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Full text of "Pancaçati-prabodhasambandhah, o Le cinquecento novelle antiche, di Çubhaçila-gani. Edite e tradotte per cura di Ambrogio Ballini"

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Subha-sila  Gani 

Pancacati-prabodhasambandhali 


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UNIVERSITY  OF  TORONTO 
LIBRARY 


WILLIAM  H.  DONNER 
COLLECTION 

^urchased  from 
a  gift  hy 

THE  DONNER  CANADIAN 
FOUNDATION 


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PAEArATI-PRA150DllA8AMBANDIIAjI.^g#^ 


LE  CINQUECENTO  NOVELLE  ANTICHE 


(UTBIlACir.A-GANI 


EDITE   E   TRADOTTE   PER   CURA    DI 


AMBROGIO  BALLINI 


FIRENZE 

TIPOGRAFIA   G.    CAUNE8ECCHI   E   FIGL 
l'iazza  Muutuua 

1904 


PANCACATI-PRAUODIiASAMBANDIIAH 


LE  CINaUECENTO  NOVELLE  ANTICHE 


CUBHACII.A-GANI  ^ 


EDITE    E    TRADOTTE    PER    CURA    DI 


AMBROGIO  BALLINI 


FIRENZE 

TIPOGRAFIA   G.    CARNESECGHI   E   FIGLI 
Piazza  Montana 

1904 


MAY    7tì70 


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INTRODUZIONE 


Di  Oubhacilagani  ,  autore  del  Pancacatiprabo- 
dhasambandhali,  sono  noti  i  seguenti  altri  scritti:  Bha- 
ratadikatlià  o  Kathàkoca,  composto  nell'anno  Samvat 
1509;^  Snatrpancacika;^  Danadikatlia;^  Vikrama- 
dityacaritra  ;  "*  Bliogaprabandba.^ 

Fu  scolaro,  come  anche  appare  dall'  introduzione  al 
nostro  novelliere,  di  Laksmisàgarasùri. 

Egli  compose  il  Pancacatiprabodhasambandhah 
l'A.  S.  1521.  Cosi  dice  di  esso  il  Weber/'  «  Eine  Sammluug 
von  596  (nicht  blos  500,  wie  der  Titel  besagt!)  anekdote- 
nartigen  Geschiclitcben,  Legenden,  Fabeln  etc.  Die  Gegen- 
stande  sind  aus  der  alten,  mittleren  und  neusten  Geschi- 
chte  entnommen,  und  ist  die  Sammlung  daker,  iibrigens 
auch  in  spracklicher  (besonders  auch  darum,  weil  der 
Autor  allerhand  moslemische  Ausdriicke  brevi  manu,  na- 
tiirlicli  mit  leichten  Umànderungen,  in  sein  Sanskrit  adop- 
tirt  hat,  so  z.  B.  in  der  zweiten  Erzahlung  Suratrana 
Sultan,  Mulana  Mollah,  topa  Miitze,  ma  sita,  °tika 
masjid  Moschee  etc.)  Beziehung,  von  hohem  Interesse, 
giebt  resp.  hier  und  da  sogar  wohl  auch  wirklich  histo- 
risches  Material  (cfr.  Ind.  St.   16,  159-161)  ». 

1  Ragendra  Lula  Mitra,  Noticesof  -^  P.  Peterson,  ibid.  a  pagina  -105. 
sanskr.  Mss.  Vili,  p.  1",  p.  163  n.  2710.  i  Deccan   College   Catalogne  p.  117. 

2  p,  Peterson,  Keporl  on  a  ■'-  P.  Peterson,  ibiil.  a  pagina  105. 
search  for  Sanskrit  Manuscri-  ''Die  llandsclu-iften  -  Verzei- 
pts   ili   the   yeai's   1881-SG,  pagina  2:35.      clini.sse  <l.  k.  Hiltl.  zìi  Ht'i-lin,  p.  1112. 


—  II  — 

L'  esame  anche  delle  sole  prime  novelle  basta  a  persua- 
derci come  gli  elementi  dialettali  frammisti  al  già  corrotto 
sanscrito  di  Oubliacila,  appartengano  in  massima  parte,  tra- 
sportati nel  novellare  sotto  veste  sanscritica,  al  volgare 
del  Guzerat  (es.  p.  6,  nov.  4:  alangaka;  p.  8,  nov.  11: 
van  (vadliù);  p.  9,  nov.  12:  kotidlivaga;  nov.  14:  kha- 
rasani;  p.  10,  nov.  14:  gliagataka;  nov.  15:  kapardika; 
p.  12,  nov.  18:  sadhu  (nel  significato  di  mercante  o  ban- 
chiere', uso  tutt' affatto  Guzeràti);  ibid.  :  bhari;  p.  13, 
ibid.  :  vakkharikà;  p.  14,  nov.  19:  mandayamasa;  cati- 
tam;  anglstikara  e  molti  altri  ancora).  Per  ciò  il  Blihler^ 
cliiamò  a  ragione  il  Panca catiprabodliasambandhah: 
«  a  barbarous  mixture  of  Gugarati  and  incorrect  sanskrit  ». 

Anche  dal  pracrito  Oubliarila  prese  Vocaboli,  sanscri- 
tizzandoli  (es.  p.  11,  nov.  17:  hakkita,  da  una  radice 
pràcritica  hakkay). 

Tali  influssi  dialettali  se  corrompono  la  lingua  del  no- 
stro novelliere,  così  da  renderla  veramente  «  a  barbarous 
mixture  »  e  se  gli  tolgono  per  ciò  ogni  valore,  se  lo  si 
considera  quale  opera  letteraria  sanscrita,  ci  offrono,  tutta 
via,  modo  a  conoscere  quali  principalmente  fra  i  termini 
dialettali  fossero  nell'  uso  letterario  di  quel  tempo.  Ciò 
rende,  non  di  meno,  l'esegesi  del  testo  assai  difficile  e  non 
poche  volte  ricorre  il  caso  di  dover  rimaner  muti  dinanzi 
ad  un  passo,  non  riuscendo  ne  a  darne  spiegazione  o  filo- 
logica o  semplicemente  logica,  ne  ad  intuirne  alcuna  pos- 
sibile congettura. 

Difficile  si  presenta  ad  una  esatta  versione  il  titolo 
stesso  dell'  opera,  il  quale  volendo  noi  interpretare  nel 
modo  più  letterale  che  ci  fosse  possibile,  dovremmo  tra- 
durre :  «L'istruzione  religiosa  per  mezzo  di  cin- 
quecento novelle  ».  E  pur  in  ciò  avremmo  alcunché  a 
dire,  però  che  sa  m  band  ha  non  è  certo  frequente  in  senso 
di  istruzione,  e  perchè  inoltre  saremmo  costretti  a  sot- 
tintendere la  parola  novelle.  Avremmo  potuto  dire  anche 

1  The  G'agaducarita  of  Sarvu-  g.irat;  nei  Sitzyngsberichte  d.  k.  Ak.  d. 
nanda  :  a  liistoricàl  romance  from  Gu-      W.  in  Wien.   Band  GXXVr,  1892,  p.  22. 


—  Ili  — 


«  parabole  »,  ma  ai  molti  aneddoti  di  indole  storica  e  mon- 
dana meno  si  addice  codesto  termine.  Per  ciò,  traducendo 
un  po'  liberamente,  ma  pensando  tal  titolo  omogeneo,  per 
l'indole  dei  racconti,  al  nostro  patrimonio  letterario  ita- 
liano, non  credo  sconveniente  volgerlo  con  la  frase  «  Le 
cinquecento  novelle  antiche  ». 

Il  samdhi  è  spessissimo  errato,  cosi  da  far  credere 
quasi  che  le  regole  ne  fossero  affatto  ignorate  dall'  A.  o 
meglio,  forse,  al  redattore  del  ms.  berlinese.  Costante  è, 
ad  esempio,  l'uso  di  avag  dinanzi  a  qualsiasi  lettera. 

Il  Weber  nota  l'importanza  del  novelliere  anche  dal  lato 
storico.  E  invero,  più  o  meno  particolarmente  si  tratta 
in  esso  di  molti  personaggi  noti  alla  storia,  e  alla  reli- 
gione dei  Gaina,  alla  tradizione  popolare  dell'India.  Sono 
essi:  Vardhamana,  Gautama,  il  Sultano  Firùz  II 
(Piroga  Suratràna),  Ginaprabha,  Gagasimha,  Ga- 
gadu,  Nanda,  Càtavahana,  Bhartrhari  ,  Vikramà- 
ditya,  Munga,  Bhoga,  Kumarapala,  Vastupàlavid, 
Dharmaghosa,  Hemasuri,  e  molti  altri  ancora. 

Fin  da  principio  si  parla  di  alcuni  di  essi  :  di  Firuz  II 
in  ben  sedici  novelle  (2-15,  17,  39),  di  Ginaprabha  in  dieci 
(2-7,  11,  16,  21);  di  Gagasimha  in  quattro  (12,  13,  14,  15); 
di  Gagadu  in  tre,  (18,  19,  20);  di  Bhoga  in  una  (41);  di 
Vastupala  in  una  (42)  e  così  via.  Ben  a  ragione  afferma 
per  ciò  il  Weber  l'importanza  storica  dell'opera  di  Cubha- 
cila.  E  in  vero  non  molto  discordano  le  novelle  nel  loro 
contenuto  relativo  ai  'personaggi  citati  (specialmente  a 
Firuz  II)  da  quanto  gli  storici  affermano  (veggasi  a  tal 
proposito  p.  4). 

Oltre  alla  citata  copia  di  vocaboli  arabi  e  dialettali 
sanscritizzati,  concorsero  a  rendere  l' esegesi  assai  grave 
e  dubbiosa  e  la  scorrettezza  massima  del  manoscritto  e  la 
mancanza  di  un  altro  esemplare,  su  cui  si  potessero  con- 
frontare le  forme  e  i  passi  incerti.  Tutto  ciò,  io  spero, 
varrà  ad  attenuare  un  po'  la  severità  del  giudizio  verso 
chi  si  cimenta  per  le  prime  volte  nell'arduo  agone  degli 
studi  indiani. 


IV    — 


L'  aver  pubblicato  poi  senza  ommissione  d'  alcuna,  le 
])rime  cinquanta  novelle  del  Pancacatiprabodhasam- 
bandhah  non  varrà  certo  a  dimostrare  da  parte  nostra 
che  di  tutte  si  riconobbe  particolarmente  tale  importanza 
di  contenuto,  da  essere  indotti  a  farne  la  edizione.  Il  desi- 
derio soltanto  di  dare  una  idea  più  ampia  ed  esatta  del 
testo  (e  nel  caso  nostro  credo  che  cinquanta  novelle  a  ciò 
bastino)  ci  ha  mossi  a  fare  pel  principio  ciò  che  non  fa- 
remo pel  restante  ;  poiché  di  questa  raccolta  metteremo  in 
luce,  nel  seguito,  soltanto  le  novelle  relative  ad  alcun  per- 
sonaggio più  noto  alla  storia   o  alle  leggende    dell'  India. 

Ci  sia  lecito  qui  esprimere  la  maggiore  riconoscenza 
verso  gli  illustri  maestri  F.  L.  PuUó  ed  Hermann  Jacobi, 
i  quali  oltre  ad  assisterci  nel  penoso  lavoro  della  correzione 
delle  bozze,  ci  furono,  ogni  volta  in  cui  li  richiedemmo, 
larghi  di  consigli  preziosissimi. 

A.  Ballini. 


ATEA  PANÓACATÌPRABODHASAMBANDHAH 
CUBHACTLAGANIVIRACITAH 


Yugadidevadima-Vardliamana- 

ntimaii  Ginaii  Kevalinah  pararne  ca,  | 

Cri-Pundarikadigurùn  yatimc 

ca  namamy  aliam  bodhisamadhihetoh.  ||  1 

kimcid  guror  ananato  nicamya, 

kimcin  niganyàdikacastratac  ca,  | 

grantlio  liy  ayam  Pancacatiprabodha- 

sambandhanama  kriyate  maya  tu.  1]  2 

Laksmisagarasùrinam  ^  padapadmaprasadatah 

cisyena  Cubhacilena  grantlia  esa  vidhiyate.  il  3 


1. 


ekada  Crl-Asfcapadatirthanamanaphalam  Cri-Vardhama- 
naginapàrcve^   crutva   Qri-Gautamasvami  yada  Astapada- 


1    Laksmisagarasuri  :    «boni.  (V.  Duff,  op.  cit.  pp.  230, 218, 261  e  Petek- 

saniv.  lierehadi-avadi  2;  dlksri  1170;  son,  Hep.  1886-92,  voi.  XVIII,  p.  xcvii). 

pannyasapada  1196;  vacakapada  2  Vardhaniaiia  (Maliavira),  of  the 

1501;  sfii-ipada  1508;  gaccchanaya-  tribe  (kula)  of  Iksvaku  and  the  Kagya- 

kapada   1517  ».   Klatt,  Patt  of  Ta-  pagoti-a,  sou  of  siddliartha,  king-  of 

pag.  N.  53.  Ind.  Ant.  XI.  Vedi  anche  Ksatriyakundagi-amanagara ,    and    liis 

DuFF,  Chronology  of  India  (West-  w'ife  Trigalà,  boni  caUra  sudi  tra- 

minster,  1890),  pp.  211,201.  Fu  maestro  di  yodacyàm,  died  (nirvana)  at  the  age 

gubbagllagani  e  scolaro  di  Munisundara  of  72,  Kai'tikamavasyàyam,  in  the  city 

Studi  italiani  di  fil.  Indo-iran.  1 


—  2  — 

tirtliasamipe  gatas,  tada  tatrasthas  tapasa  dadlij^ur:   «  esa 
kim  karisyati?  »  evam  tesa  dliyayatsii  (iiautamasvàmi   sù- 

5  rj^akiranan  avalambya  tirthasyo  'pari  yayaii.  tatra  Bliara- 
takaritapràsade    caturvimvatim   (rinendran    manapramana- 
dehakaravarnadikan  anukramena  vandate  sma: 
cattàri  atthadasa  do  ya  vaiidià  Ginavara  cauvvlsam  | 
paramattha-m-iddhi  aUlia  siddha  siddhim  marna  disantn. HI' 

10  tatra  devan  namaskrt3^a  tirthad  uttatara  yada,  tada  1503 
tàpasà  Gautamasvamivacasa  prabuddliàc,  càritram  gagrliuh. 
tatah  Cri-Gautamo  màrge  calaii,  kasiiiad  gràmat  cuddham 
ksirablirtam  patadgraliam  aniya,  svangusfcam  tanmadliye 
ksiptva,  sarvan  tapasan  bliogayamasa.  tesu  gematsu  Gau- 

15  tamasvamilabdhim  dhyayatsu,  500  tapasànam  kevalagna- 
iiam  gatain.  tato  vartmani  Ori-VardhamanagiiiaYarnanam 
crutva,  500  tapasanam  kevalagnanam  babhùva.  Prabliau 
drkpatliàgate,  503  tapasanam  giiaiiam  utpannam.  Gauta- 
masvàmi   kevalagiiauotpattim  agiianan,   tan   prati   pràha: 

20  «  Prabhoh  pradaksina  dasyante  ».  tatas  te  pradaksinam 
dattva,  3'ada  kevaliparsady  upavistas,  tada  Gautamah 
pralia:  «  ye  murkhàs  te  mùrkha  èva  Prabhniii  na  van- 
dante,  galpità  api  ».  tada  'vag  Vardhamànah  svami:  «  ke- 
valyacàtanam   ma  kuru  ».    Gautamah  pralia:  «  Bhagavan, 

zò  kà  kevalyàcatana?  »  tatah  Prabhima  tesam  kevalagnanot- 
pattisambandhah  proktah.  tato  Gautamah  tesàm  padan 
natva  ksamayitva  ca,  Prabhoh  purah  praha  :  «  yesam  aham 
diksam   dasye,   tesam   kevalagnanaip. ;    marna   na?  »   tatah 

5.  tirthasyo  'pari  ms.  9.  ittlii  ms.  12.  margre  ms.  14.  tisu 
gimatsu  ms.  18.  drgpathagate  ms.  27.  prahali  ms.  28.  da- 
syai  ms. 

of  Papà,  3  years  8  V.  monts  before  the  ganadharas  yielded  up  their  piipils  lo 

end  of  the  4thspokeòf  the  whellof  Urne.  Sudharmaii,  sonly  the  succession  of 

He  had  eleven  disciples,  the  ganadharas.  Sudharman,  the  hftli  gai.iadhara,  i_s  left 

His  hi'st  disciple  was  Gautàma  also  and  wil  remain  tiU  Diihprasahasiin  at 

c;dled  Indrabhuti  of  the  Gautaniagotra,  the  end  of  the   5  th  spoke  of  the  wheel 

son  of  the  Bruhinana  Vasubhun  and  the  of  time.  —  Klatt,  loc.  cit.  pag.  215-10, 

Brahmani  Prlhvl,  ijoru  ai  Govaragrama  N.  1  Pattavali  of  the  Karataragaccha.  j. 

Ili  iMagadlia,'died  (nirvana)  atRagajirha  i  La  traduzioneè:  «  catvai-a  asta- 

at  the  age  of  92,  12  yeàrs  after  Vira  's  da^a  dvau  ca  vandita  G'iiiavarac,  catur- 

Nirvana.  As  the  t^adluis,  consacrated  by  vimgatim    |    paramartha-rddhayo   "sta 

Gantaiiia,  died  early,  and  the  other  nine  Siddhuh  siddlnr  digautu  me  »  (0 


khedain    Gautame    dadliaiie,    Prabliuh    pràlia:    «  tavà  'pi 
kevalagiianam  bliavisyati  ».  w 

iti   Cri-Gautamasvamy-Asfcapadatirthavandanasambaii- 
dliah. 


ekada  Cri-Ginaprabliasurayah  '   Pirogasuratranena  -  sa- 
mam  gosthim  kurvàna  upavistàh,  tadà  tatra  mulanaka  aga- 


1  G'iiiaprabhasuri.  Fu  celebre 
commeiUatore  e  autore  di  opere  origi- 
nali. Commentò  il  Bhayaharastotra, 
in  Saketapura  (Ayodhyà)  (A.  D.  1307); 
l'Agi tacàntist.ava  di  Xandisena,  pu- 
re in  Saketapura,  nello  stesso  anno.  Col- 
laborò con  Maliisenasìiri  nel  commenta- 
rio alla  S y ad vàdam angari  di  Ilema- 
candra  (S.  1349.  A.  D.  1293).  Scrisse 
inoltre  :  S  ii  r  i  m  a  n  t  r  a  p  r  a  d  e  e  a  v  i  v  a- 
rana;  Vihipava  (A.  D.  1307),  Sande- 
h  a  V  i  s  a  u  s  a  d  h  1 ,  T I  r  t  li  a  k  a  1  p  a,  P  a  li- 
caparamestistava .  Fu  scolaro  di 
(Viuasimliasiiri.  { cfr.  Peterson,  Re- 
por  t,  1S8S-92,  voi.  XVUI,  p.  x.\xvil; 
DuFF,  Chronology  of  India,  p.  2U8; 
^Veber,  I.    S.   XVI,   223,   476). 

2  Pìroga-Suratr àna:  il  sultauo 
FIruz  ir.  G'alal-ad-Dlu,  capo  degli 
schiavi  afgani  al  servizio  militare  dei 
Sultani  di  Dellii,  avendo  usurpato  il  po- 
tere al  sultano  Cai  Qubàd  (12S7-1290),  ul- 
timo della  prima  dinastia  dei  monarcbi 
di  Delhi  (1193-1290),  sali  al  trono  all'età 
di  settaut'anni  nel  1290  (689  dell'Egira) 
col  nome  di  Flrùz  shah  II.  Non  sapendo 
se  la  sua  usurpazione  sarebbe  stata  ac- 
cetta al  popolo,  egli  fìnse  per  alcun 
tempo  di  governare  d' accordo  con  Cai 
Qubab,  ma  di  lui  ben  presto  si  sljarazzò, 
facendolo  assassinare.  Pochi  mesi  dopo 
esser  salito  al  trono,  fece  uccidere  an- 
che il  figlio  di  lui,  e  questo  fu  l'ultimo 
suo  crimme.  —  Le  rivoluzioni  avvenute 
durante  l' imperio  di  FlrQz  II  si  possono 
considerare  tra  le  più  grandi  ed  impor- 
tanti che  siano  mai  accadute.  —  Egli 
passò  dalla  più  grande  crudeltà  alla  più 
grande  magnanimità,  sia  che  a  ciò  l'in- 
ducesse la  sua  grave  età,  sia  che  un'ac- 
corta politica  gli  suggerisse  questo  cou- 
tegno.  La  sua  dolcezza,  la  saggezza  del 
suo  governo,  la  giustizia  de'  suoi  decreti 
gli  guadagnarono  ben  presto  l' auimo 
dei  sudditi,  cosi  che  1'  usurpatore  cru- 
dele del   passato   fu  posto  in   dimenti- 


canza e  non  si  vide  in  lui  che  un  ot- 
timo e  beneOco  sovrano.  Solo  i  grandi, 
per  loro  molteplici  cupidigie,  turbarono 
la  tranquillità  del  suo  regno,  con  fre- 
quenti cospirazioni  e  rivolte;  ma  Flruz 
ebbe  sempre  la  buona  ventura  di  uscir 
libero  dalle  prime  e  di  trionfare  su  le 
seconde.  I  popoli  circonvicini,  vinti  ogni 
qual  volta  lo  avevano  provocato  ed  as- 
salito, finirono  col  rispettare  amorevol- 
mente la  potenza  di  lui.  Ma  tutto  ciò  non 
valse  a  mantenergli  assai  lungo  tempo 
r  imperio  e  la  vita,  che  dal  nipote  suo 
'Ala-ad-Din  (poi  sultauo  col  nome  di 
'Ala-ad-Diu  Muhammad  Shah  I  1296- 
1316),  che  egli  aveva  tino  dalla  sua  in- 
fanzia colmato  di  benefizi,  fu  assassi- 
nato nel  1296  in  Luglio  (Ramazàn)  dopo 
soltanto  sei  anni  di  governo.  La  storia 
ci  ha  tramandati  alcuni  fatti  che  carat- 
terizzano l'animo  belligero,  ma  insieme 
mite  e  buono  di  Flruz  II;  la  tradizione 
popolare,  gli  atti  di  giustizia  e  di  sag- 
gezza, di  cui  non  pochi  esempì  abbiamo 
nel  novelliere  di  QubhaQila. 

Malik-Chhagù,  nipote  di  Ghiyàsu- 
ad-Dln  Balbaii  si  era  armato  contro  Fl- 
ruz, unito  ai  re  de'  paesi  vicini,  ma  tutti 
furono  vinti  e  fatti  prigionieri.  Il  Sul- 
tano ordinò  che  fossero  condotti  in  sua 
presenza,  e  a  loro,  che  si  attendevano 
da  lui  la  pena  di  morte,  egli  recitò,  me- 
ravigliandoli, un  verso  persiano  che 
suonava  :  «  È  facile  rendere  il  male  per 
il  bene,  ma  nulla  vi  è  di  più  grande  che 
pagare  il  male  facendo  del  bene  ».  Dopo 
di  che  tutti  li  rimandò,  liberi,  alle  loro 
case.  Mahk  Chhagu,  inoltre,  ebbe  dal 
Sultano  per  residenza  Multàu  e  una  forte 
pensione.  Con  tutto  ciò  i  nobili  della  me- 
desima tribù  di  Firùz  non  cessavano  dal 
cercare  ed  alfrettare  la  morte  di  lui.  Il 
sultano,  sapulo  ciò,  li  chiamò  a  sé  e 
disse  loro;  «Amici  miei,  io  sono  vec- 
chio e  voglio  finire  i  miei  giorni  senza 
spargere  sangue  ».  Ma  i  grandi  irritati 


—  4  — 

tàh.  ekeiia  mulànakeua  nigatopika  àkà96  ucchalità;  sa  ca 
taira  iiiradliarà  tasthau.  Suratranah  Qri-Griuaprabhasùri- 
sammukluuu  preksyà  'ha:  «  alio  mahad  accaryam!  »  sùrih 
pralia:  «  varyam!  »^  tatah  siìrina  tatrai  'va  stambhita.  tatah 
Suratrtiiio  'vag:  «  àuiyatàm  topikà  ».  tatah  sa  àkarsanaraan- 


per  non  aver  potuto  ottenere  quanto  de- 
sideravano (sopra  tutto  la  sostituzione 
di  'Ala  ad-DTu  al  vecchio  monarca)  co- 
spirarono contro  Fli'uz.  Scoperta  la  tra- 
ma, furono  presi  e  tratti  a  lui.  Effrli  al- 
lora ordiuò  che  ogni  guardia  uscisse 
dalla  sala  in  cui  egli  si  trovava,  e,  ri- 
masto solo  con  i  cospiratori,  snudata 
la  spada  e  gittatala  in  mezzo  a  loro,  gri- 
dò :  «  Chi  vuole  il  mio  sangue,  raccolga 
questo  ferro  e  mi  uccida  ».  A  queste  pa- 
role essi  tutti  piegarono  il  viso  e  chie- 
sero perdono  al  Sultano,  che  loro  pre- 
sentò da  bere  in  atto  di  amicizia. 

Nell'assedio  di  Rauthambor  volle,  più 
tosto  che  prendere  d'assalto  una  fortez- 
za, ove  alcuni  ribelli  si  erano  rifugiati, 
abbandonarla,  perchè,  in  caso  contra- 
rio, il  suo  trionfo  avrebbe  potuto  co- 
stare la  vita  a  troppe  persone. 

Poco  dopo,  avendo  vinta  una  batta- 
glia su  i  Mongoli  che  avevano  fatta 
un'  irruzione  nel  suo  impero,  offri  loro 
la  pace  alla  sola  condizione  che  essi  tor- 
nassero presso  le  loro  sedi. 

Uu  contegno  cosi  generoso  se  portò 
a  Firuz  l'amore  del  suo  popolo,  fece 
tuttavia  si  che  il  sovrano,  per  la  troppa 
bontà  non  riuscisse  ad  avere  autorità 
alcuna.  Ben  presto  per  ciò  le  sedizioni 
si  moltiplicarono  ;  bande  armate  infe- 
starono i  suoi  paesi  e  i  governatori  delle 
Provincie  imposero  balzelli  di  ogni  sor- 
te. Mentre  l'impero  trovavasi  in  tali 
tristi  condizioni  Firuz   fu  assassinato. 

Diamo  ora  alcune  delle  date  più  certe 
del  regno  di  Firuz  IT. 

1290  (Egira 689).  G'alal-ad- Din  pone  Sham- 
su-ad-DIn  Kaiomurs  (figlio  di  Cai 
Qubad  da  lui  assassinato)  sul  trono, 
per  finzione  verso  il  popolo,  ma  ben 
presto  lo  uccide  e  sale  all'impero 
col  nome  di  Firùz  Shàh  II. 

1291.  Rivolta  di  Malik  Chhagù.  Poco  dopo 
r  avvenimento  al  trono  di  Firuz  è 
da  lui  creato  governatore  di  Karra. 

1291.  Firùz  II  si  avanza  in  persona  con- 
tro la  città  di  Rautambhor,  ma  non 
riuscendo  a  prenderla,  piega  su 
Uggayini,  la  quale  egli  saccheggia. 
Dopo  aver  depredati  parecchi  tem- 
pli in  Màlava,   egli  torna,   assale 


nuovamente  Rautamlihor,  ma  poi 
le  leva  l'assedio  e  torna  a  Delhi. 

1292.  I  Mongoli  sotto  Abd-ul-lah  nipote 
di  llulaku,  invadono  l'indostan.  Fi- 
ruz li  sconligge,  ma  concede  loro 
di  ritornare  ai  propri  paesi  e  a  Ul- 
ghu  Khan  nipote  di  Chingiz  Khan, 
di  fermarsi  con  3000  Mongoli  in 
Delhi. 

1293.  Fli'uz  devasta  le  contrade  presso 
Mandawar  e  invade  e  saccheggia 
nuovamente  Malava.  Ordina  poi  suo 
figlio  Arkhall  Khan  governatore  di 
Ondh. 

1294.  'Ala-ad-Din  invade  il  Dekkan  e 
riesce  dopo  lunghe  incursioni  vit- 
torioso sul  Raga  Ràmadeva. 

1296.  Firùz  mentre  sospetta  della  pro- 
lungata assenza  di  'Alà-ad-Dlu  vuol 
procedere  per  il  Gwalior,  ove  rij 
ceve  novella  delle  vittorie  di  'Ala 
ad-Dln  e  del  prossimo  suo  ritorno 
a  Karra.  Firùz  torna  a  Delhi,  ed 
essendosi  di   là  mosso,  per  consi- 
glio dei  nobili,  alla  volta  di  Karra 
per  incontrare  il  nipote  vincitore, 
è  da  lui  assassinato,  dopo  di  che 
l'uccisore  si  impadronisce  delle  in- 
segne regali. 
(Cfr.  J.  Prinsep.   Essais   on  Indiati 
antiquities   which  useful  tables, 
ed.  w.  not.  and  addit.  mater.  by  Edw. 
Thomas  (2  voli.),  II  p.  310.  —  M.  Elphin- 
STONE,    Hi  story    of   India.   London, 
1811,  voi.  II  pp.  26-35.  —  C.  M.  DUFF,  The 
Chrouology  of  India,  p.  207-9,  312). 
Quanto  alle  forme  Suratrana  Pi- 
roga, si  veda,  ripeto,  iu  esse  una  san- 
scritizzazione  dei  due    vocaboli    arabi 
Sultan  Firùz  (Per  altre  trasformazioni 
della  parola  sultan  v.  Col.   H.  Yule, 
«  Hobsou-Jobson    being  a  Glossary  of 
Auglo-Indian  colloquiai  words  and  phra- 
ses  ».  London,  1886,  p_.  656).  Cosi  dicasi 
delle  forme   mulanaka   e    mulana, 
corrispondenti   all'arabo    moUah   (v^ 
Parasipr.  I,  480)  e  maslta  o  masltika 
(ar.  masiid,  moschea). 

Per  topikà,  poi,  v.  Paiicad,  p.  8,  9, 
29,  30  n'.  154.  Cfr.  anche  top  ara,  pag. 
272  n.  4. 

1  Sottintendi  k aromi,  o  karisya- 
m  i  :  e  cioè ,    «  saprò  fare   di  meglio  ». 


—  5  - 

tram  prayogaj'^amàsa.  param  nai  'ti  sa.   tatah   Suratranah 
praha:  «  G-inaprabhasùre,  tvam  anaya  ».  tatah  surina  ksipto 
ragoharanas,  tatra  gatva  topikàm  aninàya.  tatah  Suratrà-  io 
nac    camaccakre.    dvitiyadine    mastakasthavàribhrtaghata 
paniyahàrika    ragno    'gre    cacala,    tavat    tatha    mulanena 
krtam  yatha  ghatayugam  vyomni  niradharam  sthitam.  stri 
tv   agre   gata,  ghatam  mastake  'drstva  niradharam  ca  vi- 
ksya,  visismiye.  raga  citte  camaccakre.  tato  raglia  sa  pra-  i5 
camsito  yada,  tadà  guruh  praha  :   «  niradharam  galam  yadi 
tisfchati,   tada   varyà    kala  ».  tato  raglio  'ktah  sa  mulanas 
tatkalàm  aganan,  maunl  babhùva.  tato  gurunà  karenà'hatya 
ghatayugam,    galani   niradharam   sthàpitam.    ràgà    camac- 
cakre. ekada  Suratranena  Kànhada gramo  bhagnah.  tatra-  20 
tyah  Cri-Virapratimam  aniya  Yavanair^  Dhllyam^  masita- 
dvare  sopanakasthane  sthapità.  tata  ekada  Suratranah  Cri- 
sùriskandhe  hastam  dadhano  masltikayàm  yavat  pravicati, 
tavat  surir  Virapratimam  viksyai  'kasmin  parcve  sthitah. 
tada  Suratrano  Vag:  «  e  vani  kim  krtam?».   Grinaprabha-  25 
sùrih  praha:  «  Prabhur  devo'sti  ».  Suratrano  'vag:   «  ayani 
bhùtah   kim   ganati?    na  kimcit!  ».    sùrih  praha:    «  ayam 
devah  satyavàdì,  giiain  vidyate  ».  bhùpo  'vak:   «  tarhi  gal- 
paya  »,  sùrih  praha:  «  yada  svàmibhùtasthanakam  upade- 
càya  karyate,  tatra  mandyate,  pùgyate,  prcchyate  ca,  tatah  30 
prstam   kathayati  ».    tatah    svàmino    devagrham   karitam. 
yada  pratima  no  'tpatati,  tadà  sùrih  praha:  «  tvam  hastam 
lagaya,  yatlio  'ttisthati  ».  tatas  tathà  kàrye  krte,  pratimam 
tàm  devalaye  nivecya,  varyabhogena  pùgayitva,  antarà  va- 
stram  bandhayitvà.  ràgà  yadyadvamrasambandham  prcchati,  35 
tat  tasyo  'ttaram  datte.  priyàh  proktàh.  Suratrano  hrstah. 
cankayà  vastre  'pasarite  'pi,  tathai  'va  pràha.  tato  vicesato 

13.    yuugam    ras.  15.    visismiye    ms.  18.    kakarena    ms. 

23.  skandha  hastam  ms.         29.  svàmibhutali  con  sopra  sami  ms. 


1  Col  vocabolo  Yavana  indicavano  più  tardi  ancora  i  Maomettani,  nel 

gli  Indiani  gli  stranieri  (corrisponde  quale  ultimo  senso  noi  qui  dobbiamo  na- 

nel  concetto  al  ^aép^apci;  dei  gr.).  In  se-  turalm.  intendere  (Cfr.  Levv,  De  Indo- 

guito  passò  tale  parola  a  significare  spe-  rum  Yavanorumque  commerci  is). 

cialm.  i  Greci  (lavones,  launi,  lonii)  e  2  Delhi  oggi  pure  pronunciato  Dilli. 


—  6  — 

Virali   pùgitah,    Kanhado   Maliavìra  iti  khyàtir  abhut.  iti 
Kauliada-INralirivirastliapana-Griuaprabhaóaryasainbaudhah. 

3. 

ekada  Suratràno  grìsme  purad  bahir  vatavrkse  stlii- 
tah.  saccliàyam  vrksam  viksya,  praìia  (xinaprabhàgre  : 
«  3'adi  evamvidha  citala  cliaya  sàrdliam  ayati,  tada  'tiva 
sukliam  bliavati  ».  tatah  sùrino  'ktam:  «  samesyati  sar- 
5  dliam  vrksah  ».  tatac  calati  Suratrane,  so  'pi  vrksac  cacala 
sàyam  yavat.  paccad  vilokitam  sthanam.  tatra  giiatah. 
paccad  visargito  vrksah  svastliane  gatah.  raga  camatkrtah. 
vrksacàlanasambandliah. 

4.  samesyati  ms. 

4. 

ekada  Suratràneiio  'ktam:  «  (Tiiiaprabhasure,  tvam  vi- 
gno 'si;  katha3'a:  adyà  'ham  kasmin  puradvare  nihsarami?  » 
tato  Grinaprabhasurina  patre  likhitva,  miidra3Ìtva,  leklio 
'rpitah  Suratranasya;  proktam  ca:  piirasya  bahir  gamanad 
5  anu  vàcanlyo  lekhah  ».  tatah  Suratràno  vapra;Syai  'kavim- 
catim  alaiigakaparcve  ^  istika  apasàrj'-a,  bahir  nirgatah.  tato 
lekham  vàcayàmàsa  ;  yatha  nirgatas,  tathai  'va  likhitam 
abhùt.  ràgà  hrstah. 

iti  vapràlangakanirgamanasambandhah. 

2.  àdya  ms. 

5. 

ekada  Suratràno 'vag:  «  adya  'ham  kim  bhoksye?»  tatah 
sùrir  lekham  likhitva,  mudrayitvà,  dadau  :  «  gemanàd  anu 
vàcaniyah  ».  tatah  Suratranena  khalo  bhaksitah.  tato  lekhe 
vilokite  khalabhaksanalikhanam  drsfcam.  ràgà  hrstah. 

»  alaiigaka:  è  una  espressione  solito  °ka  finale  (come  in  raasltikà, 
guzerall  che  significa  «  una  tale  di-  mulanaka  (novella  2)  e  più  innanzi 
stanza  da  un  oggetto,  da  non  poter  es-  (14)_ghagataka),  del  vocabolo  guze- 
sereesso,  dal  luojio  in  cui  alcuno  si  tro-  rati  alanga.  Vedi  M.  B.  Bklsare,  Pro- 
va,toccato;  più  d'un  braccio  ».  Qui  ab-  nouncing  a  ^Etimological  Guza- 
biamo  la  sanscritizzazione,  mediante  il  rati-English  Dictionnary  pag.  35. 


—  7  — 


6. 


ekada  Suratràuo  'vak  :  «  sùre,  katliaya  :  carkara  kàsmin 
ksipta  ?  »  prsta  mantrinah,  panditah  prstàh  ;  kenà  'pi  no 
'ktam.  tadà  sùrir  gagau:   «  mukhe  ksipta  ». 

