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VcSi S-^oi.o. c^<^
Oift of
John Allan ChllòL
l^<aC HARVARD COLLEGE LIBRARY"
f;^^
POESIE.
v
lOSUE CARDUCCI
MDCCCL-MCM
QUARTA EDIZIONE
E QUATTRO FAC-S
BOLOGNA
DITTA NICOLA ZANICHELLI
1905
mtsJL^ù^'LO' 2.2-
•-V^
HARVARD COLLEGE LIBRARY
FROM THE LIBRARY OF
JOHN AU AN CHILO
AUGuST 14, a930
INDICE DELLE POESIE
JUVENILIA
Prologo . Pag. 3
A G. C „ II
LIBRO I
Peregrino del del, garrulo a volo „ 13
Tu, fftesta peregrina, il dolce nido „ 14
Si crudelmente fero e quel flagello „ 15
Questa e l* altera giovinetta bella „ 16
O nova angela mia sena' ala a fianco, „ 17
Profonda, solitaria, immensa notte; „ 18
Candidi soli e riso di tramonti, „ 19
Bella e la donna mia se volge i neri „ 20
A questi di prima io la vidi. Uscia „ ai
Quella cura che ogn* or dentro mi piagne .... „ aa
E tu pur riedi, amore; e tu l* irosa „ 33
Né mai levò si neri occhi lucenti „ 24
Deh, chi mi toma a voi, cime tirrene „ 25
E degno e ben, però eh* a te potei, „ 26
Cara benda che in van mi contendesti ..... „ 27
E tu, venuto a* belli anni ridenti „ 28
Te gridi vii quei che piegò la scema „ 29
E voi, se fia che l* imminente possa » 30
O cara al pensier mio terra gentile „ 31
Qui, dove irato a gli anni tuoi novelli ..... » 3a
Non son quell* io che già d* amiche cene » 33
IV INDICE DELLE POESIE
LIBRO II
Invocazione Pag. 35
AO. T. T „ 37
Canto di primavera „ 41
A Febo Apolline „ 50
A Diana Trivia „ 60
Brindisi „ 63
Vóto „ 66
A Neera „ 67
Primavera cinese „ 70
Alla beata Diana Giuntini „ 73
A Giulio „ 77
Alla Libertà „ 81
LIBRO III
Passa la nave mia, sola, tra il pianto - . . . . „ 85
Che ti giovò su le fallaci carte . „ 86
A F. T ; „ 87
Poi che mal questa sonnacchiosa etade „ 88
Giuseppe Parini „ 89
Pietro Metastasio „ 90
Carlo Goldoni „ 91
Vittorio Alfieri „ 92
Vincenzo Monti „ 93
Ancora Vincenzo Monti „ 94
Giovan Battista Niccolini „ 95
Ad Antonio Gussalli „ 96
A Terenzio Mamiani . „ 97
In Santa Croce „ 98
A un cavallo „ 99
Non vivo io, no. Dura qu'iete stanca „ 100
Per i funerali d' un giovane „ loi
Poi che Vitale sorti e la vergogna „ 102
E eh* io, perché lo schernir tuo nt* incalsa, ... „ 103
In un albo „ 104
A N. F. P. 105
INDICE DELLE POESIE
LIBRO IV
La selva primitiva Pag. 107
Prometeo ;, no
Omero „ 112
Dante „ 119
Beatrice „ 125
Àgr Italiani „ 128
A Enrico Paz2i . „^ 135
Lauda spirituale „ 140
Alla memoria di D. C „ 143
A G. B. Niccolini „ 150
Maggio e Novembre „ 156
I vóti „ 160
LIBRO V
A un poeta di montagna . „ 165
A un geometra „ 167
A un filosofo „ 169
Ai poeti , 171
Ancora ai poeti „ 173
A scusa d' un francesismo scappato nel precedente
sonetto „ 176
Alla Musa odiemissima . „ 178
Pietro Fanfani e le postille „ 183
Il Burchiello ai linguaioli „ 185
A Messerino „ 187
Sur un canonico che lesse un discorso di peda-
gogia „ 189
A Bambolone „ 192
Al beato Giovanni della Pace „ 195
LIBRO VI
A Vittorio Emanuele „ 201
In Santa Croce. „ 212
VI INDICE DELLE POESIE
Anche in Santa Croce Pag. 215
Gli Austriaci in Piemonte „ 214
A Giuseppe Garibaldi „ 215
Montebello „ 216
Palestro „ 217
Magenta „ 218
Modena e Bologna „ 219
San Martino „ 220
Per le stragi dì Perugia „ 221
Alla Croce di Savoia „ 222
Variante cantata della Croce di Savoia, . • . . „ 228
Brìndisi „ 230
La scomunica „ 234
Voce dei Preti „ 235
Voce di Dio „ 236
Il plebiscito „ 237
In Santa Croce „ 243
Sicilia e la rivoluzione „ 244
Licenza „ 251
Note. , , „ 255
LEVIA GRAVIA
Congedo „ 269
LIBRO I
In un albo « 277
Per nozze B. e T „ 279
Per vai d' Amo „ 281
F. Petrarca „ 282
In morte di Pietro Thouar „ 283
Alla Louisa Grace BartoUni „ 287
Per raccolta in morte di ricca e bella signora . . „ 292
Per nozze in primavera „ 296
Per le nozze di un geologo » 297
INDICE DELLE POESIE VII
L'antica poesia toscana Pag. 298
Scienza amore e forza „ 299
Le nozze „ 300
^oeti di parte bianca ;, 309
ARE „ 333
LIBRO U
Per la proclamazione del regno d'Italia ....
In morte di G. B. Niccolini
Nei primi giorni del MDCCCLXI
Per la spedizione del Messico
Anche per la stessa
Roma o morte
Dopo Aspromonte
Carnevale
Per la rivoluzione di Grecia
Brindisi
Nel sesto centenario di Dante
Curtatone e Montanara
Roma
Per il traspprto delle reliquie di Ugo Foscolo in
Santa Croce : . . . .
Note
A SATANA ^
A Satana , 377
GIAMBI ED EPODI
«
Prologo „ 389
LIBRO I
^ Agli amici della valle Tiberina „ 391
Mttnimsse horret „ ',39®
H
323
n
327
H
330
n
336
»
as7
»
338
it
340
n
346
n
353
n
355
n
359
n
362
n
363
»
364
n
369
vili INDICE DELLE POESIE
I
Per Eduardo Corazzini Pag. 397
Nel vigesimo anniv. dell* vm agosto mdcccxlviu . , 405
Il cesarismo „ 410
>|f Per Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti .... „ 412
Heu pudori „ 490
Le nozze del mare „ 423
Via Ugo Bassi „ 426
Onomastico „ 427
La Consulta araldica „ 428
Nostri santi e nostri morti „ 431
In morte di Giovanni Cairoli „ 433
Per le nozze di Cesare Parenzo „ 439
RIPRESA
X Avanti ! Avanti ! „- 445
LIBRO II
A certi censori „ 453
Per il Lxxvii anniversario della proclamazione della
Repubblica francese „ 458
Per Vincenzo Caldesi „ 462
Feste ed oblii „ 464 -]
Io triumphe „ 466
Versaglia „ 468
Canto dell* Italia che va in Campidoglio .... „ 471 ^
/Giuseppe Mazzini „ 475 ^
Alla morte di Giuseppe Mazzini „ 47^':
A un heiniano d* Italia „ 478 i
/Per il quinto anniversario della battaglia di Men-
tana
A Messer Gante Gabrielli da Gubbio
La sacra di Enrico Quinto
A proposito del processo Padda
^11 canto dell* Amore „
Note «
n
n
n
n
INDICA DELLE POESIE
Visione . . . Pag.
Mito e verità
In riva al mare
À un asino . .
Ad una bambina .........*...
À madamigella Maria L
Momento epico
Martino Lutero . . ' '
La stampa e la riforma
^ Ora e sempre '. . .
A Traversando la maremma toscana
Dietro un ritratto
»
II
0
»
II
n
n
II
»
n
n
III.
Mattino alpestre „ 581
Rosa e fanciulla . . . .> „ 583
Brindisi d'aprile - . . . . „ 585
Primavera classica „ 589
Autunno romantico „ 591
In maggio „ 593
/ Pianto antico „ 595
Nostalgia „ 597 .
yC Tedio invernale „ 599 •
Vignetta „ 601
Lungi, lungi „ 6os
/' Panteismo „ 604
Passa la nave mia „ 606
Anacreontica romantica „ 607
Maggiolata „ 610
Serenata . „ 6ia
7- Mattinata „ 614
Dipartita „ 616
Disperata „ 617
Ballata dolorosa „ 618
Davanti una cattedrale „ 619
Brindisi funebre „ 6ai
K San Martino „ 624
INDICE DELLE POESIE X!
In Carnia Pag. 636
/Visione „ 630
Note ^ 631
IV.
Ad Alessandro d' Ancona „ ^35
Primavere elleniche (i. Eolia) „ ^38
Jl Primavere elleniche (n. Dorica) „ 641
Primavere elleniche (m. Alessandrina) « 647
Una rama d' alloro „ 650
Note „ 653
V.
f Rimembranze di scuola „ 657
Idillio di maggio . . - „ 660
j| Idillio maremmano » 664
JrQassicismo e romanticismo „ 668
Vendette della luna „ 671
XEra un giorno di festa, e luglio ardea „ 674
^Davanti San Guido „ 676
Notte di maggio „ 682
All'autore del Mago „ 685
Note „ 687
VI.
I due titani „ 691
La leggenda di Teodorico „ 694
H comune rustico „ 699
Su i campi di Marengo „ 701
Faida di comune „ 704
IHnna nanna di Carlo V „ 713
A Vittore Hugo „ 716
Note „ 719
n
XII INDICE DELLE POESIE
VII.
?A IRA
Lieto 3u i colli di Borgogna splende Pa
Son de la terra faticosa i figli 4
Da le ree Tuglieri di Caterina
L'un dopo l' altro i messi di sventura
Udite, udite, o cittadini. Ieri
Su l' ostel di città stendardo nero „
Una bieca druidica visione „
Gemono i rivi e mormorano i venti „
Oh non mai re di Francia al suo levare .... „
Al calpestio de' barbari cavalli
Su i colli de le Argonne alza il mattino ....
Marciate, o de la patria incliti figli
Note
vili.
I :
I La figlia del re degli Elfi
\ '^ Il re di Tuie
! I tre canti. . . * . .
»
w
w
La tomba nel Busento
Il passo di Roncisvalle
Ì\ Gherardo e Gaietta
j La lavandaia di San Giovanni
[ i II pellegrino davanti a Sant Just
il Carlo I „
} • L'imperatore della Cina „
! I tessitori „
1 . Note „
i
IX.
Y
Congedo
INDICE DELLE POESIE XIII
ODI BARBARE
)io Pag. 779
DELLE ODI BARBARE LIBRO I
785
rora „ 787
inuale della fondazione di Roma „ 793
i alle terme di Caracalla ^ 795
ittoria „ 798
nti del Clitumno (con fac-simile) .... „ 801
n 808
idrìa „ 810
chiesa gotica „ 815
liazza di San Petronio „ 819
' torri „ 831
illa Certosa di Bologna „ 823
dda „ 827
senzano „ 831
le » 835
i il Castel vecchio di Verona „ 839
morte di Napoleone Eugenio „ 841
eppe Garibaldi -....• „ 844
di Quarto „ . 847
italico „ 850
bottiglia di Valtellina del 1848 „ 852
r „ 854
^na d'Italia (con fac-simile) „ 858
lyeur „ 861
e la lira „ 863
„ 867
DELLE ODI BARBARE LIBRO II
^ » 871
a „ 873
XIV INDICE DELLE POESIE
Ruit hora Pag.
Alla stazione in ima mattina d'autimno .... ^
Mors ( nell'epidemia difterica) „
Una sera di San Pietro „
Pe *1 Chiarone da Civitavecchia „
Alla mensa dell'amico i.
Ragioni metriche „
Figurine vecchie „
Sole d'inverno „
Egle „
Primo vere „
Vere novo „
Canto di Marzo „
Saluto d' autunno „
Su Monte Mario „
La madre (gruppo di Adriano Cecioni) „
Per un instituto di ciechi
Sogno d' estate * . . . .
Colli toscani
Per le nozze di mia figlia
Presso l'urna di Percy Bysshe Shelley
»
I
n
n
n
Ave (in morte di G. P.)
Nevicata
Nota
Congedo
VERSIONI
Tombe precoci : da Fr. G. Klopstock
Notte d* estate : da Fr. G. Klopstock.
La torre di Nerone: da A. Platen. .
Ero e Leandro : da A. Platen . . .
La lirica: da A. Platen
RIME E RITMI
0
0
«
H
n
n
»
m
n
Alla signorina Maria A.
Nel chiostro del Santo
»
?
INDICE DELLE POESIE XV
'Jauflfrè Rude! Pag. 946
In una villa „ 950
Piemonte » 951
Ad Annie „ 957
A C. C. mandandogli poemi di Byron „ 959
Bicocca di San Giacomo „ 960
La guerra „ 968
Mcola Pisano „ 972
Cadore „ 976
Carlo Goldoni ^ „ 985
}A Scandiano „ 989
Alla figlia di Francesco Crìspi » 990
Alla città di Ferrara „ 992
Mezzogiorno alpino „ looi
L'ostessa di Gaby - „ looa
Esequie della guida £. R „ 1003
La moglie del Gigante „ 1005
Per il monumento di Dante a Trento „ 1007
La mietitura del Turco „ 1009
/CLa chiesa di Polenta „ loio
Sabato santo „ 1016
In riva al Lys „ loiB
Elegia del Monte Spinga (con fac-simile) ... „ 1019
» Sant'Abbondio „ 1022
Alle Valchirie „ 1023
* Presso una Certosa „ 1025
'^Congedo è 1027
Note „ 1029
DELLA « CANZONE DI LEGNANO »
PARTE I
Il Parlamento „ 1039
'^OTA „ 1047
XVI INDICE DELLE POESIE
APPENDICE
A Giulio Perticali Pag. 1051
Dai Carmina di Lodovico Ariosto „ 1053
Da Friedr. Hólderlin „ 1055
Per la sospensione jdel Don Chisciotte „ X057
Da Giulio Cesare Cordara „ 1059
INDICE DEI CAPOVERSI . . ; „ ro6i
INDICE DEI FAC-SIMILI
1. // Vaticinio (*)...- „ la
2. Alle fonti del Clitumno „ 8ai
3. Alla Regina d' Italia „ 858
4. Elegia del Monte Spluga „ 1019
0) Questa poesia inedita è data come saggio del carat-
tere giovanile del Poeta, per espresso desiderio del quale non
compare fra le stampate.
JÙVENILIA
(1850-1860)
Carducci.
Nec tantum ingenio qucmtum servire dolori
Cogor et aetatis tempora dura quaeri.
Hic mihi conteritur vitae modus j haec meafama est:
Hinc cupio nomen carminis ire mei.
Ah
xh per te Orazio prèdica al vento !
Del patrio carcere non sei contento,
La chiave abomini grata a i pudichi,
Agogni a l'aere de' luoghi aprichi.
E dove, o misero, dove n'andrai,
Dove un ricovero trovar potrai,
0 de' miei giovini lustri diletto,
O mio carissimo tenue libretto?
Non sai fastidio e' ha de le rime
Questa de gli arcadi prole sublime?
Né de' romantici ti vuol la fiera
Che siede a i salici libera schiera.
Tu, se tra' lirici pur tenti il volo,
Poco, o mio tenero, t'ergi dal suolo
Ed oggi innalzasi per nova via
Fin da' suoi numeri l'economia,
JUVENILIA
Né ornai più reggono piedi né ale
Dietro la lirica universale.
Oggi ciclopica s' è fatta V arte ;
E Bronte e Sterope su per le carte
Con vene tumide, con occhi accesi
E con gli erculei muscoli tesi
A prova picchiano: Venere guata,
E gli rimescola la limonata:
Mentre il monocolo pastore et nese.
Succiando il femore d' un itacese,
Con urli orribili divelle un pino
E a le Nereidi fa il mazzolino.
Deh, quanti, o misero, d'ispirazioni
Litri raccogliere puoi ne' polmoni,
Quanti chilometri de V infinito
Puoi tu percorrere con passo ardito.
Quanti ravvolgerti chili d'affetto
Giù ne lo stomaco puoi tu, libretto.
Da uscire a gloria tra le persone,
Senza pericolo d'indigestione?
Te con le tenui miche d' Orazio
Crebbe la pallida musa del Lazio,
A te quell'aere parve bastante
Che respirarono r Ariosto e Dante:
Chiede il novissimo stadio altre bighe
Libro, rincasati, cansa le brighe.
Vedi? minacciano Cariddi e Scilla:
l Ti preme Davide con la Sibilla.
D'amor tu chiacchieri, e questo va:
JUVENILIA
Ma non santifichi la voluttà,
Non metti a Venere lo scapolare,
Non fai gli adulteri sermoneggiare:
Onde, o me misero!, flebili e tristi
Già t' interdissero gli atei salmisti,
E il buon Petronio predicatore
Che a sé convertami pregò il signore.
Vinca ei di Taide le ritrosie
Con un trar mistico d' avemarie,
E de la cantica nel pio latino ..
Le infiori i dialoghi de V Aretino. t
Al limpidissimo suon de 1' argento
Dietro un davidico cento per cento
Alfio gli sdruccioli deduca, e macro ,
Consoli il prossimo d* un inno sacra.
Per me in van prèdica ballonza e canta
Ebra l'Arcadia pur d'acqua santa,
Il sacro quindici refulse in vano
Per me: son reprobo più di Claudiano,
E de' Timotei e de' Basilii
Provai già i moniti e i supercilii.
Ma quel Timoteo che a gli anni andati.
In chiesa l'organo sonava a i frati,
E di serafica broda satollo
Al pan de gli angeli rizzava il collo,
Cantando monache e Filomene
Pien di libidine tetra le vene;
E quel Basilio biondo e ventenne
Che al sacro fulmine tingea le penne
JUVENILIA
Ne r aromatico miei del Loiola,
Al sacro fulmine de la parola
Che da l'iberiche fiamme già mosse
E ne gli eretici sterpi percosse;
Oggi levatisi di ginocchione
Anche rinnegano la dea Ragione,
E sempre al solito mo' tolleranti
Già già si cavano rugghiando i guanti,
Pronti a pur arderti, libr^etto mio,
Se in un avverbio e' entrasse dio.
Me al men, filosofi, non arderanno.
Come, teologi, volean V altr* anno.
Ma chi, mal docile talpa infingarda,
Chi da '1 neofito furor mi guarda?
Quali su i ruderi de le memorie
Di laide maschere corsi e baldorie!
E sempre piangere plebe affamata,
E sempre ridere plebe indorata,
E basir tisica sotto le biche
La impronta logica de le formiche,
E de le favole, baie del nonno,
Schifi già i bamboli cascar di sonno
Io veggo; e torpido nel gran lavoro
Non canto e predico V età de V oro.
Chi dunque, indocile talpa infingarda,
Chi dal neofito furon mi guarda?
or innocentissimi Nando e Poldino,
Che già r immerito sermon latino
Stroppiaro in distici per nozze auguste,
JUVENILIA
O^gi rosseggiano come aliguste;
E r eucaristico inno a Pio nono
Con lezion varia lusinga il trono
Di re Vittorio, da poi che aprile
A qualche anonimo spirto civile
Squagliò la gelida crosta, e, spavento!^
Il prete attonito, nel sacramento
Lavando al pargolo le nuove chiome,
Sentiva d'Italo bociarsi il nome.
0 infelicissimo libro, o sfatato,
0 in man purissime mal capitato!
Crollando il rigido frigio berretto
Fatto su M modulo che die il prefetto,
Ei con iscandalo ti buttan là,
Come retrograda suipsità.
Rizzati e vattene^ che il galateo
Non è neofito. Ma, se ad un reo
Pucci filologo fia che t' abbatta <
Rimpiallacciatosi da Cuccio Imbratta,
Che vomitarono le sagrestie
De' galantuomini su per le vie.
Che, ne le tuniche di pergamena
Tra la medicea ferrea catena
Tremano i codici quand' ei li guata
E dal liburnio remo invocata
La man lor applica, se a te vicino
Ei sbiechi il livido occhio porcino,
— Deh, Pucci, — gridagli — mercede imploro;
Non vesto, vedimi d* argento e d' oro.
8 JUVENILIA
Non son de gli ordini privilegiati
Vuoi de' rarissimi vuoi de' citati,
Non ne i cataloghi cercato appaio,
Non e' è da vendermi che al salumaio.
A queste pagine di poco affare
Le man dottissime non abbassare, t
Oh, s' ei la granfia distenda a vuoto,
Appicca, 0 povero libro, il tuo vóto:
Che a grandi e piccoli ei non perdona;
Ogni, anche minima, preda gli è buona.
Chiese, postriboli, caffè, spedali
Le sue sentirono unghie fatali,
Da quando ei 1' abile man giovinetta
De r elemosine ne la cassetta
Imberbe chierico con occhio pio
Erudia, V obolo rubando a Dio,
E i doni a l'umile Vergine apposti
Per lui fumavano fusi in arrosti.
D'altro non dubito: se bene ancora
Lui la chiarissima viltade adora,
Trason ridicolo che incarna e avanza
L' idea platonica de V ignoranza.
Forte co' i deboli, debol co' i forti.
Prode a trafiggere gli uomini morti.
Prode a nascondersi, ferendo il tergo.
Di birri e ipocriti sotto 1' usbergo.
Tal eh' io non credomi maggior ribaldo
Redasse 1' anima del Maramaldo.
Fuggi, o mio povero libro da bene.
JUVENILIA
Il ceffo orribile, le mani oscene,
L' invidia rabida d' ogni opra buona
Che tutta gli agita la rea persona.
Fuggi.... No: sorgigli diritto in faccia.
La mia ripetigli vecchia minaccia,
Con fronte impavida, con voce intiera:
Pucci filologo, frusta e galera.
Poi, se la fulgida ira s' alleni.
Vola a i dolcissimi colli tirreni,
Ove dal facile giogo difese
In contro a borea d' ombra cortese
Svarian le candide magion pe' clivi
Tra vigne e glauche selve d' olivi.
Ivi di limpida luce più viva
Riveste l'etere la sacra riva;
E il sole arridere come ad amiche
Pare a le splendide colline antiche,
Quando, partendosi, la favolosa
Cima fesulea tinge di rosa.
De la virginea certa saetta
Ove ancor timido Mugnone affretta
Ad Arno e misero par che lamenti
I mal cohcessigli abbracciamenti.
Tra il fiume e d' arido monte le spalle
II pian riducesi in poca valle,
E in mezzo a* nitidi cólti un' ascosa
Da placidi alberi magion riposa.
Ivi, o mio tenue libro, al Chiarini
Chiedi pe' profughi geni latini,
10 JUVENILIA
Chiedi l'ospizio. Vedi: ei la porta
Già t' apre, ed ilare ti riconforta.
Ei di barbarica pelle odorata
Presto la tunica t' avrà comprata,
Cui solchi d'aurei fregi un lavoro
E i lembi nitidi sien tutti ad oro.
O mio carissimo già poverello,
Come or sei splendido, come sei bello!
T' invidia il tenero padre lontano,
Pucci filologo stende la mano.
Ma tu non avido di mutar loco
A l'aure estranee fidati poco;
Ama de T ospite ama il ricetto,
O mio carissimo tenue libretto.
JUVENILIA 11
II.
A G. C
IN FRONTE A UNA RACCOLTA DI RIME
PUBBLICATA NEL MDCCCLVII
F,
orse avverrà, se destro il fato assente
Vóto che sorga pio di sen mortale,
Giuseppe, e s' a più ferma età non ménte
Il prometter di questa audace e frale,
Che in più libero cielo aderga Tale,
D' amor, di sdegno e di pietà possente.
Questo verso, che fioco or passa quale
Eco notturna per vallea silente:
Pur caro a me, che del rio viver lasso
Ma ogn' or di voi, sacre sorelle, amante
Lo jnscrivo qui come in funereo sasso:
Pago se alcun dirà — Tra '1 vulgo errante
Che il bel nome latino ha volto in basso
Fede ei teneva al buon Virgilio e a Dante.
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i eregriiiQ_dÈL£Ì£U-gai^ulp 3 volo
Tu fu^i innanzi a le stagion nembose,
E vedi il Nilo e. nostre itale rose,
Né muti stanza perché muti polo;
Se pur de le lontane amate cose
Cape ne' vostri angusti petti il duolo,
Né mai flutto ìnframesso o pingue suolo
Oblio del primo nido in cor ti pose;
Quando^ l'ala soffermi a' poggi lieti
Che digradano al mar da 1' Apennino
Bianchi di marmi e bruni d' oliveti,
Una casa a la vaile ed un giardino
Cerca, e, se '1 nuovo possessor no '1 vieti,
Salutali in mio nome, o peregrino.
14 JUVENIUA
IV.
i u, mesta peregrina, il dolce nido
Lasci e de V aer nostro il novo gelo :
T'invita più benigno ardor di cielo
E primavera di straniero lido.
E me lasci che tristi ore divido
Pur co M dolore onde i lassi occhi velo.
Tornerà tempo che senz* ombra o velo
Si porga Taer nostro a te più fido.
Allor candidi soli; allor fiorente
Il colle e il piano ; allor tutto d* amore
Ti riconsiglierà soavemente.
Né allor ti sovverrai V uman dolore
Di che si piange or qui. Non acconsente
Al pianto, e oblia, de' fortunati il cuore.
JUVENILIA 15
V.
s
i crudelmente fero è quel flagello
Onde me già del breve correr lasso
n disinganno sferza a ciascun passo,
Che fine io chiamo* al reo cammin V avello;
E tra forme gentili e nel più bello
Aprir de' floridi anni ho V occhio abbasso,
Quasi cercando oltre la terra il passo
A r inamabil cieco ultimo ostello.
Ma di speme atteggiato e di dolore
Mi sofferma un sembiante; e lacrimoso
Pur in me guarda, e pio tace. Furore
Quinci ed amor nel petto procelloso
Surgono a gran tenzone; e vince amore:
Ond' io fremendo e sospirando poso.
16 JUVENILIA
VI.
Q.
,uesta è V altera giovinetta bella
Che tragge seco onesta leggiadria:
Beltade orna di gloria la sua via,
E l'addimostra per propria angiolella.
rho veduto Amor che la servia
Umilemente de le sue quadrella;
Sentit' ho gire per salute ad ella
L' alma ferita che dal cor si svia.
E chiama pur pietà nel suo conspetto,
Fin che quel riso onde s' allegra amore
Benignamente V umile raccoglia.
Allor la vita esulta entro nel core,
E il cor si leva e la tristezza spoglia
Illuminato nel sereno aspetto.
JUVENILIA 17
--N--^. • -.■^*-^-
VII.
\J nova angela mia senz' ala a fianco,
Certo dal loco ove bellezza è pura
LMntelligenza tua vesti figura
Di pargoletta donna in velo bianco;
E qui venisti al secol rio, che stanco
Del bello adoperar più nel mal dura,
Per drizzar me fuor de la vita scura
Voglioso dietro le tue scorte e franco.
E ben forse avverrà eh' agile e scarco
Io prema ancor le tue vestigia sante
Con l'alma teco in un desio congiunta;
Se di tanto mi degna il Primo Amante,
Che, mentre io tenga del mortale incarco,
L* ale tue d* òr non mettan fuor la punta.
Carducci.
18 JUVENIMA
Vili.
-L rofonda, solitaria, immensa notte;
VisibiI sonno del divin creato
Su le montagne già dal fulmin rotte,
Su le terre che l'uomo ha seminato;
Alte da i casti lumi ombre interrotte;
Cielo vasto, pacifico, stellato;
Lucide forme belle, al vostro fato.
Equabilmente, arcanamente, addotte;
Luna, e tu che i sereni e freddi argenti
Antica peregrina a i petti mesti
Ed a' lieti dispensi indifferenti;
Che misteri, che orror, dite, son questi?
Che Siam, povera razza de i viventi?...
Ma tu, bruta quiete, immobil resti.
JUVENILIA 19
IX.
c
andidi soK e riso di tramonti^
Mormoreggiar di selve brune a' venti
Con sussurrio di fredde acque cadenti
Giù per li verdi tramiti de' monti, •
Ed Espero che roseo sormonti
Nel profondo seren de* firmamenti,
E chiara luna che i sentier tacenti
Inalbi e scherzi entro laghetti' e fonti,
Questo m*era ne' vóti. Or miei desiri
Pace ebber qui tra fiumi e tra montagne
De le secure muse in compagnia:
Pace: se iion che te ne' miei sospiri
Chiamo, te che da noi ti discompagne,
E il caro aspetto de la donna mia.
20 JUVENILIA
X.
B,
>ella è la donna mia se volge i neri
Di soave languore occhi lucenti,
E, ricercando il vinto cor, le ardenti
Vi rinforza d'amor voglie e pensieri.
Più bella è la mia donna allor che alteri
Gli leva 0 gira nel conceder lenti,
E, minacciando pur, chiede eh* io tenti
La dolce guerra e la vittoria speri.
Cosa di cielo è la mia donna allora
Che il roseo collo piega e il vago riso
A i baci porge e quei d'ambrosia irrora.
Oh, che d*ogni moital cura diviso.
Sopra quel sen, tra quelli amplessi io mora!
Né V* invidio, o beati, il paradiso.
JUVENILIA 21
XI.
A
questi di prima io la vidi. Uscia
A pena il fior di sua stagion novella,
E la persona pargoletta e bella
Era tutta d* amore un' armonia.
Vereconda su M labbro le fioria
L' ingenua grazia e la gentil favella:
Come in chiare acque albor lontan di stella
Ridea l'alma ne gli occhi e trasparia.
Tale io la vidi. Or con desio supremo
Lei per questo nefando aere smarrita
Pur cerco e invoco; e sol mi sento, e tremo;
Che spento è al tutto ogni buon lume, e vita
Già m'abbandona, e son quasi a l'estremo.
Luce de gli anni miei, dove se' gita?
22 JUVI^ILIA
XII.
Q.
,ueUa cura che ogn*or dentro mi piagne
Desta dal lume in duo begli occhi ardente,
Me co M giorno invernale ove il torrente
Scoscende e ne le avverse alpe si fragne
Seco rapisce. E te, che ti scompagne
Dal mio già fermo petto, o confidente
Virtude onde fuggii la vulgar gente,
Penso per erma via d* aspre montagne.
Ma vince de le alpestri onde il fragore
Quell* una voce sua: suoi cari accenti
Sona Paura selvaggia. E in van nel core
Sdegno e ragion contrasta, lo miro a' venti
Lente ondeggiar le nere chiome e amore
Folgorar ne' superbi occhi ridenti.
JUVENILIA 23
XIII.
E
tu pur riedi, amore; e tu l'irosa
Anima invadi, e fiero ivi t* accampi,
E i desueti spirti e il cor che posa
Lunga già s* ebbe or fiedi e scuoti e avvampi.
Io te fuggo per selve aspre e per campi:
Ma vive alta nel petto, e sanguinosa
Stride la piaga; e il mio duol grido: e cosa
Mortai non è che di tua man mi scampi.
O degni affetti, o studi almi! In servaggio
Duro -vi piango e in basso errore, ov* io
Caddi e giacqui co M vulgo, e non mi levo:
Che pur mi preme di quegli occhi il raggio;
Di quei cari e superbi occhi ond'io bevo
Lenti incendi e furor lungo ed oblio.
24 JUVENIUA
XIV.
N,
é mai levò si neri occhi lucenti
Saffo i preghi cantando a Citerea,
Quando nel petto e per le vene ardenti
A lei si come nembo amor scendea;
Né desti mai si molli chiome a' venti,
Corinna, tu sovra l'arena elea,
Quando sotto le corde auree gementi
Fremeati il seno e a te Grecia tacea:
Si come or questa giovinetta bella
Tremanti di desio gli umidi rai
E del crin la fulgente onda raccoglie,
In quel che dolce guarda, e la favella,
Qual tra le rose aura d'aprii, discioglie
Onde ardo, e posa non avrò più mai.
JUVENItlA 2&
XV.
D,
eh, chi mi torna a voi, cime tirrene
Onde Fiesole al pian sorride e mira?
Deh, chi mi posa sotto V ombre amene
Ove un rio piange e molle il vento spira?
Oh, viva io là fuor di timore e spene,
Lontan rugghiando de' miei fati Pira!
L'erbe il ciel Tonde ivi d'amor son piene,
E ne l'aure odorate amor sospira.
E te il suolo beato eterni fiori
Sommetterebbe, Egeria; e d'ombre sante
Proteggerebbe un lauro i nostri amori...
Ivi queto morrei. Tu al sol levante
Mi comporresti T urna in tra gli allori,
L' ombra chiamando del poeta amante.
26 JUVENILIA
XVI.
E
degno è ben però, eh' a te potei,
Lasso!, chinar l'ingegno integro eretto,
S' ora in giòco tu volgi, e lieto obietto
L'ire, 0 donna, ti sono e i dolor miei.
Io quel df che mie voglie a te credei
Pur vagheggiando accuso; e strappo e getto
Tua terribile imagine dal petto
In van: tu meco, erinni mia, tu sei.
Ahi donna I ne le miti aure è il sorriso
Di primavera, e il sole è radiante,
E il verde pian del lume aureo s'allegra.
A me di noia, a me d'orror sembiante
È quant'io veggo; e, se nel ciel m'affiso,
De la mia cura e il divo ciel s' annegra.
JUVENILIA ^
XVII.
G
'ara benda che in van mi contendesti
Nera il candido sen d' Egeria mia,
Spoglia già gloriosa, or ne' di mesti
De le gioie che fùr memoria pia :
Tu sol di tanto amore oggi mi resti,
E r inganno mio dolce anche peria;
Ond' io te stringo al nudo petto, e questi
Freddi baci t' imprimo. Ahi, ma la ria
Fiamma pur vive e pur divampa orrenda;
E tu su M cor, tu su '1 mio cor ti stai
Quasi face d* inferno, o lieve benda.
Deh, perisci tu ancor. Né sia più mai
Cosa che a questa offesa anima apprenda
Com'io di donna a servitù piegai.
^ jyVENIUA
XVIII.
E
tu, venuto a' belli anni ridenti
Quando a la vita il cor più si disserra,
Contendi al fato il prode animo, e in terra
Poni le membra di vigor fiorenti.
Ahi, ahi fratello mio! Deh, quanta guerra
Di mesti affetti e di pensier frementi
Te su gli occhi de* tuoi dolci parenti
Spingeva ad affrettar pace sotterra!
Or teco posa il tuo dolor. Né il viso
Più de la madre e non la donna cara
O il fratel giovinetto o il padre pio,
Né i verdi campi vedrai più; né il riso
Del ciel, né questa luce... ahi luce amara!
Vale, vale in eterno, o fratel mio.
JOVENIÙA 2d
XIX.
i e gridi vii quei che piegò la scema
Alma sotto ogni danno ed a Tostile
Possa adulò, pago a cessar V estrema
Liberatrice d'ogni cor gentile:
Te gridi vile il mondo, il mondo vile
Che muor di febbre su le piume, e trema,
Pur franto da la lunga età senile,
In conspetto a la sacra' ora suprema.
Ben te, o fratel, di ricordanza pia
Proseguirà qua! cor senta i funesti
Regni del fato e il viver nostro ordendo.
Te che di sangue spazYosa via
A l'indignato spirito schiudesti,
Giovinetto a la morte sorridendo.
3Q JUVENIUA
XX.
E
voi, se fia che V imminente possa
Deprechiate e del fato empio le guerre,
Voi non avrete a cui regger si possa
Vostra vecchiezza quando orba si atterre.
Soli del figliuol vostro in su la fossa
Quel di che i dolorosi occhi vi serre
Aspetterete. O forse no. Son Tossa
Sparse de' nostri per diverse terre.
Oh, che il di vostro d* atre nubi pieno
Non tramonti in procella! oh, che il diletto
Capo si posi ad un fidato seno!
Io chiamo in vano al mio paterno tetto,
E cresce il tedio e gioventù vien meno.
Deh, chi mi torna, o buoni, al vostro petto?
JUVENILIA 31
XXI.
o
cara al pensier mio terra gentile
Ch'a la pura sorgendo aria azzurrina
D*alto vagheggi regnatrice umile
Il pian che largo al biondo Arno dichina:
Tu ridi allegra al ciel che di simile
Gioia t* arride e al tuo favor s* inchina ;
A te dolci aure, a te perenne aprile
Veston di verde il campo e la collina.
E a te da questo inverno reo la mente
Ed il cuor lassp mio tendono a volo:
Tu tieni V uno e V altro mio parente
Co '1 fratel che mi avanza, e del tuo suolo
Abbracci quel eh' io non baciai morente :
In te tutto è il mio bene : io qui son solo.
32 JÙVENILIA
XXII.
Q.
'ui, dove irato a gli anni tuoi novelli
Sedesti a ragionar co *1 tuo dolore,
Veggo a* tepidi sol questi arboscelli,
Che tu vedevi, rilevarsi in fiore.
Tu non ti levi, o fratel mio. D'amore
Cantan su la tua fossa erma gli uccelli:
Tu amor non senti ; e di sereno ardore
Più non scintilleran gli occhi tuoi belli.
Ed in festa venir qui ti vid'io
Oggi fa Tanno: e il dire anco mi sona
E ancor m'arride il tuo sorriso pio.
Come quel giorno, il borgo oggi risona
E si rallegra del risorto iddio.
Ma terra copre tua gentil persona.
JUVENILIA 33
XXIII.
N,
on son quell'io che già d' amiche cene
Destai la gioia tra' bicchier spumanti.
Torpe la mente irrigidita, e piene
D' amaro tedio stan l' ore cessanti.
Ira è che il viver mio fero sostiene
Sol una, e il cor con sue tede fumanti
M'arde e depreda. O miei verd'anni, o spene
Mia che mi giaci, ahi già sfiorita, innanti !
Anche del caro imaginar la brama
Al tempo m' abbandona ; e resta, immane
Muto fantasma, intorno a me, la vita.
.Ma un'ombra io sento che il mio nome chiama,
E duolsi a me che sola ella rimane,
E eli là da le quete onde m' invita.
Carducci.
LIBRO II
XXIV.
INVOCAZIONE
Oe te già tolsi con incerta mano
Dal latin ramo onde ancor Febo spira,
Caro a le Grazie or tu sonami, o lira,
Carme toscano.
Canora amica, o le falangi astate
Ferocemente confortasse in guerra,
O riposasse ne la franca terra.
Al lesbio vate
Tu gli dicevi e Cipride ed Amore
E giovin sempre di Semèle il figlio
E '1 crin di Lieo e de l'arcato ciglio
L'ampio fulgore.
36 JUVENILIA
Or io ti scoto. A me- sorride il puro
Genio di Fiacco: a' divinati allori
E de le ninfe a' radianti cori
Movo securo.
O cara a Giove ed a re Febo, insigne
Di cittadine mura adornamento,
Rispondi al vóto; e sperda il tuo concento
L'alme maligne.
JUVENILIA 37
XXV.
A O. T. T.
Oaro a le vergini d'Ascra e di belle
Mortali vergini cura e diletto,
0 a me di mutua fede costretto
Da eguali stelle,
Ottavio : i codici d' aurea favella
Dove il tuo spendesi tempo migliore,
Che da te chieggono novo splendore,
Vita più bella,
Poni; ed i lirici metri, che apprese
A me la duplice musa di Fiacco,
Qui tra le candide gioie di Bacco
Odi cortese.
38 JUVENIUA
Avvi cui M torbido Gradivo arrìde,
Ed ama il rapido baglior d' elmetti
Ne r aer livida che da' moschetti
Divisa stride,
E via tra V orride membra che sparte
Incèstan d' ampia strage il sentiero
Urta il fulmineo baio destriero
Furia di Marte;
Poi lunge a' fulgidi campi ed a'valli^
Nel sen d' ingenua sposa che agogna
Notturni gaudii, feroce ei sogna
Trombe e timballi.
Con altri V alacre fame de V oro
Ascende vigile la prora, e anela
Le infami insidie drizza e la vela
Al lido moro.
Per essa il nauta ride i furori
D' euro che gV ispidi flutti cavalca,
E con la cupida mente egli calca
Rischi e terrori:
In vano V orrido crin sanguinante
Infesto Orione pe M ciel distende
Ed il terribile di fiamma accende
Brando strisciante:
JUVENILIA 39
Bianca di naufraghe ossa minaccia
La riva squallida: dal patrio lido
La figlia chiamalo con lungo strido
Pallida in faccia.
Ed altri docile guerrier d'amore
In tra le pafie rose vivaci
De le virginee lutte co' baci
Desta il furore;
E sopra un niveo petto, di glorie
La fronte carica, stanco a le prove,
Depone; ed agita, posando, nove
Pugne e vittorie.
E me le libere Muse nel casto
Seno raccolgano, me loro amante
Le dee proteggano del vulgo errante
Dal vano fasto.
Me non contamini venduta lode.
Non premio sordido d' util perfidia :
Vinca io con semplice petto l'invidia,
Vinca la frode.
Ed oh se un tenue spirto l' argiva
Camena infondami ! se a me ne' lieti
Fantasmi lucidi de' suoi poeti
Grecia riviva!
40 JUVENILIA
Non io l' Apolline cimbro inchinai,
Io tòsco e memore de V are attèe;
Né di barbariche tazze circèe
Ebro saltai.
Ottavio, al libero genio romano
Libiam noi liberi qui nel gentile
Terren d'Etruria: lunge il servile
Gregge profano.
JUVENILIA * Ai
\ ■
XXVI.
CANTO DI PRIMAVERA
Q.
,ual sovra la profonda
Pace del glauco pelago
Usci Venere, e Tonda
Accese e V aer e V isole,
Quando al ciel.le divine
Luci alzò raccogliendo il molle crine ;
Primavera beata
Su le pianure italiche
Sorride. Ogni creata
Cosa in vista rallegrasi:
Scherza con V aura e il fiore
E vola nel sereno etere Amore.
42 ^ JUVENIUA
Entro la chiusa stanza
Medita Amore, trovalo
In fragorosa danza
La giovinetta; ed integra
Cede a' futuri affanni
L' inconsapevol cuore e i candidi anni.
D' ebrietà possente
Sale dal suol che vegeta
Un senso: al cor fremente
Il mondo antico vestesi
Di novi incanti, e a' petti
Novi palpiti chiede e novi affetti.
Transvolar le serene
Forme de' sogni improvvido
L'uom ricontempla: arene
E deserto il ricingono:
La falsa imago anelo
Lui tragge ove più stride il verno e il gelo.
Tal, se Talta marina
Ara e V insonne Atlantico,
Vede, allor che ruina
La notte solitaria,
L' elvezio infermo il rio
Alpin ne Tonde salse, e del natio
JUVENILIA 43
Monte le vacche quete
Pender da i verdi pascoli,
E tra r ombre segrete
Un' aspettante vergine
Cantar, molle la guancia;
Vede, ed in contro a lei nel mar $i lancia,
Che sopra gli si chiude
Muto. O soavi imagini,
Pur d*ogni senso nude;
O d' inconsulti palpiti
Desio profondo arcano;
Ultima gioventù del cuore umano;
Questa che deludete
Misera prole^ o perfidi.
Quanto ha di voi pur sete !
E vi saluta reduci
Insieme al riso alterno
Onde s' attempa il voi de r orbe eterno.
Culto tra i feri studi
Sacro un giorno a*romulidi,
E di solenni ludi
Empiea sonante V isola
Che il Tebro ad Ostia in faccia
Lieta di paschi e di roseti abbraccia.
44 JUVENILIA
Dal di che il mese adduce
De la marina Venere
Sino a la terza luce
Già sorta a gV incunabuli
Di Quirin, la gioconda
Festa correa per la fiorita sponda.
E. qui belle traéno
A' rosei tabernacoli
Donzellette cui '1 seno
Tra i bianchi lin moveasi
Intatto anche a gli amori.
Sotto gli astri roranti e a' miti ardori
Del sole i verginali
Carmi intorno volavano,
Mentre il piacer da l' ali
Stillava ingenuo nettare
E Terpsicore dea
Invisibil co'l suon danze movea.
*' La sposa ecco di Tereo
Canta tra i verdi rami,
Né par che omai del barbaro
Marito si richiami:
Più scorte note a lei
Amore insegna e più soavi omei.
JUVENILIA 46
Canta: e noi mute, o vergini,
L'udiamo. Oh quando fia
Che venga e me pur susciti
La primavera mia,
E rondine io diventi
Che r allegra canzon c^ommette a' venti ?
Già voluttade V aere
Empie di rosei lampi:
Sentono i campi Venere,
Amor nacque ne i campi:
Effuso dal terreno
Lui raccolse la dea nel latteo seno.
E lo nudrir le lacrime
D'odorati arboscelli,
E lo addormirò i gemiti
De l'aure e de' ruscelli,
E lo educaro i molli
Baci de' fiori in su gli aperti colli.
L' umor che gli astri piangono
Per la notte serena
Sottil corre a la nubile
Rosa di vena in vena,
Onde al zefiro sposo
Sciolga il peplo domani e il sen pomposo.
46 JUVENILIA
Di Cipri ella da l' icore
Nata d' Amor tra i baci
Tien gemme e fiamme e porpore,
O Ciel, da le tue faci ;
E conoscente figlia
A le tue nozze i^ talamo invermiglia.
Allor che da le pendule
Nubi la maritale
Pioggia a la Terra cupida
Discende in grembo, ed ale
Nel vasto corpo i vasti
Feti che tu, Ciel genitor, creasti.
Dal sangue tuo l'oceano
Tra selve di coralli,
Tra le caterve cerule*
E i bipedi cavalli,
A i liti almi del lume
Vener produsse avvolta in bianche spume-
Ed ella or del suo spirito
Le menti arde e le vene,
Del nuovo anno V imperio
Procreatrice tiene,
Ed aria e terra e mare
Soave riconsiglia a sempre amare.
JUVENILIA 47
Da i boschi, o delia vergine,
Cedi per oggi: noi
Invia la diva placide
Nunzie de' voler suoi :
Non macchi, ahimè!, ferina
Strage la selva il di eh' ella è reina.
Essa a le ninfe il mirteo
Bosco d'entrare impone:
Amore a quelle aggiugnesi.
Ma Tarmi pria depone.
Francate, o ninfe, il core:
Posto ha giù Tarmi, è ferìfato Amore.
La madre il volle, pavida
No il picciolin rubello
Altrui ferisca improvido.
Ma pur Cupido è bello.
Guardate, o ninfe, il core :
È tutto in armi, anche se nudo, Amore.
Con lui fermò nel Lazio
De' lari idei T esiglio,
E una laurente vergine
La dea concesse al figlio
D' Anchise; e quindi a Marte,
Sbigottita orfanella in chiome sparte,
48 JUVENIUA
Di Vesta ella dal tempio
Traea la sacerdote:
Onde il gran padre Romolo
E Cesare nipote;
Onde i Ramni e i Quiriti,
E tu, 0 Roma, signora in tutti i liti „
Beate! e i lieti cori
Non rompea lituo barbaro,
Né i verecondi amori
Turbava allora il fremito
Che dal core ne preme
La tradita d'Italia ultima speme.
Nel sangue nostro i nostri
Campi ringiovaniscono;
E quando lento i chiostri
Del verde pian d'Insubria
Apre r aratro e frange.
Su Tossa rivelate un padre piange.
Non biondeggia superba
Da' nostri solchi Cerere,
Ma lei calpesta acerba
L'urna de' rei quadrupedi;
E tu, vento sereno,
Scaldi a' tiranni osceni amor nel seno*
JUVENILIA 49
Oh quando fìa che d' armi
E monte e piano fremano
A' rai del sol, e i carmi
Del trionfo ridestino
Co'suon del prisco orgoglio
I numi addormentati in Campidoglio?
Te allor, cinti la chioma
De V arbuscel di Venere,
Canterem, madre Roma;
Te del cui santo nascere
II lieto aprii s' onora.
Te de la nostra gente arcana Flora.
Carducci. 4
JUVENILIA
XXVII.
A FEBO APOLLINE
D,
e la quadriga eterea
Agitator sovrano,
Sferza i focosi alipedi,
Bellissimo Titano.
Te pur, de V ugna indocile
Stancando il balzo eoo,
Chiamàro in van ne' vigili
Nitriti Eto e Piroo,
Quando la bella Orcamide
Ti palpitò su '1 core
E gli achemenii talami
Chiuse ridendo Amore,
JUVENILIA 51
E a noi con l' alma Venere
Facile Amor si mostra,
E noi gli amplessi affrettano
De la fanciulla nostra.
In vano, in van la rigida
Madrigna a me la niega;
Amor che tutto supera,
Amor che tutto piega.
Vuol, fausto iddio, commetterla
Ne le mie mani e vuole
I nostri amor congiungere,
Te declinato, o Sole.
Ed ella ornai le tacite
Cure nel petto anelo
Volge, e te guarda. Oh giungati
II caro sguardo in cielo !
Dolce fiammeggian V umide
Luci nel vano immote:
Siede pallor lievissimo
In su le rosee gote.
Ecco, presente Venere
Ne r anima pudica
Regna, e il pensier virgineo
Con forza empia affatica.
52 JUVENILIA
Cotal forse aggiravasi
Ne la stanza odiosa
Del giovinetto Piramo
L'inaugurata sposa,
E in cor pensava i gaudii
Al fido orror commessi
Ed i furtivi talami
E i raddoppiati amplessi:
In tanto Amor gemeane,
De* preparati lutti
Già fatalmente presago
E de' mutati frutti.
Ma le dolenti imagini
Si portin gli euri in mare:
Diciam parole prospere:
Benigno Amor ne appare.
Oh sperar lungo e timido,
Oh d'angosciose notti
False quieti, oh torbidi
Sogni dal pianto rotti!
Mercé, mercé! pur compiasi
Il dolce e fier desio.
Pur debbo al fine io stringerla
Su questo petto mio !
JUVENILIA 53
Ah no che sen più candido
Endimion non strinse
Quando notturna Venere
La schiva dea gli scinse !
10 ardo. Amore infuria
Nel fulminato petto;
E corro, e guardo, ed Espera
Gridando in cielo affretto.
Pietà, divino Apolline !
Spingi i destrier celesti,
Le inerti Ore sollecita;
Ruina.... A che V arresti ?
E ancor rattieni il cocchio
In su r estrema curva ?
E ancor V ancella undecima
Lenta su *1 fren s' incurva ?
Male io sperai te facile
Al suon di mie querele,
Sempre a gli amanti infausto,
Sempre in amor crudele !
Clizia Oceania vergine
Per te conversa in fiore
Ancor mutata serbati
11 non mutato amore.
54 JUVENILIA
Imprecò già Coronide
Per te al disciolto cinto:
Amicle un giorno e Tàigeta
Pianser per te Giacinto.
Ma e tu d' amor gV imperii,
Tu, petto immansueto,
Durasti; e i greggi a pascere
Pur ti ritenne Admeto.
Te solitari attesero
I templi ermi del cielo,
Né più muggia da gli aditi
La religion di Delo.
Giacea de* tori indocili
Dal vago pie calcato
L* arco divino argenteo
In abbandon su *1 prato.
Né bastò Tarte medica
Verso la cura nova:
Ahi, sol di furie e lacrime
II nostro iddio si giova.
Né tra le dita ambrosie
Più ti splendea la lira,
Quella onde al padre caddero
Sovente i fuochi e V ira.
JUVENILIA 56
E che? l'avena rustica
Dal labbro tuo risona,
O figlio de r Egioco,
O figlio di Latona?
Tu d' amor gemi, ed orride
Co '1 muggito diverso
Rompon le vacche tessale
La dotta voce e il verso.
Fama è però che memore
Tu de r incendio antico
A gli amorosi giovini
Nume ti porgi amico.
E i vóti a te salirono
Del buon Cerinto grati,
Quando immaturi presserò
L'egra Sulpizia i fati:
Tu al bel corpo le mediche
Mani applicar godesti.
Tu al giovinetto cupido
Integra lei rendesti.
E giorno fu che in trepida
Cura Tibullo ardea:
Varia di amori il candido
Vate Neera angea.
JUVENILIA
Gemeva egli le vìgili
Piume stancando in vano:
Ma in piena luce videti
[1 cavalier romano.
Pe 'I lungo collo eburneo
Intonsi i crin fluire
\^ide e stillar la mirtea
Chioma rugiade assire.
Qual de la luna in placido
Sereno, era il candore :
Era nel corpo niveo
Di porpora il colore,
Come al settembre tingonsi
Bianche mele fragranti.
Come fanciulle intrecciano
[ gigli a li amaranti.
— Soffri, dicesti: ad Albio
Serbata è pur Neera:
fendi le braccia a i superi
Hon molta prece, e spera. —
l anch'io pregai: di lacrime
o gli abbracciati altari
Sparsi: e non furo i superi
^ me di grazia avari.
JUVENILIA 57
Non io lamento perfida
La mia fanciulla, escluso
Non io gli aspri fastidii
De la superba accuso;
Né de le mense eteree
Vuo' che ti prenda oblio,
Ed entri, almo Latoide,
Quesf umil tetto mio.
Mi dolgo io ben che tardisi
A le mie gioie V ora
Dal corso tuo che a Nereo
Par non accenni ancora.
Dolgomi.... Ahi folle! inutili
Querele io spando: errore
Al cor m* induce il memore
Libetrico furore.
Te da le valli tessale
Te da Tegea marina
Vedea de* vati ellenici
La fantasia divina,
Giovine iddio bellissimo ^
Pe' i cieli ermi sorgente :
Ignei tu avevi alipedi.
Carro di fiamma ardente;
58 JUVENILIA
E intorno ti danzavano
Ne la serena spera
Le ventiquattro vergini
Fosca e vermiglia schiera.
Né vivi tu? né giunseti
Del vecchio Omero il verso?
E Proclo in van chiamavati
Amor de l'universo?
Il vero inesorabile
Di fredda ombra covrio
Te larva d'altri secoli,
Nume de' greci e mio.
Or dove il cocchio e l'aurea
Giovanil chioma e' rai?
Tu brulla mole sfolgori
Di muto fuoco, e stai.
Ahi ! da le terre ausonie
Tutte fuggir li dèi:
In vasta solitudine,
O Musa mia, tu sei.
In vano, o ionia vergine.
Canti, ed evochi Omero:
Surge, e minaccia squallido
Da' suoi deserti il vero.
JUVENILIA 59
Vale, 0 Titano Apolline,
Re del volubil anno !
Or solitario avanzami
Amore, ultimo inganno.
Andiam: de la mia Delia
Ne gli atti e nel sorriso
Le Grazie a me si mostrino
Quai le mirò Cefiso;
E péra il grave secolo
Che vita mi spegnea.
Che agghiaccia il canto ellenico
Ne r anima febea !
60 JUVENILIA
XXVIII.
A DIANA TRIVIA
i u cui reina il cieco Èrebo tiene
E Arcadia in terra cacciatrice t'ama,
Ma in ciel de l' Ore il biondo stuol ti chiama
Bella Selene;
Ora che i bianchi corridor del lento
Freno tu tempri e regni su la diva
Notte, m'ascolta; se da noi t'arriva
Prego o lamento.
Non tra quest'ombre io la vendetta affretto
Già meditata; il casto ra^io odiando,
Non io prorompo a invadere co '1 brando
Cognato petto.
JUVENIUA 61
Io amo : e Cintia, V espugnata al fine
Cintìa superba, a' novi amor si rende ;
E, dubitosa, del notturno scende
Orto al confine.
Che tu nel carro de la luna stai
Intemerata come il ciel cui reggi,
Che dea severa te d'amor le leggi
Non piegar mai,
Cantano i vati: ma non sempre varia
De' prometidi su le brevi paci
Vegli, ma in terra ti detragge a i baci
Giovin di Caria.
Attor l'ambrosia i tuoi cavalli erranti
Pascono, l' aere alto silenzio ingombra,
E te lodando mesconsi per l' ombra
Sacra gli amanti.
Or, bella diva, or vela il tuo splendore ;
Corri pe' templi aerei tacente:
Me Amor precede, e rompe la cedente
Tenebra Amore.
Tu passi e splendi: sotto il vivo raggio
Ride il giardino in ogni tato aperto :
Io tra gli sguardi curlfosi incerto
Fermo il viaggio.
62 JUVENILIA
Ah falsa dea ! va* su' misteri orrendi
De' druidi a correr sanguinosa, ascolta
V emonie voci, e da le maghe svolta
Ne Torgie scendi.
E già scendesti da l' argentea biga
Ostie d' uitiani e d' ospiti a mirare
Su r aspra riva cui l'aquilonare
Flutto castiga:
Più rea che quando il fior del disonesto
Eburneo corpo abbandonasti a Pane,
Calda d'amore a le donate lane.
Fredda pe '1 resto.
Oh ben ti tolse il gran senno odierno
E biga e soglio. Un vano idolo or sei;
E anch'io ti spregio, e torno a'patrii dèi
Vate moderno.
JUVENILIA 63
XXIX.
BRINDISI
B.
^eviam, se non ci arridano
Le sacre Muse indarno,
Ora che artoa caligine
Preme i laureti d'Arno.
Gema e ne V astro pallido
Stanchi le inferme ciglia
La scelerata astemia
Romantica famiglia;
A noi progenie italica
Ridan gli dèi del Lazio,
La madre de gli Eneadi
E l'armonia d'Orazio.
64 JUVENILIA
M' inganno ? o un' aura lirica
Intorno a me s'aggira?
Fiacco, io ti sento: oh, al memore
Convivio assisti e spira!
/Or che percuote V ungaro
j Destrier la valle ocnea,
E freme il lituo retico
Dove Maron nascea;
Or che Tefòd levitico
La diva Roma oscura,
E altier di Brenno il milite
La sacra via misura;
Qui cupe tazze vuotansi
Secondo il patrio rito,
Ben che sia lunge l'arbitro
Dal libero convito.
Fiacco, il tuo bello Apolline
Fuggi dal suol latino
Cedendo innanzi a Tentate
Ed a l'informe Odino,
La musa a noi da gelide
Alpi tedesche or suona.
Turba un vii gregge i nitidi
Lavacri d'Elicona:
JUVENILIA 65
Noi pochi e puri (il secolo
Sfeci, se vuol, nemico)
Libiamo a Febo Apotline
E al santo carme antico.
Lenti, a che state? or s'alzino
Colme le tazze al vóto.
A le decenti Cariti,
Ecco, tre nappi io vuoto.
Sacro a' sapienti è il numero
De i nappi tre: ma nove
A noi ne chieggon V impari
Figliuole ascree di Giove.
Né san le dive offendersi
Del temperato bere,
Né tu discordi, o Libero,
Da le virtù severe.
Anch' ei la tazza intrepido
Catone al servo chiese,
Poi ripensando a Cesare
Il roman ferro prese:
E, in quel che Bruto vigila
Su le platonie carte,
Cassio tra' lieti cecubi
GÌ' idi aspettò di Marte.
RDUCCI.
66 JUVENILIA
XXX.
VOTO
A
gitatrice de le forti selve,
Amor di Giove e di Latona vanto,
Diva da V arco, cui de V Erimanto
Temon le belve:
S* io per te dòmo il fulminante orgoglio
Del reo cignale su quel nero monte,
Io questo pino da T aerea fronte
Sacrar ti voglio.
Diran dal tronco le mascelle appese
Con tale scritta le sudate prove:
A la dea prole di Latona e Giove
Delio lunese.
JÙVENILIA 67
i' ■<
XXXL
A NEERA
L'
olmo e la verde sposa
Vedi in florido amplesso accolti e stretti :
Vedi a V itice annosa
Attorcersi i corimbi giovinetti.
Deh! se del roseo braccio
Cosi, bianca Neera, m'avvincessi,
E tra 'I soave laccio
Il capo stanco io nel tuo sen ponessi,
Un lungo amore insieme
Giugnendo Palme ognor, dolcezza mia.
Non altra gioia o speme,
Non altro a desiar lo spirto avria.
68 JUVENILIA
Non me non me dal fiore
Del caro labbro, fin di tutte brame,
Svegli er potria sopore,
Non cura di lieo, non dura fame.
r
Allor noi senza duolo
Il fato colga; innamorati spirti
Noi tragga un legno solo.
Pallido Dite, a' tuoi secreti mirti.
Di ciel che mai non verna
La ferma ivi berremmo aura sincera.
Sotto i pie nostri eterna
Rinascendo co* fior la primavera.
In tra i nobili eroi
Ivi a' ben nati amor vivono ognora
L* eroine onde a noi
Mormora un suon d' esigua fama ancora,
E menan danze, e alterni
Canti giungono al suon d'alterna lira;
E su' germogli eterni
Zefiro senza mutamento spira.
Scherza con Torà incerta
Di lauri un bosco; de le aulenti frondi
Sotto r ombra conserta
Ridon le rose ed i giacinti biondi.
JUVENIUA 69
A l'ombre pie d'intorno,
Non da rigidi imperi esercitato,
Sotto il purpureo giorno
Germina splende e olezza il suol beato.
Solinga ombra amorosa
Ivi oblia Saffo la leucadia pietra,
E pur languida posa
La tenue fronte su la dotta cetra.
Siede Tibullo a l'ombra
Ove dodi da' colli un rio declina;
E di dolcezza ingombra
I sacri elisii l'armonia latina.
E noi, Neera, il canto
De' morti udrem ; noi sederem ^tra' fiori
De l'asfodelo. Intanto
Mesciamo i dolci e fuggitivi amori.
70 JUVENILIA
XXXII.
PRIMAVERA CINESE
Q
r sono i di che zefiro
Tepido e lieve aleggia
E che la pioggia placida
I novi fior careggia.
Ora un mattino in floridi
Rami le gemme afforza
Che timidette ruppero
Da la materna scorza.
Or a gli affetti sposansi
I facili pensieri
E impazienti volano
Jn cantici leggeri,
JUVENILIA 71
Come la nebbia eh' umida
Gli archi del ponte gira,
Come quest' ombra tremula
Ad ogni aura che spira.
Oh misero a cui scemasi
De gli anni il bel tesoro
Mentre a la terra indocile
Chiede V inutil oro!
La neve ch'empiea rigida
Tutto pur dianzi il cielo,
E i fior che lieti salgono
Dal fuggitivo gelo,
Son de la vita imagine
Fuggente, e in lei s'appaga
Tra i desiderii V anima
E le memorie vaga.
Pace! Anche tu, bellissima
Colomba vì'atrice
Che lamentando mormori
Da la natia pendice,
Se pietosa il numero
De' miei pensier richiedi.
Lascia il soave gemito
Ed al tuo nido riedi.
72 JUVENILIA
Pria conteransi i tumidi
Germi che il suolo or manda
E i fiorì onde si splendida
Quesf albero ha ghirlanda.
JUVENILIA 73
i.- -■ .•'
u
xxxiii.
f '
ALLA B. DIANA GIUNTINI
VENERATA A SANTA MARIA A MONTE
Q.
,ui dove arride i fortunati clivi
Perenne aprile e l'aure molli odora
E ondeggian messi e placido d'olivi
Bosco s' infiora,
Quando pie voglie e be' costumi onesti
Erano in pregio e cortesia fioriva
Le tósche terre, qui l' uman traeèti
Tuo giorno, o diva.
E ti fùr vanto gli amorosi affanni t
Onde nutristi a Dio la nova etate,
E fredda e sola ne l'ardor de gli anni
Virginitate:
74 JUVENILIA
Pur risplendeva oltre il mortai costume
La dia bellezza nel sereno viso,
E dolce ardea di giovinezza il lume
Nel tuo isorriso.
Te in luce aperta qui V eteree menti
Consolar prima di letizia arcana,
Poi te beata salutar le genti,
Alma Diana.
1 1
Onde a te dotta de V uman dolore
Il nostro canto e prece d' inni ascende
E pieno r anno, di votivo onore
L' ara ti splende.
A te rindustre opera cessa: posa
A te il travaglio de la vita e V egra
Noia: si spande per le vie festosa
Turba e s'allegra.
Disciolto ilbove mormora un muggito,
Esulta il gregge ne l'erboso piano,
E su r aratro ancor dal solco attrito
Canta il villano.
Deh, sii presente: il tuo terren natale
A te s'adorna, ed al tuo piede in tanto
Gigli sommette e rose e l'immortale
Fior d' amaranto.
JUVENILIA 75
Deh, sii présente: e ne'concilii santi.
Se nostra dirti, o buona, anco ti giova,
Del gener tristo e de gli infermi erranti
Amor ti mova.
Odi le caste Vergini: il lamento '• ^ '
De la canuta etade òdi; é su Tpio
Volgo com'aura di benigno vento ^
Spira da Dio.
Ruinan, vedi, a soffrir tutto audaci
Le menti umane in disperata guerra,
E de le furie le sanguigne faci
Corron la terra:
Odio e furore i torvi animi avvampa
E ciechi mena con la sua rapina
Ove pietade è in bando, ove s'accampa
L* ira divina:
Erra in ombra di morte e le vitali
Fiamme rifugge la mortai ragione,
E di pensieri ferve e di pugnali
Bieca tenzone.
Ma noi pio gregge a te su '1 puro altare
Vóti mandiamo a cui pietà risponde:
Ragguarda, o buona, a' figli, ed abbi care
Le nostre sponde.
76 JUVENILIA
Volgi sereno a questi campi il sole,
Benigna assisti a' focolari aviti : .
Mùltiplicata invochi te la prole
Co' patrii riti.
Qui de le caste menti ama il goveri^o:
Qui santa e madre al popol tuo ti mostra:
Né a danno irrompa qui possa d' inferno,
Te duce nostra.
JUVENILIA 77
XXXIV.
A GIULIO
N,
on sempre aquario verna, né assidue
Nubi si addensano, piogge si versano
Malinconicamente
Sovra il piano squallente:
Non sempre T arida chioma a le roveri
I torbid' impeti d' euro affaticano,
Né dura artico ghiaccio
A industri legni impaccio:
Ma tu, o che vespero levi la rosea
Face su l' ampio del ciel silenzio
O fugga al sol d'avanti
Mal gradito a gli amanti.
78 JUVENILIA
Tu sempre in flebili modi elegiaci,
Lamenti, o Giulio, la cara vergine
Che il fren de' tuoi pensieri
Reggea con gli occhi neri.
Oh non continue querele e gemiti
Commise a' dorici metri Simonide;
Né ogn'or gemè in Valchiusa
Nostra più dolce musa,
Si fra le memori tombe romulee
Destò r italica speme, e del lauro
Di Gracco ornò la chioma
Al tribuno di Roma;
E anch'oggi splendidi gli sdegni vivono
Ne' tardi secoli, spirano i fremiti
De le genti latine.
Ne le armonie divine.
Deh, se pur prèmeti desio di piangere.
Mira la patria; grave d'obbrobrio
Il nome italo mira;
E qui piangi e ti adira.
Mira: di barbaro lusso le rigide
Torri si vestono, dove già gì' integri
Petti e le forze e i gravi
Senni crebber de gli avi.
JUVENILIA 19
Qui dove i trivii d'urli e domestico
Marte e di fiaccole notturni ardevano
E insanguinò le spade
Gelosa libertade,
Di specchi fulgido ecco e. di lampade
È il luogo, e gli ozii molce di un popolo
A cui die il cielo in sorte
Noia pallida e morte.
Torpe degenere la plebe, e lurida
Ammira gli aurei splendori, ed invida
E vii con mano impronta
I duri Cresi affronta;
' ' ' •' ' '
Lieta se a' hobili tetti d'obbrobrio
Saliron avide le plebee vergini
A ricomprar le fami
De' genitori infami.
No, di quel valido sangue, che spiriti
Gentili e rapida virtù ne gli animi
De' parenti fluiva,
L'onda ahi più non è viva.
Sacri a la pubblica salute, estranee
Minacce ed impeti di re fiaccarono:
Plebe altera, de' grandi
Prostrar l'orgoglio e i brandi.
so JUVENILIA
Discese il ferreo baron da Torride
Castella, e al popolo vincente aggiuntosi
Con mano usa al. crudele
Cenno trattò le tele.
Da le patrìzie magioni al popolo.
Premio d' industria, benigna copia
Calò; di languid'oro
Non custodian tesoro
L'arche difficili. Crebbe a la patria
Larga di pubblici doni e di gloria.
Ogni studio più degno
E di mano e d' ingegno.
E pompe sursero di fòri e portici
Ed are a V unico signor de' liberi.
Né a gli ozi allor de* vili
Servian l'arti civili;
Ma dal magnanimo voler, da' semplici
Cuor de gli artefici, sfidando i secoli,
Balzò con franco volo
Su l'attonito suolo
Di Flora il tempio; dove tra i memori
Padri fremerono d'assenso i giovini
A l'ira e a* carmi austeri
Del gran padre Alighieri.
JUVENILIA. 81
XXXV.
ALLA LIBERTÀ
RILEGGEKDO LE OPERE DI VITTORIO ALFIERI
i e non il canto che dì tenue vena
Lene a gli orecchi mormora e deriva
Né sottil arte di servii camena
Lusinga, o diva.
Te giova il grido che le turbe assorda
E a r armi incalza a V armi i cuor cessanti,
Te le civili su la ferrea corda
Ire sonanti :
E sol tra i casi de la pugna orrendi
E flutti d' aste e fulminose spade
Nel vasto sangue popolar discendi,
0 libertade.
Carducci, 6
82 JUVENILIA.
Tal t' invoca su la terra attèa
Trasibul duro ne' dubbiosi affanni,
E cadeau ostie a la cecropia dea
Trenta tiranni:
Tal, sollevato il parricida acciaro,
Teste di regi consecrando a Dite,
Bruto e Virginio un di ti revocar©
Diva quirite.
Ma quale inermi a te le mani porge
Di tra una plebe che percossa giace
Non del tuo viso l'alma luce ei scorger
Ma senza pace
Assidua larva tu lo premi : ei vola
Tra le tue pugne co '1 desio veloce,
E muto campo gli è il pensiero e sola
Arme la voce.
Tale il tuo nume nel gran cor portando
Correva Italia l'astigiano acerbo^
E trattò il verso come ferreo brando.
Vate superbo:
Te fra gli avelli sotto il ciel romano
Chiamava; e il nome giù per l'aer cieco
Cupo rendeva a lui dal vaticano
Vertice V eco.
JUVENILIA. 83
Tu r implacato allór flutto d' Atlante
Rasserenavi de le die pupille:
Aspri deserti sotto le tue piante
Fiorian di ville.
Quindi crollando la corusca lancia
Saltasti in poppa a i legni di Luigi,
E ti scortaro i cavalier di Francia
Dentro Parigi.
Ma noi te tn vano al tuo già sacro ostello
Desiderammo, triste itala prole:
Senza te mesto il cielo ed è men bello
Il nostro sole.
Torna, e ti splenda in man V acciar tremendo
Quale tra i nembi ardente astro Orione;
Deh torna, o dea, co '1 bianco pie premendo
Mitre e corone.
LIBRO III
XXXVI.
r assa la nave mia, sola, tra il pianto
> gli alclon, per l'acqua procellosa;
: la involge e la batte, e mai non posa,
De l'onde il tuon, de 1 folgori lo schianto.
/olgono al lido, ornai perduto, in tanto
-e memorie la faccia lacrimosa;
H vìnte le speranze in faticosa
i'ista s' abbatton sovra il remo infranto.
^a dritto su la poppa il genio mio
Guarda il cielo ed il mare, e canta forte
De" venti e de le antenne al cigolio:
-- Voghiam, voghiamo, o disperate scorte,
M nubiloso porto de 1' oblio,
■\ la scogliera bianca de la morte. —
86 JUVENILIA.
XXXVII.
G
'he ti giovò su le fallaci carte
Sfiorar gli anni tuoi novi ed il natio
Vigore in su la còte aspra de V arte,
O troppo a questa amico e a te non pio?
Or qui te da la luce alma diparte
Dura quiete e sempiterno oblio:
O speranze d'onore al vento sparte!
O brama di saper che ti tradio!
Péra chi al vero inesorato e a* danni
Del vero addisse quella età migliore
Che più pronta risponde a' belli inganni!
Ch'ora non piangerei spento il fulgore
Gaio del tuo sembiante e i candidi anni
E de la cara vita il caro fiore.
Jtn^NiUA. 87
XXXVIII.
A F. T.
D,
ue voglie, anzi due furie, entro il cor mio
Seggo», Felice, e a me di me i* impero
E contendono e strappano: desio
Che di bellezza nacque, e vie più altero
Di egregie cose amor. L'una con rio
Fuoco depreda il vinto petto: intero
Seco tfàggemi V altra in parte ov* io
Fantasmi evoco e pur gravami il vero.
Tale, schiavo di me, me ogn' or d' inganno
Nudro volente; e *1 venen suo m' instilla
La cura che diversa entro mi strugge;
E corre intanto il ventunesim* anno,
E il solitario spirito sfavilla.
Ed ombra lenta i di sterili adugge.
88 JUVENILIA.
XXXIX.
1 oi che mal questa sonnacchiosa etede
Di forti esempi a' vivi suoi provvede^
Posa, 0 spirito mio; né acquistjn fede
Mie fiacche rime a la comun viltade.
Lunge, canti d'amore: altro richiede
Quel novo ardor che tutto entro m' invade:
Io voglio tra rumor d' ire e di spade
Atroci alme rapir d'Alceo col piede.
Risorgerem poeti allor che sia ,
Scosso il torpore senza fine amaro^
E la patria virtù musa ne fia.
Tremante un re le attèe scene miraro
Ne' carmi ancor, ma tinse Eschilo pria
Ne' Medi fuggitivi il greco acciaro.
JUVENILIA. 89
XL.
GIUSEPPE PARINI
IN on io pe '1 verso onde sentia lo stuolo
De r ignavi potenti il grave morso,
Né pe *1 canto superbo onde in suo corso
Tornasti la civil musa tu solo,
Non io fo vóti. Altera aquila al polo
Troppo ogni emulo ardire hai tu precorso;
Né da le forze mie spero soccorso,
Picciole forze a cosi largo volo.
Sol vuo' di te la schiva anima, e il retto .
Non domabile ingegno, e V ira e il forte
Spregio pe'vili, e la parola franca.
E voglio, e posso. Tu mi reggi e affranca:
Che tu sai ben eh* io pe '1 tuo fiero petto
Aspro vivere eleggo e oscura morte.
90 JUVENILIA.
X'
xu.
PIETRO METASTASIO
N,
o, non morranno, in fin che tempra umana
Non sia dal vizio o da barbarie doma,
Il tuo nobile Cato e la sovrana
Virtù del prigionier consol di Roma.
10 ben tutti gli allori a la tua chioma,
/^ O degna d'altri giorni alma romana,
Dar voglio e al canto che soave doma
Tutte ree volontadi e il cor risana.
Scuola è la scena or d* ogni cosa ria.
Dove scherza il delitto e dove ardito
L'adulterio in gentil vista passeggia;
E a questi esempi il gener suo nodrito
Vuole e te mastro di virtude oblia
11 secoletto vii che cristianeggia.
JUVENILIA 91
XLII.
CARLO GOLDONI
O
Terenzio de V Adria, al cui pennello
Die Italia serva i vìndici colorì,
Onde si parve a quanti frutti e fiori
Surga latino ingegno in suol rubello,
Vedi: pur là dove più il retto e'I bello
Eccitar di sé dee pubblici amori,
Ivi ebra l'arte più di rei furori
Tra sanguinose scede or va in bordello.
Riedi; e i goti ricaccia. A questa putta
Strappa tu il culto oscen, rendi a le sparte
Chiome il tuo lauro che la fé si bella.
Ma no; ch'oggi tu biasmo e onor la brutta
Schiera s'avrebbe. Oh per viltà novella
Quanto basso caduta italic'artel
92 JUVBNILIA
XLIII.
VITTORIO ALFIERI
O
de r italo agon supremo atleta
Misurator, di questa setta imbelle, -
Che straniata il sacro allòr ti svelle, '
Che vuol la santa bile irrequieta?
E a qual miri sai tu splendida meta
Ed a che fin drizzato abbian le stelle
Questa età che di ciance e di novelle ;
Per quanto ingozzi e più e più asseta? —
Secolo ingrato, o figlio; e a viltà giunge,
Chi ben lo guardi senz' amore od ira,
Ogni passo che move per sua via:
E. dove al mal pensar viltà s* aggiunge,
Ivi non sente cor, mente non mira
Quant'alto salga la grandezza mia.
JUVENILIA 93
xuv.
VINCENZO MONTI
Q.
,uando fuor de la pronta anima scossa
Dal dio che per ìt vene a te fluia
V usciva il canto rapido in sua possa
Come de TEridan Tonda natia,
La sirena immortai, che guarda Tossa
Di Maro, alzossi per l'equorea via,
E spirò da T antica urna commossa
Di cetere e d'avene un* armonia.
Al lazio suon pe'i curvi lidi errante
'Come tuon rispondea che chiuso romba
Da Ravenna il toscan verso di Dante.
Rispondea di su '1 Po T epica tromba.
Tacesti; e tacquer le melodi sante.
Tacque di Maro e d'Alighier la tomba.
94 JUVENILIA
XLV.
ANCORA VINCENZO MONTI
T,
e non il sacro verso e non la resa
A* primi fonti e a la natia drittura
Itala poesia^ vate, assecura
Da la rea pèste ond' è 1* Italia offesa.
Mente che il bene e il male austera pesa
E possente contempi si misura
Perché negaro a te culto e natura,
O buona a' vari affetti anima accesa?
Ch'or non udrei de' bordfllier Catoni
Pronta pur contro te la facil gola.
Pronti e de' cortigian Bruti i polmoni.
Tu moristi in vecchiezza oscura e sola,
O poeta di Gracco e Mascheroni:
Costoro ingrassa la servii parola.
JUVENIUA 95
XLVI.
GIOVAN BATTISTA NICCOLINI
i empo verrà che questa madre antica
A gli esempli che fùr levi la fronte
E nostre terre per virtù già conte
Tenga una gente di virtude amica.
Or tra* due mari e da Pachino al monte
Sola un' oblivione i petti implica,
Né questo molle cielo alma nodrica
Che 2l suoi padri o con sé mai si raffironte.
Che te iaudassim noi, plebi assonnate
Tra un fiottar lento d' incresciosi carmi,
A te saria vergogna ed a noi danno.
0 beati i nepoti! in mezzora Tarmi
Te di giorni miglior ben degno vate
Con Dante e con Vittorio invocheranno.
% JUVENILIA
XLVII.
AD ANTONIO GUSSALLI
RACCOGLITORE
DEGLI SCRITTI DI PIETRO GIORDANI
V^ual tra le ingiurie di Fortuna e i danni
I di traesse di conforto nudi.
Pur preparando ne' solinghi studi
Questa Italia novella a liberi anni,
Quel grande cui tremar preti e tiranni
E d'ogni servitù gli eterni drudi
Quand'ei gli ozi turbò de' tristi ludi
Cui dritto è forza e son ragion gì' inganni,
Narrasti, ospite egregio; e i degni accenti,
Che pietà dì suo zel dritto infiammava.
Più vivi spirti a l' amor santo dierci.
Oh degno ei ben che de le fiacche menti
L' oblìo lui segua e de la turba prava
E il feroce oltre al rogo odio de' cherci I
JUVENILIA 97
XLVIII.
A TERENZIO MAMIANI
wome basti virtù, perché suprema
Ira e furor d' ingegni e pellegrino
Regno più in fondo il nome italo prema,
A contrastare il fato in cor latino,
Ben mostri or tu: che, mentre ignuda e scema
D' ogni loda e bel pregio a reo cammino
Torce la gente, in su Tetade estrema
Sofo e v^^ d'Italia e cittadino
Vero pur sorgi, come a '1 secol bello
Quando a '1 valor natio spazio era dato
D' addimostrarsi in generosi esempi.
0 d' antica virtù gentile ostello
Petto latin, pur come suoli, al fato
Dura, e di te nostro difetto adempì.
Carducci.-
98 JUVENILIA
XLIX.
IN SANTA CROCE
Vw/ grandi, o nati a le stagion felici
Di questa Italia ch'or suo verno mira,
A cui tanto spiraro i cieli amici
Che in voi fùr pari amor potenza ed ira;
In servitù che pur giova e s'ammira
Cresciuto a' giorni di valor nemici.
In van de gli anni miei contro la dira
OblivTon chieggo da voi gli auspici.
Al gener vostro ozio è la vita, scherno
Ogni virtude: in questi avelli or vive,
Qui solo, e in van, la patria nostra antiqua
A i quali io siedo e fremo, a le mal vive
Genti imprecando de Tetade obliqua
Dispregiator, ch'altro non posso, eterno.
JUVENILIA 99
L.
A UN CAVALLO
V
iva, o prode corsiero! A te la palma,
A te del circo il platìdir fremente !
L'uom che te bruta (;lisse ignobil salma.
Per te lo giuro, a sé adulando ei mente.
Da quel corpo tuo bello oh come V alma
Splendeva, a i premi ed a le mète ardente
Or posi; e guardi in tua leggiadra calma
I vinti angli poliedri alteramente.
E vinto avresti quei famosi tanto.
Quei che immortali Automedon giugnea
E sferzava il Pelide in ripa a Csanto.
Deh, che non ferve a te V arena elea,
E de l'uguale a'dii Pindaro il canto
Che non ti segue là su l'onda alfea?
100 JUVENILIA
LI.
N,
on vivo io, no. Dura quiete stanca
L' ingegno, e '1 sempre vaneggiar lo irrita
Indarno. Manca ogni ragion di vita,
Se libertade, ahi libertà I, ne manca.
Qui dischiusa dal cor parola franca
È con pavento o con ischerno udita,
E argomento di riso altrui si addita
Uom che per sé del vulgo esce e si affranca.
Or che mi vai, se co '1 pensier trascendo
Tra M ceto de gli eroi fuor de' neri anni
Te libertà, divina ombra, seguendo?
Vissuto io fossi a sterminar tiranni
Con voi, Roma ed Atene; e non garrendo,
Infermo augel eh' ebbe tarpati i vanni !
JUVENILIA 101
LII.
PER I FUNERALI D' UN GIOVANE
S
e affetto altro mortai per te si cura.
Spirto gentil cui diamo il rito pio,
Pon dal ciel mente a questa vita oscura
Che già ti piacque e al bel nido natio.
Vedi la patria come sua sventura
Di tua candida vita il fato rio
Piangere e '1 fior de gli anni tuoi cui dura
Preme l'ombra di morte e il freddo oblio.
Quindi ne impetra tu, che a te simile,
Dritta a l'oprar, modesta a la parola,
Cresca la bella gioventù virile,
E -senta come a fatti egregi è scola
Anche una tomba cui pietà civile
E largo pianto popolar consola.
102 JUVENILIA
LUI.
± oi che l' itale sorti e la vergogna
Del rio servizio a quale animo altero
O d' ingegno o di mano il pregio agogna
Interrompono inique ogni sentiero,
Peso è la vita insopportabil fero
A chi virtude e libertà pur sogna.
Ond* io quasi de' vili i premi or chero,
Se non che il genio mio tal mi rampogna.
Oh, che pensi, che vuoi? spettacol degno
De i numi e di sublimi animi, uom forte
Pugnar più sempre quanto più constretto,
E M fato lui d'ogn'ira sua far segno,
E lui soffrire ed aspettar la morte
Pur contro il mondo e contro i fati eretto.
JUVENILIA 103
1
LIV.
Xli eh' io, perché lo schernir tuo m' incalza,
Vinto porga la man, turba molesta?
Non io son fiore a cui brev*aura è infesta,^
Elee son io che a' venti indura e s' alza. _j
Mitrata il crine e cinta i fianchi e scalza
Salmeggi itala musa; o, qual rubesta
Menade oscena a suon di corno desta,
Salti ed ululi pur di balza in balza.
lo, dispregiato e sol, de' padri miei '
lo l'urne sante abbraccio; e mi conforta
Riparar qui dove posar vorrei.
Manchi a me pur V ignuda gloria, morta
Giaccia co *1 corpo la memoria, a' rei
Sia scherno il vuoto nome: oh che m'importa?
I
104 JUVENILIA
LV.
IN UN ALBO
S
pirto gentil, che chiedi ? Ormai l' altero
Sogno vanio per V aure, e il mondo tace.
Cadde l' cilena dea; del mio pensiero
Madre, T cilena dea per sempre giace.
Ahi, le pupille che nel sen d' Omero
Arser di poesia cotanta face.
Che de' dardi cissèi tra '1 nugol fero
Ridean superbe ad Eschilo pugnace !
Ahi, da la morte V ultimo suggello
Ebber V alme pupille ! Altri deliro
Abbraccia il corpo ancor, gelido e bello :
Ne i secoli mutati ombra io m'aggiro,
E i novi templi guardo, e al vuoto ostello
De la ionica dea torno e sospiro.
JUVENILIA 105
LVI.
A. N. F. P.
RISPOSTA
C,
hi mi rimembra la speranza altera
Che giacque fulminata entro il mio core?
Te ragguardò con mite occhio d'amore
Su M nascer tuo Melpomene severa.
Canta; e de gl'inni tuoi l'ala guerriera
A voi segua il risorto italo onore:
Canta; ed infondi a' cor di quel valore
Che gli rapisca a più sublime sfera.
Male co' di novelli ahi mal s* accorda
Alma che da' sepolcri anche s' inspira,
E a lei risponder la camena è sorda.
Veggo il suo vel fuggente: e a la mia lira
Rompon, amico, omai V ultima corda
Increscioso dispetto e steril' ira.
LIBRO IV
LVII.
LA SELVA PRIMITIVA
i uggendo
Per la gran selva de la terra il nato
De la donna ululò già co' leoni
A la preda cruenta; indi, con vitto
Ferin la vita propagando, incerti
Videsi intorno i figli; e lui rendente
De la materia a le vicende eterne
L' immane salma, per lo gran deserto
Dilaceraro i lupi. E tu, febea
Lampade solitaria entro l'immenso
RadTante, non gemere le vite
Chine su l'opra del crescente pane,
Non danze d'imenei vedesti, e madri
108 JUVENIUA
Veglianti a studio de la culla, e curvi
De' piì parenti a' funerali i figli.
Ma quindi per lo pian stridea la roggia
Alluvifone de' vulcani, intorno
Funereo lume coruscando; e sempre
Caligavan le cime ardue tonanti ;
E l'oceàn muggiva; e in su l'azzurra
Alpe salian le nuvole fumanti
Da l'oceano: paurosamente
Minacciavano al elei roveri negre
Di vastissima ombra quinci; e a l'ombra
Con lupi urlanti e fere altre la prole
S' accogliea de gli umani. Al picciol uomo
E de la fulva leonessa a i parti
Uno era il nido: al fanciulletto atroce
Era sollazzo provocar li sdegni
De' feri alunni, e le crescenti giube
E r unghie e l' armi de la bocca orrende
Tentar con man pargoleggiante, e lieto
Via contendere a correre co' pardi.
Ma de l' atro vulcan 1' uomo e del fuoco,
De r instancabil fuoco, egli temea;
E con rozzo stupor guatava il mare
Immenso. Anche fuggia l'urlo de' venti
Signoreggiante ne' boschi; e del tuono.
Che pe* monti da 1' aere ermo rimbomba,
Chiuso ne le spelonche isbigottiva.
E al suon de la procella, e a l'esultante
Per li templi de 1' etra ira de' nembi.
JUVENILIA 109
E al fulmine stridente, un tremor gelido
Per Tossa ime gli corse; e s* atterrava,
E gemea. Lieto del superbo sole
Era, e pensoso il verno aere ammirava:
Ma più seduto a lungo in verde zolla
Si compiacea de le verginee stelle.
1 10 JUVENIUA
LVIII.
PROMETEO
E
ama è che allor Prometeo, fuggendo
Le sedi auree d'olimpo e de le sfere
L' immortai suono, al nostro mondo errasse
Peregrino divin. Muto correa
Il sole almo e la luce
Per r infinito oceano, e del mondo
L'ignota solitudine tacea:
Deserta s'accogliea
La greggia umana a V ombra
De la gran selva de la terra: ed egli
Seco recava nel fatai cammino
Il rapito dal ciel fuoco divino.
Se non che dura a tergo
Gli si premea la Forza e la ferrata
Necessità: scuotea T una i legami
De l'adamante eterno, e l'altra i chiovi
Con la imminente mano
Su la fronte stendea del gran Titano:
JUVENILIA 1 1 1
Mentre il Saturnio ne la rupe infame
Instigava del negro augel la fame.
Ma rinfiammò in Orfeo
LMnestinguibil foco, ed egli mosse
Il duro sasso de le umane menti
Citareggiando e le foreste aurite;
Fin che pittore de V uman pensiero
Pari a' numi ed aliato alzossi Omero.
1 12 JUVENILIA
LIX.
OMERO
T,
ra le morti e l'alte
Ruine de gli umani e lo sgomento
Viaggiando la Parca, il ferreo carro
Agitava la Forza; e lei reina
La Vittoria seguia con il compianto
De la terra e del cielo. Al doloroso
Genere allora sovvenian le Muse,
Care fra tutti gì' immortali e pie
Divinità. Correvate la terra
Imaginando e ricordando, e tempio
V'era 1' uman pensiero, o pellegrine;
Quando voi nel sonante etra^ ne V ampio
De la luce splendor, ne la procella
Che divina scoscende e i cori prostra,
Prima Omero senti. La mano ei porse
A la cetra, e lo sguardo al mar di molte
Isole verdi popolato, al cielo
Almo su la beata Eubèa raggiante,
JUVENILIA 113
E a voi tessali monti esercitati
Dal pie de gl'immortali. Ardea. fremea,
Trasumanato, il giovinetto; e mille
Di numi ombre e d*eroi nel faticato
Petto surgeano a domandargli il canto.
Ed ei pregò, la genitrice Terra
Molto adorando e il Cielo antico; e a' suoi
Vóti secondo te chiamò che in alto
Hai sede e regni V invernai Dodona,
Giove pelasgo. E voi spesso invocando,
Voi già prodotti in più sereno giorno
Eroi figli de' numi e di tiranni
Domatori e di mostri, e quei che forti
Furo e co' forti combatteàno, venne
Del re Pelide al tumulo. E sedeva
Inneggiando, e chiamava — O crollatore
Terribile de 1' asta, o d' immortali
Cavalli agitator, mostrati al vate,
Uom nato de la diva. Un fatai canto,
Ecco, io medito a te; che n'abbian gloria
Eliade e Ftia regale e d' Eaco i figli.
Incremento di Giove. E, deh m'assenta
Questo vóto la Parca! io ne la gloria
Tua de gli elleni il bel nome disperso
Raccoglierò poeta. Odo, la diva
Odo: e di te la grave ira mi canta.
0 re Pelide, al tuo poeta mostrati. —
Carducci. 8
114 JUVENILIA
Disse. E Tudia l'eroe; che da le belle
Isole fortunate ove i concenti
De' vati ascolta e quanto a' numi è caro
Chi a la patria versò l'anima grande,
Venne; ed in sue divine armi lucente
Isfolgorava deiforme. Un sole
Eran armi e sembiante; e óome stella
Di Giove che in sereno aere declina,
Pioveaglr su le spalle ampie il cimiero
Flutto di chiome equine. E Omero il Vide
Attonito; né più gli occhi d'Omero
Vider ne i campi d' Argo il dolce sole.
Né se'n pianse il poeta. Errò mendico
(E avea ne gli occhi la stupenda forma)
Il suol de i forti elleni; e le cittadi,
Opra di numi, ei non vedea; si tutte
Di lor sedi erompean le achee cittadi
A r incontro del vate. Un drappelletto
Di garzoni e fanciulle (avevan bianco
Il vestimento e lauri in pugno avvolti
De la mistica lana) intorno al vate
Stringeasi con amor: -— Vieni, o poeta,
A i nostri numi ; e i nostri avi ne canta —
E r adducean per mano. Egli passava:
Gli ondeggiavan di popolo le strade;
E le madri accorreano, i pargoletti
Protendendo al poeta. Orava a' numi
Ne l'entrar de le porte — O dii paterni
JUVENILIA 1 15
E o dee che avete la cittade in cura,
Deh guardatela molti aiwii-^a'nepoti. —
Ne l'agora sedea, curvo a la terra
Il capo venerando; e parea Giove
Quando ne r areopago discende
Da la reggia d' olimpo. Erangli intornò
In su r aste di lunga ombra appoggiati
I prenci figli de gli eroi: diverso
E d* infanti e di femmine e di vegli
E di chiomati giovinetti un vulgo
Addensato co gli omeri attendea.
Stavan presenti i patrii numi: il cielo
Patrio rideva in suo diffuso lume
Allegrato del sol: riscintillando
In vista ardea la ionia onda famosa,
E biancheggiavan lunge i traci monti.
Ed Omero cantò. Cantò di un nume
Che in nube argentea chiuso ognora il petto
Assecura de* giusti; e come il divo
Senno di Palla per cotanto mare
Di perigli e di morte al caro amplesso
Radducea di Penelope e a la vista
De la sua cilestrina isola Ulisse.
Anche, su M capo a gli empi assidua V ira
Minacciando ed il fato, a l' alme leggi
De l' umano consorzio e a la vendetta
Le deità d' averno addusse il vate
Pfoteggitrici forze: onde solenne
La ruina di Troia, e spirò il duolo
116 JUVENILIA
Dal tragico terrore e il miserando
Edippo da le attèe scene ed Oreste
Esagitaron l'anime cruente.
Ecco ! gr immoti e spenti occhi levando
Nel cielo e desiando il sol che vide
Le guerre sotto il sacro Ilio pugnate,
Di tutto il capo alzasi il veglio; e Grecia,
Senza moto e respiro, in lui riguarda.
Ecco! la man su l'apollinea cetera
Rapidissima batte, orride stridono
Le ionie corde, i volti impallidiscono.
E cantò del Tidide a tutta corsa
Disfrenante su' Dardani la biga,
Dritto ei nel mezzo, e mena l' asta in volta:
Caggiono i corpi: infuriano nel sangue
I corridor fumanti: urla la morte
Dietro r eroe : corron le furie innanzi.
Lo spavento, la fuga. E te piantato
In su la nave, o re Telamonide,
Cantò ; come e del gran corpo e de V asta
Grande e ben ventidue cubiti lunga
Reggei lo sforzo de la pugna, ed eri
Solo tu contro mille: a fronte urlavano,
Accorrenti, irrompenti, risplendenti
D' armi e di faci i Teucri : Ettor crollava
Con man la poppa: sovra èrati Apollo
E l'egida scotea: tonava il padre
Da l'olimpo su' greci: affaticato
JUVENIUA 117
A te cadeva il braccio, e ti battea
Alto anelito i fianchi — Oh viva, oh vivai -
Gridan l'anime achive asta con asta
Percotendo, e il clamor levan di guerra. '
Balza il poeta; e la canizie santa
Scote e la fronte ampia serena, in vista
Nume veracemente. — Udite, o figli:
La gloria udite de la lega ellèna.
