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Full text of "Poesie di Giosuè Carducci, MDCCCL-MCM"

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VcSi    S-^oi.o.  c^<^ 


Oift  of 


John  Allan  ChllòL 


l^<aC  HARVARD  COLLEGE  LIBRARY" 


f;^^ 


POESIE. 


v 


lOSUE  CARDUCCI 

MDCCCL-MCM 


QUARTA  EDIZIONE 

E   QUATTRO  FAC-S 


BOLOGNA 

DITTA  NICOLA  ZANICHELLI 

1905 


mtsJL^ù^'LO'  2.2- 


•-V^ 


HARVARD  COLLEGE  LIBRARY 

FROM  THE  LIBRARY  OF 

JOHN  AU  AN  CHILO 

AUGuST  14,  a930 


INDICE  DELLE  POESIE 


JUVENILIA 


Prologo      . Pag.  3 

A  G.  C „  II 

LIBRO  I 

Peregrino  del  del,  garrulo  a  volo „  13 

Tu,  fftesta  peregrina,  il  dolce  nido „  14 

Si  crudelmente  fero  e  quel  flagello „  15 

Questa  e  l*  altera  giovinetta  bella „  16 

O  nova  angela  mia  sena'  ala  a  fianco, „  17 

Profonda,  solitaria,  immensa  notte; „  18 

Candidi  soli  e  riso  di  tramonti, „  19 

Bella  e  la  donna  mia  se  volge  i  neri „  20 

A  questi  di  prima  io  la  vidi.  Uscia „  ai 

Quella  cura  che  ogn*  or  dentro  mi  piagne    ....  „  aa 

E  tu  pur  riedi,  amore;  e  tu  l*  irosa „  33 

Né  mai  levò  si  neri  occhi  lucenti „  24 

Deh,  chi  mi  toma  a  voi,  cime  tirrene „  25 

E  degno  e  ben,  però  eh*  a  te  potei, „  26 

Cara  benda  che  in  van  mi  contendesti     .....  „  27 

E  tu,  venuto  a*  belli  anni  ridenti „  28 

Te  gridi  vii  quei  che  piegò  la  scema „  29 

E  voi,  se  fia  che  l*  imminente  possa »  30 

O  cara  al  pensier  mio  terra  gentile „  31 

Qui,  dove  irato  a  gli  anni  tuoi  novelli     .....  »  3a 

Non  son  quell*  io  che  già  d*  amiche  cene »  33 


IV  INDICE  DELLE  POESIE 


LIBRO  II 

Invocazione Pag.    35 

AO.  T.  T „  37 

Canto  di  primavera „  41 

A  Febo  Apolline „  50 

A  Diana  Trivia „  60 

Brindisi „  63 

Vóto „  66 

A  Neera „  67 

Primavera  cinese „  70 

Alla  beata  Diana  Giuntini „  73 

A  Giulio „  77 

Alla  Libertà „  81 

LIBRO  III 

Passa  la  nave  mia,  sola,  tra  il  pianto    -     .     .     .     .  „  85 

Che  ti  giovò  su  le  fallaci  carte  . „  86 

A  F.  T ; „  87 

Poi  che  mal  questa  sonnacchiosa  etade „  88 

Giuseppe  Parini „  89 

Pietro  Metastasio „  90 

Carlo  Goldoni „  91 

Vittorio  Alfieri „  92 

Vincenzo  Monti „  93 

Ancora  Vincenzo  Monti „  94 

Giovan  Battista  Niccolini „  95 

Ad  Antonio  Gussalli „  96 

A  Terenzio  Mamiani .  „  97 

In  Santa  Croce „  98 

A  un  cavallo „  99 

Non  vivo  io,  no.  Dura  qu'iete  stanca „  100 

Per  i  funerali  d'  un  giovane „  loi 

Poi  che  Vitale  sorti  e  la  vergogna „  102 

E  eh*  io,  perché  lo  schernir  tuo  nt*  incalsa,      ...  „  103 

In  un  albo „  104 

A  N.  F.  P. 105 


INDICE   DELLE  POESIE 


LIBRO  IV 

La  selva  primitiva Pag.  107 

Prometeo ;,  no 

Omero „  112 

Dante „  119 

Beatrice „  125 

Àgr  Italiani „  128 

A  Enrico  Paz2i .  „^  135 

Lauda  spirituale „  140 

Alla  memoria  di  D.  C „  143 

A  G.  B.  Niccolini „  150 

Maggio  e  Novembre „  156 

I  vóti „  160 

LIBRO  V 

A  un  poeta  di  montagna .  „  165 

A  un  geometra „  167 

A  un  filosofo „  169 

Ai  poeti ,  171 

Ancora  ai  poeti „  173 

A  scusa  d'  un  francesismo  scappato  nel  precedente 

sonetto „  176 

Alla  Musa  odiemissima . „  178 

Pietro  Fanfani  e  le  postille „  183 

Il  Burchiello  ai  linguaioli „  185 

A  Messerino „  187 

Sur  un  canonico  che   lesse    un  discorso    di   peda- 
gogia    „  189 

A  Bambolone „  192 

Al  beato  Giovanni  della  Pace „  195 

LIBRO  VI 

A  Vittorio  Emanuele „  201 

In  Santa  Croce. „  212 


VI  INDICE  DELLE  POESIE 


Anche  in  Santa  Croce Pag.  215 

Gli  Austriaci  in  Piemonte „  214 

A  Giuseppe  Garibaldi „  215 

Montebello „  216 

Palestro „  217 

Magenta „  218 

Modena  e  Bologna „  219 

San  Martino „  220 

Per  le  stragi  dì  Perugia „  221 

Alla  Croce  di  Savoia „  222 

Variante  cantata  della  Croce  di  Savoia,    .     •     .     .  „  228 

Brìndisi „  230 

La  scomunica „  234 

Voce  dei  Preti „  235 

Voce  di  Dio „  236 

Il  plebiscito „  237 

In  Santa  Croce „  243 

Sicilia  e  la  rivoluzione „  244 

Licenza „  251 

Note.    ,    , „  255 


LEVIA  GRAVIA 

Congedo „  269 

LIBRO  I 

In  un  albo «  277 

Per  nozze  B.  e  T „  279 

Per  vai  d' Amo „  281 

F.  Petrarca „  282 

In  morte  di  Pietro  Thouar „  283 

Alla  Louisa  Grace  BartoUni „  287 

Per  raccolta  in  morte  di  ricca  e  bella  signora  .     .  „  292 

Per  nozze  in  primavera „  296 

Per  le  nozze  di  un  geologo »  297 


INDICE  DELLE  POESIE  VII 

L'antica  poesia  toscana Pag.  298 

Scienza  amore  e  forza „       299 

Le  nozze „       300 

^oeti  di  parte  bianca ;,       309 

ARE „       333 

LIBRO  U 

Per  la  proclamazione  del  regno  d'Italia     .... 

In  morte  di  G.  B.  Niccolini 

Nei  primi  giorni  del  MDCCCLXI 

Per  la  spedizione  del  Messico 

Anche  per  la  stessa 

Roma  o  morte 

Dopo  Aspromonte 

Carnevale 

Per  la  rivoluzione  di  Grecia 

Brindisi 

Nel  sesto  centenario  di  Dante 

Curtatone  e  Montanara 

Roma 

Per  il  traspprto  delle  reliquie   di  Ugo    Foscolo   in 

Santa  Croce :    .    .    .    . 

Note 

A  SATANA       ^ 

A  Satana ,      377 

GIAMBI  ED  EPODI 

« 
Prologo „      389 

LIBRO  I 

^    Agli  amici  della  valle  Tiberina „       391 

Mttnimsse  horret „     ',39® 


H 

323 

n 

327 

H 

330 

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336 

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338 

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340 

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353 

n 

355 

n 

359 

n 

362 

n 

363 

» 

364 

n 

369 

vili  INDICE  DELLE  POESIE 


I 


Per  Eduardo  Corazzini Pag.  397 

Nel  vigesimo  anniv.  dell*  vm  agosto  mdcccxlviu   .  ,  405 

Il  cesarismo „  410 

>|f  Per  Giuseppe  Monti  e  Gaetano  Tognetti   ....  „  412 

Heu  pudori „  490 

Le  nozze  del  mare „  423 

Via  Ugo  Bassi „  426 

Onomastico „  427 

La  Consulta  araldica „  428 

Nostri  santi  e  nostri  morti „  431 

In  morte  di  Giovanni  Cairoli „  433 

Per  le  nozze  di  Cesare  Parenzo „  439 

RIPRESA 

X  Avanti  !  Avanti  ! „-  445 

LIBRO  II 

A  certi  censori „  453 

Per  il  Lxxvii  anniversario  della  proclamazione  della 

Repubblica  francese „  458 

Per  Vincenzo  Caldesi „  462 

Feste  ed  oblii „  464  -] 

Io  triumphe „  466 

Versaglia „  468 

Canto  dell*  Italia  che  va  in  Campidoglio     ....  „  471  ^ 

/Giuseppe  Mazzini „  475  ^ 

Alla  morte  di  Giuseppe  Mazzini „  47^': 

A  un  heiniano  d*  Italia „  478  i 

/Per  il  quinto  anniversario  della   battaglia   di  Men- 
tana     

A  Messer  Gante  Gabrielli  da  Gubbio 

La  sacra  di  Enrico  Quinto 

A  proposito  del  processo  Padda 

^11  canto  dell*  Amore „ 

Note « 


n 
n 
n 
n 


INDICA  DELLE  POESIE 


Visione .    .    . Pag. 

Mito  e  verità 

In  riva  al  mare 

À  un  asino    . . 

Ad  una  bambina    .........*... 

À  madamigella  Maria  L 

Momento  epico 

Martino  Lutero  .    .   ' ' 

La  stampa  e  la  riforma 

^  Ora  e  sempre '.    .     . 

A  Traversando  la  maremma  toscana 

Dietro  un  ritratto 


» 


II 


0 


» 


II 


n 


n 


II 


» 


n 


n 


III. 


Mattino  alpestre „  581 

Rosa  e  fanciulla     .     .     .     .> „  583 

Brindisi  d'aprile -     .     .     .     .  „  585 

Primavera  classica „  589 

Autunno  romantico „  591 

In  maggio „  593 

/  Pianto  antico „  595 

Nostalgia „  597  . 

yC  Tedio  invernale „  599  • 

Vignetta „  601 

Lungi,  lungi „  6os 

/'  Panteismo „  604 

Passa  la  nave  mia „  606 

Anacreontica  romantica „  607 

Maggiolata „  610 

Serenata     . „  6ia 

7-  Mattinata „  614 

Dipartita „  616 

Disperata „  617 

Ballata  dolorosa „  618 

Davanti  una  cattedrale „  619 

Brindisi  funebre „  6ai 

K   San  Martino „  624 


INDICE  DELLE  POESIE  X! 


In  Carnia Pag.  636 

/Visione „       630 

Note ^      631 


IV. 


Ad  Alessandro  d' Ancona „  ^35 

Primavere  elleniche  (i.  Eolia) „  ^38 

Jl Primavere  elleniche  (n.  Dorica) „  641 

Primavere  elleniche  (m.  Alessandrina) «  647 

Una  rama  d' alloro „  650 

Note „  653 


V. 


f  Rimembranze  di  scuola „  657 

Idillio  di  maggio    .    .    - „  660 

j|  Idillio  maremmano »  664 

JrQassicismo  e  romanticismo „  668 

Vendette  della  luna „  671 

XEra  un  giorno  di  festa,  e  luglio  ardea „  674 

^Davanti  San  Guido „  676 

Notte  di  maggio „  682 

All'autore  del  Mago „  685 

Note „  687 


VI. 


I  due  titani „  691 

La  leggenda  di  Teodorico „  694 

H  comune  rustico „  699 

Su  i  campi  di  Marengo „  701 

Faida  di  comune „  704 

IHnna  nanna  di  Carlo  V „  713 

A  Vittore  Hugo „  716 

Note „  719 


n 


XII  INDICE  DELLE  POESIE 


VII. 

?A  IRA 

Lieto  3u  i  colli  di  Borgogna  splende Pa 

Son  de  la  terra  faticosa  i  figli 4 

Da  le  ree  Tuglieri  di  Caterina 

L'un  dopo  l' altro  i  messi  di  sventura 

Udite,  udite,  o  cittadini.  Ieri 

Su  l' ostel  di  città  stendardo  nero „ 

Una  bieca  druidica  visione „ 

Gemono  i  rivi  e  mormorano  i  venti „ 

Oh  non  mai  re  di  Francia  al  suo  levare    ....       „ 

Al  calpestio  de' barbari  cavalli 

Su  i  colli  de  le  Argonne  alza  il  mattino    .... 

Marciate,  o  de  la  patria  incliti  figli 

Note 


vili. 


I   : 

I  La  figlia  del  re  degli  Elfi 

\  '^  Il  re  di  Tuie 

!  I  tre  canti.    .     .     *    .     . 


» 

w 

w 

La  tomba  nel  Busento 


Il  passo  di  Roncisvalle 

Ì\  Gherardo  e  Gaietta 

j  La  lavandaia  di  San  Giovanni 

[  i  II  pellegrino  davanti  a  Sant  Just 

il  Carlo  I „ 

}   •  L'imperatore  della  Cina „ 

!  I  tessitori „ 

1  .  Note „ 

i 

IX. 


Y 


Congedo 


INDICE  DELLE  POESIE  XIII 


ODI  BARBARE 

)io Pag.  779 

DELLE  ODI  BARBARE  LIBRO  I 


785 

rora „  787 

inuale  della  fondazione  di  Roma „  793 

i  alle  terme  di  Caracalla ^  795 

ittoria „  798 

nti  del  Clitumno  (con  fac-simile)     ....  „  801 

n  808 

idrìa „  810 

chiesa  gotica „  815 

liazza  di  San  Petronio „  819 

'  torri „  831 

illa  Certosa  di  Bologna „  823 

dda „  827 

senzano „  831 

le »  835 

i  il  Castel  vecchio  di  Verona „  839 

morte  di  Napoleone  Eugenio „  841 

eppe  Garibaldi -....•  „  844 

di  Quarto „ .  847 

italico „  850 

bottiglia  di  Valtellina  del  1848 „  852 

r „  854 

^na  d'Italia  (con  fac-simile) „  858 

lyeur „  861 

e  la  lira „  863 

„  867 

DELLE  ODI  BARBARE  LIBRO  II 

^ »  871 

a „  873 


XIV  INDICE  DELLE  POESIE 


Ruit  hora Pag. 

Alla  stazione  in  ima  mattina  d'autimno     ....  ^ 

Mors  ( nell'epidemia  difterica) „ 

Una  sera  di  San  Pietro „ 

Pe  *1  Chiarone  da  Civitavecchia „ 

Alla  mensa  dell'amico i. 

Ragioni  metriche „ 

Figurine  vecchie „ 

Sole  d'inverno „ 

Egle „ 

Primo  vere „ 

Vere  novo „ 

Canto  di  Marzo „ 

Saluto  d'  autunno „ 

Su  Monte  Mario „ 

La  madre  (gruppo  di  Adriano  Cecioni) „ 

Per  un  instituto  di  ciechi 

Sogno  d' estate *     .    .    .    . 

Colli  toscani 

Per  le  nozze  di  mia  figlia 

Presso  l'urna  di  Percy  Bysshe  Shelley 


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Ave  (in  morte  di  G.  P.) 

Nevicata 

Nota 

Congedo    

VERSIONI 

Tombe  precoci  :  da  Fr.  G.  Klopstock 
Notte  d*  estate  :  da  Fr.  G.  Klopstock. 
La  torre  di  Nerone:  da  A.  Platen.  . 
Ero  e  Leandro  :  da  A.  Platen  .  .  . 
La  lirica:  da  A.  Platen 


RIME  E  RITMI 


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Alla  signorina  Maria  A. 
Nel  chiostro  del  Santo 


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INDICE  DELLE  POESIE  XV 


'Jauflfrè  Rude! Pag.    946 

In  una  villa „  950 

Piemonte »  951 

Ad  Annie „  957 

A  C.  C.  mandandogli  poemi  di  Byron „  959 

Bicocca  di  San  Giacomo „  960 

La  guerra „  968 

Mcola  Pisano „  972 

Cadore „  976 

Carlo  Goldoni ^ „  985 

}A  Scandiano „  989 

Alla  figlia  di  Francesco  Crìspi »  990 

Alla  città  di  Ferrara „  992 

Mezzogiorno  alpino „  looi 

L'ostessa  di  Gaby - „  looa 

Esequie  della  guida  £.  R „  1003 

La  moglie  del  Gigante „  1005 

Per  il  monumento  di  Dante  a  Trento „  1007 

La  mietitura  del  Turco „  1009 

/CLa  chiesa  di  Polenta „  loio 

Sabato  santo „  1016 

In  riva  al  Lys „  loiB 

Elegia  del  Monte  Spinga  (con  fac-simile)     ...  „  1019 

»  Sant'Abbondio „  1022 

Alle  Valchirie „  1023 

*  Presso  una  Certosa „  1025 

'^Congedo è  1027 

Note „  1029 


DELLA  «  CANZONE  DI  LEGNANO  » 


PARTE  I 


Il  Parlamento „       1039 

'^OTA „       1047 


XVI  INDICE  DELLE  POESIE 


APPENDICE 


A  Giulio  Perticali Pag.  1051 

Dai  Carmina  di  Lodovico  Ariosto „       1053 

Da  Friedr.  Hólderlin „       1055 

Per  la  sospensione  jdel  Don  Chisciotte „       X057 

Da  Giulio  Cesare  Cordara „       1059 

INDICE  DEI  CAPOVERSI  .    .    ; „       ro6i 


INDICE  DEI  FAC-SIMILI 

1.  //  Vaticinio  (*)...-             „  la 

2.  Alle  fonti  del  Clitumno „  8ai 

3.  Alla  Regina  d' Italia „  858 

4.  Elegia  del  Monte  Spluga „  1019 


0)  Questa  poesia  inedita  è  data  come  saggio  del  carat- 
tere giovanile  del  Poeta,  per  espresso  desiderio  del  quale  non 
compare  fra  le  stampate. 


JÙVENILIA 

(1850-1860) 


Carducci. 


Nec  tantum  ingenio  qucmtum  servire  dolori 
Cogor  et  aetatis  tempora  dura  quaeri. 

Hic  mihi  conteritur  vitae  modus j  haec  meafama  est: 
Hinc  cupio  nomen  carminis  ire  mei. 


Ah 


xh  per  te  Orazio  prèdica  al  vento  ! 
Del  patrio  carcere  non  sei  contento, 
La  chiave  abomini  grata  a  i  pudichi, 
Agogni  a  l'aere  de' luoghi  aprichi. 
E  dove,  o  misero,  dove  n'andrai, 
Dove  un  ricovero  trovar  potrai, 
0  de'  miei  giovini  lustri  diletto, 
O  mio  carissimo  tenue  libretto? 
Non  sai  fastidio  e'  ha  de  le  rime 
Questa  de  gli  arcadi  prole  sublime? 
Né  de'  romantici  ti  vuol  la  fiera 
Che  siede  a  i  salici  libera  schiera. 
Tu,  se  tra' lirici  pur  tenti  il  volo, 
Poco,  o  mio  tenero,  t'ergi  dal  suolo 
Ed  oggi  innalzasi  per  nova  via 
Fin  da' suoi  numeri  l'economia, 


JUVENILIA 

Né  ornai  più  reggono  piedi  né  ale 
Dietro  la  lirica  universale. 
Oggi  ciclopica  s' è  fatta  V  arte  ; 
E  Bronte  e  Sterope  su  per  le  carte 
Con  vene  tumide,  con  occhi  accesi 
E  con  gli  erculei  muscoli  tesi 
A  prova  picchiano:  Venere  guata, 
E  gli  rimescola  la  limonata: 
Mentre  il  monocolo  pastore  et nese. 
Succiando  il  femore  d'  un  itacese, 
Con  urli  orribili  divelle  un  pino 
E  a  le  Nereidi  fa  il  mazzolino. 
Deh,  quanti,  o  misero,  d'ispirazioni 
Litri  raccogliere  puoi  ne' polmoni, 
Quanti  chilometri  de  V  infinito 
Puoi  tu  percorrere  con  passo  ardito. 
Quanti  ravvolgerti  chili  d'affetto 
Giù  ne  lo  stomaco  puoi  tu,  libretto. 
Da  uscire  a  gloria  tra  le  persone, 
Senza  pericolo  d'indigestione? 
Te  con  le  tenui  miche  d' Orazio 
Crebbe  la  pallida  musa  del  Lazio, 
A  te  quell'aere  parve  bastante 
Che  respirarono  r  Ariosto  e  Dante: 
Chiede  il  novissimo  stadio  altre  bighe 
Libro,  rincasati,  cansa  le  brighe. 
Vedi?  minacciano  Cariddi  e  Scilla: 
l  Ti  preme  Davide  con  la  Sibilla. 
D'amor  tu  chiacchieri,  e  questo  va: 


JUVENILIA 

Ma  non  santifichi  la  voluttà, 

Non  metti  a  Venere  lo  scapolare, 

Non  fai  gli  adulteri  sermoneggiare: 

Onde,  o  me  misero!,  flebili  e  tristi 

Già  t' interdissero  gli  atei  salmisti, 

E  il  buon  Petronio  predicatore 

Che  a  sé  convertami  pregò  il  signore. 

Vinca  ei  di  Taide  le  ritrosie 

Con  un  trar  mistico  d' avemarie, 

E  de  la  cantica  nel  pio  latino  .. 

Le  infiori  i  dialoghi  de  V  Aretino.  t 

Al  limpidissimo  suon  de  1'  argento 

Dietro  un  davidico  cento  per  cento 

Alfio  gli  sdruccioli  deduca,  e  macro   , 

Consoli  il  prossimo  d*  un  inno  sacra. 

Per  me  in  van  prèdica  ballonza  e  canta 

Ebra  l'Arcadia  pur  d'acqua  santa, 

Il  sacro  quindici  refulse  in  vano 

Per  me:  son  reprobo  più  di  Claudiano, 

E  de'  Timotei  e  de'  Basilii 

Provai  già  i  moniti  e  i  supercilii. 

Ma  quel  Timoteo  che  a  gli  anni  andati. 

In  chiesa  l'organo  sonava  a  i  frati, 

E  di  serafica  broda  satollo 

Al  pan  de  gli  angeli  rizzava  il  collo, 

Cantando  monache  e  Filomene 

Pien  di  libidine  tetra  le  vene; 

E  quel  Basilio  biondo  e  ventenne 

Che  al  sacro  fulmine  tingea  le  penne 


JUVENILIA 

Ne  r  aromatico  miei  del  Loiola, 
Al  sacro  fulmine  de  la  parola 
Che  da  l'iberiche  fiamme  già  mosse 
E  ne  gli  eretici  sterpi  percosse; 
Oggi  levatisi  di  ginocchione 
Anche  rinnegano  la  dea  Ragione, 
E  sempre  al  solito  mo' tolleranti 
Già  già  si  cavano  rugghiando  i  guanti, 
Pronti  a  pur  arderti,  libr^etto  mio, 
Se  in  un  avverbio  e'  entrasse  dio. 
Me  al  men,  filosofi,  non  arderanno. 
Come,  teologi,  volean  V  altr*  anno. 
Ma  chi,  mal  docile  talpa  infingarda, 
Chi  da '1  neofito  furor  mi  guarda? 
Quali  su  i  ruderi  de  le  memorie 
Di  laide  maschere  corsi  e  baldorie! 
E  sempre  piangere  plebe  affamata, 
E  sempre  ridere  plebe  indorata, 
E  basir  tisica  sotto  le  biche 
La  impronta  logica  de  le  formiche, 
E  de  le  favole,  baie  del  nonno, 
Schifi  già  i  bamboli  cascar  di  sonno 
Io  veggo;  e  torpido  nel  gran  lavoro 
Non  canto  e  predico  V  età  de  V  oro. 
Chi  dunque,  indocile  talpa  infingarda, 
Chi  dal  neofito  furon  mi  guarda? 
or  innocentissimi  Nando  e  Poldino, 
Che  già  r  immerito  sermon  latino 
Stroppiaro  in  distici  per  nozze  auguste, 


JUVENILIA 

O^gi  rosseggiano  come  aliguste; 

E  r  eucaristico  inno  a  Pio  nono 

Con  lezion  varia  lusinga  il  trono 

Di  re  Vittorio,  da  poi  che  aprile 

A  qualche  anonimo  spirto  civile 

Squagliò  la  gelida  crosta,  e,  spavento!^ 

Il  prete  attonito,  nel  sacramento 

Lavando  al  pargolo  le  nuove  chiome, 

Sentiva  d'Italo  bociarsi  il  nome. 

0  infelicissimo  libro,  o  sfatato, 

0  in  man  purissime  mal  capitato! 

Crollando  il  rigido  frigio  berretto 

Fatto  su  M  modulo  che  die  il  prefetto, 

Ei  con  iscandalo  ti  buttan  là, 

Come  retrograda  suipsità. 

Rizzati  e  vattene^  che  il  galateo 

Non  è  neofito.  Ma,  se  ad  un  reo 

Pucci  filologo  fia  che  t' abbatta         < 

Rimpiallacciatosi  da  Cuccio  Imbratta, 

Che  vomitarono  le  sagrestie 

De'  galantuomini  su  per  le  vie. 

Che,  ne  le  tuniche  di  pergamena 

Tra  la  medicea  ferrea  catena 

Tremano  i  codici  quand'  ei  li  guata 

E  dal  liburnio  remo  invocata 

La  man  lor  applica,  se  a  te  vicino 

Ei  sbiechi  il  livido  occhio  porcino, 

—  Deh,  Pucci,  —  gridagli  —  mercede  imploro; 

Non  vesto,  vedimi  d*  argento  e  d' oro. 


8  JUVENILIA 

Non  son  de  gli  ordini  privilegiati 
Vuoi  de' rarissimi  vuoi  de' citati, 
Non  ne  i  cataloghi  cercato  appaio, 
Non  e'  è  da  vendermi  che  al  salumaio. 
A  queste  pagine  di  poco  affare 
Le  man  dottissime  non  abbassare,  t 
Oh,  s' ei  la  granfia  distenda  a  vuoto, 
Appicca,  0  povero  libro,  il  tuo  vóto: 
Che  a  grandi  e  piccoli  ei  non  perdona; 
Ogni,  anche  minima,  preda  gli  è  buona. 
Chiese,  postriboli,  caffè,  spedali 
Le  sue  sentirono  unghie  fatali, 
Da  quando  ei  1'  abile  man  giovinetta 
De  r  elemosine  ne  la  cassetta 
Imberbe  chierico  con  occhio  pio 
Erudia,  V  obolo  rubando  a  Dio, 
E  i  doni  a  l'umile  Vergine  apposti 
Per  lui  fumavano  fusi  in  arrosti. 
D'altro  non  dubito:  se  bene  ancora 
Lui  la  chiarissima  viltade  adora, 
Trason  ridicolo  che  incarna  e  avanza 
L' idea  platonica  de  V  ignoranza. 
Forte  co'  i  deboli,  debol  co'  i  forti. 
Prode  a  trafiggere  gli  uomini  morti. 
Prode  a  nascondersi,  ferendo  il  tergo. 
Di  birri  e  ipocriti  sotto  1'  usbergo. 
Tal  eh'  io  non  credomi  maggior  ribaldo 
Redasse  1'  anima  del  Maramaldo. 
Fuggi,  o  mio  povero  libro  da  bene. 


JUVENILIA 

Il  ceffo  orribile,  le  mani  oscene, 
L' invidia  rabida  d'  ogni  opra  buona 
Che  tutta  gli  agita  la  rea  persona. 
Fuggi....  No:  sorgigli  diritto  in  faccia. 
La  mia  ripetigli  vecchia  minaccia, 
Con  fronte  impavida, con  voce  intiera: 
Pucci  filologo,  frusta  e  galera. 
Poi,  se  la  fulgida  ira  s'  alleni. 
Vola  a  i  dolcissimi  colli  tirreni, 
Ove  dal  facile  giogo  difese 
In  contro  a  borea  d' ombra  cortese 
Svarian  le  candide  magion  pe'  clivi 
Tra  vigne  e  glauche  selve  d'  olivi. 
Ivi  di  limpida  luce  più  viva 
Riveste  l'etere  la  sacra  riva; 
E  il  sole  arridere  come  ad  amiche 
Pare  a  le  splendide  colline  antiche, 
Quando,  partendosi,  la  favolosa 
Cima  fesulea  tinge  di  rosa. 
De  la  virginea  certa  saetta 
Ove  ancor  timido  Mugnone  affretta 
Ad  Arno  e  misero  par  che  lamenti 

I  mal  cohcessigli  abbracciamenti. 

Tra  il  fiume  e  d'  arido  monte  le  spalle 

II  pian  riducesi  in  poca  valle, 

E  in  mezzo  a*  nitidi  cólti  un'  ascosa 
Da  placidi  alberi  magion  riposa. 
Ivi,  o  mio  tenue  libro,  al  Chiarini 
Chiedi  pe'  profughi  geni  latini, 


10  JUVENILIA 

Chiedi  l'ospizio.  Vedi:  ei  la  porta 
Già  t' apre,  ed  ilare  ti  riconforta. 
Ei  di  barbarica  pelle  odorata 
Presto  la  tunica  t' avrà  comprata, 
Cui  solchi  d'aurei  fregi  un  lavoro 
E  i  lembi  nitidi  sien  tutti  ad  oro. 
O  mio  carissimo  già  poverello, 
Come  or  sei  splendido,  come  sei  bello! 
T' invidia  il  tenero  padre  lontano, 
Pucci  filologo  stende  la  mano. 
Ma  tu  non  avido  di  mutar  loco 
A  l'aure  estranee  fidati  poco; 
Ama  de  T  ospite  ama  il  ricetto, 
O  mio  carissimo  tenue  libretto. 


JUVENILIA  11 


II. 

A  G.   C 

IN   FRONTE  A  UNA  RACCOLTA  DI  RIME 
PUBBLICATA  NEL  MDCCCLVII 


F, 


orse  avverrà,  se  destro  il  fato  assente 
Vóto  che  sorga  pio  di  sen  mortale, 
Giuseppe,  e  s' a  più  ferma  età  non  ménte 
Il  prometter  di  questa  audace  e  frale, 

Che  in  più  libero  cielo  aderga  Tale, 
D'  amor,  di  sdegno  e  di  pietà  possente. 
Questo  verso,  che  fioco  or  passa  quale 
Eco  notturna  per  vallea  silente: 

Pur  caro  a  me,  che  del  rio  viver  lasso 
Ma  ogn'  or  di  voi,  sacre  sorelle,  amante 
Lo  jnscrivo  qui  come  in  funereo  sasso: 

Pago  se  alcun  dirà  —  Tra  '1   vulgo  errante 
Che  il  bel  nome  latino  ha  volto  in  basso 
Fede  ei  teneva  al  buon  Virgilio  e  a  Dante. 


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i  eregriiiQ_dÈL£Ì£U-gai^ulp  3  volo 
Tu  fu^i  innanzi  a  le  stagion  nembose, 

E  vedi  il  Nilo  e. nostre  itale  rose, 
Né  muti  stanza  perché  muti  polo; 

Se  pur  de  le  lontane  amate  cose 
Cape  ne'  vostri  angusti  petti  il  duolo, 
Né  mai  flutto  ìnframesso  o  pingue  suolo 
Oblio  del  primo  nido  in  cor  ti  pose; 

Quando^ l'ala  soffermi  a' poggi  lieti 
Che  digradano  al  mar  da  1'  Apennino 
Bianchi  di  marmi  e  bruni  d'  oliveti, 


Una  casa  a  la  vaile  ed  un  giardino 
Cerca,  e,  se  '1  nuovo  possessor  no  '1  vieti, 
Salutali  in  mio  nome,  o  peregrino. 


14  JUVENIUA 


IV. 


i  u,  mesta  peregrina,  il  dolce  nido 
Lasci  e  de  V  aer  nostro  il  novo  gelo  : 
T'invita  più  benigno  ardor  di  cielo 
E  primavera  di  straniero  lido. 

E  me  lasci  che  tristi  ore  divido 
Pur  co  M  dolore  onde  i  lassi  occhi  velo. 
Tornerà  tempo  che  senz*  ombra  o  velo 
Si  porga  Taer  nostro  a  te  più  fido. 

Allor  candidi  soli;  allor  fiorente 

Il  colle  e  il  piano  ;  allor  tutto  d*  amore 

Ti  riconsiglierà  soavemente. 

Né  allor  ti  sovverrai  V  uman  dolore 

Di  che  si  piange  or  qui.  Non  acconsente 

Al  pianto,  e  oblia,  de'  fortunati  il  cuore. 


JUVENILIA  15 


V. 


s 


i  crudelmente  fero  è  quel  flagello 
Onde  me  già  del  breve  correr  lasso 
n  disinganno  sferza  a  ciascun  passo, 
Che  fine  io  chiamo*  al  reo  cammin  V  avello; 

E  tra  forme  gentili  e  nel  più  bello 
Aprir  de'  floridi  anni  ho  V  occhio  abbasso, 
Quasi  cercando  oltre  la  terra  il  passo 
A  r  inamabil  cieco  ultimo  ostello. 

Ma  di  speme  atteggiato  e  di  dolore 
Mi  sofferma  un  sembiante;  e  lacrimoso 
Pur  in  me  guarda,  e  pio  tace.  Furore 

Quinci  ed  amor  nel  petto  procelloso 
Surgono  a  gran  tenzone;  e  vince  amore: 
Ond'  io  fremendo  e  sospirando  poso. 


16  JUVENILIA 


VI. 


Q. 


,uesta  è  V  altera  giovinetta  bella 
Che  tragge  seco  onesta  leggiadria: 
Beltade  orna  di  gloria  la  sua  via, 
E  l'addimostra  per  propria  angiolella. 

rho  veduto  Amor  che  la  servia 
Umilemente  de  le  sue  quadrella; 
Sentit'  ho  gire  per  salute  ad  ella 
L' alma  ferita  che  dal  cor  si  svia. 

E  chiama  pur  pietà  nel  suo  conspetto, 
Fin  che  quel  riso  onde  s' allegra  amore 
Benignamente  V  umile  raccoglia. 

Allor  la  vita  esulta  entro  nel  core, 
E  il  cor  si  leva  e  la  tristezza  spoglia 
Illuminato  nel  sereno  aspetto. 


JUVENILIA  17 


--N--^.  •    -.■^*-^- 


VII. 


\J  nova  angela  mia  senz'  ala  a  fianco, 
Certo  dal  loco  ove  bellezza  è  pura 
LMntelligenza  tua  vesti  figura 
Di  pargoletta  donna  in  velo  bianco; 

E  qui  venisti  al  secol  rio,  che  stanco 
Del  bello  adoperar  più  nel  mal  dura, 
Per  drizzar  me  fuor  de  la  vita  scura 
Voglioso  dietro  le  tue  scorte  e  franco. 

E  ben  forse  avverrà  eh'  agile  e  scarco 
Io  prema  ancor  le  tue  vestigia  sante 
Con  l'alma  teco  in  un  desio  congiunta; 

Se  di  tanto  mi  degna  il  Primo  Amante, 
Che,  mentre  io  tenga  del  mortale  incarco, 
L*  ale  tue  d*  òr  non  mettan  fuor  la  punta. 


Carducci. 


18  JUVENIMA 


Vili. 


-L   rofonda,  solitaria,  immensa  notte; 
VisibiI  sonno  del  divin  creato 
Su  le  montagne  già  dal  fulmin  rotte, 
Su  le  terre  che  l'uomo  ha  seminato; 

Alte  da  i  casti  lumi  ombre  interrotte; 
Cielo  vasto,  pacifico,  stellato; 
Lucide  forme  belle,  al  vostro  fato. 
Equabilmente,  arcanamente,  addotte; 

Luna,  e  tu  che  i  sereni  e  freddi  argenti 
Antica  peregrina  a  i  petti  mesti 
Ed  a'  lieti  dispensi  indifferenti; 

Che  misteri,  che  orror,  dite,  son  questi? 
Che  Siam,  povera  razza  de  i  viventi?... 
Ma  tu,  bruta  quiete,  immobil  resti. 


JUVENILIA  19 


IX. 


c 


andidi  soK  e  riso  di  tramonti^ 
Mormoreggiar  di  selve  brune  a'  venti 
Con  sussurrio  di  fredde  acque  cadenti 
Giù  per  li  verdi  tramiti  de'  monti,     • 

Ed  Espero  che  roseo  sormonti 
Nel  profondo  seren  de*  firmamenti, 
E  chiara  luna  che  i  sentier  tacenti 
Inalbi  e  scherzi  entro  laghetti'  e  fonti, 

Questo  m*era  ne' vóti.  Or  miei  desiri 
Pace  ebber  qui  tra  fiumi  e  tra  montagne 
De  le  secure  muse  in  compagnia: 

Pace:  se  iion  che  te  ne'  miei  sospiri 
Chiamo,  te  che  da  noi  ti  discompagne, 
E  il  caro  aspetto  de  la  donna  mia. 


20  JUVENILIA 


X. 


B, 


>ella  è  la  donna  mia  se  volge  i  neri 
Di  soave  languore  occhi  lucenti, 
E,  ricercando  il  vinto  cor,  le  ardenti 
Vi  rinforza  d'amor  voglie  e  pensieri. 

Più  bella  è  la  mia  donna  allor  che  alteri 
Gli  leva  0  gira  nel  conceder  lenti, 
E,  minacciando  pur,  chiede  eh*  io  tenti 
La  dolce  guerra  e  la  vittoria  speri. 

Cosa  di  cielo  è  la  mia  donna  allora 
Che  il  roseo  collo  piega  e  il  vago  riso 
A  i  baci  porge  e  quei  d'ambrosia  irrora. 

Oh,  che  d*ogni  moital  cura  diviso. 

Sopra  quel  sen,  tra  quelli  amplessi  io  mora! 

Né  V*  invidio,  o  beati,  il  paradiso. 


JUVENILIA  21 


XI. 


A 


questi  di  prima  io  la  vidi.  Uscia 
A  pena  il  fior  di  sua  stagion  novella, 
E  la  persona  pargoletta  e  bella 
Era  tutta  d*  amore  un'  armonia. 

Vereconda  su  M  labbro  le  fioria 
L' ingenua  grazia  e  la  gentil  favella: 
Come  in  chiare  acque  albor  lontan  di  stella 
Ridea  l'alma  ne  gli  occhi  e  trasparia. 

Tale  io  la  vidi.  Or  con  desio  supremo 

Lei  per  questo  nefando  aere  smarrita 

Pur  cerco  e  invoco;  e  sol  mi  sento,  e  tremo; 

Che  spento  è  al  tutto  ogni  buon  lume,  e  vita 
Già  m'abbandona,  e  son  quasi  a  l'estremo. 
Luce  de  gli  anni  miei,  dove  se'  gita? 


22  JUVI^ILIA 


XII. 


Q. 


,ueUa  cura  che  ogn*or  dentro  mi  piagne 
Desta  dal  lume  in  duo  begli  occhi  ardente, 
Me  co  M  giorno  invernale  ove  il  torrente 
Scoscende  e  ne  le  avverse  alpe  si  fragne 

Seco  rapisce.  E  te,  che  ti  scompagne 
Dal  mio  già  fermo  petto,  o  confidente 
Virtude  onde  fuggii  la  vulgar  gente, 
Penso  per  erma  via  d*  aspre  montagne. 

Ma  vince  de  le  alpestri  onde  il  fragore 
Quell*  una  voce  sua:  suoi  cari  accenti 
Sona  Paura  selvaggia.  E  in  van  nel  core 

Sdegno  e  ragion  contrasta,  lo  miro  a'  venti 
Lente  ondeggiar  le  nere  chiome  e  amore 
Folgorar  ne'  superbi  occhi  ridenti. 


JUVENILIA  23 


XIII. 


E 


tu  pur  riedi,  amore;  e  tu  l'irosa 
Anima  invadi,  e  fiero  ivi  t*  accampi, 
E  i  desueti  spirti  e  il  cor  che  posa 
Lunga  già  s*  ebbe  or  fiedi  e  scuoti  e  avvampi. 

Io  te  fuggo  per  selve  aspre  e  per  campi: 
Ma  vive  alta  nel  petto,  e  sanguinosa 
Stride  la  piaga;  e  il  mio  duol  grido:  e  cosa 
Mortai  non  è  che  di  tua  man  mi  scampi. 

O  degni  affetti,  o  studi  almi!  In  servaggio 
Duro -vi  piango  e  in  basso  errore,  ov*  io 
Caddi  e  giacqui  co  M  vulgo,  e  non  mi  levo: 

Che  pur  mi  preme  di  quegli  occhi  il  raggio; 
Di  quei  cari  e  superbi  occhi  ond'io  bevo 
Lenti  incendi  e  furor  lungo  ed  oblio. 


24  JUVENIUA 


XIV. 


N, 


é  mai  levò  si  neri  occhi  lucenti 
Saffo  i  preghi  cantando  a  Citerea, 
Quando  nel  petto  e  per  le  vene  ardenti 
A  lei  si  come  nembo  amor  scendea; 

Né  desti  mai  si  molli  chiome  a' venti, 
Corinna,  tu  sovra  l'arena  elea, 
Quando  sotto  le  corde  auree  gementi 
Fremeati  il  seno  e  a  te  Grecia  tacea: 

Si  come  or  questa  giovinetta  bella 

Tremanti  di  desio  gli  umidi  rai 

E  del  crin  la  fulgente  onda  raccoglie, 

In  quel  che  dolce  guarda,  e  la  favella, 
Qual  tra  le  rose  aura  d'aprii,  discioglie 
Onde  ardo,  e  posa  non  avrò  più  mai. 


JUVENItlA  2& 


XV. 


D, 


eh,  chi  mi  torna  a  voi,  cime  tirrene 
Onde  Fiesole  al  pian  sorride  e  mira? 
Deh,  chi  mi  posa  sotto  V  ombre  amene 
Ove  un  rio  piange  e  molle  il  vento  spira? 

Oh,  viva  io  là  fuor  di  timore  e  spene, 
Lontan  rugghiando  de' miei  fati  Pira! 
L'erbe  il  ciel  Tonde  ivi  d'amor  son  piene, 
E  ne  l'aure  odorate  amor  sospira. 

E  te  il  suolo  beato  eterni  fiori 
Sommetterebbe,  Egeria;  e  d'ombre  sante 
Proteggerebbe  un  lauro  i  nostri  amori... 

Ivi  queto  morrei.  Tu  al  sol  levante 
Mi  comporresti  T  urna  in  tra  gli  allori, 
L' ombra  chiamando  del  poeta  amante. 


26  JUVENILIA 


XVI. 


E 


degno  è  ben  però,  eh'  a  te  potei, 
Lasso!,  chinar  l'ingegno  integro  eretto, 
S' ora  in  giòco  tu  volgi,  e  lieto  obietto 
L'ire,  0  donna,  ti  sono  e  i  dolor  miei. 

Io  quel  df  che  mie  voglie  a  te  credei 

Pur  vagheggiando  accuso;  e  strappo  e  getto 

Tua  terribile  imagine  dal  petto 

In  van:  tu  meco,  erinni  mia,  tu  sei. 

Ahi  donna  I  ne  le  miti  aure  è  il  sorriso 

Di  primavera,  e  il  sole  è  radiante, 

E  il  verde  pian  del  lume  aureo  s'allegra. 

A  me  di  noia,  a  me  d'orror  sembiante 
È  quant'io  veggo;  e,  se  nel  ciel  m'affiso, 
De  la  mia  cura  e  il  divo  ciel  s' annegra. 


JUVENILIA  ^ 


XVII. 


G 


'ara  benda  che  in  van  mi  contendesti 
Nera  il  candido  sen  d'  Egeria  mia, 
Spoglia  già  gloriosa,  or  ne'  di  mesti 
De  le  gioie  che  fùr  memoria  pia  : 

Tu  sol  di  tanto  amore  oggi  mi  resti, 
E  r  inganno  mio  dolce  anche  peria; 
Ond'  io  te  stringo  al  nudo  petto,  e  questi 
Freddi  baci  t' imprimo.  Ahi,  ma  la  ria 

Fiamma  pur  vive  e  pur  divampa  orrenda; 
E  tu  su  M  cor,  tu  su  '1  mio  cor  ti  stai 
Quasi  face  d*  inferno,  o  lieve  benda. 

Deh,  perisci  tu  ancor.  Né  sia  più  mai 
Cosa  che  a  questa  offesa  anima  apprenda 
Com'io  di  donna  a  servitù  piegai. 


^  jyVENIUA 


XVIII. 


E 


tu,  venuto  a' belli  anni  ridenti 
Quando  a  la  vita  il  cor  più  si  disserra, 
Contendi  al  fato  il  prode  animo,  e  in  terra 
Poni  le  membra  di  vigor  fiorenti. 

Ahi,  ahi  fratello  mio!  Deh,  quanta  guerra 
Di  mesti  affetti  e  di  pensier  frementi 
Te  su  gli  occhi  de*  tuoi  dolci  parenti 
Spingeva  ad  affrettar  pace  sotterra! 

Or  teco  posa  il  tuo  dolor.  Né  il  viso 
Più  de  la  madre  e  non  la  donna  cara 
O  il  fratel  giovinetto  o  il  padre  pio, 

Né  i  verdi  campi  vedrai  più;  né  il  riso 
Del  ciel,  né  questa  luce...  ahi  luce  amara! 
Vale,  vale  in  eterno,  o  fratel  mio. 


JOVENIÙA  2d 


XIX. 


i  e  gridi  vii  quei  che  piegò  la  scema 
Alma  sotto  ogni  danno  ed  a  Tostile 
Possa  adulò,  pago  a  cessar  V  estrema 
Liberatrice  d'ogni  cor  gentile: 

Te  gridi  vile  il  mondo,  il  mondo  vile 
Che  muor  di  febbre  su  le  piume,  e  trema, 
Pur  franto  da  la  lunga  età  senile, 
In  conspetto  a  la  sacra'  ora  suprema. 

Ben  te,  o  fratel,  di  ricordanza  pia 
Proseguirà  qua!  cor  senta  i  funesti 
Regni  del  fato  e  il  viver  nostro  ordendo. 

Te  che  di  sangue  spazYosa  via 
A  l'indignato  spirito  schiudesti, 
Giovinetto  a  la  morte  sorridendo. 


3Q  JUVENIUA 


XX. 


E 


voi,  se  fia  che  V  imminente  possa 
Deprechiate  e  del  fato  empio  le  guerre, 
Voi  non  avrete  a  cui  regger  si  possa 
Vostra  vecchiezza  quando  orba  si  atterre. 

Soli  del  figliuol  vostro  in  su  la  fossa 
Quel  di  che  i  dolorosi  occhi  vi  serre 
Aspetterete.  O  forse  no.  Son  Tossa 
Sparse  de'  nostri  per  diverse  terre. 

Oh,  che  il  di  vostro  d*  atre  nubi  pieno 
Non  tramonti  in  procella!  oh,  che  il  diletto 
Capo  si  posi  ad  un  fidato  seno! 

Io  chiamo  in  vano  al  mio  paterno  tetto, 
E  cresce  il  tedio  e  gioventù  vien  meno. 
Deh,  chi  mi  torna,  o  buoni,  al  vostro  petto? 


JUVENILIA  31 


XXI. 


o 


cara  al  pensier  mio  terra  gentile 
Ch'a  la  pura  sorgendo  aria  azzurrina 
D*alto  vagheggi  regnatrice  umile 
Il  pian  che  largo  al  biondo  Arno  dichina: 

Tu  ridi  allegra  al  ciel  che  di  simile 
Gioia  t*  arride  e  al  tuo  favor  s*  inchina  ; 
A  te  dolci  aure,  a  te  perenne  aprile 
Veston  di  verde  il  campo  e  la  collina. 

E  a  te  da  questo  inverno  reo  la  mente 
Ed  il  cuor  lassp  mio  tendono  a  volo: 
Tu  tieni  V  uno  e  V  altro  mio  parente 

Co  '1  fratel  che  mi  avanza,  e  del  tuo  suolo 
Abbracci  quel  eh'  io  non  baciai  morente  : 
In  te  tutto  è  il  mio  bene  :  io  qui  son  solo. 


32  JÙVENILIA 


XXII. 


Q. 


'ui,  dove  irato  a  gli  anni  tuoi  novelli 
Sedesti  a  ragionar  co  *1  tuo  dolore, 
Veggo  a*  tepidi  sol  questi  arboscelli, 
Che  tu  vedevi,  rilevarsi  in  fiore. 

Tu  non  ti  levi,  o  fratel  mio.  D'amore 
Cantan  su  la  tua  fossa  erma  gli  uccelli: 
Tu  amor  non  senti  ;  e  di  sereno  ardore 
Più  non  scintilleran  gli  occhi  tuoi  belli. 

Ed  in  festa  venir  qui  ti  vid'io 

Oggi  fa  Tanno:  e  il  dire  anco  mi  sona 

E  ancor  m'arride  il  tuo  sorriso  pio. 

Come  quel  giorno,  il  borgo  oggi  risona 
E  si  rallegra  del  risorto  iddio. 
Ma  terra  copre  tua  gentil  persona. 


JUVENILIA  33 


XXIII. 


N, 


on  son  quell'io  che  già  d' amiche  cene 
Destai  la  gioia  tra' bicchier  spumanti. 
Torpe  la  mente  irrigidita,  e  piene 
D' amaro  tedio  stan  l' ore  cessanti. 

Ira  è  che  il  viver  mio  fero  sostiene 
Sol  una,  e  il  cor  con  sue  tede  fumanti 
M'arde  e  depreda.  O  miei  verd'anni,  o  spene 
Mia  che  mi  giaci,  ahi  già  sfiorita,  innanti  ! 

Anche  del  caro  imaginar  la  brama 

Al  tempo  m' abbandona  ;  e  resta,  immane 

Muto  fantasma,  intorno  a  me,  la  vita. 

.Ma  un'ombra  io  sento  che  il  mio  nome  chiama, 
E  duolsi  a  me  che  sola  ella  rimane, 
E  eli  là  da  le  quete  onde  m' invita. 


Carducci. 


LIBRO  II 


XXIV. 
INVOCAZIONE 


Oe  te  già  tolsi  con  incerta  mano 
Dal  latin  ramo  onde  ancor  Febo  spira, 
Caro  a  le  Grazie  or  tu  sonami,  o  lira, 
Carme  toscano. 

Canora  amica,  o  le  falangi  astate 
Ferocemente  confortasse  in  guerra, 
O  riposasse  ne  la  franca  terra. 
Al  lesbio  vate 


Tu  gli  dicevi  e  Cipride  ed  Amore 
E  giovin  sempre  di  Semèle  il  figlio 
E '1  crin  di  Lieo  e  de  l'arcato  ciglio 
L'ampio  fulgore. 


36  JUVENILIA 

Or  io  ti  scoto.  A  me- sorride  il  puro 
Genio  di  Fiacco:  a' divinati  allori 
E  de  le  ninfe  a'  radianti  cori 
Movo  securo. 

O  cara  a  Giove  ed  a  re  Febo,  insigne 
Di  cittadine  mura  adornamento, 
Rispondi  al  vóto;  e  sperda  il  tuo  concento 
L'alme  maligne. 


JUVENILIA  37 


XXV. 


A  O.  T.  T. 


Oaro  a  le  vergini  d'Ascra  e  di  belle 
Mortali  vergini  cura  e  diletto, 
0  a  me  di  mutua  fede  costretto 
Da  eguali  stelle, 

Ottavio  :  i  codici  d' aurea  favella 
Dove  il  tuo  spendesi  tempo  migliore, 
Che  da  te  chieggono  novo  splendore, 
Vita  più  bella, 

Poni;  ed  i  lirici  metri,  che  apprese 
A  me  la  duplice  musa  di  Fiacco, 
Qui  tra  le  candide  gioie  di  Bacco 
Odi  cortese. 


38  JUVENIUA 

Avvi  cui  M  torbido  Gradivo  arrìde, 
Ed  ama  il  rapido  baglior  d' elmetti 
Ne  r  aer  livida  che  da'  moschetti 
Divisa  stride, 

E  via  tra  V  orride  membra  che  sparte 
Incèstan  d'  ampia  strage  il  sentiero 
Urta  il  fulmineo  baio  destriero 
Furia  di  Marte; 

Poi  lunge  a' fulgidi  campi  ed  a'valli^ 
Nel  sen  d' ingenua  sposa  che  agogna 
Notturni  gaudii,  feroce  ei  sogna 
Trombe  e  timballi. 

Con  altri  V  alacre  fame  de  V  oro 
Ascende  vigile  la  prora,  e  anela 
Le  infami  insidie  drizza  e  la  vela 
Al  lido  moro. 

Per  essa  il  nauta  ride  i  furori 
D' euro  che  gV  ispidi  flutti  cavalca, 
E  con  la  cupida  mente  egli  calca 
Rischi  e  terrori: 

In  vano  V  orrido  crin  sanguinante 
Infesto  Orione  pe  M  ciel  distende 
Ed  il  terribile  di  fiamma  accende 
Brando  strisciante: 


JUVENILIA  39 

Bianca  di  naufraghe  ossa  minaccia 
La  riva  squallida:  dal  patrio  lido 
La  figlia  chiamalo  con  lungo  strido 
Pallida  in  faccia. 

Ed  altri  docile  guerrier  d'amore 
In  tra  le  pafie  rose  vivaci 
De  le  virginee  lutte  co'  baci 
Desta  il  furore; 

E  sopra  un  niveo  petto,  di  glorie 
La  fronte  carica,  stanco  a  le  prove, 
Depone;  ed  agita,  posando,  nove 
Pugne  e  vittorie. 

E  me  le  libere  Muse  nel  casto 
Seno  raccolgano,  me  loro  amante 
Le  dee  proteggano  del  vulgo  errante 
Dal  vano  fasto. 

Me  non  contamini  venduta  lode. 
Non  premio  sordido  d'  util  perfidia  : 
Vinca  io  con  semplice  petto  l'invidia, 
Vinca  la  frode. 

Ed  oh  se  un  tenue  spirto  l' argiva 
Camena  infondami  !  se  a  me  ne'  lieti 
Fantasmi  lucidi  de' suoi  poeti 
Grecia  riviva! 


40  JUVENILIA 

Non  io  l' Apolline  cimbro  inchinai, 
Io  tòsco  e  memore  de  V  are  attèe; 
Né  di  barbariche  tazze  circèe 
Ebro  saltai. 

Ottavio,  al  libero  genio  romano 
Libiam  noi  liberi  qui  nel  gentile 
Terren  d'Etruria:  lunge  il  servile 
Gregge  profano. 


JUVENILIA  *    Ai 


\  ■ 


XXVI. 


CANTO  DI  PRIMAVERA 


Q. 


,ual  sovra  la  profonda 
Pace  del  glauco  pelago 
Usci  Venere,  e  Tonda 
Accese  e  V  aer  e  V  isole, 
Quando  al  ciel.le  divine 
Luci  alzò  raccogliendo  il  molle  crine  ; 

Primavera  beata 

Su  le  pianure  italiche 

Sorride.  Ogni  creata 

Cosa  in  vista  rallegrasi: 

Scherza  con  V  aura  e  il  fiore 

E  vola  nel  sereno  etere  Amore. 


42    ^  JUVENIUA 

Entro  la  chiusa  stanza 

Medita  Amore,  trovalo 

In  fragorosa  danza 

La  giovinetta;  ed  integra 

Cede  a' futuri  affanni 

L' inconsapevol  cuore  e  i  candidi  anni. 


D' ebrietà  possente 

Sale  dal  suol  che  vegeta 

Un  senso:  al  cor  fremente 

Il  mondo  antico  vestesi 

Di  novi  incanti,  e  a'  petti 

Novi  palpiti  chiede  e  novi  affetti. 


Transvolar  le  serene 

Forme  de'  sogni  improvvido 

L'uom  ricontempla:  arene 

E  deserto  il  ricingono: 

La  falsa  imago  anelo 

Lui  tragge  ove  più  stride  il  verno  e  il  gelo. 


Tal,  se  Talta  marina 

Ara  e  V  insonne  Atlantico, 

Vede,  allor  che  ruina 

La  notte  solitaria, 

L'  elvezio  infermo  il  rio 

Alpin  ne  Tonde  salse,  e  del  natio 


JUVENILIA  43 

Monte  le  vacche  quete 

Pender  da  i  verdi  pascoli, 

E  tra  r  ombre  segrete 

Un' aspettante  vergine 

Cantar,  molle  la  guancia; 

Vede,  ed  in  contro  a  lei  nel  mar  $i  lancia, 


Che  sopra  gli  si  chiude 

Muto.  O  soavi  imagini, 

Pur  d*ogni  senso  nude; 

O  d' inconsulti  palpiti 

Desio  profondo  arcano; 

Ultima  gioventù  del  cuore  umano; 


Questa  che  deludete 

Misera  prole^  o  perfidi. 

Quanto  ha  di  voi  pur  sete  ! 

E  vi  saluta  reduci 

Insieme  al  riso  alterno 

Onde  s' attempa  il  voi  de  r  orbe  eterno. 

Culto  tra  i  feri  studi 

Sacro  un  giorno  a*romulidi, 

E  di  solenni  ludi 

Empiea  sonante  V  isola 

Che  il  Tebro  ad  Ostia  in  faccia 

Lieta  di  paschi  e  di  roseti  abbraccia. 


44  JUVENILIA 

Dal  di  che  il  mese  adduce 

De  la  marina  Venere 

Sino  a  la  terza  luce 

Già  sorta  a  gV  incunabuli 

Di  Quirin,  la  gioconda 

Festa  correa  per  la  fiorita  sponda. 


E.  qui  belle  traéno 

A' rosei  tabernacoli 

Donzellette  cui  '1  seno 

Tra  i  bianchi  lin  moveasi 

Intatto  anche  a  gli  amori. 

Sotto  gli  astri  roranti  e  a'  miti  ardori 


Del  sole  i  verginali 

Carmi  intorno  volavano, 

Mentre  il  piacer  da  l' ali 

Stillava  ingenuo  nettare 

E  Terpsicore  dea 

Invisibil  co'l  suon  danze  movea. 


*'  La  sposa  ecco  di  Tereo 

Canta  tra  i  verdi  rami, 

Né  par  che  omai  del  barbaro 

Marito  si  richiami: 

Più  scorte  note  a  lei 

Amore  insegna  e  più  soavi  omei. 


JUVENILIA  46 

Canta:  e  noi  mute,  o  vergini, 

L'udiamo.  Oh  quando  fia 

Che  venga  e  me  pur  susciti 

La  primavera  mia, 

E  rondine  io  diventi 

Che  r  allegra  canzon  c^ommette  a'  venti  ? 

Già  voluttade  V  aere 

Empie  di  rosei  lampi: 

Sentono  i  campi  Venere, 

Amor  nacque  ne  i  campi: 

Effuso  dal  terreno 

Lui  raccolse  la  dea  nel  latteo  seno. 


E  lo  nudrir  le  lacrime 

D'odorati  arboscelli, 

E  lo  addormirò  i  gemiti 

De  l'aure  e  de' ruscelli, 

E  lo  educaro  i  molli 

Baci  de' fiori  in  su  gli  aperti  colli. 


L' umor  che  gli  astri  piangono 

Per  la  notte  serena 

Sottil  corre  a  la  nubile 

Rosa  di  vena  in  vena, 

Onde  al  zefiro  sposo 

Sciolga  il  peplo  domani  e  il  sen  pomposo. 


46  JUVENILIA 

Di  Cipri  ella  da  l' icore 

Nata  d' Amor  tra  i  baci 

Tien  gemme  e  fiamme  e  porpore, 

O  Ciel,  da  le  tue  faci  ; 

E  conoscente  figlia 

A  le  tue  nozze  i^  talamo  invermiglia. 


Allor  che  da  le  pendule 

Nubi  la  maritale 

Pioggia  a  la  Terra  cupida 

Discende  in  grembo,  ed  ale 

Nel  vasto  corpo  i  vasti 

Feti  che  tu,  Ciel  genitor,  creasti. 


Dal  sangue  tuo  l'oceano 

Tra  selve  di  coralli, 

Tra  le  caterve  cerule* 

E  i  bipedi  cavalli, 

A  i  liti  almi  del  lume 

Vener  produsse  avvolta  in  bianche  spume- 

Ed  ella  or  del  suo  spirito 

Le  menti  arde  e  le  vene, 

Del  nuovo  anno  V  imperio 

Procreatrice  tiene, 

Ed  aria  e  terra  e  mare 

Soave  riconsiglia  a  sempre  amare. 


JUVENILIA  47 

Da  i  boschi,  o  delia  vergine, 

Cedi  per  oggi:  noi 

Invia  la  diva  placide 

Nunzie  de'  voler  suoi  : 

Non  macchi,  ahimè!,  ferina 

Strage  la  selva  il  di  eh'  ella  è  reina. 

Essa  a  le  ninfe  il  mirteo 

Bosco  d'entrare  impone: 

Amore  a  quelle  aggiugnesi. 

Ma  Tarmi  pria  depone. 

Francate,  o  ninfe,  il  core: 

Posto  ha  giù  Tarmi,  è  ferìfato  Amore. 


La  madre  il  volle,  pavida 

No  il  picciolin  rubello 

Altrui  ferisca  improvido. 

Ma  pur  Cupido  è  bello. 

Guardate,  o  ninfe,  il  core  : 

È  tutto  in  armi,  anche  se  nudo,  Amore. 


Con  lui  fermò  nel  Lazio 

De'  lari  idei  T  esiglio, 

E  una  laurente  vergine 

La  dea  concesse  al  figlio 

D'  Anchise;  e  quindi  a  Marte, 

Sbigottita  orfanella  in  chiome  sparte, 


48  JUVENIUA 

Di  Vesta  ella  dal  tempio 

Traea  la  sacerdote: 

Onde  il  gran  padre  Romolo 

E  Cesare  nipote; 

Onde  i  Ramni  e  i  Quiriti, 

E  tu,  0  Roma,  signora  in  tutti  i  liti  „ 

Beate!  e  i  lieti  cori 

Non  rompea  lituo  barbaro, 

Né  i  verecondi  amori 

Turbava  allora  il  fremito 

Che  dal  core  ne  preme 

La  tradita  d'Italia  ultima  speme. 


Nel  sangue  nostro  i  nostri 

Campi  ringiovaniscono; 

E  quando  lento  i  chiostri 

Del  verde  pian  d'Insubria 

Apre  r  aratro  e  frange. 

Su  Tossa  rivelate  un  padre  piange. 


Non  biondeggia  superba 

Da'  nostri  solchi  Cerere, 

Ma  lei  calpesta  acerba 

L'urna  de' rei  quadrupedi; 

E  tu,  vento  sereno, 

Scaldi  a'  tiranni  osceni  amor  nel  seno* 


JUVENILIA  49 

Oh  quando  fìa  che  d'  armi 
E  monte  e  piano  fremano 
A'  rai  del  sol,  e  i  carmi 
Del  trionfo  ridestino 
Co'suon  del  prisco  orgoglio 

I  numi  addormentati  in  Campidoglio? 

Te  allor,  cinti  la  chioma 
De  V  arbuscel  di  Venere, 
Canterem,  madre  Roma; 
Te  del  cui  santo  nascere 

II  lieto  aprii  s' onora. 
Te  de  la  nostra  gente  arcana  Flora. 


Carducci.  4 


JUVENILIA 


XXVII. 


A  FEBO  APOLLINE 


D, 


e  la  quadriga  eterea 
Agitator  sovrano, 
Sferza  i  focosi  alipedi, 
Bellissimo  Titano. 

Te  pur,  de  V  ugna  indocile 
Stancando  il  balzo  eoo, 
Chiamàro  in  van  ne'  vigili 
Nitriti  Eto  e  Piroo, 

Quando  la  bella  Orcamide 
Ti  palpitò  su  '1  core 
E  gli  achemenii  talami 
Chiuse  ridendo  Amore, 


JUVENILIA  51 

E  a  noi  con  l' alma  Venere 
Facile  Amor  si  mostra, 
E  noi  gli  amplessi  affrettano 
De  la  fanciulla  nostra. 

In  vano,  in  van  la  rigida 
Madrigna  a  me  la  niega; 
Amor  che  tutto  supera, 
Amor  che  tutto  piega. 

Vuol,  fausto  iddio,  commetterla 
Ne  le  mie  mani  e  vuole 

I  nostri  amor  congiungere, 
Te  declinato,  o  Sole. 

Ed  ella  ornai  le  tacite 

Cure  nel  petto  anelo 

Volge,  e  te  guarda.  Oh  giungati 

II  caro  sguardo  in  cielo  ! 

Dolce  fiammeggian  V  umide 
Luci  nel  vano  immote: 
Siede  pallor  lievissimo 
In  su  le  rosee  gote. 

Ecco,  presente  Venere 
Ne  r  anima  pudica 
Regna,  e  il  pensier  virgineo 
Con  forza  empia  affatica. 


52  JUVENILIA 

Cotal  forse  aggiravasi 
Ne  la  stanza  odiosa 
Del  giovinetto  Piramo 
L'inaugurata  sposa, 

E  in  cor  pensava  i  gaudii 
Al  fido  orror  commessi 
Ed  i  furtivi  talami 
E  i  raddoppiati  amplessi: 

In  tanto  Amor  gemeane, 
De*  preparati  lutti 
Già  fatalmente  presago 
E  de'  mutati  frutti. 

Ma  le  dolenti  imagini 
Si  portin  gli  euri  in  mare: 
Diciam  parole  prospere: 
Benigno  Amor  ne  appare. 

Oh  sperar  lungo  e  timido, 
Oh  d'angosciose  notti 
False  quieti,  oh  torbidi 
Sogni  dal  pianto  rotti! 

Mercé,  mercé!  pur  compiasi 
Il  dolce  e  fier  desio. 
Pur  debbo  al  fine  io  stringerla 
Su  questo  petto  mio  ! 


JUVENILIA  53 

Ah  no  che  sen  più  candido 
Endimion  non  strinse 
Quando  notturna  Venere 
La  schiva  dea  gli  scinse  ! 

10  ardo.  Amore  infuria 
Nel  fulminato  petto; 

E  corro,  e  guardo,  ed  Espera 
Gridando  in  cielo  affretto. 

Pietà,  divino  Apolline  ! 
Spingi  i  destrier  celesti, 
Le  inerti  Ore  sollecita; 
Ruina....  A  che  V  arresti  ? 

E  ancor  rattieni  il  cocchio 
In  su  r  estrema  curva  ? 
E  ancor  V  ancella  undecima 
Lenta  su  *1  fren  s' incurva  ? 

Male  io  sperai  te  facile 
Al  suon  di  mie  querele, 
Sempre  a  gli  amanti  infausto, 
Sempre  in  amor  crudele  ! 

Clizia  Oceania  vergine 
Per  te  conversa  in  fiore 
Ancor  mutata  serbati 

11  non  mutato  amore. 


54  JUVENILIA 

Imprecò  già  Coronide 
Per  te  al  disciolto  cinto: 
Amicle  un  giorno  e  Tàigeta 
Pianser  per  te  Giacinto. 

Ma  e  tu  d'  amor  gV  imperii, 
Tu,  petto  immansueto, 
Durasti;  e  i  greggi  a  pascere 
Pur  ti  ritenne  Admeto. 

Te  solitari  attesero 

I  templi  ermi  del  cielo, 
Né  più  muggia  da  gli  aditi 
La  religion  di  Delo. 

Giacea  de*  tori  indocili 
Dal  vago  pie  calcato 
L*  arco  divino  argenteo 
In  abbandon  su  *1  prato. 

Né  bastò  Tarte  medica 

Verso  la  cura  nova: 

Ahi,  sol  di  furie  e  lacrime 

II  nostro  iddio  si  giova. 

Né  tra  le  dita  ambrosie 
Più  ti  splendea  la  lira, 
Quella  onde  al  padre  caddero 
Sovente  i  fuochi  e  V  ira. 


JUVENILIA  56 


E  che?  l'avena  rustica 
Dal  labbro  tuo  risona, 
O  figlio  de  r  Egioco, 
O  figlio  di  Latona? 

Tu  d' amor  gemi,  ed  orride 
Co  '1  muggito  diverso 
Rompon  le  vacche  tessale 
La  dotta  voce  e  il  verso. 

Fama  è  però  che  memore 
Tu  de  r  incendio  antico 
A  gli  amorosi  giovini 
Nume  ti  porgi  amico. 

E  i  vóti  a  te  salirono 
Del  buon  Cerinto  grati, 
Quando  immaturi  presserò 
L'egra  Sulpizia  i  fati: 

Tu  al  bel  corpo  le  mediche 
Mani  applicar  godesti. 
Tu  al  giovinetto  cupido 
Integra  lei  rendesti. 

E  giorno  fu  che  in  trepida 
Cura  Tibullo  ardea: 
Varia  di  amori  il  candido 
Vate  Neera  angea. 


JUVENILIA 

Gemeva  egli  le  vìgili 
Piume  stancando  in  vano: 
Ma  in  piena  luce  videti 
[1  cavalier  romano. 

Pe  'I  lungo  collo  eburneo 
Intonsi  i  crin  fluire 
\^ide  e  stillar  la  mirtea 
Chioma  rugiade  assire. 

Qual  de  la  luna  in  placido 
Sereno,  era  il  candore  : 
Era  nel  corpo  niveo 
Di  porpora  il  colore, 

Come  al  settembre  tingonsi 
Bianche  mele  fragranti. 
Come  fanciulle  intrecciano 
[  gigli  a  li  amaranti. 

—  Soffri,  dicesti:  ad  Albio 
Serbata  è  pur  Neera: 
fendi  le  braccia  a  i  superi 
Hon  molta  prece,  e  spera.  — 

l  anch'io  pregai:  di  lacrime 
o  gli  abbracciati  altari 
Sparsi:  e  non  furo  i  superi 
^  me  di  grazia  avari. 


JUVENILIA  57 


Non  io  lamento  perfida 
La  mia  fanciulla,  escluso 
Non  io  gli  aspri  fastidii 
De  la  superba  accuso; 

Né  de  le  mense  eteree 
Vuo'  che  ti  prenda  oblio, 
Ed  entri,  almo  Latoide, 
Quesf  umil  tetto  mio. 

Mi  dolgo  io  ben  che  tardisi 
A  le  mie  gioie  V  ora 
Dal  corso  tuo  che  a  Nereo 
Par  non  accenni  ancora. 

Dolgomi....  Ahi  folle!  inutili 
Querele  io  spando:  errore 
Al  cor  m*  induce  il  memore 
Libetrico  furore. 

Te  da  le  valli  tessale 
Te  da  Tegea  marina 
Vedea  de*  vati  ellenici 
La  fantasia  divina, 

Giovine  iddio  bellissimo  ^ 
Pe'  i  cieli  ermi  sorgente  : 
Ignei  tu  avevi  alipedi. 
Carro  di  fiamma  ardente; 


58  JUVENILIA 

E  intorno  ti  danzavano 
Ne  la  serena  spera 
Le  ventiquattro  vergini 
Fosca  e  vermiglia  schiera. 

Né  vivi  tu?  né  giunseti 
Del  vecchio  Omero  il  verso? 
E  Proclo  in  van  chiamavati 
Amor  de  l'universo? 

Il  vero  inesorabile 
Di  fredda  ombra  covrio 
Te  larva  d'altri  secoli, 
Nume  de' greci  e  mio. 

Or  dove  il  cocchio  e  l'aurea 
Giovanil  chioma  e'  rai? 
Tu  brulla  mole  sfolgori 
Di  muto  fuoco,  e  stai. 

Ahi  !  da  le  terre  ausonie 
Tutte  fuggir  li  dèi: 
In  vasta  solitudine, 
O  Musa  mia,  tu  sei. 

In  vano,  o  ionia  vergine. 
Canti,  ed  evochi  Omero: 
Surge,  e  minaccia  squallido 
Da' suoi  deserti  il  vero. 


JUVENILIA  59 

Vale,  0  Titano  Apolline, 
Re  del  volubil  anno  ! 
Or  solitario  avanzami 
Amore,  ultimo  inganno. 

Andiam:  de  la  mia  Delia 
Ne  gli  atti  e  nel  sorriso 
Le  Grazie  a  me  si  mostrino 
Quai  le  mirò  Cefiso; 

E  péra  il  grave  secolo 

Che  vita  mi  spegnea. 

Che  agghiaccia  il  canto  ellenico 

Ne  r  anima  febea  ! 


60  JUVENILIA 


XXVIII. 


A  DIANA  TRIVIA 


i  u  cui  reina  il  cieco  Èrebo  tiene 
E  Arcadia  in  terra  cacciatrice  t'ama, 
Ma  in  ciel  de  l' Ore  il  biondo  stuol  ti  chiama 
Bella  Selene; 

Ora  che  i  bianchi  corridor  del  lento 
Freno  tu  tempri  e  regni  su  la  diva 
Notte,  m'ascolta;  se  da  noi  t'arriva 
Prego  o  lamento. 

Non  tra  quest'ombre  io  la  vendetta  affretto 
Già  meditata;  il  casto  ra^io  odiando, 
Non  io  prorompo  a  invadere  co  '1  brando 
Cognato  petto. 


JUVENIUA  61 

Io  amo  :  e  Cintia,  V  espugnata  al  fine 
Cintìa  superba,  a'  novi  amor  si  rende  ; 
E,  dubitosa,  del  notturno  scende 
Orto  al  confine. 

Che  tu  nel  carro  de  la  luna  stai 
Intemerata  come  il  ciel  cui  reggi, 
Che  dea  severa  te  d'amor  le  leggi 
Non  piegar  mai, 

Cantano  i  vati:  ma  non  sempre  varia 
De'  prometidi  su  le  brevi  paci 
Vegli,  ma  in  terra  ti  detragge  a  i  baci 
Giovin  di  Caria. 

Attor  l'ambrosia  i  tuoi  cavalli  erranti 
Pascono,  l' aere  alto  silenzio  ingombra, 
E  te  lodando  mesconsi  per  l' ombra 
Sacra  gli  amanti. 

Or,  bella  diva,  or  vela  il  tuo  splendore  ; 
Corri  pe' templi  aerei  tacente: 
Me  Amor  precede,  e  rompe  la  cedente 
Tenebra  Amore. 

Tu  passi  e  splendi:  sotto  il  vivo  raggio 
Ride  il  giardino  in  ogni  tato  aperto  : 
Io  tra  gli  sguardi  curlfosi  incerto 
Fermo  il  viaggio. 


62  JUVENILIA 

Ah  falsa  dea  !  va*  su'  misteri  orrendi 
De' druidi  a  correr  sanguinosa,  ascolta 
V  emonie  voci,  e  da  le  maghe  svolta 
Ne  Torgie  scendi. 

E  già  scendesti  da  l' argentea  biga 
Ostie  d' uitiani  e  d' ospiti  a  mirare 
Su  r aspra  riva  cui  l'aquilonare 
Flutto  castiga: 

Più  rea  che  quando  il  fior  del  disonesto 
Eburneo  corpo  abbandonasti  a  Pane, 
Calda  d'amore  a  le  donate  lane. 
Fredda  pe  '1  resto. 

Oh  ben  ti  tolse  il  gran  senno  odierno 
E  biga  e  soglio.  Un  vano  idolo  or  sei; 
E  anch'io  ti  spregio,  e  torno  a'patrii  dèi 
Vate  moderno. 


JUVENILIA  63 


XXIX. 
BRINDISI 


B. 


^eviam,  se  non  ci  arridano 
Le  sacre  Muse  indarno, 
Ora  che  artoa  caligine 
Preme  i  laureti  d'Arno. 

Gema  e  ne  V  astro  pallido 
Stanchi  le  inferme  ciglia 
La  scelerata  astemia 
Romantica  famiglia; 

A  noi  progenie  italica 
Ridan  gli  dèi  del  Lazio, 
La  madre  de  gli  Eneadi 
E  l'armonia  d'Orazio. 


64  JUVENILIA 

M' inganno  ?  o  un'  aura  lirica 
Intorno  a  me  s'aggira? 
Fiacco,  io  ti  sento:  oh,  al  memore 
Convivio  assisti  e  spira! 

/Or  che  percuote  V  ungaro 
j  Destrier  la  valle  ocnea, 

E  freme  il  lituo  retico 

Dove  Maron  nascea; 

Or  che  Tefòd  levitico 
La  diva  Roma  oscura, 
E  altier  di  Brenno  il  milite 
La  sacra  via  misura; 

Qui  cupe  tazze  vuotansi 
Secondo  il  patrio  rito, 
Ben  che  sia  lunge  l'arbitro 
Dal  libero  convito. 

Fiacco,  il  tuo  bello  Apolline 
Fuggi  dal  suol  latino 
Cedendo  innanzi  a  Tentate 
Ed  a  l'informe  Odino, 

La  musa  a  noi  da  gelide 
Alpi  tedesche  or  suona. 
Turba  un  vii  gregge  i  nitidi 
Lavacri  d'Elicona: 


JUVENILIA  65 

Noi  pochi  e  puri  (il  secolo 
Sfeci,  se  vuol,  nemico) 
Libiamo  a  Febo  Apotline 
E  al  santo  carme  antico. 

Lenti,  a  che  state?  or  s'alzino 
Colme  le  tazze  al  vóto. 
A  le  decenti  Cariti, 
Ecco,  tre  nappi  io  vuoto. 

Sacro  a'  sapienti  è  il  numero 
De  i  nappi  tre:  ma  nove 
A  noi  ne  chieggon  V  impari 
Figliuole  ascree  di  Giove. 

Né  san  le  dive  offendersi 
Del  temperato  bere, 
Né  tu  discordi,  o  Libero, 
Da  le  virtù  severe. 

Anch' ei  la  tazza  intrepido 
Catone  al  servo  chiese, 
Poi  ripensando  a  Cesare 
Il  roman  ferro  prese: 

E,  in  quel  che  Bruto  vigila 
Su  le  platonie  carte, 
Cassio  tra'  lieti  cecubi 
GÌ'  idi  aspettò  di  Marte. 


RDUCCI. 


66  JUVENILIA 


XXX. 


VOTO 


A 


gitatrice  de  le  forti  selve, 
Amor  di  Giove  e  di  Latona  vanto, 
Diva  da  V  arco,  cui  de  V  Erimanto 
Temon  le  belve: 

S*  io  per  te  dòmo  il  fulminante  orgoglio 
Del  reo  cignale  su  quel  nero  monte, 
Io  questo  pino  da  T  aerea  fronte 
Sacrar  ti  voglio. 

Diran  dal  tronco  le  mascelle  appese 
Con  tale  scritta  le  sudate  prove: 
A  la  dea  prole  di  Latona  e  Giove 
Delio  lunese. 


JÙVENILIA  67 


i'  ■< 


XXXL 


A  NEERA 


L' 


olmo  e  la  verde  sposa 
Vedi  in  florido  amplesso  accolti  e  stretti  : 
Vedi  a  V  itice  annosa 
Attorcersi  i  corimbi  giovinetti. 

Deh!  se  del  roseo  braccio 

Cosi,  bianca  Neera,  m'avvincessi, 

E  tra  'I  soave  laccio 

Il  capo  stanco  io  nel  tuo  sen  ponessi, 

Un  lungo  amore  insieme 

Giugnendo  Palme  ognor,  dolcezza  mia. 

Non  altra  gioia  o  speme, 

Non  altro  a  desiar  lo  spirto  avria. 


68  JUVENILIA 

Non  me  non  me  dal  fiore 

Del  caro  labbro,  fin  di  tutte  brame, 

Svegli er  potria  sopore, 

Non  cura  di  lieo,  non  dura  fame. 

r 

Allor  noi  senza  duolo 
Il  fato  colga;  innamorati  spirti 
Noi  tragga  un  legno  solo. 
Pallido  Dite,  a'  tuoi  secreti  mirti. 

Di  ciel  che  mai  non  verna 
La  ferma  ivi  berremmo  aura  sincera. 
Sotto  i  pie  nostri  eterna 
Rinascendo  co*  fior  la  primavera. 

In  tra  i  nobili  eroi 

Ivi  a'  ben  nati  amor  vivono  ognora 

L*  eroine  onde  a  noi 

Mormora  un  suon  d'  esigua  fama  ancora, 

E  menan  danze,  e  alterni 

Canti  giungono  al  suon  d'alterna  lira; 

E  su'  germogli  eterni 

Zefiro  senza  mutamento  spira. 

Scherza  con  Torà  incerta 

Di  lauri  un  bosco;  de  le  aulenti  frondi 

Sotto  r  ombra  conserta 

Ridon  le  rose  ed  i  giacinti  biondi. 


JUVENIUA  69 

A  l'ombre  pie  d'intorno, 

Non  da  rigidi  imperi  esercitato, 

Sotto  il  purpureo  giorno 

Germina  splende  e  olezza  il  suol  beato. 

Solinga  ombra  amorosa 

Ivi  oblia  Saffo  la  leucadia  pietra, 

E  pur  languida  posa 

La  tenue  fronte  su  la  dotta  cetra. 

Siede  Tibullo  a  l'ombra 

Ove  dodi  da' colli  un  rio  declina; 

E  di  dolcezza  ingombra 

I  sacri  elisii  l'armonia  latina. 

E  noi,  Neera,  il  canto 

De'  morti  udrem  ;  noi  sederem  ^tra'  fiori 

De  l'asfodelo.  Intanto 

Mesciamo  i  dolci  e  fuggitivi  amori. 


70  JUVENILIA 


XXXII. 


PRIMAVERA  CINESE 


Q 


r  sono  i  di  che  zefiro 
Tepido  e  lieve  aleggia 
E  che  la  pioggia  placida 
I  novi  fior  careggia. 

Ora  un  mattino  in  floridi 
Rami  le  gemme  afforza 
Che  timidette  ruppero 
Da  la  materna  scorza. 

Or  a  gli  affetti  sposansi 
I  facili  pensieri 
E  impazienti  volano 
Jn  cantici  leggeri, 


JUVENILIA  71 

Come  la  nebbia  eh'  umida 
Gli  archi  del  ponte  gira, 
Come  quest'  ombra  tremula 
Ad  ogni  aura  che  spira. 

Oh  misero  a  cui  scemasi 
De  gli  anni  il  bel  tesoro 
Mentre  a  la  terra  indocile 
Chiede  V  inutil  oro! 

La  neve  ch'empiea  rigida 
Tutto  pur  dianzi  il  cielo, 
E  i  fior  che  lieti  salgono 
Dal  fuggitivo  gelo, 

Son  de  la  vita  imagine 
Fuggente,  e  in  lei  s'appaga 
Tra  i  desiderii  V  anima 
E  le  memorie  vaga. 

Pace!  Anche  tu,  bellissima 
Colomba  vì'atrice 
Che  lamentando  mormori 
Da  la  natia  pendice, 

Se  pietosa  il  numero 
De'  miei  pensier  richiedi. 
Lascia  il  soave  gemito 
Ed  al  tuo  nido  riedi. 


72  JUVENILIA 

Pria  conteransi  i  tumidi 
Germi  che  il  suolo  or  manda 
E  i  fiorì  onde  si  splendida 
Quesf  albero  ha  ghirlanda. 


JUVENILIA  73 


i.-  -■     .•' 


u 


xxxiii. 


f  ' 


ALLA  B.  DIANA  GIUNTINI 

VENERATA  A  SANTA  MARIA  A  MONTE 


Q. 


,ui  dove  arride  i  fortunati  clivi 
Perenne  aprile  e  l'aure  molli  odora 
E  ondeggian  messi  e  placido  d'olivi 
Bosco  s' infiora, 

Quando  pie  voglie  e  be'  costumi  onesti 
Erano  in  pregio  e  cortesia  fioriva 
Le  tósche  terre,  qui  l' uman  traeèti 
Tuo  giorno,  o  diva. 

E  ti  fùr  vanto  gli  amorosi  affanni     t 
Onde  nutristi  a  Dio  la  nova  etate, 
E  fredda  e  sola  ne  l'ardor  de  gli  anni 
Virginitate: 


74  JUVENILIA 

Pur  risplendeva  oltre  il  mortai  costume 
La  dia  bellezza  nel  sereno  viso, 
E  dolce  ardea  di  giovinezza  il  lume 
Nel  tuo  isorriso. 

Te  in  luce  aperta  qui  V  eteree  menti 
Consolar  prima  di  letizia  arcana, 
Poi  te  beata  salutar  le  genti, 
Alma  Diana. 


1 1 


Onde  a  te  dotta  de  V  uman  dolore 
Il  nostro  canto  e  prece  d' inni  ascende 
E  pieno  r  anno,  di  votivo  onore 
L'  ara  ti  splende. 

A  te  rindustre  opera  cessa:  posa 
A  te  il  travaglio  de  la  vita  e  V  egra 
Noia:  si  spande  per  le  vie  festosa 
Turba  e  s'allegra. 

Disciolto  ilbove  mormora  un  muggito, 
Esulta  il  gregge  ne  l'erboso  piano, 
E  su  r  aratro  ancor  dal  solco  attrito 
Canta  il  villano. 

Deh,  sii  presente:  il  tuo  terren  natale 
A  te  s'adorna,  ed  al  tuo  piede  in  tanto 
Gigli  sommette  e  rose  e  l'immortale 
Fior  d'  amaranto. 


JUVENILIA  75 

Deh,  sii  présente:  e  ne'concilii  santi. 
Se  nostra  dirti,  o  buona,  anco  ti  giova, 
Del  gener  tristo  e  de  gli  infermi  erranti 
Amor  ti  mova. 

Odi  le  caste  Vergini:  il  lamento  '•         ^  ' 
De  la  canuta  etade  òdi;  é  su  Tpio 
Volgo  com'aura  di  benigno  vento  ^ 
Spira  da  Dio. 

Ruinan,  vedi,  a  soffrir  tutto  audaci 
Le  menti  umane  in  disperata  guerra, 
E  de  le  furie  le  sanguigne  faci 
Corron  la  terra: 

Odio  e  furore  i  torvi  animi  avvampa 
E  ciechi  mena  con  la  sua  rapina 
Ove  pietade  è  in  bando,  ove  s'accampa 
L*  ira  divina: 

Erra  in  ombra  di  morte  e  le  vitali 
Fiamme  rifugge  la  mortai  ragione, 
E  di  pensieri  ferve  e  di  pugnali 
Bieca  tenzone. 

Ma  noi  pio  gregge  a  te  su  '1  puro  altare 
Vóti  mandiamo  a  cui  pietà  risponde: 
Ragguarda,  o  buona,  a'  figli,  ed  abbi  care 
Le  nostre  sponde. 


76  JUVENILIA 

Volgi  sereno  a  questi  campi  il  sole, 
Benigna  assisti  a'  focolari  aviti  :     . 
Mùltiplicata  invochi  te  la  prole 
Co'  patrii  riti. 

Qui  de  le  caste  menti  ama  il  goveri^o: 
Qui  santa  e  madre  al  popol  tuo  ti  mostra: 
Né  a  danno  irrompa  qui  possa  d' inferno, 
Te  duce  nostra. 


JUVENILIA  77 


XXXIV. 


A    GIULIO 


N, 


on  sempre  aquario  verna,  né  assidue 
Nubi  si  addensano,  piogge  si  versano 
Malinconicamente 
Sovra  il  piano  squallente: 

Non  sempre  T  arida  chioma  a  le  roveri 
I  torbid'  impeti  d' euro  affaticano, 
Né  dura  artico  ghiaccio 
A  industri  legni  impaccio: 

Ma  tu,  o  che  vespero  levi  la  rosea 
Face  su  l' ampio  del  ciel  silenzio 
O  fugga  al  sol  d'avanti 
Mal  gradito  a  gli  amanti. 


78  JUVENILIA 

Tu  sempre  in  flebili  modi  elegiaci, 
Lamenti,  o  Giulio,  la  cara  vergine 
Che  il  fren  de'  tuoi  pensieri 
Reggea  con  gli  occhi  neri. 

Oh  non  continue  querele  e  gemiti 
Commise  a'  dorici  metri  Simonide; 
Né  ogn'or  gemè  in  Valchiusa 
Nostra  più  dolce  musa, 

Si  fra  le  memori  tombe  romulee 
Destò  r  italica  speme,  e  del  lauro 
Di  Gracco  ornò  la  chioma 
Al  tribuno  di  Roma; 

E  anch'oggi  splendidi  gli  sdegni  vivono 
Ne' tardi  secoli,  spirano  i  fremiti 
De  le  genti  latine. 
Ne  le  armonie  divine. 

Deh,  se  pur  prèmeti  desio  di  piangere. 
Mira  la  patria;  grave  d'obbrobrio 
Il  nome  italo  mira; 
E  qui  piangi  e  ti  adira. 

Mira:  di  barbaro  lusso  le  rigide 
Torri  si  vestono,  dove  già  gì'  integri 
Petti  e  le  forze  e  i  gravi 
Senni  crebber  de  gli  avi. 


JUVENILIA  19 

Qui  dove  i  trivii  d'urli  e  domestico 
Marte  e  di  fiaccole  notturni  ardevano 
E  insanguinò  le  spade 
Gelosa  libertade, 

Di  specchi  fulgido  ecco  e.  di  lampade 
È  il  luogo,  e  gli  ozii  molce  di  un  popolo 
A  cui  die  il  cielo  in  sorte 
Noia  pallida  e  morte. 

Torpe  degenere  la  plebe,  e  lurida 
Ammira  gli  aurei  splendori,  ed  invida 
E  vii  con  mano  impronta 
I  duri  Cresi  affronta; 

'  '  '     •'  '  ' 

Lieta  se  a' hobili  tetti  d'obbrobrio 
Saliron  avide  le  plebee  vergini 
A  ricomprar  le  fami 
De'  genitori  infami. 

No,  di  quel  valido  sangue,  che  spiriti 
Gentili  e  rapida  virtù  ne  gli  animi 
De'  parenti  fluiva, 
L'onda  ahi  più  non  è  viva. 

Sacri  a  la  pubblica  salute,  estranee 
Minacce  ed  impeti  di  re  fiaccarono: 
Plebe  altera,  de'  grandi 
Prostrar  l'orgoglio  e  i  brandi. 


so  JUVENILIA 

Discese  il  ferreo  baron  da  Torride 
Castella,  e  al  popolo  vincente  aggiuntosi 
Con  mano  usa  al.  crudele 
Cenno  trattò  le  tele. 

Da  le  patrìzie  magioni  al  popolo. 
Premio  d' industria,  benigna  copia 
Calò;  di  languid'oro 
Non  custodian  tesoro 

L'arche  difficili.  Crebbe  a  la  patria 
Larga  di  pubblici  doni  e  di  gloria. 
Ogni  studio  più  degno 
E  di  mano  e  d' ingegno. 

E  pompe  sursero  di  fòri  e  portici 
Ed  are  a  V  unico  signor  de'  liberi. 
Né  a  gli  ozi  allor  de*  vili 
Servian  l'arti  civili; 

Ma  dal  magnanimo  voler,  da'  semplici 
Cuor  de  gli  artefici,  sfidando  i  secoli, 
Balzò  con  franco  volo 
Su  l'attonito  suolo 

Di  Flora  il  tempio;  dove  tra  i  memori 
Padri  fremerono  d'assenso  i  giovini 
A  l'ira  e  a* carmi  austeri 
Del  gran  padre  Alighieri. 


JUVENILIA.  81 


XXXV. 


ALLA  LIBERTÀ 


RILEGGEKDO  LE  OPERE  DI  VITTORIO  ALFIERI 


i  e  non  il  canto  che  dì  tenue  vena 
Lene  a  gli  orecchi  mormora  e  deriva 
Né  sottil  arte  di  servii  camena 
Lusinga,  o  diva. 

Te  giova  il  grido  che  le  turbe  assorda 
E  a  r  armi  incalza  a  V  armi  i  cuor  cessanti, 
Te  le  civili  su  la  ferrea  corda 
Ire  sonanti  : 

E  sol  tra  i  casi  de  la  pugna  orrendi 
E  flutti  d' aste  e  fulminose  spade 
Nel  vasto  sangue  popolar  discendi, 
0  libertade. 

Carducci,  6 


82  JUVENILIA. 

Tal  t' invoca  su  la  terra  attèa 
Trasibul  duro  ne' dubbiosi  affanni, 
E  cadeau  ostie  a  la  cecropia  dea 
Trenta  tiranni: 

Tal,  sollevato  il  parricida  acciaro, 
Teste  di  regi  consecrando  a  Dite, 
Bruto  e  Virginio  un  di  ti  revocar© 
Diva  quirite. 

Ma  quale  inermi  a  te  le  mani  porge 
Di  tra  una  plebe  che  percossa  giace 
Non  del  tuo  viso  l'alma  luce  ei  scorger 
Ma  senza  pace 

Assidua  larva  tu  lo  premi  :  ei  vola 
Tra  le  tue  pugne  co  '1  desio  veloce, 
E  muto  campo  gli  è  il  pensiero  e  sola 
Arme  la  voce. 

Tale  il  tuo  nume  nel  gran  cor  portando 
Correva  Italia  l'astigiano  acerbo^ 
E  trattò  il  verso  come  ferreo  brando. 
Vate  superbo: 

Te  fra  gli  avelli  sotto  il  ciel  romano 
Chiamava;  e  il  nome  giù  per  l'aer  cieco 
Cupo  rendeva  a  lui  dal  vaticano 
Vertice  V  eco. 


JUVENILIA.  83 

Tu  r  implacato  allór  flutto  d' Atlante 
Rasserenavi  de  le  die  pupille: 
Aspri  deserti  sotto  le  tue  piante 
Fiorian  di  ville. 

Quindi  crollando  la  corusca  lancia 
Saltasti  in  poppa  a  i  legni  di  Luigi, 
E  ti  scortaro  i  cavalier  di  Francia 
Dentro  Parigi. 

Ma  noi  te  tn  vano  al  tuo  già  sacro  ostello 
Desiderammo,  triste  itala  prole: 
Senza  te  mesto  il  cielo  ed  è  men  bello 
Il  nostro  sole. 

Torna,  e  ti  splenda  in  man  V  acciar  tremendo 
Quale  tra  i  nembi  ardente  astro  Orione; 
Deh  torna,  o  dea,  co  '1  bianco  pie  premendo 
Mitre  e  corone. 


LIBRO    III 


XXXVI. 

r  assa  la  nave  mia,  sola,  tra  il  pianto 
>  gli  alclon,  per  l'acqua  procellosa; 
:  la  involge  e  la  batte,  e  mai  non  posa, 
De  l'onde  il  tuon,  de  1  folgori  lo  schianto. 

/olgono  al  lido,  ornai  perduto,  in  tanto 

-e  memorie  la  faccia  lacrimosa; 

H  vìnte  le  speranze  in  faticosa 

i'ista  s'  abbatton  sovra  il  remo  infranto. 

^a  dritto  su  la  poppa  il  genio  mio 
Guarda  il  cielo  ed  il  mare,  e  canta  forte 
De" venti  e  de  le  antenne  al  cigolio: 


--  Voghiam,  voghiamo,  o  disperate  scorte, 

M  nubiloso  porto  de  1'  oblio, 

■\  la  scogliera  bianca  de  la  morte.  — 


86  JUVENILIA. 


XXXVII. 


G 


'he  ti  giovò  su  le  fallaci  carte 
Sfiorar  gli  anni  tuoi  novi  ed  il  natio 
Vigore  in  su  la  còte  aspra  de  V  arte, 
O  troppo  a  questa  amico  e  a  te  non  pio? 

Or  qui  te  da  la  luce  alma  diparte 
Dura  quiete  e  sempiterno  oblio: 
O  speranze  d'onore  al  vento  sparte! 
O  brama  di  saper  che  ti  tradio! 

Péra  chi  al  vero  inesorato  e  a*  danni 
Del  vero  addisse  quella  età  migliore 
Che  più  pronta  risponde  a' belli  inganni! 

Ch'ora  non  piangerei  spento  il  fulgore 
Gaio  del  tuo  sembiante  e  i  candidi  anni 
E  de  la  cara  vita  il  caro  fiore. 


Jtn^NiUA.  87 


XXXVIII. 


A  F.  T. 


D, 


ue  voglie,  anzi  due  furie,  entro  il  cor  mio 
Seggo»,  Felice,  e  a  me  di  me  i*  impero 
E  contendono  e  strappano:  desio 
Che  di  bellezza  nacque,  e  vie  più  altero 

Di  egregie  cose  amor.  L'una  con  rio 
Fuoco  depreda  il  vinto  petto:  intero 
Seco  tfàggemi  V  altra  in  parte  ov*  io 
Fantasmi  evoco  e  pur  gravami  il  vero. 

Tale,  schiavo  di  me,  me  ogn'  or  d' inganno 
Nudro  volente;  e  *1  venen  suo  m' instilla 
La  cura  che  diversa  entro  mi  strugge; 

E  corre  intanto  il  ventunesim*  anno, 

E  il  solitario  spirito  sfavilla. 

Ed  ombra  lenta  i  di  sterili  adugge. 


88  JUVENILIA. 


XXXIX. 


1   oi  che  mal  questa  sonnacchiosa  etede 
Di  forti  esempi  a' vivi  suoi  provvede^ 
Posa,  0  spirito  mio;  né  acquistjn  fede 
Mie  fiacche  rime  a  la  comun  viltade. 

Lunge,  canti  d'amore:  altro  richiede 
Quel  novo  ardor  che  tutto  entro  m' invade: 
Io  voglio  tra  rumor  d' ire  e  di  spade 
Atroci  alme  rapir  d'Alceo  col  piede. 

Risorgerem  poeti  allor  che  sia     , 
Scosso  il  torpore  senza  fine  amaro^ 
E  la  patria  virtù  musa  ne  fia. 

Tremante  un  re  le  attèe  scene  miraro 
Ne' carmi  ancor,  ma  tinse  Eschilo  pria 
Ne' Medi  fuggitivi  il  greco  acciaro. 


JUVENILIA.  89 


XL. 


GIUSEPPE  PARINI 


IN  on  io  pe  '1  verso  onde  sentia  lo  stuolo 
De  r  ignavi  potenti  il  grave  morso, 
Né  pe  *1  canto  superbo  onde  in  suo  corso 
Tornasti  la  civil  musa  tu  solo, 

Non  io  fo  vóti.  Altera  aquila  al  polo 
Troppo  ogni  emulo  ardire  hai  tu  precorso; 
Né  da  le  forze  mie  spero  soccorso, 
Picciole  forze  a  cosi  largo  volo. 

Sol  vuo'  di  te  la  schiva  anima,  e  il  retto  . 
Non  domabile  ingegno,  e  V  ira  e  il  forte 
Spregio  pe'vili,  e  la  parola  franca. 

E  voglio,  e  posso.  Tu  mi  reggi  e  affranca: 
Che  tu  sai  ben  eh*  io  pe  '1  tuo  fiero  petto 
Aspro  vivere  eleggo  e  oscura  morte. 


90  JUVENILIA. 


X' 


xu. 


PIETRO  METASTASIO 


N, 


o,  non  morranno,  in  fin  che  tempra  umana 
Non  sia  dal  vizio  o  da  barbarie  doma, 
Il  tuo  nobile  Cato  e  la  sovrana 
Virtù  del  prigionier  consol  di  Roma. 

10  ben  tutti  gli  allori  a  la  tua  chioma, 
/^  O  degna  d'altri  giorni  alma  romana, 

Dar  voglio  e  al  canto  che  soave  doma 
Tutte  ree  volontadi  e  il  cor  risana. 

Scuola  è  la  scena  or  d*  ogni  cosa  ria. 
Dove  scherza  il  delitto  e  dove  ardito 
L'adulterio  in  gentil  vista  passeggia; 

E  a  questi  esempi  il  gener  suo  nodrito 
Vuole  e  te  mastro  di  virtude  oblia 

11  secoletto  vii  che  cristianeggia. 


JUVENILIA  91 


XLII. 


CARLO  GOLDONI 


O 


Terenzio  de  V  Adria,  al  cui  pennello 
Die  Italia  serva  i  vìndici  colorì, 
Onde  si  parve  a  quanti  frutti  e  fiori 
Surga  latino  ingegno  in  suol  rubello, 

Vedi:  pur  là  dove  più  il  retto  e'I  bello 

Eccitar  di  sé  dee  pubblici  amori, 

Ivi  ebra  l'arte  più  di  rei  furori 

Tra  sanguinose  scede  or  va  in  bordello. 

Riedi;  e  i  goti  ricaccia.  A  questa  putta 
Strappa  tu  il  culto  oscen,  rendi  a  le  sparte 
Chiome  il  tuo  lauro  che  la  fé  si  bella. 

Ma  no;  ch'oggi  tu  biasmo  e  onor  la  brutta 
Schiera  s'avrebbe.  Oh  per  viltà  novella 
Quanto  basso  caduta  italic'artel 


92  JUVBNILIA 


XLIII. 


VITTORIO  ALFIERI 


O 


de  r  italo  agon  supremo  atleta 
Misurator,  di  questa  setta  imbelle,        - 
Che  straniata  il  sacro  allòr  ti  svelle,  ' 
Che  vuol  la  santa  bile  irrequieta? 

E  a  qual  miri  sai  tu  splendida  meta 
Ed  a  che  fin  drizzato  abbian  le  stelle 
Questa  età  che  di  ciance  e  di  novelle  ; 
Per  quanto  ingozzi  e  più  e  più  asseta?  — 

Secolo  ingrato,  o  figlio;  e  a  viltà  giunge, 
Chi  ben  lo  guardi  senz'  amore  od  ira, 
Ogni  passo  che  move  per  sua  via: 

E.  dove  al  mal  pensar  viltà  s*  aggiunge, 
Ivi  non  sente  cor,  mente  non  mira 
Quant'alto  salga  la  grandezza  mia. 


JUVENILIA  93 


xuv. 


VINCENZO  MONTI 


Q. 


,uando  fuor  de  la  pronta  anima  scossa 
Dal  dio  che  per  ìt  vene  a  te  fluia 
V  usciva  il  canto  rapido  in  sua  possa 
Come  de  TEridan  Tonda  natia, 

La  sirena  immortai,  che  guarda  Tossa 
Di  Maro,  alzossi  per  l'equorea  via, 
E  spirò  da  T  antica  urna  commossa 
Di  cetere  e  d'avene  un*  armonia. 

Al  lazio  suon  pe'i  curvi  lidi  errante 
'Come  tuon  rispondea  che  chiuso  romba 
Da  Ravenna  il  toscan  verso  di  Dante. 

Rispondea  di  su  '1  Po  T  epica  tromba. 
Tacesti;  e  tacquer  le  melodi  sante. 
Tacque  di  Maro  e  d'Alighier  la  tomba. 


94  JUVENILIA 


XLV. 


ANCORA  VINCENZO  MONTI 


T, 


e  non  il  sacro  verso  e  non  la  resa 
A*  primi  fonti  e  a  la  natia  drittura 
Itala  poesia^  vate,  assecura 
Da  la  rea  pèste  ond'  è  1*  Italia  offesa. 

Mente  che  il  bene  e  il  male  austera  pesa 
E  possente  contempi  si  misura 
Perché  negaro  a  te  culto  e  natura, 
O  buona  a'  vari  affetti  anima  accesa? 

Ch'or  non  udrei  de' bordfllier  Catoni 
Pronta  pur  contro  te  la  facil  gola. 
Pronti  e  de'  cortigian  Bruti  i  polmoni. 

Tu  moristi  in  vecchiezza  oscura  e  sola, 
O  poeta  di  Gracco  e  Mascheroni: 
Costoro  ingrassa  la  servii  parola. 


JUVENIUA  95 


XLVI. 


GIOVAN  BATTISTA  NICCOLINI 


i  empo  verrà  che  questa  madre  antica 
A  gli  esempli  che  fùr  levi  la  fronte 
E  nostre  terre  per  virtù  già  conte 
Tenga  una  gente  di  virtude  amica. 

Or  tra*  due  mari  e  da  Pachino  al  monte 
Sola  un'  oblivione  i  petti  implica, 
Né  questo  molle  cielo  alma  nodrica 
Che  2l  suoi  padri  o  con  sé  mai  si  raffironte. 

Che  te  iaudassim  noi,  plebi  assonnate 
Tra  un  fiottar  lento  d' incresciosi  carmi, 
A  te  saria  vergogna  ed  a  noi  danno. 

0  beati  i  nepoti!  in  mezzora  Tarmi 
Te  di  giorni  miglior  ben  degno  vate 
Con  Dante  e  con  Vittorio  invocheranno. 


%  JUVENILIA 


XLVII. 

AD  ANTONIO  GUSSALLI 

RACCOGLITORE 
DEGLI  SCRITTI  DI  PIETRO  GIORDANI 

V^ual  tra  le  ingiurie  di  Fortuna  e  i  danni 
I  di  traesse  di  conforto  nudi. 
Pur  preparando  ne' solinghi  studi 
Questa  Italia  novella  a  liberi  anni, 

Quel  grande  cui  tremar  preti  e  tiranni 
E  d'ogni  servitù  gli  eterni  drudi 
Quand'ei  gli  ozi  turbò  de' tristi  ludi 
Cui  dritto  è  forza  e  son  ragion  gì'  inganni, 

Narrasti,  ospite  egregio;  e  i  degni  accenti, 
Che  pietà  dì  suo  zel  dritto  infiammava. 
Più  vivi  spirti  a  l' amor  santo  dierci. 

Oh  degno  ei  ben  che  de  le  fiacche  menti 
L' oblìo  lui  segua  e  de  la  turba  prava 
E  il  feroce  oltre  al  rogo  odio  de'  cherci  I 


JUVENILIA  97 


XLVIII. 


A  TERENZIO  MAMIANI 


wome  basti  virtù,  perché  suprema 
Ira  e  furor  d' ingegni  e  pellegrino 
Regno  più  in  fondo  il  nome  italo  prema, 
A  contrastare  il  fato  in  cor  latino, 

Ben  mostri  or  tu:  che,  mentre  ignuda  e  scema 
D' ogni  loda  e  bel  pregio  a  reo  cammino 
Torce  la  gente,  in  su  Tetade  estrema 
Sofo  e  v^^  d'Italia  e  cittadino 

Vero  pur  sorgi,  come  a  '1  secol  bello 
Quando  a  '1  valor  natio  spazio  era  dato 
D' addimostrarsi  in  generosi  esempi. 

0  d' antica  virtù  gentile  ostello 
Petto  latin,  pur  come  suoli,  al  fato 
Dura,  e  di  te  nostro  difetto  adempì. 


Carducci.- 


98  JUVENILIA 


XLIX. 


IN  SANTA  CROCE 


Vw/  grandi,  o  nati  a  le  stagion  felici 
Di  questa  Italia  ch'or  suo  verno  mira, 
A  cui  tanto  spiraro  i  cieli  amici 
Che  in  voi  fùr  pari  amor  potenza  ed  ira; 

In  servitù  che  pur  giova  e  s'ammira 
Cresciuto  a'  giorni  di  valor  nemici. 
In  van  de  gli  anni  miei  contro  la  dira 
OblivTon  chieggo  da  voi  gli  auspici. 

Al  gener  vostro  ozio  è  la  vita,  scherno 
Ogni  virtude:  in  questi  avelli  or  vive, 
Qui  solo,  e  in  van,  la  patria  nostra  antiqua 

A  i  quali  io  siedo  e  fremo,  a  le  mal  vive 
Genti  imprecando  de  Tetade  obliqua 
Dispregiator,  ch'altro  non  posso,  eterno. 


JUVENILIA  99 


L. 


A  UN  CAVALLO 


V 


iva,  o  prode  corsiero!  A  te  la  palma, 
A  te  del  circo  il  platìdir  fremente  ! 
L'uom  che  te  bruta  (;lisse  ignobil  salma. 
Per  te  lo  giuro,  a  sé  adulando  ei  mente. 

Da  quel  corpo  tuo  bello  oh  come  V  alma 
Splendeva,  a  i  premi  ed  a  le  mète  ardente 
Or  posi;  e  guardi  in  tua  leggiadra  calma 
I  vinti  angli  poliedri  alteramente. 

E  vinto  avresti  quei  famosi  tanto. 
Quei  che  immortali  Automedon  giugnea 
E  sferzava  il  Pelide  in  ripa  a  Csanto. 

Deh,  che  non  ferve  a  te  V  arena  elea, 
E  de  l'uguale  a'dii  Pindaro  il  canto 
Che  non  ti  segue  là  su  l'onda  alfea? 


100  JUVENILIA 


LI. 


N, 


on  vivo  io,  no.  Dura  quiete  stanca 
L' ingegno,  e  '1  sempre  vaneggiar  lo  irrita 
Indarno.  Manca  ogni  ragion  di  vita, 
Se  libertade,  ahi  libertà  I,  ne  manca. 

Qui  dischiusa  dal  cor  parola  franca 

È  con  pavento  o  con  ischerno  udita, 

E  argomento  di  riso  altrui  si  addita 

Uom  che  per  sé  del  vulgo  esce  e  si  affranca. 

Or  che  mi  vai,  se  co  '1  pensier  trascendo 
Tra  M  ceto  de  gli  eroi  fuor  de'  neri  anni 
Te  libertà,  divina  ombra,  seguendo? 

Vissuto  io  fossi  a  sterminar  tiranni 

Con  voi,  Roma  ed  Atene;  e  non  garrendo, 

Infermo  augel  eh'  ebbe  tarpati  i  vanni  ! 


JUVENILIA  101 


LII. 


PER  I  FUNERALI  D'  UN  GIOVANE 


S 


e  affetto  altro  mortai  per  te  si  cura. 
Spirto  gentil  cui  diamo  il  rito  pio, 
Pon  dal  ciel  mente  a  questa  vita  oscura 
Che  già  ti  piacque  e  al  bel  nido  natio. 

Vedi  la  patria  come  sua  sventura 
Di  tua  candida  vita  il  fato  rio 
Piangere  e  '1  fior  de  gli  anni  tuoi  cui  dura 
Preme  l'ombra  di  morte  e  il  freddo  oblio. 

Quindi  ne  impetra  tu,  che  a  te  simile, 
Dritta  a  l'oprar,  modesta  a  la  parola, 
Cresca  la  bella  gioventù  virile, 

E -senta  come  a  fatti  egregi  è  scola 
Anche  una  tomba  cui  pietà  civile 
E  largo  pianto  popolar  consola. 


102  JUVENILIA 


LUI. 


±   oi  che  l' itale  sorti  e  la  vergogna 
Del  rio  servizio  a  quale  animo  altero 
O  d' ingegno  o  di  mano  il  pregio  agogna 
Interrompono  inique  ogni  sentiero, 

Peso  è  la  vita  insopportabil  fero 
A  chi  virtude  e  libertà  pur  sogna. 
Ond*  io  quasi  de'  vili  i  premi  or  chero, 
Se  non  che  il  genio  mio  tal  mi  rampogna. 

Oh,  che  pensi,  che  vuoi?  spettacol  degno 
De  i  numi  e  di  sublimi  animi,  uom  forte 
Pugnar  più  sempre  quanto  più  constretto, 

E  M  fato  lui  d'ogn'ira  sua  far  segno, 

E  lui  soffrire  ed  aspettar  la  morte 

Pur  contro  il  mondo  e  contro  i  fati  eretto. 


JUVENILIA  103 


1 


LIV. 


Xli  eh'  io,  perché  lo  schernir  tuo  m' incalza, 
Vinto  porga  la  man,  turba  molesta? 
Non  io  son  fiore  a  cui  brev*aura  è  infesta,^ 
Elee  son  io  che  a'  venti  indura  e  s' alza.  _j 

Mitrata  il  crine  e  cinta  i  fianchi  e  scalza 
Salmeggi  itala  musa;  o,  qual  rubesta 
Menade  oscena  a  suon  di  corno  desta, 
Salti  ed  ululi  pur  di  balza  in  balza. 

lo,  dispregiato  e  sol,  de' padri  miei  ' 

lo  l'urne  sante  abbraccio;  e  mi  conforta 
Riparar  qui  dove  posar  vorrei. 


Manchi  a  me  pur  V  ignuda  gloria,  morta 

Giaccia  co  *1  corpo  la  memoria,  a'  rei 

Sia  scherno  il  vuoto  nome:  oh  che  m'importa? 


I 


104  JUVENILIA 


LV. 


IN  UN  ALBO 


S 


pirto  gentil,  che  chiedi  ?  Ormai  l' altero 
Sogno  vanio  per  V  aure,  e  il  mondo  tace. 
Cadde  l' cilena  dea;  del  mio  pensiero 
Madre,  T  cilena  dea  per  sempre  giace. 

Ahi,  le  pupille  che  nel  sen  d' Omero 
Arser  di  poesia  cotanta  face. 
Che  de'  dardi  cissèi  tra  '1  nugol  fero 
Ridean  superbe  ad  Eschilo  pugnace  ! 

Ahi,  da  la  morte  V  ultimo  suggello 
Ebber  V  alme  pupille  !  Altri  deliro 
Abbraccia  il  corpo  ancor,  gelido  e  bello  : 

Ne  i  secoli  mutati  ombra  io  m'aggiro, 
E  i  novi  templi  guardo,  e  al  vuoto  ostello 
De  la  ionica  dea  torno  e  sospiro. 


JUVENILIA  105 


LVI. 
A.  N.   F.  P. 

RISPOSTA 


C, 


hi  mi  rimembra  la  speranza  altera 
Che  giacque  fulminata  entro  il  mio  core? 
Te  ragguardò  con  mite  occhio  d'amore 
Su  M  nascer  tuo  Melpomene  severa. 

Canta;  e  de  gl'inni  tuoi  l'ala  guerriera 
A  voi  segua  il  risorto  italo  onore: 
Canta;  ed  infondi  a' cor  di  quel  valore 
Che  gli  rapisca  a  più  sublime  sfera. 

Male  co'  di  novelli  ahi  mal  s*  accorda 
Alma  che  da'  sepolcri  anche  s' inspira, 
E  a  lei  risponder  la  camena  è  sorda. 

Veggo  il  suo  vel  fuggente:  e  a  la  mia  lira 
Rompon,  amico,  omai  V  ultima  corda 
Increscioso  dispetto  e  steril'  ira. 


LIBRO   IV 


LVII. 
LA  SELVA  PRIMITIVA 


i    uggendo 

Per  la  gran  selva  de  la  terra  il  nato 
De  la  donna  ululò  già  co' leoni 
A  la  preda  cruenta;  indi,  con  vitto 
Ferin  la  vita  propagando,  incerti 
Videsi  intorno  i  figli;  e  lui  rendente 
De  la  materia  a  le  vicende  eterne 
L' immane  salma,  per  lo  gran  deserto 
Dilaceraro  i  lupi.  E  tu,  febea 
Lampade  solitaria  entro  l'immenso 
RadTante,  non  gemere  le  vite 
Chine  su  l'opra  del  crescente  pane, 
Non  danze  d'imenei  vedesti,  e  madri 


108  JUVENIUA 

Veglianti  a  studio  de  la  culla,  e  curvi 

De'  piì  parenti  a' funerali  i  figli. 

Ma  quindi  per  lo  pian  stridea  la  roggia 

Alluvifone  de' vulcani,  intorno 

Funereo  lume  coruscando;  e  sempre 

Caligavan  le  cime  ardue  tonanti  ; 

E  l'oceàn  muggiva;  e  in  su  l'azzurra 

Alpe  salian  le  nuvole  fumanti 

Da  l'oceano:  paurosamente 

Minacciavano  al  elei  roveri  negre 

Di  vastissima  ombra  quinci;  e  a  l'ombra 

Con  lupi  urlanti  e  fere  altre  la  prole 

S'  accogliea  de  gli  umani.  Al  picciol  uomo 

E  de  la  fulva  leonessa  a  i  parti 

Uno  era  il  nido:  al  fanciulletto  atroce 

Era  sollazzo  provocar  li  sdegni 

De' feri  alunni,  e  le  crescenti  giube 

E  r  unghie  e  l' armi  de  la  bocca  orrende 

Tentar  con  man  pargoleggiante,  e  lieto 

Via  contendere  a  correre  co' pardi. 

Ma  de  l' atro  vulcan  1'  uomo  e  del  fuoco, 

De  r  instancabil  fuoco,  egli  temea; 

E  con  rozzo  stupor  guatava  il  mare 

Immenso.  Anche  fuggia  l'urlo  de' venti 

Signoreggiante  ne' boschi;  e  del  tuono. 

Che  pe*  monti  da  1'  aere  ermo  rimbomba, 

Chiuso  ne  le  spelonche  isbigottiva. 

E  al  suon  de  la  procella,  e  a  l'esultante 

Per  li  templi  de  1'  etra  ira  de'  nembi. 


JUVENILIA  109 

E  al  fulmine  stridente,  un  tremor  gelido 
Per  Tossa  ime  gli  corse;  e  s* atterrava, 
E  gemea.  Lieto  del  superbo  sole 
Era,  e  pensoso  il  verno  aere  ammirava: 
Ma  più  seduto  a  lungo  in  verde  zolla 
Si  compiacea  de  le  verginee  stelle. 


1 10  JUVENIUA 


LVIII. 


PROMETEO 


E 


ama  è  che  allor  Prometeo,  fuggendo 
Le  sedi  auree  d'olimpo  e  de  le  sfere 
L' immortai  suono,  al  nostro  mondo  errasse 
Peregrino  divin.  Muto  correa 
Il  sole  almo  e  la  luce 
Per  r  infinito  oceano,  e  del  mondo 
L'ignota  solitudine  tacea: 
Deserta  s'accogliea 
La  greggia  umana  a  V  ombra 
De  la  gran  selva  de  la  terra:  ed  egli 
Seco  recava  nel  fatai  cammino 
Il  rapito  dal  ciel  fuoco  divino. 
Se  non  che  dura  a  tergo 
Gli  si  premea  la  Forza  e  la  ferrata 
Necessità:  scuotea  T  una  i  legami 
De  l'adamante  eterno,  e  l'altra  i  chiovi 
Con  la  imminente  mano 
Su  la  fronte  stendea  del  gran  Titano: 


JUVENILIA  1 1 1 

Mentre  il  Saturnio  ne  la  rupe  infame 
Instigava  del  negro  augel  la  fame. 
Ma  rinfiammò  in  Orfeo 
LMnestinguibil  foco,  ed  egli  mosse 
Il  duro  sasso  de  le  umane  menti 
Citareggiando  e  le  foreste  aurite; 
Fin  che  pittore  de  V  uman  pensiero 
Pari  a' numi  ed  aliato  alzossi  Omero. 


1 12  JUVENILIA 


LIX. 


OMERO 


T, 


ra  le  morti  e  l'alte 
Ruine  de  gli  umani  e  lo  sgomento 
Viaggiando  la  Parca,  il  ferreo  carro 
Agitava  la  Forza;  e  lei  reina 
La  Vittoria  seguia  con  il  compianto 
De  la  terra  e  del  cielo.  Al  doloroso 
Genere  allora  sovvenian  le  Muse, 
Care  fra  tutti  gì'  immortali  e  pie 
Divinità.  Correvate  la  terra 
Imaginando  e  ricordando,  e  tempio 
V'era  1' uman  pensiero,  o  pellegrine; 
Quando  voi  nel  sonante  etra^  ne  V  ampio 
De  la  luce  splendor,  ne  la  procella 
Che  divina  scoscende  e  i  cori  prostra, 
Prima  Omero  senti.  La  mano  ei  porse 
A  la  cetra,  e  lo  sguardo  al  mar  di  molte 
Isole  verdi  popolato,  al  cielo 
Almo  su  la  beata  Eubèa  raggiante, 


JUVENILIA  113 

E  a  voi  tessali  monti  esercitati 
Dal  pie  de  gl'immortali.  Ardea.  fremea, 
Trasumanato,  il  giovinetto;  e  mille 
Di  numi  ombre  e  d*eroi  nel  faticato 
Petto  surgeano  a  domandargli  il  canto. 

Ed  ei  pregò,  la  genitrice  Terra 
Molto  adorando  e  il  Cielo  antico;  e  a' suoi 
Vóti  secondo  te  chiamò  che  in  alto 
Hai  sede  e  regni  V  invernai  Dodona, 
Giove  pelasgo.  E  voi  spesso  invocando, 
Voi  già  prodotti  in  più  sereno  giorno 
Eroi  figli  de'  numi  e  di  tiranni 
Domatori  e  di  mostri,  e  quei  che  forti 
Furo  e  co' forti  combatteàno,  venne 
Del  re  Pelide  al  tumulo.  E  sedeva 
Inneggiando,  e  chiamava  —  O  crollatore 
Terribile  de  1'  asta,  o  d' immortali 
Cavalli  agitator,  mostrati  al  vate, 
Uom  nato  de  la  diva.  Un  fatai  canto, 
Ecco,  io  medito  a  te;  che  n'abbian  gloria 
Eliade  e  Ftia  regale  e  d'  Eaco  i  figli. 
Incremento  di  Giove.  E,  deh  m'assenta 
Questo  vóto  la  Parca!  io  ne  la  gloria 
Tua  de  gli  elleni  il  bel  nome  disperso 
Raccoglierò  poeta.  Odo,  la  diva 
Odo:  e  di  te  la  grave  ira  mi  canta. 
0  re  Pelide,  al  tuo  poeta  mostrati.  — 

Carducci.  8 


114  JUVENILIA 

Disse.  E  Tudia  l'eroe;  che  da  le  belle 
Isole  fortunate  ove  i  concenti 
De'  vati  ascolta  e  quanto  a'  numi  è  caro 
Chi  a  la  patria  versò  l'anima  grande, 
Venne;  ed  in  sue  divine  armi  lucente 
Isfolgorava  deiforme.  Un  sole 
Eran  armi  e  sembiante;  e  óome  stella 
Di  Giove  che  in  sereno  aere  declina, 
Pioveaglr  su  le  spalle  ampie  il  cimiero 
Flutto  di  chiome  equine.  E  Omero  il  Vide 
Attonito;  né  più  gli  occhi  d'Omero 
Vider  ne  i  campi  d'  Argo  il  dolce  sole. 

Né  se'n  pianse  il  poeta.  Errò  mendico 
(E  avea  ne  gli  occhi  la  stupenda  forma) 
Il  suol  de  i  forti  elleni;  e  le  cittadi, 
Opra  di  numi,  ei  non  vedea;  si  tutte 
Di  lor  sedi  erompean  le  achee  cittadi 
A  r  incontro  del  vate.  Un  drappelletto 
Di  garzoni  e  fanciulle  (avevan  bianco 
Il  vestimento  e  lauri  in  pugno  avvolti 
De  la  mistica  lana)  intorno  al  vate 
Stringeasi  con  amor:  -—  Vieni,  o  poeta, 
A  i  nostri  numi  ;  e  i  nostri  avi  ne  canta  — 
E  r  adducean  per  mano.  Egli  passava: 
Gli  ondeggiavan  di  popolo  le  strade; 
E  le  madri  accorreano,  i  pargoletti 
Protendendo  al  poeta.  Orava  a' numi 
Ne  l'entrar  de  le  porte  —  O  dii  paterni 


JUVENILIA  1 15 

E  o  dee  che  avete  la  cittade  in  cura, 
Deh  guardatela  molti  aiwii-^a'nepoti.  — 
Ne  l'agora  sedea,  curvo  a  la  terra 
Il  capo  venerando;  e  parea  Giove 
Quando  ne  r  areopago  discende 
Da  la  reggia  d' olimpo.  Erangli  intornò 
In  su  r  aste  di  lunga  ombra  appoggiati 
I  prenci  figli  de  gli  eroi:  diverso 
E  d*  infanti  e  di  femmine  e  di  vegli 
E  di  chiomati  giovinetti  un  vulgo 
Addensato  co  gli  omeri  attendea. 
Stavan  presenti  i  patrii  numi:  il  cielo 
Patrio  rideva  in  suo  diffuso  lume 
Allegrato  del  sol:  riscintillando 
In  vista  ardea  la  ionia  onda  famosa, 
E  biancheggiavan  lunge  i  traci  monti. 
Ed  Omero  cantò.  Cantò  di  un  nume 
Che  in  nube  argentea  chiuso  ognora  il  petto 
Assecura  de* giusti;  e  come  il  divo 
Senno  di  Palla  per  cotanto  mare 
Di  perigli  e  di  morte  al  caro  amplesso 
Radducea  di  Penelope  e  a  la  vista 
De  la  sua  cilestrina  isola  Ulisse. 
Anche,  su  M  capo  a  gli  empi  assidua  V  ira 
Minacciando  ed  il  fato,  a  l' alme  leggi 
De  l' umano  consorzio  e  a  la  vendetta 
Le  deità  d'  averno  addusse  il  vate 
Pfoteggitrici  forze:  onde  solenne 
La  ruina  di  Troia,  e  spirò  il  duolo 


116  JUVENILIA 

Dal  tragico  terrore  e  il  miserando 
Edippo  da  le  attèe  scene  ed  Oreste 
Esagitaron  l'anime  cruente. 

Ecco  !  gr  immoti  e  spenti  occhi  levando 
Nel  cielo  e  desiando  il  sol  che  vide 
Le  guerre  sotto  il  sacro  Ilio  pugnate, 
Di  tutto  il  capo  alzasi  il  veglio;  e  Grecia, 
Senza  moto  e  respiro,  in  lui  riguarda. 
Ecco!  la  man  su  l'apollinea  cetera 
Rapidissima  batte,  orride  stridono 
Le  ionie  corde,  i  volti  impallidiscono. 
E  cantò  del  Tidide  a  tutta  corsa 
Disfrenante  su'  Dardani  la  biga, 
Dritto  ei  nel  mezzo,  e  mena  l' asta  in  volta: 
Caggiono  i  corpi:  infuriano  nel  sangue 
I  corridor  fumanti:  urla  la  morte 
Dietro  r  eroe  :  corron  le  furie  innanzi. 
Lo  spavento,  la  fuga.  E  te  piantato 
In  su  la  nave,  o  re  Telamonide, 
Cantò  ;  come  e  del  gran  corpo  e  de  V  asta 
Grande  e  ben  ventidue  cubiti  lunga 
Reggei  lo  sforzo  de  la  pugna,  ed  eri 
Solo  tu  contro  mille:  a  fronte  urlavano, 
Accorrenti,  irrompenti,  risplendenti 
D'  armi  e  di  faci  i  Teucri  :  Ettor  crollava 
Con  man  la  poppa:  sovra  èrati  Apollo 
E  l'egida  scotea:  tonava  il  padre 
Da  l'olimpo  su' greci:  affaticato 


JUVENIUA  117 

A  te  cadeva  il  braccio,  e  ti  battea 
Alto  anelito  i  fianchi  —  Oh  viva,  oh  vivai  - 
Gridan  l'anime  achive  asta  con  asta 
Percotendo,  e  il  clamor  levan  di  guerra.  ' 
Balza  il  poeta;  e  la  canizie  santa 
Scote  e  la  fronte  ampia  serena,  in  vista 
Nume  veracemente.  —  Udite,  o  figli: 
La  gloria  udite  de  la  lega  ellèna. 
Achille  ftio  sangue  di  Giove.  —  E  disse 
Come  d'un  grido  (gli  splendea  dal  capo 
Di  Pallade  la  luce)  isbigottf 
Le  dàrdane  caterve;  impauriti 
Ricalcitraro  orribili  i  cavalli. 
Ed  annitrendo  sbaragliati  i  cocchi 
Rapivano  a  le  mura:  e  qual  con  Csanto 
Fiume  di  Giove  ei  contrastasse;  e  come 
Dopo  ila  biga,  a  le  difese  mura 
Intorno,  egli  il  divin  corpo  di  Ettorre 
Tre  volte  orribilmente  {strascicasse 
Entro  l' iliaca  polve.  Armi  fremendo 
E  prenci  e  vulgo  gridano  il  peana: 
Marte  spiran  gli  sguardi:  e  tutti  in  cuore 
Già  calcavan  nemici,  e  a  le  paterne 
Are  affiggean  le  belle  armi  votate. 
Ma  pio  davan  le  argèe  vergini  un  pianto 
Su  la  morte  di  Ettorre:  e  chi  a  la  cara 
Patria  e  a  le  spose  e  a'  pargoletti  imbelli 
E  a' templi  santi  il  suo  sangue  fea  sacro, 
Gioia  avea  de  la  morte:  onde  nel  giorno 


\118  JUVENILIA 

De  le  battaglie  infurKò  tra'  Medi 

La  virtù  greca,  e  il  nome  Atene  e  V  ire 

Commise  del  potente  Eschilo  al  canto. 


JUVENILIA  1 19 


LX. 


DANTE 


Jr  orti  sembianze  di  novella  vita 

Circondar  la  tua  cuna, 

O  re  del  canto  che  più  alto  mira 

Gentil  virago  ardita, 

Quale  non  vider  mai  le  argive  sponde 

Né  le  latine,  e  d*amor  balda  e  d'ira, 

A  te  venia  la  bella 

Toscana  libertarie;  e  il  pargoletto 

Già  magnanimo  petto 

Ti  confortava  de  la  sua  mammella. 

Tutta  accesa  ne'  raggi  di  sua  sfera. 

Mite  insieme  ed  austera, 

Venne  la  fede;  e  per  un  popoloso 

Di  visioni  e  d'ombre  oscuro  lito 

La  porta  ti  mostrò  de  1*  infinito. 

Gemebondo  e  pensoso,  e  pur  di  rose 

Ad  altr*  aura  fiorite  il  crin  splendente, 

Con  te  si  stette  amore 


120  JUVENILIA 

Lunga  stagione;  e  si  soavi  cose 
Ti  parlò  con  le  labbra  vereconde, 
E  si  dolce  ti  entrò  le  vie  del  core, 
Che  ninno  al  par  di  te  sentio  d'amore. 

Ma  spesso  ancor  del  meditar  solingo, 

O  giovinetto  schivo, 

Te  scuotevan  clamor  fiero  e  tumulto 

E  furor  di  fratelli 

Duellanti  ad  uccidersi.  Stridenti 

Per  le  vicine  mura 

Civili  fiamme  udisti;  e  donne  udisti 

Ferire  a  grida  il  ciel,  che  V  are  e  i  lètti 

E  i  fuochi  almi  e  le  cune, 

E  tutto  ciò  che  bello 

Fé'  a  gli  occhi  loro  il  maritale  ostello, 

Tutto  scorgeano  in  ampio  ardore  involto, 

E  minare  in  armi  esso  marito 

Da  gli  amplessi  erompendo,  e  i  giovinetti 

Armi  gridar,  sdegno  anelando  e  stragi: 

E  tu  vedesti  un  furiar  di  spade 

Cercanti  a  morte  i  petti, 

E  nel  guerrier  che  cade 

Minacciar  viva  la  bestemmia  e  l' ira, 

E  in  gran  sangue  confuse 

Bionde  teste  canute,  e  a  libertade 

Spettacolo  di  umane  ostie  esecrate 

Dar  le  furie,  e  crollar  truce  la  morte 

Le  immani  torri  e  le  ferrate  porte. 


JUVENILIA  121 

Crebbe  tra  i  feri  obietti 

L'italo  ardito  spirto; 

E,  al  lungo  odiò  civil  pregando  fine,     • 

D'  amor  si  pure  imagini  e  si  nove 

Vide  e  ritrasse  a  V  ombra 

D'un  mirto  giovinetto 

Che  le  inchina  adorando  ogni  intelletto^ 

Lui  dal  soave  inganno 

Destò  voce  di  pianto 

Sonando  amara  su'l  materno  fiume. 

Ahi,  dal  turbine  infranto 

Giacque  il  bel  mirto,  e  con  aperte  piume 

La  colomba  d'amore  ahi  se  n'è  gita 

Impetrando  al  suo  volo  aura  più  pura. 

Ei  per  entro  l'oscura 

Caligine  de'  secoli  ondeggiante 

Rifuggi  tra  le  antiche  ombre  famose, 

Ch'ebbe  sé  in  odio  e  le  presenti  cose, 

Ed.  usci,  nel  crepuscolo,  gigante. 

Ed  ombra  apparve  ei  stesso  ;  ombra  crucciosa, 

Che  ad  una  ad  una  interroga  le  tombe 

Nel  deserto,  e  le  abbraccia  ad  una  ad  una; 

Fin  che  dinanzi  a  tui  tra  le  ruine 

Barbariche  e  la  polve 

Fumò  il  vigor  de  le  virtù  latine, 

E  tutto  quel  che  una  ruina  involve 

Feri  l'aura  silente 

Di  un  grido  alto  e  possente. 

Ne  r  alta  vistone 


122  JUVENILiA 

Diviti  surse  il  poeta;  e  disdegnando 

La  triste  Italia  e  per  mancar. d'obietto 

Pargoleggiante  il  gran  vigor  natio» 

Te  salutò  in  desio, 

Alma  Italia  novella. 

Una  d'armi  di  leggi  e  di  favella. 

A  riportar  nel  vero 

Imagine  cotanta,  egli  la  vita 

Che  per  lo  mar  de  l' essere  si  voi  ve 

Cercò;  d'entro  la  polve 

E  dal  suon  del  passato  il  bene  e  il  male 

Trasse,  vate  fatale:  e  la  sua  voce 

Come  voce  di  Dio  da'  sette  colli 

Tuonò  su  '1  mondo,  e  tutti  a  sé  d*  intorno 

I  secoli  evocò.  Giudice  e  donno 

In  lor  suo  sguardo  mise; 

Ammirò  e  pianse,  disdegnò  e  sorrise: 

Poi  li  schierava  ne  V  eterno  canto. 

Piacendo  pure  a  sé  di  poter  tanto. 

Ma  questa  umile  aiuola 

Ove  si  piange  e  s'odia, 

E  questo  eterno  inganno,  e  questa  vana 

Ombra  e'  ha  nome  vita  ed  è  si  bassa, 

T'era  in  dispetto.  Poi  che  il  sacro  versò 

A  tutto  r  universo 

Descrisse  fondo,  e  il  buon  sofo  gentile 

Te  mise  dentro  a  le  scerete  cose. 