2.  pristeti  ms.         3.  yada  ms.  —  sùrih  ms. 


7. 

ekada  Suratrano  baliir  udyane  gatah.  maliat  sarò  ga- 
labhrtam  drstvà.  sarvesàm  agre  pràha:  etat  sarah  pùra- 
nam  vinà,  katham  lagliu  bliavati  ?  »  evam  prokte,  yada  na 
kenà  'py  uttaro  dabtas,  tada  surih  praha  :  «  asya  pàrcve 
dvitìyam  sarò  nialiattamani  kàryate,  tadà  bliavati  lagliu  ». 
ràgà  lirsfcah. 


8. 


ekada  Suratrano  Marustlialimadliye  samàyàto  yada, 
tadà  gràmanàryo  'ksatam  aniya  vardliayanti.  Suratrano 
dhanam  vitirya,  pràha:  «katham  àbharanarahitah  striyo 
drcyante?  kena  luntità  dandità  va?»  sùrinà  j)roktam  : 
«  iyam  Marusthali  rùksà,  dhanahinà  vidyate  ».  tatah  Sura- 
trànah  striyam  prati  catam  dinàràn  dattvà,  gotkaram  cakre. 

6.  striyam  2.  ms. 

9. 

ekadà  Suratrano  gagau  :    «  yathà  camatkaritirtha-Kàn- 
Ijadaka-Mahàvlro  'sti,'  tathà  'nyad  api  kim  asti?  »   tatah 
Catruhgayatirtliavyàkhyànam  krtam.  tatah  sa  Sangho  (ri 
naprabhasùriyutah  Catruhgaye^  gatah.  tatra  tlrtham  drstvà, 

1  V.  per   questo  nome  la  novella  2.       M  aliatili  y  a  m.  Abhantll.  fiii-  d.  Kiimle 

■-  (j'atnii'iyaya.    Su    (juesto    tlrtlui  v.       des  Mortienlandes  ;  iiei'ausg'.  v.  d.  deul- 

WiiBEK,    Ueber   das    gatrunyaya-      sciieii  niorgenl.  Oeselsciiafi.  Voi.  I,  n.  4. 


—  8  — 

5  camatlcrto  yadfi.  surili  pralia  :  «  miiktàphalair  ij'^am  Ràga- 
clani  3''adi  vardli3'ate,  tada  ksiram  gharati  ».  tatas  tatlià 
krte,  Ràgadani  ksiram  vrstià.  ragna  Saùgliapater  àcàrah  kà- 
ritah.  tatra  lekhito:  «  3^0  'sya  tlrtliasya  'vaguam  karisyati, 
sa  Gosvaminah  karoti  ».  tatas  tatra  saptarekha  karita  pa- 
io sànaih.  tato  'dliastàd  uttir^^a  sarvan  ganaii  prati  pràlia  : 
«  àtmìj^am  àtmiyam  devam  anayata  ».  tato  lokaih  svasva- 
devali  Hara-Hari-Brahma-Grinadir  anitah.  ragna,  sarvan 
devan  mandayitva,  prstam:  «  etesu  devesu  ko  vrddhah'?  » 
yadiì.  loko  na  vadati,  tada  Ginapratimam  mukliyasthaue 
1^  upavecya,  Hari-Brahmàdipratimah  parito  nivecitah.  svayam 
asane  upavicya,  paritah  sevakan  sayudhan  sthapayitva  'ha: 
«  ko  vrddhah?  »  loka  gaguh:  «  svanii  vrddhah  »  Suratrànah 
praha:  «  yady  evam,  tarhi  Gino  vrddhah;  sayudhah  sarve 
sevakàh  ».  tato  lokair  uktam:   «  prabhiivacah  pramanam  ». 

5.  imam  ms.         15.  upavicya  ms. 


10. 

tatah  Suratràno  Girinaragirau  gatah.  tatrà  'cched^^à- 
bhedhyam  pratimàm  Nemiiio^  gnàtvà  ghataih  sphiiliiiga- 
nihsaranaih,  Suratrànah  Prabhum  pranaraya,  ksamayitva 
ca,  svarnatahkakair^  vardhayamasa. 


11. 


Ginaprabhah  prstah  Suratranena:  «  bhumau  kim  pus- 
pam  vrddham?  »  sùrih  pràha:  «  [vaù]  vanni  gagatanka- 
natvat  ».^ 


1  È  egli  il  22°  Arhant  della  futura  Hobson  -Jobson,  pagine  682,  683). 
Utsai'pinl.  Gli  fu  eretto  un  tempio  in  3  Altro  esempio  di  Vocabolo  guze- 
Naddulapura  nel  1170  d.  V.  (Samv.  700)  rati  usato  da  (^Uibliagila.  vau  corrispon- 
da Raviprabha.  de  al  v  ad  li  5  sanscrito.  Ciò  detto,  chiaro 

■■^  Originariamente  il  taiikaka  era  ne  viene  il   senso:   «  Interrogato  quale 

d'argento,  aveva  circa  10  grani  di  va-  fosse  il  più  bel  fiore  sopra  la  terra,  ri- 

lore,  equivaleva  cioè  ad  una  terza  parte  spose:  [la  donna],  cliè  per  la  donna  è 

della   rfipya   (vedasi   Colonnello   Yule,  stato  fatto  (le tt.   impresso)  il  mondo». 


12. 


ekena  Suratranasya  'gre  proktam:  «  Gragasimhah  sà- 
dlmh  kùtam  na  gàlpati  ».  tatah  Snratranena  prstam  :  «  Ga- 
gasimlia,  tava  grhe  kiyad  dlianam  vidyate?  «tato  'ktam: 
«  kalye  katliayisyate  ».  tato  grlie  gatva  sàdliuh,  sarvagr- 
halaksmisaùkliyàm  krtva,  Suratranapàrcve  gatva,  pràlia: 
«  marna  grlie  84  laksah  heraataùkaka  vidyante  ».  tatah 
Suratranen^.  satyam  tam  giiatva,  16  laksàh  svakocad  da- 
pitam  ;  kotidlivagali  '  krtah  sali. 


13. 


ekadà  Snratranena  svaliaste  varyam  ratnam  grliitva, 
jjroktam  :  «  blio,  (lagasimha,  asmàd  ratnàd  anyat  kim  api 
maliad  varyam  ratnam  vidyate,  na  va?  »  sàdlinh  prcìha  : 
«  asmàd  varyo  Bliavàn  ratnam  ».  Snratrano  rangitah.  ba- 
linlaksmim  dadan. 

2.  G'agasiha  ins. 

14. 

anyadà  Ukecagnàtimukhyasàdliu-Gagasimliagrhe  ko  'pi 
khàrasani-vanik  ^  pancalaksatankakan  nyàsikrtya,  gatah. 
varsàni  gatani.  itas  tena,  Gagasimliam  mrtam  crntvà,  dhya- 
tam:  «  nyàsikrtam  dhanam  gatam  ».  punar  dhyàtam:  «  ta- 
S3^a  putro  Mulianasimho  vidyate.  tasya  pariksà  kriyate  ». 
tatas    tatrà   'gatya    sa    pralia    ca  :    «  blio  !    Mnlianasimha, 


1  Altro  vocabolo  di   uso   guzei-àtl:  Belsare,  1.  e.  p.  153).  Notisi  poi  che  due 

«kotidhvaji:a  ni.  s.  (s  +  dhvaga  a  volte  ricon-e  la  parola  khàras  ani  sen- 

bauuer).   A   man  ou  the  top  of  whose  za  il  vanik  (come  invece  nella  prima 

house  Ihere  is  a  bauner  to  show  that  forma).  Lo  supplisco  in  ambedue  i  casi.  Si 

he  posses  a  crore  of  rupees;  a  millio-  potrebbe  anche  intendere  khorasanl 

iiaire».  M.  B.  Belsare,  I.  e.  p.  138.  —  «[mercante  j della  città  di  Ivhorasan  »  (in 

V.  anche    Indische    Studien  15,   102.  Persia);  e  allora  l'omissione  delvanik 

*  khàrasanl  -  vocalìolo  {,nizerritl  nelle  due  forme  seguenti  alla  prima,  in 

indicante  una  pianta  particolare.  (Ved.  cui  esso  è  espresso,  sarebbe  spiegabile. 

studi  italiani  di  fil.  indo-tran.  2 


—  10  — 

tava  pità  maina  mitrain  abhùt.  maya,  tu  pai'icalaksataiì- 
kakii  nyasikrtàh:  tiiii  arpa3'e  'daiilm  ».  Mulianasimlio  'vag: 
«  yadi  marna  pitnr  aksaràni  darcayisyasi,   tada  'rpayisya- 

ii>  mi  >->.  tatra  parcve  'ksarani  na  santi,  giiagatake  '  gate,  Su- 
ratraiiaprircve  svanì  svanì  sanibandham  procatuh,  sa  klia- 
rasanl-vanik  pràlia  :  «  Bliavàn  pitiili  samani  karotu  ». 
Mulianasimhah  pralia:  «  pai'icalaksaih  pitaram  kiiii  vikrl- 
nlse"?  ».  tatah  paiicalaksaiii  dattàni.  tasmai  kliarasani-vanik 

15  praha:  «  simliàt  simlia  èva  gayate.  satyam!  »  tato  Mulia- 
nasimha  ekalaksena  paridhàpitah.  maitrikrtya  sa  Mnliana- 
simha  ubhayakàlam  pratikramanam,  trikalam  devapugam 
karoti.  sadliiin  viliaryai  'va  gimati,  varsainadli3^e  sadliar- 
mikavatsal3^atra3'am^  Sangharcatrayam  karoti  sma.  ^ 

7.  abhùta  ms. 


15. 


ekadà  Snratranasyà  'gre  kenacid  ratiiatrayam  vikretum 
anitaiii.  ratiiapariksakà  akàritàh  sarve.  ratnani  vj^àvarni- 
tàni.  tato  (ragasirnhaya  darcitani.  sàdliur  gagav:  «  ekam 
amùlyam;    dviti^-am   laksamùlyam  ».  raglia  jirstam:   «  ka- 

5  tliam  giiayate  ?  »  sadliur  gagau  :  «  prathamam  ghanagha- 
tacatena  'pi  na  bliagnam  ;  dvitiyam  gliauagliatadacakena 
manag  ucchvasitam;  trtiyam  giianagliatàd  dvidha  gatam, 
pratliamaghàte  niimdùkika *  suksma  nirgata  ».  tatah  sa- 
dkùr   mànitah.   tasya  vanigas   prathamaratnasya  laksatra- 

10  yam  dapitam  ;  dvitiyasya  ekam  laksam  dapitam  ;  trtiyasya 
kapardika^  dapita. 

2.  anitum  ms. 


*ghagataka:sanscriti7.zazionedel  Voi.  XHl,  1900  ed.  da  Ed.  L.  De  Stefani), 

vocabolo  guzerall   «ghagada»  =  lite,  3  Si  allude  qui  a  pratiche  gainiche. 

contesa.  (Cfr.  Belsake,  1.  e'  pag.  297).  ^  lisiste   in  san.sci-iio  e  in  guzerali 

2  sadh ai-mi ka (confratello), parola  il  vocabolo   manduka  =  rana.   Devesi 

(usata  tre  volte  anche  nella  nov. 25)  di  uso  ni  undukika  intendere  quale  diniinu- 

gainico.  Trovasene  esempio  in  Hemac.  tivo  di   un   munduka,  coi'ruzione  di 

Gramm.  Prakr.  (ed.  Stenzl.,  Bombay),  manduka?  (Bòtul^  sanskrit  Wor- 

2,10;  3,79;  hi  u'ttamacaritrakatluuiaka  terbùch:  manduki,Froschweibchen). 

(ed.  Weber,  sitznngber,  d.  K.  Ak.  d.  W.  •-  Conchiglia  ad  uso  di  nioneta.  Cosa 

z.  lì.  1884,  p.  281)  e  nella  «  Novellina  gai-  e  vocabola  di  uso  guzerati  («  a  coin  of 

nicadiMadiravatl»  (Giorn.  della  S.  A.  1.  very    low  vaine  »  Belsare,  1.  e.  p.  94). 


11 


16. 


ekasmin  pure  craddhamadhye  roga  utpannah;  katliam 
api  na  ni  variate,  tatah  craddliadvayam  Cri-Grinaprabha- 
sùripàrcve  [prejsitau.  ^  tau  craddliau  Ginaprabhasùrinàm 
dhyanam  kurvatam  parcve  ayàtau,  tavad  guruparcve  yu- 
vatidvayam  dadrcate.  tatas  tau  dadhyàtuh  :  «  gurùnàm  ^ 
strinam  parigralio  vidyate  ».  tato  yavad  valitau  stam- 
bliitau,  tato  dhj^ananantaram  te  devyau  procatuh  :  «  avàm 
katham  atra  'ulte  ?  »  gurubhih  proktam  :  «  yuvabhyàm 
CrI-SaÌLgliasyo  'padravah  kriyate  'tah  ciksa  dasyate  ».  tatas 
te  procatuh  :  «  adya  prablirti  CrI-8angliasyo  'padravo  na  io 
karyah  ».  tatas  te  visargite.  craddhadvayam  mutkalarn- 
gatam.  guravo  natàh,  strlsambandhah  prstah.  gurubhih 
proktam:  «  Bhavatàm  pure  craddhanam  upadravah  cru- 
tah:  sa  ca  'dhuna  nivàrito  'sti.  Bhavadbhyàm  drstara  ». 
tatas  tau  craddhau  svapure  gatva,  gurùttaram  gùàpita-  i^ 
vantau. 

1.  utpattah  ms.         3.  sitau  ms.         15.  guruttatam!  ms. 

17. 

ekadà  Medapatiyah  Palhako^  vaidyah  Suratranacikit- 
sàkrte  agato  'bhùt.  sa  ca  Komalasùricalayam  gatah.  tatra 
Cri-Tapagacchasùrivaranam  ^  tair  ninda  krta.  tatas  tena 
hakkitas^  te  yatayah  Komalàh.  tatah  kalir  gatah.  kesamcid 


1  Notisi  il  participio  passivo  al  dua-  que  medapàtyah  è  da  intendersi  co- 
le, errore  evidente  dello  scrittore,  il  me:  «originario del Mewar».— Inquanto 
quale  non  si  ricordò  che  il  soggetto  a  Pàlhako,  possiamo  intendere  il  vo- 
era  un  collettivo  neutro  singolare  e  cabolo  come  il  nome  proprio  del  medico, 
cioè   (l'anzidetto    craddhadvayam).  forse  appartenente  al  Tapagaccha.  Non 

2  mutkala  è  forma  piii  antiquata  saprei  in  quale  altro  modo  spiegarlo. 
(900  d.  C.  :  Cfr.  Upamitibha  vapra-  ''  Intorno  ai  maestri  e  discepoli  ap- 
paiica  kathà,  Edizione  di  Peterson  partenenti  al  Tapagaccha  e  al  Ka- 
e  Jacolji,  nella  Bombay-Sanskrit  Series,  rataragaccha  v.  Klatt,  Extracts 
p.  184)  di  mukkalam,  vocabolo  degl  from  the  historical  records  of  the  G'ai- 
signifìcante  svairam  (Vedasi  la  De-  nas,  by  Johannes  Klatt.  Phil.  Doct,  Ber- 
ci nani  a  ma  la  di  Hemacandra).  lin  (The  Ind.  Ant.  XI,  1882,  pp.  245-256). 

2  Medapata  è  il  Mewar.  Qui  dun-  ^  hakkitah   noni.  plur.   del  part. 


—  12  — 

5  liasto  bliagnah,  kesamcin  mukliam.  tatah  sarvo  vàdam  kur- 
vanah,  Suratrànapàrcve  gatàli.  Suratranena  sarvesàm  cestii- 
tam  gnàtvo  'ktam:  kasya  damlah  kriyate?  sarve  'nyayi- 
iiah.  adya  pi'ablirti  kena  'pi  kalalio  na  kartavyali  ». 

iti  saiiiatavam  Pirogasuratranasambaudliali.  iti  kiyanto 

10  (TÌnaprabliasùrInain  avadatasambandliàli. 

10.  sambaudha  ms. 


18. 


Bhadrecvarapure  velàkule  Crlmalagnatiya  -  Gagadusa- 
dliur  vasati  ;  ^  sa  ca  galasthalavyavasayam  karoti  sma. 
ekadà  Gragadùvanigo  ^  yànapatram  vastubliir  bhrtvà^  Ha- 


pass.  dalla  V'hakk'iyi  sanscritizzata 
(Memac.  IV,  134  —  nisedhati).  —  V.  Jaco- 
Ki,  «  Aiisgewahlte  Erzahlungeu  in  Màha- 
raslitri  »,  Leipzig,  I8S6,  p.  16,  22  (novella 
di  Bambhadatta);  75,  ìiS  (nov.  di 
Agadadatta).  —  V.  anche  Bharata- 
kadvatrimgika  nov.  8'  pubbl.  da  P.  E. 
Pavoliui  in  questi  Studi  1, 1897,  p.  54.  V. 
inoltre  in  questo  novelliere  p.  14  nov.  19. 

*  Le  tre  novelle  cbe  ora  seguono 
(18,  19,  20)  trattano  di  G'agadii,  perso- 
naggio assai  noto  nella  storia  dell'India, 
vissuto  nel  xiii  secolo,  e  del  quale  si 
trovano  cenni  nei  Qrl-IIarsacarita 
di  Bana,  nel  Vikramànkade vaca- 
rita  di  Bilhana,  nella  Kirtikaumudi 
di  Somegvara,  e  nel  Sukrtasankìr- 
taua  di  Arisimha. 

Georg  Biihler  nei  Sitzungsber.  d. 
Kais.  Akad.  d.  Wissensch.  in  Wien,  pub- 
blicò nel  1892  (Band.  CXXVI)  un  G'a- 
gaducarita  di  Sarvananda  (The  ,Ta- 
gaducharita  of  Sarvananda,  a  bistorical 
romance  from  Gugarat)  facendo  prece- 
dere il  testo  da  una  introduzione  in  cui 
lo  traduce  in  parte  e  in  parte  lo  sinte- 
tizza e  parafrasa,  e  dando  inoltre  spie- 
gazione di  tutte  le  forme  dialettali  o 
barbare  contenute  nello  scritto  di  Sar- 
vananda. Egli  poi  ha  prese  in  esame,  pub- 
blicate ed  annotate,  e  in  qualclie  passo 
tradotte,  le  tre  novelle  del  Pancagatl- 
prabodhasainbandhah  di  yubhac-I- 
la,  che  trattano  di  G'agadii,  e  ha  chiuso 
il  suo  breve,  ma  importante  studio  su 
questo  personaggio,  aggiungendo  copia 


notevole  di  particolari  su  la  vita  di  lui 
e  sceverando  la  parte  leggendaria  dalla 
istorica.  L' aver  trovate  tre  delle  no- 
velle che  sto  pubblicando,  messe  in  luce 
da  un  cosi  grande  maestro,  non  mi  ha 
fatto  un  sol  momento  restar  dubbioso 
su  quanto  avrei  dovuto  fare,  sul  ripor- 
tare ciò  è  integralmente  il  testo  e  le 
note  di  lui. 

Comincerò  intanto  col  citare  le  sue 
parole  intorno  al  nome  G'  aga  d  fi  :  «  G'a- 
gadii or  G'agadu  is  the  nominative  of  a 
diminutive  in  da,  formed  from  the  lìrst 
half  of  a  proper  name,  beginning  with 
G'aga,  in  sanskrit  G'agat.  In  this  case 
the  etymon  is,  as  the  traditions  asserts, 
G'agadeva  (now  pronounced  G'agdev), 
in  sanskrit  G'agaddeva.  The  diminu- 
tive affix  da  is  as  common  in  Gugaratl 
as  in  most  Prakrits.  The  formation  of 
the  nominative  masc.  by  il  or  u  instead 
of  by  0,  is  rare,  but  occurs  e.  g.  in 
varu  «a  wolf»,  which  like  G'agadu 
is  treated,  not  as  a  nominative,  but  as 
a  new  stera.  Du  for  do  would  he  cor- 
rect  in  Sindhi,  to  which  the  Kacchl 
dialect  in  closely  allied  »  (1.  e  p,  8). 

1  s  a  d  b  u  means  bere  «  a  banker 
and  merchaut»  and  corresponds  to  Gu- 
garatl sau  or  sahu,  which,  as  well  as 
saukara,  is  the  common  terni  for  a 
banker  and  wholesale  dealer. 

2  I.  e.  «a  trader  (in  the  service)  of 
G'agadu». 

3  ■i'his  is  GuzaràtI  bhari  «  haviug 
fiUed  .. 


—  13  — 

rimagadvipe^  gatah.  taira  vakkharikà-  grliità.  vastu  iittà- 
ritam.  krayavikraye  ^  kartum  lagnah.  tatra  ca  bahavo  vak-  5 
kharikah  santi,  ekada  dvayor  vakkliarikayor  antare,  maliaii 
prastaro  niryayau,  sa  ca  baliih  karsito  'ntaràle  sthàpitah. 
tasyo  'pary  upavicato  dvav  'api  vanigau.   kramad  vi  vado 
gatah.    ekah   kathayati  :  ^    «  madiyah  ».    aparo  'pi    vakti  : 
«  madiyo  'yam  ».  evam  vivàde  gate  ragaparcve  gatva,  'pa-  io 
rena   vanigà   sahasratrayam   tankakanam    mùlyam  krtam. 
Gagadùvaniga,    baliu   dlianam   dattvà,   sa   prastaro   grhito 
yame  ksiptah.  ^-anapatram  calitam.  Bhadrecvaraughakan- 
the  ^  samagatam  j^avat,  tàvad  ekena  narena  Gagadupàrcve 
proktam  :  «  Bhavato  vanigakah  pracuram  dhanam  upàrgyà,  i5 
'gatah:  varya   eko    mahàn   pasàna    anito  'sti.    tena  geliam 
api  bharisyatj  ».    iti    hasyeno  'kte,  G-agadiih  praha:    «  va- 
nigo  yadi  vargyam  ca  'vargyam  ca  'nayanti,  tao  chresthinah 
pramànam  èva.  yadrcam  bhagyam  dhanikasya,  tadrg  èva 
vastv  ayati,  làbho  'pi  tadrk  cai  'va  bhavati,  atra  vicàro  na  20 
kriyate  ».    tato   Gragadùh    samudratlre   tasya    sammukham 
gatva  san  maham^  vanikputram  prastaram  ca  svagrhe  nl- 
tavàn  praha  ca:   «  lokàgre  hasitena  ruditenà  'pi  karmanah 
purah   ko  na  buddati?''  varyara  krtam   anena.  marna  ma- 
hattvam    raksitam    anena  ».    tato   grhasyà  'ligane  muktah  25 
prastarah.  jadà  Gragadùh   prastarasyo  'rdhvani   upavicati, 
tadà  cintayati  :  «  prthivim  dhanarpanat  sukhinim  karomi  ». 

4.  vaskharikàh    ms.         5-6.   vaskhàrìka    ms.  6.    vaskharai'i- 

kayo°  ras.  8.  vauigo  ms.  10.  yagaparcve  ms.  pr.  m.  13.  Bha- 
dre^vararoghakante  ms.  21.  G'agaclu  ms.  22.  vanigputram  ms. 
24.  but.hthati  or  buttati  ms.         25.  grhasyammane  ms. 

1  Orniuz:  «The  Verfival  inscription  3  The  ms.  adds  kaye  before  kar- 

of  the  reign  of  Argunadeva  (Ind.  Ant.  tum.  The  author  uses  the  two  nouns  as 

voi.  XI.  p.  212)  gives   fot'   Ormuzd  the  iieuters. 

transliterations    Hurmiga   and    Har-  ■'<  This   is  the   Guzaratl  kaheche. 

muga.  QubhaQlla  seems  to  have  tried  •■[11  Bhadre? vararoghakanthe 

to  make  the  name  sound  more  like  an  del  manoscritto  potrebbesi   correggere 

Indian    word.    The    Racchi   merchants  anche  cos'i:    BhadreQvaropakante 

traded  in  olden  tinies  and  stili  trade  a  che   varrebbe    quanto   nelle    vicinanze 

good  deal  with  the  towns  on  the  Persian  di  liliadre^vara]. 

Gulf  (BiiriLER,  1.  e,  p.  23,  n.  1).  '■  inahau  is  the  usuai  abbreviation 

'^  This  is  G'ugariitl  vakhara  «a  va-  for  mahattara,  the  modem  meheta. 

rehouse  »,   compare  also  Ilemacandra,  ■  «  Who  is  iiot  overwhelmed  (i.  e. 

Deci  Namamàla  VII  45  vakkhàrayam  put  to  shame),  if  he  laughs  or  weeps 

raighare.  about  his  affairs  before  people?  » 


-  14  — 

tato    giiruparcve    prastarasvaru])ain    proktani    prastarama- 

tlhve  kim  api  varyaiii  vidyatc.  tato  vidàrya,  prastaro  vilo- 

■M\  kitah.  sapadalaksamulyàni  ratuàni  nirgataiii.  babvi  laksmir 

gata. 

iti  prastararatnaprapti-(TagadusainbaiKlhah. 

28.  svarupaiu  ins. 

19. 

Bhadrecvare  Bhadalabbùpo  ragyam  cakre.  Pattane  Vi- 
salaragnah  sevam  karoti.  Solagacrestbinah  crestbinah.  Crì- 
devi  patni.  putra  Raga-G-agadù-Padmaraga-Mallabva  ba- 
bbuvub.  iVagadùsadbah  samudratire  battam  mandayamasa.^ 

5  ekada  Gagadtipàrcve  yànapatrikah  samudrastenà  agatah. 
taib  proktam:  «  asrnakam  ekam^  yanam  madanabbrtam 
catitam^  asti;  yadi  Bbavato  recate,  tada,  dbanam  dattvà, 
grabyam  ».  tada  Gagadùs  tatra  gato,  mulyam  dattva,  yana- 
patram  madanabbrtam  lalau.  cakatani  bbrtva,  G-agadugrbe 

10  sameta  Gagadukarmakara  Gagadùpatnyah  purah  procuh  : 
«  Gagadusàdbuna  madanam  grhìtam  kutro  'ttaryate?  »  Ga- 
gadupatni  praba:  asmakam  grbe  madanam  pàpaniban- 
dbanam  no  'ttaryate  ».  taya  tu  no  'ttàrayitum  dattam. 
tato  madanestika-*  grbangane   Limbavrksasya  'dba^  utta- 

15  ritàh.  Gagadub  patnya  samam  kalabam  cakre.  bakkiia 
vakti  :  «  madanavyavasaye  babu  papam  lagati  ».  tato  mitbah 
kalim  krtva,  rustau.  Gagadub  priyam  na  galpayati.  patni 
Gagadum  na  galpayati.  evam  masatraye  gate,  cìtakalab  sa- 
magatab.  Gagaduputrena  'ngistikam*^  krtam.  tatra  trnàdlni 

1-2.  Visalaragah  ms.         2.  Sàntarga»  ms.         3.  ràga padmara 

padmaràga"  ms.  5.  patraika  ms.  8.  G'agadii  tatra  ms.  —  1 1  v  a  ms. 
11.  ku9ettàryate  ms.  13.  mi  no  'ttarayituin  ms.  14.  grhingane  ms. 
15.  G'agadu  ms. 

1  Tliis  is  GuzaràtI  mandyo  «began      istika  instead  of  istaka. 

to  make  ».                           '  '  &  li m b a d o  is  tlie  Gugarati  for  n i m- 

2  [ommesso   nel  testo   del   Buhler].  ba,  wheuce  bere  liiuba. 

3  This  is  Guzarali  gadyum  «  bas  e  angistikam  is  a  transbtei-ation 
beeu  oblained».                    '  ofGuganUl  aùgithi  or  angxtbum  n., 

4G'ainamaiiuscriptsinvariably  speli      wbicb  meaus  a  kiud  of  small  beai  in, 


-  15  — 

ksipati  tapanartham.  ito  balacapalyàd  ekam  madanestikàm  20 
angistike    ciksepa.    madanam   galitam.  ^    suvarnamayìstikà 
drstà  patnyà.  patny  agalpanty  api,  dhanalobhag  G-agadum 
prati  praha  :  «  ito  vilokyatàm  ».  tato  Gagadùli  sammukliam 
api    rusto    na  vilokayati.    tatah    patnyo  'ktam  :    «   atmano 
madauestika  svarnestika  gatà  ».  tatah  sammukliam  yavad  2:. 
vilokayati,  tàvat  svarnestika    drstà.    tato    'n^'àsàm    istikà- 
nam    pariksà    krta.     svarnestika    gnàtàh.    tatac    chanriam 
sarvàh    svarnestika  grhamadhya  anìtàh.  madanam  prthak 
krtvà    vikritam.     pai'icacatapramànah    svarnestika    gatah. 
tatah    patui   patini   pràha:    «  gurava    àkàryante:    gurùkte  30 
dharme  dlianam  vya^^yeta.  dlianam  eàcvatam  na  bhavati  ». 
tato  gurava   akaritah  sumahotsavapùrvam.   guravo    mada- 
nayyavasàyam  krtam  Gagadùsàdliuna  crutva,  Gagadùgrlie 
vihartum   na   yacitah.^  tato  guravah  procuh  :    «  asmàbliic 
calyate  ».    tato    guravo    devavandanàrtham    ksullakayutà  35 
akaritah.    guravo    grhe    devàn    vandanti.    tadà    ksullakah 
pràha  :    «  Bhagavan,    Clagadùgrlie    kim    Lanka    samàgatà  ? 
ito  vìksyatàm  ».  tato  gurubhih  svarnestika  drstvà,  Gaga- 
duh   prstah  :    «  kàs    tah    svarnestikàh  ?  »    Gagadùh    pràhe 
'stikàgrahanasambandliam  sarvam.  tato  guravo  hrstà  Ga-  40 
gaclùsadhunà  vihàritàh  ;  sva  upàcraya  àgatàh.  tato  Gagaduh 
pràha:  «  maya  madanabhràntye  'stikà  grliltàh.  gàtàh  svar- 
namayi.^  uccair  na  galpyate  ràgabhayàt.  tankànàm  kotir 
gàta  Gagadùgrhe.   ' 

[iti  svarnestikapràpti-Gagadusambandhah].  1  45 


20.  ika  ms.         22.    patnim   ms.         23.  pràlia  ora.  ms.         24.  ru- 
stora  ms.  —   patnyektam    ms.  25.    "iiastika    ms.         26.    tatopah 

srasàm  ms.  27.  guata  ms.  28.  sarva  ms.  —  anità  ms.  30.  gu- 
rùkte ms.  31.  vyayete  ms.  34.  nayamvi  ms.  39.  kah  sva 
svarne"  ms.         43-44.  koti  gatà  ms. 


made  of  bricks  in  a  hole,  in  order  to  2  yacitah  is  used    in   the  sens  of 

roast  green  ears  of  «'nvùr  and  otliei-  tlie  active. 

gi-ain.  This  is  a  favorite  amnsement  of  3  This  is  witliont  a  doubt  a  mistalie 

the  cliildi-en  in  Gugarat.  coniniitted  by  the  author,  as  it  agrees 

1  This  is  used  in  tlie  sanse  of  Gu-  with  te  Guzarral  idioiu. 

garutl  galaynm  «  was  nielted  >».    '"  ■'  Tlie  nianuscr.  omits  the  colophon. 


—  16  — 


20. 


ekada  gurabliih  samvat  1315,  1316,  1317  varsatraye 
bliavi  durbhiksani  gnatam.  tato  bhasàsamityà  (ragadusa- 
dliuv  guapitah.  tato  Gagadùsadlmr  grame  grame,  pure  piire 
vanikputràn  dlianyamùfcakalaksapramànan  sangràhaya- 
5  masa.  tatas  tasmiii  duhkale  samàgate,  112  mabasattràgàra 
manditàh.  ^  tesu  manusj^asahasradacapancacag  gimanti.^ 
ràgauah  sidauto  'bhavan  dbànyam  vinà.  astau  mudhakà- 
saliasràni^  Visaladevasya  ràgnah  Pattanasvamino  dadau; 
dvadaca  mùdhakasahasran  Hammirabhùpasya  'rpitavan.  ito 

10  Gaganisuratràno  Gragadusadkusamipe  dhànyam  yàcitum 
agatah.  tada  Gragaduh  sammukam  gatah.  Suratraneno'ktam: 
«  tum  kona  ».'  (ragaduh  pràha:  «  hiim  Gagadil  ».  tatah 
Suratranah  praha  :  «  nyayena  tvam  gagatpita,  yatas  tvaya 
danàt  [sarvalokagivitam  raksitam]  ».^  tato  dhanyam  yaci- 

15  tam  Suratranena.  Gagaduh  pràha:  «  grhyatam  ».  tatah 
kosthàgare  "  rankanimittam  ,,  ity  aksarani  vlksya,  Sura- 
tranah praha  :  «  aham  paccàd  yasyami.^  rankanimittam  dha- 
nyam uà  grhìsye  ».'^  tato  Gagadùr  asya  rankanimittavya- 
tirikta-ekavimcatimùdhakasahasramitam    dhànyam    Sura- 

20  trànàya  dadau.  ^ 

2-3.  sàdhù  gùa°  ms.       4.  vanig  ms.       10.  yaciutum  ms.       11.  G'a- 
gadù  ms. 

1  [V.  novella  19,  4;  pag.  11,  nota  1].  quii-ed  in  order  to complete  the  sentence. 

2  The  authof  means  to  say  500,000  <•  «  l  shall  go  back  »  i.  e.  «  I  recede 
men  ;  ginianti  is  the  Gugarail  game  fVom  my  request  »,  according  to  the  Gu- 
ohe  «dine»,  which  the  Marvadis  prò-  garatl  idiom. 

nounce  gime  che.  "  ■;  This  incorrect  form  is  commouly 

3  mudhaka  (or  mutaka)  is  formed  used  by  the  Yatis  and  must,  therefore 
according  tolhe  Gug-arailmud  ho  ava-      not  be  corrected. 

riant  for   mudo   (is  a  measure,  either  »  The  ms.  has  G'agadil  and  omits 

=  25  Ser,  or  =  160  Man).  sahasra,  which  latter  is  required,  as 

^  The  ms.  has  two  iiidistinct  signs,  the   Carità   shows.   The  author   meant 

the  second  of  which  seems  to  be  ko,  to  say:  «  Theu  G  agadu  gave  to  the  Sul- 

written  with  a  Prsthamutrà.  The  que-  tau  graiu  to  the  amcjuiit  of  21,003  IMutas, 

stion   probably  was  in  the  vernacular,  which   was    in   excess  of  that  destiiied 

sinc_e _G 'agadu 'sauswer  is  also    in    Gu-  for  tlie  i)oor».  In  accordance  with  the 

garatl.  custom  of  the  Gugaratls  he  has,  howe- 

5  The  bracketted  words  are  not  in  ver,  left  out  some  of  the  case  termina- 

the  ms.  But  a  phrase  of  thekiud  is  re-  tions,  qompare  above   pag.    15  note  3. 


30 


—  17  — 

attlia}^^  mùdhasahassa  Visalarayassa  bara  Hammivil 
igavisa  Surattane  taim  dinna  Gagadu  dubbhikkhe.  ||  1.  ' 
danasàla  G-agadùtain  keti  liul  samsari 
nau  karavali  mania  gè  tehim  aggala  viari.  1|  2.^ 
sattràgàre    Pattanaparcvasthe  raga  Vlsalo  gatah.  tatra 
maniisyrin  vimcatisaliasramitan^  gimato  drstva  raga  Gagà-  25 
dilsadlium  prati  pralia:  «annam  tava  'tra  'sta.  glirtam  marna 
parivesyatàm  ».  tatlia  krfce.  ghrte  nistbite  '  ragna  Visalaril- 
giia    tailam   paryavesyata.    pura  Gagadùh  svasmin  sattrà- 
gàre gbrtam  paryavesayat.  tato  'nyada  raga  Gagadùpàrc- 
vag  gigikarayan.^  crutva  caranah  praba: 

«  Visala  tùm  virila  karaim  Gagadu  kabavai  gi 

tùm  na  mavaim  pbalaam  sum  uà  na  mavai  gbl  ».  !|  1  " 

tato  Gagadùsadbuh  108  Ginaprasadàn  karayamasa.  Cri  - 

Catruiigaye  savistaràyatratrayam'^  cakara  varsamadbye  sa 

dbarmikavatsalyastakam  sangbarcastakam.  aneke  dlnaduh- 

stbà  uddbarita  dbànyadànat. 

iti  (xaiiadùsadbusambaudhab. 


20.  ba  Hammira  21.  "vTsa  ;  nittha  ms.  22.  danasàgala  ms. 
23.  maula  ms.  —  aggala  viari  ms.  27.  rivesyatam  ms.  28.  pa- 
ryavesyate  ms.  —  Gagadu  ms.  29.  pavyavesaj^ati  ms.  31.  viruini 
kamraim  ms.         32.  namavaimphalam  ms.  —  thi  ms. 


