tanta  intelligenza 
del  testo,  e  con  tanta  scrupolosa  esattezza,  che  il  pensiero 
si  trasmette  limpidamente  dall'una  nell'altra  lingua.  Questo 
è  già  molto,  chi  pensi  quanto  Dante  sia  di  diftìcile  inten- 
dimento anche  ad  un  italiano.  Ma  questo  è  merito  volgare 
allato  al  rimanente.  Innanzi  al  Lamennais  non  islà  già  la 
parola  italiana  a  cui  cerchi  l'altra  che  le  risponda,  ma  il 
pensiero  tutto  intero  e  vivo,  che  trapassa  in  francese  coi 
suoi  accessori,  col  suo  colorito,  con  la  sua  armonia  ;  e  questo 
€1  fa  senza  sforzo,  senza  frasi,  con  tanta  evidenza  e  con 
un  fare  si  naturale,  che  quel  pensiero  ti  par  nato  in  fran- 
cese: cosa  mirabile!  è  una  traduzione  potentissima,  ed 
insieme  strettamente  letterale.  Con  la  sapiente  colloca- 
zione delle  parole,  con  1'  audacia  delle  inversioni,  egli 
ti  crea  nna  specie  di  prosa  ritmica,  che  simula  l'armonia 
dantesca  ;  con  ardite  elissi,  con  tragetti  e  scorciature 
ed  uso  maestrevole  di  particelle  serba  tutto  il  nervo  e 
la  brevità  della   maniera  dantesca.  Dante  dice  cose  prò- 


S18  TRADUZIOM  FRANCESI. 

fonde  in  imaginl  vive  e  spesso  con  seniplicilii  ;  la  metafisica 
slessa  di  sotto  alla  sua  penna  esce  statua:  alla  quale  per- 
fezione plastica  si   alza   non   di  rado   il  Lamennais,  fatto 
despota  della  sua  lingua,  ma  dcsposla  intelligente.  E  si  è 
con  molto  accorgimento  aiutato  dei  primi  Classici,  lai  che 
nel  colore  e  nel  giro  senti  un  sapore  che  li  ricorda  Amyot 
e  Montaigne.  »  -  De  Sanctis,  Cimento  di  Torino,  15  Luglio 
1855.  -  «Se   a  ragguagliare  le  diversità  che  fra  autori  e 
traduttori  mette  il  luogo  e  il  tempo  e  la  lingua  diversa, 
giova  in  parte  la  comune  origine  delle  lingue  e  degli  scrit- 
tori,  la  conformità  dell'ingegno  e  dell'animo,  degH  sludi 
e  della  vita;  non  pochi  vantaggi  nel  tradurre  il  poema  di 
Dante  s'aveva  il  Lamennais,  che  nell'arte  dello  siile  fece 
accurati  sludi,  più  che  i  moderni  non  sogliono,  e  fin  negli 
anni  suoi  ultimi  leggeva  antichi  libri  della  sua  lingua,  di 
quando  eli' era  più  affine  all'italiana,  e  che  conosceva,  se 
non  l'antica  filosofia,   le  dottrine  dei  Padri  a  cui  Dante 
attinse;  e  amava  l'Italia;  e  dell'Allighieri  aveva  gli  sdegni 
tra  impazienti  e  superbi,  e  gii  alletti  non  senza  dignità  pas- 
sionati   Ma  tante  restano  tra  lui  e  il  suo  autore  dif- 
ferenze e  d'ingegno  e  di  scienza  e  di  fede,  che  chiedergli 
una  traduzione  adeguata,   quand'anche  ciò  fosse  possibile 
a  uomo  veruno,  sarebbe  indiscreto;  e  tanto  più  che  questo 
è  lavoro  dell'età  cadente,  stanca  delle  proprie  e  dell'altrui 
vicende,  lavoro  non  potuto  correggere  com'egli  amava  e 
sapeva.  »  ...  Tommaseo,  Dante  e  i  suoi  Traduttori,  Y.  Rivista 
Contempor.  Psov.  1855.  -  «  La  traduction  de  M.  Lamennais 
est  bien  loin  d'étre  irréprochabie.   Tanlòt  litlérale  jusq' à 
la  barbarie,  tantót  s'éloignant  du  lexte  sans  nécessité,  on 
dirait  une  ébauche  à  laquelle  Tauteur  n'a  pu  donner  la 
dernière  main.   Lcs  contre-sens  méme  n'y  manquent  pas, 
et  d'inexplicables  élourderies  vieunent  souvent  arréter  le 
lecteur.  Il  faut  reconnaitre  pourtant  à  travers  ces  fautes  un 
amour   passione  du   modèle.  Là  méme  où  l'interprete  est 
obscnr  et  nous  force  de  recourir  au  lexte,  on  seni  qu'  il 
a  voulu  rendre  la  physionomie   du  poéte  empreinte  dans 
les  coupures,   les  ellipses  et  les  brusques  mouveraents' de 
son  langage.  Lamennais  a  prouvé  qu'  il  avait  bien  compris 
l'ensemble  des  inspiralions  dantesques;  si  son  Introduclkm 


TRADUZIOM  FRANCESI.  519 

manqiie  parfois  de  netlelé,  s'il  paraìl  incliner  cà  et  là  vers  le 
système  de  Rosselli,  il  concini  cependant  que  Dante,  ennemi 
implacable  du  ponvoir  leniporel  des  papes,  élait  demeuré 
sincèrement  calholique.  Son  analyse  de  la  Divine  Comédie 
élincelle  de  beaulés  du  premier  ordre;  personne  n'avalt 
t\pliqué  aussi  poéliqnenient  le  dixìème  chant  de  l Enfer, 
la  scène  de  Farinata  et  de  Cavalcanti.  -  Saint-René  Tail- 
ìandier.  La  litterature  dantesque  cn  Europe.  -  «  Lamennaìs 
CSI  digne  à  tous  égards,  de  se  misurer  avec  le  grand  poéle 
Florentin.- irow^-  «La  prose^^de  Lamennais  fait  des  mira- 
cles.  »  -  Ratisbonne.  -  V.  llauréau,  llluslration,  2  Juiii 
ìHdo-  Traducliou  trop  laborieusemcnt  fidèle.  Montegut,  Revue 
des  deux  Mondes,  15  Nov.  iSOl.  p.  447. 

1855.  Mesnaiid  M.,  (Premier  \ice  Président  du  Senal, 
Président  à  le  cour  de  Cassalion)  La  Divine  Comédie  de 
Danio  Alli'jhieri,  traduction  noiwelle  (in  prosa),  Enfer  1854; 
Purfi.  1855;  Par.  1857,  Paris,  Amiol,  Claye  Imprimerle. 

Plus  on  étudie  le  Dante,  così  il  Mesnard  nella  sua  Pre- 
fazione, plus  on  admire  le  puissance  de  son  genie,  et  à 
mesure  qu'on  l' admire  davanlage,  la  séduction  dévient  plus 
forte  de  reproduire  dans  un  autre  idlome  les  beaulés,  en- 
core  si  neuves  de  la  Divine  Comédie.  -  Celle  élrange  et 
magniilque  epopèe  qui  résumé  toules  les  conceplions  du 
moyen  àge,  ou  toul  est  mèle,  la  fable  et  la  Ihèologie,  les 
guerres  civiles  et  la  philosophie,  le  vieil  Olympe  et  le  ciel 
chrètien,  n'a  pas  encore  Irouvè  d'interprete  d'un  esprit 
assez  palient  ou  assez  ilexible,  pour  se  préter  aux  formes 
si  variées  d'un  drame  qui  louche  atout,  d'une  poesie  qui 
chante  sur  tous  les  tons...  Traduire  le  Dante,  e' est  se  ra- 
jeunir  de  six  cents  ans  ;  c'esl  se  piacer  en  plein  moyen  àge, 
au  milieu  d'un  monde  nouveau  à  force  d'élre  ancien;  c'est 
relrouver  l'esprit  humain  à  l'une  des  pliases  les  plus  in- 
léressanles  (la  moins  hien  appréciée  peul-étre)  de  ses  nom- 
breuses  èvolulion;  c'esl  assister  à  ce  grand  mouvement 
d' idées  d'ou  élait  sorlie  une  puissanle  philosophie,  la 
scolastica,  et  qui  conduisail  à  la  Renaissance  ;  c'est  vlvre 
enlourè  des  charmantes  naivelés  de  la  legende  et  des  sou- 
venìrs  de  la  savanle  anliquilé,  à  chaque  pas  évoq^iès  par 
le  poele  Fiorentini   Comment  resister  à  un  pareli  altrait? 


520  TRADUZIOM   FRANCESI. 

{Viroflay,  octobre,  1854)  -  «Les  vers  de  M.  Ratisbonne,  com- 
me  la  prose  de  M.  Mesnard,  visenl  trop  à  l'élégance,  et  ne 
reproduisent  pas  l'allure  du  Florentin.  Ces  leiilatives,  si 
inconipléles  qu'elles  soient,  révelènt  pourlanl  d'heureiix 
symptómes.  Si  qiielqu'un  se  rappelle  la  traducUoii  de  M. 
Arlaud  de  Monlor,  qu'il  compare  à  ce  style  ridicule  la 
simplicilé  de  M.  Mesnard;  toni  en  regrellant  que  le  studiciix 
magislrat  n'ait  pas  déployé  plus  de  force  et  de  hardiesse, 
11  verrà  dans  ces  estimables  pages  le  progrès  du  goùl  public. 
Encore  une  fois,  ces  traductions  n'infirraent  pas  le  juge- 
ment  que  j'ai  porte;  e' est  par  le  sentimenl  de  l'art  et  de 
la  beante  poétiqnc  que  la  France  a  marqué  sa  place  dans 
ce  concours.»  -  Saint  René  TaUlandier,  art.  cit.  -  Anche 
Saint  Beuve  parla  con  molla  lode  di  questa  versione. 

1855.  Ratisbonne  Louis,  V Enfcr  traduit  en  vers;  Le 
Purgatoire,  1856;  Le  Paradis,  1859,  Paris,  Michel  Lévy,  Typ. 
Silbermann,  a  Strasbourg.  Voi.  6. 

«  Suivre  Dante,  così  il  Traduttore,  vers  per  vers,  d'un 
bout  à  l'autre  de  la  Divine  Comédie,  garder  ses  aspérités, 
ses  élrangetés,  ses  ombres  comme  ses  vigueurs  de  langue, 
ses  tours  orlginaux  et  ses  simples  sublimités  sans  les  cou- 
vrir  d'un  fard  moderne  d'élégance  unie  et  banale,  éviter 
pourtant  l'écueil  des  traductions  tròp  littérales  qui  ont 
besoin  à  leur  tour  de  traduction;  conserver  ce  que  le  vers 
Seul  peut  donner,  i'harmonie,  si  capitale  chez  Dante,  le 
rhythme  qui  soutient  dans  les  passages  les  plus  pénibles 
du  vieux  poète  et  sans  le  quel  les  plus  beaux  se  déforment 
et  se  décolorent,  voilà  le  travail  que  j'ai  tenté...  Je  sais 
que  les  vrais,  les  meilleurs  traducteurs  d'un  poéte  sont  les 
artistes,  les  peintres  et  les  sculpteurs.  Ils  incarnent  son 
idéal.  Dante  en  a  eu  de  sublinies.  Giotto,  le  Pérugin, 
Michel  Ange,  Raphael,  voilà  ses  vrais  interprètes.  Et  de  nos 
jours,  faut-il  taire  la  gioire  des  vivants?  Quand  le  pinceau 
spiritualiste  d'Ary  Scheffer  reproduisait  la  figure  chaste  et 
passionée  de  Frangoise  de  Rimini,  le  peintre  ne  donnait-il 
pas  de  ce  réve  da  poéle  la  seule  traduction  qu'on  puisse 
citer  après  le  modèle  (Dee.  1852)? ...  «Con  queste  parole 
il  Sig.""  Yillemain  giudicava  i  primi  sforzi  del  Ratisbonne 
nella  pubblica  seduta  dell'Accademia  francese  (I854j.  )>  Mal- 


TRADUZIONI  FRANCESI.  521 

gre  le  prodigleux  effort  de  taleiit  et  de  langue  nécessaire 
pour  tradulre  un  poete  en  vers,  M.  Louis  Ralisbonne  n' a 
pas  seuleiuent  reudu  le  sens,  il  a  reudu  la  forme,  la  couleur, 
l'accent,  le  son.  Il  a  communiqué  au  mélre  francais  la 
vlbralion  du  mètre  loscan,  il  a  transformé  à  force  d'ari, 
la  période  poélique  frangaise  en  tercels  du  Dante:  le  cbéf- 
d' oeuvre  de  vigueur  et  d' adresse  dans  le  jeune  écrivain 
est  tout  à  la  fols  un  chéf-d' oeuvre  d'intelligence  de  son 
modèle...  E  nella  solenne  seduta  del  24  Agosto  18G0,  in 
che  l'Accademia  francese  assegnava  alla  compiuta  versione 
del  Ratisbonne  il  premio  Bordin,  fondalo  per  l' incoraggia- 
mento dell'  alta  letteratura,  soggiungeva  il  Yillemain  :  «  Un 
grand  travail  termine,  une  (cuvre  de  systéme  et  de  patience, 
mais  d'  une  patience  parfois  créatrice,  a  lìxé  le  cboix  de 
l'Accadèmie,  e' est  la  traduction  en  vers  du  Paradis  de 
Dante,  par  M.  Ratisbonne.  L'xVccadémie  a  pensé  que  l'aché- 
vemenl  d' un^  entreprise,  doni  le  début  avait  été  déjà 
récompensé  par  son  sudrage,  méritait  une  distinction  publi- 
que.  Elle  a  vu  ce  qui  devait  manquer  au  succès  d'  un  lei 
effort.  L'epoque  de  Dante,  le  caractère  extraordinaire  de 
son  genie,  1'  aspecl  d'antiquité  indigène,  il  est  vrai,  qu'il 
a  méme  pour  ses  lecteurs  ralionaux  d' aujourd'  bui,  sem- 
blaient  rendre  souvent  imposslble  la  renaissance  de  sa 
poesie  dans  des  vers  francais,  calqués  maintenanl  sur  les 
siens.  Combien  la  diction  et  le  rhythme  de  notre  langue 
n' auraient-ils  pas  à  souflrir  d'une  Ielle  contraintel  Que 
de  Ibis  notre  vers  se  briserail  sous  le  poids  de  la  pensée 
du  poeto!  Que  de  fois  la  lidelité  litlerale  paraitrait  inculte 
et  prosaique!  Souvent  aussi  celle  pensée  originale,  rendue 
dans  sa  rudesse,  ne  le  serail  pas  dans  sa  naiveté  et  ne 
semblerait  plus  que  bizarre.  Il  n'  est  pas  un  de  ces  repro- 
ches  que  l' interprete  nouveau  de  Dante  ne  puisse  encourir 
dans  quelque  parile  de  son  ouvrage;  et  cependant  il  a  osé 
avec  lalent  et  s' est  inspiré  de  sa  persevérance  égalanl 
parfois,  dans  ses  rimcs  fran^alses,  1'  harmonie  des  tercels 
italiens,  et  donnant  ca  et  là  par  quelque  vers  forls  etsimples 
comme  l'empreinle  du  poéte  originai.  Sa  traduction  en  vers 
est  alors  bien  autremenl  fidèle  que  la  prose  fran^aise 
n  avait  tenie  de  1'  élre  dans  les  mémes  passages,  sous  des 


522  TRADUZIONI  FRANCESI. 

mains  habiles.  Enfin,  ce  qui  est  plus  encore,  malgré  les 
fautes  de  néglìgence  ou  de  nécessilé,  malgré  les  choses 
ìnattendues  qui  choqueiit,  poni*  pn\  de  ce  long  Iravail;  de 
cette  pieuse  admiratiori  de  Dante  on  sent  par  moments 
comme  un  souile  de  celle  melodie  doni  les  sons  n'arrivent 
pas  tout  entiers  jusqu'  à  nous.  -  L'Accademie,  non  sans 
se  souvenir  des  aalres  parlies  de  Fceuvre  achevée  par  M. 
Ratisbonne,  dècerne  à  son  traduclion  en  vers  des  chants 
du  Paradis  le  prix.  fonde  pour  une  oeuvre  de  haute  litté- 
rature.  »  Rapport  sur  les  concours  de  littérature,  présente 
par  M.  \iUemaìn,  secrétaire  perpétuel  de  l'Accadèmie  Fran- 
caise,  2i  Aoul  1860.  -  Sa  traduclion  est,  sans  contredit,  et 
plus  fidéle  et  plus  ulile  que  toules  les  aulres.  La  forme 
mesurée  et  musicale  de  la  poesie  aide  à  lire  nombre  de 
passages  oìi  le  vieux  poéte  italien  est  aride  ou  obscur,  et 
elle  conserve  à  toul  le  reste  sa  forme,  sa  coujeur,  sa  beauté. 
Qu'  on  sache  ou  non  l' Italien,  on  peut  au'Jourd'  bui  se 
former  de  la  Divine  Comédie  une  idée  exacte  et  complete. 
Le  texle  bravement  mis  en  regard  provoque  1'  examen  et 
souvent  dèlie  la  comparaison....  »  Feuilleton  de  l' Indepen- 
dance  Belge,  31  Janvier  1860.  -  Il  Mesnard  loda  «  Le  mer- 
veilleiix  tour  de  force  de  Ratisbonne.  »  -  Préface  -  Il  Mornand 
la  dice  tradidle  en  fort  belle  poesie  et  avec  une  exactitude 
rigoureuse.  -  V.  Arnoud  Fremy,  lllvstration,  5  Feb.  1853  ; 
Leon  de  Waìlhj,  lUustration,  19  Mai  1860  ;  Prevost  Paradel, 
Débats. 

1856.  TopiN  HiPPOLYTE,  La  divine  Comédie  de  Dante  Alli- 
(jhieri,  Ylngt-  Iluitième  chant  du  Purgatoire  traduit  en  vers 
francais,  Catane,  Fevrier,  Musemici  -  papale  -  1  Chant  de 
VEnfer,  3.^^-  lO.""^-  24."^<^'  25.*^^'  26."^*^'  du  Paradis  traduìts  en 
vers  francais,  avec  notes  r  La  Divine  Comédie  de  Dante 
Allighieri,  11."*^' 12.™^' 23.*"^' cAow«  f/w  Paradis  traduits  en 
vers  francais  faisant  suite  aux  Chants,  prérédement  publìés, 
Florence  Gulilecenne  -  Paris,  1857,  Dee.  1857.  Dedicata  ad 
Alessandro  Torri.  -  A  l'Accadèmie  de  Yaldarno  del  Poggio; 
Hommage   de   traducteur. 

18G2.  ToppiN  HiPOLYTE,  Le  Divine  Comédie  di  Dante  Alli- 
ghleri,  Le  Paradis,  traduclion  nouvelle  en  vers  francais  {tercet 
en  triple  rime)  précédée  d\ine  chronologie  de  la  vie  de  Dante  - 


TRADUZIONI   FRANCESI.  523 

D'un  discours  préUmmaìre  -  Traducteurs  modernes  angìais, 
allemands,  francais  -  Dante  et  Klopstoch  -  Dante  poèle  sati- 
rìque,  ecc.  Et  suivie  de  notes^  Tome  premier  in  8.*  p.  335, 
Livourne,  Guillaume,  Libraire. 

1863.  OzANAM,  Le  Purffatoìre  de  Dante,  Traduction  et 
commentaìre  avec  tcxte  en  refjard,  8.*^  587.  Paris,  LecolTre. 

11  IX  Volume  delT  opere  dell' Ozaiiam  contiene  la  tra- 
duzione del  Purgatorio,  condotta  con  rara  fedeltà  forza 
e  squisitezza  di  stile.  Il  Comento  che  lo  correda  mostra 
quanto  questo  scrittore  fosse  addentro  nelle  cose  dan- 
tesche. Sopra  ciascuno  ha  saputo  comprendere   e  ritrarre 

il  vero  concetto  deir  autore chi  ha  saputo  entrare 

ne' più  ascosi  recessi  dell'antica  lingua  italiana,  e  recato 
quella  sublime  poesia  nella  più  cara,  più  semplice,  e  ad 
un'ora  più  efficace  prosa  francese  fu  il  buono  e  caro  Oza- 
nam...  L'Ozanamavea  in  animo  di  tradurre  tulio  quanto 
il  poema  di  Dante,  ma  lasciò  compiuto  il  solo  Purgatorio, 
avendo  egli  una  specie  di  predilezione  per  questa  cantica, 
ordinata  a  celebrare  il  rinnovellamenlo  dell' uom  colpevole, 
e  tutta  piena  di  consolazione  e  di  speranze  celesti.  A  cia- 
scun canto  fanno  seguito  delle  note,  e  in  fine  ci  è  un 
Comentario  generale  degli  ultimi  otto  canti.  Le  quali  note 
e  commentario  sono  come  appunti  di  un  commento  disteso 
ch'egli  avea  disegnato  di  fare,  ma  nondimeno  hanno  dei 
passi  scritti  meravigliosamente,  e  contengono  delle  cose 
nuove  e  delle  indicazioni  preziose  a  coloro  che  attendono 
specialmente  allo  studio  di  Dante,  e  alla  storia  di  questo 
secolo.  -  Questo  bel  volume  in  somma,  che  è  il  IX  dell'opere 
dell' Ozanam,  ma  che  sta  anco  da  sé  è  cosa  d'averla  caris- 
sima, e  da  studiarla  con  molto  profitto.  »  -  P.  Fan  [ani.  Il 
Bor(}hinl,  18G3,  i.  03.  (1) 


Il  dotto  e  benemerito  Carlo  Witte,  nel  suo  proemio  alla 
versione  latina  del  P.azza,  ci  ricorda  due  antiche  versioni 

(1)  Un'  alilo  dantesco  di  polso,  il  veccliio  Casella  Romano,  ha  fatto 
Jinch' e^Ii  una  traduzione  di  Dante  in  liii^'ua  francese,  di  cui  è  perilis- 
sinio,  ma  finora  non  ha  trovato  editori  ne  jo  Francia,  ove  si  trattenne 
mollo  tempo,  né  in  Italia. 


524  TRADUZIONI   FRANCESI. 

francesi,  tullavia  inedite  della  divina  Comcdla;  l'una  esi- 
stente nel  codice  Oendorfiano  Viennese,  N.  43,  10201,  l'altra 
nel  codice  dell'  università  di  Torino,  N.  cxxii.  i.  v.  33.  Ef. 
{Pasini  Codices,  iVss.  biblioth.reg.  Taur,  Athenm,  p.  191.- 
Maffei  in  Ephemeridibus  litter.  M.  474,  et  in  opuscolis  eccle^ 
siasticis,  II.  1.  599  -  Pelli,  Memorie  per  la  vita  di  Dante, 
Ed.  II.  175  -  De  Batines,  247-48),  e  di  tulle  e  due  ne  riporta 
per  intero  l'episodio  di  Francesca  di  Kimini  che  copiavagli 
dal  Viennese  il  eh.  prof.  ab.  D.'"  Pietro  Mugna,  e  dal  Torinese 
il  dotto  Co.  Vesme.  -  Il  Tommaseo  nel  suo  articolo  Dante 
e  i  suoi  Traduttori  (Rev.  Conleinp.  di  Torino,  JNov.  1855), 
prende  questa  pietosa  narrazione,  e  ci  viene  raffrontando 
i  lavori  latini  del  Codice  Bartoliniano,  del  Ronto,  del  P. 
d'Aquino,  del  Catellacci,  del  Piazza,  dello  Scarperia,  del  Testa, 
e  le  versioni  francesi  del  Mesnard,  delRatisbonne,  delLamen- 
uais  con  le  antiche  succennate.  Io  ricordo  alcune  osserva- 
zioni del  Tommaseo.  -  Il  Francese  di  Torino  (v.  73-75) 
allunga  ma  senza  indebolire:  prova  che  non  nel  minor  nu- 
mero delle  sillabe  sta  la  brevità  né  la  forza.  -  Il  Francese 
di  Torino  (76-78)  mi  pare  di  nj^ano  maestra.  -  Il  più  valente 
di  tutti  (V.  79-81)  è  quel  di  Torino.  -  Il  Torinese  (v.  82-84) 
nella  sua  libertà  è  più  fedele  che  il  letterale  del  Lamennais.  - 
11  Torinese  (v.  101-103)  conserva  la  tenera  e  rispettosa 
amigliarilà  che  ha  in  questo  il  costui.  -  Una  (v.  121-123) 
delle'poche  infelici  nel  Torinese.  -  V  empaindre  (v.  130-133) 
del  Torinese  è  anch'esso  polente,  e  gioverebbe  che  fosse 
rimasto  ai  Francesi  come  agii  italiani  Vimpinqere  che  dice 
altro  dal  pingere,  smarrito  anch'esso,  ma  non  perduto  nella 
lingua  del  popolo  toscano;  e  che  se  rivivesse  nell'uso  se- 
gnerebbe gradazioni  de'  moli  non  denotate  da  spingere  e 
da  sospingere.  JYos  deux  vis  è  di  cara  semplicità,  e  fa  più 
vivente  il  quadro  in  ogni  sua  parte.  V  amoureux  del  To- 
rinese (v.  137)  è  più  gentile  che  V amant  e  rammenta  il 
moroso  dei  Veneziani  e  d'  altri  dialetti,  più  nobile  del 
ganzo  e  dell'amico  dei  Toscani.  -  Codice  Viennese.  -  Il 
pousser  del  vecchio  (v.  79-80)  è  potente,  e  mette  nel  chia- 
mare e  nel  portare  del  testo  una  libera  forza  di  moto  e 
d'amore.  -  Quel  di  Vienna  (v.  88-90)  è  qui  il  più  gentile, 
forse  più  dell'Italiano,  se  è  lecito  dire  tanto.  -  Ravit  (v.l02) 


TRADUZIOM  FRANCESI.  525 

del  Viennese  è  efficace,  il  resto  è  languido.  -  Il  Viennese 
(V.  103-105)  ripete  il  perdonare,  come  se  nel  francese  di 
quel  tempo  egli  avesse  il  sigi\i(icato  che  Dante  gli  dà;  e 
con  licenza  fedelissima  tramuta  la  bella  persona  dalla  donna 
all'uomo,  come  per  farne  una  cosa,  e  rendere  il  carne  una 
e  il  confilutinatus  est  della  Bibbia.  -  Il  penscr  (v.  122)  del 
Viennese  s'accosta  più  del  ressouvenlr  al  rkonlarsi  di 
Dante;  perchè  in  questo,  olire  al  sentimento  del  cuore  c'è 
una  operazione  attiva  della  memoria  che  si  riflette  sul 
proprio  dolore.  -  11  Viennese  (129)  lucida  il  suo  verso  su 
quello  di  Dan  le,  parola  a  parola  mirabilmente.  -  11  Viennese 
(133-134)  è  libero  ma  con  grazia.  -  Codici  francesi  inediti.  - 
Quel  dei  due  vecchi  (v.  94-96)  è  nell'insieme  fedelmente 
bello.  -  Ne'  due  antichi  (v.  97-99)  ogni  cosa  più  schietta  e 
lucente.  -  Al  paragone  degli  antichi  (103-105j  il  Lamennais 
è  più  languido  e  men  modesto.  -  Sempre  1  due  vecchi  fran- 
cesi (v.  112-114),  come  cavalieri  che  caracollando  tirano  a 
imbroccare  nel  segno,  quasi  senza  badarvi,  ci  colgono.  - 
Il  Sig.*"  Vegezzi  jluscala  dice  di  aver  consultalo  il  codice 
Torinese  in  lingua  iV  oil,  e  di  averlo  trovato  incompiuto, 
essendo  laceri  gli  ultimi  fogli  del  Canto  xxviii,  e  mancando 
tutti  quelli  del  seguente.  Egli  poi  vuole  la  versione  di  poco 
valore,  epperò  meno  lamenta  che  il  codice  sia  imperfetto. 
[Rivista  Conlempor.  Dee.  1857). 

Tandis  que  ce  travail  de  cinq  slècles  s'accomplissait  en 
Italie  (dello  studio  di  Dante)  la  France,  l'Angleterre  et  l'A- 
lemagne  étaient  reslées  à  peu  près  étrangères  au  débal; 
ellcs  ont  pris  aujourd'hui  le  premier  rang  (?),  et  Dante, 
gràce  à  leurs  éludes,  est  entré  dans  le  domaine  commun 
de  la  poesie  européenne.  Chez  nous,  la  traduclion  en  rimes 
/ranctt<5eò' de  Balthazar  Grangier  (1591),  malgré  ses  gràces 
naìves  et  l'inlérét  qui  s'y  attaché,  n'élait  guère  de  nature 
à  populariser  le  grand  Florenlin.  N'olre  xvii.*^  siede  a  ignorò 
Dante,  le  xvui.^  s'en  est  moqué  par  la  bouche  de  Voltaire, 
etRivarol  le  premier,  à  la  velile  de  la  revolution,  a  devine 
r  originante  de  son  slyle,  la  puissance  de  son  vers,  de  ce 
vers  qu'  se  tient  debout  par  la  seiile  force  du  subslantif  et 
du  verbe,  sans  le  concours  d'  une  sente  épitkète...  C'est  donc 
à  la  fin  du  xviu^  siede  et  au  commencement  du  xix'*  que 


526  TRADUZIONI  FRANCESI. 

les  conlrées  savantes  de  l'Europe  s'associenl  au  long  ira- 
vail  (le  l'Italie  sur  la  trilogìe  dantesque.  Cu  dirait  qu'un 
concours  s'est  ouvert:  chaque  peuple  y  apporto  les  qualltés 
qui  le  distlnguent.  Tandis  que  l'Italie  cherche  dans  ces 
éludes  des  inspiratioiis  palriotiques,  la  France,  avec  M. 
Fauriel  elM.  Villemain,  y  dévelope  sa  nettelé  d'esprit,  son 
goiìt  de  la  beauté  liltéraire....  En  France,  M.  Fauriel,  M. 
Villemain,  M.  Ampère,  M.  Ozanam,  M.  Lamennais,  sans 
compier  des  traducleurs  habiles,  voilà  les  hommes  qui  ont 
penetrò  le  plus  avant  dans  F intelligence  du  vieil  Alighieri... 
C'est  par  le  sentiment  de  l'art  et  de  la  beauté  poélique 
que  la  France  a  marqué  sa  place  dans  ce  concours.»  Saint- 
René  TaiUandier,  La  liltérature  danlesque  eu  Europa. 

lY.  -  TRADUZIONI  INGLESI 

1773.  Anonimo,  Translation  from  Dante,  G.xxxiii.  London, 
CWatl,  Bibl.  Britt.  i.  194.) 

1782.  RoGERS  Cu.  The  Inferno  of  Dante,  transhilcd  inlo 
Enijlish  hlanks  verse,  London. 

1783.  BoYD  Henry,  A  Translation  of  the  Inferno  of  Dante 
Alighieri  in  Enrilish  verse,  London. 

1802. The  divine  Comedi)  of  the  Inferno,  Purr/atory, 

and  Paradise,  London,  Cadell  junior  and  Davies. 

1806.  Cary  Fr.  Henry,  The  Inferno  of  Dante,  with  an 
English  translation  in  blancks  verse,  Aotes  and  Life  of 
the  Author,  London. 

1814. The  vision  or  Hell,  Purgatori}  and  Paradise, 

of  Dante  AUighicri  translated,  London. 

1818. With  Life  of  Dante,  j\otes  and  Index,  London. 

1819. London,  John  Tayler. 

1831. London,  Jonh  Tayler. 

1844. A  neic  edition  corrected  with  the  life  of  Dante 

chronological,  View  of  his  age,  ecc.  London,  William  Smith. 

1856. The  vision  or  liell,  Purgalory  and  Paradise^ 

London,  Henry  Bohn,  York  Street. 

«  Il  Cary  fu  preceduto  da  due  o  tre  traduttori  inglesi, 
e  li  vinse  di  tanto  che  gl'intendenti  credono  che  altri 
mai  non  potrà  contrastargli  ;  si  giovò  dello  stile  severo  di 


TRADUZIONI   INGLESI.  527 

Milton  e  del  verso  sciolto Nella  vita  ch'ei  scrisse  del 

poeta  pende  alle  volte  a  credere  a  tradizioni  ed  aneddoti 
apocrifi Della  sua  lingua,  stando  a  chi  pnò  giudi- 
carne, pare  maestro  ;  nell'  italiana  pare  versato,  non  però 
quanto  richiedesi  a  non  perdere  il  conllato  d'idee  che  in 
tulli  i  poemi,  ma  più  in  questo  che  in  altri,  si  accoppiano 
ad  ogni  parola.  Quindi  gli  avviene  di  tenere  per  lezioni 
genuine  alcune  varianti  di  glosatori  e  appigliarvisi.  Fran- 
lende  vocaboli,  benché  di  rado.  »  -  Foscolo.  -  Il  Cary  con- 
travviene frequentemente  a  una  tesi  del  suo  autore,  il  quale, 
affidato  più  ch'altro  dall' efl'etlo  della  propria  versificazione, 
dice:  che  nulla  cosa  per  leijame  musaico  armonizzata  sì  imo 
della  sua  loquela  in  altra  tramutare,  che  non  si  distrugga 
tutta  la  sua  dolcezza  ed  armonia.  Convito.  -  Foscolo,  Pa- 
rallelo tra  Dante  e  Petrarca.  -  Nel  Cary  vi  ha  un  travesti- 
mento elegante  adulterato  della  grand' anima  del  poeta  ita- 
liano del  secolo  XIV  in  foggie  neo-classiche  tolte  dagli 
archìvi  del  risorgimento  letterario  dell'Inghilterra  ne' secoli 
di  Milton,  di  Dresden  e  di  ?o\ìq.-Rìv.  di  Firenze,  Corrispon- 
denza dall'  Inghilterra. -l\  Cary  primeggia  tra  i  volgarizzatori 
in  versi  sciolti. Xa  sua  versione  cominciata  nel  1797  non  venne 
pubblicata  per  intero  che  nel  1814.  Essa  è  fedele  per  ogni 
verso,  quantunque  non  di  rado  oscura,  gagliarda  general- 
mente e  sempre  informata  da  un'intima  conoscenza  ed  un 
vero  amore  dell'originale  che  ben  mostrano  come  Cary 
chiudesse  in  se  qualche  poetica  dantesca  scintilla.  Noi  ab- 
biamo manco  però  della  musica  dell'Alighieri  e  di  quella 
dolcezza  inelTabile  che  spira  da  quando  a  quando  come  un 
balsamo  di  benedizione  anche  attraverso  le  regioni  più  buie 
e  più  desolanti  dell'  Inferno  di  Dante,  che  allieta  il  Purga- 
torio e  tutta  compenetra  l'atmosfera  del  suo  Paradiso.  - 
G.  Slraforello,  Rev.  Contemp.  Agosto,  18G3,  p.  309.  -  «  La 
traduction  de  M.  Cary  est  consacrée  par  le  succes.  »  Saint- 
René  Taillandier. 

1807.  Howard  Nathamel,  The  Inferno  of  Dante  Alighieri 
translated  into  English  blancks  verse,  with  JXotes  historical 
and  classical,andexplanatory,  and  life  of  the  author,  London. 

1812.  HuME  W.,  The  Inferno,  a  translation  of  Dante 
Alìghieriy  into  English  hlanks  verse,  London. 


528  TRADDZIOM    INGLESI. 

1822.  Taeffe  a»,  Commera  onl  the  divine  Comedy  of  DanLB 
Alifihieri  (Inf.  i-viii)  London,  Murray  (Pisa,  Capurro). 

«  11  TaelTe,  da  Pisa,  dove  soggiornò  per  molli  anni,  invia 
alla  patria  il  dono  di  questa  sua  'versione.  Né  si  meravi- 
glino i  lettori  ch'egli  abbia  sinora  pubblicalo  un  solo  vo- 
lume, composto  di  300  pagine,  e  intorno  a'  soli  primi  otto 
canti  dell'Inferno,  perchè  ogni  sentenza  di  Dante  è  grande 
argomento  agli  altrui  pensieri,  e  l'anonimo  inglese  discorre 
con  libero  e  sagace  intendimento  ...  I  versi  men  belli  ;  in 
alcuni  squarci  però  si  scorge  l'impronta  d'un  vero  talento 
poetico.  Le  illustrazioni  ed  il  cemento  sono  le  parti  più 
preziose.»  -  Benci,  Antologia  di  Firenze.-  «Questo  nKOVo 
comento  merita  gratitudine  dagl'italiani,  e  lode  da  tutti, 
perch'ei  studiò  infaticabile,  e  stando  a  lunga  dimora  in 
Toscana,  esplorò  codici  e  librerie,  ralfrontò  date,  scrittori  ed 
aneddoti,  e  benché  s'inganni  assai  volte  intorno  i  gradi  di  fede 
ch'ei  nega  o  concede  agli  autori,  ei  raduna  assai  numero  di 
notizie,  e  le  sue  opinioni  arrischiate  da  non  reggere  sempre 
all'esame  sono  nuove  talvolta  ed  acute.  Se  non  che  forse 
la  prolissità  dell'opera  sconforterà  molti  dal  leggerla  e 
l'autore  dal  proseguirla.»  Foscolo,  Discorso  sul  Testo,  V. 
tutta  la  Sezione  XX. 

1833-40.  Wright  Ichabod  Ch.,  The  Inferno,  the  Purga- 
tory,  the  Paradise  of  Dante  Alighieri,  transìated  iute  english 
verse,  with  thirly  four  engravings  of  onstcel  after  Fiaxman, 
London  Bohn;  id.  1854;  id.  18G2. 

Il  Wright  vi  si  pose  con  diligente  cura  e  con  un  lungo 
amore,  nò  gli  falliva  l'impresa  per  ciò  che  riguarda  la  fe- 
deltà letteraria  della  traduzione.  Ma  chi  potrà  mai  travasare 
in  forme  straniere,  senza  scolorarla  e  ingrettirla  l'inspira- 
zione che  dà  vita  e  inimitabile  originalità  al  poema  sacro? 
Però  al  Wright  non  valeva  la  riverenza  pel  genio  di  Dante 
a  sostenerlo  nella  sua  fatica.  Le  sue  rime  alternate  con 
due  sole  consonanze  procedono  sovente  monotone  e  fioche, 
e  le  viventi  imagini  dell'arte  dantesca  appaiono  in  questa, 
come  nell'altre  traduzioni  dell'intraducibile  comedia,  dove 
più  (love  meno  meschine  e  smorte  al  confronto.  -  Uevista 
Fir.  del  Vannucci,  1857,  Corrisp.  dati  Inghilterra,  p.  377.  - 
I  Critici  inglesi  la  pongono  in  capo  di  quelle  in  terza  rima. 


TRADUZIONI   INGLESI.  529 

Il  verso  ò  scorrevole,  ed  è  maneggialo  con  facile  mano 
l'inglese,  e  coir  abilità  di  un  dotto  se  non  di  un  poeta. 
Ma  noi  sentiamo  ch'egli  non  è  un  traduttore  poeta,  un 
uomo  che  ha  in  sé  qualche  riverbero  del  divin  sole  di  Dante, 
un  traduttore  quale  sarebbe  Dennyson  ad  es.,  il  più  grande 
dei  viventi  poeti,  se  ciò  fosse  per  lui  possibile.  Nel  Wrighl 
svaporano  le  ineffabili  qualità  dell'originale:  gì' inglesi  che 
imparano  a  conoscer  Dante  nelle  terze  rime  di  lui,  ben 
possono  ottenere  una  idea  più  esatta  della  forma  poetica  del- 
l'originale  che  non  nella  versione  sciolta  di  Cary  ma  non 
devono  sperare  di  addentrarsi,  come  col  Cary,  dietro  il 
velo  ove  siede  la  maestà  grandiosa  di  Dante.  6\  Straforello, 
Rie.  Conlempor.  Fas.  117,  Agosto  1863,  p.  399. 

1843.  Parsons  T.  W.,  The  first  ten  Caiitos  of  the  Inferno 
of  Dante  Alighieri.  JSeioly  translated  into  English  verse 
{with  ewplanatory  notes)  Boston,  Tickner. 

1844.  FRANck  FuAN.,  Versione  inglese  del  xxxi  del  Pa- 
radiso, Ferrara,  Taddei. 

1844.  Dayman  John,  The  Inferno  translated  in  the  terza 
rima  of  the  originai  With  notes,  London,  Painter. 

1849.  Carlile  John  A.,  Dante  's  Divine  Comedy:  the  In- 
ferno, A  literal  prose  translation,  toith  the  text  of  the  ori- 
ginai collated  from  the  best  editions,  and  explanatory  notes, 
Londbn,  Chapman  and  linll.  (Il  Carlyle  ha  pubblicalo  in 
appresso  l'intera  versione  della  Divina  Comedia.) 

<f  Ps'est-ce  pas  d'elle  (Angleterre)  aussi  que  nous  vien- 
nent  ces  pages  où  l'un  des  penseurs  les  plus  originaux  de 
notre  epoque  a  pénétré  si  vivement  dans  le  cceur  d'Ali- 
ghieri? Thomas  Carlyle  a  place  le  florentin  dans  ce  petit 
groupe  de  héros  qui  représentent  pour  lui  l'histoire  entière 
du  monde;  entro  les  prophòtes  et  les  prélres,  le  poète  de 
la  Divine  Comédie  est  dessiné  et  peint  en  trails  de  fiamme.... 
Thomas  Carlyle  a  marqué  en  traits  de  feu  ce  caractère  du 
poète;  le  mysticisme  et  la  colere,  une  colere  toute  sainle, 
un  mysticisme  d'une  incomparable  douceur,  voilà,  selon  le 
philosophe  anglais,  l'inspiration  d'Allighieri.  Au  seul  examen 
du  portrait  de  Dante  attribué  a  Giotto,  Carlyle  volt  en  lui 
un  liomme  qui  proteste  de  toutes  les  forces  de  son  élre,  qui 
se  bat  contre  un  monde,  qui  ne  se  rendra  jamais,  the  face 

VoL.  11.  34 


530  TRADUZIONI   INGLESI. 

of  one  wholly  in  protest,  ayid  Ufe-long  unsurrendering  battio, 
against  the  world  (una  fisoiiomla  di  un  tale  ch'è  continua- 
mente in  protesto  per  tutta  la  vita,  e  non  mai  diman- 
dando quartiere,  si  batte  contro  tutto  il  mondo).  Et  avec  cela, 
ajoute-il,  quelle  tendresse  chez  le  poète  de  l' Enfer,  naive 
comme  les  caresses  d'un  enfant,  profonde  comme  le  coeur 
d'une  mère!  Dante,  pour  Carlyle,  e' est  une  àme  adora- 
blement  suave,  une  àme  tout  éthérée,  à  l'aspecl  sombre, 
sinistre,  implacable.  Par  là  raéme  il  est  l'exacte  image  du 
moyen  àge.  Sans  lui,  le  moyen  àge  se  serait  évanom  à  jamais, 
et  nous  n'aurions  entendu  ni  le  chant  de  ses  joies  ni  le  cri 
de  ses  douleurs.  Il  est,  à  lui  seul,  la  voix:  de  dix  siede  muets, 
voice  of  ten  sileni  centuries  (voce  di  dieci  silenti  centurie)... 
La  traduction  de  Carlyle  révèle  un  rare  sentiment  du  style 
danlesque.  -  Saint  René  Taillandier.  -  La  traduzione  del 
Carlyle  vuoisi  annoverare  tra  le  migliori,  come  molto  più 
informata  dell'antico  e  schietto  stile  dell'originale.  -  Re- 
vista  Fir.  del  Vanmicci,  1857,  p.  377,  Corrispondenza  dal- 
Inghilterra.  -  Per  coloro  che  non  amano  gli  abbellimenti 
metrici  e  vogliono  una  riproduzione  sincera  del  senso  del- 
l'originale  ha  provveduto  il  D.""  Carlyle  con  la  sua  schietta 
e  mirabilmente  vigorosa  versione  in  prosa  dell'  Inferno, 
arricchita  del  testo  inglese,  diligentemente  collazionato  e 
corredato  di  una  introduzione  e  note  pregevolissime.  Com- 
piuta che  sia  questa  versione,  poco  o  nulla  lascierà  da  de- 
siderare ai  dantofili  inglesi.  -  Straforello,  Rev.  Contemp. 
Fas.  117,  Agosto  1863,  p.  309. 

1852.  DoiNNEL  Rev.  E.  Translalion  of  the  divina  Comedia, 
London. 

1854.  Cailey  C.  B.  Dante'  s  Divine  Comedy  translated  in 
the  originai  ternary  rhytne,  London,  1851-54. 

Cailey  est  un  négociant  que  les  intéréts  de  son  com- 
merce ont  confine  long-temps  dans  un  port  de  la  Russie 
septentrionale.  Pour  se  consoler  dans  sa  solitude,  pour 
retrouver  le  soleil  au  milieu  des  glaces  et  des  brumes,  il 
a  fait  amitié  avec  Dante:  une  passion  sincère  anime  son 
talent.  La  iangue  anglaise  avec  sa  précision  et  sa  force  se 
prétait  merveilleusement  à  l'interprélation  du  vieux  maitre; 
M.  Cailey  a  mis  à  profit  toutes  ses  ressources ...  La  tradu- 


TRADUZIONI   INGLESI.  531 

cllon  de  M.  Cary  est  coiisacrée  par  le  succès,  celle  de 
Carlyle  révèle  un  rare  senliment  du  style  dantesque.  Le 
iravail  de  M.  Cailey  n' est  pas  moins  remarquable.-Sa«n«- 
René  TaiUandier.  -  «  Il  Cailey  è  un  traduttore  qualificato 
all'arduo  assunto  dallo  studio  indefesso  e  minuto  di  Dante 
e  dal  lungo  amore  che  gli  hanno  fatto  cercare  lo  suo  volume. 
Egli  è  dotato  per  giunta  d'una  genuina  ed  originale  facoltà 
poetica,  molto  affine  a  quelle  grandi  imaginazioni  antiche 
e  primitive  quando  gli  uomini  facevansi  ad  afirontare  con 
la  forza  dei  giganti  e  la  semplicità  dei  fanciulli  quelle 
uUime  e  supreme  cose,  la  morte  e  il  giudizio.  Di  quando  in 
quando  ne'  passi  critici  ove  Wright  sfiora  il  comune,  Cailey 
è  vivido  e  vigoroso,  in  forza  del  suo  intuitivo  poetico.  La 
versione  del  Wright,  dopo  quella  del  Cary,  è  più  apprezzata 
e  divulgata  in  Inghilterra,  che  quella  del  Cailey,  e  ciò 
avviene  perchè  il  Cailey  per  vaghezza  di  fedeltà  e  concisione 
dà  spesso  nel  rozzo  nel  contorto  nell'arcaico  e  nell'oscuro. 
L'inglese  del  Cailey,  come  inglese,  non  è  sempre  trasparente 
come  r  italiano  di  Dante,  come  italiano,  è  sempre.  È  inutile 
il  dire  che  1'  armonia  di  Dante  svanisce  nella  terza  rima 
del  Cailey  come  in  quella  del  Wright.  -  Straforello,  Rev. 
Contemp.  Fas.  117,  Agosto  1863,  p.  309  -  Il  Cailey  dedicava 
la  sua  versione  al  suo  amico  Franklin  Leifchil  mettendo  in 
fronte  i  versi  di  Lucrezio  :  Nec  me  animi  fallit  ecc..  Libro  1. 
V.  137  al  V.  146. 

1854.  Brooksbank  M.  A.  Dante'  s  Divine  Comedy,  The 
first  Part.  translated  in  the  metre  of  the  originai  with  Notes. 
London. 

1854.  PoLLOCK  Fred.  The  divine  Comedy;  or,  the  Inferno, 
Purgatory,  and  Paradise,  of  Dante  AUighieri.  Rendercd 
into  English,  wilh  fifiy  lllustrations  drawn  by  George  Scharf 
cngraved  by  Dalziel,  London,  Chapman  and  Hall. 

Intendimento  del  Pollok  (largamente  adempiuto)  fu  di 
attenersi  strettamente  all'espressione  letterale,  per  qtianlo 
il  comportava  la  differenza  degl'idiomi,  di  conservare  l'a- 
spetto dell'  originale  e  de'  versi  fin  anco,  se  possibile,  di 
non  aggiungere  che  le  note  slreltamente  necessarie.  La 
versione  del  Pollock  sta  a  quella  di  Cary  a  un  dipresso 
che  quella  di   Wright  e  di  Cailey.   È  più  semplice,   più 


532  TRADUZIONI   INGLESI. 

scorrevole  e  di  più  facile  lettura,  ma  porla  impronte  assai 
minori  di  genio  e  di  sentimento  poetico.  Come  aiuto  a 
coloro  che  principiano  a  leggere  Dante  essa  è  quasi  cosi 
giovevole,  come  una  versione  letteraria  in  prosa,  ed  è  bene 
in  fondo  in  fondo  considerarla  come  tale  o  poco  più.  Lo 
sforzo  che  fa  spesso  il  Pollock  per  rendere  l' inflessione 
italiana,  produce  un'affetto  stentato  ed  inceppa  T andamento 
generalmente  scorrevole  della  traduzione.  In  nessun  passo, 
abbiamo  cerco,  ci  venne  fatto  di  trovare  il  Pollock  bale- 
nante, e  fra  le  lezioni  controverse  egli  elegge  sempre  la 
più  razionale  e  plausibile.  Coloro  che  cercano  una  traduzione 
inglese  di  Dante,  non  come  surrogalo  all'  originale,  ma 
come  introduzione  ad  esso,  non  potrebbero  scegliere  una 
più  acconcia  di  quella  di  Pollock.  -  StraforeUo,  Rev.  Conf. 
Fas.  117.  Agosto,  1863.  -  Il  Pollock  è  mollo  fedele  ma  non 
sempre  felice.  Crepuscolo,  1854,  p.  720. 

1859-62.  Wesley  Thomas  Iohn,  The  trìlotjy,  of  Dante  '  s 
three  visions.  hiferno,  or  the  vision  off  hell  :  translated  into 
english,  in  the  metre  and  triple  rhy me  of  the  oriijinal;  with 
notes  and  illustratìons,  London,  Henry  J.  Bòhon,suret,covent 
garden  York  Street. 

11  Wesley  non  agguaglia  i  migliori  passi  di  Cailey,  ma 
gli  sta  di  presso.  Più  stretto  e  più  accurato  di  Wright, 
men  rozzo  e  men  vieto  di  Caley,  ma  non  dotato  di  poetico 
intuito.  Anch'  egli  incappa  nel  mancamento  inevitabile  dei 
traduttori  metrici  (Caley  men  di  tutti),  d' infrascare  e  na- 
scondere con  epiteli  la  nudità  muscolosa  dei  sustantivi  di 
Dante  che  paion  lì  parati  alla  lotta  come  atleti  ignudi. 
Quando  Dante  ha  nn  epiteto  gli  è  perchè  è  strettamente 
essenziale  al  pensiero  suo.  Nella  traduzione  in  versi  della 
divina  Comedia  si  vede  sempre  che  l'epiteto  è  lì  per  com- 
piere la  misura  del  verso  e  non  per  altra  ragione.  Fra 
tutte  le  varie  versioni,  Caley,  non  ostante  ai  suoi  difetti, 
più  si  accosta  alla  meta,  e  Thomas  lo  segue  assai  da  vicino. 
Ma  essendo  pressocchè  impossibile  condurre  una  traduzione 
metrica  rimata  degna  del  poema  che  descrive  fondo  a  tutto 
r  universo,  nulla  più  comendevole  di  una  schietta  ed  accu- 
rata traduzione  in  prosa  come  quella  del  dott.  Carlyle,  od 
wna,  se  metrica,    che  non  pretende  riprodurre  il  metro 


TRADUZIONI    INGLESI.  53IJ 

rimalo  difficilissimo  dell'  originale,  la  terza  rima,  e  svinco- 
landosi per  tal  modo  dalla  necessità  dì  affastellare  epiteti 
oziosi,  e  non  molto  dissimile  ad  una  versione  in  prosa, 
quale  si  è  quella  del  Pollock.  -  G.  Straforelìo,  Rev.  Cont. 
Fas.  117.  Agosto  1803,  p.  309. 

1863.  WiLCHiE  W.  P.  advocatc,  Danlr/  s  Divina  Comedia: 
The  Inferno  translated,  Edimburgo. 

Traduzione  intollerabile,  che  non  ha  né  la  grazia  del 
metro  né  la  fedeltà  della  prosa.  Piglia  spesso  svarioni 
stempiati,  ed  è  a  volta  perafrastico,  alle  volte  dittico, 
inelegante,  infelice  nell'  espressione,  e  le  sue  parole  troppo 
spesso  dure  rozze  scolorite  e  frigide.  Non  di  rado  senza  la 
scusa  del  metro  egli  tira  dentro  pei  capelli  degli  epiteti 
oziosi,  e  ne  salta  spesso  a  pie  pari  qualcuno  calzante  e 
delicato.  -  Straforelìo,  llev.  Conlemp.  fas.  117,,  Agosto  1803, 
pag.  309. 


«  En  Angleterre,  le  deux  évéques  qui  avaient  rapporté 
du  concile  de  Costance  la  traduction  latine  de  Serravalle 
ne  semblent  pas  l'avoir  répandue  dans  leur  pays;  à  part 
quelques  imitations  de  Chaucer  au  XIY.^  siede,  de  Milton 
au  XVIF,  on  ne  trouve  pas  la  trace  d'Allighieri  sur  la 
terre  de  Shakspeare  jusqu'  à  l'epoque  recente  oncore 
oìi  le  moyen  àge  y  est  devenu  comme  chez  nous  roi)jet 
de  maintes  investigations...  Il  ne  faut  pas  oublier  Tzingle- 
terre;  elle  a  provoqué  les  éludes  d'Ugo  Foscolo,  elle  a 
accueilli  et  encouragé  Rossetti,  elle  a  elle-méme  des  critiques 
(M.  Barlow,  par  exemple)  qui,  en  examinant  le  texte  de 
Dante,  ont  rivalisé  d'exactitude  avec  les  érudits  d'Allema- 
gne;  enfm  elle  a  donne  des  traductions  qui,  pour  la  fidélité, 
la  force  et  la  souplesse,  sont  peut-élre  supérieurcs  à  tout 
ce  qu' ont  produit  les  autres  pays  de  l'Europe.  N'est-ce 
pas  d'elle  aussi  que  nous  vicnnent  ces  pages  où  l'un  des 
penseurs  les  plus  originaux  de  nolre  epoque  a  penetrò  si 
vivemenl  dans  le  coHir  d'Allighieri  (Carlyle)?...  M.  Simpson 
est  un  erudii  estimable;  M.  IJarlow  a  étudié  le  texte  de 
Dante  avec  la  iìnesse  d'  un  Italien  et  la  coscience  d'  un 
AUemaud.  -  Taillandier,  art.  cit.  p.  478. 518.  -  A  sospingere 


J)34  TRADUZIONI   INGLESI, 

gì'  inglesi  negli  studii  danteschi  giovarono  polenlemente  le 
onorale  e  pregevoli  fatiche  del  Boyd,  del  Cary  e  del  Tarver, 
i  quali  a  un  suon  concorde  gridarono  e  celebrarono  il  nostro 
Dante  pel  sommo  dei  poeti  che  siensi  mai  irraggiati  alla 
luce  della  filosofia.  E  tal  fama,  non  che  cessi  al  presente, 
per  l'egregie  fatiche  di  Carlo  Lyell  e  di  Lord  Vernon,  va 
crescendo  maggiore  e  distendendosi  più  largamente.  -  P. 
Giuliani  -  E  fu  Lorenzo  da  Ponte,  cenedese,  che  nel  1808 
recava  insieme  all'  insegnamento  della  lingua  italiana  il 
conoscimento  e  1'  affetto  del  massimo  nostro  poeta  in  Ame- 
rica. »  Son  passati  ormai,  egli  scriveva  nel  1833,  28  anni 
da  che  sono  in  America.  Conobbi  all'  arrivo  mio  che  niente 
si  sapea-  della  lingua  e  letteratura  italiana,  ed  animalo  da 
patrio  zelo  e  dall'  amore  del  bene,  credei  che  fosse  cosa  da 
me  l'introdurvele.  Se  quegli,  dicevo  io,  che  porta  un'erba 
salutifera,  un  fiore  leggiadro,  una  pianta  di  frutto  raro  in 
un  paese  straniero  è  dalla  gente  lodato,  di  quanta  maggior 
lode  non  dee  reputarsi  degno  colui  che  pella  prima  volta 
vi  porla  la  più  dolce  di  tutte  le  favelle  e  la  più  colta  e 
ammirabile  letteratura?  Io  toccava  1'  anno  56  quando  giunsi 
in  America,  e  all'  anno  59  mi  posi  al  nobile  cimento.  Sono 
vicino  al  85  o  in  questo  spazio  di  tempo,  io  solo,  io  non 
favorito  dalla  fortuna,  anzi  da  continue  disavventure  e 
peripezie  travagliato  e  sbattuto,  ebbi  il  costante  coraggio 
d' introdurre  e  questa  lingua  e  questa  letteratura  nella  più 
ampia  parie  del  globo,  d' instruire  più  di  due  mila  persone, 
di  spargerne  il  fulgóre  per  tutte  le  sue  principali  città,  di 
eccitare  1'  ammirazione  e  il  desiderio  de'  suoi  tesori  colle 
pubbliche  letture,  cogli  scritti,  colle  autorità,  coi  cataloghi 
degli  scrittori ...  Tolsi  più  di  24  mila  volumi  di  scelte  opere, 
e  quanto  di  più  mirabile  ha  l' antica  e  moderna  italica 
scuola  nelle  più  gravi  e  astruse  scienze  non  che  nelle  belle 
lettere  ed  arti  fu  recato  da  me  negli  stati  Uniti  d'America, 
incominciando  da  Dante.  -  Y.  La  divina  Comedia  interpre- 
tata la  prima  volta  da  Lorenzo  da  Ponte  agli  Americani, 
Lettera  dell'Ab.  prof.  Cav.  Bernardi  a  Guglielmo  Stefani, 
Revisla  Contempor.  fas.  89. 186  L 


THADUZIOM  TEDESCHE.  535 

V.  -  TRADUZIONI  TEDESCHE 

1767-60.  Bachenschwakz  L.  Dante  Allùjhieri  voti  der 
IlÓlle,  von  (lem  Fegfcner,  von  dem  Paradiese.  Aus  dem  Ita- 
lidnìschen  uberselzt  und  mit  Anmerkunfjen  begleìtet,  Leipzig, 
auf  Koslen  des  Uebersetzers. 

L' Inferno  del  Bachenschwanz  in  prosa  fu  pubblicalo 
nel  1767.  Questa  traduzione  trovò  tanto  favore  che  nel 
medesimo  anno  ne  convenne  fare  una  ristampa.  Ne'  due 
anni  susseguenti  tennero  dietro  il  Purgatorio  ed  il  Paradiso, 
e  queste  due  cantiche  furono  dedicate  all'  Imperatrice 
Catlerina  di  Russia.  Secondo  l'Arlaud,  alcuni  passi  vi  si 
veggono  resi  cos'i  fedelmente,  e  cosi  bene  che  bastano  essi 
soli  ad  attestare  la  capacità  del  traduttore  tedesco  [Vie 
du  Dante  p.  o'2;}j.  Il  Graesse  ìduììCQ  tres  fidele ;  Taillandier, 
mediocres  ébauches. 

1780.  Iageman  C.  L.  Weimar  -  Il  solo  Inferno  in  versi 
iambici  sciolti. 

1795.  Schlegel  Wilhelm,  Dante'  s  Hólle,  BìissungsweU  und 
Ilimmelreich,  nachgebìldet  und  erliiutert  (traduzione  libera 
tedesca  di  varii  frammenti  della  divina  Comedia).  Si  trova 
nel  Sagr/ìo  sopra  Dante  dello  Schlegel,  Berlino,  Borges  - 
Opere  dello  Schlegel,  raccolte  da  Eduardo  Bòcking,  Y.  III. 
p.  109-381,  Leipzig,  Weidmann  1846. 

La  traduzione  dello  Schlegel  è  ancor  sempre  inarrivabile.- 
Witte.  -  «  11  faut  attendre  les  fragmens  de  Dante  si  bien 
Iraduils  par  Wilhelm  Schlegel  pour  voir  s' ouvrir  ce  mou- 
vement  d'études  qui  ne  se  ralentit  pas  depuis  soixante 
ans.  L'exemple  de  Schlegel  inspire  de  studieux  disciples.  »  - 
Taillandier.  -  Della  versione  dello  Schlegel  scrivevami  un 
dottissimo  Alemanno:  Ex  his  quae  verlit  Schlegel  semper 
ingenìum  poetae  spirant,  qui  idem  Shakespearium  nobis 
donavit. 

1807-46.  Forster  Karl,  Dante'  s  Ilólle.  Fiinfter  Gesang, 
uberselzt,  Berlin;  Dresden,  Gottschalck,  1846. 

1809.  Kannegiesseu  C.  L.  (u  L.  Hain)  Dante'  s  gótlliche 
Komódie,  uberselzt  (in  terza  rima)  mit.  (30)  umrisscn  nach 


536  TRADUZIONI   TEDESCHE. 

Flaxman  u  IJummel  et  Àlias  in  4,  Amsterdam  e  Leipzig, 
Kuntz.  -  Leipzig  und  AUenburg,  Brockhaus,  1814  -  18*21  ;  id. 
1825  ;  id.  1832.  -  Mit  Dante'  s  Bildniss,  den  Pliinem  der  Halle, 
des  Fegefeuers  und  des  Paradieses  und  einer  Karte  von 
Oher-und  Mittel-ltalicn,  Leipzig,  Brockhaus,  1843,  id.  184(>. 

N.  a  Vandemark,  paesello  del  Brandeburgo,  1781;  m.  il  14. 
Settembre  1861. 

M.  Kannegiesser  donne  à  ses  compatriotes  la  première 
traduction  sèrieuse  de  la  divine  Comédie.  -  Taillandier.  - 
1  Tedeschi  non  furono  scossi  ai  tremendi  sogni  dell'Alli- 
ghieri  fino  a  che  non  vennero  loro  presentati  interi  e  in 
copia  fedele  dal  Kannegiesser.  Per  lui,  dalla  penomi)ra  in 
che  Bachenschwanz,  lageman,  e  Schlegel  aveano  collocalo 
il  genio  di  Dante,  comparve  questo  sfolgorante  di  luce  sul 
tripode  a  innamorare  di  sé  e  della  sua  nazione  i  robusti 
intelletti  germanici,  si  che  il  culto  del  divino  poeta  diventò 
un  bisogno  di  essi  a  progrediente  coltura,  e  la  sua  Comedia 
ebbe  molti  nuovi  traduttori...  Biografia  del  Kannefjiesser, 
Messaggìere  Tirolese,  24  Gen.  1862. 

1824.  Streckfdss  Karl,  Die  (jottliche  Komòdie  des  Dante 
Alliqhieri;  iihersetzt  und  erlaiitert,  Zweite  verbesserte  Ausffa- 
be  in  Einem  Bande,  Halle,  Schwetscke  u.  Sohn  ;  id.  Wien, 
Gerold,  1834;  id.  Dante  AUighieri'  s  gbttliche  Komòdie, 
Uebersetzf  erlciutert.  Halle,  Schwetschke,  n  Sohn,  1840;  id. 
Brunsvich,  Schwelschte,  1856.  (Mori  a  Berlino  nel  1844, 
Consigliere  intimo  attuale  di  reggenza). 

L'esperimento  dello  Streckfuss  gli  riuscì  felice,  non 
però  tanto  che  togliesse  altrui  la  speranza  del  meglio.  - 
Giuliani. 

1828.  Philaletes  (Giovanni  di  Sassonia),  Dante'  s  Gòttli- 
che  Komòdie.  Hòlle  (Gesang  i-x)  Metrisch  ilbertraqen  und 
mit  Erliiuterungen  versehen,  Dresden,  gedruckt  in  der 
Gàrtner'schen  Buchdnckerci  (in  versi  iambici  sciolti). 

1833.  —  Dante'  s  Goettliche  ììomódie.  Bólle.  (Gesang  xi. 
xxxiv.)  Metrisch  iibertragen  und  mit  kritisclien  und  histo- 
risclien  Erlàuterungen  versehen,  Dresden,  Id. 

1839.  —  Dante  Alighieri  s  Goettliche  Comoedie.  Metrisch 
iibertragen  und  mit  kritischen  und  historischen  Erliiuterun- 
gen versehen,    Th.  I.  Die  Hòlle.  Zweite  vermehrte  Auflage, 


TRADUZIONI   TEDESCHE  537 

uebst  einem  Tìtelhtpfer  von  M.  Bctzsch,  einer  Karte,  iind 
zwci  Grundrissen  der  ìJólle.  Dresden  a  Leipzig-,  Arnold.  - 
Tli.  II  :  Das  Fegefeucr.  i\ehsl  einem  Titelkupfer  von  H.  IJess, 
einer  Skizze  von  M.  Retzsch,  einer  Karie,  und  einem  Grun- 
drisse  des  Feyefeuers,  Dresden  u  Leipzig,  Arnold,  1840.  - 
Th.  Ili:  Das  Paradies.  -  Nebst  einem  Titelkupfer  von  E. 
Bendemann,  einer  Umschlagsldzze  von  L.  Ricliler,  einem 
Grundriss  von  Florenz,  einer  Darstelhiny  des  Sitzes  der 
Seligen  und  einer  Karte.  Dresden,    u  Leipzig,  1849. 

Il  benemerito  V.Eustachio  della  Latta,  (nato  in  Came- 
rino il  dì  8  Luglio  1816,  m.  il  24  Luglio  1857)  troppo  presto 
rapito  all'onore  delle  lettere  italiane,  lasciava  un  volga- 
rizzamento inedito  della  traduzione  e  delle  note  del  Prìncii)6 
Giovanni  Nepomuceno,  ora  re  di  Sassonia. 

Per  dare  a  conoscere  l' intendimento  che  l' augusto 
Principe  si  ebbe  in  questo  lavoro,  e  come  siasi  adoperato 
di  compierlo  degnamente  ci  piace  ai  riportare  parte  del 
Proemio  della  sua  traduzione.  -  Dante  è  da  lungo  tempo  uno 
degli  scrittori  a  me  prediletti,  e  le  malagevolezze  medesime 
eh' ei  presentava,  furono  per  me  un  nuovoj  incitamento  a 
consacrarmi  a  lui   con  affetto  ognora  più  vivo. 

L' impronta  caratteristica  d'  un  uomo  supremamente 
distinto  da  ogni  altro  ed  espressivo,  in  un  tempo  suprema- 
mente distinto  da  ogni  altro  tempo,  del  quale  non  posse- 
diamo altra  opera  sì  compiuta;  una  lingua,  che  tanto  più 
facea  contrasto  all'ingegno  del  poeta,  in  quanto  che  egli 
dovea  pel  primo  crearla,  l'alta  dignità  morale  e  la  diligenza 
infinita  nella  esecuzione,  mi  furono  d'un  attrattiva  irresi- 
stibile. 

La  divina  Comedia  mi  ha  sempre  avuto  l'aspetto  d'una 
cattedrale  gotica,  dove  il  sopraccarico  d'alcuni  ornamenti 
può  sì  offendere  il  nostro  gusto  raffinato,  intanto  che  la 
sublime  ed  austera  impressione  del  tutto  e  la  finitezza  e 
varietà  dei  particolari  ci  riempiono  l'anima  di  meraviglia. 
L'una  siccome  l'altra  sono  viventi  prodotti  di  quell'età 
feconda  di  commozioni,  di  quell'evo  medio  che  oramai  è 
tornato  un'altra  volta  in  onore. 

Con  questa  predilezione  per  Dante  s'accese  per  tempo 
iu  me  la  premura  di  renderne  la  grande  opera  nella  ma- 


538  TRADUZIONI   TEDESCHE. 

terna  mia  lìngua,  e  ciò  con  la  più  possibile  fedeltà  lelle- 
rale,  per  quanto  almeno  il  permettesse  lo  spirito  della 
lingua  tedesca,  e  non  solamente  la  grammatica  di  essa. 
A  questo  scopo  io  preferii  di  tradurlo,  esattamente  sì  se- 
condo la  quantità  sillabica  dell'originale,  ma  libero  affatto 
dalla  rima.  Io  sperava  con  ciò  d'essermi  proposto  uno  scopo 
diverso  da  quello  de' miei  predecessori,  intanto  che  quello 
che  inevitabilmente  io  perdeva  da  una  parte  nella  forma, 
era  forse  per  l'altra  parte  in  grado  di  guadagnarlo  con 
una  maggiore  esattezza  e  chiarezza,  al  che  io  pel  grande 
alleviamento  che  a  me  concedea  mi  tenni  doppiamente 
obbligato.  . .  Un  poeta  quale  si  è  Dante,  pieno  di  rapporti 
storici,  teologici,  astronomici,  ecc.,  non  si  potrebbe  gustare 
senza  annotazioni.  Io  però  mi  sono  limitato  solo  a  quelle 
che  sono  necessarie  all'intelligenza,  essendo  che  io  non 
pensava  a  scrivere  un  comentario. 

«  Le  roi  Jean,  plus  compiei  que  M.  Ozanam  dans  son 
appréciation  de  Dante,  interrogeant  dans  la  Divine  Comédie 
le  poète  et  riiistorien  en  méme  temps  que  le  théologien 
philosophe,  il  a  cependanl  une  préférence  marquée  pour  le 
disciple  de  saint  Thomas  d' Aquin.  Il  a  étudiè  à  fond  la 
théologie  du  XIF  et  du  XIIF  siede;  il  connait,  il  cite  lous 
les  passages  des  docteurs  qui  onl  inspiré  Alighieri.  Bien 
que  son  livre  ne  ressemble  pas  à  celui  de  M.  Ozanam,  il 
est  évident  qu'  une  méme  pensée  les  anime.  L' auguste 
écrivain  qui  se  cache  sous  le  noni  de  Philalélhès  n'a  pas 
loujours  réussi  dans  sajtraductiou  de  la  Comedia,  il  est  souvent 
pale,  diffus,  languissant:  son  commentaire  est  l'un  des  plus 
savans  et  des  plus  originaux  qu'ont  ait  écrils.  Or  Beatrice, 
en  ce  commentaire,  apparaìt  loute  resplendissanle  de  clartés. 
Certes  rien  ne  dispense  de  lire  le  texte  méme  de  Dante; 
c'est  là  qu'il  faut  voir  la  donna  du  poète,  unie  encore  à 
r  humanilé  dans  les  derniers  chants  du  Purgatoìre,  s'épurer 
peu  à  peu,  s'illuminer,  puis,  devenant  plus  belle  de  cercle 
en  cercle,  s'asseoir  enfin  sur  les  trónes  de  la  sainte  hié- 
rarchie  et»  se  faire  une  couronne  en  réfléchissanl  les 
éternels  rayons.  »  Le  commentaire  du  roi  Jean  ajoute  pour- 
tant  quelque  chose,  si  on  l'ose  dire,  à  ces  merveilleuses 
peintures.  L'interprete  s'efface,  ce  sont  les  maìlres  du  poète 


TRADIZIOM  TEDESCHE.  539 

(jui  prennent  la  parole.  Tous  ces  docteurs  dont  Beatrice 
résumé  renseignement  vlennent  lui  rendre  témolgnage,  et 
les  rapprocliemens  soni  sì  heureux,  les  cllalions  si  ben 
choisies,  que  la  glose  de  l'érudit  devient  une  oeuvre  d'art.  - 
Le  prince  Jean  est  deveiiu  roi  de  Saxe  le  9  Aoùt  1854; 
le  roi  Jean  est  reste  ce  qu'il  était  ;  il  più  illustre  fra  i 
cultori  di  Dante,  come  Tappelle  M.Charles  Wille.  Ghaque 
année,  le  jour  de  sa  fète,  M.  Witte  lui  dédie  quelque  étude 
de  philologie  dantesque,  en  italien  ou  en  allemand.  L'un 
des  plus  distingués  parmi  ces  frères  servans  dont  parie  M. 
Witte,  le  vénérable  M.  Blanc,  professeur  à  l'unì  versile  de 
Halle  et  docteur  en  théologie,  avait  publié  déjà  sous  le 
patronage  -du  prince  un  livre  d'une  rare  valeur,  le  Voca- 
bolario dantesco  ou  Dictionnaire  critlque  et  raisonné  de  la 
Divine  Comédie,  l.|Yol.  Leipzig,  1852.  Le  noni  du  roi  Jean 
est  inséparable  désormais  des  noms  de  Dante  et  de  Beatrice. 
Uva  quelques  années,  le  prince  était  gravement  malade, 
et  se  desolali  de  ne  pouvoir  mellre  la  dernière  main  à  son 
comnientaire  du  Paradis;  un  écrivain  du  nord  de  l'Alle- 
magne,  M.  Victor  Strauss,  composa  à  ^ette  occasion  de 
gracieuses  strophes  où  II  invoquait  Beatrice,  et  la  conjurait 
de  rendre  la  sanie  au  plus  dévoué  de  ses  fidéles.  Beatrice 
écoute  la  requète;  elle  envoie  Dante  auprès  du  prince  Jean, 
comme  aulrefois  Virgile  auprès  de  Dante,  et  le  poète  dévolle 
au  commentaleur  les  myslères  de  son  oeuvre.  N'y  a-t-il 
pas  quelque  chose  de  touchant  dans  celle  pieuse  commu- 
nauté  littéraire,  dans  celle  réunion  de  fratelli  cultori,  où  des 
hommes  tels  que  Schlosser,  Wegele,  Charles  Witte,  soni 
assoclés  à  l'un  des  souverains  de  l'Allemagne?  -  Citons 
encore  un  fait  qui  prouve  que  le  roi  Jean  est  depuis  long- 
lemps  apprécié  en  Italie.  L'abbé  Dalla  Piazza,  de  Vicence, 
avait  consacré  une  partie  de  sa  vie  à  traduire  en  vers 
lalins  la  Divine  Comédie.  Il  mourul;  en  1844  sans  avoir 
pu  imprimer  son  Iravail,  et  il  exprima  le  voeu  que  celle 
pubblication  fùt  falle  dans  le  royaume  de  Saxe.  M.  Charles 
Witte  a  accompli  le  voeu  du  sludieux  abbé  ;  il  a  publié  sa 
traduction  à  Leipzig,  et  l'a  dédiée  au  roi  Jean.  -  Saint-Bene 
Taillandier,  La  liltdrature  dantesque  en  Europe,  Revue  deux 
Mondcs,  l.«  Dee.  185G,  p.  506.  -  L.  Blanc  nella  Prefazione 


510  TRADUZIONI   TEDESCHE. 

alla  sua  versione  (1863)  ne  reca  questo  splendido  giudizio. 
Ove  si  voglia  aver  riguardo  alla  premura,  alla  diligenza 
e  all'accuratezza  nel  cercare  e  rinvenire  le  espressioni  cor- 
rispondenti, non  che  alla  ricchezza  ed  al  pieno  dominio 
della  propria  lingua,  non  si  può  non  asserire  che  la  ver- 
sione di  Giovanni  I.^  Re  di  Sassonia,  edita  sotto  il  nome 
di  Filalete,  non  tenga  il  primo  posto.  -  Ed  un  dottissimo 
Alemanno  pur  mi  scriveva  :  De  Philalete  pradicant  quod 
non  alter  tantum  adtulit  ad  expUcandum  poetam  difficilimum. 
Ejiis  adnotationes  plurimi  aeslimantur.  (1)  -  Il  Graesse  la 
ritiene  per  la  miglior  traduzione  Alemanna.  -  y.Rutli,  Dante 
von  Philalethes  [Ueber  die  Bedeutunr/  des\ir(jil  in  der  Di- 
vina Comedia.  Aus  den  Ueidelb.  Jalirbb.  de  Literatur.  1850. 
bcsonders  abgedruckt). 

1830-34.  Fromm  Leberecht,  Die  Dollenstrafe  der  Fròmmler. 
Zwei  'neuenldeckte  Gesànge  zur  llolle  des  Dante  Alifjkieri 
iibersdtzt  und  herausgegeben,  ecc.  Leipzig,  Weidmann. 

Dio  Ilóllenstrafe  der  Fr'ómmler.  Ein  neuentdechler 

Gesang  zur  Halle  des  Dante  Alighieri  ùbersetzt  itnd  heraus- 
gegeben.  {Nebst  der  Entdeckungsgeschichte  und  Anmerkungen) 
Leipzig,  Weidmann. 

1830-32  HoRWARTER,  J.  B.  -  e  K.  von  Enk,  Dante  Ali- 
ghieri s  gottiiche  Kombdie,  in  deutsche  prosa  iibertragen, 
und  mit  den  nothwendigsten  Erlduterungen  versehen  (Inferno 
e  Purgatorio)  Insbruck. 

1835.  Rousseau  Joh.  Baptl,  Dante'  s  Lobgesang  auf  den 
h.  Franz  von  Assisi  (ini  Farad.  Ges.  xi.) 

1836-37  Heigelin  Johan,  Friedrich,  Dante  Alighieri.  Die 
gottiiche  Komódie,  oder  Wallfarhrt  durch  die  drei  Geister  - 
Reich,  Halle,  Fegefener,  und  Paradies,  von  Dante  Alighieri 
(Peregrinaggio  attraverso  i  tre  regni  spirituali);  [rei  iiber- 

(1)  Tout  le  livre  II  du  traile  de  Monarchia,  si  brillamment  est  resumé 
dans  le  discours  de  1'  empereur  Justinien  au  6e  chant  du  Parudis.  En 
expliquant  ce  discours  de  Justinien,  le  roi  de  Saxe  a  jeté  la  plus  vive 
lumière  sur  le  système  politique  de  Dante.  Yoici  le  titre  de  l'ouvrage  du 
roi  de  Saxe,  publié  par  lui  sous  le  pseudonyme  de  Philalethes;  Dante 
AUighierV  s  Goettlicke  ComOdie,  metrisch  ùbertragcn  und  mit  hritischen 
und  historischen  Erlauterungen  versehen.  V.  Saint-René  Taillandìer, 
La  littérature  dantesque  en  Europe,  Revue  des  deux  Mondes.  1  Dee. 
185G,  p,  492. 


TRADUZIONI    TEDESCHE.  Mi 

■srtzt  und  mit  Anmerìnintjen  versehen  (libera  traduzione). 
Blaubeuren,  MangokI  (in  versi  sciolti). 

Di  questa  versione  mi  scrivea  il  sullodalo  prof.  Ale- 
manno: Prorsus  laude  caret  Uórwartcr,  cujus  prosaicam 
versìoncm  autumant  mclius  in  scrinus  latitasse. 

1841.  GusECK  Bern.,  (pscud.  di  Gustavo  de  Berneck)  Di^ 
góttliche  Komódie  voti  Dante  AUfihieri,  uebersetzt.  Mit  einem 
StahJstich.  Pforzheim,  Finck.  -  Stuttgart,  Rieger,  1855.  - 
Karl  Gustav  von  Berneck,  Bern.  Guseck,  Stuttgart  Niegr' 
sche  verlags  Buchehandlung,  1856. 

1841. Das  ìieue  Loben.  Aus  dein  Italianischen  ilber- 

sclzt  und  crlaurterty  Leipzig. 

1842-43.  Graul  Karl,  Dante  Alighieri^s  (jòttlichc  Kom'òdie 
in  s  Deutsche  ilbertrafjen  und  liìstorisch,  asthetisch  und  vor- 
nehmlich  theologisch  erlautert  ;  Th.  1.  Die  Ubile,  Leipzig, 
Dorflling. 

Il  Graul,  sacerdote  protestante,  si  sforza  di  continuo  di 
dimostrare  nelle  sue  dissertazioni  Dante  dissenziente  dalle 
cattoliche  dottrine;  e  mentre,  a  suo  malgrado,  si  trova 
costretto  a  confessare  che  il  poeta  non  è  dispregiatore  del 
passato  in  sé  stesso,  e  che  trovasi  «  non  poco  discosto  » 
dalla  perfetta  intelligenza  della  sostanza  della  riforma,  si 
consola  colf  avere  scoperto  che  il  Veltro  è  Lutero,  corri- 
spondendo lìnanco  le  lettere  del  nome.  Forse,  e  senza 
forse,  la  più  strana  tra  le  non  poche  strane  visioni,  dei 
comentatori  della  Divina  Comedia. 

1842.  Kopiscu  AuGUST,  Die  góttliche  Komodie  des  Dante 
Alighieri  Metrische  Uebersetzung  nebst  beigedrucktem  Ori- 
ginaltexte  mit  Erlliuterungen,  Abhandlungen  und  Uegister; 
In  einem  Bande.  Mit  Dantes  Bildniss  und  zwei  Karten  seines 
Welt-systems,  Berlin,  Enslin.  -  In  versi  sciolti.  -  li.  edizione, 
Berlino,  1862. 

Traduzione  in  egual  numero  di  versi  a  quelli  dell'ori- 
ginale, con  savio  consiglio  sciolti  da  rima . . .  Essa  ci  porge 
un  nuovo  esempio  della  pieghevolezza  e  della  Aicilità  con 
cui  la  lingua  alemanna  può  esprimere  un  qualsivoglia  con- 
cetto. Forse  sonvi  qua  e  colà  dizioni  intricale  anzi  che  no, 
molto  meno  però  che  in  altre  traduzioni,  avute  carissime, 
di  poeti  antichi;  cosa  da'  tedeschi  volentieri  sofferta,  tanto 


542  TRADUZIONI  TEDESCHE. 

che  alla  fedellà  serva  non  pur  de'  conceili  e  delle  figure, 
ma  ancora  della  misura.  La  quale  se  venne  dall'egregio 
traduttore  con  delicatissimo  scrupolo  mantenuta,  non  sem- 
pre per  avventura  fece  della  prima  altrettanto,  avviso, 
che  venne  anche  dai  critici  alemanni  troppo  severamente 
confermato.  PicchionL  -  Le  dissertazioni  aggiunte  alla  tra- 
duzione del  Kopisch,  dopo  quelle  di  Filalete,  sono  tra  le 
migliori,  ed  hanno  il  merito  particolare  di  dimostrare 
il  nesso  tra  il  poema  e  la  Bibbia,  coincidendo  in  tal  modo 
colle  spiegazioni  del  Tommaseo.  JSeque  improbantury  così  il 
ricordato  Professore,  versiones  Graul  et  Gusek:  non  ila 
laudatur  Kopisch,  potius  vUuperatur,  ut  qui  et  contra  sen- 
tentiam  poetac,  et  contra  poesìm  ipsam  multum  peccaverit. 

1849.  GòscHEL  C.  F.  Dante  Alighieri'  s  Osterfeier  im 
Zwillingsfiestirn  des  himmlìschen  Paradieses.  (  Gesang  xxiv- 
XXVI.)  Eine  Ostergahe,  Halle,  Miihlmann. 

1861.  WiTTE  Karl,  Die  ersten  Gcsànge  von  Dante'  s 
gottligher  Comódie,  Halle.  (Dedicata  al  Blanc.) 

1863.  Braun  Julius,  Dante  Alighieri  Die  Holle  fiir  das 
deutsche  bolf  bearheitet,  Berlin,  Berlag  von  Th.  Chr.  Fr. 
Enslin.  (pag.  356.)  Dante  Alighieri,  l'Inferno,  ridotto  pel 
popolo  tedesco.  La  traduzione  è  in  versi  sciolti.  -  É  prece- 
duta da  una  dissertazione  di  pag.  127. 

Dante,  cosi  l'egregio  Braun,  al  Prof.  Nicola  Gaelani 
Tamburini,  appartiene  all'universo;  e  la  patria  di  lui  è  la 
storia  dell'umanità;  ed  il  suo  giubbileo  sarà  anche  per  noi 
Tedeschi  un  punto,  onde  conteremo  le  stazioni  del  nostro 
progresso  sulla  strada  dell'umanità  e  della  libertà  nostra. 
Vi  è  un  fatto  assai  conosciuto,  che  col  mischiare  le  stirpi 
si  hanno  generazioni  più  vigorose:  né  altrimenti  avviene 
nella  provincia  dello  spirito,  perchè  nutrendo  il  genio  na- 
zionale col  genio  d'altre  nazioni,  si  producono  in  esso  i 
germi  fruttiferi  d'una  vita  più  virile,  e  si  dilata  quasi  il 
clima  morale  proprio  di  ogni  nazione ...  Io  credo  che  i  Te- 
deschi, dopoché  si  sono  abbastanza  arricchiti  del  genio  di 
Shakspeare,  devono  ade?so  far  loro  proprio  il  grande  Ita- 
liano... Dante  si  é  fatto  un  monumento  csre  perennius  tmWa. 
Divina  Comcdia,  monumento  che  durerà  fino  a  che  vi  avranno 
nomini   che  sappiano  comprendere   il  grande   ed   il  bello. 


TRADUZIONI  TEDESCHE.  543 

Egli  si  è  fatto  un  altro  rnonumenlo,  cioè  la  vostra  libertà 
e  la  fondazione  della  vostra  nazione...  Un  monumento  de- 
gno del  vostro  più  gran  genio  non  può  essere  una  statua, 
ma  un  grandioso  instituto,  una  università,  una  Accademia 
Allì(]hieri,  una  scuola  per  tutto  il  grande  ed  il  bello,  dal 
quale  confortata  la  generazione  futura  coronerà  la  grandezza 
e  la  gloria  presente  della  nazione....  (Rehme,  Vestfalia,  5 
Marzo  18G4). 

Né  sterile  si  fu  l'ammirazione  del  Braun  pel  nostro 
altissimo  poeta;  che  non  solo  cercò  con  lungo  studio  e 
con  grande  amore  1'  immortale  volume,  ma  volle  dargli 
nuova  veste  alemanna.  Di  questo  lodatissimo  lavoro  ebbi 
da  fonte  autorevole  questo  giudizio.  -  Quod  si  hucusque  Ires 
illi  priores  (Kannecjiesser,  Streckfuss,  Philaletes)  maxima 
gloria  ulebantur,  nec  suo  merito  unquam  erunt  destituti,  - 
forma  versìonum  in  nullo  ab  omni  parte  laudabilis  esse 
videtur  -  hodie  vcrslones  J  Braun  et  Blanc  haud  dubie 
primum  locum  obtinebunt,  ille  propterea  quod  studuil 
concinno  sermone  poetara  quasi  hospitem  in  Germaniam 
inducere:  lune  ea  qu»  versioni  pra^misit  lucide  et  bene 
scripta  sunt.  Nescio  an  Braun  in  futurum  ille  sit  qui  gustui 
Germanorum  imprimis  arrideal,  licet  terzinas  poematis  omi- 
serit  quas  servai  Blanc,  unus  ex  iis  qui  Dautem  per  totam 
vitam  pelracta veruni. 

18G4.  Blanc  L.  G.  Dia  góllliche  Knm'ódic  des  Dante  Alli- 
(fhieri  ueberselet  iind  erlautet,  mil  einem  Bildnisse  Dante  '  s 
von  Prof  hilius  Thiiter,  Halle. 

Le  ragioni  della  sua  versione  stanno  nella  prefazione  di 
che  cui  piace  di  recare  la  parte  più  importante. 

Chi,  al  pari  di  me,  per  molti  anni  si  occupò  dello  studio 
di  un  grande  poema,  sente  al  line  il  bisogno  di  pervenire 
ad  una  conclusione  de'  suoi  lavori.  A  questo  punto  due  vie 
gli  si  offrirebbero.  L' una  immensa,  lunga  e  diflìcile  ed 
affatto  impossibile  ad  un  uomo  della  mia  eia,  sarebbe  un 
profondo  (lomento,  ovvero  anche  una  rappresentazione  del 
suo  fine  e  del  suo  meraviglioso  organismo,  la  quale  abbrac- 
ciasse ogni  parte  del  grande  poema.  V  altra,  se  si  compari 
con  quella,  agevole  ed  attuabile  è  per  l'appunto  una  ver- 
sione del  lutto.  Questo  cammino,  come  il  solo  a  me  possibile. 


bA4  TRADUZIONI  TEDESCHE. 

io  ho  ballulo.  -  La  mia  traduzione  è  metrica  ma  senza 
rime,  primamente  perchè  io  non  son  poeta,  ed  in  secondo 
luogo  perchè  di  questa  sola  forma  mi  parve  che  si  potesse 
ritrarre  una  fedele  immagine  dell'originale,  la  quale  sovra 
l'odierno  leggitore  tedesco  facesse  presso  a  poco  la  mede- 
sima impressione  che  V  originale  sovra  gli  odierni  italiani. 
La  forma  delle  terzine  si  collega  intimamente  con  l'intiero 
organismo  del  poeta,  ed  olTre  però  al  traduttore  che  vuol 
serbar  la  rima  difficoltà  veramente  insuperabili.  Oltre  a  ciò 
accade  che  la  rima  tedesca  suona  all'  orecchio  infinitamente 
più  sorda  che  l' italiana,  e  giusto  per  ciò  vien  meno  notala. 
Tuttavia  questo  non  si  vorrebbe  mai  considerare  di  fronte 
air  essenziale,  all'  infinite  bellezze  di  espressione  che  si 
debbono  sacrificare.  Kannegiesser,  Grul  e  Gussek  oiTrono 
di  questa  opinione  la  più  compiuta  testimonianza,  e  lo 
slesso,  del  rimanente  molto  più  pregevole,  Streckfuss  ha 
pur  dovuto  far  molli  sacrifizii  di  cosiffatta  maniera.  -  Sem- 
brami all'  opposto  della  massima  importanza  esprimere  non 
solo  intiero  e  compiuto  il  senso  dell'originale  nella  versio- 
ne, di  modo  che  possibilmente  nessun  vocabolo  rimanga 
senza  traduzione,  ma  sì  ancora,  per  quanto  sia  possibile, 
mantenere  la  costruzione  e  la  disposizione  di  parole  proprie 
dell'  originale.  -  Cosi  pur  sembrami  non  solo  permesso  ma 
veramente  necessario  che  la  versione,  del  pari  che  l' origi- 
nale, riceva  una  lieve  tinta  d'  antico,  la  quale  offra  qua  e 
là  alcune  poche  voci  ed  espressioni  a'  dì  nostri  meno  ado- 
perate, alcune  più  forti  contrazioni  di  vocaboli,  alcune 
inusate  apostrofi  ed  alcune  trasposizioni  di  parole  meno 
usate,  non  troppo  tollerabili  per  verità  nella  prosa,  ma  qui 
per  l'appunto  imposte... 

L'endecassillabo  di  Blanc  è  facile  e  piano,  e  però  gua- 
dagna in  evidenza  ciò  che  gli  manca  in  eleganza.  Ad  un 
conoscitore  tanto  intimo  della  nostra  lingua  com'  è  il  Blanc, 
osserva  il  Degubernatis,  sarebbe  far  torto  ed  essere  forse 
indiscreti,  il  chiedere  alcun  ritocco  a  certi  luoghi  meno 
fedelmente  tradotti,  essendo  egli  per  io  più  traduttore 
perfetto.  Il  lavoro  di  Blanc,  conchiude  egli,  è  destinato  a 
divenir  popolare  in  Germania  ed  a  preoccupare  gli  sludii 
di  lutti  i  Dantofili;  la  sapienza  che  governa  l'insieme  e  la 


TRADUZIONI  TEDESCHE.  545 

diligenza  per  la  quale  hanno  come  una  propria  vita  le  sin- 
gole parli,  assicurano  T  immortalila  a  queslo  mirabile  fruito 
delle  veglie  dantesche  del  venerando  alemanno.  Di  questa 
versione  cosi  mi  scriveva  un  dottissimo  prof,  di  Monaco: 
Unus  ex  iis  qui  Dantem  per  totam  vitam  assiduo  studio 
pertractaverunt.  De  hoc  pubblicum  judicium  nondum  appa- 
ruit,  quantum  sciam:  mea  sententia  super at  multum  prioreSy 
ita  tamen  ut  fide  verborum  maxime  auctorem  reddere  stu- 
duerit,  vertendo  poetam  ìnterpretans.  E  d'  altra  autorevolis- 
sima fonie  ebbi  pure  queslo  giudizio:  E  una  versione  alla 
lettera,  quale  più  non  si  potrebbe  né  anco  in  prosa  italiana^ 
e  quindi  di  (jrande  utilità  per  V  intelligenza  del  testo,  e  a 
meglio  dire  per  sapere  come  ad  ogni  luogo  la  pensi  il  Blanc, 
eli  è  un  autorità  di  prima  riga. 

11  Goeschel  osservava  come  il  1853  fosse  una  specie  di 
centenario  per  lo  studio  di  Dante  in  Germania.  Isell'anno 
1755  il  poeta  cesareo  Niccolò  Ciangulo,  presso  gli  eredi 
Heinsius  in  Lipsia,  ha  stampato  da  principio  a  modo  di 
saggio  quattro  canti,  e  subito  dopo  l'intera  cantica  del- 
l'Inferno con  brevi  noie,  tolte  per  la  maggior  parie  al  \en- 
luri,  e  questa  si  fu  la  prima  edizione  apparsa  in  Germania... 
Queslo  primo  lentalivo  di  far  conoscere  Dante  in  Germania 
non  rimase  senza  effetlo  nei  tempi  posteriori.  Due  anni 
dopo  l'edizione  dell'Inferno,  noi  troviamo  Ciangulo  legato 
con  T.  L.  B.  Bachenschwanz  quale  edìlore  per  gli  scrini  ita- 
liani e  tedeschi,  e  dieci  anni  dopo  apparve  l'Inferno  di 
Dante  Allighierl  tradotto  da  L.  Bachenschwanz.  Questa  tra- 
duzione venne  in  tanto  favore,  che  nello  slesso  anno  fu 
mestieri  rifarne  la  stampa.  Nei  due  anni  susseguenti  tennero 
dietro  il  Purgatorio  e  il  Paradiso,  e  queste  due  cantiche  furono 
dedicale  all'  Imperatrice  Caterina  di  Russia,  appunto  come 
dieci  anni  prima  dal  librajo  veneziano  Zatla  era  stata  de- 
posta appiè  del  trono  della  czarina  Elisabetta  la  splendida 
sua  edizione  delle  opere  di  Dante.  Però  Meinhard  aveva 
già  in  qualche  modo  prevenuto  il  Bachenschwanz.  Eccitalo, 
com'egli  dice,  dal  vedere  che  un  critico  cosi  savio,  come 
il  celebre  Bodmer,  avea  desiderato  una  traduzione  della 
intera  Comedia  di  Dante,  stampò  nel  1763  ne'  suoi  Saggi 

VoL.  II.  35 


546  TRADUZIONI   TEDESCHE. 

sopra  il  carattere  e  l'opere  dei  migliori  poeti  italiani  un 
ben  inteso  e  non  breve  compendio  del  divino  poema.  Nel- 
l'anno 1795  furon  pubblicati  vari  frammenti  della  tradu- 
zione in  metro  di  A.  G.  Schlegel,  traduzione  ancor  sempre 
inarrivabile;  e  nel  1809  ebbe  luogo  la  prima  edizione  della 
traduzione  di  Kannegìesser.  -  Le  più  antiche  traccie  ch'io 
abbia  potuto  scoprire  intorno  allo  studio  della  divina  Co- 
media  nella  letteratura  tedesca  ascendono  ad  un  secolo 
anteriore  alla  prima  edizione  di  Ciangulo,  e  trovansi  nelle 
avvertenze  di  A.  Griphius  al  Moribondo  Papiniano  { 1659, 
verso  704).  Ivi  è  tradotta  una  parte  del  canto  dodicesimo 
dell'Inferno.  Un  secolo  addietro,  nell'estrema  parte  sud- 
ovest  della  Germania,  erasi  taluno  occupato  di  Dante  in 
uno  scritto,  più  tardi  interamente  dimenticato.  Neil'  anno 
1559  Gerolamo  Fricker,  presso  Oporino  in  Basilea,  pubblicò 
per  la  prima  volta  il  piccolo  libro  de  Monarchia,  ma  nello 
strano  errore  che  questo  fosse  lavoro  di  un  secondo  Dante, 
vìssuto  sul  finire  del  secolo  XV,  e  stato  in  amichevole  re- 
lazione con  Angelo  Poliziano.  Nello  stesso  anno  fu  pubbli- 
cato in  Basilea  per  opera  di  Giovanni  Heroldl  la  traduzione 
tedesca  di  questo  libro  (presso  Niccolò  Bischoff),  e  nel  1536 
apparve  di  nuovo  presso  Oporino,  per  cura  di  Schardius, 
una  edizione  molto  esatta  del  testo  latino.  Altre  ristampe 
se  ne  fecero  sul  principio  del  secolo  xvii  (1609  e  1610) 
in  Strasburgo  ed  Offenbach.  Il  Concilio  di  Costanza  desto 
in  Germania  le  prime  scintille  per  lo  studio  della  Di- 
vina Comedia.  Ad  istanza  di  un  Cardinale  e  di  due  vescovi 
inglesi,  Giovanni  di  Serravalle  scrisse  un  vasto  comen- 
tario  latino  sull'immortale  poema  di  Dante,  e  in  quello 
anno  medesimo,  in  cui  Girolamo  da  Praga  sosteneva  la 
pena  del  fuoco  innanzi  alle  porte  di  Costanza.»  Witte, 
Degli  studii  su  Dante  fattisi  in  Germania  nel  1855,  Blatter 
filr  Uterarische  iinterhaslung,  n.  2,  10  gen.  1856;  arti- 
colo riprodotto  dallo  Spettatore  di  Firenze,  4  Maggio 
1856  -  «L'Allemagne  y  brille  aussi  au  premier  rang  par 
les  qualités  qui  lui  sont  propres  ;  elle  a  reconstruit  le  sy- 
stème  de  Dante  et  retrouvé  l'unite  de  cette  grande  àme. 
Si  Dante  est  bien  compris  aujourd' hul,  e' est  à  elle  qu' il 
faut  en  rapporter  l'honneur.  Les  traductions  de  Streckfuss, 


TRADUZIONI   TEDESCHE.  04i 

«le  Kannegiesser,  aii  commencement  do  ce  siècle,  plus 
récemment  celles  de  M.  Auguste  Kopisch  el  du  roi  de  Saxe, 
donneraieni  lieu,  si  on  les  examlnail  en  délall,  à  plus 
d'un  reproche  sérieux;  les  Iravaux  des  hìstoriens,  les  dé- 
rouvertes  de  M.  M.  Charles  WiUe,  Franz  Wegele,  Émile 
Ruth,  les  patientes  éUides  du  roi  Jean,  sont  de  véritables 
conquétes  pour  la  science.  -  TuiUandicr,  Revue  des  deux 
Mondes,  1  Dee.  317.  -  Y.  Id.  p.  479. 

V.  -  TRADUZIONI  SPAGISUOLE,  CASTIGLIANE, 
CATALANE. 

1513.  ViLLEGAS  DOjs  PERO  Fernandez,  Arcediano  de  Rurgos. 
La  traduccion  del  Dante  de  lengua  Toscana  en  verso  castella- 
no: yporel  comentado  allende  de  losofros  glosadores  ;  por  la 
mandado  la  de  la  muy  eccelentc  Sennora  donna  Juana  deAra- 
(jon,  duquesa  de  frias  y  Condessa  de  Baro  fija  del  muy  pode- 
roso Rcy  don  Fernando  de  Castìlla  y  de  Aragon.  Umado  el 
calholico  Con  olros  dos  cratados  uno  q  se  dlze  querella  de 
la  fé  y  olro  aversi  on  del  mudo  y  covcrsio  a  dios  -  Impri- 
iniose  est  a  muy  provechosa  y  notabile  obra  eii  la  muy 
noble  y  mas  leai  cibdad  de  Burgos  por  Federique  alemau 
de  Basilea  ac  abose  Lunes  a  dos  dias  de  Abril  del  ano  de 
nuestra  redempciou  de  mill  y  quinientos  y  quinze  annos. 

La  traduzione  in  prosa  del  celebre  D.  Enrico  di  Aragona, 
marchese  di  Villena,  morto  nel  14S4,  è  tuttavia  inedita. 
Anche  la  Catalana  di  Andrea  Februcr,  (li2S)  la  più  antica 
traduzione  in  versi  in  una  lingua  moderna,  non  venne  mai  alla 
luce.  Si  conoscono  di  essa  due  manoscritti,  l'uno  all'Escurial, 
in  fogl.,  di  fac.  2G9;  l'altro  al  Convento  de'  PP.  Geronimiti 
di  S.  Michele  de  los  reyes  di  Valenza  extra  muros.  Il  Sig.*" 
F.  R.  Camboulill,  professore  di  retorica,  e  membro  della 
operosa  accademia  di  Mompellieri,  ci  diede  uno  squarcio 
di  questa  versione  di  merito  singolare  [Essai  sur  Vhìstoire 
de  la  littérature  catalane,  Paris,  1837).  Anche  il  S.""  Eugenio 
Baret,  professore  di  lettere  straniere  a  Clermont,  nel  suo 
bei  lavoro  Espaqne  et  Provence,  si  occupò  di  questa  notevole 
versione.   Y.  l'Articolo  del  Ycgezzi-Ruscalla,   Rcv.  Contcm- 


548  THADUZlOM    SPAG?>UOLE. 

poranea  di  Torino,  Decemijrc,  1857.  -  «  Je  ne  parie  pas  de 
r Espagne;  Danio  y  avait  pénélré  de  bonne  heure;  mai» 
rinquisition,  plus  sevère  que  J'église  romaine,  se  bàia  de 
jeter  l'inlerdil  sur  l'oeuvre  du  poèle  de  Florence.  Gel  inlerdit 
n'a  pas  élé  leve  par  la  curiosile  el  le  libéralisme  de  no» 
jours.  L' Espagne  avail  trop  à  l'aire  avec  sa  propre  lilléralure. 
Avant  de  réveiller  le  souvenir  de  Danle,  ne  fallail-il  pas 
lirer  de  l'oublì  les  anivres  nationales,  depuis  le  poème  de 
C id  imqiv'àwx  drames  de  Calderon?»  Saint-René  Taillan- 
dier.  (1) 

VI.  -  TRADUZIONI  SVEDESI  E  DANESI 

MoLBECU  CuR.K.  F.,  Guddomelige  Komcdie  Oversal  afM... 
Ejòbenhaven  -  Deel  (nondum  edita).  2.  Skiirsilden,  1855  ; 
Paradiset,  1862.     ' 

Secondo  Saint-René  Taillandier,  l'Inferno  sarebbe  slato 
pubblicalo  nel  1852. 

«  Traduction  en  vers  où  la  terza  rima  du  Florenlin  est 
employée,  m'assure-l-on,  avec  une  habileté  rare,  et  Iriomphe 
de  mainles  difficultés.  -  On  doit  aussi  à  M.  Molbech  un 
drame  en  vers  doni  Alighieri  est  le  héros:  Danle,  Copenha- 
gue,  1852.  L'  action  se  passe  sous  le  priorat  du  poèle  et  ■ 
se  termine  par  son  banissement.  L'oeuvre  de  M.  Molbech 
est  peu  dramalique,  mais  à  défaut  d'invention  elle  est  pleine 
de  senlimens  élevés  et  témoigne  d'une  connaisance  appro- 
fondie  du  sujet.  Saint-René  Taillandier. 

1853.  BoTTiGEs  Wilhelm,  1  primi  x  canti  dell'  Inferno, 
(ne' suoi  Jtalienska  studier,  Upsal).  -  «  M.  Botliger  étudie 
surlout  les  origines  de  la  poesie  italienne,  et  il  a  inséré 
dans  son  livre  une  traduction  svédoise  de  dix  premiers 
chanls  de  la  Divine  Gomédie.  »  -  Saint-René  Taillandier. 

....  NlLS  LOVVEN  ... 

(1)  li  Prof.  Gaetano  Viclal  sta  per  pubblicare  una  traduzione  spagnuola 
della  divina  Comedia  del  Sec.  XV  con  illustrazioni,  intorno  alla  quale 
lavora  da  sei  anni.  Questa  interessantissima  pubblicazione  sarà  seguita 
da  altra  traduzione  del  sacro  Poema,  fatta  dallo  stesso  Yidal,  parimenti 
in  lingua  spagnuola. 


TRADUZIONI   RUSSE.  549 

MI.  -  TRADUZIONI  RUSSE 

1843  Yan-Dima,  {Divina  Comoedia  Dantis  Alighcrii,  In- 
fevnum,  additis  delineationibiis  Flaxmanì  et  italico  textu. 
Versio  ex  italica  lingua  a  Y.  \an-Dima  reddita,  introductio 
et  vita  Dantis  a  D.  Struchow  facta  ;  St.  Petropoli,  Edilio  E. 
Fischeri). 

«  Déjà  en  1843  M.  Van-Dima  avait  publié  à  Saint-  Pé- 
lersbourg  une  version  en  prose  des  treule-lrois  chants  de 
V Inferno;  M.  Dmitri  Min  a  eu  l'ambitioa  de  les  reproduire 
en  vers,  et  son  oeuvre  a  élé  accueillie  avec  éloges  par  les 
critiqiies  du  Nord.  On  vanto  surtout  les  disserlalions  qui 
raccompagnent.  N.  Dmitri  Min  a  largement  mls  à  profit 
les  iravaux  des  Allemands;  il  cmprunte  beaucoup  d'idées 
à  M.  Wegele,  à  M.  Witle,  à  M.  Rulh,  au  roi  Jean,  mais  il 
y  ajoule  aussi  des  vues  qui  lui  soni  propres.  »  -  Saint-René 
Taillandier.  -  «  Ottimo  traduttore  in  versi  è  pur  anche 
Demetrio  Min  profes.  dell'arte  veterinaria  all'  università  di 
Mosca...  Tradusse  in  terza  rima  tutto  l'Inferno  di  Dante  e 
pubblicollo.  La  terza  rima  è  difticile  nella  lingua  russa, 
perchè  il  numero  delle  rime  non  vi  abbonda  come  nell'i- 
taliano, e  perchè  la  prosodia  russa  esige  un  ordine  tra  le 
rime  chiamate  masculine  ossia  tronche,  e  le  feminine  ossia 
piane,  lo  che  accresce  la  diflicollà  di  quel  metro.  Min  ha 
saputo  vincere  questa  difiìcoltà  con  arte  perfetta.  La  sua 
versione  di  Dante  è  così  fedele  che  fa  meraviglia  ai  cono- 
scitori del  testo  italiano.  Ma  il  gusto  del  pubblico  nutrito 
dagli  alimenti  leggieri  del  giornalismo,  non  sa  apprezzare 
tali  lavori,  e  la  traduzione  non  favorita  dal  pubblico  non 
avanza  e  non  si  vende.  -  Scev  ire  [-Rubini. 

«  Les  étais  scandinaves,  la  Russie  et  l'Amérique  en  soni 
au  poinl  où  nous  en  étions  nous-mcmcs  il  y  a  un  demi- 
siècle:  on  n'y  lit  encore  que  V Enfer.  Dante  n'est  pas  un 
de  ces  poètes  qui  peuvenl  élre  pénélrés  du  premier  coup. 
L'hislorien  Schlosser  a  lu  neuf  fols  la  Divine  Comedie  avant 
d' y  trouver  un  vrai  plaisir  ;  aujourd'  bui  il  la  lit  avec  en- 


550  TRADUZIOM   RUSSE. 

thouslasme,  cornine  un  bréviaire  de  morale  religieuse,  et  il 
commenlc  le  Para^is  dans  de  gracieiiscs  lellres  à  un  ami. 
11  faut  cello  volonlé  persévéranle  pour  forcer  la  porle  du 
sanctuaire.  L'inlilìalion  a  commencé  pour  l' Amérique,  la 
Russie  el  Ics  peuples  scandinaves.  Ce  Iravail  sera  mene 
à  bien,  et  Danle  aciièvera  ses  conquéles.  -  Ce  relour  uni- 
verse! à  l'elude  de  la  Divine  Conuklie  est  un  symplòme 
que  nous  rccueillons  avec  joie.  Il  senible,  au  premier  abord, 
qu'une  oeuvre  comme  celle  de  Danle  ne  doive  inléresser 
désormais  que  la  curiosile  des  érudils;  sa  cosmograpliie 
est  détruile,  ses  mysliques  éloiles  se  sontévanouies  devant 
la  sclence  de  Newton....  Sous  l'appareil  condamné  de  ses 
iiclions,  au  milieu  des  préjugés  d'un  autre  àge,  il  y  a  là 
une  inspiration  immorlelle,  la  passion  de  la  justice.  Ce 
poète  qu'  on  a  tant  éludié  au  point  de  vue  de  l' histoire 
el  de  Tari,  il  reste  à  l'inlerroger  encore  au  nom  de  la 
morale  militante.  Il  y  a  plus  d'un  rapport  enlre  Pascal  el 
Dante:  lant  que  durerà  l'humanilé,  les  Pensées  de  Pascal, 
et  surtout  sa  théorie  des  trois  ordres,  seront  la  nourriture 
des  àmes  fières  ;  tanl  que  les  lois  de  la  suprème  justice  ne 
seront  pas  exécutées  sur  la  terre,  la  Divine  Comédie  offrirà 
à  ceux  qui  souffrent  de  sublimes  consolations.  Aujourd' 
Imi  parliculièremenl  je  comprends  trop  pourquoi  Dante  peut 
devenir  un  des  poèles  favoris  de  notre  xix^  siede.  Danle 
élait  Seul  au  milieu  des  factions  qui  déchiraient  sa  patrie; 
supérieur  aux  lultes  de  son  temps,  ne  voyanl  partoul  que 
fraude,  convoitise,  faiblesse,  servilité,  c'esl-à-dire  toutes  les 
formes  de  l'intérét,  il  s'élail  réfugié  dans  la  cilé  ideale  con- 
struite  par  son  genie.  Nous  aussi  nous  sommes  mal  à  l'aise  dans 
ce  monde,  et  nous  apercevons  au-dessus  des  parlis  dévoyés 
l'éternelle  morale  qui  nous  offre  un  asile.  Cesi  làquesont 
les  ressources  de  l'avenir;  e' est  là  qu'il  faut  dépouiller  le 
vieil  homme  pour  «créer  l'homme  nouveau.  Au  milieu  de 
ses  extases,  Allighieri  était  une  intelligence  pralique  ;  il  ne 
séparait  pas  la  vie  aclive  de  la  conlemplation;  il  ne  s'esl 
jamais  détaché  de  la  terre  el  de  laréalilé.  Faisons  comme 
lui.  Soyons  notre  parti  a  nous  seuls,  recomposons  en  si- 
lence  l'elite  généreuse  dont  l'iiumanilé  a  besoin.  Ayons 
notre  enfer  el  notre  paradis  en  nous-mémes,  punissons  el 


TRADUZIONI   RUSSE.  531 

réconipensons  les  hommes  au  tribunal  secret  de  notre  con- 
science  ;  sachons  aimer,  et  puisqu'  il  le  faiit  aussi  en  ce 
triste  monde,  sachons  hair!  Sachons  aimer  le  bien,  sachons 
hair  le  mal  !  Entrelenons  en  un  mot  cette  force  spirituelle, 
celte  passion  du  bien,  cette  soif  de  justice,  qui  est  à  travers 
les  siècies  le  signe  inelYafable  du  grand  gibelin.  C'est  le 
meilleur  moyen  d'obéir  à  l'inscription  de  Santa  Croce:  Ono- 
rate r altissimo  poeta.  »  -Saint-Rene  Taillandier,  p.  150. 


BIBLIOGMFIA  DANTESCA  ITAllAM  (1) 


1.  -  VITA  DEL  POETA,  E  RICERCHE  INTORNO  LA  SUA  VITA 

Thouar  Pietro,  Dante,  Milano,  Ublcinì,  18b5. 

Il  Thouar  in  questo  suo  lavoro  ci  reca  la  biografia  di 
Dante,  coli' esame  della  sua  mente  e  delle  sue  opere,  e  un 
cenno  delle  vicende  storiche  e  letterarie  d' Italia,  secondo 
che  si  riferiscono  ai  casi  del  poeta,  o  al  concetto  della  sua 
poesia,  0  alla  luce  che  da  quella  si  riverbera  sugli  studii 
posteriori.  E  diviso  in  tre  parti,  determinate  dalla  natura 
medesima  del  soggetto,  la  vita  cioè  di  Dante,  V  esposizione 
del  suo  poema,  e  le  fasi  della  scuola  dantesca  in  Italia. 
L'intento  morale  che  si  palesa  da  tutte  le  pagine  di  questo 
volumetto  in  gran  parte  compensa  lo  scarso  concetto  let- 
terario di  qualche  suo  brano.  Se  v'  è  alquanto  debole  la 
parte  critica,  vi  ha  invece  un'elevatezza  di  sentimenti,  ed 
una  nobiltà  di  linguaggio  che  son  fatte  per  destare  ed  ac- 
cendere le  migliori  facoltà  negli  animi  giovanili.  Le  due 
prime  parti  sono  più  largamente  composte  ed  eseguite  con 
maggior  cura,  la  prima  specialmente  in  cui  si  leggono  pa- 
gine squisite  per  semplicità  e  per  robustezza  di  pensiero. 
Anche  l'esposizione  del  poema  è  fatta  con  cura,   ma  non 

(1)  Della  Ribliografia  dantesca  Italiana  ricordo  solo  le  opere  che 
vennero  scritte  dopo  la  pubbiiciìzione  della  pazientissima  ed  accuratissima 
Bil)liogralla  dantesca  del  Batines.  Degli  altri  autori  non  accenno  che  il 
nome,  giacché  se  volessi  tessere  il  semplice  catalogo  delle  opere  loro  non 
farei  che  ricopiare  il  Batines,  -  Debbo  poi  rendere  pubblica  testimonianza 
di  grato  animo  all'egregio  ed  erudito  Sig.  Francesco  Scipione  Fapanni 
di  Venezia,  appassionatissimo  ed  assonnatissimo  raccoglitore  delle  cose 
Dantesche,  che  eoa  cortesia  piuttosto  singolare  che  rara  mi  fece  copia 
della  sua  ricca  collezione,  qualunque  volta  me  ne  venisse  bisogno, 
onde  mi  venne  agevolata  la  fatica  delle  ricerche,  e  potei  notevolmente 
accrescere  il  mio  lavoro. 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  553 

forse  colla  pienezza  di  critica  necessaria  a  sviscerare  il 
concetto  della  divina  Comedia,  e  a  mostrarne  al  vivo  il 
carattere  e  l'importanza. 

Fraticelli  Pietro,  Storia  della  Vita  di  Dante  AUighieri, 
compilata  sui  documenti  in  parte  raccolti  da  Giuseppe  Pelli, 
in  parte  inediti,  Firenze,  Barbera,  18()1. 

II  libro  del  Fraticelli,  secondo  ch'egli  stesso  ne  dice 
nella  Prefazione,  contiene  tutto  quello  che  il  Pelli  raccolse, 
tranne  le  cose  evidentemente  erronee,  ma  non  è  uti  lavoro 
modellato  su  quello  di  lui,  o  di  qualunque  altro  biografo 
dell' AUighieri.  Ei  non  dà  una  nuda  raccolta  di  memorie, 
non  dà  una  vita  in  quel  largo  signiiicato  che  oggi  suol 
darsi  a  titoli  consimili,  ma  dà  una  storia  della  vita  di  Dante, 
compilala  sui  documenti,  e  scritta  con  quella  critica,  la 
quale  si  richiede  a  siffatti  lavori.  Ei  .rappresenta  l'  uomo 
nel  suo  secolo,  ma  non  in  modo  che  nella  storia  del  secolo 
scompaia  l'uomo:  la  sua  figura,  siccome  la  principale  in 
un  dipinto,  dee  campeggiar  convenientemente,  e  non  rima- 
nere affogata  dagli  accessorii.  Delle  questioni  letterarie  non 
volle  impacciarsi,  si  imprese  a  risolvere  le  storiche,  senza 
parte  e  senza  alcun  preconcetto. 

Gregoretti  Francesco,  Vita  di  Dante  AUighieri  desunta 
dalle  sue  opere  e  col  riscontro  delle  sue  alle  presenti  opi- 
nioni politiche  e  religiose  in  Italia,  Venezia,  Naratovich, 
Gennaio  18()4. 

Il  Gregoreili  fa  precedere  questa  breve  Annotazione: 
«  Questa  ^  ita  venne  scritta  e  si  pubblica  affinchè  ognuno 
possa  conoscere  agevolmente  leggendola  quanto  fu  grande 
l'Italiano  della  cui  nascita  si  sta  per  festeggiare  il  sesto 
secolare  anniversario.  » 

Mercuri  Filippo,  Quale  sia  stato  il  primo  rifugio  e  il 
primo  ostello  di  Dante,  Roma,  Pucinelli,  1814. 

Se  Dante  fosse  veramente  morto  nel  1321,   Napoli, 

Nobile,  1813. 

Telam  Giuseppe,  Intorno  alla  dimora  di  Dante  al  ca- 
stello diLizzana,  Rovereto,  Marchesani,  1834.  -  Lettera  in 
aggiunta  ad  altra  lettera  sua  intorno  alla  dimora  di  Dante 
al  castello  di  Lizzana,  Rovereto,  Marchesani,  1835  ^Opuscoli 
non  citali  dal  Ratines). 


554  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

Il  Telani  si  fa  a  provare  che  Dante  fu  ospite  in  Llzzana 
di, Guglielmo  di  Caslelbarco,  Signore  di  tutta  la  valle  La- 
garlna.  Ei  vuole  che  dal  castello  appunto  di  Lizzana  ei 
potesse  a  meraviglia  vedere  la  ruma  per  lui  descritta  al 
C.  xiii  dell'Inferno,  volgarmente  chiamata  gli  Slavini  di 
Marco,  dal  paesello  che  le  sia  di  presso.  Ribatte  l'opinione 
del  Cesari  che  ritiene  il  poeta  accennasse  a  quel  dirupo 
di  monte  stagliato  al  Castello  di  Pietra  ;  a  poca  distanza  da 
Calliano,  sulla  vecchia  via  da  Trento  a  Rovereto;  impugna 
pure  quella  del  Mafìei  che  asserisce  ricordata  la  ruina  della 
Chiusa,  presso  Rovereto,  seguita  nel  1310,  e  lo  scoglio  al- 
lora cadde  difatti  nell'  Adige  e  lo  percosse.  Francheggia 
la  sua  opinione  colle  parole  dello  storico  Ambrogio  Franco 
che  chiama  nobilissimo  il  paesello  di  Marco,  non  perchè 
vi  abbia  Dante  soggiornato  ma  perchè  nelle  cantiche  divine 
gli  abbia  dato  nominanza;  coli' autorità  del  Co.  Benedetto 
Giovanelli,  accuratissimo  investigatore  delle  patrie  memorie 
(Inspruck,  Wagner,  1832);  e  per  infmo  con  quella  del 
Petrarca  che  nell'Epistola  YI  a  Guglielmo  da  Pastrengo 
delinea  ad  evidenza  la  ruina  di  Marco:  Vidi  horrifìcam 
solido  de  monte  ridnam  ecc.  Molti  spositori,  non  eccettuati  il 
Tommaseo  ed  il  Fraticelli,  menzionano  la  ruina  di  Monte 
Barco,  presso  Rovereto,  il  qual  monte  non  esiste  neppure, 
come  osserva  il  roveretano  Telani,  ma  bensì  il  villaggio 
di  Marco,  che  come  si  è  detto  di  sopra,  è  assai  vicino  allo 
scoscendimento  descritto  dal  poeta.  Del  resto  il  Tommaseo 
consente  col  Telani,  tanto  più,  coni'  ei  dice,  che  la  ruina 
di  Monte  Barco  ha  alcuna  via  per  iscendere,  quella  della 
Chiusane,  almeno  adesso.  E  acciocché  regga  la  similitudine 
del  borro  infernale  qualche  via  ci  dev'essere;  e  V alcuna 
della  terzina  seguente  non  può  significare  nessuna.  Aggiun- 
gasi che  il  C.  xn  fu  probabilmente  composto  avanti  il  1310.  - 
y.  Ambrosi,  Comento  al  C  xu  dell'Inferno,  il  Mutuo  soccorso 
di  Rovereto.  (Strenna,  del  1864). 

ZoTTi  Raffaelle,  Della  Visita  e  dimora  dì  Dante  Allì- 
f/hieri  nel  Trentino,  Dissertazione  storico-critica  (pubblicala 
da  prima  nell'Appendice  del  Messaggere  di  Rovereto)  Ro- 
vereto, Caumo,  Luglio  18(54,  di  pag.  84. 

Premessa  la  storia  e  la  descrizione  del  castello  di  Lizzana, 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  555 

a  (lue  miglia  da  Rovereto,  il  Zotti,  francheggiato  (lall'autorità 
di  Ambrogio  Franco  (  n.  1559  ),  di  Michelangelo  Mariannl 
(sec.  XVII),  di  Jacopo  Tartarotli,  del  P.  Benedetto  Bonella, 
del  Co.  Adamo  Chiusole,  del  Cav.  Giuseppe  ValerlanoYanelti, 
ed  inoltre  del  Telani,  del  Pederzani,  ecc.  ei  prova  come 
Dante  visitasse  il  Trentino,  ospite  del  march,  di  Castelbarco, 
amico  degli  Scaligeri,  che  alternava  la  sua  dimora  tra 
la  valle  Lagarina  e  Verona.  -  E  da  prima  ei  prende  ad 
investigare  in  qual  anno  Dante  si  recasse  per  la  prima  volta 
a  Verona,  e  riportate  le  opinioni  del  Boccaccio,  del  Bruni, 
dì  Girolimo  Della  Corte,  del  Biondo,  del  MafVei,  non  che 
quelle  del  Lombardi,  del  Trova,  del  Fraticelli,  del  Tommaseo, 
conchiude  che  dal  Gennajo  loOS  al  Marzo  1304  trovasse  il 
primo  rifugio  e  il  primo  ostello  presso  il  gran  Lombardo. 
Ponendo  poscia  mente  come  nell'Inferno,  in  ben  tre  luoghi, 
nominasse  palesemente  il  Trentino,  ei  s'induce  a  credere 
che  lo  visitasse  prima  del  1308.  -  Oltre  a  ciò  prende  a  con- 
siderare le  ragioni  dell*  intimità  ed  amicizia  tra  gli  Scaligeri 
ed  il  Castelbarco,  onde  ne  trae  la  conseguenza  che  dal 
Castelbarco  fosse  invitalo  a  respirare  le  aure  fresche  delle 
valli  trentine,  a  deliziarsi  in  qtielle  amene  e  pittoresche 
vedute,  ad  inspirarvisi  in  Une  per  condurre  ivi  a  termine 
r  immortale  suo  lavoro. 

Ma  le  prove  le  più  sicure,  le  più  incontrastate  ei  le 
trova  nel  grande  volume.  E  di  certo  il  poeta  non  avrebbe 
potuto  ritrarre  con  tanta  evidenza  gli  Slavìni  di  Marco, 
giudicar  della  cima  del  monte,  onde  si  mosse;  conoscere 
come  da  quella  al  piano  la  roccia  è  sì  discoscesa;  non  avrebbe 
potuto  sapere  che  quantunque  selvaggia  aspra  e  forte,  pure 
alcuna  via  darebbe  a  chi  su  fosse,  se  non  percorrendo  e 
minutamente  osservando  tutta  la  ruina  nella  sua  vasta 
estensione.  -  ISè  la  magnifica  descrizione  del  Benaco  {ìoteva 
esser  fatta  con  si  evidente  geografica  precisione,  se  non  da 
chi  vi  ci  fosse  slato,  tanto  è  si  specificatamente  circonscritta, 
che  nessuno  potreblie.  meglio.  Un  novello  argomento  ei  lo  ri- 
trova nella  Chiarentana  del  C.  xv.  egregiamente  interpretala 
dal  Prof.  Lunelli  (Giorn.  La  Fenice,  1843,  p.  205  e  214  ;  Trento 
Monauni,  1864),  sicura  riprova  delle  cognizioni  locali  che 
Dante  possedeva  intorno  alla  topografia  del  Trentino,  cogni- 


ì)56  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

zioni  che  diftìcilmenle  avrebbe  potuto  procurarsi  a  quei  tempi 
così  poveri  di  mezzi  di  comunicazione,  se  non  vi  avesse  fatto 
lungo  soggiorno.  Anche  nel  L.  ii,  e.  15  de  Yuhjari  Eloquio  il 
poeta  parla  così  precisamente  del  dialetto  trentino,  da  dover 
inferire  a  bel  diritto  ch'egli  ne  avesse  perfetta  e  piena 
conoscenza.  Da  ultimo  il  Sig.""  Zotti  inclinerebbe  a  ritenere 
col  Vanetti  che  la  bella  montanina  che  in  mezzo  all'  alpi 
nella  valle  del  fiume  avealo  innamorato,  fosse  della  valle 
del  Lagaro,  appoggiato  anche  in  questo  ad  una  tradizione 
popolare,  riportata  da  un  frate  Carmelitano  di  Rovereto, 
{secondo  il  Zotti,  il  P.Francesco  daTrevigi)  che  nel  1550 
0  in  quel  torno  lasciava  scritto  :  Dante  visse  et  dimorò  per 
qualche  spatio  di  tempo  in  la  villa  di  Lizzana^  qual  è  pros- 
sima alle  rovine  di  Marco,  et  kivi  havea  la  sua  innamorata, 
come  ho  io  udito  per  tradizione  dalla  bocca  degli  piii  vecchi 
del  paese.  -  (V.  Giuseppe  Valeriano  Yannetti,  padre  del 
celebre  cav.  dementino.  Intorno  ad  alcune  circostanze  della 
vita  di  Dante,  e  dell'  aver  egli  dimorato  nella  valle  Laga- 
rina  e  quivi  composto  una  sua  canzone,  Lettera  al  Sig.""  Pietro 
Moneta,  fiorentino,  dei  3  Decembre  1757,  Venezia,  Zatta, 
1759). 