Veder  volesti  come  l' angel  vede 


JUVENILIA  1^ 

Colà  dove  non  è  di  nebbia  velo, 

Amar  volesti  come  s'ama  in  cielo. 

Su  per  le  vie  d' amore 

Quest'  umil  creatura 

Risospingendo  innanzi  al  creatore, 

Quetar  volesti  in  queir  eterno  vero 

Che  il  grande  amor  ti  dette  e  il  gran  pensiero., 

Cesse  Virgilio  a  tanto; 

E  tu  deserto  e  solo: 

Spirito  uman,  per  entro  il  gran  desio 

Sommerso  vaneggiavi,  e  dubitando 

Tu  disperavi:  quando 

Su  r  angeliche  penne 

Al  tuo  dolor  sovvenne 

Quella  eh*  è  amore  e  visione  e  luce 

Tra  l'intelletto  e'I  vero: 

Nomarla  a  me  lingua  mortai  non  lice; 

Tu  la  dicesti,  amando.  Beatrice. 

Cosi  di  sfera  in  sfera. 

Tutto  era  melodia  quello  che  udivi, 

Tutto  quel  che  vedevi  era  una  luce; 

E  tutti  quanti  erano  amore  i  sensi, 

E  lo  spirto  ed  il  verso  un'armonia 

Simile  a  quella  che  là  su  s'india. 

Deh,  qual  parveti  allora 
Quest'  umil  patria,  e  qual  de  le  partite 
Città  la  lite  (ahi  come  quella  eterna 
Che  sempre  trista  fa  la  valle  inferna!). 


124  JUVENILIA 

Quando  novellamente 

Di  ciel  disceso  ne  portavi  il  canto 

Supremo,  e  tutto  avevi  il  nume  in  fronte, 

Come  l'antico  che  scendea  dal  monte? 

Innanzi  a  te,  splendente 

Pur  anche  nel  fulgor  del  regno  santo, 

Balenò  di  vermiglia 

Luce  il  campo  feral  di  Montaperto, 

E  pe  '1  tristo  deserto 

De  le  crete  maligne 

Un  fioco  suon  correa 

Come  sospir  di.  battaglier  morenti; 

Cui  lontan  rispondea 

Con  un  rumor  di  molto  pianto  umano 

Di  Campaldino  il  maledetto  piano. 

E  tu  dal  mar  toscano, 

Rea  Meloria,  sorgesti; 

E  la  gloria  dicesti 

De  le  nefande  stragi,  e  da  la  nostra 

Rabbia  infamati  i  sassi  ermi  al  Tirreno, 

E  *1  grande  equoreo  seno 

Incestato  di  sangue,  e  tristo  il  bello 

Ligure  lito  di  pisani  esigli, 

E  nati  solo  al  fratricidio  i  figli. 


JUVENILIA  125 


LXI. 


BEATRICE 


JLja  luminosa  testa 

Dritta  al  eie!  sorridea, 

E  il  collo  si  volgea  —  roseo  fulgente. 

La  fronte  splendiente, 

Alta,  serena,  bella, 

E  la  rosa  novella  —  del  suo  viso 

E  il  freschissimo  riso 

Di  pura  giovinezza 

Mi  svegliaron  dolcezza  -—  nova  in  cuore. 

Ma  di  soave  orrore 
Tutto  mi  sbigottiva 
De  la  persona  diva  —  il  portamento. 

Ondeggiava  coi  vento 

A  r  aere  mattutina 

La  vesta  cilestrina  —  e  il  bianco  velo. 


126  JUVENILIA 

Cosi  donna  dal  cielo 

Mi  passava  d'avanti 

Angelica  in  sembianti  —  e  tutta  accesa. 

La  mente  mia  sospesa 
Pur  a  lei  riguardava, 

■ 

E  l'alme  quietava  —  sospirando, 

Poi  dissi  =  Or  come,  or  quando 

Fu  la  terra  si  degna 

Che  tal  d'amore  insegna  —  in  lei  si  posi? 

Che  padri  avventurosi 

Al  secol  ti  donaro? 

Che  tempi  ti  portaro  —  cosi  bella? 

Qual  più  serena  stella 

Prima  forma  t'accolse? 

Qual  divo  amor  t'avvolse  —  del  suo  lume? 

Ben  fia  l' uman  costume 

Volto  a  segno  felice 

Se  di  te  beatrice  —  si  ricrea.  = 

=  Non  donna,  io  sono  idea 

Che  a  r  uomo  il  eie!  propose 

Quando  de  l' alte  cose  —  ardean  gli  studi, 


JUVENIUA  127 

E  i  cuor  non  anche  nudi 

Di  lor  potenza  ignita 

Combattean  con  la  vita  —  aspra  e  co  '1  vero, 

E  al  valido  pensiero 

E  a  la  balda  speranza 

Diér  l' armi  di  costanza  —  amor  e  fede. 

Allor  d' aerea  sede 

Tra  quei  gagliardi  io  venni, 

Ed  accesi  e  sostenni  — -  le  tenzoni, 

E  stretta  a'  miei  campioni 

Pei  ne  V  amplesso  forte 

Bella  parer  la  morte  —  e  la  disfatta. 

Da  i  vaghi  ingegni  tratta 

In  versi  ed  in  colori 

Io  vagai  tra  gli  allori  —  in  riva  d'Arno. 

Voi  mi  cercate  incjarno 

Ne' vostri  angusti  lari. 

Non  Bice  Porti  nari,  —  io  son  l' idea.  — 


128  JUVENILIA 


LXII. 


AGL'  ITALIANI 


D, 


ivinatrice  d' altre  genti  indaghe 
Barbari  flutti  la  britanna  prora 
Là  dove  V  indo  pelago  colora 
L'  ultime  plaghe  : 

Artici  ghiacci  a' liberi  navili 
Vietino  indarno  i  bene  invasi  mari, 
E  '1  fero  lito  d' Orenoco  impari 
Culti  civili: 

Frema  natura,  e  i  combattuti  arcani 
Ceda  a  l'intenta  chimica  pupilla: 
Fulminea  voli  elettrica  scintilla 
Per  gli  oceani: 


JU  VENI  LIA  129 

Umana  industria  in  divo  lume  avvolta; 
Spezzi  il  mistero  e  le  sognate  porte, 
E  minacciando  insultino  a  la  morte 
Galvani  e  Volta:  / 

Che  vai,  se  in  vizi  pallidi  feconda 
Del  lento  morbo  suo  Tetà  si  gode 
E  colpe  antiche  di  moderna  lode 
Orna  e  circonda? 

Odi  sonare  i  facili  profeti 
Con  larga  bocca  e  Cristo  ed  evangelo, 
Odi  rapiti  in  santo  ardor  di  cielo 
Sofi  e  poeti 

Vaticinanti  —  Da  l'avita  asprezza 
Nel  mitic'oro  il  docil  tempo  riede: 
Del  lauro  antico  degnamente  erede 
La  giovinezza 

Già  de  la  patria  medita  T  onore: 
Gli  anni  volanti  interroga  la  speme: 
Guatan  placati  al  bello  italo  seme 
Gloria  e  valore.  — 

Oh  non  di  forza  un  secol  guasto  allieta 
Sillogismo  di  mistica  sofia, 
Non  clamor  di  tribuni  e  non  follia 
D'ebro  poeta. 

Carducci.  9 


130  JUVENILIA 


Putre  fluisce,  e  ne  le  sue  sorgive 
Livida  già  la  vita:  da  le  prime 
Cune  r  inerzia  noi  caduche  opprime 
Genti  mal  vive. 

Quando  virtude  con  fuggenti  piume 
Sprezza  la  terra  e  chiede  altro  sentiero, 
L'ardor  del  buono  e  lo  splendor  del  vero 
Rado  s' alluma, 

Languido  il  cor  gli  spirti  suoi  più  belli 
Ammorza  e  stagna  torbida  la  mente, 
Speme  si  vela  e  disdegnosamente 
Guarda  a  gli  avelli. 

O  padri  antichi,  a' vostri  petti  degno 
Culto  eran  patria  e  libertà;  verace 
Vita  agitava  V  anima  capace 
E  il  forte  ingegno. 

Pii  documenti  di  civil  costume, 
Opre  gentili,  e  amore  intellettivo 
Del  buon  del  vero  del  decente,  e  vivo 
D'  esempi  lume 

Vedeano  i  figli  ne  la  sacra  etate 
De*  genitori  e  ne'  pudichi  lari  ; 
E  sobri  uscieno  cittadini  cari 
Ne  la  cittate. 


JUVENILIA  131 


Crescean  nel  lieto  strepito  frequente 
De  le  officine,  gioventù  severa, 
Forte  le  membra,  indomita  ed  intera 
L' alma  e  la  mente. 

Durar  nel  ferro  il  giovin  corpo  altiero, 
Vegliar  le  notti  gelide,  ed  immoti 
Prostrare  a  morte  libera  devoti 
Marte  straniero, 

Fùr  loro  studi.  Poi  con  man  trattando, 
Con  trionfale  mano,  e  lane  e  sete, 
Appesi  a  la  domestica  parete 
L'  asta  ed  il  brando, 

A  le  pie  mogli  dissero  le  dure 
Fortune  de  le  pugne,  ulte  le  offese 
Ne  le  barbare  torme  al  pian  distese, 
E  le  paure 

De  le  regie  consorti  e  gli  anelanti 
Sogni  su  '1  fato  del  signor.  Pietose 
De  i  dolori  non  suoi  piangean  le  spose 
Memori  pianti. 

Ma  il  figliuoletto,  le  domate  squadre 
Seco  pensando  ed  il  clamor  di  guerra. 
Con  occhio  ingordo  riguardò  da  terra 
L'armi  del  padre; 


132  JUVENILIA 


E  crebbe  fero  giovinetto,  spene 
Cara  a  la  patria  e  forza  di  sua  gente. 
Bello,  di  gioventù,  d'armi  lucente, 
Eì  viene,  ei  viene. 

Suonano  i  campi  sotto  il  gran  cavallo 
Che  altero  agita  in  corso  onda  di  chiome: 
Fuggon  le  schiere  e  pavide  il  suo  nome 
Gridan  nel  vallo. 

Chi  fia  che  tenti  quel  novel  lione? 
Morte  de  la  sua  vista  esce  e  paura. 
Ei  passa^  e  pianta  su  le  vinte  mura 
Il  gonfalone. 

Or  tòsco  a  i  figli  è  il  prepotente  canto 
E  il  docil  guizzo  de' seguaci  moti 
Onde  vergogna  passerà  a  i  nepoti 
D'Ellsler  il  vanto. 

Vile  ed  infame  chi  annebbiò  il  pudico 
Fior  de' tuoi  sensi  ne' frementi  balli, 
O  giovinetta,  e  stimolò  de' falli 
Il  germe  antico! 

E  maledetta  la  procace  nota 
Ch'  alto  ti  scuote  il  bel  virgineo  petto 
E  che  nel  foco  del  segreto  affetto 
Tinge  la  gota  ! 


JUVENILIA  133 


Gioite,  o  padri;  e  a  Palma  ed  a  la  mente 
Galliche  fole  di  peccar  mezzane 
Esca  porgete.  Da  le  carte  insane 
Surga  sapiente, 

Surga  e  proceda  l'erudita  e  bella 
Vostra  Lucrezia  a  gì'  itali  mariti,    v 
Pura  accrescendo  a  i  sacri  rami  aviti 
Fronda  novella. 

Ma  non  di  tal  vasello  uscia  l'antico 
Guerrier,  che  a  sciolte  redini,  feroce, 
Premea  de  V  asta  infensa  e  de  la  voce 
Te,  Federico. 

0  di  cor  peregrina  e  di  favella 

E  di  vesti  e  di  vizi,  o  in  odio  a'  numi 

E  a  gli  avi  ed  a  la  patria,  or  che  presumi, 

Stirpe  rubella? 

Sgombra  di  te  la  sacra  terra;  o  in  fondo 
Putrida  giaci  dal  tuo  morbo  sfatta, 
E  i  vanti  posa  e  la  superbia  matta, 
Favola  al  mondo. 

Oh,  poi  eh'  avverso  è  il  fato  ed  a  noi  giova 
L' oblio  perenne  e  i  gravi  pesi  e  1'  onte, 
Rompa  su  d'oltre  mare  e  d'oltre  monte 
Barbarie  nova! 


134  JUVENIUA 


Frughili  de  gli  avi  ne  le  tombe  sante 
Con  le  spade  ne' figli  insanguinate, 
E  calpestin  le  sacre  al  vento  date 
Ossa  di  Dante. 


JUVENILIA  135 


LXIII. 
A  ENRICO  PAZZI 

UANDO  SCOLPIVA  IL  BUSTO  DI  VITTORIO  ALFIERI 
E   ALTRI  d'altri  ILLUSTRI  UOMINI 


JL   erché  sdegno  di  fati 

E  Tozio  reo  che  nostre  voglie  ha  piene 

Vie  più  ti  prema,  italo  sangue,  in  basso, 

Né  tu  ti  volga  o  guati, 

Peregrin  tardo  e  vuoto  d'  ogni  spene, 

A  le  glorie  che  son  sovra  il  tuo  passo; 

Non  è  senza  gV  iddii  se  teco  in  basso 

Luogo  ancor  non  ruina 

Ogni  antica  virtù;  che  in  te  sormonta 

Viltade  si  eh'  ogni  speranza  è  gioco. 

Oh,  se  pur  sotto  a'  gravi  pesi  e  a  T  onta 

Sfavilla  ancor  di  quel  leggiadro  foco 

Che  tutta  corse  un  di  terra  latina. 

Vostra  mercé,  petti  gentili,  dove 

Or  fa  nostro  valor  l'ultime  prove. 


136  JUVENILIA 


E  te  a  la  bella  schiera 

Il  fortissimo  amor  fece  consorte 

Che  oprando  hai  mostro  per  si  nove  guise. 

Deh  chi  potea  la  fiera 

E  grande  imago  vendicar  da  morte, 

Di  noi  da  ignavia  rea  menti  conquise? 

Te,  certo,  te  T ombra  divina  arrise; 

Si  ch'eguale  al  subietto 

Tua  virtù  si  levò.  D' amor,  d' iroso 

Amor  vampo  su  V  alta  impresa  il  core. 

Come  cred' io  che  al  ciglio  lacrimoso  . 

E  a  l'occhio  ardente  ed  a  l'ansar  del  petto 

Si  paresse  il  magnanimo  furore! 

Che  nulla,  o  prode,  è  di  tua  man  la  bella 

Lode  verso  il  pensier  che  in  te  favella. 

O  caro,  a  cui  possente 

Spirò  pietà  di  questa  madre  antica 

E  a  r  oppa  degna  carità  suase  ! 

Vedi  la  nova  gente 

Come  a'  parenti  suoi  fatta  è  nemica 

E  deserta  di  sua  luce  rimase. 

Rea  servitù  gli  antichi  spirti  rase 

Da'  cor  difformi  ;  e  omai 

A  noi  disnaturar  fatti  siam  pronti. 

Come  turbo  d'  usanza  avvien  che  spiri. 

Ah,  scesa  giù  de' mal  vietati  monti 

Pèste  diversa  che  le  menti  aggiri  : 

Per  te  vita  n'  è  spenta.  E  nostri  guai 


JUVENILIA  137 


Cresce  la  vana  gioventù  superba 

Che  tutti  i  frutti  suoi  consuma  in  erba. 

Alto  è  d' amor  consiglio 

Ritornare  al  primier  rito  civile 

Quel  che  di  tanta  gloria  oggi  ci  avanza, 

Si  che  dal  turpe  esiglio 

Ripigli  l'arte  il  suo  cammin,  gentile 

Confo rtatrice  a  V  itala  speranza. 

Deh,  per  questa  valente  abbian  possanza 

Indurre  a' cor  vergogna 

Le  imagini  de' grandi  in  cui  s'aduna 

Quantunque  è  del  buon  seme  a' tempi  nostri. 

Ben  procurasti  contro  rea  fortuna, 

Se  le  dive  sembianze  or  si  ne  mostri, 

Ch'  esciam  del  sonno,  ove  nostr'  alma  agogna 

Disdegnando  e  fremendo.  È  degno  affetto 

Ira^  sol  ira,  in  servo  italo  petto. 

Vittorio,  e  s'or  ne  pari 

Tu  qui  veracemente  e  quel  tuo  sdegno 

Che  sol  del  ricordar  ne  fa  sgomenti, 

Qual  fia  l'anima  pari 

A  tanta  vista  e  '1  ben  creato  ingegno 

Che  sé  da  l'ira  tempri  e  dà' lamenti? 

Lunge,  lunge  di  qua,  spiriti  lenti!  • 

Ch'ove  gli  affetti  erranti 

Fioca  dan  luce,  ed  a  1'  ardir  sublime 

Che  contrasta  il  destino  uom  non  s'allegra; 


138  JUVENILIA 


Ove  contente  a  la  quifete  ed  ime 

Giaccion  le  menti,  e  scherno  ahi  scherno  a  l'egra 

Gioventude  è  il  desio  del  raro  e  i  pianti 

De  la  virtude  e  Tire;  ivi  alta  l'ombra 

Di  morte  incombe  e  i  cuor  disfatti  ingombra. 

Tu  '1  sai,  che  nostra  terra. 

Errando  del  tuo  sdegno  in  compagnia, 

Del  sacro  suon  di  libertade  empiesti; 

Quando  venuto  in  guerra 

Di  re,  di  plebi  e  di  tua  stirpe  ria 

Tanto  pe  "1  patrio  ciel  grido  mettesti  : 

Pur  si  stierono  i  lenti.  Or  più  funesti, 

O  spirito  cortese, 

Ne  si  girano  i  fati;  e  nulla  afta 

Veggo  a  mia  gente  che  tra  via  pur  cade. 

Dunque  sempre  smarrita 

Fia  dal  suo  corso?  e  in  noi  sempre  viltade 

Suo  soverchio  userà?  fien  d'oz^io  offese 

Nostre  menti  in  eterno  ?  e  veramente 

Persa  è  la  tempra  di  ciascun  valente? 

Chi  provvede  al  difetto 

Ch'è  pur  da  noi?  chi  noi  d'oblio  ravvolti 

Di  pur  rinnovellare  or  ne  fa  dono? 

Ecco  un  sacro  intelletto 

Ascoso  dir,  te  figurando  —  I  volti 

Drizzate  al  ver:  sorga  il  valor  eh*  è  prono. 

Costui  che  novamente  io  vi  ridóno 


JUVENILIA  139 


Alzi  il  cor  de'  sommersi  ; 

E  chi  muta  co  '1  vento  e  nome  e  lato 

Sgridi;  e  punga  i  ritrosi,  e  i  lenti  scota; 

Si  che  tornin  le  menti  al  proprio  stato. 

Nostra  compianta  fama  e  la  rimota 

Età  ve  'n  priega,  e  questi  onde  a  gli  avversi 

Chiaro  fu  come  in  su  gli  estremi  giorni 

L'itala  possa  sovra  sé  ritorni. 

Pietoso!  E  chi  d'uguali 

Laudi  te,  o  buono,  aclornerà,  che  prove 

Si  degne  mostri  onde  a  ben  far  c'incore? 

Segui:  a' tuoi  liberali 

Studi  è  fin  meraviglia,  e  di  lei  move 

Ogni  bel  senso  onde  più  Tuom  s' onore. 

Per  lei,  l'atra  quiete  e  le  brevi  ore 

Terrene  e  le  fatate 

Pene  indignando,  a' vagheggiati  inganni 

Corre  nostr'alma  con  novelle  piume, 

E  maggior  se  ne  fa.  Deh,  siegui;  e  gli  anni 

Tuoi  belli  ozio  non  vinca  e  rio  costume, 

Cara  nostra  speranza  ;  e  d' onorate 

Opre  giovando  questa  patria,  al  vile 

Sopor  contrasti  l' ardir  tuo  gentile. 


140  JUVENILIA 


LXIV. 


LAUDA  SPIRITUALE 


JL  ogliete,  umana  gente, 
Togliete  via  le  porte: 
Io  veggo  a  voi^  venirsene  un  potente 
Che  mena  gloria  ed  ha  vinto  la  morte. 

Non  sorge  innanzi  a  lui  suon  di  paura» 
Non  compianto  di  turba  dolorosa; 
Si  fagli  festa  tutta  la  natura 
Adorna  in  vista  di  novella  sposa. 
Date  il  lauro  immortai,  date  la  rosa, 
Fanciulle,  in  suo  cammino, 
Con  la  bianchezza  del  fior  gelsomino. 

Ecco,  ei  viene  il  re  forte  incoronato 
Con  segno  di  vittoria  in  mezzo  a  nui  : 
Fuggon  dal  volto  suo  morte  e  peccato, 
Movon  pace  e  salute  ad  un  con  lui. 
Viene  il  signor  che  de' ribelli  sui 
In  sé  portò  la  pena, 
E  ne  ricomperò  con  la  sua  vena. 


JUVENILIA  141 


Ei  ne  si  fece  nel  dolor  consorte, 
E  tolse  i  nostri  pesi  e  tolse  V  onte  : 
Stiè  nera  intorno  a  lui  T  ombra  di  morte, 
Né  volse  il  padre  al  chiamar  suo  la  fronte; 
Quel  di  che  rimirando  al  sacro  monte 
Uscir  de'  sepolcreti 
I  santi  d'Israele  ed  i  profeti. 

Egli  è  r  Isacco  del  buon  tempo  antico 
Che  porge  al  ferro  il  bel  collo  gentile, 
E  guarda  il  percussor  con  volto  amico, 
E  gli  si  atterra  semplice  ed  umile: 
Né  il  tien  pietà  del  suo  fior  giovenile 
Né  de  la  fine  amara 
Né  de  gli  amplessi  de  la  madre  Sara. 

Ed  or  la  morte  sua  testimoniando 
Qui  seco  trae  la  diva  umanitade, 
Tutto  di  gioia  intorno  irradiando 
Si  come  sole  ch'ogni  nebbia  rade; 
E  gli  alberghi  del  pianto  e  le  contrade 
Ove  mortale  è  il  lume 
Ei  conforta  del  suo  presente  nume. 

A  lui  ne'  regni  de  la  sua  vittoria 
Reggia  s'estolle  d'artificio  mira: 
Cingelo  come  nube  la  sua  gloria, 
E  molto  amore  angelico  lo  gira. 
Voli  dal  loco  ove  il  dolor  sospira 


142  JUVENILIA 


E  vive  morte  e  regna, 

Voli  il  mio  canto  a  lui  che  si  ne  degna: 

E  gli  appresenti  il  duol  de  la  sua  gente 
Che  dal  ben  dilungata  al  ben  desia. 
Come  cerva  per  sete  a  rio  corrente, 
Come  augel  preso  a  Tafire  natia. 
Ei  da  la  spera  che  più  in  lui  s' india 
Mandi  benignò  un  raggio 
A  chi  più  affanna  ed  erra  in  suo  viag^o. 

• 

Levate,  umana  gente. 
Levate  su  le  voglie 
E  i  petti  casti  a  questo  re  clemente 
Che  quale  a  lui  si  volga  in  fede  accoglie. 


JUVENILIA  143 


IXV. 


ALLA  MEMORIA  DI  D.  C 


MORTOSI  DI  FERRO  IL  IV  NOVEMBRE  MDCCCLVII 


i  e,  frate!,  piango,  e  piango  de  la  bruna 
Tua  giornata  l'occaso,  che  seduto 
Ne  le  stanze  paterne  al  cor  più  sento. 
Lenta  sale  pe  '1  freddo  aere  la  luna, 
E  largamente  il  cielo  inalba,  e  il  muto 
Colle  riveste  e  M  nudo  pian  d'argento: 
Per  li  verdi  oliveti  infuria  il  vento 
Profondo,  e  intorno  ogni  animai  si  tace. 
Nel  riso  e  nel  tepor  di  primavera. 
Tristo  cor  mio,  qual  era 
Di  questi  luoghi  la  serena  pace! 
Qual  fu  a  vederlo  con  ardor  virile 
Ruotare  in  breve  giro  agii  destriero 
E  disserrarlo  per  l'aperto  campo! 
Gli  occhi  suoi  mesti  allor  metteano  un  lampo, 
Correa  co' freschi  venti  il  suo  pensiero 
De  l'anno  e  de  l'età  nel  dolce  aprile; 


144  JUVENILIA 


Qualche  sguardo  il  seguia,  qualche  gentile 
Saluto;  e  forse  ombra  invocata  i  rotti 
Sogni  alliettava  a  le  virginee  notti. 

Lasso!  ma  in  groppa  gli  sedea  la  cura 
Negra,  e  stridea  la  vision  di  morte 
Pur  circa  lui  con  fredda  ombra  volante; 
E  per  i  lieti  campi  a  la  pianura 
E  i  monti  aprici  e  la  foresta  forte 
Istimolava  il  destriero  anelante. 
Poi  là  seduto  ove  di  fosche  piante 
Lunga  si  protendea  V  ombra,  tacendo 
La  terra  a  V  azzurrino  aèr  d' intorno, 
Co  'I  bello  estivo  giorno 
Che  roseo  nel  ponente  iva  morendo 
Pianse  V  error  suo  vago  che  a  V  etade 
L'abbandonava;  e  l'anima  inquieta 
Desiando  fermò  ne  le  supreme 
Paci  anzi  tempo.  O  giovinetto,  e  speme 
Ninna  a  te  avanza  altro  che  morte?  pietà 
De  gli  anni  tuoi  da  le  funeree  strade 
Non  ti  richiama?  ahi,  ahi,  né  caritade 
De'pii  parenti  ti  favella  al  core, 
Né  ride  al  fuggitivo  animo  amore? 

Pietà,  speranza,  amor,  tu  con  feroce 
Voglia  dal  cuor  che  mercé  pur  chiamava 
(Deh  quanta  doglia  fu  la  tua!)  schiantasti; 
E,  atteso  e  fermo  a  la  funerea  voce 


JUVENILIA  145 

Che  il  disinganno  a  l'anima  ululava 

Qual  vento  a  notte  per  deserti  vasti, 

Refugio  a  la  fatale  ira  invocasti 

Unico  il  ferro.  Oh,  a  chi  nel  raggio  aurato 

Vegga  maligne  ombre  vaganti  e  vuoto 

Il  divo  cielo  e  immoto 

Su  '1  capo  faticoso  urgere  il  fato 

Che  al  dolore  a  la  pena  al  male  addice 

Lui  de  la  vita  incurioso  e  ignaro, 

Qua  giù  che  resta  omai  ?  Ne  V  innocente 

Mano  il  ferro  adattando  e  lungamente 

Meditando  amoroso  il  colpo  amaro^ 

Ti  sacrasti  a  la  morte.  E  di  felice 

Vita  fioria  natura,  e  la  pendice 

Suonava  a' canti  e  ridea  '1  piano  al  sole. 

Quando  dicesti  V  ultime  parole. 

—  A  me  luce  non  più,  non  più  '1  tuo  riso, 

O  aureo  sole.  Io  vfolento  i  fati 

Ecco  sforzo,  e  rifuggo  ombra  sotterra. 

O  altissima  quiete  ove  diviso 

Poserò  d' ogni  cura,  o  interminati 

Silenzi  e  pace  dopo  vana  guerra  I 

Pur  se' gioconda  a  rimirare,  o  terra! 

Pur  bello,  o  sol,  sei  tu!  Natura  in  festa 

Come  a  rege  a  te  s'orna;  e  d'un  concento 

Ineffabile  io  sento 

Spirar  le  selve,  che  '1  tuo  lume  desta 

Dolce  fulgente.  E  tu,  tu  gli  amorosi 

Carducci.  10 


146  JUVENILIA 

Congressi  illustri  e  la  fraterna  clade 
Miri  ed  aiuti^  imperturbato,  eguale? 
Ed  or  m' arridi  in  fronte,  e  su  '1  letale 
Ferro  che  a  me  volente  il  petto  invade 
Serenamente  il  vivo  raggio  posi. 
Lusinghi  tu  de'  primi  anni  gli  ascosi 
Ricordi,  e  di  gioir  versi  il  desio 
In  questo  petto  morituro  mio? 

Oh  cari  tempi  eh'  io  te  coruscante    . 
Vedea  su  'I  mare;  e  fremea  vasta  Tonda 
Riscintillando,  e  bianco  ardeva  il  cielo! 
Né  aspetto  d' uomo  od  opra  umana  avante 
Erami;  ed  io  per  entro  la  profonda 
Luce  correva  a  V  alta  vista  anelo  : 
Meco  era  Terror  mio  che  un  roseo  velo 
Induceva  a  le  cose.  Oh,  chi  V  ha  tolto 
A  me?  chi  m'ha  l'infausta  vita  appreso? 
Entro  il  mio  sangue  steso 
Me  in  freddo  orror  per  la  mia  man  disciolto 
Reduce,  o  sol,  vedrai.  Fumi  in  conspetto 
Di  lei  eh'  è  al  gener  nostro  empia  madrigna 
Il  sangue  giovenil:  contaminando 
De'  miei  parenti  il  viso,  esso  il  nefando 
Vivere  attesti;  e,  lunge  a  la  maligna 
Forza  eh' a  le  sue  man  del  mondo  ha  stretto 
Il  fren,  su  1'  ale  de  la  morte  eretto 
Fugga  lo  spirto  ove  non  più  si  paté 
E  di  man  di  tiranni  a  libertate. 


JUVENILIA  147 

Grave  durar  la  vita  ed  a  baldanza 

De  i  duri  umani,  io  non  codardo?  e  quello 

Che  largo  a' bruti  e  libero  jiropose    / 

Natura,  a  r  uom  chiedere  in  vano?  A  stanca 

Si  vii  che  mi  dannò?....  Del  mio  novello  ' 

Tempo  il  vigile  tedio  atre  angosciose 

L'ore  misura,  e  le  future  cose, 

Tanto  eh'  a  imaginar  disdegno  e  tremo, 

M'affrontan  mute  orribilmente  in  vista-. 

O  lassa  anima  trista,  .' 

O  giovinezza  mia  stanca,  morremo, 

Qual  peregrin  che  va  per  nova  via 

Tra  genti  liete  ei  mesto,  e  quelle  intorno 

Agitan  festa,  ragguarda  egli  e  passa 

Pur  dolorando,  e  meraviglia  lassa 

Di  suoi  sembianti,  onde  al  cader  del  giorno 

Di  lui  sospira  alcuna  anima  pia; 

Tale  io  passo  al  mio  fin,  tale  a  la  mia 

Mèta  son  giunto.  A  me  chi  guarda?  a  cui 

Del  mio  passar  dorrà?...  Che  monta?  Io  fui.  — 

Disse:  e  geloso  custodi  nel  core, 

Nel  cor  vivente  ei  custodi  la  morte, 

Come  di  cara  donna  il  primo  detto: 

E  non  domestic'  uso  e  non  amore 

Ne  la  deliberata  anima  forte 

Valse  l'orma  a  spiar  del  diro  affetto. 

Come,  ahi  come  a  te  il  cor  bastò,  l' aspetto 

Come  ti  resse,  che  non  tinto  e  bianco 


148  JUVENILIA 

Del  futuro  destino  e  non  in  tristi 
Sembianti  ma  venisti 
Nel  conspetto  de' tuoi  securo  e  franco? 
Certo,  fero  garzon,  certo  evitasti 
Il  riso  ne' materni  occhi  tremante; 
E  solitario  ne  la  notte  inferna  , 

Rifuggìasi  il  tuo  sguardo.  Ecco,  e  l' interna 
Larva  già  fuor  di  te  sorge  e  d'avante 
Sgombra  le  care  viste  e  i  pensier  casti 
Ma  dal  suol  che  di  tue  vene  bagnasti 
La  mente  aborre,  e  teco  dolorosa 
Ne  la  pace  postrema  si  riposa. 

Salve:  o  che  più  sereno  aer  tu  miri 
Poi  che  di  Lete  infuso  a  le  bell'acque 
Dal  rio  dormente  i  dolci  oblìi  bevesti, 

0  ver  che  giovinetta  ombra  t'aggiri 
Tra  i  magnanimi  antichi  a  cui  non  spiacque 

1  giorni  ricusare  ignavi  e  mesti, 

0  che  tu  vaghi  ancor  sotto  i  celesti 
Templi  solingo  ed  a  me  intorno  voli 
Entro  quest'  aura  che  gemendo  spira. 
Salve,  o  fratello,  e  mira 

1  tristi  giorni  miei  come  van  soli. 
Ben  io  vivrò:  che  a  me  l'anima  avvinta 
Di  più  tenace  creta  ha  la  natura, 
E  officio  forse  e  carità  il  suade: 
Ma,  se  dal  cor  profondo  unqua  mi  cade 
La  dolce  imagin  tua  triste  e  secura. 


JUVENTLIA  149 

Giaccia  la  vita  mia  d' infamia  cinta. 
Sii  meco  eterno;  e  nel  tuo  sangue  tinta 
Del  verso  vibrerò  l'alta  saetta 
A  far  del  mondo  reo  dolce  vendetta. 


150  JUVENILIA 


LXVI. 

A  G.  B.  NICCOLINI 
QUANDO  PUBBLICÒ   IL  Mario 

SETT.   MDCCCLVIII 


Vduando  l'aspro  fratel  di  Cinegira 

Ne  la  sonante  scena 

Trasse  vestita  d' ardue  forme  T  ira 

Che  propugnò  la  libertade  ellena, 

Marte,  che  lui  spingea  tra  i  dardi  avversi 

Su  ^'  incalzati  Persi, 

Spirò  guerra;  e  fremean  guerra,  ascoltando, 

Quei  che  operaro  in  Salamina  il  brando. 

E  tu  vedesti^  o  diva  Atene,  i  padri 

De'guerrier  trionfati 

Nel  futuro  dolor  pensosi  ed  adri 

Gemer  da'  figli  deprecando  i  fati, 

Neri  presàgi  ombrar  con  foschi  vanni 

Le  sale  de' tiranni, 

E  da  la  mira  vision  percossa 

Svegliar  ne  1'  urne  ombre  di  regi  Atossa. 


JUVENILIA  151 

Quinci  il  sepolto  Dario  a  l'aure  uscia 

Da  la  livida  sponda, 

E  nel  pianto  de'  servi  il  rege  udia 

La  vittoria  de' liberi  seconda; 

Udia  ne' passi  de  la  fuga  volto, 

Il  figlio  imbelle  e  stolto, 

E  sonar  alto  da  l'egea  marina 

Il  fragor  de  la  persica  ruina. 


Deh,  che  fremito  errò  di  petto  in  petto 

Quando  il  cacciato  Serse, 

Gentil  città  d'Armodio,  in  tuo  conspetto 

Narrò  gli  ancisi  prenci  e  le  riverse 

Caterve  e  rotti  di  sua  forza  i  nervi, 

E  a  gli  ululanti  servi 

Mostrò  campate  a  V  infinita  clade 

Sol  la  faretra  e  sua  regal  viltadel 


Tale  a  la  prole  achea  gli  ozi  felici 

Di  canti  Eschilo  ornava, 

Se  1'  Egeo,  detestata  onda  a'  nemici, 

Altier  de' vinti  re  lui  rimandava. 

Ma  pria  tra  la  falange  ispida  e  vasta 

Infuriò  con  1'  asta  ; 

E,  come  de  V  Olimpo  aquila  o  d' Ato 

Piomba  tra  '1  folgorar  del  cielo,  armato 


152  JUVENILIA 

Cotal  su  ì  mille  e  mille  egli  irrompea 

Fuga  spargendo  e  morte; 

Fera  coppia  fraterna,  al  fianco  avea 

L' atroce  Cinegira  e  Aminia  il  forte. 

Né  de  le  tibie  flebili  o  del  canto 

Ozio  si  fece  e  vanto; 

Ma  dal  funereo  sasso  ei  Maratone 

Ricorda,  e  tace  le  febee  corone. 


Fu  pugna  e  sfida  contro  i  fati  ardita, 

Fu  clamor  di  trofei 

D' Eschilo  l'arte;  e  sgorga  da  la  vita 

E  refluisce  vita  a' petti  achei. 

Non  dispetto  infingardo  o  steril  ira 

Né  solitudin  dira 

Cinge  il  vate;  ma  luce  ampia  ma  polve 

E  frequenza  di  popolo  Tavvolve. 


Te,  vat?  nostro,  a'  rei  secoli  dato 

Quando  vita  n'  è  spenta. 

Te  premea  reluttante  il  grave  fato 

Giù  nel  silenzio  a  Taèr  putre  e  lenta. 

Te,  non  furor  di  libera  coorte 

Che  consacra  a  la  morte 

Con  quel  de'  regi  il  capo  suo,  né  grido 

Di  vittoria  che  introna  il  patrio  lido, 


JUVENILIA  153 

Ma  lamentar  di  gioviti!  cadenti 

Su  la  terra  pugnata 

E  tra  i  cavalli  barbari  accorrenti 

Cupo  fremir  di  libertà  calcata, 

Spirava.  E  in  te  nostr'  ultimo  dolore 

Alcun  vendicatore 

S'ebbe  e  de  gli  oppressori  al  gener  vario 

Precida  minacciasti,  Arnaldo  e  Mario. 


Or  d'  onde,  o  sacro  veglio,  è  in  te  possanza 

Tal  che  di  vivi  sdegni 

Armi  antiche  memorie  e  la  speranza 

A  noi  disfatte  e  mute  anime  insegni? 

Dunque  V  eterna  mente  ancora  è  pia 

A  questa  patria  mia, 

Che  pur  tu  duri  in  contro  al  fato  ostile 

Cantor  dMtalia  a  la  stagion  servile? 


E  quando  più  da  peregrino  impero 

L'alta  regina  è  stretta, 

Tu  affatichi  il  senile  estro  e  il  pensiero 

Dietro  l'imago  de  la  gran  vendetta? 

Ben  venga  Mario  che  del  gener  reo 

Porta  il  roman  trofeo 

E  nel  cor  de'  romulei  nepoti 

Aderge  le  speranze  e  infiamma  i  vóti! 


154  JUVENILIA 

Che,  se  il  figliuol  d'Eufor'fon  traea 

Melpomene  pensosa 

Ad  inneggiar  la  libertade  aòhea 

Sedente  su  lo  scudo  e  gloriosa, 

Non  è  lode  minor,  s*  io  ben  riguardo, 

Or  che  V  uso  codardo, 

Fuor  de  la  vita  i  sacri  ingegni  serra, 

Almen  co  M  verso  guerreggiar  la  guerra. 


Or,  poi  eh*  altro  n'  è  tolto,  or  guerra  indica 

Da' teatri  la  musa;  j 

Gitti  il  flauto  dolente,  e  la  lorica 

Stringa,  ed  a  l'aste  dia  la  man  già  usa. 

Quinci  altera  virtù  ne'  nuovi  petti 

Bevano  i  giovinetti: 

Qui  la  virile  età  l' ardir  prepari, 

E  che  sia  patria  1'  util  plebe  impari. 


E  a  te,  che  in  vecchie  membra  alma  possente 

I  tardi  ozi  ne  scuoti, 

Qual  serba  premio,  o  buon,  l'età  presente? 

Quale  i  figli  crescenti  ed  i  nepoti? 

O  petto  di  virtude  albergo  saldo, 

O  man  che  scrisse  Arnaldo, 

Chi  a' miei  baci  vi  porge?  una  corona 

A  questo  bianco  capo  oh  chi  la  dona? 


JUVENIUA  155 


Ben  io  nel  gaudio  d*  un  futuro  giorno, 

Che  il  del  mi  disasconde, 

Veggo  popolo  molto  a  un  marmo  intorno 

Incoronarlo  di  civili  fronde: 

Quel  giorno  appo  una  tomba,  italo  vate, 

Da  l'alpi  al  fin  serrate 

A  le  verdi  tornando  etrusche  valli^ 

Scalpiteranno  gl'itali  cavalli. 


156  JUVENILIA 


LXVII. 


MAGGIO  E  NOVEMBRE 


I. 


O 


ve  sei,  che  di  Delfo  in  van  ti  chieggo 
A' fatidici  lauri  e  tace  Delo, 
O  re  de' canti  e  de  la  luce?  Eterna 
La  giovinezza  avesti,  ed  il  più  bello 
Eri  de'  numi.  A  te  serenatore 
De'  templi  ermi  de  1'  etra  ardea  la  danza 
De  le  titanie  vergini,  e  Anfitrite 
Sorridea,  dal  divin  talamo  il  capo 
E  le  braccia  porgendo.  A  te  i  mortali 
Venian  con  preci  ed  inni,  o  re  Agìeo 
Da  la  cetera  d'oro,  allor  che  Licia 
T' accogliea  ne'  suoi  gioghi  e  i  patarei 
Dumeti  impressi  dal  sereno  piede 
Fiorian  di  primavera,  e  quando  in  core 
Amor  prendeati  di  tuffar  la  bionda 
Chioma,  stupor  d' Olimpo,  entro  il  bel  Csant<3 


JUVENILIA  157 

O  ver  ne  la  pudica  onda  castalia. 
Allor  non  lutto  innanzi  a  te;  ma  danze 
E  di  ninfe  e  d'egipani,  ma  bianche 
Fronti  di  lauro  inghirlandate,  e  vesti 
Tirie  ondeanti  mollemente,  e  fiori 
Che  salivano  a  nembi,  e  amor  soavi 
Di  verginelle  candide:  a  le  valli 
De*  flauti  il  suon  scendea  come  un  sospiro. 


IL 


Allor  che  i  fiori  e  Tonde  aveano  spirto 
E  d'amore  e  di  duol,  quando  nel  fiato 
De' zefiri  esultanti  a  primavera 
Per  le  brune  convalli  e  ne' mirteti 
Di  Citerà  e  di  Cnido  almo  aliava 
Il  divin  bacio  d'Afrodite;  errando 
Del  lamentoso  Egeo  lungo  la  riva, 
Amorosa  fanciulla,  e  i  cieli  e  il  mare 
E  il  molto  fior  de' campi  lacrimosa 
Mirando,  e  sospirando,  invocò  Saffo 
La  deità  di  Venere;  e  presente 
Annunziò  il  nume  un  fremito  diffuso 
Per  la  selva  odorata.  Essa  la  diva, 
Con  le  dita  d'  ambrosia,  essa  da  gli  occhi 
Tergea  de  la  mortai  giovine  il  pianto; 
E  dolce  un  canto  le  imparava:  un  dolce 
Canto  che  ripetuto,  ahi  con  un  molto 
Ansar  del  petto  e  scintillar  de  gli  occhi, 


158  JUVENILIA 

De  i  neri  occhi  d*  amore,  e  un  batter  forte 
De  la  man  su  le  corde,  iscolorava 
Le  fanciulle  di  Lesbo;  entro  l'affiso 
Sguardo  venendo  V  alma  e  ne'  socchiusi 
Labbri  a  libar  le  voluttà  promesse. 


III. 


Ma  or  né  Cipri  a  1'  egre  anime  accorre 

Su  '1  carro  tratto  da  gli  augei,  né  Febo 

La  cetera  del  duol  raffrenatrice 

Agita  in  vetta  a  i  luminosi  colli. 

Or  solinghe  le  cure,  or  la  quiete 

È  inerte  e  bruna;  e  sovra  i  monti  e  al  piano 

E  nel  cielo  e  ne  i  cori  il  verno  regna. 

O  d' aprii  nuvoletta,  o  ne  l' aurora 

Luce  d'amor  che  di  cotanto  riso 

L'  avvenir  m' irraggiavi,  io  te  ripenso, 

Fanciulletta  d'  un  tempo.  Oh  quando  i  luoghi 

Rividi  sacri  da  la  tua  presenza, 

E  l'aere  spirai  che  di  tua  voce 

Le  molli  melodie  vibrava  a  i  sensi, 

L'  aèr  che  dolce  che  voluttuoso 

La  persona  gentil  circonfluia, 

Oh,  ti  rividi  ancor!  transfigurata, 

Qual  l'amor  mio  ti  fece,  una  suprema 

Volta  al  seno  ti  strinsi.  Ahi,  nel  mutato 

Petto  agghiacciar  sentii  la  vita;  e  insieme 

Da  le  braccia  l' imago  esil  vania 


JUVENILIA  159 

Fusa  per  l'aure  di  novembre.  Al  core 

La  man  portai;  che,  quinci  dal  crescente 

Flutto  de  le  memorie  assorto  e  quindi 

Fulminato  dal  ver,  battea  restremo 

Irrevocabil  palpito  d'  amore. 

Amore,  addio,  supremo  inganno!  addio, 

0  pargoletto  mentitor  gentile! 

In  van  t*  adopri  :  in  questo  cuor,  eh*  io  creda, 

Né  pio  né  con  soave  impeto  a  forza 

Rientrerai.  Ma  cara  a  me  ne  gli  anni 

Sarai  memoria,  ed  onorata;  e  quando 

Dal  pensiero  evocata  al  sentimento 

La  tua  larva  risorga,  un  canto,  o  amore. 

Avrò  ancora  per  te.  Tal,  se  la  luna 

Da  le  selve  appennine  aurea  si  svolve 

E  su  M  toscano  pelago  viaggia 

Solitaria,  rifulgono  al  chiarore 

Bianco  le  nude  arene,  e  lo  sfrondato 

Bosco  porge  i  suoi  rami  e  si  rallegra: 

Guata  le  scintillanti  onde  il  nocchiero. 

Guata  la  fredda  alta  quiete,  e  canta. 


160  JUVENILIÀ 


LXVIII. 


I    VOTI 


Ohe  prega  il  vate,  il  libero 

Vate  che  prega  e  vuole, 

Adorno  in  veste  candida, 

Vòlto  al  nascente  sole; 

Mentre  Glicera  unanime, 

Cui  le  Grazie  educaro  al  mite  amor, 

Con  pia  cura  a  i  domestici 

Numi  il  votivo  altare  ombra  di  fior? 


Che  a  gli  agi  suoi  rinnovino 

Ben  cento  solchi  i  duri 

Giovenchi?  o  ver  che  fervida 

Vendemmia  gli  maturi 

Dove  tepe  la  ligure 

Maremma  e  verna  il  suo  paterno  mar 

E  dove  gli  avi  improvvidi 

Né  un  avel  di  famiglia  a  lui  lasciar? 


JUVENILIA  161 

Altri  il  crociato  orgoglio 

Tra  un  aureo  vulgo  estolla, 

E  i  vili  ozi  gli  prosperi 

La  mal  redata  zolla. 

A  me  sorrida  un  tenue 

Lare  e  V  italo  bacco  empia  il  bicchier 

Tra  gli  amici  xhe  liberi 

Assentano  fremendo  al  carme  auster. 


Non  io  vorrò  che  facili 
Pieghin  le  orecchie  altiere 
I  grandi  al  carezzevole 
Suon  de  le  mie  preghiere: 
Non  io  libare  a  V  aureo 
Pluto  da  la  febea  tazza  vorrò, 
E  non  le  muse  indocili 
Fra  i  lusingati. prandi  inebrierò. 


Prego:  de'  serti  lirici 

Se  me  la  patria  Serra 

Degno  produsse;  e  il  fremito 

Del  mar  tòsco,  e  la  terra 

Dove  in  gran  solitudine 

L'ombra  di  Populonia  e  il  nome  sta, 

Aspro  garzone  crebbero 

Me  tra  i  fantasmi  de  l'antica  età; 

Carducci.  1 1 


162  JUVENILIA 

Prego:  a  la  sacra  Italia 

Suoni  il  mio  carme,  e  fiero 

Surga  ne  Tira,  vindice 

Del  romuleo  pensiero. 

Che  se  ne' campi  memori 

De  la  clade  che  ancora  ulta  non  fu 

Scenda  a  pugnar  con  impeto 

D' odio  maturo  V  itala  virtù, 


In  me,  non  nato  a  molcere 

Con  serva  man  la  lira. 

Di  tua  grand'  alma  un'  aura, 

Possente  Alceo,  respira; 

Allor  che  su  la  ferrea 

Corda  battendo  con  la  man  viril 

Guatavi  altero  immobile 

De  r  aste  il  flutto  e  il  vasto  impeto  ostil 


Rapia  la  nota  eolia 

La  giovenil  coorte, 

Che  de  le  spose  immemore 

Ruinava  a  la  morte. 

E  tu  cantavi  l' isole 

De'  beati  ove  il  forte  Ercol  migrò 

E  dove  aspetta  Teseo 

Chi  la  cara  a  la  patria  alma  versò» 


JUVENILIA  163 

Ma  il  fior  del  sangue  ellenico 

A  te  d' intorno  ardenti 

Co'  peana  premevano 

I  tiranni  fuggenti; 

Poi  ne  la  danza  pirrica 

Scudo  a  scudo  battendo  e  pie  con  pie 

Incoronar  le  patere 

Sopra  la  morte  di  Mirsilo  re. 


O  sacri  tempi!  o  liberi 

Vati  correnti  in  guerra, 

Poi  tra  le  danze  e  i  calici 

Cantanti  su  la  terra 

Salvata!  Oggi  una  pallida 

Nube  di  tedio  e  terra  e  ciel  copnV 

E  il  carme  è  voce  inutile 

E  il  vate  un'ombra  de  gli  antichi  di. 


Dunque  posiam.  Ma  V  ozio 

Muto  non  sia  né  vile; 

Si  trascorrendo  liberi 

Per  la  stagion  servile 

Mediteremo  i  cantici 

De  le  memori  glorie  e  del  disir, 

Come  già  i  padri  italici, 

Li  sdegni  e  il  ferro  esercitando,  udir. 


164  JUVENiLIA 

Salve,  o  mia  patria!  Ed  arida 
Stia  questa  lingua  viva, 
Se  di  te  mai  dimentico 
Son  dov'io  pensi  o  scriva. 
Tuo,  santa  patria,  è  V  impeto 
Che  sale  a  i  carmi  da  V  acceso  cor 
E  r  acre  tedio  e  il  fulgido 
Telo  de  V  ira  e  V  elegia  d' amor. 


Folle  censore  e  stupido 

Cantor  di  vecchie  fole 

Me  chiami  pure,  o  Italia, 

La  tua  diversa  prole: 

Adulator  di  trepidi 

Liberti  e  vili  sofi  io  non  sarò. 

Che  se  nel  reo  servizio 

Precipitar  co  M  vulgo  anch*  io  dovrò, 


Su  1  corpo  mio  Gliceria 

Sparga  le  care  chiome 

E  ne  le  insonni  tenebre 

Chiami  il  mio  vuoto  nome. 

Immaturo  compongami 

Del  fratel  generoso  entro  V  avel 

La  madre,  ed  orbo  vagoli 

Il  padre  infermo  entro  il  deserto  ostel. 


^^sxv,'^-- 


LIBRO  V 

LXIX. 

A  UN  POETA  DI  MONTAGNA 


N. 


Nascesti  dentro  d'un  secchion  da  latte, 
E  a  scrivere  imparasti  in  una  bótte. 

Accordando  le  rime  irte  ed  astratte 
A  !o  scoppiar  de  le  castagne  cotte. 

A  quelle  rime  strampalate  e  matte 
Sentironsi  a  bociare  asini  e  bòtte, 
Le  secchie  vomitaron  lor  ricotte, 
E  i  tegami  pugnar  con  le  pignatte. 

Allora  crocitando  un  soireutte. 

Salisti  in  Pindo  pien  di  boria  il  petto; 

Ma  Febo  ti  legnò  come  un  Margutte. 


166  JUVENIUA 

Tu  montato  in  arcion  d'un  somaretto, 

Ti  preparavi  a  le  future  lutte, 

Con  un  orso  scudiero  al  fianco  stretto: 

E  d' uno  scaldaletto 

Difeso^  urtasti  di  tutta  baldanza, 

Ma  il  ciuco  ti  buttò  senza  creanza, 

—  Per  legge  d'eguaglianza, 
Ragliandoti  su  '1  muso  a  ritornelli, 
Bestie  non  portan  bestie;  e  siam  fratelli.  — 


JUVENILIA  167 


LXX. 


A  UN  GEOMETRA 


D, 


immt  triangoluzzo  mio  squadrato, 
Che  al  mondo  se'  de  gli  animali  rari, 
Furono  prima  i  ciuchi  o  i  somari? 
E  quel  tuo  capo  è  un  circolo  o  un  quadrato? 

Anco  :  il  cervel,  se  fior  te  n'  è  restato, 
È  isoscelo  o  scaleno  o  ha  lati  pari? 
Se'  tu  r  ambasciador  de'  calendari, 
0  un  parallelogrammo  battezzato? 

Buona  gente,  i'  vi  prego  che  pigliate 
Questo  bambolon  mio  e'  ha  di  molt'  anni 
E  che  '1  mettete  a  nanna  e  lo  cullate. 

Tenetel  chiuso,  eh'  egli  è  un  barbagianni, 
E  non  fa  che  sciupar  vie  lastricate. 
Mangiar  de  'I  pane  e  consumar  de'  panni. 


168  JUVENILIA 

E  quando  fuor  d' affanni 

Averà  messo  il  dente  del  giudizio, 

Fate  sonare  a  la  ragion  V  uffizio. 

O  bello  sposalizio 

Che  vogliam  fare  come  più  non  s'  usa, 

Accoppiandolo  a  monna  Ipotenusa! 

E'  mi  dice  la  Musa 

Che  di  questi  rettangoli  appaiati  ' 

Nasceran  di  be'  circoli  quadrati. 


JUVENILIA  169 


LXXI. 


A  UN  FILOSOFO 


S, 


^e  sant'Antonio  vi  mantenga  sano 
E  vi  rischiari  T  antropologia 
Né  spengan  le  zanzare  il  lume  a  mano 
Che  vi  die'  il  Pestalozza  in  cortesia, 

Seguite  adagio  adagio  e  piano  piano, 
Caro  Mirtillo  mio,  per  questa  via: 
Che  r  individualismo  è  luterano 
E  il  volere  esser  noi  pedanteria. 

Voi  sbancate  i  copisti  e  gli  scrivani, 
Voi  vendete  il  sistema  a  bariglioni. 
Con  la  modestia  pia  de'  ciarlatani. 

Venitela  a  vedere,  o  berrettoni, 
L'opera  bella  de  le  vostre  mani 
Fatta  ad  imagin  de'  .  .  . 


no  JUVENILIA 


Oh  i  leggiadri  sermoni!  ' 

Oh  la  filosofia  vaghetta  e  pura 

Che  larga  a  un  tempo  e  stretta  è  di  natura! 

Se  la  mano  vi  dura 

E  se  Dio  vi  mantien  sane  le  dita, 

Mirtillo  mio,  farem  buona  riuscita. 

Siete  una  calamita 

Che  v'attirate  i  pezzi  badiali, 

Come  faceva  Orfeo  de  gli  animali. 

Pria  che  la  ruota  cali, 

Pigliate  i  raggi,  e  con  novel  vigore 

Scappateci  ad  un  tratto  professore. 

Che  noi  v'  amiam  di  cuore, 

E,  pur  che  vi  leviate  quattro  passi. 

Vi  mandiamo  anche  ne' paesi  bassi. 


JUVENILIA  171 


^ 


LXXII. 


AI   POETI 


V-y  arcadi  e  romantici  fratelli 
Ne  la  castroneria  che  insiem  vi  lega, 
Deh  finite,  per  dio,  la  trista  bega, 
E  sturate  il  forame  de*  cervelli. 


Del  vostro  pianto  crescono  i  ruscelli 
E  i  fiumi  e  i  laghi  si  che  Talpe  annega, 
E  stanco  è  il  Gusto  a  batter  chiavistelli  U©^^ 
A  questa  vostra  misera  bottega. 

Sentite  in  confidenza:  i  lepri  e  i  ghiri 
Son  lepri  e  ghiri,  e  non  son  mai  leoni: 
Né  Byron  si  rimpasta  co'  deliri. 

Né  Shakspeare  si  rifa  co' farfalloni. 

Né  si  fabbrica  Schiller  co' sospiri. 

Né  Cristi  e  sagrestie  fanno  il  Manzoni. 


V 


172  JUVENILIA 

Dopo  tanti  sermoni, 

O  baironiani,  o  cristYani,  o  ebrei, 

Ed  0  voi  che  credete  ne  gli  dèi, 

Lasciate  i  piagnistei; 

E,  se  più  al  mondo  non  avete  spene, 

Fatevi  un  po' il  servizio  d'Origene. 


JUVENILIA  173 


LXXIII. 


ANCORA  AI  POETI 


O 


arcadi  o  romantici  fratelli 
D' impertinenza  e  di  castroneria, 
Che  è  questo  che  vi  frulla  in  fantasia 
D' impecorirci  i  cuori  ed  i  cervelli  ? 

Ladre  tantaferate  a  ritornelli 
Udimmo  troppe,  e  fu  gran  cortesia 
Non  cacciarvi  a  pedate  dietrovia, 
Buffoni,  arcibuffoni  e  menestrelli. 

Buffoni,  arcibuffoni,  ite  in  bordello 
Con  vostri  salmi  e  vostre  trenodie 
Che  d'  eretico  sanno  e  di  monello. 

Voi  bestemmiate  come  genti  pie 

Co  '1  reliquario  in  man,  sotto  un  mantello 

Accoppiando  le  Taide  e  le  Marie. 


174  JUVENILIA 

Dite  le  litanie, 

E  non  ci  ricantate  tuttavia 

Con  stil  francioso  e  di  tedescheria 

Italia  Italia  mia! 

Or  via,  che  Dante  e  Niccolò  s*  inchina 

A  questa  bella  Italia  parigina! 

Andate  a  la  berlina, 

Che  le  nostre  terre  itali'ane 

Stalle  faceste  di  bestiacce  strane. 

Torrei  prima  il  gran  cane 

Od  un  muftì,  che  niun  de*  vostri  eroi, 

O  i  magni  italianon  che  siete  voi. 

Più  perniciosi  a  noi 

Che  un  battaglion  tra  svizzeri  e  croati 

E  trentamila  inquisitori  frati.   , 

Patriotti  garbati. 

Smettete  la  commedia  e  gli  spauracchi, 

Che  noi  Siam  tutti  stracchi,  stracchi,  stracchi. 

Armatevi  di  tacchi. 

Mettete  a  le  zampette  i  barbacani: 

Voi  siete  tutti  nani  nani  nani. 


JUVENILIA  175 

E  per  noi  italiani, 

Se  non  trovate  un  diavol  che  v'  impenni, 

Voi  siete  tutti  menni  menni  menni. 

Se  pria  non  vi  scotenni 
Cotesta  frega  di  far  poesia, 
Ne  le  risaie  de  la  Lombardia 

Vogliam  farvi  una  stia; 

E  vi  ci  chiuderemo;  e  per  becchime 

V  inghebbieremo  de  le  vostre  rime. 

Se  vi  salvi  il  lattime, 

Vi  daremo  a  mangiar  de  le  ballate, 

Dicendovi  —  Buon  prò*,  oche  infreddate.  ■ 

Ma  deh  non  ci  scappate, 

Che  vi  racchiapperemo;  e  i  refrattari 

Saran  costretti  di  compor  lunari 

In  versi  settenari 

Al  lume  de  la  luna  e  per  la  bruna 

Notte  sopra  la  tacita  laguna. 

Cosi  farem  fortuna. 

Battendo  la  gran  cassa  a  i  vostri  ardori 

Lo  Spettatore  di  tutti  i  colori. 


»  *f>r 


XrTE3 


■i    ■.    -    -   -  -"^"^ 


LSSV. 


A  SCUSA  D*  UN  FPJiNCESISMO 
SCAPPATO  NEL  PRECEDENTE  SONETTO 


D, 


'eh  balli  de  la  lingua,  aifeddiddio 
Che  questo  a  punto  a  punto  è  il  vostro  caso, 
E  voi  potete  pur  danni  di  naso 
Menando  gran  rumor  del  fatto  mio. 

Guardivi  sant'Anton  come  rimaso 

D'  un  franciosismo  al  laccio  or  sono  anch'io; 

E  cancher  venga  al  nemico  di  Dio 

Che  pria  la  rima  n'arrecò  in  Parnaso. 

Ch'  io  veggio  correr  fuora  a  gran  baldanza, 
Pur  me  ammiccando  con  un  risolino, 
Molti  linguisti  di  molta  importanza. 

E'  vanno  per  consigli  a  V  Ugolino. 
Deh,  statevi  per  Dio:  de  l'ignoranza 
Da  per  me  mi  chiarisco,  e  mi  v'  inchino. 


ìO 


JUVENILIA  1T7 

Or  dal  vostro  cammino 

Qua  voltatevi  voi  primi,  aramei 

Che  studiate  la  lingua  in  su'  caldei, 

IndYani  e  giudei; 

E  voi  che  fate  i  be'  vocabolisti, 

E  voi  che  rivedete  i  trecentisti 

Né  mai  gli  avete  visti, 

E  voi  che  siete  si  gran  barbassori 

Che  pur  al  Cello  appuntate  gli  errori. 

Tra  i  magni  espositori 

Non  manchi  qui  con  le  scritture  sue 

Quel  ser  cotal  che  fu  suocero  al  bue. 

Ora  stommi  in  tra  due, 

S' anche  m'  abbia  a  chiamar  quelli  autoroni 

Che  il  Leopardi  affastellano  e  il  Manzoni 

Per  entro  i  lor  prosoni. 

Deh  si,  venite  tutti  a  schiere  a  schiere: 

Che  al  corpo  non  vuo'  dir  de  M  miserere 


i  farete  piacere. 
Ne  le  brache  mettetemi  le  mani, 
Levate  via  la  pulce,  e  andate  sani. 


j      Carducci.  12 


178  JUVENILIA 


LXXV. 


ALLA  MUSA  ODIERNISSIMA 


O 


monna  tu,  ch'io  non  so  qual  tu  sia 
Tanto  se'  in  vista  difformata  e  strana, 
Monna  Clio,  monna  Ascrea,  monna  befana, 
O  monna  del  malan  che  Dio  ti  dia; 

A  la  croce  di  Dio,  tu  se' 

Se  t'acconci  a  chi  vuole  in  su  la  via; 

E  se  ne  mente  la  mitologia 

Che  giurò  su  '1  candor  di  tua  sottana. 

Poi  che  ti  presti  ogni  or'  mattina  e  sera 
A  tutte  voglie  d'ogni  razza  ingordi. 
Tornata  di  regina  in  paltoniera; 

O  sciagurata,  fa  che  ti  ricordi 

A  chi  tu  fosti  ed  a  chi  se'  mogliera 

Onde  per  te  mi  fremono  i  precordi. 


JUVENILIA  179 

Anime  al  ben  concordi 

Già  ti  levar  d*  ogni  l?el  pregio  in  cima  : 

Or  ti  preme  ciascun,  ciascun  t'  adima. 

Non  si  può  dir  per  rima 
Quanto  sia  cattivello  e  Piccolino 
Questo  gentame  ch'ora  t'ha  in  domino. 

Qual  vien  ruttando  il  vino 

Sopra  il  tuo  petto;  e  l'anima  imbriaca 

Urla  l'idillio,  a  la  canzon  si  placa. 

Qui  Geremia  s' indraca, 

E  i  cembali  sonando  in  colombaia 

Vagisce  la  bestemmia,  il  pianto  abbaia. 

Un  altro,  ecco,  si  sdraia 

Nel  verso  sciolto,  e  ci  fa  un  voltolone. 

Come  somaro  dentro  il  polverone. 

Ben  venga  il  bambolone 

Che  npn  iscompagnato  ancor  dal  latte 

Bela,  e  pur  con  Melpomene  combatte. 

In  van  la  si  dibatte 

Tra  le  man  del  piccino:  ella  n'è  stracca. 

Ed  ei  rimesta  le  tragedie  a  macca. 


JUVENEUA 

Il  cherichetto  insacca 

Pur  nel  tuo  tempio,  e  sa  di  sagrestìi 

E  di  mòccoli  spenti  e  d' 


Con  linea  bugia 

Gorgoglia  r  inno,  e  stni^esi  di  fircg^ 

Meditando  il  bordello  e  la  bott^H. 

^e'  colui  che  si  frega 

\  r  epopeia,  e,  perché  troppo  è  lungi, 

La  concia  si,  che  al  suo  termine  giungi 

3ome  par  che  la  punga 

E  la  cincischi  si  che  il  sangue  spicci! 

E  poi  le  aggiusta  il  parruccone  a  ricci 

\1  fin  par  che  s'appicci 

1  divin  corpo  al  corpicciuol  digiuno, 

E  camminando  son  né  due  né  uno. 

scarmigliato  e  bruno 

Dr  si  fa  oltre  Gracco:  il  pecorino 

Zuor  gli  tentenna  come  il  personcine. 

Da  r  eliso  divino 

nchinati  a  costui,  nonno  Catone, 

Ih'  ha  sempre  in  bocca  una  rivoluzione. 


JUVENILIA  181 

È  un  repubblicanone 

Che  ingozza  prima  la  sua  libbra  buona 

Di  mazzinfanissima  prosona, 

Poi  tuona  e  tuona  e  tuona. 

A  udir  queir  omaccino  armipotente 

Isbigottisce  la  povera  gènte, 

E  dice:  Veramente 

Cotestui  studia  per  le  invenzioni 

Di  verseggiar  le  bombarde  e  i  cannoni. 

In  decasillaboni 

Egli  squaderna  co'  profeti  santi 

Ippopotami  neri  e  llonfanti, 

E  sopravi  giganti 

Che  vanno  armati  di  monti  e  montagne 

A  imbottar  nebbia  per  queste  campagne: 

Ma  poi  grugnisce  e  piagne, 
Quando  tornato  al  Cristian  suo  core 
S' inginocchia  davanti  al  confessore. 

Deh  quanto  è  gran  dolore 

Del  tristo  punto  ove  condotta  sei, 

0  tósca  Musa  già  cara  a  gli  dèi, 


182  JUVENILIA 

Da  questi  uomini  rei 

Che  ad  ogni  voglia  lor  buona  ,o  non  buona 

Adoperano  pur  la  tua  persona. 

Non  che  rotta  la  zona, 

E'  t'  han  diserto  i  più  gentili  arredi  : 

E  infantocciata  come  tu  ti  vedi, 

Dal  capo  infino  a'  piedi, 

Ti  mandano  accattando  in  su  '1  sentiero. 

Ov*è  il  regal  paludamento  altiero? 

Or  se'  tu  da  dovero 

Che  a  r  universo  descrivesti  fondo 

E  fosti  prima  poesia  del  mondo? 

Or  è  questo  il  giocondo 

E  nobil  sen  del  quale  a'  di  più  tardi 

Si  nutriva  il  gran  cor  del  Leopardi? 

Ah,  no  !  tu  di  codardi 

Se'  madre  e  sposa:  or  ti  conosco  io  tutta, 

O  barattiera  svergognata  putta. 

Deh  via,  sudicia  e  brutta. 

Lascia,  via,  di  menar  tanto  fracasso; 

Uccella  a'  barbagianni,  e  statti  in  chiasso. 


JUVENILIA  183 


LXXVl. 


PIETRO  FANFANI  E  LE  POSTILLE 


JL    ietro  Fanfani  sta  ne  le  postille 
E  le  postille  stanno  nei  Fanfani: 
In  principio  eran  sole  le  postille, 
Poi  le  postille  fecero  il  Fanfani. 

E  il  Fanfani  in  persona  è  le  postille, 
Le  postille  in  idea  sono  il  Fanfani: 
Dice  Fanfani  chi  dice  postille. 
Dice  postille  chi  dice  Fanfani. 

Oh  nuova  cosa  veder  le  postille 
Vestir  panni  e  mangiar  con  il  Fanfani^ 
E  il  Fanfani  pensar  con  le  postille. 

Tutte  le  cose  che  pensa  il  Fanfani 
O  vuole  0  ama  o  fa  le  son  postille; 
E  le  postille  son  sempre  il  Fanfani. 


184  JUVENILIA 

E  poi  che  nel  Fanfani 

Sono  cervello  e  cuore  una  postilla, 

L' angel  custode  può  spassarsi  in  villa. 


JUVENIUA  185 


LXXVII. 


IL  BURCHIELLO  AI  UNGUAIOU 


I 


1  soldati  de  gli  accenti  a  solatio 
Giva  su  per  Mugnone  iti  vista  fiera. 
Calandrili  gli  dicea  con  buona  cera 

—  Togli  de  l' eutropia,  o  fratel  mio.  — 

Cantavan  l'oche  per  quella  riviera 

—  Pigliati  i  paperotti,  e  va  con  Dio  —  : 

Gli  gridavano  i  ghiozzi  —  Addio,  addio  —  : 
Sconcordavano  i  granchi  a  schiera  a  schiera. 

Grande  onor  fecegli  anche  un  pappagallo 
Declinando  proverbi  a  le  brigate 
Di  sur  un  arbor  di  sambuco  giallo; 

Ed  in  rime  dicea  sue  pappolate. 
Ma  le  Grazie  gli  diedero  un  cavallo, 
E  con  le  gazzere  ei  si  rese  frate. 


186  JUVENILIA 

Di  farfalle  acconciate 

Con  passerotti  lessi  a  gran  diletto 

Una  bertuccia  faceva  il  guazzetto; 

E  di  quel  suo  brodetto 

Die'  bere  più  d'  Un  tratto  al  Nardi  e  al  Cello, 

Che  per  ammenda  tolsergli  il  cappello 

Dove  tenea  M  cervello 

E  diederlo  a  beccare  a  un  fottivento 

Che  dopo  il  pasto  si  mori  di  stento. 

Or  ecco  un  gran  concento 

Di  fischi  e  bussi  pauroso  e  strano: 

E'  vengono  i  pedanti  a  mano  a  mano, 

E  pigliano  il  soldano 

E  la  bertuccia  e  il  pappagal  babbione, 

E  spettacol  ne  fanno  entro  un  gabbione, 

Dicendo  a  le  persone 

—  O  buona  gente,  venite  a  la  mostra: 

Questi  son  gli  occhi  de  la  lingua  nostra.  - 


JUVENILIA  187 


LXXVIII. 


A  MESSERINO 


S 


indraca  Messerin  contro  i  pedanti, 
E  del  Monti  pur  ciancia  e  del  Manzoni. 
O  pecoraio,  contastó  i  caproni? 
Quanti  piedi  han  dirieto  e  corna  avanti  ? 

Questo  servo  de'  servi  de*  menanti, 
Spazzaturaio  di  composizioni. 
Piglia  del  campo  anch*egli  e  fa  sermoni 
E  se  r  allaccia  tra'  filosofanti. 

Or  credi  tu  de  la  viltà  natia 
Esserti  scosso  per  tuffar  le  mani 
Dentro  l'inchiostro  d'una  stamperia? 

Va  ficcati  in  un  cèsso  o  datti  a'  cani! 
Che  se  tu  me  '1  chiedessi  in  cortesia 
Pur  ginocchione  e  con  giunte  le  mani 


188  JUVENILIA 

Per  lo  dio  de' cristiani, 

Un  calcio  mio  non  ti  vorrei  donare; 

E  ragghia  a  posta  tua  se  sai  ragghiare. 

Gli  scudi  che  vuoi  dare 

Per  far  dietro  a'  pedanti  il  buggerio, 

Se  fussin  soldi  loderesti  Iddio. 

Omicciattolo  mio, 

Vuoi  farla  da  leone,  e  se'  asinelio 

Che  mai  si  vide  il  più  pulito  e  bello. 

Mettetegli  il  corbello, 
Carcatelo  di  ciarpe  e  di  letame, 
E  co  'I  baston  cacciategli  la  fame. 


JUVENlLfA  189 


LXXIX. 

SUR  UN  CANONICO 
CHE  LESSE  UN  DISCORSO  DI  PEDAGOGIA 


U, 


dite,  udite  il  molto  reverendo 
Sopra  la  educazione  de' figliuoli. 
P  si  vuol,  quand'  han  messo  i  lattaiuoli. 
Cominciar  la  grammatica  esponendo; 

E  quelli  duri  a  modo  di  piuoji 
Tutta  in  latin  la  vengan  ripetendo. 
Che  se  M  ragazzo  dice  —  V  non  la  intendo, 
E  da  pigliar  de'  nerbi  o  ver  querciuoli, 

E  picchiatelo  forte  a  nodo  a  nodo, 
E  chiamatel  furfante  a  tutto  pasto: 
A  un  bisogno,  e'  e'  è  il  martello  e  'I  chiodo 

Per  crocifigger  chi  l'avesse  guasto. 
Questo  de  l' insegnar  cristiano  è  il  modo, 
Cosi  il  fanciullo  vien  saputo  e  casto. 


190  JUV^NILIÀ 

Ma  deh  prima  il  catasto 
Insegnategli  e  la  negromanzia, 
Che  non  la  storia  e  la  geografia. 

Questa  è  una  cosa  ria, 

Questo  è  razionalismo  di  quel  fino: 

Contentisi  il  ragazzo  al  Bellarmino. 

Oh  che  giovin  divino, 

Se  di  nulla  mai  chieggavi  ragione 

Credendo  tutto  a  tutte  le  persone! 

E  creda  anche  al  forcone 

Di  Satanasso  o  ver  di  Lucibello 

E  a  le  p^nne  de  Tagnol  Gabriello, 

Ed  a  lo  spiritello 

O  spiritelli  che  vengano  a  schiere 

E  al  dì'avolo  grande  e  a  le  versiere, 

E  che  le  fattucchiere 

Piglin  forme  di  cagne  o  vuoi  di  gatte, 

Ed^  a  tant'  altre  autorità  si  fatte. 

E  cosi  si  combatte 

In  prò'  de'  nostri  italiani  vecchi, 

E  questo  è  il  classicismo  di  parecchi! 


JUVENILIA  191 

O  bónzi,  o  mozzorecchi, 
Voi  fiorirete  i  ginnasi  e'  licei 
D' Ecceomi  e  Barabbi  e  Zebedei. 


192  JUVENILIA 


LXXX. 


A  BAMBOLONE 


S 


e  Dio  ti  guardi  sino  a  befania 
Cosi  fresco  grassoccio  e  badiale 
Ed  a  risparmio  del  pepe  e  del  sale 
Da  viver  anche  sanf  Anton  ti  dia, 

Or  dinne,  Bambolone,  in  cortesia: 
Se' tu  tozzone  o  porti  piviale? 
Ha'  tu  studiato  di  negromanzia  ? 
Se' turcimanno  o  cozzone  o  sensale? 

Quando  tu  mostri  fuora  il  tuo  faccione 
E  l'occhio  picciolino  e  quella  fessa 
Che  tieni  ov'  han  la  bocca  le  persone, 

Dice  la  gente  —  È  egli  ora  da  messa? 
Ècci  oggi  a  la  Nunziata  processione? 
Ehi,  sagrestano  !  —  Ma  quel  dir  poi  cessa, 


JUVENILIA  193 

Quando  una  filatessa 

Sciogli  di  citazion  greche  e  latine 

Che  r  una  e  V  altra  si  pigliano  al  crine, 

A  fé' tu  trinci  fine 

L'  apotegma  ed  il  colon  e  lo  scolio, 

E  Tassifoma  bei  come  il  rosolio. 

Sembri  il  padre  Nizolio 

Che  fé'  di  Marco  Tullio  anatomia, 

Sembri  il  sultan  de  la  filologia. 

Ma  di  filosofia 

Tu  n'  hai  piene  le  sacca  anzi  le  balle 

Dice  la  gente  che  mai  non  ti  falle. 

N'  hai  sempre  in  su  le  spalle, 

E  ne  le  brache,  e  fin  dentro  gli  usatti, 

E  la  vendi  al  minuto  e  la  baratti. 

Oh  come  sono  matti, 

r  volevo  dir  nuovi  e  peregrini, 

I  discorsi  che  fai,  grandi  e  piccini! 

Gli  arabi  ed  i  latini, 

I  francesi  i  geloni  ed  i  caldei 

E  irochesi  e  ottentotti  ed  aramei. 

Carducci.  13 


194  JUVENILIA 

Gli  svizzeri  e  gli  ebrei, 

Ed  i  russi  ed  i  prussi  ed  i  borussi, 

Gli  hai  su  le  dita  come  tu  ci  fussi. 

Anche  hai  giocato  a  frussi 

Con  Salomone,  e  facei  l'altalena 

Con  Licurgo  quand'  ei  murava  Atena. 

O  testona  ripiena 

D' ogni  gran  cosa,  grossa  soda  e  dura, 

Tu  hai  gran  naturale,  anzi  natura. 

Or  dai  or  dai  la  stura 

A  quelle  fantasie  che  in  rima  hai  mésse, 

Ma  risprangale  prima  ove  son  fesse. 

Calate  le  brechesse, 

Baraballo  f  aspetta  in  Elicona 

E  vuol  dare  al  tuo  crin  la  sua  corona. 

E  tutto  il  monte  suona 

—  O  Bambolone,  Vienne  a  questo  stallo, 

Vienne  tra  il  Carafulla  e  Baraballo!  — 


JUVENILIA  195 


LXXXI. 


AL  BEATO  GIOVANNI  DELLA  PACE 


O, 


ggimai  che  ritornati 
Son  di  moda  e  stinchi  ed  ossa 
E  né  pure  gì*  impiccati 
Son  sicuri  ne  la  fossa, 
Anche  a  voi  la  quiete  spiace, 
Fra' Giovanni  de  la  Pace? 

Bravo  Nanni,  la  persona 
Rilevata  su  bel  bello^ 
Una  santa  pedatona 
Voi  menaste  ne  V  avello 
E  gridaste  —  GiuraddioI 
S*  è  cosi,  ci  sono  anch'  io. 


196  JUVENILIA 

Su  da  bravo,  Cosimino! 
Vieni  fuor  con  la  brigata, 
Metti  in  pronto  il  baldacchino, 
E  facciam  la  passeggiata. 
Era  tanto  che  giacevo! 
È  tornato  il  medio  evo!  — 


Ma  da  vero  ma  da  vero 
Che  n'avete  ogni  ragione. 
Ecco  il  presule  ed  il  clero 
A  menarvi  in  processione, 
O  soldato  trionfante 
De  la  chiesa  militante. 


Viva  pur  Sandro  Manzoni! 
Quant'è  mai  che  s'arrabatta 
Co'  filosofi  nebbioni 
i  E  gli  storici  a  ciabatta! 
Acqua  santa  a  piena  mano, 
Tutto  il  secolo  è  cristiano. 


Libertà,  indipendenza, 
Paganissima  utopia, 
Offendevan  la  decenza 

I 

De  la  santa  teoria. 
Ora  stabile  e  fondata 
Su  r  Europa  incatenata. 


JUVENILIA  197 


Guarda  mo',  Castelbriante  ! 
La  tua  Francia  torna  a  Dio  : 
Bónaparte  è  novo  Atlante 
A  la  cattedra  di  Pio: 
Fan  da  Svizzeri  a  San  Piero 
I  nipoti  di  Volterò. 


Cristo  par  sia  riportato 
Fra'  bagagli  di  Radeschi, 
Su  l'altare  appuntellato 
Da  le  picche  de'  Tedeschi. 
Converti  la  baionetta 
Questa  terra  maledetta. 


Questa  terra,  che  del  nostro 
Sangue  e  pianto  è  molle  ancora, 
Brontolando  un  paternostro 
Su  zappiamo  a  la  buon'  ora, 
Per  trovare  ossa  di  santi 
O  di  frati  zoccolanti. 


Vo'  veder,  se  1'  uso  tiene. 
Cristianissima  Parigi, 
Abbigliar  le  Maddalene 
Col  soggólo  e  in  panni  bigi, 
E  mandarle  a'  lupinari 
Con  in  petto  i  reliquari. 


198  JUVENILIA 

Che  V  importa,  o  razza  sfatta, 
De  le  cose  di  quaggiù? 
Un  fermaglio  a  la  cravatta 
Con  un  osso  di  Gesù: 
Una  formola  d'  usura 
Con  un  passo  di  Scritturai 


Che  volete?  Il  cristianesimo 
È  un  romanzo  che  fa  chiasso. 
Ci  scordammo  del  battesimo, 
Ma  cantiamo  co  '1  compasso 
Com'un*aria  di  Lucia 
Paternostro  e  avemmaria. 


Presto  dunque  il  reliquario, 
E  ben  venga  il  santo  novo! 
Tra  i  compari  del  lunario 
Anche  lui  si  faccia  il  covo, 
Avvocato  e  servigiale 
De  la  pace  universale. 


Bel  vedervi,  fra'  Giovanni, 
Ritto  ritto  su  l'altare. 
E  briachi  per  gli  scanni 
I  canonici  a  russare, 
E  i  devoti  bisbiglianti 
Di  cambiali  e  di  contanti, 


JUVENILIA  199 


E  le  belle  penitenti 
Mentre  cantan  litania 
Affittar  nuovi  serventi 
Per  r  entrata  in  sagrestia, 
Invocando  la  Madonna 
Quando  s' alzano  la  gonna. 


LIBRO  VI 


LXXXII. 
A  VITTORIO  EMANUELE 


No. 


Son  perché  da' Sabaudi  a  la  marina 
Stendi  lo  scettro  de  l'avito  impero 
Su  '1  Po  regale  e  il  Tanaro  sonante, 
Non  perché  a' cenni  tuoi  leva  ed  inchina 
Il  subalpino  popolo  guerriero 
I  liberi  vessilli  a  te  davante; 
Ma  perché  figUo  amante 
Sei  de  l'antica  madre  in  ch'io  mi  vanto, 
Al  tuo  conspetto  il  pianto 
Di  costei  reco,  onde  su  l'empie  squadre 
Già  spronasti  il  cavallo  a  lato  al  padre. 


202  JUVENILIA 


Or  drizza  il  guardo  a  valle;  or  vedi,  o  sire! 

Dal  pian  cui  parte  V  Eridàno  e  irriga, 

De  la  grande  cacciata  glorioso; 

Da  le  lagune  ove  il  sublime  ardire 

La  strana  signoria  lenta  castiga, 

Onde  il  vecchio  leon  freme  cruccioso; 

Dal  prisco  suol  famoso 

Che  sacro  ha  il  nome  più  tra  Tebro  ed  Arno; 

E  dove  Liri  e  Sarno 

A  bestiai  tirannia  nutron  le  prede; 

Tende  le  braccia  Italia  e  pietà  chiede. 


Pietà  de  la  gran  donna,  o  cavaliere, 

O  rege,  o  figlio  !  In  forza  altrui  condotta 

Questa  dolente  il  suo  Cesare  chiama: 

Mille  stannole  attorno  ombre  severe 

C  han  la  persona  di  più  punte  rotta 

E  guardan  pure  in  te  con  muta  brama. 

Cotal  già  sovra  Rama 

Suonava  il  pianto  di  Rachel  cattiva. 

Che  de'  suoi  figli  priva, 

Poi  eh'  eran  morti,  non  volea  conforto, 

In  fin  che  Giuda  a  la  vendetta  è  sorto. 


Attendi,  attendi.  Un  suon  profondo  e  lento 

Rimugge  da  la  valle  e  in  alto  spira, 

E  si  fa  tuono  che  a  l'  intorno  romba: 

Par  d'  acque  molto  rumoreggia  mento, 

Quando  il  bosco  al  vicin  nembo  s'adira 

E  vorticoso  Borea  giù  piomba. 

Non  è  rumor  di  tomba: 

È  l'itala  minaccia  a  lo  straniero; 

È  fremito  guerriero, 

Che  cresce  col  romor  de  le  procelle, 

E  i  regi  e  l'armi  avvolve  e  i  troni  svelle; 


È  grido  atroce  di  calcata  plebe 

Che  sorge  contro  la  ragion  de' forti 

E  il  pio  sdegno  e  le  sante  ire  raguna. 

A  te  commette  le  paterne  glebe, 

A  te  le  invendicate  ossa  de'  morti, 

A  te  i  vóti  e  la  speme  e  la  fortuna, 

E  i  talami  e  la  cuna 

De' pargoletti  e  il  maternal  desio. 

Deh  non  cresca,  per  dìo. 

Sotto  i  regni  di  barbaro  soldato 

Chi  d'italica  donna  italo  è  nato! 


204  JUVENILIA 


Corser  due  lustri  che  cruenta  al  suolo 

Gittando  Alberto  1*  itala  corona 

Ostia  sé  diede  a  V  ira  alta  de'  cieli  : 

Rinnovellata  a  la  ragion  del  duolo 

Crebbe  altra  gente,  e  l' itala  matrona 

Incanutì  sotto  i  funerei  veli. 

Deh!  quante  volte  aneli 

Dal  cozio  sasso  protendean  lo  sguardo 

Su  M  bel  terren  lombardo 

Gli  esuli  mesti,  rimembrando  in  vano 

La  pia  casa  paterna  e  il  dolce  piano 


E  presso  al  freddo  focolar  sedea 

Barbaro  sgherro,  a  i  padri  antichi  in  faccia 

Esplorando  il  dolor  V  ansia  la  speme  : 

Vile!  e  a  le  mute  lacrime  irridea; 

E  col  ferro  e  lo  scherno  e  la  minaccia, 

Vile!,  Tira  premea  che  inerme  freme. 

Or  non  più,  no!  l'estreme 

Battaglie  affretta  la  lombarda  prole: 

Scintillan  sotto  il  sole 

Gli  sdegni  aperti,  e  gran  fiamma  seconda 

Torma  servile  i  nostri  campi  inonda. 


JUVENILIA  205 


Io  chieggo  a  te,  de  V  itale  contrade 

Cavaliere  scettrato,  a  te,  buon  figlio 

Del  magnanimo  Alberto:  Or  che  pitì  cessi? 

Che  fanno  in  vai  di  Po  straniere  spade? 

E  quei  che  Alberto  spinsero  a  T  esigilo 

E  a  morte  inconsolata,  or  non  son  essi? 

Tra  oppressori  ed  oppressi 

Non  pace  mai,  ma  guerra  guerra  guerra! 

Armi  freme  la  terra. 

Armi  i  vecchi  le  donne  i  figli  imbelli. 

Armi  i  templi  e  le  case,  armi  gli  avelli. 


Ma  pace  a  te,  se  nieghi  a' tuoi  scettrati,^ 

Stirpe  d'Arminio,  il  braccio,  e  te  consigli 

Con  libertà  che  i  popoli  compose. 

Noi  non  venimmo  del  bel  Reno  armati 

A  predar  le  riviere,  e  non  i  figli 

Strappammo  al  sen  de  le  tue  bionde  spose  : 

A  r  ire  generose 

Sorride  Libertà^  l'auspice  dea 

Che  su'  Franchi  spingea 

La  negra  caccia  del  tuo  fier  Lutzove 

Con  suon  d' inni  e  di  spade  a  V  ardue  prove. 


206  JUVENILIA 


Pietà  vi  stringa,  o  popoli,  del  duolo 

Ond'è  sacra  l'Italia  e  de  la  speme 

Che  le  disperse  sue  genti  nutrica: 

Non  invidiate  che  su  M  patrio  suolo, 

Suolo  che  ancor  del  nostro  sangue  geme, 

Raccolga  i  figli  suoi  la  madre  antica. 

Deh,  per  dio,  non  si  dica 

Quest'  obbrobrio  di  voi  !  de'  nostri  danni 

Patteggiar  co' tiranni! 

Iloti  nuovi,  su  pe'  i  nostri  liti. 

Volerne  servi  e  miseri  e  partiti! 


Attendete  e  guardate.  Il  petto  è  questo 

D' Italia  madre,  il  petto  ove  attingeste 

Onda  di  civiltà  perenne  e  viva: 

L'  han  macchiato  Neroni  empi  d' incesto, 

L'han  solcato  di  piaghe  disoneste, 

E  il  sangue  ne  gittàr  per  ogni  riva. 

Egra  giace  e  mal  viva 

La  Cibele  d'Europa:  a  lei  d'intorno 

Nel  novissimo  giorno 

Stanno  i  suoi   figli,  in  contro  a' fati  oscuri 

Di  feroce  pietà  forti  e  securi. 


JUVENILIA  207 


Che  se  nel  cor  de' popoli  consorti 

Misericordia  tace,  e  se  ne' petti 

De' regi  stagna  un  vergognoso  oblio; 

Pe  '1  supremo  desir  de'  nostri  morti, 

Pe  '1  tacito  pregar  de'  pargoletti, 

0  italiani,  o  fratelli^  o  popol  mio, 

Leviam!  Giudichi  Iddio 

La  causa  nostra  a  V  universo  in  faccia. 

E  tu,  Vittorio,  abbraccia 

L'italica  bandiera;  il  serto  scaglia 

Oltre  Po,  nel  terren  de  la  battaglia. 


Loco  è  'n  Superga,  ov'  ha  misteri  orrendi 

La  religion  di  morte,  ove  aspettando 

Posan  gli  atavi  re  dentro  gli  avelli: 

Ivi  sali,  o  signor:  la  spada  prendi 

Di  Carlo  Alberto,  e  i   tuoi  padri  evocando 

Batti  lo  scudo  de  gli  Emmanuelli. 

A  quel  suon,  di  novelli 

Fremiti  il  ciel  d'Italia  ecco  rintrona: 

Come  nube  che  tuona 

E  nel  rovente  folgore  scoscende, 

Lungo  clamor  da  1'  alpi  al  mar  si  stende. 


208  JUVENILIA 


Vapor  di  sangue  orribilmente  sale 

Da  la  fatai  Novara,  e  V  aere  invade 

E  fuma  atro  su  '1  mare  e  vela  il  monte 

Ecco  rabbia  di  guerra  alta  immortale, 

E  strepitar  d' incalzantisi  spade, 

E  a  le  vendette  correre  Piemonte. 

Di  rossa  luce  a  fronte 

Già  balena  Custoza,  e  già  la  guerra 

Corre  T  insubre  terra; 

E  rompono  feroci  ogni  dimora 

Brescia  e  Milano  a  gridar  mora  mora. 


Ma  il  leon  di  San  Marco  alza  la  testa, 

E  sovra  i  mille  orribile  s'avventa 

Tra  ferro  e  fuoco  ed  urla  alte  e  terrore. 

Tende  V  orecchio,  il  suon  de  la  tempesta 

Napoli  attinge;  e  già  spezzò  la  lenta 

Sbarra  e  le  strambe  del  regal  timore. 

Generoso  furore 

Rapisce  i  prodi  ne  le  usate  prove: 

De  r  ire  antiche  e  nove 

Freme  Palermo,  e  da  la  sua  ruina 

Anche  si  drizza  a  battagliar  Messina. 


JUVENILIA  209 


Né  tu  men  presto  la  codarda  soma, 
Che  ne  la  strage  tua  fu  colorita, 
Da  te  scuoti,  o  roman  popolo  altero. 
Al  folgorar  de  la  novella  Roma 
Già  tra  V  are  s' appiatta  il  re  levita, 
E  ritorna  a  trattar  suo  ministero. 
Tu  fra  tanto  il  cimiero 
Vesti  di  Marte  e  la  visiera  abbassi, 
E  la  grand'  asta  squassi, 
Ricercando  il  nemico.  E  teco  agogna 
Tedesco  sangue  la  viril  Bologna. 


E  noi  da  V  indignati  ozi  riscuote 

Noi  tósche  genti  la  funerea  voce 

De  i  giovinetti  in  Montanara  estinti: 

Quando  ne  le  frequenti  aule  percuote, 

Taccion  le  danze,  e  in  un  desio  feroce 

Taccion  i  vólti  di  pallor  dipinti. 

0  campi  insubri  tinti 

Del  sangue  nostro,  ancor  nel  di  supremo 

Ancor  vi  rivedremo, 

D'  ostie  ferite  e  trionfali  canti 

A  placar  le  fraterne  ombre  aspettanti. 

Carducci.  14 


210  JUVENILIA 


Su  dunque,  suona  a  V  ultima  riscossa, 

Re  sabaudo,  le  trombe,  e  giù  dal  monte 

Saettando  la  guerra  urta  il  destriero. 

Sia  del  tuo  brando  il  lampo  e  la  percossa 

Lume  di  vita  a  la  gran  donna  in  fronte 

E  fulmine  di  Dio  su  lo  straniero. 

Vantator  menzognero, 

De  Tarmi  nostre  e  de  la  gran  vendetta 

Senta  l'orrenda  stretta; 

E  troppo  Italia  ancor  gli  sembri  forte, 

Quando  ne'  lurchi  avventerà  la  morte. 


In  van  le  scuri  e  le  catene,  in  vano 

Fùr  gli  ozi  e  l'ombre  di  cocolle  e  stole: 

Sangue  latin  viltà,  no,  non  impara. 

O  plebi  di  Bologna  e  di  Milano, 

A  cui  per  libertà  morir  non  duole  ! 

O  Goito.  o  Pastrengo,  o  Montanara  ! 

O  cara  Brescia,  o  cara 

Venezia  !  deh  come  tu  suoni  acerba 

A  chi  le  piaghe  serba 

Di  Mestre  e  vide  per  la  notte  nera 

Tutta  affocata  folgorar  Marghèra. 


JUVENILIA  211 


Itali  esempi  fùr  nel  Barberino 

Venti  giovani  contro  a  Francia  tutta 

Rotti  di  venti  colpi  il  seno  invitto: 

Son  nostri  Rossaroll,  il  Morosino, 

Poerio,  e  su  la  mole  arsa  e  distrutta 

Medici  solo  orribilmente  dritto. 

Questo  è  roman  conflitto, 

Pugnato  sempre  e  rinnovato  ognora, 

Fin  che  il  Cimbro  dimora 

Nel  suol  di  Mario,  e  dal  carinzio  chiostro 

Alarico  depreda  il  terren  nostro. 


Ma  te  Mario  novel  le  ocnèe  convalli 

Ben  sentiranno,  ne  V  immensa  clade 

Splendenti  al  cielo  di  più  bei  colori. 

Esultano  al  passar  de' tuoi  cavalli 

L'  ossa  fraterne,  e  a  le  vittrici  spade 

Il  suolo  di  Maron  cresce  gli  allori. 

Consacra  i  rei  signori 

Debite  inferie  ai  santi  aviti  Mani  : 

Poi  su' colli  italiani 

L'  ombra  adora  di  Roma,  e  il  vóto  augusto 

Sciogli  di  Giulio  e  di  Traian  su  '1  busto. 


212  JUVENILIA 


LXXXIII. 
IN    SANTA    CROCE 

XXIX  MAGGIO  MDCCCLIX 


N, 


on  carmi,  non  ghirlande,  e  non  concento 
Di  salmi  a  V  ombre  de'  guerrier  si  doni  : 
Grecia  ne  V  aspro  di  de  le  tenzoni 
Diede  inferie  di  sangue  a'  suoi  trecento. 

O  sacre  a  morte  libere  legioni, 
Qui  venite  di  morte  al  monumento  ; 
Qui  profferite  orribil  giuramento, 
Che  nel  conspetto  del  Signor  risuoni. 

Pe  '1  sangue  de  gli  eroi,  pe*  franti  petti 
De'  vegliardi,  pe  '1  duol  che  si  disserra 
Da  le  piaghe  di  madri  e  pargoletti. 

Guerra  a'  tedeschi,  immensa  eterna  guerra, 
Tanto  che  niun  rivegga  i  patrii  tetti 
E  tomba  a  tutti  sia  V  itala  terra, 


JUVENILIA  21  à 


LXXXIV. 


ANCHE  IN  SANTA  CROCE 


Q. 


,uali,  quali  al  tuonar  de'  feri  accenti 
Forme  s'accalcan  per  lo  sacro  loco? 
Assistete,  spirate,  ecco  io  v'  invoco, 
O  martiri,  o  fraterne  ombre  frementi: 

E  voi  caduti  sotto  il  ferro  e  il  foco, 
E  voi  sotto  il  flagel  schiacciati  e  spenti, 
E  voi  sparte  dal  piombo  anime  ardenti, 
E  qual  de' ceppi  usci  livido  e  fioco. 

Conturbate  i  sepolcri,  scoperchiate 
Le  tombe,  e  nel  conspetto  de  l'Eterno 
11  pianto  e  il  sangue  del  martirio  alzate. 

Non  ci  lasciar  di  Satana  in  governo: 
L' inferno  contro  te  V  armi  ha  levate, 
Ed  in  Austria,  Signor,  tutto  è  l' inferno. 


214  JUVENILIA 


LXXXV. 


GLI  AUSTRIACI  IN  PIEMONTE 


E 


molti  e  armati  e  di  ferocia  imnl§ni 
Batter  misere  plebi;  e  ne  le  vite 
Ne  gli  aver  ne  V  onor  mettere  ardite  . 
Le  sanguinose  e  non  pugnanti  mani  ; 

Poi,  le  prede  gittando  in  van  rapite, 
Al  suon  de  V  armi  prime  i  noti  piani 
Ricercar  ne  la  fuga,  ed  a  i  lontani 
Presidii  erger  le  fronti  isbigottite:  . 

Queste  son  le  tue  pugne,  oste  gagliarda. 
Ma  intatta  sorge  la  regal  Torino, 
E  su  '1  libero  mar  Genova  guarda. 

Riparate,  predoni,  oltre  Ticino; 

Che  ben  per  la  fremente  aura  lombarda 

Vi  segue  il  ferro  ed  il  valor  latino. 


JUVENILIA  215 


LXXXVI. 


A  GIUSEPPE  GARIBALDI 


JL  e  là  di  Roma  su  i  fumanti  spaldi 
Alte  sorgendo  ne  la  notte  oscura 
Plaudian  pugnante  per  V  eterne  mura 
L'  ombre  de'  Curzi  e  Deci,  o  Garibaldi. 

A  te  de' petti  giovanili  e  baldi 
Sfrenar  l'impeto  è  gioia;  a  té  ventura 
Percuoter  cento  i  mille,  e  la  sicura 
Morte  con  amorosi  animi  saldi. 

Abbracciar  là  sopra  il  nemico  estinto. 
Or  tu  primo  a  spezzar  nostre  ritorte 
Corri,  sol  del  tuo  nome  armato  e  cinto. 

Vola  tra  i  gaudi  del  periglio,  o  forte: 
Vegga  il  mondo  che  mai  non  fosti  vinto 
Né  le  virtù  romane  anco  son  morte. 


216  JUVENILIA 


LXXXVII. 


MONTEBELLO 


JLNon  son,  barbaro,  qui  le  inermi  genti 
Onde  facil  menar  preda  ti  giova: 
Son  forti  mille;  e  teco  ardono  in  prova 
Mescersi,  d'armi  e  di  valor  potenti. 

Son  gl'itali  manipoli  irrompenti: 
Questo  che  fere,  il  ferro  è  de  la  nova 
Gente;  e  com'  e'  s' incarna  avido  e  trova 
L'austriache  vite,  barbaro,  tu  il  senti. 

Superbo,  e  sotto  la  sabauda  lancia 
Curvi  le  spalle?  prode,  e  si  restio 
Se' tu  dal  ferro  e  cosi  pronto  a  ciancia? 

T'urta  e  rompe  e  disperde,  o  ladron  rio, 
Italia  a  fronte;  e  a  tergo  poi  ti  lancia 
La  vendetta  de'  popoli  e  di  Dio. 


JUVENILIA  217 


LXXXVIII. 


PALESTRO 


I 


talia,  il  gregge  de' tuoi  re,  straniero 
Gregge,  tra  le  tedesche  aste  dormia; 
0  ver  dal  sonno  pauroso  il  fero 
Tendea  gli  artigli  e  sangue  tuo  sitia. 

Or  tessi  il  roman  lauro  al  re  guerriero 
Che  per  te  pugna  e  vince,  Italia  mia: 
Ei  milite  ei  tribuno  ei  condottiero 
Ti  sórse,  ed  egli  imperador  ti  sia. 

Competitore  oh  qual  sarà  che  scenda, 
Quando  tu  del  guerriero  al  crin  sudato 
Ponendo,  o  Italia,  la  cesarea  benda 

Dirai:  Su  le  paterne  ossa  giurato 
Questi  ha  il  mio  scampo  :  questi  entro  V  orrenda 
.Pugna  il  suo  sangue,  italo  sangue,  ha  dato? 


218  JUVENILIA 


LXXXIX. 


MAGENTA 


Gua«esea,passo;poidì„ubiavvo,U 

Del  Cesare  cirnèo  V  ombra  si  mosse, 

E  disgombrando  la  caligin  folta 

Alzò  il  grido  di  guerra,  e  il  ciel  si  scosse. 

Già  fuoco  e  ferro  orribilmente  in  volta 
Percuote  i  lurchi  come  turbin  fosse, 
E  r  antica  vendetta  entro  la  molta 
Strage  V  ali  battea  torbide  e  rosse. 

Or  via,  cessate  T  inegual  conflitto; 
Che  quinci  servitù  feroce  e  muta. 
Quindi  pugna  de  i  popoli  il  diritto. 

Cade  l'austriaca  sorte:  e  te  saluta, 
Pian  di  Magenta,  il  ci  vii  mondo  afflitto: 
L' avversaria  del  bene  è  in  te  caduta. 


JUVENILIA  219 


XC. 


MODENA  E  BOLOGNA 


A 


I  suon  che  lieto  pe  '1  diverso  lido 
Empie  tra  i  monti  e '1  mar  T  italo  seno, 
Sgombra,  o  straniero,  i  tuoi  presidi:  infido 
Sotto  i  barbari  pie  crolla  il  terreno. 

Or  chi  pria  leverà  d'Italia  il  grido 
Spezzando  il  vario,  infame,  antico  freno  ? 
Di  martiri  e  d*eroi  famoso  nido, 
Voi  Modena  e  Bologna.  Oh  al  di  sereno 

Di  libertà  cresciute  anime  altere 

Tra  i  ceppi  sanguinanti  e  gli  egri  esigli 

E  gli  orrendi  martori  in  prigion  nere, 

Voi  ne' tedeschi  e  ne' papali  artigli 

Chi  più  mai  renderà,  poi  che  un  volere 

Raccoglie  al  fin  de  la  gran  madre  i  figli  ? 


220  JUVENILIA 


XCI. 


SAN  MARTINO 


G 


'hi  del  German  di  doppia  oste  magj[iore 
Là  il  barbarico  nembo  urta  e  sostiene? 
Chi  sovra  mucchi  di  morenti  muore 
Sorriso  in  volto  di  letizia  e  spene? 

Qual  d*  ira  e  di  virtù  divin  furore 
Su  quel  colle  a  le  prove  ultime  viene? 
Chi  ricaccia  il  gagliardo  assalitore, 
E  terribil  lo  folgora  a  le  schiene? 

Sei  tu,  sei  tu,  latin  sangue  gentile, 
Che  ne  i  pugnati  campi  e  su  la  dòma 
Austria  risorgi  in  tua  ragion  civile, 

Ed  a  r  Europa  gridi  —  Oh,  chi  mi  noma 
Servo  mai  più  ?  fine  a  V  oltraggio  vile  ! 
Rendimi  il  serto  di  mia  madre  Roma.  -^ 


JUVENILIA  221 


XCII. 


PER  LE  STRAGI  DI  PERUGIA 


INon  più  di  frodi  la  codarda  rabbia 
Pasce  Roma  nefanda  in  suo  bordello; 
Sangue  sitisce,  e  con  enfiate  labbia 
A' cattolici  lupi  apre  il  cancello; 

E  gli  sfrena  su  i  popoli,  e  la  sabbia 
Intinge  di  lascivia  e  di  macello: 
E  perché  il  mondo  più  temenza  n'abbia, 
Capitano  dà  Cristo  al  reo  drappello; 

Cristo  di  libertade  insegnatore; 
Cristo  che  a  Pietro  fé'  ripor  la  spada. 
Che  uccidere  non  vuol,  perdona  e  muore. 

Fulmina,  Dio,  la  micidial  masnada; 

E  r  adultera  antica  e  il  peccatore 

Ne  r  inferno  onde  usci  per  sempre  cada. 


222  JUVENILIA 


xeni. 


ALLA  CROCE  DI  SAVOIA 


vJTià  levata  ne  gli  spaldi 
De' castelli  subalpini, 
Tra  le  selve  ardue  de' pini 
Ondeggianti  a  Taquilon; 

De'  marchesi  austeri  e  baldi 
Fiammeggiante  ne  i  brocchieri, 
Quando  i  ferrei  cavalieri 
Ruinaro  a  la  tenzon; 


Come  bella,  o  argentea  Croce, 
Splendi  a  gli  occhi  e  arridi  a'  cuori 
Su  '1  Palagio  de'  Priori 
Ne  la  libera  città; 

Dove  il  secolo  feroce, 
Posta  giù  r  ùnnica  asprezza, 
Rivesti  di  gentilezza 
La  romana  libertà. 


JUVENILIA  223 

Vero  è  ben:  qui  non  sorgesti 
A  r  omaggio  de  i  vassalli, 
Giù  squillando  per  te  valli 
L'alto  cenno  del  signor; 

Né  tornei  ferir  vedesti  * 
Né  d'amore  adunar  corti, 
E  lodar  le  belle  e  i  forti 
Non  udisti  il  trovator. 


Una  plebe  di  potenti 
Qui  giù  rossi  al  franco  stato, 
E  il  barone  spodestato 
Si  raccolse  tra  gli  artier, 

Quando  sursero  portenti 
Da  le  sete  e  da  le  lane, 
E  le  logge  popolane 
Vider  Giano  e  V  Alighier. 


Ma  la  luce  che  a  te  intorno 
Novamente  arde  e  sfavilla, 
E  da  Susa  fino  a  Scilla 
Trae  le  nostre  anime  a  te. 

Nel  desio  d'  un  più  bel  giorno 
Che,  cessati  i  duri  esigli, 
La  gran  madre  unisca  i  figli 
Sotto  il  nome  del  tuo  re; 


JUVENIUA 

Qoella  luce  tra  g|i  orrori 
De  l'italica  sventura 
Queste  tombe  e  queste  mura 
A  i  dì  novi  la  serbar. 

Tal  su  r  urne  de*  maggiori 
A  la  tarda  etnisca  prole 
La  favilla  alma  del  sole 
I  sepolcri  tramandar. 


Qui  Alighier  nel  santo  petto 
Accogliendo  pria  quel  rag^o 
Te  nel  triplice  viaggio, 
Nova  Italia,  ricercò: 

Tutto  in  faccia  al  gran  concetto 
Gli  fremeva  il  cor  presago, 
E,  di  Roma  l'alta  imago 
Abbracciando,  poetò. 


Qui  ne  r  aule  del  senato, 
Qui  de*  rei  nel  duro  ostello. 
Doloroso  Machiavello 
Maturava  il  pio  desir; 

E  a  la  forza  ed  al  peccato, 
Che  r  Italia  egra  tenea, 
Chiese  aiuto  a  V  alta  idea 
E  de  r opera  l'ardir. 


JUVENILIA  225 


Infelice!  a  la  sua  gente 
Si  volgeva  altro  destino, 
E  il  buon  Decio  fiorentino 
La  grand'  anima  gittò. 

Ma  il  pensier  del  sapiente 
Ed  il  sangue  del  guerriero 
Sovra  il  capo  a  lo  straniero 
Le  viventi  ire  eternò. 


E  fu  primo  Burlamacchi, 
Dato  a  morte  e  pur  non  vinto, 
Contro  il  fato  e  Carlo  Quinto 
Il  futuro  ad  attestar. 

Poi  da' petti  inermi  e  fiacchi 
Rifuggi  r  altera  idea 
Fra  le  tombe,  onde  solea 
Ferri  e  ceppi  rallegrar. 


Or,  desio  de'  nostri  morti, 
De' viventi  amore  e  gioia. 
Bianca  croce  di  Savoia, 
Tu  sorridi  al  nostro  ciel. 

Gloria  a  te,  da  che  a'  tuoi  forti 
Filiberto  apri  la  strada 
E  su  i  barbari  la  spada 
Levò  Carlo  Emmanuel! 

ARDUCCI.  15 


226  JUVENILIA 

Gloria  a  te  quando  nel  grido 
D'  una  plebe  combattente 
Tra  le  patrie  armi  lucente 
Te  un  magnanimo  portò; 

E  per  tutto  il  nostro  lido 
Fin  de  V  Adria  a  la  riviera 
Da  le  torri  di  Peschiera 
La  vittoria  folgorò! 


Sacra  a  noi,  te  non  avvolse 
La  ruina  di  Novara: 
Più  terribile  e  più  cara 
Di  memorie  e  di  virtù, 

Risorgesti:  e  un  rege  accolse 
In  te  l'italo  destino, 
Quando  ruppe  a  San  Martino 
La  stagion  di  servitù. 


Chi  r  ha  detto  che  fremente 
Di  terrore  e  di  corruccio 
Qui  su  '1  popol  di  Ferruccio 
Un  d'Asburgo  regnerà? 

Su,  stringetevi,  o  possente 
Gioventù  de  le  legioni! 
Su,  risorgi,  o  Pier  Capponi; 
Tocca  i  bronzi  a  libertà! 


JUVENILIA  227 


II  combattere  fia  gioia 
Fia  '1  morire  a  noi  vittoria: 
Pugnerà  con  noi  la  gloria 
Ed  il  nome  de  i  maggior. 
E  tu,  Croce  di  Savoia, 
Tu  fra  r  armi  e  su  le  mura 
Spargerai  fuga  e  paura 
In  tra  i  barbari  signor. 


Noi,  progenie  non  indegna 
Di  magnanimi  maggiori, 
Noi  con  Tarmi  e  con  i  cuori 
Ci  aduniamo  intorno  a  te. 

Dio  ti  salvi,  o  cara  insegna^ 
Nostro  amore  e  nostra  gioia! 
Bianca  Croce  di  Savoia, 
Dio  ti  salvi!  e  salvi  il  re! 


228  JUVENILIA 


VARIANTE   CANTATA 

DELLA  CROCE  DI  SAVOIA 


Oome  bella,  o  argentea  Croce, 
Splendi  a  gli  occhi  e  arridi  a'  cuori 
Su  '1  palagio  de'  Priori 
Ne  la  libera  città; 

Dove  il  secolo  feroce, 
Posta  giù  r  ùnnica  asprezza 
Rivesti  di  gentilezza 
La  romana  libertà! 


A  Vittorio  i  nostri  carmi 
Ne  le  piazze  popolose. 
De'  figliuoli  e  de  le  spose 
Consacriamo  a  lui  V  amor, 
E  Io  strepito  de  V  armi 
E  il  furor  de'  fieri  petti 
E  la  folgor  de  i  moschetti 
In  presenza  a  gli  oppressor. 


JUVENTLIA  229 


II  combattere  fia  gioia, 
Fia  '1  morire  a  noi  vittoria: 
Pugnerà  con  noi  la  gloria 
Ed  il  nome  de  i  maggior. 

Ma  te,  o  Croce  di  Savoia, 
Altra  gente  invoca  e  aspetta: 
A  chiamar  la  gran  vendetta 
Sorge  un  grido  di  dolor. 


È  Venezia.  In  riva  al  mare 
Siede,  guarda,  e  al  ciel  si  duole; 
E  conforto  aver  non  vuole. 
Perché  figli  più  non  ha. 

Oh  qua  Tarmi!  e  a  fulminare 
Torna,  o  re,  nel  tuo  sentiero: 
Dove  regna  lo  straniero. 
Va,  ti  mostra,  e  fuggirà. 


Noi,  progenie  non  indegna 
Di  magnanimi  maggiori. 
Noi  con  r  armi  e  con  i  cuori 
Ci  aduniamo  intorno  a  te. 

Dio  ti  salvi,  o  cara  insegna. 
Nostro  amore  e  nostra  gioia! 
Bianca  Croce  di  Savoia, 
Dio  ti  salvi!  e  salvi  il  re! 


230  JUVENILIA 


XCIV. 


BRINDISI 


-Cjvoe,  Lieo:  tu  gli  animi 
Apri,  e  la  speme  accendi. 
Evoe,  Lieo  :  ne'  calici 
Fuma,  gorgoglia  e  splendi. 

Tenti  le  noie  assidue 
Co'  vin  d'  ogni  terreno 
E  r  irrompente  nausea 
Freni  con  V  acre  Reno 

Chi  ne  le  cene  pallide 
Cambia  le  genti  e  merca 
E  da  i  traditi  popoli 
Oro  ed  infamia  cerca: 


JUVENILIA  231 

A  noi  conforti  T  anime 
Pur  contro  a'  fati  pronte 
Il  vin  de' colli  italici 
Ove  regnò  Tarconte. 

Un  morbo  rio  cui  niegano 
Le  mie  camene  il  nome 
Pasce  le  membra  d'Àmpelo 
E  le  fiorenti  chiome, 

Ed  ei  sparso  di  rigido 
Livor  la  bella  faccia 
Al  tuo  gran  nume  supplica 
Pur  con  le  inferme  braccia. 

In  van:  tu  sdegni,  o  Libero, 
Che  attemperati  ardori 
La  dolce  per  i  barbari 
De  l'uve  ambra  s'indori; 

E,  quando  il  marte  austriaco 
Su'  colli  tuoi  gavazza. 
Tu  sfrondi  i  lieti  pampini, 
Tu  frangi  al  suol  la  tazza. 

Nato  al  sorriso  limpido 
De  le  pelasghe  fórme, 
I  tetri  ceffi  abomini 
E  le  ferine  torme. 


232  JUVENILIA 

Deh  risorridi  e  fausto 
A  la  vendemmia  scendi; 
Ne  i  bicchier  nostri,  o  Libero, 
Fuma,  gorgoglia  e  splendi. 

Ne*  clivi  ove  più  prospero 
Il  sacro  arbusto  alligna 
Non  più  stran ier  quadrupede 
Ti  pesterà  la  vigna, 

Non  de  l'ottobre  splendido 
Tra  i  balli  e  le  canzoni 
Mescerà  lituo  retico 

I  detestati  suoni. 

II  re  teban  di  vincoli 
Strinse  il  tuo  fido  stuolo: 
Tu  sorridesti,  e  inutili 
Caddero  ì  ferri  al  suolo. 

D*  estranei  re  da' vìncoli 
Italia  or  si  sprigiona: 
Ridi,  o  vendemmia;  o  Libero, 
Il  mio  bicchier  corona. 

Tomi  a' suoi  covi  squallidi 
La  sconsolata  prole. 
Di  putri  nebbie  fumiga 
La  terra  in  odio  al  sole. 


JUVENILIA  233 

Che  a  pena  guarda  i  poveri 
Campi  e  i  maligni  colli, 
Cui  nieghi,  o  padre  Libero, 
L'onor  de' tuoi  rampolli. 

Ivi  i  giacenti  spiriti 
D'amari  succhi  asperga 
E  oblii  ne' sonni  torbidi 
De'  suoi  signor  la  verga. 

A  noi  tu  serbi  i  vividi 
Estri  e  gli  ardor  giocondi. 
Di  civil  fiamma,  o  Libero, 
A  noi  tu  i  cuori  inondi; 

Tu  caro  a  lui  che  a' teutoni 
Indisse  i  lunghi  affanni 
Ed  al  cantor  lesbiaco 
Spavento  de' tiranni. 


234  JUVENILIA 


xcv. 

LA  SCOMUNICA 


I 


fratelli  a  i  fratelli  e  i  padri  a  i  figli 
Chiama  Roma  inimici,  e  guerra  chiede: 
Per  vive  membra  crepitar  le  tede, 
Dritti  fra  nere  croci  acciar  vermigli, 

E  fra  stupri  ed  oltraggi  e  sangue  e  prede 
Rapito  Cristo  da  rabbiosi  artigli 
Delitti  a  consacrar,  con  erti  cigli 
Di  tra  Torgie  dormite  ella  già  vede. 

Già  leva  il  maggior  prete  in  bianche  stole 
Tra  la  sua  turba  imbestì'ata  e  scempia 
La  man  benedicente  e  le  parole. 

Nefandi!  oh  venga  di  che  sangue  v'empia 
Si  che  v'  affoghi,  e  sia  quel  che  a  voi  cóle 
Da  i  sen  forati  e  da  la  rotta  tempia. 


JU  VENI  LIA  235 


XCVI. 


VOCE  DEI  PRETI 


i_j  tu  pur  di  viltà  scuola  e  d' inganni 
Fosti,  o  asil  de  gli  oppressi,  o  tempio  ;  quando 
I  fratelli  e  la  patria  e  Dio  negando, 
L' interprete  di  Dio  stiè  co'  tiranni. 

Empio!  e  al  ciel  si  lodò  de  i  nostri  affanni, 
E  benedisse  a  gli  oppressori  il  brando, 
E  a  r  inferno  sacrò  qual  sé  levando 
Scotea  dal  capo  del  servaggio  i  danni. 

Pronta  a  gì'  imperi  d'  ogni  vii  feroce 
E  a  le  lusinghe  del  vietato  acquisto, 
A  Dio  menti  de*  vati  suoi  la  voce. 

Ahi  giorno  sovra  gli  altri  infame  e  tristo, 
Quando  vessil  di  servitù  la  Croce 
E  campion  di  tiranni  apparve  Cristo! 


236  JUVENILIA 


XCVII. 


VOCE  DI  DIO 


V 


oce  di  Dio  nel  tempio  or  ecco  tuona, 
—  Una  sembianza  avete  ed  un  linguaggio. 
Vostra  è  la  patria  che  il  Signor  vi  dona, 
Cui  ride  il  ciel  co  '1  più  soave  raggio. 

Via  del  sire  stranier  Tarmato  oltraggio! 

Via  la  favella  che  diversa  suona! 

Cui  vi  strappa  de' vostri  avi  il  retaggio, 

Cui  vi  tragge  a  servir.  Dio  non  perdona: 

Dio  che  accende  la  vita  entro  gli  avelli, 
Che  incontro  a  gli  oppressor  tra*  folgor  vola 
In  compagnia  de'  Macabei  fratelli.  — 

Salve,  o  voce  di  Dio!  questa  è  parola 
Che  di  te  scende,  e  a'  secoli  novelli 
Rende  lo  spirto  del  Savonarola. 


JUVENILIA  237 


XCVIII. 


IL  PLEBISCITO 


L 


leva  le  tende,  e  stimola 
La  fuga  de  i  cavalli; 
Torna  a  le  pigre  valli 
Che  il  verno  scolorò! 

Via!  su  le  torri  italiche 
L'antico  astro  s'accende: 
Leva,  o  stranier,  le  tende! 
Il  regno  tuo  cessò. 

Amor  de'  nostri  martiri, 
De  i  savi  e  de'  poeti; 
Da  i  santi  sepolcreti 
La  nuova  Italia  usci: 


238  JUVENILIA 

Usci  fiera  viragine 
De  le  battaglie  al  suono, 
E  la  procella  e  M  tuono 
Su  '1  capo  a  lei  ruggì. 

Levò  lo  sguardo;  e  splendida 
Su  '1  combattuto  lido 
Mandò  a'  suoi  figli  un  grido 
Tra  Talpe  infida  e  M  mar: 

E  di  ridesti  popoli 
Fremon  le  valli  e  i  monti, 
E  su  rerette  fronti 
Un  sangue  e  un'alma  appar. 

Già  più  non  grava  a  i  liberi 
Viltà  di  cor  le  ciglia: 
Siam  r  itala  famiglia 
Cui  Roma  il  segno  die*. 

La  forte  Emilia  abbracciasi 
A  la  gentil  Toscana: 
Legnano  e  Gavinana 
Sola  una  patria  or  è. 

L'ombre  de' padri  sorgono 
Raggianti  in  su  gli  avelli; 
Il  sangue  de' fratelli 
Da' campi  al  ciel  fumò. 


JUVENILIA  239 

Già  sotto  il  piede  austriaco 
Bolle  lampeggia  e  splende  : 
Leva,  o  stranier,  le  tende: 
Il  regno  tuo  cessò. 

Piena  di  fati  un'aura 
Da  i  roman  colli  move; 
La  terra  e  il  ciel  commove 
Le  tombe  e  le  città. 

In  ogni  zolla,  o  barbaro, 
A  te  una  pugna  attesta 
L'  antica  età  ridesta 
Con  la  novella  età. 

Vedi:  Crescenzio  i  tumuli 
Schiude  nel  suol  latino  : 
Levato  in  pie  Arduino 
Incalza  il  nuovo  Otton. 

T'incalza  il  sasso  ligure, 
La  siciliana  squilla; 
E  Procida  e  Balilla 
Accende  la  tenzon. 

Ecco:  Ferruccio  IMmpeto 
Ed  il  furor  prepara  : 
Lo  stuol  di  Montanara 
Intorno  a  lui  si  tien. 


240  JUVENILIA 


Ne  i  dolor  lunghi  pallido, 
Ecco  il  sabaudo  Alberto: 
Gittate  ha  il  manto  e  M  serto, 
Sol  con  la  spada  ei  vien. 

A'  varchi  infidi  cacciano 

I  tuoi  destrieri  aneli 
Poerio  con  Mameli, 
A4anara  e  Rossarol. 

Nero  vestiti  affrontano 
Te  del  Carroccio  i  forti. 
Tornano  i  nostri  morti, 
Tornano  a'  rai  del  sol. 

De  i  vecchi  e  nuovi  martiri 
La  voce  si  diffonde, 
E  un  grido  sol  risponde 
L'Arno  la  Dora  il  Po. 

Sola  una  mente  e  un'  anima 
Tutta  r Italia  accende: 
Leva,  o  stranier,  le  tende! 

II  regno  tuo  cessò. 

E  tu,  signor  de'  liberi, 
Re  de  V  Italia  armato, 
Ne  i  voti  del  senato. 
Ne  '1  grido  popolar, 


JUVENILIA  241 

Sorgi,  Vittorio:  a  T  ultima 
Gloria  de' regi  ascendi; 
Al  popolo  distendi 
La  mano,  ed  a  Tacciar. 

T'accomandiamo  i  pubblici 
Diritti  e  le  fortune, 
I  talami  e  le  cune. 
Le  tombe  de' maggior: 

Vieni,  invocato  gaudio 
A  i  tardi  occhi  de' padri, 
Speranza  de  le  madri, 
De'  baldi  figli  amor. 

Vieni:  anche  i  nostri  parvoli 
A  fausti  di  crescenti 
Te  con  i  dubbi  accenti 
Chiaman  d'Italia  re. 

Assai  splendesti  folgore 
Ne'  sanguinosi  campi, 
E  de  la  pugna  i  lampi 
Arsero  intorno  a  te. 

Vieni,  guerriero  e  principe. 
Tra  '1  popolar  desio: 
Teco  è  r  Italia  e  Dio  : 
Chi  contro  te  starà? 

RDUCCI.  16 


242  JUVENILIA 

Dio  pose  te  segnacolo 
D' una  fatai  vendetta  : 
Teco  r  Italia  affretta 
A  la  promessa  età. 

Straniero,  a  le  tue  vergini 
Gran  lutto  allor  sovrasta: 
Gitta  la  spada  e  Tasta; 
Dio  gli  oppressor  fiaccò. 

De  la  vendetta  il  fulmine 
Già  r  ale  infiamma,  e  scende. 
Leva,  o  straniar,  le  tende! 
Il  regno  tuo  cessò. 


JUVENILIA  243 


XCIX. 
IN  SANTA  CROCE 

IV   GIUGNO  MDCCCLX. 

1  re  fra  i  ricordi  e  le  speranze  e  il  pianto 
Sorgon  forme  nel  tempio  alte  e  stupende. 
Verde  quasi  smeraldo  ha  V  una  il  manto, 
E  il  ferro  e  rocchio  verso  l'Adria  intende. 

Come  folgor  di  Dio,  da  T  altro  canto 
Roggio  il  secondo  cherubin  s'accende; 
E  mira  in  vai  di  Tebro;  e  al  pastor  santo 
Tremano  in  capo  per  terror  le  bende. 

Bianco  siccome  neve  in  alpi  intatte 
E  il  terzo;  e  va,  de' martiri  colomba, 
Dove  Sicilia  bella  arde  e  combatte. 

Ma  grida  a  gli  altri:  Allor  che  la  mia  tromba 

Canti  le  tirannesche  ire  disfatte. 

Tu  su  Venezia  e  tu  su  Roma  piomba. 


244  JUVENIUA 


e. 


SICILIA  E  LA  RIVOLUZIONE 


D: 


a  le  vette  de  V  Etna  fumanti 
Ben  ti  levi,  o  facella  di  guerra: 
Su  le  tombe  de'  vecchi  giganti 
Come  bella  e  terribii  sei  tu! 

Oh,  trasvola!  per  T  itala  terra 
Corri,  ed  empi  d*  incendio  ogni  lido! 
Uno  il  core,  uno  il  patto,  uno  il  grido: 
Né  strania*  né  oppressori  mai  più! 


O  seduti  ne  gli  aulici  scanni, 
A  che  i  patti  mentite  e  la  pace? 
Solo  è  pace  tra  servi  e  tiranni 
Quando  morte  la  lite  fini: 

Ma  il  nemico  su  M  campo  non  giace, 
Né  lasciò  da  la  man  sanguinante 
La  catena  che  in  saldo  adamante 
Nel  silenzio  de*  secoli  ordì. 


JUVENILIA  245 

Come  il  turpe  avvoltoio  ripara, 
Franto  V  ali  dal  turbine,  al  covo, 
E  ne  r  ozio  inquieto  prepara 
Pur  li  artigli  la  fame  ed  il  voi; 
Vergognando  il  pericolo  novo 
La  barbarie  le  forze  rintégra, 
Ne  le  insidie  la  speme  rallegra, 
Pria  li  spirti  quindi  occupa  il  suol. 


Or  su  via!  Fin  che  il  truce  signore 
Tien  sol  una  de  l' itale  glebe 
E  de*  regi  custodi  il  terrore 
Tra  r  Italia  e  T  Italia  interpon; 

Fin  che  d'Austria  e  Boemia  la  plebe 
Si  disseta  di  Mincio  e  di  Brenta, 
E  il  cavallo  de  l' Istro  s'  avventa 
Dove  al  passo  confini  non  son; 


Fino  al  di,  verdi  retiche  vette, 
Che  su  voi  splenda  Tasta  latina; 
Sciagurato  chi  pace  promette. 
Chi  la  mano  a  la  spada  non  ha! 

Presto  in  armi!  l'antica  rapina 
Ceda  innanzi  a  T  eterno  diritto! 
Come  Amazzoni  ardenti  al  conflitto, 
Presto  in  armi  le  cento  città! 


246  JUVENILIA 

O  Milan,  la  tua  pingue  pianura 
Crebbe  pur  de  le  bianche  lor  ossa, 
E  i  destrieri  sferzò  la  paura 
Quando  inerme  il  tuo  popol  ruggì: 

O  Milano,  a  la  terza  riscossa 
Gitta  r ultima  sfida,  e  t'affretta; 
Il  drappel  de  la  morte  t' aspetta, 
Ch'è  risorto  al  novissimo  di. 


Bello  il  sangue  che  ancor  su  la  gonna 
Tua  ducale  rosseggia  e  sfavilla! 
Non  forbirlo,  o  de' Liguri  donna; 
Odi,  a  vespro  Palermo  sonò! 
Pittamuli,  Carbone,  Balilla 
Scalzi  corran  da  Prè  da  Portoria, 
Sotto  il  nobile  segno  de  i  Doria, 
Dietro  il  sasso  che  i  mille  cacciò. 


Dove  sono,  o  Bologna,  i  possenti, 
I  guerrier  de  la  tua  Montagnola? 
Quei  che  incontro  dì  metalli  roventi 
Volan  come  fanciulle  a  danzar? 
Non  più  fren  di  levitica  stola 
Al  furor  de  le  sacre  tenzoni! 
Spingi  in  caccia  i  tuoi  torvi  leoni! 
Senti  il  cenno  per  l'aure  squillar? 


JUVENILIA  247 

Odel  Mei  la  viragine  forte, 

Batti  pur  su  le  incudi  sonanti, 

Stringi  pure  in  arnesi  di  morte 

Del  tuo  ferro  il  domato  rigor; 

'    Ma  rammenta  i  tuoi  pargoli  infranti 

Su  le  soglie,  i  tuoi  vecchi  scannati, 

Ed  i  petti  materni  frugati 

Da  le  spade,  e  l'irriso  dolor. 


O  Firenze,  tua  libera  prole 
Dorme  tutta  ne' templi  de*  padri 
O  su*  monti  ove  V  ultimo  sole 
Il  tuo  Decio  cadendo  attestò? 

Odo  un  gemito  lungo  di  madri 
Volto  al  Mincio  ed  al  memore  piano 
Gli  occhi  avvalla  riscosso  il  Germano 
Da  le  torri  vegliate,  e  tremò: 


Che  un  clamor  d' irrompente  battaglia 
Sorge  ancor  da  la  trista  pianura, 
E  le  azzurre  sue  luci  abbarbaglia 
D' incalzanti  coorti  il  fulgor. 

A  la  cinta  de  V  ispide  mura 
Su  correte,  o  progenie  di  forti! 
Qui  la  muta  legione  de'  morti 
Qui  vi  chiama,  ed  il  conscio  furor. 


248  JUVENILIA 

Chi  è  costui  che  cavalca  glorioso 
In  tra  i  lampi  del  ferro  e  del  foco, 
Bello  come  nel  ciel  procelloso 
Il  sereno  Orione,  compar? 

Ei  si  noma,  e  a'  suoi  cento  diér  loco 
Le  migliaia  da  i  re  congiurate: 
Ei  si  noma,  e  città  folgorate 
Su  le  ardenti  ruine  pugnar. 


Come  tuono  di  nube,  disserra 
Ei  li  sdegni  che  Italia  raguna: 
Ei  percuote  d'  un  piede  la  terra, 
E  la  terra  germoglia  guerrier. 

Garibaldi! Da  Terma  laguna 

Leva  il  capo,  o  Venezia  dolente: 
Tu  raccogli,  o  de  V  itala  gente 
Madre  Roma,  lo  scettro  e  V  impen 


Su,  da'  monti  Carpazi  a  la  Orava, 
Da  la  Bosnia  a  le  tessale  cime, 
Dove  geme  la  Vistola  schiava. 
Dove  suona  di  pianti  il  Balcani 

Su,  d' amore  nel  vampo  sublime 
Scoppin  Tire  de  l'alme  segrete! 
Genti  oppresse,  sorgete,  sorgete! 
Ne  la  pugna  vi  date  la  man! 


JUVENILIA  249 

Da  li  scogli  che  frangon  TEgeo, 
Da  le  rupi  ove  V  aquile  han  covo, 
O  fratelli  di  Grecia,  al  Pireo! 
Contro  r  Asia  Temistocle  è  qui. 

Serbo,  attendi  !  su  '1  pian  di  Cossovo 
Grande  l'ombra  di  Lazaro  s'alza; 
Marco  prence  da  1'  antro  fuor  balza, 
E  il  pezzato  destriero  annitrì. 


Strappa  ornai  de'  Corvini  la  lancia 
Da' le  sale  paterne,  o  Magiaro; 
Su  '1  tuo  nero  cavallo  ti  slancia 
A  le  pugne  de  i  liberi  di. 

In  fra  '1  gregge  che  misero  e  raro 
L'  asburghese  predon  t'  ha  lasciato, 
Perché  piangi,  o  fratello  Croato, 
Il  figliuol  che  in  Italia  mori? 


In  queir  uno  che  tutti  ci  fiede, 
Che  si  pasce  del  sangue  di  tutti, 
Di  giustizia  d'  amore  di  fede 
Tutti  armati  leviamoci  su. 

E  tu,  fine  de  gli  odii  e  de  i  lutti, 
Ardi,  o  face  di  guerra,  ogni  lido! 
Uno  il  cuore,  uno  il  patto,  uno  il  grido: 
Né  stranier  né  oppressori  mai  più. 


LICENZA 


io  di  poveri  fior  ghirlanda  sono, 

Ed  Enotrie  a  le  dee  m'  appese  in  dono, 


Qui  l'arte  deponendo  e  il  van  desio: 
Altri  cliieda  la  gloria,  ed  e!  l'oblio. 


NOTE 


Al  libro  [1806]  —  Petronio  [pag.  5.  v.  6]  è  quel  del 
Satyrìcon  divenuto  dopo  il  1815  scrittore  di  romanzetti  mi- 
stici e  d'omelie  erotiche.  Alfio  [ivi,  v.  14]  è  l'usuraio  del  1[ 
degli  epodi;  al  tempo  di  Orazio  faceva,  idilli  campestri,  dal 
1815  al  '59  compose  di  molti  inni  sacri  in  settenari  e  in  isciolti: 
oggigiorno  credo  faccia  anche  delle  poesie  sodali.  Le  altre 
figure,  0  figuri,  sono  studi  ideali  dal  vero,  per  cosi  dire,  della 
società  toscana  poco  avanti  e  poco  dopo  ìl  27  aprile  1859, 
cui  si  allude  alla  pag.  1,  v.  4.  Per  1'  allusione  mitologica  su  'I 
Mugnone  [pag.  9,  vv.  21-23],  chi  non  se  ne  ricordasse  vegga 
il  Ninfale  fiesolano.  A  chi  poi  gli  rimprovera  l'acerbezza 
giambica  dì  alcuni  di  questi  versi,  come  sconveniente  alla  ci- 
viltà odierna,  Enotrìo,  veneratore  degli  antictli,  ricorda  quei 
di  C.  Trebonio  a  Cicerone,  Famil.  lib.  XU:  In  quibus  versi- 
talis  sì  libi  quibusdam  verbis  eythyrremonésleros  vìdebor, 
larpitado  personae  eius  in  quam  liberius  invehimur  nos  vin- 
iicabii  :  ignosces  eiiam  iraeundiae  nostrae,  quae  iusta  est  in 
liiismodi  et  homines  et  dves.  E  canticchia  quei  versi  di  Lu- 
cìIId: 
Virtus,  id  dare  gaod  re  ipso  debetur  honori, 
Hostem  esse  atque  inimicum  hominum  tnorumque  mcdorum 
Cantra  defensorem  hominum  morumque  bonorum. 


256  JUVENILIA 


LIBRO  I. 

VI)  À  imitazione  delle  rime  dei  secoli  xiii  e  xiv. 