1  The   meli-e   of  the   verse  is  Arya,  4  nlsthite   means  hei-e   «  fiiiished, 
The  language   is   the   Apaliliramga,  or  iised  ui)  ». 

old  Guzaratl,   used   by  the   bai-ds.  The  r,  The  participle  of  the  presentseeiiis 

ti-anslatiou    is  :    «  asta    mutasahasrani  to  have  beeu  used  bere  in  the  seuse  of 

Vlsalaràgaya.dvadagàllamnui-aya.eka-  the  pi-eterite  ad  of  the  con-esponding 

vimcatih  sui-atranaya  dattaui  tvaya  he  Guzaratl  kai-avato:   «  Once  the  kiug 

G'àgadu' durbhikse  >>.  caused   tlie    exclamatiou    gl^  gì    (Uve 

2  Meti-e,  Dohà.   The  translation  is:  long!)  to  be  mad_e  by  G'agadu  ». 

«  G'agaddevasya    danncalali    kiyatyah  «  Metre,  Doha.  The  translation  is: 

santi   loke  [urthad  asankhyah  santi]  '|  «  he  Visala,  tvam  virupam  karosi  (yatl 

yatha  karavàle  nianibhih  lab'hih  agra  G'agadu  give  Hi    kaUiayasi.    tvam    na 

vikrtih  [cobha]  kriyate||'».   I  owe   the  mapayasi  [bahu  dadasi]  phalanirgata'.n 

expianation  of  the  second  line  to  Pro-  [tailam   ity  arthahl.sa  [tu]   pacya   na 

fessor  Piscile  1,  who  proposes  to  write  in  mai)ayati_lbahu  d_adali]  ghrtam.  pakse 

the  first  line  dàuasàla  and  keu  hùi.  tu   dvit_iyardha_sya    'rthah.    tvam   [tam 

In  my  opinion   danasàla  may  staud,  G'agadum]    phalani   giro   namayasi.  sa 

as  we  have  the  mixed  dtalect  of  the  [tu]  pagya  ghrtam    dharmaputram  na- 

bards,  which  foUows,  not  the  rules  of  mayati  ». 

the  Apabhramga  of  the  grammarians,  7  The  faulty  ferainine  savistarahas 

but  the  usage  of  the  Guzarfitls.  beeu  caused  the  custom  of  the  Guzaràtìs 

3  Kegarding  gimato  see  above  p.  to  write  the  partsofa  compound  separa- 
le n.  1.  tely  viz.  savistara  yatra  trayani. 

studi  italiani  di  fil.  indo-iran.  3 


—  18  — 


21. 


IO 


ekada  Cri-G-inaprabhasurayah  pure  pure,  grame  grame 
devan  namaskartum  calitàh.  Cri-Aliammadàeranama  Piro- 
gasurat ranella  salia  Devagirau  praptah.  tatra  tesam  pu- 
rapravecamaliotsavena  bahudlianam  vyayitam  rraddhaih. 
5  G-inaprabhasùrayah  sarvesu  prasadesu  devàu  iiamaskrfcya 
grliacaityani  vaudamana  Gagasimliagrlie  gatah.  tatra  va- 
ryavaiduryaratnamayasphatikaratnamayasvarnamayarùpya- 
mayapratima  vavande  surih.  tatas  tadgrhatirtham  drsbva, 
sùrayo  mastakam  adhunayan.  tato  G-agasimliena  prstaii  : 
«  cirah  kasmad  dlmnitam '?  »  garavo  gaguh  :  «  asmabhih 
stilane  stilane,  grame  grame,  pure  pure  deva  validità,  gu- 
ravo  'pi  vanditah,  param  adliuna  ekam  idam  bhavadgrlia- 
caityam,  aparam  Gangliaralapure.  tatra  Qrl-Somatilakasù- 
rayo  ^  vanditah.  aio  'dliuna  tlrtliadvayam  sarvotkrstain 
1"'  manasi  aj^atam.  atah  ciro  dhùnitam.  tirtliavandanena  ]nuk- 
tisukham  argyate.  yatah: 

Ariliantanamukkaro  glvam  moei  bliavasaliassau 
bbavena  kiramano  boi  puno  bobilabbae  1  1  ^ 
dbarmagiio,  dharmakarta  ca  sada  dbarmapravartakah, 
20       satvebhyo  dliarmacastrartbadecako  gurur  ucyate.  !|  2 
agnànatimirandbanam  giiananganacalàkayà 
netram  unmilitam  yena,  tasmai  Cri-gurave  namah!»   |3 

1.  pure  2,  grame  2  (ripetuto)  ms.  2.  calitah  ms.  6.  gatah  ms. 
9.  adhuyan  ms.  —  tatah  ms.  —  prsta  ms.  11.  pure,  Una  volta 
sola  ms.  12.  vanditah  ms.  —  param  adhunah  ms.  l'ò.  tapa  ms. 
18.  bohilàe  ms. 

1  grl-Somatilaka:   boni   Samv.  gi-I-Nabhisanibli  ava"  grlcaiveya' 

1355  Maglie;  dllcsa  13G9;  suripada  137i;  iiy    adliii_  bahiuii    stavaiiani.    Ile 

svarga    U2I.    Composed  :    Vrhanna-  gave  the  siu-ipada  successively  to  Pad- 

vyaksetrasainasasutram,  Satta-  nialilaka,  G'andi-aQekhara,  Oayaiiainla 

risayatlianam,  Yatrakhila"  G'ay a  aiid  Devasuudara.  (Klatt,  Iiid.  Aiit.  art. 

Vrsabli'a-  gastacarma"  vrttayah,  cit.  Patt.  of  Tnpag.  p.  255). 
gritlrthai-àga"  catiirartlia  stulis  2  La  traduzione  è:  «Adiaiiiiamaska- 

tadvrttic  ca,   gubhabliavaiiatah"  roélvam  mocayati  bliavasahasrat  )  bha- 

gi-im'ad-Vlrain  stuve   ity  adi  Ka-  vetiakriy  amano  bhavati  puiini-  bodlii- 

iiialabaiidhastava ,      giva^irasi"  labliaya  ». 


—  19  — 

iti  dliarmopadecara  crutva,,  dharinistliauusthauanuragam 
ca  gnàtvà,  Gragasimliasàdhuh  savicesam,  Ci'i-Giuaprabliasu- 
rinam  bhaktim  cakre  varyavastrauiiapanadànàt. 

iti  Cri-Griiiaprabliasuri-Devagiripraptisambaudliah. 


22. 


sadharmikavatsalyaplialam  muktirarmaprapakam  crut- 
va,  G-agasimhasadhur  Devagirau  360  pramanan  svatuiyaii 
V3^avaharino  dliaiiavyavasaj^adisàunidhyàkaranadibliyah  sa- 
dharmikamc  cakre.  tatah  pratidinam  ekaikasmin  grlie  pak- 
vannàdirasavatl  nispadyate.  tatra  sakiitumbah  sarve  crad- 
dlia  gimanti  sma.  tatra  dinam  prati  72  saliasradravyavyayo 
bbavati.  evam  pratigrhe  gimatah  varsaprante  dvitiyavaram 
varakah  sameti.  tato  dharmakrtyam  kiirvano  G-agasimhasà- 
dhunà  Bharata-Dandaviryaraganau  smaritau. 

iti  sadharmikabliaktau  Gragasimhasadhusambaiidhali. 

2.  pramanah.  ms.  —  svatulya  ms. 

23. 

ekada  Gagasimhasadliuh  Crl-Somatilakasùriparcve  dhar- 
masvarùpam  papraccha.  tada  giirubhili  proktam  èva  dhar- 
matattvam:  «  ye  mithyatvatimiraudha  uà  bhavanti,  tesam 
pura  evam  dharmali  proktavyah.  G-ainamate  : 
dhammena  dhanam  viulam  aum  dìliam  subam  ca  sohaggam  ; 
dàliddam,  dobaggam,  akaliyamaranam  abammena.  |1  1  ^ 

Naiyayikamate  :  ^ 
katbam  utpadyate  dharmah?  katbam  dbarmo  vivardhate? 
katham  ca  sthapyate  dbarmah?  katbam  dbarmo  vinacyati?|l 

2.  pràktam  èva  ms.         7.  Nayayikamato  ms. 

1  La  traduzione  è:  «  dharmena  dha-  2  n  sistema  filosofico  Nyaya  cliia- 

uara  vipulam  sulchamca,  saul)hriuyam;|  malo  anche  (ITui.   Il,   1,    119)   Kevala- 

daridriyani,  daiirbha.gyaai,  akàlikama-  naiyayilca. 
ranaiii  adharmena  ». 


—  20  — 

IO  satyeno  'tpadyate  dliarmo,  (layadanena  varJliate, 

ksamaya  stliapyate  dliarmah,  krodlialobliàd  viuaoyati.' ii'i 
abirasàlaksano  dharmo, 'tha 'dharmah  praninam  vadliah; 
tasmàd  dharmarthinàm  nityam  kartavyà  praninam  daya.  IjS 
ata  Gfaiminiyamate  :  - 

15  svakhyatah  klialu  dharmo  'yam  bliagavadbliir  G-iuottamaih 
yam  samalambamaiio  hi  iia  magged  bhavasagare.  !!  1 
sam^^amah,  siinrtam,  caucjam,  brahmà,  'kimcaiiata,  tapah 
ksàntir,  mardavam,  rguta,  muktic  ca:  dacadhà  satu.  i|'2 
dharmasiddhau  dhruvam  siddhir  dyumnapradyiimnayor  api 

20  dugdhopalabdhau  sulabha  sampattir  dadhisarpisoh.^  ||  3 
Namaskarasamo  mantrah  Catrungayasarao  girih, 
Gageiidrapadagam  nlram  nirdvaudvam  bhuvauatraye.  I!  4 
krtvà  papasahasrani,  hatvà  gantucatàni  ca 
Catrnnga3^am  samaradhya  tiryaiico  'pi  divam  gatah.  !!  5 

2:>  sprstvà  Catruiigayam  tirtham,  natvà  Raivatakaóalam, 
snatva  Gagapade  kunde  punar  ganma  iia  vidyate  ».  [j  6 

ity  upadecam  crutva  G-agasimhasadhur  ekonatrimcacca- 
taraita  cakatasahasranu  mitapotakadvapancacaddevalayàd  i  n 
dadau.^  Qrisaùghah  Crl-Somatilakasùriyuktah  ^ri-Catrmi- 

30  gaya-Girinarayor  yàtràm  cakre. 

yasmat  Cri-Bharatecvaràgrimanrpàh  sangagnire  cakrinah, 
Crlmac-C'hremiika-Samprati-prabhrfcayas    Tirthecambho- 

[vanóitah, 
naihsimadravinàuubaiidhisukrtah  Cri-Qàlibadradayah 
tasmiii  uirmaladharmakarmani   sadà  karyah  prayatiio  bu- 

[dhaih  ;ì  1 

12.  "laksana  ms.         13.  dharmài-tliina  ms.         28.  ganmo  ms. 


1  V.  BOHTL.  lud.  Spr.  1513,  ma  con  3  y.  Bohtl.  Iiid.  Spr.  n.  3106. 
qualche  vai-iante  :  «  katliam  utpadyate  '^  Il  dadau  è  stato  da  me  supplito, 
dhai-mah?  kalhamdhai-mah  pravar-  senza  di  che  mi  sarebbe  stato  impossi- 
d  ha  te?  I  kathaiii  ca  sthapyate  dhar-  bile  intendere  il  senso  del  passo.  Così 
mah?  kathai.n  dharmo  vina^yati?  Il  sa-  interpretando  il  potaka  pergrande 
tyeno  'tpadyate  dharmo,  dayadanair  dono  (desumendolo  dal  guzeratl  pota: 
vivardhate,  |  ksamaya  ca'  sthapyate  «a  large  loose  buadle»,  Belsare,  1.  e. 
dharmah,  k  r  o  d  ha  1  o  b  h  a  i  r  v  i  n  a  ?  y  a-  p.  499)  intendo  :  «  egli  fece  un  dono  gran- 
ti  ».  Il      "  de  calcolato  a  (del  valore  di)  129,000  carri 

2  Sistema  filosofico  della  Mlm  ausa.  52  templi  etc.  ». 


-  21  — 

plialain  ca  piispam  ca  tai-us  tanoti,  vittam  ca  tegac  ca  nrpa-  '^^ 

Iprasadah  ; 
vrddhim  prasiddliim  tanute   suputro,   bhuktim   mnktim  ca 

fCliuendradliarmah.  !1  2^ 
iti  Gragasimha-^atiungayayatrasainbaadhah. 


24. 


ekasmiii  pure  Bhimasya  bhùpasya  napitah  pradhaiio 
bablmva.  mantrino  na  manyante  maiiag  api.  kramad  vai- 
ribliih  parito  vyaptam  ragyam.  tato  «  nai  'kena  »,  galpanti, 
«  mantrino  manyante.  mantrinà  vina  ragyam  yàs^^ati  ». 
mitrair  api  proktam:  «  napitasya  pariksàm  kuru  :  vairisu  5 
sametesu,  katham  ragyam  raksisyati  ?  ».  ekada  raglia  na- 
pitah j^rstah:  «  yadi  kadàcit  paracakram  samesyati,  tadà 
tvaya  katham  gesyate?  kà  buddhih  karisyate  ca?  »  tato 
napito  'vag  :  «  adarcan  baste  hrfcva  nirgamisyate  piirat. 
tair  adarcair  èva  yuddham  karisyate;  'tas  te  nanstva  ya-  io 
syanti  ».  tato  ragna  giiatam:  «  esa  napito  na  pradhanah 
pradhànah.  yan  maya  mantrino  'pamanitàs,  tad  ayuktam 
krtam.  yadi  mantrino  na  manayisyante,  tada  ragyam  ga- 
misyati  ».  tato  ragna  mantrino  manitah.  tato  mantribud- 
dhya  ye  ye  vairino  'bhuvau,  te  te  vacikrtah.  1= 

iti  napitamantrikaranasambandhah. 

2.  mauàg  api   ms.         7.  uapita   ms.    —   samesyati  ms.         9.  ni- 
pito  ms.  —  hastettatvà  ms. 


25. 


^ripure  Dhanacresthinah  putram  Kuntalàbhidham  pa- 
rinayanayogyam  9rutva  C'andrapuran  Madanacresthì  svam 
putrim  rùpavatim  datum  samagat.  tada  9resthiputrah  pa- 


1  V.  BonxL.  Ind.  Spr.  n.  4370,  ma  gac  ca  nrpaprasadah  |  rddliim  pi-asid- 
con  alcune  vai'iaiiti  :  «  phalun  pus-  dliiiu  tauute  suputro  bhuktim  ca  muk- 
pam  karuna  bibliarti,  vittam  óa  te-      tim  ca».  || 


—  22  — 

dain  iicéaih  krtvo  'nllivastliitah,    sùryribhiinnkhaiii   sthitva 

j  ca,  kalacliiiadhyo  luùtrayainasa.  tacla  Matlaiiacresfclii  ta- 
trastliasvainitrapàrcve  crestliiputrasya  Kniitalasya  svarù- 
pam  papracclia  :  «  asya  Dliauasya  cresfchinah  kiyautah  pu- 
trfxli  santi  ?  »  tena  vyaiigyavacanàt  proktam  :  «  asya  nava 
putiTih  santi  ».    ksaiiat   punah  prstam:    «  kiyantah  putrah 

10  cresthiuas?  »  tatah  sa  pralia:  «  panca  putràh  santi  ».  punah 
prsfcam  tena:  «  ki^^anto  'sya  putràh?  »  tatas  teno  'ktam: 
«  traj'^ah  j^i^^tràh  ».  punah  prstam:  «kiyantah  putrà  asya 
santi?  »  «  eka  èva  j)utrah  ».  tato  Madanah  pràha:  «  mitra, 
tvaya  'ham  evam  bhrantau  katham  pàtitah  prthak  prthag 

I-")  galpanatah?  »  ato  mitram  praha:  «  yan  mayo  'ktam,  tat 
satyam  èva.  yatah  sa  cresthiputra  uccaih  sthitvà,  sùryà- 
bhimukham  bhùtvà,  kalacimadhye  mutrayamasa,  ato  'smin 
cresthiputratrayatvam  mayo  'ktam.  yato  manusyàh  panca 
yavan  màtram  ahàram   bhuiigate,   tàvan  màtram  eka  evà 

20  ^jam  bhunkte,  atah  paiicaputrabhavah  prokto  maya  'smin. 
nidràksane  kundalldehakaranat  navadàkàrena  '  svapity  asau, 
ato  'smin  navaputratvam  vidyate.  yata  evamvidho  varo 
'nyatra  'pi  kutrà  'pi  na  drcyate,  ata  ekaputratvam  asya 
mayo    'ktam.    evamvidhaguno    varo   vidyate.    yadi    rocate 

25  tava,  tada  diyatàm  putrì,  sa  ca  tvaya  mùtrayan  drstah. 
kim  kathyate  'dhikam?  »  tatah  cresthi  samutthàya  svapure 
gatah.  tato  varaiii  vilokayan  Padmapure  Viramahebhyasya 
Dharanaputràya  cresthi  svàm  putrim  dadau.  tata  ito  Dha- 
nacresthina  bahuciksito  'pi  putro,  na  'lasj^atvam  mumoca. 

30  ye  ye  varam  drastum  ayanti,  te  te  tadrcam  drstva,  dadur 
na  svaputrlm.  yatah: 

gacchan,  galpan,  hasau,  tisthan,  cayano,  bhaksayan  punah 
mùrkhah  sarvatra  labhate  pade  pade  paràbhavam.  \\  1 

4.  suryabhi"  ms.  6.  tatrasthamsvami"  ms.  7.  putra  santi  ms. 
9.  kiyatah  ms.  10.  cresthiDasa  ms.  14.  bhràtau  ms.  —  pi"tag 
prtag  galpanatah  ms.  15.  mitrali  pràha  ms.  22.  navapuccam  ms. 
28.  tatradrato  ms.         33.  labhatem  ms. 


1  iiavadakarena:  navada  voca-      (V.  Belsare,  1.  e.  p.  210)  «  dorme  assu- 
bolo  guzerati  iudicaute  il  numero  nove      meudo  l'aspettò  del  numero  nove». 


—  23  — 

tatah  so  'lasatam  9rayan  na  parinitah.  tatpitari  mrte 
mùrkliatvad  alasatvad  vicesam  paràbhàvasthanam  babliùva.  35 

ity  alasatvavisaye  Dhanacrestlii-Kdntalaputrasamban- 
dhah. 


26. 


Suràstradecabliùsane  phunkaparvate  ràga  Ranasimlio 
ragyam  kurvan  nyayàdhvana  prthivlm  2}alayati  sma.  tasya 
Padmavatl  patnl  bablmva.  ta^^or  Bliopalahva  suta  'gani. 
kramàt  sa  vidyakalah  pathita.  kramad  ragà  varani  vilo- 
kayan  Navasarikanagare  Arimardananarendraya  dadaii.  & 
itas  tasya  rùpena  mellito  Vàsukir  abliùt.  yatah  : 

akkliana  sani,   kammanam  avahan,  liatavayana  bamblia- 

[vayam, 

guttìna  ya  managutti:  cauro  dukkliena  gippanti,  1|  1  ^ 
tato  Vasukih  cukraparavrttim  krtva,  tàm  sevate,  putrah 
kramàd  abhut.  tasya  Nagarguna  iti  nània  'blmt.  sa  ca  ga-  u» 
nakena  sneliena  'bhyetya,  sarvasani  osadhinam  plialani,  mù- 
lani,  dalani  bliogito  balena,  tasya  prabliavat  siddliapnruso 
gàto  vikhyatah.  sa  ca  kramat  Pratistliànapure  Catavàliana- 
bhùpasya  vidyagnrur  abhiit.  yatah: 

vidvatvam  ca  nrpatvam  ca  nai  Va  tiilyam  kadacana.       i5 

svadece  pùgyate  raga,  vidvan  sarvatra  pugyate.  Ii2- 
sa  ca  Nagarguno  vyomagàmividyartliam  Crl-Padali- 
ptanakapnre  Crl-Pàdaliptacàryan  ^  sevate  sma.  te  ca  'ca- 
ryàh  Pàdaliptausadhlbalena  varavasare  Astapada-Sametaci- 
khari-^atrmigaya-Girinaràrbudavalatirtliasthan  Ginendran  20 
vandante  sma.  tesaiii  paccàd  agatanam  surlnam  padau 
praksàlayan,  Nagarguno  nasàbalena  saptottaracatansadhi- 
nàm   namàni   gagiiau.    giirùpadecam  vina  'pi  thàbliir  osa- 

3.  tayo  Bhopala"  ms.        11.  atisadln",  sempre  ms.       15.  ueva  ms. 
18.  sma  ms.         22.  Narguno  ras. 

1  La  traiiiizione  è:  «  aksruiam  crnih,  2  v.  Bnirn.  Ind.  Spr.  N.  0109 

karmanilm     avahatya,     liatavraiàiirun  '^  v.  Ivi.ai't.  art.  cit.  Patt  of  Kliarat. 

lirahmavratam  |  guplTiiain  c:i  nianogii-  ii.  I."). 
ptili  :  catvàri  diihkeiia  glyante  ».  Il 


—  24  - 

dliil>]iih  pfulalepam  krtvri,  kurkiifiapota  ivo  'tpatan,  iiipatati 

2r.  bhuniaii.  tato  vraiiaóargaritfiiigo  'iiyada  gurubhih  prstah: 
«  kiiu  etad  iti?  »  tatas  tena  yathasthite  prokte,  tasya  ca 
kaii9a]yeiia  camatkrtamanasa,  guravah  oirasi  hastam  dattva, 
gaguh:  «  Maliabhaga,  sampiìrnam  amnàyam  garuclattam 
villa,  vidyà  na  spliurati  iirnàm  »  teno '.ktam:   «  Bliagavaii, 

30  prasadya  vidyàmnayam  delii  ».  tato  guruno  'ktam:  «  sa- 
sti tandulodakena  sarva  osadhi  gliarsviya;  tatas  tàsam  le- 
pena  padaliptena  vyomagami  bhavisyasi  ».  tam  vidyara- 
iiàyam  prapya,  Nagarguno  vyomagami  babhùva.  ekadà 
giirumukliat  svarnarasasiddhinispattim  crutva,  sàdhayitiim 

s5  pravrttah,  raso  nispaditas  tena;  param  stliairyam  na  yati, 
tato  guruparcve  rasasthairvasvarùpam  papracclia.  giirii- 
bliiriiktam:  «  saprabhàvayah  Cri-Pàrcvapratimàyà  drstau 
sàdhyamàno  raso  sallaksanalaksitayà  mabasatyàh  striyà 
mrdj^amànali    stliiro    bliavisyati  ».    etac    chrutva  Nàgàrgii- 

10  nena  Vasukih  svapita  'dliyatah.  pratj^akso  'bhut  prstam  ca 
tasya:  «  Parcvanathajìratimàm  divyam  katliaya  ».  Vasukih 
pràlia:  «  pùrvam  Dvaravatyàm  Krsnena  Crì-Parcvaprati- 
ma  ^  saprabliavà  Cri-Nemimukliàc  clirutvà  saptavarsl  yavat 
pùgita.   Dvaravatya  dàhe   samudramadliye   devena   mukta. 

45  kàlena  Kantipiirivasino  Dlianadattasya  samudramadliye 
yanam  skhalitam.  tatra  devatayà  'bhyetyo  'ktam:  «  atra- 
'dhastat  Cri-Parcvabimbam  samasti,  laccakva^  saptatantu- 
bliir  muktair,  bahih  samesyati  ».  tena  tatlia  krte  Parcva- 
bimbam  nirgatam.  Kàutipuryàm  anitam.  yatah  : 

50       suprabliavamayam  Parcvanathabimbam  manoharam 
Kantyam  purlganaih  pugyamànam  asti  Ginalaye.  j|  1 
tato  Nagargunas,  tatra  gatva,  bahusu  lokesu  vandanar- 
tliam  divànicam  agacchatsu,  hartum  na  caknoti.  ekada  'va- 

24.  kukkutapota  ms.  28.  malia  tu  blia°  ras.  32.  tam  ms. 
33.  vyomamoml  ms.  34.  nihpafctim  ms.  37.  saprabhavayàh  ms. 
43.  Cri-Nemlmuklaat  cnitva  ms.     47.  'dhastat  CrP  ms.     53.  àgatsu.  ms. 

*  ParQvanatha:  il  23°  tir th arri-  dice  guzeraii  lacak- vum  =  «to  give 

Icara  predecessore  di  Mahàvira,  cui  i  way;  to  yeld  (Belsarr.I.c.  p.  G6I)  »;  pos- 

fedeli  assegnano  un'esistenza  di  cento  siamo  quindi   tradui-re  l'intera  frase: 

anni.  È  rultimo  dei  G'iua  leggendari.  «  sinovendo[lo]  per  mezzo  di  sette  funi 

-  Gerundio  sanscritizzato  dalla  ra-  [esso]  uscirà  fuori  ». 


—  25  — 

saram   prapya,    balena   sa   pratimà   tena  hrtà.    Khatinadi- 
tate  rasabandhanartham  mandita.  Catavàlianasya  bhupasya  55 
C'andralekhàm  maliasatlni  rasamardaiiartliam  tatra  "ninaya. 
sa    Nàgàrgunena  :    «  bliagini   'ti  »    krtva,    stliapita.   rasam 
mardayati   taya.    tadosadliinam    rasamardaimkarane   prste, 
svarnasiddhiiiispattihetum  sa  tasyah  puro  gagati,  taya  ca 
tatra   'gatayor    kumarayor^    rasasambandhasvarupam   prò-  60 
ktam.  tatas  taii  ragyasukliam    muktva,  rasalubdlian,    kai- 
tavena  Nagàrgunam  sevete  sma.  rasam  giglirksQ  pravrttam 
yatra    Nagàrguno    gimati,    tatra    tav    annam    randhanim 
prcchatah  sme  'ti  :  «  atra  kah,  ko  gemitum  ayàti  ?  »    taya 
Nàgargunagamaiiam    nktam.    tabliyam    uktam    ca    tatah  :  6j 
.«  tvam    Nagàrgunaya    salavanàin   rasavatim  kuryah  sadà. 
yada    sa    ksaram    vadet,    tada   proktavyam    asmatpurah  ». 
balivi  crir  arpita  tabliyàm  tasyàm.  anyedyuh  sanrnasante 
tayà    proktam  :     «    adya    tena    ksara    rasava  ti    proktà   ». 
tatas   tàbhyàm  ragakumarabliyam  raso  milito  giiatah.  ta-  7o 
bliyam    prccliadbliyam.    Vasiikina   proktam:  «  kucaiikiiran 
maranam   Nagargunasya   giiatam  ».    ito   Nagargunah  cud- 
dharaseua    kntupau  dvau    bhrtva,    pimnkaparvatasya  gii- 
hayàm  raliasi  ciksepa.  tatah  parvatad  valamano  Nagilrguno 
vimrcam    viua,    tabliyam    darbliyaùkurena    gaglme.    tada  75 
mrtah  sah. 

agate,  citralikliite,  mrte  ca,  Madliusiidana, 
ksatriye,  trisù  vicvasac,  catiirthe  no  'palabliyate.  ||  1 
tali  kutupaii  devataya  'dhistitaii  ràgaputrayoh  kim  api 
na  catitam  liaste  ;  devataya  liataii  ;  tau  papinau   narakam  so 
gataii.  evam  givah  papaparah  papapbalam  sadyo  labliante. 
rasastamblianat    Kliambavatyah  ^    Stambhananàma    'bliiit. 
Parcvadevasya  'pi  Stambhanam  iti  nama.  tatah  kalantare 
Khatinadìtatastham  Stambhanapàrcvanathabimbam  Stam- 
bhanapiire  samayatam.  tao  cà  'dyà  'pi  tatra  piigyate. 
iti  Nàgàrgunasambandhah. 

59.  gago  ms.       62.  sevate  ms.       73.  kutapau  ms.       78.  no  'pa- 
lambhate  ms. 

1  Omesso  nel  testo.        2  odierna  Gambe  y. 

Studi  italiani  di  fil.  indo-iran.  4 


85 


—  26 


27. 


C'andrapnre  Dhanacrestlii.  tasya  grlie  suvarnasya  ca- 
tasrah  kotayah  santi,  sada  madliuraliàravaravastraparidlià- 
paiiadevagurucrìsangliapugàtlinn  sagganasanmaiiadiiia  ca 
killam  gamayati.  ekadà  ràga,  ràgamarge  gacclian,  tasya 
■'■'  sadanas3'o  'pari  catasro  dhvagapatakà  drstvà,  mantripàrcve 
papraccha:  «  kim  età  dlivagapatàkiX  atra  drcyante?»  man- 
trino  'ktam  :  «  asya  grlie  cafcuhkotimitam  svarnam  sa- 
masti ».  tatas  tad  graliitukamo  bliùpo  'bhut.  anyatra  gra- 
màntare  gatah,  tadànlm  crestliiiias  tadà  'kasDiat  khala- 
"^  bhaksane  vàiicha  gata.  gi'iàtam  tene  'ty:  «  etayà  vàiichaj'à 
raga  marna  dhanam  graliisyati,  athavà  cauràgnyadayo  gra- 
Insyanti.  yatah: 

dàyadah  sprliayanti,  taskaragana  musnanti,  bliùmibhugo 

grlinanti  chalam  akalayya,  hatabhng  bhasmìkaroti  ksanat, 

i3       ambila h  plavayati  ksitau  vinihitam,  Yaksà  barante  hatàt, 

durvrttàs  tauayà  nayanti  nidhanam:  dhig  bahvàdhmam 

[dhanam!  |1  1 
evam  vimrcya,  tona  cresthi  sarvàm  criyam  sa]3tasu  kse- 
tresu   dinaduhsthàdisu    vyayicakre.    raga  paccàd  agacchan 
dhvagapatakà  adrstva,  laksmivyayasambandham  ca  gnatva, 
20  cetasi  camatkrto'bhtìt.  cresthi  akàritah.    prsto  ràghà,  tadà 
'vadat  svasambandham  khalabhaksanadohadalaksanam  ca. 
tato  ràgà   hrstah.    tasmai    svakocac    catuhkotimitam   svar- 
nam dàpayamasa.  tasya  punyaprabhavat  tato  yàvanmàtram 
criyam  vyayati,  tavaumàtrà  crir  akasman  milati.  tatac  ci- 
'-^5  ram  svam  criyam  saptasu  ksetresu.  vyayan  kàlakramàd  da- 
navitaranena  svargam  cresthi  yayati. 

iti  khalabhaksane  Dhanacresthikatha. 


7.  svarna  ms.         8.  tas  tam  ms.  —  g-rhitum  kamo  'nyati-a...  ms, 
14.  grhnanti  ms.  —  hutabhuk  ms.         25.  talakramat  ms. 


-  27  — 


28. 


ekasmin  pure  veoya  kraraàg  garati  gàtà.  tasya  ekah 
putro  'sti.  taya  ciiititam:  «  maya  bahupapam  krtam  putra- 
ganauat.  yadi  lianyate,  tada  'pi  papam  bhavati.  ato  maya, 
Gaùgayàm  gatva,  pàpam  splietayisyate  ».  iti  dliyatvà,  sa 
vecya  saha  pntrena,  tatra  nadyàm  gata,  masavasikàrùpam('?)^  5 
krtva,  sthità.  Gangayam  snanadipunyam  jìutrayuta  karoti. 
dvigamiikhad  Veda-Smrti-Piiranadi  gagiie  sa  vecyàputrah. 
kramat  krto  dvigah.  Muknudas  tam  tadrksam  vicaksanam 
Vedaviduram  bakudanaparam  drstva,  dadhyav:  «  ayam  va- 
ryo  varo  'sti.  marna  putrì  vidyate  vivaliarlia  gata;  yady  io 
asmai  diyate,  tadà  varam.  asya  mata  ca  dharmacllà  vi- 
dyate; grlie  dlianam  apy  asti  ».  evam  vimrcya  dvigena 
putrì  tasmai  sasavasanikàputràya(?)  dattà.  putram  vadliù- 
yutam  parinitam  skandhayor  ubhayatah  krtva,  nartayanti 
'ti  pràlia:  >5 

«  sonai  cakha  dhanim  kula  kotliai  vedaviyàri  ,- 
dematikero  betado  parinai  diksitakuàri  ».  |1  1  ^ 
tatas    tena    Mukuudena   tasyah   parcvat   tasya  varasya 
sambandham  crutvà,  maunam  krtam.  baliulaksmi  vidyadi- 
gunatvat  ;  ato  iia  kuladi  vlksyate,  kim  tv  acàra  èva.  yatah  :  20 
kaivartigarbliasambliùto  Vyaso  nama  mahamunih 
tapasà  brahmano  gatas  :  tasmag  gàtir  akaranam.  ||  1 

1.  kasmin  ms.      4.  spetayisyami  ms.       6.  punyam  ms.      7.  dvi- 
gamukliad  ms.        21.  kaivatti  ms.        22.  tampasa  ms. 


'  Il  presente  masavàsikae  il  sa-  dato  conoscere.  Non  so  quindi  capire  uè 
savasanika  che  seg^ue  a  non  gran-  pure  se  il  masa^  sia  forma  errata  di 
de  distanza  non  danno  luogo  ad  alcuna  scrittura  di  sasa°  (s  facilmente  si  con- 
possibile si)ie;^azione.  Qui  io  credo  che  fonde  con  m  nei  manoscritti)  o  se  sia 
si  alluda  ad  uno  stato  di  penitenza  in-  da  credere  il  contrario.  Do  quindi  a  suo 
trappreso  dalla  madre  del  giovinetto,  e  luogo  una  traduzione  congetturale, 
ciò  desumo  dalle  parole  rùpam  krtva  2  Dello  gloka  presente  (in  Apabhram- 
e dal pi-ecedente  senso  della  narrazione;  ca)  non  posso  dare  la  versione  in  san- 
ma  che  cosa  si  intenda  i)recisamente  con  scrito,  essendo  incerte  varie  parole.  Non 
i  due  vocaboli  nominati,  i  quali  non  ho  conoscendo  né  pure  possibilità  di  emen- 
potuto  rintracciare  in  alcun  dizionario  dazione,  mi  è  necessario  lasciarlo  inso- 
sia sanscrito  che  guJJeratl,    non  mi  è  luto. 


-  28  — 

^u^'i-^kigarbhasambhùta  *  Rsyacriigo  maliamimih 
tapasa  brahmano  gàtas:  tasmàg  giltir  akàrauam.  1|  2 
inaiuluklgarbliasambhuto  Mànilùkyao  ca  maliamunih 
tapasa  brahmano  gatas:  tasmag  gatir  akàranam. '|3 
Urvacigarbhasamblmto  Vasisthac  ca  mahainunih 
tapasa  brahmano  gatas:  tasmag  gàtir  akàranam.  ||  4 
9llam  pradhànam  na  kulara  pradhanam:  kulena  kira  ci- 

[lavivargitena  ? 
bahavo  gana  nicakule  prasiitah  svargam  gatàh  cTlam  upe- 

[tya  varyam  ||  5 
tatah  sarvesu  dvigesu  Vedaviduresii  mukhyo  'bhùt.  iti 
nlcakulagato  'py,  uttamo  bhavatl  'ti  bràhmanakathà. 


29. 


ekasmàt  purad  yogi  cellakayuto  'calit.  -  agre  gacchan 
yogi  C'andrapuramargam  papraccha.  puman  praha:  «  eko 
margah  saralo  dure  'sti  ;  param  cauradivighno  vidyate. 
tatra  dvitiyo  màrga  upamo  'sti,  param  nirupadravah  ». 
5  tada  yogi  dravyarahitah  sopadrave  'pi  marge  gantum  vàii- 
óhati;  cellakas  tu  ne'cchati  dravyàjjaharanabhayàt.  marge 
yogi  dadhyav  :  «  asau  cellakah  katham  steuaklecayiiktamàr- 

3.  °vighiiam  ms.        4.  margosamo  ms. 


1  Tale  vocabolo  irreperibile  nei  di-  ber,   Iiid.    Sti'eif.    Berlin,   1868:    Die 

zioiiari  sia  sanscriti  che  dialettali,  non  Vagrasuci    des    Acvaghosa:    eine 

può  voler  signilicare  altro  che  «  gaz-  buddliistische  Streitschriit  tiber  die  Ir- 

zella»,  seguendo  la  leggenda  che  si  rigkeit  der  Aussprtiche  der  Bràhniana- 

trova  narrata  in  Mbh.  Ili,  110-113  e  in  kaste.  pp.  186-209).  Lo  gloka  in  cui  si 

Rainay.  I,  9.  parla  di  Rsyacrnga  ha  harini  (in  luo- 

Glì  gloki  1,   2,  4    si  trovano   nella  go  di   (;u(;uki)   che  il  Weber  traduce 

VagrasucI  di  A^vaghosa   (vv.  22-24)  Rehkuh  (p.  198). 

edita  da  A.  Weber  in  Abìiand.  d.  k.  A.  -  cellaka:    cosi    costantemenle    il 

d.  W.  1859,  pp.   205-264),   preceduti  da  testo.  Il  dizionario  di  Pietroburgo  non 

uno  in  cui  è  detta  l'origine  di  Kalha  da  registra  questa   forma:   ha  invece  ce- 

un  albero,  e  seguiti  da  altri  due  in  cui  luka,  contrassegnato,  tutia  vi;i,  da  un 

si  dà  notizia  della  nascita  di  Vicvamitra  asterisco,  per  provarne  l'uso  non  clas- 

da  una  candall  e  di  Narada.  Nella  stessa  sico.  Intendendo  cellaka  nello  stesso 

VagrasucI  (26)  è  la  strofa  che  segue  sigiiilicato  di  celuka,  io  lo  riporto  nel 

gli   gloki   del  nostro   testo  (v.   A.  We-  testo  tale  quale  ci  è  dato  dal  ms. 