Achille ftio sangue di Giove. — E disse
Come d'un grido (gli splendea dal capo
Di Pallade la luce) isbigottf
Le dàrdane caterve; impauriti
Ricalcitraro orribili i cavalli.
Ed annitrendo sbaragliati i cocchi
Rapivano a le mura: e qual con Csanto
Fiume di Giove ei contrastasse; e come
Dopo ila biga, a le difese mura
Intorno, egli il divin corpo di Ettorre
Tre volte orribilmente {strascicasse
Entro l' iliaca polve. Armi fremendo
E prenci e vulgo gridano il peana:
Marte spiran gli sguardi: e tutti in cuore
Già calcavan nemici, e a le paterne
Are affiggean le belle armi votate.
Ma pio davan le argèe vergini un pianto
Su la morte di Ettorre: e chi a la cara
Patria e a le spose e a' pargoletti imbelli
E a' templi santi il suo sangue fea sacro,
Gioia avea de la morte: onde nel giorno
\118 JUVENILIA
De le battaglie infurKò tra' Medi
La virtù greca, e il nome Atene e V ire
Commise del potente Eschilo al canto.
JUVENILIA 1 19
LX.
DANTE
Jr orti sembianze di novella vita
Circondar la tua cuna,
O re del canto che più alto mira
Gentil virago ardita,
Quale non vider mai le argive sponde
Né le latine, e d*amor balda e d'ira,
A te venia la bella
Toscana libertarie; e il pargoletto
Già magnanimo petto
Ti confortava de la sua mammella.
Tutta accesa ne' raggi di sua sfera.
Mite insieme ed austera,
Venne la fede; e per un popoloso
Di visioni e d'ombre oscuro lito
La porta ti mostrò de 1* infinito.
Gemebondo e pensoso, e pur di rose
Ad altr* aura fiorite il crin splendente,
Con te si stette amore
120 JUVENILIA
Lunga stagione; e si soavi cose
Ti parlò con le labbra vereconde,
E si dolce ti entrò le vie del core,
Che ninno al par di te sentio d'amore.
Ma spesso ancor del meditar solingo,
O giovinetto schivo,
Te scuotevan clamor fiero e tumulto
E furor di fratelli
Duellanti ad uccidersi. Stridenti
Per le vicine mura
Civili fiamme udisti; e donne udisti
Ferire a grida il ciel, che V are e i lètti
E i fuochi almi e le cune,
E tutto ciò che bello
Fé' a gli occhi loro il maritale ostello,
Tutto scorgeano in ampio ardore involto,
E minare in armi esso marito
Da gli amplessi erompendo, e i giovinetti
Armi gridar, sdegno anelando e stragi:
E tu vedesti un furiar di spade
Cercanti a morte i petti,
E nel guerrier che cade
Minacciar viva la bestemmia e l' ira,
E in gran sangue confuse
Bionde teste canute, e a libertade
Spettacolo di umane ostie esecrate
Dar le furie, e crollar truce la morte
Le immani torri e le ferrate porte.
JUVENILIA 121
Crebbe tra i feri obietti
L'italo ardito spirto;
E, al lungo odiò civil pregando fine, •
D' amor si pure imagini e si nove
Vide e ritrasse a V ombra
D'un mirto giovinetto
Che le inchina adorando ogni intelletto^
Lui dal soave inganno
Destò voce di pianto
Sonando amara su'l materno fiume.
Ahi, dal turbine infranto
Giacque il bel mirto, e con aperte piume
La colomba d'amore ahi se n'è gita
Impetrando al suo volo aura più pura.
Ei per entro l'oscura
Caligine de' secoli ondeggiante
Rifuggi tra le antiche ombre famose,
Ch'ebbe sé in odio e le presenti cose,
Ed. usci, nel crepuscolo, gigante.
Ed ombra apparve ei stesso ; ombra crucciosa,
Che ad una ad una interroga le tombe
Nel deserto, e le abbraccia ad una ad una;
Fin che dinanzi a tui tra le ruine
Barbariche e la polve
Fumò il vigor de le virtù latine,
E tutto quel che una ruina involve
Feri l'aura silente
Di un grido alto e possente.
Ne r alta vistone
122 JUVENILiA
Diviti surse il poeta; e disdegnando
La triste Italia e per mancar. d'obietto
Pargoleggiante il gran vigor natio»
Te salutò in desio,
Alma Italia novella.
Una d'armi di leggi e di favella.
A riportar nel vero
Imagine cotanta, egli la vita
Che per lo mar de l' essere si voi ve
Cercò; d'entro la polve
E dal suon del passato il bene e il male
Trasse, vate fatale: e la sua voce
Come voce di Dio da' sette colli
Tuonò su '1 mondo, e tutti a sé d* intorno
I secoli evocò. Giudice e donno
In lor suo sguardo mise;
Ammirò e pianse, disdegnò e sorrise:
Poi li schierava ne V eterno canto.
Piacendo pure a sé di poter tanto.
Ma questa umile aiuola
Ove si piange e s'odia,
E questo eterno inganno, e questa vana
Ombra e' ha nome vita ed è si bassa,
T'era in dispetto. Poi che il sacro versò
A tutto r universo
Descrisse fondo, e il buon sofo gentile
Te mise dentro a le scerete cose.
Veder volesti come l' angel vede
JUVENILIA 1^
Colà dove non è di nebbia velo,
Amar volesti come s'ama in cielo.
Su per le vie d' amore
Quest' umil creatura
Risospingendo innanzi al creatore,
Quetar volesti in queir eterno vero
Che il grande amor ti dette e il gran pensiero.,
Cesse Virgilio a tanto;
E tu deserto e solo:
Spirito uman, per entro il gran desio
Sommerso vaneggiavi, e dubitando
Tu disperavi: quando
Su r angeliche penne
Al tuo dolor sovvenne
Quella eh* è amore e visione e luce
Tra l'intelletto e'I vero:
Nomarla a me lingua mortai non lice;
Tu la dicesti, amando. Beatrice.
Cosi di sfera in sfera.
Tutto era melodia quello che udivi,
Tutto quel che vedevi era una luce;
E tutti quanti erano amore i sensi,
E lo spirto ed il verso un'armonia
Simile a quella che là su s'india.
Deh, qual parveti allora
Quest' umil patria, e qual de le partite
Città la lite (ahi come quella eterna
Che sempre trista fa la valle inferna!).
124 JUVENILIA
Quando novellamente
Di ciel disceso ne portavi il canto
Supremo, e tutto avevi il nume in fronte,
Come l'antico che scendea dal monte?
Innanzi a te, splendente
Pur anche nel fulgor del regno santo,
Balenò di vermiglia
Luce il campo feral di Montaperto,
E pe '1 tristo deserto
De le crete maligne
Un fioco suon correa
Come sospir di. battaglier morenti;
Cui lontan rispondea
Con un rumor di molto pianto umano
Di Campaldino il maledetto piano.
E tu dal mar toscano,
Rea Meloria, sorgesti;
E la gloria dicesti
De le nefande stragi, e da la nostra
Rabbia infamati i sassi ermi al Tirreno,
E *1 grande equoreo seno
Incestato di sangue, e tristo il bello
Ligure lito di pisani esigli,
E nati solo al fratricidio i figli.
JUVENILIA 125
LXI.
BEATRICE
JLja luminosa testa
Dritta al eie! sorridea,
E il collo si volgea — roseo fulgente.
La fronte splendiente,
Alta, serena, bella,
E la rosa novella — del suo viso
E il freschissimo riso
Di pura giovinezza
Mi svegliaron dolcezza -— nova in cuore.
Ma di soave orrore
Tutto mi sbigottiva
De la persona diva — il portamento.
Ondeggiava coi vento
A r aere mattutina
La vesta cilestrina — e il bianco velo.
126 JUVENILIA
Cosi donna dal cielo
Mi passava d'avanti
Angelica in sembianti — e tutta accesa.
La mente mia sospesa
Pur a lei riguardava,
■
E l'alme quietava — sospirando,
Poi dissi = Or come, or quando
Fu la terra si degna
Che tal d'amore insegna — in lei si posi?
Che padri avventurosi
Al secol ti donaro?
Che tempi ti portaro — cosi bella?
Qual più serena stella
Prima forma t'accolse?
Qual divo amor t'avvolse — del suo lume?
Ben fia l' uman costume
Volto a segno felice
Se di te beatrice — si ricrea. =
= Non donna, io sono idea
Che a r uomo il eie! propose
Quando de l' alte cose — ardean gli studi,
JUVENIUA 127
E i cuor non anche nudi
Di lor potenza ignita
Combattean con la vita — aspra e co '1 vero,
E al valido pensiero
E a la balda speranza
Diér l' armi di costanza — amor e fede.
Allor d' aerea sede
Tra quei gagliardi io venni,
Ed accesi e sostenni — - le tenzoni,
E stretta a' miei campioni
Pei ne V amplesso forte
Bella parer la morte — e la disfatta.
Da i vaghi ingegni tratta
In versi ed in colori
Io vagai tra gli allori — in riva d'Arno.
Voi mi cercate incjarno
Ne' vostri angusti lari.
Non Bice Porti nari, — io son l' idea. —
128 JUVENILIA
LXII.
AGL' ITALIANI
D,
ivinatrice d' altre genti indaghe
Barbari flutti la britanna prora
Là dove V indo pelago colora
L' ultime plaghe :
Artici ghiacci a' liberi navili
Vietino indarno i bene invasi mari,
E '1 fero lito d' Orenoco impari
Culti civili:
Frema natura, e i combattuti arcani
Ceda a l'intenta chimica pupilla:
Fulminea voli elettrica scintilla
Per gli oceani:
JU VENI LIA 129
Umana industria in divo lume avvolta;
Spezzi il mistero e le sognate porte,
E minacciando insultino a la morte
Galvani e Volta: /
Che vai, se in vizi pallidi feconda
Del lento morbo suo Tetà si gode
E colpe antiche di moderna lode
Orna e circonda?
Odi sonare i facili profeti
Con larga bocca e Cristo ed evangelo,
Odi rapiti in santo ardor di cielo
Sofi e poeti
Vaticinanti — Da l'avita asprezza
Nel mitic'oro il docil tempo riede:
Del lauro antico degnamente erede
La giovinezza
Già de la patria medita T onore:
Gli anni volanti interroga la speme:
Guatan placati al bello italo seme
Gloria e valore. —
Oh non di forza un secol guasto allieta
Sillogismo di mistica sofia,
Non clamor di tribuni e non follia
D'ebro poeta.
Carducci. 9
130 JUVENILIA
Putre fluisce, e ne le sue sorgive
Livida già la vita: da le prime
Cune r inerzia noi caduche opprime
Genti mal vive.
Quando virtude con fuggenti piume
Sprezza la terra e chiede altro sentiero,
L'ardor del buono e lo splendor del vero
Rado s' alluma,
Languido il cor gli spirti suoi più belli
Ammorza e stagna torbida la mente,
Speme si vela e disdegnosamente
Guarda a gli avelli.
O padri antichi, a' vostri petti degno
Culto eran patria e libertà; verace
Vita agitava V anima capace
E il forte ingegno.
Pii documenti di civil costume,
Opre gentili, e amore intellettivo
Del buon del vero del decente, e vivo
D' esempi lume
Vedeano i figli ne la sacra etate
De* genitori e ne' pudichi lari ;
E sobri uscieno cittadini cari
Ne la cittate.
JUVENILIA 131
Crescean nel lieto strepito frequente
De le officine, gioventù severa,
Forte le membra, indomita ed intera
L' alma e la mente.
Durar nel ferro il giovin corpo altiero,
Vegliar le notti gelide, ed immoti
Prostrare a morte libera devoti
Marte straniero,
Fùr loro studi. Poi con man trattando,
Con trionfale mano, e lane e sete,
Appesi a la domestica parete
L' asta ed il brando,
A le pie mogli dissero le dure
Fortune de le pugne, ulte le offese
Ne le barbare torme al pian distese,
E le paure
De le regie consorti e gli anelanti
Sogni su '1 fato del signor. Pietose
De i dolori non suoi piangean le spose
Memori pianti.
Ma il figliuoletto, le domate squadre
Seco pensando ed il clamor di guerra.
Con occhio ingordo riguardò da terra
L'armi del padre;
132 JUVENILIA
E crebbe fero giovinetto, spene
Cara a la patria e forza di sua gente.
Bello, di gioventù, d'armi lucente,
Eì viene, ei viene.
Suonano i campi sotto il gran cavallo
Che altero agita in corso onda di chiome:
Fuggon le schiere e pavide il suo nome
Gridan nel vallo.
Chi fia che tenti quel novel lione?
Morte de la sua vista esce e paura.
Ei passa^ e pianta su le vinte mura
Il gonfalone.
Or tòsco a i figli è il prepotente canto
E il docil guizzo de' seguaci moti
Onde vergogna passerà a i nepoti
D'Ellsler il vanto.
Vile ed infame chi annebbiò il pudico
Fior de' tuoi sensi ne' frementi balli,
O giovinetta, e stimolò de' falli
Il germe antico!
E maledetta la procace nota
Ch' alto ti scuote il bel virgineo petto
E che nel foco del segreto affetto
Tinge la gota !
JUVENILIA 133
Gioite, o padri; e a Palma ed a la mente
Galliche fole di peccar mezzane
Esca porgete. Da le carte insane
Surga sapiente,
Surga e proceda l'erudita e bella
Vostra Lucrezia a gì' itali mariti, v
Pura accrescendo a i sacri rami aviti
Fronda novella.
Ma non di tal vasello uscia l'antico
Guerrier, che a sciolte redini, feroce,
Premea de V asta infensa e de la voce
Te, Federico.
0 di cor peregrina e di favella
E di vesti e di vizi, o in odio a' numi
E a gli avi ed a la patria, or che presumi,
Stirpe rubella?
Sgombra di te la sacra terra; o in fondo
Putrida giaci dal tuo morbo sfatta,
E i vanti posa e la superbia matta,
Favola al mondo.
Oh, poi eh' avverso è il fato ed a noi giova
L' oblio perenne e i gravi pesi e 1' onte,
Rompa su d'oltre mare e d'oltre monte
Barbarie nova!
134 JUVENIUA
Frughili de gli avi ne le tombe sante
Con le spade ne' figli insanguinate,
E calpestin le sacre al vento date
Ossa di Dante.
JUVENILIA 135
LXIII.
A ENRICO PAZZI
UANDO SCOLPIVA IL BUSTO DI VITTORIO ALFIERI
E ALTRI d'altri ILLUSTRI UOMINI
JL erché sdegno di fati
E Tozio reo che nostre voglie ha piene
Vie più ti prema, italo sangue, in basso,
Né tu ti volga o guati,
Peregrin tardo e vuoto d' ogni spene,
A le glorie che son sovra il tuo passo;
Non è senza gV iddii se teco in basso
Luogo ancor non ruina
Ogni antica virtù; che in te sormonta
Viltade si eh' ogni speranza è gioco.
Oh, se pur sotto a' gravi pesi e a T onta
Sfavilla ancor di quel leggiadro foco
Che tutta corse un di terra latina.
Vostra mercé, petti gentili, dove
Or fa nostro valor l'ultime prove.
136 JUVENILIA
E te a la bella schiera
Il fortissimo amor fece consorte
Che oprando hai mostro per si nove guise.
Deh chi potea la fiera
E grande imago vendicar da morte,
Di noi da ignavia rea menti conquise?
Te, certo, te T ombra divina arrise;
Si ch'eguale al subietto
Tua virtù si levò. D' amor, d' iroso
Amor vampo su V alta impresa il core.
Come cred' io che al ciglio lacrimoso .
E a l'occhio ardente ed a l'ansar del petto
Si paresse il magnanimo furore!
Che nulla, o prode, è di tua man la bella
Lode verso il pensier che in te favella.
O caro, a cui possente
Spirò pietà di questa madre antica
E a r oppa degna carità suase !
Vedi la nova gente
Come a' parenti suoi fatta è nemica
E deserta di sua luce rimase.
Rea servitù gli antichi spirti rase
Da' cor difformi ; e omai
A noi disnaturar fatti siam pronti.
Come turbo d' usanza avvien che spiri.
Ah, scesa giù de' mal vietati monti
Pèste diversa che le menti aggiri :
Per te vita n' è spenta. E nostri guai
JUVENILIA 137
Cresce la vana gioventù superba
Che tutti i frutti suoi consuma in erba.
Alto è d' amor consiglio
Ritornare al primier rito civile
Quel che di tanta gloria oggi ci avanza,
Si che dal turpe esiglio
Ripigli l'arte il suo cammin, gentile
Confo rtatrice a V itala speranza.
Deh, per questa valente abbian possanza
Indurre a' cor vergogna
Le imagini de' grandi in cui s'aduna
Quantunque è del buon seme a' tempi nostri.
Ben procurasti contro rea fortuna,
Se le dive sembianze or si ne mostri,
Ch' esciam del sonno, ove nostr' alma agogna
Disdegnando e fremendo. È degno affetto
Ira^ sol ira, in servo italo petto.
Vittorio, e s'or ne pari
Tu qui veracemente e quel tuo sdegno
Che sol del ricordar ne fa sgomenti,
Qual fia l'anima pari
A tanta vista e '1 ben creato ingegno
Che sé da l'ira tempri e dà' lamenti?
Lunge, lunge di qua, spiriti lenti! •
Ch'ove gli affetti erranti
Fioca dan luce, ed a 1' ardir sublime
Che contrasta il destino uom non s'allegra;
138 JUVENILIA
Ove contente a la quifete ed ime
Giaccion le menti, e scherno ahi scherno a l'egra
Gioventude è il desio del raro e i pianti
De la virtude e Tire; ivi alta l'ombra
Di morte incombe e i cuor disfatti ingombra.
Tu '1 sai, che nostra terra.
Errando del tuo sdegno in compagnia,
Del sacro suon di libertade empiesti;
Quando venuto in guerra
Di re, di plebi e di tua stirpe ria
Tanto pe "1 patrio ciel grido mettesti :
Pur si stierono i lenti. Or più funesti,
O spirito cortese,
Ne si girano i fati; e nulla afta
Veggo a mia gente che tra via pur cade.
Dunque sempre smarrita
Fia dal suo corso? e in noi sempre viltade
Suo soverchio userà? fien d'oz^io offese
Nostre menti in eterno ? e veramente
Persa è la tempra di ciascun valente?
Chi provvede al difetto
Ch'è pur da noi? chi noi d'oblio ravvolti
Di pur rinnovellare or ne fa dono?
Ecco un sacro intelletto
Ascoso dir, te figurando — I volti
Drizzate al ver: sorga il valor eh* è prono.
Costui che novamente io vi ridóno
JUVENILIA 139
Alzi il cor de' sommersi ;
E chi muta co '1 vento e nome e lato
Sgridi; e punga i ritrosi, e i lenti scota;
Si che tornin le menti al proprio stato.
Nostra compianta fama e la rimota
Età ve 'n priega, e questi onde a gli avversi
Chiaro fu come in su gli estremi giorni
L'itala possa sovra sé ritorni.
Pietoso! E chi d'uguali
Laudi te, o buono, aclornerà, che prove
Si degne mostri onde a ben far c'incore?
Segui: a' tuoi liberali
Studi è fin meraviglia, e di lei move
Ogni bel senso onde più Tuom s' onore.
Per lei, l'atra quiete e le brevi ore
Terrene e le fatate
Pene indignando, a' vagheggiati inganni
Corre nostr'alma con novelle piume,
E maggior se ne fa. Deh, siegui; e gli anni
Tuoi belli ozio non vinca e rio costume,
Cara nostra speranza ; e d' onorate
Opre giovando questa patria, al vile
Sopor contrasti l' ardir tuo gentile.
140 JUVENILIA
LXIV.
LAUDA SPIRITUALE
JL ogliete, umana gente,
Togliete via le porte:
Io veggo a voi^ venirsene un potente
Che mena gloria ed ha vinto la morte.
Non sorge innanzi a lui suon di paura»
Non compianto di turba dolorosa;
Si fagli festa tutta la natura
Adorna in vista di novella sposa.
Date il lauro immortai, date la rosa,
Fanciulle, in suo cammino,
Con la bianchezza del fior gelsomino.
Ecco, ei viene il re forte incoronato
Con segno di vittoria in mezzo a nui :
Fuggon dal volto suo morte e peccato,
Movon pace e salute ad un con lui.
Viene il signor che de' ribelli sui
In sé portò la pena,
E ne ricomperò con la sua vena.
JUVENILIA 141
Ei ne si fece nel dolor consorte,
E tolse i nostri pesi e tolse V onte :
Stiè nera intorno a lui T ombra di morte,
Né volse il padre al chiamar suo la fronte;
Quel di che rimirando al sacro monte
Uscir de' sepolcreti
I santi d'Israele ed i profeti.
Egli è r Isacco del buon tempo antico
Che porge al ferro il bel collo gentile,
E guarda il percussor con volto amico,
E gli si atterra semplice ed umile:
Né il tien pietà del suo fior giovenile
Né de la fine amara
Né de gli amplessi de la madre Sara.
Ed or la morte sua testimoniando
Qui seco trae la diva umanitade,
Tutto di gioia intorno irradiando
Si come sole ch'ogni nebbia rade;
E gli alberghi del pianto e le contrade
Ove mortale è il lume
Ei conforta del suo presente nume.
A lui ne' regni de la sua vittoria
Reggia s'estolle d'artificio mira:
Cingelo come nube la sua gloria,
E molto amore angelico lo gira.
Voli dal loco ove il dolor sospira
142 JUVENILIA
E vive morte e regna,
Voli il mio canto a lui che si ne degna:
E gli appresenti il duol de la sua gente
Che dal ben dilungata al ben desia.
Come cerva per sete a rio corrente,
Come augel preso a Tafire natia.
Ei da la spera che più in lui s' india
Mandi benignò un raggio
A chi più affanna ed erra in suo viag^o.
•
Levate, umana gente.
Levate su le voglie
E i petti casti a questo re clemente
Che quale a lui si volga in fede accoglie.
JUVENILIA 143
IXV.
ALLA MEMORIA DI D. C
MORTOSI DI FERRO IL IV NOVEMBRE MDCCCLVII
i e, frate!, piango, e piango de la bruna
Tua giornata l'occaso, che seduto
Ne le stanze paterne al cor più sento.
Lenta sale pe '1 freddo aere la luna,
E largamente il cielo inalba, e il muto
Colle riveste e M nudo pian d'argento:
Per li verdi oliveti infuria il vento
Profondo, e intorno ogni animai si tace.
Nel riso e nel tepor di primavera.
Tristo cor mio, qual era
Di questi luoghi la serena pace!
Qual fu a vederlo con ardor virile
Ruotare in breve giro agii destriero
E disserrarlo per l'aperto campo!
Gli occhi suoi mesti allor metteano un lampo,
Correa co' freschi venti il suo pensiero
De l'anno e de l'età nel dolce aprile;
144 JUVENILIA
Qualche sguardo il seguia, qualche gentile
Saluto; e forse ombra invocata i rotti
Sogni alliettava a le virginee notti.
Lasso! ma in groppa gli sedea la cura
Negra, e stridea la vision di morte
Pur circa lui con fredda ombra volante;
E per i lieti campi a la pianura
E i monti aprici e la foresta forte
Istimolava il destriero anelante.
Poi là seduto ove di fosche piante
Lunga si protendea V ombra, tacendo
La terra a V azzurrino aèr d' intorno,
Co 'I bello estivo giorno
Che roseo nel ponente iva morendo
Pianse V error suo vago che a V etade
L'abbandonava; e l'anima inquieta
Desiando fermò ne le supreme
Paci anzi tempo. O giovinetto, e speme
Ninna a te avanza altro che morte? pietà
De gli anni tuoi da le funeree strade
Non ti richiama? ahi, ahi, né caritade
De'pii parenti ti favella al core,
Né ride al fuggitivo animo amore?
Pietà, speranza, amor, tu con feroce
Voglia dal cuor che mercé pur chiamava
(Deh quanta doglia fu la tua!) schiantasti;
E, atteso e fermo a la funerea voce
JUVENILIA 145
Che il disinganno a l'anima ululava
Qual vento a notte per deserti vasti,
Refugio a la fatale ira invocasti
Unico il ferro. Oh, a chi nel raggio aurato
Vegga maligne ombre vaganti e vuoto
Il divo cielo e immoto
Su '1 capo faticoso urgere il fato
Che al dolore a la pena al male addice
Lui de la vita incurioso e ignaro,
Qua giù che resta omai ? Ne V innocente
Mano il ferro adattando e lungamente
Meditando amoroso il colpo amaro^
Ti sacrasti a la morte. E di felice
Vita fioria natura, e la pendice
Suonava a' canti e ridea '1 piano al sole.
Quando dicesti V ultime parole.
— A me luce non più, non più '1 tuo riso,
O aureo sole. Io vfolento i fati
Ecco sforzo, e rifuggo ombra sotterra.
O altissima quiete ove diviso
Poserò d' ogni cura, o interminati
Silenzi e pace dopo vana guerra I
Pur se' gioconda a rimirare, o terra!
Pur bello, o sol, sei tu! Natura in festa
Come a rege a te s'orna; e d'un concento
Ineffabile io sento
Spirar le selve, che '1 tuo lume desta
Dolce fulgente. E tu, tu gli amorosi
Carducci. 10
146 JUVENILIA
Congressi illustri e la fraterna clade
Miri ed aiuti^ imperturbato, eguale?
Ed or m' arridi in fronte, e su '1 letale
Ferro che a me volente il petto invade
Serenamente il vivo raggio posi.
Lusinghi tu de' primi anni gli ascosi
Ricordi, e di gioir versi il desio
In questo petto morituro mio?
Oh cari tempi eh' io te coruscante .
Vedea su 'I mare; e fremea vasta Tonda
Riscintillando, e bianco ardeva il cielo!
Né aspetto d' uomo od opra umana avante
Erami; ed io per entro la profonda
Luce correva a V alta vista anelo :
Meco era Terror mio che un roseo velo
Induceva a le cose. Oh, chi V ha tolto
A me? chi m'ha l'infausta vita appreso?
Entro il mio sangue steso
Me in freddo orror per la mia man disciolto
Reduce, o sol, vedrai. Fumi in conspetto
Di lei eh' è al gener nostro empia madrigna
Il sangue giovenil: contaminando
De' miei parenti il viso, esso il nefando
Vivere attesti; e, lunge a la maligna
Forza eh' a le sue man del mondo ha stretto
Il fren, su 1' ale de la morte eretto
Fugga lo spirto ove non più si paté
E di man di tiranni a libertate.
JUVENILIA 147
Grave durar la vita ed a baldanza
De i duri umani, io non codardo? e quello
Che largo a' bruti e libero jiropose /
Natura, a r uom chiedere in vano? A stanca
Si vii che mi dannò?.... Del mio novello '
Tempo il vigile tedio atre angosciose
L'ore misura, e le future cose,
Tanto eh' a imaginar disdegno e tremo,
M'affrontan mute orribilmente in vista-.
O lassa anima trista, .'
O giovinezza mia stanca, morremo,
Qual peregrin che va per nova via
Tra genti liete ei mesto, e quelle intorno
Agitan festa, ragguarda egli e passa
Pur dolorando, e meraviglia lassa
Di suoi sembianti, onde al cader del giorno
Di lui sospira alcuna anima pia;
Tale io passo al mio fin, tale a la mia
Mèta son giunto. A me chi guarda? a cui
Del mio passar dorrà?... Che monta? Io fui. —
Disse: e geloso custodi nel core,
Nel cor vivente ei custodi la morte,
Come di cara donna il primo detto:
E non domestic' uso e non amore
Ne la deliberata anima forte
Valse l'orma a spiar del diro affetto.
Come, ahi come a te il cor bastò, l' aspetto
Come ti resse, che non tinto e bianco
148 JUVENILIA
Del futuro destino e non in tristi
Sembianti ma venisti
Nel conspetto de' tuoi securo e franco?
Certo, fero garzon, certo evitasti
Il riso ne' materni occhi tremante;
E solitario ne la notte inferna ,
Rifuggìasi il tuo sguardo. Ecco, e l' interna
Larva già fuor di te sorge e d'avante
Sgombra le care viste e i pensier casti
Ma dal suol che di tue vene bagnasti
La mente aborre, e teco dolorosa
Ne la pace postrema si riposa.
Salve: o che più sereno aer tu miri
Poi che di Lete infuso a le bell'acque
Dal rio dormente i dolci oblìi bevesti,
0 ver che giovinetta ombra t'aggiri
Tra i magnanimi antichi a cui non spiacque
1 giorni ricusare ignavi e mesti,
0 che tu vaghi ancor sotto i celesti
Templi solingo ed a me intorno voli
Entro quest' aura che gemendo spira.
Salve, o fratello, e mira
1 tristi giorni miei come van soli.
Ben io vivrò: che a me l'anima avvinta
Di più tenace creta ha la natura,
E officio forse e carità il suade:
Ma, se dal cor profondo unqua mi cade
La dolce imagin tua triste e secura.
JUVENTLIA 149
Giaccia la vita mia d' infamia cinta.
Sii meco eterno; e nel tuo sangue tinta
Del verso vibrerò l'alta saetta
A far del mondo reo dolce vendetta.
150 JUVENILIA
LXVI.
A G. B. NICCOLINI
QUANDO PUBBLICÒ IL Mario
SETT. MDCCCLVIII
Vduando l'aspro fratel di Cinegira
Ne la sonante scena
Trasse vestita d' ardue forme T ira
Che propugnò la libertade ellena,
Marte, che lui spingea tra i dardi avversi
Su ^' incalzati Persi,
Spirò guerra; e fremean guerra, ascoltando,
Quei che operaro in Salamina il brando.
E tu vedesti^ o diva Atene, i padri
De'guerrier trionfati
Nel futuro dolor pensosi ed adri
Gemer da' figli deprecando i fati,
Neri presàgi ombrar con foschi vanni
Le sale de' tiranni,
E da la mira vision percossa
Svegliar ne 1' urne ombre di regi Atossa.
JUVENILIA 151
Quinci il sepolto Dario a l'aure uscia
Da la livida sponda,
E nel pianto de' servi il rege udia
La vittoria de' liberi seconda;
Udia ne' passi de la fuga volto,
Il figlio imbelle e stolto,
E sonar alto da l'egea marina
Il fragor de la persica ruina.
Deh, che fremito errò di petto in petto
Quando il cacciato Serse,
Gentil città d'Armodio, in tuo conspetto
Narrò gli ancisi prenci e le riverse
Caterve e rotti di sua forza i nervi,
E a gli ululanti servi
Mostrò campate a V infinita clade
Sol la faretra e sua regal viltadel
Tale a la prole achea gli ozi felici
Di canti Eschilo ornava,
Se 1' Egeo, detestata onda a' nemici,
Altier de' vinti re lui rimandava.
Ma pria tra la falange ispida e vasta
Infuriò con 1' asta ;
E, come de V Olimpo aquila o d' Ato
Piomba tra '1 folgorar del cielo, armato
152 JUVENILIA
Cotal su ì mille e mille egli irrompea
Fuga spargendo e morte;
Fera coppia fraterna, al fianco avea
L' atroce Cinegira e Aminia il forte.
Né de le tibie flebili o del canto
Ozio si fece e vanto;
Ma dal funereo sasso ei Maratone
Ricorda, e tace le febee corone.
Fu pugna e sfida contro i fati ardita,
Fu clamor di trofei
D' Eschilo l'arte; e sgorga da la vita
E refluisce vita a' petti achei.
Non dispetto infingardo o steril ira
Né solitudin dira
Cinge il vate; ma luce ampia ma polve
E frequenza di popolo Tavvolve.
Te, vat? nostro, a' rei secoli dato
Quando vita n' è spenta.
Te premea reluttante il grave fato
Giù nel silenzio a Taèr putre e lenta.
Te, non furor di libera coorte
Che consacra a la morte
Con quel de' regi il capo suo, né grido
Di vittoria che introna il patrio lido,
JUVENILIA 153
Ma lamentar di gioviti! cadenti
Su la terra pugnata
E tra i cavalli barbari accorrenti
Cupo fremir di libertà calcata,
Spirava. E in te nostr' ultimo dolore
Alcun vendicatore
S'ebbe e de gli oppressori al gener vario
Precida minacciasti, Arnaldo e Mario.
Or d' onde, o sacro veglio, è in te possanza
Tal che di vivi sdegni
Armi antiche memorie e la speranza
A noi disfatte e mute anime insegni?
Dunque V eterna mente ancora è pia
A questa patria mia,
Che pur tu duri in contro al fato ostile
Cantor dMtalia a la stagion servile?
E quando più da peregrino impero
L'alta regina è stretta,
Tu affatichi il senile estro e il pensiero
Dietro l'imago de la gran vendetta?
Ben venga Mario che del gener reo
Porta il roman trofeo
E nel cor de' romulei nepoti
Aderge le speranze e infiamma i vóti!
154 JUVENILIA
Che, se il figliuol d'Eufor'fon traea
Melpomene pensosa
Ad inneggiar la libertade aòhea
Sedente su lo scudo e gloriosa,
Non è lode minor, s* io ben riguardo,
Or che V uso codardo,
Fuor de la vita i sacri ingegni serra,
Almen co M verso guerreggiar la guerra.
Or, poi eh* altro n' è tolto, or guerra indica
Da' teatri la musa; j
Gitti il flauto dolente, e la lorica
Stringa, ed a l'aste dia la man già usa.
Quinci altera virtù ne' nuovi petti
Bevano i giovinetti:
Qui la virile età l' ardir prepari,
E che sia patria 1' util plebe impari.
E a te, che in vecchie membra alma possente
I tardi ozi ne scuoti,
Qual serba premio, o buon, l'età presente?
Quale i figli crescenti ed i nepoti?
O petto di virtude albergo saldo,
O man che scrisse Arnaldo,
Chi a' miei baci vi porge? una corona
A questo bianco capo oh chi la dona?
JUVENIUA 155
Ben io nel gaudio d* un futuro giorno,
Che il del mi disasconde,
Veggo popolo molto a un marmo intorno
Incoronarlo di civili fronde:
Quel giorno appo una tomba, italo vate,
Da l'alpi al fin serrate
A le verdi tornando etrusche valli^
Scalpiteranno gl'itali cavalli.
156 JUVENILIA
LXVII.
MAGGIO E NOVEMBRE
I.
O
ve sei, che di Delfo in van ti chieggo
A' fatidici lauri e tace Delo,
O re de' canti e de la luce? Eterna
La giovinezza avesti, ed il più bello
Eri de' numi. A te serenatore
De' templi ermi de 1' etra ardea la danza
De le titanie vergini, e Anfitrite
Sorridea, dal divin talamo il capo
E le braccia porgendo. A te i mortali
Venian con preci ed inni, o re Agìeo
Da la cetera d'oro, allor che Licia
T' accogliea ne' suoi gioghi e i patarei
Dumeti impressi dal sereno piede
Fiorian di primavera, e quando in core
Amor prendeati di tuffar la bionda
Chioma, stupor d' Olimpo, entro il bel Csant<3
JUVENILIA 157
O ver ne la pudica onda castalia.
Allor non lutto innanzi a te; ma danze
E di ninfe e d'egipani, ma bianche
Fronti di lauro inghirlandate, e vesti
Tirie ondeanti mollemente, e fiori
Che salivano a nembi, e amor soavi
Di verginelle candide: a le valli
De* flauti il suon scendea come un sospiro.
IL
Allor che i fiori e Tonde aveano spirto
E d'amore e di duol, quando nel fiato
De' zefiri esultanti a primavera
Per le brune convalli e ne' mirteti
Di Citerà e di Cnido almo aliava
Il divin bacio d'Afrodite; errando
Del lamentoso Egeo lungo la riva,
Amorosa fanciulla, e i cieli e il mare
E il molto fior de' campi lacrimosa
Mirando, e sospirando, invocò Saffo
La deità di Venere; e presente
Annunziò il nume un fremito diffuso
Per la selva odorata. Essa la diva,
Con le dita d' ambrosia, essa da gli occhi
Tergea de la mortai giovine il pianto;
E dolce un canto le imparava: un dolce
Canto che ripetuto, ahi con un molto
Ansar del petto e scintillar de gli occhi,
158 JUVENILIA
De i neri occhi d* amore, e un batter forte
De la man su le corde, iscolorava
Le fanciulle di Lesbo; entro l'affiso
Sguardo venendo V alma e ne' socchiusi
Labbri a libar le voluttà promesse.
III.
Ma or né Cipri a 1' egre anime accorre
Su '1 carro tratto da gli augei, né Febo
La cetera del duol raffrenatrice
Agita in vetta a i luminosi colli.
Or solinghe le cure, or la quiete
È inerte e bruna; e sovra i monti e al piano
E nel cielo e ne i cori il verno regna.
O d' aprii nuvoletta, o ne l' aurora
Luce d'amor che di cotanto riso
L' avvenir m' irraggiavi, io te ripenso,
Fanciulletta d' un tempo. Oh quando i luoghi
Rividi sacri da la tua presenza,
E l'aere spirai che di tua voce
Le molli melodie vibrava a i sensi,
L' aèr che dolce che voluttuoso
La persona gentil circonfluia,
Oh, ti rividi ancor! transfigurata,
Qual l'amor mio ti fece, una suprema
Volta al seno ti strinsi. Ahi, nel mutato
Petto agghiacciar sentii la vita; e insieme
Da le braccia l' imago esil vania
JUVENILIA 159
Fusa per l'aure di novembre. Al core
La man portai; che, quinci dal crescente
Flutto de le memorie assorto e quindi
Fulminato dal ver, battea restremo
Irrevocabil palpito d' amore.
Amore, addio, supremo inganno! addio,
0 pargoletto mentitor gentile!
In van t* adopri : in questo cuor, eh* io creda,
Né pio né con soave impeto a forza
Rientrerai. Ma cara a me ne gli anni
Sarai memoria, ed onorata; e quando
Dal pensiero evocata al sentimento
La tua larva risorga, un canto, o amore.
Avrò ancora per te. Tal, se la luna
Da le selve appennine aurea si svolve
E su M toscano pelago viaggia
Solitaria, rifulgono al chiarore
Bianco le nude arene, e lo sfrondato
Bosco porge i suoi rami e si rallegra:
Guata le scintillanti onde il nocchiero.
Guata la fredda alta quiete, e canta.
160 JUVENILIÀ
LXVIII.
I VOTI
Ohe prega il vate, il libero
Vate che prega e vuole,
Adorno in veste candida,
Vòlto al nascente sole;
Mentre Glicera unanime,
Cui le Grazie educaro al mite amor,
Con pia cura a i domestici
Numi il votivo altare ombra di fior?
Che a gli agi suoi rinnovino
Ben cento solchi i duri
Giovenchi? o ver che fervida
Vendemmia gli maturi
Dove tepe la ligure
Maremma e verna il suo paterno mar
E dove gli avi improvvidi
Né un avel di famiglia a lui lasciar?
JUVENILIA 161
Altri il crociato orgoglio
Tra un aureo vulgo estolla,
E i vili ozi gli prosperi
La mal redata zolla.
A me sorrida un tenue
Lare e V italo bacco empia il bicchier
Tra gli amici xhe liberi
Assentano fremendo al carme auster.
Non io vorrò che facili
Pieghin le orecchie altiere
I grandi al carezzevole
Suon de le mie preghiere:
Non io libare a V aureo
Pluto da la febea tazza vorrò,
E non le muse indocili
Fra i lusingati. prandi inebrierò.
Prego: de' serti lirici
Se me la patria Serra
Degno produsse; e il fremito
Del mar tòsco, e la terra
Dove in gran solitudine
L'ombra di Populonia e il nome sta,
Aspro garzone crebbero
Me tra i fantasmi de l'antica età;
Carducci. 1 1
162 JUVENILIA
Prego: a la sacra Italia
Suoni il mio carme, e fiero
Surga ne Tira, vindice
Del romuleo pensiero.
Che se ne' campi memori
De la clade che ancora ulta non fu
Scenda a pugnar con impeto
D' odio maturo V itala virtù,
In me, non nato a molcere
Con serva man la lira.
Di tua grand' alma un' aura,
Possente Alceo, respira;
Allor che su la ferrea
Corda battendo con la man viril
Guatavi altero immobile
De r aste il flutto e il vasto impeto ostil
Rapia la nota eolia
La giovenil coorte,
Che de le spose immemore
Ruinava a la morte.
E tu cantavi l' isole
De' beati ove il forte Ercol migrò
E dove aspetta Teseo
Chi la cara a la patria alma versò»
JUVENILIA 163
Ma il fior del sangue ellenico
A te d' intorno ardenti
Co' peana premevano
I tiranni fuggenti;
Poi ne la danza pirrica
Scudo a scudo battendo e pie con pie
Incoronar le patere
Sopra la morte di Mirsilo re.
O sacri tempi! o liberi
Vati correnti in guerra,
Poi tra le danze e i calici
Cantanti su la terra
Salvata! Oggi una pallida
Nube di tedio e terra e ciel copnV
E il carme è voce inutile
E il vate un'ombra de gli antichi di.
Dunque posiam. Ma V ozio
Muto non sia né vile;
Si trascorrendo liberi
Per la stagion servile
Mediteremo i cantici
De le memori glorie e del disir,
Come già i padri italici,
Li sdegni e il ferro esercitando, udir.
164 JUVENiLIA
Salve, o mia patria! Ed arida
Stia questa lingua viva,
Se di te mai dimentico
Son dov'io pensi o scriva.
Tuo, santa patria, è V impeto
Che sale a i carmi da V acceso cor
E r acre tedio e il fulgido
Telo de V ira e V elegia d' amor.
Folle censore e stupido
Cantor di vecchie fole
Me chiami pure, o Italia,
La tua diversa prole:
Adulator di trepidi
Liberti e vili sofi io non sarò.
Che se nel reo servizio
Precipitar co M vulgo anch* io dovrò,
Su 1 corpo mio Gliceria
Sparga le care chiome
E ne le insonni tenebre
Chiami il mio vuoto nome.
Immaturo compongami
Del fratel generoso entro V avel
La madre, ed orbo vagoli
Il padre infermo entro il deserto ostel.
^^sxv,'^--
LIBRO V
LXIX.
A UN POETA DI MONTAGNA
N.
Nascesti dentro d'un secchion da latte,
E a scrivere imparasti in una bótte.
Accordando le rime irte ed astratte
A !o scoppiar de le castagne cotte.
A quelle rime strampalate e matte
Sentironsi a bociare asini e bòtte,
Le secchie vomitaron lor ricotte,
E i tegami pugnar con le pignatte.
Allora crocitando un soireutte.
Salisti in Pindo pien di boria il petto;
Ma Febo ti legnò come un Margutte.
166 JUVENIUA
Tu montato in arcion d'un somaretto,
Ti preparavi a le future lutte,
Con un orso scudiero al fianco stretto:
E d' uno scaldaletto
Difeso^ urtasti di tutta baldanza,
Ma il ciuco ti buttò senza creanza,
— Per legge d'eguaglianza,
Ragliandoti su '1 muso a ritornelli,
Bestie non portan bestie; e siam fratelli. —
JUVENILIA 167
LXX.
A UN GEOMETRA
D,
immt triangoluzzo mio squadrato,
Che al mondo se' de gli animali rari,
Furono prima i ciuchi o i somari?
E quel tuo capo è un circolo o un quadrato?
Anco : il cervel, se fior te n' è restato,
È isoscelo o scaleno o ha lati pari?
Se' tu r ambasciador de' calendari,
0 un parallelogrammo battezzato?
Buona gente, i' vi prego che pigliate
Questo bambolon mio e' ha di molt' anni
E che '1 mettete a nanna e lo cullate.
Tenetel chiuso, eh' egli è un barbagianni,
E non fa che sciupar vie lastricate.
Mangiar de 'I pane e consumar de' panni.
168 JUVENILIA
E quando fuor d' affanni
Averà messo il dente del giudizio,
Fate sonare a la ragion V uffizio.
O bello sposalizio
Che vogliam fare come più non s' usa,
Accoppiandolo a monna Ipotenusa!
E' mi dice la Musa
Che di questi rettangoli appaiati '
Nasceran di be' circoli quadrati.
JUVENILIA 169
LXXI.
A UN FILOSOFO
S,
^e sant'Antonio vi mantenga sano
E vi rischiari T antropologia
Né spengan le zanzare il lume a mano
Che vi die' il Pestalozza in cortesia,
Seguite adagio adagio e piano piano,
Caro Mirtillo mio, per questa via:
Che r individualismo è luterano
E il volere esser noi pedanteria.
Voi sbancate i copisti e gli scrivani,
Voi vendete il sistema a bariglioni.
Con la modestia pia de' ciarlatani.
Venitela a vedere, o berrettoni,
L'opera bella de le vostre mani
Fatta ad imagin de' . . .
no JUVENILIA
Oh i leggiadri sermoni! '
Oh la filosofia vaghetta e pura
Che larga a un tempo e stretta è di natura!
Se la mano vi dura
E se Dio vi mantien sane le dita,
Mirtillo mio, farem buona riuscita.
Siete una calamita
Che v'attirate i pezzi badiali,
Come faceva Orfeo de gli animali.
Pria che la ruota cali,
Pigliate i raggi, e con novel vigore
Scappateci ad un tratto professore.
Che noi v' amiam di cuore,
E, pur che vi leviate quattro passi.
Vi mandiamo anche ne' paesi bassi.
JUVENILIA 171
^
LXXII.
AI POETI
V-y arcadi e romantici fratelli
Ne la castroneria che insiem vi lega,
Deh finite, per dio, la trista bega,
E sturate il forame de* cervelli.
Del vostro pianto crescono i ruscelli
E i fiumi e i laghi si che Talpe annega,
E stanco è il Gusto a batter chiavistelli U©^^
A questa vostra misera bottega.
Sentite in confidenza: i lepri e i ghiri
Son lepri e ghiri, e non son mai leoni:
Né Byron si rimpasta co' deliri.
Né Shakspeare si rifa co' farfalloni.
Né si fabbrica Schiller co' sospiri.
Né Cristi e sagrestie fanno il Manzoni.
V
172 JUVENILIA
Dopo tanti sermoni,
O baironiani, o cristYani, o ebrei,
Ed 0 voi che credete ne gli dèi,
Lasciate i piagnistei;
E, se più al mondo non avete spene,
Fatevi un po' il servizio d'Origene.
JUVENILIA 173
LXXIII.
ANCORA AI POETI
O
arcadi o romantici fratelli
D' impertinenza e di castroneria,
Che è questo che vi frulla in fantasia
D' impecorirci i cuori ed i cervelli ?
Ladre tantaferate a ritornelli
Udimmo troppe, e fu gran cortesia
Non cacciarvi a pedate dietrovia,
Buffoni, arcibuffoni e menestrelli.
Buffoni, arcibuffoni, ite in bordello
Con vostri salmi e vostre trenodie
Che d' eretico sanno e di monello.
Voi bestemmiate come genti pie
Co '1 reliquario in man, sotto un mantello
Accoppiando le Taide e le Marie.
174 JUVENILIA
Dite le litanie,
E non ci ricantate tuttavia
Con stil francioso e di tedescheria
Italia Italia mia!
Or via, che Dante e Niccolò s* inchina
A questa bella Italia parigina!
Andate a la berlina,
Che le nostre terre itali'ane
Stalle faceste di bestiacce strane.
Torrei prima il gran cane
Od un muftì, che niun de* vostri eroi,
O i magni italianon che siete voi.
Più perniciosi a noi
Che un battaglion tra svizzeri e croati
E trentamila inquisitori frati. ,
Patriotti garbati.
Smettete la commedia e gli spauracchi,
Che noi Siam tutti stracchi, stracchi, stracchi.
Armatevi di tacchi.
Mettete a le zampette i barbacani:
Voi siete tutti nani nani nani.
JUVENILIA 175
E per noi italiani,
Se non trovate un diavol che v' impenni,
Voi siete tutti menni menni menni.
Se pria non vi scotenni
Cotesta frega di far poesia,
Ne le risaie de la Lombardia
Vogliam farvi una stia;
E vi ci chiuderemo; e per becchime
V inghebbieremo de le vostre rime.
Se vi salvi il lattime,
Vi daremo a mangiar de le ballate,
Dicendovi — Buon prò*, oche infreddate. ■
Ma deh non ci scappate,
Che vi racchiapperemo; e i refrattari
Saran costretti di compor lunari
In versi settenari
Al lume de la luna e per la bruna
Notte sopra la tacita laguna.
Cosi farem fortuna.
Battendo la gran cassa a i vostri ardori
Lo Spettatore di tutti i colori.
» *f>r
XrTE3
■i ■. - - - -"^"^
LSSV.
A SCUSA D* UN FPJiNCESISMO
SCAPPATO NEL PRECEDENTE SONETTO
D,
'eh balli de la lingua, aifeddiddio
Che questo a punto a punto è il vostro caso,
E voi potete pur danni di naso
Menando gran rumor del fatto mio.
Guardivi sant'Anton come rimaso
D' un franciosismo al laccio or sono anch'io;
E cancher venga al nemico di Dio
Che pria la rima n'arrecò in Parnaso.
Ch' io veggio correr fuora a gran baldanza,
Pur me ammiccando con un risolino,
Molti linguisti di molta importanza.
E' vanno per consigli a V Ugolino.
Deh, statevi per Dio: de l'ignoranza
Da per me mi chiarisco, e mi v' inchino.
ìO
JUVENILIA 1T7
Or dal vostro cammino
Qua voltatevi voi primi, aramei
Che studiate la lingua in su' caldei,
IndYani e giudei;
E voi che fate i be' vocabolisti,
E voi che rivedete i trecentisti
Né mai gli avete visti,
E voi che siete si gran barbassori
Che pur al Cello appuntate gli errori.
Tra i magni espositori
Non manchi qui con le scritture sue
Quel ser cotal che fu suocero al bue.
Ora stommi in tra due,
S' anche m' abbia a chiamar quelli autoroni
Che il Leopardi affastellano e il Manzoni
Per entro i lor prosoni.
Deh si, venite tutti a schiere a schiere:
Che al corpo non vuo' dir de M miserere
i farete piacere.
Ne le brache mettetemi le mani,
Levate via la pulce, e andate sani.
j Carducci. 12
178 JUVENILIA
LXXV.
ALLA MUSA ODIERNISSIMA
O
monna tu, ch'io non so qual tu sia
Tanto se' in vista difformata e strana,
Monna Clio, monna Ascrea, monna befana,
O monna del malan che Dio ti dia;
A la croce di Dio, tu se'
Se t'acconci a chi vuole in su la via;
E se ne mente la mitologia
Che giurò su '1 candor di tua sottana.
Poi che ti presti ogni or' mattina e sera
A tutte voglie d'ogni razza ingordi.
Tornata di regina in paltoniera;
O sciagurata, fa che ti ricordi
A chi tu fosti ed a chi se' mogliera
Onde per te mi fremono i precordi.
JUVENILIA 179
Anime al ben concordi
Già ti levar d* ogni l?el pregio in cima :
Or ti preme ciascun, ciascun t' adima.
Non si può dir per rima
Quanto sia cattivello e Piccolino
Questo gentame ch'ora t'ha in domino.
Qual vien ruttando il vino
Sopra il tuo petto; e l'anima imbriaca
Urla l'idillio, a la canzon si placa.
Qui Geremia s' indraca,
E i cembali sonando in colombaia
Vagisce la bestemmia, il pianto abbaia.
Un altro, ecco, si sdraia
Nel verso sciolto, e ci fa un voltolone.
Come somaro dentro il polverone.
Ben venga il bambolone
Che npn iscompagnato ancor dal latte
Bela, e pur con Melpomene combatte.
In van la si dibatte
Tra le man del piccino: ella n'è stracca.
Ed ei rimesta le tragedie a macca.
JUVENEUA
Il cherichetto insacca
Pur nel tuo tempio, e sa di sagrestìi
E di mòccoli spenti e d'
Con linea bugia
Gorgoglia r inno, e stni^esi di fircg^
Meditando il bordello e la bott^H.
^e' colui che si frega
\ r epopeia, e, perché troppo è lungi,
La concia si, che al suo termine giungi
3ome par che la punga
E la cincischi si che il sangue spicci!
E poi le aggiusta il parruccone a ricci
\1 fin par che s'appicci
1 divin corpo al corpicciuol digiuno,
E camminando son né due né uno.
scarmigliato e bruno
Dr si fa oltre Gracco: il pecorino
Zuor gli tentenna come il personcine.
Da r eliso divino
nchinati a costui, nonno Catone,
Ih' ha sempre in bocca una rivoluzione.
JUVENILIA 181
È un repubblicanone
Che ingozza prima la sua libbra buona
Di mazzinfanissima prosona,
Poi tuona e tuona e tuona.
A udir queir omaccino armipotente
Isbigottisce la povera gènte,
E dice: Veramente
Cotestui studia per le invenzioni
Di verseggiar le bombarde e i cannoni.
In decasillaboni
Egli squaderna co' profeti santi
Ippopotami neri e llonfanti,
E sopravi giganti
Che vanno armati di monti e montagne
A imbottar nebbia per queste campagne:
Ma poi grugnisce e piagne,
Quando tornato al Cristian suo core
S' inginocchia davanti al confessore.
Deh quanto è gran dolore
Del tristo punto ove condotta sei,
0 tósca Musa già cara a gli dèi,
182 JUVENILIA
Da questi uomini rei
Che ad ogni voglia lor buona ,o non buona
Adoperano pur la tua persona.
Non che rotta la zona,
E' t' han diserto i più gentili arredi :
E infantocciata come tu ti vedi,
Dal capo infino a' piedi,
Ti mandano accattando in su '1 sentiero.
Ov*è il regal paludamento altiero?
Or se' tu da dovero
Che a r universo descrivesti fondo
E fosti prima poesia del mondo?
Or è questo il giocondo
E nobil sen del quale a' di più tardi
Si nutriva il gran cor del Leopardi?
Ah, no ! tu di codardi
Se' madre e sposa: or ti conosco io tutta,
O barattiera svergognata putta.
Deh via, sudicia e brutta.
Lascia, via, di menar tanto fracasso;
Uccella a' barbagianni, e statti in chiasso.
JUVENILIA 183
LXXVl.
PIETRO FANFANI E LE POSTILLE
JL ietro Fanfani sta ne le postille
E le postille stanno nei Fanfani:
In principio eran sole le postille,
Poi le postille fecero il Fanfani.
E il Fanfani in persona è le postille,
Le postille in idea sono il Fanfani:
Dice Fanfani chi dice postille.
Dice postille chi dice Fanfani.
Oh nuova cosa veder le postille
Vestir panni e mangiar con il Fanfani^
E il Fanfani pensar con le postille.
Tutte le cose che pensa il Fanfani
O vuole 0 ama o fa le son postille;
E le postille son sempre il Fanfani.
184 JUVENILIA
E poi che nel Fanfani
Sono cervello e cuore una postilla,
L' angel custode può spassarsi in villa.
JUVENIUA 185
LXXVII.
IL BURCHIELLO AI UNGUAIOU
I
1 soldati de gli accenti a solatio
Giva su per Mugnone iti vista fiera.
Calandrili gli dicea con buona cera
— Togli de l' eutropia, o fratel mio. —
Cantavan l'oche per quella riviera
— Pigliati i paperotti, e va con Dio — :
Gli gridavano i ghiozzi — Addio, addio — :
Sconcordavano i granchi a schiera a schiera.
Grande onor fecegli anche un pappagallo
Declinando proverbi a le brigate
Di sur un arbor di sambuco giallo;
Ed in rime dicea sue pappolate.
Ma le Grazie gli diedero un cavallo,
E con le gazzere ei si rese frate.
186 JUVENILIA
Di farfalle acconciate
Con passerotti lessi a gran diletto
Una bertuccia faceva il guazzetto;
E di quel suo brodetto
Die' bere più d' Un tratto al Nardi e al Cello,
Che per ammenda tolsergli il cappello
Dove tenea M cervello
E diederlo a beccare a un fottivento
Che dopo il pasto si mori di stento.
Or ecco un gran concento
Di fischi e bussi pauroso e strano:
E' vengono i pedanti a mano a mano,
E pigliano il soldano
E la bertuccia e il pappagal babbione,
E spettacol ne fanno entro un gabbione,
Dicendo a le persone
— O buona gente, venite a la mostra:
Questi son gli occhi de la lingua nostra. -
JUVENILIA 187
LXXVIII.
A MESSERINO
S
indraca Messerin contro i pedanti,
E del Monti pur ciancia e del Manzoni.
O pecoraio, contastó i caproni?
Quanti piedi han dirieto e corna avanti ?
Questo servo de' servi de* menanti,
Spazzaturaio di composizioni.
Piglia del campo anch*egli e fa sermoni
E se r allaccia tra' filosofanti.
Or credi tu de la viltà natia
Esserti scosso per tuffar le mani
Dentro l'inchiostro d'una stamperia?
Va ficcati in un cèsso o datti a' cani!
Che se tu me '1 chiedessi in cortesia
Pur ginocchione e con giunte le mani
188 JUVENILIA
Per lo dio de' cristiani,
Un calcio mio non ti vorrei donare;
E ragghia a posta tua se sai ragghiare.
Gli scudi che vuoi dare
Per far dietro a' pedanti il buggerio,
Se fussin soldi loderesti Iddio.
Omicciattolo mio,
Vuoi farla da leone, e se' asinelio
Che mai si vide il più pulito e bello.
Mettetegli il corbello,
Carcatelo di ciarpe e di letame,
E co 'I baston cacciategli la fame.
JUVENlLfA 189
LXXIX.
SUR UN CANONICO
CHE LESSE UN DISCORSO DI PEDAGOGIA
U,
dite, udite il molto reverendo
Sopra la educazione de' figliuoli.
P si vuol, quand' han messo i lattaiuoli.
Cominciar la grammatica esponendo;
E quelli duri a modo di piuoji
Tutta in latin la vengan ripetendo.
Che se M ragazzo dice — V non la intendo,
E da pigliar de' nerbi o ver querciuoli,
E picchiatelo forte a nodo a nodo,
E chiamatel furfante a tutto pasto:
A un bisogno, e' e' è il martello e 'I chiodo
Per crocifigger chi l'avesse guasto.
Questo de l' insegnar cristiano è il modo,
Cosi il fanciullo vien saputo e casto.
190 JUV^NILIÀ
Ma deh prima il catasto
Insegnategli e la negromanzia,
Che non la storia e la geografia.
Questa è una cosa ria,
Questo è razionalismo di quel fino:
Contentisi il ragazzo al Bellarmino.
Oh che giovin divino,
Se di nulla mai chieggavi ragione
Credendo tutto a tutte le persone!
E creda anche al forcone
Di Satanasso o ver di Lucibello
E a le p^nne de Tagnol Gabriello,
Ed a lo spiritello
O spiritelli che vengano a schiere
E al dì'avolo grande e a le versiere,
E che le fattucchiere
Piglin forme di cagne o vuoi di gatte,
Ed^ a tant' altre autorità si fatte.
E cosi si combatte
In prò' de' nostri italiani vecchi,
E questo è il classicismo di parecchi!
JUVENILIA 191
O bónzi, o mozzorecchi,
Voi fiorirete i ginnasi e' licei
D' Ecceomi e Barabbi e Zebedei.
192 JUVENILIA
LXXX.
A BAMBOLONE
S
e Dio ti guardi sino a befania
Cosi fresco grassoccio e badiale
Ed a risparmio del pepe e del sale
Da viver anche sanf Anton ti dia,
Or dinne, Bambolone, in cortesia:
Se' tu tozzone o porti piviale?
Ha' tu studiato di negromanzia ?
Se' turcimanno o cozzone o sensale?
Quando tu mostri fuora il tuo faccione
E l'occhio picciolino e quella fessa
Che tieni ov' han la bocca le persone,
Dice la gente — È egli ora da messa?
Ècci oggi a la Nunziata processione?
Ehi, sagrestano ! — Ma quel dir poi cessa,
JUVENILIA 193
Quando una filatessa
Sciogli di citazion greche e latine
Che r una e V altra si pigliano al crine,
A fé' tu trinci fine
L' apotegma ed il colon e lo scolio,
E Tassifoma bei come il rosolio.
Sembri il padre Nizolio
Che fé' di Marco Tullio anatomia,
Sembri il sultan de la filologia.
Ma di filosofia
Tu n' hai piene le sacca anzi le balle
Dice la gente che mai non ti falle.
N' hai sempre in su le spalle,
E ne le brache, e fin dentro gli usatti,
E la vendi al minuto e la baratti.
Oh come sono matti,
r volevo dir nuovi e peregrini,
I discorsi che fai, grandi e piccini!
Gli arabi ed i latini,
I francesi i geloni ed i caldei
E irochesi e ottentotti ed aramei.
Carducci. 13
194 JUVENILIA
Gli svizzeri e gli ebrei,
Ed i russi ed i prussi ed i borussi,
Gli hai su le dita come tu ci fussi.
Anche hai giocato a frussi
Con Salomone, e facei l'altalena
Con Licurgo quand' ei murava Atena.
O testona ripiena
D' ogni gran cosa, grossa soda e dura,
Tu hai gran naturale, anzi natura.
Or dai or dai la stura
A quelle fantasie che in rima hai mésse,
Ma risprangale prima ove son fesse.
Calate le brechesse,
Baraballo f aspetta in Elicona
E vuol dare al tuo crin la sua corona.
E tutto il monte suona
— O Bambolone, Vienne a questo stallo,
Vienne tra il Carafulla e Baraballo! —
JUVENILIA 195
LXXXI.
AL BEATO GIOVANNI DELLA PACE
O,
ggimai che ritornati
Son di moda e stinchi ed ossa
E né pure gì* impiccati
Son sicuri ne la fossa,
Anche a voi la quiete spiace,
Fra' Giovanni de la Pace?
Bravo Nanni, la persona
Rilevata su bel bello^
Una santa pedatona
Voi menaste ne V avello
E gridaste — GiuraddioI
S* è cosi, ci sono anch' io.
196 JUVENILIA
Su da bravo, Cosimino!
Vieni fuor con la brigata,
Metti in pronto il baldacchino,
E facciam la passeggiata.
Era tanto che giacevo!
È tornato il medio evo! —
Ma da vero ma da vero
Che n'avete ogni ragione.
Ecco il presule ed il clero
A menarvi in processione,
O soldato trionfante
De la chiesa militante.
Viva pur Sandro Manzoni!
Quant'è mai che s'arrabatta
Co' filosofi nebbioni
i E gli storici a ciabatta!
Acqua santa a piena mano,
Tutto il secolo è cristiano.
Libertà, indipendenza,
Paganissima utopia,
Offendevan la decenza
I
De la santa teoria.
Ora stabile e fondata
Su r Europa incatenata.
JUVENILIA 197
Guarda mo', Castelbriante !
La tua Francia torna a Dio :
Bónaparte è novo Atlante
A la cattedra di Pio:
Fan da Svizzeri a San Piero
I nipoti di Volterò.
Cristo par sia riportato
Fra' bagagli di Radeschi,
Su l'altare appuntellato
Da le picche de' Tedeschi.
Converti la baionetta
Questa terra maledetta.
Questa terra, che del nostro
Sangue e pianto è molle ancora,
Brontolando un paternostro
Su zappiamo a la buon' ora,
Per trovare ossa di santi
O di frati zoccolanti.
Vo' veder, se 1' uso tiene.
Cristianissima Parigi,
Abbigliar le Maddalene
Col soggólo e in panni bigi,
E mandarle a' lupinari
Con in petto i reliquari.
198 JUVENILIA
Che V importa, o razza sfatta,
De le cose di quaggiù?
Un fermaglio a la cravatta
Con un osso di Gesù:
Una formola d' usura
Con un passo di Scritturai
Che volete? Il cristianesimo
È un romanzo che fa chiasso.
Ci scordammo del battesimo,
Ma cantiamo co '1 compasso
Com'un*aria di Lucia
Paternostro e avemmaria.
Presto dunque il reliquario,
E ben venga il santo novo!
Tra i compari del lunario
Anche lui si faccia il covo,
Avvocato e servigiale
De la pace universale.
Bel vedervi, fra' Giovanni,
Ritto ritto su l'altare.
E briachi per gli scanni
I canonici a russare,
E i devoti bisbiglianti
Di cambiali e di contanti,
JUVENILIA 199
E le belle penitenti
Mentre cantan litania
Affittar nuovi serventi
Per r entrata in sagrestia,
Invocando la Madonna
Quando s' alzano la gonna.
LIBRO VI
LXXXII.
A VITTORIO EMANUELE
No.
Son perché da' Sabaudi a la marina
Stendi lo scettro de l'avito impero
Su '1 Po regale e il Tanaro sonante,
Non perché a' cenni tuoi leva ed inchina
Il subalpino popolo guerriero
I liberi vessilli a te davante;
Ma perché figUo amante
Sei de l'antica madre in ch'io mi vanto,
Al tuo conspetto il pianto
Di costei reco, onde su l'empie squadre
Già spronasti il cavallo a lato al padre.
202 JUVENILIA
Or drizza il guardo a valle; or vedi, o sire!
Dal pian cui parte V Eridàno e irriga,
De la grande cacciata glorioso;
Da le lagune ove il sublime ardire
La strana signoria lenta castiga,
Onde il vecchio leon freme cruccioso;
Dal prisco suol famoso
Che sacro ha il nome più tra Tebro ed Arno;
E dove Liri e Sarno
A bestiai tirannia nutron le prede;
Tende le braccia Italia e pietà chiede.
Pietà de la gran donna, o cavaliere,
O rege, o figlio ! In forza altrui condotta
Questa dolente il suo Cesare chiama:
Mille stannole attorno ombre severe
C han la persona di più punte rotta
E guardan pure in te con muta brama.
Cotal già sovra Rama
Suonava il pianto di Rachel cattiva.
Che de' suoi figli priva,
Poi eh' eran morti, non volea conforto,
In fin che Giuda a la vendetta è sorto.
Attendi, attendi. Un suon profondo e lento
Rimugge da la valle e in alto spira,
E si fa tuono che a l' intorno romba:
Par d' acque molto rumoreggia mento,
Quando il bosco al vicin nembo s'adira
E vorticoso Borea giù piomba.
Non è rumor di tomba:
È l'itala minaccia a lo straniero;
È fremito guerriero,
Che cresce col romor de le procelle,
E i regi e l'armi avvolve e i troni svelle;
È grido atroce di calcata plebe
Che sorge contro la ragion de' forti
E il pio sdegno e le sante ire raguna.
A te commette le paterne glebe,
A te le invendicate ossa de' morti,
A te i vóti e la speme e la fortuna,
E i talami e la cuna
De' pargoletti e il maternal desio.
Deh non cresca, per dìo.
Sotto i regni di barbaro soldato
Chi d'italica donna italo è nato!
204 JUVENILIA
Corser due lustri che cruenta al suolo
Gittando Alberto 1* itala corona
Ostia sé diede a V ira alta de' cieli :
Rinnovellata a la ragion del duolo
Crebbe altra gente, e l' itala matrona
Incanutì sotto i funerei veli.
Deh! quante volte aneli
Dal cozio sasso protendean lo sguardo
Su M bel terren lombardo
Gli esuli mesti, rimembrando in vano
La pia casa paterna e il dolce piano
E presso al freddo focolar sedea
Barbaro sgherro, a i padri antichi in faccia
Esplorando il dolor V ansia la speme :
Vile! e a le mute lacrime irridea;
E col ferro e lo scherno e la minaccia,
Vile!, Tira premea che inerme freme.
Or non più, no! l'estreme
Battaglie affretta la lombarda prole:
Scintillan sotto il sole
Gli sdegni aperti, e gran fiamma seconda
Torma servile i nostri campi inonda.
JUVENILIA 205
Io chieggo a te, de V itale contrade
Cavaliere scettrato, a te, buon figlio
Del magnanimo Alberto: Or che pitì cessi?
Che fanno in vai di Po straniere spade?
E quei che Alberto spinsero a T esigilo
E a morte inconsolata, or non son essi?
Tra oppressori ed oppressi
Non pace mai, ma guerra guerra guerra!
Armi freme la terra.
Armi i vecchi le donne i figli imbelli.
Armi i templi e le case, armi gli avelli.
Ma pace a te, se nieghi a' tuoi scettrati,^
Stirpe d'Arminio, il braccio, e te consigli
Con libertà che i popoli compose.
Noi non venimmo del bel Reno armati
A predar le riviere, e non i figli
Strappammo al sen de le tue bionde spose :
A r ire generose
Sorride Libertà^ l'auspice dea
Che su' Franchi spingea
La negra caccia del tuo fier Lutzove
Con suon d' inni e di spade a V ardue prove.
206 JUVENILIA
Pietà vi stringa, o popoli, del duolo
Ond'è sacra l'Italia e de la speme
Che le disperse sue genti nutrica:
Non invidiate che su M patrio suolo,
Suolo che ancor del nostro sangue geme,
Raccolga i figli suoi la madre antica.
Deh, per dio, non si dica
Quest' obbrobrio di voi ! de' nostri danni
Patteggiar co' tiranni!
Iloti nuovi, su pe' i nostri liti.
Volerne servi e miseri e partiti!
Attendete e guardate. Il petto è questo
D' Italia madre, il petto ove attingeste
Onda di civiltà perenne e viva:
L' han macchiato Neroni empi d' incesto,
L'han solcato di piaghe disoneste,
E il sangue ne gittàr per ogni riva.
Egra giace e mal viva
La Cibele d'Europa: a lei d'intorno
Nel novissimo giorno
Stanno i suoi figli, in contro a' fati oscuri
Di feroce pietà forti e securi.
JUVENILIA 207
Che se nel cor de' popoli consorti
Misericordia tace, e se ne' petti
De' regi stagna un vergognoso oblio;
Pe '1 supremo desir de' nostri morti,
Pe '1 tacito pregar de' pargoletti,
0 italiani, o fratelli^ o popol mio,
Leviam! Giudichi Iddio
La causa nostra a V universo in faccia.
E tu, Vittorio, abbraccia
L'italica bandiera; il serto scaglia
Oltre Po, nel terren de la battaglia.
Loco è 'n Superga, ov' ha misteri orrendi
La religion di morte, ove aspettando
Posan gli atavi re dentro gli avelli:
Ivi sali, o signor: la spada prendi
Di Carlo Alberto, e i tuoi padri evocando
Batti lo scudo de gli Emmanuelli.
A quel suon, di novelli
Fremiti il ciel d'Italia ecco rintrona:
Come nube che tuona
E nel rovente folgore scoscende,
Lungo clamor da 1' alpi al mar si stende.
208 JUVENILIA
Vapor di sangue orribilmente sale
Da la fatai Novara, e V aere invade
E fuma atro su '1 mare e vela il monte
Ecco rabbia di guerra alta immortale,
E strepitar d' incalzantisi spade,
E a le vendette correre Piemonte.
Di rossa luce a fronte
Già balena Custoza, e già la guerra
Corre T insubre terra;
E rompono feroci ogni dimora
Brescia e Milano a gridar mora mora.
Ma il leon di San Marco alza la testa,
E sovra i mille orribile s'avventa
Tra ferro e fuoco ed urla alte e terrore.
Tende V orecchio, il suon de la tempesta
Napoli attinge; e già spezzò la lenta
Sbarra e le strambe del regal timore.
Generoso furore
Rapisce i prodi ne le usate prove:
De r ire antiche e nove
Freme Palermo, e da la sua ruina
Anche si drizza a battagliar Messina.
JUVENILIA 209
Né tu men presto la codarda soma,
Che ne la strage tua fu colorita,
Da te scuoti, o roman popolo altero.
Al folgorar de la novella Roma
Già tra V are s' appiatta il re levita,
E ritorna a trattar suo ministero.
Tu fra tanto il cimiero
Vesti di Marte e la visiera abbassi,
E la grand' asta squassi,
Ricercando il nemico. E teco agogna
Tedesco sangue la viril Bologna.
E noi da V indignati ozi riscuote
Noi tósche genti la funerea voce
De i giovinetti in Montanara estinti:
Quando ne le frequenti aule percuote,
Taccion le danze, e in un desio feroce
Taccion i vólti di pallor dipinti.
0 campi insubri tinti
Del sangue nostro, ancor nel di supremo
Ancor vi rivedremo,
D' ostie ferite e trionfali canti
A placar le fraterne ombre aspettanti.
Carducci. 14
210 JUVENILIA
Su dunque, suona a V ultima riscossa,
Re sabaudo, le trombe, e giù dal monte
Saettando la guerra urta il destriero.
Sia del tuo brando il lampo e la percossa
Lume di vita a la gran donna in fronte
E fulmine di Dio su lo straniero.
Vantator menzognero,
De Tarmi nostre e de la gran vendetta
Senta l'orrenda stretta;
E troppo Italia ancor gli sembri forte,
Quando ne' lurchi avventerà la morte.
In van le scuri e le catene, in vano
Fùr gli ozi e l'ombre di cocolle e stole:
Sangue latin viltà, no, non impara.
O plebi di Bologna e di Milano,
A cui per libertà morir non duole !
O Goito. o Pastrengo, o Montanara !
O cara Brescia, o cara
Venezia ! deh come tu suoni acerba
A chi le piaghe serba
Di Mestre e vide per la notte nera
Tutta affocata folgorar Marghèra.
JUVENILIA 211
Itali esempi fùr nel Barberino
Venti giovani contro a Francia tutta
Rotti di venti colpi il seno invitto:
Son nostri Rossaroll, il Morosino,
Poerio, e su la mole arsa e distrutta
Medici solo orribilmente dritto.
Questo è roman conflitto,
Pugnato sempre e rinnovato ognora,
Fin che il Cimbro dimora
Nel suol di Mario, e dal carinzio chiostro
Alarico depreda il terren nostro.
Ma te Mario novel le ocnèe convalli
Ben sentiranno, ne V immensa clade
Splendenti al cielo di più bei colori.
Esultano al passar de' tuoi cavalli
L' ossa fraterne, e a le vittrici spade
Il suolo di Maron cresce gli allori.
Consacra i rei signori
Debite inferie ai santi aviti Mani :
Poi su' colli italiani
L' ombra adora di Roma, e il vóto augusto
Sciogli di Giulio e di Traian su '1 busto.
212 JUVENILIA
LXXXIII.
IN SANTA CROCE
XXIX MAGGIO MDCCCLIX
N,
on carmi, non ghirlande, e non concento
Di salmi a V ombre de' guerrier si doni :
Grecia ne V aspro di de le tenzoni
Diede inferie di sangue a' suoi trecento.
O sacre a morte libere legioni,
Qui venite di morte al monumento ;
Qui profferite orribil giuramento,
Che nel conspetto del Signor risuoni.
Pe '1 sangue de gli eroi, pe* franti petti
De' vegliardi, pe '1 duol che si disserra
Da le piaghe di madri e pargoletti.
Guerra a' tedeschi, immensa eterna guerra,
Tanto che niun rivegga i patrii tetti
E tomba a tutti sia V itala terra,
JUVENILIA 21 à
LXXXIV.
ANCHE IN SANTA CROCE
Q.
,uali, quali al tuonar de' feri accenti
Forme s'accalcan per lo sacro loco?
Assistete, spirate, ecco io v' invoco,
O martiri, o fraterne ombre frementi:
E voi caduti sotto il ferro e il foco,
E voi sotto il flagel schiacciati e spenti,
E voi sparte dal piombo anime ardenti,
E qual de' ceppi usci livido e fioco.
Conturbate i sepolcri, scoperchiate
Le tombe, e nel conspetto de l'Eterno
11 pianto e il sangue del martirio alzate.
Non ci lasciar di Satana in governo:
L' inferno contro te V armi ha levate,
Ed in Austria, Signor, tutto è l' inferno.
214 JUVENILIA
LXXXV.
GLI AUSTRIACI IN PIEMONTE
E
molti e armati e di ferocia imnl§ni
Batter misere plebi; e ne le vite
Ne gli aver ne V onor mettere ardite .
Le sanguinose e non pugnanti mani ;
Poi, le prede gittando in van rapite,
Al suon de V armi prime i noti piani
Ricercar ne la fuga, ed a i lontani
Presidii erger le fronti isbigottite: .
Queste son le tue pugne, oste gagliarda.
Ma intatta sorge la regal Torino,
E su '1 libero mar Genova guarda.
Riparate, predoni, oltre Ticino;
Che ben per la fremente aura lombarda
Vi segue il ferro ed il valor latino.
JUVENILIA 215
LXXXVI.
A GIUSEPPE GARIBALDI
JL e là di Roma su i fumanti spaldi
Alte sorgendo ne la notte oscura
Plaudian pugnante per V eterne mura
L' ombre de' Curzi e Deci, o Garibaldi.
A te de' petti giovanili e baldi
Sfrenar l'impeto è gioia; a té ventura
Percuoter cento i mille, e la sicura
Morte con amorosi animi saldi.
Abbracciar là sopra il nemico estinto.
Or tu primo a spezzar nostre ritorte
Corri, sol del tuo nome armato e cinto.
Vola tra i gaudi del periglio, o forte:
Vegga il mondo che mai non fosti vinto
Né le virtù romane anco son morte.
216 JUVENILIA
LXXXVII.
MONTEBELLO
JLNon son, barbaro, qui le inermi genti
Onde facil menar preda ti giova:
Son forti mille; e teco ardono in prova
Mescersi, d'armi e di valor potenti.
Son gl'itali manipoli irrompenti:
Questo che fere, il ferro è de la nova
Gente; e com' e' s' incarna avido e trova
L'austriache vite, barbaro, tu il senti.
Superbo, e sotto la sabauda lancia
Curvi le spalle? prode, e si restio
Se' tu dal ferro e cosi pronto a ciancia?
T'urta e rompe e disperde, o ladron rio,
Italia a fronte; e a tergo poi ti lancia
La vendetta de' popoli e di Dio.
JUVENILIA 217
LXXXVIII.
PALESTRO
I
talia, il gregge de' tuoi re, straniero
Gregge, tra le tedesche aste dormia;
0 ver dal sonno pauroso il fero
Tendea gli artigli e sangue tuo sitia.
Or tessi il roman lauro al re guerriero
Che per te pugna e vince, Italia mia:
Ei milite ei tribuno ei condottiero
Ti sórse, ed egli imperador ti sia.
Competitore oh qual sarà che scenda,
Quando tu del guerriero al crin sudato
Ponendo, o Italia, la cesarea benda
Dirai: Su le paterne ossa giurato
Questi ha il mio scampo : questi entro V orrenda
.Pugna il suo sangue, italo sangue, ha dato?
218 JUVENILIA
LXXXIX.
MAGENTA
Gua«esea,passo;poidì„ubiavvo,U
Del Cesare cirnèo V ombra si mosse,
E disgombrando la caligin folta
Alzò il grido di guerra, e il ciel si scosse.
Già fuoco e ferro orribilmente in volta
Percuote i lurchi come turbin fosse,
E r antica vendetta entro la molta
Strage V ali battea torbide e rosse.
Or via, cessate T inegual conflitto;
Che quinci servitù feroce e muta.
Quindi pugna de i popoli il diritto.
Cade l'austriaca sorte: e te saluta,
Pian di Magenta, il ci vii mondo afflitto:
L' avversaria del bene è in te caduta.
JUVENILIA 219
XC.
MODENA E BOLOGNA
A
I suon che lieto pe '1 diverso lido
Empie tra i monti e '1 mar T italo seno,
Sgombra, o straniero, i tuoi presidi: infido
Sotto i barbari pie crolla il terreno.
Or chi pria leverà d'Italia il grido
Spezzando il vario, infame, antico freno ?
Di martiri e d*eroi famoso nido,
Voi Modena e Bologna. Oh al di sereno
Di libertà cresciute anime altere
Tra i ceppi sanguinanti e gli egri esigli
E gli orrendi martori in prigion nere,
Voi ne' tedeschi e ne' papali artigli
Chi più mai renderà, poi che un volere
Raccoglie al fin de la gran madre i figli ?
220 JUVENILIA
XCI.
SAN MARTINO
G
'hi del German di doppia oste magj[iore
Là il barbarico nembo urta e sostiene?
Chi sovra mucchi di morenti muore
Sorriso in volto di letizia e spene?
Qual d* ira e di virtù divin furore
Su quel colle a le prove ultime viene?
Chi ricaccia il gagliardo assalitore,
E terribil lo folgora a le schiene?
Sei tu, sei tu, latin sangue gentile,
Che ne i pugnati campi e su la dòma
Austria risorgi in tua ragion civile,
Ed a r Europa gridi — Oh, chi mi noma
Servo mai più ? fine a V oltraggio vile !
Rendimi il serto di mia madre Roma. -^
JUVENILIA 221
XCII.
PER LE STRAGI DI PERUGIA
INon più di frodi la codarda rabbia
Pasce Roma nefanda in suo bordello;
Sangue sitisce, e con enfiate labbia
A' cattolici lupi apre il cancello;
E gli sfrena su i popoli, e la sabbia
Intinge di lascivia e di macello:
E perché il mondo più temenza n'abbia,
Capitano dà Cristo al reo drappello;
Cristo di libertade insegnatore;
Cristo che a Pietro fé' ripor la spada.
Che uccidere non vuol, perdona e muore.
Fulmina, Dio, la micidial masnada;
E r adultera antica e il peccatore
Ne r inferno onde usci per sempre cada.
222 JUVENILIA
xeni.
ALLA CROCE DI SAVOIA
vJTià levata ne gli spaldi
De' castelli subalpini,
Tra le selve ardue de' pini
Ondeggianti a Taquilon;
De' marchesi austeri e baldi
Fiammeggiante ne i brocchieri,
Quando i ferrei cavalieri
Ruinaro a la tenzon;
Come bella, o argentea Croce,
Splendi a gli occhi e arridi a' cuori
Su '1 Palagio de' Priori
Ne la libera città;
Dove il secolo feroce,
Posta giù r ùnnica asprezza,
Rivesti di gentilezza
La romana libertà.
JUVENILIA 223
Vero è ben: qui non sorgesti
A r omaggio de i vassalli,
Giù squillando per te valli
L'alto cenno del signor;
Né tornei ferir vedesti *
Né d'amore adunar corti,
E lodar le belle e i forti
Non udisti il trovator.
Una plebe di potenti
Qui giù rossi al franco stato,
E il barone spodestato
Si raccolse tra gli artier,
Quando sursero portenti
Da le sete e da le lane,
E le logge popolane
Vider Giano e V Alighier.
Ma la luce che a te intorno
Novamente arde e sfavilla,
E da Susa fino a Scilla
Trae le nostre anime a te.
Nel desio d' un più bel giorno
Che, cessati i duri esigli,
La gran madre unisca i figli
Sotto il nome del tuo re;
JUVENIUA
Qoella luce tra g|i orrori
De l'italica sventura
Queste tombe e queste mura
A i dì novi la serbar.
Tal su r urne de* maggiori
A la tarda etnisca prole
La favilla alma del sole
I sepolcri tramandar.
Qui Alighier nel santo petto
Accogliendo pria quel rag^o
Te nel triplice viaggio,
Nova Italia, ricercò:
Tutto in faccia al gran concetto
Gli fremeva il cor presago,
E, di Roma l'alta imago
Abbracciando, poetò.
Qui ne r aule del senato,
Qui de* rei nel duro ostello.
Doloroso Machiavello
Maturava il pio desir;
E a la forza ed al peccato,
Che r Italia egra tenea,
Chiese aiuto a V alta idea
E de r opera l'ardir.
JUVENILIA 225
Infelice! a la sua gente
Si volgeva altro destino,
E il buon Decio fiorentino
La grand' anima gittò.
Ma il pensier del sapiente
Ed il sangue del guerriero
Sovra il capo a lo straniero
Le viventi ire eternò.
E fu primo Burlamacchi,
Dato a morte e pur non vinto,
Contro il fato e Carlo Quinto
Il futuro ad attestar.
Poi da' petti inermi e fiacchi
Rifuggi r altera idea
Fra le tombe, onde solea
Ferri e ceppi rallegrar.
Or, desio de' nostri morti,
De' viventi amore e gioia.
Bianca croce di Savoia,
Tu sorridi al nostro ciel.
Gloria a te, da che a' tuoi forti
Filiberto apri la strada
E su i barbari la spada
Levò Carlo Emmanuel!
ARDUCCI. 15
226 JUVENILIA
Gloria a te quando nel grido
D' una plebe combattente
Tra le patrie armi lucente
Te un magnanimo portò;
E per tutto il nostro lido
Fin de V Adria a la riviera
Da le torri di Peschiera
La vittoria folgorò!
Sacra a noi, te non avvolse
La ruina di Novara:
Più terribile e più cara
Di memorie e di virtù,
Risorgesti: e un rege accolse
In te l'italo destino,
Quando ruppe a San Martino
La stagion di servitù.
Chi r ha detto che fremente
Di terrore e di corruccio
Qui su '1 popol di Ferruccio
Un d'Asburgo regnerà?
Su, stringetevi, o possente
Gioventù de le legioni!
Su, risorgi, o Pier Capponi;
Tocca i bronzi a libertà!
JUVENILIA 227
II combattere fia gioia
Fia '1 morire a noi vittoria:
Pugnerà con noi la gloria
Ed il nome de i maggior.
E tu, Croce di Savoia,
Tu fra r armi e su le mura
Spargerai fuga e paura
In tra i barbari signor.
Noi, progenie non indegna
Di magnanimi maggiori,
Noi con Tarmi e con i cuori
Ci aduniamo intorno a te.
Dio ti salvi, o cara insegna^
Nostro amore e nostra gioia!
Bianca Croce di Savoia,
Dio ti salvi! e salvi il re!
228 JUVENILIA
VARIANTE CANTATA
DELLA CROCE DI SAVOIA
Oome bella, o argentea Croce,
Splendi a gli occhi e arridi a' cuori
Su '1 palagio de' Priori
Ne la libera città;
Dove il secolo feroce,
Posta giù r ùnnica asprezza
Rivesti di gentilezza
La romana libertà!
A Vittorio i nostri carmi
Ne le piazze popolose.
De' figliuoli e de le spose
Consacriamo a lui V amor,
E Io strepito de V armi
E il furor de' fieri petti
E la folgor de i moschetti
In presenza a gli oppressor.
JUVENTLIA 229
II combattere fia gioia,
Fia '1 morire a noi vittoria:
Pugnerà con noi la gloria
Ed il nome de i maggior.
Ma te, o Croce di Savoia,
Altra gente invoca e aspetta:
A chiamar la gran vendetta
Sorge un grido di dolor.
È Venezia. In riva al mare
Siede, guarda, e al ciel si duole;
E conforto aver non vuole.
Perché figli più non ha.
Oh qua Tarmi! e a fulminare
Torna, o re, nel tuo sentiero:
Dove regna lo straniero.
Va, ti mostra, e fuggirà.
Noi, progenie non indegna
Di magnanimi maggiori.
Noi con r armi e con i cuori
Ci aduniamo intorno a te.
Dio ti salvi, o cara insegna.
Nostro amore e nostra gioia!
Bianca Croce di Savoia,
Dio ti salvi! e salvi il re!
230 JUVENILIA
XCIV.
BRINDISI
-Cjvoe, Lieo: tu gli animi
Apri, e la speme accendi.
Evoe, Lieo : ne' calici
Fuma, gorgoglia e splendi.
Tenti le noie assidue
Co' vin d' ogni terreno
E r irrompente nausea
Freni con V acre Reno
Chi ne le cene pallide
Cambia le genti e merca
E da i traditi popoli
Oro ed infamia cerca:
JUVENILIA 231
A noi conforti T anime
Pur contro a' fati pronte
Il vin de' colli italici
Ove regnò Tarconte.
Un morbo rio cui niegano
Le mie camene il nome
Pasce le membra d'Àmpelo
E le fiorenti chiome,
Ed ei sparso di rigido
Livor la bella faccia
Al tuo gran nume supplica
Pur con le inferme braccia.
In van: tu sdegni, o Libero,
Che attemperati ardori
La dolce per i barbari
De l'uve ambra s'indori;
E, quando il marte austriaco
Su' colli tuoi gavazza.
Tu sfrondi i lieti pampini,
Tu frangi al suol la tazza.
Nato al sorriso limpido
De le pelasghe fórme,
I tetri ceffi abomini
E le ferine torme.
232 JUVENILIA
Deh risorridi e fausto
A la vendemmia scendi;
Ne i bicchier nostri, o Libero,
Fuma, gorgoglia e splendi.
Ne* clivi ove più prospero
Il sacro arbusto alligna
Non più stran ier quadrupede
Ti pesterà la vigna,
Non de l'ottobre splendido
Tra i balli e le canzoni
Mescerà lituo retico
I detestati suoni.
II re teban di vincoli
Strinse il tuo fido stuolo:
Tu sorridesti, e inutili
Caddero ì ferri al suolo.
D* estranei re da' vìncoli
Italia or si sprigiona:
Ridi, o vendemmia; o Libero,
Il mio bicchier corona.
Tomi a' suoi covi squallidi
La sconsolata prole.
Di putri nebbie fumiga
La terra in odio al sole.
JUVENILIA 233
Che a pena guarda i poveri
Campi e i maligni colli,
Cui nieghi, o padre Libero,
L'onor de' tuoi rampolli.
Ivi i giacenti spiriti
D'amari succhi asperga
E oblii ne' sonni torbidi
De' suoi signor la verga.
A noi tu serbi i vividi
Estri e gli ardor giocondi.
Di civil fiamma, o Libero,
A noi tu i cuori inondi;
Tu caro a lui che a' teutoni
Indisse i lunghi affanni
Ed al cantor lesbiaco
Spavento de' tiranni.
234 JUVENILIA
xcv.
LA SCOMUNICA
I
fratelli a i fratelli e i padri a i figli
Chiama Roma inimici, e guerra chiede:
Per vive membra crepitar le tede,
Dritti fra nere croci acciar vermigli,
E fra stupri ed oltraggi e sangue e prede
Rapito Cristo da rabbiosi artigli
Delitti a consacrar, con erti cigli
Di tra Torgie dormite ella già vede.
Già leva il maggior prete in bianche stole
Tra la sua turba imbestì'ata e scempia
La man benedicente e le parole.
Nefandi! oh venga di che sangue v'empia
Si che v' affoghi, e sia quel che a voi cóle
Da i sen forati e da la rotta tempia.
JU VENI LIA 235
XCVI.
VOCE DEI PRETI
i_j tu pur di viltà scuola e d' inganni
Fosti, o asil de gli oppressi, o tempio ; quando
I fratelli e la patria e Dio negando,
L' interprete di Dio stiè co' tiranni.
Empio! e al ciel si lodò de i nostri affanni,
E benedisse a gli oppressori il brando,
E a r inferno sacrò qual sé levando
Scotea dal capo del servaggio i danni.
Pronta a gì' imperi d' ogni vii feroce
E a le lusinghe del vietato acquisto,
A Dio menti de* vati suoi la voce.
Ahi giorno sovra gli altri infame e tristo,
Quando vessil di servitù la Croce
E campion di tiranni apparve Cristo!
236 JUVENILIA
XCVII.
VOCE DI DIO
V
oce di Dio nel tempio or ecco tuona,
— Una sembianza avete ed un linguaggio.
Vostra è la patria che il Signor vi dona,
Cui ride il ciel co '1 più soave raggio.
Via del sire stranier Tarmato oltraggio!
Via la favella che diversa suona!
Cui vi strappa de' vostri avi il retaggio,
Cui vi tragge a servir. Dio non perdona:
Dio che accende la vita entro gli avelli,
Che incontro a gli oppressor tra* folgor vola
In compagnia de' Macabei fratelli. —
Salve, o voce di Dio! questa è parola
Che di te scende, e a' secoli novelli
Rende lo spirto del Savonarola.
JUVENILIA 237
XCVIII.
IL PLEBISCITO
L
leva le tende, e stimola
La fuga de i cavalli;
Torna a le pigre valli
Che il verno scolorò!
Via! su le torri italiche
L'antico astro s'accende:
Leva, o stranier, le tende!
Il regno tuo cessò.
Amor de' nostri martiri,
De i savi e de' poeti;
Da i santi sepolcreti
La nuova Italia usci:
238 JUVENILIA
Usci fiera viragine
De le battaglie al suono,
E la procella e M tuono
Su '1 capo a lei ruggì.
Levò lo sguardo; e splendida
Su '1 combattuto lido
Mandò a' suoi figli un grido
Tra Talpe infida e M mar:
E di ridesti popoli
Fremon le valli e i monti,
E su rerette fronti
Un sangue e un'alma appar.
Già più non grava a i liberi
Viltà di cor le ciglia:
Siam r itala famiglia
Cui Roma il segno die*.
La forte Emilia abbracciasi
A la gentil Toscana:
Legnano e Gavinana
Sola una patria or è.
L'ombre de' padri sorgono
Raggianti in su gli avelli;
Il sangue de' fratelli
Da' campi al ciel fumò.
JUVENILIA 239
Già sotto il piede austriaco
Bolle lampeggia e splende :
Leva, o stranier, le tende:
Il regno tuo cessò.
Piena di fati un'aura
Da i roman colli move;
La terra e il ciel commove
Le tombe e le città.
In ogni zolla, o barbaro,
A te una pugna attesta
L' antica età ridesta
Con la novella età.
Vedi: Crescenzio i tumuli
Schiude nel suol latino :
Levato in pie Arduino
Incalza il nuovo Otton.
T'incalza il sasso ligure,
La siciliana squilla;
E Procida e Balilla
Accende la tenzon.
Ecco: Ferruccio IMmpeto
Ed il furor prepara :
Lo stuol di Montanara
Intorno a lui si tien.
240 JUVENILIA
Ne i dolor lunghi pallido,
Ecco il sabaudo Alberto:
Gittate ha il manto e M serto,
Sol con la spada ei vien.
A' varchi infidi cacciano
I tuoi destrieri aneli
Poerio con Mameli,
A4anara e Rossarol.
Nero vestiti affrontano
Te del Carroccio i forti.
Tornano i nostri morti,
Tornano a' rai del sol.
De i vecchi e nuovi martiri
La voce si diffonde,
E un grido sol risponde
L'Arno la Dora il Po.
Sola una mente e un' anima
Tutta r Italia accende:
Leva, o stranier, le tende!
II regno tuo cessò.
E tu, signor de' liberi,
Re de V Italia armato,
Ne i voti del senato.