VII)  Come  il  precedente.  Il  Primo  amante  del  v.  12  è 
detto  platonicamente^  come  già  dal  Tasso  nella  canzone  alla 
Pietà: 

Ei  accesa  di  selo 

Scaldi  gli  alati  amori 

Di  nuovo  e  dolce  foco  e  7  primo  amante. 

XIII)  In  questo  sonetto  la  seconda  quartina  non  corri- 
sponde neir  abitudine  delle  rime  alla  prima;  ma  non  è  licenza 
mia,  sf  maniera  antica  che  piacque  al  Petrarca  (v.  il  sonetto 
Soleano  i  miei  pensier  soavemente).  Libertà  in  arte  quanta 
ce  n*  entra:  ma  di  quelle  libertà  che  scusano  Tignoretnza  1*  im- 
potenza o  la  trascuraggine,  no. 

LIBRO  II. 

XXVI)  È  una  specie  d' idillio  lirico,  nel  quale  per  le  rap- 
presentazioni della  natura  volle  tornarsi  alle  forme  del  poli- 
teismo classico,  e  ai  sentimenti  della  natura  volle  mescolarsi 
le  ire  nazionali  del  presente  d' allora.  Il  canto  messo  in  bocca 
alle  fanciulle  romane  festeggiane  la  primavera  nell'isoletia 
del  Tevere  [pagg.  44-48]  è  imitazione  o  riduzione  del  Per- 
vigilium  Veneris.  Chi  volesse  saper  di  più  su  *1  luogo  1*  occa- 
sione e  i  modi  di  quella  festa,  cerchi  il  proemio  del  Wems- 
dorf  a  queir  idillio  (Poetae  latini  minores,  ii). 

XXVII)  Per  Cerìnto  e  Sulpizia  [pagg.  55]  vedi  il  libro  iv 
delle  elegie  dì  Tibullo. 

XXVIII)  E  una  variazione  su  l'idillio  vili  di  Mosco,  su 
r  elegia  vii  di  Lod.  Ariosto  O  ne'  miei  danni.,»,   su   le  stanze 


JUVENILIA  257 


di  Ph.  Desportes  Nuict  jalòuse  nuict....  e  su  la  canz.  vili  p.  i 
di  T.  Tasso  Chi  di  mordaci.... 

XXIX)  Di  Cassio  [a  pag.  65]  sappiamo  da  Plutarco,  nella 
vita  di  Bruto,  che  era  epicureo  e  buon  compagno. 

XXXI)  Traduzione  o  imitazione  dal  Basium  ìt  di  Gio- 
vanni Secondo. 

XXXII)' Fatta  veramente  su  '1  motivo  d'antico  poeta  ci- 
nese, Kaokiti;  il  cui  canto  può  vedersi  tradotto  nella  Storia 
universale  di  Cesare  Cantii  (Letteratura,  voi.  I,  p.  312:  Torino, 
Pomba,  1841). 

XXXIII)  È  una  santa  proteggitrice,  come  chi  dicesse  una 
indig'ete,  della  terra  di  Santa  Maria  a  monte  nel  Valdarno  in- 
feriore; ove  nacque  nel  118T  da  un  Giuntini  cavaliere  e  da 
una  Ghisilieri  di  Bologna  e  morì  nel  1231. 

XXXIV)  Per  gli  ultimi  versi  [pag.  80]  ognun  ricorda  che 
la  Commedia  di  Dante  fu  alcuna  volta  letta  al  popolo  in  Santa 
Maria  del  fiore. 

LIBRO  III 

XLII)  V.  9.  Accenna  alle  parole  del  Voltaire:  Vorrei  inti- 
tolare le  vostre  commedie  V  Italia  liberata  dai  Goti  [lett.  a 
C.  G.,  24  seti  1760]. 

-^ 

LVI)  È  risposta  per  le  stesse  rime  a  un  sonetto  che  mi 
fu  indirizzato  nel  1856  e  che  fu  stampato  in  un  volume  di 
Uriche  [Pisa,  Nistri,  1862],  ove  sono  dì  bei  pezzi  poetici. 
Ecco  il  sonetto: 

Carducci,  è  suono  d*  armonia  guerriera 
Quel  che  ti  freme  ne  1'  ardente  core, 
Che  pur  le  dolci  fantasie  d' amore 
Veste  di  forma  rigida  e  severa. 

Carducci.  IT 


JITiENIUA 


Li.  ta  i'jttit  e 
ScrszzjL  £  sdcrri  e  2  Seni 
E  (f  acfxo  p«ra  e  £  litÌB  Tilore 
Cerca  zd  de!  «fi  Dante  la 

Gbe  se  1  tao  canto  a  Fetà  ooo  s* 
Pecsa  cbe  3  fiacre  scio  i=  Ics  s'ispcm 
Da  die  al  verbo  de*  forti  è  fatti  sorda. 

D:  r:ìg£or  tempo  degno,  a  la  tsa  Era 
Xon  t^.  Cardoeci.  noo  aggicager 
Ma  sii  aaa!  fosti;  e  rendi  carmi  ed 


Corde,  d'  an'>ra  in  poi,  aOa  mia  lira  io  non  ne  bo  toltie;  e,  se 
alcuna  ne  ho  a^unta.  è  di  quelle  cbe  Sparta  imo  awdibe 
comandato  di  togfiere. 

LIBRO  IV. 

LVH)  Questi  versi  e  gli  attrì  intitolati  Omero  sono  frani- 
mentì  di  an  carme  che  ne' primi  anni  meditavo  sa  la  poeàa 
greca.  E  li  ristampo,  sebbene  frammenti,  perché  sovra  essi 
si  fermò  piò  benigno  lo  sguardo  di  F.  D.  Guerrazzi:  i  lin- 
guaioli mi  motteggiavano,  ed  ei  giudicò  che  in  questi  versi 
specialmente  io  mi  mostrava  si  alunno  del  Foscolo,  ma  come 
Achille  che  imparava  a  tender  l'arco  da  Chirone  (/^isfo 
contemporanea  del  185S).  So  bene  d'esser  rimasto  inferiore 
al  paragone  e  al  vóto: 

Quamquam  o!  —  sed  superent  quibus  hoc,  Neptttne,  dedistL 

LIX)  pag.  113,  V.  15  e  segg.  La  venuta  di  Omero  al 
tumulo  di  Achille  e  Y  apparizione  dell'  eroe  e  l' acciecameot» 
del  poeta  furono  prima  immaginati  da  A.  Poliziano  nell'Ambra, 
V.  260  e  s^gg.]  ma  d'altra  g^isa. 

LX)  pag.  122,  vv.  4-6.  Questo  stava  bene  dirlo  nel  1864; 
ma  che  Dante   pensasse   all'  unità   d' Italia,   oggi,   studiati  nn 


JUVENILIA  259 


po'  meglio  i  tempi  l' uomo  e  il  poema,  non  lo  direi  più  né 
pure  in  un  ditirambo.  Le  son  novelle  che  oramai  bisogna  la- 
sciarle a  quei  che  sudano  a  lusingare  il  veltro. 

LXVI)   Nelle   prime    sei    stanze   si   accenna  ai  Persiani 

« 

d' Eschilo,  e  in  fine   della   sesta  air  epitafio   che  leggesi  ne^ 

V antica  vita  del   poeta:    Questo  monumento  ricuopre  Eschilo 

d' Euf orione  ateniese^  perito  nella  fertil  di  grano  Gela,  Del 

suo  inclito  valore  ti  dirà   il  sacro  campo   di  Maratona  e  il 

denso-capigliato  Medio  che  7  sa  per  pruova, 

LXVIII)  vv.  13-14.  Come  è  detto  da  Persio  vi:  Mihi  nunc 
ligus  hora  Intepet  hibematque  meum  mare.  Persio  era  etru- 
sco: ma  il  paese  dalla  Magra  all'  Arno  fu  detto  più  d' una 
volta  ligure,  specialmente  dai  greci. 

vv.  61-64.  È  una  rimembranza  del  glorioso  scolio  ateniese: 
Carissimo  Armodio^  no  tu  mai  non  moristi:  ma  nelle  isole 
de*  beati  dicono  che  tu  sei,  ov*  è  il  pie-veloce  Achille  e  dicono 
anche  il  tidide  Diomede. 

"V.  72.  Si  accenna  al  frammento  di  Alceo  serbatoci  da  Ate- 
neo X:  Or  conviene  inebriarsi  e  di  forza  bere,  da  poi  che 
morto  è  Mirsilo. 

LIBRO  V. 

LXXIX)  pag.  189.  Fu  stampato  la  prima  volta  non  so  piti 
in  qual  numero  del  Momo  di  Firenze  nel  1858,  con  la  se- 
guente missiva: 

Colui  che  ti  scrive  trovossi  un  bel  giorno  a  sentir  recitare 
in  una  accademia  di  questo  mondo  una  diceria,  non  ti  potrei 
dire  quanto  dotta  e  assennata  e  cristiana,  sopra  la  educazione 
de' figliuoli.  E  come  a  lui  piacque  sempre  la  costumanza  di 
<\uei  sapientissimi  Greci,  che  i  comandamenti  della  religione 
eie  leggi  civili  e  i  precetti  della  moral  filosofia  mettevano 
in  versi,  e  gli  cantavano  per  le  cene  e  gli  scolpivano  in  capo 


260  JUVENILIA 


alle  vie,  affinché  per  tal  maniera   restassero  meglio  in^ 
nelle  menti  deMoro  paesani;   cosi  volle  far   egli,  per  qd! 
poteva,  di  quella  diceria  ;  eh'  e'  tiene  per  santissima  eosi^ 
boccante  tutta  da  capo  a  fondo  di  religione   e    di  civiltà  e 
morale.  E  recolla  in  versi;  e  la  dà  a  te;  che,  se  ti  piifl^ 
la   mandi  fiiora,   cosi   compendiata   e  fatta  piò  dUettstt' 
agevole  a  ritenere,  a  processione  per  la  stampa. 
Dio  ti  salvi,  Momo  da  bene. 

LXXXI)  pag.  195.  Fu  stampato  nella  Domenica  del 
cassa,  anno  III,  n.  2,  10  gennaio  1886,   con    questo  avwii 
Giuseppe  Chiarini: 

In  nota  ad  un  mio  scrìtto  sul  Carducci,   io   pubi 
1869  alcune  strofe  di  un  Inno  sacro  eh'  egli   scrìsse  nel  ' 
quando  era  scolare  a   Pisa.   Il   Carducci   stesso   ne 
qualche  altra  strofa  nelle  note   alla   prima   edizione  ddel 
Poesie  fatta  dal  Barbèra  nel  1811.  Ma  la  intera   poesia, 
una  satira   religiosa  e  civile   per   quei   tempi   audi 
mase  finora  inedita.  Rovistando  alcune  carte,  m' è  ora 
alle  mani  1'  originale  di  queir  Inno,  e  lo  pubblico,  certo 
cosa  grata  ai  nostri  lettori:   lo   pubblico   con   le   parole 
quali  il  Carducci  mi  mandava  la  poesia,  parole  che  ne 
r  origine.  "  Da  un  pezzo  in  qua  (due  anni  mi   pare)  è 
la  mania  di  rìscavare  i  vecchi  santi  e  di  metterne  su  de^i 
ultimo  guizzo  deir  idea   cristiana-romantica.  A  questi  gìoi4| 
precisamente  dopo  trattata  e  firmata  la  pace  di  Parigi, 
trovato  un  frate  del  secolo   xiii    che   appunto   ha   nome 
vanni  della  Pace,  venerato  in  Pisa  nei  secoli    passati, 
stabilito  di  riscavarlo,    metterlo   in    onoranza   nel   domo,; 
tarlo  a  processione.  Io  ho  scritto  questo  inno  sacro  ,. 

pag.  196  V.  1.  L*  arcivescovo  di  Pisa  card.  Cosimo 

LIBRO  VI. 

xeni)  pag.  223,  V.  16.  Giano  della  Bella  fiorentino,  bei 
uscito  di  antica  e  nobil  famiglia^  prese  le  parti  del  popolo  eofl 


JUVENILIA  261 


tro  i  nobili  e  grandi;  e,  venuto  ad  esser  priore  nel  1292,  ri- 
formò lo  stato  e  ridusse  il  governo  nelle  mani  del  i>oi>olo. 
Di  che  nacquero  invidie  e  odii  contro  di  lui,  e  il  popolo  traeva 
a  difenderlo;  ma  e' non  pati  che  il  nome  suo  divenisse  segno 
di  cittadine  discordie,  e  di  sua  volontà  si  bandi  da  Firenze 
nel  1294. 

pag.  224,  V.  9.  Dante  Alighieri,  nato  in  Firenze  l' anno  1265 
morto  in  Ravenna  nel  1321,  il  piò  gran  poeta  de*  tempi  cri- 
stiani, fu  primo  a  nettamente  pensare  e  procurare  efficace- 
mente con  le  scritture  e  i  consigli  V  unità  d' Italia  nella  lingua, 
nei  pender!  e  costumi,  nelle  leggi  e  nel  governo,  sotto  il 
reggimento  d'un  prìncipe.  Ma  egli  concepiva  T unità  italiana 
solo  co  1  risorgimento  dell'  impero  romano,  per  lo  die  allar- 
gavasi  a  certe  astrazioni  di  monarchia  universale,  che  non 
humo  al  caso  nostro^  per  altro  è  da  osservare  che  quel  che 
Dante  pensò,  un  altro  italiano,  Napoleone  i,  tentò  a  modo 
suo  di  mettere  in  effetto.  Belle  e  degnamente  riferìbili  al  Re 
eletto  sono  le  parole  con  le  quali  il  gran  poeta  annunziava 
la  venuta  d' un  redentore  d' Italia  nella  Epistola  ai  re,  magi' 
strati  e  popoli  d*  Italia  [traduzione  di  P.  Fraticelli]. 

pag.  224,  V.  n  Nicolò  Machiavelli,  cittadino  fiorentino  e 
segretario  della  Repubblica,  nato  nel  1469  e  morto  nel  1527, 
voleva  la  indipendenza  e  unità  d'Italia  acquistata  con  le  armi 
nazionali  e  assicurata  sotto  un  prìncipe  nazionale  potente. 
Vagheggilo  questo  principe  prìma  in  Cesare  Borgia  detto  il 
Valentino,  poi  in  Lorenzo  de'  Medici  duca  d'  Urbino  ;  i  quali, 
usciti  di  ree  famiglie  ambidue,  erano  ambidue  nefandi  per 
tradin:enti  e  violenze  e  vizii  di  diversa  maniera:  e  Dio  non 
vuole  che  le  opere  grandi  e  belle  si  compiano  per  mezzo  di 
bassi  e  bratti  tstrumentL  Paiono  profezia  della  mirabil  con- 
cordia^ ^xm  la  quale  gl'Italiani  d'og^  vollero  e  vogliono  per 
re  loro  Vittorio  Emanuele,  le  parole  del  Machiavelli  nel  capo 
ultimo  del  Priudpe. 

pag,  225,  V.  3.   Quale   italiano   non   conosce   il   nome  e  i 
fatti  di  Francesco  Ferrucci,  nato  in  Firenze  il  14  agosto  14^ 


262  JUVENILIA 


e  morto  a  Gavinana  il  2  agosto  1530  in  difesa  della  libertà 
di  Firenze,  e,  si  può  dire,  d' Italia,  contro  le  armi  di  Carlo  v 
imperatore  e  di  Qemente  vii  papa? 

pag.  225,  V.  9.  Francesco  Burlamacchi,  artefice  lucchese  e 
gonfaloniere  della  Repubblica  di  Lucca  ne]  1546,  aveva  con- 
cepito il  magnanimo  e  per  i  tempi  che  allora  correvano  non 
mal  fondato  divisamento  di  ritogliere  i  male  acquistati  dominii 
agli  stranieri  e  il  temporale  al  papa  e  riunire  l'Italia  sotto 
reggimenti  repubblicani,  incominciando  dal  chiamare  a  libertà 
le  città  toscane  e  romagnole  di  fresco  assoggettate,  poi  per 
tutta  r  Italia  propagando  V  incendio.  Per  ciò  s' intese  con  gii 
Strozzi  e  con  altri  fuorusciti  fiorentini  e  senesi;  ed  era  per 
dar  mano  all'opera,  quando  scoperto  per  vile  malignità  d'un 
Pezzini  fu  con  la  tortura  disaminato  dagli  stessi  anziani  della 
sua  Repubblica;  e  quindi  dato  in  mano  a  Ferrante  Gonzaga, 
che  lo  richiedeva  in  nome  dell'imperatore,  tu  nella  cittadella 
di  Milano  nuovamente  torturato  e  in  fine  decapitato.  Il  Governo 
della  Toscana  ha  decretato  che  in  alcuna  delle  piazze  di  Lucca 
gli  si  ponga  una  statua  come  a  primo  martire  dell'  unità  ita- 
liana. 

pp.  225,  vv.  13-16.  Il  Burlamacchi  può  considerarsi  come 
l' ultimo  dei  grandi  uomini  italiani  delle  età  repubblicane; 
che,  dopo,  al  predominio  straniero  si  accompagnò  una  quasi 
universale  corruttela,  e  lo  smarrimento  d'  ogni  spirito  generoso 
nel  popolo  d' Italia.  Vero  è  che  alcuni  amarono  e  procurarono 
sempre  l'indipendenza  e  l'unità  della  patria;  e  molti  furono 
i  tentativi  a  ciò  dopo  il  1189,  e  più  molti  dopo  il  1815;  ma. 
ebbero  per  fine  la  galera,  il  carcere  duro,  la  mannaia. 

pp.  225,  vv.  21-24.  Dio  provvide  che  nei  bassi  tempi  della, 
nostra  servitù  regnasse  al  settentrione  d' Italia  una  forte  e  ^ 
pura  famiglia  di  prìncipi  italiani.  —  Emanuele  Filiberto  i  doefli  r 
di  Savoia,  generalissimo  delle  armi  spagnole  in  Fiandra,  osi  a 
1551  vinse  sopra  i  Francesi  la  battaglia  di  San  QuintioOy 
onde  nella  pace  di  Castel  Cambresf,  che  a  quella  battaglia- ; 
successe,  riacquistò  i  suoi  dominii  di  Savoia   e   Piemonte, 


JUVENILIA  263 


nuti  per  ventiquattro  anni  da'  Francesi,  e  gli  afforzò  d' armi 
e  di  leggi:  con  ciò  fondando  la  grandezza  di  casa  Savoia, 
anche  preparò  all'  Italia  nel  Piemonte  un  futuro  vendicatore 
della  sua  libertà.  —  Il  figliuolo  di  Filiberto,  Carlo  Emanuele  i, 
messo  dalla  Spagna  al  bando  dell'  impero,  perché  si  preparava 
a  sostenere  con  le  armi  i  suoi  diritti  di  successione  al  Mon- 
ferrato, rispose  rimandando  il  toson  d'  oro:  intimatogli  dal 
governatore  di  Milano  che  obbedissey  rispose  avanzando  l' eser- 
cito e  chiamando  i  principi  e  popoli  d*  Italia  alla  riscossa  con- 
tro il  dominio  straniero:  per  due  volte  fece  la  guerra  contro 
Spagnuoli  ed  Àutrìaci,  nel  1614  e  15,  nel  1616  e  11.  Fu  dai 
primi  uomini  d' Italia  acclamato  liberatore  della  patria. 

pag.  220,  vv.  1-8.  Carlo  Alberto  i,  di  Savoia-Carignano, 
dopo  rinnovato  il  Piemonte  con  sapienti  riforme  e  afforzato 
di  disciplina  e  d' armi  il  bello  e  florido  esercito  aspettava  il 
suo  astro,  aspettava  cioè  1'  occasione  dì  romperla  coli'  Au- 
stria, che  gli  fu  data  dalle  cinque  giornate  di  Milano  (  18-22 
marzo  1848):  ond'egli  il  23  passò  il  Ticino,  sovrapposto  lo 
scudo  di  Savoia  alla  bandiera  tricolore  italiana;  e  battuto  il 
30  aprile  il  generale  D'  Aspre  a  Pastrengo,  e  nel  30  maggio 
il  maresciallo  Radetzky  a  Goito,  ebbe  in  guest'  ultimo  giorno 
la  fortezza  di  Peschiera  a  patti.  Non  è  del  nostro  proposito 
il  narrare  come  riuscisse  male  quella  guerra  incominciata  con 
tanto  lieti  auspicii:  accenneremo  come  Carlo  Alberto  battuto 
a  Novara  nel  23  marzo  1849  abdicasse  pe  '1  figlio  Vittorio 
Emanuele  ii,  e  andasse  a  morire  nell'  esiglio  in  Oporto  di 
Portogallo.  Dal  Senato  del  Regno  fu  con  decreto  aggiunta 
al  nome  di  lui  1'  appellazione  di  Magnanimo. 

pag.  228.  Cantata  la  sera  del  4  decembre  1859  al  Teatro 
Pagliano,  con  grande  accompagnamento  di  coro,  dalla  signora 
Manetta  Piccolomini  in  occasione  dell'  Accademia  a  vantaggio 
della  soscrizione  per  i  fucili  promossa  da  Gius.  Garibaldi, 
t  a  richiesta  universale  ripetuto  tre  volte.  Altre  strofe  del 
canto  stesso  erano  già  state  messe  in    musica   pur    dal    mae- 


264  JUVENILIA 


stro  Carlo  Romani  ed  eseguite  nel  r.  Teatro  degl*  Intrepidi  in 
Firenze  la  sera  del  27  novembre  1859. 

XCIV  )  Un  po'  incivile  con  gli  austriaci;  ma  bisogna  ricor- 
dare i  tempi:  del  resto  né  pur  gli  austriaci  erano  dvilisàmi 
con  noi.  Tarconte  [p.  231,  v.  4]  è  Teroe  mitico  degli  etruschi 
fondatore  di  città.  Ampelo  [ivi,  v.  7]  die  il  nome  greco  alla 
vite:  di  lui  Ovidio,  Fcist  ili,  409. 

Ampelon  intonsum  satyro  nymphaque  crecUum 
Fertur  in  ismariis  Bacchus  amasse  iugis. 

Su  *1  coperchio  d*  un  sarcofago  del  Museo  Pio  dementino  ve- 
desi  figurato  nel  trionfo  di  Bacco  in  un  carro  tirato  da  tigri 
cui  guida  un  Amorino  sonando  la  lira.  La  sua  storia  è  il  piti  bel 
episodio  delle  Dionisiache  di  Nonno.  A  pag.  233,  v.  13-16,  si 
accenna  a  Mario,  che  vecchio  beveva  anche  troppo,  e  ad 
Alceo,  de*  cui  pochi  frammenti  parecchi  son  sacri  al  vino  e 
a'  bicchieri. 

C)  p.  246,  v.  1.  Occorre  dire  che  accenno  alla  Compagnia 
della  morte,  la  quale  combatté  a  Legnano  intorno  al  Carroccio? 
t  della  quale  il  Berchet,  Fantasie  in, 

Dio  fu  nosco.  Al  drappel  de  la  Morte, 
Alla  foga  dei  carri  falcati 
Ei  fu  guida.... 

pag.  249,  vv.  5-8.  Su  '1  piano  di  Cossovo  fu  combattuta 
il  15  giugno  del  1389  la  battaglia  tra  Serbi  e  Turchi  ove 
cadde  tra  migliaia  di  prodi  Lazaro  re  di  Serbia  e  la  nazione, 
e  che  è  omericamente  celebrata  nei  canti  popolari  serbi,  al 
cui  paragone  si  vede  bene  la  gran  miseria  che  sono  certe 
altre  poesie  popolari.  Quei  canti  narrano  anche  i  grandi  e 
gli  ameni  fatti  di  Marco  Kraglievich  {principe)^  V  Achille  e  il 
Rinaldo   serbico.    "   Visse   censessant'anni;    second*  altri  tre* 


JUVENILIA  265 


cento.  Altri  imagìna  che  dopo  V  ultima  battaglia  si  ritraesse 
in  una  caverna,  quando  vide  la  canna  del  primo  moschetto. 
Dio  a  lui  pregante  die  un  sonno  che  non  si  romperà  se  non 
quando  gli  cadrà  da  sé  la  spada  dal  fodero.  Si  sente  talvolta 
il  suo  cavallo  nitrire;  e  la  spada  è  già  mezzci  fuori  „:  cosi  il 
signor  Bone  nella  versione  di  Nicolò  Tommaseo,  traduttore 
e  illustratore  degno  della  poesia  illirica. 


f 


LEVIA  GRAVIA 

1861-1871 


ife»;^k^^^4É 


I. 

CONGEDO 


V_/oi 


-^ome  tra  'I  gelo  antico 
S'  affaccia  la  viola  e  disasconde 
Sua  parvola  beltà  pur  de  1'  odore  ; 
Come  a  r  albergo  amico 
Co  'I  vento  eh'  apre  le  novelle  fronde 
La  rondinella  torna  ed  a  l'amore; 
Rifiorirmi  nel  core 

Sento  de  i  carmi  e  de  gli  error  ta  fede; 
Animoso  già  riede 
De  le  imagini  il  voi,  riede  1'  ardore 
Su  r  ingegno  risorto;  e  il  mondo  in  tanto 
Chiede  al  mio  petto  ancor  palpiti  e  canto. 


270  LEVIA   GRAVIA 


Luce  di  poesia, 

Luce  d'amor  che  la  mente  saluti, 

Su  Tali  de  la  vita  anco  s'aderge 

A  te  l'anima  mia, 

Ancor  la  nube  de' suoi  giorni  muti 

Nel  bel  sereno  tuo  purga  e  deterge: 

Al  sol  cosi  che  asperge 

Lieto  la  stanza  d'improvviso  lume 

Sorride  da  le  piume 

L' infermo  e  '1  sitibondo  occhio  v'  immerge 

Sin  che  gli  basta  la  pupilla  stanca 

A  i  color  de  la  vita,  e  si  rinfranca. 


Quale  nel  cor  mal  vivo 

Dolore  io  chiusi,  poi  che  la  minaccia 

Del  tuo  sparir  sostenni,  e  quante  pene? 

Tal  del  seguace  rivo 

A  poco  a  poco  inaridir  la  traccia 

L' arabo  vede  tra  le  mute  arene, 

E  sente  entro  le  vene 

L'arsura  infuriar,  e  mira,  ahi  senso 

Spaventoso  ed  immenso!. 

Oltre  il  voi  del  pensiero  e  de  la  spene 

Spaziare  silente  e  fiammeggiante 

Il  ciel  di  sopra  e  '1  gran  deserto  innante. 


LEVIA   GRAVI  A  271 


E  giace,  e  il  capo  asconde 

Nel  manto,  come  a  sé  voglia  coprire 

La  vista,  che  il  circonda,  de  la  morte: 

E  il  vento  le  profonde 

Sabbie  rimove  e  ne  le  orrende  spire 

Par  che  sepolcro  al  corpo  vivo  apporte. 

I  figli  e  la  consorte 

Ei  pensa,  ch'escon  de  le  patrie  ville 

Con  vigili  pupille 

Del  suo  ritorno  ad  esplorar  le  scorte, 

E  in  ogni  suono,  eh* a  l'orecchio  lasso 

Vien,  de'  noti  cammelli  odono  il  passo. 


Or  mi  rilevo,  o  bella 

Luce,  ne'  raggi  tuoi  con  quel  desio 

Ond'  elitroprio  s' accompagna  al  sole. 

Ma  de  V  età  novella 

Ove  i  dolci  consorti  ed  ove  il  pio 

Vólto  e  l'amico  riso  e  le  parole? 

Come  beir  arbor  suole 

Ch'  è  dal  turbin  percosso  innanzi  il  verno, 

Tu,  mio  fratello,  eterno 

Mio  sospiro  e  dolor,  cadesti.  Sole, 

Lungi  al  pianto  del  padre,  or  tien  la  fossa 

Pur  le  speranze  de  l'amico  e  l'ossa. 


272  LEVIA   GRAVIA 


O  ad  ogni  bene  accesa 

Ànima  schiva,  e  tu  lenta  languisti 

Da  l'acre  ver  consunta  e  non  ferita: 

Tua  gentilezza  intesa 

Al  reo  mondo  non  fu,  che  la  vestisti 

Di  sorriso  e  disdegno;  e  sei  partita. 

Con  voi  la  miglior  vita 

Dileguossi,  ahi  per  sempre!,  anime  care; 

Qual  di  turbato  mare 

Tra  i  nembi  sfugge  e  di  splendor  vestita 

Par  da  V  occiduo  sol  la  costa  verde  . 

A  chi  la  muta  con  V  esilio  e  perde. 


Dunque,  se  i  primi  inganni 

M' abbandonaro  inerme  al  tempo  e  al  vero, 

Musa,  il  divin  tuo  riso  a  me  che  vale? 

Altri  e  fidenti  vanni, 

Altro  e  indomito  al -dubbio  ingegno  altero 

Vorriasi  a  te  seguir,  bella  immortale^ 

Quand'  apri  ardente  V  ale 

Vèr'  l'infinito  che  ti  splende  in  vista: 

A  me  l'anima  è  trista; 

Perdesi  l' inno  mio  nel  vuoto,  quale 

Per  gli  silenzi  de  la  notte  arcana 

Canto  di  peregrin  che  s'allontana. 


LEVIA  GRAVIA  273 


Ma  no:  dovunque  suojia 

In  voce  di  dolor  1'  umano  accento' 

Accuse  in  faccia  del  divin  creato, 

E  a  r  uom  T  uoiti  non  perdona^ 

E  l' ignominia  del  fraterno  armerito 

È  ludibrio  di  pochi,  è  rio  mercato, 

E  con  viso  larvato 

Di  diritto  la  forza  il  campo  tiene 

E  r  inganno  d*  oscene 

Sacerdotali  bende  incamuffato, 

Ivi  gli  amici  nostri,  ivi  i  fratelli. 

Intuona,  o  musa  mia,  gì'  inni  novelli. 


—4 


Addio,  serena  etate. 

Che  di  forme  e  di  suoni  il  cor  s'appaga; 

0  primavera  de  la  vita,  addio! 

Ad  altri  le  beate 

Visioni  e  la  gloria,  e  a  T  ombra  vaga 

De'  boschetti  posare  appresso  il  rio, 

E  co  '1  queto  desio 

Far  di  sé  specchio  queto  al  mondo  intero: 

Noi  per  aspro  sentiero 

Amore  ed  odio  incalza  austero  e  pio, 

A  noi  tra  i  tormentati  or  convien  ire 

TesoEeggianda  le  vendette  e  V  ire. 

Carducci.  18 


274  LEVIA  GRAVIA 


L 


Musa,  e  non  vedi  quanto 

Tuon  di  dolor  s'accoglie  e  qual  di  sangue 

Tinta  di  terra  al  ciel  nube  procede? 

Di  madri  umane  è  pianto 

Cui  su  l'esista  poppa  il  figlio  langue; 

Strido  è  di  pargoletti,  e  del  pan  chiede: 

È  sospir  di  chi  cede 

Vinto  e  in  mezzo  a  la  grave  opera  cade, 

Di  vergin  che  onestade 

Muta  co'l  vitto;  e  di  chi  più  non  crede 

E  disperato  nel  delitto  irrompe 

E  grido,  o  cielo,  e  i  tuoi  seren  corrompe. 


Che  mormora  quel  gregge 

Di  beati  a  cui  soli  il  ciel  sorride 

E  fiorisce  la  terra  e  ondeggia  il  mare? 

Di  qual  divina  legge 

S'  arma  egli  dunque  e  che  decreti  incide 

A  schermir  le  crudeli  opere  avare? 

Odo  il  tuono  mugghiare 

Su  ne  le  nubi,  e  freddo  il  vento  spira. 

Del  turbine  ne  V  ira 

E  tra  i  folgori  è  dolce,  inni,  volare. 

L*  umana  libertà  già  move  V  armi  : 

Risorgi,  0  musa,  e  trombe  siano  i  carmi. 


LEVIA   GRAVIA  275 


Canzon  mia,  che  dicesti? 

Troppo  è  gran  vanto  a  si  debili  tempre: 

Torniam  ne  V  ombra  a  disperar  per  sempre. 


LIBRO   I. 


IN  UN  ALBO 


A„ 


incor  mi  ride  ne  la  fantasia 
onesto  sguardo,  o  giovinette,  e  il  viso 
de  le  vostre  inchine  fronti  il  riso; 

E  ad  altri  d!  la  mente  sì  disvia 
jando  m' apparve  amor  cosa  celeste  ; 
con  sospir  strisciare  odo  una  veste 

Bianca  tra  i  fiori  al  lume  de  la  luna, 
?sco  mormorii  dolci  a  l' aria  bruna. 


278  LEVIA  GRAVIA 

Pòvero  peregrino  in  chiusa  valle, 
Timido  de  la  notte  erma  tra  i  sassi, 
Se  leva  gli  occhi  su  del  monte  a  i  passi 

Ond'è  calato  e  vede  le  sue  spalle 
Ancor  vestite  del  soave  raggio, 
Pensa  il  principio  del  lontan  viaggio 

E  del  luogo  natio  la  primavera 
Ed  il  foco  paterno  in  su  la  sera. 


Al  sole  al  verde  a  gli  amorosi  vènti, 
A  le  dolci  armonie  pe  '1  mondo  sparte 
Sospira  il  cuor;  ma  la  bufera  in  parte 

Mi  respinge  ove  infuriano  i  viventi 
Odi  e  amor  di  mill'anni  e  da  le  tombe 
Sorgono  accenti  d' ira  e  suon  di  trombe. 

Non  uditeli  voi,  ma  pure  e  liete 
De  la  fugace  rosa  il  fior  cogliete. 


LEVIA  GRAVIA  279 


III. 

PER  NOZZE  B.  E  T. 

IN  PISA 


Ohi  me  de*  canti  ormai  memore  in  vano 
Poi  che  dal  nido  mio  giacqui  diviso, 
Chi  me  al  ciel  patrio  e  de  gli  amici  al  viso 

Rende  toscano, 

Dove  più  largo  ne* bei  piani  a  l'onda 
Laboriosa  il  freno  Arno  concede 
E  di  trionfi  solitari  vede 

Grave  la  sponda? 

Vola  il  pensiero  trepidando  e  posa 
A  una  nota  magione  or  tutta  in  festa. 
Piange  la  madre  e  i  bianchi  veli  appresta  : 

Ecco  la  sposa. 


280  LEVIA  GRAVIA 

Seco  il  garzone  a  cui  V  intimo  affetto 
Traluce  e  ride  su  la  faccia  pura 
E  ne  r  eloquio  V  anima  secura 

E  il  savio  petto. 

Oh  a  me  del  vin  cui  più  sottil  maturi 
Tosca  vendemmia  per  le  aeree  cime 
Versate,  amici.  Io  dal  bicchier  le  rime 

Chieggo  e  li  auguri. 

E  d'Alice  dirò  la  chioma  bruna, 
La  tenue  fronte  e  i  lunghi  sguardi  e  lenti, 
Come  in  queta  d'aprii  notte  pioventi 

Raggi  di  luna. 


LEVIA  GRAVI  A  281 


IV. 


PER  VAL  D'  ARNO 


N, 


é  vi  riveggo  mai,  toscani  colli, 
Colli  toscani  ove  il  mio  cantò  nacque 
Sotto  i  limpidi  soli  e  tra  le  molli 
Ombre  de*  lauri  a'  mormorii  de  V  acque, 

Che  dal  lago  del  cor  non  mi  rampolli 
Il  pianto.  Ogni  memoria  altra  si  tacque 
Da  quando  in  te,  che  più  ridi  e  t'estolli, 
Colle  funesto,  il  fratel  mio  si  giacque. 

Oh  che  dolce  sperar  già  ne  sostenne! 
Come  da  quella  età  che  non  rinverde    - 
Volammo  a  T avvenir  con  franche  penne! 

Tra  ignavi  studi  il  tempo  or  mi  si  perde 
Nel  dispetto  e^'  oblio,  ma  lui  ventenne 
Copre  la  negra  terra  e  V  erba  verde. 


282  LEVIA   GRAVIA 


V. 


F.  PETRARCA 


S 


e,  porto  de'  pensier  torbidi  e  foschi, 
Ridesse  un  campicello  al  desir  mio 
Con  poca  selva  e  il  lento  andar  d'  un  rio 
A  r  aèr  dolce  de'  miei  colli  tòschi, 

Vorrei,  là  in  parte  ove  il  garrir  de'  loschi 
Mevi  non  salga  e  regni  alto  l' oblio, 
Pòrti  un'ara  con  puro  animo  e  pio 
Ne  la  verde  caligine  de' boschi. 

Ivi  del  sol  con  gli  ultimi  splendori 

Ridirei  tua  canzon  tra  erbose  sponde 

A  r  onde  a  1'  aure  a  i  vaghi  augelli  a  i  iiori: 

Gemerebber  più  dolci  e  1'  aure  e  1*  onde, 
Più  puri  al  sole  i  fior  darian  gli  odori. 
Cantando  un  usignol  tra  fronde  e  fronde. 


LEVIA  GRAVIA  283 


VI. 


IN  MORTE  DI  PIETRO  THOUAR 


[giugno  1861] 


M, 


.e  da  la  turba,  che  d*  ossequio  avaro 
Pasce  i  mal  chiusi  orgogli 
A  qual  più  sorga  d*  util  fama  chiaro, 
Tu,  solitaria  musa,  a  voi  ritogli: 
Ma,  dove  del  suo  riso 
Virtù  soave  irradiando  veste 
Bei  costumi,  alti  sensi,  opre  modeste. 
Ivi  teco  io  m'affiso, 
Teco  m' esalto  ed  a  V  aspetto  santo 
Rompe  da  la  commossa  anima  il  canto. 


284  LEVIA  GRAVIA 


E  già  cercai  con  desioso  amore 

Questo  savio  gentile, 

E  i  pensieri  affinai  ne  lo  splendore 

Che  mite  diffondea  sua  vita  umile. 

Nel  suo  povero  tetto 

Me  inesperto  egli  accolse  e  ad  una  ad  una 

Del  reo  mondo  le  piaghe  e  di  fortuna 

E  '1  non  mai  domo  affetto 

Al  vero  al  buon  m'aperse:  in  su  la  pura 

Fronte  gli  sorridea  V  alma  secura. 


Ahi,  con  duol  mi  rimembra  il  punto  quando 

L' ultimo  amplesso  tolsi, 

E  da  la  buona  imago,  sospirando. 

Confuso  di  tristezza,  il  pie  rivolsi  ! 

Redia,  su  '1  volto  amico 

Insaziato  ancor  V  occhio  redia, 

Qual  di  figliuolo  che  per  lunga  via 

Si  mette,  e  al  padre  antico 

Guarda,  pensoso  del  lontan  ritorno. 

Ne  la  fredd' ombra  de  T  occiduo  giorno. 


LEVIA   GRAVIA  285 


Pur  rivederlo  a  sue  beli'  opre  atteso 

Mi  promettea  speranza, 

E  ne  gli  onesti  ragionari  acceso 

Di  fede  avvalorarmi  e  di  costanza. 

In  van:  per  sempre  è  muto 

Quel  di  semplice  eloquio  inclito  fabro, 

Quel  mite  ardente  intemerato  labro; 

E  V  occhio,  ahi  quell'  arguto 

Da  le  assidue  vigilie  occhio  conquiso, 

Più  non  si  leva  a*  dolci  alunni  in  viso. 


E  voi  vivete,  o  titolati  Gracchi, 

E  voi  con  doppia  lingua 

Ben  provvedenti  Bruti  a' cor  vigliacchi, 

E  voi  Caton  cui  libertade  impingua. 

V*  approdaron,  civili 

Rosei,  il  tragico  stile  e  V  alte  spoglie  ! 

Ma  in  van  mentite,  o  istrì'on,  le  voglie 

Oblique  e  V  opre  vili 

Sott*esso  il  fasto  de  T  eretto  ciglio. 

Famosi  oggetti  al  popolar  bisbiglio. 


286  LEVIA  GRAVIA 


Ei  per  le  vie,  che  non  de  gli  aurei  cocchi 

Ma  suonan  di  frequente 

Opera  industre,  oh  quante  volte  gli  occhi 

A  sé  traea  del  vulgo  reverente! 

lisciano  in  suo  cammino 

I  vecchi  salutando,  ed  a  la  prole 

Con  ischietti  d' amor  cenni  e  parole 

Segnavanlo  e  al  vicino: 

Or  di  lui  forse  in  su  la  stanca  sera 

Pensan  con  un  sospiro  e  una  preghiera. 


Non  un  pensier,  eh'  io  creda,  a  lui  concede 

Il  vulgo  che  beato 

Con  largo  fasto  e  misera  mercede 

Ne  pagava  i  precetti  e  il  mal  sudato 

Tempo  ingombrògli.  Umano 

De  gli  anni  nuovi  educatore,  ahi  cruda 

Volge  reta  pur  sempre,  e  de  T ignuda 

Virtù  l'esempio  è  in  vano: 

Povero  fior  d*  atra  palude  in  riva 

Muor  né  d*  olezzi  il  grave  aèr  ravviva. 


LEVIA  GRAVI  A  287 


VII. 


ALLA  LOUISA  GRACE  BARTOLINI 


A 


te,  sciolto  da'  languidi 
Tedi  lo  spirto,  e  anelo 
Del  vital  aere  al  fremito 
Ed  a  r  effuso  cielo. 
Sorge:  dal  cuor  rimormora 
L'aura  de' canti,  inclita  donna,  a  te; 

A  cui  ne' tócchi  rapidi 

D'  animator  pennello 

E  ne'  frenati  numeri 

La  memore  del  bello 

Idea  sorride  e  tenero 

Senso  e  del  bene  l'operosa  fé'. 


288  LEVIA  GRAVIA 

O  desta  a  i  forti  palpiti 

Che  viltà  preme  in  noi, 

Nata  a  i  concilii  splendidi 

De  i  vati  e  de  gli  eroi, 

Salve,  Eloisa,  armonica 

D*  altre  genti  figliuola  e  d'  altre  età  ! 


Perché  tra  i  vecchi  popoli 
Venisti  e  a  gli  anni  tardi. 
Quando  gli  eroi  si  assoldano, 
Spengonsi  i  vati  e  i  bardi, 
E  si  scelera  T  ultimo 
De  r  oscurato  ciel  raggio,  beltà? 


Altr'aer  ed  altro  secolo 

L' attèa  Corinna  accolse, 

E,  quando  ella  da'  rosei 

Labbri  il  canto  devolse. 

Tutto  pendeva  un  popolo 

Da  l'ardente  fanciulla  affisa  al  ciel. 


Fremea  sotto  la  cetera 

L'  onda  alterna  del  petto  : 

Da  le  forme  virginee 

Ineffabil  diletto 

Spirava;  ma  le  lacrime 

Splendido  a' folgoranti  occhi  eran  vel. 


LEVIA  GRAVIA  289 

Stupian  mirando  i  prìncipi 

E  i  figli  de  gli  Achei 

Poggiati  accolli  madidi     *" 

De'  corridori  elei  : 

Cantava  Talta  vergine 

La  sua  patria,  i  suoi  dèi,  la  libertà. 

Ed  oblioso  Pindaro 

De  la  ceduta  palma  ?* 

Parca  per  gli  occhi  effondere 

Il  sorriso  de  Talma, 

Rimembrando  Eleuteria 

Che  tra  i  popoli  salvi  inneggia  e  va. 

Ma  ben,  come  da  sùbita 

Procella  esercitate, 

Le  selve  atre  germaniche 

Suonar,  se  a  radunate 

Plebi  i  cruenti  oracoli 

Apria  Velleda  e  de  le  pugne  il  df. 

Tra  r  erme  ombre  de'  larici. 

Da  la  luna  e  dal  vento 

Rotte,  la  vergin  pallida 

In  nero  vestimento 

Alta  levossi,  a  gli  omeri 

Lenta  il  crin  biondo  onde  nuli'  uom  gioì. 

Carducci.  19 


290  LEVIA   GRAVIA 


E  cantò  guerre,  orribili 

Guerre;  e  a  la  cena  immonda 

Convitò  i  lupi  e  l'aquile; 

E  tepefatta  Tonda 

De*  freddi  fiumi  scendere 

Vide  tarda  fra  i  corpi  al  negro  mar. 


Lungo  andò  allor  per  V  aere 

Rombo  da  inocchi  scudi: 

Precipitar  da*  plaustri 

Le  madri,  e  con  gV  ignudi 

Petti  la  pugna  accesero 

O  ululando  le  marse  aste  affrontar. 


Ahi,  dov*  è  pompa  inutile 

Al  vivere  civile 

La  donna,  ivi  non  ornasi 

Il  costume  virile 

Di  forza  e  verecondia, 

E  turpe  incombe  a*  gravi  spirti  amor. 

Ma  tu,  Eloisa,  V  agile 

Estro  di  Suli  a  i  monti 

Invia,  dove  più  gelide 

Mormoran  T  aure  e  i  fonti, 

E  molce  i  petti  liberi 

Canto  d'augelli  e  balsamo  di  fior; 


LEVIA  GRAVIA  291 

E  dinne  la  bellissima 

Sposa  d'eroi  Zavella, 

Che  pur  con  V  una  stringesi 

Il  nato  a  la  mammella, 

Con  l'altra  mano  fulmina 

L' oste  premente  e  gli  orridi  bassa. 

De  le  polone  femmine 

Ridinne  i  canti  amari. 

Che  dì  lor  vene  tingono 

I  supplicati  altari 

O  chieggono  a  la  Vistola 

Tra  cotanta  di  spade  impunità 

Gii  spenti  figli.  O  candido 

Stuolo,  lamenta  e  muori, 

In  fin  che  basta  il  ferreo 

Tempo  de  gli  oppressori, 

E  pur  cadendo  mormora 

—  No,  che  la  patria  mia  morta  tion  è.  — 

Già  la  rivolta  affrettasi 
Fosca  di  villa  in  villa, 
Turbina  il  vento  ed  agita 
L'animatrice  squilla, 
E  il  nuovo  carme  a'  liberi 
Popoli  suona  su  i  caduti  re. 


292  LEVIA   GRAVIA 


Vili. 

PER  RACCOLTA 
IN  MORTE  DI  RICCA  E  BELLA  SIGNORA 


Oparsa  la  faccia  bianca 

De  la  fuggente  vita, 

Con  la  persona  stanca 

Abbandonarsi  a  V  ultima  partita 

Lei  che  sposa  virginea 

Pur  or  ne  arrise  di  beato  amor; 


Sentir  com*  angue  gelida 

E  questa  e  quella  mano; 

Gli  occhi  mirar  che  vitrei 

Orribilmente  nuotano  nel  vano 

Forse  in  cerca  de  i  pargoli 

A  lo  sguardo  nascosi  ahi  non  al  cor, 

Ti 


LEVIA   GRAVIA  "293 

I>e  i  pargoli  che  muti 

Intorno  al  letto  stanno     : 

Rigando  i  volti  arguti 

Di  lacrimette,  ed  il  perché  non  sanno:, 

E  come  sogno  i  fervidi 

Baci  materni  penseranno  un  di; 

E  intorno  l'ombra  stendersi 

De  la  morte  odiosa, 

Mentre  pur  su  '1  cadavere 

Si  lamenta  con  Dio  la  madre  annosa 

Ch'  abbia  a  compor  ne  V  ultima 

Pace  chi  a  premer  gli  occhi  suoi  nutrì; 


Deh  quanta  pietà  !  E  pure 

Dolori  altri  secreti 

Conosco,  altre  sventure, 

Che  di  solenni  lacrime  a'  poeti 

Non  chieggon  pompa.  Apritevi^; 

De  la  miseria  antri  nefandi,  a  me. 


E  tu  che  in  quelle  fetide 

Paglie  mal  sai  celare 

La  nudità  che  informasi 

Da  Tossa  attratte  e  orribile  si  pare 

Tra  i  pochi  cenci  luridi, 

Forma  dolente  umana,  oh  qual  tu  se'  ? 


204  LEVIA   GRAVIA 

Il  secco  occhio  splendente 

Con  le  pupille  ignave, 

Il  sudor  che  di  lente 

Righe  solca  le  tempia  oscure  e  cave 

E  rappreso  su  V  umida 

Fronte  il  cinereo  mal  piovente  crin, 

E  quel  vermiglio  lurido 

Ne  le  saglienti  gote, 

Quel  faticoso  anelito 

Da  r  osseo  petto  cui  la  tosse  scuote 

Acre  profonda  ed  arida, 

Quel  sangue  de  la  bocca  in  su  i  confin, 

Annunzian,  fere  scorte, 

La  grande  ora  suprema. 

Al  passo  de  la  morte 

Niun  la  prepara?  e  niuno  è  che  qui  gema? 

Ecco:  un  parvol  si  strascica 

Su  quelle  paglie,  e  chiede  pur  del  pan; 

E  un  infante  co  M  rabido 

Vagito  de  la  fame 

Contende,  ansa,  travagliasi 

Co  *1  viso  macro,  con  le  dita  grame, 

Intorno  de  V  esausta 

Poppa.  Ella  guarda,  e  a  sé  lo  stringe  in  van. 


LEVIA   GRAVIA  295 


Lente  cadon  le  braccia, 

Il  guardo  le  si  vela, 

E  pia  morte  la  faccia 

De  gli  affamati  suoi  figli  le  cela. 

Devoti  essi  a  la  livida 

Colpa  ed  al  vorator  morbo  son  già. 

L'uomo,  doman,  che  tolsela 

Vergin  bella  e  pudica, 

Su  *1  deforme  cadavere 

Darà  un  guardo  tornando  a  la  fatica 

Usata.  Ozio  di  piangere, 

Dritto  d'amare  il  misero  non  ha. 


296  LEVIA  GRAVIA 


IX. 

PER  NOZZE 

IN    PRIMAVERA 


o 


r  che  un  agii  di  vite  innovatore 
Da  la  materia  spirito  s'  esplica, 
E  sona  d*  imenei  la  selva  antica 
E  su  la  terra  il  ciel  folgora  amore, 

Cedi  al  sacro  disio,  de  l'amatore 
Va'  ne  gli  amplessi,  o  vergine  pudica  : 
Natura  vi  consiglia  e  V  ora  amica, 
De  la  fugace  età  cogliete  il  fiore. 

Né  v'offenda  il  pensier  che  men  gradita 
Stagion  sottentra  a  questo  riso  alterno 
Del  giovin  anno  che  a  goder  ne  invita: 

Ne'  cuor  gentili  amor  vampeggia  eterno, 
Come  infuso  pe  '1  globo  a  lui  dà  vita 
Il  perenne  ed  antico  ardore  interno. 


LEVIA  GRAVIA  297 


X. 

PER  LE  NOZZE  DI  UN  GEOLOGO 
[prof.  G.  C] 


O 


scrutator  del  sotterraneo  mondo, 
Cui  mal  pugna  natura  e  mal  si  cela, 
Che  a  gli  amor  tuoi  nel  talamo  profondo 
Sua  virginal  bellezza  arrende  e  svela; 

In  questo  de*  viventi  aèr  giocondo 
Leva  gli  occhi  una  volta  e  l'alma  anela: 
Qui  sorriderti  vedi  un  verecondo 
Viso,  e  la  madre  a  te  Tadorna  e  vela. 

E  qui  saprai  se  più  potente  insegni 
Amore  il  varco  acchiusi  incendi  etnei 
O  più  soave  in  cuor  di  donna  regni. 

Riconfortato  poi,  dal  sen  di  lei 

Torna  a  giungere  ancor,  né  se  ne  sdegni. 

Con  la  sacra  natura  altri  imenei. 


298  LEVIA  GRAVIA 


XI. 

l'antica  poesia  toscana 
[  NELLE  NOZZE  DI  I.  D.  L.  ] 


S 


u  le  piazze  pe' campi  e  ne' verzieri 
D'amor  tra  i  ludi  e  le  tenzon  civili 
Crebbi;  e  adulta  cercai  templi  e  misteri, 
Scuole  pensose  ed  agitati  esili. 

Or  dove  son  le  donne  alte  e  gentili, 
I  franchi  cittadini  e* cavalieri? 
Dove  le  rose  de* giocondi  aprili? 
Dove  le  querce  de' castelli  neri? 

Povera  e  sola  a  la  magion  felice 
Ecco  ne  vengo,  ove  m' invidi  un  pio 
Amor  che  mi  restava,  o  incantatrice. 

Apri,  fanciulla;  che  se  tempo  rio 
Or  mi  si  volge,  i'vidi  già  Beatrice: 
Apri  :  la  tósca  poesia  son  io. 


LEVIA   GRAVIA  299 


XII. 

SCIENZA  AMORE  E  FORZA 

[per  le  nozze  di  P.  S.  filosofo 
al  fratello  della  sposa  ufficiale] 


r  ;( 


icco,  al  caro  garzon  che  la  inanella 
Move  la  lósca  vergine  pudica, 
A  cui  nel  riso  de  la  fronte  bella 
Raggia  il  fulgor  di  Beatrice  a.ntica  : 

Ed  ei  dal  suol  che  il  ionio  mar  flagella 
Ultimo  e  accesi  i  monti  e  i  cuor  nutrica 
Qui  venne,  e  lo  scorgea  V  ardua  facella 
Onde  Vico  fugò  T  ombra  inimica. 

Tale,  ove  i  cuor  fé' tirannia  si  scarsi. 
Vola  or  da  i  fin  de  T  itala  contrada 
Sapienza  ed  amore  ad  abbracciarsi. 

Che  se  rea  forza  s'interpone  e  bada, 

Ben  tra  i  canti  e  tra  i  fiori  a  Taura  sparsi 

Anche,  o  Giorgio,  fiammeggia  oggi  una  spada. 


300  LEVIA   ORA  VI  A 


XIII. 

LE  NOZZE 
(festa  di  giovani  e  di  fanciulle) 


I  due  cori 


N, 


e  la  stagion  che  il  ciel  co'  le  feconde 
Piogge  nel  grembo  de  la  madre  antica 
Scende  e  l'eterna  amica  ^ 

Co' vegetanti  palpiti  risponde, 
E  gemiti  e  sospiri  e  arcani  accenti 
Volan  su'  molli  venti 
E  la  festa  e  il  clamor  de  gì'  imenei 
Nel  canto  è  de  gli  augei; 

Quando,  de  le  foreste  al  lento  giorno, 

Accennando  del  vertice  ondeggiante, 

Fremon  d'amor  le  piante, 

E  un  fresco  effluvio  va  su  l'aure  intorno; 

Qwando  al  sol  nuovo  di  pudico  ardore 

Dal  verde  letto  fuore 

S' invermiglia  la  rosa,  ed  il  suo  duolo 

Canta  a  lei  l'usignuolo; 


LEVIA   GRAVIA  301 

Su  la  tepida  sera  e  con  la  stanca 

Luna  che  sorge  e  va  tra  gli  odorati 

Vapor  benigna  e  i  prati 

Arsi  rintégra  e  i  verdi  monti  imbianca, 

Tu  a  l'opre  de  la  vita  a  le  tue  leggi 

La  giovin  coppia  reggi 

E  guida,  o  sacra,  o  veneranda,  o  pura 

Madre  e  diva,  natura. 

PRIMO  SEMICORO  DI   GIOVANI 

Qual  nel  roseo  mattin  lene  si  solve 

Lucida  visYone  e  come  stella 

Di  sua  bianca  facella 

Segna  cadendo  a  V  alta  notte  il  velo, 

La  fanciulla  trasvola.  Oh  chi  del  cielo 
La  pace  e  il  riso  ne'  begli  occhi  infuse  ? 
Chi  tanta  circonfuse 
Gloria  di  raggi  a  la  gentil  persona? 

Tenebra  e  gelo,  ov'  ella  n'  abbandona, 
Contragge  V  aer  e  i  cuor  ;  ma  seco  adduce 
L'ardore  ella  e  la  luce, 
E  sotto  il  bianco  pie  fiorisce  aprile; 

E  Paure  e  l'acque  e  i  fior  con  voce  umile 
Mormoran  di  sommessi  amor  richiami, 
E  più  dolce  tra  i  rami 
Corre  la  melodia  di  primavera. 


302  LEVIA   GRAVIA 

Quasi  canzon  lontana  in  su  la  sera 
Ne  i  lidi  antichi  de  la  patria  udita 
Onde  fu  la  partita 
Grave  e  n'arride  in  cor  dolce  il  ritorno, 

Suona  la  voce  sua.  Ben  venga  il  giorno 
Che  di  novelli  sensi  una  vaghezza     > 
Colori  sua  bellezza, 
Come  il  sol  primo  adolescente  fiore, 

E  là  si  svegli  dove  or  dorme  amore. 


SECONDO  SEMICORO  DI   GIOVANI 

Allor  risponde  ad  ogni  offesa  —  amore  - 

Dante  con  viso  d'umiltà  vestito; 

E  ne  Talto  infinito 

Come  in  sua  regfon  s'affisa  e  mira; 

Ed  un  rombo  di  bianche  ali  l'aggira; 
E  pur  tra  il  fumo  de  l' italiche  ire 
Scender  vede  e  salire, 
Quasi  pioggia  di  manna,  angeli  al  cielo. 

Allor  contempla  il  Buonarroti  anelo, 
E  sovra  il  marmo  combattuto  posa 
Lento  la  man  rugosa 
Dinanzi  al  folgorar  di  due  pupille. 


LEVIA   GRAVIA  303 

Ma  tu,  Sanzio  gentil,  tante  faville 
Giungi  a*  tuoi  chiusi  ed  immortali  ardori, 
Quante  pe'  bei  colori 
Chiedi  a  la  terra  e  al  ciel  forme  divine. 

Ahi  troppo  amico  di  tua  morte!  al  fine, 
Come  arboscel  che  d' una  rupe  orrenda 
Avido  si  protenda 
A  ber  la  luce  e  il  sol,  tu  languì  e  spiri. 

Tale,  ove  pieghi  de' begli  occhi  i  giri 
Costei  cui  donna  il  vulgo  e  Beatrice 
Chiama  il  poeta,  indice 
Lor  fati  a  V  alme,  e  sovra  V  arte  regna, 

Di  bellezza  e  d'amor  vivente  insegna. 

I   DUE  CORI 

Cosi  pronta  e  leggera 

Per  tempeste  di  mari 

La  rondinella  a  i  cari 

Liti  e  al  suo  nido  affretta. 

Che  il  ciel  mite  V  aspetta  —  e  primavera, 

Come  voli  tra'  fiori 

Tu  al  cupido  marito; 

E  tal  cervo  ferito 

Tende  a  montano  rivo, 

Qual  ei  tutto  giulivo  —  a  i  dati  amori. 


304  LEVIA   GRAVIA 

Tu  togli,  amor  possente, 

La  vergine  al  suo  tetto, 

Tu  lei  togli  a  T  aspetto 

E  al  bacio  lacrimato 

De  l'uno  e  T altro  amato  —  suo  parente; 

A  novo  ostel  la  guidi, 

Ad  altre  cure  e  sante; 

E  al  consecrato  amante 

Lei  timida  e  vogliosa 

Doni  moglie,  e  pietosa  —  amica  fidi: 

Onde  poi  si  rinnova 

La  socYal  famiglia; 

Dove,  se  amor  consiglia 

Al  vero  al  buono  al  retto. 

Virtù  fiorisce  e  affetto  —  in  bella  prova. 

Fanciulla,  or  t'  abbi  in  core 

Pur  tra*  pensier  più  cari, 

Che  de'  pudichi  lari 

In  te  posa  la  fede, 

Che  del  costume  siede  —  in  te  il  valore. 

Tu  lasci  i  primi  gigli, 

E  cambi  a  più  gentile 

Questo  tuo  stato  umile; 

E  il  saprai  quando  intorno 

Ti  fioriranno  un  giorno  —  i  dolci  figli. 


LEVIA   ÒRAVIA  305 


PRIMO  SEMICORD  DI  FANCIULLE      '• 


Qual  chi  de  V  esser  suo  toccò  la  cima 
Tranquilla  e  gloriosa  ella  ne  viene: 
Diffuso  ha  per  le  gene 
E  ne  la  fronte  di  letizia  il  lume. 

Attende;  e  poi,  qual  con  le  aperte  piume 
Colomba  al  pigolar  de  la  covata, 
Ella  corre  beata 
E  d'  amor  radiante  a  un  picciol  letto. 

Denuda,  o  vereconda,  il  casto  petto: 
Dischiudi,  o  bella,  il  tuo  più  santo  riso: 
Il  pargoletto  affiso 
Ne  la  tua  vista  i  nuovi  affetti  impari. 

A  te  co  M  riso  egli  risponda,  i  cari 
Occhi  parlino  a  te.  Sveglia  co*l  senso 
Nel  picciol  cor  V  immenso 
Intendimento  de  la  vita  umana. 

0  de  le  semplicette  alme  sovrana, 
0  pia  de' novi  cuori  informatrice, 
La  steril  Beatrice 
Ceda  a  te,  fior  d' ogni  terrena  cosa. 

Carducci.  20 


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in  -US,.  -'  £=%rv. 


*  jurr\  imie  s  :rr 


£  Ist  !bmii^££  2.  !a  zita  zc^ng^ìTrge: 


Aflòr,  percfié  dà  le  sie  case  Iiiage 
Votf  di  servr^ude  f!  df  r:ef,^rsfa 
Cade  f  eroe  pcgnardo. 
E  fle  la  foce  de  :  carrtor  rfvì^-e: 

E  cotrtro  F  Asia,  che  di  forme  schive 
Ornar  vuole  a' tiranni  ì!  gineceo. 
Suona  su  per  T  Egeo 
II  |>eana  e  la  sacra  ira  d*  Atene. 

Sorge  de  i  re  contro  le  voglie  oscene 
Il  gran  giuro  dì  Bruto,  e  su  le  spoglie 
De  la  pudica  moglie 
Libertate  a  la  lor  fuga  sorride. 

Tremi  le  squille  ancora  e  T  omicide 
Sicule  furie  qual  porrà  la  mano 
Dominatore  strano 
Su  le  donne  de' vinti,  o  le  vendette 


LEVIA   GRAVIA  307 

De  i  secreti  pugnali.  A  noi  permette 
Altri  r  età  miglior  vóti  e  speranze, 
Se  de  le  molli  usanze 
Vinca  le  oblique  insidie  integra  l'alma. 

Or  Vienne,  o  giovinetta:  or,  palma  a  palma 
Stretta  co '1  tuo  fedele,  entra  d'amore 
Nel  tempio:  ma  il  pudore  • 

Che  la  vergi  n  tingea  de  la  sua  rosa 

Non  si  scompagni  da  la  nova  sposa. 


I   DUE  CORI 

0  te  felice,  o  sopra 

Il  nostro  infermo  stato 

Te  cara  al  cieli  beato 

Il  letto  de'  tuoi  amori, 

S' ombra  de'  propri  fiori  —  avvien  che  '1  copra. 

Ma  in  cor  ti  sieda  impresso 

Ch'  ogni  piacer  più  caro 

Ti  tornerà  in  amaro 

Senza  i  baci  e  gli  accenti 

De'  pargoli  innocenti  —  e  il  puro  amplesso. 


308  LEVIA  GRAVIA 

Ahi,  la  non  degna  sposa 
Ch'odia  di  madre  il  nome 
Stolta  e  crudele!  Come 
Talento  rea  la  sprona, 
A  danze  si  abbandona  ■—  furiosa 

E  in  tanto,  o  empia!,  langue 

Su  mercenario  petto 

Il  caro  pargoletto, 

E  d'altrui  baci  impara 

Disconoscenza  amara  —  del  suo  sangue. 

Ma,  quando  di  restia 

Vecchiezza  il  corpo  offeso 

Sente  de  gli  anni  il  peso, 

A  lei  non  per  soave 

Cura  figliai  men  grave  —  è  T  età  ria. 

Muore;  e  non  di  sua  prole 

Il  pianto  e  il  bacio  estremo 

Non  il  vale  supremo 

La  misera  conforta: 

Questo  natura  porta'  —  ed  il  ciel  vuole. 

Ma  tu  più  saggia  il  fiore 

D'ogni  piacer  ritrova 

In  questa  cura  nova. 

Cosi  nel  bel  disio 

Ti  benedica  Iddio  —  t'arrida  amore. 


LEVIA  GRAVIA  309 


XIV. 

POETI  DI  PARTE  BIANCA 


—  JL-/uro,  marchese,  allor  che  de  la  vita 

L'arco  piega  e  il  pensiero  in  su  le  bianche 

Urne  de' padri  si  raccoglie  intorno 

A  i  templi  noti,  oh  duro  allor,  marchese 

Malaspina,  lasciar  la  patria!  A  cui 

Rida  nel  core  e  ne  le  forti  membra 

La  giovinezza,  è  un'avventura,  un  gioco 

De  la  vita  che  s'apre  a  nuovi  casi, 

Con  r  esilio  mutar  le  dolci  soglie 

De  la  magion  de'  padri  suoi.  Ma  io 

Non  vedrò  più  da  V  Apparita  al  piano 

La  mia  città  fiorente;  ahi  lasso,  e  lunghi 

Corron  due  lustri  omai  che  aspetto  e  piango! 

Come  serena  tra  le  negre  torri 

S' inalza  e  quanto  già  de  V  aer  piglia 

Santa  Maria  del  fiore!  Io  la  mirava 

Da' lieti  colli  ove  lasciai  me  stesso^ 


310  LEVIA  GRAVI  A 

E  tutta  a  gli  occhi  ,s*  affacciava  V  alma, 
Allor  che  il  magno  imperador  s' assise 
A  Firenze  con  V  oste.  Ed  io  M  seguiva, 
E  rividi  la  mia  villa  diserta 
Da  Carlo  di  Valese;  e  i  luoghi  usati 

10  non  conobbi  più,  né  me  conobbe 
La  nuova  gente.  Ora  il  cortese  il  giusto 

11  magnanimo  Arrigo  è  morto;  e  giace 
Tutta  con  lui  de  gli  esuli  la  speme.  — 

Tal  parlava  Sennuccio,  un  de  gli  usciti 
Cittadin  bianchi  di  Firenze,  in  rima 
Dicitore  leggiadro  ;  e  fosco  in  tanto 
Battea  la  ròcca  di  Mulazzo  il  nembo, 
E  la  tristezza  del  morente  autunno 
Umida  e  grigia  empiea  le  vaste  sale 
Di  Franceschino  Malaspina.  Acuta 
Guaiva  a*  tuoni  una  levriera,  e  il  capo 
Arguto  distendea,  r  occhio  vibrando 
Dardeggiante  e  le  orecchie  erte,  a  le  verdi 
Gonne  de  l'alta  marchesana.  A  lei 
D' ambo  i  lati  sedean  donne  e  donzelle, 
Fior  di  beltà,  fior  di  guerresche  altiere 
Ghibelline  prosapie.  E  di  rincontro, 
Ardendo  in  mezzo  d'  odorata  selva 
Il  focolar,  tu  dritto  in  piedi  tutta 
Ergei  la  testa  su  i  minor  baroni. 
Caro  a  gli  esuli  e  a*  vati,  o  Malaspina. 
Posava  in  pugno  al  cavaliere  un  bello 


LEVIA  GRAVI  A  311 

Astor  maniero,  e,  quando  varia  al  vento 
Saltellante  la  grandine  picchiava 
Le  vetrate  e  imbiancava  il  fuggitivo 
Balen  le  appese  a'  muri  armi  corusche, 
Ei  Pale  dibatteva,  il  serpentino 
Collo  snodando^  e  uno  strider  mettea 
Rauco  di  gioia:  ardeagli  nel  grifagno 
Occhio  r  amor  de  le  apuane  cime 
Natie,  libere:  ardea,  nobile  augello, 
In  tra  i  folgori  a  voi  tender  su*  nembi. 
E  fiso  un  paggio  lo  guatava,  a'  piedi 
Seduto  del  signor:  fuggiasi  anch'esso 
In  su  r  ale  de'  venti  co  '1  desio 
Fuor  de  la  sala,  e  valicava  i  monti 
Da  l' insana  procella  esercitati 
E  le  selve  grondanti,  e  tra  M  tonante 
Romor  de  le  lontane  acque  lo  scroscio 
Del  fiume  ei  distinguea  cui  siede  a  specchio 
La  capanna  di  sua  madre  vassalla. 

Ma  non  al  paggio  né  a  V  astor,  trastullo 
De  gli  ozi  suoi,  volgeva  occhio  il  barone. 
Si  atteso  egli  pendea  da  la  soave 
Loquela  di  Sennuccio,  e  si  M  tenea 
D'  un  compagno  di  lui  V  alta  sembianza. 
Di  Gualfredo  Ubaldini.  E,  poi  che  tacque 
Sennuccio,  il  prò' marchese  incominciava: 
—  Deh  come  par  che  il  cielo  anco  s'attristi 
E  pianga  di  Toscana  in  su  le  soglie, 


312  LEVIA  GRAVI  A 

Quando  un  poeta  si  dilunga!  O  cieca 

E  diserta  Firenze,  or  che  ti  resta 

Altro  che  frati  e  bottegai!  Le  vie 

De  l'esilio  fioriscono  d'allori 

A' poeti  raminghi,  e  loro  è  d'ombre 

E  di  corone  larga  ogni  cittade 

Ogni  castello.  Oh,  quando  abbiavi  il  dolce 

Paese  di  Provenza  e  voi  ristori 

Cortesia  di  signor  beltà  di  donne, 

Non  V*  incresca,  per  dio,  di  questa  Italia 

Vedova  trista,  eh'  ognor  più  dimagra 

E  di  buoni  e  di  ben.  Ma,  se  spiacente 

Il  Castel  di  Mulazzo  e  'I  castellano 

A  voi  non  parve,  se  mercé  d'amore 

Vinca  l'ambascia  de  la  dura  via, 

Non  vorrete,  Sennuccio,  or  consolarne 

D'un  amoroso  canto?  —  E  pur  tacendo 

Il  marchese  chiedeva:  un  mormorio 

D' assenso  di  preghiere  e  d' aspettanza 

Levossi  intorno.  S' inchinò  il  poeta, 

E  —  Tristi  —  disse  —  fian  le  rime,  quali 

Nostra  fortuna  le  richiede  e  '1  tempo.  — 

Disse:  e  intonava  pietoso  il  canto. 


Amor  mi  sforza  di  dover  cantare 
E  lamentare  —  in  questa  ballatetta. 


LEVIA  GRAVIA 

Angela  venne  de  la  terza  spera  : 

Qui  dove  1' aer  verna,  e  chiuse  il  volo: 
Poi,  tutta  accesa  in  quella  luce  mera 
Che  arde  là  sovra  del  nostro  polo, 
In  vista  umana  patia  noia  e  duolo 
Conversando  tra  noi  quest' angeletta. 


Ove  spirava  l'aOra  gentile,  'K 

Sùbito  amore  possedea  quel  loco:  ;  'f 

Ivi  ridea  novellamente  aprile  M. 

E  vampava  ne  l'aere  un  dolce  foco:  ^ 

Ma  distringeva  i  cuori  a  poco  a  poco  'fi 

Quasi  una  pena,  e  dolce  era  la  stretta.  ' 


Ognun  diceva  —  Ov' ella  gli  occhi  gira, 
Ed  ivi  tosto  ogni  virtù  è  fiorita. 
Cade  ogni  mal  volere  e  fugge  l' ira, 
E  dolce  s'incomincia  a  far  la  vita: 
A  lei  d' intorno  a  gran  diletto  unita 
La  gente  per  valer  sua  voce  aspetta,  — 


A  più  alto  sperar  n'era  argomento 
Il  riso  bel  eh'  io  non  saprei  ridire. 
Io  conto  il  ver:  la  voce  era   un  concento 
Di  lontane  armonie,  di  strane  lire, 
E  retro  la  memoria  facea  gire 
Ad  una  vita  che  ne  fu  disdetta. 


314  LEVIA  GRAVI  A 

Miracolo  a  veder  sua  gran  vaghezza 
Facea  del  cielo  ragionare  altrui. 
—  Ecco,  io  vi  mostro  di  quella  dolcezza 
Che  tutto  adempie  il  regno  d'  ond'  io  fui 
Queste  parole  eran  ne  gli  occhi  sui; 
Pur  chini  li  tenea  la  verginetla. 


Mi  fé'  pensoso  di  paura  forte 
Il  portamento  suo  celestifale. 
MMndusser  gli  occhi  a  desiar  la  morte 
Ne  la  lor  pace  che  non  è  mortale  : 
Ma  poi,  temendo  non  mettesse  V  ale. 
Dissi,  com'uomo  in  cui  desir  s'affretta: 


—  Se  ben  si  pare  a  le  fattezze  tue, 
Tu  fusti  nata  in  cielo  a  V  armonia  ; 
E  mi  fai  rimembrar  Psiche  qual  fue 
Quando  sposa  d*  Amor  tra  i  numi  uscia. 
Tardi  ritorna  a  la  spera  natia! 
Donami  chMo  t'adori,  o  forma  eletta!  — 


Cosi  le  dissi  ne'  sospiri.  Ed  ella 
De  gli  occhi  suoi  levar  mi  fece  dono, 
Ahi  quanto  vagamente  !  E  ne  la  bella 
Vista  divenni  altr'  uom  da  quel  eh'  io  sono: 
Visibilmente  Amor,  come  in  suo  trono. 
Luceva  in  fronte  a  questa  pargoletta. 


LEVIA   GRAVIA  315 

—  Piacer  che  move  de  la  mia  persona 
Conforti  anco  per  poco  i  pensier  tui; 
Ch'  i*  sento  quel  signor  che  la  mi  dona 
Che  a  sé  mi  sforza;  e  cosa  i'  son  da  lui: 
Non  fa  per  me  di  questi  luoghi  bui 
La  stanza,  e  poco  vostro  amor  mi  alletta.  — 


Cotal  suonò  di  quella  onesta  e  vaga 
La  voce  pia  ch'ella  imparò  dal  cielo, 
Gli  occhi  belli  avvallando;  e  di  sé  paga 
L'  alma  raggiò  desio  fuor  di  suo  velo  : 
Tutta  ella  ardea  di  pietoso  zelo 
Qual  peregrino  cui  M  tornar  diletta. 

Ahi  me,  la  noia  del  dolente  esiglio 

Quest'  angeletta  mia  presto  ebbe  stanca  ! 

E  venne  meno  come  novo  giglio 

Cui  '1  ciel  fallisce  e  '1  vento  fresco  manca. 

Ella  posò  come  persona  stanca, 

E  poi  se  ne  parti,  la  giovinetta. 


Partissi,  e  si  partirò  una  con  lei 
Amor  e  poesia  dal  nostro  mondo. 
Da  indi  in  qua  cercaron  gli  occhi  miei 
Per  giocondezza,  e  nulla  è  lor  giocondo  : 
Sollazzo  e  festa  per  me  giace  in  fondo: 
Sol  chiamo  il  nome  de  la  mia  diletta. 


316  LEVIA  GRAVI  A 

Ahi  lasso!  e,  quando  la  stagion  novèlla 
Rallegra  i  cori  e  fa  pensar  d'  amore, 
Vien  ne  la  mente  mia  la  donna  bella 
Che  mi  fu  tolta;  ondMo  vivo  in  dolore. 
Chiamo  il  suo  nome,  e  mi  risponde  il  core: 
Lasso,  che  cerchi?  altrove  ella  è  perfetta. 


Cosi  cantò  Sennuccio:  e  gran  pietate 
De  le  donne  gentili  i  petti  strinse; 
E  dolorosa  un'  ombra  in  su  le  fronti 
De'  guerrieri  abbronzate  errava,  come 
Se  un  gran  fato  presente  a  ogn'  un  toccasse 
Le  menti;  e  raro  il  favellar  s'accese 
Su  l'oscura  ed  estrema  ora  del  magno 
Arrigo.  —  Al  morto  imperator  conceda 
Dio  la  sua  pace:  a  lui  gloria  ne' canti, 
Imperator  de  le  toscane  rime, 
Dante  darà:  noi  la  vendetta.  Ancora 
Su  le  torri  pisane  ondeggia  al  vento 
Il  sacro  segno,  ed  Uguccione  intorno 
Fior  di  prodi  v'  accoglie  e  di  speranze. 
Lombardia  freme;  e  un  cavalier  novello, 
Sprezzator  di  riposo  e  di  perigli, 
Leva  tra  i  due  mastin  1'  aquila  invitta. 
Se  Dio  n'aiuti,  rivedrem,  Sennuccio, 
De' guelfi  il  tergo;  rivedrem  le  belle, 
Che  ne  disser  piangendo  il  lungo  addio, 
Facce  d'amore.  Oh,  di  Mugel  selvoso 


LEVIA   GRAVIA  317 

Ne  le  dolci  castella  una  m'aspetta; 
E  di  memorie  io  vivo  e  di  speranza. 
Liete  rime  troviam.  Reca,  o  fanciullo, 
Qua  la  mandòla;  se  di  Gino  usata 
E  di  Dante  a  gli  accordi,  essa  e  la  bella 
Marchesa  Malaspina  il  canto  accolga.  — 
Cosi  disse  Gualfredo.  A  lui  V  azzurro 
Occhio  splendea  come  Tacciar  de  Telse; 
E  su  '\  verde  mantel  di  sotto  al  tòcco 
Bianco  e  vermiglio  gK  piovea  la  bionda 
Giovenil  capelliera  a  mo'  di  nube 
Aurea  che  attinge  da  V  occiduo  sole 
Le  tue  valli  non  tócche,  ermo  Apennino. 


D'  un  molle  riso  gli  assenti  la  dama 
Donnescamente;  e  recò  destro  il  paggio 
La  dipinta  mandòla.  In  su  le  quattro 
Fila  correan  del  cavalier  le  dita, 
Piane,  lente,  soavi;  e  poi  di  tratto 
Rapide  flagellando  risonaro. 
Come  pioggia  d'  aprile  a  la  campagna. 
Che  bacia  i  fiori  e  su  le  larghe  fronde 
Crepita:  ride  tra  le  nubi  il  sole 
E  ne  le  gocce  pendole  si  frange;. 
Getta  odore  la  terra;  Tali  bagna 
La  passeretta,  al  ciel  levasi  e  trilla  : 
Tal  di  Gualfredo  il  suono  era  ed  il  canto. 


318  LEVIA   GRAVI  A 

Chi  renderlo  potrebbe  oggi  che  fede 
Non  tien  la  lingua  a  Tabondante  core? 

Luce  d' amore  che  '1  mio  cor  saluta 
E  intelligenza  e  vita  entro  vi  cria 
Move  dal  riso  de  la  donna  mia. 

r  dico  che  giacca  V  anima  stanca 
In  su  la  soglia  de  la  vita  nova, 
Qual  peregrino  a  cui  la  forza  manca 
E  vento  greve  il  batte  e  fredda  piova, 
Che  vinto  cade,  e  lontan  pur  gli  giova 
Mirar  la  terra  dolce  che  il  nutria. 

Cosi  l'anima  trista  si  smarriva 
Abbandonata  de  la  sua  virtute, 
E  il  caro  tempo  giovenil  fuggiva, 
E  tutte  cose  intorno  erano  mute: 
Ma  a  confortarla  di  fresca  virtute 
Una  beata  vis'fon  venia. 


Fanciulla  io  vidi  di  gentil  bellezza 

Creata  con  desio  nel  paradiso: 

Luceva  la  sua  gaia  giovinezza 

Nel  piacimento  del  sereno  viso, 

E  tutta  la  persona  era  un  sorriso 

E  ogni  atto  ed  ogni  accento  un'armonia. 


LEVIA   GRAVIA  319 

La  bruna  luce  de'  begli  occhi  onesti    ' 
E  la  dolcezza  del  guardo  d'amore 
Svegliò  gli  spirti  che  dormlfano,  e  questi 
Gridaron  forte  su  '1  distrutto  core; 
Che  levò  e  disse  —  L'anima  che  more 
Ne  le  tue  man  commetto,  angela  pia. 


Vedi  la  vita  mia  com'  ella  è  forte, 
Come  ha  già  da  vicin  l'ultime  strida. 
O  donna,  io  giaccio  in  signoria  di  morte, 
E  la  poca  virtute  omai  si  sfida; 
Se  non  che  uno  splendor  novo  l'affida 
Ch'  or  mi  s'  offerse,  e  di  tua  vista  uscia.  - 


Ella  nel  suon  de  i  dolorosi  accenti 
Rivolse  gli  occhi  de  la  sua  mercede, 
E  co' guardi  tenaci  umidi  e  lenti 
Diemmi  d' amore  intendimento  e  fede  : 
Quindi  un  nuovo  desio  nel  cor  mi  siede, 
Quanto  mutato,  oh  dio!  da  quel  di  pria. 


Che  Amore  io  vidi  ne  1'  aperto  giorno 
Gloriar  come  re  eh' è  trionfante, 
E  gioia  e  luce  e  chiaritade  intorno 
Ed  una  pace  che  non  ha  sembiante: 
Egli  si  pose  in  quelle  luci  sante, 
Com'  angel  contemplando  arde  e  s' india. 


320  LEVIA   GRAVIA 

Da  indi  in  qua  sonare  odo  per  Tetra 
Una  soave  melodia  novella, 
Come  da  ignoti  elisi  aura  di  cetra, 
Come  armonia  di  più  felice  stella; 
E  sempre  questa  creatura  bella 
D'amor  mi  parla  ne  la  fantasia. 


D'  amor  mi  parla  ogni  creata  cosa, 
E  il  cielo  aperto  e  la  foresta  bruna, 
E  la  verde  campagna  dilettosa, 
E  gli  silenzi  de  la  bianca  luna; 
E  d'  ogni  aspetto  in  cor  mi  si  rauna 
Un'  alta  voluttà  che  mi  disvia. 


Cotal  si  ruppe  quel  gelato  smalto 
In  che  il  cuor  si  chiudea  per  fatai  danno. 
Quindi  d'amarla  in  me  stesso  m'esalto, 
Quindi  per  gloria  e  per  virtù  m'  affanno. 
Che  se  durasse  il  mio  vitale  inganno. 
Altro  lo  spirto  mio  non  chiederia. 

Lungi  io  me  'n  vo.  Ma  per  paese  strano, 
Per  vaga  donna  o  per  gentil  signore. 
Non  fia  che  scordi  il  bel  sembiante  umano, 
Non  fia  che  scordi  il  mio  solingo  amore, 
La  terra  dove  s' apre  il  bianco  fiore, 
Dove  regna  virtude  e  cortesia. 


LEVIA  GRAVIA  321 

Deh  la  rivegga!  E  il  riso  desiato 

Ogni  nero  pensier  dal  cor  mi  cacci; 

E,  quando  sienmi  contro  il  mondo  e  il  fato, 

Mi  trabocchi  nel  seno  ella  e  m'abbracci. 

Ben  io  constretto  in  que' soavi  lacci 

Torrò  sicuro  ogni  fortuna  ria. 


Cosi  cantò  Gualfredo:  e  da  i  vermigli 
Labbri  de  le  fanciulle  a  lui  volaro 
I  desideri  e  i  baci,  qual  da' fiori 
Belle,  carche  di  miele,  api  ronzanti. 


Carducci.  21 


322  LEVIA  GRAVIA 


XV. 

A  P.  E. 

IN  MORTE  DI  MARIA  SUA   MOGLIE 


I 


tiranni  cui  Nemesi  divelle 
Tornano  in  pietre  di  si  reo  livore 
Ch'ogni  pie  gli  urti;  e  chi  servo  ebbe  il  core 
Fango  divien  ch'ogni  orma  rinnovelle. 

Ma  le  donne  gentili  oneste  e  belle 
Che  un  solingo  arse  in  terra  unico  amore 
Solvonsi  in  aere,  e  del  mattin  su  V  ore 
Raggiano  il  puro  ciel,  virginee  stelle. 

Ivi  è  Maria:  e,  se  per  Talta  calma 
Vien  che  rotando  a  lei  V  orbe  si  mostri 
Piccioletto  e  di  sangue  atro  e  di  pianto, 

Del  lungo  sguardo  che  tu  amasti  tanto 
Fende  ella  il  fumo  de' peccati  nostri 
Te  ricercando,  Piero,  e  la  vostr'  Alma. 


I 

k 


LIBRO  II 


PER   LA   PROCLAMAZIONE 
DEL  REGNO  D' ITALIA 


Ouono  di  trasvolanti 

Ale  e  tremor  di  luminose  forme 

I  sereni  del  ciel  deserti  empìea, 

E  da  le  caliganti 

Isole  al  mar  che  sotto  Fola  dorme 

Una  stupenda  vision  splendea, 

Quel  di  che  di  Palestre  il  cavaliere 

Coronossi  del  bello  italo  impero. 


324  LEVIA   GRAVIA 

Venlano  giovinette 

Anime  a  coro,  e  ardea  la  nova  etate 

Nel  segno  del  martir  più  radiosa; 

Nel  puro  lume  erette 

Venian  fronti  pensose,  incoronate 

Di  secura  canizie  gloriosa; 

Sacerdoti  e  guerrieri,  ed  inspirati 

Sofi  ed  artisti,  e  contemplanti  vati. 


Tuoi  figli,  Italia.  E  il  giorno 

Che  '1  tuo  nome  attestar,  non  di  frequente 

Popolo  gli  cerchiava  onda  solenne. 

Duro  silenzio  intorno, 

E  il  ceffo  del  carnefice  imminente, 

E  r  atro  coruscar  de  la  bipenne. 

Chinarsi:  e  te  cercò  rocchio  smarrito 

Tra  '1  dileguar  del  mondo  e  V  infinito. 


Quei  le  livide  note 

Mostran  del  laccio,  a  quei  solco  vermiglio 

Viaggia  il  collo  e '1  fero  taglio  attesta: 

Chi  da  r  occhiaie  vote 

Tabe  distilla,  e  chi  tra  ciglio  e  ciglio 

Franta  dal  piombo  ha  la  superba  testa. 

Ma  come  sol  levante  or  lampeggiando 

Splende  ogni  piaga;  e  procedon  cantando. 


LEVIA   GRAVI  A  325 


—  Sei  tu,  sei  tu,  che  al  forte 
Sposo  poggiata  da  gli  avelli  oscuri, 
Reina  di  virtude,  il  soglio  premi? 
Oh  sei  tu,  cui  la  morte 
Trionfi  maturava  e  i  morituri  ^ 
Salutar  lieti  ne' sospiri  estremi? 
Salutaro  immortai  come  la  bella 
Che  t'irraggia  la  fronte  esperia  stella? 


•  / 


O  surta  ne  gli  amari 

Tramiti  de  V  esilio,  o  de*  sepulti 

Tra  r  urne  in  sospettose  ombre  nudrita; 

Chi  nel  dolor  fé  pari? 

Chi  ne  la  gloria?  A' barbari  tumulti 

Nel  sol  de  le  battaglie  a  pena  uscita, 

Tu  pugni  e  vinci,  t'addimostri  e  regni, 

E  novo  ordin  di  tempi  al  mondo  insegni. 


Madre  e  signora  nostra. 

Idea  de'sapfenti,  amor  de' vati, 

E  sommo  premio  a  chi  per  te  moria, 

Il  tuo  cinto  s' inostra 

Nel  sangue  de  gli  eroi  che  Dio  t'  ha  dati, 

Verde  ride  il  tuo  velo  a  la  giulia 

Primavera  d'  amore,  ondeggia  bianco 

Il  regal  manto  da  1'  augusto  fianco. 


326  LEVIA  GRAVI  A 


Te  non  furor  di  brando 

Non  di  coperte  industrie  avvolgimento 

Serena  rilevò  ne  Talto  stato; 

Ma  fede  che  inneggiando 

Sorvola  a  i  roghi,  ma  speme  che  al  lento 

Ceppo  s' invola  co  '1  pensiero  alato, 

Ma  carità  che  di  più  forte  stampa 

Segna  Tordin  civile  e  al  bene  avvampa. 


Da  lacrimosa  etade 

Non  chiede  il  regno  tuo  titol  bugiardo 

Che  bestemmiando  Dio  da  Dio  si  dice, 

Quando  le  poche  spade 

Mieteano  i  molti,  ed  il  terror  codardo, 

Partite  anime  e  terre,  ebbe  tutrice 

Del  delitto  la  forza:  un  fiero  o  stolto 

Su  gli  scudi  barbarici  suffolto. 


Tu  de  reterno  dritto 

Vendicatrice  e  de  le  nove  genti 

Araldo,  Italia,  il  Campidoglio  ascendi. 

Tuoni  il  romano  editto 

Con  altra  voce,  e  a' popoli  gementi 

Ne  r  ombra  de  la  morte,  Italia,  splendi. 

Accorran  teco  a  la  suprema  guerra 

Gli  schiavi  sparsi  su  V  oppressa  terra. 


LEVIA    GRAVIA 


r.n  H 
I.JIA 


IN  MORTE  DI  G. 


Secreto  un  tempio  de'  mortali  al  guardo 
D' altro  e  purpureo  lume  adorno  splende: 
Li  non  caliga  il  fumo  sanguinoso        ,  ,,! 
Di  Vatican,  cede  il  clamor  bugiardo  jniJ 
Al  silenzio  che  tutto  il  luogo  prende:.,"' 
Però  ch'eterno  il  tuo  foco  s'accende 
Ivi,  italica  Vesta,  e  l'aura  e  il  seme 
De  gli  spiriti  magni,  e  le  faville 
Onde  a  le  nostre  ville 
inesausta  d'amor  la  vampa  freme 
E  petti  incende  a  mille 
E  i  civili  dettati  illustra  e  i  carmi    ,  ..,■) 
E  folgora  i  tiranni  e  move  1'  armi.    ^^  (_> 


328  LEVIA  GRAVIA 

Qui  Io  spirto  erse  il  voi  :  qui  festeggiando 
Lo  circonfuse  di  più  fiamme  un  lume 
Che  avean  di  roteanti  astri  sembianza, 
E  cinselo  e  girossi;  e  armonizzando 
Alta  e  soave  oltre  V  uman  costume 
Voce  sonò  da  la  beata  danza. 
—  Al  loco  onde  si  parte  ogni  possanza 
Che  l'italica  vita  informa  e  inizia 
Tornasti,  o  vate,  e  a  T  immortai  dimora. 
Vedi!  Chi  pria  s'infiora 
In  questa  luce,  di  martir  primizia 
Surse  ne  V  ultim'  ora 
Di  Roma,  e  a  lei  seren  V  alma  e  la  fede 
E  a  le  gotiche  verghe  il  corpo  diede. 

Boezio  egli  è,  di  cui  fu  culto  il  nome 
D' inni  e  votivo  grido  in  su  '1  Ticino 
Mentre  Italia  premea  scitico  verno. 
Ecco  di  fregio  consolar  le  chiome 
Cinto  chi  volle  il  bel  nome  latino 
Trarre  al  teutono  impero  e  al  duro  scherno, 
Ecco  Crescenzio!  E  al  Campidoglio  eterno 
Su' vestigi  di  gloria  anche  splendenti 
Roma  drizzai  pur  io:  ma,  il  rogo  asceso 
Da  religion  acceso. 
Lasciai  di  libertade  in  fra  le  genti 
L'alto  desir  conteso: 

Però  chMo  che  d'amor  più  in  te  mi  scaldo, 
O  spirito  fraterno,  io  sono  Arnaldo.  — 


LEVIA  GRAVIA  329 

Folgoraron  d' un  riso,  e  in  un  amplesso 
D'arder  congiunte  le  due  luci  dive 
Disser  parole  sol  da  loro  intese: 
Di  lor  gaudio  parca  godere  anch'esso 
L'alto  concilio,  e  'n  ruote  più  giulive 
La  benedetta  danza  si  riaccese. 
Fiammeggiò  nuovo  spirito,  e  riprese: 
—  Io  '1  bel  desire  e  la  tua  fede  questi 
Raccolse,  ed,  ahi,  de'  re  chercuti  V  ira. 
Ma  inneggiando  a  la  pira 
La  fé' sorvola;  e  a' popoli  ridesti, 
Rotto  r  avello,  spira 
Da  l' ossa  nostre  l' immortai  parola. 
Io  fui  '1  tribuno,  ed  ei  Savonarola. 

Maggior  de' tempi,  e  de  l'obliquo  fato. 
Degno  a  cui  il  cielo  altra  più  vasta  lode 
Che  seguir  morte  e  l'alta  idea  donasse, 
Questo  è  '1  fulgore  del  lucchese  Arato 
Ultimo  che  a  le  vostre  occidue  prode 
La  fuggitiva  libertà  raggiasse. 


5^  J^'-  ^I^^—^ 


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frEi  n^jMi  ja:5^:iv  zel  M:»"r7Y 


A 


\y4\  pimU:ro  vtrtict  rr.onzzr.z- 

t/'/a  il  Vrbo;  ma  '1  vindice 
A^nar  wm  pon^:,  che  pur  or  gioiva 
i*é'tthi('tì(ìo  a  r  osmanico 
(uro;/'  il  t^rrgo  obbrobrioso  in  Piva. 


LEVIA   GRAVIA  331 

Te  chiama  il  figlio  d'Eliade 
Sovra  le  tombe  de* suoi  padri  eretto; 
•  E  acceso  de  la  mentore 
Speranza  e  d' ira  V  innovato  petto 

Guarda  a  le  rupi  tessale 

Onde  Orfeo  scese  e  il  re  de' prodi  Achille, 

A  r  Egeo  sacro,  a  V  isole 

Radianti  d'  omeriche  faville; 

Guarda,  e  i  fraterni  vincoli 
Rompe  e  1'  oblique  bavare  dimore. 
Preme,  ancor  preme  i  barbari 
Di  Riga  il  canto  e  di  Bozzàri  il  core. 

In  vano  in  van  la  tunica 

Del  profeta  guerrier  tu  spieghi  a'  venti, 

A  turpe  gregge  V  alacre 

Fé'  d'  Ali  chiedi  in  van,  re  de  i  credenti. 

Ben  tre  fiate  l' invido 
Timor  de' regi  ti  campò  da  morte: 
Levati  ornai,  del  Bosforo 
L'onde  ritenta  e  le  asiane  porte. 

Lungi  da  noi  la  putrida 

Stirpe  cui  regna  il  fato,  e  a  l' infelice 

Servaggio  ed  a  V  immobile 

Ozio  e  a  le  tombe,  preda  ignava,  addice. 


■  f 


332  LEVIA   GRAVIA 

Ma  non  fia  già  che  il  limpido 

Sol  riconforti  ed  Elle  argentea  lavi 

Te  falso  Tito  sarmata,, 

Te  gloriato  redentor  di  schiavi. 

Perché  là  su  la  Vistola 

Tutta  una  plebe  a  Dio  grida  e  si  duole, 

E  il  ferro  entro  le  fauci 

Tronca  l'inerme  priego  e  le  parole? 


Perché  le  madri  accusano 

Fioche  ne'  pianti  i  siberiani  esigli 

E  a  la  terra  e  a  1'  oceano 

Chieggon  le  sparse,  ohimè,  tombe  de' figli? 

Bella  ed  austera  vindice 

Su  i  larghi  mar  cammina  alta  una  dea: 

Arde  di  amore  il  nubilo 

Ciel  da'  suoi  lumi  e  '1  pigro  suol  ricrea. 

Ratta  più  che  il  fulmineo 

Pie  de'  poliedri  ucrani,  eccola  !  l' asta 

Incontro  a  lei  da  V  ispido 

Tuo  cosacco  vibrata,  o  Czar,  non  basta. 

È  la  dea  che  l' iberica 

Donna  sgomenta:  in  van  s' abbraccia  a  l'ara 

La  peccatrice,  e  i  lugubri 

Odi  rattizza  e  i  fochi  atri  prepara.      :\' 


LEVIA   GRAVIA  333 

È  la  dea  cui  discredere 

Di  Federico  la  progenie  estrema 

Osa  e  dal  ciel  ripetere 

Lo  scettro  e  il  percussor  ferro  e 'l 'diadema  : 

Ma  Dio  non  tempra,  o  misero, 

Serti  a  i  re;  forza  a  le  sue  plebi  infonde, 

E  '1  vasto  grido  suscita 

Che  di  terror  gli  eserciti  confotide. 

È  la  dea  che  de' vigili 

Occhi  circonda  il  sir  de' Franchi,  e  aspetta; 

E  a  noi  mostra  i  romulei 

Colli  e  il  mar  d'  Adria  e  V  ultima  vendetta. 

E  tu  ne  la  man  parvola, 

Siccome  verghe  in  tenuo  fascio  unite, 

Tu  vuoi  di  sette  popoli 

Stringere,  Asburgo,  le  discordi  vite? 

La  colpa  antica  ingenera 

Error  novi  e  la  pena:  informe  attende 

Ella,  e  il  giusto  giudicio 

Provocato  da  gli  avi  in  te  distende. 

E  d'  Arad  e  di  Mantova 

Si  scoverchiano  orribili  le  tombe: 

S' affaccia  a  1'  Alpi  retiche 

Lo  spettro  di  Capete  e  al  soglio  incombe. 


334  LEVIA   GRAVIA 

Astieni,  astien  la  vergine 

Man  da  la  scure  e  da  i  lavacri  orrendi, 

E  intemerata  a  i  popoli 

Che  si^  drizzan  a  te,  libertà,  splendi. 

Fuma  a' tuoi  pie  la  folgore, 
Nunzia  su  le  tue  vie  va  la  procella, 
Ma  ne  gli  sguardi  tremola 
Lume  gentil  di  matutina  stella: 

Deh  non  voler  che  violi 

Regia  prora  del  tuo  Franklin  i  flutti; 

Il  sangue  al  fin  di  Bròuno 

Vendica,  o  giusta,  e  del  servaggio  i  lutti. 

Pianta  le  insegne  italiche 

Di  Roma  tua  su  i  mal  vietati  spaldi, 

Guida  tonando  a  V  Adige 

La  secura  virtù  di  Garibaldi. 

E  poi  ne  torna  V  utile 

Pace  e  a  gli  aratri  V  obliato  onore, 

L'  arti  che  a  te  fioriscono 

E  de'  commerci  aviti  il  lieto  ardore. 

A  te  cori  di  vergini 

E  di  garzoni  inghirlandati  ogni  anno 

Ricondurrà;  le  tremole 

Facce  de'  padri  a  te  sorrideranno. 


LEVIA   GRAVIA  335 

E  un  tuo  vate,  la  ferrea 

D'  Alceo  corda  quetata,  in  su  le  glebe 

Dal  pio  travaglio  floride 

Leverà  il  canto  a  la  fraterna  plebe. 


336  LEVIA  GRAVIA 


XIX. 


PER  LA  SPEDIZIONE  DEL  MESSICO 


O 


albergo  di  tiranni,  o  prigion  fella 
Di  plebi  oppresse  lacerate  e  smorte, 
Fucina  di  servaggio  ove  ritorte 
Ad  ogni  gente  tirannia  martella; 

Chiama,  Europa,  a'  tuoi  segni  anco  la  morte, 
Altre  d'uomini  vite,  empia,  macella, 
Si  eh'  a  i  liti  da  te  franchi  la  bella 
Tua  libertà  vizi  e  catene  apporte. 

Ancella  Francia  ad  ogni  reo  potere, 
Spagna  feroce,  ed  Anglia  mercantesca 
A  novelli  trionfi  empion  le  schiere. 

A  un  affamato  règolo  nov'  esca 

Offron  d' anime  e  terre.  O  imprese  altere, 

Fin  che  di  sua  viltade  al  mondo  incresca! 


\ 


LEVIA  GRAVIA  387 


XX. 

ANCHE  PER  LA  STESSA 


i  imor,  pudore,  o  de  V  avito  orgoglio 
Spirito  alcun  ritragge  gli  altri:  ei  resta, 
Ei  consuma  da  sol  l' inclita  gesta, 
Solo  prepara  il  disonesto  spoglio. 

Ei,  che  guatò  ladron  notturno  al  soglio, 
Tra  i  romani  cadaveri  la  testa 
Lento  rizzando,  or  con  nove!  rigoglio 
Sente  V  antica  fame  entro  ridesta. 

E  cerca  oltre  la  franca  onda  d'  Atlante 
Repubbliche  altre  eh'  ei  soffoghi  e  spenga, 
Di  libertade  insidioso  amante; 

Traccia  altri  armenti  che  in  sua  tana  ei  tenga, 
Caco  imperiai.  Deh,  Libertade,  errante 
Alcide,  quando  fia  che  tu  sorvenga! 


Carducci.  22 


338  LEVIA  GRAVIA 


XXI. 

ROMA  O  MORTE 


S^ual  voce  da  i  fatali 

Tuoi  colli,  o  Roma,  un  sacro  eco  rintona 

D'editto  consolar  sopra  le  genti? 

I  sepolti  immortali 

Luminosi  di  tutta  la  persona 

Che  sorgono  a  chiamar  da  i  monumenti? 

O  madre  alma,  o  parenti 

Del  popol  nostro,  in  su  '1  bimare  lido, 

Ovunque  il  sol  d' itala  vita  accende 

A'  petti  una  scintilla. 

Ogni  man  chiede  Tarmi  al  vostro  grido, 

Ogni  cuor  batte  procelloso,  splende 

Di  lacrime  e  furore  ogni  pupilla, 

E  gloria  e  morte  ogni  desio  sfavilla. 


LEVIA   GRAVIA  330 

L' udì  pria  V  aspettante 
Di  Caprera  leon  :  con  un  ruggito 
Fiutando  la  battaglia  alzò  la  testa, 
E  saltò  fuor.  Le  sante 
Ombre  accorrendo  al  dittator  romito 
Lo  circondar  con  rombo  di  tempesta. 
E  già  r  inclita  gesta 
Prende  ogni  mente  giovanil:  chiamare 
Novellamente  pare 

Giù  da  Marsala  un  lieto  suon  di  tromba 
Sparso  a  gì'  itali  venti. 
I  pii  vecchi  lasciar,  le  donne  care; 
E  te  Roma  cercando  od  una  tomba, 
Tentan  con  man  le  piaghe  ancora  ardenti 
Sotto  il  saio,  vermiglio,  e  van  fidenti 


340  LEVIA  GRAVI  A 


i , 


/ 


XXII. 
DOPO  ASPROMONTE 


-L  uggon,  ahi  fuggon  rapidi 
or  irrevocabili  anni! 
E  sempre  schiavi  fremere 
Sempre  insultar  tiranni, 

Ovunque  il  guardo  e  V  animo 
Interrogando  invio, 
Odomi  intorno;  ed  armasi 
Pur  d*  odio  il  canto  mio. 

Sperai,  sperai  che,  il  ferreo 
Tempo  de  V  ire  vòlto, 
Io  libero  tra  i  liberi, 
A  liete  mense  accolto, 


LBVIA    GRAVIA 

241 

Potrei  ne'  vóti  unanimi 

Seguir  con  l'inno  alato 

.  /fi 

L'  ascension  de'  popoli 

•a  3 

Su  per  le  vie  del  fato. 

mT 

Tal  salutando  Armodio 

■r.<: 

Incoronar  le  cene 

Solca  tornata  a  civica 

'-[  ■■! 

Egualitadfi  Atene  : 

■   [■ 

Fremean  gli  aerei  portici' 

./v3 

AI  canto  e  Salamìna 

r>fltfl 

Rosea  del  sole  occiduo  ' 

ù,-| 

Ridea  da  la  marina: 

•*'*■  Pensoso  udia  Trasibulo, 

E  nel  bel  fior  de  gli  anni 

La  fronte  radiavagli, 

Minaccia  de' tiranni. 

Oh,  ancor  nel  mirto  ascondere 

Convien  le  spade:  ancora 

ibrio 

L'antico  e  ì]  nuovo  obbrc 

Ci  fìede  e  ci  addolora. 

0  libertà,  sollecita 

Speme  de'  padri  e  nostraj' 

■.^ii' 

Sangue  di  nuovi  martiri 

'^0  li 

11  tuo  bel  velo  inostra;   ' 

fioJ 

342  LEVIA   GRAVIA 

Né  da  te.|;rmni  movono 
Dove  Rattazzi  impera 
E  geme  in  ceppi  il  vindice 
Trasibul  di  Caprera. 


(\ 


Oh  de  r  erpe,  del  povero 
Ferito  al  career  muto 


J     Portate,  o  venti  italici, 
,(     Il  mio  primier  saluto. 


Evviva  a  te,  magnanimo 
Ribelle!  a  la  tua  fronte 
Più  sacri  lauri  crebbero 
Le  selve  d'Aspromonte. 

Spada  il  tuo  nome  (o  improvvido, 
Ei  non  ti  fu  lorica,) 
Tu  solo  ardisti  insorgere 
Contro  l'Europa  antica. 

Chi  vinse  te?  Deh,  cessino 

I  vanti  disonesti  : 

Te  vinse  amor  di  patria 
E  nel  cader  vincesti. 

Evviva  a  te,  magnanimo 
Ribelle  e  precursore  ! 

II  culto  a  te  de'  posteri, 
Con  te  d' Italia  è  il  cuore  ! 


LEVIA  GI^VIA  t343 


\ 


Io  bevo  al  di  che  fausto 
L'eterna  Roma  schiuda, 
Non  a'Seiani  ignobili, 
A  i  Tigellini,  ai  Giuda, 

Si  a.  libertà  che  vindice 
De  l' umano  pensiero 
Spezzi  la  falsa  cattedra  -  ; 
Del  successor  di  Piero.     ) 

Io  bevo  al  di  che  tingere 
Al  masnadier  di  Francia 
Dee  di  tremante  e  luteo 
Pallor  r  oscena  guancia. 


Ferma,  o  pugnai  che  in  Cesare 
Festi  al  regnar  divieto, 
O  scure  a  cui  mal  docile 
S'inginocchiò  Capeto! 

Sacro  è  costui:  segnavalo 
Co'l  dito  suo  divino 
La  libertà;  risparmisi 
L' imperiai  Caino. 

Viva;  e  un  urlar  di  vittime 
Da  i  gorghi  de  la  Senna 
E  da  le  fosse  putride 
De  la  feral  Caienna 


344  LEVIA   GRAVI  A 

Lo  insegua':  e,  spettri  lividi 
Con  gli  spioventi  crini, 

—  Sii  maledetto  —  gridingli 
Mameli  eMonosini. 

—  Sii  maledetto  —  e  d' odio 
Con  inesauste  brame 
I  fratricidi  il  premano 
Onde  Aspromonte  è  infame. 

Viva:  insignito  gli  omeri 
De  la  casacca  gialla, 
Al  pie  che  due  repubbliche 
Schiacciò,  la  ferrea  palla. 

Di  sua  vecchiezza  ignobile 
Contamini  Tolone 
Ove  la  prima  folgore 
Scagliò  Napoleone. 

Ahi,  grave  è  V  odio  e  sterile, 
Stanco  il  mio  cuor  de  V  ire  ; 
Splendi  e  m'  arridi,  o  candida 
Luce  de  V  avvenire  ! 

Arridi!  i  nostri  parvoli 
Che  a  te  veder  son  nati 
Io  t' accomando  :  ei  vivano 
Del  raggioi>tua. beati. 


LEVIA  GRAVIA  B4i 

A  terra  i  serti  e  V  infule  ! 
In  pezzi,  o  inique  spade! 
Solo  nel  mondo  regnino 
Giustizia  e  libertade! 

0  dee,  ne  la  perpetua 
Ombra  si  chiuderanno 
Quest'occhi,  e  il  vostro  imperio 
In  van  ricercheranno. 

O  dee,  ma,  quando  compiansi 
L'età  vaticinate, 
Di  vostra  gloria  un  alito 
Su  r  avel  mio  mandate. 

Io  '1  sentirò  :  superstite 
A  i  fati  è  amor:  e  vive 
Esulteran  le  ceneri 
Del  vostro  vate,  o  dive. 

Or  distruggiam.  De  i  secoli 
Lo  strato  è  su  '1  pensiero: 
O  pochi  e  forti,  a  1'  opera. 
Che  ne  i  profondi  è  il  vero. 

Odio  di  dèi  Prometeo, 
Arridi  a'  figli  tuoi. 
Solcati  ancor  dal  fulmine. 
Pur  r  avvenir  siam  noi.      ^^ 


«346  LEVIA  GRAVIA 


^ 


XXIII. 
CARNEVALE 


VOCE  DAI   PALAZZI. 


E 


tu,  se  d' echeggianti 
Valli,  o  borea,  dal  grembo,  o  errando  in  selva 
Di  pin  canora,  o  stretto  in  chiostri  orrendi, 
Voce  d' umani  pianti 
E  sibilo  di  tibie  e  de  la  belva 
Ferita  il  rugghio  in  mille  suoni  rendi. 
Borea,  mi  piaci.  E  te,  solingo  verno, 
Là  su  quell'alpe  volentieri  io  scerno. 

Una  caligin  bianca 

Empie  r  aèr  dormente,  e  si  confonde 

Co  M  pian  nevato  a  l' orizzonte  estremo. 

Tenue  rosseggia  e  stanca 

Del  sol  la  ruota,  e  tra  i  vapor  s'asconde, 

Com'  occhio  uman  di  sue  palpebre  scemo.  i 

E  non  augel,  non  aura  in  tra  le  piante,  ( 

Non  canto  di  fanciulla  o  viandante  ;  G 


V 


LEVIA   GRAVIA  347 

Ma  il  cigolar  de' rami 

Sotto  il  peso  ineguale  affaticati 

E  del  gel  che  si  fende  il  suono  arguto. 

Canti  Arcadia  e  richiami 

Zefiro  e  sua  dolce  famiglia  a  i  prati:, 

Me  questo  di  natura  altjero  e  muto 

Orror  più  giova.  Deh  risveglia,  Eurilla, 

Nel  sopito  .carbon  lieta  favilla;  : 

Ed  in  me  la  serena 

Faccia  converti  e  '1  lampeggiar  del  riso 

Che  primavera  ove  si  volga  adduce. 

A  la  sonante  scena 

Poi  ne  attendono  i  palchi,  ove  dal  viso 

De  le  accolte  bellezze  ardore  e  luce 

E  da  le  chiome  e  da  gr  inserti  fiori 

Spira  r  aprii  che  rinnovella  odori. 


VOCE  DAI  TUGURI. 

Oh  se  co  '1  vivo  sangue 

Del  mio  cor  ristorare  io  vi  potessi, 

Gelide  membra  del  figliuolo  mio! 

Ma  inerte  il  cor  mi  langue, 

E  irrigiditi  cadono  gli  amplessi, 

E  sordo  r  uomo  ed  è  tropp'  alto  Iddio. 

0  poverello  mio,  la  lacrimosa 

Gota  a  la  gota  di  tua  madre  posa. 


348  LEVIA   GRAVIA 

Non  de  la  madre  al  seno 

Il  tuo  fratel  posò:  lenta,  su  *1  varco     • 

Presse  gli  estremi  aliti  suoi  la  neve. 

Da  Topra  dura,  pieno 

Il  di,  seguiva  sotto  iniquo  carco 

I  crudeli  signor  co  *1  passo  breve; 

E  coli'  uom  -congiurava  a  fargli  guerra 

L'aere  implacato  e  la  difficil  terrà. 


Il  nevischio  battea 

Per  i  laceri  panni  il  faticoso; 

E  cadde,  e  sanguinando  in  van  risorse. 

La  fame. ahi  gli  emungea 

L' ultime  forze,  e  al  fin  su  '1  doloroso 

Passo  lo  vinse  :  e  pia  la  morte  accorse 

Poi  cadavero  informe  e  dissepolto 

Lo  ritornar  sotto  il  materno  volto. 


Ahimè,  con  miglior  legge 

Ripara  a  schermo  da  la  gelid'  aura 

Aquila  in  rupe  e  belva  antica  in  lustre 

Ed  un  covil  protegge 

Tepido  i  sonni  ed  il  vigor  restaura 

A  i  can  satolli  entro  il  palagio  illustre 

Qui  presso,  dove  de  V  amor  più  forte, 

Figlio  de  r  uom,  te  mena  il  gelo  a  morte. 


VOCE   DALLE   SALE. 

Mescete,  or  via  mescete 

La  vendemmia  che  il  Ren  vecchia  conserva 

Di  sue  cento  caste! laTn coronato. 

Gorgogli  con  le  liete 

Spume  a  lo  sguardo  e  giii  nel  sen  ci  ferva 

Quel  che  il  sol  ne' tuoi  colli  ha  maturato 

Cui  ben  Giovanna  a  1' Anglo  un  di  contese, 

O  di  vini  e  d'  eroi  Francia  cortese. 

Poi  ne  rapisca  in  giro 

La  turbinosa  danza.  Oh  di  pompose 

E  bionde  e  nere  chiome  ondeggiamenti; 

Oh  infocato  respiro 

Che  al  tuo  si  mesce,  oh  disvelate  rose, 

Oh  accorti  a  fulminare  occhi  fuggenti; 

Mentre  per  mille  suoni  a  tempra  insieme 

L'acuta  voluttà  sospira  e  geme! 

Dolce  sfiorar  co  '1  labbro 

Le  accese  guance,  e  stringer  mano  a  mano 

E  del  seno  su  i  sen  le  vìve  nevi, 

E  dì  sua  sorte  fabro 

Ne  l'orecchio  deporre  il  caro  arcano 

De  ie  sorrise  parolette  brevi, 

E  meditar  cingendo  il  fianco  a  lei 

DcVispugnata  forma  indi  i  trotei.„ 


35Ò  LEVIA   GRAVIA 

Che  se  di  nostre  feste 

Scorra  su  Putii  plebe  il  beneficio 

E  civil  carità  prenda  augumento; 

Mercé  nostra,  il  celeste, 

Che  bene  e  mal  parti,  saldo  giudicio 

Ha  di  bella  pietade  alleggiamento. 

Noi,  del  nostro  gioir,  beata  prole, 

Rallegriam  V  universo  a  par  del  sole. 


VOCE  DALLE  SOFFITTE. 

Mancava  il  pan,  mancava 

L'opra  sottile  fi  reggere  la  vita; 

E  al  freddo  focolar  sedea  tremando 

E  muta  mi  guardava. 

Pallida  mi  guardava  e  sbigottita. 

La  madre:  e  un  lungo  giorno  iva  passando 

Che  perseguiami  quel  silenzio  e  '1  guardo, 

Quand'  io  lassa  discesi  a  passo  tardo. 

Piovea  per  la  brumale 

Nebbia  lividi  raggi  alta  la  luna 

In  su  '1  trivio  fangoso,  e  dispariva 

Dietro  le  nubi:  tale 

Di  giovinezza  il  lume  in  su  la  bruna 

Mia  vita  mesto  fra  i  dolor  fuggiva. 

E  la  man  tesi:  e  vidimi  in  conspetto 

Osceni  ghigni;  e  in  cor  mi  scese  un  detto 


LEVIA  GRAVIA  351 

Immane.  Ahi,  ma  più  immane 

Me,  o  superbi,  premea  la  .lunga  fame 

E  il  guardo  e  il  viso  de  la  madre  antica. 

Tornai:  recai  del  pane: 

Ma  tacean  del  digiuno  in  me  le  brame,    > 

Ma  sollevare  i  gravi  occhi  a  fatica 

Sostenni;  o  madre,  e  nel  tuo  sen  la  fronte 

Ascosi  e  del  segreto  animò  V  onte. 

Addio,  d'  un  santo  amore 

Fantasie  lacrimate,  e  vói  compagne 

Di  questa  infelicissima  fanciulla! 

A  voi  rida  il  candore 

Del  vel  che  la  pia  madre  adorna  e  piagne, 

E  '1  pensier  eh*  erra  a  studio  d' una  culla. 

Io  derelitta  io  scompagnata  seguo 

Pur  la  traccia  de  T  ombre  e  mi  dileguo. 


VOCE   DI   SOTTERRA.  / 


Cf^  «A^#-^>^-^ 


Taci,  o  fanciulla  mesta; 

Taci,  o  dolente  madre,  e  V  affamato 

Pargol  raccheta  ne  la  notte  bruna. 

Fiammeggia,  ecco,  la  festa 

Da'  vetri  del  palagio,  ove  il  beato 

De  la  libera  patria  ordin  s'aduna, 

E  magistrati  e  militi  tra'  suoni 

E  dotti  ed  usurier  mesce  e  baroni. 


352  LEVIA  GRAVIA 

De' tuoi  begli  anni  il  fiore, 

O  fanciulla,  intristì,. chiedendo  in  vano 

L' aer  e  V  amor  eh'  ogni  animai  desia  ; 

Ma  ride  in  quel  bagliore 

Di  sete  e  d'or,  che  con  la  bianca  mano 

La  marchesa  raccoglie  e  va  giulia 

In  danza.  Or  pianga  e  aspetti  pur,  che  importa?, 

La  prostituzione  a  la  tua  porta. 


Quel  che  ne  la  pupilla 

Del  figliol  tuo  gelò  supremo  pianto 

Che  tu  non  rasciugasti,  o  madre  trista, 

Gemma  s'è  fatto  e  brilla 

Tra'l  nero  crin  de  la  banchiera.  E  intanto 

Il  leggiadro  e  soave  economista 

A  lei  che  ride  con  la  rosea  bocca 

Sentenze  e  baci  dissertando  scocca. 


Gioite,  trionfate, 

O  felici,  o  potenti,  o  larve!  e  quando 

Il  sol  nuovo  la  plebe  a  V  opre  caccia, 

Uscite  e  dispiegate, 

Pur  la  mal  digerita  orgia  ruttando, 

Le  vostre  pompe  a' suoi  digiuni  in  faccia; 

E  non  sognate  il  di  eh'  a  l' auree  porte 

Batta  la  fame  in  compagnia  di  morte. 


LEVIA  GRAVIA  353 


XXIV. 

PER  LA  RIVOLUZIONE  DI  GRECIA 


D 


unque  presente  nume  ancor  visiti, 
Sacra  Eleuteria,  la  terra  d'  Eliade, 
Che  già  d'armi  e  di  canti 
E  d'altari  fumanti  —  ardeva  a  te? 

K  là,  dal  vecchio  Pireo,  da  V  isola 

Che  la  tua  gesta  racconta  a  i  secoli, 

De  la  fuga  tremante 

Tu  ancor  Tamaro  istante  ■—  insegni  a  i  re? 

Oh  viva,  oh  viva!  Dovunque  i  popoli 
Tu  a  r  armi  accendi  tu  i  troni  dissipi, 
Ivi  è  la  musa  mia. 
De  r  agii  fantasia  —  su  T  ale  io  son. 

Carducci.  23 


354  LEVIA   GRAVIA 

Deh  come  lieto  tra  il  Sunio  e  V  isole 
Care  ad  Omero  care  ad  Apolline 
L'azzurro  Egeo  mareggia, 
Su  cui  passeggia  -—  de' gran  fatti  il  suon! 

Infrenin  regi  le  genti  barbare, 
Grecia  li  fuga.  Veggo  Demostene 
Su  '1  bavarico  esiglio 
Il  torvo  sopracciglio  —  dispianar. 

Ombra  contenta  ricerca  ei  1'  agora 
Che  già  ferveva  fremeva  urtavasi 
De  la  sua  voce  al  suono 
Si  come  al  tuono  —  il  nereggiante  mar. 

Da  poi  che  il  b'rando  nel  mirto  ascosero 
Armodio  e  il  prode  fratello  unanime 
Non  mai  di  più  giocondo 
Per  Atene  su  '1  biondo  —  Imetto  usci. 

Udite ...  È  un  altro  fanciullo  barbaro 
Che  Atene  accatta  rege.  Nasconditi, 
Musa:  ritorna  in  pianto 
D*  Armodio  il  canto  —  a  questi  ignavi  ài 


LEVIA   GRAVIA  355 


XXV. 


BRINDISI 


S, 


^e  già  sotto  r  ale 
Del  nero  cappello 
Nel  vin  Cromtìeilo 
Cercava  il  signor, 

Ne'  colmi  bicchieri 
Ricerco  pur  io 
Men  fiero  un  iddio, 
Ricerco  V  amor. 

Evviva,  o  fratelli, 
Evviva  la  vigna. 
Il  suolo  ove  alligna, 
L'  umor  ch'ella  dà! 


356  LEVIA   GRAVIA 

A  l'ombra  de* tralci, 
Cui  '1  sol  lieto  ride, 
L' industria  s' asside 
E  la  libertà. 

O  ver  se  fiorita 
Ne  gli  orti  d'Atene 
Protesse  le  cene 
Del  vecchio  Platon, 

O  se  lussureggia   ' 
Nel  suolo  ove  ardito 
Co  '1  nero  infinito 
Fu  Vico  in  tenzon, 

O  dove  tra  i  colli 
De  l'Arno  giocondi 
S'apri  de' tre  mondi 
La  via  spiritai, 

O  se  del  suo  succo 
Più  puro  e  leggero 
Scaldò  di  Volterò 
Il  riso  immortai. 

Evviva  la  vigna 
Che  l'arti  raccoglie. 
Che  il  gelo  discioglie 
Di  barbare  età! 


LEVIA   GRAVIA  357 

Anch'  io  nel  suo  sangue 
Ricerco  il  signore 
Ricerco  l'amore 
E  la  libertà. 

I  re  congiurati 
Or  meditan  guerra, 
E  schiava  la  terra 
Ne  gli  odi  insani. 

O  prole  d'Arminio, 
Pur  io  ti  saluto, 
Io  prole  di  Bruto; 
E  bevo  a  quel  di 

Che,  su  le  ruine 
De'  trenta  tuoi  sogli 
Deposti  li  orgogli 
D'  un  evo  incivil, 

La  man  tu  ci  stenda 
Da  Talpe  gelata, 
La  man  non  più  armata 
Del  ferro  servii, 

Ma  si  del  cristallo 
Che  Praga  lavora 
E  il  vino  colora 
Del  limpido  Ren. 


358  LEVIA   GRAVIA 

Risplenda  su  V  urne 
De' vostri  riposi, 
O  padri  ringhiosi, 
Quel  giorno  seren: 

Risplenda:  ne' vóti 
A  l'itala  mano 
Francata  Murano 
La  tazza- darà. 

Su  1'  alpe  arridendo 
Le  avverse  contrade 
La  dea  libertade 
Quei  vóti  accorrà. 


LEVIA  GRAVIA  3SQ 


XXVI. 
NEL  SESTO  CENTENARIO  DI  DANTE 


I. 


I 


o  '1  vidi.  Su  r  avello  iscoverchiato 
Erto  r  imperiai  vate  levosse: 
Allor  la  sua  marina  Adria  commosse, 
E  tremò  de  V  Italia  il  manco  lato. 

Quelvapor  mattutino  ei  nel  purgato 
Etere  surto  a  TApennino  mosse: 
Drizzò  lo  sguardo  a  valle,  e  poi  calosse 
Come  nembo  di  lampi  incoronato. 

Sentir  l'arcana  deità  presente 

Le  plebi  de'  mortali  e  sbigottita 

Nel  conspetto  di  lui  tacque  ogni  mente: 

Ma  fuor  de  V  arche  antiche  al  sole  uscita 
De'  savi  e  de'  guerrier  la  morta  gente 
Salutò  la  grand*  anima  redita. 


360  LEVIA   GRAVIA 


IL 


JL-jlla  ove  incurva  il  ciel  più  alto  l'arco 
Fermossi,  e  '1  viso  a  la  città  distese. 
Mirò  l' ìtale  insegne,  e  V  occhio  carco 
Di  lacrime  in  un  riso  almo  si  accese. 

Ma,  come  d'atro  velo  ombrate  e  offese 
Vide,  Quirin,  la  tua,  la  tua,  San  Marco, 
De  r  immortale  amore  al  sen  raccese 
Senti  le  punte,  e  ruppe  a  V  ira  il  varco. 

—  Ahi,  serva  Italia,  di  dolore  ostello! 
Ancor  la  lupa  t' impedisce,  e  doma 
Gli  spirti  tuoi  domestico  flagello. 

Mal  rechi  a  l' Arno  la  mal  carca  soma: 
Non  questo  è  il  nido  del  latino  augello: 
Su,  ribelli,  e  spergiuri,  a  Roma,  a  Roma  - 


LEVIA   GRAVIA  361 


III. 


D: 


isse,  e  movea.  Come  ne*  turbin  torti 
Groppo  di  nubi  rapide  su' venti, 
De' magnanimi  eroi  di  vita  spenti 
Seguian  l'ombre  partite  in  due  coorti. 

Gli  uni,  in  pruove  di  guerra  anime  forti, 
Scendean  sinistri  vèr*  le  adriache  genti: 
Oh,  quando  i  vivi  a  te  salvar  son  lenti,  x 
Sacra  Italia,  per  te  pugnino  i  morti  ! 

Gli  altri,  a  filosofar  menti  divine. 
Dietro  il  poeta  che  splendea  primiero 
Le  famose  attingean  rive  latine. 

Quel  che  avvenne,  non  so:  ma  tosto,  io  spero 
Rifiorita  d*  onor  su  le  ruine 
Roma  libera  fia  da  I'  adultero. 


362  LEVIA  GRAVIA 


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XXVII. 
CURTATONE  E  MONTANARA 


Di 


i  Maro  il  fiume  e  '1  verde  pian,  che  tanta 
Mal  vendicata,  ahimè,  virtù  rinserra, 
Sonerà  vostre  lodi,  o  sacra,  o  santa 
Primavera  d'eroi  de  la  mia  terra. 

Non  r  Arno  più.  Di  regi  ostri  s'  ammanta 
La  città  dei  Ferrucci  e  a  voi  fa  guerra; 
Da  i  servi  fasti  il  vostro  culto  schianta; 
De  gli  avi  il  tempio  a  voi  contende  e  serra. 

O  di  martiri  vulgo,  anime  ignude, 

Fuora  ! . . .  Troppo  gran  peso  a  la  memoria 

È  la  vostra  gentil  plebea  virtude. 

Posate  in  grembo  de  1'  ultrice  istoria: 
Qui  ogni  cosa  ruina  in  servitude; 
Qui  de'  felici  è  tutto,  anche  la  gloria. 


LEVIA   GRAVIA  363 


XXVIII. 

ROMA 


L^ate  al  vento  le  chiome,  isfavillanti 
Gli  occhi  glauchi,  del  sen  nuda  il  candore, 
Salti  su  '1  cocchio;  e  l'impeto  e  il  terrore 
Van  con  fremito  anelo  a  te  d'avanti. 

L'ombra  del  tuo  cimier  l'aure  tremanti, 
Come  di  ferrugigno  astro  il  bagliore, 
Trasvola;  e  de  le  tue  ruote  al  fragore 
Segue  la  polve  de  gì'  imperi  infranti. 

Tale,  o  Roma,  vedean  le  genti  dome 
La  imagin  tua  ne' lor  terrori  antichi: 
Oggi  una  mitra  a  le  regali  chiome, 

Oggi  un  rosario  che  la  man  t' implichi 
Darti  vorrien  per  sempre.  Oh  ancor  del  nome 
Spaurì  il  mondo  e  i  secoli  affatichi! 


364  LEVIA  GRAVIA 


XXIX. 
PER  IL  TRASPORTO 

DELLE  RELIQUIE  DI  UGO  FOSCOLO 
IN   SANTA   CROCE 

(24  giugno  iS-ji) 


R 


.aggìa  di  luce  un  riso 
Da  i  marmi  che  d*  argiva  anima  infusi 
Vivono  dèi  ne  le  medicee  sale, 
Un  fremito  improviso 
Corre  lungo  i  severi  archi  dischiusi 
De  l'alta  Santa  Croce,  or  che  immortale 
De'  numi  e  de'  poeti  a  le  serene 
Sedi  il  molto  aspettato  Ugo  riviene. 

O  vate  che  nel  canto 

La  bellezza  e  la  morte  e  di  Mimnermo 

Il  senso  al  pianto  del  Petrarca  annodi, 

Tieni  e  posa  nel  santo 

Luogo  di  gloria,  nel  solenne  ed  ermo 

Tempio  de' padri;  al  tumulo  custodi 

Son  qui  r  itale  muse,  e  la  divina 

Venere  arride  in  vetta  a  la  collina. 


LEVIA   GRAVIA  365 

Di  rose  e  laureti 

Ella  ti  adorna  con  eterne  feste 

Le  note  a  V  Alighier  contrade  austere, 

E  i  colli  e  gli  oliveti, 

Che  il  tuo  verso  di  luce  anco  riveste, 

Come  la  luna,  a  le  odorate  sere 

Che  forse  nel  desio  de  la  tua  lira 

Da  Bellosguardo  il  rusignol  sospira. 


Chi  a  le  libere  muse 

Puro  si  addisse  e  per  V  augusto  vero 

Spregiò  vulghi  e  tiranni  e  M  fato  a  prova, 

Chi  al  popol  suo  dischiuse 

Dal  cor  profondo  e  da  V  ingegno  altero 

L'onda  e  la  luce  de  la  vita  nova, 

Ben  posa  qui  da  la  mortai  fatica 

A  r  ombra  de  la  grande  Italia  antica. 


Vivi  tu,  conscio  spirto. 

Forse,  e  da  i  verdi  elisi,  ove  te  Dante 

Per  mano  addusse  al  gran  veglio  smirnèo 

E  tra  r  ombroso  mirto 

Saffo  ti  ride  e  in  gioventù  raggiante 

Teco  d'  armi  e  d*  amor  favella  Alceo, 

Rìvoli  ombra  placata,  e  de'  nipoti 

Ascolti  il  lacrimoso  inno  ed  i  vóti? 


366  LEVIA   GRAVIA. 

O  ver  nudo  pensiero 

Vivi  ne  r  universa  alma  che  solve, 

Rinnovellando  ognor,  le  forme  antiche? 

E  noi,  te  di  severo 

Culto  onorando  ne  la  muta  polve, 

Questa  diva  onoriamo  umana  Psiche 

Che  i  secoli,  varcando,  adempie  e  schiara? 

Pietra  a  i  servi  le  tombe,  a  noi  son  ara. 


i 


Ma  di  Carrara  i  monti 

Marmo  non  dan  che  paghi  la  ferita 

Del  poeta  e  i  dolori  ignoti  e  soli, 

O  belle  ardite  fronti 

Ove  s*  impenna  il  sogno  or  de  la  vita. 

Se  quindi  a  voi  gentil  desio  non  voli. 

Gentil  desio  di  glorie  e  di  dolori: 

O  gioventù  dMtalia,  in  alto  i  cori! 


Meglio  le  ingiurie  e  i  danni 

De  la  virtude  in  solitaria  parte, 

Che  assidersi  co'  i  vili  a  regia  mensa: 

Meglio  trascorrer  gli  anni 

Ne  r  ombra  de  V  oblio,  che  vender  1*  arte 

A  cui  dMgnobil  fama  aure  dispensa: 

Meglio  i  nembi  sfidare  al  monte  in  cima, 

Che  belar  gregge  ne  la  valle  opima. 


LEVIA   GRAVIA  367 

Co  '1  bello  italo  regno 

Non  crebber  V  alme,  e  per  più  largo  cielo 

Qual  farfalletta  in  cui  formazion  falla, 

Svolazza  il  breve  ingegno: 

Giacquer  gli  eroi;  sogghigna,  e  senza  velo 

La  fronte  oscena  e  la  deforme  spalla 

Da  la  verga  d'  Ulisse  illividite 

Su  '1  tumulo  d' Aiace  erge  Tersite. 


Qual  gittò  fra  le  genti 

Pensier  Tltalia?  in  su  l'antica  fronte 

Qual  astro  ride  a  l'avvenir  d'amore? 

Alte  parole,  e  lenti 

Umili  fatti!  Ahi,  ahi;  mal  con  le  impronte 

De  le  catene  a  i  polsi  e  più  nel  core. 

Mal  con  la  mente  da  l'ignavia  doma, 

Mal  si  risale  il  Campidoglio  e  Roma! 


Patria  di  grandi  e  forti, 

Il  tuo  fato  qual  è?  Se  tal  risponde 

A  gli  avi  suoi  tuttor  questa  mal  viva 

Gente,  V  ossa  de'  morti 

A  che  gravar  di  marmi?  Io  l'onde  a  Tonde 

Impreco  avverse  in  su  la  doppia  riva, 

E  da  i  ridesti  in  Appennin  vulcani 

Pioggia  di  fuoco  a  i  nostri  dolci  piani. 


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Carducci, 

24 

370  LEVIA  GRAVIA 


celebre,  Sali  il  celebrato;  ove  combattono  pìccoli  bambàUf 
donne  e  rogasse,  ove  combatte  la  Zavella,  colla  spada  alla 
mano,  col  bambino  ali*  un  braccio,  col  fucile  nell*  altro,  colle 
cartuccie  nel  grembiule. 

La  Luisa  Grace  a  cui  è  intitolata  quest'ode,  nata  in  Bri- 
stol nel  1818,  morì  in  Pistoia  il  3  maggio  1865.  Quelli  che 
solo  abbian  visto  di  lei  le  versioni  dei  canti  di  T.  B.  Macaulay 
e  E.  W.  Longfellow  e  le  Rime  e  prose  pubbl.  dopo  la  sua 
morte  dal  marito  Frane.  Bartolini  (tipogr.  dei  successori  Le 
Monnier,  1869  e  1870),  non  potrebbero  ancora  farsi  un'idea 
giusta  del  suo  ingegno,  della  dottrina  in  più  lingue  e  lettera- 
ture  e  dell' ancor  pili  grande  gentilezza  e  generosità  del- 
l' animo  suo. 

Xni)  pag.  305,  V.  19.  Simbolo  dell'  amore  poetico  mistico 
del  medio  evo. 