Bianchi  Ab.  Giuseppe,  Del  preteso  soggiorno  di  Dante  in 
Udine  ed  in  Tolmino,  durante  il  Patriarcato  di  Pagano 
dulia  Torre,  Udine,  Turchetto,  1844. 

E  divulgatissima  la  credenza  che  Dante  nel  1319  facesse 
non  breve  soggiorno  in  Udine,  ed  ospitale  accoglienza  vi 
trovasse  in  corte  del  Patriarca  Pagano  della  Torre,  ed  ivi 
componesse  alcuni  canti  dell'immortale  suo  poema,  ed  il 
Balbo,  il  Thouar,  il  Tommaseo,  il  Sigalas  ecc.  lo  ripetono 
nelle  lor  vite  dell' Allighieri.  Ma  il  Bianchi,  quantunque 
friulese,  combatte  gagliardamente  questa  asserzione;  im- 
pugna il  Candido,  che  solo  nel  1500  fu  il  primo  a  spacciare 
questa  favola  ;  sostiene  fosse  reso  impossibile  ogni  ravvi- 
cinamento fra  Dante  e  Pagano,  dalla  religione  non  meno 
die  dalle  politiche  opinioni,  dagl'interessi  rispettivi,  dagli 
obblighi  e  relazioni  antecedentemente  contratte.  Per  compro- 
vare le  venuta  di  Dante  in  Friuli  si  allegano  documenti  o 
che  non  esisterono  giammai,  o  che  si  vollero  in  un  incen- 
dio periti,  e  che  se  anche  tuttavia  sussistessero,  secondo 


BIBLIOGRAFIA  DAISTESCA  1TALIA^A.  557 

il  criterio  logico,  proverebbero  il  contrario.  Confuta  valorosa- 
mente Jacopo  di  Yalvassone  di  Maniago,  che,  primo  di 
tutti,  con  argomenti  all'atto  imaginari,  sognò  un  nuovo 
soggiorno  di  Dante  a  Tolmino,  additando  per  infino  uno 
scoglio  posto  sopra  il  fiume  Tolmina,  chiamato  sedia  di  Dante, 
e  volendo  che  quivi  scrìvesse  sulla  natura  de  pesci.  Ma  il 
Bianchi  con  prove  incontestate  ne  convince  che  i  Patriar- 
chi di  Udine  non  ci  ebbero  mai  stanza;  che  Soffumbergo,  e 
non  Tolmino  era  il  luogo  delle  loro  villeggiature  ;  che  Tol- 
mino fino  all'otto  Agosto  1319  fu  in  potere  del  Co.  di 
Gorizia;  e  con  altri  documenti  alla  mano  segue  il  Patriarca 
Pagano  della  Torre  per  tutto  il  resto  del  l'òl9  a  Cividale, 
ad  Udine,  a  Gemona,  e  ne  chiarisce  che  non  andò  mai  a 
Tolmino.  La  tradizione  essere  solo  appoggiata  all'ideale 
racconto  del  A'alvassone.  Da  ultimo  mostra  inefficaci  le 
prove  che  si  vorrebbero  desunte  dall'opere  del  nostro  poeta. 

Scolari  Filippo,  Del  doversi  scrivere  e  stampare  costan- 
temente Dante  AUiffhicri  con  doppia  l  e  non  altrimenti, 
Venezia,  1841  ;  Naratovich,  1861. 

Torri  Alessandro,  La  grafia  del  casato  di  Dante  AUi- 
ghieri rivendicato  alla  legitima  originaria  lezione  contro  l'uso 
erroneamente  invalso,  Lettera  al  cav.  Davide  Bertolotti,  II. 
ediz.  Pisa,  Prosperi,  1853. 

Aunms  DE  Riaks  Stefano,  Esercitazione  filologica  sul  ca- 
sato e  suir  arme  di  Dante,  Firenze,  Baracchi,  1853. 

Scolari  Filippo,  All' onorevole  Audin  de  Rians,  1854. 

Anche  la  grafia  del  casato  di  Dante  diede  luogo  ad 
accerrime  oppugnazioni.  Lo  Scolari,  il  Torri  ecc.  guerreggia- 
rono per  la  doppia  /;  il  Fraticelli,  Audin  de  Rians  per  la 
/  semplice.  Si  fecero  forti  i  primi  dei  codici  che  porgono 
il  casato  di  Dante  con  doppia  /,  i  quali  stanno  a  petto 
degli  altri  in  proporzione  di  g  ad  /  ;  della  forma  originale  e 
legittima  Aldìgkieri,  dalla  quale  ne  viene  pure  insepara- 
bile la  nuova  forma  Allighieri,  per  la  naturale  e  certa 
mutazione  della  d  in/;  dell'autorità  del  Bocaccio  che  nella 
vita  di  Dante  scriveva  che  alla  moglie  di  Cacciaguida,  la 
quale  era  degli  Aldighieri  di  Ferrara  piacque  di  rinnovare 
il  nome  de'  suoi  passati  in  un  suo  figlio,  e  nominollo  Aldi- 
ghieri, comecché  il  vocabolo  per  detrazione  di  questa  lettera 


558  BIBLIOGRAFIA  DA>TESCA  ITALIANA. 

(1  corrono  rimanesse  AUujhieri.  Ma  il  Fraticelli,  rovistando 
■pure  gli  antichi  documenti,  ci  prova  del  contrario:  de' 33 
esempi  ch'egli  ci  allega  quattro  sono  con  due/;  ventiotlo 
con  una  /;  uno  allatto  senza  /;  ne  aggiunge  che  mutavasi 
hensì  il  d  in  l,  solo  però  ove  11  d  si  trovasse  alla  /  pre- 
posto, ma  non  mai  in  caso  diverso;  da  ultimo  il  Fraticelli 
in  luogo  di  detrazione,  appoggiato  a'  codici  più  sicuri  ed 
antichi,  legge  sottrazione,  lo  che  muta  d'assai  il  senso  del 
concetto.  Ma  anche  comunque  leggere  si  voglia  quella 
parola,  ei  ritiene  francheggi  sempre  più  l'opinione  sua.  Né 
se  ne  cura  punto  dell' «/a  d'oro  in  campo  azzurro,  arme 
degli  Aldighieri,  perchè  quell'arma  fu  solo  assunta  alla  (ine 
del  secolo  XY,  od  al  principiare  del  secolo  XYI.  Ed  è  pur 
notevole  che  in  Firenze,  nel  Panteon  italiano,  si  legga  Ali- 
ghieri, con  un  solo  /,  e  sotto  la  statua  collocata  nel  Log- 
giato degli  Uffizi,  stia  scritto  invece  Allifjhierì  con  due, 
cosi  decretando  la  Deputazione  firentlna,  incaricata  della 
decorazione  di  quel  luogo.  Così  pure  nell' iscrizione  adottata 
nel  nuovo  Teatro  comunale  di  Ravenna,  teatro  che  fu  appunto 
intitolato  dal  nome  del  casato  dantesco,  si  legge  i/Z/iy/uer/, 
secondo  la  nuova  riforma  ortografica.  11  riputato  giornale 
il  Crepuscolo,  (  2(>  Dee.  1832)  dagli  argomenti  del  Torri  e 
dello  Scolari  vuole  definita  la  questione:  Carlo  Troya  ar- 
meggia invece  pel  Fraticelli  e  gli  dà  vinta  la  palma  {Del 
yeltro  allegorico  de'  Ghibellini,  Napoli,  185(),  370).  Ma  gli 
AHighieri  di  Verona  non  si  acquetano  agli  argomenti  del 
Fraticelli,  ed  il  Co.  Pietro  Serego  AHighieri,  discendente 
del  grande  poeta,  protestava  solennemente  di  non  voler 
mutare  la  grafia  del  suo  casato,  e  che  anche  per  l' innanzi 
continuerebbe  a  scrivere  AHighieri,  (Gaz.  di  Venezia,  18 
Maggio,  18GI)  -V.  Troya,  Del  Veltro  Allegorico  dei  Ghibel- 
lini, Napoli;  Vaglio,  1836,  p.  3G9.  Osservazioni  sul  Cognome 
di  Dante:  -  Secondo  il  Rians  la  I.  sentenza  di  condanna 
del  poeta  a'  27  Gen.  ha  Dante  AUaghleri:  la  seconda  del 
10  Marzo,  Danlem  Alaghieri  (Archivio  Rifor.  CI  2.  Dis.  5.  Cod. 
67,  libro  consulti. 

Dal  1300  al  1303  di  pugno  di  Bonsignore  olim  Gueczi 
civis  mntinensis  leggesi  costantemente  Dante  Ahgheri  con 
un  l  solo.   Nella  necrologia  delle  Monache  di  S.  Michele 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  539 

l)ubl)licata  da  G.  B.  Biancolini,  nelle  notizie  delle  Chiese 
veronesi,  i  discendenti  del  poeta  sono  nominati  ora  Aldi- 
geri,  0  Aligeri;  e  altri  discendenti  seppelliti  nella  Chiesa 
di  S.  Fermo  Maggiore,  Aligheri. 

MiNicn  Prof.  Serafino  Rafaele,  Del  cognome  di  Dante 
AlUghicrì  (Dissertazione  in  corso  di  stampa). 

Per  iscuoprire  ed  accertare  la  derivazione  del  cognome 
di  Dante  l'egregio  professore  si  vale  dell'irrecusabile  testi- 
monianza dello  stesso  Poeta,  che  intorno  all'origine  del 
suo  cognome  pose  nel  C.  xv  della  III  Cantica  sul  labbro 
del  suo  trisavo  Cacciaguida  queste  due  dichiarazioni:  Quel, 
da  cui  si  dice  tua  cognazione . . .  mio  figlio  fu  e  tuo  bisavo 
fue . . .  3Iia  donna  venne  a  me  di  Val  di  Pado,  e  quindi 
il  soprannome  tuo  si  feo.  -  Osserva  circa  il  primo  di  questi 
due  passi,  la  cui  significazione  è  abbastanza  manifesta  e 
comunemente  accettata,  che  da  Alighieri  od  Aldighiero, 
bisavo  di  Dante,  si  trasmise  il  cognome  alla  sua  famiglia, 
ma  esclude  l'induzione  o  l'insinuazione,  che  possa  inten- 
dersi per  parentela  femminile  il  vocabolo  cognazione,  il 
quale  presso  gli  antichi  scrittori,  e  nel  passo  presente, 
equivale  soltanto  a  consanguineità  maschile;  e  conseguen- 
temente possa  arguirsi  che  il  cognome  degli  Aldighieri 
derivasse  dal  easato  Aldighieri  della  moglie  di  Cacciaguida.  - 
Quanto  all'altro  passo,  eh' è  del  tutto  luminoso  ed  atto  a 
risolvere  la  questione,  egli  si  fonda  ad  interpretarlo  sulla 
congiunta  espressione  delle  tre  parole  irrefragabili  -  quindi - 
soprannome  -  e  si  feo  -  il  cui  retto  senso  non  può  soggia- 
cere a  controversie:  vale  a  dire  -  quindi  di  qui,  ovvero 
perciò  -  soprannome  tuo  -  un  soprannome  che  poi  appartenne 
anco  a  Dante,  essendone  divenuto  il  cognome,  e  -  si  feo  - 
cioè  si  fece  allora,  e  non  era  già  formato,  ossia  non  pre- 
esislcva.  -  Argomenta  pertanto  colla  guida  di  tutte  e  delle 
soie  parole  di  Dante,  che  dall'essere  venuta  dalla  vallo 
del  Po  la  donna  di  Cacciaguida,  siasi  creato  quel  soprannome 
di  Alighiero,  che  fu  poscia  il  cognome  di  Dante  :  e  perchè  nel 
medio  evo  si  estendeva  dal  Finale  di  Modena  o  dal  Bondeno 
sino  a  Ravenna  una  regione  palustre  detta  con  proprio  nomo 
la  Yalpadusa,  ossia  la  Fa/rf/Parfo,  congettura  che  dall'alighe 
di  cui  abbondava  quella  maremma,  sia  slato  allribuilo  al  figlio 


560  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

di  Cacciaguitia,  bisavo  di  Dante,  da' suoi  coiicilladini  Tequi- 
valente  soprannome,  e  quindi  provenuto  a'  suoi  discesi  11 
cognome  di  AUighieri,  cioè  portatori  di  alighe,  o  derivali  dalla 
regione  dell'alighe.  -  Qualunque  sia  il  grado  di  probabilità 
di  tale  congettura,  gli  sembra  ad  ogni  modo  che  il  detto 
passo  della  Divina  Comedia  contraddica  l' opinione  del 
Boccaccio  che  il  cognome  AUighieri  facea  derivato  da  quello 
degli  Aldighieri  di  Ferrara.  L'uso  poi  di  scrivere  AUighieri 
eoa  doppia  /,  da  lui  pure  adottato,  invalse  forse  per  quella 
opinione,  o  per  arbitrio  di  ortografìa,  o  per  l'obblio  della 
vera  origine  del  cognome  di  Dante  attestata  dallo  stesso 
Poeta.  Né  lascia  da  ultimo  di  risolvere  alcune  obbiezioni, 
rimosse  le  quali,  la  sua  congettura  acquista  maggior  grado 
di  verisimiglianza. -Questa  Memoria  fu  letta  all'Accademia 
di  Padova  il  di  8  Maggio  18G4,  cioè,  com'ei  cortesemente 
mi  scriveva,  nel  mese  stesso  che  ricorda  i  natali  di  Dante, 
e  quasi  alle  vigilia  del  sesto  secolare  loro  anniversario. 

STUDI  CRITICI 

Cantù  Ignazio,  Dante  considerato  come  uomo  di  scienza. 
Discorso  recitato  all'Accademia  tisio-medico-statistica  il  1  .^ 
Aprile,  1847. 

Mazzini  Giuseppe,  [Scritti  letterarii  di  un  italiano  vi- 
vente) Lugano,  Tipog.  della  Svizzera  italiana,  1847. 

Vi  si  trovano  gli  scritti  seguenti,  caldi  di  patrio  affetto, 
e  ricchi  di  acute  osservazioni:  Dante,  15  Sett.  IMI.  -  Del- 
l'amor  patrio  di  Dante,  prime  linee  scritte  dall'autore,  af- 
facciatosi appena  agli  studii,  1826.  -  Prefazione  all'  edizione 
di  Dante  Alighieri,  illustrato  da  Ugo  Foscolo,  1842.  -  Scrini 
Minori  di  Dante,  dalla  Forzign  Quaterly  Review. 

Dall' Ongaro  Francesco,  Sullo  stato  attuale  degli  studii 
danteschi  e  sulla  influenza  nella  letteratura  e  nell'arte  con^ 
temporanea,  Prelezione  al  corso  di  Lezioni  sull'interpreta- 
zione della  divina  Comedia  (Quaderno  YI  del  G'wrn. Euganeo, 
1847).  -  Perchè  il  poema,  di  Dante  sìa  il  piii  moderno  di 
tutti.  Introduzione  al  corso  di  Conferenze  sulV  Inferno  [Rev. 
Contemp.  Fas.  77-78,  Marzo  ed  Aprile,  1860.  -  Monumenti 
Danteschi,  Mondo  Illustrato,  1861. 


BIBLIOGRAFIA    DANTESCA    ITALIANA.  561 

Emill\ni  Giudici  Paolo,  (Compendio  della  Storia  della 
Leti.  itul.  Firenze,  Poligratia  Ital.,  1832.  Lez.  IV  e  V,  p.  73- 
125  ;  Storia  della  Leti.  Hai.  Firenze,  Le  Monnier,  1855,  Voi.  I. 
118-250.  -  Veggasi  il  Crepuscolo  1852,  p.  86). 

Cereseto  G.  B-,  Studi  sulla  Storia  letteraria  d' Italia.  - 
Dell'Europa  in  Italia,  considerata  in  relazione  colla  storia 
della  civiltà,  Torino,  Pomba,  1833.  -  Storia  della  poesia 
Italiana,  Milano,  Silvestri,  1857. 

In  tutte  queste  opere  del  Cereseto  vi  hanno  degli  arti- 
coli suU'Allighieri,  e  sul  suo  poema  che  si  raccomandano 
grandemente  per  calore  di  siile,  e  per  acume  di  critica. 

Agrati  Giovanni,  Manuale  di  Letteralnra,  poetico-cri- 
stiana.  Dante,  Milano  e  Lodi,  Wilmant,  1852. 

In  questo  Manuale  si  desidera  maggior  pienezza,  maggior 
diligenza  e  sodezza  maggiore  di  giudizii.  Il  più  dei  problemi, 
che  si  annodano  al  poema  dantesco,  sono  lasciati  in  disparte; 
alcuni  appena  accennati,  altri  mal  compresi  e  travisati  ;  la 
parte  storica  poi  vi  è  affatto  insufficiente  e  ribocca  d'ine- 
sattezze. Qualche  lato  più  comendevole  è  nella  dichiara- 
zione considerata  a  brani,  ma  anche  questa  manca  di  acconcia 
veduta  generale,  e  di  queir  esposizimie  dottrinale  che  sola 
può  dar  la  chiave  dell'intero  edilìzio  dantesco.  Quel  che 
troviamo  nel  libro  è  una  grande  e  sincera  ammirazione  pel 
sacro  poema,  la  quale  lo  trae  a  sentirne  e  a  notarne  qua 
e  là  le  bellezze  e  dichiararle  con  chiarezza  e  con  affetto. 
Considerato  parte  a  parte  ha  qualche  pagina  lodevole,  ma 
nel  suo  insieme  è  libro  non  bene  ordinato,  né  adeguato  al 
soggetto  che  tratta. 

Leoncavallo  Ruggiero,  Manuale  Dantesco,  Livorno,  Car- 
rozzi, 1853. 

L' autore  si  propone  di  farci  conoscere  le  condizioni  del 
secolo  e  del  poeta,  la  forma,  l'ordine,  lo  stile,  con  le  bel- 
lezze dì  che  si  fece  sovrano  modello  in  ogni  maniera  di 
comporre  il  divino  Allighieri.  L'orditura  è  buona,  ma  in 
molte  partì  il  libro  ci  sembra  assai  manco  ed  imperfetto. 
Noi  vorremmo  piuttosto  dare  ai  giovani  più  scarse  notizie, 
ma  più  piene  e  pensate.  -  E.  T.  P.  A.,  veronese,  nella  Rivista 
Ginnasiale,  fascic.  Maggio  e  Giugno  1855,  ne  dettava  un 
articolo  critico,  ma  torlo  e  preconcetto  ci  parve  il  giudizio: 
VoL.lI.  30 


ì)62  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

basti  solo  il  ricordare  che  appone  colpa  all'Autore  per  aver 
propugnato  l'autenticità  dell'Epistola  di  Dante  a  Cangrande 
Della  Scala. 

De  Sanctis  Francesco,  La  divina  Comedian  versione  di 
Fel.  Lamennais,  con  un  introduzione  sulla  vita,  la  dottrina 
e  le  opere  di  Dante,  Il  Cimento,  15  Luglio,  1855  -  Dello 
argomento  della  divina  Comedia,  Rivista  Contempor.  Nov. 
1857  -  Carattere  di  Dante,  e  sua  utopia,  id.  Gen.  1858. 
e-cc.  ecc. 

11  De  Sanctis,  napolitano,  successore  nell'  insegnamento 
della  gioventù  della  sua  patria  al  Puoti,  di  cui  fu  discepolo, 
professore  di  lettere  italiane  nel  Politecnico  di  Zurigo,  e 
già  ministro  della  pubblica  istruzione  del  regno  d' Italia, 
nel  1854  e  1855,  diede  a  Torino  un  corso  applauditissimo 
di  lezioni  sulla  divina  Comedia.  La  critica  del  de  Sanctis 
è  elevala  acuta  filosofica.  Il  saggio  delle  lezioni  ch'ei  diede 
alla  luce  ha  fatto  nascere  in  tutti  a  bel  diritto  un  vivissimo 
desiderio  di  vederle  pubblicate,  che  per  avventura  non 
avremo  il  comento  più  bello  della  divina  Comedia. 

BoRGHiNi  YiCENZo,  Ossevvazioui  sopra  le  bellezze  notate 
ne'  canti  dell'  Inf.  xvii-*xxiii.  -  Pensieri  diversi.  -  Ragioni 
che  lo  hanno  fatto  tornare  sopra  i  pensieri  che  in  giovanile 
età  avea  scritto  su  Dante.  -  Proprietà  del  parlare  di  Dante.  - 
Comparazione  fra  Dante  e  Petrarca.-  Yoci  antiche  innovate.  - 
Se  Dante  è  da  imitare  o  no.  -  Di  Forese  e  Guido  Caval- 
canti (Studi  sulla  divina  Comedia  pubblicali  per  cura  di 
Oli.  Gigli).  Firenze,  Le  Mounier,  1855. 

«  Poco  di  notevole  vi  ha  nel  frammento  intorno  alla 
bellezza  del  poema.  Più  bella  mi  pare  la  difesa  di  Dante 
contro  gli  appunti  del  Bembo  che  si  dilettava  più  della 
poesia  dolce  e  minuta  del  Petrarca,  che  della  grande  e  fiera 
di  Dante.  Il  confronto  tra  i  due  poeti  è  pure  assai  bello, 
dove  dà  la  palma  in  certo  modo  a  Dante,  anche  nelle  can- 
zoni, dicendolo  di  stile  più  profondo  e  più  alto,  e,  come 
dicevano,  più  tragico  e  magnifico.  Il  meglio  degli  studii 
mi  pare  la  parte  filologica,  messa  fuori  in  occasione  di 
alcune  noie  ridicolissime,  che  un  ignorante  avea  tratto  dai 
Yellulello.  L'  avversario  non  è  pregevole  che  per  aver  dato 
appicco  a  queir  uomo  inlendenlissimo  e  giudiziosissimo  di 


BIBLIOGRAFIA   DAMESCA    ITALIANA.  563 

sciorinare  alcune  proprietà  del  dire  fiorentino.  »  Crepuscolo, 
1855,  p.  128. 

Tossiti  Giovanni,  Dello  studio  morale  dì  Dante,  Orazione, 
Treviso,  Andreola,  1856. 

Guasti  Cesare,  Dello  studio  dì  Dalile  presso  gl'italiani 
nel  secolo  XIX,  Memoria  letta  all'Ateneo  Italiano  di  Firen- 
ze, 1857. 

Bertini  Giacomo,  Dante  e  le  lettere.  Orazione  inaugurale 
detta  nel  Collegio  di  Sale,  Tortona,  Rossi,  1857. 

Giuliani  Giambatista,  Delle  henemerenze  dì  Dante  verso 
V  Italia  e  la  civiltà.  Prolusione  alle  lezioni  sulla  divina 
Comedia,  detta  il  4  Marzo  1860,  nel  R.  Insti  luto  di  studj 
superiori  a  Firenze,  Firenze,  Tip.  Galileiana,  1860. 

Per  conclusione  delle  lezioni  sulla  divina  Comedia, 

Discorso  recitato  il  di  11  Giugno  nell'Instituto  di  perfezio- 
namento in  Firenze,  Firenze,  1863.  Tip.  Galileiana. 

Castrogiovanni  Giovanni,  Fraseologia  poetica,  e  Dizio- 
nario generale  della  divina  Comedia,  Palermo,  Lo  Bianco, 
1858-61. 

Granata  Mauro,  Cassinese,  da  Messina,  Florilegio  e 
Dizionario  dantesco,  Napoli,  Tipogr.  Carluccio,  1855. 

Il  Caslrogiovanni  ritiene  necessaria  una  Regia  Parnasi 
che  contenga  tutti  i  tesori  dell'italiano  Parnaso.  Ei  dice 
avervi  dato  da  più  anni  opera  assidua  e  laboriosa:  intanto 
prende  le  mosse  dal  più  degno,  ed  inaugura  l'opera  dal 
divino  poeta. -Il  Granata  dice  di  avere  attinto  nel  suo 
lavoro  «  qual  ape  industriosa  che  s'infiora,  tutto  il  mele 
della  divina  Comedia.»  Ilo  tutte  frugato  e  ritratto  al  possibi- 
le in  formole  generali  le  sue  bellezze  filologiche:  vi  ho  dato 
il  nome  di  Florilegio,  congiunto  a  un  dizionarietto  dantesco. 
In  esso  offre  esemplificate  il  più  delle  forme  elette  del  dire 
dantesco,  «  perchè  sieno  più  facilmente  imitabili  su  l'autorità 
di  questo  fabbro  del  parlare  materno,  che  sola  è  tanta  da 
poterci  condurre  ad  uno  siile  attico  si  nella  prosa  che 
ne'  versi.  » 

Suzzi  Celestino,  Illustrazione  de'  versi  del  C.x.  deW In- 
ferno: Filosofia  a  chi  l  intende.  Discorso  di  prolusione  agli 
studi,  letto  nel  collegio  Bosizio  di  Monza,  1863. 

In  esso  ne  dimostra  con  un  breve  e  succoso  lavoro  Tal- 


5C4  BIBLIOGRAFIA   DANTESCA    ITALIANA. 

lissiiiio  coiiccllo,  applicandolo  e  proponendolo  per  norma 
ben  ordinata  alla  istruzione  della  gioventù.  V.  Borghini, 
1863,  p.  127. 

GiAMBELLi  Carlo,  di  Morlara  (nel  prendere  la  laurea  di 
dottore  in  belle  lettere),  Dissertazione  sulla  divina  Comedia, 
Y.  Inslitutore,  1863,  p.  517. 

Ne  scrìssero  inoltre: 

Ambrosoli  Francesco  -  Angelini  Lodovico  -  Azzolino 
Pompeo  -  Bagnoli  Pietro  -  Bartoli  Cosimo  -  Borghi 
Giuseppe  -  Benci  Antonio  •  Bertini  Giacomo  -  Bian- 
cliini  Giuseppe  -  Brocclii  Giambatista  -  Cancellieri 
Francesco-Cerretti  Luigi -De  Cesare  Giuseppe -Cesari 
Antonio  -  Conti  Antonio -Corniani  G.B.-Crcscimbeni 
Giovanni  -  Dandolo  Tullio  -  Denina  Carlo  -  Fioretti 
Benedetto  •  Forleo  Leonardo  -  Foscolo  L'go  -  Gioberti 
¥icenzo  -  Gravina  Ticenzo  -  De  Gregorio  -  Leoni 
Carlo  -  lUaffei  Giuseppe  -  Damiani  della  Bovere  Te- 
renzio -  Mazzoni  Jacopo  -  Montanari  G.  1.  -  Montani 
L.  •  Monti  Vicenzo  -  ]\'apione  Galeani  de  Cocconato 
Giovanni  -  ]%[icolini  G.  B.  -  Paravia  Pier  Alessandro  - 
Parini  Giuseppe  -  Quadrio  Francesco  Saverio  -  Rosa 
Morando  Filippo  -  Rosini  Giovanni  -  Salii  Aurelio  - 
Sordo  Alessandro  -  Scolari  Filippo  -  Sperone  Speroni  - 
Tasso  Torquato  -  Tiraboschi  Girolimo  -  Tommaseo 
]\icolò  -  Torricelli  Francesco  -  Torti  Francesco  - 
Pecchioni  Carlo. 

STCDI  SII  TESTO,  FIIOIOGICI  ED  IlllSTRATIVl 

Zanni  de  Ferranti  Aurelio,  La  Comedia  di  Dante  Allighieri, 
Illustrazioni  antiche  e  moderne,  Parigi,  Baudry,  1846.  -  È 
intitolata  a  Yicenzo  Gioberti. 

Di  varie  lezioni  da  sostituirsi  nelV  Inferno  di  Dante, 

Saggi,  Bologna,  Marsigli  Rocchi,  1855. 

Le  lezioni  in  generale  da  lui  prescelte  recano  l'impronta 
del  buon  gusto  e  del  buon  senso.  Forse  il  lavoro  sarebbe 
stato  di  miglior  giovamento  se  invece  di  porgere  così  alla 
spicciolala  le  varianti  di  questo  o  di  quel  verso  ci  avesse 
recata  tutta  per  disteso  la  Divina  Comedia,  ponendovi  a 
tempo  e  a  luogo  le  varianti  co'  comentarii.  Due  cose  però 


BIBLIOGRAFIA    DAMESCA    ITAL1A>"A.  565 

scemano  pregio  all'opera  dello  Zani.  La  prima  è  il  poco 
conio  e  direi  quasi  lo  sprezzo  in  cui  tiene  la  lezione  vul- 
gata della  Crusca,  e  le  stoccate  che  quei  cattivelli  toccano 
sono  un  ritornello  ad  ogni  pie  sospinto  di  questo  libro.  Il 
Tommaseo  invece  voleva  che  quella  gli  fosse  norma  ordinaria, 
siccome  quella  che  gli  parca  consigliata  da  un  senso  della 
bellezza  delicato  e  sincero.  L'altra  cosa  che  ci  pare  nello 
Zani  riprovevole  è  quel  coniare  una  lezione  a  dispetto  di 
tutte  l'edizioni  e  dei  Codici,  od  abbracciarne  una,  benché 
sostenuta  da  pochissime  autorità  contro  la  comunemente 
abbracciata  per  la  sola  autorità  della  ragic^ne. 

SoRio  P.  Bartolommeo,  Sopra  un  iM^noscritto  della  Di- 
vina Comedia  posseduto  dai  Campostrini  di  Verona,  Verona, 
Sanvido,  1847. 

Lezioni  sopra  alcune  Correzioni  da  fare  alla  stampa 

della  divina  Comedia. 

Al  C.  IX  V.  37  dell'Inferno,  la  vulgata  ha  serpentelli  e 
ceraste  avean  per  crine.  Il  Sorio  trova  soperchia  la  parti- 
cella congiuntiva  e.  Francheggia  la  sua  lezione  coli' appoggio 
dei  Mss.i  Estensi  viii.  F.  22;  viii.  F.  21;  iii.  o;  e  dei  due 
codici  Campostrini,  e  dei  tre  del  Seminario  di  Padova  M." 
31(),  n.«  2,  2. 

Al  C.  XI.  V.  55  vuole  falsata  dagli  ammanuensi  la  lezione 
uccida  pur  lo  vincol  d'amor,  alla  quale  vorrebbe  sostituita 
incida.  Il  vincolo  s' incide  non  s|  uccide.  -  Al  C.  xii.  v.  10 
dee  leggersi  se  stesso  morse  e  non  se  stessa  esigendolo  il 
costrutto  accordato  colla  seguente  voce  quei,  pronome 
relativo  di  genere  mascolino.  Molti  codici  inoltre  da  lui 
citati  sulìragherebbero  la  nuova  lezione.  -  Totila  e  non 
Attila  fu  il  distruttore  di  Firenze  (Inf.  xni.  143),  e  il  P. 
Sorio  vuole  purgare  Dante  di  questo  anacronismo.  Accen- 
nate anzi  tutte  le  ragioni  onde  di  quei  tempi  confondevansi 
questi  due  nomi,  egli  ci  prova  come  Dante,  coerente  alla 
verità  slorica,  conlata  eziandio  da  Giovanni  Villani,  suo 
intimo  amico  (Vita  di  Dante  per  Filippo  Villani),  e  coerente 
a  sé  stesso,  cioè  al  suo  Vulfiare  Eloquio,  (IL  6)  leggesse 
il  verso  così  :  Sul  cener  che  di  Totila  rimase,  e  non  come 
fanno  le  stampe:  Sovra  7  cener  che  d'Attila  rimase.  -  E  vuole 
si  legga  al  v.  149  del  C  xiii  dell' Inf.  Io  fei  giubbetto  a  me 


1)66  BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  ITALIANA. 

delle  mie  case,  anzicchè  gihctto;  e  appoggia  questa  sua 
lezione  alla  postilla  pure  riportala  del  codice  Cassinese: 
Giuhbetum  est  quaedam  turris  Parisiìs,  ubi  homines  suspen- 
rìuntur.  Fu  dunque  mutala,  ei  dice,  la  lezione  testuale 
comune  giubbetto,  nell'altra  gibetlo,  ma  fu  fatto  non  bene, 
anzi  guastato  il  passo.  Giiibetto  volle  dire  e  non  gibetto  il 
poeta  a  far  recitare  a  quell'anima  disperata,  che  delle  sue 
proprie  case  fece  a  sé  quella  torre  di  cui  parla  il  codice 
Cassinese,  nella  quale  si  piantavano  le  forche  ad  impiccar 
per  la  gola  i  pazienti.  -  Al  C.  xv,  col  Mss.  Campostrini  ul- 
timo del  1558,  si  legge  il  terzo  verso  così:  Sì  che  dal  fuoco 
salva  l'acqua  gli  argini,  cioè  il  fumo  del  ruscello  adom- 
brando, e  lenendo  umida  e  pregna  di  vapore  acqueo  l'aria 
di  sopra  agli  argini,  li  salva  dalle  fiammelle  del  fuoco,  sì 
che  vi  si  possa  camminar  sopra  senza  essere  incese  le 
persone  dalle  tìiimmelle.  E  al  v.  27  dello  stesso  canto  ar-, 
risica  r  opinione  che  si  debba  leggere  -  Giace  poi  ceni'  anni 
Senza  rotarsi,  in  luogo  di  arrostarsi.  [Rev.  Ginnas.j  e  Voi. XI 
degli  Opus,  religiosi,  letterari  e  morali,  Modena,  Soliani  ). 

11  P.  Sorio  vuole  che  il  benemerito  D.  Barlolommeo  Pe- 
razzini  arciprete  di  Soave,  col  suo  aureo  libro  delle  corre- 
zioni da  farsi  all'  edizione  della  divina  Comedia  fosse  il 
primo  ad  iniziare  in  Italia  e  in  Europa  l' era  liantesca  a 
correggere  il  testo  dalle  troppo  false  lezioni.  [Il  vero  con- 
cetto cattolico  della  divina  Comedia.  Voi.  I.'^  Serie  11.^  degli 
Opuscoli  succennati)  Modena,  Soliani. 

V.  P.  Sorio,  Lezione  Accademica  sopra  tw  luoghi  della 
divina  Comedia  che  sono  tuttavia  da  emendare,  Milano, 
Centenari,  1855.  -  Lezione  sopra  un  passo  d^  Dante,  (C.  viii) 
tuttavia  da  correggere  colle  stampe,  Portogruaro,  Castion, 
1856,  ecc. 

Aneddoto  Dantesco  (Verona,  31  Agosto  1863). 

È  la  quarta  delle  sue  lettere  dantesche,  in  che  ci  dà 
una  nuova  interpretazione  di  un  terzetto  del  C.  i.  dell'  Inf. 
JSacqui  sub  Julia,  ecc.  Il  P.  Sorio  vuole  che  questo  ne  sia 
il  senso:  Nacqui  sub  Lucio  Julia  Caesare,  sotto  il  cui 
consolato  non  pur  nacqui,  ma  vissi  bensì  al  tempo  degli 
dei  falsi  e  bugiardi,  ma  colla  aspettazione  del  prossimo 
venturo  Messia,  di  che  era  tardi,  è  già  sul  finire  i^l  paganesimo  - 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  567 

11  lesto  secondo  la  lezione  addottala  dal  P.  Sorìo  uscirà  fra 
breve  unito  al  Comenlo  dell' Arcip.  Benassulti,  coi  tipi  del 
Civelli  di  Verona. 

AuDiN  DE  RiENS  STEFANO,  Delle  vcre  chiose  di  Jacopo  di 
Dante  AUighieri,  ad  esso  attribuite,  Firenze,  Baracchi,  1848. 

Comenlo  di  Anonimo  sopra  l  Inferno,  Firenze,  Ba- 
racchi, 1848. 

• Chiose  di  Jacopo  Allighieri  alla  Cantica  deW Inferno, 

Firenze,  Baracchi,  1848. 

Palesa  Agostino,  AUvj Inerì  Pietro,  il  Canto  sulla  Divina 
Comedia,  corretto  dietro  due  codici  del  secolo  XV.  Padova, 
Bandi,  1859. 

LoRiNi  Agramante,  Le  varianti  della  Divina  Comedia, 
tolte  dal  codice  membranaceo  cortonese,  Cortona,  Bimbi,  1857. 

N.  N.  (Marinoni  Giovanni),  Un  senso  letterale,  ed  alcuni 
ingegnosi  passi  della  Divina  Comedia  diversi  da  quelli  at- 
tribuiti ad  essi  dai  più,  accreditati  comentatorì,  Venezia, 
Cecchelti,  1850. 

Arcangeli  Giuseppe,  Lezione  letta  alV  Accademia  della 
Crusca  il  dì  27  Aprile  1852. 

In  essa  si  fa  a  difendere  i  tratti  pennelli  [Purg.  xxix.75) 
ricordali  dall' Allighieri,  contro  ì  pannelli  che  l'av.  Ferrari 
voleva  sostituire  col  suffragio  del  giornale  VEtruria,  e  non 
solo  difende  la  parola  ed  il  senso  che  le  fu  dato  dagli  Accade- 
mici della  Crusca  {pennello,  strumento  noto  dei  dipintori,  e 
non  Banderuola  o  Bandiera,  significazione  propugnata  dal 
Monti  e  dal  Biondi,  e  molto  prima  dal  Daniello),  ed  oltre 
agli  argomenti  già  tanto  calzanti  riportati  dall'accademico 
Del  Furia,  aggiunge  l'autorità  di  T.  Tasso,  che  intese 
nel  modo  stesso  quel  passo,  il  quale  nel  C  viii  della 
Gerusalemme  descrivendo  il  raggio  di  luce  che  dal  cielo 
scendendo  in  terra  illumina  la  morta  spoglia  di  Sveno, 
assimiglia  quel  raggio  ad  un  tratto  di  pennello.  Il  Gentili 
annoiando  quel  passo,  riporta  quello  dell'Allighieri,  e  spiega 
V  aureo  tratto  per  aurea  linea,  la  quale  non  è  che  uu  tratto 
0  flusso  del  punto.  -  11  Perticari,  il  Biondi,  e  il  Betti  co- 
mentano:  aveano  sembiante  di  banderuole  distese,  e  questo 
ultimo,  oltre  gli  esempi  del  Sacchetti  e  dell'Ariosto,  allegati 
dal  vocabolario  di  Bologna,  alla  voce  pennello  per  bande- 


568  BIBLIOGRAFIA    DANTESCA    ITALIANA. 

mola,  ne  aggiunge  due  altri  del  Pulci,  Ciri/fo  Cahanco,  I, 
126,  e  del  Berni,  Ori  Inn.  l.  xx,  19. 

Lezione  detta  il  8  Magfjio  1855,  sopra  la  voce  Borni 

del  C,  XXVI  dell'Inferno. 

Alla  voce  Borni  la  Crusca  col  Landino,  il  Vellulello, 
l'Alunno  diede  la  significazione  di  ciechi;  di  ladri  l'Ottimo; 
di  pietre  o  morse  che  sogliono  avanzar  fuori  d'alcun  muro 
il  Daniello,  il  Bergantino,  il  Lombardi,  il  Tommaseo,  il  Bian- 
chi ;  il  Parenti  col  Gherardini  ed  il  Tassoni  di  f/raffiature  e 
bernoccoli.  L'Arcangeli  vuole  illegittima  questa  lezione,  e 
francheggiato  dal  Bargigi  e  dal  Buti  la  cangia  in  buiore, 
come  voce  necessaria  al  senso  morale,  tanto  più  necessaria 
quanto  si  accorda  a  quello  che  il  poeta  avea  detto  nel  C. 
XXIV  s'  era  volto  in  giù,,  ma  fjli  occhi  vivi  ecc.,  e  cosi  il 
senso  corre  spedito  e  i  due  passi  che  si  richiamano  stanno 
d'accordo  meravigliosamente. 

In  un'altra  lezione  preparala  per  l'Accademia  della 
Crusca,  ma  che  non  vi  fu  mai  letta,  interpreta  la  parola 
penna  del  G.  xxiv.  Jnf.  v.  2  per  freccia,  o  strale  tempralo, 
sinedoche  usitatissima,  [Poesie  e  prose  di  G.  Arcangeli,  Y. 
IL  p.  124-148;  Ediz.  Barbèra,  1857.) 

Caetani  Duca  di  Sermoneta  Michelangelo,  Della  dottrina 
che  si  asconde  nell'ottavo  e  nono  canto  della  Divina  Come- 
dia,  Roma,  1852. 

Il  Caetani  vuol  provare  che  la  persona  la  quale  aprì  le 
porle  di  Dite  che  i  demoni  avean  chiuso  in  petto  a  Virgilio, 
non  fu  altrimenti  un  Angelo,  ma  il  figlio  di  Anchise,  l'eroe 
dello  slesso  Virgilio,  Enea!  Pare  strano,  ma  la  dimostra- 
zione è  tanto  ingegnosa  da  credere  che  colui  non  potè 
essere  un  angelo,  e  duole  di  non  poter  credere  che  sia 
stato  Enea. 

Landoni  Teodorico,  Dichiarazioni  di  alenili  luoghi  del 
Paradiso,  Proposta,  Ravenna,  Semin.  1855. 

Dichiarazioni  proposte  di  alcuni  luoghi  del  Paradiso 

di  Dante,  con  un  esame  della  bellezza  e  del  riso  di  Beatrice, 
U.^  ediz.  rivista  ed  accresciuta,  Firenze,  Le  Mounier,  1859. 

Il  Parenti  nelle  sue  esercitazioni  filologiche,  parlando 
del  Landoni,  lo  disse  un  ingegno  perspicace,  e  chiamò  sen- 
satissime le  dichiarazioni   di  lui,  invitando   il  modesto  e 


BIBLIOGRAFIA   DAMESCA    ITALIANA.  569 

ponderalo  critico  a  rendere  il  servigio  medesimo  agli  stu- 
diosi pe'  luoghi  delle  altre  cantiche  ove  abbia  trovato  da 
esercitarvi  similmente  l' ingegno.  Ed  il  Sorio,  dopo  aver 
paragonato  il  Landoni  al  Perazzini  e  al  Torelli,  soggiunge, 
rispetto  3i\V Esame  della  bellezza  e  del  riso  di  Beatrice,  che 
si  è  questa  tale  una  sintesi  del  Paradiso  dantesco,  che,  a  bene 
entrare  nello  spirito  di  tutto  questo  lavoro,  immensamente 
giova  la  chiave  che  il  Landoni  ne  dà,  ed  è  come  il  filo  da 
passeggiar  brevemente  e  senza  smarrire,  e  veder  tutto 
r  ordine  vero  e  diritto  di  questo  meraviglioso  edilìzio  intel- 
lettuale. Anche  il  iSannucci,  tanto  alieno  dall'  adulare,  trovò 
le  medesime  giustissime  e  dettate  con  fino  gusto  e  con 
raro  criterio,  e  il  Vannucci  molto  ingegnose  e  che  fan  bella 
prova  della  perizia  dell'autore  in  siffatti  studj. 

BoRGHiM  YiCENZO,  Varie  lezioni  cavate  da  antichi  codici 
della  divina  Comedia,  con  osservazioni  sulla  loro  bontà  e 
scelta  -  Errore  di  alcuni  Comentatori  di  Dante,  e  principal- 
mente di  un  falso  \ellutello.  Sensi  e  voci  dichiarate  nella 
lor  proprietà  e  valore  -  Riscontro  e  scelta  delle  varianti  di 
sette  manoscritti  della  divina  Comedia  -  \ocie  modi  dichiarati 
dal  Borf/hini  (Studi  della  dìv.  Comedia  per  cura  di  0.  Gigli, 
Firenze,  Le  Monnier,  1835). 

Il  Borghini  difende  Dante  dall'ignoranza  degli  espositori, 
che,  imperiti  di  lingua  toscana,  ne  manomettevano  il  lesto 
e  ne  corrompevano  l' intelligenza.  Con  questa  occasione  il 
Borghini  dimostrò  sì  bene  alcune  particolarità  del  dire 
toscano  che  le  sue  note  riescono  la  parte  più  ghiotta  del 
libro.  Né  inlese  soltanto  a  dimostrare  la  proprietà  ed  a 
spiegare  il  vero  valore  de'  vocaboli,  ma  altresì  a  sciorinare 
alcune  bellezze  del  divino  poema,  e  a  cribrarne  le  varianti, 
e  tutto  in  quello  stile,  e  con  quel  fare  che  muta  in  oro 
lutto  quello  che  tocca. 

Monti  Pietro,  Saggio  di  Vocabolario  della  Gallìa  cisalpina 
e  Celtico,  e  appendice  al  Vocabolario  dei  dialetti  della  città 
e  diocesi  di  Como,  Milano,  Tip.  Classici,  1856. 

Il  volume  di  questo  vocabolario  si  chiude  con  alcune 
illustrazioni  di  voci  della  Divina  Comedia  spiegate  colle  voci 
dei  dialetti  e  più  specialmente  di  quello  della  Yaltellina. 
Intorno  alla  briga  e  rapina  già  avea  pubblicalo  una  nota 


570  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

esplicativa;  ora  egli  spiega  il  gran  verino  nel  significalo 
proprio  di  serpente,  che  tale  suona  questa  voce  in  Valtellina  ; 
e  il  cantare  per  parlar  fuori  dei  denti,  voce  affatto  lombar- 
da, e  lo  sprangare  per  tirar  calci,  e  il  dismagare  per  privar 
di  sensi,  vocaboli  pur  essi  vivi  in  Yaltellina,  ed  altre  voci 
spiegate  similmente  con  riscontri  spagnuoli  e  celtici.  E  in 
tutte  queste  ricerche  appare  l'acume  e  il  sapere  dell'autore, 
il  quale,  anche  allora  che  non  coglie  esattamente  nel  vero, 
reca  però  luce  nuova  ed  ampia  nel  campo  da  lui  preso  a 
percorreire. 

ToDESCHiNi  Gius.  Interpretazione  letterale  di  tre  luoghi 
dell'  Inferno  di  Dante,  Padova,  Bianchi,  1856. 

ToDESCHiNi  Giuseppe,  Difesa  di  alcune  interpretazioni 
dantesche  impresse  a  Padova  nel  1856,  Padova,  Bianchi, 
21  Gen.  1857. 

11  Prof.  Todeschini  imprende  con  nuovi  argomenti  a 
provarci  che  1'  addieltivo  costretti  [Inf.  xvi.  21),  si  abbia  a 
collegare  non  cogli  spiriti  maledetti  del  v.  29,  ma  co'  tre 
cerchietti  del  v.  17,  e  che  il  vocabolo  valli  del  C.  xvui.  Inf, 
V.  9,  sia  feminino  e  non  maschile. 

Torri  Alessandro,  Sul  verso  9  della  Cantica  i.  di  Dante 
Allighieri,  esercitazione  accademica,  Pisa,  Prosperi,  1855. 

Nella  più  parte  dell'  edizioni  della  div.  Gomedia  il  nono 
verso  così  si  legge  :  Dirò  dell'  altre  cose  eh'  io  v'  ho  scorte, 
e  cos\  piacque  di  leggere  al  Gregoretti,  al  Tommaseo,  al 
Fraticelli,  al  Bianchi.  Il  Gelli  fu  il  primo  a  sostenere  la 
contraria  lezione  che  porta  alte  cose,  accettata  pure  da  V. 
Monti,  ed  ora  con  rincalzo  di  argomentazioni  fermamente 
propugnata  dal  Torri.  Ma  il  Gentofanti  in  un  ragionamento 
inserito  nello  Spettatore  di  Firenze,  studiavasi  dimostrare 
l'assurdità  della  nuova  lezione.  11  Giuliani  ne' suoi  Comentì 
sulla  divina  Comedia,  strettosi  al  Torri,  sostiene  gagliarda- 
mente essere  la  lezione  alle  più  propria  al  caso  e  indubi- 
tatamente la  vera.  Le  cose  che  Dante  vi  ha  scorte  accaddero 
fuori  della  selva  e  non  dentro  di  essa;  laddove  il  poeta 
vuol  parlare  di  quelle  che  ivi  cioè  dentro  vi  ha  scorte.  La 
divina  Gomedia  è,  e  si  deve  riguardare  come  una  poetica 
narrazione  della  mirabile  Visione  apparsa  a  Dante  presso 
a  due  anni  dalla  morte  di  Beatrice  (Par.  xviii.  28  -  Par. 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  571 

iixii.  130  -  Par.  xxxm.  140).  Ora  le  alte  cose  scorte  nella 
selva  sono  appunto  quelle  della  visione  che  iniagìna  essergli 
ivi  apparsa.  Il  primo  canto  non  è  che  il  prologo  della  div. 
Comedia,  era  necessario  che  quivi  si  dovesse  proporre 
r  intero  soggetto  di  essa,  e  questo  viene  a  meraviglia  costi- 
tuito dalle  alte  cose  manifestate  a  Dante  nella  sua  mirabiU 
Visione. 

SoLiTRO  Giulio,  Dichiarazione  del  r.lOS  del  C.4.  dell' Jnf. 
Torino,  Artero  e  Cotta,  1856. 

Il  Solitro,  esposte  alcune  idee  degli  spositori  intorno  al 
significato  riposto  di  quel  fiumicello,  si  studia  di  provare 
che  Dante  volesse  intendere  per  quello  la  lingua  latina.  «Il 
poeta  vuol  significare,  egli  dice,  che  all'educazione  dello 
intelletto,  v'era,  oltre  le  sette  scienze  del  trivio  e  del 
quadrivio,  rappresentate  dalle  sette  mura,  anche  un'altra 
difficoltà,  che  dovea  esser  vinta  anticipatamente,  cioè  la 
conoscenza  del  latino,  nel  quale  quegli  studi  eran  fatti.  Lo 
dice  fiumicello,  perchè  dell'ampio  fiume  della  lingua  di 
Roma  rimaneva  vivo  appena  un  ramo,  quello  usato  ne'  detti 
studi  ;  e  bello  perchè  il  latino  seguita  arte,  e  perchè  quella 
cosa  dice  V  uomo  essere  bella,  cui  le  parti  debitamente 
rispondono.  » 

Paremi  Marcantonio,  Esercitazioni  filologiche,  num.  17. 
Modena,  Soliani  (M.  in  Modena  il  2B  Giugno  186'2). 

Queste  esercitazioni  sono  veramente  un  preziosissimo  dono 
che  il  bravo  Parenti  era  solito  da  molti  anni  presentarci 
a  strenna  pel  nuovo  anno,  e  sono  correzioni  che  si  propon- 
gono al  testo  della  divina  Comedia,  o  spiegazioni  di  alquanti 
luoghi  controversi,  egregiamente  sì  quelle  che  questi,  secon- 
do il  consueto  di  sì  illustre  filologo.  «  Mai  non  furono 
strenne  Che  fosser  di  piacer  a  queste  iguali.  »  Noi  facciam 
voti  di  vederle  raccolte  in  un  solo  volume.  Il  Parenti  ci 
diede  pure  un  Saggio  di  un  edizione  della  divina  Comedia 
secondo  i  migliori  testi  colle  spiegazioni  più  necessarie. 

Lanci  Fortunato,  Della  forma  di  Gerionc  e  di  moiri 
particolari  ad  esso  demone  attribuiti,  secondo  il  dettato  della 
Comedia  di  Dante  Allighieri,  Lettera  al  chiaris.  prof.  Salva- 
tore Betti,  Roma,  tip.  Ajani,  1858. 

A  questa  lettera  vanno  congiunte  due  bellissime  tavole 


072  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALJANA. 

dove  è  raffigurala  mollo  (lilìgenlemente  la  immagine  della 
Frode  che  porta  Dante  e  Virgilio,  e  le  figure  idei  nodi  e 
delle  rotelle  di  cui  è  sparsa  la  pelle  del  mostro,  secondo 
il  concetto  del  poeta. 

Bernardi  Antonio,  di  Modena,  Sulla  vera  interpretazione 
del  famoso  verso  di  Dante  nel  Canto  sulla  morte  del  co.  Ugo- 
linOy  premessavi  un' Introduzione  di  G.  Fontana,  ed  agffiun- 
tevi  due  lettere  di  V.  Monti,  Venezia,  Marlinengo,  1858. 

Malvezzi  Giuseppe,  Intorno  alla  morte  del  co.  Uffolino, 
e  alla  retta  intelligenza  del  verso  75  del  C.  xxxiii.  (Discorso 
preceduto  da  una  lettera  dello  Scolari),  Venezia,  Naralo- 
vich,  1860.  (1) 

Betti  Salvatore,  Scritti  Varii.  (Dalla  pag.  351  alla  441 
vi  ha  una  serie  importante  di  lettere  dantesche.)  Firenze, 
Torelli,  1831). 

Tre  dialoghi  storico-critici,  Roma,  Aiani,  1858. 

BuscAiNO  Campo  Alberto,  Sopra  un  verso  della  divina 
Comedia,  non  inteso  dalla  comune  degl'interpreti.  Lettera 
al  Prof.  Gaelano  Daila,  (Trapani  10  Feb.  1858)  Palermo, 
1861.  -  Pubblicata  hqW  Iniziatore. 


(1)  11  Mcolini  nel  suo  bellissimo  discorso  del  sublime  e  di  Michelan- 
gelo scriveva:  L' AUighieri  nel  magnifico  episodio  del  co.  Ugolino  più  di 
orrore  ci  riempie  col  verso:  Poscia  piii  che  il  dolor  potò  il  digiuno, 
che  se  avesse  narrato  distesamente  come  il  misero  padre  divorò  le  membra 
dei  figli.  11  poeta  lasciò  figurarlo  alla  fantasia,  né  alcuna  reticenza  fu  mai 
più  sublime.  Queste  parole  del  Nicolini  aprirono  il  campo  ad  una  pole- 
mica non  ancor  decisa.  11  prof.  Barzelletti  proponeva  V  investigazione 
filosofica  patologica,  e  medico-legale:  Sulla  possibilità  o  impossibilità 
che  il  co.  Ugolino  sbramasse  il  digiuno  colle  carni  dei  propri  figli 
morti  per  esso,  Livorno,  Masi,  1826.  Seguirono  poscia  gli  scritti  del  Prof. 
Gazzeri  (14  Feb.  1826),  del  colonello  Gabrielle  Pepe  (1826)  del  Profess. 
Carmignani  (1826)  del  Prof.  Rosini  (1826)  del  Gav.  Vincenzo  Monti,  18 
Gen.  e  22  Feb.  1826  ;  dello  Scolari  (1827),  del  Micara  (1828);  di  L.  Mazzi, 
15  Giugno  1829;  di  Cesare  Lucchesini,  11  Giugno  1831,  ùì  Giuseppe  Far- 
dclla  (1826),  di  Gius.  Bozzo  1832,  di  G.  li.  e  G.  M.,  Agosto  1833. 


BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  ITALIANA.  b73 

IIIISTRATORI  DI  OUAICIIE IRSO  0  MI  DELLA  D.  COMEDIA 


Ansclmi  Domenico  -  Antoni  de  -  Ariib  Lelio  - 
Asquini  Fr.  -  Baji^noli  -  Barcelloni  -  Bartoli  Cosimo  - 
Basterò  -  Bernardi  ab.  Jacopo  -  Betti  Salv.  -  Biondi 
Luijs^i  -  Bonsi  Lelio  -  Borjs^liesi  Biomede  -  Bozzo  Giu- 
seppe -  Bride!  Luig^i  -  Buonntattei  Benedetto  -  Bulga- 
rini  Alessandro  -  Cannoli  A.  -  Cappello  A.  -  Cardona 
Gaetano  -  Carmignani  Giovanni  -  Cattaneo  Carlo  - 
Cavalieri  A.  -  Cavedoni  Al.  -  Cellini -Cerreto  da  G.B.  - 
Di  Cesare  Gius.  -  Colleli  Scip.  -  Costa  Paolo  -  Crolli» 
Domenico -Dal  Furia  Fr. -Della  Valle  P.-Dionisi-  (1) 
Eroli  di  Xarni  Giovanni -Falconieri  -  Fanfani  Pietro - 
Fardella  Giuseppe  -  Fazi  Antonio  -  Fea  Carlo  -  Fer- 
rucci L.  Grisostomo  -  Fiacchi  -  Francesconi  -  Galvani 
Giov.  -  Garg^allo  Tommaso  -  Gazzeri  -  Gelli  -  Gigli  - 
Guzzoni  degli  Ancariani  -  Imbriani  -  Lampredi  Lr- 
bano  -  Lanci  Fortunato  -  Lucchesini  Cesare  -  ]flaga- 
lotti  Lorenzo  -  Iflanuzzi  Giuseppe  -  IVIorsari  -  martelli 
iV'icolò  -  ITIassedaglia  -  Ifleconi  Baimondo  -  Iflercurl 
Filippo  -  mezzanotte  -  micara  Clemente  -  montanari 
Ignazio -montanari  Can.  Giuseppe -montani  E. -monti 
Vi  ne.  -  mazio  -  muzzi  L.  -  i\annucci  V.  -  ]\apione 
Giovanni  -  ì\adi  L.  -  l%icolini  G.B.  -  Ottonelli  Giulio  - 
Panciani  G.B.  -  Parenti  m.  A.  -  Pepe  Gabrielle  -  Per- 
ticari  Giulio  -  Perticar!  Costanza -Pf  ruzzi  Agostino- 
Pezzana  A.  -  Picei  G.  -  Piccini  Balbi  Doralice  -  man- 
zoni  Giuseppe  -  Pontam.  A.  -  Bedi  Francesco- Renzi  - 
Riccardi  del  Vernaccia  Francesco  -  Ricci  Domenico - 
Ridoìfi  -  Rinuccini  Annibale  -  Rosini  Giovanni  -  ^al- 

fl)  L'erudito  marchese  Giangiacomo  Dionisi,  canonico  fleUa  catledrnle 
(li  Verona,  fu  il  primo,  massimamente  co'  suoi  Aneddoti,  quanto  trascurati 
vivente  l'autore,  altrettanto,  lui  morto,  avuti  a  pregio  e  cercati  al  maggior 
prezzo  dai  letterati,  di  propagare  in  Italia  e  in  Europa  la  scuola  della 
Illustrazione  storico-critica  ed  allegorica  della  divina  Comedia.  Monsignor 
Dionisi  inizio,  si  può  dire,  con  maggiore  apparato  di  erudizione  la  scuola 
dantesca  illuslraliva  del  poema  divino,  e  quasi  sovrabliondò  di  notizie 
recondite,  tratte  dai  documenti  più  rari,  ad  interpretare  il  concetto  di 
Dante,  sia  nella  storia,  sia  nel  velame  allegorico  -  /'.  Soriu. 


574  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

Tini  Antonmaria  -  [Scolari  Filippo  -  (Silvestri  Giu- 
seppe -  Spitorno  B.  -  ìStigliani  Francesco  Tomaso  > 
Strocchi  Dionigi  -  Strozzi  Giovanni  -  Strozzi  Ales- 
sandro -  Talentone  Giovanni  -  Tanci  IMario  -  Taverna 
Giuseppe  -  Tommaseo  IV.-Taccolini  Domenico  -Vanni 
Cosimo  -  Tarclii  Benedetto  -  ¥enturi  -  Verati  B.  - 
Zaccheroni  -  Zeviani  G.  B. 

ILLUSTRAZIONI  STORICHE 

CuRTi  Pier  Ambrogio,  Istorie  italiane  del  secolo  XIII, 
narrate  colla  scorta  della  divina  Comedia,  Milano,  Ricchini, 
1854. 

«  Lo  scarso  e  scomposto  lavoro  d' arte  che  può  farsi 
col  metodo  adottato  dal  Sig.  Curti  non  compensa  del  man- 
cato alimento  di  storia  che  vi  cerca  il  lettore  ;  peggio  poi 
se  la  parte  inventiva  stuona  colla  grandezza  delle  cose 
note  e  reali,  e  offende  quelle  imagini  poetiche  le  quali 
stanno  religiosamente  impresse  ne'  nostri  animi .....  Non 
diciamo  che  tutto  in  questi  schizzi  storici  sia  del  pari  me- 
ritevole di  critica.  Vi  ha  qualche  tratto  scritto  non  senza 
cura,  e  con  qualche  ricerca  di  erudizione  non  sempre  infelice. 
Ma  l'arte,  della  quale  sembra  che  l'autore  abbia  mirato 
principalmente,  è  poca,  e  le  diverse  narrazioni  non  sono 
concepite  e  disegnate  colla  perizia  che  richiederebbero.  La 
storia  e  l'invenzione  vi  sono  mal  connesse,  e  talora  l'eru- 
dizione e  la  critica  entrano  in  una  scena  a  soffocare  l'una 
e  l'altra,  senza  esservi  chiamate  dalla  necessità  del  soggetto.» 
Crepuscolo,  1855.  46. 

Cereseto  G.  B.,  Rafiionamento  storico  sull'Italia  del  Medio 
Evo  per  servire  d'  introduzione  allo  studio  della  divina 
Comedia. 

Tonini  L.  Memorie  storiche  intorno  a  Francesca  da  Rimini, 
con  appendice  di  documenti,  Rimini,  Ercolanl,  1852. 

Risposta  alle  osservazioni   di  M.  Marino   Marini 

intorno  la  Francesca  di  Rimini,  Rimini,  Ercolani,  1853. 

In  questa  memoria  il  Tonini  prova  che  il  primogenito 
dei  Malatesta  era  Paolo  che  nel  1260  avea  menato  in  mo- 
glie la  ricca  erede  del  patrimonio  e  dei  titoli  dei  conti  di 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  575 

Chiagglolo,  e  che  Giovanni,  lo  Sciancato,  solo  nel  1275 
erasi  impalmato  con  Francesca  da  Rimini,  matrimonio  pat- 
teggiato come  condizione  e  conseguenza  dell'opera  prestata 
dai  Rimìnesì  ai  Ravennati  per  assicurarsi  dell'agognata 
signoria.  In  tale  congiuntura  le  due  famiglie  che  prima 
mortalmente  si  nimicavano  vollero  doppiamente  stretti  i 
legami  di  parentela,  giacché  Bernardino  di  Polenta,  fratello 
di  Francesca,  condusse  in  moglie  Maddalena  Malatesta  da 
Verrucchio,  sorella  di  Paolo  e  di  Giovanni.  -  Il  Gennarelli 
vuole  accaduta  l'uccisione  dei  due  amanti  nel  1285.  -  M.*" 
Marini  riliene  che  S.  Arcangelo  nell'Agosto  del  1289  sia  stato 
il  teatro  di  questo  tragico  avvenimento;  Pietro  Yeroli  e  Teo- 
filo Betti  vogliono  Pesaro,  lo  che  verrebbe  a  consolidare  una 
lapida  in  caratteri  semigolìci  di  recente  rinvenuta  a  Pesa- 
ro; da  cui  è  manifesto  che  Giovanni  di  quell'anno  era  ivi 
Podestà  ;  il  Tonini  e  Giov.  Andrea  Corsucci  a  Riminl,  e  questo 
ultimo  soggiunge  che  i  due  cadaveri  furono  sotterrati  nella 
Chiesa  di  S.  Agostino.  Il  Gennarelli  dal  racconto  del  Boc- 
caccio, e  dalla  lapida  appunto  scoperta  a  Pesaro  (1),  si  fa 
forte  a  provare  che  a  Rimini  si  sia  consumata  la  colpa 
e  la  vendetta.  Cosi  la  narrazione  del  Boccaccio  riceve  con- 
ferma dai  nuovi  documenti,  e  i  documenti  stessi  valgono 
a  determinare  una  data  controversia  e  a  rendere  indubi- 
tabile quello  che  d'incerto  ha  lasciatoli  Boccaccio  nel  suo 
Coraentario. 

Selmi  Francesco,  Di  alcuni  tratti  e  dell'intero  episodio 
di  Francesca  da  Rimini  (Rev.  Cont.  Dee.  1862,  p.  430-467). 

Il  Selmi  anzi  lutto  si  trattiene  ad  investigare  il  valore 
del  vocabolo  Animai  ( /n/".  v.  88.  ),  e  ne  prova  per  via  di 
esempi  non  aver  altro  significato  nella  consuetudine  comune 
che  di  creatura  animale  e  razionale,  e  non  esser  corso  in 
lingua  l'uso  del  vocabolo  animale  a  chiarire  un  uomo, 
tranne  dei  casi  particolari  in  cui  s'intese  di  alìndcrnc  a 
qualche  difetto,  o  menomargli  il  pregio,  inchinandolo  cioè 


(1)  i  Anno  •  Dni .  M  -  ce  :  LXXXV  idict  -  XHI  IPR  :  T  Do'  :  -  On  :  PP. 
mi  esi  -  stente  :Pote  -  lohc  :  nato  :  M  -  Agilici  :  Viri  -  Dni  :  Malate-  Anno 
Domini  MCCLXXXY  -  Indictione  Xlll- Tempore  Domini  Ilonorii  Papao  IV.  - 
esistente  Potestato  lohanne  nato  >  Magniflci  viri  DomirM  Malatestae. 


576  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

verso  il  bruto,  dalla  supremazia  sua  di  ragionevole.  Appresso 
ei  prende  a  considerare  quale  specialissimo  sentimento 
possa  avere  indotto  Dante  a  cominciare  da  quell'appella- 
tivo, ed  ei  vuole  che  Francesca  al  primo  avvicinarsi  al 
Poeta  e  nelle  primissime  parole  dovette  cominciare  con 
vocabolo  adatto  alla  condizione  sua  presente,  e  perciò 
incespicare  a  salutarlo  col  nome  di  animale  in  cambio  di 
uomo;  essendoché  paia  naturale  che  tra  i  dannati  di  quel 
cerchio  fosse  sbandito  o  disavezzo  il  nobile  vocabolo  che 
significa  differenza  e  maggiorità  della  creatura  ragionevole 
sulla  brutale,  né  degno  che  ivi  si  pronunziasse  sulle  labbra 
di  chi  aveva  in  vita  propria  notato  i  giorni  piuttosto  col 
contegno  animalesco  che  umano.  Ma  non  appena  usci  nello 
sconcio  appellativo,  subito  dovette  accorgersi  di  avere 
errato  perchè  meno  colpevole  de' compagni,  e  perciò,  rimasta 
meno  smemorata  della  sua  alta  condizione  precedente,  ebbe 
subito  a  ricordarsi  degli  antichi  modi  cortesi  e  provvedere 
con  rapidità  e  raccomodare  il  fallo  commesso,  soccorrendosi 
femminilmente  di  epiteti  laudativi,  i  quali  succedettero  a 
raddolcire,  scusare,  interpretare  il  brutto  appellativo  ;  sicché 
se  ben  vi  ponderi  sopra,  tra  il  motto  primo  e  i  due  aggiunti 
passa  tale  differenza,  come  da  un  atto  villano  seguilo  im- 
mediatamente da  alcune  cortesie  squisitissime.  Oltrecchè 
Dante  deve  eziandio  avere  inleso  di  racchiudere  in  quella 
ingiuria  un  segreto  rimprovero  rivolto  a  sé  medesimo,  come 
ricordo  di  essere  egli  stato  invescato  nelle  panie  amorose, 
né  conservala  fede  alla  pudica  memoria  della  sua  Beatrice. 
Ci  prova  inoltre  come  Dante  non  avesse  proposili  deter- 
minati e  studiati,  allorquando  uscì  coli' immortale  episodio, 
ma  vi  fosse  tratto  insuperabilmente  da  uno  di  quei  moti 
spontanei  e  vigorosi  dell'animo,  quand'è  della  tempera 
divina  che  fu  il  suo.  Ed  egli  assecondò  a  quel  moto,  non 
guardando  se  conveniente  od  a  persone  od  a  sito,  e  ben 
fece;  imperciocché  gli  spiriti  magni  abbiano  leggi  proprie, 
da  non  dovere  ubbidire  alla  regola  comune,  né  tenersi  vin- 
colati da  strettoie  di  certe  osservanze,  avendo  uopo  di 
esplicarsi  e  spaziare  a  diletto  loro,  quando  ciò  possa  giovare 
a  nuova  manifestazione  del  vero  e  del  bello.  Più  avanti 
ei  si  fa  a  considerare  la  causa  per  la  quale  Dante  si  con- 


BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  ITALIANA.  577 

ducesse  alla  contraddizione  di  condannare  in  silo  dì  pene 
e  di  disonore  coloro  ai  quali  egli  in  cuor  suo  perdonava 
ed  assolveva,  come  comparisce  dai  contesto  dell'  intero 
episodio,  e  la  trova  nella  viva  credenza  che  vi  correa,  che 
non  ci  fosse  parvità  di  materia  nell'infrazione  del  sesto 
precetto  del  Decalogo,  onde,  chiunque  macchiatone  mortal- 
mente nell'anima,  e  coito  dalla  morte,  senza  pentimento, 
erasi  da  reputare  perduto  in  perpetuo,  dacché  misericordia 
non  invocata  non  avrebbelo  potuto  soccorrere,  e  la  giustizia 
divina  implacabilmente  lo  averebbe  sentenziato  tra  i  presciti. 
Di  qui  l'autore  si  apre  il  cammino  a  sperare  che  anche 
dopo  la  gran  giustizia,  negli  eterni  decreti,  abbia  a  prevalere 
la  bontà  suH'austerezza,  e  siano  meno  inflessibili  i  divini 
giudizi  di  quello  che  vorrebbero  certe  durezze  teologiche. 
In  Dante,  nel  Canto  v.  vince  la  pietà  di  una  sventura  gravis- 
sima che  pagò  largamente  il  fallo,  vince  la  considerazione 
di  un  supplizio  ch'esce  della  ragionevolezza;  e  d'allora  in 
poi  il  poeta  non  padroneggia  più  la  fantasia  propria,  ma 
questa  rimane  preoccupata  dal  nuovo  sentimento.  In  effetto 
se  bene  vi  si  considera,  apparirà  di  piena  evidenza  il  muta- 
mento avvenuto  nell'animo  di  lui:  seguita  ad  invocare  in 
comparazione  uccelli  d'indole  data  agli  amori,  ma  sono  le 
colombe,  simbolo  di  placidità  e  di  candore:  il  vento  tace, 
il  mugghio  del  mare  in  tempesta  non  si  ode  più,  la  scena 
infernale  si  dilegua  dagli  occhi,  passarono  altrove  le  schie- 
re de'  carnali  e  restano  da  soli  il  poeta,  il  suo  duca  e  i 
due  chiamati  con  grido  affettuoso.  Il  colloquio  che  vi  sì 
tiene  comincia  da  un  vocabolo  che  peranco  si  conforma  al 
sito,  ma  immediatamente  il  linguaggio  si  corregge  e  di- 
viene gentile,  passionato,  dolce,  pio,  supplichevole:  cos'i 
che  dall' un  lato  si  parla  e  si  piange  e  sospira,  mentre 
dall'altro  gli  affetti  si  commuovono  lino  allo  smarrimento 
dei  sensi.  Pson  siamo  più  in  loco  d' Inferno,  quantunque 
neppure  in  regione  di  paradiso,  ma  o  dì  nuovo  nel  limbo, 
0  in  qualche  altro  globo  terrestre  che  li  accolse  con- 
giunti, dove  dimorano  insieme,  amandosi  in  perpetuo,  e 
perciò  non  disperati,  non  diserti  d'ogni  consolazione,  com- 
mìseratì  con  isguardo  benigno  della  clemenza  divina.  -  Dei 
che  ne  verrebbe  chiara  la  significazione  del  verso   mentre 

VOL.  II.  37 


578  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

e  he  il  vento  come  fa  sì  tace^  cioè  che  l'animo  mutato  nel 
poeta  lo  scusa  pure  di  non  essersi  avveduto  della  stortura,  * 
ed  accorgendosene  di  non  avervi  riparato  con  qualche  rad- 
dolcimento.  Il  verso  e  paiono  sì  al  vento  esser  leggieri^ 
interpreta  col  Boccaccio,  cioè  con  minor  fatica  volanti,  lo  che 
esprimerebbe  pure  mitezza  di  supplizio,  non  che  peccato  dì 
lordura  minore  onde  procedono  meno  gravi;  e  anche  quel  leg- 
gieri potrebbe  \d.\Qr  e  fuggevoli  al  vento,  quasi  il  vento  tornasse 
leggiero  al  lor  tormento.  Chiude  poi  la  dissertazione  toccando 
per  alcun  tratto  quella  magnifica  sequenza  di  sentimenti 
delicatissimi  per  i  quali  Dante  seppe  ivi  tessere  e  sviluppare 
la  storia  psicologica  dell'amore.  La  Riminese  che  accondiscese 
agli  allettamenti  dei  senso,  è  pur  nondimeno  di  tale  bellezza 
sovrana,  e  di  tanta  pietà  che  il  solo  Dolce  ne  trovò  di 
simigliante  nella  sua  Maddalena,  e  solo  potrebbe  ritrarla: 
In  affissandola  non  ti  avvedi  punto  che  proceda  ignuda 
del  santo  velo  della  castità  muliebre,  dacché  il  suo  parlare 
pudico,  e  il  pianto  tacito  e  contegnoso  del  compagno  li 
tolgono  ogni  sospetto  e  memoria  di  cosa  impura.  E  qui  fa 
un  ultima  osservazione,  notando  che  mentre  all'  apparire 
di  Francesca  sulla  scena  svanisce  dal  riguardante  il  colore 
d'inferno,  e  il  campo  si  difosca  e  si  fa  l'alba,  e  si  sta 
come  sorpresi  dalla  dolcezza  dei  versi  in  cui  ella,  la  po- 
veretta, dice  della  gran  forza  d'amore;  inopinatamente  si 
passa  ad  una  imprecazione  sì  terribile  che  ci  ripiomba  nel 
pili  oscuro  e  nel  più  maledetto  degli  abissi.  Imperocché 
Francesca,  dopo  avere  pronunciato  parole  di  affetti  teneri, 
delicatissimi,  da  farne  ammutolita  la  bufera  e  diradata  la 
caligine,  prorompe  a  vaticinare  improvvisamente  contro  il 
marito  omicida,  che  ne  vengono  i  brividi,  e  si  sente  co- 
me quel  crudele  non  iscamperà  del  supplizio  preparatogli. 
Egli  scenderà  in  Caina,  frammezzo  ai  traditori.  E  così  il 
discorso  quando  meno  si  prevede,  rinchiude  due  voluttà 
in  mezzo  ai  tormenti  eterni:  quella  delle  passate  dolcezze 
ravvivate  nella  narrazione,  e  l'altra  della  vendetta  sicura 
e  spaventevole  contro  l'oppressore.  Voluttà  d'amore,  voluttà 
dì  vendetta  sono  le  massime  del  sentimento  italiano. 

Ventura  Giov.,   Nuova  maniera    d' intendere  una  scena 
delle  piii  celebrate  nella  divina  Comedia  { della  Francesca 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  579 

da  Rimini),  Rev.  Encìcl.  ItaL  (Torino,  185ì).  -  Dispensa  IV.) 

Troya  Carlo,  Delle  donne  Fiorentine  e  di  Dante  AUUjìiieri, 
e  del  suo  lungo  soggiorno  in  Pisa  ed  in  Lucca.  (Discorso  che 
avrebbe  dovuto  far  parie  del  T.  V.  del  codice  Longobardo, 
inserito  nell'Anlologia  Contemporanea  di  Napoli,  A.  1. 1857. 
num.  3.) 

Il  Troya  prende  ad  investigare  i  molivi  dell'  ire  di  Dante 
contro  le  sue  concittadine  (Pwr7.xx111.llO),  i  quali  vogliono 
riferirsi  al  Settembre  ed  airOttobre  del  1312,  quando  Arrigo 
VII  imperatore,  pose  l'assedio  a  Firenze.  Ma  nel  1315, 
avrebbero  dovuto  per  angoscia  e  per  paura  urlare  le  sver- 
gognate firentine,  all'appressarsi  di  Uguccione  della  Faggiuola. 

Vannucci  Atto,  1  primi  tempi  della  libertà  (trentina,  S.''* 
ediz.  con  aggiunte  e  correzioni,  Firenze,  Le  Mounier,  1861. 

Il  nome  del  Vannucci  basta  solo  a  raccomandare  gran- 
demente questo  lavoro,  più  che  mai  utilissimo  a  chi  voglia 
conoscere  ben  addentro  i  fatti  che  si  svolsero  ne'  tempi 
in  cui  visse  l'Allighieri,  molti  de'  quali  hanno  una  grande 
connessione  colle  scene  e  cogli  uomini  rappresentati  nella 
divina  Comedia. 

La  Farina  Giuseppe,  la  cui  perdita  immatura  piange  ora 
altamente  l' Italia,  ci  avea  promesso  ì  suoi  studj  sul  secolo 
XIII,  che  avrebbono  dovuto  servire  di  comento  alle  opere 
di  Dante  Allighieri  e  de'  suoi  contemporanei.  Il  programma 
fu  pubblicato  dai  tipografi  Borei  e  Bompard.  Da  esso  rile- 
viamo che  il  lavoro  avrebbe  abbracciato  80  fogli  di  stampa, 
e  sarebbe  slato  diviso  in  due  libri  di  cap.  24  1'  uno.  Anche 
l'egregio  filologo  Ottavio  Gigli  ci  promise  ì  suoi  studj  del 
priorato  di  Dante  e  della  sua  politica,  che  avrebber  dovuto 
veder  la  luce  co'  tipi  Barbèra  di  Firenze.  Noi  attendiamo 
con  impaziente  desiderio  le  onorate  fatiche  di  questi  uomini 
illustri. 

Fra  gli  scrittori  di  studj  storici  ricordali  dal  Batines, 
accenniamo  specialmente  i  seguenti:  Arrivabene  Ferdinando, 
il  Secolo  di  Dante,  comento  storico,  Monza,  Corbeta,  1838  ; 
Balbo  Cesare,  Vita  di  Dante;  Di  Cesare  Giuseppe,  Arrigo 
di  Abbate,  ovvero  la  Sicilia  dal  1292  al  1313;  Di  Cemre 
Giuseppe,  Di  Manfredi  re  di  Sicilia  e  di  Puglia;  Dandolo 
Tullio,  il  Secolo  di  Dante;   Foscolo  Ugo,  Dante  Allighieri 


580  BIBLIOGBAFIA  DAMESCA  ITALIANA. 

e  il  SUO  secolo;  ]d.  Discorso  sul  lesto;  Fea  Carlo,  Nuove 
osservazioni  sopra  la  divina  Comedia,  specialmente  su  ciò 
ch'esso  ha  scritto  ivi  ed  altrove  dell'impero  romano,  ecc. 


DEII'ORIGIMIIIA  DELIA  DIVINA  COIDIA 


Il  Malatesta  Porla  (1589),  il  Rossi  (1589),  MJ  Bonari 
(1748),  il  Vanozzi,  il  Fontana,  il  Canali  (22  Aprile  1808), 
sostennero  che  Dante  togliesse  l'idea  del  poema  dal  Gucrin» 
il  Meschino:  il  Dionìsi  (1773),  la  forma  della  rima  e  il 
numero  de' canti  dal  Ritmo  Papinìano:  il  can.  3/assocf/ii 
e  l'ab.  Giustino  di  Costanzo  (1801),  e  l'inglese  Israeli  (1823) 
dalla  ¥isione  di  frale  AiPierico,  conservata  in  un  codice 
membranaceo  dal  secolo  XYI  della  Biblioteca  di  Montecas- 
sino;  e  il  Cancellieri  (1814)  non  pure  il  modello  ma  una 
gran  parte  ancora  dei  materiali  per  comporre  il  suo  am- 
mirabile poema.  -  Un'Accademico  di  Marsifjlia  (19  Apr.  1830) 
trova   il  disegno   e  l'azione   in  forma   affatto   identica  al 

trattato  di  Plutarco  Dei  puniti  da  Dio,    Opinione  già 

prodotta  dall' ab.  Riccard  nella  sua  traduzione  dell'opere 
morali  di  Plutarco.  -  Il  Wright  dettò  pure  un  opera  impor- 
tantissima (1844)  per  lo  studio  del  ciclo  poetico  e  leggendaria 
al  quale  appartiene  il  poema  di  Dante.  -  Francesco  Forti, 
ed  il  Pozzetti  (1810)  con  un  discorso  pieno  di  vera  e  soda 
sapienza  ne  propugnano  l' orir/inalità.  I  Francesi  presero 
invece  ad  investigare  la  storia  delle  Visioni,  ed  il  Labitte 
dettava  un  bellissimo  discorso  intitolato:  La  Divine  c«- 
médie  avant  Dante   (  Revue  des  deux  Mondes,   1849): 

V  Ozanam  i  suoi  studi  Sull'  orBg:ine  della  Divina  Co- 
media  (Unlversllé  Cathollque,  Nov.  1837),  e  Sulle  sorjs^enti 
poeticiie  delia  stessa  (Correspondaut  di  Parigi,  1845)  ;  e* 

V Ampère  :  le  visioni  hanno  preparato  la  Divina  Co- 
media (Parigi,  Hachette,  1839).  -  Yeggasi  pure  l'articolo 
del  Mazzarani  sugli  studi  italiani  in  Francia,  Crepuscolo, 
1855,  p.  124  e  444;  Saint-René  Taillandier,  art.  cit.  p.507; 
Picchioni,  la  Divina  Comedia  illustrata  da  A.  Kopisch,  G. 
Picei  e  M.  G.  Ponta,  p,  192-268. 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALlAxNA.  581 

STORIA  DEL  POEMA 

EPOCHE  IN  CHE  VENNERO  SCRITTE  LE  DIVERSE  CANTICHE 

Yeggasi  a  pag.  49,  58,  61.  -  Ne  scrissero  : 

Barcellini,  Buonniattei,  Cancellieri,  Dionisi,  Frati- 
celli, Grcgoretti.Pianciani,  Punta,  Raffaelli,  Rcpctti, 
Troya,  Venturi. 

DEL  CATTOLICISMO  DI  DAÌSTE 

E  SPECIALMENTE  IN  RELAZIONE  COL  ROMANO  PONTEFICE 

Scolari  Filippo,  Roma  e  la  S.  Sede  con  illuslrazioni  e 
luoffìù  relaltvt  alla  (Jivìna  Comedia,  Venezia,  1851. 

GiULiAM  Giambattista,  Del  cattolicismo  dì  Danle  e  del 
Veltro  a//cf/or«co  ;  Savona,  Sambolino,  1851. 

Questa  memoria  venne  Iella  all' accademia  Tiberina  il 
27  di  Maggio  1844;  pubblicala  in  Roma  nel  1845,  ristampala 
a  Torino  nel  1847,  e  da  ultimo  a  Genova,  1851,  aggiuntovi 
la  seconda  parte  del  Veltro  allegorico.  Il  Gli.  autore  prende 
a  dimostrare  come  Dante  si  mantenne  cattolicamente  devoto 
alla  suprema  autorità  della  chiesa  di  Roma,  e  aspettò  da 
un  Ponielìce  santo  la  salute  dell'universale  popolo  cristiano. 

BoRfcHLM  Vincenzo,  Difesa  di  Dante  come  caltolico  (Sludi 
delia  divina  Comedia  per  Oli.  Gigli,  Firenze,  Le  Mounier, 
1855,  p.  177-227). 

11  Borghini  si  propone  di  dimostrare  come  il  concetto 
principale  dell' Allegoria  dantesca  sia  d'insegnare  agli  uomini 
dì  conoscere  la  bruttezza  del  vizio  e  del  peccato,  e  la  pena 
che  porta  seco  anco  in  questa  vita;  e  dopo  d'averla  cono- 
sciula,  liberarsene  vivendo  virtuosamente,  arrivando  per 
ultimo  a  quella  cristiana  perfezione,  ove  non  dominando 
in  essi  se  non  la  legge  e  volontà  del  Signore,  purgati  di 
<iuesle  terrene  passioni,  vivano  conformi  al  fine  per  il  quale 
sono  stali  creati.  E  il  Borghini,  scrive  il  Gigli,  ha  saputo 
così  bene  intesserne  le  prove,  che  sono  riuscite  indubitate, 


S82  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

e  hanno  messo  insieme  una  difesa  a  Dante  come  cattolico, 
che  non  si  sa  in  qual  altro  modo  si  potesse  fare  più  vera 
e  più  sua. 

SoRio  P.  Bautolommeo,  Il  vero  concetto  della  divina  Co- 
media  di  Dante,  Roijionamento  (Opuscoli  Religiosi,  Letterari 
e  Morali,  Yol.  I.  Serie  IL),  Modena,  Soliani. 

Duole  al  P.  Sorio  che  i  più  vogliano  giudicare  di  una 
sacra  epopea  del  medio  evo,  senza  voler  pensare  col  medio 
evo.  Il  principale  pensiero  della  divina  Comedia,  fiore 
deir  asceticismo  e  del  misticismo  dei  Ss.  Padri  e  dei  Dottori 
del  medio  evo,  è  la  santificazione  dell'  uomo  in  un  corso 
di  santi  spirituali  esercizi  nella  via  ascetica,  e  nel  ritiro 
della  settimana  santa,  in  un  viaggio  mistico  di  sette  giorni. 
La  cosmografia  e  la  topografia  dantesca  è  perciò  da  cercare 
nei  mistici  del  medio  evo;  l'astronomia  più  nel  calendario 
ecclesiastico  che  in  altra  guida  astronomica,  la  politica 
vera  dantesca  nella  diplomazia  papale  colla  fondazione  in 
Carlo  Magno  del  sacro  romano  impero,  a  fondare  la  monar- 
chia divina  cattolica,  da  essere  ogni  uomo  di  qualunque 
nazione  senza  fine  cive  Di  quella  Roma  onde  Cristo  è  romano. 
Dante  dunque,  e  con  lui  l' uomo  e  l' umanità  in  generale, 
dietro  la  guida  di  Virgilio  e  di  Beatrice  viaggia  le  principali 
parti  del  sacro  triregno  pontificale,  cioè  della  Monarchia 
di  Dio,  visitando  l' Inferno,  il  Purgatorio  ed  il  Paradiso, 
e  da  quelle  due  guide  imparando  le  leggi  fondamentali  di 
essa  Monarchia,  cioè  la  legge  dì  natura  ossia  Velica  filosofica 
sotto  il  magistero  di  Virgilio,  e  la  legge  di  grazia,  ossia 
r  etica  teologica  sotto  il  magistero  di  Beatrice.  11  bene  che 
ne  coglie  è  la  soddisfazione  espiatoria  ;  soddisfazione  che 
giustifica  nella  contemplazione  del  male  (Inferno)  ;  soddisfa- 
zione che  purifica  nella  contemplazione  del  male  e  del  bene 
(Purgatorio);  soddisfazione  la  quale  santifica  nella  contem- 
plazione del  sommo  bene  e  assoluto  (Paradiso).  -  A  parere 
del  P.  Sorio,  il  concetto  vero  di  Dante  sarebbe  stato  egregia- 
mente illustrato  dall'  Ozanam,  dal  Torricelli  di  Torricella, 
dal  P.  Marco  Giovanni  Ponta,  Somasco,  e  dal  P.  Berardinelliy 
gesuita. 

Marclcci  Giambattista,  La  Monarchia  temporale  del  ro- 
mano Pontefice  secondo  Dante  Allighieri,  Lucca,  Giusti,  1864. 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  583 

Il  Marcucci  crea  una  specie  di  scena  in  un'  osteria  :  n'  è 
protagonista  un  soldato.  Questi  ad  uno,  che  ragionava  sul 
dominio  temporale  dei  Papi  e  citava  i  versi  dell' Allighieri 
sull'unione  delle  due  autorità,  prende  a  fare  una  parlata 
che  occupa  tutto  il  libro.  Soggetto  principale  di  questa  è 
il  dimostrare  in  primo  luogo  che  Dante  non  vuole  si  tolga 
al  pontefice  la  signoria  delle  sue  terre,  quantunque  nel 
civile  voglia  un  monarca  nell'universale.  Ed  in  secondo 
luogo  gli  argomenti  che  adduce  in  grazia  dell'Imperatore, 
considerati  attentamente,  mostrano  che  /'  autorità  impera- 
toria sopra  tutti  i  consoli  e  re  meglio  starebbe  nel  pontefice. 
Per  asseirer  questo  si  giova  di  tutte  le  opere  dell' Alli- 
ghieri, ma  si  appoggia  in  modo  particolare  alla  Divina 
Comedia,  e  al  trattato  De  Monarchia.  L'  opuscolo  del 
Marcucci  venne  combattuto  da  Giovanni  Sforza  [Giornale 
del  Centenario,  N."  15  e  16  ).  I  Redattori  della  Civiltà 
Cattolica  lodano  nel  Marcucci  la  molta  erudizione  critica, 
non  comune  e  grande  dirittura  di  animo,  ma  vi  desiderano 
maggior  vigore  di  dimostrazione,  un'ordine  più  accurato,  e 
nello  stile  un  andamento  più  disinvolto  e  castigato.  Civiltà 
Cattolica,  2  Aprile  1864,  p.  89. 

Teodorani  Prof.  E.,  Dante  antipapista,  Saggio  storico 
fitosoftco  intorno  la  divina  Comedia.  (  Giornale  del  Centenario 
dì  Dante,  20  Ottobre,  10  e  20  Decembre  1864,  N.  26,  31,  32.) 

Il  Prof.  Teodorani,  esule  dal  1849,  lodatore  entusiasta 
dell'  operoso  amore  che  d' oltr'  alpi  si  porla  al  genio  dì 
Dante,  si  duole  fieramente  che  ì  Dantisti  italiani,  perdutisi 
in  isterilì  disquisizioni  sull^  filologia  e  sull'  ascetica  del 
sacro  poema,  non  si  curino  punto  d'investigare  V ideologia, 
dì  dedurne  il  sovrano  concetto,  di  determinarne  il  vero 
intendimento.  Egli  è  il  S.""  Teodorani  che  finalmente  viene 
a  metterci  nel  buon  filo,  ad  inalzare  a  noi  profani  il  velo 
dì  questa  Iside  misteriosa,  finora  incompresa,  a  disgropparcì 
il  nodo,  a  sciorinare  il  grande  responso.  Ecco  il  frutto  dei 
lunghi,  diligenti  e  spassionati  suoi  studi,  del  suo  frequente 
conversare  coi  più  dotti  cultori  della  mirabile  Trilogia, 
incontrati  nel  suo  decenne  pellegrinaggio  per  Francia, 
Germania  ed  Inghilterra.  -  L'idea  dantesca  appartiene  al 
razionalismo  cristiano  di  Arnaldo  da  Brescia  e  non  al  catto- 


584  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

licismo  romano  dei  papi,  come  si  tiene  in  Italia,  e  dove  fin 
qui  si  volle  fare  dell'AHighien  un  cattolico  frenetico,  e  della 
sua  Comedia  un  catechismo  da  convento.  Pregiudizi!,  scuole, 
preti,  frati,  pel  Teodorani,  son  tutte  tenebre  che  nell'ordine 
filosofico  velarono  il  Sole  dantesco.  Se  non  che  per  buona 
nostra  ventura  l'egregio  Professore,  ragionando,  andò  al  fondo, 
ed  egli  che  ha  l' intelletto  sano,  manifesta  ormai  all'Italia  che 
si  dissonna  e  gli  occhi  svef/liati  rivolgendo  gira,  la  dottrina  che 
s' asconde  sotto  il  velame  degli  versi  strani.  Dante  è  nien- 
temeno che  un  antipapista,  un  templario,  un  battagliere,  ma 
a  visiera  calata,  per  la  libertà  politica  religiosa  e  civile 
d' Italia,  combinata  a  creare  l' Imperatore  papa.  Ma  udia- 
mone le  prove.  Dante,  ed  è  bene  che  una  volta  da  tutti 
chiaramente  lo  si  sappia,  non  parlò  mai  daddovero,  egli 
nascose  sempre  l' idea  subbiettiva  sotto  il  velo  dell'allegoria 
obbiettiva;  egli  si  vide  costretto  da  imperiosa,  fatale  gra- 
vissima necessità  di  ricorrere  all'anfibologia,  a  coprire 
di  forme  convenzionali  tutte  l' espressioni  del  pensiero  e 
del  cuore,  ma  specialmente  dopo  la  catastrofe  dei  Templari, 
egli,  per  tema  di  perdere  sé  stesso  e  il  suo  lavoro  didasca- 
lico, dovette  a  bello  studio  simularsi  guelfo,  vestire  tutti  i 
personaggi  del  suo  gran  dramma  dell'  indumento  cattolico. 
Tsè  basta.  Chiunque  non  voglia  trarre  dalla  storia  dantesca 
queste  filosofiche  induzioni  niega  a  Dante  quella  onnipotenza 
di  genio  che  non  ha  rivali  in  niun  tempo,  in  ninna  nazione, 
e  non  riconosce  in  lui  la  sintesi  storica  del  XIV  secolo  e 
la  perfezione  filosofica  della  riforma.  -  Dante,  conchiude  il 
prof.  Teodorani,  fu  trascinalo  dall'onda  tempestosa  che 
dall'  Oriente  era  mossa  a  rovesciare  la  vecchia  chiesa  di 
Occidente...  Ei  dettò  la  sua  Comedia  nell'intento  d'indirizzare 
i  suoi  contemporanei  alla  riforma  politica  e  religiosa  professata 
(lai  Templari.  Se  non  che  egli  aspetta  il  giudizio  dalla  giova- 
ne Italia,  il  quale  o  corrobori  fermamente  o  inappellabil- 
mente condanni  la  sua  idea  e  la  proscriva  dal  campo  letterario 
nazionale.  Ma  la  giovine  Italia,  come  lo  furono  i  padri 
suoi,  come  lo  fu  eminentemente  il  suo  più  grande  poeta, 
sarà  sempre  cattolica:  la  mala  semente  non  attecchirà 
giammai.  Noi  tutti  respingiamo  con  alto  disdegno  tale 
ingiuriosa  proposta,  e  sempre  più  e'  inchineremo  riverenti 


BlBLIOGRAriA  DANTESCA  ITALIANA.  585 

davanti  a  quel  gran  genio,  che  in  sul  fonte  del  suo  baltesmo 
volea  ricevere  Vamato  alloro,  siccome  premio  del  sacro  poema 
al  quale  avea  posto  mano   e  cielo  e  terra.  -   Vedi  Dante 
cristiano,  p.  81  :  Del  Romano  Pontefice,  p.  226. 
Ne  scrissero,  secondo  il  Balines: 

Bellarmino,  Berti,  Fanelli,  Fea,  Pianciani,  Schenardi, 
Theiner,  Torricelli,  Zinelli. 

11  Sistema  antipapale  del  Rossetti  e  deWAroux  fu  impu- 
gnato dal  Delècluze,  dal  Pianciani  e  dallo  Schlegel. 

FILOSOFIA 

Trezza  G.  La  divina  Comedia  considerata  in  relazione 
coir  ontologia,  con  ima  risposta  di  L.  Castellazzo,  Verona, 
Vicentini  Franchini,  1854. 

Frapporti  Giuseppe,  sulla  Filosofia  di  Dante  Àllighierì, 
Cómentario,  Aicenza,  Longo,  1855. 

È  un  esposizione  delle  dottrine  filosofiche  del  divino 
poeta,  nella  mira,  com'  ei  scrive,  di  raccoglierle  in  un  corpo 
compiuto,  ed  ordinarle  secondo  che  nell'opere  sue  testual- 
mente si  leggono.  Ei  vi  ha  compreso  la  filosofia  nello  stretto 
senso  della  parola,  escludendo  le  matematiche,  le  scienze 
naturali,  e  di  teologia  e  di  politica  dando  luogo  a  quel 
tanto  che  a  completamento  del  sistema  filosofico  si  richiedeva. 

AssoN  MicuELANGELO,  La  Sintesi  dantesca,  Venezia,  An- 
tonelli,  18():3. 

/  Preso  da  forte  amore,  ricercò  i  volumi  deirAllighieri, 
e  dedicò  ad  essi  lunghi  e  profondi  studj,  portando  in  questi 
r  alto  ingegno,  di  cui  fu  privilegiato,  le  cognizioni  di  cui 
seppe  far  tesoro,  un  raro  discernimento  e  un'  acutissima 
critica.  Munito  di  tai  presidii  egli  si  propose  di  considerare 
attentamente  «  le  varie  ripartizioni  della  scienza  dantesca 
della  quale  la  divina  Comedia  è  ripartizione  estetica.  » 
Questo  lavoro  pertanto  è  rivolto,  dice  l'autore,  a  chiarir 
le  attinenze  di  Dante  co'  tempi  suoi,  di  questi  e  di  lui  con  le 
opere  sue  ;  di  tali  opere  tra  se.  E  nella  divina  Comedia  che 
tutte  le  riassume,  e  n'esprime  poeticamente  la  suprema  idea, 
mirerà  questo  scritto  a  palesare   il  nesso  comune  degli 


586  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

estremi  contrarii  di  spazio,  di  tempo,  di  enti,  di  moto,  di 
azione,  di  luce,  con  tutte  le  intermezze  graduazioni  a  ma- 
nifestare il  legame  tra  il  simbolo  e  la  realtà,  la  scienza  e 
l'arte,  i  mezzi  e  l'altissimo  scopo.  E  il  lavoro  del  dottor 
Asson  pienamente  adempì  gli  ardui  assunti,  e  le  cose  in 
esso  discorse,  come  dice  l'Autore,  incontrastabilmente  di- 
mostrano quanta  parte  abbiano  nella  testura,  nel  mirabile 
magistero  del  poema  di  Dante  la  scienza  ;  tale  che  il  mede- 
simo possa  definirsi  la  rappresentazione  estetica  della  scienza 
stessa,  affine  d' indirizzarla  all'  alto  scopo  di  sollevare  1'  u- 
mana  specie  a  quella  perfezione,  a  quella  beatitudine  nelle 
due  vite  che  la  Provvidenza  volle  da  essa.  »  In  tal  modo 
la  dottrina  concordemente  seguita  da  tutti  gli  antichi  co- 
mentatori  è  ora  confermata  dagli  studj  e  dall'  autorità  del 
cementatore  moderno,  il  quale  discendendo  a  una  nuova 
palestra,  non  si  mostrò  a  se  stesso  ed  alla  sua  fama  infe- 
riore, e  fece  con  questa  opera  bellissima  prova  del  suo 
ingegno  e  del  suo  sapere.  (Gaz.  Yen.,  2  Giugno  1863,  N."  1*22). 

Conti  Augusto,  prof,  alla  Università  di  Pisa,  Storia  della 
Filosofia,  Firenze,  Barbera,  1864. 

Augusto  Conti,  l'egregio  autore  della  pregiatissima  opera 
Amore  Evidenza  e  Fede,  anima  candida  e  religiosa,  nel  1861, 
al  R.  Instituto  di  studi  superiori,  leggeva  sulla  Sfona  della 
Filosofia.  Il  fiore  più  eletto  dell'attica  Firenze  traeva  ad 
udirlo;  e  la  vivida,  elegante  ed  eloquente  sua  parola  era 
da  un  plauso  unanime  salutata.  Cinque  di  queste  lezioni 
erano  per  lui  intitolale  a  S.  Tomaso  ed  a  Dante,  ed  in  esse 
si  facea  ad  esporre  tutta  la  filosofia  del  Poeta,  unitamente 
a  quella  dell' Aqulnate.  Ci  duole  di  non  poterne  dare  un 
estratto,  come  sarebbe  stato  nostro  vivo  desiderio,  non 
essendoci  ancora  giunta  alle  mani  l'opera  del  Sig."^  Conti, 
pur  ora  uscita  dai  tipi  del  Barbera. 

AUTORI  citati  DAL  BATINES 

Azvolini  Pompeo,  Gioberti  Yicenzo,  Martini  Lo- 
renzo. 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  S87 

COGNIZIONI  SCIENTIFICHE,  FISICO-MATEMATICHE 

Rambelli  Gianfrancesco,  Discorso  su  Dante,  Cesena,  Biasi 
1863.  -  In  esso  con  eletta  dottrina  e  con  elegante  favella 
ci  porge  quel  grande  come  precorritore  ed  indovinatore  di 
molte  invenzioni  riputate  moderne. 

Il  Batines  ricorda  i  lavori  del  Bottagisio,  del  Peroni, 

del  Libri,  del  Xagliazucclii,  del  Torcili,  del  \  accolini. 

GIURISPRUDENZA 

De  Antonelli  Ciriaco,  Dei  'principi  di  diritto  penale 
che  si  <;ontengono  nella  divina  Comedia,  Napoli,  Tip.  del- 
l'Iride, 1860." 

Contiene  1  seguenti  articoli  -  Dei  reati  e  delle  pene  - 
Distribuzione  delle  pene  e  proporzione  delle  stesse  ai  reati  - 
Dell'imputabilità  -  Classificazione  dei  reati:  contro  la  Re- 
ligione :  contro  lo  Stalo:  della  calunnia  e  della  falsa  testi- 
monianza :  degli  abusi  dell'autorità  pubblica  :  de'  reati  contro 
la  fede  pubblica:  de' reati  che  attaccano  l'ordine  delle 
famiglie. 

COGNIZIONI  MEDICHE 

Asson  Michelangelo,  Intorno  alle  cofinizioni  biologiche  e 
mediche  di  Dante  AUiyhieri;  Venezia,  Antonelli,  1861:  (Me- 
moria eslratta  del  Voi.  VI  serie  HI  degli  Atti  del  Veneto 
Instituto.) 

L'egregio  D.*"  Asson  fu  il  primo  a  segnare  ordinatamente, 
e  a  raccogliere  tutte  le  notizie  biologiche  e  mediche  sparse 
qua  e  colà  per  le  opere  dantesche  e  in  ispecie  per  la  Divina 
Comedia,  e  a  farne  obbietlo  di  esplicito  lavoro.  «  Meglio 
non  si  saprebbe,  ei  chiude  la  sua  bellissima  dissertazione, 
che  non  facesse  Dante,  discernere  i  principii  che  legano  la 
scienza  medica  alla  morale  ;  né,  con  evidenza  maggiore  che 
esponendole,  si  può  dimostrare  siccome  quel  sommo  sa- 
piente rivolgere  sapesse  la  biologia  e  la  medicina  al  sublimo 
scopo  a  cui,  nelle  opere  sue,  volle  consacrata  ciascheduna 


588  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

parte  della  scienza  divina  ed  umana,  la  perfezione  e  la 
beatitudine  dell'uomo,  l'apoteosi,  in  ambedue  le  vite,  della 
umanità.  )> 

Anche  V  Arrìvahene  consacrava  il  Capitolo  VI  del  suo 
Secolo  di  Dante  a  Dante  Medico.  Il  Maqalotti  facea  soggetto 
di  una  sua  lettera  al  RidoUi  (10  Gen.  IG60)  se  Dante  avesse 
conoscenza  della  cìrcoìaz-ione  del  sangue.  Benedetto  Varclii 
ncirAccademia  Fiorentina  il  dì  25  Giugno  1543  leggea  una 
sua  lezione  sulla  generazione  del  corpo  umano,  prendendo 
ad  interpretare  il  C.  x\\  del  Purgatorio  v.  37-70.  Il  IJatines 
ci  ricorda  quattro  Ragionamenti  inediti  del  prof.  Filippo 
Civinini  Sulla  scienza  Medico-fìsica  da  Dante  espressa  nella 
divina  Comedia.  Da  ultimo  nel  N.*^  2  del  Centenario  di  Dante 
Allighieri,  20  Feb.  18C4,  il  Prof.  Filippo  Cardona  inseriva  un 
suo  articolo  intitolato:  Del  Dottor  Dante  Allighieri. 

COGNIZiOrsI  ASTRO.NOMICHE 

Galileo  Galilei,  Due  lettere  astronomiche  e  una  lezione 
sui  Canti  IX  e  xxvii  del  Purgatorio,  (Studli  sulla  divina 
Comedia,  Firenze,  Le  Monnier,  1853). 

Capocci  Ernesto,  Illustrazioni  cosmografiche  della  Divina 
Comedia,  Napoli,  Stamperia  dell'Iride,  1856. 

Il  Capocci  imprende  a  illustrare  tutto  ciò  che  nel  poema 
di  Dante  spetta  alla  cosmografia,  e  lo  fa  eoo  tanta  esat- 
tezza e  con  tanta  precisione  da  esserci  di  guida  sicura  e 
piacevolissima  per  seguire  le  orme  del  poeta  nel  suo  mi- 
sterioso viaggio  ai  tre  regni  dell'anime.  Il  dialogo,  eh' è 
la  forma  adoperata  dal  Capocci,  è  scorrevole,  disinvolto, 
vivacissimo:  le  dichiarazioni  hanno  la  lucidezza  delle  dimo- 
strazioni matematiche.  Dai  comenti  del  Capocci,  Dante  risalta 
il  più  profondo  cosmografo  de'  suoi  tempi.  L' illustratore, 
che  pel  sommo  poeta  sente  profonda  riverenza,  ma  non 
idolatria,  si  serve  francamente  della  ragione,  notando  gli 
errori  che  Dante  non  poteva  evitare  perchè  erano  dottrine 
della  scienza,  ne  fa  vedere  le  divinazioni,  le  verità  trovate 
quasi  per  istinto,  che  poi  furono  ampliate  e  dimostrate 
dai  dotti. 

MiNiCH  Serafino  Rafaelle,  Della  interpretazione  di  molti 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  589 

passi  della  divina  Comedia  che  spettano  alle  notizie  astro- 
nomiche, Memoria  Iella  all'  I.  R.  Inslituto  Veneto,  Aprile  e 
2  Giugno  1852. 

SoRio  P.  Bartolommeo,  Un  problema  dantesco  astronomico. 
Verona,  Franchini,  1862. 

Il  proposto  problema  è  questo.  Come  fosse  vespero  là 
presso  gli  Antìpodi  di  Gerusalemme,  e  qui  mezza  notte  e 
quale  fosse  il  luogo  indicato  per  l'avverbio  qui  Purg.  xv. 
V.  1.  -  Per  dar  il  vero  valore  al  computo  dantesco  è  me- 
stieri, dice  il  P.  Sorio,  stare  sulle  tavole  delle  longitudini 
antiche.  Confutata  appresso  l'interpretazione  del  S.""  Guerra, 
ritiene  che  il  giorno  in  che  il  poeta  recita  questo  passo 
controverso,  ma  d'una  esattezza  astronomica  veramente 
ammirabile,  sia  tra  il  giorno  8  ed  il  9;|  e  che  siccome  al 
monte  del  Purgatorio  erano  le  ore  2,  25  pomer.,  come  a 
Gerusalemme  le  2,  25  ant-,  cosi  in  Italia  erano  2  ore  e  25 
minuti  più  indietro  da  Gerusalemme,  cioè  le  ore  12  ossia 
la  mezza  notte.  Dal  contesto  ritiene  che  pel  cjui  debba  in- 
tendersi Verona,  e  che  per  conseguente  quel  canto  sia  stato 
scritto  in  quella  città. 

IIIIIÌARIO  DELLA  DIllA  COlDiA 

DiONisi  Marc.  Giano iacomo,  L'  epoca  della  visione  di  Dante  ; 
Esame  delle  opinioni  de' moderni  su  II  epoca  della  visione; 
Si  conferma  la  visione  neW equinozio  vernale;  Si  stabilisce 
l'epoca  della  visione.  (Aneddoto  iv.  C.  6-10.) 

PiANCiANi  G.  B.,  Di  una  nuova  opinione  intorno  alV  anno 
in  cui  Dante  fìnge  di  aver  fatto  il  suo  poetico  viaggio, 
Roma,  1842. 

Venturi  Prof.  Pietro,  Del  vero  giorno  in  che  avvenne  il 
pieno  della  luna  di  Marzo  nelV  anno  1300  e  della  vera  epoca 
in  che  ebbe  cominciamento  la  visione  di  Dante  Allighieriy 
(Rivista  di  Roma,  11  Sett.  1843.) 

Lanci  Fortunato,  Dei  Spiritali  tre  regni  cantati  nella 
Divina  Comedia,  Analisi  per  tavole  sinottiche,  Roma,  Chiani, 
1856. 

Il  dottissimo  autore  divise  l'opera  sua  in  due  parli, 
comprendendo  nella  prima  le  investigazioni  degli  ordina- 


S90  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

menti  ond'ebbe  informata  il  poeta  la  prima  Cantica  (Roma, 
1855);  e  nella  seconda  le  investigazioni  che  si  riferiscono 
agli  ordinamenti  della  seconda  e  terza  Cantica  (Roma,  1856). 
Il  Lanci  ci  diede  con  non  minor  dottrina  che  diligenza  e 
chiarezza  la  corografia,  la  cronologia,  e  per  così  dire  la 
cronometria,  la  fisiologia  e  l'economia  di  tutto  il  sublimissimo 
canto,  e,  com'egli  dice,  l'ortografia  morale  delle  tre  sedi; 
per  modo  che  la  mente  può  tener  dietro  passo  passo  al 
poeta  in  lutto  il  suo  viaggio,  oppure  scorrerlo  tutto  intero 
a  gittata  d'occhio,  senza  perdere  alcuna  delle  più  minute 
circostanze,  e  particolari  di  tempo,  di  luogo,  di  persone, 
d'incontri,  d'avvenimenti,  proprio  come  se  si  avesse  ad 
apprestare  un  programma  per  rappresentarlo  sulla  scena. 

Capocci  Ernesto,  {j\elle  sue  Illustrazioni  Cosmografiche 
dalla  pag.  162  alla  167.) 

Longhena  Francesco,  Itinerario  Astronomico  di  Dante 
Allighieri  per  V Inferno  e  pel  Purgatorio  narratoci  da  lui 
stesso  co'  suoi  versi,  Milano,  Boniardi-Pogliani,  1861. 

É  un  estratto  dei  dialoghi  di  Messer  Donato  Giannotti 
ora  per  la  prima  volta  pubblicati,  Firenze,  Cellini,  1859, 
per  cura  di  Filippo  Luigi  Po  Udori  II  Longhena  n'elegge 
la  sola  parte  della  verità  esposta  ed  omette  la  confutazione 
del  falso  sistema  del  Landino  e  de'  suoi  seguaci.  L'opuscolo 
del  Giannotti,  a  confessione  del  Sorio  e  del  Longhena 
istesso,  c(  è  di  rara  eccellenza,  e  fu  opera  di  merito  insigne 
il  pubblicarlo,  ed  è  come  la  guida  necessaria  ad  intendere 
almeno  il  sistema  del  viaggio  dantesco  nello  Inferno  e  nel 
Purgatorio:  e  l'ingegno  e  l'esatta  dottrina  astronomica 
dell'AUighieri  da  questo  opuscolo  si  conosce  assai  bene  e 
le  lodi  che  si  sono  date  al  divino  poeta  se  le  merita  tutte, 
e  n'è  questo  opuscolo  un  documento  irrefragabile.  »- Il 
Giannotti  vuole  il  poeta  scendesse  nella  sera  del  Giovedì 
dopo  Pasqua,  e  vi  consumasse  due  giorni  per  andare  fino 
al  centro,  un  altro  per  salir  dal  centro  alla  superficie  della 
terra,  e  4  nel  salire  e  girare  tutto  il  monte  del  Purgatorio, 
in  tutto  giorni  7.  Quanti  poi  ne  impiegasse  in  Paradiso  non 
si  sa  perch'egli  non  ne  paria.  Con  questo  discorso  l'Autore 
contraddice  a  Benvenuto  da  Imola  e  prova  l'errore  in  cui  è 
caduto. 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  591 

SoRio  P.  Bart.  Giorno  precìso  di  Pasqua,  secondo  Dante, 
nel  1300  e  del  plenilunio.  (Lelt.V.  Yerona  15  Sett.  1863) 
Roma,  llp.  delle  belle  arti,  1863. 

Il  P.  Sorio,  avuto  per  cerio  l'aureo  numero,  l'epatla, 
la  lettera  Domenicale  del  1300,  da  tutte  e  due  le  maniere 
che  ci  vengono  Insegnate  dalla  regola  de  fcstis  mohilihus 
viene  a  chiarirci  che  II  dì  di  pasqua  nel  1300  sia  caduto 
a'  10  di  Aprile.  Prende  poscia  ad  investigare  se  nel  venerdì 
santo  sia  dal  poeta  considerato  II  plenilunio  nel  significato 
fisico  e  vero,  o  nel  senso  morale  della  commemorazione 
fattane  dal  calendario  ecclesiastico.  Proposta  una  tabella 
sinottica  comparativa  della  luna,  secondo  fu  fatta  erronea- 
mentQ  nel  calendario  eccles.,  e  della  luna  come  si  dovea 
fare  secondo  le  varie  fasi  lunari,  mostra  come  gì'  interpreti 
s'ingannino  nel  pigliare  in  servigio  del  viaggio  dantesco 
le  lune  vere  e  non  le  nominali;  onde  trasse  che  il  poeta 
deve  aver  cominciato  il  suo  viaggio  la  sera  degli  otto  ai 
9  di  aprile,  dal  venerdì  santo  sera  al  sabato  santojj  ed  a 
conferma  cita  e  comenta  alcuni  passi  danteschi  che  gli 
vengono  a  proposito. 

Lnoffo  di  partenza  e  direzione  del  viaggio  Infernale, 

Lett.  II  e  Ili  (23  Agosto  1863).  Roma,  tip.  Belle  Arti. 

I  moderni  interpreti  fissano  comunemente  l'Italia  il 
punto  vero  della  partenza  pel  viaggio  infernale.  Il  P.  Sorio, 
mostrata  l'importanza  di  una  tale  investigazione,  essendo 
questo  luogo  di  partenza  il  perno  di  tutta  l' invenzione  dan- 
tesca, e  di  tutta  la  macchina  e  dell'Inferno  e  del  Purgatorio 
e  del  Paradiso,  ritiene  che  sia  Gerusalemme,  perchè  sola 
Gerusalemme,  cosi  a  contrappiede  del  Purgatorio,  potea 
essere  la  imboccatura  infernale,  per  la  quale  sul  diametro 
interno  della  terra  si  vada  a  sbucare  nell'altro  emisfero 
occidentale  sul  monte  antipode,  eh'  è  il  purgatorio  dantesco. 
Con  questo  itinerario  espiatorio  infernale  che  il  poeta  im- 
prende non  sensibilmente  ma  idealmente,  alla  visita  del 
monte  Calvario  e  del  monte  Sion  in  Gerusalemme,  volle  egli 
acquistare  l'indulgenza  del  Giubileo,  bandito  da  Bonifazio 
YIII  nel  1300.  La  direzione  vera  del  viaggio,  secondo  gli 
accenni  testuali  del  i  e  del  ii  dell'  Inferno,  è  dalla  sinistra, 
cioè  a  sud,  ma  non  a  perfetto  mezzodì,  ma  a  sud-ovest.  Con 


592  BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  ITALIANA. 

maggiore  esattezza  geografica  Dante  lo  spiega  nel  canto  xwi 
dell'Inferno,  laddove  ci  descrive  il  medesimo  viaggio  fatto 
a  sud-ovest  partendosi  da  Gaeta  i'iisse,  quando  andò  pa- 
rimente all'altro  emisfero,  poco  distante  dal  monte  del 
Purgatorio  Dantesco.  -  E  in  un  altra  lettera,  colla  carta 
topografica  di  Gerusalemme,  il  P.  Sorio  riscontra  tutte 
le  parti  a  suo  luogo,  e  le  mosse  del  poeta  corrispondenti 
alla  topografia.  La  selva  per  lui  è  l'Egitto;  la  dìrilta  via 
è  da  Gerusalemme,  e  più  precisamente  dal  Monte  Oli- 
veto  al  Calvario,  da  est  ad  ovest;  la  valle,  quella  di  Gio- 
safat,  per  tutta  la  sua  lunghezza  da  sud  a  nord  irrigata  dal 
torrente  di  Cedron,  il  quale  è  la  fiumana  onde  il  mar  non  ha 
vanto,  e  va  a  terminare  a  nord  tra  le  mura  di  Gerusalem- 
me ed  il  monte  Oliveto:  e  da  questo  per  alla  volta  del 
monte  Calvario  ad  un  terzo  di  strada  comincia  la  pia(]qia 
diserta,  la  quale  è  la  via  diritta  e  più  corta  che  mena  al 
monte  della  salute,  al  Calvario. 

Ènella  valle  di  Giosafat,  che  Dante  s'abbatte  in  Virgilio, 
e  precisamente  davanti  alla  porta  orientale  di  Sion  che 
mena  nel  tempio  per  questa  porta  detta  delle  acque,  e,  Vir- 
gilio entra  e  Dante  gli  lien  dietro,  e  dalla  parte  sinistra 
passa  Virgilio  con  Dante  alla  porta  laterale  da  mezzodì, 
la  qual  mena  alla  fontana  di  Siloe  ed  alla  piscina  probatica, 
simbolo  della  confessione  sacramentale;  passa  dunque  per 
questa,  eh' è  la  Porta  di  San  Pietro,  e  seguitando  a  ca- 
minare  per  la  direzione  di  sud-ovest  trova  la  Valle  dello 
Inferno,  eh' è  l'imboccatura  infernale.  Il  P.  Sorio  a  mano 
a  mano  ci  spiega  i  simboli  de'  luoghi  precorsi.  La  topografia 
biblica  dell'antica  Gerusalemme  che  dovette  aver  sott' occhio 
il  poeta,  è  quella  di  El-Edrisi,  il  quale  la  scriveva  circa  al 
1150  per  Ruggero  re  di  Sicilia. 

Guerra  D.""  Pietro,  Viafjgio  poetico  di  Dante  AlUyhìeri, 
sperimento  sottoposto  al  (jiudizio  dei  letterati  filosofi  d' Italia 
cultori  dell' una  e  dell'altra  scienza,  Modena,  Cappelli,  1859. 

Due  scritture,  scrive  il  P.  Sorio,  sul  Viaggio  poetico  di 
Dante  furono  contemporaneamente  pubblicate  di  un  merito 
insigne  ambedue.  L'  itinerario  aslronomico  per  l' Inferno  e 
pel  Purgatorio  narratoci  co'  suoi  versi,  già  scritto  in  Dia- 
loghi da  Messer  Donato  Giannotli   nel  cinquecento,  e  il 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  593 

vlagffio  poetico  del  Sig/  Guerra.  Sori  queste  due  solenni 
scritture  sull'argomento  medesimo,  ma  diverse  per  quel 
diverso  rispetto  che  ne  hanno  in  trattarlo.  La  differenza 
è  questa  che  il  Guerra  comincia  il  Viaggio  nel  sabato  di 
Passione  alle  ore  6  pomeridiane  del  2  Aprile  1300,  e  lo 
termina  alle  ore  6  pomeridiane  del  successivo  sabato  santo 
9  Aprile  onde  è  fatto  durare  7  giorni  naturali.  Il  Gian- 
notti  Io  fa  cominciare  per  entro  all'  Inferno  la  sera  del 
Giovedì  santo,  che  riesce  a  di  7  Aprile  1300,  e  due 
giorni  impiega  nell'Inferno  ed  un  giorno  nel  salire  dal 
centro  infernale  alla  superficie  della  terra  nell'  altro  emi- 
spero;  e  dal  Purgatorio  esce  Dante  la  sera  del  Giovedì 
consumando  nel  Purgatorio  4  dì  naturali,  ed  uno  nell'An- 
lipurgatorio  e  due  giorni  nell'Inferno  (senza  il  primo  dì 
della  Selva  selvaggia)  in  tutto  tra  l'Inferno  ed  il  Purga- 
torio 7  dì  naturali.  -  Il  Guerra  ha  più  vasta  dottrina  del 
Giannotti,  che  per  allro  è  più  ovvio,  e  forse  è  più  critico; 
ma  il  Guerra  sopra  il  Giannotti  ebbe  la  perspicacia  mira- 
bile di  trovare  la  bussola  per  distinguere  i  giorni  e  le  ore 
anche  nel  viaggio  del  Paradiso  sulla  traccia  che  Dante 
lasciò  ne'  suoi  versi  del  Paradiso  a  poterli  fissare  nelle 
costellazioni  per  le  quali  egli  passava  e  nel  loro  rispetto 
col  sistema  astronomico.  -  Il  lavoro  del  Guerra  è  accom- 
pagnalo di  molte  note,  alcune  delle  quali  interessanti.  Alla 
Isola  8,  appoggiato  ad  autorevoli  documenti,  combatte  la 
testimonianza  di  Dante  che  Obizzo  d'  Esle  sia  stato  spento 
dal  figliastro  su  nel  mondo,  ma  anzi  ritiene  il  figlio  sal- 
vasse la  vita  del  padre  dal  pugnale  dell'avverso  partito;  ed 
alla  nota  35  sostiene  che  Dante  seppe  di  Greco.  Al  Viaggio 
poetico  tien  dieìro  un'Appendice  che  comprende  24  Tavole 
distributrici  dell'  ore  destinale  alla  recitazione  dell'ore 
canoniche;  dodici  cioè  dell'ore  diurne,  o  stazioni,  e  12 
dell'ore  notturne  o  vigilie,  ciascuna  di  esse  formala  sopra 
il  Convito  di  Dante  (iii  6,  iv  23);  e  secondo  la  posizione 
geografica  di  Modena.  -  Il  Viaggio  poetico  del  D.*"  Guerra, 
già  Archivista  secreto  di  Corte,  è  ora  quasi  irreperibile. 
Stampato  nel  1859,  eì  lo  dedicava  da  prima  a  S.  A.  il  Duca 
Francesco  V;  poscia  ne  ritirava  tutte  le  copie,  né  volle 
più  pubblicarle.   -   V  esemplare  eh"  io  tengo   è  imperfello, 

VOL.  U.  38 


094  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

e  ne  sono  debitore  alla  specchiata  gentilezza  de!  mio  ca- 
rissimo amico  prof.  Paolo  Terrachini,  che  non  risparmiò 
molte  cure  aflettuose  per  compiacere  alla  mia  inchiesta. 

Il  P.  Ponta  pubblicò  V  Orologio  di  Dante  AUifihieri  per 
conoscere  con  facilità  e  prontezza  le  posizioni  dei  segni  dello 
Zodiaco,  le  fasi  diurne  e  le  ore  indicate  e  descritte  nella 
divina  Comedia,  Roma,  tip.  delle  belle  Arti,  1843  ;  e  nel- 
l'anno stesso  la  l'avola  cosmografica  per  agevolare  l'intel- 
ligenza di  alcuni  punti  cosmografici  della  divina  Comedia, 
in  continuazione  del  suo  Orologio.  Vedi  p.  484. 