20 


—  29  — 

gè  gantum  ne'cchati  ?  »  evam  dhyàyan,  cellakasya  vaco  'va-    , 
gaiiayya,  sopadravamarge  calitum  tasthaii.  itac  cellake  pii- 
rantare   gate,    kasmaicit  karyaya,  gholikamadliye  ^  rupya-  io 
taiikakablirtàm   vasanikam^   viksya,    dadhyav:   «  asau  cel- 
lako  dhanagamanabbayat  sopadravamarge  gantum  ne  'Late  : 
tato  dravyarn  na  varam  tapasvinah  ».   evam  dhyatvà,  va- 
sanikam   cbannani   kupe    ciksepa,    cellakah    puràd    àgato, 
vasanikam  adrstvà,   praba  :    «  yasmin  marge  recate,  tatra  i5 
gamyatàm  ».    tato  dvav   api   nirgrantblbbùtau,   nirbbayau 
sopadrave   màrge  celatub.  tato  dbanam  tapasvinàm  kleca- 
bbutam  matva,    nihprbau   cvetambarau  Cri-Dbarmagbosa- 
sùripàrcve^  dbarmam  crutva,   gaiuim    diksam  grbitva,  ta- 
pas  kurvànau,  svargam  gagmatub.  kraman  muktim  gami- 
syatab. 

iti  nirgrantbatve  yogikatbà. 

18.  9vetambara  ms.        20.  gagamatuh  ms. 


30. 


ekada  Bbimasadbor  àvàsartbam  var^^akastbàni  agataui. 
tada  br.stam  Bbimam  drstva,  patni  praba:  «  grhani  varyani, 
varyataràni  bbave  karitani  santi:  svarvimane  'pi  stkitam 
bbùricab,    pararn    tatsarvam  iba  lokartbam.    dbarmakarye 

4.  dharmamkarye  ms. 

1  yliolika,  sanscritizzaziuiiedel  vo-  il  diiniiuitivo  (Ceiiun.)  di  tal  sostantivo, 
cabolo  guzeratl  gholl  (a  four-moutlied  3  Dharmasliosa:  «liere  thehistoi-y 
bag.  Bels ARE,  1.  e.  p.  306).  Il  sanscrito  of  the  Sadhu  Prthivldhai-a  and  his  sou 
possiede  il  vocabolo  gliaulika  nel  si-  Ghai'igliana  is  told.  The  works  of  Dhar- 
gnificato  di  sacchetto.  maghosa_  are   the    following  :  Saiìgha- 

2  vasanika.  Su  quest'j  vocabolo  caiakjiya  bhasyavrtti,  Suadluunaietista- 
preceduto  da  inasa  o  sasa  si  disse  va,  Kayasthitibliavasthitishivau,  C'atui-- 
nella  nota  1  della  nov.  28.  Io  credo  che  vimgatiginastavah  21,  gastacarniety  iidi- 
qui  si  possa  chiaramente  determinare  stotram,  Devendrairanigam  iti  glesa- 
il  suo  signihcalo,  se  bene  esso  non  ri-  stotram,  Yugam  yuva  tvani  iti  clesastu- 
corra  nei  dizionari  sanscriti  e  dialettali.  tayah,  (i  aya-Vrsabhetyadistulyudyah. 
vasana  indica  cassa;la  terminazione  Ile  died  Samv.  1357»  (Klatt,  lad.  Ant. 
°ikà  va  intesa  come  quella  atta  a  indicare  l'att.  of  the  Tapag.  N.°  1(5). 


—  30  — 

5  yadi  dharniaerilridinispattaye  kasfchaui  samilj'^aiiti,  tadà 
varaiii  ».  liliiinah  pralia:  «  kutra  dliarinaya  kasfcluuii  stha- 
payisyante  ?  »  bliarya  gagau  :  «  dliannacala  ^  kàryate,  taira 
bahu  punj'ain  bliavati  ». 

ovam  vimrcya    Stambliatirtlie    Aligavasatyàm  dkanna- 

10  cala  kàrità  pimyàrtliam.  tatra  1500  tankakà  lagiiah.  tadà 
kenacit  puinsà  Bhimasàdhupnratah  proktam:  «  dravyam 
bahu  vya^àtam;  càia  tu  puràd  bahir  asti:  tatra  ko  dliar- 
mam  kartum  samesyati?  »  tato  Bliiino  'vag:  «  kadàcid  ut- 
sure   snkale   va  ko  'pi  kù^jikah    paufcaliko^   vicràmàrtkam 

15  sthita  ekah  sàmàyikam '^  lasj^ati,  tadà  càlàyàm  lagiiadlia- 
nadànam  tatpunyam  bhavisyati  :  aiikitah  925925925  ekah 
sàmàyikalàbhah  ». 

ity  adi  dharmacalàdinispadauapunye  Bhimasàdhukatha.^ 


11.  tadeheuacit  ras. 
"dauam  ms. 


12.  purat  ms.       13.  samesyati  ms.       15. 


1  dharmagalà:  termine  iisiito  in 
guzerìltl  nel  senso  in  cui  qui  ricorre: 
«acaravansiu-y,  traveller's  lodge  erected 
from  charitable  feelings»  (Belsake,  op. 
cit.  p.  403). 

211  vocabolo  pautalika  non  esiste 
né  in  sascrito  né  in  gazerai!.  Esiste  tut- 
tavia, in  quest'ultimo  dialetto  un  potah: 
«  a  bundle,  a  parcel,  a  package  »  (Bel- 
sake, op.  cit.  p.  49'J).  Da  esso  desu- 
mendo il  senso,  interpreto  il  p  a  u  t  a  1  i  k  a 
per:  «portatore  d'acqua»  («di  vasi  per 
acqua  »). 

.3  samayika  :  «  moral  aud  intel- 
lectual  purity  of  the  soul  »  (H.  Jacobi, 
G'aina-Jìutra  translated  from  the  prà- 
krit.  Sacred  books  of  tlie  east.  O.xford 
1S95,  p.  159).  Bhandarkar  (Report  on 
the  search  for  sanskrit  manuscripts 
1883-81.  Bombay  lsS7)  dopo  aver  detto 
che  il  samayika  è  una  delle  «  six 
Avagyaka  observances»  annota:  «sa- 
ni a  y  i  le  a  is  freedom  from  love  and  hatred 
or  equanimity  as  regards  the  agreeable- 
ness  or  disegreealileness  of  things.  This 
is  of  six  kiiids:  l,  iXamasamàyika, 
which  consist  in  not  liking  good  names 
or  disliking  bad  names;  2,  S thaj) a n ri- 
sani àyika,  not  being  pleased  or  dis- 


pleased  with  beautiful  or  ugly  images 
(of  gods  andothers);  3,  Dravyasàma- 
yika,  regarding  agreeable  objects  such 
as  gold  and  disgreeable  obiects  such  as 
earth  equally;  4,  Ksetraaamàyika  , 
making  no  difference  between  pleasant 
places  snch  as  a  garden  and  unpleasant 
places  such  as  a  foresi  of  brambles  ; 
5,  Kalasamayika,  not  being  pleased 
or  displeased  by  agreeable  or  disagree- 
able  seasou  and  times;  6,  Bhavasa- 
màyika,  love  for  ali  living  beings  and 
shunuingeverythingof  an  evil  tendency. 
Some  of  these  are  also  otherwise  ex- 
plained  »  (p.  98). 

4  La  novella  è,  evidentemente  lacu- 
nosa. Allorché  il  marito  rivolge  alla 
moglie  la  domanda:  «kutra  dhar- 
m  a  y  a  k  à  s  t  h  a,  n  i  s  t  h  a  p  a  y  i  s  y  a  n  t  e  1  » 
noi  ci  aspetteremmo  non  la  risposta 
di  ciò  che  si  deve  fare  dharmàya 
(«  dharmacala  karyate  »)  bensì 
quella  in  cui  si  desse  cenno  del  luogo 
in  cui  costruire  alcun  che  atto  a  ottener 
merito,  appunto  ad  es.  l' ospizio  per  i 
poveri  (dharmacala).  .\lla  line  appare 
inoltre  assai  oscuro  quanto  si  vuole 
esprimere  con  il  numero  9259:^5925. 


31  — 


31. 


Aligavasati  'ti  nama  gatam.  pùrvam  Àligahvo  dvigo 
'blmt.  tas^-a  Cri-Dliarmaghosasiiriparcve  Ginaprasadàclika- 
rane  maliat  puiiyam  bhavati.  ekada  so  'vag  :  «  bhavava- 
naloka  vadanti:  "  santanam  viiia  svargo  iia  bliavati  "  ». 
guravah  jDrocuh:  «  santanam  viiia  'pi  svargam  gaccliaiiti  5 
gana;  ria  salitane  sati  kadacit  svargah;  pnnyaprabhavad 
èva.  santànena  yadi  svargah  syat,  tada  clinic ukàdi giva  ba- 
hvapatyah  pratliamam  svargam  gaccbanti.  asantana  api, 
miiktim  gamisyanti  ganàh  ».  yatah: 

bahuni  hi  sahasrani  kumarabrahmacarinam  io 

divani  gataiii  viprànam  akrtva  kiilasantatim.  ;[  1 

giiriino  'ktani:  «  Cri-Rsabhadevasya  yadi  krsnavarna 
pratima  kàryate,  tada  'nantam  piinyam  mnktigamanayo- 
gyam  bhavati;  param  santanam  na  bhavaty  agratah.  etac 
chrutva,  Aligo  gagau  :  «  Bhagavann,  aham  Cri-Rsabhade-  i^ 
vasya  krsnavarnam  pratimam  kàra3'isyami  bahupiiiij^ala- 
bhàt;  santànena  kini  prayoganam  ?  santàne  saty  api  Eà- 
vana-Cri  -Krsna  -  Duryodhana  -  Subhaiima  -  Brahmadattaca- 
kravartyàdayo  bahavo  narakam  gatàh.  ato  'ham  Cri-Rsa- 
bhadevapratimam  cyamavarnam  karayisyami  ».  tatas  tena  20 
santanàbhavam  alambya  Crl-E,sabhadevapratima  cyama- 
varna  karita;  sthàpità  svakaritaprasade.  tata  Aligena  tatra 
pratimam  tam  pùgayata  muktigamanayogyam  piin3^am 
upargitam. 

iti  dharmadrdhatavisaye  Àliga vipraprasadakatha.  25 


2.   karana  ms.         3.   bhavavaua°  ms.        7.   cunieuladigiva  ms. 
9.  yatilì  ms.         17.  prayogamam  ms.         23.  tà  ms. 


32  — 


32. 


ekada  baliusu  Bralimàdidevesu  militesu  svasvotkarsam 
g-alpatsu,  Canina  proktam:  «  aliam  sarvesu  devadisu  suklia- 
duhkhe  kartum  samartliah  ».  tade  'cvareno'ktam :  «  gi'ià- 
syate  tava  krtam  sukliam  duhkliam  ca  ».  evam  uktvà  Cam- 

r.  bliuh  svagrlie  'bhyetya  Parvatim  prati  svacestitam  gagau. 
tataii  Cambhuh  svaj^am  mahisarùpam,  Parvatya  mahisiru- 
pam  karajdtva,  nagarakliàte  acuciraaye  stliitau  dvav  api.^ 
trtiye  dine  tasmin  vyatite  Ìcvara-Parvatyau  khatàn  nir- 
gatya,    gatau  grlie.   tata   ìcvarah  Oaniparcve  gatva    'vag  : 

10  «  tvadìya  dacà  gata  kalye;  tvaya  kim  api  marna  duhkliam 
na  krtam?»  Canir  gagau:  «  tvam  kutra  'sthàh?  ».  ìcvarah 
svasthitim  gagau.  tatah  Oanih  praha:  «  ahara  kim  skandhe 
hanmi  getum,  hrdaye  va?  kim  tu  tam  tadrclm  dhiyam 
dadami,  yayà  svayam  duhkham  patati.  tvam  tv  acucimaye 

ir>  khate  sthitah.  atah  param  kim  duhkham  ?  aham  yad  duh- 
khadi  ganebhyo  dadami,  tad  api  karmana  preritam  ».  tatah 
Cambhur  gagau:  «  satyam  èva  karmakrtam  sukham  duh- 
kham giva  labhante  ». 

iti  laukikà  kathà  Cani-Cambhugalpanavisaye  samàpta. 

2.  alia  ms.  4.  pronktva  ms.  5.  Parvati  ms.  7.  kliale  ms. 
8.  khalan  ms.  —  nirgatyà  ms.  9.  tat  ìcvarah  ms.  11.  ku^as- 
thah    ms.  15.    khàle    ms.  16.    preritali   ms.  17.    glgau    ms. 

19.  visaya  ms. 


33. 

mata  Gangasamam  tirtham;  pita  Puskaram  èva  ca: 
tlrtham  phalati  kalena,  matatirtham  punah  punah.  ||  1 
ity  adi  dhyatva  matapitarau  kacadikayam^  sthapayitva, 
vipras    tirthani    karoti.    tirthani    kurvan,    Marusthalyam 

1  L'api  iu  prakdto,  e  alcuna  volta      (V.  JACOBi^Ausgewahlte  Erzahlun- 
anche  in  sanscrito,  sta  dopo  parola  in-      gen  in  Maliarasti-i  p.  143) 
dicante  numero,  ma  non  ha  alcun  valore  2  Non  m' t  stato  possibile  di  rintrac- 


—  33  — 

gacchan,  adhah  pracurasikatayam  hinditum  acaknuvan,  5 
galani  stokam  piban,  mrgatrsiiikam  pacyan,  pade  pade 
galabhrantyà  dhavan,  khinnah  san,  prathamam  pitaram 
skandluid  nttaraj^amasa.  pità'  vag:  «  aliam  aksamas  tir- 
tham^  calitnm,  katliam  mam  uttarayasiV  »  putro  'vag: 
«  iyam  tu  Marusthali  rùksa  »  evam  mataram  api  skandhad  io 
uttarya,  svecchaya  'calit.  matapitarau  padacarinau  pntra- 
sya  prsthe  duhkena  calatah. 

ity  adi  Marustballvarnauam  niskrpopari. 

D.  pade  2  ras.         12.  prstliau  ms. 


34. 


yàdrcam  kriyate  cittam  deliibhir  varnanàdisii, 
tadrcam  kavivan  niinam  gayate  santatam  gane.  [|  1 
yadrcam  kriyate  cittam  sadasadvastuvarnane, 
kaver  iva,  bbavet  tàdrg  gananam  bbavukatmanàm.  1]  2 
tatba    bi  :    ekadà    Ori-Rara asya    Subuddbinàma    kavir    5 
abhiit.    sa   ca    Crl-Eàmakaritam    Pampasarah   kàvyair   ni- 
tyam  varnayati  sma.  vaidyà  babavah   Crl-Ramasya  sapa- 
rivarasya  rogotpattan  cikitsam  kiirvanti  sma.  anyada  Su- 
buddhikaveh  sarò  varnayatah  taddhyànag  galodaram  var- 
dbitam.  vaidyo  'vicaravigiias  tasya  cikitsam  karayati  ba-  io 
biiprakaraih;  param  guno  na  bbavati.  yatah: 

vaidyas  tarkaviblno,  nirlagga  kalavadbiìr,  vrati  piuab, 
katukac  ca  pràgbunako:  mastakaculani  catvari.  1|  1^ 
tata    ekas    tatra    vaidyo    vrddbo    vicàragnah    samagat. 
ragna  tasya    rogacikitsàyai    àdistam.    tatas  tena  vrddbena  15 
vaidytàiia    carlrasvartipam   vibikya  càlidàlighrtadi    varyam 

13.  catùke  ca  nis. 


cìai-e  tale  vocabolo  nei  dizionai'i.  Non  di  aggiungere  illitum  clie  credo  m;ui- 

potendo  uè  pure  azzardare  una  conget-  chi  per  errore  di  scrittura, 

tura  per  emendarlo,  lo  lascio  tale  qual'  è  2  v.  Bohtl,  I  nd.  Spr.  n.  ()2s6  e  I'a- 

e  l' interpreto,  dal  contesto  del  discorso  voi. ini,  «  Un  libro  di  medicina  indiana  » 

per  gerla,  cesta  o  altro  di  simile.  (Giornale  della    s.    A.    I.,    XV,    1902, 

1  II  ms.  ila  tlrthai]!  ca,  cui  non  esito  p.  110). 

Studi  italiani  di  fil,  indo-iran.  5 


—  84  — 

blioganam  kurvànasya  vaiilj^ene  'ty  àdistam:   «  marustha- 
laiii  vamaj^a  ».  tatas  tam  ca  varnayati: 

mrgatrsnam  sada  darcam  dar^am  trsitavaksasah 
20       ostliatàhiga] adirli  ^usyanti  sma  diuam  dinam.  ||  1 

ity  adi  varnayatas  tasya  rogino  galodararogo  gatah. 
Cri-Ràmena  j^rstam:  «  blio  vaidya,  marnstlialavarnaneiia, 
katham  asya  rogo  yayau  ?  »  vaidyo  'vak  :  «  piirvam  anena 
sarò  galablirtam  bliùrico  varnitam:  tena  galodararogo  'bliut 
2:,  sarodli^'anad  ;  adlmuà  tu  marusthalavarnanàd  rogo  gatah. 
yadrcam  dhyanam,  tadrcam  manali;  yadrg  manas,  tàdrg 
vapur  bliavati.  cubliacubliakarnanad  akasmac  cliarhi  pra- 
sanno  'prasaiiuo  va  bliavati.  yatah: 

vitaragam  sraaran  yogi  vltaragatvam  acnute; 
30       saragam  dhyàyatas  tasya  saragatvam  tu  niccitam  ».  ||  1 
ato  'sya  marustlialam  varnayato  rogo  gatah.  tato  vaid^^o 
manitah.  yatah: 

alaùkaroti  hi  gara  ragamat^^abhisagyatm, 
vi(lambliayati  paiiyastrimantragayanasevakàn.  ||    ' 
35  iti  dhj^ane  vaidvakatha.  !]  1  i| 

18.    paùcam    ms.  20.    sustlia    nis.  25.    sarodhamauat    ms. 

27.  cubhocubho"  ms.         oO.  saragam  ms.  —  ta  saragatvam  ms. 


35. 


ganmaua  na  dhruvam  varyam  avar3^am  gàyate  kulam; 

prayo  bliavati  martyàuaiii  kriyaj^a,  vipravag  gane.  [|1^ 

tathà    hi  :    kasyacid    viprasya    yagaiiayaganadhyayana- 

dhyapanadisatkarmakarakasya    grhe    ekas     tapasvi    svanì 

dhautikam^  muktva,  gatas  tirthayatrayai.    sa  tapasvi  De- 

2.  vipravat  ms.         5.  Devaclattahvah    ms. 

1  V.  BiuiTL,  Iiid.  Spr.  n.  62S.  uè  in  dizionari  sanscriti  né  in  dialet- 

2  Notisi  la  concisione  della  frase.  tali.  Non  potendolo  l'itenere  una  forma 
Traduco:  «  come  avvenne  al  brainmano  corrotta,  che  si  ripete  per  ben  sei  volte, 
e  alla  sua  famiglia  ».  non  ne  propongo  emendazione,  ma  lo 

3  Questo  vocabolo  non  è  registrato  lascio  tale  quale  nel  ms.  si  trova  e  lo  in- 


—  35  — 

vadattalivas  tapahprabhavàd  bahvàyuskah  san,  tirthe  blira- 
mati  sma.  itah  sa  dvigo  mrtyusamaye,  svam  putram  prati 
praha  :    «  idam   dhautikam    tapasvino   Devadattasya    'sti  : 
yada  margayati,  tada  'rpaniyam  tvayà  ».  pitari  mrte  kra- 
mad  dvigaputro  nirvahàbhavàt  kumbliakarakarma  karoti.   io 
itah   sa  tapasvi   tatra    'gatah  svasya    dhautikasya  'rtham, 
grliam    prcchan   gagiiau.    param    asya   grlie    kumbliakara- 
karma drstva,  dhautikam  tathai  'va  muktva,  anyatra  tlr- 
thayatrayai   gatah.    kramat    sa  dvigah  kumbhakarakarma 
muktva  bharavaho  'bhut.  punas  tatra  'gatah,  svam  dhau-  i3 
tikam  pùrvavat  tatra  drstva,  tathai  'va  muktva,  gatah.  sa 
bharavahah  paralokam  gacchan  svaputraya    paramparaga- 
tam    dhautikasambandham   gagau.    tatas    tatputro   ragase- 
vako    'bhut.    tatra    'pi    pùrvavat   tatra  'gatas,    tasya    grhe 
'nyat  karma  drstva,  ^^atrayai  gatah.  sa  sevako  mrtah.  tasya  20 
putro  gràmahattako  ^    'bhùt.  punah  sa  tapasvi    tatra  'gàt. 
tasya  grhe  anidrcam  karma  drstva,  dhautikam  sambhàlya 
tathai  'va   muktva   gatah.    tato    gramahattako    vaidikadvi- 
gayogac    caturvedl  dvigo   gatah.    ito  bhrautvà  tapasvi  ta- 
tra 'gat;  pùrvakriyàm  vaidikim  yaganayaganadikam  drstva,  25 
hrsto   'bhùt.    tatas   tena   dvigeno   'ktam:    «  bho,    tapasviu, 
bhavata  katham  hrstam  V  »  tapasvy  avag  yaganadividbràh- 
manàd  arabhya,  sarvam  sambaiidham  tasya  'gre.  tatah  sa 
tapasvi  svadhautikam  làtva,  gagau  :   «  yadrco  yogas  tàdrk 
puman  bhavati.  uttamamadhyamagaghanyadivicàro  na  kri-  30 
yate  ».  tatah  sa  tapasvi  svasthanam  yayau. 
iti  nicànicadivicarakatha  laukiki. 


7.  svam  putra  ms.  8.  Devadattasyàsi  ms.  18.  tatasmiua 
tatputro  ms.  24.  "yogat  catur°  ms.  26.  dvigeno  blio  ms.  29. 
gagagau.  ms.  —  tadrg  ms. 


terpreto,  in  riguardo  al  senso  generale  tendere  la  parola  graniahattakah  co- 
delia  novella,  per  «  peculio,  gruzzolo  di  me  «  mercante  di  villaggio  ».  Vedemmo 
danaro  ».  altra  volta  nel  nostro  novelliere  la  fa- 
1  liaita  m.  significa  mercato.  cile  formazione  di  siffatti  vocaboli  quali 
Hattakah  non  è  i"egistrato  dai  voca-  nomina  actoris,  mediante  il  suf- 
bolarì.  Credo  tuttavia  che  si  possa  in-  lisso  "ka. 


—  36 


30. 


JJliogaraga  iiiaranasamaye  sarvadaroaniuo  yatJiayoyyam 
samiwanya,  mantricaii  akarya,  gagau  :  «  punyam  stokam 
krtam,  pàpam  tu  bahu.  teiia  bliavadbliir  marna  maranàd 
ami,  maina  eko  basto  'nganalipto  maiiak,  candaiiarasalipto 
basto  dvitlj^o  vidbàtavyah  ».  mautrl  pràba:  «  katbam  evam 
procyate  ?  »  Bbogab  praba  :  «  lokà  mam  evamvidbam  matvà, 
piiiiyam  kiirvaiiti  »,  tato  Bboge  mrte,  tatbai  'vam  krtva, 
dàbartbam  nìyamànam  Bbogam  bbùpam  drsfcva,  loka  gaguh: 
«  katbam  ragno  bastàv  idrcau  krtau?  »  tato  mantribbir 
bbùpoktam  proktam.  tato  babavo  ganali  punye  krtadara 
babbuvuh. 

dbarmavisaye  Bbogaragakatba. 

1.  yathayogyam  ms.         2.  stankam  ms.         4.  liastom  ms. 


37. 


ekadà  G-ballàvatikàdbipa-C'halaragà  pùrvam  danam  na 
dadau.  maranasamaye  danecóbà  'bbfit.  pntranàm  agre 
pràba:  «  marna  etàsàm  gavàm,  etesàm  gbotakànàm,  ete- 
sàm  ratbànàm,  dbànyànam,  ramànàm  dàneccba  'sti  ».  tadà 

5  mantryadibbib  putraio  óa  vimrstam  :  «  asau  sarvam  rà- 
gyam  dasyati  ».  uttaro  'sya  diyate:  «  adbunà  maranàd  anu 
sarvam  dàsyate  ».  evam  galpite,  te  bbubbngah  putràh  kim 
api  na  daduh  ;  sa  mrtah.  evam  :  yat  svabastena  pratbamam 
dij^ate,  tad  èva  'tmiyam,  uà  'nyat.  maranasamaye  bità  a|DÌ 

10  putrà  vigbatante. 

iti  krpanatve  C'balabbupakatbà, 

7.  bhùbhuó-àli  ms. 


37 


38. 


Vatapadre  '  Disavàlo  '^  mantri  Sàrangahvah  ;  sa  ca  mi- 
thyatvam  karoti,  tasya  mata  gainam  dliarinam  kiirute. 
ekadà  mata  'vak:  «  putra,  tvam  tu  mitliyatvam  kuruse, 
Grinadharmam  tu  na  kuruse;  G-inadharmam  vina  muktir 
na  bhavati  vitaragàsevanatvat.  mama  tu  marana vasaro  'sti;  5 
tvaya  mama  maranàd  anu  gainah  sadliavo  dharmacàlàyam 
vandaniyah  »,  Sàraiigo  gagav:  «  evam  astu;  tvaya  'rtir  na 
kartavya  ».  matari  mrtayam  Sarango  gaiiiau  sadhùn  na 
vandate;  mitliyatvam  èva  karoti.  mata  svargata  sati,  pu- 
trabodlianàrtliam  ratràv  abhyetyai  'kam  clokam  dattva  io 
'vag:  «  yo  'sya  clokasya  'rtham  kathayati,  tasya  parevo 
tvaya  dliarmah  karyah;  aliam  tava  mata  ».  evam  procya 
gatayam  matari,  Sarangah  stilane  stilane  dviganàm  parevo 
clokàrtliam  papracclia  ;  param  na  gagiìau.  tatah  Siddlia- 
puro  Ori-Devasundarastires^  Tapàgaccliadliipasya  parevo  is 
clokàrtliam  papracclia.  gagau  : 

kamakantam  vragai  stlianam  cicira  vàpayaorute. 

atro  'dite  matam  gràliyam  tvaya  putràntadarcanat.  ||  1^ 
«  matam  gainam  civàyate  ».  tato  gainam  dliarmam  pra- 
padya  samyaktvadhari  craddho  'bhut.  Oatrungaye  gatah  ;  20 
tatra  Cri-Rsabliadevam  ^  natva  stutim  evam  éakre  :  «  dlia- 

13.  Six-ango  ms.         lo.  proktva!  ms. 

1  Baroda(?)  narrato  che  nessuno  sapeva  dar  spiega- 

2  Un  cittadino  di  Disa  (0  zio"«  ^^  Saranga  del  misterioso  doka, 

3  grl  Devasundarasuri  nacque  che  soltanto  il  maestro  grl-Devasundara 
samv.  1396;  prese  :  vrata  nel  1401  in  seppe  interpetrare.  Era  quindi  lecito 
Mahegvaragrama,  suripada  nel  1120  supporre  che  esso  contenesse  un  giuoco 
in  Anahillapattana.  Ebbe  cinque  scolari:  di  parole  e  di  fatti  esso  apparve  tale, 
Gnàiiasfigara,  Kulamandana,  Gunarat-  dopo  attento  esame  del  primo  verso  e  di 
na,  Sadhuratna,  Somasuudara  (Klatt,  quanto  è  detto  dopo  locloka.  La  frase 
1.  e.  Patt  of  Tàp.  4'J).  mata  in  gainam  givayate  che  segue 

4  Lei 'traduzione  del  primo  verso  di  lo  gloka  è  inclusa  nel  primo  verso  ed 
questo  cloka  è  impossibile,  dato  che  essa  a  punto  costituisce  il  segreto  con- 
esso risulta  dall'accozzo  di  parole  che  tenuto  nel  verso  misterioso.  Ed  ecco  co- 
se, meno  l'ultima,  significano  di  perso  ine:  kTuna\i.ù.ntamvvd.(j'ai  sthautnu  iH- 
alcuna  cosa,  messe  insieme  non  danno  gira  uapa?/a(;ruie. 

senso  plausibile.  Di  ciò  nessuna  mera-  •'  Rsbhadeva:  il  primo  Gina,  la 

viglia,   già  che  l'  autore  stesso  aveva      cui  altezza  era  di  ;iOOO  piedi,  e  la  cui 


—  38  — 

nah    sa    màsah,   dliaiiah  sa  divasah,  dhanah  sa  paksa;  ity 
adi  ».  '  devair  api  calitah  san,  na  calitah. 

iti  dharmadrdhatàvisaye  vikala-Saraiigasambaiidhah. 


:}9. 


ekadà  Pirogasnratrànena  Mukundapanilitasya  "gre  prok- 
tam:  «  aliam  maliàu  atliava  Ràmah?  »  tatas  iena  gneiia 
galani  àuàyitam,  tatra:  «  ayam  pasaiio  gale  ksipyàtam  ». 
tato  raglia  pàsano  gale  ksipto,  maraagga.  tato  raglio  'ktam  : 
5  «  vyaktya  galpa!  bliùpo  na  'neyah  ».  tato  giio  'vag:  «  Ra- 
masya  sevakair  Hanumadadibliir  gale  muktà  prastaras 
terus  ;  ayam  tu  pasàiio  magnah.  yatah  : 
ye  magganti,  nimàggayanti  ca  params  te  prastara  dustare 
vàrdhau,  vira,  taranti,  vànarabliatau  santàrayante  'pi  ca  | 
10  nai  'te  gravaguna,  na  vàridhiguna,  no  vanaraiiam  giinàh: 
Crlmad-Dàcaratlieh    prataj^amaliima   so    'yam    samuggrm- 

[bhate.  1112 
evam  prokte,  raga  lirstah. 

i).  bhayàn  ms.         12  prokto  ms. 


40. 


ekadà  chago  mataram  prati  gagau  :  «  mata,  dipalikà^  sa- 
mesyati;  madiye  criige  tvam  blmsayes  ».  tada  mata 'vak  : 

1.  samesyati  ins. 


vita  fu  di  otto  milioni  di  anni  fino  a 
Vardhamàna,  l'ultimo,  la  cui  età  e  sta- 
tura non  superavano  quelle^dell'umanità 
attuale  (v.  Barth,  The  Religio ns  of 
India.  London,  Trtibner  1882  p.  142). 

1  Queste  parole  che  costituiscono 
una  parte  (sono  chiuse  da  ity  a  di)  della 
stuti  di  Sàranga  non  riescono  a  noi 
chiare,  a  punto  perchè  probabilmente 
non  sono  che  il  principio  di  una  pre- 


ghiera. Il  significato  di  masa,  divasa, 
palesa  è  ovvio.  Ma  che  vogliono  dire 
tali  parole  congiunte  al  dhana  ad  esse 
riferito  ?  Non  è  possibile,  per  ciò  tradurle. 

-  Questi  versi  si  trovano  in  Subhà- 
sitaratnabhandagaram  edito  da  Kàgì- 
iiath  Pandurang  Parii,b.  2"  ed.  1886,  pag. 
177  num'.  26. 

^5  D 1  p  a,  1 1  o  D 1  p  a  1 1  k  a  è  la  festa  ora 
detta  Di  w  ali -che  cade  nella  notte  lunare 


—  39  — 

«  putra,  yadi  maliinamàyam  '  Acvinaciiddlianavamyam- 
tava  kncalam  bLavisyati,  tadà  tava  sacitrain  karisye  ». 
etac  clirntva  Bhlmabhùpena  cliagam arane  maliinaniapar- 
vani  givahimsa  tyaktà.  anyat  pakvannadi  balih  krtac  ca. 
aucitj^otpattibuddhau  ^  chagachàgamatrkatha. 


41. 


Bhogaragà    'nyada    ratrer    madliye    kavyapadatrayam 
evam  punah  jDuiiar  iiccair  gagalpe  'ti  : 

«  cetoliara  yiivatayah,  svagano  'nukùlah, 
sadbandliavàh  pranayagarbhagirac  ca  bhrtyàh,  | 
valganti  dantinivahas,  taralas  turangah....  » 
padatrayam   blmpena    procyamànam    punah  punah  crutva 
caurah,  pùrvam  grhantah  pravisto,  gagau  : 

«  sanmilane  nayanayor  iia  hi  kimcid  asti  ».  ||  1 
tato  ragcl  tam  cauram  niatva  'uhiksya,  parcvad  dhrtva, 
pratas  tam  vignam  laksmldane[na]  sanmanayamasa. 
iti  anit^'ataj-am  Bhogasambandhah.  ^ 

6.  prorj'araanam  ras.  ^  puna  crutva  ras.         9.  pàrcvat  ms. 


della  metà  chiara  del  mese  AC  v  in  a: 
«  Particulary,  the  festival  called  Dnvali 
held  Oli  the  night  of  iiew  moon  in  Acvi- 
na».  Apte  Sanskrit-English  Dictionary. 
Poona  1S1»0,  p.  391. 

1  mahinaiiiày ain  A  un  locativo 
femminile  sanscrito  in  IU030  del  locai, 
guzer.  mah  ina  mani  dal  tema  111  ah  i- 
no  (v.  Belsakk,  Diz.  Guzerati  p.  599). 

2  «  nel  nono  giorno  lunare  sacro  agli 
Acvini  »  detto  Mahiinavanii  o  Dur- 
gilnavami  (v.  Keijiorn,  F estai  day  s 
of  the  II  indù  lunar  caiendar.  Iiul. 
Ant.  1S97.  pp.  177-187). 

•'  a  u  e  i  t  y  o  t  p  a  1 1  i  b  u  d  d  li  i  è  forse 
il  titolo  di  qualche  opera? 

''  Nel  l'.hoga  pra  baudha  (pag.  -13 


ed.  Bombay,  1896)  è  narrata  con  altre 
parole  la  stessa  novella  :  «  tato  ragà 
(Lìhogah)  nidraksaye  divyagayauastliito 
vividlia'manikai'ikanalamkrtani  dayita- 
vargam  darc-aiilyam  filokya,  gagatu- 
ragarathaiìadraisfimagrlm  ca  cintayan, 
ragyasukliasantu.stah,  pramodabharad 
aha  :  «  cetohara  yuvatayah,  suhrdo  'nu- 
kùlah, sadbandhavah  prariayagarbhagi- 
rag  ca  bhrtyah  :  |  valganti  dantinivahas, 
taralas  turangali  ».  iti  caianatrayam 
ragno  'ktani.  caturtlia(:aranai]i  rtigno 
inukliàu  na  nibsarati.  tada  corena  ta'utva 
puritain  :  «sanmilane  nayanayor  na  hi 
kimcid  asti  ».  ||  tato  grathitagrautho 
ràga  corani  vTksya,  tasmai  vlralayam 
adat  ». 


—  40  — 


42. 


kadacib  Qrl-Vastu[)rilamantvi  '  Sthambliatirthe  ^  yayau. 
tadà  lokfili  sametyo  'cuh:  «  yiismakam  carire  kucalam 
asti?»  tacla  Vastnpalamaiitry  avag: 

«  lokah  prccliati  me  vartam:  carire  kiicalam  tava? 
kutali  kucalam  asmakam  ?  ayur  j^ati  dine  dine  ».  ||  1 
ity  anityatàyam  sambandhah. 

5.  dine  2  ras. 

43. 

asmin  pure  crestlii  kutamanatuladibhih  kiìtam  vyava- 
harati.  ekapuskaradvipuskaratripuskaracatuhpuskarapanca- 
puskara  ity  adi  manatiilauam  namani  dadau.  adhikam 
grknati,  stokam  datte.  ity  adi  kurvato  vj^avasayan  mili- 
tam  dhanam  varsaprante  'guina  dahyate,  atliava  stenair 
grliyate,  ragna  va.  ekada  lagliuputravadhva  kiìtadivyava- 
hàram  drstva,  proktam:  «  kùte  vyavahare  crir  yaty  èva  ». 
tato  vadhva  svarnamaj^am  golakam  karayitva,  gale  kse- 
pitah,  piinah  sa  èva  matsikair  abdkimadhyat  karsitami- 
ualirdayat  prapya  serabhràntyà^  dattah.  tato  vadlivo 'ktam: 
«  bho,  cvacnra,  cnddliamàrgena  vyavasayam  kurvato  èva 
grlian  nihkarsita  'pi  crlh  sameti  svayam  »  tatah  cuddham 
vyavasayam  kurvatas,  tasya  grlie  sthira  crir  gata. 
iti  kutatuladyargitavisaye  crestliikatha. 