XIV)  È  una  specie  d'idillio  storico  critico  nel  quale  si 
volle  rappresentare  certe  maniere  e  tendenze  della  poesia  ita- 
liana su  M  finire  del  sec.  xiii.  Scena,  Mulazzo  di  Lunigiana, 
castello  di  Franceschino  Mal  aspina  ospite  di  Dante  e  de' poeti 
toscani  di  parte  bianca.  Tempo,  poco  dopo  la  morte  di  Ar^ 
rigo  VII.  De*  due  poeti,  l' uno  è  Sennuccio  Del  Bene,  fuoru- 
scito fiorentino,  che  scrisse  una  canzone  per  la  morte  dell'im- 
peratore indirizzata  a  punto  al  Malaspina,  e  che  passò  vera- 
mente in  Provenza,  ove  morf  vecchio  e  amico  del  Petrarca; 
r  altro  è  un'  immaginario  cavaliere  ghibellino  delle  famiglie 
feudali.  E  chi  sa  che  nella  ballata  messa  in  bocca  a  Sennuccio 
e  nei  versi  che  a  quella  seguono  non  abbia  qualche  parte  la 
teorica  del  Rossetti,  pe  '1  quale  la  donna  de'  poeti  del  sec.  xiii 
e  XIV  è  r  idea  imperiale  e  anche  l' imperatore  stesso  ? 

LIBRO  n. 

XXI).  Questo  frammento  fu  pubblicato  nel  Don  Chisciotte 
di  Bologna,   2  giugno    1883,   con   tale   nota   della   Direzione: 


LEVIA  GRAVI  A  371 


"  Questi  versi  lì  ho  rubati  in  casa  del  poeta,  fra  alcuni 
suoi  manoscritti  giovanili.  Furto  domestico,  qualificato  per 
la  persona,  sette  anni  di  reclusione,  se  Giosuè  mi  denuncia! 
Ma  per  fortuna  non  lo  farà.  Oltre  tutto,  dopo  Oberdank^  non. 
credo  che  egli  abbia  voglia  di  presentarsi  al  procuratore  del  re.  „ 

XXII)  pag.  341,  v.  5.  In  questa  e  nelle  tre  seguenti  strofe' 
si  accenna  al  glorioso  scolio  di  Callistrato,  che  solevàsi  can- 
tare dagli  Ateniesi  ne'  conviti,  a  onore  degli  eroi  della  libertà, 
Armodio  e  Aristogitone  :  incomincia  "  Entro  un  ramo  dì 
mirto  la  spada  io  vo'  portare,  come  Armodio  e  Aristogitone» 
quando  il  tiranno  ucciselo  e  a  leggi  uguali  Atene  fecero.  „     , 

XXITI)  pag.  347,  v.  17  e  segg.  Stavo  appunto  scrivendo 
questi  versi  (ne'  primi  di  febbraio  del  1863),  quando  nella 
Cassetta  di  Torino  e  nella  Nasione  di  Firenze  lessi  di  un 
fanciullo  decenne,  che  lavorava  a  opra  di  manovale  e  fu  tro- 
vato una  sera  mezzo  morto  di  freddo  di  fatica  di  fame  in  non- 
so  più  qual  via  di  Torino.  Ciò  avverto  per  quelli  che,  volendo 
forse  risparmiare  per  sé  tutta  la  loro  tenerezza,  si  abbando- 
nano assai  leggermente  a  condannare  il  sentimentalismo  dì 
certe  questioni. 

pag.  351,  V.  11.  È  un  verso  di  Giacomo  Leopardi,  che 
allogatosi  in  questa  strofe  non  mi  è  riuscito  levamelo  per 
quanta  fatica  v'abbia  durato  intorno;  tanto  che,  ripensatoci 
sopra,  vidi  bene  che  sarebbe  stato  cima  di  stoltezza,  non  che 
di  villania,  mettere  fuori  dell'  uscio  un  verso  di  Giacomo  Leo- 
pardi ;  e,  ricordandomi  di  quel  che  fu  detto  d*  Omero,  che  era 
più  difficile  togliere  un  verso  a  lui  che  la  clava  ad  Ercole,  ho 
fatto  quasi  il  peccato  di  compiacermi  dentro  di  me  del  furto 
commesso:  di  che,  da  buon  cristiano,  mi  confesso  e  mi  rendo 
in  penitenza. 

XXV)  Scritto  avanti  che  si  pensasse  all'alleanza  colla 
Prussia  e  a'  congressi  della  pace.  La  prima  strofe  allude  a  un 
fatterello  del  Cromwell  come  lo  racconta  nei  Quattre  Stuarts 


372  LEVIA  GRAVIA 


il  visconte  di  Chateaubriand:  Des  saints  le surprirent un joar 
ùccupé  à  boire  :  *'  Ils  croient,  dil-il  à  ses  joyeux  amis,  que 
nous  cherchons  le  Seigneur,  et  nous  cherchons  un  tire-bou- 
ckon.  „  Le  tire-boirchon  était  tombe. 

XXVI)  pag.  359,  v.  9-10.  Non  fu  vero.  Le  vecchie  acca- 
demie non  ciarlarono  né  adularono  mai  tanto  allegramente 
come  i  liberi  italiani  in  que'  giorni 

XXVII)  Per  la  deliberazione  presa  a  quei  giorni  dal  Co- 
mune di  Firenze  di  abolire  la  commemorazione  dei  morti  nel 
combattimento  di  Curtatone  e  Montanara  V  anno  1848  e  di 
onorare  solennemente  soltanto  il  28  di  luglio  e  la  memoria  di 
Carlo  Alberto,  la  prima  e  più  nobile  tra  le  vittime  della  ri- 
voluzione italiana. 

XXVIII)  Tale,  o  simigliante,  è  la  imagine  di  Roma  nelle 
medaglie:  vedi  anche  Claudìano,  In  Prob.  et  Olisbr.  cons. 
v.  Ti  e  segg. 

XXIX)  pag.  364,  v.  9  e  segg.  A  certi  lettori,  anche  non 
ignoranti,  questi  versi  con  in  mezzo  Mimnermo  hanno  fatto 
l'effetto  deir^?  non  è?  Indovinati  quel  ch'egli  è.  Cotesti  let- 
tori abbiano,  se  vogliono  averla,  la  pazienza  di  leggere  nella 
Ist.  della  lett.  greca  di  C.  Ottofr.  Moller  il  cap.  x  intitol.  La 
poesia  elegiaca  e  V  epigramma  e  in  cotesto  capitolo  special- 
unente  il  ritratto  di  Mimnermo.  Chi  poi  ha  senso  di  poesia  e 
sa  un  po'  di  greco  ripensi  i  frammenti  dell'  elegiaco  smimeo, 
e  del  Foscolo  certi  luoghi  delle  Grazie  e  tutta  l'ode  all'amica 
risanata,  massime 

L'  aura  beltade  ond'  ebbero 
Sollievo  unico  a'  mali 
Le  nate  a  vaneggiar  menti  mortali 
e 

Meste  le  grazie  mirino 

Chi  la  beltà  fugace 

Ti  membra  e.  H  giorno  .dell' ejtonili  pAoe. 


LEVIA   GRAVIA  373 


Ma  della  poesia  del  Foscolo,  della  quale  tanto  più  cresce  in 
me  r  ammirazione  quanto  più  veggo  la  materialità  metafìsica 
e  dogmatica  di  certi  critici  affettare  una  quasi  indifferenza  o 
degnazione  di  occuparsene,  bisognerebbe  alfine  parlare  con 
più  sentimento  e  conoscenza  d'arte  e  con  meno  declamazioni 
e  preoccupazioni  civili,  politiche  e  filosofiche. 


A  SATANA 


A   SATANA      I 


S^ì 


A, 


.  te,  de.  r  essere. 
Principio  immenso, 
Materia  e  spiritoi 
Ragione  e  senso; 


Mentre  ne"  calici  ' 
II  vin  scintilla 
Sf  come  l'anima 
Ne  la  pupilla; 


Mentre  sorridono 
La  terra  e  il  sole 
E  si  ricambiano 
D' amor  parole, 


37$  A  SATANA 

E  corre  un  fremito 
D' imene  arcano 
Da*  monti  e  palpita 
Fecondo  il  piano; 

A  te  disfrenasi 
Il  verso  ardito, 
Te  invoco,  o  Satana, 
Re  del  convito. 

Via  r  aspersorio 
Prete,  e  il  tuo  metro! 
No,  prete.  Satana 
Non  torna  in  dietro! 

Vedi:  la  ruggine 
Rode  a  Michele 
Il  brando  mistico. 
Ed  il  fedele 

Spennato  arcangelo 
Cade  nel  vano. 
Ghiacciato  è  il  fulmine 
A  Geova  in  mano. 

Meteore  pallide, 
Pianeti  spenti. 
Piovono  gli  angeli 
Da  i  firmamenti. 


A  SATANA  379 

Ne  la  materia 
Che  mai  non  dorme, 
Re  de  i  fenomeni, 
Re  de  le  forme, 

Sol  vive  5afana; 
Ei  tien  r  impero'  * 
Nel  lampo  tremulo 
D'un  occhio  nero, 

O  ver  che  languido 
Sfugga  e  resista. 
Od  acre  ed  umido 
Provochi,  insista. 

Brilla  de*  grappoli 
Nel  lieto  sangue, 
Per  cui  la  rapida 
Gioia  non  langue. 

Che  la  fuggevole 
Vita  ristora, 
Che  il  dolor  proroga, 
Che  amor  ne  incora.  , 

Tu  spiri,  o  Satana, 
Nel  verso  mio, 
Se  dal  sen  rompemi 
Sfidando  it  dio 


380  A   SATANA 

De'  rei  pontefici, 
De' re  cruenti: 
E  come  fulmine 
Scuoti  le  menti. 

A  te,  Agramainio, 
Adone,  Astarte, 
E  marmi  vissero 
E  tele  e  carte,. 

Quando  le  ioniche 
Aure  serene 
Beò  la  Venere 
Anadiomène. 

A  te  del  Libano 
Fremean  le  piante. 
De  r  alma  Cipride 
Risorto  amante: 

A  te  ferveano 
Le  danze  e  i  cori, 
A  te  i  virginei 
Candidi  amori. 

Tra  le  odorifere 
Palme  d*  Idume, 
Dove  biancheggiano 
Le  ciprie  spume. 


1  i 


A  -SATANA 

ChÈ  vai  se  barbaro 
Il  nazareno  i  '  ' 
Furor  dàel^^gapi^ 
Dal  rito  osèen^ai.    ' 

Con  sacra  fiaccola^ 
I  templi  t'arse»     i 
E  i  sogni  argo^ici 
A  terra  sparse? 

Te  accolse  profugo 
Tra  gli  dèi  lari 
La  plebe  memore  ■ 
Ne  i  casolari. 

Quindi  un  femineo 
Sen  palpitante 
Empiendo,  fervido 
Nume  ed  amante, 

La  strega  pallida 
D' eterna  cura 
Volgi  a  soccorrere 
L'egra  natura.. 


Tu  a  rocchio  immobile 
De  l'alchimista, 
Tu  de  V  indocile 
Mago  a  la  vista, 


382  A  SATANA 

Del  chiostro  torpido 
Oltre  i  cancelli, 
Riveli  i  fulgidi 
Cieli  novelli. 

A  la  Tebaide 
Te  ne  le  cose 
Fuggendo,  il  monaco 
Triste  s'  ascose. 

O  dal  tuo  tramite 
Alma  divisa, 
Benigno  è  Satana; 
Ecco  Eloisa. 

In  van  ti  maceri 
Ne  r  aspro  sacco  : 
Il  verso  ei  mormora 
Di  Maro  e  Fiacco 

Tra  la  davidica 
Nenia  ed  il  pianto; 
E,  forme  delfiche, 
A  te  da  canto, 

Rosee  ne  Torrida 
Compagnia  nera, 
Mena  Licoride, 
Mena  Glicera. 


A  SATANA  383 

Ma  d'altre  im^ini 
D' età  più  bella 
Talor  si  popola 
L' insonne  cella. 

Ei,  da  le  pagine 
Di  LiviOi  ardenti 
Tribuni,  consoli, 
Turbe  frementi 

Sveglia;  e  fantastico 
D' italo  orgoglio 
Te  spinge,  o  monaco, 
Su  '1  Campidoglio. 

E  voi,  che  il  rabido 
Rogo  non  strusse,. 
Voci  fatidiche, 
Wicleff  ed  Husse, 

A  l'aura  il  vigile 
Grido  mandate: 
S' innova  il  secolo 
Piena  è  retate. 

E  già  già  tremano 
Mitre  e  corone: 
Dal  chiostro  brontola 
La  ribellione, 


.1  - 


GIAMBI  ED  EPODI 

I 867- I 879 


No, 


,  non  son  morto.  Dietro  me  cadavere 
Lasciai  la  prima  vita.  Sopra  i  vólti 
Che  m'arrideano  impallidir  te  rose, 
Morirò  i  sogni  de  la  prima  età. 

I  miei  più  santi  amori  io  gli  ho  sepolti, 
Sepolti  ho  nel  mio  cuore  i  desìi  sterili. 
Ad  altri  le  ghirlande  gloriose 
E  i  tuoi  premii  divini,  o  Libertà. 


O  Lete,  0  Lete,  la  tua  pia  corrente 
Sol  dunque  ne  l'inferno  o  in  eden  è? 
Fiorisce  sol  nel  verso  il  pio  nepente 
Ond' Eiena  infondea  le  tazze  a  i  re? 
Io  vo' fuggir  dal  turbine  co'l  volo 
Dove  una  torre  minata  so: 
Là  come  lupo  ne  la  notte  solo 
lo  co  '1  vento  e  co'l  mare  ululerò. 


390  GIAMBI   ED  EPODI 

Ululerò  le  lugubri  memorie  /)j 

Che  mi  fasciano  l'alma  di  dolore,  j 

Ululerò  gr  insonni  accidlfosi 
Tedi  che  fuman  da  la  guasta  età, 

Invidiando  il  rorido  fulgore 
De'  miei  giovani  sogni  e  i  desii  splendidi 
De  le  infrante  catene  e  gli  animosi 
Vostri  richiami,  o  Gloria,  o  Libertà. 

Tutto  che  questo  mondo  falso  adora 
,Co'l  verso  audace  lo  schiaffeggerò: 
Ei  mi  tese  le  frodi  in  su  V  aurora, 
A  mezzogiorno  io  le  calpesterò. 

Che  se  i  delubri  crollano  e  i  tempietti 
Ove  r  ideal  vostro,  o  vulghi,  sta. 
Che  importa  a  me?  Non  fo  madrigaletti 
Che  voi  mitriate  d' immortalità. 

Oh,  pria  eh'  io  giaccia,  altri  e  più  forti  e  fulgidi 
Colpi  da  r  arco  liberar  vogl'  io, 
E  su  le  penne  de  gli  ardenti  strali 
Mandare  io  voglio  il  vampeggiante  cor. 

Chi  sa  che  su  dal  ciel  la  Musa  o  Dio 
Non  T  accolga  sanando  e  sovra  il  torpido 
Palude  de  1'  oblio  non  gli  dia  1*  ali 
Da  rivolare  a  gli  sperati  amor? 

giugno  I8^I. 


LIBRO   T 


I. 

AGLI  AMICI  DELLA  VALLE  TIBERINA 


X^  ur  da  queste  serene  erme  pendici 
D'altra  vita  al  rumor  ritornerò; 
Ma  nel  memore  petto,  o  nuovi  amici, 
Un  desio  dolce  e  mesto  io  porterò. 

Tua  verde  valle  ed  il  bel  colle  aprico 
Sempre,  o  Bulcian,  mi  pungerà  d'amor; 
Bulciano,  albergo  di  baroni  antico. 
Or  di  libere  menti  e  d'  alti  cor. 

E  tu  che  al  cielo,  Cerbaiol,  riguardi 
Discendendo  da  i  balzi  d'Apennin, 
Come  gigante  che  svegliato  tardi 
S'affretta  in  caccia  e  interroga  il  mattin, 


392  GIAMBI   ED   EPODI 

Tu  ancor  m'arridi.  E,  quando  a  i  freschi  ven 
Di  su  r  aride  carte  anelerà 
L'anima  stanca,  a  voi,  poggi  fiorenti. 
Balze  austere  e  felici,  a  voi  verrà. 

Fiume  famoso  il  breve  piano  inonda; 
Ama  la  vite  i  colli;  e,  a  rimirar 
Dolce,  fra  verdi  querce  ecco  la  bionda 
Spiga  in  alto  a  l'alpestre  aura  ondeggiar. 

De  i  vecchi  prepotenti  in  su  gli  spaldi 
Pasce  la  vacca  e  mira  lenta  al  pian; 
E  de  le  torri,  ostello  di  ribaldi. 
Crebbe  V  utile  casa  al  pio  villan. 

Dove  il  bronzo  de'  frati  in  su  la  sera 
Solo  rompeva,  od  accrescea,  l' orror. 
Croscia  il  mulino,  suona  la  gualchiera 
E  la  canzone  del  vendemmiator. 

Coraggio,  amici.  Se  di  vive  fonti 
Córse,  tócco  dal  santo,  il  balzo  alpin, 
A  voi  saggi  ed  industri  i  patrii  monti 
Iscaturiscan  di  fumoso  vin; 

Del  vin  eh'  edùca  il  forte  suolo  amico 
Di  ferro  e  zolfo  con  natia  virtù: 
Col  quale  io  libo  al  padre  Tebro  antico, 
Al  Tebro  tolto  al  fin  di  servitù 


GIAMBI  ED  EPODI  393 

Fiume  d' Italia,  a  le  ttie  sacre  rive  ' 

Peregrio  mossi  con  devoto  amor 
Il  tuo  nume  adorando,  e  de  le  dive 
Memorie  l'ombra  mi  tremava  in  con 

E  pensai  quando  i  tuoi  clivi  Tarconte 
Coronato  pontefice  sali, 
E,  fermo  l'occhio  nero  a  T orizzonte, 
Di  leggi  e  d'armi  il  popol  suo  parti; 

E  quando  la  fatai  prora  d'  Enea 
Per  tanto  mar  la  foce  tua  cercò, 
E  l'aureo  scudo  de  la  madre  dea 
In  su  r  attonit' onde  al  sol  raggiò; 

E  quando  Furio  e  l'arator  d'Arpino, 
Imperador  plebeo,  tornava  a  te, 
E  coprivan  l' aitar  capitolino 
Spoglie  di  galli  e  di  tedeschi  re. 

Fiume  d' Italia,  e  tu  V  origin  tra^i 
Da  questa  Etruria  ond*  è  ogni  nostro  onor; 
Ma,  dove  nasci  tra  gli  ombrosi  faggi, 
L' agnel  ti  salta  e  turbati  il  pastor.  ^ 

Meglio  cosi,  che  tra  marmoree  sponde 
Patir  r  oltraggio  de'  chercuti  re, 
E  con  r  orgoglio  de  le  tumid'  onde 
L'  orme  lambire  d'  un  crociato  pie. 


394  GIAMBI  ED  EPODI 

Volgon,  fiume  d' Italia,  ornai  tropp'  anni 
Che  la  vergogna  dura:  or  via,  non  più. 
Ecco,  un  grido  io  ti  do  —  Morte  a' tiranni  —  ; 
Portalo,  o  fiume,  a  Ponte  Milvio,  tu. 

Portai  con  suono  eh'  ogni  suon  confonda, 
Portai  con  le  procelle  d'Apennin, 
Portalo,  o  fiume;  e  un'eco  ti  risponda 
Dal  gran  monte  plebeo,  da  TAventin. 

Tende  l'orecchio  Italia  e  il  cenno  aspetta: 
Allor  chi  fia  che  la  vorrà  infrenar? 
Cento  schiere  di  prodi  a  la  vendetta 
Da  le  tue  valli  verran  teco  al  mar. 

Risplendi,  o  fausto  giorno.  Ahi,  se  più  tardi, 
Romito  e  taumaturgo  esser  vorrò: 
Da  la  faccia  de'  rei  figli  codardi . 
Ne  le  tombe  de'  padri  io  fuggirò. 

Con  r  arti  vo'  che  cielo  o  inferno  insegna 
Da  questi  monti  il  foco  isprigionar, 
E  fiamme  in  vece  d' acqua  a  Roma   indegna, 
Al  Campidoglio  vile  io  vo'  mandar. 

1 

'^^  Pieve  Santo  Stefano,  2$  agosto  iSó'j. 


GIAMBI  ED  EPODI  395 


II.» 

MEMINISSE  HORRET 


S, 


^barrate  la  soglia,  chiudete  ogni  varco, 
Gittatemi  intorno  densissimo  un  vel  ! 
D'orribile  sogno  mi  preme  T  incarco: 
Ho  visto  di  giallo  rifulgere  il  ciel. 

Un  lezzo  nefando  d'avello  e  di  fogna 
liscia  dal  palagio  che  a  fronte  ci  sta: 
Le  vecchie  campane  sonavano  a  gogna 
Di  Pietro  Capponi  per  V  ampia  città, 

E  giù  da'  bei  colli  che  a'  di  del  cimento 
Tonavan  la  morte  su'l  fulvo  stranier 
Un  suon  di  letane  scendea  lento  lento 
E  pallide  torme  dicean  —  Miserer  — . 


396  GIAMBI   ED   EPODI 

Con  giunte  le  mani  prostrato  il  Ferruccio 
Al  reo  Maramaldo  chiedeva  mercé, 
E  Gian  de  la  Bella  levato  il  cappuccio 
Mostrava  lo  schiaffo  che  Berto  gli  die. 

E  Dante  Alighieri  vestito  da  zanni 
Laggiù  in  Santa  Croce  facea  '1  ciceron, 
Diceva  —  Signori,  badatevi  a' panni, 
Entrate^  signori:  voi  siete  i  padron. 

Che  importa  se  l'onta  più,  meno,  ci  frutti? 

10  sono  poeta,  né  so  mercantar. 

11  ghetto  d' Italia  dischiuso  è  per  tutti. 

Al  popol  d'Italia  chi  un  calcio  vuol  dar?  — 

E  dietro  una  tomba  vid'  io  Machiavello 
De  gli  occhi  ammiccare  con  un  che  passò 
E  dir  sotto  voce  —  Crin  morbido  e  bello, 
Sen  largo  ha  mia  madre;  né  dice  mai  no. 

Son  fòri  fulgenti  di  dorie  colonne 

I  talami  aperti  di  sue  voluttà: 

Su  '1  gran  Campidoglio  si  scigne  le  gonne 

E  nuda  su  Turna  di  Scipio  si  dà  — . 

Firenze^  nei  primi  giorni  di  nov.  del  iSóy. 


GIAMBI  ED  EPODI  397 


III. 

PER  EDUARDO  CORAZZINI 

MORTO   DELLE   FERITE    RICEVUTE 
NELLA   CAMPAGNA   ROMANA   DEL  MDCCCLXVIt 


D, 


unque  d' Europa  nel  servii  destino 
Tu  il  riso  atroce  e  santo, 
O  di  Ferney  signore,  e,  cittadino 
Tu  di  Ginevra,  il  pianto 

Messaggeri  inviaste,  onde  gioioso 
Abbatté  poi  Parigi 
E  la  nera  Bastiglia  e  il  radioso 
Scettro  di  san  Luigi; 

Dunque,  tra  M  ferro  e  '1  fuoco,  al  piano,  al  monte, 

Cantando  in  fieri  accenti, 

Co'  piedi  scalzi  e  la  vittoria  in  fronte 

E  le  bandiere  a'  venti. 


398  GIAMBI  ED   EPODI 

Vide  il  mondo  passar  le  tue  legioni, 
O  repubblica  altera, 
E  spazzare  a  sé  innanzi  altari  e  troni. 
Come  fior  la  bufera; 

Perché,  su  via  di  sangue  e  di  tenèbre 

Smarriti  i  figli  tuoi 

E  mutata  ad  un'  upupa  funebre 

L'  aquila  de  gli  eroi, 

Là  ne' colli  sabini,  esercitati 

Dal  pie  de  V  immortale 

Storia,  tu  distendessi  i  neri  agguati, 

Masnadiera  papale, 

E,  lui  servendo  che  mentisce  Iddio, 
Francia,  a  le  madri  annose 
Tu  spegnessi  i  figliuoli  et  il  desio 
Di  lor  vita  a  le  spose, 

E  noi  per  te  di  pianto  e  di  rossore 
Macchiassimo  la  guancia. 
Noi  cresciuti  al  tuo  libero  splendore, 
Noi  che  V  amammo,  o  Francia  ? 

Ahi  lasso!  ma  de' tuoi  monti  a  T aprico 
Aer  e  nel  chiostro  ameno 
Più  non  ti  rivedrò,  mio  dolce  amico. 
Come  al  tempo  sereno. 


GIAMBI   ED  EPQDI  399 

Per  l'alpestre  cammino  io  ti  segufa; 
EM  tuo  fucil  di  certi 
Colpi  il  silenzio  ad  or  ad  or  feria 
De'  valloni  deserti. 

L'  alta  Roma  io  cantava  in  riva  al  fiume 
Famoso  a  l'universo; 
E  il  can  latrando  a  le  cadenti  piume 
Rompeva  a  mezzo  il  verso, 

O  a  te  accennando  usciva  impaziente, 
Fuor  de  la  macchia  bruna; 
Or  raspa  su  la  tua  fossa  recente, 
E  piagnesi  a  la  luna. 

Squallidi  or  son  i  monti:  ma  l'aprile 
Roseo  nel  ciel  natio 
Tornerà,  che  doveva  una  gentile 
Ghirlanda  al  tuo  de3Ìo: 

E  in  vece  condurrà  l' allegra  schiera 
De  gli  augelli  in  amore 
Su  l'erba  ch'alta  andrà  crescendo  e. nera 
Dal  tuo  giovenil  core. 

Perché  i  bei  colli  di  vendemmia  lieti, 
Perché  lasciasti,  amico, 
Sfuggendo  a' pianti  de  l'amor  segreti 
Sur  un  volto  pudico? 


400  GIAMBI  ED  EPODI 

Perché  la  madre  tua  lasciasti  ?  Oh,  quando 
A  mensa  ella  sedea, 
Il  tuo  loco  guardava,  e  lacrimando 
Il  viso  rivolgea. 

Madre,  perdona.  A  un  cenno  tuo  la  testa, 
La  balda  testa  ei  piega; 
Ma  il  suo  duce  prigion  bandi  la  gesta, 
E  la  gran  Roma  prega. 

Egli  su' trionfali  archi  diritta 
Vide,  nel  ciel  del  Lazio, 
Di  Roma  vide  Talta  imago,  afflitta 
D' inverecondo  strazio. 

Ella  che  tien  del  nostro  patto  V  arca, 
L'ara  del  nostro  dritto; 
Per  cui  Dante  gemè,  fremè  il  Petrarca, 
E'I  Machiavelli  ha  scritto; 

Austera  e  pia  ne  la  materna  faccia 
Con  lagrimoso  ciglio 
Lo  riguardava,  e  gli  tendea  le  braccia, 
E  gli  diceva:  O  figlio. 

Ed  ei,  questo  predone  (ascolta,  o  greggia 
Turpe  di  schiavi,  ascolta), 
Questo  predon  cui  V  Apennin  verdeggia 
Di  lieti  paschi  e  folta 


GIAMBI  ED   EPODI  40} 

Mèsse,  questo  feroce  a  cui  nel  core 
Ridea  queto  un  desire, 
Per  lei  lasciava  il  suo  solingo  amore, 
Per  lei  corse  a  morire. 

Ed  or  ne'  luoghi,  ove  fra  sé  ristretta 
È  la  gente  de  i  morti 
Per  forza,  e  chiama  a  Dio  la  gran  vendetta 
Che  il  mondo  riconforti, 

Or  co  i  caduti  là  nel  giugno  ardente 
De  Talta  Roma  a  fronte 
E  co  i  caduti  nel  decembre  algente 
De'  martiri  su  '1  monte 

Parla,  e  Nemesi  al  suo  ferreo  registro 
Guarda  con  muto  orrore. 
Parla  di  lui,  del  Cesare  sinistro. 
Del  bieco  imperatore. 

Le  madri  intanto  accusano  ne' pianti 
Del  viver  tardo  i  fati 
E  con  le  man  che  gli  addormian  lattanti 
Compongon  gli  occhi  a'  nati, 

In  vece  di  ghirlande  le  fanciulle 
Vestonsi  i  neri  panni, 
Mancan  le  vite  a  le  aspettanti  culle . . . 
Madeletti  i  tiranni  ! 

Carducci.  26 


402  GIAMBI   ED   EPODI 

Ma  io  per  man  tórrommi  questa  madre 
Vedova^  questa  sposa 
Vedova;  e,  dove  fra  sue  turbe  ladre 
Quel  prete  empio  riposa, 

E  sogna  d*  armi  e  ad  un  selvaggio  agguato 
Pare  che  frema  e  rugga, 
E  su'!  capo  gli  penzola  inchiodato 
Gesù  perché  non  fugga, 

Là  me  n'andrò,  là  sorgerò,  per  vie 
A  tutf  altri  scerete. 
Come  una  larva  del  supremo  die 
Lento,  e  dirògli  —  O  prete, 

Godi.  Di  larga  strage  il  breve  impero 
Empisti  e  le  tue  brame. 
Trionfa  nel  tuo  splendido  San  Piero, 
O  vecchio  prete  infame. 

Con  le  tremule  palme  al  ciel  levate 
Canta  —  Osanna,  Dio  forte  — : 
L' organo  manda  per  le  volte  aurate 
Un  rantolo  di  morte. 

Quando  al  popol  ti  volgi,  ed  —  Il  Signore, 
Mormori,  sia  con  voi  —, 
Come  adultera  donna  a  l'amatore, 
Guardi  a  gli  sgherri  tuoi. 


GIAMBI  ED  EPODI  408 

V 

Su  le  canne  d'acciaio  in  mezzo  a' ceri 
L'omicidio  scintilla: 
Tu '1  vedi,  e '1  gaudio  véla  di  sinceri 
Pianti  la  tua  pupilla. 

China  su  M  pio  mister  che  si  consuma, 
China  il  tuo  viso  tristo: 
Di  sangue,  mira,  il  tuo  calice  fuma; 
E  non  è  quel  di  Cristo. 

Ahi,  d'italiche  vene  è  sangue  schietto, 
Nobile  sangue  e  caro  ! 
E  una  stilla  ve  n'  ha  pur  di  quel  petto 
Che  queste  donne  amaro; 

Queste  donne  che  diéro  a' tuoi  decreti 
Umile  il  cuor,  V  orecchio 
Prono;  e  pregaron  anche  in  lor  secreti 
Per  te,  feroce  vecchio! 

Io,  per  le  grige  chiome  de  la  madre 
E  per  le  chiome  bionde 
De  la  sposa  che  sciolte  or  sotto  1'  adre 
Pieghe  un  sol  vel  confonde; 

Io,  per  Gesù  che  a  gli  uccisor  compianse; 
Io  per  le  donne  sante, 
Maddalena  che  amò.  Maria  che  pianse, 
0  vecchio  sanguinante; 


404  GIAMBI   ED  EPODI 

« 

Te  ch'oro  e  ferro  e  bronzo  mendicando 
Te  ne  vai  per  la  terra, 
Che  gridi  contro  la  tua  patria  il  bando 
De  l'universa  guerra; 

Te  che  il  lor  sangue  chiedi  con  parole 
Soavi  a'  fidi  tuoi, 

Ed  il  sangue  di  chi  re  non  ti  vuole 
Ferocemente  vuoi; 

Te  da  la  pietà  che  piange  e  prega. 
Te  da  l'amor  che  liete 
Le  creature  ne  la  vita  lega, 
Io  scomunico,  o  prete; 

Te  pontefice  fosco  del  mistero, 
Vate  di  lutti  e  d'ire. 
Io  sacerdote  de  l'augusto  vero, 
Vate  de  V  avvenire. 

X9  gmnmo  1868. 


GIAMBI  ED  EPODI  406 


,    IV. 

NEL  VIGESIMO  ANNIVERSARIO 

dell' Vili   AGOSTO  MDCCCXLVIII. 


M, 


a  non  cosi,  quando  superbo  apriva 
L' ali  e  ne'  raggi  di  vittoria  adorno 
Almo  rise  d' Italia  in  ogni  riva    • 

Il  tuo  gran  giorno, 

Ma  non  cosi  sperai,  Bologna,  il  canto 
Recar  votivo  a  V  urna  de'  tuoi  forti, 
Oggi  insegna  la  Musa  iroso  il  pianto. 

Fremono  i  morti 

Abbandonati  a'  retici  dirupi, 
H  verde  Mincio  flebile  risponde; 
E  lunghe  ne  gì'  issèi  pelaghi  cupi 

Rimugghian  1'  onde, 


406  GIAMBI  ED  EPODI 

Se  per  V  azzurro  ciel  la  gialla  insegna 
Passa  a  gì'  itali  zefiri  ventando 
E  lieto  lo  stranier  da  poppa  segna 

Il  sen  nefando. 

Ahi,  come  punto  da  mortifer  angue, 
Ahi,  di  veleno  il  cor  ferve  e  ribolle  ! 
Fumate  ancor  d' invendicato  sangue, 

Romane  zolle! 

O  forti  di  Bologna,  a  voi  la  fuga 

De' nemici  irraggiava  il  guardo  estinto; 

E,  mentre  posa  ed  il  sudor  s'  asciuga, 

—  Abbiamo  vinto  — 

Disse,  chinato  sopra  il  sen  trafitto 
Del  compagno,  il  compagno.  A  le  parole 
Pallido  ei  rise,  e  su  i  cùbiti  ritto 

Salutò  il  sole 

Occidente  e  V  Italia.  E  la  mattina 

Lo  stranier,  come  lupo  arduo  che  agogna, 

Ululato  avea  su  da  la  collina: 

—  Odi,  o  Bologna. 

Le  mie  vittoriose  aquile  io  voglio 
Piantar  dove  moriva  il  tuo  Zamboni 
A  i  tre  color  pensando  ;  e  vo'  V  orgoglio 

De'  tuoi  garzoni 


GIAMBI   ED   EPODI 

Pestar  si  come  il  pie  de' miei  cavalli 
Pesta  il  fieri  de' tuoi  campi.  A  Dio  gradito, 
Empier  di  San  Petronio  io  vo'gli  stalli 
Del  lor  nitrito. 

Vo'  il  tuo  vin  pe'  miei  prodi  ed  i  sorrisi 
De  le  donne:  a  la  mia  staffa  prostrati 
Ne  la  polvere  io  vo'gli  antichi  visii^ri 
De' tuoi  magnati. 

Odi,  Bologna,  Stride  ampia  !a  rossa 
Ala  del  foco  su' miei  passi:  l'ira 
Porto  e  il  ferro  ed  il  sa!  di  Barbarossa: 
Sermide  mira.  — 

Lo  stranier  cosi  disse.  Ed  un  umile 
Dolor  prostrò  per  l'alte  case  il  gramo 
Cuor  de'  magnati.  Ma  la  plebe  vile 
Gridò  :  Moriamo. 

E  tra'l  fuoco  e  tra  '1  fumo  e  le  faville 
E '1  grandinar  de  la  rovente  scaglia,,  j 
Ti  gittasti  feroce  in  mezzo  a  i  mille,/ 
Santa  canaglia. 

Chi  pari   a  te,  se  ne  le  piazze  antiche 
De' tuoi  padri  guerreggi?  Al  tuo  furore, 
Si  come  solchi  di  mature  spiche 
Al  mietitore, 


408  GIAMBI   ED   EPODI 

Cedon  le  file;  e  via  per  V  aria  accesa 
La  furia  del  rintocco  ulula  forte 
Contro  i  tamburi  e  in  vetta  d'ogni  chiesa 

Canta  la  morte. 

Da  gli  odi  fiamma  d'  olocausti  santi, 
Da  i  vapori  del  sangue  alito  pio 
Sale:  o  martire  plebe,  a  te  davanti 

Folgora  Dio. 

Ecco,  su*  corpi  de'  mal  noti  eroi 
Erge  la  patria  i  suoi  color  festiva; 
Ed  i  vecchi  e  le  donne  e  i  figli  tuoi 

Gridano,  Viva. 

Il  tuo  sangue  a  la  patria  oggi:  a  la  legge 
Il  sangue  e  il  pan  domani.  E  pur  non  fai 
Tu  leggi,  o  plebe,  e,  diredato  gregge,  - 

Patria  non  hai. 

Ma  quei  che  a  te  niegan  la  patria,  quelli 
Che  per  sangue  e  sudor  ti  danno  oltraggio, 
Ne' giorni  del  conflitto  orridi  e  belli. 

Quando  al  gran  raggio 

De  r  estate  si  muore  e  incontro  al  rombo 
De' cannoni  le  picche  ondanti  vanno 
E  co'  le  pietre  si  risponde  al  piombo, 

Ove,  ove  stanno? 


GIAMBI  ED  EPODI  409 

Oh  qui  non  le  tediose  alme  trastulla 
De'  giuochi  la  vicenda  e  de  le  dame  ! 
La  santa  Libertà  non  è  fanciulla 

Da  poco  rame; 

Marchesa  ella  non  è  che  in  danza  scocchi 
Da' tondeggianti  membri  agii  diletto, 
Il  cui  busto  offre  il  seno  ed  offron  gli  occhi 

Tremuli  il  letto: 

Dura  virago  eir  è,  dure  domanda 
Di  perigli  e  d'amor  pruove  famose: 
In  mezzo  al  sangue  de  la  sua  ghirlanda 

Crescon  le  rose. 

Etormono  ancora  i  fior  dolce  fiammanti 
Ne' bocci  verdi;  ma  il  soave  e  puro 
Aprii  verrà.  D'agosto  ombre  aspettanti, 

Per  voi  lo  giuro. 


410  GIAMBI   ED   EPODI 


V. 
IL  CESARISMO 

[LEGGENDO  LA   INTRODUZIONE   ALLA   VITA   DI   CESARE 
SCRITTA    DA   NAPOLEONE   III] 


I. 


G 


iové  ha  Cesare  in  cura.  Ei  dal  delitto 
Svolge  il  diritto,  e  dal  misfatto  il  fato. 
Se  un  erario  al  bisogno  è  scassinato 
O  un  cittadino  per  error  trafitto, 

Tutto  si  sanerà  con  un  editto. 
A  sua  gloria  e  per  forza  ei  ci  ha  salvato. 
Chi  ebbe  tenga,  e  quel  eh'  è  stato  è  stato. 
Nuovo  ordine  di  cose  in  cielo  è  scritto.  — 

Cosi  diceva,  senator  da  ieri, 
Il  ladro  fuggitivo  servo  Mena; 
E  la  plebe  a  Labien  sassi  gittava. 

Ma  la  legione  undecima  cantava 
—  Trionfo!  quattro  nivei  destrieri, 
Divin  trionfo,  al  divin  Giulio  infrena!  — 


GIAMBI   ED  EPODI  411 


II. 


Q 


uattro  al  dio  Giulio,  o  dio  Trionfo,  infrena. 
Come  al  buon  Furio  già,  nivei  cavalli: 
Leghi  al  carro  d'  avorio  aurea  catena 
L'  Egitto  e  il  Ponto  e  gli  Africani  e  i  Galli. 

Gracco,  la  plebe  tua  straniere  valli 
Ari  a  un  suo  cenno;  e  tu  curva  la  schiena, 
Sangue  Cornelio,  e  a'  senator  da'  gialli        . 
Crin  la  via  mostra  che  a  la  curia  mena. 

Dittatore  universo,  anche  la  vaga       .,   ,   , 
Lingua  d'  Ennio  ei  fermò;  V  anno  ha  costretta 
Errante  già  per  la  siderea  plaga. 

Ma  fra  tant'  inni  il  mondo  ode  su  M  petto 
Santo  di  Cato  stridere  la  piaga 
E  scricchiolar  di  Nicomede  il  letto. 

settembre  1868. 


412  GIAMBI   ED   EPODI 


VI. 


PER 

GIUSEPPE  MONTI  E  GAETANO  TOGNETTI 

MARTIRI   DEL  DIRITTO  ITALIANO. 


I. 


X  orpido  fra  la  nebbia  ed  increscioso 
Esce  su  Roma  il  giorno: 
Fiochi  i  suon  de  la  vita,  un  pauroso 
Silenzio  è  d' ogn'  intorno. 

Novembre  sta  del  Vatican  su  gli  orti 
Come  di  piombo  un  velo: 
Senza  canti  gli  augei  da*  tronchi  morti 
Fuggon  pe  '1  morto  cielo. 

Fioccano  d'  un  cader  lento  le  fronde  ( 

Gialle,  cineree,  bianche;  ^ 
E  sotto  il  fioccar  tristo  che  le  asconde 

Paion  di  vita  stanche  ,^j 


GIAMBI    ED    EPODI 

Fin  quelle,  che  d'etadi  e  genti  sparte 
Mirar  tanta  ruina 

In  calma  gioventù,  forte  de  1'  arte  ' 

Argolica  e  latina. 

11  gran  prete  quel  di  svegliossi  allegro,  ' 
Guardò  pe'  vaticani 
Vetri  dorati  il  cielo  umido  e  negro, 
E  si  fregò  le  mani. 

Natura  par  che  di  deforme  orrore 
Temi  innanzi  a  la  morte:  i 

Ei  sente  de  le  piume  anco  il  tepore         ! 
E  dice  —  Ecco,  io  son  forte. 

Antecessor  mio  santo,  anni  parecchi 
Corser  da  la  tua  gesta: 
A  te,  Piero,  bastarono  gli  orecchi  ; 
Io  tagliere  la  testa. 

A  questa  volta  son  con  noi  le  squadre, 


Né  Gesù  ci  scompiglia: 

Egli  è  in  collegio  al  Sacro  Cuore,  e  i 

I  padre 

Curci  lo  tiene  in  briglia. 

Un  forte  vecchio  io  son;  1' ardor  de  i 

belli 

Anni  in  cuor  mi  ritrovo: 

La  scure  che  apri  '1  cielo  al  Locateli! 

Arrotatela  a  novo. 

414  GIAMBI  ED   EPODI 

Sotti!,  lucida,  acuta,  in  alto  splenda 
Ella  come  un'  idea: 
Bello  il  patibol  sia:  Toro  si  spenda 
Che  mandò  il  Menabrea. 

I  francesi,  posato  il  Maometto 

Del  Voltèr  da  T  un  canto, 

Diano  una  man,  per  compiere  il  gibetto, 

Al  tribunal  mio  santo. 

Si  esponga  il  sacramento  a  San  Niccola 
Con  le  indulgenze,  usate, 
Ed  in  faccia  a  T  Italia  mia  fìgliuola 
Due  teste  insanguinate  — . 


IL 


E  pur  tu  sei  canuto:  e  pur  la  vita 
Ti  rifugge  dal  corpo  inerte  al  cuor, 
E  dal  cuore  al  cervel,  come  smarrita 
Nube  per  1'  alpi  solvesi  in  vapor. 

Deh,  perdona  a  la  vita!  A  Tun  ventanni 
Schiudon,  superbi  araldi,  l'avvenir; 
E  in  sen,  del  career  tuo  pur  tra  gli  affanni, 
La  speme  gli  fiorisce  et  il  desir. 


GIAMBI   ED   EPODI  415 

Crescean  tre  fanciulletti  laT  altro  intorno, 
Come  novelli  del  castagno  al  pie; 
Or  giaccion  tristi,  e  nel  morente  giorno 
La  madre  lor  pensa  tremando  a  te. 

Oh,  allor  che  del  Giordano  a  i  freschi  rivi 
Traea  le  turbe  una  gentil  virtia 
E  ascese  a  le  città  liete  d'  ulivi 
Giovin  messia  del  popolo  Gesù, 

Non  tremavan  le  madri;  e  Naim  in  festa 
Vide  la  morte  a  un  suo  cenno  fuggir 
E  la  piangente  vedovella  onesta 
Tra  il  figlio  e  Cristo  i  baci  suoi  partir. 

Sorridean  da  i  cilestri  occhi  profondi 
I  pargoletti  al  bel  profeta  umil; 
Ei  lacrimando  entro  i  lor  ricci  biondi 
La  mano  ravvolgea  pura  e  sottil. 

Ma  tu  co'l  pugno  di  peccati  onusto 
Calchi  a  terra  quei  capi,  empio  signor, 
E  sotto  al  sangue  del  paterno  busto 
De  le  tenere  vite  affoghi  il  fior. 

Tu  su  gli  occhi  de  i  miseri  parenti 
(E  son  tremuli  vegli  al  par  di  te) 
Scavi  le  fosse  a  i  figli  ancor  viventi. 
Chierico  sanguinoso  e  imbelle  re. 


416  GIAMBI  ED  EPODI 

Deh,  prete,  non  sia  ver  che  dal  tuo  nero 
Antro  niun  salvo  a  V  aure  pure  usci  ; 
Polifemo  Cristian,  deh  non  sia  vero 
Che  tu  nudri  la  morte  in  trenta  di. 

Stringilo  al  petto,  grida  —  Io  del  ciel  messo 
Sono  a  portar  la  pace,  a  benedir  — , 
E  sentirai  dal  giovanile  amplesso 
Nuovo  sangue  a  le  tue  vene  fluir 

In  sua  mente  crudel  (volgonsi  inani 
Le  lacrime  ed  i  prieghi)  egli  si  sta: 
Come  un  fallo  gittò  gli  affetti  umani 
Ei  solitario  ne  l'antica  età. 


III. 


Meglio  cosi!  Sangue  de  i  morti,  afh-etta 
I  rivi  tuoi  vermigli 

E  i  fati;  al  ciel  vapora,  e  di  vendetta 
Inebria  i  nostri  figli. 

Essi,  nati  a  V  amore,  a  cui  T  aurora 
De  r  avvenir  sorride 
Ne  le  limpide  fronti,  odiino  ancora, 
Come  chi  molto  vide. 


GIAMBI  ED   EPODI  417 

Mirate,  udite,  o  avversi  continenti, 
O  monti  al  ciel  ribelli, 
Isole  e  voi  ne  Tocean  fiorenti 
Di  boschi  e  di  vascelli; 

E  tu  che  inciampi,  faticosa  ancella, 
Europa,  in  su  la  via; 
E  tu  che  segui  pe'  i  gran  mar  la  stella 
Che  al  Penn  si  discovria; 

E  voi  che  sotto  i  furfosi  raggi 
Serpenti  e  re  nutrite. 
Africa  ed  Asia,  immani,  e  voi  selvaggi. 
Voi,  pelli  colorite; 

E  tu,  sole  divino;  ecco  l'onesto 
Veglio,  rosso  le  mani 
Di  sangue  e  '1  viso  di  salute:  è  questo 
L'angel  de  gli  Sciuani. 

Ei,  prima  che  il  fatale  esecutore 
Lo  spazzo  abbia  lavato. 
Esce  raggiante  a  delibar  V  orrore 
Del  popolo  indignato. 

Ei  di  demenza  orribile  percosso, 
Com'  ebbro  il  capo  scuote, 
E  vorria  pur  vedere  un  po'  di  rosso 
Ne  r  òr  de  le  sue  ruote. 

Carducci.  27 


418  GIAMBI   ED   EPODI 

Veglio!  son  pompe  di  ferocie  vane 
In  che  il  tuo  cor  si  esala, 
E  in  van  t'afforza  a  troncar  teste  umane 
Quei  che  salvò  i  La  Gala. 

Due  tu  spegnesti;  e  a  la  chiamata  pronti 
Son  mille,  ancor  più  mille. 
I  nostri  padiglion  splendon  su  i  monti, 
Ne*  piani  e  per  le  ville, 

Dovunque  s' apre  un'  alta  vita  umana 
A  la  luce  a  V  amore  : 
Noi  Siam  la  sacra  legìon  tebana. 
Veglio,  che  mai  non  muore. 

Sparsa  è  la  via  di  tombe,  ma  com'  ara 
Ogni  tomba  si  mostra: 
La  memoria  de  i  morti  arde  e  rischiara 
La  grande  opera  nostra. 

Savi,  guerrier,  poeti  ed  operai, 
Tutti  ci  diam  la  mano: 
Duro  lavor  ne  gli  anni,  e  lieve  ornai; 
Minammo  il  Vaticano. 

Splende  la  face,  e  il  sangue  pio  V  avviva; 
Splende  siccome  un  sole: 
Sospiri  il  vento,  e  su  V  antica  riva 
Cadrà  V  orrenda  mole. 


GIAMBI  ED  EPODI  419 

E  tra  i  ruderi  in  fior  la  tiberina 
Vergin  di  nere  chiome 
Al  peregrin  dirà:  Son  la  ruina 
D'  un  onta  senza  nome. 


jo  nov.  1868. 


420  GIAMBI   ED  EPODI 


VII. 


HEU  PUDORI 


I. 


M, 


ènte  chi  dice  ch'ove  il  core  avvampa 
Secondi  V  aura  de  V  acceso  ingegno. 
Avrei  ben  io  d' infame  eterna  stampa 
Segnato  in  fronte  questo  gregge  indegno. 

Feroce  forse  come  il  tuo  m' accampa, 
Dante  padre,  nel  cuore  odio  e  disdegno; 
Ma  chiusa  rugge  la  vorace  vampa 
Me  distruggendo,  e  mai  non  giunge  al  segno. 

Altri  laghi  di  pegola,  addensata 
Di  serpenti  di  mostri  e  dimon  duri 
Altra  e  duplice  bolgia  avrei  scavata; 

E  v'  avrei  co'  suoi  monti  e  co'  suoi  muri, 
Come  uno  straccio  lurido,  gettata 
Questa  terra  di  Pucci  e  di  Bonturi. 


GIAMBI  ED  EPODI  421 


II. 


N, 


o.  Vanni  Pucci  in  faccia  a  Dio  rubava 
Con  la  bestemmia  in  bocca  e  in  fronte  il  riso, 
Ribadito  di  serpi  egli  squadrava 
Da  l'inferno  le  fiche  al  paradiso: 

Il  poco  pan  che  del  suo  pianto  lava 
Ed  è  nel  sangue  de' suoi  figli  intriso 
Voi  rubate  a  la  patria,  e  poi  con  brava 
Lingua  sputate  a  lei  virtù  su  '1  viso. 

Le  case  de'  nemici  al  sol  lucente, 

Con  la  face  a  una  man,  ne  V  altra  i  dardi, 

Vanni  Pucci  cercò  superbamente: 

Voi,  ne  la  chiusa  notte,  a  passi  tardi, 
Perite  al  canto  ;  voi  da  1'  aurea  lente 
Piccioletti  ladruncoli  bastardi. 


422  OUHBI  ED  EPODI 


III. 


D, 


'a  le  tombe  del  pian  che  aprile  infiora 
E  da  i  monti  che  bàtte  il  verno  immite 
E  da  quelle  che  il  mar  cuopre  e  colora^ 
Morti  d'Italia,  venite,  venite! 

Mirate,  o  morti:  il  sangue  vostro  irrora, 
Ricadendo  aureo  nembo,  a  lor  le  vite; 
Empie  a*  lenoni  il  ventre  e  rincolora 
Le  rose  a*  ludi  de  V  amor  sfiorite. 

Mirate,  o  morti:  ei  fùr  che  la  vittoria 
Vi  contesero  un  giorno,  e,  candid*  osàa, 
Sol  del  martirio  avvolge  voi  la  glotia: 

Ora  di  lor  viltà  ne  V  ardua  possa. 
Ora  sfidando  i  popoli  e  la  storia. 
Ora  barattan  su  la  vostra  fossa. 


1868-69. 


GIAMBI   ED  EPODI  423 


Vili. 


LE  NOZZE  DEL  MARE 


ALLORA   E  ORA. 


V<iuando  ritto  il  doge  antico 
Su  l'antico  bucentauro 
L'anel  d'oro  dava  al  mar, 
E  vedeasi,  al  fiato  aniico 
De  la  grande  sposa  cernia, 
Il  crin  bianco  svolazzar; 

Sorrideva  nel  pensiero 

Ne  le  fronti  a' padri  tremuli 

De' forti  anni  la  virtù, 

E  gittava  un  guardo  altero, 

Muta,  a  r  onde,  al  cielo,  a  V  isole, 

La  togata  gioventù. 


424  CMAMBI  ED   EPODI 

Ma  rompea  superbo  un  canto 
Da  r  ignudo  petto  ed  ispido 
De  gli  adusti  remator, 
Ch'  oggi  vivono  soltanto, 
TizTan,  ne  le  tue  tavole, 
Ignorati  vincitor. 


Ei  caHtavano  San  Marco, 

I  Pisan,  gli  Zeni,  i  Dandoli, 

II  maggior  de  i  Morosin; 
E  pe'  i  sen  lunati  ad  arco 
Lunghi  gli  echi  minacciavano 
Sino  al  Bosforo  e  a  T  Eussin. 


Ne  la  patria  del  Goldoni 
Dopo  il  dramma  lacrimevole 
La  commedia  oggi  si  dà: 
De  i  grandi  avi  i  padiglioni 
Son  velari,  onde  una  femmina 
Il  mar  d' Adria  impalmerà. 


Le  carezze  fien  modeste; 
Consumare  il  matrimonio 
I  due  sposi  non  potran  : 
Paraninfa,  da  Trieste 
L'Austria  ride;  e  i  venti  illirici 
L' imeneo  fischiando  van. 


GIAMBI  ED  EPODI  425 

Fate  al  Lido  un  pò*  di  chiasso 
E  su  a  bordo  un  po' di  musical 
Le  signore  hanno  a  danzar. 
Ma,  per  dio,  sonate  basso: 
Qualcheduno  a  Lissa  infracida, 
Che  potrebbesi  svegliar. 

Bah!  qui  porgono  la  mano 
Vaghe  donne,  a  sprizzi  fervidi 
Lo  sciampagna  esulta  qui. 
Conte  Carlo  di  Persano, 
Oggi  a  festa  i  bronzi  rombano; 
Non  mancate  al  lieto  di. 


luglio  1869. 


426  GIAMBI  ED  EPODI 


IX. 


VIA  UGO  BASSI 


V^uando  porge  la  man  Cesare  a  Piero, 
Da  quella  stretta  sangue  umano  stilla: 
Quando  il  bacio  si  dan  Chiesa  ed  Impero, 
Un  astro  di  martirio  in  ciel  sfavilla. 

Ma  nel  cuor  de  le  genti  il  chiuso  vero 
Con  un  guizzo  d'amor  risponde  e  brilla: 
Ne  la  notte  l'amor  e  nel  mistero 
Le  folgori  de  V  ira  dissigilla. 

Di  ghirlande  votive  or  questa  via 
Nel  solenne  suo  di  Bologna  adombra 
D'  un  prete  sconsacrato  a  V  alma  pia. 

Ma  lascia  tu  nel  gran  concilio  sgombra, 
Roma,  una  sedia:  a  te  Bologna  invia 
Tra'  carnefici  suoi  del  Bassi  l' ombra. 

agosto  i86p. 


GIAMBI   ED   EPODI  ^7 


X. 


ONOMASTICO 


u, 


go  il  poeta,  allor  che  Italia  in  forse 
Di  vita  ne'  servili  ozi  giacea, 
Co  '1  verbo  ardente  il  secolo  percorse, 
Scossel  con  V  ira  che  virtù  ricrea. 

Allor  che  Italia  dal  giaciglio  sorse 
Giovenilmente  e  libertà  chiedea, 
Lei  lo  zel  d'  Ugo  martire  precorse 
E  poi  col  sangue  suggellò  Tidea. 

Ov'  è  dissidio  tra  il  pensiero  e  V  opra 
E  larva  la  parola  è  del  pensiero 
E  la  parvenza  a  Tessere  va  sopra: 

O  giovinetto,  il  bel  nome  severo. 
Tuo  domestico  vanto,  la  via  scopra: 
Intera  libertà  vuol  V  uomo  intero. 

novembre  i8yo. 


426  GUMBI  ED  EPODI 


XI. 


LA  CONSULTA  ARALDICA 


C 


create  pur  se  il  pio  siero  che  stagna 
Nel  cor  d*un  paolotto  ignoto  al  df, 
Da  i  reni  d' un  ladron  de  V  Alemagna 
Sangue  cavalleresco  un  giorno  uscf, 

Se  ne  la  tabe  che  da  gli  avi  nacque 
E  strugge  a  i  figli  V  ultimo  polmon 
Vive  la  colpa  d'una  rea  che  piacque 
Adultera  latina  al  biondo  Otton. 

Deh  dite:  quante  belve  a  cui  le  spade 
Affondar  ne  la  carne  era  virtù, 
Quanti  marchesi  che  assalian  le  strade, 
Quanti  mitrati  che  vendean  Gesù, 


GIAMBI  ED  EPODI  429 

Quanti  storici  gradi  di  peccato 
Occorron  dunque,  dite  in  vostra  fé', 
Per  poter  la  camicia  di  bucato 
Porger  la  mane  al  dormiglioso  re? 

Per  quante  aule  di  barbari  signori 
Vigilate  dal  pubblico  terror 
Bisogna  aver  contaminato  i  cuori. 
Ed  i  ginocchi,  e  quante  volte  ancor 

Rinnegata  la  misera  latina 
Patria  e  del  suo  comun  le  libertà; 
Per  poter  di  diritto  a  la  regina 
Tener  la  coda  quando  a  messa  va? 

Oh  non  per  questo  dal  fatai  di  Quarto 
Lido  il  naviglio  de  i  mille  salpò. 
Né  Rosolino  Pilo  aveva  sparto 
Suo  gentil  sangue  che  vantava  Angiò. 

Ma  voi  da  V  arche,  voi  da  gli  scaffali, 
Invidiando  a  i  vermi  ombra  e  sopor, 
Corna  di  cervi  e  teschi  di  cignali 
Ed  ugnoli  d'arpie  mettete  fuor; 

Ed  a  gli  scheltri  de  le  ree  castella' 
Che  foscheggian  pe  '1  verde  ermo  Apennin, 
Poi  che  r  austero  e  pio  Gian  de  la  Bella 
Trasse  i  baroni  a  pettinare  il  lin 


430  GIAMBI  ED  EPODI 

(  E  allora  il  pugno  già  contratto  al  brando 
Ne  l'opera  plebea  ben  si  spianò, 
E  su  le  labbra  tumide  il  comando 
In  lusinga  servile  iscivolò), 

A  quegli  scheltri  voi  chiedete  ancora 
Le  targhe  colorate  e  il  pennoncel; 
E  vorreste  veder  l'antica  aurora 
Arrìder  mesta  a  un  gotico  bertel. 

O  dormenti  nel  giorno,  il  gallo  canta, 
Ferve  il  lavoro  e  cedon  l'ombre  al  ver; 
L'azzurro  oltremarin  di  Terra  santa 
È  bava  di  lumaca  in  suo  sentier. 

Rendete  pur,  rendete  a  i  vecchi  scudi 
Il  palltd'oro  che  l'ebreo  raschiò 
Ed  a  gli  elmi  le  coma:  io  questi  ludi 
A  la  vecchiezza  invidiar  non  so. 

E  aspettate  cosi  ne  le  supreme 
Gran  gale,  o  morituri,  il  funerali 
La  Libertà  tocca  il  tamburo,  e  insieme 
Dileguan  medio  evo  e  carneval. 

ottobre  i86g. 


GIAMBI  ED  EPODI  431 


XII. 


NOSTRI  SANTI  E  NOSTRI  MORTI 


A 


i  di  mesti  d'  autunno  il  prete  canta 
I  morti  in  terra  ed  i  suoi  santi  in  ciel, 
E  muta  il  suon  de' bronzi,  e  Pare  ammanta 
Oggi  di  lieto  e  doman  d' atro  vel. 

Noi  d'  un  cuor  solo  e  con  un  solo  rito 
A'  tuoi  santi  e  a'  tuoi  morti,  o  libertà. 
Libiamo  il  vin  del  funeral  convito, 
Come  la  Grecia  ne  le  antiche  età. 

Ahi,  ma  libando  a' gloriosi  estinti 
Ne  i  di  fausti  la  greca  gioventù 
Rammemorava  i  regi  uccisi  e  i  vinti, 
E  in  Atene  regnavi  unica  tu. 


432  GIAMBI  ED  EPODI 

De'  nostri  morti  in  su  le  fosse  erbose 
Pasce  il  crociato  belga  il  suo  destrie  r  : 
Il  vostro  sangue,  o  eroi,  nudri  le  rose 
Di  tiranni  lascivi  a  roriglier. 

Da  i  monti  al  mar  la  bianca  turba,  eretta 
In  su  le  tombe,  guarda,  attende  e  sta  : 
Riposeranno  il  di  de  la  vendetta, 
De  la  giustizia  e  de  la  libertà. 

Faenza,  j*  novembre  i86g. 


ì 
I 


GIAMBI   ED   EPODI  433 


xm. 

IN  MORTE  DI  GIOVANNI  CAIROLI 


O 


Villagloria,  da  Cremerà,  quando 
La  luna  i  colli  ammanta, 
A  te  vengono  i  Fabi,  ed  ammirando 
Parlan  de' tuoi  settanta. 

Tinto  del  proprio  e  del  fraterno  sangue 
Giovanni,  ultimo  amore 

De  la  madre,  nel  seno  almo  le  langue, 
Caro  italico  fiore. 

Il  capo  omai  da  l'atra  morte  avvolto    , 
Levasi;  ed  improvviso 

Trema  su  '1  bianco  ed  affilato  volto 
L' aleggiar  d'  un  sorriso. 

Carducci.  28 


434  GIAMBI  ED   EPODI 

L'occhio  ne  T infinito  apresi,  il  fere 
Da  l'avvenire  un  raggio: 

Vede  allegre  sfilar  armi  e  bandiere 
Per  un  gran  pian  selvaggio, 

E  in  mezzo  il  duce  glorioso:  onde^ia 

La  luminosa  chioma 
A  l'aure  del  trionfo:  il  sol  dardeg^a 

Laggiù  in  fondo  su  Roma. 

Apri,  Roma  immortale,  apri  le  porte 
Al  dolce  eroe  che  muore: 

Non  mai,  non  mai  ti  consacrò  la  morte, 
Roma,  un  più  nobil  core. 

Del  cor  suo  dal  bordel  venda  un  fallito 

Cetego  la  parola, 
Eruttando  che  il  tuo  gran  nome  è  un  mito 

Per  le  panche  di  scola: 

Al  divieto  straniero  adagi  Ciacco 

L' anima  tributaria 
Su  r  altro  lato,  e  dica  —  Io  son   vigliacco, 

E  poi  e'  è  la  mar  aria  —  : 

Per  te  in  seno  a  le  madri,  ecco,  la  morte 

Divora  altri  figliuoli: 
Apri,  Roma  immortale,  apri  le  porte 

A  Giovan  Cairoli. 


GIAMBI   ED  EPODI  435 

Egli,  ombra  vigilante  a  i  di  novelli,' 

Il  tuo  silenzio  antico 
Abiterà  co'  Gracchi  e  co'  Marcelli 

E  co  '1  suo  forte  Enrico. 

L' ali  un  di  spiegherà  su  M  Campidoglio 

La  libertà  regina: 
Groppello,  allor  da  ogni  ultimo  scoglio 

De  la  terra  latina, 

E  giù  da  r  Alpi  e  giù  da  gli  Apennini, 
Garzoni  e  donne  a  schiera 

Verranno  a  te,  fiorite  i  lunghi  crini 
D'aulente  primavera. 

E  con  lór  sarà  un  vate,  radioso 

Ne  la  fronte  divina, 
Come  Sofocle  già  nel  glorioso 

Trofeo  di  Salamina: 

Ei  toccherà  le  corde,  e  de  i  fratelli 

Dirà  la  santa  gesta; 
Né  mai  la  canzon  ionia  a'  di  più  belli 

Risonò  come  questa. 

Groppello,  a  te  co  '1  solitario  canto 
Nel  mesto  giorno  io  vegno, 

E  m'  accompagna  de  V  Italia  il  pianto 
E,  nube  atra,  lo  sdegno: 


436  GIAMBI  ED   EPODI 

Nel  mesto  giorno  che  la  quarta  volta 

Te  visitò  la  Parca, 
E  sott'  essa  la  tua  funerea  volta 

Batte  il  martel  su  l'arca 

Del  giovinetto,  la  cui  mite  aurora 

Empiva  i  clivi  tuoi 
Di  roseo  lume.  Oh  come  sola  è  ora 

La  casa  de  gli  eroi! 

De  le  sue  stanze  pe  '1  deserto  strano 
SMncontran  due  viventi: 

Tristi  echi  rende  il  sepolcreto  vano. 
Sotto  i  lor  passi  lenti: 

Avvalla  il  figlio  de  la  madre  iti  faccia 
Il  viso  e  gli  occhi  muti, 

Che  non  rivegga  in  lui  la  cara  traccia 
De' suoi  quattro  perduti. 

O  madre,  o  madre,  a  i  di  de  la  speranza 
Dal  tuo  grembo  fecondo 

Cinque  valenti  uscieno:  ecco,  t'avanza 
Oggi  quest'  uno  al  mondo. 

L'alma  benigna  nel  sereno  viso 

Splendea  di  que' gagliardi. 

Come  del  sol  di  giugno  il  vasto  riso 
Sovra  i  laghi  lombardi. 


GIAMBI   ED   EPODI  437 

Ahi,  ahi!  de  gli  stranier  tutte  le  spade 

La  carne  tua  gustare! 
Ahi,  ahi  !  d' Italia  tutte  le  contrade 

Del,  cor  tuo  sanguinare!  . 

Qual  cor  fu  il  tuo,  quando  V  estremo  spiro, 

O  madre  de  gli  eroi. 
Di  lui  ti  rinnovò  tutto  il  martiro 

Di  tutti  i  figli  tuoi  ! 

Or  su  le  tombe  taciturne  siedi, 

O  donna  de  i  dolori, 
E  i  di  estremi  volar  sopra  ti  vedi 

Come  liberatori. 

Qui  cinque  addur  nuore  dovevi  a'  nati, 

Madre  gentile  e  altera; 
Cara  speme  di  prole  a*  tuoi  penati 

Ed  a  la  patria;  e  nera 

Suoi  segni  stende  per  le  avite  stanze 

La  morte.  Ma  d'  augùri 
Rifulgon  liete  e  suonano  di  danze 

Le  case  de'Bonturi. 

Corre  ivi  a  fiotti  il  vino,  e  sangue  sembra; 

L'orgia  a  le  fami  insulta; 
De  le  adultere  ignude  in  su  le  membra 

La  libidine  esulta. 


438  GIAMBI   ED  EPODI 

I  barcollanti  amori,  in  mal  feconde 

Scosse,  d'obliqua  prole 
Seminan  tutte  queste  serve  sponde, 
•     Ed  oltraggiano  il  sole. 

E  il  tradimento  e  la  vigliaccheria. 
Si  come  cani  in  piazza, 

Ivi  s'accoppian  anche:  ebra  la  ria 
Ciurma  intorno  gavazza. 

E  i  viva  urla  a  l'Italia.  Maledetta 
Sii  tu,  mia  patria  antica. 

Su  cui  l'onta  de  l'oggi  e  la  vendetta 
De  i  secoli  s'abbica! 

La  pianta  di  virtù  qui  cresce  ancora, 
Ma  per  farsene  strame 

I  muli  tuoi:  qui  la  viola  odora 
Per  divenir  letame. 

Oh,  risvegliar  che  vai  l'ira  de  i  forti, 
Di  Dante  padre  l'ira? 

Solingo  vate,  in  su  l' urne  de'  morti 
Io  vo' spezzar  la  lira. 

Accoglietemi,  udite,  o  de  gli  eroi 

Esercito  gentile: 
Triste  novella  io  recherò  fra  voi: 

La  nostra  patria  è  vile. 

gennaio  i8jo. 


GIAMBI  ED   EPODI  439 


XIV. 


PER  LE  NOZZE  DI  CESARE  PARENZO 


—  C^uperbo!  e  lui  non  tocca 
Gentil  senso  d' amore  : 
Motto  di  rosea  bocca 
A  lui  non  scende  in  core. 
Ei  per  la  via  de  gli  anni 
Tutt'  i  soavi  inganni 

Gittò,  gittò  la  soma 
De  le  memorie  pie; 
E  con  la  mente  doma 
Da  torve  fantasie, 
Solitario,  aggrondato, 
Va  pe  M  divin  creato. 


440  GIAMBI  ED   EPODI 

Amor  covava  in  petto 
Al  buon  veglio  di  Teo: 
In  lui  r  ira  e  M  dispetto 
Albergo  e  nido  feo, 
E  la  Furia  pon  Tova, 
E  la  Musa  le  cova; 

E  guizzan  viperette 
Da  i  sanguinosi  vani, 
E  fischian  su  le  vette 
De' versi  orridi  e  strani, 
E  lingueggiano  al  sole 
Tra  rovi  di  parole.  — 


E  pur  (m'  udite,  o  voi 

Che  un  di  m'amaste)  ancora 

Dischiude  i  color  suoi 

E  in  mezzo  al  cor  m'odora 

Più  soave  che  pria 

Il  fior  di  poesia. 


E  ne  vo'  far  ghirlande 
Per  le  fronti  severe 
Ove  suoi  raggi  spande 
L'onore  et  il  dovere, 
E  per  le  fronti  belle 
Di  pudiche  donzelle. 


GIAMBI   ED  EPODI  441 

O  monti,  o  fiumi,  o  prati; 
O  amori  integri  e  sani; 
O  affetti  esercitati 
Fra  una  schiatta  d'umani 
Alta  gentile  e  pura; 
O  natura,  o  natura; 


Da  questo  reo  mercato 
Di  falsitadi,  anelo 
A  voi,  come  piagato 
Augello  al  proprio  cielo 
Dal  fango  ond'  è  implicata 
L'  ala  al  sereno  usata. 


Dolci  sonate  e  molli 
Aleggiate,  o  miei  versi, 
Qual  d' Imetto  da  i  colli 
Di  roseo  lume  aspersi 
Mormoravan  giulivi 
Del  bel  Cefiso  a  i  rivi 


Gli  sciami  de  le  attee 
Api,  ed  allora  inchino 
Libava  a  le  tre  dee 
Il  tragico  divino 
Meditando  i  secreti 
Di  Colono  oliveti. 


442  GIAMBI  ED   EPODI 

Dolci  sonate  e  puri 
De  la  candida  festa 
Fra  i  domestici  augùri: 
Parenzo  oggi  a  la  onesta 
Tua  legge  affida,  o  amore, 
Il  prode  ingegno  e  il  core. 

E  ride  la  donzella 
A  Tamator  marito, 
Lei  che  tacita  e  bella 
L'  attese,  ed  a  V  ardito 
Guerrier  di  nostra  fede 
Serbò  questa  mercede. 

Oh  dolce  oblio  profondo 
De  le  lotte  anelanti  1 
Oh  divisi  dal  mondo 
Susurri  de  gli  amanti. 
Che  Taura  pia  diffonde 
Tra  r  ombre  e  tra  le  fronde, 

Ma  in  ciel  par  che  gV  intenda 

Espero  amico  lume 

E  soave  risplenda 

Con  fraterno  costume 

A  la  fronte  levata 

De  la  fanciulla  amata! 


GIAMBI  ED  EPODI  443 

Se  non  che  dietro  rugge 
La  marea  de  la  vita. 
E  r  anima  che  fugge 
Chiama  a  la  via  smarrita: 
In  su  l'aspro  sentiero 
Tornate,  o  sposi,  e  al  vero. 

Da  i  vostri  amori,  o  prode 
Gioventù  di  mia  terra, 
A  la  forza  e  a  la  frode 
Esca  perenne  guerra, 
Esca  a  V  italo  sole 
Una  robusta  prole; 

E  il  sano  occhio  nel  giorno 
Del  ver  fisi  giocondo, 
E  tutto  a  lei  dintorno 
Rida  libero  il  mondo. 
Non  è  divino  fato 
Il  dolore  e  il  peccato. 

A  Tarmi,  a  Tarmi,  o  amore! 
Tu  puoi,  tu  sol,  cotanto  ! 
Se  questa  speme  in  core 
Io  porti,  ancora  il  canto 
Da  T  anima  ferita 
Gitterò  ne  la  vita  ; 


444 


GIAMBI  ED   EPODI 


E  SU  M  ginocchio,  come 
Il  gladiator  tirreno, 
Poggiato,  io,  fra  le  chiome 
E  nel  riarso  seno 
La  frese' aura  sentendo, 
Morirò  combattendo. 


4  giugno  i8^o 


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XV.  ^«►to  fc£fV..*-'V'-li--^ 

AVANTI!  AVANTI! 


I. 


J\vi 


avanti,  avanti,  o  sauro  destrier  de  la  canzone  ! 

U  aspra  tua  chioma  porgimi,  eh'  io  salti  anche  in 

arcione. 

Indomito  destrier. 

A  noi  la  polve  e  1'  ansia  del  corso,  e  i  rotti  vènti, 

E  il  lampo  de  le  selici  percosse,  e  de  i  torrenti 

L'urlo  solingo  e  fier. 

I  bei  ginnetti  italici  han  pettinati  crini, 

Le  constellate  e  morbide  aiuole  de'  giardini        ') 

Sono  il  lor  dolce  agon:  •' ■ 

Ivi  essi  caracollano  in  faccia  a  ì  loro  amorì, 
La  giuba  a  tempo  fluttua  vaga  tra  i  nastri  e  i  fiorì 

De  le  fanfare  al  suon; 


446  GIAMBI   ED   EPODI 

E,  se  lungi  la  polvere  scorgon  del  nostro  corso, 
n  picciol  collo  inarcano  e  masticando  il  morso 

Par  che  rignino  —  Ohibò  — 
Ma  r  alfana  che  strascica  su  V  orlo  de  la  via 
Sotto  gualdrappe  e  cingoli  la  lunga  anatomia 

D'  un  corpo  che  invecchiò, 

Ripensando  gli  scalpiti  de*  corteggi  e  le  stalle 
De'tepid'ozi  e  T  adipe  de  la  pasciuta  valle, 
*  Guarda  con  muto  orror. 

E  noi  corriamo  a'  torridi  soli,  a*  cieli  stellati, 
Per  note  plaghe  e  incognite,  quai  cavalier  fatati. 

Dietro  un  velato  amor. 

Avanti,  avanti,  o  sauro  destrier,  mio  forte  amico! 
Non  vedi  tu  le  parie  forme  del  tempo  antico 

Accennarne  colà? 
Non  vedi  tu  d'Angelica  ridente,  o  amico,  il  velo 
Solcar  come  una  candida  nube  l'estremo  cielo? 

Oh  gloria,  oh  libertà! 


IL 


Ahi,  da'  primi  anni,  o  gloria,  nascosi  del  miocuore 
Ne' superbi  silenzi  il  tuo  superbo  amore. 
Le  fronti  alte  del  lauro  nel  pensoso  splendor 
Mi  sfolgorar  da'  gelidi  marmi  nel  petto  un  raggio. 
Ed  obliai  le  vergini  danzanti  al  sol  di  maggio 
E  i  lampi  de'  bianchi  omeri  sotto  le  chiome  d'or. 


GIAMBI   ED  EPODI  447 

E  tutto  ciò  che  facile  allor  prometton   gli  anni 
Io  '1  diedi  per  un  impeto  lacrimoso  d*  affanni, 
Per  un  amplesso  aereo  in  faccia  a  l'avvenir. 
O  immane  statua  bronzea  su  dirupato  monte, 
Solo  i  grandi  f  aggiungono,  per  declinar  la  fronte 
Fredda  su  '1  tuo  fredd*  omero  e  lassi  ivi  morir. 


A  più  frequente  palpito  di  umani  odii  e  d' amori 
Meglio  il  petto  m'  accesero  ne'  lor  severi  ardori 
Ultime  dee  superstiti  giustizia  e  libertà: 
E  uscir  rrpdgfìmi  itilirn  yate  a  la  nuova  etade. 
Le  cui  strofe  al  ciel  vibrano  come  rugghianti  spade, 
E  il  canto,  ala  d' incendio,  divora  i  boschi  e  va. 

Ahi,  lieve  i  duri  muscoli  sfiora  la  rima  alata! 
Co  '1  tuon  de  V  arma  ferrea  nel  destro  pugno  arcata, 
Gentil  leopardo,  lanciasi  Camillo  Demulèn, 
E  cade  la  Bastiglia.  Solo  Danton  dislaccia, 
Per  rivelarti  a'  popoli,  con  le  taurine  braccia, 
O  repubblica  vergine,  V  amazonio  tuo  sen. 


A  noi  le  pugne  inutili.  Tu  cadevi,  o  Mameli, 
Con  la  pupilla  cerula  fisa  a  gli  aperti  cieli. 
Tra  un  inno  e  una  battaglia  cadevi;  e  come  un  fior 
Ti  rideva  da  l'anima  la  fede,  allor  che  il  bello 
E  biondo  capo  languido  chinavi,   e   te,  fratello, 
Copria  l'ombra  siderea  di  Roma   e  i  tre  color; 


448  GIAMBI  ED   EPODI 

Ed  al  fuggir  de  l' anima  su  la  pallida  faccia 
Protendea  la  repubblica  santa  le  aperte  braccia 
Dritta  in  fra  i  romulei  colli  e  l'occiduo  sol. 
Ma  io  d' intorno  premere  veggo  schiavi  e  tiranni, 
Ma  io  su'l  capo  stridere  m' odo  fuggenti  gli  anni: 
—  Che  mai  canta,  susurrano,  costui  torbido  e  sol? 

Ei  canta  e  culla  i  queruli  mostri  de  la  sua  mente 
E  quel  che  vive  e  s'agita  nel  mondo  egli  non  sente—. 
O  popolo  d'Italia,  vita  del  mio  pensier, 
O  popolo  d'Italia,  vecchio  titano  ignavo, 
Vile  io  ti  dissi  in  faccia,  tu  mi  gridasti:  Bravo; 
E  de'  miei  versi  funebri  t' incoroni  il  bicchier. 


III. 


Avanti,  avanti,  o  indomito  destrier  de  gl'inni  alato! 
Obliar  vo'  nel  rapido  corso  l' inerte  fato, 

I  gravi  e  oscuri  di. 

Ricordi  tu,  bel  sauro,  quando  al  tuo  primo  salto 
I  falchi  salutarono  augurando  ne  l'alto 

E  il  bufolo  muggì? 

Ricordi  tu  le  vedove   piagge   del    mar  toscano, 
Ove  china  su  '1  nubilo  inseminato  piano 

La  torre  feudal 
Con  lunga  ombra  di  tedio  da  i  colli  arsicci  e  foschi 
Veglia  da  le  rasenie  cittadi  in  mezzo  a'  boschi 

II  sonno  sepolcral, 


GIAMBI   ED   EPODI  449 

Mentre  tormenta  languido  sirocco  gli  assetati 
Caprifichi  che  ondeggiano  sui  gran  massi  quadrati 

Verdi  tra  il  òielo  e  il  mar, 
Su  i  gran  massi  cui  vigile  il  mercator  tirreno 
Saliva,  le  fenicie  rosse  vele  nel  seno 

Azzurro  ad  aspettar? 


Ricordi  Populonia,  e  Roselle,  e  la  fiera 
Torre  di  Donoratico  a  la  cui  porta  nera 

Conte  Ugolin  bussò 
Con  lo  scudo  e  con  l'aquile  a  la  Meloria  infrante 
Il  grand*  elmo  togliendosi  da  la  fronte  che  Dante 

Ne  r  inferno  ammirò  ? 


Or  (dolce  a  la  memoria)  una  quercia  su  '1  ponte 
Levatoio  verdeggia  e  bisbiglia,  e  del  conte 

Novella  il  cacciator 
Quando  al  purpureo  vespero  su  la  bertesca  infida 
I  falchetti  famelici  empiono  il  ciel  di  strida 

E  il  can  guarda  al  clamor. 


Là  tu  crescesti,  o  sacro  destrier  de  gV  inni,  meco; 
E  la  pietra  pelasgica  ed  il  tirreno  speco 

Foro  il  mio  solo  aitar; 
E  con  me  nel  silenzio  merid'fan  fulgente 
I  lucumoni  e  gli  àuguri  de  la  mia  prima  gente 

Veniano  a  conversar. 

Carducci.  29 


460  GIAMBI  ED  EPODI 

E  tu  pascevi,  o  alivolo  corridore,  la  biada 
Che  ne' solchi  de  i  secoli  aperti  con  la  spada 

Dal  console  roman 
Dante,  etrusco  pontefice  redivivo,  gettava; 
Onde  al  cielo  il  tuo  florido  terzo  maggio  esultava, 

Comune  itallan. 

Tra  le  germane  faide  e  i  salmi  nazareni 
Esultava  nel  libero  lavoro  e  ne  i  sereni 

Canti  de'  mietitor. 
Chi  di  quell'orzo  pascesi,  o  nobile  corsiero. 
Ha  forti  nervi  e  muscoli,  ha  gentile  ed  intero 

Nel  sano  petto  il  cor. 

Dammi  or  dunque,  apollinea  fiera,  l'alato  dorso: 
Ecco,  tutte  le  redini  io  ti  libero  al  corso: 

Corriam,  fiera  gentil. 
Corriam  de  gli  avversarli  sovra  le  teste  e  i  petti, 
De' mostri  il  sangue  imporpori  ituoi  ferrei  garetti; 

E  a  noi  rida  l'aprii, 

L'aprii  de' colli  italici  vaghi  di  messi  e  fiori, 
L' aprii  santo  de  l' anima  piena  di  nuovi  amori, 

L'aprile  del  pensier. 
Voliam,  sin  che  la  folgore  di  Giove  tra  la  rotta 
Nube  ci  arda  e  purifichi,  o  che  il  torrente  inghiotta 

Cavallo  e  cavalier. 


GIAMBI  ED  EPODI  451 

O  eh*  io  discenda  placido  dal  tuo  stellante  arcione, 
Con  r  ocòhio  ancora  gravido  di  luce  e  vis'fone, 

Su  *1  toscano  mio  suol, 
Ed  al  fraterno  tuniolo  posi  da  la  fatica, 
Gustando  tu  il  trifoglio  da  una  beli*  urna  antica 

Verso  il  morente  sol. 

ottobre  18^2. 


LIBRO  II 


XVI. 
A  CERTI  CENSORI 


No, 


,  le  luci  non  ha  dì  Maddalena 
Molli  e  del  pianger  vaghe; 
No,  balsami  non  ha  la  mia  Camena 
Per  le  fetenti  piaghe. 


Né  Cristi  siete  voi;  per  ogni  fòro 
L'anima  vostra  impura 
Fornicò;  se  v'  ha  conci  il  reo  lavoro, 
Ci  pensi  la  questura. 


Ma  Fulvia,  in  quel  che  la  persona  bella 
Rileva  su  'I  divano 
Ravviando  al  crin  fulgido  le  anella 
Con  la  tremante  mano 


454  GIAMBI   ED   EPODI 

E  le  pieghe  a  la  vesta,  tutta  in  viso 
Vermiglia  e  di  piacere 
Spumante,  con  un  guardo  e  con  un  riso 
Ove  tutta  Citere 

Lampeggia  e  a  cui  Laide  erudita  avria 
Aggiudicato  il  mirto, 
—  Odio  —  dice  —  la  triste  poesia 
Che  rinnega  lo  spirto  — -. 

E  il  buffon  Mena,  ch'empie  d'inodora 
Corruzfon  la  pancia 
E  via  co  '1  guanto  profumato  sfiora 
Gli  schiaffi  de  la  guancia. 

Dice  —  A  me  giova  tra  un  bicchier  di  Broglio 
E  r  altro  metter  1'  ale. 

10  mi  sento  meschino,  e  a  cena  voglio 
Del  soprannaturale 

E  de  i  tartufi....  Via,  dopo  l'arrosto 
Fa  bene  un  po' d' azzurro  ; 
Apri,  poeta:  il  cielo,  il  cielo,  a  costo 
Di  pigliare  un  cimurro! 

Nel  cospetto  del  ciel  1'  ebrezza  casca 
Del  senso  riscaldato. 

11  canto  è  fede  —.  E  s' accarezza  in  tasca 
Il  soldo  ruffianato. 


GIAMBI  ED  EPODI  45& 

Ecco  Pomponio,  a  le  cui  false  cbieme 
E  al  giallo  adipe  arguto, 
Dolce  Pimplea,  tu  splendi  in  vista  come 
Un  grosso  arigel  paffuto 

Che  ne  le  chiese  del  Gesù  stuccate 
Su  le  nubi  s' adagia. 
Su  le  nubi  dorate  e  inargentate 
Che  paion  di  bambagia. 

—  Amore,  amore!  —  ei  sbuffa  —  il  mondo  nuota 

Tutto  nel  latt'e  miele: 

Le  rane  come  me  lasciar  la  mota 

E  le  vipere  il  fiele. 

Vero;  un  asino  crepa  a  quando  a  quando 
Di  martirio  o  di  fame: 
Ma  il  listino  a  la  borsa  va  montando 
E  a  Pegaso  lo  strame. 

Ho  de'  valori  pubblici,  un'  amante 
Paòlotta  e  un  giornale 
Del  centro  che  mi  paragona  a  Dante: 
Io  canto  r  ideale. 

Seguo  l'arte  che  l'ali  erge  e  dilata 
A  più  sublimi  sfere: 
Lungi  le  Muse  de  la  barricata, 
Le  Grazie  petroliere  !  — 


466  GIAMBI  ED  EPODI 

% 

/ 

Cosf  le  belle  e  i  vati  e  i  savi  in  coro 
Mi  vietano  con  gesto 
Di  drammatico  orrore  il  sacro  alloro.... 
Deh  via,  chi  ve  1'  ha  chiesto  ? 

Quand'  io  salgo  de'  secoli  su  '1  monte 
Triste  in  sembianti  e  solo 
Levan  le  strofe  intorno  a  la  mia  fronte, 
Siccome  falchi,  il  volo. 

Ed  ogni  strofe  ha  un'anima;  ed  a  valle 

Precipita  e  rimbomba, 

Come  fuga  d' indomite  cavalle, 

Con  la  spada  e  la  tromba; 

E  con  la  spada  alta  volando  prostra 
I  mostri  ed  i  giganti, 
E  con  la  tromba  a  la  suprema  giostra 
Chiama  i  guerrier  festanti. 

Al  passar  de  le  aeree  fanciulle 
Fremon  per  tutti  i  campi 
L' ossa  de'  morti,  e  i  tumoli  a  le  culle 
Mandan  saluti  e  lampi. 

E  il  giovinetto  pallido,  a  cui  cade 
Su  gli  occhi  umido  un  velo, 
Sogna  la  morte  per  la  libertade 
In  faccia  al  patrio  cielo. 


"s 


GIAMBI  ED  EPODI  457 

Avanti,  avanti,  o  messaggere  armate 
Di  fetìe  e  di  valore  I 
Su  r  ali  vostre  a  più  felice  etate 
Lancio  il  mio  vivo  cuore. 

A  voi  la  mta  mia  :  me  ignota  fossa 
Accolga  innanzi  gli  anni: 
Pugnate  voi  contro  ogni  iniqua  possa. 
Contro  tutti  i  tiranni  ! 

ig  decembre  i8^i. 


468  GIAMBI  ED  EPODI 


XVII. 

PER  IL  LXXVII  ANNIVERSARIO 

DALLA  PROCLAMAZIONE  DELLA  REPUBBLICA  FRANCESE 


s. 


^ol  di  settembre,  tu  nel  cielo  stai 
Come  r  uom  che  i  migliori  anni  fini 
E  guarda  triste  innanzi  :  i  dolci  rai 
Tu  stendi  verso  i  nubilosi  di. 

Mesto  e  sereno,  limpido  e  profondo, 
Per  r  ampia  terra  il  tuo  sorriso  va  : 
Tu  maturi  su  i  colli  il  vino,  e  al  mondo 
Riporti  i  fasti  de  la  libertà. 

Mescete,  o  amici,  il  vino.  Il  vin  fremente 
Scuota  da  i  molli  nervi  ogni  torpor. 
Purghi  le  nubi  de  V  afflitta  mente, 
Affoghi  il  tedio  accidioso  in  cor. 


GIAMBI  ED  EPODI  459 

Vino  e  ferro  vogl'io,  come  a' begli  anni 
Alceo  chiedea  nel  cantico  immortai: 
Il  ferro  per  uccidere  i  tiranni, 
Il  vin  per  festeggiarne  il  funeral. 

Ma  il  ferro  e  il  bronzo  è  de' tiranni  in  mano; 
E  Kant  aguzza  con  la  sua  Ragion 
Pura  il  fredd'  ago  del  fucil  prussiano, 
Kòrner  strascica  il  bavaro  cannon. 

Cavalca  intorno  a  Tavel  tuo,  Volterò, 
Il  diletto  di  Dio  Guglielmo  re. 
Che  porta  sopra  Telmo  il  sacro  impero. 
Sotto  l'usbergo  la  crociata  fé', 

E  ne  la  man  che  in  pace  tra  il  sacrato 
Calice  ed  il  boccal  pia  tentennò 
Porta  Tacciar  che  feudal  soldato 
Ne  le  stragi  badesi  addottrinò, 

E  crolla  eretta  al  ciel  la  bianca  testa.... 
O  repubblica  antica,  ov'  è  il  tuo  tuon  ? 
Il  cavallo  del  re,  senti,  ti  pesta, 
E  dormi  ne  la  tua  polve,  o  Danton  ? 

Mescete  vino  e  oblio.  La  morta  gente, 
O  epigoni,  fra  noi  non  torna  più! 
Il  turbin  ne  la  voce  e  nel  possente 
Braccio  egli  avea  la  muscolar  virtù 


46Q  eiAMBI  ED  EPODI 

Del  popol  tutto.  Oh,  il  di  più  non  ritorna 
Ch'  ei  tauro  immane  le  strambe  spezzò^ 
E  mugghiò  ne  l'arena,  e  su  le  corna 
I  regi  i  preti  e  gli  stranier  portò! 

Mescete  vino,  amici.  E  sprizzò  allora 
Da  i  cavi  di  Marat  occhi  un  balen 
Di  riso;  ei  sollevò  da  l'antro  fuora 
La  terribile  fronte  al  di  seren. 

Matura  ei  custodia  nel  sen  profondo 
L'onta  di  venti  secoli  e  il  terror: 
Quanto  di  più  feroce  e  di  più  immondo 
Patir  le  plebi  a  lui  stagnava  in  cor. 

Le  stragi  sotto  il  sol  disseminate, 
I  martir  d'ogni  sesso  e  d'ogni  età, 

I  corpi  infranti  e  l' alme  violate 
E  le  stalle  del  conte  d' Artoà, 

Tutto  ei  sentia  presente  ;  il  sanguinoso 
Occhio  rotava  in  quel  vivente  orror, 
E  chiedea  con  funebre  urlo  angoscioso 
Mille  vendette  ed  un  vendicator. 

De  l'odio  e  del  dolor  resperimento 

II  cor  gli  ottuse  e  il  senso  gli  acuì  : 
Ei  fìutò  come  un  cane  il  tradimento, 
E  come  tigre  ferita  ruggì. 


GIAMBI  ED  EPODI  461 

Ma  quel  che  su  da  V  avvenir  salfa 
D' orror  fremito  udì  Massimilian, 
E,  come  falciator  per  la  sua  via, 
L'occhio  ebbe  al  cielo  ed  al  lavor  la  man. 

De'  solchi  pareggiati  in  su  '1  confino 
Il  turbine  vi  attende,  o  mietitor: 
O  mietitori  foschi  del  destino. 
Non  fornirete  voi  l'atro  lavor. 

Maledetto  sia  tu  per  ogni  etade, 
O  del  reo  termidor  decimo  sol  ! 
Tu  sanguigno  ti  affacci,  e  fredda  cade 
La  bionda  testa  di  Saint-Just  al  suol. 

Maledetto  sia  tu  da  quante  sparte 
Famiglie  umane  ancor  piegansi  a  i  re  I 
Tu  suscitasti  in  Francia  il  Bonaparte, 
Tu  spegnesti  ne  i  cor  virtude  e  fé*. 

21  settembre  iSyo. 


482  GIAMBI  ED  EPODI 


XVIII. 

PER  VINCENZO  CALDESI 

OTTO  MESI  DOPO  LA  SUA  MORTE 


D, 


'ormi,  avvolto  nel  tuo  mantel  di  gloria 
Dormi,  Vincenzio  mio: 
De' subdoli  e  de' fiacchi  oggi  è  l'istoria 
E  de  i  forti  r  oblio. 

Deh  non  conturbi  te  questo  ronzare 
Di  menzogne  e  di  vanti  I 
No,  s'anco  le  tue  zolle  attraversare 
Potessero  i  miei  canti 

E  su  '1  disfatto  cuor  sonarti  come 
La  favolosa  tromba, 

No,  gridar  non  vorrei  di  Roma  il  nome 
Su  la  tua  sacra  tomba. 


GIAMBI  ED   EPODI  463 

Pur,  se  chino  su'l  tumolo  romito 

10  con  gentile  orgoglio 
Dir  potessi  —  Vincenzio,  risalito 
Abbiamo  il  Campidoglio,  — 

Tu  scuoteresti  via  da  le  fredde  ossa 

11  torpor  che  vi  stagna, 
Tu  salteresti  su  da  la  tua  fossa, 
O  leon  di  Romagna, 

Per  rivederla  ancor,  Roma,  a  cui  '1  verbo 
Di  libertà  gittasti. 

Per  difenderla  ancor,  Roma,  a  cui  '1  nerbo 
De  la  vita  sacrasti. 

Dormi,  povero  morto.  Ancor  la  soma 
Ci  grava  del  peccato: 
Impronta  Italia  domandava  Roma, 
Bisanzio  essi  le  han  dato. 

marzo  iS^ji, 


464  .  CnAMBI  ED  EPODI 


XIX. 


FESTE  ED  oblìi 


u, 


rlate,  saltate,  menate  gazzarra. 
Rompete  la  sbarra  —  del  muto  dover; 
Da  ville  e  da  borghi,  da  valli  e  pendici, 
Plaudite  a  i  felici  —  di  oggi  e  di  ìer. 

Su,  vergini  e  spose,  bramose,  baccanti, 
Spogliate  r  Italia  di  lauri  e  di  fior, 
Coprite  di  serti,  di  sguardi  fiammanti 
Le  glorie  in  parata  de  i  nostri  signor. 

Deh  come  cavalca  su  gli  omeri  fieri 
De' baldi  lancieri  —  la  vostra  virtù! 
O  sole  di  luglio,  tra  i  marmi  latini 
A  gli  aurei  spallini  —  lusinghi  anche  tu. 


GIAMBI  ED  EPODI  465 

E  mobili  flutti  di  fanti  e  cavalli 
Risuonan  pe  '1  clivo  su  '1  fòro  latin, 
E  il  canto  superbo  di  trombe  e  timballi 
Insulta  i  silenzi  «del  sacro  Aventin. 

Ahi  sola  de' vóti  d'un  di  la  severa 
Mia  musa,  o  Caprera,  —  riparla  con  te, 
E,  sola  e  sdegnosa,  de  V  oigìa  romana. 
Deserta  Mentana,  —  ti  chiede  mercé. 

Là  il  vino^  la  luce,  la  nota  che  freme. 
Ne  i  nervi,  nel  sangue  risveglian  Tardor: 
Qui  trema  a  la  luna  con  Taura  che  geme 
Lo  stelo  riarso  d'  un  povero  fior. 

E  altrove  la  luna  del  raggio  suo  puro 
Illumina  il  giuro  —  rianima  il  si. 
Che  mormora  a  un  altro  languente  vezzosa 
La  vedova  sposa  —  del  morto  eh' è  qui, 

O  empie  insolente  la  camera  mesta 
Svegliando  a  le  cure  del  dubbio  diman 
La  madre  che  in  questo  bel  giorno  di  festa 
In  vano  pe' trivi  chiedeva  del  pan. 

2  luglio  l8^I. 


Carducci.  30 


466  GIAMBI  ED  EPODI 


XX. 


IO  TRIUMPHE  ! 


D, 


ice  Furio  —  Facciam  largo  a  i  Camilli 
Che  vengon  dopo  un  anno. 
Io  de  le  trombe  galliche  a  gli  squilli 
Ritomo,  ei  fuggiranno.  — 

E  Mario  —  Spegner  V  oste  entro  i  confini 
Patrii  è  barbara  cosa. 
Trionfo  a  i  nuovi  imperador  latini, 
A  i  vinti  di  Gustosa!  — 

E  Duilio  —  Tre  zattere  di  legno 

Ed  il  valor  romano 

Bastava.  Or  fuggo:  ci  vuol  troppo  ingegno 

A  essere  Persano.  — 


GIAMBI  ED   EPODI  467 

E  Virginio  —  Che  far?  Non  ho  figliuole 
Altre  da  dare  a  gli  Appi. 
Questo  mio  ferro  vecchio  or  niun  lo  vuole 
Né  men  per  cavatappi.  — 

E  Tullio  —  L*  orazion  mia  per  costoro 
È  troppo  larga  o  stretta. 
Lasciamo  a  Stanislao  Pasquale  il  fòro, 
E  il  senato  al  Pancetta.  — 

E  Tacito  —  O  mie  storie  ispide  e  tese, 
O  mio  duro  latino. 

Cediamo  il  posto  a  1' orvietan  marchese 
Al  Bianchi  e  a  Pasqualino.  — 

E  Bruto  —  Via  da  questa  plebe  stolta! 
Mi  faria  com'  a  un  cane 
Ne'  suoi  circensi.  Almeno  ella  una  volta 
Voleva  ancora  il  pane!  — 

E  Marc'  Aurelio  —  Con  questo  po'  d'  oro 
Che  avanza,  io  non  son  gonzo. 
Fuggiam,  fuggiam,  non  aspettiam  costoro, 
O  mio  cavai  di  bronzo.  — 

Cosi  gli  spirti  magni  entro  il  latino 
Ciel,  di  lor  fuga  mesto. 
Trionfa  la  Suburra,  urla  Pasquino 
—  Viva  l'Italia!  io  resto.  — 

luglio   iS"]!. 


468  GIAMBI  ED  EPODI 


XXI. 

VERSAGLIA 
[nel  lxxix  ahniversario  della  repubblica  francese] 


F 


u  tempo,  ed  in  Versaglia  un  proclamava: 

—  Mio  quanto  cresce  in  terra  e  guizza  in  mar 
E  in  aèr  vola.  —  E  il  prete  seguitava: 

—  Popolo,  dice  Dio:  Tu  non  rubar.  — 

E  i  boschi  verdi,  e  le  argentine  linfe 
Ridenti  in  lago  o  trepide  tra  i  fior, 
E  il  tuo  marmoreo  popolo  di  ninfe. 
Ed  i  palagi  sfolgoranti  d'  òr, 

Versaglia,  sepper  quanto  in  servitude 
Quanto  d' infame  in  signoria  si  può. 

—  Vo'  il  tuo  campo  e  la  donna  e  la  virtude 
Tua  —  disse  un  uomo,  e  niun  rispose:  No. 


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I 


\ 


GIAMBI   ED  EPODI  469 

Veniano  i  giovinetti  e  le  donzelle   . 
A  inginocchiarsi  con  V  infamia  in  man, 
E  del  suo  bruto  sangue  un  volgo  imbelle 
Murò  il  parco  de*  cervi  al  re  Cristian. 

Quand'  ei  dormia,  poggiato  a  un  bianco  seno 
Co  '1  pugno  a  V  elsa  e  in  su  le  teste  il  pie, 
Tutta  la  Francia  da  V  Oceano  al  Reno 
Era  superba  di  vegliare  il  re. 

Versaglia,  e  allor  che  da  un  macchiato  letto 
Ei  procedeva  a  un  addobbato  aitar 
Tu  d'  orgoglio  fremevi,  e  di  rispetto 
Vedevi  Europa  innanzi  a  lui  tremar. 

Ei  la  gloria  e  il  valore,  egli  le  scuole 

E  r  armi,  ei  V  arte  ed  ei  la  verità. 

Egli  era  tutto  in  tutti;  egli  era  il  sole 

Che  il  mondo  illustra,  e  non  s' accorge  e  sta. 

Se  Dio  lui  sostenesse  o  s' ei  sostenne 
Dio,  non  fermaro  i  suoi  sacri  orator: 
Lo  sanno  i  vostri  morti,  o  pie  Cevenne, 
Che  non  credevano  al  suo  confessor. 

II  re  dal  suo  lascivo  Occhio  di  bue 
Guardava  il  mondo,  piccolo  al  suo  pie; 
E  Dio,  mezzan  de  le  nequizie  sue, 
Benedicea  da  V  aureo  domo  il  re. 


47Ò  GIAMBI  ED  EPODI 

Benedicea  le  violette  ascose 
Nel  velo  virginal  de  la  Vallier, 
Benedicea  le  maritali  rose 
Nel  petto  de  la  Montespan  altier, 

Benedicea  d'Engaddi  i  freschi  gigli 
Vedovi  in  seno  de  la  Maintenon  : 
E  d' un  sorriso  il  re  facea  vermigli 

I  neri  panni  del  fedele  Aron. 

L'ere  da  le  sottane  e  da  i  capelli 
La  corte  e  la  cittade  allor  segnò; 

II  popol,  da  le  fami  e  da  i  flagelli; 
Poi  da  la  morte,  quando  si  rizzò. 

E  il  giorno  venne:  e  ignoti,  in  un  desio 
Di  veritade,  con  opposta  fé', 
Decapitaro,  Emmanuel  Kant,  Iddio, 
Massimiliano  Robespierre,  il  re. 

Oggi  i  due  morti  sovra  il  monumento 
Co  '1  teschio  in  mano  chiamano  pietà, 
Pregando,  in  nome  V  un  del  sentimento. 
L'altro  nel  nome  de  T autorità. 

E  Versaglia  a  le  due  carogne  infiora 
L'ara  ed  il  soglio  de  gli  antichi  di.... 
Oh  date  pietre  a  sotterrarli  ancora. 
Nere  macerie  de  le  Tuglieri. 

21  seti,  i8yi. 


GIAMBI  ED  EPODI  471 


XXII. 

CANTO  DELL'  ITALIA 

CHE    VA    IN    CAMPIDOGLIO 


-Zjitte,  zitte!  Che  è  questo  frastuono 
Al  lume  de  la  luna? 
Oche  del  Campidoglio,  zitte!  Io  sono 
L' Italia  grande  e  una. 

Vengo  di  notte  perché  il  dottor  Lanza 
Teme  i  colpi  di  sole: 
Ei  vuol  tener  la  debita  osservanza 
In  certi  passi,  e  vuole 

Che  non  si  sbracci  in  Roma  da  signore 
Oltre  certi  cancelli  : 
Deh,  non  fate,  oche  mie,  tanto  rumore. 
Che  non  senta  Antonelli. 


472  GIAMBI  ED  EPODI 

Fate  più  chiasso  voi,  che  i  fondatori 
De  la  prosa  borghese, 
Paulo  il  forte  ed  Edmondo  da  i  languori 
Il  capitan  cortese. 

QaUj  qua^  qua.  Che  volete  voi?  Chiamate 
Il  frate!  Bertoldino 

0  Bernardino?  Ei  cova,  ei  ponza,  il  vate, 
Lo  stil  nuovo  latino. 

S' eir  è  per  Brenno,  o  paperi,  sprecata 
È  omai  la  guardia.  Brava 
Io  fui  tanto  e  sottil,  che  sono  entrata 
Quand'egli  se  ne  andava. 

Si,  si,  portava  il  sacco  a  gli  zuavi 
E  battevo  le  mani 

Ieri  a'Turcòs:  oggi  i  miei  bimbi  gravi 
Si  vestono  da  ulani. 

Al  cappellino^  o  a  Telmo,  in  ginocchione 
Sempre:  ma  lesta  e  scaltra 
Scoto  la  polve  di  un'  adorazione 
Per  cominciarne  un'altra. 

Cosi  da  piede  a  pie  figlia  di  Roma 

1  miei  baci  io  trascino, 
E  giù  nel  fango  la  turrita  chioma 
Con  l'astro  annesso  inchino 


GIAMBI  ED  EPODI  473 

Per  raccattar  quel  che  sventura  o  noia 
Altrui  mi  lascia  andare. 
Cosi  la  eredità  vecchia  di  Troia 
Potei  raccapezzare. 

A  frusto  a  frusto,  via  tra  una  pedata 
E  r  altra,  su  bel  bello  : 
Il  sangue  non  è  acqua;  e  m*  ha  educata 
Nicolò  Machiavello. 

Ora,  se  date  il  passo  a  la  gran  madre, 
Oche,  io  vo  in  Campidoglio. 
Cittadino  roman  vo'fare  il  padre 
Cristoforo;  e  mi  voglio 

Cingere  i  lombi  di  valore,  e  forte 
In  rassegnazione, 

Oche,  io  voglio  soffrir  sino  a  la  morte 
Per  la  mia  salvazione. 

Voglio  soffrire  i  Taicón  e  i  Lami, 
E  il  talamo  e  la  culla 
Aurea  de'  muli,  e  le  contate  fami, 
E  i  motti  del  Fanfulla. 

Vo'  alloggiar  co  '1  possibile  decoro 
La  gloria  del  Cialdini, 
Cantar  l' idillio  de  1'  età  de  1'  oro 
Di  Saturno  Bombrini; 


474  GIAMBI  ED  EPODI 

E  vo^  1'  umiltà  mìa  gualdrappare 
Di  stil  manzoniano, 
E  recitar  V  uffizio  militare 
D'Edmondo  il  capitano 

Per  non  cader  in  tentazion.  La' prosa 
Di  Paulo  Fambrì,  il  grosso 
Voltèr  de  le  lagune,  ^  spiritosa 
Troppo  per  il  mio  dosso: 

Gli  analfabeti  miei,  che  la  lettura 
Di  poco  han  superato, 
Preferìscon  d'assai  la  dicitura 
Più  svelta  del  cognato. 

E  cosi  d'anno  in  anno,  e  di  ministro 
(n  ministro,  io  mi  scarco 
Del  centro  destro  su  '1  centro  sinistro, 
E  '1  mio  lunario  sbarco: 

Fin  che  il  Sella  un  bel  giorno,  al  fin  del  mese, 
Dato  un  calcio  a  la  cassa. 
Venda  a  un  lord  archeologo  inglese 
L'augusta  mia  carcassa. 

12  nov.  iSyi. 


GIAMBI  ED  EPODI  475 


XXIII.  y 

GIUSEPPE  MAZZINI 


Q, 


,ual  da  gli  aridi  scogli  erma  su  '1  mare 
Genova  sta,  marmoreo  gigante, 
Tal,  surto  in  bassi  di,  su  *1  fluttuante 
Secolo,  ei  grande,  austero,  immoto  appare. 

Da  quelli  scogli,  onde  Colombo  infante 
Nuovi  pe  M  mar  vedea  monti  spuntare, 
Egli  vide  nel  ciel  crepuscolare 
Co  '1  cuor  di  Gracco  ed  il  pensier  di  Dante 

La  terza  Italia;  e  con  le  luci  fise 
A  lei  trasse  per  mezzo  un  cimitero, 
E  un  popol  morto  dietro  a  lui  si  mise. 

Esule  antico,  al  ciel  mite  e  severo 
Leva  ora  il  volto  che  giammai  non  rise, 
—  Tu  sol  —  pensando  —  o  idéal,  sei  vero. 

II  febbraio  1872. 


476  GIAMBI  ED  EPODI 


XXIV. 


ALLA  MORTE  DI  GIUSEPPE  MAZZINI 


Q. 


'uando  —  Egli  è  morto  —  dissero, 
Io,  che  qui  sola  eterna 
Credo  la  morte,  un  fremito 
Correr  sentii  l' interna 
Vita  ed  al  cuor  assiderarmi  un  gel. 
Immortai  lui  credeva.  E  gli  occhi  torbidi 
Volsi,  chiedendo  e  dubitando,  al  ciel. 

Ei  che  d'Italia  a  l'anime 

Fu  quel  eh' a  i  corpi  il  sole, 

Del  quale  udiva  io  parvolo 

Mirabili  parole 

Sì  come  d'  un  fatidico 

Spirito  tra  il  passato  e  l'avvenir, 

Egli  il  cui  nome  appresermi 

Con  quel  d'Italia,  ei  non  potea  morir. 


GIAMBI   ED  EPODI  477 

Guardai.  D'Italia  stavano 

Le  ville  i  templi  i  fòri^ 

Da  le  sue  torri  a  Paure 

Splendeano  i  tre  colori, 

Fremeano  i  fiumi  i  popoli 

Ed  i  pensier  con  onda  alterna,  il  sol 

Rideva  a  V  alpi  al  doppio  mare  a  V  isole 

Come  pur  ieri....  Ed  era  morto  ei  sol. 

Passato  era  de  i  secoli 

Nel  di  trasfigurante. 

A  i  mondi  onde  riguardano 

Camillo  e  Gracco  e  Dante, 

Grandi  ombre  con  immobili 

Occhi  di  stelle  a  le  fluenti  età, 

E  riposa  Cristoforo 

Colombo  e  Galileo  contempla  e  sta. 

marso  i8'j2. 


478  GIAMBI  ED  EPODI 


XXV. 


A  UN  HEINIANO  D' ITALIA 


v^uando  a  i  piaceri  in  mezzo  od  a  i  tormenti 

Arrigo  Heine  crollava 

La  bionda  chioma  ed  a  i  tedeschi  venti 

Le  sue  strofe  gittava, 

E  le  furie  e  le  grazie  de  la  prosa 
Folli  feroci  e  schiette 
Hi  liberava  da  la  man  nervosa 
Qual  gruppo  di  saette, 

L'ombra  del  suo  pensiero,  ombra  di  morte, 
Da  i  suon  balzava  fuora, 
E  con  la  scure  in  man  battea  le  porte 
Gridando  —  È  Torà,  è  Torà! 


GIAMBI  ED  EPODI  479 

Dal  viso  del  poeta  atroce  e  bello 
Pendea,  ridendo,  il  dio 
Thor,  e  chiedea,  brandendo  il  gran  martello, 
—  Ch'io  picchi,  o  figliuol  mio?  — 

Sotto  il  vento  de' cantici  immortali 
Piegavano  croscianti 
Le  selve  de  le  vecchie  cattedrali 
Con  le  lor  guglie  e  i  santi: 

Rintoccava,  da  i  culmini  ondeggiando, 
A  morto  ogni  campana, 
E  Carlo  magno  s'avvolgea  tremando 
Nel  lenzuol  d'Aquisgrana. 

Quando  toccate,  o  tisicuzzo,  voi 
Il  chitarrin  cortese, 
Mugghian  d'assenso  tutti  i  serbatoi 
Del  mio  dolce  paese. 

Le  canzonette,  assettatuzze  e  matte, 
Ed  isgrammaticate 
Borghesemente,  fan  cagliare  il  latte 
E  tremar  le  giuncate. 

Deh,  come  erra  fantastico  il  belato 
Vostro  via  per  1'  acerba 
Primavera  !  O  montone,  al  prato,  al  prato  ! 
O  agnello,  a  1'  erba,  a  V  erba  ! 


480  GD^MBI  ED  EPODI 

Il  garofolo  giallo  e  la  vlfola 

Vi  sorridon  gì'  inviti  : 

Ah  ghiottoncello,  a  voi  fanno  più  gola 

I  cavoli  fioriti? 

Brucate,  ruminate,  meriggiate 
E  belate  a  i  pastori; 
E,  se  potete,  i  bei  cornetti  armate 
Pe'  i  lasci vetti  amori. 

Con  due  scambietti  poi  l'ebete  g^ifo 
Ponete,  oh  voi  beato!, 
Su  le  ginocchia  a  Cloe,  se  non  ha  schifo 
Del  puzzo  di  castrato. 

giugno  i8'j2. 


GIAMBI   ED  EPODI  481 


XXVI.        > 
PER  IL  QUINTO  ANNIVERSARIO 

DELLA  BATTAGLIA  DI  MENTANA 


O^ 


gni  anno,  allor  che  lugubre 
L'ora  de  la  sconfitta 
Di  Mentana  su'  memori 
Colli  volando  va, 

I  colli  e  i  pian  trasalgono 
E  fieramente  dritta 
Su  i  nomentani  tumuli 
La  morta  schiera  sta. 

Non  son  nefandi  scheletri; 
Sono  alte  forme  e  belle, 
Cui  roseo  dal  crepuscolo 
Ondeggia  intorno  un  vel: 

Per  le  ferite  ridono 
Pie  le  virginee  stelle, 
Lievi  a  le  chiome  avvolgonsi 
Le  nuvole  del  ciel. 

RDUCCI.       ^  31 


482  GIAMBI   ED  EPODI 

—  Or  che  le  madri  gemono 
Sovra  gì'  insonni  letti, 
Or  che  le  spose  sognano 
Il  nostro  spento  amor, 

Noi  rileviam  dal  Tartaro 
I  bianchi  infranti  petti. 
Per  salutarti,  o  Italia, 
Per  rivederti  ancor. 


Qual  ne  l'incerto  tramite 
Gittava  il  cavaliero 
Il  verde  manto  serico 
De  la  sua  donna  al  pie. 

Per  te  gittammo  l'anima 
Ridenti  al  fato  nero; 
E  tu  pur  vivi  immemore 
Di  chi  moria  per  te. 


Ad  altri,  o  dolce  Italia, 
Doni  i  sorrisi  tuoi; 
Ma  i  morti  non  obliano 
Ciò  che  più  in  vita  amar; 

Ma  Roma  è  nostra;  i  vindici 
Del  nome  suo  siam  noi: 
Voliam  su  '1  Campidoglio, 
Voliamo  a  trfonfar.  — 


!«•' 


GIAMBI  ED  EPODI  483 

Va  come  fosca  nuvola 
La  morta  compagnia, 
E  al  suo  passare  un  fremito 
GV  itali  petti  assai  ; 

Ne  le  auree  veglie  tacciono 
La  luce  e  1*  armonia, 
È  sordo  il  tuon  rimormora 
Su  l'alto  Quirinal. 


Ma  i  cavalier  d' industria. 
Che  a  la  città  di  Gracco 
Trasser  le  pance  nitide 
E  r  inclita  viltà, 

Dicon  -—  Se  il  tempo  brontola, 
Finiam  d'empire  il  sacco; 
Poi  venga  anche  il  diluvio; 
Sarà  quel  che  sarà.  — 


4  nov.  i8'j2. 


484  GUMBI  ED  EPODI 


XXVII. 

A  MESSER  GANTE  GABRIELLI  DA  GUBBIO 

PODESTÀ  DI  FIRENZE  NEL  MCCCI 


M, 


olto  mi  meraviglio,  o  messer  Gante, 
Podestà  venerando  e  cavaliero, 
Non  v'  abbia  Italia  ancor  piantato  intiero 
In  marmo  di  Carrara  e  dritto  stante 

Sur  una  piazza,  ove  al  bel  ceffo  austero 
Vostro  passeggi  il  popolo  davante, 

0  primo,  o  solo  ispirator  di  Dante, 
Quando  ladro  il  dannaste  e  barattiero. 

1  ceppi  per  a  lui  la  man  tagliare 
Voi  tenevate  presti;  ei  ne  T  inferno 
Scampò,  gloria  e  vendetta  a  ricercare. 

Spongon  or  birri  e  frati  il  suo  quaderno, 
E  quel  povero  veltro  ha  un  bel  da  fare 
A  cacciar  per  la  chiesa  e  pe  '1  governo. 

maggio  j8*J4.  •    •^''  ^^*'''**  . 


GIAMBI   ED   EPODI     '  485 


XXVIII. 


LA  SACRA  DI  ENRICO  QUINTO 


V«6uando  cadono  le  foglie,  quando  emigrano  gli 

augelli 
E  fiorite  a'  cimiteri  con  le  pietre  de  gli  avelli, 

Monta  in  sella  Enrico  quinto  il  delfin  da'  capei 

grigi, 
E  cavalca  a  grande  onore  per  la  sacra  di  Parigi. 

Van  con  lui  tuttM  fedeli,  van  gli  abbati  ed  i  baroni  : 
Quanta  festa  di  colori,  di  cimieri  e  di  pennoni  ! 

Monta  Enrico  un  cavai  bianco,  presso  ha  il  bianco 

suo  stendardo 
Che  copri  morenti  in  campo  San  Luigi  e  il  prò* 

Bai  ardo. 


486  GIAMBI  ED  EPODI 

Viva  il  rei  Ma  il  ciel  di  Francia  non  conosce  il 

sacro  segno; 
E  la  seta  vergognosa  si  restringe  intorno  al  legno. 

Più  che  mai  su  gli   aurei  gigli   bigio  il  cielo  e 

freddo  appare: 
Con  la  pace  de  gli  scheltri  stanno  gli  alberi  a 

guardare  ; 

E  gli  augelli,  senza  canto,  senza  rombo,  tristi  e 

neri, 
Suizzan  come  frecce  stanche  tra  i  pennoni  ed  i 

cimieri. 


/iva  il  re  !  Ma  i  lieti  canti  ne  le  trombe  e  ne  le 

gole 
arrochiscono,  ed  aggelano  su  le  bócche  le  parole. 

/ 

arrochiscono;  ed  un  rantolo  faticoso  d'agonia 
^ar  che  salga  su  da' petti  de  l'allegra  compagnia. 

Hresce  l'ombra  de  le  nubi,  si  distende  su  la  terra, 
Ed  un'  umida  tenèbra  quel  corteggio  avvolge  e 

serra. 

Dan  di  sprone  i  cavalieri,  i  cavalli  sp ri ngan salti: 
>otto  r  ugne  percotenti  suon  non  rendono  i  iMi- 

saJtL 


GIAMBI   ED   EPODI  487 

Manca  V  aria;  e,  come  attratti  i  cavalli  e  le  persone 
Ne  la  plumbea  d'  un  sogno  infinita  regione, 

Arrembando  ed  arrancando  per  gli  spazi  sordi 

e  bigi 

• 

Marcian  con  le   immote  insegne  per  entrare  a 

San  Dionigi. 

Viva  il  re!  Giù  da  i  profondi  sotterranei  de  la 

chiesa 
Questa  voce  di  saluto  come  un  brontolo  fu  intesa  : 

E  da  r  ossa  che  in  quei  campi  la  repubblica  di- 
sperse 
Una  nube  di  fumacchi  si  formava,  e  fuori  emerse 

Uno  stuolo  di  fantasmi  :  donne,  pargoli,  vegliardi. 
Conti,  vescovi,   marchesi,   duchi,  monache,  ba- 
stardi; 

Tutti  principi  del   sangue:   tronchi,  mózzi,  cin- 
cischiati, 
In  zendadi  a  fiordiligi   stranamente  avvoltolati. 

Entro  i  teschi  aguzzi  e  mondi  che  parean  d'avo- 
rio fino 
Luccicavano  le  occhiaie  d'  un  sottil  fuoco  azzur- 
rino. 


4S8  <xIAMBI  ED  EPODI 

Qual  brandiva,  salutando,  un  cappel  bianco  piu- 
mato 

Con  un  gracil  moncherino  clie  solo  eragli  avan- 
zato; 

Qual  con  una  tibia  sola  disegnava  un  minuetto; 
Qual  con:  mezza  una  mascella  digrignava  un  sor- 

risetto. 

Tutt'  a  un  tratto  quel  movente  di  maligni  ossami 

stuolo 
Scricchiolando  e  sgretolando  si  levò  per  V  aria 

a  volo; 

Ed  intorno  a  rorifiamma  dispiegante  i  gigli  gialli 
Sgambettando  e  cianchettando  intessea  carole 

e  balli, 

Ed  intorno  a  Torifiamma  sventolante  i  gigli  d'oro 
Sibilando  e  bofonchiando  intonava  questo  coro. 

—  Ben  ne  venga  il  delfin  grigio  nel  reame  ove 

a'  Borboni 
Né  pur  morte  guarentisce  fide  o  pie  le  sue  ma- 
gioni. 

Passerem  dal  Ponte  Nuovo.  Venga  a  sciór  la  sua 

promessa      |( 
Co  '1  re  grande  che  Parigi  guadagnò   per  una 

messa, 


GIAMBI  ED   EPODI  489 

/> 

E  nel  marmo  anche  par  senta  co*  mustacchi  in- 
tirizziti 
Caldo  il  colpo  e  freddo  il  ghiaccio  del  pugnai 

de*  gesuiti. 

Marceremo  a  Nostra  Donna.  Mitrlfati  e  porporati 
Tre  arcivescovi  i  lor  sonni  per  accoglierne  han 

lasciati. 

t 

Su  l'entrata  sta  solenne   con  l'asperges  d'oro 

in  pugno 
Quel  che  tinse  del  suo   sangue  gli  arsì  làstrici 

di  giugno. 

In  disparte  ginocchioni  veglia  a  dire  le  scerete 
Quel  che  spento  fu  in  sacrato  per  le  mani  d'un 

suo  prete. 

Benedice  la  corona  del  figliuol  di  San  Luigi 
Quel  che  giacque  sotto  il  piombo  del  comune  di 

Parigi. 

Tristi  cose.  Al  men  tuo  padre  (son  cortesi  i  gia- 
cobini) 
Nel  palchetto  d'un  teatro  mori  al  suon  de' violini. 

Copri  r  onda  de  l' orchestra  la  real  confessione, 
Sali  Cristo  in  sacramento  tra  le  meschere  al  ve- 

glionev 


490  GIAMBI  ED  EPODI 

Farem  gala  a  quel  teatro  noi  borbonica  tregenda: 
Da  quel  palco  (Iddio  ti  salvi!)  move,  o  re.  la 

tua  leggenda.  — 

Cosi  strilla  sghignazzando  via  pe  '1  grigio  aere 

la  scorta. 
Ma  cavalca  il  quinto  Enrico  dritto  e  fermo  in 

vèr*  la  porta. 

Su  la  porta  di  Parigi  co  '1  bacile  d' oro  in  mano 
A  r  omaggio  de  le  chiavi  sta  parato  un  castellano. 

Ei  non  guarda,  non  fa  cenno  di  saluto,  non  pro- 
cede: 
Un'  antica  è  fatai  noia  su  le  grosse  membra  siede. 

Erto  il  capo  e  '1  guardo  teso,  ma  V  orgoglio  non 

vi  raggia: 
Una  tenue  per  il  collo  striscia  rossa  gli  viaggia. 

Non  pare  ordine  o  collare  che  il  re  doni  al  suo 

fedele  : 
Non  è  quel  di  San   Luigi,   non   è  quel   di  San 

Michele. 

Al  passar  d*  Enrico,  ei  move  a  test'  alta  e  regal- 
mente; 
Fende  in  mezzo  il  gran  corteggio:  ciascun  vede 

e  niun  lo  sente. 


GIAMBI   ED  EPODI  491 

È  a  la  staffa  già  d'Enrico;   ma  non   piega  ad 

atto  umile, 
E  tien  dritto  e  fermo  il  collo  mentre  leva  su  il 

bacile. 

—  Ben  ne  venga  mio  nipote,  V  ultim*  uom  de  la 

famiglia! 
Queste  chiavi  eh'  io  ti  porgo  fùr  catene  a  la  Ba- 
stiglia. 

Tali  al  Tempio  io  le  temprava  — .  Con  V  offerta 

fa  r  inchino 
Ed  il  capo  de  l'offrente  rotolava  nel  bacino; 

Ed  il  capo  di  Luigi  con  V  immobile  occhio  estinto 
Boccheggfante    nel    bacino    riguardava   Enrico 

quinto. 

ott.  1874. 


iVZ  GIAMBI  ED  EPODI 


XXIX. 


A  PROPOSITO  DEL  PROCESSO  PADDA 


I. 


D 


a  i  gradi  alti  del  circo  ammantellati 
Di  porpora,  esse  ritte 
Ne  i  lunghi  bissi,  gli  occhi  dilatati, 

Le  pupille  in  giù  fitte, 

Abbassavano  il  pollice  nervoso 

De  la  mano  gentile. 

Ardea  tra  bianche  nuvole  estuoso 

Il  sol  primaverile 

Su  le  superbe,  e  ne  la  nera  chioma 

Mettea  lampeggiamenti. 

Fremea  la  lupa  nutrice  di  Roma 

Ne  i  lor  piccoli  denti, 


GIAMBI  ED  EPODI  403 

1 

Bianchi,  affilati,  tra  le  labbra  rosse 

Contratte  in  fiero  ghigno. 

Un  selvatico  odor  su  da  le  fosse 

Vaporava  maligno. 

Era  il  sangue  del  mondo  che  fervea 

Con  lievito  mortale, 
Su  cui  provava  già  Nemesi  dea 

AI  voi  prossimo  Tale. 

E  le  nipoti  di  Camilla,  pria 

Di  cedere  le  mani 
A  i  ferri,  assaporavan  V  agonia 

De' cerulei  Germani. 


II. 


Voi  sgretolate,  o  belle,  i  pasticcini 

Tra  il  palco  e  la  galera; 

Ed  intente  a  fornir  di  cittadini 

La  nuova  italica  èra. 

Studiate,  e  gli  occhi  mobili  dan  guizzi 

Di  feroce  ideale. 
Gli  abbracciamenti  de*  cavallerizzi 

Tra  i  colpi  di  pugnale; 


494  GIAMBI  ED  EPODI 

E  palpate  con  gli  occhi  abbracciatori  •    'i 

Le  schiene  ed  i  toraci, 

Mentre  rei  gerghi  tra  sucidi  odori 

Testimonian  su  i  baci. 

Poi,  se  un  puttin  di  marmo  avvien  che  mostri 

Qualcosellina  al  sole. 

Protesterete  con  furor  d' inchiostri, 

Con  fulmin  di  parole. 

E  pur  ieri  cullaste  il  figliuoletto 

Tra  i  notturni  fantasmi 

Co  *1  pie  male  proteso  fuor  del  letto 

Ne  gli  adulteri  spasmi. 

Ma  voi  siete  cristiane,  o  Maddalene! 

Foste  da'  preti  a  scuola. 
Siete  moderne!  avete  ne  le  vene 

L'  Aretino  e  il  Loiola. 

ottobre  zSyg. 


XXX.  ■ 
IL  CANTO  DELL'  AMORE 


Oh 


Jh  bella  a' suoi  be' di  Rocca  Paolina 
Co' baluardi  lunghi  e  i  sproni  a  sghembo! 
La  pensò  Paol  terzo  una  mattina 
Tra  il  latin  del  messale  e  quel  del  Bembo. 


—  Quel  gregge  perugino  in  tra  i  burroni 
Troppo  volentier  —  disse  —  mi  si  svia. 
Per  ammonire,  il  padre  etimo  ha  i  tuoni, 
Io  suo  vicario  avrò  1'  artiglieria. 

Coelo  tonantem  canta  Orazio,  e  Dìo 
Parla  tra  i  nembi  sovra  1'  aquilon, 
Io  dirò  co'  i  cannoni:  0  gregge  mio, 
Torna  a  i  paschi  d'  Engaddi  e  di  Saron. 


496  GIAMBI   ED   EPODI 

Ma,  poi  che  noi  rinnovelliamo  Augusto, 
Odi,  Sangallo:  fammi  tu  un  lavoro 
Degno  di  Roma,  degno  del  tuo  gusto, 
E  del  ponteficato  nostro  d*oro.  — 

Disse:  e  il  Sangallo  a  la  fortezza  i  fianchi 
Arrotondò  qual  di  fiorente  sposa: 
Gittolle  attorno  un  vel  di  marmi  bianchi. 
Cinse  di  torri  un  serto  a  l'orgogliosa. 

La  cantò  il  Molza  in  distici  latini; 
E  il  paracleto  ne  la  sua  virtù 
Con  più  che  sette  doni  a  i  perugini 
In  bombe  e  da'  mortai  pioveva  giù. 

Ma  il  popolo  è,  ben  lo  sapete,  un  cane, 
E  i  sassi  addenta  che  non  può  scagliare, 
E  specialmente  le  sue  ferree  zane 
Gode  ne  le  fortezze  esercitare; 

E  le  sgretola;  e  poi  lieto  si  stende 
Latrando  su  le  pietre  ruinate, 
Fin  che  si  leva  ^  a  correr  via  riprende 
Verso  altri  sassi  ed  altre  bastonate. 

Cosi  fece  in  Perugia.  Ove  T  altera 
Mole  ingombrava  di  vasta  ombra  il  suol 
Or  ride  amore  e  ride  primavera, 
Ciancian  le  donne  ed  i  fanciulli  al  sol. 


GIAMBI  ED   EPODI  497 

E  il  sol  nel  radiante  azzurro  immenso 
Fin  de  gli  Abruzzi  al  biancheggiar  lontano 
Folgora,  e  con_desio  d*  amor  più  intenso 
Ride  a'  monti  de  V  Umbria  e  al  verde  piano. 

Nel  roseo  lume  placidi  sorgenti 

I  monti  si  rincorrono  tra  loro, 

Sin  che  sfumano  in  dolci  ondeggiamenti 

Entro  vapori  di  vYoìa  e  d' oro. 

Forse,  Italia,  è  la  tua  chioma  fragrante 
Nel  talamo,  tra' due  mari,  seren, 
Che  sotto  i  baci  de  1'  eterno  amante    ^V  -^^^ 
Ti  freme  effusa  in  lunghe  anella  al  sen? 

Io  non  so  che  si  sia,  ma  di. zaffiro 
Sento  ch'ogni  pensiero  oggi  mi  splende, 
Sento  per  ogni  vena  irmi  il  sospiro 
Che  fra  la  terra  e  il  ciel  sale  e  discende. 

Ogni  aspetto  novel  con  una  scossa 
D'  antico  affetto  mi  saluta  il  core, 
E  la  mia  lingua  per  sé  stessa  mossa 
Dice  a  la  terra  e  al  cielo.  Amore,  Amore. 

Son  io  che  il  cielo  abbraccio,  o  da  l'interno 
Mi  riassorbe  l'universo  in  sé?.... 
Ahi,  fu  una  nota  del  poema  eterno 
Quel  eh'  io  sentiva  e  picciol  verso  or  è. 

Carducci.  32 


498  GIAMBI   ED  EPODI 


Da  i  vichi  umbri  che  foschi  tra  le  gole 
De  l'ApOTTrttio  s'amano  appiattare; 
Dà  le  tirrene  acròpoli  che  sole 
Stan  su  i  fioriti  clivi  a  contemplare; 

Da  i  campi  onde  tra  l' armi  e  V  ossa  arate 
La  sventura  di  Roma  ancor  minaccia; 
Da  le  ròcche  tedesche  appollaiate 
Si  come  falchi  a  meditar  la  caccia; 

Da  i  palagi  del  popol  che  sfidando 
Surgon  neri  e  turriti  incontro  a  lor; 
Da  le  chiese  che  al  ciel  lunghe  levando 
Marmoree  braccia  pregano  il  Signor; 

Da  i  borghi  che  s' affrettan  di  salire 
Allegri  verso  la  cittade  oscura, 
Come  villani  e'  hanno  da  partire 
Un  buon  raccolto  dopo  mietitura; 

Da  i  conventi  fra  i  borghi  e  le  cittadi 
Cupi  sedenti  al  suon  de  le  campane, 
Come  cùcùli  tra  gli  alberi  radi 
Cantanti  noie  ed  allegrezze  strane; 

Da  le  vie,  da  le  piazze  gloriose, 
Ove,  come  del  maggio  ilare  a  i  di 
Boschi  di  querce  e  cespiti  di  rose. 
La  libera  de'  padri  arte  fiori  ; 


GIAMBI   ED  EPODI  499 

Per  le  tenere  verdi  mèssi  al  piano, 
Pe' vigneti  su  Terte  arrampicati, 
Pe'  laghi  e'  fiumi  argentei  lontano, 
Pe*  boschi  sopra  i  vertici  nevati, 

Pe'  casolari  al  sol  lieti  fumanti 
Tra  stridor  di  mulini  e  di  gualchiere, 
I  Sale  un  cantico  solo  in  mille  canti, 
Un  inno  in  voce  di  mille  preghiere: 

—  Salute,  o  genti  umane  affaticate! 
Tutto  trapassa  e  niilla  può  morir. 
Nof  troppo  odiammo  e  sofferimmo.  Amate. 
Il  mondo  è  bello  e  santo  è  l'avvenir.  — 

Che  è  che  splende  su  da'  monti,  e  in  faccia 
Al  sole  appar  come  novella  aurora? 
Di  questi  monti  per  la  rosea  traccia 
Passeggian  dunque  le  madonne  ancora? 

Le  madonne  che  vide  il  Perugino  ^^ 

Scender  ne'  puri  occasi  de  V  aprile,  ' 

E  le  braccia,  adorando,  in  su  '1  bambino 
Aprir  con  deità  cosi  gentile? 

Eir  è  un'altra  madonna,  eirè  un'idea 
Fulgente  di  giustizia  e  di  pietà: 
Io  benedico  chi~per  lei  cadea. 
Io  benedico  chi  per  lei  vivrà. 


v"  ^ 


500  GIAMBI   ED  EPODI 

Che  m'importa  di  preti  e  di  tiranni? 
Ei  son  più  vecchi  de'  lor  vecchi  dèi. 
Io  maledissi  al  papa  or  son  dieci  anni. 
Oggi  co  M  papa  mi  concilierei. 

Povero  vecchio,  chi  sa  non  Tassaglia 
Una  deserta  volontà  d' amare  ! 
Forse  ei  ripensa  la  sua  Sinigaglia 
Si  bella  a  specchio  de  l' adriaco  mare. 

Aprite  il  Vaticano.  Io  piglio  a  braccio 
Quel  di  sé  stesso  antico  prigionier. 
Vieni:  a  la  libertà  brindisi  io  faccio: 
Cittadino  Mastai,  bevi  un  bicchieri 


isir 


^^&.?a'^-a!'/ 


NOTE 


pag.  389.  Questi  versi  ini  vennero  fatti  una  mattina  che  in 
un  giornaletto  clericale,  di  quelli  che  ragionevolmente  e  canoni- 

a  Satana,  lessi  la  novella  eh'  io  Ero  morto. 

LIBRO  PRIMO. 

I)  pag.  392,  vv.  n-IS.  Si  accenna  alla  fonte  che  secondo  la 
leggenda  san  Francesco  fece  scaturire  presso  il  santuario 
della  Verna. 

p.  393,  w.  5-6.  Tarconte  è  il  tipo  mitico  del  re  legislatore 
etrusco;  e  una  tradizione  popolare  pone  la  sede  del  re  d'  Etnirìa 
presso  il  monte  della  Verna.. 