Ne '1 grido popolar,
JUVENILIA 241
Sorgi, Vittorio: a T ultima
Gloria de' regi ascendi;
Al popolo distendi
La mano, ed a Tacciar.
T'accomandiamo i pubblici
Diritti e le fortune,
I talami e le cune.
Le tombe de' maggior:
Vieni, invocato gaudio
A i tardi occhi de' padri,
Speranza de le madri,
De' baldi figli amor.
Vieni: anche i nostri parvoli
A fausti di crescenti
Te con i dubbi accenti
Chiaman d'Italia re.
Assai splendesti folgore
Ne' sanguinosi campi,
E de la pugna i lampi
Arsero intorno a te.
Vieni, guerriero e principe.
Tra '1 popolar desio:
Teco è r Italia e Dio :
Chi contro te starà?
RDUCCI. 16
242 JUVENILIA
Dio pose te segnacolo
D' una fatai vendetta :
Teco r Italia affretta
A la promessa età.
Straniero, a le tue vergini
Gran lutto allor sovrasta:
Gitta la spada e Tasta;
Dio gli oppressor fiaccò.
De la vendetta il fulmine
Già r ale infiamma, e scende.
Leva, o straniar, le tende!
Il regno tuo cessò.
JUVENILIA 243
XCIX.
IN SANTA CROCE
IV GIUGNO MDCCCLX.
1 re fra i ricordi e le speranze e il pianto
Sorgon forme nel tempio alte e stupende.
Verde quasi smeraldo ha V una il manto,
E il ferro e rocchio verso l'Adria intende.
Come folgor di Dio, da T altro canto
Roggio il secondo cherubin s'accende;
E mira in vai di Tebro; e al pastor santo
Tremano in capo per terror le bende.
Bianco siccome neve in alpi intatte
E il terzo; e va, de' martiri colomba,
Dove Sicilia bella arde e combatte.
Ma grida a gli altri: Allor che la mia tromba
Canti le tirannesche ire disfatte.
Tu su Venezia e tu su Roma piomba.
244 JUVENIUA
e.
SICILIA E LA RIVOLUZIONE
D:
a le vette de V Etna fumanti
Ben ti levi, o facella di guerra:
Su le tombe de' vecchi giganti
Come bella e terribii sei tu!
Oh, trasvola! per T itala terra
Corri, ed empi d* incendio ogni lido!
Uno il core, uno il patto, uno il grido:
Né strania* né oppressori mai più!
O seduti ne gli aulici scanni,
A che i patti mentite e la pace?
Solo è pace tra servi e tiranni
Quando morte la lite fini:
Ma il nemico su M campo non giace,
Né lasciò da la man sanguinante
La catena che in saldo adamante
Nel silenzio de* secoli ordì.
JUVENILIA 245
Come il turpe avvoltoio ripara,
Franto V ali dal turbine, al covo,
E ne r ozio inquieto prepara
Pur li artigli la fame ed il voi;
Vergognando il pericolo novo
La barbarie le forze rintégra,
Ne le insidie la speme rallegra,
Pria li spirti quindi occupa il suol.
Or su via! Fin che il truce signore
Tien sol una de l' itale glebe
E de* regi custodi il terrore
Tra r Italia e T Italia interpon;
Fin che d'Austria e Boemia la plebe
Si disseta di Mincio e di Brenta,
E il cavallo de l' Istro s' avventa
Dove al passo confini non son;
Fino al di, verdi retiche vette,
Che su voi splenda Tasta latina;
Sciagurato chi pace promette.
Chi la mano a la spada non ha!
Presto in armi! l'antica rapina
Ceda innanzi a T eterno diritto!
Come Amazzoni ardenti al conflitto,
Presto in armi le cento città!
246 JUVENILIA
O Milan, la tua pingue pianura
Crebbe pur de le bianche lor ossa,
E i destrieri sferzò la paura
Quando inerme il tuo popol ruggì:
O Milano, a la terza riscossa
Gitta r ultima sfida, e t'affretta;
Il drappel de la morte t' aspetta,
Ch'è risorto al novissimo di.
Bello il sangue che ancor su la gonna
Tua ducale rosseggia e sfavilla!
Non forbirlo, o de' Liguri donna;
Odi, a vespro Palermo sonò!
Pittamuli, Carbone, Balilla
Scalzi corran da Prè da Portoria,
Sotto il nobile segno de i Doria,
Dietro il sasso che i mille cacciò.
Dove sono, o Bologna, i possenti,
I guerrier de la tua Montagnola?
Quei che incontro dì metalli roventi
Volan come fanciulle a danzar?
Non più fren di levitica stola
Al furor de le sacre tenzoni!
Spingi in caccia i tuoi torvi leoni!
Senti il cenno per l'aure squillar?
JUVENILIA 247
Odel Mei la viragine forte,
Batti pur su le incudi sonanti,
Stringi pure in arnesi di morte
Del tuo ferro il domato rigor;
' Ma rammenta i tuoi pargoli infranti
Su le soglie, i tuoi vecchi scannati,
Ed i petti materni frugati
Da le spade, e l'irriso dolor.
O Firenze, tua libera prole
Dorme tutta ne' templi de* padri
O su* monti ove V ultimo sole
Il tuo Decio cadendo attestò?
Odo un gemito lungo di madri
Volto al Mincio ed al memore piano
Gli occhi avvalla riscosso il Germano
Da le torri vegliate, e tremò:
Che un clamor d' irrompente battaglia
Sorge ancor da la trista pianura,
E le azzurre sue luci abbarbaglia
D' incalzanti coorti il fulgor.
A la cinta de V ispide mura
Su correte, o progenie di forti!
Qui la muta legione de' morti
Qui vi chiama, ed il conscio furor.
248 JUVENILIA
Chi è costui che cavalca glorioso
In tra i lampi del ferro e del foco,
Bello come nel ciel procelloso
Il sereno Orione, compar?
Ei si noma, e a' suoi cento diér loco
Le migliaia da i re congiurate:
Ei si noma, e città folgorate
Su le ardenti ruine pugnar.
Come tuono di nube, disserra
Ei li sdegni che Italia raguna:
Ei percuote d' un piede la terra,
E la terra germoglia guerrier.
Garibaldi! Da Terma laguna
Leva il capo, o Venezia dolente:
Tu raccogli, o de V itala gente
Madre Roma, lo scettro e V impen
Su, da' monti Carpazi a la Orava,
Da la Bosnia a le tessale cime,
Dove geme la Vistola schiava.
Dove suona di pianti il Balcani
Su, d' amore nel vampo sublime
Scoppin Tire de l'alme segrete!
Genti oppresse, sorgete, sorgete!
Ne la pugna vi date la man!
JUVENILIA 249
Da li scogli che frangon TEgeo,
Da le rupi ove V aquile han covo,
O fratelli di Grecia, al Pireo!
Contro r Asia Temistocle è qui.
Serbo, attendi ! su '1 pian di Cossovo
Grande l'ombra di Lazaro s'alza;
Marco prence da 1' antro fuor balza,
E il pezzato destriero annitrì.
Strappa ornai de' Corvini la lancia
Da' le sale paterne, o Magiaro;
Su '1 tuo nero cavallo ti slancia
A le pugne de i liberi di.
In fra '1 gregge che misero e raro
L' asburghese predon t' ha lasciato,
Perché piangi, o fratello Croato,
Il figliuol che in Italia mori?
In queir uno che tutti ci fiede,
Che si pasce del sangue di tutti,
Di giustizia d' amore di fede
Tutti armati leviamoci su.
E tu, fine de gli odii e de i lutti,
Ardi, o face di guerra, ogni lido!
Uno il cuore, uno il patto, uno il grido:
Né stranier né oppressori mai più.
LICENZA
io di poveri fior ghirlanda sono,
Ed Enotrie a le dee m' appese in dono,
Qui l'arte deponendo e il van desio:
Altri cliieda la gloria, ed e! l'oblio.
NOTE
Al libro [1806] — Petronio [pag. 5. v. 6] è quel del
Satyrìcon divenuto dopo il 1815 scrittore di romanzetti mi-
stici e d'omelie erotiche. Alfio [ivi, v. 14] è l'usuraio del 1[
degli epodi; al tempo di Orazio faceva, idilli campestri, dal
1815 al '59 compose di molti inni sacri in settenari e in isciolti:
oggigiorno credo faccia anche delle poesie sodali. Le altre
figure, 0 figuri, sono studi ideali dal vero, per cosi dire, della
società toscana poco avanti e poco dopo ìl 27 aprile 1859,
cui si allude alla pag. 1, v. 4. Per 1' allusione mitologica su 'I
Mugnone [pag. 9, vv. 21-23], chi non se ne ricordasse vegga
il Ninfale fiesolano. A chi poi gli rimprovera l'acerbezza
giambica dì alcuni di questi versi, come sconveniente alla ci-
viltà odierna, Enotrìo, veneratore degli antictli, ricorda quei
di C. Trebonio a Cicerone, Famil. lib. XU: In quibus versi-
talis sì libi quibusdam verbis eythyrremonésleros vìdebor,
larpitado personae eius in quam liberius invehimur nos vin-
iicabii : ignosces eiiam iraeundiae nostrae, quae iusta est in
liiismodi et homines et dves. E canticchia quei versi di Lu-
cìIId:
Virtus, id dare gaod re ipso debetur honori,
Hostem esse atque inimicum hominum tnorumque mcdorum
Cantra defensorem hominum morumque bonorum.
256 JUVENILIA
LIBRO I.
VI) À imitazione delle rime dei secoli xiii e xiv.
VII) Come il precedente. Il Primo amante del v. 12 è
detto platonicamente^ come già dal Tasso nella canzone alla
Pietà:
Ei accesa di selo
Scaldi gli alati amori
Di nuovo e dolce foco e 7 primo amante.
XIII) In questo sonetto la seconda quartina non corri-
sponde neir abitudine delle rime alla prima; ma non è licenza
mia, sf maniera antica che piacque al Petrarca (v. il sonetto
Soleano i miei pensier soavemente). Libertà in arte quanta
ce n* entra: ma di quelle libertà che scusano Tignoretnza 1* im-
potenza o la trascuraggine, no.
LIBRO II.
XXVI) È una specie d' idillio lirico, nel quale per le rap-
presentazioni della natura volle tornarsi alle forme del poli-
teismo classico, e ai sentimenti della natura volle mescolarsi
le ire nazionali del presente d' allora. Il canto messo in bocca
alle fanciulle romane festeggiane la primavera nell'isoletia
del Tevere [pagg. 44-48] è imitazione o riduzione del Per-
vigilium Veneris. Chi volesse saper di più su *1 luogo 1* occa-
sione e i modi di quella festa, cerchi il proemio del Wems-
dorf a queir idillio (Poetae latini minores, ii).
XXVII) Per Cerìnto e Sulpizia [pagg. 55] vedi il libro iv
delle elegie dì Tibullo.
XXVIII) E una variazione su l'idillio vili di Mosco, su
r elegia vii di Lod. Ariosto O ne' miei danni.,», su le stanze
JUVENILIA 257
di Ph. Desportes Nuict jalòuse nuict.... e su la canz. vili p. i
di T. Tasso Chi di mordaci....
XXIX) Di Cassio [a pag. 65] sappiamo da Plutarco, nella
vita di Bruto, che era epicureo e buon compagno.
XXXI) Traduzione o imitazione dal Basium ìt di Gio-
vanni Secondo.
XXXII)' Fatta veramente su '1 motivo d'antico poeta ci-
nese, Kaokiti; il cui canto può vedersi tradotto nella Storia
universale di Cesare Cantii (Letteratura, voi. I, p. 312: Torino,
Pomba, 1841).
XXXIII) È una santa proteggitrice, come chi dicesse una
indig'ete, della terra di Santa Maria a monte nel Valdarno in-
feriore; ove nacque nel 118T da un Giuntini cavaliere e da
una Ghisilieri di Bologna e morì nel 1231.
XXXIV) Per gli ultimi versi [pag. 80] ognun ricorda che
la Commedia di Dante fu alcuna volta letta al popolo in Santa
Maria del fiore.
LIBRO III
XLII) V. 9. Accenna alle parole del Voltaire: Vorrei inti-
tolare le vostre commedie V Italia liberata dai Goti [lett. a
C. G., 24 seti 1760].
-^
LVI) È risposta per le stesse rime a un sonetto che mi
fu indirizzato nel 1856 e che fu stampato in un volume di
Uriche [Pisa, Nistri, 1862], ove sono dì bei pezzi poetici.
Ecco il sonetto:
Carducci, è suono d* armonia guerriera
Quel che ti freme ne 1' ardente core,
Che pur le dolci fantasie d' amore
Veste di forma rigida e severa.
Carducci. IT
JITiENIUA
Li. ta i'jttit e
ScrszzjL £ sdcrri e 2 Seni
E (f acfxo p«ra e £ litÌB Tilore
Cerca zd de! «fi Dante la
Gbe se 1 tao canto a Fetà ooo s*
Pecsa cbe 3 fiacre scio i= Ics s'ispcm
Da die al verbo de* forti è fatti sorda.
D: r:ìg£or tempo degno, a la tsa Era
Xon t^. Cardoeci. noo aggicager
Ma sii aaa! fosti; e rendi carmi ed
Corde, d' an'>ra in poi, aOa mia lira io non ne bo toltie; e, se
alcuna ne ho a^unta. è di quelle cbe Sparta imo awdibe
comandato di togfiere.
LIBRO IV.
LVH) Questi versi e gli attrì intitolati Omero sono frani-
mentì di an carme che ne' primi anni meditavo sa la poeàa
greca. E li ristampo, sebbene frammenti, perché sovra essi
si fermò piò benigno lo sguardo di F. D. Guerrazzi: i lin-
guaioli mi motteggiavano, ed ei giudicò che in questi versi
specialmente io mi mostrava si alunno del Foscolo, ma come
Achille che imparava a tender l'arco da Chirone (/^isfo
contemporanea del 185S). So bene d'esser rimasto inferiore
al paragone e al vóto:
Quamquam o! — sed superent quibus hoc, Neptttne, dedistL
LIX) pag. 113, V. 15 e segg. La venuta di Omero al
tumulo di Achille e Y apparizione dell' eroe e l' acciecameot»
del poeta furono prima immaginati da A. Poliziano nell'Ambra,
V. 260 e s^gg.] ma d'altra g^isa.
LX) pag. 122, vv. 4-6. Questo stava bene dirlo nel 1864;
ma che Dante pensasse all' unità d' Italia, oggi, studiati nn
JUVENILIA 259
po' meglio i tempi l' uomo e il poema, non lo direi più né
pure in un ditirambo. Le son novelle che oramai bisogna la-
sciarle a quei che sudano a lusingare il veltro.
LXVI) Nelle prime sei stanze si accenna ai Persiani
«
d' Eschilo, e in fine della sesta air epitafio che leggesi ne^
V antica vita del poeta: Questo monumento ricuopre Eschilo
d' Euf orione ateniese^ perito nella fertil di grano Gela, Del
suo inclito valore ti dirà il sacro campo di Maratona e il
denso-capigliato Medio che 7 sa per pruova,
LXVIII) vv. 13-14. Come è detto da Persio vi: Mihi nunc
ligus hora Intepet hibematque meum mare. Persio era etru-
sco: ma il paese dalla Magra all' Arno fu detto più d' una
volta ligure, specialmente dai greci.
vv. 61-64. È una rimembranza del glorioso scolio ateniese:
Carissimo Armodio^ no tu mai non moristi: ma nelle isole
de* beati dicono che tu sei, ov* è il pie-veloce Achille e dicono
anche il tidide Diomede.
"V. 72. Si accenna al frammento di Alceo serbatoci da Ate-
neo X: Or conviene inebriarsi e di forza bere, da poi che
morto è Mirsilo.
LIBRO V.
LXXIX) pag. 189. Fu stampato la prima volta non so piti
in qual numero del Momo di Firenze nel 1858, con la se-
guente missiva:
Colui che ti scrive trovossi un bel giorno a sentir recitare
in una accademia di questo mondo una diceria, non ti potrei
dire quanto dotta e assennata e cristiana, sopra la educazione
de' figliuoli. E come a lui piacque sempre la costumanza di
<\uei sapientissimi Greci, che i comandamenti della religione
eie leggi civili e i precetti della moral filosofia mettevano
in versi, e gli cantavano per le cene e gli scolpivano in capo
260 JUVENILIA
alle vie, affinché per tal maniera restassero meglio in^
nelle menti deMoro paesani; cosi volle far egli, per qd!
poteva, di quella diceria ; eh' e' tiene per santissima eosi^
boccante tutta da capo a fondo di religione e di civiltà e
morale. E recolla in versi; e la dà a te; che, se ti piifl^
la mandi fiiora, cosi compendiata e fatta piò dUettstt'
agevole a ritenere, a processione per la stampa.
Dio ti salvi, Momo da bene.
LXXXI) pag. 195. Fu stampato nella Domenica del
cassa, anno III, n. 2, 10 gennaio 1886, con questo avwii
Giuseppe Chiarini:
In nota ad un mio scrìtto sul Carducci, io pubi
1869 alcune strofe di un Inno sacro eh' egli scrìsse nel '
quando era scolare a Pisa. Il Carducci stesso ne
qualche altra strofa nelle note alla prima edizione ddel
Poesie fatta dal Barbèra nel 1811. Ma la intera poesia,
una satira religiosa e civile per quei tempi audi
mase finora inedita. Rovistando alcune carte, m' è ora
alle mani 1' originale di queir Inno, e lo pubblico, certo
cosa grata ai nostri lettori: lo pubblico con le parole
quali il Carducci mi mandava la poesia, parole che ne
r origine. " Da un pezzo in qua (due anni mi pare) è
la mania di rìscavare i vecchi santi e di metterne su de^i
ultimo guizzo deir idea cristiana-romantica. A questi gìoi4|
precisamente dopo trattata e firmata la pace di Parigi,
trovato un frate del secolo xiii che appunto ha nome
vanni della Pace, venerato in Pisa nei secoli passati,
stabilito di riscavarlo, metterlo in onoranza nel domo,;
tarlo a processione. Io ho scritto questo inno sacro ,.
pag. 196 V. 1. L* arcivescovo di Pisa card. Cosimo
LIBRO VI.
xeni) pag. 223, V. 16. Giano della Bella fiorentino, bei
uscito di antica e nobil famiglia^ prese le parti del popolo eofl
JUVENILIA 261
tro i nobili e grandi; e, venuto ad esser priore nel 1292, ri-
formò lo stato e ridusse il governo nelle mani del i>oi>olo.
Di che nacquero invidie e odii contro di lui, e il popolo traeva
a difenderlo; ma e' non pati che il nome suo divenisse segno
di cittadine discordie, e di sua volontà si bandi da Firenze
nel 1294.
pag. 224, V. 9. Dante Alighieri, nato in Firenze l' anno 1265
morto in Ravenna nel 1321, il piò gran poeta de* tempi cri-
stiani, fu primo a nettamente pensare e procurare efficace-
mente con le scritture e i consigli V unità d' Italia nella lingua,
nei pender! e costumi, nelle leggi e nel governo, sotto il
reggimento d'un prìncipe. Ma egli concepiva T unità italiana
solo co 1 risorgimento dell' impero romano, per lo die allar-
gavasi a certe astrazioni di monarchia universale, che non
humo al caso nostro^ per altro è da osservare che quel che
Dante pensò, un altro italiano, Napoleone i, tentò a modo
suo di mettere in effetto. Belle e degnamente riferìbili al Re
eletto sono le parole con le quali il gran poeta annunziava
la venuta d' un redentore d' Italia nella Epistola ai re, magi'
strati e popoli d* Italia [traduzione di P. Fraticelli].
pag. 224, V. n Nicolò Machiavelli, cittadino fiorentino e
segretario della Repubblica, nato nel 1469 e morto nel 1527,
voleva la indipendenza e unità d'Italia acquistata con le armi
nazionali e assicurata sotto un prìncipe nazionale potente.
Vagheggilo questo principe prìma in Cesare Borgia detto il
Valentino, poi in Lorenzo de' Medici duca d' Urbino ; i quali,
usciti di ree famiglie ambidue, erano ambidue nefandi per
tradin:enti e violenze e vizii di diversa maniera: e Dio non
vuole che le opere grandi e belle si compiano per mezzo di
bassi e bratti tstrumentL Paiono profezia della mirabil con-
cordia^ ^xm la quale gl'Italiani d'og^ vollero e vogliono per
re loro Vittorio Emanuele, le parole del Machiavelli nel capo
ultimo del Priudpe.
pag, 225, V. 3. Quale italiano non conosce il nome e i
fatti di Francesco Ferrucci, nato in Firenze il 14 agosto 14^
262 JUVENILIA
e morto a Gavinana il 2 agosto 1530 in difesa della libertà
di Firenze, e, si può dire, d' Italia, contro le armi di Carlo v
imperatore e di Qemente vii papa?
pag. 225, V. 9. Francesco Burlamacchi, artefice lucchese e
gonfaloniere della Repubblica di Lucca ne] 1546, aveva con-
cepito il magnanimo e per i tempi che allora correvano non
mal fondato divisamento di ritogliere i male acquistati dominii
agli stranieri e il temporale al papa e riunire l'Italia sotto
reggimenti repubblicani, incominciando dal chiamare a libertà
le città toscane e romagnole di fresco assoggettate, poi per
tutta r Italia propagando V incendio. Per ciò s' intese con gii
Strozzi e con altri fuorusciti fiorentini e senesi; ed era per
dar mano all'opera, quando scoperto per vile malignità d'un
Pezzini fu con la tortura disaminato dagli stessi anziani della
sua Repubblica; e quindi dato in mano a Ferrante Gonzaga,
che lo richiedeva in nome dell'imperatore, tu nella cittadella
di Milano nuovamente torturato e in fine decapitato. Il Governo
della Toscana ha decretato che in alcuna delle piazze di Lucca
gli si ponga una statua come a primo martire dell' unità ita-
liana.
pp. 225, vv. 13-16. Il Burlamacchi può considerarsi come
l' ultimo dei grandi uomini italiani delle età repubblicane;
che, dopo, al predominio straniero si accompagnò una quasi
universale corruttela, e lo smarrimento d' ogni spirito generoso
nel popolo d' Italia. Vero è che alcuni amarono e procurarono
sempre l'indipendenza e l'unità della patria; e molti furono
i tentativi a ciò dopo il 1189, e più molti dopo il 1815; ma.
ebbero per fine la galera, il carcere duro, la mannaia.
pp. 225, vv. 21-24. Dio provvide che nei bassi tempi della,
nostra servitù regnasse al settentrione d' Italia una forte e ^
pura famiglia di prìncipi italiani. — Emanuele Filiberto i doefli r
di Savoia, generalissimo delle armi spagnole in Fiandra, osi a
1551 vinse sopra i Francesi la battaglia di San QuintioOy
onde nella pace di Castel Cambresf, che a quella battaglia- ;
successe, riacquistò i suoi dominii di Savoia e Piemonte,
JUVENILIA 263
nuti per ventiquattro anni da' Francesi, e gli afforzò d' armi
e di leggi: con ciò fondando la grandezza di casa Savoia,
anche preparò all' Italia nel Piemonte un futuro vendicatore
della sua libertà. — Il figliuolo di Filiberto, Carlo Emanuele i,
messo dalla Spagna al bando dell' impero, perché si preparava
a sostenere con le armi i suoi diritti di successione al Mon-
ferrato, rispose rimandando il toson d' oro: intimatogli dal
governatore di Milano che obbedissey rispose avanzando l' eser-
cito e chiamando i principi e popoli d* Italia alla riscossa con-
tro il dominio straniero: per due volte fece la guerra contro
Spagnuoli ed Àutrìaci, nel 1614 e 15, nel 1616 e 11. Fu dai
primi uomini d' Italia acclamato liberatore della patria.
pag. 220, vv. 1-8. Carlo Alberto i, di Savoia-Carignano,
dopo rinnovato il Piemonte con sapienti riforme e afforzato
di disciplina e d' armi il bello e florido esercito aspettava il
suo astro, aspettava cioè 1' occasione dì romperla coli' Au-
stria, che gli fu data dalle cinque giornate di Milano ( 18-22
marzo 1848): ond'egli il 23 passò il Ticino, sovrapposto lo
scudo di Savoia alla bandiera tricolore italiana; e battuto il
30 aprile il generale D' Aspre a Pastrengo, e nel 30 maggio
il maresciallo Radetzky a Goito, ebbe in guest' ultimo giorno
la fortezza di Peschiera a patti. Non è del nostro proposito
il narrare come riuscisse male quella guerra incominciata con
tanto lieti auspicii: accenneremo come Carlo Alberto battuto
a Novara nel 23 marzo 1849 abdicasse pe '1 figlio Vittorio
Emanuele ii, e andasse a morire nell' esiglio in Oporto di
Portogallo. Dal Senato del Regno fu con decreto aggiunta
al nome di lui 1' appellazione di Magnanimo.
pag. 228. Cantata la sera del 4 decembre 1859 al Teatro
Pagliano, con grande accompagnamento di coro, dalla signora
Manetta Piccolomini in occasione dell' Accademia a vantaggio
della soscrizione per i fucili promossa da Gius. Garibaldi,
t a richiesta universale ripetuto tre volte. Altre strofe del
canto stesso erano già state messe in musica pur dal mae-
264 JUVENILIA
stro Carlo Romani ed eseguite nel r. Teatro degl* Intrepidi in
Firenze la sera del 27 novembre 1859.
XCIV ) Un po' incivile con gli austriaci; ma bisogna ricor-
dare i tempi: del resto né pur gli austriaci erano dvilisàmi
con noi. Tarconte [p. 231, v. 4] è Teroe mitico degli etruschi
fondatore di città. Ampelo [ivi, v. 7] die il nome greco alla
vite: di lui Ovidio, Fcist ili, 409.
Ampelon intonsum satyro nymphaque crecUum
Fertur in ismariis Bacchus amasse iugis.
Su *1 coperchio d* un sarcofago del Museo Pio dementino ve-
desi figurato nel trionfo di Bacco in un carro tirato da tigri
cui guida un Amorino sonando la lira. La sua storia è il piti bel
episodio delle Dionisiache di Nonno. A pag. 233, v. 13-16, si
accenna a Mario, che vecchio beveva anche troppo, e ad
Alceo, de* cui pochi frammenti parecchi son sacri al vino e
a' bicchieri.
C) p. 246, v. 1. Occorre dire che accenno alla Compagnia
della morte, la quale combatté a Legnano intorno al Carroccio?
t della quale il Berchet, Fantasie in,
Dio fu nosco. Al drappel de la Morte,
Alla foga dei carri falcati
Ei fu guida....
pag. 249, vv. 5-8. Su '1 piano di Cossovo fu combattuta
il 15 giugno del 1389 la battaglia tra Serbi e Turchi ove
cadde tra migliaia di prodi Lazaro re di Serbia e la nazione,
e che è omericamente celebrata nei canti popolari serbi, al
cui paragone si vede bene la gran miseria che sono certe
altre poesie popolari. Quei canti narrano anche i grandi e
gli ameni fatti di Marco Kraglievich {principe)^ V Achille e il
Rinaldo serbico. " Visse censessant'anni; second* altri tre*
JUVENILIA 265
cento. Altri imagìna che dopo V ultima battaglia si ritraesse
in una caverna, quando vide la canna del primo moschetto.
Dio a lui pregante die un sonno che non si romperà se non
quando gli cadrà da sé la spada dal fodero. Si sente talvolta
il suo cavallo nitrire; e la spada è già mezzci fuori „: cosi il
signor Bone nella versione di Nicolò Tommaseo, traduttore
e illustratore degno della poesia illirica.
f
LEVIA GRAVIA
1861-1871
ife»;^k^^^4É
I.
CONGEDO
V_/oi
-^ome tra 'I gelo antico
S' affaccia la viola e disasconde
Sua parvola beltà pur de 1' odore ;
Come a r albergo amico
Co 'I vento eh' apre le novelle fronde
La rondinella torna ed a l'amore;
Rifiorirmi nel core
Sento de i carmi e de gli error ta fede;
Animoso già riede
De le imagini il voi, riede 1' ardore
Su r ingegno risorto; e il mondo in tanto
Chiede al mio petto ancor palpiti e canto.
270 LEVIA GRAVIA
Luce di poesia,
Luce d'amor che la mente saluti,
Su Tali de la vita anco s'aderge
A te l'anima mia,
Ancor la nube de' suoi giorni muti
Nel bel sereno tuo purga e deterge:
Al sol cosi che asperge
Lieto la stanza d'improvviso lume
Sorride da le piume
L' infermo e '1 sitibondo occhio v' immerge
Sin che gli basta la pupilla stanca
A i color de la vita, e si rinfranca.
Quale nel cor mal vivo
Dolore io chiusi, poi che la minaccia
Del tuo sparir sostenni, e quante pene?
Tal del seguace rivo
A poco a poco inaridir la traccia
L' arabo vede tra le mute arene,
E sente entro le vene
L'arsura infuriar, e mira, ahi senso
Spaventoso ed immenso!.
Oltre il voi del pensiero e de la spene
Spaziare silente e fiammeggiante
Il ciel di sopra e '1 gran deserto innante.
LEVIA GRAVI A 271
E giace, e il capo asconde
Nel manto, come a sé voglia coprire
La vista, che il circonda, de la morte:
E il vento le profonde
Sabbie rimove e ne le orrende spire
Par che sepolcro al corpo vivo apporte.
I figli e la consorte
Ei pensa, ch'escon de le patrie ville
Con vigili pupille
Del suo ritorno ad esplorar le scorte,
E in ogni suono, eh* a l'orecchio lasso
Vien, de' noti cammelli odono il passo.
Or mi rilevo, o bella
Luce, ne' raggi tuoi con quel desio
Ond' elitroprio s' accompagna al sole.
Ma de V età novella
Ove i dolci consorti ed ove il pio
Vólto e l'amico riso e le parole?
Come beir arbor suole
Ch' è dal turbin percosso innanzi il verno,
Tu, mio fratello, eterno
Mio sospiro e dolor, cadesti. Sole,
Lungi al pianto del padre, or tien la fossa
Pur le speranze de l'amico e l'ossa.
272 LEVIA GRAVIA
O ad ogni bene accesa
Ànima schiva, e tu lenta languisti
Da l'acre ver consunta e non ferita:
Tua gentilezza intesa
Al reo mondo non fu, che la vestisti
Di sorriso e disdegno; e sei partita.
Con voi la miglior vita
Dileguossi, ahi per sempre!, anime care;
Qual di turbato mare
Tra i nembi sfugge e di splendor vestita
Par da V occiduo sol la costa verde .
A chi la muta con V esilio e perde.
Dunque, se i primi inganni
M' abbandonaro inerme al tempo e al vero,
Musa, il divin tuo riso a me che vale?
Altri e fidenti vanni,
Altro e indomito al -dubbio ingegno altero
Vorriasi a te seguir, bella immortale^
Quand' apri ardente V ale
Vèr' l'infinito che ti splende in vista:
A me l'anima è trista;
Perdesi l' inno mio nel vuoto, quale
Per gli silenzi de la notte arcana
Canto di peregrin che s'allontana.
LEVIA GRAVIA 273
Ma no: dovunque suojia
In voce di dolor 1' umano accento'
Accuse in faccia del divin creato,
E a r uom T uoiti non perdona^
E l' ignominia del fraterno armerito
È ludibrio di pochi, è rio mercato,
E con viso larvato
Di diritto la forza il campo tiene
E r inganno d* oscene
Sacerdotali bende incamuffato,
Ivi gli amici nostri, ivi i fratelli.
Intuona, o musa mia, gì' inni novelli.
—4
Addio, serena etate.
Che di forme e di suoni il cor s'appaga;
0 primavera de la vita, addio!
Ad altri le beate
Visioni e la gloria, e a T ombra vaga
De' boschetti posare appresso il rio,
E co '1 queto desio
Far di sé specchio queto al mondo intero:
Noi per aspro sentiero
Amore ed odio incalza austero e pio,
A noi tra i tormentati or convien ire
TesoEeggianda le vendette e V ire.
Carducci. 18
274 LEVIA GRAVIA
L
Musa, e non vedi quanto
Tuon di dolor s'accoglie e qual di sangue
Tinta di terra al ciel nube procede?
Di madri umane è pianto
Cui su l'esista poppa il figlio langue;
Strido è di pargoletti, e del pan chiede:
È sospir di chi cede
Vinto e in mezzo a la grave opera cade,
Di vergin che onestade
Muta co'l vitto; e di chi più non crede
E disperato nel delitto irrompe
E grido, o cielo, e i tuoi seren corrompe.
Che mormora quel gregge
Di beati a cui soli il ciel sorride
E fiorisce la terra e ondeggia il mare?
Di qual divina legge
S' arma egli dunque e che decreti incide
A schermir le crudeli opere avare?
Odo il tuono mugghiare
Su ne le nubi, e freddo il vento spira.
Del turbine ne V ira
E tra i folgori è dolce, inni, volare.
L* umana libertà già move V armi :
Risorgi, 0 musa, e trombe siano i carmi.
LEVIA GRAVIA 275
Canzon mia, che dicesti?
Troppo è gran vanto a si debili tempre:
Torniam ne V ombra a disperar per sempre.
LIBRO I.
IN UN ALBO
A„
incor mi ride ne la fantasia
onesto sguardo, o giovinette, e il viso
de le vostre inchine fronti il riso;
E ad altri d! la mente sì disvia
jando m' apparve amor cosa celeste ;
con sospir strisciare odo una veste
Bianca tra i fiori al lume de la luna,
?sco mormorii dolci a l' aria bruna.
278 LEVIA GRAVIA
Pòvero peregrino in chiusa valle,
Timido de la notte erma tra i sassi,
Se leva gli occhi su del monte a i passi
Ond'è calato e vede le sue spalle
Ancor vestite del soave raggio,
Pensa il principio del lontan viaggio
E del luogo natio la primavera
Ed il foco paterno in su la sera.
Al sole al verde a gli amorosi vènti,
A le dolci armonie pe '1 mondo sparte
Sospira il cuor; ma la bufera in parte
Mi respinge ove infuriano i viventi
Odi e amor di mill'anni e da le tombe
Sorgono accenti d' ira e suon di trombe.
Non uditeli voi, ma pure e liete
De la fugace rosa il fior cogliete.
LEVIA GRAVIA 279
III.
PER NOZZE B. E T.
IN PISA
Ohi me de* canti ormai memore in vano
Poi che dal nido mio giacqui diviso,
Chi me al ciel patrio e de gli amici al viso
Rende toscano,
Dove più largo ne* bei piani a l'onda
Laboriosa il freno Arno concede
E di trionfi solitari vede
Grave la sponda?
Vola il pensiero trepidando e posa
A una nota magione or tutta in festa.
Piange la madre e i bianchi veli appresta :
Ecco la sposa.
280 LEVIA GRAVIA
Seco il garzone a cui V intimo affetto
Traluce e ride su la faccia pura
E ne r eloquio V anima secura
E il savio petto.
Oh a me del vin cui più sottil maturi
Tosca vendemmia per le aeree cime
Versate, amici. Io dal bicchier le rime
Chieggo e li auguri.
E d'Alice dirò la chioma bruna,
La tenue fronte e i lunghi sguardi e lenti,
Come in queta d'aprii notte pioventi
Raggi di luna.
LEVIA GRAVI A 281
IV.
PER VAL D' ARNO
N,
é vi riveggo mai, toscani colli,
Colli toscani ove il mio cantò nacque
Sotto i limpidi soli e tra le molli
Ombre de* lauri a' mormorii de V acque,
Che dal lago del cor non mi rampolli
Il pianto. Ogni memoria altra si tacque
Da quando in te, che più ridi e t'estolli,
Colle funesto, il fratel mio si giacque.
Oh che dolce sperar già ne sostenne!
Come da quella età che non rinverde -
Volammo a T avvenir con franche penne!
Tra ignavi studi il tempo or mi si perde
Nel dispetto e^' oblio, ma lui ventenne
Copre la negra terra e V erba verde.
282 LEVIA GRAVIA
V.
F. PETRARCA
S
e, porto de' pensier torbidi e foschi,
Ridesse un campicello al desir mio
Con poca selva e il lento andar d' un rio
A r aèr dolce de' miei colli tòschi,
Vorrei, là in parte ove il garrir de' loschi
Mevi non salga e regni alto l' oblio,
Pòrti un'ara con puro animo e pio
Ne la verde caligine de' boschi.
Ivi del sol con gli ultimi splendori
Ridirei tua canzon tra erbose sponde
A r onde a 1' aure a i vaghi augelli a i iiori:
Gemerebber più dolci e 1' aure e 1* onde,
Più puri al sole i fior darian gli odori.
Cantando un usignol tra fronde e fronde.
LEVIA GRAVIA 283
VI.
IN MORTE DI PIETRO THOUAR
[giugno 1861]
M,
.e da la turba, che d* ossequio avaro
Pasce i mal chiusi orgogli
A qual più sorga d* util fama chiaro,
Tu, solitaria musa, a voi ritogli:
Ma, dove del suo riso
Virtù soave irradiando veste
Bei costumi, alti sensi, opre modeste.
Ivi teco io m'affiso,
Teco m' esalto ed a V aspetto santo
Rompe da la commossa anima il canto.
284 LEVIA GRAVIA
E già cercai con desioso amore
Questo savio gentile,
E i pensieri affinai ne lo splendore
Che mite diffondea sua vita umile.
Nel suo povero tetto
Me inesperto egli accolse e ad una ad una
Del reo mondo le piaghe e di fortuna
E '1 non mai domo affetto
Al vero al buon m'aperse: in su la pura
Fronte gli sorridea V alma secura.
Ahi, con duol mi rimembra il punto quando
L' ultimo amplesso tolsi,
E da la buona imago, sospirando.
Confuso di tristezza, il pie rivolsi !
Redia, su '1 volto amico
Insaziato ancor V occhio redia,
Qual di figliuolo che per lunga via
Si mette, e al padre antico
Guarda, pensoso del lontan ritorno.
Ne la fredd' ombra de T occiduo giorno.
LEVIA GRAVIA 285
Pur rivederlo a sue beli' opre atteso
Mi promettea speranza,
E ne gli onesti ragionari acceso
Di fede avvalorarmi e di costanza.
In van: per sempre è muto
Quel di semplice eloquio inclito fabro,
Quel mite ardente intemerato labro;
E V occhio, ahi quell' arguto
Da le assidue vigilie occhio conquiso,
Più non si leva a* dolci alunni in viso.
E voi vivete, o titolati Gracchi,
E voi con doppia lingua
Ben provvedenti Bruti a' cor vigliacchi,
E voi Caton cui libertade impingua.
V* approdaron, civili
Rosei, il tragico stile e V alte spoglie !
Ma in van mentite, o istrì'on, le voglie
Oblique e V opre vili
Sott*esso il fasto de T eretto ciglio.
Famosi oggetti al popolar bisbiglio.
286 LEVIA GRAVIA
Ei per le vie, che non de gli aurei cocchi
Ma suonan di frequente
Opera industre, oh quante volte gli occhi
A sé traea del vulgo reverente!
lisciano in suo cammino
I vecchi salutando, ed a la prole
Con ischietti d' amor cenni e parole
Segnavanlo e al vicino:
Or di lui forse in su la stanca sera
Pensan con un sospiro e una preghiera.
Non un pensier, eh' io creda, a lui concede
Il vulgo che beato
Con largo fasto e misera mercede
Ne pagava i precetti e il mal sudato
Tempo ingombrògli. Umano
De gli anni nuovi educatore, ahi cruda
Volge reta pur sempre, e de T ignuda
Virtù l'esempio è in vano:
Povero fior d* atra palude in riva
Muor né d* olezzi il grave aèr ravviva.
LEVIA GRAVI A 287
VII.
ALLA LOUISA GRACE BARTOLINI
A
te, sciolto da' languidi
Tedi lo spirto, e anelo
Del vital aere al fremito
Ed a r effuso cielo.
Sorge: dal cuor rimormora
L'aura de' canti, inclita donna, a te;
A cui ne' tócchi rapidi
D' animator pennello
E ne' frenati numeri
La memore del bello
Idea sorride e tenero
Senso e del bene l'operosa fé'.
288 LEVIA GRAVIA
O desta a i forti palpiti
Che viltà preme in noi,
Nata a i concilii splendidi
De i vati e de gli eroi,
Salve, Eloisa, armonica
D* altre genti figliuola e d' altre età !
Perché tra i vecchi popoli
Venisti e a gli anni tardi.
Quando gli eroi si assoldano,
Spengonsi i vati e i bardi,
E si scelera T ultimo
De r oscurato ciel raggio, beltà?
Altr'aer ed altro secolo
L' attèa Corinna accolse,
E, quando ella da' rosei
Labbri il canto devolse.
Tutto pendeva un popolo
Da l'ardente fanciulla affisa al ciel.
Fremea sotto la cetera
L' onda alterna del petto :
Da le forme virginee
Ineffabil diletto
Spirava; ma le lacrime
Splendido a' folgoranti occhi eran vel.
LEVIA GRAVIA 289
Stupian mirando i prìncipi
E i figli de gli Achei
Poggiati accolli madidi *"
De' corridori elei :
Cantava Talta vergine
La sua patria, i suoi dèi, la libertà.
Ed oblioso Pindaro
De la ceduta palma ?*
Parca per gli occhi effondere
Il sorriso de Talma,
Rimembrando Eleuteria
Che tra i popoli salvi inneggia e va.
Ma ben, come da sùbita
Procella esercitate,
Le selve atre germaniche
Suonar, se a radunate
Plebi i cruenti oracoli
Apria Velleda e de le pugne il df.
Tra r erme ombre de' larici.
Da la luna e dal vento
Rotte, la vergin pallida
In nero vestimento
Alta levossi, a gli omeri
Lenta il crin biondo onde nuli' uom gioì.
Carducci. 19
290 LEVIA GRAVIA
E cantò guerre, orribili
Guerre; e a la cena immonda
Convitò i lupi e l'aquile;
E tepefatta Tonda
De* freddi fiumi scendere
Vide tarda fra i corpi al negro mar.
Lungo andò allor per V aere
Rombo da inocchi scudi:
Precipitar da* plaustri
Le madri, e con gV ignudi
Petti la pugna accesero
O ululando le marse aste affrontar.
Ahi, dov* è pompa inutile
Al vivere civile
La donna, ivi non ornasi
Il costume virile
Di forza e verecondia,
E turpe incombe a* gravi spirti amor.
Ma tu, Eloisa, V agile
Estro di Suli a i monti
Invia, dove più gelide
Mormoran T aure e i fonti,
E molce i petti liberi
Canto d'augelli e balsamo di fior;
LEVIA GRAVIA 291
E dinne la bellissima
Sposa d'eroi Zavella,
Che pur con V una stringesi
Il nato a la mammella,
Con l'altra mano fulmina
L' oste premente e gli orridi bassa.
De le polone femmine
Ridinne i canti amari.
Che dì lor vene tingono
I supplicati altari
O chieggono a la Vistola
Tra cotanta di spade impunità
Gii spenti figli. O candido
Stuolo, lamenta e muori,
In fin che basta il ferreo
Tempo de gli oppressori,
E pur cadendo mormora
— No, che la patria mia morta tion è. —
Già la rivolta affrettasi
Fosca di villa in villa,
Turbina il vento ed agita
L'animatrice squilla,
E il nuovo carme a' liberi
Popoli suona su i caduti re.
292 LEVIA GRAVIA
Vili.
PER RACCOLTA
IN MORTE DI RICCA E BELLA SIGNORA
Oparsa la faccia bianca
De la fuggente vita,
Con la persona stanca
Abbandonarsi a V ultima partita
Lei che sposa virginea
Pur or ne arrise di beato amor;
Sentir com* angue gelida
E questa e quella mano;
Gli occhi mirar che vitrei
Orribilmente nuotano nel vano
Forse in cerca de i pargoli
A lo sguardo nascosi ahi non al cor,
Ti
LEVIA GRAVIA "293
I>e i pargoli che muti
Intorno al letto stanno :
Rigando i volti arguti
Di lacrimette, ed il perché non sanno:,
E come sogno i fervidi
Baci materni penseranno un di;
E intorno l'ombra stendersi
De la morte odiosa,
Mentre pur su '1 cadavere
Si lamenta con Dio la madre annosa
Ch' abbia a compor ne V ultima
Pace chi a premer gli occhi suoi nutrì;
Deh quanta pietà ! E pure
Dolori altri secreti
Conosco, altre sventure,
Che di solenni lacrime a' poeti
Non chieggon pompa. Apritevi^;
De la miseria antri nefandi, a me.
E tu che in quelle fetide
Paglie mal sai celare
La nudità che informasi
Da Tossa attratte e orribile si pare
Tra i pochi cenci luridi,
Forma dolente umana, oh qual tu se' ?
204 LEVIA GRAVIA
Il secco occhio splendente
Con le pupille ignave,
Il sudor che di lente
Righe solca le tempia oscure e cave
E rappreso su V umida
Fronte il cinereo mal piovente crin,
E quel vermiglio lurido
Ne le saglienti gote,
Quel faticoso anelito
Da r osseo petto cui la tosse scuote
Acre profonda ed arida,
Quel sangue de la bocca in su i confin,
Annunzian, fere scorte,
La grande ora suprema.
Al passo de la morte
Niun la prepara? e niuno è che qui gema?
Ecco: un parvol si strascica
Su quelle paglie, e chiede pur del pan;
E un infante co M rabido
Vagito de la fame
Contende, ansa, travagliasi
Co *1 viso macro, con le dita grame,
Intorno de V esausta
Poppa. Ella guarda, e a sé lo stringe in van.
LEVIA GRAVIA 295
Lente cadon le braccia,
Il guardo le si vela,
E pia morte la faccia
De gli affamati suoi figli le cela.
Devoti essi a la livida
Colpa ed al vorator morbo son già.
L'uomo, doman, che tolsela
Vergin bella e pudica,
Su *1 deforme cadavere
Darà un guardo tornando a la fatica
Usata. Ozio di piangere,
Dritto d'amare il misero non ha.
296 LEVIA GRAVIA
IX.
PER NOZZE
IN PRIMAVERA
o
r che un agii di vite innovatore
Da la materia spirito s' esplica,
E sona d* imenei la selva antica
E su la terra il ciel folgora amore,
Cedi al sacro disio, de l'amatore
Va' ne gli amplessi, o vergine pudica :
Natura vi consiglia e V ora amica,
De la fugace età cogliete il fiore.
Né v'offenda il pensier che men gradita
Stagion sottentra a questo riso alterno
Del giovin anno che a goder ne invita:
Ne' cuor gentili amor vampeggia eterno,
Come infuso pe '1 globo a lui dà vita
Il perenne ed antico ardore interno.
LEVIA GRAVIA 297
X.
PER LE NOZZE DI UN GEOLOGO
[prof. G. C]
O
scrutator del sotterraneo mondo,
Cui mal pugna natura e mal si cela,
Che a gli amor tuoi nel talamo profondo
Sua virginal bellezza arrende e svela;
In questo de* viventi aèr giocondo
Leva gli occhi una volta e l'alma anela:
Qui sorriderti vedi un verecondo
Viso, e la madre a te Tadorna e vela.
E qui saprai se più potente insegni
Amore il varco acchiusi incendi etnei
O più soave in cuor di donna regni.
Riconfortato poi, dal sen di lei
Torna a giungere ancor, né se ne sdegni.
Con la sacra natura altri imenei.
298 LEVIA GRAVIA
XI.
l'antica poesia toscana
[ NELLE NOZZE DI I. D. L. ]
S
u le piazze pe' campi e ne' verzieri
D'amor tra i ludi e le tenzon civili
Crebbi; e adulta cercai templi e misteri,
Scuole pensose ed agitati esili.
Or dove son le donne alte e gentili,
I franchi cittadini e* cavalieri?
Dove le rose de* giocondi aprili?
Dove le querce de' castelli neri?
Povera e sola a la magion felice
Ecco ne vengo, ove m' invidi un pio
Amor che mi restava, o incantatrice.
Apri, fanciulla; che se tempo rio
Or mi si volge, i'vidi già Beatrice:
Apri : la tósca poesia son io.
LEVIA GRAVIA 299
XII.
SCIENZA AMORE E FORZA
[per le nozze di P. S. filosofo
al fratello della sposa ufficiale]
r ;(
icco, al caro garzon che la inanella
Move la lósca vergine pudica,
A cui nel riso de la fronte bella
Raggia il fulgor di Beatrice a.ntica :
Ed ei dal suol che il ionio mar flagella
Ultimo e accesi i monti e i cuor nutrica
Qui venne, e lo scorgea V ardua facella
Onde Vico fugò T ombra inimica.
Tale, ove i cuor fé' tirannia si scarsi.
Vola or da i fin de T itala contrada
Sapienza ed amore ad abbracciarsi.
Che se rea forza s'interpone e bada,
Ben tra i canti e tra i fiori a Taura sparsi
Anche, o Giorgio, fiammeggia oggi una spada.
300 LEVIA ORA VI A
XIII.
LE NOZZE
(festa di giovani e di fanciulle)
I due cori
N,
e la stagion che il ciel co' le feconde
Piogge nel grembo de la madre antica
Scende e l'eterna amica ^
Co' vegetanti palpiti risponde,
E gemiti e sospiri e arcani accenti
Volan su' molli venti
E la festa e il clamor de gì' imenei
Nel canto è de gli augei;
Quando, de le foreste al lento giorno,
Accennando del vertice ondeggiante,
Fremon d'amor le piante,
E un fresco effluvio va su l'aure intorno;
Qwando al sol nuovo di pudico ardore
Dal verde letto fuore
S' invermiglia la rosa, ed il suo duolo
Canta a lei l'usignuolo;
LEVIA GRAVIA 301
Su la tepida sera e con la stanca
Luna che sorge e va tra gli odorati
Vapor benigna e i prati
Arsi rintégra e i verdi monti imbianca,
Tu a l'opre de la vita a le tue leggi
La giovin coppia reggi
E guida, o sacra, o veneranda, o pura
Madre e diva, natura.
PRIMO SEMICORO DI GIOVANI
Qual nel roseo mattin lene si solve
Lucida visYone e come stella
Di sua bianca facella
Segna cadendo a V alta notte il velo,
La fanciulla trasvola. Oh chi del cielo
La pace e il riso ne' begli occhi infuse ?
Chi tanta circonfuse
Gloria di raggi a la gentil persona?
Tenebra e gelo, ov' ella n' abbandona,
Contragge V aer e i cuor ; ma seco adduce
L'ardore ella e la luce,
E sotto il bianco pie fiorisce aprile;
E Paure e l'acque e i fior con voce umile
Mormoran di sommessi amor richiami,
E più dolce tra i rami
Corre la melodia di primavera.
302 LEVIA GRAVIA
Quasi canzon lontana in su la sera
Ne i lidi antichi de la patria udita
Onde fu la partita
Grave e n'arride in cor dolce il ritorno,
Suona la voce sua. Ben venga il giorno
Che di novelli sensi una vaghezza >
Colori sua bellezza,
Come il sol primo adolescente fiore,
E là si svegli dove or dorme amore.
SECONDO SEMICORO DI GIOVANI
Allor risponde ad ogni offesa — amore -
Dante con viso d'umiltà vestito;
E ne Talto infinito
Come in sua regfon s'affisa e mira;
Ed un rombo di bianche ali l'aggira;
E pur tra il fumo de l' italiche ire
Scender vede e salire,
Quasi pioggia di manna, angeli al cielo.
Allor contempla il Buonarroti anelo,
E sovra il marmo combattuto posa
Lento la man rugosa
Dinanzi al folgorar di due pupille.
LEVIA GRAVIA 303
Ma tu, Sanzio gentil, tante faville
Giungi a* tuoi chiusi ed immortali ardori,
Quante pe' bei colori
Chiedi a la terra e al ciel forme divine.
Ahi troppo amico di tua morte! al fine,
Come arboscel che d' una rupe orrenda
Avido si protenda
A ber la luce e il sol, tu languì e spiri.
Tale, ove pieghi de' begli occhi i giri
Costei cui donna il vulgo e Beatrice
Chiama il poeta, indice
Lor fati a V alme, e sovra V arte regna,
Di bellezza e d'amor vivente insegna.
I DUE CORI
Cosi pronta e leggera
Per tempeste di mari
La rondinella a i cari
Liti e al suo nido affretta.
Che il ciel mite V aspetta — e primavera,
Come voli tra' fiori
Tu al cupido marito;
E tal cervo ferito
Tende a montano rivo,
Qual ei tutto giulivo — a i dati amori.
304 LEVIA GRAVIA
Tu togli, amor possente,
La vergine al suo tetto,
Tu lei togli a T aspetto
E al bacio lacrimato
De l'uno e T altro amato — suo parente;
A novo ostel la guidi,
Ad altre cure e sante;
E al consecrato amante
Lei timida e vogliosa
Doni moglie, e pietosa — amica fidi:
Onde poi si rinnova
La socYal famiglia;
Dove, se amor consiglia
Al vero al buono al retto.
Virtù fiorisce e affetto — in bella prova.
Fanciulla, or t' abbi in core
Pur tra* pensier più cari,
Che de' pudichi lari
In te posa la fede,
Che del costume siede — in te il valore.
Tu lasci i primi gigli,
E cambi a più gentile
Questo tuo stato umile;
E il saprai quando intorno
Ti fioriranno un giorno — i dolci figli.
LEVIA ÒRAVIA 305
PRIMO SEMICORD DI FANCIULLE '•
Qual chi de V esser suo toccò la cima
Tranquilla e gloriosa ella ne viene:
Diffuso ha per le gene
E ne la fronte di letizia il lume.
Attende; e poi, qual con le aperte piume
Colomba al pigolar de la covata,
Ella corre beata
E d' amor radiante a un picciol letto.
Denuda, o vereconda, il casto petto:
Dischiudi, o bella, il tuo più santo riso:
Il pargoletto affiso
Ne la tua vista i nuovi affetti impari.
A te co M riso egli risponda, i cari
Occhi parlino a te. Sveglia co*l senso
Nel picciol cor V immenso
Intendimento de la vita umana.
0 de le semplicette alme sovrana,
0 pia de' novi cuori informatrice,
La steril Beatrice
Ceda a te, fior d' ogni terrena cosa.
Carducci. 20
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in -US,. -' £=%rv.
* jurr\ imie s :rr
£ Ist !bmii^££ 2. !a zita zc^ng^ìTrge:
Aflòr, percfié dà le sie case Iiiage
Votf di servr^ude f! df r:ef,^rsfa
Cade f eroe pcgnardo.
E fle la foce de : carrtor rfvì^-e:
E cotrtro F Asia, che di forme schive
Ornar vuole a' tiranni ì! gineceo.
Suona su per T Egeo
II |>eana e la sacra ira d* Atene.
Sorge de i re contro le voglie oscene
Il gran giuro dì Bruto, e su le spoglie
De la pudica moglie
Libertate a la lor fuga sorride.
Tremi le squille ancora e T omicide
Sicule furie qual porrà la mano
Dominatore strano
Su le donne de' vinti, o le vendette
LEVIA GRAVIA 307
De i secreti pugnali. A noi permette
Altri r età miglior vóti e speranze,
Se de le molli usanze
Vinca le oblique insidie integra l'alma.
Or Vienne, o giovinetta: or, palma a palma
Stretta co '1 tuo fedele, entra d'amore
Nel tempio: ma il pudore •
Che la vergi n tingea de la sua rosa
Non si scompagni da la nova sposa.
I DUE CORI
0 te felice, o sopra
Il nostro infermo stato
Te cara al cieli beato
Il letto de' tuoi amori,
S' ombra de' propri fiori — avvien che '1 copra.
Ma in cor ti sieda impresso
Ch' ogni piacer più caro
Ti tornerà in amaro
Senza i baci e gli accenti
De' pargoli innocenti — e il puro amplesso.
308 LEVIA GRAVIA
Ahi, la non degna sposa
Ch'odia di madre il nome
Stolta e crudele! Come
Talento rea la sprona,
A danze si abbandona ■— furiosa
E in tanto, o empia!, langue
Su mercenario petto
Il caro pargoletto,
E d'altrui baci impara
Disconoscenza amara — del suo sangue.
Ma, quando di restia
Vecchiezza il corpo offeso
Sente de gli anni il peso,
A lei non per soave
Cura figliai men grave — è T età ria.
Muore; e non di sua prole
Il pianto e il bacio estremo
Non il vale supremo
La misera conforta:
Questo natura porta' — ed il ciel vuole.
Ma tu più saggia il fiore
D'ogni piacer ritrova
In questa cura nova.
Cosi nel bel disio
Ti benedica Iddio — t'arrida amore.
LEVIA GRAVIA 309
XIV.
POETI DI PARTE BIANCA
— JL-/uro, marchese, allor che de la vita
L'arco piega e il pensiero in su le bianche
Urne de' padri si raccoglie intorno
A i templi noti, oh duro allor, marchese
Malaspina, lasciar la patria! A cui
Rida nel core e ne le forti membra
La giovinezza, è un'avventura, un gioco
De la vita che s'apre a nuovi casi,
Con r esilio mutar le dolci soglie
De la magion de' padri suoi. Ma io
Non vedrò più da V Apparita al piano
La mia città fiorente; ahi lasso, e lunghi
Corron due lustri omai che aspetto e piango!
Come serena tra le negre torri
S' inalza e quanto già de V aer piglia
Santa Maria del fiore! Io la mirava
Da' lieti colli ove lasciai me stesso^
310 LEVIA GRAVI A
E tutta a gli occhi ,s* affacciava V alma,
Allor che il magno imperador s' assise
A Firenze con V oste. Ed io M seguiva,
E rividi la mia villa diserta
Da Carlo di Valese; e i luoghi usati
10 non conobbi più, né me conobbe
La nuova gente. Ora il cortese il giusto
11 magnanimo Arrigo è morto; e giace
Tutta con lui de gli esuli la speme. —
Tal parlava Sennuccio, un de gli usciti
Cittadin bianchi di Firenze, in rima
Dicitore leggiadro ; e fosco in tanto
Battea la ròcca di Mulazzo il nembo,
E la tristezza del morente autunno
Umida e grigia empiea le vaste sale
Di Franceschino Malaspina. Acuta
Guaiva a* tuoni una levriera, e il capo
Arguto distendea, r occhio vibrando
Dardeggiante e le orecchie erte, a le verdi
Gonne de l'alta marchesana. A lei
D' ambo i lati sedean donne e donzelle,
Fior di beltà, fior di guerresche altiere
Ghibelline prosapie. E di rincontro,
Ardendo in mezzo d' odorata selva
Il focolar, tu dritto in piedi tutta
Ergei la testa su i minor baroni.
Caro a gli esuli e a* vati, o Malaspina.
Posava in pugno al cavaliere un bello
LEVIA GRAVI A 311
Astor maniero, e, quando varia al vento
Saltellante la grandine picchiava
Le vetrate e imbiancava il fuggitivo
Balen le appese a' muri armi corusche,
Ei Pale dibatteva, il serpentino
Collo snodando^ e uno strider mettea
Rauco di gioia: ardeagli nel grifagno
Occhio r amor de le apuane cime
Natie, libere: ardea, nobile augello,
In tra i folgori a voi tender su* nembi.
E fiso un paggio lo guatava, a' piedi
Seduto del signor: fuggiasi anch'esso
In su r ale de' venti co '1 desio
Fuor de la sala, e valicava i monti
Da l' insana procella esercitati
E le selve grondanti, e tra M tonante
Romor de le lontane acque lo scroscio
Del fiume ei distinguea cui siede a specchio
La capanna di sua madre vassalla.
Ma non al paggio né a V astor, trastullo
De gli ozi suoi, volgeva occhio il barone.
Si atteso egli pendea da la soave
Loquela di Sennuccio, e si M tenea
D' un compagno di lui V alta sembianza.
Di Gualfredo Ubaldini. E, poi che tacque
Sennuccio, il prò' marchese incominciava:
— Deh come par che il cielo anco s'attristi
E pianga di Toscana in su le soglie,
312 LEVIA GRAVI A
Quando un poeta si dilunga! O cieca
E diserta Firenze, or che ti resta
Altro che frati e bottegai! Le vie
De l'esilio fioriscono d'allori
A' poeti raminghi, e loro è d'ombre
E di corone larga ogni cittade
Ogni castello. Oh, quando abbiavi il dolce
Paese di Provenza e voi ristori
Cortesia di signor beltà di donne,
Non V* incresca, per dio, di questa Italia
Vedova trista, eh' ognor più dimagra
E di buoni e di ben. Ma, se spiacente
Il Castel di Mulazzo e 'I castellano
A voi non parve, se mercé d'amore
Vinca l'ambascia de la dura via,
Non vorrete, Sennuccio, or consolarne
D'un amoroso canto? — E pur tacendo
Il marchese chiedeva: un mormorio
D' assenso di preghiere e d' aspettanza
Levossi intorno. S' inchinò il poeta,
E — Tristi — disse — fian le rime, quali
Nostra fortuna le richiede e '1 tempo. —
Disse: e intonava pietoso il canto.
Amor mi sforza di dover cantare
E lamentare — in questa ballatetta.
LEVIA GRAVIA
Angela venne de la terza spera :
Qui dove 1' aer verna, e chiuse il volo:
Poi, tutta accesa in quella luce mera
Che arde là sovra del nostro polo,
In vista umana patia noia e duolo
Conversando tra noi quest' angeletta.
Ove spirava l'aOra gentile, 'K
Sùbito amore possedea quel loco: ; 'f
Ivi ridea novellamente aprile M.
E vampava ne l'aere un dolce foco: ^
Ma distringeva i cuori a poco a poco 'fi
Quasi una pena, e dolce era la stretta. '
Ognun diceva — Ov' ella gli occhi gira,
Ed ivi tosto ogni virtù è fiorita.
Cade ogni mal volere e fugge l' ira,
E dolce s'incomincia a far la vita:
A lei d' intorno a gran diletto unita
La gente per valer sua voce aspetta, —
A più alto sperar n'era argomento
Il riso bel eh' io non saprei ridire.
Io conto il ver: la voce era un concento
Di lontane armonie, di strane lire,
E retro la memoria facea gire
Ad una vita che ne fu disdetta.
314 LEVIA GRAVI A
Miracolo a veder sua gran vaghezza
Facea del cielo ragionare altrui.
— Ecco, io vi mostro di quella dolcezza
Che tutto adempie il regno d' ond' io fui
Queste parole eran ne gli occhi sui;
Pur chini li tenea la verginetla.
Mi fé' pensoso di paura forte
Il portamento suo celestifale.
MMndusser gli occhi a desiar la morte
Ne la lor pace che non è mortale :
Ma poi, temendo non mettesse V ale.
Dissi, com'uomo in cui desir s'affretta:
— Se ben si pare a le fattezze tue,
Tu fusti nata in cielo a V armonia ;
E mi fai rimembrar Psiche qual fue
Quando sposa d* Amor tra i numi uscia.
Tardi ritorna a la spera natia!
Donami chMo t'adori, o forma eletta! —
Cosi le dissi ne' sospiri. Ed ella
De gli occhi suoi levar mi fece dono,
Ahi quanto vagamente ! E ne la bella
Vista divenni altr' uom da quel eh' io sono:
Visibilmente Amor, come in suo trono.
Luceva in fronte a questa pargoletta.
LEVIA GRAVIA 315
— Piacer che move de la mia persona
Conforti anco per poco i pensier tui;
Ch' i* sento quel signor che la mi dona
Che a sé mi sforza; e cosa i' son da lui:
Non fa per me di questi luoghi bui
La stanza, e poco vostro amor mi alletta. —
Cotal suonò di quella onesta e vaga
La voce pia ch'ella imparò dal cielo,
Gli occhi belli avvallando; e di sé paga
L' alma raggiò desio fuor di suo velo :
Tutta ella ardea di pietoso zelo
Qual peregrino cui M tornar diletta.
Ahi me, la noia del dolente esiglio
Quest' angeletta mia presto ebbe stanca !
E venne meno come novo giglio
Cui '1 ciel fallisce e '1 vento fresco manca.
Ella posò come persona stanca,
E poi se ne parti, la giovinetta.
Partissi, e si partirò una con lei
Amor e poesia dal nostro mondo.
Da indi in qua cercaron gli occhi miei
Per giocondezza, e nulla è lor giocondo :
Sollazzo e festa per me giace in fondo:
Sol chiamo il nome de la mia diletta.
316 LEVIA GRAVI A
Ahi lasso! e, quando la stagion novèlla
Rallegra i cori e fa pensar d' amore,
Vien ne la mente mia la donna bella
Che mi fu tolta; ondMo vivo in dolore.
Chiamo il suo nome, e mi risponde il core:
Lasso, che cerchi? altrove ella è perfetta.
Cosi cantò Sennuccio: e gran pietate
De le donne gentili i petti strinse;
E dolorosa un' ombra in su le fronti
De' guerrieri abbronzate errava, come
Se un gran fato presente a ogn' un toccasse
Le menti; e raro il favellar s'accese
Su l'oscura ed estrema ora del magno
Arrigo. — Al morto imperator conceda
Dio la sua pace: a lui gloria ne' canti,
Imperator de le toscane rime,
Dante darà: noi la vendetta. Ancora
Su le torri pisane ondeggia al vento
Il sacro segno, ed Uguccione intorno
Fior di prodi v' accoglie e di speranze.
Lombardia freme; e un cavalier novello,
Sprezzator di riposo e di perigli,
Leva tra i due mastin 1' aquila invitta.
Se Dio n'aiuti, rivedrem, Sennuccio,
De' guelfi il tergo; rivedrem le belle,
Che ne disser piangendo il lungo addio,
Facce d'amore. Oh, di Mugel selvoso
LEVIA GRAVIA 317
Ne le dolci castella una m'aspetta;
E di memorie io vivo e di speranza.
Liete rime troviam. Reca, o fanciullo,
Qua la mandòla; se di Gino usata
E di Dante a gli accordi, essa e la bella
Marchesa Malaspina il canto accolga. —
Cosi disse Gualfredo. A lui V azzurro
Occhio splendea come Tacciar de Telse;
E su '\ verde mantel di sotto al tòcco
Bianco e vermiglio gK piovea la bionda
Giovenil capelliera a mo' di nube
Aurea che attinge da V occiduo sole
Le tue valli non tócche, ermo Apennino.
D' un molle riso gli assenti la dama
Donnescamente; e recò destro il paggio
La dipinta mandòla. In su le quattro
Fila correan del cavalier le dita,
Piane, lente, soavi; e poi di tratto
Rapide flagellando risonaro.
Come pioggia d' aprile a la campagna.
Che bacia i fiori e su le larghe fronde
Crepita: ride tra le nubi il sole
E ne le gocce pendole si frange;.
Getta odore la terra; Tali bagna
La passeretta, al ciel levasi e trilla :
Tal di Gualfredo il suono era ed il canto.
318 LEVIA GRAVI A
Chi renderlo potrebbe oggi che fede
Non tien la lingua a Tabondante core?
Luce d' amore che '1 mio cor saluta
E intelligenza e vita entro vi cria
Move dal riso de la donna mia.
r dico che giacca V anima stanca
In su la soglia de la vita nova,
Qual peregrino a cui la forza manca
E vento greve il batte e fredda piova,
Che vinto cade, e lontan pur gli giova
Mirar la terra dolce che il nutria.
Cosi l'anima trista si smarriva
Abbandonata de la sua virtute,
E il caro tempo giovenil fuggiva,
E tutte cose intorno erano mute:
Ma a confortarla di fresca virtute
Una beata vis'fon venia.
Fanciulla io vidi di gentil bellezza
Creata con desio nel paradiso:
Luceva la sua gaia giovinezza
Nel piacimento del sereno viso,
E tutta la persona era un sorriso
E ogni atto ed ogni accento un'armonia.
LEVIA GRAVIA 319
La bruna luce de' begli occhi onesti '
E la dolcezza del guardo d'amore
Svegliò gli spirti che dormlfano, e questi
Gridaron forte su '1 distrutto core;
Che levò e disse — L'anima che more
Ne le tue man commetto, angela pia.
Vedi la vita mia com' ella è forte,
Come ha già da vicin l'ultime strida.
O donna, io giaccio in signoria di morte,
E la poca virtute omai si sfida;
Se non che uno splendor novo l'affida
Ch' or mi s' offerse, e di tua vista uscia. -
Ella nel suon de i dolorosi accenti
Rivolse gli occhi de la sua mercede,
E co' guardi tenaci umidi e lenti
Diemmi d' amore intendimento e fede :
Quindi un nuovo desio nel cor mi siede,
Quanto mutato, oh dio! da quel di pria.
Che Amore io vidi ne 1' aperto giorno
Gloriar come re eh' è trionfante,
E gioia e luce e chiaritade intorno
Ed una pace che non ha sembiante:
Egli si pose in quelle luci sante,
Com' angel contemplando arde e s' india.
320 LEVIA GRAVIA
Da indi in qua sonare odo per Tetra
Una soave melodia novella,
Come da ignoti elisi aura di cetra,
Come armonia di più felice stella;
E sempre questa creatura bella
D'amor mi parla ne la fantasia.
D' amor mi parla ogni creata cosa,
E il cielo aperto e la foresta bruna,
E la verde campagna dilettosa,
E gli silenzi de la bianca luna;
E d' ogni aspetto in cor mi si rauna
Un' alta voluttà che mi disvia.
Cotal si ruppe quel gelato smalto
In che il cuor si chiudea per fatai danno.
Quindi d'amarla in me stesso m'esalto,
Quindi per gloria e per virtù m' affanno.
Che se durasse il mio vitale inganno.
Altro lo spirto mio non chiederia.
Lungi io me 'n vo. Ma per paese strano,
Per vaga donna o per gentil signore.
Non fia che scordi il bel sembiante umano,
Non fia che scordi il mio solingo amore,
La terra dove s' apre il bianco fiore,
Dove regna virtude e cortesia.
LEVIA GRAVIA 321
Deh la rivegga! E il riso desiato
Ogni nero pensier dal cor mi cacci;
E, quando sienmi contro il mondo e il fato,
Mi trabocchi nel seno ella e m'abbracci.
Ben io constretto in que' soavi lacci
Torrò sicuro ogni fortuna ria.
Cosi cantò Gualfredo: e da i vermigli
Labbri de le fanciulle a lui volaro
I desideri e i baci, qual da' fiori
Belle, carche di miele, api ronzanti.
Carducci. 21
322 LEVIA GRAVIA
XV.
A P. E.
IN MORTE DI MARIA SUA MOGLIE
I
tiranni cui Nemesi divelle
Tornano in pietre di si reo livore
Ch'ogni pie gli urti; e chi servo ebbe il core
Fango divien ch'ogni orma rinnovelle.
Ma le donne gentili oneste e belle
Che un solingo arse in terra unico amore
Solvonsi in aere, e del mattin su V ore
Raggiano il puro ciel, virginee stelle.
Ivi è Maria: e, se per Talta calma
Vien che rotando a lei V orbe si mostri
Piccioletto e di sangue atro e di pianto,
Del lungo sguardo che tu amasti tanto
Fende ella il fumo de' peccati nostri
Te ricercando, Piero, e la vostr' Alma.
I
k
LIBRO II
PER LA PROCLAMAZIONE
DEL REGNO D' ITALIA
Ouono di trasvolanti
Ale e tremor di luminose forme
I sereni del ciel deserti empìea,
E da le caliganti
Isole al mar che sotto Fola dorme
Una stupenda vision splendea,
Quel di che di Palestre il cavaliere
Coronossi del bello italo impero.
324 LEVIA GRAVIA
Venlano giovinette
Anime a coro, e ardea la nova etate
Nel segno del martir più radiosa;
Nel puro lume erette
Venian fronti pensose, incoronate
Di secura canizie gloriosa;
Sacerdoti e guerrieri, ed inspirati
Sofi ed artisti, e contemplanti vati.
Tuoi figli, Italia. E il giorno
Che '1 tuo nome attestar, non di frequente
Popolo gli cerchiava onda solenne.
Duro silenzio intorno,
E il ceffo del carnefice imminente,
E r atro coruscar de la bipenne.
Chinarsi: e te cercò rocchio smarrito
Tra '1 dileguar del mondo e V infinito.
Quei le livide note
Mostran del laccio, a quei solco vermiglio
Viaggia il collo e '1 fero taglio attesta:
Chi da r occhiaie vote
Tabe distilla, e chi tra ciglio e ciglio
Franta dal piombo ha la superba testa.
Ma come sol levante or lampeggiando
Splende ogni piaga; e procedon cantando.
LEVIA GRAVI A 325
— Sei tu, sei tu, che al forte
Sposo poggiata da gli avelli oscuri,
Reina di virtude, il soglio premi?
Oh sei tu, cui la morte
Trionfi maturava e i morituri ^
Salutar lieti ne' sospiri estremi?
Salutaro immortai come la bella
Che t'irraggia la fronte esperia stella?
• /
O surta ne gli amari
Tramiti de V esilio, o de* sepulti
Tra r urne in sospettose ombre nudrita;
Chi nel dolor fé pari?
Chi ne la gloria? A' barbari tumulti
Nel sol de le battaglie a pena uscita,
Tu pugni e vinci, t'addimostri e regni,
E novo ordin di tempi al mondo insegni.
Madre e signora nostra.
Idea de'sapfenti, amor de' vati,
E sommo premio a chi per te moria,
Il tuo cinto s' inostra
Nel sangue de gli eroi che Dio t' ha dati,
Verde ride il tuo velo a la giulia
Primavera d' amore, ondeggia bianco
Il regal manto da 1' augusto fianco.
326 LEVIA GRAVI A
Te non furor di brando
Non di coperte industrie avvolgimento
Serena rilevò ne Talto stato;
Ma fede che inneggiando
Sorvola a i roghi, ma speme che al lento
Ceppo s' invola co '1 pensiero alato,
Ma carità che di più forte stampa
Segna Tordin civile e al bene avvampa.
Da lacrimosa etade
Non chiede il regno tuo titol bugiardo
Che bestemmiando Dio da Dio si dice,
Quando le poche spade
Mieteano i molti, ed il terror codardo,
Partite anime e terre, ebbe tutrice
Del delitto la forza: un fiero o stolto
Su gli scudi barbarici suffolto.
Tu de reterno dritto
Vendicatrice e de le nove genti
Araldo, Italia, il Campidoglio ascendi.
Tuoni il romano editto
Con altra voce, e a' popoli gementi
Ne r ombra de la morte, Italia, splendi.
Accorran teco a la suprema guerra
Gli schiavi sparsi su V oppressa terra.
LEVIA GRAVIA
r.n H
I.JIA
IN MORTE DI G.
Secreto un tempio de' mortali al guardo
D' altro e purpureo lume adorno splende:
Li non caliga il fumo sanguinoso , ,,!
Di Vatican, cede il clamor bugiardo jniJ
Al silenzio che tutto il luogo prende:.,"'
Però ch'eterno il tuo foco s'accende
Ivi, italica Vesta, e l'aura e il seme
De gli spiriti magni, e le faville
Onde a le nostre ville
inesausta d'amor la vampa freme
E petti incende a mille
E i civili dettati illustra e i carmi , ..,■)
E folgora i tiranni e move 1' armi. ^^ (_>
328 LEVIA GRAVIA
Qui Io spirto erse il voi : qui festeggiando
Lo circonfuse di più fiamme un lume
Che avean di roteanti astri sembianza,
E cinselo e girossi; e armonizzando
Alta e soave oltre V uman costume
Voce sonò da la beata danza.
— Al loco onde si parte ogni possanza
Che l'italica vita informa e inizia
Tornasti, o vate, e a T immortai dimora.
Vedi! Chi pria s'infiora
In questa luce, di martir primizia
Surse ne V ultim' ora
Di Roma, e a lei seren V alma e la fede
E a le gotiche verghe il corpo diede.
Boezio egli è, di cui fu culto il nome
D' inni e votivo grido in su '1 Ticino
Mentre Italia premea scitico verno.
Ecco di fregio consolar le chiome
Cinto chi volle il bel nome latino
Trarre al teutono impero e al duro scherno,
Ecco Crescenzio! E al Campidoglio eterno
Su' vestigi di gloria anche splendenti
Roma drizzai pur io: ma, il rogo asceso
Da religion acceso.
Lasciai di libertade in fra le genti
L'alto desir conteso:
Però chMo che d'amor più in te mi scaldo,
O spirito fraterno, io sono Arnaldo. —
LEVIA GRAVIA 329
Folgoraron d' un riso, e in un amplesso
D'arder congiunte le due luci dive
Disser parole sol da loro intese:
Di lor gaudio parca godere anch'esso
L'alto concilio, e 'n ruote più giulive
La benedetta danza si riaccese.
Fiammeggiò nuovo spirito, e riprese:
— Io '1 bel desire e la tua fede questi
Raccolse, ed, ahi, de' re chercuti V ira.
Ma inneggiando a la pira
La fé' sorvola; e a' popoli ridesti,
Rotto r avello, spira
Da l' ossa nostre l' immortai parola.
Io fui '1 tribuno, ed ei Savonarola.
Maggior de' tempi, e de l'obliquo fato.
Degno a cui il cielo altra più vasta lode
Che seguir morte e l'alta idea donasse,
Questo è '1 fulgore del lucchese Arato
Ultimo che a le vostre occidue prode
La fuggitiva libertà raggiasse.
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frEi n^jMi ja:5^:iv zel M:»"r7Y
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\y4\ pimU:ro vtrtict rr.onzzr.z-
t/'/a il Vrbo; ma '1 vindice
A^nar wm pon^:, che pur or gioiva
i*é'tthi('tì(ìo a r osmanico
(uro;/' il t^rrgo obbrobrioso in Piva.
LEVIA GRAVIA 331
Te chiama il figlio d'Eliade
Sovra le tombe de* suoi padri eretto;
• E acceso de la mentore
Speranza e d' ira V innovato petto
Guarda a le rupi tessale
Onde Orfeo scese e il re de' prodi Achille,
A r Egeo sacro, a V isole
Radianti d' omeriche faville;
Guarda, e i fraterni vincoli
Rompe e 1' oblique bavare dimore.
Preme, ancor preme i barbari
Di Riga il canto e di Bozzàri il core.
In vano in van la tunica
Del profeta guerrier tu spieghi a' venti,
A turpe gregge V alacre
Fé' d' Ali chiedi in van, re de i credenti.
Ben tre fiate l' invido
Timor de' regi ti campò da morte:
Levati ornai, del Bosforo
L'onde ritenta e le asiane porte.
Lungi da noi la putrida
Stirpe cui regna il fato, e a l' infelice
Servaggio ed a V immobile
Ozio e a le tombe, preda ignava, addice.
■ f
332 LEVIA GRAVIA
Ma non fia già che il limpido
Sol riconforti ed Elle argentea lavi
Te falso Tito sarmata,,
Te gloriato redentor di schiavi.
Perché là su la Vistola
Tutta una plebe a Dio grida e si duole,
E il ferro entro le fauci
Tronca l'inerme priego e le parole?
Perché le madri accusano
Fioche ne' pianti i siberiani esigli
E a la terra e a 1' oceano
Chieggon le sparse, ohimè, tombe de' figli?
Bella ed austera vindice
Su i larghi mar cammina alta una dea:
Arde di amore il nubilo
Ciel da' suoi lumi e '1 pigro suol ricrea.
Ratta più che il fulmineo
Pie de' poliedri ucrani, eccola ! l' asta
Incontro a lei da V ispido
Tuo cosacco vibrata, o Czar, non basta.
È la dea che l' iberica
Donna sgomenta: in van s' abbraccia a l'ara
La peccatrice, e i lugubri
Odi rattizza e i fochi atri prepara. :\'
LEVIA GRAVIA 333
È la dea cui discredere
Di Federico la progenie estrema
Osa e dal ciel ripetere
Lo scettro e il percussor ferro e 'l 'diadema :
Ma Dio non tempra, o misero,
Serti a i re; forza a le sue plebi infonde,
E '1 vasto grido suscita
Che di terror gli eserciti confotide.
È la dea che de' vigili
Occhi circonda il sir de' Franchi, e aspetta;
E a noi mostra i romulei
Colli e il mar d' Adria e V ultima vendetta.
E tu ne la man parvola,
Siccome verghe in tenuo fascio unite,
Tu vuoi di sette popoli
Stringere, Asburgo, le discordi vite?
La colpa antica ingenera
Error novi e la pena: informe attende
Ella, e il giusto giudicio
Provocato da gli avi in te distende.
E d' Arad e di Mantova
Si scoverchiano orribili le tombe:
S' affaccia a 1' Alpi retiche
Lo spettro di Capete e al soglio incombe.
334 LEVIA GRAVIA
Astieni, astien la vergine
Man da la scure e da i lavacri orrendi,
E intemerata a i popoli
Che si^ drizzan a te, libertà, splendi.
Fuma a' tuoi pie la folgore,
Nunzia su le tue vie va la procella,
Ma ne gli sguardi tremola
Lume gentil di matutina stella:
Deh non voler che violi
Regia prora del tuo Franklin i flutti;
Il sangue al fin di Bròuno
Vendica, o giusta, e del servaggio i lutti.
Pianta le insegne italiche
Di Roma tua su i mal vietati spaldi,
Guida tonando a V Adige
La secura virtù di Garibaldi.
E poi ne torna V utile
Pace e a gli aratri V obliato onore,
L' arti che a te fioriscono
E de' commerci aviti il lieto ardore.
A te cori di vergini
E di garzoni inghirlandati ogni anno
Ricondurrà; le tremole
Facce de' padri a te sorrideranno.
LEVIA GRAVIA 335
E un tuo vate, la ferrea
D' Alceo corda quetata, in su le glebe
Dal pio travaglio floride
Leverà il canto a la fraterna plebe.
336 LEVIA GRAVIA
XIX.
PER LA SPEDIZIONE DEL MESSICO
O
albergo di tiranni, o prigion fella
Di plebi oppresse lacerate e smorte,
Fucina di servaggio ove ritorte
Ad ogni gente tirannia martella;
Chiama, Europa, a' tuoi segni anco la morte,
Altre d'uomini vite, empia, macella,
Si eh' a i liti da te franchi la bella
Tua libertà vizi e catene apporte.
Ancella Francia ad ogni reo potere,
Spagna feroce, ed Anglia mercantesca
A novelli trionfi empion le schiere.
A un affamato règolo nov' esca
Offron d' anime e terre. O imprese altere,
Fin che di sua viltade al mondo incresca!
\
LEVIA GRAVIA 387
XX.
ANCHE PER LA STESSA
i imor, pudore, o de V avito orgoglio
Spirito alcun ritragge gli altri: ei resta,
Ei consuma da sol l' inclita gesta,
Solo prepara il disonesto spoglio.
Ei, che guatò ladron notturno al soglio,
Tra i romani cadaveri la testa
Lento rizzando, or con nove! rigoglio
Sente V antica fame entro ridesta.
E cerca oltre la franca onda d' Atlante
Repubbliche altre eh' ei soffoghi e spenga,
Di libertade insidioso amante;
Traccia altri armenti che in sua tana ei tenga,
Caco imperiai. Deh, Libertade, errante
Alcide, quando fia che tu sorvenga!
Carducci. 22
338 LEVIA GRAVIA
XXI.
ROMA O MORTE
S^ual voce da i fatali
Tuoi colli, o Roma, un sacro eco rintona
D'editto consolar sopra le genti?
I sepolti immortali
Luminosi di tutta la persona
Che sorgono a chiamar da i monumenti?
O madre alma, o parenti
Del popol nostro, in su '1 bimare lido,
Ovunque il sol d' itala vita accende
A' petti una scintilla.
Ogni man chiede Tarmi al vostro grido,
Ogni cuor batte procelloso, splende
Di lacrime e furore ogni pupilla,
E gloria e morte ogni desio sfavilla.
LEVIA GRAVIA 330
L' udì pria V aspettante
Di Caprera leon : con un ruggito
Fiutando la battaglia alzò la testa,
E saltò fuor. Le sante
Ombre accorrendo al dittator romito
Lo circondar con rombo di tempesta.
E già r inclita gesta
Prende ogni mente giovanil: chiamare
Novellamente pare
Giù da Marsala un lieto suon di tromba
Sparso a gì' itali venti.
I pii vecchi lasciar, le donne care;
E te Roma cercando od una tomba,
Tentan con man le piaghe ancora ardenti
Sotto il saio, vermiglio, e van fidenti
340 LEVIA GRAVI A
i ,
/
XXII.
DOPO ASPROMONTE
-L uggon, ahi fuggon rapidi
or irrevocabili anni!
E sempre schiavi fremere
Sempre insultar tiranni,
Ovunque il guardo e V animo
Interrogando invio,
Odomi intorno; ed armasi
Pur d* odio il canto mio.
Sperai, sperai che, il ferreo
Tempo de V ire vòlto,
Io libero tra i liberi,
A liete mense accolto,
LBVIA GRAVIA
241
Potrei ne' vóti unanimi
Seguir con l'inno alato
. /fi
L' ascension de' popoli
•a 3
Su per le vie del fato.
mT
Tal salutando Armodio
■r.<:
Incoronar le cene
Solca tornata a civica
'-[ ■■!
Egualitadfi Atene :
■ [■
Fremean gli aerei portici'
./v3
AI canto e Salamìna
r>fltfl
Rosea del sole occiduo '
ù,-|
Ridea da la marina:
•*'*■ Pensoso udia Trasibulo,
E nel bel fior de gli anni
La fronte radiavagli,
Minaccia de' tiranni.
Oh, ancor nel mirto ascondere
Convien le spade: ancora
ibrio
L'antico e ì] nuovo obbrc
Ci fìede e ci addolora.
0 libertà, sollecita
Speme de' padri e nostraj'
■.^ii'
Sangue di nuovi martiri
'^0 li
11 tuo bel velo inostra; '
fioJ
342 LEVIA GRAVIA
Né da te.|;rmni movono
Dove Rattazzi impera
E geme in ceppi il vindice
Trasibul di Caprera.
(\
Oh de r erpe, del povero
Ferito al career muto
J Portate, o venti italici,
,( Il mio primier saluto.
Evviva a te, magnanimo
Ribelle! a la tua fronte
Più sacri lauri crebbero
Le selve d'Aspromonte.
Spada il tuo nome (o improvvido,
Ei non ti fu lorica,)
Tu solo ardisti insorgere
Contro l'Europa antica.
Chi vinse te? Deh, cessino
I vanti disonesti :
Te vinse amor di patria
E nel cader vincesti.
Evviva a te, magnanimo
Ribelle e precursore !
II culto a te de' posteri,
Con te d' Italia è il cuore !
LEVIA GI^VIA t343
\
Io bevo al di che fausto
L'eterna Roma schiuda,
Non a'Seiani ignobili,
A i Tigellini, ai Giuda,
Si a. libertà che vindice
De l' umano pensiero
Spezzi la falsa cattedra - ;
Del successor di Piero. )
Io bevo al di che tingere
Al masnadier di Francia
Dee di tremante e luteo
Pallor r oscena guancia.
Ferma, o pugnai che in Cesare
Festi al regnar divieto,
O scure a cui mal docile
S'inginocchiò Capeto!
Sacro è costui: segnavalo
Co'l dito suo divino
La libertà; risparmisi
L' imperiai Caino.
Viva; e un urlar di vittime
Da i gorghi de la Senna
E da le fosse putride
De la feral Caienna
344 LEVIA GRAVI A
Lo insegua': e, spettri lividi
Con gli spioventi crini,
— Sii maledetto — gridingli
Mameli eMonosini.
— Sii maledetto — e d' odio
Con inesauste brame
I fratricidi il premano
Onde Aspromonte è infame.
Viva: insignito gli omeri
De la casacca gialla,
Al pie che due repubbliche
Schiacciò, la ferrea palla.
Di sua vecchiezza ignobile
Contamini Tolone
Ove la prima folgore
Scagliò Napoleone.
Ahi, grave è V odio e sterile,
Stanco il mio cuor de V ire ;
Splendi e m' arridi, o candida
Luce de V avvenire !
Arridi! i nostri parvoli
Che a te veder son nati
Io t' accomando : ei vivano
Del raggioi>tua. beati.
LEVIA GRAVIA B4i
A terra i serti e V infule !
In pezzi, o inique spade!
Solo nel mondo regnino
Giustizia e libertade!
0 dee, ne la perpetua
Ombra si chiuderanno
Quest'occhi, e il vostro imperio
In van ricercheranno.
O dee, ma, quando compiansi
L'età vaticinate,
Di vostra gloria un alito
Su r avel mio mandate.
Io '1 sentirò : superstite
A i fati è amor: e vive
Esulteran le ceneri
Del vostro vate, o dive.
Or distruggiam. De i secoli
Lo strato è su '1 pensiero:
O pochi e forti, a 1' opera.
Che ne i profondi è il vero.
Odio di dèi Prometeo,
Arridi a' figli tuoi.
Solcati ancor dal fulmine.
Pur r avvenir siam noi. ^^
«346 LEVIA GRAVIA
^
XXIII.
CARNEVALE
VOCE DAI PALAZZI.
E
tu, se d' echeggianti
Valli, o borea, dal grembo, o errando in selva
Di pin canora, o stretto in chiostri orrendi,
Voce d' umani pianti
E sibilo di tibie e de la belva
Ferita il rugghio in mille suoni rendi.
Borea, mi piaci. E te, solingo verno,
Là su quell'alpe volentieri io scerno.
Una caligin bianca
Empie r aèr dormente, e si confonde
Co M pian nevato a l' orizzonte estremo.
Tenue rosseggia e stanca
Del sol la ruota, e tra i vapor s'asconde,
Com' occhio uman di sue palpebre scemo. i
E non augel, non aura in tra le piante, (
Non canto di fanciulla o viandante ; G
V
LEVIA GRAVIA 347
Ma il cigolar de' rami
Sotto il peso ineguale affaticati
E del gel che si fende il suono arguto.
Canti Arcadia e richiami
Zefiro e sua dolce famiglia a i prati:,
Me questo di natura altjero e muto
Orror più giova. Deh risveglia, Eurilla,
Nel sopito .carbon lieta favilla; :
Ed in me la serena
Faccia converti e '1 lampeggiar del riso
Che primavera ove si volga adduce.
A la sonante scena
Poi ne attendono i palchi, ove dal viso
De le accolte bellezze ardore e luce
E da le chiome e da gr inserti fiori
Spira r aprii che rinnovella odori.
VOCE DAI TUGURI.
Oh se co '1 vivo sangue
Del mio cor ristorare io vi potessi,
Gelide membra del figliuolo mio!
Ma inerte il cor mi langue,
E irrigiditi cadono gli amplessi,
E sordo r uomo ed è tropp' alto Iddio.
0 poverello mio, la lacrimosa
Gota a la gota di tua madre posa.
348 LEVIA GRAVIA
Non de la madre al seno
Il tuo fratel posò: lenta, su *1 varco •
Presse gli estremi aliti suoi la neve.
Da Topra dura, pieno
Il di, seguiva sotto iniquo carco
I crudeli signor co *1 passo breve;
E coli' uom -congiurava a fargli guerra
L'aere implacato e la difficil terrà.
Il nevischio battea
Per i laceri panni il faticoso;
E cadde, e sanguinando in van risorse.
La fame. ahi gli emungea
L' ultime forze, e al fin su '1 doloroso
Passo lo vinse : e pia la morte accorse
Poi cadavero informe e dissepolto
Lo ritornar sotto il materno volto.
Ahimè, con miglior legge
Ripara a schermo da la gelid' aura
Aquila in rupe e belva antica in lustre
Ed un covil protegge
Tepido i sonni ed il vigor restaura
A i can satolli entro il palagio illustre
Qui presso, dove de V amor più forte,
Figlio de r uom, te mena il gelo a morte.
VOCE DALLE SALE.
Mescete, or via mescete
La vendemmia che il Ren vecchia conserva
Di sue cento caste! laTn coronato.
Gorgogli con le liete
Spume a lo sguardo e giii nel sen ci ferva
Quel che il sol ne' tuoi colli ha maturato
Cui ben Giovanna a 1' Anglo un di contese,
O di vini e d' eroi Francia cortese.
Poi ne rapisca in giro
La turbinosa danza. Oh di pompose
E bionde e nere chiome ondeggiamenti;
Oh infocato respiro
Che al tuo si mesce, oh disvelate rose,
Oh accorti a fulminare occhi fuggenti;
Mentre per mille suoni a tempra insieme
L'acuta voluttà sospira e geme!
Dolce sfiorar co '1 labbro
Le accese guance, e stringer mano a mano
E del seno su i sen le vìve nevi,
E dì sua sorte fabro
Ne l'orecchio deporre il caro arcano
De ie sorrise parolette brevi,
E meditar cingendo il fianco a lei
DcVispugnata forma indi i trotei.„
35Ò LEVIA GRAVIA
Che se di nostre feste
Scorra su Putii plebe il beneficio
E civil carità prenda augumento;
Mercé nostra, il celeste,
Che bene e mal parti, saldo giudicio
Ha di bella pietade alleggiamento.
Noi, del nostro gioir, beata prole,
Rallegriam V universo a par del sole.
VOCE DALLE SOFFITTE.
Mancava il pan, mancava
L'opra sottile fi reggere la vita;
E al freddo focolar sedea tremando
E muta mi guardava.
Pallida mi guardava e sbigottita.
La madre: e un lungo giorno iva passando
Che perseguiami quel silenzio e '1 guardo,
Quand' io lassa discesi a passo tardo.
Piovea per la brumale
Nebbia lividi raggi alta la luna
In su '1 trivio fangoso, e dispariva
Dietro le nubi: tale
Di giovinezza il lume in su la bruna
Mia vita mesto fra i dolor fuggiva.
E la man tesi: e vidimi in conspetto
Osceni ghigni; e in cor mi scese un detto
LEVIA GRAVIA 351
Immane. Ahi, ma più immane
Me, o superbi, premea la .lunga fame
E il guardo e il viso de la madre antica.
Tornai: recai del pane:
Ma tacean del digiuno in me le brame, >
Ma sollevare i gravi occhi a fatica
Sostenni; o madre, e nel tuo sen la fronte
Ascosi e del segreto animò V onte.
Addio, d' un santo amore
Fantasie lacrimate, e vói compagne
Di questa infelicissima fanciulla!
A voi rida il candore
Del vel che la pia madre adorna e piagne,
E '1 pensier eh* erra a studio d' una culla.
Io derelitta io scompagnata seguo
Pur la traccia de T ombre e mi dileguo.
VOCE DI SOTTERRA. /
Cf^ «A^#-^>^-^
Taci, o fanciulla mesta;
Taci, o dolente madre, e V affamato
Pargol raccheta ne la notte bruna.