4.  grlinati  ms.         9.  inatsikcair  ms.         11.    svasnra   ms. 
vaiali  ms.         12.  nihkasita  ms. 


cur- 


1  V.  Kli-tikauniudl  a  life  of  Va-  «a  pound  in  weight;  a  measure  con- 
stupala,  a  minister  of  Lavanaprasada  taining  a  pouiid  in  weiglit  »  ^BELSARE, 
and  Vu-adhavalaVagheiris,coniposedby  Diz.  cit.  p.  SIO).  È  usato  nello  stesso 
grl-Somecvaradeva,  edited  by  Abfigl  senso  di  peso,  misura,  alcuna  volta 
Visiiu  Katliavate.  Bombay.  Sanskrit  Se-  anclie  in  sanscrito.  (Mar.  cera[.  In  l.ila- 
ries  1S83.           '  vati  ne  è  data  delinizione  :  «  padouaga- 

2  V.  nov.  26,  pag.  25.  dyanakatulyatankair    dvisaptatulyaib  » 

3  sera:   vocabolo  di  uso  guzeratl:  (Apte  Diz.  cit.  ediz.  grande,  p.  1137). 


41 


44. 


Kaucambyàm  Cataniko  *  bhùpah.  tasya  Mrgavatì  C'e- 
dagabliupaputry  abliùt.  anyada  raga  sabhàstlio  dùtam 
apràksìt:  «  marna  ràgye  yàdrcam  vidyate  tàdrk  kasya 
'nyasya  vidyate  na  va?  »  dùto  'vak:  «  citrasabha  varya 
nà  'sti  ».  tato  ragna  citrasabha  kàrayitum  arabdhà.  ci-  5 
tra,krnmukliyah  Somac  citrakrc  citracàlàm  citra^^ati.  Somo 
'nyada  Mrgàvatyah  pàdangusthain  drstvà,  Mrgavatya  rù- 
pam  citrayati  sma.  parain  tasj'a  guliye  krsno  binduh  pimah 
piuiar  apasaryamaiiah  papata.  tato  ragà  ragnyà  rùpam  ci- 
tralikhitam  drstvà,  krsnabindum  guhyastliam  ca,  dadhyàv:  io 
«  anena  citrakrtà  kim  marna  patnì  samagrà  drstà?  »  tato 
ragna  Somo  vadliayà  'distali,  tadà  'nye  citrakarà  gaguh  : 
«  asau  na  hanyate.  asya  daivatavaro  'sti.  tatlia  Li  : 

Saketanapure^  Surapriyo  yakso  'bhùt.  sa  ca  prativarsam 
citryate,    citrakararn   ca   hanti.   ko  'pi  na    citrayati   yadà,  i-^ 
tadà  puram  hanti.  tato  ragna  citrakarànam  vàrakah  krtac 
citralekhane.  yasya  nama  ghatamadhyàn  niryàti,  sa  citra- 
yati yaksam.  evam  prativarsam  kriyamàne,  ekadà  ekasyàh 
sthaviryà  ekasyai  'va  pntrasya  vàrakah  samàgàt.  tàdà  mata 
rauti.    tadà   tatra    Somac  citrakarah  samàgàt.  gnàtam   ta-  20 
syah  putrasya  vàrakàgamanam,  gagan  Somas  :   «  tava  pu- 
train  raksisyami  ».  tatah  sastam  krtvà,^  cucibhùya  mukha- 
kocam  pidhàya,  yaksam  citrayitum  lagnah  Somah.  yaksas 
tusto   gagau:    «  varam  yàcasva  »    citrakrto   'ktam:    «  atah 
param  tvayà  givahimsà  na  kàryà,  mama  ca  decàmce  drste  25 
sampurnadehacitravalàkaranacaktim    dehi  ».    tena    tustena 
yaksena  tathà  krtam.  so  'tra  'gato  'san  Somah  ». 

3.  yadrcyam  ms.         6.   cinayati!   ms.         19.   varaka   ms. 


1  II  nome  di  questo  l'e  ricorre  anche  3  Sottintendi  bliai<tam:  avendo 
nella  novella  di  Domuha  (ved.  Jacobi,  fatto,  ciò  è,  il  sesto  pranzo.  Si  allude 
A  usgewii  lilte  Erzilhl.  in  Mahara-  qui  ad  una  nota  pratica  ^-ainica  di  puri- 
strl.  Leipzig,  1886,  pagg.  39-40).  ficazione,  pratica  consistente  nello  star 

2  sic,  invece  della  forma  classica  cinque  volte  senza  usare  dei  pasti  coli- 
sa k  età  (ossia  la  città  di  Ayodhya).  sueti.    Alla    fine   del  digiuno  il   primo 

Studi  italiani  di  fil.  indo-iran.  6 


—  42  — 

tato  rag^la  tasya  aùgiistliam  darcayitva  dasyà,  rùpam 
citrayamasa  [Somali],   tato   raga  camatkrtah.   punas  tasya 
30  cliinnasandako  hastah  karito  ragi'ià.  tatah  sa  citrakrn  Mrga- 
vatyà  rupam  patte  likhitva,  C'andapradj^otanayà  'darcayat. 
C'andapradyotanah     Catanikaparcvan     Mrgavatini    yacate 
sma.  sa  na  datte.  Pradyotanas  tatra  'gad  ;  durgam  vestayà- 
màsa.  tada  tam  arim  drstvà  'kasmat  Cataniko  mrtah.  pa- 
ss tyur   mrtyukrtain    krtva,    Mrgavatyà   dhlmatya    proktam: 
<.<  marna  bhartà  mrta:  aham  tva,m  vaùchami,  param  putra- 
sya    laghor    drdliam   vapram  karaya;   paccad  ahara    tvam 
angikurve.    yadi  balàtkaram  karosi,  tada  'tmahatyara  ka- 
romi  ».  tato  nà  'yati   sa  C'andaparcve.  tato  yoddlium    la- 
40  giiah;    ])aram    durgam  latum   uà   caknoti.   itah    Cri-Viras 
tatrà  'gàt.  raga  tatra  gato  ;  Mrgàvaty  api  tatra  'gan  nautum 
Prabliurn.    iipadecah    cruto    dvabliyam.    Mrgavati    dìksam 
yacate.  tada  C'andò  moliam  tyaktva  Mrgavatim  ksamaya- 
raasa.  Mrgavati  diksam  alat.  C'andapradyotanah  Prabhum, 
45  mahasatim  natva,  svasthanam  agat, 

iti  buddliivisaye  Mrgàvatikatlia. 

32.  Mrgàvantim  ms.  35.  mrgadatyà!  ms.  44.  C'andapadyo- 
tana  ms. 

45. 

ekada  Cridharacaryo  nigavasanikatrimcatikadiganita- 
granthan'  krtvà,  tesam  prante  svanama  likhitva,  garvam 
dadhana,  ekam  kàvyam  karoti: 

«  uttaratah  suranilayarn,  daksinato  Malayaparvatam  yavat 
5  pragaparodadhikamadhye  no  ganakah  Cridharad  anyah  ».|I1 

1.  nita  ms.  —  "grani"  ms. 

pranzo  che  il  penitente  fa  è  chiamato  vasanika»  (ms.  nita°)  che  interpreto 

sastam    quello,  ciò  è,  che  viene  sesto  (secondo  uno  dei  signilicati  dati  a  va- 

dopò  gli  ommessi.  sana  dal  Dizionario  Peti-op.)  per  «  pro- 

1  grldhara  acaryah  celebre  a-  pria  dimostrazione».   La  terminazione 

stronomo  indiano.  L'opera  astronomica  in  "ika  è,  come  vedemmo,  frequentissi- 

qui  citata,  nella  forma  in  cui  è  data  dal  ma  in  gubhacila,  sia  nella  sanscritizza- 

ms.  di  gubhaclla,  è  il  tritjatlganita-  zione   di   vocaboli   barbari  o  dialettali, 

sarà  (v.  T.  aufrecht,  CatalogusCa-  che  nella  modificazione  di  alcuni  san- 

talogorum,  pag.  240).  Notisi  il  niga-  scriti. 


—  43  — 

tasya  kaveh  Sarasvatijjutre  'ti  viruddham  nàraa  dadhà- 
nasya,  Sarasvati  dadliyav:  «  alio  esa  vigno  'pi  mùrkliah! 
yata  evam  garvam  dhatte  ».  tato  Brahmi^  garatistrirùpam 
krtva,  Cridharacàryapàrcve  sametye  'dam  pralia:  «  aham 
lekham  na  gaiie,  tvam  tu  sarvam  gànasi;  tene  'dam  ka-  io 
tliaj^a  :  ekena  dvikena  kim  bhavati  ?  »  Cridharo  'vak  : 
«  trayo  bhavanti  ».  «  evam  na  procyate,  samyak  katliaya  ». 
tatah  Cridliarah  praba:  «  dvadaca  bbavanti  ».  «  evam  api 
na  bhavanti  ».  Cridharo  'vag:  «  bho,  garati,  tvam  grathila 
'si,  etad  api  na  ganasi  maduktam  ;  kvacit  kùtam  na  bha-  is 
vati?  »  striyo  'ktam:  «  ekavimcatir  bhavanty  aiikànaip.  va- 
mangatvàt  ».  tatah  Cridharo  dhùnitacirah,  praha:  «  matah, 
ka  tvam  ?  »  tayo  'ktam:  «  aham  Kacmiradecavasiny  asmi; 
tava  garvam  sphetayitum  atra  'gàm  ».  Cridharo  'vak: 
«  ko  garvo  maya  krtah?  »  tayo  'ktam:  «  "uttaratah  sura-  20 
nilaye  'ti  "  clokakàranam  èva  garvas  tava  ».  Cridharo  'vag: 
«  matas  tvam  svarupam  prakataya  ;  mam  katham  viprata- 
rayasi?  »  tato  Bràhmyà  nigam  rùpam  prakatitam.  vagde- 
vlrùpam  drstvà,  Cridhara  utthaya  tasyah  pàdayoh  patitvà 
'vag:  «  màtar,  aham  mugdho  'smi,  yathà  evam  maya  garvah  25 
krtah  ».  tayo  'ktam:  «  jiutra,  tvaya  'tah  param  garvo  na 
karyah:  garvena  giva  duhkhiuah  syur,  iha  paratra  ca  ». 
yatah  : 

ghanam  madadarpaharam,  madyati  yas  tena  tasya  ko  vai- 

[dyah? 
amrtam  yasj^a  visayati,  tasya  cikitsa  katham  kriyateV  ||  1^  3o 
vidyayai  'va  mado  yesàni  karpanyam  vibhave  sati, 
tesàra  daivabhibhùtanàm  salilàd  aguir  iitthitah.  ||  2^ 

evam  Bràhmivacah   crutva,    Cridharo  garvam  tatyàga. 
iti  garvopari  Crldharàcàryakatha. 

8.  Bràhma  ms.         12.  samyag  ms.         32.  °bhùtànà  ms. 


1  Brahinl  è   uno   dei  soprannomi      ciie  al  voi.  I,  pagina  48,  n.  2451. 
della  dea  Sarasvati.  ■*  Bòhtl.  Ind.  Spr.  Voi.  HI,  p.  300, 

2  Cfr.  BoHTLiNGK,  I  u d  1  sc 11 6  S p p tj  -      n.  6093. 


—  44  — 


4G. 


Mahabliàrataute  Krsnadvipayana-Vyasena  ^  'bliimanina 
cloka  ìdrco  'lekhi  : 

«  alram  vedrai,  ^ako  vetti,  Saùgayo  vetti  va  na  va 
Bliàratam,  Bliàrati  vetti,  devo  gànati  Kecavah  »||1- 
5         daksinasamudrat    124  yoganair    uttarasyam    dici   Ayo- 
dhyatah  kumbhakàro  gaino  Girinaragirau  yàtrartliam  ga- 
tah.  tatrasthaih  Krsnadvipayanacisyair  uktam  :  «  asmàkam 
guruh  sarvam  vetti  ».   kumbhakrd   dadhyav    evam:    «  sar- 
vagnam   vina   na    ko    'pi   vetti  ».   tatah   sa    kumbliakarah 
10  Krsnadvipaj^anapàrcve   gatah   san,  praha:    «  Bharate  bha- 
vatkrte    katliayah    patih    kah  ?  »    Krsnadvipàyano    'vag: 
«  Yudliistliiradayah  katliecah  ».  «  Dranpadya  samam  tesam 
kah  sambandlio  bhavati  ?  kani  na  'tra  bhavanti  ?  kani  bha- 
vanti?  »  tato  Vyaso  'vag:  «  na  gane  ».  kumbliakaro  'vak: 
15       «  paticvacuryata  gyesthe,  patidevarata  'nuge 

madhyamesu  ca  Paiicàlyas  tritayam  tritayam  trisu  ».  li  1 
tata  uttliàya  Dvìpayanah  krtaiigalir  gagau  : 

«  tvam  èva  viduro,  dliiman,  tvain    èva   dharmicekliarah 
tvam  èva  vandaniyo  'si,  tvam  èva  'si  kalanidliih.  \\  1 
aham  mùrklio'smi,  mùdlio  smi,  garvavan,  papamàn^  piinah, 
santapto 'smi,  nihkalo  'smi, nirguno  'smi  ca,  kumbliakrt ».||2 
iti  garvopari  Krsnadvipayanakatka. 

6.  kumbhakàro    ms.         14.   kumbhakàro   ms.         19.    karfcta   ms. 
20.  mùdhau  ms. 

1  La  forma   Dvipàyaua  costante-  natio,  per  cosi  dire.  Il  primo  verso 

mente  usata  da  gubhaclla,  invece  della  appartiene  appunto  al  Mbh,  ma  non  alla 

classica  Dvaipayana,  è  propria  degli  fine  di  esso,   bensì  al  libro  I,   L  «l-  ^ 

scrittori  gainici.  secondo  verso  è  invece  fattura  di  gu- 

■-i  Lo  cloka.  che,  secondo  quanto  è  bhacila. 
detto  nelle  prime  parole  della  novella,  ^  sic!  ms.  per  papavaa  (v.  Whitney, 

dovrebbe  appartenere  al  Mbh.  non  è  che  Sanskr.  Gramm.  London  1696,  p.  us 

la  resultanza  di  una  strana  contami-  §  1233 a,  p.  475  §  1235 a). 


20 


-  46 


47. 


Cripure  Dhanacrestlii  mahebliyah.  tasya  baliavah  sva- 
ganah  ; ',  tasya  bhàryà  Dhanavati,  putrah  Kamalah.  tasya 
patni  Kamala.  Pliane  jDatniyute  svargam  gate,  Kamalah 
kramat  svalpadhano  'bliiit.  Kamalas  tu  gimavàn,  bharyà 
ca  patihitakarini.  pragbùrnakà  bahavah  samayanti.  Ka-  & 
mala  sarvesam  praghùrnakànam  patyanitanam  bhaktim  ka- 
roti.  anyada  cresthi  krcacariram  patnim  veksya'prahe  'li: 

«  kim  disasi  pie  sampaim  kubbala  sugunàvalie? 

gamete  acchianùm  radùm  tam  puremi,  kalieha  »  ^ 
bhàryo  'ktam  :   «  [bahu]^dhanam  avàbhyam  diyate  ;  tena  ka-  io 
ranena  bliavàmi    durbala  »].-   tato  vicesàd  dbananusarena 
dànam  dadato,  miiktiyogyam  pimj^am  argayatas  tau. 
ity  adi  dàlie  dliane  katbà. 

5.  pàghùrnakà  ms.        7.  sic!  per  aveksya. 

ko  'pi  piimàn  marge  niryayàv  èva.  etasya  màrge  milito 
eko  rinchas^  tasya  prstlie  pradliàvati  hautiim,  tathà  tena 
pumsà  karne  dlirto  riiiclio,  yatlià  riiicho  tam  liantum  ic- 
chati,'"  tathà  sa  kariiayor  drdliam  mardayitum  lagnah.  tadà 

1.  niryayavavetasya  ms.         4.  tathà  tathà  ms. 

1  II  metro  è  Doha.  La'.ti-aduzione  è:  avuto  riguardo   specialmeute  a  quanto 

«  kim  drcyase,' priye,  samprati  kubala,  precede,   non  è  tutta  via  tale  da  poter 

sugunàvahe?  |  yat  te  isuim(?)  tat  pura-  esser  tradotto  in  ogni  sua  parte,  che  esso 

yami,  katliaya  ».  Ilo  cercato  di  supplire  risulta  di  parole  per  lo  piii  iiicompren- 

con  istam  alla  lacuna  cui  danno  luogo  sibili.  Lo  ripeto  tale  quale  è  dato  dal  ms. 

nella  versione  le  due  parole  intraduci-  enei  testo  segno  tra  []  il  senso  che  credo 

bili   acchianilni    raduni  desumendo  ne   risulti:   ghar  iavaighar  imaggi- 

ciò  dal  contesto  del  discorso:   «quello  d viapriyatum  unamagunehi    |   ti- 

che  tu  desideri,  dimmi:  questo  io  adem-  nikàranihiimdubalyhurauràtidi- 

pierò  (lett.  =  riempirò)   per  te»   («ciò  dehim. 

che  ti  manca  io  cercherò  di  darti  »).  —  •*  riiiclia  è  vocabolo  guzerati;  cor- 
li  dialetto  è  apabhramya.  risponde  al  sanscrito  rksa  e  al  prà- 

-  Il  ms.  ha  uno  Qloka  prakrito,  che,  krilo   rikkha   (v.  Belsare,   diz.   cit., 

se   è    comprensibile    nel    suo    insieme,  p.  654). 


20 


—  46  — 

5  tasya  vasanikà  '  trutita,  kiyaiiti^  spardhakaui^  patitani 
binivi,  tada  ito  marge  ko  'py  agaccliaii  pumàms  tam  tatha 
drstvà,  gagau  :  «  kim  tvayà  kriyamànam  asti  ?  »  teno  'ktam: 
«  asaii  rinchah  karnayor  mrdyaiiianah  spardhakaui  mun- 
cati  ».  dvitiyo  'vag:   «  yadi  tvani  maliyam  amum  dadasva, 

1^^  tada  'liam  api  kiyanti  spardhakàiii  argayisyàmi  ».  teno 
'ktam  evam:  «  katham  rincho  'sau  maya  tubliyam  dlyate?  » 
«  dvitlyo  'vak  :  «  tvam  krpaparo  'si  ».  tatas  tena  riiiclio 
dattas  tasya  liaste,  sa  ca  kamiam  mardayitum  lagnali,  pra- 
tliamah  svaspardliakàiii  grhitva,  gagau:   «  kiyanti  spardha- 

15  kcXiii  tava  liaste,  catitàni  iia  va?  »  sa  riiicbakarnau  mar- 
daj'an,  gagàv:  «  asau  tu  kim  api  na  datte,  bantum  màm 
vàiicbaty  asau  ».  paro  'vak:  «  tarili  iiiunca  'munì  ».  riiicba- 
graby  avag:  «  riiicbakarno  grliito,  latum  moktum  na  ca- 
kj^ate  ».  tatah  sa  duhkbi  gàtah,  pratbamah  svaspardbakani 
latva,  sukbi  bliùtva  buddbya,  svagrbe  gatah. 
iti  dbivisaye  rincbagrabikatba. 

13.  lasah  ms.        21.  visayem  ms.  —  kathàh  ms. 


49. 


ekadà  Cri-Kumarapalo 'vag  :  «Bbagavan,  samsare  kutra 
baliu  siikbam,  punar  dahkbam  [asti?»  guruno  'ktam:]' 
«  anuttaravimanavàsinam    suranàm    tray astri mcatsàgarani 

b  e  5.  "sàgaràni.  sic  ms  ! 


1  sic  ms.  Questa  parola  che  con  si-  nel  suo  vero  significato  interrogativo, 
gnilicato  inesplicabile  vedemmo  nella  «quanto?»  in  quello  di  «alcuno,  qual- 
nov.  26,  e  con  altri  invece  determinati,  elle  ». 

ma  tutt' affatto  differenti,  nelle  novelle  a  H  vocabolo  spardliakàni  (forma 
29  e  45(^di  genere  femm.  nelle  due  prime,  in  cui  esso  è  costantemente  adoperato 
maschile  nella  terza  e  in  questa  di  nuovo  nella  novella)  risulta  certo  dalla  sau- 
feniminile)  qui  io  non  so  altrimenti  in-  scritizzazione  di  alcuna  parola  dialet- 
terpretare  che  per  «  pelle  ».  L'uomo,  as-  tale  o  barbara.  Quale  essa  sia  non  so 
salito  dall'  orso,  lo  prende  per  le  orec-  dire;  dal  contesto  del  discorso  dobbiamo 
chie  e  comincia  a  strizzargliele,  a  rom-  tuttavia  credere  che  voglia  esso  voca- 
pergliele.  Dopo  di  che  cadono  a  terra,  bolo  indicare  o  «  monete»  o  «  perle  pre- 
da alcun  che  di  rotto  (  y  trut  :  sbriccio-  ziose  »  od  alcun  altra  cosa  del  genere, 
larsi)  degli  spardhaki.  Che  può  essere  ^  Le  parole  tra  parentesi  sono  state 
questo  «  alcunché  »  se  non  la  «  pelle  »  da  me  supplite  nel  testo,  che,  come 
degli  orecchi?  ci   è  dato  dal  manoscritto  Berlinese,  è 

2  Notisi  il  kiyat  usato,  oltre  che  troppo  stringato. 


—  47  — 

nityam  sukham  ;   saptanaralvavàsinam  narakànam   duhkam 
bbavati  trayastrimcat'sagarani.  yàvad  atah  kàranàg  givena    5 
punye  adarah  kartavyo  na  pape  », 

ity  utkrstasnkliaduhkliasambandhah  samsare  yatra  bha- 
vati  'ti.  tatkatbà. 


50. 


C'andrapure    Crldharo    digarabaro   'bliùt;    tasya  cisyah 
Prabhacandra  asit.  ekada  Prabhacaiidro  'vag:  «  Bliagavanii 
aham  sarvavidyaparagàmy  asmi  ;  tena  yada'deco  diyate  Crl- 
pùgyais,  tadà  'ham  pùrvagatam   crutam   samskrtam   sphe- 
tayitva  'ngavat  pràkrtam  karomi  ».  guriino  'ktam:   «  tava    5 
prayaccittam  lagnam  ».  Prabhacandro  'vak:   «  katliam  ma- 
ma  'smat  papan  iiistaro  bhavisj^aii ?  ».  giiruno  'ktam:   «  rà- 
gauam    pratibodhaya  ».    tatah    Orìpure    Cridliarabliùpasya 
pratibodhaya  gatah.  tena  raglia  svà  putrì  patlianàya  'rpita. 
atra  'ntare  taip.  kavyam  Bharatacastradi  pàthayàmàsa.  kra-  io 
mat  tayoh  pritir  abhtit.  tayo  ràgàn  maithunam  api  gatam. 
giiatam  raglia;  ràgà  tayoc  caritram  drastum  tatra  'gàt  prac- 
chaiinam  ;  tada  Prabhacandrena  kavyam  proktam  : 
«  alio  samsàragalasya  viparltah  kriyàkramah! 
na  param  gadagantuiiam,  dhivarasyà  'pi  baiidhanam!  »    1   is 
etad  àkarnya  raglia  tasmai   svaputri  dattà.  kramad  gu- 
rubhir  giiàtam  cisyasvarùjjani;  tato  gurubhir  iti  giiapitam: 
«  samsare  liayaviliina  mahilaruvena  màndiam  kùdam, 
bagghanti  ganamàna,  ayanamàna  na  bagglianti  ».  j|  1' 
tena  gurupuro  giiapitam:  20 

«  tavan,  mabatvam,  pandityam,  kulam,  tattvam,  vivekità, 
yàvag  gvalati  na  'ngesu  batah(?)  paiicesupàvakah  ».  I|  1  ^ 

2.  PrabhavacanJi'o  ms.        3.  Cripugyaih  ms.       10.  edyantare!  ms. 


i  La  traduzione  è:  «samsare  ha-      ayanàna  na  badliyante». 
tavidhina  inahilàr rqìena   mandi-  2  v.  Bòhtunok,  Tnd.  Spr.  Voi.  )I, 

tam    katam  I  badhyantè    ganàiià,       p,  G9,  u.  2553. 


—  48  - 


guruproktam  avaganayya  sthitas  taira,  taira  kàlena  tasya 
sarvfi  vidyri  vismrta,  iiiurklio  babliuva.  yatah  : 
uarisakto  ganas  tatam  pitaram,  blirataram  tatlia 
vidyam  na  vidate,  laksmìr  yatlva  kvacid  èva  tu.  H  1 
evam  kecbi  narivacikrtah  krtyakrtye  na  gananti. 
iti  Prabliàcandrakatha. 


24.  babhùvah  ms.        2G.  sic.  ms. 


LE  CINQUECENTO  NOVELLE  ANTICHE 


Onoi'O  ai  santi  Cina,  a  Rsablia,  primo  di  essi,  a  Vardhamana 
ultimo  ed  agli  altri  Arhant  tutti,  all'illustre  Pundarika  ^  ed  agli 
asceti  !  Io  a  loro  m' inchino,  perchè  mi  concedano  forza  di  cono- 
scenza e  lume  [allo  spirito].  ||  1  || 

Dopo  aver  imparato  alcunché  dal  maestro,  alcunché  dai  libri 
altrui  e  dai  miei,  io  ho  composto  questo  libi-o  intitolato  :  «  La  rac- 
colta di  cinquecento  aneddoti  spirituali  ».  ||  2  || 

Questo  libro,  adunque,  è  scritto  da  me  Cubhaclla,  ma  per  la  grazia 
del  maestro  Laksmisagara.  -  ||  3  |) 


1. 

Gautaraa  ^  avendo  udito  una  volta  di  quanto  frutto  fosse  ca- 
gione r  onoranza  al  tlrtha  Astàpada,  presso  il  santo  G'ina  Varda- 
mana,  volle  ad  esso  recarsi.  Allora  i  penitenti  che  ivi  stavano  pen- 
sarono :  «  Che  mai  farà  costui  ?  »  Mentre  in  tal  pensiero  erano  as- 
sorti, Gautama,  sostenendosi  sui  raggi  del  sole,  oltrepassò  il  tirtha. 
Poi  nel  tempio  fatto  costruire  da  Bharata,  lodò  secondo  l' ordine 
voluto,  i  ventiquattro  supremi  G'ina  nel  pensiero,  nell'autorità,  nel 
corpo,  nell'  espressione  del  volto,  nelle  virtìi  ed  in  altro  ancora. 
E  disse  : 

«  I  ventiquattro  celebrati  ottimi  G'ina  le  venti<|uattro  supreme 
Rddhi  e  le  otto  Siddhi  mi  concedano  la  massima  Facoltà  ».  ■*  ||  1  || 

*  ÈunodeiGanadharadei  G'aina.  ffiio,  o  per  arte  magica  e  mezzi  diabo- 

2  Vedi  alla  pagina  1,  nota  1.  liei».   Bettei:   Vetalapai'icaviniQa- 

■'  Vedi  alla  pagina  7,  nota  2.  tikà  (Studi  it.  di  Kil.  Ind.-Ir.  Voi.  I, 

''  «  Le  otto  facoltà  [.siddlii]  s'acqui-  pag.  12).  Cos'i  traduce  il  Bettei  Io  ^loka 

stano  ()  per  divino  dono  da  ciii  ne  è  de-  della  Vetalapaiìcaviirigatika  che   tratta 

Studi  italiani  di  fil  indu-iran.  7 


—  60  — 

Dopo  di  aver  ivi  onorati  gli  dei  od  esser  partito  dal  tlrtha,  attra- 
versandolo, millecinquccontotrc  penitenti,  illuminati  dalla  parola  di 
Gautama,  ne  abbracciarono  la  regola.  Quindi  egli,  mentre  camminava 
per  via  con  un  recipiente  ripieno  di  latte  portato  da  un  villaggio, 
avendo  nel  mezzo  di  esso  posto  un  dito,  satollò  tutti  i  penitenti. 
Mentre  costoro  sì  cibavano  e  meditavano  1'  acquisto  del  signore 
Gautama,  surse  in  cinquecento  di  essi  la  Somma  Sapienza.  Essendo 
stata  poi  per  via  udita,  da  parto  di  Gautama,  la  lode  del  G'ina  Var- 
dhamàna,  nacque  in  altri  cinquecento  penitenti  la  conoscenza  del 
Sapere  Assoluto.  Finalmente,  essendo  apparso  il  signore  Vardha- 
mana,  nacque  nei  rimanenti  ciuquecentotre  penitenti  la  Suprema  Sag- 
gezza. Il  che  ignorando,  Gautama,  [voltosi  ai  penitenti]  disse  :  «  Sa- 
lutate il  Signore  ».  E  quando  essi  ebbero  inchinato  lui  e  si  furono 
seduti  a  fianco  del  santo,  disse  Gautama  :  «  Chi  è  stolto  non  loda, 
se  bene  esortato,  il  Signore  ».  Disse  allora  Vardhamàna  :  «  Non  con- 
turbare gli  asceti  beati  ».  E  Gautama  :  «  Quale  conturbazione  di  loro 
faccio  io,  o  Signore  ?  »  Vardhamàna  allora  narrogli  come  fosse  nei 
penitenti  sòrta  la  Sapienza  Assoluta.  Quindi  Gautama  avendo  inchi- 
nati i  piedi  di  loro  santi  ed  avendo  loro  chiesto  perdono,  disse  al 
Signore  :  «  La  conoscenza  del  supremo  bene  appartiene  a  coloro  ai 
quali  io  dò  la  consacrazione  e  a  me  no?  »  Essendo  egli  afflitto  per 
questa  cosa,  il  Signore  gli  disse  :  «  A  te  pure  sarà  concessa  la  Su- 
pi'ema  SajDienza  ». 

2. 

Una  volta  il  saggio  G'inaprabha,  seduto  in  assemblea,  discorreva 
col  Sultano  Firuz.  In  quel  frattempo  alcuni  Mollali  '  ivi  giunsero.  Uno 
di  essi  lanciò  in  aria  il  proprio  turbante,  il  quale,  pur  senza  sostegno, 
si  fermò.  Il  Sultano  allora  avendo  veduto  quel  prodigio  disse  :  «  Oh 
il  gi'an  mix'acolo  !  »  E  il  saggio  :  «  Io  saprò  ben  fare  di  meglio  !  »,  e 
in  così  dire,  fissò  nell'aiùa  il  turbante.  Disse  poi  il  Sultano:  «  Lo  si 
tragga  a  terra  ».  Adoperò  allora  il  Mollali  la  formola  magica  del- 
l'attrazione, ma  non  riusci  a  smuoverlo.  Il  Sultano  disse:  «  0  saggio 
G'inaprabha,  traggilo  tu  ».  E  quegli  con  il  flabello,  che  gittò  ove 
trovavasi  il  turbante,  riusci  a  trarlo  a  terra.  Della  qual  cosa  molto 
meravigliossi  il  Sultano. 

di  esse:    «Diventar  atomo   o   racle,  —  caricati  di  dire  le  preghiere   nelle  ino- 

lieve  o  greve,  dominare  —  Sulle  cose  e  schee  e  presso  i  Turchi  anche  gli  alti 

le  lor  leggi,  —  tutto  aver,  nulla  toccare  ».  dignitari  ecclesiastici.  Solo  fra  i  Mollali 

i  Con  la  parola  mollah   (moula)  vengono  scelti  i  legislatori  e  gli  amnii- 

sono  indicati  dai  mussulmani  in  ispecial  nistratori,  cos'i  che  anche  presso  i  Per- 

modo   i   giureconsulti   e   generalmente  siani  nessuno  che  non  appartenga  a  que- 

tutti  coloro  che  eccellono  per  sapere  e  st'ordine  sociale,  può  divenire  reggitore 

per  dignità.  Con  egual  nome  vengono  di  città  e  di  distretti  e  amministratore 

chiamati  anche  i  preti  maomettani  in-  della  giustrzia  civile  e  criminale. 


—  Si- 
li giorno  dopo  una  portatrice  d' acqua,  reggendo  sul  capo  uua 
secchia  piena,  si  passò  dinanzi  al  l'e.  Il  Mollali  allora  fece  si  che  la 
secchia'  stesse,  priva  di  sostegno,  immobile  nell'aria.  La  donna  che 
era  proceduta,  non  sentendosi  più  sul  capo  il  peso  di  essa,^  ma 
scorgendola  invece  sospesa  in  aria,  si  meravigliò.  E  il  re  pure  ri- 
mase stupefatto  e  lodò  il  Mollah.  Ma  disse  allora  il  saggio  :  «  Se 
1'  acqua  potrà  senza  sostegno  reggersi  in  aria,  allora  da  vero  ottima 
dovremo  giudicare  l'arte  di  costui»;  ma  il  Mollah,  invitato  a  far 
ciò,  non  avendone  potere,  se  ne  stette  silenzioso.  Allora  il  saggio 
avendo  spezzata  col  pugno  l'anfora  fece  stare  l'acqua  in  aria  priva 
del  suo  recipiente.  [Il  che  vedendo]  il  sire  grandemente  si  meravigliò. 
Una  volta  il  Sultano  conquistò  il  villaggio  di  Kànhada.  Uno  dì 
là  portò  seco  l' imagine  di  Mahàvira,  la  quale  fu  dai  Maomettani 
messa  presso  la  porta  di  una  moschea  in  Delhi,  in  un  sottoscala.  Il 
saggio  Gr'inaprabha,  mentre  un  giorno  il  Sultano,  appoggiata  la  mano 
su  la  spalla  di  lui,  entrava  nella  Moschea,  vedendo  l' imagine  di 
Vardhamàna  in  un  canto,  si  fermò.  Chiestogli  allora  il  Sultano  pei-- 
chè  ciò  facesse,  gli  rispose  il  saggio  che  in  quel  luogo  era  il  Si- 
gnore. E  a  lui  il  sire:  «  Questa  creatura  che  sa?  Nulla!  ».  G'ina- 
prabha  allora  :  «  Questo  dio  è  veridico  e  dotato  di  arte  magica  ». 
«  Parla  dunque  »  disse  il  sovrano  [rivolto  all'  idolo].  Ma  il  saggio  : 
«  Quando  per  ottenere  istruzione  gli  sarà  fabbricato  un  tempio 
[degno  di  lui],  quando  la  sua  imagine  vi  sarà  ornata  e  adorata,  solo 
allora  egli  risponderà  ad  ogni  interrogazione  ». 

Fece  quindi  Firuz  subito  costruire  a  lui  un  tempio,  e,  siccome 
l'idolo  non  si  muoveva  ancora,  così  disse  il  saggio  al  Sultano:  «  Toc- 
cagli la  mano  affinchè  esso  si  animi  ».  Il  che  essendo  stato  fatto,  ed 
essendo  l' idolo  stato  introdotto  nel  tempio  ed  onorato  di  offerte 
ottime  e  cinto  di  una  veste  tutt' intorno,  il  Sultano  ebbe,  di  qua- 
lunque relazione  di  famiglia  gli  facesse  richiesta,  [esatta]  risposta. 
Ogni  suo  caro  fu  dall'  idolo  nominato.  Si  allietò  per  questo  Firuz. 
Volendo  poi  togliersi  il  sospetto  [che  alcuno  stesse  dentro  di  esso], 
fece  rimuovere  la  veste,  ma  l' idolo  anche  con  ciò  seguitò  a  parlare. 
Fu  onorato  quindi  in  particolar  modo  il  dio,  che  d' allora  in  poi  ebbe 
il  nome  di  Mahàvira  di  Kànhada. 


3. 

Il  Sultano,  un  giorno  di  estate  si  fermò,  fuori  di  città,  sotto  un 
albero    di    Vata,  e    avendo   veduto    che    esso    offriva    molta  ombra, 

1  II  testo  haqui  ghatayugamdue  nell'India  setteiitrionale  di   recipiente 

volte,    laddove  due  altre   volte  non   si  per  rac(|ua,  a  due  ventri  come  l'uno  al- 

parla  di  una  coppia  di  anfore,  bensì  l'altro  sovrapposto. 

di  un'  anfora  sola   (gliata).  Korse  2  Letteralmente  :  non   vedendosi 

trattasi  di  una  forma  tuttodi  comune  sul  capo  l'anfora. 


—  52  — 

disse  al  saggio  G'inaprablia:  «  Sarebbe  cosa  da  vero  graditissima 
che  tale  ombra  venisse  con  noi  ».  <.<  Ben  venga  con  noi  l' albero  »  disse 
allora  il  saggio.  Quindi  procodette  l'all)ero  fino  a  sera  perle  stesso 
cammino  del  Sultano.  Iviveduto  poi  il  luogo  [ove  l' albero  prima  si 
trovava]  essi  lo  licenziarono  ed  esso  se  ne  tornò  al  proprio  posto. 
11  Siro  rimase  stupito  di  ciò. 