II)  pag.  396,  vv.  3-4.  Non  fu  veramente  uno  schiaffo;  ma 
qualcosa  di  meno  e  di  peggio.  Ecco  il  racconto  dell'  Ammirato 
{Istor.fiar.  iv  in  princ);  '  Giano  della  Bella  venuto  a  con- 
tesa  dentro  la  chiesa  di  san  Piero  Scheraggio  con  Berto  Fie- 
scobaldi  cavaliere  dei  grandi,  per  certe  ragioni  che  Berto  volse 


502  GIAMBI  ED   EPODI 


a  Gkuso  occupar  per  forza,  montò  il  Frescobaldi  hi  tanto  .or> 
goj^  contro  quel  della  Bella,  che,  postai  la  mano  «ti  naso, 
disse  ad  alta  voce  che  gUel  taglierebbe,  se  avesse  avol»  co- 
tanto ardimento  di  cozzar  seco  ,. 

UI)  pag.  401,  V.  12.  Il  boulevard  Montmartre,  dove  i  c(dpi  dì 
fucile  sanzionarono  il  colpo  di  stato  del  2  decembre  1851. 
Ne' versi  anteriori  si  accenna  ai  caduti  nell'assedio  di  Roma 
del  1849.  Di  ques^ta  nota^  per  avventura  superflua,  mi  servirò 
per  confessare  che  due-  versi  del  presente  epodo 

E  su  '1  capo  gli  penzola  inchiodato 
Gesù  perché  non  fugga 

e  1*  altro 

O  vecchio  prete  infame, 
\ 

gli  debbo  a  Vittore  Hugo,  che  nella  Nox  in  fronte  ai  Chéti- 

tncnts  scriss^^ 

Sur  une  croix  dressée  au  fònd  du  sanetuaire 
Jesus  avait  été  cloué  pour  qu'  il  rest&t. 

e  ne'  Chàtiments  stessi,  I,  6, 

Ton  diacre  est  Trahison  et  ton  sous-diacre  est  Voi; 

Vends  ton  Dieu,  vends  ton  àme! 
Àllons,  coiffe  ta  mitre,  allons,  mets  ton  licol, 

Chante,  vieux  prfitre  infame. 

Dando  a  ristampare  nel  marzo  del  1882  questi  versi,  creda 
non  inutile  far  sapere  qui  in  nota,  come,  ridotta  in  \ì 
non  per  sua  colpa  la  nobile  famiglia  dei  Corazzini  di 
Santo  Stefano,  in  vano  due  o  tre  volte  raccomandai  caldamente 
a  un  ministero,  del  quale  era  pure  a  capo  Benedetto  Cairofi, 
la  vedova  madre  di  Eduardo  per  una  piccola  pensione  o  on 
sussidio:  non  era  provato  che  il  figlio   suo  fosse  morto  dalle 


GIAMBI   ED  EPODI  503 


ferite  ricevute  in  battaglia.  Ciò  può  anche  dimostrare  la  seve- 
rità con  la  quale  in  Italia  si  osserva  la  legge. 

IV)  pag.  401,  V.  20.  Anche  questo  verso  può  parere  una  ri- 
membranza dei  due  bellissimi  di  A.  Barbier  (La  curée), 

La  grande  populace  et  la  sainte  canaille 
Se  ruaient  à  V  immortalité; 

ma  il  fatto  è  ch'egli  ha  un'origine  più  umile:  me  lo  suggerì 
un  deputato  del  Parlamento  italiano,  quando  dello  sciopero  po- 
litico bolognese  nel  marzo  del  1868  disse  non  essere  popolo 
ma  canaglia  che  tirava  sassi.  Al  Barbier  debbo  il  movimento 
della  strofe  23,  Marchesa  ella  non  è  ecc.;  al  Barbier  che  scrisse, 
pur  nella  Curée, 

C  est  que  la  Liberté  n'  est  pas  une  comtesse 

Du  noble  faubourg  Saint-Germain, 
Une  femme  qu*  un  cri  fàit  tomber  en  faiblesse, 

Qui  met  du  blanc  et  du  carmin. 

V)  pag.  411,  vv.  9-10.  Alludo  ai  due  libri  De  Analogia  in- 
tilolati  a  Cicerone,  coi  quali  Giulio  Cesare  intendeva  dare  con 
norme  determinate  una  certa  unità  alla  lingua  romana  traen- 
dole  dair  incostanza  dell'  uso  volgare. 

V.  14.  Svetonio  ha  tutto  un  capitolo  intomo  la  pudicizia  di 
Cesare  prostituita  sotto  (cos(  traduce  il  Del  Rosso,  cavaliere 
gerosolimitano)  al  re  Nicomede;  e  da  quel  capitolo  sappiamo 
che  Dolabella  chiamava  il  futuro  dittatore  "  la  femmina  che  fa 
le  coma  alla  regina  di  Bitinia  „  e  ^  la  sposa  segreta  della 
lettiga  reale  „  ;  che  Bibulo  suo  collega  nel  consolato  diceva 
di  lui,  per  addietro  essersi  egli  innamorato  dei  re  ed  ora  dei 
regni;  e  altre  cose  che  non  possono  esser  ridette  qui.  Ci  ba- 
sti il  frammento  di  C  Licinio  Calvo, 

....Bithynia  quidquid 

Et  paedicator  Caesaris  unquam  habuit, 


5M  GIAJCBI 


■oo  trumpiiat,  (jib 


Ecco:  gfi  storici  e  i  filosofi,  i  qnfi  sooosi  m  qoeslD  secolo 
dei  eol{>i  di  stato  tanto  sbracciati  a  dimostrare  la  Decessila  la 
morafità  la  santità  della  nsarpazioae  di  Cesare,  ^om€tibao 
andie  (fimostrard  r  estetica  deOe  carezze  sofferte  sotto  il  re 
éì  Bìtinia,  e  come  a  diventar  imperatori  e  ficenziarsi  ai  colpi 
di  stato  e  al  saccli^gio  d^fi  efari  sia  mia  propedeatiea  prov- 
videnziale quella  dei  Ietti  o  delle  lettighe  bitiaìche.  Pnò  essere 
filosofia  della  storia  anche  cotesta:  imperocché  che  cosa  non 
è  filosofia  della  storia  (^gigiomo? 

VI)  p^  414,  w.  3-4.  Pochi  giorni  prima  del  soppfizio  il 
ministeix)  italiano  aveva  fatta  pagare  a  Roma  una  rata  dd  de- 
bito pontificio. 

w.  9-10.  Quando  si  eseguivano  in  Roma  le  condanne  di 
morte,  nella  chiesa  di  San  Nicola  rimaneva  esposto  per  ven* 
tiquattro  ore  il  Santissimo  Sacramento. 

VH)  pag.  420,  V.  14. 

Ogni  uom  v'  è  barattier  fuor  che  Booturo  ; 
Del  no,  per  li  denar,  vi  si  fa  ita. 

Dante,  Inf.  XXI,  41. 

E  Benvenuto  da«  Imola  annota:  '  Bontums  fiiit  baraterìos, 
qui  sagaciter  docebat  et  versabat  illud  commune  totnm,  et 
dabat  officia  quibus  volebat  „ 

pag.  421,  v.  9.  Vanni  Pucci, 

Ladro  alla  sagrestia  de' belli  arredi, 
E  falsamente  già  fu  opposto  altrui. 

Dante,  Inf.  XXIV,  138, 


GIAMBI   ED  EPODI  605 


era  anche,  come  Dante  stesso  Io  chiama,  uom  già  di  sangue 
e  di  corrucci,  V  autore  delle  Istorie  pistoiesi  racconta,  fra  al- 
tre cose  di  lui,  sotto  Tanno  1300:  "  Allora  Vanni  Pucci  con 
certi  suoi  compagni  andaro  dirìeto  a  quella  casa  e  francamente 
colla  balestra  la  combatterono,  e  col  fuoco  la  vinsono;  e  messo 
lo  fuoco  dalTun  lato,  entraro  dentrp  dall'altro.  La  gente  che 
V*  erano  dentro  cominciarono  a  fuggire,  e  costoro  a  seguire 
ferendogli  e  uccidendogli;  la  casa  rubarono  „. 

VIII)  "  Giovedf  22  luglio,  tempo  permettendo,  avrà  luogo 
il  varo  della  corvetta  Vettor  Pisani,  In  tale  circostanza,  con 
squisitissimo  tatto,  il  comandante  Cerutti  dispose  che  la  solen- 
nità abbia  a  farsi  con  tutta  la  pompa  possibile,  celebrando, 
come  in  antico,  lo  sposalizio  del  mare,  mediante  anello,  che, 
lavorato  nell'Arsenale,  sarà  gettato  alle  onde  da  una  delle  no- 
stre patrìzie  „.  Rinnovamento  di  Venezia,  20  luglio  1869. 

• 

IX)  In  Bologna  alla  Via  dei  vetturini  fu  mutato  il  nome 
in  Via  Ugo  Bassi  neir  annuale  dell'  vili  agosto  1869,  l' anno 
che  fu  convocato  in  Roma  il  Concilio  ecumenico. 

• 

XI)  La  Consulta  araldica  fu  instituita  con  r.  decreto  10 
ottobre  1869  in  dieci  articoli,  per  dar  parere  ed  Governo  in 
materia  di  titoli  gentilizi,  stemmi  ed  altre  pubbliche  onori- 
ficenze, 

Xni)  pag.  434,  vv.  1-2 Le  ultime  sue  parole  riassu- 
mevano il  suo  sacrificio  in  un  augurio  alla  patria,  vaticinando 
a  noi  la  rivendicazione  di  Roma.  —  Roma  sarà  nostra,  io  ve 
lo  giuro  —  ripetè  più  volte  anche  nel  suo  sublime  delirio.... 
Andremo  presto  a  Groppello.  Là  egli  giace  con  gli  altri  tre 
martiri:  e  là  è  il  tempio  della  nostra  religione.  Benedetto 
Cairou  a  Vinc.  Caldesiy  Belgirate,  20  settembre  1869. 


506  GIAMBI  ED  EPODI 


pag.  438,  w.  5-7.  La  imagine,  che  dispiacque  ad  alcuni 
miei  amici,  è  presa  da  quel  che  H.  Heine  dice  di  Colonia, 
Deutschland  iv: 

Dummheit  und  Bosheit  buhlten  hier 
Gleich  Hunden  auf  freier  Gasse; 
Die  Enkeibrut  erkennt  man  noch  heut 
Àn  ihrem  Glaubenshasse. 

II  presente  epodo  fu  intitolato  air  onorevole  Benedetto 
Cairoli  con  questa  lettera  (nella  Riforma  del  14  febbraio  1810): 

Questo  canto,  già  intermesso  perché  mi  parve  men  rive- 
rente inframmettermi  al  solenne  dolore  vostro  e  della  madre 
veneranda,  Tho  ripreso  oggi,  per  ammonire,  rammemorando 
la  vhlù  de'  Cairoli,  la  gioventù  della  patria.  E  ve  T  offro,  o 
cittadino  onorando,  e  vi  prego  di  presentarlo  alla  gentil  donna 
Cairoli,  come  segno  della  riverenza  e  gratitudine  mia,  d'ita- 
liano e  d' uomo,  alla  gran  famiglia  che  è  uscita  di  lei,  santa  e 
romana  donna.  Fra  tante  miserie  e  vergogne  che  ne  circon- 
dano, dovendo  disprezzare  e  odiar  molte  cose,  è  pur  dolce  e 
di  sollievo  air  anima  il  poter  dire  ad  alcuno,  dal  cuore  aperto 
e  profondo:  Io  vi  ammiro,  vi  riverisco,  vi  amo. 

Bologna,  ii  febbraio. 

Alla  quale  Benedetto  Cairoli  rispondeva  con  questa  pub- 
blicata nel  Popolo  di  Bologna: 

Groppello  di  Lomellina,  77  febbraio. 

Non  vi  ringrazio:  non  oso  esprimere  il  debito  della  gra* 
titudine  con  una  parola  troppo  profanata  dall'  uso,  —  vi  dico 
soltanto  che  la  povera  madre  vi  benedice:  è  ricompensa  degn& 
di  voi.  Alla  tomba  dei  nostri  cari  voi  mandate  omaggio  di  fiorì 
che  non  perdono  il  profumo:  versi  che  non  muoiono  e  ricor- 
dano il  dovere  che  fu  la  mèta  del  sacrificio.  È  santo  l' aposto- 


GIAMBI  ED  EPODI  507 


lato  del  poeta  quando  completa  quello  del  martire  preparando 
il  risveglio  nazionale.  Speriamo  :  la  coscienza  di  un  popolo  può 
essere  momentaneamente  sedotta,  corrotta  mai  fino  all'oblio 
deir  onore,  fino  a  tollerare  nella  rassegnazione  di  perpetuo  le- 
targo il  vitupero  dell'occupazione  straniera  che  ci  contende 
Roma.  Chiudo  con  questo  nome,  che  ispirava  il  vaticinio  del 
nostro  adorato  Giovannino  anche  nell'ultima  ora  della  sua 
agonia;  e  vi  abbraccio  con  tutta  V  anima. 

e 

.    ,     RIPRESA. 

pag.  447,  V.  15.  Su  questo  verso  il  sig.  Luigi  Etienne  in  una 
recensione  delle  mie  poesie  pubblicata  nella  Revue  des  Deux 
mondeSf  t.  iii  del  1874,  osservava:  "  On  sourit  quand'  on  voit 
Camille  Desmoulins  devenu  Demulèn.  „  Sorridere?  e  perché? 
il  nome  Desmoulins  si  pronunzia  sf  o  no  Demulèn?  Ora,  come 
questo  nome  mi  cadde  in  fine  d*un  verso  e  questo  verso  esi- 
geva  la  rima  e  come  non  tutti  gli  italiani  sono  obbligati  a  sapere 
la  pronunzia  dei  francesi,  cosi  io  scrìssi  il  nome  del  tribuno  se- 
condo lo  dicono  e  non  secondo  lo  scrivono  i  francesi,  per  evi- 
tare il  caso  che  qualcuno  de'  miei  nazionali  cercasse  invano 
la  consonanza  fra  Desmoulins  e  sen.  Noi  italiani  del  resto 
leggiamo  i  nomi  del  Petrarca  del  Machiavelli  e  del  Guicciar- 
dini divenuti  nella  prosa  francese  Pétrarque,  Machiavel,  Gui^ 
Chardin,  e  non  sorridiamo.  Non  sorridiamo  né  meno  quando 
avvenendoci  nei  versi  d' un  grande  poeta  al  nome  dell'  Ali- 
ghieri fatto  rimare  con  flétri,  ci  tocca  a  leggerlo  Alighieri  con 
tanto  di  accento  acuto  che  pare  un  chicchirichì: 

Ràler  l' aieul  flétri, 
La  fille  aux  yeux  hagards  de  ses  cheveux  vètue 
Et  r  enfant  spectre  au  sein  de  la  mère  statue  ! 

O  Dante  Alighieri! 

V.  Hugo,  Chàtiments,  I,  ix. 


508  GIAMBI  ED  EPODI 


Ancora:  il  sig.  Etienne  mi  appone  di  scambiare  le  Parc-aux- 
Cerfs  pour  un  pare  et  V  OeU-de-boeuf  pour  la  ferUtre  (fm 
boudoir  de  Louis  XV,  Nella  poesia  intitolata  Versaglia  io  ri- 
cordo e  il  Parc-aux-Cerfs  e  T  Oeil-de-boeuf,  ma  li  ricordo 
proprio  per  quello  che  sono,  e  non  riesco  a  capire  come  e  da 
quali  delle  mie  parole  abbia  il  sig.  Etienne  potuto  indovinare 
quel  cambio.  Ma  queste  son  piccolezze;  ed  io,  tutto  che  il  sig. 
Etienne  sia  un  po'  di  cattivo  umore  con  me  e  con  le  mie  idee 
politiche  e  mi  rifaccia  la  vita  a  modo  suo  con  qualche  smorfia 
di  compassione  e  di  protezione,  debbo  sapergli  grado  delP  aver 
tradotto  con  tanta  fedeltà  e  grazia  alcuni  de'  miei  versi  che  gli 
piacque  inserire  nel  suo  saggio. 

LIBRO  SECONDO. 

XX)  pp.  467,  w.  n-18.  Alludo  ai  vestigi  di  doratore  che 
si  scorgono  ancora  nella  statua  di  Marco  Aurelio,  e  non  alPoro 
monetato  di  Pio  ix  che  potesse  esser  rimasto  nelle  tasche 
de'  sudditi  suoi.  Ai  quali  la  liberazione  di  Roma,  qualunque  si 
fosse,  non  costò,  tutt'  insieme,  di  molto  :  e,  fosse  costata  anche 
più,  non  sarebbe  mai  stata  cara. 

XXII)  pag.  472,  5-7.  Néiìt  Piacevoli  e  ridicoiose  semplicità 
di  Bertoldino  figliuolo  del  già  astuto  e  accorto  Bertoldo 
composte  da  Giulio  Cesare  Croce  (Venezia,  Usci,  1636)  si 
legge  come  un  giorno  **  Bertoldino  torna  a  casa  e  vede  l' oca 
che  sta  in  un  cesto  grande  a  covare  V  ova,  e  la  fece  levar  su, 
«  esso  entrò  nel  detto  cesto  in  atto  di  covare,  et  alla  prima 
ruppe  tutte  1'  ova  con  il  podice,  et  erano  ormai  per  nascere 
i  pavarini  „  con  quel  che  seguita.  Ecco  perché  possono  rite- 
nersi per  fratelli  delle  oche  cosi  Bertoldino  come  certi  poeti 
i  quali  sonosi  messi  a  covar  I'  ova  della  poesia  popolare  con 
effetti  non  diversi  a  quelli  della  covatura  bertoldiniana.  Del 
resto  Bertoldo  e  Bertoldino  sono  due  produzioni  importantis- 
sime della  vera  letteratura  popolare  d' Italia,  e  delle  pochis- 
sime indigene.  Le  raccomando  a'  poeti  e  a'  filologi  novelli 


GIAMBI  ED  EPODI  509 


pag.  463,  V.  20.  Questo  verso  mi  attirò  dal  Fcmfulla  (3  gen- 
naio 1813)  una  specie  di  recensione  di  eerto  mio  scrìtto  sul 
Centenario  di  L.  A.  Muratori  nella  quale  mi  erano,  fra  le  altre, 
attribuiti  de' versi  su  Vittore  Hugo  che  io  non  ho  mai  scrìtti. 

Aggiunta  alla  seconda  edisione,  "  Del  resto  Fanfulla  ti 
^  citò  [quei  versi  su  V.  H.]  a  dimostrare  ohe  in  altri  tempi 
**  il  Carducci  era  stato  fieramente  avverso  a  Vittore  Hugo,  da 
^  lui  oggi  lodato  e  talora  imitato.  Se  questo  non  si  dimostra 
**  co*  soletti  apocrifi,  si  dimostra  con  altri  scritti  innumerevoli 
^  del  Carducci,  e  mi  basta.  „  Cosi  il  Fanfulla,  rispondendo 
nel  suo  num.  del  28  settembre  1873  alla  noticina  di  sopra. 
Ecco:  o  che  farebbe  il  Fanfulla,  se  io  lo  invitassi  a  citare 
quegli  innumerevoli  scritti? 

pag.  474,  V.  19.  Avverto  che  questo  è  un  verso  fatto  alla 
foggia  di  quel  del  Foscolo  Antichissime  ombre  e  brancolando 
e  di  altri  italiani  e  latini.  Io  non  amo  per  niente  il  verismo 
dei  versi  che  non  tornano. 

XXV)  Vedi  Confessioni  e  Battaglie  [Opere  di  G.  Car- 
ducci voi.  IV],  Bologna,  Zanichelli,  1890,  pag.  246  e  segg. 

XXVIII)  Questi  versi  furono  composti  su  la  fine  dell'otto- 
bre 1874,  quando  pareva  imminente  in  Francia  la  restaurazione 
della  monarchia  tradizionale  nella  persona  di  Enrico  Carlo 
Ferdinando  d' Artois  conte  di  Chambord  salutato  da*  suoi  En- 
rico v.  La  nascita  del  "  figlio  del  miracolo  „  fu  cantata  da 
due  grandi  poeti,  Alfonso  di  Lamartine  e  Vittore  Hugo.  Né 
volli  certo  oltraggiarne  la  fine  io,  poeta  "  minorum  gentium  „. 
La  visione  feroce  e  grottesca  della  impossibilità  d'  una  restau- 
razione borbonica  mi  venne  dalle  condizioni  e  circostanze  po- 
litiche della  Francia.  Del  resto  io  ho  sempre  creduto  che  il 
conte  dì  Chambord  sostenne  con  dignità  1'  esilio,  e  ammirai 
l' animo  veramente  nobile  dell'  uomo  nel  rifiuto  di  sacrificare 
air  ambizione  di  essere  re  vano  lui  la  bandiera  per  la  quale  e 


510.  GI^BI  ED  EPODI 


concia  quf^efurxMiQ  re  da  vero  gli  avi  suoi:  miracolo  certo, 
pi4^9he  (lueUo  ;on(|)^.egli  nacque,,  tra  i  giocatori  o  meglio  i 
baqdi  trpn^cl^^  insano  in  questo  secolo.  Suo  padre,  come  tutti 
saqn9|,fu-fentQ, di. piagnale  la  sera  del  13  febbraio  1820  meo- 
tre  scendeva  in  carrozza  per  andare  air  Opera,  e  morì  la  mat- 
tina di  poi  in  wl  palèofidel  teatro.  Il  visc.  di  Chateaubriand 
nei  JMémàwis  sur  ìk  vie  et.  la  mori  de  S,  A.  R,  le  tùie  de 
Betì^  aerì^ty  ìàfe,  li  eh.  v:"  Lorsque  le  fìls  de  France  blessé 
avtttt  ite  porte  dans  le  cabinet  de  sa  loge,  le  spectacle  dnroit 
entiE>r£.  D*  un  eM  on  entendoit  les  sons  de  la  musique,  de 
Taaitre.iks^^  sòupira  dtt.prinée  expirant;  un  rideau  séparoit  les 
foIiftST'da  monde '4e  la  destriiction  d'un  empire.  Le  prètre  qui 
apporta  les  saàites  hniles  traversa  une  foule  de  masques.  , 

XXIX)  Ai  dibattimenti  delle  Assise  tenuti  in  Roma  per 
r  assassinio  del  capitano  Q.  Fadda,  commesso  da  un  cavalle- 
rizzo CàrcUtiali,  istigante  e  complice  la  Raffaella  Saraceni  mo- 
glie -del  ^capitano  e  amante  del  cavallerizzo,  dal  20  settembre 
al  21  ottobre  1819  assisteva  tra  la  folla  immensa  un  numero 
grandissimo  di  signore  e  signorine  della  migliore  società,  come 
si  dice,  romana. 

XXX)  Fu  pensato  in  Perugia  nella  piazza  ove  già  sorgeva 
la  Ròcca  Paolina,  distrutta  dal  popolo  nel  settembre  del  1860. 


INTERMEZZO 


v^uc 


^uore,  a  che  uccelli  ne'  miei  versi,  come 
Quella  sgualdrina  vecchia 
Là  su  r  uscio,  che  al  vento  dà  le  chiome 
Grige  e  al  rumor  l'orecchia? 


Per  questa  sera  il  lume  in  van  risplende 
Da  la  finestra  bassa: 

Vecchia,  rientra,  e  tira  pur  le  tende, 
Che  nessun  merlo  passa. 


Ma  tu  ancor  non  sei  stanco,  o  mio  cuor 
O  vecchio  cuore  umano, 

Di  civettar  guardandoti  a  lo  specchio 
Falso  del  verso  vano? 
Carducci,  * 


514  INTERMEZZO' 

È  uh  bel  pezzo,  sai  tu?,  dal  cieco  Omero, 
Che  tu  se'  il  caro  cuore, 

Ed  è  un  bel  pezzo  pur  che  fai  '1  mestiero...., 
Via...,  di  lusingatore, 

E  anche  di  metafora,  matura 

Per  fin  ne' versi  miei! 
Di  che  cuor,  se  non  fossi  una  figura. 

Cuore,  io  ti  strozzerei  ! 

Ma,  già  che  un  tropo  sei,  come  la  cetra 

La  lira  o  il  colascione 
Su  cui  si  può  mandar  Fillide  a  1'  etra 

O  la  riparazione y 

E  già  che  la  metafora,  regina 

Di  nascita  e  conquista, 
È  la  so}a  gentil,  salda,  divina 

Verità  che  sussista. 

Io  ti  vo' ballottar  dentro  un  rovescio 
Di  strofe  belle  e  brutte. 

Che  vadano  a  diritto  ed  a  sghimbescio, 
Metaforiche  tutte. 

Tutte  senza  oriente  e  tramontana. 

Senza  capo  né  coda. 
Tanto  che  la  sinistra  italiana 

Al  paragon  ne  goda. 


INTERMEZZO  515 


E  tutte  senza  fine  e  senza  scopo, 

Come  il  mio  tedio  e  il  mio 

Dispetto  che  cominciano  da  un  tropo 
Per  naufragare  in  Dio. 


2. 


O  numi,  o  eroi,  che  belli  e  fieri  un  giorno 

Vi  rompevate  il  grugno 
L' un  l'altro  Io  tori,  e  voi  tra  corno  e  corno 

Abbattuti  d'un  pugno! 

O  terga  rosolate  e  fumiganti 

Lungo  il  divino  Egeo! 
Oggi  noi  siamo  a  dieta,  e  sempre  avanti. 

Ci  dan  questo  cibreo: 

Questo  cibreo  del  cuore,  in  verso  e  in  prosa, 

Co  '1  solito  guazzetto 
Di  quella  sua  secrezion  muccosa 

Che  si  chiama  T  affetto. 

Un  di,  quando  Parigi  urlò  protervo 

Ne  la  reggia  soletta 
Come  ansante  canea  che,  preso  il  cervo, 

I  visceri  ne  aspetta. 


n 


ì- 


516  INTERMEZZO 


Un  buon  beccaio  rosso  ed  aitante 
;:.  U entragno  d'un  vitello 
Infilò  s'una  picca;  e  gocciolante. 
Con  tanto  di  cartello 

Ove  "  Cuor  d' aristocrate  „  in  grandioso 
Caratter  nero  scrisse, 

Se  lo  portava  intorno  glorioso, 
Con  le  pupille  fisse. 

Io,  se  potessi  vincer  la  molestia 

Del  grasso  e  de  lo  schifo. 

Vorrei  pigliare  il  cuor  di  quella  bestia 
Che  ha  lungo  e  nero  il  grifo 

E  si  distende  seria  nel  pantano 

Con  estetica  molta 
Come  fosse  un  poeta  italiano 

Entro  una  stanza  sciolta: 

Su  '1  lauro  che  più  lieto  i  rami  spanda 

Al  dolce  italo  sole 
Affigger  lo  vorrei,  tra  una  ghirlanda 

Di  rose  e  di  viole, 

Con  la  penna  d' acciaio  d'  un  cantore 

Da  la  fronte  ideale. 
Venite,  o  buona  gente:  al  cuore,  al  cuore. 

Che  al  meno  è  di  maiale! 


INTERMEZZO  517 


3. 

Quanto  a  me,  cuore  mio,  batti  pur  su, 
Ch'  io  ti  do  poca  retta. 

Ebbi  una  volta  un  pendolo  a  cucù    . 
Dentro  la  sua  cassetta; 

E  lo  tenevo  in  camera;  ma,  quando 
Mi  rompeva  insolente 

I  sonni  giovanili,  io  bestemmiando 
Molto  liricamente 

Scaraventavo  al  vigile  scortese 

Due  classici  latini, 
Seneca  e  Fedro,  ristampa  olandese 

De  gli  in  usum  DelphinL 

Strideva  come  protestando,  e  poi 

Il  pendolo  taceva: 
Io,  ripigliato  sonno,  ancora  voi, 

Miei  colli,  rivedeva, 

Miei  dolci  colli,  ove  tra'  lauri  move 
L' arte  serena  V  orme, 

Ove  Lionardo  vide  il  sole  ed  ove 
Il  mio  fratello  dorme. 


518  INTERMEZZO 

Dorme  anzi  sera,  e  dorme  a  lungo  e  solo: 

Aulisce  il  biancospino 
Intorno  al  cimitero,  e  ferma  il  volo 

Cantando  un  cardellino. 

Ma  poi  svegliati,  o  confidente  cuore, 

Lavoravam  di  buono. 
Ed  al  cùcó  pe  '1  fluttuar  de  Tore 

Rassettavamo  il  suono. 

Questa  è,  vecchio  mio  cuor,  la  vecchia  storia, 

Far,  disfare,  rifare: 
Per  r  ozio,  per  la  fame  o  per  la  gloria, 

È  tutto  un  lavorare. 

È  un  lavorare  faticoso  e  pazzo 

Da  pentirsene  un  giorno. 

Ecco,  a  metterti  in  versi  io  mi  strapazzo, 
E  non  m'importa  un  corno 

De  le  tue  smorfie,  o  a  la  grand' arte  pura 

Vii  muscolo  nocivo; 
Ma  non  so  a  quanti  versi  do  la  stura, 

E  vedrò  dove  arrivo. 


INTERMEZZO  51Q 


4. 


E  canterò  di  voi,  gente  finita 

Dal  pathos  ideale. 
Che  riduceste  a  clinica  la  vita 

E  il  mondo  a  un  ospitale. 

S'alza  il  poeta  a  mezzodì,  sbadiglia, 

—  Buon  giorno,  o  cor  mio  lasso  —, 

Se  lo  sdigiuna  bene  e  se  lo  striglia, 
E  se  Io  mena  a  spasso. 

Dice  al  sole  e  a  gli  uccelli,  a  l'erbe  e  a' fiori 

Che  trova  su  M  sentiero: 
—  Mirate,  o  creature,  il  re  de' cuori. 

Il  mio  cuore,  il  cuor  vero. 

Egli  è  tenero  e  duro,  e  dolce  e  forte, 

Ariete  ed  agnello: 
Come  tortore  tuba,  e  rugge  a  morte 

Peggio  d'  un  lioncello. 

Vero  è,  santa  natura,  che  il  mio  cuore 

È  un  po'  delicatuzzo: 
Ma  io  lo  tiro  su,  povero  amore, 

A  olio  di  merluzzo; 


520  INTERMEZZO 

A  olio  di  merluzzo,  temperato 

Con  l'essenze  odorose 

Che  mi  mandan  la  sera  co  M  bucato 
Le  vergini  e  le  spose; 

Le  vergini  e  le  spose  del  giocondo 

Italico  giardino: 
Però  ch'io  sono,  e  lo  sa  tutto  il  mondo, 

Un  poeta  divino  — . 

Sbottonato  cosi,  scuote  le  chiome, 
Guarda  i  fiori  e  la  mèsse 

E  gli  alberi  e  gli  uccelli  e  il  cielo,  come 
S'egli  li  proteggesse. 

Due  rospi  intanto  a  l'orlo  de  la  strada 

Benefici  e  modesti 
Seguitan  liberando  là  contrada 

Da  gì'  insetti  molfesti. 

L' un  dice  —  Ne  l' età  che  molte  e  lente 
Ci  passar  su  '1  groppone 

Vedestii  mai,  fratel  mio  paziente. 

Un  tal  fior  di  cialtrone?  — 


INTERMEZZO  S2I 


5. 


Il  poeta  barcolla  e  ha  il  capo  grosso: 

L'  ulcere  del  suo  core 
Ei  mette  in  mostra,  come  un  nastro  rosso 

De  la  legion  d' onore. 

—  Quest'ulcera  è  al  suo  punto  —  ei  dice,  e  questa 

Mi  dee  nobilitare. 
V  asinità  de  la  vii  gente  onesta 

Si  sgroppi  a  lavorare. 

Noi  angeletti  deliberi  amori, 

Noi  liriche  farfalle 
Create  a  svolazzar  su' cavolfiori 

E  lambirne  le  palle, 

Oggi  al  secol  del  ferro  e  del  carbone 

Mutati  in  calabroni 
Con  r  assenzio  facciam  la  reazione, 

E  sputiamo  i  polmoni. 

Cosi,  feriti  al  cuor,  figli  de  V  arte. 

Siamo  privilegiati  : 
Dal  facchinaggio  uman  stiamo  in  disparte 

Noi,  sublimi  ammalati. 


522  INTERMEZZO 

Nostro  lavoro  è  di  portare  in  petto 

La  questTon  sociale. 
O  contemplazTon  del  lazzaretto! 

Datemi  un  serviziale.... 

Un  serviziale  rosso.  Il  contadino 

Bea  ne  la  maledetta 
Risaia  l'acqua  marcia:  io  bevo  il  vino 

Per  far  la  sua  vendetta. 

Canti  sol  chi  la  voce  ha  cavernosa, 

E  pèste  a  la  salute  ! 
Fiutate  qua,  canaglia  vigorosa, 

Quesf  ulcera  che  pute  !  — 

Cosi  urla,  al  mattin  scialbo,  su  M  canto 

D'una  sudicia  via; 
E  tosse  e  rece  fuor  del  petto  affranto 

Vino,  tabe,  elegia; 

E  l'asino,  che  vien,  de  l'ortolano 

Lo  fiuta  con  dimesso 
L' orecchio,  e  pensa  —  O  idealismo  umano, 

Affogati  in  un  cesso.  — 


INTERMEZZO  523 


6. 


Io,  per  me,  no,  non  sono  un  organetto 
Che  suoni  a  ogni  portone 

De  i  soliti  ragazzi  nel  conspetto 
La  solita  canzone. 

Quando  1* idea  ne  l^ajiima  joyejite— - 

Si  fonde  con  V  amore, 
Divien  fantasmaj^_e_aM:egm 

Vola  fendendo  il  core; 

E  la  ferita  stride  aperta  al  vento 

Geme  cruenta  al  sole: 
Io  non  vi  gitto  le  filacce  drento 

Di  rime  e  di  parole. 

E  vommene  co  '1  mio  cuor  cosi  fesso 

Per  questo  viavai; 
E  il  mio  canto  miglior  sempre  è  quel  desso, 

Quel  che  non  feci  mai. 

Questo  cor,  questa  piaga  e  la  filaccia 
Vuol  dir,  lettor  mio  buono, 

Che  di  tropi  barocchi  anch'  io  vo  a  caccia 
E  che  un  poltrone  io  sono. 


524  INTERMEZZO 

Il  primo  è  da  gaglioffi,  ma  il  secondo 
Un  buon  mesti  er  mi  pare. 

Io  non  pretendo  illuminare  il  mondo, 
Né  il  buffon  gli  vo'fare. 

Or,  r  una  cosa  o  V  altra  si  propone 

Chi  scrive  al  tempo  nostro. 

Faccia  chi  vuol  l'apostolo  o  il  buffone; 
Costa  poco  r  inchiostro, 

E  la  parola  meno,  e  Tonor  nulla, 
E  la  menzogna  è  iì  vero, 

E  tutto  è  falso.  Oh  via,  che  mai  mi  frulla 
Adesso  nel  pensiero? 

Io  sento  in  me*  qualcosa  di  Nerone, 
Ma  più  puro  e  giocondo: 

Non  sangue  o  teste,  io  voglio,  in  conclusione, 
Vo'  schiaffeggiare  il  mondo. 

Detto  fatto,  Ogni  strofe,  alta,  animosa, 
Vola  via  senza  guanti  ; 

Ogni  strofe  è  uno  schiaffo  a  qualche  cosa: 
Avanti,  avanti,  avanti. 


INTERMEZZO  525 


7. 


Potessi  pianger  sur  un  campanile 

Come  il  mio  dolce  Edmondo 

Si  che  scendesse  il  pianto  mio,  gentile 
Battesimo,  su  '1  mondo! 

Arido  mondo,  che  non  crede  a  nulla, 
Né  meno  a  le  guanciate  ! 

Per  disperazìon  •  fino  Fanfulla 
Mi  s'è  rifatto  frate. 

Fra'  cavalier  gerosolimitano. 

Monta  Bucifalasso, 
E  contro  ogni  baron  poco  cristiano 

Tiene,  sfidando,  il  passo. 

Pe  '1  medio  evo  il  passo  ei  tiene,  al  ponte 

De  r  asino:  cimiero. 
Due  belli  orecchi  d'  asino  la  fronte 

Ombrano  al  cavaliero. 

Vóto  di  penitenza  ond'  ei  racquista 

La  salita  al  Calvario  : 
Però  che  un  tempo  ei  fu  razionalista 

E  rivoluzionario. 


526  INTERMEZZO 

Or  ne  lo  scudo  porta  iscritto  —  Dio, 
Il  re,  la  donna  mia  — 

Non  senza  qualche  medievale  e  pio 
Error  di  ortografia. 

Ahi  fra'Fanfullal  non  son  più  quegli  anni, 

Sfiori  la  primavera: 
Non  cantan  più  cuculi,  i  barbagianni 

Guardan  la  tua  bandiera. 

Non  più  la  gente  cerca  in  Dio  conforto, 
O  del  diavol  si  accora: 

Ahi,  Pantalon  de*  Bisognosi  è  morto. 
Ed  Arlecchino  ancora. 

I  preti  han  guasta  la  Vergin  divina 
Per  fin  dentro  le  chiese: 

Paol  Fefrari  diede  a  Colombina, 

Pur  troppo,  il  mal  francese. 

Quanto  al  re  --  frate  mio,  vi  vengo  schietto  • 
Questa  è  V  età  de  V  oro  ; 

Quanto  al  re,  V  hanno  dato  a  Benedetto 
E  si  ammiran  tra  loro. 


ì 


INTERMEZZO  527 


8. 

Va',  ditirambo  mio  triste  e  giocondo,     / 

Vola  dove  ti  frulla. 
Nulla  tu  cerchi  per  V  immenso  mondo, 

E  non  ci  trovi  nulla. 

Nuova  terra  altri  chieda  o  nuovo  polo 
E  lontani  orizzonti  : 

Sol  eh'  io  potessi  riposare  il  volo 
Su' miei  paterni  monti! 

Al  sol  che  tra  le  selve  snelle  mira 
Co  '1  tremolar  de*  raggi, 

Nel  suol  molle  di  musco  che  respira 
Desii  di  fior  selvaggi, 

Giacciono  i  sogni  miei,  fanciulli  stanchi 
Che  s' addormir  piangenti  : 

Cantan  tra  verdi  faggi  e  marmi  bianchi 
I  ruscelli  e  i  torrenti. 

Per  queir  angol  di  terra,  ecco  io  darei 

Quale  più  benedetto 
Lembo  di  celo  occorra  a*  versi  miei 

Quando  faccio  un  sonetto; 


I 


52S  INTERMEZZO. 

E  ci  fare'  un  sonnetto.  A  1*  ombra  amica 

De  le  memori  piante 
Mi  cullerebbe  ne  la  strofe  antica 

La  rima  miagolante. 

0  gravi  rime  sbadiglianti  in  are^ 
O  tenui  rime  in  io, 

Dite  voi  come  è  dolce  riposare 
Su  M  terreno  natio. 

1  patrii  sassi  vi  pungon  le  schiene 
Con  accoglienza  onesta, 

Ed  i  mosconi  de  le  patrie  arene 
Vi  fan  dintorno  festa. 

Za,  Zu,  cari  mosconi.  Come  stanno 
Le  vespe  e  i  calabroni? 

Ci  fùr  di  molte  vipere  quest'  anno 
Giù  pe' patrii  burroni'? 

E  gli  amici?  e  i  parenti?  Oh  nuove  gioie! 

Oh  quanti  fidi  cuori! 
Oh  bel  portare  a  spasso  le  sue  noie 

Tra  cotanti  sudori! 


INTERMEZZO  ^S9 


9. 


Nor?  contro  te  suoni  maligno  il  verso. 
Terra  a  cui  non  risposi 

Amor  già  mai,  cui  sol  vidi  traverso 
I  sogni  lacrimosi 

De  r  infanzia.  O  sedente  al  tirren  lido, 
Poggiata  il  fianco  a  i  monti, 

A  dio,  Versilia  mia,  ligure  lido 
Di  longobardi  conti! 

Se  da  le  donne  tue  maschia  dolcezza 
Tenne  il  mio  tòsco  accento, 

Io  non  voglio  i  tuoi  marmi,  o  Serravezza, 
Per  il  mio  monumento 

Pe'l  monumento  che  vo' farmi  vivo. 
Lungi  da  la  mia  culla 

Cerco  altri  marmi  mentre  penso  e  scrivo. 
Che  non  costano  nulla. 

Altrui  le  glorie.  O  diamante  bianco 
Entro  gli  azzurri  egei. 

Paro  gentil  dal  cui  marpesio  fianco 
Uscian  d'  Elias  gli  dèi, 

Carducci.  34 


INTERMEZZO 

Tu,  che  tra  Nasso  ove  Arianna  giacque 
In  seno  al  bello  iddio, 

E  Delo  errante  dove  Febo  nacque 
Nume  de' greci  e  mio, 

Archiloco  vedesti  a  i  giambi  ardenti 

Sciòr  fra  i  tuoi  nembi  il  freno 

E  de' tristi  alcioni  in  fra  i  lamenti 
Ir  r  elegia  d'  Eveno, 

A  mecf  Italia  Archiloco  omaì  lasbo 

Ed  Eveno  migliore 
Dona,  Paro  gentil,  tanto  dì  sasso 

Ch'  io  v'  intombi  il  mio  cuore. 

Questo  cuore  che  amor  mai  non  richiese 
Se  non  forse  a  le  idee 

E  che  ferito  tra  le  sue  contese 
Ora  morir  si  dee, 

Vo' sotterrarlo,  e  mi  fia  dolce  pena 
Ne  l'opra  affaticarmi: 

O  Paro,  0  Grecia,  antichità  serena, 
Datemi  i  marmi  e  i  carmi. 


INTERMEZZO  531 


10. 

Paro  in  fulgidezza  bianca 

Splendenti  a  la  marina, 
alce  de  la  luna  stanca 

Nel  ciel  de  la  mattina; 

Lesbo  sussurranti  al  vento 

Su  molte  isole  intorno, 
pollo  il  grande  arco  d'argento 

Nel  ciel  di  mezzogiorno; 

il  mio  cuore  irrigidito 

Da  i  cristiani  tufi, 
3  il  mio  cuore  istupidito 
Da  i  romantici  gufi. 

'1  morto  ed  ultima  s' intoni 

La  canzone  di  doglia, 
rodi  Barbare  depojii. 
Musa,  la  fredda  spoglia. 

o,  ahi  Lino!  è  il  mio  cuor  trapassato, 

Come  te,  ne  l'estate: 
e  a  la  vendemmia:  Than  sbranato 

Molte  cagne  arrabbiate. 


532  INTERMEZZO 

ló  Peàn,  io  Peàn  !  ma  e'  rivive 

Di  morte  oltre  i  confini 

Sott' altro  cielo  e  in  più  benigne  rive: 
Taccian  tutti  gli  Elini.  — 

Sepolto  or  giace  in  cotest'  urna  paria 
S*un  travertin  del  Lazio: 

Nel  bianco  un'orma  di  parlfetaria 
Segna  V  antico  strazio. 

Intorno  al  fregio  Tederà  seguace 

Co  '1  verde  che  non  muore 

Par  che  nel  fredda  ^  la  ^auova  pace 
Ombri  V  antico  ardore. 

Tra  *ì  sasso  e  V  urna  una  lucertoletta 
Esce  e  s' af  fige  al  sole  : 

È  la  mia  vecchia  gioventù  soletta 

Che  sogna  e  non  si  duole. 

Ma  dietro^  in  fondo,  un  bel  teschio  di  morto 
Ride  il  suo  riso  eterno: 

A  quei  che  veiigon  per  recar  conforto 
Ride  T  ultimo  scherno. 


Iniermetgo  o  Intermedh  dicevano  ì  cinquecentisti  italiani 
un  breve  divertiinenta  dì  canzonette  e  balletti  figurati,  dato 
tra  r  uno  atto  e  l' altro  delle  rappresentazioni  drammatiche;  e 
intermetto  metaforicamente  chiamai  io  questa  serie  di  rìine 
che  doveva  nel  mio  pensiero  segnare  il  passaggio  dai  Giambi 
ed  Epodi  alle  Rime  nuove  e  alle  Odi  Barbare.  Per  ciò  che  è 
cantato  nel  capitolo  2,  professori  e  abati,  verseggiatori  man- 
zoniani e  spie  libelliste,  signore  letterate  e  cocolìes  devote, 
mi  vituperarono  poeta  del  maiale;  la  calunnia,  al  solito,  fu 
stupida,  e  non  e'  è  altro  cbe  da  commiserare  la  grossolanità 
della  incultura  letteraria,  cotennosa  in  Italia  anche  nelle  classi 
strigliate.  È  superfluo  notare  che  le  strofi  4  e  5  del  capitolo  10 
alludono  ai  canti  di  tristezza  (A'  >ivo!,  elini)  e  di  allegrezza 
111!  Ilaià»,  peani)  del  popolo  greco,  deploratorii  quelli  della 
morte  d'  un  simbolico  giovinetto  Lino,  celebrativi  questi  della 
cfRcacia  gioiosa  di  Apollo;  cfr.  Ott  Mllller,  Storia  della  letter. 
greca,  cap.  m. 


RIME  NUOVE 

1861-1887 


RIME  NUOVE 

1861-1887 


J\vt 


i-ve,  o  rima!  Con  bell'arte 

Su  le  carte 

Te  persegue  il  trovadore; 

Ma  tu  brilli,  tu  scintilli, 

Tu  zampilli, 

Su  del  popolo  dal  cuore. 


0  scoccata  tra  due  baci 

Ne  i  rapaci 

Volgimenti  de  la  danza, 

Come  accordi  ne'  due  giri 

Due  sospiri, 

Di  memoria  e  di  speranza! 


540  RIME  NUOVE 

Come  lieta  risonasti 

Su  da  i  vasti 

Petti  al  vespero  sereno, 

Quando  il  pie  de' mietitori 

In  tre  cori 

Con' tre  note  urtò  il  terreno! 


Come  orribile  su' vènti 

De'  vincenti 

Tu  ruggisti  le  virtudi, 

Mentre  l' aste  sanguinose 

Fragorose 

Percoteano  i  ferrei  scudi! 


Sgretolar  sott'esso  il  brando 

Di  Rolando 

Tu  sentisti  Roncisvalle, 

E  soffiando  nel  gran  corno  . 

Notte  e  giorno 

Del  gran  nome  empi  la  valle. 

Poi  t'afferri  a  la  criniera 

Irta  e  nera 

Di  Babieca  che  galoppa, 

E  del  Cid  tra  i  gonfaloni 

Balda  intoni     ^ 

La  romanza  in  su  la  groppa. 


RIME  NUOVE  541 


Poi  del  Rodano  a  la  bella 

Onda  snella 

Dai  la  chioma  polverosa, 

E  disfidi  i  rusignoli 

Dolci  e  soli 

Ne  i  verzieri  di  Tolosa. 


Ecco,  in  poppa  del  battello 

Di  Rudello 

Tu  d'amor  la  vela  hai  messa, 

Ed  il  bacio  del  morente 

Rechi  ardente 

Su  le  labbra  a  la  contessa. 


Torna,  torna:  ad  altri  liti 

Altri  inviti 

Ti  fa  Dante  austero  e  pio; 

Ei  con  te  scende  a  T  inferno 

E  r  eterno 

Monte  gira  e  vola  a  Dio. 

Ave,  0  bella  imperatrice, 

O  felice 

Del  latin  metro  reina! 

Un  ribelle  ti  saluta 

Combattuta, 

E  a  te  libero  s' inchina. 


1 


542  RIME  NUOVE 

Cura  e  onor  de'  padri  miei, 

Tu  mi  sei 

Come  lor  sacra  e  diletta. 

Ave,  o  rima:  e  dammi  un  fiore 

Per  r  amore, 

E  per  rodio  una  saetta. 

L 


IL 


II.   '- 

AL  SONETTO 


B„ 


Jreve  e  amplissimo  carme,  o  lievemente 
Co'l  pensier  volto  a  mondi  altri  migliori 
L'  Alighier  ti  profili  o  te  co'  fiori 
Colga  il  Petrarca  lungo  un  rio  corrente; 

Te  pur  vestia  de  gli  epici  splendori 
Prigion  Torquato,  e  in  aspre  note  e  lente 
Ti  scolpia  quella  man  che  si  potente 
Pugnò  co'  marmi  a  trarne  vita  fuori: 

A  r  Esctiil  poi,  ctie  su  1'  Avon  rinacque, 
Tu,  peregrin  con  l'arte  a  strania  arena. 
Fosti  d'arcan  dolori  arcan  richiamo; 

L' anglo  e 'I  lusiade  Maro  in  te  si  piacque: 
Ma  Bavio  che  i  gran  versi  urlando  sfrena, 
Bavio  t'odia,  o  sonetto;  ond' io  più  t'amo. 


546  RIME  NUOVE 


,         j 

I 

IL  SONETTO 


D 


'ante  il  mover  gli  die  del  cherubino 
E  d-aere  azzurro  e  d'or  lo  circonfuse: 
Petrarca  il  pianto  del  suo  cor,  divino 
Rio  che  pe'  versi  mormora,  gì'  infuse. 

La  mantuana  ambrosia  e  '1  venosino 
Miei  gV  impetrò  da  le  tiburti  muse 
Torquato,  e  come  strale  adamantino 
Contro  i  servi  e*  tiranni  Alfier  lo  schiuse. 

La  nota  Ugo  gli  die  de'rusignoli 
Sotto  i  ionii  cipressi,  e  de  1*  acanto 
Cinsel  fiorito  a' suoi  materni  soli. 

Sesto  io  no,  ma  postremo,  estasi  e  pianto 
E  profumo,  ira  ed  arte,  a'  miei  di  soli 
Memore  innovo  ed  a  i  sepolcri  canto. 


RIME  NUOVE.  547 


IV.    A 


OMERO 


I. 


N, 


on  più  riso  d'iddei  !a  nebulosa 
Cima  d'Olimpo  a  gli  occhi  umani  accende: 
Biancheggian  teschi  per  le  rupi  orrende, 
E  sopravi  la  nera  aquila  posa. 

Né  più  il  sacro  Scamandro  al  pfan  discende 

Per  le  segnate  vie:  dov'ei  riposa 

Sotto  il  capo  Sigeo  V  onda  obliosa, 

Di  otmane  torri  il  tuo  bel  mar  s*  offende. 

Pur  la  novella  etade,  o  veglio  acheo. 
Il  cenno  ancor  de  V  immortai  Cronide 
Stupisce  e  i  passi  de  TEnosigeo; 

E  trema,  o  vate,  allor  che  d' omicide 
Furie  raggiante  lungo  il  nero  Egeo 
Salta  su  M  carro  il  tuo  divin  Pelide. 


548  RIME  NUOVE 


V. 


OMERO 


II. 


E 


forse  da  i  selvaggi  Urali  a  valle 
Nova  ruinerà  barbara  plebe, 
Nova  d'armi  e  di  carri  e  di  cavalle 
Coprirà  un'onda  l'agenorea  Tebe, 

E  cadrà  Roma,  e  per  deserto  calle 
Bagnerà  il  Tebro  innominate  glebe. 
Ma  tu,  o  poeta,  si  com'  Ercol  dalle 
Pire  d'  Età  fumanti  al  seno  d' Ebe, 

Risorgerai  con  giovanili  tempre 
Pur  a  r  amplesso  de  l' eterna  idea 
Che  disvelata  rise  a  te  primiero. 

E,  s' Alpe  ed  Alo  pria  non  si  distempre, 
A  la  riva  latina  ed  a  V  achea 
Perenne  splenderà  co  '1  sole  Omero. 


RIME   NUOVE  549 


VI, 


OMERO 


HI. 


E 


-^ 


sempre  a  te  co  M  sole  e  la  feconda 
Primavera  io  ritorno  ed  a' tuoi  canti, 
Veglio  divin  le  cui  tempia  stellanti 
Lume  d' eterna  gioventù  circonda. 

Dimmi  le  grotte  di  Calipso  bionda, 
De  la  figlia  del  Sol  dimmi  gì*  incanti, 
Nausicaa  dimmi  e  de  '1  re  padre  i  manti 
Lietamente  lavati  a  la  bell'onda. 

Dimmi Ah  non  dir.  Di  giudici  cumei 

Fatta  è  la  terra  un  tribunale  immondo, 
E  vili  i  regi  e  brutti  son  gli  dèi: 

E  se  tu  ritornassi  a  '1  nostro  mondo, 
Novo  Glauco  per  te  non  troverei: 
Niun  ti  darebbe  un  soldo,  o  vagabondo. 


560  RIME  NUOVE 


VII. 


DI  NOTTE 


JL  ur  ne  T  ombra  de*  tuoi  lati  velami 
Gli  umani  tedi,  o  notte,  ed  i  miei  bassi 
Crucci  ravvolgi  e  sperdi  :  a  te  mi  chiami, 
E  con  te  sola  il  mio  cuor  solo  stassi. 

Di  quai  d' ozio  promesse  adempi  e  sbrami 
GÌ' irrequieti  miei  spiriti  lassi? 
E  qual  doni  potenza  a  i  pensier  grami 
Onde  a  reterno  o  al  nulla  errando  vassi? 

O  diva  notte,,  io  non  so  già  che  sia 
Questo  pensoso  e  presago  diletto 
Ove  Tire  e  i  dolor  l'anima  oblia: 

Ma  posa  io  trovo  in  te,  qual  pargoletto 
Che  singhiozza  e  s'addorme  de  la  pia 
Ava  abbrunata  su  T  antico  petto. 


RIME  NUOVE  561 


Vili. 


COLLOQUI  CON  GLI  ALBERI 


T, 


e  che  solinghe  balze  e  mesti  piani 
Ombri,  o  quercia  pensosa,  io  più  non  amo, 
Poi  che  cedesti  al  capo  de  gl'insani 
Eversor  di  cittadi  il  mite  ramo. 

Né  te,  lauro  infecondo,  ammiro  o  bramo, 
Che  ménti  e  insulti,  o  che  i  tuoi  Verdi  e  strani 
Orgogli  accampi  in  mezzo  al  verno  gramo 
O  in  fronte  a  calvi  imperador  romani. 

Amo  te,  vite,  che  tra  bruni  sassi 
Pampinea  ridi,  ed  a  me  pia  maturi 
Il  sapiente  de  la  vita  oblio. 

Ma  più  onoro  l'abete;  ei  fra  quattr'assi. 
Nitida  bara,  chiuda  al  fin  li  oscuri 
Del  mio  pensier  tumulti  e  il  van  desio. 


552  RIME  NUOVE 


IX. 

IL  BOVE    ^ 


Ty 
amo,  0  pio  bove;  e  mite  un  sentimento 
Di  vigore  e  di  pa.ce  al  cor  m*  infondi, 
O  che  solenne  come  un  monumento 
Tu  guardi  i  campi  liberi  e  fecondi, 

O  che  al  giogo  inchinandoti  contento 
L* agii  opra  de  Puom  grave  secondi: 
Eif  esorta  e  ti  punge,  e  tu  co'l  lento 
Giro  de'  pazienti  occhi  rispondi. 

Da  la  larga  narice  umida  e  nera 

Fuma  il  tuo  spirto,  e  come  un  inno  lieto 

Il  mugghio  nel  sereno  aer  si  perde; 

E  del  grave  occhio  glauco  entro  V  austera 
Dolcezza  si  rispecchia  ampio  e  quietò 
Il  divino  del  pian  silenzio  verde. 


RIME  NUOVE  553 


X. 


VIRGILIO 


C 


^ome,  quando  su'  campi  arsi  la  pia 
Luna  imminente  il  gelo  estivo  infonde, 
Mormora  al  bianco  lume  il  rio  tra  via 
Riscintillando  tra  le  brevi  sppnde; 

E  il  secreto  usignuolo  entro  le  fronde 
Empie  il  vasto  seren  di  melodia, 
Ascolta  il  vìatore  ed  a  le  bionde 
Chiome  che  amò  ripensa,  e  il  tempo  oblia; 

Ed  orba  madre,  che  doleasi  in  vano, 
Da  un  avel  gli  occhi  al  ciel  lucente  gira 
E  in  quel  diffuso  albor  l'animo  queta; 

Ridono  in  tanto  i  monti  e  il  mar  lontano. 
Tra  i  grandi  arbor  la  fresca  aura  sospira; 
Tale  il  tuo  verso  a  me,  divin  poeta. 


564  RIME  NUOVE 


XI. 


FUNERE  MERSIT  ACERBO 


O 


tu  che  dormì  là  su  la  fiorita 
Collina  tósca,  e  ti  sta  il  padre  a  canto; 
Non  hai  tra  l'erbe  del  sepolcro  udita 
Pur  ora  una  gentil  voce  di  pianto? 

È  il  fanciulletto  mio,  che  a  la  romita 
Tua  porta  batte:  ei  che  nel  grande  e  santo 
Nome  te  rinnovava,  anch'  ei  la  vita 
Fui^e,  o  fratel,  che  a  te  fu  amara  tanto. 

Ahi  noi  giocava  per  le  pinte  aiole, 

E  arriso  pur  di  visYon  leggiadre 

L' ombra  l' avvolse,  ed  a  le  fredde  e  sole 

Vostre  rive  lo  spinse.  Oh,  giù  ne  1'  adre 

Sedi  accoglilo  tu,  che  al  dolce  sole 

Ei  volge  il  capo  ed  a  chiamar  la  madre. 


RIME  NUOVE  555 


XII. 


NOTTE  D' INVERNO 


I 


nnanzi,  innanzi.  Per  te  foscheggianti 
Coste  la  neve  ugual  luce  e  si  stende, 
E  cede  e  stride  sotto  il  pie:  d'avanti 
Vapora  il  sospir  mio  che  V  aer  fende. 

Ogni  altro  tace.  Corre  tra  le  stanti 
Nubi  la  luna  sul  gran  bianco,  e  orrende 
L'ombre  disegna  di  quel  pin  che  tende 
Cruccioso  al  suolo  informe  i  rami  infranti, 

Come  pensier  di  morte  des'fosi. 
Cingimi,  o  bruma,  e  gela  de  l' interno 
Senso  i  frangenti  che  tempestan  forti; 

Ed  emerge  il  pensier  su  quei  marosi 
Naufrago,  ed  a '1  ciel  grida:  O  notte,  o  inverno, 
Che  fanno  giù  ne  le  lor  tombe  i  morti? 


566  RIME  NUOVE 


XIII. 


FIESOLE  T 


S 


u  l'arce  onde  mirò  Fiesole  al  basso, 
Dov'  or  s' infiora  la  città  di  Siila, 
Stagnar  livido  V  Arno,  a  lento  passo 
Richiama  i  francescani  un  suon  di  squilla. 

Su  le  mura,  dal  rotto  etrusco  sasso 
La  lucertola  figge  la  pupilla, 
E  un  bosco  di  cipressi  a  i  venti  lasso 
Ulula,  e  il  vespro  solitario  brilla. 

Ma  dal  clivo  lunato  a  la  pianura 
Il  campanil  domina  allegro,  come 
La  risorta  nel  mille  itala  gente. 

O  Mino,  e  nel  tuo  marmo  è  la  natura 
Che  de' fanciulli  a  le  ricciute  chiome 
Ride,  vergine  e  madre  eternamente. 


RIME  NUOVE  557 


XIV. 


SAN  GIORGIO  DI  DONATELLO 


Si 


4ede  novembre  su  le  vie  festanti 
Ove  il  maggio  s*  apri  de'  miei  pensieri, 
E  spettral  ne  la  nebbia  alza  i  giganti 
Templi  la  tua  città,  Dante  Alighieri. 

Meglio  cosi;  ch'io  non  mi  vegga  avanti 
Gli  academici  Lapi  e  i  Bindi  artieri: 

10  vo' vedere  il  cavalier  de' santi, 

11  santo  io  vo' veder  de' cavalieri/ 

Forza  di  gioventù  lieta  da'  marmi 
Fiorente,  eh'  ogni  loda  a  dietro  lassi 
D'achei  scalpelli  e  di  toscani  carmi. 

Degno,  San  Giorgio  (oh  con  quest'  occhi  lassi 
II  vedess'  io),  che  innanzi  a  te  ne  1'  armi 
Un  popolo  d'  eroi  vincente  passi. 


558  RIME  NUOVB 


XV. 


SANTA  MARIA  DEGLI  ANGELI 


y 


F 


rate  Francesco,  quaiuo  d'aere  abbraccia 
Questa  cupola  bella  denVignola 
Dove  incrociando  a  P  ^gonià^  le  braccia 
Nudo  giacesti  su  la  terra  sola  ! 

E  luglio  ferve  e  il  canto  d' amor  vola 
Nel  pian  laborioso.  Oh  che  una  traccia 
Diami  il  canto  umbro  de  la  tua  parola, 
L'umbro  cielo  mi  dia  de  la  tua  faccia! 

Su  l'orizzonte  del  montan  paese, 
Nel  mite  solitario  alto  splendore, 
Qual  dèi  tuo  paradiso  in  su  le  porte. 

Ti  vegga  io  dritto  con  le  braccia  tese 
Cantando  a  Dio  —  Laudato  sia,  signore. 
Per  nostra  corporal  sorella  morte! 


RIME  NUOVE  569 


XVI. 


DANTE 


n 


'ante,  onde  avvien  che  i  vóti  e  la  favella 
Levo  adorando  al  tuo  fier  simulacro, 
E  me  su  '1  verso  che  ti  fé'  già  macro 
Lascia  il  sol,  trova  ancor  T  alba  novella? 

Per  me  Lucia  non  prega  e  non  la  bella 
Matelda  appresta  il  salutar  lavacro, 
E  Beatrice  con  l'amante  sacro 
In  vano  sale  a  Dio  di  stella  in  stella. 

Odio  il  tuo  santo  impero;  e  la  corona 
Divelto  con  la  spada  avrei  di  testa 
Al  tuo  buon  Federico  in  vai  d' Olona. 

Son  chiesa  e  impero  una  mina  mesta 
Cui  sorvola  il  tuo  canto  e  al  ciel  risona  : 
Muor  Giove,  e  V  inno  del  poeta  resta. 


560  RIME  NUOVE 


XVII. 


GIUSTIZIA  DI  POETA 


D, 


'ante,  il  vicin  mio  grande,  allor  che  errava 
Pensoso  peregri  n  la  selva  fiera, 
Se  in  traditor  se  in  ladri  o  in  quale  altra  era 
Gente  di.  voglia  niquitosa  e  prava 

Dolce! ei  d'amor  cantando  s'incontrava, 
L'accesso  strai  de  la  pupilla  nera 
Tra  fibra  e  fibra  a  i  miseri  fiaccava; 
Poi  con  la  man,  con  quella  man  leggera 

Che  ne  la  vita  nova  angeli  pinse, 

Si  gli  abbrancava  e  gli  bollava  in  viso 

E  gli  gettava  ne  la  morta  gora. 

L' onta  de'  rei  che  secol  non  estinse 
Fuma  pe' cerchi  de  l'inferno  ancora; 
E  Dante  guarda,  su  dal  paradiso. 


RIME  NUOVE  561 


XVIII. 


COMMENTANDO  IL  PETRARCA 


M, 


esser  Francesco,  a  voi  per  pace  io  vegno 
E  a  la  vostra  gentile  amica  bionda: 
Terger  vo'  V  alma  irosa  e  '1  torvo  ingegno 
A  la  dolce  di  Sorga  e  lucid'  onda. 

Ecco:  un  elee  mi  porge  ombra  e  sostegno, 
E  seggo,  e  chiamo,  a  la  romita  sponda; 
E  voi  venite,  e  un  salutevol  segno 
Mi  fa  il  coro  gentil  che  vi  circonda. 

De  le  canzoni  vostre  è  il  dolce  coro. 
Cui  da  un  cerchio  di  rose  a  pena  doma 
Va  pe'bei  fianchi  la  cesarie  d'oro 

In  riposo  ondeggiante.  Ahi,  che  la  chioma 
Scuote  e  '1  musico  labbro  una  di  loro 
Apre  al  grido  ribelle:  Italia  e  Roma. 


Carducci.  36 


562  RIME  NUOVE 


XIX. 


m  IL  CONSIGLIO  A  DISPETTO 


-V 


aghe  le  nostre  donne  e  i  giovinetti 
Son  fieri  e  adorni:  or  via,  diffondi,  o  vate, 
Soyr'essi  il  coro  de  le  strofe  alate, 
E  spargi  anche  tu  fiori  e  intreccia  affetti. 

Perché  roggio  è  'l  tuo  verso,  e  tu  ne'  petti 
Semini  spine  ?  Oblia.  P  apran  le  fate 
Il  giardin  de  l' incanto,  e  la  beltate 
I  suoi  sorrisi.  Il  mondo  anche  ha  diletti.  — 

Or  dite  a  Giovenal  che  si  dibatte 
Sotto  la  dea,  ch'egli  lo  spasmo  in  riso 
Muti  e  in  gliconio  l'esametro  ansante; 

E,  quando  avventa  i  suoi  folgori  Dante 
Su  da  l'inferno  e  giù  dal  paradiso, 
Addolciteli  voi  nel  caff '  e  latte. 


RIME  NUOVE  563 


XX. 


DIETRO  UN  RITRATTO  DELL'  ARIOSTO 


Q 


^ 


uesta  che  a  voi,  donna  gentil,  ne  viene 
Imagin  viva  del  divin  lombardo 
Ne  r  ampia  fronte  e  nel  fiso  occhio  e  tardo 
Lo  stupor  de' gran  sogni  anche  ritiene. 

Oh  lui  felice!  il  qual,  poi  ch'ebbe  piene 
Tutte  del  mondo  suo  lieto  e  gagliardo 
Le  carte,  aprir  più  non  sostenne  il  guardo 
Sotto  povero  ciel,  su  meste  arene. 

E  più  felice  ancor!  che  non  favore 

Di  prence  e  di  vulgo  aura  ogn'  or  novella 

Né  di  teologai  donna  l'amore. 

Ma  premio  a'  canti  era  una  bocca  bella. 
Che  del  fronte  febeo  lenia  l'ardore 
Co'  baci,  e  quel  fulgea  come  una  stella. 


564.  RIME  NUOVE 


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XXI. 


SOLE  E  AMORE 


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^L 


devi  e  bianche  a  la  plaga  occidentale 
Van  le  nubi:  a  le  vie  ride  e  su  '1  fòro 
Umido  il  cielo,  ed  a  l' uman  lavoro 
Saluta  il  sol)  benigno^  trionfale. 

Leva  in  roseo  fulgor  la  cattedrale 
Le  mille  guglie  bianche  e  i  santi  d'oro, 
Osannando  irraggiata:  intorno,  il  coro 
Bruno  de'  falchi  agita  i  gridi  e  V  ale. 

Tal,  poi  ch'amor  co'l  dolce  riso  via 
Rase  le  nubi  che  gravarmi  tanto. 
Si  rileva  nel  sol  r  anima  mia, 

E  molteplice  a  lei  sorride  il  santo 

Ideal  de  la  vita  :  è  un'  armonia 

Ogni  pensiero,  ed  ogni  senso  un, cenila.. 


RIME  NUOVE  566 


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XXII. 


MATTUTINO  E  NOTTURNO 


/\l  mattìn  da  la  pioggia  ecdo  deterso 
In  purità  d'  azzurro  il  ciel  risplende, 
E  dai  sole  di  maggio  a  l' universo 
Il  sorrìso  di  Dio  benigno  scende; 

Quando  alacre  da  V  animo  sommerso 
L'ali  innovate  il  mio  pensiero  stende, 
E  al  sol  de  gli  occhi  tuoi  rivola  il  vèrso 
Come  trillo  di  lodola  che  ascende. 

Ma  sento  ardermi  in  cor  la  luce  bruna 
De  le  pupille  in  cui  erra  dolente 
Il  desio  d'  un  ignoto  estraneo  lito, 

V. 

Quando  ammiro  da  i  poggi  ermi  la  luna       ] 
A  la  città  marmorea  tacente 
Dir  le  malinconie  de  V  infinito. 


56^  RIME  NUOVE 


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>    '  >: 


JQUI  REGNA  AMORE 


O 


ve  sei  ?  de' sereni  occhi  ridenti; 
A  ch4  tempri  il  bel  raggio,  o  donna  mìa? 
E  l'intima  del  cor  tua  melodia 
A  chi  armonizzi  ne' soavi  accenti? 

Siedi  tra  l'erbe  e  i  fiori  e  a' freschi  venti 
Dai  1^  do^ce  e  pensosa  alma  in  balia? 
0  le;  membra  concesso  hai  de  la  pia 
Onda  a  gli  amplessi  di  vigor  frementi? 

Qh,  dovunque  tu  sei,  voluttuosa 

Se  r  aura  o  l' onda  con  mormorio  lento  , 

Ti  sfiora  il  viso  o  a'  bianchi  omeri  posa, 

È  l'amor  mio  che  in  ogni  sentimento 
Vive  e  ti  cerca  in  ogni  bella  cosa 
E  ti  cinge  d' eterno  abbracciamento. 


RIME  NUOVE  567 


XXIV. 


VISIONE 


O 


r  ch'a  i  silenzi  di  cerulea  sera 
Tra  fresco  mormorio  d' alberi  e  fiori 
Ella  siede,  e  in  soavi  aure  ed  odori 
Freme  la  voluttà  di  primavera, 

Tu  di  vetta  a  l'antica  alpe  severa 
Tra  i  verdi  a  Talbor  tuo  tremuli  orrori 
La  cerchi,  o  luna,  e  quella  dolce  e  altera 
Fronte  del  tuo  più  vivo  raggio  irrori. 

Tal  forse,  o  greca  dea,  la  pura  fronte 
Chinavi,  in  cuor  d'  Endimlfon  pensosa, 
Su  '\  tuo  grande  sereno  arco  d' argento  ; 

E  i  fiumi  al  bianco  pie  pe  M  latmio  monte^ 
Raggiati  da  la  faccia  luminosa, 
Scendean  d'  amore  a  ragionar  co  '1  vento. 


$68  RIME  NUOVE 


XXV. 


MITO  e;  verità 


N, 


arran  le  istorie  e  cantano  i  poeti, 
Cui  diva  nunzia  Clio  meglio  ammaestra, 
Mirabil  cosa  che  d' Arto  la  destra 
Oprò  ne  i  campi  di  Bretagna  lieti. 

Spinse  ei  l'antenna  del  ferir  maestra,     . 
E  si  ruppe  a  Mordrèc  le  due  pareti 
Del  cuor,  che  i  rai  del  sole  irrequieti 
Risero  per  V  orribile  finestra. 

Meraviglia  più  nova  in  me  si  vede  : 

Che,  strappando  io  la  imagin  bella  e  fiera 

Dal  mio  cuore  a  cui  viva  ella  si  abbranca, 

Il  cuor  mi  strappo,  e  movo  alacre  il  piede; 
E  per  la  piaga  fumigante  e  nera 
Ride  il  dispetto  de  l'anima  franca. 


RIME   NUOVE  569 


XXVI. 


IN  RIVA  AL  MARE 


i  irreno,  anche  il  mio  petto  è  un  mar  profondo 
E  di  tempeste,  o  grande,  a  te  non  cede: 
L' anima  mia  rugge  ne'  flutti,  e  a  tondo 
Suoi  brevi  lidi  e  il  picciol  cielo  fiede. 

Tra  le  sucide  schiume  anche  da  '1  fondo 
Stride  la  rena:  e  qua  e  là  si  vede 
Qualche  cetaceo  stupido  ed  immondo 
Boccheggiar  ritto  dietro  immonde  prede. 

La  ragion  da  le  sue  vedette  algenti 
Contempla  e  addita  e  conta  ad  una  ad  una 
Onde  e  belve  ed  arene  in  van  furenti: 

Come  su  questa  solitaria  duna 

L' ire  tue  negre  a  gli  autunnali  venti 

Inutil  lampa  illumina  la  luna. 


570  RIME  Nuovr 


xxvir. 


A  UN  ASINO 


O, 


Itre  la  siepe,  o  antico  paziente, 
De  l'odoroso  biancospin  fiorita, 
Che  guardi  tra  i  sambuchi  a  l' oriente 
Con  raccesa  pupilla  inumidita? 

Che  ragli  al  cielo  dolorosamente? 
Non  dunque  è  amor  che  te,  o  gagliardo,  invita? 
Qual  memoria  flagella  o  qual  fuggente 
Speme  risprona  la  tua  stanca  vita? 

Pensi  r  ardente  Arabia  e  i  padiglioni 
Di  Giob,  ove  crescesti  emulo  audace 
E  di  corso  e  d' ardir  con  gli  stalloni  ? 

O  scampar  vuoi  ne  V  Eliade  pugnace 
Chiamando  Omero  che  ti  paragoni 
Al  tèlamonio  resistente  Aiace? 


RIME  NUOVE  571 


XXVIII. 


AD  UNA  BAMBINA 


S 


u  la  parvola  tua  fiera  persona 
Il  mio  pensier  rammemorando  posa, 
Ed  una  visTon  si  disprigiona 
Che  mi  dormi  ne  M  cuor  gran  tempo  ascosa. 

Quella  in  fulvi  riflessi  radiosa 
Chioma  che  V  agii  capo  V  incorona 
Farmi  la  selva  di  castagni  ombrosa 
Che  là  su  r  apuane  alpi  tenzona 

Co'  venti  de  V  aprile.  Ivi  ne  V  armi 
Vissero  i  forti  padri,  ivi  la  mia 
Anima  il  mondo  cominciò  a  sognare, 

Mentre  a  le  rupi  ardue  di  bianchi  marmi 
Cerulo  come  l'occhio  tuo  feria 
Il  sorridente  al  sol  ligure  mare. 


572  RIME  NUOVE 


XXIX. 


A  MADAMIGELLA  MARIA  L. 


O 


ne' giorni  tuoi  mesti  e  làgrimanti 
Volata  fuor  de  la  veduta  mia, 
Quale  risaliente  angelo  in  pianti, 
Dolce  lume  di  ciel,  bionda  Maria; 

Dal  bel  paese  ov'ebbe  Laura  i  canti 
Del  mìo  poeta  e  la  memoria  pia 
Or  peregrina  imagine  d' avanti 
Mi  rifiorisci  ne  la  fantasia: 

Come  nel  serenato  umido  cielo 
Giglio  da  l' improvviso  verno  affranto 
Si  rileva  ondeggiando  in  su  lo  stelo, 

E  gli  aurei  stami  ed  il  profumo  e  il  vanto 

Apre  di  sua  beltà  dal  bianco  velo 

A'  rai  del  sole  e  de  gli  augelli  al  canto; 


RIME  NUOVE  573 


XXX. 


MOMENTO  EPICO 


A, 


ddio,  gra$sa  Bologna  !  e  voi  di  nera 
Canape  nel  gran  piano  ondeggiamenti, 
E  voi  pallidi  in  lunghe  file  a' venti 
Pioppi  animati  da  l'estiva  sera! 

Ecco  Ferrara  l'epica.  Leggera 
La  mole  estense  i  merli  alza  ridenti, 
E  specchiando  le  nubi  auree  furenti 
Canta  del  Po  l'ondisona  riviera. 

O  terre  intorno  a  gli  alti  argini  sole, 
Ove  pianser  l'Eliadi;  a  voi  discende 
La  tenebra  od'fata,  e  a  me  non  duole. 

A  me  ne  l'ombre  l'epopea  distende 

Le  sue  rosse  ali,  e  su  '1  mio  cuore  il  sole 

De  le  immortali  fantasie  raccende. 


574  RIME  NUOVE 


r 


XXXI. 


MARTINO  LUTERO 


JLJvie  nemici  ebbe,  e  Tuno  e  T  altro  vinse, 
Trentanni  battaglier,  Martin  Lutero; 
L' uno  il  diavolo  triste,  e  quello  estinse 
Tra  le  gioie  del  nappo  e  del  saltero; 

L'altro  rallegro  papa,  e  contro  spinse 
A  lui  Cristo  Qtsù  duro  ed  austero; 
E.  di  fortezza  i  lombi  suoi  precinse, 
E  di  serenità  1-  alto  pensiero. 

—  Nostra  fortezza  e  spada  nostra  Iddio  — 
A  lui  d' intorno  il  popol  suo  cantava 
Con  V  inno  eh'  ei  gli  die  pien  d' avvenire. 

Pur,  guardandosi  a  dietro  ei  sospirava: 
Signor  chiamami  a  te:  stanco  son  io: 
Pregar  non  posso  senza  maledire. 


RIME  NUOVE  575 


XXXII. 


LA  STAMPA  E  LA  RIFORMA 


C, 


'redo  —  diceasi;  e,  come  fiere  in  lustre, 
Sonnecchiando  giacean  nel  chiostro  nero 
Codici  immani,  e  il  tardo  augel  palustre 
Porgea  la  penna  al  fulmine  del  vero. 

Penso  —  si  disse;  e  dritta  in  pie  V  industre 
Arte  die'  di  metalli  ali  a  M  pensiero, 
E  ad  ogni  scoter  d*  ala  uscia  d' illustre 
Guerra  dal  torchio  il  libro  messaggero. 

Ed  esce  e  vola,  e  al  monte  e  al  pian  ragiona 
Il  piccol  libro;  e  in  fier  sassone  metro 
E  latin  Talta  sfida,  a  Roma  intona. 

Vola;  e  per  Tàere  ancor  da*  roghi  tetro 
Al  Zuiderzée  che  lieto  i  lidi  introna 
Gitta  di  Carlo  quinto  e  spada  e  scetro. 


576  RIME  NUOVE 


xxxm. 


ORA  E  SEMPRE 


VL^ra  --^:  e  la  mano  il  giovine  nizzardo 
Biondo  con  sfavillanti  occhi  porgeà, 
E  come  su  la  preda  un  leopardo 
Il  suo  pensièro  a  P  avvenir  correa. 

E  sempre  — :  con  la  man  fiso  lo  sguardo 
L' austero  genovese  a  lui  rendea  : 
E  su  '1  tumulto  eroico  il  gagliardo 
Lume  discese  de  r  etema  idea. 

Ne  r  afir  d' alte  vision  sereno 
Suona  il  verbo  di  fede,  e  si  diffonde 
Oltre  i  regni  di  morte  e  di  fortuna. 

Ora  —  dimanda  per  lo  ciel  Staglieno, 
Sempre  —Caprera  in  mezzo  a'I  mar  rì^>onde: 
Grande  su  '1  Pantheon  vigila  la  luna» 


RIME  NUOVE  577 


XXXIV. 


/ 


TRAVERSANDO  LA  MAREMMA  TOSCANA 

1 


D. 


olce  paese,  onde  portai  conforme 
L'  abito  fiero  e  lo  sdegnoso  canto 
E  il  petto  ov'odio  e  amor  mai  non  s'addorme, 
Pur  ti  riveggo,  e  il  cuor  mi  balza  in  tanto. 

Ben  riconosco  in  te  le  usate  forme 
Con  gli  occhi  incerti  tra  '1  sorriso  e  il  pianto, 
E  in  quelle  seguo  de* miei  sogni  Torme 
Erranti  dietro  il  giovenile  incanto. 

Oh,  quel  che  amai,  quel  che  sognai,  fu  in  vano; 
E  sempre  corsi,  e  mai  non  giunsi  il  fine; 
E  dimani  cadrò.  Ma  di  lontano 

Pace  dicono  al  cuor  le  tue  colline 

Con  le  nebbie  sfumanti  e  il  Verde  piano 

Ridente  ne  le  pioggie  mattutine.  i 


Carducci.  37 


578  RIME  NUOVE 


\ 


XXXV. 


DIETRO  UN  RITRATTO 


±  al  fui  qùal  fremo  in  questa  imagin  viva, 
Quand'  era  tutto  sole  il  mio  pensiero 
E  a  prova  tra  le  sirti  aspre  del  vero 
Ribalzava  il  mio  verso  e  ribolliva. 

Or  m'avvolge  la  calma:  un  velo  nero 
Copre  la  terra  che  lontan  fioriva, 
Strillano  augei  palustri  in  su  la  riva: 
Ed  io  poco  prù  amo  e  nulla  spero. 

Oh  fantasie  di  gloria  a  terra  sparte  ! 
E  tu  Italia  vincente,  e  tu  rubesta 
Libertà  coronata  alto  da  Tartel 

Sopra  il  fango  che  sale  or  non  mi  resta 
Che  gittare  il  mio  sdegno  in  vane  carte 
E  dal  palco  mortale  un  di  la  testa. 


III. 


.'O^*^' 


1^ 


XXXVl. 
MATTiNO  ALPESTRE 


Da 


i  r  oriente  palpita 
Il  giorno,  e  i  primi  raggi 
Scendon  soavi  a  frangersi 
Tra'l  nereggiar  de' faggi. 

Guizzar!  su  '1  fiume  e  ridono 
.  Tra  i  mormorii  de  l'onde, 
Come  occhi  d'  una  vergine 
Che  a  nuovo  amor  risponde. 

Scorron  su  '1  monte;  e  s'anima 
D'  un  riso  aneli'  ei,  ma  tardo, 
Come  al  giocar  de  i  pargoli 
La  faccia  d'  un  vegliardo. 


582.  RIME  NUOVE 

* 

Gii  son  fulgore,  e  spandesi 
Per  la  vallèa  fiorita, 
Come  speranza  giovine 
In  su  l'aperta  vita. 

Ondeggia  dal  pian  rorido 
E  si  raccoglie  e  stende 
Un  velo  di  caligine 
Che  al  sóle  argentea  splende. 

Floridi  i  colli  emergono; 
Ma  le  case  e  le  piante 
Come  sogni  traspaiono 
Entro  il  vel  biancheggiante. 

Da  i  fumeggianti  culmini 
Tra  i  giuochi  de  la  luce 
Desio  ne  l'alto  a  querule 
Coppie  i  palombi  adduce. 

Le  ferse  ali  riflettono 
Il  limpido  splendore. 
Passano  lampi  ed  iridio 
Il  ciel  sorride  amore. 


RIME  NUOVE  583 


XXXVII. 


ROSA  E  FANCIULLA 


^•?  (  1, 


'^•'  ■  Ui 


O 


r  che  soave  è  il  cielo  e  i  di  son  belli 
E  gemon  V  aure  e  cantano  gli  augelli 
Tu  chini  l'amorosa 
Fronte,  o  vergine  rosa. 

Per  te  non  fa  che  il  prato  ove  nascesti 
Tiranno  solitario  avvampi  il  sole, 
Quando  su'  campi  da  la  falce  mesti 
La  polverosa  estate  a  lui  si  duole, 
E  nel  meriggio  le  campagne  sole 
Assorda  la  cicala, 

E  impreca  al  giorno,  che  affannoso  cala,. 
Dal  risécco  pantan  la  rana  ascosa. 


584  RIME   NUOVE 

Sùbito  allor  su'  non  più  verdi  colli 
Sorge  il  turbine,  e  gran  strepito  mena, 
Spazza  gli  ultimi  fiori  ed  i  rampolli, 
E  allaga  i  campi  d'infelice  arena; 
E  più  cresce  l'arsura,  e  de  l'amena 
Ombra  il  conforto  manca. 
Tu  fuggi  a  quella  stanca 
Ora,  o  vergine  rosa. 


Per  te  non  fa  ne' giorni  grigi  e  scarsi 
Mirar  la  doglia  de  l' anno  che  muore, 
Le  foglie  ad  una  ad  una  distaccarsi 
E  gemer  sotto  il  pie  del  vlatore, 
Sin  che  la  nebbia  del  suo  putre  umore 
Le  macera  o  le  avvolge 
La  fredda  brezza  e  lenta  le  travolge 
Giù  ne  r  informe  valle  ruinosa. 


Allor  le  nubi  che  fuman  su  i  monti, 
Allor  le  pioggie  lunghe  e  tristi  al  piano, 
E  r  alte  ombre  de'  gelidi  tramonti. 
Ed  il  triste  desio  del  sol  lontano, 
E  la  bruma  crescente  a  mano  a  mano, 
E  il  gel  che  tutto  serra. 
Tu  fuggi  a  tanta  guerra, 
O  giovinetta  rosa. 


RIME  NUOVE 


XXXVIIL 


BRINDISI  D*  APRILE 


V-<iuando  su  Telcì  nere 
E  i  mandorli  novelli 
Tripudia  de  gli  augelli 
Il  coro  nuzTal, 

E  son  le  primavere 
Per  le  colline  apriche 
Occhi  di  ninfe  antiche 
Che  guardano  il  mortai, 

E  il  sol  d'  un  giovenile 
Riso  i  verzier  saluta 
E  pio  sovra  la  muta 
Landa  s' inchina  il  del, 


586  RIME   NUOVE 

E  il  fiato  de  V  aprile 
Move  le  biade  in  fiore 
Come  un  sospir  d'amore 
Di  nuova  sposa  il  vel: 

Sobbalza  allor  di  palpiti 
Sente  le  sue  ferite, 
Il  tronco  de  la  vite, 
De  la  fanciulla  il  cor; 

Quella  spira  odorifere 
Gemme  a  la  fredda  scheggia, 
Questa  desio  lampeggia 
Nel  vergine  rossor. 

Allora  a  V  aer  tepido 
Tutto  fermenta  e  langue, 
Entro  le  vene  il  sangue, 
Entro  le  botti  il  vin. 

Tu  senti  de  la  patria, 
Rosso  prìgion,  desio  ; 
E  Taura  del  natio 
Colle,  som  move  il  tin. 

Di  pampini  giuliva 

La  dolce  vite  è  là. 

Tu  qui  ne*  lacci....  Oh  viva^ 

Viva  la  libertà! 


RIME   NUOVE  587 

Andiamo,  il  prigioniere 
Andiamo  a  liberar; 
Facciamlo  nel  bicchiere 
Rivivere  e  brillar, 


Brillare  al  colle  in  vetta, 
Brillare  in  faccia  al  sol; 
Ribaci  lui  Tauretta, 
Riveda  egli  il  magliol. 


E  tu  arridigli,  o  sole.  Ei  di  te  nacque 
Ne'  di  che  ad  Opi  t*  infondevi  in  seno  : 
De  i  doni  suoi  la  vita  egra  compiacque, 
Come  te  ardente,  come  te  sereno: 
Quando  tu  disparisti,  ed  ei  soggiacque 
Prigion  celeste  in  carcere  terreno  : 
Bagna  i  tuoi  raggi  nel  gentil  vermiglio. 
Bacia,  sole  immortai,  bacia  il  tuo  figlio. 


Vermiglio  questo;  ma  queir  altro  è  biondo 
Come  la  chioma  tua,  lene  Ag'feo, 
Come  le  ninfe  che  inseguivi  al  mondo 
Su  le  rive  felici  di  Penco, 
Allor  che  il  ionio  spirito  giocondo 
D'  ogni  splendida  cosa  iddio  ti  feo  : 
Ora  le  forme  belle  han  tolto  esigilo; 
Bacia,  sole  immortai,  bacia  il  tuo  figlio. 


588  RIME   NUOVE 

Unico  ei  resta,  o  sole;  ed  io  d*  amore 
Unico  r  amo,  o  biondo  siasi  o  nero. 
Biondo,  è  la  luce  che  da  i  nervi  fuore 
Sprizza  del  canto  il  creator  pensiero; 
Nero,  è  il  buon  sangue  che  di  fondo  al  cuore 
Ne  i  magnanimi  fatti  ondeggia  altero: 
Versa  al  biondo  i  tuoi  raggi  ed  al  vermiglio, 
Bacia,  sole  immortai,  bacia  il  tuo  figlio. 


RIME   NUOVE  580 


XXXIX. 


PRIMAVERA  CLASSICA 


D, 


a  i  verdi  umidi  margini 
La  violetta  odora, 
Il  mandorlo  s*  infiora, 
Trillan  gli  augelli  a  voi. 

Fresco  ed  azzurro  V  aere 
Sorride  in  tutti  i  seni: 
Io  chiedo  a' tuoi  sereni 
Occhi  un  più  caro  sol. 

Che  importa  a  me  de  gli  aliti 
Di  mammola  non  tócca? 
Ne  la  tua  dolce  bocca 
Freme  un  più  vivo  fior. 


600  RIME   NUOVE 

Che  importa  a  me  del  garrulo 
Di  fronde  e  augei  concento? 
Oh  che  divino  accento 
Ha  su' tuoi  labbri  amor! 

Auliscan  pur  le  rosee 
Chiome  de  gli  arboscelli: 
L*onda  de*  tuoi  capelli, 
Cara,  disciogli  tu. 

M*  asconda  ella  gV  inanimi 
Fiori  del  giovin  anno: 
Essi  ritorneranno, 
Tu  non  ritorni  più. 


RIME   NUOVE  5Q1 


XL. 


AUTUNNO  ROMANTICO 


D, 


i  sereno  adamantino  su  '1  vasto 
Squallor  d' autunno  il  cielo  azzurro  brilla, 
Come  di  sua  beltà  nel  conscio  fasto 

La  tua  fredda  pupilla. 

Come  a  te  velo  tentie  le  membra 
Nel  risorger  del  tuo  bel  giorno  a  V  opre, 
Nebbia  la  terra,  che  addormita  sembra, 

Argentea  ricopre. 

Ed  immoti  per  essa  ergon  le  cime 
Irte  e  umide  i  grigi  alberi  muti, 
Quai  nel  pensier  cui  la  memoria  opprime 

I  dolci  anni  perduti. 


592  RIME  NUOVE 

E  via  sovr*  essi  indifferente  il  sole, 
Che  al  bel  maggio  rideva  entro  la  folta 
Fronda,  ora  fulge  e  non  riscalda.  O  Jole, 

Amiam  V  ultima  volta. 


RIME   NUOVE  593 


XLI. 


IN  MAGGIO 


Da  H.  Heine  's  Letate  Gedichte 


vJTli  amici  a  cui  dissi  d'amor  parole 
Peggio  m' han  fatto,  ed  ho  spezzato  il  cuor: 
Spezzato  ho  il  cuor,  ma  là  su  alto  il  sole 
Ride  e  saluta  al  mese  de  V  amor. 

Primavera  fiorisce:  allegri  cori 
D'augelli  empiono  il  bosco  giovenil: 
Virginee  ridon  le  fanciulle  e  i  fiori: 
Oh  come  orribii  sei,  mondo  gentil! 

L'Orco  vogrio:  miglior  le  piaggie  bige 
Danno  asilo  a  i  dolenti:  ivi  non  più 
Contrasto  e  scherno.  Oh,  meglio  de  la  Stige 
Errar  su  le  notturne  acque  là  giù. 

Carducci.  38 


594  RIME   NUOVE 

Il  triste  mormorio  de  Tonde  lente, 
De  le  figlie  di  Stinfalo  il  gracchiar, 
La  canzon  de  T  Eumenidi  stridente, 
Il  continuo  di  Cerbero  latrar, 

Son  fiera  cosa  che  al  dolor  s' accorda  : 
Di  dolore  ogni  cosa  ha  vista  e  suon 
Ove  impera  su  V  ombre  Ecate  sorda 
Ed  eterno  del  pianto  ulula  il  tuon. 

Ma  qua  su  come  e  di  che  duro  oltraggio 
E  sole  e  rose  a  me  fiedono  il  cuor! 
M' insulta  il  ciel,  1*  azzurro  ciel  di  maggio.. 
O  mondo  bello,  tu  sei  pien  d'  orror  ! 


RIME   NUOVE  595 


XLII. 


PIANTO  ANTICO 


J— /  albero  a  cui  tendevi 
La  pargoletta  mano, 
Il  verde  melograno 
Da'  bei  vermigli  fior, 

Nel  muto  orto  solingo 
Rinverdì  tutto  or  ora 
E  giugno  lo  ristora 
Di  luce  e  di  calor. 

Tu  fior  de  la  mia  pianta 
Percossa  e  inaridita. 
Tu  de  r  inutil  vita 
Estremo  unico  fior, 


596  RIME   NUOVE 

Sei  ne  la  terra  fredda, 
Sei  ne  la  terra  negra; 
Né  il  sol  più  ti  rallegra 
Né  ti  risveglia  amor. 


RIME  NUOVE  997 


XLIII. 


NOSTALGIA 


Jl  ra  le  nubi  ecco  il  turchino 
Cupo  ed  umido  prevale: 
Sale  verso  TApenriino 
Brontolando  il  temporale. 

Oh  se  il  turbine  cortese 
Sovra  l' ala  aquilonar 
Mi  volesse  al  bel  paese 
Di  Toscana  trasportar! 

Non  d' amici  o  di  parenti 
Là  m' invita  il  cuore  e  il  volto 
Chi  m'  arrise  a  i  di  ridenti 
Ora  è  savio  od  è  sepolto. 

Né  di  viti  né  d'  ulivi 
Bel  desio  mi  chiama  là: 
Fuggirei  daMieti  clivi 
Benedetti  d'  ubertà. 


598  RIME  NUOVE 

De  le  mie  cittadi  i  vanti 
E  le  solite  canzoni 
Fuggirei:  vecchie  ciancianti 
A  marmprèi  balconi! 

Dove  raro  ombreggia  il  bosco 
Le  maligne  crete,  e  al  pian 
Di  rei  sugheri  irto  e  fosco 
I  cavalli  errando  van, 

Là  in  maremma  ove  fiorio 
La  mia  triste  primavera, 
Là  rivola  il  pensier  mio 
Con  Muoni  e  la  bufera: 

Là  nel  ciel  nero  librarmi 
La  mia  patria  a  riguardar, 
Poi  co  '1  tuon  vo' sprofondarmi 
Tra  quei  colli  ed  in  quel  mar. 


RIME  NUOVE  999 


XLIV. 


TEDIO  INVERNALE 


IV^a  ci  fu  dunque  un  giorno 
Su  questa  terra  il  sole? 
Ci  fur  rose  e  vifole, 
Luce,  sorriso,  ardor? 

Ma  ci  fu  dunque  un  giorno 
La  dolce  giovinezza, 
La  gloria  e  la  bellezza. 
Fede,  virtude,  amor? 

Ciò  forse  avvenne  a  i  tempi 
D'Omero  e  di  Valmichi: 
Ma  quei  son  tempi  antichi, 
Il  sole  or  non  è  più. 


600  RIME  NUOVE 

E  questa  ov'  io  m' avvolgo 
Nebbia  di  verno  immondo 
È  il  cenere  d' un  mondo 
Che  forse  un  giorno  fu. 


RIME  NUOVE  601 


XLV. 


VIGNETTA 


L, 


la  stagion  lieta  e  1'  abito  gentile 

Ancor  sorride  a  la  memoria  in  cima 

E  il  verde  colle  ov*  io  la  vidi  prima. 

Brillava  a  T  aere  e  a  Tacque  il  novo  aprile» 
Piegavan  sotto  il  fiato  di  ponente 
Le  fronde  a  tremolar  soavemente. 

Ed  ella  per  la  tenera  foresta 

Bionda  cantava  al  sole  in  bianca  vesta. 


602  RIME  NUOVE 


XLVI. 


LUNGI   LUNGI 


Da  H.  Heine'  s  Lyrisches  Intermeamo 


L 


ungi,  lungi,  su  l'ali  del  canto 
Di  qui  lungi  recare  io  ti  vo'  : 
Là.  ne  i  campi  fioriti  del  santo 
Gange,  un  luogo  bellissimo  io  so. 

Ivi  rosso  un  giardino  risplende 
De  la  luna  nel  cheto  chiarori 
Ivi  il  fiore  del  loto  ti  attende, 
O  soave  sorella  de  i  fior. 

Le  viole  bisbiglian  vezzose, 
Guardan  gli  astri  su  alto  passar; 
E  tra  loro  si  chinan  le  rose 
Odorose  novelle  a  contar. 


RIME  NUOVE  G03 

Salta  e  vieti  la  gazella,  V  umano 
Occhio  volge,  si  ferma  a  sentir: 
Cupa  s'ode  lontano  lontano 
L' onda  sacra  del  Gange  fluir. 

Oh  che  sensi  d'amore  e  di  calma 
Beveremo  ne  l'aure  colà! 
Sogneremo,  seduti  a  una  palma, 
Lunghi  sogni  di  felicità. 


604  RIME   NUOVE 


*     XLVII. 


PANTEISMO 


I 


0  non  lo  dissi  a  voi,  vigili  stelle, 
A  te  non  '1  dissi,  onniveggente  sol: 
Il  nome  suo,  fior  de  le  cose  belle, 
Nel  mio  tacito  petto  echeggiò  sol. 

Pur  r  una  de  le  stelle  a  r  altra  conta 
Il  mio  secreto  ne  la  notte  bruna, 
E  ne  sorride  il  sol,  quando  tramonta. 
Ne'  suoi  colloqui  con  la  bianca  luna. 

Su  i  colli  ombrosi  e  ne  la  piaggia  lieta 
Ogni  arbusto  ne  parla  ad  ogni  fior: 
Cantan  gli  augelli  a  voi  —  Fosco  poeta, 
Ti  apprese  al  fine  i  dolci  sogni  amor.  — 


RIME  NUOVE  605 

Io  mai  no  M  dissi  :  e  con  divin  fragore 
La  terra  e  il  ciel  l'amato  nome  chiama, 
E  tra  gli  effluvi  de  le  acacie  in  fiore 
Mi  mormora  il  gran  tutto  —  Ella,  ella  t'  ama. 


606  RIME  NUOVE 


XLVIII. 


PASSA  LA  NAVE  MIA 


Da  H.  Heine  's  Verschìedene 


X  assa  la  nave  mia  con  vele  nere, 
Con  vele  nere  pe  '1  selvaggio  mare. 
Ho  in  petto  una  ferita  di  dolore, 
Tu  ti  diverti  a  farla  sanguinare. 
E,  come  il  vento,  perfido  il  tuo  core, 
E  sempre  qua  e  là  presto  a  voltare. 
Passa  la  nave  mia  con  vele  nere. 
Con  vele  nere  pe  '1  selvaggio  mare. 


RIME   NUOVE  607 


XLIX. 


ANACREONTICA  ROMANTICA 


N, 


el  bel  mese  di  maggio 
Io  sotterrai  V  Amor 
De' nuovi  soli  al  raggio 
Sotto  un'  acacia  in  fior. 

Le  requie  lamentose 
Disser  gli  augelli  in  ciel, 
E  fu  tra  gigli  e  rose 
Del  picciol  dio  Tavel. 

Fu  tra  le  rose  e  i  gigli 
D'un  molto  amato  sen: 
I  prati  eran  vermigli, 
Rideva  il  ciel  seren. 


608  RIME   NUOVE 

Una  memoria  mesta 
Vi  posi  a  vigilar: 
Roteasi  de  la  festa 
Il  morto  contentar. 

Ahi,  ma  la  tomba  è  cuna 
Al  picciolo  vampiri 
Al  lume  de  la  luna 
Vuol  tutte  notti  uscir. 

Vien,  su  le  tempie  ardenti 
Co'  i  vanni  aperti  sta; 
Gli  scuote  lenti  lenti, 
E  addormentar  mi  fa. 

Susurra  a  V  alma  stanca 
Un'  ombra  ed  un  ruscel, 
Ed  una  fronte  bianca 
Ride  tra  un  nero  vel. 

Cosi,  mentr'  ei  del  mite 
Sonno  m' irriga  e  tien. 
Morde  con  due  ferite 
U  umida  tempia  e  M  sen. 

Per  quelle  il  rosso  sangue 
Tutto  mi  sugge  Amor, 
E  vaneggiando  langue 
La  vita  al  capo  e  al  cuor. 


RIME  NUOVE  tìbO> 

Ma,  perché  più  non  possa 
Il  reo  vampiro  uscir, 
Dee  su  V  aperta  fossa  . 
Un  prete  benedir. 

L' incanto  allor  si  scioglie 
E  il  morto  in  cener  va; 
Più  da  vestirsi  spoglie 
Il  dèmone  non  ha. 

L'avello  del  tuo  petto, 
O  donna,  io  l'aprirò: 
Il  morto  piccioletto 
Vedervi  dentro  io  vo'; 

Io  vo'che  putre  e  mézzo 
Polvere  ei  tomi  al  fin: 
Prete  sarà  il  disprezzo 
Ed  acqua  santa  il  vin. 


rcci.  39 


610  RIME  NUOVE 


L. 


MAGGIOLATA 


M, 


aggio  risveglia  i  nidi, 
Maggio  risveglia  i  cuori; 
Porta  le  ortiche  e  i  fiori, 
I  serpi  e  V  usignol. 

Schiamazzano  i  fanciulli 
Ih  terra,  e  in  ciel  li  augelli 
Le  donne  han  ne  i  capelli 
Rose,  ne  gli  occhi  il  sol. 

Tra  colli  prati  e  monti 
Di  fior  tutto  è  una  trama: 
Canta  germoglia  ed  ama 
L' acqua  la  terra  il  ciel. 


RIME  NUÒVE  611 

E  a  me  germoglia  in  cuore 
Di  spine  un  bel  boschetto; 
Tre  vipere  ho  nel  petto 
E  un  gufo  entro  il  cervel. 


612  RIME  NUOVE 


U. 


SERENATA 


L 


/e  stelle  che  viaggiano  su  M  mare 
Dicono  —  O  bella  luna,  non  dormire, 
O  bella  luna,  vògliti  levare, 
Che  noi  vogliamo  per  lo  mondo  gire. 

Vogliam  fermarci  su  la  camerella 
Ove  nel  sonno  sta  nostra  sorella. 

Nostra  sorella  splendYente  e  bruna 
Che  un  mago  ci  ha  rapita,  o  madre  luna. 

Di  cima  al  colle  rispondono  i  pini 
E  da  la  riva  del  fiume  gli  ontani: 
—  O  stelle  da'  begli  occhi  piccolini 
Deh  perché  fate  quei  discorsi  vani? 

Ella  ci  apparve  il  di  primo  di  maggio 
Tra  un  lauro  snello  e  un  glorioso  faggio, 

E  dove  ella  sbocciò  ninfa  dal  suolo 
Cresce  una  rosa  e  canta  un  rusignolo.  — 


RIME  NUOVE  613 

Poi  che  le  stelle  tramontali  nel  mare, 
Al  monte  e  al  piano  tace  ogni  rumore: 
La  terra  buia  una  camera  pare 
Ove  s'addorme  al  fin  Tuman  dolore. 

Come  breve  è  la  notte,  o  bella  mia! 
Desto  nel  bosco  V  uccellin  già  pia. 

L'alba  di  maggio  t'imbianca  il  verone, 
E  il  saluto  del  mondo  in  cuor  ti  pone. 


614  RIME  NUOVE 


LIl. 


MATTINATA 


B, 


>atte  a  la  tua  finestra,  e  dice,  il  sole: 
Levati,  bella,  eh'  è  tempo  d' amare. 
Io  ti  reco  il  desir  de  le  viole 
E  gl'inni  de  le  rose  al  risvegliare. 

Dal  mio  splendido  regno  a  farti  omaggio 
Io  ti  meno  valletti  aprile  e  maggio 

E  il  giovin  anno  che  la  fuga  affrena 
Sul  fior  de  la  tua  vaga  età  serena. 

Batte  a  la  tua  finestra,  e  dice,  il  vento: 
Per  monti  e  piani  ho  viaggiato  tanto: 
Sol  uno  de  la  terra  oggi  è  il  concento, 
E  de'  vivi  e  de'  morti  un  solo  è  il  canto. 
De'  nidi  a  i  verdi  boschi  ecco  il  richiamo 

—  Il  tempo  torna:  amiamo,  amiamo,  amiamo - 
E  il  sospir  de  le  tombe  rinfiorate 

—  Il  tempo  passa:  amate,  amate,  amate.  — 


RIME  NUOVE  615 

Batte  al  tuo  cor,  eh*  è  un  bel  giardino  in  fiore, 
Il  mio  pensiero,  e  dice:  Si  può  entrare? 
Io  sono  un  triste  antico  vlatore, 
E  sono  stanco,  e  vorrei  riposare. 

Vorrei  posar  tra  questi  lieti  mài 
Un  ben  sognando  che  non  fu  ancor  mai: 

Vorrei  posare  in  questa  gioia  pia 
Sognando  un  bene  che  già  mai  non  fia. 


616  RIME  NUOVE 


■■■■••■  \ 


LUI. 


DIPARTITA 


Q. 


,uando  parto  da  voi,  dolce  signora, 
Scura  la  terra  e  grigio  il  cielo  appare, 
Odo  gufi  cantar  dentro  e  di  fuora, 
E  gli  alberi  non  restan  di  guardare. 

Brulli,  stupidi  in  vista  e  intirizziti, 
Guardano  a  lungo  come  sbigottiti: 

Guardan,  crollano  il  capo  e  fuggon  via, 
E  tornan  sempre.  Oh  trista  compagnia! 

O  trista  compagnia,  che  cosa  vuoi?  — 
—  Noi  ti  guardiamo  perché  morto  sei. 
Noi  Siam  gli  spettri  de'  pensieri  tuoi, 
Noi  Siam  gli  spettri  de'pensier  di  lei. 

ler  tra  canti  d'uccelli  e  tutti  in  fiore: 
Oh  come  fugge  la  vita  e  l'amore! 

Oggi  ti  accompagnamo  al  cimitero: 
Oh  come  freddo  e  lungo  è  il  tempo  nero!  - 


RIME  NUOVE  617 


LIV. 


DISPERATA 


S, 


>u  M  cavai  de  la  Morte  Amor  cavalca 
E  traesi  dietro  catenato  il  cuore: 
Ma  il  cuor  s' annoia  tra  la  serva  calca 
Sdegnoso  di  seguire  il  vii  signore: 

I  lacci  spezza  e  glie  li  gitta  in  faccia 
Sorgendo  con  disdegno  e  con  minaccia: 

—  Giù  da  la  sella,  Amor,  poltrone  iddio! 
Io  sol  ti  feci,  e  tu  se' schiavo  mio. 

Signor  ti  feci  nel  pensier  mio  vano, 
Schiavo  ti  rendo  nel  pensier  mio  forte  : 
Tutte  le  briglie  io  voglio  a  la  mia  mano: 
A  me  il  nero  cavallo  de  la  Morte!  — - 

E  monta  e  sprona  il  cavaliere  ardito 
Salutando  co  '1  cenno  V  infinito. 

E  sotto  il  trotto  del  cavallo  nero 
Rimbomba  il  mondo  come  un  cimitero. 


618  RIME  NUOVE 


LV. 


BALLATA  DOLOROSA 


u, 


na  pallida  faccia  e  un  velo  nero 
Spesso  mi  fa  pensoso  de  la  morte; 
Ma  non  in  frotta  io  cerco  le  tue  porte, 
Quando  piange  il  novembre,  o  cimitero. 

Cimitero  m' è  il  mondo  allor  che  il  sole 

Ne  la  serenità  di  maggio  splende 

E  r  aura  fresca  move  V  acque  e  i  rami^ 

E  un  desio  dolce  spiran  le  viole 

E  ne  le  rose  un  dolce  ardor  s'accende 

E  gli  uccelli  tra'l  verde  fan  richiami: 

Quando  più  par  che  tutto  il  mondo  s' ami 

E  le  fanciulle  in  danza  apron  le  braccia, 

Veggo  tra  M  sole  e  me  sola  una  faccia^ 

Pallida  faccia  velata  di  nero. 


RIME  NUOVE  619 


LVI. 


DAVANTI  UNA  CATTEDRALE 


i  rionfa  il  sole,  e  inonda 
La  terra  a  lui  devota: 
Ignea  ne  Taria  immota 
L'  estate  immensa  sta.  - 

Laghi  di  fiamma  sotto 
I  dòmi  azzurri  inerte 
Paiono  le  deserte 
Piazze  de  la  città. 

Là  spunta  una  sudata 
Fronte,  ed  è  orribil  cosa: 
La  luce  vaporosa 
La  ingialla  di  pallor. 


420  RIME  NUOVE 

I 

Dite  :  fa  fresco  a  V  ombra 
De  le  navate  oscure, 
Ne  l'urne  bianche  e  pure, 
O  teschi  de  i  maggior? 


.  • 


RIME   NUOVE  621 


LVII. 


BRINDISI  FUNEBRE 


S, 


>u  '1  viso  de  r  amore 
La  rosa  illanguidì 
Senza  lasciarmi  un  fiore 
La  gioventù  fuggi. 

Lo  stuol  de  Tore  danza 
Lontano  ornai  da  me: 
Con  esse  è  la  speranza, 
L' illusifon,  la  fé'. 

Gli  affetti  alti  ed  intensi 
Cui  fu  negato  il  fin, 
I  desidèri  immensi 
Irrisi  dal  destin, 


622  RIME  NUOVE 

Tutti  nel  mio  pensiero 
Tutti  sepolti  io  gli  ho; 
E  al  fosco  ci  ni  itero 
Custode  fosco  io  sto. 

Ma  i  nervi  ancora  ho  forti: 
Beviam,  beviamo  ancor: 
Beviam,  beviamo  a  i  morti; 
Con  essi  sta  il  mio  cuor. 

Sotto  la  terra  nera 
Giacciono  ad  aspettar; 
La  dolce  primavera 
Forse  li  fa  svegliar. 

Senton.  de  i  freschi  venti 
L'alito  ed  il  sospir, 
Senton  fra  1'  ossa  algenti 
La  verde  erba  salin 

Lo  senti  il  dolce  aprile, 
Il  sol  lo  vedi  tu? 
O  pargolo  gentile, 
Solo  tu  sei  laggiù? 

Dal  suo  lontano  avello 
Ti  parla,  o  fanciullin. 
Il  bianco  mio  fratello 
Dal  bel  castaneo  crin? 


RIME  NUOVE  623 

Gli  avi  ne  i  giorni  foschi 
Ti  vengono  a  cullar, 
L'  uno  da  i  colli  tòschi, 
L' altro  dal  tòsco  mar  ? 

O  sola  e  mesta  al  petto 
La  madre  mia  ti  tien? 
Riposa,  o  fanciulletto, 
Sopra  il  fidato  sen. 

Beviamo.  Ahi  che  nel  cielo 
Impallidisce  il  sol, 
E  mi  circonda  il  gelo, 
E  si  sprofonda  il  suol. 

Come  uno  stuol  di  gufi 
A  vecchio  monaster. 
Tra  gli  umidicci  tufi 
Singhiozzano  i  pensier. 

Per  questo  buio  fondo 
Chi  è  chi  è  che  va? 
Esiste  ancora  il  mondo, 
La  gioia  e  la  beltà? 

Ne'  lucidi  paesi 
Ancora  esiste  amor? 
Io  giù  tra' morti  scesi 
Ed  ho  sepolto  il  cuor. 


tS^i  RIME  NUOVE 


LVIII.i^ 


SAN  MARTINO 


L 


/a  nebbia  a  gr  irti  colli 
Piovigginando  sale, 
E  sotto  il  maestrale 
Urla  e  biancheggia  il  mar; 

Ma  per  le  vie  del  borgo 
Dal  ribollir  de' tini 
Va  l'aspro  odor  de  i  vini 
L'anime  a  rallegrar. 

Gira  su' ceppi  accesi 
Lo  spiedo  scoppiettando  : 
Sta  il  cacciator  fischiando 
Su  r  uscio  a  rimirar 


RIME  NUOVE  625 


Tra  le  rossastre  nubi 
Stormi  d'uccelli  neri, 
Com'  esuli  pensieri, 
Nel  vespero  migrar. 


Carducci.  40 


626  RIME  NUOVIS 


LIX. 


IN  CARNIA 


S, 


^u  le  cime  de  la  Tenca 
Per  le  fate  è  un  bel  danzar. 
Un  tappeto  di  smeraldo 
Sotto  al  cielo  il  monte  par. 

Nel  mattin  periato  e  freddo 
De  le  stelle  al  muto  albor 
Snelle  vengono  le  fate 
Su  moventi  nubi  d'or. 

Elle  vengon  con  l'aurora 
Di  Germania  ivi  a  danzar. 
Treman  V  ombre  de  gli  abeti 
Nere  e  verdi  al  trapassar. 


RIME   NUOVE  §27 


De  la  But  che  irrompe  e  scroscia 
Elle  ridono  al  fragor, 
E  in  quel  vortice  d'argento 
Striscian  via  le  chiome  d'or. 

Freddo  e  nitido  è  il  lavacro, 
Ed  il  sole  anche  non  par. 
Su  la  vetta  de  la  Tenca 
Incominciano  a  danzar. 

Bianche  in  vesta,  rossi  i  veli, 
I  capelli  nembi  d'or, 
Che  abbandonano  ridenti 
De  gli  zefiri  a  l'amor. 

Poi  con  voce  arguta  e  molle. 
Si  che  d'arpe  un  suono  par. 
Le  sorelle  de  la  Carnja 
Incominciano  a  chiamar. 

Tra  il  profumo  de  gli  abeti 
Ed  il  balsamo  de  i  fior 
Da  le  valli  ascende  il  coro 
Del  mistero  e  de  l'amor. 

Su  la  rupe  del  Moscardo 
E  uno  spirito  a  penar: 
Sta  con  una  clava  immane 
La  montagna  a  sfracellar. 


628  RIME  NUOVE 


Quando  vengono  le  fate, 
Egli  oblia  V  aspro  lavor; 
E  sospeso  il  mazzapicchio 
Guarda  e  palpita  d' amor. 

Che  le  fate  al  travaglioso 
Mai  sorridano,  non  par: 
Il  selvaggio  su  la  rupe 
Si  contenta  di  guardar, 

E  tal  volta  un  cappel  verde 
Ei  si  mette  per  amor, 
E  d'un  bel  mantello  rosso 
Ei  riveste  il  suo  dolor. 

Ahi,  da  tempo  in  su  la  Tenca 
Niuna  fata'  non  appar: 
Sol  la  But  tra  i  verdi  orrori 
S' ode  argentea  scrosciar, 

E  il  dannato  su  '1  Moscardo 
Senza  più  tregua  d' amor 
Notte  e  di  co  T  mazzapicchio 
Rompe  il  monte  e  il  suo  furor. 

Ahi,  le  vaghe  fantasie 
Dal  mio  spirito  esular, 
E  il  torrente  di  memoria 
Odo  funebre  mugghiar: 


RIME  NUOVE  629 


Niun  fantasima  di  luce 
Cala  ornai  nel  chiuso  cuor, 
E  lo  rompe  a  falda  a  falda 
Il  corruccio  ed  il  dolor. 


630  RIME  NUOVE 


■  '  .i 


K'IiV    • 


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LX.   / 


VISIONE 


I 


1  sole  tardo  ne  V  invernale 
Ciel  le  caligini  scialbe  vincea, 
E  il  verde  tenero  de  la  novale 
Sotto  gli  sprazzi  del  sol  ridea. 

Correva  l'onda  del  Po  regale, 
L'onda  del  nitido  Mincio  correa: 
Apriva  l'anima  pensosa  l'ale 
Bianche  de'  sogni  verso  un'  idea. 

E  al  cuor  nel  fiso  mite  fulgore 
Di  quella  placida  fata  morgana 
Rfaffacciavasi  la  prima  età, 

Senza  memorie,  senza  dolore, 
Pur  come  un'  isola  verde,  lontana 
Entro  una  pallida  serenità. 


NOTE 


XLV111)  pag.  60G.  EK  questa  canzoncina  di  Enrico  Heine, 
come  di  molte  altre  sue,  tutto  lo  spirito  è  nel  motivo  fantastico 
e  popolare.  Il  solo  merito  della  mia  versione,  se  merito  alcuno 
può  avere,  è  del  metro  e  dello  sti1  popolare  vecchio  italiano 
ripreso  a  rendere  il  romantico  tedesco  del  secolo  xix. 

LXI)  p.  6ig,  V.  6.  Dòmi atetirri  ho  detto  le  volte  del  cielo 
con  metafora  che  nella  lingua  francese  non  é  rara:  Balzac 
"  Le  beau  del  d' Espagne  étendaìt  un  dòme  d' OMur  au-dessits 
de  sa  téle  „.  Vero  è  che  per  i  francesi  dame  è  la  cupola,  ma 
e  per  noi  la  cupola  è  parte  del  dòmo. 

LIX)  p,  626.  È  una  tradizione  popolare,  che  prima  la  con- 
tessa Caterina  Percoto  raccolse  nel  lihro  delle  sue  Novelle;  bel 
libro  e  forte,  che  rispecchia  la  forte  bellezia  e  bontà  del  Friuli. 


IV. 


AD  ALESSANDRO  D' ANCONA 


o, 


'  de' cognati  e  de  i  dispersi  miti 
Per  la  selva  d'  Europa  indagatore, 
Mentre  tu  nozze  appresti  e  i  dolci  riti 
Affretti  in  cuore, 


Io,  dove  ride  al  sol  da  l'infinito 
Rincrespamento  del  ceruleo  seno 
E  al  ciel  con  echi  mille  e  al  breve  lito 
Plaude  il  Tirreno, 


E  digradando  giti  dal  colle  aprico 
Per  biancheggiante  di  palagi  traccia 
La  verde  antica  terra  al  glauco  amico 
Porge  le  braccia. 


636  RIME  NUOVE 


In  queste  di  salute  aure  frementi 
Terse  le  nebbie  de  lo  spirto  impure, 
Dato  il  cuore  a  gli  amici  e  date  a  i  venti 

Freschi  le  cure, 

Anche  una  volta  io  qui  libo  a  le  dee 
Che  de  la  mente  mia  seggono  in  cima, 
E  t'accompagno  le  camene  argee 

Con  la  mia  rima. 

Non  io  tinger  vorrei  di  dotta  polve 
A  la  sposa  il  vel  bianco  ed  i  pensieri 
Né  schiuder  quei  che  un'  età  grossa  involve 

Grossi  misteri. 

Dannosa  etade!  Solitario  mostro 
La  morte  allor  su  '1  cieco  mondo  incombe 
Con  mille  aspetti,  e  V  uomo  esce  dal  chiostro 

Sol  per  le  tombe. 

Ne  i  boschi  infuria  e  via  per  valli  e  gioghi 
Una  danza  di  forme  atre  e  maligne 
Ch'odiano  il  sole:  Torrida  de' roghi 

Vampa  le  tigne. 

Da  l'aspre  torri  e  dal  cenobio  muto, 
Dal  folto  domo  d'irti  steli  inserto, 
Par  che  la  vita  1'  ultimo  saluto 

Mandi  al  deserto. 


RIME  NUOVE  637 


Quindi  r  accidia  rea  eh' anco  inimica 
La  natura  e  lo  spirto,  ed  impossente 
L'  uomo,  che  un  sogno  tofbido  affatica, 

Aspira  al  niente. 

L'  ombra  di  morte  e  su  da  la  marina 
Di  Teti  il  pianto  fuor  de  le  ftfe  ville 
Seguia  tra  i  carri  e  l'armi  la  divina 

Forza  d'  Achille. 

Ma  ei  pugnava  i  giorni,  e,  a  la  romita 
Notte  citareggiando  in  su  l'egea 
Riva,  a  Dite  a  le  Muse  ed  a  la  vita 

Breve  indulgea. 

Pigri  terror  de  l'evo  medio,  prole 
Negra  de  la  barbarie  e  del  mistero. 
Torme  pallide,  vial  si  leva  il  sole, 

E  canta  Omero. 


638  RIME  NUOVE 


LXII. 


PRIMAVERE  ELLENICHE 


(i.  eolia) 


L 


ina,  brumaio  torbido  inclina, 
Ne  r  aér  gelido  monta  la  sera  : 
E  a  me  ne  V  anima  fiorisce,  o  Lina, 

La  primavera. 

In  lume  roseo,  vedi,  il  rivale 
Fedriade  vertice  sorge  e  sfavilla, 
E  di  Castalia  V  onda  vocale 

Mormora  e  brilla. 

Delfo  a'  suoi  tripodi  chiaro  sonanti 
Rivoca  Apolline  co' nuovi  soli. 
Con  i  virginei  peana  e  i  canti 

De'  rusignoli. 


RIME  NUOVE  63i 


Da  gr  iperborei  lidi  al  pio  suolo 
Ei  riede,  a' lauri  dal  pigro  gelo: 
Due  cigni  il  traggono  candidi  a  volo: 

Sorride  il  cielo. 

Al  capo  ha  l'aurea  benda  di  Giove 
Ma  nel  crin  florido  l'aura  sospira 
E  con  un  tremito  d' amor  gli  move 

In  man  la  lira. 

D' intorno  girano  come  in  leggera 
Danza  le  Ci<:ladi  patria  del  nume, 
Da  lungi  plaudono  Cipro  e  Citerà 

Con  bianche  spume. 

E  un  lieve  il  seguita  pe  '1  grande  Egeo 
Legno,  a  purpuree  vele,  canoro: 
Armato  règgelo  per  l'onde  Alceo 

Dal  plettro  d'oro. 

Saffo  dal  candido  petto  anelante 
A  r  aura  ambrosia  che  dal  dio  vola. 
Dal  riso  morbido,  da  l'ondeggiante 

Crin  di  viola, 

In  mezzo  assidesi.  Lina,  quieti 
I  remi  pendono:  sali  il  naviglio. 
Io,  de  gli  eolii  sacri  poeti 

Ultimo  figlio. 


640  RIME  NUOVE 

Io  meco  traggoti  per  V  aure  achive  : 
Odi  le  celere  tinnir:  montiamo: 
Fuggiam  le  occidue  macchiate  rive 

Dimentichiamo. 


RIME   NUOVE  641 


LXIII. 


PRIMAVERE  ELLENICHE 


(il.  dorica) 


Oai  tu  r  isola  bella,  a  le  cui  rive 
Manda  il  Ionio  i  fragranti  ultimi  baci 
Nel  cui  sereno  mar  Galatea  vive 

E  su'  monti  Aci  ? 

De  r  ombroso  pelasgo  Èrice  in  vetta 
Eterna  ride  ivi  Afrodite  e  impera, 
E  freme  tutf  amor  la  benedetta 

Da  lei  costiera. 

Amor  fremono,  amore,  e  colli  e  prati, 
Quando  la  Ennea  da'  raddolciti  inferni 
Torna  co  '1  fior  de'  solchi  a  i  lacrimati 

Occhi  materni. 

Carducci.  41 


642  RIME  NUOVE 

Amore,  amor,  susurran  Tacque;  e  Alfeo 
Chiama  ne' verdi  talami  Aretusa 
A  i  noti  amplessi  ed  al  concento  acheo 

L' itala  musa. 

Amore,  amore,  de'  poeti  a  i  canti 
Ricantan  le  cittadi,  e  via  pe'fòri 
Dorlesi  prorompono  baccanti 

Con  cetre  e  fiori. 

Ma  non  di  Siracusa  o  d'Agrigento 
Chied'  io  le  torri:  quivi  immenso  ondeggia 
L' inno  tebano  ed  ombrano  ben  cento 

Palme  la  reggia. 

La  valle  ov*  è  che  i  bei  Nèbrodi  monti 
Solitaria  coronano  di  pini, 
Ove  Dafni  pastor  dicea  tra  i  fonti 

Carmi  divini? 

—  Oh  di  Pèlope  re  tenere  il  suolo 
Oh  non  m'  avvenga,  o  d' aurei  talenti 
Gran  copia,  e  non  de  Tagil  piede  a  volo 

Vincere  i  venti! 

Io  vo'  da  questa  rupe  erma  cantare, 
Te  fra  le  braccia  avendo  e  via  lontano 
Calar  vedendo  V  agne  bianche  al  mare 

SicilTano.  — 


RIME   NUOVE  643 

Cantava  il  dorio  giovine  felice, 
E  tacean  gli  usignoli.  A  quella  riva, 
O  chiusa  in  un  bel  vel  di  Beatrice  v 

Anima  argiva, 

^Ti  rapirò  nel  verso;  e  tra  i  sereni 
Ozi  de  le  campagne  a  mezzo  il  giorno, 
Tacendo  e  rifulgendo  in  tutti  i  seni 

Ciel,  mare,  intorno, 

10  per  te  sveglierò  da  i  colli  aprichi 
Le  Driadi  bionde  sovra  il  pie  leggero 
E  ammiranti  a  le  tue  forme  gli  antichi 

Numi  d' Omero. 

Muoiono  gli  altri  dèi:  di  Grecia  i  numi 
Non  sanno  occaso;  ei  dormon  ne' materni 
Tronchi  e  ne'  fiori,  sopra  i  monti  i  fiumi 

I  mari  eterni; 

A  Cristo  in  faccia  irrigidi  ne  i  marmi 

11  puro  fior  di  lor  bellezze  ignude: 
Ne  i  carmi,  o  Lina,  spira  sol  ne  i  carmi 

Lor  gioventude; 

E,  se  gli  evoca  d'  una  bella  il  viso 
Innamorato  o  d'  un  poeta  il  core, 
Da  la  santa  natura  ei  con  un  riso 

Lampeggian  fuore.        / 


§44  RIME  NUOVE 

Ecco  danzan  le  Driadi,  e  —  Qual  etade  — 
Chieggon  le  Oreadi  -—  ti  portò  si  bella? 
Da  quali  vieni  ignote  a  noi  contrade, 

Dolce  sorella? 

Mesta  cura  a  te  siede  in  fra  le  stelle 
De  gli  occhi.  Forse  ti  feri  Ciprigna? 
Crudel  nume  è  Afrodite  ed  a  le  belle 

Forme  maligna. 

Sola  tra  voi  mortali  Elena  argea 
Di  nepente  a  gli  eroi  le  tazze  infuse; 
Ma  noi  sappiam  quanti  misteri  Gea 

Nel  sen  racchiuse. 

Noi  coglierem  per  te  balsami  arcani 
Cui  lacrimar  le  trasformate  vite, 
E  le  perle  che  lunge  a  i  duri  umani 

Nudre  Anfitrite. 

Noi  coglierem  per  te  fiori  animati. 
Esperti  de  la  gioia  e  de  V  affanno  : 
Ei  le  storie  d'  amor  de'  tempi  andati 

Ti  ridiranno; 

Ti  ridiranno  il  gemer  de  la  rosa 
Che  di  desio  su  '1  tuo  bel  petto  manca, 
E  gr  inni,  nel  tuo  crin,  de  la  fastosa 

Sorella  bianca. 


RIME  NUOVE  646 

Poi  nosco  ti  addurrem  ne  le  fulgenti 
De  l' ametista  grotte  e  del  cristallo, 
Ove  eterno  le  forme  e  gli  elementi 

Temprano  un  ballo. 

V  immergerem  ne  i  fiumi  ove  il  concento 
De' cigni  i  cori  de  le  Naidi  aduna; 
Su  Tacque  i  fianchi  tremolan  d'argento 

Come  la  luna. 

Ti  leverem  su  i  gioghi  al  ciel  vicini 
Che  Zeus,  il  padre,  più  benigno  mira. 
Ove  d'  Apollo  freme  entro  i  divini 

Templi  la  lira. 

Ivi,  raccolta  ne  le  aulenti  sale 
Nostre,  al  beli'  Ila  ti  farem  consorte, 
Ila  che  noi  rapimmo  a  la  brumale 

Ombra  di  morte.  -— 

Ahi,  da  che  tramontò  la  vostra  etate 
Vola  il  dolor  su  le  terrene  culle! 
Questo  raggio  d'  amor  no  '1  m' invidiate. 

Greche  fanciulle. 

La  cura  ignota  che  il  bel  sen  le  morde 
Io  tergerò  co  '1  puro  mèle  ascreo, 
L'  addormirò  co'  le  tebane  corde. 

Se  fossi  Alceo, 


646  RIME   NUOVE 

La  persona  gentil  ne  lo  spintale 
Fulgor  de  gì'  inni  irradiar  vorrei, 
Cingerle  il  molle  crin  co*  T  immortale 

Fior  de  gli  dèi, 

E,  mentre  nel  giacinto  il  braccio  folce 
E  del  mio  lauro  la  protegge  un  ramo, 
Chino  su  '1  cuore  mormorarle  —  O  dolce 

Signora,  io  v'  amo.  — 


RIME  NUOVE  647 


LXIV. 
PRIMAVERE  ELLENICHE 

(ih.  alessandrina) 


GeUdo  n  vento  p.  lunghi  e  candidi 

Intercolonii  feria;  su'^tumuli 

Di  garzonetti  e  spose 
Rabbrividian  le  rose 

Sotto  la  pioggia,  che,  lenta,  assidua, 
Sottil,  da  un  grigio  cielo  di  maggio 

Battea  con  faticoso 
Metro  il  piano  fangoso; 

Quando,  percossa  d'  un  lieve  tremito. 
Ella  il  bel  velo  d' intorno  a  gli  omeri 

Raccolto  al  seno  avvinse 
E  tutta  a  me  si  strinse: 


648  RIME  NUOVE 

Voluttuosa  ne  Tatto  languido 
Tra  i  gotici  archi,  quale  tra'  larici 

Gentil  palma  volgente 
Al  nativo  oriente. 

Guardò  serena  per  entro  i  lugubri 
Luoghi  di  morte;  levò  la  tenue 

Fronte,  pallida  e  bella, 
Tra  le  floride  anella 

Che  a  l'agii  collo  scendendo  incaute 
Tutta  di  molle  fulgor  la  irradiano: 

E  piovvemi  nel  cuore 
Sguardi  e  accenti  d'  amore 

Lunghi,  soavi,  profondi:  eolia 
Cetra  non  rese  più  dolci  gemiti 

Mai  né  si  molli  spirti 

Di  Lesbo  un  di  tra  i  mirti. 

Su  i  muti  intanto  marmi  la  serica 
Vesta  strisciava  con  legger  sibilo, 

Spargeanmi  al  viso  i  venti 
Le  sue  chiome  fluenti. 

Non  mai  le  tombe  si  belle  apparvero 
A  me  ne  i  primi  sogni  di  gloria. 

Oh  amor,  solenne  e  forte 
Come  il  suggel  di  morte! 


RIME  NUOVE  649 

Oh  delibato  f ra  i  sospir  trepidi 
Su  i  cari  labri  fiore  de  V  anima 

E  intraviste  ne' baci 

Interminate  paci! 

Oh  favolosi  prati  d'  Elisio, 

Piene  di  cetre,  di  ludi  eroici 

E  del  purpureo  raggio 
Di  non  fallace  maggio, 

Ove  in  disparte  bisbigliando  errano 
(Né  patto  umano  né  destin  ferreo 

L'  un  da  V  altra  divelle) 

I  poeti  e  le  belle! 


@60  RIME  NUOVE 


LXV. 


UNA  RAMA  D' ALLORO 


I 


o  son,  Dafne,  la  tua  greca  sorella, 
Che  vergin  bionda  isu  '1  Peneo  fuggia 
E  verdeggiai  pur  ieri  arbore  snella 
Per  r  Appia  via. 

Tra  i  cippi  e  i  negri  ruderi  soletta 
Sotto  il  ciel  triste  io  memore  sognava 
D'  un  tumulo  ignorato  in  su  la  vetta, 
E  riguardava. 

Guardava  i  colli  ceruli  del  Lazio, 
E  a  P  aura  che  da  Tivoli  traea 
Inchinandomi  i  fulgidi  d'  Orazio 
Carmi  dicea. 


RIME  NUOVE  651 

Mi  udivano  gli  uccelli,  e  saltellanti 
Per  r  aer  freddo  su  i  nudati  rami 
A  le  rose  ed  al  maggio  e  al  solee  a  i  canti 

Facean  richiami. 

Ahi  sempre  infesti  a  me  i  poeti  furo! 
M' invidiò  Enotrio  a'  sassi  antichi  e  pii, 
E  tra  le  mani  del  poeta  duro 

Inaridii. 

Avvolta  in  serto,  oh  foss'  io  stata  ombrella 
A  la  tua  fronte!  su  la  chioma  nera 
Come  esultato  avrei,  dolce  sorella, 

Io  verde  e  altera! 

E  ne  la  lingua  che  tra  noi  s' intende, 
Chino  a  V  orecchio  puro  e  delicato, 
Gli  cileni  amori  e  V  itale  leggende 

P  avrei  cantato. 

L' occhio  tuo  mesto  a  le*  fraterne  note 
Sorriso  avrebbe  con  ardor  gentile, 
E  rifiorito  de  le  molli  gote 

Saria  V  aprile. 


NOTE 


LXI)  p.  635.  Fu  premessa  a  un  frammento  dell'  Ilìade  tra- 
dotta da  Ugo  Foscolo  pubblicato  per  gratulare  alle  noiie  del 
D' A.  Nella  strofe  sesta  si  allude  all'  usanza  dotta,  se  non 
forse  pedantesca,  di  pubblicare  o  ripubblicare  in  occasioni  nu- 
ziali scritture  del  trecento,  documenti  a  simili;  utili  certo  a 
studiare,  ma  tutt' altro  che  opportune  e  graziose.  Tant'è;  per 
amore  dell'  utile  male  inteso  il  nostro  secolo  va  ognora  pìtì 
perdendo  og[iÌ  gusto  della  decenza  artistica. 

LXII)  p.  638,  str.  u.  A  molti  il  novale  Ftdrìade  vertice  suona 
ostico.  Me  ne  dispiace:  ma  è  questione  di  geografia.  "  Gli  al- 
tipiani del  Parnaso  terminano  dalla  parte  di  sud  in  un  preci- 
pizio alto  20[J0  piedi  che  s' inalza  a  doppio  picco  chiamato 
Phaedriades,  dalla  apparenza  sfavillante  allora  che  II  sole  ci 
riflette.  ,  Gugl.  Smith.  Manuale  di  geogr.  ani.,  lib.  iv  cap.  xx 
(trad.  ital.,  Firenze,  Barbèra,  1868). 

p.  639,  str.  vm.  Da  un  frammento  di  Alceo;  '  Saffo  dalle 
chiome  di  viola,  subhme,  dal  dolce  sorriso  ,,  Ancora  nelle 
strofe  Jil-iv  hii  tentato  di  rifare  un  passaggio  dell'inno  di  Al- 
ceo ad  Apolline,  il  quale  doveva  essere  stupendo,  a  giudicarne 


654  RIME   NUOVE 


anche  dalla  prosa  che  ce  lo  conservò  disciolto  e  scolorato.  (i| 
Bergk^  fragni.  2;  Moller,  St  d.  leti.  gr.  cap.  xiii. 