DEL  SITO  E  DELLA  FIGURA  DELL'INFERNO  (I) 

Galileo  Galilei,  Lezioni  intorno  la  figura,  il  sito  e  la 
grandezza  dell'Inferno  di  Dante  Allighieri  (Studi  sulla  divina 
Cemedia,  pubblicati  per  cura  di  0.  Gìgli,  Firenze,  Le 
Mounier,  1861) 

Queste  due  stupende  lezioni  furono  dettate  in  difesa  e 
confermazione  di  quanto  avea  già  dichiarato  il  buon  geo- 
metra Manetti,  ritraendo  dalla  Divina  Gomedla  il  disegna 
dell'Inferno  in  tutte  le  sue  dimensioni  e  ne' suoi  scompar- 
timenti, e  di  cui  avea  già  fatto  menzione  ne'  suoi  conienti 
il  Landino,  contraddetto  poi  dal  Vellutello  che  a  si  grandiosa 


(IJ  U  primo  che  prese  a  fare  accurate  indagini  sulla  topografia  del- 
l'Inferno  fu  l'esperto  matematico  Antonio  Manstti,  fiorentino.  Tuttavia 
nulla  produsse  a  luce;  solo  diede  un  suo  lavoro  al  Landino  il  quale  lo 
rifece  a  modo  di  dissertazione:  Del  sito,  forma  e  misura  dell'  Inferno, 
che  si  legge  in  ogni  edizione  del  suo  comento.  In  appresso,  nel  130G, 
Girolimo  Benivieni,  amico  del  Manetti,  pubblicò  due  dialoghi,  ne' quali 
le  idee  del  Manetti  in  parte  dichiara  per  minuto,  in  parte  allarga,  e  qun 
e  là  rettifica  l'opera  del  Landino.  Anche  Francesco  Giambullari  diede 
in  luce  nel  1514  una  dissertazione  sulle  forme  e  le  dimensioni  dell'Inferno, 
ove  in  alcuni  punti  differisce  dall'opinione  del  Manetti  Tutto  ciò  fu  fatto 
da' Fiorentini  ;  quivi  s'oppose  loro  il  Lucchese  Alessandro  Vellutello,  e 
rese  pubblica  alla  sua  volta  una  sua  dissertazione  circonstanziata  e 
adorna  di  disegni  sopra  la  topografia  dell'Inferno.  Con  questo  lavoro  che 
trovasi  in  tutte  l'edizicni  del  suo  comento,  il  Vellutello  s'ingegnò  di 
ridurre  a  meno  le  dimensioni  dell'  Inferno.  Ma  se  n' offese  la  vanità  dei 
Fiorentini,  a  Baccio  Valori,  di  quel  tempo  presidente  dcìV  Accademia 
/iortjn t ina,  indusse  il  Gnlilei ad  esaminar  l'opinione  del  Landino,  oa  me- 
glio dire  iitì  Manetti  e  del  Vellutello  e  di  rapportare  all'Accademia.  -  Blanc. 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  395 

c  solida  archilclUira  sostituiva  un  di  gran  lunga  più  an- 
gusto e  caduco  edilìzio.  Meravigliosa  cosa  in  vero  è  la 
dimostrazione  del  Galilei,  e  di  tanta  evidenza  confortata 
con  la  luce  di  quella  sua  mente  geometrica  e  fatta  per 
divinare,  egli  tra  i  primi,  le  arcane  leggi  della  meccanica 
mondiale,  che  non  mai  eraci  occorso  di  comprendere  s\ 
luminosamente  lo  smisurato  concetto  e  la  sapiente  economia 
di  quella  fabbrica  della  città  dell'eterno  dolore,  come  dalla 
lettura  di  questa  limpidissima  dimostrazione  delle  due  lezioni 
che  il  grand' uomo  all'età  di  24  anni  recitava  innanzi  al 
consesso  dell' Accademia  fiorentina,  di  cui  e  del  Manetti  sì 
vendicava  l'onore  vilipeso  dall'arroganza  del  Yellutello. 

BoRGOGNiM  Adolfo,   Del  sesto  cerchio  dell'  Inferno  Dan- 
tesco, Bologna,  all'insegna  di  Dante,  1863. 

Chi  sì  togliesse  a  guida  gli  interpreti  per  divisare  i 
Cerchi  dell'inferno  dantesco,  non  si  potrebbe,  per  ciò  che 
ne  dice  il  Borgognini,  così  facilmente  raccapezzare  nel 
trarre  il  novero  de' medesimi.  Perocché  mentre  dall' un 
ranto  ti  dicono  tutti  ad  una  voce  che  i  Cerchi  sono  nove; 
dall'altro,  nel  bel  meglio  ti  scambiano  le  carte  in  mano, 
trabalzandoti  così  senz'altro  avviso  dal  quinto  al  settimo. 
E  che  Dante  avesse  inteso  di  far  veramente  nove  Cerchi 
non  si  può  mettere  in  dubbio,  se  non  fosse  altro,  perchè 
giunto  al  penultimo  si  fa  dire  dal  conte  Guido  da  Monte- 
{"eltro  che  quello  è  l'ottavo:  Inf.  xwn.  123.  Tuttavia  inco- 
minciando a  numerare  nel  Limbo,  che  è  quello  che  Dante 
esso  nomina  primo  cerchio,  e  seguitando  giù  giù  insino 
all'ultimo  do  traditori  non  si  trovano  più  di  otto;  perciocché 
il  sepolcreto  degli  eretici,  dove  incomincia  la  Città  di  Dite, 
non  può  constituire  un  Cerchio  per  sé,  volendo  le  ragioni 
topografiche  stabilite  dal  Poeta,  che  stia  nel  medesimo  piano 
della  palude  Stigia,  cioè  nel  quinto.  Ora  due  vie  propone 
l'Autore  di  risolvere  la  quistione  :  Tuna  più  sbrigativa  che 
è  di  supporre  una  inavvertenza  nel  poeta;  l'altra  più  ono- 
revole a  Dante,  e  per  conseguenza  più  accettabile,  che  è 
di  tener  conto  di  quel  luogo  in  che  sono  condannati  i 
Poltroni.  E,  che  si  possa^  non  v'ha  dubbio,  come  si  può 
benissimo  dire  primo  gradino  della  scala  quello  che  si 
conlinua  con  tutto  il  piano  della  sala;  ed  anzi  si  deve.  In 


596  BIBLIOGRAFIA   DANTESCA    irALlA^A. 

questa  ipotesi  Dante,  per  la  ragion,  diciam  cosi,  formale, 
non  lo  reputa,  quasi  per  conformarsi  al  decreto  della  Divina 
Giustizia  che  condanna  quella  gentaglia  alla  noncuranza  e 
al  disprezzo,  e  però  chiama  primo  il  Cerchio  del  Limho. 
Dall'altro  lato  facendo  quel  luogo  parte  di  tutta  la  distri- 
buzione dell'Inferno  non  può  non  calcolarlo  secondo  la 
ragione  materiale  ;  e  così  i  Cerchi  sono  nove.  (Civ.  Cattol. 
Voi.  IX.  p.  347.) 

SoRio  P.  Bartolommeo,  Misure  fjenerali  del  tempo  e 
luoffo  neir  Itinerario  Infernale  di  Dantey  Milano,  Boniardi- 
Pogliani,  1803. 

Additati  da  prima  gli  equivoci  presi  dal  Giannotli,  ei 
vuole  dimostrare  come  il  viaggio  infernale  non  sia  di  tre 
giorni  naturali  ma  di  26  ore,  dalle  7  pom.  del  venerdì  santo 
alle  5  di  sera  del  sabato  santo;  cioè,  come  in  24  ore  per- 
corresse il  raggio  terrestre  da  Gerusalemme  al  centro  infer- 
nale; e  3890  miglia  in  24  ore,  162  1/12  all' ora.  Percorse 
poi  in  un'  ora  e  mezzo  il  raggio  terrestre  dal  centro  infer- 
nale alla  circonferenza  dell'altro  emisfero,  facendo- miglia 
43  2/9  al  minuto  e  quindi  2893  1/2  all'ora.  Siccome  l'Inferno 
di  Dante  è  fatto  in  forma  di  cono  con  la  punta  in  giù,  ed 
è  diviso  in  varii  riparti,  così  le  misure  metrjche  d'ogni 
luogo  sono  due.  Quella  di  circonferenza,  e  quella  di  profon- 
dità dalla  superficie  del  centro.  Per  trarne  le  misure  precise 
s' appoggia  alla  circonferenza  assegnata  da  Dante  stesso 
alla  IX  bolgia  (C.  xxix.  9)  e  a  quella  pure  assegnata  alla 
X  bolgia  (C.  XXX.  86).  Secondo  i  calcoli  instituiti,  l'atrio 
nella  sua  bocca  più  alta  ha  la  circonferenza  di  miglia  418. 
Il  primo  cerchio  avrebbe  miglia  209,  e  così  successivamente 
in  tutti  i  riparti  superiori  alla  decima  bolgia,  degradando  di 
miglia  11  per  ogni  giro  diverso.  Riguardo  ai  riparti  inferiori 
ritiene  la  medesima  proporzione  ma  decrescente  della  metà, 
come  era  accrescente  alla  metà  andando  in  su;  salvo  che 
lo  spazio  tra  l'ottavo  cerchio  ed  il  nono,  al  pozzo  dei  gi- 
ganti, invece  di  miglia  cinque  e  mezzo,  metà  dell'undici, 
circonferenza  della  decima  bolgia,  sarebbe  di  miglia  cinque, 
perchè,  non  essendo  luogo  fatto  per  abitarvi  ma  un  semplice 
rivellino,  ragion  voleva  che  fosse  di  qualche  cosa  minore. 
In  quanto  alla  profondità  ci  sembra  che  il  calcolo  non  corra 


BIBLIOGRAFIA   DAÌSTESCA    ITALIANA.  597 

rosi  lurido  come  in  quello  della  circonferenza.  Tulio  l'in- 
ferno di  Danle  non  sarebbe  lungo  ossia  profondo  che  sole 
miglia  95:  l'atrio  invece  miglia  3120.  Il  primo  cerchio 
avrebbe  la  larghezza  di  miglia  9  lf2,  e  avanzando  al  cenlro 
della  X  bolgia  all'  ingiù  si  trova  la  larghezza,  ovvero 
la  profondila  di  solo  1/b4  di  miglio,  occupalo  dalla  crosta 
della  ghiaccia,  la  quale  da  mezzo  il  petto  di  Lucifero  va 
sino  al  suo  ombelico,  che  è  il  centro  infernale;  onde 
né  verrebbe  che  Lucifero  dalla  metà  del  petto  insino 
all'ombelico  era  lungo  1/64  di  miglio. 

Nell'ordinaria  seduta  del  7  Agosto  1862  del  Veneto 

Ateneo,  il  Doti.  Francesco  Gre(jorelti  leggeva  una  Memoria 
intorno  al  sito  alia  forma  ed  alla  grandezza  dell'Inferno, 
e  al  sito  e  la  forma  del  Purgatorio  e  del  Paradiso  di 
Dante.  Il  Gregorelli,  scostandosi  dalle  divergenti  opinioni 
emesse  nel  sec.  XYI  dal  Manetli  e  dal  Yellutello  non  che 
da  quanto  a  favore  del  Manelti  sentenziava  Galileo  Galilei, 
ne'  suoi  anni  giovanili,  divisava  il  sito,  l' ampiezza  e  la 
forma  del  regno  del  fallire,  la  divisava  mediante  la  descri- 
zione ricavata  da'  luoghi  stessi  di  Dante,  avvalorata  da  una 
rappresentanza  a  disegno  geometrico.  E  di  tal  metodo  valeasi 
del  pari  per  descrivere  e  delineare  il  sito  e  la  forma  del 
Purgatorio  e  del  Paradiso,  dimensioni  delle  quali  tacque  il 
Poeta.  Con  molta  diligenza  e  rara  esattezza  vennero  condotti 
dal  Gregorelli  i  disegni  esibili  a  convalidare  la  rettitudine 
de'  suoi  argomenti,  e  ad  agevolare  agli  uditori  la  intelligenza. 

LETTERA  DI  FRATE  ILARIO 

Lorenzo  Mclms  la  trasse  il  primo,  nel  1759,  dal  celebra- 
tissimo  codice  Lriurenziano,  Plul.  xxix.  Cod.  8,  pag.  131. 
Giulio  Perticari  voltavala  poscia  in  volgare,  e  fu  tenuta 
da  lui  in  estimazione  di  schietta  e  genuina.  Ad  Emanuele 
Uepetii  nacquero  nel  1820  i  primi  dubbi  (Cenni  sull'alpe 
Apuana,  Fir.),  poscia  professori  yr<7^c  (Antol.  Fir.  N.'^  69, 
Seti.  1826),  G  Silvestro  Cento  fanti  (id.  N."135,  Marzo,  1832) 
si  fecero  a  deriderla  e  a  dichiararla  una  manifesta  impo- 
stura. Al  Centofanti  tenne  dietro  il  prof.  Venturi  che  nel 
Giornale  Arcadico  di  Roma  (Lugl.  1844,  N.®  298)  pubblicava 


598  BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  ITALIANA. 

un  lungo  scritto  intorno  le  falsità  di  un  tal  documento. 
Appresso  il  prof.  L.  Muzzi  (Versione  di  3  Epistole  di  Dante, 
Prato,  1845)  con  più  modestia  e  temperanza  propose  dodici 
dubbi  sull'autenticità  della  lettera  di  Fra  Ilario  a  Uguccione 
della  Faggiuola,  a' quali  rispose  il  Marchetti  (Museo  di 
Scienze  e  lettere  di  Napoli,  Agosto,  1845,  N.  35).  Allora 
dal  Centofanti  si  rinovò  l'assalto  {Studi  inediti  su  Dante), 
e  pubblicava  nel  1846  una  lettera  tenuta  in  serbo  per  molti 
anni,  e  scritta  fin  dal  4  Settembre  1834.  11  Repetti  poi  si 
ricredette  negli  ultimi  anni,  e  ne  propugnò  l'autenticità, 
come  è  a  vedersi  alle  voci  Ameglia,  Corvo,  Monte  Marcello 
del  suo  Dizionario  geografico.  Da  ultimo  nuovo  e  non  aspet- 
tato lume  recava  nella  controversia  il  profess.  Sebastiano 
Ciampi,  mostrandoci  come  il  codice  Laurenziano  accennato, 
appartenesse  non  solo  al  Boccaccio,  ma  che  per  di  più  ci 
trascrivesse  interi  squarci  della  medesima  nella  &ua  vita 
di  Dante.  V ai\YOc. Eugenio  Branchi,  nel  fascicolo  di  Maggio 
1859  del  Poliziano,  non  solo  se  ne  fece  sostenitore,  ma  si 
fece  a  provare  che  il  Monastero  di  S.  Croce  del  Corvo  di 
Lunigiana,  anzi  che  all'ordine  di  S.  Agostino,  come  sin  qui 
erasi  ritenuto,  appartenesse  a  quello  di  S.  Benedetto.  -  Ne 
propugnarono  l'autenticità  il  Troya,  il  Fraticelli,  il  Balbo, 
il  Bepetti,  il  Baldacchini,  il  Marchetti,  il  Ciampi,  il  Monti- 
celli, il  Branchi;  l'avversarono  il  Witle  ed  il  Centofanti. - 
y.  Troya,  Del  Veltro  allegorico  dei  Ghibellini,  Napoli,  tip. 
del  Vaglio,  1856,  p.  227-233,  e  pag.  409.  -  Fraticelli,  Storia 
della  vita  di  Dante  Allighieri,  Firenze,  Barbera,  1861,  C. 
XVI.  p.  352  e  357. 

LETTERA  DI  DANTE 
A    CANGRANDE    DELLA    SCALA 

Di  questa  lettera  ne  abbiamo  parlato  anche  a  pag.  60.  - 
Il  Giuliani  la  vuole  scritta  tra  il  1317  e  il  1318,  allorché 
il  poeta  riparava  alla  corte  del  signor  di  Verona.  Essa  non 
fu  conosciuta  che  troppo  tardi  ai  moderni  comentatori; 
giacché  il  Mazzoni  appena  la  ricorda,  e  venne  solo  divulgata 
per  le  stampe  sul  principio  del  secolo  scorso  (1700,  nella 
Galleria  della  Minerva).  Ma  per  istabilirne  T autenticità 


BIBLIOGRAFIA    DANTESCA    ITALIANA.  599 

soverchiano  le  prove  addotte  dal  Witte  ;  alle  quali  abbattere 
indarno  si  pretende  la  mancanza  d'un  codice  contemporaneo. 
Imperocché  il  Boccaccio,  assai  fedele  testimonio,  ci  trasmise 
volgarizzali  parecchi  e  ben  notevoli  luoghi  di  essa  lettera, 
seguitando  in  ciò  gì'  interpreti  che  il  precedettero.  Che  poi 
questi  veramente  recassero  in  uso  proprio  e  assumessero 
a  norma  V  espresse  parole  di  Dante,  ne  abbiamo  certa  fede 
da  Filippo  Villani,  il  quale  sottentralo  nel  1391  all' ufficio 
di  pubblico  lettore  della  Comedia,  si  recò  a  strettissimo 
debito  di  pigliare  principio  con  esporre  l' introduzione  pre- 
messavi dall'autore...  Se  altri  manoscritti  anteriori  al 
secolo  XVI  non  sopravvennero  ancora  a  testimoniarcela 
poco  rilieva,  quando  in  effetto  i  primi  e  veridici  comentatorì 
mostrano  al  sicuro  che  la  ebbero  alle  mani,  e  gli  amanuensi 
del  codice  magliabecchiano  ci  attestano  di  averne  esaminalo 
e  ritratto  un  antico  esemplare.  Inoltre  l'Epistola  riceve 
conferma,  ed  è  come  improntata  dal  sigillo  della  verità 
dal  singolarissimo  autore  che  la  dettava.  Ivi  per  fermo  si 
scorge  ogni  concetto,  ogni  frase  e  parola  interamente  con- 
forme a  lutti  gli  altri  scritti  danleschi.  Quivi  occorrono 
le  istessissime  frasi,  le  voci  barbare  e  scolastiche,  il  duro 
stile,  gli  esempi,  sin  anco  i  sillogismi  che  s'incontrano  qua 
e  colà  nelle  opere  di  Dante  latinamente  scritte.  -  Ne  pro- 
pugnarono l'autenticità  Carlo  Troya,  Witte,  Tommaseo, 
Ozanam,  Balbo,  Torri,  Betti,  Ponta,  Fraticelli  ;  pertinacissimo 
tra  lutti  gli  oppugnatori  lo  Scolari. 

Questa  epistola  fu  da  prima  tradotta  dal  Fraticelli,  e 
quindi  dal  Missirini,  la  versione  del  quale  fu  riportata  dal 
Torri  nella  sua  pregiata  edizione  dell'Epistole  di  Dante,  e 
da  ultimo  dal  Giuliani,  il  quale  volle  tenersi  stretto  in  ogni 
possibile  modo  ai  pensieri  dell'autore,  e  adoperando,  se- 
condo che  gli  è  occorso,  le  conformi  parole  che  Dante 
somministravagli  nella  divina  Comedia  e  nelle  opere  minori.  - 
V.  Giuliani,  Dell' autenticità  dell'Epistola  di  Dante  a  Can- 
grande  della  Scala.- Cementi  di  suddetta  Epistola,  ecc..  Me- 
todo di  comentare  la  Comedia,  p.  3-125,  Firenze,  Le-Monnier, 
1861.-  Witte,  Insunt  observationes  de  Dantis  epistola  nun- 
cupatoria  ad  Canem  Grandem  de  la  Scala,  Ualis,  Saxon. 
lypis  Heynemann,  1855.  -  Id.  Studi  germanici  sopra  Dante 


600  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

dell'  anno  1855,  Lo  Spettatore  di  Firenze  4  Maggio  1856.  - 
fraticelli.  Opere  Minori  di  Dante,  V.  Ili,  p.  528. 

Venne  pure  mossa  la  questione:  Se  Dante  dedicasse  a 
Federigo  III  re  di  Sicilia  la  cantica  del  Paradiso.  Il  Cento- 
fanti  nel  1832  ne  scrisse  un  importantissimo  articolo  che 
fu  inserito  nell'Antologia  di  Firenze  (Yol.45).  Nel  1845 
ripubblicava  questo  suo  scritto  col  titolo:  Se  Dante  dedicasse 
a  Federigo  III  re  di  Sicilia  la  cantica  del  Paradiso,  e  della 
lettera  di  Idrate  Ilario  a  Uguccione  della  Faggiola,  indagine 
storico-critica  di  Silvestro  Cento  fanti  per  servire  alla  storia 
dei  sentimenti  politici  dell' AH  ighieri.- Questo  medesimo  sog- 
getto prendeva  ad  isvolgere  nel  1856  Michele  Proudnikoff 
di  Pietroburgo  (Imprimerle  du  Journal  de  Saint-Petersbourg) 
col  titolo  di  Elucubrazione  intorno  all'  opera  dantesca, 
ed  ispedivala  per  le  città  italiane  a  darci  lume  sui  falli 
nostri,  e  a  raccoglierne  significazioni  onorifiche!  Nella 
lettera  con  che  accompagna  il  suo  libro  all'Accademia  della 
Crusca  assevera  eh'  era  già  stato  da  essa  premiato  col  titolo 
di  Accademico!!!  Messo  a  riscontro  l' opuscolo  stampalo  a 
Firenze  con  quello  dipoi  a  Pietroburgo  si  è  trovata  cosi 
perfettamente  V  Elucubrazione  nella  Indagine  storico-critica, 
e  la  Indagine  storico-critica  nella  Elucubrazione  ut  unum 
fieret  e  duobus.  Che  tanto  suona  quanto  la  persona  del  Cen- 
lofanti  era  divenuta  quella  del  Proudnikoff  e  il  Proudnikoff 
erasi  immedesimato  coi  Cenlofanli.  Risum  teneatis  amici! 

Ne  scrissero  inoltre: 

Buoninsittci  >  Collcllì  -  Del  Rosso  -  diambullari  - 
maneiti  -  Pouta  -  Veliutello  -  Zotti. 

ALLEGORIA  DEL  POEMA. 

PiccHiONi,  La  Divina  Comedia  illustrata  da  A.  Kopisch, 
G.  Picei,  e  M.  G.  Ponta,  Milano,  Tip.  Classici  Ital.  1846. 

Il  Picchioni  ritiene  «  con  la  sentenza  già  addotta  del  sapien- 
te Carlo  Witte,  che  si  il  Picei  che  il  P.  Ponta  se  ne  vada  con 
suo  brano  di  verità  ;  conciossiachè  al  Poema  sacro  tal  quale  ci 
è  pervenuto  abbia  di  certo  immediata  cagione  dato  l' esigilo 
deirAllighleri  ;  in  esso  poi  venga  allegoricamente  narrata 


BIBLIOGUAFIA    DANTESCA    ITALIANA.  GOl 

la  conversione  del  poeta,  qiianliinque  non  dal  f/uelfismo  al 
(ihihellinismo,  come  si  vuole  ora  dire  modernamente;  di  esso 
per  ultimo  sia  da  cercarne  l' interpretazione  nominatamente 
nelle  sacre  Scritture  e  nelle  discipline  dei  filosofi  e  teologi 
di  quei  dì,  come  si  studiò  appunto  di  fare  il  dotto  signor 
Kopisch,  senza  tuttavia  abusar  di  tante  analogie  d'  ogni 
maniera,  a  misurar  diremmo  con  le  seste  ogni  invenzione 
0  troppo  poetico,  e  dedurne  poscia  imaginose  interpreta- 
zioni. »  Picchioni. 

Picei  Giuseppe,  L  interprelazione  storica  della  prima  e 
principale  allegoria  della  Divina  Comedia  difesa,  Padova, 
Liviana,  1847. 

Delle  criiiche  di  L.  Picchioni,  M.  G.  Ponta  e  di  P. 

Fraticelli  sopra  la  moderna  interpretazione  storica  della 
Divina  Comedia.  (Giornale  Euganeo,  1847;  Quaderni  Y.  ed 
\lll.j 

La  selva,  secondo  il  profess.  Picei,  è  un  luogo  disabitato, 
di  smarrimenlo  e  di  errore:  la  diritta  via,  quella  del  ritor- 
no alla  patria:  \ì  sonno,  gl'infausti  comizi  del  suo  priorato  : 
Lo  smarrimento  vero  di  Dante  fu  la  cura  de'  pubblici  uffici, 
e  l'esiglio  che  gliene  seguì,  e  sì  quello  che  questi  incon- 
trarongli  nella  valle  d'Arno:  il  ben  trovato  nella  selva,  il 
conforto  dell'ospitale  amicizia  e  degli  studj  :  l'abbandono 
della  verace  via,  l'amore  di  Beatrice  e  de' pacifici  studj: 
il  passo  che  non  lasciò  giammai  persona  viva,  Firenze,  a  cui 
per  le  illusioni  della  speranza,  alle  prime  novelle  della 
venuta  di  Arrigo,  erasi  l'animo  dell'esule  poeta  rivolto, 
come  l'uomo  che  già  credesi  in  porlo  :  il  colle,  il  Falterona, 
ultimo  termine  di  Vaidarno  Superiore,  onde  scende  il  fiume, 
appiè  del  quale  appunto  trovavasi  il  poeta,  allorquando 
accolse  nell'anima  afflitta  i  primi  conforti  della  speranza, 
per  la  discesa  d'Arrigo,  simboleggiati,  questi  nel  «o/e,  e 
quelli  ne'  raggi  del  pianeta,  onde  apparve  il  colle  vestito, 
simboli  che  al  paro  che  l'ora  del  tempo  e  la  dolce  stagione 
rispondono  appieno  a  quelli  con  che  in  modo  affatto  somi- 
gliante il  poeta  salutava  l'imperatore  stesso  nell'epistole, 
a  quel  tempo  medesimo  dettate  appunto  appiè  del  colle 
sotto  le  fonti  deli  Arno.  Egli  avvisa  nella  lonza,  Firenze, 
simbolo  della  cillà  partila   in  Bianchi  e  in  Neri,  la  quale 


602  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

eragli  ognora  presente  al  pensiero,  e  alla  cui  divisione  e 
discordia  sperava  avrebbe  Arrigo  recalo  pace:  nel  leone, 
Roberto,  re  di  Puglia,  che  l'impresa  dell'imperatore  e  le 
speranze  sventò:  nella  lupa,  il  rapace  guelfismo,  e  la  po- 
tenza ed  avarizia  dei  Guelfi;  nel  veltro,  il  Messo  di  Dio  il 
prode  capitano,  signore  di  potente  stato,  ricco  d'armi  e 
d'oro,  forte  la  mano  ed  il  senno,  degli  esuli  ghibellini  ospite 
liberale  e  magnanimo  proleggitore,  e  soprattutto  ancora 
florido  di  giovinezza,  Can  Grande  della  Scala,  che  all'  in- 
dignato spirito  del  poeta  prometteva  liberare  l'Italia  de'  tanti 
suoi  tiranni,  uccidere  la  lupa  rapace,  cioè  il  Guelfismo,  risu- 
scitare le  glorie  dell'  antico  impero  romano.  Virgilio  poi  è  un 
personaggio  letteralmente  vero,  lo  stesso  poeta  mantovano, 
e  l'immortale  epopea  di  lui,  mercè  il  cui  studio,  potò 
Dante  condurre  l'opera  della  divina  sua  cantica.  -  L'espo- 
sizione del  prof.  Picei  è  meglio  un'  illustrazione,  in  qualche 
parte  modificata,  di  quella  del  Marchetti. 

Poma  P.  Marco  Giovanni,  JSuovo  esperimento  della  prin- 
cipale allcfforia  della  divina  Comedia,  Novi,  Moretti,  1845. 

Mancati  alla  società  italiana  i  due  soli,  l'imperatore  e  il 
papa  che  la  scorgevano  alla  felicità  civile  e  spirituale.  Dante 
si  smarrì  in  una  selva  di  uomini  ignoranti,  parteggiatori, 
perciò  intrattabili,  superbi  invidi  e  viziosi.  11  perchè  lutto 
angosciato  per  la  mala  vita  che  ivi  si  traeva,  tanto  adoperò 
che  slrascinossi  fuori  di  quella  noiosa  e  vile  ignoranza  fino  a 
pie  del  monte  della  perfezione  e  felicità  sociale.  Onde  raccon- 
solatosi alquanto,  entrò  in  ferma  speranza  di  rendere  felice 
sé  ed  i  suoi  concittadini,  conducendoli  per  la  rinvenuta  via 
della  perfezione.  Ma  con  questo  adoperare,  prima  si  attirò 
contro  la  gioventù  {la  lonza  di  pel  maculato)  con  tutti  i  seguaci 
della  concupiscenza,  poi  l'età  virile  [il  leone)  con  tutti  i  signori 
e  potenti  e  quanti  sono  dominati  dalla  superbia,  da  ultimo 
la  vecchiezza  {la  lupa),  il  clero  e  quanti  sono  signoreggiati 
dall'avarizia.  A  questi  ostacoli  il  riformatore  guelfo  si  loglio 
della  impresa  e  abbassa  le  ciglia  per  rovinare  a  valle.  Qui 
compare  Virgilio,  quale  duca,  maestro  e  signore,  il  quale 
consiglia  il  misero  pellegrino  di  abbandonare  la  cura  morale 
altrui,  e  pensare  solo  alla  riforma  di  sé  medesimo.  Questa 
sarà  compiuta   in  un  viaggio   corporalmente   fatto   per  lo 


BIBLIOGRAFIA    DANTESCA    ITALIANA.  603 

Inferno  e  il  Purgatorio,  e  poscia  solio  altra  scoria  per 
il  Paradiso.  Ma  intanto  sorgono  forti  dubbi  nella  mente  del 
poeta.  Virgilio  allora  gli  afferma  che  quella  gita  pei  Ire 
regni  dei  trapassati  è  consiglio  maturato  in  cielo  da  tre 
donne  di  alto  grado:  la  Regina  del  cielo  averne  dato  com- 
missione e  cura  alla  santa  vergine  Lucia:  questa  averne 
raccomandata  l'opera  a  Beatrice,  la  quale  le  avea  fatto 
preghiera  di  guidare  T  errante  suo  amico  sino  al  paradiso 
terrestre,  ond'ella  in  persona  lo  eleverebbe  alla  corte  dello 
imperatore  che  sempre  regna.  E  ottimamente  gioverà  questo 
viaggio  a  sfiduciare  Dante  di  qualunque  parte  politica,  e 
affezionarlo  unicamente  allo  impero,  e  gli  farà  toccare  con 
mano  che  Roma  fu  stabilita  sede  imperiale  e  pontificia 
capitale  di  tutto  il  mondo  cristiano,  e  principio  della  civiltà 
universa. 

Zappa  Giuseppe,  di  Milano,  alunno  della  CI.  VI.  del  gin- 
nasio comunale  di  S.  Marta,  Sulla  spiegazione  deli  allegorìa 
della  I  cantica,  Memoria  premiata  dalla  Direz.  del  Giorn. 
l'Educatore.  (Educatore,  Anno  II.  p.  221-243.) 

Torricelli  F.M.  di  Torricella,  Studj  del  poema  sacro,  Na- 
poli, all'insegna  del  Diogene  1850  (Voi.  I.  di  pag.  840  con 
8  Tavole,  Voi.  2.  di  p.  503  con  34  Tavole.  -  Il  2.'^''  Voi. 
comprende:  Esposizione  del  i  Canto  -  Dichiarazione  di  al- 
cuni vocaboli  e  modi  sacri  usati  da  Dante  Allighieri  nel 
Ci.-  Delle  parti  della  monarchia  di  Dio  -  Del  viaggio  di 
selle  giorni  -  Mansioni  del  poema  sacro. 

«  Il  co.  Torricelli,  ideando  una  sacra  interpretazione 
dell'intero  poema,  arricchì  di  dotte  notizie  gli  studj  teolo- 
gici intorno  alla  Div.  Comedia,  e  ridestò  così  l'attenzione 
degli  studj  sui  sensi  meno  avvertili,  morale  ed  anagogico. 
Per  convalidare  il  suo  sistema  quel  valente  scrittore  fu 
indotto  non  solo  ad  istabilire  alcune  speciali  distinzioni 
circa  il  senso  letterale,  ma  inoltre  ad  ammettere  nel  poema 
un  doppio  senso  allegorico,  cioè  un'  allegoria  teologica,  ed 
una  seconda  allegoria  poetica  o  storica,  ch'egli  spiega  in 
quinto  senso  da  lui  chiamate  civico,  pel  quale  col  mistico 
pellegrinaggio  del  poeta  si  scorgerebbe  simultaneamente 
descritto  un  viaggio  di  Dante  dalla  piazza  di  S.  Croce  in 
Firenze  alla  Basilica  di  S.  Maria  del  Fiore.  Per  questo  senso 


604  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

cìvico  la  lupa  allegorica  (Canio  i)  e  la  meretrice  fuia  (Purff. 
xxxisi)  rappresenterebbe  Corso  Donati.  Lucifero  coniìllo 
nel  centro  della  terra  accennerebbe  un  Ormanno  Forabo- 
schi, guelfo  nero,  che  abitava  in  fondo  al  Sesto  dello  Scan- 
dalo in  Firenze:  ed  il  cinquecento  e  quindici,  messo  di  Dio, 
che  sarà  l'uccisore  della  fuia,  del  pari  che  il  vellro,  il 
quale  verrà  a  far  morire  di  doglia  la  lupa,  sarebbe  quel 
soldato  Catalano  che  atterrò  di  cavallo  il  fuggitivo  Corso 
Donati  (cioè  un  catuhis  in  lana  -  veltro  tra  feltro  e  feltro). 
Ammessa  la  coesistenza  d'una  seconda  allegoria  civica  o 
storica,  non  v'  ha  più  motivo  di  rifiutare  credenza  ad  una 
terza  allegoria  storico-politica,  e  perciò  quel  dotto  scrittore 
concede  a  chi  lo  vuole  di  credere  alle  fantasmagorie  pro- 
poste dal  Rossetti,  purché  non  si  accolgano  con  esse  le 
nocive  opinioni.  Sembra  però  che  lo  stesso  Autore  abbia 
dubitato  della  veracità  di  questo  senso  civico,  o  quinto  senso, 
e  siasene  occupato  quasi  ad  esercizio  od  a  ricreazione  dello 
ingegno,  poiché  dichiarò  di  proporlo,  e  non  di  propugnarlo». 
Minich. 

Torricelli  F.  M.  di  Torricella.  Il  Canto  i.  della  Monarchia 
di  Dio,  poema  sacro  di  Dante  Allighieri,  Napoli  all'insegna 
del  Diogene,  1835.  (di  p.  254) 

Il  Gomento  del  i.  Canto  di  Dante  sarà  forse  troppo 
erudito,  me  ne  attinsi  più  verità  sconosciute  che  da  verun 
altro  interprete,  e  meritava  che  se  ne  profitasser  meglio  i 
comentatori  dal  1853  in  poi.  Con  questo  Comentatore  mi 
congratulo  assai  del  suo  merito  originale  della  perspicacia 
vasta  e  profonda  nel  senso  vero  di  Dante,  cioè  nel  senso 
cattolico.  P.  Sorio,  Lettera  1.  Dantesca,  p.  12. 

Torricelli  di  Torricella  F.  M.,  La  poesia  di  Dante  ed 
il  suo  Castello  al  Limbo,  Venezia,  Gasparì,  1864. 

Egli  ci  sarà  impossibile,  secondo  il  Torricelli,  penetrare 
nella  stragrande  macchina  del  sacro  poema,  e  tutto  svol- 
gerne l'artifìcio,  senza  il  lume  della  mistica,  senza  l'aiuto 
dei  padri,  delle  leggende  allegoriche,  delle  poesie  sacre  dei 
cristiani,  senza  lo  studio  del  linguaggio  ieratico  della  Chiesa. 
La  chiave  di  tutto  il  segreto  è  :  Dante  descrisse  il  viaggio  dei 
sette  giorni,  di  cui  ne  fu  tipo  il  viaggio  del  popolo  ebreo 
da  Ramesse  al  Giordano.  In  lutti   e  due  lo  stesso  luogo 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA  .  605 

di  azione,  islessissimo  il  tempo  ;  nò  vi  mancano  le  guide,  e 
perfino  il  proemio,  anche  questo  similissimo  al  proemio  del 
Viaggio  dei  sette  giorni,  in  ambo  vassi  dalla  Porta  di  S. 
Pietro  della  Gerusalemme  terrestre  alla  Porta  di  S.  Pietro 
della  Gi'rusalemme  celeste,  percorrendo  la  Via  lunfia,  o  la  , 
Via  santa,  che  stendevasi  sull'  inferiore  Cammin  di  Vita,  e 
però  passava  per  V  Inferno,  il  Purgatorio  ed  il  Paradiso. 
Il  tempo,  dal  Lunedì  santo  al  giorno  di  Pasqua.  Dante  di- 
scese all'Inferno  il  4  Aprile,  e  giunse  a  Dio  finitone  il  dì 
10.  Nell'idioma  sacro  di  Dante,  la  Via  diritta,  sarebbe  la 
Via  «lei  Libano;  11  bene  trovato  nella  selva,  il  loco  della 
penitenza:  la  valle  che  compunge  il  cuore  per  cui  è  forza 
di  transitare,  un  atto  di  dolore;  l'arrivo  al  colle,  il 
pittarsi  a  pie  del  Crocifisso;  il  riposarsi  fra  le  spalle 
del  colle,  il  confessarsi  a  Bio:  il  riprendere  via  pel  de- 
serto, il  rifiutarsi  di  far  penitenza;  la  lupa,  il  leone 
e  la  lonza,  la  Morte,  il  Mondo  e  la  Csarne  ;  l'altro  viag- 
gio che  si  dee  tenere,  il  prendere  la  via  della  penitenza; 

il  Veltro,  ossia  il  canis  gregis  di  S.  Gregorio,  la  vita;  il 
cibar  Sapienza  Amore  e  Virtule,  essere  una  delle  tre  per- 
sone divine;  il  tra  feltro  e  feltro,  ossia  l' inter  perus  et 
pccus  di  Ezechielle,  tra  le  pecorelle  ;  lì  veder  la  porta  di 
S.Pietro,  confessarsi  saj^ramentaliuente;  il  visitar  lo 

Inferno,  il  fare  la  soddisfazione  necessaria  ;  il  vedere  il  Pur- 
gatorio, il  fare  la  soddisfazione  che  appieno  purifica,  il  salire 
alle  genti  beate,  il  far  la  soddisfazione  preservatrice  e 
santificatrice. 

Torricelli  di  Torricella  F.  M.  La  Poesia  di  Dante  ed 
il  suo  Castello  del  Limbo,  Venezia,  Gaspari,  1863. 

Nel  Castello  dove  soggiornano  pur  {'anime  che  fur  per 
fama  note.  Dante  v'introdusse  tanti  personaggi  etnici  quante 
sono  le  specie  di  virtù  morale  acquisita,  e  in  che  solo  pos- 
sono risplendere  le  ombre  dcgl' infedeli.  E  volendo  pure 
laudare  il  nome  di  quelli  che  più  dura  e  più,  onora,  ei 
celebra  sovra  gli  altri  ì  Temperanti  studiosi,  a'  quali  va 
innanzi  la  bella  scuola  del  signor  dell'  altissimo  canto.  Tra' 
forti  laudo  per  militare  perseveranza  Camilla  e  Penlesilea, 
e  per  domestica.  Latino  e  Livia.  Nel  verso  Lucrezia,  Julia, 
Marzia,  e  Corniglia,  che  il  Torricelli  chiama  più  meraviglioso 


606  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

di  lutti,  racchiuse  divinamente  le  quattro  Prudenze,  rcgna- 
liva,  politica,  economica  e  militare.  Saladino  è  il  solo  (/insto, 
nel  prato  del  Castello;  sta  in  parte,  perchè  la  virtù  morale 
eh' e' rappresenta,  dalle  altre  tre,  da  tanti  personaggi  rap- 
presentate, è  distinta.  Tra  i  Temperanti  studiosi,  onorò 
i  Filosofi  Teologi  (Platone  e  Socrate);  i  filosofi  fisici  (De- 
mocrito, Diogene,  Anassagora,  Talete,  Empedocle,  Eraclito); 
non  dimenticò  i  cultori  delle  belle  arti  celebri  al  suo  tempo, 
sotto  i  nomi  di  Trivio  e  di  Quadrivio,  alle  quali  ne  ag- 
giunse Ire  di  nobilissime,  quella  dei  poeti,  già  ricordata, 
dei  medici  e  degli  interpreti  dei  Filosofi. 

Minici!  Serafino  Rafaele,  Sulla  Sintesi  della  Divina  Co- 
media,  e  sulla  interpretazione  della  l.^  Cantica,  secondo  la 
ragione  dell  intero  poema  considerata,  Padova,  Sicca,  1854. 

Appendice  alle   Considerazioni  sulla  Sintesi  della 

divina  Comedia,  ed  introduzione  ad  uno  studio  analitico 
delle  tre  Cantiche,  Sicca,  1835. 

Secondo  l'egregio  profess.  Minich,  l'intendimento 

finale  del  poema  è:  redintegrazione  morale  del  poeta,  ed 
insegnamento  atto  a  rigenerare  il  civile  consorzio. 

Selva,  Firenze  o  più  propriamente  tutto  lo  stato  sociale 
di  Firenze:  diritta  via,  tutta  la  società  forviata  dal  retto 
sentiero:  selvaggia,  lo  stato  di  selvatichezza  e  di  abbruti- 
mento a  cui  era  ridotta  la  società:  passo  mortale,  il  modo 
con  cui  Dante  usci  di  Firenze,  a  cagione  della  sua  condanna, 
ed  ebbe  quindi  motivo  a  ritirarsi  dall'  errore,  ed  a  conse- 
guire il  suo  perfezionamento  morale;  mortale,  micidiale 
per  tutti ,  nessuno  de'  suoi  compagni  di  sventura  seppe 
imitarne  l'esempio:  sonno,  la  debolezza  o  l'imperfezione 
dell'umana  natura  ed  il  bisogno  della  riparazione:  colle, 
quello  della  virtù:  guarda  in  alto,  l'intento  del  poeta  dì 
risorgere  dalla  prostrazione  morale  e  di  conseguire  la  sua 
riabilitazione:  sole^  il  lume  della  ragione  divina:  dove  il 
sol  tace,  v'è  abisso  di  perdizione;, ove  cessa  la  parola  della 
verità  e  non  penetra  il  lume  della  ragion  divina:  le  tre 
tìere  i  vizi  che  concorsero  a  produrre  la  condanna  del  poeta, 
preparala  dall'invidia  (lonza),  eh' è  mobile  versipelle  e  fal- 
lace; maturata  dalla  superbia  (leone),  con  la  venuta  in 
Firenze  di  Carlo  di  Valois,   che  fece  prevalere  il  partito 


BIBLIOGRAFIA   DANTESCA    ITALIANA.  607 

(lei  Neri,  ed  aggravata  dall'avarizia  (lupa),  la  quale  corca 
di  molte  brame,  e  non  paga  di  manomettere  e  confiscare 
i  beni  dell'  esigliato,  volle  rapirgli  l' onore  con  una  sentenza 
infamante:  nel  Veltro  allegorico,  simboleggiato  un  sommo 
Pontefice,  dalla  cui  promozione  alla  cattedra  di  S.  Pietro 
attendeva  la  repressione  dell'avarizia,  poiché  la  sola  auto- 
rità pontificia  può  combattere  moralmente  un  peccato:  in 
Virgilio,  la  guida  dell'  umana  sapienza,  sotto  cui  Dante 
imprendeva  la  sua  mistica  peregrinazione.  Ma  la  sola  sa- 
pienza umana  non  sarà  sufficiente  a  guidarlo  nella  via  della 
redenzione,  onde  verragll  a  nuova  scorta  Beatrice,  simbolo 
della  teologia,  ossia  della  scienza  delle  cose  divine,  il  cui 
npme  stesso  e  la  cui  rimembranza  accenna  la  beatitudine 
e  'la  celeste  contemplazione. 

BoRGiUNi  YiCENZO,  Introduzioìie  al  poema  di  Dante,  Al- 
legoria, (Studi  sulla  divina  Comedia  per  cura  di  0.  Gigli, 
Firenze,  Le  Mounier,  1853.) 

Intendimento  finale  della  divina  Cantica  è  di  ridurre 
l'uomo  dal  peccalo  al  bene  operare,  e  dallo  stato  vizioso 
a  quello  della  virtù,  dimostrando  non  solo  in  che  consista 
la  vera  felicità  e  perfezione  umana,  ma  insegnando  Insieme 
la  strada  certa  e  sicura  por  arrivarvi. 

Castiglia  Benedetto,  Dante  Allir/hierì,  ou  le  probleme 
de  r  humanité  au  nioyen-age,  Lettres  a  M.  de  Lamartine, 
Paris,  Dentu,  1857. 

Fr.  Perez  che  nel  183G  avea  pubblicato  In  Palermo  un 
importantissimo  suo  scritto,  con  acume  d'Ingegno  e  pro- 
fondità di  studi  sulla  prima  Allegoria  del  Poema,  si  duolo 
altamente  del  Castiglia  che  lo  abbia  cacciato  tra  les  réveurs 
che  vedono  in  Dante  il  riformatore  politico,  e  soggiungeva: 
L'interpretazione  ch'el  dà  dell'idea  dominante  del  poema 
e  del  sistema  dantesco  è  poco  più  poco  meno  la  stessa  che 
io  diedi  all'opuscolo  da  lei  citato,  salva  la  correlazione  in 
cui  si  sforza  di  porla  con  un  sistema  religioso  soclaic... 
Qual  è  l'ultima  espressione  dell'idee  da  me  pubblicate?  I 
mali  lutti  dell'umanità  derivano  dall'essere  traviate  le  due 
guide  disposte  da  Dio  a  condurla  nelle  vie  del  tempo  o 
dell'  eternità:  Impero  e  Chiesa.  Danto,  rappresentando  in 
sé  tutta  r  umaniià,   è  guidalo   dalla  scienza    morale,   Indi 


608  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

dalla  teologica,  a  conoscere  la  cagione  de'  traviamenti  e  il 
rimedio.  Da  ciò  il  viaggio  speculativo  e  simbolico  ne'  tre 
regni  del  male,  della  purgazione,  del  bene.  -  Quale  è  la 
somma  delle  idee  ultime  del  Sig.  Castiglia?  11  Perez  prova 
apertamente  e  con  le  slesse  parole  del  Castiglia,  non  essere 
che  affatto  la  sua. 

Buono  IO  VANNI  Domenico,  Prolegomeni  del  nuovo  Comento 
storico-morale -estetico  della  Divina  Comedia,  Forlì,  Bordaii'- 
dinì,  18S8. 

Il  fine  del  poema  è  di  rendere  gli  uomini  assennati  e 
religiosi,  per  disporli  a  qiieirordinamento  politico  che  meglio 
abbia  a  conferire  alla  temporale  e  spirituale  felicità.  Questo 
fine  è  triplice  ;  m_orale,  religioso  e  civile:  Ire  fini  particolarri 
che  si  compendiano  in  questo  solo:  //  ritorno  dell'uomo 
a  Dio. 

La  selva  è  il  secolo  di  Dante  avvolto  nelle  tenebre  della 
selvatichezza  e  della  barbarie  per  difetto  di  unità  nel  reg- 
gimento civile:  0  più  brevemente,  lo  stato  immorale  della 
umana  generazione.  —  Il  beìie  che  vi  trovò,  la  filosofia, 
mossa  dagli  occhi  lucenti  di  Beatrice,  od  illustrata  dalla 
cattolica  verità  :  Dio  e  la  sua  giustizia,  rispetto  alla  quale 
anche  la  pena  o  il  gastigo  è  un  bene.  -  Il  colle,  che  il 
Poeta  tentò  di  salire,  cinto  i  fianchi  della  corda  dell'equità, 
figura  la  virtù  che  ci  solleva  a  Dio  nella  vita  attiva.  -  Il 
Pianeta  che  ne  veste  le  spalle,  la  dottrina  del  Cristo,  qui 
deslruxit  mortem  et  ilhiminavit  vitam:  onde  mena  dritto 
per  ogni  calle,  cioè  per  la  vita  attiva  e  contemplativa,  per 
la  civile  e  per  la  spirituale.  -  La  ìiotte  passata  nella  selva 
con  tanto  affanno  sarà  la  sete  decenne  da  che  fu  arso 
mentre  visse  legato  al  senso,  e  che  doveva  poi  sbramare 
negli  occhi  di  Beatrice,  o  più  chiaramente,  la  vita  mondana 
ed  oscura  del  poeta  dalla  morte  di  Beatrice.  -  La  salita 
faticosa  del  colle  e  la  subita  rovina  dinanzi  alla  lupa,  il 
Priorato,  o  il  periodo  luminoso  della  vita  di  Dante,  e  gli 
amari  frutti  che  poi  ne  colse  per  gli  uomini,  che  nelle 
cose  basse  e  terréne  avvallando,  imbestiavano.  -  Il  passo  che 
non  lasciò  fiiammai  persona  viva,  il  valico  dell'  adolescenza^, 
allorché  la  ragione  si  disvia  dietro  ai  sensi,  si  smarrisce, 
si  perde,  se  grazia  speciale  del  cielo  non  la  soccorre.  -  La 


BIBLIOGRAFIA  ITALIANA   DANTESCA.  609 

lonza  in  senso  politico,  la  tirannide  popolare,  le  torte  de- 
mocrazie, e  massime  la  fiorentina,  che  il  poeta  sperava  di 
raddrizzare:  in  senso  morale,  la  cupidità  incontinente  pu- 
nita, secondo  che  imagina  Dante,  ne' primi  gironi  d'inferno. - 
Il  leone,  nel  primo  senso  le  oligarchie  corrotte  o  la  tiran- 
nide dei  Grandi,  che,  subentrata  alla  popolare,  gli  mosse 
aspra  guerra,  gli  mise  paura  ;  in  senso  morale,  la  cupidità 
violenta,  che  ci  porta  alle  opere  leonine,  flagellate  entro 
la  città  di  Dite.  -  La  lupa  simboleggia,  in  senso  politico,  la 
tirannide  di  un  solo,  che  è  il  pessimo  di  tutti  i  governi 
corrotti  :  in  senso  morale,  la  cupidità  frodolenta,  che  per 
sacrilega  avarizia,  ci  spinge  alle  opere  di  volpe,  sprofondate 
dall'ira  divina  nel  luogo  più  oscuro  e  più  lontano  dal  cielo. 
Radix  omnium  malorum  est  cupiditas,  disse  già  S.  Gregorio, 
e  Dante  aspettava  l'Imperatore  che  venisse  a.  cacciar  dal 
mondo  questa  cupidità.  -  Il  gran  deserto  significherà  l'esilio 
di  Dante  dopo  V  ultimo  tentativo  fatto  dai  Bianchi  per 
rientrare,  giusta  quello  che  l'Esule  iiorenlino  scrisse  nella 
lettera  ai  principi  e  popoli  d'Italia  :- Noi  vedremo  l'aspet- 
tata allegrezza,  i  quali  da  lungo  tempo  dimoriamo  nel 
deserto.  -  Il  Veltro,  la  ristaurazione  della  Monarchia  catto- 
lica; l'Imperatore,  quale  egli  lo  aveva  disegnato  e  dipinto 
nella  sua  teoria  politica;  e  non  un  capo  di  parte,  un  ca- 
gnotto ghibellino;  sì  il  Yeliro,  che,  seduto  accanto  al  Pastore 
della  Chiesa,  desse  la  caccia  ai  lupi  che  infestavano  il 
gregge  del  Cristianesimo.  -  Virailio,  la  filosofia  naturale  che 
venne  a  mitigargli  l'amarezza  del  tristissimo  esigilo.  - /^ea- 
irice,  la  scienza  delle  cose  divine,  alla  quale,  al  dire  del 
Borghini,  la  filosofia  non  è  che  un  obbediente  e  devota  ancella. 

Berardinelli  W  Francesco,  Il  Comento  della  Divina  Come- 
dia  di  Dante  Alliffhieri,  Dimostrazione  (un  Voi.  di  pag.  496), 
Napoli,  Rondinella,  1859. 

Due  allegorie  sostanziali,  secondo  il  Berardinelli,  com- 
pongono il  sistema  dantesco;  l' una  nel  proemio,  l'altra 
nelle  tre  Cantiche.  La  prima  espone  il  perchè  Dante  intra- 
prendesse il  viaggio,  la  seconda  denota  il  viaggio  stesso; 
quella  dimostra  un  male,  per  cui  evitare,  è  necessario  il 
viaggio,  questa  un  bene  che  distruggerà  questo  male.  Il 
bene  delia  seconda  allegoria  è  la  conversione  perfetta  del 
voL.  II.    .  ;>a 


610  BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  ITALIANA. 

peccatore  rappresentala  in  Dante  protagonista.  In  effetto 
neir  Inferno,  al  cospetto  delle  pene  inflitte  al  peccato,  Dante 
ne  concepisce  orrore,  e  si  dispone  al  sacramento  della 
confessione  che  riceve  prima  di  entrare  nel  Purgatorio:  gli 
restano  le  reliquie  dei  peccati,  ond'egli  si  sveste  di  grado 
in  grado  nel  camino  del  Purgatorio  fino  a  ridursi  a  quello 
stato  ordinalissimo,  proprio  di  chi  trovasi  nel  Paradiso 
terrestre.  Ottenuto  un  tal  raddrizzamento,  ei  può  subito 
elevarsi,  e  si  eleva  di  cielo  in  cielo  alla  contemplazione  dei 
divini  attributi,  fino  a  unificare  là  sua  volontà  con  la 
divina.  Ecco  il  bene  della  seconda  allegoria.  Dunque  il  male 
della  prima  è  lo  stato  di  peccato,  le  fiere  saran  dunque 
figure  delle  tre  principali  tentazioni,  la  superbia,  la  lussuria, 
l'avarizia;  che  se  dall'avarizia  ebbe  più  contrasto  Dante, 
ciò  fu  perch'essa  ha  forza  più  generale  e  più  efficace.  La 
quale  avarizia,  potendosi  considerare  come  male  dell'indi- 
viduo e  della  società  può  avere  un  doppio  rimedio;  l'uno 
individuale,  ed  è  la  conversione  religiosa,  fine  primario  del 
poema  ;  l'altro  sociale,  ed  è  per  Dante  l'attuazione  della  sua 
idea  politica  della  Monarchia,  fine  ulteriore  del  poema.  -  I 
dissidi  e  i  mali  costumi  di  Firenze,  e  più  generalmente 
delle  città  d'Italia  hanno  per  origine  l'avarizia  della  parte 
guelfa  :  a  cessarla  nei  reggimenti  civili  non  è  bastante  altra 
forza  da  quella  in  fuori  della  Monarchia  universale.  Questa 
s'invochi,  si  aiuti,  si  sostenga  di  tutto  potere:  in  quelle 
che  ciascun  italiano  attende  per  via  della  religione  alla 
emendazione  de'  suoi  vizii  particolari.  Così  convertitisi  prima 
nell'individuo,  pos^Ja  nelle  comunanze  i  reggimenti,  la 
società  s'acquisterà  quella  perfezione  maggiore  ch'è  possibile 
In  terra.  Tale  è  il  vincolo  con  cui  Dante  collega  le  due 
intenzioni. 

Eroli  di  Narni  Giovanni,  Libro  della  Sapienza,  con  al- 
cuni nuovi  importanti  stuclj  sopra  la  divina  Comedia,  la 
profezia  di  Sofonia  il  Magnificat  e  la  Salve  Regina,  tradu- 
zione in  versi  rimati,  Narni,  Tip.  del  Gattamelala,  1839. 

L'Eroi!  vuole  che  Dante  ordisse  la  tela  del  suo  poema  sugli 
scritti  del  celebre  ab.  Chiaravallese.  L'ultimo  canto  ci  av- 
visa di  essere  ammaestrato  e  guidato  da  S.  Bernardo  alla 
dolce  ed  inefl"abile  contemplazione  della  verità.   -  Anche 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  Gì  l 

l'allegoria  generale  del  poema  venne  modellala  per  Dante 
non  solo  sopra  la  Bibbia,  ma  eziandio  sulle  opere  di  San 
Bernardo,  eccellente  interprete  delia  medesima.  Il  perchè 
chiunque  voglia  penetrare  bene  addentro  il  velo  dell'allegoria 
dantesca  deve  innanzi  tutto  studiare  e  meditare  nei  libri  del 
famoso  dottore.  -Il  sermone  III  in  yhjìlìa  ISatimtalis  Domini, 
e  il  sermone  xvn  in  Cantic.  I.  ci  avvalora  ad  addentrarci 
nello  spirito  del  I  Canto;  e  il  serm.  96  de  diversis  signìficat. 
ci  guida  a  levare  il  velo  delle  tre  donne  del  canto  secondo. 
Per  l'Eroli  la  Donna  gentile  è  figura  deWii  virtù,  Lucia  della 
carità.  Beatrice  della  rer/fà,  Virgilio  della  sapienza  allegorica 
personale.  -  Il  sermone  40  de  septem  gradibus  ci  è  di  veris- 
simo comento  al  C.  ix  del  Purgatorio. 

Ricci  Teodoro,  Proposta  di  una  nuova  interpretazione 
alla  principale  Allerioria  del  poema  di  Dante  AUighieri, 
Rimini,  Albertini,  1800. 

L'Autore  opina  che  Dante  abbia  simboleggiato  nella  selva 
le  intestine  discordie,  in  mezzo  cui  vivevano  i  Fiorentini  senza 
alcuna  norma  di  diritto  o  ragione,  ovvero  la  pessima  Reggen- 
za fiorentina:  nella  valle  crede  sia  simboleggiata  Firenze 
ed  il  suo  territorio:  nel  colle  o  dilettoso  monte  (il  Castello 
dei  Sanesi  che  porta  questo  nome  e  confinava  colla  repub- 
blica fiorentina,  presso  il  quale  convennero  nel  1303  gli 
esuli  Bianchi  e  Ghibellini  per  tentare  un  colpo  sopra  Fi- 
renze )  un  luogo  di  speranze  in  genere,  ed  in  particolare  la 
patria;  Vesiglio  ììq\  deserto  ed  anche  naWdi  deserta  piaggia; 
per  gli  altri  simboli  contenuti  nelP  Allegoria  egli  segue  le 
chiose  del  Marchetti.  Su  questo  opuscolo  dettava  un  assen- 
natissimo  articolo  il  Can.  Giov.  Della  Valle  col  titolo:  Esame 
di  una  nuova  interpretazione  alla  principale  Allegoria  del 
poema  di  Dante  Allighieri,  Voi.  I.  de'  suoi  scritti,  p.  67-82. 

Ferroni  Paolo,  di  Comacchio,  La  Religione  e  la  politica 
di  Dante  Allighieri,  ossia  lo  scopo  ed  i  sensi  della  Divina 
Comedia,  Torino,  Stamperia  dell'Unione  Tipografica,  1861. 
.  Il  Ferroni  si  propone  di  provare  ch'esistono  nella  Divina 
Comedia  ambo  i  sensi  religioso  e  politico,  i  quali  da  chi 
l'uno,  da  chi  l'altro  si  sono  fino  a  qui  contrastati  ;  e  che  se 
lutti  due  convengono  ad  un  ultimo  scopo,  hanno  però  ciascuno 
un  fine  proprio  particolare.  L'Allegoria  poi  principale,  quella 


612  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

Cioè  che  si  rivela  specialmente  nei  primi  due  canti  dello 
Inferno,  non  avrebbe  nulla  di  comune  con  qualunque  senso 
che  si  racchiude  per  entro  il  Mistico  poema.  Il  lavoro  del 
Ferroni  va  diviso  in  4  capi,  cioè:  C.  i;  Divisamenlo  dei 
motivi,  dello  scopo,  dei  sensi  della  Divina  Comedia:  C.  ii; 
Dichiarazione  delia  Allegoria  principale:  C.  in;  Scopo  del 
poema,  cioè  dichiarazione  del  senso  morale:  G.  iv;  Il  senso 
anagogico.  Dietro  queste  tracce,  ei  ritiene  che  non  abbia  a 
rimanere  alcuna  parte  dì  Dante  che  sia  oscura;  anzi  lutto 
si  spiegherebbe  perchè  tutto  sarebbe  chiaro  ;  e  quello  che 
è  più  si  verrebbe  a  ravvisare  in  tutta  la  sterminata  sua 
grandezza  l'inarrivabile  mente  dell'eccelso  poeta,  lutto 
quanto  il  suo  amore  di  patria  e  di  Dio,  il  suo  gran  pensiero 
dell'italica  rigenerazione  e  quanto  giustamente  potesse 
cantare  che  il  suo  poema  lo  avea  fatto  vivere  macro  per 
più  anni. 

Mancini  Luigi,  La  Divina  Comedia  di  Dante  AUighìeri; 
Quadro  sinottico  analitico,  Fano,  Lana,  1861. 

L'allegoria  dell'epico  canto,  secondo  il  Mancini,  (Gior. 
Utile  f?w/c/ d' Imola,  N.°  3.  Gen.  1843  j  è  questa:  -  Il  perfe- 
zionamento dell'  uomo  e  la  felicità  di  tutto  il  genere  umano 
col  mezzo  della  monarchia  universale  e  del  cattolicismo. 
Il  fine  dell'  uomo  è  la  felicità  che  si  può  ottenere  soltanto 
nella  monarchia  universale.  -  La  colpa  d' origine  fu  la  causa 
di  tutti  i  mali  del  mondo:  la  mancanza  del  monarca  uni- 
versale li  mantiene.  Il  doppio  reggimento  temporale  del 
monarca  spirituale,  del  Vicario  di  Cristo,  è  il  rimedio  alla 
colpa  di  Adamo.  -  L' Inferno  è  il  quadro  dell'  umanità  de- 
viala dal  suo  fine  e  dei  mali  che  in  tale  deviamento  inon- 
dano la  terra,  non  governata  dal  monarca  universale  :  vale 
a  dire  una  pittura  del  mondo  ai  tempi  di  Dante.  Il  Purga- 
torio è  il  metodo  delia  riforma  del  mondo  col  mezzo  della 
monarchia  universale  e  dell'amore,  i  cui  vincoli  sono  dalla 
monarchia  stessa  intrecciati.  -  Il  Paradiso  è  il  quadro  della 
umana  felicità  nella  monarchia  universale  e  dell'amore.  - 
L'AUighieri  inoltre  col  sistema  della  sua  monarchia  pensava 
far  tutto  il  mondo  cattolico.  Armonizza  egli  la  scienza  umana 
colla  rivelazione,  identifica  società  e  religione,  tempo  ed 
eternità:  egli  coordina  insieme  il  senso  tropologico,  anago- 


BIBLIOGIIAFIA  DAMLSCA  ITALIANA.  Gll^ 

gico,  politico  e  civile,  cospiranti  tatti  ad  un  fine;  ed  in 
un  quadro  solo  racchiude  le  terrene  e  le  superne  destina- 
zioni. -  L'opera  del  Mancini,  contiene  oltre  un  comento  del 
1."  e  del  2.*^  canto  dell' Iiiferno,  una  rivista  generale  dello 
Inferno  e  del  Purgatorio  e  del  Paradiso  per  ogni  canto  ed 
ogni  sfera. 

Della  Valle  Can.  Giovanni,  j\tiovo  comento  della  prima  e 
principale  AUcfforia  del  poema  di  Dante,  Ravenna,  Stam- 
peria iSaz.  1802.  (Voi.  1.*^  de' suoi  scritti,  dalla  pag.  3-63.) 

La  selva  è  figura  dello  stato  politico-sociale,  in  cui  Dante , 
si  ritrovò,  massime  nel  300,  stato  travaglioso,  malagevole 
e  pieno  di  paura:  la  cima  del  colle  rappresenta  la  concordia 
e  la  pace  dei  fiorentini,  che  il  poeta  fu  mandato  ad  oflerire 
a  Papa  Bonifazio  Vili,  e  della  quale  aveva  argomenti  di 
bene  sperare.  La  quale  ambascieria  però  non  riuscì  a  buon 
termine,  e  causa  ne  furono  Firenze,  cioè  i  firentini  di  parte 
Nera,  la  casa  di  Francia  e  Roma  ;  potentati  e  signorie 
simboleggiati  nelle  tre  fiere.  E  poiché  era  rimasto  senza 
successo  queir  importante  e  vitale  negozio,  che  ridonando 
la  pace  a  Firenze  avrebbe  posto  fine  alle  amarezze  e  ai 
travagli  indivisibili  dalla  condizione  pul)blica,  in  cui  Dante 
si  ritrovava,  non  rimaneva  a  lui  verun'  altro  mezzo  a  questo 
scopo,  che  ritornare  nella  vita  privata  a'  suoi  diletti  studii, 
e  por  mano  ad  una  grande  opera  poetica.  La  quale  non  solo 
desse  a  conoscere  l'alto  suo  ingegno  e  la  vasta  sua  dottrina 
ai  contemporanei  e  ai  futuri,  ma  che  gli  aprisse  anche  il 
campo  a  dire  degli  uomini  più  celebri,  e  massimamente  di 
quelli,  che  al  suo  tempo  furono  più  noti  di  fama  per  virtù 
e  pei  vizii,  onorando  nella  memoria  dei  posteri  i  primi,  e 
caricando  di  vituperio  i  secondi.  Ora  quale  soggetto  più 
ampio  e  più  fecondo  per  varietà,  e  che  gli  si  porgesse  più 
opportuno  a  trattare  di  tutte  queste  cose,  che  (juello  dei  tre 
regni  ?  Ma  a  questo  notissimo  lavoro  gli  occorreva  l'aiuto  del 
principe  de' poeti  latini  che  egli  tanto  onorava,  e  quello  della 
mistica  Beatrice.  Ed  ecco  la  Visione  cosi  felicemente  ima- 
ginata  dall'  Allighieri,  dove  finge  d'  essersi  smarrito  in 
quell'oscura  e  spaventevole  selva,  dalla  quale,  poiché  fu 
levalo  dinanzi  alla  lupa  da  Mrgilio  mandatogli  da  Bealrice, 
s'incammina  con  lui  nelle  regioni  eterne  dei  morii.  Ed  ecco  il 


614  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

miracoloso  suo  viaggio  dell' Inferno,  del  Purgatorio  e  del 
Paradiso:  viaggio  che  forma  il  vasto  argomento  della  Divina 
Comedia.  Per  tal  guisa  ei  pensa,  che  per  le  dichiarazioni 
che  ha  dato  dei  simboli  contenuti  nell'Allegoria,  non  solo 
si  leghino  naturalmente  tra  loro  questi  simboli,  ma  che 
vengano  altresì  a  collocarsi  nel  loro  vero  e  più  stretto 
rapporto  col  soggetto  del  poema.  Il  quale  dal  primo  canto 
all'ultimo  forma  un  tutto,  che  acquista  per  tal  modo  la  più 
perfetta  ed  evidente  unità,  che  dalle  altre  interpretazioni 
dell'Allegoria  non  gli  pare  che  riceva.  Imperciocché  in 
quella  degli  antichi  Comentatori  non  è  dichiarato  il  motivo, 
pel  quale  Dante  siasi  dipoi  messo  a  scrivere  il  poema  dei 
tre  regni:  solo  vi  si  fa  conoscere  la  ragione,  per  la  quale 
si  conduce  a  visitarli,  né  altro  ci  é  detto.  E  quanto  al 
comento  dei  moderni,  e  a  quello  del  Marchetti  in  partico- 
lare, vero  è  che  vi  si  dice,  che  Dante  sperava  di  essere 
richiamato  nella  patria  per  l'alto  grido  che  di  sé  avrebbe 
levato  col  suo  poema;  ma  non  crede  si  potesse  affermare 
che  a  questo  fine  ei  togliesse  a  compierlo.  Da  un  altra 
parte  é  noto  che  prima  dell' esigilo  lo  avea  già  cominciato, 
compiendone  i  primi  canti.  -  Notevole,  scrive  il  Fanfani,  è 
ciò  che  il  Della- Valle  dettò  sulla  prima  Allegoria  del  poema, 
dove  ingegnose  interpretazioni  novelle  sono  sostenute  da 
sottilissimo  raziocinio  e  da  larga  erudizione.  -  11  Borghini, 
1864,  p.  319. 

Della  Valle  Giovanni,  Osservazioni  critiche  intorno  al 
senso  religioso  e  politico  che  la  principale  Allegoria  del 
poema  di  Dante  ebbe  dai  Comentatori,  Ravenna,  tipografia 
Nazionale,  1863. 

Il  Della  Valle  trova  ben  poco  probabile  il  senso  religioso 
ed  il  politico  offertoci  dai  comentatori,  quando  meglio  non 
sia  falso  del  tutto.  E  ne  trova  la  ragione  perchè  si  volle 
dagl'interpreti  che  l'Allegoria  chiudesse  il  disegno  generale 
del  poema,  talché  questo  sia  strettamente  legato  con  quella  e 
da  lei  dipendente  nella  generalità  delle  sue  parli.  Il  Della 
Valle  crede  la  Divina  Comedia  un  quadro  di  figure,  che 
senza  lasciar  di  accennare  il  soggetto  del  poema,  adom- 
brano alcuni  avvenimenti  politici,  i  quali  a  que'  tempi,  e 
lopratlutto  nel  1300,  toccarono  da  vicino  l'Allighieri,  e  che 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  615 

mostrano  il  come  e  il  perchè  egli  ponesse  mano  al  poema. 
Ed  è  sotto  questo  aspetto  soltanto,  ei  conchiude,  che  si 
possa  fuggire  alle  conseguenze  poco  Yerisimili  e  false, 
come  specialmente  si  fece  a  provare  nelle  interpretazioni 
recate  dal  Marchetti  e  dal  Fraticelli,  che  derivano  dal  con- 
siderare l'Allegoria  dantesca  nel  modo,  in  cui  finora  si  è 
voluta  considerare. 

Giusti  Giuseppe,  Delfine  del  Poema  (Studi  vari,  p.  189). 

Secondo  il  Giusti,  lo  scopo  che  Dante  si  propone  nel 
suo  poema  è  di  ricondurre  le  cose  d' Italia  ai  loro  principii 
tanto  civili  che  religiosi.  Come  cristiano,  non  solo  riconosce, 
ma  rispetta  e  vuole  che  stia  in  vigore  la  dignità  e  l'autorità 
del  pontefice  che  risiede  a  Roma  capo  visibile  della  chiesa  ;  e 
come  cittadino  d' Italia,  devoto  del  nome  e  della  grandezza 
romana,  tiene  la  Germania  come  una  provincia  dell'impero, 
e  vuole  che  la  famiglia  erede  del  trono  dei  Cesari,  lasci 
le  cose  di  là  e  torni  a  fissare  a  Roma  la  sede  imperiale... 
La  selva  oscura  è  immagine  di  quell'epoca  traviata;  il 
monte  dilettoso,  vestito  dei  raggi  del  sole,  principio  e  ca- 
gione di  tutta  gioia,  è  simbolo  di  una  vita  di  verità  e  di 
pace;  la  Lonza  il  Leone  e  la  Lupa  che  gì' impediscono  di 
passare  a  un  tratto  dall'ultimo  fondo  del  male  all'altezza 
del  bene,  figurano  il  diletto  dei  sensi,  la  sete  di  dominare 
è  l'avidità  dell'avere.  -  E  a  pag.  195:  Lo  scopo  di  Dante 
è  di  proporre  un  modello  di  riordinamento  al  suo  secolo 
guasto,  non  una  riforma  religiosa  e  politica,  ma  di  richia- 
mare nel  suo  pieno  vigore  il  diritto  romano  e  nella  sua 
primitiva  purità  la  morale  evangelica.  Il  poeta  nella  Co- 
media  dal  lato  politico  non  è  ghibellino,  ma  monarchico; 
non  è  antipapale  dal  lato  religioso,  ma  antiteocratico.  Vuole 
che  Roma  torni  ad  esser  capo  del  mondo,  è  ad  esser  tale 
la  crede  destinata  da  Dio:  vuole  che  a  Roma  risiedano  i 
due  capi  dell'universe  genti,  l'Imperatore  e  il  Papa,  cia- 
scuno dei  due  indipendente  dall'altro  nella  sua  giurisdi- 
zione, ambedue  d' accordo  nel  procacciare  il  bene  degli 
uomini;  l'Imperatore  tenendo  il  freno  delle  leggi  perchè 
non  irrompano  nelle  cose  vietate,  il  Pontefice  guidandoli 
coir  esempio  e  col  precetto  nella  via  della  virtù.  Forte 
V  «00  del  diritto  della  spada,  l' altro  dell'  ascendente  morale, 


616  BIDLIOCRAFIA  I)x\MESCA  lTALlA^A. 

frenanlisi  scambievolmente.  -  Ytrf/ilio  ò  imagine  di  saviezza 
umajia,  Catone  siinliolo  di  retlitudiue  secondo  ragione  umana, 
ìkalrice  di  scienza  divina.  Dante  medesimo  rappresenta 
moralmente  l'umana  natura  sviala,  poi  ricondotta  sulla  via 
retta,  e  finalmente  guidata  e  ricongiunta  a  Dio.  Il  viaggia 
per  r  Inferno,  latto  scendendo  più  al  basso,  di  cerchio  in 
cerchio,  simboleggia  la  considerazione  degli  errori  passati. 
Quello  del  Purgatorio,  salendo  di  giro  in  giro,  rappresenta 
lo  spogliarsi  a  mano  a  mano  delle  male  abitudini,  incam- 
minandosi alla  verità.  Parte  dalla  selva  selvaggia,  e  tutto 
rinnovato  entra  nella  selva  ridente  che  ricorda  l'Eden 
antico,  ove  fu  innocente  l' umana  radice.  -  L' ascensione  a 
Dio  di  cielo  in  cielo  è  simbolo  del  ricondursi  che  fa  la 
creatura  al  creatore  di  virtù  in  virtù.  Finisce  il  poema  colla 
contemplazione  del  mistero  dell'Incarnazione,  simbolo  del 
congiungimento  dell'  uomo  a  Dio.  -  Y.  p.  211,  222,  231,  251, 
255,  256,  302. 

Vedovati  Ab.  Filippo,  Intorno  ai  due  primi  Canti  della 
divina  Comedia,  Esercitazioni  cronologiche,  storiche  morali, 
Venezia,  Tip.  del  Commercio,  1864. 

Il  Vedovati  dal  senso  litterale  del  primo  Canto,  appog- 
giandosi, com'ei  dice,  alla  Storia,  ed  alle  sue  ragioni,  si 
conduce  ad  investigare  l' allegorico,  cioè  /'  ascosa  verità 
storica,  che  vi  sta  coperta.  -  Secondo  il  Vedovati,  l'epoca 
trascelta  alla  poetica  entrata  nella  selva  sarebbe  il  Marzo 
1301  (Inf.  h  1  ;  VI.  65).  -  7  tre  Soli  s' interpretino  per  tre 
giorni  -  Inf.  x.  46;  -  le  quasi  cinquanta  volle  di  raccensione 
s' intendano  non  ad  ogni  mese,  ma  raccensione  a  faccia 
novella  in  ognuna  delle  quattro  fasi  mensili  -  Inf.  xxi  112; 
Purg.  li.  88.  -  La  selva  è  per  lui  Firenze;  la  Valle  la  To- 
scana; la  piaggia  diserta  l'Italia.  Nel  monte  irradiato  dal 
Sole  vi  scorge  il  conseguimento  del  desiderato  ordine  civile, 
col  mezzo  o  forse  anco  della  papale  autorità.  La  Lonza 
raffigura  le  parti  guelfe  Bianca  e  IS'era;  il  Leone  Carlo  di 
Aalois;  la  Lupa  la  discordia  seminata  e  mantenuta  da  Pa- 
pa Bonifazio  Vili;  il  Veltro  Benedetto  XI  -  Virgilio  che 
gli  si  accosta  a  guida  è  il  genio  poetico;  il  bene  trovato 
l'eccitamento  ad  applicarsi  di  nuovo  agli  studi;  V  altro 
viaggio  che  dovrebbe  tenere  la  risoluzione  di  abbandonare 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  017 

le  cose  civili  per  alleiidere  alla  composizione   del  sacro 
poema. 

Nella  II."  parte,  che  abbraccia  il.  canto  secondo,  egli 
intende  di  ofl'rirci  alcuni  schiarimenti  del  senso  lllterale- 
allefforìco,  ed  una  qualche  interpretazione  ncll'  alleqorico- 
morale.  -  Il  Vedovali  ritiene  nella  Donna  gentile  del  cielo 
moralmente  simboleggiala  la  Divina  Provvidenza;  in  Lucia 
la  Divina  Rivelazione;  in  Beatrice  la  Religione  cristiana, 
anche  nella  sua  vita  contemplativa;  in  Virgilio  la  Poesia; 
e  il  concetto  morale  correrebbe  cosi  :  -  La  Divina  Provvi- 
denza mossa  a  compassione  delle  acerbe  sciagure  in  cui 
era  ravviluppato  il  misero  Dante,  usando  (giusto  l'eterno 
suo  ordinamento)  della  Rivelazione  eh' è  prima  luce  che 
illumina  la  Cristiana  Religione,  cui  è  strettamente  congiunta, 
dispone:  che  la  Religione  ispiri  la  Poesia:  e  che  questa 
susciti  il  genio  poetico  dell' Allighieri  a  descrivere  gli  alti 
lai  dell'Inferno,  le  pene  espiatorie  del  Purgatorio,  e  le  beate 
delizie  del  Paradiso:  assicurato,  che  toglierebbesi  cosi  dalle 
gravi  angustie  che  lo  circondavano;  e  che  di  tal  maniera 
riescirebbe  a  se  stesso,  ed  altrui,  di  sommo  conforto  e  di 
morale  profitto.  -  Queste  due  memorie  furono  lette  dal- 
l'egregio  Vedovati  all'Ateneo  di  Venezia  nelle  tornate  del 
25  Giugno  e  del  22  Luglio  1863. 

Alle  ricordate  esercitazioni  sui  due  primi  canti  seguono 
due  Appendici,  1'  una  ad  un  passo  del  Convito  che  si  vor- 
rebbe oscuro  (  Tratt.  ix.  e.  2  j  ;  illustrativa  l' altra  del  famoso 
verso  di  Dante:  Pape  Satan,  Pape  Satan,  aleppe.  Recata 
r  interpretazione  del  Cellini,  suggeritagli  dalle  parole  fran- 
cesi Paix,  paix,  Satain,  allez,  pais  che  udi  gridare  nella 
grande  sala  di  Parigi  da  un  giudice  nel  civile,  Luogotenente 
del  re,  e  eh'  ei  traslatò  :  sta  cheto,  sta  cheto.  Satanasso,  e 
levati  di  costì,  e  sta  cheto;  il  Vedovati  ci  olire  del  motto 
succennato  la  seguente  traduzione  letterale  italiana;  No7i 
pace,  0  Castellano,  alla  spada,  alla  quale  aggingne  la  tra- 
duzione libera:  All'  erta  ;  nessuna  concessione,  non  sì  permetta 
r  entrata,  cui  non  s' appartiene:  Signor  custode,  signor  Ca- 
stellano, mano  all'armi;  usale,  a  tutta  forza^  resistenza, 
fino  agli  estremi. 

LiBiis  Amomo,  Prof.  all'I.  R.  Università  di  Gratz,  Alle- 


618  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

goria  morale,  ecclesiastica,  politica  nelle  due  prime  Cantiche 
della  Divina  Comedia  di  Dante  Allir/hieri,  ovvero  dei  van- 
tafjfji  che  per  l  intelligenza  della  Divina  Comedia  si  possono 
trarre  dalla  conoscenza  della  cultura  del  suo  Autore,  Dis- 
sertazione letta  all'  Ateneo  di  Bussano  nella  tornata  del  3 
Marzo  1864,  con  Aggiunte,  Gralz,  1864,  Kienreich. 

.La  principale  causa  della  discordia  degl' interpreti  di 
Dante  è  da  attribuirsi,  secondo  il  Lubin,  a  ciò,  che  ciascuno 
vuole  interpretarlo  colle  idee  del  suo  tempo,  e  senza  usar 
il  debilo  riguardo  alla  cultura  di  Dante  e  del  tempo  di 
Dante.  -  Se  la  Divina  Comedia  contiene  lo  scibile  di  quel 
tempo,  questo  è  da  ricercarsi,  sia  per  la  sostanza  che  pel 
rnelodo  allora  osservato,  nelle  opere  lette  e  scritte  da  Dante. 
Egli  sarà  quindi  bene  di  preparare  le  menti  dei  leggitori 
alla  lettura  della  Divina  Comedia,  facendo  loro  conoscere  i 
tratti  delle  opere  lette  e  scritte  da  Dante  e  che  hanno 
relazione  alle  cose  trallate  od  accennate  nelle  Cantiche  im- 
morlali.  -  Poiché  ebbe  egli  slabililo,  che,  come  la  Babilonia 
e  la  Gerusalemme  d'Ugo  da  S.  Vittore,  T  Inferno  e  il  Pur- 
gatorio di  Dante,  considerati  tropologicamente,  sono  il  primo 
l'immagine  dei  malvagi  del  secolo;  il  secondo  la  vita  spiri- 
tuale, 0  l'immagine  di  quelli  che  si  esercitano  nelle  virtù  ; 
dimostra  che  il  Purgatorio  è  anche  figura  della  Chiesa  di 
Cristo,  nella  quale  solo  le  virtù  sono  meritorie  di  vita  eter- 
na. -  La  Provvidenza  divina,  per  restaurare  l'umanità 
prevaricala,  le  assegnò  due  reggimenti,  il  civile  e  l'eccle- 
siastico, il  politico  e  il  religioso.  E  però,  dinanzi  al  tribu- 
nale di  Dio,  i  codici  dei  due  reggimenti  formano  un  codice 
solo,  e  quindi  gli  osservatori  delle  leggi  dei  due  reggimenti 
sono  da  Dio  egualmente  premiati,  come  ne  sono  egualmente 
puniti  i  prevaricatori.  Ond'è  che  nella  Divina  Comedia, 
considerata  allegoricamente,  l'Inferno  sarà  l'imagine  del 
reggimento  che  il  principio  del  male  oppone  ai  due  reggi- 
menti civile  ed  ecclesiastico,  conducendo  all'infelicità  quelli 
che  vi  si  ascrivono.  Il  Purgatorio  sarà  la  figura  dei  due  reggi- 
menti civile  ed  ecclesiastico  di  maniera,  che  V Antipurgatorio 
figuri  il  reggimento  civile  affidato  alla  custodia  del  virtuoso 
Catone  ;  il  Purgatorio  vero  e  il  Paradiso  terrestre  figurino  il 
reggimento  ecclesiastico,  affidato  alla  custodia  di  Pietro. 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  619 

Le  sette  giornate  del  viaggio  saranno  tropologicamente  le 
sei  epoche  assegnate  dagli  ascetici  all'  esercizio  delle  buone 
opere;  e  la  settima  l'epoca  del  riposo  eterno  in  Dio.  Alle- 
goricamente le  sei  epoche,  in  cui  i  teologi  dividono  la  storia 
della  restaurazione  dell'umanità,  e  la  settima  della  beatitu- 
dine eterna  in  cielo. 

Gli  argomenti  di  che  si  arma  sono  la  Bibbia  ed  i  Padri, 
e  de' Padri  segnatamente  Ugo  da  s.  Vittore,  del  quale  si 
mostra  famigliarissimo,  senza  dire  delle  opere  tutte  del- 
l'Allighieri  che  ha  sempre  pronte  alle  sue  dimostrazioni. 
Oltre  di  che  i  Giganti  (p.  9-11);  1  superbi  e  gli  invidiosi 
(p.  10-13);  il  Padre  Mostro  (p.  32-33);  il  Veglio  d'Ida 
(  p.  64-68)  ;  Catone  (p.  69-74)  ;  Bordello  (p.  77-80)  ;  Virgilio 
(p.  85-88)  e  il  Veltro  (p.  103-108)  ricevono  spiegazioni  o 
nuove  0  più  complete  del  solito. 

Barelli  Vlncenzo,  L'Allegoria  della  Divina  Comedia  di 
Dante Allighieri,  (Un  voi.  in  16.™^  di  pag.  x\viii.-376)  1864. 

Ci  spiace  di  non  poter  toccare  di  questo  lavoro,  non 
essendoci  ancora  giunto  alle  mani. 

AURE  l^IERPREIAZIOM  DELIA  PRINCIPALE  ALLEGORIA 

per  mille  penne  è  torta 
La  sua  sentenza;  e  chi  là  entro  pesca, 
Per  gran  sete  d'  attingere  vi  porta 
Ambagi  e  sogni  onde  i  semplici  invesca. 
Uno  la  fugge,  un  altro  la  coarta, 
O  va  di  carta  in  carta 
Tessendo  enimmi,  e  sforza  la  scrittura 
D'  un  tempo  che  delira  alla  misura.  Giù*.  Oiusti. 

COMENTATORi  ANTICHI.  Intendimento  della  Divina  Comedia. - 
Gli  antichi  Comentatori  sono  concordi  che  Dante  nel  divino 
poema  abbia  inleso  adombrare  l'uomo  schiavo  del  peccato, 
ed  impedito  dalle  passioni  nel  suo  ritorno  alla  virtù,  il  quale, 
illuminandolo  la  Grazia  celeste,  riconosciuto  l'errore,  mercè 
della  fede,  apre  gli  occhi  delia  mente  perfino  a' misteri 
incomprensibili  ed  all'immortale  beatitudine.  -  La  Filosofìa 
morale,  e  la  Teologia,  dice  V  Ottimo,  l'una  col  fargli  com- 
prendere dall'acerbità  delle  pene  la  turpitudine  de' vizi, 
l'altra  dall' inefTabile  grandezza  dei  premi  la  bellezza  della 


C20  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

virtù,  han  per  iscopo  lui,  e  in  esso  lui  l'umanità  ad  onesto 
e  costumato  vivere  ricondurre.  Secondo  l' Oliimo  stesso. 
Dante  pone  sé  medesimo  in  forma  del  libero  arbitrio  incli- 
nante alla  sensualità.  »  Non  sa  come  l' uomo  entri  nei  vizj, 
perchè  naturalmente  a  ciascuno  è  ignota  tal  entrata  per  lo 
principio  della  puerizia  nella  quale  si  dorme...  11  sonnoglioso 
molte  volte  erra  la  via...  11  sonno  è  immagine  di  morte... 
end' egli  uscì  del  diritto  camino  ed  entrò  nella  selva  del- 
l'errore. -  Dalla  bassezza  dell'ignoranza,  ossia  della  valle 
in  ch'era  smarrito  ei  giugne  a  pie  d'un  colle,  quello  della 
virtù.  Non  si  viene  a  virtù  se  non  per  l'ardua  salita  del 
monte,  dell'  alto  inlumlnato  di  sapienza.  Le  tre  fiere  che 
l'ascesa  gli  contrastano  essere  li  tre  vizi  che  più  comu- 
nemente occupano  le  umane  generazioni  :  pungendo  sé  slesso, 
voler  egli  insieme  trafiggere  i  corrotti  costumi  del  secolo. 
Pel  Boccaccio  rappresentan  esse  li  tre  principali  nostri  ne- 
mici :  la  carne  [lonza],  il  mondo  [leone],  il  demonio  [lupa). 
V  Anonimo  ravvisa  nel  Veltro  il  monarca  di  Dante,  quale 
ei  lo  descrisse  nel  C40nvito  e  nella  Monarchia:  Pietro  Alli- 
ffhieri,  un'anima  virtuosissima  che  avrà  il  governo  del 
mondo  e  lo  drizzerà  alla  virtù,  all'amore,  alla  pace,  che 
sarà  salute  principalmente  d' Italia,  occupala  più  che  qual- 
sivoglia altro  paese  dalle  guerre  e  dalla  tirannide.  L'Autore 
delle  Chiose  falsamente  attribuite  al  Boccaccio,  vi  scorge 
la  restaurazione  dell'  Impero  in  un  soggetto  senza  parte 
veruna,  savio  e  giusto,  a  sbandire  la  cupidità  e  la  tirannia: 
Il  Boccaccio,  alcuno  poveramente  nato,  che  per  virtù  e  lau- 
devoli  operazioni  in  tanta  eccellenza  di  principato  perver- 
rebbe, che  drizzando  tutte  le  sue  opere  a  magnificenza, 
senza  avere  in  alcun  atto  animo  e  appetito  ad  alcun  acquisto 
di  reami  e  di  tesori,  ed  avendo  in  singolare  abbominazione 
il  vizio  dell'avarizia,  e  dando  di  se  ottimo  esempio  a  tutti, 
inducesse  gli  animi  de'  sudditi  a  fare  il  somigliante  onde 
la  cupidità  sarebbe  cacciata  universalmente  dal  mondo.  Gli 
altri  espositori,  da  Benvenuto  fino  al  Landino  nulla  aggiun- 
sero di  più,  onde  si  raccoglie  essere  opinione  abbracciata 
dagli  interpreti  antichi  che  il  Veltro  figuri  un  imperatore 
non  cupido,  ma  sapiente,  amorevole  virtuoso,  senza  parie, 
ch'era  nei  voli  del  poeta  a  salute  dì  tutta  la  cristiana  re- 


BIBLIOGRAFIA  DAMKSCA  ITALIANA.  621 

pubblica  e  segnatamente  d'Italia  da  cieca  cupidigia  amma- 
liala. -  In  Mrffilio  videro  gli  antichi  adombrala  la  Filosolia 
morale;  la  Teologia  \n  Beatrice,  dal  Boccaccio  della  invece 
la  Bontà  divina;  in  Lucia  la  Grazia  cooperante;  in  Rachele 
r Illuminante;  nella  Donna  Gentile  la  Preveniente  e  pel 
Boccaccio  l' Orazione. 

Marchetti  Giovanni  (1822).  -  Intendimento  del  Poema.  - 
L'Allighieri  avvisa  all'arduo  e  nobilissimo  lavoro  di  un 
Poema,  dove  le  divine  opere  di  Virgilio  raggiandogli  la 
mente  e  levandola  a  mirabile  altezza  d'invenzione  di  con- 
celli e  di  stile,  sarebbe  cagione  che  ne  acquistasse  cosi 
gloriosa  fama  che  i  suoi  concittadini  vergognando  avere 
privalo  di  cotanto  lume  la  patria,  ve  lo  riponessero.  Onde 
pel  più  malagevole  cammino,  quel  della  gloria,  sperava  di 
giugnere  per  la  via  più  breve  e  spedita,  cioè  della  giustizia. 

La  selvosa  e  deserta  valle,  significare  la  miseria  di  Dante 
privato  di  ogni  più  cara  cosa  :  //  dilettoso  monte  la  conso- 
lazione e  la  pace  di  cui  quel  travagliato  spirito,  uscendo 
pure  degli  affanni  dell'esiglio,  desiderava  ardentissimamenle 
di  godere  :  lo  andare  di  lui  dalla  selva  al  monte,  il  crescere 
nell'animo  suo  di  quella  dolce  speranza  :  la  luce  del  nuovo 
dì  i  conforti  ch'egli  ebbe  a  sperare:  la  lonza,  il  leone  e 
la  lupa,  che  il  suo  salire  impedirono,  Firenze  Francia  e 
Roma  che  alla  sua  pace  si  opposero  :  /'  apparire  di  Virr/ilio 
mandato(jli  da  Beatrice,  (cioè  di  quella  cara  anima,  di  cui 
altra  non  poteva  essere  nel  cielo  più  desiderosa  a  soccor- 
rerlo) l'alleviamento  degli  affanni  recaligli  dalla  dolcezza 
degli  sludii:  la  via  per  la  quale  \irriilio  promise  trarlo 
di  quella  valle,  il  mirabile  lavoro  di  un  poema  onde  gli 
verrebbe  cotanta  gloria,  che  la  sua  patria  per  vaghezza  di 
ornarsi  di  lui,  Irarrebbelo  dall'  esigilo  ;  e  la  scorta  avuta 
per  quella  via  da  Virgilio,  la  virtù  necessaria  a  tale  uopo 
derivatagli  dal  meditare  le  opere  dell  altissimo  poeta. 

Fu  il  Dionisi,  che  avvisando  il  primo  ncWAneddotó  11.*^ 
de' suoi  Blandimenti  funebri,  come  le  passioni  rappresentate 
dall'Allighieri  in  persona  di  fiere  a  certe  potenze  e  citlà 
fossero  peculiari,  portò  opinione  che  storicamente  non  altro 
denotassero  che  le  signorie  ed  i  potentati  stessi,  e  quindi 
l'Allegoria  della  divina  Comedia  alle  selle,  alle  discordie 


622  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

ed  all'altre  cose  che  corsero  nei  secoli  XIII  e  XIY  doversi 
pure  riferire.  Sebastiano  Réhal  nella  lupa  volle  vedervi  sim- 
boleggiale le  Ire  grandi  branche  dell'impero  di  Carlo  Magno, 
Italia,  Francia,  Alemagna,  divenute  guelfe;  il  leone  francese, 
la  pantera  firentina  e  l'altre  belve  araldiche  comparirvi  e 
figurarvi  come  campioni  particolari. 

Balbo  Cesare  (1839).  «  Nel  mezzo  di  sua  vita,  ai  8H  anni, 
quanti  n'aveva  appunto  nell'Aprile  dell'anno  del  Giubileo 
1300,  ei  si  trovò  per  una  seba  oscura,  selvaggia,  ed  aspra  e 
forte;  e  questa,  al  senso  allegorico  morale,  certo  è  la  selva 
dei  vizi  umani.  Ma  certo  è  pure  Firenze,  ch'ei  chiama  al- 
trove trista  selva  [Purg.  xiv.  64),  chiamando  sé  stesso  pianta 
di  essa  [Lnf.  xv.  74),  e  selva  pure  altrove  il  regno  di  Fran- 
cia {Purg.  XXXII.  58)  :  ondecchè  vedesi,  che  selva  in  generale 
ei  chiamava  il  mondo  di  quaggiù,  i  regni  e  le  città  ;  e 
ielva  selvaggia  Firenze,  perchè  allora  nel  1300  ella  era  in 
mano  della  parte  Selvaggia  de'  Bianchi.  La  selva,  dunque,  è 
selva  de'  vizii,  ma  de'  vizii  fiorentini.  Segue  a  dire,  che  non 
può  spiegare  come  v'entrasse,  tanto  era  pien  di  sonno 
quando  v'  entrò,  abbandonando  la  vera  [diritta]  via,  cioè 
la  fedeltà  a  Beatrice,  la  vita  virtuosa  tenuta  per  amor  di 
lei  finch'  ella  visse  ;  ed  aggiunge,  che  la  rimembranza  di 
quel  tempo  tanto  gli  è  amara,  che  poco  è  piìi  morte.  Dalla 
selva,  in  fondo  ad  una  valle,  ei  giugne  appiè  d'  un  colle, 
e  lo  vede  rischiarato  dal  sole  levante  [Par.  x.  14)  ;  cioè  dalla 
scienza  o  filosofia  umana  e  divina,  a  che  egli  aveva  aspirato 
tìn  dalla  morte  di  Beatrice.  Ma  tale  studio,  tal  desiderio 
essendo  stato  già  abbandonato  da  lui  dall'anno  1293  fino  al 
1300  per  la  vita  lussuriosa  e  giovanile,  per  gli  uffizi,  per 
le  parti,  per  tutti  i  vizj  fiorentini,  ei  dice  ora  qui,  che  da 
essi  sotto  figura  di  tre  fiere  [Geremia,  Thr.  v.  6)  una  Lonza, 
un  Leone  ed  una  Lupa,  gli  fu  impedita  la  salita  al  chiaro 
monte.  Quindi,  non  par  dubbia  l'antichissima  interpretazione, 
che' queste  significhino,  nel  senso  morale,  la  lussuria,  la 
superbia  od  ambizione,  e  l'avarizia.  Ma  la  lussuria  è  lussuria 
fiorentina  [Purg.  xxiii.94. 108  -  lonza,  lnf.  xvi.  106),  che  fece 
pericolare  Dante  in  quegli  anni  ;  la  superbia  è  superbia 
principalmente  de'  Reali  di  Francia  (  leone,  Par.  vi.  108  ),  e 
particolarmente  di  Carlo  di  Yalois,  che  già  minacciava  Fi- 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  623 

renze  nel  1300;  e  l'avarizia  è  quella  del  Guelfi  che  chia- 
mansì  lupi  in  tulio  11  poema.  Così  inlese  le  Ire  fiere,  ogni 
parola,  ogni  sillaba,  non  che  intendersi,  è  fonte  di  bellezze. 
Tulle  e  tre  si  oppongono  alla  salila  di  Dante  al  monte 
rischiarato;  ma  la  Lupa,  la  parte  guelfa,  è  quella  che  gli 
dà  la  maggiore  e  T ultima  noia.  Allora  gli  si  affaccia  Virgilio, 
rappresentante  della  Poesia,  anzi  del  pensiero  stesso  del 
Poema,  il  quale  l'ammonisce,  che  per  tal  via  diretta  non 
gli  riuscirà  mai  di  salire  al  monte,  impedito  che  sarebbe 
dalla  Lupa  ;  predice  le  malvagità  e  le  vicende  di  questa, 
cioè  di  parie  guelfa,  finch'ella  non  sarà  vinta  da  un  Vellro, 
cioè  un  ghibellino  dell'Italia  meridionale,  che  certo  volle 
dire  Uguccione  della  Fagglola,  a  cui  è  dedicala  la  Cantica. 
Adunque,  continua  Virgilio,  gli  è  mestieri  prendere  altra  via- 
Torni  al  pensiero  del  Poema,  scenda  con  esso  all'Inferno,  al 
Purgatorio;  saliranno  egli  poscia  con  un'anima  più  degna  al 
Paradiso.  E  a  ciò  consente  Dante  animoso,  dandosi  tutto  a 
Virgilio  e  al  Poema.  —  Emmanuele  Rocco,  chiosando  il 
Balbo,  si  periglia  ad  esporre  una  nuova  sua  interpretazione 
sulle  tre  fiere.  Il  leone,  die' egli,  come  ognun  sa,  era  l'im- 
presa di  Firenze,  la  lupa  di  Siena,  di  Lucca  la  paniera  o 
lonza:  il  verso  Molti  son  gli  animali  a  cui  s  ammoglia  sa- 
rebbe una  poetica  traduzione  del  proverbio  che  correva 
intorno  alla  lupa  sanese,  rammentalo  da  Dino  Compagni... 
Ma  di  questo  non  più;  e  mi  si  permetta  di  passare  a  esporre 
un  altro  mio  sogno,  che  forse  ha  qualche  maggior  fonda- 
mento. Nella  supposizione  che  le  ire  fiere  dinotin  vizii,  da  cui 
Dante  era  stalo  distolto  dallo  studio  della  filosofia,  come  mai 
si  potrà  dare  alla  lupa  il  senso  allegorico  di  avarizia?  come 
mai  supporre  che  Dante  si  confessi  avaro?  egli  sì  acre 
vituperalor  degli  avari?  Più  tosto,  come  già  osservammo, 
egli  si  confessa  un  tantino  invidioso,  un  po'  più  superbo, 
e  mollo  lussurioso;  ecco  dunque  la  lonza  dinotar  l'invidia, 
il  leone  la  superbia,  e  la  lupa,  come  sempre,  la  lussuria; 
0  pure,  se  vogliasi  tor  di  mezzo  l'invidia,  sarà  la  lonza  il 
parteggiare  :  o  pure  in  fine  (  e  questo  più  si  avvicina  a 
quanto  dice  il  llalbo  )  lasciando  la  lonza  per  la  lussuria  e 
il  leone  per  la  superbia,  prendasi  la  lupa  per  l'invidia, 
dicendo  appunto  il  Poeta  che  la  lupa  fu  dall' invidia  dipar- 


624  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIAìNA. 

tita  dair inferno,  e  rappresentando  pure  la  parte  guelfa  figlia 
dell'invidia  contro  l'Impero. 

Bianchi  Bullone,   Intendimento  dei  divino  Poema.  -  La 
formazione  di  un  poema  sullo  stalo  della  vita  futura,  avente 
per  fine  di  migliorare  i  dissoluti  costumi  degli  italiani,  col- 
l'orrore  dei  castighi,  e  coH'allettamenlo  dei  premj,  e  col 
quadro  miserabile  delle  turbolenze  e  dei  delitti  di  che  era 
sempre  pieno  il  reggimento  popolare,  e  dello  scadimento 
d'ogni  bella  instituzione,  persuaderli  intorno  alla  giustizia 
e  ai  vantaggi  dell'Impero.  -  La  selva  rappresenta  pertanto 
il  disordine  morale  e  politico,  in  generale  d'Italia,  e  più 
specialmente   di  Firenze:   la  dice   trista  selva,   perchè   ivi 
perduta  ogni  virtù  ed  ogni  lume  di  civile  sapienza,  talché 
più  che  abitazione  di  uomini  era  divenuta  nido  di  bestie. 
Egli  pure  partecipò  a  quella  trista  selva,  si  quanto  alle 
opinioni  politiche,  essendo  egli  stato  fautore  del  governo 
popolare,  quanto  a  licenza  di  vivere,  conseguenza  del  cat- 
tivo reggimento  s\  temporale  che  spirituale.  Ma  breve  fu 
il  suo  traviamento,  ed  eft'cllo  solo  dì  fragilità  ed  inganno.  - 
La  via  diritta  quella  della  ragione  e  della  giustizia:  il  sonno 
quello   delle   passioni   e   dell'  ignoranza,   il   silenzio   della 
ragione,  lì  colle  a' cui  pie  ei  giunge  rappresenta  un  concetto 
opposto  a  quello  della  selva.  La  selva,  come  dicemmo,  è  disor- 
dine, mal  costume  e  tirannide:  il  colle,  ordine  virtù,  e  civile 
libertà.  11  Sole  che  lo  illumina  è  primieramente  Cristo  sole 
di  giustizia,   e  la  dottrina    del  suo  Vangelo   che   illumina 
ogni  uomo  che  viene  nel  mondo   e  lo  dirige  [per  la  retta 
via,  ma  ben  anche  l'Imperatore  che  deve  reggere  rumaiiilh 
secondo  lo  spirito  di  Cristo  {Purg.  xvi).  Nelle  tre  fiere  che 
gli  contrastano  la  salita  al  dilettoso  monte,  al  civile  e  morale 
riordinamento  della  sua  patria,  egli  avvisa  generalmente  i 
vizi  che  fan  trista  la  selva,  superbia  (leone),  invidia  (lonza) 
ed  avarizia  (lupa),  le  tre  faville  che  hanno  i  cuori  accesi; 
particolarmente  i  tre  potentati  che  più  allora  avversano 
l'acquisto  del  monte,   il  ristabilimento   dell'ordine,  solo 
possibile,   secondo  Dante,   pel  rinnovamento   dell'  impero 
latino,  e  sono  la  stessa  invidiosa  Firenze,  leggera  mobile 
parleggiante  [la  lonza  leggera  e  presta  e  di  pel  maculato); 
la  superbia  ambizion  di  casa  di  Francia,   dominante  anche 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  625 

in  Napoli  (//  leone  dalla  testa  alta),  e  la  Curia  papale,  che 
in  antico  ebbe  voce  di  avara  {la  lupa  sempre  affamata). 
Ma  in  questo  mezzo  gli  appare  Virgilio,  Virgilio  principe 
(ieir  italiana  epopea,  il  cantore  della  divina  origine  dello 
impero  latino,  che  gli  sarà  guida  a  percorrere  ì  regni  della 
morta  gente,  a  compiere  il  gran  poema  avente  per  (ine  di 
ammigliorare  i  dissoluti  costumi  degl'italiani  col  terrore 
dei  castighi  e  coH'alettamento  dei  premj.  Beatrice  è  riguar- 
dala come  idea  insieme  e  della  filosoiìa  e  della  teologia, 
per  le  quali  appunto  l'umana  generazione  supera  d'eccellenza 
ogni  altra  cosa  terrena,  avendo  dall'una  le  cognizioni  umane, 
dall'  altra  le  divine.  Il  Veltro  poi  sarebbe  Can  Grande  della 
Scala  che  distruggerebbe  ogni  influenza  politica  della  curia 
romana,  coU'abolizione  dell'autorità  temporale  dei  papi. 

Fraticelli  Pietro  (1837)  :  Intendimento  del  divino  Poema.  - 
11  fine  politico  è  la  riforma  delle  insti tuzioni  civili,  onde 
ricondurre  gli  italiani  a  quell'ordine  che  risulta  dall'esercizio 
delle  morali  virtù,  ed  aftinché  l' Italia,  gittate  le  armi  fra- 
tricide, abbia  a  ricomporsi  a  pace  e  a  concordia,  e  che 
riuniti  tutti  in  un  corpo  sotto  il  supremo  governo  di  un 
solo,  torni  a  divenir  capo  e  centro  del  romano  impero.  Ei 
voleva  che  la  riforma  morale  coadiuvasse  e  spingesse  la 
riforma  politica,  e  che  la  riforma  politica  procurasse  la 
r.forma  morale. 

La  selva  in  una  bassa  valle  rafhgura  il  disordine  politico 
e  morale,  prodotto  dallo  spirito  di  divisione  e  dai  vizi  del 
suo  secolo,  che  ingenera  l'anarchia  e  l'immoralità,  la  di- 
scordia e  la  miseria,  la  guerra  e  la  servitù,  onde  la  barbarie, 
ossia  l'infelicità  pubblica  e  privata.  La  selva  è  priva  di 
lume,  perchè  in  senso  politico  la  barbarie  non  conosce  né 
apprezza  ciò  eh' è  retto  e  giusto,  ed  in  senso  morale,  un 
anima  ravviluppata  dai  vizi  eh' è  pur  priva  del  lume  della 
ragione.  Nel  dilettoso  monte  illuminato  dai  rar/gì  del  sole 
ei  vi  scorge  la  civiltà,  e  con  esso  lei  la  pace  e  la  felicità, 
le  quali,  vinti  i  guelfi,  e  fermata  l'autorità  dell'impero,  ei 
sperava  di  vedere  in  Italia  :  nel  senso  morale,  la  consola- 
zione e  la  pace  che  arriva  a  godere  un  anima  virtuosa 
dalla  Grazia  assistila.  Nelle  tre  fiere,  nel  senso  morale,  i 
tre  vizi  che  più  comuncnìente  si  oppongono  all'uomo  al 
Vo;..  11.  40 


fi26  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

conseguimento  della  virtù,  cioè  la  lussuria,  la  superbia  e 
l'avarizia;  politicamente,  la  guelfa  Firenze,  la  possanza  di 
Francia,  la  secolare  potenza  papale,  le  tre  principali  potenze 
guelfe  che  tenevano  T Italia  divisa,  ed  ostavano  all'autorità 
imperialo,  e  per  conseguenza  al  ristabilimento  dell'ordine. 
Nel  Veltro  egli  avvisa  la  potenza  dell'armi  ghibelline,  ossia 
l'eroe  che  nutrirassì  di  amore  di  sapienza  e  di  virtù,  che 
colla  forza  dell'armi  distruggendo  il  guelfismo  procurerà 
il  riordinamento  e  la  felicità  d'Italia  ;  in  Virgilio,  la  scienza 
delle  cose  umane;  nel  poeta,  l'uomo  colla  sola  ragione 
naturale;  in  Beatrice,  la  scienza  delfe  cose  divine,  che  può 
sola  distaccare  l'uomo  da  questa  terra  ed  innalzarlo  al  cielo; 
in  Lncia  la  Grazia  illuminante;  nella  Donna  yentil»  la 
Preveniente. 

MissiRiNi  Melciiiore,  Intendimento  finale  del  poema.  -  Il 
poeta  si  e  proposto  di  raddrizzare  i  torti  giudizi  degli  uo- 
mini, di  combattere  i  loro  errori  e  di  correggere  i  loro 
costumi.  Illuminare  lo  intelletto  con  la  luce  del  sapere, 
purgare  il  cuore  colla  disciplina  della  morale.  Ei  prese  di 
mira  soprattutto  la  prepotenza  guelfa,  sorgente  di  alTanni, 
per  riconciliarle  con  la  morale,  per  ispogliarla  delle  usur- 
pazioni, per  impedirla  di  nuocere,  lasciandole  tutto  il  campo 
di  fare  il  bene.  In  breve,  ei  si  propone  la  redenzione  dello 
umano  intelletto,  la  correzione  dell'  errore  e  del  vizio,  la 
creazione  di  una  nuova  civiltà. 

La  selva,  Firenze  al  tempo  del  suo  priorato,  in  cui  vi 
avea  un  mescimento  confuso  di  pareri  e  di  opposte  ambi- 
zioni, ove  ninno  obbedia  e  discorrea  a  cose  smisurate.  Ei 
pure  si  era  avvolto  fra  intricati  e  faziosi  movimenti,  ove 
non  era  lume  d'intelletto,  e  dove  era  perduta  la  via  di  fare 
il  bene  :  sonno,  il  sonno  dell'intelletto,  per  aver  abbandonato 
la  pace  degli  studi  suoi,  onde  gittarsi  colà  :  il  colle  illumi- 
nato dal  sole,  l'alto  loco  dove  abita  la  filosofia,  tutta 
radiante  come  un  sole  allo  splendore  della  verità  la  quale 
sola  mena  dritti  gli  uomini  per  ogni  sentiero:  la  lonza,  la 
patria  macchiata  di  bianco  e  di  nero,  con  che  allude  alle 
due  fazioni  de'  Bianchi  e  de'  Neri,  e  sceglie  a  raffigurarla 
la  lonza,  emblema  dell' ingratiludine  e  della  perfidia:  il 
leone,  tutto  il  gueìfismo  prevalente,  che  avealo  sbandeggiato, 


BIBLIOGRAFIA    DANTESCA    ITALIANA.  627 

e  gli  veniva  incontro   con  ingorda  fame  per  divorarlo:   il 
leone   è  ano   degli  stemmi   di  Firenze  :  la  lupa,   la  curia 
romana,  indivisibile  compagna  del  guelfismo,  anzi   il  suo 
mantice  principale:  èqui  posta  dopo  il  leone  la  lupa,  eh 'è 
anche  l'insegna  di  Roma:  il  Veltro,  se  medesimo;  e  certa- 
mente se  da  forza  di  umano  ingegno  era  lecito  sperare  un 
miglioramento    nell'  intelligenza   italiana,    e   nel    pubblico 
costume   dovea   aversene   (iducia    nel   solo  suo   ingegno  : 
Virgilio,  la  sapienza  umana,  ossia  la  ragione  naturale  e  la 
filosofia,   ovvero    la   stessa   ragione,    ma   illuminata   dalla 
scienza.  Beatrice,   la   ragione  sacra,  ossia  la  teologia  che 
dovea  guidarlo  al  paradiso,  perchè  il  lume  intellettuale  e 
filosofico  sia  ivi  santificato  colla  religione,  e  meglio  v'impari 
le  virtù  e  le  verità  eterne  che  dovea  dettare  agli  uomini. 
Gioberti  Vicenzo.  -  La  selva,  le  passioni  della  giovinezza 
che  inducono  il  vizio  e  l'errore;  e  lai  selva  è  valle  perche 
abbassa  l'uomo,  e  lo  concentra  nella  parte  inferiore  del 
suo  essere,  cioè  nel  diletto  dei  sensi  e  nel  culto  del  corpo: 
dove  il  sol  tace,  bel  senso  filosofico.  La  valle  di  cui  si  parla 
è  il  vizio  che  abbassa  l'uomo,   nel   cui  intelletto  tace  il 
lenso   morale,   cioè    la   divinità:   quivi    il  passo   che  mai 
lasciò  persona  viva,  perchè  il  tumulto  della  concupiscenza 
genera  il  peccato  che  dà  morte  all'anima.  11  colle,  figura 
della  verità  e  della  virtù,  la  quale  è  ardua  e  meno  facile 
al  primo  cammino  della  valle,  cioè  nella  strada  dell'errore 
e  del  vizio,  ma  a  mano  a  mano  che  l'uomo  vi  si  avanza, 
confortato  dalla  purezza  dell'aere  che  gli  dà  vigore  alle 
membra,  e  dalla  luce  del  sole  che  gli  avviva   e  diletta  la 
vista:  laddove  la  valle  a  prima  fronte  graziosa  si  empie 
poi  di  caligine  che  ammorba  ed  offusca,   e  si   fa  forte  di 
dumi  e  sterpi  e  paurosa.  Questo  bel  paragone  della  carriera 
della  bontà  e  quello  della  malvagità  a  un  cammino  è  più 
antico  di  Dante:   ognuno  conosce  la  favola  di   Ercole  al 
bivio.  La  piaggia  è  diserta,  perchè  pochi  seguono   la  via 
della  verità-,  ardua  ne'  suoi  principj.   Per  il  Sole  poi  che 
illumina  il  colle  della  virtù  inlendcsi  Dio,  sole  dell'anima, 
dietro  il  sermone  biblico  in  cui  si  paragona  la  verità  e  la 
virtù  alla  luce,   l'errore  alle  tenebre.   Il  Sole  illumina   il 
eolio  della  virtù  perchè  il  senso  religioso  rinforza  o  rischiara 


628  BIBLIOGRAFIA  DAINTESCA  ITALIANA. 

li  senso  morale.  Questo  pianeta  è  allegoria  della  (iivinità 
eh' è  via  verità  e  vita.  La  lonza  raffigura  la  libidine  che 
avea  investito  Dante  nella  sua  gioventù;  il  Icone  l'ambi- 
zione che  lo  travagliò  nell'età  virile.  Camminando  egli  verso 
l'età  matura,  e  per  conseguenza  avendo  finito  la  carriera 
dei  piaceri  e  dell'  ambizione  non  rimanevagli  a  vincere  che 
l'ingorda  fame  dell'oro  (lupa). 

Gregoretti  Francesco  (1856).  Intendimento  finale  del  poe- 
ma. -  Al  poeta  stava  a  cuore  di  essere  utile  alla  patria  sua, 
di  sopprimerne  le  dissensioni,  e  dì  ravviarla  a  buon  reggi- 
mento. Al  qual  line  avea  assunto  l'incarico  di  Priore.  Ma 
il  suo  magnanimo  avviso  gli  andò  fallito.  Mutato  proposito, 
non  dispera  tuttavia  divenirne  a  capo;  ma  indirettamente, 
anzicchè  direttamente;  coi  versi  meglio  che  coli' opera. 

L'oscura  selva:  Firenze,  la  città  parteggiante,  le  gare 
tra  i  nobili  e  i  popolani,  onde  ben  ispesso  si  venne  al 
sangue:  Verace  via:  i  suoi  studii:  il  colle  illuminato  dal 
sole:  l'ordinato  e  lieto  vivere,  a  cui  Dante,  quando  fu  dei 
Priori,  avea  cercato  di  tornare  l'amata  sua  terra:  lonza, 
il  popolo  fìrentino,  leggero  vario  volubile  e  vano  che  gli 
si  attraversava  nella  bell'opra  più  volte  abbandonata:  dalla 
fialetta  pelle:  Dante  sperava  nel  popolo,  e  di  quello  da 
principio  si  rafforzava:  il  leone:  la  fazione  ^lei  ISeri  e  dei 
nobili  che  lo  contrariavano  fieramente,  e  riescirono  a  recare 
tutto  il  potere  nelle  lor  mani:  la  lupa:  ia  corte  di  Roma, 
che  per  avarizia  ed  altri  mondani  interessi  favoriva  i  Neri. 
Ma  il  dominio  temporale  le  sarà  tolto  da  Can  Grande,  che 
l"arà  morir  di  doglia  l'affamata  lupa. 

Giuliani  P,  Giambatista  (1832):  Intendimento  [male  del 
Poema:  -  Rimuovere  i  vìventi  della  presente  vita  dallo  stato 
di  miseria  e  condurli  a  quello  di  felicità,  (Dante,  Ep.  a  Can 
Grande,  §o),  della  terra  e  del  cielo  (  De  Mon.  1.  3,  e.  ult.;. 
Dante  rappresentando  nella  sua  persona  l'uomo  in  univer- 
sale, attribuisce  a  se  quello  che  suole  comunemente  avve- 
rarsi dell'uomo,  e  per  proprio  esempio  dimostra  per  quali 
considerazioni  possiamo  fuggire  i  danni  eterni,  come  avviarci 
per  la  via  delle  virtù  morali  e  intellettuali  alla  terrena 
felicità,  e  meritare  l'acquisto  della  beatitudine  celeste.  - 
La  sacra  Comedia,  presa  nel  senso  morale,  puossi  riguar- 


BIBLIOGRAFIA    DAMESCA    ITALIANA.  629 

dare  un  Irasiim tarsi  che  V  AUighieri  fece  di  miseria  a  stalo 
di  felicità,  e  questa  oltre  all'apparecchiare  per  somma  parte 
la  materia  ne  constituisce  ancora  il  principalissimo  fine;  onde 
mira  raddrizzare  gli  uomini  dal  mal  camino  in  via  di  virtù, 
e  a  divertirli  da  miserevole  stato  a  vita  felice.  Il  soggetto 
allegorico  del  poema  sacro  è  l' uomo,  in  .quanto  per  lo  li- 
bero arbitrio  può  meritare  e  demeritare,  e  cosi  incontrar 
premio  e  gastigo  presso  la  vendicatrice  giustizia.  -  Il  poema 
sacro  è  un  compiuto  trattato  delFarle  della  perfezione  ci- 
vile e  cristiana,  una  scuola  per  tutti  ad  apprendere  ii 
camino  della  virtù  e  della  felicità  celeste,  o  si  consideri 
l'uomo  individuo  d'ogni  condizione  grado  ed  età  conveniente, 
0  nella  comunanza  civile  e  religiosa  a  cui  appartiene.  Nella 
Comedia,  dove  l'uomo  il  mondo  e  Dio  si  rannodano  in 
ammirabile  accordo  e  unità  di  effetto  e  di  causa,  di  princi- 
pio e  di  fine,  si  esalta,  poetando,  la  sovraumana  potenza 
dell'amore,  la  rettitudine,  la  giustizia,  l'eccellenza  della 
filosofia  divina,  la  salute  dell'uomo,  la  felicità  non  che 
dell"  Italia,  del  mondo  universo,  il  sacro  diritto  della  mo- 
;iarchia,  il  trionfo  della  Chiesa,  la  gloria  di  Dio;  veramente 
a  terra  e  il  cielo  vi  han  posto  mano. 

La  Selva  rappresenta  lo  stato  dei  vizi,  o  vogliam  dire 
la  vita  viziosa,  in  che  Dante  sonnolento  si  giacque  fino  a 
mezzo  il  cammino  di  sua  vita  (Purg.  xxiii.  118)  :  il  passo  non 
mai  passato  da  persona  viva;  chiunque  vi  entra  dismette 
l'esser  uomo  per  vivere  bestia:  è  morto  uomo,  e  vive  bestia 
fConv.  l.  2.  e.  8).  L'uomo,  smarrita  la  via  della  verità  che 
Dio  (Par.  IV.  21),  e  occupato  dal  sonno  mentale  le  tenebre, 
onde  la  carne  perturba  il  sereno  lume  della  ragione,  (Par. 
XIX.  66)  trasvia,  pel  mal  cammino,  quasi  dimenticando  se 
stesso.  -  Sonno,  il  sonno  onde  viene  occupata  l'anima,  quando 
abbandona  e  dimentica  Dio;  verace  via,  quella  della  verità: 
basso  luogo,  la  vile  servitù  del  vizio:  il  colle,  la  sublime 
contemplazione  e  l'ottima  felicità  a  che  l'uomo  può  giun- 
gere in  questa  vita.  Dante,  non  così  tosto  si  riscosse  della 
orribile  vita  de'  vizj,  che  gli  venne  desiderio  di  darsi  tutto 
alla  vita  contemplativa,  per  la  quale,  come  pel  più  corto 
camino  si  previene  al  bel  monte,  ossia  ad  ottima  felicità 
e  beatitudine.   Il  pianeta,  ossia   l'alto   sole  di  giustizia,  il 


630  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

quale  è  vita  dei  giusti  in  sulla  terra  (Par.  v.  39),  spasimante 
desiderio  delle  anime  purganti  (Par.  vii  26),  e  perenne  bea- 
titudine dei  santi:  Purg.  xiv.  96.  La  piagnia  del  monte  della 
felicità  è  deserta,  dacché  il  mondo  dietro  sua  guida  era 
sviato  pel  mal  cammino  (Purg.  xvi. 83),  e  fatto  deserto  di 
ogni  virtù:  (vi.  58).  Contenta  ai  beni  della  terra,  la  gente 
umana  non  pensava  alla  felicità  migliore.  -  L'egregio  P.  Mar- 
chese nella  lettera  al  P.  Giuliani,  intitolata  del  P.  Anfielico 
del  medio  evo,  vede  nel  colle  l'AHighieri  movente  verso 
la  cima  del  monte,  cioè  all'acquisto  della  morale  felicità. 
Le  fiere  rappresentano  i  vizi  dell'umana  natura  che  gli 
muovono  guerra  per  proibirgli  il  corto  andare  al  bel  monte  : 
nella  lonza  leggera  e  presta  molto,  ossivero  magra  e  snella 
raffigurata  la  lussuria,  essendo  che  tal  vizio  è  pronto  per 
sorprendere  l'uomo  che  non  si  riguarda  (Purg.  xxv  120),  e 
come  l'ha  occupato,  sì  lo  consuma  e  distrugge,  non  pur 
nell'atto,  ma  si  nel  desiderio  inspirato  dall'amore:  il  pel 
maculato  ond'era  coperta  e  la  gaietta  pelle  ben  rende  figura 
della  bellezza  muliebre  di  che  nasce  piacimento  e  quindi 
amore.  A  prendere  cotal  bestia,  unico  argomento  essere  la 
virtù  della  continenza  ;  ed  a  tal  uopo  portava  egli  a'  fianchi 
una  corda,  mercè  della  quale  cattivava  lo  spirito  della 
carne:  Inf.  xvi.  116.  L'ora  mattutina  gli  è  cagione  a  bene 
sperare,  perchè  in  quell'ora  la  mente  ascolta  più  agevol- 
mente i  consigli  della  ragione,  ed  è  men  larda  a  ricevere 
la  luce  del  sommo  sole  di  giustizia:  Purg.  ix.  17.  Il  leone 
è  per  lui  la  superbia  [alte  le  fronti,  Inf.  vi.  70  -  colla  lesta 
alta.  Par.  IX.  51  -  alto  leone,  Par.  vi.  108):  la  lupa,  l'ava- 
rizia della  corte  di  Roma  ai  tempi  di  Bonifacio  YIII,  e  in 
genere  non  pur  quella  di  Roma  o  di  Firenze  o  d'altra  gente 
che  vogliasi.  Il  P.  Marchese  sarebbe  di  credere  nella  lupa 
dantesca  volersi  delinealo  il  guelfismo,  non  l'avarizia  della 
corte  romana,  e  assai  meno  l'avarizia  in  genere,  perciocché 
secondo  ne  parve  anche  a  Gaspare  Gozzi,  a  niun  Veltro 
per  quantunque  possente  e  felice,  sarebbe  mai  conceduto 
cacciare  del  mondo  e  spegnere  al  lutto  quella  sozza  e  feroce 
bestia  dell'avarizia,  ma  sì  ritrarsi  con  poetica  e  verissi- 
ma allegoria  l'uomo  il  più  avaro  e  il  più  ambizioso  che 
fosse   ai  tempi  di  Dante,  Filippo  lY  de'  francesi,  appel- 


BIBLIOGRAFIA    DANTESCA    ITALIANA.  C3l 

lato  il  Bello,  -  Nel  Veltro  poi,  come  accennammo,  avvisa 
il  vaticinio  di  un  pontefice  che  dovea  dirizzare  1'  umana 
generazione  a  vita  eterna,  e  dovea  rinettare  la  chiesa  di 
siffatta  maledizione  dell'avarizia,  e  in  esso  saluta  il  pontefice 
Benedetto  XI:  in  yirijilw,  il  duca  il  signore  il  maestro  di 
Dante,  che  lo  avrebbe  ravviato  con  filosofici  insegnamenti 
ìnfino  all'acquisto  della  felicità  della  vita  civile  ed  attiva: 
in  Beatrice,  la  donna  di  virtìi,  la  nuova  scorta  che  lo  avrebbe 
ammaestrato  nell'operazione  della  vita  contemplativa,  in 
tutto  quello  che  risguarda  non  solo  la  scienza  divina,  ma 
sì  anche  nella  fisica,  nell'astrologia,  nella  metafìsica  e  in 
tutte  le  altre  parti  della  sapienza,  ossia  della  filosofia  divina. 
Onde  la  divina  Comedia  è  come  la  glorificazione  di  Beatrice 
per  l'impetrata  giustificazione  e  salute  di  Dante. 

Foscolo  Ugo,  (1826).  Intendimento  del  Poema.  Legazione 
evangelica  di  Dante,  a  santificare  i  costumi,  ridurre  a 
concordia  il  popolo  cristiano,  riformare  tutta  la  disciplina  e 
parte  anche  dei  riti  e  dei  dogmi  della  chiesa  papale,  in 
breve,  fondare  una  nuova  scuola  di  religione  in  Europa, 
non  fosse  altro  in  Italia.  Questo  il  sommo  ed  unico  fine 
del  poema.  -  In  tutte  e  tre  le  Cantiche  persevera  nel  metodo 
di  rincalzare  ragioni  minacce  ed  autorità  per  siffatta  rifor- 
ma di  proprio  diritto,  e  senza  timore  di  sacrilegio,  e  sì 
consacra  a  questo  apostolato  con  rito  sacerdotale  nell'al- 
tissimo dei  cieli.  Ed  egli  si  aggiudica  la  corona,  aspettan- 
dola non  dall'applauso,  nò  dal  perdono  dei  fiorentini,  né 
dal  giudizio  d'  uomo  veruno,  bensì  dal  decreto  divino,  per 
legittima  autorità  della  sua  missione,  e  il  merito  di  aver 
militato  contro  la  chiesa  puttaneggiante.  La  Divina  Comedia 
è  surta  come  il  Corano,  e  Dante  ne  sarebbe  stato  il  Mao- 
metto, se  le  circostanze  dei  tempi  e  dei  luoghi  fossero  ap- 
parite conformi  a  quelle  onde  potè  giovarsi  l'arabo  profeta. 