Fiammeggia, ecco, la festa
Da' vetri del palagio, ove il beato
De la libera patria ordin s'aduna,
E magistrati e militi tra' suoni
E dotti ed usurier mesce e baroni.
352 LEVIA GRAVIA
De' tuoi begli anni il fiore,
O fanciulla, intristì,. chiedendo in vano
L' aer e V amor eh' ogni animai desia ;
Ma ride in quel bagliore
Di sete e d'or, che con la bianca mano
La marchesa raccoglie e va giulia
In danza. Or pianga e aspetti pur, che importa?,
La prostituzione a la tua porta.
Quel che ne la pupilla
Del figliol tuo gelò supremo pianto
Che tu non rasciugasti, o madre trista,
Gemma s'è fatto e brilla
Tra'l nero crin de la banchiera. E intanto
Il leggiadro e soave economista
A lei che ride con la rosea bocca
Sentenze e baci dissertando scocca.
Gioite, trionfate,
O felici, o potenti, o larve! e quando
Il sol nuovo la plebe a V opre caccia,
Uscite e dispiegate,
Pur la mal digerita orgia ruttando,
Le vostre pompe a' suoi digiuni in faccia;
E non sognate il di eh' a l' auree porte
Batta la fame in compagnia di morte.
LEVIA GRAVIA 353
XXIV.
PER LA RIVOLUZIONE DI GRECIA
D
unque presente nume ancor visiti,
Sacra Eleuteria, la terra d' Eliade,
Che già d'armi e di canti
E d'altari fumanti — ardeva a te?
K là, dal vecchio Pireo, da V isola
Che la tua gesta racconta a i secoli,
De la fuga tremante
Tu ancor Tamaro istante ■— insegni a i re?
Oh viva, oh viva! Dovunque i popoli
Tu a r armi accendi tu i troni dissipi,
Ivi è la musa mia.
De r agii fantasia — su T ale io son.
Carducci. 23
354 LEVIA GRAVIA
Deh come lieto tra il Sunio e V isole
Care ad Omero care ad Apolline
L'azzurro Egeo mareggia,
Su cui passeggia -— de' gran fatti il suon!
Infrenin regi le genti barbare,
Grecia li fuga. Veggo Demostene
Su '1 bavarico esiglio
Il torvo sopracciglio — dispianar.
Ombra contenta ricerca ei 1' agora
Che già ferveva fremeva urtavasi
De la sua voce al suono
Si come al tuono — il nereggiante mar.
Da poi che il b'rando nel mirto ascosero
Armodio e il prode fratello unanime
Non mai di più giocondo
Per Atene su '1 biondo — Imetto usci.
Udite ... È un altro fanciullo barbaro
Che Atene accatta rege. Nasconditi,
Musa: ritorna in pianto
D* Armodio il canto — a questi ignavi ài
LEVIA GRAVIA 355
XXV.
BRINDISI
S,
^e già sotto r ale
Del nero cappello
Nel vin Cromtìeilo
Cercava il signor,
Ne' colmi bicchieri
Ricerco pur io
Men fiero un iddio,
Ricerco V amor.
Evviva, o fratelli,
Evviva la vigna.
Il suolo ove alligna,
L' umor ch'ella dà!
356 LEVIA GRAVIA
A l'ombra de* tralci,
Cui '1 sol lieto ride,
L' industria s' asside
E la libertà.
O ver se fiorita
Ne gli orti d'Atene
Protesse le cene
Del vecchio Platon,
O se lussureggia '
Nel suolo ove ardito
Co '1 nero infinito
Fu Vico in tenzon,
O dove tra i colli
De l'Arno giocondi
S'apri de' tre mondi
La via spiritai,
O se del suo succo
Più puro e leggero
Scaldò di Volterò
Il riso immortai.
Evviva la vigna
Che l'arti raccoglie.
Che il gelo discioglie
Di barbare età!
LEVIA GRAVIA 357
Anch' io nel suo sangue
Ricerco il signore
Ricerco l'amore
E la libertà.
I re congiurati
Or meditan guerra,
E schiava la terra
Ne gli odi insani.
O prole d'Arminio,
Pur io ti saluto,
Io prole di Bruto;
E bevo a quel di
Che, su le ruine
De' trenta tuoi sogli
Deposti li orgogli
D' un evo incivil,
La man tu ci stenda
Da Talpe gelata,
La man non più armata
Del ferro servii,
Ma si del cristallo
Che Praga lavora
E il vino colora
Del limpido Ren.
358 LEVIA GRAVIA
Risplenda su V urne
De' vostri riposi,
O padri ringhiosi,
Quel giorno seren:
Risplenda: ne' vóti
A l'itala mano
Francata Murano
La tazza- darà.
Su 1' alpe arridendo
Le avverse contrade
La dea libertade
Quei vóti accorrà.
LEVIA GRAVIA 3SQ
XXVI.
NEL SESTO CENTENARIO DI DANTE
I.
I
o '1 vidi. Su r avello iscoverchiato
Erto r imperiai vate levosse:
Allor la sua marina Adria commosse,
E tremò de V Italia il manco lato.
Quelvapor mattutino ei nel purgato
Etere surto a TApennino mosse:
Drizzò lo sguardo a valle, e poi calosse
Come nembo di lampi incoronato.
Sentir l'arcana deità presente
Le plebi de' mortali e sbigottita
Nel conspetto di lui tacque ogni mente:
Ma fuor de V arche antiche al sole uscita
De' savi e de' guerrier la morta gente
Salutò la grand* anima redita.
360 LEVIA GRAVIA
IL
JL-jlla ove incurva il ciel più alto l'arco
Fermossi, e '1 viso a la città distese.
Mirò l' ìtale insegne, e V occhio carco
Di lacrime in un riso almo si accese.
Ma, come d'atro velo ombrate e offese
Vide, Quirin, la tua, la tua, San Marco,
De r immortale amore al sen raccese
Senti le punte, e ruppe a V ira il varco.
— Ahi, serva Italia, di dolore ostello!
Ancor la lupa t' impedisce, e doma
Gli spirti tuoi domestico flagello.
Mal rechi a l' Arno la mal carca soma:
Non questo è il nido del latino augello:
Su, ribelli, e spergiuri, a Roma, a Roma -
LEVIA GRAVIA 361
III.
D:
isse, e movea. Come ne* turbin torti
Groppo di nubi rapide su' venti,
De' magnanimi eroi di vita spenti
Seguian l'ombre partite in due coorti.
Gli uni, in pruove di guerra anime forti,
Scendean sinistri vèr* le adriache genti:
Oh, quando i vivi a te salvar son lenti, x
Sacra Italia, per te pugnino i morti !
Gli altri, a filosofar menti divine.
Dietro il poeta che splendea primiero
Le famose attingean rive latine.
Quel che avvenne, non so: ma tosto, io spero
Rifiorita d* onor su le ruine
Roma libera fia da I' adultero.
362 LEVIA GRAVIA
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XXVII.
CURTATONE E MONTANARA
Di
i Maro il fiume e '1 verde pian, che tanta
Mal vendicata, ahimè, virtù rinserra,
Sonerà vostre lodi, o sacra, o santa
Primavera d'eroi de la mia terra.
Non r Arno più. Di regi ostri s' ammanta
La città dei Ferrucci e a voi fa guerra;
Da i servi fasti il vostro culto schianta;
De gli avi il tempio a voi contende e serra.
O di martiri vulgo, anime ignude,
Fuora ! . . . Troppo gran peso a la memoria
È la vostra gentil plebea virtude.
Posate in grembo de 1' ultrice istoria:
Qui ogni cosa ruina in servitude;
Qui de' felici è tutto, anche la gloria.
LEVIA GRAVIA 363
XXVIII.
ROMA
L^ate al vento le chiome, isfavillanti
Gli occhi glauchi, del sen nuda il candore,
Salti su '1 cocchio; e l'impeto e il terrore
Van con fremito anelo a te d'avanti.
L'ombra del tuo cimier l'aure tremanti,
Come di ferrugigno astro il bagliore,
Trasvola; e de le tue ruote al fragore
Segue la polve de gì' imperi infranti.
Tale, o Roma, vedean le genti dome
La imagin tua ne' lor terrori antichi:
Oggi una mitra a le regali chiome,
Oggi un rosario che la man t' implichi
Darti vorrien per sempre. Oh ancor del nome
Spaurì il mondo e i secoli affatichi!
364 LEVIA GRAVIA
XXIX.
PER IL TRASPORTO
DELLE RELIQUIE DI UGO FOSCOLO
IN SANTA CROCE
(24 giugno iS-ji)
R
.aggìa di luce un riso
Da i marmi che d* argiva anima infusi
Vivono dèi ne le medicee sale,
Un fremito improviso
Corre lungo i severi archi dischiusi
De l'alta Santa Croce, or che immortale
De' numi e de' poeti a le serene
Sedi il molto aspettato Ugo riviene.
O vate che nel canto
La bellezza e la morte e di Mimnermo
Il senso al pianto del Petrarca annodi,
Tieni e posa nel santo
Luogo di gloria, nel solenne ed ermo
Tempio de' padri; al tumulo custodi
Son qui r itale muse, e la divina
Venere arride in vetta a la collina.
LEVIA GRAVIA 365
Di rose e laureti
Ella ti adorna con eterne feste
Le note a V Alighier contrade austere,
E i colli e gli oliveti,
Che il tuo verso di luce anco riveste,
Come la luna, a le odorate sere
Che forse nel desio de la tua lira
Da Bellosguardo il rusignol sospira.
Chi a le libere muse
Puro si addisse e per V augusto vero
Spregiò vulghi e tiranni e M fato a prova,
Chi al popol suo dischiuse
Dal cor profondo e da V ingegno altero
L'onda e la luce de la vita nova,
Ben posa qui da la mortai fatica
A r ombra de la grande Italia antica.
Vivi tu, conscio spirto.
Forse, e da i verdi elisi, ove te Dante
Per mano addusse al gran veglio smirnèo
E tra r ombroso mirto
Saffo ti ride e in gioventù raggiante
Teco d' armi e d* amor favella Alceo,
Rìvoli ombra placata, e de' nipoti
Ascolti il lacrimoso inno ed i vóti?
366 LEVIA GRAVIA.
O ver nudo pensiero
Vivi ne r universa alma che solve,
Rinnovellando ognor, le forme antiche?
E noi, te di severo
Culto onorando ne la muta polve,
Questa diva onoriamo umana Psiche
Che i secoli, varcando, adempie e schiara?
Pietra a i servi le tombe, a noi son ara.
i
Ma di Carrara i monti
Marmo non dan che paghi la ferita
Del poeta e i dolori ignoti e soli,
O belle ardite fronti
Ove s* impenna il sogno or de la vita.
Se quindi a voi gentil desio non voli.
Gentil desio di glorie e di dolori:
O gioventù dMtalia, in alto i cori!
Meglio le ingiurie e i danni
De la virtude in solitaria parte,
Che assidersi co' i vili a regia mensa:
Meglio trascorrer gli anni
Ne r ombra de V oblio, che vender 1* arte
A cui dMgnobil fama aure dispensa:
Meglio i nembi sfidare al monte in cima,
Che belar gregge ne la valle opima.
LEVIA GRAVIA 367
Co '1 bello italo regno
Non crebber V alme, e per più largo cielo
Qual farfalletta in cui formazion falla,
Svolazza il breve ingegno:
Giacquer gli eroi; sogghigna, e senza velo
La fronte oscena e la deforme spalla
Da la verga d' Ulisse illividite
Su '1 tumulo d' Aiace erge Tersite.
Qual gittò fra le genti
Pensier Tltalia? in su l'antica fronte
Qual astro ride a l'avvenir d'amore?
Alte parole, e lenti
Umili fatti! Ahi, ahi; mal con le impronte
De le catene a i polsi e più nel core.
Mal con la mente da l'ignavia doma,
Mal si risale il Campidoglio e Roma!
Patria di grandi e forti,
Il tuo fato qual è? Se tal risponde
A gli avi suoi tuttor questa mal viva
Gente, V ossa de' morti
A che gravar di marmi? Io l'onde a Tonde
Impreco avverse in su la doppia riva,
E da i ridesti in Appennin vulcani
Pioggia di fuoco a i nostri dolci piani.
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Carducci,
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370 LEVIA GRAVIA
celebre, Sali il celebrato; ove combattono pìccoli bambàUf
donne e rogasse, ove combatte la Zavella, colla spada alla
mano, col bambino ali* un braccio, col fucile nell* altro, colle
cartuccie nel grembiule.
La Luisa Grace a cui è intitolata quest'ode, nata in Bri-
stol nel 1818, morì in Pistoia il 3 maggio 1865. Quelli che
solo abbian visto di lei le versioni dei canti di T. B. Macaulay
e E. W. Longfellow e le Rime e prose pubbl. dopo la sua
morte dal marito Frane. Bartolini (tipogr. dei successori Le
Monnier, 1869 e 1870), non potrebbero ancora farsi un'idea
giusta del suo ingegno, della dottrina in più lingue e lettera-
ture e dell' ancor pili grande gentilezza e generosità del-
l' animo suo.
Xni) pag. 305, V. 19. Simbolo dell' amore poetico mistico
del medio evo.
XIV) È una specie d'idillio storico critico nel quale si
volle rappresentare certe maniere e tendenze della poesia ita-
liana su M finire del sec. xiii. Scena, Mulazzo di Lunigiana,
castello di Franceschino Mal aspina ospite di Dante e de' poeti
toscani di parte bianca. Tempo, poco dopo la morte di Ar^
rigo VII. De* due poeti, l' uno è Sennuccio Del Bene, fuoru-
scito fiorentino, che scrisse una canzone per la morte dell'im-
peratore indirizzata a punto al Malaspina, e che passò vera-
mente in Provenza, ove morf vecchio e amico del Petrarca;
r altro è un' immaginario cavaliere ghibellino delle famiglie
feudali. E chi sa che nella ballata messa in bocca a Sennuccio
e nei versi che a quella seguono non abbia qualche parte la
teorica del Rossetti, pe '1 quale la donna de' poeti del sec. xiii
e XIV è r idea imperiale e anche l' imperatore stesso ?
LIBRO n.
XXI). Questo frammento fu pubblicato nel Don Chisciotte
di Bologna, 2 giugno 1883, con tale nota della Direzione:
LEVIA GRAVI A 371
" Questi versi lì ho rubati in casa del poeta, fra alcuni
suoi manoscritti giovanili. Furto domestico, qualificato per
la persona, sette anni di reclusione, se Giosuè mi denuncia!
Ma per fortuna non lo farà. Oltre tutto, dopo Oberdank^ non.
credo che egli abbia voglia di presentarsi al procuratore del re. „
XXII) pag. 341, v. 5. In questa e nelle tre seguenti strofe'
si accenna al glorioso scolio di Callistrato, che solevàsi can-
tare dagli Ateniesi ne' conviti, a onore degli eroi della libertà,
Armodio e Aristogitone : incomincia " Entro un ramo dì
mirto la spada io vo' portare, come Armodio e Aristogitone»
quando il tiranno ucciselo e a leggi uguali Atene fecero. „ ,
XXITI) pag. 347, v. 17 e segg. Stavo appunto scrivendo
questi versi (ne' primi di febbraio del 1863), quando nella
Cassetta di Torino e nella Nasione di Firenze lessi di un
fanciullo decenne, che lavorava a opra di manovale e fu tro-
vato una sera mezzo morto di freddo di fatica di fame in non-
so più qual via di Torino. Ciò avverto per quelli che, volendo
forse risparmiare per sé tutta la loro tenerezza, si abbando-
nano assai leggermente a condannare il sentimentalismo dì
certe questioni.
pag. 351, V. 11. È un verso di Giacomo Leopardi, che
allogatosi in questa strofe non mi è riuscito levamelo per
quanta fatica v'abbia durato intorno; tanto che, ripensatoci
sopra, vidi bene che sarebbe stato cima di stoltezza, non che
di villania, mettere fuori dell' uscio un verso di Giacomo Leo-
pardi ; e, ricordandomi di quel che fu detto d* Omero, che era
più difficile togliere un verso a lui che la clava ad Ercole, ho
fatto quasi il peccato di compiacermi dentro di me del furto
commesso: di che, da buon cristiano, mi confesso e mi rendo
in penitenza.
XXV) Scritto avanti che si pensasse all'alleanza colla
Prussia e a' congressi della pace. La prima strofe allude a un
fatterello del Cromwell come lo racconta nei Quattre Stuarts
372 LEVIA GRAVIA
il visconte di Chateaubriand: Des saints le surprirent un joar
ùccupé à boire : *' Ils croient, dil-il à ses joyeux amis, que
nous cherchons le Seigneur, et nous cherchons un tire-bou-
ckon. „ Le tire-boirchon était tombe.
XXVI) pag. 359, v. 9-10. Non fu vero. Le vecchie acca-
demie non ciarlarono né adularono mai tanto allegramente
come i liberi italiani in que' giorni
XXVII) Per la deliberazione presa a quei giorni dal Co-
mune di Firenze di abolire la commemorazione dei morti nel
combattimento di Curtatone e Montanara V anno 1848 e di
onorare solennemente soltanto il 28 di luglio e la memoria di
Carlo Alberto, la prima e più nobile tra le vittime della ri-
voluzione italiana.
XXVIII) Tale, o simigliante, è la imagine di Roma nelle
medaglie: vedi anche Claudìano, In Prob. et Olisbr. cons.
v. Ti e segg.
XXIX) pag. 364, v. 9 e segg. A certi lettori, anche non
ignoranti, questi versi con in mezzo Mimnermo hanno fatto
l'effetto deir^? non è? Indovinati quel ch'egli è. Cotesti let-
tori abbiano, se vogliono averla, la pazienza di leggere nella
Ist. della lett. greca di C. Ottofr. Moller il cap. x intitol. La
poesia elegiaca e V epigramma e in cotesto capitolo special-
unente il ritratto di Mimnermo. Chi poi ha senso di poesia e
sa un po' di greco ripensi i frammenti dell' elegiaco smimeo,
e del Foscolo certi luoghi delle Grazie e tutta l'ode all'amica
risanata, massime
L' aura beltade ond' ebbero
Sollievo unico a' mali
Le nate a vaneggiar menti mortali
e
Meste le grazie mirino
Chi la beltà fugace
Ti membra e. H giorno .dell' ejtonili pAoe.
LEVIA GRAVIA 373
Ma della poesia del Foscolo, della quale tanto più cresce in
me r ammirazione quanto più veggo la materialità metafìsica
e dogmatica di certi critici affettare una quasi indifferenza o
degnazione di occuparsene, bisognerebbe alfine parlare con
più sentimento e conoscenza d'arte e con meno declamazioni
e preoccupazioni civili, politiche e filosofiche.
A SATANA
A SATANA I
S^ì
A,
. te, de. r essere.
Principio immenso,
Materia e spiritoi
Ragione e senso;
Mentre ne" calici '
II vin scintilla
Sf come l'anima
Ne la pupilla;
Mentre sorridono
La terra e il sole
E si ricambiano
D' amor parole,
37$ A SATANA
E corre un fremito
D' imene arcano
Da* monti e palpita
Fecondo il piano;
A te disfrenasi
Il verso ardito,
Te invoco, o Satana,
Re del convito.
Via r aspersorio
Prete, e il tuo metro!
No, prete. Satana
Non torna in dietro!
Vedi: la ruggine
Rode a Michele
Il brando mistico.
Ed il fedele
Spennato arcangelo
Cade nel vano.
Ghiacciato è il fulmine
A Geova in mano.
Meteore pallide,
Pianeti spenti.
Piovono gli angeli
Da i firmamenti.
A SATANA 379
Ne la materia
Che mai non dorme,
Re de i fenomeni,
Re de le forme,
Sol vive 5afana;
Ei tien r impero' *
Nel lampo tremulo
D'un occhio nero,
O ver che languido
Sfugga e resista.
Od acre ed umido
Provochi, insista.
Brilla de* grappoli
Nel lieto sangue,
Per cui la rapida
Gioia non langue.
Che la fuggevole
Vita ristora,
Che il dolor proroga,
Che amor ne incora. ,
Tu spiri, o Satana,
Nel verso mio,
Se dal sen rompemi
Sfidando it dio
380 A SATANA
De' rei pontefici,
De' re cruenti:
E come fulmine
Scuoti le menti.
A te, Agramainio,
Adone, Astarte,
E marmi vissero
E tele e carte,.
Quando le ioniche
Aure serene
Beò la Venere
Anadiomène.
A te del Libano
Fremean le piante.
De r alma Cipride
Risorto amante:
A te ferveano
Le danze e i cori,
A te i virginei
Candidi amori.
Tra le odorifere
Palme d* Idume,
Dove biancheggiano
Le ciprie spume.
1 i
A -SATANA
ChÈ vai se barbaro
Il nazareno i ' '
Furor dàel^^gapi^
Dal rito osèen^ai. '
Con sacra fiaccola^
I templi t'arse» i
E i sogni argo^ici
A terra sparse?
Te accolse profugo
Tra gli dèi lari
La plebe memore ■
Ne i casolari.
Quindi un femineo
Sen palpitante
Empiendo, fervido
Nume ed amante,
La strega pallida
D' eterna cura
Volgi a soccorrere
L'egra natura..
Tu a rocchio immobile
De l'alchimista,
Tu de V indocile
Mago a la vista,
382 A SATANA
Del chiostro torpido
Oltre i cancelli,
Riveli i fulgidi
Cieli novelli.
A la Tebaide
Te ne le cose
Fuggendo, il monaco
Triste s' ascose.
O dal tuo tramite
Alma divisa,
Benigno è Satana;
Ecco Eloisa.
In van ti maceri
Ne r aspro sacco :
Il verso ei mormora
Di Maro e Fiacco
Tra la davidica
Nenia ed il pianto;
E, forme delfiche,
A te da canto,
Rosee ne Torrida
Compagnia nera,
Mena Licoride,
Mena Glicera.
A SATANA 383
Ma d'altre im^ini
D' età più bella
Talor si popola
L' insonne cella.
Ei, da le pagine
Di LiviOi ardenti
Tribuni, consoli,
Turbe frementi
Sveglia; e fantastico
D' italo orgoglio
Te spinge, o monaco,
Su '1 Campidoglio.
E voi, che il rabido
Rogo non strusse,.
Voci fatidiche,
Wicleff ed Husse,
A l'aura il vigile
Grido mandate:
S' innova il secolo
Piena è retate.
E già già tremano
Mitre e corone:
Dal chiostro brontola
La ribellione,
.1 -
GIAMBI ED EPODI
I 867- I 879
No,
, non son morto. Dietro me cadavere
Lasciai la prima vita. Sopra i vólti
Che m'arrideano impallidir te rose,
Morirò i sogni de la prima età.
I miei più santi amori io gli ho sepolti,
Sepolti ho nel mio cuore i desìi sterili.
Ad altri le ghirlande gloriose
E i tuoi premii divini, o Libertà.
O Lete, 0 Lete, la tua pia corrente
Sol dunque ne l'inferno o in eden è?
Fiorisce sol nel verso il pio nepente
Ond' Eiena infondea le tazze a i re?
Io vo' fuggir dal turbine co'l volo
Dove una torre minata so:
Là come lupo ne la notte solo
lo co '1 vento e co'l mare ululerò.
390 GIAMBI ED EPODI
Ululerò le lugubri memorie /)j
Che mi fasciano l'alma di dolore, j
Ululerò gr insonni accidlfosi
Tedi che fuman da la guasta età,
Invidiando il rorido fulgore
De' miei giovani sogni e i desii splendidi
De le infrante catene e gli animosi
Vostri richiami, o Gloria, o Libertà.
Tutto che questo mondo falso adora
,Co'l verso audace lo schiaffeggerò:
Ei mi tese le frodi in su V aurora,
A mezzogiorno io le calpesterò.
Che se i delubri crollano e i tempietti
Ove r ideal vostro, o vulghi, sta.
Che importa a me? Non fo madrigaletti
Che voi mitriate d' immortalità.
Oh, pria eh' io giaccia, altri e più forti e fulgidi
Colpi da r arco liberar vogl' io,
E su le penne de gli ardenti strali
Mandare io voglio il vampeggiante cor.
Chi sa che su dal ciel la Musa o Dio
Non T accolga sanando e sovra il torpido
Palude de 1' oblio non gli dia 1* ali
Da rivolare a gli sperati amor?
giugno I8^I.
LIBRO T
I.
AGLI AMICI DELLA VALLE TIBERINA
X^ ur da queste serene erme pendici
D'altra vita al rumor ritornerò;
Ma nel memore petto, o nuovi amici,
Un desio dolce e mesto io porterò.
Tua verde valle ed il bel colle aprico
Sempre, o Bulcian, mi pungerà d'amor;
Bulciano, albergo di baroni antico.
Or di libere menti e d' alti cor.
E tu che al cielo, Cerbaiol, riguardi
Discendendo da i balzi d'Apennin,
Come gigante che svegliato tardi
S'affretta in caccia e interroga il mattin,
392 GIAMBI ED EPODI
Tu ancor m'arridi. E, quando a i freschi ven
Di su r aride carte anelerà
L'anima stanca, a voi, poggi fiorenti.
Balze austere e felici, a voi verrà.
Fiume famoso il breve piano inonda;
Ama la vite i colli; e, a rimirar
Dolce, fra verdi querce ecco la bionda
Spiga in alto a l'alpestre aura ondeggiar.
De i vecchi prepotenti in su gli spaldi
Pasce la vacca e mira lenta al pian;
E de le torri, ostello di ribaldi.
Crebbe V utile casa al pio villan.
Dove il bronzo de' frati in su la sera
Solo rompeva, od accrescea, l' orror.
Croscia il mulino, suona la gualchiera
E la canzone del vendemmiator.
Coraggio, amici. Se di vive fonti
Córse, tócco dal santo, il balzo alpin,
A voi saggi ed industri i patrii monti
Iscaturiscan di fumoso vin;
Del vin eh' edùca il forte suolo amico
Di ferro e zolfo con natia virtù:
Col quale io libo al padre Tebro antico,
Al Tebro tolto al fin di servitù
GIAMBI ED EPODI 393
Fiume d' Italia, a le ttie sacre rive '
Peregrio mossi con devoto amor
Il tuo nume adorando, e de le dive
Memorie l'ombra mi tremava in con
E pensai quando i tuoi clivi Tarconte
Coronato pontefice sali,
E, fermo l'occhio nero a T orizzonte,
Di leggi e d'armi il popol suo parti;
E quando la fatai prora d' Enea
Per tanto mar la foce tua cercò,
E l'aureo scudo de la madre dea
In su r attonit' onde al sol raggiò;
E quando Furio e l'arator d'Arpino,
Imperador plebeo, tornava a te,
E coprivan l' aitar capitolino
Spoglie di galli e di tedeschi re.
Fiume d' Italia, e tu V origin tra^i
Da questa Etruria ond* è ogni nostro onor;
Ma, dove nasci tra gli ombrosi faggi,
L' agnel ti salta e turbati il pastor. ^
Meglio cosi, che tra marmoree sponde
Patir r oltraggio de' chercuti re,
E con r orgoglio de le tumid' onde
L' orme lambire d' un crociato pie.
394 GIAMBI ED EPODI
Volgon, fiume d' Italia, ornai tropp' anni
Che la vergogna dura: or via, non più.
Ecco, un grido io ti do — Morte a' tiranni — ;
Portalo, o fiume, a Ponte Milvio, tu.
Portai con suono eh' ogni suon confonda,
Portai con le procelle d'Apennin,
Portalo, o fiume; e un'eco ti risponda
Dal gran monte plebeo, da TAventin.
Tende l'orecchio Italia e il cenno aspetta:
Allor chi fia che la vorrà infrenar?
Cento schiere di prodi a la vendetta
Da le tue valli verran teco al mar.
Risplendi, o fausto giorno. Ahi, se più tardi,
Romito e taumaturgo esser vorrò:
Da la faccia de' rei figli codardi .
Ne le tombe de' padri io fuggirò.
Con r arti vo' che cielo o inferno insegna
Da questi monti il foco isprigionar,
E fiamme in vece d' acqua a Roma indegna,
Al Campidoglio vile io vo' mandar.
1
'^^ Pieve Santo Stefano, 2$ agosto iSó'j.
GIAMBI ED EPODI 395
II.»
MEMINISSE HORRET
S,
^barrate la soglia, chiudete ogni varco,
Gittatemi intorno densissimo un vel !
D'orribile sogno mi preme T incarco:
Ho visto di giallo rifulgere il ciel.
Un lezzo nefando d'avello e di fogna
liscia dal palagio che a fronte ci sta:
Le vecchie campane sonavano a gogna
Di Pietro Capponi per V ampia città,
E giù da' bei colli che a' di del cimento
Tonavan la morte su'l fulvo stranier
Un suon di letane scendea lento lento
E pallide torme dicean — Miserer — .
396 GIAMBI ED EPODI
Con giunte le mani prostrato il Ferruccio
Al reo Maramaldo chiedeva mercé,
E Gian de la Bella levato il cappuccio
Mostrava lo schiaffo che Berto gli die.
E Dante Alighieri vestito da zanni
Laggiù in Santa Croce facea '1 ciceron,
Diceva — Signori, badatevi a' panni,
Entrate^ signori: voi siete i padron.
Che importa se l'onta più, meno, ci frutti?
10 sono poeta, né so mercantar.
11 ghetto d' Italia dischiuso è per tutti.
Al popol d'Italia chi un calcio vuol dar? —
E dietro una tomba vid' io Machiavello
De gli occhi ammiccare con un che passò
E dir sotto voce — Crin morbido e bello,
Sen largo ha mia madre; né dice mai no.
Son fòri fulgenti di dorie colonne
I talami aperti di sue voluttà:
Su '1 gran Campidoglio si scigne le gonne
E nuda su Turna di Scipio si dà — .
Firenze^ nei primi giorni di nov. del iSóy.
GIAMBI ED EPODI 397
III.
PER EDUARDO CORAZZINI
MORTO DELLE FERITE RICEVUTE
NELLA CAMPAGNA ROMANA DEL MDCCCLXVIt
D,
unque d' Europa nel servii destino
Tu il riso atroce e santo,
O di Ferney signore, e, cittadino
Tu di Ginevra, il pianto
Messaggeri inviaste, onde gioioso
Abbatté poi Parigi
E la nera Bastiglia e il radioso
Scettro di san Luigi;
Dunque, tra M ferro e '1 fuoco, al piano, al monte,
Cantando in fieri accenti,
Co' piedi scalzi e la vittoria in fronte
E le bandiere a' venti.
398 GIAMBI ED EPODI
Vide il mondo passar le tue legioni,
O repubblica altera,
E spazzare a sé innanzi altari e troni.
Come fior la bufera;
Perché, su via di sangue e di tenèbre
Smarriti i figli tuoi
E mutata ad un' upupa funebre
L' aquila de gli eroi,
Là ne' colli sabini, esercitati
Dal pie de V immortale
Storia, tu distendessi i neri agguati,
Masnadiera papale,
E, lui servendo che mentisce Iddio,
Francia, a le madri annose
Tu spegnessi i figliuoli et il desio
Di lor vita a le spose,
E noi per te di pianto e di rossore
Macchiassimo la guancia.
Noi cresciuti al tuo libero splendore,
Noi che V amammo, o Francia ?
Ahi lasso! ma de' tuoi monti a T aprico
Aer e nel chiostro ameno
Più non ti rivedrò, mio dolce amico.
Come al tempo sereno.
GIAMBI ED EPQDI 399
Per l'alpestre cammino io ti segufa;
EM tuo fucil di certi
Colpi il silenzio ad or ad or feria
De' valloni deserti.
L' alta Roma io cantava in riva al fiume
Famoso a l'universo;
E il can latrando a le cadenti piume
Rompeva a mezzo il verso,
O a te accennando usciva impaziente,
Fuor de la macchia bruna;
Or raspa su la tua fossa recente,
E piagnesi a la luna.
Squallidi or son i monti: ma l'aprile
Roseo nel ciel natio
Tornerà, che doveva una gentile
Ghirlanda al tuo de3Ìo:
E in vece condurrà l' allegra schiera
De gli augelli in amore
Su l'erba ch'alta andrà crescendo e. nera
Dal tuo giovenil core.
Perché i bei colli di vendemmia lieti,
Perché lasciasti, amico,
Sfuggendo a' pianti de l'amor segreti
Sur un volto pudico?
400 GIAMBI ED EPODI
Perché la madre tua lasciasti ? Oh, quando
A mensa ella sedea,
Il tuo loco guardava, e lacrimando
Il viso rivolgea.
Madre, perdona. A un cenno tuo la testa,
La balda testa ei piega;
Ma il suo duce prigion bandi la gesta,
E la gran Roma prega.
Egli su' trionfali archi diritta
Vide, nel ciel del Lazio,
Di Roma vide Talta imago, afflitta
D' inverecondo strazio.
Ella che tien del nostro patto V arca,
L'ara del nostro dritto;
Per cui Dante gemè, fremè il Petrarca,
E'I Machiavelli ha scritto;
Austera e pia ne la materna faccia
Con lagrimoso ciglio
Lo riguardava, e gli tendea le braccia,
E gli diceva: O figlio.
Ed ei, questo predone (ascolta, o greggia
Turpe di schiavi, ascolta),
Questo predon cui V Apennin verdeggia
Di lieti paschi e folta
GIAMBI ED EPODI 40}
Mèsse, questo feroce a cui nel core
Ridea queto un desire,
Per lei lasciava il suo solingo amore,
Per lei corse a morire.
Ed or ne' luoghi, ove fra sé ristretta
È la gente de i morti
Per forza, e chiama a Dio la gran vendetta
Che il mondo riconforti,
Or co i caduti là nel giugno ardente
De Talta Roma a fronte
E co i caduti nel decembre algente
De' martiri su '1 monte
Parla, e Nemesi al suo ferreo registro
Guarda con muto orrore.
Parla di lui, del Cesare sinistro.
Del bieco imperatore.
Le madri intanto accusano ne' pianti
Del viver tardo i fati
E con le man che gli addormian lattanti
Compongon gli occhi a' nati,
In vece di ghirlande le fanciulle
Vestonsi i neri panni,
Mancan le vite a le aspettanti culle . . .
Madeletti i tiranni !
Carducci. 26
402 GIAMBI ED EPODI
Ma io per man tórrommi questa madre
Vedova^ questa sposa
Vedova; e, dove fra sue turbe ladre
Quel prete empio riposa,
E sogna d* armi e ad un selvaggio agguato
Pare che frema e rugga,
E su'! capo gli penzola inchiodato
Gesù perché non fugga,
Là me n'andrò, là sorgerò, per vie
A tutf altri scerete.
Come una larva del supremo die
Lento, e dirògli — O prete,
Godi. Di larga strage il breve impero
Empisti e le tue brame.
Trionfa nel tuo splendido San Piero,
O vecchio prete infame.
Con le tremule palme al ciel levate
Canta — Osanna, Dio forte — :
L' organo manda per le volte aurate
Un rantolo di morte.
Quando al popol ti volgi, ed — Il Signore,
Mormori, sia con voi —,
Come adultera donna a l'amatore,
Guardi a gli sgherri tuoi.
GIAMBI ED EPODI 408
V
Su le canne d'acciaio in mezzo a' ceri
L'omicidio scintilla:
Tu '1 vedi, e '1 gaudio véla di sinceri
Pianti la tua pupilla.
China su M pio mister che si consuma,
China il tuo viso tristo:
Di sangue, mira, il tuo calice fuma;
E non è quel di Cristo.
Ahi, d'italiche vene è sangue schietto,
Nobile sangue e caro !
E una stilla ve n' ha pur di quel petto
Che queste donne amaro;
Queste donne che diéro a' tuoi decreti
Umile il cuor, V orecchio
Prono; e pregaron anche in lor secreti
Per te, feroce vecchio!
Io, per le grige chiome de la madre
E per le chiome bionde
De la sposa che sciolte or sotto 1' adre
Pieghe un sol vel confonde;
Io, per Gesù che a gli uccisor compianse;
Io per le donne sante,
Maddalena che amò. Maria che pianse,
0 vecchio sanguinante;
404 GIAMBI ED EPODI
«
Te ch'oro e ferro e bronzo mendicando
Te ne vai per la terra,
Che gridi contro la tua patria il bando
De l'universa guerra;
Te che il lor sangue chiedi con parole
Soavi a' fidi tuoi,
Ed il sangue di chi re non ti vuole
Ferocemente vuoi;
Te da la pietà che piange e prega.
Te da l'amor che liete
Le creature ne la vita lega,
Io scomunico, o prete;
Te pontefice fosco del mistero,
Vate di lutti e d'ire.
Io sacerdote de l'augusto vero,
Vate de V avvenire.
X9 gmnmo 1868.
GIAMBI ED EPODI 406
, IV.
NEL VIGESIMO ANNIVERSARIO
dell' Vili AGOSTO MDCCCXLVIII.
M,
a non cosi, quando superbo apriva
L' ali e ne' raggi di vittoria adorno
Almo rise d' Italia in ogni riva •
Il tuo gran giorno,
Ma non cosi sperai, Bologna, il canto
Recar votivo a V urna de' tuoi forti,
Oggi insegna la Musa iroso il pianto.
Fremono i morti
Abbandonati a' retici dirupi,
H verde Mincio flebile risponde;
E lunghe ne gì' issèi pelaghi cupi
Rimugghian 1' onde,
406 GIAMBI ED EPODI
Se per V azzurro ciel la gialla insegna
Passa a gì' itali zefiri ventando
E lieto lo stranier da poppa segna
Il sen nefando.
Ahi, come punto da mortifer angue,
Ahi, di veleno il cor ferve e ribolle !
Fumate ancor d' invendicato sangue,
Romane zolle!
O forti di Bologna, a voi la fuga
De' nemici irraggiava il guardo estinto;
E, mentre posa ed il sudor s' asciuga,
— Abbiamo vinto —
Disse, chinato sopra il sen trafitto
Del compagno, il compagno. A le parole
Pallido ei rise, e su i cùbiti ritto
Salutò il sole
Occidente e V Italia. E la mattina
Lo stranier, come lupo arduo che agogna,
Ululato avea su da la collina:
— Odi, o Bologna.
Le mie vittoriose aquile io voglio
Piantar dove moriva il tuo Zamboni
A i tre color pensando ; e vo' V orgoglio
De' tuoi garzoni
GIAMBI ED EPODI
Pestar si come il pie de' miei cavalli
Pesta il fieri de' tuoi campi. A Dio gradito,
Empier di San Petronio io vo'gli stalli
Del lor nitrito.
Vo' il tuo vin pe' miei prodi ed i sorrisi
De le donne: a la mia staffa prostrati
Ne la polvere io vo'gli antichi visii^ri
De' tuoi magnati.
Odi, Bologna, Stride ampia !a rossa
Ala del foco su' miei passi: l'ira
Porto e il ferro ed il sa! di Barbarossa:
Sermide mira. —
Lo stranier cosi disse. Ed un umile
Dolor prostrò per l'alte case il gramo
Cuor de' magnati. Ma la plebe vile
Gridò : Moriamo.
E tra'l fuoco e tra '1 fumo e le faville
E '1 grandinar de la rovente scaglia,, j
Ti gittasti feroce in mezzo a i mille,/
Santa canaglia.
Chi pari a te, se ne le piazze antiche
De' tuoi padri guerreggi? Al tuo furore,
Si come solchi di mature spiche
Al mietitore,
408 GIAMBI ED EPODI
Cedon le file; e via per V aria accesa
La furia del rintocco ulula forte
Contro i tamburi e in vetta d'ogni chiesa
Canta la morte.
Da gli odi fiamma d' olocausti santi,
Da i vapori del sangue alito pio
Sale: o martire plebe, a te davanti
Folgora Dio.
Ecco, su* corpi de' mal noti eroi
Erge la patria i suoi color festiva;
Ed i vecchi e le donne e i figli tuoi
Gridano, Viva.
Il tuo sangue a la patria oggi: a la legge
Il sangue e il pan domani. E pur non fai
Tu leggi, o plebe, e, diredato gregge, -
Patria non hai.
Ma quei che a te niegan la patria, quelli
Che per sangue e sudor ti danno oltraggio,
Ne' giorni del conflitto orridi e belli.
Quando al gran raggio
De r estate si muore e incontro al rombo
De' cannoni le picche ondanti vanno
E co' le pietre si risponde al piombo,
Ove, ove stanno?
GIAMBI ED EPODI 409
Oh qui non le tediose alme trastulla
De' giuochi la vicenda e de le dame !
La santa Libertà non è fanciulla
Da poco rame;
Marchesa ella non è che in danza scocchi
Da' tondeggianti membri agii diletto,
Il cui busto offre il seno ed offron gli occhi
Tremuli il letto:
Dura virago eir è, dure domanda
Di perigli e d'amor pruove famose:
In mezzo al sangue de la sua ghirlanda
Crescon le rose.
Etormono ancora i fior dolce fiammanti
Ne' bocci verdi; ma il soave e puro
Aprii verrà. D'agosto ombre aspettanti,
Per voi lo giuro.
410 GIAMBI ED EPODI
V.
IL CESARISMO
[LEGGENDO LA INTRODUZIONE ALLA VITA DI CESARE
SCRITTA DA NAPOLEONE III]
I.
G
iové ha Cesare in cura. Ei dal delitto
Svolge il diritto, e dal misfatto il fato.
Se un erario al bisogno è scassinato
O un cittadino per error trafitto,
Tutto si sanerà con un editto.
A sua gloria e per forza ei ci ha salvato.
Chi ebbe tenga, e quel eh' è stato è stato.
Nuovo ordine di cose in cielo è scritto. —
Cosi diceva, senator da ieri,
Il ladro fuggitivo servo Mena;
E la plebe a Labien sassi gittava.
Ma la legione undecima cantava
— Trionfo! quattro nivei destrieri,
Divin trionfo, al divin Giulio infrena! —
GIAMBI ED EPODI 411
II.
Q
uattro al dio Giulio, o dio Trionfo, infrena.
Come al buon Furio già, nivei cavalli:
Leghi al carro d' avorio aurea catena
L' Egitto e il Ponto e gli Africani e i Galli.
Gracco, la plebe tua straniere valli
Ari a un suo cenno; e tu curva la schiena,
Sangue Cornelio, e a' senator da' gialli .
Crin la via mostra che a la curia mena.
Dittatore universo, anche la vaga ., , ,
Lingua d' Ennio ei fermò; V anno ha costretta
Errante già per la siderea plaga.
Ma fra tant' inni il mondo ode su M petto
Santo di Cato stridere la piaga
E scricchiolar di Nicomede il letto.
settembre 1868.
412 GIAMBI ED EPODI
VI.
PER
GIUSEPPE MONTI E GAETANO TOGNETTI
MARTIRI DEL DIRITTO ITALIANO.
I.
X orpido fra la nebbia ed increscioso
Esce su Roma il giorno:
Fiochi i suon de la vita, un pauroso
Silenzio è d' ogn' intorno.
Novembre sta del Vatican su gli orti
Come di piombo un velo:
Senza canti gli augei da* tronchi morti
Fuggon pe '1 morto cielo.
Fioccano d' un cader lento le fronde (
Gialle, cineree, bianche; ^
E sotto il fioccar tristo che le asconde
Paion di vita stanche ,^j
GIAMBI ED EPODI
Fin quelle, che d'etadi e genti sparte
Mirar tanta ruina
In calma gioventù, forte de 1' arte '
Argolica e latina.
11 gran prete quel di svegliossi allegro, '
Guardò pe' vaticani
Vetri dorati il cielo umido e negro,
E si fregò le mani.
Natura par che di deforme orrore
Temi innanzi a la morte: i
Ei sente de le piume anco il tepore !
E dice — Ecco, io son forte.
Antecessor mio santo, anni parecchi
Corser da la tua gesta:
A te, Piero, bastarono gli orecchi ;
Io tagliere la testa.
A questa volta son con noi le squadre,
Né Gesù ci scompiglia:
Egli è in collegio al Sacro Cuore, e i
I padre
Curci lo tiene in briglia.
Un forte vecchio io son; 1' ardor de i
belli
Anni in cuor mi ritrovo:
La scure che apri '1 cielo al Locateli!
Arrotatela a novo.
414 GIAMBI ED EPODI
Sotti!, lucida, acuta, in alto splenda
Ella come un' idea:
Bello il patibol sia: Toro si spenda
Che mandò il Menabrea.
I francesi, posato il Maometto
Del Voltèr da T un canto,
Diano una man, per compiere il gibetto,
Al tribunal mio santo.
Si esponga il sacramento a San Niccola
Con le indulgenze, usate,
Ed in faccia a T Italia mia fìgliuola
Due teste insanguinate — .
IL
E pur tu sei canuto: e pur la vita
Ti rifugge dal corpo inerte al cuor,
E dal cuore al cervel, come smarrita
Nube per 1' alpi solvesi in vapor.
Deh, perdona a la vita! A Tun ventanni
Schiudon, superbi araldi, l'avvenir;
E in sen, del career tuo pur tra gli affanni,
La speme gli fiorisce et il desir.
GIAMBI ED EPODI 415
Crescean tre fanciulletti laT altro intorno,
Come novelli del castagno al pie;
Or giaccion tristi, e nel morente giorno
La madre lor pensa tremando a te.
Oh, allor che del Giordano a i freschi rivi
Traea le turbe una gentil virtia
E ascese a le città liete d' ulivi
Giovin messia del popolo Gesù,
Non tremavan le madri; e Naim in festa
Vide la morte a un suo cenno fuggir
E la piangente vedovella onesta
Tra il figlio e Cristo i baci suoi partir.
Sorridean da i cilestri occhi profondi
I pargoletti al bel profeta umil;
Ei lacrimando entro i lor ricci biondi
La mano ravvolgea pura e sottil.
Ma tu co'l pugno di peccati onusto
Calchi a terra quei capi, empio signor,
E sotto al sangue del paterno busto
De le tenere vite affoghi il fior.
Tu su gli occhi de i miseri parenti
(E son tremuli vegli al par di te)
Scavi le fosse a i figli ancor viventi.
Chierico sanguinoso e imbelle re.
416 GIAMBI ED EPODI
Deh, prete, non sia ver che dal tuo nero
Antro niun salvo a V aure pure usci ;
Polifemo Cristian, deh non sia vero
Che tu nudri la morte in trenta di.
Stringilo al petto, grida — Io del ciel messo
Sono a portar la pace, a benedir — ,
E sentirai dal giovanile amplesso
Nuovo sangue a le tue vene fluir
In sua mente crudel (volgonsi inani
Le lacrime ed i prieghi) egli si sta:
Come un fallo gittò gli affetti umani
Ei solitario ne l'antica età.
III.
Meglio cosi! Sangue de i morti, afh-etta
I rivi tuoi vermigli
E i fati; al ciel vapora, e di vendetta
Inebria i nostri figli.
Essi, nati a V amore, a cui T aurora
De r avvenir sorride
Ne le limpide fronti, odiino ancora,
Come chi molto vide.
GIAMBI ED EPODI 417
Mirate, udite, o avversi continenti,
O monti al ciel ribelli,
Isole e voi ne Tocean fiorenti
Di boschi e di vascelli;
E tu che inciampi, faticosa ancella,
Europa, in su la via;
E tu che segui pe' i gran mar la stella
Che al Penn si discovria;
E voi che sotto i furfosi raggi
Serpenti e re nutrite.
Africa ed Asia, immani, e voi selvaggi.
Voi, pelli colorite;
E tu, sole divino; ecco l'onesto
Veglio, rosso le mani
Di sangue e '1 viso di salute: è questo
L'angel de gli Sciuani.
Ei, prima che il fatale esecutore
Lo spazzo abbia lavato.
Esce raggiante a delibar V orrore
Del popolo indignato.
Ei di demenza orribile percosso,
Com' ebbro il capo scuote,
E vorria pur vedere un po' di rosso
Ne r òr de le sue ruote.
Carducci. 27
418 GIAMBI ED EPODI
Veglio! son pompe di ferocie vane
In che il tuo cor si esala,
E in van t'afforza a troncar teste umane
Quei che salvò i La Gala.
Due tu spegnesti; e a la chiamata pronti
Son mille, ancor più mille.
I nostri padiglion splendon su i monti,
Ne* piani e per le ville,
Dovunque s' apre un' alta vita umana
A la luce a V amore :
Noi Siam la sacra legìon tebana.
Veglio, che mai non muore.
Sparsa è la via di tombe, ma com' ara
Ogni tomba si mostra:
La memoria de i morti arde e rischiara
La grande opera nostra.
Savi, guerrier, poeti ed operai,
Tutti ci diam la mano:
Duro lavor ne gli anni, e lieve ornai;
Minammo il Vaticano.
Splende la face, e il sangue pio V avviva;
Splende siccome un sole:
Sospiri il vento, e su V antica riva
Cadrà V orrenda mole.
GIAMBI ED EPODI 419
E tra i ruderi in fior la tiberina
Vergin di nere chiome
Al peregrin dirà: Son la ruina
D' un onta senza nome.
jo nov. 1868.
420 GIAMBI ED EPODI
VII.
HEU PUDORI
I.
M,
ènte chi dice ch'ove il core avvampa
Secondi V aura de V acceso ingegno.
Avrei ben io d' infame eterna stampa
Segnato in fronte questo gregge indegno.
Feroce forse come il tuo m' accampa,
Dante padre, nel cuore odio e disdegno;
Ma chiusa rugge la vorace vampa
Me distruggendo, e mai non giunge al segno.
Altri laghi di pegola, addensata
Di serpenti di mostri e dimon duri
Altra e duplice bolgia avrei scavata;
E v' avrei co' suoi monti e co' suoi muri,
Come uno straccio lurido, gettata
Questa terra di Pucci e di Bonturi.
GIAMBI ED EPODI 421
II.
N,
o. Vanni Pucci in faccia a Dio rubava
Con la bestemmia in bocca e in fronte il riso,
Ribadito di serpi egli squadrava
Da l'inferno le fiche al paradiso:
Il poco pan che del suo pianto lava
Ed è nel sangue de' suoi figli intriso
Voi rubate a la patria, e poi con brava
Lingua sputate a lei virtù su '1 viso.
Le case de' nemici al sol lucente,
Con la face a una man, ne V altra i dardi,
Vanni Pucci cercò superbamente:
Voi, ne la chiusa notte, a passi tardi,
Perite al canto ; voi da 1' aurea lente
Piccioletti ladruncoli bastardi.
422 OUHBI ED EPODI
III.
D,
'a le tombe del pian che aprile infiora
E da i monti che bàtte il verno immite
E da quelle che il mar cuopre e colora^
Morti d'Italia, venite, venite!
Mirate, o morti: il sangue vostro irrora,
Ricadendo aureo nembo, a lor le vite;
Empie a* lenoni il ventre e rincolora
Le rose a* ludi de V amor sfiorite.
Mirate, o morti: ei fùr che la vittoria
Vi contesero un giorno, e, candid* osàa,
Sol del martirio avvolge voi la glotia:
Ora di lor viltà ne V ardua possa.
Ora sfidando i popoli e la storia.
Ora barattan su la vostra fossa.
1868-69.
GIAMBI ED EPODI 423
Vili.
LE NOZZE DEL MARE
ALLORA E ORA.
V<iuando ritto il doge antico
Su l'antico bucentauro
L'anel d'oro dava al mar,
E vedeasi, al fiato aniico
De la grande sposa cernia,
Il crin bianco svolazzar;
Sorrideva nel pensiero
Ne le fronti a' padri tremuli
De' forti anni la virtù,
E gittava un guardo altero,
Muta, a r onde, al cielo, a V isole,
La togata gioventù.
424 CMAMBI ED EPODI
Ma rompea superbo un canto
Da r ignudo petto ed ispido
De gli adusti remator,
Ch' oggi vivono soltanto,
TizTan, ne le tue tavole,
Ignorati vincitor.
Ei caHtavano San Marco,
I Pisan, gli Zeni, i Dandoli,
II maggior de i Morosin;
E pe' i sen lunati ad arco
Lunghi gli echi minacciavano
Sino al Bosforo e a T Eussin.
Ne la patria del Goldoni
Dopo il dramma lacrimevole
La commedia oggi si dà:
De i grandi avi i padiglioni
Son velari, onde una femmina
Il mar d' Adria impalmerà.
Le carezze fien modeste;
Consumare il matrimonio
I due sposi non potran :
Paraninfa, da Trieste
L'Austria ride; e i venti illirici
L' imeneo fischiando van.
GIAMBI ED EPODI 425
Fate al Lido un pò* di chiasso
E su a bordo un po' di musical
Le signore hanno a danzar.
Ma, per dio, sonate basso:
Qualcheduno a Lissa infracida,
Che potrebbesi svegliar.
Bah! qui porgono la mano
Vaghe donne, a sprizzi fervidi
Lo sciampagna esulta qui.
Conte Carlo di Persano,
Oggi a festa i bronzi rombano;
Non mancate al lieto di.
luglio 1869.
426 GIAMBI ED EPODI
IX.
VIA UGO BASSI
V^uando porge la man Cesare a Piero,
Da quella stretta sangue umano stilla:
Quando il bacio si dan Chiesa ed Impero,
Un astro di martirio in ciel sfavilla.
Ma nel cuor de le genti il chiuso vero
Con un guizzo d'amor risponde e brilla:
Ne la notte l'amor e nel mistero
Le folgori de V ira dissigilla.
Di ghirlande votive or questa via
Nel solenne suo di Bologna adombra
D' un prete sconsacrato a V alma pia.
Ma lascia tu nel gran concilio sgombra,
Roma, una sedia: a te Bologna invia
Tra' carnefici suoi del Bassi l' ombra.
agosto i86p.
GIAMBI ED EPODI ^7
X.
ONOMASTICO
u,
go il poeta, allor che Italia in forse
Di vita ne' servili ozi giacea,
Co '1 verbo ardente il secolo percorse,
Scossel con V ira che virtù ricrea.
Allor che Italia dal giaciglio sorse
Giovenilmente e libertà chiedea,
Lei lo zel d' Ugo martire precorse
E poi col sangue suggellò Tidea.
Ov' è dissidio tra il pensiero e V opra
E larva la parola è del pensiero
E la parvenza a Tessere va sopra:
O giovinetto, il bel nome severo.
Tuo domestico vanto, la via scopra:
Intera libertà vuol V uomo intero.
novembre i8yo.
426 GUMBI ED EPODI
XI.
LA CONSULTA ARALDICA
C
create pur se il pio siero che stagna
Nel cor d*un paolotto ignoto al df,
Da i reni d' un ladron de V Alemagna
Sangue cavalleresco un giorno uscf,
Se ne la tabe che da gli avi nacque
E strugge a i figli V ultimo polmon
Vive la colpa d'una rea che piacque
Adultera latina al biondo Otton.
Deh dite: quante belve a cui le spade
Affondar ne la carne era virtù,
Quanti marchesi che assalian le strade,
Quanti mitrati che vendean Gesù,
GIAMBI ED EPODI 429
Quanti storici gradi di peccato
Occorron dunque, dite in vostra fé',
Per poter la camicia di bucato
Porger la mane al dormiglioso re?
Per quante aule di barbari signori
Vigilate dal pubblico terror
Bisogna aver contaminato i cuori.
Ed i ginocchi, e quante volte ancor
Rinnegata la misera latina
Patria e del suo comun le libertà;
Per poter di diritto a la regina
Tener la coda quando a messa va?
Oh non per questo dal fatai di Quarto
Lido il naviglio de i mille salpò.
Né Rosolino Pilo aveva sparto
Suo gentil sangue che vantava Angiò.
Ma voi da V arche, voi da gli scaffali,
Invidiando a i vermi ombra e sopor,
Corna di cervi e teschi di cignali
Ed ugnoli d'arpie mettete fuor;
Ed a gli scheltri de le ree castella'
Che foscheggian pe '1 verde ermo Apennin,
Poi che r austero e pio Gian de la Bella
Trasse i baroni a pettinare il lin
430 GIAMBI ED EPODI
( E allora il pugno già contratto al brando
Ne l'opera plebea ben si spianò,
E su le labbra tumide il comando
In lusinga servile iscivolò),
A quegli scheltri voi chiedete ancora
Le targhe colorate e il pennoncel;
E vorreste veder l'antica aurora
Arrìder mesta a un gotico bertel.
O dormenti nel giorno, il gallo canta,
Ferve il lavoro e cedon l'ombre al ver;
L'azzurro oltremarin di Terra santa
È bava di lumaca in suo sentier.
Rendete pur, rendete a i vecchi scudi
Il palltd'oro che l'ebreo raschiò
Ed a gli elmi le coma: io questi ludi
A la vecchiezza invidiar non so.
E aspettate cosi ne le supreme
Gran gale, o morituri, il funerali
La Libertà tocca il tamburo, e insieme
Dileguan medio evo e carneval.
ottobre i86g.
GIAMBI ED EPODI 431
XII.
NOSTRI SANTI E NOSTRI MORTI
A
i di mesti d' autunno il prete canta
I morti in terra ed i suoi santi in ciel,
E muta il suon de' bronzi, e Pare ammanta
Oggi di lieto e doman d' atro vel.
Noi d' un cuor solo e con un solo rito
A' tuoi santi e a' tuoi morti, o libertà.
Libiamo il vin del funeral convito,
Come la Grecia ne le antiche età.
Ahi, ma libando a' gloriosi estinti
Ne i di fausti la greca gioventù
Rammemorava i regi uccisi e i vinti,
E in Atene regnavi unica tu.
432 GIAMBI ED EPODI
De' nostri morti in su le fosse erbose
Pasce il crociato belga il suo destrie r :
Il vostro sangue, o eroi, nudri le rose
Di tiranni lascivi a roriglier.
Da i monti al mar la bianca turba, eretta
In su le tombe, guarda, attende e sta :
Riposeranno il di de la vendetta,
De la giustizia e de la libertà.
Faenza, j* novembre i86g.
ì
I
GIAMBI ED EPODI 433
xm.
IN MORTE DI GIOVANNI CAIROLI
O
Villagloria, da Cremerà, quando
La luna i colli ammanta,
A te vengono i Fabi, ed ammirando
Parlan de' tuoi settanta.
Tinto del proprio e del fraterno sangue
Giovanni, ultimo amore
De la madre, nel seno almo le langue,
Caro italico fiore.
Il capo omai da l'atra morte avvolto ,
Levasi; ed improvviso
Trema su '1 bianco ed affilato volto
L' aleggiar d' un sorriso.
Carducci. 28
434 GIAMBI ED EPODI
L'occhio ne T infinito apresi, il fere
Da l'avvenire un raggio:
Vede allegre sfilar armi e bandiere
Per un gran pian selvaggio,
E in mezzo il duce glorioso: onde^ia
La luminosa chioma
A l'aure del trionfo: il sol dardeg^a
Laggiù in fondo su Roma.
Apri, Roma immortale, apri le porte
Al dolce eroe che muore:
Non mai, non mai ti consacrò la morte,
Roma, un più nobil core.
Del cor suo dal bordel venda un fallito
Cetego la parola,
Eruttando che il tuo gran nome è un mito
Per le panche di scola:
Al divieto straniero adagi Ciacco
L' anima tributaria
Su r altro lato, e dica — Io son vigliacco,
E poi e' è la mar aria — :
Per te in seno a le madri, ecco, la morte
Divora altri figliuoli:
Apri, Roma immortale, apri le porte
A Giovan Cairoli.
GIAMBI ED EPODI 435
Egli, ombra vigilante a i di novelli,'
Il tuo silenzio antico
Abiterà co' Gracchi e co' Marcelli
E co '1 suo forte Enrico.
L' ali un di spiegherà su M Campidoglio
La libertà regina:
Groppello, allor da ogni ultimo scoglio
De la terra latina,
E giù da r Alpi e giù da gli Apennini,
Garzoni e donne a schiera
Verranno a te, fiorite i lunghi crini
D'aulente primavera.
E con lór sarà un vate, radioso
Ne la fronte divina,
Come Sofocle già nel glorioso
Trofeo di Salamina:
Ei toccherà le corde, e de i fratelli
Dirà la santa gesta;
Né mai la canzon ionia a' di più belli
Risonò come questa.
Groppello, a te co '1 solitario canto
Nel mesto giorno io vegno,
E m' accompagna de V Italia il pianto
E, nube atra, lo sdegno:
436 GIAMBI ED EPODI
Nel mesto giorno che la quarta volta
Te visitò la Parca,
E sott' essa la tua funerea volta
Batte il martel su l'arca
Del giovinetto, la cui mite aurora
Empiva i clivi tuoi
Di roseo lume. Oh come sola è ora
La casa de gli eroi!
De le sue stanze pe '1 deserto strano
SMncontran due viventi:
Tristi echi rende il sepolcreto vano.
Sotto i lor passi lenti:
Avvalla il figlio de la madre iti faccia
Il viso e gli occhi muti,
Che non rivegga in lui la cara traccia
De' suoi quattro perduti.
O madre, o madre, a i di de la speranza
Dal tuo grembo fecondo
Cinque valenti uscieno: ecco, t'avanza
Oggi quest' uno al mondo.
L'alma benigna nel sereno viso
Splendea di que' gagliardi.
Come del sol di giugno il vasto riso
Sovra i laghi lombardi.
GIAMBI ED EPODI 437
Ahi, ahi! de gli stranier tutte le spade
La carne tua gustare!
Ahi, ahi ! d' Italia tutte le contrade
Del, cor tuo sanguinare! .
Qual cor fu il tuo, quando V estremo spiro,
O madre de gli eroi.
Di lui ti rinnovò tutto il martiro
Di tutti i figli tuoi !
Or su le tombe taciturne siedi,
O donna de i dolori,
E i di estremi volar sopra ti vedi
Come liberatori.
Qui cinque addur nuore dovevi a' nati,
Madre gentile e altera;
Cara speme di prole a* tuoi penati
Ed a la patria; e nera
Suoi segni stende per le avite stanze
La morte. Ma d' augùri
Rifulgon liete e suonano di danze
Le case de'Bonturi.
Corre ivi a fiotti il vino, e sangue sembra;
L'orgia a le fami insulta;
De le adultere ignude in su le membra
La libidine esulta.
438 GIAMBI ED EPODI
I barcollanti amori, in mal feconde
Scosse, d'obliqua prole
Seminan tutte queste serve sponde,
• Ed oltraggiano il sole.
E il tradimento e la vigliaccheria.
Si come cani in piazza,
Ivi s'accoppian anche: ebra la ria
Ciurma intorno gavazza.
E i viva urla a l'Italia. Maledetta
Sii tu, mia patria antica.
Su cui l'onta de l'oggi e la vendetta
De i secoli s'abbica!
La pianta di virtù qui cresce ancora,
Ma per farsene strame
I muli tuoi: qui la viola odora
Per divenir letame.
Oh, risvegliar che vai l'ira de i forti,
Di Dante padre l'ira?
Solingo vate, in su l' urne de' morti
Io vo' spezzar la lira.
Accoglietemi, udite, o de gli eroi
Esercito gentile:
Triste novella io recherò fra voi:
La nostra patria è vile.
gennaio i8jo.
GIAMBI ED EPODI 439
XIV.
PER LE NOZZE DI CESARE PARENZO
— C^uperbo! e lui non tocca
Gentil senso d' amore :
Motto di rosea bocca
A lui non scende in core.
Ei per la via de gli anni
Tutt' i soavi inganni
Gittò, gittò la soma
De le memorie pie;
E con la mente doma
Da torve fantasie,
Solitario, aggrondato,
Va pe M divin creato.
440 GIAMBI ED EPODI
Amor covava in petto
Al buon veglio di Teo:
In lui r ira e M dispetto
Albergo e nido feo,
E la Furia pon Tova,
E la Musa le cova;
E guizzan viperette
Da i sanguinosi vani,
E fischian su le vette
De' versi orridi e strani,
E lingueggiano al sole
Tra rovi di parole. —
E pur (m' udite, o voi
Che un di m'amaste) ancora
Dischiude i color suoi
E in mezzo al cor m'odora
Più soave che pria
Il fior di poesia.
E ne vo' far ghirlande
Per le fronti severe
Ove suoi raggi spande
L'onore et il dovere,
E per le fronti belle
Di pudiche donzelle.
GIAMBI ED EPODI 441
O monti, o fiumi, o prati;
O amori integri e sani;
O affetti esercitati
Fra una schiatta d'umani
Alta gentile e pura;
O natura, o natura;
Da questo reo mercato
Di falsitadi, anelo
A voi, come piagato
Augello al proprio cielo
Dal fango ond' è implicata
L' ala al sereno usata.
Dolci sonate e molli
Aleggiate, o miei versi,
Qual d' Imetto da i colli
Di roseo lume aspersi
Mormoravan giulivi
Del bel Cefiso a i rivi
Gli sciami de le attee
Api, ed allora inchino
Libava a le tre dee
Il tragico divino
Meditando i secreti
Di Colono oliveti.
442 GIAMBI ED EPODI
Dolci sonate e puri
De la candida festa
Fra i domestici augùri:
Parenzo oggi a la onesta
Tua legge affida, o amore,
Il prode ingegno e il core.
E ride la donzella
A Tamator marito,
Lei che tacita e bella
L' attese, ed a V ardito
Guerrier di nostra fede
Serbò questa mercede.
Oh dolce oblio profondo
De le lotte anelanti 1
Oh divisi dal mondo
Susurri de gli amanti.
Che Taura pia diffonde
Tra r ombre e tra le fronde,
Ma in ciel par che gV intenda
Espero amico lume
E soave risplenda
Con fraterno costume
A la fronte levata
De la fanciulla amata!
GIAMBI ED EPODI 443
Se non che dietro rugge
La marea de la vita.
E r anima che fugge
Chiama a la via smarrita:
In su l'aspro sentiero
Tornate, o sposi, e al vero.
Da i vostri amori, o prode
Gioventù di mia terra,
A la forza e a la frode
Esca perenne guerra,
Esca a V italo sole
Una robusta prole;
E il sano occhio nel giorno
Del ver fisi giocondo,
E tutto a lei dintorno
Rida libero il mondo.
Non è divino fato
Il dolore e il peccato.
A Tarmi, a Tarmi, o amore!
Tu puoi, tu sol, cotanto !
Se questa speme in core
Io porti, ancora il canto
Da T anima ferita
Gitterò ne la vita ;
444
GIAMBI ED EPODI
E SU M ginocchio, come
Il gladiator tirreno,
Poggiato, io, fra le chiome
E nel riarso seno
La frese' aura sentendo,
Morirò combattendo.
4 giugno i8^o
^g
.^RIPRESA '^ \j^-^<'^ ..!.....
XV. ^«►to fc£fV..*-'V'-li--^
AVANTI! AVANTI!
I.
J\vi
avanti, avanti, o sauro destrier de la canzone !
U aspra tua chioma porgimi, eh' io salti anche in
arcione.
Indomito destrier.
A noi la polve e 1' ansia del corso, e i rotti vènti,
E il lampo de le selici percosse, e de i torrenti
L'urlo solingo e fier.
I bei ginnetti italici han pettinati crini,
Le constellate e morbide aiuole de' giardini ')
Sono il lor dolce agon: •' ■
Ivi essi caracollano in faccia a ì loro amorì,
La giuba a tempo fluttua vaga tra i nastri e i fiorì
De le fanfare al suon;
446 GIAMBI ED EPODI
E, se lungi la polvere scorgon del nostro corso,
n picciol collo inarcano e masticando il morso
Par che rignino — Ohibò —
Ma r alfana che strascica su V orlo de la via
Sotto gualdrappe e cingoli la lunga anatomia
D' un corpo che invecchiò,
Ripensando gli scalpiti de* corteggi e le stalle
De'tepid'ozi e T adipe de la pasciuta valle,
* Guarda con muto orror.
E noi corriamo a' torridi soli, a* cieli stellati,
Per note plaghe e incognite, quai cavalier fatati.
Dietro un velato amor.
Avanti, avanti, o sauro destrier, mio forte amico!
Non vedi tu le parie forme del tempo antico
Accennarne colà?
Non vedi tu d'Angelica ridente, o amico, il velo
Solcar come una candida nube l'estremo cielo?
Oh gloria, oh libertà!
IL
Ahi, da' primi anni, o gloria, nascosi del miocuore
Ne' superbi silenzi il tuo superbo amore.
Le fronti alte del lauro nel pensoso splendor
Mi sfolgorar da' gelidi marmi nel petto un raggio.
Ed obliai le vergini danzanti al sol di maggio
E i lampi de' bianchi omeri sotto le chiome d'or.
GIAMBI ED EPODI 447
E tutto ciò che facile allor prometton gli anni
Io '1 diedi per un impeto lacrimoso d* affanni,
Per un amplesso aereo in faccia a l'avvenir.
O immane statua bronzea su dirupato monte,
Solo i grandi f aggiungono, per declinar la fronte
Fredda su '1 tuo fredd* omero e lassi ivi morir.
A più frequente palpito di umani odii e d' amori
Meglio il petto m' accesero ne' lor severi ardori
Ultime dee superstiti giustizia e libertà:
E uscir rrpdgfìmi itilirn yate a la nuova etade.
Le cui strofe al ciel vibrano come rugghianti spade,
E il canto, ala d' incendio, divora i boschi e va.
Ahi, lieve i duri muscoli sfiora la rima alata!
Co '1 tuon de V arma ferrea nel destro pugno arcata,
Gentil leopardo, lanciasi Camillo Demulèn,
E cade la Bastiglia. Solo Danton dislaccia,
Per rivelarti a' popoli, con le taurine braccia,
O repubblica vergine, V amazonio tuo sen.
A noi le pugne inutili. Tu cadevi, o Mameli,
Con la pupilla cerula fisa a gli aperti cieli.
Tra un inno e una battaglia cadevi; e come un fior
Ti rideva da l'anima la fede, allor che il bello
E biondo capo languido chinavi, e te, fratello,
Copria l'ombra siderea di Roma e i tre color;
448 GIAMBI ED EPODI
Ed al fuggir de l' anima su la pallida faccia
Protendea la repubblica santa le aperte braccia
Dritta in fra i romulei colli e l'occiduo sol.
Ma io d' intorno premere veggo schiavi e tiranni,
Ma io su'l capo stridere m' odo fuggenti gli anni:
— Che mai canta, susurrano, costui torbido e sol?
Ei canta e culla i queruli mostri de la sua mente
E quel che vive e s'agita nel mondo egli non sente—.
O popolo d'Italia, vita del mio pensier,
O popolo d'Italia, vecchio titano ignavo,
Vile io ti dissi in faccia, tu mi gridasti: Bravo;
E de' miei versi funebri t' incoroni il bicchier.
III.
Avanti, avanti, o indomito destrier de gl'inni alato!
Obliar vo' nel rapido corso l' inerte fato,
I gravi e oscuri di.
Ricordi tu, bel sauro, quando al tuo primo salto
I falchi salutarono augurando ne l'alto
E il bufolo muggì?
Ricordi tu le vedove piagge del mar toscano,
Ove china su '1 nubilo inseminato piano
La torre feudal
Con lunga ombra di tedio da i colli arsicci e foschi
Veglia da le rasenie cittadi in mezzo a' boschi
II sonno sepolcral,
GIAMBI ED EPODI 449
Mentre tormenta languido sirocco gli assetati
Caprifichi che ondeggiano sui gran massi quadrati
Verdi tra il òielo e il mar,
Su i gran massi cui vigile il mercator tirreno
Saliva, le fenicie rosse vele nel seno
Azzurro ad aspettar?
Ricordi Populonia, e Roselle, e la fiera
Torre di Donoratico a la cui porta nera
Conte Ugolin bussò
Con lo scudo e con l'aquile a la Meloria infrante
Il grand* elmo togliendosi da la fronte che Dante
Ne r inferno ammirò ?
Or (dolce a la memoria) una quercia su '1 ponte
Levatoio verdeggia e bisbiglia, e del conte
Novella il cacciator
Quando al purpureo vespero su la bertesca infida
I falchetti famelici empiono il ciel di strida
E il can guarda al clamor.
Là tu crescesti, o sacro destrier de gV inni, meco;
E la pietra pelasgica ed il tirreno speco
Foro il mio solo aitar;
E con me nel silenzio merid'fan fulgente
I lucumoni e gli àuguri de la mia prima gente
Veniano a conversar.
Carducci. 29
460 GIAMBI ED EPODI
E tu pascevi, o alivolo corridore, la biada
Che ne' solchi de i secoli aperti con la spada
Dal console roman
Dante, etrusco pontefice redivivo, gettava;
Onde al cielo il tuo florido terzo maggio esultava,
Comune itallan.
Tra le germane faide e i salmi nazareni
Esultava nel libero lavoro e ne i sereni
Canti de' mietitor.
Chi di quell'orzo pascesi, o nobile corsiero.
Ha forti nervi e muscoli, ha gentile ed intero
Nel sano petto il cor.
Dammi or dunque, apollinea fiera, l'alato dorso:
Ecco, tutte le redini io ti libero al corso:
Corriam, fiera gentil.
Corriam de gli avversarli sovra le teste e i petti,
De' mostri il sangue imporpori ituoi ferrei garetti;
E a noi rida l'aprii,
L'aprii de' colli italici vaghi di messi e fiori,
L' aprii santo de l' anima piena di nuovi amori,
L'aprile del pensier.
Voliam, sin che la folgore di Giove tra la rotta
Nube ci arda e purifichi, o che il torrente inghiotta
Cavallo e cavalier.
GIAMBI ED EPODI 451
O eh* io discenda placido dal tuo stellante arcione,
Con r ocòhio ancora gravido di luce e vis'fone,
Su *1 toscano mio suol,
Ed al fraterno tuniolo posi da la fatica,
Gustando tu il trifoglio da una beli* urna antica
Verso il morente sol.
ottobre 18^2.
LIBRO II
XVI.
A CERTI CENSORI
No,
, le luci non ha dì Maddalena
Molli e del pianger vaghe;
No, balsami non ha la mia Camena
Per le fetenti piaghe.
Né Cristi siete voi; per ogni fòro
L'anima vostra impura
Fornicò; se v' ha conci il reo lavoro,
Ci pensi la questura.
Ma Fulvia, in quel che la persona bella
Rileva su 'I divano
Ravviando al crin fulgido le anella
Con la tremante mano
454 GIAMBI ED EPODI
E le pieghe a la vesta, tutta in viso
Vermiglia e di piacere
Spumante, con un guardo e con un riso
Ove tutta Citere
Lampeggia e a cui Laide erudita avria
Aggiudicato il mirto,
— Odio — dice — la triste poesia
Che rinnega lo spirto — -.
E il buffon Mena, ch'empie d'inodora
Corruzfon la pancia
E via co '1 guanto profumato sfiora
Gli schiaffi de la guancia.
Dice — A me giova tra un bicchier di Broglio
E r altro metter 1' ale.
10 mi sento meschino, e a cena voglio
Del soprannaturale
E de i tartufi.... Via, dopo l'arrosto
Fa bene un po' d' azzurro ;
Apri, poeta: il cielo, il cielo, a costo
Di pigliare un cimurro!
Nel cospetto del ciel 1' ebrezza casca
Del senso riscaldato.
11 canto è fede —. E s' accarezza in tasca
Il soldo ruffianato.
GIAMBI ED EPODI 45&
Ecco Pomponio, a le cui false cbieme
E al giallo adipe arguto,
Dolce Pimplea, tu splendi in vista come
Un grosso arigel paffuto
Che ne le chiese del Gesù stuccate
Su le nubi s' adagia.
Su le nubi dorate e inargentate
Che paion di bambagia.
— Amore, amore! — ei sbuffa — il mondo nuota
Tutto nel latt'e miele:
Le rane come me lasciar la mota
E le vipere il fiele.
Vero; un asino crepa a quando a quando
Di martirio o di fame:
Ma il listino a la borsa va montando
E a Pegaso lo strame.
Ho de' valori pubblici, un' amante
Paòlotta e un giornale
Del centro che mi paragona a Dante:
Io canto r ideale.
Seguo l'arte che l'ali erge e dilata
A più sublimi sfere:
Lungi le Muse de la barricata,
Le Grazie petroliere ! —
466 GIAMBI ED EPODI
%
/
Cosf le belle e i vati e i savi in coro
Mi vietano con gesto
Di drammatico orrore il sacro alloro....
Deh via, chi ve 1' ha chiesto ?
Quand' io salgo de' secoli su '1 monte
Triste in sembianti e solo
Levan le strofe intorno a la mia fronte,
Siccome falchi, il volo.
Ed ogni strofe ha un'anima; ed a valle
Precipita e rimbomba,
Come fuga d' indomite cavalle,
Con la spada e la tromba;
E con la spada alta volando prostra
I mostri ed i giganti,
E con la tromba a la suprema giostra
Chiama i guerrier festanti.
Al passar de le aeree fanciulle
Fremon per tutti i campi
L' ossa de' morti, e i tumoli a le culle
Mandan saluti e lampi.
E il giovinetto pallido, a cui cade
Su gli occhi umido un velo,
Sogna la morte per la libertade
In faccia al patrio cielo.
"s
GIAMBI ED EPODI 457
Avanti, avanti, o messaggere armate
Di fetìe e di valore I
Su r ali vostre a più felice etate
Lancio il mio vivo cuore.
A voi la mta mia : me ignota fossa
Accolga innanzi gli anni:
Pugnate voi contro ogni iniqua possa.
Contro tutti i tiranni !
ig decembre i8^i.
468 GIAMBI ED EPODI
XVII.
PER IL LXXVII ANNIVERSARIO
DALLA PROCLAMAZIONE DELLA REPUBBLICA FRANCESE
s.
^ol di settembre, tu nel cielo stai
Come r uom che i migliori anni fini
E guarda triste innanzi : i dolci rai
Tu stendi verso i nubilosi di.
Mesto e sereno, limpido e profondo,
Per r ampia terra il tuo sorriso va :
Tu maturi su i colli il vino, e al mondo
Riporti i fasti de la libertà.
Mescete, o amici, il vino. Il vin fremente
Scuota da i molli nervi ogni torpor.
Purghi le nubi de V afflitta mente,
Affoghi il tedio accidioso in cor.
GIAMBI ED EPODI 459
Vino e ferro vogl'io, come a' begli anni
Alceo chiedea nel cantico immortai:
Il ferro per uccidere i tiranni,
Il vin per festeggiarne il funeral.
Ma il ferro e il bronzo è de' tiranni in mano;
E Kant aguzza con la sua Ragion
Pura il fredd' ago del fucil prussiano,
Kòrner strascica il bavaro cannon.
Cavalca intorno a Tavel tuo, Volterò,
Il diletto di Dio Guglielmo re.
Che porta sopra Telmo il sacro impero.
Sotto l'usbergo la crociata fé',
E ne la man che in pace tra il sacrato
Calice ed il boccal pia tentennò
Porta Tacciar che feudal soldato
Ne le stragi badesi addottrinò,
E crolla eretta al ciel la bianca testa....
O repubblica antica, ov' è il tuo tuon ?
Il cavallo del re, senti, ti pesta,
E dormi ne la tua polve, o Danton ?
Mescete vino e oblio. La morta gente,
O epigoni, fra noi non torna più!
Il turbin ne la voce e nel possente
Braccio egli avea la muscolar virtù
46Q eiAMBI ED EPODI
Del popol tutto. Oh, il di più non ritorna
Ch' ei tauro immane le strambe spezzò^
E mugghiò ne l'arena, e su le corna
I regi i preti e gli stranier portò!
Mescete vino, amici. E sprizzò allora
Da i cavi di Marat occhi un balen
Di riso; ei sollevò da l'antro fuora
La terribile fronte al di seren.
Matura ei custodia nel sen profondo
L'onta di venti secoli e il terror:
Quanto di più feroce e di più immondo
Patir le plebi a lui stagnava in cor.
Le stragi sotto il sol disseminate,
I martir d'ogni sesso e d'ogni età,
I corpi infranti e l' alme violate
E le stalle del conte d' Artoà,
Tutto ei sentia presente ; il sanguinoso
Occhio rotava in quel vivente orror,
E chiedea con funebre urlo angoscioso
Mille vendette ed un vendicator.
De l'odio e del dolor resperimento
II cor gli ottuse e il senso gli acuì :
Ei fìutò come un cane il tradimento,
E come tigre ferita ruggì.
GIAMBI ED EPODI 461
Ma quel che su da V avvenir salfa
D' orror fremito udì Massimilian,
E, come falciator per la sua via,
L'occhio ebbe al cielo ed al lavor la man.
De' solchi pareggiati in su '1 confino
Il turbine vi attende, o mietitor:
O mietitori foschi del destino.
Non fornirete voi l'atro lavor.
Maledetto sia tu per ogni etade,
O del reo termidor decimo sol !
Tu sanguigno ti affacci, e fredda cade
La bionda testa di Saint-Just al suol.
Maledetto sia tu da quante sparte
Famiglie umane ancor piegansi a i re I
Tu suscitasti in Francia il Bonaparte,
Tu spegnesti ne i cor virtude e fé*.
21 settembre iSyo.
482 GIAMBI ED EPODI
XVIII.
PER VINCENZO CALDESI
OTTO MESI DOPO LA SUA MORTE
D,
'ormi, avvolto nel tuo mantel di gloria
Dormi, Vincenzio mio:
De' subdoli e de' fiacchi oggi è l'istoria
E de i forti r oblio.
Deh non conturbi te questo ronzare
Di menzogne e di vanti I
No, s'anco le tue zolle attraversare
Potessero i miei canti
E su '1 disfatto cuor sonarti come
La favolosa tromba,
No, gridar non vorrei di Roma il nome
Su la tua sacra tomba.
GIAMBI ED EPODI 463
Pur, se chino su'l tumolo romito
10 con gentile orgoglio
Dir potessi — Vincenzio, risalito
Abbiamo il Campidoglio, —
Tu scuoteresti via da le fredde ossa
11 torpor che vi stagna,
Tu salteresti su da la tua fossa,
O leon di Romagna,
Per rivederla ancor, Roma, a cui '1 verbo
Di libertà gittasti.
Per difenderla ancor, Roma, a cui '1 nerbo
De la vita sacrasti.
Dormi, povero morto. Ancor la soma
Ci grava del peccato:
Impronta Italia domandava Roma,
Bisanzio essi le han dato.
marzo iS^ji,
464 . CnAMBI ED EPODI
XIX.
FESTE ED oblìi
u,
rlate, saltate, menate gazzarra.
Rompete la sbarra — del muto dover;
Da ville e da borghi, da valli e pendici,
Plaudite a i felici — di oggi e di ìer.
Su, vergini e spose, bramose, baccanti,
Spogliate r Italia di lauri e di fior,
Coprite di serti, di sguardi fiammanti
Le glorie in parata de i nostri signor.
Deh come cavalca su gli omeri fieri
De' baldi lancieri — la vostra virtù!
O sole di luglio, tra i marmi latini
A gli aurei spallini — lusinghi anche tu.
GIAMBI ED EPODI 465
E mobili flutti di fanti e cavalli
Risuonan pe '1 clivo su '1 fòro latin,
E il canto superbo di trombe e timballi
Insulta i silenzi «del sacro Aventin.
Ahi sola de' vóti d'un di la severa
Mia musa, o Caprera, — riparla con te,
E, sola e sdegnosa, de V oigìa romana.
Deserta Mentana, — ti chiede mercé.
Là il vino^ la luce, la nota che freme.
Ne i nervi, nel sangue risveglian Tardor:
Qui trema a la luna con Taura che geme
Lo stelo riarso d' un povero fior.
E altrove la luna del raggio suo puro
Illumina il giuro — rianima il si.
Che mormora a un altro languente vezzosa
La vedova sposa — del morto eh' è qui,
O empie insolente la camera mesta
Svegliando a le cure del dubbio diman
La madre che in questo bel giorno di festa
In vano pe' trivi chiedeva del pan.
2 luglio l8^I.
Carducci. 30
466 GIAMBI ED EPODI
XX.
IO TRIUMPHE !
D,
ice Furio — Facciam largo a i Camilli
Che vengon dopo un anno.
Io de le trombe galliche a gli squilli
Ritomo, ei fuggiranno. —
E Mario — Spegner V oste entro i confini
Patrii è barbara cosa.
Trionfo a i nuovi imperador latini,
A i vinti di Gustosa! —
E Duilio — Tre zattere di legno
Ed il valor romano
Bastava. Or fuggo: ci vuol troppo ingegno
A essere Persano. —
GIAMBI ED EPODI 467
E Virginio — Che far? Non ho figliuole
Altre da dare a gli Appi.
Questo mio ferro vecchio or niun lo vuole
Né men per cavatappi. —
E Tullio — L* orazion mia per costoro
È troppo larga o stretta.
Lasciamo a Stanislao Pasquale il fòro,
E il senato al Pancetta. —
E Tacito — O mie storie ispide e tese,
O mio duro latino.
Cediamo il posto a 1' orvietan marchese
Al Bianchi e a Pasqualino. —
E Bruto — Via da questa plebe stolta!
Mi faria com' a un cane
Ne' suoi circensi. Almeno ella una volta
Voleva ancora il pane! —
E Marc' Aurelio — Con questo po' d' oro
Che avanza, io non son gonzo.
Fuggiam, fuggiam, non aspettiam costoro,
O mio cavai di bronzo. —
Cosi gli spirti magni entro il latino
Ciel, di lor fuga mesto.
Trionfa la Suburra, urla Pasquino
— Viva l'Italia! io resto. —
luglio iS"]!.
468 GIAMBI ED EPODI
XXI.
VERSAGLIA
[nel lxxix ahniversario della repubblica francese]
F
u tempo, ed in Versaglia un proclamava:
— Mio quanto cresce in terra e guizza in mar
E in aèr vola. — E il prete seguitava:
— Popolo, dice Dio: Tu non rubar. —
E i boschi verdi, e le argentine linfe
Ridenti in lago o trepide tra i fior,
E il tuo marmoreo popolo di ninfe.
Ed i palagi sfolgoranti d' òr,
Versaglia, sepper quanto in servitude
Quanto d' infame in signoria si può.
— Vo' il tuo campo e la donna e la virtude
Tua — disse un uomo, e niun rispose: No.
ì
I
\
GIAMBI ED EPODI 469
Veniano i giovinetti e le donzelle .
A inginocchiarsi con V infamia in man,
E del suo bruto sangue un volgo imbelle
Murò il parco de* cervi al re Cristian.
Quand' ei dormia, poggiato a un bianco seno
Co '1 pugno a V elsa e in su le teste il pie,
Tutta la Francia da V Oceano al Reno
Era superba di vegliare il re.
Versaglia, e allor che da un macchiato letto
Ei procedeva a un addobbato aitar
Tu d' orgoglio fremevi, e di rispetto
Vedevi Europa innanzi a lui tremar.
Ei la gloria e il valore, egli le scuole
E r armi, ei V arte ed ei la verità.
Egli era tutto in tutti; egli era il sole
Che il mondo illustra, e non s' accorge e sta.
Se Dio lui sostenesse o s' ei sostenne
Dio, non fermaro i suoi sacri orator:
Lo sanno i vostri morti, o pie Cevenne,
Che non credevano al suo confessor.
II re dal suo lascivo Occhio di bue
Guardava il mondo, piccolo al suo pie;
E Dio, mezzan de le nequizie sue,
Benedicea da V aureo domo il re.
47Ò GIAMBI ED EPODI
Benedicea le violette ascose
Nel velo virginal de la Vallier,
Benedicea le maritali rose
Nel petto de la Montespan altier,
Benedicea d'Engaddi i freschi gigli
Vedovi in seno de la Maintenon :
E d' un sorriso il re facea vermigli
I neri panni del fedele Aron.
L'ere da le sottane e da i capelli
La corte e la cittade allor segnò;
II popol, da le fami e da i flagelli;
Poi da la morte, quando si rizzò.
E il giorno venne: e ignoti, in un desio
Di veritade, con opposta fé',
Decapitaro, Emmanuel Kant, Iddio,
Massimiliano Robespierre, il re.
Oggi i due morti sovra il monumento
Co '1 teschio in mano chiamano pietà,
Pregando, in nome V un del sentimento.
L'altro nel nome de T autorità.
E Versaglia a le due carogne infiora
L'ara ed il soglio de gli antichi di....
Oh date pietre a sotterrarli ancora.
Nere macerie de le Tuglieri.
21 seti, i8yi.
GIAMBI ED EPODI 471
XXII.
CANTO DELL' ITALIA
CHE VA IN CAMPIDOGLIO
-Zjitte, zitte! Che è questo frastuono
Al lume de la luna?
Oche del Campidoglio, zitte! Io sono
L' Italia grande e una.
Vengo di notte perché il dottor Lanza
Teme i colpi di sole:
Ei vuol tener la debita osservanza
In certi passi, e vuole
Che non si sbracci in Roma da signore
Oltre certi cancelli :
Deh, non fate, oche mie, tanto rumore.
Che non senta Antonelli.
472 GIAMBI ED EPODI
Fate più chiasso voi, che i fondatori
De la prosa borghese,
Paulo il forte ed Edmondo da i languori
Il capitan cortese.
QaUj qua^ qua. Che volete voi? Chiamate
Il frate! Bertoldino
0 Bernardino? Ei cova, ei ponza, il vate,
Lo stil nuovo latino.
S' eir è per Brenno, o paperi, sprecata
È omai la guardia. Brava
Io fui tanto e sottil, che sono entrata
Quand'egli se ne andava.
Si, si, portava il sacco a gli zuavi
E battevo le mani
Ieri a'Turcòs: oggi i miei bimbi gravi
Si vestono da ulani.
Al cappellino^ o a Telmo, in ginocchione
Sempre: ma lesta e scaltra
Scoto la polve di un' adorazione
Per cominciarne un'altra.
Cosi da piede a pie figlia di Roma
1 miei baci io trascino,
E giù nel fango la turrita chioma
Con l'astro annesso inchino
GIAMBI ED EPODI 473
Per raccattar quel che sventura o noia
Altrui mi lascia andare.
Cosi la eredità vecchia di Troia
Potei raccapezzare.
A frusto a frusto, via tra una pedata
E r altra, su bel bello :
Il sangue non è acqua; e m* ha educata
Nicolò Machiavello.
Ora, se date il passo a la gran madre,
Oche, io vo in Campidoglio.
Cittadino roman vo'fare il padre
Cristoforo; e mi voglio
Cingere i lombi di valore, e forte
In rassegnazione,
Oche, io voglio soffrir sino a la morte
Per la mia salvazione.
Voglio soffrire i Taicón e i Lami,
E il talamo e la culla
Aurea de' muli, e le contate fami,
E i motti del Fanfulla.
Vo' alloggiar co '1 possibile decoro
La gloria del Cialdini,
Cantar l' idillio de 1' età de 1' oro
Di Saturno Bombrini;
474 GIAMBI ED EPODI
E vo^ 1' umiltà mìa gualdrappare
Di stil manzoniano,
E recitar V uffizio militare
D'Edmondo il capitano
Per non cader in tentazion. La' prosa
Di Paulo Fambrì, il grosso
Voltèr de le lagune, ^ spiritosa
Troppo per il mio dosso:
Gli analfabeti miei, che la lettura
Di poco han superato,
Preferìscon d'assai la dicitura
Più svelta del cognato.
E cosi d'anno in anno, e di ministro
(n ministro, io mi scarco
Del centro destro su '1 centro sinistro,
E '1 mio lunario sbarco:
Fin che il Sella un bel giorno, al fin del mese,
Dato un calcio a la cassa.
Venda a un lord archeologo inglese
L'augusta mia carcassa.
12 nov. iSyi.
GIAMBI ED EPODI 475
XXIII. y
GIUSEPPE MAZZINI
Q,
,ual da gli aridi scogli erma su '1 mare
Genova sta, marmoreo gigante,
Tal, surto in bassi di, su *1 fluttuante
Secolo, ei grande, austero, immoto appare.
Da quelli scogli, onde Colombo infante
Nuovi pe M mar vedea monti spuntare,
Egli vide nel ciel crepuscolare
Co '1 cuor di Gracco ed il pensier di Dante
La terza Italia; e con le luci fise
A lei trasse per mezzo un cimitero,
E un popol morto dietro a lui si mise.
Esule antico, al ciel mite e severo
Leva ora il volto che giammai non rise,
— Tu sol — pensando — o idéal, sei vero.
II febbraio 1872.
476 GIAMBI ED EPODI
XXIV.
ALLA MORTE DI GIUSEPPE MAZZINI
Q.
'uando — Egli è morto — dissero,
Io, che qui sola eterna
Credo la morte, un fremito
Correr sentii l' interna
Vita ed al cuor assiderarmi un gel.
Immortai lui credeva. E gli occhi torbidi
Volsi, chiedendo e dubitando, al ciel.
Ei che d'Italia a l'anime
Fu quel eh' a i corpi il sole,
Del quale udiva io parvolo
Mirabili parole
Sì come d' un fatidico
Spirito tra il passato e l'avvenir,
Egli il cui nome appresermi
Con quel d'Italia, ei non potea morir.
GIAMBI ED EPODI 477
Guardai. D'Italia stavano
Le ville i templi i fòri^
Da le sue torri a Paure
Splendeano i tre colori,
Fremeano i fiumi i popoli
Ed i pensier con onda alterna, il sol
Rideva a V alpi al doppio mare a V isole
Come pur ieri.... Ed era morto ei sol.
Passato era de i secoli
Nel di trasfigurante.
A i mondi onde riguardano
Camillo e Gracco e Dante,
Grandi ombre con immobili
Occhi di stelle a le fluenti età,
E riposa Cristoforo
Colombo e Galileo contempla e sta.
marso i8'j2.
478 GIAMBI ED EPODI
XXV.
A UN HEINIANO D' ITALIA
v^uando a i piaceri in mezzo od a i tormenti
Arrigo Heine crollava
La bionda chioma ed a i tedeschi venti
Le sue strofe gittava,
E le furie e le grazie de la prosa
Folli feroci e schiette
Hi liberava da la man nervosa
Qual gruppo di saette,
L'ombra del suo pensiero, ombra di morte,
Da i suon balzava fuora,
E con la scure in man battea le porte
Gridando — È Torà, è Torà!
GIAMBI ED EPODI 479
Dal viso del poeta atroce e bello
Pendea, ridendo, il dio
Thor, e chiedea, brandendo il gran martello,
— Ch'io picchi, o figliuol mio? —
Sotto il vento de' cantici immortali
Piegavano croscianti
Le selve de le vecchie cattedrali
Con le lor guglie e i santi:
Rintoccava, da i culmini ondeggiando,
A morto ogni campana,
E Carlo magno s'avvolgea tremando
Nel lenzuol d'Aquisgrana.
Quando toccate, o tisicuzzo, voi
Il chitarrin cortese,
Mugghian d'assenso tutti i serbatoi
Del mio dolce paese.