LXIII)  p.  642,  str.  viii  e  ix.  Ho  tradotto  dall*  idillio  via 
di  Teocrito  v.  53-56:  "  Non  mi  avvenga  di  possedere  latem 
di  Pèlope  né  talenti  d*  oro  né  correre  innanzi  ai  venti.  Maafr 
terò  su  questa  pietra  tenendoti  fra  le  braccia  e  vedendo  tato 
insieme  il  gregge  pascere  lungo  il  mar  di  Sicilia  „. 

LXV)  p.  650.  Questa  ode  fu  mandata  alla  march.  D.  G. 
per  accompagnamento  d' un  ramoscello  d'  alloro  còlto  sa  li 
Via  Appia.  Leggesi  anche  nel  voi.  in  degli  Scritti  in  prosati 
in  versi  di  Achille  Monti,  editi  a  cura  dei  figli  (Imola,  1886|, 
come  cosa  di  lui,  tra  le  poesie  inedite.  Quel  buono  e  compianto 
amico  trascrisse  di  sua  mano  la  ode  dall'  albo  della  signora, e 
la  copia  trovata  senza  nome  tra  i  suoi  fogli  fu  la  cagione  del- 
r  errore. 


V. 


RIMEMBRANZE  DI  SCUOLA  ' 


aiiiM'  h  :»lliiM  K  ctnutsnii  ijiv  ib  3 

Éiom  iHi\tso:>b  il  3  :aluéJei  logo  i9*1 
ra  fi  gltìgriò  niaiuro;  erà"urt"Bergtc5l-no 
Del  vita!  messidoro,  e  tutta  nozze 
Ne  gli  amori  del  sole  ardea  la  terra. 
Igneo  torrente  dilagava  il  sole  ' 

Pe' deserti  del  cielo  incandescenti,       "* 
E  al  suo  divino  riso  il  mar  ridea.       '  ' 
Non  rideva  io  fanciullo:  il  nero  prete 
Con  voce  chioccia  bestemmiava  lo  amo 
Ed  un  fastidio  era  il  suo  viso:  intanto 
A  la  finestra  de  la  scuoia  ardito 
S'affacciava  un  ciliegio,  e  co'  i  vermigli 
Frutti  allegro  ammiccava  e  arcane  storie 
Bisbigliava  con  l'aura.  Onde,  obliato 
Il  prete  e  de  le  coniugazioni 
In  su  la  gialla  pagina  le  file 
Quai  di  formiche  ne  la  creta  grigia, 


€58  RIME  NUOVE 

N        *   ♦■ 

* 

;  Io  tutto  desioso  liberava    . 

jt 

GHf  occhi  e  i  pensier  per  la  finestra,  quindi 

I  monti  e  il  cielo  e  quinci  la  lontana 
Curva  del  mare  a  contemplar.  Gli  uccelli 
Si  mescean  ne  la  luce  armonizzando 
Con  mille  cori:  a  i  pigolanti  nidi 
Parlar,  custodi  pii,  gli  alberi  antichi 
Pareano,  e  gli  arbuscelli  a  le  ronzanti 
Api  ed  i  fiori  sospirare  al  bacio 
De  le  farfalle;  e  steli  ed  erbe  e  arene 
Formicolavan  d' indistinti  amori 
E  di  vite  anelanti  a  mille  a  mille 
Per  ogni  istante.  E  li  accigliati  monti 
Ed  i  colli  sereni  e  le  ondeggianti 
Mèssi  tra  i  boschi  ed  i  vigneti  bionde» 
E  fin  Torrida  macchia  ed  il  roveto 
E  la  palude  livida,  pareano 
Godere  eterna  gioventù  nel  sole. 
Quando,  come  non  so,  quasi  dal  fonte 
D' essa  la  vita  rampollommi  in  cuore 

II  pensier  de  la  morte,  e  con  la  morte 
L'informe  niente;  e  d'un  sottratto  quello 
Infinito  sentir  di  tutto  al  nulla 
Sentire  io  comparando,  e  me  veggendo 
Corporalmente  ne  la  negra  terra 
Freddo,  immobile,  muto,  e  fuor  gli  augelli 
Cantare  allegri  e  gli  alberi  stormire 
E  trascorrere  i  fiumi  ed  i  viventi 
Ricrearsi  nel  sol  caldo  irrigati 


RIME   NUOVE  659 

De  la  divina  luce,  io  tutto  e  pieno 
L' intendimento  de  la  morte  accolsi; 
E  sbigottii  veracemente.  Anch'  oggi 
Quel  fanciullesco  imaginar  risale 
Ne  la  memoria  mia;  quindi,  si  come 
Gitto  di  gelid' acqua,  al  cor  mi  piomba. 


660  RIME  NUOVE 


LXVII. 


IDILLIO  DI  MAGGIO 


M, 


aggio,  idillio  di  Dante  e  Beatrice, 
Che  di  tentazioni 
Le  vie,  d'  acacie  infiori  la  pendice, 
Le  case  di  mosconi: 

Maggio,  che  sovra  Tossa  ed  i  carcami 

Rose  educhi  e  viole. 
Ed  al  postribol  de  la  vita  chiami 

Divin  lenone  il  sole: 

Con  le  dolci  memorie  e  i  cari  affanni, 
Maggio,  da  me  che  vuoi? 

Le  sono  storie  ormai  di  tremiPanni: 
Vecchio  maggio,  m'  annoi  ! 


Va',  molli  sonni  reca  e  sussurranti 
Ombre  a  pastori  e  cani, 

A  Maria  fiorì  e  litanie,  briganti 

De  l'arsa  Puglia  a  i  piani; 

Va',  da  maggesi  e  da  nidi  e  da  fronde 
Ti  cantin  selve  e  prati, 

E  ti  bestemmi  ciii  ne  1'  ossa  asconde 
Di  Venere  i  peccati: 

A  questo  tuo,  che  fra  cortili  e  mura 
M'  irride,  etico  raggio. 

Io  tempro  una  canzon  forte  e  sicura, 
E  te  la  gitto,  o  maggio. 

Lo  so;  roseo  fra' tuoi  molli  vapori 

Espero  in  ciel  ridea, 
E  tra  le  prime  stelle  e  ì  primi  fiori 

Ella  usci  come  dea. 

De  le  viole  onde  avea  colmo  il  grembo 
Gittommi;  e  il  volto  ascose, 

E  fug^i.  Sento  il  suo  ceruleo  lembo 
Sibilar  tra  le  rose 

Ancora:  ancor  su  la  sua  testa  bella 

Soavemente  inchina 
Vedo  tremar  dal  puro  ciel  !a  stella. 

La  stella  vespertina. 


662  RIME  NUOVE 

E  da  la  valle  un  fremito  salia, 

Un  nembo  inebriante; 
E  correa  per  i  colli  un'armonia; 

Ed  io  pensava,  o  Dante, 

A  te,  quando  t*  arrise  un  verecondo 
Viso  tra  i  bianchi  veli, 

E  tu  sentivi  piovere  su  '1  mondo 
Amor  da  tutti  i  cieli. 

—  Come  al  sol  novo  un  desio  di  viola 
S*  apre  il  mio  cuore  a  te. 

La  costoletta  mi  ritorna  a  gola: 
Fa'  venire  il  caffè.  — 

Cosi  diceami  un  giorno  de  i  cortesi 

Ippocastani  al  rezzo. 
Deh,  quante  dinastie  di  re  cinesi 

Passaro  in  questo  mezzo? 

Or  son  queir  io?  e  questo  è  quel  mio  cuore, 
Questo  che  in  sen  mi  batte, 

Qual  procellosa  V  ala  del  condore 
Su  l'alte  selve  intatte? 

Oh  come  solo  il  mio  pensiero  è  bello 

Ne  la  sua  forza  pura! 
Oh  come  scolorisce  in  faccia  a  quello 

Questa  vecchia  natura! 


RIME  NUOVE  663 


Oh  come  è  gretta  questa  mascherata 

Di  rose  e  di  viole  ! 
Questa  volta  del  ciel  come  è  serrata! 

Come  sei  smorto,  o  sole! 


6IS4  RIME  NUOVE 


LXVIII. 


IDILLIO  MAREMMANO 


C 


'o  '1  raggio  de  V  aprii  nuovo  che  inonda 
Roseo  la  stanza  tu  sorridi  ancora 
Improvvisa  al  mio  cuore,  o  Maria  bionda; 

E  il  cuor  che  t' obliò,  dopo  tant'  ora 

Di  tumulti  oziosi  in  te  riposa, 

O  amor  mio  primo,  o  d*  amor  dolce  aurora 

Ove  sei?  senza  nozze  e  sospirosa 
Non  passasti  già  tu  ;  certo  il  natio 
Borgo  ti  accoglie  lieta  madre  e  sposa; 

Che  il  fianco  baldanzoso  ed  il  restio 
Seno  a  i  freni  del  vel  promettean  troppa 
Gioia  d'amplessi  al  maritai  desio. 


RIME   NUOVE 


Forti  figli  pendean  da  la  tua  poppa 

Certo,  ed  or  baldi  un  tuo  sguardo  cercando 

Al  mal  domo  cavai  saltano  in  groppa. 

Com'  eri  bella,  o  giovinetta,  quando 
Tra  r  ondeggiar  de'  lunghi  solchi  uscivi 
Un  tuo  serto  di  fiori  in  man  recando, 


Alta  e  .ridente,  e  sotto  i  cigli  viviutinN^  lO 
Di  selvatico  fuoco  lampeggiante  i  ;,v. 

Grande  e  profondo  l'occhio  azzurro  aprivi! 

Come '1  ciano  seren  tra'l  biondeggiante 

Òr  de  le  spiche,  tra  la  chioma  flava 

Fioria  queJl' occhio  azzurro;  e  a  te  d'avante   ' 

La  grande  estate,  e  intorno,  fiammeggiava; 

Sparso  tra'  verdi  rami  il  sol  ridea 

Del  melogran,  che  rosso  scintillava.  '/, 

Al  tuo  passar,  siccome  a  la  sua  dea,        ,ri 
Il  bel  pavon  1'  occhiuta  coda  apria  ,   3 

Guardando,  e  un  rauco  grido  a  te  mettei^» 


Oh  come  fredda  indi  la  vita  mia, 
Come  oscura  e  incresciosa  è  trapassata! 
Meglio  era  sposar  te,  bionda  Maria! 


\ 


666  RIME  NUOVE 

Meglio  ir  tracciando  per  la  sconsolata 
Boscaglia  al  piano  il  bufolo  disperso, 
Che  salta  fra  la  macchia  e  sosta  e  guata, 

Che  sudar  dietro  al  piccioletto  verso! 
Meglio^  x)prando  obliar,  senza  indagarlo, 
Questo  enorme  mister  de  V  universo  ! 

Or  freddo,  assiduo,  del  pensiero  il  tarlo 
Mi  trafora  il  cervello,  ond'  io  dolente 
Misere  cose  scrivo  e  tristi  parlo. 

Guasti  1  muscoli  e  il  cuor  da  la  rea  mente, 
Corrose  Tossa  dal  malor  civile. 
Mi  divincolo  in  van  rabbiosamente. 

Oh  lunghe  al  vento  sussurranti  file 

De*  pioppi  !  oh  a  le  beli*  ombre  in  su  '1  sacrato 

Ne  i  di  solenni  rustico  sedile. 

Onde  bruno  si  mira  il  piano  arato 

E  verdi  quindi  i  colli  e  quindi  il  mare 

Sparso  di  vele,  e  il  campo  santo  è  a  lato! 

Oh  dolce  tra  gli  eguali  il  novellare 
Su  '1  quieto  meriggio,  e  a  le  rigenti 
Sere  accogliersi  intorno  al  focolare! 


RIME  NUOVE  667 

Oh  miglior  gloria,  a  i  figliuoletti  intenti 
Narrar  le  forti  prove  e  le  sudate 
Cacce  ed  i  perigliosi  avvolgimenti 

Ed  a  dito  segnar  le  profondate 
Oblique  piaghe  nel  cignal  supino, 
Che  perseguir  con  frottole  rimate 


I  vigliacchi  d' Italia  e  Trissottino. 


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RIME  NUOVE 


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LXIX. 
•^CLASSICISMO  E  ROMANTICISMO 


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benigno  è  il  sol;  de  gli  uomini  al  lavoro 
Soccorre  e  allegro  Tama; 
Per  lui  curva  la  vasta  mèsse  d' oro 
Freme  e  la  falce  chiama. 


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Egli  alto  ride  al  vomero  che  splende 

In  tra  le  brune  zolle 
Umido,  mentre  il  bue  lento  discende 

Il  risolcato  colle. 

Sotto  il  velo  de' pampini  i  gemmanti 
Grappoli  infiamma  e  indora, 

E  a  gli  ebri  de  V  autunno  ultimi  canti 
Mesto  sorride  ancora. 


RIME  NUÒVE  66d 


Egli  de  la  città  fra  i  neri  tetti 

Un  suo  raggio  disvia, 
E  a  la  fanciulla  va  che  i  giovinetti 

Di  nel  lavoro  oblia, 

E  una  canzon  di  primavera  e  amore 

Le  consiglia;  a  lei  balza 
Il  petto,  e  ne  la  luce  il  canto  e  il  cuore, 

Come  lodola,  inalza.  \J  \\^^^'^^^^ 

Ma  tu,  luna,  abbellir  godi  co  '1  raggio    /  .  • 

Le  ruine  ed  i  lutti;  r\     ^^^>^ 

Maturar  nel  fantastico  viaggio  ^ 

Non  sai  né  fior  né  frutti. 

Dove  la  fame  al  buio  s*  addormenta. 

Tu  per  le  impóste  vane 
Entri  e  la  svegli,  a  ciò  che  il  freddo  senta 

E  pensi  a  la  dimane. 

Poi  su  le  guglie  gotiche  ti  adorni 

Di  lattei  languori, 
E  civetti  a' poeti  perdigiorni 

E  a' disutili  amori. 

Poi  scendi  in  camposanto:  ivi  rinfreschi 

Pomposa  il  lume  stanco, 
E  vieni  in  gara  con  le  tibie  e  i  teschi 

Di  baglior  freddo  e  bianco. 


^M  RIME  NUOVE 

Odio  la  faccia  tua  stupida  e  tonda, 

L' inamidata  cotta, 
Monacella  lasciva  ed  infeconda, 

Celeste  paòlotta. 


\ 


RIME  NUOVE  §71 


LXX. 
VENDETTE  DELLA  LUNA 


JL  e,  certo,  te,  quando  la  veglia  bruna 
Lenti  adduceva  i  sogni  a  la  tua  culla, 
Te  certo  riguardò  la  bianca  luna. 

Bianca  fanciulla. 

A  te  scese  la  dea  ne  la  sua  stanca 
Serenitade,  e  con  i  freddi  baci 
China  al  tuo  viso  —  O  fanciulletta  bianca,  — 

Disse  —  mi  piaci.  — 

E  al  fatai  guardo,  ove  or  s*  annega  e  perde 
L'anima  mia,  piovea  lene  il  gentile 
Tremolar  del  suo  lume  entro  una  verde 

Notte  d'  aprile. 


672  RIME  NUOVE 

Ti  deponea  tra  i  labbri  la  querela 
De  r  usignuolo  al  frondeggiante  maggio, 
Quando  la  selva  odora  e  argentea  vela 

Nube  il  suo  raggio; 

E  del  languor  niveo  fulgente,  ond'ella 
Ride  a  l'Aurora  da  le  rosee  braccia, 
Ti  diffondeva  la  persona  bella, 

La  bella  faccia: 

Onde  ascari  occhi  tuoi,  dal  cui  profondo 
Tutto  lampeggia  quel  che  ama  e  piace. 
Nel  roseo  tempo  che  sorride  il  mondo 

Io  chiesi  pace: 

Pace  al  tuo  riso,  ove  fiorisce  pura 
La  voluttà  che  nel  mio  spirto  dorme, 
E  che  promesso  m*  ha  V  alma  natura 

Per  mille  forme. 

Ahi,  ma  la  tua  marmorea  bellezza 
Mi  sugge  l'alma,  e  il  senso  de  la  vita 
M'  annebbia;  e  pur  ne  libo  una  dolcezza 

Strana,  infinita; 

Com'  uomo  che  va  sotto  la  luna  estiva 
Tra  verdi  susurranti  alberi  al  piano; 
Che  in  fantastica  luce  arde  la  riva 

Presso  e  lontano. 


RIME  NUOVE  673 

Ed  ei  sente  un  desio  d'ignoti  amori 
Una  lenta  dolcezza  al  cuor  gravare, 
E  perdersi  vorria  tra  i  muti  albori 

E  dileguare. 


ARDUCCl  43 


674  RIME  NUOVE 


LXXI. 

Da  la  guai  par  eh*  una  stella  si  mooe. 

Guido  Cavalcamtl 


J-jra  un  giorno  di  festa,  e  luglio  ardea 
Basso  in  un* afa  di  nuvole  bianche: 
Ne  la  chiesa  lombarda  il  di  scendea 
Per  le  bifori  giallo  in  su  le  panche. 
Da  la  porta  arcuata,  che  f  leoni 
Millenni  di  granito  ama  carcar, 
Il  rumor  de  la  piazza  e  le  canzoni 
E  i  muggiti  veniano  in  fra  gli  aitar. 

La  messa  era  cantata,  ed  i  boati 
De  r  organo  chiamavano  il  Signore. 
In  fondo  de  la  chiesa  due  soldati 
Guardavan  fisi  ne  V  aitar  maggiore. 

Tra  quella  festa  di  candele  accese, 
Tra  quella  pompa  di  broccati  e  d'or, 
Ei  pensavan  la  chiesa  del  paese 
Nel  mese  di  Maria  piena  di  fior. 


RIME   NUOVE  675 

Sotto  la  volta  d'  una  bruna  arcata, 
In  tra  due  rosse  colonnette  snelle, 
Stava  la  bella  donna  inginocchiata, 
Giunte  le  mani,  senza  guanti,  belle. 

Umido  a  la  piumata  ombra  del  nero 
Cappello  il  riero  sguardo  luccicò, 
E  in  un  lampo  di  fede  il  suo  mistero 
Quel  fior  di  giovinezza  a  Dio  mandò. 

Io  vidi,  come  un  di  Guido  vedea, 
Uscir  da  quei  levati  occhi  una  stella, 
E  da  i  labbri,  che  a  pena  ella  movea. 
Un'alata  figura  d'angelella. 

La  stella  tremolando  un  lume  pio 
Sorridea,  sorridea,  non  so  a  che; 
Salia  la  supplicante  angela  a  Dio 
Chiamando  in  atti  —  Signor  mio,  mercé. 

Si  volse  il  prete  a  dire:  Ite.  Potente 
Ruppe  il  sole  a  le  nubi  sormontando, 
E  incoronò  d'  un  iride  scendente 
La  bella  donna  che  sorgea  pregando. 

C?orse  tra  le  figure  bizantine 
Vermiglio  un  riso  come  di  pudor; 
Ma  la  Madonna  le  pupille  chine 
Tenea  su  '1  figlio,  e  mormorava  —  Amor. 


676  RIME   NUOVE 


LXXII. 
DAVANTI  SAN  GUIDO 


T 


cipressi  che  a  Bólgheri  alti  e  schietti 
Vati  da  San  Guido  in  duph'ce  filar, 
Quasi  in  corsa  giganti  giovinetti 
Mi  balzarono  incontro  e  mi  guardàm 

Mi  riconobbero,  e  —  Ben  torni  ornai  — 
Bisbigliaron  vèr' me  co'l  capo  chino  — 
Perché  non  scendi  ?  Perché  non  ristai  J 
Fresca  è  la  sera  e  a  te  noto  il  cammino. 

Oh  siediti  a  le  nostre  ombre  odorate 

Ove  soffia  dal  mare  il  maestrale: 

Ira  non  ti  serbiam  de  le  sassate 

Tue  d'una  volta:  oh,  non  facean  già  male! 


RIME   NUOVE  677 

Nidi  portiamo  ancor  di  rusignoli: 

Deh  perché  fuggi  rapido  cosi? 

Le  passere  la  sera  intrecciati  voli 

A  noi  d' intorno  ancora.  Oh  resta  qui  !  — 

—  Bei  cipressetti,  cipressetti  miei, 
Fedeli  amici  d' un  tempo  migliore, 

Oh  di  che  cuor  con  voi  mi  resterei  — 
Guardando  io  rispondeva  —  oh  di  che  cuore  ! 

Ma,  cipressetti  miei,  lasciatemMre: 
Or  non  è  più  quel  tempo  e  quell'età. 
Se  voi  sapeste!...  via,  non  fo  per  dire. 
Ma  oggi  sono  una  celebrità. 

E  so  legger  di  greco  e  di  latino, 
E  scrivo  e  scrivo,  e  ho  molte  altre  virtù: 
Non  son  più,  cipressetti,  un  birichino, 
E  sassi  in  specie  non  ne  tiro  più. 

E  massime  a  le  piante.  —  Un  mormorio 
Pe'  dubitanti  vertici  ondeggiò, 
E  il  di  cadente  con  un  ghigno  pio 
Tra  i  verdi  cupi  roseo  brillò. 

Intesi  allora  che  i  cipressi  e  il  sole 
Una  gentil  pietade  avean  di  me, 
E  presto  il  mormorio  si  fé' parole: 

—  Ben  lo  sappiamo:  un  pover  uom  tu  se'. 


678  RIME   NUOVE 

Ben  lo  sappiamo,  e  il  vento  ce  lo  disse 
Che  rapisce  de  gli  uomini  i  sospir, 
Come  dentro  al  tuo  petto  eterne  risse 
Ardon  che  tu  né  sai  né  puoi  lenir. 

A  le  querce  ed  a  noi  qui  puoi  contare 
L' umana  tua  tristezza  e  il  vostro  duci 
Vedi  come  pacato  e  azzurro  è  il,  mare, 
Come  ridente  a  lui  discende  il  sol! 

E  come  questo  occaso  è  pien  di  voli, 
Com'  è  allegro  de'  passeri  il  garrire  ! 
A  notte  canteranno  i  rusignoli: 
Rimanti,  e  i  rei  fantasmi  oh  non  seguire; 

I  rei  fantasmi  che  da' fondi  neri 
De  i  cuor  vostri  battuti  dal  pensier 
Guizzan  come  da  i  vostri  cimiteri 
Putride  fiamme  innanzi  al  passegger. 

Rimanti;  e  noi,  dimani,  a  mezzo  il  giorno, 
Che  de  le  grandi  querce  a  l'ombra  stan 
Ammusando  i  cavalli  e  intorno  intorno 
Tutto  è  silenzio  ne  l' ardente  pian, 

Ti  canteremo  noi  cipressi  i  cori 
Che  vanno  eterni  fra  la  terra  e  il  cielo: 
Da  quegli  olmi  le  ninfe  usciran  fuori 
Te  ventilando  co '1  lor  bianco  velo; 


RIME   NUOVE  679 

E  Pan  reterno  che  su  Terme  alture 
A  queir  ora  e  ne  i  pian  solingo  va 
Il  dissidio,  o  mortai,  de  le  tue  cure 
Ne  la  diva  armonia  sommergerà.  — 

Ed  io  —  Lontano,  oltre  Apennin,  m'aspetta 
La  Titti  —  rispondea  — ;  lasciatem' ire. 
È  la  Titti  come  una  passeretta, 
Ma  non  ha  penne  per  il  suo  vestire. 

E  mangia  altro  che  bacche  di  cipresso; 
Né  io  sono  per  anche  un  manzoniano! 
Che  tiri  quattro  paghe  per  il  lesso. 
Addio  cipressi!  addio,  dolce  mio  piano!  — 

—  Che  vuoi  che  diciam  dunque  al  cimitero 
Dove  la  nonna  tua  sepolta  sta?  — 
E  fuggfano,  e  pareano  un  corteo  nero 
Che  brontolando  in  fretta  in  fretta  va. 

Di  cima  al  poggio  allor,  dal  cimitero. 
Giù  de' cipressi  per  la  verde  via. 
Alta,  solenne,  vestita  di  nero 
Parvemi  riveder  nonna  Lucia: 

La  signora  Lucia,  da  la  cui  bocca. 
Tra  r  ondeggiar  de  i  candidi  capelli. 
La  favella  toscana,  eh'  è  si  sciocca 
Nel  manzonismo  de  gli  stenterelli, 


680  RIME  NUOVE 

Canora  discendea,  co  M  mesto  accento 
De  la  Versilia  che  nel  cuor  mi  sta, 
Come  da  un  sirventese  del  trecento, 
Piena  di  forza  e  di  soavità. 

0  nonna,  o  nonna!  deh  com'era  bella 
Quand'  ero  bimbo  !  ditemela  ancor, 
Ditela  a  quest'  uom  savio  la  novella 
Di  lei  che  cerca  il  suo  perduto  amori 

—  Sette  paia  di  scarpe  ho  consumate 
Di  tutto  ferro  per  te  ritrovare: 
Sette  verghe  di  ferro  ho  logorate 
Per  appoggiarmi  nel  fatale  andare: 

Sette  fiasche  di  lacrime  ho  colmate. 
Sette  lunghi  anni,  di  lacrime  amare: 
Tu  dormi  a  le  mie  grida  disperate, 
E  il  gallo  canta,  e  non  ti  vuoi  svegliare. 

Deh  come  bella,  o  nonna,  e  come  vera 
È  la  novella  ancor!  Proprio  cosi. 
E  quello  che  cercai  mattina  e  sera 
Tanti  e  tanti  anni  in  vano,  è  forse  qui. 

Sotto  questi  cipressi,  ove  non  spero 
Ove  non  penso  di  posarmi  più: 
Forse,  nonna,  è  nel  vostro  cimitero 
Tra  quegli  altri  cipressi  ermo  là  su. 


RIME   NUOVE  681 

Ansimando  fuggia  la  vaporiera 
Mentr'io  cosi  piangeva  entro  il  mio  cuore; 
E  di  poliedri  una  leggiadra  schiera 
Annitrendo  correa  lieta  al  rumore. 

Ma  un  asin  bigio,  rosicchiando  un  cardo 
Rosso  e  turchino,  non  si  scomodò: 
Tutto  quel  chiasso  ei  non  degnò  d'  un  guardo 
E  a  brucar  serio  e  lento  seguitò. 


6SZ  RIME   NUOVE 


LXXIII.    ' 
NOTTE  DI  MAGGIO 


N, 


on  mai  seren  di  più  tranquilla  notte 
Fu  salutato  da  le  vaghe  stelle 
In  riva  di  correnti  e  lucid'onde; 
E  tremolava  rorida  su  *1  verde, 
Rompendo  l'ombre  che  scendean  da' colli, 
L'antica,  errante^  solitaria  luna. 


Candida,  vereconda,  austera  luna  : 
Che  vapori  e  tepor  per  1'  alta  notte 
Saliano  a  te  da  gli  arborati  colli  ! 
Parca  che  in  gara  a  le  virginee  stelle 
Si  svegliasser  le  ninfe  in  mezzo  il  verde, 
E  un  soave  susurro  era  ne  l'  onde. 


RIME  NUOVE  '683 

Non  tale  un  navigar  d'oblio  per  Tonde 
Ebbero  amanti  mai  sotto  la  luna^ 
Qual  io  disamorato  entro  il  bel  verde: 
Che  solo  a  i  buoni  splender  quella  notte 
Pareami,  e  da  gli  avelli  e  da  le  stelle 
Spirti  amici  vagar  vidi  su  i  colli. 


O  voi  dormenti  ne  i  materni  colli, 
E  voi  d'  umili  tombe  a  presso  V  onde 
Guardanti  in  cielo  trapassar  le  stelle; 
Voi  sotto  il  fiso  raggio  de  la  luna 
Rividi  io  popolar  la  cheta  notte, 
Lievi  strisciando  su  '1  commosso  verde. 


Deh,  quanta  parte  de  l'età  mia  verde, 
Rivissi  in  cima  a  i  luminosi  colli, 
E  vinta  al  basso  rifuggia  la  notte  ! 
Quando  una  forma  verso  me  su  l'onde, 
Disegnata  nel  lume  de  la  luna. 
Vidi,  e  per  gli  occhi  le  ridean  le  stelle. 

Ricorditi:  mi  disse.  AUor  le  stelle 
Furon  velate,  e  corse  ombra  su  '1  verde, 
E  di  sùbito  in  ciel  tacque  la  luna; 
Acuti  lai  suonarono  pe'  colli  ; 
Ed  io  soletto  su  le  flebili  onde 
Di  sepolcro  sentii  fredda  la  notte. 


664  RIME  NUOVE 

Quando  la  notte  è  fitta  più  di  stelle, 

A  me  giova  appo  Tonde  entro  il  bel  verde 

Mirar  su  i  còlli  la  sedente  luna. 


RIME  NUOVE  686 


LXXIV. 
ALL'AUTORE  DEL  MAGO 


O 


Severino,  de' tuoi  canti  il  nido, 
Il  covo  de' tuoi  sogni  io  ben  lo  so. 
Ondeggiante  di  canape  è  T  infido 
Piano  che  sfugge  al  curvo  Reno  e  al  Po. 

Da  gli  scopeti  de  la  bassa  landa 
Pigro  il  pizzaccherin  si  rizza  a  volo: 
Con  gli  strilli  di  chi  mercé  dimanda 
Levasi  de  le  arzàgole  lo  stuolo, 

Stampando  T ombra  su  per  l'acqua  lenta 
Ove  l'anguilla  maturando  sta. 
Oh  desio  di  canzoni,  oh  sonnolenta 
Smania  di  sogni  ne  l' immensità  ! 


686  RIME   NUOVE 

Oh  largo  su  gli  alti  argini  del  fiume 
Risplender  rosso  de  V  estiva  sera  ! 
Oh  palpitante  de  la  luna  al  lume 
Tenero  verdeggiar  di  primavera  I 

Quando  i  pioppi  contemplano  le  stelle 
Innamorati  con  lungo  sospir, 
Ed  un  lontano  suon  di  romanelle 
Viene  da' canapai  lento  a  morir! 

Allor  che  agosto  cada,  o  Severino, 
E  chiamin  l'acqua  le  rane  canore, 
Noi  tornerem  poeti  a  l'Alberino, 
Tutti  solinghi  in  bei  pensier  d'  amore  ; 

Ed  a' tuoi  pioppi  ne  le  notti  chete 
Noi  chiederem  con  desiosa  fé'  : 
—  O  alti  pioppi  che  tutto  vedete, 
Ditene  dunque  :  Biancofiore  ov'  è? 

Siede  in  riva  a  un  bel  fiume  ?  o  il  colle  varca 
Tessendo  al  capo  un  cerchio  agii  di  fiori? 
O  dentro  una  sestina  del  Petrarca 
Beata  ride  i  nostri  vani  amori  ?  — 


NOTE 


LXVUl,  p,  661,  verso  ultimo.  Chi  non  ricorda  nelf  atto  IH 
detl«  Femmes  Savantes  dì  G.  B.  Molière  l' elegante  Trìssottln 
e  il  suo  amico'i nimico  Vadius,  due  ritratti  immortali  dei  lette- 
ratì  di  consorteria  e  di  ericca  e  i  loro  amebei  panegirici? 
Nei  quali  par  di  ascoltare  e  rileggere  le  lezioni,  le  recensioni, 
gli  articoli,  le  citazioni  o  dedicatorie  dei  nostri  professori,  tìlo- 
sofi,  storivi,  romanzieri,  critici,  rimatori  e  appendicisti  officiati, 
grandi  uomini  tutti,  come  tutti  sanno. 

LXX,  p.  671.  Questo  principio  è  imitato  dal  principio 
del  xxxvil  dei  Petits  poémes  en  prose  intitolato  Les  bienfails 
de  la  Lune  di  Carlo  Baudelaire  che  incomincia  cosi  ;  "  La  lune, 
qui  est  le  eaprice  mime,  regarda  par  la  fenéire  pendant  que 
tu  dormais  dans  lon  òerceau,  et  se  dit:  —  Celle  enfant  me 
plait.  „  Solo  il  principio'  il  resto  va  a  conto  mio. 

LXXII,  p.  676.  A  illustrare,  come  si  dice  e  forse  qui  è  pro- 
prio, questi  versi,  ecco  il  tratto  d'  un  libro  di  Leopoldo  Bar- 
boni, intit.  Giosuè  Carducci  e  la  Maremma  (Livorno,  Giusti, 
1885),  del  qual  libro  varrei  dir  bene  se  l'autore   non   dicesse 


RIME  NUOVE 


troppo  bene  di  me  :  h  ogni  modo  gli  sono  grato  pe  '1  fedeli 
amore  onde  ritrae  ì  paesaggi  maremmani.  '  Segregato, 
piattato  due  miglia  in  dentro  alla  nostra  destra,  tra  i 
sfrondali  dei  gàllici  e  dei  pioppi,  si  cominciava  a  veder 
<  gheri....  Un  quarto  d'  ora  fermavamo  all'  oratorio  di  San  Guido. 
Il  qual  oratorio  e  il  magnitiCD  vialone  omonimo  che  dalia 
regia  si  slancia  fino  a  Bólgheri  per  tre  chilometri  in  circa 
un  rettilineo  perfetto  determinalo  da  due  ale  di  cipressi, 
presenta  benissimo  al  viaggiatore  che  corre  sulla  strada  fer 
rata  Pisa-Roma  „  Nairando  poi  dì  una  visita  al  signore  del 
luogo  Walfredo  conte  della  GlierardeSL'a,  serive  riferent 
le  parole:  "  Ella  vede:  di  que' cipressi  ve  ne  ha  che  hanno 
sofferto,  e  ci  sarebbe  bisogno  atterrarli  lutti  e  fare  una 
tata  novella.  Ma  il  Carducci  gli  ama,  e  però  io  gli  rispetto. 
Toglierò,  via  via,  i  malandati,  rimpiazzandoli  con  piante  gio- 
vini;  e  cosi  il  vialone  serlierà  la  sua  vera  fisionomia  oramai 
celebrata  ,  Gnuie,  signor  conte;  non  per  la  aUbrUà,  ma 
per  t'amort. 

LXXIV,  p.  S85.  PÌMtaccherinn  in  Romagna  e  pi»- 
Bacchtrttto  in  Bologna  chiamano  il  Beccaccino  reale.  "  Co- 
nosciamo un  altro  uccello  simile  al  suddetto  [cioi  alla  bec- 
caccia, di  cui  prima  l' autore  ha  parlato  1,  ma  la  metà  pid  pic- 
colo: a  Roma  lo  chiamano  pàaarda,  noi  piaaaccheretto  ,: 
cosi  un  vecchio  scrittore  bolognese,  Vincenzo  Tanam,  nel 
trattato  '  La  caccia  degli  uccelli  „  pubbl.  in  Bologna,  presso 
Romagnoli  Dall'Acqua,  1886,  dal  mio  buon  amico  dott  Alberto 
Bacchi  della  Lega,  eh'  è  un'  autorità  cosi  in  cinegetica  come 
in  bibliograiia. 

p.  686.  Romanelle  dicono  in  Romagna  i  canti  popolari 
su  r  ispirazione  e  la  intonazione  dei  rispetti  toscani,  ma  com- 
posti di  soli  quattro  endecasillabi. 


VI. 


44 
Carducci. 


'>i 


LXXV. 
I    DUE   TITANI 


u 


avvoltoio,  o  fratello,  il  cuor  mi  lania 
Con  piaghe  eterne  e  nuove: 
Paziente  fratel  di  Mauritania, 

Maledetto  sia  Giove! 


Ed  a  me  il  ciel  d' astri  e  di  dèi  fervente 
Gli  òmeri  grava  e  il  petto: 

0  di  Scizia  fratel  mio  sapiente, 
Giove  sia  maledetto! 


Intorno  a  questo  capo  ove  signore 
Siede  il  pensiero  eterno 

Intorno  al  sen  che  alberga  tanto  amore, 
Stride  perpetuo  verno. 


RIME   NUOVE 
ATLANTE. 

Libica  estate  a  me  le  membra  incende. 

10  brucio:  questa  pietra 
Del  granito,  che  tienmi,  al  sol  si  fende 

Con  un  tinnir  di  cetra. 

PROMETEO. 

In  che  peccai?  La  luce,  etereo  dono, 

Arrisi  in  cuore  e  in  volto 
A  1'  uom  :  fatto  ei  l' avea  triste  e  al  suol  prono, 

11  re  d'Olimpo  stolto. 

ATLANTE. 

Vii  tirannol  dieci  anni  a  faccia  a  faccia 
Gli  stetti  contro  in  guerra: 

Vòlto  in  bruto,  ei  fuggi  da  le  mie  braccia 
Tremando  per  la  terra. 

PROMETEO. 

Ma  io  so  eh'  ei  morrà,  né  per  preghiere 
Gli  apro  de  i  fati  il  velo: 

Ond'  ei  del  fulmin  tutto  di  mi  fere. 
Il  vigliacco  del  cielo. 

ATLANTE. 

Pomi  a  me  crescon,  di  sue  mense  invidia: 
L'  Esperidi  ognor  deste 

Guardanti  a  me  :  oh  in  vano  ei  me  gì'  insidia. 
II  ghiottone  celeste. 


RIME  NUOVE  693 


PROMETEO. 

Da  lo  scitico  mare  in  lunghi  manti 

Le  azzurre  Oceanine 

A  me  surgono,  e  d' inni  e  di  compianti 

Mi  ghirlandano  il  crine. 

ATLANTE. 

E  a  me  danzando  vengono  amorose 

Le  Pleiadi,  fiorenti 

Mie  figliuole,  d'  eroi  feconde  spose. 

Madri  d*  inclite  genti. 

PROMETEO. 

Ferma  Io  la  fatai  fuga  d' avante 

A  me,  la  fera  faccia 

Volgendo:  io  canto  a  la  divina  errante 

La  gloria  eh'  è  in  sua  traccia. 

ATLANTE. 

Cirene  a  me  ne  l'odorata  sera 

Spande  le  trecce  belle, 

E  pie  traverso  quella  chioma  nera 

Mi  ridono  le  stelle. 


Come  opposta  s' incontra  la  corrente 

Che  da^due  poli  move, 

Te  il  forte  ad  una  voce  e  il  sapiente 

Maledicono,  o  Giove. 


LXXVI. 
LA  LEGGENDA  DI  TEODORICO 


Ou  'I  castello  di  Verona 
Batte  il  sole  a  mezzogiorno, 
Da  la  Chiusa  al  pian  rintrona 
Solitario  un  suon  di  corno, 
Mormorando  per  l'aprico 
Verde  il  grande  Adige  va; 
Ed  il  re  Teodorico 
Vecchio  e  triste  al  bagno  sta. 

Pensa  il  di  che  a  Tulna  ei  venne 
Di  Crimilde  nel  conspetto 
E  il  cozzar  di  mille  antenne 
Ne  la  sala  del  banchetto, 

Quando  il  ferro  d'Ildebrando 
Su  la  donna  si  calò 
E  dal  funere  nefando 
Egli  solo  ritornò. 


RIME   NUOVE  095 

Guarda  il  sole  sfolgorante 
E  il  chiaro  Adige  che  corre, 
Guarda  un  falco  roteante 
Sovra  i  merli  de  la  torre; 

Guarda  i  monti  da  cui  scese 
La  sua  forte  gioventù;* 
Ed  il  bel  verde  paese 
Che  da  lui  conquiso  fu. 


Il  gridar  d'  un  damigello 
Risonò  fuor  de  la  chiostra: 
—  Sire,  un  cervo  mai  si  bello 
Non  si  vide  a  l'età  nostra. 

Egli  ha  i  pie  d'acciaro  a  smalto, 
Ha  le  corna  tutte  d' òr.  — 
Fuor  de  l'acque  diede. un  salto 
Il  vegliardo  cacciator. 


—  I  miei  cani,  il  mio  morello, 
Il  mio  spiedo  --  egli  chiedea: 
E  il  lenzuol  quasi  un  mantello 
A  le  membra  si  avvolgea. 

I  donzelli  ivano.  In  tanto 
Il  bel  cervo  dispari, 
E  d'  un  tratto  al  re  da  canto 
Un  corsier  nero  nitri. 


d&b  RIME  NUOVE 

Nero  come  un  corbo  vecchio, 
E  ne  gliiocchiavea  carboni. 
Era  pronto  TapparecchiOj 
Ed  il  re  balzò  in  arcioni. 

Ma  i  suoi  veltri  ebber  timore 
E  si  misero  a  guair, 
E  guardarono  il  Signore 
E  no  '1  vollero  seguir. 


In  quel  mezzo  il  cavai  nero 
Spiccò  via  come  uno^  strale, 
E  lontan  d'  ogni  sentiero 
Ora  scende  e  ora  sale: 

Via  e  via  e  via  e  via, 
Valli  e  monti  esso  varcò. 
11  re  scendere  vorria, 
Ma  staccar  non  se  ne  può. 


Il  più  vecchio  ed  il  più  fido 
Lo  seguia  de' suoi  scudieri, 
E  mettea  d'angoscia  un  grido 
Per  gV  incogniti  sentieri  : 

—  O  gentil  re  de  gli  Amali, 
Ti  seguii  ne'  tuoi  be'  di, 
Ti  seguii  tra  lance  e  strali. 
Ma  non  corsi  mai  cosi. 


RIME  NUOVE  697 

Teodorico  di  Verona, 
Dove  vai  tanto  di  fretta? 
Tornerem,  sacra  corona, 
A  la  casa  che  ci  aspetta?  — 

—  Mala  bestia  è  questa  mìa. 
Mal  cavallo  mi  toccò: 
Sol  la  Vergine  Maria 
Sa  quand'io  ritornerò.  — 


Altre  cure  su  nel  cielo 
Ha  la  Vergine  Maria: 
Sotto  il  grande  azzurro  velo 
Ella  i  martiri  covria, 

Ella  i  martiri  accoglieva 
De  la  patria  e  de  la  fé'; 
E  terribile  scendeva 
Dio  su  '1  capo  al  goto  re. 


Via  e  via  su  balzi  e  grotte 
Va  il  cavallo  al  fren  ribelle: 
Ei  s' immerge  ne  la  notte, 
Ei  s'  aderge  in  vèr'  le  stelle* 

Ecco,  il  dorso  d'  Apennino 
Fra  le  tenebre-  scompar, 
E  nel  pallido  mattino 
Mugghia  a  basso  il  tòsco  mar. 


698  RIME  NUOVE 

Ecco  Lipari,  la  reggia 
Di  Vulcano  ardua  che  fuma 
E  tra  i  bòrabiti  lampeggia 
De  Tardor  che  la  consuma: 

Quivi  giunto  il  cavai  nero 
Contro  il  ciel  forte  springò 
Annitrendo;  e  il  cavaliero 
Nel  cratere  inabissò. 


Ma  dal  Calabro  confine 
Che  mai  sorge  in  vetta  al  monte? 
Non  è  il  sole,  è  un  bianco  crine; 
Non  è  il  sole  è  un'ampia  fronte 

Sanguinosa,  in  un  sorriso 
Di  martirio  e  di  splendor: 
Di  Boezio  è  il  santo  viso, 
Del  romano  senator. 


RIME  NUOVE  699 


LXXVII. 


IL  COMUNE  RUSTICO 


O 


che  tra  faggi  e  abeti  erma  su  i  campi 
Smeraldini  la  fredda  ombra  si  stampi 
Al  sole  del  mattXn  puro  e  leggero, 

O  che  foscheggi  immobile  nel  giorno 
Morente  su  le  sparse  ville  intorno 
A  la  chiesa  che  prega  o  al  cimitero 


Che  tace,  o  noci  de  la  Carnia,  addio! 
Erra  tra  i  vostri  rami  il  pensier  mio 
Sognando  V  ombre  d'  un  tempo  che  fu. 

Non  paure  di  morti  ed  in  congreghe 
Diavoli  goffi  con  bizzarre  streghe, 
Ma  del  comun  la  rustica  virtù 


700  RIME  NUOVE 

Accampata  a  V  opaca  ampia  frescura 
Veggo  ne  la  stagion  de  la  pastura 
Dopo  la  messa  il  giorno  de  la  festa. 

Il  consol  dice,  e  poste  ha  pria  le  mani 
Sopra  i  santi  segnacoli  cristiani: 
—  Ecco,  io  parto  fra  voi  quella  foresta 

D' abeti  e  pini  ove  al  confin  nereggia. 
E  voi  trarrete  la  mugghiante  greggia 
E  la  belante  a  quelle  cime  là. 

E  voi,  se  l'unno  o  se  lo  slavo  invade, 
Eccovi,  o  figli,  l'aste,  ecco  le  spade, 
Morrete  per  la  nostra  libertà.  — 


a- 


Un  fremito  d'orgoglio  empieva  i  petti, 
Ergeaje  bionde  teste;  e  de  gli  eletti 
In  su  le  fronti  il  sol  grande  feriva. 

Ma  le  donne  piangendo  sotto  i  veli 
Invocavan  la  madre  alma  de'  cieli. 
Con  la  man  tesa  il  console  seguiva: 

—-  Questo,  al  nome  di  Cristo  e  di  Maria, 
Ordino  e  voglio  che  nel  popol  sia.  — 
A  man  levata  il  popol  dicea.  Si. 

E  le  rosse  giovenche  di  su  '1  prato 
Vedean  passare  il  piccolo  senato, 
Brillando  su  gli  abeti  il  mezzodì. 


RIME  NUOVE  701 


LXXVIII. 

SU  I  CAMPI  DI  MARENGO 

LA   NOTTE  DEL  SABATO  SANTO    1175 


wu  i  campi  di  Marengo  batte  la  luna;  fosco 
Tra  la  Bormida  e  il  Tanaro  s'agita  e  mugge  un 

bosco  ; 
Un  bosco  d' alabarde,  d'  uomini  e  di  cavalli, 
Che  fuggon  d'Alessandria  da  i  mal  tentati  valli. 

D'  alti  fuochi  Alessandria  giù  giù  da  TApennino 
Illumina  la  fuga  del  Cesar  ghibellino: 
I  fuochi  de  la  lega  rispondon  da  Tortona, 
E  un  canto  di  vittoria  ne  la  pia  notte  suona: 

—  Stretto  è  il  leon  di  Svevia  entro  i  latini  acciari: 
Ditelo,  o  fuochi,  a  i  monti,  a  i  colli,  a  i  piani, 

a  i  mari. 
Diman  Cristo  risorge:  de  la  romana  prole 
Quanta  novella  gloria  vedrai  domani,  o  sole!  — 


702  RIME  NUOVE 

Ode,  e,  poggiato  il  capo  su  V  alta  spada,  il  sire 
Canuto  d'  Hohenzollern  pensa  tra  sé  —  Morire 
Per  man  di  mercatanti  che  cinsero  pur  ieri 
A  i  lor  mal  pingui  ventri  V  acciar  de'cavalieri!  - 

E  il  vescovo  di  Spira,  a  cui  cento  convalli 
Empion  le  botti  e  cento  canonici  gli  stalli, 
Mugola  —  O  belle  torri  de  la  mia  cattedrale, 
Chi  vi  canterà  messa  la  notte  di  natale?  — 

E  il  conte  palatino  Ditpoldo,  a  cui  la  bionda 
Chioma  per  V  agii  collo  rose  e  ligustri  inonda, 
Pensa  —  Dal  Reno  il  canto  degli  elfi  per  la  bruna 
Notte  va:  Tecla  sogna  al  lume  de  la  luna.  — 

E  dice  il  magontino  arcivescovo  —  A  canto 
De  la  mazza  ferrata  io  porto  Tolio  santo: 
Ce  n'è  per  tutti.   Oh   almeno  foste    de  Talpe 

a*  varchi, 
Miei  poveri  muletti  d'italo  argento  carchi!  — 

E  il  conte  del  Tirolo  —  Figliuol  mio,  te  domane 
Saluterà  de  l'Alpi  il  sole  ed  il  mio  cane: 
Tuoi  1'  uno  e  l'altro;  io,  cervo  sorpreso  da  i  villani, 
Cadrò  sgozzato  in  questi  grigi  lombardi  piani.  - 

Solo,  a  piedi,  nel  mezzo  del  campo,  al  corridore 
Suo  presso,  riguardava  nel  ciel  l' imperatore: 
Passavano  le  stelle  su  '1  grigio  capo;  nera 
Dietro  garria  co  '1  vento  l' imperiai  bandiera. 


RIME  NU0YE  '703 

ATianchi  di  Boemia  e  di  Polonia  i  regi 
Scettro  e  spada  reggevano,  del  santo  impero  i  fregi. 
Quando  stanche  languirono  le  stelle,  e  rosseggianti 
Ne  Talba  parean  l'Alpi,  Cesare  disse  —  Avanti! 

A  cavallo,  o  fedeli!  Tu  Wittelsbach,  dispiega 
Il  sacro  segno  in  faccia  de  la  lombarda  lega. 
Tu  intima,  o  araldo:  Passa  T imperator  romano. 
Del  Divo  Giulio  erede,  successor  di  Traiano.  — 

Deh  come  allegri  e  rapidi  si  sparsero  gli  squilli 
De  le  trombe  teutoniche  fra  il  Tanaro  ed  il  Po, 
Quando  in  cospetto  a  l'aquila  gli  animi  ed  i  vessilli 
D'Italia  s'inchinarono  e  Cesare  passò! 


704  RIME  NUOVE 


LXXIX. 


FAIDA  DI  COMUNE 


M: 


.anda  a  Cuosa  in  vai  di  Serchio 
Pisa  manda  ambasciatori: 
Del  comun  di  santa  Zita 
Ivi  aspettano  i  signori. 

Ecco  vien  Bonturo  Dati, 
Mastro  in  far  baratterie: 
Ecco  Gino  ed  ecco  Pecchie, 
Che  spazzarono  le  vie: 

Ecco  il  Feccia  ed  ecco  il  Truglia, 
Detti  ancor  bocche  di  luccio: 
Il  miglior  di  tutti  è  Nello, 
Merciaiuol  popolaruccio. 


RIME  NUOVE  "KB' 

Tutti  a  nuovo  in  beir  arnese, 
Co'l  mazzocchio  e  con  la  spada: 
Il  fruscio  de  le  lor  séte 
Empie  tutta  la  contrada. 

Il  fruscio  de  le  lor  séte 
Chiama  il  popolo  a  raccolta: 
Gran  dispregio  han  su  le  ciglia: 
Parlan  tutti  in  una  volta. 

Ma  Band  uccio  di  Buonconte 
Grave  d'anni  e  più  di  gloria 
(Tre  ferite  ebbe  di  punta, 
Due  di  mazza  a  la  Meloria), 

Stando  a  capo  de  i  pisani. 
Come  vecchio  e  maggior  deve, 
Fatto  pria  cenno  d' onore. 
Cosi  disse  onesto  e  breve: 

—  Vincitori  si,  ma  stanchi 
Di  contese  e  cristiani, 
Noi  veniamo  a  segnar  pace 
Co*  lucchesi,  noi  pisani. 

Render  Buti,  Avane,  Asciano, 
Prometteste:  or  ce  li  date. 
E  viviam,  fratelli,  in  pace, 
Se  viviamo  in  libertate.  — 

^Ducci.  45 


TOS  RIME  NUOVE 

Qui  Bonturo  si  fa  innanzi 
Tra  i  lucchesi  ambasciatori 
Di  tre  passi,  e  parla  adorno 
Con  retorici  colori. 

—  Bel  castello  è  Avane,  e  corte 
Fu  de  i  re  d' Italia  un  giorno. 
Vi  si  sente  a  mezza  notte 
Pe'  querceti  un  suon  di  corno. 

Vi  si  sente  a  mezza  notte 
La  real  caccia  stormire, 
Dietro  ad  una  lepre  nera 
Un  cavai  nero  annitrire. 

Perché  Astolfo  longobardo 
D'  una  lepre  ebbe  contesa 
Con  l' abate  Sighinulfo, 
Qual  de'  due  T  avesse  presa: 

Onde  il  re  venuto  in  ira 
Trasse  in  faccia  al  santo  abbate 
Una  mazza,  e  tutte  gli  ebbe 
Le  mascelle  sgretolate. 

Gran  ricordi,  e,  come  a  seggio 
Di  marchese,  a  Lucca  grati. 
Pure  Avane  ed  i  suoi  boschi 
Noi  vogliam  che  vi  sian  dati. 


RIME  NUOVE  707 

Brutto  borgo  è  Buti:  a  valle 
Tra  le  rocce  grige  e  ignude 
Il  Riomagno  brontolando 
Va  di  Bientina  al  palude. 

Ma  su  alto  oh  come  belli 
D'  ubertà  ridono  i  clivi, 
Ma  su  alto  oh  come  lieti 
Ne  r  aprii  svarian  gli  ulivi  ! 

Bacchian  li  uomini  le  rame, 
Le  fanciulle  fan  corona, 
E  di  canti  la  collina 
E  di  canti  il  pian  risona. 

Mentre  pregni  d*abondanza 
Ispumeggiano  i  frantoi 
Scricchiolando.  Il  ricco  Buti 
Noi  cediam,  pisani,  a  voi. 

Ma  d'Asciano  in  van  pensate: 
Quando  a  voi  lo  conquistammo 
Su  le  torri  del  castello 
Quattro  specchi  ci  murammo, 

A  ciò  che  le  vostre  donne, 
Quando  uscite  a  dameggiare. 
Ne  gli  specchi  de  i  lucchesi 
Le  si  possan  vagheggiare.  — 


708  RIME  NUOVE 

E  qui  surse  tra  i  lucchesi 
Uno  sconcio  suon  di  risa. 
A  i  pugnali  sotto  i  panni 
Miser  m^o  quei  di  Pisa. 

Ma  Banduccio  di  Buonconte 
Con  un  cenno  di  comando 
Frenò  V  ire,  e  su  i  lucchesi 
Fieramente  riguardando, 

—  Otto  giorni  —  disse,  e  tese 
Contro  Lucca  avea  le  mani  — , 
E  vedrete  quali  specchi 
Han  le  donne  de  i  pisani.  — 

Sette  giorni  :  e  a  Pisa,  in  ponte, 
Tra  gli  albor  crepuscolari, 
Era  accesa  una  candela 
Di  sol  dodici  denari. 

Stava  presso  la  candela, 
Tremolante  nel  bagliore, 
Co'  pennoni  del  comune 
A  cavallo  un  banditore. 

E  sonava  a  più  riprese 

De  la  tromba,  e  urlava  forte: 

—  Viva  il  popolo  di  Pisa 
A  la  vita  ed  a  la  morte! 


RIME  NUOVE  709 

Cittadini  di  palagio, 
Mercatanti  e  buoni  artieri; 
E  voi  conti  di  Maremma 
Da  i  selvatici  manieri; 

Voi  di  Corsica  visconti, 
Voi  marchesi  de' confini; 
Voi  che  re  siete  in  Sardegna 
Ed  in  Pisa  cittadini; 

Voi  che  in  volta  dal  levante 
Mainaste  or  or  la  vela: 
Pria  che  arrossi  la  Verruca 
E  si  spenga  la  candela, 

Fuori  porta  del  Parlaselo, 
Su,  correte  arditamente! 
Su,  su,  popolo  di  Pisa, 
Cavalieri  e  buona  gente! 

Fuori  porta  del  Parlaselo, 
Con  gran  cuore,  a  lancia  e  spada! 
Ugucclon  de  la  Fagglola 
Messo  ha  in  punto  la  masnada. 

Tutto  ferro  V  ampio  busto. 
Ed  il  grande  capo  ignudo, 
Sta  su  '1  grande  cavai  bianco 
E  imbracciato  ha  il  grande  scudo. 


710  RIME  NUÒVE 

Che  ben  quattro  partigiane 
Regge,  e,  come  fòsser  cedi,  ; 
De'  lucchesi  i  verrettoni 
Regge  infitti  a  dieci  a  dieci.  - 

Cosi  grida  il  banditore, 
E  la  gente  accorre  armata. 
Va  co '1  sole  di  novembre, 
Va  la  fiera  cavalcata. 

Va  per  grige  irsute  stoppie 
Da  la  brtna  inargentate. 
Va  per  languidi  oliveti, 
Va  per  vigne  dispogliate. 

Forte  odora  per  le  ville 
La  vendemmia  già  matura: 
Ahi,  quest'anno  san  Martina 
Dà  la  mala  svinatura! 

O  lucchesi,  il  vostro  santo 
Non  è  più,  mi  par,  con  voi. 
II  pisan  cacciasi  avanti 
Contadini  e  carri  e  buoi, 

E  battendo  ed  uccidendo 
Corre  il  misero  paese; 
Fugge  innanzi  a  quella  furia. 
Fugge  il  popolo  lucchese. 


RIME  NUOVE  711 

Cosi  giunge  a  san  Friano 
La  feroce  cavalcata. 
Lucca  dentro  le  sue  torri 
Téme  V  ultima  giornata. 

I  pisani  oltre  le  mura 
Gittan  faci  e  verrettoni. 

—  Togli  su,  pantera  druda, 
Togli  su  questi  bocconi  — . 

—  Tali  specchi,  o  Lucca  bella, 
Pisa  manda  a  le  tue  donne  — . 
E  rizzaron  su  la  porta 
Due  lunghissime  colonne; 

E  due  specchi  in  vetta  in  vetta^ 
Grandi  e  grossi  come  bótti, 
V'appiccarono:  ed  intorno 
Menan  balli  e  dicon  motti. 

Ma  Tigri  n  de  la  Sassetta 
Faccia  ed  anima  cattiva, 
Trasse  a  corsa  pe' capelli 
Un  lucchese  che  fuggiva, 

E  la  spada  per  le  reni 
Una  volta  e  due  gli  fisse; 
Tinse  il  ditto  entro  quel  sangue. 
Su  la  porta  cosi  scrisse: 


712 


RIME  NUOVE 


—  Manda  a  te,  Bonturo  Dati, 
Che  i  lucchesi  hai  consigliati, 
Da  la  porta  a  San  Friano 
Questo  saluto  il  popolo  pisano. 


RIME  NUOVE  713 


LXXX, 


NINNA  NANNA  DI  CARLO  V 


I 


n  Brusselle,  a  Tostel,  sola  soletta, 
Di  tre  giovini  sposi  vedovetta, 
Sta  Margherita  d'Austria;  e  s'affretta 
Una  camicia  bianca  ad  agucchiare. 

A  lei  da  canto  il  nipotino  in  culla 
Con  un  magro  levriero  si  trastulla: 
Ha  le  mascelle  a  guisa  di  maciulla, 
Cascante  il  labbro  sotto;  e  infermo  pare. 

Di  maligna  caligine  velate 
Intorno  a  lui  si  volgono  tre  fate, 
E  del  mal  di  tre  secoli  beate 
Tessono  intorno  a  lui  questo  cantare. 


714  RIME  NUOVE 

—  Salve,  o  fanciul  da  la  faccia  cagnazza: 
Salve,  o  figliuol  di  Giovanna  la  pazza: 
Salve,  o  pollone  de  la  mista  razza 
Che  dee  la  terra  cristiana  aduggiare. 

La  discordia  de  i  sangui  per  tre  rivi 
E  il  bulicame  de  i  pensier  cattivi 
E  l'accidia  de  gl'impeti  mal  vivi 
Sale  nel  tuo  cervello  a  fermentare.  — 

Poi  l'una:  —  Io  son  la  furia  di  Borgogna 
Che  nulla  attinge  e  tutto  il  móndo  agogna. 
Io  trassi  il  Temerario  con  vergogna 
Nel  toro  d'  Uri  indomito  a  cozzare. 

E  boccon  giacque,  corpo  dispogliato, 
Tra  i  ghiacciuoli  d'  un  lago  innominato. 
Questo  l'augurio  il  simbolo  ed  il  fato 
Che  lo  tuo  regno  segua  in  terra  e  in  mare. 

—  La  vertigine  io  son  —  queir  altra  dice  - 
Che  tragge  Max  di  pendice  in  pendice 
Per  r  alpe  del  Tirolo  :  e  l' infelice, 
Seguendo  me,  dismenta  l'accattare. 

Hallali,  hallali,  gente  d' Habsburgo  ! 
Ad  una  caccia  eterna  io  con  te  surgo; 
Poi  nel  sangue  de  i  popoli  mi  purgo, 
E  nel  tuo,  dal  travaglio  del  cacciare.  — 


RIME  NUOVE  715 

—  Ed  io  son  la  pazzia  —  la  terza  fata 
Dice  ~,  e  son  de  la  morte  innamorata: 
La  bara  per  il  talamo  ho  scambiata. 
E  sol  nel  cataletto  io  posso  amare. 

Non  odi  tu  Giovanna  che  si  lagna? 

T  aspetto  a  Yust.  Vuo'  sotto  il  ciel  di  Spagna, 

Perché  la  razza  tua  meco  rimagna, 

II  mostruoso  Escurial  murare.  — 

Poi  tutt'e  tre  —  Nel  cuor  tuo  brabanzone 
Il  mezzogiorno  ed  il  settentrione 
Saran  con  torbid'  impeti  a  tenzone, 
Per  poi  in  calma  livida  fiaccare. 

O  primo  ereditario  imperatore, 
O  primo  d'  Europa  accentratore, 
Su  '1  vecchio  tempo  che  libero  muore 
Vien'  I^  rete  dinastica  a  gettare. 

Su  M  nuovo  tempo  che  libero  nasce, 
A  cui  Lutero  dislaccia  le  fasce 
E  di  midolla  di  pensier  lo  pasce, 
Vien'  la  rete  ecclesiastica  a  gettare. 

E  tu,  Margotta,  cucitrice  ardita, 
Che  in  fretta  meni  su  e  giù  le  dita, 
La  camicia  di  Nesso  è  ancor  finita? 
Presto!  vogliam  T  Europa  imbavagliare.  — 


716  RIME  NUOVE 


LXXXI. 

A   VITTORE  HUGO 

(  XXVII  FEBBRAIO   1881) 


D, 


'a  i  monti  sorridenti  nel  sole  mattutino 
Scende  V  epos  d' Omero,  che  va  fiume  divino 
Popolato  di  cigni  pe  *1  verde  asiaco  pian. 

Sorge  aspra  la  tragedia  d*  Eschilo  nel  fatale 
Orror,  fuma  e  lampeggia,  e  freme  e  tuona,  quale 
Sovra  il  mar  di  Sicilia  per  la  notte  un  vulcan. 

L' ode  olimpia  di  Pindaro,  aquila  trlfonfale, 
Distende  altera  e  placida  il  remeggio  de  Tale 
Nel  fulgente  meriggio  su  i  fòri  e  le  città. 

Tra  quei  libri  di  canti,  nel  mio  studio,  o  Vittore, 
La  tua  canuta  effige,  piegata  nel  dolore 
La  profetica  testa  su  la  man  destra,  sta. 


RIME  NUOVE  717 

Pensi  i  'figli  o  la  patria?  pensi  il  dolore  umano? 
Non  so;  ma  quando,  o  vate,  raccolgo  in   quél- 

r  arcano 

Dolore  gli  occhi  e  il  cuor, 
Scordo  i  miei  danni  antichi,  scordo   il   recente 

danno, 
E  rammemoro  gli  anni  che  furo  e  che  saranno 

E  ciò  che  mai  non  muon 
Colsi  per  TAppia  via  sur  un  tumulo  ignoto 
E  posi  a  la  tua  fronte,  segnacol  del  mio  vóto, 

Un  ramuscel  d'allòr. 
Poeta,  a  te  il  trionfo  su  la  forza  e  su  M  fatol 
Poeta,  co  M  lucente  piede  tu  hai  calcato 

Impero  e  imperatori 

Chi  novera  a  te  gli  anni?  che  cosa  è  a  te  la  vita? 
Tu  di  Gallia  e  di  Francia  sei  l'anima  infinita, 
Che  al  tuo  gran  cuor  s'accolse  per  i  secoli  a  voi. 
In  te  l'urlo  de' nembi  su  la  britanna  duna,' 
E  i  sogni  de'  normanni  piani  al  lume  di  luna, 
E  r  ardor  del  granito  di  Pirene  erto  al  sol. 

In  te  la  vendemmiante  sanità  borgognona. 
Il  genio  di  Provenza  che  armonie  greche  suona 
U  estro  che  Marna  e  Senna  gallico  limitò. 
Tu  vedevi  i  tettòsagi  carri  al  grand'  Ilio  in- 
torno. 
Udivi  in  Roncisvalle  del  franco  Orlando  il  corno. 
Ragionavi  a  Goffredo  a  Baiardo  a  Marceau. 


718  RIME  NUOVE 

Come  quercia  druidica  sta  il  tuo  fatai  lavoro. 
Biancovestite  muse  taglian  con  falce  d'  oro 

Del  sacro  visco  il  fior. 
Da'  soleggiati  rami  pendon  r  armi  de  gli  avi, 
Pendon  V  arpe  de'  bardi  ;  ma  l' usignol  ne'  cavi 

Scudi  canta  d' amor. 
Danzan  le  figlie  a  V  ombra,  del   maggio   tra  i 

susurri, 
E  i  fanciulletti  guardan  con  i  grandi  occhi  azzurri 

Sparsi  i  capelli  d'or; 
Però  ch'ardua  la  vetta  si  perde  ne  la  sera, 
E  vi  passa  per  entro  co*  lampi  e  la  bufera 

Il  dio  vendicator. 

Poeta,  su  '1  tuo  capo  sospeso  ho  il  tricolore 
Che  da  le  spiaggie  d' Istria  da  V  acque  di  Salvorc 
La  fedele  di  Roma,  Trieste,  mi  mandò. 
^   Poeta,  la  vittoria  di  Brescia  a  te  d'  avante 
Ne  la  parete  dice  —  Qual  nome  e  qual  fiammante 
Anno  nel  sempiterno  clipeo  descriverò?  — 

Passan  le  glorie  come  fiamme  di  cimiteri. 
Come  scenari  vecchi  crollan  regni  ed  imperi: 
Sereno  e  fiero  arcangelo  move  il  tuo  verso  e  va. 
Canta  a  la  nuova  prole,  o  vegliardo  divino, 
Il  carme  secolare  del  popolo  latino; 
Canta  a'I  mondo  aspettante,  Giustizia  e  Liberti 


NOTE 


LXXVl)  p.  694.  La  facciata  della  basilica  di  San  Zeno  in 
'erona  è,  in  basso  e  da'  due  lati  della  porta  d' ingreuo, 
compartita  in  quadri  di  marmo  lucido  istoriati.  Sotto  sei  di 
uè'  quadri  a  sinistra,  che  rappresentano  la  creazione  dei- 
uomo  e  la  cacciata  dal  paradiso  terrestre,  sono  effigiate 
ueste  figure:  in  un  primo  ripartimento,  un  nomo  a  cavallo 
he  va  a  caccia,  in  clamide,  con  staffe  e  corno  alla  bocca: 
opra  si  legge: 

O  regem  stultu  petit  infernale  tribtix 

mox.  q.  paratur  eqaas  què  misit  demon  ìniqaus 

exit  aqua  nadus  pe 


1  un  secondo  ripartimento  due 
questo  è  preso 


che  inseguono  un 
venabulo:  sopra  è  inscrìtto. 


Nisas  equus  cenius  huk 
datar,  hos  dat  aaf.  r.  u.  [ai 


RIME   NUOVE 


Il  primo  Te  degli  Ostrogoti  In  Italia  e  nell'antica  poesis  te- 
desca denominato  Teodorico  dì  Verona;  ed  entra  nei  Nibt 
lunghi  e  da  ultimo  nei  miti  odinìei  del  cacciatore  demoniaa. 
La  leggenda  cattolica  italiana,  certa  per  quella  breve  tinnni 
che  macchiò  il  Gae  del  regno  dì  lui,  lo  Fa  portato  via  dot  dii 
volo  e  gittato  dalle  anime  di  Simmaco  e  del  pontefice  Gi» 
vanni  nelle  caldaie  di  Lipari.  I  miei  versi  raccolgono,  e 
dicevano  i  commediografi  romani,  contaminano,  le  due  le- 
gende, la  germanica  odinica,  l' italiana  cattolica. 

LXVIll)  p.  101.  Soggetto  di  questa  poesìa  è  un  faCi 
della  sesta  spedizione  di  Federico  i  in  Italia,  narrato  e  cnn 
mentato  dal  Quinet  in   Les  rsìioluiìons  d' Italie  lib.  i,  cap.  :^ 

LXXIX)  p.  704.  Della  favola  il  fondamento  è  storico:  ci: 
Cronaca  dì  Fisa  in  Rer.  Hai.  Seript.  x  981.  Albertino  Mo 
aato,  De  s^st.  ilalic.  post  Henricum  vii,  ivi  stesso  x  594*. 
L'ultima  stanza  è  quasi  a  lettera  da  versi  d'  allora;  cf.  Cm' 
tilene  e  ballate,  Pisa.  Nistri,  1811  p.  31.  Fin  certi  nomi 
lineativi  furono  suggeriti  dalle  rime  d'un  poeta  lucehEse,  Retro 
Faitinelli,  dei  primi  trenf  anni  del  sec.  Xlv,  pubbl.  da  L 
Del  Prete,  a  Bologna,  per  ii  Romagnoli,  1814,  nella  disp,  e 
della  Scelta  di  curiosila  letterarie, 

LXXX)   p.  113.  Margherita   d' Austria,    la    '    buona  cuo 
trice  ,  come   gloriavasi  ella  ■  di   camice    „,    e    la   storia  if 
giunge  di  trattati,  non  fu  propriamente  vedovetta    di   tre  i 
riti,  perché  il  primo,  Carlo  vili  di  Francia,  non    le    fu    pili 
luto  dare,  dopo  lidanzatala  e  fattala  a  clCi  educare  in  Fran^ii 
È  conosciuto  r  epitaffio  che  in  certa    occasione    ella   compoK 

Ci  git  Margot,  la  gente  demoiselle 


Il  resto  è  storia  generale. 


RIME  NUOVE  721 


t  p.  714.  HallaU  è   grìdo   di  caccia   nella   lingua  francese, 

Il  oggi  accolto,  credo,  anche  nelle  nobili   cacce   italiane;    e   può 

;i  accogliersi,  parmi,  perché  in  fine  non  è   altro  che   un  compo- 

•«  sto  d' interiezioni  e  di  avverbi  comuni  alle  due  lingue. 

tf  LXXXI)  p.  717.  Il  verso  22  allude  alla  conquista  dell'  Asia 

•«  minore  fatta  nel  278   av.  G.  C.   dai   Galli,  una  cui  tribù   ac- 

\  campò  su  le  rovine  di  Troia,  et;  t'-tv  7rd>iv  *'I>tov  (Strab.  xiii). 


f 

3 
B 

I-i 

=38 


-H. 


Carducci  .  46 


VII 


QA  IRA 


Lxxxn. 


J_jie 


^ieto  su  i  colli  di  Borgogna  splende 
E  in  vai  di  Marna  a  le  vendemmie  il  sole: 
Il  riposato  suol  piccando  attende 
L'  aratro  che  l' inviti  a  nuova  prole. 

Ma  il  falcetto  su  l'uve  iroso  scende 
Come  una  scure,  e  par  che  sangue  cóle: 
Nel  rosso  vespro  l' arator  protende 
L'occhio  vago  a  le  terre  inculte  e  sole, 

Ed  il  pungolo  vibra  in  su  i  mugghianti 
Quasi  che  l'asta  palle^iasse,  e  afferra 
La  stiva  urlando:  Avanti,  Francia,  avanti! 

Stride  l'aratro  in  solchi  aspri:  la  terra 
Fuma:  l'aria  oscurata  è  di  montanti 
Fantasimi  che  cercano  la  guerra. 


726  RIME  NUOVE 


LXXXIII. 


C5on  de  la  terra  faticosa  i  figli 
Che  armati  salgon  le  ideali  cime, 
Gli  azzurri  cavalier  bianchi  e  vermigli 
Che  dal  suolo  plebeo  la  patria  esprime. 

E  tu,  Kleber,  da  gli  arruffati  cigli, 
Leon  ruggente  ne  le  linee  prime; 
E  tu  via  sfolgorante  in  tra  i  perigli, 
Lampo  di  giovinezza,  Hoche  sublime. 

Desaix  che  elegge  a  sé  il  dovere  e  dona 
Altrui  la  gloria,  e  Tonda  procellosa 
Di  Murat  che  s'abbatte  a  una  corona; 

E  Marceau  che  a  la  morte  radiosa 
Puro  i  suoi  ventisette  anni  abbandona 
Come  a  le  braccia  d' arridente  sposa. 


RIME  NUOVE  727 


LXXXIVi 


D 


a  le  ree  Tuglieri  di  Caterina 
Ove  Luigi  inginocchiossi  a  i  preti, 
E  a'  cavalier  bretanni  la  regina 
Partia  sorrisi  lacrime  e  segreti, 

Tra  l'afosa  caligin  vespertina 
Sorge  con  atti  né  tristi  né  lieti 
Una  forma,  ed  il  fuso  attorce  e;  china, 
E  con  la  rócca  attinge  alta  i  pianeti. 

E  fila  e  fila  e  fila.  Tutte  sere 
Al  lume  de  la  luna  e  de  le  stelle 
La  vecchia  fila,  e  non  si  stanca  mai. 

Brunswick  appressa,  e  in  fronte  a  le  sue  schiere 
La  forca;  e  ad  impiccar  questa  ribelle 
Genia  di  Francia  ci  vuol  corda  assai! 


728  RIME   NUOVE 


LXXXV. 


1—/  un  dopo  r  altro  i  messi  di  sventura 
Piovon  come  ^al  cfèl.  Longwy  cadea. 
E  i  fuggitivi  da  la  resa  oscura 
S' affollai!  polverosi  a  V  Assemblea. 

—  Eravamo  dispersi  in  su  le  mura: 

A  pena  ogni  dUe  pezzi  un  uom  s*avea: 

Lavergne  dispari  ne  la  paura: 

L'armi  fallfan.  Che  più  far  si  potea?^^ — 

—  Morir  —  risponde  l'Assemblea  seduta. 
Goccian  per  que' riarsi  volti  strane 
Lacrime:  e  parton  con  la  fronte  bassa. 

Grande  in  ciel  l'ora  del  periglio  passa, 
Batte  con  l'ala  a  stormo  le  campane. 
O  popolo  di  Francia,  aiuta,  aiuta! 


RIME  NUéVfi  72^ 


LXXXVI. 


U, 


dite,  udite,  o  cittadini.  Ieri 
Verdun  a  T  inimico  apri  4e  porte: 
Le  ignobili  sue  donne  a  i  re  stranieri 
Dan  fiori  e  fanno  ad  Artois  la  corte, 

E  propinando  i  vin  bianchi  e  leggeri 
Ballano  con  gli  ulani  e  con  le  scorte. 
Verdun,  vile  città  di  confettieri, 
Dopo  1'  onta  su  te  caschi  la  morte  ! 

Ma  Beaurepaire  il  vivere  rifiuta 
Oltre  r  onore,  e  gitta  ultima  sfida 
L'  anima  a  i  fati  a  V  avvenire  e  a  noi. 

La  raccolgon  dal  ciel  gli  antichi  eroi, 
E  la  non  nata  ancor  gente  ci  grida 
"  O  popolo  di  Francia,  aiuta,  aiuta.  „ 


730  RIME  NUOVE 


LXXXVIL 


C^u  l'ostel  di  città  stendardo  nero 

—  Indietro!  —  dice  al  sole  ed  a  T amore: 
Romba  il  cannone,  nel  silenzio  fiero. 

Di  minuto  in  minuto  ammonitore. 

Gruppo  d' antiche  statue  severo 
Sotto  i  nunzi  incalzantisi  con  l'ore 
Sembra  il  popolo:  in  tutti  uno  il  pensiero 

—  Perché  viva  la  patria,  oggi  si  muore,— 

In  conspetto  a  Danton,  pallido,  enorme, 
Furie  di  donne  sfilano,  cacciando 
Gli  scalzi  figli  sol  di  rabbia  armati. 

Marat  vede  ne  l'aria  oscure  torme 
D'  uomini  con  pugnali  erti  passando, 
E  piove  sangue  donde  son  passati. 


I 


RIME  NUOVE  TSi: 


LXXXVIII. 


u, 


na  bieca  druidica  visione 
Su  gli  spiriti  cala  e  gli  tormenta: 
Da  le  torri  papali  d'Avignone 
Turbine  di  furor  torbido  venta. 

O  passTon  de  gli  Albigesi,  o  lenta 
De  gli  Ugonotti  nobil  passione, 
Il  vostro  sangue  bulica  e  fermenta 
E  i  cuori  inebria  di  perdizione. 

Ecco  la  pena  e  il  tribunale  orrendo 

Che  d'ombra  immane  il  secol  novo  impronta! 

Oh,  sei  la  Francia  tu,  bianca  ragazza 

Che  su  '1  tremuio  padre  alta  sorgendo 
A  espiare  e  salvar  bevi  con  pronta 
Mano  il  sangue  de' tuoi  da  piena  tazza? 


732  RIME  NUOVE 


LXXXIX. 


G. 


emono  i  rivi  e  mormorano  i  venti 
Freschi  a  la  savoiarda  alpe  natia. 
Qui  suon  di  ferro,  e  di  furore  accenti. 
Signora  di  Lamballe,  a  V  Abbadia. 

E  giacque,  tra  i  capelli  aurei  fluenti^ 
Ignudo  corpo  in  mezzo  de  la  via; 
E  un  parrucchier  le  membra  anco  tepenti 
Con  sanguinose  mani  allarga  e  spia. 

Come  tenera  e  bianca,  e  come  fina! 
Un  giglio  il  collo  e  tra  mughetti  pare 
Garofano  la  bocca  piccolina. 

Su,  co' begli  occhi  del  colori  del  mare, 
Su,  ricciutella,  al  Tempio!  A  la  regina 
Il  buon  di  de  la  morte  andiamo  a  dare. 


RIME  NUOVE  733 


XC 


O 


h  non  mai  re  di  Francia  al  suo  levare 
Tali  di  salutanti  ebbe  un  drappello! 
La  fosca  torre  in  quel  tumulto  pare 
Sperso  nel  mezzodì  notturno  uccello. 

Ivi  su  '1  medio  evo  il  secolare 
Braccio  distese  di  Filippo  il  Bello, 
Ivi  scende  de  V  ultimo  Templare 
Su  r  ultimo  Capeto  oggi  V  appello. 

Ecco,  mugge  l'orribile  corteo. 

La  fiera  testa  in  su  la  picca  ondeggia, 

E  batte  a  le  finestre.  Ed  il  re  prono 

Da  le  finestre  de  la  trista  reggia 

Guarda  il  popolo,  e  a  Dio  chiede  perdono 

De  la  notte  di  San  Bartolommeo. 


134  RIME  NUOVE 


XCI. 


(  ■ 


jf\l  calpestio  de' barbari  cavalli 

Ne  r  avel  si  svegliò  dunque  Baiardo? 

E  su  le  dolci  orleanesi  valli 

La  Puldella 'rileva  il  suo  stendardo? 


Da  r  Alta  Sona  e  dal  ventoso  Cardo 
Chi  vien  cantando  a  i  mal  costrutti  vaiti 
Sbarrati  di  tronchi  alberi?  È  il  gagliardo 
Vercingetorix  co* suoi  rossi  Galli? 

No:  Dumouriez,  la  spia,  nel  cor  riscuote 
Il  genio  di  Condè:  sopra  la  carta 
Militare  uno  sguardo  acceso  lancia, 

Ed  una  fila  di  colline  ignote 

Additando  —  Ecco  —  dice  —,  o  nuova  Sparta, 

Le  felici  Termopile  di  Francia. 


CIME  NUOVE  735 


XCII. 


S 


u  i  colli  de  le  Argotine  alza  il  mattino 
Brumoso,  accidioso  e  lutolento. 
Il  tricolor  bagnato  in  su  '1  mulino 
Di  Valmy  chiede  in  vano  il  sole  e  il  vento. 

Sta,  sta,  bianco  mugnaio.  Oggi  il  destino 

Per  r  avvenire  macina  1*  evento, 

E  r  esercito  scalzo  cittadino 

Dà  col  sangue  a  la  ruota  il  movimento. 

—  Viva  la  patria  —  Kellermann,  levata 
La  spada  in  tra  i  cannoni,  urla,  serrate 
De*  sanculotti  V  epiche  colonne. 

La  marsigliese  tra  la  cannonata 
Sorvola,  arcangel  de  la  nova  etate. 
Le  profonde  foreste  de  le  Argonne. 


736  RIME  NUOVE 


xeni. 


M, 


arciate,  o  de  la  patria  incliti  figli, 
De  i  cannoni  e  de*  canti  a  l' armonia  : 
Il  giorno  de  la  gloria  oggi  i  vermigli 
Vanni  a  la  danza  del  valore  apria. 

Ingombra  di  paura  e  di  scompigli 
Al  re  di  Prussia  è  del  tornar  la  via: 
Ricaccia  gli  emigrati  a  i  vili  esigli 
La  fame  il  freddo  e  la  dissenteria. 

Livido  su  quel  gran  lago  di  fango 
Guizza  il  tramonto,  i  colli  d*  un  modesto 
Riso  di  sole  attingono  la  gloria. 

E  da  un  gruppo  d*  oscuri  esce  Volfango 
Goethe  dicendo  :  AI  mondo  oggi  da  questo 
Luogo  incomincia  la  novella  storia. 


NOTE 


LXXXII)  p.  T25.  fa  ira.  Oggi  è  vezzo,  non  saprei,  se  teo- 
o,  valer  abbassare  e  impiccolire  la  rivoluzione  francese: 
1  tutto  ciò  il  Settembre  del  1792  resta  pur  sempre  il 
a  pili  epico  della  storia  moderna.  Impossibile  met- 
tere in  versi  quella  storia,  se  non  a  brevi  traiti:  per  ciò 
sì  elesse  la  forma  del  sonetto,  che  ne'  secali  xiii  e  xiv  fu 
anche  strofe. 

LXXXVII)  p.  130.  Oslel  di  città  è  un  francesismo  ragione- 
vole. Di  ostello  per  casa  abondano  ^i  esempi  nella  prosa  an- 
tica: ma  troppa  eran  ancora  miste  le  correnti  delle  lingue  ro- 
manze nel  ducente  e  nel  trecento,  e  con  gli  esempi  del  buon 
secolo  si  potrebbe  francamente  scrivere  il  pili  twll'italiano  in- 
franciosato che  sia  negl'ideali  dei  poUroni  senza  idee.  Non 
i  lingua  poetica  anche  moderna:  il  Monti,  Basv.  1, 


Invan  si  straccia  il  crin  disperso  e 

bianco 

In  su  la  soglia  del  deserto  ostello; 

bene,  della    casa   d'un   villano:    meglit 

),   il   Manzoni,   nel 

ad  Efrata, 

Vaticinato  ostello, 

Ascese  un'  alma  vei^ne. 

Carducci. 

41 

738 


RIME  NUOVE 


Pei*,  altro  il  Tommaseo  nel   Dizionario    notò    a    ragiotti 
osieUOf  io  signif.  di  albergo,  casa,  ecc.,   è   "    raro  ai»^ 
verso  g.  Ma  il  Davila,  nella  Storia  delle  guerre  civili  di 
eia  III  203,  ha  "  il  quale   trasferendosi  ali*  ostello  (cosi 
mano  i  palagi  dei  principali  signori)  trovò....  „  E    questo i| 
caso  nostro.'  —  Valga  anche    per   V  ostel    di    Brusselle 

LXXX. 

xeni)  p.  136,  w.  13  e  14.  «  Diesmal  sagte  ich:Vonl 
unde  heute  geht  eine  neue  Epoche    der   Weltgeschichte 
und  ihr  kOnnt  sagen,  ihr  seid  dabei  gewesen  „.  Goethe,  i 
pagne  in  Frankreich,  19  september. 


J- 


vili. 


XCIV. 

LA  FIGLIA  DEL  RE  DEGLI  ELFI 

Da  Stimmen  der  Vfllker  di  Gottfr.  v.  Herdbr 


Oa' 


Cavalca  sir  Ciuf  la  notte  lontano 
Per  fare  gl'inviti,  eh' è  sposo  diman. 
Or  danzano  gli  elfi  su  '1  bei  verde  piano  : 
La  donna  de  gli  etti  gli  stende  la  man. 

—  Ben  venga  sir  Òluf:  Perché  vuoi  scappare? 
Vìen  dentro  nel  cerchio:  vien,  balla  con  me.  — 

—  Ballare  non  devo,  non  posso  ballare: 
È  giorno  di  nozze  dimani  per  me.  — 

—  Se  meco  tu  balli,  scudiero  gentile, 
Due  d'oro  speroni  donare  io  ti  vo'. 

Ed  una  camicia  di  seta,  sottile, 

Che  al  lume  di  luna  mia  madre  imbiancò.  — 


742  RIME   NUOVE 

—  Ballare  non  posso,  non  dfivo  ballare: 
È  giorno  di  nozze  dimani  per  me.  — 

—  Sir  Ò!uf,  ascolta  ;  ti  voglio  donare 

Un  cumulo  d'oro,  se  balli  con  me.  — 

—  Il  cumulo  d'oro  ben  venga;  ma  poi 
Ballare  non  posso,  che  ho  nozze    diman.  - 

—  Se  meco,  sir  Òluf,  ballare  non  vuoi, 

Il  morbo  e  il  contagio  ti  accompagneran.  - 

E  un  colpo  gli  batte  leggero  su '1  cuore: 
Tal  doglia  sir  òluf  più  mai  non  senti. 

Poi  bianco  il  rialza  sul  suo  corridore: 
—  Ritorna  a  la  sposa,  ritorna  cosi,  — 

E  quando  a  la  porta  di  casa  egli  venne. 
Sua  madre  al  vegnente  guardò  con  terror: 

—  Ascolta,  figliuolo:  di' su,  che  f  avvenne? 
Perché  cosi  smorto  ?  che  è  quel   pallor  ?  - 

—  Come  esser  non  debbo  si  pallido  e  smorto? 
Nel  regno  de  gli  elfi  m' avvenne  d'entrar.  - 

—  Figliuolo,  la  sposa  sarà  qui  di  corto; 
Che  devo  a  la  sposa,  figliuolo,  contar  ?  — 

—  Le  di' che  a  sollazzo  cammino  pe '1  bosco 
Con  cane  e  cavallo,  provandolo  al  fren.  - 

Ed  ecco  (il  mattino  tremava  ancor  fosco) 
La  sposa  e  l' allegro  cort^io  ne  vien. 


RIME  NUOVE  743 


Recavano  cibi,  recavano  vino. 

—  Ov'  è  il  mio  sir  Òluf  ?  lo  sposo  dov*  è  ? 
—  Usciva  a  sollazzo  pe  'l  bosco  vicino 

Con  cane  e  cavallo,  verrà  presto  a  te.  — 

^a  sposa  una  rossa  cortina  solleva, 
E  morto  li  dietro  sir  Òluf  giaceva. 


744  RIME  NUOVE 


XCV. 


IL  RE  DI  TULE 


Dalle  Ballate  di  W.  Goethe 


Jl  edel  sino  a  V  avello 
Egli  era  in  Tuie  un  re: 

Mori  r  amor  suo  bello, 

E  un  nappo  d' òr  gli  die. 

Nulla  ebbe  caro  ei  tanto, 
E  sempre  quel  vuotò: 

Ma  gli  sgorgava  il  pianto 
Ognor  ch'ei  vi  trincò. 

Venuto  a  1*  ultim'  ore 

Contò  le  sue  città: 
Die  tutto  al  successore 

Ma  il  nappo  d'or  non  già. 


RiME  NUOVE  745 

Ne  Taula  de  gli  alteri f 

Suoi  padri  a  banchettar 
Sedè  tra  i  cavalieri 

Nel  suo  castello  al  mar. 

Beve  de  la  gioconda 

Vita  l'estremo  ardor, 
E  gittò  il  nappo  a  V  onda 

Il  vecchio  bevitor. 

Piombar  lo  vide,  lento 

Empiersi  e  sparir  giù; 
E  giù  gli  cadde  spento 

L'occhio  e  non  bevve  più. 


746  RIME  NUOVE 


XCVI. 
I  TRE  CANTI 

Dalle  Ballate  eli  L.  Uhland 


R 


.e  Sifrido  tien  corte  —  Arpeggiatori, 
II  più  bel  canto  qual  di  voi  mi  sa?  — 
E  un  giovinetto  esce  di  schiera  fuori 
Snello:  in  man  Tarpa,  spada  al  fianco  egli  ha. 

—  Tre  canti,  o  re,  so  io.  Del  primo  è  spento 
Da  tempo  ogni  ricordo  entro  il  tuo  cor: 
Tu  m'  hai  morto  il  fratello  a  tradimento  ; 
Tu  m'  hai  morto  il  fratello,  o  traditor. 

L'altro  canto  una  notte,  e  urlava  forte 
II  turbine,  una  notte  ebbi  a  pensar: 
Tu  hai  da  pugnar  meco  a  vita  e  morte, 
A  vita  e  morte  hai  meco  da  pugnar.  — 


RIME  NUOVE  747 

E  appoggia  Tarpa  al  tavolo;  e  già  fuore 
Tratte  han  le  spade  arpeggiatore  e  re  : 
Pugnano  a  lungo  con  fiero  fragore 
Fin  che  cade  né  1*  alta  sala  il  re. 

—  Or  canto  il  terzo,  il  canto  mio  più  vago, 

Né  mai  stanco  a  ridirlo  mi  farà. 

Giace  Sifrido  re  nel  rosso  lago 

Del  sangue  suo,  morto  nel  sangue  sta.  — 


748  RIME  NUOVE 


XCVII. 
LA  TOMBA  NEL  BUSENTO 

Dalle  Ballate  di  A.  v.  Platen 


Oupi  a  notte  canti  suonano 
Da  Cosenza  su  M  Busento, 

Cupo  il  fiume  gli  rimormora 
Dal  suo  gorgo  sonnolento. 

Su  e  giù  pe  '1  fiume  passano 
E  ripassano  ombre  lente: 

Alarico  i  Goti  piangono, 

Il  gran  morto  di  lor  gente. 

Ahi  si  presto  e  da  la  patria 
Cosi  lungi  avrà  il  riposo, 

Mentre  ancor  bionda  per  gli  omeri 
Va  la  chioma  al  poderoso  ! 


RIME  NUOVE  749 

Del  Busento  ecco  si  schierano 
Su  le  sponde  i  Goti  a  pruova, 

E  dal  corso  usato  il  piegano 
Dischiudendo  una  via  nuova. 

Dove  Tonde  pria  muggivano, 

Cavan,  cavano  la  terra; 
E  profondo  il  corpo  calano, 

A  cavallo,  armato  in  guerra. 

Lui  di  terra  anche  ricoprono 

E  gli  arnesi  d'or  lucenti; 
De  r  eroe  crescan  su  V  umida 

Fossa  r  erbe  de  i  torrenti  ! 

Poi,  ridotto  a  i  noti  tramiti. 

Il  Busento  lasciò  Tonde 
Per  T  antico  letto  valide 

Spumeggiar  tra  le-  due  sponde. 

Cantò  allora  un  coro  d'  uomini 
—  Dormi,  0  re,  ne  la  tua  gloria  ! 

Man  romana  mai  non  violi 

La  tua  tomba  e  la  memoria!  — 

Cantò,  e  lungo  il  c^nto  udivasi 

Per  le  schiere  gote  errare: 
Recai  tu,  Busento  rapido. 

Recai  tu  da  mare  a  mare. 


"Wè  RIME  NUOVE 


XCVIII. 


IL  PASSO  DI  RONCISVALLE 


Dallo  spagnolo  e  dal  portoghese 


—  l!  ermi,  fermi,  cavalieri, 
Che  il  re  mandavi  a  contar. 
E  contarono  e  contarono, 
Uno  sol  venne  a  mancar: 
Era  questi  don  Beltrano 
Si  gagliardo  a  battagliar. 
Là  ne'  campi  d' Alventosa 
Tutti  a  dosso  a  lui  serrar: 
Sol  de'  monti  al  triste  passo 
Lo  poterono  ammazzar. 


RIME  NUOVE  751 


Tiran  sette  volte  a  sorte 
Chi  dovesse  irlo  a  cercar. 
Sui  buon  vecchio  di  suo  padre 
Tutt'  e  sette  ricascar  : 
Le  tre  fu  la  rea  fortuna, 
Quattro  fu  malvagità. 
Volge  la  briglia  al  cavallo, 
A  r  amara  cerca  va  : 
Va  la  notte  per  la  strada, 
Per  la  selva  il  giorno  va. 


Vanne  il  vecchio  e  seco  piange, 
Cheto  piange  ne  l'andar, 
A  i  pastori  dimandando 
Se  han  veduto  indi  passar 
Cavaliere  d'  armi  bianche 
Sur  un  sauro  a  cavalcar. 
—  Cavaliere  d'armi  bianche 
Sur  un  sauro  a  cavalcar 
Non  vedemmo  in  queste  parti 
Non  vedemmo  alcun  passar.  — 


752  RIME  NUOVE 


E  cavalca  via  e  cavalca 
Fin  che  giunge  a  Rondsval. 
Fra  la  strage  va  il  vegliardo, 
Fra  la  strage  lento  va: 
Tanto  volta  e  volta  i  morti 
Che  le  braccia  stracche  n*  ha 
Non  ritrova  quel  che  cerca, 
E  né  meno  il  suo  segnai: 
I  francesi  vide  tutti, 
Ma  non  vide  don  Beltran. 


Malediva,  andando,  il  vino  ; 
Malediva,  andando,  il  pan, 
Quel  che  mangia  il  Saracino 
E  non  quello  del  Cristian. 
Malediva  arbor  che  nasce 
Solo  a  i  campi  senza  ugual, 
Che  del  ciel  tutti  gli  uccelli 
Vi  si  vengono  a  posar. 
Né  di  rami  né  di  foglie 
Non  lo  lascian  rallegrar. 


RIME  NUOVE  753 


Maledia  cavalier  eh'  usi 
Senza  pa^o  cavalcar: 
Se  gli  cade  in  via  la  lancia, 
Non  ha  uno  a  raccattar: 
Se  gli  cade  in  via  lo  sprone, 
Non  ha  uno  a  ricalzar. 
Malediva  anche  la  donna 
Che  un  sol  figlio  seppe  far: 
Se  r  uccidono  i  nemici, 
Non  ha  uno  a  vendicar. 


A  r  uscir  del  pian  sabbioso, 
D' una  gola  in  su  V  entrar, 
Vide  un  moro  a  una  bertesca 
Solo  e  ritto  a  vigilar. 
Gli  parlò  r  araba  lingua, 
Come  quei  che  ben  la  sa: 
—  Moro,  prègoti  per  Dio: 
Moro,  dimmi  in  verità: 
Cavaliere  d*armi  bianche 
Vedestù  passar  di  qua? 

RDUCCI.  48 


164  RIME   NUOVE 


Lo  vedesti  à  notte  bruna 
O  del  gallo  su  '1  cantar?. 
Che  se  tu  lo  tieni  preso/ 
Peso  d*  oro  te  *n  vo  dar  : 
Che  se  tu  lo  tieni  morto, 
Rendimel  per  sotterrar; 
Poi  che  corpo  senza  l'alma 

Un  denaro  più  non  vai. 

—  Dimmi^  amico,  il  cavaliere 
Dimmi  tu  che  segni  ha?  — 


—  Le  sue  armi  sono  bianche, 

Ed  è  sauro  il  suo  cavai. 

Ne  la  guancia  destra  ha  un  segno 

Che  un  sparvier  lasciato  gli  ha: 

Lo  beccò  ch'era  bambino, 

E  ne  porta  anche  il  segnai. 

Su  la  punta  de  la  lancia 

Leva  un  candido  zen  dal: 

Ricamòglielo  la  dama 

Tutto  di  punto  real.  — 


.  'U 


RIME   NUOVE  TW 


—  Questo  cavaliere,  ^mjqOi, 
In  quel  prato  morto  sta^: 
Ha  le  gambe  dentro  T  acquai,  r 
Ne  la  rena  il  corpo  egli.  ha.  v . 
Sette  punte  egli  ha  nel  petto. 
Non  si  sa  qual  più  mortaj;   ^ 
Che  per  Tuna  gli  entra  il  $ple, 
La  luna  per  T  altra  va,    ^    :. 
Ne  la  più  piccola  stavvi 
L'  avvoltoio  a  divorar.  — 


—  Non  do  colpa  al  mio  figliuolo, 
Né  vo*  a*  Mori  colpa  dar  ; 

Do  la  colpa  al  suo  cavallo, 
Che  no  M  seppe  ritornar.  -— 
O  miracol  !  chi  M  direbbe. 
Chi  '1  potrebbe  raccontar? 
Il  cavallo  mezzo  morto 
Cosi  prese  a  favellar: 

—  Non  mi  dare  a  me  la  colpa, 
Che  no  *1  seppi  ritornar. 


756  fitIMÉ  NUOVE 


Ben  tre  volte  trassi  a  dietro 
Per  potérlo  in  salvo  tran 
Tre' mi  die  dì  sprone  e  briglia 
Pe  -1  desio  di  battagliar, 
E  tbe  apcfsemi  le  cigne, 
Allài^òmmi  il  pettofal: 
A  la  terza  caddi  a  terra 
Con  questa  piaga  mortai.  — 


R^ME  NU0V6  757 


!     .  \ 


XCIX. 


.  ( 


GHERARDO  E  GAIÉTTA 


Dalle  Romanze  m  francese  tattico  pubbL  da  Ki  Bartsch 


s 


Sabato  sera  in  fin  di  settimana 
Gaietta  e  Orior  sua  sorella  germana  - 

Van  per  mano  a  bagnarsi  a  la  fontana. 

Soffi  il  vento,  crolli  la  rama: 
Dolce  dorme  chi  ben  s' ama. 

Scudier  Gherardo  vien  da  la  quintana, 
Scorta  ha  Gaietta  sopra  la  fontana^ 
Tra  le  braccia  la  tien  soave  e  piana. 

Soffi  il  vento,  crolli  la  rama: 
Dolce  dorme  chi  ben  s*ama. 

—  Quando  tu  avrai  tratto  de  T  acqua,  Oriore, 
Tornati  a  dietro:  io  sto  co '1  mio  signore. 
Che  ben  m*  ha  presa,  e  co  *1  suo  dritto  amore.  - 

Soffi  il  vento,  crolli  la  rama: 
Dolce  dorme  chi  ben  s*ama. 


*758  RIME  NUOVE 

Ora  se  'n  va  bianca  e  smarrita  Oriore, 
Piange  de  gli  occhi,  sospira  del  core, 
Che  non  rimena  Gaia  e  n*  ha  dolore. 

Soffi  il  vento,  crolli  la  rama: 
Dolce  dprme  chi  ben  s' ama. 

—  Lassa  -^  Orior  dice  ^  ed  in  mal'  ora  nata! 

Mia  sorella  lasciai  ne  la  vallata; 

Gherardo  al  suo  paese  V  ha  menata^  — 

Soffi  il  vento,  crolli  la  rama: 
Dolce  dorme  chi  ben  s'ama. 

Scudier  Gherardo  e  a  lui  Gaia  abbracciata 
La  via  per  la  città  han  seguitata: 
Come  vi  venne,  tosto  V  ha  sposata. 

Soffi  il  vento,  crolli  la  rama: 
Dolce  dorme  chi  ben  s' ama. 


RIME  NUOVE  789 


-^  '^.'V   • 


«  r 


LA  LAVANDAIA  DI  SAN  GIOVANNI 

Dcd  Romancero  .Castellano 


Mi 


\  levai  per  San  Giovanni, 
Ch'era  il  sole  per  levar: 

Vidi,  o  madre,  una  fanciulla 
Sola  sola  in  riva  al  mar. 

Lava,  attorce,  e  in  un  rosaio 
Stende  i  panni  a  rasciugar. 

Mentre  i  panni  il  sol  rasciuga, 
La  fanciulla  canta  al  mar: 

—  Dove,  r  amor  mio,  dove 
Dove  Tanderò  a  cercar?  — 

Su  dal  mare,  giù  dal  mare. 
Va  dicendo  il  suo  cantar: 

Pettin  d'oro  ha  ne  le  mani. 
La  sua  chioma  a  pettinar. 


760  «IME  NUOVE 

—  Dimmi,  tu  bel  marinaio, 
Cosi  Dio  ti  voglia  aitar, 

Se  rhai  visto  l'amor  mio. 
Se  r  hai  visto  là  passar.  — 


'      ,        r 


RIME  NUQVK  7(H 


CI. 


IL  PELLEGRINO  DAVANTI  A  SANT  JUST 

Dalle  Ballate  di  A.  v.  Platen 


Jl-j  notte,  e  il  nembo  urla  più  sempre  e  il  vento. 
Frati  spagnoli,  apritemi  il  convento. 

Lasciatemi  posar  sino  a  i  divini 
Misteri  e  al  suon  de' bronzi  matutini. 

Datemi  allor  quel  che  potete  dare; 
Date  una  bara  ed  uno  scapolare, 

Date  una  cella  e  la  benedizione 
A  chi  di  mezzo  mondo  era  padrone. 

Questo  capo  a  la  chierca  apparecchiato 
Fu  di  molte  corone  incoronato. 

Questo  a  le  rozze  lane  òmero  inchino 
Levossi  imperlai  ne  T  ermellino. 

Or  morto  in  vista  pria  che  in  cimitero 
Ruino  anchMo  come  l'antico  impero. 


11^  RTME  HUÒVIg 


qi. 

CARLO  I 
Dal  Romancero  di  H.  Heine 


G 


'upo  e  solo,  nel  bosco,  a  la  capanna 
Del  carbonaio  il  re  sedeva  un  di: 
A  la  culla  sedea,  la  ninna  nanna 
Ei  brontolava  ai  pargolo  cosi. 

—  Ninna  nanna!  Che  cosa  si  rimescola 
Ne  la  paglia?  perché  bela  Tovìl? 
Tu  porti  il  segno  in  fronte,  e  ridi  orribile 
In  mezzo  al  sonno,  o  bambolo  gentil. 

Il  gatto  è  morto,  ninna  nanna!  In  fronte 
Tu  il  segno  porti  :  crescerai  d'  età, 
E  brandirai  la  scure,  uom  fatto  :  al  monte 
Treman  le  querce  e  ne  la  selva  già. 


\ 


RIME  NUOVE  leB 

Spari  del  carbonar  V  antica  fede  : 
Del  carbonaro  il  figlio,  ecco,  su  vien: 
Nel  buon  Dio,  ninna  nanna,  ei  più  non  crede, 
E  nel  re,  ninna  nanna,  ancora  men. 

Il  gatto  è  morto,  e  i  topi  allegramente 
Ballan  d'intorno:  il  di  lungi  non  è 
Che  diverremo  favola  a  la  gente, 
Dio  nel  ciel,  ninna  nanna,  e  in  terra  io  re. 

Ahi  mi  cade  il  coraggio,  e  fuor  di  speme 

10  mi  sento  malato  ogni  di  più! 
Ninna  nanna,  lo  so,  lo  veggo  bene: 
Carbonaietto,  il  mio  boia  sei  tu. 

È  ninna  nanna  a  te  V  oscuro  e  lento 
Salmo  di  morte  a  me.  Cresci  a  tagliar 
Questi  grigi  cernecchi:  al  collo,  ahi,  sento 

11  freddo  de  le  forbici  strisciar. 

Ninna  nanna!  qualcosa  ne  la  paglia 
Si  rimescola:  il  regno  hai  preso  tu!  ' 

Or  via  dal  vecchio  tronco  abbatti  e  scaglia 
Questo  mio  capo:  il  gatto  è  morto:  giù, 

Ninna  nanna!  la  paglia  si  rimescola, 
Belan  le  capre  ne  lo  stabbio  pien,  ' 

Il  gatto  è  morto  e  i  topolini  ballano. 
Dormi,  boietto  mio,  dormi  per  ben!  — ' 


764  RIME  NUOVE 


■  {  : 


CHI. 
V  IMPERATOI^E  DELLA  CINA 

Da  Zejtgedichte  di  H.  Heinb 


IVI  io  padre  era  un  tjalordo  astemio  Cesare, 

Un  sornifone  in  trono: 
Io  bevo  la  mia  zozza,  ed  un  magnanimo 

Imperatore  io  sono. 

Oh  magica  bevanda,  indovinata 
Dal  mio  paterno  core! 

10  bevo  la  mia  zozza,  e  si  dilata 
La  Cina  tutta  in  fiore. 

11  mio  regno  del  centro  apre  e  si  spampana 

Come  un  bocciol  di  rosa. 
Io  quasi  quasi  un  uom  divento,  e  gravida 
Si  trova  la  mia  sposa. 


mUE  NUOVB    ^      -  905 

I 

È  una  cuccagna  I  I  moribondi  in  fèstftv    1 

Danno  calci  a  le  bare^ 
Del  mio  Confucio  imperlai  la  Sesta-     :     U 

Annaspa  idée  più  chiare;  ^^  --Ui-- 

A'  mìei  prodi  soldati  il  pan  di  s^ala 

Diventa  mandorlato, 
E  gli  straccioni  de  l' impero  marciano 

Tutti  in  seta  e  in  broccato. 

Quegli  invalidi  frolli,  quelle  ignude 

Zucche  de' mandarini, 
Ripigliano  il  vigor  di  gìoventude 

E  scuotono  i  codini. 

Compiuta  è  alfin  la  gran  pagoda,  mistico 

Asil  di  fede  e  imago: 
Già  gli  ultimi  giudei  vi  si  battezzano 

E  han  l'ordine  del  drago. 

Posa  ogni  senso  di  ribellTone, 

E  gridano  i  Mansciù; 
—  Noi  non  vogliam  la  costituzione, 

Noi  vogliamo  il  kansciù, 

Vogliam  la  vergai  — .  Il  medico  di  corte 

Fa  gli  occhi  spaventati. 
Esculapio,  io  vo'ber  fino  a  la  morte 

Per  il  ben  de'  miei  stati. 


766 


RIME   NUOVE 


E  zozza  ancora!  e  zozza  ancora!  un  gócciolo 

Ancor  di  questa  manna! 
Il  mio  popol,  vedete,  è  in  visibilio, 

E  canta  Osanna  osannai 


RIME  NUOVE  TOT 


A 


CIV. 
I  TESSITORI 

Da  Zeitgedichte  di  H.  Heine 


N, 


on  han  ne  gli  sbarrati  occhi  una  lacrima, 
Ma  digrignano  i  denti  e  a' telai  stanno. 
—  Tessiam,  Germania,  il-  tuo  lenzuolo  funebre, 
E  tre  maledizion  l'ordito  fanno. 

Tessiam,  tessiam,  tessiamo! 

Maledetto  il  buon  Dio!  Noi  lo  pregammo 
Ne  le  misere  fami,  a  i  freddi  inverni: 
Lo  pregammo,  e  sperammo,  ed  aspettammo: 
Egli,  il  buon  dio,  ci  sazYò  di  scherni. 

Tessiam,  tessiam,  tessiamo! 

E  maledetto  il  re  !  de  i  gentiluomini, 
De  i  ricchi  il  re,  che  viscere  non  ha! 
Ei  ci  ha  spremuto  infin  V  ultimo  picciolo, 
Or  come  cani  mitragliar  ci  fa. 

Tessiam,  tessiam,  tessiamo! 


768 


RIME  NUOVE 


Maledetta  la  patria,  ove  alta  solo 
Cresce  T  infamia  e  T  abominazione  ! 
Ove  ogni  gentil  fiore  è  pesto  al  suolo, 
E  i  vermi  ingrassa  la  corruzione! 

Tessiam,  tessiam,  tessiamo! 


Vola  la  spola  ed  il  telaio  scricchiola, 
Noi  tessiamo  affannosi  e  notte  e  di  : 
Tessiam,  vecchia  Germania,  il  lenzuol  funebre 
Tuo,  che  di  tre  maledizion  s'ordì. 

Tessiam,  tessiam,  tessiamo!  — 


r. 


^^^^ 


NOTE 


XCVllI)  pag.  T50.  Meglio  che  traduiione,  questa  i  ricom- 
posidone  epica  di  su  diverse  redazioni  di  romanze  spagnole  e 
portoghesi.  Per  le  spagnole  ebbi  a  vedere  Depping,  Romancero 
castellano,  Leipzig,  Brockhaus,  1844,  il  90;  Wolf  e  Hoffmann, 
Primavera  yflor  de  romances,  Berlin,  Ascher,  1856,  li  316-320-, 
per  le  portoghesi,  Hardung,  Rùmanceiro  porlogue»,  Leipzig, 
BrockfiauB,  186*7,  i,  5,  La  verseggiatura  è  fedele  al  sistema  della 
serie  monoritraa  con  le  assonanze  spagnole  e  con  ottonari 
:he  non  han  sempre  l' accento  su  la  itna,  come  ne  focevano 
I  Sacchetti,  Lorenzo  il  Magnifico  e  fin  l' elegantissimo  Poli- 
vano, e  come  ne  fa  tuttavia  il  popolo. 

CUI)  pag.  T64.  Tutti  sanno  che  questo  imperatore  della 
~ina  è  Federigo  Guglielmo  iv,  re  di  Prussia,  fratelli  e  prede- 
tessore  di  Guglielmo  il  vittorioso  re  e  imperatore,  che  la  gran 
iagoda  è  la  cattedrale  di  Colonia  e  che  1'  ordine  del  drago  è 
'ordine  dell'aquila  nera.  Del  resto,  non  reputo  inutile  avver- 
ire  alla  licenza  presami  di  rendere  il  vocabolo  tedesco  Schnaps, 
Ile  non  è  proprio  l' acquavite,  con  la  parola  popolare  toscana 
rossa,  che  significa  un  miscuglio  di  liquori  alcoolici  di  qualità 
nferiori. 


IX 


I    ■ 


cv. 

CONGEDO 


il  poeta,  o  vulgo  sciocco, 

Un  pitocco 

Non  è  già,  che  a  l' altrui  mensa 

Via  con  lazzi  turpi  e  matti 

Porta  i  piatti 

Ed  il  pan  ruba  in  dispensa. 

E  né  meno  è  un  perdigiorno 

Che  va  intorno 

Dando  il  capo  ne' cantoni, 

E  co  'I  naso  sempre  a  I'  aria 

Gli  occhi  svaria 

Dietro  gli  angeli  e  i  rondoni. 


774  RIME  NUOVE 

E  né  meno  è  un  giardiniere 

Che  il  sentiero 

De  la  vita  co  M  letame 

Utilizza,  e  cavolfiori 

Pe'  signori 

E  viole  ha  per  le  dame. 


Il  poeta  è  un  grande  artiere, 

Che  al  mestiere 

Fece  i  muscoli  d'acciaio: 

Capo  ha  fier,  collo  robusto, 

Nudo  il  busto, 

Duro  il  braccio,  e  l'occhio  gaio, 

Non  a  pena  Taugel  pia 

E  giuli'a 

Ride  r  alba  a  la  collina, 

Ei  co  '1  mantice  ridesta 

Fiamma  e  festa 

E  lavor  ne  la  fucina; 

E  la  fiamma  guizza  e  brilla 
E  sfavilla 

E  rosseggia  balda  audace, 
E  poi  sibila  e  poi  rugge 
E  poi  fugge 
Scoppiettando  da  la  brace. 


i  .•     • 


RIME  NUCyVK  775 

Che  sia  ciò,  non  lo  so  io;^ 

Lo  sa  Dio 

Che  sorrìde  al  grande  artiero. 

Ne  le  fiamme  cosi  ardenti 

Gli  elementi 

De  r  amore  e  del  pensiero 

Egli  gitta,  e  le  memorie 

E  le  glorie 

De'  suoi  padri  e  di  sua  gente. 

Il  passato  e  V  avvenire 

A  fluire 

Va  nel  masso  incandescente. 


Ei  r  afferra,  e  poi  del  maglio 

CoM  travaglio 

Ei  lo  doma  su  V  incude. 

Picchia  e  canta.  Il  sole  ascende» 

E  risplende 

Su  la  fronte  e  l' opra  rude. 

Picchia.  E  per  la  libertade 

Ecco  spade, 

Ecco  scudi  di  fortezza: 

Ecco  serti  di  vittoria 

Per  la  gloria, 

E  diademi  a  la  bellezza. 


776  RIME  NUOVE 

Picchi^.  Ed  eccQ  istoriati 
A  i  penati 

Tabernacoli  ed  al  rito: 
Ecco  tripodi  ed  altari, 
Ecco  rari 
Fregi  e  vasi  pe*l  convito. 

Per  sé  il  pover  manuale 

Fa  uno  strale 

D'oro,  e  il  lancia  contro  '1  sole: 

Guarda  come  in  alto  ascenda 

E  risplenda, 

Guarda  e  gode,  e  più  non  vuole. 


ODI  BARBARE 


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PRELUDIO 


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Od 


-/dio  l'usata  poesia:  concede 
comoda  al  vulgo  i  flosci  fianchi  e  senza 
palpiti  sotto  j  consueti  amplessi 
stendasi  e  dorme. 

A  me  la  strofe  vigile,  balzante 
co '1  plauso  e'I  piede  ritmico  ne' cori: 
per  l'ala  a  volo  io  còlgola,  si  volge 
ella  e  repugna. 

Tal  fra  le  strette  d'amator  silvano 
tortesi  un'evia  su '1  nevoso  Edone: 
più  belli  i  vezzi  del  fiorente  petto 
saltan  compressi, 


ÒDI  BARBARE 

e  baci  e  strilli  su  l' accesa  bocca 
mesconsi;  ride  la  marmorea  fronte 
al  sole,  effuse  in  lunga  onda  le  chiome 
fremono  a' venti. 


DELLE  ODI  BARBARE 


LIBRO  I. 


Schlechten,  gestomperten  Vers«n  genQsi  ein  gerìnger  CtM 


Wahrend  dia  edlsre  Form  tiefe  Gedanken  bedaif: 


WoUte  man  euer  GeschwDtz  tuispr^n  zur  sapphischen  Odt. 
WDrde  die  Wel  einsehn  dass  es  ein  leeres  Geschwiti. 


AUGUST  V,  Plateh. 


i-jittia  ( 


.■jlonneiT! 


Poi 


i  che  un  sereno  vapor  d'  ambrosia 
da  la  tua  còppa  diffuso  avvolsemi, 
o  Ebe  con  passo  di  dea 
trasvolata  sorridendo  via; 


non  più  del  tempo  l'ombra  o  de  l'algide 
cure  su'l  capo  mi  sento;  sentomi, 
o  Ebe,  r  ellenica  vita 
tranquilla  ne  le  vene  fluire. 


E  i  ruinati  giù  pe  'I  declivio 
de  r  età  mesta  giorni  risursero, 
o  Ebe,  nel  tuo  dolce  lume 
agognanti  di  rinnovellare; 
Caroucci. 


786  ODI  BARBARE 

e  i  novelli  anni  da  la  caligine 
volenterosi  la  fronte  adergono, 
0  Ebe,  al  tuo  raggio  che  sale 
tremolando  e  roseo  li  saluta. 

A  gli  uni  e  gli  altri  tu  ridi,  nitida 
stella,  da  Talto.  Tale  ne  i  gotici 
delubri,  tra  candide  e  nere 
cuspidi  rapide  salienti 

con  doppia  al  cielo  fila  marmorea, 
sta  su  r  estremo  pinnacol  placida 
la  dolce  fanciulla  di  Jesse 
tutta  avvolta  di  faville  d*  oro. 

Le  ville  e  il  verde  piano  d' argentei 
fiumi  rigato  contempla  aerea, 
le  messi  ondeggianti  ne'  campi, 
le  raggianti  sopra  Talpe  nevi: 

a  lei  d'intorno  le  nubi  volano; 
fuor  de  le  nubi  ride  ella  fulgida 
a  r  albe  di  maggio  fiorenti, 
a  gli  occasi  di  novembre  mesti. 


ODI  BARBARE .  78T 


.■V 

.  1 


ALL'  AURORA 


-  u  sali  e  baci,  o  dea,  co  M  roseo  fiato  le  nubi, 
.ci  de' marmorei  templi  le  fosche  cime. 

sente  e  con  gelido  fremito  destasi  il  bosco, 
iccasi  il  falco  a  volo  su  con  rapace  gioia; 

^ntre  ne  Tumida  foglia  pispigliano  garruli  i  nidi, 
grigio  urla  il  gabbiano  su  M  violaceo  mare. 

*imi  ne  M  pian  faticoso  di  te  s' allegrano  i  fiumi 
^muli  luccicando  tra'l  mormorar  de' pioppi: 

rre  da  i  paschi  baldo  vèr'  l' alte  fluenti  il  poledro 
uro,  dritto  il  chiomante  capo,  nitrendo  a'venti: 

gilè  da  i  tuguri  risponde  la  forza  de  i  cani 
<ii  gagliardi  mugghi  tutta  la  valle  suona. 


788  ODI  BARBARE 

Ma  ruom  che  tu  svegli  a  oprar  consumandola 

vita, 
te  giovinetta  antica,  te  giovinetta  eterna 

ancor  pensoso  ammira,  come  già  t'adoravan 

su  '1  monte 
\  ritti  fra  i  bianchi  arnienti  i  nobili  Aria  padri 

Ancor  sovra  V  ali  del  fresco  mattino  rivola 
r  inno  che  a  te  su  V  aste  disser  poggiati  i  padri 

—  Pastorella  del  cielo,  tu,  frante  a  la  suon 

gelosa 
le  stalle,  rladduci  le  rosse  vacche  in  cielo. 

Guidi  le  rosse  vacche,  guidi  tu  il  candido  armento 
e  le  bionde  cavalle  care  a  i  fratelli  Asvini. 

Come  giovine  donna  che  va  da  i  lavacri  a  lo  sposo 
riflettendo  ne  gli  occhi  il  desiato  amore, 

tu  sorridendo  lasci  cadérti  i  veli  leggiadri 
e  le  virginee  forme  scuopri  serena  a  i  cieli. 

Affocata  le  guance,  ansante  dal  candido  petto, 
corri  al  sovran  de  i  mondi,  al  bel  fiammante  Suria, 

e  il  giungi,  e  in  arco  distendi  le  rosee  braccia 

^1  gagliardo 
collo;  ma  tosto  fuggi  di  quel  tremendo  i  rai. 


k 


ODI  BARBARE 

Allora  gli  Asvini  gemelli,  cavalieri  del  cielo, 
rosea  tremante  accolgon  te  nel  bel  carro  d' oro 

e  volgi  verso  dove,  misurato  il  cammino  di  gloria, 
stanco  ti  cerchi  il  nume  ne  i  mister  de  la  sera. 

Deh   propizia   trasvola   —  cosi   t'  invocavano 
padri  — 
nel  rosseggiante  carro  sopra  le  nostre  case. 

Arriva  da  le  plaghe  d' oriente  con  la  fortuna, 

j      con  le  fiorenti  biade,  con  lo  spumante  latte; 

^,     ed  in  mezzo  a'  vitelli  danzando  con  floride  chiome 
molta  prole  t'  adori,  pastorella  del  cielo.  — 

-;     Cosf  cantavano  gli  Aria.    Ma  piàcqueti    meglio 

r  Imetto 
:^     fresco  di  vénti  rivi,  che  al  ciel  di  timi  odora: 

piàcquerti  su  l' Imetto  i  lesti  cacciatori  mortali 

z.    prementi  le  rugiade  co'I  coturnato  piede, 

Inchinaronsi  i  cieli,  un  dolce  chiarore  vermiglio 
I  !  ombrò  la  selva  e  il  colle,  quando  scendesti,  o  dea. 

Non  tu  scendesti,  o  dea:  ma  Cefalo   attratto  al 
h'  tuo  bacio 

Si  salfa  per  l'aure  lieve,  bello  come  un  bel  dio. 


790  ODI  BARBARE 

Su  gli  amorosi  venti  salia,  tra  soavi  fragnuffi,! 
tra  le  nozze  de  i  fiori,  tra  gì'  imenei  deprivi 

La  chioma  d' oro  lenta  irriga  il  collo,  a  V  orm  ' 

bianco 
con  un  cinto  vermiglio  sta  la  faretra  d'oro. 

Cadde  V  arco  su  V  erbe;  e  Lèlapo  immobil  con  erto 
il  fido  arguto  muso  mira  salire  il  sire. 

Oh  baci  d' una  dea  fragranti  tra  la  rugiada! 
oh  ambrosia  de  l' amore  nel  giovinetto  niondol 

Ami  tu  anche,  o   dea?  Ma  il   nostro  genere  e 

stanco; 
mesto  il  tuo  viso,  o  bella,  su  le  cittadi  appare. 

Languon  fiochi  i  fanali;  rincasa,  e   né   meno  ti 

guarda, 
una  pallida  torma  che  si  credè  gioire. 

Sbatte  r  operaio  rabbioso  le  stridule  impòste, 
e  maledice  al  giorno  che  rimena  il  servaggio. 

Solo  un  amante  forse  che  placida  al  sonno  com- 
mise 
la  dolce  donna,  caldo  de' baci  suoi  le  vene, 

alacre  affronta  e  lieto  V  aure  tue  gelide  e  il  viso: 
''  Portami  „,  dice  "  Aurora,  su'l  tuo  corsier  di 

fiamma! 


ODI  BARBARE  7§1 

Bjie  i  campi  de  le  stelle  mi  porta,  ond*  io  vegga 
[2  la  terra 

utta  risorridente  nel  roseo  lume  tuo, 
I 

!  vegga  la  mia  donna  davanti  al  sole  che  leva 
Tsparsa  le  nere  trecce  giù  pe'l  rorido  seno.  „ 


3 

r 


192 


OPI  BARBARE 


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::    l'      i 


NELL'  ANNUALE)^ 
DELLA  FONDAZIONE  DI  ROMA 


T, 


e  redimito  di  fior  purpurei 
aprii  te  vide  su  '1  colle  emergere 
da  '1  solco  di  Romolo  torva 
riguardante  su  i  selvaggi  piani: 

te  dopo  tanta  forza  di  secoli 
aprile  irraggia,  sublime,  massima, 
e  il  sole  e  V  Italia  saluta 
te,  Flora  di  nostra  gente,  o  Roma. 

Se  al  Campidoglio  non  più  la  vergine 
tacita  sale  dietro  il  pontefice 
né  più  per  Via  Sacra  il  trionfo 
piega  i  quattro  candidi  cavalli. 


ODI    BARBARE 

questa  de!  Fòro  tuo  solitudine 
ogni  rumore  vince,  ogni  gloria; 
e  tutto  che  al  mondo  è  civile, 
grande,  augusto,  egli  è  romano  ancora. 

Salve,  dea  Romal  Chi  disconósceti 
cerchiato  ha  i!  senno  di  fredda  tenebra, 
e  a  lui  nel  reo  cuore  germoglia 
torpida  la  selva  di  barbarie, 

Salve,  dea  Romal  Chinato  a  i  ruderi 
del  Fòro,  io  seguo  con  dolci  lacrime 
e  adoro  i  tuoi  sparsi  vestigi, 
patria,  diva,  santa  genitrice. 

Son  cittadino  per  te  d' Italia, 
per  te  poeta,  madre  de  i  popoli, 
che  desti  il  tuo  spirito  al  mondo, 
che  Italia  improntasti  di  tua  gloria. 

Ecco,  a  te  questa,  che  tu  dì  libere 
genti  facesti  nome  uno,  Italia, 
ritorna,  e  s' abbraccia  al  tuo  petto, 
affisa  ne' tuoi  d'aquila  occhi, 

E  tu  dal  colle  fatai  pe  'I  tacito 
Fòro  le  braccia  porgi  marmoree, 
a  la  figlia  liberatrice 
additando  le  colonne  e  gli  archi  : 


mi 


OtA  '  BARBARE 


gli  archi  che  nuovi  trionfi  aspettano 
non  più  di  regi,  non  più  di  cesari, 
e  non  di  datene  attorcenti 
bmtcia  umane  su  gli  eburnei  carri; 

ma  il^tuo  trionfo,  popol  d'Italia, 
^iiV^ìà  nera,  su  l'età  barbara, 
su  i  mostri  onde  tu  con  serena 
giustizia  farai  franche  le  genti. 


Orltalia,  o  Roma!  quel  giorno,  placido 
tornerà  n  cielo  su  M  Fòro,  e  cantici 
di  gloria,  di  gloria,  di  gloria 
correran  per  l'infinito  azzurro. 


IODI  :  BftKBAKE  795 


DINANZI  ALLE  TEKME 
DI  CARACALLA 


C 


'orron  tra'l  Celio  fosche  e  T  Aventino 
le  nubi:  il  vento  dal  pian  tristo  move 
umido  :  in  fondo  stanno  i  monti  albani 
bianchi  di  neve. 

A  le  cineree  trecce  alzato  il  velo 
verde,  nel  libro  una  britanna  cerca 
queste  minacce  di  romane  mura 
al  cielo  e  al  tempo. 

Continui,  densi,  neri,  crocidanti 
versansi  i  corvi  come  fluttuando 
contro  i  due  muri  eh' a  più  ardua  sfida 
levansi  enormi. 


796  ODI  BARBARE 


"  Vecchi  giganti,  --  par  che  insista  irato 
V  augure  stormo  —  a  che  tentate  il  cielo?  „ 
Grave  per  V  aure  vien  da  Laterano 
suon  di  campane. 

Ed  un  Ciociaro,  nel  mantello  avvolto, 
grave  fischiando  tra  la  folta  barba, 
passa  e  non  guarda.  Febbre,  io  qui  f  invoco, 
nume  presente. 

Se  ti  fùr  cari  i  grandi  occhi  piangenti 
e  de  le  madri  le  protese  braccia 
te  deprecanti,  o  dea,  da  '1  reclinato 
capo  de  i  figli: 

se  ti  fu  cara  su  '1  Palazio  eccelso 
Tara  vetusta  (ancor  lambiva  il  Tebro   • 
l'evandrio  colle,  e  veleggiando  a  sera 
tra  M  Campidoglio 

e  l'Aventino  il  reduce  quirite 
guardava  in  alto  la  città  quadrata 
dal  sole  arrisa,  e  mormorava  un  lento 
saturnio  carme); 

Febbre,  m'ascolta.  Gli  uomini  novelli 
quinci  respingi  e  lor  picciole  cose: 
religifoso  è  questo  orror:  la  dea 
Roma  qui  dorme. 


ODI  BARBARE  797 

Poggiata  il  capo  al  Palatino  augusto, 
tra  '1  Celio  aperte  e  V  Aventin  le  braccia, 
per  la  Capena  i  forti  omeri  stende 
a  TAppia  via. 


T08  ODI  BAT^BARE 


/     ■  !     t 


ALLA  VITTORIA 

TRA  LE  ROVINE  DEL  TEMPIO  DI   VESPASIANO 

IN  BRESCIA. 


Scuotesti,  vergiti  divina,  T  auspice 
ala  su  gli  elmi  chini  de  i  pèltasti, 
poggiati  il  ginocchio  a  lo  scudo, 
aspettanti  con  l'aste  protese? 

o  pur  volasti  davanti  V  aquile, 
davanti  i  flutti  de'marsi  militi, 
co'l  miro  fulgor  respingendo 
gli  annitrenti  cavalli  de  i  Parti? 

Ra,ccolte  or  Tali,  sopra  la  galea 
del  vinto  insisti  fiera  co  '1  poplite, 
qual  nome  di  vittorioso 
capitano  su  '1  clipeo  scrivendo  ? 


ODI  BARBARE:  79$^] 

È  d'un  arconte,  che  sovra  i  despoti 
gloriò  le  sante  leggi  de' liberi?, 
d' un  consol,  che  il  nome  i  confini 
e  il  terror  de  T impero  distese?  . 

Vorrei  vederti  su  l'Alpi,  splendida 
fra  le  tempeste,  bandir  ne  i  secoli: 
"  O  popoli,  Italia  qui  giunse 
vendicando  il  suo  nome  e  il  diritto.  „ 

Ma  Lidia  intanto  de  i  fiori  eh'  educa 
mesti  r  ottobre  da  le  macerie 
romane  t'elegge  un  pio  serto, 
e,  ponendol  soave  al  tuo  piede, 

"  Che  dunque  —  dice  —  pensasti,  o  vergine 
cara,  là  sotto  ne  la  terra  umida 
tanti  anni?  sentisti  i  cavalli 
d'Alemagna  su'l  greco  tuo  capo?  „ 

"  Sentii  —  risponde  la  diva,  e  folgora  — 
però  eh'  io  sono  la  gloria  ellenica, 
io  sono  la  forza  del  Lazio 
traversante  nel  bronzo  pe' tempi. 

Passar  V  etadi  simili  a  i  dodici 
avvoltoi  tristi  che  vide  Romolo, 
e  sursi  "  O  Italia  „  annunziando 
"  I  sepolti  son  teco  e  i  tuoi  numi. 


800  ODI  BARBARE 

Lieta  del  fato  Brescia  raccolsemij 
Brescia  la  forte,  Brescia  la  ferrea, 
Bresdia  leonessa  d' Italia 
beverata  nel  sangue  nemico.  „ 


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ODI  BARBARE  80t 


ALLE  FONTI  DEL  CLITUMNO    y^ 


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ncor  dal  monte,  che  di  foschi  ondeggia 
frassini  al  vento  mormoranti  e  lunge 
per  Taure  odora  fresco  di  silvestri 
salvie  e  di  timi, 

scendon  nel  vespero  umido,  o  Clitumno, 
a  te  le  greggi:  a  te  V  umbro  fanciullo 
la  riluttante  pecora  ne  Tonda 
immerge,  mentre 

• 

vèr'  lui  dal  seno  de  la  madre  adusta, 
che  scalza  siede  al  casolare  e  canta, 
una  poppante  volgesi  e  dal  viso 
tondo  sorride: 

Carducci.  51 


802  ODI  BARBARE 

pensoso  il  padre,  di  caprine  pelli 
Tanche  ravvolto  come  i  fauni  antichi, 
regge  il  dipinto  plaustro  e  la  forza 
de*  bei  giovenchi, 

de' bei  giovencfii  dal  quadrato  petto, 
erti  suM  capo  le  lunate  corna, 


dolci  ne  gli  occhi,  nivei,  cEeTT  mite 
Virgilio  amava. 

Oscura  intanto  fumano  le  nubi 
su  TApennino:  grande,  austera,  verde 
da  le  montagne  digradanti  in  cerchio 
l'Umbria  guarda. 

Salve,  Umbria  verde,  e  tu  del  puro  fonte 
nume  Clitumno!  Sento  in  cuor  1* antica 
patria  e  aleggiarmi  su  l' accesa  fronte 
gV  itali  iddìi. 

Chi  l'ombre  indusse  dèi  piangente  saldo 
su' rivi  sacri?  ti  rapisca  il  vento 
de  r  Apennino,  o  molle  pianta,  amore 
d'  umili  tempi  ! 

Qui  pugni  a' verni  e  arcane  istorie  frema 
co '1  palpitante  maggio  ilice  nera, 
a  cui  d' allegra  giovinezza  il  tronco 
r  edera  veste  : 


ODI  BARBARE 

qui  folti  a  torno  l'emergente  nume 

stieno,  giganti  vigili,  ì  cipressi; 
e  tu  fra  1'  ombre,  tu  fatali  canta 
carmi,  o  Ctitumno. 

O  testimone  di  tre  imperi,  dinne 
come  il  grave  umbro  ne'  duelli  atroce 
cesse  a  1'  astato  velile  e  la  forte 
Etruria  crebbe:  ,,i/i 

di' come  sovra  le  congiunte  ville 
.  dal  superato  Cimino  a  gran  passi 
calò  Gradivo  poi,  piantando  1  segni 
fieri  di  Roma. 

Ma  tu  placavi,  indigete  comune 
I  italo  nume,  i  vincitori  a  ì  vinti, 
e,  quando  tonò  il  punico  furore 
da  '1  Trasimeno, 

per  gli  antri  tuoi  sali  grido,  e  la  torta 
lo  ripercosse  buccina  da  i  monti: 
,  ,1—  0  tu  che  pasci  i  buoi  presso  Mevatiia 
caliginosa, 

e  tu  che  i  proni  colli  ari  a  la  sponda 
del  Nar  sinistra,  e  tu  che  i  boschi  abt)atti 
sovra  Spoleto  verdi  o  ne  la  marzia 

Todi  fai  nozze,  n  ,-j 


$64  ODI  BARBARE 

lascfìì  il  bue  grasso  tra  le  canne,  lascia 
il  torel  fulvo  a  mezzo  solco,  lascia 
ne  r  inclfnata  quercia  il  cuneo,  lascia 
la  sposa  a  l' ara  ; 

e  cordi  cdiri,  corri!  con  la  scure 
corri  e  cò'daVdi^  con  la  clava  e  l'asta! 
corri!  minaccia  gì'  itali  penati 
Ànnibal  diro.  — 

Deh  come  rise  d'alma  luce  il  sole 
per  questa  chiostra  di  bei  monti,  quando 
urlanti  vide  e  minanti  in  fuga 
l' alta  Spoleto 

i  Mauri  immani  è  i  numidi  cavalli 
con  mischia  oscena,  e  sovra  loro,  nembi 
di  ferro,  flutti  d' olio  ardente,  e  ì  canti 
de  la  vittoria! 

Tutto  ora  tace.  Nel  sererto  gorgo 
la  tenue  miro  salifente  vena: 
t'rema,  e  d'  un  lieve  pullular  lo  specchio 
segna  de  l'acque. 

Ride  sepolta  a  l' imo  una  foresta 
breve,  e  rameggia  immobile:  il  diaspro 
par  che  si  mischi  in  flessuosi  amorì 
con  l'ametista. 