4. 


Disse  un  giorno  il  Sultano:  «  O  saggio  G'inaprabha,  sai  dirmi  tu 
che  sei  dottissimo,  da  quale  porta  della  città  uscirò  io  oggi?  »  Scrisse 
ciò  allora  il  saggio  sopra  un  foglio,  e,  suggellatolo,  lo  consegnò  al 
Sultano  dicendogli  :  «  Ad  alta  voce  lo  leggerai  quando  sarai  uscito 
dalla  città  ».  Ordinò  allora  Firuz  di  rimuovere  ventun  massi  del  ba- 
luardo ad  una  distanza  tale  per  cui  non  si  potessero  toccare,  e  andò 
fuori.  Fece  poi  leggere  il  foglio  e  vide  che  in  esso  era  scritto  appunto 
quanto  egli  aveva  fatto.  Del  che  molto  fu  lieto. 

5. 

Una  volta  il  Sultano  disse  [a  G'inaprabha]  :  «  Oggi  che  mangerò 
io?  »  Alloi'a  il  saggio  avendo  scritta  la  risposta  su  di  un  foglio,  sug- 
gellatolo, la  diede  al  Sultano  dicendogli  :  «  Leggilo  dopo  pranzo  ». 
Il  Sultano  mangiò  una  focaccia  all'olio,  dopo  di  che,  aperto  lo  scritto 
di  G'inaprabha,  vide  che  in  esso  era  detto  conforme  a  quanto  egli 
aveva  mangiato.  Per  la  qual  cosa  fu  contento. 


6. 

Un  giorno  il  Sultano  disse  :  «  O  saggio,  dimmi  :  ove  è  stato  git- 
tate il  pezzetto  di  zucchero?  Ho  interrogati  di  ciò  i  ministri,  i  sa- 
pienti, ma  nessuno  di  loro  ha  saputo  rispondermi  ».  Allora  G'inapra- 
bha :  «  In  bocca  esso  fu  gittate  ». 

7. 

Il  Sultano  andò  una  volta  in  un  giardino,  e,  avendo  veduto  un 
grande  lago  con  molta  acqua,  disse,  rivolto  a  tutti  i  presenti  :  «  In 
che  modo  potremmo  noi  rimpicciolire  questo  lago,  pur  senza  inter- 
rarlo ?  »  Non  rispondendo  a  ciò  alcuno,  gli  disse  il  saggio  •  «  Accanto 
ad  esso  fanne  scavare  un  altro  assai  più  grande  e  allora  il  primo 
diverrà  piccolo  >.  Il  re  fu  rallegrato  [della  risposta]. 


—  53 


8. 


Il  Sultauo  era  vin  giorno  in  un  deserto,  '  allorché  alcune  donne 
di  un  villaggio,  che  portavano  grano,  vennero  a  lui  e  lo  magnifica- 
rono. Egli  concedendo  loro  denaro,  disse:  «  Perchè  queste  donne 
sono  prive  di  ornamenti?  E  da  chi  mai  sono  state  derubate  o  ba- 
stonate ?  ».  Risposegli  il  saggio  :  «  Questo  deserto  è  arido  e  privo 
di  qualsiasi  bene  ».  Allora  il  Sultano  diede  ad  ogni  donna  cento  di- 
nari e  mostrò  compiacenza  [di  questa  sua  azione].^ 


9. 


Una  volta  il  Sultano  disse:  «Esiste  forse  un  altro  tirtha  oltre 
quello  meraviglioso  di  Maliàvìra  di  Kanhada  ?  s>  Risposto  che  vi  era 
il  Catruùgaya,  la  confraternita,  capitanata  dal  saggio  G'inaprabha,  si 
recò  ad  esso.  Veduto  che  l'ebbero,  tutti  si  meravigliarono.  Disse 
allora  il  saggio:  «  Questo  albero  di  Ràgadanl  se  sarà  nutrito  con 
perle,  darà  latte  ».  Ciò  essendo  stato  fatto,  l' albero  di  Ragadanì 
piovve  latte. 

Il  Sire  chiese  al  capo  della  confraternita  di  stabilire  una  regola, 
dopo  di  che  fu  scritto:  «  Colui  che  farà  vitupero  al  tirtha,  offenderà 
anche  i  religiosi  ».  Ordinò  poi  il  Sultauo  di  costruire  un  trono  di 
pietra  con  sette  gradini,  ai  piedi  del  quale  avendo  egli  fatta  passare 
tutta  la  gente,  disse:  «  Adducano  tutti  qui  il  loro  proprio  idolo». 
Portò  allora  ciascuno  il  suo  proprio  idolo,  o  di  Giva,  o  di  Visnu,  o 
di  Brahma,  o  del  G'ina  o  di  altri  ancora.  Onorati  che  ebbe  il  sovrano 
tutti  gli  dei,  disse:  «  Quali  tra  questi  è  il  maggiore?  »  Non  rispon- 
dendo alcuno,  egli,  dopo  aver  fatto  porre  nel  posto  principale  l'ima- 
gine  del  G'ina,  fece  collocare  tutt'  intorno  quelle  di  Visnu,  di  Brahma 
etc.  Dopo  di  che  egli  stesso  si  sedette  su  un  seggio,  essendosi  at- 
torno posti  prima  molti  servi  armati.  Ciò  fatto  chiese  :  «  Chi  è  il 
maggiore  ?»  E  tutti  :  «  Tu,  o  Sire,  sei  il  maggiore  !  »  Al  che  soggiunse 
il  Sultano:  «  Se  così  è,  certo  è  il  G'ina  il  maggiore;  tutti  gli  altri 
[a  suo  confronto]  non  sono  che  servi  armati  ».  «  Autorevole  è  la  pa-. 
rola  del  nostro  signore  !  »  disse  allora  la  gente. 


1  Marusthalì  è  parola  indicante  cakre»  che  a  lettera  vuol  dire  «fece 
deserto  in  generale,  ma  particolar-  il  suono  yot  »  appunto  perchè  codesto 
mente  una  quasi  deserta  landa  indiana.  suono   ^ot  per  gli  Indiani   vale  come 

2  Cosi  traduco  la  frase  «gotkar ani  una  esclamazione  di  coutontezza. 


—  54  — 


w. 


Un'altra  volta  il  Sultano  si  recò  al  monte  Girinara.  Ivi  avendo 
veduto  che  l'idolo  dell' Arhant  Nemi  era  infrangibile  ed  impenetra- 
bile da  colpi  atti  a  far  uscii'e  scintille,  inchinato  lui  onnipossente  e 
chiestogli  perdono,  lo  onorò  col  donargli  dei  taiikaki  d'oro.' 

11. 

G'inaprabha  esortato  dal  Sultano  a  dirgli  quale  fosse  il  più  bel 
fiore  su  la  terra,  rispose  :  «  La  donna,  però  che  per  lei  è  stato  creato 
il  mondo  ». 

12. 

Disse  un  tale  al  Sultano:  «  Il  banchiere ^  G'agasimha  è  uomo  ve- 
ritiero ».  Il  Sultano  interrogò  allora  G'agasimha  e  gli  chiese  quanto 
denai'o  egli  avesse  in  casa  sua.  «  Domani  ti  dirò  ciò  »  rispose  que- 
gli, e,  andatosene  a  casa,  numerata  tutta  la  sua  fortuna,  tornò  al 
Sire  e  gli  disse:  «Otto  milioni  e  quattrocentomila  taiikaki  d'oro  io 
possiedo  ».  Allora  il  Sultano,  avendo  conosciuto  che  egli  diceva  il 
vero,  lo  regalò  di  un  milione  e  seicentomila  taiikaki,  togliendoli  dal 
proprio  tesoro.  Cosi  G'agasimha  divenne  decimilionario. 


13. 

Una  volta  il  Sultano  avendo  presa  in  mano  una  splendida  gemma, 
chiese  a  G'agasimha:  «  Esiste  o  no  un'altra  pietra  di  questa  più  pre- 
ziosa? »  «  V.  M.  è  gemma  assai  migliore  di  questa  »  rispose  il  ban- 
chiere. Si  rallegrò  il  Sultano  e  diedegli  molta  ricchezza. 


14. 

Una  volta  un  venditore  di  piante  dopo  aver  depositati  in  casa  del 
banchiere  G'agq,simha,  capo  della  famiglia  Ukeca,  cinquecentomila 
tankaki,  se  ne  andò  per  i  fatti  suoi.  Passati  che  furono  alcuni  anni, 
avendo  egli  udito  che  G'agasimha  era  morto,  pensò  :  «  Ohimè  !  il  mio 
denaro  lasciato  in  deposito,  se  n' è  ito!  Ma  c'è  il  figlio  Muhanasi- 
niha  »  pensò  poi;  «  proverò  la  sua  onestà  ».  Essendo  quindi  andato 
a  lui,  gli  disse  :  «  O  Muhauasiiuha,  presso  tuo  padre,  che  era  amico 

1   Veggasi  a  pagina  8  la  nota  3.  2   Veggasi   a  pagina   12  la  nota  I. 


—  65  — 

mio,  io  depositai  cinquecentomila  tankaki:  dammeli  ora».  E  quegli: 
«  Io  te  li  darò,  se  tu  mi  mostrerai  uno  scritto  di  mio  padre  [che 
provi  il  mio  debito]  ».  Ma  non  avendo  egli  scritto  alcuno,  nacque 
contesa  tra  i  due.  Recatisi  dinanzi  al  Sultano  espose  ciascuno  d'essi 
la  propria  ragione.  Il  venditore  di  piante  disse:  «Agisci  tu,  o  Sire, 
al  pari  del  padre  suo  ».  Al  che  subito  Muhanasiinlia :  «  E  che?  vendi 
tu  forse  il  padre  per  cinquecentomila  taùkaki?  ».'  E  subito  gli  rl- 
toi'nò  il  denaro.  «  Vero  è  che  da  leone  nasce  leone!  »-  disse  il  mer- 
cante e  donò  il  compagno  di  centomila  tankaki.  Divenuto  poi  anche 
Muhanasimha  amico  [dei  fedeli],  segui  tutte  le  pratiche  gainiche. 
In  due  modi  fece  la  confessione,  in  tre  maniere  diverse  onorò,  du- 
rante il  giorno,  gli  dei;  convisse  e  pranzò  coi  buoni,  in  tre  modi 
mostrando  benevolenza  ai  confratelli,  e  onorando  il  Saùgha  alla  metà 
dell'  anno.^ 

15. 

Una  volta  un  tale  portò  al  Sultano  tre  pietre  preziose  per  ven- 
dergliele. Furono  chiamati  tutti  gli  estimatori  di  gemme,  i  quali 
dopo  che  ebbero  stimate  le  tre  pietre,  le  mostrarono  al  banchiere 
G'agasimha.  Costui  disse:  «  La  prima  non  ha  prezzo,  la  seconda  vale 
centomila  [tankaki]  ».  «  Come  puoi  conoscere  tu  ciò?  »  gli  chiese  il 
Sultano.  E  G'agasimha  :  «  [Per  ciò  che]  ne  pur  cento  colpi  di  mar- 
tello possono  infrangere  la  prima;  al  decimo  colpo  la  seconda  rimane 
un  po'  incavata.  La  terza,  invece,  per  un  sol  colpo  di  martello  si  di- 
vide in  due  parti  e  lascia  scorgere  dentro  di  se  una  piccolissima 
ranetta  ».  Fu  onorato  [per  questo  suo  giudizio]  il  banchiere.  Rice- 
vette qxiindi  il  mercante  per  la  prima  pietra  trecentomila  [taùkaki], 
centomila  per  la  seconda  e  una  kapardikà*  per  la  terza.^ 


16. 

In  una  città  sórse  tra  i  fedeli  un'  epidemia,  che  non  voleva  in 
alcun  modo  cessare.  Due  di  essi  furono  allora  inviati  al  saggio 
G'inaprabha,  e  giunti  che  furono  a  lui,  che  era  assorto  in  medita- 
li© credo  che  questo  passo  oscuro,  siinha  cioè  e  Muhanasimha.» 
che  io  traduco  aUa  lettera,  {iel)l)a  signi-  :'  Cos'i  ho  cercato  di  tradurre,  atte- 
ficare  :  «Credi  tu  che  per  una  questione  nendoiui  al  testo  nel  modo  migliore, 
materiale  di  cinquecentomila  tankaki,  s'U  accenni  alle  pratiche  gainiche,  ac- 
alcuno  possa  fare  ciò  che  farebbe  sol-  cenni  dei  quali  non  credo  possibile  l'e- 
tanto  il  proprio  padre?  Credi,  ciò  è,  saltissima  versione,  essendo  essi  signi- 
che  sia  possibile,  che  alcun  altro,  sia  licati  da  termini  tecnici  per  lo  più  in- 
pure il  re,  possa'far  le  veci  del  padre?  ».  traducibili.  Vedi  Novella  20. 

2  La  frase  è  origiuata,  è  superfluo  ''  Veggasi  a  pagina  10  la  nota  5. 
ricordar    ciò,    dalla   signilica/.ione   dei  •'  V.  la  2"  lielle  «  Cento  novelle  anti- 
nomi del   padre  e    del  figlio:   Caga-  che  ».  (Milano,  Antonio  Tosi,  1825,  p.  7). 


-  56  — 

ziono,  gli  scòrsero  presso  due  donzelle.  «  Il  maestro  istruisce  donne  » 
essi  pensarono,  e,  mentre  si  volgevano,  furono  fatti  immobili.  Termi- 
nata che  egli  ebbe  la  meditazione,  le  due  donne  dissero:  «  O  perchè 
siamo  state  noi  qui  addotte?  »  Disse  il  maestro:  «  Voi  due  danneg- 
giate la  confraternita  e  però  ve  ne  deve  esser  fatto  rimprovero  ». 
Ed  esse  due:  «  Da  oggi  in  poi  non  piìi  faremo  male  ai  confratelli  ». 
Dopo  di  che  furono  licenziate.  I  due  fedeli,  intanto,  furono  resi  mo- 
bili e,  inchinato  che  ebbero  il  maestro,  gli  chiesero  notizia  delle  due 
donne.  Egli  risposo  loro:  «Voi  avevate  udito  quale  danno  queste 
due  donne  facessero  nella  vostra  città;  ora  esso  è  allontanato:  ciò 
avete  veduto  ».  Allora  i  due  fedeli,  andati  alla  propria  città,  nai-ra- 
l'ono  la  risposta  del  saggio  G'inaprabha. 


17. 

Un  giorno  il  medico  Pàlhako  del  Mewar  si  recò  alla  corte  del 
Sultano  per  curarlo,  ed  entrò  nella  sala  dei  saggi  Komali.  Siccome 
essi  biasimavano  gli  ottimi  saggi  del  Tapagaccha,  così  egli  li  offese. 
Ne  sórse  quindi  una  contesa,  nella  quale  alcuni  furono  feriti  alle 
mani,  altri  al  viso.  Il  Sultano,  dopo  che  tutti  si  furono  recati  dinanzi 
a  lui,  udita  che  ebbe  l'esposizione  del  fatto  da  ciascuno,  disse:  «  Chi 
mai  dovrà  esser  punito?  Nessuno  ha  ragione.  D'ora  in  avanti  non 
dovrà  alcuno  comportarsi  sconvenientemente  ». 


18. 

Nella  città  di  Bhadre^vara,  situata  su  la  riva  del  mare  abitava 
un  mercante  di  nome  G'agadu,  originario  di  Crimala,  il  quale  com- 
merciava per  terra  e  per  acqua.  Un  giorno  un  negoziante  al  servizio 
di  G'agadu  si  recò  nell'isola  di  Ormuz  conducendo  seco  una  barca 
piena  di  merce.  Presi  quivi  in  affitto  dei  magazzini  la  sbarcò  in  essi, 
e  cominciò  il  suo  commercio.  Nello  stesso  luogo  erano  altri  magaz- 
zini. Una  volta  in  mezzo  a  due  di  essi  sorse  un  grande  masso,  che, 
tratto  fuori,  fu  stabilito  nell'interstizio.  Sopra  di  esso  sedutisi,  i 
due  mercanti  cominciarono  a  poco  a  poco  a  disputarselo.  «  E  mio  » 
diceva  l'uno;  e  l'altro  a  sua  volta:  «È  mio».  Così  disputando,  re- 
caronsi  essi  alla  presenza  del  re  e  ivi  da  un  altro  negoziante  tu 
fatto  il  prezzo  di  tremila  taùkaki.  Il  mercante  di  G'agadu  allora 
avendo  sborsato  molto  denaro,  acquistò  il  masso,  e,  lo  caricò  su  la 
barca,  che  si  mosse  [alla  volta  di  Bhadre9vara].  Giunto  che  egli  fu 
in  vicinanza  della  città,  disse  un  uomo  a  G'agadu:  «  Il  vostro  mer- 
cante è  qui  venuto  dopo  aver  acquistata  molta  ricchezza!  Egli  ha 
qui  addotta  una  gran  bella  pietra.   Con    essa,  certo  voi  potrete  so- 


-  57  — 

stentare  la  famiglia  !  ».'  Così  avendo  qu.egli  detto  ridendo,  gli  rispose 
G'agadii  :  «  Solo  il  padrone  deve  decidere  se  il  mercante  [a  sua  di- 
pendenza] porta  cosa  meritevole  o  no  di  abbandono.  La  sorte  e  il 
guadagno  di  un  negoziante  dipendono  dalla  merce  che  egli  adduce. 
Qui  non  è  davvero  il  caso  di  far  disjmta  alcuna  ».  Allora  G'agadù 
essendo  andato  su  la  riva  del  mare,  mandò  il  capo  mercante  e  il 
masso  nella  propria  casa  e  disse  :  «  Chi  non  si  procaccia  vergogna 
se  ride  o  piange  dei  propri  affari  dinanzi  alla  gente?  Ottimamente 
ha  fatto  costui  [portando  la  pietra].  Egli  ha  custodita  la  mia  gran- 
dezza ».  Quindi,  tratto  il  masso  nell'interno  della  casa,  G'agadu,  se- 
dutovisi  sopra,  pensò:  «  Io  rendo  felice  la  terra  col  distribuire  ad 
essa  ricchezza  ».  Descrisse  poi  egli  la  pietra  al  direttore  spirituale 
e  gli  disse  :  «  Certo  in  essa  sono  ottime  cose  ».  E  in  vero  aperto  ed 
osservata  che  fu,  vi  si  ti'ovarono  entro  gemme  del  valore  di  cento- 
venticinquemila  [taùkaki].  E  perciò  grande  ricchezza  ne  venne. 


19. 


In  Bhadrecvara  regnava  il  re  Bhàdala,  il  quale  serviva  il  re  Vl- 
sala  in  Pattana.^  Solaga  era  il  capo  commerciante  [in  Bhadre9vara]  ; 
sua  moglie  era  Gride  vi;  figli  suoi  erano  Raga,  G'agadu,  Padmaraga, 
Malia.  Il  mercante  Gagadu  aveva  principiato  a  mercanteggiare  su  la 
riva  del  mare. 

Una  volta  alcuni  pirati  andarono  a  lui  e  gli  dissero:  «  E  caduta 
nelle  nostre  mani  una  nave  piena  di  cera;  se  essa  vi  piacerà,  voi 
potrete  j^renderla  mediante  pagamento  ».  Allora  G'agadù  andò  ove 
era  la  barca,  e  sborsato  il  prezzo  la  comperò.  Gli  operai  di  lui,  riem- 
piuti che  ebbero  i  carri,  andarono  alla  sua  casa  e  dissero  alla  mo- 
glie: «Il  mercante  G'agadù  ha  comperata  cera  di  api;  dove  po.s- 
siamo  noi  scaricarla?»  Disse  allora  la  donna:  «Non  portate  cera 
in  casa  nostra,  che  essa  è  cagione  di  peccato  »;  •^  e  non  diede  il 
permesso  di  scaricarla.  Allora  essi  collocarono  i  pe'z.z'i  di  cera  nel 
cortile,  sotto  un  albero  di  Limba.  Per  ciò  G'agadù  ebbe  litigio 
con  la  moglie,  la  quale,  quando  fu  ad  alta  voce  rampognata,  disse  : 
«Gran  i)eccato  è  inerente  al  traffico  della  cera!»  Allora  essi  due 
furono  l'un  l'altro  adirati,  dopo  questo  alterco.  Gagadù  non  rivol- 
geva parole  alla  moglie,  ed  ella  non  parlava  al  marito.  Passati  che 


'  Così  ho  tradotta  in  senso  figurato  2  j'.;  la  medesima  clie  Anhilvad. 

lafriise:  «j^eham  api  hiiarisyate  »  ■'  «  Sije  Iloenile,  Uvfisaga  Dasao  §  51, 

che  i)otrebbe  essere  interpretata  anclie,  note    72   and    the   corresponding    pas- 

in  senso  materiale,  «  con  essa  potrete  sage  of  the  Yogacastra,  quoted  there  » 

sostenere  la  casa!».  Hìjiii.er,  Ind.  Stud.  I  (i.  e.)  p.  23,  n.  4. 

Studi  italiani  ili  fll.   indo-iran.  8 


—  68  — 

furono  in  tal  modo  tre  mesi,  giiinso  la  stagione  fredda.  Allora  il 
figlio  di  G'agadù  costruì  un  focolare  di  mattoni  [per  arrostirvi  pan- 
nocchie di  grano],'  e  |ier  ottener  calore,  vi  gittò  entro  erba  secca  e 
altre  cose  simili.  Per  gaiezza  infantile  pose  anche  sopi'a  il  focolai'e 
un  pezzo  di  cera.  La  cera  si  strusse  e  la  moglie  [di  G'agadù]  vide 
in  suo  luogo  un  pezzo  d'oro.  Se  bene  ella  non  rivolgesse  ancor  pa- 
rola al  marito,  pur  tuttavia,  essendo  avida  di  ricchezza,  gli  disse: 
«  Guarda  qui!  ».  Ma  G'agadù,  che  ancora  era  adirato,  non  guardò 
allatto.  Disse  allora  la  moglie:  «  Uno  dei  nostri  pezzi  di  cera  si  è 
mutato  in  un  pezzo  d'oro  ».  Quando  egli  in  seguito  a  questo,  guardò 
[verso  il  focolare],  vide  il  pezzo  d'oro.  Fece  la  prova  allora  di  tutti 
gli  altri  pezzi  e  tutti  si  mutarono  in  oro.  Quindi  li  ripose  secreta- 
mente  tutti  nella  sua  casa  e  vendette,  separata  che  l'ebbe  da  essi, 
la  cera.  I  pezzi  erano  circa  cinquecento.  Disse  allora  la  moglie  al 
marito  :  «  Invita  il  direttore  spirituale  e  spendi  il  denaro  in  quelle 
opere  mei-itorie  che  egli  ti  consiglierà.  La  ricchezza  non  è  eterna  ». 
Fu  invitato,  per  ciò,  il  direttore  sjjirituale,  per  l'arrivo  del  quale  fu 
preparata  una  gran  festa.  Ma  quando  costui  udì  che  il  mercante 
G'agadù  commerciava  in  cera  di  api,  non  volle  visitare  la  sua  casa, 
e  disse  :  «  Io  me  ne  vo  [altrove]  ».  In  seguito  a  ciò  invitollo  G'agadù 
insieme  con  suo  figlio  all'adorazione  delle  divinità,  ed  egli  allora 
adorò  nella  casa  di  lui  gli  dei.  Disse  il  figliuoletto:  «  O  venerando, 
è  forse  venuta  Lanka  nella  casa  di  G'agadù?  Osserva  qui  ».  Il  di- 
rettore spirituale,  veduto  che  ebbe  i  j)ezzi  d'oro,  chiese  a  G'agadù: 
«  Come  mai  è  qui  tutto  ciò?  »  Gli  raccontò  allora  il  mercante,  veri- 
tevolmente,  come  egli  avesse  potuto  ottenere  quei  pezzi.  Di  ciò  fu 
egli  molto  lieto  e  consenti  all'  invito  di  G'agadù  e  se  ne  andò  poi  al 
suo  monastero.  Disse  allora  il  mercante  :  «  Io  presi  i  pezzi  credendo, 
erroneamente,  che  fossero  di  cera,  ma  essi  mi  si  mutarono  in  oro. 
Per  timoi-e  del  re,  io  non  dissi  nulla  di  ciò  ad  alta  voce  ».  Dieci  mi- 
lioni di  tankaki  vennero  in  tal  modo  nella  casa  di  G'ao:adù. 


20. 

Una  volta  i  padri  spirituali  predissero  che  negli  anni  Samvat 
1315,  1316,  1317  sarebbe  sòrta  una  carestia.  Allora  con  verità  di  pa- 
rola, fu  informato  il  mercante  G'agadù»  il  quale  partecipò  la  cosa  in 
ogni  città  e  in  ogni  villaggio  a  tutti  i  mercanti  che  possedevano 
centomila  Mùtaki^  di  frumento.  Giunta   che   fu  la  carestia  furono 


1  The roastingof  green  ears,  ponile,  2  Mutaka  m.,  a  nieasure,  either  = 

or  p  fi  lille,  is  a  favourite  anuiseiiient  of      25  Sei-  (circa  21  kilgr.),  or  100  Man.  Vedi 
the  boys  in  Guzeràt.  —  Ib.  p.  21,  n.  1.      G'ayadricaritaVl,  118.  (liiinLKR,  1.  e.,  p.  4) 


—  59  - 

costruiti  112  ospizi,  nei  (juali  pranzavano  500.000  poveri.  I  re,  es- 
sendo rimasti  senza  frumento,  erano  addolorati.  Allora  G'agadù.  re- 
galò al  ]-e  Visaladeva  signore  di  Pattana  ottomila  Mùtaki  di  grano 
e  dodicimila  al  re  Hammlra. 

Il  Sultano  di  Delhi  ^  venne  a  G'agadiì.  per  chiedergli  frumento  ^  e 
gli  disse  :  «  A  ragione  tu  sei  chiamato  '  padre  del  mondo  '  [però  che 
da  te  tutto  il  mondo  è  protetto]  ».  Chiestogli  (j^uiudi  grano,  risposegli 
G'agadù  :  «  Prendine  ».  Ma  il  Sultano  avendo  veduto  che  nel  granaio 
era  una  scritta  di  tal  genere:  «ad  uso  dei  poveri»  disse:  «Io 
me  ne  ritornerò  [senza  grano],  che  non  voglio  prenderne  di  quello 
destinato  agli  indigenti  ».  Diedegli  allora  G'agadù  ventunmila  Mù- 
taki di  grano  [tolto  da  quello]  non  destinato  ai  poveri,  [E  il  Sultano 
gli  disse  :] 

«  Ottomila  Mùtaki  di  grano  tu  donasti,  o  G'agadù,  al  re  Visala, 
durante  la  carestia;  e  dodicimila  ad  Hammira  e  ventunmila  al  Sul- 
tano! »  Il  1  II 

«  Oh  quanti  sono  ì  luoghi  in  cui  G'agadù  distribuisce  elemosina  ! 
Per  essi  giunge  a  lui  sommo  sj)lendore,  come  per  j)ietre  preziose  ad 
una  spada  ».  ||  2  || 

Una  volta  il  re  Vlsala  andò  in  un  ospizio  situato  presso  Anhil- 
vad.  Avendo  quivi  veduto  ventimila  persone  che  pranzavano,  disse 
a  G'agadù:  «  Sia  qui  a  te  cibo.  A  me  si  prepari  burro  ».  Cosi  es- 
sendo stato  fatto,  messo  il  burro  [dinanzi  a  lui],  il  re  Visala  si  fece 
preparare  [anche]  dell'olio. 

Una  volta  G'agadù  fece  preparare  nel  suo  ospizio  del  burro.  Là 
recatosi,  il  sovrano  fece  gridare  a  G'agadù  «  Viva  il  re  !  »  Allora 
un  bardo,  ciò  avendo  udito,  disse: 

«  Tu  fai  male,  o  Visala,  a  farti  gridare  «  evviva!  »  Tu  dai  molto 
di  infruttuoso,  egli  invece,  guarda,  molto  burro  [ti]  offre  ».  ||  1  || 

G'agadù  fece  poi  innalzai-e  cent'  otto  templi  al  G'ina  ;  fece  tre 
pellegrinaggi  al  Catruùgaya  e  mostrò  alla  metà  dell'  anno  in  otto 
modi  la  sua  benevolenza  verso  i  correligionari,  e  in  otto  modi  ve- 
nerò il  Saùgha. 

Non  pochi  poveri  furono  sostenuti  col  dono  del  frumento. 


1  Cos'i  ho  tradotto  il  Guji-aiilsura-  nanayaram  «the  town  of  Ghazui»; 

tranah  del  testo,  per  quanto  il  BLihler  p.  51,   1.   7:   gai-yauùdhipati   «the 

dice  a  pag.   5  del  suo  studio  più  volte  king    of  (ihaziil  ».    The  later    authors 

citato:  «  tìai'y ane^a  m.,  a  Musalmau  use   gargana,   gari^anaka    or    gii- 

king,  the  Sultau  of  Delhi.  VI,  1^7;  VII,  gana    for  «  Musalmau  »    in    general, 

35  ('Gagaducarita).  The  wordineans  ori-  see  e.  g.  Indiau  Autiquary,  voi.  VI, 

ginally  «  king  of  Ghaznl  »,  and  in  Bil-  p.  187. 

haiia  's  Karnasundarl  (ed.   Durgapra-  2  vedi,  per  ciò  che  riguarda  questo 

sada),  wehave,  e.  g.  p.  53, 1.  18:  gagga-  passo  dillicile,  a  pagina  10  la  nota  4. 


—  60  — 


21. 


Una  volta  il  saggio  G'inai)rablia  si  recò  per  città  e  por  villaggi 
a  reiulero  onoranza  agli  dei.  Il  venerando  Ahammadacra  giunse  a 
Devagiri  col  sultano  Firuz.  I  fedeli  spesero  molto  denaro  per  una 
festa  fatta  all'entrata  di  costoro  nella  città.  Il  saggio  G'inaprabha 
avendo  onorato  gli  dei  in  tutti  i  templi  ed  essendosi  nelle  case  in- 
chinato dinanzi  alle  sacre  imagini,  si  recò  nell'abitazione  di  G'aga- 
simha.  Ivi  egli  onorò  gli  idoli  costruiti  in  diamanti,  in  oro,  in  ar- 
gento; inoltre,  avendo  scòrta  la  cappella  della  casa,  scosse  il  capo. 
InterrogoUo  allora  G'agasiinba  del  perchè  di  questo  atto,  ed  egli  gli 
rispose:  «  Ho  onorati  per  città  e  per  villaggi  gli  dei  e  maestri.  Qui  è 
il  sacello  di  vostra  casa,  l'altro  è  in  G'aùgaralapura,  ove  onorai  il 
santo  Somatilaka.  Mi  venne  in  mente  che  vi  sono  due  eccellentissimi 
sacelli  e  però  scossi  il  capo.  Con  l'onoranza  di  essi  ofctieusi  la  libe- 
razione finale  ».  Però  che  : 

L'  adorazione  degli  Arhaut  libera  da  migliaja  di  esistenze.  Ciò 
che  è  fatto  con  devozione  serve  all'ottenimento  della  sapienza.  |1  1  || 

Chiamasi  maestro  colui  che  conosce  la  religione,  chi  la  pratica 
e  sempre  la  promuove,  insegnando  alle  genti  il  significato  dei  libri 

sacri,  il  2  II 

Onore  al  venerando  maestro,  che  divulgando  la  scienza,  apre  gli 
occhi  di  coloro  che  sono  ciechi  per  le  tenebre  dell'ignoranza,  quasi 
applicando  loro  il  collirio  per  mezzo  dello  specillo!  ||3|| 

Avendo  così  udito  l'insegnamento  della  religione,  e  avendo  co- 
nosciuto il  mezzo  per  seguire  la  condotta  dei  virtuosissimi,  il  mer- 
cante G'agasimha,  rese,  donando  ottime  vesti,  cibo  e  bevanda,  sin- 
golare onoranza  al  saggio  G'inaprabha. 


11  mercante  G'agasimha  avendo  udito  di  quanto  frutto  fosse  ori- 
gine la  benevolenza  verso  i  correligionari,  e  cioè  del  frutto  di  bea- 
titudine della  liberazione  finale,  fece  in  Devagiri,  correligionari,  al 
proposito  di  collaborazione  e  di  impiego  di  denaro,  trecentosessanta 
mercanti  della  sua  condizione.  In  casa  di  ciascuno  d'essi  si  prepa- 
rava ogni  giorno  una  zuppa  e  cibo  cotto  ed  altro  e  ivi  pranzavano 
tutti  i  fedeli  con  le  loro  famiglie.  Settantaduemila  denari  venivano 
giornalmente  spesi.  Così  mangiando  essi,  alla  fine  dell'anno  toccava 
una  seconda  volta  [a  G'agasimha  di  offrir  cibo]. 

Per  questa  sua  azione  santa  risvegliossi  in  luì  la  memoria  dei 
due  re  Bharata  e  Dandavirya  [in  precedenti- sue  esistenze]. 


61 


23. 


Una  volta  II  mercante  G'agasimha  chiese  al  saggio  Somatilaka 
quale  fosse  l' essenza  della  religione.  Quel  maestro  allora  glielo 
espose,  dicendo  :  «  A  coloro,  i  quali  non  sono  ciechi  per  tenebre  del- 
l' illusione  devesi  spiegare  la  religione  ». 

È  detto  nei  sistemi  gainicì: 

Con  la  religione  si  ottiene  ricchezza  grande,  lunga  vita,  felicità 
e  favor  popolare.  Povertà,  invece,  impopolarità,  morte  prematura 
[è  data  all'uomo]  dall'empietà.  |1  1  || 

E  nel  Nyàya  : 

Come  sorge  la  religione?  Come  cresce  essa?  Come  si  può  raf- 
forzare? Come  essa  pei-isce?  |]  1  || 

Per  mezzo  della  verità  nasce  la  religione  ;  cresce  per  mezzo  della 
pietà  e  della  liberalità;  si  rafforza  per  mezzo  della  pazienza;  perisce 
per  l'ira  e  per  la  cupidigia.  ||  2  || 

Ha  la  religione  per  suo  carattere  il  non  nuocere;  e  però  l'uccisione 
dei  viventi  è  iniquità.  Compassione  di  tutti  gli  esseri  deve  avere 
chi  desidera  seguire  la  religione.  ||  3  || 

Nel  sistema  di  G'aimini  si  legge  : 

Quella  è  la  vera  religione  che  i  santi  supremi  Cina  proclamano, 
alla  quale  appoggiandosi,  1'  uomo  non  sprofonda  nell'  oceano  del- 
l'esistenza.  Il  1  II 

Siano  di  dieci  specie  le  virtù  :  dominio  dei  sensi,  sincerità,  purità, 
castità,  povertà,  penitenza,  pazienza,  dolcezza,  rettitudine,  liberazione 
finale.  |1  2  || 

Nell'acquisto  del  giusto  è  pure  l'acquisto  dell'utile  e  del  piace- 
vole; dato  il  latte,  facile  è  ad  ottenersi  il  burro  e  coagulato  e  li- 
quefatto, il  3  II 

Nel  trimundio  non  esiste  un  mantra  simile  al  Namaskara,  un 
monte  simile  Catruugaya,  un'acqua  eguale  a  quella  che  sorge  dal 
Gagendra.   |1  4  || 

Anche  avendo  commesso    mille    peccati,  ed   avendo   uccisi   cento 

uomini  pure  le  bestie  vanno  in  cielo,  se  venerano  il  Catruiigaya.  ||  5  || 

Avendo  toccato  il  tlrtha  Catruugaya,  avendo  inchinato  il  monte 

Raivataka,  essendosi  bagnato  nel  laghetto    Gagapada,    non  conosce 

l'uomo  la  seconda  esistenza.  ||  6  || 

Il  mercante  G'agasiiiiha  avendo  così  udito  l'ammaestramento,  foce 
un  dono  grande  consistente  in  centoventinoveraila  carri,  in  cinquan- 
tadue templi,  in  mille  servi.  Allora  il  Sangha  con  a  capo  Somatilaka 
fece  un  pellegrinaggio  al  Catruùg.iya  e  al  Gix'inara. 

Il  primo  re  Bharatecvara  e  i  monarchi  universali,  l'illustre  Crenika, 
Samprati,  il  Calibadra  ed  altri,  innalzati  allo  stato   di  Tìrtheva,  [ri- 


—  62  — 

cevettero]  merito  unito  a  riccliozza  infinita.  Perciò  t^U  intelligenti 
debbono  stbrzai'si  uell'  eseguire  [i  dettami  deljla  religione  imma- 
colata, li  1  ji 

L'albero  porta  liori  e  frutti;  il  favore  del  re,  ricchezza  e  splen- 
dore; un  figlio  virtuoso,  inci-emento  e  gloria,  la  religione  dei  mas- 
simi G'ina  godimento  e  liberazione.  ||  2  || 


24. 