Le canzonette, assettatuzze e matte,
Ed isgrammaticate
Borghesemente, fan cagliare il latte
E tremar le giuncate.
Deh, come erra fantastico il belato
Vostro via per 1' acerba
Primavera ! O montone, al prato, al prato !
O agnello, a 1' erba, a V erba !
480 GD^MBI ED EPODI
Il garofolo giallo e la vlfola
Vi sorridon gì' inviti :
Ah ghiottoncello, a voi fanno più gola
I cavoli fioriti?
Brucate, ruminate, meriggiate
E belate a i pastori;
E, se potete, i bei cornetti armate
Pe' i lasci vetti amori.
Con due scambietti poi l'ebete g^ifo
Ponete, oh voi beato!,
Su le ginocchia a Cloe, se non ha schifo
Del puzzo di castrato.
giugno i8'j2.
GIAMBI ED EPODI 481
XXVI. >
PER IL QUINTO ANNIVERSARIO
DELLA BATTAGLIA DI MENTANA
O^
gni anno, allor che lugubre
L'ora de la sconfitta
Di Mentana su' memori
Colli volando va,
I colli e i pian trasalgono
E fieramente dritta
Su i nomentani tumuli
La morta schiera sta.
Non son nefandi scheletri;
Sono alte forme e belle,
Cui roseo dal crepuscolo
Ondeggia intorno un vel:
Per le ferite ridono
Pie le virginee stelle,
Lievi a le chiome avvolgonsi
Le nuvole del ciel.
RDUCCI. ^ 31
482 GIAMBI ED EPODI
— Or che le madri gemono
Sovra gì' insonni letti,
Or che le spose sognano
Il nostro spento amor,
Noi rileviam dal Tartaro
I bianchi infranti petti.
Per salutarti, o Italia,
Per rivederti ancor.
Qual ne l'incerto tramite
Gittava il cavaliero
Il verde manto serico
De la sua donna al pie.
Per te gittammo l'anima
Ridenti al fato nero;
E tu pur vivi immemore
Di chi moria per te.
Ad altri, o dolce Italia,
Doni i sorrisi tuoi;
Ma i morti non obliano
Ciò che più in vita amar;
Ma Roma è nostra; i vindici
Del nome suo siam noi:
Voliam su '1 Campidoglio,
Voliamo a trfonfar. —
!«•'
GIAMBI ED EPODI 483
Va come fosca nuvola
La morta compagnia,
E al suo passare un fremito
GV itali petti assai ;
Ne le auree veglie tacciono
La luce e 1* armonia,
È sordo il tuon rimormora
Su l'alto Quirinal.
Ma i cavalier d' industria.
Che a la città di Gracco
Trasser le pance nitide
E r inclita viltà,
Dicon -— Se il tempo brontola,
Finiam d'empire il sacco;
Poi venga anche il diluvio;
Sarà quel che sarà. —
4 nov. i8'j2.
484 GUMBI ED EPODI
XXVII.
A MESSER GANTE GABRIELLI DA GUBBIO
PODESTÀ DI FIRENZE NEL MCCCI
M,
olto mi meraviglio, o messer Gante,
Podestà venerando e cavaliero,
Non v' abbia Italia ancor piantato intiero
In marmo di Carrara e dritto stante
Sur una piazza, ove al bel ceffo austero
Vostro passeggi il popolo davante,
0 primo, o solo ispirator di Dante,
Quando ladro il dannaste e barattiero.
1 ceppi per a lui la man tagliare
Voi tenevate presti; ei ne T inferno
Scampò, gloria e vendetta a ricercare.
Spongon or birri e frati il suo quaderno,
E quel povero veltro ha un bel da fare
A cacciar per la chiesa e pe '1 governo.
maggio j8*J4. • •^'' ^^*'''** .
GIAMBI ED EPODI ' 485
XXVIII.
LA SACRA DI ENRICO QUINTO
V«6uando cadono le foglie, quando emigrano gli
augelli
E fiorite a' cimiteri con le pietre de gli avelli,
Monta in sella Enrico quinto il delfin da' capei
grigi,
E cavalca a grande onore per la sacra di Parigi.
Van con lui tuttM fedeli, van gli abbati ed i baroni :
Quanta festa di colori, di cimieri e di pennoni !
Monta Enrico un cavai bianco, presso ha il bianco
suo stendardo
Che copri morenti in campo San Luigi e il prò*
Bai ardo.
486 GIAMBI ED EPODI
Viva il rei Ma il ciel di Francia non conosce il
sacro segno;
E la seta vergognosa si restringe intorno al legno.
Più che mai su gli aurei gigli bigio il cielo e
freddo appare:
Con la pace de gli scheltri stanno gli alberi a
guardare ;
E gli augelli, senza canto, senza rombo, tristi e
neri,
Suizzan come frecce stanche tra i pennoni ed i
cimieri.
/iva il re ! Ma i lieti canti ne le trombe e ne le
gole
arrochiscono, ed aggelano su le bócche le parole.
/
arrochiscono; ed un rantolo faticoso d'agonia
^ar che salga su da' petti de l'allegra compagnia.
Hresce l'ombra de le nubi, si distende su la terra,
Ed un' umida tenèbra quel corteggio avvolge e
serra.
Dan di sprone i cavalieri, i cavalli sp ri ngan salti:
>otto r ugne percotenti suon non rendono i iMi-
saJtL
GIAMBI ED EPODI 487
Manca V aria; e, come attratti i cavalli e le persone
Ne la plumbea d' un sogno infinita regione,
Arrembando ed arrancando per gli spazi sordi
e bigi
•
Marcian con le immote insegne per entrare a
San Dionigi.
Viva il re! Giù da i profondi sotterranei de la
chiesa
Questa voce di saluto come un brontolo fu intesa :
E da r ossa che in quei campi la repubblica di-
sperse
Una nube di fumacchi si formava, e fuori emerse
Uno stuolo di fantasmi : donne, pargoli, vegliardi.
Conti, vescovi, marchesi, duchi, monache, ba-
stardi;
Tutti principi del sangue: tronchi, mózzi, cin-
cischiati,
In zendadi a fiordiligi stranamente avvoltolati.
Entro i teschi aguzzi e mondi che parean d'avo-
rio fino
Luccicavano le occhiaie d' un sottil fuoco azzur-
rino.
4S8 <xIAMBI ED EPODI
Qual brandiva, salutando, un cappel bianco piu-
mato
Con un gracil moncherino clie solo eragli avan-
zato;
Qual con una tibia sola disegnava un minuetto;
Qual con: mezza una mascella digrignava un sor-
risetto.
Tutt' a un tratto quel movente di maligni ossami
stuolo
Scricchiolando e sgretolando si levò per V aria
a volo;
Ed intorno a rorifiamma dispiegante i gigli gialli
Sgambettando e cianchettando intessea carole
e balli,
Ed intorno a Torifiamma sventolante i gigli d'oro
Sibilando e bofonchiando intonava questo coro.
— Ben ne venga il delfin grigio nel reame ove
a' Borboni
Né pur morte guarentisce fide o pie le sue ma-
gioni.
Passerem dal Ponte Nuovo. Venga a sciór la sua
promessa |(
Co '1 re grande che Parigi guadagnò per una
messa,
GIAMBI ED EPODI 489
/>
E nel marmo anche par senta co* mustacchi in-
tirizziti
Caldo il colpo e freddo il ghiaccio del pugnai
de* gesuiti.
Marceremo a Nostra Donna. Mitrlfati e porporati
Tre arcivescovi i lor sonni per accoglierne han
lasciati.
t
Su l'entrata sta solenne con l'asperges d'oro
in pugno
Quel che tinse del suo sangue gli arsì làstrici
di giugno.
In disparte ginocchioni veglia a dire le scerete
Quel che spento fu in sacrato per le mani d'un
suo prete.
Benedice la corona del figliuol di San Luigi
Quel che giacque sotto il piombo del comune di
Parigi.
Tristi cose. Al men tuo padre (son cortesi i gia-
cobini)
Nel palchetto d'un teatro mori al suon de' violini.
Copri r onda de l' orchestra la real confessione,
Sali Cristo in sacramento tra le meschere al ve-
glionev
490 GIAMBI ED EPODI
Farem gala a quel teatro noi borbonica tregenda:
Da quel palco (Iddio ti salvi!) move, o re. la
tua leggenda. —
Cosi strilla sghignazzando via pe '1 grigio aere
la scorta.
Ma cavalca il quinto Enrico dritto e fermo in
vèr* la porta.
Su la porta di Parigi co '1 bacile d' oro in mano
A r omaggio de le chiavi sta parato un castellano.
Ei non guarda, non fa cenno di saluto, non pro-
cede:
Un' antica è fatai noia su le grosse membra siede.
Erto il capo e '1 guardo teso, ma V orgoglio non
vi raggia:
Una tenue per il collo striscia rossa gli viaggia.
Non pare ordine o collare che il re doni al suo
fedele :
Non è quel di San Luigi, non è quel di San
Michele.
Al passar d* Enrico, ei move a test' alta e regal-
mente;
Fende in mezzo il gran corteggio: ciascun vede
e niun lo sente.
GIAMBI ED EPODI 491
È a la staffa già d'Enrico; ma non piega ad
atto umile,
E tien dritto e fermo il collo mentre leva su il
bacile.
— Ben ne venga mio nipote, V ultim* uom de la
famiglia!
Queste chiavi eh' io ti porgo fùr catene a la Ba-
stiglia.
Tali al Tempio io le temprava — . Con V offerta
fa r inchino
Ed il capo de l'offrente rotolava nel bacino;
Ed il capo di Luigi con V immobile occhio estinto
Boccheggfante nel bacino riguardava Enrico
quinto.
ott. 1874.
iVZ GIAMBI ED EPODI
XXIX.
A PROPOSITO DEL PROCESSO PADDA
I.
D
a i gradi alti del circo ammantellati
Di porpora, esse ritte
Ne i lunghi bissi, gli occhi dilatati,
Le pupille in giù fitte,
Abbassavano il pollice nervoso
De la mano gentile.
Ardea tra bianche nuvole estuoso
Il sol primaverile
Su le superbe, e ne la nera chioma
Mettea lampeggiamenti.
Fremea la lupa nutrice di Roma
Ne i lor piccoli denti,
GIAMBI ED EPODI 403
1
Bianchi, affilati, tra le labbra rosse
Contratte in fiero ghigno.
Un selvatico odor su da le fosse
Vaporava maligno.
Era il sangue del mondo che fervea
Con lievito mortale,
Su cui provava già Nemesi dea
AI voi prossimo Tale.
E le nipoti di Camilla, pria
Di cedere le mani
A i ferri, assaporavan V agonia
De' cerulei Germani.
II.
Voi sgretolate, o belle, i pasticcini
Tra il palco e la galera;
Ed intente a fornir di cittadini
La nuova italica èra.
Studiate, e gli occhi mobili dan guizzi
Di feroce ideale.
Gli abbracciamenti de* cavallerizzi
Tra i colpi di pugnale;
494 GIAMBI ED EPODI
E palpate con gli occhi abbracciatori • 'i
Le schiene ed i toraci,
Mentre rei gerghi tra sucidi odori
Testimonian su i baci.
Poi, se un puttin di marmo avvien che mostri
Qualcosellina al sole.
Protesterete con furor d' inchiostri,
Con fulmin di parole.
E pur ieri cullaste il figliuoletto
Tra i notturni fantasmi
Co *1 pie male proteso fuor del letto
Ne gli adulteri spasmi.
Ma voi siete cristiane, o Maddalene!
Foste da' preti a scuola.
Siete moderne! avete ne le vene
L' Aretino e il Loiola.
ottobre zSyg.
XXX. ■
IL CANTO DELL' AMORE
Oh
Jh bella a' suoi be' di Rocca Paolina
Co' baluardi lunghi e i sproni a sghembo!
La pensò Paol terzo una mattina
Tra il latin del messale e quel del Bembo.
— Quel gregge perugino in tra i burroni
Troppo volentier — disse — mi si svia.
Per ammonire, il padre etimo ha i tuoni,
Io suo vicario avrò 1' artiglieria.
Coelo tonantem canta Orazio, e Dìo
Parla tra i nembi sovra 1' aquilon,
Io dirò co' i cannoni: 0 gregge mio,
Torna a i paschi d' Engaddi e di Saron.
496 GIAMBI ED EPODI
Ma, poi che noi rinnovelliamo Augusto,
Odi, Sangallo: fammi tu un lavoro
Degno di Roma, degno del tuo gusto,
E del ponteficato nostro d*oro. —
Disse: e il Sangallo a la fortezza i fianchi
Arrotondò qual di fiorente sposa:
Gittolle attorno un vel di marmi bianchi.
Cinse di torri un serto a l'orgogliosa.
La cantò il Molza in distici latini;
E il paracleto ne la sua virtù
Con più che sette doni a i perugini
In bombe e da' mortai pioveva giù.
Ma il popolo è, ben lo sapete, un cane,
E i sassi addenta che non può scagliare,
E specialmente le sue ferree zane
Gode ne le fortezze esercitare;
E le sgretola; e poi lieto si stende
Latrando su le pietre ruinate,
Fin che si leva ^ a correr via riprende
Verso altri sassi ed altre bastonate.
Cosi fece in Perugia. Ove T altera
Mole ingombrava di vasta ombra il suol
Or ride amore e ride primavera,
Ciancian le donne ed i fanciulli al sol.
GIAMBI ED EPODI 497
E il sol nel radiante azzurro immenso
Fin de gli Abruzzi al biancheggiar lontano
Folgora, e con_desio d* amor più intenso
Ride a' monti de V Umbria e al verde piano.
Nel roseo lume placidi sorgenti
I monti si rincorrono tra loro,
Sin che sfumano in dolci ondeggiamenti
Entro vapori di vYoìa e d' oro.
Forse, Italia, è la tua chioma fragrante
Nel talamo, tra' due mari, seren,
Che sotto i baci de 1' eterno amante ^V -^^^
Ti freme effusa in lunghe anella al sen?
Io non so che si sia, ma di. zaffiro
Sento ch'ogni pensiero oggi mi splende,
Sento per ogni vena irmi il sospiro
Che fra la terra e il ciel sale e discende.
Ogni aspetto novel con una scossa
D' antico affetto mi saluta il core,
E la mia lingua per sé stessa mossa
Dice a la terra e al cielo. Amore, Amore.
Son io che il cielo abbraccio, o da l'interno
Mi riassorbe l'universo in sé?....
Ahi, fu una nota del poema eterno
Quel eh' io sentiva e picciol verso or è.
Carducci. 32
498 GIAMBI ED EPODI
Da i vichi umbri che foschi tra le gole
De l'ApOTTrttio s'amano appiattare;
Dà le tirrene acròpoli che sole
Stan su i fioriti clivi a contemplare;
Da i campi onde tra l' armi e V ossa arate
La sventura di Roma ancor minaccia;
Da le ròcche tedesche appollaiate
Si come falchi a meditar la caccia;
Da i palagi del popol che sfidando
Surgon neri e turriti incontro a lor;
Da le chiese che al ciel lunghe levando
Marmoree braccia pregano il Signor;
Da i borghi che s' affrettan di salire
Allegri verso la cittade oscura,
Come villani e' hanno da partire
Un buon raccolto dopo mietitura;
Da i conventi fra i borghi e le cittadi
Cupi sedenti al suon de le campane,
Come cùcùli tra gli alberi radi
Cantanti noie ed allegrezze strane;
Da le vie, da le piazze gloriose,
Ove, come del maggio ilare a i di
Boschi di querce e cespiti di rose.
La libera de' padri arte fiori ;
GIAMBI ED EPODI 499
Per le tenere verdi mèssi al piano,
Pe' vigneti su Terte arrampicati,
Pe' laghi e' fiumi argentei lontano,
Pe* boschi sopra i vertici nevati,
Pe' casolari al sol lieti fumanti
Tra stridor di mulini e di gualchiere,
I Sale un cantico solo in mille canti,
Un inno in voce di mille preghiere:
— Salute, o genti umane affaticate!
Tutto trapassa e niilla può morir.
Nof troppo odiammo e sofferimmo. Amate.
Il mondo è bello e santo è l'avvenir. —
Che è che splende su da' monti, e in faccia
Al sole appar come novella aurora?
Di questi monti per la rosea traccia
Passeggian dunque le madonne ancora?
Le madonne che vide il Perugino ^^
Scender ne' puri occasi de V aprile, '
E le braccia, adorando, in su '1 bambino
Aprir con deità cosi gentile?
Eir è un'altra madonna, eirè un'idea
Fulgente di giustizia e di pietà:
Io benedico chi~per lei cadea.
Io benedico chi per lei vivrà.
v" ^
500 GIAMBI ED EPODI
Che m'importa di preti e di tiranni?
Ei son più vecchi de' lor vecchi dèi.
Io maledissi al papa or son dieci anni.
Oggi co M papa mi concilierei.
Povero vecchio, chi sa non Tassaglia
Una deserta volontà d' amare !
Forse ei ripensa la sua Sinigaglia
Si bella a specchio de l' adriaco mare.
Aprite il Vaticano. Io piglio a braccio
Quel di sé stesso antico prigionier.
Vieni: a la libertà brindisi io faccio:
Cittadino Mastai, bevi un bicchieri
isir
^^&.?a'^-a!'/
NOTE
pag. 389. Questi versi ini vennero fatti una mattina che in
un giornaletto clericale, di quelli che ragionevolmente e canoni-
a Satana, lessi la novella eh' io Ero morto.
LIBRO PRIMO.
I) pag. 392, vv. n-IS. Si accenna alla fonte che secondo la
leggenda san Francesco fece scaturire presso il santuario
della Verna.
p. 393, w. 5-6. Tarconte è il tipo mitico del re legislatore
etrusco; e una tradizione popolare pone la sede del re d' Etnirìa
presso il monte della Verna..
II) pag. 396, vv. 3-4. Non fu veramente uno schiaffo; ma
qualcosa di meno e di peggio. Ecco il racconto dell' Ammirato
{Istor.fiar. iv in princ); ' Giano della Bella venuto a con-
tesa dentro la chiesa di san Piero Scheraggio con Berto Fie-
scobaldi cavaliere dei grandi, per certe ragioni che Berto volse
502 GIAMBI ED EPODI
a Gkuso occupar per forza, montò il Frescobaldi hi tanto .or>
goj^ contro quel della Bella, che, postai la mano «ti naso,
disse ad alta voce che gUel taglierebbe, se avesse avol» co-
tanto ardimento di cozzar seco ,.
UI) pag. 401, V. 12. Il boulevard Montmartre, dove i c(dpi dì
fucile sanzionarono il colpo di stato del 2 decembre 1851.
Ne' versi anteriori si accenna ai caduti nell'assedio di Roma
del 1849. Di ques^ta nota^ per avventura superflua, mi servirò
per confessare che due- versi del presente epodo
E su '1 capo gli penzola inchiodato
Gesù perché non fugga
e 1* altro
O vecchio prete infame,
\
gli debbo a Vittore Hugo, che nella Nox in fronte ai Chéti-
tncnts scriss^^
Sur une croix dressée au fònd du sanetuaire
Jesus avait été cloué pour qu' il rest&t.
e ne' Chàtiments stessi, I, 6,
Ton diacre est Trahison et ton sous-diacre est Voi;
Vends ton Dieu, vends ton àme!
Àllons, coiffe ta mitre, allons, mets ton licol,
Chante, vieux prfitre infame.
Dando a ristampare nel marzo del 1882 questi versi, creda
non inutile far sapere qui in nota, come, ridotta in \ì
non per sua colpa la nobile famiglia dei Corazzini di
Santo Stefano, in vano due o tre volte raccomandai caldamente
a un ministero, del quale era pure a capo Benedetto Cairofi,
la vedova madre di Eduardo per una piccola pensione o on
sussidio: non era provato che il figlio suo fosse morto dalle
GIAMBI ED EPODI 503
ferite ricevute in battaglia. Ciò può anche dimostrare la seve-
rità con la quale in Italia si osserva la legge.
IV) pag. 401, V. 20. Anche questo verso può parere una ri-
membranza dei due bellissimi di A. Barbier (La curée),
La grande populace et la sainte canaille
Se ruaient à V immortalité;
ma il fatto è ch'egli ha un'origine più umile: me lo suggerì
un deputato del Parlamento italiano, quando dello sciopero po-
litico bolognese nel marzo del 1868 disse non essere popolo
ma canaglia che tirava sassi. Al Barbier debbo il movimento
della strofe 23, Marchesa ella non è ecc.; al Barbier che scrisse,
pur nella Curée,
C est que la Liberté n' est pas une comtesse
Du noble faubourg Saint-Germain,
Une femme qu* un cri fàit tomber en faiblesse,
Qui met du blanc et du carmin.
V) pag. 411, vv. 9-10. Alludo ai due libri De Analogia in-
tilolati a Cicerone, coi quali Giulio Cesare intendeva dare con
norme determinate una certa unità alla lingua romana traen-
dole dair incostanza dell' uso volgare.
V. 14. Svetonio ha tutto un capitolo intomo la pudicizia di
Cesare prostituita sotto (cos( traduce il Del Rosso, cavaliere
gerosolimitano) al re Nicomede; e da quel capitolo sappiamo
che Dolabella chiamava il futuro dittatore " la femmina che fa
le coma alla regina di Bitinia „ e ^ la sposa segreta della
lettiga reale „ ; che Bibulo suo collega nel consolato diceva
di lui, per addietro essersi egli innamorato dei re ed ora dei
regni; e altre cose che non possono esser ridette qui. Ci ba-
sti il frammento di C Licinio Calvo,
....Bithynia quidquid
Et paedicator Caesaris unquam habuit,
5M GIAJCBI
■oo trumpiiat, (jib
Ecco: gfi storici e i filosofi, i qnfi sooosi m qoeslD secolo
dei eol{>i di stato tanto sbracciati a dimostrare la Decessila la
morafità la santità della nsarpazioae di Cesare, ^om€tibao
andie (fimostrard r estetica deOe carezze sofferte sotto il re
éì Bìtinia, e come a diventar imperatori e ficenziarsi ai colpi
di stato e al saccli^gio d^fi efari sia mia propedeatiea prov-
videnziale quella dei Ietti o delle lettighe bitiaìche. Pnò essere
filosofia della storia anche cotesta: imperocché che cosa non
è filosofia della storia (^gigiomo?
VI) p^ 414, w. 3-4. Pochi giorni prima del soppfizio il
ministeix) italiano aveva fatta pagare a Roma una rata dd de-
bito pontificio.
w. 9-10. Quando si eseguivano in Roma le condanne di
morte, nella chiesa di San Nicola rimaneva esposto per ven*
tiquattro ore il Santissimo Sacramento.
VH) pag. 420, V. 14.
Ogni uom v' è barattier fuor che Booturo ;
Del no, per li denar, vi si fa ita.
Dante, Inf. XXI, 41.
E Benvenuto da« Imola annota: ' Bontums fiiit baraterìos,
qui sagaciter docebat et versabat illud commune totnm, et
dabat officia quibus volebat „
pag. 421, v. 9. Vanni Pucci,
Ladro alla sagrestia de' belli arredi,
E falsamente già fu opposto altrui.
Dante, Inf. XXIV, 138,
GIAMBI ED EPODI 605
era anche, come Dante stesso Io chiama, uom già di sangue
e di corrucci, V autore delle Istorie pistoiesi racconta, fra al-
tre cose di lui, sotto Tanno 1300: " Allora Vanni Pucci con
certi suoi compagni andaro dirìeto a quella casa e francamente
colla balestra la combatterono, e col fuoco la vinsono; e messo
lo fuoco dalTun lato, entraro dentrp dall'altro. La gente che
V* erano dentro cominciarono a fuggire, e costoro a seguire
ferendogli e uccidendogli; la casa rubarono „.
VIII) " Giovedf 22 luglio, tempo permettendo, avrà luogo
il varo della corvetta Vettor Pisani, In tale circostanza, con
squisitissimo tatto, il comandante Cerutti dispose che la solen-
nità abbia a farsi con tutta la pompa possibile, celebrando,
come in antico, lo sposalizio del mare, mediante anello, che,
lavorato nell'Arsenale, sarà gettato alle onde da una delle no-
stre patrìzie „. Rinnovamento di Venezia, 20 luglio 1869.
•
IX) In Bologna alla Via dei vetturini fu mutato il nome
in Via Ugo Bassi neir annuale dell' vili agosto 1869, l' anno
che fu convocato in Roma il Concilio ecumenico.
•
XI) La Consulta araldica fu instituita con r. decreto 10
ottobre 1869 in dieci articoli, per dar parere ed Governo in
materia di titoli gentilizi, stemmi ed altre pubbliche onori-
ficenze,
Xni) pag. 434, vv. 1-2 Le ultime sue parole riassu-
mevano il suo sacrificio in un augurio alla patria, vaticinando
a noi la rivendicazione di Roma. — Roma sarà nostra, io ve
lo giuro — ripetè più volte anche nel suo sublime delirio....
Andremo presto a Groppello. Là egli giace con gli altri tre
martiri: e là è il tempio della nostra religione. Benedetto
Cairou a Vinc. Caldesiy Belgirate, 20 settembre 1869.
506 GIAMBI ED EPODI
pag. 438, w. 5-7. La imagine, che dispiacque ad alcuni
miei amici, è presa da quel che H. Heine dice di Colonia,
Deutschland iv:
Dummheit und Bosheit buhlten hier
Gleich Hunden auf freier Gasse;
Die Enkeibrut erkennt man noch heut
Àn ihrem Glaubenshasse.
II presente epodo fu intitolato air onorevole Benedetto
Cairoli con questa lettera (nella Riforma del 14 febbraio 1810):
Questo canto, già intermesso perché mi parve men rive-
rente inframmettermi al solenne dolore vostro e della madre
veneranda, Tho ripreso oggi, per ammonire, rammemorando
la vhlù de' Cairoli, la gioventù della patria. E ve T offro, o
cittadino onorando, e vi prego di presentarlo alla gentil donna
Cairoli, come segno della riverenza e gratitudine mia, d'ita-
liano e d' uomo, alla gran famiglia che è uscita di lei, santa e
romana donna. Fra tante miserie e vergogne che ne circon-
dano, dovendo disprezzare e odiar molte cose, è pur dolce e
di sollievo air anima il poter dire ad alcuno, dal cuore aperto
e profondo: Io vi ammiro, vi riverisco, vi amo.
Bologna, ii febbraio.
Alla quale Benedetto Cairoli rispondeva con questa pub-
blicata nel Popolo di Bologna:
Groppello di Lomellina, 77 febbraio.
Non vi ringrazio: non oso esprimere il debito della gra*
titudine con una parola troppo profanata dall' uso, — vi dico
soltanto che la povera madre vi benedice: è ricompensa degn&
di voi. Alla tomba dei nostri cari voi mandate omaggio di fiorì
che non perdono il profumo: versi che non muoiono e ricor-
dano il dovere che fu la mèta del sacrificio. È santo l' aposto-
GIAMBI ED EPODI 507
lato del poeta quando completa quello del martire preparando
il risveglio nazionale. Speriamo : la coscienza di un popolo può
essere momentaneamente sedotta, corrotta mai fino all'oblio
deir onore, fino a tollerare nella rassegnazione di perpetuo le-
targo il vitupero dell'occupazione straniera che ci contende
Roma. Chiudo con questo nome, che ispirava il vaticinio del
nostro adorato Giovannino anche nell'ultima ora della sua
agonia; e vi abbraccio con tutta V anima.
e
. , RIPRESA.
pag. 447, V. 15. Su questo verso il sig. Luigi Etienne in una
recensione delle mie poesie pubblicata nella Revue des Deux
mondeSf t. iii del 1874, osservava: " On sourit quand' on voit
Camille Desmoulins devenu Demulèn. „ Sorridere? e perché?
il nome Desmoulins si pronunzia sf o no Demulèn? Ora, come
questo nome mi cadde in fine d*un verso e questo verso esi-
geva la rima e come non tutti gli italiani sono obbligati a sapere
la pronunzia dei francesi, cosi io scrìssi il nome del tribuno se-
condo lo dicono e non secondo lo scrivono i francesi, per evi-
tare il caso che qualcuno de' miei nazionali cercasse invano
la consonanza fra Desmoulins e sen. Noi italiani del resto
leggiamo i nomi del Petrarca del Machiavelli e del Guicciar-
dini divenuti nella prosa francese Pétrarque, Machiavel, Gui^
Chardin, e non sorridiamo. Non sorridiamo né meno quando
avvenendoci nei versi d' un grande poeta al nome dell' Ali-
ghieri fatto rimare con flétri, ci tocca a leggerlo Alighieri con
tanto di accento acuto che pare un chicchirichì:
Ràler l' aieul flétri,
La fille aux yeux hagards de ses cheveux vètue
Et r enfant spectre au sein de la mère statue !
O Dante Alighieri!
V. Hugo, Chàtiments, I, ix.
508 GIAMBI ED EPODI
Ancora: il sig. Etienne mi appone di scambiare le Parc-aux-
Cerfs pour un pare et V OeU-de-boeuf pour la ferUtre (fm
boudoir de Louis XV, Nella poesia intitolata Versaglia io ri-
cordo e il Parc-aux-Cerfs e T Oeil-de-boeuf, ma li ricordo
proprio per quello che sono, e non riesco a capire come e da
quali delle mie parole abbia il sig. Etienne potuto indovinare
quel cambio. Ma queste son piccolezze; ed io, tutto che il sig.
Etienne sia un po' di cattivo umore con me e con le mie idee
politiche e mi rifaccia la vita a modo suo con qualche smorfia
di compassione e di protezione, debbo sapergli grado delP aver
tradotto con tanta fedeltà e grazia alcuni de' miei versi che gli
piacque inserire nel suo saggio.
LIBRO SECONDO.
XX) pp. 467, w. n-18. Alludo ai vestigi di doratore che
si scorgono ancora nella statua di Marco Aurelio, e non alPoro
monetato di Pio ix che potesse esser rimasto nelle tasche
de' sudditi suoi. Ai quali la liberazione di Roma, qualunque si
fosse, non costò, tutt' insieme, di molto : e, fosse costata anche
più, non sarebbe mai stata cara.
XXII) pag. 472, 5-7. Néiìt Piacevoli e ridicoiose semplicità
di Bertoldino figliuolo del già astuto e accorto Bertoldo
composte da Giulio Cesare Croce (Venezia, Usci, 1636) si
legge come un giorno ** Bertoldino torna a casa e vede l' oca
che sta in un cesto grande a covare V ova, e la fece levar su,
« esso entrò nel detto cesto in atto di covare, et alla prima
ruppe tutte 1' ova con il podice, et erano ormai per nascere
i pavarini „ con quel che seguita. Ecco perché possono rite-
nersi per fratelli delle oche cosi Bertoldino come certi poeti
i quali sonosi messi a covar I' ova della poesia popolare con
effetti non diversi a quelli della covatura bertoldiniana. Del
resto Bertoldo e Bertoldino sono due produzioni importantis-
sime della vera letteratura popolare d' Italia, e delle pochis-
sime indigene. Le raccomando a' poeti e a' filologi novelli
GIAMBI ED EPODI 509
pag. 463, V. 20. Questo verso mi attirò dal Fcmfulla (3 gen-
naio 1813) una specie di recensione di eerto mio scrìtto sul
Centenario di L. A. Muratori nella quale mi erano, fra le altre,
attribuiti de' versi su Vittore Hugo che io non ho mai scrìtti.
Aggiunta alla seconda edisione, " Del resto Fanfulla ti
^ citò [quei versi su V. H.] a dimostrare ohe in altri tempi
** il Carducci era stato fieramente avverso a Vittore Hugo, da
^ lui oggi lodato e talora imitato. Se questo non si dimostra
** co* soletti apocrifi, si dimostra con altri scritti innumerevoli
^ del Carducci, e mi basta. „ Cosi il Fanfulla, rispondendo
nel suo num. del 28 settembre 1873 alla noticina di sopra.
Ecco: o che farebbe il Fanfulla, se io lo invitassi a citare
quegli innumerevoli scritti?
pag. 474, V. 19. Avverto che questo è un verso fatto alla
foggia di quel del Foscolo Antichissime ombre e brancolando
e di altri italiani e latini. Io non amo per niente il verismo
dei versi che non tornano.
XXV) Vedi Confessioni e Battaglie [Opere di G. Car-
ducci voi. IV], Bologna, Zanichelli, 1890, pag. 246 e segg.
XXVIII) Questi versi furono composti su la fine dell'otto-
bre 1874, quando pareva imminente in Francia la restaurazione
della monarchia tradizionale nella persona di Enrico Carlo
Ferdinando d' Artois conte di Chambord salutato da* suoi En-
rico v. La nascita del " figlio del miracolo „ fu cantata da
due grandi poeti, Alfonso di Lamartine e Vittore Hugo. Né
volli certo oltraggiarne la fine io, poeta " minorum gentium „.
La visione feroce e grottesca della impossibilità d' una restau-
razione borbonica mi venne dalle condizioni e circostanze po-
litiche della Francia. Del resto io ho sempre creduto che il
conte dì Chambord sostenne con dignità 1' esilio, e ammirai
l' animo veramente nobile dell' uomo nel rifiuto di sacrificare
air ambizione di essere re vano lui la bandiera per la quale e
510. GI^BI ED EPODI
concia quf^efurxMiQ re da vero gli avi suoi: miracolo certo,
pi4^9he (lueUo ;on(|)^.egli nacque,, tra i giocatori o meglio i
baqdi trpn^cl^^ insano in questo secolo. Suo padre, come tutti
saqn9|,fu-fentQ, di. piagnale la sera del 13 febbraio 1820 meo-
tre scendeva in carrozza per andare air Opera, e morì la mat-
tina di poi in wl palèofidel teatro. Il visc. di Chateaubriand
nei JMémàwis sur ìk vie et. la mori de S, A. R, le tùie de
Betì^ aerì^ty ìàfe, li eh. v:" Lorsque le fìls de France blessé
avtttt ite porte dans le cabinet de sa loge, le spectacle dnroit
entiE>r£. D* un eM on entendoit les sons de la musique, de
Taaitre.iks^^ sòupira dtt.prinée expirant; un rideau séparoit les
foIiftST'da monde '4e la destriiction d'un empire. Le prètre qui
apporta les saàites hniles traversa une foule de masques. ,
XXIX) Ai dibattimenti delle Assise tenuti in Roma per
r assassinio del capitano Q. Fadda, commesso da un cavalle-
rizzo CàrcUtiali, istigante e complice la Raffaella Saraceni mo-
glie -del ^capitano e amante del cavallerizzo, dal 20 settembre
al 21 ottobre 1819 assisteva tra la folla immensa un numero
grandissimo di signore e signorine della migliore società, come
si dice, romana.
XXX) Fu pensato in Perugia nella piazza ove già sorgeva
la Ròcca Paolina, distrutta dal popolo nel settembre del 1860.
INTERMEZZO
v^uc
^uore, a che uccelli ne' miei versi, come
Quella sgualdrina vecchia
Là su r uscio, che al vento dà le chiome
Grige e al rumor l'orecchia?
Per questa sera il lume in van risplende
Da la finestra bassa:
Vecchia, rientra, e tira pur le tende,
Che nessun merlo passa.
Ma tu ancor non sei stanco, o mio cuor
O vecchio cuore umano,
Di civettar guardandoti a lo specchio
Falso del verso vano?
Carducci, *
514 INTERMEZZO'
È uh bel pezzo, sai tu?, dal cieco Omero,
Che tu se' il caro cuore,
Ed è un bel pezzo pur che fai '1 mestiero....,
Via..., di lusingatore,
E anche di metafora, matura
Per fin ne' versi miei!
Di che cuor, se non fossi una figura.
Cuore, io ti strozzerei !
Ma, già che un tropo sei, come la cetra
La lira o il colascione
Su cui si può mandar Fillide a 1' etra
O la riparazione y
E già che la metafora, regina
Di nascita e conquista,
È la so}a gentil, salda, divina
Verità che sussista.
Io ti vo' ballottar dentro un rovescio
Di strofe belle e brutte.
Che vadano a diritto ed a sghimbescio,
Metaforiche tutte.
Tutte senza oriente e tramontana.
Senza capo né coda.
Tanto che la sinistra italiana
Al paragon ne goda.
INTERMEZZO 515
E tutte senza fine e senza scopo,
Come il mio tedio e il mio
Dispetto che cominciano da un tropo
Per naufragare in Dio.
2.
O numi, o eroi, che belli e fieri un giorno
Vi rompevate il grugno
L' un l'altro Io tori, e voi tra corno e corno
Abbattuti d'un pugno!
O terga rosolate e fumiganti
Lungo il divino Egeo!
Oggi noi siamo a dieta, e sempre avanti.
Ci dan questo cibreo:
Questo cibreo del cuore, in verso e in prosa,
Co '1 solito guazzetto
Di quella sua secrezion muccosa
Che si chiama T affetto.
Un di, quando Parigi urlò protervo
Ne la reggia soletta
Come ansante canea che, preso il cervo,
I visceri ne aspetta.
n
ì-
516 INTERMEZZO
Un buon beccaio rosso ed aitante
;:. U entragno d'un vitello
Infilò s'una picca; e gocciolante.
Con tanto di cartello
Ove " Cuor d' aristocrate „ in grandioso
Caratter nero scrisse,
Se lo portava intorno glorioso,
Con le pupille fisse.
Io, se potessi vincer la molestia
Del grasso e de lo schifo.
Vorrei pigliare il cuor di quella bestia
Che ha lungo e nero il grifo
E si distende seria nel pantano
Con estetica molta
Come fosse un poeta italiano
Entro una stanza sciolta:
Su '1 lauro che più lieto i rami spanda
Al dolce italo sole
Affigger lo vorrei, tra una ghirlanda
Di rose e di viole,
Con la penna d' acciaio d' un cantore
Da la fronte ideale.
Venite, o buona gente: al cuore, al cuore.
Che al meno è di maiale!
INTERMEZZO 517
3.
Quanto a me, cuore mio, batti pur su,
Ch' io ti do poca retta.
Ebbi una volta un pendolo a cucù .
Dentro la sua cassetta;
E lo tenevo in camera; ma, quando
Mi rompeva insolente
I sonni giovanili, io bestemmiando
Molto liricamente
Scaraventavo al vigile scortese
Due classici latini,
Seneca e Fedro, ristampa olandese
De gli in usum DelphinL
Strideva come protestando, e poi
Il pendolo taceva:
Io, ripigliato sonno, ancora voi,
Miei colli, rivedeva,
Miei dolci colli, ove tra' lauri move
L' arte serena V orme,
Ove Lionardo vide il sole ed ove
Il mio fratello dorme.
518 INTERMEZZO
Dorme anzi sera, e dorme a lungo e solo:
Aulisce il biancospino
Intorno al cimitero, e ferma il volo
Cantando un cardellino.
Ma poi svegliati, o confidente cuore,
Lavoravam di buono.
Ed al cùcó pe '1 fluttuar de Tore
Rassettavamo il suono.
Questa è, vecchio mio cuor, la vecchia storia,
Far, disfare, rifare:
Per r ozio, per la fame o per la gloria,
È tutto un lavorare.
È un lavorare faticoso e pazzo
Da pentirsene un giorno.
Ecco, a metterti in versi io mi strapazzo,
E non m'importa un corno
De le tue smorfie, o a la grand' arte pura
Vii muscolo nocivo;
Ma non so a quanti versi do la stura,
E vedrò dove arrivo.
INTERMEZZO 51Q
4.
E canterò di voi, gente finita
Dal pathos ideale.
Che riduceste a clinica la vita
E il mondo a un ospitale.
S'alza il poeta a mezzodì, sbadiglia,
— Buon giorno, o cor mio lasso —,
Se lo sdigiuna bene e se lo striglia,
E se Io mena a spasso.
Dice al sole e a gli uccelli, a l'erbe e a' fiori
Che trova su M sentiero:
— Mirate, o creature, il re de' cuori.
Il mio cuore, il cuor vero.
Egli è tenero e duro, e dolce e forte,
Ariete ed agnello:
Come tortore tuba, e rugge a morte
Peggio d' un lioncello.
Vero è, santa natura, che il mio cuore
È un po' delicatuzzo:
Ma io lo tiro su, povero amore,
A olio di merluzzo;
520 INTERMEZZO
A olio di merluzzo, temperato
Con l'essenze odorose
Che mi mandan la sera co M bucato
Le vergini e le spose;
Le vergini e le spose del giocondo
Italico giardino:
Però ch'io sono, e lo sa tutto il mondo,
Un poeta divino — .
Sbottonato cosi, scuote le chiome,
Guarda i fiori e la mèsse
E gli alberi e gli uccelli e il cielo, come
S'egli li proteggesse.
Due rospi intanto a l'orlo de la strada
Benefici e modesti
Seguitan liberando là contrada
Da gì' insetti molfesti.
L' un dice — Ne l' età che molte e lente
Ci passar su '1 groppone
Vedestii mai, fratel mio paziente.
Un tal fior di cialtrone? —
INTERMEZZO S2I
5.
Il poeta barcolla e ha il capo grosso:
L' ulcere del suo core
Ei mette in mostra, come un nastro rosso
De la legion d' onore.
— Quest'ulcera è al suo punto — ei dice, e questa
Mi dee nobilitare.
V asinità de la vii gente onesta
Si sgroppi a lavorare.
Noi angeletti deliberi amori,
Noi liriche farfalle
Create a svolazzar su' cavolfiori
E lambirne le palle,
Oggi al secol del ferro e del carbone
Mutati in calabroni
Con r assenzio facciam la reazione,
E sputiamo i polmoni.
Cosi, feriti al cuor, figli de V arte.
Siamo privilegiati :
Dal facchinaggio uman stiamo in disparte
Noi, sublimi ammalati.
522 INTERMEZZO
Nostro lavoro è di portare in petto
La questTon sociale.
O contemplazTon del lazzaretto!
Datemi un serviziale....
Un serviziale rosso. Il contadino
Bea ne la maledetta
Risaia l'acqua marcia: io bevo il vino
Per far la sua vendetta.
Canti sol chi la voce ha cavernosa,
E pèste a la salute !
Fiutate qua, canaglia vigorosa,
Quesf ulcera che pute ! —
Cosi urla, al mattin scialbo, su M canto
D'una sudicia via;
E tosse e rece fuor del petto affranto
Vino, tabe, elegia;
E l'asino, che vien, de l'ortolano
Lo fiuta con dimesso
L' orecchio, e pensa — O idealismo umano,
Affogati in un cesso. —
INTERMEZZO 523
6.
Io, per me, no, non sono un organetto
Che suoni a ogni portone
De i soliti ragazzi nel conspetto
La solita canzone.
Quando 1* idea ne l^ajiima joyejite— -
Si fonde con V amore,
Divien fantasmaj^_e_aM:egm
Vola fendendo il core;
E la ferita stride aperta al vento
Geme cruenta al sole:
Io non vi gitto le filacce drento
Di rime e di parole.
E vommene co '1 mio cuor cosi fesso
Per questo viavai;
E il mio canto miglior sempre è quel desso,
Quel che non feci mai.
Questo cor, questa piaga e la filaccia
Vuol dir, lettor mio buono,
Che di tropi barocchi anch' io vo a caccia
E che un poltrone io sono.
524 INTERMEZZO
Il primo è da gaglioffi, ma il secondo
Un buon mesti er mi pare.
Io non pretendo illuminare il mondo,
Né il buffon gli vo'fare.
Or, r una cosa o V altra si propone
Chi scrive al tempo nostro.
Faccia chi vuol l'apostolo o il buffone;
Costa poco r inchiostro,
E la parola meno, e Tonor nulla,
E la menzogna è iì vero,
E tutto è falso. Oh via, che mai mi frulla
Adesso nel pensiero?
Io sento in me* qualcosa di Nerone,
Ma più puro e giocondo:
Non sangue o teste, io voglio, in conclusione,
Vo' schiaffeggiare il mondo.
Detto fatto, Ogni strofe, alta, animosa,
Vola via senza guanti ;
Ogni strofe è uno schiaffo a qualche cosa:
Avanti, avanti, avanti.
INTERMEZZO 525
7.
Potessi pianger sur un campanile
Come il mio dolce Edmondo
Si che scendesse il pianto mio, gentile
Battesimo, su '1 mondo!
Arido mondo, che non crede a nulla,
Né meno a le guanciate !
Per disperazìon • fino Fanfulla
Mi s'è rifatto frate.
Fra' cavalier gerosolimitano.
Monta Bucifalasso,
E contro ogni baron poco cristiano
Tiene, sfidando, il passo.
Pe '1 medio evo il passo ei tiene, al ponte
De r asino: cimiero.
Due belli orecchi d' asino la fronte
Ombrano al cavaliero.
Vóto di penitenza ond' ei racquista
La salita al Calvario :
Però che un tempo ei fu razionalista
E rivoluzionario.
526 INTERMEZZO
Or ne lo scudo porta iscritto — Dio,
Il re, la donna mia —
Non senza qualche medievale e pio
Error di ortografia.
Ahi fra'Fanfullal non son più quegli anni,
Sfiori la primavera:
Non cantan più cuculi, i barbagianni
Guardan la tua bandiera.
Non più la gente cerca in Dio conforto,
O del diavol si accora:
Ahi, Pantalon de* Bisognosi è morto.
Ed Arlecchino ancora.
I preti han guasta la Vergin divina
Per fin dentro le chiese:
Paol Fefrari diede a Colombina,
Pur troppo, il mal francese.
Quanto al re -- frate mio, vi vengo schietto •
Questa è V età de V oro ;
Quanto al re, V hanno dato a Benedetto
E si ammiran tra loro.
ì
INTERMEZZO 527
8.
Va', ditirambo mio triste e giocondo, /
Vola dove ti frulla.
Nulla tu cerchi per V immenso mondo,
E non ci trovi nulla.
Nuova terra altri chieda o nuovo polo
E lontani orizzonti :
Sol eh' io potessi riposare il volo
Su' miei paterni monti!
Al sol che tra le selve snelle mira
Co '1 tremolar de* raggi,
Nel suol molle di musco che respira
Desii di fior selvaggi,
Giacciono i sogni miei, fanciulli stanchi
Che s' addormir piangenti :
Cantan tra verdi faggi e marmi bianchi
I ruscelli e i torrenti.
Per queir angol di terra, ecco io darei
Quale più benedetto
Lembo di celo occorra a* versi miei
Quando faccio un sonetto;
I
52S INTERMEZZO.
E ci fare' un sonnetto. A 1* ombra amica
De le memori piante
Mi cullerebbe ne la strofe antica
La rima miagolante.
0 gravi rime sbadiglianti in are^
O tenui rime in io,
Dite voi come è dolce riposare
Su M terreno natio.
1 patrii sassi vi pungon le schiene
Con accoglienza onesta,
Ed i mosconi de le patrie arene
Vi fan dintorno festa.
Za, Zu, cari mosconi. Come stanno
Le vespe e i calabroni?
Ci fùr di molte vipere quest' anno
Giù pe' patrii burroni'?
E gli amici? e i parenti? Oh nuove gioie!
Oh quanti fidi cuori!
Oh bel portare a spasso le sue noie
Tra cotanti sudori!
INTERMEZZO ^S9
9.
Nor? contro te suoni maligno il verso.
Terra a cui non risposi
Amor già mai, cui sol vidi traverso
I sogni lacrimosi
De r infanzia. O sedente al tirren lido,
Poggiata il fianco a i monti,
A dio, Versilia mia, ligure lido
Di longobardi conti!
Se da le donne tue maschia dolcezza
Tenne il mio tòsco accento,
Io non voglio i tuoi marmi, o Serravezza,
Per il mio monumento
Pe'l monumento che vo' farmi vivo.
Lungi da la mia culla
Cerco altri marmi mentre penso e scrivo.
Che non costano nulla.
Altrui le glorie. O diamante bianco
Entro gli azzurri egei.
Paro gentil dal cui marpesio fianco
Uscian d' Elias gli dèi,
Carducci. 34
INTERMEZZO
Tu, che tra Nasso ove Arianna giacque
In seno al bello iddio,
E Delo errante dove Febo nacque
Nume de' greci e mio,
Archiloco vedesti a i giambi ardenti
Sciòr fra i tuoi nembi il freno
E de' tristi alcioni in fra i lamenti
Ir r elegia d' Eveno,
A mecf Italia Archiloco omaì lasbo
Ed Eveno migliore
Dona, Paro gentil, tanto dì sasso
Ch' io v' intombi il mio cuore.
Questo cuore che amor mai non richiese
Se non forse a le idee
E che ferito tra le sue contese
Ora morir si dee,
Vo' sotterrarlo, e mi fia dolce pena
Ne l'opra affaticarmi:
O Paro, 0 Grecia, antichità serena,
Datemi i marmi e i carmi.
INTERMEZZO 531
10.
Paro in fulgidezza bianca
Splendenti a la marina,
alce de la luna stanca
Nel ciel de la mattina;
Lesbo sussurranti al vento
Su molte isole intorno,
pollo il grande arco d'argento
Nel ciel di mezzogiorno;
il mio cuore irrigidito
Da i cristiani tufi,
3 il mio cuore istupidito
Da i romantici gufi.
'1 morto ed ultima s' intoni
La canzone di doglia,
rodi Barbare depojii.
Musa, la fredda spoglia.
o, ahi Lino! è il mio cuor trapassato,
Come te, ne l'estate:
e a la vendemmia: Than sbranato
Molte cagne arrabbiate.
532 INTERMEZZO
ló Peàn, io Peàn ! ma e' rivive
Di morte oltre i confini
Sott' altro cielo e in più benigne rive:
Taccian tutti gli Elini. —
Sepolto or giace in cotest' urna paria
S*un travertin del Lazio:
Nel bianco un'orma di parlfetaria
Segna V antico strazio.
Intorno al fregio Tederà seguace
Co '1 verde che non muore
Par che nel fredda ^ la ^auova pace
Ombri V antico ardore.
Tra *ì sasso e V urna una lucertoletta
Esce e s' af fige al sole :
È la mia vecchia gioventù soletta
Che sogna e non si duole.
Ma dietro^ in fondo, un bel teschio di morto
Ride il suo riso eterno:
A quei che veiigon per recar conforto
Ride T ultimo scherno.
Iniermetgo o Intermedh dicevano ì cinquecentisti italiani
un breve divertiinenta dì canzonette e balletti figurati, dato
tra r uno atto e l' altro delle rappresentazioni drammatiche; e
intermetto metaforicamente chiamai io questa serie di rìine
che doveva nel mio pensiero segnare il passaggio dai Giambi
ed Epodi alle Rime nuove e alle Odi Barbare. Per ciò che è
cantato nel capitolo 2, professori e abati, verseggiatori man-
zoniani e spie libelliste, signore letterate e cocolìes devote,
mi vituperarono poeta del maiale; la calunnia, al solito, fu
stupida, e non e' è altro cbe da commiserare la grossolanità
della incultura letteraria, cotennosa in Italia anche nelle classi
strigliate. È superfluo notare che le strofi 4 e 5 del capitolo 10
alludono ai canti di tristezza (A' >ivo!, elini) e di allegrezza
111! Ilaià», peani) del popolo greco, deploratorii quelli della
morte d' un simbolico giovinetto Lino, celebrativi questi della
cfRcacia gioiosa di Apollo; cfr. Ott Mllller, Storia della letter.
greca, cap. m.
RIME NUOVE
1861-1887
RIME NUOVE
1861-1887
J\vt
i-ve, o rima! Con bell'arte
Su le carte
Te persegue il trovadore;
Ma tu brilli, tu scintilli,
Tu zampilli,
Su del popolo dal cuore.
0 scoccata tra due baci
Ne i rapaci
Volgimenti de la danza,
Come accordi ne' due giri
Due sospiri,
Di memoria e di speranza!
540 RIME NUOVE
Come lieta risonasti
Su da i vasti
Petti al vespero sereno,
Quando il pie de' mietitori
In tre cori
Con' tre note urtò il terreno!
Come orribile su' vènti
De' vincenti
Tu ruggisti le virtudi,
Mentre l' aste sanguinose
Fragorose
Percoteano i ferrei scudi!
Sgretolar sott'esso il brando
Di Rolando
Tu sentisti Roncisvalle,
E soffiando nel gran corno .
Notte e giorno
Del gran nome empi la valle.
Poi t'afferri a la criniera
Irta e nera
Di Babieca che galoppa,
E del Cid tra i gonfaloni
Balda intoni ^
La romanza in su la groppa.
RIME NUOVE 541
Poi del Rodano a la bella
Onda snella
Dai la chioma polverosa,
E disfidi i rusignoli
Dolci e soli
Ne i verzieri di Tolosa.
Ecco, in poppa del battello
Di Rudello
Tu d'amor la vela hai messa,
Ed il bacio del morente
Rechi ardente
Su le labbra a la contessa.
Torna, torna: ad altri liti
Altri inviti
Ti fa Dante austero e pio;
Ei con te scende a T inferno
E r eterno
Monte gira e vola a Dio.
Ave, 0 bella imperatrice,
O felice
Del latin metro reina!
Un ribelle ti saluta
Combattuta,
E a te libero s' inchina.
1
542 RIME NUOVE
Cura e onor de' padri miei,
Tu mi sei
Come lor sacra e diletta.
Ave, o rima: e dammi un fiore
Per r amore,
E per rodio una saetta.
L
IL
II. '-
AL SONETTO
B„
Jreve e amplissimo carme, o lievemente
Co'l pensier volto a mondi altri migliori
L' Alighier ti profili o te co' fiori
Colga il Petrarca lungo un rio corrente;
Te pur vestia de gli epici splendori
Prigion Torquato, e in aspre note e lente
Ti scolpia quella man che si potente
Pugnò co' marmi a trarne vita fuori:
A r Esctiil poi, ctie su 1' Avon rinacque,
Tu, peregrin con l'arte a strania arena.
Fosti d'arcan dolori arcan richiamo;
L' anglo e 'I lusiade Maro in te si piacque:
Ma Bavio che i gran versi urlando sfrena,
Bavio t'odia, o sonetto; ond' io più t'amo.
546 RIME NUOVE
, j
I
IL SONETTO
D
'ante il mover gli die del cherubino
E d-aere azzurro e d'or lo circonfuse:
Petrarca il pianto del suo cor, divino
Rio che pe' versi mormora, gì' infuse.
La mantuana ambrosia e '1 venosino
Miei gV impetrò da le tiburti muse
Torquato, e come strale adamantino
Contro i servi e* tiranni Alfier lo schiuse.
La nota Ugo gli die de'rusignoli
Sotto i ionii cipressi, e de 1* acanto
Cinsel fiorito a' suoi materni soli.
Sesto io no, ma postremo, estasi e pianto
E profumo, ira ed arte, a' miei di soli
Memore innovo ed a i sepolcri canto.
RIME NUOVE. 547
IV. A
OMERO
I.
N,
on più riso d'iddei !a nebulosa
Cima d'Olimpo a gli occhi umani accende:
Biancheggian teschi per le rupi orrende,
E sopravi la nera aquila posa.
Né più il sacro Scamandro al pfan discende
Per le segnate vie: dov'ei riposa
Sotto il capo Sigeo V onda obliosa,
Di otmane torri il tuo bel mar s* offende.
Pur la novella etade, o veglio acheo.
Il cenno ancor de V immortai Cronide
Stupisce e i passi de TEnosigeo;
E trema, o vate, allor che d' omicide
Furie raggiante lungo il nero Egeo
Salta su M carro il tuo divin Pelide.
548 RIME NUOVE
V.
OMERO
II.
E
forse da i selvaggi Urali a valle
Nova ruinerà barbara plebe,
Nova d'armi e di carri e di cavalle
Coprirà un'onda l'agenorea Tebe,
E cadrà Roma, e per deserto calle
Bagnerà il Tebro innominate glebe.
Ma tu, o poeta, si com' Ercol dalle
Pire d' Età fumanti al seno d' Ebe,
Risorgerai con giovanili tempre
Pur a r amplesso de l' eterna idea
Che disvelata rise a te primiero.
E, s' Alpe ed Alo pria non si distempre,
A la riva latina ed a V achea
Perenne splenderà co '1 sole Omero.
RIME NUOVE 549
VI,
OMERO
HI.
E
-^
sempre a te co M sole e la feconda
Primavera io ritorno ed a' tuoi canti,
Veglio divin le cui tempia stellanti
Lume d' eterna gioventù circonda.
Dimmi le grotte di Calipso bionda,
De la figlia del Sol dimmi gì* incanti,
Nausicaa dimmi e de '1 re padre i manti
Lietamente lavati a la bell'onda.
Dimmi Ah non dir. Di giudici cumei
Fatta è la terra un tribunale immondo,
E vili i regi e brutti son gli dèi:
E se tu ritornassi a '1 nostro mondo,
Novo Glauco per te non troverei:
Niun ti darebbe un soldo, o vagabondo.
560 RIME NUOVE
VII.
DI NOTTE
JL ur ne T ombra de* tuoi lati velami
Gli umani tedi, o notte, ed i miei bassi
Crucci ravvolgi e sperdi : a te mi chiami,
E con te sola il mio cuor solo stassi.
Di quai d' ozio promesse adempi e sbrami
GÌ' irrequieti miei spiriti lassi?
E qual doni potenza a i pensier grami
Onde a reterno o al nulla errando vassi?
O diva notte,, io non so già che sia
Questo pensoso e presago diletto
Ove Tire e i dolor l'anima oblia:
Ma posa io trovo in te, qual pargoletto
Che singhiozza e s'addorme de la pia
Ava abbrunata su T antico petto.
RIME NUOVE 561
Vili.
COLLOQUI CON GLI ALBERI
T,
e che solinghe balze e mesti piani
Ombri, o quercia pensosa, io più non amo,
Poi che cedesti al capo de gl'insani
Eversor di cittadi il mite ramo.
Né te, lauro infecondo, ammiro o bramo,
Che ménti e insulti, o che i tuoi Verdi e strani
Orgogli accampi in mezzo al verno gramo
O in fronte a calvi imperador romani.
Amo te, vite, che tra bruni sassi
Pampinea ridi, ed a me pia maturi
Il sapiente de la vita oblio.
Ma più onoro l'abete; ei fra quattr'assi.
Nitida bara, chiuda al fin li oscuri
Del mio pensier tumulti e il van desio.
552 RIME NUOVE
IX.
IL BOVE ^
Ty
amo, 0 pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pa.ce al cor m* infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,
O che al giogo inchinandoti contento
L* agii opra de Puom grave secondi:
Eif esorta e ti punge, e tu co'l lento
Giro de' pazienti occhi rispondi.
Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;
E del grave occhio glauco entro V austera
Dolcezza si rispecchia ampio e quietò
Il divino del pian silenzio verde.
RIME NUOVE 553
X.
VIRGILIO
C
^ome, quando su' campi arsi la pia
Luna imminente il gelo estivo infonde,
Mormora al bianco lume il rio tra via
Riscintillando tra le brevi sppnde;
E il secreto usignuolo entro le fronde
Empie il vasto seren di melodia,
Ascolta il vìatore ed a le bionde
Chiome che amò ripensa, e il tempo oblia;
Ed orba madre, che doleasi in vano,
Da un avel gli occhi al ciel lucente gira
E in quel diffuso albor l'animo queta;
Ridono in tanto i monti e il mar lontano.
Tra i grandi arbor la fresca aura sospira;
Tale il tuo verso a me, divin poeta.
564 RIME NUOVE
XI.
FUNERE MERSIT ACERBO
O
tu che dormì là su la fiorita
Collina tósca, e ti sta il padre a canto;
Non hai tra l'erbe del sepolcro udita
Pur ora una gentil voce di pianto?
È il fanciulletto mio, che a la romita
Tua porta batte: ei che nel grande e santo
Nome te rinnovava, anch' ei la vita
Fui^e, o fratel, che a te fu amara tanto.
Ahi noi giocava per le pinte aiole,
E arriso pur di visYon leggiadre
L' ombra l' avvolse, ed a le fredde e sole
Vostre rive lo spinse. Oh, giù ne 1' adre
Sedi accoglilo tu, che al dolce sole
Ei volge il capo ed a chiamar la madre.
RIME NUOVE 555
XII.
NOTTE D' INVERNO
I
nnanzi, innanzi. Per te foscheggianti
Coste la neve ugual luce e si stende,
E cede e stride sotto il pie: d'avanti
Vapora il sospir mio che V aer fende.
Ogni altro tace. Corre tra le stanti
Nubi la luna sul gran bianco, e orrende
L'ombre disegna di quel pin che tende
Cruccioso al suolo informe i rami infranti,
Come pensier di morte des'fosi.
Cingimi, o bruma, e gela de l' interno
Senso i frangenti che tempestan forti;
Ed emerge il pensier su quei marosi
Naufrago, ed a '1 ciel grida: O notte, o inverno,
Che fanno giù ne le lor tombe i morti?
566 RIME NUOVE
XIII.
FIESOLE T
S
u l'arce onde mirò Fiesole al basso,
Dov' or s' infiora la città di Siila,
Stagnar livido V Arno, a lento passo
Richiama i francescani un suon di squilla.
Su le mura, dal rotto etrusco sasso
La lucertola figge la pupilla,
E un bosco di cipressi a i venti lasso
Ulula, e il vespro solitario brilla.
Ma dal clivo lunato a la pianura
Il campanil domina allegro, come
La risorta nel mille itala gente.
O Mino, e nel tuo marmo è la natura
Che de' fanciulli a le ricciute chiome
Ride, vergine e madre eternamente.
RIME NUOVE 557
XIV.
SAN GIORGIO DI DONATELLO
Si
4ede novembre su le vie festanti
Ove il maggio s* apri de' miei pensieri,
E spettral ne la nebbia alza i giganti
Templi la tua città, Dante Alighieri.
Meglio cosi; ch'io non mi vegga avanti
Gli academici Lapi e i Bindi artieri:
10 vo' vedere il cavalier de' santi,
11 santo io vo' veder de' cavalieri/
Forza di gioventù lieta da' marmi
Fiorente, eh' ogni loda a dietro lassi
D'achei scalpelli e di toscani carmi.
Degno, San Giorgio (oh con quest' occhi lassi
II vedess' io), che innanzi a te ne 1' armi
Un popolo d' eroi vincente passi.
558 RIME NUOVB
XV.
SANTA MARIA DEGLI ANGELI
y
F
rate Francesco, quaiuo d'aere abbraccia
Questa cupola bella denVignola
Dove incrociando a P ^gonià^ le braccia
Nudo giacesti su la terra sola !
E luglio ferve e il canto d' amor vola
Nel pian laborioso. Oh che una traccia
Diami il canto umbro de la tua parola,
L'umbro cielo mi dia de la tua faccia!
Su l'orizzonte del montan paese,
Nel mite solitario alto splendore,
Qual dèi tuo paradiso in su le porte.
Ti vegga io dritto con le braccia tese
Cantando a Dio — Laudato sia, signore.
Per nostra corporal sorella morte!
RIME NUOVE 569
XVI.
DANTE
n
'ante, onde avvien che i vóti e la favella
Levo adorando al tuo fier simulacro,
E me su '1 verso che ti fé' già macro
Lascia il sol, trova ancor T alba novella?
Per me Lucia non prega e non la bella
Matelda appresta il salutar lavacro,
E Beatrice con l'amante sacro
In vano sale a Dio di stella in stella.
Odio il tuo santo impero; e la corona
Divelto con la spada avrei di testa
Al tuo buon Federico in vai d' Olona.
Son chiesa e impero una mina mesta
Cui sorvola il tuo canto e al ciel risona :
Muor Giove, e V inno del poeta resta.
560 RIME NUOVE
XVII.
GIUSTIZIA DI POETA
D,
'ante, il vicin mio grande, allor che errava
Pensoso peregri n la selva fiera,
Se in traditor se in ladri o in quale altra era
Gente di. voglia niquitosa e prava
Dolce! ei d'amor cantando s'incontrava,
L'accesso strai de la pupilla nera
Tra fibra e fibra a i miseri fiaccava;
Poi con la man, con quella man leggera
Che ne la vita nova angeli pinse,
Si gli abbrancava e gli bollava in viso
E gli gettava ne la morta gora.
L' onta de' rei che secol non estinse
Fuma pe' cerchi de l'inferno ancora;
E Dante guarda, su dal paradiso.
RIME NUOVE 561
XVIII.
COMMENTANDO IL PETRARCA
M,
esser Francesco, a voi per pace io vegno
E a la vostra gentile amica bionda:
Terger vo' V alma irosa e '1 torvo ingegno
A la dolce di Sorga e lucid' onda.
Ecco: un elee mi porge ombra e sostegno,
E seggo, e chiamo, a la romita sponda;
E voi venite, e un salutevol segno
Mi fa il coro gentil che vi circonda.
De le canzoni vostre è il dolce coro.
Cui da un cerchio di rose a pena doma
Va pe'bei fianchi la cesarie d'oro
In riposo ondeggiante. Ahi, che la chioma
Scuote e '1 musico labbro una di loro
Apre al grido ribelle: Italia e Roma.
Carducci. 36
562 RIME NUOVE
XIX.
m IL CONSIGLIO A DISPETTO
-V
aghe le nostre donne e i giovinetti
Son fieri e adorni: or via, diffondi, o vate,
Soyr'essi il coro de le strofe alate,
E spargi anche tu fiori e intreccia affetti.
Perché roggio è 'l tuo verso, e tu ne' petti
Semini spine ? Oblia. P apran le fate
Il giardin de l' incanto, e la beltate
I suoi sorrisi. Il mondo anche ha diletti. —
Or dite a Giovenal che si dibatte
Sotto la dea, ch'egli lo spasmo in riso
Muti e in gliconio l'esametro ansante;
E, quando avventa i suoi folgori Dante
Su da l'inferno e giù dal paradiso,
Addolciteli voi nel caff ' e latte.
RIME NUOVE 563
XX.
DIETRO UN RITRATTO DELL' ARIOSTO
Q
^
uesta che a voi, donna gentil, ne viene
Imagin viva del divin lombardo
Ne r ampia fronte e nel fiso occhio e tardo
Lo stupor de' gran sogni anche ritiene.
Oh lui felice! il qual, poi ch'ebbe piene
Tutte del mondo suo lieto e gagliardo
Le carte, aprir più non sostenne il guardo
Sotto povero ciel, su meste arene.
E più felice ancor! che non favore
Di prence e di vulgo aura ogn' or novella
Né di teologai donna l'amore.
Ma premio a' canti era una bocca bella.
Che del fronte febeo lenia l'ardore
Co' baci, e quel fulgea come una stella.
564. RIME NUOVE
^ ^
J^
.r
^
^U ^"^
XXI.
SOLE E AMORE
JLjì(
^L
devi e bianche a la plaga occidentale
Van le nubi: a le vie ride e su '1 fòro
Umido il cielo, ed a l' uman lavoro
Saluta il sol) benigno^ trionfale.
Leva in roseo fulgor la cattedrale
Le mille guglie bianche e i santi d'oro,
Osannando irraggiata: intorno, il coro
Bruno de' falchi agita i gridi e V ale.
Tal, poi ch'amor co'l dolce riso via
Rase le nubi che gravarmi tanto.
Si rileva nel sol r anima mia,
E molteplice a lei sorride il santo
Ideal de la vita : è un' armonia
Ogni pensiero, ed ogni senso un, cenila..
RIME NUOVE 566
lo
\x^ «-^^ ^^
XXII.
MATTUTINO E NOTTURNO
/\l mattìn da la pioggia ecdo deterso
In purità d' azzurro il ciel risplende,
E dai sole di maggio a l' universo
Il sorrìso di Dio benigno scende;
Quando alacre da V animo sommerso
L'ali innovate il mio pensiero stende,
E al sol de gli occhi tuoi rivola il vèrso
Come trillo di lodola che ascende.
Ma sento ardermi in cor la luce bruna
De le pupille in cui erra dolente
Il desio d' un ignoto estraneo lito,
V.
Quando ammiro da i poggi ermi la luna ]
A la città marmorea tacente
Dir le malinconie de V infinito.
56^ RIME NUOVE
. ^-^1
> ' >:
JQUI REGNA AMORE
O
ve sei ? de' sereni occhi ridenti;
A ch4 tempri il bel raggio, o donna mìa?
E l'intima del cor tua melodia
A chi armonizzi ne' soavi accenti?
Siedi tra l'erbe e i fiori e a' freschi venti
Dai 1^ do^ce e pensosa alma in balia?
0 le; membra concesso hai de la pia
Onda a gli amplessi di vigor frementi?
Qh, dovunque tu sei, voluttuosa
Se r aura o l' onda con mormorio lento ,
Ti sfiora il viso o a' bianchi omeri posa,
È l'amor mio che in ogni sentimento
Vive e ti cerca in ogni bella cosa
E ti cinge d' eterno abbracciamento.
RIME NUOVE 567
XXIV.
VISIONE
O
r ch'a i silenzi di cerulea sera
Tra fresco mormorio d' alberi e fiori
Ella siede, e in soavi aure ed odori
Freme la voluttà di primavera,
Tu di vetta a l'antica alpe severa
Tra i verdi a Talbor tuo tremuli orrori
La cerchi, o luna, e quella dolce e altera
Fronte del tuo più vivo raggio irrori.
Tal forse, o greca dea, la pura fronte
Chinavi, in cuor d' Endimlfon pensosa,
Su '\ tuo grande sereno arco d' argento ;
E i fiumi al bianco pie pe M latmio monte^
Raggiati da la faccia luminosa,
Scendean d' amore a ragionar co '1 vento.
$68 RIME NUOVE
XXV.
MITO e; verità
N,
arran le istorie e cantano i poeti,
Cui diva nunzia Clio meglio ammaestra,
Mirabil cosa che d' Arto la destra
Oprò ne i campi di Bretagna lieti.
Spinse ei l'antenna del ferir maestra, .
E si ruppe a Mordrèc le due pareti
Del cuor, che i rai del sole irrequieti
Risero per V orribile finestra.
Meraviglia più nova in me si vede :
Che, strappando io la imagin bella e fiera
Dal mio cuore a cui viva ella si abbranca,
Il cuor mi strappo, e movo alacre il piede;
E per la piaga fumigante e nera
Ride il dispetto de l'anima franca.
RIME NUOVE 569
XXVI.
IN RIVA AL MARE
i irreno, anche il mio petto è un mar profondo
E di tempeste, o grande, a te non cede:
L' anima mia rugge ne' flutti, e a tondo
Suoi brevi lidi e il picciol cielo fiede.
Tra le sucide schiume anche da '1 fondo
Stride la rena: e qua e là si vede
Qualche cetaceo stupido ed immondo
Boccheggiar ritto dietro immonde prede.
La ragion da le sue vedette algenti
Contempla e addita e conta ad una ad una
Onde e belve ed arene in van furenti:
Come su questa solitaria duna
L' ire tue negre a gli autunnali venti
Inutil lampa illumina la luna.
570 RIME Nuovr
xxvir.
A UN ASINO
O,
Itre la siepe, o antico paziente,
De l'odoroso biancospin fiorita,
Che guardi tra i sambuchi a l' oriente
Con raccesa pupilla inumidita?
Che ragli al cielo dolorosamente?
Non dunque è amor che te, o gagliardo, invita?
Qual memoria flagella o qual fuggente
Speme risprona la tua stanca vita?
Pensi r ardente Arabia e i padiglioni
Di Giob, ove crescesti emulo audace
E di corso e d' ardir con gli stalloni ?
O scampar vuoi ne V Eliade pugnace
Chiamando Omero che ti paragoni
Al tèlamonio resistente Aiace?
RIME NUOVE 571
XXVIII.
AD UNA BAMBINA
S
u la parvola tua fiera persona
Il mio pensier rammemorando posa,
Ed una visTon si disprigiona
Che mi dormi ne M cuor gran tempo ascosa.
Quella in fulvi riflessi radiosa
Chioma che V agii capo V incorona
Farmi la selva di castagni ombrosa
Che là su r apuane alpi tenzona
Co' venti de V aprile. Ivi ne V armi
Vissero i forti padri, ivi la mia
Anima il mondo cominciò a sognare,
Mentre a le rupi ardue di bianchi marmi
Cerulo come l'occhio tuo feria
Il sorridente al sol ligure mare.
572 RIME NUOVE
XXIX.
A MADAMIGELLA MARIA L.
O
ne' giorni tuoi mesti e làgrimanti
Volata fuor de la veduta mia,
Quale risaliente angelo in pianti,
Dolce lume di ciel, bionda Maria;
Dal bel paese ov'ebbe Laura i canti
Del mìo poeta e la memoria pia
Or peregrina imagine d' avanti
Mi rifiorisci ne la fantasia:
Come nel serenato umido cielo
Giglio da l' improvviso verno affranto
Si rileva ondeggiando in su lo stelo,
E gli aurei stami ed il profumo e il vanto
Apre di sua beltà dal bianco velo
A' rai del sole e de gli augelli al canto;
RIME NUOVE 573
XXX.
MOMENTO EPICO
A,
ddio, gra$sa Bologna ! e voi di nera
Canape nel gran piano ondeggiamenti,
E voi pallidi in lunghe file a' venti
Pioppi animati da l'estiva sera!
Ecco Ferrara l'epica. Leggera
La mole estense i merli alza ridenti,
E specchiando le nubi auree furenti
Canta del Po l'ondisona riviera.
O terre intorno a gli alti argini sole,
Ove pianser l'Eliadi; a voi discende
La tenebra od'fata, e a me non duole.
A me ne l'ombre l'epopea distende
Le sue rosse ali, e su '1 mio cuore il sole
De le immortali fantasie raccende.
574 RIME NUOVE
r
XXXI.
MARTINO LUTERO
JLJvie nemici ebbe, e Tuno e T altro vinse,
Trentanni battaglier, Martin Lutero;
L' uno il diavolo triste, e quello estinse
Tra le gioie del nappo e del saltero;
L'altro rallegro papa, e contro spinse
A lui Cristo Qtsù duro ed austero;
E. di fortezza i lombi suoi precinse,
E di serenità 1- alto pensiero.
— Nostra fortezza e spada nostra Iddio —
A lui d' intorno il popol suo cantava
Con V inno eh' ei gli die pien d' avvenire.
Pur, guardandosi a dietro ei sospirava:
Signor chiamami a te: stanco son io:
Pregar non posso senza maledire.
RIME NUOVE 575
XXXII.
LA STAMPA E LA RIFORMA
C,
'redo — diceasi; e, come fiere in lustre,
Sonnecchiando giacean nel chiostro nero
Codici immani, e il tardo augel palustre
Porgea la penna al fulmine del vero.
Penso — si disse; e dritta in pie V industre
Arte die' di metalli ali a M pensiero,
E ad ogni scoter d* ala uscia d' illustre
Guerra dal torchio il libro messaggero.
Ed esce e vola, e al monte e al pian ragiona
Il piccol libro; e in fier sassone metro
E latin Talta sfida, a Roma intona.
Vola; e per Tàere ancor da* roghi tetro
Al Zuiderzée che lieto i lidi introna
Gitta di Carlo quinto e spada e scetro.
576 RIME NUOVE
xxxm.
ORA E SEMPRE
VL^ra --^: e la mano il giovine nizzardo
Biondo con sfavillanti occhi porgeà,
E come su la preda un leopardo
Il suo pensièro a P avvenir correa.
E sempre — : con la man fiso lo sguardo
L' austero genovese a lui rendea :
E su '1 tumulto eroico il gagliardo
Lume discese de r etema idea.
Ne r afir d' alte vision sereno
Suona il verbo di fede, e si diffonde
Oltre i regni di morte e di fortuna.
Ora — dimanda per lo ciel Staglieno,
Sempre —Caprera in mezzo a'I mar rì^>onde:
Grande su '1 Pantheon vigila la luna»
RIME NUOVE 577
XXXIV.
/
TRAVERSANDO LA MAREMMA TOSCANA
1
D.
olce paese, onde portai conforme
L' abito fiero e lo sdegnoso canto
E il petto ov'odio e amor mai non s'addorme,
Pur ti riveggo, e il cuor mi balza in tanto.
Ben riconosco in te le usate forme
Con gli occhi incerti tra '1 sorriso e il pianto,
E in quelle seguo de* miei sogni Torme
Erranti dietro il giovenile incanto.
Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
E sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
E dimani cadrò. Ma di lontano
Pace dicono al cuor le tue colline
Con le nebbie sfumanti e il Verde piano
Ridente ne le pioggie mattutine. i
Carducci. 37
578 RIME NUOVE
\
XXXV.
DIETRO UN RITRATTO
± al fui qùal fremo in questa imagin viva,
Quand' era tutto sole il mio pensiero
E a prova tra le sirti aspre del vero
Ribalzava il mio verso e ribolliva.
Or m'avvolge la calma: un velo nero
Copre la terra che lontan fioriva,
Strillano augei palustri in su la riva:
Ed io poco prù amo e nulla spero.
Oh fantasie di gloria a terra sparte !
E tu Italia vincente, e tu rubesta
Libertà coronata alto da Tartel
Sopra il fango che sale or non mi resta
Che gittare il mio sdegno in vane carte
E dal palco mortale un di la testa.
III.
.'O^*^'
1^
XXXVl.
MATTiNO ALPESTRE
Da
i r oriente palpita
Il giorno, e i primi raggi
Scendon soavi a frangersi
Tra'l nereggiar de' faggi.
Guizzar! su '1 fiume e ridono
. Tra i mormorii de l'onde,
Come occhi d' una vergine
Che a nuovo amor risponde.
Scorron su '1 monte; e s'anima
D' un riso aneli' ei, ma tardo,
Come al giocar de i pargoli
La faccia d' un vegliardo.
582. RIME NUOVE
*
Gii son fulgore, e spandesi
Per la vallèa fiorita,
Come speranza giovine
In su l'aperta vita.
Ondeggia dal pian rorido
E si raccoglie e stende
Un velo di caligine
Che al sóle argentea splende.
Floridi i colli emergono;
Ma le case e le piante
Come sogni traspaiono
Entro il vel biancheggiante.
Da i fumeggianti culmini
Tra i giuochi de la luce
Desio ne l'alto a querule
Coppie i palombi adduce.
Le ferse ali riflettono
Il limpido splendore.
Passano lampi ed iridio
Il ciel sorride amore.
RIME NUOVE 583
XXXVII.
ROSA E FANCIULLA
^•? ( 1,
'^•' ■ Ui
O
r che soave è il cielo e i di son belli
E gemon V aure e cantano gli augelli
Tu chini l'amorosa
Fronte, o vergine rosa.
Per te non fa che il prato ove nascesti
Tiranno solitario avvampi il sole,
Quando su' campi da la falce mesti
La polverosa estate a lui si duole,
E nel meriggio le campagne sole
Assorda la cicala,
E impreca al giorno, che affannoso cala,.
Dal risécco pantan la rana ascosa.
584 RIME NUOVE
Sùbito allor su' non più verdi colli
Sorge il turbine, e gran strepito mena,
Spazza gli ultimi fiori ed i rampolli,
E allaga i campi d'infelice arena;
E più cresce l'arsura, e de l'amena
Ombra il conforto manca.
Tu fuggi a quella stanca
Ora, o vergine rosa.
Per te non fa ne' giorni grigi e scarsi
Mirar la doglia de l' anno che muore,
Le foglie ad una ad una distaccarsi
E gemer sotto il pie del vlatore,
Sin che la nebbia del suo putre umore
Le macera o le avvolge
La fredda brezza e lenta le travolge
Giù ne r informe valle ruinosa.
Allor le nubi che fuman su i monti,
Allor le pioggie lunghe e tristi al piano,
E r alte ombre de' gelidi tramonti.
Ed il triste desio del sol lontano,
E la bruma crescente a mano a mano,
E il gel che tutto serra.
Tu fuggi a tanta guerra,
O giovinetta rosa.
RIME NUOVE
XXXVIIL
BRINDISI D* APRILE
V-<iuando su Telcì nere
E i mandorli novelli
Tripudia de gli augelli
Il coro nuzTal,
E son le primavere
Per le colline apriche
Occhi di ninfe antiche
Che guardano il mortai,
E il sol d' un giovenile
Riso i verzier saluta
E pio sovra la muta
Landa s' inchina il del,
586 RIME NUOVE
E il fiato de V aprile
Move le biade in fiore
Come un sospir d'amore
Di nuova sposa il vel:
Sobbalza allor di palpiti
Sente le sue ferite,
Il tronco de la vite,
De la fanciulla il cor;
Quella spira odorifere
Gemme a la fredda scheggia,
Questa desio lampeggia
Nel vergine rossor.
Allora a V aer tepido
Tutto fermenta e langue,
Entro le vene il sangue,
Entro le botti il vin.
Tu senti de la patria,
Rosso prìgion, desio ;
E Taura del natio
Colle, som move il tin.
Di pampini giuliva
La dolce vite è là.
Tu qui ne* lacci.... Oh viva^
Viva la libertà!
RIME NUOVE 587
Andiamo, il prigioniere
Andiamo a liberar;
Facciamlo nel bicchiere
Rivivere e brillar,
Brillare al colle in vetta,
Brillare in faccia al sol;
Ribaci lui Tauretta,
Riveda egli il magliol.
E tu arridigli, o sole. Ei di te nacque
Ne' di che ad Opi t* infondevi in seno :
De i doni suoi la vita egra compiacque,
Come te ardente, come te sereno:
Quando tu disparisti, ed ei soggiacque
Prigion celeste in carcere terreno :
Bagna i tuoi raggi nel gentil vermiglio.
Bacia, sole immortai, bacia il tuo figlio.
Vermiglio questo; ma queir altro è biondo
Come la chioma tua, lene Ag'feo,
Come le ninfe che inseguivi al mondo
Su le rive felici di Penco,
Allor che il ionio spirito giocondo
D' ogni splendida cosa iddio ti feo :
Ora le forme belle han tolto esigilo;
Bacia, sole immortai, bacia il tuo figlio.
588 RIME NUOVE
Unico ei resta, o sole; ed io d* amore
Unico r amo, o biondo siasi o nero.
Biondo, è la luce che da i nervi fuore
Sprizza del canto il creator pensiero;
Nero, è il buon sangue che di fondo al cuore
Ne i magnanimi fatti ondeggia altero:
Versa al biondo i tuoi raggi ed al vermiglio,
Bacia, sole immortai, bacia il tuo figlio.
RIME NUOVE 580
XXXIX.
PRIMAVERA CLASSICA
D,
a i verdi umidi margini
La violetta odora,
Il mandorlo s* infiora,
Trillan gli augelli a voi.
Fresco ed azzurro V aere
Sorride in tutti i seni:
Io chiedo a' tuoi sereni
Occhi un più caro sol.
Che importa a me de gli aliti
Di mammola non tócca?
Ne la tua dolce bocca
Freme un più vivo fior.
600 RIME NUOVE
Che importa a me del garrulo
Di fronde e augei concento?
Oh che divino accento
Ha su' tuoi labbri amor!
Auliscan pur le rosee
Chiome de gli arboscelli:
L*onda de* tuoi capelli,
Cara, disciogli tu.
M* asconda ella gV inanimi
Fiori del giovin anno:
Essi ritorneranno,
Tu non ritorni più.
RIME NUOVE 5Q1
XL.
AUTUNNO ROMANTICO
D,
i sereno adamantino su '1 vasto
Squallor d' autunno il cielo azzurro brilla,
Come di sua beltà nel conscio fasto
La tua fredda pupilla.
Come a te velo tentie le membra
Nel risorger del tuo bel giorno a V opre,
Nebbia la terra, che addormita sembra,
Argentea ricopre.
Ed immoti per essa ergon le cime
Irte e umide i grigi alberi muti,
Quai nel pensier cui la memoria opprime
I dolci anni perduti.
592 RIME NUOVE
E via sovr* essi indifferente il sole,
Che al bel maggio rideva entro la folta
Fronda, ora fulge e non riscalda. O Jole,
Amiam V ultima volta.
RIME NUOVE 593
XLI.
IN MAGGIO
Da H. Heine 's Letate Gedichte
vJTli amici a cui dissi d'amor parole
Peggio m' han fatto, ed ho spezzato il cuor:
Spezzato ho il cuor, ma là su alto il sole
Ride e saluta al mese de V amor.
Primavera fiorisce: allegri cori
D'augelli empiono il bosco giovenil:
Virginee ridon le fanciulle e i fiori:
Oh come orribii sei, mondo gentil!
L'Orco vogrio: miglior le piaggie bige
Danno asilo a i dolenti: ivi non più
Contrasto e scherno. Oh, meglio de la Stige
Errar su le notturne acque là giù.
Carducci. 38
594 RIME NUOVE
Il triste mormorio de Tonde lente,
De le figlie di Stinfalo il gracchiar,
La canzon de T Eumenidi stridente,
Il continuo di Cerbero latrar,
Son fiera cosa che al dolor s' accorda :
Di dolore ogni cosa ha vista e suon
Ove impera su V ombre Ecate sorda
Ed eterno del pianto ulula il tuon.
Ma qua su come e di che duro oltraggio
E sole e rose a me fiedono il cuor!
M' insulta il ciel, 1* azzurro ciel di maggio..
O mondo bello, tu sei pien d' orror !
RIME NUOVE 595
XLII.
PIANTO ANTICO
J— / albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da' bei vermigli fior,
Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.
Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita.
Tu de r inutil vita
Estremo unico fior,
596 RIME NUOVE
Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.
RIME NUOVE 997
XLIII.
NOSTALGIA
Jl ra le nubi ecco il turchino
Cupo ed umido prevale:
Sale verso TApenriino
Brontolando il temporale.
Oh se il turbine cortese
Sovra l' ala aquilonar
Mi volesse al bel paese
Di Toscana trasportar!
Non d' amici o di parenti
Là m' invita il cuore e il volto
Chi m' arrise a i di ridenti
Ora è savio od è sepolto.
Né di viti né d' ulivi
Bel desio mi chiama là:
Fuggirei daMieti clivi
Benedetti d' ubertà.
598 RIME NUOVE
De le mie cittadi i vanti
E le solite canzoni
Fuggirei: vecchie ciancianti
A marmprèi balconi!
Dove raro ombreggia il bosco
Le maligne crete, e al pian
Di rei sugheri irto e fosco
I cavalli errando van,
Là in maremma ove fiorio
La mia triste primavera,
Là rivola il pensier mio
Con Muoni e la bufera:
Là nel ciel nero librarmi
La mia patria a riguardar,
Poi co '1 tuon vo' sprofondarmi
Tra quei colli ed in quel mar.
RIME NUOVE 999
XLIV.
TEDIO INVERNALE
IV^a ci fu dunque un giorno
Su questa terra il sole?
Ci fur rose e vifole,
Luce, sorriso, ardor?
Ma ci fu dunque un giorno
La dolce giovinezza,
La gloria e la bellezza.
Fede, virtude, amor?
Ciò forse avvenne a i tempi
D'Omero e di Valmichi:
Ma quei son tempi antichi,
Il sole or non è più.
600 RIME NUOVE
E questa ov' io m' avvolgo
Nebbia di verno immondo
È il cenere d' un mondo
Che forse un giorno fu.
RIME NUOVE 601
XLV.
VIGNETTA
L,
la stagion lieta e 1' abito gentile
Ancor sorride a la memoria in cima
E il verde colle ov* io la vidi prima.
Brillava a T aere e a Tacque il novo aprile»
Piegavan sotto il fiato di ponente
Le fronde a tremolar soavemente.
Ed ella per la tenera foresta
Bionda cantava al sole in bianca vesta.
602 RIME NUOVE
XLVI.
LUNGI LUNGI
Da H. Heine' s Lyrisches Intermeamo
L
ungi, lungi, su l'ali del canto
Di qui lungi recare io ti vo' :
Là. ne i campi fioriti del santo
Gange, un luogo bellissimo io so.
Ivi rosso un giardino risplende
De la luna nel cheto chiarori
Ivi il fiore del loto ti attende,
O soave sorella de i fior.
Le viole bisbiglian vezzose,
Guardan gli astri su alto passar;
E tra loro si chinan le rose
Odorose novelle a contar.
RIME NUOVE G03
Salta e vieti la gazella, V umano
Occhio volge, si ferma a sentir:
Cupa s'ode lontano lontano
L' onda sacra del Gange fluir.
Oh che sensi d'amore e di calma
Beveremo ne l'aure colà!
Sogneremo, seduti a una palma,
Lunghi sogni di felicità.
604 RIME NUOVE
* XLVII.
PANTEISMO
I
0 non lo dissi a voi, vigili stelle,
A te non '1 dissi, onniveggente sol:
Il nome suo, fior de le cose belle,
Nel mio tacito petto echeggiò sol.
Pur r una de le stelle a r altra conta
Il mio secreto ne la notte bruna,
E ne sorride il sol, quando tramonta.
Ne' suoi colloqui con la bianca luna.
Su i colli ombrosi e ne la piaggia lieta
Ogni arbusto ne parla ad ogni fior:
Cantan gli augelli a voi — Fosco poeta,
Ti apprese al fine i dolci sogni amor. —
RIME NUOVE 605
Io mai no M dissi : e con divin fragore
La terra e il ciel l'amato nome chiama,
E tra gli effluvi de le acacie in fiore
Mi mormora il gran tutto — Ella, ella t' ama.
606 RIME NUOVE
XLVIII.
PASSA LA NAVE MIA
Da H. Heine 's Verschìedene
X assa la nave mia con vele nere,
Con vele nere pe '1 selvaggio mare.
Ho in petto una ferita di dolore,
Tu ti diverti a farla sanguinare.
E, come il vento, perfido il tuo core,
E sempre qua e là presto a voltare.
Passa la nave mia con vele nere.
Con vele nere pe '1 selvaggio mare.
RIME NUOVE 607
XLIX.
ANACREONTICA ROMANTICA
N,
el bel mese di maggio
Io sotterrai V Amor
De' nuovi soli al raggio
Sotto un' acacia in fior.
Le requie lamentose
Disser gli augelli in ciel,
E fu tra gigli e rose
Del picciol dio Tavel.
Fu tra le rose e i gigli
D'un molto amato sen:
I prati eran vermigli,
Rideva il ciel seren.
608 RIME NUOVE
Una memoria mesta
Vi posi a vigilar:
Roteasi de la festa
Il morto contentar.
Ahi, ma la tomba è cuna
Al picciolo vampiri
Al lume de la luna
Vuol tutte notti uscir.
Vien, su le tempie ardenti
Co' i vanni aperti sta;
Gli scuote lenti lenti,
E addormentar mi fa.
Susurra a V alma stanca
Un' ombra ed un ruscel,
Ed una fronte bianca
Ride tra un nero vel.
Cosi, mentr' ei del mite
Sonno m' irriga e tien.
Morde con due ferite
U umida tempia e M sen.
Per quelle il rosso sangue
Tutto mi sugge Amor,
E vaneggiando langue
La vita al capo e al cuor.
RIME NUOVE tìbO>
Ma, perché più non possa
Il reo vampiro uscir,
Dee su V aperta fossa .
Un prete benedir.
L' incanto allor si scioglie
E il morto in cener va;
Più da vestirsi spoglie
Il dèmone non ha.
L'avello del tuo petto,
O donna, io l'aprirò:
Il morto piccioletto
Vedervi dentro io vo';
Io vo'che putre e mézzo
Polvere ei tomi al fin:
Prete sarà il disprezzo
Ed acqua santa il vin.
rcci. 39
610 RIME NUOVE
L.
MAGGIOLATA
M,
aggio risveglia i nidi,
Maggio risveglia i cuori;
Porta le ortiche e i fiori,
I serpi e V usignol.
Schiamazzano i fanciulli
Ih terra, e in ciel li augelli
Le donne han ne i capelli
Rose, ne gli occhi il sol.
Tra colli prati e monti
Di fior tutto è una trama:
Canta germoglia ed ama
L' acqua la terra il ciel.
RIME NUÒVE 611
E a me germoglia in cuore
Di spine un bel boschetto;
Tre vipere ho nel petto
E un gufo entro il cervel.
612 RIME NUOVE
U.
SERENATA
L
/e stelle che viaggiano su M mare
Dicono — O bella luna, non dormire,
O bella luna, vògliti levare,
Che noi vogliamo per lo mondo gire.
Vogliam fermarci su la camerella
Ove nel sonno sta nostra sorella.
Nostra sorella splendYente e bruna
Che un mago ci ha rapita, o madre luna.
Di cima al colle rispondono i pini
E da la riva del fiume gli ontani:
— O stelle da' begli occhi piccolini
Deh perché fate quei discorsi vani?
Ella ci apparve il di primo di maggio
Tra un lauro snello e un glorioso faggio,
E dove ella sbocciò ninfa dal suolo
Cresce una rosa e canta un rusignolo. —
RIME NUOVE 613
Poi che le stelle tramontali nel mare,
Al monte e al piano tace ogni rumore:
La terra buia una camera pare
Ove s'addorme al fin Tuman dolore.
Come breve è la notte, o bella mia!
Desto nel bosco V uccellin già pia.
L'alba di maggio t'imbianca il verone,
E il saluto del mondo in cuor ti pone.
614 RIME NUOVE
LIl.
MATTINATA
B,
>atte a la tua finestra, e dice, il sole:
Levati, bella, eh' è tempo d' amare.
Io ti reco il desir de le viole
E gl'inni de le rose al risvegliare.
Dal mio splendido regno a farti omaggio
Io ti meno valletti aprile e maggio
E il giovin anno che la fuga affrena
Sul fior de la tua vaga età serena.
Batte a la tua finestra, e dice, il vento:
Per monti e piani ho viaggiato tanto:
Sol uno de la terra oggi è il concento,
E de' vivi e de' morti un solo è il canto.
De' nidi a i verdi boschi ecco il richiamo
— Il tempo torna: amiamo, amiamo, amiamo -
E il sospir de le tombe rinfiorate
— Il tempo passa: amate, amate, amate. —
RIME NUOVE 615
Batte al tuo cor, eh* è un bel giardino in fiore,
Il mio pensiero, e dice: Si può entrare?
Io sono un triste antico vlatore,
E sono stanco, e vorrei riposare.
Vorrei posar tra questi lieti mài
Un ben sognando che non fu ancor mai:
Vorrei posare in questa gioia pia
Sognando un bene che già mai non fia.
616 RIME NUOVE
■■■■••■ \
LUI.
DIPARTITA
Q.
,uando parto da voi, dolce signora,
Scura la terra e grigio il cielo appare,
Odo gufi cantar dentro e di fuora,
E gli alberi non restan di guardare.
Brulli, stupidi in vista e intirizziti,
Guardano a lungo come sbigottiti:
Guardan, crollano il capo e fuggon via,
E tornan sempre. Oh trista compagnia!
O trista compagnia, che cosa vuoi? —
— Noi ti guardiamo perché morto sei.