La  selva,  il  mondo  e  i  viventi:  l' adoloscenza  ch'entra 
nella  selva  erronea  della  vita  non  saprebbe  tenere  il  buon 
camino:  Convito.  La  lonza,  pardo  o  pantera,  i  suoi  vari 
colori  e  la  sua  ferocia  e  la  leggerezza  denotano  Firenze 
divisa  in  Bianchi  e  in  Neri,  e  crudele  di  tutte  le  libidini  di 
una  moltitudine  instabile  ed  avventata:  W  Leone,  Filippo  il 
Bello,  imagène  del  tiranno  di  S.  Paolo  (  2.  Thim.  4)  :  la  Lupa, 


632  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

(onde  lupanare)  l'avidità  meretricia  e  venale  della  Chiesa: 
il  Veltro,  Cane  della  Scala  che  avrebbe  annientato  la  po- 
tenza della  curia  romana  e  de' Guelfi. 

Rossetti  Gabriele,  ArouxE.-YuW  Foscolo  che  facendo 
di  Dante  un  precursore  di  Wiclefo,  e  mettendolo  a  capo  di 
una  riforma  ebbe  spianato  la  via  ai  lavori  del  Rossetti. 
Anche  il  VUlemain,  dopo  di  aver  detto  che  Dante  fu  guelfo 
per  patriolismo,  ghibellino  per  vendetta,  aggiugneva  che 
fu  un  Lutero  anticipato  di  tre  secoli;  ^mw^nel  Feltro  vede 
pur  prefigurato  Lutero  ;  Ph.  Charles  propugna  ed  allarga  il 
Foscoliano  concello.  Una  simile  stravaganza  era  pure  ima- 
ginata  dal  P.  Hardouin,  il  quale  nel  giornale  di  Trevoux  (17*27) 
pretese  perfino  di  provare  che  la  Divina  Comedia  fosse 
lavoro  di  uno  sconosciuto,  seguace  delle  dottrine  dei  nova- 
lori  di  Wiclefo.  Il  Protestantismo  in  Alemagna,  in  Svizzera, 
in  Francia,  tagliati  i  nervi  dell'idea  religiosa,  credette  di 
trovare  in  Dante  lo  spirito  antipapale,  il  disprezzo  dei  sa- 
gramenti,  e  delle  pratiche  religiose,  un'odio  giurato,  una 
guerra  aperta  ai  troni  agli  altari.  {\.31useé  cles  Protestans 
celèbres  rédk/è  par  une  societè  de  r/ens  de  letlr.  Paris, 
18£2.)  -  Il  Rossetti  fu  il  primo  ad  accampare  e  sostenere 
la  tesi  di  un  tale  significato,  e  di  un  intendimento  settario 
delle  opere  di  Dante.  Ei  vuole  che  sotto  il  velo  di  una 
lìngua  arcana  allegorica,  con  una  quasi  simbologia  masso- 
nica, abbia  esposto  le  più  ardite  dottrine  metafisiche  reli- 
giose e  politiche.  Nel  W^t  ei  pubblicava  in  Londra  la  sua 
opera  :  »  Sullo  spirilo  antipapale  che  produsse  la  riforma,  e 
sulla  secreta  influenza  ch'esercitò  sulla  letteratura  di  Eu- 
ropa, e  specialmente  di  Italia,  come  risulta  da'  molti  suoi 
classici,  sovrattutto  da  Dante,  Petrarca  e  Boccaccio  ».  Anche 
r  entusiastico  amore  di  Dante  e  del  Petrarca  verso  Beatrice 
e  Laura  non  è  per  lui  che  un  simbolismo  d' innovaziooi 
pericolose  nello  stato  della  Chiesa  e  nella  scienza,  e  toglie- 
valo  a  svolgere  nel  suo  libro  il  mistero  dell  amor  platonico 
(1850)  e  nella  Beatrice  di  Dante.  La  storia,  dice  il  Leoni, 
contraddice  al  dotto  scrittore,  perchè  la  Riforma  intendeva 
e  intende  a  spogliare  il  Papa  ben  più  che  del  dominio 
temporale  di  quasi  ogni  autorità  spirituale.  Il  Rossetti  ebbe 
a  propugnatori  l'Ugoni,  l'Orioli,  il  Maroncellif  il  tedesco 


BIBLIOGRAFIA   DANTESCA    ITALIANA.  633 

Mendelsohn,  e  il  francese  Delécluze;  ma  tra  gli  altri  il 
Balbo,  lo  Schlegel  (15  Agosto  1836),  il  Panciani  (1840), 
rOzanam,  il  De  Sigalas  moslrarouo  la  falsità  di  tale  opinione 
che  fa  risalire  il  suo  principio  ad  un'epoca  troppo  remota, 
ed  a' tempi  troppo  dissimili  da  quei  di  Lutero.  O^gìVAronx, 
invidioso  di  quella  polvere  di  biblioteca  in  cui  l'acerbo 
Schlegel  relegava  la  compilazione  del  Rossetti,  torna,  benché 
sia  con  opposto  intento,  alla  sterile  fatica  del  torcere  e 
spremere  ogni  verso  di  Dante  per  cavarne  una  confessione 
di  conspiratore.  [Dante  hcrétique,  répuhlicain  et  socialiste - 
La  Comédie  de  Dante,  Enfer,  Purgatoire,  Paradls,  traduite 
en  vers,  selon  la  lettre,  et  commentée  selon  V  esprit,  siiivie 
de  la  clef  du  langafje  symholique  des  fidèles  d' Amour.)  No- 
vello inquisitore  della  coscienza  del  poeta,  lo  denunzia  alla 
cristianità  innorridita,  come  il  più  tristo  il  più  ippocrita 
dei  settarj,  T antesignano  del  socialismo,  della  rivoluzione, 
dì  tutte  le  grandi  calamità  fra  cui  egli  ha  la  disgrazia  di 
vivere.  Il  S.*"  Aroux  s'avventa  più  tenacemente  al  grande 
poeta,  e  a  tutti  gli  scrittori  suoi  contemporanei,  e  li  getta 
in  braccio  al  demonio,  e  quasi  crea  per  loro  una  nuova 
bolgia  di  tormenti.  Per  lui  il  linguaggio  dell'opere  maggiori 
e  minori  di  Dante  non  è  altro  che  un  enigmatico  gergo  di 
setta,  un  massonico  intreccio  di  logogrifi  e  di  acrostici  di 
cui  gl'iniziati  custodiscono  soli  le  chiavi.  I  versi  sono  un 
bel  nulla,  la  dottrina  ch'essi  nascondono  è  tutto.  Questa 
dottrina  è  la  pèle  mèle  di  tutte  le  eresie,  di  tutte  le  reli- 
giose opposizioni,  di  tutti  gli  scismi  nati  nella  Chiesa 
cattolica.  In  conseguenza  il  triplice  poema  è  il  breviario 
di  tutte  le  sette  vere  o  presunte  ricordate  dalla  storia, 
fuse  e  combinate  nella  società  segreta  dei  fedeli  di  amore. 
E  a  farne  proprio  toccare  con  mano  che  la  Comedia  non 
ha  niente  di  poetico  in  se,  ce  ne  dà  egli  del  proprio 
una  traduzione  letterale  con  quel  buon  gusto  che  ognuno 
può  tìgurarsi,  accompagnata  da  un  Coraento  secondo  lo 
spirito,  che  solo  può  dar  la  chiave  di  quel  massonico 
edifìcio.  -  Il  Foscolo  lamentava  addensate,  non  ch'altro, 
quelle  tenebre,  dalla  selva  selvaggia  dei  Conienti,  e  a  tale 
siamo  oggimai,  dopoché  la  manìa  del  paradosso  rincari 
sulla  smania  dell'arcano,  da  poter  dire  che  il  simbolo,  non 


634  BIBLIOGRAFIA   DANTESCA    ITALIANA. 

meno  della  lellera  uccide.  Cerio  la  improbazione  degli  abusi 
contemporanei,  che  tuonava  sul  labbro  di  S.  Bernardo  e  di 
S.  Anselmo  di  Cantorbery,  propugnatori  ardenti  della  pre- 
rogativa sacerdotale,  è  in  Dante  tenace  proposito  ;  e  Foscolo 
poteva  senza  pecca  dì  esagerazione  mostrarne  profonde  e 
continue  le  tracce  nel  corso  delle  tre  Cantiche.. .  Le  sette 
frequenti  nel  medio  evo,  non  si  cingevano  di  silenzio;  © 
la  musa  di  Dante  saliva  animosa  e  senza  veli  sul  tripode; 
e  non  aveva  che  fare  di  logogrifi  e  d'acrostici,  bastandole 
il  cuore  a  libera  invettiva  {Crepuscolo,  1855,  447).  Il  Cantù 
{  Gaz.  Piemontese,  Feb.  1854)  si  avventò  all'edificio  accata- 
»lato  dell'  Aroux,  e  lo  scassinò,  lo  abbattè,  non  vi  lasciò 
pietra  sopra  pietra,  rivendicando  al  cattolicismo  il  nome  e 
le  opere  di  Dante.  È  questo  il  lume  che  sfolgoreggia  di  più 
vìvida  luce  nel  buio  di  quei  tempi,  e  il  Cantù  lo  sostenne 
eoll'amore  e  coli 'accorgimento  di  un  entusiasta  della  sua  causa. 

WiTTE  Carlo.  (1)  Intendmento  finale  del  poema.  -  Il  ritorno 
dell'uomo  alla  santità,  mercè  della  ragione  avvalorata  dalla 
rivelazione  e  dalla  fede. 

Ne'  teneri  anni  dell'innocenza,  ebbe  Dante  aperto  il  cuore 
al  più  puro  al  più  santo  degli  amori,  e  la  Vita  A'uova  n'è 
la  rivelazione.  Ma  giunto  all'età  virile,  e  rapitagli  per  morte 
Beatrice,  lungo  tempo  ei  la  pianse,  come  si  fa  la  perduta 
innocenza.  Aiettato  da'  nuovi  vezzi,  e  preso  da  un  nuovo 
amore,  ma  amore  più  inquieto  e  più  tormentoso,  l'amore 
della  filosofia,  glie  n'  è  suo  interprete  l' amoroso  Convito. 
Così  viene  condotto  a  speculare  sopra  ogni  cosa  che  gli  sì 
pari  alla  mente,  ad  entrare  nei  pubblici  uffizi  nella  vita 
civile.  Ma  la  rabbia  delle  sette  minaccia  di  travolgerlo  nel 
turbine  delle  cure  mondane  e  delle  più  sfrenate  passioni. 


(1)  11  Witte  voleva  da  prima  che  la  Divina  Coraedia  adombrasse 
Roma,  chiamata  a  divenir  signora  del  mondo.  In  selva  selvaggia  (  Wildtiiss} 
cresciuta,  esserlesi  fatto  incontro  l'ingordo  Gallo,  il  superbo  Pirro  e  il 
voluttuoso  Cartaginese,  e  sì  impeditala  ne'  suoi  progressi,  finché,  postasi 
nelle  orme  del  suo  divin  fondatore,  coi  severi  castighi  della  militar  di- 
sciplina e  con  la  distribuzione  giusta  ed  assennata  delle  ricompense,  di 
splendore  e  di  perenne  gloria  nei  tempi  felici  di  Cesare  le  venne  fatto  di 
adornarsi.-  Udber  das  Miss  verstendniss  Dantes,  Hermes,  N.  XXII.  1824, 
p.  155.  e  seg 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  635 

Ma  date  le  spalle  agli  aleltamenli  terreni,  ed  alla  scena 
de'  loro  furiosi  conflitti,  ponsi  a  poggiare  pei  più  erti  sen- 
tieri della  speculazione;  se  gli  venisse  fatto  di  giungere  a 
mirare  nel  sole  dell'eterno  vero,  di  riconoscere  l'essenza 
della  divinità.  Ei  lo  tenta  colla  ragione  naturale,  ma  tosto 
s'avvede  della  sua  pochezza  ;  falsa  esser  la  via,  per  la  quale 
erasi  messo  ad  arrivar  colà  dove  solo  la  rivelazione  può 
felicemente  scorgere.  Già  da  un  pezzo  scostatosi  dalla  re- 
ligione del  Cristo,  mancangli  le  tre  virtù  ad  essa  peculiari  ; 
e  le  basse  passioni,  preso  il  luogo  di  quelle,  di  forza  il 
trascinano  indietro  nella  caligine  di  tempestosa  vita.  Non 
ispera  nel  venturo  regno  di  Dio,  egli  tuttavia  preso  delle 
presentì  cose  e  de'  diletti  loro  ;  egli  col  cuore  tuttavia  in 
preda  dello  sregolato  amore  di  sé.  Invece  di  credere,  ed 
alla  divina  rivelazione  sottomettersi,  l' orgoglio  filosofico, 
abbacinandolo,  il  persuade  dover  poter  bastare  la  ragione 
a  penetrare  infino  ad  imo  gli  abissi  dell'  infinito.  Finalmente 
non  amore,  ma  odio  che  lo  infiamma  contro  suoi  i  fratelli 
traviati,  o  d'avviso  dal  suo  discorde,  e  sì  lo  fa  schiavo 
allo  spirito  di  fazione,  all'invidia  ed  all'intolleranza.  Ma 
ecco  la  divina  grazia  riaccendergli  in  petto  il  lume  della 
religione,  ed  egli  a  pentirsi  del  suo  abbandono  al  filosofico 
orgoglio  ;  la  prima  fede,  il  primo  amore  della  sua  Beatrice 
a  ravvivarsi  più  che  mai  fervente  in  lui;  e  nel  giorno 
appunto  che  il  divin  Redentore  ebbe  l'uman  genere  salvo, 
ecco  anch'  esso  il  poeta  reso  alla  libertà  nel  suo  dentro. 
Da  qui  il  cominciamento  della  divina  Comedia,  e  ciò  egli 
crede  bastevole  a  dimostrare  la  Vita  Nuova  e  V  Amoroso 
Convito  constituiscano  un  solo  tutto  ed  un  gran  poema,  il 
quale  è  l' universale  ed  universalmente  vera  epopea  di 
nostra  vita  interiore:  la  storia  della  figliale  e  candida 
schiettezza  nella  fede,  della  segreta  apostasia  e  della  pietosa 
chiamata,  per  la  quale  Dio  misericordioso  ne  riconduce  a 
ciò,  che  solo  è  luce,  verità  e  vita.  Eccoti  in  questo  poeta 
lutto  il  genere  umano  caduto  e  chiamato  a  redenzione. 
Migliaia  di  peccati  e  d'ogni  maniera  l'opprimono  al  fondo, 
ma  Cristo  mille  braccia  gli  stende  a  rilevarlo  e  stringerselo 
al  seno.  Dante  adunque  non  l'angusta  misura  de' propri 
falli  espia  col  pentimento,  ma  egli  piange  i  peccati  di  tutto 


636  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

il  mondo,   ed  in    persona   di  tutti   i  traviati   tenta   di  far 
ritorno  alla  via  di  salvezza.  »  -  Pkchioni. 

KopiscH  A.  (1842)  -//  colle  di  tutta  gioia,  l'elevarsi  che  fa 
l'uomo  coi  pensieri  a  Dio.  La  pietra  dell'angolo  e  del 
fondamento  di  quello  è  Cv'isio.- La  strada  diritta.  Cristo.  - 
La  selva^  la  moltitudine  degl'ignoranti,  accidiosi  ed  empj 
perduti  dietro  le  mondanità.  -  7/ «otmo,  l'umana  debolezza, 
che  ne  fa  dimenticar  Cristo.  -  La  valle,  la  temporalità  con 
ogni  sua  miseria  e  travaglio.  -  Il  procedere  in  essa,  lo  studio 
del  poeta  di  giungere  con  la  scorta  della  filosotia  a  con- 
templare il  mondo,  spogliatasi  prima  ogni  anticipata  opi- 
nione. -  La  luna,  la  lilosofìa  sublunare  ed  umana,  che 
scorgevalo  col  suo  lume.  -  La  fine  della  valle,  il  confine 
delle  umane  cognizioni,  al  quale  il  poeta  giunse  con  l'aiuto 
della  luna.  -  Il  pie  del  colle,  il  principio  delle  cose  sopran- 
naturali 0  divine.  -  La  luce  mattutina,  il  primo  ed  incerto 
sentimento  delle  cose  divine.  -  Verta,  Cristo,  via  chiusa 
e  pietra  di  scandalo.  -  Il  poggiar  per  Verta,  lo  studio  di 
giungere  con  umani  argomenti  a  cognizioni  soprannaturali.  - 
Il  Sole,  l' inspirazione  immediata,  e  luce  divina.  -  La  pan- 
tera che  non  si  parte  dinanzi  al  volto,  la  sensualità  irretita 
(Die  befangene  Sinnlichkeit).  -  La  vista  del  leone,  la  con- 
templazione delle  violenze  mondane,  che  incutono  timore 
all'irretito  nelle  mondanità.  -  L' aspetto  disperato  della  lupa, 
il  pensiero  della  cupidigia,  che  agi' irretiti  nelle  sensualità 
toglie  coraggio,  e  minaccia  guastar  loro  ogni  felicità  ter- 
rena. -  Il  rQvinare  in  basso  loco,  il  sentimento  che  la  ragione 
umana  è  troppo  debole  a  penetrare  nelle  disposizioni  di  Dio 
circa  le  sì  fatte  temporalità.  -  L' apparizione  di  Virgilio, 
il  mutarsi  di  colai  sentimento  in  chiara  cognizione.  -  Vir- 
gilio, r  intelligenza  umana,  sempre  avida  di  penetrar  più 
avanti  in  suo  sapere.  -  Il  vaticinio  del  veltro,  l'interno 
convincimento  che  lo  zelo  delle  cose  divine  vincerà  quando 
che  sia  la  cupidigia  delle  mondane.  La  risoluzione  presa 
dal  poeta  di  seguir  Virgilio  nelV  inferno  e  nel  purgatorio,  il 
proponimento  di  volger  la  contemplazione  dalle  cose  tem- 
porali alle  eterne.  -  P/cc/i/owi.  -  Il  Picchioni  chiama  la  fatica 
del  Sig.""  Kopisch  utilissima  e  comendabile  in  molte  parti,  e 
forse  radice  da  produr  dolcissimi  frutti  in  avvenire. 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  637 

San  Renato  Tailla>dier.  -  Scopo  finale  del  Poema.  Lo  scopo 
(li  quest'opera  tanto  nel  suo  tutto  che  nelle  sue  parti  è 
di  strappare  i  viventi  alla  loro  miseria  e  condurli  alla  fe- 
licità. 

Le  spiegazioni  della  critica  moderna  ci  danno  il  vero 
senso  di  questa  frase.  La  Divina  Comedia  è  un  quadro 
della  cristianità  ed  un  giudizio  solenne  delle  generazioni 
al  nome  della  lìlosofia  religiosa  e  politica  del  poeta.  Coloro 
che  hanno  violato  l'ordine  spirituale  e  temporale  sono 
tuflati  nell'Inferno;  il  Paradiso  ed  il  Purgatorio  appartiene 
a  coloro  che  hanno  servito  l'impero  e  la  chiesa;  e  quello 
Inferno,  quel  Purgatorio  e  quel  Paradiso  non  sono  soltanto 
nelle  regioni  percorse  dal  sublime  visionario,  ma  in  questo 
mondo.  L'Inferno  è  a  Roma  sotto  il  regime  dei  papi  simo- 
niaci ;  il  Paradiso  è  nel  cuore  degli  uomini  rimasti  fedeli 
alla  legge  providenziale  dell'impero  ed  alla  legge  più  alta 
ancora  di  Gesù  Crocilìsso.  Nel  maggiore  slancio  della  sua 
estasi,  Dante  ha  sempre  gli  occhi  su  questo  mondo;  e  dalla 
soglia  dei  regni  invisibili  si  rivolge  alla  terra  e  apostrofa 
la  cristianilà;  il  suo  poema  diviene  una  predicazione.  Ecco 
il  senso  di  quelle  parole  scritte  nella  dedica  a  Caii  Grande: 
ììhuuovere  lìuUo  stalo  di  miseria  quelli  che  nella  presente 
vita  vivono  e  condurli  allo  stalo  di  felicità.  A  questa  interpre- 
tazione data  da  Dante  medesimo,  il  Wegele  ne  aggiunge  un'al- 
tra che  Dante  non  poteva  manifestare.  La  divina  Comedia, 
secondo  lo  storico  tedesco,  nel  mentre  che  è  una  predicazione 
del  ghibellinismo  ideale,  contiene  altresì  la  esposizione  sim- 
bolica delle  diverse  fasi  per  le  quali  è  passata  l'anima  del 
poeta.  Questa  storia  spirituale  di  Dante  è  accennata  a 
frammenti  nelle  sue  produzioni  anteriori,  e  quivi  la  pittura 
è  completa.  L'amore,  la  scienza,  la  politica,  la  religione 
iianno  occupato  una  dopo  l'altra  quella  sovrana  intelligenza. 
I  rapimenti  d'amore  risplendono  nella  Vita  i\uova;  la 
scienza  riempie  il  Convito;  la  politica  è  il  soggetto  della 
Monarchia,  e  la  religione  frammista  a  tutti  quei  soggetti  li 
vivifica  co' suoi  raggi.  Nella  Divina  Comedia  religione,  politi- 
ca, Ulosolìa,  amore,  sono  riuniti  in  una  sintesi  armoniosa,  e 
questo  elaborato  che  instinlivamente  operavasi  neiranima 
di  Dante  non  era  tampoco  avvertito,  e  toccava  alla  critica  il 


638  BIBLIOGRAFIA    DANTESCA    ITALIANA. 

porlo  in  evidenza;  ciò  che  WiUe  e  Wegele  hanno  adem- 
piuto in  un  modo  di  precisione  magistrale.  Il  poema  d'Alli- 
ghieri  nella  primitiva  inspirazione  è  dunque  nel  tempo 
stesso  il  quadro  delle  fasi  diverse  ch'ebbe  il  suo  genio 
percorse  ed  il  giudizio  della  cristianità  tutta  intera,  in  nome 
dell'ordine  providenziale  costrutto  dal  suo  pensiero.  Due 
grandi  tipi  istruiscono  la  divina  Comedia.  Attraverso  un 
popolo  innumerevole  cui  Dante  rianima  col  suo  soffio,  in 
mezzo  a  quei  dannati  giganteschi,  in  mezzo  a  quei  dolci 
penitenti  che  aspirano  al  cielo  ed  a  quei  mistici  eletti  che 
nuotano  nella  luce  increata,  Virgilio  e  Beatrice  dominano 
l'immenso  quadro;  e  cos'è  Virgilio,  cos'è  Beatrice!  Tutti 
i  comentatori  prima  del  secolo  XIX  rispondevano  molto 
vagamente  essere  Virgilio  la  ragione  umana,  Beatrice  essere 
la  scienza  umana.  Guardando  pia  dappresso  a  queste  formolo 
generiche,  esse  racchiudevano  un  senso  preciso  che  la  critica 
moderna  ha  indovinato.  A  metà  del  camino  della  vita,  l' anno 
alesso  in  cui  il  gran  giubileo  raduna  a  Roma  migliaia  di 
pellegrini,  l'anno  in  cui  un  nuovo  secolo  comincia,  data  pro- 
pizia al  simbolico  pellegrinaggio,  il  poeta  si  è  smarrito  in  una 
foresta  di  sinistro  augurio;  arriva  al  piede  di  una  montagna 
il  di  cui  vertice  è  illuminato  dal  sole,  e  quando  sta  per 
ascendere,  contento  di  fuggire  da  quella  landa  desolata,  ecco 
improvvisamente  una  pantera  agile,  svelta,  maculata,  poi  un 
leone  terribile,  indi  una  lupa  famelica,  dai  fianchi  magri  ed 
ansanti,  che  gli  sbarran  la  strada  e  lo  fanno  indietreggiare 
al  basso.  Allora  un  uomo,  un  salvatore  si  presenta,  ed  è  Virgi- 
lio, il  poeta  di  Mantova,  che  per  salvar  Dante  si  offre  condurlo 
versoi  regni  eterni.  Quella  pantera,  quel  leone,  quella  lupa 
sono  la  lussuria,  l'orgoglio,  la  cupidigia,  i  tre  flagelli  del 
cuore  dell'uomo  che  hanno  trascinato  Dante  fuori  della  via 
del  bene,  e  sono  pure  le  piaghe  della  cristianità  corrotta. 
Dante  dipinge  sé  medesimo  dipingendo  il  suo  secolo,  e 
ritornando  a  Dio  vuol  ricondurvi  anche  il  mondo  cristiano 
colla  contemplazione  dell'ordine  providenziale.  Beatrice  ha 
mandalo  Virgilio  in  suo  soccorso,  e  Virgilio  comincia  la 
guarigione  che  Beatrice  compierà  più  tardi.  Che  cosa  rappre- 
sentano dunque,  ripetiamo,  Virgilio,  che  cosa  Beatrice?  La 
tradizione  i>opolare  faceva  di  Virgilio  il  primo  do'negromantl... 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  639 

li  sapienti  uno  dei  precursori  del  cristianesimo ...  egli,  agli 
occhi  degli  uomini  del  medio  evo,  era  un  intermediario  tra 
l'antico  e  il  nuovo  mondo.  Dante  ritrae  qualche  cosa  delle 
due  tradizioni  di  cui  ho  parlato.  Allorché  la  sua  guida  al 
C.  IX  dell'  Inferno  gli  racconta  che  una  volta  è  già  disceso 
nel  circolo  di  Giuda  mercè  gì'  incantesimi  di  Erisitone  non 
diventava  il  Virgilio  della  leggenda  popolare  unito  al  ri- 
cordo di  un  episodio  di  Lucano?  e  il  Virgilio  precursore 
del  Cristianesimo  non  apparisce  forse  ad  ogni  pagina  del- 
l'Inferno  e  del  Purgatorio?  Ma  questi  richiami  non  bastano 
al  poeta,  e  trasmuterà  la  tradizione  a  suo  senno  per  farnela 
entrare  nella  simmetria  della  sua  opera.  Il  Virgilio  della 
divina  Comedla  è  soprattutto  l'illustratore  dell'impero  Ro- 
mano: è  nato  sotto  Cesare  ed  ha  cantato  Augusto:  ecco  i 
suoi  titoli  agli  occhi  dell'Alllghleri  :  e  v'ha  di  più,  che  quel- 
r  impero  che  ha  celebrato  il  Mantovano  appare  ne'  suoi 
poemi  come  il  compendio  di  tutta  la  storia  di  Roma.  Il 
cantore  di  Augusto  è  pure  il  celebratore  del  popolo  romano 
e  de'  suoi  trionfanti  destini  ed  ha  gloiilìcato  in  versi  im- 
mortali quella  nazione  reale  -  populum  late  regcm  -  nata 
per  governare  l'universo.  Tutta  la  filosolia  della  storia  del 
Convilo  e  del  libro  de  Monarchia  ha  i  suol  fondamenti 
ntìV Eneide  ..  .  Virgilio  è  adunque  il  teorico  dell'impero, 
il  rappresentante  dell'ordine  stabilito  sulla  terra  dai  decreti 
divini.  -  Vedete  quale  simmetria  nella  tessitura  del  poema! 
Se  il  cantore  di  Enea  è  il  rappresentante  provvidenziale 
di  quaggiù,  avvi  per  Dante  un'altra  guida  che  gli  rileverà 
l'ordine  celeste,  e  da  per  tutto  nella  divina  Comedla  tro- 
verete questo  gran  dualismo  che  abbraccia  l'universo.  Le 
due  città  di  cui  parla  S.  Agostino  sono  incessantemente 
presenti  al  pensier  dell'autore;  la  città  di  Dio  rischiara  la 
città  dell'uomo,  e  Beatrice  spiega  Virgilio,  e  qui  riscon- 
triamo le  belle  ricerche  d'Ozanam  e  del  re  di  Sassonia 
Giovanni  I.'*  Di  tutti  gì'  interpreti  Ozanam  e  il  re  di  Sassonia 
8on  certo  coloro  che  han  sparso  più  viva  luce  sul  perso- 
naggio di  Beatrice Ozanam   è  in  estasi,   come  Dante 

medesimo,  innanzi  a  quel  raggiante  simbolo...  Egli  mantiene 
in  essa  uniti  il  carattere  umano  od  il  carattere  mistico,  e 
ne  fa  assistere  a  questa  IrasGgurazione  dell'amore...  Beatrice 


640  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

poi  nel  cemenlario  del  re  Giovanni  apparisce  Uilta  risplen- 
dente di  luci .  . .  Ella  è  l'amore  ricondotto  alla  sua  sorgente, 
l'amor  divino  senza  del  quale  tutta  la  scienza  dei  dottori 
è  lettera  morta.  1  principj  delle  scuole  passando  per  sua 
bocca  acquistano  una  nuova  virtù.  Ed  è  in  lai  modo  che 
Beatrice  compie  l'opera  di  Virgilio  :  questi  insegna  l'ordine 
temporale,  Beatrice  l' ordine  spirituale;  il  più  nobile  dei 
poeti  glorilìca  i  diritti  dell'impero;  i  diritti  della  Chiesa 
sono  glorificali  da  un'anima  che  non  è  che  amore:  duplice 
lezione  inscritta  in  ogni  pagina  del  poema:  l'Impero  con- 
sigliato dalla  saggezza,  la  Chiesa  inspirala  dall'  amore,  ecco 
il  sogno  di  Dante  (1). 

Scrissero  inoltre  :  Anselmi  Domenico  -  Azzolini  Pom- 
peo -  Benvog;liciiti  Alberto  -  Boris^lti  Giuseppe  -  Cam- 
pagana  Giacinto  -  Cicconi  Liuig;i  -  Costa  Paolo-  Dionisi 
Gian  Jacopo  -  Dolce  Lodovico  -  Dupret  Melchiorre  - 
Ferrucci  L.  Grisostomo  -  Giorgiui  G.  Battista  -  Gozzi 
Carlo    -    Marchetti    Giovanni    -    Martini  IH.    -    Mauro 


(IJ  II  Picchioni  trova  i  seguenti  concetti  ed  iraagini  nella  Sacra 
Scrittura,  alla  quale  vorrebbe  cbe  avesse  pur  attinto  l' AUighieri.  -  Valle 
simbolica  dei  Profeti,  ricettacolo  di  coloro  cui  piace  ogni  via  non  buona, 
figura  delle  temporalità,  alle  quali  Beatrice  rimprovera  il  poeta  d'essersi 
volto,  ed  abbandonato  in  preda.  -  Salmo  83,  6.  -  Selva  e  valle  -  Deuto- 
ronomio,  xxxu.  32,  -  Geremia,  ii.  19-x\i.  i;j.-Osea,  ii.  1-2;  Ezechiele,  xx.  43.- 
Usitatissima  da'  profeti  la  ligura  delia  vigna  inselvatichita,  degli  amari  suoi 
frutti  a  significare  il  disobbediente  Israele.  -  Via  diritta  -  Isaia,  xxxv.  8. - 
Gesù  è  la  via,  la  verità  e  la  vita.  Giov.  xiv.  6.  -  Selva  amura  che  poco 
è  più  morte:  0  mors,  quam  amara  est  memoria  tua.  Eccles.  xli.  1.  -  In 
pace  amaritudo  mea  amurissima:  Isaia,  xxxvin.  17.  -  Reg.  i.  xv,  32.  - 
Jer.  u.  19.  -  11  Sole.  Isaia,  lx.  19.  -  Apoc,  xxi.  23.  24;  xxii.  5.  il  sole  di 
intelligenza  che  sorge  e  tramonta  per  questo  mondo,  splende  perenne 
agli  eletti  e  di  eterna  luce.  -  Colle  e  pietra.  Salmo  cxvii.  20;  Isaia,  viii. 
13.  xxviii.  16;  5Iath.  xxi.  42;  Marc.  xn.  9;  Act.  Apos.  iv.  40;  Lp.  ad  Kom. 
»x.  23;  1  Pei.  II.  6.  -  Lo  studiarsi  che  facea  11  poeta  smarrito  nelle  mon- 
danità di  sollevar  l'anima  alle  cose  divine,  simboleggiato  dal  sacro  Slune, 
Ja  cui  via  e  pietra  del  fondamento  e  il  Verbo.  -  Le  fiere  da  Geremia 
minacciate  al  principi  e  guidatori  del  popolo  che  spezzarono  11  giogo  e 
strapparono  11  freno,  gli  attraversano  il  cammino.  -  Il  leone,  Ger.  v.  6; 
Cant.  IV.  8.  -  La  lonza,  il  pardo.  -  Cant.  vi.  8.  v.  6.  -  La  corda  onde 
pigliò  la  lonza,  Isaia,  xi.  -  Prov.  xxi.  17.  -  La  lupa,  Jer.  v.  6;  Soph.  m.  3; 
Math.  VII.  15;  Act.  Ap.  xx.  29.  -  Il  veltro,  simbolo  di  vigilanza  e  di  cu- 
stodia, approprialo  dipoi  ai  papi,   guardiani  del  gregge  di  Cristo.  -  Isaia, 

LVl.  9. 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  641 

Domenico  -  Ulicara  Clemente  -  Parenti  Marc' Antonio  - 
Perez  Fr.  -  Ponta  Marco  -  Rossetti  Gabriele -Scolari 
Filippo  -  Taverna  Giuseppe  -  Vecchioni  Carlo. 

DEI  SIMBOLI  DELLA  DIVINA  COMEDIA 


Perazzi  Luigi,  di  Viadana,  Frigeri  Innocenzo,  Dir.  del 
Ginnasio  di  Viadana,  Sui  Sìmboli  della  Divina  Comedia,  La 
Gioventù,  1863,  Voi.  4.  N.  7.  p.  202-209. 

Beatrice  sarebbe  la  rappresentazione  dell'anima  umana 
tendente  a  Dio  colle  ali  dell'amore  e  del  pensiero,  o  in 
altri  termini,  un  simbolo  dell'umanità  tendente  al  supremo 
suo  fine.  La  teologia  naturale  e  la  rivelazione  paiono  agli 
autori  comprese  nel  pensiero,  per  lo  addentellato  dell'una 
verso  l'altra  e  per  la  disposizione  di  amendue  a  fare  una 
sola  scienza.  Un  simbolo  analogo  a  Beatrice  o  dell'umanità 
glorificantesi  in  Dio  avremmo  in  Psiche  nascente  con  l'ali 
di  farfalla.  In  Lucia  l'umanità  illuminata  dalla  rivelazione. 
11  primo  vero  innalza  gli  animi  alla  contemplazione  di  sé, 
rivelandosi  ad  essi,  in  quanto  è  possibile  e  di  sé  innamo- 
randoli. Lia  e  Rachele,  oscuratasi  fra  i  gentili  la  primitiva 
rivelazione,  rappresenterebbero  il  popolo  ebreo.  -  Matilde  e 
Beatrice,  quasi  simbolo  che  ripiglia  le  prime  proporzioni 
anzi  le  amplifica,  poiché  da  una  contem{)lazione  limitala  o 
dalle  opere  che  l'accompagnano,  si  giunge  ad  una  con- 
templazione purissima  e  ad  operazioni  compiute.  -  Virgilio, 
il  simbolo  di  contemplazione,  rappresentante  l'umanità  gen- 
tilesca, quasi  continuata  anche  dopo  il  grande  riscatto.  - 
Catone,  il  simbolo  dell'umanità  sperante,  sul  confine  direi 
quasi  dell'umanità  redenta.  Dante,  l'umanità  peregrinante 
verso  il  supremo  suo  fine. 

Il  Prof.  Giulio  Solitro  interpretando  la  parola  gentile 
che  secondo  lui  suona  come  nobile  meglio  che  il  moderno 
leggiadro,  argomentasi  provare  come  nella  Vergine,  la  donna 
gentile,  sia  più  degnamente  rappresentala  la  nobiltà  ori- 
ginaria dell'  umana  natura  che  in  altra  qualsiasi  umana 
creatura.  Il  S.""  IS'icola  JS'icolini  contraddiceva  a  questa  in- 
terpretazione {Borghini,  a.  IL  p.  464). 

YoL.  II.  41 


642  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

Giuseppe  Giusti,  Di  Beatrice,  Studi  vari,  Le  Monnier, 
1863.  (p.  245-255.) 

Delia  figlia  di  Folco  Dante  fece  un  apoteosi,  e  mentre 
faceva  rappresentare  all'  animale  binato,  conducitore  del 
carro.  Cristo  fondatore  della  Chiesa,  volle  che  Beatrice 
sedutavi  sopra  significasse  la  scienza  divina,  ch'è  l'altissima 
di  tutte  le  scienze,  come  quella  che  ci  conduce  a  conoscere 
il  principio  delle  cose  tutte.  Nel  senso  lìtterale,  Beatrice 
è  la  figlia  di  Folco,  amata  dal  poeta  e  morta  giovinetta 
sul  fiore  della  bellezza  e  della  leggiadria,  lasciando  il  misero 
amante  solo,  abbandonato  al  vortice  del  mondo  e  che  dopo 
dieci  anni  sapendolo  smarrito  In  una  selva,  e  combattuto 
da  tre  fiere,  scende  dal  cielo  nel  Limbo  per  pregare  Virgilio 
di  soccorrerlo.  Nel  senso  allegorico,  è  la  scienza  divina  che 
per  volere  della  grazia  illuminante  soccorre  l' uomo  caduto 
nel  vizio,  accendendolo  dell'amor  del  sapere,  il  quale  per 
l'esperienza  delle  cose  umane  conduce  di  grado  In  grado 
alla  contemplazione  d'Iddìo...  Ella  dunque  riunisce  In  se 
queste  due  qualità,  di  donna  mortale  amata  dal  poeta  in 
vita,  e  di  Essere  beato  e  destinato  da  esso  a  rappresentara 
in  un  suo  lavoro  la  divina  scienza.  Il  Giusti  ci  mostra  come 
nella  mente  d'  un  poeta  un  essere  terreno  assuma  celesti 
qualità,  come  una  cosa  diventi  un'idea,  come  la  Beatrice 
Portinari,  che  con  l'  amore  inspiratogli  da  giovinetta  acce- 
se Dante  dell'amore  agli  studi  e  della  virtù,  diventi  la 
scienza  divina,  che  per  volere  d' Iddio,  dalle  misere  brighe 
del  secolo  ritrae  1'  uomo  alla  investigazione  degli  alti  fini 
dell'  uomo,  alla  contemplazione  delle  divine  immutabili 
verità. 

DI  Beatrice  ne  scrìssero:  Arri vabene  Ferdinando. 
Biscioni  Antonmaria  -  Dionisi  Gian  Jacopo  -  iMuxxi 
Luigi  -  Torri  Alessandro. 

Aguilhon  Prof.  Cesare,  di  Monza,  Il  Catone  dì  Dante, 
(11  Borghini,  1864,  p.  457-467). 

La  11.^  Cantica  è  costrutta  in  morali  virtù,  si  risolve 
finalmente  in  quella  libertà  ch'è  regno  dello  spirito  sulla 
materia:  il  monte  rappresenta  la  caduta  e  la  riabilitazione 
dell'umana  natura,  cioè   il  libero  arbitrio  offeso  da  colpa, 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  643 

c  reso  manco  od  merle,  e  risanalo  da  pena  amaramente 
bramata,  e  si  rintegrato  nell'essere  suo  primo;  ne  quelle 
anime  sentono  di  aver  soddisfallo  il  debito  loro  se  non  si 
risveglia  in  esse  libera  volontà  dì  miglior  soglia.  Le  luci 
che  si  richiarano  in  bassa  spiaggia  su  in  alto  son  ninfe  in 
porporino  o  regio  ammanto,  a  significare  che  conferiscono 
air  uomo  libera  e  vera  signoria  di  sé.  Dante  stesso  accede 
al  monte  cercando  libertà,  e  sente  di  racquistarla  di  mano 
in  mano  che  sale  d'uno  in  altro  girone,  sicché  all'ultimo, 
pagato  certo  scotto  d'arsura,  la  ricovera  intera  sì  che  ha 
di  quella  mitria  e  corona,  cioè  ha  quella  balia  di  sé  che 
altri  di  stato  o  di  beneficio  per  investitura  e  per  segno  di 
corona  e  di  mitra.  Essendo  questo  l'assunto  della  Cantica 
parrà  bell'arte  farci  abbattere  sin  dal  principio  in  Catone, 
balio  e  re  dei  sette  regni,  il  cui  nome,  antonomastico  di 
libertà,  fa  la  protasi  della  Cantica  stessa  . . .  Dante  ritraeva 
dalla  vita  e  dalla  storia  dei  tipi  che,  meglio  accomodando 
al  dramma,  servono  principalmente  all'idea  .. .  Quantunque 
il  soggetto  sia  determinato  da  nome  storico  T  astrazione  é 
patente.  Giacché  la  libertà  lodata  da  Catone  adombra  la 
libertà  morale  che  a  tutte  l'altre  è  fondamento,  ed  é  quella 
stessa  eh'  è  oggetto  del  pellegrinaggio  di  Dante.  11  regno 
dato  a  Catone  allude  al  freno  che  ei  tenne  signorilmente 
di  tutte  le  male  cupidità,  sì  che  fu  sempre  padrone  di  sé 
e  della  fortuna;  dominò  le  passioni  onde  scaturiscono  i 
peccati  puniti  o  purgati  ne'  sette  regni  o  gironi  del  Pur- 
gatorio, a' quali  è  preposto;  che  insomma  gli  è  data  la 
signoria  di  regno  in  quel  senso  e  in  quel  modo  che  Dante 
stesso,  cancellati  i  sette  P  dalla  fronte,  piglia  di  sé  mitra 
e  corona.  11  concetto  di  Dante  è  come  uno  stillato  di  sa- 
pienza storica  e  civile  della  religione  naturale  e  della 
teologia,  ed  é  fecondo  in  moralità. 

11  Prof.  Luhin  ravvisa  nel  Catone  di  Dante  il  tipo  del 
vero  principe,  viva  imagine  di  tutte  le  virtù  cittadine, 
dotato  dei  più  nobili  e  generosi  sentimenti;  che  non  vive 
per  sé,  ma  pel  bene  dei  cittadini  e  della  patria,  per  la  cui 
libertà  è  sempre  disposto  a  dare  anche  la  \\ldi.  -  Allegoria 
Morale,  EcclesiasUca,  Politica  nelle  due  prime  canliche, 
p.  69-74. 


644  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

DEL  VELTRO 

Del  \ellro  allegorico  si  è  disputato  assai,  né  si  rimane 
di  battagliare.  VeUufello,  il  primo,  quantunque  voglia  il 
Dionigi  che  in  ciò  abbia  seguito  un  Anonimo  che  scrisse 
nel  1447,  vi  avvisò  il  potente  capo  di  tutta  la  lega  ghi- 
bellina, €an  grande  della  «Scala,  Che  più  VOlte  aiutò 
la  parte  Bianca  in  Toscana,  ed  al  quale  Dante  indirizzava 
quella  lettera  famosa,  eh' è  dedica  del  Paradiso,  e  insieme 
dichiarazione  dell'intero  poema,  quasi  per  indicare  che 
l'intero  poema  sotto  gli  auspici  di  lui  veniva  alla  luce. 
Tennero  per  lo  Scaligero  il  Venturi,  il  Dionifii,  il  BiariioH, 
il  Lombardi,  il  Marchetti,  il  Foscolo,  il  Costa,  il  Colelli, 
il  Gioberti,  il  Picei,  il  Gregoretti,  il  Bianchi,  il  Ruth,  e 
campione  più  poderoso,  il  Tommaseo.  Con  molta  dovizia 
di  erudizione  storica,  con  argomentazioni  stringenti  che 
talora  si  direbbe  trionfare  di  ogni  obbiezione,  il  valoroso 
Troya  (l)  vi  raffigura  invece  il  capo  futuro  dei  ghibellini, 

il    debellatore    dei  guelfi,    Lguccione  della  Faggìola.  e 

combattono  con  lui  il  Balbo  ed  il  Borr/hi,  quantunque  que- 
st'  ultimo  in  tutto  il  resto  si  tenga  stetto  sull'  orme  del 
Marchetti.   Il  Rocco,  napolitano,  vi  scorge  Arrigo  dì  Lu- 

eemburgo,   e  Gab.  Pepe  Castruceio  Ca^fracane.  -  Altri 

in  luogo  di  un  eroe  ghibellino,  invocato  dal  poeta  anelante 
ad  una  feroce  vendetta,  amarono  meglio  simboleggiare  un 
pontefice  di  santi  costumi,  angelico,  che  si  farebbe  ban- 
ditore di   una  nuova  era  di  felicità  e  di  pace.  Il  Ponta,  il 

(1]  Del  Veltro  allegorico  dei  Ghibellini,  con  altri  scritti  intorno 
alla  Divina  Comedia,  Napoli,  Tip.  del  Vaglio,  1838  -  Il  Troya  ci  diede 
r  esempio  nel  cercar  che  fece  la  mente  del  poeta  in  mezzo  a  tutti  gli 
elementi  storici  da  lui  ricostruiti.  Pocbi  scrittori  penetrarono  sì  ad- 
dentro e  con  sì  vivo  lume  di  critica  in  quel  labirinto  dantesco,  in  cui 
sembrano  destinati  ad  ismarrirsi  i  mediocri  ed  i  pedanti.  La  storia  di 
cui  s'imbeve  la  finzione  del  poema  e  tutte  le  circostanze  di  cui  s' intes- 
sono i  tempi  e  la  vita  del  poeta  e  le  vicissitudini  del  suo  pensiero  sono 
esaminate  con  molta  acutezza  ed  erudizione  nel  libro  del  Troya.  Questo 
lavoro,  tanto  autorevole  per  copia  e  squisitezza  di  storica  dottrina  era 
già  stato  pubblicato  fin  dal  1826,  Firenze,  Martini:  in  questa  nuova 
edizione,  fu  rifatto  in  più  parti  dall'  Autore,  e  di  molti  importantissimi 
documenti  notevolmente  arricchito. 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  645 

Retti,  il  De  Cesare,  il  Giuliani,  il  P.  Marchese  (l)  salutarono 
nel  veltro  Nicolò  Boceasini,  de'  frali  Predicatori,  che 
salito  alla  cattedra  di  Pietro  col  nome  di  Benedetto  XI, 
avea  racceso  le  più  luminose  speranze,  e,  la  cui  mercè, 
al  dire  del  P.  Marchese,  confidavasi  il  poeta  sarebbe  vinta 
finalmente  l'insolenza  del  Bello.  Quantunque  il  Minich  sia 
lunge  dal  vedervi  raffigurato  Benedetto  XI,  non  accennando, 
secondo  lui,  le  parole  di  Virgilio  che  un  lontano  avvenire, 
pure  vi  avvisa  anch'  egli  un  sommo  Pontefice,  dalla  cui 
premozione  alla  sedia  di  S.  Pietro  attendeva  Dante  la  re- 
pressione dell'  avarizia,  non  potendo  che  la  sola  morale 
autorità  combattere  moralmente  un  peccato.  Il  Kospick  vuole 
raffiguri  il  tipo  fantastico  nobilissimo  del  romano  pontefice: 
il  Pessina,  ed  il  Picchioni  (2),  un  pontefice  destinato  dalla 
Provvidenza  a  trionfare  della  corruzione  della  Chiesa,  a 
rigenerare  la  società  cristiana,  della  provincia  di  Monte- 
feltro,  non  caduta  mai  sotto  la  conquista  longobardica, 
della  terra  latina  per  eccellenza,  pura  d'ogni  innesto  bar- 
barico, con  la  missione  di  purificare  il  costume  e  di  combat- 
tere l'ingordigia  del  clero.  Ed  il  Pessina  ravvalora  questa  sua 
opinione  con  la  lettera  indirizzata  dal  poeta  ai  cardinali 
nel  1314,  perchè  avessero  ad  eleggere  un  italiano  alla  sedia 
pontificia.  Né  questa  interpretazione  è  nuova,  giacché  F Autore 
delle  Chiose,  pochi  lustri  dopo  la  morte  di  Dante,  la  accenna 
tra  molte  altre,  poi  come  falsa  la  rigetta. -Il /?e//erman?i  e  il 
forlivese  Bongiovanni,  tenendosi  sulle  vestigia  dell'Ottimo, 

(1]  Betti  Salvatore,  Scritti  vari,  Lettera  vii  delle  Dantesche,  al  mar- 
chese Cario  Santacroce.  Questa  opinione  era  fino  dal  1845  esposta  dal 
Betti  i\cU' Album  di  Roma  e  nel  Lucifero  di  Napoli.  In  un  suo  articolo 
pubblicato  nel  Giornale  Arcadico  (  Sett.  1842)  avea  da  prima  tenuto  con 
Benvenuto  da  Imola  e  col  Landino  che  fosse  Gesù  Cristo,  opinione  che 
disdisse,  anzi  die  reputò  di  poi  grandissima  vanità.  -  Giuliani  P.  Giam- 
battista, Del  Veltro  alleijorico  della  Comedia  (Modo  di  Comentare,  ecc. 
Firenze,  Le  Mounier,  p.  206-223).  -  Marchese  P.  Vincenzo,  Del  papa 
Angelico  del  Medio  Evo  e  del  Veltro  allegorico  della  Divina  Comedia 
(  Scritti  varj,  Firenze,  Le  Mounier  18oa.  p.289-3n. 

(2)  Pessina  Enr.,  Del  Veltro  allegorico  di  Dante  Allighieri  (Dallo 
Spettatore  Napolitano)  Napoli,  AgrcUi,  1857.  -  Picchioni  L.,  Del  Senso 
allegorico  e  pratico,  e  dei  valicinii  della  Divina  Comedia,  Lezioni  du4 
recitate  alla  Società  accademica  di  Basilea,  Basilea.  Schwesghauser. 
1857.  (di  pag.  107 i 


640  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

si  armano  di  molle  ragioni  a  francheggiare  nelVellro  il  tipo 

fantastico  ideale  perfettissimo  del  Itlonarca  di  Dante, 

quale  egli  Io  ritrasse  principalmente  nel  Convito  e  nella 
Monarchia.  L'Avv.  Giacomo  Ferrari  [Etriiria,  n.  329, 331, 1851) 
vede  che  la  qualità  di  Veltro  Capitano,  potè  successivamente 
dall'AUighieri  attribuirsi  a  più  guerrieri.  Gli  parve,  che  il 
Veltro  del  primo  canto  dell'Inferno  avesse  una  qualche  cosa 
ùeW  Urjuc rione  della  Faggiuola;  che  quello  del  e.  xvii  del 
Paradiso  di  Can  Grande  della  Scala;  che  il  Messo  di  Dio 
del  Purgatorio  fosse  lo  stesso  Veltro  in  generale,  non  ben 
sa  se  dell'  Inferno  o  del  Paradiso  ;  ma  che  Dante  nascondere 
voleva  il  suo  futuro  campione  sotto  discordanti  allegorie 
per  non  esporsi  con  precise  allusioni  alla  taccia  di  falso 
profeta,  eh'  egli  perciò  di  questo  enigma  forte  riservò  lo 
scioglimento  ai  fatti,  ma  i  fatti  si  stettero  muti. -Agli  occhi 
di  Andrea  di  Volterra  (1370)  Feltro  e  Feltro  non  è  che 
una  parola  francese,  dinotante  l'ascelle  del  corpo  umano; 
e  però  il  Veltro  è  un  Eroe  che  avrà  un  gran  cuore  in  petto. - 
Il  Marchese  Azzolini  vi  scorge  il  progresso  della  civiltà, 
da  che  la  sola  filosofia,  posta  in  seggio  nel  mondo,  po- 
teva abbattere  gli  errori  e  la  prepotenza  funesta  dello 
uman  vivere:  il  Missirini  bizzaramente  i' Aiiighierì  me- 
desimo: W  Landino,  V  Imolese,  e  di  questi  ultimi  giorni 
il  Co.  Torricelli  si  fece  caldissimo  propugnatore  dell'opi- 
nione difl'usa  fin  ai  tempi  del  Boccaccio,  e  strana  da  lui 
chiamata,  che  voleva  significato  nel  Veltro  e  Cristo,  il 
restauratore  della  Chiesa  non  solo  ma  dell'  umanità.  Né 
meno  singolare  è  l'interpretazione  dell'Arcangeli,  la  quale, 
come  per  avventura  men  nota,  mi  piace  di  riportare.  -  Il 
Veltro,  secondo  lui,  sarebbe  Cino  da  Pistoja,  «  nutrito  di 
sapienza,  amore  e  virtute,  \)evchè  sapientissimo  giureconsulto, 
poeta  d'amore  fra  i  primi,  virtuoso  sostenitore  dei  diritti 
imperiali  a  Roma,  assessore  di  Lodovico  Pio  di  Savoia, 
mandato  colà  dall'  Imperatore  e  creatovi  senatore;  difensore 
acerrimo  a  Siena  d' un  decreto  contro  Roberto.  Potrei  mo- 
strare, egli  dice,  come  il  ghibellinismo  dei  dotti  riducevasi 
a  difendere  il  diritto  imperiale  contro  il  diritto  canonico 
ck&  fin  dal  secolo  XIII  avea  preso  molta  preponderanza 
coir  istituzione  della  Rota  romana,  tribunale  supremo  di 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  647 

tutta  cristianità.  Quindi  è  che  Dante,  non  riconoscendo  il 
vantaggio  che  Graziano  recò  all'wno  e  alV  altro  foro  col 
suo  Decreto,  se  la  prende  cogli  ecclesiastici  che  più  stu- 
diavano le  Decretali  che  le  Scritture,  e  loda  S.  Domenico 
di  non  affannarsi  dietro  1'  Ostiense,  e  di  guardare  più  al 
bene  spirituale  dell'anime  che  all'acquisto  di  temporale 
potenza.  La  guerra  dei  civilisti  coi  canonisti  formulava  nel 
modo  più  netto  la  questione  dell'impero  e  della  Chiesa,  e 
Dante  che  avea  veduto  qual  poco  conto  era  da  tenersi  degli 
Imperatori  dopo  che  Arrigo  avea  sì  malamente  corrisposto 
ai  voti  dei  ghibellini,  potea  benissimo  attaccarsi  a  Cino  e 
operare  dalla  sua  somma  sapienza  e  dal  suo  coraggio  civile 
e  dal  credito  eh'  egli  avea  grandissimo  per  tutta  Italia  la 
conservazione  del  principio.  E  Cino  era  l'amico  suo:  era 
laureato  ed  acclamato  maestro  di  diritto  romano  a  Bologna, 
l'anno  1B14,  pressoché  all'epoca  stessa  che  Dante  mise 
fuori  la  Monarchia,  la  più  vera  dichiarazione,  come  avverto 
il  medesimo  Yillemain,  dell'  intimo  senso  della  Comedia. 
Cino  era  pur  ghibellino  ed  esule,  come  lui:  perseguitato 
dai  Canonisti  in  vita  come  lo  fu  poi  dopo  rfiorte.  Dante 
doveva  amarlo  grandemente  e  crederlo  di  tanta  importanza 
a  sostenere  colla  dottrina  e  coli'  eloquenza  un  principio  in 
cui  vedeva  la  salute  d' Italia.  Che  se  su  questa  supposizione 
si  richiedessero  più  minuti  particolari  direi  che  Cynus, 
come  egli  slesso  scriveva,  accenna  al  greco  Cinos,  del  cane, 
ambizioso  ravvicinamento  a  Cane  e  Mastino  ghibellini  di 
Lombardia.  Direi  che  non  cibò  terra  né  peltro  perchè  né 
ricco  né  potente;  nacque  d'umil  condizione  tra  feltro  e 
feltro,  in  povero  panno,  come  significa  appunto  feltro  in 
Giovanni  Villani:  e  quando  ciò  non  piacesse,  non  mi  si  darà 
di  strano  considerando  quello  che  su  ciò  hanno  fantasticalo 
tanti  altri,  se  io  dirò  che  vuoisi  significare  ch'ei  nascesse 
fra  monte  e  monte  fra  i  gioghi  dell'Appennino  pistoiese, 
ove  la  sua  famiglia  ebbe  qualche  possesso,  come  ricavasi 
dal  nome  ancor  vivo  di  Rio  di  Cino,  o  Selvermino  e  Man- 
dromino  da  Mino  figlio  di  lui.  » 

F.  Al.  prof.  Il  veltro  profetico  dell'anno  1815  e  1800  il 
D.  V.  del  C.  xxxii  del  Purgatorio  riconosciuto  in  Napoleone 
IH  e  Vittorio  Emanuele  re  d'Italia,  ministri   di  funzione 


048  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITMIANA. 

Politica  del  Veltro  sostanziale  o  formale  supremo  e  vaticinato 
SOO  anni  fa  nei  versi  dell'  Allighierij  Sviluppo  I  e  II,  Prato, 
1860,  in  8.»  gr. 

Ne  scrìssero  :  Di  Cesare  Giuseppe  -  Ferracci  Luigi  - 
Grisostomo  -  Pascal  Emilio  -  Pepe  Guglielmo  -  Picei 
Giuseppe  -  Ponta  HI.  A.  -  Repetti  Eni.  -  iStrocclii  Dio- 
nisio -  Tommaseo  I%[.  •  Torricelli  Fr. 

DELLA  MATELDA. 

Anonimo,  Matelda  nella  divina  foresta  della  divina  Co- 
media,  Napoli,  1858. 

Trevisan  Gaetano,  La  Matelda  di  Dante,  Firenze.  (Album, 
a.  XXV.  Distribuz.  31.) 

Betti  Salvatore,  La  Matelda  della  Divina  Comedia,  Roma, 
1858.  tip.  Belle  Arti.  (Gior.  Are.  di  Roma,  T.  VI.  Nuova  serie.) 

L'Anonimo  napolitano,  combattendo  l'opinione  di  aK 
cuni  comentatori,  e  tra  gli  altri  del  Balbo  e  del  Betti  i 
quali  vogliono  scorgere  nella  Matelda  la  famosa  contessa 
Matilde,  sostenitrice  del  papato,  dichiara  doversi  in  quel- 
la ravvisare  Matilde,  moglie  d'Arrigo  l'Uccellatore,  re  di 
Germania,  e  madre  dì  Ottone  il  grande.  E  tale  interpre- 
tazione s'appoggerebbe,  secondo  lui,  al  concetto  del  poeta, 
il  quale  non  può  aver  voluto  glorificare  quella  contessa 
che  fu  avversaria  tenacissima  dell'impero  e  accrebbe  il 
dominio  temporale  dei  papi  con  una  donazione,  con  una 
di  quelle  donazioni,  dì  cui  Dante  stesso  ebbe  a  riprovare 
il  principio  ìu  Costantino:  Ahi  Costantln,  di  quanto  mal  fu 
maire,  com'egli  esclama  nell'Inferno.  E  non  gli  pare  inoltre 
che  nel  momento  del  poema,  in  cui  più  si  palesano  le 
antipatie  guelfe,  Dante  avrebbe  scelto  ad  accompagnarlo 
dinanzi  alla  celeste  Beatrice  l'amica  ed  alleata  di  Gregorio 
VII;  mentre  al  contrario  la  madre  di  Ottone,  regina  e  santa, 
conviene  assai  meglio  al  disegno  ghibellino  del  Purgatorio, 
e  non  disdice  neppure  per  le  sue  qualità  al  tipo  che  no 
offerse  il  poeta.  Opinione  questa  la  quale  trovò  appoggio  nello 
scritto  accennato  di  Gaetano  Trevisani.  -  Veramente  non  ve- 
dremmo perchè  Dante  abbia  voluto  personificare  una  regina 
cosi  rimota  da  tutte  le  idee  storiche  e  politiche  del  poema 


BIBLIOGRAFIA  DAMESGA  ITALIANA.  (ì49 

per  averla  introdullrice  alla  visione  della  somma  sapienza. 
Senza  dire  che  questa  leggiadra  e  fanlaslica  Matelda,  la  più 
bella  ed  eterea  figura  che  appaia  nella  divina  Comedia 
perde  della  sua  idealità  a  volerla  per  forza  concretare  in 
un  personaggio  storico.  Non  basta  ch'ella  ci  si  presenti 
sulle  soglie  del  paradiso,  come  il  passaggio  dalla  vita  attiva 
alla  contemplativa,  di  cui  essa  risente  il  duplice  ritlesso  in 
un  medesimo  tipo  di  bellezza? 

LuBiN  Antonio,  La  Matelda  dì  Dante,  Graz,  Kienreich, 
1860. 

Il  Lubin  vuol  vedervi  la  B.  Metilde,  monaca  benedettina, 
nel  convento  di  Helpede,  presso  Eisleben,  nella  Sassonia 
prussiana,  sorella  della  B.  Geltrude,  morta  nel  1292.  Di 
questo  libro  io  cosi  scriveva  all'autore:  Le  rivelazioni  di 
quella  B.  Matelda  mi  parvero  un  vero  gioiello  di  soavità. 
Che  care  e  fiorite  imagìni,  quale  amenità  di  allegorie, 
quale  linguaggio  di  amore!  È  mirabile  poi  la  simiglianza 
dell' uflìcio  delle  due  germane  con  quello  delle  donne  di 
Dante.  Il  parlar  di  Matelda  inonda  e  scalda  sì  le  vergini 
sorelle  che  più  e  più  s'avvivano  nell'ardor  santo:  e  son  sì 
dolci  le  note  del  suo  canto  con  che  mattina  lo  sposo  ce- 
leste che  par  donna  innamorata  ;  ella  spiritale  interprete 
de'  salmi  che  canta  e  legge  sì  da  intendervi  per  entro  cose 
che  a  nessuno  mai  caddero  in  mente;  ella  conforlatrice  di 
quanti  non  sono  amici  della  ventura;  ella  ricca  di  buone 
opere  che  sono  i  veri  fiori  onde  s'allieta  il  mistico  giardino 
del  Signore;  mentre  Gertrude,  la  sorella  sua,  solo  de' suoi 
begli  occhi  è  a  veder  vaga,  e  come  l'una  appaga  l'ovrare, 
l'altra  solo  il  vedere.  Ma  ciò  che  mi  parve  sovra  tutto 
notevole  si  fu  la  Visione  del  monte  della  virtù  con  qujella 
simiglianza  di  riplani,  con  quelle  virtù  che  contrastano  ai 
vizii,  con  quella  conformità  di  pene,  con  quel  paradiso  sulla 
cima  del  monte,  e  quella  soavità  di  augelletti  che  non  la- 
sciano d'operare  ogni  lor  arte  e  infine  con  quella  vigna 
del  Signore;  in  somma,  io  vi  ci  trovai  tanto  lume  di  verità 
e  nella  variazion  de'  freschi  mai  onde  e  s' inghirlanda  il 
deserto  e  il  monte  verde,  e  in  tante  e  tante  altre  imaginl 
belle  fresche  liorite,  ch'io  ben  volentieri  mi  sentirei  incli- 
Dalo  ad  adagiarmi   alla   di  lei  opinione^  tanto  almeno  è 


650  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

Speciosa  ed  appariscente.  -  {Il  libro  della  (jrazìa  e  delle 
Rivelazioni  di  S.  Metilde  Vergine,  monaca  dell'ordine  di  San 
Benedetto,  Colonia,  1657.) 

MiNicn  Salvatore  Rafaelle,  Sulla  Matelda  di  Dante ^ 
Dissertazione  (Estratto  dal  Voi.  X.  delle  Memorie  del  Yenelo 
Instituto)  Venezia,  Antonelli,  1862. 

Il  chiaris.  Rafaelle  Minich,  nella  sessione  del  U  Luglio 
1861  dell'I.  R.  veneto  Instituto,  leggeva  una  sua  memoria 
intorno  alla  Matelda  di  Dante,  della  quale  mi  piace  di 
recare  il  sunto  di  che  mi  fu  cortese  l'Autore  anche  prima 
della  pubblicazione.  L' opinione  del  Minich  oltreché  nuova 
mi  par  gentile,  e  forse  quella  che  meglio  si  accosti  al  vero. 
Egli  si  propose  di  studiarne  il  duplice  senso  allegorico  e 
storico,  dissentendo  dalle  opinioni  finora  ricevute,  e  sosti- 
tuendovi quanto  al  significalo  allegorico  una  spiegazione 
che  gli  sembra  assai  verisimile,  e  quanto  al  senso  storico 
una  semplice  congettura,  giacche  il  poeta  medesimo  non 
diede  alcun  cenno  onde  si  possano  attingere  le  prove  della 
significazione  letterale  e  slorica  di  Matelda.  Perciò  la  Me- 
moria è  divisa  in  quattro  articoli,  nel  primo  de'  quali  si 
dimostra  che  la  figura  di  Matelda  non  potrebbe  rappresentare, 
siccome  è  universalmente  creduto,  la  vita  attiva;  né,  se- 
condo il  Buti,  la  dottrina  della  Chiesa  Cattolica.  -  In  altro 
articolo  si  toccano  le  ragioni  principali,  per  cui  non  è 
probabile  che  Dante  abbia  inteso  di  accennare  storicamente 
in  Matelda  verun  personaggio  di  questo  nome,  che  sia 
celebre  nella  storia  per  nobili  gesta  o  per  santità  di  vita. 
Nel  terzo  articolo  si  prova  col  riscontro  di  tutti  i  passi  che 
si  riferiscono  alla  Matelda  dantesca,  ch'essa  è  il  simbolo 
0  \Si  rappresentazione  allegorica  dell'Innocenza,  ossia  della 
vita  innocente  de'  primi  nostri  progenitori  nel  paradiso 
terrestre.  -  Finalmente  in  un  quarto  articolo  per  rendere 
qualche  ragione  dell'aver  rAllighieri  addottalo  il  nome 
storico  di  Matelda,  si  propone  la  congettura  (  qualora  non 
si  creda  desunto  dalla  significazione  di  compagna  del  Signore 
0  di  nobile  compagna,  che  gli  viene  da  alcuni  lessicografi 
attribuito),  che  fosse  questo  il  nome  di  un  amica  d'infanzia 
0  di  puerizia  di  Beatrice,  della  quale  è  fatta  menzione  nel 
§viii  della  Vita  Innova  che  incomincia:  Appresso  ilpartin 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA.  651 

di  questa  gentildonna  fu  piacere  del  Signore  degli  Angeli 
di  chiamare  alla  sua  gloria  una  donna  giovane,  ecc.  Uno 
dei  passi  più  notevoli  da  cui  Iraluce  l'inlerprelazione  alle- 
gorica è  il  V.  70  del  C.  xxviii  del  Purgatorio: 

Tre  passi  ci  facea  'l  fiume  lontani, 
il  cui  senso  morale,  fuorché  dal  Buti,  non  fu  mai  avvertito 
né  compreso  dai  Comentatori,  e  significa  i  tre  gradi  della 
penitenza,  al  pari  dei  tre  scaglioni  allegorici,  su  cui  si  as- 
side l'angelo  guardiano  al  limitare  del  Purgatorio  nel  C  ix 
di  quella  cantica.  -  E  il  18  Ottobre  1861  mi  rescriveva: 
a  L' avvertenze  da  lei  additate  sono  conformi  ad  alcune 
delle  non  poche  osservazioni  che  si  leggono  nel  mio  scritto 
onde  provare  che  tutti  i  passi  della  divina  Comedia  relativi 
alle  figura  di  Matelda,  non  meno  che  l'ufficio  di  questa 
vergine  antesignana  di  Beatrice,  si  attemprano  a  confermare 
l'interpretazione  da  me  proposta,  la  quale  pone  in  rilievo 
altri  luoghi  rimasti  finora  oscuri  ed  inesplicabili.  Così,  a 
cagion  d'  esempio,  ne  acquista  evidente  ed  opportuna  signi- 
ficazione la  similitudine  di  Matelda  in  Proserpina  in  questo 
ternario  del  G.  xxviii  del  Purgatorio  (v.  49-51): 

Tu  mi  fai  rimembrar  dove  e  qual  era 
Proserpina  nel  tempo  che  perdette 
La  madre  lei,  ed  ella  primavera. 

Anco  le  immagini  ed  I  colori  adoperati  dal  poeta  nelle 
descrizioni  e  ne'  concetti  spettanti  a  Matelda,  e  gli  attri- 
buti che  le  vengono  assegnati  di  vergine,  bella,  pudica  ed 
amorosa  sono  del  tutto  convenienti  all'Innocenza,  che  si 
dee  credere  in  essa  effigiata.  Basti  all'  uopo  citare  i  mirabili 
versi  (52  e  seg.)  del  canto  suddetto  che  susseguono  al 
ternario  testé  riportato. 

Come  si  volge,  con  le  piante  strette 
A  terra  ed  intra  sé,  donna  che  balli, 
E  piede  innanzi  piede  appena  mette; 

Volsesi  in  su  vermigli  ed  in  su'  gialli 
Fioretti  verso  me,  non  altrimenti 
Che  vergine  che  gli  occhi  onesti  avvalli. 

Cosi  il  Minich,  matematico  distinto,  conforta  l'auslerilà 
dei  più  severi  studi  coi  fiori  più  begli  delle  lettere,  e  amo- 
roso ritorna  sovente  al  sacro  poema,  facendoci  dono  dello 
sue  sensale  ed  importanti   illustrazioni,    e  facendoci  pur 


652  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

manifesto  com'eì  sappia  unire  in  eletto  sodalizio  così  di- 
stanti e  così  dispari  discipline. 

11  Tommaseo  ribatte  l'opinione  di  quelli  che  voglion 
Matelda  un  nome  ideale,  una  radice  greca.  Egli  vede  nella 
signora  di  tanta  e  sì  bella  parte  d'Italia,  ed  a  cui  molto 
dovette  la  nostra  civiltà,  non  la  donatrice  di  tante  posses- 
sioni alla  chiesa,  ma  meglio  l'arra  e  come  il  preludio  della 
unità  italiana.  Ned  è  meraviglia  che  Dante,  non  ghibellino 
pretto,  ma  Bianco  e  nato  guelfo,  e  guelfo  sempre  nell'anima, 
onorasse  ed  ornasse  di  poetiche  ghirlande  Matelda,  grande 
in  ogni  tempo,  e  nel  decimo  primo  secolo  più  grande  ancora, 
anzi  con  gentile  accorgimento  la  volesse  collocata  nel 
sommo  del  monte  da  che  gli  umani  spiriti  volano  al  cielo. 
E  col  Tommaseo  consente  pure  l'egregio  Yannucci^  che  vede 
nella  conlessa,  mirabile  per  coraggio  e  costanza,  la  Matelda 
quasi  santificata  da  Dante  (  1  primi  tempi  della  libertà  fio- 
rentina, Ci  X.  p.  40  ).  E  G.  Vegni  (  La  contessa  Matilde  e 
Roma  pontificale  per  D.  Luigi  Tosti  -  La  grande  italienne, 
Mathelde  de  Toscane,  per  Amédée  Renée,  Paris,  1859)  così 
si  esprime:  sulla  Matilde  Dantesca,  dopo  il  tanto  che  ne 
fu  detto  a'  dì  nostri,  niente  rimane  ad  aggiungere,  ed  è 
pur  sempre  questione  da  non  venirne  a  capo.  Se  l'autorità 
di  tutti  i  comentatori  da  Pietro  Allighieri  sino  a' moderni, 
e  certe  ragioni  di  convenienza  del  Lombardi  e  dello  Stroc- 
chi  non  possono  farmi  ritenere  indubitabilmente  la  Matilde 
toscana,  neppure  gli  argomenti  che  voglionsi  trarre  da 
principii  politici  del  poeta  saprebbero  muovermi  a  ripu- 
diarla, perchè  gran  divario  correva  dai  tempi  di  Matilde 
a  quelli  di  Dante,  e  perchè  questi,  più  che  i  ciechi  sfoghi 
di  parte,  amava  la  religione  e  la  giustizia,  come  ne  die 
prova  solenne  in  tutto  il  poema,  onde  non  vedo  sì  strano, 
come  ad  altri  parve,  eh'  egli  potesse  onorare  le  religiose 
e  civili  operosità  di  una  Donna,  de'  cui  fatti  era  ancor  piena 
r  Italia.  Unico  vero  ed  invincibile  ostacolo  nasce  dal  non 
averne  l' Allighieri,  contro  ciò  che  usa  con  altri,  contornalo 
il  nome  d'alcun  indizio  che  fosse  d'aiuto  a  distinguere  la 
persona,  ma  oltreciò  l'eguale  difficoltà  milita  per  la  Matilde 
alemanna  ultimamente  proposta,  né  vorrei  ammettere  la 
madre  di  Ottone  L  a  contendere  dell'apoteosi  poetica  cou 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIAÌSA.  653 

la  figlia  di  Bonifazio  se  prima  io  non  fossi  fatto  ben  certo 
che  quella  abbia  mai  gareggiato  di  rinomanza  con  questa. 
Chi  poi  non  sapesse  adattarsi  a  riconoscere  storico  quel 
personaggio,  lo  ritenga  pure  simbolico,  quando  non  tema 
di  perdersi  nell' intrigato  labirinto  delle  etimologie  [Archivia 
storico  Ital.  T.  XIII.  disp.  I.  1861).  -  Auf/usto  de  Gori  vede 
chiara  l'identicità  fra  la  Matilde  storica  e  quella  dantesca, 
ponendo  mente  alla  popolarità  che  Matilde  si  ebbe  a'  tempi 
suoi  e  che  perdurava  a  quelli  di  Dante,  ai  quali  era  pur 
tuttavia  comune  nel  popolo  toscano  il  nome  battesimale 
di  Tessa  derivato  da  Contessa,  e  derivante  da  quella  con- 
tessa di  cui  si  aveva  santo  concetto.  E  se  le  parole  di 
Dionisone  e  quelle  dell'epigrafe  sepolcrale  nella  chiesa  di 
S.  Benedetto  di  Polirone,  rammentate  dal  Vegni,  ritrovano 
un  riscontro  nella  terzina. 

Deh,  bella  Donna,  eh'  a'  raggi  d' amore 
Ti  scaldi,  s'  i'  vo'  credere  a'  sembianti. 
Che  soglion  esser  testimon  del  core.  Purg.  xxviii.  43 

sembra  che  non  manchi  queir  indizio  della  persona  che 
r  autore  lamenta,  e  d'altronde,  giustamente  osserva  il  Tom- 
maseo, che  Dante  leale  e  generoso  com'era  non  poteva 
non  amare  il  leale  e  generoso  coraggio  di  quella  donna 
amata  e  tremenda.  -  Il  Tosti  che  di  questi  ullimi  tempi 
ne  scrisse  la  storia  sembra  sia  del  contrario  avviso,  giacché 
non  fa  cenno  di  questa  quasi  apoteosi  della  sua  eroina, 
né  certo  avrebbe  obliato  di  porle  sul  capo  il  nobilissimo 
serto  di  onore  intessutole  dal  grande  poeta.  -  B.  Bianchi 
vuole  che  la  Matelda  dantesca  non  sia  che  una  pura  idea. 


Fasolo  Frakcesco,  Pensieri  sopra  la  Divina  Comcdia  di 
Dante  AUif/hieri,  Napoli,  Delken,  1863. 

L' opera  del  Fasolo  contiene  i  seguenti  articoli  :  I."  Con- 
cetto artistico  della  Divina  Comedia.-ll.^  La  donna  gentile. - 
III."  Le  tre  Furie.  -  IV."  Il  Veglio  del  monte  Ida.  -  V."  La 
corda  che  cingeva  Dante  nel  cerchio  dei  Sodomiti.  -  VI."  Mao- 
metto, autore  di  scisma  o-di  scandali. -VII."  Pensieri  sul  Canto 
xii  del  Paradiso,  e  lo  spirito  profetico  dell' ab.  Giovacchimo. 

Tommaseo  Nicolò,  Le  Ascensioni  di  Dante  -  Altezza  della 


654  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ITALIANA. 

meta  ecc.  Riv.  Coni.  1863,  Gcn.  p.  ^(ÌO.- Prontezza  varia  dei 
movimenti  per  infino  alV estrema  possibile  rapidità,  Id.Mar.  420. 

Il  verso  di  Dante:  sì  che  il  pie  fermo  sempre  era  il 
pili  basso  non  va  preso  alla  lettera.  Ivi  significa  che  ve- 
uendo  da  male  a  bene  il  desiderio  sempre  riposa  sulla 
memoria  del  passato. 

Mauro  Domenico,  Concetto  e  forma  della  divina  Comedia, 
Napoli,  1863. 

Zamboni  doti.  prof.  Filippo,  Gli  Ez Zellini,  Dante  e  gli 
Schiavi,  Pensieri  storici,  e  letterari,  Firenze,  Molini,  1865. 

Il  prof.  Zamboni  sì  fa  a  ricercare  perchè  Dante  solle- 
vasse al  cielo  Cunizza  di  Romano,  la  sorella  del  più  feroce 
nemico  della  chiesa,  la  donna  che  visse  troppo  amorosa- 
mente, ed  ei  ne  trova  la  cagione  nel  famoso  atto  del  1 
Aprile  1265,  l'anno  istesso  e  quasi  lo  stesso  mese  in  cui 
nacque  Dante,  lo  slesso  mese  in  che  nacque  Beatrice,  in 
casa  dell'alto  e  più  provetto  suo  amico.  Guido  Cavalcanti, 
col  quale  essa  poneva  in  liberlà  tutti  gli  uomini  di  ma- 
snada che  furono  de'  suoi  fratelli.  Il  poeta  universale,  dice 
il  Zamboni,  che  in  se  accolse  ogni  civiltà  e  tutto  il  sapere 
de'  suoi  tempi,  il  quale  fu  in  lui  maggiore  dei  tempi  slessi 
ed  è  sapienza  ;  quel  divino  la  cui  mente  rappresentò  tulio 
il  mondo  morale,  ed  a  cui  non  mancò  mai  retto  giudizio 
del  bello  e  del  buono,  beatificando  nel  cielo  colai  poeti- 
ca donna,  fece  secondo  il  suo  cuore  e  il  suo  intelletto. 
Commosso  egli  allamente  alla  condizione  di  molti  esseri 
miseramente  fissi  sopra  solchi  bagnati  di  servo  sudore, 
ovvero  che  nelle  opulentissime  case  pativano  ogni  ultima 
miseria,  non  potea  non  glorificare  quella  donna  che  avea 
tanti  uomini,  imagini  di  Dio,  di  servi  tratti  a  liberiate,  cioè 
^al  libero  passaggio  della  volontà  all'azione.  Oltre  a  ciò 
il  Zamboni  è  d'opinione  che  la  voce  autorevole  di  Dante 
e  di  Guido  suo  conferisse  piìi  che  mai  alla  legge  fermatasi 
a  Firenze  nel  1289,  con  che  vennero  afi'rancati  gli  schiavi 
della  gleba,  gloria  tutta  esélusiva  dei  soli  nostri  liberi 
comuni  che  fenno  r antiche  leggi,  e  fu^on  sì  civili,  il  prof. 
Zamboni  dice  di  aver  levato  moltissime  sue  note  di  bellezze 
dantesche,  qua  è  là  recate  in  queslo  suo  eruditissimo  lavoro, 
da  un  suo  Cemento  estetico  della  Comedia. 


BIBIIOGMFIA  DANTESCA  FRANCESE 


Ampère  J.,  Les  Vision  ont  préparé  la  div.  Coméd.  (  Hist. 
liner,  de  la  France,  avant  le  XII  siede,  Paris,  Hachelle, 
1839,  V.  II.  363.) 

yoyage  Dantesque.  -  La  Grece,  Rome,   et  Danle^ 

études  litléraires,  Paris,  Didier,  1846,  -  Id.  1859  [Mein  Weg 
in  Dante  's  Fusstapfen  Nach.  J.  J  Ampère  bearbilet  von 
Theodor  Hell,  Dresden  und  Leipzig,  Arnold,  1840.) 

Questo  lavoro  dell'Ampère  fu  da  prima  pubblicalo  nella 
Rcvue  des  deux  Mondes  15  Nov.  et  15  Dèe.  1839  ;  riprodotto 
nella  Revue  des  Revues  di  Bruxelles,  Nov,  1839:  venne 
voltato  in  tedesco  dal  Cons.  Winkler,  sotto  il  pseudonimo 
di  Teodoro  Hell;  ed  ia  Italiano  per  B.  de  G.,  Treviso, 
Molena,  18 il.  -  Il  nome  del  traduttore  Alemanno  traeva 
in  errore  l' editore  Scolari  a  credere  opera  originale  ciò  che 
non  era  che  una  versione  dal  francese.  Anche  il  Le  Mounier 
pubblicava  nel  1855  questa  viaggio  dantesco  dell'Ampère, 
reso  italiano  dal  Martìnetti-Cardoni,  ravegnano,  lieto  di  aver 
potuto  il  primo  offrire  questo  lavoro  agli  affezionati  di 
Dante.  Ma  bene  osservava  il  Vannucci  (Fase.  XII.  Rev.  Enc. 
che  il  Martinelli  avrebbe  potuto  facilmente  supplire  alle 
inesattezze  ed  alle  ommissioni  del  viaggio  di  Ampère,  con- 
sultando le  osservazioni  già  fatte  da  un  Anonimo  [Giovanni 
Mazzocchi,  bolognese  e  stampate  dal  Crescini  di  Padova, 
1841  )  e  le  nuove  osservazioni  dello  stesso,  Treviso,  An- 
dreola,  1845.  -  Le  quali  lacune  e  le  non  poche  mende 
che  mano  mano  s'incontrano  furono  pure  poste  in  rilievo, 
dal  S.""  Delàtre,  nel  Monitore  Toscano,  24  Sett.  1855.  -  II 
Martinetti  al  Yiagfjio  dantesco  aggiugncva  nella  sua  versione 
il  Dante  in  Ravenna,  giovandosi,  com'egli  dice,  delle  me- 
morie che  potè  avere  dai  cronisti  e  dagli  storici  ravegnani 
intorno  al  soggiorno  dantesco  alla  corte  Polentana.  -  «  L'orme 
di  Dante,  così  il  Massarani  ne'  suoi  assennati  e  pregiatissimi 
articoli  sugli  studi  italiani  in  Francia  [Crepuscolo,  1855.  n. 
28),  ridivennero  sacre  pei  visitatori  che  cercano  nel  bel 


656  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  FRANCESE. 

paese  meglio  l'istoria  della  civiltà  che  il  pallore  degli  ulivi 
e  la  fragranza  dei  cedri,  e  il  dolio  pellegrinaggio  dell'Ampère 
ai  luoghi  ricordati  nella  Comedia,  l'assiduo  amore  posto  a 
ogni  traccia  del  poeta  »  nelle  città  in  cui  visse,  nelle 
montagne  ov'errò,  negli  asili  che  lo  accolsero  «ci  valse 
in  tenue  mole  un'erudizione  preziosa  che  non  si  perde,  come 
troppi  nostri  itinerarj  in  isterilì  Iriche  ;  ma,  come  ha  detto 
un  po' liberamente  l'Autore,  coglie  in  fragrante  l'ingegno 
del  poeta  nell'atto  in  cui  si  unisce  alla  realtà  per  procreare 
l'ideale.  »  -  V.  \annucc%  Rivista  Fir.  A.  I.  N.  3. 

Aroux  Eugene,  Vie  et  siede  du  Dante. 

Dante  hérétique,  révolutionaire  et  socialiste  ;  Révé- 

lations  d'un  catholique  sur  le  moyen-àge,  Paris,  Renouard, 
1834. 

L' hérésie   de  Dante   démontrée  par  Francesca  de 

Rimini  et  coup  d'  ceil  sur  les  romans  du  Saint-Graal,  no- 
tamment  sur  le  Tristan  de  Léonneis^  Imprimerle  Romquet, 
1854. 

Preuves  de  V hérésie  de  Dante  et  d'une  fusion  opé- 

rée  vers  1312  entre  la  Massénie  albigeoise,  le  Tempie  et 
les  Gibelins  pour  constituer  le  Franc-3Iaconnerie,  Id.    ^ 

(  Veggasi  a  pag.  632.) 

Artaud  de  Montor,  Histoire  de  Dante  Allùfhieri,  Paris, 
Le  Clero  et  Cie,  1841  ;  Paris,  Levy,  1845. 

Giuseppe  Mazzini  nella  Forein  Quaterly  Review  di  Londra 
ne  portò  questo  giudizio.  «  Senza  discernimento  od  ombra 
di  critico  acume  T  Artaud  cita  alla  rinfusa  scrittori  degni 
di  fede  ed  inetti  compilatori:  il  Filelfo,  il  Tiraboschi,  il 
Muratori,  fra  Giovanni  da  Serravalle  son  tutto  uno  per  lui. 
Da  lungo  tempo  non  ebbimo  trovato  un  libro  (in  635  pa- 
gine 1)  così  spoglio  di  erudizione  e  pieno  d'ampollosità 
accademiche,  di  una  tanta  vanità  sotto  la  maschera  di  una 
ippocrita  e  bigotta  modestia,  cosi  diffuso  e  confuso,  oscuro 
e  triviale.  E  un  tal  libro  venne  proclamato  in  Francia  come 
l'alta  e  conscienziosa  produzione  di  un  dotto.  . .  Dante  ci 
appare  in  lui  incompleto,  inconseguente,  debole,  iroso, 
volubile,  obbiettivo  più  che  subbieltivo,  pieghevole  al  soffio 
degli  eventi,  e  non  fermo  a  sfidarli  e  dirigerli,  tutto  a  fram- 
menti e  multiforme ...»  La  Storia  di  Dante  del  S.'"  Artaud 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  FRANCESE.  6o7 

tlì  Montor,  scrìve  il"  Labìtle,  è  concella  con  tuli'  altro  si- 
sleina  da  quello  con  cui  fu  concetta  la  Vita  di  Dante  del 
signor  Balbo,  alla  quale  è  di  gran  lunga  in  ogni  parte  in- 
leriore.  Tu  non  ritrovi  più  quel  metodo  semplice,  conspicuo, 
che  va  spigolando  i  lesti  senza  abbicarli,  e  gli  scioglie  di 
cheto  nel  suo  discorso;  il  Sig.  Artaud,  all'incontro,  non 
isceglie,  cita  tulio,  e  v'inserisce  di  lunghi  frammenti  da 
qualunque  mano  gli  vengano,  e  cosi  come  vengono,  senza 
troppo  scrupoleggiare  intorno  alle  fonti,  e  senza  troppo 
curarsi  che  cadano  opportuni.  11  qual  miscuglio  e  ammas- 
samento non  può  far  alla  lunga  di  non  annoiare.  Tutto 
«erve  di  pretesto  all'  autore  per  nominare  alla  rinfusa  gli 
amici  suoi,  i  suoi  colleghi,  per  intarsiarvi  cose  che  non  vi 
han  niente  a  che  fare,  per  moltiplicare  i  nomi  propri.  Ognun 
de'  suoi  faticosi  capitoli  rassomiglia  ad  una  confusa  dis- 
sertazione di  qualche  dotta  società  di  provincia.  Alcune 
rilevale  investigazioni,  molti  curiosi  testi,  alcuni  estratti 
prima  non  conosciuti,  alcune  nuove  osservazioni  vengono 
nullameno  a  compensarci  dello  spirito  critico  che  vi  manca, 
e  rendono  indispensabile  questa  benché  poco  metodica 
compilazione  a  coloro  che  fanno  sludj  intorno  all'Allighie- 
ri.  »  (Revue  des  deux  Mondes,  Biographes  et  Tradncteurs  de 
Dante.  l.^Oct.  1841).  Anche  il  Massarani  la  dice  un  lavoro 
di  troppe  tarsie  [Cre-p.  1855,  n.  25). 

D'AuBiGNY  Estelle,  Première  epoque  de  la  litlératurc 
ilalienne.  Dante,  (  Essai  sur  la  littérature  llalienne,  p.  33  a 
08)  Paris,  Treuttel  e  Wurtz,  1839. 

Bach  George  Henri,  Thèse  de  littérature  sur  Dante,  et 
S.  Thomas,  de  i  état  de  V  àme  depiiis  le  jour  de  la  mort, 
jusqu'à  celui  de  jugement  dernier,  d'apres  ces  deux  auleurs, 
Kouen,  Periaux,  1833.  (Questo  lavoro  del  Bach  fu  anche 
inserito  nel  Journal  des  Savants,  Aoul,  1838.) 

«  Gomme  Dante  avait  étudié  la  théologic  dans  les 
écoles  de  Paris,  il  en  était  revenu  thomiste.  M.  de  Lamen- 
nais  le  constate,  après  M.  Ozanam:  mais  il  ne  fait  pas  assez 
remarquer  l' influence  censidérable,  qu'  eul  le  maitre  sur 
son  iidèle  disciple.  Un  jeune  docteur,  que  la  mort  est  venne 
si  tòt  nous  ravir,  M.  Georges  Bach,  a  fori  bien  traile  ce 
sujct  davanl  la  Sorbonne.  Saint  Thomas  est,  en  iogique, 
Voi.,  il.  i-i 


C58  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  FRANCESE. 

l'oracle  dii  bon  seiis,  et  il  n'  y  a  giière,  en  celle  panie,  de 
prudence  supérieure  à  la  sieniie.  Mais  après  le  logicien, 
écoutez  le  Ihéologien:  que  son  imagination  est  feconde! 
avec  quelle  facililé  se  poursuivenl  et  se  développenl  ses 
réves!  qu'  il  va  loin  dans  ces  domaines  du  possihle,  haiilés, 
disent  les  logiciens,  par  de  pures  chimères!  M.Bach  dé- 
montre  parfaitemenl  que  si  Dante  n'a  pas  semblé,  de  son 
lemps,  trop  léméraire,  méme  pour  un  poele,  dans  sa  de- 
scription  des  lieux  invisibles,  e' est  qu' on  n'aurail  pu 
r  accuser  sans  metlre  en  cause  la  théologie  de  salnl  Thomas. 
Et  Rome  elle-méme  ne  1'  eùt  pas  fait  sans  Irembler.  »  - 
B.  Hauréau,  lUuslration,  1835,  n.  640. 

De  Batines  Colomb,  Bibliografia  Dantesca,  ossia  Catalogo 
delle  edizioni,  traduzioni,  codici  manoscritti  e  comenli  della 
divina  Comedia,  traduzione  italiana,  fatta  sul  Manoscritto 
francese  dell'  editore.  Prato,  Tip.  Aldina  editr.  -  Voi.  I. 
p.  1.  1845.  Yol.  I.  p.  2,  finito  di  stampare  il  dì  xxx  Giugno 
1846.  -  Yol.  II,  tinilo  di  stampare  il  xxx  Agosto  1848. 
(Mori  il  Balines  a  43  anni  in  Firenze  il  14  Gen.1855). 

Questo  diligentissimo  lavoro  va  diviso  in  quattro  parti; 
la  prima  comprende  la  bibliografia  propriamente  detta  della 
divina  Comedia;  la  seconda  la  bibliografia  critica;  la  terza 
i  Conienti  stampati;  l'ultima  la  bibliografia  manoscritta. 
Il  Balines  poco  pratico  del  nostro  idioma  dettava  in  fran- 
cese questi  suoi  annali  bibliografici,  che  poi  sul  manoscritto 
rendea  italiani  per  la  stampa  Giovanni  Costantini.  Egli  ci 
fa  sapere,  come  udendo  le  bellissime  lezioni  che  il  Villemain 
improvvisava  alla  Sorbona  sul  nostro  sovrano  poeta  si  sen- 
tisse potentemente  incuorato  a  questo  suo  lavoro,  onde, 
a  titolo  di  riconoscenza,  glielo  intitola,  perchè  del  bel  frutto 
cólto  ne  riconosce  in  lui  il  seme.  E  l' Italia  debbe  saper 
ben  grado  alle  tante  accurate,  pazienti,  e  coscienziose  ri- 
cerche del  dotto  Visconte,  giacché  è  per  lui  solo  che 
possiamo  gloriarci  di  una  esalta  bibliografia  degli  studii 
danteschi.  -  Un  laborieux  Frangais  devenu  Florentin  par 
amour  de  la  Divine  Comedie,  M.  Colomb  de  Balines,  a  été 
l'un  des  plus  zélés  ouvriers  qui  aient  travaillé  à  celle  re- 
slauration  de  Dante:  il  a  consacré  sa  vie  à  une Bibliographie 
dantesque.   Plusìcurs  savans,  Volpi,  Torri,  Picei,  Fraticelli, 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  FRANCESE.  G59 

avarenl  déjà  entrepris  celle  luche  sans  pouvoir  Iriompher 
des  difticullés  qii' elle  présente;  M.  Colomb  de  Balines  y  a 
réussl.  A  pari  quelques  erreurs  signalées  par  M.  Charles 
Witte  dans  son  Iravail  sur  l' Otiìmo  Comento,  la  Biblior/rafM 
dantesca  de  nolre  compalriote  est  une  oeuvre  d'  une  valeur 
ineslimable.  -  M.  le  vicomte  Paul  Colomb  de  Balines  habilait 
Florence  depuis  longues  années;  il  y  est  mori  le  14  janvier 
1855,  entouré  de  1'  eslime  generale.  La  France  doit  un  sou- 
venir à  l'homme  modeste  et  laborieux.  qui  a  si  dìgnement 
Roulenu  l'honneur  de  1' érudition  fran^aise  au  milieu  des 
savans  de  l' Italie.  Outre  celle  Bibliografia  Dantesca,  qui 
est  lo  monument  de  sa  vie,  il  a  publié  un  grand  nombre 
de  mémoires  et  d'  éludes  dans  les  Studii  inediti  su  Dante 
(Florence  1846),  ecc.  -  Saint-René  Taillandier,Revue  des  d4iu.x 
Mondes,  \P  Dee.  1856. 

BoissARD  Ferjus,  Dante  révolutionnaire  et  socialiste  mai% 
non  hérétique,  Bévélation  sur  les  Révélations  de  M.  Aroux, 
et  défense  d'  Ozanam,  Paris,  Douniol,  1854. 

Duplice  apologia,  in  cui  il  Boissard  fa  prova  non  meno 
di  nobil  animo  che  di  assennala  critica  e  varia  dottrina.  - 
Paravia, 

CiiABANON,  Vie  du  Dante,  avec  une  notice  detaillee,  de 
9€s  Ouvraqps,  Paris,  Lacombe,  1773. 

De  La  Tom  M.  A,  Laure,  Beatrix  et  Fiammetta.  E  una 
difesa  di  Dante,  Petrarca  e  Boccaccio,  intitolata  al  S."" Rosselli, 
e  pubblicala  nella  Bevue  de  Paris,  Mag.,  1834,  pag.  233-243. 

Delécluze  e.  J.,  Dante  Alifjhieri,  ou  la  poesie  amoureuse, 
Paris,  Amyot,  1847.  Voi.  2;  Paris,  Delahys,  1857. 

Dante  était-il  hérétique?  (Revue  des  deu\  Mondes, 

15  Fevr.  1834.  ) 

Florence   et  ses  vicissitudes.   Paris,  Gosselin,  1837. 

Vi  ha  un  saggio  sopra  Dante  dalla  pag.  194  alla  203. 

Delomcle  Cu.,  De  poesie  et  de  morale  catholiques,  Dante. 
Rev.  Indépendanle,  1-15  Jan.  18G3. 

Drouilhet  de  SiGALAS  Pail,  De  l  art  en  Italie,  Dante 
Alli(fhieri  et  ia  div.  Com.  Paris,  Firmin  DiUot,  1853,  deux. 
odit.  (Recata  in  italiano  dal  P,  Marcellino  da  Civezza,  (le- 
nova,  Slabil.  lipog.  ligustico,  1853.) 

Il  barone  di  Sigalas  appartiene  a  quel  drappello  di  cri- 


660  BIBLIOGRAFIA    DANTESCA  FRANCESE. 

liei  entusiasti  dell'arte  esistiana,  di  cui  1' Ozanam  fu-uno 
dei  più  ferventi  e  più  infaticabili  illustratori.  È  anzi  agli 
scritti  dell' Ozanam,  a  quella  sua  calda  e  quasi  poetica 
maniera  d'interrogare  la  storia,  a  quella  sua  adorazione 
del  medio  evo  che  sembra  essersi  inspiralo  nel  concetto 
non  solo,  ma  perfino  nello  stile  medesimo  di  questo  libro. 
A  Dante,  come  a  centro  dello  spiritualismo  cristiano,  che 
annoda  in  sé  quanto  dà  l' arte,  la  scienza,  la  fede  nel  ri- 
sorgimento del  mondo  moderno,  è  consecrato  pertanto  questo 
lavoro,  in  cui  l'autore  svolge  con  calore  di  eloquenza  le- 
popea  del  pensiero  cattolico  in  Italia  nei  secoli  di  mezzo.  Più 
esclusivo  dello  stesso  Ozanam,  il  quale  non  obhliò  del  tutto 
gli  elementi  fecondatori  discesi  dall' antichità,  esso  non  ripe- 
te le  origini  della  civiltà  moderna,  se  non  dal  medio  evo, 
e  nelle  stirpi  barbariche  soltanto  vede  il  germe  rinnovatore 
dell'  umanità.  L'  arte  stessa,  così  splendida  nella  civiltà 
pagana,  è  da  lui  sconsiderata  e  depressa  al  paragone  di 
quella  che  animossi  col  soffio  del  misticismo  cristiano;  né 
la  Grecia,  né  Roma  che  pur  ebbero  espressione  così  com- 
piuta del  loro  pensiero  in  relazione  agli  elementi  *tillora 
conosciuti  di  civiltà,  trovano  grazia  agli  occhi  dell'Autore, 
il  quale  non  vede  nel  moto  della  rinascenza  che  la  morte 
dell'arte  in  Italia,  così  come  il  principio  della  sua  decadenza 
nazionale.  Il  suo  studio  pertanto  non  risguarda  che  l'opera 
dantesca,  in  quanto  compendia  la  somma  del  sapere  e  delle 
credenze  nel  medio  evo,  consacrata  dallo  splendore  d'  una 
poesia  inarrivabile.  Ed  egli  ne  ricerca  le  origini,  e  ne  segue 
gli  effètti  e  gì'  influssi  posteriori,  dalle  prime  visioni  mona- 
stiche fino  al  Giudizio  di  Michelangelo,  suggello  alle  inspi- 
razioni ed  alle  preoccupazioni  del  mondo  soprannaturale  nella 
arte.  Quanto  al  culto  rinato  di  Dante  al  secolo  XYIII,  questo 
esce  dall'ordine  tracciato  alle  sue  indagini,  ed  è  estraneo 
a  quel  concetto  spirituale  dell'  arto,  a  cui  è  volto  ogni  suo 
aifetto.  L' Autore  anzi  invoca  che  l' Italia  torni  in  grado 
oggidì  di  comprendere  il  suo  poeta  e  di  continuare  la  tra- 
dizione, quanto  all'  intento  religioso  della  poesia,  e  chiude 
la  sua  opera  con  un  apostrofe  piena  d' affetto  a  questo 
paese,  che  ebbe  già  missione  di  riscattare  V  intelletto  mo- 
derno, e  da  cui,  come  nei  secoli  di  mezzo,  egli  augura  che 


BIBLIOGRAFIA   DANTESCA  FRANCESE.  661 

parla  una  nwova  luce  ad  irradiare  l' incerto  occidente.  La 
parola  ardente  e  simpatica  dell'Autore  e  il  profondo  con- 
vincimento che  si  palesa  in  tutto  il  libro  gli  danno  interesse, 
non  ostante  l'angustia  e  l'esclusività  del  concettot;  e  la 
effusione  d'  un  animo  commosso  fa  perdonare  in  lui  la  scar- 
sità d'  una  critica,  più  appassionata  che  nudrita  di  robusta 
dottrina.  -  Il  Massarani  lo  chiama  volume  di  fastosa  estetica 
che  nasconde  l'esilità  dell' ossatura  sotto  lo  strascico  scin- 
tillante dello  stile.  -  Studi  Jtal.  in  Francia,  Crepuscolo, 
1855,  n.  28.  - 

Dumas  Alexandre,  Elude  sur  la  Divine  Comédìe,  Guelfes 
et  Ghibellins,  (Revue  des  deux  Mondes,  1  Mars  1836.) 

DuQUESNEL  Amédée,  Etude  sur  la  Divine  Comédìe,  V.  È- 
tudes  philosophiqties  sur  la  littératture  avant  le  cliristia- 
nisme.  Revue  Européenne  di  Parigi,  1835,  II,  212-228. 

EsQUiROs  Alphonse,  Dante,  Elude  littéraire,  France  lii- 
téraire,  1834,  xvi.  31-72). 

Feller  F.  X.  Dante  Allighieri,  poete  Italien  (1797).  Nel 
suo  Dizionario  storico. 

Fauriel  Cl.  Dante,  Revué  des  deux  Mondes  1.  Oct.  1834. 
Biographie  de  Dante,  1836.  (Biografia  di  Dante,  tradotta 
neW  Indicatore  Lombardo  da  G.  B.  Menini,  1835,  e  nel  Su- 
balpino di  Torino,  1838.) 

Dante,  et  les  orifjines  de  la  langue  et  de  la  létlera- 

.ture  italiennes,  Cours  fait  à  la  [acuite  des  lettres  de  Paris, 
Paris,  Durand,  1854.  (Recalo  in  italiano  per  Girolimo  Ar- 
dizzone,  Palermo,  Russo  e  Comp.  1856). 

Fauriel  fu  anch' egli  un'accuratissimo  biografo  di  Dante. 
Nella  tranquilla  sua  narrativa  si  desidera  forse  quel  dolce 
calore,  quel  profumo  di  poesia  che  si  svolge  dalle  pagine 
del  Balbo:  ma  non  v'è  neppure  l'insistente  sforzo  che  si 
adopera  ansioso  ad  ottundere,  per  paura  della  presente,  le 
passioni  di  una  remota  età.  Quello  di  che  il  Fauriel  non  parve 
abbastanza  compreso  è  il  gran  concetto  organizzatore  che 
si  celava  sotto  la  veste  ghibellina  dei  tempi.  Se  colle  altre 
opere  minori  avesse  pigliato  in  esame  il  libro  De  Monarchia, 
la  vera  e  grande  aspirazione  di  Dante,  gli  sarebbe  apparsa 
superiore  alle  superstizioni  legali  dell'epoca,  perchè  vi  è 
bensì  la  cieca  riverenza  del  passato,  e  quella  persuasione 


662  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  FRANCESE. 

cavalleresca  che  teneva  infallibile  la  spada;  mn  vi  è  anche 
la  coraggiosa  tesi  dell'indipendenza  del  potere  civile,  e  l'al- 
tissima e  nuova  idea  di  una  politica  cui  l'accentramento  uni- 
versale di  tutte  le  forze  deve  esser  mezzo  a  promuovere  l'utile 
della  civiltà,  la  potenza  intellettiva  di  tutto  il  genere  umano.  Né 
valse  nelle  questioni  di  sentimento  al  Fauriel  l'acume  critico 
e  la  sapienza,  quanto  ad  altri  l'intelletto  d'amore.  E  però 
di  quella  gentile  psicologia  amorosa  eh' è  la  Vita  Nuova, 
del  Dante  amatore  e  cavaliero  che  vi  respira,  furono  in- 
terpreti più  felici,  non  che  il  Quinet,  i  minori  iniziati,  il 
Sigalas  e  il  Lafayette.  »  -  Massarani  -  Il  Fauriel,  l'amico 
del  Manzoni,  il  traduttore  delle  sue  tragedie  e  dei  Profughi 
di  Parga  del  Berchet,  1'  appassionato  della  lingua  e  delia 
letteratura  italiana,  quell'uomo  si  acutamente  ed  ingegno- 
samente erudito,  nei  due  anni  1833  e  1834  dalla  cattedra 
di  letteratura  straniera  al  Collegio  di  Francia,  prendeva  a 
subbietto  delle  sue  lezioni  le  origini  della  nostra  lingua, 
e  la  divina  Comedia.  Ma  la  postuma  pubblicazione' fu  fatta 
sopra  appunti  imperfetti  per  opera  del  Sig.  Giulio  Mohl.  Il 
primo  volume  comprende  dieci  lezioni  di  prolegomeni  in- 
torno alle  vicende  letterarie  della  divina  Comedia,  allo 
stato  politico  dell' Italia,  ai  tempi  danteschi,  alla  costituzione 
delle  repubbliche  italiane,  alla  costituzione  di  Firenze,  alla 
vita  di  Dante,  ai  trovatori  provenzali  in  Italia,  all'influenza 
di  quella  lor  poesia  tra  noi,  alla  poesia  cavalleresca  italiana, 
divisa  in  siciliana  e  bolognese,  e  parecchi  frammenti  di 
esposizione  della  divina  Comedia,  ne'  quali  si  esaminano  le 
facoltà  intellettuali  di  Dante,  l'idea  del  poema  sacro,  l'unità 
religiosa  deW  Inferno,  il  motivo  e  il  fine  del  viaggio  pei 
tre  regni,  gli  episodii  di  Francesca,  di  Ugolino,  di  Sordello, 
e  i  mangiatori  di  suppe  sulle  sepolture  degli  uccisi  per 
fuggire  la  vendetta  dei  consorti.  Il  Crepuscolo,  dopo  di 
averne  fatta  un'accuratissima  analisi,  conchiude:  Certo  da 
venti  anni  in  qua  gli  studi  danteschi  hanno  assai  progredito, 
e  il  meglio  dei  concetti  dell'insigne  francese  fu  o  da  lui 
stesso  esposto  in  parziali  pubblicazioni,  o  raccolto  alle  site 
lezioni,  e  messo  in  giro  da  monelieri  più  o  meno  onesti, 
di  che  né  gran  novità  ne  gran  profondità  vi  si  può  pre- 
tendere. Eppure  certe  parti  sono  bene  toccate  e  l'ingegno 


BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  FRANCESE.  663 

del  rritico  spicca  vivissimo  Ìq  alcuni  luoghi.  -  Crepuscolo, 
[).  12i.  -  «  Tandis  que  T  Italie  cherce  dans  ces  éludes  (dan- 
teschi) des  inspirations  patrioliques,  la  France  avec  M. 
Fauriet,  et  M.  Villeniain,  y  déploye  sa  nettelé  d'esprit,  son 
góut  de  la  beante  litléraire...  Fouriel  deux  ou  trois  années 
après  M.  Witte,  dans  son  cours  de  1833,  a  soumis  ausai  la 
Vita  Nuova  et  le  Convito  à  sa  judicieuse  critique,  mais 
Fauriel  s'atlache  surtout  ày  trouver  la  préparation  inlel- 
lectuelle  du  poète.  S' il  ne  s'agii  que  de  déraéler  dans  ces 
onvrages  la  nature  complexe  de  l'inspiration  d'Alighieri,  son 
mélange  d'enthousiasme  et  de  subtilité,ces  combinaisons  géo- 
métriques,  astronomiques,  siétrangementassociéesaux  exla- 
ses  de  l'amour,  iln'y  arien  à  ajouter  aux  dissertations  de 
Fauriel.»  -Saint-Uene  Taillandier.-\.  C)'epw5Co/o,  1855. p.  124. 

Feriault  F.  Rimes  de  Dante,  Sonnets,  Canzones  et  Ballades, 
Traductìon,  Paris,  Lecou,  1854. 

FoucHER  DE  Careil  C  Dante  et  son  Poeme,  Paris,  Didier, 
18G4.  (Forma  parte  delle  Conferences  Litteraires  de  la  Salle 
Barthélemy.) 

GiNGUEM^,  idées  préliminaires  sur  la  div.  Comédie.  -  Pian 
rjénéral  du  Poème  -  Invention  -  Sources  où  le  Dante  a  ()u 
puiser  -  Analyse  de  chaque  cantique.  (Hist.  littér.  d'Italie, 
Paris,  Michaud,  1811.  Voi.  I.  480-492.  Voi.  II.  1.  266.) 

Le  opinioni  del  Ginguené  furono  prese  ad  esame  da  M. 
A.  Parenti,  V.  Memorie  di  Modena,  III.  75-138;  lY.  275-301; 
VI.  263-289. 

GoujET Giudizio  letterario  sopra  Dante  [Bibliotfièque 

francaise,  ou  [list.  Hit,  de  la  France,  Paris,  Guerin  Delatour, 
1755,  VII.  294.) 

Klagzko Dante  et  la  critique  moderne.  (Revue  cont. 

l5iNov.l854.) 

Hillebrand  Carl,  (ted.  prof,  di  Letterat.  a  Bordeaux)  Dino 
Compagni,  Etude  ìiislorique  et  littéraire  sur  Vépoque  de  Dante,  in 
8.^  di  p.  XYI-439,  Paris,  Durand, Bordeaux,  Gounouilhon,  1861. 

De  sacro  opud  Christianos  Carmine  epico  dissertatio, 

seu  Dantis,  Millonis,  hìopstockii  poetarum  collatio,  Parigi,  1861. 

Labitte  Gii.  La  divine  Comédie  avant  Dante.  (Revue  des 
deux  Mondes,  l  Sept.  1842  -  Oeuvres  de  Dante  Alighieri, 
Paris,  Charpentier,  1843.) 


664  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  FRANCESE. 

La  divina  Comedia  prima  di  Dante  contiene  otto  articoli 
coi  titoli  seguenti  :  I.  L'Antichità  ;  -  Er  l'Armeno  ;  -  Tespesio;- 
La  Bibbia.  IL  Prime  visioni  cristiane.  -  Carpo  ;  -  Saturo  ;  - 
Perpetua;  -  Cristina.  IH.  Il  soldato  di  S.  Gregorio  Magno;  - 
Trajano  in  Cielo;-  I  Pellegrini  di  S.  Macario.;  -  Santo  Fur- 
seo  ;  -  San  Salvi.  lY.  Sogno  di  Gontramo;-Dritelmo  inglese ;- 
11  risuscitato  di  S.  Bonifazio  ;  -Dagoberto;  -  Carlomagno;  - 
Wetino.  Y.  Il  prete  degli  annali  di  S.  Bertino;  -  Bernoldo;- 
Carlo  il  Grosso.  -  Il  Finimondo.  YI.  Yiaggio  di  S.  Bren- 
dano;  -  Sermone  di  Gregorio  YII  ;  -  Frate  Alberico;  - 
Caverna  di  S.  Patrizio;  -  Timarione  YII.  Dominio  del  grot- 
tesco per  i  Trovieri;  -  Adamo  di  Ross  ;  -  Rutebeuf  ;  -  Raolo 
di  Houdan  ;  -  Novelle  in  versi.  YIII.  Dipinti  e  sculture;  - 
Mistero  rappresentato  a  Firenze;  -  Tesorelto  del  Latini;  - 
Dante;  -  Conchiusione. 

Labitte  Ch.  Biofjraphes  et  traducleurs  de  Dante.  (Revue 
des  deux  Mondes,  1.'^  Oct.  1841.  -  Articolo  tradotto  dal  Toc- 
cagni,  ed  inserito  nella  Rivista  Europea,  1845,  p.  102-134. 

Lafayette  de  Calemard  Charles,  Dante,  Michel-Ange, 
et  Macliiavel,  Paris,  Didier,  1832. 

È  una  monografìa  dettata  con  quella  ridondanza  gio- 
venile,  che  sgorga  spontanea  da  un  cuore  appassionato,  e 
più  d' un  saggio  poetico  che  pare  strappato  dal  bisogno 
di  rendere,  quand'anche  inadequatamente,  un'emozione 
profondamente  sentita.  Massarani,  Crepuscolo,  185S,  p.  443. 

LamenpsAis  F.,  Introduction  sur  la  vie,  les  doctrines  et 
les  ojuvres  de  Dante,  Paris,  Paulin  et  le  Chevalier,  1855. 
(La  Divine  Coni.  Enfer.  p.  I.  C  xxiv). 

L' introduzione  è  divisa  in  otto  capitoli  :  nel  primo  ci  fa 
uno  schizzo  della  storia  del  mondo  dalla  caduta  dell'impero 
romano  fìno  a'  nostri  giorni  ;  in  altri  due  ne  parla  di  Dante 
e  delle  sue  opere  ;  ne'  due  che  seguono  delle  sue  dottrine 
filosofiche  e  politiche;  negli  ultimi  tre  ci  tesse  un  esposi- 
zione del  poema  nel  suo  significato  generale  e  nelle  su© 
parti.  -  «  Il  Lamennais  fa  come  certi  storici,  che  credono 
di  darti  un  concetto  filosofico  della  storia,  scrivendo  capi- 
toli della  religione,  delle  istituzioni,  delle  arti,  delle  scienze 
ecc.,  non  comprendendo  che  questi  elementi  debbono  far 
parte  della  narrazione  e  comparire  nel  seno  stesso  dei  fatti 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  FRANCESE.  665 

in  reciprocanza  di  azione,  a  volta  a  volta  motori  e  mossi  : 
questo  astrarti  dall'azione  è  un  cavarli  fuori  della  vita  o 
della  storia,  e  ridurli  a  nudi  concetti.  Così  il  Lamennais, 
volendo  spiegarci  la  poesia  dantesca,  in  luogo  di  riprodurre 
come  critica  quella  immagine  che  il  poeta  ha  dato  fuori 
come  arte,  comincia  dall'  annullarla,  dal  dissolvere  con  un 
softìo  quella  magnifica  creazione  in  elementi  sparsi,  reli- 
gione, politica,  morale,  filosofia,  avvenimenti,  ecc.  Egli  non 
ha  preso  la  penna  dopo  letto,  e  caldo  ancora  della  lettura.... 
invece  di  un'  esposizione  animata  e  drammatica,  ci  ha  dato 
dissertazioni  dichiarative.  Nondimeno  questa  sorta  di  lavori 
han.no  pure  la  loro  utilità:  essi  servono  immediatamente 
air  intelligenza  del  poema,  e  per  indiretto  giovano  pure  alla 
critica,  raccogliendo  e  fermando  i  fatti,  sui  quali  dev'esser 
fondata ...  Il  Lamennais  vi  si  è  messo  senza  avere  chiara 
innanzi  una  concezione  qualsiasi  dell'  unità  dantesca.  Quindi 
egli  procede  a  tentoni,  alcune  parti  tratta  inutilmente, 
trattate  già,  e  bene,  da  altri  ;  alcune  questioni  importan- 
tissime risolve  con  un  sì  e  no,  con  leggerezza;  e  quando 
talora  mostra  di  voler  dire  alcuna  cosa  di  nuovo,  mentre  noi* 
guardiamo  quel  pezzo  di  cielo,  già  ci  si  oscura  dinanzi . . . 
Le  quistioni  intorno  a  Dante  rimangono  le  stesse:  il  La- 
mennais vi  è  passato,  e  non  vi  ha  lasciato  alcuna  orma  . . . 
Nel  capitolo  primo  e  nel  quarto  e  nel  quinto  vediamo 
qualche  nuovo  orizzonte:  lo  stile  è  più  colorito  e  animato. 
Se  non  che  l' autore  vi  si  è  posto  con  certe  preoccupazioni, 
guardando  più  a'  nostri  tempi  che  a  Dante.  Nella  civiltà 
moderna  entra  come  fattore  il  soio  elemento  cattolico  ed 
il  germanico,  o  anche  l'elemento  latino?  Il  cattolicisrao 
può  stare  con  la  libertà?  Il  papato  è  stato  favorevole  alla 
libertà  italiana?  Onistioni  gravissime  senza  dubbio,  ma  qui 
la  divina  Comedia  non  è  più  il  principale,  ma  un'occasione, 
di  cui  si  vale  il  Lamennais  per  gitlare  prima  di  morire  la 
sua  ultima  parola  nelle  appassionate  discussioni  che  si  agi- 
tano al  presente.  Ed  essendo  quistioni  incidenti,  non  è 
meraviglia  eh'  elle  non  sieno  trattate  in  quel  modo  definitivo 
che  toglie  l'adito  alla  replica:  sono  piuttosto  sfoghi  di 
animo  indegnato  contro  il  tristo  presente,  che  ragionamenti 
fatti  con  uno  scopo  serio ...  Ma  se  al  suo  lavoro  manca 


666  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  FRANCESE. 

quel  vedere  da  allo  e  da  lungi,  che  ci  fa  addenlrare  In  un 
soggetto  ad  afferrarne  tutte  le  parli  vive,  non  vi  desideri 
mai  alcuna  dote  esterna  di  stile,  chiarezza,  efficacia,  splen- 
dore ...  I  tre  ultimi  suoi  capitoli  non  possono  essere  e  non 
sono  che  un  sommario  delle  tre  cantiche.  Il  contenuto 
esposto  innanzi,  come  semplice  fatto,  che  dovrebbe  ora 
riapparire  come  fatto  poetico,  è  dimenticalo:  quei  cinque 
"capitoli  gli  è  come  se  non  fossero:  egli  rifa  un  simulacro 
di  parte  generale,  gittando  osservazioni  suU'  immortalila 
dell'anima,  suH' eternità  delle  pene,  sulla  predestinazione 
ecc.,  che  non  hanno  alcun  legame  col  rimanente,  né  alcuna 
applicazione,  \iene  il  sommario,  cioè  a  dire,  una  esposizione 
analitica  delle  tre  cantiche.  Che  cosa  è  questa  ?  Senza  una 
concezione  del  poema  e  di  ciascuna  cantica  altro  che  vaga 
e  confusa,  senza  un  centro  ed  un  punto  di  partenza,  il 
critico  segue  il  poeta  passo  passo:  trasanda  alcune  cose 
che  gli  sembrano  indifferenti  o  poco  notabili,  si  ferma  a 
certe  altre  che  gli  paiono  belle ...  Il  Lamennais  si  affida 
alla  squisitezza  del  suo  sentire  ed  alla  finezza  del  suo  gusto. 
Ecco  in  che  modo  procede.  Fatto  in  pochi  tratti  il  disegno 
del  luogo,  si  gitta  appresso  al  poeta,  e  via  innanzi,  narrando, 
compendiando.  In  questo  rapido  sunto,  dove  trovi  di  neces- 
sità molle  lacune,  quando  si  avviene  in  qualche  cosa  che 
lo  tira  a  sé,  si  arresta  come  invaghito,  e  riferisce  per  intero 
il  luogo.  Poi  tutto  caldo  della  impressione  ricevuta,  esce 
in  esclamazioni  ammirative,  gittando  qua  e  là  un  tesoro  di 
osservazioni  delicatissime,  che  sono  la  parte  nuova  di  tutto 
il  lavoro . . .  Fr.  De  Sanctis,  il  Cimento,  15  Luglio  1855. 

Leclerg  Yict.,  Dante  et  Slger  de  Brabant,  ou  le>s  Ecolea 
de  la  me  du  Fouarre  au  XIU  siede,  Débats  11  et  20  Aout 
1843.  -  Histoire  littéraire  de  la  France,  XXI,  105  et  suiv. 

«  Dante  arrivait  dans  cette  ville  (di  Parigi),  l' immagi- 
nation  pleine  de  1'  éclat  que  venali  de  répandre  sur  les 
chaires  parisiennes  un  enfant  de  l'Italie,  saint  Thomas 
d' Aquin,  et  que  continuait  un  de  ses  plus  fameux  disciples, 
Sigier  de  Brabant,  physionomie  originale  retrouvée  par  l'éru- 
dition  moderne  et  qui  exerga  une  attraction  singulière  sur 
le  genie  bardi  du  Dante  »  -  Rathery  -  Le  sapienti  ricerche 
di  Vittore  Ledere,  decano  della  facoltà  delle  lettere,  provano 


BIBLIOGRAFIA   DANTESCA  FRANCESE,  667 

che  il  nome  di  Sigieri,  per  arditezza  d'insegnamento  caduto 
sospetto  d'eresia,  e  che,  come  dice  il  poeta,  leggendo  nel  vico 
degli  strami  sillogizzò  invidiosi  veri  non  perì  senza  lasciare 
orma  di  sé  nella  storia  delle  scienze.  Inoltre  ci  fa  sapere  il  me- 
desimo Ledere  che  gl'insegnamenti  e  le  opere  di  questi) 
professore  menavano  grande  rumore  tra  i  sapienti  di  quel  tem- 
po; conciossiachè  non  è  mai  l'istoria  degli  uomini  volgari,  anzi 
essa,  quand' altro  non  fosse,  si  congiunge  sempre  ad  un  nome 
di  alcun  rilievo.  Ora  il  Ledere  trovò  la  storia  di  Sigieri 
in  molti  comentari  manoscritti  della  div.  Comedia.  Anzi, 
come  cosa  riferita  da  uno  di  tai  antichi  comentatori,  cita 
una  singolare  visione  del  filosofo.  -  Uno  dei  discepoli  di 
Sigieri,  ch'era  morto,  in  una  notte  gli  apparve,  narrandogli 
le  sofferenze  ch'ei  durava;  il  quale  per  accertarlo  della 
verità  di  sua  apparizione,  gli  prese  la  mano  e  sopra  vi 
lasciò  scorrere  una  goccia  del  sudor  della  sua  fronte,  la 
quale,  come  cocente  che  era,  dettegli  cosiffatto  dolore,  da 
risvegliarsene  in  un  attimo  ;  onde  abbandonati  gli  studi, 
divenne  un  santo  amico  di  Dio.  »  -  Droiiilhet  de  Sigalas.- 

Le  Normant,  Lecons  sur  Dante  dans  le  cours  d'  histoire 
moderne,  Paris,  1839. 

Magniek  Edmond,  Dante  et  le  moyen-àge,  ouvrage,  cou- 
ronné  par  r Accademie  d'  Arras,  Boulogne-sur-Mer,  impri- 
merìe  Aigre,  1859;  Paris,  Blèriot,  1860. 

È  uno  studio  paziente  e  sincero,  premiato  dall' Accad. 
di  Arras  in  \m  concorso  letterario.  Il  giovine  autore,  non 
ravvisando  in  Dante  che  il  gran  pensatore  e  il  gran  poeta 
ne  racconta  sobriamente  la  vita,  e  concentra  tutti  i  suoi 
sfarzi  nel  giudizio  del  pensatore  appunto  e  del  poeta.  Egli 
«fmmira  le  bellezze  impareggiabili  della  divina  Comedia,  ma 
osa  rilevarne,  e  non  senza  acume  le  imperfezioni  e  le  mende 
inseparabili  da  ogni  cosa  umana  comechò  grande.  Ei  dà  la 
palma  alla  cantica  del  Paradiso,  confessando  però  che  lo 
Inferno  rimarrà  sempre  letterariamente  più  popolare.  -  L'Ab. 
Robitaille  ne  portava  questo  giudizio  nella  seduta  del  25 

Agosto  1858  dell'  Accad.  di  Arras Dante  sous  ce  titre 

il  contient  l'étude  de  toutes  les  connaissances  humaines 
dans  la  serie  des  siècles  antèrieurs  au  XIII  siede  et  de 
leur  influence  sur  les  siècles  suivanls.  Orthodoxe  par  con- 


668  BIBLIOGRAFIA   DANTESCA  FRANCESE. 

viiiclion,  Dante  n'est  pas  d'une  exaclilude  rigoureuse  dans 
son  langage  ;  mais  il  n'a  rien  de  coni  un  avec  ies  proteslants 
si  ce  n'est  Ics  injures  con  ire  le  papauté.  Sa  philosophie 
est  un  éclétisme  chréticn  forme  des  doctrines  platoniciennes 
représentées  par  S.  Bonaventure  et  de  celles  d' Aristote 
reproduites  par  S.Thomas  d' Aquin.  De  qualorze  idiómes 
qui  regnaient  de  son  temps  en  Italie,  il  a  compose  la 
langue  la  plus  douce  et  la  plus  harmonieuse  du  monde 
d'alors,  en  sorte  que  la  linguistique  luì  doit  plus  qu'à 
Pétrarque  lui-méme.  Gomme  poète,  on  peut  le  piacer  après 
Homère,  Yirgile  et  Milton.  Il  n'est  pas  un  historien  national, 
il  avait  trop  de  préjugés  et  d'esprit  de  vengeange  pour 
écrire  l'histoire  avec  impartialité,  a  plus  forte  raison  ne 
Irouvera-t-on  pas  dans  ses  ceuvres  un  essai  d' histoire 
universelle-dont  l'idée  n'a  surgi  que  plus  tard.  Sa  politique 
a  varie  selon  Ies  temps,  Ies  circostances  et  ses  intéréts 
personnels,  son  influence  a  souvent  été  désastreuse  a  point 
de  vue  moral  et  religieux,  à  cause  de  sa  baine  contre 
plusieurs  souverains  pontifes,  mais  avec  Ies  grands  hommes 
du  XIII  siede,  et  en  particulier  avec  saint  Thomas  et  saint 
Bonaventure,  il  a  donne  le  signal  des  fortes  études  et  doit 
étre  règardé  comme  le  point  de  depart  de  la  renaissance 
qu'il  fa  ut  par  consequent  reculer  de  deux  siècles.  Ajoutez 
à  tous  ces  titres  celui  de  docteur  de  Sorbona  et  celui  de 
docteur  en  medicine  et  vous  aurez  l'idée  de  cet  homme 
véritablement  étonnant . . .  Une  érudion  vaste,  souvent  sùre 
et  qu'  il  est  difficile  de  croire  partout  de  seconde  main,  des 
aperQus  larges,  des  jugements  solidement  motivés,  des 
appreciations  sages  des  hommes  et  des  choses,  une  entière 
indèpendance  de  caractère,  une  grande  impartialité  méme 
vis-à  vis  de  son  hèros,  des  vues  droites,  des  sentiments  con- 
stamment  louables  sous  le  rapport  moral  religieux  et  poli- 
tique, exprimés  avec  beaucoup  de  verve  et  d'entrait  :  voilà  ce 
qui  frappe  le  lécleur  attenif.  L'auteur  donne  des  preuves 
d'une  haute  capacité  intelectuelle  et  d' une  brillante  imagina- 
lion.  Il  fera,  s'il  le  veut,  un  livre,  remarquable,  méme  après 
Ies  nombreux  trauvaux  de  ses  illustres  devanciers.  Aussi 
la  Commission  considérant  la  valeur  intrìusèque  du  mémoi- 
re,  le  vaste  savoir  de  l'auteur,  ses  vues  profondes  et  son 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  FRANCESE.  669 

coup-d'fleil  sur,   domande  pour  lui  une  mention  honorahlc 
et  une  médaille  d'or.  >> 

M BRIAN  Jou.  Beun.  (  di  famiglia  Basileense,  nato  nel  1723, 
morto  a  Berlino  nel  1807  parroco  prot.  e  presid.  concisi.)  Origing 
de  la  poesie  iUillenne  du  \IY  siede,  Science  du  Dante. 