In  una  città  un  barbiere  divenne  primo  ministro  del  re  Bhiraa. 
Gli  altri  ministri  non  erano  tenuti  in  alcun  conto.  A  poco  a  poco  il 
regno  fu  d'ogni  parte  penetrato  da  nemici.  Tutti  dicevano  allora: 
«  Oh  !  perirà  certo  il  regno,  che  i  ministri  non  sono  per  nulla  con- 
siderati ».  Alcuni  amici  del  re  gli  dissero:  «  Prova  il  barbiere  [chie- 
dendogli] come  saprà  difendere  il  regno,  riuniti  che  siansi  i  nemici  ». 
Il  re  interrogò  allora  il  barbiere:  «  Come  saprai  vincere  gli  avver- 
sari se  il  loro  esercito  si  raccoglierà  [contro  di  noi]  ?  Quale  espediente 
penserai  tu?»  Gli  rispose  il  barbiere:  «Noi  usciremo  fuori  della 
città  muniti  di  specchi,  e  con  essi  faremo  il  combattimento.  Per  que- 
sto i  nemici,  [credendo  di  avere  dinanzi  a  se  un  esercito  grande  come 
il  loro]  batteranno  in  ritirata.  Conobbe  da  ciò  il  re  [il  proprio  errore] 
e  disse:  «  Questo  è  un  barbiere  non  un  primo  ministro!  Male  ho  io 
fatto  disprezzando  i  [veri]  ministri.  Se  non  saprò  onorarli,  il  regno 
perirà  ».  Rese  allora  il  re  ai  ministri  gli  onori  dovuti  e  ottenne  per 
la  loro  intelligenza  che  fossero  soggiogati  tutti  i  nemici  che  vi  erano. 


25. 

Il  mercante  Madana,  avendo  udito  che  Kuntala,  figlio  del  mer- 
cante Dhana,  voleva  prender  moglie,  venne  da  C'audrapura  in  Cri- 
pura,  per  dargli  in  isposa  la  propria  bella  figliuola.  Frattanto  [in  suf^ 
presenza]  il  giovine,  essendosi  alzato,  urinò  in  un  vaso  contro  il  solo. 
Il  mercante  Madana  interrogò  un  suo  amico  quivi  stante,  su  l'indole 
di  quel  briccone  di  Kuntala.  [E  inoltre  gli  chiese:]  «  Quanti  figli  ha 
il  mercante  Dhana?  »  L'amico  enigmaticamente  gli  rispose  :  «  Nove  ». 
Subito,  dopo  lo  richiese  Madana  :  '  «  Quanti  figli  ha  il  mercante  ?  » 
E  quegli  «  Cinque  ».  E  di  nuovo  :  «  Quanti  figli  ha  il  mercante  ?  » 
«Tre».  Finalmente  richiestolo  di  ciò  un'altra  volta  ne  ebbe  in  ri- 
sposta :    «  Un   figlio    solo   egli    ha  ».   Allora   Madana  gli  disse  :   «  O 

»  Le  reiterate  domande  del  mercante  giuate  dal  fatto  dell'  avergli  V  amico 
Madana  sul  numero  dei  figli  del  mer-  risposto  la  prima  volta  vyangy  a  va- 
cante Dhaua,  si  debbono  intendere  ori-      canàt,  lett.  "*  coucettosameute  ». 


—  63  — 

amico,  perchè  mai  tu  mi  trai  in  dubbio  in  tal  modo  rispondendomi?  » 
Ma  l'amico:  «  Quanto  io  dissi  è  pura  verità.  Giacche  questo  figlio 
del  mercante,  alzatosi,  stando  di  contro  al  sole,  urinò  in  mezzo  ad 
un  vaso,  io  dissi  [per  queste  tre  azioni  dell'alzarsi,  dello  stare  con- 
tro il  sole  e  dell'urinare]  aver  egli  in  sé  una  triplice  essenza  di  figlio. 
Siccome  poi,  tutto  il  cibo  che  cinque  uomini  mangiano,  egli  man- 
gia da  solo,  cosi  io  dissi  che  egli  era  come  cinque  figliuoli.  Quando 
egli  dorme  si  rannicchia  ad  anello  cosi  da  formare  la  figura  del  nove  : 
per  ciò  io  dissi,  che  nove  figli  aveva  il  mercante.  Finalmente,  giac- 
che un  uomo  simile  non  si  vede  in  nessun  altro  luogo,  dissi  che 
egli  era  unico  figlio  del  mercante.  Lo  sposo  ha  tali  qualità  ;  se  ti 
piace,  dagli  pure  la  tua  figliuola.  Tu  l'hai  veduto  anche  mentre  uri- 
nava! Che  debbo  dirti  di  più?  »  [Ciò  udito]  il  mercante,  levatosi,  se 
ne  tornò  alla  propria  città.  Cercato  uno  sposo  per  la  sua  figlia  in 
Padmapura,  lo  trovò  in  Dharana  figlio  del  capitalista  Vira,  cui  egli 
ìa  diede. 

Kuntala  non  si  liberò  mai  dalla  pigrizia,  se  bene  molto  il  padre 
suo  Io  facesse  istruire,  e  cosi  avvenne  che  quanti  a  lui  venivano 
per  cercare  uno  si^oso,  tanti,  avendolo  veduto,  se  ne  partivano  senza 
dargli  la  figlia.  Però  che  : 

Camminando,  parlando,  ridendo,  stando,  giacendo  e  mangiando, 
lo  stolto  ovunque  si  procaccia  disprezzo.  ||  1  || 

Cosi  egli  restando  sempre  pigro  non  trovò  moglie,  ed  essendogli 
morto  il  padre,  divenne  per  la  sua  stolidità  e  pigrizia  oggetto  spe- 


26. 

In  Dhunkaparvata,  decoro  del  paese  Surastra,  il  re  Ranasimha 
regnando  con  giustizia,  proteggeva  la  sua  terra.  Egli  aveva  per  mo- 
glie Padmavatl,  e  una  figlia  di  nome  Bhopala.  A  costei,  istruita  ed 
esercitata  che  fu  nelle  scienze,  cercò  il  re  poi  uno  sposo  e  la  diede 
al  gran  re  Arimardana  di  Navasàrika.  Ma  della  bellezza  di  lei  si  in- 
vaghì presto  Vàsuki.  Poiché  : 

Castigazione  dei  sensi,  distruzione  del  karma,  castità  per  coloro 
che  hanno  rotto  i  voti,  corapi-essione  dei  propri  pensieri/  sono  le 
quattro  cose  che  difficilmente  si  ottengono.  ||  1  || 

Allora  Vàsuki  avendo  mutato  il  proprio  seme^  si  congiunse  con 
lei.  Ne  nacque  un  figlio  che  fu  chiamato  Nàgàrguna.  Il  padre  traendolo 


/ 


1  Latraduz.  ili  quest'ultima  frase  è  a  guifìcato assume esattam.  mafia  guttì! 

senso  e  non  certa.  Il  testo  ha:  guttlna  ^  «Avendo   dato,   ciò   è,  al  proprio 

y  a  mnnagu  tti  (guptlnuin  ca  malia-  seme  potenza  di  generare  esseri  umani 

giiptib).  K  forse  il  guttln.i  un  genit.  e  non  seme  di  serpente,  quale  egli  ne  ve- 

pai'tit.  (=  [sono]  fra  le  gupt  i)?  E  che  si-  stiva  la  spoglia,  si  congiunse  con  lei». 


—  64  — 

a  sé  amorosamente,  lo  nutrì  di  frutta,  di  radici  e  di  foglio  di  ogni 
pianta.  Per  potenza  di  ciò  egli  divenne  un  illustro  mago,  e  poi 
in  Pratistanapura  fu  assunto  a  maestro  del  re  Càtavaliana.  E  in 
vei-o  : 

L'esser  sapiente  e  l'esser  re  non  sono  cose  eguali;  il  re  ò  onorato 
nel  proprio  paese,  il  sapiente  in  ogni  Inogo.  |12|! 

Nagàrguna,  desideroso  di  imparare  l'arte  del  volare,  frequentava 
in  Padaliptanakapui-a  il  maestro  Padalipta,  il  quale  a  tempo  oppor- 
tuno onorava  i  massimi  G'ina  stanti  nei  tirtlii  di  Astapada,  del  mon- 
tuoso Sameta,  del  Catruù^-aya,  del  Girinara  e  dcU'Arbhudavala.  Un 
giorno  Nagarguna,  lavati  che  ebbe  i  piedi  del  suo  maestro,  che  era 
venuto  dopo  di  lui,  riuscì  a  conoscere,  con  la  virtìi  del  suo  olfato 
l'essenza  di  centosette  piante,  e,  pur  senza  insegnamento  del  mae- 
stro, formato  che  ebbe  con  esse  un  unguento  per  i  piedi  [spalma- 
tosene il  corpo]  balzò  in  alto  al  pari  di  un  giovine  gallo,  ma  ri- 
cadde a  terra.  Il  maestro  vedendolo  col  corpo  tutto  rovinato  dalle 
ferite,  gli  chiese  che  mai  ciò  fosse,  e  Nagarguna  narro  gli  tutto  il 
fatto.  Si  meravigliò  allora  il  saggio  della  destrezza  di  lui,  ma  aven- 
dogli messa  la  mano  sul  capo,  gli  disse  :  «  O  giovine  illustre,  senza 
r  intera  tradizione  [fatta  conoscere]  dal  maestro,  non  eccelle  la 
scienza  degli  uomini  ».  E  Nagarguna:  «  0  venerando,  essendomi  pro- 
pizio, donami  guida  e  arte  ».  Gli  disse  allora  quegli:  «  Spremute  che 
tu  abbia  tutte  le  erbe  e  formato  con  l' acqua  di  sessanta  grani  di 
riso  un  unguento,  ungiti  con  esso  i  piedi  e  diverrai  atto  a  volare  ». 
Tale  arte  avendo  appresa,  Nagarguna  imprese  a  volare. 

Una  volta,  avendo  udito  dal  maestro  come  si  potesse  ottenere  un 
succo  atto  a  produrre  oro,  incominciò  a  fabbricarlo.  Ottenutolo,  non 
sapeva,  tuttavia,  fargli  acquistar  durezza.  Chiese  egli  allora  al 
maestro  come  lo  potesse  ridurre  a  solidità,  ed  ebbe  in  risposta  : 
«  Il  succo  prodotto  alla  vista  dell'idolo  del  potentissimo  Parcvanatha, 
spremuto  da  una  donna  onestissima  contrassegnata  dai  buoni  segni, 
potrà  divenir  solido  ».  Ciò  avendo  udito,  Nagarguna  chiamò  men- 
talmente il  proprio  padre,  cui,  venuto  che  fu,  disse:  «  Dimmi  ove 
si  trova  il  divino  idolo  di  Parcvanatha  ».  E  Vàsuki  :  «  Anticamente 
in  Dvàravati  l'imagine  di  Parcvanatha  fu  da  Krsna,  clie  aveva  udito 
da  Nemi  essere  essa  potente,  onorata  per  ben  sette  anni.  Durante  l'in- 
cendio di  Dvaravati  un  dio  la  gittò  in  mezzo  al  mare.  Passato  alcun 
tempo  la  barca  di  un  abitante  di  Kàntipura,  Dhanadatta,  ivi  naufragò. 
Essendogli  apparsa  quella  divinità  disse:  «  Qui  sotto  è  l'iiuagine  di 
Parcvanatha;  smossa  che  essa  sia  per  mezzo  di  sette  funi,  essa 
uscirà  fuori  ».  Cosi  avendo  egli  fatto,  venne  fuori  l'imagine  di  Par- 
cvanatha, che  fa  poi  portata  in  Kàntipura.  E  in  vero: 

L'imagine  di  Parcvanatha  potentissima,  atta  a  rallegrare  l'animo, 
è  onorata  dai  cittadini  nel  tempio  dei  G'ina  in  Kàntipura.  |1  1  !| 


—  65  — 

Essendo  allora  Nàgàrguna  ivi  andato,  non  potè  [subito]  rapire 
l'idolo,  che  di  giorno  e  di  notte  molta  gente  vi  accorreva  per  ado- 
rarlo. Ma  una  volta,  còlta  l'occasione  propizia,  con  violenza  riuscì  ad 
impadronirsene.  E,  ornatolo,  lo  pose  per  ottenere  la  solidificazione 
del  succo,  su  la  riva  del  fiume  Khuti.  Poi  condusse  ivi  C'andralekhà, 
la  moglie  onestissima  del  re  Càtavàhana,  e  messala  sul  posto  e 
dettole:  «  Sorella,  [aiutami]  »,  fece  spremere  da  lei  il  succo.  Ella  gli 
cliiese  il  pei'cbè  dovesse  ciò  fare,  e  Nàgàrguna  le  rispose  che  il  de- 
siderio di  ottener  l'oi'o  a  ciò  lo  muoveva. 

[Un  giorno  due  giovani  principi  andarono  a  lei  per  chiederle  no- 
tizia di  ciò  che  ella  facesse]  Ella  allora  narrò  loro  tutta  la  storia  del 
succo.  Allora  i  due,  abbandonati  i  piaceri  del  regno,  desiderosi  di  ra- 
pire  il  succo  dell'oro  frequentarono  Nàgàrguna.  E  cercando  ove  fosse 
il  luogo  in  cui  egli  mangiava,  chiesero  a  colei  che  gli  preparava  il 
cibo  chi  presso  di  lei  si  recasse,  e,  dopo  di  essersi  assicurati  che 
egli  ivi  andava,  le  dissero  :  «  Tu  devi  fare  sempre  a  Nàgàrguna  il 
pranzo  salato.  Allorché  egli  si  accoi'gerà  di  ciò,  ce  ne  darai  avviso  »  ; 
e,  ciò  detto,  le  diedero  denaro.  Un  giorno,  passati  che  furono  sei 
mesi,  disse  la  donna  ai  due:  «  Oggi  Nàgàrguna  ha  trovato  il  pranzo 
salato  ».  Allora  i  due  principi  si  accorsero  che  egli  aveva  trovato 
il  modo  di  solidificare  il  liquido.  '  Interrogato  allora  Vàsuki  sul  modo 
di  potere  uccidere  Nàgàrguna,  seppero  da  lui  che  con  un  germoglio 
di  erba  Ku^a  ne  avrebbero  potuto  ottenere  la  morte.  Ciò  udito, 
essi,  mentre  Nàgàrguna,  deposti  secretamente  in  una  spelonca  del 
monte  Dhunka  due  otri  di  succo  puro,  se  ne  tornava,  senza  preoc- 
cuparsi [di  quanto  avvenivagli  attorno],  lo  uccisero  con  un  ger- 
moglio di  erba  kuca.  [E  in  vero  è  detto]  : 

Soltanto  in  questi  tre  soldati  devi  riporre  fiducia,  a  Madhùsudana  : 
in  quello 'non  nato,  in  quello  dipinto  su  un  quadro  e  in  quello  morto: 
non  mai  in  un  quarto.  |]  1. 11 

Ma  i  due  otri  furono  protetti  dal  genio  [ivi  stante]  e  nulla  fu 
aperto  alla  mano  dei  principi,  i  quali  in  vece  furono  uccisi  e  anda- 
rono, malvagi,  all'inferno.  Così  ottengono  subito  cattivo  frutto  tutti 
i  viventi  che  sono  dediti  al  male. 

Per  il  fatto  del  succo  solidificato  Khambàvati  ^  prese  il  nome  di 
Stambhana,  e  pure  Stambhana  fu  detto  Pàrcadeva.  Alcun  tempo 
dopo  l'idolo  di  Stambhanapàrcvanàtha,  che  stava  su  la  riva  del 
fiume  Khatl,  fu  portato  nella  città  Stambhana,  ove  anche  oggi  è 
adorato. 


1  Fin  tanto  che  Nàgàrguna  era  in-  certo  quando  giuuse  alla  scoperta  desi- 

tento  nella  sua  ricerca,  non  poteva  ac-  derata.  Non  altrimenti  so  spiegare  la 

corgersi  di  nulla  che  fosse  al  di  fuori  frase  concisa  del  testo. 

di  ciò  che  tutto  lo  occupava.  Non  cosi  2  ^   questa  la  odierna   C  a  m  b  a  y. 

studi  italiani  di  fil.  indo-iran.  9 


«6 


In  C'audrapur.i  era  un  mevcante  di  nome  Dliana,  che  possedeva 
quattro  koti  d'oro.  Egli  passava  il  suo  tempo  onorando  sempre  il 
Saiigha,  i  maestri  spirituali,  gli  dei,  e  offrendo  loro  vesti  preziose  e 
cibi  saporiti,  e  ben  trattando  i  buoni.  Un  giorno  il  re,  mentre  passeg- 
giava per  la  strada  reale,  vide  sul  palazzo  del  mercante  quattro  ves- 
silli. Ricliiestone  del  perchè  il  ministro,  quegli  gli  rispose  che  ciò 
significava  l'esistenza  di  quattro  koti  in  quella  casa.  Subito  allora  al 
re  sorse  desiderio  di  impadronirsi  di  quelle  ricchezze.  Intanto  andò 
in  un  villaggio.  In  questo  tempo  venne  al  banchiere  volontà  di  man- 
giare una  focaccia  all'olio.  Pensò  egli  allora:  «  Per  codesto  desiderio 
[mi  accorgo  che]  il  re,  o  i  ladri,  o  il  fuoco  mi    carpiranno  il  denaro. 

Maledetta  la  ricchezza  che  è  soggetta  a  molte  peripezie!  Gli 
eredi  l'agognano,  le  turbe  dei  malandrini  la  rubano,  i  re  la  carpi- 
scono ricorrendo  agli  inganni;  il  fuoco  in  un  momento  l'incenerisce; 
l'acqua,  se  è  posta  sul  suolo,  l'innonda;  gli  Yaksi  l'involano  per 
forza;  i  cattivi  figli  la  conducono  a  termine!  »  i|  1  || 

Tali  considerazioni  avendo  fatte,  il  banchiere  spese  tutta  la  sua 
fortuna  a  beneficio  di  sette  luoghi  ove  si  raccoglievano  i  poveri  per 
avere  alimento. 

Tornato  indietro  il  re,  non  avendo  veduto  più  i  vessilli  e  avendo 
saputo  tutto  quanto  aveva  fatto  il  mercante,  rimase  assai  ammirato. 
Fece  allora  chiamare  Dhana  e  interrogatolo,  seppe  come  gli  fosse 
sórto  il  desiderio  di  mangiare  una  focaccia  all'olio.  Soddisfatto  di  ciò, 
lo  fece  regalare  di  quattro  koti  tolti  dal  proprio  tesoro. 

Avvenne  poi,  per  virtù  del  suo  merito  religioso  che,  quanto  de- 
naro il  mercante  spendeva,  altrettanto  spontaneamente  gli  ritornava. 
Per  lungo  tempo  in  sette  asili  di  carità  egli  spese  sempre  il  proprio 
denaro,  e  [tanto  merito  si  acquistò]  con  queste  sue  elargizioni,  che, 
morto,  andò  in  cielo. 

28. 

Era  in  una  città  una  vecchia  meretrice  che  aveva  un  figliuolo. 
Una  volta  ella  pensò  :  «  Gran  peccato  commisi  io  generando  [illeci- 
tamente] un  figliuolo  !  Peccato  pure  io  commetterei,  se  dovessi  ucci- 
derlo. Però  io  andrò  al  Gange  e  ivi  purgherò  la  mia  colpa  ».  Così 
avendo  pensato,  la  donna  se  ne  andò  col  figlio  alla  riva  del  fiume,  e 
costrutta  una  casupola  da  romito  ivi  stette,  compiendo  insieme  con 
lui  la  sacra  funzione  dell'  abluzione  ed  altre  ancora.  Intanto  il  gio- 
vinetto apprese  dalla  bocca  dei  brammani  i  Veda,  la  Smrti,  i  Purana 
etc,  e  in  seguito  divenne  egli  stesso  brammano.  [Un  brammano  di 
nome]    Mukunda    avendolo    veduto    intelligente,    dotto    nei    Veda    e 


—  67  — 

prouto  ad  elargire  molto  denaro  peusò  :  «  Questo  sarebbe  un  buo- 
nissimo sposo  per  mia  figlia,  che  già  è  da  marito.  Ottima  cosa  farò 
io  dandola  a  lui.  Sua  madre  pare  virtuosa,  e  in  casa  e'  è  anche  ine- 
chezza  ».  Cosi  avendo  il  brammano  considerato,  diede  la  ragazza  in 
moglie  al  figlio  della  romita.  La  madre  allora  avendo  preso  il  fi- 
gliuolo, iu  una  con  la  moglie  sulle  spalle,  si  pose  a  ballare.  ^ 

Avendo  poi  Mukunda  udito  a  parte  dalla  donna  l'origine  dello 
sposo,  se  ne  stette  silenzioso.  [Ma  pensò  poi]  :  «  Molta  fortuna  deriva 
dal  possedere  virtù,  scienza  ed  altro.  Per  ciò  non  da  vero  la  nascita, 
ma  i  costumi  debbono  esser  presi  in  considerazione  ».  E  in  vero: 

Certo  Vyasa,  il  grande  asceta,  uscito  dal  ventre  d'una  pescatrice, 
divenne  per  effetto  della  sua  potenza  religiosa  un  brammano  :  per  ciò 
la  nascita  non  ha  valore.  ||  1  || 

Rsya9rnga,  il  grande  asceta,  nato  da  una  gazzella,  divenne,  per 
effetto  della  potenza  religiosa,  un  brammano:  perciò  la  nascita  non 
ha  valore.  ||  2  |1 

Il  grande  asceta  Mandukya  uscito  dal  ventre  d'una  rana,  divenne, 
per  effetto  della  sua  potenza  reli-giosa,  un  brammano  ;  perciò  la  na- 
scita non  ha  valore.  ||  3  1] 

Il  grande  asceta  Vasistha,  nato  dalla  ninfa  Urva^i,  per  effetto 
della  sua  potenza  religiosa  divenne  un  brammano;  per  ciò  la  nascita 
non  ha  valore.  ||  4  |1 

Il  buon  costume,  non  il  ceto,  è  la  principal  cosa  [nell'uomo].  A  che 
serve  una  nobile  schiatta,  se  destituita  di  buona  morale?  Molti 
uomini  nati  di  famiglia  abbietta,  seguendo  ottimi  costumi,  toccarono 
il  cielo.  Il  5  11 

Quindi  fra  tutti  i  brammani  dotti  nei  Veda  il  figlio  della  mere- 
trice divenne  il  primo,  so  bene  fosse  sórto  da  ignobile  schiatta. 


29. 

Camminavano  per  via,  venendo  da  una  città,  un  yogin  e  un  mo- 
naco buddhista.  Il  yogin  [ad  un  certo  punto]  andato  innanzi,  chiese 
[ad  un  uomo]  quale  fosse  la  strada  che  conduceva  a  C'andrapura. 
L'uomo  rispose:  «  Ve  un  sentiero  diritto  e  lungi  di  qui,  ma  pieno 
di  ladri  e  di  pericoli.  Ve  n'  è  invece  un  altro  vicino  e  assai  sicuro  ». 
Allora  il  yogin  scelse,  perchè  privo  di  denaro,  di  andare  per -il  sen- 
tiero pericoloso;  ma  non  cosi  il  buddhista,  timoroso  che  gli  rapis- 
sero il  suo  avere.  Per  via  il  yogin  pensò:  «  Perchè  questo  buddhista 
Benvuole  andar  pel  sentiero  ove  avvengono  ladronecci?»  Cosi  pen- 

1  Tale  tratto  non  è  raro  in  India  a  il  figlio  e  la  nuora  e  ballare  con  essi, 
dimostrare  la  gioia  e  soddisfazione  verso  se  si  pensa  che  di  assai  tenera  et;\do- 
unii  persona.  \on  i)arr;i  poi  strano  che  vean  essere  j^li  sposi,  dati  gli  usi  iti- 
la vecchia  potesse  mettersi  su  le  spalle  diaui  del  matrimonio  tra  fanciulli. 


—  68  — 

snudo,  uou  curandosi  di  ciò  elio  il  compagno  diceva,  si  mosse  verso 
la  via  pericolosa.  Essendosi  frattanto  il  •  buddhista  recato  in  città 
per  alcun  suo  affare,  il  yogin  veduta  una  cassetta  piena  di  tankaki 
e  di  rùpye  entro  un  involto,  pensò:  «  Questo  buddhista  non  desi- 
dera andare  per  la  via  pericolosa,  perchè  teme  che  gli  rapiscano  il 
denaro:  ciò  vuol  dire  che  il  denaro  non  è  cosa  ottima  per  un  pe- 
nitente ».  Così  avendo  considerato,  gittò  secretamente  la  cassetta 
in  un  pozzo.  Il  buddhista,  tornato  dalla  città,  non  vedendo  più  la 
sua  cassetta  disse  :  «  Per  quella  via  che  ti  piace,  andiamo  pure  s>. 
Quindi  divenuti  ambedue  monaci  G'ainici,  andarono  senza  paura  al- 
cuna per  il  sentiero  pericoloso.  Avendo  poi  pensato  che  il  denaro  è 
un  ostacolo  ai  penitenti,  liberatisi  d'ogni  cupidigia  e  cintisi  di  bianca 
veste,  udita  la  legge  morale  del  venerando  maestro  Dharmaghosa 
e  ricevuta  la  consacrazione  G'ainica,  facendo  penitenza  ottennero  il 
cielo.  In  seo-uito  sarà  loro  concessa  la  liberazione  finale. 


30. 

Una  volta  giunsero  al  banchiere  Bhima  delle  ottime  travi,  per 
fabbricare  una  casa.  La  moglie  avendolo  veduto  lieto,  gli  disse: 
«  Nel  mondo  si  possono  fare  belle  case  e  anche  delle  bellissime,  ma 
quando  si  sia  stati  a  lungo  nella  reggia  celeste  tutta  la  ricchezza 
mondana  è  cosa  da  buttare.  Se  a  fine  pietoso  hai  fatto  portare  le 
travi,  per  fabbricare  cioè  un  ospizio  od  altro,  allora  ottima  cosa 
avrai  compiuta  ».  Bhima  rispose  :  «  Dove,  per  questo  fine  pietoso, 
dovrò  far  portare  le  travi  ?»  E  la  moglie  :  «  Se  farai  un  ospizio  ot- 
terrai merito  religioso  ».  Ciò  pensato  costruì  Bhlma,  per  far  opera 
caritatevole,  un  ospizio  sul  tirtha  Stambha,  presso,  l'abitazione  di 
Aliga,  e  spese  in  esso  millecinquecento  tankaki.  Ma  gli  disse  una 
volta  un  uomo  :  «  Molto  denaro  tu  hai  speso,  ma  l'ospizio  è  fuori  di 
città.  Chi  andrà  in  esso  a  far  opera  buona?  »  Gli  rispose  Bhima: 
«  Se  anche  una  sola  volta  di  sera  oppure  di  mattina  un  povero  por- 
tatore d'acqua  si  fermerà  in  esso  a  scopo  di  riposo,  farà  atto  di  de- 
vozione :  allora  il  denaro  speso  nell'ospizio  produrrà  opera  meritoria. 
In  cifre  925925925  è  [rappresentato  il  valore  deljl'  acquisto  della 
quiete  di  spirito  ».  ' 


31. 

Così  ebbe  origine  il  nome  Aliga  dato  ad  vm  tem^iio:  C'era  una 
volta  un  brammano  chiamato  Aliga,  il  quale  grande  merito  si  era 

1  Vedi  pagina  30,  uota  4.   " 


—  69  — 

procacciato,  iunalzaudo,  per  consiglio  del  venerando  saggio  Dhar- 
maghosa,  im  tempio  al  G'ina.  Egli  disse  un  giorno  al  maestro:  «  La 
o-ente  sparsa  nella  grande  selva  che  chiamiamo  mondo  dice  che 
r  uomo,  se  non  ha  prole,  non  può  toccare  la  beatitudine  celeste  ». 
Ma  il  maestro  :  «  anche  senza  prole  vanno  gli  xiomini  in  cielo  ;  mai, 
anzi,  soltanto  in  merito  di  essa.  Solo  il  merito  religioso  conduce 
al  cielo.  E  in  vero  se  esso  si  ottenesse  per  mezzo  della  prole,  allora 
molti  esseri  viventi  quali  cani,  pappagalli  ed  altri  ancora,  che  hanno 
figli  lo  raggiungerebbero  prima  [di  tutti].  Gli  uomini  [virtuosi],  pur 
senza  progenie,  saliranno  al  cielo  ».  Però  che  : 

Molte  migiiaja  di  giovani  brahmacarini  divennero  beati,  anche 
senza  aver  continuata  la  loro  famiglia  brammanica.  ||  1  || 

«  Se  tu  farai  fare  un  idolo  nero  »  disse  poi  il  maestro  ad  Aliga 
«  del  venerando  Arhant  Rsabhadeva,  infinito  merito  religioso  otterrai 
che  ti  farà  conseguire  la  liberazione  finale.  La  prole  non  deve  es- 
sere, no,  a  ciò  preferita  ».  Ciò  udito,  gli  rispose  Aliga  :  «  O  vene- 
rando, io  farò  fare  un  idolo  nero  del  beato  Arhant  Rsabhadeva,  pur 
di  poter  ottenere  merito  ascetico.  Oh  !  quale  utile  mai  può  derivare 
dalla  progenie?  Pur  avendo  figli,  i  potenti  Ravaua,  Krsna,  Daryo- 
dhana,  Bhìma,  Brahmadatta  ed  altri  molti  andarono  all'  inferno.  Io 
farò  fare  certamente  un  idolo  nero  dell'Arhant  Rsabhadeva  ».  Avendo 
quindi  Àliga  rinunciato  a  generar  prole,  fatto  fabbricare  l'idolo,  lo 
fece  collocare  nel  tempio  da  lui  già  innalzato.  Cosi  molto  me- 
rito ascetico  egli  si  procurò,  tale  per  cui  potrà  ottenere  la  libera- 
zione finale. 


32. 

Una  volta  Brahma  ed  altri  dei,  riunitisi,  vantavano  ciascuno  la 
propria  eccellenza.  Cani  '  disse  :  «  Io  posso,  meglio  di  qualunque 
altro  dio,  produrre  piacere  e  dolore  ».  E  Giva  di  subito  :  «  Vedremo 
quale  piacere  e  quale  dolore  saprai  tu  generare  ».  Così  detto,  Giva, 
recatosi  a  casa,  narrò  alla  moglie  Parvatl  la  disputa  avvenuta.  Egli 
stesso  poi,  prese  le  forme  di  un  toro  e  fatte  prendere  alla  moglie 
quelle  di  una  vacca,  andò  con  lei  in  una  sporca  fossa  della  città. 
Passati  tre  giorni,  usciti  ambedue  dalla  fossa,  si  recarono  a  casa. 
Essendo  quindi  andato  (^iva  a  Cani,  gli  disse  :  «  Tutta  la  tua  po- 
tenza è  sfumata  questa  mane!  Io  non  ho  ricevuto  male  alcuno  da 
te».  E  pani:  «Dove  sei  stato?».  Giva  gli  raccontò  il  luogo  ove 
erasi  recato.  Cani  allora  gli  disse:  «  O  che  forse  io  por  vincerò  pro- 
duco ferite  nelle  spalle  e  nel  petto?  No  da  vero:  io  mando  pensieri 
per  la  cui  sola  opei-a  nasce  dolore.  Tu  sei  stato  in  una  sudicia  fogna. 

1  Saturno. 


—  70  — 

Oh!  (jual  iiiuggior  dolore  di  questo?  Io  do  agli  uoiuiui  quel  dolore 
di  cui  le  loro  stesso  opere  souo  cagiono  ».  Ci  va  allora:  «  Ciò  ò  vero: 
l'uomo  ottieue  il  piacere  e  il  dolore  che  le  sue  azioni  gli  producono  » . 


33. 

«  La  madre  deve  essere  oggetto  di  venerazione  come  il  Gange,  il 
padre  come  il  sacro  luogo  Puskai'a,  Quei  tlrtha  danno  col  tempo 
il  loro  frutto;  la  madre  invece  sempre  ».  ||  1  1| 

Queste  ed  altre  cose  avendo  meditate,  un  brammano,  posti  padre 
e  madre  in  una  gerla,  visitava  i  tlrthi.  Ma  mentre  per  far  ciò,  tra- 
versava il  deserto,  essendo  impedito  dalla  molta  sabbia,  bevuto  quel 
po'  di  provvigione  d' acqua,  vedendo  un  [lontano]  miraggio  e  sempre 
dietro  correndovi  per  illusione  dell'acqua,  fece,  essendo  assai  stanco, 
discendere  da  prima  il  padre.  Quegli  allora  gli  disse  :  «  Io  non  bo 
forza  di  andare  al  tirtba,  e  perchè  mi  fai  discendere  dalle  sj^alle?  » 
E  il  figlio:  «  Troppo  aspro  è  questo  deserto  ».  E  fatta  discendere 
anche  la  madre,  camminò  da  solo.  Il  padre  e  la  madre  allora,  r-imasti 
a  piedi,  si  trascinaron  a  gran  pena  dietro  a  lui. 


34. 

Come  pensano  gii  uomini  descrivendo  alcunché  di  buono  o  di 
cattivo,  così  sempre  avvien  loro,  se  sono  sensibili,  come  al  poeta 
[di  cui  qui  sotto  si  parla].  ^  \\1\\ 

C  era  una  volta  alla  corte  del  gran  Rama  un  poeta  di  nome  Su- 
buddhi,  il  quale  descriveva  sempre  ne'  suoi  poemi  il  lago  Pampa, 
che  il  re  aveva  fatto  fare.  Una  volta,  mentre  molti  medici  curavano 
un'  epidemia  che  era  sòrta  nella  certe  del  re,  venne  al  poeta,  per  la 
meditazione  [continua]  sul  lago,  l'idropisia.  Un  medico  inesperto  lo 
curava,  ma  non  otteneva  alcun  buon  risultato.  E  in  vero  : 

Un  medico  privo  di  sapere,  una  donna  senza  pudore,  un  asceta 
grasso  ed  un  ospite  maligno,  sono  quattro  spiedi  [che  trafiggono]  il 
cervello.  ||  1  |1 

Allora  andò  a  lui  un  vecchio  medico  dotto,  cui  il  re  aveva  ordi- 
nato di  guarire  il  poeta  dal  malanno.  Costui,  avendo  veduta  la  forma 
del  corpo  di  Subuddhi,  il  quale  si  cibava  di  ottimo  riso,  di  orzo,  di 
burro  e  d'  altro,  gli  ordinò  di  descrivere  un  deserto.  E  il  poeta  al- 
lora cosi  cominciò  a  dire  : 


1  Ho  pensato  di  tradurre  iu  un  solo  che  si  possono  considerare  una  ripeti- 
concetto  il  senso  dei  due  Qloki,  che  del  zione,  con  poche  varianti  anche  nelle 
l'esto  dififeriscouo  tra  loro  pochissimo  e      stesse  parole.- 


-  71  — 

«  Di  giorno  in  giorno  le  labbra,  il  palato,  la  gola,  che  pur  sono 
sani,  si  disseccano  all'  uomo,  il  cui  petto  è  assetato  per  effetto  del 
veder  sempre  un  miraggio  ».  [|  1  1| 

Descrivendo  queste  ed  altre  cose,  il  poeta  guari  dall'  idropisia. 
Chiese  allora  Rama  al  dottore:  «  Come  mai  a  costui  passò  la  ma- 
lattia, descrivendo  un  deserto?  »  Gli  rispose  il  medico:  «  Prima  Su- 
buddhi  desciùveva  in  vari  modi  il  lago  pieno  d'acqua;  e  perciò  per 
la  continua  meditazione  su  esso  ingenerossi  in  lui  l'idropisia.  Oi-a 
invece,  la  malattia  è  passata,  perchè  egli  ha  descritto  un  deserto. 
[Nell'uomo]  quale  è  la  meditazione,  tale  l'anima;  quale  l'anima,  tale  il 
corpo.  L'uomo  udendo  cose  buone  o  cattive,  diventa  buono  o  cattivo. 

11  yogin  pensando  senza  passione,  ottiene  la  liberazione  d'  ogni 
passione:  semjsre  in  vece  immerso  in  istato  passionale  è  colui  che 
medita  con  passione  ».  ||  1  || 

Così  passò  a  lui,  perchè  descriveva  un  deserto,  l'idropisia.  Grande 
onore  per  ciò  ne  venne  al  medico.  E  in  vero: 

La  vecchiezza  adorna  i  re,  i  ministri,  i  medici  e  gli  asceti;  i-o- 
vina  le  donne  da  conio,  i  disegni,  i  cantanti,  i  servi.  ||1  || 


35. 


Certo  non  è  la  nascita  che  fa  la  famiglia  buona  o  cattiva  :  la 
sorte  degli  uomini  dipende  dalle  loro  azioni,  come  avvenne  al  bram- 
mano  e  alla  sua  famiglia.  ||  1   ! 