Noi Siam gli spettri de' pensieri tuoi,
Noi Siam gli spettri de'pensier di lei.
ler tra canti d'uccelli e tutti in fiore:
Oh come fugge la vita e l'amore!
Oggi ti accompagnamo al cimitero:
Oh come freddo e lungo è il tempo nero! -
RIME NUOVE 617
LIV.
DISPERATA
S,
>u M cavai de la Morte Amor cavalca
E traesi dietro catenato il cuore:
Ma il cuor s' annoia tra la serva calca
Sdegnoso di seguire il vii signore:
I lacci spezza e glie li gitta in faccia
Sorgendo con disdegno e con minaccia:
— Giù da la sella, Amor, poltrone iddio!
Io sol ti feci, e tu se' schiavo mio.
Signor ti feci nel pensier mio vano,
Schiavo ti rendo nel pensier mio forte :
Tutte le briglie io voglio a la mia mano:
A me il nero cavallo de la Morte! — -
E monta e sprona il cavaliere ardito
Salutando co '1 cenno V infinito.
E sotto il trotto del cavallo nero
Rimbomba il mondo come un cimitero.
618 RIME NUOVE
LV.
BALLATA DOLOROSA
u,
na pallida faccia e un velo nero
Spesso mi fa pensoso de la morte;
Ma non in frotta io cerco le tue porte,
Quando piange il novembre, o cimitero.
Cimitero m' è il mondo allor che il sole
Ne la serenità di maggio splende
E r aura fresca move V acque e i rami^
E un desio dolce spiran le viole
E ne le rose un dolce ardor s'accende
E gli uccelli tra'l verde fan richiami:
Quando più par che tutto il mondo s' ami
E le fanciulle in danza apron le braccia,
Veggo tra M sole e me sola una faccia^
Pallida faccia velata di nero.
RIME NUOVE 619
LVI.
DAVANTI UNA CATTEDRALE
i rionfa il sole, e inonda
La terra a lui devota:
Ignea ne Taria immota
L' estate immensa sta. -
Laghi di fiamma sotto
I dòmi azzurri inerte
Paiono le deserte
Piazze de la città.
Là spunta una sudata
Fronte, ed è orribil cosa:
La luce vaporosa
La ingialla di pallor.
420 RIME NUOVE
I
Dite : fa fresco a V ombra
De le navate oscure,
Ne l'urne bianche e pure,
O teschi de i maggior?
. •
RIME NUOVE 621
LVII.
BRINDISI FUNEBRE
S,
>u '1 viso de r amore
La rosa illanguidì
Senza lasciarmi un fiore
La gioventù fuggi.
Lo stuol de Tore danza
Lontano ornai da me:
Con esse è la speranza,
L' illusifon, la fé'.
Gli affetti alti ed intensi
Cui fu negato il fin,
I desidèri immensi
Irrisi dal destin,
622 RIME NUOVE
Tutti nel mio pensiero
Tutti sepolti io gli ho;
E al fosco ci ni itero
Custode fosco io sto.
Ma i nervi ancora ho forti:
Beviam, beviamo ancor:
Beviam, beviamo a i morti;
Con essi sta il mio cuor.
Sotto la terra nera
Giacciono ad aspettar;
La dolce primavera
Forse li fa svegliar.
Senton. de i freschi venti
L'alito ed il sospir,
Senton fra 1' ossa algenti
La verde erba salin
Lo senti il dolce aprile,
Il sol lo vedi tu?
O pargolo gentile,
Solo tu sei laggiù?
Dal suo lontano avello
Ti parla, o fanciullin.
Il bianco mio fratello
Dal bel castaneo crin?
RIME NUOVE 623
Gli avi ne i giorni foschi
Ti vengono a cullar,
L' uno da i colli tòschi,
L' altro dal tòsco mar ?
O sola e mesta al petto
La madre mia ti tien?
Riposa, o fanciulletto,
Sopra il fidato sen.
Beviamo. Ahi che nel cielo
Impallidisce il sol,
E mi circonda il gelo,
E si sprofonda il suol.
Come uno stuol di gufi
A vecchio monaster.
Tra gli umidicci tufi
Singhiozzano i pensier.
Per questo buio fondo
Chi è chi è che va?
Esiste ancora il mondo,
La gioia e la beltà?
Ne' lucidi paesi
Ancora esiste amor?
Io giù tra' morti scesi
Ed ho sepolto il cuor.
tS^i RIME NUOVE
LVIII.i^
SAN MARTINO
L
/a nebbia a gr irti colli
Piovigginando sale,
E sotto il maestrale
Urla e biancheggia il mar;
Ma per le vie del borgo
Dal ribollir de' tini
Va l'aspro odor de i vini
L'anime a rallegrar.
Gira su' ceppi accesi
Lo spiedo scoppiettando :
Sta il cacciator fischiando
Su r uscio a rimirar
RIME NUOVE 625
Tra le rossastre nubi
Stormi d'uccelli neri,
Com' esuli pensieri,
Nel vespero migrar.
Carducci. 40
626 RIME NUOVIS
LIX.
IN CARNIA
S,
^u le cime de la Tenca
Per le fate è un bel danzar.
Un tappeto di smeraldo
Sotto al cielo il monte par.
Nel mattin periato e freddo
De le stelle al muto albor
Snelle vengono le fate
Su moventi nubi d'or.
Elle vengon con l'aurora
Di Germania ivi a danzar.
Treman V ombre de gli abeti
Nere e verdi al trapassar.
RIME NUOVE §27
De la But che irrompe e scroscia
Elle ridono al fragor,
E in quel vortice d'argento
Striscian via le chiome d'or.
Freddo e nitido è il lavacro,
Ed il sole anche non par.
Su la vetta de la Tenca
Incominciano a danzar.
Bianche in vesta, rossi i veli,
I capelli nembi d'or,
Che abbandonano ridenti
De gli zefiri a l'amor.
Poi con voce arguta e molle.
Si che d'arpe un suono par.
Le sorelle de la Carnja
Incominciano a chiamar.
Tra il profumo de gli abeti
Ed il balsamo de i fior
Da le valli ascende il coro
Del mistero e de l'amor.
Su la rupe del Moscardo
E uno spirito a penar:
Sta con una clava immane
La montagna a sfracellar.
628 RIME NUOVE
Quando vengono le fate,
Egli oblia V aspro lavor;
E sospeso il mazzapicchio
Guarda e palpita d' amor.
Che le fate al travaglioso
Mai sorridano, non par:
Il selvaggio su la rupe
Si contenta di guardar,
E tal volta un cappel verde
Ei si mette per amor,
E d'un bel mantello rosso
Ei riveste il suo dolor.
Ahi, da tempo in su la Tenca
Niuna fata' non appar:
Sol la But tra i verdi orrori
S' ode argentea scrosciar,
E il dannato su '1 Moscardo
Senza più tregua d' amor
Notte e di co T mazzapicchio
Rompe il monte e il suo furor.
Ahi, le vaghe fantasie
Dal mio spirito esular,
E il torrente di memoria
Odo funebre mugghiar:
RIME NUOVE 629
Niun fantasima di luce
Cala ornai nel chiuso cuor,
E lo rompe a falda a falda
Il corruccio ed il dolor.
630 RIME NUOVE
■ ' .i
K'IiV •
; -, " ' -1
LX. /
VISIONE
I
1 sole tardo ne V invernale
Ciel le caligini scialbe vincea,
E il verde tenero de la novale
Sotto gli sprazzi del sol ridea.
Correva l'onda del Po regale,
L'onda del nitido Mincio correa:
Apriva l'anima pensosa l'ale
Bianche de' sogni verso un' idea.
E al cuor nel fiso mite fulgore
Di quella placida fata morgana
Rfaffacciavasi la prima età,
Senza memorie, senza dolore,
Pur come un' isola verde, lontana
Entro una pallida serenità.
NOTE
XLV111) pag. 60G. EK questa canzoncina di Enrico Heine,
come di molte altre sue, tutto lo spirito è nel motivo fantastico
e popolare. Il solo merito della mia versione, se merito alcuno
può avere, è del metro e dello sti1 popolare vecchio italiano
ripreso a rendere il romantico tedesco del secolo xix.
LXI) p. 6ig, V. 6. Dòmi atetirri ho detto le volte del cielo
con metafora che nella lingua francese non é rara: Balzac
" Le beau del d' Espagne étendaìt un dòme d' OMur au-dessits
de sa téle „. Vero è che per i francesi dame è la cupola, ma
e per noi la cupola è parte del dòmo.
LIX) p, 626. È una tradizione popolare, che prima la con-
tessa Caterina Percoto raccolse nel lihro delle sue Novelle; bel
libro e forte, che rispecchia la forte bellezia e bontà del Friuli.
IV.
AD ALESSANDRO D' ANCONA
o,
' de' cognati e de i dispersi miti
Per la selva d' Europa indagatore,
Mentre tu nozze appresti e i dolci riti
Affretti in cuore,
Io, dove ride al sol da l'infinito
Rincrespamento del ceruleo seno
E al ciel con echi mille e al breve lito
Plaude il Tirreno,
E digradando giti dal colle aprico
Per biancheggiante di palagi traccia
La verde antica terra al glauco amico
Porge le braccia.
636 RIME NUOVE
In queste di salute aure frementi
Terse le nebbie de lo spirto impure,
Dato il cuore a gli amici e date a i venti
Freschi le cure,
Anche una volta io qui libo a le dee
Che de la mente mia seggono in cima,
E t'accompagno le camene argee
Con la mia rima.
Non io tinger vorrei di dotta polve
A la sposa il vel bianco ed i pensieri
Né schiuder quei che un' età grossa involve
Grossi misteri.
Dannosa etade! Solitario mostro
La morte allor su '1 cieco mondo incombe
Con mille aspetti, e V uomo esce dal chiostro
Sol per le tombe.
Ne i boschi infuria e via per valli e gioghi
Una danza di forme atre e maligne
Ch'odiano il sole: Torrida de' roghi
Vampa le tigne.
Da l'aspre torri e dal cenobio muto,
Dal folto domo d'irti steli inserto,
Par che la vita 1' ultimo saluto
Mandi al deserto.
RIME NUOVE 637
Quindi r accidia rea eh' anco inimica
La natura e lo spirto, ed impossente
L' uomo, che un sogno tofbido affatica,
Aspira al niente.
L' ombra di morte e su da la marina
Di Teti il pianto fuor de le ftfe ville
Seguia tra i carri e l'armi la divina
Forza d' Achille.
Ma ei pugnava i giorni, e, a la romita
Notte citareggiando in su l'egea
Riva, a Dite a le Muse ed a la vita
Breve indulgea.
Pigri terror de l'evo medio, prole
Negra de la barbarie e del mistero.
Torme pallide, vial si leva il sole,
E canta Omero.
638 RIME NUOVE
LXII.
PRIMAVERE ELLENICHE
(i. eolia)
L
ina, brumaio torbido inclina,
Ne r aér gelido monta la sera :
E a me ne V anima fiorisce, o Lina,
La primavera.
In lume roseo, vedi, il rivale
Fedriade vertice sorge e sfavilla,
E di Castalia V onda vocale
Mormora e brilla.
Delfo a' suoi tripodi chiaro sonanti
Rivoca Apolline co' nuovi soli.
Con i virginei peana e i canti
De' rusignoli.
RIME NUOVE 63i
Da gr iperborei lidi al pio suolo
Ei riede, a' lauri dal pigro gelo:
Due cigni il traggono candidi a volo:
Sorride il cielo.
Al capo ha l'aurea benda di Giove
Ma nel crin florido l'aura sospira
E con un tremito d' amor gli move
In man la lira.
D' intorno girano come in leggera
Danza le Ci<:ladi patria del nume,
Da lungi plaudono Cipro e Citerà
Con bianche spume.
E un lieve il seguita pe '1 grande Egeo
Legno, a purpuree vele, canoro:
Armato règgelo per l'onde Alceo
Dal plettro d'oro.
Saffo dal candido petto anelante
A r aura ambrosia che dal dio vola.
Dal riso morbido, da l'ondeggiante
Crin di viola,
In mezzo assidesi. Lina, quieti
I remi pendono: sali il naviglio.
Io, de gli eolii sacri poeti
Ultimo figlio.
640 RIME NUOVE
Io meco traggoti per V aure achive :
Odi le celere tinnir: montiamo:
Fuggiam le occidue macchiate rive
Dimentichiamo.
RIME NUOVE 641
LXIII.
PRIMAVERE ELLENICHE
(il. dorica)
Oai tu r isola bella, a le cui rive
Manda il Ionio i fragranti ultimi baci
Nel cui sereno mar Galatea vive
E su' monti Aci ?
De r ombroso pelasgo Èrice in vetta
Eterna ride ivi Afrodite e impera,
E freme tutf amor la benedetta
Da lei costiera.
Amor fremono, amore, e colli e prati,
Quando la Ennea da' raddolciti inferni
Torna co '1 fior de' solchi a i lacrimati
Occhi materni.
Carducci. 41
642 RIME NUOVE
Amore, amor, susurran Tacque; e Alfeo
Chiama ne' verdi talami Aretusa
A i noti amplessi ed al concento acheo
L' itala musa.
Amore, amore, de' poeti a i canti
Ricantan le cittadi, e via pe'fòri
Dorlesi prorompono baccanti
Con cetre e fiori.
Ma non di Siracusa o d'Agrigento
Chied' io le torri: quivi immenso ondeggia
L' inno tebano ed ombrano ben cento
Palme la reggia.
La valle ov* è che i bei Nèbrodi monti
Solitaria coronano di pini,
Ove Dafni pastor dicea tra i fonti
Carmi divini?
— Oh di Pèlope re tenere il suolo
Oh non m' avvenga, o d' aurei talenti
Gran copia, e non de Tagil piede a volo
Vincere i venti!
Io vo' da questa rupe erma cantare,
Te fra le braccia avendo e via lontano
Calar vedendo V agne bianche al mare
SicilTano. —
RIME NUOVE 643
Cantava il dorio giovine felice,
E tacean gli usignoli. A quella riva,
O chiusa in un bel vel di Beatrice v
Anima argiva,
^Ti rapirò nel verso; e tra i sereni
Ozi de le campagne a mezzo il giorno,
Tacendo e rifulgendo in tutti i seni
Ciel, mare, intorno,
10 per te sveglierò da i colli aprichi
Le Driadi bionde sovra il pie leggero
E ammiranti a le tue forme gli antichi
Numi d' Omero.
Muoiono gli altri dèi: di Grecia i numi
Non sanno occaso; ei dormon ne' materni
Tronchi e ne' fiori, sopra i monti i fiumi
I mari eterni;
A Cristo in faccia irrigidi ne i marmi
11 puro fior di lor bellezze ignude:
Ne i carmi, o Lina, spira sol ne i carmi
Lor gioventude;
E, se gli evoca d' una bella il viso
Innamorato o d' un poeta il core,
Da la santa natura ei con un riso
Lampeggian fuore. /
§44 RIME NUOVE
Ecco danzan le Driadi, e — Qual etade —
Chieggon le Oreadi -— ti portò si bella?
Da quali vieni ignote a noi contrade,
Dolce sorella?
Mesta cura a te siede in fra le stelle
De gli occhi. Forse ti feri Ciprigna?
Crudel nume è Afrodite ed a le belle
Forme maligna.
Sola tra voi mortali Elena argea
Di nepente a gli eroi le tazze infuse;
Ma noi sappiam quanti misteri Gea
Nel sen racchiuse.
Noi coglierem per te balsami arcani
Cui lacrimar le trasformate vite,
E le perle che lunge a i duri umani
Nudre Anfitrite.
Noi coglierem per te fiori animati.
Esperti de la gioia e de V affanno :
Ei le storie d' amor de' tempi andati
Ti ridiranno;
Ti ridiranno il gemer de la rosa
Che di desio su '1 tuo bel petto manca,
E gr inni, nel tuo crin, de la fastosa
Sorella bianca.
RIME NUOVE 646
Poi nosco ti addurrem ne le fulgenti
De l' ametista grotte e del cristallo,
Ove eterno le forme e gli elementi
Temprano un ballo.
V immergerem ne i fiumi ove il concento
De' cigni i cori de le Naidi aduna;
Su Tacque i fianchi tremolan d'argento
Come la luna.
Ti leverem su i gioghi al ciel vicini
Che Zeus, il padre, più benigno mira.
Ove d' Apollo freme entro i divini
Templi la lira.
Ivi, raccolta ne le aulenti sale
Nostre, al beli' Ila ti farem consorte,
Ila che noi rapimmo a la brumale
Ombra di morte. -—
Ahi, da che tramontò la vostra etate
Vola il dolor su le terrene culle!
Questo raggio d' amor no '1 m' invidiate.
Greche fanciulle.
La cura ignota che il bel sen le morde
Io tergerò co '1 puro mèle ascreo,
L' addormirò co' le tebane corde.
Se fossi Alceo,
646 RIME NUOVE
La persona gentil ne lo spintale
Fulgor de gì' inni irradiar vorrei,
Cingerle il molle crin co* T immortale
Fior de gli dèi,
E, mentre nel giacinto il braccio folce
E del mio lauro la protegge un ramo,
Chino su '1 cuore mormorarle — O dolce
Signora, io v' amo. —
RIME NUOVE 647
LXIV.
PRIMAVERE ELLENICHE
(ih. alessandrina)
GeUdo n vento p. lunghi e candidi
Intercolonii feria; su'^tumuli
Di garzonetti e spose
Rabbrividian le rose
Sotto la pioggia, che, lenta, assidua,
Sottil, da un grigio cielo di maggio
Battea con faticoso
Metro il piano fangoso;
Quando, percossa d' un lieve tremito.
Ella il bel velo d' intorno a gli omeri
Raccolto al seno avvinse
E tutta a me si strinse:
648 RIME NUOVE
Voluttuosa ne Tatto languido
Tra i gotici archi, quale tra' larici
Gentil palma volgente
Al nativo oriente.
Guardò serena per entro i lugubri
Luoghi di morte; levò la tenue
Fronte, pallida e bella,
Tra le floride anella
Che a l'agii collo scendendo incaute
Tutta di molle fulgor la irradiano:
E piovvemi nel cuore
Sguardi e accenti d' amore
Lunghi, soavi, profondi: eolia
Cetra non rese più dolci gemiti
Mai né si molli spirti
Di Lesbo un di tra i mirti.
Su i muti intanto marmi la serica
Vesta strisciava con legger sibilo,
Spargeanmi al viso i venti
Le sue chiome fluenti.
Non mai le tombe si belle apparvero
A me ne i primi sogni di gloria.
Oh amor, solenne e forte
Come il suggel di morte!
RIME NUOVE 649
Oh delibato f ra i sospir trepidi
Su i cari labri fiore de V anima
E intraviste ne' baci
Interminate paci!
Oh favolosi prati d' Elisio,
Piene di cetre, di ludi eroici
E del purpureo raggio
Di non fallace maggio,
Ove in disparte bisbigliando errano
(Né patto umano né destin ferreo
L' un da V altra divelle)
I poeti e le belle!
@60 RIME NUOVE
LXV.
UNA RAMA D' ALLORO
I
o son, Dafne, la tua greca sorella,
Che vergin bionda isu '1 Peneo fuggia
E verdeggiai pur ieri arbore snella
Per r Appia via.
Tra i cippi e i negri ruderi soletta
Sotto il ciel triste io memore sognava
D' un tumulo ignorato in su la vetta,
E riguardava.
Guardava i colli ceruli del Lazio,
E a P aura che da Tivoli traea
Inchinandomi i fulgidi d' Orazio
Carmi dicea.
RIME NUOVE 651
Mi udivano gli uccelli, e saltellanti
Per r aer freddo su i nudati rami
A le rose ed al maggio e al solee a i canti
Facean richiami.
Ahi sempre infesti a me i poeti furo!
M' invidiò Enotrio a' sassi antichi e pii,
E tra le mani del poeta duro
Inaridii.
Avvolta in serto, oh foss' io stata ombrella
A la tua fronte! su la chioma nera
Come esultato avrei, dolce sorella,
Io verde e altera!
E ne la lingua che tra noi s' intende,
Chino a V orecchio puro e delicato,
Gli cileni amori e V itale leggende
P avrei cantato.
L' occhio tuo mesto a le* fraterne note
Sorriso avrebbe con ardor gentile,
E rifiorito de le molli gote
Saria V aprile.
NOTE
LXI) p. 635. Fu premessa a un frammento dell' Ilìade tra-
dotta da Ugo Foscolo pubblicato per gratulare alle noiie del
D' A. Nella strofe sesta si allude all' usanza dotta, se non
forse pedantesca, di pubblicare o ripubblicare in occasioni nu-
ziali scritture del trecento, documenti a simili; utili certo a
studiare, ma tutt' altro che opportune e graziose. Tant'è; per
amore dell' utile male inteso il nostro secolo va ognora pìtì
perdendo og[iÌ gusto della decenza artistica.
LXII) p. 638, str. u. A molti il novale Ftdrìade vertice suona
ostico. Me ne dispiace: ma è questione di geografia. " Gli al-
tipiani del Parnaso terminano dalla parte di sud in un preci-
pizio alto 20[J0 piedi che s' inalza a doppio picco chiamato
Phaedriades, dalla apparenza sfavillante allora che II sole ci
riflette. , Gugl. Smith. Manuale di geogr. ani., lib. iv cap. xx
(trad. ital., Firenze, Barbèra, 1868).
p. 639, str. vm. Da un frammento di Alceo; ' Saffo dalle
chiome di viola, subhme, dal dolce sorriso ,, Ancora nelle
strofe Jil-iv hii tentato di rifare un passaggio dell'inno di Al-
ceo ad Apolline, il quale doveva essere stupendo, a giudicarne
654 RIME NUOVE
anche dalla prosa che ce lo conservò disciolto e scolorato. (i|
Bergk^ fragni. 2; Moller, St d. leti. gr. cap. xiii.
LXIII) p. 642, str. viii e ix. Ho tradotto dall* idillio via
di Teocrito v. 53-56: " Non mi avvenga di possedere latem
di Pèlope né talenti d* oro né correre innanzi ai venti. Maafr
terò su questa pietra tenendoti fra le braccia e vedendo tato
insieme il gregge pascere lungo il mar di Sicilia „.
LXV) p. 650. Questa ode fu mandata alla march. D. G.
per accompagnamento d' un ramoscello d' alloro còlto sa li
Via Appia. Leggesi anche nel voi. in degli Scritti in prosati
in versi di Achille Monti, editi a cura dei figli (Imola, 1886|,
come cosa di lui, tra le poesie inedite. Quel buono e compianto
amico trascrisse di sua mano la ode dall' albo della signora, e
la copia trovata senza nome tra i suoi fogli fu la cagione del-
r errore.
V.
RIMEMBRANZE DI SCUOLA '
aiiiM' h :»lliiM K ctnutsnii ijiv ib 3
Éiom iHi\tso:>b il 3 :aluéJei logo i9*1
ra fi gltìgriò niaiuro; erà"urt"Bergtc5l-no
Del vita! messidoro, e tutta nozze
Ne gli amori del sole ardea la terra.
Igneo torrente dilagava il sole '
Pe' deserti del cielo incandescenti, "*
E al suo divino riso il mar ridea. ' '
Non rideva io fanciullo: il nero prete
Con voce chioccia bestemmiava lo amo
Ed un fastidio era il suo viso: intanto
A la finestra de la scuoia ardito
S'affacciava un ciliegio, e co' i vermigli
Frutti allegro ammiccava e arcane storie
Bisbigliava con l'aura. Onde, obliato
Il prete e de le coniugazioni
In su la gialla pagina le file
Quai di formiche ne la creta grigia,
€58 RIME NUOVE
N * ♦■
*
; Io tutto desioso liberava .
jt
GHf occhi e i pensier per la finestra, quindi
I monti e il cielo e quinci la lontana
Curva del mare a contemplar. Gli uccelli
Si mescean ne la luce armonizzando
Con mille cori: a i pigolanti nidi
Parlar, custodi pii, gli alberi antichi
Pareano, e gli arbuscelli a le ronzanti
Api ed i fiori sospirare al bacio
De le farfalle; e steli ed erbe e arene
Formicolavan d' indistinti amori
E di vite anelanti a mille a mille
Per ogni istante. E li accigliati monti
Ed i colli sereni e le ondeggianti
Mèssi tra i boschi ed i vigneti bionde»
E fin Torrida macchia ed il roveto
E la palude livida, pareano
Godere eterna gioventù nel sole.
Quando, come non so, quasi dal fonte
D' essa la vita rampollommi in cuore
II pensier de la morte, e con la morte
L'informe niente; e d'un sottratto quello
Infinito sentir di tutto al nulla
Sentire io comparando, e me veggendo
Corporalmente ne la negra terra
Freddo, immobile, muto, e fuor gli augelli
Cantare allegri e gli alberi stormire
E trascorrere i fiumi ed i viventi
Ricrearsi nel sol caldo irrigati
RIME NUOVE 659
De la divina luce, io tutto e pieno
L' intendimento de la morte accolsi;
E sbigottii veracemente. Anch' oggi
Quel fanciullesco imaginar risale
Ne la memoria mia; quindi, si come
Gitto di gelid' acqua, al cor mi piomba.
660 RIME NUOVE
LXVII.
IDILLIO DI MAGGIO
M,
aggio, idillio di Dante e Beatrice,
Che di tentazioni
Le vie, d' acacie infiori la pendice,
Le case di mosconi:
Maggio, che sovra Tossa ed i carcami
Rose educhi e viole.
Ed al postribol de la vita chiami
Divin lenone il sole:
Con le dolci memorie e i cari affanni,
Maggio, da me che vuoi?
Le sono storie ormai di tremiPanni:
Vecchio maggio, m' annoi !
Va', molli sonni reca e sussurranti
Ombre a pastori e cani,
A Maria fiorì e litanie, briganti
De l'arsa Puglia a i piani;
Va', da maggesi e da nidi e da fronde
Ti cantin selve e prati,
E ti bestemmi ciii ne 1' ossa asconde
Di Venere i peccati:
A questo tuo, che fra cortili e mura
M' irride, etico raggio.
Io tempro una canzon forte e sicura,
E te la gitto, o maggio.
Lo so; roseo fra' tuoi molli vapori
Espero in ciel ridea,
E tra le prime stelle e ì primi fiori
Ella usci come dea.
De le viole onde avea colmo il grembo
Gittommi; e il volto ascose,
E fug^i. Sento il suo ceruleo lembo
Sibilar tra le rose
Ancora: ancor su la sua testa bella
Soavemente inchina
Vedo tremar dal puro ciel !a stella.
La stella vespertina.
662 RIME NUOVE
E da la valle un fremito salia,
Un nembo inebriante;
E correa per i colli un'armonia;
Ed io pensava, o Dante,
A te, quando t* arrise un verecondo
Viso tra i bianchi veli,
E tu sentivi piovere su '1 mondo
Amor da tutti i cieli.
— Come al sol novo un desio di viola
S* apre il mio cuore a te.
La costoletta mi ritorna a gola:
Fa' venire il caffè. —
Cosi diceami un giorno de i cortesi
Ippocastani al rezzo.
Deh, quante dinastie di re cinesi
Passaro in questo mezzo?
Or son queir io? e questo è quel mio cuore,
Questo che in sen mi batte,
Qual procellosa V ala del condore
Su l'alte selve intatte?
Oh come solo il mio pensiero è bello
Ne la sua forza pura!
Oh come scolorisce in faccia a quello
Questa vecchia natura!
RIME NUOVE 663
Oh come è gretta questa mascherata
Di rose e di viole !
Questa volta del ciel come è serrata!
Come sei smorto, o sole!
6IS4 RIME NUOVE
LXVIII.
IDILLIO MAREMMANO
C
'o '1 raggio de V aprii nuovo che inonda
Roseo la stanza tu sorridi ancora
Improvvisa al mio cuore, o Maria bionda;
E il cuor che t' obliò, dopo tant' ora
Di tumulti oziosi in te riposa,
O amor mio primo, o d* amor dolce aurora
Ove sei? senza nozze e sospirosa
Non passasti già tu ; certo il natio
Borgo ti accoglie lieta madre e sposa;
Che il fianco baldanzoso ed il restio
Seno a i freni del vel promettean troppa
Gioia d'amplessi al maritai desio.
RIME NUOVE
Forti figli pendean da la tua poppa
Certo, ed or baldi un tuo sguardo cercando
Al mal domo cavai saltano in groppa.
Com' eri bella, o giovinetta, quando
Tra r ondeggiar de' lunghi solchi uscivi
Un tuo serto di fiori in man recando,
Alta e .ridente, e sotto i cigli viviutinN^ lO
Di selvatico fuoco lampeggiante i ;,v.
Grande e profondo l'occhio azzurro aprivi!
Come '1 ciano seren tra'l biondeggiante
Òr de le spiche, tra la chioma flava
Fioria queJl' occhio azzurro; e a te d'avante '
La grande estate, e intorno, fiammeggiava;
Sparso tra' verdi rami il sol ridea
Del melogran, che rosso scintillava. '/,
Al tuo passar, siccome a la sua dea, ,ri
Il bel pavon 1' occhiuta coda apria , 3
Guardando, e un rauco grido a te mettei^»
Oh come fredda indi la vita mia,
Come oscura e incresciosa è trapassata!
Meglio era sposar te, bionda Maria!
\
666 RIME NUOVE
Meglio ir tracciando per la sconsolata
Boscaglia al piano il bufolo disperso,
Che salta fra la macchia e sosta e guata,
Che sudar dietro al piccioletto verso!
Meglio^ x)prando obliar, senza indagarlo,
Questo enorme mister de V universo !
Or freddo, assiduo, del pensiero il tarlo
Mi trafora il cervello, ond' io dolente
Misere cose scrivo e tristi parlo.
Guasti 1 muscoli e il cuor da la rea mente,
Corrose Tossa dal malor civile.
Mi divincolo in van rabbiosamente.
Oh lunghe al vento sussurranti file
De* pioppi ! oh a le beli* ombre in su '1 sacrato
Ne i di solenni rustico sedile.
Onde bruno si mira il piano arato
E verdi quindi i colli e quindi il mare
Sparso di vele, e il campo santo è a lato!
Oh dolce tra gli eguali il novellare
Su '1 quieto meriggio, e a le rigenti
Sere accogliersi intorno al focolare!
RIME NUOVE 667
Oh miglior gloria, a i figliuoletti intenti
Narrar le forti prove e le sudate
Cacce ed i perigliosi avvolgimenti
Ed a dito segnar le profondate
Oblique piaghe nel cignal supino,
Che perseguir con frottole rimate
I vigliacchi d' Italia e Trissottino.
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RIME NUOVE
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LXIX.
•^CLASSICISMO E ROMANTICISMO
B,
benigno è il sol; de gli uomini al lavoro
Soccorre e allegro Tama;
Per lui curva la vasta mèsse d' oro
Freme e la falce chiama.
y.^
SS
U
Egli alto ride al vomero che splende
In tra le brune zolle
Umido, mentre il bue lento discende
Il risolcato colle.
Sotto il velo de' pampini i gemmanti
Grappoli infiamma e indora,
E a gli ebri de V autunno ultimi canti
Mesto sorride ancora.
RIME NUÒVE 66d
Egli de la città fra i neri tetti
Un suo raggio disvia,
E a la fanciulla va che i giovinetti
Di nel lavoro oblia,
E una canzon di primavera e amore
Le consiglia; a lei balza
Il petto, e ne la luce il canto e il cuore,
Come lodola, inalza. \J \\^^^'^^^^
Ma tu, luna, abbellir godi co '1 raggio / . •
Le ruine ed i lutti; r\ ^^^>^
Maturar nel fantastico viaggio ^
Non sai né fior né frutti.
Dove la fame al buio s* addormenta.
Tu per le impóste vane
Entri e la svegli, a ciò che il freddo senta
E pensi a la dimane.
Poi su le guglie gotiche ti adorni
Di lattei languori,
E civetti a' poeti perdigiorni
E a' disutili amori.
Poi scendi in camposanto: ivi rinfreschi
Pomposa il lume stanco,
E vieni in gara con le tibie e i teschi
Di baglior freddo e bianco.
^M RIME NUOVE
Odio la faccia tua stupida e tonda,
L' inamidata cotta,
Monacella lasciva ed infeconda,
Celeste paòlotta.
\
RIME NUOVE §71
LXX.
VENDETTE DELLA LUNA
JL e, certo, te, quando la veglia bruna
Lenti adduceva i sogni a la tua culla,
Te certo riguardò la bianca luna.
Bianca fanciulla.
A te scese la dea ne la sua stanca
Serenitade, e con i freddi baci
China al tuo viso — O fanciulletta bianca, —
Disse — mi piaci. —
E al fatai guardo, ove or s* annega e perde
L'anima mia, piovea lene il gentile
Tremolar del suo lume entro una verde
Notte d' aprile.
672 RIME NUOVE
Ti deponea tra i labbri la querela
De r usignuolo al frondeggiante maggio,
Quando la selva odora e argentea vela
Nube il suo raggio;
E del languor niveo fulgente, ond'ella
Ride a l'Aurora da le rosee braccia,
Ti diffondeva la persona bella,
La bella faccia:
Onde ascari occhi tuoi, dal cui profondo
Tutto lampeggia quel che ama e piace.
Nel roseo tempo che sorride il mondo
Io chiesi pace:
Pace al tuo riso, ove fiorisce pura
La voluttà che nel mio spirto dorme,
E che promesso m* ha V alma natura
Per mille forme.
Ahi, ma la tua marmorea bellezza
Mi sugge l'alma, e il senso de la vita
M' annebbia; e pur ne libo una dolcezza
Strana, infinita;
Com' uomo che va sotto la luna estiva
Tra verdi susurranti alberi al piano;
Che in fantastica luce arde la riva
Presso e lontano.
RIME NUOVE 673
Ed ei sente un desio d'ignoti amori
Una lenta dolcezza al cuor gravare,
E perdersi vorria tra i muti albori
E dileguare.
ARDUCCl 43
674 RIME NUOVE
LXXI.
Da la guai par eh* una stella si mooe.
Guido Cavalcamtl
J-jra un giorno di festa, e luglio ardea
Basso in un* afa di nuvole bianche:
Ne la chiesa lombarda il di scendea
Per le bifori giallo in su le panche.
Da la porta arcuata, che f leoni
Millenni di granito ama carcar,
Il rumor de la piazza e le canzoni
E i muggiti veniano in fra gli aitar.
La messa era cantata, ed i boati
De r organo chiamavano il Signore.
In fondo de la chiesa due soldati
Guardavan fisi ne V aitar maggiore.
Tra quella festa di candele accese,
Tra quella pompa di broccati e d'or,
Ei pensavan la chiesa del paese
Nel mese di Maria piena di fior.
RIME NUOVE 675
Sotto la volta d' una bruna arcata,
In tra due rosse colonnette snelle,
Stava la bella donna inginocchiata,
Giunte le mani, senza guanti, belle.
Umido a la piumata ombra del nero
Cappello il riero sguardo luccicò,
E in un lampo di fede il suo mistero
Quel fior di giovinezza a Dio mandò.
Io vidi, come un di Guido vedea,
Uscir da quei levati occhi una stella,
E da i labbri, che a pena ella movea.
Un'alata figura d'angelella.
La stella tremolando un lume pio
Sorridea, sorridea, non so a che;
Salia la supplicante angela a Dio
Chiamando in atti — Signor mio, mercé.
Si volse il prete a dire: Ite. Potente
Ruppe il sole a le nubi sormontando,
E incoronò d' un iride scendente
La bella donna che sorgea pregando.
C?orse tra le figure bizantine
Vermiglio un riso come di pudor;
Ma la Madonna le pupille chine
Tenea su '1 figlio, e mormorava — Amor.
676 RIME NUOVE
LXXII.
DAVANTI SAN GUIDO
T
cipressi che a Bólgheri alti e schietti
Vati da San Guido in duph'ce filar,
Quasi in corsa giganti giovinetti
Mi balzarono incontro e mi guardàm
Mi riconobbero, e — Ben torni ornai —
Bisbigliaron vèr' me co'l capo chino —
Perché non scendi ? Perché non ristai J
Fresca è la sera e a te noto il cammino.
Oh siediti a le nostre ombre odorate
Ove soffia dal mare il maestrale:
Ira non ti serbiam de le sassate
Tue d'una volta: oh, non facean già male!
RIME NUOVE 677
Nidi portiamo ancor di rusignoli:
Deh perché fuggi rapido cosi?
Le passere la sera intrecciati voli
A noi d' intorno ancora. Oh resta qui ! —
— Bei cipressetti, cipressetti miei,
Fedeli amici d' un tempo migliore,
Oh di che cuor con voi mi resterei —
Guardando io rispondeva — oh di che cuore !
Ma, cipressetti miei, lasciatemMre:
Or non è più quel tempo e quell'età.
Se voi sapeste!... via, non fo per dire.
Ma oggi sono una celebrità.
E so legger di greco e di latino,
E scrivo e scrivo, e ho molte altre virtù:
Non son più, cipressetti, un birichino,
E sassi in specie non ne tiro più.
E massime a le piante. — Un mormorio
Pe' dubitanti vertici ondeggiò,
E il di cadente con un ghigno pio
Tra i verdi cupi roseo brillò.
Intesi allora che i cipressi e il sole
Una gentil pietade avean di me,
E presto il mormorio si fé' parole:
— Ben lo sappiamo: un pover uom tu se'.
678 RIME NUOVE
Ben lo sappiamo, e il vento ce lo disse
Che rapisce de gli uomini i sospir,
Come dentro al tuo petto eterne risse
Ardon che tu né sai né puoi lenir.
A le querce ed a noi qui puoi contare
L' umana tua tristezza e il vostro duci
Vedi come pacato e azzurro è il, mare,
Come ridente a lui discende il sol!
E come questo occaso è pien di voli,
Com' è allegro de' passeri il garrire !
A notte canteranno i rusignoli:
Rimanti, e i rei fantasmi oh non seguire;
I rei fantasmi che da' fondi neri
De i cuor vostri battuti dal pensier
Guizzan come da i vostri cimiteri
Putride fiamme innanzi al passegger.
Rimanti; e noi, dimani, a mezzo il giorno,
Che de le grandi querce a l'ombra stan
Ammusando i cavalli e intorno intorno
Tutto è silenzio ne l' ardente pian,
Ti canteremo noi cipressi i cori
Che vanno eterni fra la terra e il cielo:
Da quegli olmi le ninfe usciran fuori
Te ventilando co '1 lor bianco velo;
RIME NUOVE 679
E Pan reterno che su Terme alture
A queir ora e ne i pian solingo va
Il dissidio, o mortai, de le tue cure
Ne la diva armonia sommergerà. —
Ed io — Lontano, oltre Apennin, m'aspetta
La Titti — rispondea — ; lasciatem' ire.
È la Titti come una passeretta,
Ma non ha penne per il suo vestire.
E mangia altro che bacche di cipresso;
Né io sono per anche un manzoniano!
Che tiri quattro paghe per il lesso.
Addio cipressi! addio, dolce mio piano! —
— Che vuoi che diciam dunque al cimitero
Dove la nonna tua sepolta sta? —
E fuggfano, e pareano un corteo nero
Che brontolando in fretta in fretta va.
Di cima al poggio allor, dal cimitero.
Giù de' cipressi per la verde via.
Alta, solenne, vestita di nero
Parvemi riveder nonna Lucia:
La signora Lucia, da la cui bocca.
Tra r ondeggiar de i candidi capelli.
La favella toscana, eh' è si sciocca
Nel manzonismo de gli stenterelli,
680 RIME NUOVE
Canora discendea, co M mesto accento
De la Versilia che nel cuor mi sta,
Come da un sirventese del trecento,
Piena di forza e di soavità.
0 nonna, o nonna! deh com'era bella
Quand' ero bimbo ! ditemela ancor,
Ditela a quest' uom savio la novella
Di lei che cerca il suo perduto amori
— Sette paia di scarpe ho consumate
Di tutto ferro per te ritrovare:
Sette verghe di ferro ho logorate
Per appoggiarmi nel fatale andare:
Sette fiasche di lacrime ho colmate.
Sette lunghi anni, di lacrime amare:
Tu dormi a le mie grida disperate,
E il gallo canta, e non ti vuoi svegliare.
Deh come bella, o nonna, e come vera
È la novella ancor! Proprio cosi.
E quello che cercai mattina e sera
Tanti e tanti anni in vano, è forse qui.
Sotto questi cipressi, ove non spero
Ove non penso di posarmi più:
Forse, nonna, è nel vostro cimitero
Tra quegli altri cipressi ermo là su.
RIME NUOVE 681
Ansimando fuggia la vaporiera
Mentr'io cosi piangeva entro il mio cuore;
E di poliedri una leggiadra schiera
Annitrendo correa lieta al rumore.
Ma un asin bigio, rosicchiando un cardo
Rosso e turchino, non si scomodò:
Tutto quel chiasso ei non degnò d' un guardo
E a brucar serio e lento seguitò.
6SZ RIME NUOVE
LXXIII. '
NOTTE DI MAGGIO
N,
on mai seren di più tranquilla notte
Fu salutato da le vaghe stelle
In riva di correnti e lucid'onde;
E tremolava rorida su *1 verde,
Rompendo l'ombre che scendean da' colli,
L'antica, errante^ solitaria luna.
Candida, vereconda, austera luna :
Che vapori e tepor per 1' alta notte
Saliano a te da gli arborati colli !
Parca che in gara a le virginee stelle
Si svegliasser le ninfe in mezzo il verde,
E un soave susurro era ne l' onde.
RIME NUOVE '683
Non tale un navigar d'oblio per Tonde
Ebbero amanti mai sotto la luna^
Qual io disamorato entro il bel verde:
Che solo a i buoni splender quella notte
Pareami, e da gli avelli e da le stelle
Spirti amici vagar vidi su i colli.
O voi dormenti ne i materni colli,
E voi d' umili tombe a presso V onde
Guardanti in cielo trapassar le stelle;
Voi sotto il fiso raggio de la luna
Rividi io popolar la cheta notte,
Lievi strisciando su '1 commosso verde.
Deh, quanta parte de l'età mia verde,
Rivissi in cima a i luminosi colli,
E vinta al basso rifuggia la notte !
Quando una forma verso me su l'onde,
Disegnata nel lume de la luna.
Vidi, e per gli occhi le ridean le stelle.
Ricorditi: mi disse. AUor le stelle
Furon velate, e corse ombra su '1 verde,
E di sùbito in ciel tacque la luna;
Acuti lai suonarono pe' colli ;
Ed io soletto su le flebili onde
Di sepolcro sentii fredda la notte.
664 RIME NUOVE
Quando la notte è fitta più di stelle,
A me giova appo Tonde entro il bel verde
Mirar su i còlli la sedente luna.
RIME NUOVE 686
LXXIV.
ALL'AUTORE DEL MAGO
O
Severino, de' tuoi canti il nido,
Il covo de' tuoi sogni io ben lo so.
Ondeggiante di canape è T infido
Piano che sfugge al curvo Reno e al Po.
Da gli scopeti de la bassa landa
Pigro il pizzaccherin si rizza a volo:
Con gli strilli di chi mercé dimanda
Levasi de le arzàgole lo stuolo,
Stampando T ombra su per l'acqua lenta
Ove l'anguilla maturando sta.
Oh desio di canzoni, oh sonnolenta
Smania di sogni ne l' immensità !
686 RIME NUOVE
Oh largo su gli alti argini del fiume
Risplender rosso de V estiva sera !
Oh palpitante de la luna al lume
Tenero verdeggiar di primavera I
Quando i pioppi contemplano le stelle
Innamorati con lungo sospir,
Ed un lontano suon di romanelle
Viene da' canapai lento a morir!
Allor che agosto cada, o Severino,
E chiamin l'acqua le rane canore,
Noi tornerem poeti a l'Alberino,
Tutti solinghi in bei pensier d' amore ;
Ed a' tuoi pioppi ne le notti chete
Noi chiederem con desiosa fé' :
— O alti pioppi che tutto vedete,
Ditene dunque : Biancofiore ov' è?
Siede in riva a un bel fiume ? o il colle varca
Tessendo al capo un cerchio agii di fiori?
O dentro una sestina del Petrarca
Beata ride i nostri vani amori ? —
NOTE
LXVUl, p, 661, verso ultimo. Chi non ricorda nelf atto IH
detl« Femmes Savantes dì G. B. Molière l' elegante Trìssottln
e il suo amico'i nimico Vadius, due ritratti immortali dei lette-
ratì di consorteria e di ericca e i loro amebei panegirici?
Nei quali par di ascoltare e rileggere le lezioni, le recensioni,
gli articoli, le citazioni o dedicatorie dei nostri professori, tìlo-
sofi, storivi, romanzieri, critici, rimatori e appendicisti officiati,
grandi uomini tutti, come tutti sanno.
LXX, p. 671. Questo principio è imitato dal principio
del xxxvil dei Petits poémes en prose intitolato Les bienfails
de la Lune di Carlo Baudelaire che incomincia cosi ; " La lune,
qui est le eaprice mime, regarda par la fenéire pendant que
tu dormais dans lon òerceau, et se dit: — Celle enfant me
plait. „ Solo il principio' il resto va a conto mio.
LXXII, p. 676. A illustrare, come si dice e forse qui è pro-
prio, questi versi, ecco il tratto d' un libro di Leopoldo Bar-
boni, intit. Giosuè Carducci e la Maremma (Livorno, Giusti,
1885), del qual libro varrei dir bene se l'autore non dicesse
RIME NUOVE
troppo bene di me : h ogni modo gli sono grato pe '1 fedeli
amore onde ritrae ì paesaggi maremmani. ' Segregato,
piattato due miglia in dentro alla nostra destra, tra i
sfrondali dei gàllici e dei pioppi, si cominciava a veder
< gheri.... Un quarto d' ora fermavamo all' oratorio di San Guido.
Il qual oratorio e il magnitiCD vialone omonimo che dalia
regia si slancia fino a Bólgheri per tre chilometri in circa
un rettilineo perfetto determinalo da due ale di cipressi,
presenta benissimo al viaggiatore che corre sulla strada fer
rata Pisa-Roma „ Nairando poi dì una visita al signore del
luogo Walfredo conte della GlierardeSL'a, serive riferent
le parole: " Ella vede: di que' cipressi ve ne ha che hanno
sofferto, e ci sarebbe bisogno atterrarli lutti e fare una
tata novella. Ma il Carducci gli ama, e però io gli rispetto.
Toglierò, via via, i malandati, rimpiazzandoli con piante gio-
vini; e cosi il vialone serlierà la sua vera fisionomia oramai
celebrata , Gnuie, signor conte; non per la aUbrUà, ma
per t'amort.
LXXIV, p. S85. PÌMtaccherinn in Romagna e pi»-
Bacchtrttto in Bologna chiamano il Beccaccino reale. " Co-
nosciamo un altro uccello simile al suddetto [cioi alla bec-
caccia, di cui prima l' autore ha parlato 1, ma la metà pid pic-
colo: a Roma lo chiamano pàaarda, noi piaaaccheretto ,:
cosi un vecchio scrittore bolognese, Vincenzo Tanam, nel
trattato ' La caccia degli uccelli „ pubbl. in Bologna, presso
Romagnoli Dall'Acqua, 1886, dal mio buon amico dott Alberto
Bacchi della Lega, eh' è un' autorità cosi in cinegetica come
in bibliograiia.
p. 686. Romanelle dicono in Romagna i canti popolari
su r ispirazione e la intonazione dei rispetti toscani, ma com-
posti di soli quattro endecasillabi.
VI.
44
Carducci.
'>i
LXXV.
I DUE TITANI
u
avvoltoio, o fratello, il cuor mi lania
Con piaghe eterne e nuove:
Paziente fratel di Mauritania,
Maledetto sia Giove!
Ed a me il ciel d' astri e di dèi fervente
Gli òmeri grava e il petto:
0 di Scizia fratel mio sapiente,
Giove sia maledetto!
Intorno a questo capo ove signore
Siede il pensiero eterno
Intorno al sen che alberga tanto amore,
Stride perpetuo verno.
RIME NUOVE
ATLANTE.
Libica estate a me le membra incende.
10 brucio: questa pietra
Del granito, che tienmi, al sol si fende
Con un tinnir di cetra.
PROMETEO.
In che peccai? La luce, etereo dono,
Arrisi in cuore e in volto
A 1' uom : fatto ei l' avea triste e al suol prono,
11 re d'Olimpo stolto.
ATLANTE.
Vii tirannol dieci anni a faccia a faccia
Gli stetti contro in guerra:
Vòlto in bruto, ei fuggi da le mie braccia
Tremando per la terra.
PROMETEO.
Ma io so eh' ei morrà, né per preghiere
Gli apro de i fati il velo:
Ond' ei del fulmin tutto di mi fere.
Il vigliacco del cielo.
ATLANTE.
Pomi a me crescon, di sue mense invidia:
L' Esperidi ognor deste
Guardanti a me : oh in vano ei me gì' insidia.
II ghiottone celeste.
RIME NUOVE 693
PROMETEO.
Da lo scitico mare in lunghi manti
Le azzurre Oceanine
A me surgono, e d' inni e di compianti
Mi ghirlandano il crine.
ATLANTE.
E a me danzando vengono amorose
Le Pleiadi, fiorenti
Mie figliuole, d' eroi feconde spose.
Madri d* inclite genti.
PROMETEO.
Ferma Io la fatai fuga d' avante
A me, la fera faccia
Volgendo: io canto a la divina errante
La gloria eh' è in sua traccia.
ATLANTE.
Cirene a me ne l'odorata sera
Spande le trecce belle,
E pie traverso quella chioma nera
Mi ridono le stelle.
Come opposta s' incontra la corrente
Che da^due poli move,
Te il forte ad una voce e il sapiente
Maledicono, o Giove.
LXXVI.
LA LEGGENDA DI TEODORICO
Ou 'I castello di Verona
Batte il sole a mezzogiorno,
Da la Chiusa al pian rintrona
Solitario un suon di corno,
Mormorando per l'aprico
Verde il grande Adige va;
Ed il re Teodorico
Vecchio e triste al bagno sta.
Pensa il di che a Tulna ei venne
Di Crimilde nel conspetto
E il cozzar di mille antenne
Ne la sala del banchetto,
Quando il ferro d'Ildebrando
Su la donna si calò
E dal funere nefando
Egli solo ritornò.
RIME NUOVE 095
Guarda il sole sfolgorante
E il chiaro Adige che corre,
Guarda un falco roteante
Sovra i merli de la torre;
Guarda i monti da cui scese
La sua forte gioventù;*
Ed il bel verde paese
Che da lui conquiso fu.
Il gridar d' un damigello
Risonò fuor de la chiostra:
— Sire, un cervo mai si bello
Non si vide a l'età nostra.
Egli ha i pie d'acciaro a smalto,
Ha le corna tutte d' òr. —
Fuor de l'acque diede. un salto
Il vegliardo cacciator.
— I miei cani, il mio morello,
Il mio spiedo -- egli chiedea:
E il lenzuol quasi un mantello
A le membra si avvolgea.
I donzelli ivano. In tanto
Il bel cervo dispari,
E d' un tratto al re da canto
Un corsier nero nitri.
d&b RIME NUOVE
Nero come un corbo vecchio,
E ne gliiocchiavea carboni.
Era pronto TapparecchiOj
Ed il re balzò in arcioni.
Ma i suoi veltri ebber timore
E si misero a guair,
E guardarono il Signore
E no '1 vollero seguir.
In quel mezzo il cavai nero
Spiccò via come uno^ strale,
E lontan d' ogni sentiero
Ora scende e ora sale:
Via e via e via e via,
Valli e monti esso varcò.
11 re scendere vorria,
Ma staccar non se ne può.
Il più vecchio ed il più fido
Lo seguia de' suoi scudieri,
E mettea d'angoscia un grido
Per gV incogniti sentieri :
— O gentil re de gli Amali,
Ti seguii ne' tuoi be' di,
Ti seguii tra lance e strali.
Ma non corsi mai cosi.
RIME NUOVE 697
Teodorico di Verona,
Dove vai tanto di fretta?
Tornerem, sacra corona,
A la casa che ci aspetta? —
— Mala bestia è questa mìa.
Mal cavallo mi toccò:
Sol la Vergine Maria
Sa quand'io ritornerò. —
Altre cure su nel cielo
Ha la Vergine Maria:
Sotto il grande azzurro velo
Ella i martiri covria,
Ella i martiri accoglieva
De la patria e de la fé';
E terribile scendeva
Dio su '1 capo al goto re.
Via e via su balzi e grotte
Va il cavallo al fren ribelle:
Ei s' immerge ne la notte,
Ei s' aderge in vèr' le stelle*
Ecco, il dorso d' Apennino
Fra le tenebre- scompar,
E nel pallido mattino
Mugghia a basso il tòsco mar.
698 RIME NUOVE
Ecco Lipari, la reggia
Di Vulcano ardua che fuma
E tra i bòrabiti lampeggia
De Tardor che la consuma:
Quivi giunto il cavai nero
Contro il ciel forte springò
Annitrendo; e il cavaliero
Nel cratere inabissò.
Ma dal Calabro confine
Che mai sorge in vetta al monte?
Non è il sole, è un bianco crine;
Non è il sole è un'ampia fronte
Sanguinosa, in un sorriso
Di martirio e di splendor:
Di Boezio è il santo viso,
Del romano senator.
RIME NUOVE 699
LXXVII.
IL COMUNE RUSTICO
O
che tra faggi e abeti erma su i campi
Smeraldini la fredda ombra si stampi
Al sole del mattXn puro e leggero,
O che foscheggi immobile nel giorno
Morente su le sparse ville intorno
A la chiesa che prega o al cimitero
Che tace, o noci de la Carnia, addio!
Erra tra i vostri rami il pensier mio
Sognando V ombre d' un tempo che fu.
Non paure di morti ed in congreghe
Diavoli goffi con bizzarre streghe,
Ma del comun la rustica virtù
700 RIME NUOVE
Accampata a V opaca ampia frescura
Veggo ne la stagion de la pastura
Dopo la messa il giorno de la festa.
Il consol dice, e poste ha pria le mani
Sopra i santi segnacoli cristiani:
— Ecco, io parto fra voi quella foresta
D' abeti e pini ove al confin nereggia.
E voi trarrete la mugghiante greggia
E la belante a quelle cime là.
E voi, se l'unno o se lo slavo invade,
Eccovi, o figli, l'aste, ecco le spade,
Morrete per la nostra libertà. —
a-
Un fremito d'orgoglio empieva i petti,
Ergeaje bionde teste; e de gli eletti
In su le fronti il sol grande feriva.
Ma le donne piangendo sotto i veli
Invocavan la madre alma de' cieli.
Con la man tesa il console seguiva:
—- Questo, al nome di Cristo e di Maria,
Ordino e voglio che nel popol sia. —
A man levata il popol dicea. Si.
E le rosse giovenche di su '1 prato
Vedean passare il piccolo senato,
Brillando su gli abeti il mezzodì.
RIME NUOVE 701
LXXVIII.
SU I CAMPI DI MARENGO
LA NOTTE DEL SABATO SANTO 1175
wu i campi di Marengo batte la luna; fosco
Tra la Bormida e il Tanaro s'agita e mugge un
bosco ;
Un bosco d' alabarde, d' uomini e di cavalli,
Che fuggon d'Alessandria da i mal tentati valli.
D' alti fuochi Alessandria giù giù da TApennino
Illumina la fuga del Cesar ghibellino:
I fuochi de la lega rispondon da Tortona,
E un canto di vittoria ne la pia notte suona:
— Stretto è il leon di Svevia entro i latini acciari:
Ditelo, o fuochi, a i monti, a i colli, a i piani,
a i mari.
Diman Cristo risorge: de la romana prole
Quanta novella gloria vedrai domani, o sole! —
702 RIME NUOVE
Ode, e, poggiato il capo su V alta spada, il sire
Canuto d' Hohenzollern pensa tra sé — Morire
Per man di mercatanti che cinsero pur ieri
A i lor mal pingui ventri V acciar de'cavalieri! -
E il vescovo di Spira, a cui cento convalli
Empion le botti e cento canonici gli stalli,
Mugola — O belle torri de la mia cattedrale,
Chi vi canterà messa la notte di natale? —
E il conte palatino Ditpoldo, a cui la bionda
Chioma per V agii collo rose e ligustri inonda,
Pensa — Dal Reno il canto degli elfi per la bruna
Notte va: Tecla sogna al lume de la luna. —
E dice il magontino arcivescovo — A canto
De la mazza ferrata io porto Tolio santo:
Ce n'è per tutti. Oh almeno foste de Talpe
a* varchi,
Miei poveri muletti d'italo argento carchi! —
E il conte del Tirolo — Figliuol mio, te domane
Saluterà de l'Alpi il sole ed il mio cane:
Tuoi 1' uno e l'altro; io, cervo sorpreso da i villani,
Cadrò sgozzato in questi grigi lombardi piani. -
Solo, a piedi, nel mezzo del campo, al corridore
Suo presso, riguardava nel ciel l' imperatore:
Passavano le stelle su '1 grigio capo; nera
Dietro garria co '1 vento l' imperiai bandiera.
RIME NU0YE '703
ATianchi di Boemia e di Polonia i regi
Scettro e spada reggevano, del santo impero i fregi.
Quando stanche languirono le stelle, e rosseggianti
Ne Talba parean l'Alpi, Cesare disse — Avanti!
A cavallo, o fedeli! Tu Wittelsbach, dispiega
Il sacro segno in faccia de la lombarda lega.
Tu intima, o araldo: Passa T imperator romano.
Del Divo Giulio erede, successor di Traiano. —
Deh come allegri e rapidi si sparsero gli squilli
De le trombe teutoniche fra il Tanaro ed il Po,
Quando in cospetto a l'aquila gli animi ed i vessilli
D'Italia s'inchinarono e Cesare passò!
704 RIME NUOVE
LXXIX.
FAIDA DI COMUNE
M:
.anda a Cuosa in vai di Serchio
Pisa manda ambasciatori:
Del comun di santa Zita
Ivi aspettano i signori.
Ecco vien Bonturo Dati,
Mastro in far baratterie:
Ecco Gino ed ecco Pecchie,
Che spazzarono le vie:
Ecco il Feccia ed ecco il Truglia,
Detti ancor bocche di luccio:
Il miglior di tutti è Nello,
Merciaiuol popolaruccio.
RIME NUOVE "KB'
Tutti a nuovo in beir arnese,
Co'l mazzocchio e con la spada:
Il fruscio de le lor séte
Empie tutta la contrada.
Il fruscio de le lor séte
Chiama il popolo a raccolta:
Gran dispregio han su le ciglia:
Parlan tutti in una volta.
Ma Band uccio di Buonconte
Grave d'anni e più di gloria
(Tre ferite ebbe di punta,
Due di mazza a la Meloria),
Stando a capo de i pisani.
Come vecchio e maggior deve,
Fatto pria cenno d' onore.
Cosi disse onesto e breve:
— Vincitori si, ma stanchi
Di contese e cristiani,
Noi veniamo a segnar pace
Co* lucchesi, noi pisani.
Render Buti, Avane, Asciano,
Prometteste: or ce li date.
E viviam, fratelli, in pace,
Se viviamo in libertate. —
^Ducci. 45
TOS RIME NUOVE
Qui Bonturo si fa innanzi
Tra i lucchesi ambasciatori
Di tre passi, e parla adorno
Con retorici colori.
— Bel castello è Avane, e corte
Fu de i re d' Italia un giorno.
Vi si sente a mezza notte
Pe' querceti un suon di corno.
Vi si sente a mezza notte
La real caccia stormire,
Dietro ad una lepre nera
Un cavai nero annitrire.
Perché Astolfo longobardo
D' una lepre ebbe contesa
Con l' abate Sighinulfo,
Qual de' due T avesse presa:
Onde il re venuto in ira
Trasse in faccia al santo abbate
Una mazza, e tutte gli ebbe
Le mascelle sgretolate.
Gran ricordi, e, come a seggio
Di marchese, a Lucca grati.
Pure Avane ed i suoi boschi
Noi vogliam che vi sian dati.
RIME NUOVE 707
Brutto borgo è Buti: a valle
Tra le rocce grige e ignude
Il Riomagno brontolando
Va di Bientina al palude.
Ma su alto oh come belli
D' ubertà ridono i clivi,
Ma su alto oh come lieti
Ne r aprii svarian gli ulivi !
Bacchian li uomini le rame,
Le fanciulle fan corona,
E di canti la collina
E di canti il pian risona.
Mentre pregni d*abondanza
Ispumeggiano i frantoi
Scricchiolando. Il ricco Buti
Noi cediam, pisani, a voi.
Ma d'Asciano in van pensate:
Quando a voi lo conquistammo
Su le torri del castello
Quattro specchi ci murammo,
A ciò che le vostre donne,
Quando uscite a dameggiare.
Ne gli specchi de i lucchesi
Le si possan vagheggiare. —
708 RIME NUOVE
E qui surse tra i lucchesi
Uno sconcio suon di risa.
A i pugnali sotto i panni
Miser m^o quei di Pisa.
Ma Banduccio di Buonconte
Con un cenno di comando
Frenò V ire, e su i lucchesi
Fieramente riguardando,
— Otto giorni — disse, e tese
Contro Lucca avea le mani — ,
E vedrete quali specchi
Han le donne de i pisani. —
Sette giorni : e a Pisa, in ponte,
Tra gli albor crepuscolari,
Era accesa una candela
Di sol dodici denari.
Stava presso la candela,
Tremolante nel bagliore,
Co' pennoni del comune
A cavallo un banditore.
E sonava a più riprese
De la tromba, e urlava forte:
— Viva il popolo di Pisa
A la vita ed a la morte!
RIME NUOVE 709
Cittadini di palagio,
Mercatanti e buoni artieri;
E voi conti di Maremma
Da i selvatici manieri;
Voi di Corsica visconti,
Voi marchesi de' confini;
Voi che re siete in Sardegna
Ed in Pisa cittadini;
Voi che in volta dal levante
Mainaste or or la vela:
Pria che arrossi la Verruca
E si spenga la candela,
Fuori porta del Parlaselo,
Su, correte arditamente!
Su, su, popolo di Pisa,
Cavalieri e buona gente!
Fuori porta del Parlaselo,
Con gran cuore, a lancia e spada!
Ugucclon de la Fagglola
Messo ha in punto la masnada.
Tutto ferro V ampio busto.
Ed il grande capo ignudo,
Sta su '1 grande cavai bianco
E imbracciato ha il grande scudo.
710 RIME NUÒVE
Che ben quattro partigiane
Regge, e, come fòsser cedi, ;
De' lucchesi i verrettoni
Regge infitti a dieci a dieci. -
Cosi grida il banditore,
E la gente accorre armata.
Va co '1 sole di novembre,
Va la fiera cavalcata.
Va per grige irsute stoppie
Da la brtna inargentate.
Va per languidi oliveti,
Va per vigne dispogliate.
Forte odora per le ville
La vendemmia già matura:
Ahi, quest'anno san Martina
Dà la mala svinatura!
O lucchesi, il vostro santo
Non è più, mi par, con voi.
II pisan cacciasi avanti
Contadini e carri e buoi,
E battendo ed uccidendo
Corre il misero paese;
Fugge innanzi a quella furia.
Fugge il popolo lucchese.
RIME NUOVE 711
Cosi giunge a san Friano
La feroce cavalcata.
Lucca dentro le sue torri
Téme V ultima giornata.
I pisani oltre le mura
Gittan faci e verrettoni.
— Togli su, pantera druda,
Togli su questi bocconi — .
— Tali specchi, o Lucca bella,
Pisa manda a le tue donne — .
E rizzaron su la porta
Due lunghissime colonne;
E due specchi in vetta in vetta^
Grandi e grossi come bótti,
V'appiccarono: ed intorno
Menan balli e dicon motti.
Ma Tigri n de la Sassetta
Faccia ed anima cattiva,
Trasse a corsa pe' capelli
Un lucchese che fuggiva,
E la spada per le reni
Una volta e due gli fisse;
Tinse il ditto entro quel sangue.
Su la porta cosi scrisse:
712
RIME NUOVE
— Manda a te, Bonturo Dati,
Che i lucchesi hai consigliati,
Da la porta a San Friano
Questo saluto il popolo pisano.
RIME NUOVE 713
LXXX,
NINNA NANNA DI CARLO V
I
n Brusselle, a Tostel, sola soletta,
Di tre giovini sposi vedovetta,
Sta Margherita d'Austria; e s'affretta
Una camicia bianca ad agucchiare.
A lei da canto il nipotino in culla
Con un magro levriero si trastulla:
Ha le mascelle a guisa di maciulla,
Cascante il labbro sotto; e infermo pare.
Di maligna caligine velate
Intorno a lui si volgono tre fate,
E del mal di tre secoli beate
Tessono intorno a lui questo cantare.
714 RIME NUOVE
— Salve, o fanciul da la faccia cagnazza:
Salve, o figliuol di Giovanna la pazza:
Salve, o pollone de la mista razza
Che dee la terra cristiana aduggiare.
La discordia de i sangui per tre rivi
E il bulicame de i pensier cattivi
E l'accidia de gl'impeti mal vivi
Sale nel tuo cervello a fermentare. —
Poi l'una: — Io son la furia di Borgogna
Che nulla attinge e tutto il móndo agogna.
Io trassi il Temerario con vergogna
Nel toro d' Uri indomito a cozzare.
E boccon giacque, corpo dispogliato,
Tra i ghiacciuoli d' un lago innominato.
Questo l'augurio il simbolo ed il fato
Che lo tuo regno segua in terra e in mare.
— La vertigine io son — queir altra dice -
Che tragge Max di pendice in pendice
Per r alpe del Tirolo : e l' infelice,
Seguendo me, dismenta l'accattare.
Hallali, hallali, gente d' Habsburgo !
Ad una caccia eterna io con te surgo;
Poi nel sangue de i popoli mi purgo,
E nel tuo, dal travaglio del cacciare. —
RIME NUOVE 715
— Ed io son la pazzia — la terza fata
Dice ~, e son de la morte innamorata:
La bara per il talamo ho scambiata.
E sol nel cataletto io posso amare.
Non odi tu Giovanna che si lagna?
T aspetto a Yust. Vuo' sotto il ciel di Spagna,
Perché la razza tua meco rimagna,
II mostruoso Escurial murare. —
Poi tutt'e tre — Nel cuor tuo brabanzone
Il mezzogiorno ed il settentrione
Saran con torbid' impeti a tenzone,
Per poi in calma livida fiaccare.
O primo ereditario imperatore,
O primo d' Europa accentratore,
Su '1 vecchio tempo che libero muore
Vien' I^ rete dinastica a gettare.
Su M nuovo tempo che libero nasce,
A cui Lutero dislaccia le fasce
E di midolla di pensier lo pasce,
Vien' la rete ecclesiastica a gettare.
E tu, Margotta, cucitrice ardita,
Che in fretta meni su e giù le dita,
La camicia di Nesso è ancor finita?
Presto! vogliam T Europa imbavagliare. —
716 RIME NUOVE
LXXXI.
A VITTORE HUGO
( XXVII FEBBRAIO 1881)
D,
'a i monti sorridenti nel sole mattutino
Scende V epos d' Omero, che va fiume divino
Popolato di cigni pe *1 verde asiaco pian.
Sorge aspra la tragedia d* Eschilo nel fatale
Orror, fuma e lampeggia, e freme e tuona, quale
Sovra il mar di Sicilia per la notte un vulcan.
L' ode olimpia di Pindaro, aquila trlfonfale,
Distende altera e placida il remeggio de Tale
Nel fulgente meriggio su i fòri e le città.
Tra quei libri di canti, nel mio studio, o Vittore,
La tua canuta effige, piegata nel dolore
La profetica testa su la man destra, sta.
RIME NUOVE 717
Pensi i 'figli o la patria? pensi il dolore umano?
Non so; ma quando, o vate, raccolgo in quél-
r arcano
Dolore gli occhi e il cuor,
Scordo i miei danni antichi, scordo il recente
danno,
E rammemoro gli anni che furo e che saranno
E ciò che mai non muon
Colsi per TAppia via sur un tumulo ignoto
E posi a la tua fronte, segnacol del mio vóto,
Un ramuscel d'allòr.
Poeta, a te il trionfo su la forza e su M fatol
Poeta, co M lucente piede tu hai calcato
Impero e imperatori
Chi novera a te gli anni? che cosa è a te la vita?
Tu di Gallia e di Francia sei l'anima infinita,
Che al tuo gran cuor s'accolse per i secoli a voi.
In te l'urlo de' nembi su la britanna duna,'
E i sogni de' normanni piani al lume di luna,
E r ardor del granito di Pirene erto al sol.
In te la vendemmiante sanità borgognona.
Il genio di Provenza che armonie greche suona
U estro che Marna e Senna gallico limitò.
Tu vedevi i tettòsagi carri al grand' Ilio in-
torno.
Udivi in Roncisvalle del franco Orlando il corno.
Ragionavi a Goffredo a Baiardo a Marceau.
718 RIME NUOVE
Come quercia druidica sta il tuo fatai lavoro.
Biancovestite muse taglian con falce d' oro
Del sacro visco il fior.
Da' soleggiati rami pendon r armi de gli avi,
Pendon V arpe de' bardi ; ma l' usignol ne' cavi
Scudi canta d' amor.
Danzan le figlie a V ombra, del maggio tra i
susurri,
E i fanciulletti guardan con i grandi occhi azzurri
Sparsi i capelli d'or;
Però ch'ardua la vetta si perde ne la sera,
E vi passa per entro co* lampi e la bufera
Il dio vendicator.
Poeta, su '1 tuo capo sospeso ho il tricolore
Che da le spiaggie d' Istria da V acque di Salvorc
La fedele di Roma, Trieste, mi mandò.
^ Poeta, la vittoria di Brescia a te d' avante
Ne la parete dice — Qual nome e qual fiammante
Anno nel sempiterno clipeo descriverò? —
Passan le glorie come fiamme di cimiteri.
Come scenari vecchi crollan regni ed imperi:
Sereno e fiero arcangelo move il tuo verso e va.
Canta a la nuova prole, o vegliardo divino,
Il carme secolare del popolo latino;
Canta a'I mondo aspettante, Giustizia e Liberti
NOTE
LXXVl) p. 694. La facciata della basilica di San Zeno in
'erona è, in basso e da' due lati della porta d' ingreuo,
compartita in quadri di marmo lucido istoriati. Sotto sei di
uè' quadri a sinistra, che rappresentano la creazione dei-
uomo e la cacciata dal paradiso terrestre, sono effigiate
ueste figure: in un primo ripartimento, un nomo a cavallo
he va a caccia, in clamide, con staffe e corno alla bocca:
opra si legge:
O regem stultu petit infernale tribtix
mox. q. paratur eqaas què misit demon ìniqaus
exit aqua nadus pe
1 un secondo ripartimento due
questo è preso
che inseguono un
venabulo: sopra è inscrìtto.
Nisas equus cenius huk
datar, hos dat aaf. r. u. [ai
RIME NUOVE
Il primo Te degli Ostrogoti In Italia e nell'antica poesis te-
desca denominato Teodorico dì Verona; ed entra nei Nibt
lunghi e da ultimo nei miti odinìei del cacciatore demoniaa.
La leggenda cattolica italiana, certa per quella breve tinnni
che macchiò il Gae del regno dì lui, lo Fa portato via dot dii
volo e gittato dalle anime di Simmaco e del pontefice Gi»
vanni nelle caldaie di Lipari. I miei versi raccolgono, e
dicevano i commediografi romani, contaminano, le due le-
gende, la germanica odinica, l' italiana cattolica.
LXVIll) p. 101. Soggetto di questa poesìa è un faCi
della sesta spedizione di Federico i in Italia, narrato e cnn
mentato dal Quinet in Les rsìioluiìons d' Italie lib. i, cap. :^
LXXIX) p. 704. Della favola il fondamento è storico: ci:
Cronaca dì Fisa in Rer. Hai. Seript. x 981. Albertino Mo
aato, De s^st. ilalic. post Henricum vii, ivi stesso x 594*.
L'ultima stanza è quasi a lettera da versi d' allora; cf. Cm'
tilene e ballate, Pisa. Nistri, 1811 p. 31. Fin certi nomi
lineativi furono suggeriti dalle rime d'un poeta lucehEse, Retro
Faitinelli, dei primi trenf anni del sec. Xlv, pubbl. da L
Del Prete, a Bologna, per ii Romagnoli, 1814, nella disp, e
della Scelta di curiosila letterarie,
LXXX) p. 113. Margherita d' Austria, la ' buona cuo
trice , come gloriavasi ella ■ di camice „, e la storia if
giunge di trattati, non fu propriamente vedovetta di tre i
riti, perché il primo, Carlo vili di Francia, non le fu pili
luto dare, dopo lidanzatala e fattala a clCi educare in Fran^ii
È conosciuto r epitaffio che in certa occasione ella compoK
Ci git Margot, la gente demoiselle
Il resto è storia generale.
RIME NUOVE 721
t p. 714. HallaU è grìdo di caccia nella lingua francese,
Il oggi accolto, credo, anche nelle nobili cacce italiane; e può
;i accogliersi, parmi, perché in fine non è altro che un compo-
•« sto d' interiezioni e di avverbi comuni alle due lingue.
tf LXXXI) p. 717. Il verso 22 allude alla conquista dell' Asia
•« minore fatta nel 278 av. G. C. dai Galli, una cui tribù ac-
\ campò su le rovine di Troia, et; t'-tv 7rd>iv *'I>tov (Strab. xiii).
f
3
B
I-i
=38
-H.
Carducci . 46
VII
QA IRA
Lxxxn.
J_jie
^ieto su i colli di Borgogna splende
E in vai di Marna a le vendemmie il sole:
Il riposato suol piccando attende
L' aratro che l' inviti a nuova prole.
Ma il falcetto su l'uve iroso scende
Come una scure, e par che sangue cóle:
Nel rosso vespro l' arator protende
L'occhio vago a le terre inculte e sole,
Ed il pungolo vibra in su i mugghianti
Quasi che l'asta palle^iasse, e afferra
La stiva urlando: Avanti, Francia, avanti!
Stride l'aratro in solchi aspri: la terra
Fuma: l'aria oscurata è di montanti
Fantasimi che cercano la guerra.
726 RIME NUOVE
LXXXIII.
C5on de la terra faticosa i figli
Che armati salgon le ideali cime,
Gli azzurri cavalier bianchi e vermigli
Che dal suolo plebeo la patria esprime.
E tu, Kleber, da gli arruffati cigli,
Leon ruggente ne le linee prime;
E tu via sfolgorante in tra i perigli,
Lampo di giovinezza, Hoche sublime.
Desaix che elegge a sé il dovere e dona
Altrui la gloria, e Tonda procellosa
Di Murat che s'abbatte a una corona;
E Marceau che a la morte radiosa
Puro i suoi ventisette anni abbandona
Come a le braccia d' arridente sposa.
RIME NUOVE 727
LXXXIVi
D
a le ree Tuglieri di Caterina
Ove Luigi inginocchiossi a i preti,
E a' cavalier bretanni la regina
Partia sorrisi lacrime e segreti,
Tra l'afosa caligin vespertina
Sorge con atti né tristi né lieti
Una forma, ed il fuso attorce e; china,
E con la rócca attinge alta i pianeti.
E fila e fila e fila. Tutte sere
Al lume de la luna e de le stelle
La vecchia fila, e non si stanca mai.
Brunswick appressa, e in fronte a le sue schiere
La forca; e ad impiccar questa ribelle
Genia di Francia ci vuol corda assai!
728 RIME NUOVE
LXXXV.
1—/ un dopo r altro i messi di sventura
Piovon come ^al cfèl. Longwy cadea.
E i fuggitivi da la resa oscura
S' affollai! polverosi a V Assemblea.
— Eravamo dispersi in su le mura:
A pena ogni dUe pezzi un uom s*avea:
Lavergne dispari ne la paura:
L'armi fallfan. Che più far si potea?^^ —
— Morir — risponde l'Assemblea seduta.
Goccian per que' riarsi volti strane
Lacrime: e parton con la fronte bassa.
Grande in ciel l'ora del periglio passa,
Batte con l'ala a stormo le campane.
O popolo di Francia, aiuta, aiuta!
RIME NUéVfi 72^
LXXXVI.
U,
dite, udite, o cittadini. Ieri
Verdun a T inimico apri 4e porte:
Le ignobili sue donne a i re stranieri
Dan fiori e fanno ad Artois la corte,
E propinando i vin bianchi e leggeri
Ballano con gli ulani e con le scorte.
Verdun, vile città di confettieri,
Dopo 1' onta su te caschi la morte !
Ma Beaurepaire il vivere rifiuta
Oltre r onore, e gitta ultima sfida
L' anima a i fati a V avvenire e a noi.
La raccolgon dal ciel gli antichi eroi,
E la non nata ancor gente ci grida
" O popolo di Francia, aiuta, aiuta. „
730 RIME NUOVE
LXXXVIL
C^u l'ostel di città stendardo nero
— Indietro! — dice al sole ed a T amore:
Romba il cannone, nel silenzio fiero.
Di minuto in minuto ammonitore.
Gruppo d' antiche statue severo
Sotto i nunzi incalzantisi con l'ore
Sembra il popolo: in tutti uno il pensiero
— Perché viva la patria, oggi si muore,—
In conspetto a Danton, pallido, enorme,
Furie di donne sfilano, cacciando
Gli scalzi figli sol di rabbia armati.
Marat vede ne l'aria oscure torme
D' uomini con pugnali erti passando,
E piove sangue donde son passati.
I
RIME NUOVE TSi:
LXXXVIII.
u,
na bieca druidica visione
Su gli spiriti cala e gli tormenta:
Da le torri papali d'Avignone
Turbine di furor torbido venta.
O passTon de gli Albigesi, o lenta
De gli Ugonotti nobil passione,
Il vostro sangue bulica e fermenta
E i cuori inebria di perdizione.
Ecco la pena e il tribunale orrendo
Che d'ombra immane il secol novo impronta!
Oh, sei la Francia tu, bianca ragazza
Che su '1 tremuio padre alta sorgendo
A espiare e salvar bevi con pronta
Mano il sangue de' tuoi da piena tazza?
732 RIME NUOVE
LXXXIX.
G.
emono i rivi e mormorano i venti
Freschi a la savoiarda alpe natia.
Qui suon di ferro, e di furore accenti.
Signora di Lamballe, a V Abbadia.
E giacque, tra i capelli aurei fluenti^
Ignudo corpo in mezzo de la via;
E un parrucchier le membra anco tepenti
Con sanguinose mani allarga e spia.
Come tenera e bianca, e come fina!
Un giglio il collo e tra mughetti pare
Garofano la bocca piccolina.
Su, co' begli occhi del colori del mare,
Su, ricciutella, al Tempio! A la regina
Il buon di de la morte andiamo a dare.
RIME NUOVE 733
XC
O
h non mai re di Francia al suo levare
Tali di salutanti ebbe un drappello!
La fosca torre in quel tumulto pare
Sperso nel mezzodì notturno uccello.
Ivi su '1 medio evo il secolare
Braccio distese di Filippo il Bello,
Ivi scende de V ultimo Templare
Su r ultimo Capeto oggi V appello.
Ecco, mugge l'orribile corteo.
La fiera testa in su la picca ondeggia,
E batte a le finestre. Ed il re prono
Da le finestre de la trista reggia
Guarda il popolo, e a Dio chiede perdono
De la notte di San Bartolommeo.
134 RIME NUOVE
XCI.
( ■
jf\l calpestio de' barbari cavalli
Ne r avel si svegliò dunque Baiardo?
E su le dolci orleanesi valli
La Puldella 'rileva il suo stendardo?
Da r Alta Sona e dal ventoso Cardo
Chi vien cantando a i mal costrutti vaiti
Sbarrati di tronchi alberi? È il gagliardo
Vercingetorix co* suoi rossi Galli?
No: Dumouriez, la spia, nel cor riscuote
Il genio di Condè: sopra la carta
Militare uno sguardo acceso lancia,
Ed una fila di colline ignote
Additando — Ecco — dice —, o nuova Sparta,
Le felici Termopile di Francia.
CIME NUOVE 735
XCII.
S
u i colli de le Argotine alza il mattino
Brumoso, accidioso e lutolento.
Il tricolor bagnato in su '1 mulino
Di Valmy chiede in vano il sole e il vento.
Sta, sta, bianco mugnaio. Oggi il destino
Per r avvenire macina 1* evento,
E r esercito scalzo cittadino
Dà col sangue a la ruota il movimento.
— Viva la patria — Kellermann, levata
La spada in tra i cannoni, urla, serrate
De* sanculotti V epiche colonne.
La marsigliese tra la cannonata
Sorvola, arcangel de la nova etate.
Le profonde foreste de le Argonne.
736 RIME NUOVE
xeni.
M,
arciate, o de la patria incliti figli,
De i cannoni e de* canti a l' armonia :
Il giorno de la gloria oggi i vermigli
Vanni a la danza del valore apria.
Ingombra di paura e di scompigli
Al re di Prussia è del tornar la via:
Ricaccia gli emigrati a i vili esigli
La fame il freddo e la dissenteria.
Livido su quel gran lago di fango
Guizza il tramonto, i colli d* un modesto
Riso di sole attingono la gloria.
E da un gruppo d* oscuri esce Volfango
Goethe dicendo : AI mondo oggi da questo
Luogo incomincia la novella storia.
NOTE
LXXXII) p. T25. fa ira. Oggi è vezzo, non saprei, se teo-
o, valer abbassare e impiccolire la rivoluzione francese:
1 tutto ciò il Settembre del 1792 resta pur sempre il
a pili epico della storia moderna. Impossibile met-
tere in versi quella storia, se non a brevi traiti: per ciò
sì elesse la forma del sonetto, che ne' secali xiii e xiv fu
anche strofe.
LXXXVII) p. 130. Oslel di città è un francesismo ragione-
vole. Di ostello per casa abondano ^i esempi nella prosa an-
tica: ma troppa eran ancora miste le correnti delle lingue ro-
manze nel ducente e nel trecento, e con gli esempi del buon
secolo si potrebbe francamente scrivere il pili twll'italiano in-
franciosato che sia negl'ideali dei poUroni senza idee. Non
i lingua poetica anche moderna: il Monti, Basv. 1,
Invan si straccia il crin disperso e
bianco
In su la soglia del deserto ostello;
bene, della casa d'un villano: meglit
), il Manzoni, nel
ad Efrata,
Vaticinato ostello,
Ascese un' alma vei^ne.
Carducci.
41
738
RIME NUOVE
Pei*, altro il Tommaseo nel Dizionario notò a ragiotti
osieUOf io signif. di albergo, casa, ecc., è " raro ai»^
verso g. Ma il Davila, nella Storia delle guerre civili di
eia III 203, ha " il quale trasferendosi ali* ostello (cosi
mano i palagi dei principali signori) trovò.... „ E questo i|
caso nostro.' — Valga anche per V ostel di Brusselle
LXXX.
xeni) p. 136, w. 13 e 14. « Diesmal sagte ich:Vonl
unde heute geht eine neue Epoche der Weltgeschichte
und ihr kOnnt sagen, ihr seid dabei gewesen „. Goethe, i
pagne in Frankreich, 19 september.
J-
vili.
XCIV.
LA FIGLIA DEL RE DEGLI ELFI
Da Stimmen der Vfllker di Gottfr. v. Herdbr
Oa'
Cavalca sir Ciuf la notte lontano
Per fare gl'inviti, eh' è sposo diman.
Or danzano gli elfi su '1 bei verde piano :
La donna de gli etti gli stende la man.
— Ben venga sir Òluf: Perché vuoi scappare?
Vìen dentro nel cerchio: vien, balla con me. —
— Ballare non devo, non posso ballare:
È giorno di nozze dimani per me. —
— Se meco tu balli, scudiero gentile,
Due d'oro speroni donare io ti vo'.
Ed una camicia di seta, sottile,
Che al lume di luna mia madre imbiancò. —
742 RIME NUOVE
— Ballare non posso, non dfivo ballare:
È giorno di nozze dimani per me. —
— Sir Ò!uf, ascolta ; ti voglio donare
Un cumulo d'oro, se balli con me. —
— Il cumulo d'oro ben venga; ma poi
Ballare non posso, che ho nozze diman. -
— Se meco, sir Òluf, ballare non vuoi,
Il morbo e il contagio ti accompagneran. -
E un colpo gli batte leggero su '1 cuore:
Tal doglia sir òluf più mai non senti.
Poi bianco il rialza sul suo corridore:
— Ritorna a la sposa, ritorna cosi, —
E quando a la porta di casa egli venne.
Sua madre al vegnente guardò con terror:
— Ascolta, figliuolo: di' su, che f avvenne?
Perché cosi smorto ? che è quel pallor ? -
— Come esser non debbo si pallido e smorto?
Nel regno de gli elfi m' avvenne d'entrar. -
— Figliuolo, la sposa sarà qui di corto;
Che devo a la sposa, figliuolo, contar ? —
— Le di' che a sollazzo cammino pe '1 bosco
Con cane e cavallo, provandolo al fren. -
Ed ecco (il mattino tremava ancor fosco)
La sposa e l' allegro cort^io ne vien.
RIME NUOVE 743
Recavano cibi, recavano vino.
— Ov' è il mio sir Òluf ? lo sposo dov* è ?
— Usciva a sollazzo pe 'l bosco vicino
Con cane e cavallo, verrà presto a te. —
^a sposa una rossa cortina solleva,
E morto li dietro sir Òluf giaceva.
744 RIME NUOVE
XCV.
IL RE DI TULE
Dalle Ballate di W. Goethe
Jl edel sino a V avello
Egli era in Tuie un re:
Mori r amor suo bello,
E un nappo d' òr gli die.
Nulla ebbe caro ei tanto,
E sempre quel vuotò:
Ma gli sgorgava il pianto
Ognor ch'ei vi trincò.
Venuto a 1* ultim' ore
Contò le sue città:
Die tutto al successore
Ma il nappo d'or non già.
RiME NUOVE 745
Ne Taula de gli alteri f
Suoi padri a banchettar
Sedè tra i cavalieri
Nel suo castello al mar.
Beve de la gioconda
Vita l'estremo ardor,
E gittò il nappo a V onda
Il vecchio bevitor.
Piombar lo vide, lento
Empiersi e sparir giù;
E giù gli cadde spento
L'occhio e non bevve più.
746 RIME NUOVE
XCVI.
I TRE CANTI
Dalle Ballate eli L. Uhland
R
.e Sifrido tien corte — Arpeggiatori,
II più bel canto qual di voi mi sa? —
E un giovinetto esce di schiera fuori
Snello: in man Tarpa, spada al fianco egli ha.
— Tre canti, o re, so io. Del primo è spento
Da tempo ogni ricordo entro il tuo cor:
Tu m' hai morto il fratello a tradimento ;
Tu m' hai morto il fratello, o traditor.
L'altro canto una notte, e urlava forte
II turbine, una notte ebbi a pensar:
Tu hai da pugnar meco a vita e morte,
A vita e morte hai meco da pugnar. —
RIME NUOVE 747
E appoggia Tarpa al tavolo; e già fuore
Tratte han le spade arpeggiatore e re :
Pugnano a lungo con fiero fragore
Fin che cade né 1* alta sala il re.
— Or canto il terzo, il canto mio più vago,
Né mai stanco a ridirlo mi farà.
Giace Sifrido re nel rosso lago
Del sangue suo, morto nel sangue sta. —
748 RIME NUOVE
XCVII.
LA TOMBA NEL BUSENTO
Dalle Ballate di A. v. Platen
Oupi a notte canti suonano
Da Cosenza su M Busento,
Cupo il fiume gli rimormora
Dal suo gorgo sonnolento.
Su e giù pe '1 fiume passano
E ripassano ombre lente:
Alarico i Goti piangono,
Il gran morto di lor gente.
Ahi si presto e da la patria
Cosi lungi avrà il riposo,
Mentre ancor bionda per gli omeri
Va la chioma al poderoso !
RIME NUOVE 749
Del Busento ecco si schierano
Su le sponde i Goti a pruova,
E dal corso usato il piegano
Dischiudendo una via nuova.
Dove Tonde pria muggivano,
Cavan, cavano la terra;
E profondo il corpo calano,
A cavallo, armato in guerra.
Lui di terra anche ricoprono
E gli arnesi d'or lucenti;
De r eroe crescan su V umida
Fossa r erbe de i torrenti !
Poi, ridotto a i noti tramiti.
Il Busento lasciò Tonde
Per T antico letto valide
Spumeggiar tra le- due sponde.
Cantò allora un coro d' uomini
— Dormi, 0 re, ne la tua gloria !
Man romana mai non violi
La tua tomba e la memoria! —
Cantò, e lungo il c^nto udivasi
Per le schiere gote errare:
Recai tu, Busento rapido.
Recai tu da mare a mare.
"Wè RIME NUOVE
XCVIII.
IL PASSO DI RONCISVALLE
Dallo spagnolo e dal portoghese
— l! ermi, fermi, cavalieri,
Che il re mandavi a contar.
E contarono e contarono,
Uno sol venne a mancar:
Era questi don Beltrano
Si gagliardo a battagliar.
Là ne' campi d' Alventosa
Tutti a dosso a lui serrar:
Sol de' monti al triste passo
Lo poterono ammazzar.
RIME NUOVE 751
Tiran sette volte a sorte
Chi dovesse irlo a cercar.
Sui buon vecchio di suo padre
Tutt' e sette ricascar :
Le tre fu la rea fortuna,
Quattro fu malvagità.
Volge la briglia al cavallo,
A r amara cerca va :
Va la notte per la strada,
Per la selva il giorno va.
Vanne il vecchio e seco piange,
Cheto piange ne l'andar,
A i pastori dimandando
Se han veduto indi passar
Cavaliere d' armi bianche
Sur un sauro a cavalcar.
— Cavaliere d'armi bianche
Sur un sauro a cavalcar
Non vedemmo in queste parti
Non vedemmo alcun passar. —
752 RIME NUOVE
E cavalca via e cavalca
Fin che giunge a Rondsval.
Fra la strage va il vegliardo,
Fra la strage lento va:
Tanto volta e volta i morti
Che le braccia stracche n* ha
Non ritrova quel che cerca,
E né meno il suo segnai:
I francesi vide tutti,
Ma non vide don Beltran.
Malediva, andando, il vino ;
Malediva, andando, il pan,
Quel che mangia il Saracino
E non quello del Cristian.
Malediva arbor che nasce
Solo a i campi senza ugual,
Che del ciel tutti gli uccelli
Vi si vengono a posar.
Né di rami né di foglie
Non lo lascian rallegrar.
RIME NUOVE 753
Maledia cavalier eh' usi
Senza pa^o cavalcar:
Se gli cade in via la lancia,
Non ha uno a raccattar:
Se gli cade in via lo sprone,
Non ha uno a ricalzar.
Malediva anche la donna
Che un sol figlio seppe far:
Se r uccidono i nemici,
Non ha uno a vendicar.
A r uscir del pian sabbioso,
D' una gola in su V entrar,
Vide un moro a una bertesca
Solo e ritto a vigilar.
Gli parlò r araba lingua,
Come quei che ben la sa:
— Moro, prègoti per Dio:
Moro, dimmi in verità:
Cavaliere d*armi bianche
Vedestù passar di qua?
RDUCCI. 48
164 RIME NUOVE
Lo vedesti à notte bruna
O del gallo su '1 cantar?.
Che se tu lo tieni preso/
Peso d* oro te *n vo dar :
Che se tu lo tieni morto,
Rendimel per sotterrar;
Poi che corpo senza l'alma
Un denaro più non vai.
— Dimmi^ amico, il cavaliere
Dimmi tu che segni ha? —
— Le sue armi sono bianche,
Ed è sauro il suo cavai.
Ne la guancia destra ha un segno
Che un sparvier lasciato gli ha:
Lo beccò ch'era bambino,
E ne porta anche il segnai.
Su la punta de la lancia
Leva un candido zen dal:
Ricamòglielo la dama
Tutto di punto real. —
. 'U
RIME NUOVE TW
— Questo cavaliere, ^mjqOi,
In quel prato morto sta^:
Ha le gambe dentro T acquai, r
Ne la rena il corpo egli. ha. v .
Sette punte egli ha nel petto.
Non si sa qual più mortaj; ^
Che per Tuna gli entra il $ple,
La luna per T altra va, ^ :.
Ne la più piccola stavvi
L' avvoltoio a divorar. —
— Non do colpa al mio figliuolo,
Né vo* a* Mori colpa dar ;
Do la colpa al suo cavallo,
Che no M seppe ritornar. -—
O miracol ! chi M direbbe.
Chi '1 potrebbe raccontar?
Il cavallo mezzo morto
Cosi prese a favellar:
— Non mi dare a me la colpa,
Che no *1 seppi ritornar.
756 fitIMÉ NUOVE
Ben tre volte trassi a dietro
Per potérlo in salvo tran
Tre' mi die dì sprone e briglia
Pe -1 desio di battagliar,
E tbe apcfsemi le cigne,
Allài^òmmi il pettofal:
A la terza caddi a terra
Con questa piaga mortai. —
R^ME NU0V6 757
! . \
XCIX.
. (
GHERARDO E GAIÉTTA
Dalle Romanze m francese tattico pubbL da Ki Bartsch
s
Sabato sera in fin di settimana
Gaietta e Orior sua sorella germana -
Van per mano a bagnarsi a la fontana.
Soffi il vento, crolli la rama:
Dolce dorme chi ben s' ama.
Scudier Gherardo vien da la quintana,
Scorta ha Gaietta sopra la fontana^
Tra le braccia la tien soave e piana.
Soffi il vento, crolli la rama:
Dolce dorme chi ben s*ama.
— Quando tu avrai tratto de T acqua, Oriore,
Tornati a dietro: io sto co '1 mio signore.
Che ben m* ha presa, e co *1 suo dritto amore. -
Soffi il vento, crolli la rama:
Dolce dorme chi ben s*ama.
*758 RIME NUOVE
Ora se 'n va bianca e smarrita Oriore,
Piange de gli occhi, sospira del core,
Che non rimena Gaia e n* ha dolore.
Soffi il vento, crolli la rama:
Dolce dprme chi ben s' ama.
— Lassa -^ Orior dice ^ ed in mal' ora nata!
Mia sorella lasciai ne la vallata;
Gherardo al suo paese V ha menata^ —
Soffi il vento, crolli la rama:
Dolce dorme chi ben s'ama.
Scudier Gherardo e a lui Gaia abbracciata
La via per la città han seguitata:
Come vi venne, tosto V ha sposata.