Questa  memoria  letta  all'Accademia  di  Berlino  venne 
inserita  nelle  iSouveaiix  Mtmoires,  Berlino,  Dicker,  1786; 
fu  poi  tradotta  dal  PoUdorì  o  pubblicata  da  Romualdo  Zotti 
nel  voi.  lY  della  sua  ediz.  della  divina  Comedia,  Londra, 
Zotti,  1806-07. 

MoNGis  J.  A.  Vie  de  Dante  Alirjhieri,  Paris,  Barba  et 
Fourne,  1839. 

OzANAM  A.  F.,  Les  poètes  franciscains  en  Italie  au  XIII 
siede,  avec  un  choise  des  petites  fteurs  de  saint  Francois 
traduilcs  de  V  Italien,  suivies  de  recherches  nouvelles  sur  les 
sources  poètiques  de  la  divine  Comédie,  Paris,  Ragon,  1859, 
trois.  edit.  (Tradotta  in  tedesco  dal  D.'^Jw/m^,  Mùnster,  1855.) 

Dante  et  la  pliilosophie  catholique  au  trcizieme  siede. 

Paris,  Perisse  frère,  181^9  -  Id.,  Nouvdle  editìon,  corrigée 
et  augmentée,  suivie  de  recherches  nouvelles  sur  les  sources 
poètiques  de  la  divine  Comédie,  Paris,  LecolTre  et  Cie,  1845. 
(Resa  italiana  dal  Molinelli,  Milano,  Tip.  Classici,  1841;  e 
dallo  Scandifili,  Pistoia,  Gino,  1844  ;  voltala  in  tedesco, 
Munster  Deifors,  1844). 

«  Ozanam  amava  l'Italia  ov'era  nato.  Egli  la  visitò 
parecchie  volte:  Il  suo  disegno  era  di  seguire  il  progresso 
dell'incivilimento  delle  lettere  in  Italia  dal  Y  secolo  per 
iniino  al  XIII.  Nelle  note  del  suo  corso  che  si  riferiscono 
a  questo  vasto  subbietto,  egli  comincia  dall'arrivo  dei  Goti 
in  Italia:  le  opere  di  Boezio,  gli  scritti  di  S.  Gregorio  vi 
sono  analizzati,  la  vita  di  questo  gran  papa  ci  è  narrala. 
Dopo  i  racconti  storici  sui  comuni  italiani,  sarebbero  venuti 
gli  scritti  che  furon  pubblicati,  le  poesie  dei  Francescani, 
e  l'opera  su  Dante,  perchè  la  maestosa  figura  di  Dante 
dovea  apparire  al  sommo  dell'edilìzio,  come  quelle  ligure 
di  santi  e  di  profeti  che  formano  alla  chiesa  di  S.  Giovanni 
in  Laterano  una  corona  si  magnifica  e  spiccano  sì  nobil- 
mente nel  cielo  di  Roma.  ))  -  Ampère.  -  «  Il  S.""  Ozanam  ha 
consideralo  Dante  da   una  parie  speciale;  egli  altro  non 


670  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  FRANCESE. 

vide  in  lui  che  il  filosofo,  il  discepolo  di  S.  Tomaso;  egli 
ha  ricoslrutlo,  con  grande  sussidio  di  erudizione  e  di  lesti, 
quel  ch'ei  si  pensava  essere  il  sistema  dell' AUighieri.  Già 
un  chiaro  professore  il  Sig.  Bach,  rapito  ancor  giovine  alla 
scienza,  aveva,  in  un  opuscolo  poco  divulgato,  prelibato 
questo  punto  curioso,  e  notato  i  riscontri  più  evidenti  fra 
la  Somma  e  la  Divina  Comedia,  onde  il  Sig.  Ozanam  altro 
non  fece  che  svolgere  con  maggior  ampiezza  e  solennità 
l'argomento.  Ognun  vede  ciò  che  d'arbitrario  esser  vi  dee 
in  un  metodo  che  scempia  cos'i  pensatamente  un'^uomo,  e 
vuole  di  tutta  forza  trovare  unicamente  un  filosofo  sotto 
un  poeta.  Spesso  gli  asserti  di  Dante  sono  ondeggianti, 
poetici,  e  il  signor  Ozanam,  riempiendo  i  vacui,  li  riduce 
a  forni  ole  di  rigore,  tanto  che  se  l'antico  AUighieri  po- 
tesse ancora  ritornar  dall'  inferno,  come  le  femminette  di 
Ravennaidicevano,  egli  assai  difficilmente  forse  riconosce- 
rebbe sé  stesso  nell'opera  del  Sig.  Ozanam,  o  per  lo  meno 
ci  troverebbe  il  suo  saper  filosofico  in  singoiar  modo  am- 
pliato e  raffermato.  »  -  Labilte.  -  «A  buon  diritto  l' Ozanam 
personificò  la  filosofia  del  Medio  Evo  in  Dante,  siccome  que- 
sti avea  personiTicato  in  Virgilio  la  filosofia  antica.  Più 
dotto  e  più  sincero  interprete  potevasi  difficilmente  trovare  ; 
nel  pieno  convincimento  del  suo  soggetto  egli  comprende 
col  medesimo  amore  il  poeta  ed  il  filosofo.  11  suo  stile 
grave  ed  animato  risponde  alla  sublimità  dei  concetti  che 
esprime.  »  -  P.  Molinelli.  -  «  L' Ozanam,  soavissimo  e  la- 
grimato  nome,  assolto  delle  involontarie  parzialità  dalla 

convinzione  sincera Pericoloso  abbaglio   fu  il  suo  il 

credere  e  predicare  educativa  quella  vaniloquenza  degli 
scolastici  che  sotto  il  presuntuoso  apparato  della  disputa 
celò  invece  troppo  a  lungo  alle  menti  la  loro  stessa  vacuità, 
e  ritardò  di  tre  secoli  l'espansione  della  scienza  vera  e 

viva Non  s'avvide  l' Ozanam  che  traviare  il  pensiero 

umano  in  un  labirinto  di  parole  era  peggio  che  lasciarlo  a  sé 
stesso,  peggio  che  attaccarlo  di  fronte  ;  perché  era  togliergli 
anche  lo  stimolo  che  sorge  dagli  ostacoli,  e  svellerne  anche 
la  consapevolezza  del  saper  nulla,  e  uccidere  nella  curiosità 
il  germe  d'ogni  sapienza.»  -  Crepuscolo,  1835,  p.  379  e 
424.-  «Nessuno,  prima  dell' Ozanam,  avea  pensato  ridurre 


BIBLIOGRAFIA    DANTESCA  FRANCESE.  671 

a  sistema  la  dantesca  filosofia  e  presentarlo  siccome  un 
quadro  agli  studiosi.  A  questo  egli  si  accinse,  raccogliendo 
con  intelligenza  e  amore  i  pensieri  tutti  del  gran  Firentino 
sparsi  qua  e  là  pe'  suoi  scritti  si  latini  che  volgari,  ne 
compose  un  sol  tutto,  e  chiaramente  ordinolli  a  guisa  di 
una  completa  trattazione.  La  fisica,  l'ontologia,"  la  politica, 
la  morale  e  l'ortodossia  vi  sono  sì  ben  disposte  e  col  legate 
fra  loro,  si  ben  desunte  dalle  dottrine  allora  vigenti,  che 
nella  filosofia  di  Dante  vediamo  lutto  rappresentato  lo  sci- 
bile di  quel  secolo,  il  più  fecondo  e  il  più  glorioso  per  la 
scolastica  filosofia  —  Con  viste  più  elevate  e  più  nuovo 
dell' Ozanani,  nell'Introduzione  della  filosofia  italiana  ai 
tempi  di  Dante,  un  Italiano  la  contemplò  da  un  punto  più 

nobile,  più  elevato,  con  viste  esclusivamente  italiane 

Cercò  la  filosofia  piuttosto  negli  scritti  che  nei  fatti,  piut- 
tosto negl'individui  che  nella  massa,  epperò  benché  abbia 
sentito  quanto  luomo  su  cui  meditava  fosse  maggiore  del 
secolo  in  cui  respirò,  benché  abbia  segnalati  alcuni  suoi 
nuovi  pensieri,  in  complesso  però  cel  dipinse  quel  talento 
enciclopedico  più  che  mente  investigatrice,  più  da'  suoi 
tempi  mosso  che  motore,  più  compendiatore  dei  fatti,  che 
rivelatore  del  da  farsi.  »  -  Pezzarosa,  Instiluto  Lombardo, 
1841.  Voi.  1.  -  «M.  Ozanam  a  osé  glorifier  en  lui  un  des 
plus  hardis  précurseurs  des  sociétés  nouvelles.  M.  Ozanam  a 
raison;  supérieur  à  tous  les  personnages  de  son  temps,  l'au- 
teur  du  Convito  et  du  De  Monarchia  s'élève  aussi  au-dessus 
de  son  propre  syslème...  De  tous  les  interpròtes  de  Dante, 
M.  Ozanam  et  le  roi  régnant  de  Saxe  sont  cerlainement 
c^uxqui  ont  répandu  la  plus  vive  lumière  sur  le  personnage 
de  Beatrice.  On  sait  qu'en  étudiant  AUighieri  avec  une 
piélé  si  tendre,  M.  Ozanam  n'a  pas  prétendu  mesurer  toul 
cntière  V  inspiration  du  poète.  Qui  ne  reculerait  devant 
une  pareille  tàclie?  Théologien,  philosophe,  moraliste,  hi- 
storien,  politique,  et  avec  toul  cela  artiste  incomparable, 
Dante  est  pour  un  esprit  qui  pense  un  sujet  de  médila- 
tions  saus  fin;  chacua  peut  choisir  dans  son  poème  un 
cercle  lumineux:  ou  sombre  qui  contieni  des  trésors.  M. 
Ozanam  avaìt  choisi  le  théologien  philosophe...  Toutes  les 
tìgurcs  si  neltement  dessioées  par  Dante  s'elTacent  dans  le 


672  BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  FRANCESE. 

commenlaire  de  M.  Ozanam  pour  ne  laisser  briller  quc  la 
pensée  pure.  Une  seule  a  trouvé  gràce  devant  le  procède 
de  r  interprete,  e'  est  Beatrice.  Avec  quel  bonheur  il  se 
dedommage  lei  des  inconvéniens  de  sa  méthode!...  Évilaut 
ici  les  abslractions  dont  il  ne  s'est  pas  loujours  suflìsam- 
ment  abstenu,  il  raaintient  à  la  fois  le  caractère  humain 
et  le  caractère  mystique  du  personnage,  et  nous  fait  assi- 
ster à  cetle  transtìgurallon  de  l'amour »  Saint-René 

TaiUandier.  (V.  Clemens  Jac.  nel  Giornale  Cattol.  del  prof. 
Dieringer,  Colonia,  1844.  Voi.  I.) 

PuYMAiGiiE  DE  TiiÉODORE,  Diiìite  AlUghìeri,  Esquisse  bio- 
graphique  et  critiqiie,  Meiz,  Gerson-Levy,  1845. 

QuiNET  Edgard,  Lecons  sur  Dante  faites  à  la  Sorbonne 
de  Paris. 

«  Ninno  più  ingegnosamente  del  Qui  net  seppe  far  sca- 
turire dalla  vita  stessa  del  poeta  la  genesi  del  poema. 
Pensivo  fin  dall' infanzia,  Dante  nasce  a  Firenze,  nella  patria 
predestinata  della  poesia  civile,  in  mezzo  ai  primi  raggi 
della  bellezza  rediviva  nell'arte.  Un  amore  precoce  imper- 
sona le  sue  fantasie  ;  sventurato,  le  raggentilisce  nel  dolore  ; 
più  salda  tempra  avranno  dalie  battaglie  della  vita.  Soldato 
a  Campaldino,  ospite  della  scienza  a  Parigi,  dove  la  Scuola 
siloyizza  gV  invidiosi  veri  dell'  epoca,  oratore  all'alma  Roma, 
quando  tutta  la  Cristianità  versa  nel  suo  grembo  le  devote 
fratellanze  del  giubileo,  educato  all'  autorità  nei  magistrali 
della  repubblica,  proditoriamente  esiliato  e  spoglialo  e  con- 
dannato e  infamato  assente,  tutto  ei  provò.  Come  l'amore 
gli  avea  aperto  il  paradiso,  l' odio  gli  spalanca  l' inferno. 
Fallile  riscosse  e  speranze,  l' amaro  esigilo  gì'  insegna  a 
farsi  parte  da  sé  stesso,  e  patria  il  mondo;  ma  il  cuore  è 
a  Firenze.  Ramingando  per  ogni  contrada  d' Italia,  raccoglie 
da  ogni  contrada  le  sparse  membra  dell'  idioma,  gì'  incon- 
diti accenti  del  perpetuo  dolore  e  della  speranza  immortale 
che  in  lui  troveranno  colla  coscienza,  la  vita.  Ecco  l'uomo.  - 
Qual  era  al  venir  suo  la  tradizione  dell'amore,  delle  cre- 
denze, della  poesia,  delle  speculazioni  filosofiche?  Quale 
r  ha  egli  lasciata,  e  dalla  potenza  del  genio  quali  impulsi 
ci  vennero  come  onda  da  onda  fino  all'  ultimo  lido,  o  quali 
prescienze  balenarono  a  lui  del  lontano  avvenire?...  La 


BIBLIOGRAFIA    DANTESCA  FRANCESE.  673 

Beatrice  che  sen  va  pei  fioriti  sentieri  della  Vita  nuova, 
Benùjnamente  iV  umiltà  vestuta  e  dà  per  gli  occhi  una  dol- 
cezza al  core  Che  intender  non  la  può  chi  non  la  prova, 
ebbe  patria  terrena  e  italiana  ;  e  nessun  amore  fu  più  vero 
e  più  grande  di  quello  che  della  donna  perduta  si  propose 
non  dire  più . . .  finche  non  possa  più  degnamente  trattare 
'di  lei . . .  e  dire  di  lei  quello  che  mai  non  fu  detto  d'alcuna. 
Laonde  nella  Vita  Nuova  non  solo  si  chiude  l'idea  madre 
della  divina  Comediu  ;  ma  tutto  il  romanzo  inlimo  e  la  poesia 
analitica  dei  moderni  è,  come  ha  detto  il  Sigalas,  in  quel 
libriccino  del  cuore.  Ofelia  e  Cordelia  e  Giulietta,  la  bella 
incognita  di  Milton,  e  la  Carlotta  di  Goethe,  e  la  Maria  dei 
primi  versi  di  Byron,  e  l'Amelia  di  Chateaubriand,  l'Elvira 
di  Lamartine,  sono  sorelle  minori  della  divina  Beatrice. 
Senonchè  la  logica  irresistibile  di  una  età  addottrinata 
e  meccanica  trascinò  Goethe  e  Byron,  Fausto  e  Manfredi, 
sull'orlo  della  negazione  assoluta,  e  respinse  gli  altri  in 
quel  vago  che  non  è  per  la  poesia  più  fecondo:  laddove 
Dante  si  tenne  ancorato  alle  robuste  credenze  dei  tempi . . . 
Primo  ad  aflerrare  la  personalità  umana  fu  Dante;  e  tre 
secoli  prima  di  Shakespeare,  l' individualismo  che  si  predica 
elemento  nuovo  conferito  all'arte  dalla  comedia  umana 
dell'inglese,  regnava  nella  divina  Comedia  del  nostro: 
nessuna  creazione  di  poeta  ha  maggior  copia  e  verità,  e 
varietà  di  caratteri,  di  persone  operanti  e  viventi.  La  leg- 
genda volgare,  ringagliardita  tuttavia  di  una  terribilità  e 
maestà  tutta  sua,  non  fu  altro  per  Dante  che  intelajatura 
a  fermarvi  l' immensa  tela  delle  passioni  umane.  E  anzi 
tutto,  come  vide  il  Quinet,  la  novità  della  situazione  e  per 
essa  quella  dello  stile,  provennero  da  questo,  che  per  la 
prima  volta  la  personalità  stessa  del  poeta  pervase  intera 
l'opera  sua,  e  osò  crearsene  unico  perno.  E  sì  presente  e 
sì  desta  è  dessa  in  ogni  luogo,  che  ogni  parvenza  diventa 
realtà.  Dante  ha  propriamente  veduto  in  idea  quel  che 
racconta,  e  talvolta  impaurisce  delle  proprie  creazioni  sì 
che  a  ricordarle  la  mente  di  sudore  ancor  si  bagna;  e  n'è 
compreso  al  punto,  da  trattar  V  ombre  come  cosa  salda.  Alla 
viva  fiamma  della  sua  fantasia  si  rifondono  in  una  lega 
e  in  una  forma  e  le  reminiscenze  pagane  e  le  nuove  cre- 

Voi  .11.  i3 


674  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  FRANCESE. 

(lenze;  e  non  sono  spaganizzale  soltanto  le  imagìnì,  ma 
v'  è  trasfuso  il  sentimento  del  medio  evo.  L'  Acheronte 
sotterraneo,  il  Caronte  demonio,  il  Cerbero  gran  termo  son 
metamorfosi  che  non  rilevano,  a  petto  di  quella  nuova  e 
sublime  maniera  di  tormento,  posta  là  dove  il  Poeta  più. 
crede  accostarsi  a  Virgilio  . . .  E  sol  dì  tanto  offesi  Che  senza 
speme  vivemo  in  desio.  V  Inferno,  dettato  fra  le  recenti 
ambascio  dell'esilio,  è  l'eco  della  guerra  civile;  l'affrali- 
mento  di  un'anima  che  dimanda  pace  si  riflette  nei  melan- 
conici orizzonti  del  Purgatorio;  il  distacco  dalla  terra  e 
dalle  sue  speranze  esalta  il  poeta  a  inviarsi  fra  le  sfere  e 
l'impalpabile  etere  del  Paradiso.  Né  gli  esseri  ch'egli  evoca 
sulla  sua  via  sono  meno  viventi  di  lui;  ciascuno  è  assai  più 
cittadino  della  terra  che  delle  regioni  eterne;  la  patria 
evince  l' eternità.  Non  è  però  il  gretto  materialismo  della 
istoria  quello  in  cui  Dante  si  compiaccia;  anche  dove  la 
prossimità  del  vero  sembra  doverlo  indugiare  colla  copia 
dei  particolari,  ei  fugge  il  macchinoso,  e  cerca  il  lato  intimo, 
affettivo,  umano;  e,  anche  questo,  rende  con  rapida  e  in- 
cisiva potenza.  »  -  Massarani,  Crepuscolo,  18od,  p.  443. 

Rathery  e.  J.  B.,  Influence  de  l  Italie  sur  les  lettres 
Francalses,  depuis  le  Xlll.^  siede  jusqu' au  règne  de  Louis 
XIV,  Mémoire  auquel  V Accademie  Francaise  a  decerne  une 
récompense  dans  sa  séance  du  19  Aout  1832,  Paris,  Didot, 
1833.  (Danfe,  p.  20-29.) 

L'Allighieri  conosceva  bene  secondo  il  Rathery,  l'idioma 
francese,  qu'il  parlait,  qu'il  écrivait,  et  don  il  a  su  dès  lor 
démèler  avec  justesse  les  qualités  les  plus  saillantes:  egli  si 
conduce  a  compiere  i  suoi  studj  a  Parigi,  che  di  quei  giorni 
era  tenuta  comme  la  ville  souveraine  des  sept  arts,  ou  des 
études  littéraires  et  philosophiques  :  quivi  ei  cerca  la  Yole 
du  Paradis  del  Rutebeuf,;  la  Voie  ou  le  Songe  d' Enfer  di 
Raoul  deHoudan  e  si  lega  in  amicizia  con  Giovanni  de  Meung. 
Il  Rathery  vuole  che  quivi  abbia  appreso  «  celte  dialectique 
vigoureuse,  cetle  théologie  subtile  qui  remplissent  tant  de 
pages  de  son  poéme;  ces  idées  ardues  et  obscures  que  son 
talent  saivait  rendre  et  mettre  en  relief;  cette  exposition 
abstraite  des  facultés  de  l'esprit  et  des  mystères  de  la 
raison,  qu'  il  savait  revétir  de  couleurs  si  éclatantes  et 


BIBLIOGRAFIA   DANTESCA  FRAKCESB.  675 

(i'images  si  pitloresques  ;  celle  variélé  de  connaissancesqui 
fall  de  sa  Divine  Comédie  la  véritable  encyclopédie  de  l'e- 
poque, on  peut  croire  que  Dante  en  avait  puìsé  le  germe 
dans  nos  écoles,  et  maini  passage  vieni  à  l'appai  d'une 
supposilion  si  honorable  pour  notre  enseignement  nalional.  » 
Egli  aggiugne  che  sempre,  perfino  nel  Paradiso,  il  nostro 
poeta  serbava  un  memore  affetto  per  le  scuole  Parigine. 
Il  Ralhery  trova  poi  un  curioso  ravvicinamento  tra  la  Di- 
vina Comedia,  e  le  Roman  de  la  Rose,  e  più  che  altro  tra 
l  Inferno  e  le   Tesiament  de  Jean  de  Meiing. 

SiSMONDi  SiSMONDO,  Analìjse  de  la  divine  Comédie  -  In- 
fìuence  du  Dante  sur  son  siécle  [De  la  littér.  du  Midi  de 
i  Europe,  Paris,  Treuttel  Wurlz,  1813.  I.  345-392) 

Taillaisdier  SAl^T-REìSÉ,  La  littérature  dantesque  en  Eu- 
rope. (  Revue  des  deux  Mondes,  1  Dee.  1856,  p.  473-520.  - 
Recato  in  Hai.  nella  Gaz.  di  Verona,  n.  145,  146,  153,  154, 
155,  159,  167,  169  dell'anno  1857.) 

Importantissimo  articolo,  e  di  cui  ne  feci  tesoro  più  e 
più  volte  in  questo  mio  lavoro. 

ViLLEMAiN,  Elude  sur  Dante  [Cours  de  littérature  au 
moy^n-àge,  Paris,  Pichou-Didici\  1830,  Voi.  I.  330-  406). 

«Chi  primo  forse  annunziò  in  Dante  nella  Francia  l'in- 
stauratore  di  un'idioma,  il  creatore  della  moderna  poesia,  e 
nella  divina  Comedia  l'enciclopedia  di  un  secolo  e  di  una 
nazione,  dove  all'éntusiamo  e  alla  fede  de' tempi  primitivi 
si  combina  una  reminiscenza  di  quell'età  dotta  e  analitica, 
che  fu  l'antichità  greco-romana,  e  quasi  un  presentimento 
dell'  umanità  moderna,  non  fu  altrimenti  un  fautore  entu- 
siasta dei  tempi  di  mezzo,  ma  un  critico  acutissimo  e  mo- 
dernissimo il  Villemain.  Per  lui,  e  per  tutta  la  generazione 
che  s' infervorò  delle  cose  nostre,  il  culto  di  Dante  fa  parte 
di  una  restaurazione  largamente  concetta,  che  alla  gelosa 
personalità  critica  del  secolo  preceduto  sostituì  universali 
e  intelligenti  simpatie  per  lutto  quanto  ha  prodotto  di 
grande  1'  umano  pensiero.  »  -  Mussarani  -  «  M.  Villemain 
expliquant  à  grands  traits  l'imagination  du  Florentin,  M. 
Ampère  chercant  dans  les  lieux  qu'il  habita  Ics  inspirations 
de  ce  peinlrc  si  expressif  et  si  sincère,  n'ont  élé  égalcs  par 
aucuo  des  critiques  de  l'Europe.  »  -  Saint-René  Tailhndier.- 


676  BIBLIOGRAFIA   DANTESCA  FRANCESE. 

WiTTE  Bruce  M.  a.,  Dante  Allighieri,  créaicur  de  l'idiome 
poètique  ilalicn  -  Balsons  de  croire  qu'  il  connaissait  le  Grec.  - 
Mots  de  son  poème  expliqués  par  le  Bréton  et  VArmoricuin.  - 
Nul  poète  ancien  ou  moderne  n'  a  mieux  tire  parti  de  l'as- 
sociation  des  idées  ;  ses  vers  appelés  imitatifs.  -  On  ne  sauraìt 
juger  la  Divine  Comédie  en  se  bornant  aux  épisodes.  -  Beautés 
et  défauts  qui  la  distinr/uent.  -  Fausseté de  l'opinion  generale 
que  ce  poème  na  ni  action  ni  ìieros.  (Hisloire  des  langues 
Romanes  et  de  leur  littérature,  Paris,  TreiiUel,  e  Wurtz, 
1841,  III,  228-280.) 

Poésies  lyriques  de  Dante.    {Examen   et  traduction 

anglaise  de  pliisieurs  Canzoni  e  sonnets  de  Dante;  nature 
des  sentìmenls  qu'  il  aiment.  On  ne  peut  le  regarder  comme 
un  poéte  érotique  ;  accord  de  ses  odes  sur  Beatrice  avec 
son  Paradis.  Plusieurs  sonnets  lui  sont  faussement  attribués. 
Id.  p.  281-337. 

Zeloni Vita  JSuovtty  ou  vie  de  ses  jeunes  annees., 

écrite  par  lui-mème,  Version  francaise,  précédée  d'une  Notice 
historique  sur  la  vie  extraite  des  auteurs  de  temps  le  plus 
accredites,  par  le  méme,  Londres,  Rome,  Paris,  1844. 


BlBllOGHiFlA  DANTESCA  AIEMAIA 


Abeken  Bernhard  Rudolph,  Bcitrlige  fiìr  der  Studium 
fìer  Góttlichen  Kombdie  Dante  Aliqhìerì's,  Berlin  und  Stettii), 
Isìcolal,  1826.  (Saggi  per  servire  allo  studio  della  Divina 
Comedia.  ) 

«L'opera  si  divide  in  tre  parti:  la  prima  col  titolo: 
Secolo  di  Dante,  dà  un  epilogo  storico  dei  fatti  politici,  i 
quali  ebbero  efficacia  sulla  vita  del  poeta,  un'esame  dello 
stato  della  Chiesa,  delle  scienze  e  delle  arti  nel  XIII  secolo, 
e  una  vita  di  Dante.  La  seconda  intitolata:  Trattati  sopra 
vari  punti  concernenti  la  Divina  Comedia  è  un  comentario 
del  poema,  e  specialmente  dell' Inferno:  la  terza  discorre 
del  teatro  della  Divina  Comedia  e  della  sua  applicazione. 
L'autore  prometteva  una  continuazione  del  suo  lavoro,  ma 
non  si  è  veduto  più  nulla.  »  -  Batines.  -  Y.  l'analisi  critica 
di  F.  W.  Val  Schmidt  negli  Annali  di  Letteratura  viennesi. 
(JahrbUcher  der  Literatur,  V.  XXXIX.) 

Arndt  LoDOVicus  RoDERicus,  De  Dante  Alighieri  scriptore 
ghibellino.  Dissertano  ecc.  una  cum  adjectis  thcsibus  con- 
troversis,  opponentibus:  R.  Caspary,  0.  Mitzsch,  T.  Schulz, 
Bonnae,  litteris  Kruger,  1846. 

Baur  J.  K.  Dante'  s  goltliche  ComÒdic  in  ihrer  Anord- 
nung  nach  liaum  und  Zeit  mit  einer  iibersiclillichen  Darslel- 
lung  des  Inhalts.  Vortràge,  gehalten  von  J.  K.  liahr.  JSebst 
lif.hographirten  IHànen  der  drei  Reiche  und  13  ustronomi- 
schen  Zeichnungen  in  JJolzschnitt,  Dresden,  Kunlze,  1852. 
(  La  Divina  Comedia  di  Dante  secondo  il  suo  ordinamento 
quanto  a  spazio  e  tempo,  con  breve  dichiarazione  del  con- 
tenuto della  medesima,  con  tre  piante  litografiche  dei  3 
regni,  e  13  disegni  astronomici  intagliati  in  legno.) 

Bellerman  Christian,  (Parroco  protestante  a  Berlino: 
visse  molti  anfii  in  Napoli  e  Lisbona,  (jual  Cappellano  delle 
legazioni  prussiane.]  leber  den  Yellro  in  Danlc's  goltlicher 


678  BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  ALEMANNA. 

Komodie.  (Nella  sua  opera:  EnnneruìUjen  aus  Siideuropa; 
Gescliichtlìche,  topographische  iind  liierarische  Mittheilungen 
aus  llalien,  dem  sudliclien  Frankreich,  Spanien  und  Porlugal. 
p.  71-114.  -  Rimembranze  dell'  Europa,  Spagna  e  Portogallo, 
Berlino,  Reimer,  1831.) 

L'autore  propugna  l'opinione  che  non  riconosce  nel 
Yeltro  una  persona  slorica  dell'  epoca  dantesca,  ma  sibbene 
un  futuro  imperatore  che  avrebbe  salvata  l'Italia:  l'eroe 
ideale  vagheggiato  dal  Ghibellinismo  e  già  credulo  perso- 
nificato in  Arrigo  VII. 

Blang  L.  G.  Dante  AUìghieri  [nach  seinem  Leben  und 
litterarischen  Wirchen  geschildert.  -  Articolo  inserito  nella 
Encicopledia  universale  di  scienze  lettere  arti  dì  Ersch 
e  Gruber,  Sez.  I.  Voi.  XXIII.  p.  34-79)  Leipzig,  Brockhaus, 
1833. 

—  -  (De  Inferni,  CI,  et  II.)  Die  beiden  ersten  Gesànge 
der  góttlichen  Komodie,  mit  Riicksicht  auf  alle  friiheren 
Erkldrungsversuche,  erldulertj  Halle,  Schwetschke  u  Sohn, 
1832. 

Ueber   die   bisherigen  Leislungen  filr    Textkritik, 

Intcrpretation  und  Uebersetzimg  der  Divina  Comedia,  Halle, 
1830. 

Versuch  einer  blos  philologischen  erklarung  meh- 

rerer  dunklen  und  streitigen  stellen  der  góttlichen  Komodie.  - 
J  die  Eolie  Ileft,  Halle,  Anton,  1860  -  Gesang  I.  xvii. 

Serie  di  osservazioni  illustrative  e  critiche  sull'Inferno. 

Versuch  einer  blos  philologischen  erklarung  mehrerer 

dunklen  und  streiiigen  stellen  der  Góttlichen  Komodie,  I  Die 
Holle,  1861.  [Saggio  di  una  interpretazione  filologica  di  pa- 
recchi passi  oscuri  e  controversi  della  Divina  Comedia.) 
Halle,  1861. 

Il  titolo  che  piacque  all'Autore  di  dare  alla  sua  opera 
non  potrebbe  essere  più  modesto.  E  a  dire  il  vero  più  che 
di  un  saggio  di  spiegazione  su  parecchi  passi  oscuri  g 
controversi . . .  trattasi  nel  fatto  di  una  interpretazione  alla 
slessa  su  presso  che  tutti  i  luoghi,  de'  quali  non  è  bene 
certa  la  lettera  o  il  senso.  Dalla  proprietà  di  una  particella, 
dalla  forma  di  una  parola  andata  in  disuso,  a  volte  dalla 
semplice  punteggiatura,  in  somma  dagli  accidenti  più  mi- 


BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  ALEMA^^A.  679 

nimi,  si  arriva  colla  sua  scoria  a  togliere  molti  errori  di 
interpretazione  oramai  universali  e  ad  ammirare  più  da 
presso  la  verità  del  pensiero  dantesco.  Coleste  osservazioni 
mi  paion  simili  alle  lenti  della  lanterna  magica;  sono  pic- 
cole e  in  vista  di  nessun  conto;  però  chi  vi  fermi  ben 
rocchio  sopra  stupisce  delle  molte  e  grandi  cose  che  per 

esse  gli  vengon  vedute Né  è  da  credersi   che  1'  opera 

del  Blanc  sia  tutta  secca  grammatica  ...  Le  questioni  da  lui 
mosse  ci  portano  a  conoscere  più  da  vicino  le  opinioni  del 
poeta,  gl'intendimenti  di  lui  nella  particolare  divisione  del 
suo  Inferno,  nella  scelta  de'  personaggi,  nella  varietà  dei 
discorsi,  nella  economia  del  luti' insieme,  e  ci  lasciano  quasi 
sempre,  il  che  rileva  al  più,  la  persuasione  di  aver  dato 
nel  segno.  La  eccellenza  dell'arte  del  sommo  maestro  per 
tante  speciali  osservazioni  ci  è  messa  d' innanzi  agli  occhi 
nel  suo  maggior  lume;  l'Inferno  dantesco,  tullochè  opera 
arditissima  di  sublime  fantasia  possiamo  girare  e  rigirare 
come  luogo  noto,  che  della  struttura  delle  bolge,  dei  ponti 
che  grado  grado  le  cavalcano,  del  diverso  svoltarsi  delle 
rocce  stagliate,  di  ogni  più  minimo  accidente  ci  è  data 
ragione.  E  non  v'ha  certo  chi  dubiti  come  spiegati  segno 
per  segno  tutti  cotesti  particolari,  la  finzione  poetica  non 
vesta  qualità  di  cosa  reale;  e  tanto  lo  studioso  si  adden- 
tri nelle  finezze  dell'arte,  quanto  di  tal  modo  si  appressa 
alla  mente  del  sommo  artista.  Sopracciò,  mano  mano  che 
occorrano  controversie  sulla  storia  contemporanea  del  poeta, 
0  sopra  le  persone  del  suo  poema,  sull'astronomia  cono- 
sciuta a  quei  tempi,  sulla  postura  e  condizione  dei  paesi 
ricordati,  l'egregio  comenlatore  non  soltanto  allega  nella 
sua  interpretazione  le  notizie  più  accertate,  ma  l'esamina 
e  le  svolge  alla  breve  con  profondo  giudizio . . .  Parimente 
è  a  dirsi  delle  annotazioni  di  diverso  argomento;  son  sempre 
fatte  da  maestro,  che  vi  si  ammira  sempre  svariata  dottrina, 
e  conoscenza  profondissima  del  divino  poema.  -  Occioni.  - 
11  prof.  Blanc  ci  fa  sperare  tra  breve  anche  il  suo  comenlo 
sul  Purgatorio. 

Il  lavoro  del  Blanc  venne  tradotto  dal  valentissimo 
prof.  Onorato  Occioni,  Direttore  del  Ginnasio-Liceale  Italiano 
della  città  di  Trieste.  {Nitidissima  edizione  del  Coen,  Trieste, 


C80  BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  ALEMA»'A. 

1865.)  -  Ei  ci  bastava  il  nome  dell' Occioni,  nome  caro  allo 
lettere  italiane,  per  raccomandarci  ancora  più  questo 
libro.  La  Prefazione  ci  parve  calda  d'affetto,  e  condotta 
con  molto  lume  di  critica;  la  versione  con  tanta  purezza 
ed  eleganza  di  lingua  da  invogliarli  a  non  ismetterne  la 
lettura  se  non  l'abbi  compiuta.  Preziose  poi  sono  le  postille 
appiè  di  pagina,  quando  per  correggere  le  citazioni  errate 
nell'originale,  quando  per  riempiere  qualche  lacuna,  e  a 
dire  ciò  cb'egli  dall'Autore  dissente.  Ne  meno  interessanti  ci 
parvero  alcune  aggiunte  ed  osservazioni  che  stanno  alla  fine 
del  libro.  L'ammirazione  per  gli  uomini  che  più  sanno,  egre- 
giamente scrive  rOccioni,  come  ne  fa  riguardosi  nelFesporre  il 
parer  nostro  e  ne  insegna  a  meditare,  cosi  ne  tornerebbe  del 
maggior  danno  ove  ne  togliesse  la  libertà  del  pensiero,  e 
la  franchezza  del  significarlo.  Possa,  cosi  conchiude,  o  lettore, 
tornarti  c/rad  ita  la  mia  fatica;  la  quale  io  continuerò  vo- 
lentieri, tosto  che  il  Boti.  Blanc  faccia  pubblico  il  seguito  del 
suo  lavoro.  Possa  almeno  apparirti  non  indegno  tributo  di 
omaggio  alla  memoria  del  gran  poeta,  e  tanto  più  ora  che 
con  nobilissima  emulazione,  di  cui  dal  suo  secolo  al  nostro 
non  s'ebbe  esempio,  si  fa  a  gara  di  festeggiare  il  sesto  an- 
niversario della  sua  nascita;  accennando  a  segni  non  dubbi 
di  ammirazione  e  di  amore  il  restauramento  di  quella  ma- 
schia letteratura  di  che  egli,  comprendendo  e  rivelando  il 
suo  secolo,  fu  primo  e  sommo  maestro.  (  Venezia,  nel  Seti. 
1864.) 

Blanc  L.  (j.  Vocabolario  Dantesco  ou  Dictionnaire  crìti- 
que  et  raisonné  de  la  Divine  Comòdie  de  Dante  Alighieri, 
Leipsic,  Barth,  1852  (recato  in  Italiano  da  G.  Carbone,  Fi- 
renze, Barbera,  1859). 

Il  Vocab.  dantesco  dell'illustre  Blanc  fu  salutato  con  am- 
mirazione in  Europa  come  uno  de'  lavori  più  accurati,  con- 
scienziosi  e  profittevoli  che  fossero  mai  posti  insieme  sulla 
Divina  Comedia. 

Il  valente  filologo  Fanfani  fu  il  primo  a  dar  contezza 
airilalia  di  questo  lavoro  dell'illustre  Alemanno  n^\  Moni- 
tore Toscano,  n.  68,  23  Marzo  1853.  «  Non  si  può  dire,  così 
egli,  di  quanta  utilità  sia  per  riuscire  il  lavoro  del  Signor 
Blanc  agli  studiosi  della  Divina  Comedia:  esso  può  chia- 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA.  681 

marsi  un  comento  universale,  il  più  utile  che  proporre  si 
possa,  tanta  è  la  perizia  che  l'autore  mostra  delle  cose 
dantesche  e  delle  più  celate  proprietà  e  bellezze  della  lingua 
italiana  ;  può  chiamarsi  anche  il  più  certo,  posciacchè  dai 
migliori  interpreti  ha  egli  colto  veramente  il  fiore,  e  colto 
con  raro  senno  e  discrezione.  Lascio  di  toccare  quanto  torni 
acconcia  allo  studioso  la  forma  di  un  vocabolario,  e  quel 
trovare  li  ad  un'occhiata  ogni  voce  del  poema  con  la  sua 
dichiarazione  e  con  l' accennamento  del  canto  e  del  verso: 
quel  trovare  lì  a  covo,  come  dice  il  nostro  popolo,  tutte 
le  notizie  di  qualsivoglia  persona  o  luogo  ricordate  da 
Dante:  quel  poter  riscontrare  le  varie  opinioni  de'comen- 
tatori  sui  luoghi  più  oscuri  ed  altri  simili  utilità.  »  -  Il 
Vocabolario  dantesco,  specie  di  repertorio  generale  di  tutta 
l'erudizione  storica,  teologica,  grammaticale,  necessaria  a 
possedersi  per  la  migliore  interpretazione  del  poema.  Non 
è  un  comento  propriamente  detto,  nò  un  lavoro  dì  critica 
illustrativa,  ma  piuttosto  un  libro  elementare  di  filologia 
dantesca,  in  cui  l'autore  si  propone  di  additare  il  signifi- 
cato di  ogni  parola,  adoperata  nel  poema,  non  eccettuate 
neppure  le  più  note  e  comuni,  neppure  le  semplici  particelle 
del  discorso.  Il  pensiero,  com'egli  slesso  afferma  modesta- 
mente, non  è  nuovo,  e  già  il  Volpi  avea  dato  fin  dal  prin- 
cipio del  secolo  scorso  quei  suoi  Indici  ricchissimi...  Nella 
interpretazione  dei  passi  più  ardui  egli  si  tenne  pago  di 
produrre  le  opinioni  più  note  e  pregiate,  ponendole  a  ri- 
scontro tra  loro,  ma  senza  tirarne  una  conchiusione  sua 
propria.  E  per  le  parole  rimaste  inesplicabili  non  fece  se 
non  additare  il  luogo  del  poema  in  cui  si  leggono.  La  mate- 
ria cosi  vi  è  compita  e  benissimo  ordinala,  talché  chi  voglia 
cercarvi  il  significato  di  una  voce,  e  il  modo  proprio  in  cui 
Dante  l'ha  adoperala,  e  il  numero  de'  passi  in  cui  s'incontra, 
e  le  diverse  modificazioni  che  può  aver  subito  nel  poema 
potrà  con  facilità  somma  averne  contezza.  Ed  è  anche  bello 
a  scorrersi  questo  Vocabolario  per  iscorgervi  raccolta  tutta 
quella  ricchezza  originale  di  lingua,  che  da  Dante  prese 
forma  e  stabilità,  e  a  cui  ricorresi  ancora  oggidì  come  a 
modello  ed  a  fonte  inesauribile  dagli  scrittori.  Lavoro  im- 
menso e  paziente  di  compilazione,  pel  quale  il  Sig.  Blanc 


68*2  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA. 

andrà  lungamente  benemerito  degli  sludi  danteschi,  y,  — 
Crepuscolo,  1863,  n.  34.  -  «  Questo  pregialo  lavoro,  frullo 
di  tanti  anni  di  assidue  cure,  esercitale  dall'autore  nello 
studio  e  nella  pubblica  esposizione  della  divina  Comedia,  ò 
un  benefizio  non  lieve  recato  agii  studiosi  ed  all'interpre- 
tazione del  grande  poema,  onde  ravvicinare  e  coordinare 
i  passi  più  disgiunti  ed  agevolarne  l'investigazione,  né  si 
saprebbe  se  sia  più  da  lodarsi  nel  benemerito  autore  il 
pregio  della  diligenza,  e  in  generale  della  precisione,  o  la 
inlelligenza  del  soggetto.  »  -  Mìnicìi.  - 

L'ab.  Giuseppe  Polanzani,  circa  l'anno  1819,  die  pure 
mano  ad  un  Indice  di  tutte  le  voci  della  Divina  Comedia, 
nel  quale  registrasi  con  esattezza  perfino  quante  volte  ed 
in  quali  luoghi  quella  stessa  voce  sia  dall'Allìgiiieri  usala. 
Questo  lavoro  fu  compiuto  nel  1822  dall'ammirabile  di- 
ligenza del  Polanzani,  che  allora  avea  intenzione  di  pub- 
blicarlo nel  formato  stesso  e  cogli  stessi  caratteri  della 
edizione  Patavina,  quale  appendice  di  essa  (Prefaz.  al  Voi. 
IV  dell' Ediz.  della  Minerva).  Come  poi  Vindice  dantesco 
del  Polanzani  sìa  rimasto  inutile  fatica  tra  le  sue  carte 
mal  saprebbesi  spiegare,  se  non  forse  trattenuto  da  quel 
soverchio  desiderio  di  perfezione,  che  dell'opera  propria 
mai  si  tiene  contento  ;  rattepidito  poscia  dalla  difficile  im- 
presa di  procurarne  un'  edizione,  e  finalmente  impedito 
dalla  svogliata  inerzia,  eh' è  propria  dell'età  cadente.  Così 
al  Polanzani  rimase  il  merito  dell'  avere  idealo  primo  il 
lavoro;  merito  già  al  solito  disconosciuto  dagli  stranieri,  i 
quali  delle  cose  nostre  si  valgono  francamente,   senza  né 

anche,  per  gratitudine,  ricordare  il  nome  nostro Ora 

questa  fatica  enorme  di  lui  rimane  capace  ancora  di  frutto; 
perocché  il  Blanc  fa  memoria  di  ogni  verbo,  registrandone 
r  infinito,  il  Polanzani  ha  notato  invece  separatamente  una 
per  una  anche  le  declinazioni  del  verbo  non  solo,  ma 
aggiunse  talvolta,  alla  occorrenza,  una  breve  dichiarazione, 
0  filosofica,  0  storica,  o  geografica,  o  di  lingua,  secondo  la 
qualità  del  vocabolo  riferito.  Non  so  quindi  perdonare  al- 
l' ottimo  Polanzani,  conchiude  l' egregio  D.*"  Fapanni,  una 
soverchia  modestia  o  noncuranza,  per  la  quale  tanta  sua 
fatica  rimase  sino  a  qui  inoperosa.  -  Della  vita  e  degli  Studi 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA.  C83 

del  Sacerdote  Polanzoni,  Trìvùjiuno,  Treviso,  1861,  Andreola- 
Medesin.  -  Yeggasi  il  diffuso  elogio  nell'Appendice  della 
Gazzetta  di  Venezia,  29  Novembre  1856,  n.  273.  -  Il  Polan- 
zoni  nacque  a  Treviso  il  27  Aprile  1786;  vi  morì  il  4  Ago- 
sto 1859.  L'Autografo  è  posseduto  dal  Sig.'"  Fapanni. 

BouTERWECK  Fr.,  Geschìte  der  poesie,  (Studio  letterario 
sopra  Dante  e  il  suo  poema.)  Gottingen,  Koner,  1801-19, 
I.  p.  61-141. 

Fernow  C.  L.  Ueher  die  Mundarten  der  ital.  Sprache. 
(  Sui  dialetti  della  lingua  italiana  :  nel  libro  Romische  Studien, 
Zurigo,  1808,  Yol.  III.  p.  211.) 

11  FernoAV  prende  pure  ad  illustrare  in  questo  libro 
r  opera  di  Dante  de  Vulqari  Eloquio.  Anche  il  Fuchs  ne 
trattò  nella  sua  opera:  Ueber  die  soffenannten  unregelmàS' 
sigen  Zeitworter  in  d.  roman.  Sprachen,  nebst  Àndeutunqen 
iiher  die  wichtigsten  roman.  Mundarten.  -  Sui  verbi  cosi 
detti  irregolari  nelle  lingue  romanze,  con  osservazioni  sui 
dialetti  romanzi  più  importanti.  Berlino,  1840;  e  da  ultimo 
il  Diane:  Von  den  Jtalien.  Mundarten.  (nella  Grammatica 
italiana,  Halle,  1844,  pag.  622-677.) 

Fischer  AntOxN,  Die  Theologie  der  divina  Comedia,  Miin- 
chen,  1857.  (Della  Teologia  della  divina  Comedia.  In  un 
Programma  Scolastico.) 

Floto  IIartwig,  Dante  Alighieri,  sein  Lehen  und  seine 
Werhe.  (Dante  Allighieri,  la  sua  vita  e  le  sue  opere.)  Slutl- 
garda,  Belffcr,  1838. 

Lezioni  pronunziate  nell'inverno  1836-57  nell'Aula  del- 
l'Università di  Basilea. 

Forster  D.''F.  Der  Staatsgedanke  des  Miltelalters.  (L'idea 
politica  del  medio  evo.)  Greifswalde,  1861. 

Lezione  suH'  idea  dominante  politica  del  medio  evo, 
derivante  principalmente  dalle  dottrine  di  Aristotile,  ed  in 
particolare  sul  sistema  politico  di  Dante  esposto  nel  libro 
della  Monarchia. 

FòiiSTER  Karl,  Das  ncue  Lehen  von  Dante  Alighieri;  Aus 
dem  Italienischen  iibersetzt  und  erldutert,  Leipzig,  Brock- 
haus,  1841. 

Goschel  C.  F.  Aus  Dante'  s  Comodie.  Von  den  gòttlichen 
Dingen  in  menschlicher  Sprache  zu  eineni  fróhlichen  Ausgange, 


684  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA. 

ISaumburg,  gedr  bei  KlalTenbach,  1834.  (Della  Comedia  di 
Dante.  Sulle  cose  divine  in  lingua  umana,  ecc.);  Zeilz, 
Webel,  1834. 

Dante  Alighieri  s  Unterweisung  iiher  Weltschopfung 

und  Weltordìiung  diesseits  und  jenseits.  (Ammaestramento 
di  Dante  A.  sulla  creazione  e  suU'  ordinamento  del  mondo 
terrestre  e  celeste).  Berlino,  Enslin,  1842. 

L'Autore  intende  di  dimostrare  come  la  poesìa  s' innalza 
alla  filosofia,  e  come  la  filosofia  s'incorpora  nella  poesia; 
come  il  mondo  sensibile  stia  in  connessione  col  mondo  in- 
telligibile, la  natura  collo  spirito,  la  religione,  non  ancora 
dalla  natura  svincolata,  colla  rivelazione  dello  spirito. 

DantelAUghieri  's  Osterfeìer  ini  Zwillingsgeslirn  des 

himmlischen  Paradieses  (Gesang  xxiv-xxvi).  Bine  Ostergabe, 
Halle,  Miihlmann,  1849.  (La  celebrazione  di  Pasqua  di  Dan- 
te Allighieri  nella  costellazione  dei  Gemelli,  Strenna  di 
Pasqua.) 

Zur  Erinnerung  an  den  Ahend  des  8  Febr.  1845. 

ilìine  Vorlesung  iiber  Dante  s  Paradies  von  C.F.  Goschel) 
Berlin,  gedr.  bei  Starcke.  (  A  ricordo  della  sera  8  Feb.  18413. 
Esortazione  sul  Paradiso  di  Dante. 

• Mittlieilungen  aus  der  góttlichen  Comodie.  Ein  Yor- 

trag  auf  VeranstaUung  des  evangelischen  Yereins  fiir  kir- 
chliche  Zwecke  am  25  Januar  1853  gehalten  von  C.  F.  Goschel, 
Berlin,  Schultze,  1853.  (Discorsi  sulla  divina  Comedia.) 

Lezione  detta  in  una  radunanza  evangelica. 

Vortràge   und  Studien   iiber  Dante,   Berlin,   1863. 

Delle  lezioni  del  Goèschel  tenute  a  Berlino  sulla  Divina 
Comedia,  vedi  pag.  430. 

Gbieben  Hermands,  De  variis  quibus  Dantis  Aligera  Di- 
vina Comoedia  explicatur  rationibus,  Dissertatio  cantra 
adversarios  Aug.  Rudolph,  Guil.  Koch,  Lud.  Sonnenburg, 
Vratislavìae,  Freund,  1845. 

Dante  Allighieri  ein  Vertrag,  ecc.,  Stettin,  Nahmer, 

1858. 

Grohmann  Gottfried  Johann,  Dante  Alighieri,  ein  Italià- 
nischer  Dichter.  (Dante  Allighieri,  poeta  Italiano.  Continelur 
ejusdem  opere:  JSeues  hislorisch-biographisches  Jlandwor- 
terbuch.  LIL)  Leipzig,  Baumgàrtner,  1796. 


BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  ALEMA^■^■A.  685 

Hape  C,  Dante,  Album  1  Heft  Mitlheillnngen  aus  der 
Divina  Comedia,  Jena,  1863. 

Hegel  Carl.  (  prof,  di  storia  nell'  università  di  Erlangen, 
in  Baviera)  Dante  iiber  Staat  und  Kirche.  (Opinioni  di  Dante 
sull'impero  e  sulla  Chiesa.)  Rostock,  1842.  -  Programma 
accademico. 

JusTi  K.,  Dante  und  die  gottìiche  Comodie.  (Dante  e  la 
divina  Comedia:)  StuUgarda,  1862. 

Lezione  accademica,  di  pag.  40,  faclente  parte  di  una 
raccolta  intitolala  :  Oeffentliche  Yortràge  gehalten  von  einem 
Verein  ahademischer  Lelirer  zu  Marhurg.  -  Fu  anche  stam- 
pata a  parte. 

KA^^EG1ESSER  Karl  Ludwig,  Ein  Blick  auf  die  poìitischen 
und  religiósen  Verhnllnisse  von  Europa,  Ualien  und  Florenz 
vor  und  zu  der  Zeit  Dante's,  sowie  auf  die  geistige  Bildung 
oder  den  Zustand  der  Wissenschaften  und  Kunste  in  jenen 
Jahrhunderten,  nebst  dem  Leben  des  Dichters  und  einer 
Detrachtung  seiner  Schriften,  besonders  des  Gottlichen  Ko- 
módie.  (Conlinelur  ab  eodem  facla  versione,  Leipzig.  1832.) 

Zu  Dante's  Leben  und  Goltlicher  Komódie.  (Continetur 

libello  ab  eodem  confecto:  Terzinem,  Breslau,  Freund,  1846.) 

Kannegiesser-Witte.  EJdogen,  ubersetzt  und  erkliirt  von 
Karl  Ludicig  Kannegiesser,  und  Karl  Witte.  (Continenlur 
editione  ab  iisdem  facla:  Dante  Alighieri' s  lyrische  Gedichte, 
Leipzig,  Brockaus,  1842.) 

Gedichte  aus  der  Vita  ISuova,  Ubersetzt  underkldrt, 

Leipzig,  Brockaus,  1342.) 

Dante  Alighieri' s  lyrische  Gedichte.  Ubersetzt  und 

erlildrt  von  Karl  Ludwig  Kannegiesser  und  Karl  Witte. 
Ziceite,  vermehrte  und  verbesserte  Auflage,  Leipzig,  Brockhaus, 
1842. 

11  primo  volume  contiene  la  versione  del  Kannegiesser: 
il  secondo  le  note  del  Witte  prolegomenis  bibliographico-criticis 
adjectis. 

KouLER  Ludwig,  Dante.  Ilistorisch- romanesche  ISovelle 
(Continetur  opere:  Abend-Zeiiung.  Vcrantw.  Redacteur:  C. 
G.  Th.  Winldcr,  Dresden  und  Leipzig,  Arnold,  1839.) 

KopiscH  August,  Dantes  Leben.  (Nella  sua  versione  della 
Divina  Comedia.)  Berlin,  1842. 


686  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA. 

Krafft  Karl,  (Sacerdote  protestante)  Dante  Alighieri' s 
lyrische  gedichte  und  poetischer  dreswechsel,  Regensburg, 
1859.  (Yi  è  anche  la  traduzione  dell'epistole  poetiche  a 
Giov.  di  Virgilio.) 

La  rima  sì  fedelmente  riprodotta  dal  Kannegiesser  fu 
tralasciata  dal  traduttore,  il  quale  v'aggiunse  una  disserta- 
zioncella  sull'erroneo  significato  allegorico  attribuito  alle 
poesie  liriche  di  Dante.  -  Perhona  est,  scrivevami  un  dotto 
professore  alemanno,  versio  Krafft  carminum  minorum,  eam 
ut  propter  elegantiam  sermonis  ita  oh  (idem  omnes  collaudant. 

Lemcke  F.,  Zur  Textkritik  und  Erklàrung  der  Divina 
Commedia.  (Intorno  alla  critica  del  testo  e  alla  spiegazione 
della  D.  C.  -  Nel  Jalirbuch  fiir  romanische  und  engliscke 
Literatur:  Annuario  per  le  letterature  romanza  ed  inglese 
del  prof.  A.  Ebert,  Voi.  IV.  Berlino,  1861.) 

LiESSKE  C.  RoB.,  Dante  und  seine  Stelhing  zu  Kirche, 
Schule  und  Staat  seiner  Zeit.  (Dante  e  la  sua  posizione  ri- 
guardo alla  Chiesa,  all'  insegnamento  e  allo  stato  del  suo 
tempo.)  Dresda,  1838. 

Discorso  in  occasione  di  solennità  letteraria. 

LowosiTZ  J.  B.,  Dante  und  der  Katholizismus  in  Franh- 
reich,  (Dante  e  il  Cattolicismo  in  Francia.)  Konigsberga,  1847. 

Lezione  pronunziata  nella  R.  Società  Germanica  di  Ko- 
nigsberga. 

Mendelssorn  J.,  (senza  nome  di  autore)  Bericht  uber 
lìossettr  s  Ideen  ecc.  (SulF  idee  del  Rossetti  esposte  nel  co- 
menlo  analitico  e  nel  libro  sullo  spirito  antipapale.)  Ber- 
lino, 1840. 

ìNoudmann  Joh.,  (pseud  prò  Rumpelmaier)  Dante.  Lileràr- 
historische  Studien.  (Dante,  Studj  di  storia  letteraria.)  Parte 
P.  Dresden,  Kuntze,  1852. 

Questa  prima  parte,  che  ha  anche  per  titolo  :  Il  Secolo  di 
Dante  è  composta  dei  seguenti  undici  capitoli:  1.  Il  Cre- 
puscolo (primi  secoli  del  medio-evo);  2.  Origine  delle 
lingue  romanze  ;  3.  Beltrando  del  Bornio;;  4.  Provenzali 
italiani  ;  5.  Potere  spiritua-le;  6.  Contese;  7.  Scienze  pratiche; 
8.  Michele  Scoto;  9.  Poeti  anteriori  a  Dante;  10.  Trivi um  e 
Quadrivium;  11.  Sentenza  di  morte  ed  espiazione.  -  Non 
è  altro  fuorché  una  compilazione  a  cui  servirono  l'opera 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA.  687 

del  Diez  su  i  Trovatori,  la  filosofia  dì  Dante  dell' Ozanam, 
la  vita  di  Dante  del  Balbo,  le  note  del  principe,  ora  re, 
Giovanni  di  Sassonia  alla  sua  versione  della  divina  Co- 
media  ecc. 

NÓTTER  Friedrich,  0  Vortràger  iiher  Dante.  (Lezioni  cri- 
tiche storiche  ed  estetiche.)  Stuttgart,  Yiray,  1861. 

Considerazioni  sull'allegoria  della  divina  Comedia  e  in 
particolare  sopra  Beatrice,  con  breve  vita  dell' Allighieri. 

Dante,  Ein  Romanzcn,  (Poesie  su  Dante.)  Stuttgart, 

Yiray,  1861. 

Oeinhausen  C.  Das  neue  Leben.  Die  vita  JSuova  des  Dante 
ùberselzt  und  herausgeben,  Leipzig,  1824. 

Paur  Theodor,  Ueber  die  Quellen  der  Labensgeschichte 
Dante' s,  Gòilitz  (Gorlizza),  Buchandlung  (Remer)  1862.  (Ri- 
vista critica  dei  biografi  di  Dante,  di  pag.  58.) 

Ergdngungen  Ebenda,  1863,  (p.  506-509.) 

.Vergleichende  Bemerkungen  iiber  Dante,  Milton  und 

Klopstock,  Neisse,  gedr.  bei  Rosenkrans  et  Bar,  1847. 

Petzuoldt  Julius,  Cathalogus  bibliothecae  Danteae.  Dre- 
sdae,  Teubner,  1844. 

Continuatio,  Dresdae,  Teubner,  1849. 

Continuatio  altera,  Dresdae,  Kuntze,  1851. 

Nova  editio,  Dresdae  Kuntze,  1855. 

È  un  catalogo  della  collezione  Dantesca  di  S.  M.  il  re 
di  Sassonia. 

PiPER  F.,  Uber  Benutzung  mythologische  Yorstellungen  in 
D.'s  Komódie.  Sull'uso  della  rappresentazione  mitologica 
della  Divina  Comedia  -  Nella  sua  opera:  Mithologie  u  Sym- 
bolick  der  christUchen:  Mitologie  e  simboli  dell'arte  cri- 
stiana, Wein,  1847,  p.  Uì-Wi. 

Eine  deutsche  studie  uber  Dante  -  (Evangelische 

Kalender  "  fur  "  1865)  Uno  studio  tedesco  su  Dante,  Berlin, 
Wiegand  und  Grieben. 

Il  Piper  pubblicava  un  articolo  intitolato  Dante  e  la  sua 
Teologia.  In  esso  ei  si  studia  di  sviluppare  i  pensieri  fon- 
damentali della  teologia  di  Dante,  come  pure  i  suoi  rap- 
porti verso  la  Chiesa  il  papismo  e  verso  la  Riforma.  In 
Dante  ei  venera  un  principe  nel  regno  dell'intelletto,  e 
che  perciò  ha  un  diritto  eminente  alla  slima  alla  riverenza 


688  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA. 

di  tulli  i  credenli  crlsliani,  a  qualunque  confessione  appar- 
tengano, di  quelli  specialmente  della  confessione  protestante, 
onde  tulli  deggiono  solennizzarne  la  memoria  nel  prossimo 
seicentesimo  giubbileo  della  sua  nascita.  Il  grande  poeta, 
secondo  il  profess.  Piper,  (protestante)  non  solo  protesta 
contro  gli  abusi  della  sua  Chiesa,  ma  appoggiasi  pur  anco 
al  positivo  fondamento  della  fede  evangelica,  e  in  vista 
del  completo  suo  piano  apologetico  (del  poema)  gli  si  com- 
pete un  posto  distinto  tra  i  confessori  evangelici.  Dante  è, 
come  sono  tanti  altri  uomini  d'Italia  de' tempi  posteriori,  un 
precursore  della  Riforma.  Il  perchè  l'autore  dell'articolo, 
ed  editore  pure  del  Calendario  Evanf/elko  succennato,  trovò 
d' inserirlo  nel  migliorato  Calendario  Evangelico  che  precede 
al  suo  Annuario,  collocandone  il  nome  ai  14  Settembre, 
giorno  della  sua  morte.  Y.  B-ldtter  fiir  lìterarische  Unter- 
hattiingen,  N.  48,  24  Nov.  Leipzig  -  foglio  di  trattenimenti 
letterari,  pubblicato  dal  D.""  Edoardo  Brockhaus. 

Raumer  Karl,  (prof,  nell'univ.  di  Erlangen  in  Baviera) 
Dante  [Sein  leben  und  seine  Verhe. -Ldi  sua  vita  e  le  sue 
opere.)  Continetur  ejusdem  opere:  Geschichte  der  Piida- 
gogik  vom  Wlederaufbluhn,  klassìscher  Studien  bis  anf  unsere 
Zeit.  (  Storia  della  Pedagogia  dal  rinascimento  degli  Studi 
classici  sino  al  nostro  tempo.  )  Stuttgart,  Liesching,  l843-ì)o; 
III  ediz.  1857-1862. 

Reumont  Alfred  von,  Dichterfirliber.  Ravenna,  Arqvà, 
Certaldo,  (I  sepolcri  dei  poeti  ecc.)  Berlino,  1846. 

Descrizione  e  notizie  storiche  dei  luoghi  dove  riposano 
l'Allighicri,  il  Petrarca,  il  Boccaccio,  dei  quali  si  raccontano 
le  vicende  riguardanti  i  loro  ultimi  anni.  Le  diverse  iscri- 
zioni leggonsi  in  Appendice. 

Bibliografia    dei  lavori    pubblicati  in    Germania 

sulla  Storia  d'Italia,  Berlino,  Decker,  1863. 

La  prefazione  è  datata  da  Roma  nella  Domenica  Eito 
mihi.  In  essa  confessa  di  essersi  giovato  delle  varie  opere 
tedesche  di  bibliografia,  e  specialmente  dell'  Ersch,  dei 
compendi  dello  Stenzel  e  del  Dahlmann,  ecc.  Il  lavoro  è 
importantissimo,  e  condotto  con  una  diligenza  ed  accura- 
tezza meravigliosa.  Per  esso  riesce  incontestabile  V  operosità 
della  dotta  Germania  nel  campo  delle  storie  Italiane,  ope- 


BIBLIOGRAFIA  DxVKTESCA  ALEMA^^■A.  689 

rosità  senza  pari,  arf/omento  a  considerazioni  che  oltrepassano 
(li  assai  le  preoccupazioni  del  giorno  d' oggi  e  le  rimembranze 
del  prossimo  passato.  È  inutile  V  aggiungere  eh'  io  vi  attinsi 
di  molle  notizie  riguardanti  la  Bibliografia  dantesca  alemanna. 

Beatrix.  Aiis  Dante  's  Jugendleben.  (Continelur  ejus- 

sdem  opere:  Italia,  Berlin,  Duncker,  1838.)     . 

RosE^KRA^z  K.,  (prof,  di  filosofìa  nell'univ.  di  Konigsberga) 
Ueber  den  Titurel  und  Dante  's  gottliche  Komòdie,  1829. 
(Della  filosofia  dantesca.  11  Titurel,  poema  epico-mistico 
composto  da  Wol frani  von  Esclienbach,  uno  dei  poeti  più 
rinomati  della  più  bella  epoca  della  letteratura  alemanna 
del  Medio-evo.) 

KuTH  Emil.,  (Dott.  a  Heidelberga:  visse  molti  anni  a 
Firenze.)  Geschichte  der  italienischen  Poesie.  (Storia  della 
poesia  italiana.)  Leipzig,  Brockhaus,  1844-47.  (Voi.  I.  pag. 
354-5-27.  ) 

L' Introduzione  al  primo  volume  contiene  considerazioni 
sullo  sviluppo  politico,  religioso  e  morale  della  moderna 
Italia  sino  dalla  rovina  del  romano  impero.  Segue  la  storia 
della  formazione  della  lingua  volgare  (p.  149-278).  1  poeti 
antecessori  di  Dante  (p.  324-353)  cominciano  la  storia  let- 
teraria propriamente  delta,  che  poi  continua  con  Dante 
354-527.  ) 

Studien  iiber  Dante  Alighieri.    Fin  Beitrag    zum 

\erstandniss  der  gottlichen  Comodie.  (Studi  sopra  Dante 
Allighieri.  Saggio  per  servire  all'intelligenza  della  Divina 
Coniedia.)  Tiibingen,  Fues,  1853. 

Due  dissertazioni  formano  il  contenuto  del  presente  Vo- 
lume. La  prima  «  il  sistema  di  Dante  »  (pag.  5-175)  presenta 
in  nove  capitoli  l'idee  di  Dante  sullo  universo  e  sulle  leggi 
divine  che  lo  reggono,  compilate  dagli  scritti  del  poeta. 
Nella  seconda  si  ha  la  «spiegazione  delle  allegorie  del  pen- 
siero fondamentale  della  div.  Comedia  coll'aiuto  del  sistema 
di  Dante.  »  -  «  11  Ruth  riflette  che  due  cose  rendono  mala- 
gevole per  l'ordinario  l'intelligenza  della  divina  Comedia; 
prima  l'ignoranza  delle  idee  filosofiche  e  teologiche  di 
quel  tempo  e  del  concetto  politico  di  Dante,  e  poi  la 
oscurità  e  la  confusione  degli  stessi  coraentatori.  I  comen- 
tatori   sogliono    concentrarsi  nell'  esposizione  di  un   solo 

VoL.  il.  44 


690  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA. 

lato  del  poema,  lo  storico,  il  teologico  o  altro  che  sia, 
e  non  curarsi  del  resto,  anzi  immolare  il  resto  al  loro 
prediletto  punto  di  vista.  A  fuggir  questi  mali  l'autore  ha 
creduto  dover  cercare  il  pensiero  in  Dante  e  negli  altri 
suoi  scritti,  e  coglierlo  dov'è  chiaro  e  indubitato,  e  valersene 
alla  spiegazioqe  del  testo  della  divina  Comedia.  L'assunto 
non  è  nuovo  in  Italia,  e  si  viene  valorosamente  continuando, 
in  tra  gli  altri,  dal  Giuliani.  »  -  Crepuscolo,  1854,  p.  78.  - 

Di  questa  opera  scrissero  C.  L.  Diane  nella  Allgemeìne 
Monatscìirift  di  Halle,  1834,  fas.  II,  e  Carlo  Witte  nel  LUe- 
rar.  Centralhlaìt,  1854,  n.  12. 

Il  chiarissimo  prof.  ab.  Pietro  Mtigna  recherà  in  italiano 
questo  lavoro  del  Ruth,  intendendo  ei  pure  eli  pigliare  in 
tal  maniera  una  parte  attiva  alla  festa  che  Italia  prepara 
al  plìi  grande  de'  suoi  figli  e  maestri. 

Dante   von  Philaletes.    Ueher  die   Bedeutung   des 

Virgil  in  der  divina  Comedia.  Aus  den  Heidelb.  Jahrbb.  d. 
Literatur  1850  besonders  abgedruckt.  (Negli  annali  di  Let- 
teratura di  Heidelberga  -  Del  significato  del  poeta  Virgilio 
nella  Div.  Comedia.) 

M.  Rossetti,  dans  son  commentaire,  est  le  premier,  je  crois, 
qui  ait  concu  ainsi  le  Ylrgile  dantesque  (le  Yirgile  pré- 
curseur  du  christianisme ...  le  chantre  du  peuple  romain  et 
des  ses  triomphantes  destinées;  il  a  glorifié  en  vers  immorlels 
cotte  nation  royale,  populum  late  regem,  née  poìir  le  gou- 
vernement  de  l'univers);  M.  Émile  Ruth  a  repris  cette 
•théorie  et  l'a  développée  avec  une  lumineuse  évidence.  11 
a  suivi  pas  à  pas  le  guide  de  Dante  à  travers  V  Enfer  et 
le  Purgatoìre  ;  il  a  note  ses  paroles,  ses  gestes,  sa  physiono- 
mie,  et  chaque  incident  lui  a  fourni  une  preuve  nouvelle.» 
Saint-René  Taillandier. 

On  voit  circuler  et  se  croiser  à  Iravers  la  littérature  du 
moyen  àge  deux  traditions  très  ditìérentes  sur  Yirgile,  la 
traditlon  populaire  et  la  tradition  savante.  D'après  la  tra- 
ditlon  populaire,  Yirgile  est  le  premier  des  nécromans. 
Poesie,  science,  vertu  magique,  toutes  ces  choses  se  cou- 
fondent,  dès  le  début  de  l'epoque  barbare  dans  des  ima- 
ginations  naivement  eiVarouchées.  Transmis  par  Ics  dernicrs 
siècles  du  monde  antique  à  des  généralioiis  ignorautes  et 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA.  GDI 

avides,  ce  noni  de  Yirgille  cveillait  l'idée  de  ce  qu '1  y 
avait  de  plus  grand  icl-bas  ;  le  peuple  atlrlbiia  aii  poèle 
la  science  des  forces  secrèles  de  la  nature  et  le  pouvoir 
de  les  gouverner  à  son  gre.  Toutes  les  légendcs  des  premiers 
siècles  du  clirislianisuìe,  recueillies  en  panie  dans  les  Gesta 
Romanorum,  nous  montrenl  le  chanlre  de  Didon  et  d'Ari- 
slée  émerveillanl  les  humains  par  des  prodiges.  Des  lé- 
gendes  du  peuple,  ce  lype  singulier  passe  dans  les  poèmes 
chevaleresques;  Wolfram  d' Eschembach  le  consacre  dans 
le  Parceval,  et  pour  l'  auteur  inconnu  de  la  Guerre  de  la 
Warlbourg,  Virgile  de  Naples  est  Ténuile  de  Basian  de  Go- 
stanlinople  et  deFlagétanis  de  Bagdad,  {\oyezder  Sinfierkriec 
uf  Warlburr,  publié  par  M.  Ellmiiller.  ilmenau,  1830,  p.  12;. 
La  tradition  savanle  est  plus  digne  de  ce  suave  genie; 
elle  en  fall  un  des  précurseurs  du  christianisme.  Le  chanL 
de  Pollion  fournissait  un  lexle  magnifique  à  celte  transii- 
guralion  du  poète.  Déjà  l'empereur  Constantin,  dans  son 
Diacours  a  l' assemblée  des  fidèles,  avait  expliqué  longuemenl 
le  róle  de  Virgile,  en  qui  il  reconnaissait  un  prophèle  de 
Jesus.  Tout  le  moyen  àge  est  plein  de  cette  idée.  Une 
tradition  très  répandue,  et  dont  les  traccs  subsislent  encore 
à  Mantoue,  prélendait  que  Saint  Paul,  passant  à  Naples, 
était  alle  saluer  le  lombeau  du  poéte,  et  qu'  il  s'  étalt  écrié 
les  yeux  en  larmes:  «  Pourquoi  ne  t'ai-je  pas  Irouvé  vi- 
vant, ò  le  plus  grand  despoétes?  Conibien  j'eusse  élé  heu- 
reux  de  faire  de  loi  un  chrétienl  »  (1)  Ce  que  n' avait  pu 
Saint  Paul,  le  moyen  àge  l'a  fait;  il  a  associé  Virgile  à 
r  lìisloire  du  Christianisme.  Le  Mystère  de  saint  Mardal 
de  IJmofjes,  écrit  au  XI  siede,  monlre  le  poèle  de  Mantoue 
siégeant  au  milieu  des  prophètes  et  annon^ant  avec  eux 
la  venne  du  Bédempteur.  -  Saint-Rene  TaiUandier,  La 
liltératiire  danlesque  en  Europe,  Revue  dcx  dcux  Mondes; 
1."  Dee.  185G,  p.  502. 


(1)  Aujourd' hui  cncorc  à  Mantoue,  le  jour  de  la  Saint-Paul,  on 
rhante  pendant  la  messe  un  hymne  dont  voici  unestrophc:  Ad  Maronia 
mausoleum  Ductus,  fudit  super  cum  Pine  rorcm  lucrymae:  Quem  k, 
inquU.reddidisscm.  Si  te  vìvumjnvenisscm,  l'oetarum  maxime.  -  Saint 
René  Taillandicr. 


692  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA. 

Del  Virgilio  del  Medio  Evo  scrissero:  Zapperl  Giorqio: 
YirgiV  s  Fortleben  in  iMiltelalter.  Eìn  Beilrat/  zur  Gcschicht^ 
der  klassischen  Literahir.  (L'esistenza  di  Virgilio  protratta 
nel  medio-evo.  Saggio  per  servire  alla  storia  della  lette- 
ratura classica  nel  medio-evo.)  Vienna,  1849.  -  Genthe  F.  IV. 
Leben  uìid  Forldauer  des  Publius  Vmjilius  Maro  ah  Dichter 
und  Zauberer.  (Vita  ed  esistenza  dì  P.Virgilio  Marone,  come 
poeta  e  mago.  -Nella  raccolta  delle  tradizioni  popolari,  per  lo 
più  medievali  intorno  all'altissimo  poeta,  le  cui  tracce  si 
ritrovano  cosi  spesso  nella  letteratura  de'  bassi  tempi.  - 
(Inf.  IX.  22)  li  Edizione,  Lipsia,  1837.  -  Piper  F.,  ViroUius 
ah  Theolog  und  Profet  des  Ifeidcnthuìns  in  der  Kirche. 
(Virgilio,  come  teologo  e  profeta  del  paganesimo  nella 
Chiesa.)  ^e,\V  Evanfielischer  Kalender,  Berlino,  1862;  per  ta- 
cermi dell'  opere  di  G.  Goerres  e  di  Valentino  Schmidt.  - 
Anche  il  francese  Rossìgnol,  pubblicava  un  interessante 
lavoro  su  Virgilio  precursore  del  Cristianesimo:  Virgile  et 
Costantin  le  Grand;  da  ultimo  il  Sìg- Emilio  Combes  pub- 
blicava nella  Itevue  Contemporaine,  15  Nov.  18G4,  un  suo 
articolo  intitolato:  Virgile  poete  dìdactique  et  médecìn. 

Schelling  F.  W.  (Filosofo  tra  i  più  celebri  della  Germania, 
nato  nel  1773  aLeonberg,  nel  ducato  di  Wurteraberg,  morì 
nel  1834  a  llagatz  nella  Svizzera,  essendo  consigliere  intimo 
e  membro  della  R.  Accad.  delle  scienze  di  Berlino.)  Ueber 
Dante  in  filoso fisclter  Beziehung.  (Dante  sotto  l' aspetto 
lìlosofico.)  Stuttgardt,  1839. 

«  Questo  scritto  venne  alla  luce  nel  1803  nel  giornale 
crìtico  di  filosofia,  pubblicato  da^Schelling  e  Hegel,  Stuttgardt, 
1802-03.  Voi.  IL  pag.  34-50.  -  Perchè  il  seme  degli  studii 
danteschi  in  Germania  gettasse  larghe  radici,  e  radici  tanto 
più  profonde  quanto  più  dotti  erano  gl'ingegni,  dovea  ba- 
stare pur  la  notizia  che  Schelling  avesse  parlato  in  favore 
del  poema  di  Dante.  Giovine  di  28  anni,  Schelling  era  già 
autore  della  Filosofia  naturale,  dell'anima  del  mondo  e  dello 
idealismo  trascendentale,  e  quindi  autorevole  doveva  riuscire 
la  sua  parola,  lorchè  diceva  l'opera  di  Dante  non  solo  opera 
di  un'epoca  o  di  uno  speciale  grado  di  coltura,  ma  originale 
e  per  l'universalità  ch'essa  congiunge  alla  più  rigorosa 
individualità,  per  la  sua  vaistilà  mediante  cui  uiuna  parta 


BIBLIOGRAFIA    DANTESCA  ALEMANNA.  69:^ 

della  vita  e  della  coltura  rimane  esclusa,  e  finalmente  per 
la  forma  che  non  si  presenta  quale  un  tipo  determinato, 
ma  quale  tipo  comprensivo  dell'  Universo.  »  -  Witte  -  De 
Dantis  ingenio,  scrivevami  un  dotto  critico  alemanno,  et 
quo  loco  in  historia  generis  humani  sit  ponendus,  tamquam 
novae  poeseos  inventor  nescio  an  nullus  nec  Germanicus 
nec  Italus,  nec  cujuscunque  nationis  polita  scripserit  inge- 
niosius  simul  ac  verius  quam  Schellinr/ ;  ejus  licet  brevis- 
sima commentatio  mihi  quidem  divinalio  divinae  Gomoediae 
esse  videtur;  digna  quae  magis  innotescat,  et  in  Italia 
ipsa  iegatur  ac  relegalur.  -  Il  Nicolini  volea  che  queste 
Considerazioni  filosofiche  del  più  celebre  filosofo  della  Ger- 
mania tenessero  dietro  alla  sua  lezione  Dell'  universalità 
della  divina  Comedia.  (Nicolini  Opere,  Voi.  III.  ed.  Le  Monnier, 
p.  263.)  Per  opera  del  Fabbrucci  venivano  pure  inserite 
nelle  lettere  del  mio  concittadino  G.  B.  Brocchi,  Bonn,  I8,i6. 

Schlegel  Wilhelm,  (nato  a  Hannover  nel  1767,  segret. 
del  principe  reale  di  Svezia  -  Bernadotto  -  durante  la  gran 
guerra  contro  Napoleone,  e  compagno  dei  viaggi  della 
Baronessa  di  Stael,  mori  profes.  di  lettere  orientali  a  Bonne 
nel  1845.)  Dante,  Petrarca  limi  Boccaz.  (Geschichte  der  alten 
and  neuen  litterat.)  Vienna,  Schamburg,  1815,11.3-38- 
Riprodotto  nella  collezione  delle  sue  opere,  Vienna,  Mayer, 
1822,  li.  7-38. 

Le  Dante,  Pétrarque  et  Boccace  à  propos  de  l'otivrage 

de  M.  Rossetti.  (Revue  des  deux  Mondes,  15  Aóut  1836,  ristam- 
pata negli  Essais  litteraires  et  /a"s f or /f/we*  dell'autore,  Bonna, 
1842. 

Noi  eravamo  e  siamo  stati  persuasi,  dice  lo  Schlegel, 
che  quei  poeti  originali  fossero  siali  di  schietta  inspirazione, 
e  che  veramente  animati  dal  soffio  dalle  loro  muse  avessero 
SI  parlalo  il  linguaggio  degli  Dei.  Ma  ora  tutto  ciò  è  un 
sogno ,  che  il  Rossetti  ne  insegna  non  essere  quella  poesia 
altro  che  un  gergo  d'indovinelli.  Lo  Schlegel,  dice  l'Ozanam, 
combattendo  i  paradossi  del  Rossetti,  cancellava  per  sem- 
pre quel  marchio  di  fellonia  che  per  (piesli  veniva  sulla 
fronte  dei  tre  grandi  italiani. 

Canzone  von  Dante  (Donna  pietosa.  Voi.  Ili,    pag. 

383-86),  Leipzig,  Weidmann,  1846. 


691  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA. 

Ballate  von  Dante   f  Poiché  saziar  non  posso,    V. 

p.:i82). 

Zwei  Sonctte  von  Dante  (Un  dì  sen  venne  -  Deli 

peregrini,  Y.  387). 

ScHLOssER  e.  F.  Uber  Dante,  Heidelberg,  Oswald,  1825. 

Dante  Sludien,  (SUidj   sopra  Dante.)   Leipzig  und 

Heidelberg,  Binler'  schee  Berlagshandlurlg,  1855.  —  (Lo 
Schlosser,  il  celebre  storico  dell' antichità  e  del  secolo  XYHI, 
nacque  a  Jever,  il  17  INov.  1776,  mori  nel  186 1,  consigliere 
intimo  e  profess.  di  storia  a  Heidelberga,  dove  era  vissuto 
sin  dal  1817.; 

Raccolta  di  varie  memorie  critiche  ecc.  sul  maggior 
poeta  del  medio-evo.  -  1.  Osservazioni  sulla  connessione  in 
cui  stanno  la  Yita  Nuova  e  la  Divina  Comedia,  con  alcune 
aggiunte  bibliografiche  sulla  letteratura  moderna  spettante 
a  Dante;  notizie  troppo  incomplete  per  poter  servire  di  guida 
in  sì  vasto  campo;  2.  I  Comentatori  di  Dante,  con  particolar 
riguardo  alle  opinioni  di  Gius.  Picei  :  3.  La  Divina  Comedia 
secondo  il  Landino  e  il  Yellutello;  ristampa,  in  vari  luoghi 
modificata,  di  uno  scritto  pubblicato  dall'autore  nel  1824 
(negli  Annali  di  Letteratura  di  Heidelberga)  a  proposilo 
della  versione  della  Yita  Nuova  dell'Oeynhausen  e  di  quella 
dell'  Inferno  dello  Streckfuss  ;  4.  Introduzione  alla  Divina 
Comedia,  sulle  orme  di  G.  Rossetti,  divisa  in  tre  parti; 
la  prima  tratta  del  Yirgilio  di  Dante,  la  seconda  delle  tre 
fiere,  e  l'ultima  della  Selva;  5.  Due  lettere  sui  Canti  i.  a 
VI  del  Paradiso,  pubblicate  primieramente  nell'Archivio  per 
la  storia  e  la  letteratura  di  Schlosser  e  Bercht,  Yol.  I.  II, 
Francoforte,  1830  e  seg.  -  Reumont. 

Quand'io,  scriveva  di  se  medesimo  il  Witte,  dopo  aver 
lottalo  per  più  di  25  anni  a  fine  di  ben  intendere  la  Div. 
Comedia,  mi  sentiva  cadere  di  animo,  riconfortavami  colla 
idea  dell'  amico  Schlosser.  Io  pensava  meco  slesso  :  Schlosser 
ha  letto  nove  volte  il  poema,  e  ciascuna  volta  ha  deposto  di 
mano  il  libro  colla  persuasione  di  non  averlo  inteso  :  alla  de- 
cima volta  egli  ha  conosciuto  l'intreccio  di  questo  meravi- 
glioso tessuto  de'  più  profondi  pensieri,  e  d'allora  in  poi  non 
passa  anno  senza  ch'egli  non  percorra  con  sempre  crescente 
diletto  in  compagnia  del  poeta  i  tre  regni  ollraraondanì.  Come 


BIBLIOGRAFIA  DxiMESCA  ALEMANNA.  693 

riesce  confortevole  T udire  ripetere  da  un  uomo  (il  quale 
deve  saper  grado  soltanto  ai  propril  studi  di  aver  potuto 
percorrere  con  maggiore  acutezza  di  vedute  che  tutti  altri 
il  vasto  campo  della  storia)  come  egli  nella  grave  età  di 
80  anni  in  compagnia  di  Dante  abbia  fatte  quelle  più  care 
sue  osservazioni,-  che  ora  qui  riordinate  comunica  a  noi, 
suW amore  e  sulla  vita,  sulla  interna  visione  e  meditazione 
della  natura  divina,  suU'  intima  relazione  di  tutti  i  fenomeni 
del  mondo.  Quale  copia  di  tesori  intellettuali  non  deve 
poi  presentare  un  poeta,  le  cui  opere  sono  con  uguale 
predilezione  profondamente  meditate  e  da  uno  Schelling  a 
ventotto  e  da  uno  Schlosser  ad  ottant' anni  !- De' cinque 
scritti  dello  Schlosser  che  sono  qui  insieme  pubblicati  il 
più  antico  (che  apparve  nel  1834  sotto  il  titolo  sopra  Dante) 
fu  il  frutto  di  20  anni  di  studio;  i  due  più  recenti  (sopra 
il  rapporto  della  Vita  Nuova  colla  Divina  Comedia,  e  il 
Dichiaratore  di  Dante)  appartengono  ai  due  anni  passali, 
e  sono  ora,  per  quanto  io  sappia,  pubblicati  qui  per  la 
prima  volta.  Negli  anni  1830  e  1833  uscirono  le  lettere 
sopra  i  primi  sei  canti  del  Paradiso  e  il  ragguaglio  sulla 
esposizione  dell'Inferno,  del  Rossetti,  le  quali  due  memorie 
già  erano  conosciute  neWArchivio  di  Storia  e  Letteratura. 
Fra  le  cose  già  stampate  e  maggiormente  ritoccate  vi  ha 

10  scritto  più  antico,  del  quale  nella  presente  sua  forma 
veggo  malvolentieri  mancare  il  ragguaglio  sull'argomento 
della  Vita  Nuova  (p.  9  a  14  della  prima  edizione) ...  Io  sti- 
mo gemme  della  sovraccennata  raccolta    le  due  memorie  : 

11  Dichiaratore  di  Dante  e  \e  Lettere  sopra  i  sei  primi  canti 
del  Paradiso.  Intorno  alle  svariate  opinioni  dei  comentatori 
di  Dante,  lo  Schlosser  dice  non  meno  bellamente  che  ve- 
ramente (p.  14)  :  «  Le  molteplici  significazioni  di  un  cosi  vasto 
poema  quale  è  la  divina  Comedia  possono  nello  stesso 
tempo  essere  vere  per  ispiriti  affatto  differenti,  il  che  avviene 
molto  meno  perchè  il  poeta  stesso  abbia  così  pensalo  e 
giudicato,  quanto  perchè  egli  è  l'organo  di  un  più  allo 
spirilo  vivente  nella  umanità,  e  manifeslantesì  dentro  e 
per  mezzo  delle  singole  cose,  e  la  sua  opera  è  una  crea- 
zione di  molteplice  significazione  come  le  creazioni  divine 
del  mondo  esteriore.  »  Malgrado  questa  riconosciuta  mol- 


C96  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA. 

leplice  significazione  del  sacro  poema,  lo  Schlosser,  non 
lasciandosi  trarre  in  inganno  dalla  sua  parzialità  per  il 
visionario  Rossetti,  con  piena  ragione  si  dichiara  contro 
le  politiche  e  sociali  interpretazioni  di  molti  moderni  espo- 
sitori. Picchioni,  Ponta  e  Giuliani,  gli  scritti  de'  (fuali  non 
sembrano  conosciuti  all'  autore,  gli  sarebbero  stati  va- 
lorosi alleati  opportuni  per  combattere  quei  troppo  prosaici 
errori.  Le  lettere  sopra  i  sei  primi  canti  del  Paradiso,  che 
senza  difficoltà  avrebbero  potuto  fondersi  colla  disserta- 
zione sopra  Dante,  cominciano  in  sostanza  col  canto  28 
del  Purgatorio,  e  costituiscono  una  facile,  vasta  e  vivace 
introduzione  alle  più  arcane  istruzioni  del  Paradiso  dantesco. 
Si  conosce  agevolmente  come  il  sublime  storico  universale, 
nella  esposizione  di  Dante  vuol  istruirci  della  storia  del 
mondo  e  de' suoi  rivolgimenti  all'epoca  del  poeta,  ma  non 
perciò  è  meno  da  lamentare  il  vasto  tratto  che  separa  queste 
lettere  dal  comentario  di  Gòschel  sopra  i  tre  ultimi  canti 
del  Paradiso  [La  Pasqua  di  Dante,  Halle,  1849).  Oltre  l'errore 
che  nel  sistema  mondiale  tolemaico  dantesco  suppone  due 
cieli  cristallini  invece  di  uno,  riesce  strana  la  confusione 
(colpa,  non  v'ha  dubbio,  di  antichi  comentatori),  del  conosciuto 
capo  dei  Neri  fiorentini  Corso  Donati  con  Francesco  d'Accorso 
glossatore  dei  libri  legali  di  Giustiniano.  »  -  Witte,  nel  Giorn. 
ted.  Blatter  fUr  literarische  unterhaslunfi,  n.  2,  10  Gennaio 
1856,  Studi  germanici  sopra  Dante,  articolo  riportato  nello 
Spettai,  fir.  1856.  u.  18.  -  Lo  Schlosser  sotto  il  suo  ritratto 
non  seppe  trovare  motto  migliore  che  i  versi  del  divino 
poeta  :  Ilo  io  appreso  quel  che,  s' io  ridico,  -  A  molti  fia  savor 
di  forte  agrume;  -  E  s'io  al  vero  son  timido  amico,  -  Temo 
di  perder  vita  tra  coloro  -  Che  questo  tempo  chiameranno 
antico.  Pav.  xvii.  116. 

ScHREiBER  WiLH.  Die  poUtischcn  und  religidsen  Doctrinen 
unt e r  Ludwig  dem  Baicrn.  (Le  dottrine  politiche  e  religiose 
sotto  Lodovico  il  Bavaro.)  Landishuta,  1858. 

Dissertazione  la  quale  espone  varie  opinioni  del  XIV 
secolo  intorno  alla  questione  dei  confini  dell'autorità  ponli- 
licia  e  delle  relazioni  tra  l'impero  e  il  pontificalo,  tenendo 
a  confronto  quattro  scrittori  principalissimi,  cioè  Dante 
AUighieri,  espositore  della  morale  nella  div.  Comedia,  espo- 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA.  697 

sltore  della  politica  nella  Monarchia,  e  sostenitore  dell'idea 
di  una  Monarchia  universale  di  cui  la  bibbia  e  la  storia  gli 
offrono  le  fondamenta.  Marsilio  dì  Padova,  1838,  seguace 
nelle  sue  opinioni  politiche  di  Aristotele,  propugnatore  della 
somma  potestà  del  Concilio  da  convocarsi  dall'autorità  laica, 
scrittore  cui  l'amore  dell' armonia  tra  chiesa  e  impero 
procacciò  il  nome  di  defensor  pacis.  Leopoldo  di  Bebenburg 
vescovo  di  Bamberga  (m.  1362),  il  cui  esame  storico-legale 
del  diritto  dell'Imperatore  esclude  la  necessità  assoluta  della 
translatio  mperiì  per  parte  del  pontefice,  già  da  Marsilio 
dichiarata  atto  di  assenso  formale  senza  facoltà  di  denegazio- 
ne 0  di  deposizione.  Guglielmo  d'Occam  (m.  1347),  l'avv. 
dell' imp.  Lodovico  nella  contesa  con  Giovanni  XXII,  contro 
cui  scrisse  il  notissimo  Compendium  errorum.  L'opposizione 
politica  contro  alla  estensione  della  pontifìcia  autorità  nel  senso 
del  .medio-evo,  nuovamente  propugnata  dai  pontefici  Avigno- 
nesi,  a  malgrado  dei  contrasti  gravi  cui  essa  andò  incontro 
al  tempo  di  Bonifazio  Vili,  risulta  maggiormente  dal  conciso 
esame  delle  idee  dei  predetti  scrittori.  -  A.  ReumonL  - 

Streckfuss  Karl,  Ueber  Danle's  Leben  und  Schriften. 
(In  Germanica  ab  eodem  confecta  versione,  1840.) 

YoGEL  VON  A'OLGESTEiN  Carl,  Die  JJauptmomente  aus 
Goethe'  s  Faust  Dante'  s  Divina  Commedia  und  Yir(jiV  s 
Aeneis.  Bidlich  darqesteUt  und  nach  ihrem  innern  Zusam- 
laenhange  erldutert,  (I  momenti  principali  del  Fausto  di  Goethe, 
della  divina  Comedia  e  dell'  Eneide,  raffigurati  ed  illustrati 
secondo  l' interna  loro  connessione.)  Monaco,  1862,  con  tre 
tavole  in  fol. 

L'  autore,  pittore  della  corte  di  Sassonia,  stampò  vari 
anni  fa  a  Roma  i  suoi  pensieri  sulla  divina  Comedia  ad 
illustrazione  di  un  quadro  che  si  potrebbe  chiamare  sinot- 
tico, eseguito  per  S.  A.  I.  R.  il  fu  granduca  Leopoldo  dì 
Toscana,  Nel  presente  lavoro,  riassumendo  l' istesso  argo- 
mento, s'ingegna  a  spiegare  la  parte  allegorica  dei  tre 
grandi  poemi  dell'  antichità,  del  medio-evo  i  e  dell'  età 
moderna.  -  Vedi  pag.  3ol,  353,  363,  367,  369,  382. 

Wagner  Xdolvo,  Sac/gio sopra  Dante  Allighieri.  (Continetur 
editione  ab  eodem  parata  div.  Comoediae,  Lipsia,  Fleischer, 
1826.) 


()98  BIBLIOGUAFIA    DANTESCA  FRANCESE. 

Sono  2*2  fac.  di  Prolegomeni  all'edìz.  della  dlv.  Comedia. 
Il  saggio  contiene  tre  parti,  intitolale:  Dnnte  e  il-suo  secolo- 
La  divina  Comedia  e  la  sua  intenzione  -  Osservazioni  intorno 
al  tempo  in  cui  probabilmente  è  stala  dettala  la  Divina 
Comedia,  alla  lingua,  alla  verseggiatura,  al  testo  ed  alla 
di  lui  critica. 

Wegele  Franz  X.  (già  professore  nell'  univ.  di  Jenna,  ora 
in  quella  di  Erbipoli  -  Wiirzburg.  -)  Dante' s  Leben  und  Werhe. 
(Vita  ed  opere  di  Dante  nella  loro  connessione  colla  Storia 
dell' incivilimento.)  Iena,  Mauke,  1852. 

Fu  pubblicato  in  Jena  un  ottimo  libro  sopra  la  \Ua  e 
le  opere  di  Dante,  che  intende  ad  elevare  il  poeta  all'altezza 
dei  problemi  storici,  Iraendola  dal  cerchio  degli  scrittori 
mirabili  solo  per  l'ingegno  e  per  l'arte.  -  Crepuscolo,  1854. 
78.  -  Tout  récemment  M.  Franz  Wegele,  professeur  à  l'uni- 
versité  d'Jéna  dans  la  Vìe  et  les  oéuvres  de  Dante,  s'est 
attaché  surtout  à  recomposer  l'histoire  intérieure  du  grand 
poète  florentin ...  M.  Wegele  ne  voìt  chez  Alighieri  que  le 
législateur  polilique  et  mystique  du  moyen  àgc...  La  Divine 
Comédie,  selon  l'historien  allemand,  en  méme  lemps  qu'elle 
est  une  prédicalion  du  gibelinisme  idéal,  contieni  aussl 
l'exposé  symbolique  des  différenles  phases  par  lesquelles 
a  passe  l'àme  du  poète.  Cette  histoire  spiriluelle  de  Danle 
est  indiquée  par  fragmens  dans  ses  produclions  anlérieures. 
lei,  la  peinture  est  complète.  L'amour,  la  science,  la  poli- 
lique, la  religìon,  ont  occupé  tour  à  tour  cette  souverainc 
intelligence.  Les  ravissemens  de  l'amour  illuminent  la  Vie 
nouvelle,  la  science  remplit  le  Convito,  la  polilique  est  le 
sujel  du  De  Monarchia,  et  la  religion,  mélée  à  toutes  ces 
choses,  les  éclaire  de  ses  rayons.  Dans  la  Divine  Comédie, 
religion,  polilique,  pliilosophie,  amour,  soni  réunis  dans 
une  synthèse  harmonieuse.  Ce  travail  qui  s'est  fall  instin- 
ctivemenl  dans  son  àme.  Dante  n'en  avait  pas  le  secret, 
e'  élait  à  la  crilique  de  le  mettre  en  lumière,  et  MM. 
Wllte  et  Wegele  ont  rempli  celle  tàche  avec  une  précisìon 
magistrale.  Le  poème  d'Alllghieri,  dans  son  inspiralion 
première  est  donc  à  la  fols  le  tableau  des  différenles  phases 
qu'a  traversées  son  genie,  et  le  jugement  de  la  chrélienté 
lout  entière,   au  nom   de  cet    ordre  providenliel  construil 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA.  699 

par  sa  pensée  ...  Un  des  récens  commentateurs  a  pu  recom- 
poser  avec  VEnfer  el  le  Purgatoire  le  code  penai  d'Allighieri, 
code  compiei,  où  se  relrouvenl  à  la  fois  le  droit  romain, 
le  droit  canon  el  le  droil  germanique  du  moyen  àge.  Cesi 
M.  Wegele  qui  a  eii  celle  idée.  Il  esl  fàcheux.  que  le  doclc 
historien  compromelte  lei  la  valeur  de  ses  recherches  en 
voulant  prouver  que  le  droit  germanique  tieni  plus  de 
place  dans  la  Divine  Comédie  que  le  droil  canon  et  le  droil 
romain.  Cesi  précisément  le  conlraire  quieslvrai;  l'origi- 
nalilé  du  droil  germanique  en  malière  pénale  esl  de  punir  la 
faute  pour  la  faute  elle-méme,  landis  que  le  droil  romain  se 
préoccupe  surtout  des  crimes  commis  contre  l'élal,  el  le  droit 
canon, des  infraclions  aux  lois  de  l'église.  Dante,  avec  son  infle- 
xible  logique,  réserve  ses  plus  crucis  cliàlimens  aux  ennemis 
de  l'église  el  de  l'empire;  il  rend  des  arréls  de  jlislice 
sociale  plulól  qu'il  n'applique  les  lois  de  la  morale  privée. 
Comment  M.  Wegele  a-l-il  méconnu  ici  le  syslème  du  poèle 
après  l'avoir  si  bien  mis  en  lumière  ?  Ajoutons  seulemenl,  pour 
èlre  lout  à  fait  exacl,  que  l'esprit  évangélique  apparali  sans 
cesse  dans  les  senlences  d'Allighieri.  Sa  libre  dislribulion 
des  chàlimens  esl  le  triomphe  de  la  justice  chrélienne.  La 
conscience  du  coupable  esl  mise  à  nu,  et  plus  il  élail  place 
ha  ut  dans  la  hiérarchie  des  pouvoirs,  plus  lourde  pése  sur 
lui  la  responsabililé  de  ses  ceuvres.  Polnl  de  ménagemens 
pour  les  grands  de  ce  monde  \...  -  Saint-Reìié  Taillandier. 

WisMAYR  .losEPH,  Dante  Allighieri  (nach  seinem  Leben 
und  lillerarischem  Wirken.  -  In  ejusdem  opere  Pantheon 
Jtaliens,  Miinchen,  1815.) 

Il  Cons.  Wismayr  non  solo  ci  diede  la  vita  dell' Allighieri, 
ma  innoltre  alcuni  suoi  saggi  di  versione  della  div.  Comedia 
in  cui  a  giudizio  di  un  dotto  critico,  «  con  tale  maestria  e 
chiarezza  ci  rappresenta  i  concetti  del  poeta,  che  se  fosse 
non  di  una  sola  parte,  ma  di  tutto  il  poema,  l'Aleraagna 
non  potrebbe  gustar  meglio  l'energia  e  la  sublimità.  « 

WiTTE  Karl,  (  Cons.  ini.  di  giustizia  e  prof,  di  diritto 
neirUniversilà  dì  Halle,  già  a  lìreslavia.  )  //  terzo  Canto 
di  Dante,  corredalo  di  molte  varianti,  esaminato  sui  codici, 
1826. 

l'ebcr  Dante,  IS'eu  bearbitet.  (Sopra  Dante,  nuova 


700  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA. 

trattazione.)  Breslau,  Pelz,  i8BL  (In  questo  libro  prende  più 
copiosamente  a  sviluppare  il  suo  sistema  che  fin  dal  1824 
avea  esposto  neW  Hermes  Rivista  letteraria,  pubblicata  dal 
Brockhaus  a  Lipsia. 

Gedichte  aus  der  Vita  JSuova  iibersetzt  und  erkldrt 

von  Karl  Ludwig  Kanneriiesser  und  Karl  Wilte,  Leipzig, 
Brockhaus,  1842. 

Quando  e  da  chi  sia  composto  V  Ottimo  Comenlo  a 

Dante,  Lipsia,  1847. 

Lettera  a  Seymour  Kirkup,  pittore  inglese  a  Firenze, 
(conosciuto  per  1'  amore  eh'  egli  porla  a  Dante  e  per  i  bei 
lavori  artistici  intorno  alla  vita  e  alle  opere  di  lui,  di  cui 
molti  compariranno  in  luce  nell'edizione  dell'Inferno  da 
lord  Vernon  da  lungo  tempo  preparata),  nella  quale  vanno 
sottoposti  ad  esame  i  fatti  e  le  congetture  dal  Colomb  de 
Batines  enunciati  nella  memoria:  Del  Comenlo  su  la  Divina 
Comedia  appellato  V  Ottimo,  e  di  quello  attribuito  a  Jacopo 
della  Lana,  negli  Studi  inediti  su  Dante,  Firenze,  1846.  Alle 
osservazioni  sulF  autore,  e  sulla  data  dell'  Ottimo  Gomento, 
tengon  dietro  alcune  aggiunte  e  correzioni  al  primo  Vo- 
lume della  Bibliografia  Dantesca  del  medesimo  Colomb  de 
Batines.  Intorno  all'opuscolo  del  Witte  e  ad  alcune  altre 
pubblicazioni  si  di  Germania  che  di  altri  paesi  sopra  Dan- 
te, vedi  A.  Reumont  nella  Gazzetta  di  Stato  prussiana, 
1847,  N.«  26-28-29.  -  Reumont.  - 

Dante  Alighieri' s  lyrische  Gedichte.  Ubersetzt  und 

erklàrt  von  Karl  Ludwig  Kannegiesser,  und  Karl  Witte, 
Zweite,  vermehrte  und  verbesserte  Auflage,  Leipzig,  Brokhaus, 
1842. 

Eklogen,  ubersetzt  und  erkldrt,  Leipzig,  Brockhaus, 

1842. 

Dantes  Domino  Marocllo,  Marchiani  Malaspinae.  Epi- 
stola, Ilerausgegebenvon  Karl  Witte,  Leipzig,  Brockhaus,  1842. 

Della  Monarchia  di  Dante,  (nel  Giornale  Blatter 

fiir  literarische  Unterhallung,  4  Juin  1853.) 

Cento  e  più  correzioni  al  testo  delle  opere  Minori 

di  Dante  Allighieri,  proposte  agli  illustri  signori  Accademici 
della  Crusca  da  un  loro  Socio  Corrispondente,  Halle,  Hendel, 
1853. 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA.  701 

Innova  Centuria  di  Correzioni  al  Convito  di  Datìte 

AUiffhieri,  (Dedicala  al  Re  Giovanni   di  Sassonia)  Lipsia, 
Weigel,  185i. 

Observationes  de  Dantis  Epistola  nuncwpatoria  ad 

Canem  Grandem  de  la  Scala,  Ilalis.  Saxon.  Heynemann  (29 
Seti.  1855.) 

Dante,  und  die  italienisclien  Fragen.  Ein  Yortraff. 

(Dante  e  le  questioni  italiane,  lezione)  Halle,  1861  in  8." 

In  questo  scritto  viene  dimostrato  col  contenuto  delle 
opere  dell' AHighieri,  e  soprattutto  della  Divina  Comedia, 
quali  sono  le  relazioni  in  cui  stanno  le  di  lui  opinioni  colle 
questioni  che  ora  agitano  l'intera  Italia,  cioè  l'indepen- 
denza  ed  unità  della  penisola,  il  dominio  straniero,  e  il 
potere  temporale  dei  ponteiìci.  Esame,  nel  quale  anche  co- ] 
loro  i  quali,  o  in  un  punto  o  nell'altro,  non  consentono  al 
giudizio  del  chiarissimo  autore,  riconosceranno  lo  studio 
profondo  del  sommo  poeta  e  del  di  lui  tempo,  l'equità  e 
la  pacatezza  del  suo  sentire,  e  l'amore  che  porta  all'Italia.» 
Archivio  storico,  n.  27  p.  158. 

De  Bartolo  a  Saxo ferrato,  Dantis  AUujlierii  studioso, 
commentantiuncula.  Halle,  in  S.*' 

Contiene  il  comento,  maggiormente  polemico,  del  cele- 
i)re  Bartolo  intorno  alla  canzone  di  Dante:  Le  dolci  rime 
d'amor  che  solca;  stampalo  già  nel  libro  del  medesimo: 
De  dicjnitatihus  (Lipsia  1493).  -  Con  epistola  gratulatoria  al 
eh.  Lodovico  Pernice,  allora  prof,  diritto  e  commissario  regio 
nell'Università  di  Halle,  morto  pochi  mesi  dopo,  nel  181)1. 

Numerosi  sono  i  lavori  di  Carlo  Witte  sopra  l' AHighieri 
in  varj  giornali  tedeschi  inseriti.  Di  parecchie  opere  trat- 
temi di  quest'argomento  egli  diede  ragguaglio  in  un'analisi 
critica  stampata  w^iW  Uermes,  giornale  pubblicato  da  Broc- 
khaus  a  Lipsia,  1824,  No.  xxii,  p.  134-166  -  Dei  due  piti, 
antichi  commentatori  della  Divina  Comedia  egli  dissertò  negli 
Annali  di  Iclteratura  di  Vienna  (1828,  Voi.  XLIV.  pag.  1. 
43.)  recando  l'elenco  dei  codici  daini  conosciuti  dell'Otti- 
mo e  di  Jacopo  della  Lana.  In  un  articolo  sull'edizione 
della  Divina  Comedia  procurata  dagli  Accademici  della  Cru- 
sca Becchi,  ISiccolini,  Capponi  e  Borghi  (Fir.  1837),  inserito 
negli  Annali  di  critica   scientifica  Berlinesi,    i)fig.  038-656 


702   .  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMA.NNA. 

diede  un  analisi  dei  lavori  falli  sino  a  quei  lempo  sul  teslo 
del  Poema.  Del  Conviio  pubblicalo  a  Modena  da  ]F.  Cavaz- 
zoni  Pcderzini,  della  yUa  A'uova,  edizione  di  Pesaro  1829, 
procurata  da  L.  C  Ferrucci,  e  (ìeìV Ottimo  edito  da  A.  Torri, 
parlò  nei  medesimi  Annali  (183:3,  No.  91-93]  ;  articolo  in 
cui  disserta  anche  del  Cod.  Laurenziano  xl.,  7,  nel  quale 
egli  credè  già  avere  scoperto  il  comento  di  Ser  Graziolo: 
\qA\  Antologia,  1831,  Agosto;  e  Osservazioni  di  G.B.  Piccioli 
e  di  ìY.  Tommaasco,  \d.  Ottobre.  Tenendo  dietro  a  lutto 
quello  che  in  Italia  ed  altrove  si  sta  pubblicando  sopra 
Dante,  il  Witte  ha  dato  varie  analisi  dei  moderni  lavori, 
specialmente  nel  giornale:  Fogli  per  la  Conversazione  let- 
teraria di  Lipsia.  Merita  particolar  attenzione  la  disamina  del 
libro:  De  Monarchia  e  dell'epoca  in  cui  venne  composto; 
Vedi  Arch.  Star.  llal.  Append.  voi.  ix  pag.  602-608. 

«  M.  Charles  Witte,  professeur  de  droit  à  V  université 
de  Halle,  est  certainement  de  tous  les  dantophiles  de  notre 
àge  le  plus  fidòlc  à  sa  religion  ...  M.  Witte  s'esl  enfermé 
dans  les  (Buvres  d'Aligheri  comme  un  moine  dans  sa  cellule. 
Cella  continuata  dulcescit,  a  dit  l'auteur  de  V imitai ion  de 
Jésiis-Christ;  à  force  de  rester  dans  sa  cellule,  on  y  Irouve 
douceur  inlìnie.  Yoilà  Irente  ans  que  M.  Charles  Witte  habite 
la  sienne,  et  elle  lui  est  devenue  si  douce  qu'il  non  sortirà 
plus.  Si  vous  le  visilez  à  l' université  de  Halle,  il  vous 
montrera  sa  bibliothèque  dont  Alighieri  seul  a  fait  les 
frais;  loules  les  éditions  de  ses  oeuvres  depuis  l'édilion 
de  1472,  loules  les  traductions  de  la  Divine  Comédie,  Ira- 
duclions  lalines,  frangaises,  espagnoles,  anglaises,  alleman- 
des,  danoises,  hébraiques,  tous  les  commentateurs  depuis 
V  Ottimo  et  Boccace  jusqu'au  livre  public  hier  à  Florence 
ou  à  Paris,  à  Venise  ou  à  Berlin,  en  un  mot  tonte  la  lil- 
léralure  dantésquc  a  été  rassemblée  là  par  M.  Witte  avec 
l'exactitude  d'un  savant,  et  la  piété  d'un  levile.  On  dirait 
le  sancluaire  du  vieux  poète.  M.  Witte  est  si  profondément 
initié  à  tous  les  arcanes  de  Dante,  qu'il  a  fini  per  prendre 
plaisir  aux  détails  Ics  plus  minces.  Uno  pérlode,  un  vers, 
un  mot  lui  fourniraient  un  lexte  inépuisable.  Il  s'  occupe 
en  ce  moment  à  confronter,  à  collalioner  les  principaux 
manuscrits  de  la  Divine  Comédie,  el  savez-vous  ce  qu'il 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA.  703 

en  fair?  Il  les  groupe  comme  des  produclions  de  la  nature 
en  familles,  en  genres  et  en  espèces.  Ce  sont  là,  si  Fon 
veul,  les  enfantillages  de  la  plélé;  mais  M.  WiUe  ne  s'est 
pas  loujoiirs  amusé  à  de  pareilles  minulles,  ses  premiers 
travaux  révèlenl  un  critique  supérìeur,  et  personne,  je  le 
répèle,  n'a  salsi  comme  lui  le  lien  logique  et  lumlneux  de 
la  pensée  du  poòte  à  travers  ses  iluctuations  apparenles. 
Le  syslème  de  M.  Witte  est  adopté  aujourd'hui  par  les 
premiers  romanistes  de  l'Alemagne  (moins  Ruth)  ;  M.  Auguste 
Kopisch,  M.  Franz  Wegele,  M.Sclilosser  lui-méme  sont  entrés 
dans  la  voie  qu'il  a  ouverte.  Plusieurs  critiques  italiens, 
M.  Piccliioni,  M.  Giuliani,  d'autres  encore,  ont  accueilli  avi- 
(lement  les  vues  du  professeur  de  Halle,  et  les  ont  prepagées 
parmi  les  leltrés  de  la  péninsule.  Il  y  a  là  tout  un  évé- 
uement  litléraire.  Qu'a  dono  fait  M.  Witte?  Avant  Fauriel 
et  Ozanam,  M,  Witte  a  prouvé  que  les  Opere  Minori  de 
Dante,  la  YiUx  di  Dante  et  le  Convito  élaìent  Tintruduction 
de  la  Divine  Comédie,  et  que  ces  trois  ouvrages,  à  y  re- 

garder  de  près,  composent  un  lout Ce  n'est  pas  là 

cependant,  aux  yeux  de  M.  Charles  Witte,  le  seul  intérét 
que  présenlent  les  Opere  Minori;  la  Yila  Nuova  et  le 
Convito  unis  à  la  divine  Comédie  sont  pour  lui  une  sèrie 
de  mémoires  intimes  oli  le  poòle  nous  raconte  le  travail 
inlérieur  de  son  genie  et  la  transformation  de  ses  croyances. 
Avant  les  études  de  M.  Witte,  tout  était  obscur  dans  les 
opinions  d' Alighieri.  Était-il  sincère  quand  il  se  battait 
sous  le  drapeau  des  guelfes?  Obéissait-il  à  sa  conviction 
ou  à  d"  implacables  rancunes  quand  il  passait  dans  le  camp 
des  gibclins?  Aulant  de  questions  insolubles .  • .  Avec  une 
élévation  de  vues  vraiment  digne  du  sujet,  avec  une  force 
morale  qui  honore  l'homme  autaul  que  le  critique,  M. 
Charles  Witte  a  retrouvé  la  pensée  de  Dante;  e' est  là  son 
oeuvre.  D'autres  sont  venus  et  ont  complète  ses  indications. 
Je  citerai  au  premier  rang  M.  Wegele,  qui,  dans  la  Vie  ei 
Ics  (Buvres  de  Dante,  s'est  attaché  surtout  à  recomposer 
Ihistoire  intérieure  du  grand  poòle  florentin.  MM.  Witte 
et  Wegele  ont  obtenu  d'importans  résultals;  les  voici  en 
peu  de  mols.  Dante  n'a  pas  atlendu  sa  scntcnce  d'exil  pour 
devenir  giheliu  . . .  Saint-lkné  TaHlandier. 


704  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA. 

Di  Enrico  di  Lusscmbiir;;o.  -  Enrico  di  Lussemburgo, 
scrive  San  Renalo  Taillandier,  ha  una  parie  imporlanle  della 
vlla  del  poela,  e  si  dura  falica  a  comprendere  che  lanli  Co- 
menlalori  ahbian  trascurato  di  collocare  quella  singolare 
fisonoraia  nel  poslo  che  gli  conviene.  Dante  ed  Enrico:  il 
poela  e  llmperalore  sono  i  due  ultimi  tipi  di  una  stessa  idea. 
Presso  l'uno  l'inspirasione  è  cavalleresca,  teologica  presso 
l'altro,  ma  in  massima  è  le  stesso  sistema,  e  per  comprendere 
r  AUigliieri  e  la  sua  epoca  è  indispensabile  di  porli  a  affron- 
to. Enrico  di  Luxembourg  è  l'utopia  di  Dante  che  assume 
una  forma:  è  il  moderatore  d'Italia  che  invocava  nel  Convito 
e  nella  Monarchia,  è  l'uomo  ch'ei  collocherà  nelle  più 
raggianti  glorie  del  paradiso  e  ch'ei  chiamerà  il  grande  En- 
rico: Vallo  Arrigo. 

Tra  i  tedeschi  ne  scrissero:  Corrado  Wezer,  Segr.  nella 
Corte  di  Carlo  Y.  -  Libellus  de  rebus  gestis  Henrici  VII  Impe- 
ratoris-DiefJenbach  31.,  De  vero  mortìs  genere  ex  quo  Henricus 
VII  Imp.  obiit.  Francoforte,  1865.  -  Giov.  Paolo  de  Gundling, 
Gran-Maestro  delle  cerimonie.  Consigliere  intimo  e  Storio- 
grafo di  Prussia  sotto  il  re  di  Federigo  Guglielmo  1  :  La 
vita  di  Arrigo  VII,  1819.  -  Olenschldger  Joh.  Daniel  von: 
Geschichte  des  romischen  Kaiserthums  in  dem  vierzehnten 
Jahrhundert.  I.  Ildlfte.  (  Storia  deli'  Impero  Romano  nel 
XIY  secolo.)  Francoforte,  1755,  in  4.^  con  documenti.  Opera 
insigne  di  dotto  storico  e  pubblicista,  importante  sopra 
tutto  per  il  tempo  di  Arrigo  MI.  -  Mailer  i..  De  Vita 
Henrici  MI  Imper.  Romani,  Berlino,  18i28.  -  Barthold  F.  W. 
(mori  nel  1859,  prof,  di  Storia  nell'Università  di  Greifswalde 
in  Posnania)  -  Der  Ròmerzug  Kónig  Heinrichs  von  Liil- 
zelburg  (il  re  Arrigo  di  Lussenburgo  in  Italia),  1830-31, 
2  Voi.  -  E  divisa  in  sei  libri:  Il  1".  contiene  la  storia  po- 
litica d'Italia,  dalla  rovina  della  Casa  di  Svevia  fino  al 
1308:  il  2."  Arrigo  in  Germania,  e  i  preparativi  della  spe- 
dizione; il  3.^  L'arrivo  del  re  in  Italia,  e  gli  avvenimenti 
in  Lombardia  fino  al  Maggio  1311:  il  4.",  La  continuazione 
della  lotta  co'  Guelfi  lombardi,  le  cose  toscane  e  di  Genova, 
fino  al  febbraio  1312;  il  5.",  Il  soggiorno  del  re  a  Pisa, 
l'incoronazione  a  Roma,  l'assedio  di  Firenze,  e  il  campo 
invernale  a  Monte  Imperiale,   lino  al  Marzo   1313;  final- 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA.  70i) 

mente  il  6.^  il  princìpio  della  spedizione  contro  al  re  Ro- 
berto, e  la  morte  dell'  Imperatore,  cui  fanno  seguito  le 
nuove  misure  del  Papa  e  la  battaglia  di  Montecatini.  - 
Barthold  F.  W.,  Yerzeìchniss  der  Kostharheiten  im  Aachlass 
Kaiser  Ilemrichs  VII.  (Elenco  delle  preziosità  trovate  tra  gli 
averi  lasciati  da  Arrigo  VII  Imperatore  alla  sua  morte.) 
Articolo  inserito  nel  Giornale  per  la  conversazione  letteraria 
di  Lipsia  1849,  n.  Ìi^ò.-Donniges  W.,  (già  professore  di  scienze 
politiche  nell'Università  di  Berlino,  ora  Consigliere  intimo 
di  legazione  del  re  di  Baviera)  Ada  Henrici  VII  Imperaloris 
liomanorum,  et  monumenta  quaedam  alia  mcdii  aevi,  nunc 
primum  luci  dedit  ;  Berlino,  1839.  -  Dai  Mss.  originali  del- 
l'Archivio di  Torino,  contenente:  Libri  consiliarii  sive  Com- 
menlarii  actorum  in  curia  Henrici  VII  (colle  legazioni  e 
relazioni  )  ;  Ada  reyistraia  seu  transsumpla  in  libros  curiales; 
Diplomata  quae  ad  historiam  Henrici  Vii  spectant  ;  varii 
documenti  in  relazione  colla  storia  dell'  Imperatore.  -  Don- 
niges  W.,  Geschichte  des  teutschen,  ecc.  (Storia  dell'Impero 
Germanico  nel  secolo  XIV,  dall'  Imperatore  Arrigcf  VII  lino 
alla  morte  di  Carlo  IV,  1308-1378.  -  Prima  sezione  e  prima 
parte.  -  Critica  delle  fonti  per  la  storia  di  Arrigo  di  Lus- 
semburgo.) Berlino,  1841,  in  8.°  -  Bolimer  J.  Fr.,  Regesla 
regimi  atque  Imperatorum  romanorum  inde  a  Conrado  1. 
usque  ad  Heinricum  VIJ,  Francoforte,  1831.  -  Jd,  Uegesta 
Impera  inde  ab  anno  3ICCXLVI  usque  ad  annum  MCCCXIII 
(sotto  Enrico  Raspe,  Guglielmo,  Riccardo,  Rodolfo,  Adolfo, 
Alberto  ed  Arrigo  VII),  Stuttgarda,  1844.  -  Additamentum 
primum,  Stuttgarda,  1846.  -  Additamentum  secundum,  Stutt- 
garda, 1847.  -  Kopp  J.  Zi'.,  Heinrich  der  Siebente  ah  Kònig 
und  Kaiser  und  scine  Zeil.  (Arrigo  VII,  come  re  ed  Impe- 
ratore, e  il  suo  tempo.)  Lucerna,  1854  in  8.^  -  Kopp  J.  E., 
Kaiser  Heinrich  VII  ist  nicht  vergi flet  worden.  (L'Impe- 
ratore Arrigo  VII  non  è  stato  avvelenato.)-  Kopp  J.  E., 
Urhunden  aus  Pisa.  (Documenti,  facienti  parte  delle  carte 
della  Cancelleria  imperiale  rimaste  a  Pisa  dopo  la  morte  di 
Arrigo  VII.)  -  Ròhmer-Biichner  Doti.  Die  Wahl  und  Kronung 
der,  ecc.  (L'elezione  e  l'incoronazione  degl'Imperatori  ger- 
manici a  Francoforte  sul  Meno),  Francoforte,  1858.  -  Di 
particolare  importanza  iu   questa  opera  è  la  storia  della 

VOL.  11.  43 


706  BIBLIOGRAFIA  DAMESCA  ALEMANNA. 

elezione  Arrigo  VII  traila  dal  Codice  Baldovino  dell'Archivio 
di  Coblenza,  compilalo  nel  1353  dall' Arcivescovo-Elettore 
Baldovino,  fratello  del  Lussemburghese.  -  Ostreich  Zur 
Geschichle  des.  ieuschen  Reichs  unter  Kaiser  Henrich  Vii. 
(Saggio  sulla  storia  dell'Impero  germanico  sotto  Arrigo  VII 
Imperatore,  -  Rossel,  1855,  Programma  Scolaslico.)  -  Wyss 
G.  voti.  Graf  Wernhcr  von  Uomberg  ecc.  (11  co.  Guarnieri 
di  Homberg,  capitano  generale  imperiale  in  Lombardia  al 
tempo  di  Arrigo  YII.)  Zurigo,  1860. 

E  da  tenersi  gran  conto  del  giudizio  che  intorno  ad 
Arrigo  YII  ed  agli  sforzi  suoi  per  restaurare  1'  antica  maestà 
dell'  impero  pronunzia  il  Droysen  nella  storia  politica  Prus- 
siana (\'ol.  L,  Berlino,  1833,  p.  152),  giudizio  che  accostan- 
dosi all'  idea  dantesca  nel  modo  più  esplicito,  contraddice 
alle  vedute  di  coloro  che  nel  Lussemburghese  altro  non 
iscorgono  se  non  un  visionario.  -  Si  connette  alla  storia 
di  questo  Imperatore  parte  vistosa  dell'  opera  che  ha  per 
tìtolo:  Baldcwin  von  Lutzelburg,  Erzbischof  und  Kurfurst 
von  Trier,  von  Al.  Domìnicus.  (Baldovino  di  Lussemburgo, 
arcivescovo  ed  elettore  di  Treviri.)  Coblenza,  1802  in  8.°; 
opera  premiata  dalla  Commissione  storica  della  R.  Accade- 
mia di  scienze  di  Monaco.  (Nell'Archivio  provinciale  di 
Coblenza  esiste  la  raccolta  dei  documenti  spettanti  al  go- 
verno di  Baldovino,  da  lui  medesimo  ordinata,  con  aggiunta 
di  73  disegni  rappresentanti  i  fatti  della  storia  sua  e  di 
quella  di  Arrigo  VII  Imperatore.) 

Anche  il  nostro  insigne  prof.  Bonaini  ci  promise  le  Re- 
gesta del  Lussemburghese.  [N.  Alcuni  documenti  inediti  di 
Arrigo  VII  negli  xinnali  dell'  Università  toscane.  Voi.  1. 
Pisa,  1843.)  -  Del  sepolcro  di  Arrigo  a  Pisa,  e  di  alcune 
memorie  dei  suoi  seguaci  in  Santa  Maria  Araceli  sul  Cam- 
pidoglio di  Roma,  nelle  Neue  rómische  Briefe,  1. 150,  210.  - 
Della  morte  di  Arrigo  VII  veggasì  a  pag.  55. 

Di  Fra  Dolcino.  -  Krone  JuLy  Fra  Dolcino  und  di$ 
Patarener  ;  historische  Episode  aus  den  piemontesischen 
Religionskriegen.  Mil  kirchen-cultur-und rechtsgeschichtlichen 
Erlduterungen  nach  Originalquellen.  (Fra  Dolcino  e  1  Pa- 
lareni,  Episodio  storico  della  guerra  di  religione  nel  Pie- 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  ALEMANNA.  "07 

monte;  con  commentario  sulla  Storia  Ecclesiastica,  dello 
incivilimento  e  del  diritto,  tratti  da  fonti  originali,)  Lipsia, 
1844. -Opera  composta  principalmente  coli' aiuto  del  libro 
pubblicato  sopra  Fra  Dolcino  dal  prof.  G.  Baggiolini  Vercellese, 
Novara,  Artaria,  1838. 