ODI    BARBARE 

E  di  zaffiro  ì  fior  paiono,  ed  hanno 
de  r  adamante  rigido  i  riflessi, 
e  splendon  freddi  e  chiamano  a  i  silenzi 
del  verde  fondo. 

A  pie  de  i  monti  e  de  le  querce  a  l'ombra 
co'  fiumi,  o  Italia,  è  de'  tuoi  carmi  il  fonte. 
Visser  le  ninfe,  vissero:  e  un  divino 
talamo  è  questo.  ,.,i 

Emergean  lunghe  ne' fluenti  veli      

naiadi  azzurre,  e  per  la  cheta  sera 

chiamavan  alto  le  sorelle  brune 

da  le  montagne,  i,  . m 

.  e  danze  sotto  l'imminente  luna       ■■"■-;. 
guidavan,  liete  ricantando  in  coro 
di  Giano  eterno  e  quanto  amor  lo  vinse 
di  Camesena, 

Egli  dal  cielo,  autoctona  virilo    .  ■:<ir.  ■• 
ella:  fu  letto  I' Apennin  fumante;    ■ 
velare  i  nembi  il  grande  amplesso  e  nacque    J 
l' itala  gente. 


Tutto  ora  tace,  o  vedovo  Clitumno, 
tutto:  de' vaghi  tuoi  delubri  un  solo 
t'avanza,  e  dentro  pretestato  nume 
tu  non  vi  siedi. 


1 


<866  ODI  BARBARE 

Non  più  perfusi  del  tuo^  fiume  sacro 
menano  i  tori,  ivittime  orgogliose, 
trofei  romani  a  i  templi  aviti:  Roma 
più  non  trionfa. 

Più  non  trionfa,  poi  che  un  galileo 
di  rosse  chiome  il  Campidoglio  ascese, 
gittone  in  braccio  una  sua  croce,  e  disse 
—  Portala  e  servi.  — 

Fuggir  le  ninfe  a  piangere  ne'  fiumi 
occulte  e  dentro  i  cortici  materni, 
od  ululando  dileguaron  come 
nuvole  a  i  monti, 

quando  una  strana  compagnia,  tra  {bianchi 
templi  spogliati  e  i  colonnati  infranti, 
procede  lenta,  in  neri  sacchi  avvolta, 
litanlando, 

e  sovra     campi  del  lavoro  umano 
sonanti  p  ì  clivi  memori  d*  impero 
fece  deserto,  et  il  deserto  disse 
regno  di  Dio. 

Strappar  le  turbe  a  i  santi  aratri,  a  i  vece!» 
padri  aspettanti,  a  le  fiorenti  mogli;* 
ovunque  il  divo  sol  benedicea, 
maledicenti. 


ODI  BARBARE  801 

iMaledicenti  a  Topre  de  la  vita 
e  de  r  amore,  ei  deliraro  atroci 
congiugnimenti  di  dolor  con  Dio 
su  rupi  e  in  grotte: 

discesero  ebri  di  dissolvimento 
a  le  cittadi,  e  in  ridde  paurose 
al  crocefisso  supplicarono,  empi, 
d'  essere  abietti. 

Salve,  o  serena  de  Tllisso  in  riva, 
o  intera  e  dritta  a  i  lidi  almi  del  Tebro 
anima  umana!  i  foschi  di  passaro, 
risorgi  e  regna. 

E  tu,  pia  madre  di  giovenchi  invitti 
a  franger  glebe  e  rintegrar  maggesi 
e  d'annitrenti  in  guerra  aspri  poliedri 
Italia  madre, 

madre  di  biade  e  viti  e  leggi  eterne 
ed  inclite  arti  a  raddolcir  la  vita, 
salve!  a  te  i  canti  de  l'antica  lode 
io  rin novello. 

Plaudono  i  monti  al  carme  e  i  boschi  e  V  acque 
de  l'Umbria  verde:  in  faccia  a  noi  fumando 
ed  anelando  nuove  industrie  in  corsa 
fischia  il  vapore. 


806  ODI  BARBARE 


ROMA 


Ivoma,  ne  V  aer  tuo  lancio  V  anima  altera  vo- 
lante: 
accogli,  o  Roma,  e  avvolgi  l'anima  mia  di  luce. 

Non  curioso  a  te  de  le  cose  piccole  io  vengo: 
chi  le  farfalle  cerca  sotto  l'arco  di  Tito? 

Che  importa  a  me  se  l'irto  spettral  vinattierdi 

Stradella 
mesce  in  Montecitorio  celie  allobroghe  e  ambagi? 

e  se  il  lungi  operoso  tessitor  di  Biella  s' impiglia, 
ragno  attirante  in  vano,  dentro  le  reti  sue? 

Cingimi,  o  Roma,  d*  azzurro,  di  sole  m' illumina, 

o  Roma:     I 
raggia  divino  il  sole  pe' larghi  azzurri  tuoi.       / 


ODI  EfARBARE  609 

Ei  benedice  al  fosco  Vaticano,  al  bel  Quirinale^ 
al  vecchio  Capitolio  santo  fra  le  ruine; 

e  tu  da  i  sette  colli  protendi,  o  Roma,  le  braccia 
a  l'amor  che  diffuso  splende  per  l'aure  chete. 

Oh  talamo  grande,  solitudini  de  la  Campagna! 
e  tu  Soratte  grigio,  testimone  in  eterno! 

Monti  d'Alba,  cantate  sorrìdenti  l'epitalamio; 
Tuscolo  verde,  canta;  canta,  irrigua  Tivoli; 

mentr*  io  da  '1   Gianicolo  ammiro  V  imagin  de 

r  urbe, 
nave  immensa  lanciata  vèr*  l' impero  del  mondo. 

O  nave  che  attingi  con  la  poppa  1*  alto  infinito^ 
varca  a'  misteriosi  lidi  l' anima  mia. 

Ne' crepuscoli. a  sera  di  gemmeo  candore  fulgenti 
tranquillamente  lunghi  su  la  Flaminia  via, 

l'ora  suprema  calando  con  tacita  ala  mi  sfiori 
la  fronte,  e  ignoto  io  passi  ne  la  serena  pace; 

passi  a  i  concini  de  l'ombre,  rivegga  li  spiriti 

magni 
de  i  padri  conversanti  lungh'  esso  il  fiume  sacro. 


sto  OBI  BARBARE' 


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ALESSANDRIA 


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^'A'ÒlÙiseFiPB  R^QAtbl  QUANDO  PUBBLICÒ  L*  E GITT« 


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aula  immensa  di.  Lussor,  su  '1  capo 
^  foggio  di  Raittse  il  mistico  '  serpente  > 
sibilò  ritto  e  '1  vulture  a  sinistra 
volò  stridendo, 

e  da  r  immènso  seràpeo  di  Memfi, 

cui  stanno  a  guardia  sotto  il  sol  candente 

seicento  sfingi  nel  granito  argute, 

Api  muggfò, 

quando  da  i  verdi  immobili  papiri 
di  Mareoti  al  livido  deserto 
sonò,  tacendo  Taure  intorno,  questo 
greco  peana. 


ODI  BARBARE  8H 

Ecco,  venimmo  a  salutarti,  Egitto, 
noi  figli  d'Elle,  con  le  cetre: e  Paste. 
Tebe,  dischiudi  le  tue  cento  porte 
ad  Alessandro. 

Noi  radduciamo  a  Giove  Ammone  un  figlio 
ch'ei  riconosca;  questo  caro  alunno 
de  la  Tessaglia,  questa  bella  e  fiera 
stirpe  d'Achille. 

Come  odoroso  laureto  ondeggia 

a  lui  la  chioma:  la  sua  rosea  guancia 

par  Tempe  in  fiore:  ha  ne' grand'  occhi  il  sole 

eh' a  Olimpia  ride: 

ha  de  1*  Egeo  la  radiante  in  viso 
pace  diffusa;  se  non  quanto,  bianche 
nuvole,  i  sogni  passanvi  di  gloria 
e  poesia. 

Ei  de  la  Grecia  a  la  vendetta  balza 
leon  da  l'aspra  tessala  falange, 
sgomina  carri  ed  elefanti,  abbatte 
satrapi  e  regi. 

Salve,  Alessandro,  in  pace  e  in  guerra  iddio! 
A  te  la  cetra  fra  le  eburnee  dita, 
a  te  d'  argento  il  fulgid'  arco  in  pugno, 
presente  Apollo! 


812  ODI  BARBARE 

A  te  i  colloqui  di  Stagira,  ì  baci 
a  te  co'  serti  de  le  ionie  donne^ 
a  te  la  coppa  di  Lieo  spumante, 
a  te  r  Olimpo. 

Lisippo  in  bronzo  ed  in  colori  Apelle 
ti  tragga  eterno;  ti  sollevi  Atene, 
chete  de'  torvi  demagoghi  V  ire, 
al  Partenone. 

Noi  ti  seguiamo:  il  Nilo  in  vano  occulta 
i  dogmi  e  il  capo  a  la  possanza  nostra: 
noi  farem  pace  qui  tra  i  numi  e  al  mondo 
luce  comune. 

E  se  ti  piaccia  aggiogar  tigri  e  linci, 
Bacco  novello,  noi  verrem  cantando, 
te  duce,  in  riva  al  sacro  Gange  i  sacri 
canti  d'Omero. 

Tale  il  peana  de  gli  achei  sonava. 
E  il  giovin  duce,  liberato  il  biondo 
capo  da  l' elmo,  in  fronte  a  la  falange 
guardava  il  mare. 

Guardava  il  mare  e  l' isola  di  Faro 
innanzi,  a  torno  il  libico  deserto 
interminato:  dal  sudato  petto 
l'aurea  corazza 


ODI  BARBARE 

sciolse,  e  gittolla  splendida  nel  piano: 
"  Come  la  mia  macedone  corazza 
stia  nel  deserto  e  a' barbari  ed  a  gli  anni 
regga  Alessandria  „. 

Disse;  ed  i  solchi  a  le  nascenti  mura 
ei  disegnava  per  ottanta  stadi, 
bianco  spargendo  su  le  flave  arene 
fior  di  farina.  -  :>  nim^ 

Tale  il  nipote  del  Pelide  estrusse     '■  -■  •< 
la  sua  cittade;  e  Faro,  inclito  nome 
di  luce  al  mondo,  illuminò  le  vie 
d'  Africa  e  d'  Asia, 

E  non  il  flutto  del  deserto  urtante 
e  non  la  fuga  dei  barbarici  anni 
valse  a  domare  quella  balda  figlia 
del  greco  eroe. 

Alacre,  industre,  a  la  sua  terza  vita 
ella  sorgea,  sollecitando  i  fati, 
qual  la  vedesti,  o  pellegrin  poeta, 
ammiratore, 

quando  fuggendo  la  incombente  notte 
dì  tirannìa,  pien  d'inni  il  caldo  ingegno, 
ivi  ciiiedendo  libertade  e  luce 
a  r  oriente, 


814  ODI  BARBARE 

e  su  le  tombe  di  turbanti  insculte 
star  la  colonna  di  Pompeo  vedesti 
come  la  forza  del  pensier  latino 
su  '1  torbid'  evo. 

Deh,  le  speranze  de  V  Egitto  e  i  vanti 
nel  tuo  volume  vivano,  o  poeta! 
Oggi  Tifone  V  ire  del  deserto 
agita  e  spira. 

Sepolto  Osiri,  il  latratore  Anubi 
morde  a  i  calcagni  la  fuggente  Europa, 
e  avanti  chiama  i  best'fali  numi 
a  le  vendette. 

Ahi  vecchia  Europa,  che  su'l  mondo  spargi 
r  irrequieta  debolezza  tua, 
come  la  triste  fisa  a  T  oriente 
sfinge  sorride! 


ODI  BARBARE  815 


IN  UNA  CHIESA  GOTICA   ^^ 


Oorgono  e  in  agili  file  dilungano 
gV  immani  ed  ardui  steli  marmorei, 
e  ne  la  tenebra  sacra  somigliano 
di  giganti  un  esercito 

che  guerra  mediti  con  l'invisibile: 
le  arcate  salgono  chete,  si  slanciano 
quindi  a  voi  rapide^  poi  si  rabbracciano 
prone  per  V  alto  e  pendule. 

Ne  la  discordia  cosi  de  gli  uomini 
di  fra  i  barbarici  tumulti  salgono 
a  Dio  gli  aneliti  di  solinghe  anime 
che  in  lui  si  ricongiungono. 


816  ODI  BARBARE 

Io  non  Dio  chieggovi,  steli  marmorei, 
arcate  aeree:  tremo,  ma  vigile 
al  suon  d' un  cognito  passo  che  piccolo 
i  solenni  echi  suscita. 

È  Lidia,  e  volgesi:  lente  nel  volgersi 
le  chiome  lucide  mi  si  disegnano, 
e  amore  e  il  pallido  viso  fuggevoli 
tra  il  nero  velo  arridono. 

Anch'  ei,  tra  '1  dubbio  giorno  d'  un  gotico 
tempio  avvolgendosi,  TAlighier,  trepido 
cercò  r  imagine  di  Dio  nel  gemmeo 
pallore  d'  una  femina. 

Sott*  esso  il  candido  vel,  de  la  vergine 
la  fronte  limpida  fulgea  ne  V  estasi, 
mentre  fra  nuvoli  d*  incenso  fervide 
le  litanie  saliano; 

salian  co'  murmuri  molli,  co'  fremiti 
lieti  saliano  d'  un  voi  di  tortore, 
e  poi  con  r  ululo  di  turbe  misere 
che  al  ciel  le  braccia  tendono. 

Mandava  l'organo  pe'cupi  spazi! 
sospiri  e  strepiti:  da  Parche  candide 
parea  che  l'anime  de* consanguinei 
sotterra  rispondessero. 


ODI  BÀRBARE  817 

Ma  da  le  mitiche  vette  di  Fiesole 
tra  le  pie  storie  pe' vetri  roseo 
guardava  Apolline:  su  l'aitar  massimo 
impallidiano  i  cerei. 

E  Dante  ascendere  tra  inni  d'  angeli 
la  tósca  vergine  transfigurantesi 
vedea,  sentiasi  sotto  i  pie  rùggere 
rossi  d' inferno  i  baratri. 

Non  io  le  angeliche  glorie  né  i  dèmoni, 
io  veggo  un  fievole  baglior  che  tremola 
per  rumid'aere:  freddo  crepuscolo 
fascia  di  tedio  V  anima. 

Addio,  semitico  nume  !  Continua 
ne' tuoi  misteri  la  morte  domina. 
0  inaccessibile  re  de  gli  spiriti, 
tuoi  templi  il  sole  escludono. 

Cruciato  màrtire  tu  cruci  gli  uomini, 
tu  di  tristizia  T  aer  contamini: 
ma  i  cieli  splendono,  ma  i  campi  ridono, 
ma  d'  amore  lampeggiano 

gli  occhi  di  Lidia.  Vederti,  o  Lidia, 
vorrei  tra  un  candido  coro  di  vergini 
danzando  cingere  V  ara  d'  Apolline 
alta  ne'  rosei  vesperi 

Carducci.  52 


818  ODI  BARBARE 

/ 

I 

raggiante  in  pario  marmo  tra  i  lauri, 
versare  anemoni  da  le  man,  gioia 
da  gli  occhi  fùlgidi,  dal  labbro  armonico 
un  inno  di  Bacchilide. 


ODI  BARBARE'  819 


NELLA  PIAZZA  DI  SAN  PETRONIO  ^  ' 


S, 


'urge  nel  chiaro  inverno  la  fosca  turrita  Bo- 
logna, 
e  il  colle  sopra  bianco  di  neve  ride. 

È  Torà  soave  che  il  sol  morituro  saluta 
le  torri  e '1  tempio,  divo  Petronio,  tuo; 

le  torri  i  cui  merli  tanfala  di  secolo  lambe, 
e  del  solenne  tempio  la  solitaria  cima. 

Il  cielo  in  freddo  fulgore  adamantino  brilla; 
e  r  aèr  come  velo  d' argento  giace 

su  *1  fòro,  lieve  sfumando  a  torno  le  moli 
che  levò  cupe  il  braccio  clipeato  de  gli  avi. 


8BO  ODI  BARBARE 

Su  gli  alti  fastigi  s'indugia  il  sole  guardando 
con  un  sorriso  languido  di  viola, 

che  ne  la  bigia  pietra  nel  fosco  vermiglio  mattone 
par  che  risvegli  l' anima  de  i  secoli, 

e  un  desio  mesto  pe  M  rigido  aere  sveglia 
di  rossi;  maggi,  di  calde  aulenti  sere, 

quando  le  donne  gentili  danzavano  in  piazza 
e  co'  i  re  vinti  i  consoli  tornavano. 

Tale  la  musa  ride  fuggente  al  verso  in  cui  trema 
un  desiderio  vano  de  la  bellezza  antica. 


ODF  BARBARE  821 


LE  DUE  TORRI 


ASINELLA 


I 


o  d' Italia  dal  cuor  tra  impeti  d' inni  balzai 
quando  l'Alpi  di  barbari  snebbiarono 
e  su  M  populeo  Po  pe  '1  verde  paese  i  carrocci 
tutte  le  trombe  reduci  suonavano. 

GARISENDA 

Memore  sospirai  sorgendo  e  la  fronte  io  piegai 

su  le  ruine  e  su  le  tombe.  Irnerio 

curvo  su  i  gran  volumi   sedeva  e  di   Roma  la 

grande 
lento  parlava  al  palvesato  popolo. 


S22  ODI  BARBARE 


ASINELLA 

Bello  dì  maggio  il  di  eh'  io  vidi  su'l  ponte  di  Reno 
passar  la  gloria  libera  del  popolo, 
sangue  di  Svevia,  e  te  chinare  la  bionda  cervice 
a  rondegs;ìante  rossa  croce  italica. 

GARISENDA 

Triste  mese  di  maggio,  che  intomo  al  bel  corpo 

d' Imelda 
cozzar  le  spade  de  i  fratelli  e  corsero 
lunghi  quaranta  giorni  le  furie  civili  crollando 
tra  *1  vasto  sangue  V  ardue  torri  in  polvere. 

ASINELLA 

Dante  vid'  io  levar  la  giovine  fronte  e  guardarci, 
e,  come  su  noi  passano  le  nuvole, 
vidi  su  lui  passar  fantasmi  e  fantasmi  ed  intomo 
premergli  tutti  i  secoli  d'Italia. 

GARISENDA 

Sotto  vidimi  il  papa  venir  con  V  imperatore 
r  un  a  r  altro  impalmati  ;  ed  oh  me  misera, 
in  SUO  giudicio  Dio  non  volle  che  io  minassi 
su  Carlo  quinto  e  su  Clemente  settimo! 


ODI  BARBARE  823 


FUORI  ALLA  CERTOSA 
DI  BOLOGNA 


O 


■   I 


h  caro  a  quelli  che  escori  da   le  bianche  e 

tacite  case 
de  i  morti  il  sole  !  Giunge  come  il  bacio  d*  un  dio  : 

bacio  di  luce  che  inonda  la  terra,  mentre  alto  ed 

immenso 
cantano  le  cicale  V  inno  di  messidoro. 

Il  piano  somiglia  un  mare  superbo  di  fremiti  e 

d*onde: 
ville,  città,  castelli  emergono  com' isole. 

Slanciansi  lunghe  tra  '1  verde  polveroso  e  i  pioppi 

le  strade: 
varcano  i  ponti  snelli  con  fughe  d*  archi  il  fiume. 


^4  ODI  ^AR!BARE 

E  tutto  è  fiamma  ed  azzurro.  Da  V  alpe   là  gì*  ^ 

di  Veronal 
guardano  solitarie  due  nuvolette  bianche.       1^^ 

Delia,  a  voi  zefiro  spira  da  '1   colle    pio    de  1|  ^ 

Guardia 
che  incoronatp  scende  (la  l' Apennino  al  piani  ^ 

v'agita  il  candido  velo,  e  i  ricci  commove  scoff  ^ 

renti 
giù  con  le  nere  anella  per  la  superba  fronte 


Mentre  domate  i   ribelli,  gentil,   con    la   mano 

.i  chinando 

sii  occhi   onde  tante  gioie   promette    in   vano 

Amore, 

udite  (a  voi  de  le  Muse  lo  spirito    in    core  b- 

velia), 
udite  giù  sotterra  ciò  che  dicono  i  morti. 

Dormono  a'  pie  qui  del  colle  gli  avi  umbri  che 

ruppero  primi 
a  suon  di  scuri  i  sacri  tuoi  silenzi,   Apennino: 

dormon  gli  etruschi  discesi  co  '1  lituo  con  Tasta 

con  fermi 
gli  occhi  ne  V  alto  a*  verdi  misteriosi  clivi, 


1 


ODI  BARBARE  825 

si  grandi  celti  rossastri  correnti  a  lavarsi  la 

strage 
le  le  fredde  acque  alpestri  eh'  ei  salutavan  Reno, 


f  l'alta  stirpe  di  Roma,  e  il   lungo-chiomato 

lombardo 
l    ^h*  ultimo  accampò  sovra  le  rimboschite  cime. 


Dormon  con  gli   ultimi    nostri.   Fiammeggia   il 

meriggio  su'l  colle: 
udite,  o  Delia,  udite  ciò  che  dicono  i  morti. 


j  Dicono  i  morti .  —  Beati,  o  voi  passeggeri   del 
2r  colle 

circonfusi  da'  caldi  raggi  de  1'  aureo  sole. 

Fresche  a  voi  mormoran    l' acque   pe  '1   florido 
f.  clivo  scendenti, 

l    cantan  gli  uccelli  al  verde,  cantan  le  foglie   al 

vento. 

A  voi  sorridono  i  fiori  sempre  nuovi   sopra   la 

terra 
a  voi  ridon  le  stelle,  fiori  eterni  del  cielo.  — 

Dicono  i  morti  —  Cogliete  i  fiori  che   passano 
,  anch'  essi, 

adorate  le  stelle  che  non  passano  mai. 


826  ODI  BARBARE 

Putridi  squagtiansii  serti  d'intorno   i   nostri 

umidi  teschi: 
poiìirte  rose  a  tornò  le  chiome  bionde  e  nere. 

Freddo  è  qua  giii:  siamo  soli.  Oh   amatevi  al 

..;  sole  !  Risplenda 

su  ila  vita  che  passa  l'eternità  d' amore.  — 


ODI  BARBARE 


'  "'"'  SU  L'ADDA  ■q'oij, 


I     t. 


Oorri,  tra'  rosei  fuochi  del  vespero, 
corri,  Addua  cerulo:  Lidia  su '1  placido 
fiume,  e  il  tenero  amore, 
al  sole  occiduo  naviga. 

Ecco,  ed  il  memore  ponte  dilungasi: 

cede  l'aereo  de  gli  archi  slancio^.. 

e  al  liquido  s'agguaglia  ii  i  ob 

pian  che  allargasi  e  mormora,     jud  11 

Le  mura  dirute  di  Lodi  fuggono 
arrampicandosi  nere  al  declivio 
verde  e  al  docile  colle.  ,  <-.[■  -j 

Addio,  storia  de  gli  uomini.         .o  -iT 


826  ODI  BARBARE 

Quando  il  romuleo  marte  ed  il  barbaro 
ruggir  ne' ferrei  cozzi,  e  qui  vindice 
la  rabbia  di  Milano  i 

arse  in  itali  incendii, 

tu  ancor  dal  Lario  verso  T  Eridano 
scendevi,  o  Addua,  con  desio  placido, 
con  murmure  solenne, 
giù  pe*  taciti  pascoli. 

Quando  su  '1  dubbio  ponte  tra  i  folgori 
passava  il  pallido  còrso,  recandosi 
di  due  secoli  il  fato 
ne  l'esile  man  giovine, 

tu  il  molto  celtico  sangue  ed  il  teutono 
lavavi,  o  Addua,  via:  su  le  tremule 
acque  il  nitrico  fumo 
putrido  disperdeasi. 

Moriano  gli  ultimi  tuon  de  la  folgore 
franca  ne  i  concavi  seni:  volgeasi 
da  i  limpidi  lavacri 
il  bue  candido,  attonito. 

Ov'  è  or  r  aquila  di  Pompeo  ?  1'  aquila 

ov'  è  de  r  ispido  sir  di  Soavia 

e  del  pallido  còrso? 

Tu  corri,  o  Addua  cerulo. 


ODI  BARBARE  829 

Corri  tra' rosei  fuochi  del  vespero, 
corri,  Addua  ceruio;  Lidia  su  M  placido 

fiume,  e  il  tenero  amore,  _iq 

al  sole  occiduo  naviga.  . ,;  \\ 

Sotto  l'olimpico  riso  de  1'  aere  »_) 

la  terra  palpita:  ogni  onda  accendesi^q     , 
e  trepida  risalta  w. 

di  fulgidi  amor  turgida.  :  t- 

Molle  de'  giovani  prati  1'  effluvio 

va  sopra  l'umido  pian:  l'acque  a' margini 

di  gemiti  e  sorrisi 

un  suon  morbido  frangono, 

E  il  legno  scivola  lieve:  tra  le  uberi  " 
sponde  lo  splendido  fiume  devolvesi; 
trascorrono  de'  campi 
i  grandi  alberi,  e  accennano, 

e  giù  da  gli  alberi,  su  da  le  floride 
siepi,  per  1'  auree  strisce  e  le  rosee, 
s' inseguono  gli  augelli 
e  amore  ilari  mescono. 

Corri  tra'  rosei  fuochi  del  vespero, 
corri,  Addua  cerulo:  Lidia  su '1  placido 
fiume  naviga,  e  amore 
d'ambrosia  irriga  l'aure. 


S30  ODI  BARBARE 

Tra*  pingui  pascoli  sotto  il  sole  aureo 
tu  con  r Eridano  scendi  a  confonderti: 
precipita  a  l'occaso 
il  sole  infaticabile. 

O  sole,  o  Addua  corrente,  T  anima 
per  un  elisio  dietro  voi  naviga: 
ove  ella  e  il  mutuo  amore, 
o  Lidia,  perderannosi  ? 

Non  so  ;  ma  perdermi  lungi  da  gli  uomini 
amo  or  di  Lidia  nel  guardo  languido, 
ove  nuotano  ignoti 
desiderii  e  misterii. 


ODI  BARBARE 


r;fli.-T.)lti;)   hi.-' 


DA  DESENZANO 


Gir 


Jino,  che  fai  sotto  i  felsinei  portici  ? 
mediti  come  il  gentil  fior  de  l'Eliade 
d'  Omero  al  canto  e  a  lo  scalpel  di  Fidia 
lieto  sorgesse  nel  mattin  de  i  popoli? 

Da  r  Asinella  gufi  e  nibbi  stridono 
invidiando  e  ì  cari  studi  rompono. 
Fuggi,  deh  fuggi  da  coleste  tenebre 
e  al  tuo  poeta,  o  dolce  amico,  vientene, 

Vienne  qui  dove  l'onda  ampia  del  lidio 
lago  tra  i  monti  azzurreggiando  palpita  : 
vieni:  con  voce  di  faleuci  chiamati 
Sirmio  che  ancor  del  suo  signore  allegrasi. 


832  ODI  BARBARE 

Vuole  Manerba  a  te  rasene  istorie, 
vuole  Muniga  attiche  fole  intessere, 
mentre  su  i  merli  barbari  fantasimi 
armi  ed  amori  con  il  vento  parlano. 

Ascoltiam  sotto  anacreòntea  pergola 
o  a  la  platonia  verde  ombra  de*  platani, 
freschi  votando  gì' innovati  calici 
che  la  Riviera  del  suo  vino  imporpora. 

Dolce  tra  i  vini  udir  lontane  istorie 
d'  atavi,  mentre  il  divo  sol  precipita 
e  le  pie  stelle  sopra  noi  viaggiano 
e  tra  V  onde  e  le  fronde  V  aura  mormora. 

Essi  che  queste  amene  rive  tennero 
te,  come  noi,  bel  sole,  un  di  goderono, 
0  ti  gittasser  belve  umane  un  fremito 
da  te  lacustri  palafitte,  o  agili 

Veneti  a  l'onda  le  cavalle  dessero 
trepida  e  fredda  nel  mattino  roseo, 
0  co  '1  terreno  lituo  segnassero 
nel  mezzogiorno  le  pietrose  acropoli. 

Gino,  ove  inteso  a  le  vittorie  retiche 
o  da  le  dacie  glorioso  il  milite 
in  vigil  ozio  r  aquile  romulee 
su  '1  lago  affisse  ricantando  Cesare, 


ODI  BARBARE  889' 

ivi  in  fremente  selva  Desiderio 
agitò  a  caccia  poi  cignali  e  daini,        - 
fermo  il  pensiero  a  la  corona  ferrea  :  .    ' 
fulgida  in  Rotha  per  la  via  de^.  Cesari*  ;: 

Gino,  ove  il  giambo  di  Catullo  r^pic^^, 
l'ala  apri  sovra  la  distesa  cerula, 
Lesbia  chiamando  tra  l'odor  de- lauri 
con  un  saliente  gemito  per  l'ae^rei     : 

ivi  il  compianto  di  lotnbarde  monache 
salmodiando  ascese  vèr*  la  candida 
luna  e  la  requie  mormorò  su  i  giovani 
pallidi  stesi  sotto  l' asta  francica. 

E  calerem  noi  pur  giù  tra  i  fantasimi 
cui  né  il  sol  veste  di  fulgor  purpureo 
né  le  pie  stelle  sovra  il  capo  ridono 
né  de  la  vite  il  frutto  i  cuor  letifica. 

Duci  e  poeti  allor,  fronti  sideree, 
ne  moveranno  incontro,  e  "  Di  qual  secolo 
~  dimanderanno  —  di  qual  triste  secolo 
a  noi  venite,  pallida  progenie? 

A  voi  tra*  cigli  torva  curva  infoscasi 
e  da  r  angusto  petto  il  cuore  fumiga. 
Noi  ne  la  vita  esercitammo  il  muscolo, 
e  discendemmo  grandi  ombre  tra  gì'  inferi  „. 

Carducci.  53 


834  ODI  BARBARE 

Gino,  qui  sotto  ànacreòntea  pergola 
o  a  la  platonia  verde  ombra  de'  platani, 
qui,  tra  i  bicchieri  che  il  vin  fresco  imporpora, 
degna  risposta  meditiamo.  Versasi 

cernia  notte  sovra  il  piano  argenteo: 
move  da  Sirmio  una  canora  imagine 
giù  via  per  Tonda  che  soave  mormora 
riscintillando  e  al  curvo  lido  infrangesi. 


ODI  BARBARE  835 


M 


i  / 


SIRMIONE  ; 


E, 


eco:  la  verde  Sirmio  nel  lucido  lago  sorride, 
fiore  de  le  penisole. 

Il  sol  la  guarda  e  vezzeggia:  somiglia  d*  intorno 

il  Benaco 
una  gran  tazza  argentea, 

cui  placido  olivo  per  gli  orli  nitidi  corre 
misto  a  r  eterno  lauro. 

Questa  raggiante  coppa  Italia  madre  protende, 
alte  le  braccia,  a  i  superi; 

ed  essi  da  i  cieli  cadere  vi  lasciano  Sirmio, 
gemma  de  le  penisole. 


836  ODI  BARBARE 

Baldo,  paterno  monte,  protegge  la  bella  da  V  alto 
co  '1  sopracciglio  torbido: 

il  Gu  sembra  un  titano  per  lei  caduto  in  battaglia, 
supino  e  minaccevole. 

Ma  incontro  le  porge  dal  seno  lunato  a  sinistra 
Salò  le  braccia  candide, 

lieta  come  fanciulla  che  in  danza  entrando  ab- 
bandona 
le  chiome  e  il  velo  a  1'  aure, 

e  ride  e  gitta  fiori  con  le  man' piene,   e  di  fiori 
le  esulta  il  capo  giovine. 

Guarda  là  in  fondo  solleva  la  ròcca  sua  fosca 
sovra  lo  specchio  liquido, 

cantando  una  saga  d' antiche  cittadi  sepolte 
e  di  regine  barbare. 

Ma  qui,  Lalage,  donde  per  tanta  pia  gioia  d'az- 
zurro 
tu  mandi  il  guardo  e  V  anima, 

qui  Valerio  Catullo,  legato  giù  a*  nitidi  sassi 
il  fasèlo  bitinico. 


ODI  BARBARE  837 

sedeasi  i  lunghi  giorni,  e  gli  occhi  di  Lesbia  ne 

r  onda 
fosforescente  e  tremula, 

e  '1  perfido  riso  di  Lesbia  e  i  multivoli  ardori 
vedea  ne  Tonda  vitrea, 

mentr'  ella  stancava  pe'  neri  angiporti  le  reni 
a  i  nepoti  di  Romolo. 

A  lui  da  gli  umidi  fondi  la  ninfa  del  lago  cantava 
"  Vieni,  o  Quinto  Valerio. 

Qui  ne  le  nostre  grotte  discende  anche  il  sole, 

ma  bianco 
e  mite  come  Cintia. 

Qui   de   la  vostra  vita  gli  assidui  tumulti  un 

lontano 
d' api  susurro  paiono, 

e  nel  silenzio  freddo  le  insanie  e  le  trepide  cure 
in  lento  oblio  si  sciolgono. 

Qui  M  fresco,  qui  '1  sonno,  qui  musiche  leni  ed 

i  cori 
de  le  cerule  vergini, 

mentr'  Espero  allunga  la  rosea  face  su  V  acque 
i  flutti  al  lido  gemono  „. 


838  ODI  BARBARE 


Ahi  triste  Anìore!  egli  odia  le  Muse,  e  lascivo 
'        •  i  poeti 

frange  o  li  spegne  tragico. 

Ma  thi  da  gli  occhi  tuoi  che  lunghe  intentano 

guerre; 
chi  ne  assicura,  o  Lalage? 

Cogli  a  le  pure  Muse  tre  rami  di  lauro  e  di  mirto, 
e  al  Sole  eterno  li  agita. 

Non  da  Peschiera  vedi  natanti  le  schiere  de*  cigni 
giù  per  il  Mincio  argenteo? 


,  / ...'  ij . 


da' verdi  paschi  dove  Bianore  dorme  non  odi 
la  voce  di  Virgilio? 


;iti,  Lalage,  e  adora.  Un  grande  severo  s'af- 
faccia 
a  la  torre  scaligera. 

—  Suso  in  Italia  bella  —  sorridendo  et  mormora, 

e  guarda 
l*  acque  la  terra  e  V  aere. 


ODI  BARBARE  839 


DAVANTI 
IL  CASTEL  VECCHIO  DI  VERONA 


1  al  mormoravi  possente  e  rapido 
sotto  i  romani  ponti,  o  verde  Adige, 
brillando  dal  limpido  gorgo, 
la  tua  scorrente  canzone  al  sole, 

quando  Odoacre  dinanzi  a  V  impeto 
di  Teodorico  cesse,  e  tra  Terulo 
eccidio  passavan  su  i  carri 
diritte  e  bionde  le  donne  amale 

entro  la  bella  Verona,  odinici 

carmi  intonando:  raccolta  al  vescovo 

intorno,  l'italica  plebe 

sporgea  la  croce  supplice  a'  Goti. 


840  ODI  BARBARE 

Tale  da  i  monti  di  neve  rigidi, 
ne  la  diffusa  letizia  argentea 
del  placido  verno,  o  fuggente 
infaticato,  mormori  e  vai 

sotto  il  merlato  ponte  scaligero, 
tra  nere  moli,  tra  squallidi  alberi, 
a  i  colli  sereni,  a  le  torri, 
onde  abbrunate  piangon  le  insegne 

il  ritornante  giorno  funereo 
del  primo  eletto  re  da  T  Italia 
francata:  tu,  Adige,  canti 
la  tua  scorrente  canzone  al  sole. 

Anch'io,  bel  fiume,  canto:  e  il  mio  cantico 
nel  picelo!  verso  raccoglie  i  secoli, 
e  il  cuore  al  pensiero  balzando 
segue  la  strofe  che  sorge  e  trema. 

Ma  la  mia  strofe  vanirà  torbida 
ne  gli  anni:  eterno  poeta,  o  Adige, 
tu  ancor  tra  le  sparse  macerie 
di  questi  colli  turriti,  quando 

su  le  rovine  de  la  basilica 
di  Zeno  al  sole  sibili  il  colubro, 
ancor  canterai  nel  deserto 
i  tedi  insonni  de  V  infinito. 


\ 


ODI  BARBARE  841 


PER  LA  MORTE 
DI  NAPOLEONE  EUGENIO 


V^uesto  la  inconscia  zagaglia  barbara 
prostrò^  spegnendo  li  occhi  di  fulgida 
vita  sorrisi  da  i  fantasmi 
fluttuanti  ne  l'azzurro  immenso. 

L' altro,  di  baci  sazio  in  austriache 
piume  e  sognante  su  l'albe  gelide 
le  diane  e  il  rullo  pugnace, 
piegò  come  pallido  giacinto. 

Ambo  a  le  madri  lungi;  e  le  morbide 
chiome  fiorenti  di  puerizia 
pareano  aspettare  anche  il  solco 
de  la  materna  carezza.  In  vece 


MSL  ODI  BARBARE 

balzar  ne  '1  buio,  giovinette  anime, 
senza  conforti;  né  de  la  patria 
l'eloquio  seguivali  al  passo 
co  i  suon*  de  l'amore  e  de  la  gloria. 

Non  questo,  o  fosco  figlio  d*  Ortensia, 
non  questo  avevi  promesso  al  parvolo: 
gli  pregasti  in  faccia  a  Parigi 
lontani  i  fati  del  re  di  Roma. 

Vittoria  e  pace  da  Sebastopoli 
sopfan  co  *1  rombo  de  V  ali  candide 
il  piccolo:  Europa  ammirava: 
la  Colonna  splendea  come  un  faro. 

Ma  di  dedembre,  ma  di  brumaio 
cruentò  è  il  fango,  la  nebbia  è  perfida: 
non  crescono  arbusti  a  quell'aure, 
o  dan  frutti  di  cenere  e  tòsco. 

O  solitaria  casa  d'Aiaccio, 

cui  verdi  e  grandi  le  querce  ombreggiane 

e  i  poggi  coronan  sereni 

e  davanti  le  risuona  il  mare! 

Ivi  Letizia,  bel  nome  italico 

che  omai  sventura  suona  ne  i  secoli, 

fu  sposa,  fu  madre  felice, 

ahi  troppo  breve  stagione!  ed  ivi. 


ODI  BARBAI^E  Ì9& 

lanciata  a  i  troni  V  ultima  folgore, 
date  concordi  leggi  tra  i  popoli, 
dovevi,  o  consol,  ritrarti 
fra  il  mare  e  Dio  cui  tu  credevi. 

Domestica  ombra  Letizia  or  abita 
la  vuota  casa;  non  lei  di  Cesare 
il  raggio  precinse:  la  còrsa 
madre  visse  fra  le  tombe  e  Tare. 

Il  suo  fatale  da  gli  occhi  d' aquila, 
le  figlie  come  l'aurora  splendide, 
frementi  speranza  i  nepoti, 
tutti  giacquer,  tutti  a  lei  lontano. 

Sta  ne  la  notte  la  còrsa  Niobe, 
sta  su  la  porta  donde  al  battesimo 
le  usciano  i  figli,  e  le  braccia 
fiera  tende  su  '1  selvaggio  mare: 

e  chiama,  chiama,  se  da  T  Americhe, 
se  di  Britannia,  se  da  Tarsa  Africa 
alcun  di  sua  tragica  prole 
spinto  da  morte  le  approdi  in  seno. 


844  ODI  BARBARE 


-   *, 


^^a^ 


\<i,:     v' 


A   GIUSEPPE  GARIBALDI 

III  NOVEMBRE  MDCCCLXXX 


I 


1  dittatore,  solo,  a  la  lugubre 
schiera  d'avanti,  ravvolto  e  tacito 
cavalca:  la  terra  ed  il  cielo 
squallidi,  plumbei,  freddi  intorno. 

Del  suo  cavallo  la  pésta  udivasi 
guazzar  nel  fango:  dietro  s*  udivano 
passi  in  cadenza,  ed  i  sospiri 
de' petti  eroici  ne  la  notte. 

Ma  da  le  zolle  di  strage  livide, 
ma  da  i  cespugli  di  sangue  roridi, 
dovunque  era  un  povero  brano, 
o  madri  italiche,  de  i  cuor  vostri 


ODI  BARBARE  8K 

saliano  fiamme  ch'astri  parevano, 
sorgeano  voci  ch'inni  suonavano: 
splendea  Roma  olimpica  in  fondo^ 
correa  per  V  aere  un  peana. 

—  Surse  in  Mentana  Tonta  de  i  secoli 
dal  triste  amplesso  di  Pietro  e  Cesare  : 
tu  hai,  Garibaldi,  in  Mentana 
su  Pietro  e  Cesare  posto  il  piede. 

O  d'Aspromonte  ribelle  splendido, 
o  di  Mentana  superbo  vindice, 
vieni  e  narra  Palermo  e  Roma 
in  Capitollfo  a  Camillo.  -— 

Tale  un'  arcana  voce  di  spiriti 
correa  solenne  pe  '1  ciel  d'Italia 
quel  di  che  guairono  i  vili, 
botoli  timidi  de  la  verga. 

Oggi  r  Italia  t'  adora.  Invocati 
la  nuova  Roma  novello  Romolo: 
tu  ascendi,  o  divino:  di  morte 
lunge  i  silenzii  dal  tuo  capo. 

Sopra  il  comune  gorgo  de  l'anime 
te  rifulgente  chiamano  i  secoli 
a  le  altezze,  al  puro  concilio 
de  i  numi  indigeti  su  la  patria. 


84fl:  ODI  BAHBARE 

Tu  ascendi.  E  Dante  dice  a  Virgilio 
**  Mai  non  pensammo  forma  più  nobile 
d'eroe  ;.  Dice  Livio,  e  sorride, 
**  È  de  la  storia,  o  poeti. 

De  la: civile  storia  d'Italia 
è  quesf  audacia  tenace  ligure, 
che  posa  nel  giusto,  ed  a  l'alto 
mira,  e  s' irradia  ne  l' ideale  „. 

Gloria  aite,  padre.  Nel  torvo  fremito 
spira  de  l'Etna,  spira  ne' turbini 
de  l'alpe  il  tuo  cor  di  leone 
incontro  a' barbari  ed  a' tiranni. 

Splende  il:  soave  tuo  cor  nel  cerulp 
riso  del.miare  del  ciel  de  i  floridi 
maggi  diffuso  su  le  tombe 
su' marmi  memori  de  gli  eroi. 


ODI  BARBARE  Sitt- 


SCOGLIO  DI  QUARTO 


B, 


•neve  ne  l'onda  placida  avanzasi    ' 
striscia  di  sassi.  Boschi  di  lauro 
frondeggiano  dietro  spirando 
effluvi  e  murmuri  ne  la  sera. 

Davanti,  larga,  nitida,  candida 
splende  la  luna:  l'astro  di  Venere 
sorride  presso  e  del  suo 
palpito  lucido  tinge  il  cielo. 

Par  che  da  questo  nido  pacifico 
in  picciol  legno  V  uom  debba  movere 
secreto  a  colloqui  d'amore 
leni  su  i  zefiri,  la  sua  donna 


S48  ODI  BARBARE 

fisa  guatando  V  astro  di  Venere. 
Italia,  Italia,  donna  de  i  secoli, 
de'  vati  e  de'  martiri  donna, 
inclita  vedova  dolorosa, 

quindi  il  tuo  fido  mosse  cercandoti 
pe'  mari.  Al  collo  leonino  avvoltosi 
il  puncio,  la  spada  di  Roma 
alta  su  l'omero  bilanciando, 

stiè  Garibaldi.  Chéti  venivano 
a  cinque  a  dieci,  poi  dileguavano, 
drappelli  oscuri,  ne  V  ombra, 
i  mille  vindici  del  destino, 

come  pirati  che  a  preda  gissero; 
ed  a  te  occulti  givano,  Italia, 
per  te  mendicando  la  morte 
al  cielo,  al  pelago,  a  i  fratelli. 

Superba  ardeva  di  lumi  e  cantici 
nel  mar  morenti  lontano  Genova 
al  vespro  lunare  dal  suo 
arco  marmoreo  di  palagi. 

Oh  casa  dove  presago  genio 
a  Pisacane  segnava  il  transito 
fatale,  oh  dimora  onde  Aroldo 
siti  l'eroico  Missolungi! 


ODI  BARKMCB 


Una  corona  di  luce  olimpica 
cinse  i  fastigi  bianchi  in  quel  vespero 
del  cinque  maggio.  Vittoria 
fu  il  sacrificio,  o  poesia. 


E  tu  ridevi,  stella  di  Venere, 
stella  d' Italia,  stella  di  Cesare  : 
non  mai  primavera  più  sacra 
d'animi  italici  illuminasti, 


da  quando  ascese  tacita  il  Tevere 
d' Enea  la  prora  d' avvenir  gravida 
e  cadde  Fallante  appo  i  clivi 
che  sorger  videro  V  alta  Roma. 


i  *•'■ 


Carducci. 


54 


850  ODI  BARBARE 


SALUTO  ITALICO 


iVlolosso  ringhia,  o  antichi  versi  italici, 
eh'  io  co  '1  batter  del  dito  seguo   o   richiamo  i 

numeri 

vostri  dispersi^  come  api  che  al  rauco 

suon  del  percosso  rame  ronzando  si  raccolgono. 

Ma  voi  volate  dal  mio  cuor,  com' aquile 
giovinette  dal  nido  alpestre  a  i  primi  zefiri. 

Volate,  e  ansiosi  interrogate  il  murmurc 

che  giù  per  l'alpi  giulie,  che  giù  per  l'alpi  retichc 

da  i  verdi  fondi  i  fiumi  a  i  venti  mandano, 
grave  d' epici  sdegni,  fiero  di  canti  eroici. 

Passa  come  un  sospir  su  '1  Garda  argenteo, 
è  pianto  d'Aquileia  su  per  le  solitudini. 


ODI  BARBARE  851 

Odono  i  morti  di  Bezzecca,  e  attendono: 
"  Quando?  „  grida  Bronzetti,  fantasma  erto  fra 

i  nuvoli. 

'*  Quando?  „  i  vecchi  fra  sé  mesti  ripetono, 
che  un  di  con  nere  chiome   l'addio,   Trento,  ti 

dissero. 

"  Quando?  „  fremono  i  giovani  che  videro 
pur  ieri  da  San  Giusto  ridere  glauco  V  Adria. 

Oh  al  bel  mar  di  Trieste,  a  i  poggi,  a  gli  animi 
volate  co  '1  nuovo  anno,  antichi  versi  italici  : 

ne'  rai  del  sol  che  San  Petronio  imporpora 
volate  di  San  Giusto  sovra  i  romani  ruderi! 

Salutate  nel  golfo  Giustinopoli, 
gemma  de  V  Istria,  e  il  verde  porto  e  il  leon  di 

Muggia; 

salutate  il  divin  riso  de  l'Adria 

fin  dove  Pola  i  templi  ostenta  a  Roma  e  a  Cesare  ! 

Poi  presso  V  urna,  ove  ancor  tra'  due  popoli 
Winckelmann   guarda,  araldo  de  V  arti  e  de  la 

gloria^ 

in  faccia  a  lo  stranier,  che  armato  accampasi 
su  M  nostro  suol,  cantate:  Italia,  Italia,  Italia! 


852  ODI  BARBARE 


A  UNA  BOTTIGLIA  DI  VALTELLINA 

DEL  1848 


E 


tu  pendevi  tralcio  da  i  retici 
balzi  odorando  florido  al  murmure 
de* fiumi  da  Talpe  volgenti 
ceruli  in  fuga  spume  d'  argento, 

quando  T  aprile  d' itala  gloria 
da  M  Po  rideva  fino  a  lo  Stelvio 
e  il  popol  latino  si  cinse 
su  r  Austria  cingol  di  cavaliere. 

E  tu  nel  tino  bollivi  torbido 
prigione,  quando  d' italo  spasimo 
ottobre  fremeva  e  Chiavenna, 
oh  Rezia  forte  I,  schierò  a  Vercea 


ODI    BARBARE 

sessanta  ancora  dì  morte  lìbera 
petti  assetati:  Hainau  gli  aspri  animi 
contenne  e  i  cavalli  de  l' Istro 
ispidi  in  vista  de  i  tre  colori. 

Rezla,  salute!  di  padri  liberi 
figlia  ed  a  nuove  glorie  più  liberal 
É  bello  al  bel  sole  de  l'alpi 
mescere  il  nobil  tuo  vin  cantando: 

cantante  i  canti  de  i  giorni  italici, 
quando  a' tuoi  passi  correano  i  popoli, 
splendea  tra  le  nevi  la  nostra 
bandiera  sopra  l'austriaca  fuga, 

A  i  noti  canti  lievi  ombre  sorgono      ' 
quei  che  anelando  vittoria  caddero? 
Sia  gloria,  o  fratelli!  Non  anche, 
r  opra  del  secol  non  anche  è  piena. 

Ma  ne  i  vegliardi  vige  il  vostro  animo, 
il  sangue  vostro  ferve  ne  i  giovani: 
0  Italia,  daremo  in  altre  alpi 
inclita  a  i  venti  la  tua  bandiera. 


854  ODI  BARBARE 


MIRAMAR 


'r 


O 


Mifamare,  a  le  tue  bianche  torri 
attediate  per  lo  del  piovorno 
fosche  con  volo  di  sinistri  augelli 
vengon  le  nubi. 

OMiramare,  contro  i  tuoi  graniti 
grige  dal  torvo  pelago  salendo 
con  un  rimbrotto  d' anime  crucciose 
battono  V  onde. 

Meste  ne  l'ombra  de  le  nubi  a' golfi 
stanno  guardando  le  città  turrite, 
Muggia  e  Pirano  ed  Egida  e  Parenzo 
gemme  del  mare; 


ODI  BARBARE  855 

e  tutte  il  mare  spinge  le  mugghianti 
collere  a  questo  bastton  di  scogli 
onde  t' affacci  a  le  due  viste  d' Adria, 
rocca  d*Absburgo; 

e  tona  il  cielo  a  Nabresina  lungo 
la  ferrugigna  costa,  e  di  baleni 
Trieste  in  fondo  coronata  il  capo 
leva  tra'  nembi. 

Deh  come  tutto  sorridea  quel  dolce 
mattin  d'aprile,  quando  usciva  il  biondo 
imperatore,  con  la  bella  donna, 
a  navigare! 

A  lui  dal  volto  placida  raggiava 
la  maschia  possa  de  V  impero  :  V  occhia 
de  la  sua  donna  cerulo  e  superbo 
iva  su  '1  mare. 

Addio,  castello  pe' felici  giorni 
nido  d'amore  costruito  in  vano! 
Altra  su  gli  ermi  oceani  rapisce 
aura  gli  sposi. 

Lascian  le  sale  con  accesa  speme 
istorifate  di  trionfi  e  incise 
di  sapienza.  Dante  e  Goethe  al  sire 
parlano  in  vano 


856  ODI  BARBARE 

da  le  animose  tavole:  una  sfinge 
r attrae  con  vista  mobile  su  l'onde: 
ei  cede^  e  lascia  aperto  a  mezzo  il  libro 
del  romanziero. 

Oh  non  d'amore  e  d'avventura  il  canto 
fia  che  l'accolga  e  suono  di  chitarre 
là  ne  la  Spagna  de  gli  Aztechi!  Quale 
lunga  su  r  aure 

vien  da  la  trista  punta  di  Salvore 
nenia  tra  '1  roco  piangere  de'  flutti  ? 
Cantano  i  morti  veneti  o  le  vecchie 
fate  istriane  ? 

—  Ahi!  mat  tu  sali  sopra  il  mare  nostro, 
figlio  d'Absburgo,  la  fatai  Novara. 
Teco  l' Erinni  sale  oscura  e  al  vento 
apre  la  vela. 

Vedi  la  sfinge  tramutar  sembiante 
a  te  d' avanti  perfida  arretrando  ! 
È  il  viso  bianco  di  Giovanna  pazza 
contro  tua  moglie. 

È  il  teschio  mózzo  contro  te  ghignante 
d' Antonifetta.  Con  i  putridi  occhi 
in  te  fermati  è  l' irta  faccia  gialla 
di  Montezuma. 


ODI  BARBARE  8S1 

Tra  boschi  immani  d'agavi  non  mai 
mobili  ad  aura  di  benigno  vento, 
sta  ne  la  sua  piramide,  vampante 
livide  fiamme 

per  la  tenèbra  tropicale,  il  dio 
Huitzilopotli,  che  il  tuo  sangue  fiuta, 
e  navigando  il  pelago  co  M  guardo, 
ulula  —  Vieni. 

Quanf  è  che  aspetto!  La  ferocia  bianca 
strussemi  il  regno  ed  i  miei  templi  infranse 
vieni,  devota  vittima,  o  nepote 
di  Carlo  quinto. 

Non  io  gì'  infami  avoli  tuoi  di  tabe 
marcenti  o  arsi  di  regal  furore; 
te  io  voleva,  io  colgo  te,  rinato 
fiore  d'Absburgo; 

e  a  la  grand'  alma  di  Guatimozino 
regnante  sotto  il  padiglion  del  sole 
ti  mando  inferia,  o  puro,  o  forte,  o  bello 
Massimiliano.  — 


•856  ODI    BARBARE 


ALLA   REGINA   D'ITALIA 

XX  NOV.   MDCCCLXXVIII. 


O^ 


nde  venisti?  quali  a  noi  secoli 
si  mite  e  bella  ti  tramandarono? 
fra  i  canti  de'  sacri  poeti 
dove  un  giorno,  o  regina,  ti  vidi? 

Ne  le  ardue  ròcche,  quando  tingeasi 
a  i  latin  soli  la  fulva  e  cerala 
Germania,  e  cozza van  nel  verso 
nuovo  Tarmi  tra  lampi  d'amore? 

Seguiano  il  cupo  ritmo  monotono 
trascolorando  le  bionde  vergini, 
e  al  ciel  co'  neri  umidi  occhi 
impetravan  mercé  per  la  forza. 


ODI  BAimARE  85d 

O  ver  ne  i  brevi  di  che  l'Italia 

fu  tutta  un  maggio,  che  tutto  il  popolo 

era  cavaliere?  Il  trionfo 

d' amor  gfa  tra  le  case  merlate 

in  su  le  piazze  liete  di  candidi 
marmi,  di  fiori,  di  sole;  e  "  O  nuvola 
che  in  ombra  d'amore  trapassi,  — 
l'Alighieri  cantava  -—  sorridi I  „ 

Come  la  bianca  stella  di  Venere 
ne  r  aprii  novo  surge  da'  vertici 
de  r  alpi,  ed  il  placido  raggio 
su  le  nevi  dorate  frangendo 

ride  a  la  sola  capanna  povera, 
ride  a  le  valli  d'ubertà  floride, 
e  a  r  ombra  de'  pioppi  risveglia 
li  usignoli  e  i  colloqui  d'amore: 

fulgida  e  bionda  ne  1'  adamantina 
luce  del  serto  tu  passi,  e  il  popolo 
superbo  di  te  si  compiace 
qual  di  figlia  che  vada  a  l'altare; 

con  un  sorriso  misto  di  lacrime 
la  verginetta  ti  guarda,  e  trepida 
le  braccia  porgendo  ti  dice 
come  a  suora  maggior  "  Margherita!  „ 


860  ODI  BARBARE 

E  a  te  volando  la  strofe  alcaica, 
nata  ne'  fieri  tumulti  libera, 
tre  volte  ti  gira  la  chioma 
con  la  penna  che  sa  le  tempeste: 

e,  Salve,  dice  cantando,  o  inclita 
a  cui  le  Grazie  corona  cinsero, 
a  cui  si  soave  favella 
la  pietà  ne  la  voce  gentile! 

Salve,  o  tu  buona,  sin  che  i  fantasimi 
di  Raffaello  ne' puri  vesperi 
trasvolin  d' Italia  e  tra'  lauri 
la  canzon  del  Petrarca  sospiri! 


ODI  BARBARE  86! 


COURMAYEUR 


C, 


'onca  in  vivo  smeraldo  tra  foschi  passaggi 

dischiusa, 
o  pia  Courmayeur,  ti  saluto. 
Te  da  la  gran  Giurassa  da  V  ardua  Grivola  bella 
il  sole  più  amabile  arride. 

Blandi  misteri  a  te  su'  boschi  d' abeti  imminente 
la  gelida  luna  diffonde, 

mentre  co  '1  fiso  albor  da  gli  ermi  ghiacciai  ri- 
sveglia 
fantasime  ed  ombre  moventi. 

4 

Te  la  vergine  Dora,  che  sa  le  sorgive  de' fonti 

e  sa  de  le  genti  le  cune, 

cernia  irriga,  e  canta;  gli  arcani  ella  canta  de 

r  alpi, 
e  i  carmi  de' popoli  e  l'armi. 


802  COI  BARBARE 

De  la  valanga  il  tuon  da  V  orrida  Brenva  rintrona 

e  rotola  giù  per  neri  antri: 

sta  su  '1  verone  in  fior  la  vergine,  e   tende  lo 

sguardo, 
e  i  verni  passati  ripensa. 

Ma  da' pendenti  prati  di  rosso  papavero  allegri 
tra  gli  orzi  e  le  s^;ali  bionde 
spicca  r  alauda  il  volo  trillando  l' aerea  canzone: 
io  medito  i  canni  sereni. 

Salve,    o   pia   Courmayeur,   che    l'ultimo  rìso 

d' Italia 
al  pie  del  gigante  de  l'Alpi 
rechi  soave!  te,  datrice  di  posa  e  di  canti, 
io  reco  nel  verso  d'Italia. 

Va  su'  tuoi  verdi  prati  l' ombria  de  le  nubi  fug- 
genti, 

e  va  su' miei  spirti  la  musa. 

Amo  al  lucido  e  freddo  mattin   da'  tuoi  sparsi 

casali 

il  fumo  che  ascende  e  s'avvolge 

bigio  al  bianco  vapqr  da  V  are  de'  monti  smarrito 
nel  cielo  divino.  Si  perde 
l'anima  in  lento  error:  vien  da  le  compiante 

memorie 
e  attinge  l'eterne  speranze. 


ODI  BAHBARE  SSS 


IL  LIUTO  E  LA  LIRA 

A  MARGHERITA  REGINA  D' ITALIA 


V^uando  la  Donna  Sabauda  il  fulgido 
sguardo  al  liuto  reca  e  su  M  memore 
ministro  d'eroici  lai 
la  mano  e  l' inclita  fronte  piega, 

commove  un  conscio  spirito  l'agili 
corde,  e  dal  seno  concavo  mistico 
la  musa  de' tempi  che  furo 
sale  aspersa  di  faville  d' oro  ; 

e  un  coro  e  un  canto  di  forme  aeree, 
quali  già  vide  V  Alighier  movere 
ne' giri  d'armonica  stanza, 
cinge  r  italica  Margherita. 


864  ODI  BARBARE 

"Io  —  dice  l'una,  cui  la  cesarie 
inonda  bionda  gli  omeri  nivei 
e  gli  occhi  natanti  nel  lume 
de  Testasi  chiedono  le  sfere  — 

io  son,  regina,  —  dice  —  la  nobile 
Canzone;  e  a'  cieli  volai  da  T  anima 
di  Dante,  quand'egli  nel  maggio 
angeli  e  spiriti  lineava. 

Io  del  Petrarca  sovra  le  lacrime 
passai  tingendo  d'azzurro  Taere 
e  accesi  corone  di  stelle 
in  su  r  aurea  treccia  d' Avignone. 

Non  mai  più  alto  sospiro  d' anime 
surse  dal  canto.  Di  te  le  laudi 
a'  due  leverò  che  V  Italia 
poeti  massimi  rivelaro  „. 

"  A  me  la  terra  piace  —  nel  cantico 
una  seconda  balzando  applaude 
con  r  asta  e  lo  scudo,  e  da  V  elmo 
fosca  fugge  a'  venti  la  criniera  — . 

Piace,  se  lampi  d' acciaio  solcano 
se  ferrei  nembi  rompono  Taere 
e  cadon  le  insegne  davanti 
al  flutto  e  a  r  impeto  de'  cavalli. 


001   BARBARE 

A  cui  la  morte  teme  non  ridono 
le  muse  in  cielo,  quaggiù  le  vergini. 
Avanti,  Savoia!  non  anche 
tutta  désti  la  bandiera  al  vento. 

La  Sirventese  sono.  A  me  l'aquila 
■che  da  Superga  rivola  al  Tevere 
e  i  folgori  stringe  severa 
dritta  ne  l' iride  tricolore  „. 

"  Ed  io  —  la  terza  dice,  di  mammole 
viole  un  cerchio  tessendo,  e  semplice 
di  rose  e  ligustri  il  sembiante 
ombra  sotto  la  castanea  chioma  — 

la  Pastorella  sono.  Di  facili 
amori  e  sdegni,  danze  e  tripudii,     _, 
non  più  rendo  gli  echi;  una  nube 
va  di  tristizia  su  la  terra. 

A  te  da'  verdi  mugghianti  pascoli, 
da' biondi  campi,  da  le  pomifere 
colline,  da'  boschi  sonanti 
di  scuri  e  dal  fumo  de' tuguri, 

io  reco  il  blando  riso  de'parvoli, 
di  spose  e  figlie  reco  le  lacrime 
e  i  cenni  de' capi  canuti 
che  ti  salutano  pia  madre  „. 


ODI   BARBARE 

Tali,  .0  Signora,  forme  e  fantasimi 
a  [Voi  d'intorno  cantando  volano 
dal  vago  liuto:  a  la  lira 
io  li  do  di  Roma  imperlante, 

qui  dove  1'  Alpi  de  le  virginee 
cime  pili  al  sole  diffusa  raggiano 
la  bianca  letizia  da  immenso 
circolo,  e  cerula  tra  l'argento 

per  i  tonanti  varchi  precipita 

la  Dora  a  valle  cercando  Italia, 

e  sceser  vostri  avi  ferrati 

con  la  spada  e  con  la  bianca  croce. 

Dal  grande  altare  nival  gli  spiriti 
del  Montebianco  soi^ono  attoniti, 
a  udire  l' eloquio  di  Dante, 
ne'  ritmi  fulgidi  di  Venosa, 

dopo  cotanto  strazio  barbarico 
ponendo  verde  sempre  di  gloria 
il  lauro  di  Livia  a  la  fronte 
de  la  Sabauda  Margherita, 

a  voi,  traverso  1'  onde  de  i  secoli, 
di  due  forti  evi  ricantar  1'  anima, 
o  figlia  e  regina  del  sacro 
rinnovato  popolo  latino. 


I  ,.««n„.  «.NOTE 

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l'Ili'    -iiulin  ambjilldnn  3  niniMi»:'  <<i 

I,,  ,  ,      .  ,  DINANZI   ALLE   TERME 

I  DI  CARACALLA 

pag.  T96,  V.  21-24.  Fu  chi  intese  che  questi  versi  auguras- 
sero la  malaria  ai  buzzurri.  Obiiiiè  I  Io  intendevo  imprecare  alla 
speculazione  edilizia  che  già  minacciava  i  monumenti,  accarez- 
zata da  quella  trista  amministrazione  la  quale  educò  il  mar- 
ciume che  serpeggia  a  questi  giorni  nella  capitale  (4  febb.  1893), 

ALESSANDRIA 

pag.  810.  Fu  composta  negli  ultimi  giorni  di  lugìio  del  1882 
(il  tempo  della  composizione  dà  ragione  del  linale)  per  la 
pubblicazione  del  volume  di  Giuseppe  Regaldi  [Firenze,  Le 
Monnierl,  dove  le  antichità  e  le  novità  dell'Egitto  sono  discorse 
con  faconda  copia  di  notizie, 

MIRAMAR 

'  pag.  854,  V.  2.  Mi  tengo  di  aver  rinnovato  un  bell'aggettivo 
dantesco  dal  verso  91  del  xxv  Purg;atoriO|  se  non  che  io  in 
vece  di  piamo  vorrei  poter  leggere  e  senza  esitazione  scrìvo  pia- 
vomo,  che  è  la  forma  integra,  come  leggono  il  codice  Po^jj^^* 


868  ODI  BARBARE 


e  uno  deir Archiginnasio  di  Bologna,  e  come  parmi  d'aver  seofli 
dire  alcuna  volta  in  contado  non  so  più  se  di  Toscana  oi 
Romagna.  Aer  piovomo  vale,  nell'  interpretazione  del  Béì 
pieno  di  nuvoli  acquosi:  altro,  in  somma,  da  piovoso. 

p.  854,  V.  11.  Per  i  luoghi  dell' Istria  ricordati  in  ques» 
verso  e  per  la  punta  di  SalvorCy  pag.  856,  v.  9,  son  certo  i 
far  cosa  grata  ai  lettori  italiani  rimandandoli  a  un  libro  moto 
buono,  con  rappresentazioni  fotografiche  ammirevoli,  di  G» 
seppe  Caprin,  stampato  in  Trieste  nel  1889,  Marine  istrim 
libro  che  mi  fa  spesso  tornare  il  pensiero,  con  desiderio  sco- 
pre più  acceso,  a  quella  bellissima  e  nobilissima  regione,  tuiti 
romana  e  veneta  della  gran  patria  italiana. 

pag.  855,  V.  21-24,  pag.  856,  v.  1-4  e  v.  14.  Alcuni  ricorf 
del  castello  di  Mìramar  in  questi  versi  han  forse  bisogno  d 
schiarimento.  Nella  stanza  di  studio  di  Massimiliano,  costnA 
in  guisa  che  rassomigliasse  la  cabina  della  contrammiraglii 
Novara  che  lo  trasportò  al  Messico,  sono  i  ritratti  di  Dante' 
di  Goethe  presso  il  luogo  ove  V  arciduca  sedeva  a  studiar; 
sta  tutt'  ora  aperta  sul  tavolino  un*  antica  edizione,  che  pait 
di  ricordare  assai  rara  e  stampata  ne'  Paesi  bassi,  di  romani 
castigliane.  Nella  sala  maggiore  sono  incise  più  sentenze  t 
tine:  memorevoli,  per  il  luogo  e  per  1*  uomo,  queste:  5//o' 
tana  iuvat  caveto  folli  —  Saepe  sub  dulci  melle  venef: 
latent  —  Non  ad  astra  mollis  e  terris  via  —  Vivitur  in§^ 
niOy  caetera  mortis  erunt, 

IL  LIUTO  E  LA  LIRA 

pag.  863,  v.  13.  Quest'  ode  composta  in  Courmayeur  - 
pensata  in  Roma,  nell'  occasiona  che  il  prof.  Chìlesotti  l'i 
maggio  del  1889  nella  sala  Palestrina  parlò  della  musica  dt- 
secoli  XV  e  xvi,  presente  la  Regina  Margherita.  Ivi,  tra  l\ 
altri  strumenti  musicali,  erano  due  liuti  della  Regina:  la  qua!^ 
ebbe  allora  la  gentile  curiosità  di  conoscere  V  arte  del  liuto  \ 
r  uso  d' esso  nella  poesia  italiana  e  provenzale. 


DELLE  ODI  BARBARE 


LIBRO   II 


Musa  latina,  vieni  meco  a  canzone  novella: 
Può  nuova  progenie  il  canto  novello  fare. 

T.  Campanella. 


CERILO 


No: 


Non  sotto  ferrea  punta  che  strida  solcando 
maligna 
dietro  un  pensierdi  noia  l'aride  carte  bianche; 

sotto  l' adulto  sole,  nel  palpito  mosso  da'venti 
pe*  larghi   campi    aprici,  lungo   un   bel   correr 
d' acque, 

nasce  il  sospir  de'  cuori  che  perdesi  ne  l' infinito, 
nasce  il  dolce  e  pensoso  fior  de  la  melodia. 

Qui    brilla    il    maggio  effuso  ne   l'aere  odorato 

di  rose, 
brillano  gli  occhi  vani,  dormon  ne'petti  i  cuori; 

dormono  i  cuor,  si  drizzan   le  orecchie  facili 

quando 
la  variopinta  strilla  nota  de  la  Gioconda. 


872  ODI  BARBARE 

Oh  de  le  Muse  Tara  dal  verde  vertice  bianca 
su  '1  mare!  Alcmane  guida  i  virginei  cori: 

"  Voglio  con  voi  fanciulle,  volare,  volare  a  li 

danza, 
come  il  cerilo  vola  tratto  da  le  alcioni  : 

vola  con   le  alcioni   tra  Tonde  schiumanti ie 

tempesta, 
cerilo  purpureo  nunzio  di  primavera  „. 


\ 


OBI  BARBARE  873 


,  *• 


FANTASIA 


JL  u  parli  ;  e,  de  la  voce  a  la  molle  aura 
lenta  cedendo,  si  abbandona  V  anima 
del  tuo  parlar  su  Tonde  carezzevoli, 
e  a  strane  plaghe  naviga. 

Naviga  in  un  tepor  di  sole  occiduo 
ridente  a  le  cerulee  solitudini  : 
tra  cielo  e  mar  candidi  augelli  volano, 
isole  verdi  passano, 

e  i  templi  su  le  cime  ardui  lampeggiano 
di  candor  pario  ne  1*  occaso  roseo, 
ed  i  cipressi  de  la  riva  fremono, 
e  i  mirti  densi  odorano. 


874 


Q]pi«AK9AW 


Erra  lungi  V  odor  su  le  salse  aure 
L  e  si  mesce  al  cantar  lento  de'  nauti, 
mentre  una  nave  in  vista  al  porto  ammaini 
le  rosse  vele  placida. 


ytggo  fanciulle  scender  da  l'acropoli 
in  ordin  lungo;  ed  han  bei  pepli  candidi, 
serti  hanno  al  capo,  in  man  rami  di  lauro^ 
tendon  le  braccia  e  cant^qo. 

Piantata  Tasta  in  su  l'arena  patria, 
a  terra  salta  un  uom  ne  Tarmi  splendido: 
è  forse  Alceo  da  le  battaglie  reduce 
a  le  vergini  lesbie? 


ODI  BARBARE  875 


RUIT  HORA 


O 


desiata  verde  solitudine 
lungi  al  rumor  de  gli  uomini! 
qui  due  con  noi  divini  amici  vengono, 
vino  ed  amore,  o  Lidia. 

Deh,  come  ride  nel  cristallo  nitido 
Lieo,  l'eterno  giovine! 
come  ne  gli  occhi  tuoi,  fulgida  Lidia, 
trionfa  amore  e  sbendasi! 

Il  sol  traguarda  basso  ne  la  pergola, 

e  si  rifrange  roseo 

nel  mio  bicchiere:  aureo  scintilla  e  tremola 

fra  le  tue  chiome,  o  Lidia. 


S16  ODI  BARBARE 


Fra  le  tue  nere  chiome,  o  bianca  Lidia, 
langue  una  rosa  pallida; 
e  una  dolce  a  me  in  cuor  tristezza  sùbita 
tempra  d' amor  gì'  incendii. 

Dimmi  :  perché  sotto  il  fiammante  vespero 
misteriosi  gemiti 

manda  il  mare  là  giù?  quai  canti,  o  Lidia, 
tra  lor  quei  pini  taiitano?' 

Vedi  con  che  desio  quei  colli  tendono 
le  braccia  al  sole  occiduo: 
cresce  l'ombra  e  li  fascia:  ei  par  che  chiedano 
il  bacio  ultimo,  o  Lidia. 

Io  chiedo  i  baci  tuoi,  se  l'ombra  avvolgemi, 
Lieo,  dator  di  gioia: 
io  chiedo  gli  occhi  tuoi,  fulgida  Lidia, 
se  Iperifon  precipita. 

E  precipita  l'ora.  O  bocca  rosea, 
schiuditi:  o  fior  de  l'anima, 
o  fior  del  desiderio,  apri  i  tuoi  calici  : 
o  care  braccia,  apritevi. 


\ 


ODI  BARBARE  '     877 


ALLA  STAZIONE 


IN   UNA   MATTINA  D' AUTUNNO 


o 


h  quei  fanali  come  s' inseguono 
accid'fosi  là  dietro  gli  alberi, 
tra  i  rami  stiHanti  di  pioggia 
sbadigliando  la  luce  su  '1  fango! 

Flebile,  acuta,  stridula  fischia 
la  vaporiera  da  presso.  Plumbeo 
il  cielo  e  il  mattino  d'  autunno 
come  un  grande  fantasma  n'è  intorno. 

Dove  e  a  che  move  questa,  che  affrettasi 
a' carri  foschi,  ravvolta  e  tacita 
gente?  a  che  ignoti  dolori 
o  tormenti  di  speme  lontana? 


ODI    BARBARE 

Tu  pur  pensosa,  Lidia,  la  tessera 
al  secco  taglio  dai  de  la  guardia, 
e  al  tempo  incalzante  i  begli  anni 
dai,  gì'  istanti  gioiti  e  i  ricordi, 

Van  lungo  il  nero  convoglio  e  vengono 
incappucciati  di  nero  i  vigili, 
com' ombre;  una  fioca  lanterna 
hanno,  e  mazze  dì  ferro:  ed  i  ferrei 

freni  tentati  rendono  un  lugubre 
rintócco  lungo:  di  fondo  a  l'anima 
un'eco  di  tedio  risponde 
doloroso,  che  spasimo  pare. 

E  gli  sportelli  sbattuti  al  chiudere 
paion  oltraggi:  scherno  par  l'ultimo 
appello  che  rapido  suona: 
grossa  scroscia  su' vetri  la  pioggia. 

Già  il  mostro,  conscio  di  sua  metallica 
anima,  sbuffa,  crolla,  ansa,  i  fiammei 
occhi  sbarra;  immane  pe  '1  buio 
gitta  il  fischio  che  sfida  lo  spazio. 

Va  l'empio  mostro;  con  traino  orribile 
sbattendo  I'  ale  gli  amor  miei  portasi. 
Ahi,  la  bianca  faccia  e  'I  bel  velo.   , 
salutando  scompar  ne  la  tepe 


ODI  BARBARE  879 

O  viso  dolce  di  pallor  roseo, 
o  stellanti  occhi  di  pace,  o  candida 
tra*  floridi  ricci  inchinata 
pura  fronte  con  atto  soave! 

Fremea  la  vita  nel  tepid'  aere, 
fremea  Testate  quando  mi  arrisero; 
e  il  giovine  sole  di  giugno 
si  piacea  di  baciar  luminoso 

in  tra  i  riflessi  del  crin  castanei 
la  molle  guancia  :  come  un*  aureola 
più  belli  del  sole  i  miei  sogni 
ricingean  la  persona  gentile. 

Sotto  la  pioggia,  tra  la  caligine 

torno  ora,  e  ad  esse  vorrei  confondermi  ; 

barcollo  com^ebro,  e  mi  tócco, 

non  anch'  io  fossi  dunque  un  fantasma. 

Oh  qual  caduta  di  foglie,  gelida, 
continua,  muta,  greve,  su  1*  anima  ! 
io  credo  che  solo,  che  eterno, 
che  per  tutto  nel  mondo  è  novembre. 

Meglio  a  chi  '1  senso  smarrì  de  1*  essere, 
meglio  quest'ombra,  questa  caligine: 
io  voglio  io  voglio  adagiarmi 
in  un  tedio  che  duri  infinito. 


880  ODI  BARBARE 


MORS 


J 


NELL  EPIDEMIA  DIFTERICA 


Vxiuando  a  le  nostre  case  la  diva  severa  discende, 
da  lungi  il  rombo  de  la  volante  s*  ode, 

e  l'ombra  de  T ala  che  gelida  gelida  avanza 
diffonde  intorno  lugubre  silenzio. 

Sotto  la  vendente  ripiegano  gli  uomini  il  capo, 
ma  i  sen  feminei  rompono  in  aneliti. 

Tale  de  gli  alti  boschi,  se  luglio  il  turbine  ad- 
densa, 
non  corre  un  fremito  per  le  virenti  cime: 

immobili  quasi  per  brivido  gli  alberi  stanno, 
e  solo  il  rivo  roco  s'ode  gemere. 


ODI  BARBARE  881 

Entra  ella,  e  passa,  e  tócca;  e   senza   pur  vol- 
gersi atterra 
gli  arbusti  lieti  di  lor  rame  giovani; 

miete  le  bionde  spiche,  strappa  anche   i  grap- 
poli verdi, 
coglie  le  spose  pie,  le  verginette  vaghe 

ed  i  fanciulli:  rosei  tra  l'ala  nera  ei  le  braccia 
al  sole  a  i  giuochi  tendono  e  sorridono. 

Ahi  tristi  case  dove  tu  innanzi  a' vólti  de' padri, 
pallida  muta  diva,  spegni  le  vite  nuove! 

Ivi  non  più  le  stanze  sonanti  di  risi  e  di  festa 
o  di  bisbigli,  come  nidi  d*  augelli  a  maggio  : 

ivi  non  più  il  rumore  de  gli  anni  lieti  crescenti, 
non  de  gli  amor  le  cure,  non  d' imeneo  le  danze: 

invecchian  ivi  ne  l'ombra  i  superstiti,  al  rombo 
del  tuo  ritorno  teso  1'  orecchio,  o  dea. 


Carducci.  ó'ò 


8^  ODI  BARB/VRE 


UNA  SERA  DI  SAN  PIETRO 


R, 


jcordo.  Fulvo  il  sole  tra  i  rossi  vapori  e  le  nubi 
calde  al  mare  scendeva,  come  un  grande  clipeo 

di  rame 
che  in  barbariche  pugne  corrusca  ondeggiando, 

poi  cade. 
Castiglioncello  in  alto  fra  mucchi  di  querce  ridea 
da  le  vetrate  un  folle  vermiglio  sogghigno  di  fata. 
Ma  io  languido  e  triste  (da  poco   avea   scosso 

la  febbre 
maremmana,    ed   i   nervi    pesavanmi    come  di 

piombo) 
guardava  a  la  finestra.  Le  rondini  rapide  i  voli 
sghembi    tessevano    e    ritessevano     intorno  le 

gronde, 
e  le  passere  brune  strepiano  al  vespro  maligno. 
Brevi  d'  entro  la  macchia   svariavano    il   piano 

ed  i  colli, 


ODI  BÀRBARE  883 

rasi  a  metà  da  la  falce,  in  parte  ancor  mobili  e 

biondi. 
Via  per  i  solchi  grigi  le  stoppie  fumavano  accese: 
or  si  or  no  veniva  su  per  le  aure  umide  il  canto 
de' mietitori,  lungo,  lontano,  piangevole,  stanco: 
grave  V  afa  stringeva  Taèr,  la  marina,  le  piante. 
Io  levai  gli  occhi  al   sole  —   O   lume  superbo 

del  mondo 
tu  su  la  vita  guardi  com'  ebro  ciclope  da  Talto!  — 
Gracchiarono  i  pavoni  schernendomi  tra  i  me- 
lograni, 
e  un  vipistrello  sperso  passommi  radendo  su'! 

capo. 


864  ODI  BARBARE 


PE  'L  CHIARONE  DA  CIVITAVECCHIA 

LEGGENDO   IL  MARLOWE 


Oalvi, 


aggrondati,  ricurvi,  si  come  becchini  a 

la  fossa 
stan  radi  alberi  in  cerchio  de  la  sucida  riva. 

Stendonsi  livide  l'acque  in  linea  lunga  che  trema 
sotto  squallido  cielo  per  la  lugubre  macchia. 

Bevon  le  nubi  dal  mare  con   pendale   trombe, 

ed  il  sole 
piove  sprazzi  di  riso  torbido  sovra  i  poggi. 

I  poggi  sembrano  capi  di   tignosi  ne  T  ospitale, 
Tun  fastidisce  T  altro  da' finitimi  letti. 

Scattan  su  da  un  cespuglio  co  '1  guizzo  di  frecce 

mancate 
due  neri  ueeeUr.  cala  con  pigre  ruote  un  falca 


ODI  BARBARE  865 

Corrono,   mentr'  io   leggo  Marlowe,   le   smunte 

cavalle 
de  la  vettura:  il  sole  scema,  la  pioggia  freme. 

Ed  ecco  a  poco  a  poco  la  selva  infoscasi  orrenda, 
la  selva,  o  Dante,  d'  alberi  e  di  spiriti, 

dove  tra  piante  strane  tu  strane  ascoltasti  que- 

i        relè, 
dove  troncasti  il  pruno  eh*  era  Pier  de  la  Vigna. 

Io  leggo  ancora  Marlowe.  Dal  reo  verso  bieco 

simile 
a  sogno  d'  uomo  cui  molta  birra  gravi, 

d' odii  et   incèsti  e   morti   balzando   tra  forme 

angosciose 
esala  un  vapor  acre  d*  orrida  tristizia, 

che  sale  e  fuma,  e  misto  a  l'aer  maligno  feconda 
di  mostri  intorno  le  pendenti  nuvole, 

crocida  in  fondo  a'  fossi,  ferrugigno  ghigna 

ne'  bronchi, 
filtra  con  la  pioggia  per  V  ossa  stanche,  lo  tremo. 

Ah  quei  pini  che  il  vento  che  il  mare  curvaron 

tanti  anni 
paiono  traer  guai  contro  di  me:  —  Che  importa 


886  ODI  BARBARE 

—  dicon  —  tendere  a  Talto?  che   vale  com- 
batter? che  giova 
amare?  Il  fatò  passa  ed  abbassa.  —  Ma  tu, 

tu  sughero  triste  che  a  terra  schiacciato  rialzi 
il  capo,  reo  gobbo,  bestemmiando  Iddio, 

perché  mi  tendi  minaccioso  le  braccia  tue  torte? 
che  colpa  ho  io  ne  M  fato  che  ti  danna? 

E  voi,  lunghe  ne'l  mezzo  del  tetro  recinto  alberelle, 
co'  rami  spioventi,  quasi  canute  chiome, 

siete  alberelle  voi?  siete  le  tre  fiere  sorelle 
che  aspettar  Macbeth  su  là  fatale  via? 

Odo  pauroso  carme  che  voi  bisbigliate  co'  venti, 
di  rospi,  di. serpi,  di  sanguinanti  cuori. 

Guglielmo,  re  de'  poeti  da  l' ardua  fronte  serena, 
perché  mi  mandi  lugubri  messaggi? 

Io  non  uccisi  il  sonno,  ben  gli  altri  a  me  spen- 
sero il  cuore: 
non  cerco  un  regno,  io  solo  chieggo  al  mondo 

1'  oblio. 

Oblio?  no,  vendetta.  Cadaveri  antichi,  pensieri 
che  tutti  una  ferita  mostrate  aperta  e  tutti 


ODI  BARBARE  887 


a  tradimento,  su  !  su  da  '1  cimitero  del  petto, 
f     su  date  a*  venti  i  yostri  veli  funebri. 

* 

Qui  raduniam  consiglio,  qui  ne  V  orribile  spazzo, 
a  r  ombre  ignave,  su  le  mortifere  acque. 

Qui  gonfia  di  serpi  tra  '1  fior  bianco  e  giallo  la 

terra, 
pregna  di  veleni  qui  primavera  ride. 

Rida  ubriaco  il  verso  di  gioia  maligna;  com'  angue, 
strisci,  si  attorca,  snodisi  tra  i  sibili. 

Volate,  volate,  canzoni  vampire,  cercando 
i  cuor*  che  amammo;  sangue  per  sangue  sia. 

Ma  che?  Disvelasi  lunge  superbo  a  veder  TAr- 

gentaro 
lento  scendendo  ne  '1  Tirreno  cerulo. 

Il  sole  illustra  le  cime.  .Là  in  fondo  sono  i  miei 

colli, 
con  la  serena  vista,  con  le  memorie  pie. 

Ivi  m'arrise  fanciullo  la  diva  sembianza  d'Omero. 
Via,  tu,  Marlowe,  a  Tacque!  tu,   selva   infame, 

addio. 


&SB  ODI  BARBARE 


ALLA  MENSA  DELL*  AMICO 


N, 


on  mai  da  '1  cielo  eh'  io  spirai  parvolo 
ridesti,  o  Sole,  bel  nume,  splendido 
a  me,  si  come  oggi  eh'  effuso 
t' amo  per  V  ampie  vie  di  Livorno. 

Non  mai  fervesti,  Bromio,  ne  i  calicf 
consolatore  saggio  e  benevolo, 
com'oggi  ch'io  libo  a  l'amico 
pensando  i  varchi  de  l'Apennino. 

O  Sole,  o  Bromio,  date  che  integri, 
non  senza  amore,  non  senza  cetera, 
scendiamo  a  le  placide  ombre 
—  là  dov'  è  Orazio  —  1*  amico  ed  io. 


ODI  BARBARE  8S9 

Ma  sorridete  gli  auguri  a  i  parvoli 
che^  dolci  fiori,  la  mensa  adornano, 
la  pace  a  le  madri,  gli  amori 
a  i  baldi  giovani  e  le  glorie. 


890  ODI  BARBARE 


RAGIONI  METRICHE 


iVompeste  voi*!  Tevere  a  nuoto,  Clelia,. come 
r  antica  vostra,  o  a  noi  nuova  Rea  Silvia  uscite? 

Scarso, o  nipote  di  Rea,  l'endecasillabo  ha  il  passo 
a  misurare  i  clivi  de  le  bellezze  vostre  : 

solo  co  '1  pie  trionfale   V  eroico  esametro  puote 
scander  la  vYa  sacra  de  le  lunate  spalle. 

Da  r  arce  capitolina  de  *1  collo  fidiaco  molle 
il  pentametro  pender,  ghirlanda  albana,  deve. 

Batta  ne*l  raggio  de  gli  occhi,  che  fiero  corusca 

si  come 
tra  i  colli  prenestini  dietro  T  aurora  il  sole, 

batta  Talcaica  strofe  trepidando  Tali,  e  si  scaldi 
a  i  forti  amori:  indietro,  tu  settenario  vile. 


ODI  BARBARE  891 

Oh,  su  la  chioma  ondosa  che  simile   a  notte 

discende 
pe  '1  crepuscolo  pario  de  le  doriche  forme 

(lasciate  a  le  serve,  nipote  di  Rea,  gli  ottonari ) 
corona  aurea  di  stelle  fulga  V  asclepiadea. 


892  ODI   BARBARE 


FIGURINE  VECCHIE 


Q. 


,ual  da  la  madre  battuto  pargolo 
od  in  proterva  rissa  mal  domito 
stanco  s*  addorme  con  le  pugna 
serrate  e  i  cigli  rannuvolati, 

tal  ne  M  mio  petto  V  amore,  o  candida 
Lalage,  dorme:  non  sogna  o  invidia, 
s'  al  roseo  maggio  erran  giocando 
gli  altri  felici  pargoli  al  sole. 

Oh  no  '1  destare  !  1'  udresti,  o  Lalage, 
di  torbid'  ire  fiedere  V  aere 
rompendo  i  giuochi  a'  lieti  eguali, 
dio  di  battaglia  per  me  V  amore. 


\ 


ODI  BARBARE  893 


SOLE  D'INVERNO 


N, 


el  solitario  verno  de  T  anima 
spunta  la  dolce  imagine, 
e  tócche  frangonsi  tosto  le  nuvole 
de  la  tristezza  e  sfumano. 

Già  di  cerulea  gioia  rinnovasi 
ogni  pensiero:  fremere 
sentomi  dMntima  vita  gli  spiriti: 
il  gelo  inerte  fendesi. 

Già  de' fantasimi  dal  mobil  vertice 
spiccian  gli  affetti  memori, 
scendon  con  rivoli  freschi  di  lacrime 
giù  per  r  ombra  del  tedio. 


894  ODI  BARBARE 

Scendon  con  murmuri  che  a  gli  antri  chiamar 

echi  d'amor  superstiti 

e  con  letizia  d' acque  che  a'  margini 

sonni  di  fiori  svegliano. 

Scendono,  e  in  limpido  fiume  dilagano, 
ove  le  rive  e  gli  alberi 
e  i  colli  e  il  tremulo  riso  de  Taere 
specchiasi  vasto  e  placido. 

Tu  sy  la  nubila  cima  de  V  essere, 
tu  sali,  0  dolce  imagine; 
e  sotto  il  candido  raggio  devolvere 
miri  il  fiume  de  V  anima. 


3IMi|iÉiMMI 


EGLE 


CDtanno  nel  grigio  verno  pur  d'edrae  di  lauro 

ve94^e 
ne  i*  Appia  trista  le -nitnoséotombeii  :o3dJ1 

■    ..  ':.),^:v;   Il   vÀjUII   liiivyù  'ìOOiìB  b'j 

Passan  pe  '1  citì  turchino^  eliè  é^im^àtìébf'^  da 
avanti  al  sole  lucide  nubi  'bianche. 


:ìl<uj  101  aCI 


Egle,  levato  il  capo  vèr*  quella  serena  promessa 
di  primavera,  guarda  le  nubi  e  il  sole.     ' 

Guarda;  e  innanzi  a  la  bella  sua  fronte  più 

ancora  che  al  sole 
ridon  le  nubi  sopra  le  tombe  antiche. 


- 1 


d896  mtmBAKmm 


■-i..ir)::i 

PRIMO  VERE 


\ 
I 


rumi  ih  '^  B^ib'^'l-  '■•:«"'  oh'H/  012^.1$^  i^n  c»n^:\ 

J-jcco:  di  braccio  al  pigro  verno  sciogliesi 
ed  ancor  trema  nuda  al  rigid'  aere 
la  primavera  :  il  sol  tra  le  sue  lacrime 
limpido  brilla,  o  Lalage. 

Da  lor  culle  di  neve  i  fior  si  svegliano 
e  curiosi  al  ciel  gli  occhietti  levano: 
in  quelli  sguardi  vagola  una  tremula 
ombra  di  sogno,  o  Lalage. 

Nel  sonno  de  V  inverno  sotto  il  candido 
lenzuolo  de  la  neve  i  fior  sognarono; 
sognaron  l'albe  roride  ed  i  tepidi 
soli  e  il  tuo  viso,  0  Lalage. 


ODI  BARBARE  8^7' 

Ne  r  addormito  spirito  che  sognano 
i  miei  pensieri?  A  tua  bellezza  candida 
perché  mesta  sorride  tra  le  lacrime 
la  primavera,  o  Lalage? 


Carducci.  b1 


89&  ODI  BARBARE 


VERE  NOVO 


R 


empendo  il  sole  tra  i  nuvoli  bianchi  a  l'az- 
zurro 
sorride  e  chiama  —  O  primavera,  vieni  !  — 

Tra  i  verzicanti  poggi  con  mormorii    placidi  il 

fiume 
ricanta  a  V  aura  —  O  primavera,  vieni  !  — 

—   O  primavera,    vieni  !  —  ridice    il    poeta  al 

suo  cuore 
e  guarda  gli  occhi,  Lalage  pura,  tuoi. 


ODI  BARBARE  899 


CANTO  DI  AÌARZO 


Q: 


naie  una  incinta,  su  cui  scende  languida 
languida  T ombra  del  sopore  e  l'occupa, 
disciolta  giace  e  palpita  su  '1  talamo, 
sospiri  al  labbro  e  rotti  accenti  vengono 
e  sùbiti  rossor  la  faccia  corrono, 

tale  è  la  terra;  T  ombra  de  le  nuvole 
passa  a  sprazzi  su  '1  verde  tra  il  sol  pallido  : 
umido  vento  scuote  i  pèschi  e  i  mandorli 
bianco  e  rosso  fioriti,  ed  i  fior  cadono  : 
spira  da  i  pori  de  le  glebe  un  cantico. 

—  O  salienti  da'  marini  pascoli 
vacche  del  cielo,  grige  e  bianche  nuvole, 
versate  il  latte  da  le  mamme  tumide 
al  piano  e  al  colle  che  sorride  e  verzica, 
a  la  selva  che  mette  i  primi  palpiti  —. 


I         :antano  i  fior  che  si  risvegliano: 
antatio  i  germi  che  si  movono 
adici  che  bramose  stendonsi; 
a  1'  ossa  de  i  sepolti  cantano 

1         li  de  la  vita  e  de  gli  spiriti. 

Ecco  l' acqua  che  scroscia  e  il  tuon  che  brontola; 
porge  il  capo  il  vitel  da  la  stalla  umida, 
la  gallina  scotendo  1'  ali  strepita, 
profondo  nel  verzier  sospira  il  cuculo 
ed  i  bambini  sopra  V  aia  saltano. 

Chinatevi  al  lavoro,  o  validi  omeri; 
schiudetevi  a  gli  amori,  o  cuori  giovani, 
impennatevi  a  i  sogni^  ali  de  ranime;.,,| 
irrompete  a  la  guerra,  o  desìi  torbidi :,jm^ 
ciò  che  fu  torna  e  tornerà  ne  i  secoli. 


ODI  BARBARE  901 


SALUTO  D'  AUTUNNO 


Jl   e' vérdi  colli,  da' cieli  splendidi, 
e  ne' fiorenti  campi  de  T  anima, 
Delia,  a  voi  tutto  è  una  festa 
di  primavera:  lungi  le  tombe! 

Voi  dolce  madre  chiaman  due  parvole, 
voi  dolce  suora  le  rose  chiamano, 
e  il  sol  vi  corona  di  lume, 
divino  amico,  la  bruna  chioma. 

Lungi  le  tombe!  Lontana  favola 
per  voi  la  morte!  Salite  il  tramite 
de  gii  anni,  e  con  citara  d'  oro 
Ebe  serena  v'  accenna  a  V  alto. 


OD[    BARBARE 

Giù  ne  la  valle,  freddi  dal  turbine, 
noi  vi  miriamo  ridente  ascendere; 
e  un  raggio  del  vostro  sorriso 
frange  le  nebbie  pigre  a  l'autunno. 


ODI  BARBARIE  903 


SU  MONTE  MARIO 


S 


olenni  in  vetta  a  Monte  Mario  stanno 
nel  luminoso  cheto  aere  i  cipressi, 
e  scorrer  muto  per  i  grigi  campi 
mirano  il  Tebro, 

mirano  al  basso  nel  silenzio  Roma 
stendersi,  e,  in  atto  di  pastor  gigante 
su  grande  armento  vigile,  davanti 
sorger  San  Pietro. 

Mescete  in  vetta  al  luminoso  colle, 
mescete,  amici,  il  biondo  vino,  e  il  sole 
vi  si  rifranga:  sorridete,  o  belle: 
diman  morremo. 


Lalage,  intatto  a  l'odorato  bosco 
lascia  l'alloro  che  si  gloria  eterno, 
o  a  te  passando  per  la  bruna  chioma 
splenda  minore. 

A  me  tra'l  verso  che  pensoso  vola 
venga  l'allegra  coppa  ed  il  soave 
fior  de  la  rosa  che  fugace  il  verno 
consola  e  muore. 

Diman  morremo,  come  ier  morirò 
quelli  che  amammo:  via  da  le  memorie, 

via  da  gli  affetti,  tenui  ombre  lievi 
dilegueremo. 

Morremo;  e  sempre  faticosa  intorno 
de  r  almo  sole  volgerà  la  terra, 
mille  sprizzando  ad  ogni  istante  vite 
come  scintille; 

vite  in  cui  nuovi  fremeranno  amori, 
vite  che  a  pugne  nuove  fremeranno, 
e  a  nuovi  numi  canteranno  gì'  inni 
de  l'avvenire. 

E  voi  non  nati,  a  le  cui  man' la  face 
verrà  che  scórse  da  le  nostre,  e  voi 
disparirete,  radiose  schiere, 
ne  l' infinito. 


ODI  BARBARE  906 

Addio,  tu  madre  del  pensier  mio  breve, 
terra,  e  de  Talma  fuggitiva!  quanta 
d' intorno  al  sole  aggirerai  perenne 
gloria  e  dolore! 

fin  che  ristretta  sotto  l' equatore 
dietro  i  richiamj  del  calor  fuggente 
r  estenuata  prole  abbia  una  sola 
femina,  un  uomo, 

che  ritti  in  mezzo  a'  ruderi  de'  monti, 
tra  i  morti  boschi,  lividi,  con  gli  occhi 
vitrei  te  veggan  su  V  immane  ghiaccia, 
sole,  calare. 


*  LA  MADRE 

~|5EUPP0   DI    ADRIANO   CECIONI  ) 


_jei  certo  l'alba  che  affretta  rosea 
al  campo  ancora  grigio  gli  agricoli 
mirava  scalza  co  '1  pie  ratto 
passar  tra  i  roridi  odor'  del  fieno. 

H  Curva  su  i  biondi  solchi  i  larghi  omeri 

^k  udivan  gli  olmi  bianchi  di  polvere 

^K  lei  stornellante  su  '1  meriggio 

^H  sfìdar  le  rauche  cicale  a  i  po|^i, 

■  Eqi 

■  pettc 

■  fulvi 
H  coloi 


E  quando  alzava  da  1'  opra  il  turgido 
petto  e  la  bnina  faccia  ed  i  riccioli 
fulvi,  i  tuoi  vespri,  o  Toscana, 
coloraro  ignei  le  balde  forme. 


ODI  BARBARE  907 

Or  forte  madre  palleggia  il  pargolo 
forte;  da  i  nudi  seni  già  sazio 
palleggialo  alto,  e  ciancia  dolce 
con  lui  che  a'  lucidi  occhi  materni 

intende  gli  occhi  fissi  ed  il  piccolo 
corpo  tremante  d' inqufetudine 
e  le  cercanti  dita:  ride 
la  madre  e  slanciasi  tutta  amore. 

A  lei  d' intorno  ride  il  domestico 
lavor,  le  biade  tremule  accennano 
dal  colle  verde,  il  btt£  mugghia, 
su  Taia  il  florido  gallo  canta. 

Natura  a  i  forti  che  per  lei  spregiano 
le  care  a  i  vulghi  larve  di  gloria 
cosi  di  sante  visioni 
conforta  l'anime,  o  Adriano: 

onde  tu  al  marmo,  severo  artefice, 
consegni  un'  alta  speme  de  i  secoli. 
Quando  il  lavoro  sarà  lieto? 
quando  securo  sarà  l'amore? 

quando  una  forte  plebe  di  liberi 
dirà  guardando  ne  '1  sole  —  Illumina 
non  ozi  e  guerre  a  i  tiranni, 
ma  la  giustizia  pia  del  lavoro  —  ? 


906  ODI  BARBARE 


PER  UN  INSTITUTO  DI  CIECHI 


Q. 


'uando  mirava  Omero  le  fulgide  a'  dardani 

campi 
pugne,  con  gli  occhi  spenti  ed  immoti  al  cielo; 

quando,  levata  in  fredda  caligin  la  fronte,  vedeva 
Milton  passare  su'  mondi  vinti  Dio; 

r  alma  del  tutto  in  essi  rompeva  la  inerte  de'  sensi 
bruma,  e  ne' grandi  spiriti  il  sole  ardea. 

Quando  Tobia  meschino   del   can   riconobbe  il 

latrato 
e  brancolando  porse  le  bianche  mani, 

messa  dal  ciel  sovvenne  la  santa  pietà:  Rafaele 
biondo  a'  lassi  occhi  rese  il  bel  figlio  e  il  lume. 

Stanno  ne  V  ampia  terra  gli  eroi   del  pensiero 

in  disparte: 
a  Rafaele  tende  le  braccia  il  mondo. 


ODI  BARBARE  909^ 


SOGNO  D'  ESTATE 


1  ra  le  battaglie,  Omero,  nel  carme  tuo  sempre 

sonanti 
la  calda  ora  mi  vinse:  chinommisi  il  capo  tra  *1 

sonno 
in  riva  di  Scamandro,  ma  il  cor  mi  fuggi  su  '1 

Tirreno. 
Sognai,  placide  cose  de'  miei  novelli  anni  sognai. 
Non  più  libri  :  la  stanza  da'l  sole  di  luglio  affocata, 
rintronata  da  i  carri  rotolanti  su  '1  ciottolato 
de  la  città,  slargossi:  sorgeanmi  intorno  i  miei 

colli, 
cari  selvaggi  colli  che  il  giovane  aprii  rifioria. 
Scendeva  per  la  piaggia   con    mormorii  freschi 

un  zampillo 
pur   divenendo   rio:    su  M    rio  passeggiava  mia 

madre 
florida  ancor  ne  gli  anni,  traendosi  un  pargolo 

a  mano 


cui  per  le  spalle  bianche  splendevano  i  riccioli 

d' oro. 
Andava  il  fanciulletto  con  piccolo  passo  di  gloria, 
superbo  de  l'  amore  materno,  percosso  nel  core 
da  quella  festa  immensa  che  l'alma  natura  in- 
tonava. 
Però  che  le  campane  sonavano  su  da'l  castello 
annunziando  Cristo  tornante  dimane  a'suoi  cieli; 
e  su  le  cime   e   al    piano,  per  l'aure,  pe' rami, 

per  l'acque, 
correa  la  melodia  spiritale  di  primavera; 
ed  i  pèschi  ed  i  mèli   tutti    eran  fior"  bianchi  e 

vermigli, 
e  fior*  gialli  e  turchini  ridea  tutta  l'erba  al  disotto, 
ed  il  trifoglio  rosso    vestiva  i  declivii  de' prati, 
e  molli  d'  auree  ginestre  si  paravano  i  colli, 
e  un'aura  dolce  movendo  quei  fiori  e  gli  odori 
veniva  giù  da  '1  mare;  nel  mar  quattro  candide 

vele 
andavano  andavano  cullandosi  lente  nel  sole, 
che  mare  e  terra  e  cielo  sfolgorante  circonfondeva. 
La  giovine  madre  guardava  beata  nel  sole, 
loguardava  la  madre, guardava  pensoso  il  fratello, 
questo  che  or  giace  lungi  su  '1  poggio  d' Arno 

fiorito, 
quella   che   dorme  presso  ne   l'erma  solenne 

Certosa  ; 
pensoso  e  dubìtoso  s' ancora  eì  spirassero  1'  aure 
o  rìtornasser  pii  del  dolor  mio  da  una  plaga 


ODI  BARBARE  911 

ove  tra  note  forme  rivivono  gli  anni  felici. 
Passar  le   care   imagini,   disparvero  lievi  co  '1 

sonno. 
Lauretta  empieva   intanto   di    gioia   canora   le 

stanze, 
Bice  china  al  telaio  seguia  cheta  V  opra  de  V  ago. 


9f2  ÓM  ttKUtiA»» 


,unnoa         ■  "  ■  . ,  '.'.^ 

!    £"ia(ìB3    BÌoìji    ii>    r.jiiEJni    BVdi<|i«^  .^ib^ii^i 


» 


COLLI  TOSCANI 


I 


UoUi 


toscani  e  voi  pacifiche  selve  d*  olivi 
a  le  cui  ombre  chete  stetti  in  pensier  d' amore, 

tósca  vendemmia  e  tu  da*  grappi  vermigli  spu- 
manti 
in  faccia  al  sole  tra  giocondi  strepiti, 

sole  de'giovini  anni;  ridete  a  la  dolce  fanciulla 
che  amor  mi  strappa  e  rende  sposa  al  toscano 

cielo; 
voi  le  ridete,  e  quella  che  sempre  negaronmi  i  fati 
pace  d'affetti  datele  ne  l'anima. 

Colli,  tacete,  e  voi  non  susurratele,  olivi, 
non  dirle,  o  sol,  per  anche,  tu  onniveggente,  pio, 
ch'oltre   quel   monte  giaccion,  lei  forse  aspet- 
tando, que'  miei 
che  visser  tristi,  che  in  dolor  morirono. 


ODI  BARBARE  913 

Ella  ammirando  guarda  la  cima,  tremarsi    nel 

cuore 
sente  la  vita  e  un  lieve  spirto  sfiorar  le  chiome, 
mentre  Taura   montana,   calando  già   il   sole, 

d' intorno 
al  giovin  capo  le  agita  il  vel  candido. 


Carducci.  b'B> 


914 


ODI  BARBARE 


PER  LE  NOZZE  DI  MIA  FIGLIA 


O 


nata  quando  su  la  mia  povera 
casa  passava  come  uccel  profugo 
la  speranza,  e  io  disdegnoso 
battea  le  porte  de  l'avvenire; 


or  che  il  pie  saldo  fermai  su  *1  termine 
cui  combattendo  valsi  raggiungere 
e  rauchi  squittiscon  da  torno 
i  pappagalli  lusingatori; 


tu  mia  colomba  t' involi,  trepida 
il  nuovo  nido  voli  a  contessere 
oltre  Apennino,  ne  *1  nativo 
aere  ào\ee  dit^  c.o\\\  Xà^oivù 


ODI  BARBALE  415 

Va' con  r  amore;  va' con -Ingioiai 
va'  con  la  fede  candida.  L-  timide  - 
pupille  fise  al  vel  fuggente^ .. 
la  mia  Gaimena  tace  e  ripensa 

Ripensa  i  giorni  quando  tu  parvola 
coglievi  fiori  sotto  le  acacie, 
ed  ella  reggendoti  a  mano 
fantasmi  e  forme  spiava  in  cielo. 

Ripensa  i  giorni  quando  a  la  morbida 
tua  chioma  intorno  rogge  strisciavano 
le  strofe  contro  a  gli  oligarchi 
librate  e  al  vulgo  vile  d'Italia. 

E  tu  crescevi  pensosa  vergine, 
quand'ella  prese  d'assalto  intrepida 
i  clivi  de  l'arte  e  piantovvi 
la  sua  bandiera  garibaldina. 

Riguarda,  e  pensa.  De  gli  anni  il  tramite 

teco  fìa  dolce  forse  ritessere, 

e  risognare  i  cari  sogni 

nel  blando  riso  de*  figli  tuoi? 

O  forse  meglio  giova  combattere 
fino  a  che  l'ora  sacra  richiamine? 
Allora,  o  mia  figlia,  —  nessuna 
me  Beatrice  ne' cieli  attende  — 


§16  0PI:8ARBARE 

allora  ài  passo  che  Omero  ellenico 
e  il  oristlfanD  Dante,  passarono 
mi  scorga  il  tuo  sguardo  soave, 
la  nota  voce  tua  m' accompagn i. 


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OBI  BAW^ASm  tt? 


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*    ■  .         -  1  ■         I 


PRESSO  L'URICA  ^■'•' •■ 
DI  PERCY  BYSSHE  SHELLEY 

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*         •  • 


■  ..'  I  -»  ; 


,  \  r  ■  T  ' 


T  ■'■'••   ' 

X-;alage,  io  so  qual  sogno  ti  sorge  dai  cuore 

profondo,.,  f 

so  quai  perduti  beni  V  occtiio  tuo  vago  segue; 


•     »       .■■•£.. 


L' ora  presente  è  in  vano,  non  fa  che  percuo-  ^ 

tere  e  fu^;   ^ 
sol  nei  passato  è  il  bello,  sol  ne  la  morte  è  il  vero. 

Pone  r  ardente  Clio  su  *1  monte  de' secoli  il  piede 
agile,  e  canta,  ed  apre  Tali  superbe  al  cielo. 

Sotto  di  lei  volante  si  scuopre  ed  illumina  T  ampio 
cimitero  del  mondo,  ridele  in  faccia  il  sole 

de  r  età  nova.  O  strofe,  pensier  de'  miei  giovini 

anni, 
volate  ornai  secure  verso  gli  antichi  amori; 


"b^  odi  barbare 

volate  pe'  cieli,  pe'  cieli  sereni,  a  la  bella 
isola  risplendente  di  fantasia  ne'  mari. 

Ivi  poggiati  a  l'aste  Sigfrido   ed  Achille  alti  e 

biondi 
erran  cantando  lungo  il  risonante  mare  : 

dà  fiori  a  quello  Ofelia  sfuggita  al  pallido  amante, 
dal  sacrificio  a  questo  Iflanassa  viene. 

Sotto  una  verde  quercia  Rolando  con  Ettore  parla, 
sfolgora  Durendala  d'oro  e  di  gemme  al  sole: 

mentre  al  florido  petto  richiamasi   Andromache 

il  figlio; 
Alda  la  bella,  immota,  guarda  il  feroce  sire. 

Conta  re  Lear  chiomato  a  Edippo  errantesue  pene, 
con  gli  occhi  incerti  Edippo  cerca  la  sfinge  ancora: 

la  pia  Cordelia  chiama  —  Deh,  candid^  Antigone, 

vieni! 
vieni,  o  greca  sorella!  Cantiam   la   pace   a  i 
padri.  — 

Elena  e  Isotta  vanno  pensose  per  l' ombra  de  i 

mirti, 
il  vermiglio  tramonto  ride  a  le;chic»ne  d'oro: 


ODI  BA'RBAHB  919 

Elena  guarda  V  onde:'  re  Marco  ad  Isotta  le 

braccia 
apre,  ed  il  biondo  capo  su  la  gran  barba  cade* 

Con  la  regina  scota  su  '1  lido  nel  lume  di  luna 
sta  Clitennestra:  tuffàn   le  bianche  braccia   in 

mare, 

e  il  mar  rifugge  gonfio  di  sangue  fervido:  il  pianto 
de  le  misere  echeggia  per  lo  scoglioso  lido. 

O  lontana  a  le  vie  de  i  duri  mortali  travagli 
isola  de  le  belle,  isola  de  gli  eroi, 

isola  de'  poeti  !  Biancheggia  V  oceano  d' intorno,, 
volano  uccelli  strani  per  il  purpureo  cielo. 

Passa  crollando  i  lauri  l'immensa  sonante  epopea 
come  turbin  di  maggio  sopra  ondeggianti  piani  ; 

o  come  quando  Wagner  possente   mille  anime 

intona 
a  i  cantanti  metalli;  trema  a  gli  umani  il  core. 

Ah,  ma  non  ivi  alcuno  de'  novi  poeti  mai  surse, 
se  non  tu  forse,  Shelley,  spirito  di  titano, 

entro  virginee  forme:  dal  divo  complesso  di  Teti 
Sofocle  a  volo  tolse  te  fra  gli  eroici  cori. 


ODI   BÀRBARE 

O  cuor  de' cuori,  sopra  quest'urna  che  freddo 

ti  chiude 
odora  e  tepe  e  brilla  la  primavera  in  fiore, 

O  cuor  de' cuori,  il  sole  divino  padre  ti  avvolge 
de'  suoi  raggianti  amori,  povero  muto  cuore. 


Fremono  freschi  i  pini  per  l'aura  grande  di  Roma: 
tu  dove  sei,  poeta  del  liberato  mondo? 


Tu  dove  sei?  m'  ascolti?  Lo  sguardo  mìo  umido 

fu^e 
oltre  r  aureltana  cerchia  su  'I  mesto  piano. 


ODI  BARBARE  t21 


AVE 
IN   MORTE  DI  G.  P. 


o, 


r  che  le  nevi  premono, 
lenzuol  funereo,  le  terre  e  gli  animi, 
e  de  la  vita  il  fremito 
fioco  per  r  aura  vernai,  disperdesi, 

tu  passi,  o  dolce  spirito: 

forse  la  nuvola  ti  accoglie  pallida 

là  per  le  solitudini 

del  vespro  e  tenue  teco  dileguasi. 

Noi,  quando  a'  soli  tepidi 

un  desio  languido  ricerca  V  anime 

e  co  i  fiori  che  sbocciano 

torna  Persefone  da  gli  occhi  ceruli, 


922  ODI  BARBARE 

noi  penseremo,  o  tenero, 

a  te  non  reduce.  Sotto  la  candida 

luna  d'apri!  trascorrere 

vedrem  la  imagine  cara  accennandone. 


ODI  BARBARE  923 


NEVICATA 


L, 


lenta  fiocca  la  neve  pe  '1  cielo  cinereo  :  gridi, 
suoni  di  vita  più  non  salgon  da  la  città, 

non  d'erbaiola  il  grido  o  corrente  rumore  di  carro, 
non  d' amor  la  canzon  ilare  e  di  gioventù. 

Da  la  torre  di  piazza  roche  per  V  aere  le  ore 
gemon,  come  sospir  d*  un  mondo  lungi  dal  di. 

Picchiano  uccelli  raminghi  a'  vetri  appannati  : 

gli  amici 
spiriti  reduci  son,  guardano  e   chiamano  a  me. 

In  breve,  o  cari,  in  breve  —  tu   calmati,   indo- 
mito cuore  — 
giù  al  silenzio  verrò,  ne  V  ombra  riposerò. 


NOTA 


pag.  812,  vv.  I-6.  [1  frammento  d'Al«mane,  a  cui  fu  inspirata 
la  invocazione  contenuta  in  questi  versi,  È  benissimo  illustrato 
dal  ptof.  L,  A.  Michelangeli  nella  dotta  raccolta  eh'  egli  ha 
pubblicato  (Bologna,  Zanichelli,  1889)  dei  Frammenti  della 
Melica  greca. 


CONGEDO 


nfmr)>ioj 


A. 


'  lor  cantori  diano  i  ré  fulgente 
collana  d'oro  lungo  il  petto,  i  volghi 
a'  lor  giullari  dian  con  roche  strida 
suono  di  mani. 


Premio  del  verso  cìie,  animoso  vola 
da  le  memorie  a  l'avvenire,  io  chiedo 
colma  una  coppa  a  l'amicizia  e  il  riso 
de  la  bellezza. 


Come  ricordo  d'  un  mattin  d'  aprile 
puro  è  il  sorriso  de  le  belle,  quando 
l'età  fugace  chiudere  s'affretta 
il  nono  lustro; 


^b  ODI    BARBARE 

ra  i  bicchier  che  l'amistade  infiora 
a  serena  imagine  la  morte, 
ie  a  te  sotto  i  platani  d'  Uìsso, 
o  Platone. 


VERSIONI 


V8HHV 


TOMBE  PRECOCI 

DA    FR.    G.    KLOPSTOCK 


Be, 


Jen  vieni,  o  bell'astro  d'argento, 
compagno  tacente  a  la  notte. 
Tu  fuggi?  oh  rimanti,  splendore  pensoso! 
vedete?  ei  rimane;  la  nuvola  va. 


Più  bel  d'una  notte  d'estate 

è  solo  il  mattino  di  maggio: 

a  lui  la  rugiada  gocciando  da  i  ricci 

riluce,  e  vermiglio  pe  'l  colle  va  su. 

O  cari,  già  il  musco  severo 

a  voi  sopra  i  tumuli  crebbe: 

deh  come  felice  vedeva  io  con  voi 

le  notti  d'  argento,  vermigli  i  bei  di  1 


ODI    BARBARE 


NOTTE   D'ESTATE 

DA  FS.   G.  KLOPSTOOC 


Qu, 


Quando  il  tremulo  splendore  de  la  luna 
si  diffonde  giù  pe' boschi,  quando  i  fiori 
e  i  molli  aliti  de  i  tigli 
via  pe  *1  fresco  esalano, 

il  pensiero  de  le  tombe  come  un'ombra 
in  me  scende;  né  più  i  fiori  né  più  t  tigli 
danno  odore;  tutto  il  bosco 
è  per  me  crepuscolo. 

Queste  gioie  con  voi,  morti,  m'  ebbi  un  tempo: 
come  il  fresco  era  e  il  profumo  dolce  intorno! 
come  bella  eri,  o  natura, 
in  queir  albor  tremulo  ! 


ODI  BARBARE  935 


LA  TORRE  DI  NERONE 

DA  A.   PLATEN 


N, 


arra  la  fama,  e  ancor  n'  ha  orrore  il  popolo  : 
Nerone,  indétto  a  la  città  V  incendio, 
sali  su  quella  torre  a  lo  spettacolo 
del  rogo,  allegro  ed  avido. 

Correano  al  cenno  suo  gV  incendiarii, 
baccanti  in  festa,  e  roteavan  picei 
serti  di  fiamma.  Dritto  su'  merli  aurei 
Neron  tócca  la  cetera. 

—  Gloria  —  egli  canta  —  al  fuoco  :  a  V  oro  ei  simile 
ei  degno  del  Titan  che  al  cielo  tolselo  : 
Taugel  di  Giove  il  porta;  ed  il  primo  alito 
egli  accolse  di  Bromio. 


936  ODI  BARBARE 

Vieni,  splendido  nume:  al  enne  i  pampini, 
molle  danza  su  '1  mondo  anzi  che  in  polvere 
torni:  di  Roma  qui  raccc^li  il  cenere 
e  nel  tuo  vino  mescilo  — . 


ODI  BARBARE  937 


ERO  E  LEANDRO 


DA  A.   PLATEN 


ÌLjvo  r  amata  muore,  ne  i  flutti  cercando  la  morte: 
Saffo  r  amante  muore,  morte  chiedendo  a  i  flutti. 

Amore,  iddio  crudele,  a  te  cadon   vittime   en- 
trambe: 
scorgile  tu  nel  cheto  reame  di  Persefone. 

Ma  di  Leandro  al  petto  conduci  la  vergin  di  Sesto, 
guida  al  fiume  di  Lete  la  deserta  di  Lesbo. 


ODI   BARBARE            ^^^^^ 

i 

LA    L    RICA 

DA   A       'LATEN 

A, 


la  materia  l'anima  s'appiglia, 
polso  del  mondo  è  l'azione;  e  a  sorde 
orecchie  spesso  versa  i  canti  1'  atta 
lirica  musa. 

A  tutti  Omero  s'apre  e  svariati 

gli  arazzi  de  la  favola  dispiega, 

r  autor  del  dramma  trascinando  i  volghi 

le  scene  eleva. 

Ma  il  voi  del  sacro  Pindaro,  di  Fiacco 
1'  arte  e,  o  Petrarca,  il  tuo  librato  verso, 
lento  ne  i  cuori  imprimesi,  e  a  la  plebe 
arduo  sfugge. 


ODI  BARBARE  939 

Grazia  che  pensa,  non  agevol  ritmo 
di  canzoncine  intorno  la  teletta: 
non  lieve  sguardo  penetra  le  loro 
alme  possenti. 

Eterno  vaga  per  le  genti  il  nome, 
ma  raro  ad  essi  spirito  s'aggiunge 
amico  e  pio  che  onori  le  gagliarde 
menti  profonde. 


RIME  E  RITMI 


I 


IMTIM  3  3K1V! 


ALLA  SIGNORINA 
MARIA  A. 


Vw-*  piccola  Maria, 

Di  versi  a  te  che  importa? 

Esce  la  poesia, 

O  piccola  Maria, 
Quando  malinconia 
Batte  del  cor  la  porta. 

O  piccola  Maria, 

Di  versi  a  te  che  importa? 


^^t                 RIME   E    RITMI 

■ 

NEL  CHIOSTRO  DEL  SANTO 

1 


Oi  come  fiocchi  di  fumo  candido 
tenui  sfilando  passan  le  nuvole 
su  l'aeree  cupole,  sovra 
le  fantastiche  torri  del  Santo; 

passan  pe'l  cielo  turchino,  limpido, 
fresco  di  pioggia  recente:  sonito 
di  mondo  lontano  par  l'eco 
tra  le  arcate  che  abbraccian  le  tombe. 

Tal  su  l'audacie  de  gli  anni  giovani 
a  me  poeta  passàro  i  cantici, 
ed  ora  ne  l'animo  chiuso 
solitaria  ne  mormora  l'eco. 


RIME  E  RITMI  945 

Si  come  nubi,  si  come  cantici 
fuggon  Tetadi  brevi  de  gli  uomini: 
dinanzi  da  gli  occhi  smarriti, 
ombra  informe,  che  vuol  V  infinito  ? 


ARDUCCI.  60 


p^ 


RIME   E  RITMI 


JAUFRE  RUDEL 


Da, 


l  Libano  trema  e  rosseggia 
Su '1  mare  la  fresca  mattina; 
Da  Cipri  avanzando  veleggia 
La  nave  crociata  latina. 

A  poppa  di  febbre  anelante 
Sta  il  prence  di  Blaia,  Rudelto, 
E  cerca  co  '1  guardo  natante 
Di  Tripoli  in  alto  il  castello. 


In  vista  a  la  spiaggia  asiana 
Risuona  la  nota  canzone: 
"  Amore  di  terra  lontana, 
Per  voi  tutto  il  core  mi  duol.  „ 

Il  volo  d'un  grigio  alcione 
Prostgiic  la  dolce  querela, 
E  sovra  la  candida  vela 
S' affilile  di  nuvoli  il  sol. 


RIME   E   RITMI  947 


La  nave  ammaina,  posando 
Nel  placido  porto.  Discende 
Soletto  e  pensoso  Bertrando, 
La  via  per  al  colle  egli  prende. 

Velato  di  funebre  benda 
Lo  scudo  di  Blaia  ha  con  sé: 
Affretta  al  Castel  :  -—  Melisenda 
Contessa  di  Tripoli  ov'è? 


Io  vengo  messaggio  d*  amore, 
Io  vengo  messaggio  di  morte  : 
Messaggio  vengo  io  del  signore 
Di  Blaia,  Giaufredo  Rudel. 

Notizie  di  voi  gli  fùr  porte, 
V'amò  vi  cantò  non  veduta: 
Ei  viene  e  si  muor.  Vi  saluta, 
Signora,  il  poeta  fedel.  — 


La  dama  guardò  lo  scudiero 
A  lungo,  pensosa  in  sembianti: 
Poi  surse,  adombrò  d*  un  vel  nero 
La  faccia  con  gli  occhi  stellanti  : 

— -  Scudier,  —  disse  rapida  —  andiamo. 
Ov'  è  che  Giaufredo  si  muore  ? 
Il  primo  al  fedele  rechiamo 
E  V  ultimo  motto  d*  amore.  — 


916  itnm  m  wem 


Giacea  slotto  un«l>el  patfit^iòner  : 
Giaufredo  al  coMpetlo  iletiiiiarei' lor^f  ] 
In  nota  gentil  diiJCjmtoÉfe-  -o>f;  ìq  •  o-t 
Levava  il  supremo;  dé^n^l lo )  hi  -^q  rìv 
—  Signor  che  vtMsti^ntsnea^eiJ^  ot^h 
Per  me  questo  tintore  Idntàabj;  i*  ohm 
Deh  fa  che  «Uà  dòtòè  sua  MÉnó  ir.  :i;f 
Commetta  restretaóresifirli*^  ^  -  k    :• 


Intanto  coM  fu)o<'Bertran<|H{^^i'!!i  o^ìiì»  ci 
Veniva  la  donmti  iiwécateg:;<;£;a<oi':  </ja'j7  ! 
E  l'ultima  nota  fùcoUauidoagfidv  ci^<;)  :U 
Pietosa  risté  su  Pisiitfràtabv!Ì  •  u>    r    ' 

Ma  presto,  con  mano  tremante 
Il  velo  gittando,  scopri 
La  faccia  ;  ed  al  misero  amante 
—  Giaufredo,  —  ella  disse,  —  son  qui.  — 


Voltossi,  levossi  co  '1  petto 
Su  i  folti  tappeti  il  signore, 
E  fiso  al  bellissimo  aspetto 
Con  lungo  sospiro  guardò. 

-  —  Son  questi  i  begli  occhi  che  amore 
Pensando  promisemi  un  giorno? 
E  questa  la  fronte  ove  intorno 
Il  vago  mio  sogno  volò?  — 


RIME   E  RITMJ  949 

Si  come  a  la  notte  di  maggio 
La  luna  da  i  nuvoli  fuora 
Diffonde  il  suo  candido  raggio 
Su  M  mondo  che  vegeta  e  odora, 

Tal  quella  serena  bellezza 
Apparve  al  rapito  amatore, 
Un'alta  divina  dolcezza 
Stillando  al  morente  nel  cuore. 


—  Contessa,  che  è  mai  la  vita? 
E  r  ombra  d'  un  sogno  fuggente. 
La  favola  breve  è  finita, 
Il  vero  immortale  è  V  amor. 

Aprite  le  braccia  al  dolente. 
Vi  aspetto  al  novissimo  bando. 
Ed  or,  Melisenda,  accomando 
A  un  bacio  lo  spirto  che  muor.  — 

La  donna  su  '1  pallido  amante 
Chinossi  recandolo  al  seno. 
Tre  volte  la  bocca  tremante 
Co  *1  bacio  d'  amore  baciò, 

E  il  sole  da  'I  cielo  sereno 
Calando  ridente  ne  Tonda 
L'  effusa  di  lei  chioma  bionda 
Su  '1  morto  poeta  irraggiò. 


WO  RIME  E  RITMI 


IN  UNA  VILLA 


O 


tra  i  placidi  olivi,  tra  i  cedri    e    le  palme 

sedente 
bella  Arenzano  al  riso  de  la  ligure  piaggia; 


operosa  vecchiezza  t' illustra,  serena  t' adorna 
signbril  grazia  e  il  dolce  di  giovinezza  lume; 

facil  corre  in  te  Torà  tra  liete  aspettanze  e  ri- 
cordi 
calmi,  si  come  Taura  tra  la  collina  €  il  mare. 


RIME    E   RITMI 


■■(  •.■«iloni^--  -'  ■■  '■  "f-ti'-'-'trtmn 

l'.j   ■■■A.\a  i;ì-j 
^.oiiunuf       PIEMONTE 

|ii    {I    -  IVÌTIWIUBMn     ■  .r,'l 

lOnìnblA  Ti  >l 

Ou  le  dentate  scintillanti  vette         '■- 
salta  il  camoscio,  tuona  la  valanga'  '' 
da' ghiacci  immani  rotolando  per  le   '■'' 
selve  croscianti: 

ma  da  i  silenzi  de  1'  effuso  azzurro   '  ' 
esce  nel  sole  l'aquila,  e  distende 
in  tardi  ruote  digradanti  il  nero 
volo  solenne. 

Salve,  Piemonte!  A  te  con  melodia     ' 
mesta  da  lungi  risonante,  come 
gli  epici  canti  del  tuo  popol  bravo,     ■ 
scendono  i  fiumi. 


952  RIME  E  mTMI 

Scendono  pieni,  rapidi,  gagliardi, 
come  i  tuoi  cento  battaglioni,  e  a  valle 
cercan  le  deste  a  ragionar  di  gloria 

ville  e  cittadi: 

la  vecchia  Aosta  di  cesaree  mura 
ammantellata,  che  nel  varco  alpino 
eleva  sopra  i  barbari  manieri 

l'arco  d'  Augusto: 

Ivrea  la  bella  che  le  rosse  torri 
specchia  sognando  a  la  cerulea  Dora 
nel  largo  seno,  fosca  intorno  è  V  ombra 

di  re  Arduino: 

Biella  tra  *1  monte  e  il  verdeggiar  de'  piani 
lieta  guardante  1' ubere  convalle, 
ch'armi  ed  aratri  e  a  l'opera  fumanti 

camini  ostenta: 

Cuneo  possente  e  paziente,  e  al  vago 
declivio  il  dolce  Mondovi  ridente, 
e  l'esultante  di  castella  e  vigne 

suol  d'  Aleramo  ; 

e  da  Superga  nel  festante  coro 
de  le  grandi  Alpi  la  regal  Torino 
incoronata  di  vittoria,  ed  Asti 

repubblicana. 


RIME  E  RITMI  958 

Fiera  di  strage  gotica  e  d^  Tira . 
di  Federico,  dal  sonante  fiume 
ella,  o  Piemonte,  ti  donava  il  carme 

novo  d'Alfieri. 

Venne  quel  grande,  come  il  grande;  ^ugello 
ond'ebbe  nome;  e  a  Fumile  paese 
sopra  volando,  fulvo,  irrequieto, 

-^  Italia,  Italia  — 

egli  gridava  a*  dissueti  orecchi, 

a  i  pigri  cuori,  a  gli  animi  giacenti: 

—  Italia,  Italia  —  rispondeano  V  urne 

d'  Arquà  e  Ravenna  : 

e  sotto  il  volo  scricchiolaron  V  ossa 
sé  ricercanti  lungo  il  cimitero 
de  la  fatai  penisola  a  vestirsi 

d*  ira  e  di  ferro. 

—  Italia,  Italia!  —  E  il  popolo  de' morti 
surse  cantando  a  chiedere  la  guerra; 
e  un  re  a  la  morte  nel  pallor  del  viso 

sacro  e  nel  cuore 

trasse  la  spada.  Oh  anno  de*  portenti, 
oh  primavera  de  la  patria,  oh  giorni, 
ultimi  giorni  del  fiorente  maggio, 

oh  trionfante 


964  RIME  E  RITMI 

suon  de  la  prima  italica  vittoria 
che  mi  percosse  il  cuor  fanciullo  I  Ond*  io, 
vate  d*  Italia  a  la  stagion  più  bella,    . 

in  grige  chiome 

oggi  ti  canto,  o  re  de*  miei  verd'  anni, 
re  per  tanf  anni  bestemmiato  e  pianto, 
che  via  passasti  con  la  spada  in  pugno 

ed  il  cilicio 

al  Cristian  petto,  italo  Amleto.  Sotto 
il  ferro  e  il  fuoco  del  Piemonte,  sotto 
di  Cuneo  '1  nerbo  e  l' impeto  d' Aosta 

sparve  il  nemico. 

Languido  il  tuon  de  V  ultimo  cannone 
dietro  la  fuga  austriaca  moria: 
il  re  a  cavallo  discendeva  centra 

il  sol  cadente: 

a  gli  accorrenti  cavalieri  in  mezzo, 
di  fumo  e  polve  e  di  vittoria  allegri, 
trasse,  ed,  un  foglio  dispiegato,  disse 

resa  Peschiera. 

Oh  qual  da  i  petti,  memori  de  gli  avi, 
alte  ondeggiando  le  sabaude  insegne, 
surse  fremente  un  solo  grido:  Viva 

il  re  d' Italia  ! 


RIME  E  RItMI  955 

Arse  di  gloria,  rossa  nel  tramonto, 
r  ampia  distesa  del  lombardo  piano  ; 
palpitò  il  lago  di  Virgilio,  come 

velo  di  sposa 

che  s'apre  al  bacio  del  promesso  amore: 
pallido,  dritto  su  V  arcione,  immoto, 
gli  occhi  fissava  il  re:  vedeva  T  ombra 

del  Trocadero. 

E  lo  aspettava  la  brumai  Novara 
e  attristi  errori  mèta  ultima  Oporto. 
Oh  sola  e  cheta  in  mezzo  de' castagni 

villa  del  Douro, 

che  in  faccia  il  grande  Atlantico  sonante 
a  i  lati  ha  il  fiume  fresco  di  camelie, 
e  albergò  ne  la  indifferente  calma 

tanto  dolore  ! 

Sfaceasi;  e  nel  crepuscolo  de  i  sensi 
tra  le  due  vite  al  re  davanti  corse 
una  miranda  vision:  di  Nizza 

il  marinaro 

biondo  che  dal  Gianicolo  spronava 
contro  l'oltraggio  gallico:  d'intorno 
splendeagli,  fiamma  di  piropo  al  sole, 

r  italo  sangue. 


956  RIME  E  RITMI 

Su  gli  occhi  spenti  scese  al  re  una  stilla, 
lenta  errò  V  ombra  d'  un  sorriso.  Allora 

r 

venne  da  l'alto  un  voi  di  spirti,  e  cinse 

del  re  la  morte. 

Innanzi  a  tutti,  o  nobile  Piemonte, 
quei  che  a  Sfacteria  dorme  e  in    Alessandria 
die  a  l'aure  primo  il  tricolor,  Santorre 

di  Santarosa. 

E  tutti  insieme  a  Dio  scortaron  1'  alma 
di  Cari'  Alberto.  —  Eccoti  il  re,  Signore, 
che  ne  disperse,  il  re  che  ne  percosse. 

Ora,  o  Signore, 

anch'  egli  è  morto,  come  noi  morimmo. 
Dio,  per  l'Italia.  Rendine  la  patria. 
A  i  morti,  a  i  vivi,  pe  '1  fumante  sangue 

da  tutt'  i  campi, 

per  il  dolore  che  le  regge  agguaglia 
a  le  capanne,  per  la  gloria,  Dio, 
che  fu  ne  gli  anni,  pe  '1  martirio.  Dio, 

che  è  ne  V  ora, 

a  quella  polve  eroica  fremente, 
a  questa  luce  angelica  esultante, 
rendi  la  patria.  Dio;  rendi  l'Italia 

^  gì'  italiani. 

Ceresole  reale,  2*j  luglio  i8go. 


RIME  E  RITtri  957 


AD  ANNIE 


B 


^.MS:, 


atto  a  la  chiusa  imposta  con   un    ramicello  / 

di  fiori  ( 

glauchi  ed  azzurri,  come  i  tuoi    occhi,   o  ' 

Annie.  > 


Vedi  :  il  sole  co  '1  riso  d*  un  tremulo  raggio  ha 

baciato 
la  nube,  e   ha   detto  —   Nuvola   bianca, 

t'apri.  — 

Senti  :  il  vento  de  V  alpe  con  fresco  susurro  sa- 
luta 
la  vela,  e  dice  —  Candida  vela,  vai.  — 


958 


RIME  E  RITMI 


Mira:  l'augel  discende  da  Tumido   cielo  su1{ 

pèsco 
in  fiore,  e  trilla  —  Vermiglia  pianta,  odora.-' 

Scende  da' miei  pensieri  l'eterna  dea  poesia 
su  '1  cuore,  e  grida  —  O  vecchio  cuore, 

batti.- 


E  docile  il  cuore  ne' tuoi  grandi  occhi  di  fata 
s' affisa,  e  chiama  —  Dolce  fanciulla,  canta.  - 


/• 


RIME  E  RITMI  059 


A   C.   C. 
MANDANDOGLI  POEMI  DI  BYRON 


Oarlo,  su  M  risonante  adrìaco  lido 
A  te  viensene  Aroldo  il  bel  cantore; 
Non  quale  ei  drappeggiò  con  riso  infido 
Nel  mantello  di  pari  il  suo  dolore, 

Ma  qual  raggiante  di  fatai  valore 
Surse  d*un  popol  combattente  al  grido 
Quando  pensò  raddùr  d'Alceo  coM  cuore 
L'  aquila  d'  Alessandro  al  greco  nido. 