Soffi il vento, crolli la rama:
Dolce dorme chi ben s' ama.
RIME NUOVE 789
-^ '^.'V •
« r
LA LAVANDAIA DI SAN GIOVANNI
Dcd Romancero .Castellano
Mi
\ levai per San Giovanni,
Ch'era il sole per levar:
Vidi, o madre, una fanciulla
Sola sola in riva al mar.
Lava, attorce, e in un rosaio
Stende i panni a rasciugar.
Mentre i panni il sol rasciuga,
La fanciulla canta al mar:
— Dove, r amor mio, dove
Dove Tanderò a cercar? —
Su dal mare, giù dal mare.
Va dicendo il suo cantar:
Pettin d'oro ha ne le mani.
La sua chioma a pettinar.
760 «IME NUOVE
— Dimmi, tu bel marinaio,
Cosi Dio ti voglia aitar,
Se rhai visto l'amor mio.
Se r hai visto là passar. —
' , r
RIME NUQVK 7(H
CI.
IL PELLEGRINO DAVANTI A SANT JUST
Dalle Ballate di A. v. Platen
Jl-j notte, e il nembo urla più sempre e il vento.
Frati spagnoli, apritemi il convento.
Lasciatemi posar sino a i divini
Misteri e al suon de' bronzi matutini.
Datemi allor quel che potete dare;
Date una bara ed uno scapolare,
Date una cella e la benedizione
A chi di mezzo mondo era padrone.
Questo capo a la chierca apparecchiato
Fu di molte corone incoronato.
Questo a le rozze lane òmero inchino
Levossi imperlai ne T ermellino.
Or morto in vista pria che in cimitero
Ruino anchMo come l'antico impero.
11^ RTME HUÒVIg
qi.
CARLO I
Dal Romancero di H. Heine
G
'upo e solo, nel bosco, a la capanna
Del carbonaio il re sedeva un di:
A la culla sedea, la ninna nanna
Ei brontolava ai pargolo cosi.
— Ninna nanna! Che cosa si rimescola
Ne la paglia? perché bela Tovìl?
Tu porti il segno in fronte, e ridi orribile
In mezzo al sonno, o bambolo gentil.
Il gatto è morto, ninna nanna! In fronte
Tu il segno porti : crescerai d' età,
E brandirai la scure, uom fatto : al monte
Treman le querce e ne la selva già.
\
RIME NUOVE leB
Spari del carbonar V antica fede :
Del carbonaro il figlio, ecco, su vien:
Nel buon Dio, ninna nanna, ei più non crede,
E nel re, ninna nanna, ancora men.
Il gatto è morto, e i topi allegramente
Ballan d'intorno: il di lungi non è
Che diverremo favola a la gente,
Dio nel ciel, ninna nanna, e in terra io re.
Ahi mi cade il coraggio, e fuor di speme
10 mi sento malato ogni di più!
Ninna nanna, lo so, lo veggo bene:
Carbonaietto, il mio boia sei tu.
È ninna nanna a te V oscuro e lento
Salmo di morte a me. Cresci a tagliar
Questi grigi cernecchi: al collo, ahi, sento
11 freddo de le forbici strisciar.
Ninna nanna! qualcosa ne la paglia
Si rimescola: il regno hai preso tu! '
Or via dal vecchio tronco abbatti e scaglia
Questo mio capo: il gatto è morto: giù,
Ninna nanna! la paglia si rimescola,
Belan le capre ne lo stabbio pien, '
Il gatto è morto e i topolini ballano.
Dormi, boietto mio, dormi per ben! — '
764 RIME NUOVE
■ { :
CHI.
V IMPERATOI^E DELLA CINA
Da Zejtgedichte di H. Heinb
IVI io padre era un tjalordo astemio Cesare,
Un sornifone in trono:
Io bevo la mia zozza, ed un magnanimo
Imperatore io sono.
Oh magica bevanda, indovinata
Dal mio paterno core!
10 bevo la mia zozza, e si dilata
La Cina tutta in fiore.
11 mio regno del centro apre e si spampana
Come un bocciol di rosa.
Io quasi quasi un uom divento, e gravida
Si trova la mia sposa.
mUE NUOVB ^ - 905
I
È una cuccagna I I moribondi in fèstftv 1
Danno calci a le bare^
Del mio Confucio imperlai la Sesta- : U
Annaspa idée più chiare; ^^ --Ui--
A' mìei prodi soldati il pan di s^ala
Diventa mandorlato,
E gli straccioni de l' impero marciano
Tutti in seta e in broccato.
Quegli invalidi frolli, quelle ignude
Zucche de' mandarini,
Ripigliano il vigor di gìoventude
E scuotono i codini.
Compiuta è alfin la gran pagoda, mistico
Asil di fede e imago:
Già gli ultimi giudei vi si battezzano
E han l'ordine del drago.
Posa ogni senso di ribellTone,
E gridano i Mansciù;
— Noi non vogliam la costituzione,
Noi vogliamo il kansciù,
Vogliam la vergai — . Il medico di corte
Fa gli occhi spaventati.
Esculapio, io vo'ber fino a la morte
Per il ben de' miei stati.
766
RIME NUOVE
E zozza ancora! e zozza ancora! un gócciolo
Ancor di questa manna!
Il mio popol, vedete, è in visibilio,
E canta Osanna osannai
RIME NUOVE TOT
A
CIV.
I TESSITORI
Da Zeitgedichte di H. Heine
N,
on han ne gli sbarrati occhi una lacrima,
Ma digrignano i denti e a' telai stanno.
— Tessiam, Germania, il- tuo lenzuolo funebre,
E tre maledizion l'ordito fanno.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
Maledetto il buon Dio! Noi lo pregammo
Ne le misere fami, a i freddi inverni:
Lo pregammo, e sperammo, ed aspettammo:
Egli, il buon dio, ci sazYò di scherni.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
E maledetto il re ! de i gentiluomini,
De i ricchi il re, che viscere non ha!
Ei ci ha spremuto infin V ultimo picciolo,
Or come cani mitragliar ci fa.
Tessiam, tessiam, tessiamo!
768
RIME NUOVE
Maledetta la patria, ove alta solo
Cresce T infamia e T abominazione !
Ove ogni gentil fiore è pesto al suolo,
E i vermi ingrassa la corruzione!
Tessiam, tessiam, tessiamo!
Vola la spola ed il telaio scricchiola,
Noi tessiamo affannosi e notte e di :
Tessiam, vecchia Germania, il lenzuol funebre
Tuo, che di tre maledizion s'ordì.
Tessiam, tessiam, tessiamo! —
r.
^^^^
NOTE
XCVllI) pag. T50. Meglio che traduiione, questa i ricom-
posidone epica di su diverse redazioni di romanze spagnole e
portoghesi. Per le spagnole ebbi a vedere Depping, Romancero
castellano, Leipzig, Brockhaus, 1844, il 90; Wolf e Hoffmann,
Primavera yflor de romances, Berlin, Ascher, 1856, li 316-320-,
per le portoghesi, Hardung, Rùmanceiro porlogue», Leipzig,
BrockfiauB, 186*7, i, 5, La verseggiatura è fedele al sistema della
serie monoritraa con le assonanze spagnole e con ottonari
:he non han sempre l' accento su la itna, come ne focevano
I Sacchetti, Lorenzo il Magnifico e fin l' elegantissimo Poli-
vano, e come ne fa tuttavia il popolo.
CUI) pag. T64. Tutti sanno che questo imperatore della
~ina è Federigo Guglielmo iv, re di Prussia, fratelli e prede-
tessore di Guglielmo il vittorioso re e imperatore, che la gran
iagoda è la cattedrale di Colonia e che 1' ordine del drago è
'ordine dell'aquila nera. Del resto, non reputo inutile avver-
ire alla licenza presami di rendere il vocabolo tedesco Schnaps,
Ile non è proprio l' acquavite, con la parola popolare toscana
rossa, che significa un miscuglio di liquori alcoolici di qualità
nferiori.
IX
I ■
cv.
CONGEDO
il poeta, o vulgo sciocco,
Un pitocco
Non è già, che a l' altrui mensa
Via con lazzi turpi e matti
Porta i piatti
Ed il pan ruba in dispensa.
E né meno è un perdigiorno
Che va intorno
Dando il capo ne' cantoni,
E co 'I naso sempre a I' aria
Gli occhi svaria
Dietro gli angeli e i rondoni.
774 RIME NUOVE
E né meno è un giardiniere
Che il sentiero
De la vita co M letame
Utilizza, e cavolfiori
Pe' signori
E viole ha per le dame.
Il poeta è un grande artiere,
Che al mestiere
Fece i muscoli d'acciaio:
Capo ha fier, collo robusto,
Nudo il busto,
Duro il braccio, e l'occhio gaio,
Non a pena Taugel pia
E giuli'a
Ride r alba a la collina,
Ei co '1 mantice ridesta
Fiamma e festa
E lavor ne la fucina;
E la fiamma guizza e brilla
E sfavilla
E rosseggia balda audace,
E poi sibila e poi rugge
E poi fugge
Scoppiettando da la brace.
i .• •
RIME NUCyVK 775
Che sia ciò, non lo so io;^
Lo sa Dio
Che sorrìde al grande artiero.
Ne le fiamme cosi ardenti
Gli elementi
De r amore e del pensiero
Egli gitta, e le memorie
E le glorie
De' suoi padri e di sua gente.
Il passato e V avvenire
A fluire
Va nel masso incandescente.
Ei r afferra, e poi del maglio
CoM travaglio
Ei lo doma su V incude.
Picchia e canta. Il sole ascende»
E risplende
Su la fronte e l' opra rude.
Picchia. E per la libertade
Ecco spade,
Ecco scudi di fortezza:
Ecco serti di vittoria
Per la gloria,
E diademi a la bellezza.
776 RIME NUOVE
Picchi^. Ed eccQ istoriati
A i penati
Tabernacoli ed al rito:
Ecco tripodi ed altari,
Ecco rari
Fregi e vasi pe*l convito.
Per sé il pover manuale
Fa uno strale
D'oro, e il lancia contro '1 sole:
Guarda come in alto ascenda
E risplenda,
Guarda e gode, e più non vuole.
ODI BARBARE
i I.-
(I
t
I
I ■
- » .
'. 1
PRELUDIO
. t l
Od
-/dio l'usata poesia: concede
comoda al vulgo i flosci fianchi e senza
palpiti sotto j consueti amplessi
stendasi e dorme.
A me la strofe vigile, balzante
co '1 plauso e'I piede ritmico ne' cori:
per l'ala a volo io còlgola, si volge
ella e repugna.
Tal fra le strette d'amator silvano
tortesi un'evia su '1 nevoso Edone:
più belli i vezzi del fiorente petto
saltan compressi,
ÒDI BARBARE
e baci e strilli su l' accesa bocca
mesconsi; ride la marmorea fronte
al sole, effuse in lunga onda le chiome
fremono a' venti.
DELLE ODI BARBARE
LIBRO I.
Schlechten, gestomperten Vers«n genQsi ein gerìnger CtM
Wahrend dia edlsre Form tiefe Gedanken bedaif:
WoUte man euer GeschwDtz tuispr^n zur sapphischen Odt.
WDrde die Wel einsehn dass es ein leeres Geschwiti.
AUGUST V, Plateh.
i-jittia (
.■jlonneiT!
Poi
i che un sereno vapor d' ambrosia
da la tua còppa diffuso avvolsemi,
o Ebe con passo di dea
trasvolata sorridendo via;
non più del tempo l'ombra o de l'algide
cure su'l capo mi sento; sentomi,
o Ebe, r ellenica vita
tranquilla ne le vene fluire.
E i ruinati giù pe 'I declivio
de r età mesta giorni risursero,
o Ebe, nel tuo dolce lume
agognanti di rinnovellare;
Caroucci.
786 ODI BARBARE
e i novelli anni da la caligine
volenterosi la fronte adergono,
0 Ebe, al tuo raggio che sale
tremolando e roseo li saluta.
A gli uni e gli altri tu ridi, nitida
stella, da Talto. Tale ne i gotici
delubri, tra candide e nere
cuspidi rapide salienti
con doppia al cielo fila marmorea,
sta su r estremo pinnacol placida
la dolce fanciulla di Jesse
tutta avvolta di faville d* oro.
Le ville e il verde piano d' argentei
fiumi rigato contempla aerea,
le messi ondeggianti ne' campi,
le raggianti sopra Talpe nevi:
a lei d'intorno le nubi volano;
fuor de le nubi ride ella fulgida
a r albe di maggio fiorenti,
a gli occasi di novembre mesti.
ODI BARBARE . 78T
.■V
. 1
ALL' AURORA
- u sali e baci, o dea, co M roseo fiato le nubi,
.ci de' marmorei templi le fosche cime.
sente e con gelido fremito destasi il bosco,
iccasi il falco a volo su con rapace gioia;
^ntre ne Tumida foglia pispigliano garruli i nidi,
grigio urla il gabbiano su M violaceo mare.
*imi ne M pian faticoso di te s' allegrano i fiumi
^muli luccicando tra'l mormorar de' pioppi:
rre da i paschi baldo vèr' l' alte fluenti il poledro
uro, dritto il chiomante capo, nitrendo a'venti:
gilè da i tuguri risponde la forza de i cani
<ii gagliardi mugghi tutta la valle suona.
788 ODI BARBARE
Ma ruom che tu svegli a oprar consumandola
vita,
te giovinetta antica, te giovinetta eterna
ancor pensoso ammira, come già t'adoravan
su '1 monte
\ ritti fra i bianchi arnienti i nobili Aria padri
Ancor sovra V ali del fresco mattino rivola
r inno che a te su V aste disser poggiati i padri
— Pastorella del cielo, tu, frante a la suon
gelosa
le stalle, rladduci le rosse vacche in cielo.
Guidi le rosse vacche, guidi tu il candido armento
e le bionde cavalle care a i fratelli Asvini.
Come giovine donna che va da i lavacri a lo sposo
riflettendo ne gli occhi il desiato amore,
tu sorridendo lasci cadérti i veli leggiadri
e le virginee forme scuopri serena a i cieli.
Affocata le guance, ansante dal candido petto,
corri al sovran de i mondi, al bel fiammante Suria,
e il giungi, e in arco distendi le rosee braccia
^1 gagliardo
collo; ma tosto fuggi di quel tremendo i rai.
k
ODI BARBARE
Allora gli Asvini gemelli, cavalieri del cielo,
rosea tremante accolgon te nel bel carro d' oro
e volgi verso dove, misurato il cammino di gloria,
stanco ti cerchi il nume ne i mister de la sera.
Deh propizia trasvola — cosi t' invocavano
padri —
nel rosseggiante carro sopra le nostre case.
Arriva da le plaghe d' oriente con la fortuna,
j con le fiorenti biade, con lo spumante latte;
^, ed in mezzo a' vitelli danzando con floride chiome
molta prole t' adori, pastorella del cielo. —
-; Cosf cantavano gli Aria. Ma piàcqueti meglio
r Imetto
:^ fresco di vénti rivi, che al ciel di timi odora:
piàcquerti su l' Imetto i lesti cacciatori mortali
z. prementi le rugiade co'I coturnato piede,
Inchinaronsi i cieli, un dolce chiarore vermiglio
I ! ombrò la selva e il colle, quando scendesti, o dea.
Non tu scendesti, o dea: ma Cefalo attratto al
h' tuo bacio
Si salfa per l'aure lieve, bello come un bel dio.
790 ODI BARBARE
Su gli amorosi venti salia, tra soavi fragnuffi,!
tra le nozze de i fiori, tra gì' imenei deprivi
La chioma d' oro lenta irriga il collo, a V orm '
bianco
con un cinto vermiglio sta la faretra d'oro.
Cadde V arco su V erbe; e Lèlapo immobil con erto
il fido arguto muso mira salire il sire.
Oh baci d' una dea fragranti tra la rugiada!
oh ambrosia de l' amore nel giovinetto niondol
Ami tu anche, o dea? Ma il nostro genere e
stanco;
mesto il tuo viso, o bella, su le cittadi appare.
Languon fiochi i fanali; rincasa, e né meno ti
guarda,
una pallida torma che si credè gioire.
Sbatte r operaio rabbioso le stridule impòste,
e maledice al giorno che rimena il servaggio.
Solo un amante forse che placida al sonno com-
mise
la dolce donna, caldo de' baci suoi le vene,
alacre affronta e lieto V aure tue gelide e il viso:
'' Portami „, dice " Aurora, su'l tuo corsier di
fiamma!
ODI BARBARE 7§1
Bjie i campi de le stelle mi porta, ond* io vegga
[2 la terra
utta risorridente nel roseo lume tuo,
I
! vegga la mia donna davanti al sole che leva
Tsparsa le nere trecce giù pe'l rorido seno. „
3
r
192
OPI BARBARE
. i
:: l' i
NELL' ANNUALE)^
DELLA FONDAZIONE DI ROMA
T,
e redimito di fior purpurei
aprii te vide su '1 colle emergere
da '1 solco di Romolo torva
riguardante su i selvaggi piani:
te dopo tanta forza di secoli
aprile irraggia, sublime, massima,
e il sole e V Italia saluta
te, Flora di nostra gente, o Roma.
Se al Campidoglio non più la vergine
tacita sale dietro il pontefice
né più per Via Sacra il trionfo
piega i quattro candidi cavalli.
ODI BARBARE
questa de! Fòro tuo solitudine
ogni rumore vince, ogni gloria;
e tutto che al mondo è civile,
grande, augusto, egli è romano ancora.
Salve, dea Romal Chi disconósceti
cerchiato ha i! senno di fredda tenebra,
e a lui nel reo cuore germoglia
torpida la selva di barbarie,
Salve, dea Romal Chinato a i ruderi
del Fòro, io seguo con dolci lacrime
e adoro i tuoi sparsi vestigi,
patria, diva, santa genitrice.
Son cittadino per te d' Italia,
per te poeta, madre de i popoli,
che desti il tuo spirito al mondo,
che Italia improntasti di tua gloria.
Ecco, a te questa, che tu dì libere
genti facesti nome uno, Italia,
ritorna, e s' abbraccia al tuo petto,
affisa ne' tuoi d'aquila occhi,
E tu dal colle fatai pe 'I tacito
Fòro le braccia porgi marmoree,
a la figlia liberatrice
additando le colonne e gli archi :
mi
OtA ' BARBARE
gli archi che nuovi trionfi aspettano
non più di regi, non più di cesari,
e non di datene attorcenti
bmtcia umane su gli eburnei carri;
ma il^tuo trionfo, popol d'Italia,
^iiV^ìà nera, su l'età barbara,
su i mostri onde tu con serena
giustizia farai franche le genti.
Orltalia, o Roma! quel giorno, placido
tornerà n cielo su M Fòro, e cantici
di gloria, di gloria, di gloria
correran per l'infinito azzurro.
IODI : BftKBAKE 795
DINANZI ALLE TEKME
DI CARACALLA
C
'orron tra'l Celio fosche e T Aventino
le nubi: il vento dal pian tristo move
umido : in fondo stanno i monti albani
bianchi di neve.
A le cineree trecce alzato il velo
verde, nel libro una britanna cerca
queste minacce di romane mura
al cielo e al tempo.
Continui, densi, neri, crocidanti
versansi i corvi come fluttuando
contro i due muri eh' a più ardua sfida
levansi enormi.
796 ODI BARBARE
" Vecchi giganti, -- par che insista irato
V augure stormo — a che tentate il cielo? „
Grave per V aure vien da Laterano
suon di campane.
Ed un Ciociaro, nel mantello avvolto,
grave fischiando tra la folta barba,
passa e non guarda. Febbre, io qui f invoco,
nume presente.
Se ti fùr cari i grandi occhi piangenti
e de le madri le protese braccia
te deprecanti, o dea, da '1 reclinato
capo de i figli:
se ti fu cara su '1 Palazio eccelso
Tara vetusta (ancor lambiva il Tebro •
l'evandrio colle, e veleggiando a sera
tra M Campidoglio
e l'Aventino il reduce quirite
guardava in alto la città quadrata
dal sole arrisa, e mormorava un lento
saturnio carme);
Febbre, m'ascolta. Gli uomini novelli
quinci respingi e lor picciole cose:
religifoso è questo orror: la dea
Roma qui dorme.
ODI BARBARE 797
Poggiata il capo al Palatino augusto,
tra '1 Celio aperte e V Aventin le braccia,
per la Capena i forti omeri stende
a TAppia via.
T08 ODI BAT^BARE
/ ■ ! t
ALLA VITTORIA
TRA LE ROVINE DEL TEMPIO DI VESPASIANO
IN BRESCIA.
Scuotesti, vergiti divina, T auspice
ala su gli elmi chini de i pèltasti,
poggiati il ginocchio a lo scudo,
aspettanti con l'aste protese?
o pur volasti davanti V aquile,
davanti i flutti de'marsi militi,
co'l miro fulgor respingendo
gli annitrenti cavalli de i Parti?
Ra,ccolte or Tali, sopra la galea
del vinto insisti fiera co '1 poplite,
qual nome di vittorioso
capitano su '1 clipeo scrivendo ?
ODI BARBARE: 79$^]
È d'un arconte, che sovra i despoti
gloriò le sante leggi de' liberi?,
d' un consol, che il nome i confini
e il terror de T impero distese? .
Vorrei vederti su l'Alpi, splendida
fra le tempeste, bandir ne i secoli:
" O popoli, Italia qui giunse
vendicando il suo nome e il diritto. „
Ma Lidia intanto de i fiori eh' educa
mesti r ottobre da le macerie
romane t'elegge un pio serto,
e, ponendol soave al tuo piede,
" Che dunque — dice — pensasti, o vergine
cara, là sotto ne la terra umida
tanti anni? sentisti i cavalli
d'Alemagna su'l greco tuo capo? „
" Sentii — risponde la diva, e folgora —
però eh' io sono la gloria ellenica,
io sono la forza del Lazio
traversante nel bronzo pe' tempi.
Passar V etadi simili a i dodici
avvoltoi tristi che vide Romolo,
e sursi " O Italia „ annunziando
" I sepolti son teco e i tuoi numi.
800 ODI BARBARE
Lieta del fato Brescia raccolsemij
Brescia la forte, Brescia la ferrea,
Bresdia leonessa d' Italia
beverata nel sangue nemico. „
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ODI BARBARE 80t
ALLE FONTI DEL CLITUMNO y^
A
ncor dal monte, che di foschi ondeggia
frassini al vento mormoranti e lunge
per Taure odora fresco di silvestri
salvie e di timi,
scendon nel vespero umido, o Clitumno,
a te le greggi: a te V umbro fanciullo
la riluttante pecora ne Tonda
immerge, mentre
•
vèr' lui dal seno de la madre adusta,
che scalza siede al casolare e canta,
una poppante volgesi e dal viso
tondo sorride:
Carducci. 51
802 ODI BARBARE
pensoso il padre, di caprine pelli
Tanche ravvolto come i fauni antichi,
regge il dipinto plaustro e la forza
de* bei giovenchi,
de' bei giovencfii dal quadrato petto,
erti suM capo le lunate corna,
dolci ne gli occhi, nivei, cEeTT mite
Virgilio amava.
Oscura intanto fumano le nubi
su TApennino: grande, austera, verde
da le montagne digradanti in cerchio
l'Umbria guarda.
Salve, Umbria verde, e tu del puro fonte
nume Clitumno! Sento in cuor 1* antica
patria e aleggiarmi su l' accesa fronte
gV itali iddìi.
Chi l'ombre indusse dèi piangente saldo
su' rivi sacri? ti rapisca il vento
de r Apennino, o molle pianta, amore
d' umili tempi !
Qui pugni a' verni e arcane istorie frema
co '1 palpitante maggio ilice nera,
a cui d' allegra giovinezza il tronco
r edera veste :
ODI BARBARE
qui folti a torno l'emergente nume
stieno, giganti vigili, ì cipressi;
e tu fra 1' ombre, tu fatali canta
carmi, o Ctitumno.
O testimone di tre imperi, dinne
come il grave umbro ne' duelli atroce
cesse a 1' astato velile e la forte
Etruria crebbe: ,,i/i
di' come sovra le congiunte ville
. dal superato Cimino a gran passi
calò Gradivo poi, piantando 1 segni
fieri di Roma.
Ma tu placavi, indigete comune
I italo nume, i vincitori a ì vinti,
e, quando tonò il punico furore
da '1 Trasimeno,
per gli antri tuoi sali grido, e la torta
lo ripercosse buccina da i monti:
, ,1— 0 tu che pasci i buoi presso Mevatiia
caliginosa,
e tu che i proni colli ari a la sponda
del Nar sinistra, e tu che i boschi abt)atti
sovra Spoleto verdi o ne la marzia
Todi fai nozze, n ,-j
$64 ODI BARBARE
lascfìì il bue grasso tra le canne, lascia
il torel fulvo a mezzo solco, lascia
ne r inclfnata quercia il cuneo, lascia
la sposa a l' ara ;
e cordi cdiri, corri! con la scure
corri e cò'daVdi^ con la clava e l'asta!
corri! minaccia gì' itali penati
Ànnibal diro. —
Deh come rise d'alma luce il sole
per questa chiostra di bei monti, quando
urlanti vide e minanti in fuga
l' alta Spoleto
i Mauri immani è i numidi cavalli
con mischia oscena, e sovra loro, nembi
di ferro, flutti d' olio ardente, e ì canti
de la vittoria!
Tutto ora tace. Nel sererto gorgo
la tenue miro salifente vena:
t'rema, e d' un lieve pullular lo specchio
segna de l'acque.
Ride sepolta a l' imo una foresta
breve, e rameggia immobile: il diaspro
par che si mischi in flessuosi amorì
con l'ametista.
ODI BARBARE
E di zaffiro ì fior paiono, ed hanno
de r adamante rigido i riflessi,
e splendon freddi e chiamano a i silenzi
del verde fondo.
A pie de i monti e de le querce a l'ombra
co' fiumi, o Italia, è de' tuoi carmi il fonte.
Visser le ninfe, vissero: e un divino
talamo è questo. ,.,i
Emergean lunghe ne' fluenti veli
naiadi azzurre, e per la cheta sera
chiamavan alto le sorelle brune
da le montagne, i, . m
. e danze sotto l'imminente luna ■■"■-;.
guidavan, liete ricantando in coro
di Giano eterno e quanto amor lo vinse
di Camesena,
Egli dal cielo, autoctona virilo . ■:<ir. ■•
ella: fu letto I' Apennin fumante; ■
velare i nembi il grande amplesso e nacque J
l' itala gente.
Tutto ora tace, o vedovo Clitumno,
tutto: de' vaghi tuoi delubri un solo
t'avanza, e dentro pretestato nume
tu non vi siedi.
1
<866 ODI BARBARE
Non più perfusi del tuo^ fiume sacro
menano i tori, ivittime orgogliose,
trofei romani a i templi aviti: Roma
più non trionfa.
Più non trionfa, poi che un galileo
di rosse chiome il Campidoglio ascese,
gittone in braccio una sua croce, e disse
— Portala e servi. —
Fuggir le ninfe a piangere ne' fiumi
occulte e dentro i cortici materni,
od ululando dileguaron come
nuvole a i monti,
quando una strana compagnia, tra {bianchi
templi spogliati e i colonnati infranti,
procede lenta, in neri sacchi avvolta,
litanlando,
e sovra campi del lavoro umano
sonanti p ì clivi memori d* impero
fece deserto, et il deserto disse
regno di Dio.
Strappar le turbe a i santi aratri, a i vece!»
padri aspettanti, a le fiorenti mogli;*
ovunque il divo sol benedicea,
maledicenti.
ODI BARBARE 801
iMaledicenti a Topre de la vita
e de r amore, ei deliraro atroci
congiugnimenti di dolor con Dio
su rupi e in grotte:
discesero ebri di dissolvimento
a le cittadi, e in ridde paurose
al crocefisso supplicarono, empi,
d' essere abietti.
Salve, o serena de Tllisso in riva,
o intera e dritta a i lidi almi del Tebro
anima umana! i foschi di passaro,
risorgi e regna.
E tu, pia madre di giovenchi invitti
a franger glebe e rintegrar maggesi
e d'annitrenti in guerra aspri poliedri
Italia madre,
madre di biade e viti e leggi eterne
ed inclite arti a raddolcir la vita,
salve! a te i canti de l'antica lode
io rin novello.
Plaudono i monti al carme e i boschi e V acque
de l'Umbria verde: in faccia a noi fumando
ed anelando nuove industrie in corsa
fischia il vapore.
806 ODI BARBARE
ROMA
Ivoma, ne V aer tuo lancio V anima altera vo-
lante:
accogli, o Roma, e avvolgi l'anima mia di luce.
Non curioso a te de le cose piccole io vengo:
chi le farfalle cerca sotto l'arco di Tito?
Che importa a me se l'irto spettral vinattierdi
Stradella
mesce in Montecitorio celie allobroghe e ambagi?
e se il lungi operoso tessitor di Biella s' impiglia,
ragno attirante in vano, dentro le reti sue?
Cingimi, o Roma, d* azzurro, di sole m' illumina,
o Roma: I
raggia divino il sole pe' larghi azzurri tuoi. /
ODI EfARBARE 609
Ei benedice al fosco Vaticano, al bel Quirinale^
al vecchio Capitolio santo fra le ruine;
e tu da i sette colli protendi, o Roma, le braccia
a l'amor che diffuso splende per l'aure chete.
Oh talamo grande, solitudini de la Campagna!
e tu Soratte grigio, testimone in eterno!
Monti d'Alba, cantate sorrìdenti l'epitalamio;
Tuscolo verde, canta; canta, irrigua Tivoli;
mentr* io da '1 Gianicolo ammiro V imagin de
r urbe,
nave immensa lanciata vèr* l' impero del mondo.
O nave che attingi con la poppa 1* alto infinito^
varca a' misteriosi lidi l' anima mia.
Ne' crepuscoli. a sera di gemmeo candore fulgenti
tranquillamente lunghi su la Flaminia via,
l'ora suprema calando con tacita ala mi sfiori
la fronte, e ignoto io passi ne la serena pace;
passi a i concini de l'ombre, rivegga li spiriti
magni
de i padri conversanti lungh' esso il fiume sacro.
sto OBI BARBARE'
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ALESSANDRIA
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^'A'ÒlÙiseFiPB R^QAtbl QUANDO PUBBLICÒ L* E GITT«
Ne r
aula immensa di. Lussor, su '1 capo
^ foggio di Raittse il mistico ' serpente >
sibilò ritto e '1 vulture a sinistra
volò stridendo,
e da r immènso seràpeo di Memfi,
cui stanno a guardia sotto il sol candente
seicento sfingi nel granito argute,
Api muggfò,
quando da i verdi immobili papiri
di Mareoti al livido deserto
sonò, tacendo Taure intorno, questo
greco peana.
ODI BARBARE 8H
Ecco, venimmo a salutarti, Egitto,
noi figli d'Elle, con le cetre: e Paste.
Tebe, dischiudi le tue cento porte
ad Alessandro.
Noi radduciamo a Giove Ammone un figlio
ch'ei riconosca; questo caro alunno
de la Tessaglia, questa bella e fiera
stirpe d'Achille.
Come odoroso laureto ondeggia
a lui la chioma: la sua rosea guancia
par Tempe in fiore: ha ne' grand' occhi il sole
eh' a Olimpia ride:
ha de 1* Egeo la radiante in viso
pace diffusa; se non quanto, bianche
nuvole, i sogni passanvi di gloria
e poesia.
Ei de la Grecia a la vendetta balza
leon da l'aspra tessala falange,
sgomina carri ed elefanti, abbatte
satrapi e regi.
Salve, Alessandro, in pace e in guerra iddio!
A te la cetra fra le eburnee dita,
a te d' argento il fulgid' arco in pugno,
presente Apollo!
812 ODI BARBARE
A te i colloqui di Stagira, ì baci
a te co' serti de le ionie donne^
a te la coppa di Lieo spumante,
a te r Olimpo.
Lisippo in bronzo ed in colori Apelle
ti tragga eterno; ti sollevi Atene,
chete de' torvi demagoghi V ire,
al Partenone.
Noi ti seguiamo: il Nilo in vano occulta
i dogmi e il capo a la possanza nostra:
noi farem pace qui tra i numi e al mondo
luce comune.
E se ti piaccia aggiogar tigri e linci,
Bacco novello, noi verrem cantando,
te duce, in riva al sacro Gange i sacri
canti d'Omero.
Tale il peana de gli achei sonava.
E il giovin duce, liberato il biondo
capo da l' elmo, in fronte a la falange
guardava il mare.
Guardava il mare e l' isola di Faro
innanzi, a torno il libico deserto
interminato: dal sudato petto
l'aurea corazza
ODI BARBARE
sciolse, e gittolla splendida nel piano:
" Come la mia macedone corazza
stia nel deserto e a' barbari ed a gli anni
regga Alessandria „.
Disse; ed i solchi a le nascenti mura
ei disegnava per ottanta stadi,
bianco spargendo su le flave arene
fior di farina. - :> nim^
Tale il nipote del Pelide estrusse '■ -■ •<
la sua cittade; e Faro, inclito nome
di luce al mondo, illuminò le vie
d' Africa e d' Asia,
E non il flutto del deserto urtante
e non la fuga dei barbarici anni
valse a domare quella balda figlia
del greco eroe.
Alacre, industre, a la sua terza vita
ella sorgea, sollecitando i fati,
qual la vedesti, o pellegrin poeta,
ammiratore,
quando fuggendo la incombente notte
dì tirannìa, pien d'inni il caldo ingegno,
ivi ciiiedendo libertade e luce
a r oriente,
814 ODI BARBARE
e su le tombe di turbanti insculte
star la colonna di Pompeo vedesti
come la forza del pensier latino
su '1 torbid' evo.
Deh, le speranze de V Egitto e i vanti
nel tuo volume vivano, o poeta!
Oggi Tifone V ire del deserto
agita e spira.
Sepolto Osiri, il latratore Anubi
morde a i calcagni la fuggente Europa,
e avanti chiama i best'fali numi
a le vendette.
Ahi vecchia Europa, che su'l mondo spargi
r irrequieta debolezza tua,
come la triste fisa a T oriente
sfinge sorride!
ODI BARBARE 815
IN UNA CHIESA GOTICA ^^
Oorgono e in agili file dilungano
gV immani ed ardui steli marmorei,
e ne la tenebra sacra somigliano
di giganti un esercito
che guerra mediti con l'invisibile:
le arcate salgono chete, si slanciano
quindi a voi rapide^ poi si rabbracciano
prone per V alto e pendule.
Ne la discordia cosi de gli uomini
di fra i barbarici tumulti salgono
a Dio gli aneliti di solinghe anime
che in lui si ricongiungono.
816 ODI BARBARE
Io non Dio chieggovi, steli marmorei,
arcate aeree: tremo, ma vigile
al suon d' un cognito passo che piccolo
i solenni echi suscita.
È Lidia, e volgesi: lente nel volgersi
le chiome lucide mi si disegnano,
e amore e il pallido viso fuggevoli
tra il nero velo arridono.
Anch' ei, tra '1 dubbio giorno d' un gotico
tempio avvolgendosi, TAlighier, trepido
cercò r imagine di Dio nel gemmeo
pallore d' una femina.
Sott* esso il candido vel, de la vergine
la fronte limpida fulgea ne V estasi,
mentre fra nuvoli d* incenso fervide
le litanie saliano;
salian co' murmuri molli, co' fremiti
lieti saliano d' un voi di tortore,
e poi con r ululo di turbe misere
che al ciel le braccia tendono.
Mandava l'organo pe'cupi spazi!
sospiri e strepiti: da Parche candide
parea che l'anime de* consanguinei
sotterra rispondessero.
ODI BÀRBARE 817
Ma da le mitiche vette di Fiesole
tra le pie storie pe' vetri roseo
guardava Apolline: su l'aitar massimo
impallidiano i cerei.
E Dante ascendere tra inni d' angeli
la tósca vergine transfigurantesi
vedea, sentiasi sotto i pie rùggere
rossi d' inferno i baratri.
Non io le angeliche glorie né i dèmoni,
io veggo un fievole baglior che tremola
per rumid'aere: freddo crepuscolo
fascia di tedio V anima.
Addio, semitico nume ! Continua
ne' tuoi misteri la morte domina.
0 inaccessibile re de gli spiriti,
tuoi templi il sole escludono.
Cruciato màrtire tu cruci gli uomini,
tu di tristizia T aer contamini:
ma i cieli splendono, ma i campi ridono,
ma d' amore lampeggiano
gli occhi di Lidia. Vederti, o Lidia,
vorrei tra un candido coro di vergini
danzando cingere V ara d' Apolline
alta ne' rosei vesperi
Carducci. 52
818 ODI BARBARE
/
I
raggiante in pario marmo tra i lauri,
versare anemoni da le man, gioia
da gli occhi fùlgidi, dal labbro armonico
un inno di Bacchilide.
ODI BARBARE' 819
NELLA PIAZZA DI SAN PETRONIO ^ '
S,
'urge nel chiaro inverno la fosca turrita Bo-
logna,
e il colle sopra bianco di neve ride.
È Torà soave che il sol morituro saluta
le torri e '1 tempio, divo Petronio, tuo;
le torri i cui merli tanfala di secolo lambe,
e del solenne tempio la solitaria cima.
Il cielo in freddo fulgore adamantino brilla;
e r aèr come velo d' argento giace
su *1 fòro, lieve sfumando a torno le moli
che levò cupe il braccio clipeato de gli avi.
8BO ODI BARBARE
Su gli alti fastigi s'indugia il sole guardando
con un sorriso languido di viola,
che ne la bigia pietra nel fosco vermiglio mattone
par che risvegli l' anima de i secoli,
e un desio mesto pe M rigido aere sveglia
di rossi; maggi, di calde aulenti sere,
quando le donne gentili danzavano in piazza
e co' i re vinti i consoli tornavano.
Tale la musa ride fuggente al verso in cui trema
un desiderio vano de la bellezza antica.
ODF BARBARE 821
LE DUE TORRI
ASINELLA
I
o d' Italia dal cuor tra impeti d' inni balzai
quando l'Alpi di barbari snebbiarono
e su M populeo Po pe '1 verde paese i carrocci
tutte le trombe reduci suonavano.
GARISENDA
Memore sospirai sorgendo e la fronte io piegai
su le ruine e su le tombe. Irnerio
curvo su i gran volumi sedeva e di Roma la
grande
lento parlava al palvesato popolo.
S22 ODI BARBARE
ASINELLA
Bello dì maggio il di eh' io vidi su'l ponte di Reno
passar la gloria libera del popolo,
sangue di Svevia, e te chinare la bionda cervice
a rondegs;ìante rossa croce italica.
GARISENDA
Triste mese di maggio, che intomo al bel corpo
d' Imelda
cozzar le spade de i fratelli e corsero
lunghi quaranta giorni le furie civili crollando
tra *1 vasto sangue V ardue torri in polvere.
ASINELLA
Dante vid' io levar la giovine fronte e guardarci,
e, come su noi passano le nuvole,
vidi su lui passar fantasmi e fantasmi ed intomo
premergli tutti i secoli d'Italia.
GARISENDA
Sotto vidimi il papa venir con V imperatore
r un a r altro impalmati ; ed oh me misera,
in SUO giudicio Dio non volle che io minassi
su Carlo quinto e su Clemente settimo!
ODI BARBARE 823
FUORI ALLA CERTOSA
DI BOLOGNA
O
■ I
h caro a quelli che escori da le bianche e
tacite case
de i morti il sole ! Giunge come il bacio d* un dio :
bacio di luce che inonda la terra, mentre alto ed
immenso
cantano le cicale V inno di messidoro.
Il piano somiglia un mare superbo di fremiti e
d*onde:
ville, città, castelli emergono com' isole.
Slanciansi lunghe tra '1 verde polveroso e i pioppi
le strade:
varcano i ponti snelli con fughe d* archi il fiume.
^4 ODI ^AR!BARE
E tutto è fiamma ed azzurro. Da V alpe là gì* ^
di Veronal
guardano solitarie due nuvolette bianche. 1^^
Delia, a voi zefiro spira da '1 colle pio de 1| ^
Guardia
che incoronatp scende (la l' Apennino al piani ^
v'agita il candido velo, e i ricci commove scoff ^
renti
giù con le nere anella per la superba fronte
Mentre domate i ribelli, gentil, con la mano
.i chinando
sii occhi onde tante gioie promette in vano
Amore,
udite (a voi de le Muse lo spirito in core b-
velia),
udite giù sotterra ciò che dicono i morti.
Dormono a' pie qui del colle gli avi umbri che
ruppero primi
a suon di scuri i sacri tuoi silenzi, Apennino:
dormon gli etruschi discesi co '1 lituo con Tasta
con fermi
gli occhi ne V alto a* verdi misteriosi clivi,
1
ODI BARBARE 825
si grandi celti rossastri correnti a lavarsi la
strage
le le fredde acque alpestri eh' ei salutavan Reno,
f l'alta stirpe di Roma, e il lungo-chiomato
lombardo
l ^h* ultimo accampò sovra le rimboschite cime.
Dormon con gli ultimi nostri. Fiammeggia il
meriggio su'l colle:
udite, o Delia, udite ciò che dicono i morti.
j Dicono i morti . — Beati, o voi passeggeri del
2r colle
circonfusi da' caldi raggi de 1' aureo sole.
Fresche a voi mormoran l' acque pe '1 florido
f. clivo scendenti,
l cantan gli uccelli al verde, cantan le foglie al
vento.
A voi sorridono i fiori sempre nuovi sopra la
terra
a voi ridon le stelle, fiori eterni del cielo. —
Dicono i morti — Cogliete i fiori che passano
, anch' essi,
adorate le stelle che non passano mai.
826 ODI BARBARE
Putridi squagtiansii serti d'intorno i nostri
umidi teschi:
poiìirte rose a tornò le chiome bionde e nere.
Freddo è qua giii: siamo soli. Oh amatevi al
..; sole ! Risplenda
su ila vita che passa l'eternità d' amore. —
ODI BARBARE
' "'"' SU L'ADDA ■q'oij,
I t.
Oorri, tra' rosei fuochi del vespero,
corri, Addua cerulo: Lidia su '1 placido
fiume, e il tenero amore,
al sole occiduo naviga.
Ecco, ed il memore ponte dilungasi:
cede l'aereo de gli archi slancio^..
e al liquido s'agguaglia ii i ob
pian che allargasi e mormora, jud 11
Le mura dirute di Lodi fuggono
arrampicandosi nere al declivio
verde e al docile colle. , <-.[■ -j
Addio, storia de gli uomini. .o -iT
826 ODI BARBARE
Quando il romuleo marte ed il barbaro
ruggir ne' ferrei cozzi, e qui vindice
la rabbia di Milano i
arse in itali incendii,
tu ancor dal Lario verso T Eridano
scendevi, o Addua, con desio placido,
con murmure solenne,
giù pe* taciti pascoli.
Quando su '1 dubbio ponte tra i folgori
passava il pallido còrso, recandosi
di due secoli il fato
ne l'esile man giovine,
tu il molto celtico sangue ed il teutono
lavavi, o Addua, via: su le tremule
acque il nitrico fumo
putrido disperdeasi.
Moriano gli ultimi tuon de la folgore
franca ne i concavi seni: volgeasi
da i limpidi lavacri
il bue candido, attonito.
Ov' è or r aquila di Pompeo ? 1' aquila
ov' è de r ispido sir di Soavia
e del pallido còrso?
Tu corri, o Addua cerulo.
ODI BARBARE 829
Corri tra' rosei fuochi del vespero,
corri, Addua ceruio; Lidia su M placido
fiume, e il tenero amore, _iq
al sole occiduo naviga. . ,; \\
Sotto l'olimpico riso de 1' aere »_)
la terra palpita: ogni onda accendesi^q ,
e trepida risalta w.
di fulgidi amor turgida. : t-
Molle de' giovani prati 1' effluvio
va sopra l'umido pian: l'acque a' margini
di gemiti e sorrisi
un suon morbido frangono,
E il legno scivola lieve: tra le uberi "
sponde lo splendido fiume devolvesi;
trascorrono de' campi
i grandi alberi, e accennano,
e giù da gli alberi, su da le floride
siepi, per 1' auree strisce e le rosee,
s' inseguono gli augelli
e amore ilari mescono.
Corri tra' rosei fuochi del vespero,
corri, Addua cerulo: Lidia su '1 placido
fiume naviga, e amore
d'ambrosia irriga l'aure.
S30 ODI BARBARE
Tra* pingui pascoli sotto il sole aureo
tu con r Eridano scendi a confonderti:
precipita a l'occaso
il sole infaticabile.
O sole, o Addua corrente, T anima
per un elisio dietro voi naviga:
ove ella e il mutuo amore,
o Lidia, perderannosi ?
Non so ; ma perdermi lungi da gli uomini
amo or di Lidia nel guardo languido,
ove nuotano ignoti
desiderii e misterii.
ODI BARBARE
r;fli.-T.)lti;) hi.-'
DA DESENZANO
Gir
Jino, che fai sotto i felsinei portici ?
mediti come il gentil fior de l'Eliade
d' Omero al canto e a lo scalpel di Fidia
lieto sorgesse nel mattin de i popoli?
Da r Asinella gufi e nibbi stridono
invidiando e ì cari studi rompono.
Fuggi, deh fuggi da coleste tenebre
e al tuo poeta, o dolce amico, vientene,
Vienne qui dove l'onda ampia del lidio
lago tra i monti azzurreggiando palpita :
vieni: con voce di faleuci chiamati
Sirmio che ancor del suo signore allegrasi.
832 ODI BARBARE
Vuole Manerba a te rasene istorie,
vuole Muniga attiche fole intessere,
mentre su i merli barbari fantasimi
armi ed amori con il vento parlano.
Ascoltiam sotto anacreòntea pergola
o a la platonia verde ombra de* platani,
freschi votando gì' innovati calici
che la Riviera del suo vino imporpora.
Dolce tra i vini udir lontane istorie
d' atavi, mentre il divo sol precipita
e le pie stelle sopra noi viaggiano
e tra V onde e le fronde V aura mormora.
Essi che queste amene rive tennero
te, come noi, bel sole, un di goderono,
0 ti gittasser belve umane un fremito
da te lacustri palafitte, o agili
Veneti a l'onda le cavalle dessero
trepida e fredda nel mattino roseo,
0 co '1 terreno lituo segnassero
nel mezzogiorno le pietrose acropoli.
Gino, ove inteso a le vittorie retiche
o da le dacie glorioso il milite
in vigil ozio r aquile romulee
su '1 lago affisse ricantando Cesare,
ODI BARBARE 889'
ivi in fremente selva Desiderio
agitò a caccia poi cignali e daini, -
fermo il pensiero a la corona ferrea : . '
fulgida in Rotha per la via de^. Cesari* ;:
Gino, ove il giambo di Catullo r^pic^^,
l'ala apri sovra la distesa cerula,
Lesbia chiamando tra l'odor de- lauri
con un saliente gemito per l'ae^rei :
ivi il compianto di lotnbarde monache
salmodiando ascese vèr* la candida
luna e la requie mormorò su i giovani
pallidi stesi sotto l' asta francica.
E calerem noi pur giù tra i fantasimi
cui né il sol veste di fulgor purpureo
né le pie stelle sovra il capo ridono
né de la vite il frutto i cuor letifica.
Duci e poeti allor, fronti sideree,
ne moveranno incontro, e " Di qual secolo
~ dimanderanno — di qual triste secolo
a noi venite, pallida progenie?
A voi tra* cigli torva curva infoscasi
e da r angusto petto il cuore fumiga.
Noi ne la vita esercitammo il muscolo,
e discendemmo grandi ombre tra gì' inferi „.
Carducci. 53
834 ODI BARBARE
Gino, qui sotto ànacreòntea pergola
o a la platonia verde ombra de' platani,
qui, tra i bicchieri che il vin fresco imporpora,
degna risposta meditiamo. Versasi
cernia notte sovra il piano argenteo:
move da Sirmio una canora imagine
giù via per Tonda che soave mormora
riscintillando e al curvo lido infrangesi.
ODI BARBARE 835
M
i /
SIRMIONE ;
E,
eco: la verde Sirmio nel lucido lago sorride,
fiore de le penisole.
Il sol la guarda e vezzeggia: somiglia d* intorno
il Benaco
una gran tazza argentea,
cui placido olivo per gli orli nitidi corre
misto a r eterno lauro.
Questa raggiante coppa Italia madre protende,
alte le braccia, a i superi;
ed essi da i cieli cadere vi lasciano Sirmio,
gemma de le penisole.
836 ODI BARBARE
Baldo, paterno monte, protegge la bella da V alto
co '1 sopracciglio torbido:
il Gu sembra un titano per lei caduto in battaglia,
supino e minaccevole.
Ma incontro le porge dal seno lunato a sinistra
Salò le braccia candide,
lieta come fanciulla che in danza entrando ab-
bandona
le chiome e il velo a 1' aure,
e ride e gitta fiori con le man' piene, e di fiori
le esulta il capo giovine.
Guarda là in fondo solleva la ròcca sua fosca
sovra lo specchio liquido,
cantando una saga d' antiche cittadi sepolte
e di regine barbare.
Ma qui, Lalage, donde per tanta pia gioia d'az-
zurro
tu mandi il guardo e V anima,
qui Valerio Catullo, legato giù a* nitidi sassi
il fasèlo bitinico.
ODI BARBARE 837
sedeasi i lunghi giorni, e gli occhi di Lesbia ne
r onda
fosforescente e tremula,
e '1 perfido riso di Lesbia e i multivoli ardori
vedea ne Tonda vitrea,
mentr' ella stancava pe' neri angiporti le reni
a i nepoti di Romolo.
A lui da gli umidi fondi la ninfa del lago cantava
" Vieni, o Quinto Valerio.
Qui ne le nostre grotte discende anche il sole,
ma bianco
e mite come Cintia.
Qui de la vostra vita gli assidui tumulti un
lontano
d' api susurro paiono,
e nel silenzio freddo le insanie e le trepide cure
in lento oblio si sciolgono.
Qui M fresco, qui '1 sonno, qui musiche leni ed
i cori
de le cerule vergini,
mentr' Espero allunga la rosea face su V acque
i flutti al lido gemono „.
838 ODI BARBARE
Ahi triste Anìore! egli odia le Muse, e lascivo
' • i poeti
frange o li spegne tragico.
Ma thi da gli occhi tuoi che lunghe intentano
guerre;
chi ne assicura, o Lalage?
Cogli a le pure Muse tre rami di lauro e di mirto,
e al Sole eterno li agita.
Non da Peschiera vedi natanti le schiere de* cigni
giù per il Mincio argenteo?
, / ...' ij .
da' verdi paschi dove Bianore dorme non odi
la voce di Virgilio?
;iti, Lalage, e adora. Un grande severo s'af-
faccia
a la torre scaligera.
— Suso in Italia bella — sorridendo et mormora,
e guarda
l* acque la terra e V aere.
ODI BARBARE 839
DAVANTI
IL CASTEL VECCHIO DI VERONA
1 al mormoravi possente e rapido
sotto i romani ponti, o verde Adige,
brillando dal limpido gorgo,
la tua scorrente canzone al sole,
quando Odoacre dinanzi a V impeto
di Teodorico cesse, e tra Terulo
eccidio passavan su i carri
diritte e bionde le donne amale
entro la bella Verona, odinici
carmi intonando: raccolta al vescovo
intorno, l'italica plebe
sporgea la croce supplice a' Goti.
840 ODI BARBARE
Tale da i monti di neve rigidi,
ne la diffusa letizia argentea
del placido verno, o fuggente
infaticato, mormori e vai
sotto il merlato ponte scaligero,
tra nere moli, tra squallidi alberi,
a i colli sereni, a le torri,
onde abbrunate piangon le insegne
il ritornante giorno funereo
del primo eletto re da T Italia
francata: tu, Adige, canti
la tua scorrente canzone al sole.
Anch'io, bel fiume, canto: e il mio cantico
nel picelo! verso raccoglie i secoli,
e il cuore al pensiero balzando
segue la strofe che sorge e trema.
Ma la mia strofe vanirà torbida
ne gli anni: eterno poeta, o Adige,
tu ancor tra le sparse macerie
di questi colli turriti, quando
su le rovine de la basilica
di Zeno al sole sibili il colubro,
ancor canterai nel deserto
i tedi insonni de V infinito.
\
ODI BARBARE 841
PER LA MORTE
DI NAPOLEONE EUGENIO
V^uesto la inconscia zagaglia barbara
prostrò^ spegnendo li occhi di fulgida
vita sorrisi da i fantasmi
fluttuanti ne l'azzurro immenso.
L' altro, di baci sazio in austriache
piume e sognante su l'albe gelide
le diane e il rullo pugnace,
piegò come pallido giacinto.
Ambo a le madri lungi; e le morbide
chiome fiorenti di puerizia
pareano aspettare anche il solco
de la materna carezza. In vece
MSL ODI BARBARE
balzar ne '1 buio, giovinette anime,
senza conforti; né de la patria
l'eloquio seguivali al passo
co i suon* de l'amore e de la gloria.
Non questo, o fosco figlio d* Ortensia,
non questo avevi promesso al parvolo:
gli pregasti in faccia a Parigi
lontani i fati del re di Roma.
Vittoria e pace da Sebastopoli
sopfan co *1 rombo de V ali candide
il piccolo: Europa ammirava:
la Colonna splendea come un faro.
Ma di dedembre, ma di brumaio
cruentò è il fango, la nebbia è perfida:
non crescono arbusti a quell'aure,
o dan frutti di cenere e tòsco.
O solitaria casa d'Aiaccio,
cui verdi e grandi le querce ombreggiane
e i poggi coronan sereni
e davanti le risuona il mare!
Ivi Letizia, bel nome italico
che omai sventura suona ne i secoli,
fu sposa, fu madre felice,
ahi troppo breve stagione! ed ivi.
ODI BARBAI^E Ì9&
lanciata a i troni V ultima folgore,
date concordi leggi tra i popoli,
dovevi, o consol, ritrarti
fra il mare e Dio cui tu credevi.
Domestica ombra Letizia or abita
la vuota casa; non lei di Cesare
il raggio precinse: la còrsa
madre visse fra le tombe e Tare.
Il suo fatale da gli occhi d' aquila,
le figlie come l'aurora splendide,
frementi speranza i nepoti,
tutti giacquer, tutti a lei lontano.
Sta ne la notte la còrsa Niobe,
sta su la porta donde al battesimo
le usciano i figli, e le braccia
fiera tende su '1 selvaggio mare:
e chiama, chiama, se da T Americhe,
se di Britannia, se da Tarsa Africa
alcun di sua tragica prole
spinto da morte le approdi in seno.
844 ODI BARBARE
- *,
^^a^
\<i,: v'
A GIUSEPPE GARIBALDI
III NOVEMBRE MDCCCLXXX
I
1 dittatore, solo, a la lugubre
schiera d'avanti, ravvolto e tacito
cavalca: la terra ed il cielo
squallidi, plumbei, freddi intorno.
Del suo cavallo la pésta udivasi
guazzar nel fango: dietro s* udivano
passi in cadenza, ed i sospiri
de' petti eroici ne la notte.
Ma da le zolle di strage livide,
ma da i cespugli di sangue roridi,
dovunque era un povero brano,
o madri italiche, de i cuor vostri
ODI BARBARE 8K
saliano fiamme ch'astri parevano,
sorgeano voci ch'inni suonavano:
splendea Roma olimpica in fondo^
correa per V aere un peana.
— Surse in Mentana Tonta de i secoli
dal triste amplesso di Pietro e Cesare :
tu hai, Garibaldi, in Mentana
su Pietro e Cesare posto il piede.
O d'Aspromonte ribelle splendido,
o di Mentana superbo vindice,
vieni e narra Palermo e Roma
in Capitollfo a Camillo. -—
Tale un' arcana voce di spiriti
correa solenne pe '1 ciel d'Italia
quel di che guairono i vili,
botoli timidi de la verga.
Oggi r Italia t' adora. Invocati
la nuova Roma novello Romolo:
tu ascendi, o divino: di morte
lunge i silenzii dal tuo capo.
Sopra il comune gorgo de l'anime
te rifulgente chiamano i secoli
a le altezze, al puro concilio
de i numi indigeti su la patria.
84fl: ODI BAHBARE
Tu ascendi. E Dante dice a Virgilio
** Mai non pensammo forma più nobile
d'eroe ;. Dice Livio, e sorride,
** È de la storia, o poeti.
De la: civile storia d'Italia
è quesf audacia tenace ligure,
che posa nel giusto, ed a l'alto
mira, e s' irradia ne l' ideale „.
Gloria aite, padre. Nel torvo fremito
spira de l'Etna, spira ne' turbini
de l'alpe il tuo cor di leone
incontro a' barbari ed a' tiranni.
Splende il: soave tuo cor nel cerulp
riso del.miare del ciel de i floridi
maggi diffuso su le tombe
su' marmi memori de gli eroi.
ODI BARBARE Sitt-
SCOGLIO DI QUARTO
B,
•neve ne l'onda placida avanzasi '
striscia di sassi. Boschi di lauro
frondeggiano dietro spirando
effluvi e murmuri ne la sera.
Davanti, larga, nitida, candida
splende la luna: l'astro di Venere
sorride presso e del suo
palpito lucido tinge il cielo.
Par che da questo nido pacifico
in picciol legno V uom debba movere
secreto a colloqui d'amore
leni su i zefiri, la sua donna
S48 ODI BARBARE
fisa guatando V astro di Venere.
Italia, Italia, donna de i secoli,
de' vati e de' martiri donna,
inclita vedova dolorosa,
quindi il tuo fido mosse cercandoti
pe' mari. Al collo leonino avvoltosi
il puncio, la spada di Roma
alta su l'omero bilanciando,
stiè Garibaldi. Chéti venivano
a cinque a dieci, poi dileguavano,
drappelli oscuri, ne V ombra,
i mille vindici del destino,
come pirati che a preda gissero;
ed a te occulti givano, Italia,
per te mendicando la morte
al cielo, al pelago, a i fratelli.
Superba ardeva di lumi e cantici
nel mar morenti lontano Genova
al vespro lunare dal suo
arco marmoreo di palagi.
Oh casa dove presago genio
a Pisacane segnava il transito
fatale, oh dimora onde Aroldo
siti l'eroico Missolungi!
ODI BARKMCB
Una corona di luce olimpica
cinse i fastigi bianchi in quel vespero
del cinque maggio. Vittoria
fu il sacrificio, o poesia.
E tu ridevi, stella di Venere,
stella d' Italia, stella di Cesare :
non mai primavera più sacra
d'animi italici illuminasti,
da quando ascese tacita il Tevere
d' Enea la prora d' avvenir gravida
e cadde Fallante appo i clivi
che sorger videro V alta Roma.
i *•'■
Carducci.
54
850 ODI BARBARE
SALUTO ITALICO
iVlolosso ringhia, o antichi versi italici,
eh' io co '1 batter del dito seguo o richiamo i
numeri
vostri dispersi^ come api che al rauco
suon del percosso rame ronzando si raccolgono.
Ma voi volate dal mio cuor, com' aquile
giovinette dal nido alpestre a i primi zefiri.
Volate, e ansiosi interrogate il murmurc
che giù per l'alpi giulie, che giù per l'alpi retichc
da i verdi fondi i fiumi a i venti mandano,
grave d' epici sdegni, fiero di canti eroici.
Passa come un sospir su '1 Garda argenteo,
è pianto d'Aquileia su per le solitudini.
ODI BARBARE 851
Odono i morti di Bezzecca, e attendono:
" Quando? „ grida Bronzetti, fantasma erto fra
i nuvoli.
'* Quando? „ i vecchi fra sé mesti ripetono,
che un di con nere chiome l'addio, Trento, ti
dissero.
" Quando? „ fremono i giovani che videro
pur ieri da San Giusto ridere glauco V Adria.
Oh al bel mar di Trieste, a i poggi, a gli animi
volate co '1 nuovo anno, antichi versi italici :
ne' rai del sol che San Petronio imporpora
volate di San Giusto sovra i romani ruderi!
Salutate nel golfo Giustinopoli,
gemma de V Istria, e il verde porto e il leon di
Muggia;
salutate il divin riso de l'Adria
fin dove Pola i templi ostenta a Roma e a Cesare !
Poi presso V urna, ove ancor tra' due popoli
Winckelmann guarda, araldo de V arti e de la
gloria^
in faccia a lo stranier, che armato accampasi
su M nostro suol, cantate: Italia, Italia, Italia!
852 ODI BARBARE
A UNA BOTTIGLIA DI VALTELLINA
DEL 1848
E
tu pendevi tralcio da i retici
balzi odorando florido al murmure
de* fiumi da Talpe volgenti
ceruli in fuga spume d' argento,
quando T aprile d' itala gloria
da M Po rideva fino a lo Stelvio
e il popol latino si cinse
su r Austria cingol di cavaliere.
E tu nel tino bollivi torbido
prigione, quando d' italo spasimo
ottobre fremeva e Chiavenna,
oh Rezia forte I, schierò a Vercea
ODI BARBARE
sessanta ancora dì morte lìbera
petti assetati: Hainau gli aspri animi
contenne e i cavalli de l' Istro
ispidi in vista de i tre colori.
Rezla, salute! di padri liberi
figlia ed a nuove glorie più liberal
É bello al bel sole de l'alpi
mescere il nobil tuo vin cantando:
cantante i canti de i giorni italici,
quando a' tuoi passi correano i popoli,
splendea tra le nevi la nostra
bandiera sopra l'austriaca fuga,
A i noti canti lievi ombre sorgono '
quei che anelando vittoria caddero?
Sia gloria, o fratelli! Non anche,
r opra del secol non anche è piena.
Ma ne i vegliardi vige il vostro animo,
il sangue vostro ferve ne i giovani:
0 Italia, daremo in altre alpi
inclita a i venti la tua bandiera.
854 ODI BARBARE
MIRAMAR
'r
O
Mifamare, a le tue bianche torri
attediate per lo del piovorno
fosche con volo di sinistri augelli
vengon le nubi.
OMiramare, contro i tuoi graniti
grige dal torvo pelago salendo
con un rimbrotto d' anime crucciose
battono V onde.
Meste ne l'ombra de le nubi a' golfi
stanno guardando le città turrite,
Muggia e Pirano ed Egida e Parenzo
gemme del mare;
ODI BARBARE 855
e tutte il mare spinge le mugghianti
collere a questo bastton di scogli
onde t' affacci a le due viste d' Adria,
rocca d*Absburgo;
e tona il cielo a Nabresina lungo
la ferrugigna costa, e di baleni
Trieste in fondo coronata il capo
leva tra' nembi.
Deh come tutto sorridea quel dolce
mattin d'aprile, quando usciva il biondo
imperatore, con la bella donna,
a navigare!
A lui dal volto placida raggiava
la maschia possa de V impero : V occhia
de la sua donna cerulo e superbo
iva su '1 mare.
Addio, castello pe' felici giorni
nido d'amore costruito in vano!
Altra su gli ermi oceani rapisce
aura gli sposi.
Lascian le sale con accesa speme
istorifate di trionfi e incise
di sapienza. Dante e Goethe al sire
parlano in vano
856 ODI BARBARE
da le animose tavole: una sfinge
r attrae con vista mobile su l'onde:
ei cede^ e lascia aperto a mezzo il libro
del romanziero.
Oh non d'amore e d'avventura il canto
fia che l'accolga e suono di chitarre
là ne la Spagna de gli Aztechi! Quale
lunga su r aure
vien da la trista punta di Salvore
nenia tra '1 roco piangere de' flutti ?
Cantano i morti veneti o le vecchie
fate istriane ?
— Ahi! mat tu sali sopra il mare nostro,
figlio d'Absburgo, la fatai Novara.
Teco l' Erinni sale oscura e al vento
apre la vela.
Vedi la sfinge tramutar sembiante
a te d' avanti perfida arretrando !
È il viso bianco di Giovanna pazza
contro tua moglie.
È il teschio mózzo contro te ghignante
d' Antonifetta. Con i putridi occhi
in te fermati è l' irta faccia gialla
di Montezuma.
ODI BARBARE 8S1
Tra boschi immani d'agavi non mai
mobili ad aura di benigno vento,
sta ne la sua piramide, vampante
livide fiamme
per la tenèbra tropicale, il dio
Huitzilopotli, che il tuo sangue fiuta,
e navigando il pelago co M guardo,
ulula — Vieni.
Quanf è che aspetto! La ferocia bianca
strussemi il regno ed i miei templi infranse
vieni, devota vittima, o nepote
di Carlo quinto.
Non io gì' infami avoli tuoi di tabe
marcenti o arsi di regal furore;
te io voleva, io colgo te, rinato
fiore d'Absburgo;
e a la grand' alma di Guatimozino
regnante sotto il padiglion del sole
ti mando inferia, o puro, o forte, o bello
Massimiliano. —
•856 ODI BARBARE
ALLA REGINA D'ITALIA
XX NOV. MDCCCLXXVIII.
O^
nde venisti? quali a noi secoli
si mite e bella ti tramandarono?
fra i canti de' sacri poeti
dove un giorno, o regina, ti vidi?
Ne le ardue ròcche, quando tingeasi
a i latin soli la fulva e cerala
Germania, e cozza van nel verso
nuovo Tarmi tra lampi d'amore?
Seguiano il cupo ritmo monotono
trascolorando le bionde vergini,
e al ciel co' neri umidi occhi
impetravan mercé per la forza.
ODI BAimARE 85d
O ver ne i brevi di che l'Italia
fu tutta un maggio, che tutto il popolo
era cavaliere? Il trionfo
d' amor gfa tra le case merlate
in su le piazze liete di candidi
marmi, di fiori, di sole; e " O nuvola
che in ombra d'amore trapassi, —
l'Alighieri cantava -— sorridi I „
Come la bianca stella di Venere
ne r aprii novo surge da' vertici
de r alpi, ed il placido raggio
su le nevi dorate frangendo
ride a la sola capanna povera,
ride a le valli d'ubertà floride,
e a r ombra de' pioppi risveglia
li usignoli e i colloqui d'amore:
fulgida e bionda ne 1' adamantina
luce del serto tu passi, e il popolo
superbo di te si compiace
qual di figlia che vada a l'altare;
con un sorriso misto di lacrime
la verginetta ti guarda, e trepida
le braccia porgendo ti dice
come a suora maggior " Margherita! „
860 ODI BARBARE
E a te volando la strofe alcaica,
nata ne' fieri tumulti libera,
tre volte ti gira la chioma
con la penna che sa le tempeste:
e, Salve, dice cantando, o inclita
a cui le Grazie corona cinsero,
a cui si soave favella
la pietà ne la voce gentile!
Salve, o tu buona, sin che i fantasimi
di Raffaello ne' puri vesperi
trasvolin d' Italia e tra' lauri
la canzon del Petrarca sospiri!
ODI BARBARE 86!
COURMAYEUR
C,
'onca in vivo smeraldo tra foschi passaggi
dischiusa,
o pia Courmayeur, ti saluto.
Te da la gran Giurassa da V ardua Grivola bella
il sole più amabile arride.
Blandi misteri a te su' boschi d' abeti imminente
la gelida luna diffonde,
mentre co '1 fiso albor da gli ermi ghiacciai ri-
sveglia
fantasime ed ombre moventi.
4
Te la vergine Dora, che sa le sorgive de' fonti
e sa de le genti le cune,
cernia irriga, e canta; gli arcani ella canta de
r alpi,
e i carmi de' popoli e l'armi.
802 COI BARBARE
De la valanga il tuon da V orrida Brenva rintrona
e rotola giù per neri antri:
sta su '1 verone in fior la vergine, e tende lo
sguardo,
e i verni passati ripensa.
Ma da' pendenti prati di rosso papavero allegri
tra gli orzi e le s^;ali bionde
spicca r alauda il volo trillando l' aerea canzone:
io medito i canni sereni.
Salve, o pia Courmayeur, che l'ultimo rìso
d' Italia
al pie del gigante de l'Alpi
rechi soave! te, datrice di posa e di canti,
io reco nel verso d'Italia.
Va su' tuoi verdi prati l' ombria de le nubi fug-
genti,
e va su' miei spirti la musa.
Amo al lucido e freddo mattin da' tuoi sparsi
casali
il fumo che ascende e s'avvolge
bigio al bianco vapqr da V are de' monti smarrito
nel cielo divino. Si perde
l'anima in lento error: vien da le compiante
memorie
e attinge l'eterne speranze.
ODI BAHBARE SSS
IL LIUTO E LA LIRA
A MARGHERITA REGINA D' ITALIA
V^uando la Donna Sabauda il fulgido
sguardo al liuto reca e su M memore
ministro d'eroici lai
la mano e l' inclita fronte piega,
commove un conscio spirito l'agili
corde, e dal seno concavo mistico
la musa de' tempi che furo
sale aspersa di faville d' oro ;
e un coro e un canto di forme aeree,
quali già vide V Alighier movere
ne' giri d'armonica stanza,
cinge r italica Margherita.
864 ODI BARBARE
"Io — dice l'una, cui la cesarie
inonda bionda gli omeri nivei
e gli occhi natanti nel lume
de Testasi chiedono le sfere —
io son, regina, — dice — la nobile
Canzone; e a' cieli volai da T anima
di Dante, quand'egli nel maggio
angeli e spiriti lineava.
Io del Petrarca sovra le lacrime
passai tingendo d'azzurro Taere
e accesi corone di stelle
in su r aurea treccia d' Avignone.
Non mai più alto sospiro d' anime
surse dal canto. Di te le laudi
a' due leverò che V Italia
poeti massimi rivelaro „.
" A me la terra piace — nel cantico
una seconda balzando applaude
con r asta e lo scudo, e da V elmo
fosca fugge a' venti la criniera — .
Piace, se lampi d' acciaio solcano
se ferrei nembi rompono Taere
e cadon le insegne davanti
al flutto e a r impeto de' cavalli.
001 BARBARE
A cui la morte teme non ridono
le muse in cielo, quaggiù le vergini.
Avanti, Savoia! non anche
tutta désti la bandiera al vento.
La Sirventese sono. A me l'aquila
■che da Superga rivola al Tevere
e i folgori stringe severa
dritta ne l' iride tricolore „.
" Ed io — la terza dice, di mammole
viole un cerchio tessendo, e semplice
di rose e ligustri il sembiante
ombra sotto la castanea chioma —
la Pastorella sono. Di facili
amori e sdegni, danze e tripudii, _,
non più rendo gli echi; una nube
va di tristizia su la terra.
A te da' verdi mugghianti pascoli,
da' biondi campi, da le pomifere
colline, da' boschi sonanti
di scuri e dal fumo de' tuguri,
io reco il blando riso de'parvoli,
di spose e figlie reco le lacrime
e i cenni de' capi canuti
che ti salutano pia madre „.
ODI BARBARE
Tali, .0 Signora, forme e fantasimi
a [Voi d'intorno cantando volano
dal vago liuto: a la lira
io li do di Roma imperlante,
qui dove 1' Alpi de le virginee
cime pili al sole diffusa raggiano
la bianca letizia da immenso
circolo, e cerula tra l'argento
per i tonanti varchi precipita
la Dora a valle cercando Italia,
e sceser vostri avi ferrati
con la spada e con la bianca croce.
Dal grande altare nival gli spiriti
del Montebianco soi^ono attoniti,
a udire l' eloquio di Dante,
ne' ritmi fulgidi di Venosa,
dopo cotanto strazio barbarico
ponendo verde sempre di gloria
il lauro di Livia a la fronte
de la Sabauda Margherita,
a voi, traverso 1' onde de i secoli,
di due forti evi ricantar 1' anima,
o figlia e regina del sacro
rinnovato popolo latino.
I ,.««n„. «.NOTE
,1 nii sni'uM ,0681 k . .
■ ■■• 'h-isbinli IH» ,ii>»«a*>4 li 9i>n . ' iir
l'Ili' -iiulin ambjilldnn 3 niniMi»:' <<i
I,, , , . , DINANZI ALLE TERME
I DI CARACALLA
pag. T96, V. 21-24. Fu chi intese che questi versi auguras-
sero la malaria ai buzzurri. Obiiiiè I Io intendevo imprecare alla
speculazione edilizia che già minacciava i monumenti, accarez-
zata da quella trista amministrazione la quale educò il mar-
ciume che serpeggia a questi giorni nella capitale (4 febb. 1893),
ALESSANDRIA
pag. 810. Fu composta negli ultimi giorni di lugìio del 1882
(il tempo della composizione dà ragione del linale) per la
pubblicazione del volume di Giuseppe Regaldi [Firenze, Le
Monnierl, dove le antichità e le novità dell'Egitto sono discorse
con faconda copia di notizie,
MIRAMAR
' pag. 854, V. 2. Mi tengo di aver rinnovato un bell'aggettivo
dantesco dal verso 91 del xxv Purg;atoriO| se non che io in
vece di piamo vorrei poter leggere e senza esitazione scrìvo pia-
vomo, che è la forma integra, come leggono il codice Po^jj^^*
868 ODI BARBARE
e uno deir Archiginnasio di Bologna, e come parmi d'aver seofli
dire alcuna volta in contado non so più se di Toscana oi
Romagna. Aer piovomo vale, nell' interpretazione del Béì
pieno di nuvoli acquosi: altro, in somma, da piovoso.
p. 854, V. 11. Per i luoghi dell' Istria ricordati in ques»
verso e per la punta di SalvorCy pag. 856, v. 9, son certo i
far cosa grata ai lettori italiani rimandandoli a un libro moto
buono, con rappresentazioni fotografiche ammirevoli, di G»
seppe Caprin, stampato in Trieste nel 1889, Marine istrim
libro che mi fa spesso tornare il pensiero, con desiderio sco-
pre più acceso, a quella bellissima e nobilissima regione, tuiti
romana e veneta della gran patria italiana.
pag. 855, V. 21-24, pag. 856, v. 1-4 e v. 14. Alcuni ricorf
del castello di Mìramar in questi versi han forse bisogno d
schiarimento. Nella stanza di studio di Massimiliano, costnA
in guisa che rassomigliasse la cabina della contrammiraglii
Novara che lo trasportò al Messico, sono i ritratti di Dante'
di Goethe presso il luogo ove V arciduca sedeva a studiar;
sta tutt' ora aperta sul tavolino un* antica edizione, che pait
di ricordare assai rara e stampata ne' Paesi bassi, di romani
castigliane. Nella sala maggiore sono incise più sentenze t
tine: memorevoli, per il luogo e per 1* uomo, queste: 5//o'
tana iuvat caveto folli — Saepe sub dulci melle venef:
latent — Non ad astra mollis e terris via — Vivitur in§^
niOy caetera mortis erunt,
IL LIUTO E LA LIRA
pag. 863, v. 13. Quest' ode composta in Courmayeur -
pensata in Roma, nell' occasiona che il prof. Chìlesotti l'i
maggio del 1889 nella sala Palestrina parlò della musica dt-
secoli XV e xvi, presente la Regina Margherita. Ivi, tra l\
altri strumenti musicali, erano due liuti della Regina: la qua!^
ebbe allora la gentile curiosità di conoscere V arte del liuto \
r uso d' esso nella poesia italiana e provenzale.
DELLE ODI BARBARE
LIBRO II
Musa latina, vieni meco a canzone novella:
Può nuova progenie il canto novello fare.
T. Campanella.
CERILO
No:
Non sotto ferrea punta che strida solcando
maligna
dietro un pensierdi noia l'aride carte bianche;
sotto l' adulto sole, nel palpito mosso da'venti
pe* larghi campi aprici, lungo un bel correr
d' acque,
nasce il sospir de' cuori che perdesi ne l' infinito,
nasce il dolce e pensoso fior de la melodia.
Qui brilla il maggio effuso ne l'aere odorato
di rose,
brillano gli occhi vani, dormon ne'petti i cuori;
dormono i cuor, si drizzan le orecchie facili
quando
la variopinta strilla nota de la Gioconda.
872 ODI BARBARE
Oh de le Muse Tara dal verde vertice bianca
su '1 mare! Alcmane guida i virginei cori:
" Voglio con voi fanciulle, volare, volare a li
danza,
come il cerilo vola tratto da le alcioni :
vola con le alcioni tra Tonde schiumanti ie
tempesta,
cerilo purpureo nunzio di primavera „.
\
OBI BARBARE 873
, *•
FANTASIA
JL u parli ; e, de la voce a la molle aura
lenta cedendo, si abbandona V anima
del tuo parlar su Tonde carezzevoli,
e a strane plaghe naviga.
Naviga in un tepor di sole occiduo
ridente a le cerulee solitudini :
tra cielo e mar candidi augelli volano,
isole verdi passano,
e i templi su le cime ardui lampeggiano
di candor pario ne 1* occaso roseo,
ed i cipressi de la riva fremono,
e i mirti densi odorano.
874
Q]pi«AK9AW
Erra lungi V odor su le salse aure
L e si mesce al cantar lento de' nauti,
mentre una nave in vista al porto ammaini
le rosse vele placida.
ytggo fanciulle scender da l'acropoli
in ordin lungo; ed han bei pepli candidi,
serti hanno al capo, in man rami di lauro^
tendon le braccia e cant^qo.
Piantata Tasta in su l'arena patria,
a terra salta un uom ne Tarmi splendido:
è forse Alceo da le battaglie reduce
a le vergini lesbie?
ODI BARBARE 875
RUIT HORA
O
desiata verde solitudine
lungi al rumor de gli uomini!
qui due con noi divini amici vengono,
vino ed amore, o Lidia.
Deh, come ride nel cristallo nitido
Lieo, l'eterno giovine!
come ne gli occhi tuoi, fulgida Lidia,
trionfa amore e sbendasi!
Il sol traguarda basso ne la pergola,
e si rifrange roseo
nel mio bicchiere: aureo scintilla e tremola
fra le tue chiome, o Lidia.
S16 ODI BARBARE
Fra le tue nere chiome, o bianca Lidia,
langue una rosa pallida;
e una dolce a me in cuor tristezza sùbita
tempra d' amor gì' incendii.
Dimmi : perché sotto il fiammante vespero
misteriosi gemiti
manda il mare là giù? quai canti, o Lidia,
tra lor quei pini taiitano?'
Vedi con che desio quei colli tendono
le braccia al sole occiduo:
cresce l'ombra e li fascia: ei par che chiedano
il bacio ultimo, o Lidia.
Io chiedo i baci tuoi, se l'ombra avvolgemi,
Lieo, dator di gioia:
io chiedo gli occhi tuoi, fulgida Lidia,
se Iperifon precipita.
E precipita l'ora. O bocca rosea,
schiuditi: o fior de l'anima,
o fior del desiderio, apri i tuoi calici :
o care braccia, apritevi.
\
ODI BARBARE ' 877
ALLA STAZIONE
IN UNA MATTINA D' AUTUNNO
o
h quei fanali come s' inseguono
accid'fosi là dietro gli alberi,
tra i rami stiHanti di pioggia
sbadigliando la luce su '1 fango!
Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d' autunno
come un grande fantasma n'è intorno.
Dove e a che move questa, che affrettasi
a' carri foschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori
o tormenti di speme lontana?
ODI BARBARE
Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dai de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dai, gì' istanti gioiti e i ricordi,
Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili,
com' ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze dì ferro: ed i ferrei
freni tentati rendono un lugubre
rintócco lungo: di fondo a l'anima
un'eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.
E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno par l'ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su' vetri la pioggia.
Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
occhi sbarra; immane pe '1 buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.
Va l'empio mostro; con traino orribile
sbattendo I' ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e 'I bel velo. ,
salutando scompar ne la tepe
ODI BARBARE 879
O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra* floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!
Fremea la vita nel tepid' aere,
fremea Testate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso
in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia : come un* aureola
più belli del sole i miei sogni
ricingean la persona gentile.
Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi ;
barcollo com^ebro, e mi tócco,
non anch' io fossi dunque un fantasma.
Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su 1* anima !
io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.
Meglio a chi '1 senso smarrì de 1* essere,
meglio quest'ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito.
880 ODI BARBARE
MORS
J
NELL EPIDEMIA DIFTERICA
Vxiuando a le nostre case la diva severa discende,
da lungi il rombo de la volante s* ode,
e l'ombra de T ala che gelida gelida avanza
diffonde intorno lugubre silenzio.
Sotto la vendente ripiegano gli uomini il capo,
ma i sen feminei rompono in aneliti.
Tale de gli alti boschi, se luglio il turbine ad-
densa,
non corre un fremito per le virenti cime:
immobili quasi per brivido gli alberi stanno,
e solo il rivo roco s'ode gemere.
ODI BARBARE 881
Entra ella, e passa, e tócca; e senza pur vol-
gersi atterra
gli arbusti lieti di lor rame giovani;
miete le bionde spiche, strappa anche i grap-
poli verdi,
coglie le spose pie, le verginette vaghe
ed i fanciulli: rosei tra l'ala nera ei le braccia
al sole a i giuochi tendono e sorridono.
Ahi tristi case dove tu innanzi a' vólti de' padri,
pallida muta diva, spegni le vite nuove!
Ivi non più le stanze sonanti di risi e di festa
o di bisbigli, come nidi d* augelli a maggio :
ivi non più il rumore de gli anni lieti crescenti,
non de gli amor le cure, non d' imeneo le danze:
invecchian ivi ne l'ombra i superstiti, al rombo
del tuo ritorno teso 1' orecchio, o dea.
Carducci. ó'ò
8^ ODI BARB/VRE
UNA SERA DI SAN PIETRO
R,
jcordo. Fulvo il sole tra i rossi vapori e le nubi
calde al mare scendeva, come un grande clipeo
di rame
che in barbariche pugne corrusca ondeggiando,
poi cade.
Castiglioncello in alto fra mucchi di querce ridea
da le vetrate un folle vermiglio sogghigno di fata.
Ma io languido e triste (da poco avea scosso
la febbre
maremmana, ed i nervi pesavanmi come di
piombo)
guardava a la finestra. Le rondini rapide i voli
sghembi tessevano e ritessevano intorno le
gronde,
e le passere brune strepiano al vespro maligno.
Brevi d' entro la macchia svariavano il piano
ed i colli,
ODI BÀRBARE 883
rasi a metà da la falce, in parte ancor mobili e
biondi.
Via per i solchi grigi le stoppie fumavano accese:
or si or no veniva su per le aure umide il canto
de' mietitori, lungo, lontano, piangevole, stanco:
grave V afa stringeva Taèr, la marina, le piante.
Io levai gli occhi al sole — O lume superbo
del mondo
tu su la vita guardi com' ebro ciclope da Talto! —
Gracchiarono i pavoni schernendomi tra i me-
lograni,
e un vipistrello sperso passommi radendo su'!
capo.
864 ODI BARBARE
PE 'L CHIARONE DA CIVITAVECCHIA
LEGGENDO IL MARLOWE
Oalvi,
aggrondati, ricurvi, si come becchini a
la fossa
stan radi alberi in cerchio de la sucida riva.
Stendonsi livide l'acque in linea lunga che trema
sotto squallido cielo per la lugubre macchia.
Bevon le nubi dal mare con pendale trombe,
ed il sole
piove sprazzi di riso torbido sovra i poggi.
I poggi sembrano capi di tignosi ne T ospitale,
Tun fastidisce T altro da' finitimi letti.
Scattan su da un cespuglio co '1 guizzo di frecce
mancate
due neri ueeeUr. cala con pigre ruote un falca
ODI BARBARE 865
Corrono, mentr' io leggo Marlowe, le smunte
cavalle
de la vettura: il sole scema, la pioggia freme.
Ed ecco a poco a poco la selva infoscasi orrenda,
la selva, o Dante, d' alberi e di spiriti,
dove tra piante strane tu strane ascoltasti que-
i relè,
dove troncasti il pruno eh* era Pier de la Vigna.
Io leggo ancora Marlowe. Dal reo verso bieco
simile
a sogno d' uomo cui molta birra gravi,
d' odii et incèsti e morti balzando tra forme
angosciose
esala un vapor acre d* orrida tristizia,
che sale e fuma, e misto a l'aer maligno feconda
di mostri intorno le pendenti nuvole,
crocida in fondo a' fossi, ferrugigno ghigna
ne' bronchi,
filtra con la pioggia per V ossa stanche, lo tremo.
Ah quei pini che il vento che il mare curvaron
tanti anni
paiono traer guai contro di me: — Che importa
886 ODI BARBARE
— dicon — tendere a Talto? che vale com-
batter? che giova
amare? Il fatò passa ed abbassa. — Ma tu,
tu sughero triste che a terra schiacciato rialzi
il capo, reo gobbo, bestemmiando Iddio,
perché mi tendi minaccioso le braccia tue torte?
che colpa ho io ne M fato che ti danna?
E voi, lunghe ne'l mezzo del tetro recinto alberelle,
co' rami spioventi, quasi canute chiome,
siete alberelle voi? siete le tre fiere sorelle
che aspettar Macbeth su là fatale via?
Odo pauroso carme che voi bisbigliate co' venti,
di rospi, di. serpi, di sanguinanti cuori.
Guglielmo, re de' poeti da l' ardua fronte serena,
perché mi mandi lugubri messaggi?
Io non uccisi il sonno, ben gli altri a me spen-
sero il cuore:
non cerco un regno, io solo chieggo al mondo
1' oblio.
Oblio? no, vendetta. Cadaveri antichi, pensieri
che tutti una ferita mostrate aperta e tutti
ODI BARBARE 887
a tradimento, su ! su da '1 cimitero del petto,
f su date a* venti i yostri veli funebri.
*
Qui raduniam consiglio, qui ne V orribile spazzo,
a r ombre ignave, su le mortifere acque.
Qui gonfia di serpi tra '1 fior bianco e giallo la
terra,
pregna di veleni qui primavera ride.
Rida ubriaco il verso di gioia maligna; com' angue,
strisci, si attorca, snodisi tra i sibili.
Volate, volate, canzoni vampire, cercando
i cuor* che amammo; sangue per sangue sia.
Ma che? Disvelasi lunge superbo a veder TAr-
gentaro
lento scendendo ne '1 Tirreno cerulo.
Il sole illustra le cime. .Là in fondo sono i miei
colli,
con la serena vista, con le memorie pie.
Ivi m'arrise fanciullo la diva sembianza d'Omero.
Via, tu, Marlowe, a Tacque! tu, selva infame,
addio.
&SB ODI BARBARE
ALLA MENSA DELL* AMICO
N,
on mai da '1 cielo eh' io spirai parvolo
ridesti, o Sole, bel nume, splendido
a me, si come oggi eh' effuso
t' amo per V ampie vie di Livorno.
Non mai fervesti, Bromio, ne i calicf
consolatore saggio e benevolo,
com'oggi ch'io libo a l'amico
pensando i varchi de l'Apennino.
O Sole, o Bromio, date che integri,
non senza amore, non senza cetera,
scendiamo a le placide ombre
— là dov' è Orazio — 1* amico ed io.
ODI BARBARE 8S9
Ma sorridete gli auguri a i parvoli
che^ dolci fiori, la mensa adornano,
la pace a le madri, gli amori
a i baldi giovani e le glorie.
890 ODI BARBARE
RAGIONI METRICHE
iVompeste voi*! Tevere a nuoto, Clelia,. come
r antica vostra, o a noi nuova Rea Silvia uscite?
Scarso, o nipote di Rea, l'endecasillabo ha il passo
a misurare i clivi de le bellezze vostre :
solo co '1 pie trionfale V eroico esametro puote
scander la vYa sacra de le lunate spalle.
Da r arce capitolina de *1 collo fidiaco molle
il pentametro pender, ghirlanda albana, deve.
Batta ne*l raggio de gli occhi, che fiero corusca
si come
tra i colli prenestini dietro T aurora il sole,
batta Talcaica strofe trepidando Tali, e si scaldi
a i forti amori: indietro, tu settenario vile.
ODI BARBARE 891
Oh, su la chioma ondosa che simile a notte
discende
pe '1 crepuscolo pario de le doriche forme
(lasciate a le serve, nipote di Rea, gli ottonari )
corona aurea di stelle fulga V asclepiadea.
892 ODI BARBARE
FIGURINE VECCHIE
Q.
,ual da la madre battuto pargolo
od in proterva rissa mal domito
stanco s* addorme con le pugna
serrate e i cigli rannuvolati,
tal ne M mio petto V amore, o candida
Lalage, dorme: non sogna o invidia,
s' al roseo maggio erran giocando
gli altri felici pargoli al sole.
Oh no '1 destare ! 1' udresti, o Lalage,
di torbid' ire fiedere V aere
rompendo i giuochi a' lieti eguali,
dio di battaglia per me V amore.
\
ODI BARBARE 893
SOLE D'INVERNO
N,
el solitario verno de T anima
spunta la dolce imagine,
e tócche frangonsi tosto le nuvole
de la tristezza e sfumano.
Già di cerulea gioia rinnovasi
ogni pensiero: fremere
sentomi dMntima vita gli spiriti:
il gelo inerte fendesi.
Già de' fantasimi dal mobil vertice
spiccian gli affetti memori,
scendon con rivoli freschi di lacrime
giù per r ombra del tedio.
894 ODI BARBARE
Scendon con murmuri che a gli antri chiamar
echi d'amor superstiti
e con letizia d' acque che a' margini
sonni di fiori svegliano.
Scendono, e in limpido fiume dilagano,
ove le rive e gli alberi
e i colli e il tremulo riso de Taere
specchiasi vasto e placido.
Tu sy la nubila cima de V essere,
tu sali, 0 dolce imagine;
e sotto il candido raggio devolvere
miri il fiume de V anima.
3IMi|iÉiMMI
EGLE
CDtanno nel grigio verno pur d'edrae di lauro
ve94^e
ne i* Appia trista le -nitnoséotombeii :o3dJ1
■ .. ':.),^:v; Il vÀjUII liiivyù 'ìOOiìB b'j
Passan pe '1 citì turchino^ eliè é^im^àtìébf'^ da
avanti al sole lucide nubi 'bianche.
:ìl<uj 101 aCI
Egle, levato il capo vèr* quella serena promessa
di primavera, guarda le nubi e il sole. '
Guarda; e innanzi a la bella sua fronte più
ancora che al sole
ridon le nubi sopra le tombe antiche.
- 1
d896 mtmBAKmm
■-i..ir)::i
PRIMO VERE
\
I
rumi ih '^ B^ib'^'l- '■•:«"' oh'H/ 012^.1$^ i^n c»n^:\
J-jcco: di braccio al pigro verno sciogliesi
ed ancor trema nuda al rigid' aere
la primavera : il sol tra le sue lacrime
limpido brilla, o Lalage.
Da lor culle di neve i fior si svegliano
e curiosi al ciel gli occhietti levano:
in quelli sguardi vagola una tremula
ombra di sogno, o Lalage.
Nel sonno de V inverno sotto il candido
lenzuolo de la neve i fior sognarono;
sognaron l'albe roride ed i tepidi
soli e il tuo viso, 0 Lalage.
ODI BARBARE 8^7'
Ne r addormito spirito che sognano
i miei pensieri? A tua bellezza candida
perché mesta sorride tra le lacrime
la primavera, o Lalage?
Carducci. b1
89& ODI BARBARE
VERE NOVO
R
empendo il sole tra i nuvoli bianchi a l'az-
zurro
sorride e chiama — O primavera, vieni ! —
Tra i verzicanti poggi con mormorii placidi il
fiume
ricanta a V aura — O primavera, vieni ! —
— O primavera, vieni ! — ridice il poeta al
suo cuore
e guarda gli occhi, Lalage pura, tuoi.
ODI BARBARE 899
CANTO DI AÌARZO
Q:
naie una incinta, su cui scende languida
languida T ombra del sopore e l'occupa,
disciolta giace e palpita su '1 talamo,
sospiri al labbro e rotti accenti vengono
e sùbiti rossor la faccia corrono,
tale è la terra; T ombra de le nuvole
passa a sprazzi su '1 verde tra il sol pallido :
umido vento scuote i pèschi e i mandorli
bianco e rosso fioriti, ed i fior cadono :
spira da i pori de le glebe un cantico.
— O salienti da' marini pascoli
vacche del cielo, grige e bianche nuvole,
versate il latte da le mamme tumide
al piano e al colle che sorride e verzica,
a la selva che mette i primi palpiti —.
I :antano i fior che si risvegliano:
antatio i germi che si movono
adici che bramose stendonsi;
a 1' ossa de i sepolti cantano
1 li de la vita e de gli spiriti.
Ecco l' acqua che scroscia e il tuon che brontola;
porge il capo il vitel da la stalla umida,
la gallina scotendo 1' ali strepita,
profondo nel verzier sospira il cuculo
ed i bambini sopra V aia saltano.
Chinatevi al lavoro, o validi omeri;
schiudetevi a gli amori, o cuori giovani,
impennatevi a i sogni^ ali de ranime;.,,|
irrompete a la guerra, o desìi torbidi :,jm^
ciò che fu torna e tornerà ne i secoli.
ODI BARBARE 901
SALUTO D' AUTUNNO
Jl e' vérdi colli, da' cieli splendidi,
e ne' fiorenti campi de T anima,
Delia, a voi tutto è una festa
di primavera: lungi le tombe!
Voi dolce madre chiaman due parvole,
voi dolce suora le rose chiamano,
e il sol vi corona di lume,
divino amico, la bruna chioma.
Lungi le tombe! Lontana favola
per voi la morte! Salite il tramite
de gii anni, e con citara d' oro
Ebe serena v' accenna a V alto.
OD[ BARBARE
Giù ne la valle, freddi dal turbine,
noi vi miriamo ridente ascendere;
e un raggio del vostro sorriso
frange le nebbie pigre a l'autunno.
ODI BARBARIE 903
SU MONTE MARIO
S
olenni in vetta a Monte Mario stanno
nel luminoso cheto aere i cipressi,
e scorrer muto per i grigi campi
mirano il Tebro,
mirano al basso nel silenzio Roma
stendersi, e, in atto di pastor gigante
su grande armento vigile, davanti
sorger San Pietro.
Mescete in vetta al luminoso colle,
mescete, amici, il biondo vino, e il sole
vi si rifranga: sorridete, o belle:
diman morremo.
Lalage, intatto a l'odorato bosco
lascia l'alloro che si gloria eterno,
o a te passando per la bruna chioma
splenda minore.
A me tra'l verso che pensoso vola
venga l'allegra coppa ed il soave
fior de la rosa che fugace il verno
consola e muore.
Diman morremo, come ier morirò
quelli che amammo: via da le memorie,
via da gli affetti, tenui ombre lievi
dilegueremo.
Morremo; e sempre faticosa intorno
de r almo sole volgerà la terra,
mille sprizzando ad ogni istante vite
come scintille;
vite in cui nuovi fremeranno amori,
vite che a pugne nuove fremeranno,
e a nuovi numi canteranno gì' inni
de l'avvenire.