Schlosser  C  F.,  Abalard  und  Dolcìn,  oder  Lehen  und 
Meinungen  eiìies  Sch.warmers  und  eines  Filosofen.  (Abelardo 
e  Dolcino,  ossia  no  vite  ed  opinioni  di  un  entusiasta  e  di 
un  filosofo.)  Gota,  Klcl,  1807. 

Di  Celestino  V.  scrisse  il  Conz  e.  P.,  Peter  von  Morone 
oder  Papst  Colestìn  V.  (Pier  da  Morone,  ossia  Papa  Celestino: 
Ne'  piccoli  scritti  prosaici  dell'  autore,  1825.) 

Di  Bonifacio  VIIJ.  -  Ilofler  Const  ,RuckblÌck  auf  P.Bo- 
nifacius  Vili  und  die  Lileratur  seiner  Geschichte  ecc.  (Occhiata 
sopra  Papa  Bonifazio  YIII  e  la  letteratura  della  sua  storia; 
con  un  documento  importante  tratto  dall'Archivio  Vaticano. 
Negli  Atti  della  II.  Accademia  delle  scienze  di  Monaco; 
Classe  storica,  1843,  Xoì.Wll.)- Drumann  W.,  Geschichte 
Bonifacìus  des  Achten  (Storia  di  Bonifacio  Vili),  2.  voi.  in 
8.,  Konigsberga,  1862.  -  L'autore,  già  professore  e  Kognig- 
sberga,  cui  dobbiamo  una  pregevole  storia  di  Roma  negli 
ultimi  tempi  della  Repubblica,  si  è  ingegnato  di  produrre 
un  quadro  generale  dell'azione  esercitata  dalla  Santa  sede 
sul  mondo  Cristiano  verso  il  principio  del  Trecento.  (V. 
Lilerarisches  Centralblatt,  1852,  N.  38.)  -  La  storia  del  Pon- 
tilìcato  di  Bonifacio  Vili  del  P.  Luiffi  Tosti,  Cassinese, 
(Mante  Cassino,  1846.)  venne  tradotta  intedesco  col  titolo: 
Geschichte  Bonifacìus  des  Achten  und  ciner  Zeit.  Aus  des 
Italienischeny  2.  vol.,'Tubinga,  1848-49.-  {\.  Difesa  di  varii 
punti  della  vita  di  Bonifazio  Vili  di  Mons.  Avicolo  If'ise- 
man.  -  Inf.  x\vii.22;  Purg.  x\.  86,  80.  -  Negli  Annali  delle 
scienze  religiose  di  Roma,  XI.  257-281.  -  Bonifazio  Vili  e 
Dante  Allighieri,  discorso  di  3Ions.  Agostino  Peruzzi,  Bolo- 
gna, tip.  della  Volpe,  1842.  -  Dfinte  ambasciatore  de'  Firen- 
lini  a  Bonifazio  Vili,  per  Ottavia  Giglio  Roma,  PuccincUi, 
1840.) 

Anche  negli  storici  alemanni   delle  varie  lelleralure  si 


708  ,    BIBLIOGRAFLA  DANTESCA  ALEMAN>A. 

potranno  trovare  de'  giudizi  sul  nostro  poeta.  Veggasi  il 
Burckhardt  Jac.  (Basilea);  il  Bauterweck  (Gottinga,  1800); 
il  Blanchard  (  Pesth,  1805);  V  Ebert  (  Morburgo,  1854); 
ì'Emmert  (Giesse,  1818);  il  Genthe  (Magdeburgo,  1832);  il 
(fVassc  (Dresda,  1837-U):  il  (/Vo/imaj^n  (Lipsia,  179G);  Vlde- 
ler  (Berlino,  1800-102);  il  Jageman  (Lipsia,  1777-1781);  il 
Juclier  (Lipsia,  1750);  \ì  Meinhard  (Brunswicli,  1774); 
VOrelli  (Zurigo,  1810);  il  Baumer  (Stultgarda,  1843-55, 
1855-62);  il  Banke  (Berlino,  1837);  il  Ruth  (Lipsia,  1854-47); 
il  Wolf  (Berlino,  1860). 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  INGLESE 


Barlow  Henry  Clark,  La  Divina  Comedìa.  Remarks  on 
the  readinrj  of  the  Fifty-mìnth  verse  of  the  fìth  Canto  of 
the  Inferno,  1850.  (Sul  verso  59  del  e.  v.  dell'Inferno.) 

L'importante  discussione  insorta  nel  1836  sulla  retta 
lezione  di  questo  verso  dall'  Ab.  Federici  di  Milano  e  che 
ha  tanto  occupalo  i  critici  d' Italia  e  di  Alemagna  venne 
ripresa  dal  Barlow. 

Francesca  da  Rimini.   lìer  lament  and  vindication 

with  a  brief  of  the  Malatesti,  London,  David  Nuli,  1859. 

7/  qran  rifiuto.  What  it  was  who  made  it,  and  how 

fatai  to  Dante  Allighieri,  Disertatìon  on  verses  fifty  to  Sixtus- 
Three  of  the  thind  Canto  of  the  Inferno,  London,  Trùbner 
et  co.  60  Paternoster  Row,  1862. 

Il  Barlow  confutando  l'opinione  comune,  riconosce  in 
eoAù  che  fece  il  gran  rifiuto  non  già  Celestino  V  ma  Vieri 
de'  Cerchi  capo  di  parte  bianca  in  Firenze  ai  lempi  del- 
l'Allighierl;  opinione  confutala  dal  prof.  Fabio  Nannarelli, 
Centen.  di  Dante,  p.  225. 

Il  Co.  Ugolino  e  V  Arcivescovo  Buggieri,  a  Sketch 

from  the  Pisa  Chronicles,  London,  id.  1862. 

The  Young  King  and  Bertrand  de  Born,  London, 

id.  1862. 

«  M.  Barlow  a  étudié  le  lexle  de  Dante  avec  la  finesse 


BIBLIOGRAFIA    DANTESCA  INGLESE.  709 

d'  un  Ilalien  et  la  cosciencc  d'  uu  Allemaiid.  »  -  Saint-René 
Taillandier. 

Il  valente  ed  instancabile  dantofilo  Barlow  ha  pure  pub- 
blicato un  lavoro,  in  cui  prende  a  mostrare  che  Dante 
visitò  r  Inghilterra,  Londra,  l'università  di  Oxford,  ecc.  Ed 
ei  francheggia  la  sua  opinione  coli' autorità  del  Boccaccio, 
che  in  alcuni  versi  latini  indirizzati  al  Petrarca,  con  una 
copia  del  poema,  riferisce  che  Dante  si  recò  a  Parigi  e  in 
Inghilterra  :  Parisios  dudum,  exfremosqiie  Britannos.  Alla  cui 
autorità  aggiunge  pur  quella  di  Fra  Giovanni  di  Serravalle 
che  scrisse  :  Dante  se  in  juventule  dedit  omnibus  ariibus 
lìberalibus,  sludens  cas  Paduae,  Bononiae,  dcmum  Oxoniis 
[Oxford]  et  Parisiis  ubi  fecit  multos  actos  mirabiles.  -  Ap- 
presso ci  viene  parlare  dei  venti  codici  preziosissimi  posseduti 
dalla  famosa  biblioteca  Bodleiana  di  Oxford,  fra  quali  ri- 
tiene più  importanti  il  Codice  segnato  di  tre  numeri  103, 
106,  107,  e  i  Codici  109,  108,  97,  103,  9o,  e  46.  -  Egli 
ci  lascia  da  ultimo  a  sperare  uu  catalogo  accurato  dei 
Godici  italiani  della  raccolta  Canonici  dei  manoscritti  lasciati 
dal  conte  Mortara,  dal  quale  si  potrà  vedere  quali  tesori 
italiani  accolgansi  nella  Bodleiana. 

Byuon  Lord  Giorgio,  La  Profezia  di  Dante. 

«  Quand'io  partii  da  Venezia,  Byron  promise  di  visitarmi 
a  Ravenna;  la  tomba  di  Dante,  la  classica  pineta  e  le  an- 
tiche reliquie  erano  uìì  bastevole  pretesto  porch"  io  lo  invi- 
tassi ed  egli  tenesse  l'invito.  Egli  venne  nel  Giugno  1819,  e 
giunse  a  Ravenna  il  di  della  festa  del  Corpus  Domini.  Egli 
era  privo  de' suoi  libri,  de' suoi  cavalli,  di  lutto  quanto  io 
occupava  a  Venezia,  ed  io  lo  pregai  di  scrivere  qualche  cosa 
J5U  Dante.  Colla  facilità  e  colla  rapidità  sua  abituale,  compose 
la  Profezia.»  -Cosi  parla  la  contessa  Guiccioli,  e  di  rado 
tanta  poesia  della  vita  venne  per  uno  scrittore  ad  unirsi 
colla  solitaria  poesia  della  mente.  E  impossibile  leggere 
queste  linee  e  le  cantica  di  Byron  senza  pensare  al  come 
e  dove  fu  scritta,  all'ispirazione  <!el  poeta  nel  silenzio  di 
(juelle  città  italiane  piene  di  memorie  e  inondate  di  sole, 
e  sotto  l'inllusso  della  più  nobile  pas?ione  che  abbia  oc- 
cupalo il  suo  cuore,  dopo  quella  della  Grecia  e  delia  libertà.  - 
Dante  e  l'Italia  su-io  la  duplice  ispirazione  di  questa  cantica. 


710  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  INGLESE. 

Danto,  la  cui  grande  figura  appare  sulla  soglia  dell' Italia 
inlclietluale,  ed  il  cui  libro,  scritto  ne'  pellegrinaggi  dello 
esiglio,  doveva  alla  sua  volta  pellegrinare  con  tanti  pro- 
scritti I  L' Italia  in  cui  Byron  non  ha  solo  sentito  lo  splendore 
della  natura  o  la  plastica  poesia  dell'arte,  ma  anche  il 
dolore  degli  uomini,  le  ingiustizie  della  sorte,  e  le  grandi 
malinconie  della  storiai  In  questa  Profezìa  il  pensiero 
predominante  di  Byron  è  quello  ch'esce  da  tutta  la  storia  ita- 
liana, dall'  eterno  disaccordo  fra  tanta  civiltà  d'arte,  di  scienza 
e  di  poesia  e  cosi  indeprecabile  ira  dei  destini  nazionali.  Quando 
gli  giungono  sulle  labbra  i  nomi  di  Petrarca,  di  Torquato,  di 
Michelangelo,  gli  trabocca  eloquentemente  dall'animo  quella 
sua  amara  e  sdegnosa  mestizia.  Così  è,  pur  troppo.  Anche 
Byron,  vide  lungo  le  vicende  del  tempi  il  pensiero  italiano, 
essere  sempre  accanto,  alla  vera  storia,  l'altra  storia  glo- 
riosa e  lamentosa  d'un  Italia  ideale,  e  udì  questo  grido  di 
dolore  che  sorge  dai  secoli,  qaesto  coro  desolato  di  poeti, 
di  filosofi,  d'artisti  che  dimandano  la  patria,  come  le  que- 
rule torme  degli  abitanti  di  una  distrutta  città  che  apparvero 
a  Cesare  in  sogno  patriam  cìamantes- Crepuscolo,  1846,  p. 468. 

Bruge  Wuyte,  Examen  et  traduction  anglaise  de  pleusieurs 
catizoni  e  sonets  de  Dante.  (Continetur  ejusdem  libro:  ÌJi- 
sloire  des  langues  Romanes,  ecc.  Paris,  Treuttel  et  Wiirtz, 
1841.) 

Carlile  John,  A  hrlef  Account  of  the  most  remarhabìe 
3fanuscripts,  Edclìons,  Comments  and  Translations  of  Dante' s 
Divine  Comedy,  London,  Chapman,  1849. 

Carlyle  Thomas,  On  heroes  hero-worship,  and  the  ìicroie 
in  history. 

«  Thomas  Carlyle  a  place  le  Florentin  dans  ce  petit 
groupe  de'hérosquireprésentent  pour  lui  l'histoire  entière 
du  monde,  entre  les  prophètes  et  les  prétres,  le  poète  de 
la  Divine  Comédie  est  dessiné  et  peint  en  traits  de  fiam- 
me ...  En  Angleterre,  M.  Thomas  Carlyle,  M.  Cary,  M.  Bar- 
low  voilà  les  hommes  qui  ont  pénétré  le  plus  avant  dans 

l'intelligence  du  vieil  Alighieri Que  de  scènes,  que 

de  paysages,  que  de  portraits  inspirés  par  cette  unique 
pensée  et  développés  avec  une  variété  incomparablel  On 
ne  tlent  compte  ordinairement  que  d'  un  petit  nombrc  d'é- 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  INGLESE.  711 

pisodes  emprunlés  à  V  Enfer,  grave  erreur  doni  Thomas 
Carlyle  a  fail  justice.  L' intérél  de  ces  visions  ardentes,.  l'in- 
lérét  du  Purgatoire  et  du  Paradis,  aussi  bien  que  de  VEnfer, 
e' est  la  passion  du  poèle  qui  y  éclate  sous  maintes  formes; 
il  y  a  là  une  àtne  qui  souffre,  qui  prie,  qui  jelle  des  édairs. 
Ne  la  perdoiis  pas  de  vue,  et  nous  comprendrons  mieux 
la  sublimile  de  ses  conceptions.  Satires  impitoyables  et 
mystiques  ravissemens,  tout  prend  alors  une  signification 
plus  précise.  L'harmonie  de  son  oeuvre,  retrouvée  par  la 
critique,  donne  une  valeur  inaltendue  à  toutes  les  parlies 
qui  la  composent.»  Saint-René  Jae7/an(/«<?r.  -  Y.  p.  529. 

Croos  Maurice.  Sludìo  su  Dante  -  Nel  Giornale  Selections 
fromthe  Endiburgh  Review,  London,  Longman,  1833. 

CuuRCH  W.  Essai  su  Dante,  London,  18o3. 

Dante  by  R.  W.  Cliurch  M.  A.  late  fellow  of  Orici 

College  Oxford,  London,  1854. 

La  teologia  metafisica  di  Dante,  secondo  il  Churcli,  sta 
tutta  tra  il  platonismo  cristiano  di  S.  Agostino  e  il  realismo 
pratico  della  scuola  italiana.  Toglieva  egli  dal  primo  le 
idee  e  i  simboli  di  che  s'informa  l'edificio  spirituale  della 
sua  poesia,  il  concetto  fondamentale  della  relazione  tra  Dio 
e  le  cose  create,  la  dottrina  della  grazia,  sebbene  tempe- 
rata dalla  coscienza  del  libero  arbitrio;  ritenevalo  il  secondo 
dalle  speculazioni  nelle  incomprensibili  regioni  del  dogma, 
e  d'ogni  dubbio  posto  oltre  i  confini  dell'intelletto  razionale, 
faceagli  rimettere  la  soluzione  alla  Fede.  Di  qui  la  necessità 
di  studiare  nell'Allighieri  queste  due  disposizioni  che  si 
contempcravano  con  forze  proporzionate  nell'animo  suo,  la 
realità  e  V  idealità.  Il  Church  accenna  tutte  le  circostanze 
della  vita  pubblica  e  privala  che  più  direttamente  influirono 
su  Dante,  e  come  uomo  politico  e  come  scrittore,  entra 
nella  storia  del  iMedio-Evo,  parla  delle  fazioni  che  dalla 
discesa  di  Carlo  di  Yalois  sino  all'esigilo  di  Dante  trava- 
gliarono r  Italia,  fa  un  confronto  tra  il  poeta  della  Vita 
Nuova  e  della  Divina  Comcdia,  parla  dei  molteplici  sensi 
dell'allegoria,  delle  qualità  estetiche  del  grande  poema,  fa 
cenno  de'  materiali  somministratigli  dalla  Bibbia,  dal  Nuovo 
Testamento,  dai  riti,  dalla  poesia  vivente  della  Chiesa  e 
che    pur  conferirono    alla   creazione  dantesca,   ed  indagai 


712  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  INGLESE. 

motivi  che  indussero  il  poeta  a  vestire  il  suo  poema  delle 
forni»  volgari.  Per  il  Sig.  Curch  il  poema  di  iDanle  è  il  primo 
poema  cristiano,  che  iniziò  la  nuova  letteratura  europea, 
come  quello  di  Omero  iniziò  quella  di  Grecia  e  di  Roma  ; 
esso  rivelò  la  prima  volta  all'Europa  cristiana  e  moderna 
che  aver  dovea  una  letteratura  spontanea,  una  lette- 
ratura grande  e  degna,  sebbene  vestita  d'idiomi  volgari,  e 
sostanziata  d'idee  sue  proprie.  Questo  saggio  del  Curch  è 
per  fermo  una  delle  più  notevoli  produzioni  inglesi  con- 
temporanee su  tale  argomento. 

Garrow  Joseph,  Tlie  early  li  fé  of  Dante  ÀlUjhieri  lo- 
fjcther  with  the  originai  in  paralleles  pages,  Florence.  Le 
Monnier,  1846. 

«Le  dernier  traducteur  anglais,  M.  J.  Garrow,  a  été  plus 
conséquent;  décide  à  ne  voir  aucune  allégorie  dans  lelivre 
de  Dante,  mais  seulement  un  récit  des  extases  de  son  en- 
fance,  il  traduit  simplement  early  life.  -  Sanit-René  Tail- 
landier. 

Griffin  Edmond,  Criticism  of  poem  of  Dante.  (Romains, 
of  the  Edmund  Griffin,  New-York,  1831.  -  V.  The  ISort 
American  Iteview,  Boston,  1833.  27.  500-536. 

Israeli  ...  The  origine  of  Dantes  Inferno.  (  A  second  Series 
of  curiosites  of  literatiire.)  London,  Murray,  1823. 

Questo  articolo  si  riferisce  alla  visione  d'Alberico,  8 
massimamente  a  quella  di  Carlo  il  Grosso. 

IIallam  F,  Arthur  Henry,  Rcmains  in  verse  and  prose^ 
1843. 

Arturo  Hallam  in  una  sua  erudita  dissertazione  prende 
a  confutare  l'ipotesi  del  Rossetti  sull'allegoria  politica  della 
Divina  Comedla,  e  l'opinione  che  Beatrice  non  abbia  mai 
esistito  se  non  qual  mito  della  fantasia  del  poeta. 

Landor  Savage  W.  Dante  and  Beatrice.  (Articolo  inserito 
nel  IJoods  Magazine)  for  March,  London,  Renshaw,  1845  (e 
riprodotto  nel  Thè  London  and  Paris  Ohserver^  1845.  p. 
186-187.) 

Sopra  Dante.    (  The  Pentameron    and  Penlalogia, 

London,  1837.  -  Lavoro  analizzato  nella  Quaterly  Pievicw^ 
LXiv,  396  -  407  ) 

Leight  Hunt,  Dante;   or  the  llalian  pilgrinis  progress-^ 


BIBLIOGRAFIA  DANTESCA  INGLESE.  713 

being  a  Summary  in  prose  of  the  Inferno,  Purgatorio, 
and  Paradiso,  Wìth  comments  Iroughout,  occasionai  passages 
tersificd,  and  a  criticai  ISotice  of  the  authof  s  life  and 
genius,  London  Chapman,  1845. 

È  la  più  gran  parte  del  tomo  primo  delle  Stories  from 
the  Jtalian  poets  del  medesimo  scrittore. 

Lyell  Carlo,  On  the  Anti-papal  spìrit  of  Dante  Allighieri, 
London,  1842.  (Dello  spirilo  catlolico  di  Dante  AHighieri.  - 
Venne  tradotto  dall'inglese  da  Gaetano  Polidori,  London, 
C.  F.  iMolini,  1844,  in  4."  pie.  di  xxx-246  fac. 

Dante's  Canzoniere  including  the  poems  of  the  \ita 

?\ova  and  Convito,  London,  Molini,  1835,  1842. 

MartIxN  T.,  The  Vita  JSiiova  of  Dante,  translated  with 
an  Inlroduction  and  JSotes,  London,  1861. 

Rossetti  D.  G.,  The  early  italian  Poets  from  Cìullo 
d' Alcamo  to  Dante  Alighieri  in  the  originai  metres  logethcr 
with  Dante's  Vita  i\uova  translated,  London  18i)l. 

SiMPsoN  Leonardo,  The  liierature  of  Italy, 

11  Taillandier,  lo  chiama  un  érudit  estimable.-M.  Léonard - 
Francis  Sìmpson  a  essayé  lui  aussi,  une  analyse,  détaillée 
du  poéme  de  Dante.  Son  travail  bien  moins  étendu  qae  col  ni 
de  Lamennais  embrassé  d' une  vue  moins  haute,  noiirri 
d'  une  science  bien  moins  varice,  est  cependant  une  a^uvre 
consciencieuse  et  d'utile  emplai.  E.  D.  Forgues. 

Yernon-Warren  Giorgio  Giovanni. 

Lord  Vernon  è  uno  de'  più  appassionati  ammiratori  del 
nostro  grande  poeta,  cultore  zelantissimo  e  promotore  ge- 
neroso dogli  studi  danteschi.  Se  l'Italia  ha  per  le  stampe 
il  Comcnto  di  Pietro  AlUghieri,  le  Chiose  sopra  Dante,  il 
Comento  alla  Cantica  delV Inferno  di  Autore  Anonimo,  le 
Chiose  attribuite  a  Jacopo  AlUghieri  a  lui  solo  se  ne  debìve 
il  merito,  e  dal  canto  nostro  una  devota  riconoscenza.  Ki 
ci  dava  inoltre  una  magnifica  edizione  delle  quattro  stampe 
principi  della  Divina  Comedia  (1858);  e  da  lui  pure  atten- 
diamo una  novissima  edizione  del  poema  immortale,  con 
ricchissime  illustrazioni. 

Wright  Thomas,  St  Patricli's  Purgatory  ;  an  Essay  on 
the  legends  of  Purgatory,  Hell,  and  Paradise,  current  du- 
riny  the  middle  Ages^  London,  RusseH  Snìilh  1844. 


714  BIBLIOGRAFIA  DANTESCA     INGLESE. 

Opera  mollo  dotta  e  utile,  a  consultare  per  lo  studio 
del  ciclo  poetico  e  leggendario  al  quale  appartiene  11  poe- 
ma di  Dante.  La  sua  importanza  fu  messa  in  bella  luce 
dalla  Revue  de  bihliotjraphie  analyliqiie,  1844,  p.  340-343. 

CODICI  PIÙ  ILLUSTRI 

DELLA  DIVINA  COMEDIA 

Firenze.  -  L.aurcnzBana.  -  La  Laurenziana  va  ricca  di  ben 
87  Codici  ;  50  del  sec  XIV  ;  37  del  XV.  -  Parecchi  prendono 
il  nome  onde  vennero,  cioè  di  S.  Croce,  Gaddiani,  Tempiani, 
Strozziani,  Mediceo-Palatiniy  Acquistati,  Della  Badia  di  Fi- 
renze, della  Ss.  Annunziala.  Illustratore  ne  fu  il  Bandinì. 
Fra  questi  sono  insigni:  il  Codice  cartaceo  di  S.  Croce, 
detto  anche  Codice  Villani,  o  di  Frate  Tebaldo  (Plul.  xxvi. 
Sin.  N.'^i.)  in  foglio  grande,  del  secolo  XIV,  di  212  pagine, 
con  larghi  margini,  di  bellissima  lettera,  in  caratteri  grandi 
ed  ottimamente  conservato.  Ha  pure  alcune  Postille  margi- 
nali, non  che  varianti  marginali  ed  interlineari  assai  nume- 
rose. A  detta  del  fìatines  è  assai  prezioso.  -  Di  questo 
Codice  così  sentenzia  il  Witte  :  x  il  Dionisi  lo  preferiva,  e 
per  quel  ch'io  credo  a  ragione,  a  tutti  gli  altri.  Per  ben 
due  volte  presenta  la  data  del  1343.  L'una  di  esse  si  leg- 
geva sull'antica  coperta  del  Mss.,  ma  è  senza  dubbio  di 
piano  assai  più  moderna,  e  dovrebb' esser  aggiunta  dopo 
ia  morte  di  Fra  Tebaldo  della  Casa,  il  quale  almeno  nel 
1406  era  ancor  vivente.  L'altra,  posta  nel  fine  dell'opera, 
completa  in  festo  S.  Aìinae  26  di  Luglio  in  quo  dux  Athe- 
narum,  Gualterius  tyramnus  civitatis  Florenliae  pulsus  est, 
1343,  fu  creduta  dal  Batines  della  mano  del  copista.  Né  può 
cader  dubbio  sullo  scrittore:  la  soprascritta  dell'antica 
coperta  lo  dice  scritto  per  mano  di  Messer  Filippo  Villani,  r) 
(Secondo  il  Witte,  non  di  Filippo  Villani,  il  Comentatore, 
che  visse  SHioall405,  ma  di  Filippo  fratello  degli  storici  che 
si  trova  ricordato  in  un  contratto  del  23  Maggio  1343,  e 
nel  1324  fu  de' Signori  di  Firenze.)  Il  Witte  si  attenne 
sovrattutto  alV  autorità  preponderante  di  questo  Codice  per 
la  sua  edizione  della  divina  Comedia.  (Berlino,  Decker,  1862.) 
Io  8on  persuaso,  egli  aggiugneva,  che  nuovi  editori  do- 


CODICI  PiU  ILLLSTRI  DELLA  D.C.  715 

vranno  più  strettamente  seguire  questo  purgatisslmo  Codice, 
e  se  dovessi  rifare  il  lavoro,  molte  delle  sue  lezioni  che 
ora  occupano  i  margini  sarebbero  addottale  nel  testo.  -  K 
altrove:  Per  la  correzione  del  testo  e  pel  carattere  primi- 
tivo delie  lezioni  nessuno  supera  anzi  agguaglia  il  Mss.  di 
Filipi^o  Villani.  Primo  a  richiamarvi  F  attenzione  fu  Donir- 
nìco  Manni  nel  1740 ...  Io  mi  diedi  a  copiarlo  letteralmenle 
nel  mese  di  settembre,  e  dopo  la  mia  partenza  con  iscru- 
polosità  non  minore  fu  condotto  a  termine  dall'accuratissimo 
Sig.  G.B.  Uccelli.  -  Il  Tempiano  3Iar/rfiore,  la  Divina  Comedia, 
bellissimo  Codice  membranaceo,  in  foglio  grande,  della  fine 
del  secolo  XIV,  legato  alla  Laurenziana  dal  Marchese  Tempi, 
di  antica  lezione,  e  adorno  di  vaghissime  miniature.  Il  Ba- 
tines  dice  d' aver  veduto  pochi  Codici  che  gli  possano  essere 
agguagliati.  Il  Becchi  confessa  di  averne  tratto  grande  van- 
taggio  per  la  sua  edizione  di  Firenze.  Le  principali  varianti 
di  questo  Codice  furono  notate  anche  dal  Montani.  A  questo 
Codice,  dice  il  Witte,  si  vuole  aggiustare  la  data  del  1328. 
Al  giorno  d'oggi  tutti  concordano  a  leggere  nelle  sottoscritte 
del  Purgatorio  e  del  Paradiso  1398  invece  di  1328.  Anche 
il  Witte  lo  ritiene  senza  dubbio  uno  elei  testi  più  corretti 
del  poema.  -  La  Divina  Comedia  col  Cemento  italiano  del- 
l' Ottimo  (  Plut.  XL.  n.  xix  ),  bel  Codice  membranaceo,  in  foglio 
grande,  del  secolo  XIV,  di  175  carte,  in  carattere  tondo 
mezzo  gotico,  di  bellissima  lettera  e  ottimamente  conservato. 
Questo  prezioso  Codice  fu  spogliato  dal  Perazzini  nel  1789, 
e  consultato  dagli  editori  dell'incora.  -  La  Divina  Comedia, 
col  Comento  italiano,  detto  dell' Arciv.  Visconti,  {?ìuì.\l.  n.i.). 
Codice  in  parte  membranaceo,  e  in  parte  cartaceo,  in  foglio, 
del  secolo  XV,  di  339  carte  a  2  colori,  in  carattere  mezzo 
gotico:  è  fregiato  di  pitture  di  assai  buona  maniera  e  tal- 
volta singolari  che  il  Mehus  propone  a  modello  di  una 
edizione  figurata  della  divina  Comedia.  -  La  Divina  Comedia 
(Plut.  XL.  n.  ut.),  magnifico  Codice  membranaceo  in  foglio, 
del  secolo  XV,  bellissimo  ed  elegantissimo  di  246  carte  in 
grandi  lettere  tonde  mezzo  gotiche.  La  prima  carta  di  cia- 
scuna Cantica  è  fregiata  di  una  bella  miniatura  e  di  ricchi 
rabeschi.  Graziose  iniziali  a  oro  e  colori,  argomenti  in  lettere 
d'oro  (che  non  vanno  oltre  al  C.  x  del  Paradiso)  stanno 


716  CODICI  PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C 

in  principio  d'ogni  Canio;  altre  piccole  iniziali  Irovansi  in 
principio  d'ogni  verso,  e  sono  altcrnamenle  dorate,  rosse 
0  azzurre.  Questo  Codice  è  imo  de'  più  belli  che  si  possano 
vedere.  -  Il  Wiile  annovera  Ira  i  Codici  più  correlli  il 
Gaddiano,  (Plul.  xc.  Sup.,  n.  cxxv)  scritto  da  Francesco  di 
Ser  Nardi  nel  15i7,  ma  è  mancante  di  un  quarto  circa 
della  divina  Comedia. 

Ulagliabecchiaiia,  ora  IVazionale.  —  Conta  35  Co- 
dici ;  14  del  secolo  XIV  ;  20  del  XY,  ed  1  del  XVI:  parecchi 
le  vennero  dai  Conventi  di  S.  Marco  e  delia  Ss.  Annunziala.  - 
La  Crusca  si  servì  dei  Codici  :  La  divina  Comedia  (Palch.  i. 
n.  42;  ci.  vii,  n.  1330);  La  divina  Comedia,  con  Annotazioni 
(Palch.  I.  n.  30;  ci.  vii.  n.  1233 \  e  del  Giraldi  per  la  com- 
pilazione del  suo  Vocabolario.  Notevolissimo  e  veramente 
magnifico  è  il  Codice  membranaceo  la  divina  Comedia,  col 
Comento  di  Francesco  da  Biili  (Palch.  i.  n.29;  cl.vn.n.  1232), 
in  foglio,  del  principio  del  secolo  XV,  si  per  la  bellezza 
del  carattere  mezzo  gotico  in  cui  è  scritto,  che  perla  ric- 
chezza degli  ornamenti  in  oro  e  delle  miniature  e  per  le 
graziose  figure  che  rappresentano  vari  concetti  significati 
nel  divino  Poema.  Le  miniature  sono  pregevoli  per  hi  finezza 
del  lavoro  e  la  freschezza  del  colorilo.  Oltre  V  Aecademia 
della  Crusca,  se  ne  servì  il  Becchi  per  il  testo  della  sua 
edizione  di  Firenze  1837,  ed  il  Bernardoni  per  la  sua  lettera 
sopra  le  varie  Lezioni  della  Divina  Comedia.  Molti  de'  Co- 
dici Magliabecchiani  furono  illustrati  dal  Follini. 

Riccardiana.  —  Ha  36  Codici;  17  del  secolo  XIV, 
19  del  XVI.  -  Il  Becchi  per  la  sua  edizione  di  Firenze  si 
servì  dei  Codici:  La  divina  Comedia,  n.  1025  (ii.  ni.  361); 
La  divina  Comedia,  n.  1027  ;  l' Inferno  di  Dante,  n.  1026 
(il.  111.  359);  La  divina  Comedia,  n.  1031;  che  fu  già  di  Mi- 
chelangelo Buonarolti  il  giovine;  La  divina  Comedia,  col 
Comento  dell'  Ottimo,  n.  1004  (antic.  n  239.)  -  V  Accademia 
della  Crusca  de'  Codici  :  La  divina  Comedia  con  annotazioni 
latine,  n.  1033  (0.  J.  xxiu);  La  divina  Comedia,  n.  1047 
(antic.  n.  384);  L'Inferno  di  Dante,  col  Comento  detto  il 
falso  Boccaccio,  n.  1028  (0.  J.  xiv.)  -  Il  Tommaseo  chiama 
di  buona  lezione  il  Codice  n.  1024  (antic.  n.  283)  ;  ollimo 
il  n.  1025  (li.  Hi.  381);  vicinissimo  alla  lezione  della  Crusca 


CODICI  PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C.  717 

il  n.  1026  {il.  111.  irò9),  e  se  ne  valse  per  la  sua  edizione 
del  1837.  -  Il  n.  1046,  (Bai.  144),  dice  il  ÌViUe,  porla  la 
5()tloscrizione  :  Scrìpto  per  mano  ili  Paolo  Duccio  Tosi  di 
Pisa  negli  anni  Dni  MCCCXXYIUl  adì  Vili  di  scpt.:  Tro- 
vandosi che  due  allri  lesli  scrini  dallo  slesso  Paolo  di 
Duccio  Tosi  da  Pisa  datano  dal  1403  (Parigi  n.  72oo,  Bai. 
431),  e  dal  1405  (Milano,  Trivulz.  iN.«  4.  Bai.  261)  questa 
dala  dev' essere  errala,  e  deve  dire  1391),  oppure  1421). 
Del  resto  il  Codice  è  assai  corretto,  ma  le  lezioni  n:ioderrwì 
vi  si  trovano  numerose. 

Galleria  degli  Uffizi.  —  La  divina  Comcdia,  con  di- 
segni di  Federigo  Zuccheri,  Codice  in  foglio  grande  scritto 
nel  1586. 

Palatina.  (  ora  unita  alla  Magliabecchiana,  o  Nazionale  )  - 
Quattordici  Codici  novera  la  Palatina:  1  della  prima  metà 
del  secolo  XIV;  7  dell' ultima  metà;  5  del  XV.  -  Prezioso 
è  il  Codice  PoQqiali,  la  divina  Comedia,  con  Comento  di 
incerto  (n.  178),  in  foglio  della  prima  metà  del  sec.  XIV 
di  cui  quel  celebre  bibliofilo  livornese  si  valse  per  la  sua 
edizione  del  1807,  e  eh'  egli  non  credeva  posteriore  del  1330. 
Esso,  assieme  a'  Codici  Poggiali  180,  261,  6o5,  177,  171), 
furono  consultati  dagli  Accademici  della  Crusca  per  la  loro 
edizione  del  1595.  -  Interessantissimo  è  pure  il  Frammento 
del  Paradiso  (Bai.  165,  Palermo  180)  che  abbraccia  3240 
versi,  ossia  3/13  della  divina  Comedia.  Il  primo  a  conoscerne 
r  importanza  fy  il  Borghini,  il  quale,  come  si  conosce  dalla 
pubblicazione  recente  del  Gigli,  chiamandolo  il  Quinterno 
il  confrontò  pei  Canti  x-xix  del  Paradiso  con  un  testo 
comenlalo  nel  1337,  con  uao  di  quei  del  Cento,  e  con  alcuni 
allri  di  minqre  rilievo.  Ultimamente  il  cav.  Palermo,  cre- 
dendo riconoscervi  il  carattere  del  Petrarca  lo  stampò  tutto 
intero  con  esattezza  diplomatica  nel  li  Voi.  dei  Mss.  della 
Palatina  p.  715-880.  -  Chiunque  ne  sia  stalo  lo  scrillore, 
dice  il  Witle,  non  si  può  negare  a  questo  Codice  il  vanto 
di  una  correzione,  rarissimo  nei  testi  a  penna.  Il  Quinterno 
Palatino  è  un  testo  eccellente,  al  quale,  quantunque  non 
di  rado  già  si  allontani  dal  testo  primitivo,  sarebbe  da  ac- 
cordarsi un  luogo  distinto,  se  per  disgrazia  non  fosse  ridono 
a  emno-  di  un  quarto  del  poema. 


718  CODICI  PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C. 

Altre  Biblioteche  private  di  Firenze.  —  La  Biblio- 
teca Frullani  possiede  pure  un  buon  Codice,  di  cui  si  servi 
il  Becchi  nella  sua  edizione  del  1837;  uno  la  Martelliana, 
col  Comenlo  italiano,  detto  il  falso  Boccaccio  che  fu  con- 
sultato dagli  Accademici  della  Crusca  per  la  compilazione 
del  loro  Vocabolario;  due  di  preziosi,  a  giudizio  del  Ba- 
lines,  la  Biblioteca  Kirhup.  Anche  quella  di  Lord  Vernon 
vanta  un  Codice  non  senza  pregio  ed  in  cui  il  JSannucci 
notò  assai  buone  varianti.  Le  Biblioteche  Baldovinetti,  Ferroni^ 
Itinuccini,  Vernaccia,  ^^ozs/ posseggono  Codici  danteschi. 

Cortona.  —  La  Biblioteca  àdV Accademia- Etnisca  vanta 
un  prezioso  Codice  membranaceo  in  foglio  della  prima  mela 
del  secolo  XIY  con  belle  miniature.  Fu  spesso  cosultato 
per  le  molte  importantissime  varianti  che  contiene.  11  Lo- 
rini  pubblica  vale  nel  1838,  lavoro  eseguito  con  somma  di- 
ligenza. Di  questo  Codice  cosi  parla  il  Wittc.  Trovai  si 
grande  il  numero  delle  varianti  di  questo  unico  lesto,  e 
molte  di  esse  tanto  lontane  dal  testo  stampato,  che  non 
mi  bastava  l'animo  di  ammetterle  tutte  nel  brevissimo  spazio 
rimastomi  a  pie'  di  pagina.  Ciò  non  ostante  ho  consultato 
assiduamente  questi  confronti  per  farmene  dirigere  nella  scelta 
delle  lezioni  da  adottarsi  nel  lesto. 

Pistoja.  -La  Giaccheriììcnse  possiede  un  Codice  cartaceo, 
in  foglio  piccolo,  del  secolo  XIY,  con  rare  postille.  -  Anche 
la  Capilolarc  ha  un  bel  Codice  membranaceo  del  sec.  XV. 

•Siena.  —  La  Comunale  ha  sei  Codici,  i  più  appartenenli 
ai  Conventi  di  Siena.  Il  Codice  segnalo  i.  vi.  29,  l'Inferno 
e  parte  del  Purgatorio,  che  già  apparteneva  ai  frati  del- 
l' Osservanza  di  Siena,  presenta  alcune  varianti  dalla  lezione 
comunemente  seguita,  ed  è  perciò  degno  di  essere  dili- 
gentemente esaminato. 

Modena.  —  La  ex  Ducale  Biblioteca  Estense  va  ricca 
di  7  codici,  de'  quali  ottiene  il  vanto  il  membranaceo,  in 
fogl.  del  sec.  XIV,  N.  Vili,  CI.  VI,  detto  per  la  sua  rara 
eccellenza  fra  gli  altri,  V  Estense.  La  sua  bellezza  non  si 
manifesta  solo  dalla  scrittura,  ma  anche  dalle  pregevoli 
pitture  che  adornano  questo  insigne  esemplare.  Il  testo  ò 
pure  stimabilissimo  per  la  quasi  perpetua  bontà  della  sua 
leiloue.  Mollo  varianti  di  questo  codice  prezioso  ci  furono 


CODICI  PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C.  719 

recate  dal  Parenti  e  dal  Sicca.  Il  Montfaucon  lo  chiama  : 
codex  auctori  pene  aetfualis  egregie  descriptus.  Ma  il  Witte 
è  del  contrario  avviso.  «Ella  non  è  veramente  cosa  difficile, 
egli  ci  dice,  di  scegliere  dalle  tante  centinaia  di  lezioni  di 
un  testo  a  penna  un  bel  numero  di  tali  che  abbagliano 
per  la  loro  novità  ed  adattabilità.  Ma  il  criterio  per  farcì 
giudicare  delle  bontà  di  un  codice,  invece  delle  numerose 
varianti,  consiste  nella  costante  purgatezza  del  testo  la  quale 
certamante  non  si  trova  in  quel  codice  Modenese. -Y.  Foscolo, 
Discorso  sul  Testo,  Sez.  LXX.  -  11  Codice  della  biblioteca 
Coccopani  Imperiali  va  distinto  per  molte  postille  anonime 
del  buon  secolo,  generalmente  slese  con  molta  naturalezza 
e  proprietà.  Se  ne  serviva  il  suUodato  signor  Parenti  per 
le  sue  Annotazioni  al  Dizionario  della  lingua  Italiana. 

Parma.  -  La  Ducale  parmense  ha  tre  codici  ;  le  varianti 
furono  pubblicate  dal  signor  Yiviani  nella  sua  edizione  udi- 
nese, e  gliele  vennero  comunicate  dal  Pezzana. 

Piacenza.  —  La  Biblioteca  Landi  ha  pure  un  prezioso 
codice  membranaceo  in  fogl.  del  sec.  XIV,  le  cui  varianti 
furono  riportate  dal  Sicca  nella  sua  Rivista  delle  varie  Le- 
zioni della  Divina  Comedia.  Il  IFitte  lo  dice  corretto  e  di 
lezione  più  primitiva.  Porta  la  data  del  1336.  Ciò  non  ostante 
anch'esso  non  manca  di  alterazioni  progressive  che  il  testo 
serbò  nei  manoscritti  del  300. 

Bergamo.  -  Un  bellissimo  codice  possiede  la  Bibliote- 
ca Grumelli  ed  uno  V Albani.  Le  varianti  di  questo  ultimo 
furono  riportate  dal  Sicca. 

iHantoYa.  —  11  Parenti  ci  diede  conto  dei  due  Codici 
delle  biblioteche  Bagno  e  Cavriani,  e  registravacì  le  prin- 
cipali varianti,  confrontate  con  quelle  del  codice  Bartoli- 
niano,  e  dell'edizione  del  Lombardi.-  La  biblioteca  CapiUipi 
possiede  un  codice  pregevolissimo  per  la  buona  lezione  del 
testo  e  l'utilità  del  Comento.  Se  ne  giovò  anche  il  Cesari 
per  le  sue  Bellezze  della  Divina  Comedia.  Di  questi  tre  il 
Witte  dice  «più  corretto  il  Codice  Cavriani,  benché  l'orto- 
grafia vi  tenga  molto  del  latino,  e  il  testo  che  concorda  per 
lo  più  con  la  lezione  volgata  ma  non  antichissima,  non 
sia  esente  di  qualche  variante  o  erronea,  o  almeno  non 
Ispaileggìata  da  altro  buca  lesto.  » 


720  CODICI  PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C. 

Milano.  L' Ambrosiana.  —  li  codice  membranaceo  in 
fogl.  (N.°C.  CXCYIII.  Pars  ìnf.)  coli  figure  e  miniature 
dorale,  secondo  il  giudizio  dell' xib.  Vìviani  che  ne  fece  uso 
per  la  sua  ediz.  è  preziossimo  e  di  otlima  lezione,  in  gran 
parte  diversa  da  quella  del  testo  della  Crusca,  e  concorde 
al  codice  Bertoliniano.  Il  Catena  lo  crede  della  prima  metà 
del  sec.  XIV.  All'  epoca  delia  repubblica  francese  venne  esso 
trasportato  a  Parigi,  come  lo  dimostra  il  suggello  che  vi 
si  vede  impresso,  colla  scritta:  Dihlìothéque  JSationale.  - 
11  Porlirelli  per  la  sua  edizione  di  Milano  si  valse  del  Co- 
dice IS.  A.  XL.  Pars  Inf.,  U  Inferno  di  Dante,  col  comento 
di  Jacopo  della  Lana.  Il  testo  di  esso,  secondo  lui,  è  più 
conforme  alla  lezione  ISldoheatina  che  a  quella  degli  Acca- 
demici della  Crusca.  Anche  il  Yiviani  consultavalo  per  la 
sua  edizione  dì  Udine.  È  di  buona  lezione  :  e  pur  consultato 
dal  Yiviani  iwW  Codice  N.  D.  DXXXIX.  Pars  In f.  La  Divina 
Comedia  col  comento  di  Jacopo  della  Lana,  fatto  da  Anoni- 
mo: la  milanese  del  1804  facea  pur  uso  di  molte  varianti 
che  vi  si  riscontrano. 

Milano.  _  Brera.  —  Stupendamente  bello  chiama  il 
Batines  il  Codice  N.^  A.  N.  XY.  17,  La  Divina  Comedia,  Il 
Bernardoni  giovavasl  del  Codice  N.°  A.  F.  XI,  131,  L'Inferno 
e  il  Purgatorio  di  Dante,  per  la  sua  lettera  sopra  le  varie 
lezioni  della  Divina  Comedia. 

Milano.  -  Trivuiziana.  —  DI  ben  22  Codlci  va  ricca 
la  Trivulziana.  Preziosissimo,  ed  uno  dei  più  antichi,  secondo 
il  Batines,  con  data  certa  e  perfettamente  conservato,  con 
molte  bellissime  varianti  è  il  Codice  membranaceo,  in  foglio, 
della  prima  metà  del  sec.  XIV,  e  con  miniature  (N.  II).  Ad 
ogni  canto  precede  un  breve  argomento  in  prosa  scritto 
in  ottima  lingua.  Questi  argomenti  furono  pubblicati  dal 
Viviani  nella  sua  edizione  di  Udine,  dove  reca  pure  un 
facsimile  della  scrittura  di  questo  Codice.  Quantunque, 
dice  il  Witte,  questo  Codice  porli  la  data  del  1337,  puro 
non  manca  anch'esso  di  alterazioni  progressive  che  il  testo 
serbò  nei  manoscsitti  del  300.  Però  anch'agli  lo  giudica 
assai  corretto  e  di  più  primitiva  lezione.  -  Sono  pure  im- 
portanti il  Codice  N.  I,  V  Inferno  e  il  Purgatorio  di  Dante, 
che  appartenne  al  pittore  Bossi  e  da  lui  altamente  pregialo. 


CODICI  PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C.  721 

e  le  cui  varianti  pubblicava  nella  edizione  della  Divina 
Comedia  ch'eseguiva  in  Milano  nel  1809.  -  Il  Codice  N.  VII, 
la  divina  Comedia  con  Chiose  di  Fr.  Stefano,  è  pregiatissimo 
pure  per  le  molte  Varianti,  e  per  le  chiose  contenutevi, 
citato  dal  Torelli,  e  tenuto  in  gran  considerazione  del  Can. 
Dionisi:  -  Del  Codice  XIII,  la  Divina  Comedia,  scrive- 
va l'Ab.  Viviani:  la  correzione  della  lettera  di  questo  bel 
Codice,  da  me  riscontrato  con  diligenza  fa  sì  eh'  io  lo  re- 
puti uno  dei  migliori  testi  a  penna  del  sec.  XIV:  -  il  n. 
XVIII,  la  Divina  Comedia,  con  Cementi  latini  ed  italiani,  è 
preziosissimo  per  le  molte  notizie  sparse  nelle  chiose,  e 
perchè  scritto  non  da  un  semplice  copista,  ma  da  un  grande 
amatore  e  studioso  di  Dante. 

miiano  —  Archinto.  —  Di  due  preziosi  Codici  dan- 
teschi va  ricca  la  biblioteca  Archinto,  specialmente  di  quello 
dell'  Inferno  di  Dante,  con  Comento  di  Frate  Guido  da  Pisa, 
mirabile  per  la  bellezza  e  conservazione:  a  pie'  delle  facce 
si  ammirano  di  molle  leggiadrissime  miniature,  che  se 
non  sono  di  Giotto,  sono  di  certo  della  sua  scuola.  Inoltre 
a  ciascun  canto  trovansi  altre  eleganti  miniature,  fregiate 
a  oro  e  colori.  Anche  i  Codici  Archinti  furono  consultati 
dal  Yiviani,  e  riportatene  le  Varianti  dal  Sicca. 

Padova.  —  La  Biblioteca  del  Seminario  possedè  4  Co- 
dici, tra'  quali  ottiene  il  vanto  il  n.  ix.  la  Divina  Comedia; 
magnilico  Codice  membranaceo,  in  foglio,  del  secolo  XIV, 
in  bel  carattere,  con  gran  margine,  adorno  al  principio  di 
ogni  caria  di  figure  e  miniature  singolari.  I  Codici  patavini 
furono  consultati  dall' Ab.  Viviani,  e  le  Varianti  pubblicate 
dal  Sicca  nella  sua  Rivista  delle  varie  lezioni  della  Divina 
Comedia.  % 

Treviso.  —  La  Biblioteca  municipale  possedè  un  Codice 
membranaceo  in  4.",  del  secolo  XIV,  di  bellissimo  carattere 
chiaro  e  regolare,  di  eccellente  lezione  e  con  isplendide 
miniature  d'  oro.  11  Comento  a  questo  Codice  consiste  in 
alcune  poche  e  brevissime  postille  fatte  sopra  le  parole 
del  testo  fra  1' una  e  l'altra  riga,  ed  ora  sopra  i  margini, 
uè  già  in  tutta  l'opera,  ma  soltanto  nell'Inferno.  Lo  Scolari 
lo  ritiene  uno  de'  più  importanti  che  si  conservino  nelle 
Biblioteche  italiane.  Il  Sicca  ne  recò  le  più  notabili  Varianti. 

Voi..  H.  4C 


722  CODICI  PIÙ  ILLUSTRI    DELLA  D.  C. 

Il  benemerito  ab.  Po/a«3aMi  instlluì  diligenlissimi  confronti 
(tuttavia  inediti)  tra  il  codice  dantesco  Trevigiano  ed  il 
Bartoliniano,  e  raccolse  di  molte  preziose  varianti  e  mostrò 
quanto  il  primo  sia  da  preferirsi  al  secondo.  -  11  Bonifazio 
(L.  YIII.)  sull'autorità  de' vecchi  cronisti  trevigiani,  asseri- 
sce che  questo  codice  fu  lasciato  dalia  famiglia  Aliighieri 
che  dal  1327  pose  stanza  a  Treviso,  e  fu  ascritta  a  quella 
nobiltà  (  14  Giugno  1394  ),  e  vi  si  trattenne  lino  al  1350.  - 
Tra  le  altre  varianti  del  codice  trivigiano  mi  piace  di 
riportare  le  due  terzine  del  e.  34  v.  46-52. 

Sotto  ciascuna  uscivan  due  grand' ali, 
Quanto  si  convenia  a  tanto  uccello: 
In  mar  non  vidi  mai  vele  colali. 

Non  avean  penne,  ma  di  vipistrello 
Era  lor  modo,  e  quelle  suso  alzava, 
Sì  che  tre  venti  si  movean  da  elio. 

Verona.  —  11  Manoscritto  legato  dal  Fontana  alla  Bi- 
blioteca del  Seminario  va  adorno  di  miniature  a  più  colori 
e  ad  oro,  di  figure  e  di  rabeschi  con  fruiti  fiori  ed  animali. 
Fu  consultato  dal  Yiviani.  Il  Sicca  ne  riportò  le  Varianti.  - 
11  P.  Bartolommeo  Sorio,  p.  dell'  Oratorio,  ha  dettato  alcune 
lezioni  accademiche  sul  testo  Compostriniano. 

Udine.  —  Bartolinìana.  —    PrCZiOSO  è    il  Codice    già 

posseduto  dal  celebre  antiquario  e  filologo  M.*"  Dalla  Torre, 
vescovo  di  Adria,  acquistato  poi  dal  Co.  Bartolini,  da  cui 
gli  venne  il  nome.  Fu  letteralmente  pubblicato  dal  Viviani.  - 
Sulle  varie  lezioni  di  esso  scrissero  il  Lampredi,  il  Parenti, 
il  Foscolo  ed  il  Co.  Puppi.  -  Y.  Foscolo,  Discorso  sul  Testo 
dalla  Sez.  xi  alla  xiv.  -  Sez.  xxiii  e  seg.  lix.  lxix.  -  «  La 
vanità  letteraria,  dice  il  Witle,  offusca  gli  encomiatori  ed 
editori  di  Codici,  persino  a  farli  sopprimere  tutto  quello 
che  suppongono  recar  pregiudizio  all'aureola  della  quale 
vorrebbero  incoronato  il  Codice  da  loro  idolatrato.  Ciò  non 
ostante  il  testo  Cartoliniano  potrebbe  essere  benissimo,  se 
non  il  più  autentico  di  tutti,  almeno  uno  dei  migliori,  di 
modo  che  il  lavoro  non  condotto  a  buon  termine  dal  Viviani, 
fosse  da  rifarsi.  11  testo  del  Codice  è  da  ritenersi  di  buona 
mano,  ma  il  maggior  suo  difetto  consiste  nell' esser  passato 
per  le  mani  di  persone  che  raschiando  ed  alterando,   ne 


CODICI  PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C  *723 

fecero  sparire  la  lezione  primitiva.  Può  dirsi  ch'esso  rap- 
presenti il  tipo  dei  testi  scritti  intorno  o  dopo  la  metà  dei 
300,  cioè  quando  in  sostanza  i  Codici  davano  ancora  il 
poema  nell'originaria  sua  purità,  ma  quando  già  ben  molti 
passi  erano  stati  alterati  dall'ignoranza  o  dalia  saccenteria 
degli  ammanuensi,  quando  dunque  la  Volgata  già  era  in 
parte  costituita.  -  Su  questo  Codice  così  sentenzia  la  Civiltà 
Cattolica  (Quaderno  326,  17  Ottobre  1863,  p.  241.):  iNoi 
siamo  molto  tenuti  di  anteporre  il  celebre  Bartoliniano 
di  Udine  allo  stesso  S.  Croce,  che  ha  cotanta  autorità  sul 
Sig.  Witte.  Certo  coli'  esperimento  che  ne  abbiamo  fatto 
co'  quattro  Codici  del  Witte,  abbiamo  veduto  che  spesso 
là  dove  r  uno  o  V  altro  di  essi,  o  anche  tutti  insieme  danno 
in  ciampanelle,  1'  udinese  solca  diritto,  sicché  quasi  quasi 
diremmo  che  questo  solo  vale  i  quattro  Codici  (  S.  Croce, 
Vaticano,  Caetani,  Berlinese),  Vero  è  che  il  Witte  mostra 
dubitare  della  fedeltà  del  Yiviani  nel  riprodurre  quel  Co- 
dice :  ma  se  puossi  concedere  che  nelle  cose  minori  il  Yi- 
viani è  stato  inesatto,  non  vi  ha  però  nessuna  ragione  di 
supporre  che  artatamente  abbia  alterato  il  testo,  che  avea 
promesso  di  dare  nella  sua  integrità,  sol  correggendo  la 
rea  ortografia.  -  La  libreria  Fiorio  possiede  un  Codice  del 
secolo  XIV  decorato  da  vari  ornati,  di  bellissima  ecorret- 
tissimajezìone.  Il  Sicca  ne  riportò  le  Varianti.  -  La  biblioteca 
Torriani  possiede  due  ^''rammenti  del  Paradiso  che  voglionsi 
scritti  al  tempo  in  cui  Dante  dimorava  presso  la  famiglia 
della  Torre.  Il  benemerito  Can.  Dalla  Torre  ne  indicava  le 
principali  varianti,  che  il  Sicca  accoglieva  pure  nella  sua 
Rivista. 

S.Daniele  del  Friuli.  -  La  Biblioteca  Comunale  pos- 
scdc  un  Codice  membranaceo  in  foglio  massimo  del  secolo 
XI Y,  V Inferno  e  il  Purgatorio  di  Dante,  col  Comento  ita- 
liano dell'  Ottimo,  e  con  altro  Comento  latino.  V  edizione 
udinese  del  1838  riporta  un  facsimile  di  questo  Codice. 

Cividaie  del  Friuli.  -  La  Biblioteca  Clarecini  ha  un 
Codice  membranaceo  in  4.^  del  secolo  XV,  la  Divina  Comedia 
con  Postille.  Dottissime  sono  le  postillo  interlineari  ed  in 
margine,  scritte  di  pugno  di  IS'icolò  Clarecini  di  Cividaie, 
letterato  e  giureconsulto  del  secolo  XV.  Nel  1839   venne 


724  CODICI  PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C. 

pubblicato  un  opuscolo  col  tìtolo:  Varianti  della  Divina 
Comedia  del  Codice  Clarecini  in  confronto  del  Bartoliniano. 
Queste  varianti  furono  riportate  dal  Sicca. 

Genova.  -  11  Codìce  Baratta  fu  lodato  dal  Grassi  per 
le  molte  varianti  di  gran  rilievo  non  più  notate.  Il  P.  Giu- 
liani se  ne  giovò  per  l'edizione  de'  suoi  sludi  Danteschi.  - 
Lodato  pure  dal  Giuliani  per  la  correzione  del  testo  è  il 
Codice  D.  N.^  VII,  La  Divina  Comedia  illustrata  co'  Conienti 
di  Benedetto,  nel  1408,  che  appartiene  alla  Biblioteca  del 
Marchese  Diira^zo;  ma  sovrattutto  il  prezioso  Codice  D.  N.^ 
XXXYI,  la  Divina  Comedia  con  Postille. 

{Savona.  -  La  Comunale  possiede  un  Codice  membra- 
naceo, in  foglio,  a  2  colonne,  in  carattere  semigotico.  11 
testo  è  buono:  esaminalo,  darebbe  per  avventura  ottime 
varianti. 

Torino.  -  La  Biblioteca  dell' Università  ha  tre  Codici, 
uno  in  bellissima  pergamena,  in  4.^  del  secolo  XIV,  in 
carattere  tondo,  nitidissimo  ed  adorno  di  eleganti  miniature 
a  oro  e  colori,  e  di  lettere  iniziali,  fregiate  a  colori.  Gli 
altri  due  sono  del  sec.  XV. 

Venezia.  -  La  Marciana  va  ricca  di  20  Codici,  lutti 
consultati  dall'Ab.  Ylviani  per  la  sua  edizione  Udinese,  non 
che  per  le  sue  varianti  dal  Sicca.  Copioso  di  belle  lezioni 
è  quello  al  N.*^  LIV  ;  correttissimo  il  Codice  CI.  IX.  n.^XXX  ; 
di  buona  ed  esalta  dettatura  il  Paradiso  di  Dante,  CI.  IX. 
n.*^  XXXVII  ;  di  qualche  pregio  quello  al  n."  LV,  La  Divina 
Comedia,  col  Comento  di  Jacopo  della  Lana,  veduto  e  citato 
dal  Salviati  ne'  suoi  Avvertimenti  della  lingua  sopra  il 
Decamerone. 

Roma.  -  La  Vaticana  va  ricca  di  ben  23  Codici;  Vi 
del  secolo  XIII;  9  del  XV;  1  del  XYL  Dal  luogo  onde 
vennero  prendono  il  nome  di  Urbinati,  Palatini,  Ottoboniani, 
Capponi,  della  Regina  di  Svezia.  -  Stupendo  è  il  Codice 
3199,  La  Divina  Comedia,  con  alcune  postille  attribuite  al 
Petrarca.  Apparliene  al  secolo  XIV,  ed  è  di  80  pag.  a  2 
colonne,  in  carattere  tondo  alquanto  gotico,  per  esecuzione 
calligrafica  e  per  conservazione  meraviglioso,  con  membrane 
candidissime  e  con  larghi  margini.  Ad  ogni  canto  sono  i 
titoli  in  ìncliloslro  rosso,  e  iniziali  fregiate  a  oro  e  colori,  e 


CODICI  PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C.  725 

piccole  iniziali  colorite  ad  ogni  terzina.  Sul  cadere  del  sec. 
XY  era  posseduto  dal  Card.  Bembo,  cui  pervenne  con  altri 
scritti  del  Petrarca.  Nel  1798  fu  trasportato  a  Parigi,  com'è 
manifesto  dal  sigillo  della  Biblioteca  Reale,  venne  di  poi 
ricuperalo  il  14  Ottobre  1815,  -  V.  Foscolo,  Discorso  sul 
Testo,  Sez.  LXIX.  -  L'edizione  della  Divina  Comedia,  pub- 
blicata dal  Fantoni  nel  1820,  è  copia  di  questo  manoscritto, 
che  si  vuole  per  tradizione  fosse  di  mano  del  Boccaccio,  e 
postillato  dal  Petrarca,  cui  si  crede  appartenesse.  -  Il  PFìtte 
non  lo  vuole  né  scritto  dal  Boccaccio,  ne  postillato  dal 
Petrarca.  Benché,  egli  aggiunge,  i  non  pochi  errori  che  vi 
s'incontrano  sieno  stati  da  altri  rilevati,  pur  questo  Codice 
esibisce  dall' un  de' lati  un  testo  quasi  già  immune  da  ri- 
toccamentl  ed  alterazioni  degli  ammanuensi  posteriori .... 
L'importanza  di  questo  testo  per  la  costituzione  della  lezione 
volgata  della  nostra  stampa  basta  per  renderne  indispen- 
sabile l'accurato  confronto.  -  Bellissimo  è  pure  il  Codice 
membranaceo  Ottobonìano  N.  2358,  La  Divina  Comedia  col 
comento  di  Jacopo  della  Lana,  in  foglio,  della  line  del  sec. 
XIV,  a  2  colonne,  di  bella  lettera  e  di  buona  conservazione, 
composto  di  210  carte.  Venne  donato  alla  Vaticana  da 
Benedetto  XIV.  -  Veramente  magnifico  é  inoltre  V  Urbinate 
N."  365,  La  Divina  Comedia,  Codice  membranaceo,  in  foglio, 
del  secolo  XV,  in  bel  carattere  tondo  e  mirabilmente  con- 
servato. È  il  più  notabile,  dice  il  Batines,  se  non  forse  il 
primo,  tanto  per  l'esecuzione  calligrafica,  quanto  per  le 
pitture  che  ne  lo  adornano.  Le  membrane  poi  sono  candide, 
con  larghi  margini,  e  ben  proporzionate,  ed  é  splendida- 
mente legato.  Ha  110  grandi  miniature,  cioè  41  nell'Inferno; 
46  nel  Purgatorio  ;  33  nel  Paradiso.  L' Agincourt  crede  che 
quelle  del  Paradiso  sieno  dello  Zucchero,  e  alla  scuola  del 
Perufjino  appartengano  quelle  del  Purgatorio.  -  Il  Cod.  N." 
3197  racchiude  tutte  le  poesie  di  Dante  e  del  Petrarca.  » 
E  scritto  in  papiro  perniano  del  Bembo,  infoi.  Sul  principio 
della  Div.  Comedia  il  Bembo  annotò  il  giorno  in  che  diede 
mano  al  lavoro:  Sexto  Jul,  MDl,  nel  quale,  come  rilevasi 
dalja  nota  Tinaie,  non  Ispese  che  un'anno  e  20  giorni: 
Finitus  in  Recano  (la  villa  di  Baccano,  celebrata  da  Tito 
Vespasiano  Strozzi,  padre  di  Ercole,  sotto  il  nome  di  «  rus 


726  CODICI   PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C 

Pclosellae),  rure  Ilerculis  S(rozzae  mei  Septimo  hai.  Auff. 
MDll.  Questo  Codice,  dal  cominciar  del  frontespizio  sino 
air  ultimo  verso,  conviene  letteralmente  colla  slampa  Aldina, 
terminala  pochi  giorni  dopo  quel  2()  di  Luglio.  L'islessissima 
ortografia,  i  segni  di  puntature,  d'apostrofazione  e  di  accenti 
si  trovano  tanto  nell'una  che  nell'altra.  Si  vede  adunque 
che  l'Aldo  avea  cominciato  a  stampare,  quando  il  Bembo 
era  ancora  nel  bel  mezzo  del  lavoro,  che  foglio  per  foglio 
sarà  stato  spedito  da  Reccano  a  Venezia.  »  -  Wilte. 

Di  molti  altri  Codici  vanno  fornite  le  altre  Biblioteche 
pubbliche  e  private  di  Roma.  Secondo  il  Batines  3  ne  conta 
la  Casanatense;  12.  la  Corsinìana;  3.  V Angelica;  1.  quella 
del  principe  Borghese;  20.  la  Chiyìana;  l.  la  Biblioteca  del 
Collegio  Romano;  1.  quella  del  Convento  di  S.  Pantaleo;  1. 
quella  del  conte  Pier  Fiorenzi;  1.  quella  del  comendator 
De  Rossi;  12.  la  Barberiniana,  e  molti  di  essi  notevoli 
tra'  quali  primeggia  il  Codice  n."  2192.  La  Divina  Comedia 
col  Comento  di  Jacopo  Della  Lana,  ottimamente  scritto  e 
di  buona  conservazione,  non  che  adorno  di  iniziali  miniate 
a  rabeschi  ed  oro.  Il  Sig.  Rezzi  dice  che  n'è  buona  la 
lezione  e  che  merita  di  essere  consultato.  -  li  celebre  testo 
Caetani,  (Duca  di  Sermoneta  )  dice  il  Witte,  non  é  men 
corretto  del  codice  di  Berlino,  anzi  lo  sorpassa  qualche 
volta  nel  carattere  genuino  della  lezione.  Da  esso  trassero 
assai  scelte  lezioni  gli  ed  Editori  romani  del  1820. 

Anche  la  Biblioteca  dell'  Università  di  Bologna  vanta 
2  Codici  :  1.  la  Forlivese  ;  3.  la  Perugina  ;  2.  la  Classense  di 
Ravenna  (Y.  Bibliot.  Classense  illustrata  nei  principali  suoi 
Codici  e  nelle  più  pregevoli  sue  edizioni  pel  co.  Alessandro 
Cappi,  Rimini,  Orfanelli  e  Grandi,  1847);  1.  la  biblioteca 
Gambalunga  di  Rimini;  2.  quella  di  Foligno.  -  Prezioso  è 
poi  il  Codice  Antaldino  (Pesaro)  e  da  gran  tempo  notissimo 
nella  repubblica  letteraria  ;  il  de  Romanis  che  se  ne  valse 
per  la  sua  edizione  romana  del  1820  ne  scriveva:  Codice 
cartaceo,  in  fogl.  di  carattere  rotondetto  e  non  antichissimo, 
ma  così  ricco  di  ottime  lezioni,  che  si  può  dire  essere  la 
copia  di  un  assai  vecchio  e  prezioso  manoscritto;  per  questo 
è  tenuto  in  gran  pregio  da'  letterati.  Il  Batines  dice  purga- 
tis^imo  il  Codice  Oliveriano  pure  di  Pesaro.  Egli  ha  la  data 


CODICI  PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C  727 

più  antica  di  tulle  le  apposte  ai  Codici  della  divina  Comedia, 
se  si  potesse  prestar  fede  alla  nota  marginale  che  vi  si 
trova  al  principio  del  C.  ix.  del  Purgatorio:  Palmìzanus  de 
Palmizanis,  foroliviensis,  1328.  Ma  la  scritta  di  questa  nota 
visibilmente  differisce  da  quella  del  testo,  e  il  Marchese 
Antaldi  la  giudico  a  ragione  aggiunta  da  qualche  falsario 
per  ingannare  chi  non  ha  perizia  degli  scritti.  Il  WUte  lo 
vuole  invece  uno  del  pessimi  fra  i  cattivi. 

Oltre  a  quattro  Codici  che  possedè  la  Biblioteca  già 
Borbonica  di  Napoli,  ne  hanno  pure  le  biblioteche  napoli- 
tane  de'  PP.  Geroìimini  e  del  Principe  Pio.  -  Il  Codice  del 
Monastero  di  Monte  Cassino  fu  spogliato  da  Euslazio  Di- 
eearclieo.  (P.  Ab.  di  Costanzo.)  Quantunque  non  rappresenti 
il  testo  più  antico  e  genuino,  è  scritto  con  molta  diligenza 
e  merita  di  essere  annoveralo  fra  i  buoni.  L'ortogralìa  è 
assai  più  corretta  che  nel  maggior  numero  degli  altri  lesti.  » 
fritte.  -  Un  Codice  pure  è  posseduto  dalla  Biblioteca  del 
Monastero  di  S.  A'icolò  di  Arena  di  Catania  ;  uno  da  quella 
dei  11 R,  P.P.  Filippini  dell'  Olivella  dì  Palermo  (illustrato 
da  Agostino  Gallo,  Effemeridi  letterarie  di  Sicilia  N.^  1832, 
e  nel  Centenario  di  Dante,  p.  179  )  ;  ed  uno  dalla  Biblioteca 
(lei  P.  P.  Benedettini  di  Monreale. 

Dei  Codici  stranieri  ricorderò  solo  che  la  Biblioteca  Im- 
periale di  Parigi  ne  possedè  32  ;  de' quali,  secondo  il  reggiano 
Ferrari,  il  più  prezioso  è  il  n.  IO  Fonds  de  Réserve,  La 
divina  Comedia,  e  che  può  anche  gareggiare  in  merito  e 
in  antichità  coi  più  celebrali  d'altre  Biblioteche.  Non  ha 
dola  certa,  ma  lutto  concorre  ad  indicarlo  della  prima  metà 
del  secolo  XIY.  Apparteneva  alla  Biblioteca  di  Pio  \1,  il 
quale  portava  speciale  affetto  a  Dante  e  a  questo  pregia- 
tissimo Codice  ;  il  perchè  lo  aveva  preso  seco  nell'  esigilo, 
non  lo  lasciava  mai,  e,  lui  morto,  fu  trovato  sul  suo  letto. 
Il  Codice  è  scritto  a  caratteri  tondi,  ma  piuttosto  magri. 
I  segni  ortografici  mancano  lutti,  e  le  parole  non  sono 
divise  colle  debite  distanze.  Al  principio  di  ogni  Canto  vi 
sono  delle  vignette  con  figure  vagamente  miniale;  miniale 
pure  sono  le  lettere  d'ogni  Canio,  ma  grossamente,  maiu- 
scole le  iniziali  d'ogni  terzetto,  minuscole  le  altre.  Gji 
argomenti  che  precedono  i  Canti,  sono  dettati  colla  sera- 


728  CODICI  PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C. 

plicilà  e  la  purità  della  favella  del  buon  secolo.  Ha  gran 
copia  di  varie  lezioni  che  spirano  odore  dantesco.  -  Di 
meravigliosa  correzione  lo  slesso  Ferrari  chiama  il  Codice 
Foncls  de  Réscrve  N.o  3  ;  di  buona  lezione  e  dei  migliori 
della  Biblioteca  il  6874;  ottimo  per  la  bontà  del  testo  il 
7764;  di  buonissima  lettura,  e  tolto  da  un  testo  antico  ed 
eccellente,  con  ortografia  scrupolosamente  corretta,  costante 
e  ricco  di  varianti,  il  Codice  Fonds  de  Reserve  J\\o  8,  2  ; 
tolto  pure  da  prezioso  esemplare  e  da  tenersi  in  molto  conto 
il  Codice  Fonds  de  Réserve,  JS.o  7002,  e  di  lettura  veramente 
purgata  il  N.°  7252. 

Il  Witte  pone  fra  i  pregiatissimi  per  somma  correzione 
del  testo  quello  che  dopo  di  esser  stato  del  Sig.  Tommaso 
Rood  e  D.''  Giorgio  Feder  Nott  passò  alla  Biblioteca  R.  di 
Berlino.  Generalmente  parlando,  ei  dice,  la  lezione  è  antica 
e  primitiva,  e  questo  eccellente  testo  è  stato  più  volte 
l'unico  sull'autorità  del  quale  potei  fondare  la  lezione  che 
io  credo  genuina. 

Il  catalogo  dei  Codici  Mss.  compilato  dal  fiati nes  li  fa 
ascendere  a  187;  ma  questa  numerazione,  secondo  il  Witte, 
è  assai  inesatta.  Non  meno  di  24  Codici  ricorrono  sotto  un 
altro  numero.  Questa  coincidenza  è  indicata  dall'Autore 
slesso  ai  numeri  197,  199,  200,  201,  202,  203,  204,  205, 
206,  207,  208,  209,  210,  211,  212,  213,  214,  216,  217,  218, 
471,  521,  536.  -  Non  la  vide  pur  nei  numeri  426,  e  441 
che  sono  identici  col  418  e  435.  -  Oltre  a  questi  sono  da 
levarsi  5  Codici  che  non  contengono  che  Conienti  e  forse 
qualche  brano  del  poema  (37,  49,  147,  303  e  473,  N.°  ,22^ 
23,  e  24);  8  altri  per  lo  più  di  data  recentissima  che  invece 
dell'opera  di  Dante  ne  danno  poverissimi  estratti,  e  sono 
i  numeri:  121,  122,  133,  160,  161,  331,  340,  390;  e  5  che 
per  essere  dopo  la  fine  del  400  non  possono  dirsi  Codici, 
e  sono  i  numeri:  120,  162,  250,  341,  373.  Finalmente  anche 
i  testi  smarriti,  almeno  pel  momento,  ed  enumerati  dal 
Batines  in  17  Numeri  (192  (due)  193,  (quasi  tutti  i  testi 
consultati  dagli  Accademici)  194,  195,  196,  (tre)  198,  217, 
(tre)  392,  (due)  395,  396,  317,449,  465,  466,467,468,472); 
due  cartacei  non  possono  prendersi  in  considerazione.  Cosi 
il  numero  è  ridotto  a  478.  Ma  anch'esso  non  è  esalto. 


CODICI  PIÙ  ILLUSTRI  DELLA  D.  C.  729 

Alcuni  numeri  del  di  Batines  comprendono  più  codici:  il 
n.  85  ha  3  lesti  dell'  Inferno,  2  del  Purgatorio,  e  due  del 
Paradiso;  e  il  ii.  393  ne  registra  due.  Altri  manoscritti, 
benché  mentovati  dal  di  Batines  non  ottennero  da  lui  nu- 
merazioni: due  trivulziani  a  p.  145;  il  Ferrarese,  p.  211,  e 
un  Codice  del  Dott.  iSott  di  Winchester,  p.  268.  Altri  final- 
mente rimasero  sconosciuti  a  quel  diligentissimo  francese: 
(s'aggiunga  dopo  il  n.  186  un  Codice  della  Sig.'^  Marchesa 
Venturi  ne'  Ginori  ;  dopo  il  n.  220  un  Codice  di  Pioppi  in 
Casentino,  mentovato  dal  Sig.  Barlow  ;  dopo  il  256  un  se- 
condo parmigiano;  dopo  il  393  un  terzo  bolognese;  ed  in 
fine  dell'  opera  tre  testi  nuovi  acquistati  dal  Museo  Bri- 
tannico (registrati  dal  Sig.  Barlow),  due,  poco  tempo  fa, 
posti  in  vendila  dal  librajo  Laemlein  di  Sciafussa,  e  dal 
libraio  Potier  di  Parigi;  e  tre  che  furono  del  Marchese 
Arnaldo  Arnaldi  di  Pesaro.  Inoltre  si  sostituisca  ai  due 
Codici  cartacei  dell' Escuriale  (472),  che  non  esistono,  un 
membranaceo  della  Biblioteca  Nazionale  di  Madrid.  Con 
questi  20  Codici  il  numero  totale  arriva  a  498. 


EDIZIONI  PRIEIPAII  DELIA  DIVINA  COJIEDIA 


1472.  Comincia  la  Comedia  di  Dante  AlWjliieri  di  Fiorenza 
nella  quale  tracia  delle  pene  et  punilione  de  vitii  et  demeriti 
et  premii  delle  virtù  (nel  quarto  mese  adi  cinque  et  sei) 
Fulìgno,  per  Giov.  Numeister  ed  Evangelista  Mei,  in  foglio 
pie.  carattere  soprassilvio,  senza  segnature  numerazioni  e 
richiami.  -  Rarissima.  -  Prima  edizione,  con  data  certa, 
e  tenuta  anteriore  a  quella  di  Jesi  e  di  Mantova.  -  Racco- 
mandasi essa  non  solo  per  la  sua  rarità,  ma  eziandio  per 
la  bontà  della  lezione,  ed  a  giudizio  del  Yiviani,  è  fra  le 
antiche  quella  che  meglio  concorda  coi  buoni  Codici. 

1472.  Dantis  Alif/erii,  poetae  fiorentini,  Inferni  Capitulum 
primum  incipit  (  Magister  Georgius  et  Magister  Paulus  leu- 
tonici  hoc  opus  Manluae  impresserunt  adiuvante  Golumbino 


730  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

veronensi):  impressa  a  due  colonne,  senza  cifre  richiami 
e  segnature:  non  ha  che  91  fogli.  -  Rarissima.  -  li  lesto 
seguilo  in  questa  edizione  gareggia  in  rarità  coirantecedente. 
Il  Yiviani  se  le  professa  debitore  di  molte  preziose  lezioni. 
Un  bellissimo  esemplare  è  conservato  nell'  Arcivescovile 
dì  Udine. 

1472.  Liber  Dantis,  impressus  a  lìJar/istro  Federico  Vero- 
nensi:  (qiiartodecimo  Kalendas  Augusti,  in4."gr.).  Questa 
edizione  di  Jesi,  concorda  in  parte  con  pregiatissimi  tesli, 
e  per  rarità  indubbiamente  avanza  le  precedenti,  ma  è  assai 
scorretta.  Un  bello  esemplare  esiste  nella  biblioteca  Corsini. 

1473.  Comincia  la  Comedia  di  Dante  Alleghieri  di  Fio- 
rcnze,  nella  quale  tratta  delle  pene  de'  vidi  et  demeriti  et 
premii  delle  virtù,  Napoli,  Reusinger,  in  fogl.  pie.  -  Debbesi 
questo  prezioso  cimelio  alle  cure  di  Francesco  del  Tuppo, 
napolitano.  L'ediz.  veramente  non  ha  data:  si  argomenta 
però  che  debba  riuscire  al  torno  di  quest'epoca,  benché 
il  Balìnes  le  assegni  il  1471.  -  In  fine  del  Purgatorio  si 
leggono  le  parole:  Soli  Beo  gloria:  erubescat  Judaeus  in- 
felix.  M.  V.  -  Dalla  preposta  prefazione  è  manifesto  che 
un  Giudeo  si  fosse  gagliardamente  adoperato  ad  impedire 
la  pubblicazione  della  divina  Comedia,  onde  puossi  a  ra- 
gione dedurre  sia  questa  la  prima  edizione  napolitana. 
(  Per  queste  quattro  prime  edizioni,  Y.  l' edizione  di  Londra, 
per  cura  di  G.  Warren,  lord  Yernon,  l8o8.) 

1477.  Incominciano  le  Cantiche  della  Comedia  di  Dante 
AUighieri  fiorentino,  Napoli,  Matteo  Moravo,  in  fogl.  picc.  - 
Ediz.  rarissima,  fatta  su  buona  carta  e  bei  caratteri  romani 
grandi  e  rotondi,  e  senza  abbreviature,  la  più  bella,  a  parere 
diDibden,  di  tutte  quelle  ch'escirono  alle  luce  sino  a  quella 
epoca.  Anche  il  Witte  la  dice  meno  scorretta  delle  ante- 
cedenti. 

1477.  Dante,  col  Contento  di  Benvenuto  da  Imola,  Yenezia, 
per  Yindeliu  da  Spira,  mezzo  fogl.  -Assai  rara.  -  Edizione 
in  graziosi  caratteri  gotici,  accuratissima  per  l'esecuzione 
tipografica.  Il  Comento,  a  torto  attribuito  a  Benvenuto  è 
nel  comune  assegnalo  a  Jacopo  della  Lana.  In  questa  edi- 
zione, dice  il  Witte,  cure  più  assidue  vi  pose  Yindelino  da 
Spira  (oppure  Cristoforo  Berardi,  pesarese).   La  veneta  del 


EDIZIOM  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  731 

ViiKlelino  li  mette  soli' occhio  la  \oIgata  del  maggior  nu- 
mero de'  codici  buoni  ma  non  anlichisslmi,  si  trova  più 
libera  anche  degli  errori  materiali  che  offendono  il  lettore 
a  prima  vista. 

1477-78.  Dantìs  Comocdia  cum  Comentariis,  Mecìiolani^ 
edente  Martino  Paolo  IS'ìdobeato  ISovariemi,  in  fogl.  -  Rara,  - 
Edizione  celebre,  e  dal  nome  dell'editore  detta  iV?V?o6eatjna. 
La  stampa  della  prima  Cantica  fu  compiuta  a'  27  Settembre 
li77;  quella  della  seconda  a' 22  novemb.  1477;  della  terza 
nel  1478.  Questo  testo  venne  adottato  per  l'edizioni  romane 
del  1791,  1815  e  1820,  e  per  la  milanese  del  1804,  ed  anche 
dagli  editori  di  Padova.  In  questa  edizione  furono  ommessì 
gli  ultimi  39  versi  del  e.  xv  dell'Inferno,  ed  i  versi  118- 
19  del  XIX  del  Purgatorio.  -  La  ISidobeatina,  dice  il  Witte, 
ha  conservato  non  poche  lezioni  che  rimontano  a  un  tempo 
anteriore  allo  stabilimento  del  testo  volgalo.  -  Nel  1478 
Maestro  Filippo  (C.  Lucio  Lelio)  fece  in  Venezia  un'altra 
edizione  della  divina  Comedia,  detta  rarissima  dal  Witte, 
in  cui  curioso  è  il  titolo:  (f Comincia  la  prima  parte  chia- 
mata Inferno  della  Comedia  del  Venerabile  poeta  Dante 
Alighieri.»  Nell'edizione  di  Venezia,  fatta  a  cura  di  Fran- 
cesco Figino,  nel  1491,  fu  chiamato  il  poeta  inclito  e  divo  ; 
in  altra  stampa  pure  di  Venezia  per  Bernardino  Stagnino, 
1512,  s'intitolò  divino,  e  finalmente  fu  chiamata  per  la 
prima  volta  divina  la  Comedia  nell'edizione  di  Venezia  per 
Bernardino  Stagnino,  1516. 

1481.  Comento  di  Cr  iato  foro  Landino  sopra  la  Comedia 
di  Dante  AlUahieri,  poeta  fiorentino,  Firenze,  Della  Magna, 
in  fogl.  gr.  con  figure  (30  Agosto).  Prima  edizione  firentina 
e  veramente  magnifica,  e  la  sola,  dice  il  Foscolo,  procurala 
con  alcun  sentimento  di  critica,  sì  perchè  il  Landino  era 
uom  dotto  e  scrittore  non  vano,  e  sì  perchè  ad  illustrare 
il  poema  ebbe  aiuti  e  consigli  di  uomini  pari  suoi,  ed  ci 
vi  spese  lunghissimo  studio  e  vigilie.  La  correzione  però 
non  corrispose  al  lusso  tipografico.  -  Ed  il  Witte:  il  primo 
a  fare  un  lavoro  veramente  critico  sulla  Comedia  di  Dante 
sembra  essere  stalo  il  Landino  nella  celebratissima  slampa 
di  Lorenzo  Della  Magna,  riprodotta  senza  mutamenti  essen- 
ziali per  5  e  più  volte  nel  corso  degli  ultimi  due  decenHÌ 


732  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

del  secolo.  Non  solo  ei  si  diede  a  spurgare  il  lesto  dei  tanti 
idiotismi  che  i  copisti  vi  aveano  intrusi,  piegando  la  lingua 
di  Dante  al  dialetto  proprio,  ma  pure  sembra  fuori  di  dubbio 
eh'  egli  abbia  confrontato  alcuni  buoni  Codici,  presceglien- 
done quella  lezione  che  sembravagli  corrispondere  meglio 
tanto  al  senso,  quanto  al  genio  di  Dante.  -  Bellissimi  esem- 
plari se  ne  conservano  nella  Biblioteca  Reale  di  Parigi,  e 
nella  Palatina,  Riccardiana,  e  Magliabecchiana  di  Firenze, 
adorni  d'incisioni  e  di  eleganti  disegni  a  penna.  Prezioso 
e  quanto  mai  rarissimo  è  1'  esemplare  in  pergamena  che 
conservasi  nella  Malgliabecchiana. 

1502.  Le  Terze  Rime  di  Dante,  Venezia,  in  aedibus  Aldi, 
in  8.*^  -  Graziosa  e  rara  edizione,  assai  pregiata  per  la  sua 
correzione.  È  la  prima  volta  che  si  vegga  adoperala  l'An- 
cora aldina,  non  però  in  lutti  gli  esemplari.  -  Nel  sec.  XVI, 
scrive  Ottavio  Gigli,  si  abbandonò  la  lezione  delle  stampe 
del  secolo  XIV,  in  alcune  delle  quali  era  assai  buona,  per 
seguire  con  l'autorità  di  un  gran  nome,  una  lezione  che 
si  diede  per  ottima,  e  in  fatto  noi  fu.  La  stampa  di  cui 
parlo,  che  fece  sì  gran  danno  alla  buona  lezione  del  Poema, 
secondo  è  opinione  di  molti,  si  conformò  ad  una  copia 
manoscritta  del  Bembo,  ora  fra  i  codici  vaticani  num.  3197 
(V.  il  codice  indicato).  Su  questa  fu  cavata  l'altra  del  1315 
(  Dante,  col  sito  et  forma  dell'  Inferno  tratta  dall'  istessa 
descrizione  del  Poeta,  impressa  in  Vinegia  nelle  Case  d'Aldo 
et  d'Andrea  di  Asola  suo  suocero  nell'anno  MDXY,  nel  mese 
di  Agosto  in  8.^,  ediz.  dedicata  a  Vittoria  Colonna),  servita 
al  Borghini  pei  suoi  confronti,  e  da  lui  in  tal  modo  giu- 
dicata nel  notare  una  Variante  nel  Canto  xix  del  Paradiso:» 
Così  ha  il  testo  vulgato;  e  per  fuggir  confusione,  intendo 
per  vulgato  il  testo  stampalo  da  Aldo  nel  15,  che  questo 
ho  innanzi,  e  mi  riesce  peggiore  di  tutti  gli  altri  che  erano 
stampati  innanzi,  tal  che  comincio  a  pensare  che  sia  stalo 
corretto  per  conietlura  a  fantasia  da  qualcheduno,  che  si 
può  dire  più  giustamente  corrotto.  E  in  altro  luogo  dei 
confronti  dice:  «che  aumenta  la  sospizlone  dell'essere  il 
testo  di  Aldo  rassettato  da  qualcuno  a  fantasia  e  secondo 
la  regola  de' moderni.»  Ed  il  Witte:  «L'Aldina  del  1502 
si  può  dire  il  fondamento  di  tutte  le  stampe  del  libro  di 


EDIZIOISI  PRINCIPALI  DELLA  D.C.  735 

Dante  che  nel  corso  di  3  secoli  e  mezzo,  e  smo  al  giorno 
(l'oggi  furono  falle  in  Italia  e  fuori.  Innumerevoli  per  certo 
furono  le  correzioni,  ovvero  i  guasti  che  ci  fecero  i  posteri, 
ma  il  fondo  materiale  del  testo  rimase  sempre  intallo  lo 
Aldino.  Si  è  creduto  quasi  sempre  che  per. questa  edizione 
il  celebre  tipografo  veneto  si  sia  prevalso  dell'opera  del 

Bembo L'Aldina,  servendo  di  base  ad  innumerevoli 

edizioni  posteriori,  ottenne  un'autorità  senza  pari,  pure  le 
persone  più  intelligenti  non  rimasero  soddisfatte.  »  -  Questa 
lezione  fu  adottata  dalla  Crusca  per  la  stampa  del  1595, 
dal  Volpi  per  la  padovana  del  1727,  ed  anche  oggi  dagli 
Accademici  per  la  quinta  impressione  del  loro  Vocabolario.  - 
Il  Borghini  ci  ha  lasciato  il  lesto  del  15,  di  cui  parla,  lutto 
postillato  di  sua  mano,  con  alcune  notevoli  varianti,  senza 
allegazioni  di  codici,  e  con  altre  chiose  marginali  che  for- 
mano un  comento  cavato  da  altri  ed  anche  proprio,  e  che 
riguarda  il  senso  letterale  allegorico,  le  proprietà  di  lingua, 
e  la  storia  di  cui  Dante  si  valse.  Questo  esemplare  del 
Borghini  è  ora  posseduto  dal  marchese  Commendatore 
VicenzoAnlinori. -Nella Magliabecchiana  si  conserva  inoltre 
un  altro  prezioso  esemplare  del  15,  nella  cui  ultima  pagina 
perniano  di  Baccio  Valori  si  legge  scrìtto:  stampato  l'anno 
1515  e  riscontralo  nel  1546  con  sei  testi  in  San  Gavino  dal 
Varchi,  Luca  Martini,  Alessandro  Menchi,  Camillo  Malpigli, 
e  Guglielmo  Martini;  dei  quali  lesti  ì  migliori  furono  due 
di  Luca  Martini,  uno  in  carta  pecora,  e  l' altro  in  carta 
bambagina.  E  Camillo  Martini  ci  lasciava  memoria,  in  un 
foglio  trovatosi  fra  la  carte  del  Borghini,  che  annoiarono 
più  di  duecento  laonhi  che  mutavano  sentenzia.  -  Nell'islessa 
Magliabecchiana  si  conserva  pure  una  stampa  dell'edizione 
Aldina  del  1502,  postillata  dal  cav.  Leonardo  Salviati,  la 
cui  vi  hanno  qua  e  là  importantissime  osservazioni,  e  dove 
tra  l'altre  cose  si  legge*,  lo  per  me  direi  che  nelV  Inferno 
Dante  è  più  che  uomo,  nel  Purgatorio  mi  pare  un  angelo, 
nel  Paradiso  divino.  (V.  Spettatore  di  Firenze,  1856,  p.  503.) 
La  Trivulziana  possiede  un  esemplare  aldino  con  postille 
marginali  di  Sperone  Speroni  e  di  Alessandro  Tassoni.  - 
Nel  1802  l'Aldina  del  1502  fu  esattamente  e  perfettamente 
conlrafatla,  e  credesi  stampala  a  Lione  per  Barlolommeo 


734  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

Trolh.  -  La  seconda  Aldina,  a  giudizio  del  Witte,  non  si 
distìngue  dalla  prima  che  per  qualche  cambiamento  negli 
apostrofi  e  buon  numero  di  nuovi  errori.  Quella  del  1502, 
benché  molto  corretta,  non  è  però  senza  mende  tipografiche. 

1506.  Comedia  dì  Dante,  insieme  con  un  Dialogo  circa  il 
iìto  forma  et  misure  dello  Inferno,  Firenze,  Giunti  (a'  20 
Agosto),  in  8."  -  Graziosa  edizione,  accuratissima  e  rarissima  : 
la  precede  un  Cantico  di  Girolimo  Benivieni,  fiorentino,  in 
laude  dello  excellentissimo  poeta,  ed  un  dialogo  di  Antonio 
Manelti  circa  al  sito,  forma  e  misura  dell'Inferno,  accom- 
pagnato da  sei  incisioni  in  legno.  Il  testo  di  questa  edizione 
fu  dal  Yiviani  giudicato  eccellente,  e  pieno  di  molte  belle 
lezioni.  -  Il  Witte  vuole  abbia  fondamento  indipendente 
dall'Aldina,  ma  che  però,  malgrado  questa  independenza 
poco  le  si  discosti. 

1544.  La  Comedia  di  Dante  Allighieri,  con  la  nuova  espo^ 
sizione  di  Alessandro  Vellutello,  Venezia,  Marcolini,  in4.*'- 
Rara.  -  Edizione  bellissima,  decorata  di  eleganti  intagli,  e 
dal  Yellutello  dedicata  alla  S.  di  Paolo  III.  Questa  edizione, 
a  giudizio  del  Witte,  in  gran  parte  ritorna  al  testo  dell» 
edizioni  antiche. 

1555.  La  Divina  Comedia  di  Dante  di  nuovo  alla  sua 
vera  lezione  ridotta  con  l'aiuto  di  molti  antichissimi  esem- 
plari, Venezia,  Giolito,  in  12.''  -  Rara  edizione  ed  elegan- 
tissima. Quantunque  il  Dolce  asseveri  di  averla  fatta  sopra 
un'esemplare  trascritto  di  mano  d'un  figliuolo  di  Dante, 
e  per  conseguenza  d'avere  in  molti  luoghi  diligentissima- 
mente emendato  il  testo,  pure  lascia  desiderio  di  maggiore 
correzione.  -  Le  varie  lezioni  registrate  dal  Dolce,  dice  il 
Witte,  molte  delle  quali  non  sono  che  differenze  di  orto- 
grafia, sono  in  numero  minore  di  68,  e  derivano  in  gran 
parte,  non  dal  codice  del  preteso  figlio  di  Dante,  ma  dalle 
stampe  del  Landino  e  del  Vellutello. 

1562,  Dante  con  Vesposizione  di  Cristofano  Landino  e  di 
Alessandro  Vellutello,  riformato,  riveduto  e  ridotto  alla  sua 
vera  lettura  per  Francesco  Sansovino,  Venezia,  Marchiò 
Sessa  e  frat.  in  foglio.  -  Dedicò  il  Sansovlno  questa  edizione 
al  Pontefice  Pio  V.  Ebbe  grande  credito  a'  suoi  tempi,  sicché 
ne  fu  replicata  la  slampa  pure  in  Venezia  negli  anni  la'S 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  735 

0  1505,  sempre  in  foglio.  Su  quest'ultima  nominatamente 
cadde  la  censura  deW  Incììce  Spafjnuolo  (pubblicato  in  Ma- 
drid r  anno  1614)  intorno  ad  alcuni  passi  del  comento 
Landiniano,  e  si  ordinò  che  dal  poema  di  Dante  di  qualsiasi 
stampa  si  dovessero  togliere  vianelC.  xi  dell'Inferno  i  versi 
8  e  'J;  nel  G.  XIX  del  Purgatorio  i  versi  106  a  118,  e  nel 
C.  IX  del  Paradiso  i  versi  136  sino  alla  line  del  canto. 

1568.  Dante  con  l  esposizione  di  M.  Bernardino  Daniello 
di  Lucca,  Venezia,  Pietro  da  Fino,  in  4.^  piccolo.  -  Edizione 
in  corsivo,  molto  ricercata,  per  amor  del  Comento  che  di 
quei  giorni  fu  pregiato  assai.  Esso  è  disposto  attorno  il  testo 
ed  è  impresso  in  caratteri  romani  più  piccoli.  In  questa 
edizione,  dice  il  Witte,  si  trova  qualche  rara  mutazione  del 
testo  aldino,  e  per  lo  più  in  meglio,  ma  come  il  Daniello 
uon  dice  donde  abbia  ricavato  le  sue  varianti,  s'ignora  in 
quale  conto  esse  sieno  da  tenersi. 

1595.  La  Divina  Comedia  di  Dante  AlWfiiieri,  nobile 
fiorentino,  ridotta  a  miglior  lezione  dafjli  Accademici  della 
Crusca,  Firenze,  Manzani,  in  8.^'.  -  Decantata"  edizione  della 
Accademia  della  Crusca,  o  per  dir  meglio  di  Bastiano  dei 
Rossi,  lo  In  ferrigno.  La  prefazione  ci  ragguaglia  che  «  le 
prime  e  le  principali  tra  le  cagioni  che  indussero  gli  Ac- 
cademici ad  imprendere  questa  fatica  sia  stata  l'opera  del 
Vocabolario  della  nostra  favella,  »  che  allora  avevano  tra 
mano.  Si  dolgono  anch'essi  di  aver  trovalo  il  divino  poema 
così  lacero  e  mal  governo  e  da'  copiatori  e  dalla  stampa, 
ed  eziandio  da'  comentatori,  che  poco  se  ne  potessero  in 
essa  acconciamente  servire,  se  prima  non  cercassero  di 
sanarlo  dalle  sue  piaghe.  Aggiungono  poi  di  averlo  fatto 
in  modo  che  l'autorità  e  le  ragioni  sopra  le  quali  sono 
fondati  i  loro  mutamenti,  nel  margine  apparissero  palesi. 
Ma  assai  diversamente,  scrive  il  Witte,  si  è  giudicato  del 
lavoro  degli  Accademici  del  95.  Mentrechè  gli  editori  del 
600  e  quasi  tutto  il  700  non  credeva  poter  far  meglio  che 
di  ripetere  letteralmente  il  testo  del  Manzani,  e  mentrechè 
ristesso  Foscolo  tocca  le  accuse  fatte  contro  il  testo  dello 
Inferrigno,  di  accuse  che  sanno  di  servitù  che  si  vendica 
di  tiranni  scaduti,  queste  accuse  non  cessarono  mai,  e  i 
primi  a  non  assoggettarsi  al  parere  di  quella  edizione  citata 


736  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

erano  i  Vocabolaristi  all'uso  dei  quali  era  stala  fatta.  L'er- 
rore principale  di  questi  Accademici  mi  sembra  di  essere, 
che  invece  di  ricostruire  tutto  di  pianta  il  lesto  del  divino 
poema,  si  contentarono  di  fare  un  qualche  numero  di  mu- 
tazioni dall'  Aldina,  Le  varianti  introdottevi  dagli  Accademici 
montano  a  650,  cioè  6  o  7  per  canto.  Si  troveranno  moltissimi 
esempi  di  lezioni,  le  quali,  benché  sostenute  dal  consenso 
quasi  unanime  dei  codici  non  furono,  non  dico  adottate, 
ma  nemmeno  mentovate  dal  Rossi.  Essa  è  dunque  cosa 
certissima  che  se  gli  Accademici  confrontarono  veramente 
verso  per  verso  tutta  la  divina  Comedia  nei  Codici  che 
aveano  a  mano,  e  non  si  contentarono  forse  di  riscontrare 
in  tale  e  in  tal  altro  lesto  quei  passi  che  ne  credevano 
più  degni,  almeno  la  maggior  parte  delle  lezioni  che  doveano 
aver  osservate  fu  da  essi  soppressa.  Cinquanta  furono  i 
lesti  consultati  per  la  correzione,  anzi  si  potrebbe  dire  61, 
essendoché  fra  I  libri  somministrati  da  Luigi  Alamanni  e 
Cosimo  Bar  ioli  si  trovano  i  confronti  già  anteriori  falli  di 
altri  II  Testi.  Il  Wille  aggiugne  che  ì  400  e  più  lesti  da 
lui  confrontati  o  fatti  confrontare  per  il  iii  e.  dell'Inferno 
prova  che  gli  Accademici  non  attendevano  troppo  ai  prin- 

cipii  da  loro  nella  prefazione  emmessi Si  renda  però 

ogni  giustizia  agli  Accademici  del  gran  merito  di  aver 
restituito  alla  vera  lezione  numerosi  passi  della  Comedia, 
ma  si  conceda  nell'islesso  tempo,  il  materiale  critico  da 
essi  registrato  sui  margini  ed  in  fine  del  Volume  essere 
di  pochissimo  lavoro  per  chi  desidera  di  continuare  il  lavoro 
da  loro  solamente  comincialo.  »  -  Questa  riputatissima  ediz. 
caduta  sventuratamente  in  mano  di  stampatore  negligen- 
lissimo,  riuscì  zeppa  di  errori,  e  per  giunta  alla  derrata 
fu  impressa  in  caratteri  Stanchissimi. 

1726-27.  La  Divina  Comedia  dì  Dante  AlWihieri  già 
ridotta  a  miglior  lezione  dagli  Accademici  della  Crusca, 
accresciuta  di  un  doppio  Rimario  e  di  tre  Indici,  Padova, 
Cornino,  Voi.  3.  in  8.^  con  ritratto.  -  Gli  Accademici  della 
Crusca  giudicarono  la  presente  edizione  molto  più  di  quella 
del  Manzani  emendata  e  corretta.  Pregiatissimi  e  più  volle 
pubblicati  sono  gl'Indici  ed  i  Rimarli  aggiunti  dal  Volpi. 
Cento  e  sassanla  errori,  così  gli  Editori,  notati  ch'erano 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  737 

in  fine  dell'edizione  del  Manza  ni  abbiam  tolti  via...  si  sono 
rimesse  ne'  loro  siti  varie  Postille  che  nella  fiorentina  erano 
fuori  di  luogo,  in  dette  Postille  sonsi  distinte  le  citazioni 
degli  Autori  colla  varietà  de'  caratteri  e  si  sono  aggiunti 
ad  esse  contrassegni  più  esatti.  Abbiam  notato,  (e  supplito 
ancora  dove  si  è  potuto,  coll'aiuto  del  testo  aldino  dell'anno 
1502  che  fu  adottato  dagli  Accademici)  molte  varie  lezioni 
tralasciale  per  inavvertenza  nella  fiorentina . . .  finalmente 
nella  tavola  dell'  autorità  dei  Testi ...  si  sono  accennate 
le  mancanze  de'  numeri  delle  stesse  autorità  che  s' incon- 
trano nella  suddetta  tavola  dell'  edizione  fiorentina.  Nella 
Cominiana,  dice  il  Witte,  si  trova  lutto  quanto  è  contenuto 
neir  edizione  originale,  ma  per  di  più  si  veggono  con  somma 
diligenza  espurgate  le  numerosissime  mende,  di  modo  che 
quasi  lutti,  da  questo  tempo  in  poi,  che  si  volevano  servire 
del  testo  degli  Accademici  si  contentarono  della  slampa 
Cominiana.  Il  Serrassi  nel  1752,  il  Venturi  nel  1732,  il 
Zatla  nel  1757  la  riprodussero  fedelmente.  (V.  Foscolo, 
Discorso  sul  Testo,  sez.  ccv.  ) 

1732.  Dante  con  una  breve  e  sufficiente  dichiarazione 
del  senso  letterale,  diversa  in  più  luorjhi  da  quella  decjli 
antichi  Comentatori,  Lucca,  Sebastiano-Domenico  Capurro, 
Voi.  3  in  8.^  gr.  -  È  la  prima  edizione  col  Comento  Venturi, 
benché  non  se  ne  legga  il  nome,  ed  è  oggidì  divenuta  rara. 
Vi  ebbe  pur  parte  il  P.  Fr.  Antonio  Zaccaria.  L'  editore  G.B. 
Placidi  dedicavala  a  Clemente  XI.  Se  ne  moltiplicarono  le 
edizioni,  ma  la  più  comendevole,  ed  in  cui  la  dichiarazione 
si  ridusse  alla  sua  integrità  si  è  la  veronese  per  Giuseppe 
Berno,  1749,  Voi.  3,  in  8.^  e  che  venne  intitolala  al  celebre 
Scipione  Maffei. 

1757-58.  La  divina  Comedia  di  Dante  AlWjhieri,  con  varie 
annotazioni,  e  copiosi  rami  adornata  e  con  /'  agfiiunta  di 
tulle  le  altre  opere,  Venezia,  Ani.  Zatla,  Voi.  5  in  4.°  - 
Edizione  falla  con  lusso,  secondo  il  Gamba,  ma  con  poco 
buon  gusto.  Va  fregiala  di  106  incisioni  eseguile  con  molla 
diligenza.  11  testo  adottato,  meno  pochi  cambiamenti,  è  il 
Cominiano  del  1727.  Venne  dedicata  a  S.  M.  Elisabetla 
Pclrowna,  imperatrice  di  tutte  le  Russie. 

1791.  La  divina  Comedia  di  Dante  AUighieri,  nuovamente 

VOL.    II.  47 


738  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

corretta  spiedata  e  difesa  da  Baldassare  Lombardi  31.  Coni\ 
Roma,  Ani.  Fulgoni,  Voi.  3,  in  4.'^  -  11  Lombardi  tenne  a 
primaria  sua  scorta  1'  edizione  Nidobeatina,  anzi  tanto  le 
si  era  legato  di  amore,  al  dire  del  Foscolo,  che  dove  le 
altre  discordavano  da  essa,  faceane  pochissimo  conto.  In- 
trodusse nel  testo  non  poche  felici  emendazioni.  -  Il  Lom- 
bardi, scrive  il  Witte,  fu  il  primo  a  riassumere  dopo  96 
anni  gli  studii  critici  sulla  divina  Comedia.  Seguì  il  testo 
della  famosa  Nidobeatina,  ma  non  interamente.  La  Nido- 
beatina nei  tre  primi  Canti  esibisce  all'  incirca  50  lezioni 
almeno  degne  dì  essere  prese  in  considerazione.  Il  Lom- 
bardi ne  adottò  11,  aggiugnendo  nella  tavola  posta  in 
fine  del  Volume  altre  12  come  pregiabili.  Ma  le  altre 
sono  tanto  lungi  dall'  essere  senza  valore  che  diversi  editori 
recenti  ne  raccolsero  non  poche  nel  testo,  senza  dubitarsi 
ch'esse  si  trovassero  nella  Nidobeatina.  Il  Lombardi  con- 
frontò per  questa  sua  edizione  alcune  stampe  del  400, 
segnatamente  quelle  di  Foligno  e  di  Mantova  del  1472;  la 
Veneta  di  Vindelin  da  Spira  del  1477,  quella  del  Landino 
del  1481  e  non  pochi  testi  a  penna  delle  librerie  romane. 
I  Godici,  più  degli  altri  da  lui  esaminati,  sono  i  Corsiniani. 
Inoltre  si  trovano  delle  lezioni  prese  da  alcuni  Codici 
Vaticani  (Caponi  266;  Vaticano  3200,  2866,  3201  e  Caponi 
336.-Batines  322,  327,  312,  335,  336),  due  della  Casanatense 
Cod.  m.  5  (Batines,  344),  2  HI.  4  (Bat.  442);  2  di  Casa 
Chigi,  L.  VII.  251,  e  L.  VI.  212.  (Bat.  379,  385),  uno  del  Card. 
Garampi  (Cod.  nella  Biblioteca  Gambalunga  di  Rimini,  Bat. 
404);  due  del  Card.  Zelada,  li  quali  sarebbero  passati  in. 
Ispagna.  Non  furono  essi  consultati  a  norma  di  un  certo 
sistema  critico,  ma  a  caso  ed  a  capriccio,  dove  qualche 
passo  al  Lombardi  pareva  dubbio  o  scabroso,  ora  l'uno  ed 
ora  l'altro.  -  Questa  edizione  venne  accolta  da  applausi 
quasi  unanimi.  Veramente  l'avere  spurgato  il  lesto  di  Dante 
da  non  pochi  errori  particolari  all'Aldina,  ed  ai  mss.  che 
le  avean  servito  di  fondamento,  e  da'  numerosi  capricci  di 
Bastian  de'  Rossi  è  un  merito  che  si  debbe  riconoscere  al 
P.  Lombardi.  Ma  si  avverta  che  nel  medesimo  tempo  il 
nuovo  editore,  privo  della  scorta  dei  principìi  di  una  soda 
crìtica,  sostituì  assai  di  spesso  alla  lezione  dagli  Accademici 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C  739 

cavala  da'  testi  più  antichi  im'  altra  più  moderna,  che  dai 
Codici  più  recenti  era  passala  nella  Nidobeatina.  Ciò  non 
ostante  l' edizione  romana,  ovvero  testualmente,  oppure  con 
qualche  mutazione  men  essenziale  fu  riprodotta  sovente.  - 
Fu  riprodotta  nel  ISlo,  ma  avvantaggiata  dal  de  Romanis 
(Voi.  4.  in  4.«j,  e  nel  1820,  Voi.  4.  in  8.«  -  V.  Edizione  de 
Romanis.  (Y.  Comentì  Parziali,   1825,   iVoìiti  Yicenzo). 

1795.  La  Div.  Comedia  di  Dante,  Parma,  Bodoni,  Voi.  3  in 
fol.  reale. -«  Magnilìca  edizione,  di  cui  furono  tirati  soli  130 
esemplari  numerati,  25  de'  quali  in  fol.  stragrande.  Fu 
eseguita  sulle  nuove  lezioni  procurate  da  Mons.  Can.  Giov. 
Jacopo  de'  Marchesi  Dionisi,  veronese,  passionato  ammiratore 
di  Dante.  É  osservabile  quanto  intorno  al  testo  dionisiano 
scrisse  Ugo  Foscolo:  »  Ristoratore  del  testo  dantesco,  e  atroce 
emulo  del  Lombardi...  proverbiando  gli  Accademici  della 
Crusca,  e  pur  fiorentineggiando  più  ch'essi,  ogni  idiotismo 
e  arcaismo  toscano  era  per  Dionisi  lezione  purissima,  l 
codici,  ove  brulicavano  di  mostri,  tanto  più  gli  venivano 
in  grazia  ;  e  purché  vi  spiasse  interpretazioni  inaudite,  a 
lui  parevano  modi  originali  di  lingua  degni  della  divinità 
del  poema.  Leggeva,  viaggiava,  sognava  a  illustrarlo  con 
anticaglie  minute  ed  aneddoti,  contraddicendo  sempre  ad 
ogni  uomo;  anzi  per  lavare  l'autore  di  ogni  macchia  umana 
che  mai  gli  scrittori  amici  e  nemici  gli  abbiano  attribuito, 
contraddiceva  anche  a  Dante,  e  anclie  dove  ha  parlato  di 
se.  Così  fattosi  martire  del  poema  e  del  poeta,  provocava 
altri  a  ridere  insieme  e  resistergli;  perch'era  acuto,  osti- 
nato, imperterrito:  e  i  più  lo  credevano  vittorioso,  quando 
pochi  si  trovano  d'aver  tanto  d'ozio  e  di  vocazione  da 
sincerarsi  del  merito  in  si  fatte  dispute;  onde  il  Bodoni  si 
tenne  beato  di  lasciargli  emendare  il  testo  di  una  edizione 
splendida  :  e  l'arte  del  tipografo  preserverà  i  sogni  dell'anti- 
quario.  Pur  tanti  n'  aveva  il  Dionisi  per  fantasia,  e  li 
riguardava  e  spianavali  in  mille  modi,  che  dove  gli  altri 
critici  aveano  disperato  del  vero,  ci  talor  vi  coglieva.  Sco- 
perse alcuni  documenti  ignotissimi  ed  utili,  e  richiamò  gli 
studj  alla  storia  della  Divina  Comedia.  Foscolo,  Discorso 
sul  Testo  del  poema  di  Dante,  Sez.  ccvii.  -  «  Il  Dionisi,  cos'i 
il  Wilte,  più  ch'altro  ebbe  ricorso  al  Codice  di  S.  Croce, 


740  EDIZIOM  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

e  senza  dubbio  le  lezioni  da  esso  desunte  formano  il  mag- 
gior pregio  della  splendida  edizione  del  1795  da  lui  pub- 
blicala coi  tipi  Bodoniani,  e  per  3  volte  ripetuta  in  6;** 
minore.  -  Ei  dà  per  fondo  della  sua  ediz.  la  celebre  firen- 
lina  del  1595,  ossia  la  ristampata  dal  Cornino  da  Padova, 
0  quella  ch'egli  chiama  Volgata  per  essere  in  sostanza 
lutt'uno.  Egli  aggiunge  non  essersi  scostalo  mai  dal  testo 
di  essa  che  per  seguir  da  presso,  quanto  potè,  l'autorità 
de' Manoscritti  e  la  scorta  della  ragione,  dietro  al  condotto 
de' canoni  della  critica,  e  dell'altrui  e  della  sua  propria 
esperienza.  Ciò  non  ostante  l'edizione  del  Dionisi  rappre- 
senta assai  meglio  il  testo  detto  di  Filippo  Yillani  che  la 
edizione  del  Lombardi  e  quella  della  Nidobeatina.  Ad  onta 
però  di  meriti  così  evidenti  e  vistosi  non  ebbe  un'accoglienza 
troppo  favorevole.....  ed  invece  di  esserne  ringraziato  fu 
immeritamenle  vilipeso  da  non  pochi.  » 

1804.  La  Divina  Comedia  di  Dante  AlUfjhierì,  illustrata 
di  note  da  L.  Portirelli,  Milano,  Società  tipog.  de'  Class, 
ilal.  voi.  3.  in  8.^  -  Devesi  alle  cure  del  Portirelli  la  pre- 
sente edizione,  in  cui  segui  la  Nidobeatina  da  lui  giudicata 
la  migliore,  affermando  di  averla  seguita  con  maggior  fe- 
deltà di  quello  che  facessero  gli  editori  romani  del  1791; 
e,  perchè  al  lettore  sia  data  facoltà  di  giudicare  dal  mag- 
gior pregio  della  sua  lezione,  ha  riportalo  in  nota  le  varie 
lezioni  adottate  nell'  altre  edizioni,  specialmente,  in  quella 
degli  Accademici.  -  «  Il  Portirelli,  dice  il  Witte,  prese  a 
modello  la  Nidobeatina,  non  però  limitandosi  a  quella  sola 
edizione  Nidobeatina  che  il  Lombardi  avea  approvato,  ma 
adottando  ancora  un  bel  numero  di  lezioni  da  esso  trascu- 
rate... se  il  Lombardi  rende  un  quarto  della  lezione  Nido- 
beatina, il  Portirelli  ne  dà  i  tre  quarti  ma  non  più.  Lo 
spoglio  di  varianti  del  Codice  di  Monte  Cassino  pubblicato 
dal  P.  Ab.  Costanzo  fino  dal  1811  non  pervenne  alle  mani 
del  Portirelli  che  dopo  terminata  la  stampa  dell'Inferno. 
Egli  lo  mise  a  profitto  per  le  due  ultime  Cantiche,  e  ne 
supplì  le  lezioni  più  importanti  dell'Inferno  nella  Prefazione 
del  Purgatorio.»  -  Un'esemplare  di  questa  edizione  è  ge- 
losamente custodito  dal  comune  di  Saluzzo,  ed  è  l'esem- 
plare permesso  a  Silvio  Pellico  di  avere  nelle  carceri   dì 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C  741 

Venezia,  di  cui  egli  parla  al  C.  VI.  delle  mie  Prigioni.  Questo 

10  segui  in  Moravia,  dove  poi  gli  venne  ritolto  d'ordine 
del  governatore,  siccome  ivi  è  raccontato  al  C.  LXXX.  I 
volumi  sono  legati  in  semplice  cartone,  e  compatibilmente 
bene  conservali.  Essi  portano  sulla  prima  pagina  la  lìrma 
dì  Silvio  Pellico  di  suo  pugno.  I  margini  del  poema  sono 
qua  e  là  segnati  con  linee  a  matita,  di  note  a  penna,  po- 
chissime e  concise,  relative  soltanto  all'interpretazione  di 
qualche  verso.  [Mondo  lelter.  12  Marzo  1859.) 

1804.  La  Divina  Comedia  con  la  versione  tedesca,  Pen- 
nìng  in  Sassonia,  a  spese  di  Fr.  Dienemann  e  Comp.  voi.  3 
in  4.*^  gr.  car.  vel.  -  Bella  edizione,  giudicata  correttissima, 
per  cura  del  Prof.  Fernow,  bibliotecario  di  Jenna.  Una 
specie  di  Atlante,  in  foglio  bislungo,  contiene  39  figure 
incise  dall' Humel,  sul  fare  del  Flaxman,  tutte  per  l'Inferno. 
L'editore  ha  seguito  la  lezione  degli  Accademici  della 
Crusca,  sull'edizione  datane  dal  Zatta  nel  1737,  conferen- 
dola con  quella  del  Lombardi. 

1804-09.  La  Divina  Comedia  di  Dante  Allighieri,  con 
Illustrazioni,  Pisa,  dalla  Società  letteraria,  voi.  4,  in  fol.  - 
Bella  edizione,  pubblicata  per  cura  del  prof.  Giovanni  Ro- 
sini,  tirata  in  soli  2S0  esemplari,  20  de'  quali  in  carta  velina 
di  Francia,  ed  uno  in  pergamena.  La  lezione  adottata  è 
quella  degli  Accademici  della  Crusca,  ma  l'editore  si  giovò 
pure  delle  varie  lezioni  che  offrono  le  più  riputate  edizioni: 

11  ritratto  del  poeta  fu  inciso  dal  Morghen. 

1807.  La  Divina  Comedia,  già  ridotta  a  miglior  lezione 
dagli  Accademici  della  Crusca,  ed  accuratamente  corredata 
accresciuta  di  varie  lezioni  tratte  da  un  antichissimo  Codice, 
con  note  di  Gaetano  Poggiali,  Livorno,  Masi  e  comp.,  coi 
tipi  Bodoniani,  voi.  4,  in  8."  -  Edizione  molto  pregiata  per 
la  correzione  e  nitidezza,  mercè  le  cure  del  celebre  biblio- 
grafo Gaetano  Poggiali,  e  da  esso  dedicata  alla  Maestà  di 
Maria  Luisa,  Infanta  di  Spagna  e  Regina  d'Etruria.  È  adorna 
di  un  ritratto  di  Dante  inciso  dal  Morghen,  e  di  un  Piano 
dell'Inferno,  secondo  il  Manetti.  -  La  lezione  adottata  è 
quella  degli  Accademici  della  Crusca.  A  prescegliere  questo 
testo,  dice  il  Poggiali,  ci  ha  determinato  la  somma  perizia 
4ii  quei  valentuomini  che  con  tanto  studio,  e  colla  scorta  della 


742  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

accurata  edizione  Aldina  del  1402,  e  d'un  gran  numero 
di  antichi  codici  niss.  presero  a  stabilire  la  più  plausibile 
lezione  di  questo  meraviglioso  poema,  onde  fu  esso  testo,  da 
chi  ha  fior  d'ingegno,  risguardato  sempre  come  T ottimo. - 
Questa  edizione,  scrive  il  Witte,  fu  corredala  dal  Poggiali 
di  alcune  ma  ben  poche  lezioni  di  un  suo  codice,  che  si 
crede  essere  stato  di  Pier  del  Nero,  ed  attualmente  si  tro- 
va nella  Palatina  di  Firenze  (Batines  163).  Sembra  al 
Poggiali  che  la  scrittura  di  esso  non  debba  oltrepassare  11 
1330,  e  lo  trova  fornito  di  parecchie  varianti  a  suo  cre- 
dere assai  comendablll  ed  atte  ad  Illustrare  e  migliorare 
molti  luoghi  del  poema.  Egli  confessa  però,  aver  rilevato 
da  un  più  diligente  esame  che,  unite  alle  migliori,  altre 
ve  n'erano  inferiori  a  quelle  degli  Accademici,  onde  gli 
sembro  più  sano  consiglio  di  notare  soltanto  In  pie  di 
pagina  quelle  tra  le  varie  lezioni  che  gli  sembrarono  me- 
ritevoli di  particolare  osservazione.  Concorda  con  questo 
giudizio  il  De  Batines.  Il  Palermo  dubita  della  data,  e  rileva 
1  non  pochi  errori  che  sfigurano  il  testo.  L'esame  però  di 
queste  lezioni  c'induce  ad  annoverare  il  codice  Poggiali 
fra  1  buoni,  non  però  fra  1  migliori.  -  Il  Foscolo,' nelle  sue 
Postille  alle  Rime  di  Guido  Cavalcanti  ci  fa  sapere  di  avere 
postillato  di  sua  mano  una  stampa  della  Dlv.  Comedia  fatta 
dal  Poggiali  in  Livorno,  Yol.  I,  e  di  avervi  scritto  un  Di- 
scorso Intorno  a  Guido  Cavalcanti.  Ma  per  quante  ricerche 
si  sieno  state  falle  non  si  riuscì  a  sapere  presso  chi  esista 
oggi  quella  copia,  che  certo,  come  può  congetturarsi  spesso 
dal  Discorso  sul  testo,  e  dalle  poche  illustrazioni  rimasteci,, 
dovette  essere  al  Foscolo  di  precipuo  sussidio  a  quel  suo 
lavoro,  come  quella,  acuì  ne' margini  e  negl'i  nterfogli^ 
secondo  era  suo  stile,  egli  avea  forse  consegnala  la  maggior 
parte  delle  riflessioni,  del  pensieri  e  de'  ragionamenti  che  gli 
accadeva  di  fare  e  comporre  a  mano  a  mano  ch'el  leggeva  e 
studiava  11  suo  divino  AUighlerl,  e  ch'egli  cita  spessissimo, 
come  già  messi  al  loro  luogo  nel  citato  Discorso  sul  testo.  Un 
altra  copia  della  stessa  edizione  del  Poggiali,  con  alcune  brevi 
postille  autografe  del  Poggiali,  per  dono  degli  eredi  della 
Donnei  gentile,  è  ora  posseduta  dall'egregio  mio  amico  France^ 
sco  Silvio  Orlandini,  benemerito  tanto  dell'opere  Foscoliane, 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  743 

1808.  La  Divina  Comedia,  illustrata  di  note  da  Romualdo 
Tolti,  Londra,  Zolli,  Voi.  3.  in  18.  gr.  -  Graziosa  e  nitida  ediz. 
adorna  del  ritrailo  di  Danle,  inciso  dallo  Schiavonetli.  11 
lesto  è  dell'  edizione  del  1791. 

1809.  La  Divina  Comedia,  Milano,  Mussi,  3.  voi.  in  fol.  gr. 
(l  Maggio).  Edizione  splendidissima,  tirala  in  soli  72  esem- 
plari, cioè  62  in  carta  bianca,  8  in  turchina,  2  in  caria 
distinta.  Venne  essa  assistila  dal  cav.  Lamberti  e  dal  prof. 
Ottavio  Morali,  i  quali  assieme  col  pittore  Giuseppe  Bossi, 
attesero  diligentemente  alla  slampa  del  poema,  che,  a  mal- 
grado del  ridicolo  di  cui  la  sparge  il  Foscolo,  riuscì  mira- 
bilmente corretta.  -  «  Il  Mussi,  così  il  Witte,  accompagnò 
la  sua  edizione  del  1809  di  alcune  varianti  prese  da  un 
testo  delle  due  prime  cantiche  che  in  quel  tempo  era  del 
Bossi,  ed  ora  fa  parte  della  splendida  raccolta  del  Trivulzio 
(Bai.  259).  Gli  eruditi,  citati  dal  Mussi,  giudicarono  questo 
Codice  coevo  deliautore,  scritto  per  avventura  quando  la 
terza  Cantica  non  era  ancor  pubblicata,  ma  sono  persuaso 
che  fra  ì  critici  odierni  ben  pochi  saranno  dello  stesso  av- 
viso. Taccio  dell' ortografia  che  si  può  dire  rozzissima,  ma 
la  stessa  lezione  del  lesto  per  1  ben  molti  errori  che  la 
sfigurano,  si  conosce  lavoro  di  un  qualche  copista  materiale.  » 

1818-17.  La  slessa,  Roma,  de  Romanis.-  L'editore  romano, 
dice  il  Foscolo,  mostra  quanto  la  volontà  perseverante 
riesca  spesso  a  compensare  moUi  difelli;  ed  egli  per  le 
sue  edizioni  vuoisi  considerare  il  più  benemerito  fra  gli 
stampatori  della  Divina  Comedia.  -  Vi  assistette,  così  il 
Witte,  il  Prof.  Ruga.  Oltre  alle  varie  lezioni  del  Codice 
Cassinese  inserite  a  suo  luogo  sulla  fede  del  P.  Costanzo, 
vi  troviamo  alcune  del  codice  Caelani,  confrontate  per  la 
prima  volta,  benché  un  poco  alla  leggiera,  dal  Ruga.  Forse 
non  meno  di  CO  di  queste  lezioni  furono  introdotte  nel 
lesto,  stampandole  però  per  modo  di  contrassegno,  in  ca- 
rattere corsivo.  I  confronti  di  non  meno  che  4  testi  a 
penna  somministrarono  al  do  Romanis  un  buon  numero  di 
nuove  varianti  per  la  3.*  sua  edizione  pubblicala  a  Roma 
<ial  1820  al  1822.  Il  Codice  più  esaltamente  esaminalo  per 
questo  scopo  sembra  essere  il  Valicano  N.  3199,  da  molti, 
come  già  si  disse,  creduto  scritto   di  proprio  pugno  del 


744  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C 

Boccaccio.  UQ'altro  codice  confrontato  fu  l'Anlaldino  primo. 
(Batines  400).  Lo  spoglio  delle  varianti  fu  fatto  dalla  Contessa 
Monti  Perticari.  Ma  il  de  Romanis  trascurò  di  profittarne 
per  gii  ultimi  14  canti  dell'Inferno,  e  non  mantenne  H 
sacramento  fatto  dirlstamì^arlo  tutto  infine  delV  opera.  Ancora 
più  insufficienti  sono  le  varianti  estralte  da  un  Codice 
Chigiano  (Batines,  382).  Vediamo  nella  Prefazione  al  Pur- 
gatorio che  il  celebre  ab.  Fea  che  le  avea  notate  tutte  ne 
fece  dono  al  de  Romanis.  Ciò  non  ostante  esso  non  se  ne 
servi  che  dal  xv  Canto  della  IF  Cantica  in  poi,  e  non  pensò 
di  darle  a  modo  di  supplemento  per  la  prima  metà  del 
poema.  Ma  parimenti  per  gli  ultimi  52  Canti  1'  editore 
romano  non  cita  le  nuove  lezioni  di  questo  mss.  che  quando 
gli  apparivano  belle  e  speciose  o  quando  confermavano  la 
lezione  di  Nidobeato  o  la  comune,  o  quando  s'accordava 
con  gli  altri  famosi  Codici  che  avea  fin  allora  adoperato. 
Non  sembra  che  i  termini  nei  quali  il  de  Romanis  crede 
dover  riferire  le  varianti  del  4  Codice  (Angelico  T.  6.  22, 
de  Batines,  357)  sieno  molto  più  estesi.  Egli  si  limita  a 
dirne  nella  prefazione  che  col  favore  dì  questo  mss.  qualche 
dubbiezza  era  stata  schiarita,  ed  in  alcuni  luoghi  essere 
stato  impossibile  di  non  riformare  la  lezione  di  Nidobeato. 
Un  quinto  Codice  allora  posseduto  da  Milord  Glembervic, 
ed  ora  passato  al  Museo  britannico  (N.  10317  -  De  Batines 
503,  536)  fu  consultalo  per  alcuni  passi  del  paradiso.  Con 
maggior  cura  fu  tutta  nuovamente  collazionala  col  Codice 
Caetani.  Mentre  l'edizione  del  15  non  ne  recava  nessuna 
variante,  pei  3  primi  canti  dell'Inferno,  qui  ne  troviamo  21. 
Anche  questo  però  non  basta  di  gran  lunga.  La  nostra 
edizione  oltre  all'aver  adottate  22  lezioni  del  Codice  Caetani 
rifiutate  dal  de  Romanis  ne  riporta  come  varie  sui  margini 
di  questi  3  canti  non  meno  di  31. 