Quanti  su  quella  bianca  anglica  fronte 
Sogni  passar  di  gloriai  Da  l'Egeo 
Sorridevan  le  sparse  isole  belle. 

Ah!  la  Parca  volò  !  Di  monte  in  monte 
Pianse  la  lira  de  T  antico  Orfeo 
E  tramontaro  in  buio  mar  le  stelle. 


lEI 


« 

i    °^ 

* 

BICOCCA  DI  SAN  OIAGG^iÒ  ^ 

obli  ooG'nbB  9insnoah  Tua  .ohE*^.- 

loiuiriKo  l'3d  fi'  obloiA  dnT^.nmv  3l  A 

/3-iolob  ofj-  li  iiEq  tb  oìf^tnKrn  Vr/ 


E, 


/eco  il  ridotto.  Ancor  non  ha  l' aratro 
raso  dal  suolo  V  opera  di  guerra. 
Ecco  le  linee  del  tonante  vallo 

e  le  trincee. 

Contra  il  nemico  brulicante  al  piano 
e  lampeggiante  da  le  valli  in  faccia 
qui  puntò  Colli  rapido  mirando 

le  batterie. 

Ecco  le  offese  del  nemico  bronzo 
ne  la  chiesetta,  già  sonante  in  coro 
d'  umili  donne  al  vespero  d' aprile 

le  litanie. 


RIME  E   RITMI  96t 

Dimani,  Italia,  passeran  da.  1j  Alpi    .; 
prodi  seimila  in  faccia  al  re  levando 
Tarmi  e  i  ridenti  in  giovine ])aldanza 

vólti  riarsi. 

Voi  non  vedrete,  voi  non  sentirete, 
prodi  sepolti  in  queste  verdi  zolle, 
quando  tra  questi  clivi  minava     . 

la  monarchia, 

che  Filiberto  dirizzò,  che  sciolse 
come  polledra  a  T  aure  annitri'ente 
via  per  V  Europa  al  corso  il  cuor  di  Carlo 

Emmanuele. 

Nobil  teatro  a  l'inclita  ruina 
questo  d' intorno.  Sopra  monti  e  valli 
e  su'  vaganti  in  lucidi  meandri 

fiumi  e  torrenti 

passa  r  istoria,  operatrice  eterna, 
tela  tessendo  di  sventure  e  glorie: 
uman  pensiero  a'  novi  casi  audace 

romperla  crede. 

E  tuttavia  silenziosa  fati 

novi  aggroppando  ne  la  trama  antica 

tesse  e  ritesse  V  ardua  tessitrice 

fra  Palpi  e  il  mare. 

Carducci.  61 


962  RIME  E  RITMI 

Rapida  va  de^  secoli  la  spola. 
Addio,  tra  i  sparsi  Liguri  romano 
termine  Cava  e  nuova  d'Aleramo 

.  -    for^  feudale! 

Oh,  priaich' Alasìa  al  giovine  lombardo 
gli  occhi  volgesse  innamoratamente 
ceruli  e. a  lui  sciogliesse  de  la  chioma 

Toro  fluente, 

povera  vita  e  ricco  amor  chiedendo 
a  la  spelonca  d' Àrdena,  lasciate 
lungi  le  selve  di  Germania. e  il  padre 

imperatore, 

là  da  quel  varco,  onde  sfidando  vibra 
Tesile  torre  il  Castellino,  urlando 
arabe  torme  dilagar  fin  dove 

Genova  splende. 

Sotto  il  falcato  voi  de  le  fischianti 
al  sol  di  maggio  scimitarre  azzurre 
croci  di  Cristo  ed  aquile  di  Roma 

cadean:  le  donne 

tendono  in  vano  a  Tare  di  Maria 
Vergin  le  mani,  pallide,  discinte, 
via  trascinate  pe'  capelli  a'  molti 

letti  de  r  Islam. 


RIME  E   RITMI  963 

Ma  s'  apre  a  i  venti  su  per  le  castella 
vigili  lungo  le  selvose  Langhe 
la  fìda  a  Cristo  e  Cesare  balzana 

di  Monferrato. 

Nata  d*  amore  e  di  valor  cresciuta, 
gente  di  pugne  e  di  canzoni  amica, 
di  lance  e  scudi  infranti  alta  sonando 

la  sirventese, 

deh  come  sparve  luminosa,  il  cielo 
consparso  intorno  di  vermiglie  stelle, 
imperiai  meteora  d'Italia^ 

in  Oriente! 

Dietro  le  vien  co  M  Po,  con  la  sua  bianca 
croce,  con  gli  anni,  pur  di  villa  in  villa, 
dritta,  secura,  riguardando  innanzi, 

un'  altra  gente. 

Tra  ciglia  e  ciglia  sotto  le  visiere 
balena  il  raggio  del  latin  consiglio. 
Quaranta  duci;  e  l'aquila  de  l'Alpe 

vola  d'avanti. 

Oh  più  che  '1  Po  gli  aspetta,  oh  più  che  il  serto 
di  Berengario!  A  lor  servon  gli  eventi 
e  le  disfatte:  gli  emuli  d'un  giorno 

pugnan  per  loro. 


sei  fimtB  B  mm 

là  da  le  UaitlàBhmmm'mmmfif^h 
in  me2^ii^lridtiBB«ihiÉdlNSd3i»a# 

.oìfyminaU  ih      crÒcè'lÉ' fèrro Ì 

Su  le.rtiìhe^el  càstelto 

ultimii&Qàmtseior  :dl 

delire/  laa&  s^cniiseiuia  Wté, 


contro  la)  ^vMor  f^iilittliteiipl^liiit 
batteMie^^3ÌIi3tti  di/  i^iìftl^hibÉÉO^qe  n 

supremo  fior  dt'4*^^^  ^s0mÈttìkdÈ$p^i' 
'  1  n  >   o    n      stiè  Del  Carretto. 

Su  le  ruine  del  castello  avito, 
giovine,  bello,  pallido,  senz'irà, 
ei  maneggiava  sopra  i  salienti 

la  baionetta. 

Scesero  al  morto  cavaliere  intorno 
da  Terme  torri  nel  ceruleo  vespro 
r  ombre  de  gli  avi  ;  ma  non  il  compianto 

de'  trovadori 

ruppe  i  silenzi  de  la  valle,  un  giorno 
tutta  sonante  di  liuti  e  gighe 
dietro  i  canori  peregrin  dal  colle 

di  Tenda  al  mare. 


RIME  E  RITMI  966 

Altri  messaggi  ed  altri  messaggeri 
manda  or  la  Francia.  Ride  su  l'eterne 
nevi  de  V  Alpi  V  iride  levata 

de  i  tre  colori. 

Di  balza  in  balza,  angel  di  guerra,  vola 
la  marsigliese.  Svegliansi  al  galoppo 
de' cavalieri  d'Augereau  gli  ossami 

liguri  e  celti. 

E  Bonaparte  dice  a'  suoi,  da  Monte 
Zemolo  uscendo  al  Tanaro  sonante 
—  Soldati,  Annibal  superò  quest'Alpi, 

noi  le  girammo  —. 

Di  greppo  in  greppo  su  '1  cavallo  bianco 
saetta  il  còrso.  Spiovongli  le  chiome 
in  doppia  lista  nere  per  1'  adusto 

pallido  viso, 

e  neri  gli  occhi  scintillando  immoti 
fóran  dal  fondo  del  pensier  le  cose. 
Accenna.  E  come  fulmine  Massena 

urta  ed  inonda, 

ove  Corsaglia  al  Tanaro  si  sposa 
dal  mezzo  fiede  Serurier,  sinistro 
batte  Augereau.  Gloria  a'  tuoi  forti,  o  ponte 

di  San  Michele! 


966  RIME  E  RITMI 

Avanza  sotto  il  tricolor  vessillo 
regualitade,  avanzano  i  plebei 
duci  che  il  sacro  feudale  impero 

abbatteranno. 

Ma  qui  si  pugna  per  Tonor,  si  muore 
qui  per  la  patria.  E  ben  risorge  e  vince 
chi  per  la  patria  cade  ne  la  santa 

luce  de  V  armi. 

Reca,  Albertina,  pur  di  guardia  in  guardia 
il  parvoletto  Carignarto.  In  lui 
tócca  la  madre  Rivoluzione 

per  r  avvenire 

l'ultimo  capo  dal  vittorioso 
ramo  di  Carlo  Emmanuele.  Il  serto 
gitta  oltre  Po  Vittorio,  e  dittatore 

leva  la  spada. 

E  a  te  dimani,  Umberto  re,  in  conspetto 
r  Alpi  d' Italia  schierano  gli  armati 
figli  a  la  guerra.  Il  popolo  fidente 

te  guarda  e  loro. 

Noi  non  vogliamo,  o  Re,  predar  le  belle 
rive  straniere  e  spingere  vagante 
l'aquila  nostra  a  gli  ampi  voli  avvezza: 

ma,  se  la  guerra 


RIME  E  RITMI  966 

Altri  messaggi  ed  altri  messaggeri 
manda  or  la  Francia.  Ride  su  l'eterne 
nevi  de  l' Alpi  V  iride  levata 

de  i  tre  colori. 

Di  balza  in  balza,  angel  di  guerra,  vola 
la  marsigliese.  Svegliansi  al  galoppo 
de' cavalieri  d'Augereau  gli  ossami 

liguri  e  celti. 

E  Bonaparte  dice  a'  suoi,  da  Monte 
Zemolo  uscendo  al  Tanaro  sonante 
—  Soldati,  Annibal  superò  quest'Alpi, 

noi  le  girammo  —. 

Di  greppo  in  greppo  su  '1  cavallo  bianco 
saetta  il  còrso.  Spiovongli  le  chiome 
in  doppia  lista  nere  per  l' adusto 

pallido  viso, 

e  neri  gli  occhi  scintillando  immoti 
fóran  dal  fondo  del  pensier  le  cose. 
Accenna.  E  come  fulmine  Massena 

urta  ed  inonda, 

ove  Corsaglia  al  Tanaro  si  sposa 
dal  mezzo  fiede  Serurier,  sinistro 
batte  Augereau.  Gloria  a'  tuoi  forti,  o  ponte 

di  San  Michele! 


966  RIME  E  RITMI 


LA  GUERRA 


G 


'antano  i  miti  —  Fuse  Prometeo 
nel  primigenio  fango  animandolo 
la  forza  d'insano  leone: 
r  uomo  levandosi  ruggf  guerra. 

Dal  rosso  Adamo  crebbe  a  V  esilio 
il  lavorante  primo:  soverchio 
gli  parve  nel  mondo  un  fratello: 
truce  rise  su  '1  percosso  Abele. 

Quindi  gorgoglia  sangue  ne  i  secoli 
la  faticosa  storia  de  gli  uomini, 
dal  Pàrthenon  grande  a  la  tua 
casa  candida,  Vashingtòno. 


\ 


RIME  E  RITMI  969 

Su  r  orso  a  terra  steso  rizzandosi 
il  troglodita  brandi  ne  Taere 
la  clava,  da  i  muscoli  at  cuore 
fervere  sentendo  là  battaglia. 

I  feri  figli  giocando  al  vespero 
nel  sol  rossastro  luccicar  videro 
tra  i  massi  cruenti  la  selce, 
e  l'acuirono  per  la  strage. 

Poi  de  le  cose  di  fuor  le  imagini 
calde  riflesse  nel  mental  fosforo 
per  mezzo  l'aprii  vaporante 
ebri  rapiangli,  barcollando, 

da  i  palafitti  laghi,  da  i  fumidi 
antri  scavati.  Ah,  verzicarono 
le  biade,  pria  magre  su  '1  colle, 
nel  lavacro  de  le  vene  umane* 

Dal  superato  colle  i  superstiti 
guardàro:  i  fiumi  vasti,  l'oceano 
moltisono,  le  caliganti 
alpi  percossero  di  stupore 

i  petti  aneli  verso  il  dominio, 

le  menti  accese  del  vago  incognito. 

II  pin  fu  gettato  su  1'  onde, 
da  i  cerchi  di  pietre  in  vetta  al  monte 


970  RIME  E  RITMI 

tonàro  i  foschi  dèi  de  le  patrie, 
da  i  chiusi  ostelli  le  donne  risero: 
e  quindi  la  guerra  perenne, 
cavalla  indomita,  corse  il  mondo. 

Pria  che  M  falcato  ferro  de  l'arabo 
profeta  il  culto  suada  a  i  popoli 
de  r  unico  Allah  solitario, 
e  intorno  al  sepolcro  scoverchiato 

del  crocefisso  ribelle  a  leova 
arda  il  duello  grave  ne'  secoli 
tra  r  Asia  e  l' Europa,  onde  fulse 
a  gli  ozi  barbari  luce  e  vita; 

oh  ben  pria  manda  l' aurea  Persepoli 
gli  adoratori  del  fuoco  a  gì'  idoli 
contro,  onde  sonò  Maratone 
inclita  storia  ne  le  genti, 

e  Zeus  su  '1  trono  de  gli  Achemenidi, 
nume  pelasgo  d'  Omero  e  Fidia, 
ascese  co  '1  bello  Alessandro, 
ed  Aristotele  meditava. 

Dal  Flavio  Autari  che  il  longobardico 
destriero  e  V  asta  spinge  nel  Ionio 
sereno  ridentegli  dopo 
lungo  errare  armato,  al  venturiere 


RIME  E  RUMI'  ,  971 

che  uscito  a  vista  del  Grande  Oceano 
cavalca  V  onde  nuove  terribili 
armato  di  spada  e  di  scudo 
pe  '1  regio  imperio  de  la  Spagna, 

una  fatale  sublime  insania 
per  i  deserti,  verso  gli  oceani, 
trae  gli  uomini  V  un  contro  V  altro 
co'  numi,  co  'I  mistico  avvenire, 

con  la  scienza.  Su  le  Piramidi 
il  Bonaparte  quaranta  secoli 
ben  chiama.  Colà  dove  mummie 
dormono  inutili  Faraoni, 

al  musulmano  solenne,  al  tacito 
fellah  curvato,  tra  sfere  e  circoli, 
ei  parla  i  diritti  de  V  uomo  : 
ondeggiano  in  alto  i  tre  colori. 

Oh,  tra  le  mura  che  il  fratricidio 
cementò  eterne,  pace  è  vocabolo 
mal  certo.  Dal  sangue  la  Pace 
solleva  candida  Tali.  Quando? 

)logna,  9  novembre  1891. 


972  RIME   E  RITMI 


NICOLA  PISANO 


I, 


A, 


I  sorriso  d'aprii  che  da  la  tarda 
Vetrata  rompe  e  illumina  la  messa 
Par  che  di  greca  leggiadria  riarda 
Il  marmo  funeral  de  la  contessa. 

Su  la  divota  gente  al  suol  dimessa 
La  voce  va  de  V  organo  gagliarda, 
E  sorge  e  tuona  e  mormora  compressa, 
E  il  sol  dardeggia.  E  Nicolò  riguarda. 

Per  la  dischiusa  porta  la  marina 
Vedesi  lungi  tremolare,  invia 
Odori  il  vento,  l'infiorato  china 

Mandorlo  i  rami.  E  tra  la  litania 
Che  invoca  e  prega,  in  umiltà  divina 
Da  la  gloria  di  Fedra  esce  Maria. 


RIME  E  RITMI  073 


II. 


È 


la  chiamata  da  le  afflitte  genti 
Sotto  le  spade  barbare  ne' pianti, 
L*  aspettata  da  i  popoli  redenti 
Ne  i  segni  a  la  vittoria  sventolanti. 

È  il  fior  d' lesse  che  vinceva  i  lenti 
Verni  semiti,  e  i  petali  roranti 
Di  lacrimosa  pietà  apre  a  i  portenti 
Trasfigurato  ne  gli  cileni  incanti. 

Oh  di  che  mira  passYon  percossa 

Stiè  l'alma  a  lo  scultor,  quando  montare 

Dal  greco  avello  de  le  tedesche  ossa, 

Benigna  visYon  che  tutto  ammalia 
Il  ciel  d*  intorno,  ei  vide  su  V  altare 
La  nova  e  santa  Venere  d'Italia! 


974  KIME  E  RITMI 


III. 


E 


da  le  spalle  d' Ampelo  a  V  altare 
Traversando  fu  visto  Dioniso 
Maestoso  ne  V  atto  con  un  riso 
Di  gioia  spiritai  pontificare. 

E  da  le  forme  di  beltà  preclare 
Il  verginal  Ippolito  diviso 
Ecco  i  pulpiti  sale,  e  dritto  e  fiso 
Di  sereno  vigor  simbolo  appare. 

Poi,  quando  il  coro  de  le  donne  a  Tore 
Del  vespro  in  alto  i  canti  e  gli  occhi  ergea 
De  gr  incensi  tra  il  morbido  vapore, 

Col  vampeggiar  de  la  mistica  idea 
Ne  i  seni  a  le  feconde  itale  nuore 
L'  eroica  bellezza  discendea. 


RIME  E  RITMI  ^5 


IV. 


a 


a  la  foce  de  V  Arno  e  de  le  spente 
Città  d'Etruria  da  le  sedi  or  liete 
Di  primavera,  al  vento  d' oriente, 
Navi  di  Pisa,  sciogliete,  sciogliete. 

Come  stuolo  di  cigni  in  onde  chete 
Avanti  Febo  suo  signor  movente, 
Bianche  l'azzurro  Egeo  soavemente. 
Navi  di  Pisa,  correte,  correte. 

Vien  dal  verde  paese  di  Cibele 

D'  etesie  mormoranti  aure  un  conforto 

Che  fuga  dietro  sé  tempo  crudele; 

E  spirito  novel  di  porto  in  porto 
Aleggia  e  canta  da  le  vostre  vele 
—  O  terra,  o  ciel,  o  mar,  Pan  è  risorto 


976  RIME  E  RITMI 


CADORE 


I. 


s, 


>ei  grande.  Eterno  co  '1  sole  V  iride 
de' tuoi  colori  consola  gli  uomini, 
sorride  natura  a  V  idea 
giovin  perpetua  ne  le  tue 

forme.  Al  baleno  di  quei  fantasimi 
roseo  passante  su  '1  torvo  secolo 
posava  il  tumulto  del  ferro, 
ne  l'alto  guardavano  le  genti; 

e  quei  che  Roma  corse  e  l'Italia, 
struggitor  freddo,  fiammingo  cesare, 
sé  stesso  obliava,  i  pennelli 
chino  a  raccogliere  dal  tuo  piede. 


RIME  E  RTTm  9T7 

Di':  sotto  il  peso  de* marmi  austriaci^ 
in  quel  de'  Frari  grigio  silenzio, 
antico  tu  dormi?  o  diffusa 
anima  erri  tra  i  paterni  monti, 

qui  dove  il  cielo  te,  fronte  olimpia 
cui  d' alma  vita  ghirlandò  un  secolo, 
il  ciel  tra  le  candide  nubi 
limpido  cerulo  bacia  e  ride? 

Sei  grande.  E  pure  là  da  quel  povero 
marmo  più  forte  mi  chiama  e  i  cantici 
antichi  mi  chiede  quel  baldo 
viso  di  giovine  disfidante. 

Che  è  che  sfidi,  divino  giovane? 
la  pugna,  il  fato,  V  irrompente  impeto 
dei  mille  contr'  uno  disfidi, 
anima  eroica,  Pietro  Calvi. 

Deh,  fin  che  Piave  pe' verdi  baratri 
ne  la  perenne  fuga  de'  secoli 
divalli  a  percuotere  V  Adria 
co'  ruderi  de  le  nere  selve, 

che  pini  al  vecchio  San  Marco  diedero 
turriti  in  guerra  giù  tra  V  Echinadi, 
e  il  sole  calante  le  aguglie 
tinga  a  le  pallide  dolomiti 

Carducci.  62 


978  RIME  E  RITMI 

si  che  di  rosa  nel  cheto  vespero 
le  Marmarole  care  al  Vecellio 
rifulgan,  palagio  di  sogni, 
eliso  di  spiriti  e  di  fate, 

sempre,  deh,  sempre  suoni  terribile 
ne  i  desideri  da  le  memorie, 
o  Calvi,  il  tuo  nome;  e  balzando 
pallidi  i  giovini  cerchin  1*  arme. 

II. 

Non  te,  Cadore,  io  canto  su  V  arcade  avena  che 

segua 

de  r  aure  e  V  acque  il  murmurc  : 
te  con  l'eroico  verso  che  segua  il  tuon  de' fucili 

giù  per  le  valli  io  celebro. 

Oh  due  di  maggio,  quando,  saltato  su  M  limite  de  la 

strada  al  confine  austriaco, 
il   capitano   Calvi   —   fischiavan   le  palle  d'in- 
torno — 

biondo,  diritto,  immobile, 

leva  in   punta   a   la  spada,  pur  fiso  al  nemico 

mirando, 
il  foglio  e  '1  patto  d'Udine, 
e  un  fazzoletto  rosso,  segnale  di  guerra  e  ster- 
minio, 
con  la  sinistra  sventola!  .     . 


RIME  E  RITMI  979 

Pelmo  a  T  atto  e  Antelao  da'  bianchi  nuvoli  il  capo 

grigio  ne  l'aere  sciolgono, 
come   vecchi  giganti   che  Telmo  chiomato  sco- 

tendo 

a  la  battaglia  guardano. 

Come  scudi  d'eroi  che  splendon  nel  canto  de'  vati 

a  lo  stupor  de  i  secoli, 
raggianti  nel  candore,  di  contro  al  sol  che  pe'l 

cielo 

sale,  i  ghiacciai  scintillano. 

Sol  de  le  antiche  glorie,   con   quanto  ardore  tu 

abbracci 

l'alpi  ed  i  fiumi  e  gli  uomini! 
tu  fra  le  zolle  sotto  le  nere  boscaglie  d'abeti 

visiti  i  morti  e  susciti. 

—   Nati   su  l'ossa  nostre,  ferite,  figliuoli,  ferite 

sopra  r  eterno  barbaro: 
da' nevai  che  di  sangue  tingemmo  crosciate,  ma- 
cigni, 

valanghe,  stritolatelo  — . 

t 
Tale  da  monte  a  monte  rimbomba  la  voce  de'  morti 

che  a  Rusecco  pugnarono; 
e  via  di  villa  in  villa  con  fremito  ogn' ora  cre- 
scente 
i  venti  la  diffondono. 


RIME  E  RITMI  9S1 

Udite.   Un  suon  lontano  discende,  approssimisi, 

sale, 
corre,  cresce,  propagasi; 
un  suon  che  piange  e  chiama,   che  grida,  che 

prega,  che  infuria, 
insistente,  terribile. 

dhe  è?  chiede  il   nemico  venendo  a  T abboc- 
camento, 

e  pur  con  gli  occhi  interroga. 
—  Le  campane  del  popol  d*  ItaWa  sono  :  a  la  morte 

vostra  0  a  la  nostra  suonano  --. 

Ahi,  Pietro  Calvi,  al  piano  te  poi  fra  setfanni 

la  morte 

da  le  fosse  di  Mantova 
rapirà.  Tu  venisti  cercandola,  come  a  la  sposa 

celatamente  un  esule. 

Quale   già  d'Austria   Tarmi,   tal   d'Austria   la 

forca  or  ei  guarda 
sereno  ed  impassibile, 
grato  a  Tostil  giudicio  che  milite  il  mandi  a  la 

sacra 
legìon  de  gli  spiriti. 

Non  mai  più  nobil  alma,  non  mai  sprigionando 

lanciasti 
a  r  avvenir  d'Italia, 
Belfiore,  oscura  fossa   d'  austriache   forche,  ful- 
gente. 
Belfiore,  ara  di  màrtiri. 


^                        RIME  E   RITMC 

H 

a  chi  d' Italia  nato  mai  ca^a  dal  core  il 

tuo  nome 

frutti  il  talamo  adultero 

^M         tal  che  il  ributti  a  calci  da  i  lari  a 

viti  nel  fango 

vecchio  querulo  ignobile! 

^V          e  a 

chi  la  patria  nega,  nel  cuor 
sozza  una  forma  brulichi 

nel  cervello, 
nel  sangue 

^M          di  suicidio,  e  da  la  bocca  laida  bestemmiatricc 

un  rospo  verde  palpiti  ! 

III. 

^ 

A  te  ritorna,  si  come  1'  aqu 

la 

nel  reluttante  dragon  sbramatasi 

poggiando  su  l'ali  pacate 

a  l'aereo  nido  torna  e  al  sole, 

a  te  ritorna,  Cadore,  il  cantico 
sacro  a  la  patria.  Lento  nel  pallido 
candor  de  la  giovine  luna 
stendesi  il  murmure  de  gli  abeti 

da  te,  carezza  lunga  su  '1  magico 
sonno  de  l'acque.  Di  biondi  parvoli 
fioriscono  a  te  le  contrade, 
e  da  le  pendenti  rupi  il  fieno 


RIME  E  RITMI  98B^ 

falcian  cantando  le  fiere  vergini 
attorte  in  nere  bende  la  fulvida 
chioma;  sfavillan  di  lampi 
cernii  rapidi  gli  occhi:  mentre 

il  carrettiere  per  le  precipiti 
vie  tre  cavalli  regge  ad  un  carico 
di  pino  da  lungi  odorante, 
e  al  cidolo  ferve  Perarolo, 

e  tra  le  nebbie  fumanti  a'  vertici 
tuona  la  caccia:  cade  il  camoscio 
a'  colpi  sicuri,  e  il  nemico, 
quando  la  patria  chiama,  cade. 

Io  vo' rapirti,  Cadore,  T  anima 
di  Pietro  Calvi;  per  la  penisola 
o  voglio  su  Tali  del  canto 
aralda  mandarla.  —  Ahi  mal  ridesta, 

ahi  non  son  V  Alpi  guancial  propizio 
a  sonni  e  sogni  perfidi,  adulteri! 
levati,  fini  la  gazzarra: 
levati,  il  marzio  gallo  canta  !  — 

Quando  su  l'Alpi  risalga  Mario 
e  guardi  al  doppio  mare  Duilio 
placato,  verremo,  o  Cadore, 
l'anima  a  chiederti  del  Vecellio. 


Nel  Campidoglio  di  spoglie  fulgido, 
nel  Campidoglio  di  le^i  splendido, 
ei  pinga  il  trionfo  d'Italia, 
assunta  novella  tra  le  genti. 

Pieoe  del  Cadore 
sul  lago  di  Misurino, 
•sett.  iSga. 


RIME  E  RITMI  98& 


CARLO  GOLDONI 


L 


J\  te,  porgente  su  V  argenteo  Sile 
Le  braccia  a  V  avo  da  V  opima  cuna^ 
Ne  la  festante  ilarità  senile 
Parve  la  vita  accorrere  con  una 

Marionetta  in  mano.  Al  sol  d'aprile 
Te  fuggente  la  logica  importuna 
Presago  accolse  il  comico  navile 
Veleggiando  la  tacita  laguna. 

E  Florindi  e  Lindori  e  Pantaloni 

Far  la  famiglia  tua:  d'entro  i  suoi  scialli 

Rosaura  ti  dicea  —  Bon  di,  putelo  — . 

Fumavan  su  la  tolda  i  maccheroni, 
Su  r albero  le  scimmie  e  i  pappagalli 
Garrian.  Su  1'  Adria  ridea  grande  il  cielo. 


±   ortuna  e  vita  girano  il  lor  vario 
Stil.  Quando  Marte  del  suo  ferreo  stampo 
Italia  offusca  e  al  tuon  de'  bronzi  e  al  lampo 
Fa  di  battaglia  le  città  scenario, 

Tu,  da  le  mani  del  ladron  sicario 
Tragedo  uscendo  con  sereno  scampo, 
Conduci  a  mendicar  di  campo  in  campo 
L'eroica  cecità  di  Belisario, 

Oh  errante  con  la  moglie  entro  gli  oscuri 
Guadi  e  i  passi  dubbiosi  ed  i  tremanti 
Perigli  de  la  notte,  ecco  il  mattino  I 

Dal  mondo  de  la  luna  ecco  Arlecchino 
Al  brigadier  di  Spagna,  e  in  note  e  canti 
Maria  Teresa  a  gli  Ussari  e  a'  Panduri. 


RIME  E   RITMI  96^ 


III. 


-L-Jcco,  e  tra  i  palchi  onde  T  oligarchia 
Sputa  in  platea,  Venezia,  ecco  da  questo 
Povero  allegro  venturier  modesto 
A  te  la  scena  popolar  si  cria. 

La  commedia  de  l'arte  si  dormia 
Ebra  vecchiarda;  ed  ei  con  un  suo  gesto 
Le  spiccò  su  dal  fianco  disonesto 
La  giovinetta  verità  giulia. 

Poi  tra  i  Baffi  accosciati  ne*  bordelli 

Ed  i  Farsetti  lividi  al  leggio 

Da  le  gondole  trasse  e  da'  campielli 

La  sanità  plebea....  Tutto  vanio 
Come  uno  stormo  di  migranti  augelli 
Senza  gloria  né  pan.  Venezia,  addio! 


De, 


-^eh  come  grige  pesano  le  brume 
Su  Lutezia  che  il  verno  discolora, 
Mentre  ancor  de  1'  ottobre  al  dolce  lumf 
Ride  San  Marco  eJ  il  Canal  s'indorai 

Ed  ei  pur  di  su  'I  memore  volume 
Al  suo  passato  risorride  ancora, 
E  la  vita  e  la  scena  ed  il  costume 
Di  cordlal  giocondità  rinfiora. 

Ahi,  la  tragedia,  orribil  visione, 

Al  gran  comico  autor  chiude  l' etate  I 

Cadde:  e  Venezia  non  vide  Unire 

Piagnucolando  come  donna  Gate, 

E  di  palagio,  come  Pantalone 

Dal  reo  Lelio  cacciato,  il  doge  uscire. 


RIME  E  RITMI  989 


A  SCANDIANO 


LJt  la  prona  stagion  ne  i  di  più  tardi 
Che  le  rose  sfiorirò  e  i  laureti, 
Quando  cavalleria  cinge  i  codardi 
E  al  valor  civiltà  mette  divieti, 

A  te,  Scandian,  faro  gentil  che  ardi 
Ne  r  immensa  al  pensiero  epica  Teti, 

0  rocca  de'  Fogliani  e  de*  Boiardi, 
Terra  di  sapienti  e  di  poeti, 

Io  vengo:  a  tergo  mi  lasciai  la  grama 
Che  il  mondo  dice  poesia,  lasciai 

1  deliri  a  cui  par  che  dietro  agogni 

L'età  malata.  Io  sento  che  mi  chiama 

De' secoli  la  voce,  e  risognai 

La  verità  de  i  grandi  antichi  sogni. 

decembre  <i8g4. 


ALLA  FIGLIA  DI  FRANCESCO  CRISPI 


X   GENNAIO    MDCCCXCV 


Ma 


1  non  50tto  la  stridula 
Procella  d'onte  che  non  far  più  mai, 
Ma  non,  sicana  vergine, 
Tu  la  splendida  fronte  abbasserai. 

Pria  che  su  rosea  traccia 
Amor  ti  chiami,  innalza,  o  bella  figlia. 
Innalza  al  padre  in  faccia 
Gli  occhi  sereni  e  le  stellanti  ciglia. 

Ei  nel  dolce  monile 
De  le  tue  braccia  ai  bianco  capo  intorno 
Scordi  il  momento  vile 
£  de  la  patria  il  tenebroso  giorno. 

Ne  r  amoroso  e  pio  folgore^iare 
De  gli  occhi  in  lui  levati 
L'  ampio  riso  rivegga  ei  del  suo  mare 
Ne' di  pieni  di  fati; 


RIME  E  RITMI  991 

Quando,  novello  Procida, 
E  più  vero  e  migliore,  innanzi  e  indietro 
Arava  ei  Tonda  sicula; 
Silenzio  intorno,  a  lui  su  '1  capo  il  tetro 

De  le  borbonie  scuri 
Balenar  ne  i  crepuscoli  fiammanti; 
In  cuore  i  di  futuri, 
Garibaldi  e  l'Italia:  avanti,  avanti! 

O  isola  del  sole, 
O  isola  d'  eroi  madre,  Sicilia, 
Fausta  accogli  la^  prole 
Di  lui  che  la  tirannica  vigilia 

V  accorciò.  Seco  venga  a'  lidi  tuoi 
Fé'  d'opre  alte  e  leggiadre, 
O  isola  del  sole,  o  tu  d'eroi 
Sicilia  antica  madre. 


9%  RIME  E  RITMI 


ALLA  CITTÀ  DI  FERRARA 

NEL  XXV  APRILE  DEL  MDCCCXCV 

I. 


Jl  errara,  su  le  strade  che  Ercole  primo  lanciava 

ad  incontrar  le  Muse  pellegrine  arrivanti, 
e  allinearon  elle  gli  emuli  viali  d'  ottave 

storiando  la  tomba  di  Merlino  profeta, 
come,  o  Ferrara,  bello  ne  la  splendida  ora  d' aprile 

ama  il  mèmore  sole  tua  solitaria  pace! 
Non  passo  i  luminosi  misteri  viola  né  voce 
d'uomo:  da  i  suburbani   pioppi  il  tripudio 

corre 
de  gli  uccelli  su  V  aura  del  pian  lungi  florido. 

Come 
ne  le  scendenti  spire  de  la  conchiglia  un'eco 
d'antichi  pianti,  un  suono  di  lungo  sospiro  pro- 
fondo 
dal  grande  ocèano  ond'  ella  strappata  fu, 

permane; 


RIME  E   RITMI  993 

cosi  per  le  tue  piazze  dilette  dal  sole,  o  Ferrara, 
il  nuovo  peregrino  tende  le  orecchie  e  òde 

da'  marmorei  palagi  su  M  Po  discendere  lenta 
processione  e  canto  d'  un  fantastico  epos. 

Chi  è,  chi  è  che  viene?  Con  piangere  dolce  di 

flauti, 
tra  nuvola  di  cigni  volanti  da  V  Eridano, 
ecco  il  Tasso.  Lampeggia,  palazzo  spirtal  de'  dia- 
manti, 
e  tu,  fatta  ad  accórre  sol  poeti  e  duchesse, 
o  porta  de'  Sacrati,  sorridi  nel  florido  arco  ! 

d' Italia  grande,  antica,  I'  ultimo  vate  viene. 

Ei  fugge  i  colli  dove  monacale  tedio  il  consunse, 

ei  chiede  i  luoghi  dove  gioventù  gli  sorrise. 

Castello  d'  Este,  in  vano  d' arpie  vaticane  fedato, 

abbassa  i   ponti,   leva   l' aquila   bianca.  Ei 

torna. 
Non  Alfonso  caduco  gli  mova  a  l' incontro,  non 

mova 
Leonora,  matura  vergine  senz'amore; 
ma  Parisina  ardente  dal  sangue  natal  di  Fran- 
cesca, 
che   del  vago   Tristano  legge   gli   amori  e 

r  armi; 
ma,  posando  la  destra  su'!  fido  levrier,  Leonello 
verde  vestito;  parla  di  Cesare  al  Guarino. 


Carducci.  63 


t 

i 


O      leguanti  via  su  la  marina 

tra    'ripe  arene  e  fise  acque  di  stagni, 

Tcia  ombreggia  e  rado 
il  cignal  fruga, 

te  tiRose  in  torv     aere  greve, 

s  "ne  al*         il  mito  e  cova 

»ni  ecoli  querele, 

ditemi  dove 

rovescio,  il  crìn  spiovendogli,  dal  sole 
mal  carreggiato  (e  candide  tendea 
al  mareggiante  Eridano  le  braccia) 
cadde  Fetonte 

ardendo,  come  per  sereno  cielo 
stella  volante  che  di  lume  un  solco 
traesi  dietro:  chiamano,  ed  in  alto 

miran  le  genti. 

Ov'è  che  prone  su  'I  f ratei  piangendo 
I'  Eliadi  suore  lacrimar  1'  elettro, 
e  crebber  pioppe,  sibilando  a' venti 

sciolte  le  chiome? 


RIME  E  RITMI  995 

Ov'  è  che  a  lutto  del  fanciullo  amato 
lai  lunghi  il  re  de' Liguri  levando 
tra  le  populee  meste  fronde  e  1*  ombra 

de  le  sorelle 

vecchiezza  indusse  di  canute  piume, 
e  abbandonata  la  dogliosa  terra 
segui  le  belle  sorridenti  in  cielo 

stelle  co  '1  canto? 

Perpetuo  quindi  un  gemito  vagava 
su  la  tristezza  di  Padusa  immota 
ne  le  fosche  acque.  I  Liguri  selvaggi 

spingean  le  cimbe 

lungo  ululando  in  negre  vesti,  o  sopra 
i  calvi  dossi  a  1*  isole  emergenti 
in  solchi  per  il  desolato  lago 

sedean  cantando 

lugubremente  dove  Argenta  siede 
oggi.  Né  ancora  Diomede  avea 
di  delfic'  oro  e  argivo  onor  vestita 

d'  Adria  reina 

Spina  pelasga.  Ahi  nome  vano  or  suona! 
Spari,  del  vespro  visione,  in  faccia 
a  la  sorgente  con  in  man  la  croce 

ferrea  Ferrara. 


Salve,  Ferrara!  Dove  stan  le  belle 
torri  d'  Ateste  e  case  à'  Arrosti  ^f^ 

eran  paludi  e  i  Lingoni  coloni  ^^H 

davan  le  reti 

al  mare  incerto  e  combattean  la  preda, 
quando  campati  innanzi  la  ruina 
del  latrante  Unno  1  Veneti  e  dal  Fòro 
giutio  i  Komani, 

si  come  i  Liguri  avi  da  le  belve 
ne  le  disperse  stazion  lacustri, 
qui  confuggiro  e  ripararon  l'alto 

seme  di  Roma. 

Salve,  Ferrara,  co  'I  tuo  fato  in  pugno 
ultima  nata,  creatura  nova 
de  1'  Apennin,  del  Po,  del  faticoso 
dolore  umano! 

Poi  che  di  sangue  vinilo  rinfusa 
pugne  cercando  e  libertà,  trovasti 
risse  e  tiranni,  a  l'orifente  —  0  bianca 
aquila,  vieni  !  — 

chiamasti.  E  venne.  Ah  ponte  di  Cassano, 
ah  rive  d' Adda,  quanto  grido  corse 
l' aure  lombarde,  allor  che  su  '1  furore 
d'  Ezzelin  domo 


RIME  E   RITMI  997 

ringuainando  placido  la  spada 
Azzo  Novello  salutò  con  mano 
la  sventolante  rossa  croce  per  le 

itale  insegne! 

D*  allora  un  lume  d'  epopea  corona 
P  aquila  d'Este;  e  quando  ne  le  sale 
le  marchesane  udian  Isotta  e  i  fieri 

giovani  Orlando, 

un  mesto  suon  di  rapsodia  veniva 
giù  d'Aquileia  dal  disfatto  piano, 
venia  co'l  Po,  cantatagli  da*  flutti 

d'  Ocno  e  di  Manto, 

r  itala  antica  melodia  di  Maro; 
e  le  vìfole  de'  trovieri  a  un  tratto 
tacean;  la  dama  sospirava,  in  alto 

guardava  il  sire. 

E  a  te,  Ferrara,  come  già  d'  alpestre 
sostanza  i  fiumi  ti  recar  tributo, 
onde  tu  stesti  nel  gran  piano  e  saldo 

crebbe  San  Giorgio, 

a  te  da  i  monti  a  te  da  le  colline 
d' Italia  verdi  proflui  l' ingegno 
e  la  bollente  d*  igneo  vigore 

materia  umana. 


998  RIME  E   RITMI 

A  te  gli  strozzi  vennero  da  1'  Arno 
tòsco  parlando  e  ti  cantar  latina; 
e  gli  Arìosti  da  Bologna,  accorta 

gente  di  guerra 

e  di  faccenda,  che  a  stupor  del  mondo 
diér  la  sirena  del  volubil  tono; 
venne  da  Reggio  la  diletta  a  Febo 

gente  Boiarda: 

e  da  gli  Euganei  vennero  pensosi 
Savonaroli,  e  da  Verona  bella, 
la  diva  Grecia  rivelando,  umile 

venne  il  Guarino. 

Onde  stagione  fu  di  gloria,  e  corse 
con  il  tuo  fiume,  o  fetontea  Ferrara,  » 
ampio,  seren,  perpetuo,  sonante, 

l' italo  canto. 


III. 


Ahi  ahi  l'ora  nefanda!  Dal   Tebro    fiutando  la 

preda 

la  lupa  vaticana  s*  abbatte  su  V  Eridano. 
De  la  bocca  agognante  con  V  atra,  mefite  ella  fuga 

turbato  V  usignolo  tra  gli  allori  cantando. 


RIME  E  RITMI  999 

D'Armida  e  di  Rinaldo  cantava:  cantava  Clo- 
rinda 

con  Telmo  a  T auree  trecce,  ed  Erminia  soave. 
Salgono  su   per  V  aere  dal   canto   le   imagint  : 

bionde 

maliarde  sorprese  dal  lusingato  amore: 
vergini  sospirose,  che  timide  i  ceruli  sguardi 

giran,  chinando  il  viso  pallido  di  desio. 
Tutte  fuggir  le  belle  davanti  a  la  lupa,  che  tetra 

digrigna  i  bianchi  denti,  mette  ululati  e  avanza. 
Tutti  su'  grandi  scudi  velaro  i  guerrieri  le  croci, 

e  dileguar  fantasmi  per  le  insorte  tenèbre. 
La  lupa  con  un   guizzo   del   rabido  artiglio  la 

bianca 

aquila  ghermì  al  petto,  la  straziò  ne  V  ale. 

Maledetta  sie  tu,  maledetta  sempre,  dovunque 

gentilezza  fiorisce,  nobiltade  apre  il  volo, 
sii  maledetta,  o  vecchia  vaticana  lupa  cruenta; 

maledetta  da  Dante,  maledetta  pe'l  Tasso. 
Tu  lo  spegnesti,  tu;  malata  l'Italia  traesti 

co  M  suo  poeta  a  V  ombra  perfida  de'  cenobii. 
Pallido,  grigio,  curvo,  barcollante,  al  braccio  il 

sostiene 

un  alto  prete  rosso  di  porpora  e  salute. 
O  Garibaldi,  vieni!  L'espiazione  d'Italia 

con  la  virtù  d'Italia  su  questo  colle  adduci. 
Corra  nobile  sangue  d'Arganti  e  Tancredi  novelli 

risorti  da  Camillo  per  la  Solima  nostra. 


Che  Sant'Onofrio?  È  questa  la  vetta   superba 
di  Giano, 

fortezza  de' Quiriti,  cuna  santa  d'Italia: 
onde  io,  Ferrara,  madre  de  l' itale  muse  seconda, 

questo  vindice  canto  su  'I  nostro  Po  t' invio. 


RIME  E  RITMI  1001 


MEZZOGIORNO  ALPINO 


N, 


el  gran  cerchio  de  Talpi,  su'l  granito 
Squallido  e  scialbo,  su*  ghiacciai  candenti, 
Regna  sereno  intenso  ed  infinito 
Nel  suo  grande  silenzio  il  mezzodì. 

Pini  ed  abeti  senza  aura  di  venti 
Si  drizzano  nel  sol  che  gli  penetra, 
Sola  garrisce  in  picciol  suon  di  cetra 
L' acqua  che  tenue  tra  i  sassi  fluì. 


Hj  verde  e  fosca  l' alpe  e  limpido  e  fresco  è  il 
mattino, 
e  traverso  gli  abeti  tremola  d'  oro  il  sole. 
Cantan  gli   uccelli  a  prova,   stormiscono  le  ca- 
scatene, 
precipita  la  scesa  nel  vallone  di  Niel. 

Ecco  le  bianche  case.  La  giovine  ostessa  a  la 
soglia 
rìde,  saluta  e  mesce  lo  scintillante  vino. 
Per  le  fórre  de  1'  alpe  trasvolan  figure  eh'  io  vidi 
certo  '  nel  sogno  d'  una    canzon    d'  arme  e 
d' amori. 

Gafy  (Issime),  37  agosto  iSgs. 


RIME  E  RITMI  1003 


ESEQUIE  DELLA  GUIDA 


E.  R. 


Spezzato  il  pugno  che  vibrò  l'audace 
Picca  tra  ghiaccio  e  ghiaccio,  il  domatore 
De  la  montagna  ne  la  bara  giace. 

Giù  da  la  Saxe  in  funeral  tenore 
Scende  e  canta  il  corteo:  dicono  i  preti 

—  La  requie  eterna  dona  a  lui,  Signore  — , 

—  E  la  luce  perpetua  l'allieti  —         . 
Rispondono  le  donne:  ondeggia  al  vento 
Il  vessil  de  la  morte  in  fra  gli  abeti. 

Or  sì  or  no  su  rotte  aure  il  lamento 
Vien  del  mortorio,  or  si  or  no  si  vede 
Scender  tra'  boschi  il  coro  grave  e  lento. 


Esce  in  aperto,  e  al  cimiter  procede. 

Posta  la  bara  fra  le  croci,  pria 

Favella  il  prete:  —  Iddio  t'abbia  mercede, 

Emilio,  re  de  la  montagna:  e  pia 
Avei  l'alma,  e  ogni  di  le  tue  preghiere 
Ascendevano  al  grembo  di  Maria  — . 

Le  donne  sotto  le  gramaglie  nere 
Co  '1  viso  in  terra  piangono  a  una  volta 
.  Sopra  i  figli  caduti  e  da  cadere. 

A  un  tratto  la  caligine  ravvolta 
Intorno  al  Montebianco  ecco  si  squaglia 
E  purga  nel  sereno  aere  disciolta: 

Via  tra  Io  sdrucio  de  la  nuvolaglia 

Erto,  aguzzo,  feroce  si  protende 

E,  mentre  il  ciel  di  sua  minaccia  taglia, 

Il  Dente  del  gigante  al  sol  risplende. 

Courmayeur,  aS  agosto  iSgj- 


RIME  E  RITMI  1005 


LA  MOGLIE  DEL  GIGANTE 


IL  NETTUNO 


Bi 


bianchi  verni,  estati  ardenti, 
Quante  mai  pesar  su  me! 
Trapassar  maree  di  genti 
Vidi  e  nuvole  di  re. 

Bella  mia,  dal  fondo  algoso 
Del  mar  nostro  vieni  su! 
In  te  vuole  il  suo  riposo 
La  mia  bronzea  gioventù. 

LA  SIRENA 

Dal  confin  che  il  sol  rallegra 
Qual  mai  voce  risonò? 
Di  quest'  acque  immense  V  egra 
Solitudin  lascerò. 


O  tu  azzurro  il  crine  e  il  dosso 
Bel  cavallo,  a  me,  a  me! 
Vo'  vedere  il  sole  rosso 
E  la  faccia  del  mio  re. 

IL    NETTUNO 

11- mio  petto  si  confonde 
Di  lassezza  e  di  desir. 
Bella  mia,  per  le  glauche  onde 
Non  ti  sento  anche  salir? 

Bella  mia,  quando  in  ciel  dorme 

La  caligine  lunar 

Ne  la  veglia  de  le  forme 

Ci  vogliamo  disposar. 

LA  SIRENA 

Ahi,  mio  re!  l'informe  eterno 
Demogorgone  non  vuoi, 
E  la  tenebra  d' inferno 
Mi  sorprende  in  faccia  al  sol. 

Ahi,  mio  rei  la  tua  carezza 
Chiedo  in  van,  son  tratta  giù; 
E  fu  in  van  la  mia  bellezza 
Com'è  in  van  la  tua  virtù. 


RIME  E  RITMI  1007 


PER  IL  MONUMENTO  DI  DANTE 
A  TRENTO 

XIII  SETT.   MCCCXXI 


s 


libito  scosso  de  le  membra  sue 
Lo  spirito  volò:  sovr'esso  il  mare, 
Oltre  la  terra,  al  sacro  monte  fue. 

A  traverso  il  baglior  crepuscolare 
Vide,  o  gli  parve  riveder,  la  porta 
Di  san  Pietro  nel  monte  vaneggiare. 

—  Aprite  —  disse  — .  Coscienza  porta 
Il  mio  volere,  e  tra  i  superbi  io  vegno. 
Ben  che  la  stanza  mia  qui  sarà  corta. 

E  passerò  nel  benedetto  regno 
A  riveder  le  note  forme  sante, 
Che  Dio  e  il  canto  mio  me  ne  fa  degno  -— . 


Voce  da  l'alto  gli  rispose  —  Dante, 
Ciò  che  vedesti  fu  e  non  è:  vanio 
Con  la  tua  vision,  mondo  raggiante 

Ne  gl'inni  umani  de  la  vostra  Clio: 
Dal  profondo  universo  unico  regna 
E  solitario  sopra  i  fati  Dio. 

Italia  Dio  in  tua  balia  consegna 
SI  che  tu  vegli  spirito  su  lei 

Mentre  perfezVon  dì  tempi  vegna. 

Va,  batti,  caccia  tutti  falsi  dèi, 
Fin  eh'  egli  seco  ti  richiami  in  alto 
A  ciò  che  novo  paradiso  crei  — . 

Cosi  di  tempi  e  genti  in  vario  assalto 
Dante  si  spazia  da  ben  cinquecento 
Anni  de  1'  Alpi  su)  tremendo  spalto. 

Ed  or  s' è  fermo,  e  par  eh'  aspetti,  a  Trento. 

3D  sett.  rSg6. 


RIME,  E  RITMI  1009 


La  MIETITURA  DEL  TURCO 


Atene,  ,14  giugno  —  /  turchi  incomincia' 
rono  a  mietere  in  Tessaglia  e  continuano 
a  saccheggiare.  (Disp.  telegr.) 


I 


I  Turco  miete.  Eran  le  teste  armene 
Che  ier  cadean  sotto  il  ricurvo  acciari 
Ei  le  offeriva  boccheggianti  e  oscene 
A  i  pianti  de  1*  Europa  a  ipibalsamar. 

Il  Turco  miete.  In  sangue  la  Tessaglia 
Ch' ei  non  arava  or  or  gli  biondeggiò: 
—  Aia  —  diss'  ei  —  m'  è  il  campo  di  battaglia, 
E  frustando  i  giaurri  io  trebbierò  — . 

Il  Turco  miete.  E  al  morbido  tiranno 
Manda  il  fior  de  l' elleniche  beltà. 
I  monarchi  di  Cristo  assisteranno 
Bianchi  eunuchi  a  V  arem  del  Padiscià. 


Carducci.  64 


,     ,    ;  ;  <^'  .•  \!eti  ài  colle  in  colle 
quatst  atcccnnando  l'ardao  cipresso. 
fM3«  Francesca  temprò  qui  li  ardenti 
occhi  al  sorrìso? 

Sta  r  erta  rupe,  e  non  minaccia  :  Ìd  alto 
guarda,  e  ripensa,  il  barcaiol,  torcendo 
l'ala  de'  remi  in  fretta  dal  notturno 
Adria:  sopra 

fuma  il  comignol  del  villan,  che  giallo 
mesce  frumento  nel  fervente  rame 
là  dove  torva  l' aquila  del  vecchio 
Guido  covava. 


RIME  E  RITMI  lOU 

Ombra  d'  un  fiore  è  la  beltà,  su  cui 
bianca  farfalla  poesia  volteggia  : 
eco  di  tromba  che  si  perde  a  valle 

è  la  potenza. 

Fuga  di  tempi  e  barbari  silenzi 
vince  e  dal  flutto  de  le  cose  emerge 
sola,  di  luce  a'  secoli  affluenti 

faro,  r  idea. 

Ecco  la  chiesa.  E  surse  ella  che  ignoti 
servi  morian  tra  la  romana  plebe 
quei  che  fùr  poscia  i  Polentani  e  Dante 

fecegli  eterni. 

Forse  qui  Dante  inginocchiossi  ?  L' alta 
fronte  che  Dio  mirò  da  presso  chiusa 
entro  le  palme,  ei  lacrimava  il  suo 

bel  San  Giovanni; 

e  folgorante  il  sol  rompea  da' vasti 
boschi  su  '1  mar.  Del  profugo  a  la  mente 
ospiti  batton  lucidi  fantasmi 

dal  paradiso: 

mentre,  dal  giro  de' brevi  archi  Tala 
candida  schiusa  verso  T  oriente, 
giubila  il  salmo  In  exitu  cantando 

Israel  de  Aegypto, 


RIME    E   RITMI 

Itala  gente  da  le  molte  vite, 
dove  che  albeggi  la  tua  notte  e  un'  ombra 
vagoli  spersa  de'  vecchi  anni,  vedi 
ivi  il  poeta. 

Ma  su' dischiusi  tumuli  per  quelle 
chiese  prostesi  in  grigio  sago  i  padri, 
sparsi  di  turpe  cenere  le  chiome 
nere  fluenti 

al  bizantino  crocefisso,  atroce 
ne  gli  occhi  bianchi  livida  magrezza, 
chieser  mercé  de  1'  alta  stirpe  e  de  la 
gloria  di  Roma. 

Da  i  capitelli  orride  forme  intruse 
a  le  memorie  di  scalpelli  argivi, 
sogni  efferati  e  spasimi  del  bieco 
settentrione, 

imbestlati  degeneramentj 
de  r  orTente,  al  guizzo  de  la  fioca 
lampada,  in  turpe  abbracciamento  attorti, 
zolfo  ed  inferno 

goffi  sputavan  su  la  prosternata 
gregge:  di  dietro  ai  battistero  un  fulvo 
picciol  cornuto  diavolo  guardava 
e  subsannava 


RIME  E  RITMI  1013 

Fuori  stridea  per  monti  e  piani  il  verno 
de  la  barbarie.  Rapido  saetta 
nero  vascello,  con  i  venti  e  un  dio 

eh'  ulula  a  poppa, 

fuoco  saetta  ed  il  furor  d' Odino 
su  le  arridenti  di  due  mari  a  specchio 
moli  e  cittadi  a  Enosigeo  le  braccia 

bianche  porgenti. 

Ahi,  ahi!  Procella  d'ispide  polledre 
avare  ed  unne  e  cavalier  tremendi 
sfilano:  dietro  spigolando  allegra 

ride  la  morte. 

Gesù,  Gesù  !  Spalancano  la  tetra 
bocca  i  sepolcri  :  a'  venti  a'  nembi  al  sole 
piangono  rese  anch' esse  de' beati 

niàrtiri  l'ossa. 

E  quel  che  avanza  il  Vinilo  barbuto, 
ridiscendendo  da  i  castelli  immuni, 
sparte  —  reliquie,  cenere,  deserto  — 

con  r  alabarda. 

Schiavi  percossi  e  dispogliati,  a  voi 
oggi  la  chiesa,  patria,  casa,  tomba, 
unica  avanza:  qui  dimenticate, 

qui  non  vedete. 


E  qui  percossi  e  dispogliati  anch'  essi 
i  percussori  e  spogliatori  un  giorno 
vengano.  Come  ne  la  spume^iante 
vendemmia  il  tino 

ferve,  e  de'  colli  italici  la  bianca 
uva  e  la  nera  calpestata  e  franta 
sé  disfacendo  il  forte  e  redolente 
vino  matura; 

qui,  nel  conspetto  a  Dio  vendicatore 
e  perdonante,  vincitori  e  vinti, 
quei  che  al  Signor  pacificò,  pregando, 
Teodolinda, 

quei  che  Gregoritì  invidiava  a' servi 
ceppi  tonando  nel  tuo  verbo,  o  Roma, 
memore  forza  e  amor  novo  spiranti 
fannp  il  Comune. 

Salve,  affacciata  al  tuo  balcon  di  poggi 
tra  Bertinoro  alto  ridente  e  il  dolce 
pian  cui  sovrasta  fino  al  mar  Cesena 
donna  di  prodi, 

salve,  chiesetta  del  mio  canto!  A  questa 
madre  vegliarda,  o  tu  rinnovellata 
itala  gente  da  te  molte  vite, 
rendi  la  voce 


RIME  E  RITMI  tOtS 

de  la  preghiera:  la  campana  squilli 
ammonitrice:  il  campanil  risorto 
canti  di  clivo  in  clivo  a  la  campagna 

Ave  Maria. 

Ave  Maria  !  Quando  su  V  aure  corre 
Tumil  saluto,  i  piccioli  mortali 
scovrono  il  capo,  curvano  la  fronte 

Dante  ed  Aroldo. 

Una  di  flauti  lenta  melodia 
passa  invisibil  fra  la  terra  e  il  cielo: 
spiriti  forse  che  furon,  che  sono 

e  che  saranno? 

Un  oblio  lene  de  la  faticosa 
vita,  un  pensoso  sospirar  quiete, 
una  soave  volontà  di  pianto 

r  anime  invade. 

Taccion  le  fiere  e  gli  uomini  e  le  cose^ 
roseo  '1  tramonto  ne  V  azzurro  sfuma, 
mormoran  gli  alti  vertici  ondeggianti  "^ 

Ave  Maria. 


luglio  iSgy. 


RIME   E   RITMI 


SABATO  SANTO 

PER   IL    NATALIZIO   DI    M.    G. 


-'he  giovinezza  nova,  che  lucidi  giorni  di  gioia 
per  la  cerula  effusa  chiarità  de  l'aprile 

cantano  le  campane  con  onde  e  volate  di  suoni 
da  la  città  su'  po^i  lontanamente  verdi  ! 

Da  i  superati  inferni,  redimito  il  crìn  di  vittoria, 
candido,  radiante,  Cristo  risorge  al  cielo  : 

svolgesi  da  l' inverno  il  novello  anno,  e  al  suo 
fiore 
già  In  presagio  la  messe  già  la  vendemmia 
rìde. 

Ospite  nova  al  mondo,  son  ogj;!  venf  anni.  Maria, 
tu  t'affacciasti;  e  i  primi  tuoi  vagiti  coverse 


RIME  E  RITMI  1017 

doppio  il  suon  de  le  sciolte  campane  sonanti  a. 

la  gloria: 
ora  e  tu  ne  la  gloria  de  V  età  bella  stai, 

stai  com'  uno  di  questi  arboscelli  schietti  d'aprile 
che  a  l'aura  dolce  danno  il  bianco  roseo  fiore. 

Volgasi  intorno  al  capo  tuo  giovin,  deh,  1*  augure 

suono 
de    le    campane   anc'  o^i    di    primavera   e 

pasqua  ! 

cacci  il  verno  ed  il  freddo,  cacci  1'  odio  tristo  e 

V  accidia, 
cacci  tutte  le  forme  de  la  discorde  vita! 


IN  RIVA  AL  LYS 


.  pie  del  monte  la  cui  neve  è  rosa 
In  su 'I  mattino  candido  e  vermiglio, 
Lucida,  fresca,  lieve,  armonTosa 
[Traversa  un'acqua  ed  ha  nome  dal  giglio. 

Io  qui  seggo,  Ferrari,  e  la  famosa 
Riva  d'Arno  ripenso  e  il  tuo  consiglio; 
E  di  por  via  la  piccioletta  prosa 
E  altamente  cantar  partito  piglio. 

Ma  il  Lys  m'avvisa  —  AI  nulla  si  confonde 
Questo  mio  canto,  e  non  se  ne  rammarca  ; 
Pur  di  tanto  maggior  vena  s'effonde  —, 

Ond'  io,  la  fronte  di  superbia  scarca, 

Torno  al  mio  cuore  ;  e  a'  monti  a  V  aure  a  l' onde 

Ridico  la  canzon  del  tuo  Petrarca, 


Gcessonfy-la-Trinité,  8  agosto  i8g8. 


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RIME  E  RITMI  1019 


ELEGIA  DEL  MONTE  SPLUGA 


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o,  forme  non  eran  d'aer  colorato  né  piante 
garrule  e  mosse  al  vento:  ninfe  eran  tutte 

e  dee. 

E  quale  iva  salendo  volubile  e  cernia  come 
velata  emerse  Teti  da  V  Egeo  grande  a  Giove  : 

e  qual  balzava  da  la  palpitante   scorza  de' pini 
rosea,  l' agii  domando  florida  chioma  a  V  aure  : 

e  qual  da  la  cintura   d' in   cima  a'  ghiacci  dia- 
sprati 
sciogliea,  nastri  d'  argento,  le    cascatene   al- 
legre. 

Sola  in  vetf  a  un  gran  masso  di  quarzo  brillante 

al  meriggio 
in  disparte  sedevi,  Loreley  pellegrina  : 


RIME    E   RITMI 

solcavi  r  aurea  chioma  con  l' aureo  pettine,  lunga 
la  chioma  iva  per  r  alpe,  vi  ridea  dentro  il 
sole. 

In  un  tempio  a  larghe  ombre  di  larici   acuti  le    ' 
Fate 
stavan,  occhi  fiammanti  ne  la  gemma  de'  visi; 

serti  di  quercia  ai  crine  su  le  nere  clamidi  nero, 
scettri  avean  d'oro  in  mano:  riguardavano  me. 

—  Orco  umano,   che    sali    da' piani    fumanti  di 

tedio, 
noi  la  ti  demmo;  aveva   gli    occhi  color  del 
mare. 

Or  tu  ne  vieni  solo.  Che  festi  di  nostra  sorella? 
r  hai  divorata?  —  E  fise  rìguardavan  pur  me. 

—  No,  temibili  Fate,  no,  soavi  ninfe,  lo  giuro: 
ella  è  volata  fuori  de  la  veduta  mia. 

Ma  la  sua  forma  vive,  ma  palpita   1'  alma  sua 
vita 
ne  le  mie  vene,  in  cima  de  la  mia  mente  siede. 

Con  la  imagine  sua  dinanzi  da  gli  occhi  tuttora 
che  mi  arde,  con  la  voce  che  dentro  il  cor 
mi  ammalia. 


RIME   E  RITMI  ÌQ2Ì 

suono  di  primavera  su  '1  tepido  aprile  dormente, 
erro  soletto  il  mondo,  tutto  di  lei  V  impronto. 

Ecco,  voi  Fate  e  ninfe, paretemi^  e  siete,  lei  sola: 
anzi  in  mia  visione  v'  ho  creato  io  di  lei. 

Ma   ella   dove  esiste?  —  Lamenti  scoppiarono, 

e  via 
sparver  le  ninfe  in  aria,  via  sotterra  le  Fate. 

E  vidi  su  gli  abeti  danzar   li   scoiattoli,  e  udii 
sprigionate  co'  musi  le  marmotte  fischiare. 

E  mi  trovai  soletto  là  dove  perdevasi  un  piano 
brullo  tra  calve  rupi:  quasi  un  anfiteatro 

ove  elementi  un  giorno  lottarono  e  secoli.  Or  tace 
tutto  :  da'  pigri  stagni  pigro  si  svolve  un  fiume  : 

erran  cavalli  magri  su  le  magre  acque:  aconito, 
perfido  azzurro  fiore,  veste  la  grigia  riva. 

« 

Spluga,  i'4  settembre  i8g8. 


Nitido  il  cielo  come  in  adamante 
D'  un  lume  del  di  là  trasfuso  fosse, 
Scintillan  le  nevate  alpi  in  sembiante 
D'  anime  umane  da  1'  amor  percosse. 

Sale  da  i  casolari  il  fumo  ondante 
Bianco  e  turchino  tra  le  piante  mosse 
Da  lieve  aura:  il  Madesimo  cascante 
Passa  tra  gli  smeraldi.  In  vesti  rosse. 

Traggono  le  alpigiane,  Abbondio  santo, 
A  la  tua  festa:  ed  è  mite  e  giocondo 
Di  lor,  del  fiume  e  de  gli  abeti  il  canto. 

Laggiù  che  ride  de  la  valle  in  fondo? 
Pace,  mip  cuor;  pace,  mio  cuore.  Oh  tanto 
Breve  la  vita  ed  è  si  bello  il  mondo  I 

Madesimo,  J°  settembre  iSgS. 


RIME  E  RITMI  i 


ALLE  VALCHIRIE 


PER  I  FUNERALI  DI  EUSABETTA   IMPERATRICE   REGINA 


B 


ionde  Valchirie,  a  voi  diletta  sferzar  de' cavalli, 
sovra  i  nembi  natando,  Terte  criniere  al  cielo. 


Via  dal  lutto  uniforme,  dal  piangere  lento  de  i 

cherci 
rapite  or  voi,  volanti,  di  Wittelsbach  la  donna. 

Ahi    quanto    fato   grava    su     l'alta   tua   casa 

crollante, 
su  la  tua  bianca  testa  quanto  dolore, 

Absburgo  ! 

Pace,  o  veglianti  ne  la  caligin  di  Mantova  e  Arad 
ombre,  ed  o  scarmigliati  fantasimi  di  donne! 

Via^  Valchirie,  con   voi    la    bionda  qual   voi  di 

cavalli 
abitatrice  a  riva  più  cortese!  là  dove 


sotto  Coreica  bella  T  azzurro  Jonio  sospira 
con  suo  ritmo  pensoso  verso  ^i  aruci  in  fiore. 

Sorge  la  bianca  luna  da'  monti  d' ^iro  ed  allunga 
sino  a  Leuca  la  face  tremirilante  su  *l  mare. 

Ivi  r  aspetta  Achille.  Tergete,  ValcMrìe,  tergete 
diAfiebftHprtt&'trorma^dclHptqEMiei  villano; 

e  tergete  da  l'alma,  voi  pie  sanatrìci  divine, 
il  sogno  spaventoso,  lugubire^  de  T  impero.     | 


?  ; 


Qual  più  soave  mai,  la  musa  di  Heine  risuona: 
chi  da  Tarma  risponde  Leucade,  sospirando? 

Tien  la  spintale  riva  un'alta  serena  quiete 
come  d'elisio  sotto  la  graziosa  luna. 

2j  settembre  i8g8. 


RIME  E  RITMI  1025 


PRESSO  UNA  CERTOSA 


D 


a  quel  verde,  mestamente   pertinace  -tra  le 

foglie 
Gialle  e  rosse  de  l' acacia,  senza  vento  una  si 

toglie  : 
E  con  fremito  leggero 
Par  che  passi  un'anima. 

Velo  argenteo  par  la  nebbia  su  '1  ruscello  che 

gorgoglia, 
Tra  la  nebbia  ne  M  ruscello  cade  a  perdersi  la 

foglia. 
Che  sospira  il  cimitero, 
Da*  cipressi,  fievole? 

Improvviso  rompe  il  sole  sopra  V  umido  mattino, 
Navigando  tra  le  bianche  nubi  l'aere  azzurrino: 
Si  rallegra  il  bosco  austero 
Già  de  M  verno  presago. 

Carducci.  66 


RIME   e    RITMI 

A  me,  prima  che  l'inverno  stringa  pur  l'anima  m 
Il  tuo  riso,  o  sacra  luce,  o  divina  poesia! 
Il  tuo  canto,  o  padre  Omero, 
Pria  che  l'ombra  avvolgami! 


RIME  E  RITMI  1027 


CONGEDO 


P  ior  tricolore, 

Tramontano  le  stelle  in  mezzo  al  mare 

E  si  spengono  i  canti  entro  il  mio  core. 


u  II  «Éitin  Uhm  1  attutire  M 


NOTE 


pag.  K5,  V.  12.  La  prima  edizione  leggeva  Villa  di 
Quinta,  Mi  fu  detto  che  Quinta  in  Portogallo  è  app«llaiion« 
comune  d'ogni  villa.  Veramente  Carlo  Alberto  '  abitava  la 
villa  d' Entre  Quintas  „  (L.  Cibrario,  Ricordi  d'ima  missione 
m  Portogallo,  capo  iii). 

V.  19.22.  Di  questi  versi  fu  detto  con  goffa  barbarie  *  es- 
sere una  riabilitazione  di  Carlo  Alberto  a  base  dì  Garibaldi  ,. 
No;  io  leggevo  nei  giornali  del  1849  che  il  re  pigliava  molto 
interesse  ai  fatti  della  difesa  di  Roma. 

BICOCCA  DI  SAN  GIACOMO 

pag.  960,  È  una  frazione  del  comune  di  Bene  Vagienna, 
in  provincia  di  Cuneo,  circondario  di  Mondavi:  dove  dinanzi 
a  una  cliiesetta  veggonsi  ancora  le  tracce  d'  un  ridotto  ove  fu 
combattuto  il   16  aprile  1196.   E  tutto   il   paese  è  pieno  di  ri- 


RIME    E   RITMI  ITQ 


LA  GUERRA 

pag.  910,  V.  24  — 911  v.4.  Quando  l'oTtracoUnia  dell' igno-  1 
ante  si  sferrò  su  quest'ode,  rea  di  non  bccUt 
anche  ci  tu  chi  nel  venlurìero  ravvisò  Cristoforo  Colombo. 
Ohi  È  Vasco  Nunez  de  Balboa,  a  vista  del  Mar  pacifico, 
settembre  del  1513.  —  Non  sarà  inopportuno  rìFErire  anuhe  qui 
e  di  Carlo  Cattaneo  messe  in  fronte  alla  prima  edì- 
°  Per  tutte  queste  passioni  umane  la  guerra  è  perpetui 
sulla  terra.  Ma  la  guerra  stessa  colla  conquista,  colla  sclùs- 
vitij,  colli  esilii,  colle  colonie,  colle  alleanze  pone  in  contatto 
fra  loro  le  più  remote  nazioni;  fa  nascere  dalla  loro  mcsco- 
laniH  nuove  stirpi  e  lingue  e  religioni  e  nuove  nalìo  li  più 
civili,  ossia  pili  largamente  sociali;  fonda  il  diritto  delle  genti, 
la  società  del  genere  umano,  il  mordo  della  filosotia  ,.  (C  Cat- 
taneo, Opere,  VI,  333,  Firenze,  1891). 

NICOLA  PISANO 

pp.  912-915.  Cagione  e  mezzo  al  rinnovamento  dell'arte 
scultoria  fu  lo  studio  e  la  diligenza  messa  da  Nicola  Pisano 
intomo  al  lavoro  greco  rappresentante  la  storia  d'Ippolito  e 
Fedra  nel  marmo  che  poi  racchiuse  il  corpo  della  contessa 
Matilde  ed  ere  incassato  in  una  delle  muraglie  laterali  del  domo 
di  Pisa. 

CADORE 

pp.  gi6-9S4.  Per  gratitudine  mia,  se  non  p«r  cenno  ad 
altri,  ricordo  alcuni  libri  che  discorrono  dei  combattimenti 
del  1847  in  Cadore  e  d'altre  pili  cose  cadorine.  E  prima;  del 
prof.  Ant  Ronzon,  Calvi  e  i  Cadorini  (Tai  del  Cadore,  181S( 
e  Rindemera,   Scene   del   Cadore  nel  ^8  (Lodi,  1891);  «  del 


RIME  E  RITMI  1031 


9ig.  Venanzio  Dona,  Guida  del  Cadore  (Venezia,  1888);  questi 
o  videro  o  udirono  dai  presenti.  Poi  il  sig.  Ottone  Brentari 
raccolse  e  rinnovò  abbondante  nella  sua  Guida  storico'alpina 
del  Cadore  (Bassano  1886).  A  questi  ultimi  giorni  il  colonnello 
Gè n  -aro-  Moreno  ha  raccontato,  con  intendimenti  e  dottrina 
militare,  Calvi  e  la  difesa  del  Cadore  (  Roma,  Biblioteca  mi- 
nima popolare  militare). 

Per  dichiarazione  al  vocabolo  cidolo  e  al  v.  8  della  pag. 
9S3  ecco  un  passo  dalla  Storia  del  popolo  cadorino  compi' 
lata  da  Giuseppe  Ciani  (Padova,  Sicca,  1856^,  parte  prima 
libro  primo,  pp.  11-13.  Detto  delie  travi  d'alberi  lavorate 
e  acconciate  e  nel  maggio  spinte  nel  Piave  che  li  trasporta 
a  Perarolo;  seguita  —  "Ma  non  vi  giungono  si  presto:  al- 
tre dall'  impeto  dell'  onda  gittate  in  sulle  sabbie,  altre  da- 
gli spessi  e  s .  Idi  massi,  che  sporgonsi  dall'  alveo,  contenute. 
Il  che  or  qua  or  là  sempre  quasi  interviene,  e  la  prima, 
che  dando  di  cozzo  ne'  massi  si  ferma,  tronca  il  corso  alle 
succedentisi;  onde  s'aggruppano,  s' incavallano,  s'ammonti- 
celiano,  sf,  che  per  lungo  tratto  tu  non  iscorgi  sul  fiume  che 
un'i  icomprsta  tettoia.  I  paesani  appellano  serre  questi  invi- 
luppi: a  districarli  accorronvi  uomini  in  questa  fatta  di  opere 
esercitati;  che  non  tanto  il  fiume,  che  solo  vi  basti.  Questi 
uomini  si  chiamano  Menadàs:  cure  loro  le  stesse  che  dei 
Dentrofori  presso  a'  Romani.  Dipendenti  da  un  capo,  muniti 
di  lunghe  aste  ferrate  di  uncini  aguzzi  o  rampiconi,  calano 
fra  greppo  e  greppo,  ove  le  serre  e  le  sbandate  in  sulle  sabbie; 
ri  acciai  queste  nel  fiume;  uncinano,  aggrappano,  disvitic- 
chiano le  rammassate,  né  si  stanno  che  assembratele  nel  C/- 
dolo  Un  edifizio  codesto  a  cavalliere  del  Piave  presso  a  Pe- 
rarolo :  piantato  su  d' ambedue  le  ripe,  -  V  estremità  sf  da  un 
lato  che  l'altro  torcendosi,  addentransi  alquanto  nel  fiume; 
grosse  travi  le  congiungono  quivi  insieme;  congegnate  a 
foggia  di  cancello,  S:-  all'  acque,  non  concedono  l' uscita  alle 
taglie.  Gli  stessi  che  addusserle,  da  quella  chiudenda  l' estrag- 
gono; conoscitori  delle  marche  ohde  s'improntano,  avvianle 


RIME   E   RITMI 


a'segaloi  eretti  lunghesso  il  fiunie,  canforme  è  loro  ordinsto 
quivi  ammonticcliianle  a  che  s'asciughino^  asciutte  son  dal 
alle  seghe;  ridotte  in  tavole,  sulle  zattere  traduconle  pel  Rulii 
a  Venezia,  o  lascianle  per  via  ove  i  magazzini  de'  proprietari 

CARLO  GOLDONI 
pp.  985-988.  Ricordare  le  Mtmorie  di  C.  G. 

ALLA  FIGLIA  DI  FRANCESCO  CRISPI 

p.  991,  V.2  —  e  migliore.  Nella  copia  che  di  mano  di 
r  autore  fu  mandata  alla  sposa,  onde  la  odkina  fu  riprodotta 
nel  pili  de' giornali,  la  penna  trascorae  a  Siiriver  maggiore: 
quindi  !l  lepida  rìpetlo  dei  paperi:  .non  bisogna  invidiare  ai 
paperi  il  verso  a  cui  si  riconoscono  e  si  raccolgono.  Del  resti: 
nel  rispetto  storico  toma  beniamino  anctie  maggmre.  ! 

ALLA  CITTÀ  DI  FERRARA 

pp.  992-1000.  In  questi  versi  la  storia  di  Ferrara,  e  ancht 
la  preistoria  mìtica  e  la  conformazione  geologiea  e  psicologica 
della  sua  provincia  e  popolazione,  k  introdotta  a  rappresen- 
tare la  preparazione  e  lo  svol^mento  della  epopea  che  do- 
veva illustrarla.  A  queste  prove  la  poesia  può  forse  ancora 
resistere.  Il  presente  è  del  dramma,  del  romanzo,  del  giornale: 
il  futuro  è  di  Dio:  il  passato,  il  doloroso  e  glorioso  passalo, 
può  essere  tuttora  della  poesia,  massime  in  una  storia  com- 
plessa di  tanti  elementi  com'è  l'italiana. 

pag.  990,  v.  21.  0  Garibaldi,  vimL 
Questo  appella  parve  a  taluni  importuno  e  volgare.  No.  Quando 
nel  1849  si  trattò  di  calar  gu3  le  campane  di  *Mif  Onofrio  per 


RIME  E  RITMI  1033 


mandarle  a!la  fonderìa,  Giuseppe  Garibaldi   ammoni:   rispetto 
alle  campane  che  suonarono  ali*  agonia  di  Torquato  Tasso. 

LA  MOGLIE  DEL  GIGANTE 

pp.  1005-1006.  Cosi  il  popolo,  poeta  eterno  quando  non 
guasto  da'  maestri,  ha  cominciato  a  chiamare  la  "  Sirena  ^ , 
scolpita  da  Diego  Sarti  per  la  fontana  della  Montagnola  [  1896]. 

LA  CHIESA  DI  POLENTA 

pp.  1010.  —  La  chiesa  di  San  Donato  in  Polenta,  ricor- 
data già  in  un  documento  del  916,  è  costruzione  del  sec.  vili. 
Volevasi  or  fa  pochi  anni  abbatterla  al  suolo  per  fame  una 
nuova:  se  non  che  don  Luigi  Zattini,  intelligente  e  amoroso 
arciprete,  n*  ebbe  avvertito  il  cav.  Antonio  Santarelli  ispettore 
degli  scavi  e  monumenti  nella  provincia  di  Forlì.  Il  quale  die 
primo  al  pubblico  notizie  dell'antica  chiesa  (1890);  e  sùbito 
appresso  ne  discorse  ampiamente  alla  Deputazione  storica  ro- 
magnola Corrado  Ricci.  E  della  chiesa  e  della  ròcca  polentana 
che  le  sorgea  vicino  scrisse  di  nuovo  il  Ricci  neir  Ultimo  ri' 
fugio  di  Dante  (1891),  e  una  veduta  ne  ha  inserito  assai 
bella  nel  bellissimo  Dante  illustrato  pubbl.  in  Milano  da 
Ulr.  Hoepli  (1898).  A  instanza  dell'  arciprete  Zattini,  del 
cav.  Santarelli,  del  conte  Cilleni-Nepis  ispettore  delle  scuole, 
del  prof.  Raffaello  Zampa,  il  Comune  e  la  Mensa  vescovile  di 
Bertinoro  e  la  Provincia  di  Forlf  cominciarono  a  pensare  e 
provvedere  pe'  ristauri.  Ricordo  che  nella  seduta  20  dee.  1889 
del  Consiglio  provinciale,  venuta  in  discussione  la  spesa  per 
la  chiesa  polentana,  opponendo  alcuno  non  doversi  gittare  de- 
naro del  pubblico  per  conservare  chiese  quando  il  meglio  sa- 
rebbe buttar  giù  quelle  anche  in  piedi,  Aurelio  Saffì,  il  nobi- 
lissimo mazziniano  che  presiedeva  T  adunanza,  parlò  da  quel- 
la uomo  colto  e  savio  che  era,  e  disse  fra  V  altro  "  Quale  ita- 
liano non  vorrà  conservata  e  onorata  una  chiesa  dove  Dante 


{KM 


pregò? 

n   Ali 

ra  tutti  quei 

votarono  la 

spe 

sa  per 

San   Do 

nato 

i  Polenta.  Che  fu 

dichiarato  dal  Governo 

mona- 

mento 

a/ionaU;  e  cominci 

ron 

i    la 

ori  de' resta 

ri; 

e  yen- 

nero  in 

aiuto 

alla   spesa  il 

Min 

stero 

dell' Ì3tru7Ìon 

quello 

dei  cult 

;  dei 

benefattori,  co 

me 

ieono 

privati,  rico 

do 

acori- 

tMuiSibfi^  Bwwni  P«»oli,4  il  ,«(Biig^rgB9«!BDiTq5»ca, 


cintTBle,  la  crìptB«1i1tiBH<'Tdti.riUKIim  X.^l»idc  s  deatra  di 

chi  entra  e  d»  rieostrulre  3  campanile. 

-^'^"Dt.lUl'iriledto  fiM  GOtaÉttótiìr.ààtiaLliié^jfi^^uìif^ì 

MIò,3«^1M)ti<^>notcW(A  '(MmMilr  tradMWpMbiyrdaw^ 
tf''fiU>'tMij{ftBMKj'H|iKdiM!4Jul,^a'Bèht»lmc*wn4^weiM^ 
aiMM({fluA^-ii^i>rLe  iealMliie  delU  illrii."|,iiÉ<Ìfri  nilimli.  m- 
WiMltt'ntiitttM''-*  «  «MM*!"  «oMr.icótaMHrftte  'iBi^tin  dw 
fbriAÀtno  là'  parte  pM  importante  e  nratterislicai  Sello  storico 
monumento.  —  Sono  —  scrive  il  cav.  Santarelli  —  scolpiti  in 
pietra  locale,  alcuni  cubiformi,  altri  a  dadi,  con  facce  smussate 
variamente  ornate  con  foglie  convenzionali,  disegni  geometrici, 
intrecci  bizzarri  di  tenie,  figure  grottesche  di  uomini  e  animali, 
a  tutto  rilevo  molto  basso  e  rude.  —  Certe  figure,  piuttosto 
dì  scimmiotti  che  d' uomini,  una  specie  d' ippogrifo,  un  orribile 
granchio  di  mare,  ferma-io  specialmente  1'  attenzione  ,.  —  '  Del 
castello  non  restano  che  laceri  avanzi  sui  quali  è  addossata 
una  squallida  casa  colonica.  Fu  Dante  al  Castello  polentano? 
Pregò  egli  nella  piccola  chiesa?  Nessun  documento  1'  attesta, 
ma  nulla  lo  rende  inverosimile....  La  legge 'd.i  che  qualche 
volta  erra,  ma  talvolta  integra  e  riassume  la  storia,  lo  crede; 
e  vuole  ancora  che  Francesco....  salisse  quassù  e  ad  un  ci- 
presso che  sorge  solitario  sopra  uno  di  questi  poggi  e  domina 
tutta  la  vallata  intorno  e  si  vede  a  grande  distanza  (forse  so- 
stituito ad  altri  ivi  posti  successivamente)  si  dà  ancora  la  poe- 
tica intitolazione  di  cipresso  di  Francesca  ,. 


RIME  E  RITMI  1035 


Al  V.  24  della  pag.  1012  osai  fare  italiano  il  verbo  latino 
subsannare,  che  s'i  tende  benissimo  nella  volgata  versione 
della  Bibbia:  *  Sprevit  te  et  subsannavit  te  virgo  filia  Sion  „ 
{Reg.  IV  XIX  21].  Altri  scrittori  ecclesiastici  T  usarono:  Tertul- 
liano, adv.  Judaeos  xi;  san  Girolamo,  epist.  lx:  ma  l'ha 
anche  Nemesiano,  fragm.  de  aucup.,  *  et  rauca  subsannat 
voce  magistri  Consilium  „,  Il  Porcellini  interpreta  beffeggiare ^ 
dileggiare  ■  sanna  irrideo  ,:  e  sauna  ■  proprie  est  distortio 
vultus  quae  fit  diductis  labiis,  ora  hiante,  corrugata  facie  et 
ostentatone  dentium  »;  e  l'hanno  Giovenal  vi  306  e  Persio  i  61. 
11  Tommaseo  nel  suo  Dizionario  della  lingua  italiana  registra 
"  Sossannare,  far  le' boccacce  ,,  dal  volgarizzamento  toscano 
e  del  trecento  del  Trattato  contro  l' avversità  della  fortuna  di 
Arrigo  da  Settimello. 

Il  vecchio  cipresso,  che  sorgeva  dal  colle  di  Conzano,  fu 
colpito  e  atterrato  dal  fulmine  nel  pomerìggio  del  21  luglio 
1897:  un  altro  ne  fu  piantato  nel  luogo  il  26  ottobre. 


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DELLA  «  CANZONE  DI  LEGNANO  » 


PARTE   I. 


[1879] 


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IL  PARLAMENTO 


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Federico  imperatore  in  Como. 

Ed  ecco  un  messaggero  entra  in  Milano 
Da  Porta  Nova  a  briglie  abbandonate. 
"  Popolo  di  Milano,  „  ei  passa  e  chiede, 
"  Fatemi  scorta  al  console  Gherardo  „. 
Il  consolo  era  in  mezzo  de  la  piazza, 
E  il  messagger  piegato  in  su  l'arcione 
Parlò  brevi  parole  e  spronò  via. 
Allor  fé' cenno  il  console  Gherardo, 
E  squillaron  le  trombe  a  parlamento. 


CANZONE  DI   LEGNANE'* 


Squillarono  le  trombe  a  parlamento  r 
Che  non  anche  risurto  era  il  palagio 
Su' gran  pilastri,  né  l' arengo  v'era, 
Né  torre  v'era,  né  a  la  torre  in  cima 
La  campana.  Fra  i  ruderi  che  neri 
Verdeggiavan  di  spine,  fra  le  basse 
Case  di  legno,  ne  la  breve  piazza 
1  milanesi  tenner  parlamento 
Al  sol  di  maggio.  Da  le  finestre  e  porte 
Le  donne  riguardavano  e  i  fanciulli. 


"  Signori  milanesi,  „  il  consol  dice, 
"  La  primavera  in  fior  mena  tedeschi 
Pur  come  d'uso.  Fanno  pasqua  i  lurchi 
Ne  le  lor  tane,  e  poi  calano  a  valle. 
Per  1'  Engadina  due  scomunicati 
Arcivescovi  trassero  lo  sforzo. 
Trasse  la  bionda  imperatrice  al  sire 
Il  cuor  fido  e  un  esercito  novello. 
Como  è  coi  forti,  e  abbandonò  la  lega.  „ 
11  popol  grida  :  "  L'esterminio  a  Como.  „ 


CANZONE  DI  LEGNANO  1041 


IV. 


^  Signori  milanesi,  „  il  consol  dice, 

"  L' imperator,  fatto  lo  stuolo  in  Como, 

Move  Toste  a  raggiungere  il  marchese 

Di  Monferrato  ed  i  pavesi.  Quale 

Volete,  milanesi?  od  aspettare 

Da  Targin  novo  riguardando  in  arme, 

O  mandar  messi  a  Cesare,  o  affrontare 

A  lancia  e  spada  il  Barbarossa  in  campo?  „ 

"  A  lancia  e  spada,  „  tona  il  parlamento, 

*'  A  lancia  e  spada,  il  Barbarossa,  in  campo.  „ 


V. 


Or  si  fa  innanzi  Alberto  di  Giussano. 
Di  ben  tutta  la  spalla  egli  soverchia 
Gli  accolti  in  piedi  al  console  d'  intorno. 
Ne  la  gran  possa  de  la  sua  persona 
Torreggia  in  mezzo  al  parlamento:  ha  in  mano 
La  barbuta:  la  bruna  capelliera 

Il  lato  collo  e  V  ampie  spalle  inonda. 

Batte  il  sol  ne  la  chiara  onesta  faccia, 

Ne  le  chiome  e  ne  gli  occhi  risfavilla. 

È  la  sua  voce  come  tuon  dì  maggio. 

Carducci.  66 


1042  CANZONE  DI  LEGNANO 


VI. 


^  Milanesi,  fratellli  popol  miot 
Vi  sovvien  .  dice  Alberto  di  Giiissdiio 
**  Calen  di  marzo?  I  consoli  sparuti 
Cavalcarono  a  Lodi,  e  con  le  spade 
Nude  in  man  gli  giurar  l' obedfenza. 
Cavalcammo  trecento  al  quarto  giorno» 
Ed  a  i  piedi,  baciando,  gli  pónemmo 
I  nostri  belli  trentasei  stendardi. 
Mastro  Guitelmo  gli  offerì  le  chiavi 
Di  Milano  affamata.  E  non  fu  nulla.  ^ 


VII. 


"  Vi  sovvien  „  dice  Alberto  di  Giussano 
"  Il  di  sesto  di  marzo?  A  i  piedi  ei  volle 
Tutti  i  fanti  ed  il  popolo  e  le  insegne. 
Gli  abitanti  venian  de  le  tre  porte, 
Il  carroccio  venia  parato  a  guerra; 
Gran  tratta  poi  di  popolo,  e  le  croci 
Teneano  in  mano.  Innanzi  a  lui  le  trombe 
Del  carroccio  mandar  gli  ultimi  squilli, 
Innanzi  a  lui  l'antenna  del  carroccio 
Inchinò  il  gonfalone.  Ei  toccò  i  lembi,  y, 


CANZONE  DI  LEGNANO  1043 


VHI. 

**  VI  sovvien?  „  dice  Alberto  di  Gitissano: 

**  Vestiti  i  sacchi  de  la  penitenza, 

Co'  piedi  scalzi,  con  le  corde  al  collo, 

Sparsi  i  capi  di  cenere,  nel  fango 

C  inginocchiammo,  e  tendevam  le  braccia, 

E  chiamavam  misericordia.  Tuttiv 

Lacrimavan,  signori  e  cavalieri, 

A  lui  d' intorno.  Ei,  dritto,  iii  piedt,  presso 

Lo  scudo  imperlfal,  ci  riguardava. 

Muto,  col  suo  dfamantìno  sguardo.  „ 


IX. 


"  Vi  sovvien,  „  dice  Alberto  di  Giussano, 
"  Che  tornando  a  V  obbrobrio  la  dimane 
Scorgemmo  da  la  via  V  imperatrice 
Da  i  cancelli  a  guardarci?  E  pe'i  cancelli 
Noi  gittammo  le  croci  a  lei  gridando 
—  O  bionda,  o  bella  imperatrice,  o  fida, 
O  pia,  mercé,  mercé  di  nostre  donne!  — 
Ella  trassesi  indietro.  Egli  c'impose 
Porte  e  muro  atterrar  de  le  due  cinte 
Tanto  eh'  ei  con  schierata  oste  passasse.  „ 


CANZONE  DI  LEGNANO  1046 


XII. 


Cosi  dicendo  Alberto  dì  Giussano 
Con  tutt'  e  due  le  man  copriasi  gli  occhi, 
E  singhiozzava:  in  mezzo  al  parlamento 
Singhiozzava  e  piangea  come  un  fanciullo. 
Ed  allora  per  tutto  il  parlamento 
Trascorse  quasi  un  fremito  di  belve. 
Da  le  porte  le  donne  e  da  i  veroni, 
Pallide,  scarmigliate,  con  le  braccia 
Tese  e  gli  occhi  sbarrati  al  parlamento. 
Urlavano  —  Uccidete  il  Barbarossa  — . 


XIII. 

"  Or  ecco,  „  dice  Alberto  di  Giussano, 

"  Ecco,  io  non  piango  più.  Venne  il  di  nostro, 

O  milanesi^  e  vincere  bisogna. 

Ecco:  io  m' asciugo  gli  occhi,  e  a  te  guardando, 

O  bel  sole  di  Dio,  fo  sacramento: 

Diman  da  sera  i  nostri  morti  avranno 

Una  dolce  novella  in  purgatorio: 

E  la  rechi  pur  io!  „  Ma  il  popol  dice: 

"  Pia  meglio  i  messi  imperiali.  „  Il  sole 

Ridea  calando  dietro  il  Resegone. 


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EV^vrebbe  essere  inutile  il  dichiarare,  che  io,  ripigliando  in 
poesia  l'ai^omento  della  battaglia  di  Legnano,  non  intesi  ve- 
nire pur  da  lontano  a  contrasta  o  a  paragone  con  Giovanni 
Berchet  e  Terenzio  Mamianì,  poeti  e  scrittori  nobilissimi  che 
io  stimo  ed  ammiro,  e  a' cui  alti  ideali  letterari  la  patria  deve 
assai  pili  che  non  mostri  accorgersi  o  ricordare  la  nuova  ge- 
neratone. Di  questo  breve  poema,  che  presi  a  scrivere  tre 
anni  fa  per  amore  del  vero  storico  e  della  epopea  medievale, 
pubblico  ora  una  parte,  almeno  come  protesta  contro  certe 
teoriche,  le  quali  in  nome  della  verità  e  della  libertà  vorreb- 
bero condannare  la  poesia  ai  lavori  forzati  della  descrizione  a 
vita  del  reale  odierno  e  chiuderle  i  territori  della  storia,  della 
leggenda,  del  mito.  Ma  al  poeta  è  lecito,  se  vuole  e  può,  an- 
dare in  Persia  e  in  India  non  che  in  Grecia  e  nel  medio 
evo:  gl'ignoranti  e  gli  svogliati  hanno  il  diritto  dì  non  se- 
guitarlo [  I8T9]. 


ATOH 


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APPENDICE 


A  GIULIO  PERTICARI 


Cantato  nel  Teatro  del  Rubicone  in  Savignano  di  Romiigna  la 
sera  del  giamo  15  agosto  18^1,  anniversario  della  naidta. 


o, 


'  se  tu  genio  presente 
Qui  fra'  tuoi  respiri  e  vivi, 
O  se  cerchi  ombra  silente 
Il  gran  Tebro  e  i  sette  clivi 
Dei  tuo  nido  Compitano 
Salve,  o  Giulio,  eterno  amor, 
O  del  bel  nome  romano 
Salve  pio  restitutori 

Quando  a  terra  come  armenti 
Ci  premea  1'  estrania  soma. 
Quando  favola  a  le  genti 
II  retaggio  era  di  Roma, 
Tu  gridasti  —  Odio  ed  oblio, 
Popol  mio  —,  ti  separar: 
Ma  un  sol  nome  Italia  bella 
Tuona  e  appella  —  fra  i  due  mar. 


Dal  Simeto  sino  al  Varo 
Solo  un  nome  ti  saluta 
Ne  1'  eloquio  altero  e  caro 
Che  passò  per  1'  età  muta, 
Ctie  de  i  padri  su  gli  avelli 
L'  alma  Roma  ci  lasciò  : 
Sacra  Italia  1  Siam  fratelli 
Sovra  r  Arno  e  sovra  il  Po!  - 


Tu  gridasti:  ed  or  non  tanto 

Il  tuo  bel  nido  natio, 

Ma,  cessato  il  lungo  pianto, 

Ma  raccolta  in  un  desio, 

Tutta  Italia  rediviva,  "V 

D'un  affetto  e  d'un  pensier 

Te  saluta  anima  diva 

Co  'I  Petrarca  e  l' Alighier. 


APPENDICE  1053 


DAI  CARMINA 
DI  LUDOVICO  ARIOSTO 


{Delle  poesie  latine  edite  e  inedite  di  Ludovico  Ariosto^  Studi 
e  ricerche  di  ó.  C  Bologna,  Zanichelli,  1875,  p.  138). 


V, 


a,  rea  vecchia,  con  questi  carezzevoli 
susurri  tuoi,  va,  ingorda  vecchia,  al  diavolo. 
Assai  la  vostra  fede,  oh  assai,  m'  è  cognita, 
se  ben  tardi.  Ma  tal  non  son  che  illudere 
a  la  lunga  mi  lasci  a  le  ree  femmine 
impunemente.  Oh  come,  oh  come  increscemi 
de  le  fallacie  dove  mi  ritennero 
pur  tanto  tempo;  ed  io  credeva,  misero, 
r  amore  concedesse  a  me  sol  unico 
quei  dolci  frutti  eh'  io  poi  con  grandissima 
vergogna  mia  compresi  che  si  davano 
a  questo  e  a  quello  e  a  quello  ed  a  qual  siasi 
vuol  comprar  con  dannoso  prezzo  i  fetidi 
accoppiamenti  di  coteste  adultere. 
Or  vedi  tu  come  sfacciata  pregami, 


APPENDICE 

quasi  che  tutto  il  suo  nefando  vìvere 

io  non  sapessi.  In  dietro,  o  sporca  femmina 

ruffiana,  venditrice  di  libidini, 

de  gli  amor  miei  prostitutrice  lurida. 

Oh  come  l'ira  l'ugne  mi  sollecita 

contro  quella  facciaccia!  Oh  come  t' impeto 

in  quei  bianchi  cernecchi  la  man  spingemr! 

Impunita  or  ne  andrà  questa  venefica? 

No,  che  uno  sfogo  almen  mi  vo' concedere; 

e  pria  le  scaverò  quegli  occhi  torbidi, 

poi  mieterò  quella  lingua  pettegola, 

quella  che  m'  ha  perduto  e  fatto  misero 

e  ruinato  ed  a  nulla  ridottomi. 

E  voi  mi  ritenete,  o  amici  perfidi? 

Lasciatemi,  per  Dio!  largo  al  giustissimo 

furor!  paghi  costei  le  pene  debite  1 

Ah,  voi  la  favorite  !  e  di  commettere 

non  sapete  un  peccato  inespiabile 

aiutando  quell'empia.  Io  stesso,  io  vidila 

sovente  a  l'ombra  di  notte  oscurissima 

dissotterrar  le  benedette  ceneri 

ed  evocar  con  diro  canile  l'anime 

pallide  da  i  silenzi  interminabili. 

EU' è  che  gitta  a  1  fanciullini  il  fascino 

Or  su,  le  paghi  tutte,  e  voi  partitevi. 

Ma,  se  per  nulla  i  miei  preghi  vi  movono, 

vada  la  scellerata  a  tutti  i  diavoli: 

non  sempre  avrà  voi  soccorrenti  e  prossimi. 


oiBsd  iBsbi  'b  elogiai  nii  ni  H 

,iteU  ^xxv'^'^  iéb  ib  ongoe  nu  smoD 

otevoii  ,oim  ottdlfb  ,oi  *eew»  *l  liO 

.il  «oofms  jeasys  *:^  oi  oigvoil  rtO 


•  '   DA  friedr:  holderun 

t 

0-^i^n  iJ^i^'iot*^     r''^':''7.'.n   '-M-!^no*  JhA]  )' 

'  (  Cronaca  Bùtaritinà,  Romk,  US  settehibf  e  1883) 

jifioióo  foh   foif^ifri  rtij  s  ofììm  lì  3vob  ,bJ 

Inig'ov  ÙI5  b1  ,o*rjfA  j  3tno9'iOBnA 

BffoiBiÉM  ih  ùf^  iù  itrma  i  no3 

Ir  rivessi  a  le  molli Poiffbf è  de' platani 
Ove  ^(»tf^e)l^4MÌ90Bti^ìÉilÙ^  bJ 

(^^  <l0lce,4ittra^  {Sbà'alfef^^ó^      bsìa 

Ove  Aspasia  incedea  bianca  tra  i  mirti, 
Ove  de  le  fraterne  gioie  il  tuon 
Rimbombava  da  V  agora,  e  a  gli  spirti 
Paradisi  creava  il  mio  Platon, 

Ove  d' inni  fioria  la  primavera, 
Ove  de*  canti  la  gentil  virtù 
Dal  colle  sacro  a  Pallade  severa 
Come  piena  d'aprii  scendeva  giù 


1056  APPENDICE 

E  in  un  fulgore  d' ideal  beato 
Come  un  sogno  di  dèi  venia  l'età, 
Oh  V  avess*  io,  diletto  mio,  trovato 
Oh  trovato  io  t'avessi,  am'ico,  là. 


Là,  dove  il  mirto  e  un  miglior  sol  corona 
Anacreonte  e  Alceo,  là  giù  vo'gir! 
Con  i  santi  là  giù  di  Maratona 
Ne  Pesil  casa  d'Hade  io  vo*  dormir! 

La  mia  lacrima  estrema,  Eliade  bella, 
Scorra  e  risuoni  il  canto  ultimo  a  te! 
Alza  le  forci  ornai,  fatai  sorella, 
Perché  tutto  co'  morti  il  mio  cuor  è. 


APPENDICE  1057 


PER  LA  SOSPENSIONE  DEL  DON  CHISCIOTTE 


{Don  Chisciotte,  Bologna,  12  luglio  1881) 


E, 


fbre  di  sole  strillan  le  cicale, 
Arse  muse  del  luglio  impolverato: 
Tace  Montecitorio  e  su  '1  piazzale 
Giace  come  un  onagro  addormentato. 

Agostin  di  Stradella,  in  su  '1  confino, 
Guard'fan  de  la  bestia,  a  1'  ombra  sta. 
Pensando  a  la  sua  barba,  a  lo  scrutino 
Di  lista  e  al  fresco  che  ritornerà. 

Cavalier  de  V  idea,  su  la  cui  fronte 
Vaga  il  riso  de'  sogni  intimi  e  fieri. 
Torna  a  gli  errori  su  pe  '1  verde  monte 
Fra  r  ombre  de'  poeti  e  de'  guerrieri. 

Fresco  t' incontri  il  vin  di  qualche  ostessa; 
Quaggiù  fa  troppo  caldo  per  l'onor: 
Dulcinea  non  sa  d'  esser  principessa. 
Ma  il  vii  Sancio  è,  per  Dio,  governator. 

Carducci.  67 


Quando  la  rondin  parta  e  il  merlo  torni, 
Torni  fischiando  a  farsi  istidionare, 
Potrai  vèr"  1'  Asinella  a  i  freschi  giorni 
Ronzinante  e  la  lancia  indirizzare. 

Vedrai  Ceri  ingegnere  e  la  facciata 
Di  san  Petronio  Jn  ciel  crqiuscùlar, 

Di  manette  aiutarti  a  scavaloir. 


KiliiJà  3,lo>?  ih  - 
(•i\-!n\  Ì3t  e^itrr 


APPENDICE  1G59 


DA  GIULIO  CESARE  CORDARA 

IL   GRECIZZANTE 

<G.  C.  Storia  del  Giorno,  Bologna,  ZanicheHi,  1892,   cap.   IV, 
pag.  172). 


i-jgregiamente 

Tu  parlerai  se  ad  ogni  passo  ne  le 

Favole  conte  un  ellenismo  piova, 

Ed  una  doppia  e  pur  di  greca  stirpe 

Vocetta  nuova.  Né  oggimai  più  tonda 

Ma  ciclica  per  te  sia  la  padella 

Ed  elliptico  V  uovo  e  microcosmo 

V  uomo  ;  e  a'  ruscelli  ed  a  gli  uccelli  e  a'  nembi 

De'  poeti  e  a  le  selve  de'  pittori 

Titolo  affiggerai  sacro,  parorgon. 

Oh  se  Pindaro  in  bocca  alcuna  volta 

E  Tucidide  a  te  suoni  e  le  pure 

Néfele  d'  Aristofane  o  d'  Omero 

La  rapsodia  divina!  Quali  rughe 

Mirabonde  vedrai,  quali  udirai 


Voci  di  sofi  —  Oh  greco  dal  ciel  messo! 
Meno  s'affigge  con  aperta  bocca 
La  contadina,  quando  a  lei  pensosa 
De  la  quartana  del  marito  apprende 
Affetto  lui  di  lento  emitriteo 
Il  medico  verboso  e  con  ambage 
Lungi  filata  attonita  1'  avvolge. 


INDICE  DEI  CAPOVERSI 


<' 


Agile  e  solo  vien  di  colle  in  colle „  loio 

Agitatrice  de  le  forti  selve „  66 

Ah  per  te  Orazio  prèdica  al  vento „  3 

A  i  campi  che  verdeggiano. „  380 

A  i  di  mesti  d'autunno  il  prete  canta „  431 

A  la  materia  T anima  s'appiglia '  „  938 

Al  calpestio  de'  barbari  cavalli „  734 

Al  mattin  da  la  pioggia  ecco  deterso „  565 

A*  lor  cantori  diano  i  re  fulgente „  929^ 

Al  sorriso  d'  aprii  che  da  la  tarda „  972 

Al  suon  che  lieto  pe  '1  diverso  lido „  219. 

Ancor  dal  monte,  che  di  foschi  ondeggia     ...  „  801 

Ancor  mi  ride  ne  la  fantasia „  277 

A  pie  del  monte  la  cui  neve  è  rosa „  roiS 

A  questi  di  prima  io  la  vidi.  Uscia „  21 

A  te,  de  V  essere „  377 

A  te,  porgente  su  V  argenteo  Sile    ......  „  985 

A  te,  sciolto  da'  languidi „  287 

Avanti,  avanti,  o  sauro  destrier  de  la  canzone!    .  „  445 

Ave,  o  rima  !  con  beli'  arte „  539 


B, 


'atte  a  la  tua  finestra,  e  dice,  il  sole:     .     .     . 
Batto    a    la    chiusa    imposta    con  un  ramicello  di 
fiori 


614 


957 


v\ 


1064  INDICE  DEI  CAPOVERSI 


Bella  è  la  donna  mia  se  volge  i  neri Pag.  ao 

Benigno  è  il  sol  ;  de  gli  uomini  al  lavoro    ...  i,  668 

6en  vì^^  o  beQ' astro  d'argento ,  933 

Beviam^  se  non  d  arridano «  ^ 

Bianchi  verni,  estati  ardenti ^  1005 

Bionde  Valchirie,  a  voi  diletta  sferzar  de'cavaUii  ^  1003 

Breve  e  amplissima  carmci  o  lievemente.    •    .    .  ,  545 

Breve  ne  Tonda  placida  avanzasi «  847 

<roT         .      .     'ilU-i   ni  olluj   ib   iìtùf  of<>g  -»  !^Ib^ 

^alvi^  aggrpndati,  ricurvi,  s!  cov^^^iff^  ^  ^hiBii:. 

E       fossa     ..     .     .     .     .    .-onio^  {ti  É'ììbé-i^  ftis^O  M»i9q  W 

4^  ^didi  soU  e.  riso  di  tramonti,  ,,,,^^^^.,5,^.,  ^^^  ^^^^.,  ,  ^ 
Potano  i  miti  -  Fusi^^m^j»?.  jj  ,,,„j,i^^.j,  ^5^^^  ,j,  -9^8 
fy^  b«ida  che  in  van  mi  c<|p^|?^.  ^^.^^^  -^  ^^^^^^^  ^j  Jf7 
l^lo,  su  1  risonante  adriaco  ^i^,^,  H^dh^d  '>13  f.ii^{fi^«59 
/Clw"o  a  le  vergini  d'Asci»  e. itJi, belle   «..f,;,^  ^;«    ««,  r J^h  .    37 

Cavalca  sir  Òluf  la  notte  lontano ,       „        741 

Cercate  pur  se  il  pio  siero  che  stagna     ....       „        428 
Che  giovinezza  nova,  che  lucidi  giorni  di  gioia    .       „       1016 

Che  prega  il  vate,  il  libero „         160 

Che  ti  giovò  su  le  fallaci  carte „  86 

Chi  del  German  di  doppia  oste  maggiore     ...       „        220 
Chi  me  de'  canti  ornai  memore  in  vano    ....       ,        279 

Chi  mi  rimembra  la  speranza  altera „         105 

Colli  toscani  e  voi  pacifiche  selve  d'  olivi     ...       „        git 
Co  '1  raggio  de  V  aprii  nuovo  che  inonda     ...       .         664 

Come  basti  virtù,  perché  suprema „  97 

Come  bella,  o  argentea  Croce, „        228 

Come,  quando  su'  campi  arsi  la  pia „        553 

Come  tra  '1  gelo  antico „         269 

Conca  in  vivo   smeraldo    tra   foschi   passaggi    di- 
schiusa   „        861 

Corri,  tra'  rosei  fuochi  del  vespero, „        827 

Corron  tra  '1  Celio  fosche  e  V  Aventino    ,    .    .     .      „        795 


INDICE  DEI  CAPOVERSI 


1065 


Credo  —  dìceasi;  e,  come  fiere  in  lustre. 
Cuore,  a  che  uccelli  ne'  miei  versi,  come. 

Cupi  a  notte  canti  suonano 

Cupo  e  solo,  nel  bosco,  a  la  capanna  .    . 


Pag. 


D, 


a  i  gradi  alti  del  circo  ammantellati 
Da  i  monti  sorridenti  nel  sole  mattutino 

Da  i  verdi  umidi  margini 

Da  la  foce  de  TAmo  e  de  le  spente   . 
Da  le  ree  Tuglieri  di  Caterina.    .     .    . 
Da  le  tombe  del  pian  che  aprile  infiora 
Da  le  vette  de  TEtna  fumanti.     .     .    . 
Dal  Libano  trema  e  rosseggia  .... 

Da  r  oriente  palpita 

Dante  il  mover  gli  die  del  cherubino   . 

Dante,  il  vicin  mio  grande,  allor  che  errava 

Dante,  onde  avvien  che  i  vóti  e  la  favella 

Da  quel  verde,  mestamente  pertinace  tra  le  foglie 

Date  al  vento  le  chiome,  isfavillanti 

Deh  balii  de  la  lingua,  affeddiddio    . 

Deh,  chi  mi  torna  a  voi,  cime  tirrene 

Deh  come  grige  pesano  le  brume     . 

De  la  prona  stagion  ne  i  di  più  tardi 

De  la  quadriga  eterea 

Dicea  Furio  —  Facciam  largo  a  i  Camilli 
Di  Maro  il  fiume  e  '1  verde  pian,  che  tanta 
Dimmi,  triangoluzzo  mio  squadrato  . 
Di  sereno  adamantino  su  '1  vasto 
Disse,  e  movea.  Come  ne'  turbin  torti 
Divinatrice  d'  altre  genti  indaghe .     . 
Dolce  paese,  onde  portai  conforme  . 
Dormi,  avvolto  nel  tuo  mantel  di  gloria 
Due  nemici  ebbe,  e  1'  uno  e  V  altro  vinse. 
Due  voglie,  anzi  due  furie,  entro  il  cor  mio 


n 
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575 
513 
748 

762 


490 
716 

589 

975 

737 

422 
244 
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989 

50 
466 
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167 

591 
361 

128 

577 
462 

574 
87 


£ 


Stipqudfl*  EnKOfMi  iMltaafvìlidieBlÌDoaia')  ^  ji'mmo^'Bm^^bmi 
9ipqueMpr«8eiite.iiiinet4MiQ0r^YÌi|IÌ(ft  *:fMi  iJlep:i«i  arH  f  «'^iiagg 
S^rDiuxii  marcìwte,  •Hot-  che  de  tanvilKfe  ilfifiP  i^iiof  r.  n^ 

'X3jI]««  ^  s€de  striBan  le  dealer      .  » 

1^,  e  tra  i  pel<M  o»ie  roHjfarch^^,^^;^,^  jj^^^  ^^ 
|;pjo  il  ridotto.  Ancor  npf^^  i;p;i)^  ofnATfsft  »3«yl  «1^ 
1^:  la  v<tfde  Sinnio  nel  lucU^j^i|;|^jS5|yr|4j||^^^  ^^  ^^j%| 

l^pfe-io^  perule  lo  ^c^mti  ^|f  SW^^IA  tèrmi  .!  W 
f|u#»  K»I»Pe  tfAmpdo  a  ra^^f^^,,V^^3PI  i^^i^f^,  ^i^ 
l^#«no  è  ben,  però  diTm  te  p^tgr^vétoi  -^  %m^t  oitàiU  \^ 
%!*»>  i  «dvagfi  Urati  a  1^  .    .    ^,j^,^  9iif#i(»n^ 

|g^  chiamata  da,.l^..^^!PI|^, $e^  .^ijr.Ti^'  oJm-flnrr  M  ,,li#3 

IHIn  ove  incurva  ì1,ì?ìié^  pi4raltO:lfai«o.f.,.^.,;,^f  .r  -,  ,36» 

£  molti  e  armati  e  di  ferocia  immani „  214 

È  notte^  e  il  nembo  urla  più  sempre  e  il  vento   .  „  761 

Era  il  giugno  maturo,  era  un  bel  giorno .     .    .     .  ,  657 

Era  un  giorno  di  festa  e  luglio  ardea „  674 

Ero  r  amata  muore,  nei  flutti  cercando  la  mort  :  e  „  937 

E  sempre  a  te  co  1  sole  e  la  feconda „  549 

E  tu  pendevi  tralcio  da  i  retici „  852 

£  tu  pur  di  viltà  scuola  e  d'inganni ,  235 

E  tu  pur  riedi,  amore;  e  tu  T irosa „  23 

E  tu,  se  d*  echeggianti .  ,  346 

E  tu,  venuto  sl*  belli  anni  rìdenti ,  28 

E  verde  e  fosca  Talpe  e  limpido  e  fresco  è  il  mattino  „  1002 

Evoe,  Lieo:  tu  gli  animi „  230 

E  voi,  se  fia  che  l'imminente  possa „  30 


ama  è  che  allor  Prometeo,  fuggendo.     ...       „         no 
Fedel  sino  a  l'avello ,       „         744 


INDICE  DEI  CAPOVERSI 


1067 


—  Fermi,  fermi,  cavalieri Pag.  750 

Ferrara,  su  le  strade  che  Ercole  primo  lanciava  .  «  993 

Fior  tricolore „  1007 

Forse  avverrà,  se  destro  il  fato  assente  ....  „  11 

Forti  sembianze  di  novella  vita „  119 

Fortuna  e  vita  girano  il  lor  vario „  986 

Frate  Francesco,  quanto  d*  aere  abbraccia    ...  „  558 

Fra  terra  e  ciel  su  TAventin  famoso „  327 

Fuggendo „  107 

Fuggono,  ahi  fuggon  rapidi „  340 

Fu  tempo,  ed  in  VersagUa  un  proclamava    ...  „  468 


G, 


elido  il  vento  pe'  lunghi  e  candidi 
Gemono  i  rivi  e  mormorano  i  venti.     . 

Già  levata  ne  gli  spaldi 

Gino,  che  fai  sotto  i  felsinei  portici?   . 
Giove  ha  Cesare  in  cura.  Ei  dal  delitto 
Gli  amici  a  cui  dissi  d'amor  parole 
Gli  attese  al  passo;  poi  di  nubi  avvolta 


n 

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647 

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410 

593 
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T 

JL  cipressi  che  a  Bòlgheri  alti  e  schietti ....  „  67^  4 

I  fratelli  a  i  fratelli  e  i  padri  a  i  figli „  234 

II  dittatore,  solo,  a  la  lugubre „  844 

11  poeta,  o  vulgo  sciocco „  773 

Il  soldan  de  gli  accenti  a  solatio „  185 

Il  sole  tardo  ne  V  invernale „  630 

Il  Turco  miete.  Eran  le  teste  armene „  1009 

In  Brusselle,  a  V  ostel,  sola  soletta „  713 

Innanzi,  innanzi.  Per  le  foscheggianti „  555 

Io  di  poveri  fior  ghirlanda  sono „  253 

Io  d' Italia  dal  cuor  tra  impeti  d' inni  balzai     .     .  „  821 

Io  1  vidi.  Su  r  avello  iscoverchiato „  359 


rOOB  IHSiGEDEI  GKPGrenn 


tOi;iioii  16!  di»n  a.  voi,  vìgìfi.  stelle    .ji-^l-wt.*  .i.!«  .ìBag.  éa^  1^ 

Im^mm,  Dafii^  la^tnsi  grecai séreBM  .^<  >•>  ibii;!'-.  >?.  "''^;  k.:I^  || 

ì^btim,  U.grcgge  de'tudi  re,  .stcaiiien>  «   «   ^    .    «.^  -o^  -    «9  |i 

I  tinmiii  cui  Nemesi  ditrettei.   .  nt  !;. o^>ji»  .k^..iU   >  /j^s   ^3bi  |i 

(t>r! ri-/   r!'-^'/!  -i  'b  :ji,<!/ijdìn.j*t  ;.;* 

fìHo  .  ......  ■!      .  '     "lOf     il       '"^fìTUri     h?i/     ••    li'"-" 


"/alage^  10  so  qua!  sogno  ti  90ixe  qal  cuòre 
profondo ,   .    .    .      ^       gl'I 

L  albero  a  cui  tendevi ^    .      ,       S9S 

j.t.;' ....      ;.•'(.!.-   >it>yi-tii  triti  ^*Hl:■•^;^Èi'' 

1  luminosa  testa ...;...      ,       tai^ 

L  nebbia  a  gr  irti  colli «       604 

l4i  stagion  lieta  e  l'abito  gentile g       601 

L'avvoltoio,  o  frateHoy  il  cuor  mi  lama   ....      «       tt 

lacerto  l'alba  che  affirtitta;  roseiÉ  : .    l'jq  vUuìvAl  t^>i'>^ci6 

Inetta  fiocca  la  neve  pe  1  ;cielo  dnsn»!:  ^nd»  ivii.  (i^^ìì.ì^ss 

Jbe^^stelle  die  viaggiano  su  1  mare  «   iklii^p.H^^  'hi  g^^^-H  ésa 

Lieta  le. tende,. e -stimola^.' «-!."^.  •:  fc>ni>«v  i.  f>iifv  i^'t  ':^f     ,C'fl87 

Lieto  su  i  colli  di  Borg^ogna  splende „        725 

Lievi  e  bianche  a  la  plaga  occidentale     ....       „        564 

Lina,  brumaio  torbido  inclina „        638 

L*  olmo  e  la  verde  sposa „  67 

U  un  dopo  r  altro  i  messi  di  sventura „         728 

Lungi,  lungi,  su  V  ali  del  canto „         602 


M, 


a  ci  fu  dunque  un  giorno „  599 

Maggio,  idillio  di  Dante  e  Beatrice,, „  660 

Maggio  risveglia  i  nidi „  610 

Manda  a  Cuosa  in  vai  di  Serchio „  704 

Ma  non  cosi,  quando  superbo  apriva „  405 

Ma  non  sotto  la  stridula  . „  990 

Marciate,  o  de  la  patria  incliti  figli „  736 

Me  da  la  turba,  che  d'  ossequio  avaro „  283 

Ménte  chi  dice  eh'  ove  il  core  avvampa   ....  „  420 


INDICE  DEI  CAPOVERSI 


1069 


Messer  Francesco,  a  voi  per  pace  io  v^no 

Mi  levai  per  San  Giovanni 

Mio^adre  era  un  balordo  astemio  Cesare 
Molosso  ringhia,  o  antichi  versi  italici,  . 
Molto  mi  meravigUo,  o  messer  Gante,  .    . 


Pag.  561 
759 

764 
850 

484 


N, 


arra  la  fama,  e  ancor  n'  ha  orrore  il  popolo 
Narran  le  istorie  e  cantano  i  poeti. 
Nascesti  dentro  d'  un  secchion  da  latte, 
Ne  la  stagion  che  il  ciel  co'  le  feconde 
Ne  r  aula  immensa  di  Lussor,  su  '1  capo 
Nel  bel  mese  di  maggio   ...... 

Nel  gran  cerchio  de  Talpi,  su  '1  granito 
Nel  solitario  verno  de  T  anima.     .     .     . 

Né  mai  levò  si  neri  occhi  lucenti.  .  . 
Né  vi  riveggo  mai,  toscani  colli  ,  .  . 
Nitido  il  cielo  come  in  adamante.  .  . 
No,  forme  non  eran  d'aer  colorato  né  piante 

No,  le  luci  non  ha  di  Maddalena 

Non  carmi,  non  ghirlande,  e  non  concento  . 
Non  han  ne  gli  sbarrati  occhi  una  lacrima. 
Non  io  pe  'ì  verso  onde  sentia  lo  stuolo .  . 
Non  mai  da  '1  cielo  eh'  io  spirai  pargolo  .  . 
Non  mai  seren  di  più  tranquilla  notte  .  .  . 
No,  non  morranno,  in  fin  che  tempra  umana 
No,  non  son  morto.  Dietro  me  cadavere  .  . 
Non  perché  da*  Sabaudi  a  la  marina  .  .  . 
Non  più  di  frodi  la  codarda  rabbia  .... 

Non  più  riso  d'iddei  la  nebulosa 

Non  sempre  aquario  verna,  né  assidue  .  . 
Non  son,  barbaro,  qui  le  inermi  genti  .  .  . 
Non  son  queir  io  che  già  d'  amiche  cene .  . 
Non  sotto  ferrea  punta  che  strida  solcando  maligna 


» 

935 

H 

568 

H 

165 

n 

300 

n 

810 

n 

607 

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1001 

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893 

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24 

n 

281 

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453 

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213 

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767 

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89 

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888 

n 

682 

11 

90 

n 

389 

n 

201 

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221 

n 

547 

n 

77 

n 

2l6 

n 

33 

n 

871 

f0W  mmxsB  mm  mspovmm 


Nén  vif^à' io,  no.  Dtcm  quiete  «tancn  <u    r-  .i'^^^^'^rPàG;  k» 
How  Vanni  Fucd  in  focda  a. Dio  nilMva  ì^KnH^f  .<  >-i»  >~  -  ^it 

|òf  ^.        ...     •.-?;;-  .  »  ..;<■.■.    : -t    -u ■•!»■*? nrl  nu  f.i  ^   ""M..'  ■  V 

Ce}'-         -       u:*'     ■•'••  •   hi'tin;?  o  ,«»rt:*ìrfn  «i---.;!:- <.. 

'.  .  ■':   >  ■'      .' •  M"  '    .  j'iui  ffii3{fi  km  >>:    ■' 

albergo  di  tiranni,  o  prìgion  fella    ....      ,       336 

O  arcadi  e  romantici  fratelli ,      «       171 

O  arcadi  o  romantici  fratelli ^     Tif3 

0'iara  al  pérói'tì'  inio  tejrra  gentile,  'j  '  .'  f«l -'  .*  *  5'  '-  '  3Ì 
Oche  tra  faggi  e  abeti  erma  su  i  éàwtpii  >.  >«7>i«^  j  '^  '«^ 
Ode»  cognati  e  de  i  dìépérsl  mitì  '  :  .  1*  .''  V  M-  ■'',^'  É35 
O  de  l'italo  agon  suprétttò  Atleia  .  ^  ^  /^  ?'*  :  f^P'^W^^-  pa 
O  desiata  venie  solittXiSne  .  .  \  .  .  'k  *.^' ;???»«'  bUì..  Ig.^ 
€tìo  l'usata  poesia:  concede  .  .  .  ^-;'*f':  f;>  -^.^^^'f",  ^ 'i  ^ 
Oggimai  che  ritornati  .  .  .  .  .  ■  .  ./>.€'/-^r  j^.->y  ^ 
€ini  anno  allor  che  lugubre  .  .  .  .  .  ".  " .  .'^^  *«^' '*  \4^ 
O  grandi,  o  nati  a  le  stagiori  Mtì  .  .  '  .  ^r^  J"-  /■''  i  ''^'"'  ^ 
Oh  bella  a'  suoi  be'  di  Rocca  Paolina  .  '.  .  .  '  .  „  495 
Oh  caro  a  quelli  che  escon  da  le  bianche  e  tacite  case  „  823 
Oh  non  mai  re  di  Francia  al  suo  levare  ....       „        733 

Oh  quei  fanali  come  s*  inseguono „        877 

Oh  t*  avessi  a  le  fresche  ombre  de'  platani   ...       „       1055 

Oltre  la  siepe,  o  antico  paziente, „        570 

O  Miramare,  a  le  tue  bianche  torri „         854 

O  monna  tu,  ch'io  non  so  qual  tu  sia „         178 

O  nata  quando  su  la  mia  povera „         914 

Onde  venisti?  Quali  a  noi  secoU.     ......       „         858 

O  ne*  giorni  tuoi  mesti  e  lagrimanti „        572 

O  nova  angela  mia  senz'  ala  a  fianco „  17 

O  piccola  Maria, „        943 

Ora  — :  e  la  mano  il  giovine  nizzardo „        576 

Or  eh*  a  i  silenzi  di  cerulea  sera „        567 

Or  che  le  nevi  premono,      .    .    / „        921 

Or  che  soave  è  il  cielo  e  i  di  son  belli    ....       „         583 
Or  che  un  agii  di  vite  innovatore „        ago 


INDICE  DEI  CAPOVERSI 


1071 


Or  sono  i  di  che  zefiro    .    .    .   • Pag.  70 

O  scrutator  del  sotterraneo  mondo, „  397 

O  se  tu  genio  presente „  1051 

O  Severino,  de'  tuoi  canti  il  nido, „  685 

O  Terenzio  de  l'Adria,  al  cui  pennello    .    ,    .    .  „  91 

O  tra  i  placidi  olivi,  tra  i  cedri  e  le  palme  sedente  „  950 

O  tu  che  dormi  là  su  la  fiorita „  554 

Ove  sei,  che  di  Delfo  in  van  ti  chieggo  ....  „  156 

Ove  sei  ?  de*  sereni  occhi  ridenti „  566 

O  Villagloria,  da  Cremerà,  quando „  433 

p 

A.     assa  la  nave  mia  con  vele  nere, „  606 

Passa  la  nave  mia,  sola,  tra  il  pianto „  85 

Perché  sdegno  di  fati  .     * „  135 

Peregrino  del  ciel,  garrulo  a  volo „  13 

Pe*  verdi  colli,  da*  cieli  splendidi, „  901 

Pietro  Fanfani  sta  ne  le  postille „  183 

Poi  che  1*  itale  sorti  e  la  vergogna „  ioa 

Poi  che  mal  questa  sonnacchiosa  etade    .     .     .     .  „  88 

Poi  che  un  sereno  vapor  d*  ambrosia „  785 

Profonda,  solitaria,  immensa  notte;       „  18 

Pur  da  queste  serene  erme  pendici „  391 

Pur  ne  1*  ombra  de*  tuoi  lati  velami „  550 

Vy^ual  da  gli  aridi  scogli  erma  su  *1  mare    .    .  „  475 

Qual  da  la  madre  battuto  pargolo „  892 

Quale  una  incinta,  su  cui  scende  languida    ...  „  899 

Quali,  quali,  al  tuonar  de*  feri  accenti „  213 

Qual  sovra  la  profonda „  41 

Qual  tra  le  ingiurie  di  Fortuna  e  i  danni     .    .    .  „  96 

Qual  voce  da  i  fatali „  338 

Quando  a  i  piaceri  in  mezzo  od  a  i  tormenti  .    .  „  478 


I 


10^  tVOHGB  OSI  CAPaVBRSI 


«it>wmian<i^<>iHMH««WMVM»Mf 


Quando^.li  le  nostre. case. la .xfiva. seve» fitticafeée^:.  Pàm^M» 
Quando  ..cadono  le  fogUe^^quandoi.^nigraaor'^'h'ìtrJtrna  () 

irOTaUgèlli    ......-.-.     •iJJ.Iì^^iq.  0».?.»J|»tJ.i*   j^ 

gelando..—  Egli  è  morto  —,'diaselto^-.,'»  j..f<t  *dfi«/.fT#?r/-M|^ 
Qaando  .fuor  de  la  pnnita.  anima  sdussa.  ylìA'l*.A^  '^iMr-it^Isgi 
Qaando.il  trnndo  sf^eìnloré  de  la-ltmat.  /ifo.^h^uìfK^  ;  c-M|) 
Quando  .la  Donna  Sabauda  il  fulgido  .^  .  ni  Ur*  i>  -mh  til^ 
Quando  l'aspro  fratel  di  CiAegira  /.  <•.  i\  M  ;h  ^rf  .a,ÌM;>  «501 
Quando  ^mirava  Omero  le  fulgide  *'d«rdani(ea«fd>!>  ^h^.  9^ 
Qipndo  ..parto  da  voi,  dolce '  sigaiora  .  >.  ) .  r.  ;  »  ,  .^  -^  !#:  i^Uf  VM 
Quando  porge  la  man  Cesare  a  Piero,     ....      ,        40k 

Quando  ritto  il  doge  antico «       41» 

Quando  su  l' dei  nere :      »       T0k 

Quattro  al  dio  Giiuio,  o  dio  Trionfo,  infrena,  .    .      ,     '  4ZI 

Qudla  cura  che  ogn  or  dentro  mi  piagne    .    .    .      j,         jé^ 

Questa  che  a  voi,  donna  gentil,  ne  viene 

Questa  è  l'altera  giovinetta  bella 

Questo  la  inconscia  zagaglia  barbara   .    .     ...       „         841 

Qui  dove  arride  i  fortunati  clivi „  73 

Qui,  dove  irato  a  gli  anni  tuoi  novelli „  32 


iene     .  ..    ..     ,        jfe 


K 


aggia  di  luce  un  riso „  364 

Re  Sifrido  tien  corte  —  Arpeggiatori,      ....  „  746 

Ricordo.  Fulvo  il  sole  tra  i  rossi  vapori  e  le  nubi  „  882 

Roma,  ne  V  aer  tuo  lancio  1'  anima  altera  volante  :  „  808 

Rompendo  il  sole  tra  i  nuvoli  bianchi  a  1*  azzurro  „  898 

Rompeste  voi  *1  Tevere  a  nuoto,  Clelia,  come.     .  „  890 

Q 

W^abato  sera  in  fin  di  settimana „  757 

Sai  tu  r  isola  bella,  a  le  cui  rive „  641 

Sbarrate  la  soglia,  chiudete  ogni  varco     ....  „  395 

Scuotesti,  vergin  divina,  Y  auspice „  798 

Se  affetto  altro  mortai  per  te  si  cura „  loi 


F 


INDICE    DEI   CAPOVERSI 


Se  Dio  ti  guardi  sino  a  bermia Pag.     iga 

Se  già  sotto  r  ale ,.«6 

aei  grande.  Eterno  co  .'I  aule  l' iri ije,, ,.,„,,  ,.„  i^^^  L.rbi,  ^fi 
Se,  porto    de'pensier    torbidi  e  f6schf„..^..,,  ^^.....,^.„.  ìH^ 

Se  sant'Antonio  vi  inuntenga sano »6i) 

Se  te  già  tolsi  con  incerta  mano 35 

Si  come  lìocchi  dì  fumo  candido  ....,,,.        „        g]\ 

Si.  crudelmeote  fero  è  quel  flagello „  15 

Siede  novembre  su  le  vi#  festanti „        557 

S' indraga  Messcrin  contro  i  pedaliti 187 

Sol  di  Settembre,  tu  uel  cielo  stai    " 45b 

Solenni  in  vetta  a  Monte  Mario, stanne  ,.r,...,,^  .  ,  r,„,  993 
Son  de  la  terra  faticosa  i  figli.  .  ,.  ,  ^.^^  ^^^^  (j  ,„„  iffi 
Sorgono  e  in  agili  file  dilungani?.  „^  .n.j.iort  ih  '■ll^li^'M  S*S 
Sparsa  la  faccia  bianca    ,.-...,,.,..,..        390 

Spezzato  il  pugno  die  vibrò  rau4ace „       1003 

Spirto  genti),  che  chiedi?  Ornai  l'altero :o4 

Sta  Federico  imperatore  in  Como ,        ,       1039 

Stanno  nel  grjgiq  verfio  pur  d' edru  e  di  lauro 

vestite ,        895 

Svbito  scosso  de  le  membra  sue 1007 

Su  i  campi  di  Marengo  batte  la  l^in^;  fosco.  .  .  ,  7or 
Su  i  colli  de  le  Argoune  alza  il  niattino .     ..   -     .        ,        735 

Su  la  parvola  tua  fiera  persona ,.        „    „    57' 

Su  l'arce  onde  mirò  Fiesole  al  baBSp;.  ...,:.  .,  ^i,,  .,  ...  ,  ,556 
Su  1  castello  dì  Verona  .  .  .  .  .,  \,  oniyjiva'f  uwn  .fiti 
Su  'I  cavai  de  la  Morte  Ajnor  cavilloso,. ,1  >b  ,«  .litui,  fitl 

Su  le  cime  de  la  Tenca „,,(,»    r,^u   -.   t.,-  ,9f6 

Su  le  dentate  scintillanti  vette gSi 

Su  r  ostel  di  città  stendardo  nero 730 


-  Superbo  e  luì  non  tocca.    . 
Wgejiel  chiaro  inverno  la  fósc. 


I074  INDICE   DEI   CAPOVERSI 

X  al  fui  qual  fVciDO  in  questa  imagin  viva     .     .  Pau.  578 

Tal  mormoravi  possente  e  rapido »  839 

T*  amo,  o  pio  bove  ;  e  mite  un  sentimento  ...  »  55» 

Te,  certo,  te,  quando  la  veglia  bruna ,^671 

Te  che  solinghe  balze  -e  mesti  piani     .     .     .     ;     .  „  551 

Te,  fratel,  piango,  e  piango  de  la  bruna  ....  „  143 

Te  gridi  vii  quei  che~piegò  la  scema  .....  „  29 

Te  là  di  Roma  su  i  fumanti  spaldi „  215 

Tempo  verrà  che  questa  madre  antica     ....  „  95 

Te  non  il  canto  che  di  tenue  vena '    „  81 

Te  non  il  sacro  verso  e  non  la  resa    ....'.  „  94 

Te  redimito  di  fior  purpurei „  792 

Timor,  pudore,  o  de  1'  avito  orgoglio „  337 

Tirreno,  anche  il  mio  petto  è  un  mar  profondo  .  „  569 

Togliete,  umana  gente; .  „  140 

Torpido  fra  la  nebbia  ed  increscioso „  412 

Tra  le   battaglie,  Omero,  nel  carme  tuo  sempre 

sonanti „  909 

Tra  le  morti  e  l'alte „  112 

Tra  le  nubi  ecco  il  turchino „  597 

Tre  fra  i  ricordi  e  le  speranze  e  il  pianto    ...  „  243 

Trionfa  il  sole,  e  inonda ,  619 

Tu  cui  reina  il  cieco  Èrebo  tiene „  60 

Tu,  mesta  peregrina,  il  dolce  nido „  14 

Tu  parli  ;  e,  de  la  voce  a  la  molle  aura  .     .    -     .  „  873 

Tu  sali  e  baci,  o  dea,  co  '1  roseo  fiato  le  nubi    .  „  787 


T  T. 

\^_J  dite,  udite  il  molto  reverendo „ 

Udite,  udite,  o  cittadini.  Ieri „ 

Ugo  il  poeta,  allor  che  Italia  in  forse „ 

Una  bieca  druidica  visione . 


189 
729 
427 

731 


INDICE   DF,I    CAPOVERSI 


Una  pallida  faccia'e 
Urlate,  saUale,  men, 


-      V  aghe  le  n 
Va,  rea  v 
Viva,  o  p 
Voce  di  E 

^jilte,  7ittel  Che  e  questo   frasluono 


aghe  le  nostre  donne  e  i  giovine 
Va,  rea  vecchia,  con  questi  carrezievoli  . 
Viva,  o  prode  corsiero!  A  le  ta  palma     , 


( 


FINITO    DI    STAMFA.PB 
L   Di   S<W    GBhNnlO    MC«V, 
KElA    riPdGBAF.A    DeU*  WTTA    N1CO..A 


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