In  casa  di  un  tal  dotto  brammano  che  compieva  le  sei  azioni  sacre 
consistenti  nel  sacrilicare  e  nel  far  sacrificare,  nell'  imparare  e  nel- 
l'iusegnai'e  etc,  un  penitente,  di  nome  Devadatta  lasciò  in  deposito 
il  proprio  peculio.  E  di  là  poi  se  ne  andò  ad  un  tirtha,  ove,  essendo 
in  età  avanzata,  si  aggirava  per  purgai-e  i  propri  peccati.  Il  bram- 
mano essendo  presso  a  morte,  disse  al  proprio  figlio  :  «  Questo  pe- 
culio appartiene  al  penitente  Devadatta;  ricordati  di  darglielo,  quando 
egli  te  ne  faccia  domanda  ».  Morto  che  egli  fu,  il  figliuolo  rimasto 
privo  di  mezzi  si  mise  a  fare  il  vasaio.  Intanto  il  penitente  tornato  e 
cercata  per  vedere  il  suo  denaro  la  casa  [dell'amico],  la  riconobbe. 
E  veduto  che  in  essa  si  esercitava  il  mestiere  di  vasajo,  lasciatovi 
tutta  via  ancora  il  gruzzolo,  se  ne  andò  di  nuovo  in  pellegrinaggio. 
Il  vasajo  abbandonato  col  tempo  quel  mestiere,  divenne  facchino. 
Di  nuovo  andò  a  lui  il  penitente,  e,  come  prima,  avendo  ritrovato  il 
proprio  avere,  si  parti  rilasciandovelo  nuovamente.  Presso  a  morte 
il  facchino  raccontò  a  suo  figlio  la  storia  del  peculio  tramandato  di 
generazione  in  generazione.  [Mortogli  il  padre],  il  fanciullo  divenne 
servo  di  un  re.  Presso  di  lui  egualmente  tornato,  il  penitente,  ve- 
dutane la  condizione,   riparti  per   il  pellegrinaggio.  Anche  il  servo 


—  72  - 

morì.  Diveuuto  che  fu  suo  figlio  capo  di  un  villaggio,  fu  visitato  dal 
peuiteute,  il  quale  avendo  scòrto  in  quella  casa  un  altro  mestiere, 
e  avendo  riveduto  ancora  il  proprio  denaro,  se  ne  andò,  colà  di 
nuovo  lasciandola.  Quindi  per  la  consuetudine  con  bramiuani  dotti 
nel  Veda,  il  gio\  ine  divenne  pure  bramraano  ed  esperto  conoscitore 
dei  quattro  Veda.  E  tornato  a  lui  il  penitente  trovò  nel  giovine 
Tantica  condizione  di  bramniano  intento  ad  osservare  i  Veda,  a  sa- 
crificare, a  far  sacrificare  etc.  Per  la  qual  cosa  molto  si  rallegrò. 
Gli  disse  allora  il  giovine  :  «  O  penitente,  perchè  dimostri  [tanta] 
gioia  ?  »  Il  pellegrino  risposegli  allora  narrando  a  lui  l' intera  storia, 
incominciando  dal  brammano  che  compieva  i  sacrifizi  etc.  Poi  avendo 
preso  il  silo  peculio,  disse:  «L'uomo  diviene  nell'animo  tale  quale 
[lo  fa  divenire!  la  meditazione  che  egli  compie.  Noi  non  dobbiamo 
[per  ciò]  far  distinzione  tra  superiori,  mezzani  ed  inferiori  ».  Ciò 
detto,  egli  tornò  alla  propria  casa. 


36. 

Il  re  Bhoga  essendo  presso  a  morte,  onorate  che  ebbe  come  si 
conveniva  tutte  le  genti  d'ogni  setta,  chiamati  i  ministri  disse  loro: 
«  Poco  di  buono  io  ho  fatto,  molto  invece  di  cattivo.  Per  ciò  voi 
dopo  la  mia  morte  dovrete  ungere  con  un  po'  di  collirio  ima  mia 
mano  ;  l'altra  invece  con  del  sugo  di  sandalo  ».  Disse  allora  un  mi- 
nistro :  «  Perchè  ciò  dici  [o  Sire]  ?»  E  Bhoga:  «  La  gente  conoscendo 
che  ciò  sarà  stato  fatto  [per  mio  volere],  sarà  tratta  a  compiere  opere 
meritorie  ».  Morto  che  fu  Bhoga,  mentre  lo  si  conduceva  al  rogo, 
diceva  la  gente:  «  O  perchè  sono  unte  in  tal  modo  le  sue  mani?  » 
I  ministri  allora  rivelarono  il  comando  del  re,  e  la  gente,  ciò  ud.'to, 
mise  ogni  cura  in  comjjiere  opei'e  buone. 

37. 

Un  tempo  il  re  C'hala,  signore  di  G'hallavatikà  non  dava  mai 
doni.  Ma  quando  gli  si  appressò  la  morte,  vennegli  gran  desiderio 
di  fare  elargizioni,  cosi  che  [chiamati  i  figli]  disse  loro:  «  Io  desi- 
dero donare  queste  vacche,  questi  cavalli,  questi  carri,  questo  fru- 
mento, queste  ragazze  ».  Allora  pensarono  i  figli,  i  ministri  ed  altri 
ancora  :  «  Oh  !  costui  darà  tutto  il  regno  in  dono  !  »  Ma  pure  gli  ri- 
sposero: «  Dopo  la  tua  morte  tutto  verrà  regalato  ».  Cosi  essi  dis- 
sero, ma  nulla  donarono  morto  che  egli  fu.  E  in  vero  : 

Solo  quello  che  con  la  propizia  mano  viene  dato  divieu  proprio  di 
alcuno  e  non  di  un  altro.  Anche  i  buoni  figliuoli  si  cangiano  nel  mo- 
mento della  morte  [del  padre].  |jl|| 


73  — 


38. 


Nel  paese  di  Vata  era  ministro  un  cittadino  di  Disa  per  nome 
Saraiiga.  Egli  era  un  eretico  ;  non  così  in  vece  la  madre  sua  che  se- 
guiva i  precetti  gainici.  Una  volta  ella  gli  disse:  «O  figlio,  tu  sei 
un  eretico  e  non  segui  la  religione  del  Gina:  non  seguendola  ne 
essendo  privi  di  passione,  non  è  possibile  ottenere  la  liberazione 
finale.  L'ora  della  mia  morte  è  suonata.  Morta  che  io  sia  tu  devi 
lodare  i  santi  G'ina  nei  templi  ».  «  Così  sia  »,  le  rispose  Saraiiga, 
«  non  ti  dar  pena  ».  Ma,  mortagli  la  madre,  egli  non  onorava  i  santi 
e  rimaneva  sempre  un  eretico.  Andata  che  fu  in  cielo,  la  madre  una 
notte  [in  sogno]  si  accostò  al  figlio  e  per  amore  di  lui  e  per  illu- 
minarlo, gli  diede  uno  cloka,  dicendogli  :  «  Chi  ti  spiegherà  il  senso 
di  questo  cloka  dovrà  essere  tuo  maestro  di  religione.  Io  sono  tua 
madre  ».  Ciò  dettogli,  ella  scomparve.  Sàranga  recossi  allora  in  ogni 
luogo  chiedendo  ai  brammani  il  senso  dello  cloka,  ma  nessuno  sa- 
peva rispondergli.  Finalmente  in  Siddhapura,  si  rivolse  al  venerando 
saggio  Devasundara,  il  quale  gli  disse:   «  [Lo  cloka  suona: 

«  L'uomo  pio]  segue  il  sistema  religioso  del  G'ina.  Perciò  tu  o 
figlio,  devi  abbracciarlo  con  buona  osservanza».'  |11|| 

Allora  Sàranga  rese  omaggio  a  tale  religione,  e  convertendosi 
alla  fede  del  G'ina,  divenne  un  ardente  religioso.  Si  recò  poi  al 
tlrtha  Catruùgaya,  ove,  inchinato  l'Arhant  Cri-Rsabha,  gli  tessè  le 
lodi. 2  Gli  dei  lo  indussero    poi    in    tentazione,  ma  egli  non  vacillò. 


39. 

Una  volta  disse  il  sultano  Firuz  al  saggio  Mukunda  :  «  Son  io  [un] 
grande  [sovrano]  o  lo  è  Rama?»  Allora  quel  sapiente  fatta  portar 
dell'acqua,  disse:  «  Si  gitti  entro  essa  questa  pietra  ».  Fatta  la 
quale  cosa,  la  pietra  affondò.  «  Parla  con  [maggioro]  chiarezza,  gli 
disse  il  Sultano,  non  si  piglia  in  giro  il  Sire?  »  Ma  il  saggio:  «  Le 
pietre  che  i  servi  di  Rama,  Hanumat  e  gli  altri,  gittarono  nell'ac- 
qua, stettero  a  galla;  questa  invece  è  andata  a  fondo.  E  invero: 

Quelle  stesse  pietre  che  affondano  e  fanno  affondare  [ogni]  altra 
persona,  so  ne  stanno,  gittate  nell'oceano  difficile  ad  attraversare, 
sospese;  e  [di  più]  sollevano  e  fanno  attraversare  gli  scimmii.  Ma 

«  Vedi   la    nota  4   alla   pagina  37.  questo   giorno   etc.    [nel    quale   io    mi 

2  Vedi  la  nota  1  a  pagina  38.  Si  pò-  sono   convertito]  ».    Ma  il    ms.    legge 

treblìe,    tuttavia,    supporre    invece    di  chiaramente  d liana  per  ben  tre  volle 

dhana,   nel  testo,  dhanya:  e  allora  e  però  non  posso  azzardare  tale   cor- 

avremmo:  «beato  questo  mese,  beato  rezione. 


Studi  italiani  di  fil.  indo-tran. 


10 


—  74  — 

ciò  non  avviene  per  virtii  dolio  piotro  o  dell'oceano  o  degli  scimmi 
[bensì  pei-  opera  dell'illustro  llaina]  ;  e  in  questo  appare  appunto  la 
grandezza  del  venerando  figlio  di  Dacaratha  ».  ||  1  || 
Avendo  egli  detto  ciò,  il  re  se  ne  piacque. 


40. 


Disse  una  volta  un  capro  a  sua  madre:  «O  madre  [tra  poco] 
avrà  luogo  la  festa  Diwal.  In  essa  tu  ornerai  le  mie  corna  ».  «  O 
figlio  »,  risposegli  la  madre,  «  se  scamperai  fra  un  mese,  nel  nono 
giorno  della  metà  lunare  chiara  del  mese  Alvina,  io  ti  adornerò 
[come  vorrai]  ». 

Il  re  Bhima  avendo  ciò  udito,  tralasciò  allora  di  uccidere  gli  ani- 
mali, e  [da  quel  giorno  in  poi]  fu  preparato  il  sacrifizio  bali  con  al- 
tre cose,  come  cibi  frugali.  ||  1  || 


41. 

Una  volta  il  re  Bhoga  nel  mezzo  della  notte  recitò  ad  alta  voce 
questi  tre  versi  di  un  poema: 

«  Leggiadre  donne  sonvi  e  famigliar  devoti 
E  sudditi  e  parenti  ch'offron  d'amore  i  voti 
Cavalli  ed  elefanti  die  corron  qua  e  là. ...  » 

Un  ladro  che  era  entrato  prima  nell'  interno  della  casa,  avendo  udite 
queste  parole  ripetutamente  espresse  dal  re,  disse: 

«  Ma  con  la  morte,  Sire,  tutto  disparirà  ».  |1  1  || 

Il  re  allora,  avendolo  veduto  ed  essendosi  accorto  che  quello  era 
un  ladro,  trattoselo  presso,  lo  fece,  per  esser  egli  così  saggio,  rega- 
lare il  mattino  seguente  di  molto  denaro. 


42. 

Una  volta  il  venerando  ministro  Vastupala  si  recò  al  tirtha  Stam- 
bha.  La  gente  allora,  riunitasi,  gli  chiese  :  «  Il  vostro  corpo  è  in  sa- 
lute? »  Egli  rispose: 

«La  gente  chiede  notizia  di  me  domandandomi  se  il  mio  corpo 
ha  salute.  Ma  che  farne  della  salute?  La  vita  nostra  se  ne  va  di 
gioi-uo  in  giorno  ».  |1  1  || 


—  75 


43. 


In  una  certa  città  un  mercante  commerciava  con  frode,  usando 
bilancio  false  ed  altro.  Ad  esse  egli  aveva  dati  i  nomi  di  ekapuskara, 
dvipuskara,  tripuskara,  catuhpuskara,  paùcapuskara.  Molto  [di  piìi 
del  giusto]  egli  era  solito  a  prendere,  poco  a  dare.  Ma  il  denaro  che 
e^li  guadagnava  in  tal  modo  [illecito]  era  alla  fine  dell'anno  di- 
strutto dal  fuoco,  o  rubato  dai  ladri,  o  carpito  dal  re.  Gli  disse  una 
volta  la  moglie  del  suo  figliuolo  minore,  la  quale  aveva  veduto  il 
conunercio  fraudolento:  «  Quando  il  traffico  è  doloso,  il  denaro  [rica- 
vatone] se  ne  va  ».  E  ciò  detto  ella  fece  fare  una  palla  d'oro,  la  gittò 
nell'acqua,  ma  di  nuovo  essa  le  fu  portata  da  pescatori  che  l'av;?- 
vano  presa  in  mezzo  al  mare  dall'interno  di  un  pesce,  e  che  l'ave- 
vano creduta  un  peso  [da  bilancie].  Disse  allora  la  donna:  «  O  suo- 
cero, se  bene  espulsa  dalla  casa  di  chi  pratica  il  commercio  onesta- 
mente, la  fortuna  ritorna  da  se  ». 

Allora  venne  durevole  in  casa  di  quel  mercante  la  fortuna,  che 
da  quel  dì  egli  esercitò  il  commercio  con  probità. 


44. 

Viveva  in  Kau^àmbi  il  re  Catanika,  la  cui  moglie  Mrgavatl  era 
figliuola  del  re  C'edaka.  Una  volta,  mentre  egli  stava  in  una  sala, 
disse  ad  un  ambasciatore:  «  Ciò  che  si  vede  nel  mio  regno  esiste  o 
no  in  quello  di  un  altro?  »'  Gli  rispose  quegli:  «  Vi  manca  una  sala 
dipinta  ».  Volle  allora  il  re  far  dipingere  una  stanza,  e  a  ciò  fu  chia- 
mato Soma,  il  primo  fra  i  pittori.  Una  volta  costui,  avendo  veduto 
un  dito  di  un  piede  di  Mrgavatl,  ne  dipinse  tutto  il  corpo.  Un  punto 
nero,  quantunque  egli  lo  avesse  rimosso  piìi  volte,  pure  era  caduto 
nella  parte  vergognosa  di  lei.  Il  re  allora,  avendo  veduto  il  corpo 
della  regina  dipinto  in  un  quadro  e  il  punto  nero  stante  in  quel 
luogo,  pensò  :  «  Oh  !  questo  pittore  ha  veduta  interamente  [nuda]  la 
moglie  mia!  »  E  per  ciò  lo  condannò  a  morte.  Ma  gli  altri  pittori 
dissero:  «  [Maestà]  non  dovete  far  uccider  costui:  egli  ha  un  dono 
da  una  divinità.  Odi  : 

In  Saketanapura,  viveva  un  Yaksa  chiamato  Surapriya,  il  quale 
ogni  anno  facevasi  ritrarre  [in  una  tela]  e  poi  uccideva  il  pittore. 
Quando  alcuno  non  voleva  dipingerlo,  egli  devastava  la  città.  Per 
ciò  il  re  fece  un  turno  fra  i  pittori  [i  quali  avrebbero  dovuto  fargli 

1  «  La  risposta  che  segue  è  certo  la-  alla  domanda.  Forse  si  sottinteude:  [«  Il 
cunosa,  che,  non  bene,  nella  forma  in  vostro  regno  è  superiore  agli  altri,  per  le 
cui  essa  ci  è  data  dal  testo,  si  adatta      sue  proprietà,  solamente  egli]  manca  di... 


-  76  — 

il  ritratto].  Colui,  il  cui  uoine  usciva  dall' urua  avrebbe  dovuto  di- 
pingerò il  Yaksa.  Cosi  essendo  ogni  auuo  avvenuto  [  per  vario 
tempo],  giunse  la  volta  del  figlio  di  una  povei'a  vecchia.  Costei 
cominciò  allora  a  piangere  [la  sua  sventura].  Ma  Soma  saputo  il 
turno  toccato  al  figlio  della  donna,  andato  a  lei,  le  disse:  «  Io  sa- 
prò difendere  il  tuo  figliuolo  ».  Quindi,  avendo  fatta  la  sacra  fun- 
zione consistente  nell' omettere  cinque  pranzi,  e  al  sosto  fatto  il  sa- 
crificio, essendosi  purificato  e  avendo  cliiusa  la  bocca.  Soma  cominciò 
a  dipingere  il  Yaksa.  Costui  [finito  il  quadro]  disse  tutto  lieto: 
«  Chiedi  un  dono  ».  E  il  pittore  lo  pregò  che  da  quel  momento  egli 
non  facesse  più  ingiuria  alcuna  ai  viventi  e  inoltre  che  gli  desse 
il  potere  dì  fare  un  quadro  dell'  intero  coi'i^o  [di  una  persona]  allor- 
ché sola  una  parte  egli  ne  avesse  veduta.  E  il  Yaksa  contento,  ciò 
gli  concedette.  Ed  egli.  Soma,  ora  qui  è  venuto. 

Ciò  detto  essendo  stato  mostrato  a  lui  il  dito  di  una  schiava, 
egli  ne  dipinse  tutto  intero  il  corpo.  Un'altra  volta  Soma  dipinto  su 
un  drappo  il  corpo  di  IMrgavatl,  lo  mostrò  al  re  C'andapradyotana, 
il  quale  [innamoratosene]  la  chiese  a  Cataulka.  Ma  costui  non  gliela 
diede.  [Canda]pradyotaua  allora  andò  a  lui  e  gli  assediò  la  for- 
tezza, e  Cataniko,  avendo  veduto  \\n  nemico  tale,  improvvisamente 
morì.  Disse  allora  al  re  la  saggia  Mrgavatl,  dopo  aver  compiute 
tutte  le  funzioni  che  dovevano  seguire  la  morte  del  marito  :  «  Mio 
mai-ito  è  morto.  Io  desidero  essere  tua  sposa.  Ma  lascia  tu  fare  al 
mio  più  giovine  figlio  uno  stabile  baluardo,  e  allora  io  ti  accetterò. 
Mi  ucciderò  invece,  se  tu  muoverai  impetuosamente  contro  di  me  ». 
[Ma  costruita  che  ella  ebbe  la  fortezza]  non  volle  sposare  C'anda- 
pradyotana. Cominciò  egli  allora  a  combattere,  ma  non  riuscì  a 
prendere  il  baluardo.  In  questo  frattempo  si  recò  ivi  Mahavlra.  Il 
re  allora  e  anche  Mrgavatl  si  portarono  ove  egli  era,  per  inchi- 
nare il  Signore.  Uditi  che  ebbero  i  suoi  ammaestramenti,  Mrgàvati 
chiese  la  consacrazione  gainica  e  C'andapradyotana,  abbandonata 
la  sua  follia,  perdonò  alla  regina  Così  ella  ottenne  la  consacrazione 
e  il  re  inchinato  il  Signore  e  lei,  donna  onestissima,  se  ne  tornò  al 
proprio  paese. 

45. 

Una  volta  il  maestro  Crìdhara  dopo  aver  composti  libri  di  astro- 
nomia, come  la  Trimcatika  ete.  e  dopo  averli  forniti  di  una  sua 
propria  dimostrazione,  scritto  alla  fine  di  essi  il  suo  nome,  si  insu- 
perbi e  compose  versi  [che  così  suonavano]  : 


1  Omnielto  la  versione  della  frase:       ragna»  (p.  42)  non  essendomi  possibile 
chiunasandako    hastah   karito      rintracciare  irsiLniilicato  di  sandaka. 


—  77  - 

«  Al  Nord  fiuo  alla  sede  degli  dei,  al  Sud  fiuo  al  monte  Malaya 
e  fiuo  all'  [estremo]  Oriente  e  Occidente  non  e'  è  tra  i  sapientissimi 
alcun  astronomo  all' infuori  di  Cridhara  ».  ||  1  || 

Essendosi  poi  questo  saggio  posto  il  nome  non  a  proposito  di  figlio 
di  Sarasvatl,  costei  pensò:  «Ohimè!  quantunque  dotto,  pure  costui 
è  stolto,  percliè  tanto  insuperbisce  !  »  Quindi,  avendo  presa  la  forma 
di  una  vecchia,  Sarasvatl  recatasi  presso  il  maesti'o  Cridhara  gli 
disse:  «lo  non  so  far  di  conto,  per  ciò  tu,  che  tutto  sai,  dimmi: 
«  Uno  più  due  quanto  fanno  ?  »  Cridhara  rispose:  «  Tre  ».  «  Così  non 
devi  dire  ;  parla  esattamente  ».  «  Dodici  »,  disse  allora  Cridhara. 
«  Ne  pur  cosi  »  riprese  la  vecchia.  Ma  Cridhara:  «  O  vecchia,  tu  sei 
matta!  Tu  non  intendi  ciò  che  io  ti  dico:  come  non  ti  torna?» 
Allora  la  donna:  «Ventuno  si  ottiene,  mettendo  a  sinistra  la  [se- 
conda] cifra  ».  Allora  Cridhara,  chinato  il  capo  disse  :  «  0  madre,  chi 
sei  tu?  »  E  quella:  «Io  sono  un'abitante  del  Kacmir,  che  qui  venne 
di  là  per  distruggere  la  tua  superbia  ».  «  E  di  quale  superbia  mi 
sono  io  reso  colpevole  ?  »  disse  allora  l'astronomo.  E  Sarasvatl  :  «  La 
tua  superbia  trae  origine  da  quella  cloka  che  dice  :  "  Al  Nord  fino 
alla  sede  degli  dei  etc.  "».  Cridhara  disse:  «0  madre  palesami  la 
tua  vera  natura.  Perchè  mi  inganni?  »  Allora  Sarasvatl  rivelò  a  lui 
l'esser  suo.  Cridhara  avendo  veduta  la  figura  della  dea  dell'eloquenza, 
sorgendo  d'un  tratto  e  cadendo  poi  ai  piedi  di  lei,  le  disse:  «  0  madre, 
stolto  son  io,  che  in  tale  superbia  montai  ».  Ed  ella:  «Figlio,  d'oi'a 
innanzi  non  devi  insuperbirti.  La  superbia  rende  gli  uomini  infelici 
in  questo  mondo  e  nell'altro.  E  in  vero: 

La  sapienza  toglie  ogni  presunzione  e  superbia:  chi  per  essa  di- 
viene vano,  quale  medico  potrà  avere  a  sé  stesso?  Come  può  esser 
fatta  cura  di  colili,  al  quale  l'ambrosia  diviene  veleno  ?||1|| 

>  Il  fuoco  sorge  dall'  acqua  per  coloro  che,  sopraffatti  dal  destino, 
si  insuperbiscono  a  cagione  della  loro  sapienza,  e  divengono  avari 
avendo  ricchezza  ».  ||  2  || 

Tali  parole  di  Sarasvatl  avendo  udite,  Cridhara  abbandonò  [ogni 
sentimento  di]  superbia. 

46. 

Il  superbo  Vyàsa  Krsnadvaipayana  scrisse  alla  fine  del  Maha- 
bharata  queste  parole  : 

«  Io  conosco  il  Mahabharata,  Cuka  lo  conosce,  Sangaya  lo  conosce 
e  forse  no,  lo  conoscono  Bhàrati  e  il  divo  Recava  ».  ||  1  || 

Da  Ayodhyà,  situata  nella  plaga  settentrionale  a  124  yogaui  dal 
mare  meridionale,  si  parti  un  vasajo  gaina  per  fare  un  pellegrinaggio 
al  mente  Girinara.  Frattanto  gli  scolari  di  Krsnadvaipayana,  che 
ivi  erano,  dissero  :  «  Il  nostro  maestro   tutto  sa  !  »  Il  vasajo    allora 


—  78  — 

peusò  «  Senza  [hi  i^ii-azia  di  G'iuu]  ouniscieute  uessuiio  può  tutto 
couoscore  ».  Recatosi  quindi  presso  Kisnadvaipayana  gli  disse:  <.<  Chi 
è  r  eroe  del  Maliàbluirata  da  voi  composto?»  E  il  poeta:  «  Yudhi- 
sthira  e  altri  sono  gli  eroi  di  esso  ».  «  Che  parentela  hanno  essi  con 
Draupadl?  »  chiese  di  nuovo  il  vasajo?  «  Quali  cose  sono  narrate 
nel  poema  ?  Quali  altre  mancano  ?  » 

Vyasa  rispose:  «  Non  so  *.  E  il  vasajo: 

«  Il  maggiore  è  marito  e  suocero  di  Draupadl,  il  minore  è  marito 
e  cognato  di  lei,  e  gli  altri  tre  hanno  le  tre  coudizioni  [di  marito, 
cognato  e  suocero].  ||  1  || 

Allora  Draipayaua,  sorgendo  disse  : 

«  Tu  invero  sei  sapiente,  tu  intelligente,  tu  invero  un  nuovo  si- 
gnore della  religione  ;  tu  sei  da  lodare,  tu  sei  ricettacolo  di  san- 
tità. 11  2  II 

Io  invece  sono  uno  stolto,  io  sono  uno  stupido,  io  sono  un  su- 
perbo, un  cattivo,  un  infelice,  un  privo  di  virtù,  o  vasajo  ». 


47. 

Abitava  in  Cripura  il  mercante  Dhana,  grosso  capitalista.  Egli 
aveva  molte  jjersoue  di  famiglia  :  la  moglie  di  nome  Dhanavatl,  il 
figlio,  chiamato  Kamala  e  la  moglie  di  costui,  Kamala.  Morti  Dhana 
e  Dlianavatl,  a  poco  a  poco  Kamala  impoverì.  Tuttavia  egli  si  man- 
teneva egualmente  virtuoso  e  la  moglie  sua  procurava  di  fare  il 
bene  del  marito.  Molti  ospiti  venivano,  ed  ella  rendeva  sempre  onore 
a  tutti  coloro  che  egli  le  accompagnava.  Una  volta  Kamala,  avendo 
veduta  la  moglie  assai  esile,  le  disse  : 

«  O  pei'chè  mai  ora,  sei  così  smunta?  Dimmi  ciò  che  ti  manca  ed 
io  cercherò  di  procurarti  il  bisognevole  ». 

Ella  gli  rispose  : 

[«  Troppo  pili  del  necessario  è  donato  da  noi  agli  ospiti  e  per 
ciò  io  sono  così  sparuta]  ». 

Allora,  dando  elemosina  in  proporzione  ai  loro  averi,  essi  si  ac- 
quistarono  merito   religioso   atto  a  conseguire  la  liberazione  finale. 


48. 


Un  tale  s'era  messo  in  cammino,  ma  per  via  incontrò  un  orso, 
che  correndogli  presso  voleva  ucciderlo.  Allora  egli,  presolo  per  le 
orecchie,  cominciò  a  strizzargliele  e  a  rompergli  la  pelle.  Ma  mentre 
ciò  faceva,  caddegli  a  terra  alcune  monete.  Frattanto  un  uomo  che 
passava  per  la  stessa  strada,  veduto   quello  cesi  stante,   gli   disse 


—  79  — 

«  Che  fai  tu?  »  Risj^ose  l'altro:  «  [Tengo  frenato]  questo  orso,  [che] 
strizzato  nelle  orecchie ,  lascia  cadere  monete  ».  E  il  secondo  : 
«  Se  tu  darai  a  me  [per  qualche  tempo]  l' animale,  potrò  io  pure 
avere  alcun  poco  di  denaro  ».  «  E  come  jDotrò  darti  io  questo 
orso  ?  »  gli  chiese  quello.  Ma  avendogli  1'  altro  detto  che  egli  era 
un  avaro,  allora  il  primo  gli  passò  l'animale  fra  le  sue  mani.  Co- 
minciò subito  [il  nuovo  venuto]  a  strizzare  le  orecchie  dell'  orso, 
mentre  1'  altro,  raccolte  le  propine  monete,  gli  chiedeva  se  a  lui  ne 
erano  cadute  alcune.  Ma  quello  seguitando  a  strizzare,  disse:  «  Co- 
stui nulla  mi  dà  e  solo  invece  desidera  uccidermi  ».  E  l'altro:  «  Or- 
bene, lascialo,  gli  disse  ».  Ma  colui  che  aveva  per  le  orecchie  l'ani- 
male gli  rispose  :  «  Le  orecchie  dì  quest'  orso  possono  essere  prese 
ma  non  lasciate  »  e  in  cosi  dire  grandemente  si  addolorò.  Il  primo, 
invece,  prese  le  sue  monete,  fortunato  per  sua  avvedutezza,  se  ne 
tornò  a  casa. 


49. 


Un  giorno  l'illustre  Kumarapala  chiese  [ad  un  saggio]  :  «  0  ve- 
nerando, ove  si  trovano  nell'  oceano  dell'  esistenza  il  maggior  piacere 
ed  il  maggior  dolore?  »  Rispose  il  maestro  :  «  Eterna  felicità  è  fra 
gli  abitatori  delle  supreme  regioni  [del  cielo],  che  vivono  ivi  un  tempo 
infinito  ;  eterno  dolore  [in  vece]  fra  quelli  che  pure  un  tempo  infi- 
nito trascorrono  nei  sette  inferni  sotterra.  Per  ciò  deve  l'uomo  ado- 
prarsi  a  compiere  opere  non  male,  ma  benemerenti  ». 


50. 


Abitava  in  C'andrapura  un  monaco  gaina  di  nome  Crldhara,  che 
aveva  un  dìscej^olo  chiamato  Prabhacandra.  Una  volta  costui  gli 
disse:  «  0  venerando,  io  mi  sono  approfondito  in  tutte  le  scienze, 
per  ciò  ora,  quando  tu  me  ne  dia  ordine,  avendo  abbandonato  il 
sanscrito  tradurrò  in  prakrito,  secondo  la  forma  degli  Anga,  la  dot- 
trina contenuta  nei  Piirva.  Gli  rispose  il  maestro:  «  [Prima  di  ciò] 
tu  farai  espiazione  [de'  tuoi  peccati]  ».  E  a  tal  uopo,  a  lui  che  gli 
chiedeva  che  cosa  avrebbe  dovuto  fare  per  ciò,  consigliò  di  conver- 
tii*e  un  re.  Allora  Crldhara  si  recò  in  Cripura  per  ottenere  la  con- 
versione del  sovrano  [di  quella  città].  Ma  costui  gli  affidò  la  propria 
figlia,  perchè  fosse  da  lui  istruita.  Prabhacandra  allora  cominciò  a 
far  leggere  a  quella  fanciulla  il  Mahabharata,  i  codici  delle  leggi  ed 
altre  cose  sagge.  Ma  a  poco  a  poco  nacque  fra  i  due  giovani  amore, 
il  quale  fu  cagione  che  si  accoppiassero.  Saputo  ciò,  il  re  si  recò  di 


—  80  — 

nascosto,  [ove  essi  erano]  per  scoprirò  il  loro  contegno.  Prabhacandra, 
frattanto  recitò  alcuni  versi  che  così  suonavano: 

«  OliimM  invertito  è  l'ordino  del  corso  delle  azioni  in  questa  rete 
che  si  chiama  esistenza  !  Non  solo  i  pesci  vengono  presi,  ma  anche 
il  pescatore!  »  ||  1  || 

Udito  ciò,  il  re  gli  diede  in  isposa  la  propria  figlia. 

11  maestro,  col  tempo,  seppe  quanto  era  avvenuto  al  suo  scolaro. 
Esclamò  allora  : 

«  Nel  mondo  un  maledetto  destino  sotto  forma  di  donna  ci  pro- 
cura frodi:  sono  liberi  gli  ingenui  e  i  saggi  cadono  nella  rete!  »  !|  1  || 

E  [lo  scolaro]  disse  al  maestro  : 

«•Esiste  magnanimità,  sapienza,  nobiltà  di  sangue,  verità,  discerni- 
mento, fin  tanto  che  il  fuoco  d'amore  non  arde  nelle  membra  !  »  ||  1  (| 

Prabhacandra,  tuttavia,  rimase  [ove  era],  disprezzando  le  parole 
del  maestro.  Ma  col  tempo  egli  perdette  tutto  il  sapere  acquisito  e 
divenne  uno  stolto. 

E  in  vero:  «  Gli  uomini  dediti  alle  donne  non  conoscono  più 
[alcun  dovere  né  verso]  il  padre  né  [verso]  la  madre.  Così  avviene 
che  certuni  troppo  obbedienti  ad  esse,  non  discernano  più  ciò  che 
si  deve  da  ciò  che  non  si  deve  fare  ».  1|  1  11 


APPENDICE 


Riportiamo  qui  alcuni  cloki  i  quali,  perchè  di  incerta  od  impos- 
sibile interpretazione,  non  abbiamo  creduto  opportuno  lasciare  nel 
testo. 

Nov.  30,  pag.  30:  tra  le  righe  9  e  10: 

vasahìsayanasapà(?)bhattapanahhesaggavattapattàim  | 
gai  vi  na  paggattadhano  thova  viha  thovayam  dei|| 

Tenterei  di  tradurlo: 

vasaticayanani  sadà('?)  bhaktapànabhaisagyavastrapatrani  | 

yady  api  na  paryaptadhanam,  stokà  api,  khalu  stokakam(?)  dadati  || 

Ibidem,  alla  fine: 

samàiyammi  oka  esa  mano  iva  savao  gamba  | 
cena  karaneuam  bahuso  samaiam  kugga  |  \ 
màsaiyam  kunanto  samabhàvam  sàvao  ghadi  duggam  1 
àum  suresu  baindhai  ittimittaim  pahaim  1 1 
bauavaikadiula2kagunasadvisahasapauavlsa  | 
navasayapancavìsaesatihaaibhàgapahassa  1 1 

Se  alcunché  può  intendersi  dei  due  primi  di  questi  tre  eloki  (e  per 
ciò  ne  ho  tentata  la  divisione  delle  parole),  nulla  o  quasi  nulla,  a 
parer  mio,  può  rilevarsi  dal  terzo. 

* 
*  * 

Nov.  34,  p.  33.  La  sentenza  che  trovasi  prima  delle  due  che 
iniziano  la  novella  è  data  dal  testo  alla  fine  della  nov.  32,  ove,  evi- 
dentemente, nulla  ha  a  che  fare.  Non  esito  quindi  a  trasportarla  al 
luogo  opportuno,  presso  l'altra  cioè,  da  cui  tanto  poco  differisce  per 
forma  e  contenuto.  Per  questa  ultima  ragione  anzi,  abbiamo  tradotti 
ambedue  gli  9loki  con  un  solo  concetto. 


—  82  — 

Ibidem,  di  seguito  alla  sentenza  che  finisce  alla  vig;i  20: 

yeua  yeua  hi  bhavena  yugyate  yautravàhakah(?)  | 

teua  tena  tanmayatani  yati  vic-varùpo  iuam(?)  || 

itikàbhraniarldhyaua.t(tìic]  bliramari  gayate  yatlia  | 

tatlui  dbyauauui-ùpah    i5yat(sic)  givah  vubliarubhatmaghaD(?)  || 

Si  allude  in  quest'ultima  sentenza  all'effetto  della   meditazione  del 
yogin  ?    Forse    vubh  àcubhatniaghàn   sta   per    "cubhatmavan  ? 


Nov.  50,  p.  48.  Dopo  il  primo  tatra  (il  secondo  è  incorso  per 
errore  di  stampa  in  luogo  di  tada)  il  testo  ha:  tadà  gurunà 
'd  h  y  a  t  a  m  : 

uà 'nyali  krodhatapàdàdhir  (?)  uà 'nyali  ksayamayat  (?)  | 
nà 'nyah  sovakato  duhkhi,  n a 'nyali  kamukato  dhalah(?)|| 

Il  primo   emistichio    è    inoltre,    come    si    vede    chiaro,  metricamente 
ei-rato. 


ERRATA-CORRIGE 


Pas-    20  rigo  2'2  invece  di  G'agendra" 


»   (nota  2)         »  Mini  ansa 

22  rigo    7         »  papraccha 

23  »        9         »  "paravrttim 
23    »      23         »  thabhir 
25    »      79         »  'dhistitan 

27  »       2         »  bah u papa m 

28  (nota  1)        »  Streitscliriit 
32  rigo    9         »          'vag 
37    »     35  ri  va  dopo  "sevakan,  non  dopo  "kathà 

41    «■       6  invece  di  Girinara"  leggi    Girinara" 

17  (nov.  50),  rigo  1,  invece  di  purvagatam  leggi  l'urvagatain 


leggi  Gagendra 

»  M I  m  a  m  s  a 

»  papraccha 

»  paravrttim 

»  tabhir 

»  '  d  h  i  s  t  h  i  t  a  u 

»  bahu   papam 

»  Streitschrift 

»  'vak 


ESTRATTO 
BEGLI   STUDI   ITALIANI  DI   FILOLOGIA   INDO-IRJ 


UNICA 


PK 

3798 
S832 
P316 


Subha-sila  Gani. 

Pancacati-prabodhas^mbandhah 


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