1817-19.  Za  Divina  Coniedìa,  con  Tavole  in  rame,  Firenze, 
all'  insegna  dell'Ancora,  4  Voi.  in  fol.  grande,  carta  velina, 
adorni  di  125  tavole.  -  Libro  veramente  magnifico,  tanto 
per  la  bellezza  e  splendidezza  del  lavoro  tipografico,  quanto 
per  r  eccellenza  dei  disegni  che  contiene.  Ne  furono  editori 
Antonio  Rienzi,  G.  Marini  e  Gaetano  Muzzi  che  lo  intito- 
larono a  Canova.  La  lezione  è  quella  della  Crusca  :  il  quarto 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  145 

Volume  è  ricco  di  estratti  dai  Comenti  dell'Anonimo,  di 
Pietro  Allighieri  e  del  Boccaccio,  e  di  alcune  note  di  uomini 
letterati  dei  tempi  più  tardi,  e  taluni  viventi,  dettale  con 
discernimento  e  dottrina.  Luigi  AdamoUì  inventò  e  gran 
parte  intagliò  le  tavole  delle  Cantiche  dell'  Inferno  e  del 
Purgatorio,  e  Francesco  ISenci  tutte  quelle  del  Paradiso. 
Se  nelle  prime  dispiacque  talvolta  a'  conoscitori  di  trovare 
il  lavoro  trascurato  si  nel  disegno  che  nell'  esecuzione, 
nelle  seconde  del  Nenci  si  ammirano  spiegate  e  rappresentale 
da  pittor  valente  le  più  belle  imagini  del  poeta. 

1818.  La  stessa,  col  Comento  di  Giosa fatte  Biagioli,  Pa- 
rigi, Dondey-Duprè,  3  Voi.,  in  8."  -  Bella  e  nitida  e  corret- 
tissima edizione.  L'editore  si  giovò  di  un  estratto  delle 
Bellezze  di  Dante,  lavoro  inedito  dell'Alfieri,  e  pubblicò 
nuove  varianti,  tolte  da  un  mss.  del  secolo  XIV,  posseduto 
dal  cav.  Stuart.  11  Salfi  raccomanda  grandemente  agli  stu- 
diosi dì  Dante  questa  edizione,  dicendola  una  guida  sicura 
ed  illuminata  per  chiunque  desideri  rendersi  famigliare  la 
maniera  e  lo  stile  del  gran  poeta.  Venne  anche  lodata  dal 
Monti.  (V.  Comenti  parziali,  Monti  Vincenzo.)  -  Il  Biagioli, 
così  il  Witte,  tolse  le  varianti  del  Purgatorio  e  del  Paradiso 
da  un  Codice  allora  posseduto  da  Milord  Stuart  (Bai.  50); 
scelta  che  riesci  assai  scarsa  di  numero,  e  le  poche  lezioni 
riportate  nell'edizione  parigina  non  bastano  per  dare  un 
giudizio  del  valore  intrinseco  del  testo.  Del  rimanente  il 
Biagioli,  benché  strenuo  difensore  degli  Accademici,  massi- 
mamente contro  il  Lombardi,  si  allontanò  non  troppo  di 
rado  dalle  stampe  del  Manzani  e  del  Comino. 

1819-24.  La  stessa,  con  tavole  in  rame,  Bologna,  Gam- 
berini  e  Parmeggiani,  3  Voi.  in  4."  gr.  -  Bella  edizione, 
dovuta  alle  cure  diiW  ab.  Filippo  Macchiavelli.  Vennero  in 
essa  per  la  prima  volta  pubblicate  101  tavole  dantesche, 
inventate  ed  intagliale  nel  180G  e  1807  da  Giovan-Giacomo 
Macchiavelli,  bolognese,  morto  in  Roma  nel  1811.  Molta 
vita  e  grande  maestria  nell' arte  e  profonda  intelligenza 
del  poema  si  rivela  in  queste  tavole,  giudicate  ancor  più 
belle  di  quelle  dell'incora.  Alla  fine  di  ciascheduna  Cantica 
gli  editori  bolognesi  aggiunsero  osservazioni  e  discorsi  or 
buoni  or  disutili,  come  avviene,  dice  il  Foscolo,  ove  i  suo- 


746  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

nalori  d' orchestra  son  parecchi,  e  niuno  fa  da  maestro 
all'  orchestra ...  Del  resto  l'  edizione  è  di  uomini  savi,  ed 
utile  a  chiunque  attende  allo  studio  più  che  alle  dispute 
intorno  al  poema.  Trascelsero  e  strinsero  in  brevi  e  lucide 
note  i  Comenti  migliori,  e  le  apposero  ai  margini,  si  che 
l'occhio  precorre  quasi  ad  un  tempo  i  versi  e  le  spiega- 
zioni, onde  la  mente  non  patisce  distrazioni. 

1820.  La  Divina  Comedia,  traila  da  un  manoscritlo  del 
Boccaccio,  Roveta,  negli  Occhi  santi  di  Bice,  Yol.  3  in  4.®picc. 
con  una  tavola  rappresentante  i  ritratti  di  Dante,  del  Petrarca 
e  del  Boccaccio  (comparatane  l' impressione  a'  23  Settembre 
1823).  È  copia  del  celebre  Codice  Vaticano,  creduto  auto- 
grafo del  Boccaccio,  e  dall'  editore  Fantoni  tratta,  al  dire 
del  Witte,  con  fedeltà  diplomatica  a  Parigi,  prima  che  fosse 
il  Codice  Vaticano  restituito.  L'edizione  fu  eseguila  in 
Roveta,  piccola  villa,  in  uno  stremo  d' Italia,  in  mezzo  le 
Alpi,  tra  i  gioghi  altissimi  del  Presolano,  ed  è  registrala 
tra  i  testi  di  lingua.  Ila  pregio  di  molta  accuratezza. 

1822.  La  Divina  Comedia,  col  Comento  del  P.  Baldassare 
Lombardi,  ora  nuovamente  arricchita  di  molte  illustrazioni 
edite  ed  inedite,  Padova,  tip.  della  Minerva,  5  ,Vol.  in  8.°  gr. 
Ne  furono  editori  Giuseppe  Campi,  Fortunato  Federici  e  Giu^ 
seppe  Maffei  :  sopraintese  all'  esecuzione  tipografica  Angelo 
Sicca  che  vi  pose  ogni  cura,  e  riuscì  a  rendere  1'  edizione 
correttissima  e  per  avventura  la  migliore  delle  moderne. 
Veggonsi  in  essa  ristrette  in  poco  le  diverse  opinioni  dei 
più  accreditati  Comentatori  moderni,  cioè  Magalotti,  Lami, 
Bottari,  Torelli,  Dionisi,  Perazzini,  Strocchi,  Lampredi, 
Parenti,  de  Romanis,  Macchiavelli,  Cancellieri,  Bossi,  Betti, 
e  più  d' ogni  altro  del  Lombardi,  al  cui  comento  l' univer- 
sale suffragio  assegnava  il  primato,  fra  quanti  il  secolo  ne 
aveva  sin  allora  veduti.  La  lezione  trascelta,  la  Nidobeatina, 
secondo  l'edizioni  romaoe  del  1791  e  del  1815,  di  alcuni 
pochi  e  leggeri  mutamenti  in  fuori,  suggeriti  dal  confronto 
fatto  con  qualche  Codice  riputatissimo,  non  che  dalle  più 
eccellenti  edizioni,  specialmente  quelle  degli  Accademici,  del 
Poggiali,  del  Biagioli  e  del  Macchiavelli.  Importantissime 
sono  pure  le  varie  illustrazioni  che  le  si  aggiunsero.  Fu 
dedicata  a  Vincenzo  Monti,  Men  favorevolmente  la  giudica 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  747 

il  Foscolo.  «Edizione  di  altra  mole,  d'altra  tendenza  e 
d'altro  uso  assai  che  non  la  bolognese  del  Macchiavelli. 
I.a  direste  intrapresa  a  somministrare  prelesti  di  contro- 
versie, ragioni,  erudizioni  e  sofismi  a'  duellanti  di  penna  ; 
e  contro  alla  buona  coscienza  degli  editori,  a'  quali  il  lavoro 
tornò  fatto  diverso  da  qHello  che  ei  disegnavano,  forse 
[lerchè  non  aveano  disegno  veruno  ne'  materiali  apparec- 
chiati innanzi  tratto.  Modestissimi  editori  ei  sono  a  ogni 
modo,  da  che  fra  tanto  cozzo  di  opinioni,  s' inframmettono 
cauti  e  decidono  raramente.  Ma  se  fossero  andati  men  ti- 
midi in  questo,  e  più  guardinghi  a  ragunare  tutto,  e  ùa 
lutti,  forse  che  la  loro  edizione  sarebbe  meno  voluminosa 
e  insieme  più  utile.  »  -  Gli  editori  della  Minerva,  scrive 
il  Wille,  con  modestia  lodevole  non  si  vantano  che  di  aver 
fedelmente  ristampato  il  testo  e  1'  apparalo  critico  della 
ctilzione  romana,  non  mutando  nel  primo  che  pochissimi 
passi,  che  giudicarono  aVerne  bisogno.  Veramente  arricchi- 
rono quell'apparato  di  giunte  assai  meritorie.  Consultarono 
nominatamente  quattro  testi  a  penna  del  seminario  di 
Padova,  e  riferirono  le  varie  lezioni  del  Codice  Estense  men- 
tovato dal  Parenti  nelle  sue  annotazioni  ai  Dizionario  del 
Cardinali.  Confesso  che  quelle  tante  giunte  e  sopraggiunte 
rendono  un  poco  difficile  a  maneggiare  quella  vasta  congerie 
di  varianti, 

1823.  La  stessa,  giu.sta  la  lezione  del  Codice  Bartoliniano, 
Udine,  Mattiuzzi,  tip.  Cecile  (1823-27),  Voi.  4,  in  8.°  -  Accu- 
rata e  corretta  edizione,  dovuta  all' ab.  Quirico  Vìvianì, 
ed  essa  pure  ricca  di  molti  indici  ed  illustrazioni.  L' autorità 
del  Codice  Bartoliniano  fu  acremente  impugnata  dal  Foscolo: 
V.  Discono  sul  Testo,  Sez.  xi  a  xiv;  Lviii,  lxiv.  -  Y.  Articolo 
del  Benci,  Osservazioni  criliche  sopra  alcune  lezioni  del 
Codice  li  arto  limano.  Antologia  di  Firenze,  Voi.  XVIII.  - 
1/  edizione  udinese,  dice  il  Witte,  continuando  il  lavoro 
cominciato  dal  de  Romanis  mondava  il  lesto  del  poema  di 
ben  molte  lezioni  capricciose,  introdottevi  dall'Aldo  e  dal 
Rossi  sull'  autorità  di  qualche  Codice  poco  degno  di  fede, 
ma  ncir  istesso  tempo  si  troverà  che  le  lezioni  da  esso 
sostituitevi  sieno  non  di  rado  di  origin.e  secondaria  e  più 
o  meno  lontana  da  quanto  avea  scritto  l'AUighieri.   Una 


748  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

tavola  di  65  numeri  regisjlra  i  testi  a  penna  consaltati  per 
1'  edizione  udinese.  Non  dice  dunque  il  Yiviani  che  un  so- 
lenne confronto  di  tutti  questi  Codici  si  sia  fatto  verso  per 
verso  anzi  confessa  di  essersi  limitato  a  consultargli  dove 
la  lezione  del  suo  Codice  Bartoliniano  gli  sembrava  aver 
Insogno  di  qualche  appoggio.  Giìi  per  questo  si  conosce  il 
carattere  tutto  arbitrario  di  questi  confronti.  -  Questo  la- 
voro non  corrisponde  all'  esigenze  critiche,  non  cita  mai  i 
Codici  trovati  concordi  col  Bartoliniano,  si  contenta  del- 
l'osservazione  generale  che  le  lezioni  sono  conformi  col 
suo  testo. 

1825.  La  stessa,  Milano,  Beltoni,  Voi.  3,  in  8."  gr.  -  Edi- 
zione che  fa  parte  della  Biblioteca  classica  antica  e  moderna, 
pubblicata  dal  Bettonì.  Ti  sopraintese  Vincenzo  Monti,  il 
quale  si  attenne  alla  lezione  adottala  dagli  editori  pado- 
vani del  1822,  aggiungendovi  alcune  varianti  tratte  dalla 
Bartoliniana,  non  che  dalla  sua  Proposta.  Le  note  a  pie'  di 
pagina  sono  compendiate  dai  più  celebri  Comenti,  meno 
alcune  inedite  del  Monti,  del  Perticari  e  di  Costanza  Monti 
moglie  di  lui. 

1826-27.  La  stessa,  con  Comento  analitico  di  Gabriele 
ììossetti,  Londra,  John  Murray,  2  Voi.  in  8;°  Bella  edizione. 
Dei  sei  Volumi  che  si  promettevano,  due  soli  se  ne  pub- 
blicarono. 

1830.  La  stessa,  postillata  da  Torquato  Tasso,  Pisa,  Ca- 
purro,  co'  caratteri  di  Fr.  Didot,  3  Voi.  in  L^  pie.  -  Bella 
edizione  in  soli  166  esemplari.  All' edit.  prof.  Giovanni  Ro- 
sini  piacque  di  seguire  la  lezione  degli  Accademici,  con- 
ferendola bensì  colle  recenti  lezioni  più  accreditate.  Le 
Postille  del  Tasso,  poste  a  pie'  di  pagina,  furono  eslralte 
da  tre  esemplari  della  divina  Comedia  che  si  assicurano 
da  esso  annotate,  l'uno  del  Giolito,  l'altro  del  Sessa  1564, 
il  terzo  di  Pietro  da  Fino  del  1568. 

1830.  La  stessa,  con  note  di  Paolo  Costa,  da  lui  per 
questa  edizione  nuovamente  riviste  ed  emendate,  Firenze, 
all'  insegna  di  Dante,  in  24.^  -  Graziosa  e  nitida  edizione, 
eseguila  interamente  sulla  milanese  del  1927  di  Angelo 
Boufanti,  con  l'aggiunta  di  nuove  note  del  Costa,  del 
Biondi  e  del  Belli. 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  "749 

1830-32.  La  stessa,  col  Comento  del  Lombardi,  ora  nuo- 
vamente arricchita  dì  molte  illustrazioni  edite  ed  inedite, 
con  rami  disecfnati  dal  Flaxman  ed  incisi  dal  Cav.  Lasinio, 
Firenze,  CiarclelU  (Molini),  6  Voi.  in  8.^  -  Bella  edizione, 
adorna  dì  112  intagli.  Il  testo  è  copiato  dalla  padovana, 
serbandosi  perfino  la  stessa  numerazione  delle  pagine.  Si 
aggiungono  per  altro  alcune  varianti  tratte  dall'  edizione 
dì  Udine  del  1823. 

1832.  La  stessa,  coi  miqliori  Conienti  scelti,  ordinati  ed 
esposti  da  Gius.  Bozzo,  Palermo,  Pedoni  e  Muratori,  3  Voi. 
in  12.*^  -  Molte  lodi  ne  fece  il  marchese  Gargallo,  racco- 
mandandola specialmente  come  molto  corretta.  In  essa  fu 
adottato  il  testo  della  Crusca,  e  vi  si  aggiunsero  varianti 
tratte  dai  Codici  più  riputati  e  dalle  migliori  edizioni. 

1837.  La  stessa,  col  Comento  del  P.  Pompeo  Venturi, 
nuova  edizione,  a  mir/lior  lezione  ridotta  ed  arricchita  di 
inedite  postille  da  Giov.  Lami  e  Pietro  Fraticelli,  Firenze, 
Formigli,  5.  voi.  in  18.  -  Molta  lode  si  vuol  dare  al  Fraticelli 
per  questa  edizione  accuratissima,  e  scevra  affatto  dello 
mende  che  deturparono  la  più  gran  parte  delle  molte  ri- 
stampe del  comento  Yenturiano,  sia  quanto  all'integrità 
del  comento  stesso,  sia  quanto  alla  correzione  del  Testo. 
Sei  fra  le  più  approvate  edizioni,  cioè  quelle  del  Landino 
e  del  Sansovino,  l'Aldina,  quella  della  Crusca,  la  Cominiana, 
e  finalmente  quella  di  Padova  dell822  furono  dal  Fraticelli 
accuratamente  conferite  fra  loro  per  la  lezione  del  poema. 

1837.  La  stessa,  col  Comento  di  J\.  Tommaseo,  Venezia, 
Gondoliere,  in  8."  gr.  -  Edizione  nitidissima,  assistita  da 
Giov.  Bernardini,  solerte  direttore  dì  quella  tipografia.  «  Le 
lezioni  del  testo,  cosi  il  Tommaseo  nella  sua  Prefazione, 
confermo  all'autorilà  di  più  codici  e  stampe  ;  ligio  a  nessuna. 
Se  circa  le  lezioni  mie  cadrà  disputa,  potrò  sostenerle  o 
correggerle:  ma  lo  spediente  del  citare  parvemi  buono 
appunto  a  troncar  molte  liti  ;  e  la  brevità  parvemi  debita 
cosa  n'ìllo  illustrare  uno  de'  più  parchi  scrittori  che  onorino 
rilalia  e  la  natura  umana.  » 

1837.  La  stessa,  ridotta  a  mifjlior  lezione,  coll'aiuto  di 
varii  testi  a  penna  da  G.  B.  JSicolini,  Gino  Capponi,  Gius. 
Borghi,  Fruttuoso  Becchi,  Firenze,  Le  Mounier,  2  voi.  inS.** 


7!ì0  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

gr.  -  Questa  edizione  venula  alla  luce  sotto  gli  auspici  di 
uomini  COSI  noti  all'Italia  fu  accolta  con  grande  amore 
dagli  studiosi  di  Dante.  -  Il  principio  degli  Accademici 
del  1837,  come  il  Becchi  protesta  nella  prefazione,  a  nome 
ancora  degli  altri  colleghi,  non  fu  di  riformare  da  capo  a 
fondo  la  lezione  della  divina  Comedia;  ma  sì  Riesaminare 
dove  fosse  da  rigettarsi  la  lezione  della  Crusca^  dove  da 
serbarsi  intera.  Adunque  posta  per  fondamento  V  edizione 
degli  Accademici  (del  1595)  essi  misero  mano  a  confrontarla 
con  vari  Codici,  parecchi  de'  quali  di  gran  pregio,  e  colle 
antiche  stampe  più  riputale.  Con  questi  sussidi  sotto  gli 
occhi,  e  co'  lavori  di  altri  eletti  ingegni,  che  erano  stali 
ugualmente  solleciti  di  emendare  il  testo  di  Dante,  dove 
(essi  dicono)  la  ragione,  la  critica  e  il  buon  gusto  lo  vole- 
vano, Iramularono  l' antica  edizione  in  altra,  col  comune 
suffragio  e  sulla  fede  di  que'  monumenti  giudicata  miglioro. 
Sicché,  con  insigne  sapienza  e  temperanza,  si  contennero 
come  nel  mezzo  tra  la  improvida  fiducia  della  propria 
spertezza,  e  il  troppo  cieco  rispetto  dell'  autorità  degli  an- 
tichi . . .  Indotti  da  giusto  rispello  alla  Vulgata  essi  assai 
parcamente,  e  soltanto  dov'erano  sicuri  del  fatto  loro,  si 
arrogarono  la  facoltà  di  mutare  qualche  lezione:  per  rispetto 
agli  altri  luoghi,  di  cui  non  d'ano  del  tutto  certi,  si  con- 
tentarono di  nolare  a  pie  di  pagina,  o  in  altra  guisa,  le 
varianti  discoperte  da  loro...  Il  testo  che  essi  ci  hanno 
reso,  se  non  è  in  tutto  qual  si  potrebbe  desiderare,  almeno 
non  gli  manca  molto  per  queir  ultimo  di  perfezione  a  che, 
avuto  riguardo  ai  mezzi  che  si  hanno,  j)uò  esser  recalo.  Di 
questa  edizione  cosi  sentenzia  il  Witte  :  Più  imporlante  di  tutti 
è  senza  dubbio  l'insigne  lavoro  di  Fruttuoso  Becchi,  G.B. 
^'icolini,  Gino  Capponi,  e  Giuseppe  Borghi,  Accademici 
della  Crusca.  Questi  valentuomini  rinovarono  per  così  dire 
le  fatiche  degli  accademici  del  1595.  Mettendo  a  profitto  i 
materiali  critici  raccolti  dagli  editori  sinora  registrati  da 
Vicenzo  Borghini,  dal  Parenti  e  dal  Montani,  essi  confron- 
tarono di  nuovo  20  Codici,  cioè  uno  dei  Tempiani  (Bat.7.;, 
11  Cod.  FruUani  (Bat.  179),  dieci  che  allora  spettavano  al 
marchese  Gius.  Pucci  ed  attualmente  si  trovano  al  Museo 
Britannico  (Bat.  450,  432,  457,  453,  456,  454,  458,  455,  459, 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  T6Ì 

e  557),  un  Magliabeccliiano  (Bat.  102),  7  Rìccardiani  (Bat. 
U'i,  124,  134,  12a,  136,  129,  136).  Anche  questi  confronli 
però  non  erano  confronti  letterali,  non  comprendevano  ogni 
verso  parola  per  parola,  anzi  si  limitarono  a  un  certo  nu- 
mero di  passi,  la  lezione  de'  quali  già  per  lo  innanzi  era 
stata  disputata.  Non  intendevano  dunque  gli  editori  del  37 
di  costruire  un  nuovo  testo,  ma  bensì  di  decidere  almeno 
una  parte  di  tante  liti  insorte  sopra  il  testo  già  costituito. 
Suppongo  inoltre  che  i  confronti  non  si  siano  fatti  siste- 
maticamente, voglio  dire  che  non  ad  ogni  passo  si  siano 
riscontrati  tutti  ì  codici,  ma  por  avventura  10  all'uno  ed 
altri  10  ad  un'altro.  Trovo  finalmente  che  gli  editori  (invece 
di  avvalorare  il  pregio  relativo  dei  20  testi),  attribuendo 
ad  ognuno  4'essi  un'autorità  pari,  se  non  si  attengono  a 
qualche  ragione  interna  di  scuso  o  di  eufonia,  prendono 
per  sola  norma  di  decidersi  fra  le  varie  lezioni  il  numero 
dei  lesti  a  favore  dell'una  o  dell'altra  di  esse.  Perchè  poi 
si  sapesse  quali  argomenti  di  autorità  e  di  ragione  abbiano 
fatto  scegliere  piuttosto  una  lezione  che  un'altra,  gli  editori 
significaronli  negli  Avvertimenti  sul  Testo  della  Div.  Comedia^ 
citando  quasi  sempre  individualmente  I  codici  che  stanno 
in  favore  dell'una  o  dell'altra  parte.  Convengo  che  questa 
scelta  il  più  delle  volte  abbia  dato  nel  segno,  ma  non  mi 
pare  il  modo  tenuto  per  arrivarci  quello  voluto  dalla  critica. 
Falso  per  esempio  dovrà  dirsi  il  principio  emesso  dal  Becclii, 
p.  15,  ed  assai  spesso  volte  posto  in  uso:  «  in  due  lezioni, 
delle  quali  una  ha  chiarezza  e  l'altra  no,  son  d'opinione 
che  sia  lodevole  intendimento  quello  di  dare  alla  prima 
anzi  che  alla  seconda  una  preferenza,  »  chi  riflette  che  un 
copista  inconsiderato,  non  intendendo  un  passo  oscuro  del 
poema,  credeva  correggere  il  lesto,  sostituendovi  una  le- 
zione di  senso  ovvio  e  facile,  mentrechè  veramente  lo 
falsava,  vedrà  benissimo  esser  più  che  giusta  la  regola 
critica:  che  la  lezione  difficile  è  da  preferirsi  alla  facile. 
Ciò  non  ostante  ripeto  con  piena  persuasione  quanto  già 
da  più  di  20  anni  fu  dello  da  me,  cioè  superare  la  edi- 
zione del  37  tanto  per  1'  estensione  dei  lavori  che  le 
servirono  di  base,  quanto  per  l' imparzialità  e  la  pondera- 
zione del  giudizio  tutte  le  altre  che  la  precederono.  {Jahr- 


752  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

bùcher  fiir  wissenschaftlìche  Kritich,  Berlino,  1838,  638-656, 
Annali  di  critica  scientifica)  -  V.  Biblioteca  Italiana,  Ottobre, 
1837,  p.  115. 

1838.  L' Inferno  della  Comedia  dì  Dante^  col  Cemento  di 
Messcr  Giiiniforte  delli  Barbigi,  tratto  da  due  ìnanoscrilti 
del  secolo  XV,  e  corredato  di  un'  introduzione  e  di  note 
dell' Avvoc.  Giuseppe  Zaccheroni,  Marsiglia,  Mossy  ;  Firenze, 
Molini,  in  S.^gr.  -  Bella  e  nitida  edizione,  adorna  di  grandi 
e  piccole  Iniziali,  intagliale  in  legno,  vignette  e  fiorami, 
con  titoli  in  carattere  gotico,  con  un  fac-simile  parimenti 
in  gotico  dei  caratteri  e  dicitura  dei  mss.  Bargigi,  ecc.  ecc. 
Ne  furono  tirati  pochissimi  esemplari.  Il  Buggeri  nel  Pro- 
gresso di  Napoli  r  ebbe  molto  a  lodare  per  le  sue  belle 
varianti. 

1841-42.  La  stessa,  adorna  di  50  vignette  in  legno,  inven- 
tate dai  primi  artisti  italiani  e  stranieri,  antichi  e  moderni, 
disegnate  ed  incise  da  A.  Fabris,  sotto  la  direzione  dei 
professori  G.B.  JSicolini,  e  G.  B.  Bezzuoli,  Firenze,  Fabris, 
Yol.  4.,  in  8.*^  -  Graziosa  e  nitida  edizione  incarta  lustrata: 
le  vignette  che  in  parte  sono  copie  dei  dottissimi  lavori 
del  Flaxman,  del  Pinelli,  deWAdamolli  furono  disegnate  ed 
incise  dal  Fabris,  dal  Balestrieri,  dalla  Signora  Elisa  Ma- 
rianni,  dal  Biscarra  e  da  altri. 

1842-43.  La  stessa,  illustrata  da  Ugo  Foscolo,  Londra, 
(Bruxelles,  presso  Melline  e  Cans)  a  spese  di  Pietro  Rolandi, 
4.  Voi.  in  8."  grande.  -  Bella  e  nitidissima  edizione,  alla 
quale  fanno  beli'  ornamento:  1.*^  un  ritratto  di  Dante,  nell'età 
sua  di  25  anni,  copiato  su  quello  che  Giotto  consegnava  ad 
una  parete  della  cappella  del  palazzo  del  podestà,  restituito 
alla  pubblica  ammirazione  nel  1840;  2.^  altro  bel  ritratto 
di  Dante,  in  età  ormai  avanzata,  copiato  su  quelli  che  si 
riguardano  come  ì  più  autentici,  ed  inciso  in  acciaio;  3.*' 
ritratto  dì  U.  Foscolo,  inciso  in  acciaio,  copiato  su  quelli 
posseduti  da  Lady  Dacre,  Hudson  Gurney  e  G.  Murray  ;  4.*^ 
due  vignette,  T  una  che  rappresenta  la  Chiesa  di  Ravenna  (?) 
nella  quale  è  il  sepolcro  di  Dante,  e  l'altra  il  cimitero  di 
Chiswich,  dove  fu  posta  una  memoria  alle  ceneri  di  Ugo 
Foscolo  ;  5.*^  ì  piani  dell'  Inforno,  del  Purgatorio  e  del  Para- 
diso; 6.°  un  fac-simile  del  carattere  del  Foscolo,  consistente 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLx\  D.  C.  753 

nel  notissimo  sonetto,  dov'  ei  dipinge  sé  stesso.  -  Due  codici 
per  intero  furono  collazionati  dal  Foscolo,  quello  del  Maz- 
zucchelli  e  quello  del  Roscoe.  Offre  però  l'edizione  molte 
varianti  estratte  dai  Codici  Cassinese,  Caetani,  Angelico, 
Vaticano,  Antaldino,  Bartoliniano,  Stuardino,  Poggiali,  non 
che  dalle  edizioni  date  dagli  Accademici,  dal  Lombardi  e 
dal  liodoni;  dalla  fiorentina  del  1817,  dalla  bolognese  del 
1819,  dalla  padovana  del  1822,  dall'udinese  del  1823. 
Neil' Inferno  queste  varianti  sono  accompagnate  da  osser- 
vazioni belle  e  non  brevi;  nell'altre  due  non  sono  cìie 
accennate,  lo  che  ne  fa  persuasi  non  aver  potuto  il  Foscolo 
dare  l'ultima  mano  al  suo  lavoro.  11  discorso  sul  Testo 
della  divina  Comedia,  pubblicato  nel  1825,  pieno  di  errori 
dal  PIckering,  e  due  anni  dopo  con  nuovi  errori  dal  Ruggia, 
vi  è  ripubblicato  con  maggiore  esattezza  di  correzione,  e 
con  emendazioni  ed  aggiunte  considerevoli,  desunte  da  un 
esemplare  postillato  a  mano  dell'  autore.  Il  Manoscritto 
venne  ricomprato  a  prezzo  di  400  lire  sterline  dalle  mani 
di  un  libraio  inglese  da  un  libraio  italiano  in  Londra,  Pietro 
Rolandi.  -  11  Foscolo,  così  il  Witte,  confessa  che  i  soli 
codici  da  lui  esaminati  sieno  stati  i  due  regalatigli  dall'il- 
lustre Roscoe  (ora  del  Pani/.zi)  e  dal  generale  Mazzucchelli, 
e  li  dice  pessimi  tutti  e  due  le  più  volte.  Le  varianti  del 
codice  Mazzucchelli  non  vanno  oltre  la  prima  Cantica.  Il 
Foscolo  non  fece  che  compilare  le  varie  lezioni  riferite 
nell'edizioni  anteriori;  lavoro  tutto  materiale,  che  forse 
per  convenir  troppo  poco  al  suo  genio  poetico  non  fu  ese- 
guito con  troppa  accuratezza.  Assai  spesso  si  om mettono 
delle  lezioni  d' importanza,  ed  invece  se  ne  riportano 
dell'altre  che  non  sono  che  differenze  ortografiche.  Qualche 
volta  4  codici  e  le  edizioni  che  danno  le  varianti  riferite 
sono  confuse  fra  di  loro,  oppure  il  nome  di  que'  codici 
rimase  nella  penna  dell'autore.  Generalmente  questa  con- 
gerie inordinata  di  tante  e  tante  varie  lezioni  sembra  cosa 
di  ben  poca  utilità.  Le  ragioni  che  determinarono  la  scelta 
del  Foscolo,  le  quali,  come  già  si  vede,  non  sono  esposte 
che  nelle  note  all'  Inferno,  sono  quasi  sempre  dedotte  da 
argomenti  secondarli,  come  sarebbe  l' armonia  del  verso, 
l'eufonia  e  cose  simili;  ma  invano  si  cerca  di  stabili  prin- 

Voi .  II.  48 


754  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

cipii  di  critica,   che,   escludendone  l'arbitrario,   potessero 
dar  certa  legge  alla  scelta  da  farsi  fra  le  lezioni.  » 

1848.  La  Comedia  di  Dante  AlUqhieri  con  nuove  Chiose, 
secondo  la  lettera  principalmente  di  due  Codici  Raveqnani, 
con  la  scorta  defili  altri  testi  a  penna  noti,  e  delle  stampe 
del  XV  e  XVI  secolo,  e  con  le  varianti  fin  qui  avvisate,  a  tutte 
cure  di  Mauro  Ferranti.  Alla  fine  del  volume  si  legge: 
Finisce  la  Comedia,  altrimenti  poema  sacro  di  Dante  Alli- 
ghieriy  fatto  imprimere  ove  riposano  le  ceneri  di  luì  questo 
dì  XIV  Settembre  MDCCCXLVUl  pei  fratelli  Maricotti  di 
Senigallia  la  prima  volta  dopo  DXXVJl  anni  da  la  partita 
del  poeta,  a  tutte  cure  di  Mauro  Ferranti  sacerdote  italiano 
da  Ravenna.  Esci  solo  il  primo  volume  che  contiene  il  testo  : 
il  secondo  delle  Chiose  è  tuttavia  desiderato.  -  I  codici, 
secondo  la  cui  lettera,  il  Ferranti  appoggiava  la  sua  edizione 
(Batines  402,  403)  offrono  poco  di  particolare.  Il  primo  di 
essi  fu  scritto  nel  1361  da  un  tale  Bettino  de'  Pili,  il  quale, 
per  quel  che  pare,  faceva  il  mestiere  di  copiar  Danti.  L'or- 
togratia  del  testo  è  assai  barbara,  e  il  testo  corrisponde 
per  lo  più  alla  volgata,  generalmente  diffuso  nella  seconda 
metà  del  300.  Il  secondo,  assai  men  nitido,  non  differisce 
essenzialmente  dal  primo.  Nessuna  delle  tante  stampe  della 
divina  Comedia,  non  eccettuando  quella  del  Buonanni,  adottò 
un  tal  numero  di  lezioni  bizzare  quanto  quella  del  Ferranti.  - 
Witte.  - 

1853.  La  divina  Comedia,  ecc.  per  cura  di  C.  Princigi, 
Lipsia,  Tauchniz,  Nitida  ed  accurata  edizione.  Assai  nitida 
ed  eleganti  sono  pure  le  parigine  del  Didot,  1853,  e  del 
Montainier,  1853. 

1854.  Comedia  di  Dante  AÌlighieri  con  Ragionamenti  e 
JSote  di  Niccolò  Tommaseo,  Milano  per  Giuseppe  Reiua,  coi 
tipi  di  G.  Bernardoni,  1.  Yol.  in  8.**  gr.  -  Bella  nitida  ed 
accurata  edizione.  -  «  Alle  lezioni  del  testo,  così  il  Tomma- 
seo, m'è  norma  ordinaria  la  stampa  della  Crusca,  siccome 
quella  che  mi  pare  consigliata  da  un  senso  della  bellezza 
delicato  e  sicuro.  Nò  questo  pregio  le  è  tolto  dalle  non 
poche  lezioni  erronee  che  la  critica  venne  poi  emendando. 
Ma  a  poco  a  poco  la  critica  volle  tener  le  veci  del  gusto, 
e  ne  vennero  quelle  lezioni  strane,   quelle  edizioni  blasfe- 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  755 

malorie  che  tutti  sappiamo.  Al  che  sì  aggiunge  la  mania 
cominciata  già  a  prevalere  di  pubblicar  la  Comedia  tutta 
fedelmente  secondo  la  lezione  d'un  codice  solo,  il  quale, 
per  quanto  sia  puro  e  autorevole,  non  può  mai  offrire  tutte 
le  varianti  più  sane.  S'  aggiunga  la  smania  di  volere  a  ogni 
costo  far  qualche  mutazione  nel  testo,  pur  per  alterare 
comechesia  la  vulgata.  Contraria  dovrebbe  essere,  io  credo, 
la  cura  degli  editori  di  Dante.  Postasi  per  fondamento  una 
edizione,  un  codice  (e  l'edizione  della  Crusca  sarà  sempre 
ad  ogni  uomo  di  gusto  il  miglior  fondamento),  a  questo 
quasi  canone  dovrebbersi  osare  quelle  varianti  sole  che  la 
logica  e  la  poesia  richieggono  ;  alle  restanti  dar  bando.  Ma 
a  questo  fine  gioverebbe  possedere  le  varianti  di  tutti  o  dì 
gran  parte  almeno  dei  molti  codici  della  Comedia;  sì  per 
tarpare  ogni  ardimento  ai  novelli  editori  che  venissero  a 
presentare  un  codice  nuovo  come  grande  scoperta,  e  sì  per 
procedere  con  sicurezza.  Allora  forse  vedrebbesi  che,  quan- 
tunque di  molti  sieno  i  codici,  tutti  si  riducono  a  certe 
quasi  famiglie,  secondo  che  il  signor  Witte  ingegnosamente 
pensava;  delle  quali  non  si  può  nulla  determinare  giusta 
certe  divisioni  di  luoghi  e  di  tempi  ;  ma  si  può  con  sicuri 
indicii  notarne  le  differenze.  Né  questa  del  raccogliere  tutte 
le  varianti  sarebbe  opera  infinita.  Imaginate  venti  persone^ 
che  sappiano  dicifrare  gli  antichi  manoscritti:  l'uno  d'essi 
legga  ad  alta  voce,  gli  altri  lo  seguan  coli' occhio  ;  e  cia- 
scuno noti  le  varietà  che  nel  suo  codice  trova»  In  un  mese 
venti  lettori  compiono  la  revisione  di  venti  codici,  in  un 
anno  di  dugento  quaranta,  in  tre  l'opera  è  quasi  compiuta. 
Ne  uscirebbe  un'edizione  critica  della  Comedia,  con  tutte 
a  pie  di  pagina  le  varianti,  accennale  per  abbreviatura,  e 
con  brevità  esaminate.  -  Tommaseo,  Prefazione  alla  nuova 
ristampa,  pag.  64. 

1854.  La  Comedia  di  Dante  Allighieri  fiorentino  nuova- 
mente riveduta  nel  testo  e  dichiarata  da  Brunone  Bianchi, 
Firenze,  Le  Monnier,  1854,  1  Voi.  in  16.  gr.  -  In  quanto 
alla  lezione,  dice  il  Bianchi,  ho  sempre  seguito  la  più  sem- 
plice e  quella  che  ho  stimato  la  più  conveniente  al  contesto, 
scegliendo  dai  codici  e  dalle  edizioni  più  accreditate,  e 
fuggito  in  ogni  caso  l' arbitrio,  a  costo  di  ritenere  talvolta 


756  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

quel  che  apparisce  men  chiaro  o  men  buono.  -  Il  Wittc 
chiama  eccellente  l'edizione  procurataci  dal  Bianchi.  Il  Le 
Monnier,  anche  dal  lato  tipografico,  la  condusse  con  amore, 
e  arricchivala  del  Rimario  dantesco. 

18o3-56.  Jìambaldi  Benvenuto  da  Imola  illustrato  nella 
sua  vita  e  nelle  sue  opere  e  di  lui  comento  sulla  divina 
Comedia  di  Dante  Allighìeri,  voltato  in  italiano  dalV  Avvoe. 
Giov.  Tamburini,  Imola,  Galeati.  -  11  Comento  di  Benvenuto 
da  Imola,  a  giudizio  del  Witte,  dovrebbe  dirsi  tuttora 
inedito,  benché  tre  grossi  volumi  stampati  a  Imola  nel 
1855,  e  1856  pretendano  di  esibirlo  voltato  in  Italiano  da 
Giovanni  Tamburini.  Un  finissimo  conoscitore  di  Dante, 
Il  sig.  Garles  Eliot  Norton  Amerio.  (A  review  of  a  transla- 
lion  into  Italian  of  the  Gomm.  by  Benv.  da  Imola  on  the 
div.  Gomm.,  Gambridge,  Massachussets,  1861)  diede  ultimo 
giudizio  assai  severo  di  questa  malaugurata  impresa.  Gbi 
volesse  conoscere  la  lezione  sul  testo  di  Dante  seguita  dal- 
l'Imolese  dovrebbe  ricorrere  tuttora  ai  Codici  manoscritti. 

1856.  La  Comedia  di  Dante  Allighicri  interpretata  da 
Francesco  Gregoretti,  Yenezia,  Naratovich,  1.  voi.  in  16.  - 
Edizione  assai  nitida  e  corretta.  -  «Io  diedi  bando  assoluto, 
cosi  il  Gregoretti  nel  suo  Avvertimento,  ad  ogni  discussione  ; 
*l3ensì,  non  avendo  ommesso  ne' punti  controversi  di  leggere 
e  meditare  lutto  ciò  che  venne  stampato  intorno  a  quelli, 
sono  pronto  ad  entrare  in  campo  con  chiunque  il  voglia 
per  difendere  la  spiegazione  alla  quale  ho  data  la  preferenza, 

0  che  da  altri  non  delta  mi  parve  migliore.  Il  medesimo 
s'intenda  riguardo  alle  lezioni  dubbie  nel  testo.» 

1858.  Da  Buti  Francesco,  Comento  sopra  la  Divina  Co- 
media,  pubblicato  per  cura  di  Crescentino  Giannini,  ?ìs?i,, 
ISistri.  -  Il  Purgatorio,  Yol.  II,  1860.  -  Il  Witte  chiama  ec- 
cellente questa  edizione,  e  insigne  il  lavoro  del  Giannini, 
condotto  con  sommo  studio  e  con  molta  intelligenza  critica. 

1858.  Le  prime  quattro  edizioni  della  Divina  Comedia, 
letteralmente  ristampate  per  cura  di  G.  Warren,  Lord  Yer- 
non,  Londra,  1  Agosto,  presso  Tommaso  e  Guglielmo  Boone, 

1  voi.  in  4.^'  di  pag.  748  (The  first  four  edition  s'of  the 
divine  Comedy  literaly  riprented  by  G.  J.  Warren,  lord 
Yernon,  London,  Boone),  Edizione  veramente  splendidissima 


EDIZIONI  PRLNCIPALI  DELLA  D.  C.  757 

con  fac-simile  in  legno.  Va  preceduta  da  una  Prefazione 
del  Panizzi,  ed  è  dedicata  agli  Accademici  della  Crusca. 
Le  prime  quattro  edizioni  ristampate  sono,  l'edizione  prin- 
cipe di  Fuligno  di  Numeister  1472;  quella  di  Jesi  per  Fe- 
derigo Veronese  dello  stesso  anno,  e  che  il  Panizzi  dice 
più  rara:  quella  di  Mantova  pei  fratelli  Giorgio  e  Paolo, 
Tedeschi,  contemporanea  alle  due  precedenti,  e  secondo  lui 
forse  forse  primogenita,  e  da  ultimo  l'edizione  di  Napoli 
per  Francesco  del  Tuppo,  stampata  dal  Neussinger,  pure 
tedesco,  negli  anni  1475  e  147G,  assai  più  rara  di  tutte  le 
altre.  -  Le  quattro  prime  edizioni,  cosi  il  Witte,  della 
Divina  Comedia,  nuovamente  riprodotte  a  spese  di  Milord 
Warren  Vernon,  tanto  benemerito  degli  studìi  danteschi, 
non  sono  che  copie  letterali  di  codici,  non  scelti  con  giu- 
dizio critico,  ma  casualmente  capitati  in  mano  a  chi  ne 
intraprese  la  stampa.  Anche  gli  errori  più  evidenti  furono 
ripetuti  nella  slampa,  quali  giacevano  nel  testo.  Il  giudizio- 
sissimo Panizzi,  che  sopraintese  alla  riproduzione  di  quelle 
-Lampe,  confessa  che  abbondano  tutte  di  ridicoli  farfalloni, 
che  gli  stessi  errori  solenni,  i  medesimi  strafalcioni  mador- 
nali, che  solo  un'ignorante  compositore  poteva  commettere 
si  ritrovano  nelle  due  di  Foligno  e  di  Napoli.  Non  ardirei 
veramente,  continua  il  dotto  bibliotecario  del  Museo  bri- 
tannico affermare  che  l'edizione  di  Fuligno  sia  tra  le  an- 
tiche la  migliore,  ed  aggiunge,  la  edizione  napolitana  non 
esser  sempre  copia  servile  comecché  pur  troppo  spesso  lo 
sia,  della  ediz.  di  Numeister  (Fulginate).  Più  sfavorevole 
ancora  è  quanto  ei  dice  dell'edizione  di  Federigo  Veronese. 
Quella  di  Jesi  è  certo  zeppa  dì  errori  grossolani  di  stampa  ; 
e  forse,  supera  in  questo  le  altre  tre,  che  pur  esse  ne  hanno 
in  abbondanza.  Le  ommissloni  in  questa  edizione  sono  molte 
e  notevoli.  Venendo  all'ultima  delle  slampe  del  1472,  dice 
il  Panizzi:  «l'edizione  di  Mantova  è  quella  che  par  più  cor- 
retta con  maggior  cura  dell'altre  tre,  ed  è  quella  il  cui 
testo  sarei  disposto,  generalmente  parlando,  a  preferire.  » 
Le  mie  proprie  ricerche  mi  fanno  aderire  a  quanto  asserisce 
il  Panizzi,  non  essendo  sfuggito  nemmeno  a  questo  dotto 
bibliografo  l'esistere  una  qualche  parentela  fra  le  stampe  di 
Mantova  e  di  Jesi,  e  fra  quelle  di  Foligno  e  di  Napoli.  Si 


758  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

aggiunga  che  anche  nella  Mantovana,  benché  men  scorretta 
dell'altre  i  manifesti  errori  e  spropositi  sono  assai  frequenti. 
1859-60  La  Divina  Comedìa,  conforme  la  più  chiara  le- 
zione, desunta  da  ottime  stampe  e  da  preziosi  codici  per 
Anrfelo  Sicca,  Yol.  3,  Padova,  Randi.   -  Il  Sicca,  tipografo 
padovano,  è  già  nolo  come  diligente  dantista,  fm  da  quando 
nel  1832  dava  in  luce  le  sue  varie  lezioni  della   Divina 
Comedia,  che  sommavano  a  oltre  quattro  mila,  illustranti 
mila  e  cento  passi  diversi;  ed  eran  frutto  di  ricerche  nuove, 
e  copia  inaspettata  dopo  il  tanto  che  vi  aveano  già  spi- 
golato accurati  ed   insigni  espositori.    Era    da  attendersi 
che  egli,  facendo  tesoro  di  quelle  scoperte,  e  raffrontandole 
tra  loro,  e  valutandole  secondo  gli-  studj  suoi   e  la  lunga 
pratica  del  poema,  apparecchiasse  un'edizione  della  Divina 
Comedia  portante  tutte  quelle  varianti  e  correzioni  ch'egli 
riputava  migliori.  E  vi  die  opera  infatti,  notando  a  ciascun 
cambiamento  l'autorità  su  cui  fondavasi,  e  la  fonte  ond'era 
tratto,  sicché  la  pubblicazione  di  quel  testo,  accompagnalo, 
com'  egli  voleva,  da  brevi  dichiarazioni,  sarebbe  tornata  di 
non   lieve   importanza   per  gli  studi i  danteschi.  Ma   vi  si 
oppose,  com'egli  dice,  la  mal  ferma  salute,   la  quale  non 
gli  permise  di  compiere  il  lavoro;  ond'è  che,  a  non  ritar- 
dare quelle  correzioni,  deliberò  di   far  precedere  il  testo, 
appurato  bensì,  ma  senza  le  note  e  1"  indicazione  delle  fonti, 
offrendo  solo  contrassegnati  da  asterisco  quei  versi  che  si 
scostano  dalla  lezione  comune.  Con  che  abbiamo  una  messe 
di  varianti,  su  cui  può  esercitarsi  l' acume  degli  illustratori  ; 
ma  r  opera  loro  non  è  agevolata,   come  potrebbe  esserlo, 
dall'  autorità  dei  Codici  e  dal  rincalzo  delle  opinioni  e  delle 
osservazioni  dell'editore ...  Ad  ogni  modo  chi  vorrà  atten- 
dere quind'  innanzi  alla  stampa  della  Divina  Comedia  non 
potrà  trasandare  questa  edizione  che  di  molto  agevolerà 
la  fatica  dei  futuri  emendatori . . .  Y.  Crepuscolo,  1859,  n.  7. 
1860.  La  divina  Comedia  di  Dante  Allighieri  col  Comento 
di  Pietro  Fraticelli,  nuova  edizione  con  giunte  e  correzioni, 
ecc.  Firenze,  Barbèra  edit.,   1863.  -   Quanto  alla  lezione, 
così  il  Fraticelli,  io  ho  preferito  quella,  che  mi  è  sembrata 
la  più  facile   e  la  più  naturale,   e  quella  che   più  pieno  e 
armonioso  rendeva  il  verso  :  ma  non  per  questo  ho  mancato 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  759 

di  notare  a  quando  a  quando  quelle  varianti  che  son  degne 
di  una  qualche  considerazione,  o  che  si  prestano  a  variare, 
od  anco  solo  a  modificare  il  concetto . . .  Dirò  com'  abbia 
premesso  al  poema  alcuni  Cenni  storici  intorno  la  vita 
di  Dante,  e  com'  abbia  apposto  tre  tavole  (una  per  Cantica) 
rappresentanti  i  tre  regni  descritti  dal  Poeta:  le  quali,  io 
spero,  saranno  trovate  più  esatte  dell'altre,  che  comune- 
mente si  veggono  nei  libri  della  divina  Comedia.  Inoltre 
l'Editore  ha  voluto  arricchire  il  Volume  di  un  ritratto  di 
Dante  fatto  copiare  dall' affresco  dì  Giotto,  e  aggiungere 
non  solo  il  Rimario,  che  riesce  s\  comodo  a  chi  voglia  ri- 
trovare alcun  passo  dell'  autore,  ma  anche  un  Indice  dei 
nomi  proprii  contenuti  nel  poema  :  il  quale  può  certo  riuscire 
di  non  lieve  utilità  agli  studiosi.  Dirò  finalmente,  che  la 
revisione  essendo  slata  affidata  alla  cura  e  all'  intelligenza 
del  colto  giovine  Sig.  Torquato  Gargani,  ho  luogo  di  rite- 
nere che,  anco  per  questo  titolo,  la  presente  edizione  sia 
riuscita  migliore  dell'altra.  -  Bellissima  è  pure  l'edizione 
diamante  che  ci  hanno  dato  i  Barbèra-Bianchi  nel  1859. 

1862.  La  divina  Comedia  di  Dante  Allighieri  ricorretta 
■wpra  quattro  dei  piìi  autorevoli  testi  a  penna  da  Carlo 
Witte,  Berlino,  Ridolfo  Decker,  stampatore  del  re  (Yerlag 
der  Kòniglichen  Geheimen  Ober-Hotbuchdruckerel  (R.  De- 
cker) -  (Pracht  Ausgabe  Mit  Dante 's  Biiste  in  Photographie 
als  Titebild,  und  seinem  Bildnisse  in  Cameendruch  1862 
102  Bogen  4  Geheftet  12  Thl.  -  Elegant  gebunden  mit 
Goldschnilt  13  Thlr  10  Sgr.)  -  L' edizione  è^intitolata  -Al 
più  profondo  illustratore  -  della  recondita  poesia  dì  Dante  - 
Sua  Maestà  -  il  re  Giovanni  di  Sassonia  -  omaggio  umil- 
mente offerto  -  Dair  editore.  Precedono  la  divina  Comedia 
i  Prolegomini  critici,  col  motto  :  Molle  volte  taglia  -  Piti 
e  meglio  una  che  le  cinque  spade,  portano  la  data:  Halle, 
sulla  Sala,  G  Nov.  1861.  -  Vi  ha  pure  la  giunta:  Rettifica- 
zione delle  Varianti  del  Caetani.  I^  Lezioni  erroneamente 
attribuite  al  Codice  Caetani:  li.  L^ezioni  che  oltre  ai  testi 
per  esse  citati  si  trovano  nel  Codice  Caetani.  IH.  Correzione 
di  Varianti  del  Codice  Caetani  inesattamente  riportate:  IV. 
Lezioni  del  Codice  Caetani  che  rimasero  inosservate.  Il  ma- 
nifesto di  questa  edizione  usciva  il  1.  Luglio  1856,  flalle  in 


760  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

Prussia.  -  Il  Wilte  così  ci  parla  di  questo  lavoro  ne' suoi 
Prolegomeni.  «  lo  cominciai  35  anni  or  sono,  e  scelsi  per 
campione  il  3."^  Canto  deli'  Inferno.  Perseverando  assidua- 
mente, non  istancandomi  a  far  numerosi  viaggi,  ad  intrat- 
tenermi con  esteso  carteggio,  a  sacrificare  delle  somme 
assai  al  di  sopra  delle  mie  circostanze,  pure  ho  dovuto 
convincermi  che  per  esser  eseguita  bene,  l' intrapresa  sor- 
passa la  forza  di  una  sola  persona,  scarseggiata  de'  mezzi 
opportuni,  e  separata  per  tante  centinaia  di  miglia  dalle 
librerie  più  doviziose  dei  testi  a  penna.  Sperava  di  poter 
pervenire  per  questi  lavori  a  poter  distribuire  per  famiglie 
tutti  ì  Codici  esistenti,  formandone  per  cosi  dire  un  grande 
albero  genealogico.  Ma  nel  processo  delle  mie  fatiche  ho 
dovuto  conoscere  che  moltissimi  Codici  che  almeno  in  parte 
saranno  stati  originali  di  quelli  che  ci  rimasero,  sono  smar- 
riti, e  che  in  mancanza  di  questi  anelli  di  mezzo,  la  catena 
deve  restar  lacunosa.  Ho  compreso  ancora  che  ben  molti 
sono  i  testi  pei  quali  difficile  si  troverebbe  in  queir  altre 
genealogie.  Veramente  sarebbe  stata  una  bella  cosa,  se  i 
capi  delle  famiglie  de'  Codici,  per  così  dire  i  patriarchi,  si 
fosser  potuti  rintracciare  con  evidenza.  Allora  il  confronto 
di  essi  sarebbe  stato  da  sostituirsi  a  quelli  di  tutti  i  discen- 
denti della  stessa  schiatta.  Ora  non  essendosi  pienamente 
giunto  a  questo  punto  di  mira,  1'  unica  cosa  che  si  poteva 
fare  era  di  scegliere  fra  tante  centinaia  di  testi  a  penna 
quei  pochi  che  offrono  la  lezione  più  primitiva  e  più  corretta. 
I  confronti  d^  ^.^  Canto  dell'  Inferno  eseguiti  sopra  407 
Codici  mss.  ci  offrirono  la  pietra  di  paragone.  1  Codici  più 
degni  di  considerazione  sono  i:  1,  16,  52,  72,  82,  98,  112, 
127,  130,  177,  221,  236,  264,  293,  301,  319,  323,  365,  366, 
375,  407,  420,  448,  454,  474,  525.  -  Per  la  correzione  del 
s  testo  e  pel  carattere  primitivo  delle  lezioni  nessuno  supera 
anzi  agguaglia  il  Mss.  di  Filippo  Villani,  a  cui  tengono  dietro 
il  Vaticano  3199;  quello  di  Sir  Rood  della  Biblioteca  di  Ber- 
lino, ed  il  celebre  Codice  Caetani . . .  Questi  quattro  testi 
furono  r  unico  fondamento  della  presente  edizione.  Non  vi 
è  parola,  non  sillaba  che  non  s'appoggi  sull'autorità  di 
almeno  di  uno  di  quei  testi.  Fra  di  essi  ho  creduto  scegliere 
liberamente,  attribuendo  però  l'autorità  preponderante  al 


EDIZIOiNl  PRINCIPALI  DELLA  D.  C  761 

Codice  di  S.  Croce . . .  Dove  il  pensiero  del  poeta  e  la  con^ 
nessione  del  senso  non  bastano  per  decider  la  scella  fra 
le  differenti  lezioni  ho  avuto  ricorso  alle  altre  autorità, 
molte  delle  quali  furono  accennate  di  sopra.  Alcune  ma 
rarissime  volte,  la  lezione  che  credo  da  preferirsi  alle  altre 
non  si  trova  in  nessuno  dei  quattro  Codici.  Allora,  per  non 
dipartirmi  dal  mio  principio  fondamentale,  mi  sono  attenuto 
nel  testo  alla,  lezione  dei  mss.,  ma  ho  contrassegnato  col- 
l'aslerisco  la  variante  che  giudico  corrispondente  alla  propria 
scritta  dal  poeta.  Acciocché  la  presente  edizione  fosse  cor- 
redata di  tutti  i  materiali  critici  raccolti  nelle  stampe  an- 
teriori, e  negli  altri  scritti  che  s'occupano  della  correzione 
del  testo  di  Dante,  ne  ho  fatto  lo  spoglio  a  misura  di  quanto 
s'  è  detto  di  sopra.  Trascurando  le  differenze  ortografiche, 
ho  messo  a  pie  di  pagina  tutte  le  varie  lezioni  in  questo 
modo  riunite,  che  per  non  trovarsi  nei  4  testi  a  penna  o 
nella  3.^  edizione  (Aldina  1502;  Crusca  1395;  Becchi  1837) 
non  erano  registrate  nei  margini.  L' irregolarità  colla  quale 
furono  fatti  i  confronti  che  aveano  servito  a  questi  lavori, 
e  r  incertezza  in  cui  ci  troviamo  sul  valore  relativo  dei 
testi  confrontati  m'hanno  fatto  giudicar  inutile  l'apporre 
ì  nomi  dei  Codici  nei  quali  queste  lezioni  furono  riscon- 
trate. Generalmente  parlando  si  troverà  che  a  paragone 
delle  varianti  dei  4  Codici  tutte  le  altre  sono  di  poca  im- 
portanza. 

L'autore  dell'assennatissimo  articolo  inserito  nella  Civiltà 
Cattolica  (Quaderno  326,  327, 17  Ottobre  e  7  Novembre  1863) 
ci  prova  che  il  presupposto  del  sig.  Witte,  che  mancasse 
un  testo  sicuro  ed  autorevole  della  Divina  Comedia  non 
reggeva  in  nessun  modo;  però  tutti  gli  studii  di  lui  e  le  in- 
dustrie più  sottili  non  sarebbero  potuto  riuscire  giammai  a 
costituire  una  lezione,  che  fosse  tutto  insieme  diversa  dalla 
comune,  e  rendesse  la  dettatura  originale,  o  poco  meno, 
della  Divina  Comedia.  Dall'altro  canto,  se  veramente  era 
necessario  ricostituire  il  testo  della  Divina  Comedia,  il  me- 
todo con  cui  egli  si  accinse  a  farlo  non  offeriva  guarentigia 
sufficiente,  perchè  si  dovesse  avere  piena  fiducia  della 
prova  che  farebbe.  Da  ultimo  discende  a  dirci  del  giudicio 
che  si  debbe  recare  di  quei  luoghi  del  testo  del  sig.  Witte, 


762  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

I  quali  divariai!  dalia  Vulgata,  e  conchiude  che  un'assai 
piccolo  numero  avrebbe  buon  dirillo  di  entrare  nel  lesto, 
ma  che  non  meno  di  tre  quarte  parti  sarebbero  da  scartare, 
siccome  lezioni  che  non  riescono  ad  altro  che  a  guasto,  ^d 
a  sconciatura  del  divino  Poema.  Onde  egli  viene  ad  inferire 
che  il  miglior  frutto  della  novella  edizione  è  di  avere  ri- 
confermata con  una  felice  ripruova  l'eccellenza  della  nostra 
Vulgata,  almeno  dopo  l'ultima  correzione  del  1837.  E  difatti 
l'autore  dell'articolo  critico  succennato  dice  di  aver  para- 
gonalo esattamente  il  testo  che  il  Witte  ci  offre  co' tre 
testi  della  nostra  Vulgata,  cioè  coli' aldino,  con  quelle  della 
Crusca  del  1595,  e  coli' altro  degli  accademici  del  1837. 
Tenendo  conio  de'  luoghi,  ne'  quali  si  differenzia  non  già 
dall'uno  de' due  primi  solamente,  ma  ancor  dal  terzo  che 
è  correzione  di  quelli,  dice  d'aver  registrato  le  varianti 
che  vi  s'incontrano  di  qualche  importanza:  ed  esse  per 
la  intera  prima  Cantica  dell'  Inferno  sommano  a  167; 
per  quella  del  Purgatorio  a  133;  finalmente  per  l'ultima 
del  Paradiso  a  112;  in  lutto  a  412.  Queste  412  varianti 
entro  ai  14,233  versi  della  Divina  Comedia  sono  certo 
pochissima  cosa.  Di  questo  bisogna  eccettuare  non  punto 
meno  di  216,  quante  cioè  si  ritrovan  conformi  ad  uno  o 
più  codici  di  que'  quattro,  che  il  Sig.  Witte  propone  sic- 
come tipi  più  perfetti  :  di  queste  76  hanno  il  solo  suffragio 
del  codice  valicano,  e  le  altre  140  quelle  di  uno  o  due 
degli  altri  Ire  codici,  a  non  contare  il  vaticano,  che  il  più 
delle  volte  ci  concorda  ancor  esso:  sicché  per  questo  riguardo 
non  hanno  minore  autorità  delle  lezioni  da  lui  invece  in- 
trodotte nel  testo. 

Quanto  all'edizione,  considerata  in  sé  stessa,  aggiunge 
aver  esso  reso  un  grande  servigio  agli  studiosi  della  divina 
Comedia,  perciocché  essendo  una,  rappresenta  interamente 
e  senza  confusione  sette  edizioni,  cioè  le  tre  più  autorevoli 
della  Vulgata,  secondo  i  miglioramenti  successivi  che  venne 
ricevendo,  e  quattro  codici  de'  più  eccellenti  che  si  cono- 
scono. Oltre  a  tulio  questo  non  vi  ha  quasi  variante  di 
qualche  conto,  la  quale  non  sia  notata  in  fondo  di  pagina 
jGoIla  indicazione  del  luogo  corrispondente. 

E  da  dolere  però,  che  il  chiaro  raccoglitore,  per  rispar- 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C  763 

mio  (li  tempo  e  di  spazio,  ha  credulo  di  non  dover  citare 
i  codici  che  ne  sono  le  fonti,  né  le  stampe  che  le  hanno 
ammesse;  quando  potevano  si  gli  uni  e  sì  le  altre  aggiu- 
gnere  o  sminuire  il  pregio  almeno  estrinseco,  secondo  il 
peso  rispettivo  di  autorità  :  e  chi  avesse  voluto  instituire 
confronti  o  farvi  sludi  più  accurati  vi  avrebbe  ritrovali  gli 
opportuni  indirizzi.  Sicché  il  testo  della  Divina  Comedìa 
così  disposto  dal  Witte  e  co'  corredi  di  tante  varianti,  adu- 
nategli intorno  con  sì  bell'ordine  ci  mette  soli' occhio  le 
differenze  più  degne  di  nota  di  tanti  codici,  in  guisa  da 
poterle  comprendere  quasi  con  un  intuito;  ed  è  come  la 
sintesi,  almeno  per  la  parte  materiale  di  tulli  gli  studj 
falli  sin  qui  sul  testo  dantesco.  Laonde  questo  lavoro  è 
tale  che  ninno  che  voglia  con  qualche  proposilo  studiare  nel 
testo  del  poema  dell' Allighieri  ne  può  far  senza.  -  (Vedi  sulla 
nuova  edizione  della  Divina  Comedia  di  Dante  Allighieri, 
pubblicata  a  Berlino  da  Carlo  Witte,  la  lettura  del  D.'"  Fran- 
cesco Grerjoretti,  falla  nell'Ateneo  Veneto  il  dì  10  Aprile 
1862,  Venezia,  Naratovich,  1862;  V.  Rivista  scienze  lettere 
ed  arti  coli' effemeridi  della  pubblica  istruzione,  l'articolo 
di  C.  Pasqualif/o,  16  Feb.  1863.  N.  126.) 

EDIZIONI  DEGNE  DI  MENZIONE 

IN   CORSO  DI  STAMPA 

La  divina  Comedìa  di  Dante  Allighieri,  col  testo  curato  dal 
P.  Bartolommeo  Sorio,  e  con  Comentì  dell  Ab.  Luigi  Benassuti, 
in  4  volumi.  Il  quarto  volume  comprenderà  25  tra  tavole 
e  disegni.  Verona,  Civelli,  1865.  -  Vedi  p.  490. 

La  divina  Comedia,  con  Comenti  in  gran  parte  inediti 
di  ISiccolò  Tommaseo,  edizione  splendidissima,  ornata  di  40 
finissime  incisioni  in  rame  ed  in  acciaio  ;  Milano,  Pagnoni, 
1865. 

La  divina  Comedia,  secondo  il  Codice  Cassinese. 

Su  questa  edizione  mi  piace  di  riportare  il  programma 
pubblicalo  dai  Monaci. di  Monte  Cassino: 

Sono  alcuni  dì  nella  vita  delle  nazioni,  in  cui  queste 
contemplano  qualche  cosa,  che  è  come  la  idea  tipica  della 
loro  storia.  Nell'anno  1265  nasceva  Dante  Allighieri  ;  e  per 


764  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C 

cinque  secoli  nella  gioconda  contemplazione  di  quel  fallo 
la  ilallana  coscienza  ha  gridalo:   Onorate  V altìssimo  poeta. 

Al  sesto  grido  anche  noi  monaci  di  Monte  Gassino  oggi 
rispondiamo,  perchè  l'onore  reso  alla  memoria  dei  grandi 
uomini  va  dirillo  a  Colui  che  li  ebbe  creati,  e  perchè 
Dante  e  San  Benedetto  nel  nostro  pensiero  furono  sempre 
congiunti  dal  vincolo  di  una  poetica  simpatia.  Da  quel  dì 
in  cui  l'Allighieri  scontrò  San  Benedetto  nel  Paradiso  della 
sua  fantasia  su  per  quelle  cime  delle  cento  sperule,  donde 
sgorga  la  vena  della  cristiana  estetica,  che  irriga  le  pagine 
del  suo  poema,  una  pietosa  tradizione  si  è  fatta  via  fino 
a  noi.  E  fama  che  l'Allighieri,  traendo  a  Napoli  oratore 
della  fiorentina  repubblica,  sostasse  in  questa  Badia  e 
mangiasse  il  pane  dell'ospizio,  come  mangiò  quello  del- 
l'esilio nel  monastero  dell'Avellana;  che  leggesse  la  Visione 
del  nostro  Alberico,  il  quale  con  tutto  il  medio-evo  gli  fu 
precursore  nel  viaggio  del  mondo  di  là.  Cara  tradizione, 
impalpabile  dalla  fredda  mano  della  critica,  immortale  per 
la  carità  dell'affetto  che  risveglia,  incarnata  in  quel  volume, 
dei  più  antichi  che  avanzino,  della  divina  Gomedia,  che 
come  cosa  santa,  è  conservato  nell'Archivio  Cassinese.  Que- 
sto codice  interrogato  e  citato  da  molti,  conosciuto  da  pochi, 
noi  mettiamo  letteralmente  a  stampa,  per  volgarizzare  quella 
riverente  voluttà  che  sentono  i  dotti  a  svolgerne  le  pagine. 
Questa  è  la  votiva  offerta  che  mandiamo  alla  patria  di 
Dante,  anche  In  nome  delle  meridionali  provincie,  nel 
secolare  anniversario  del  natale  di  lui. 

Questo  manoscritto  del  XIV  secolo  in  carta  bambagina, 
assai  ricco  di  comenli,  quasi  sincrono  del  Poeta,  come  si 
farà  chiaro  nel  prolegomeni  a  questa  edizione,  non  è  solo 
un  documento  archeologico,  ma  anche  un  monumento  di 
arte.  Egli  va  pregiato  in  ogni  sua  parte,  nella  carta,  nella 
scrittura  e  fino  nelle  molte  imperfezioni  del  menante,  le 
quali  sono  nel  divino  poema  come  quelle  piante  parassite, 
che  serpono  su  le  vecchie  fabbriche  e  ne  poetizzano  la  vista. 
Perciò  il  manoscritto,  che  ora  la  prima  volta  pubblichiamo 
nella  sua  interezza,  sarà  reso  senza  tocchi  e  ristauri,  lasciando 
ai  dotti  la  cura  di  sceverare  le  mende  del  copista  dalla 
probabile  ragione  delle  varianti  lezioni. 


EDIZIOM  PRINCIPALI  DELLA  D.  C  765 

Perchè  poi  la  nostra  opera  potesse  un  giorno  giovare 
ad  una  più  perfetta  edizione  della  divina  Comedia,  abbiamo 
profusa  ogni  cura  a  comparare  il  lesto  del  nostro  Codice 
con  le  più  antiche  e  pregiale  edizioni,  che  abbiamo  potuto 
avere  a  mano,  a  chiarirne  le  varianti.  Ubertosa  compara- 
zione, che  è  come, una  storia  dei  casi  che  ha  corso  lìnora 
il  gran  poema,  per  la  ignoranza  dei  trascrittori  o  per  la 
irriverente  dottrina  dei  commentatori.  Né  è  a  riputare 
superflua  la  nostra  opera,  dopo  la  bella  edizione  della  div. 
Comedia  curala  in  Berlino  nel  18G2  da  Carlo  Witte.  Impe- 
rocché questo  infaticabile  dantofilo  ha  limitato  i  suoi  riscontri 
a  soli  quattro  Codici  per  la  emendazione  del  lesto  del  poema, 
aggiungendo  a  pie  di  pagina,  delle  innumerevoli  varianti, 
solo  quelle  che  gli  son  parule  più  ragionevoli.  Tacendo 
dei  Mss.  e  delle  edizioni,  donde  le  abbia  tratte,  egli  sottrae 
il  fondamento  essenziale  al  giudizio  che  potrebbe  «iarne 
italiano  eslimatore.  AH'  avara  sintesi  del  dotto  Tedesco 
abbiamo  sopperito  con  la  esuberanza  della  nostra  analisi, 
comparando  il  nostro  testo  anche  con  le  quattro  più  antiche 
edizioni  della  divina  Comedia  del  XV  secolo  riprodotte  da 
lord  Vernon,  le  quali  riputate  infruttuose  dal  Wilte,  a  noi 
son  sembrate  degne  di  studio,  massime  quella  di  Mantova 
1472,  che  segui  testi  a  penna  di  ottima  lezione. 

Avremmo  voluto  curare  gli  slessi  raffronti  anche  coi 
quattro  Mss.  della  divina  Comedia  che  sono  nella  Nazionale 
di  Napoli,  e  con  quello  assai  prezioso  del  1378  del  Principe 
di  Santo-Pio  in  Napoli,  una  volta  posseduto  dal  Cardinale 
Imperiale;  ma  non  potendo  averli  a  mano,  e  premendo  il 
tempo  della  pubblicazione  del  nostro  codice,  da  farsi  nell'an- 
niversario dantesco,  lasciammo  ad  altri  quella  cura.  Usammo 
però  del  Codice  membranaceo  che  é  nella  Biblioteca  dei 
Preti  dell'Oratorio  in  Napoli,  di  bellissima  lettera,  del  XIV 
secolo,  istoriato  a  colori  come  si  faceva  ai  beati  tempi  del 
Giotto,  e  ricco  di  comenti  marginali.  La  cortesia  di  quelli 
eruditi  Padri  che  ci  fornì  le  lezioni  di  quel  Mss.  raffrontale 
alle  varianti  che  raccoglievamo,  farà  conoscere  un  Codice, 
che  la  prima  volta  sarà  da  noi  citato. 

Se  potranno,  come  che  sia,  queste  povere  fatiche  gio- 
vare ai  curatori  avvenire  di  una  meno  imperfetta  edizione 


766  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  0.  C. 

della  divina  Comedia,  certo  che  ce  ne  avremo  merito  oltre 
le  nostre  speranze. 

Un  di  Dante  sbattuto  ed  affranto  dalla  febbre  dell'esilio 
si  affacciò  al  convento  di  Santa  Croce  di  Corvo;  e  interro- 
galo da  Frate  Ilario,  che  chiedesse,  rispose:  Pace;  e  egli 
porgeva  il  libro  del  cristiano  Poema,  come  tessera  del  suo 
diritto  alle  consolazioni  della  Croce.  Noi  oggi  restituiamo 
al  Poeta  quel  volume,  dopo  sei  secoli,  come  documento 
della  più  splendida  glorificazione  dell'  italiano  pensiero. 


Fu  notato  che  gli  studii  danteschi  ebbero  in  Italia  la 
stessa  vicenda  del  pensiero  civile.  Ogni  volta  che  le  forze 
della  nazione  parvero,  comunque,  impigrire.  Dante  giacque 
negletto  o  franteso:  ogni  riscossa  della  coscienza  fu  un 
ritorno  a  Dante  (1).  -  L'edizioni  della  Div.  Comedia  pubblicale 
dall'anno  1472  al  1863,  cioè  nel  corso  di  trecento  e  novau- 
tadueanni,  secondo  il  ragguaglio  che  ne  dà  l'accuratissimo 
Fapanni,  montano  al  numero  di  295,  comprese  13  edizioni 
del  testo,  che  stanno  a  fronte  di  traduzioni  in  diverse  lin- 
gue. Sette  edizioni  furono  cominciate  e  non  compiute,  cioè 
quella  comenlata  dal  Buonanni  nel  1570  e  sei  altre  che 
appartengono  al  secolo  nostro.  Nò  in  questo  novero  conta 
37  ediz.  di  dubbia  esistenza.  La  città  che  dal  1477  al  1859 
ha  pubblicate  più  edizioni  della  Divina  Comedia  è  Venezia 
che  ne  fece  57;  cioè  7.  nel  sec.  XV;  20.  nel  XVI;  1.  nel 
XVII;  12.  nel  XVIII,  e  19.  nel  XIX.  Firenze  ha  seconda  il 
vanto  di  48  edizioni;  Milano  di  31;  Parigi  di  28;  Napoli 
di  27  ;  Londra  di  8  ;  Roma  di  7  ;  Lione  di  6  ;  Padova,  Ber- 
lino, Pisa,  Bologna,  Torino  di  5;  Parma,  Bassano,  Palermo 
di  4  ;  Brescia,  Lipsia,  Livorno,  Prato  di  3  ;  Vicenza,  Lucca, 
Verona,  e  Colle  di  2.  -  Prime  città  che  stamparono  la  Div. 
Comedia  furono:  Foligno,  Mantova  e  Iesi  nel  1472;  Napoli 
circa  il  1476,  Venezia  e  Milano  nel  1477,  Firenze  nel  1481, 
Brescia  nel  1484.  La  prima  edizione  pubblicata  fuori  d'Italia 


•  (I)  U  Guicciardini  scriveva  al  Macchiavelli  come  avesse  dovuto  cercare 
lunghissimo  tempo  nelle  Romagne,  prima  di  trovarvi  un'  esemplare  della 
divina  Comedia,  ed  ancbe  senza  Cbiosc. 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  767 

è  quella  di  Lione  del  1547.  Il  lesto  della  Divina  Comedia  si 
stampò  in  Francia  35  volte,  13  in  Germania,  ed  8  in  In- 
ghilterra. Di  tutte  l'edizioni  la  più  grande  di  sesto  è  quella 
del  Mussi  (Milano,  1809),  in  foglio  imperiale,  lungo  centim. 
57,  largo  centim.  38.  La  piìi  piccola  ediz.  per  sesto,  ed  anche 
per  minutezza  di  caratteri  è  quella  in  due  tonnetti  pubblicata 
nel  1823  in  Londra  a  spese  di  G.  Pickering.  È  lunga  cent. 
9,  larga  cent.  4.  I  due  volumetti  sono  formati  di  380  pagine. 
Oltre  a  ciò  il  Fapanni  ne  dà  il  Prospetto  ed  il  paragone 
degli  anni  nei  quali  furono  stampate  le  edizioni  della  Div. 
Comedia  ;  cioè  15.  nel  sec.  XV  ;  30.  nel  sec.  XYI  ;  3.  nel 
XVII,  e  31  nel  secolo  XIX.  Le  216  edizioni  pubblicate  nel 
secolo  XIX  anderebbero  divise  così:  dal  1807  al  1810,  n." 
15:  dal  1811  al  1820,  n.«22:  dal  1821  al  1830,  n.«  52:  dal 
1831  al  1840,  n.«  37:  dal  1841  al  1850,  n.«  38:  dal  1851  al 
1860,  n.«41:  dal  1861  al  1863,  n.Ml.  -  In  tutte,  n.«  295. 
Oltracciò  ne  dà  il  numero  dell'edizioni  della  Div.  Comedia 
c>omparato  col  numero  delle  edizioni  delle  Bime  del  Petrarca, 
dell'  Orlando  Furioso,  dell'  Ariosto,  e  della  Gerusalemme 
Liberata  del  Tasso:  ìSel  secolo  XV  la  Div.  Comedia  venne 
stampata  15  volte  e  25  le  Rime  del  Petrarca  ;  nel  sec.  XVI 
la  Divina  Comedia  30;  il  Petrarca  132;  l'Orlando  177;  la 
Gerusalemme  30;  nel  secolo  XVII  la  Divina  Comedia  3;  il 
Petrarca  17;  l'Orlando  36;  la  Gerusalemme  64;  nel  secolo 
XVIII  la  Div.  Comedia  31;  il  Petrarca  44;  l'Orlando  59; 
la  Gerusalemme  57;  nel  ^c.  XIX  la  Div.  Comedia  216;  il 
Petrarca  84;  l'Orlando  154;  la  Gerusalemme  126. 

«La  Divina  Comedia  somma  tult' insieme,  versi  14,228, 
dei  quali  4715  toccano  all'Inferno,  4755  al  Purgatorio,  e 
4758  al  Paradiso.  E  degno  di  osservazione  che  la  cantica 
dell'  Inferno,  quantunque  ecceda  di  un  canto  le  altre  due, 
riesce  non  pertanto  delle  tre  la  più  breve.  La  qual  diffe- 
renza si  fa  più  notabile  se  rillettiamo  che  i  primi  due  canti 
non  appartengono  più  all'Inferno  che  all'altre  due  cantiche, 
non  essendo  che  la  introduzione  generale  a  tutto  il  poema, 
come  quelli  che  ci  danno  la  ragione  del  mistico  viaggio 
del  poeta.  Questo  divario  si  spiega  facilmente  dal  diverso 
carattere  che  si  nota  in  ciascuna  cantica.  Nell'Inferno  di 
(alto,  tuttoché  le  discussioni  non  manchino,  più  che  a  di- 


768  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

sputare  intende  il  poeta  a  descrivere  e  narrare,  e  narrando 
e  descrivendo  procede  conciso  e  serrato,  sempre  cogliendo 
per  ardite  sintesi  quel  punto  dei  fatti  e  delle  cose  in  che 
si  accentra  la  importanza  loro;  nel  Purgatorio  segue  più 
volentieri  l'affetto,  e  l'affetto  ama  adagiarsi  in  più  larga 
e  libera  forma,  dove  la  fatica  dell'intelletto  meno, appari- 
scono; per  ultimo  nel  Paradiso  largheggia  ancor  più,  ma 
d'altra  guisa,  in  quello  cioè  per  passione,  in  questo  per  acu- 
me e  sottigliezza  di  concetto,  dappoiché  in  esso  il  poeta  più 
che  a  narrare  e  descrivere  intende  a  discutere  ed  insegnare. 
Tuttavia,  se  la  brevità  vuol  essere  misurata  al  numero  non 
delle  parole  ma  delle  idee  che  ti  dà,  non  esito  a  dire  che 
il  Paradiso  non  ostante  la  sua  maggior  mole  avanza  di 
brevità  l'Inferno  stesso,  ne  credo  anzi  che  altri  sapesse  mai 
esprimere  con  meno  di  parole  tante  idee.  -  A.  Zoncada. 

jSon  poco  poi  stimola  la  curiosità  e  il  desiderio  dei  dotti 
la  magnifica  edizione  che  da  circa  venti  anni  ne  prepara 
r  illustre  dantofilo  inglese  Lon  Vernon,  nella  quale,  oltre 
una  sua  accuratissima  esposizione  in  prosa  italiana,  ha 
riunite  in  una  nuova  foggia  di  comento  le  fatiche  di  molti 
suoi  dotti  collaboratori,  fra  i  quali  sono  annoverati  Vicenzo 
Nannucci,  Brunone  Bianchi  e  Pietro  Fraticelli,  di  fama 
chiarissima;  e  facendo  per  ultimo  complemento  dell'opera 
un'Album  dantesco,  nel  quale  per  mano  dei  più  periti  dise- 
gnatori ed  intagliatori  sì  in  rame  che  in  acciaio,  si  ammirano 
artisticamente  rappresentati  i  monumenti,  i  luoghi,  i  fatti 
e  le  persone  più  insigni  che  sono  nel  sacro  Poema  o  celebrati 
0  mentovati,  opera  veramente  nuova,  e  ardimento  piuttosto 
da  principesca  che  da  privata  fortuna.  [Carbone,  Avvertenza 
del  Traduttore  del  Vocabolario  dantesco  di  L.  G.  Blanc.) 

Ed  un  pensiero  quasi  contemporaneo  nacque  prima  negli 
uomini  preposti  al  Governo  provvisorio  dell'Emilia,  poscia 
in  alcuni  dotti  Toscani  di  pubblicare  nel  1865,  sesto  cente- 
nario della  nascila  dell'AHighieri,  una  nuova  e  più  diligente 
edizione  della  divina  Comedia.  Io  accenno  le  norme  con  che 
uno  della  Commissione  dei  Testi  di  lingua  (Cav.  prof.  Francesco 
Selmi,  Rev.  Contemp.  Aprile,  1861)  vorrebbe  condotto  questo 
lavoro,  acciocché  riescisse  degno  del  Governo  auspice,  e* 
della  Società  promotrice,  ed  in  uno  di  Dante  stesso  e  d'Ila- 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  769 

Ila.  Riguardo  al  testo,  eì  desidera  si  prescegliesse  la  ripro- 
duzione di  uno  de'  più  slimabili,  ammendato  col  confronto 
dei  codici  di  più  riputata  prossimità  all'autografo  e  delle 
edizioni  piii  antiche.  La  collazione  di  quello  della  Crusca 
coH'Eslense  di  Modena  del  1327;  con  quello  di  S.  Croce  del 
1343;  col  Trivulziano  del  1330;  col  Landiniano  del  1337; 
con  quello  dell'Università  di  Bologna  del  1380;  col  Mala- 
spiniano  di  Napoli;  col  notissimo  di  Monte  Cassino  e  qualche 
altro  di  non   dissimile   valore,   condurrebbero   allo   scopo. 
Quella  parte  in  che  tutti  concordano,  dovrebbe  ritenersi  ad 
invariata  lezione:  nelle  varianti  da  accettarsi  quella  di  data 
più  vecchia,  di  forma  più  consueta  alle  maniere  dantesche, 
più  fiorentina,  più  elittica,  scolpitiva,  presentanea,  più  re- 
plicata da  maggior  numero  di  lesti  esaminali,   notando  a 
pie  di   pagina   quelle   degli   altri   codici   ed   edizioni   che 
servono   al    lavoro.   Il  testo   già   formato   dovrebb' essere 
chiamato  ad  esame  più  e  più  volle;  ogni  verso  pesalo;  e, 
come  ultima  diligenza,  sarebbe  da  cercarsi,  se  per  avventura 
tra  le  varianti  di  altri  buoni  codici  si  potesse  pur  raccogliere 
qualcuna,  splendente  di  luce  nuova  e  coi  segni  manifesti 
di  una  vera  gemma.  Un  volume  a  parte  raccoglierebbe  la 
collezione  completa  delle   varianti   tutte,   acciò  l'edizione 
portasse   in  sé,   quasi   assommati   e  riprodotti   i  frequenti 
codici,  che  giacciono  nelle  biblioteche  italiane  e  forestiere; 
la  qualcosa  addomanderebbe  l'opera  paziente  e  costosa  di 
molti  spogli,  con  uno  spendio  non  leggiero.  Riguardo  alla 
questione   se   si  debbano   trascrivere   le  varianti   quali  si 
leggono  nei  manoscritti  antichi,  ne' quali  l'uso  dell'inter- 
punzione si  riscontra  parco  o  nullo,  oppure  interpretarle 
colle  norme  dell'ortografìa  moderna,  il  Selmi  ritiene  miglior 
consiglio  attenersi  in  tali  distrette  al  senso  che  risulla  dai 
vecchi  comentalori,  e  tanto  più  quanto  di  prossima  età  a 
quella  di  Dante,  nò  mai  paresse  convenevole  di  allontanar- 
sene, se  non  ne  dia  argomento  o  qualche  tratto  di  altre 
opere  di  Dante  che  serva  ad  illustrare  il  passo,  od  il  ri- 
scontro di  un'altro  autore  d'onde  egli  abbia  palesemente 
attinta  l'idea  e  fallane  imitazione,  o  dalla  ragione  intrinseca 
della  cosa,  o  dal  processo  logico  del  ragionamento.  Il  giudicio 
concorde  degli  uomini  egregi  preposti  al  lavoro  autorevo- 

VOL.  II.  49 


770  EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C. 

lissimo  nella  decisione:  vuole  uno  a  capo  del  lavoro  con 
facoltà  inappellabile:  gli  altri  che  preparino  la  materia, 
per  ciascuno  da  sé,  poscia  si  comunichino  scambievolmente 
ì  singoli  lavori,  vi  aggiungano  le  reciproche  osservazioni  : 
il  loro  giudicio  riceva  suggello  da  quello  del  presidente: 
a  termine  del  volume  si  tenga  conto  dei  dispareri  -  Il 
Selmi  divide  i  Cementi  iu  postillativi  ed  illustrativi:  i  pri- 
mi a  chiosa  del  significato  dei  vocaboli  e  delle  frasi  meno 
intelligibili,  ed  a  dichiarazione  succinta  di  quegli  avveni- 
menti che  si  ricordino  nelle  Cantiche,  non  che  delle  cre- 
denze mitologiche  e  superstiziose  cui  ivi  si  accenni  o  si 
alluda:  i  secondi  ed  esporre  al  lettore  quali  fossero  le  dot- 
trine, le  utopie  in  allora  vigenti,  certe  speciali  costumanze 
più  in  voga,  quali  i  sistemi  particolari  imaginati  o  pro- 
pugnati dal  poeta,  e  le  idealità  da  esso  create  e  vestite 
di  forma;  come  in  quei  tempi  si  usasse  al  senso  reale 
sottoporne  parecchi  allegorici,  che  più  o  meno  vi  traspa- 
rivano, e  come  dentro  ai  simboli  questo  talvolta  si  nascon- 
desse; imperocché  senza  di  ciò  e  somiglianti  cognizioni 
la  Comedia  rimane  ai  molti  un  libro  sigillato.  Ei  vuole  le 
postille  brevi  chiare  e  trascelte  dai  migliori  conienti  antichi 
e  moderni,  non  senza  facoltà  ai  compilatori  di  mettervi  del 
proprio,  e  di  manifestare  il  loro  parere  su  questo  o  quell'altro 
soggetto  in  questione,  sempre  però  con  molta  parsimonia. 
I  propositi  capitali,  da  trattarsi  nel  cemento  illustrativo, 
per  via  di  ragionamenti  raccolti  a  parte,  sarebbero  questi: 
Dell'orditura  del  poema  ;  dell'architettura  dei  luoghi  percorsi 
dal  poeta;  delle  dottrine  cosmologiche  in  allora  insegnate; 
della  scolastica  filosofica  e  teologica;  delle  sorti  diverse 
di  allegorie  secondo  cui  gli  autori  contemporanei  dall'Alli- 
ghieri  informarono  i  loro  scritti  rendendoli  polisensi,  e  di 
quelle  in  ispecialità  proprie  del  poeta;  dei  personaggi  più 
conspicui  che  in  quel  secolo  influirono  sugli  avvenimenti 
e  le  sorti  d'Italia;  delle  fazioni  e  della  misura  con  cui 
inlendevasi  la  libertà;  della  patria  e  della  nazione;  dei 
sistemi  più  accarezzati  di  reggimento  e  dì  quello  che 
Dante  predicò;  dei  costumi  nella  famiglia,  nella  cosa  pub- 
blica e  nelle  corti;  del  pudore  nel  linguaggio  comune  e 
nell'aulico;  dei  rapporti  di  somiglianza  che  si  riscontrano 


EDIZIONI  PRINCIPALI  DELLA  D.  C.  771 

tra  la  poesia  dantesca,  la  latina,  la  greca  e  la  sanscrita; 
della  religione  di  Dante;  dell'esilio  suo;  dell'amore  per 
la  donna  com'era  inteso;  degli  amori  suoi  ed  in  ispecie  di 
quello  per  Beatrice.  -  11  Selmi  nella  Riv.  Contemp.,  Luglio 
1861,  ha  pubblicato  un'allro  scritto:  Di  uno  studio  da  fare 
per  i  edizione  nazionale  della  Comedia  di  Dante  Allighieri. 

BENEMERITI  DELL'  EMENDAZIONE  DEL  TESTO 

Bene  meritarono  dell'emendazione  del  testo  colle  loro 

accurate  investigazioni  1  signori:  Arcan^^eli  Giuseppe; 
Becchi  Fruttuoso;  Bernardoni  Giuseppe;  Betti  S§»al- 
Yatore;  Biondi  Luigi  ;  Borgliini  licenzo  ;  Bossi  Giu- 
seppe ;  Bozzo  Giuseppe;  Caetani  duca  di  Sermoneta 
]VlichclangeIo ;  Canal  ab.  Pietro;  Capponi  Gino; 
Carpani  Palamede;  Ciampolini  Luigi;  CoUelli  {Sci- 
pione; Dionigi  Gian  Jacopo;  Fanfani  Pietro;  Fede- 
rici Fortunato  ;  Ferrante  IMauro  ;  Ferrucci  Luigi 
Crisostomo;  Fiacchi  Luigi;  Foscolo  Lgo;  Fraticelli 
Pietro;  Galvani  Gio.;  Gherardini  Giovanni;  Kopitar; 
Lampredi  Lrbano  ;  Lombardi  Baldassare  ;  Lorini 
Agramante  ;  9Iezzanotte  Antonio  ;  montani  E.  ;  Monti 
¥icenzo;  Uluzzi  L.;  Paravia  Pier  Alessandro;  Parenti 
IVIarco  Antonio;  Pederzini  Cavazzoni  Francesco; 
Perazzini  Bartolommeo;  Perticari  Giulio;  Picei  Giu- 
seppe; Rosini  Giovanni;  Rossi  de  Gherardo;  Scolari 
Filippo;  !>»icca  Angelo;  Todeschini  Giuseppe;  Tiani 
P.Bonaventura;  Viviani  Quirico;  Wagner  Adolfo; 
Witte  Carlo;  Zanella  Ab.  Jacopo. 

BENEMERITI  DELL'OPERE  MINORI 

Ne  sìa  consentilo  un'onorevole  ricordo  agli  illustratori 
delle  Opere  Minori  del  nostro  poeta. 

Il  Convito  ci  era  giunto  così  lacero  e  storpialo  che  in 
SI  deplorabile  condizione  non  si  era  trovalo  per  avven- 
tura alcun  libro  di  scrittore  antico.  11  chiarissimo  Biscioni 
che  primo  lo  riprodusse  nel  1723  non  si  curò  gran  fatto 
di  ammigliorarne  la  sformata  lezione.  11  primo  che  cominciò 
a  studiarvi  addentro  fu  il  Dionisi  ne'  suoi  Aneddoti  ;  appresso 
r  insigne  Perticari  rilevò  molte  piaghe  neir  aureo  suo  trai- 


772  BENEMERITI  DELL*  OPERE  MINORI. 

tato  degli  Scrillori  del  Trecento.  Ma  quelli  che  si  misero 
primi  all'ardua  impresa  di  ridurre  a  miglior  lezione  quella 
altissima  e  sapientissima  prosa  furono  i  signori  Gìuncfiacomo 
Trivulzio,  V.  Monti  e  Giov.  Antonio  J/of/.^i  (Mil.  1826,  ed 
ediz.  padov.  1827).  Essi  si  dolgono  grandemente  dell'orribile 
guasto  in  che  trovarono  i  Codici  tutti  per  loro  esaminati; 
quindi  più  che  altro  autorevolissimo  il  codice  della  critica. 
Al  lume  di  questo  si  fecero  animosi  ad  emendare  ed  illu- 
strare i  passi  viziati  ;  a  rettificare  l' interpretazione  e  l' or- 
tografia; ad  espugnere  senza  riguardo  i  volgari  idiotismi, 
rea  feccia  de' menanti;  a  corredare  di  annotazioni  il  testo, 
indicando  per  bella  giunta  i  luoghi  contrassegnati  dal  Tasso, 
non  senza  recarne  alcune  inedite  postille  del  grande  apo- 
logista di  Dante,  Giulio  Perticari.  -  E  del  Convito  bene  pure 
meritarono  per  tacermi,  dello  Scolari  del  Yacolini,  del  \i- 
vicini,  del  Veratti{V,,  F.  Cavazzoni  Pederzini  (1831,  m.  1864  ), 
e  il  dotto  alemanno  prof.  Witte,  questo  egregio  cultore  delle 
lettere  italiane  e  benemerito  tanto  degli  studii  danteschi, 
che,  anche  prima  degli  editori  milanesi,  vi  avea  recato  i 
pazienti  suoi  studj,  ed  ora  tuttavia  continua  a  donarci  degli 
eletti  manipoli  di  sudate  correzioni  (1853  e  1854).  Onde 
il  Picchioni  scriveva:  «  Dai  lunghi  e  profondi  sludi  del 
sapiente  alemanno  dobbiamo  riconoscere  tutte  le  canzoni, 
che  a  vivanda  del  suo  Amoroso  Convito  Dante  destinato 
avea,  poste  in  quell'ordine  che  la  più  sana  critica  ne  dice 
dover  poter  esser  conforme  alla  mente  del  poeta.  Dottissimo 
Comenlo  e  quale  si  può  aspettare  da  sì  chiaro  uomo  viene 
nell'opera  intitolata:  Dante  AlifjhierV  s  lyrische  Gedichte^ 
ecc.,  Leipzig,  1842;  sponendo  in  un  con  l'amore  celebrato 
nel  Convito  il  pensiero  recondito  del  libro,  e  il  tempo  nel 
•quale  furono  dettate  le  singole  canzoni,  e  quello  ancora, 
nel  quale  per  finzione  poetica  ne  fu  post^  la  concezione. 

(1)  Scolari  Filippo,  Appendice  all'edizione  del  Convito  di  Dante 
Alliqhicri,  fatta  dalla  Tip.  della  Minerva  in  Padova  nel  1827,  Padova, 
Crescini,  1828.  -Appendice  ed  Illustrazioni  alla  Vita  Nuova,  Convito, 
e  Lettere  di  Dante  Alligliieri,  Livorno,  1842.  -  Vaccolini  Domenico, 
Articolo  sull'Edizione  padovana  del  1827,  inserito  nel  Voi.  xxxix  dei 
Giornale  Arcadico,  Roma,  1828,  p.  503.- Fjvtani  Q.,  Emendazioni  tratte 
dal  Contilo  ecc.  1828.  -  Veratti  B.,  Annotazioni  sopra  i  primi  capitoli 
del  Convito  di  Dante  Alligìiìeri,  Modena,  Soliani,  1834. 


BExNEMERITl  DELL'OPERE  MINORI.  773 

Né  la  parie  puranicnte  filologica  vi  è  punto  trascurala, 
che  anzi  vi  si  trovano  non  solo  le  varianti,  ma  eziandio  di 
i^iudiziosissime  emendazioni  [La  Dìv.  Com.  illustrata,  p.31).- 
11  Fraticelli  si  mostra  debitore  di  molte  avvantaggiate 
lezioni  ad  un  codice  Riccardiano,  1844,  la  comparsa  del 
quale  chiama  una  fortuna  per  sé  e  per  g!i  amatori  delle 
cose  di  Dante.  Giò  nondimeno  ei  conchìude  che  molti  codici 
dei  lìnora  veduti  farà  duopo  ancora  vedere,  e  molti  più 
studj  di  quelli  per  lui  e  per  gli  altri  fatti  bisognerà  ancora 
fare  per  poter  ottenere  un  risullameuto  che  si  avvicini  alla 
vera  bontà  e  perfezione  desiderabile. 

Alessandro  Torri  si  rese  assai  benemerito  dell'edizione 
della  \ita  Nuova,  di  quel  piccolo  dramma  sì  semplice  e  si 
nuovo  in  che  non  figurano  che  due  persone,  Dante  e 
Beatrice,  onde  la  sua  stampa  livornese  nel  1843,  è  tenuta 
tra  le  altre  pregevolissima,  (l) 

Il  Dionisi  e  VArrivabene  furono  i  primi  a  porre  le  lor 
cure  intorno  il  Canzoniere,  incominciando  a  portarvi  sopra 
(juella  critica  che  a  ciò  facea  mestieri.  Anche  il  marchese 
Gianqìacomo  Trivuhio  assiem  col  Magqi  aveano  approntato 
molti  appunti  che  doveano  spianar  loro  il  camino  per 
un'  edizione  ammigliorata  delle  liriche  dell'AUighieri,  ed  è 
ben  a  dolersi  che  l'onorando  Marchese,  per  usare  l'espres- 
sione del  nostro  poeta,  sia  caduto  in  via  con  la  seconda 
soma.  Né  meno  importanti  sono  le  fatiche  del  Witte  sul 
Canzoniere.  Egli  ci  diede  i  Sonetti  :  Se  7  bello  aspetto  (v)  : 
J)i  donne  io  vidi  (xiv):  Poiché,  sfjuardundo  (xxix)  :  To- 
(jliete  via  (xlhi):  iS'ulla  mi  parrà  mai  (xliv):  Lo  re,  che 
merla  (xlv):  autenticò  la  Ballala:  Per  una  ghirlandetta 
(vii):  ed  il  Sonetto:  Per  quella  via  (xxxviii),  e  ne  rettificò 
l'erronee  lezioni.  Ascrive  a  Dante  i  Sonetti:  Molti,  volendo 
dir  (xLVi)  :  Ora  che  '/  mondo  (xlvii.),  che  il  Fraticelli  pone 
tra'  dubbii  ;  vuole  pure  di  Dante  la  Canzone:  Poscia  eh'  i'  ho 
perduta,  che  il  Fraticelli  ritiene  apocrifa  ed  il  Trivulzio  di 
Gino  da  Pistoia. 

(1)  IlDolt.  Lutin,  prof,  di  lingua  e  lellcratura  italiana  nell'università 
di  Graz,  nel  1802  pul)l)licava  una  sua  erudita  dissertazione:  Intorno 
all'epoca  della  Vita  Nuova  di  Dante  AllìQhicri,  con  una  appendice 
sull'epoche  dei  Trattati  del  Convito,  Graz,  Kienreicb. 


774  BE^EMERiTl  dell'opere  minori. 

Da  ultimo  11  Giuliani  non  dubitò  di  tornar  sopra  alla 
Yita  ISuova  e  al  Canzoniere:  con  tenace  proposito  cercò  e 
ricercò  i  codici  e  le  stampe  più  accreditate;  dell'opera 
altrui,  com'egli  stesso  modestamente  confessa,  profittò  con 
gratitudine  riverente,  e  nella  severa  ed  inviolabile  critica 
che  si  propose,  altri  non  volle  che  Dante  interprete  e  giudice 
di  sé  stesso.  Onde,  ne'  dottissimi  coment!  di  che  arricchì 
r  edizione  (Barbèra,  1863,  ediz.  diamante),  l'altissimo  poeta 
ci  viene  sempre  allato;  egli  sempre  scorta  sapvta  e  fida; 
e  nelle  Canzoni,  specialmente  filosofiche,  coi  riscontri  para- 
lelli  del  Convito,  il  Giuliani  ci  mostra  la  mente  di  Dante, 
quasi  in  imaglne  specchiata.  Quindi  egli  rinsanguinalo  dello 
stile  e  della  scienza  del  suo  più  che  padre  verace,  non 
punto  mosso  dall'  autorità  altrui,  quantunque  di  gente  assai 
pregevole  e  valorosa,  non  timido  amico  al  vero,  e  con 
libera  franchezza,  rigetta  8  Sonetti,  3  Ballate,  e  2  Sestine  (Son. 
5.  22.  29.  33.  39.  42.  43.  45;  Bai.  5.  6.  7  ;  Sest.  2.  3.  edizione 
Barbèra,  1836),  componimenti  dichiarati  legittimi  dal  Witte 
e  dal  Fraticelli;  non  trovandovi  espressi  e  lucenti  i  caratteri, 
il  proprio  e  verace  sigillo  di  Dante;  dubita  dell'autenticità 
di  altri  [Son.  33.  44)  ;  pone  tra  i  dubbi  alcuni  ritenuti  apocrifi, 
e  astretto  da  ragioni  intime  e  invincibili,  gli  negherebbe 
recisamente,  quantunque  le  riporti,  le  celebrate  canzoni  : 
Tre  donne  intorno  al  cor  mi  son  venute:  -  0  patria  degna 
di  trionfai  fama  {Canz.  19  20).  Oltre  a  ciò  il  Giuliani  ci  si 
mostra  valentissimo  estetico,  additandoci  quanto  nelle  liriche 
potesse  il  solenne  autore  del  poema  sacro  ;  ci  assenna  come 
siagli  bastato  l' ingegno  e  l' arte  per  accoppiare  strettamente 
il  senso  allegorico  al  letterale,  e  di  guisa  da  non  oflendere 
punto  quella  bellezza  ch'egli  idoleggiava  costante  ne' suoi 
pensieri;  e  quindi  a  mano  a  mano  ci  viene  sponendo  le  più 
recondite  bellezze  di  quella  poesia  (p.  134. 151.163. 168  171. 
178. 182. 184. 183. 193. 205. 328. 3i5. 357. 373. 383. 390.391. 417) 
che,  dal  cuore  nata  solo,  favella  colla  potente  lingua  d'amore. 

In  un  magnifico  volume,  pubblicato  nell'occasione  che 
S-M.  il  re  Giovanni  di  Sassonia,  visitava  Firenze,  Fr. Palermo, 
bibliotecario  della  Palatina,  co'  tipi  della  Galileiana,  1857, 
metteva  in  luce  alcune  Rime  di  Dante  Allighieri  e  dì 
GiaoDOzzo  Sacchetti.   Ma  le  rime  di  Dante  o  non  son  per 


BE^EMERITl  DELL'OPERE  MINORI.  775 

niiìla  opera  del  divino  poeta,  o  non  merllavano  ad  ogni 
modo  vedernenfa  stampa.  (1) 

Il  Witte  si  è  reso  benemerito  anche  del  Trattato  della 
Monarchia,  e  dava  fuori  per  saggio  il  primo  libro  nella 
occasione  della  solenne  distribuzione  de'  premi  all'Accademia 
federiciana  di  Halle  [Danfis  Alligliierl  Monarchia  Liber  I, 
Msstorum  ope  emendata  per  Caroliim  Witte.  Halis,  formis 
Hendeliis,  1803,  In  4.*^).  Per  condurre  tal  lavoro  egli  ha 
diligentemente  tenuto  a  riscontro  cinque  ottimi  codici  e  le 
più  reputate  stampe:  ha  seguitato  il  miglior  testo,  e  in 
pie  della  pagina  ha  registrato  le  più  belle  varianti  dei 
ricordati  codici,  sotto  la  rahrlcdi  Adnotatlo  critica  ;  aggiun- 
gendo poi  sotto  ad  essa,  con  la  rubrica  Ad  interpretationem 
facientla,  altre  note,  dove  più  che  altro  si  mostrano  i 
riscontri  dell'  opera  dantesca  o  con  la  Bibbia  o  co'  iilosoli 
antichi,  e  massimamente  Aristotele,  ed  anche  con  altre 
opere  del  divino  Poeta.  Le  varianti  recate  dal  Witte  sono 
di  qualità  che  molte  si  potrebbero  senza  uno  scrupolo  al 
mondo  recare  nel  testo.  Egli  è  da  sperare  che  il  chiaris. 
Witte  dia  fuori  tutta  l'opera  conforme  al  saggio  di  questo 
primo  libro,  che  certo  ei  renderebbe  un  novello  e  segnalato 
servigio  ai  cultori  degli  studi  danteschi.  (  Y.  Fanfani,  Il 
Borqhini,  Artic.  del  Fanfani,  i.  672.)  (2) 

Al  Torri  pure  si  debbe  la  lode  di  averci  dato  con  sommo 
studio  la  pubblicazione  di  cinque  Epistole  (1,  3,  5,  6,  8, 
Ediz.  Barbèra  )  dell'Allighieri  (1842),  dovendosene  il  merito 
dell'  altre  cinque  al  Witte  che  sin  dal  1827  gli  venivano 
additate  e  trascritte  dal  D.*"  Teodoro  Jlcyse  di  Magdeburgo, 

fi)  V,  Appendice  al  libro:  Rime  di  Dante  Allishieri  e  di  Giannozzo 
Sacchetti,  sull'autenticità  di  esse  rime,  e  sul  codice  180  Palatino,  ecc. 
Firenze,  Galileiana,  18o8. 

(•2)  Sulla  Monaixhia  di  Dante  vengasi  pag.  52.  -  Anche  lo  Scolari 
pubblicò  un  Avviamento  allo  studio  della  Monarchia  di  Dante,  Vi- 
cenza, 18:13,  in  IC.  -  Rarissimo  venne  l'opuscolo  di  Guidone  Vernani 
contro  la  Monarchia  col  titolo:  Guidonis  Vernani  Arimincnsis  Ord. 
l'raed.de  Polesiate  Summi  Pontificis  et  de  reprobalione  Monarchiae 
compositae  a  Dante  Alìgherio  Fiorentino,  Traclaclus  duo,  Bononiae, 
1146,  ap.  Th.  Coli,  in  8.  -  Il  Witte  ne  fece  indarno  ricerca  per  tutta  Italia, 
e  se  lo  fece  trascrivere.  -  Un  nuovo  lavoro  venne  pubblicato  nel  1864  in 
Milano  col  titolo:  La  Monarchia  di  Dante,  Studi  storici  di  Francesco 
Lanzani,  che  non  potei  ancora  vedere. 


770  BENEMERITI  DELL'  OPERE  MINORI. 

da  un  Codice  valicano  palatino  (  ex  Cod.  ìhU»  pai.  N.''  1729) 
scrino  nel  1394  in  Perugia  da  Francesco  di  Montepulciano. 
{Dantts  Mliffhcni  Epistolae,  quae  extant  cum  notis  Caroli 
Wìtte,  Patavii,  sub  signo  Minervae,  Vratislaviae,  apud  edil., 
1827,  in  8.°  (V.Muzzi  Luirii,  Tre  epistole  latine  restituite 
a  più  vera  lezione  annotate  e  tradotte,  con  la  giunta  di  altre 
cose  relative  al  detto  poeta.  Prato,  Giacchetti,  1845.  -  Torri 
Alessandro,  sulV Epistola  di  Dante  Alliqhieri,  impressa  a  Li- 
vorno nel  1842,  Dichiarazione  e  protesta  dell'  editore  verso  un 
bibliografo  francese,  Pisa,  Prosperi,  1848).  -  Pieno  di  scor- 
rezioni ne'  Codici,  scrive  il  Fraticelli,  trovavasi  il  lesto  latino  ; 
lanlocchè  il  Wilte,  sia  per  mezzo  di  un  diligente  confronto 
delle  varianti,  sia  col  mezzo  di  una  sagace  critica,  dovette 
molto  faticare,  per  mandare  in  pubblico  in  una  forma  con- 
veniente la  sua  stampa  del  1827.  -  Né  si  tenne  contento 
di  queste  prime  sue  cure,  ma  gli  piacque  di  riscontrare 
di  nuovo  i  Codici,  e  confrontare  le  varie  lezioni  ;  e  nuova- 
mente portando  il  suo  esame  critico  sopra  ogni  frase  ed 
ogni  parola  del  testo,  potè  rettificare  molti  passi  disordinati, 
rendere  intelligibili  varie  frasi  oscure,  e  correggere  parecchi 
e  parecchi  errori.  La  lezione  del  lesto  latino  prodotta  nella 
ultima  edizione  del  Fraticelli  è  interamente  al  Wille  do- 
vuta, (l) 

Nel  1834  il  D.^  Anicio  Bonucci  pubblicava:  Allighieri 
Dante,  Laude  inedita  in  onore  di  nostra  Donna,  con  un 
Discorso  e  col  fac  simile  del  Codice  da  cui  avea  tolto  quella 
Laude  (Bologna,  Rocchi).  -  Il  Fraticelli  (Op.  Min.  Voi.  I.°  326)  ; 
il  Colomb  de  Batines  (Monitore  Toscano,  19  Gen.  1854);  il  Gallo 
(Gior.  offic.  di  Sicilia,  12  Luglio  1853 )  ;  L.31uzzie  V.  JSannucci 
(ivi,  28  Seti.  1853)  sono  d'avviso  che  questo  Componimento, 
il  quale  non  trovasi  in  nessuno  de'  molti  Codici  delle  bi- 
blioteche di  Firenze  e  di  Roma,  non  sia  affatto  di  Dante 
Allighieri.  Né  esso  di  fatti  può  venir  al  paragone  col  Credo,* 
VAve  Maria  e  il  Pater  nostro  intorno  a  cui  battagliò  a  lungo 
r  erudizione  italiana,  e  ne'  quali  componimenti,  quantunque 

(1)  Sulla  Lettera  a  Can  Grande  della  Scala  vedi  pag.  60,  e  598.  - 
V.  Scolari,  Della  evidente  e  certa  falsità  della  letterato  Marzo IMi, 
contro  V  ordinaria  nobiltà  e  i  costumi  del  Veneto  Patriziato  in  quanto 
si  voglia  attribuire  essa  Lettera  a  Dante  Allighieri.  Venezia,  1845. 


BENEMERITI  DELL'OPERE  MINORI.  777 

deboli  ed  infermi,  pure  vi  è  maggior  nerbo  e  maggior  ori- 
ginalità di  forma  pura  e  schietta  che  sembrano  additare 
un'epoca  più  rimota.  L'Ave  Maria,  dì  cui  facciam  cenno, 
offre  invece  un  po'  di  quella  lindura,  di  quella  levigatezza 
di  modi,  di  quel  non  so  che  di  più  fiacco  e  di  più  musicale 
che  contrassegna  V  influenza  del  Petrarca.  Del  resto  io  sono 
ben  lungi  dal  ritenere  che  anche  gli  altri  componimenti 
sacri  sieno  lavoro  dell' Allighieri.  Chi  vi  osserva  i  modi 
negletti,  insoliti  a  Dante,  insoliti  allo  stesso  trecento,  chi 
soprattutto  vi  nota  certe  forme  e  certe  terminazioni  che 
sentono  l' influenza  dei  dialetti  lombardi,  si  guarderà  dal 
consentire  facilmente  alla  loro  legittimità.  -  A.  Zeno  attri- 
buiva quelle  poesie  al  ferrarese  Antonio  del  Beccaio,  amico 
e  contemporaneo  del  Petrarca. 

Del  resto,  il  più  grande  e  benemerito  illustratore  delle 
Opere  Minori  di  Dante  è  senza  dubbio  il  Fraticelli.  Ei  si 
giovò  di  tutti  i  sussidi  necessari  a  rendere  pregiata  l'opera 
sua.  La  parte  bibliografica  vi  è  diligentemente  trattata; 
la  lezione  è  stala  raflronlata  coi  migliori  Codici;  la  parte 
critica  per  avventura  lascierebbe  un  qualche  desiderio.  La 
edizione  ch'ei  ci  diede  nel  1856  e  1837,  riprodotta  nel 
1861-62  di  tutte  le  Opere  Minori  pel  Barbèra,  non  solo  è 
la  migliore  che  abbiamo,  ma  raguna  in  sé  copiosissime  materie 
sì  di  erudizione  che  di  filologia. 

SERIE  DELLE  EDIZIONI 

DELLA  VITA  l\X^O¥A 

1.  La  Vita  Nuova  di  Dante  Allighieri,  con  XY  Canzoni  del 
medesimo,  e  la  vita  di  esso  Dante  scritta  da  Giovanni 
Boccaccio.  In  Firenze,  nella  Stamperia  di  Bartolomeo  Ser- 
martelli,  MDLXXYl,  in  ^.^  -  Prima  edizione,  e  di  Crusca.  Poco 
corretta,  (l). 

(1)  Le  due  Canzoni:  Donne  che  avete  intelletto  d'amore  -  Donnu 
pietosa  e  di  novella  etatc,  furono  la  prima  volta  informemente  stampate 
in  fine  della  Divina  Comedia,  Vineyia,  per  Pietro  Cremonese,  dito  Vcron 
nese,  1491,  in  fol.  -  I  Sonetti  e  le  Canzoni  della  Vita  Nuova  si  stam- 
parono e  pubblicarono  tutti  la  prima  volta  nel  raro  libro,  e  di  Crusca.- 


778  SERIE  DELLE  EDIZIONI  DELLA  VITA  NUOVA. 

2.  La  Yita  Nuova.  Nelle  Prose  di  Dante  AUighieri  e  di 
Gio.  Boccaccio.  Firenze,  1723,  per  Gaetano  Tartini  e  Sante 
Franchi,  in  i.^  Edizione  di  Crusca. 

3.  La  Yita  Nuova.  Venezia,  Gio.  Pasquali,  1739-41,  in  8^ 

4.  La  \ila  Nuova.  Venezia,  Gio.  Pasquali,  171)1,  in  %.^ 

5.  La  Vita  Nuova.  Venezia,  Antonio  Zatta,  1756,  in  4.*^ 

6.  La  Vita  Nuova.  Venezia,  Antonio  Zatta,  1760,  in  8.» 

7.  La  Vita  Nuova.  Venezia,  Gio.  Pasquali,  1772,  in  8.® 

8.  La  Yita  Nuova.  Venezia,  Pietro  Gatti,  1793,  in  8.*^ 
Queste  sei  edizioni  Veneziane  sono  una  ristampa  della 

Fiorentina  1723,  e  fanno  parte  di  tutte  le  Opere  dell' AUi- 
ghieri. Ristampa  di  poco  merito. 

9.  Vita  Nuova  e  le  Rime,  riscontrate  coi  migliori  esem- 
plari e  rivedute  da  GG.  Keil,Chemnitz,  Carlo  Maucke,  1810, 
in  8.''  Contiene  dalla  pag.  1-82;  La  Yila  Nuova;  dalla  83 
alla  236:  le  Rime;  dalla  237  alla  300:  Annolazioni  ed 
indici. 

10.  La  Vita  Nuova,  ridotta  a  lezione  migliore.  Milano, 
Tipografia  Pogliani,  1826,  in  8.*^  Edizione  non  venale,  di  soli 
60  esemplari,  alcuni  dei  quali  in  carta  grande  azzurra. 

11.  La  Vita  Nova,  secondo  la  lezione  di  un  Codice  inedito 
del  secolo  XV  Pesaro,  Tipografia  Nobili,  1829,  in  8.^  con 
piccolo  ritratto  di  Dante  inciso  nel  frontispizio,  e  con  note 
impresse  in  carattere  rosso,  come  stanno  nel  Codice. 

Il  Conte  Odoardo  Machirelli  pubblicò  questa  edizione 
nelle  nozze  d'una  sua  figlia. 

12.  La  Vita  Nova,  secondo  la  lezione  di  un  Codice  inedito 
del  secolo  XY,  colle  varianti  dell'edizioni  più  accreditate. 
Pesaro,  Tipografia  Nobili,  1829,  in  8.°,  con  ritratto  inciso, 
come  sopra.  Seconda  edizione  Pesarese,  in  caratteri  lutti 
neri. 

13.  La  Vita  Nova,  Firenze,  Leonardo  Ciardetti,  1830,  in 
^.^  Nel  Volume  IV  delle  Opere  di  Dante. 

Sonetti  e  Canzoni  di  diversi  antichi  autori  Toscani  in  dieci  libri 
raccolte.  Firenze,  per  li  liercdi  di  Philippo  di  Giunta,  1527,  inS°  ^ 
Queste  rime  furono  più  volte  stampate,  e  nella  ripetizione  della  Giuntina 
suddetta,  Yinegia,  Fratelli  da  Sabbio,  1532,  in  8.o;  Bologna,  Pisarri,  1718  ; 
Firenze,  1727,  in  8.»;  Venezia,  1731,  Zane,  in  8,o;  e  negli  Amori  e  Rim$ 
di  Dante  AlligUierìt  Mantova,  I8i3,  in  IG.o,  lavoro  dell'Arrivabene.  (F^p.) 


SERIE  DELLE  EDIZIOM  DELLA  VITA  NUOVA.  779 

14.  La  Vita  Nuova,  a  corretta  lezione  ridotta,  e  con  illu- 
strazioni, dichiarala  da  Pietro  Fraticelli,  Firenze,  Tip.  di  Leop. 
Allegrinì  e  Gio.  Mazzoni,  1839,  in  18.*^  Nel  Yol.  terzo  delle 
Opere  Minorù 

15.  La  Vita  Nuova.  Negli  Autori  che  ragionano  di  sé. 
Venezia,  tipi  del  Gondoliere,  1840,  in  S.^ 

16.  La  Vita  Nuova.  Edizione  XVI  a  corretta  lezione  ridotta 
mediante  il  riscontro  di  Codici  inediti,  e  con  illustrazioni 
e  note  di  diversi  per  cura  di  Alessandro  Torri.  In  Livorno, 
tipi  di  Paolo  Vannini,  1843,  in  8.« 

É  questa  la  più  ricca  edizione  della  Vita  A'uova,  rias- 
sumendo in  sé  le  note  illustrative  delle  edizioni  anteriori. 
Fa  parte  delle  Prose  e  Poesie  liricìu  di  Dante,  Voi.  primo  ; 
edizione  cominciata  e  non  compiuta  dal  Torri  suddetto. 

17.  La  Vita  Nuova.  Sta  il  lesto  a  fronte  della  traduzione 
inglese  fatta  da  Giuseppe  Garrow,  col  titolo:  The  early 
lifc.  Florence,  Felix  Le  Mounier,  1846,  in  8.^,  col  ritratti 
di  Dante  e  di  Guido  Cavalcanti. 

18.  La  Vita  Nuova.  Napoli,  Francesco  Rossi  -  Romano, 
1851,  in  8.^gr.  a  due  colonne.  Sta  nelle  Opere  Minori  del 
Allighieri.  È  una  ristampa  dell'edizione  del  Fraticelli  1839. 

19.  La  Vita  Nuova.  Firenze,  Feiice  LeMonnier,  in  12.^ 

20.  La  Vita  Nuova.  Seconda  Edizione,  procurata  (Ììì  Au- 
relio Gotti-  Firenze,  Felice  Le  Monnier,  1856,  in  ìì.^ 

,  21.  La  Vita  Nuova.  Col  Comenlo  di  Pietro  Fraticelli,  e  con 
giunta  di  note  di  Francesco  Prudenzano.  Napoli,  Tipografìa 
delle  Belle  Arti,  1856,  in  12<> 

22.  La  Vita  Nuova/  Con  note  e  illustrazioni  di  Pietro 
Fraticelli.  Firenze,  Barbèra-Bianchi,  1857,  in  8.^  Fa  parte  del 
Voi.  IL  delle  Opere  Minori. 

23.  La  Vita  Nuova.  Torino,  Società  editrice  Italiana  di 
M.  Guigoni.  1858  -  A  tergo  del  frontispizio:  Milano,  Tip. 
Z.  Brasca,  in  12.« 

24.  La  Vita  Nuova.  Terza  edizione.  Firenze,  Felice  LeMon- 
nier, 1859,  in  12.« 

25.  La  Vita  Nuova.  Firenze,  G.  Barbèra,  1861,  in  S.''  È 
la  seconda  edizione  fatta  dal  Barbèra,  cioè  ristampa  di  quella 
dei  1857. 

26.  La  Vita  Nuova  e  il  Canzoniere  commentali  da  G.  B. 


780  SERIE  DELLE  EDIZIONI  DELLA  VITA  NUOVA. 

Giuliani.  Firenze,  G.  Barbèra,  1863,  in  16.*'   Nella  Biblioteca 
Diamante. 

EDIZIONE  IN  CORSO  DI  STAMPA. 

27.  1865.  La  Vita  Nuova.  Venezia,  Antonelli.  -  Questa 
edizione  sarà  pubblicata  dall'Antonelli  in  500  esemplari,  con 
lusso  di  caratteri  e  di  carta,  lettere  iniziali  ornate,  non  però 
con  incorniciatura  litografica  delle  pagine,  com'era  il  primo 
concetto.  L'edizione  viene  curata  dal  chiariss.  prof.  Pizzo 
diA'enezia,  sulle  migliori  edizioni,  e  specialmente  sull'ultime 
del  Fraticelli  e  del  Giuliani.  Oltre  a  ciò  il  Pizzo  si  fece  ad 
instituire  i  confronti  coi  codici  della  Marciana,  uno  de'  quali 
fu  già  usato  anche  dal  Biscioni.  [Fer.] 

EDIZIONI  DEL  CONVITO.  (1) 

1.  1490.  Firenze,  Francesco  Bonaccorsi,  in  8.*^  Assai  rara. 

2.  1521.  Venezia,  Fratelli  da  Sabbio,  in  8.*^  con  ritr.  Rara. 

3.  1529.  Vìnegia,   Zoppino,  in  8."  (Citata  dalla  Bibl. 
Bultelliana,  pag.  427.) 

4.  1531.  Vinegìa,  Marchio  Sessa,  in  8.°  Ed.  di  Crusca. 

5.  1723.  Nelle  Prose  di  Dante  e  di  Boccaccio,  Firenze, 
in  4^  Dì  Crusca. 

6.  1739-41.  Venezia,  Pasquali,  in  8.° 

7.  1751.  Venezia,  Pasquali,  in  8.** 

8.  1756.  Venezia,  Zatta,  in  4.*^ 

9.  1760.  Venezia,  Zatta,  in  S.*^ 

10.  1772.  Venezia,  Pasquali,  in  8.*^ 

11.  1793.  Venezia,  Gatti,  in  8.« 

Queste  sei  edizioni  sono  una  cieca  ristampa  della  Fio- 
rentina 1723,  e  fanno  parte  di  tutte  le  Opere  di  Dante. 

12.  1826.  Milano,  Pogliani,  in  8."  gr.  Edizione  non  venale, 
in  60  esemplari. 

13.  1827.  Padova,  tip.  della  Minerva,  in  8.*^  Buona  risi. 
dell'  Edizione  Milanese.  Va  in  seguito  alla  D.  C.  pubblicata 
dalla  stessa  Tip.  della  Minerva. 

(t)  Alla  pag.  32  di  questo  Volume  furono  erroneamente  citate  alcuac 
edizioni  del  Convito. 


EUlZlOM  DEL  CONVITO.  781 

14.  1831.  Modena,  Tip.  Camerale,  in  8.°,  con  noie  di 
Fortunato  Cavazzoni  Pederzini.  (m.  1864) 

15.  1834.  Firenze,  AUegrini,  in  S.*'  Ediz.  procurata  dal 
Fraticelli,  con  le  altre  Opere  Minori. 

16.  1853.  Napoli,  Rossi-Romano,  in  S'' grande,  materiale 
ristampa  dell'  ediz.  Fraticelli,  con  le  Opere  Minori. 

17.  1857.  Firenze,  Barbèra  e  Bianchi,  in  8.«  Edizione  del 
Fraticelli,  migliorata,  con  le  Opere  Minori- 

18.  1862.  Firenze,  Barbèra,  in  8.«  Ediz.  simile  a  quella 
del  1857  per  cura  del  Fraticelli. 

19.  1862.  Reggio  nell'  Emilia,  Davolio,  in  8.°  Emendato 
[a  suo  modo)  da  Matteo  Romani. 

EDIZIONI  DELLA  MONARCHIA. 

1.  1557.  Basilea.  Ediz.  sconosciuta,  e  di  dubbia  esistenza. 

2.  1559.  Alciati  Andreas.  De  formula  Romani  Imperli  libel- 
lus.  Acces.  Dantis  de  Monarchia,  etc.  Omnia  nunc  primum  in 
lucem  edita,  Basileae,  typis  Opporini,  in  8."  (1). 

3.  1566.  Schardius  Simeon.  Syntagma  tractatuum  de  im- 
periali jurisdictione,  auctoritate  et  praeminentia  ac  polestate 
ecclesiastica,  dequejuribus  regni  et  imperii.  Accessit  Danlig 
de  Monarchia,  etc.  Basileae,  typis  Opporini,  in  fol. 

4.  1609.  Edilio  altera,  Argentorali  (  Strasburgo  ),  typis 
Zelzneri,  in  fol.  -  Ristampa  dell'ed.  del  1566,  in  fol.  (2) 

5.  1710.  Coloniae  Allobrogum,  Cosse,  in  8.*^  -  La  data 
è  apocrifa.  Fu  stampata  a  Venezia  dal  Pasquali,  con  le  altre 
Opere  Minori  1739-11. 

6.  175L  Venezia,  Pasquali.  Con  le  Opere  Minori,  in  8.* 

7.  1757-58.  Venezia,  Zatta,  Con  le  Opere  Minori,  in  4.» 

8.  1760.  Venezia,  Zatta.  Id.,  in  8.« 

9.  1772.  Venezia,  Pasquali.  Id-,  in  8  « 

10.  1793.  Venezia,  Gatti.  Id-,  in  8.'^  -  Queste  cinque 
edizioni  sono  materiale  ristampa  della  Pasqualiana  del  1740. 

(1)  Il  merito  di  questa  edizione  si  debbo  a  Gerolamo  Fricker,  m» 
nello  strano  errore  che  questo  lavoro  sia  di  un  secondo  Dante  vissuto  sul 
line  del  secolo  XV  e  stato  in  amichevole  relazione  con  Angelo  Poliziano. 
Witte.  (Fer.) 

(2)  Il  Witte  cita  pure  un  edizione  del  1010,  fatta  in  Offenbach.  [Fer.ì 


782  EDIZIONI  DELLA  MONARCHIA. 

11.  1839.  Firenze,  Allegrini  e  Mazzoni,  in  8.^  Edizione 
procurala  dal  FralicellI  con  le  Opere  Minori.  A  fronte  del 
lesto  sta  la  traduzione  italiana  di  Marsilio  Ficino. 

12.  1841.  Firenze,  Molini,  in  8.**  -  Con  le  Opere  pubblicale 
dal  Ciardetti  1830-41. 

13.  1841.  Livorno,  Coi  tipi  degli  Artisti  tipografici.  Con 
la  traduzione  del  Ficino,  in  8.° -Nelle  Opere  Minori  pubbli- 
cale dal  Torri. 

14.  1853.  Torino,  Franco,  in  8.° -Con  la  traduzione  del 
Ficino. 

15.  e  16.  1857,  e  1862.  Firenze,  Barbèra.  Nella  edizione 
dell'  Opere  Minori  procurata  dal  Fraticelli. 

17.  Dantis  Alligherii  Monarchia,  Liber  I.  Msstorum  ope 
emendala  per  Carolum  Witte.  Halìs,  formis  Hendellis,  in  4.^  - 

Il  Witte  non  ne  ha  pubblicalo  che  il  primo  libro;  ma 
attendesi  1'  edizione  intera  da  lui  illustrata  ed  emendala. 

EDIZIONI  DELL'ELOQUIO  VOLGARE. 

1.  1529.  Della  Volgare  Eloquenza.  In  fine:  Vicenza, 
Tolomeo  Janiculo,  da  Bressa,  in  fol.  Ed.  principe  del  vol- 
garizzamento italiano  fallo  da  G.  G.  Trissino. 

2.  Della  Volgare  Eloquenza,  libri  due  tradotti  in  lingua 
italiana.  Senza  data  (sec.  XVI.),  luogo  e  nome  di  stampatore, 
in  4.°,  di  pag.  44. 

3.  1577.  De  Vulgari  Eloquentia,  Libri  duo,  Parisiis.  Jo. 
Corbon,  in  8.^  -  Pubblicala  da  Jacopo  Corbinelli.  -  Rarissimo. 

4.  1583.  Della  Volgare  Eloquenza,  Ferrara,  Domenico 
Mamarelli,  1583,  in  8.^  pie. 

5.  1729.  De  Vulgari  Eloquio,  Testo  latino  ed  italiano. 
Nel  Voi.  II.  delle  Opere  di  G.  G.  Trissino,  Verona,  Vallarsi, 
in  4.«  ■ 

6.  1741. Venezia,  Pasquali,   in  8.*^  -  Nelle   Opere 

di  Dante. 

7.  1751. Venezia,  Pasquali,  in  8.''  -  Nelle  Opere 

Minori  di  Dante. 

8.  1758. Venezia,  Zatta,   in  4.«  -  Id. 

9.  17G0.  Venezia,  Zatta,  in  8.°  -  Id. 

10.  1772. Venezia,  Pasquali,  in  8.«  -  Jd. 


EDIZIONI  dell'eloquio  VOLGARE.  783 

11.  1703. Venezia,  Gatti,  in  8.°  Nelle  Opere  di  Dan- 
te. Queste  sei  ultime  edizioni  sono  materiali  ristampe  di 
quella  del  1749. 

12.  1830.  La  sola  traduzione  italiana,  Firenze,  Ciardetti. 
Nelle  Opere  di  Dante,  Voi.  lY.  -  Nel  Voi.  VI.  della  stessa 
edizione  dell  Opere,  Firenze,  Moli  ni,  1841,  sta  il  testo  la- 
tino. 

13.  1835-40. Firenze,   Mazzoni   e  Allegrini,   in  8." 

Nelle  Opere  di  Dante  pubblicate  dal  Fraticelli. 

14.  1830. Napoli,  Tramater.  Fa  parte  delle  Opere 

Minori,  in  4.°  pie. 

15.  1855.  Livorno,  coi  Tipi  degli  Artisti  tipografici. 

Nelle  Prose  e  Poesie  liriche  di  Dante  per  cura  di  Al.  Torri. 

16.  1857. Napoli,  Rossi-Romano,  in  8.°  gr.  -  Nelle 

Opere  Minori. 

17-18.  1857  e  1861.  Firenze,  Barbera,  in  8.°  -  Nelle  Ope- 
re Minori  per  cura  del  Fraticelli. 

EDIZIONI  DELLE  EPISTOLE. 

1827.  Epistolae,  quae  extant  cum  nolis  Caroli  fVitUy 
Palavii,  sub  signo  Minervae,  in  8.°  -  Prima  edizione  di  tutte 
l'Epistole,  in  poc'ii  esemplari,  non  venale,  e  perciò  ra- 
rissima. 

1840.  Epistolae  quae  extant,  cum  disquisitionibus  atquc 
italica  interpreta tione  Pelri  Fraticelli,  Fiorenliae,  in  18.'' 

1842.  Epistole  edite  e  inedite  per  cura  di  Alessandro 
Torri,  Livorno,  Vaccini,  184*2,  in  8.*^  -  In  questa  edizione 
le  Epistole  sono  14.  -  Veggasi  l'opuscolo  dello  Scolari: 
Intorno  alle  Epistole  latine  di  Dante  Allighieri,  giusta  la 
edizione  fattasene  in  Breslavia  nel  1827,  ed  ultimamente 
in  Livorno  nel  1843,  (cioè  1842.)  Lettera  critica,  Venezia, 
1844. 

E  in  tutte  le  altre  Edizioni  accennate  delle  Opere  Mino- 
ri, (l) 

(1)  Io  mt  professo  debitore  di  questi  Ciitalogtil  dell' EdlzlODi  delle 
Opere  Minori  di  Dante  al  solertissimo  ed  accuratissimo  dantofilo  Francesco 
Scipione  Fapanni,  alla  squisita  gentilezza  del  quale  rendo  nuove  e 
pubbliche  anioni  di  grazie. 


784 

TRADUZIONI  DELL'OPERE  MINORI 

La  Vita  Nuova  venne  voltata  in  Francese  dal  Cav.  Ze- 
loni,  Parigi,  Lacrarnpe,  1844,  in  18.^  con  ritratto;  dal  De- 
Idcluze,  Parigi,  Charpentier,  1847,  riprodotta  nell'opera: 
Dante  Allighìerl,  ou  la  Poesie  amoureuse,  Parigi,  Amyot, 
1847;  Delahays,  1844.  -  In  Inglese  da  Carlo  Lyell,  Londra, 
Molini,  1842,  in  8.^,  con  cinque  ritratti;  da  Giuseppe  Gar- 
row,  Firenze,  LeMonnier,  184G,  in  8.^,  coi  ritratti  di  Dante, 
Guido  Cavalcanti  e  Beatrice;  (idi  Elliot  JSorton,  Cambridge, 
1839,  in  4.'',  edizione  di  soli  100  esemplari;  da  D.  G.  Bos- 
setti,  Londra,  Smith,  1861,  in  8.°;  dal  Martin,  Londra, 
1861.  -  In  Ungherese  da  Francesco  Csàszàr,  sec.  edizione, 
Pest,  1854,  in  8.^^  con  ritratto.  -  In  Tedesco  da  Fr.  Oeyn- 
hatisen,  Vienna,  1824,  in  8.'';  da  Carlo  Forster,  Lipsia,  1824, 
1841,  in  8.« 

Le  Rime  vennero  voltate  in  Francese  da  F.  FeriauU, 
Parigi,  Lecou,  1854;  in  Inglese  dal  Lyell,  Londra,  Molini, 
1844,  ed  alcune  canzoni,  da  Wilte  Bruce  31.  A.,  1841;  in 
Tedesco  dal  Kannegiesser  -  Witte,  Lipsia,  1842;  da  Carlo 
Krafft,  Regensburg,  183'J;  ed  alcune  canzoni  dallo  Schlegel, 
Lipsia,  1846. 

Il  Convito  fu  tradotto  in  Tedesco  dal  Kannegiesser,  Lipsia, 
1845;  in  Inglese  da  Carlo  Lyell,  Londra,  Molini,  1842. 

La  Monarchia  fu  tradotta  in  Tedesco  fin  dal  1559,  da 
Basilio  Giov.  Heroldt  e  venne  pubblicata  con  questo  titolo: 
Monarchey  oder  dasz  das  Keyserthumh  zìi  der  wolfart  diser 
welt  von  nóten:  den  B'ómern  hillich  zugehort  und  allein  Goti 
dem  Herren,  sonst  niemands  hafft  seye,  auch  dem  Bapst  nit. 
Ilerren  Dantis  Alligherij  des  florentiners  ein  zierlichs  bii- 
ehlein,  in  drey  teyl  aussgeteileilt.  Unnd  vor  ziceihundert 
dreyssig  dreyen  jaren  zii  vertddigung  der  JFiirdin  des 
Reychs  teutscher  JSation  Lateinisch  beschriben:  vormals  nie 
fiesehen,  auch  neuwes  verdolmetschth:  Durch.  B.  J.  IL  Gè-- 
drucht  zii.  Basel  durch  Niclaus  Bischojf  den  jiingeren  im 
Tare.  M.  D.  LIX.  8."  (Monarchia,  ovvero  che  V  impero  alla 
prosperità  di  questo  mondo  necessario,  ai  Romani  equa- 
mente appartiene,   e  solamente  di  Dio  Signore  e  non  di 


TBADIZIOM  dell'opere  MINORI.  185 

aliri  è  proprio,  né  anche  del  Papa.  Del  signor  Dante  Al- 
lighieri,  il  fiorentino,  elegante  libretto,  in  tre  parti  diviso; 
e  da  duecento  trenta  tre  anni,  alla  difesa  della  dignità 
dell  impero,  alla  nazione  tedesca,  latinamente  scritto,  per 
lo  avanti  mai  veduto,  e  nuovamente  interpretato  da  B.  G. 
H.  -  Stampato  a  Basilea  da  Nicolò  BiscliolY  nell'anno  1559, 
in  8.°)  -  Fu  pure  tradotta  in  Tedesco  da  C.  L.  Kanneijiesser, 
Lipsia,  1845;  in  Italiano  da  Jacopo  del  Rosso,  1461  ;  e  Mar- 
silio Ficino,  Firenze,  1839. 

L'opera  De  YuLGARi  Eloquio,  fu  recata  in  tedesco  da 
C.  L  Kannegiesser,  Lipsia,  1845  ;  in  Italiano  dal  Trissino, 
1529. 

L'Epistole  dallo  stesso  Kannegiessery  Lipsia,  1845. 

L'Egloghe  dal  Kannegiesser-Wilte,  Lipsia,  1842. 


Oltre  le  accennate  traduzioni  della  Vita  Nuova  debbo 
aggiugnere  la  tedesca  del  Kannegiesser,  che  in  questo 
punto  venni  a  conoscere,  col  titolo  :  Dante  Allighieri  '«  Pro- 
saische  schrifter  mit  ausnahme  der  Vita  JSuova.  Ubersetzt 
vom  Karl  Ludwig  Kannegiesser,  zwei  bande  (Bibliotek  ita- 
lienischea  klassiker,  bande  20,  27)  18.°,  Leipzig,  1856. 


YUL.  11. 


SUPPLEMENTO 


Specchio  cronologico  della  \ita  di  Dante 

(Pag.  VI.)  La  Commissione  incaricala  delle  ricerche  della 
vera  casa  di  Dante  colia  scorta  di  tutti  quei  documenti 
che  le  potevano  porger  luce  nello  scuro  cammino,  confer- 
mava autenticata  la  tradizione  che  fa  della  Casetta,  distinta 
da  breve  memoria  in  marmo  in  Piazza  di  S.  Martino,  la 
vera  Casa  di  Dante,  ed  è  pervenuta  ordinatamente  a  cono- 
scere come  questa  Casa,  ora  di  proprietà  del  nobile  Sig. 
Luigi  Mannelli  Galilei,  descritta  insino  dai  tempi  del  Bruni 
e  del  Renuccini  per  quella  degli  Allighieri  in  faccia  alla 
Via  che  mena  diritta  a'  Sacchetti,  passasse  dagli  Allighieri 
a  Dante,  e  da  lui  a'  figli,  e  da  questi  alla  Pia  Società  d' Or 
S.  Michele,  e  quindi  agli  Arrighi  e  da  loro  a'  frati  di  San 
Miniato  al  Monte,  e  poscia  con  vari  altri  passaggi  ai  Ga- 
lilei, autori  del  prenominato  Sig-  Cav.  Luigi  Mannelli.  (Fi- 
renze, 9  Seti.  1864.  -  E.  Frulloni.  -  G.  Gargani.) 

Cognizioni  Poliglotte  di  Dante  (p.  306.) 

Luigi  Delatre,  vuole  che  il  verso  Pape  Satan,  Pape  Satan; 
Aleppe  s'interpreti  :  Come  mai,  Satan,  come  mai,  Satan  (mio^  re; 
sottintendendo:  hai  permesso  ciò  che  vedo?  cioè,  la  venuta 
di  Dante  in  carne  e  in  ossa  nel  nostro  regno.  {Giornale  del 
Centenario,  pag.  275.) 

Aloisio  Pantani,  riportate  le  opinioni  di  Fr.  M.  Zanotli, 
del  Monti,  dei  Cellini,  di  Pietro  figlio  di  Dante,  del  Rossetti 
del  P.  Olivieri,  di  Yìcenzo  Berni  degli  Antoni,  vuole  che  le 
parole  sieno  tolte  dal  francese,  e  le  traduce:  JSon  pace,  o 
Satana;  non  pace,  o  Satana:  addosso  al  sodo  (al  denso); 
a  chi  non  è  ombra,  ma  cosa  salda,  che  fa  di  sé  parete  al 
sole;  che  non  dà  luogo  al  trapassar  dei  raggi.  E  che  sieno 
tolte  dal  francese  argomenta  pure  il  Dott.  Giov.  Coltelli. 
{Giornale  del  Centenario,  pag.  264.) 


SUPPLEMENTO.  187 

Dante  e  le  belle  Arti 

(Pag.  322,  1.20).  —  L'arte  in  tre  gradi  si  trova,  nella 
mente  dell'artefice,  nello  strumento  e  nella  materia  for- 
mata dall'arte Come  quando  è  perfetto  lo  artefice  e 

lo  strumento  è  bene  disposto,  se  errore  avviene  nella  forma 
dell'arte,  solo  si  debbe  riputarlo  dalla  materia:  De Mon.  ii.  2. 
Colui  mancherebbe  della  perfezione  dell'  arte,  che  attendesse 
solo  alla  forma  finale,  e  non  si  curasse  della  materia,  per  la 
quale  ad  essa  finale  forma  si  perviene  :  De  Mon.  ii.  7. 

(Pag.  325,  1.  3.)  —  L'immagine  rappresentata,  egli  ci 
avverte,  che  sia  sì  verace  che  non  sembri  imagine  che 
taccia;  sieno  i  sembianti  testimoni  del  cuore  {Purg.x\\ìi\. 
40);  e  l'interna  sembianza  ci  appaia  s\  propriamente  im- 
pressa in  allo,  come  fufiira  in  cera  si  suf/gella:  Purg.  x.  37.  - 
E  Guido  Cavalcanti  pur  cantava:  Cotanto  è  da  pregiar 
ogni  figura.  Qua nt' ella  mostra  in  forma  ed  anco  in  alti  Pura 
sembianza  del  suo  naturale.  Perocché  1'  arte  dee  seguir 
natura  A  sua  possanza,  sicché  non  dischiatti  Da  simil  dise- 
gnar suo  principale,  Né  altramente  giammai  dura,  o  sale: 
Onde  le  cose,  che  non  proprie  stanno  A  dritto  corso,  vanno 
Fora  di  fama,  di  voce  e  d'onore:  Che  virtute,  e  valore 
Fanno  palese  a  suo  tempo  l'inganno,  E  veritate  sua  luce 
discopre  Dinanzi  ai  buon  conoscitor  de  l'opre.  -  Dante,  con  la 
teoria  e  coir  esempio  ci  apprende  i  più  alti  segreti  dell'arte. 

Disegni,  Illustrazioni  ec.  (p.  390) 

Molossi-  -  La  Galleria  Estense  ha  due  bei  disegni  del 
Molossi,  che  sull'idea  Dantesca  rappresentano  la  discesa  di 
Gesù  Cristo  all'Inferno.  Sono  indicati  ai  numeri  51  e  77 
iS^W  Elenco  dei  disegni  antichi  in  fine  dei  Cenni  storici  e 
descrittivi  intorno  alle  Pitture  della  R.  Galleria  Estense  del 
Co.  Ferdinando  Castellani  Tarabini.  -  P.  Guerra. 

Lidenschmit.  -  L'autore  del  bel  disegno  /  tre  secoli  della 
Letteratura  inglese,  il. quale  è  stato  ammirato  dapertutto 
al  tempo  della  festa  di  Shakspcare,  ne  ha  fatto  un  altro 
poco  fa  in  onore  di  Dante:  Dante  il  suo  evo.  -  G.  Hartmann. 


788  9UPPLEMEM0. 

Del  ritratto  di  Dante  attribuito  a  Giotto, 
nella  Cappella  del  Podestà,  (pag.  388.) 

I  Signori  Gaetano  Milanesi  e  Luigi  Passerini  pubblica- 
rono una  seconda  memoria  sul  ritrailo  di  Dante  nella 
Cappella  di  Firenze,  attribuito  a  Giotto.  Son  poche  pagine, 
ma  scritte  pensatamente.  Le  ragioni,  desunte  dalla  storia, 
dalla  critica  e  dalle  prove  di  fatto  ci  paiono  inoppugnabili. 
La  questione  è  tutta  di  date.  Dopo  ciò  ch'eglino  hanno 
aggiunto  non  si  può  non  ritenere  sfornita  di  buon  fonda- 
mento la  volgare  credenza  che  attribuisce  a  Giotto  le  pitture 
della  Cappella  del  Podestà,  e  per  conseguenza  il  ritratto 
dell' AUighieri.  Il  Milanesi  e  il  Passerini,  anzicchè  al  Gaddi, 
come  aveano  prima  giudicato,  inclinano  a  credere  che  in 
Bernardo  Daddi  si  abbia  a  riconoscere  l'autore  di  quelle 
pitture,  ritenendo  che  dopo  la  morte  di  Giotto  non  fosse 
allora  in  Firenze  nessun  altro  maestro  che  vincesse  il  Daddi 
in  valore  e  riputazione.  Isè  non  possono  ricredersi  di  quanto 
dissero  del  Marini.  Che  l'occhio  non  sarebbe  apparso  cosi 
guasto,  se  invece  di  tirar  fuori  violentemente  il  chiodo  che 
v'  era  infisso,  il  Marini  lo  avesse  segalo  con  diligenza.  Di 
più  dal  confronto  del  calco  che  rappresenta  in  cromolito- 
grafìa lo  stato  del  ritratto  appena  scoperto  e  i  guasti  che 
aveva  palilo,  si  vede  ch-aro  che  i  colori  delle  vesti  e  la 
forma  del  cappuccio  erano  in  parte  diversi  da  quel  che 
oggi  non  sono:  onde  chi  dopo  24  anni  lo  rivede  con  l'oc- 
chio dell'artista,  non  può  fare  a  meno  di  dolersi  che  il 
pennello  del  ristauratore  abbialo  in  parte  mutato  dalla  pri- 
mitiva sua  forma. 

Ritratti  dell' AUighieri  (p.  398) 

D.Lorenzo  Pittore,  Monaco  Camaldolese,  (pag.  394.)- 
L' immagine  dipinta  intorno  al  1420  nella  cappella  degli 
Ardinghelli  in  S.  Trinila  debbe  attribuirsi  a  Giovanni  To- 
scani e  non  a  Don  Lorenzo  Monaco,  come  dopo  il  Vasari, 
ripetevano  gli  eruditi  novelli.  -  G.  Milanesi  e  L.  Passerini,  - 
Giornale  storico  degli  Archivi  Toscani,  anno  1860,  luglio 
e  selt.  p.  191,  208  e  210. 


SUPPLEMENTO.       '*  789 

Bronzino  Alessandro.  Introdusse  Dante  nella  Disputa  di 
Gesù  coi  Dottori,  nell'affresco  della  Cappella  di  quelli  da 
Monlauto  alla  SS.  Nunziata.  -  Luigi  Grisostomo  Ferrucci. 

Dipinti  rigaardanti  la  Vita  dell'AIIigliieri. 
(pag.  406.) 

Luca  di  Leiden.  Dante  nel  momento  che  gli  viene  rife- 
rita la  morte  di  Arrigo  MI.  -  Je  lis  dan  l'abbé  Troya  que 
Lucas  de  Leyde  a  fait  un  tableau  tire  de  la  vie  d'Alighieri  : 
Je  peintre  a  choisi  le  moment  ou  le  proscrit  apprend  la 
mort  de  Henri  de  Luxembourg.  -  Saint-René  TaiUandier. 

Peterlin.  Dante  che  medita  sul  divino  poema. 

JUedag^Iie  in  onore  dell' Alligliieri. 

Oltre  le  medaglie  accennate  a  pag.  409,  il  Medagliere  del 
Co.  Carlo  Taverna,  Senatore  del  Regno  d'Italia,  come  ebbi 
cortesemente  da  lui  medesimo,  possedè  le  due  seguenti: 

.XIV.  Dantes  Florentinus.    Neil' esergo:    Yates.  Testa  e. 
Una  pianta,  e  senza  leggenda. 

XV.  Dante  Allif/ltieri.  Busto  laureato,  a  d. 
In  cui  rivive.  Un  fiore.  (Di  modulo  piccolissimo.) 

Componimenti  Drammatiei  (p.  415) 

Lindncr   Alberto,   Dante,   Dramatisches   Gcdicht,   Jena, 

Lettori  della  Divina  C'omedia 

(Pag.  429.)  Il  seguente  specchio  del  chiarissimo  Sig.  Hart- 
mann ci  offre  una  nuova  solennissima  riprova  in  quanto  amore 
siano  tenuti  gli  studii  danteschi  nella  dotta  Aicmagna. 

Nel  semestre  d'estate  1864,  l'Hartmann  trova  quattro 
Università  che  avevano  corsi  su  Dante  cosi  distribuiti. 

Divina  Comedia. 


Erlangen 

(Baviera) 

Prof. 

Winlerling 

Gratz 

(Austria) 

» 

Lubin 

Tubinga 

(Wurlemberg) 

1     » 

Piòvre 

Bonn        (Prussia)  »      Dietz  L'Inferno. 


790 

SUPPLEMENTO. 

Nel  semestre  d' inverno  1864-65, 

ne  trovava  sei  : 

Gottinga 

(Annover) 

Prof.  Fittman 

-Yila  di  Dante. 

Varburgo 

(Baviera) 

»    Wegele 

Dante  e  le  sue  opere. 

Gratz 

(Austria) 

»    Lubin 

Il  Paradiso 

Vienna 

(Austria) 

»    Mussafia 

Vita  e  Opere  di  Dante. 

» 

(«  ] 

»        » 

La  Divina  Comedia. 

Idelberga 

(Baden) 

»    Ruth 

L' Inferno. 

Bonn 

(Prussia) 

a     Delius 

Il  Purgatorio. 

Commentatori 


Chiose  Anonime  alla  prima  Cantica  della  Divina  Com- 
media di  un  contemporaneo  del  poeta,  pubblicate  per  la 
prima  volta  a  celebrare  il  sesto  anno  secolare  della  nascita 
di  Dante,  da  Francesco  Selmi,  con  riscontri  di  altri  anti- 
chi commenti  editi  ed  inediti  e  note  filologiche.  Un  volume 
grande,  di  10  a  12  fogli  di  stampa,  R.  Stamperia  di  Torino. 
iu8.« 

Queste  Chiose  che  giacquero  inedile  e  quasi  ignorale, 
in  due  codici  fiorentini,  parvero  al  prof.  Selmi  meritevoli 
di  pubblica  ragione,  si  perchè  dettate  in  quel  puro  volgare 
toscano,  che  fu  proprio  del  secolo  d'oro  della  lingua;  si 
per  essere  forse  il  più  antico  commento  alia  Commedia,  di 
cui  si  possa  con  buoni  argomenti  determinare  il  tempo  nel 
quale  fu  composto.  -  L'Autore  è  sconosciuto  quanto  al  nome, 
ma  sembra  fosse  concittadino  dell' Allighieri,  od  almeno 
vissuto  in  Firenze:  certo  è  che  appartenne  alla  fazione  dei 
Guelfi  Neri,  e  però  non  amico  dei  sentimenti  espressi  nel 
Poema;  nò  dell'intendimento  col  quale  fu  immaginalo  e 
scritto.  Non  fece  pompa  d' erudizione,  e,  quando  vi  si  provò, 
spesse  volte  commise  errori  in  fatto  di  storia  e  di  mitologia; 
non  cercò  quintessenza  di  concetti  nascosti  nelle  allegorie  ; 
e,  procedette  narrando  le  opinioni,  che  allora  correvano  sul 
modo  d'interpretarle  più  propriamente.  Scrisse  il  suo  comento 
nell'anno  medesimo  della  morte  di  Dante,  o  un  anno  dopo» 
come  si  raccoglie  da  vari  passi  che  saranno  esaminali  nella 
Prefazione.  »  (  Manifesto  di  Associazione.  ) 


SUPPLEMENTO.  791 


Traduzioni  Tedesclie  (pag.  54%) 

Braun  Julius.  Dante  AUìghieri,  ecc.  Berlin,  1863. 

Di  questo  lavoro  del  Braun  così  mi  venne  scritto  da 
un  valentissimo  critico,  e  dotto  assai  in  tutte  due  le  lette- 
lerature.  - 11  Braun  dice  di  voler  spiegare  al  popolo  tedesco, 
cioè  alla  gran  moltitudine  che  sa  apprezzarne  la  vita  spirituale 
anche  di  altre  nazioni,  che  cosa  significhi  il  sesto  Anni- 
versario di  Dante,  che  si  sta  per  festeggiare  in  Italia,  e 
prepararlo  a  prenderne  parte  degnamente.  Bellissimo  propo- 
sito; confessa  che  il  Poema  sacro  è  poco  conosciuto  in  Ger- 
mania, e  dà  un  po'  di  punta  allo  stesso  Goethe,  il  quale 
non  ne  conobbe  che  pochi  passi.  Tratta  la  storia  del  tempo 
di  Dante  con  buoni  studi  e  soddisfacente  larghezza,  quanta 
si  richiede  all'intelligenza  del  poema.  Cose  nuove  non  ne 
appresi,  però  quello  eh' è  fatto  è  fatto  bene.  La  versione 
è  libera  anzi  che  no;  tiene  la  rima,  non  la  forma  della 
terzina.  La  versione  del  Bianc,  a  mio  giudizio,  ci  va  molto 
di  sopra.  Il  Blanc  traduce  alla  lettera,  e  a  questo  modo, 
specialmente  con  Dante,  è  meno  pericolo  di  uscir  di  riga. 
Per  es.  i  versi  36.  i.  Temj/  era  ecc.,  e  70,  i.  Nacqui  sub 
JuliOy  quanto  sono  bellamente  voltati  in  tedesco  dal  Blanc, 
tanto  mi  paiono  inutilmente  infrondati  dal  Braun,  il  quale 
del  primo  ne  fa  due. 

Bibliografia  Dantesca  italiana. 

Caetani  Duca  Michelangelo,  La  Cosmografia  Dantesca, 
Roma. 

É  un  Atlante  composto  di  sei  tavole.  La  prima  dimostra 
la  figura  dell'universo  quale  lo  concepiva  Dante.  La  terra 
sta  immobile  nel  centro.  Uno  degli  emisferi  ha  nel  diritto 
mezzo  Gerusalemme.  Nell'altro  emisfero  è  il  vuoto  infernale, 
e  al  di  sopra  s'erge  il  monte  del  Purgatorio.  All'intorno, 
si  estende  il  Cielo  empireo.  -  La  seconda  tavola  dichiara 
tutta  la  materia  dell'Inferno,  divisa,  secondo  l'Etica  di 
Aristotele,  in  nove  sezioni.  Le  colpe  procedono  dalle  men 
gravi  alle  più,  di  mano  in  mano  che  si  discende  al  fondo 


792  SUPPLEMENTO. 

(love  regna  Lucifero.  -  Nella  terza  tavola  è  la  pianta  del- 
l'Inferno. Una  doppia  linea  segna  lutto  l'itinerario  del 
Poeta.  -  La  quarta  tavola  rappresenta  la  figura  dell'Inferno, 
la  città  di  Dite,  le  diverse  bolge,  il  lago  della  ghiaccia,  i 
giganti,  e  finalmente  il  gran  vermo.  -  La  quinta  tavola 
illustra  il  Purgatorio,  il  quale  è  diviso  in  nove  parli,  come 
l'Inferno,  e  in  forza  dello  stesso  principio.  -  La  sesta  tavola 
spiega  la  figura  e  l'ordinamento  del  Paradiso,  che  ha  dieci 
parti,  nove  per  l'anime  dei  beati  e  una  per  le  Persone 
della  Trinità.  -  Tale  è  lo  schema  di  questa  Opera,  indi- 
spensabile per  ben  comprendere  l'andamento  e  il  concetto 
della  trilogia  dantesca.  Egli  è  ben  a  dolersi  che  questo 
prezioso  lavoro  del  Duca  di  Sermoneta  non  si  trovi  ven- 
dibile presso  i  librai.  Quindi  è  che  facciam  voti  perchè 
un  editore  lo  riproduca  ad  uso  degli  innumerevoli  lettori 
e  ammiratori  di  Dante. 

Barelli  Yincenzo.  L'Allegoria  della  divina  Commedia  di 
Dante  Àllighieri,  Firenze,  Cellini,  1865. 

Il  Concetto,  nella  spiegazione  del  chiaro  Autore,  si  as- 
somma in  questo:  che  Dante,  in  figura  del  peccatore, 
lungamente  abituato  nel  male,  avendo  concepito  il  desiderio 
della  virtù  cristiana,  né  potendo  pervenirvi  immediatamente, 
atteso  il  contrasto  delle  passioni,  è  obbligato  a  ricorrere  ai 
mezzi  più  efficaci  di  purgazione  de'  suoi  vizii.  Questi  sono 
simboleggiati  dai  viaggi  per  l' Inferno  e  pel  Purgatorio. 
Dopo  i  quali,  purificato  di  ogni  peccato  e  degli  effetti  del 
peccato,  si  può  elevare  alla  sublimità  della  perfezione 
cristiana,  di  cui  è  figura  il  Paradiso. 

Che  sia  questo  il  valore  significativo  della  dantesca 
Allegoria  è  dall'Autore  dimostrato  in  virtù  del  nesso,  che 
corre  tra  l'allegoria  del  prologo,  e  l'allegoria  di  tutto  il 
Poema.  A  te  convien  tenere  altro  viaggio  (avea  detto  Virgilio 
a  Dante),  Se  vuoi  campar  d'  esto  loco  selvaggio.  Adunque 
il  viaggio  proposto  da  Virgilio,  e  che  fu  poi  effettivamente 
compiuto,  ebbe  per  fine  liberare  il  Poeta  dai  mali  che  il 
travagliavano  in  quel  luogo,  e  menarlo  all'acquisto  de' beni, 
ai  quali  tanto  agognava,  del  Colle  opposto.  I  mali  adunque, 
simboleggiati  dalla  Selva  e  dalle  Fiere,  sono  quelli  dai  quali 
esso  si  francò  col  viaggio  per  l'Inferno  e  pel  Purgatorio; 


SUPPLEMENTO.  793 

e  ì  beni,  adombrati  dal  Colle,  sono  i  contrarli  a  que'  mali, 
e  la  felicità  acquistata  col  viaggio  pel  Paradiso.  L'Autore 
dimostra  con  più  luoghi  evidentissimi  del  Poema,  che  i 
mali,  ai  quali  cercò  e  ottenne  rimedio  il  Poeta,  viaggiando 
per  l'altro  mondo,  sono  i  peccati  e  i  loro  effetti;  e  i  beni, 
i  quali  ottenne,  sono  il  ristoramento  della  grazia  giustificante, 
la  riordinazione  del  libero  arbitrio  e  le  virtù  della  vita 
contemplativa.  Qual  dubbio  dunque  che  la  Selva  significhi 
lo  stato  del  peccatore  abituato  ne'  disordini  della  vita,  il 
Colle  che  è  opposto  alla  Selva,  la  perfezione  cristiana,  e 
finalmente  le  Fiere,  le  quali  gì'  impediscono  il  cammino  del 
Colle  e  lo  ricacciano  nella  Selva,  tre  generi  di  gravi  ten- 
tazioni, mosse  da  tre  passioni  capitarissime?  E  analoghe  a 
queste  idee  sono  parimenti  le  spiegazioni,  che  fa  precedere, 
de'  personaggi  allegorici  aventi  parte  nel  Poema. 

Ma  nel  divisare  e  chiarire  i  sensi,  che  noi  abbiamo 
dovuto  accogliere  in  poche  parole,  egli  molte  cose  parti- 
colareggia  delle  tre  Cantiche.  Così,  a  cagione  di  esempio, 
per  rispetto  all'  Inferno,  fa  scorgere  nella  stessa  configu- 
razione e  ne'  diversi  scompartimenti  di  esso  il  riguardo, 
che  avea  il  Poeta  alla  significazione  morale;  nella  contem- 
plazione poi  delle  pene,  il  frutto  che  ne  ricoglie  ;  finalmente 
ne'  molti  pericoli  del  viaggio  superati,  le  vittorie  da  ottenere 
delle  gravi  tentazioni,  nello  studio  del  tramutarsi  dalla  vita 
peccaminosa  nella  buona. 

Nel  Purgatorio  per  contrario,  che  è  direttamente  opposto 
all'  Inferno,  e  secondo  il  suo  significato  somministra  i  mezzi 
della  perfetta  liberazione  dello  spirito,  fa  ravvisare  il  sim- 
bolo della  Chiesa  cattolica,  che  sola  possiede  que'  mezzi, 
conquistatile  dal  suo  Sposo  celeste.  In  particolare,  divisando 
i  tre  grandi  scompartimenti  di  esso,  si  argomenta  di  tro- 
varvi un'applicazione  dell'antica  disciplina,  riguardo  ai 
penitenti  ;  la  quale  se  ora,  attese  le  condizioni  de'  tempi, 
non  vìge  più  quanto  alla  esterna  economia,  rimane  però 
nella  sostanza;  procurando  la  Chiesa  di  far  conseguire 
que'  medesimi  frutti,  benché  con  mezzi  più  blandi.  Pertanto 
la  prima  regione,  che  è  l'Antipurgatorio,  ritrarrebbe  quei 
peccatori,  i  quali,  determinato  di  mutar  vita,  si  presenta- 
vano alla  porta  della  chiesa:  non  vi  erano  però  ammessi. 


794  SUPPLEMENTO. 

e  colà  fuori  dovevano  compiere  le  pratiche  di  apparecchio. 
La  seconda  regione,  la  quale  costituisce  il  vero  Purgatorio, 
e  vi  si  entra  per  la  porta  che  ha  in  custodia  un  Angelo, 
e  la  disserra  coli'  argomento  di  due  chiavi  misteriose, 
sarebbe  la  immagine  di  quei  fedeli  che,  ricevuti  nel  vestibolo 
delle  chiese,  entravano  nel  numero  dei  penitenti  propria- 
mente detti.  Le  diverse  purgazioni  e  gli  altri  esercizii,  che 
le  anime,  introdotte  dall'Angelo  portinaio  nel  vero  Purga- 
torio, vanno  compiendo  su  per  le  varie  cornici,  ond'è 
aggirata  la  Montagna,  sono  spiegati  come  figurativi  delle 
opere  di  penitenza  che  si  eseguivano  da'  convertili  per 
ottenere  il  beneficio  dell'  assoluzione.  La  terza  regione 
finalmente,  che  è  il  Paradiso  terrestre,  in  una  parte  della 
quale  l'Autore  ravvisa  lo  stadio  già  compiuto  de'  penitenti, 
quando  riconciliati  con  Dio  erano  ammessi  alla  comunione, 
rappresenterebbe  nel  suo  lutto  la  Chiesa,  secondo  il  pieno 
concetto  di  que'  due  elementi,  che  i  Teologi,  prendendo  la 
somiglianza  dal  composto  umano,  sogliono  denominare  corpo 
ed  anima  di  essa  Chiesa.  Su  questo  fondamento  1'  ufficio 
di  Matelda,  che  dee  tufl"are  il  Poeta  nel  fiume  Lete  (che 
interpreta  Penitenza  ),  condurlo  all'  aspetto  delle  virtù  car- 
dinali, e  fargli  gustare  le  acque  dell' Eunoè  (che  interpreta 
Eucaristia),  dichiara  essere  quello  di  significare,  in  generale, 
la  vita  attiva  ;  e  in  particolare  «  il  compito  di  coloro  che 
anticamente  istruivano  i  neofili,  ed  i  convertiti  di  recente, 
nelle  verità  della  Fede,  ne'  riti  del  battesimo  e  della  peni- 
tenza, e  nelle  virtù  proprie  del  Cristiano.  »  (1) 

Fra  le  cose  che  ragiona,  e  molto  più  acconciamente 
intorno  al  Paradiso,  importantissimo  è  il  ragguaglio,  che 
fa  notare,  fra  le  perfezioni  de'  beati  (sì  le  generali  di  tutti, 

(li  La  Civiltà  Cattolica  non  conviene  coli' egregio  Autore  cbe  il  viaggio 
del  vero  Purgatorio  sia  stato  intrapreso  dal  Poeta  come  apparecchio  alla 
giustificazione;  ed  abbia  per  iscopo  non  più  la  riparazione  della  prima 
grazia,  ma  il  ristoramento  delle  potenze  dell'  anima,  sino  a  toccare. 
quanto  è  possibile,  il  segno  di  quella  perfezione,  che  ebbero  nel  primo 
uomo  nel  Paradiso  terrestre.  E  difatti  le  acque  di  Lete  sono  propriissime 
a  significare  un  tanto  grado  di  perfezione,  in  quanto  colla  loro  virtù 
cancellando  dall'anima  sino  le  reminiscenze  dei  peccati,  dimostrano  che 
le  sono  diventati  così  estranei,  come  se  mai  non  gli  avesse  commessi. 
Civiltà  Cattolica,  18  Febb.  1865,  p.  465. 


SLPl'LEMJiMO.  795 

SI  le  peculiari  de'  varii  ordiui  loro),  e  le  perfezioni,  volute 
dal  Poeta  adombrare,  di  coloro  che  attendono  alla  vita 
contemplativa  ed  unitiva.  Il  che  è  grave  argomento  del 
mistico  senso  contenuto  nella  terza  Cantica,  di  significare 
cioè  la  condizione  de'  perfetti.  Ma  ne  porge  piena  evidenza 
il  modo  allegorico,  che  il  medesimo  Poeta  adopera,  di  far 
manifesto  il  suo  progressivo  avanzamento  nel  bene;  «dipin- 
gendo (usiamo  le  parole  dell'Autore)  con  arte  finissima,  e 
con  sempre  nuovi  e  più  vaghi  colori  il  volto  della  sua 
donna,  che  veste  bellezze  più  divine  ad  ogni  salir  di  cielo; 
donde  lo  sguardo  di  lui,  che  quasi  mai  non  si  torce  dall'amato 
viso,  acquista  nuova  potenza,  e  in  lui  proporzionatamente 
si  aumenta  l  interno  'piacere.  »  Le  quali  cose  ci  basti  avere 
leggermente  toccato,  rimettendo  al  libro  chi  bramasse  di 
conoscerne  un  più  minuto  svolgimento.  -  C.  C. 

L'Autore,  dopo  aver  interpretati  i  simboli  dell' Allighierì 
nel  senso  morale  e  religioso,  gli  applica  poi  alla  significa- 
zione politica  ;  sicché  la  selva  debba  significare  l' Italia  delle 
nazioni,  le  Fiere  i  soliti  tre  governi,  il  Colle  l'ottimo  reg- 
gimento, il  triplice  viaggio  i  mezzi,  un  po'  remoti  veramente, 
ma  i  soli  per  allora  opportuni  a  fine  di  ottenerlo.  (1) 

Galvarpio  Pietro.  Saggio  sulle  più  importanti  Allegorie 
della  Divina  Comedia.  (Uscirà  in  Palermo,  in  quattro  o  5 
fascicoli,  di  pag.  80  per  cadauno.) 

(fUn  lavoro,  cos'i  l'editore  Amenta,  da  cui  sappiansi  alla 
perfine,  gli  eflettivi  concetti,  nascosti  sotto  le  più  impor- 
ti) Nò  in  questo  punto  notabile  la  Civiltà  Cattolica  conviene  col 
Barelli.  Le  due  spiegazioni  della  Dantesca  Allegoria  constituiscono  due 
concetti  in  tutto  rigore  diversissimi  fra  loro  della  Divina  Comedia,  sì 
compito  poema,  e  perciò  Informato  di  perfetta  unità.  Onde  se  la  prima 
è  spacciata  come  certa,  ne  sarà  distrutta  la  seconda  ;  e  viceversa:  se  poi 
.«ono  date  entrambe,  come  probabili,  non  si  può  far  altro  che  scegliere 
fra  le  due.  Dante  non  riconosce,  oltre  il  letterale  e  l'allegorico  in  genere 
cbe  i  sensi  morale  e  anagogico,  ma  questi  o  sono  proprli  dei  luoghi  par- 
ticolari, equivalenti  a  soggetti  dì  spicciolate  considerazioni;  o  se  anche 
essi  sì  distendono  per  tutto  o  quasi  tutto  il  corpo  dell'opera  non  pos- 
sono esser  che  modi,  estensioni,  o  riflessi  di  quel  primo,  con  cui  abbiano 
ti  stretta  relazione  che  vengano  ad  immedesimarsi  con  esso,  come  un  tutto. 
Il  che  non  può  dirsi  del  senso  politico,  il  quale  bisogna  partire  da  un  fon- 
damento tutto  diverso  d' interpretazione  dell'Allegoria,  e  che  ba  materia 
diversa,  diversi  mezzi,  diversi  intendimenti. 


796  SUPPLEMENTO. 

tanti  Allegorie  della  Divina  Comedia  dì  Dante  Allighieri, 
confessiamolo  in  buona  fede,  sarebbe  una  spinta  maravi- 
gliosamente opportuna  a  scuoterci  dalla  inerzia,  che  ne 
divora,  in  ordine  a  produzioni  d'ingegno;  sarebbe  un  bal- 
samo preziosissimo  a  tante  nostre  letterarie  ferite;  sarebbe 
eziandio  un  monumento  ben  degno  di  quell'intelletto  sano 
ed  acuto,  pel  cui  possesso,  le  italiche  capacità,  poste  a 
confronto  con  le  dotte  e  laboriose  intelligenze  straniere, 
sono  sempre  riuscite  superiori  e  con  privilegio,  a  dispetto 
di  qualunque  emulazione  o  contrasto.  -  Oltre  al  doversi 
mettere  a  calcolo,  che  un  simile  lavoro  sarebbe,  per  verità, 
una  memoria,  da  ricordare  a'  posteri  più  lontani,  che  il 
classicismo  volgare,  nato  un  giorno  sotto  vesti  allegoriche 
in  questa  terra  di  sapienza  e  di  eroi,  non  potè  essere  in- 
teso e  spiegato  che  lì  dove  nacque.  » 

Sorio  P.  Bartolommeo.  Esame  del  Veltro  allegorico  di 
Dante  Allighieri,  ne'  suoi  diversi  sistemi.  Verona,  Rossi, 
1864.  (Opusc.  in  8.«  di  pag.  20) 

Non  è  questo  che  un  saggio  di  un  assai  più  lungo  la- 
voro del  P.  Sorio.  Secondo  lui,  questa  idea  preconcetta  del 
Veltro  non  era  incarnata  in  nessuna  persona  particolare 
che  fosse  da  Dante  designata,  né  vagheggiata  anzi  trailo. 
Questa  idea  preconcetta  era  astratta,  non  concreta;  era 
significativa,  non  era  significata;...  non  una  persona  da  Dante 
già  conosciuta  vivente. 

Bernardi  Ab.  Jacopo.  Dante  e  Beatrice  al  cuore  delle 
fanciulle.  Torino,  Arlero,  1864. 

Son  poche  pagine  lette  all'alunne  della  Famìglia  di 
educazione  casalinga,  dirette  dalla  Signora  Carlotta  Pavan- 
Parodi-Giovo,  ma  tutte  spiranti  leggiadrissimo  affetto. 

Scolari  Filippo.  Dante  Cattolico.  -  Il  vero  ed  unico 
intento  della  Divina  Comedia  considerata  nel  più  concreto 
suo  risultamento  finale.  Memoria,  Veneeia,  Fontana,  1864, 
in  8.'> 

Appendice  alla  Memoria  24  Ottobre  intorno  al  vero 

ed  unico  intento,  ecc.  Venezia,  Fontana,  1865. 

Due  documenti  XVUl  lyov.  1302,  di  autorità  pon- 
tificia necessariial  retto  studio  della  Divina  Comedia,  Venezia, 
Fontana  1865,  in  8."  (In  pochi  esemplari.) 


SUPPLEMENTO.  797 

Ci  giova  riferire  l' ultima  conseguenza  della  sua  esposi- 
zione; conseguenza  che  ne  forma  come  la  sostanza;  ed  è 
la  seguente:  «Per  poco  adunque  che  la  Divina  Comedia 
sia  riguardata  e  meditata  su  questa  sua  solida  e  ferma 
base  di  sistema  Teologico,  ninno  durerà  fatica  a  conchiudere, 
che  la  Divina  Comedia  nel  suo  ultimo  risultamento  risolvesi 
in  un  Trattato  pratico  di  Teologia  dommatica  e  morale, 
applicato  ai  bisogni  religiosi,  politici  e  civili  del  tempo  in 
cui  scriveva  l' incomparabile  Autore.  » 

Leoni  Carlo,  Dante  Storia  e  Poesia.  Venezia,  Naratovich, 
1865.  (  Splendida  edizione,  di  pag.  2oO,  pubblicata  il  20 
Feb.  1865.  ) 

Il  Lettore  intitolava  questo  lavoro  a  suo  figlio  con  la 
epigrafe:  Al  figlio  -  Unica  speranza  mia  -  Perchè  - 
L'onesto  il  vero  il  bello-  Tenacemente  accolga  -  E  perseveri  - 
La  Poligrafìa  dantesca  del^  Leoni  va  divisa  ne'  seguenti 
capitoli:  -  I.  Dante,  Salmo,  con  l'epigrafe:  Eternamente 
vivi.  -  IL  II  dugento,  col  motto:  //  dugento  cullò  i  primi 
ardimenti  civili:  al  dugento  l' incubazione,  al  trecento  la 
gestazione.  -  IIL  Sua  giovinezza.  -  Fior  di  giovinezza  è 
forse  amore  ?.  -  IV.  Una  battaglia  moderna.  -  Oh  degli 
umani  miserando  strazio;  -  La  guerra!  -  E  noi  siamo 
cristiani  !- Pia  feroce  la  femmo  e  più  tremenda,  -  E  in  modi 
strani-Con  arti  inique  insanguiniam  la  ferra. -V.Una  battaglia 
antica  (Campaldino)  :  Una  sol  lingua  parlano  e  «' uccidono?  - 
VI.  Morte  di  Beatrice.  -  Ella  è  morta.  Dante,  Vita  Nuova.  - 
Jnvisihil  forma  -  Dal  velo  sciolta  -  Che  ombrava  il  fior  di 
tue  virtii  -  D'  ogni  beltà  radiante  -  Tra  gli  accesi  cori  - 
Salivi  a  Dio  -  E  il  tuo  fido  in  terra  -  Divino  spirto  -r 
Circondavi.  -  VII.  Esilio  e  Morte.  -  Dio  ti  ha  dato  il  genio, 
rendigli  la  virtii.  -  VII.  Scritti  e  Opinioni.  -  Chi  ben  legge 
ne'  suoi  scritti;  Egli  non  fu  ne  guelfo  né  ghibellino.  -  IX- 
Sua  natura,  aneddoti,  amori.  -  Pia  forte  V  ingegno  e  piii  forti 
le  passioni.  -  X.  Il  Secolo  in  che  fiori.  -  Se  fosse  Italia  ancor 
per  poco  sciolta  Regina  torneria  la  terza  volta.  -  XI.  Tiranni 
e  liberatori.  -  D' anime  forti  piena  e  di  tiranni.  -  XIL  Muore 
la  libertà.  -  Chi  poggia  altrui  è  infermo;  se  non  reggi  la 
spada  non  fidarla,  le  catene  son  di  quel  ferro  che  battagliò 
per  noi...  -  Xlll.  Storia  e  Storiologia.  -  La  Storia  crea  la 


798  SUPPLEMEMO. 

filosofia,  questa  il  progresso  o  civiltà.  -  Patria  storia  è  fonte 
all'  amor  patrio.  -  XIV  Poesia.  -  Fantasiosa  -  D' eterni  estri 
reina  -  Alle  soglie  superne  batti  V  ale  -  Poesia  divina  -  E 
sol  t'  acqueti  in  Dio  -  Fiamma  immortale.  -  XY.  Prima  idea 
del  poema.  -  L' amore  è  ala  dì  un  angelo  che  porta  l' anima 
a  Dio.  -  XVI.  Leggende  di  Oveins.  -  Raccogliere  le  tradi- 
zioni leggendarie  del  medievo,  sarebbe  nuovo  incremento  alla 
storia.  -  XVII.  La  poesia  cristiana.  -  Carità  raggio  del  divino 
lume  -  Creò  la  nuova  legge  e  il  nuovo  amore.  -  XVIII. 
L' Inferno.  -  Jl  vero  nelV  idea,   V  idea  nel  bello,  questo  nel 
verbo.  Ecco  provato  lo  spirito.  -  V  Inferno,  secondo  il  Leoni, 
è  la  più  possente  delle  tre  cantiche,  perchè  la  più  drammatica 
e  più  vicina  alla  storia  e  alla  natura.  -  XIX.  Il  Purgatorio.  - 
0  padre  nostro  che  ne'  cieli  stai.  -  Il  Purgatorio  è  la  poesia 
degli  angeli,  in  esso  una  progressione  amorosa  di  tutte  eteree 
e  celestiali  creature;   un  coro  di  pie  sostanze,  che  nella 
beatissima  fruizione  incoronano  festanti  la  gran  figura  di 
Beatrice.    Se  la  composizione  dell'Inferno  fu  soccorsa  di 
reminiscenze,   quella  del  Purgatorio,  comechè  più  ampia  e 
difficile,  è  nuova  ed  uscita  intera  dalla  mente  del  poeta.  - 
XX.   Il  Paradiso.  -  Mostrò  ciò  che  potea  la  lingua  nostra, 
E  più  la  mente.  -  Gol  paradiso  è  sciolto  il  voto,  suggellata 
r  apoteosi  eh'  egli  avea  promessa  all'  amore.  -  Così  nella 
santa  armonia  degli  affetti,  l'innamorato  di  Beatrice,  l'in- 
namorato della  virtù,  il  martire  del  vero,  in  quell'  estasi  di 
lutti  i  santi  amori,  chiude  la  grande  missione;  e  compiuta 
appena  la  cantica  del  Paradiso,  trasvola  già  fatto  celeste.  - 
Egli  non  dovea  che  chiudere  gli  occhi  e  riaprirli  in  quelle 
dimore  già  visitate  col  canto.  -  E  chi  avria  negato  a  Dante 
il  Paradiso?  -  XXI.  Dante  e  i  Papi-Re.  -  XXII.  Amori  di 
Dante  e  Petrarca  giudicati  da  G.  Barbieri.  -  XXIII.  Dante 
in  Venezia.  -  XXIV.  Soggiorno  in  Padova.  -  XXV.  Dante 
e  Omero.  -  L'Allighieri  emulò  l'antico  nella  vasta  sintesi, 
lo  superò  nel  concetto  e  nella  varietà.  -  XXVI.  Milton  e 
Klopstok.  -  Milton  e  Klopstok,  non  provvidi  alla  storia,  né 
alla  scienza,    non  pittura   e  specchio  delle   patrie    loro, 
stanno  giganti  solitari.   -  Il  Paradiso  di  Dante  fu  proemio 
a  quello  di  Milton.  In  questo  è  parte  e  ragione  alla  epopea 
del  Sassone.  -  Chiara  la  preminenza  del  divino  su  questi 


SUPPLEMENTO.  799 

due  sommi.  -  XXYIIL  Altezza  estetica  di  Dante-  -  Iscrizioni 
a  Dante.  -  Appendice  Illustrazioni  e  Note.  -  I.  Il  Natale  di 
Dante.  -  II.  È  falso  che  Dante  iniziasse  la  riforma.  -  III. 
Definizione  della  Civiltà  e  lettera  del  Guizot.  -  lY.  Figure 
storiche  nella  Divina  Comedia.  -  Y.  Della  Spiritualità.  -  YI. 
Desideri  di  nuovi  lavori  e  studi  sulle  opere  di  Dante.  -  YII. 
Statistica  del  moto  Dantesco  in  Italia  e  fuori.  -  Ylll.  Della 
fama  di  Dante.  -  IX.  Suo  soggiorno  in  Verona.  -  X.  Giudizi 
dei  Perticare 

Vero  XiisoniOy  (Duca  Proto  di  Maddaloni,  Napolitano.) 
Il  Conte  Durante,  Racconto  per  il  sesto  centenario  di  Dante, 
1864,  un  Yol.  in  16,  di  pag.  XYI-22G,  Roma. 

Questo  libro  tiene  della  Comedia,  del  Romanzo,  della 
Satira.  Nell'orditura  quel  viaggio  di  Dante  nella  nuova 
Italia  colle  sue  vicende  e  co'  suoi  scontri  si  accosta  al 
romanzo.  Nelle  scene  particolari  che  spongono  i  concetti 
di  Dante  e  quello  delle  persone  in  che  si  abbatte  v'è 
tanto  di  comico  che  senti  subito  la  comedia.  Nell'idea  che 
informa  il  libro,  nello  stile  in  cui  è  disteso,  nella  conver- 
sazione ond'è  intrecciato,  nei  fattarelli  che  vi  si  raccontano 
v'è  una  continua  satira  spesso  gentile,  più  spesso  pungente 
contro  la  rivoluzione  e  rivoluzionarli.  L'Autore  fìnge  che 
a  Dante  sia  stato  concesso  uscire  del  Purgatorio,  dove  si 
stava  purificando,  per  visitare  in  persona  la  nuova  Italia 
e  farne  giudizio.  Il  terribile  visitatore  passa  da  Firenze  a 
Napoli,  in  Sicilia,  a  Torino  ed  a  Roma.  Ed  ei  ci  mostra  il 
poeta  risuscitato  passare  sdegnoso  in  rassegna  le  recenti 
conquiste  del  governo  piemontese  e  giungere  a  tanto  di 
indegnazione  e  di  collera  da  chiedere  in  grazia  a  Dio  di 
poter  senza  indugio  rientrare  nel  Purgatorio  a  patto  di 
non  salir  mai  in  Paradiso.  (??)  Questo  racconto  esce  molto 
dalla  solita  carreggiata  degli  scritti  letterari  per  la  sua 
originalità.  -  Y.  Civiltà  Cattolica,  Quad.  31)6,  21  Gen.  1865. 

Tliicppolo  Giacomo.  Il  primo  discorso  sopra  il  divino 
Poeta  Dante  Mliqieri.  Al  magnanimo  signor  Federico  Ba- 
doaro. 

È  un  discorso  composto  intorno  al  1358,  occupa  94  faccie, 
e  spiega  i  (juattro  primi  terzetti  della  Divina  Camedla.  Si 
conserva  nell'  Estense  di  Modena.  È  citalo  dal  Ratines,  T.  Il- 


800  SDPPLEMENTO. 

p.  360,  361.  Questo  discorso  verrà  pubblicalo  dal  Sig.  Torrm 
di  Venezia. 

Bellomo  Bonaventura.  Nella  festa  Nazionale  del  sesto 
eentenario  della  nascita  di  Dante  Allighieri,  ar/giuntivi  i 
cenni  cronologici  della  vita,  delle  opere  e  del  secolo  di  Dan- 
te, Firenze,  Cellini,  1864.  (  Parte  1.^  pag.  46;  Farteli.^  di 
pag.  56.) 

Smania  Michelangelo.  Sul  Monumento  da  erigersi  a  Dante 
Allighieri  in  Verona  neW  anno  }SÒ^,  Lettera  a  Giambattista 
Turella.  Verona,  Civelli,  1864. 

Provcnsal  Aristide.  Raccolta  di  scelte  Epigrafi  in  onon 
di  Dante.  (Questa  raccolta  verrà  pubblicata  in  Livorno.) 

Palagi  Giuseppe.  Guida  storica  alle  memorie  di  Dante  in 
Firenze.  (Verrà  pubblicata  in  Firenze.) 

Giornali  pubblicati 

in  preparazione  della  solennità  nazionale 

della  nascita  di  Dante. 

Giornale  del  Centenario,  per  cura  di  Guido  Corsini.  -  Sì; 
De  cominciò  la  pubblicazione  col  giorno  10  Feb.  1864.  -  Tip. 
Galileiana  di  M.  Cellini  e  C 

La  Festa  di  Dante,  Letture  Domenicali  del  popolo  fioren- 
tino, pubblicate  \ìer  cura  della  direzione  del  Giornale  del 
Centenario.  -  Ebbe  principio  col  giorno  1  Maggio  1864. 

La  Scuola  di  Dante,  Giornale  commemorativo  del  sesto 
Centenario  del  divino  poeta.  -  Verrà  pubblicato  dallo  stesso 
Corsini,  a  fascicoli  mensili,  il  primo  de'  quali  uscirà  alla 
luce  col  dì  15.  Luglio  1865. 

Edizioni  degne  di  menzione  in  corso  di  stampa 
(V.  pag.  963.) 

La  Divina  Comedia  di  Dante  illustrata  colla  fotografia. 
(Presso  gli  Editori  Carlo  ed  Antonio  Sacconi,  Fotograti  Edi- 
tori a  Milano.)  -  Gli  editori  sperano  che  questa  edizione 
potrà  meritare  la  preferenza  sulle  altre  per  la  precisioqe 
del  testo,  il  quale  verrà  pubblicato  secondo  la  dizione  dei 
migliori  Codici,  e  andrà  distinta  per  la  qualità  delia  caria, 


SUPPLEMENTO.  801 

per  la  nitidezza  dei  caratteri.  Oltre  a  ciò  il  testo  sarà  ric- 
camente corre.dato  di  note,  avendo  cura  più  specialmente 
di  seguire  quei  commentatori  che  sono  oggi  stimati  fra  ì 
migliori ....  attendendo  specialmente  coli' ottenere  la  più 
chiara  e  breve  esplicazione  del  lesto,  a  dimostrarne  la  parte 
estetica  ed  allegorica.  1  disegni,  che  saranno  da  presso  a 
dugento,  verran  composti  da  egregi  e  valenti  artisti  italiani, 
dietro  la  scorta  dell'  avvoc.  prof.  Alfonso  Cavagnari,  cui  ò 
pure  affidato  l' incarico  dell'  illustrazione  e  dei  comenti. 


INDICE 

DELLE  PERSONE  RICORDATE 

NEL  PRESENTE  VOLUME 


Abeken  Bern.  65,  677  -  Acerbi  Enrico  496  -  Accorso 
rlei  Bonfantini  493  -  Ademollo  Carlo  B67  -  Ademollo  Luigi 
776  -  Agrilio  G.  B.  411  -  Agrali  Giovanni  561  -  Agricola 
Filippo  ;I99  -  Agiiilhon  Cesare  642  -  Agujari  Tito  369  - 
Alberlini  Luigi  399  -  Alfieri  Vittorio  4Ì1,  477  -  Allori 
Alessandro  364  -  Ambrosi  Francesco  489  -  Ambrosoli  Fr. 
65,  478  -  Ampère  G.  G.  396,  398,  580,  654-  Andrea  -  di  -  Jacopo 
370  -  Andreoli  Raflaele  474  -  Angelico  B.,  Fra  Giovanni 
da  Mugello  336  -  Anonimo  365,  399,  448,  499,  500  - 
Anselmi  Domenico  564,  573,  640  -  Antonio  da  Arezzo  421 
Antonio,  fra,  Minorila  421  -  Antonio  da  Castello  di  S.  Ni- 
colò 421  -  Arabia  Tomaso  418  -  Arcangeli  Giuseppe  462, 
565,  567,  568,  646,  771  -  Arici  Cesare  65  -  Arndt  Lod.  65, 
677  -  Aroux  E.  497,  514,  632,  656  -  Arrivabene  Ferd.  459, 
579,  588,  642,  773  -  Arlaud  de  Montor  505,  506,  507,  509, 
656  -  Artib  Lelio  573  -  Asquini  Fr.  573  -  Asson  Miche- 
langelo 585,  587  -  Astesi  Alessandro  494  -  Attavanti  P. 
Paolo  436  -  Audin  de  Rians  Stefano  434,  435,  557,  567  - 
Azzolini  Pompeo  364,  586,  640. 

Bach  Giorgio  657  -  Bachenschwanz  L.  535,  545,  651  - 
Bagnoli  Pietro  564,  573  -  Bahr  G.  677  -  Balbo  Cesare,  30, 
46,  48,  51,  65,  51,  98,  430,  483,  579,  622,  644  -  Baldini 
Baccio  371  -  BaldinoUi  Bartolommeo  495  -  Balestrieri  379- 
Bandini  Domenico  593  -  Band  Antonio  365,  408  -  Barba- 
doni  Bartolomeo  496  -  Barberini  Carlo  490  -  Barcellini 
513,581  -  Barelli  Vincenzo  619,  792  -  Baret  Eugenio  547- 
Bargigi  delli  Guinifortc  425,  449  -  Barlow  Enrico  416,  533, 
708  -  Barrias  Frane  399,  406  -  Barlh  Ambrogio  504  -  Bar- 
thold  F.  704,  705  -  Barloli  Cosimo  475,  476,  564,  573  - 
Bartolo  Taddeo  336  -  Bartolomeo  Fra  di  S.  Marco  342 
Bartolomeo  da  Colle  495  -  Bartolomeo  di  Piero  da  S.  Gi- 
mignano  494  -  Barucco  Felice  332,  364, 368,  399, 406  -  Batines 
Colombo  332,  658  e  passim  -  Beccadelli  Lodovico  496  -  Becchi 
Fruttuoso 749,  771 -Bellarmino  Kob.585-Bellerman  Crist.645 
677  -  Bellini  Bernardo  418  -  Bellomo  Bonavehtura  808  - 
Bellucci  Gius.  406  -  Bembo  Pietro   406  -  Benassuti  Luigi 


804  1M)1CE. 

490,  763  -  Benci  Antonio  564  -  Benedetto,  frate  Agostiniano 
494  -  Benivicni  Giuseppe  496  -  Benozzo  Gozzoli  396  -  Ben- 
tivoi^Iio  INicolò  406  -  Benvenuti  Pietro  36!i  -  Benvoglienli 
Uberto  496,  640  -  Berardinelli  P.  Francesco  97,  98,  451, 
475,  582,  609  -  Bernardoni  Giuseppe  771  -  Beri  ni  Camillo 
496  -  Bernardi  Antonio  572  -  Bernardi  Jacopo  534,  573,  796  - 
Bernardi  Paolo 411  -Berti  Gian  Lor. 585 -Berti  Giovanni 496- 
Bertini  Giuseppe  354,  407-Bertini  Jacopo 563  Beltelini  376  - 
Betti  Salvatore  487,  572,  645,  648  -  Bettini  381  -  Bczzuoli 
Giuseppe  361,  365,  367,  407  -  Biagioli  Giuseppe  383,  460, 
743  -  Biamontì  324  -  Bianchi  Brunone  26,  107,  179,  467, 
621,  644, .  755  -  Bianchi  Giuseppe  399  -  Biblioteca  Italiana 
436,  463,  464,  466,  512  -  Biondi  Luigi  415,  479,  496,  573, 
771  -  BiscaraG.B.  379  -  Biscioni  Antonmaria  26,  492,  612, 
771  -  Bisi  Giuseppe  361  -  Blanc  L.  G.  46,  48,  65,  429,  543,  678, 
680  -  Boccaccio  Giovanni  17,  26,  78,  86,  117,  128,  307,  411, 
419,  442,  620  -  Boccaccini  Francesco  363  -  Boissard  Frejus 
659  -  Bohmer  J.  F.  705  -  Bollai  E.  54  -  Bompiani  Roberto 
364,  406  -  Bon  Brenzoni  Catterina  411  -  Bongini  Michele 
418  -  Bongiovanni  Domenico  98,  452,  487,  608  -  Bongìo- 
vanni  Salvatore  366,  370  -  Boni  Giovanni  380  -  Bonucci 
Anicio  776  -  Bonsi  Lelio  753  -  Borghesi  Diomede  573  - 
Borghi  Giuseppe  465,  564,  640,  749  -  Borghini  Yicenzo  486, 
562,  569,  581,  607  -  Borghini  (Giornale)  424,  433,  444,  449, 
475,  490.  520,  614,  641,  771  -  Borgognini  Adolfo  595  -  Borro 
Luigi  405  -  Borzino  Ulisse  367  -  Bosone  da  Gubbio  412 
493 -Bossi  Giuseppe  743,  771-Bottagisio  Giov.581-Botlari 
Giovanni  580  -  Bottazzi  Agostino  407  -  Botticelli  Sandro 
370  -  Boyd  Enrico  526  -  BouUee  M.  511  -  Bouterweck  Fr. 
983  -  Bozzo  Giuseppe  482,  573  -  Bracciolini  Francesco  496  - 
Brait  de  la  Mathe  M.  408  -  Branchi  Eugenio  18,  51,  598  - 
Braun  Giulio  542,  791  -  Brevio  Giovanni  496  -  Bridel  Luigi 
507,  573  -  Briganzol  405  -  Briseux  A.  497,  513  -  Brizio 
Fortunato  412  -  Brocchi  G.  B.  564  -  Brofferio  A.  411  - 
Bronzino  Angelo  398  -  Bronzino  Alessandro  789  -  Brook- 
sbank  M.  A.  497,  531  -  Bruce  Vhythe  26,  710  -  Brunetti 
Alessandro  486  -  Bruni  Leonardo  65  -  Bucchi  A.  418  - 
Buffamalco  Domenico  332  -Bulgarini  Alessandro  573  -  Buo- 
mattei  Benedetto  423,  446,  573,  581,  600  -  Buonanni  Yi- 
cenzo 454  -  Buonarotti  Michelangelo  63,  322,  323,  343,  369, 
412  -  Buscaino  Campo  Alberto  572  -  Buti  da  Francesco  423, 
446  -  Buttura  A.  478  -  Buzzi  Leone  363  -  Byron  Giorgio 
412,  709. 

Caetani  Duca  di  Sermoneta  568,  771,  791  -  Gagnoli  A. 
412,  573  -  Cailey  C.  B.  530  -  Calmi  Antonio  406  -  Cala- 
mai Baldassare  364,  365  -  Caldani  Floriano  281  -  Cama- 
rano  G.  418  -  Camboulil  F.  R.  547  -  Campagna  Giacinto 
640  -  Campetto  Pompeo  415  -  Canal  Pietro  426  -  Canali  580  - 


INDICE.  805 

Cancellieri  Francesco  564,  580,  581  -  Candiani  Francesco 
498  -  Canova  Antonio  405  -  Cantoni  Yicenzo  412  -  Cantù 
Ignazio  560  -  Cantù  Cesare  53  -  Capello  A.  573  -  Capocci 
Ernesto  35,  234,  243,  246,  248,  253,  256,  258,  265,  266,  267, 
268,  588,  590  -  Capponi  Gino  747,  771  -  Gapozzi  Fr.  418  - 
Capua  Giov.  412  -  Caravaggio  Evandro  415 -Carbone  Ginnio 
768  -  Carcano  Giulio  412  -  Cardona  Filippo  281  -  Cardona 
Gaetano  573  -  Carducci  Giosuè  51:: -Carli  Giov.  Gir.  502  - 
Carlini  Giulio  363  -  Carlyle  Giov.  529,  533,  710  -  Carlyle 
Tomaso  710  -  Carmignani  53,  294,  573  -  Carpaneti  Selnio 
459  -  Carpani  Palamede  771  -  Carrara  Giovanni  Michele 
495  -  Carrer  L.  466  -  Carrion  Tsisas  507  -  Cary  Enrico  526  - 
Casella  Leonardo  426,  430,  496  -  Castagno  -  dall'- Andrea 
394  -  Castellazzo  L.  585  -  Caslelvetro  Lod.  476,  496  -  Ca- 
stiglia  benedetto  607  -  Castrogiovanni  Giovanni  426,  459, 
563  -  Cattaneo  Carlo  573  -  Cattaneo  Felice  362  -  Cattellacci 
Antonio 502 -Cavalcasene  389,  400-Cavagnani  Antonio  801- 
Cavalieri  A.  573  -  Cavedoni  Gel.  306,  573  -  Cavelier  Pietro 
Giulio  405  -  Ceffoni  Bartolomeo  495  -  Celentano  407  - 
Celesia  Emanuele  412  -  Centofanti  Silvestro  57,  61,  412,  426, 
446,  597,  600  -  Gerbera  N.  410  -  Cereseto  G.  B.  65,  561, 
574  -  Cerretti  Luigi  564  -  Cerretto  da  Giambattista  573  - 
Gerrotti  Francesco  437  -  Cesari  Antonio  462,  476,  564  -  Ce- 
sarotti iMelchiorre  500  -  Chabanon  65,  659  -  Chaucer  533  - 
Chauvet  .508,  510  -  Ghecacci  389  -  Chiecclii  Basilio  407  - 
Cliiromonio  Matteo  495  -  Ghurcli  Gugl.  711  -  Ciampolini 
Luigi  771  -  Ciangulo  iNicolò  545  -  Ciardi  di  S.  Croce  426- 
Cicconi  Luigi  430,  640  -  Gino  da  Pistoia  412  -  Civininl 
Filippo  589  -  Civiltà  Cattolica  96,  583,  596,  799,  761.  794, 
795,  799  -  Clarecini  Nicolò  495  -  Cocchi  Antonio  496  - 
Colbert  d'Estouteville  506 -GoUelli  Scipione  UH,  461,  462, 
478,  573,  600,  771  -Gombes  Emilio  692  -Comolli  405  -  Consoni 
INicolò  361 -Conti  Augusto  586  -  Conti  Antonio  564  -  Conz 
G.  P.  707-Gook  Giuseppe  349  -  Gorbinelli  .Iacopo  496  - 
Cornelius  Pietro  348,  379  -  Corniani  G.  B.  65,  564-Corpiani 
Angelo  362  -  Corsini  Guido  800  -  Cosmi  Condulmieri  Co- 
simo 362,  365  -  Cossa  L.  410  -  Costa  Paolo  65,  561,  573, 
640  -  Costa  Giovanni  500  -  Crepuscolo  331,  357,  ^i 60,  462, 
471,  472,  508,  563  574,  661,  670,  674,  690,  758  -  Grescim- 
beni  Giovanni  65,  564  -  Crollis  Domeniro  573  -  Groos  Mau- 
rizio 711  -  erosa  407  -  Gsaszar  Fr.26,  784  -  Curti  Pier  Am- 
brogio 574  -  Curzon  367. 

Dame  Allkjhieri.  Grafìa  del  Casato  557  -Del  Cognome 
di  Dante  559  -  Gasa  di  Dante  11,  786  -  Sua  nascita  12  - 
Vede  per  la  prima  volta  Beatrice  15  -  Suo  primo  Sonetto 
19 -Prende  a  moglie  Gemma  dei  Donati  24  -  Suoi  figli  24 - 
S'inscrive  all'arte  degli  Speziali  29  -  Suo  esigilo  41  -  Presso 
i  Malaspina  47  -  Nel  Monastero   di  S.  Croce  51  -  A'a  a 


806  INDICE. 

Parigi  51  -  A  Gubbio  56  -  Al  caslello  di  Lizzana  553, 
556  -  In  Udine  ed  a  Tolmino  556  -  A  Ravenna  62  -  Sua 
morie  a  Ravenna.  Ossa  del  poela  richieste  da  Firenze  63- 
Sue  Opere:  Vita  ISuova  25,  66  -  Convito  30  -  De  Vulqari 
Eloquio  45  -  De  Monarchia  52  -  Lettera  a  Cangrande  della 
Scala  Qii  -  Della  Divina  Comedia:  Imaginala  azióne  del  poe- 
ma 34  -  Quando  compiuto  l'Inferno  49  -  Quando  il  Pur- 
gatorio 58  -  Quando  il  Paradiso  61. 

D'Acquino  Carlo  501  -  Daddi  Bernardo  788  -  Dall'Acqua 
Cesare  364  -  Dalla  Vecchia  L.  501  -  Dalmistro  Angelo 
413  -  DairOngaro  Francesco  402,426,  466 -D'Ancona  Vito 
369  -  Dandolo  Tullio  579  -  Daniello  Bernardino  455  -  Da 
Ponte  Lorenzo  534  -  U'Aubigny  Estelle  657  -  Dayman 
Giovanni  529  -  De  Alberlis  Sebastiano  370  -  De  Antonelli 
Ciriaco  587  -  De  Biasio  Domenico  407  -  Decaisne  362  - 
De  Gourbillon  Giuseppe  Ant.  510  -  Degli  Antoni  Andrea 
361  -  De  Gori  Augusto  653  -  De  Gregorio  564  -  De  Keiser 
406  -  Delacroix  Eugenio,  361,  363,  368  -  De  La  Fayelle 
Calemard  Carlo  497,  511  -  Della  Latta  P.  Eustachio  537  - 
De  Laderèze  363  -  Della  Marca  Antonio  499  -  Della  Scar- 
peria  Cosimo  502  -  Delatre  Luicji  786  -  Della  Torre  Tor- 
quato 366  -  De  La  Tour  M.  A.  569  -  Della  Valle  Giovanni 
611,  613,  616  -  Deleborde  Enrico  369  -  Delècluze  E.  25,  26, 
659,  784  -  Delius  790  -  Delomcle  Carlo  659  -  Dell' Otta- 
viana  E.  470  -  De  Pazzi  Alfonso  413  -  Del  Rosso  Jac.  600. 
785- Dell' Uva  Benedetto  496  -  Demeulin  505  -  Demi  Emilio 
403,  407  -  Denina  Carlo  564  -  De  Pans  Carlo  407  -  Depu- 
tati alla  correzione  del  Boccaccio  435,  442,  445  -  De  Rossi 
Giov.  Gherardo  510  -  De  Sanctis  Francesco  35,  440,  477, 
562,  666  -  Descamps  Antonio  409,  413  -  Descoudres  di  Duf- 
feldolf  363  -  D'Este  Alessandro  405  -  Di  Cesare  Giuseppe 
464,  579  -  Di  Costanzo  Giustino  580  -  Dieffenbach  M. 
704  -  Dies  Carlo  361  -  Dielz  789  -  Di  Lorenzo  498  -  Dio- 
nisi  Jacopo  306,  440,  477,  572,  580,  589,  621,  642,  644,  771  - 
Diotli  Giuseppe  365  -  Doellinger  95,  97  -  Dolce  Lodovico 
454,  600  -  Doltìn  Giov.  Paolo  501  -  Domenico  di  Michelino 
340,  395  -  Domenico  di  Maestro  Bandino  65  -  Domenico  P. 
di  Giovanni  da  Corella  421  -  Donizzetti  Gaetano  319  -  Don- 
nei 530  -  Donniges  G.  705  -  Dorè  Gustavo  366,  375,  383  - 
Drouilhet  de  Sigalas  Paolo  25,  331,  334,  347,  349,  659,  667  - 
Druman  707  -  Dumas  Alessandro  659  -  Duprel  Melchiorre 
640  -  Dusquenel  Amadeo  659  -  Dusi  Cesare  362. 

Eliot  Norton  784  -  Emiliani  Giudici  Paolo  65,  437, 452, 
463,  480,  486  -  Empoli  de'  Giacomo  348  -  Ermini  376  - 
Eroli  di  Narni  Giovanni  573,  610  -  Espalter  Giovanni  364  - 
Esquiros  Alfonso  661  -  Etex  Antonio  863,  383. 


INDICE.  807 

Fabì  Altinì  Fr.  405  -  Fabisch  Gius.  369  -  Fabrìs  Dome- 
nico 379  -  Fabris  A.  410  -  Fabroni  Angelo  65  -  Fanelli 
Giambattista  65,  585  -  Fanfani  Pietro  443, 444,  448,  490,  680, 
771  -  Fantoni  L.  746,  787  -  Fapanni  Fi".  Scipione  416,  552, 
682,  766,  783  -  Fardclla  Giuseppe  573  -  Farina  Achille  363, 
365  -  Farini  Ab.  Pellegrino  478  -  Fasolo  Francesco  653  - 
Fauriel  Car.  26,65,98,  430,  661  -  Fauveau  di  Felicita  363, 
425  -  Fazi  Antonio  573  -  Fea  Carlo  573,  580,  585  -  Februer 
Andrea  547  -  Federici  Fortunato  771  -  Feller  Fr.  65,  661, 
Fertiault  Fr.  26,  663,  784  -  Fernow  C.  L.  46,  683,  741  -  Fer- 
rari Giulio  459  -  Ferrari  Paolo  415  -  Ferrari  (avvoc.)  434- 
Ferroni  Pietro  477,587  -  Ferroni  Paolo  611  -  Ferrucci  Cat- 
terina  65  -  Ferrucci  Luigi  Grisostomo  400,  573  640,  648, 
771  -  Ferut  369  -  Fiacchi  Luigi  573,  771  -  Ficino  Marsilio 
54,  435,  495,  785  -  Ficher  55  -  Filalete  Giovanni  di  Sasso- 
nia 505,  536,  540,  543,  639  -  Filelfo  Francesco  65,  421 -Fi- 
letti Giulio  360  -  Filippo  da  Reggio  423  -  Finazzi  Giovanni  450  - 
Fiorentino  Pier  Angelo  497,  513 -Fioretti  Kenetto  564 -Fischer 
Antonio  683  -  Fittmann  790  -  Flandria  361  -  Flaxman  Gio- 
vanni 373,  375,  383  -  Flotto  Hartwig  65,  429,  663  -  Fon- 
tana 580  -  Fontani  Nicolò  369  -  Fontebasso  Giovanni  415  - 
Forleo  Leonardo  564  -  Forster  Carlo  535,  683, 784  -  Forster 
Francesco  683  -  Foscolo  Ugo  436,  439,  455,  456,  458,  478, 
500,  527,  528,  579,  631,  752,  771  -  Fossati  Luigi  65  -  Foucher 
de  Caréil  C.  663  -  Fournier  Francesco  362  -  Fracassetti  Gius. 
441  -  Francesco  di  Dante  493  -  Francesconi  573  -  Franchi 
Romualdo  362  -  Franck  Frane-  585  -  Frapporti  G.  585  - 
Fraschieri  Giuseppe  362  -  Fraticelli  Pietro  30,  52,  46,  48,  51, 
53,  58,  65,  434,  461,  468,  479,  500,  527,  528,  553,  581,  598, 
600,  625,  758,  771,  773,  776  -  Friker  Girol.  791  -  Fuchs 
46  -  Fumagalli  D.""  Brizio  413. 

Gaddi  Taddeo  393  -  Gagliazza  Giuseppe  407  -  Gayard 
411  -  Galilei  Galileo  422  -  Galilei  Yicenzo  310,  319  -  Gal- 
lina Gallo  377  -  Galvagno  Pietro  796  -  Galvani  Giovanni 
481, 573,  771  -  Gargallo  Tommaso  573  -  Gargani  390  -  Ga- 
row  Giuseppe  26,  712,  784  -  Gastaldi  Andrea  367,  368,  369  - 
Gazzeri  573  -  Gazzoletti  Antonio  418  -  Gazzotto  Yicenzo 
380  -  Gelli  Giambattista  422,  475,  476,  573  -  Gennellì  Bo- 
naventura 380  -  Genthe  F.  692  -  Gentili  Giovanni  496  - 
Gerstenberg  418  -  Ghedina  Giuseppe  406  -  Gherardi  Cri- 
slofano  369  -  Gherardini  Giovanni  771  -  Gherardo  Quinto 
413  -  Ghetaldi  Biagio  501  -  Giacomelli  Yicenzo  408  -  Gia- 
comelli Sofia  376  -  Giambellì  Carlo  564  -  Giambullari 
Francesco  422,  475,  476,  600  -  Giani  Francesco  367,  368  - 
Giannini  Crescentino  756  -  Gibertini  366  -  Gigli  Ottavio 
562  -  Ginguenè  663  -  Gioberti  Yicenzo  43,  53,  251,  327, 
329,  496,  564,  586,  627  -  Gioia  Alfonso  496  -  Giordani 
Pietro  314  -  Giotto  Stefano  329,  388  -  Giovanni  Paolo  de 


808  INDICE. 

Gudling  74  -  Giovanni  di  Paolo  339  -  Giovanni  Gherardo 
da  Prato  421  -  Giuliani  Giambattista  35,  60,  232,  334,  340, 
353,  396,  486,  487,  563,  581,  599,  628,  774  -  Giuliano  Bar- 
tolomeo 368  -  Giuliano  Francesco  363  -  Giusti  Giuseppe 
98,  101,  389,  413,  457,  458,  461,  465,  488,  615,  642  -  Go- 
rini  Emanuele  48  -  Góschel  430,  545,  683  -  Goujet  663  - 
■  Gozzi  Carlo  640  -  Gradenigo  Jacopo  498  -  Gradenigo  Gian- 
girolamo  305  -  Grangier  Baldassare  497,  505,  525  -  Granata 
Mauro  563  -  Grasse  Giovanni  65.-  Graul -Carlo  541,  544  - 
Gravina  Vicenzo  564  -  Grazinolo  di  Bambagliolo  437,  493  - 
Gregoretti  Francesco  30,  65,  471,  553,  597,  628,  644,  756, 
763  -  Grieben  Ermanno  684  -  Gròhman  Goffredo  65,  684  - 
Gualdi  Antonio  365,  407  -  Guarienlo  331  -  Guasti  Cesare 
328,  330,  343,  563  -  Guerra  Pietro  35,  592,  787  -  Guido 
Fr.  da  Pisa  493  -  Guseck  Bernardo  541,  544  -  Guzzoni  degli 
Ancarani  573. 

Hallan  F,  Arturo  712  -  Hancock  Giovanni  406  -  Hape 
C.  685  -  Hartmann  G.  787,  789  -  Hasse  H.  G.  97  -  Hauréau 
B.  658  -  Hegel  Carlo  685  -  Heigelin  Gio.  540  -  Heise  Teo- 
doro 775  -  Hillebrant  Carlo  663  -  Heroldt  Basilio  784  - 
Hòtler  Cost.  707  -  Hórwarter  Giamb.  540  -  Howard  Nata- 
niele  497,  527  -  Hume  Giuseppe  527  -  Humel  373. 

Idelfonso  P.  48  -  Imbrianì  573  -  Ingres  Giovanni  Dome- 
nico 361,  376  -  Israeli  580,  712  -  Jacopo  di  Dante  433, 
434  -  Jageman  C.  L.  535  -  Josqulnio  319  -  Justi  C.  685. 

Kannegiesser  685,  784,  785  -  Keil  G.  778  -  Kirkup  Sey- 
mour  388,  400,  700  -  Klacztko  663  -  Koch  Gius.  378  - 
Kòhler  Lud.  685  -  Kop  J.  E.  55,  705  -  Kopisch  Aug.  541, 
636,  645,  685  -  Kopitar  771  -  Krafft  Carlo  26,  685,  784  - 
Krone  Giulio  706. 

Labltte  Carlo  65,  345,  505,  514,  580,  657,  663,  664,  670  - 
La  Farina  Giuseppe  579  -  Lafayette  de  Calemard  Carlo  664 
Lamberti  743  -  Lambertini  Michele  367  -  Lamennais  F.  65, 
117,  517,  664  -  Lami  Giovanni  482,  749  -  Lampredi  Urbano 
573,  771  -  Lana  (della)  Jacopo  431  -  Lancia  Andrea  437  - 
Lanci  Fortunato  35,  307,  571,  577,  589  -  Landino  Cristoforo 
65,  421  -  Landoni  Teodorico  568  -  Landor  Savage  Gug.  712  - 
Lanfredini  405  -  Langer  Roberto  363  -  Lapi  376  -  Larese 
Moretti  Eugenio  407  -  Lasinio  Paolo  373,  377  -  Ledere  Vet- 
tore 666  -  Le  Dreuillc  A.  511  -  Leight  Hunt.  497,  712  -  Le- 
mcke  Fr.  686  -  Le  Normant  430,  667  -  Leoncavallo  Rug- 
giero 561  -  Leoni  Carlo  47,  417,  564,  797  -  Leopardi  Jacopo 
413  -  Levol  Florimondo  517  -  Libri  Gugl.  246,  587  -  Liesske 
A.  Rob.  686  -  Lindner  Alberto  789  -  Lindschrail  287  -  Lioy 
212,  247,  273,  276  -  Litla  Pompeo  65  -  Liverati  Carlo  Er- 


INDICE.  809 

neslo  367  -  Livizzani  Ercole  377  -  Lombardi  fra  Baldassare 
457,  738,  746,  771  -  Lombardi  Pietro  400  -  Longhena  Fran- 
cesco 590  -  Lorenzetli  Ambrogio  393  -  Lorenzo  Pittore  Mo- 
naco 394,  788  -  Lorenzo  di  Giovanni  da  Pisa  421  -  Lorinl 
Agramanle  567,  771  -  Lowositz  Giambattista  686  -  Lubin 
Ani.  26,  30,  617,  643,  649,  773,  789,  790  -  Luca  di  Leiden 
789  -  Lucchesini  Cesare  573  -  Lunelli  307  -  Luteri  417  - 
Lyell  Carlo  26,  713,  784. 

Macchiavelli  Giovanni  Giacomo  377,  743  -  Macchiavelii 
Filippo  745  -  Machirelli  Odoardo  778  -  Maffeì  Andrea  413  - 
Matìei  Giuseppe  65,  564  -  Magalotti  Lorenzo  243,  478,  573  - 
Maggi  Pietro  Giuseppe  306,  772  -  Maggiolo  L.  Fr.  511  -  Ma- 
gnier  Edmondo  667  -  Mainardi  Tomaso  361  -  Malagoli  Er- 
cole 483  -  Ma  la  pica  Cesare  426  -  Mala  testa  Porta  580  - 
Malatesli  Adeodato  368  -  Malpagbinls  Giovanni  420  -  Ma- 
iipiero  Troilo  313,  418  -  Malvezzi  Giuseppe  572  -  Mamiani 
della  Rovere  Terenzio  413,  564,  -  Mancini  Luigi  612  - 
Mancinelli  Gius.  361  -  Manera  P.  426  -  Manetli  Giannozzo  65, 
600  -  Manni  Domenico  M.  305,  496  -  Mantegna  Andrea  395  - 
Manuzzi  Gius.  463,  573  -  Marchese  P.  Vicenzo  329,  334,  337, 
338,  339,  343,  645  -  Maranghi  Amico  400  -  Marchetti  Gio- 
vanni 413,  621,  640,  644  -  Marcuccì  Giambattista  582  - 
Marenco  Carlo  418  -  Marianni  Annibale  368  -  Mariani  Elisa 
379  -  Marianno  da  Tortona  423  -  Marini  A.  379,  389  -  Ma- 
rini G.  477  -  Marinoni  Giovanni  567  -  Marsigli  365  -  Mar- 
telli Nicolò  573  -  Martini  Lorenzo  416,  586,  640  -  Martin 
T.  640,  713,  784  -  Marzo  de  Ant.  Gualberto  490  -  Masinì 
407  -  Massaccio  di  Ser  Giovanni  395  -  Massarani  657, 
662,  674  -  Massedaglia  573  -  Massola  Giulio  368  -  Mas- 
soni Papirio  65  -  Mauro  Domenico  630,  654  -  Mazzini 
Gius.  480  -  Mazzoni  Jacopo  306,  422,  564  -  Mecconi  Rai- 
mondo 573  -  Meinhard  545  -  Mehus  Lorenzo  597,  715  - 
Melchi  Giuseppe  358,  407  -  Meli  Giuseppe  367  -  Mendels- 
shon  686  -  Mercuri  Filippo  553  -  Merian  Giov.  Bern.  664  - 
Mesnard  M.  519,  522  -  Mezzanotte  413,  573,  771  -  Mica- 
ra  Clemente  640  -  Micchino  da  Mezzano  493  -  Migliara 
365  -  Milanesi  Gaetano  444,  788  -  Milesi  Rianca  405  - 
Milli  Giannina  413  -  Min  Demetrio  549  -  Minich  R.  Salva- 
tore 47,  51,  103,  257,  267,  269,  452,  454,  559,  588,  604, 
606,  650,  658,  682  -  Missirini  Melchiore  65,  394,  626  - 
Mocchi  Giov.  407  -  Molbech  Carlo  415,  548  -  Molinelli  P. 
670  -  Molmenti  Pompeo  368  -  Molossi  787  -  Mondini  Gia- 
como 368  -  Mongeri  Giuseppe  406  -  MongisT.  A.  65,  512- 
Montanari  Gius.  564,  573  -  Montani  E.  564,573,771  -  Mon- 
lebugnolo  Pietro  366  -  Montegut  Emilio  361,  376,  385,  389, 
513,  514,  519  -  Monti  Enrico  362  -  Monti  Nicolò  361  -  Monti 
Pietro  308,  569  -  Monti  Vicenzo  32,  248,  251,  252,  254, 
255,  274,  458,   461,  564,  748,  771,  -   Morali  Ottavio  743  - 


810  INDICE. 

Morghen  Antonio  360  -  Morghen  L.  373  -  Morello  Pelle- 
grino fi%  -  Morlacchi  Francesco  319  -  Morrione  Leonardo 
/il8  -  Molellì  Gaetano  363  -  Moulonnet  de  Clairfons  497, 
503  -  Mozzi  Marcantonio  496  -  Mucchio  da  Lucca  414  - 
Mugna  Pietro  690  -  Munro  A.  363  -  Murelo  Marcanlonio 
496  -  Mussafìa  790  -  Muzzi  G.  477  -  Muzzi  Luigi  478,  573, 
598,  642,  771,  776  -  Muzzi  Gaetano  744  -  Miiller  A.  704. 

Nannucci  Vincenzo  483,  573,  776  -  Napione  Galeani  de 
Cocconato  Giov.  574,  573  -  Nardini  399  -  Nenci  Fr.  376  - 
Nicoletli  Paolo  459  -  Nicolini  Giambattista  325,  329,  336, 
345,  414,  564,  573,  749  -  Nidobealo  e  Terzago  450  -  Nils 
Loven  548  -  Nonvrai  Uguccione  501  -  Nordman  Giovanni 
65,  686  -  Notler  Federico  686  -  Nuli  Luigi  373. 

Occionì  Onoralo  679  -  Oetlinger  Edoardo  65  -  Oeynhau- 
sen  C.  26,  687,  784  -  Olenschlàger  Giov.  704  -  Orcagna 
Andrea  334,  393  -  Orelli  T.  C.  65  -  Ottimo  (L')  435,619- 
Ottonelli  Giulio  496,  573  -  Ozanam  95,  102,  206,  216,  .225, 
430,  523,  582,  669. 

Paccini  (Maestro)  319  -  Palagi  Fr.  Giuseppe  800  -  Pa- 
lermo Fr.  447,  774  -  Palesa  Agostino  576  -  PanizziA.  480, 
757  -  Paoletli  Antonio  369  -  Paradisi  Agostino  414  -  Pa- 
ravia Alessandro  426,  564,  771  -  Parenti  Marcantonio  445, 
484,  571,  641,  771  -  Parini  Giuseppe  564  -  Parsons  T.  497, 
529  -  Pascal  Emilio  648  -  Pasqualigo  C.  763  -  Passerini 
Luigi  389,  395,  788  -  Patten  G.  364  -  Paur  Teodoro  65, 
687  -  Pazzi  Enrico  391,  404  -  Pederzini  32, 771,  772  -  Pe- 
drini  Bartolomeo  493  -  Pellaveri  Gaetano  367  -  Pellaveri 
Giuseppe  363  -  Pelli  Giuseppe  48,  65,  438,  496  -  Pellico 
Silvio  414,  418  -  Perazzi  Luigi  641  -  Perazzini  Bartolo- 
meo 477,  771  -  Perez  Fr.  608,  641  -  Perticari  Giulio  31, 
47,  126,  305,  307,  477,  771,  772  -  Perticari  Costanza  479, 
573  -  Pessina  Enrico  645  -  Petrarca  Francesco  441  -  Pelz- 
holdt  Giulio  416,  687  -  Pezzana  A.  573  -  Pezzarosa  671  - 
Panciani  G.  B.  573,  581,  585,  589  -  Pialtoli  Gaetano  362  - 
Piazza  Gaetano  502  -  Picei  Giuseppe  483,  601,  645,  771  - 
Piccini  Balbi  Doralice  573  -  Picchioni  31,  600,  640,  644, 
772  -  Piegadi  Alessandro  500  -  Pierino  da  Vinci  366  -  Pierotto 
Giuseppe  368  -  Pietracqua  Luigi  418  -  Pietro  di  Dante  438, 
620  -  Pietri  Pietro  496  -  Pievano  Antonio  di  Vado  420  - 
Piòvre  789  -  Pindemonte  Ippolito  476  -  Pinelli  Bartolomeo 
377  -  Pinet  Claudio  365  -  Piper  F.  687,  692  -  Piroli  Tomaso 
373  -  Pistrucci  373  -  Poccetti  Bernardo  372  -  Pizzo  780  - 
Podesti  Francesco  406  -  Poggiali  Gaetano  457,  741  -  Pola 
Paolo  418  -  Polentone  Sicco  65  -  PoUanzani  Giuseppe  416, 
684  -  Pollastrini  Enrico  368  -  Polidori  669  -  Pollock  Ferd. 
Uì  -  Poma  Marcantonio  35,  45,  440,  484,  582,  594,  602, 


INDICE.  811 

641,  645  -  Porta  Carlo  408  -  Porlirelli  L.  458,  740  -  Po- 
stiglione Raffaelle  379  -  Pozzetti  Pompilio  580  -  Preault  405  - 
Priiicigi  65, 754  -  Proiidnikoff  Michele  600  -  Provenzal  Aristide 
800  -  Pucci  Camillo  383  -  Puymaigre  Teodoro  672. 

Quadrio  Francesco  Saverio  564  -  Quinet  F.  65, 430, 672, 673. 

Raffaelle  Sanzio  345,  397,  405  -  Raffaelli  581  -  Raggio, 
Sensale  342  -  Rambaldi  Benvenuto  da  Imola  47,  423,  445  - 
Rambaldi  Giambattista  416  -  Rambaldi  Domenico  414  - 
Rambelli  Gianfrancesco  462,  587  -  Ranalli  Ferd.  258,  264, 
267,  326,  329,  331,  336,  337,  342,  345,  347.  393,  397,  398  - 
Ratisbone  Luigi  519,  520  -  Rathery  E.  J.  B.  674  -  Raumer 
Carlo  688  -  Redi  Francesco  65,  235,  573  -  Regis  Francesco 
496  -  Reynolds  365  -  Renzi  A.  477,  573  -  Repetti  Em.  581, 
597,  648  -  Reuchliu  97  -  Reumont  Alfredo  515,  688,  694  - 
Rezza  Eugenio  489  -  Rlieal  Sebastiano  382,  497,  506,  510, 
516  -  Riccardi  del  Vernaccia  Francesco  573  -  Riccar- 
do, Carmelitano  494  -  Ricci  Stefano  401  -  Rìcci  Teodoro 
611  -  Ricci  Domenico  573  -  RidolQ  452,  454,  455,  573  - 
Rietsckel  E.  405  -  Rigoli  Luigi  445  -  Rinucci  L.  Annibale 
473  -  Rinuccini  Filippo  65  -  Rio  329,  331  -  Rivarol  de. 
498,  506,  525  -  Rizzi  Lodovico  367  -  Roberti  Tiberio  382  - 
Robiola  Antonmaria  482  -  Robitaille  Ab.  667  -  Rocco 
Emanuele  623  -  Rogers  Carlo  Fr.  526  -  Roi  Pietro  367  - 
Rohmer-Buchner  35  -  Romanis  743  -  Romani  Matteo  472  - 
Ronna  A.  483  -  Ronto  Matteo  393,  493  -  Rosa  Morando 
Filippo  476,  496,  507  -  Rosenkrans  Carlo  689  -  Rosini 
Giovanni  418,  426,  564,  573,  741, 771  -  Rosmini  460  -  Rossetti 
Gabriele  414,  459,  464,  632,  641  -  Rossetti  D.  G.  26,  713, 
784  -  Rossi-Scotti  Giambattista  414  -  Rossi  Bastiano 
735  -  Rossi  Gherardo  771  -  Rossignol  692  -  Rotondi 
Pietro  459  -  Rottiger  Guglielmo  548  -  Rousseau  Giambat- 
tista 540  -  Rovatti  Giuseppe  414  -  Rubi  Andrea  418  - 
Rublo  Luigi  370  -  Ruga  743  -  Ruo  Giacomo  406  -  Ruth 
Emilio  689,  644,  790  - 

Sabatelli  Giuseppe  364,  376  -  Sabatini  G.  F.  418  -  Sacchi 
Defendente  65  -  Sacconi  Carlo  ed  Antonio  800  -  Saint 
Mauris  Vettore  517  -  Salfi  Aurelio  65,  564  -  Salutati  Co- 
luccio  65,  564  -  Salvini  Antonmaria  496,  574  -  Sanesi 
Nicolò  407  -  Sanleonini  Francesco  496  -  Sarto  (dal)  Andrea 
598  Sassetti  Filippo  496  -  Sauro  Giovanni  391  -  Saviozzo 
di  Siena  414  -  Seal  vini  Giovita  481  -  Scarabellì  Luciano 
442  -  Scaramuzza  Francesco  349,  365,  586  -  Sceviref  Rubini 
549  -  SchelTer  Ary  362,  364  -  Schelling  117,  642  -  Schenardi 
585  -  Schlegel  26,  98,  414,  693  -  Schlosser  C.  F.  492,  694, 
707  -  Schraiber  Gùgl.  97  696  -  Scolari  Filippo  30,  46,  60, 


812  INDICE. 

354,  477,  581,  641,  771,  772,  776,  796  -  Selmi  Francesco 
468,  575,  768,  790  -  Selvatico  Estense  P.  329,  330,  336,  381  - 
Semproni  Giov.  Leone  418  -  Serassi  Pietro  Antonio  65  - 
Sereno  Costantino  365  -  Seravalle  (di)  Giovanni  425,  494  - 
Sestini  Bartolomeo  418  -  Sicca  Angelo)  758,  771  -  Signol 
Emilio  361,  399  -  Signorelli  Luca  341,  396,  533  -  Silvestri 
Gius.  574  -  Simone  Maestro  di  Siena  414  -  Simpson  533, 
731-Sismondi  Sismondo  675  -  Smania  Michelangelo  800- 
Smergiassi  del  Vasto  Gabr.  367  -  Solitario,  (A.  F.)  Studio 
(li  un  473  -  Solitro  Giulio  571,  643  -  Sordo  Alessandro 
564  -  Sorio  P.  Bartolom.  454,  565,  566.  582,  589,  591,  596, 
763,  796  -  Speroni  Sperone  496,  564  -  Spilorno  B.  574  - 
Squario  Gabrielle  473  -  Stigliani  Francesco  Tomaso,  574  - 
Stiorre  I.  410  -  Stradano  Giovanni  269,  372  -  Stefano,  frate 
494  -  Straforalo  G.  527,  529,530,  531,  532,  533  -  Streckfuss 
Carlo  536, 544,  697  -  Strocchì  Dionigi  307, 574, 648  -  Strozzi 
Alessandro  574  -  Strozzi  Giovanni  574  -  Sturler  Adolfo 
383  -  Suzzi  Celestino  563. 

Taddei  Rosa  414  -  Taeffe  A.  497,  528  -  Tagliazucchì 
587  -  Taillandier  S.  Renato  103,  297,  430,  453,  505,  510, 
516,  519,  520,  526,  527,  533,  540,  548,  549,  551,  637,  659, 
659,  663,  672,  675,  690,  691, 703  -  Talentone  Giovanni  574  - 
Talia  P.  Giambattista  481  -  Tamburini  Giov.  446,  756  - 
Tanci  Mario  475,574  -  Targìoni  Tozzelti  234,  236,  238,  239  - 
Tartarotti  Girolimo  496  -  Tarver  J.  C.  409  -  Tasso  Tor- 
quato 481,  564,  748  -  Tasso  Francesco  368  -  Tassoni  Ales- 
sandro 481  -  Taverna  Giuseppe  574,  641  -  Tedaldi  Pietrac- 
cio  414  -  Teglia  (del)  Bartolomeo  423  -  Telani  Giuseppe 
553  -  Teodorani  E.  583  -  Terasson  Enrico  408  -  Terzago 
Guido  450  -  Testa  Francesco  500  -  Tiepolo  Jacopo  496, 
799  -  Tintoretto  Jacopo  347  -  Tiraboschi  Girolimo  65  - 
Theiner  35,  585  -  Thouar  Pietro  35,  552  -  Todeschini  Gius. 
570,  771  -  Tommaseo  Nicolò  30,  35,  48,  85,  86,  315,  318, 
340,  439,  465,  469,  501,  518,  524,  645,  652,  653,  749,  754, 
763  -  Tomaselli  Albano  407  -  Toncini ...  370  -  Tonini  L. 
574  -  Tonsi  (de)  Giovanni  Enrico  495  -  Topìn  Ippolito  522 - 
Torelli  Gius.  482,  587  -  Torelli  Serafino  415  -  Torelli 
Pomponio  496  -  Torri  Alessandro  416,  570,  642,  773,  775  - 
Torricelli  Fr.  Maria  34,  483,  564,  582,  585,  603,  604,  605, 
646,  648  -  Torti  Francesco  564  -  Toscani  Giovanni  288  - 
Trevisan  Gaetano  648  -  Trezza  G.  585  -  Triben  Ermanno 
430  -  Trifoni  Gabriele  496  -  Triqueti  Enrico  361  -  Trissino 
Fr.  459  -  Trivulzio  27,  32,  772  -  Troya  49,  51,  53,  57,  58, 
90,  558,  579,  644  -  Tucci  Martelli  Antonio  495. 

Ubaldini  Federico  496  -  Ugurgioni  Cecco  Meo  493  -  Dima 
Beniamino  364. 


IISDICE.  813 

Vaccolini  Domenico  242,  244,  24G,  574,  587,  772  -  Vala- 
porla  Francesco  367  -  Yandima  549  -  Yaneltl  Valerìano 
556  -  Vanni  Cosimo  579  -  Yan micci  Alto  448,  457,  502, 
579,  656  -  Yanozzi  580  -  Yarchi  Uonedelto  422,  495,  574  - 
Yasari  Giorgio  331,  336,  342,  344,  371,  393,  394,  396,398- 
Vecchioni  Carlo  564,  641  -Vedovali  Filippo  616  -  Yegezzi 
lUiscalla  523  -  Yegni  G.  652  -  Vcllulello  Alessandro  65, 
453,  600  -  YenUira  Giov.  578  -  Yenluri  Pompeo  456  - 
Yenturl  Pietro  51,  581,  589,  597  -  Yerali  B.  574  -  Yernon 
Waren  Giorgio  Giov.  434,  444,  459,  713,  756,  768  -  Yero 
Ausonio  799  -  Yertuno  Achille  368  -  Viani  P.  Bonaventura 

771  -  Yibert  Giulio  399  -  Yidal  Gaetano  548  -  Yillaerl 
319  -  Villani  Filippo  65,  420,  494  -  Yillardi  Francesco 
414  -  Yillegas  Ferdinando  547  -  Yillemain  520,  675  -  Vii- 
lena  Marchese  di  (D.Enrico  di  Aragona)  547  -  Vinci  Leo- 
nardo  342  -  Yiroilay  520  -  Viviani  Enrico  478,  747,  771, 

772  -  Yogel  de  Yogelstein  Carlo  351,  353,  363,  367,  369, 
id.  382,  697  -  Vogelwoide  di  Gualtiero  96  -  Yollo  Benedet- 
to 415  -  Yolpi  G.  4o5,  736  -  Yolpicelli  250  -  Yon  Adolfo 
379. 

Wagner  Adolfo  65,  697,  771  -  Wailly  Leone  374,  385, 
522  -  Watelel  509  -  Wegele  Francesco  698,  760  -  Wesley 
Tomaso  497,  532  -  Wezer  Corrado  704  -  Wilchie  Giuseppe 
533  -  Wild  388  -  William  OUlev  371  -  Winlerling  789  - 
Wismavr  Giuseppe  65,  699  -  Wi'ss  G.  706  -  Witte  Carlo 
30,  48,' 51,  60,  438,  502,  542,  598,  599,  634.  694,  699  704, 
759,  771,  772,  775  -  Wright  Tomaso  528,  580,  713. 

Zaccheroni  Giuseppe  574,  752  -  ZalTarini  Federico  368- 
Zamboni  Filippo  654  -  Zambusi  Confortini  Lucia  415  - 
Zanella  Jac.  771  -  Zanetti  Bonzino  407  -  Zanobi  Canovai 
367  -  Zanobi  da  Strada  493  -  Zanni  de  Ferranti  Aurelio 
486,  564  -  Zannini  Giamb.  418  -  Zappa  Gius.  603  -  Zappert 
Giorgio  692  -  Zappoli  A.  415  -  Zauli  Sejani  Ifigenia  415  - 
Zeloni  C.  65,  676,  784  -  Zeviani  G.  B.  574  -  Zinelli  Fed. 
35,  585  -  Zingarelli  Nicolò  319  -  Zoncada  A.  768  -  Zolli 
Romualdo  459,  600  -  Zolli  Raffaelle  554  -  Zucchero  Fede- 


INDICE  GENERALE 


Specchio  cronologico  della  vita  di  Dante 
Alligliieri,  e  degli  avvenimenti  contemporanei 
e  di  quelli  che  prepararono  il  suo  secolo,  con 
osservazioni  critiche  intorno  alle  opere  del 
Poeta  e  alla  loro  pubblicazione  3 

Biografi  ed  Elogisti  di  Dante  65 

Carattere  morale  di  Dante  66 

Amore.  G6.  -  Sua  fede  nell'  amicizia.  71.  -  Gentilezza  ili 
animo.  71.  -  Amore  al  vero:  Freno  all'ingegno.  72.  - 
Gratitudine  a'  benefizii.  72.  -  Confessione  deife  proprie 
colpe.  73.  -  Tempera  di  Dante.  74.  -  Amore  di  patria. 
Suo  esigilo.  75.  -  Dante  Cristiano.  81.  -  Devozione  af- 
fettuosa a  Maria  Vergine  e  a  S.  Lucia.  84.  -  Ritratto.  86. 

Politica  di  Dante  88 

Prlncipii  politici.  88.  -  Se  Dante  sia  siato  ghibellino. 
97.  -  I  diritti  dei  popoli  e  delle  nazioni  non  si  pre- 
scrivono. 105.  -  Altri  canoni  politici.  105.  -  Dei  Re,  e 
de'  loro  ministri  :  come  debbano  condursi  nel  governo 
dei  popoli.  107. 

Degli  studi  di  Dante  e  del  concetto  che  avea 
del  proprio  ingegno  e  delle  sue  opere  111 
Rrunello  Latini  gli  fu  maestro.  lU.  -  Ardore  che 
aveva  di  avanzare  negli  studi-  tll.  -  Grandezza  e  dif- 
ficoltà del  tema  assuntosi.  114.  -  Suo  amore  alla  lin- 
gua volgare.  118. 

Ammaestramenti  di  letteratura  121 

L'Arte.  120.  -  Ogni  arte  ha  i  suoi  confini.  122.  - 
Dello  Stile.  Difficoltà  dell'espressione.  123.  -  Il  dar 
colore  e  forza  alle  idee  col  suono  della  parola  ò  uno 
dei  uecessarii  requisiti  dell'arte.  124.  -  Studio  dei 
Classici.  125.  -  Necessità  dello  studio  per  conseguire 
l'abito  dell'arte  e  della  scienza.  127.  -  Modo  di  pro- 
cedere nel  rintracciare  la  verità  e  neirac(iu!Sto  delle 


INDICE  GENERALE.  S15 

cognizioni.  130.  -  Poesìa.  Definizione  della  poesìa.  132.  - 
Materie  da  irallarsi  colla  poesia.  132.  -  Stile  sublime. 
132.  -  Scienza  e  dottrina  necessaria  al  poeta.  132.  - 
Scelta  dol  subbietto.  133.  -  Eloquenza.  133.  -  Esordio. 
134.  -  Confutazione.  134.  -  Argomentazione.  135.  - 
Grammatica.  136.  -  Traduzioni.  136.  -  Conienti.  137.  - 
Letterali  venali.  137.  -  Giudizio  dell'opere.  137.  -  Ri- 
spetto reciproco  tra  ì  cultori  di  un  arie  medesima,  tra 
gli  uomini  di  lettere.  138. 

Filosofia  di  Dante  139 

Lodi  della  Filosofia.  139.  -  Desiderio  della  scienza.  La 
scienza  non  si  deve  nascondere  ma  comunicare.  140. 

Il  Vero  142 

Fuori  di  Dio  non  si  spazia  nessun  Vero.  142.  -  L'uo- 
mo appassionato  non  è  né  vero  né  giusto  estimatore 
di  se  e  delle  cose.  143.  -  Diflidenza  dei  sensi  nei  no- 
stri giudizi.  146. 

Cosmologia  Dantesca  147 

Metafisica  e  Psicologia  149 

Generazione  umana.  149.  -  Opinione  di  Aristotile  e  dei 
Peripatetici.  149.  -  Di  Avicenna,  di  Aigazel,  di  Pit- 
tagora  e  di  Aristotile.  150.  -  Immortalità  dell'anima. 
150.  -  Dell'Amore.  154.  -  Dottrina  sull' influsso  degli 
astri.  156.  -  Libertà  umana.  157.  -  Dell"  idee.  158. 

Fenomeni   che  precedono  accompagnano 
e  seguono  il  sonno  e  il  sogno  159 

Filosofia  Morale  160 

Nobiltà  e  grandezza  dell'  uomo.  -  Suo  fine.  -  Vita  umana 
che  cosa  sia.  -  Della  vita  speculativa  e  contemplativa. 
161.  -  Vanità  delle  cose  umane.  165.  -  Virtù:  in  essa 
ogni  vero  bene  ed  ogni  vera  grandezza.  Rende  l' uomo 
felice  e  libero:  come  se  ne  acquisti  l'abito.  Cammino 
della  virtù.  166.  -  Dell' api)elilo  sensitivo:  debbe  ub- 
bidire alla  ragione:  gli  appetiti  viziosi,  ove  a  tempo 
si  domino,  possono  cangiar  natura.  169.  -  Come  si 
debbano  comballere  e  vincere  le  passioni.  170.  -  Gradi 
diversi  del  male.  -  (ienesi  delle  passioni.  171.  -  Della 
Superbia.  173.  -  Dell" Invidia.  173.  -  Dell'Ira.  175.  -  Del- 
l'Accidia. 175.  -  Dell'Avarizia.  175.  -  Della  Gola.  187.  - 
Deirincontinenza.  177.  -  Prultezza  del  peccalo.  178.- 
Elà  dell'uomo.  -  La  vita  nostra  é  un  rammino  variabile, 
secondo  il  variar  dell' età,  che  richiede  studi  e  ope- 
razioni diverse.  179.  -  Riverenza  a'  Maggiori  ed  ai 
Maestri.  182.  -  Della  Bellezza  :  si  fa  manifesta  massima- 
mente nella  faccia,  ma  disfavilla  negli  occhi  e  nella 
bocca.  183.  -  Portamento  esteriore.  18i.  -  Della  Do»na: 


816  INDICE  GEISERALE. 

sua  bellezza;  quanto  è  più  semplice  è  più  bella.  In- 
verecondo vestire.  Doti  di  che  debbe  andar  fornita 
una  donna.  Pudore.  Paura  del  disonore.  Innanzi  a 
donna  non  si  tengano  parole  men  che  oneste.  A  chi 
debba  la  donna  concedere  i  suoi  affetti.  185.  -  Ver- 
gogna e  Verecondia.  187.  -  Amore.  188.  -  Amicizia. 
189.  -  Consiglio  e  Consigliere.  191.  -  Prudenza.  192.  - 
Pusillanimità.  193.  -  Fortezza  nelle  sventure.  193.  - 
Del  Tempo:  buon  uso  del  Tempo.  193.  -  Del  Parlare. 
194.  -  Lode  e  disprezzo  di  sé  stesso.  -  Lode  d'al- 
trui. 19Ì3.  -  Compagni  cattivi.  196.  -  Del  buono  e  del 
cattivo  esempio.  196.  -  Perdono  a'  nemici.  197.  -  Della 
Nobiltà.  197.  -  Delle  Ricchezze.  198.  -  Delle  virtù  ca- 
ritative: Pietà:  Misericordia:  Beneficenza:  Larghezza. 
Di  una  sorta  di  larghezza  detestabile.  200. 

Dottrine  Teologiche  201 

Della  Ragione  e  della  Rivelazione.  202.  -  Misterj.  204.  - 
Della  creazione.  205.  -  Degli  Angeli  e  della  loro  ca- 
duta. 205.  -  Depravazione  della  creatura.  207.  -  Della 
Redenzione.  208.  -  Prescienza  di  Dio.  209.  -  Giustizia 
dei  giudizj  di  Dio.  209.  -  Della  Grazia-  209.  -  Virtù 
cardinali  e  teologali.  210.  -  Della  Fede.  210.  -  Della 
Speranza.  211.  -  Della  Carità.  212.  -  Il  Peccato.  213.  - 
Confessione  sacramentale:  doti  di  un  buon  Confessore. 
213.  -Santificazione  delle  Feste.  216.  -  Efficacia  della 
preghiera.  216.  -  Digiuno.  217.  -  Volo.  217.  -  Culto 
delle  sacre  imagini.  217.  -  La  Chiesa  Cattolica.  218.  - 
Ss.  Scritture.  218.  -  Dell'anima  disciolta  dal  corpo. 
219.  -  Purgatorio.  220.  -  Inferno.  221.  -  Eternità  delle 
pene  dell'  Inferno.  222.  -  Paradiso.  223.  -  Necessità  di 
meditare  i  novissimi  per  l'acquisto  della  virtù.  225.  - 
Risurrezione  dei  corpi.  225. 

Del  Romano  Pontefice  226 

Ordini  Religiosi  232 

Cognizioni  Scientifiche  -  Fisiologia  234 

Piante  criptogame.  234.  -  Maturazione  delle  frutta. 
235.  -  Azione  della  luce  e  del  sole  sui  fiori  e  sulla 
vegetazione.  236.  -  Funzioni  della  vegetazione.  237.  - 
Circolazione  delle  piante.  238.  -  Natura  delle  piante. 
238.  -  Classificazione  dei  vegetabili.  239.  -  Coltivazione 
delle  piante.  239. 

Fisica  240 

Neve.  -  240.  Piogi-ia.  240.  -  Nebbia  -  Neve  -  Venti  - 
Tremuoto  -  Tuono  241.  -  Folgore.  242.  -  Acqua  e  fiu- 
mi. 242.  -  Flusso  e  riflusso  del  mare.  243.  -  Bussola. 
243.  -  Luce  243.  -  Arco  baleno.  245.  -  Pareglio.  246.  - 


1^'DICE  GENERA LB.  817 

Attrazione  universale.  247.  -  Antipodi.  248.  -  Grandi 
cataclismi  mondiali.  249. 

Matemàtiche  e  Geometria  251 

Dell'Aritmetica.  231.  -  Della  Geometria.  -  Del  Cerchio. 
252.  -  Tetragono.  2o3.  -  In  un  triangolo  non  possono 
contenersi  due  angoli  ottusi.  254.  -  L'angolo  d'in- 
cidenza eguale  all'angolo  di  rillessione.  264.  -  Linea 
perpendicolare.  254. 

Astronomia  255 

Diverse  età  del  giorno,  dal  primo  albeggiare  al  più 
fitto  della  notte,  dipinte  con  vaghezza  di  colori 
presi  dall'astronomia.  255.  -  Sole.  263.  -  Diametro 
del  Sole.  265.  -  Luna:  Teorie  del  poeta  sulle  macchie 
lunari.  265.  -  Aurora  Lunare.  266.  -  Alone  lunare. 
267.  -  Costellazione  della  Crociera.  268.  -  Le  tre  stelle 
vespertine.  269.  -  Venere.  270.  -  Mercurio.  271.  -  Marte. 
271.  -  Saturno.  272-  -  Giove.  272.  -  Stelle.  272.  -  Via 
Lattea.  273.  -  Il  Sole  è  sull'Equatore  al  punto  degli 
cquinozii.  275.  -  Zodiaco.  275.  -  Luce  Zodiacale.  275.  - 
Errori  astronomici.  276.  -  Errori  geografici.  278. 

Medicina  280 

Medici  ricordati.  280.  -  Della  generazione.  280.  -  Del 
cuore  e  del  sangue.  283.  -  Del  cervello.  284.  -  Del 
passo.  284  -  Del  cibo.  285.  Febbre.  286.  -  Macilenza. 

286.  -  Idrope  o  Ascile.  286.  -  Etisia.  287.  -  Epilessia. 

287.  -  Scabbia.  288.  -  Malattia  d'  occhi.  288.  -  Pazzia. 
289.  -  Pestilenze  e  luoghi  miasmatici.  289.  -  Asside- 
derazione.  290.  -  Paura  e  patemi  d'animo.  290. 

Giurisprudenza  Dantesca  e  specialmente 
penale  292 

La  Legge.  292.  -  Dell'imputabilità.  297.  -Della  pena.  299.- 
Del  Giudice.  302.  -  Del  giuramento.  304. 

Cognizioni  Poliglotte  305 

Dante  e  la  Musica  309 

Storia  della  Musica.  309.  -  Lodi   della  Musica.  311. 

311.  -  Musica  nel   Poema.  Tutta  la  Divina  Comedia 

piena  di  musica  e  di  armonia.  313. 

Musicografia  della  Divina  Comedia  319 

Dante  e  le  Belle  Arti  320 

Storia  dell'Arte.  320.  -  Dell'Arte.  32L  -  Difficoltà  della 
espressione.  422.  -  Fine  dell'Arte.  322.  -Inspirazione. 
323.  -  Dell'arte  cristiana.  323.  -  Potenza  artistica  dei 
poeta.  324.  -  Potenza  degli  artisti.  327.  -  Del  colorilo. 
327.  -  Del  modello.  327.  -  Luce  necessaria  ad  una  pit- 
tura. 328.  -  Capolavori  degli  artisti.  328. 


818  INDICE  GENERALE. 

Influenza  di  Dante  sulla  poesia  delP  arte 
della  sua  nazione  329 

Gioito.  320.  -  Guariento.  331.  -  Buffamalco  Buonamico. 
332.  -  LorenzelU  Ambrogio.  333.  -  Orcagna  Andrea. 
334.  -  Bartolo  Taddeo.  336.  -  Fra  Giovanni  da  Mugello. 
336.  -  Giovanni  di  Paolo.  339  -  Domenico  di  Michelino. 
342.  -  Signorelli  Luca.  341.  -  Leonardo  da  Vinci.  342  - 
Raggio,  sensale.  342.  -  Fra  Bartolomeo  di  S.  Marco, 
ossia  Baccio  della  Porta.  342.  -  Buonarotti  Michelan- 
gelo. 243.  -  Raffaello  Sanzio  d'Urbino.  345.  -  Tintoretto 
Giacomo.  347.  -  D'Empoli  Giacomo.  348.  -  Cornelius 
Pietro.  -  Cook  Giuseppe.  349.  -  Scaramuzza  Francesco. 
349.  -  Vogel  de  Vogelstein  Carlo.  351.  -  Bertini  Giu- 
seppe. 354.  -  Bigioli  Filippo.  357. 

Tele,  Affreschi  e  Sculture,  il  cui  soggetto 

fu  preso  dalla  Divina  Comedia  360 

Disegni,  Illustrazioni  ed  Incisioni  del  Di- 
vino Poema  •  370,  787 
Ritratti,  Statue  ed  altri  dipinti  riguardanti 

Dante  Allighieri  388,  788 

Dipinti  riguardanti  la  vita  di  Dante  Alli- 
ghieri 406,  789 
Incisioni  408 
MedagUe                                            409,  789 
Componimenti  poetici  in  onore  dell' Alli- 
ghieri 41 1 

drammatici  415,  789 

Soggetti  inspirati  dalla  Div.  Comedia         418 
Lettori  della  Divina  Comedia  418,  789 

Comentatori  431,  790 

Comenti  parziali  475 

Cementi  in  corso  di  stampa  490 

Comenti  inediti  493 

Traduttori 
Traduzioni  in  dialetto.  498.  -  Latine.  498.  -  Francesi. 
305.  -  Inglesi.  526.  -  Tedesche-  535,  791.  -  Spagnuole, 
Casllgliane,  Catalane.  547.  -  Svedesi  e  Danesi.  548.  - 
Russe.  549. 

Bibliografia  Dantesca  Italiana  552 

Vita  del  Poeta,  o  ricerche  intorno  la  sua  vita.  552.- 
Studi  critici.  560.  -  Studi  sul  Testo,  filologici  ed  illu- 


1^D1CE  GENERALE.  819 

mirativi.  564.  -  Illusiralori  di  qualche  verso  o  voce 
della  Divina  Comedia.  573.  -  Illustrazioni  storiche. 
574.  -  Dell'originalità  del  Divino  Poema.  580.  -  Storia 
del  Poema.  581.  -  Del  Cattolicismo  di  Dante.  581,  796- 
Filosofia.  585.  -  Cognizioni  scientifiche,  fisico-matema- 
tiche. 587.  -  Giurisprudenza.  587.  -  Cognizioni  Mediche. 
587.  -  Cognizioni  Astronomiche.  588.  -  Itinerario  della 
Divina  Comedia.  589.  -  Del  sito  e  della  figura  dell'In- 
ferno. 594,  791.  -  Lettera  di  Frate  Ilario.  597.  -  Lettera 
di  Dante  a  Cangrande.  598.  -  Allegoria  del  poema. 
600,  792.  -  Dei  Simboli  della  Divina  Comedia.  641.  - 
Del  Veltro.  644,  796.  -  Della  Matelda.  648. 

Bibliografia  Dantesca  Francese  655,  791 

Alemanna  677 

Inglese  708 

Codici  pii\  illustri  della  Div.  Comedia  714 

Edizioni  principali  729 

Edizioni  degne  di  menzione  in  corso  di 

stampa  763,  800 

Benemeriti  dell'emendazione  del  Testo        771 
Benemeriti  dell'  Opere  Minori.  771 

Serie  delle  Edizioni  dell'Opere  Minori        777 
Della  Vita  Nuova.  777.  -  Del  Convito.  780.  -  Della 
Monarchia.  781.  -  Dell'Eloquio  Vulgare.  782.  -  Delle 
Epistole.  783. 

Traduzioni  dell'  Opere  Minori  784 

Supplemento  786 

Indice  delle  persone  ricordate  nel  presente 

volume  803 

Indice  generale  814 


PQ  Terrazzi,   Giuseppe  Jacopo 

U'Ì?>U  Manuale  dantesco 

V.2 


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