E voi non nati, a le cui man' la face
verrà che scórse da le nostre, e voi
disparirete, radiose schiere,
ne l' infinito.
ODI BARBARE 906
Addio, tu madre del pensier mio breve,
terra, e de Talma fuggitiva! quanta
d' intorno al sole aggirerai perenne
gloria e dolore!
fin che ristretta sotto l' equatore
dietro i richiamj del calor fuggente
r estenuata prole abbia una sola
femina, un uomo,
che ritti in mezzo a' ruderi de' monti,
tra i morti boschi, lividi, con gli occhi
vitrei te veggan su V immane ghiaccia,
sole, calare.
* LA MADRE
~|5EUPP0 DI ADRIANO CECIONI )
_jei certo l'alba che affretta rosea
al campo ancora grigio gli agricoli
mirava scalza co '1 pie ratto
passar tra i roridi odor' del fieno.
H Curva su i biondi solchi i larghi omeri
^k udivan gli olmi bianchi di polvere
^K lei stornellante su '1 meriggio
^H sfìdar le rauche cicale a i po|^i,
■ Eqi
■ pettc
■ fulvi
H coloi
E quando alzava da 1' opra il turgido
petto e la bnina faccia ed i riccioli
fulvi, i tuoi vespri, o Toscana,
coloraro ignei le balde forme.
ODI BARBARE 907
Or forte madre palleggia il pargolo
forte; da i nudi seni già sazio
palleggialo alto, e ciancia dolce
con lui che a' lucidi occhi materni
intende gli occhi fissi ed il piccolo
corpo tremante d' inqufetudine
e le cercanti dita: ride
la madre e slanciasi tutta amore.
A lei d' intorno ride il domestico
lavor, le biade tremule accennano
dal colle verde, il btt£ mugghia,
su Taia il florido gallo canta.
Natura a i forti che per lei spregiano
le care a i vulghi larve di gloria
cosi di sante visioni
conforta l'anime, o Adriano:
onde tu al marmo, severo artefice,
consegni un' alta speme de i secoli.
Quando il lavoro sarà lieto?
quando securo sarà l'amore?
quando una forte plebe di liberi
dirà guardando ne '1 sole — Illumina
non ozi e guerre a i tiranni,
ma la giustizia pia del lavoro — ?
906 ODI BARBARE
PER UN INSTITUTO DI CIECHI
Q.
'uando mirava Omero le fulgide a' dardani
campi
pugne, con gli occhi spenti ed immoti al cielo;
quando, levata in fredda caligin la fronte, vedeva
Milton passare su' mondi vinti Dio;
r alma del tutto in essi rompeva la inerte de' sensi
bruma, e ne' grandi spiriti il sole ardea.
Quando Tobia meschino del can riconobbe il
latrato
e brancolando porse le bianche mani,
messa dal ciel sovvenne la santa pietà: Rafaele
biondo a' lassi occhi rese il bel figlio e il lume.
Stanno ne V ampia terra gli eroi del pensiero
in disparte:
a Rafaele tende le braccia il mondo.
ODI BARBARE 909^
SOGNO D' ESTATE
1 ra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre
sonanti
la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra *1
sonno
in riva di Scamandro, ma il cor mi fuggi su '1
Tirreno.
Sognai, placide cose de' miei novelli anni sognai.
Non più libri : la stanza da'l sole di luglio affocata,
rintronata da i carri rotolanti su '1 ciottolato
de la città, slargossi: sorgeanmi intorno i miei
colli,
cari selvaggi colli che il giovane aprii rifioria.
Scendeva per la piaggia con mormorii freschi
un zampillo
pur divenendo rio: su M rio passeggiava mia
madre
florida ancor ne gli anni, traendosi un pargolo
a mano
cui per le spalle bianche splendevano i riccioli
d' oro.
Andava il fanciulletto con piccolo passo di gloria,
superbo de l' amore materno, percosso nel core
da quella festa immensa che l'alma natura in-
tonava.
Però che le campane sonavano su da'l castello
annunziando Cristo tornante dimane a'suoi cieli;
e su le cime e al piano, per l'aure, pe' rami,
per l'acque,
correa la melodia spiritale di primavera;
ed i pèschi ed i mèli tutti eran fior" bianchi e
vermigli,
e fior* gialli e turchini ridea tutta l'erba al disotto,
ed il trifoglio rosso vestiva i declivii de' prati,
e molli d' auree ginestre si paravano i colli,
e un'aura dolce movendo quei fiori e gli odori
veniva giù da '1 mare; nel mar quattro candide
vele
andavano andavano cullandosi lente nel sole,
che mare e terra e cielo sfolgorante circonfondeva.
La giovine madre guardava beata nel sole,
loguardava la madre, guardava pensoso il fratello,
questo che or giace lungi su '1 poggio d' Arno
fiorito,
quella che dorme presso ne l'erma solenne
Certosa ;
pensoso e dubìtoso s' ancora eì spirassero 1' aure
o rìtornasser pii del dolor mio da una plaga
ODI BARBARE 911
ove tra note forme rivivono gli anni felici.
Passar le care imagini, disparvero lievi co '1
sonno.
Lauretta empieva intanto di gioia canora le
stanze,
Bice china al telaio seguia cheta V opra de V ago.
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COLLI TOSCANI
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UoUi
toscani e voi pacifiche selve d* olivi
a le cui ombre chete stetti in pensier d' amore,
tósca vendemmia e tu da* grappi vermigli spu-
manti
in faccia al sole tra giocondi strepiti,
sole de'giovini anni; ridete a la dolce fanciulla
che amor mi strappa e rende sposa al toscano
cielo;
voi le ridete, e quella che sempre negaronmi i fati
pace d'affetti datele ne l'anima.
Colli, tacete, e voi non susurratele, olivi,
non dirle, o sol, per anche, tu onniveggente, pio,
ch'oltre quel monte giaccion, lei forse aspet-
tando, que' miei
che visser tristi, che in dolor morirono.
ODI BARBARE 913
Ella ammirando guarda la cima, tremarsi nel
cuore
sente la vita e un lieve spirto sfiorar le chiome,
mentre Taura montana, calando già il sole,
d' intorno
al giovin capo le agita il vel candido.
Carducci. b'B>
914
ODI BARBARE
PER LE NOZZE DI MIA FIGLIA
O
nata quando su la mia povera
casa passava come uccel profugo
la speranza, e io disdegnoso
battea le porte de l'avvenire;
or che il pie saldo fermai su *1 termine
cui combattendo valsi raggiungere
e rauchi squittiscon da torno
i pappagalli lusingatori;
tu mia colomba t' involi, trepida
il nuovo nido voli a contessere
oltre Apennino, ne *1 nativo
aere ào\ee dit^ c.o\\\ Xà^oivù
ODI BARBALE 415
Va' con r amore; va' con -Ingioiai
va' con la fede candida. L- timide -
pupille fise al vel fuggente^ ..
la mia Gaimena tace e ripensa
Ripensa i giorni quando tu parvola
coglievi fiori sotto le acacie,
ed ella reggendoti a mano
fantasmi e forme spiava in cielo.
Ripensa i giorni quando a la morbida
tua chioma intorno rogge strisciavano
le strofe contro a gli oligarchi
librate e al vulgo vile d'Italia.
E tu crescevi pensosa vergine,
quand'ella prese d'assalto intrepida
i clivi de l'arte e piantovvi
la sua bandiera garibaldina.
Riguarda, e pensa. De gli anni il tramite
teco fìa dolce forse ritessere,
e risognare i cari sogni
nel blando riso de* figli tuoi?
O forse meglio giova combattere
fino a che l'ora sacra richiamine?
Allora, o mia figlia, — nessuna
me Beatrice ne' cieli attende —
§16 0PI:8ARBARE
allora ài passo che Omero ellenico
e il oristlfanD Dante, passarono
mi scorga il tuo sguardo soave,
la nota voce tua m' accompagn i.
. * I . - 1
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PRESSO L'URICA ^■'•' •■
DI PERCY BYSSHE SHELLEY
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X-;alage, io so qual sogno ti sorge dai cuore
profondo,., f
so quai perduti beni V occtiio tuo vago segue;
• » .■■•£..
L' ora presente è in vano, non fa che percuo- ^
tere e fu^; ^
sol nei passato è il bello, sol ne la morte è il vero.
Pone r ardente Clio su *1 monte de' secoli il piede
agile, e canta, ed apre Tali superbe al cielo.
Sotto di lei volante si scuopre ed illumina T ampio
cimitero del mondo, ridele in faccia il sole
de r età nova. O strofe, pensier de' miei giovini
anni,
volate ornai secure verso gli antichi amori;
"b^ odi barbare
volate pe' cieli, pe' cieli sereni, a la bella
isola risplendente di fantasia ne' mari.
Ivi poggiati a l'aste Sigfrido ed Achille alti e
biondi
erran cantando lungo il risonante mare :
dà fiori a quello Ofelia sfuggita al pallido amante,
dal sacrificio a questo Iflanassa viene.
Sotto una verde quercia Rolando con Ettore parla,
sfolgora Durendala d'oro e di gemme al sole:
mentre al florido petto richiamasi Andromache
il figlio;
Alda la bella, immota, guarda il feroce sire.
Conta re Lear chiomato a Edippo errantesue pene,
con gli occhi incerti Edippo cerca la sfinge ancora:
la pia Cordelia chiama — Deh, candid^ Antigone,
vieni!
vieni, o greca sorella! Cantiam la pace a i
padri. —
Elena e Isotta vanno pensose per l' ombra de i
mirti,
il vermiglio tramonto ride a le;chic»ne d'oro:
ODI BA'RBAHB 919
Elena guarda V onde:' re Marco ad Isotta le
braccia
apre, ed il biondo capo su la gran barba cade*
Con la regina scota su '1 lido nel lume di luna
sta Clitennestra: tuffàn le bianche braccia in
mare,
e il mar rifugge gonfio di sangue fervido: il pianto
de le misere echeggia per lo scoglioso lido.
O lontana a le vie de i duri mortali travagli
isola de le belle, isola de gli eroi,
isola de' poeti ! Biancheggia V oceano d' intorno,,
volano uccelli strani per il purpureo cielo.
Passa crollando i lauri l'immensa sonante epopea
come turbin di maggio sopra ondeggianti piani ;
o come quando Wagner possente mille anime
intona
a i cantanti metalli; trema a gli umani il core.
Ah, ma non ivi alcuno de' novi poeti mai surse,
se non tu forse, Shelley, spirito di titano,
entro virginee forme: dal divo complesso di Teti
Sofocle a volo tolse te fra gli eroici cori.
ODI BÀRBARE
O cuor de' cuori, sopra quest'urna che freddo
ti chiude
odora e tepe e brilla la primavera in fiore,
O cuor de' cuori, il sole divino padre ti avvolge
de' suoi raggianti amori, povero muto cuore.
Fremono freschi i pini per l'aura grande di Roma:
tu dove sei, poeta del liberato mondo?
Tu dove sei? m' ascolti? Lo sguardo mìo umido
fu^e
oltre r aureltana cerchia su 'I mesto piano.
ODI BARBARE t21
AVE
IN MORTE DI G. P.
o,
r che le nevi premono,
lenzuol funereo, le terre e gli animi,
e de la vita il fremito
fioco per r aura vernai, disperdesi,
tu passi, o dolce spirito:
forse la nuvola ti accoglie pallida
là per le solitudini
del vespro e tenue teco dileguasi.
Noi, quando a' soli tepidi
un desio languido ricerca V anime
e co i fiori che sbocciano
torna Persefone da gli occhi ceruli,
922 ODI BARBARE
noi penseremo, o tenero,
a te non reduce. Sotto la candida
luna d'apri! trascorrere
vedrem la imagine cara accennandone.
ODI BARBARE 923
NEVICATA
L,
lenta fiocca la neve pe '1 cielo cinereo : gridi,
suoni di vita più non salgon da la città,
non d'erbaiola il grido o corrente rumore di carro,
non d' amor la canzon ilare e di gioventù.
Da la torre di piazza roche per V aere le ore
gemon, come sospir d* un mondo lungi dal di.
Picchiano uccelli raminghi a' vetri appannati :
gli amici
spiriti reduci son, guardano e chiamano a me.
In breve, o cari, in breve — tu calmati, indo-
mito cuore —
giù al silenzio verrò, ne V ombra riposerò.
NOTA
pag. 812, vv. I-6. [1 frammento d'Al«mane, a cui fu inspirata
la invocazione contenuta in questi versi, È benissimo illustrato
dal ptof. L, A. Michelangeli nella dotta raccolta eh' egli ha
pubblicato (Bologna, Zanichelli, 1889) dei Frammenti della
Melica greca.
CONGEDO
nfmr)>ioj
A.
' lor cantori diano i ré fulgente
collana d'oro lungo il petto, i volghi
a' lor giullari dian con roche strida
suono di mani.
Premio del verso cìie, animoso vola
da le memorie a l'avvenire, io chiedo
colma una coppa a l'amicizia e il riso
de la bellezza.
Come ricordo d' un mattin d' aprile
puro è il sorriso de le belle, quando
l'età fugace chiudere s'affretta
il nono lustro;
^b ODI BARBARE
ra i bicchier che l'amistade infiora
a serena imagine la morte,
ie a te sotto i platani d' Uìsso,
o Platone.
VERSIONI
V8HHV
TOMBE PRECOCI
DA FR. G. KLOPSTOCK
Be,
Jen vieni, o bell'astro d'argento,
compagno tacente a la notte.
Tu fuggi? oh rimanti, splendore pensoso!
vedete? ei rimane; la nuvola va.
Più bel d'una notte d'estate
è solo il mattino di maggio:
a lui la rugiada gocciando da i ricci
riluce, e vermiglio pe 'l colle va su.
O cari, già il musco severo
a voi sopra i tumuli crebbe:
deh come felice vedeva io con voi
le notti d' argento, vermigli i bei di 1
ODI BARBARE
NOTTE D'ESTATE
DA FS. G. KLOPSTOOC
Qu,
Quando il tremulo splendore de la luna
si diffonde giù pe' boschi, quando i fiori
e i molli aliti de i tigli
via pe *1 fresco esalano,
il pensiero de le tombe come un'ombra
in me scende; né più i fiori né più t tigli
danno odore; tutto il bosco
è per me crepuscolo.
Queste gioie con voi, morti, m' ebbi un tempo:
come il fresco era e il profumo dolce intorno!
come bella eri, o natura,
in queir albor tremulo !
ODI BARBARE 935
LA TORRE DI NERONE
DA A. PLATEN
N,
arra la fama, e ancor n' ha orrore il popolo :
Nerone, indétto a la città V incendio,
sali su quella torre a lo spettacolo
del rogo, allegro ed avido.
Correano al cenno suo gV incendiarii,
baccanti in festa, e roteavan picei
serti di fiamma. Dritto su' merli aurei
Neron tócca la cetera.
— Gloria — egli canta — al fuoco : a V oro ei simile
ei degno del Titan che al cielo tolselo :
Taugel di Giove il porta; ed il primo alito
egli accolse di Bromio.
936 ODI BARBARE
Vieni, splendido nume: al enne i pampini,
molle danza su '1 mondo anzi che in polvere
torni: di Roma qui raccc^li il cenere
e nel tuo vino mescilo — .
ODI BARBARE 937
ERO E LEANDRO
DA A. PLATEN
ÌLjvo r amata muore, ne i flutti cercando la morte:
Saffo r amante muore, morte chiedendo a i flutti.
Amore, iddio crudele, a te cadon vittime en-
trambe:
scorgile tu nel cheto reame di Persefone.
Ma di Leandro al petto conduci la vergin di Sesto,
guida al fiume di Lete la deserta di Lesbo.
ODI BARBARE ^^^^^
i
LA L RICA
DA A 'LATEN
A,
la materia l'anima s'appiglia,
polso del mondo è l'azione; e a sorde
orecchie spesso versa i canti 1' atta
lirica musa.
A tutti Omero s'apre e svariati
gli arazzi de la favola dispiega,
r autor del dramma trascinando i volghi
le scene eleva.
Ma il voi del sacro Pindaro, di Fiacco
1' arte e, o Petrarca, il tuo librato verso,
lento ne i cuori imprimesi, e a la plebe
arduo sfugge.
ODI BARBARE 939
Grazia che pensa, non agevol ritmo
di canzoncine intorno la teletta:
non lieve sguardo penetra le loro
alme possenti.
Eterno vaga per le genti il nome,
ma raro ad essi spirito s'aggiunge
amico e pio che onori le gagliarde
menti profonde.
RIME E RITMI
I
IMTIM 3 3K1V!
ALLA SIGNORINA
MARIA A.
Vw-* piccola Maria,
Di versi a te che importa?
Esce la poesia,
O piccola Maria,
Quando malinconia
Batte del cor la porta.
O piccola Maria,
Di versi a te che importa?
^^t RIME E RITMI
■
NEL CHIOSTRO DEL SANTO
1
Oi come fiocchi di fumo candido
tenui sfilando passan le nuvole
su l'aeree cupole, sovra
le fantastiche torri del Santo;
passan pe'l cielo turchino, limpido,
fresco di pioggia recente: sonito
di mondo lontano par l'eco
tra le arcate che abbraccian le tombe.
Tal su l'audacie de gli anni giovani
a me poeta passàro i cantici,
ed ora ne l'animo chiuso
solitaria ne mormora l'eco.
RIME E RITMI 945
Si come nubi, si come cantici
fuggon Tetadi brevi de gli uomini:
dinanzi da gli occhi smarriti,
ombra informe, che vuol V infinito ?
ARDUCCI. 60
p^
RIME E RITMI
JAUFRE RUDEL
Da,
l Libano trema e rosseggia
Su '1 mare la fresca mattina;
Da Cipri avanzando veleggia
La nave crociata latina.
A poppa di febbre anelante
Sta il prence di Blaia, Rudelto,
E cerca co '1 guardo natante
Di Tripoli in alto il castello.
In vista a la spiaggia asiana
Risuona la nota canzone:
" Amore di terra lontana,
Per voi tutto il core mi duol. „
Il volo d'un grigio alcione
Prostgiic la dolce querela,
E sovra la candida vela
S' affilile di nuvoli il sol.
RIME E RITMI 947
La nave ammaina, posando
Nel placido porto. Discende
Soletto e pensoso Bertrando,
La via per al colle egli prende.
Velato di funebre benda
Lo scudo di Blaia ha con sé:
Affretta al Castel : -— Melisenda
Contessa di Tripoli ov'è?
Io vengo messaggio d* amore,
Io vengo messaggio di morte :
Messaggio vengo io del signore
Di Blaia, Giaufredo Rudel.
Notizie di voi gli fùr porte,
V'amò vi cantò non veduta:
Ei viene e si muor. Vi saluta,
Signora, il poeta fedel. —
La dama guardò lo scudiero
A lungo, pensosa in sembianti:
Poi surse, adombrò d* un vel nero
La faccia con gli occhi stellanti :
— - Scudier, — disse rapida — andiamo.
Ov' è che Giaufredo si muore ?
Il primo al fedele rechiamo
E V ultimo motto d* amore. —
916 itnm m wem
Giacea slotto un«l>el patfit^iòner :
Giaufredo al coMpetlo iletiiiiarei' lor^f ]
In nota gentil diiJCjmtoÉfe- -o>f; ìq • o-t
Levava il supremo; dé^n^l lo ) hi -^q rìv
— Signor che vtMsti^ntsnea^eiJ^ ot^h
Per me questo tintore Idntàabj; i* ohm
Deh fa che «Uà dòtòè sua MÉnó ir. :i;f
Commetta restretaóresifirli*^ ^ - k :•
Intanto coM fu)o<'Bertran<|H{^^i'!!i o^ìiì» ci
Veniva la donmti iiwécateg:;<;£;a<oi': </ja'j7 !
E l'ultima nota fùcoUauidoagfidv ci^<;) :U
Pietosa risté su Pisiitfràtabv!Ì • u> r '
Ma presto, con mano tremante
Il velo gittando, scopri
La faccia ; ed al misero amante
— Giaufredo, — ella disse, — son qui. —
Voltossi, levossi co '1 petto
Su i folti tappeti il signore,
E fiso al bellissimo aspetto
Con lungo sospiro guardò.
- — Son questi i begli occhi che amore
Pensando promisemi un giorno?
E questa la fronte ove intorno
Il vago mio sogno volò? —
RIME E RITMJ 949
Si come a la notte di maggio
La luna da i nuvoli fuora
Diffonde il suo candido raggio
Su M mondo che vegeta e odora,
Tal quella serena bellezza
Apparve al rapito amatore,
Un'alta divina dolcezza
Stillando al morente nel cuore.
— Contessa, che è mai la vita?
E r ombra d' un sogno fuggente.
La favola breve è finita,
Il vero immortale è V amor.
Aprite le braccia al dolente.
Vi aspetto al novissimo bando.
Ed or, Melisenda, accomando
A un bacio lo spirto che muor. —
La donna su '1 pallido amante
Chinossi recandolo al seno.
Tre volte la bocca tremante
Co *1 bacio d' amore baciò,
E il sole da 'I cielo sereno
Calando ridente ne Tonda
L' effusa di lei chioma bionda
Su '1 morto poeta irraggiò.
WO RIME E RITMI
IN UNA VILLA
O
tra i placidi olivi, tra i cedri e le palme
sedente
bella Arenzano al riso de la ligure piaggia;
operosa vecchiezza t' illustra, serena t' adorna
signbril grazia e il dolce di giovinezza lume;
facil corre in te Torà tra liete aspettanze e ri-
cordi
calmi, si come Taura tra la collina € il mare.
RIME E RITMI
■■( •.■«iloni^-- -' ■■ '■ "f-ti'-'-'trtmn
l'.j ■■■A.\a i;ì-j
^.oiiunuf PIEMONTE
|ii {I - IVÌTIWIUBMn ■ .r,'l
lOnìnblA Ti >l
Ou le dentate scintillanti vette '■-
salta il camoscio, tuona la valanga' ''
da' ghiacci immani rotolando per le '■''
selve croscianti:
ma da i silenzi de 1' effuso azzurro ' '
esce nel sole l'aquila, e distende
in tardi ruote digradanti il nero
volo solenne.
Salve, Piemonte! A te con melodia '
mesta da lungi risonante, come
gli epici canti del tuo popol bravo, ■
scendono i fiumi.
952 RIME E mTMI
Scendono pieni, rapidi, gagliardi,
come i tuoi cento battaglioni, e a valle
cercan le deste a ragionar di gloria
ville e cittadi:
la vecchia Aosta di cesaree mura
ammantellata, che nel varco alpino
eleva sopra i barbari manieri
l'arco d' Augusto:
Ivrea la bella che le rosse torri
specchia sognando a la cerulea Dora
nel largo seno, fosca intorno è V ombra
di re Arduino:
Biella tra *1 monte e il verdeggiar de' piani
lieta guardante 1' ubere convalle,
ch'armi ed aratri e a l'opera fumanti
camini ostenta:
Cuneo possente e paziente, e al vago
declivio il dolce Mondovi ridente,
e l'esultante di castella e vigne
suol d' Aleramo ;
e da Superga nel festante coro
de le grandi Alpi la regal Torino
incoronata di vittoria, ed Asti
repubblicana.
RIME E RITMI 958
Fiera di strage gotica e d^ Tira .
di Federico, dal sonante fiume
ella, o Piemonte, ti donava il carme
novo d'Alfieri.
Venne quel grande, come il grande; ^ugello
ond'ebbe nome; e a Fumile paese
sopra volando, fulvo, irrequieto,
-^ Italia, Italia —
egli gridava a* dissueti orecchi,
a i pigri cuori, a gli animi giacenti:
— Italia, Italia — rispondeano V urne
d' Arquà e Ravenna :
e sotto il volo scricchiolaron V ossa
sé ricercanti lungo il cimitero
de la fatai penisola a vestirsi
d* ira e di ferro.
— Italia, Italia! — E il popolo de' morti
surse cantando a chiedere la guerra;
e un re a la morte nel pallor del viso
sacro e nel cuore
trasse la spada. Oh anno de* portenti,
oh primavera de la patria, oh giorni,
ultimi giorni del fiorente maggio,
oh trionfante
964 RIME E RITMI
suon de la prima italica vittoria
che mi percosse il cuor fanciullo I Ond* io,
vate d* Italia a la stagion più bella, .
in grige chiome
oggi ti canto, o re de* miei verd' anni,
re per tanf anni bestemmiato e pianto,
che via passasti con la spada in pugno
ed il cilicio
al Cristian petto, italo Amleto. Sotto
il ferro e il fuoco del Piemonte, sotto
di Cuneo '1 nerbo e l' impeto d' Aosta
sparve il nemico.
Languido il tuon de V ultimo cannone
dietro la fuga austriaca moria:
il re a cavallo discendeva centra
il sol cadente:
a gli accorrenti cavalieri in mezzo,
di fumo e polve e di vittoria allegri,
trasse, ed, un foglio dispiegato, disse
resa Peschiera.
Oh qual da i petti, memori de gli avi,
alte ondeggiando le sabaude insegne,
surse fremente un solo grido: Viva
il re d' Italia !
RIME E RItMI 955
Arse di gloria, rossa nel tramonto,
r ampia distesa del lombardo piano ;
palpitò il lago di Virgilio, come
velo di sposa
che s'apre al bacio del promesso amore:
pallido, dritto su V arcione, immoto,
gli occhi fissava il re: vedeva T ombra
del Trocadero.
E lo aspettava la brumai Novara
e attristi errori mèta ultima Oporto.
Oh sola e cheta in mezzo de' castagni
villa del Douro,
che in faccia il grande Atlantico sonante
a i lati ha il fiume fresco di camelie,
e albergò ne la indifferente calma
tanto dolore !
Sfaceasi; e nel crepuscolo de i sensi
tra le due vite al re davanti corse
una miranda vision: di Nizza
il marinaro
biondo che dal Gianicolo spronava
contro l'oltraggio gallico: d'intorno
splendeagli, fiamma di piropo al sole,
r italo sangue.
956 RIME E RITMI
Su gli occhi spenti scese al re una stilla,
lenta errò V ombra d' un sorriso. Allora
r
venne da l'alto un voi di spirti, e cinse
del re la morte.
Innanzi a tutti, o nobile Piemonte,
quei che a Sfacteria dorme e in Alessandria
die a l'aure primo il tricolor, Santorre
di Santarosa.
E tutti insieme a Dio scortaron 1' alma
di Cari' Alberto. — Eccoti il re, Signore,
che ne disperse, il re che ne percosse.
Ora, o Signore,
anch' egli è morto, come noi morimmo.
Dio, per l'Italia. Rendine la patria.
A i morti, a i vivi, pe '1 fumante sangue
da tutt' i campi,
per il dolore che le regge agguaglia
a le capanne, per la gloria, Dio,
che fu ne gli anni, pe '1 martirio. Dio,
che è ne V ora,
a quella polve eroica fremente,
a questa luce angelica esultante,
rendi la patria. Dio; rendi l'Italia
^ gì' italiani.
Ceresole reale, 2*j luglio i8go.
RIME E RITtri 957
AD ANNIE
B
^.MS:,
atto a la chiusa imposta con un ramicello /
di fiori (
glauchi ed azzurri, come i tuoi occhi, o '
Annie. >
Vedi : il sole co '1 riso d* un tremulo raggio ha
baciato
la nube, e ha detto — Nuvola bianca,
t'apri. —
Senti : il vento de V alpe con fresco susurro sa-
luta
la vela, e dice — Candida vela, vai. —
958
RIME E RITMI
Mira: l'augel discende da Tumido cielo su1{
pèsco
in fiore, e trilla — Vermiglia pianta, odora.-'
Scende da' miei pensieri l'eterna dea poesia
su '1 cuore, e grida — O vecchio cuore,
batti.-
E docile il cuore ne' tuoi grandi occhi di fata
s' affisa, e chiama — Dolce fanciulla, canta. -
/•
RIME E RITMI 059
A C. C.
MANDANDOGLI POEMI DI BYRON
Oarlo, su M risonante adrìaco lido
A te viensene Aroldo il bel cantore;
Non quale ei drappeggiò con riso infido
Nel mantello di pari il suo dolore,
Ma qual raggiante di fatai valore
Surse d*un popol combattente al grido
Quando pensò raddùr d'Alceo coM cuore
L' aquila d' Alessandro al greco nido.
Quanti su quella bianca anglica fronte
Sogni passar di gloriai Da l'Egeo
Sorridevan le sparse isole belle.
Ah! la Parca volò ! Di monte in monte
Pianse la lira de T antico Orfeo
E tramontaro in buio mar le stelle.
lEI
«
i °^
*
BICOCCA DI SAN OIAGG^iÒ ^
obli ooG'nbB 9insnoah Tua .ohE*^.-
loiuiriKo l'3d fi' obloiA dnT^.nmv 3l A
/3-iolob ofj- li iiEq tb oìf^tnKrn Vr/
E,
/eco il ridotto. Ancor non ha l' aratro
raso dal suolo V opera di guerra.
Ecco le linee del tonante vallo
e le trincee.
Contra il nemico brulicante al piano
e lampeggiante da le valli in faccia
qui puntò Colli rapido mirando
le batterie.
Ecco le offese del nemico bronzo
ne la chiesetta, già sonante in coro
d' umili donne al vespero d' aprile
le litanie.
RIME E RITMI 96t
Dimani, Italia, passeran da. 1j Alpi .;
prodi seimila in faccia al re levando
Tarmi e i ridenti in giovine ])aldanza
vólti riarsi.
Voi non vedrete, voi non sentirete,
prodi sepolti in queste verdi zolle,
quando tra questi clivi minava .
la monarchia,
che Filiberto dirizzò, che sciolse
come polledra a T aure annitri'ente
via per V Europa al corso il cuor di Carlo
Emmanuele.
Nobil teatro a l'inclita ruina
questo d' intorno. Sopra monti e valli
e su' vaganti in lucidi meandri
fiumi e torrenti
passa r istoria, operatrice eterna,
tela tessendo di sventure e glorie:
uman pensiero a' novi casi audace
romperla crede.
E tuttavia silenziosa fati
novi aggroppando ne la trama antica
tesse e ritesse V ardua tessitrice
fra Palpi e il mare.
Carducci. 61
962 RIME E RITMI
Rapida va de^ secoli la spola.
Addio, tra i sparsi Liguri romano
termine Cava e nuova d'Aleramo
. - for^ feudale!
Oh, priaich' Alasìa al giovine lombardo
gli occhi volgesse innamoratamente
ceruli e. a lui sciogliesse de la chioma
Toro fluente,
povera vita e ricco amor chiedendo
a la spelonca d' Àrdena, lasciate
lungi le selve di Germania. e il padre
imperatore,
là da quel varco, onde sfidando vibra
Tesile torre il Castellino, urlando
arabe torme dilagar fin dove
Genova splende.
Sotto il falcato voi de le fischianti
al sol di maggio scimitarre azzurre
croci di Cristo ed aquile di Roma
cadean: le donne
tendono in vano a Tare di Maria
Vergin le mani, pallide, discinte,
via trascinate pe' capelli a' molti
letti de r Islam.
RIME E RITMI 963
Ma s' apre a i venti su per le castella
vigili lungo le selvose Langhe
la fìda a Cristo e Cesare balzana
di Monferrato.
Nata d* amore e di valor cresciuta,
gente di pugne e di canzoni amica,
di lance e scudi infranti alta sonando
la sirventese,
deh come sparve luminosa, il cielo
consparso intorno di vermiglie stelle,
imperiai meteora d'Italia^
in Oriente!
Dietro le vien co M Po, con la sua bianca
croce, con gli anni, pur di villa in villa,
dritta, secura, riguardando innanzi,
un' altra gente.
Tra ciglia e ciglia sotto le visiere
balena il raggio del latin consiglio.
Quaranta duci; e l'aquila de l'Alpe
vola d'avanti.
Oh più che '1 Po gli aspetta, oh più che il serto
di Berengario! A lor servon gli eventi
e le disfatte: gli emuli d'un giorno
pugnan per loro.
sei fimtB B mm
là da le UaitlàBhmmm'mmmfif^h
in me2^ii^lridtiBB«ihiÉdlNSd3i»a#
.oìfyminaU ih crÒcè'lÉ' fèrro Ì
Su le.rtiìhe^el càstelto
ultimii&Qàmtseior :dl
delire/ laa& s^cniiseiuia Wté,
contro la) ^vMor f^iilittliteiipl^liiit
batteMie^^3ÌIi3tti di/ i^iìftl^hibÉÉO^qe n
supremo fior dt'4*^^^ ^s0mÈttìkdÈ$p^i'
' 1 n > o n stiè Del Carretto.
Su le ruine del castello avito,
giovine, bello, pallido, senz'irà,
ei maneggiava sopra i salienti
la baionetta.
Scesero al morto cavaliere intorno
da Terme torri nel ceruleo vespro
r ombre de gli avi ; ma non il compianto
de' trovadori
ruppe i silenzi de la valle, un giorno
tutta sonante di liuti e gighe
dietro i canori peregrin dal colle
di Tenda al mare.
RIME E RITMI 966
Altri messaggi ed altri messaggeri
manda or la Francia. Ride su l'eterne
nevi de V Alpi V iride levata
de i tre colori.
Di balza in balza, angel di guerra, vola
la marsigliese. Svegliansi al galoppo
de' cavalieri d'Augereau gli ossami
liguri e celti.
E Bonaparte dice a' suoi, da Monte
Zemolo uscendo al Tanaro sonante
— Soldati, Annibal superò quest'Alpi,
noi le girammo —.
Di greppo in greppo su '1 cavallo bianco
saetta il còrso. Spiovongli le chiome
in doppia lista nere per 1' adusto
pallido viso,
e neri gli occhi scintillando immoti
fóran dal fondo del pensier le cose.
Accenna. E come fulmine Massena
urta ed inonda,
ove Corsaglia al Tanaro si sposa
dal mezzo fiede Serurier, sinistro
batte Augereau. Gloria a' tuoi forti, o ponte
di San Michele!
966 RIME E RITMI
Avanza sotto il tricolor vessillo
regualitade, avanzano i plebei
duci che il sacro feudale impero
abbatteranno.
Ma qui si pugna per Tonor, si muore
qui per la patria. E ben risorge e vince
chi per la patria cade ne la santa
luce de V armi.
Reca, Albertina, pur di guardia in guardia
il parvoletto Carignarto. In lui
tócca la madre Rivoluzione
per r avvenire
l'ultimo capo dal vittorioso
ramo di Carlo Emmanuele. Il serto
gitta oltre Po Vittorio, e dittatore
leva la spada.
E a te dimani, Umberto re, in conspetto
r Alpi d' Italia schierano gli armati
figli a la guerra. Il popolo fidente
te guarda e loro.
Noi non vogliamo, o Re, predar le belle
rive straniere e spingere vagante
l'aquila nostra a gli ampi voli avvezza:
ma, se la guerra
RIME E RITMI 966
Altri messaggi ed altri messaggeri
manda or la Francia. Ride su l'eterne
nevi de l' Alpi V iride levata
de i tre colori.
Di balza in balza, angel di guerra, vola
la marsigliese. Svegliansi al galoppo
de' cavalieri d'Augereau gli ossami
liguri e celti.
E Bonaparte dice a' suoi, da Monte
Zemolo uscendo al Tanaro sonante
— Soldati, Annibal superò quest'Alpi,
noi le girammo —.
Di greppo in greppo su '1 cavallo bianco
saetta il còrso. Spiovongli le chiome
in doppia lista nere per l' adusto
pallido viso,
e neri gli occhi scintillando immoti
fóran dal fondo del pensier le cose.
Accenna. E come fulmine Massena
urta ed inonda,
ove Corsaglia al Tanaro si sposa
dal mezzo fiede Serurier, sinistro
batte Augereau. Gloria a' tuoi forti, o ponte
di San Michele!
966 RIME E RITMI
LA GUERRA
G
'antano i miti — Fuse Prometeo
nel primigenio fango animandolo
la forza d'insano leone:
r uomo levandosi ruggf guerra.
Dal rosso Adamo crebbe a V esilio
il lavorante primo: soverchio
gli parve nel mondo un fratello:
truce rise su '1 percosso Abele.
Quindi gorgoglia sangue ne i secoli
la faticosa storia de gli uomini,
dal Pàrthenon grande a la tua
casa candida, Vashingtòno.
\
RIME E RITMI 969
Su r orso a terra steso rizzandosi
il troglodita brandi ne Taere
la clava, da i muscoli at cuore
fervere sentendo là battaglia.
I feri figli giocando al vespero
nel sol rossastro luccicar videro
tra i massi cruenti la selce,
e l'acuirono per la strage.
Poi de le cose di fuor le imagini
calde riflesse nel mental fosforo
per mezzo l'aprii vaporante
ebri rapiangli, barcollando,
da i palafitti laghi, da i fumidi
antri scavati. Ah, verzicarono
le biade, pria magre su '1 colle,
nel lavacro de le vene umane*
Dal superato colle i superstiti
guardàro: i fiumi vasti, l'oceano
moltisono, le caliganti
alpi percossero di stupore
i petti aneli verso il dominio,
le menti accese del vago incognito.
II pin fu gettato su 1' onde,
da i cerchi di pietre in vetta al monte
970 RIME E RITMI
tonàro i foschi dèi de le patrie,
da i chiusi ostelli le donne risero:
e quindi la guerra perenne,
cavalla indomita, corse il mondo.
Pria che M falcato ferro de l'arabo
profeta il culto suada a i popoli
de r unico Allah solitario,
e intorno al sepolcro scoverchiato
del crocefisso ribelle a leova
arda il duello grave ne' secoli
tra r Asia e l' Europa, onde fulse
a gli ozi barbari luce e vita;
oh ben pria manda l' aurea Persepoli
gli adoratori del fuoco a gì' idoli
contro, onde sonò Maratone
inclita storia ne le genti,
e Zeus su '1 trono de gli Achemenidi,
nume pelasgo d' Omero e Fidia,
ascese co '1 bello Alessandro,
ed Aristotele meditava.
Dal Flavio Autari che il longobardico
destriero e V asta spinge nel Ionio
sereno ridentegli dopo
lungo errare armato, al venturiere
RIME E RUMI' , 971
che uscito a vista del Grande Oceano
cavalca V onde nuove terribili
armato di spada e di scudo
pe '1 regio imperio de la Spagna,
una fatale sublime insania
per i deserti, verso gli oceani,
trae gli uomini V un contro V altro
co' numi, co 'I mistico avvenire,
con la scienza. Su le Piramidi
il Bonaparte quaranta secoli
ben chiama. Colà dove mummie
dormono inutili Faraoni,
al musulmano solenne, al tacito
fellah curvato, tra sfere e circoli,
ei parla i diritti de V uomo :
ondeggiano in alto i tre colori.
Oh, tra le mura che il fratricidio
cementò eterne, pace è vocabolo
mal certo. Dal sangue la Pace
solleva candida Tali. Quando?
)logna, 9 novembre 1891.
972 RIME E RITMI
NICOLA PISANO
I,
A,
I sorriso d'aprii che da la tarda
Vetrata rompe e illumina la messa
Par che di greca leggiadria riarda
Il marmo funeral de la contessa.
Su la divota gente al suol dimessa
La voce va de V organo gagliarda,
E sorge e tuona e mormora compressa,
E il sol dardeggia. E Nicolò riguarda.
Per la dischiusa porta la marina
Vedesi lungi tremolare, invia
Odori il vento, l'infiorato china
Mandorlo i rami. E tra la litania
Che invoca e prega, in umiltà divina
Da la gloria di Fedra esce Maria.
RIME E RITMI 073
II.
È
la chiamata da le afflitte genti
Sotto le spade barbare ne' pianti,
L* aspettata da i popoli redenti
Ne i segni a la vittoria sventolanti.
È il fior d' lesse che vinceva i lenti
Verni semiti, e i petali roranti
Di lacrimosa pietà apre a i portenti
Trasfigurato ne gli cileni incanti.
Oh di che mira passYon percossa
Stiè l'alma a lo scultor, quando montare
Dal greco avello de le tedesche ossa,
Benigna visYon che tutto ammalia
Il ciel d* intorno, ei vide su V altare
La nova e santa Venere d'Italia!
974 KIME E RITMI
III.
E
da le spalle d' Ampelo a V altare
Traversando fu visto Dioniso
Maestoso ne V atto con un riso
Di gioia spiritai pontificare.
E da le forme di beltà preclare
Il verginal Ippolito diviso
Ecco i pulpiti sale, e dritto e fiso
Di sereno vigor simbolo appare.
Poi, quando il coro de le donne a Tore
Del vespro in alto i canti e gli occhi ergea
De gr incensi tra il morbido vapore,
Col vampeggiar de la mistica idea
Ne i seni a le feconde itale nuore
L' eroica bellezza discendea.
RIME E RITMI ^5
IV.
a
a la foce de V Arno e de le spente
Città d'Etruria da le sedi or liete
Di primavera, al vento d' oriente,
Navi di Pisa, sciogliete, sciogliete.
Come stuolo di cigni in onde chete
Avanti Febo suo signor movente,
Bianche l'azzurro Egeo soavemente.
Navi di Pisa, correte, correte.
Vien dal verde paese di Cibele
D' etesie mormoranti aure un conforto
Che fuga dietro sé tempo crudele;
E spirito novel di porto in porto
Aleggia e canta da le vostre vele
— O terra, o ciel, o mar, Pan è risorto
976 RIME E RITMI
CADORE
I.
s,
>ei grande. Eterno co '1 sole V iride
de' tuoi colori consola gli uomini,
sorride natura a V idea
giovin perpetua ne le tue
forme. Al baleno di quei fantasimi
roseo passante su '1 torvo secolo
posava il tumulto del ferro,
ne l'alto guardavano le genti;
e quei che Roma corse e l'Italia,
struggitor freddo, fiammingo cesare,
sé stesso obliava, i pennelli
chino a raccogliere dal tuo piede.
RIME E RTTm 9T7
Di': sotto il peso de* marmi austriaci^
in quel de' Frari grigio silenzio,
antico tu dormi? o diffusa
anima erri tra i paterni monti,
qui dove il cielo te, fronte olimpia
cui d' alma vita ghirlandò un secolo,
il ciel tra le candide nubi
limpido cerulo bacia e ride?
Sei grande. E pure là da quel povero
marmo più forte mi chiama e i cantici
antichi mi chiede quel baldo
viso di giovine disfidante.
Che è che sfidi, divino giovane?
la pugna, il fato, V irrompente impeto
dei mille contr' uno disfidi,
anima eroica, Pietro Calvi.
Deh, fin che Piave pe' verdi baratri
ne la perenne fuga de' secoli
divalli a percuotere V Adria
co' ruderi de le nere selve,
che pini al vecchio San Marco diedero
turriti in guerra giù tra V Echinadi,
e il sole calante le aguglie
tinga a le pallide dolomiti
Carducci. 62
978 RIME E RITMI
si che di rosa nel cheto vespero
le Marmarole care al Vecellio
rifulgan, palagio di sogni,
eliso di spiriti e di fate,
sempre, deh, sempre suoni terribile
ne i desideri da le memorie,
o Calvi, il tuo nome; e balzando
pallidi i giovini cerchin 1* arme.
II.
Non te, Cadore, io canto su V arcade avena che
segua
de r aure e V acque il murmurc :
te con l'eroico verso che segua il tuon de' fucili
giù per le valli io celebro.
Oh due di maggio, quando, saltato su M limite de la
strada al confine austriaco,
il capitano Calvi — fischiavan le palle d'in-
torno —
biondo, diritto, immobile,
leva in punta a la spada, pur fiso al nemico
mirando,
il foglio e '1 patto d'Udine,
e un fazzoletto rosso, segnale di guerra e ster-
minio,
con la sinistra sventola! . .
RIME E RITMI 979
Pelmo a T atto e Antelao da' bianchi nuvoli il capo
grigio ne l'aere sciolgono,
come vecchi giganti che Telmo chiomato sco-
tendo
a la battaglia guardano.
Come scudi d'eroi che splendon nel canto de' vati
a lo stupor de i secoli,
raggianti nel candore, di contro al sol che pe'l
cielo
sale, i ghiacciai scintillano.
Sol de le antiche glorie, con quanto ardore tu
abbracci
l'alpi ed i fiumi e gli uomini!
tu fra le zolle sotto le nere boscaglie d'abeti
visiti i morti e susciti.
— Nati su l'ossa nostre, ferite, figliuoli, ferite
sopra r eterno barbaro:
da' nevai che di sangue tingemmo crosciate, ma-
cigni,
valanghe, stritolatelo — .
t
Tale da monte a monte rimbomba la voce de' morti
che a Rusecco pugnarono;
e via di villa in villa con fremito ogn' ora cre-
scente
i venti la diffondono.
RIME E RITMI 9S1
Udite. Un suon lontano discende, approssimisi,
sale,
corre, cresce, propagasi;
un suon che piange e chiama, che grida, che
prega, che infuria,
insistente, terribile.
dhe è? chiede il nemico venendo a T abboc-
camento,
e pur con gli occhi interroga.
— Le campane del popol d* ItaWa sono : a la morte
vostra 0 a la nostra suonano --.
Ahi, Pietro Calvi, al piano te poi fra setfanni
la morte
da le fosse di Mantova
rapirà. Tu venisti cercandola, come a la sposa
celatamente un esule.
Quale già d'Austria Tarmi, tal d'Austria la
forca or ei guarda
sereno ed impassibile,
grato a Tostil giudicio che milite il mandi a la
sacra
legìon de gli spiriti.
Non mai più nobil alma, non mai sprigionando
lanciasti
a r avvenir d'Italia,
Belfiore, oscura fossa d' austriache forche, ful-
gente.
Belfiore, ara di màrtiri.
^ RIME E RITMC
H
a chi d' Italia nato mai ca^a dal core il
tuo nome
frutti il talamo adultero
^M tal che il ributti a calci da i lari a
viti nel fango
vecchio querulo ignobile!
^V e a
chi la patria nega, nel cuor
sozza una forma brulichi
nel cervello,
nel sangue
^M di suicidio, e da la bocca laida bestemmiatricc
un rospo verde palpiti !
III.
^
A te ritorna, si come 1' aqu
la
nel reluttante dragon sbramatasi
poggiando su l'ali pacate
a l'aereo nido torna e al sole,
a te ritorna, Cadore, il cantico
sacro a la patria. Lento nel pallido
candor de la giovine luna
stendesi il murmure de gli abeti
da te, carezza lunga su '1 magico
sonno de l'acque. Di biondi parvoli
fioriscono a te le contrade,
e da le pendenti rupi il fieno
RIME E RITMI 98B^
falcian cantando le fiere vergini
attorte in nere bende la fulvida
chioma; sfavillan di lampi
cernii rapidi gli occhi: mentre
il carrettiere per le precipiti
vie tre cavalli regge ad un carico
di pino da lungi odorante,
e al cidolo ferve Perarolo,
e tra le nebbie fumanti a' vertici
tuona la caccia: cade il camoscio
a' colpi sicuri, e il nemico,
quando la patria chiama, cade.
Io vo' rapirti, Cadore, T anima
di Pietro Calvi; per la penisola
o voglio su Tali del canto
aralda mandarla. — Ahi mal ridesta,
ahi non son V Alpi guancial propizio
a sonni e sogni perfidi, adulteri!
levati, fini la gazzarra:
levati, il marzio gallo canta ! —
Quando su l'Alpi risalga Mario
e guardi al doppio mare Duilio
placato, verremo, o Cadore,
l'anima a chiederti del Vecellio.
Nel Campidoglio di spoglie fulgido,
nel Campidoglio di le^i splendido,
ei pinga il trionfo d'Italia,
assunta novella tra le genti.
Pieoe del Cadore
sul lago di Misurino,
•sett. iSga.
RIME E RITMI 98&
CARLO GOLDONI
L
J\ te, porgente su V argenteo Sile
Le braccia a V avo da V opima cuna^
Ne la festante ilarità senile
Parve la vita accorrere con una
Marionetta in mano. Al sol d'aprile
Te fuggente la logica importuna
Presago accolse il comico navile
Veleggiando la tacita laguna.
E Florindi e Lindori e Pantaloni
Far la famiglia tua: d'entro i suoi scialli
Rosaura ti dicea — Bon di, putelo — .
Fumavan su la tolda i maccheroni,
Su r albero le scimmie e i pappagalli
Garrian. Su 1' Adria ridea grande il cielo.
± ortuna e vita girano il lor vario
Stil. Quando Marte del suo ferreo stampo
Italia offusca e al tuon de' bronzi e al lampo
Fa di battaglia le città scenario,
Tu, da le mani del ladron sicario
Tragedo uscendo con sereno scampo,
Conduci a mendicar di campo in campo
L'eroica cecità di Belisario,
Oh errante con la moglie entro gli oscuri
Guadi e i passi dubbiosi ed i tremanti
Perigli de la notte, ecco il mattino I
Dal mondo de la luna ecco Arlecchino
Al brigadier di Spagna, e in note e canti
Maria Teresa a gli Ussari e a' Panduri.
RIME E RITMI 96^
III.
-L-Jcco, e tra i palchi onde T oligarchia
Sputa in platea, Venezia, ecco da questo
Povero allegro venturier modesto
A te la scena popolar si cria.
La commedia de l'arte si dormia
Ebra vecchiarda; ed ei con un suo gesto
Le spiccò su dal fianco disonesto
La giovinetta verità giulia.
Poi tra i Baffi accosciati ne* bordelli
Ed i Farsetti lividi al leggio
Da le gondole trasse e da' campielli
La sanità plebea.... Tutto vanio
Come uno stormo di migranti augelli
Senza gloria né pan. Venezia, addio!
De,
-^eh come grige pesano le brume
Su Lutezia che il verno discolora,
Mentre ancor de 1' ottobre al dolce lumf
Ride San Marco eJ il Canal s'indorai
Ed ei pur di su 'I memore volume
Al suo passato risorride ancora,
E la vita e la scena ed il costume
Di cordlal giocondità rinfiora.
Ahi, la tragedia, orribil visione,
Al gran comico autor chiude l' etate I
Cadde: e Venezia non vide Unire
Piagnucolando come donna Gate,
E di palagio, come Pantalone
Dal reo Lelio cacciato, il doge uscire.
RIME E RITMI 989
A SCANDIANO
LJt la prona stagion ne i di più tardi
Che le rose sfiorirò e i laureti,
Quando cavalleria cinge i codardi
E al valor civiltà mette divieti,
A te, Scandian, faro gentil che ardi
Ne r immensa al pensiero epica Teti,
0 rocca de' Fogliani e de* Boiardi,
Terra di sapienti e di poeti,
Io vengo: a tergo mi lasciai la grama
Che il mondo dice poesia, lasciai
1 deliri a cui par che dietro agogni
L'età malata. Io sento che mi chiama
De' secoli la voce, e risognai
La verità de i grandi antichi sogni.
decembre <i8g4.
ALLA FIGLIA DI FRANCESCO CRISPI
X GENNAIO MDCCCXCV
Ma
1 non 50tto la stridula
Procella d'onte che non far più mai,
Ma non, sicana vergine,
Tu la splendida fronte abbasserai.
Pria che su rosea traccia
Amor ti chiami, innalza, o bella figlia.
Innalza al padre in faccia
Gli occhi sereni e le stellanti ciglia.
Ei nel dolce monile
De le tue braccia ai bianco capo intorno
Scordi il momento vile
£ de la patria il tenebroso giorno.
Ne r amoroso e pio folgore^iare
De gli occhi in lui levati
L' ampio riso rivegga ei del suo mare
Ne' di pieni di fati;
RIME E RITMI 991
Quando, novello Procida,
E più vero e migliore, innanzi e indietro
Arava ei Tonda sicula;
Silenzio intorno, a lui su '1 capo il tetro
De le borbonie scuri
Balenar ne i crepuscoli fiammanti;
In cuore i di futuri,
Garibaldi e l'Italia: avanti, avanti!
O isola del sole,
O isola d' eroi madre, Sicilia,
Fausta accogli la^ prole
Di lui che la tirannica vigilia
V accorciò. Seco venga a' lidi tuoi
Fé' d'opre alte e leggiadre,
O isola del sole, o tu d'eroi
Sicilia antica madre.
9% RIME E RITMI
ALLA CITTÀ DI FERRARA
NEL XXV APRILE DEL MDCCCXCV
I.
Jl errara, su le strade che Ercole primo lanciava
ad incontrar le Muse pellegrine arrivanti,
e allinearon elle gli emuli viali d' ottave
storiando la tomba di Merlino profeta,
come, o Ferrara, bello ne la splendida ora d' aprile
ama il mèmore sole tua solitaria pace!
Non passo i luminosi misteri viola né voce
d'uomo: da i suburbani pioppi il tripudio
corre
de gli uccelli su V aura del pian lungi florido.
Come
ne le scendenti spire de la conchiglia un'eco
d'antichi pianti, un suono di lungo sospiro pro-
fondo
dal grande ocèano ond' ella strappata fu,
permane;
RIME E RITMI 993
cosi per le tue piazze dilette dal sole, o Ferrara,
il nuovo peregrino tende le orecchie e òde
da' marmorei palagi su M Po discendere lenta
processione e canto d' un fantastico epos.
Chi è, chi è che viene? Con piangere dolce di
flauti,
tra nuvola di cigni volanti da V Eridano,
ecco il Tasso. Lampeggia, palazzo spirtal de' dia-
manti,
e tu, fatta ad accórre sol poeti e duchesse,
o porta de' Sacrati, sorridi nel florido arco !
d' Italia grande, antica, I' ultimo vate viene.
Ei fugge i colli dove monacale tedio il consunse,
ei chiede i luoghi dove gioventù gli sorrise.
Castello d' Este, in vano d' arpie vaticane fedato,
abbassa i ponti, leva l' aquila bianca. Ei
torna.
Non Alfonso caduco gli mova a l' incontro, non
mova
Leonora, matura vergine senz'amore;
ma Parisina ardente dal sangue natal di Fran-
cesca,
che del vago Tristano legge gli amori e
r armi;
ma, posando la destra su'! fido levrier, Leonello
verde vestito; parla di Cesare al Guarino.
Carducci. 63
t
i
O leguanti via su la marina
tra 'ripe arene e fise acque di stagni,
Tcia ombreggia e rado
il cignal fruga,
te tiRose in torv aere greve,
s "ne al* il mito e cova
»ni ecoli querele,
ditemi dove
rovescio, il crìn spiovendogli, dal sole
mal carreggiato (e candide tendea
al mareggiante Eridano le braccia)
cadde Fetonte
ardendo, come per sereno cielo
stella volante che di lume un solco
traesi dietro: chiamano, ed in alto
miran le genti.
Ov'è che prone su 'I f ratei piangendo
I' Eliadi suore lacrimar 1' elettro,
e crebber pioppe, sibilando a' venti
sciolte le chiome?
RIME E RITMI 995
Ov' è che a lutto del fanciullo amato
lai lunghi il re de' Liguri levando
tra le populee meste fronde e 1* ombra
de le sorelle
vecchiezza indusse di canute piume,
e abbandonata la dogliosa terra
segui le belle sorridenti in cielo
stelle co '1 canto?
Perpetuo quindi un gemito vagava
su la tristezza di Padusa immota
ne le fosche acque. I Liguri selvaggi
spingean le cimbe
lungo ululando in negre vesti, o sopra
i calvi dossi a 1* isole emergenti
in solchi per il desolato lago
sedean cantando
lugubremente dove Argenta siede
oggi. Né ancora Diomede avea
di delfic' oro e argivo onor vestita
d' Adria reina
Spina pelasga. Ahi nome vano or suona!
Spari, del vespro visione, in faccia
a la sorgente con in man la croce
ferrea Ferrara.
Salve, Ferrara! Dove stan le belle
torri d' Ateste e case à' Arrosti ^f^
eran paludi e i Lingoni coloni ^^H
davan le reti
al mare incerto e combattean la preda,
quando campati innanzi la ruina
del latrante Unno 1 Veneti e dal Fòro
giutio i Komani,
si come i Liguri avi da le belve
ne le disperse stazion lacustri,
qui confuggiro e ripararon l'alto
seme di Roma.
Salve, Ferrara, co 'I tuo fato in pugno
ultima nata, creatura nova
de 1' Apennin, del Po, del faticoso
dolore umano!
Poi che di sangue vinilo rinfusa
pugne cercando e libertà, trovasti
risse e tiranni, a l'orifente — 0 bianca
aquila, vieni ! —
chiamasti. E venne. Ah ponte di Cassano,
ah rive d' Adda, quanto grido corse
l' aure lombarde, allor che su '1 furore
d' Ezzelin domo
RIME E RITMI 997
ringuainando placido la spada
Azzo Novello salutò con mano
la sventolante rossa croce per le
itale insegne!
D* allora un lume d' epopea corona
P aquila d'Este; e quando ne le sale
le marchesane udian Isotta e i fieri
giovani Orlando,
un mesto suon di rapsodia veniva
giù d'Aquileia dal disfatto piano,
venia co'l Po, cantatagli da* flutti
d' Ocno e di Manto,
r itala antica melodia di Maro;
e le vìfole de' trovieri a un tratto
tacean; la dama sospirava, in alto
guardava il sire.
E a te, Ferrara, come già d' alpestre
sostanza i fiumi ti recar tributo,
onde tu stesti nel gran piano e saldo
crebbe San Giorgio,
a te da i monti a te da le colline
d' Italia verdi proflui l' ingegno
e la bollente d* igneo vigore
materia umana.
998 RIME E RITMI
A te gli strozzi vennero da 1' Arno
tòsco parlando e ti cantar latina;
e gli Arìosti da Bologna, accorta
gente di guerra
e di faccenda, che a stupor del mondo
diér la sirena del volubil tono;
venne da Reggio la diletta a Febo
gente Boiarda:
e da gli Euganei vennero pensosi
Savonaroli, e da Verona bella,
la diva Grecia rivelando, umile
venne il Guarino.
Onde stagione fu di gloria, e corse
con il tuo fiume, o fetontea Ferrara, »
ampio, seren, perpetuo, sonante,
l' italo canto.
III.
Ahi ahi l'ora nefanda! Dal Tebro fiutando la
preda
la lupa vaticana s* abbatte su V Eridano.
De la bocca agognante con V atra, mefite ella fuga
turbato V usignolo tra gli allori cantando.
RIME E RITMI 999
D'Armida e di Rinaldo cantava: cantava Clo-
rinda
con Telmo a T auree trecce, ed Erminia soave.
Salgono su per V aere dal canto le imagint :
bionde
maliarde sorprese dal lusingato amore:
vergini sospirose, che timide i ceruli sguardi
giran, chinando il viso pallido di desio.
Tutte fuggir le belle davanti a la lupa, che tetra
digrigna i bianchi denti, mette ululati e avanza.
Tutti su' grandi scudi velaro i guerrieri le croci,
e dileguar fantasmi per le insorte tenèbre.
La lupa con un guizzo del rabido artiglio la
bianca
aquila ghermì al petto, la straziò ne V ale.
Maledetta sie tu, maledetta sempre, dovunque
gentilezza fiorisce, nobiltade apre il volo,
sii maledetta, o vecchia vaticana lupa cruenta;
maledetta da Dante, maledetta pe'l Tasso.
Tu lo spegnesti, tu; malata l'Italia traesti
co M suo poeta a V ombra perfida de' cenobii.
Pallido, grigio, curvo, barcollante, al braccio il
sostiene
un alto prete rosso di porpora e salute.
O Garibaldi, vieni! L'espiazione d'Italia
con la virtù d'Italia su questo colle adduci.
Corra nobile sangue d'Arganti e Tancredi novelli
risorti da Camillo per la Solima nostra.
Che Sant'Onofrio? È questa la vetta superba
di Giano,
fortezza de' Quiriti, cuna santa d'Italia:
onde io, Ferrara, madre de l' itale muse seconda,
questo vindice canto su 'I nostro Po t' invio.
RIME E RITMI 1001
MEZZOGIORNO ALPINO
N,
el gran cerchio de Talpi, su'l granito
Squallido e scialbo, su* ghiacciai candenti,
Regna sereno intenso ed infinito
Nel suo grande silenzio il mezzodì.
Pini ed abeti senza aura di venti
Si drizzano nel sol che gli penetra,
Sola garrisce in picciol suon di cetra
L' acqua che tenue tra i sassi fluì.
Hj verde e fosca l' alpe e limpido e fresco è il
mattino,
e traverso gli abeti tremola d' oro il sole.
Cantan gli uccelli a prova, stormiscono le ca-
scatene,
precipita la scesa nel vallone di Niel.
Ecco le bianche case. La giovine ostessa a la
soglia
rìde, saluta e mesce lo scintillante vino.
Per le fórre de 1' alpe trasvolan figure eh' io vidi
certo ' nel sogno d' una canzon d' arme e
d' amori.
Gafy (Issime), 37 agosto iSgs.
RIME E RITMI 1003
ESEQUIE DELLA GUIDA
E. R.
Spezzato il pugno che vibrò l'audace
Picca tra ghiaccio e ghiaccio, il domatore
De la montagna ne la bara giace.
Giù da la Saxe in funeral tenore
Scende e canta il corteo: dicono i preti
— La requie eterna dona a lui, Signore — ,
— E la luce perpetua l'allieti — .
Rispondono le donne: ondeggia al vento
Il vessil de la morte in fra gli abeti.
Or sì or no su rotte aure il lamento
Vien del mortorio, or si or no si vede
Scender tra' boschi il coro grave e lento.
Esce in aperto, e al cimiter procede.
Posta la bara fra le croci, pria
Favella il prete: — Iddio t'abbia mercede,
Emilio, re de la montagna: e pia
Avei l'alma, e ogni di le tue preghiere
Ascendevano al grembo di Maria — .
Le donne sotto le gramaglie nere
Co '1 viso in terra piangono a una volta
. Sopra i figli caduti e da cadere.
A un tratto la caligine ravvolta
Intorno al Montebianco ecco si squaglia
E purga nel sereno aere disciolta:
Via tra Io sdrucio de la nuvolaglia
Erto, aguzzo, feroce si protende
E, mentre il ciel di sua minaccia taglia,
Il Dente del gigante al sol risplende.
Courmayeur, aS agosto iSgj-
RIME E RITMI 1005
LA MOGLIE DEL GIGANTE
IL NETTUNO
Bi
bianchi verni, estati ardenti,
Quante mai pesar su me!
Trapassar maree di genti
Vidi e nuvole di re.
Bella mia, dal fondo algoso
Del mar nostro vieni su!
In te vuole il suo riposo
La mia bronzea gioventù.
LA SIRENA
Dal confin che il sol rallegra
Qual mai voce risonò?
Di quest' acque immense V egra
Solitudin lascerò.
O tu azzurro il crine e il dosso
Bel cavallo, a me, a me!
Vo' vedere il sole rosso
E la faccia del mio re.
IL NETTUNO
11- mio petto si confonde
Di lassezza e di desir.
Bella mia, per le glauche onde
Non ti sento anche salir?
Bella mia, quando in ciel dorme
La caligine lunar
Ne la veglia de le forme
Ci vogliamo disposar.
LA SIRENA
Ahi, mio re! l'informe eterno
Demogorgone non vuoi,
E la tenebra d' inferno
Mi sorprende in faccia al sol.
Ahi, mio rei la tua carezza
Chiedo in van, son tratta giù;
E fu in van la mia bellezza
Com'è in van la tua virtù.
RIME E RITMI 1007
PER IL MONUMENTO DI DANTE
A TRENTO
XIII SETT. MCCCXXI
s
libito scosso de le membra sue
Lo spirito volò: sovr'esso il mare,
Oltre la terra, al sacro monte fue.
A traverso il baglior crepuscolare
Vide, o gli parve riveder, la porta
Di san Pietro nel monte vaneggiare.
— Aprite — disse — . Coscienza porta
Il mio volere, e tra i superbi io vegno.
Ben che la stanza mia qui sarà corta.
E passerò nel benedetto regno
A riveder le note forme sante,
Che Dio e il canto mio me ne fa degno -— .
Voce da l'alto gli rispose — Dante,
Ciò che vedesti fu e non è: vanio
Con la tua vision, mondo raggiante
Ne gl'inni umani de la vostra Clio:
Dal profondo universo unico regna
E solitario sopra i fati Dio.
Italia Dio in tua balia consegna
SI che tu vegli spirito su lei
Mentre perfezVon dì tempi vegna.
Va, batti, caccia tutti falsi dèi,
Fin eh' egli seco ti richiami in alto
A ciò che novo paradiso crei — .
Cosi di tempi e genti in vario assalto
Dante si spazia da ben cinquecento
Anni de 1' Alpi su) tremendo spalto.
Ed or s' è fermo, e par eh' aspetti, a Trento.
3D sett. rSg6.
RIME, E RITMI 1009
La MIETITURA DEL TURCO
Atene, ,14 giugno — / turchi incomincia'
rono a mietere in Tessaglia e continuano
a saccheggiare. (Disp. telegr.)
I
I Turco miete. Eran le teste armene
Che ier cadean sotto il ricurvo acciari
Ei le offeriva boccheggianti e oscene
A i pianti de 1* Europa a ipibalsamar.
Il Turco miete. In sangue la Tessaglia
Ch' ei non arava or or gli biondeggiò:
— Aia — diss' ei — m' è il campo di battaglia,
E frustando i giaurri io trebbierò — .
Il Turco miete. E al morbido tiranno
Manda il fior de l' elleniche beltà.
I monarchi di Cristo assisteranno
Bianchi eunuchi a V arem del Padiscià.
Carducci. 64
, , ; ; <^' .• \!eti ài colle in colle
quatst atcccnnando l'ardao cipresso.
fM3« Francesca temprò qui li ardenti
occhi al sorrìso?
Sta r erta rupe, e non minaccia : Ìd alto
guarda, e ripensa, il barcaiol, torcendo
l'ala de' remi in fretta dal notturno
Adria: sopra
fuma il comignol del villan, che giallo
mesce frumento nel fervente rame
là dove torva l' aquila del vecchio
Guido covava.
RIME E RITMI lOU
Ombra d' un fiore è la beltà, su cui
bianca farfalla poesia volteggia :
eco di tromba che si perde a valle
è la potenza.
Fuga di tempi e barbari silenzi
vince e dal flutto de le cose emerge
sola, di luce a' secoli affluenti
faro, r idea.
Ecco la chiesa. E surse ella che ignoti
servi morian tra la romana plebe
quei che fùr poscia i Polentani e Dante
fecegli eterni.
Forse qui Dante inginocchiossi ? L' alta
fronte che Dio mirò da presso chiusa
entro le palme, ei lacrimava il suo
bel San Giovanni;
e folgorante il sol rompea da' vasti
boschi su '1 mar. Del profugo a la mente
ospiti batton lucidi fantasmi
dal paradiso:
mentre, dal giro de' brevi archi Tala
candida schiusa verso T oriente,
giubila il salmo In exitu cantando
Israel de Aegypto,
RIME E RITMI
Itala gente da le molte vite,
dove che albeggi la tua notte e un' ombra
vagoli spersa de' vecchi anni, vedi
ivi il poeta.
Ma su' dischiusi tumuli per quelle
chiese prostesi in grigio sago i padri,
sparsi di turpe cenere le chiome
nere fluenti
al bizantino crocefisso, atroce
ne gli occhi bianchi livida magrezza,
chieser mercé de 1' alta stirpe e de la
gloria di Roma.
Da i capitelli orride forme intruse
a le memorie di scalpelli argivi,
sogni efferati e spasimi del bieco
settentrione,
imbestlati degeneramentj
de r orTente, al guizzo de la fioca
lampada, in turpe abbracciamento attorti,
zolfo ed inferno
goffi sputavan su la prosternata
gregge: di dietro ai battistero un fulvo
picciol cornuto diavolo guardava
e subsannava
RIME E RITMI 1013
Fuori stridea per monti e piani il verno
de la barbarie. Rapido saetta
nero vascello, con i venti e un dio
eh' ulula a poppa,
fuoco saetta ed il furor d' Odino
su le arridenti di due mari a specchio
moli e cittadi a Enosigeo le braccia
bianche porgenti.
Ahi, ahi! Procella d'ispide polledre
avare ed unne e cavalier tremendi
sfilano: dietro spigolando allegra
ride la morte.
Gesù, Gesù ! Spalancano la tetra
bocca i sepolcri : a' venti a' nembi al sole
piangono rese anch' esse de' beati
niàrtiri l'ossa.
E quel che avanza il Vinilo barbuto,
ridiscendendo da i castelli immuni,
sparte — reliquie, cenere, deserto —
con r alabarda.
Schiavi percossi e dispogliati, a voi
oggi la chiesa, patria, casa, tomba,
unica avanza: qui dimenticate,
qui non vedete.
E qui percossi e dispogliati anch' essi
i percussori e spogliatori un giorno
vengano. Come ne la spume^iante
vendemmia il tino
ferve, e de' colli italici la bianca
uva e la nera calpestata e franta
sé disfacendo il forte e redolente
vino matura;
qui, nel conspetto a Dio vendicatore
e perdonante, vincitori e vinti,
quei che al Signor pacificò, pregando,
Teodolinda,
quei che Gregoritì invidiava a' servi
ceppi tonando nel tuo verbo, o Roma,
memore forza e amor novo spiranti
fannp il Comune.
Salve, affacciata al tuo balcon di poggi
tra Bertinoro alto ridente e il dolce
pian cui sovrasta fino al mar Cesena
donna di prodi,
salve, chiesetta del mio canto! A questa
madre vegliarda, o tu rinnovellata
itala gente da te molte vite,
rendi la voce
RIME E RITMI tOtS
de la preghiera: la campana squilli
ammonitrice: il campanil risorto
canti di clivo in clivo a la campagna
Ave Maria.
Ave Maria ! Quando su V aure corre
Tumil saluto, i piccioli mortali
scovrono il capo, curvano la fronte
Dante ed Aroldo.
Una di flauti lenta melodia
passa invisibil fra la terra e il cielo:
spiriti forse che furon, che sono
e che saranno?
Un oblio lene de la faticosa
vita, un pensoso sospirar quiete,
una soave volontà di pianto
r anime invade.
Taccion le fiere e gli uomini e le cose^
roseo '1 tramonto ne V azzurro sfuma,
mormoran gli alti vertici ondeggianti "^
Ave Maria.
luglio iSgy.
RIME E RITMI
SABATO SANTO
PER IL NATALIZIO DI M. G.
-'he giovinezza nova, che lucidi giorni di gioia
per la cerula effusa chiarità de l'aprile
cantano le campane con onde e volate di suoni
da la città su' po^i lontanamente verdi !
Da i superati inferni, redimito il crìn di vittoria,
candido, radiante, Cristo risorge al cielo :
svolgesi da l' inverno il novello anno, e al suo
fiore
già In presagio la messe già la vendemmia
rìde.
Ospite nova al mondo, son ogj;! venf anni. Maria,
tu t'affacciasti; e i primi tuoi vagiti coverse
RIME E RITMI 1017
doppio il suon de le sciolte campane sonanti a.
la gloria:
ora e tu ne la gloria de V età bella stai,
stai com' uno di questi arboscelli schietti d'aprile
che a l'aura dolce danno il bianco roseo fiore.
Volgasi intorno al capo tuo giovin, deh, 1* augure
suono
de le campane anc' o^i di primavera e
pasqua !
cacci il verno ed il freddo, cacci 1' odio tristo e
V accidia,
cacci tutte le forme de la discorde vita!
IN RIVA AL LYS
. pie del monte la cui neve è rosa
In su 'I mattino candido e vermiglio,
Lucida, fresca, lieve, armonTosa
[Traversa un'acqua ed ha nome dal giglio.
Io qui seggo, Ferrari, e la famosa
Riva d'Arno ripenso e il tuo consiglio;
E di por via la piccioletta prosa
E altamente cantar partito piglio.
Ma il Lys m'avvisa — AI nulla si confonde
Questo mio canto, e non se ne rammarca ;
Pur di tanto maggior vena s'effonde —,
Ond' io, la fronte di superbia scarca,
Torno al mio cuore ; e a' monti a V aure a l' onde
Ridico la canzon del tuo Petrarca,
Gcessonfy-la-Trinité, 8 agosto i8g8.
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RIME E RITMI 1019
ELEGIA DEL MONTE SPLUGA
N
o, forme non eran d'aer colorato né piante
garrule e mosse al vento: ninfe eran tutte
e dee.
E quale iva salendo volubile e cernia come
velata emerse Teti da V Egeo grande a Giove :
e qual balzava da la palpitante scorza de' pini
rosea, l' agii domando florida chioma a V aure :
e qual da la cintura d' in cima a' ghiacci dia-
sprati
sciogliea, nastri d' argento, le cascatene al-
legre.
Sola in vetf a un gran masso di quarzo brillante
al meriggio
in disparte sedevi, Loreley pellegrina :
RIME E RITMI
solcavi r aurea chioma con l' aureo pettine, lunga
la chioma iva per r alpe, vi ridea dentro il
sole.
In un tempio a larghe ombre di larici acuti le '
Fate
stavan, occhi fiammanti ne la gemma de' visi;
serti di quercia ai crine su le nere clamidi nero,
scettri avean d'oro in mano: riguardavano me.
— Orco umano, che sali da' piani fumanti di
tedio,
noi la ti demmo; aveva gli occhi color del
mare.
Or tu ne vieni solo. Che festi di nostra sorella?
r hai divorata? — E fise rìguardavan pur me.
— No, temibili Fate, no, soavi ninfe, lo giuro:
ella è volata fuori de la veduta mia.
Ma la sua forma vive, ma palpita 1' alma sua
vita
ne le mie vene, in cima de la mia mente siede.
Con la imagine sua dinanzi da gli occhi tuttora
che mi arde, con la voce che dentro il cor
mi ammalia.
RIME E RITMI ÌQ2Ì
suono di primavera su '1 tepido aprile dormente,
erro soletto il mondo, tutto di lei V impronto.
Ecco, voi Fate e ninfe, paretemi^ e siete, lei sola:
anzi in mia visione v' ho creato io di lei.
Ma ella dove esiste? — Lamenti scoppiarono,
e via
sparver le ninfe in aria, via sotterra le Fate.
E vidi su gli abeti danzar li scoiattoli, e udii
sprigionate co' musi le marmotte fischiare.
E mi trovai soletto là dove perdevasi un piano
brullo tra calve rupi: quasi un anfiteatro
ove elementi un giorno lottarono e secoli. Or tace
tutto : da' pigri stagni pigro si svolve un fiume :
erran cavalli magri su le magre acque: aconito,
perfido azzurro fiore, veste la grigia riva.
«
Spluga, i'4 settembre i8g8.
Nitido il cielo come in adamante
D' un lume del di là trasfuso fosse,
Scintillan le nevate alpi in sembiante
D' anime umane da 1' amor percosse.
Sale da i casolari il fumo ondante
Bianco e turchino tra le piante mosse
Da lieve aura: il Madesimo cascante
Passa tra gli smeraldi. In vesti rosse.
Traggono le alpigiane, Abbondio santo,
A la tua festa: ed è mite e giocondo
Di lor, del fiume e de gli abeti il canto.
Laggiù che ride de la valle in fondo?
Pace, mip cuor; pace, mio cuore. Oh tanto
Breve la vita ed è si bello il mondo I
Madesimo, J° settembre iSgS.
RIME E RITMI i
ALLE VALCHIRIE
PER I FUNERALI DI EUSABETTA IMPERATRICE REGINA
B
ionde Valchirie, a voi diletta sferzar de' cavalli,
sovra i nembi natando, Terte criniere al cielo.
Via dal lutto uniforme, dal piangere lento de i
cherci
rapite or voi, volanti, di Wittelsbach la donna.
Ahi quanto fato grava su l'alta tua casa
crollante,
su la tua bianca testa quanto dolore,
Absburgo !
Pace, o veglianti ne la caligin di Mantova e Arad
ombre, ed o scarmigliati fantasimi di donne!
Via^ Valchirie, con voi la bionda qual voi di
cavalli
abitatrice a riva più cortese! là dove
sotto Coreica bella T azzurro Jonio sospira
con suo ritmo pensoso verso ^i aruci in fiore.
Sorge la bianca luna da' monti d' ^iro ed allunga
sino a Leuca la face tremirilante su *l mare.
Ivi r aspetta Achille. Tergete, ValcMrìe, tergete
diAfiebftHprtt&'trorma^dclHptqEMiei villano;
e tergete da l'alma, voi pie sanatrìci divine,
il sogno spaventoso, lugubire^ de T impero. |
? ;
Qual più soave mai, la musa di Heine risuona:
chi da Tarma risponde Leucade, sospirando?
Tien la spintale riva un'alta serena quiete
come d'elisio sotto la graziosa luna.
2j settembre i8g8.
RIME E RITMI 1025
PRESSO UNA CERTOSA
D
a quel verde, mestamente pertinace -tra le
foglie
Gialle e rosse de l' acacia, senza vento una si
toglie :
E con fremito leggero
Par che passi un'anima.
Velo argenteo par la nebbia su '1 ruscello che
gorgoglia,
Tra la nebbia ne M ruscello cade a perdersi la
foglia.
Che sospira il cimitero,
Da* cipressi, fievole?
Improvviso rompe il sole sopra V umido mattino,
Navigando tra le bianche nubi l'aere azzurrino:
Si rallegra il bosco austero
Già de M verno presago.
Carducci. 66
RIME e RITMI
A me, prima che l'inverno stringa pur l'anima m
Il tuo riso, o sacra luce, o divina poesia!
Il tuo canto, o padre Omero,
Pria che l'ombra avvolgami!
RIME E RITMI 1027
CONGEDO
P ior tricolore,
Tramontano le stelle in mezzo al mare
E si spengono i canti entro il mio core.
u II «Éitin Uhm 1 attutire M
NOTE
pag. K5, V. 12. La prima edizione leggeva Villa di
Quinta, Mi fu detto che Quinta in Portogallo è app«llaiion«
comune d'ogni villa. Veramente Carlo Alberto ' abitava la
villa d' Entre Quintas „ (L. Cibrario, Ricordi d'ima missione
m Portogallo, capo iii).
V. 19.22. Di questi versi fu detto con goffa barbarie * es-
sere una riabilitazione di Carlo Alberto a base dì Garibaldi ,.
No; io leggevo nei giornali del 1849 che il re pigliava molto
interesse ai fatti della difesa di Roma.
BICOCCA DI SAN GIACOMO
pag. 960, È una frazione del comune di Bene Vagienna,
in provincia di Cuneo, circondario di Mondavi: dove dinanzi
a una cliiesetta veggonsi ancora le tracce d' un ridotto ove fu
combattuto il 16 aprile 1196. E tutto il paese è pieno di ri-
RIME E RITMI ITQ
LA GUERRA
pag. 910, V. 24 — 911 v.4. Quando l'oTtracoUnia dell' igno- 1
ante si sferrò su quest'ode, rea di non bccUt
anche ci tu chi nel venlurìero ravvisò Cristoforo Colombo.
Ohi È Vasco Nunez de Balboa, a vista del Mar pacifico,
settembre del 1513. — Non sarà inopportuno rìFErire anuhe qui
e di Carlo Cattaneo messe in fronte alla prima edì-
° Per tutte queste passioni umane la guerra è perpetui
sulla terra. Ma la guerra stessa colla conquista, colla sclùs-
vitij, colli esilii, colle colonie, colle alleanze pone in contatto
fra loro le più remote nazioni; fa nascere dalla loro mcsco-
laniH nuove stirpi e lingue e religioni e nuove nalìo li più
civili, ossia pili largamente sociali; fonda il diritto delle genti,
la società del genere umano, il mordo della filosotia ,. (C Cat-
taneo, Opere, VI, 333, Firenze, 1891).
NICOLA PISANO
pp. 912-915. Cagione e mezzo al rinnovamento dell'arte
scultoria fu lo studio e la diligenza messa da Nicola Pisano
intomo al lavoro greco rappresentante la storia d'Ippolito e
Fedra nel marmo che poi racchiuse il corpo della contessa
Matilde ed ere incassato in una delle muraglie laterali del domo
di Pisa.
CADORE
pp. gi6-9S4. Per gratitudine mia, se non p«r cenno ad
altri, ricordo alcuni libri che discorrono dei combattimenti
del 1847 in Cadore e d'altre pili cose cadorine. E prima; del
prof. Ant Ronzon, Calvi e i Cadorini (Tai del Cadore, 181S(
e Rindemera, Scene del Cadore nel ^8 (Lodi, 1891); « del
RIME E RITMI 1031
9ig. Venanzio Dona, Guida del Cadore (Venezia, 1888); questi
o videro o udirono dai presenti. Poi il sig. Ottone Brentari
raccolse e rinnovò abbondante nella sua Guida storico'alpina
del Cadore (Bassano 1886). A questi ultimi giorni il colonnello
Gè n -aro- Moreno ha raccontato, con intendimenti e dottrina
militare, Calvi e la difesa del Cadore ( Roma, Biblioteca mi-
nima popolare militare).
Per dichiarazione al vocabolo cidolo e al v. 8 della pag.
9S3 ecco un passo dalla Storia del popolo cadorino compi'
lata da Giuseppe Ciani (Padova, Sicca, 1856^, parte prima
libro primo, pp. 11-13. Detto delie travi d'alberi lavorate
e acconciate e nel maggio spinte nel Piave che li trasporta
a Perarolo; seguita — "Ma non vi giungono si presto: al-
tre dall' impeto dell' onda gittate in sulle sabbie, altre da-
gli spessi e s . Idi massi, che sporgonsi dall' alveo, contenute.
Il che or qua or là sempre quasi interviene, e la prima,
che dando di cozzo ne' massi si ferma, tronca il corso alle
succedentisi; onde s'aggruppano, s' incavallano, s'ammonti-
celiano, sf, che per lungo tratto tu non iscorgi sul fiume che
un'i icomprsta tettoia. I paesani appellano serre questi invi-
luppi: a districarli accorronvi uomini in questa fatta di opere
esercitati; che non tanto il fiume, che solo vi basti. Questi
uomini si chiamano Menadàs: cure loro le stesse che dei
Dentrofori presso a' Romani. Dipendenti da un capo, muniti
di lunghe aste ferrate di uncini aguzzi o rampiconi, calano
fra greppo e greppo, ove le serre e le sbandate in sulle sabbie;
ri acciai queste nel fiume; uncinano, aggrappano, disvitic-
chiano le rammassate, né si stanno che assembratele nel C/-
dolo Un edifizio codesto a cavalliere del Piave presso a Pe-
rarolo : piantato su d' ambedue le ripe, - V estremità sf da un
lato che l'altro torcendosi, addentransi alquanto nel fiume;
grosse travi le congiungono quivi insieme; congegnate a
foggia di cancello, S:- all' acque, non concedono l' uscita alle
taglie. Gli stessi che addusserle, da quella chiudenda l' estrag-
gono; conoscitori delle marche ohde s'improntano, avvianle
RIME E RITMI
a'segaloi eretti lunghesso il fiunie, canforme è loro ordinsto
quivi ammonticcliianle a che s'asciughino^ asciutte son dal
alle seghe; ridotte in tavole, sulle zattere traduconle pel Rulii
a Venezia, o lascianle per via ove i magazzini de' proprietari
CARLO GOLDONI
pp. 985-988. Ricordare le Mtmorie di C. G.
ALLA FIGLIA DI FRANCESCO CRISPI
p. 991, V.2 — e migliore. Nella copia che di mano di
r autore fu mandata alla sposa, onde la odkina fu riprodotta
nel pili de' giornali, la penna trascorae a Siiriver maggiore:
quindi !l lepida rìpetlo dei paperi: .non bisogna invidiare ai
paperi il verso a cui si riconoscono e si raccolgono. Del resti:
nel rispetto storico toma beniamino anctie maggmre. !
ALLA CITTÀ DI FERRARA
pp. 992-1000. In questi versi la storia di Ferrara, e ancht
la preistoria mìtica e la conformazione geologiea e psicologica
della sua provincia e popolazione, k introdotta a rappresen-
tare la preparazione e lo svol^mento della epopea che do-
veva illustrarla. A queste prove la poesia può forse ancora
resistere. Il presente è del dramma, del romanzo, del giornale:
il futuro è di Dio: il passato, il doloroso e glorioso passalo,
può essere tuttora della poesia, massime in una storia com-
plessa di tanti elementi com'è l'italiana.
pag. 990, v. 21. 0 Garibaldi, vimL
Questo appella parve a taluni importuno e volgare. No. Quando
nel 1849 si trattò di calar gu3 le campane di *Mif Onofrio per
RIME E RITMI 1033
mandarle a!la fonderìa, Giuseppe Garibaldi ammoni: rispetto
alle campane che suonarono ali* agonia di Torquato Tasso.
LA MOGLIE DEL GIGANTE
pp. 1005-1006. Cosi il popolo, poeta eterno quando non
guasto da' maestri, ha cominciato a chiamare la " Sirena ^ ,
scolpita da Diego Sarti per la fontana della Montagnola [ 1896].
LA CHIESA DI POLENTA
pp. 1010. — La chiesa di San Donato in Polenta, ricor-
data già in un documento del 916, è costruzione del sec. vili.
Volevasi or fa pochi anni abbatterla al suolo per fame una
nuova: se non che don Luigi Zattini, intelligente e amoroso
arciprete, n* ebbe avvertito il cav. Antonio Santarelli ispettore
degli scavi e monumenti nella provincia di Forlì. Il quale die
primo al pubblico notizie dell'antica chiesa (1890); e sùbito
appresso ne discorse ampiamente alla Deputazione storica ro-
magnola Corrado Ricci. E della chiesa e della ròcca polentana
che le sorgea vicino scrisse di nuovo il Ricci neir Ultimo ri'
fugio di Dante (1891), e una veduta ne ha inserito assai
bella nel bellissimo Dante illustrato pubbl. in Milano da
Ulr. Hoepli (1898). A instanza dell' arciprete Zattini, del
cav. Santarelli, del conte Cilleni-Nepis ispettore delle scuole,
del prof. Raffaello Zampa, il Comune e la Mensa vescovile di
Bertinoro e la Provincia di Forlf cominciarono a pensare e
provvedere pe' ristauri. Ricordo che nella seduta 20 dee. 1889
del Consiglio provinciale, venuta in discussione la spesa per
la chiesa polentana, opponendo alcuno non doversi gittare de-
naro del pubblico per conservare chiese quando il meglio sa-
rebbe buttar giù quelle anche in piedi, Aurelio Saffì, il nobi-
lissimo mazziniano che presiedeva T adunanza, parlò da quel-
la uomo colto e savio che era, e disse fra V altro " Quale ita-
liano non vorrà conservata e onorata una chiesa dove Dante
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pregò?
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votarono la
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tMuiSibfi^ Bwwni P«»oli,4 il ,«(Biig^rgB9«!BDiTq5»ca,
cintTBle, la crìptB«1i1tiBH<'Tdti.riUKIim X.^l»idc s deatra di
chi entra e d» rieostrulre 3 campanile.
-^'^"Dt.lUl'iriledto fiM GOtaÉttótiìr.ààtiaLliié^jfi^^uìif^ì
MIò,3«^1M)ti<^>notcW(A '(MmMilr tradMWpMbiyrdaw^
tf''fiU>'tMij{ftBMKj'H|iKdiM!4Jul,^a'Bèht»lmc*wn4^weiM^
aiMM({fluA^-ii^i>rLe iealMliie delU illrii."|,iiÉ<Ìfri nilimli. m-
WiMltt'ntiitttM''-* « «MM*!" «oMr.icótaMHrftte 'iBi^tin dw
fbriAÀtno là' parte pM importante e nratterislicai Sello storico
monumento. — Sono — scrive il cav. Santarelli — scolpiti in
pietra locale, alcuni cubiformi, altri a dadi, con facce smussate
variamente ornate con foglie convenzionali, disegni geometrici,
intrecci bizzarri di tenie, figure grottesche di uomini e animali,
a tutto rilevo molto basso e rude. — Certe figure, piuttosto
dì scimmiotti che d' uomini, una specie d' ippogrifo, un orribile
granchio di mare, ferma-io specialmente 1' attenzione ,. — ' Del
castello non restano che laceri avanzi sui quali è addossata
una squallida casa colonica. Fu Dante al Castello polentano?
Pregò egli nella piccola chiesa? Nessun documento 1' attesta,
ma nulla lo rende inverosimile.... La legge 'd.i che qualche
volta erra, ma talvolta integra e riassume la storia, lo crede;
e vuole ancora che Francesco.... salisse quassù e ad un ci-
presso che sorge solitario sopra uno di questi poggi e domina
tutta la vallata intorno e si vede a grande distanza (forse so-
stituito ad altri ivi posti successivamente) si dà ancora la poe-
tica intitolazione di cipresso di Francesca ,.
RIME E RITMI 1035
Al V. 24 della pag. 1012 osai fare italiano il verbo latino
subsannare, che s'i tende benissimo nella volgata versione
della Bibbia: * Sprevit te et subsannavit te virgo filia Sion „
{Reg. IV XIX 21]. Altri scrittori ecclesiastici T usarono: Tertul-
liano, adv. Judaeos xi; san Girolamo, epist. lx: ma l'ha
anche Nemesiano, fragm. de aucup., * et rauca subsannat
voce magistri Consilium „, Il Porcellini interpreta beffeggiare ^
dileggiare ■ sanna irrideo ,: e sauna ■ proprie est distortio
vultus quae fit diductis labiis, ora hiante, corrugata facie et
ostentatone dentium »; e l'hanno Giovenal vi 306 e Persio i 61.
11 Tommaseo nel suo Dizionario della lingua italiana registra
" Sossannare, far le' boccacce ,, dal volgarizzamento toscano
e del trecento del Trattato contro l' avversità della fortuna di
Arrigo da Settimello.
Il vecchio cipresso, che sorgeva dal colle di Conzano, fu
colpito e atterrato dal fulmine nel pomerìggio del 21 luglio
1897: un altro ne fu piantato nel luogo il 26 ottobre.
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DELLA « CANZONE DI LEGNANO »
PARTE I.
[1879]
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IL PARLAMENTO
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Federico imperatore in Como.
Ed ecco un messaggero entra in Milano
Da Porta Nova a briglie abbandonate.
" Popolo di Milano, „ ei passa e chiede,
" Fatemi scorta al console Gherardo „.
Il consolo era in mezzo de la piazza,
E il messagger piegato in su l'arcione
Parlò brevi parole e spronò via.
Allor fé' cenno il console Gherardo,
E squillaron le trombe a parlamento.
CANZONE DI LEGNANE'*
Squillarono le trombe a parlamento r
Che non anche risurto era il palagio
Su' gran pilastri, né l' arengo v'era,
Né torre v'era, né a la torre in cima
La campana. Fra i ruderi che neri
Verdeggiavan di spine, fra le basse
Case di legno, ne la breve piazza
1 milanesi tenner parlamento
Al sol di maggio. Da le finestre e porte
Le donne riguardavano e i fanciulli.
" Signori milanesi, „ il consol dice,
" La primavera in fior mena tedeschi
Pur come d'uso. Fanno pasqua i lurchi
Ne le lor tane, e poi calano a valle.
Per 1' Engadina due scomunicati
Arcivescovi trassero lo sforzo.
Trasse la bionda imperatrice al sire
Il cuor fido e un esercito novello.
Como è coi forti, e abbandonò la lega. „
11 popol grida : " L'esterminio a Como. „
CANZONE DI LEGNANO 1041
IV.
^ Signori milanesi, „ il consol dice,
" L' imperator, fatto lo stuolo in Como,
Move Toste a raggiungere il marchese
Di Monferrato ed i pavesi. Quale
Volete, milanesi? od aspettare
Da Targin novo riguardando in arme,
O mandar messi a Cesare, o affrontare
A lancia e spada il Barbarossa in campo? „
" A lancia e spada, „ tona il parlamento,
*' A lancia e spada, il Barbarossa, in campo. „
V.
Or si fa innanzi Alberto di Giussano.
Di ben tutta la spalla egli soverchia
Gli accolti in piedi al console d' intorno.
Ne la gran possa de la sua persona
Torreggia in mezzo al parlamento: ha in mano
La barbuta: la bruna capelliera
Il lato collo e V ampie spalle inonda.
Batte il sol ne la chiara onesta faccia,
Ne le chiome e ne gli occhi risfavilla.
È la sua voce come tuon dì maggio.
Carducci. 66
1042 CANZONE DI LEGNANO
VI.
^ Milanesi, fratellli popol miot
Vi sovvien . dice Alberto di Giiissdiio
** Calen di marzo? I consoli sparuti
Cavalcarono a Lodi, e con le spade
Nude in man gli giurar l' obedfenza.
Cavalcammo trecento al quarto giorno»
Ed a i piedi, baciando, gli pónemmo
I nostri belli trentasei stendardi.
Mastro Guitelmo gli offerì le chiavi
Di Milano affamata. E non fu nulla. ^
VII.
" Vi sovvien „ dice Alberto di Giussano
" Il di sesto di marzo? A i piedi ei volle
Tutti i fanti ed il popolo e le insegne.
Gli abitanti venian de le tre porte,
Il carroccio venia parato a guerra;
Gran tratta poi di popolo, e le croci
Teneano in mano. Innanzi a lui le trombe
Del carroccio mandar gli ultimi squilli,
Innanzi a lui l'antenna del carroccio
Inchinò il gonfalone. Ei toccò i lembi, y,
CANZONE DI LEGNANO 1043
VHI.
** VI sovvien? „ dice Alberto di Gitissano:
** Vestiti i sacchi de la penitenza,
Co' piedi scalzi, con le corde al collo,
Sparsi i capi di cenere, nel fango
C inginocchiammo, e tendevam le braccia,
E chiamavam misericordia. Tuttiv
Lacrimavan, signori e cavalieri,
A lui d' intorno. Ei, dritto, iii piedt, presso
Lo scudo imperlfal, ci riguardava.
Muto, col suo dfamantìno sguardo. „
IX.
" Vi sovvien, „ dice Alberto di Giussano,
" Che tornando a V obbrobrio la dimane
Scorgemmo da la via V imperatrice
Da i cancelli a guardarci? E pe'i cancelli
Noi gittammo le croci a lei gridando
— O bionda, o bella imperatrice, o fida,
O pia, mercé, mercé di nostre donne! —
Ella trassesi indietro. Egli c'impose
Porte e muro atterrar de le due cinte
Tanto eh' ei con schierata oste passasse. „
CANZONE DI LEGNANO 1046
XII.
Cosi dicendo Alberto dì Giussano
Con tutt' e due le man copriasi gli occhi,
E singhiozzava: in mezzo al parlamento
Singhiozzava e piangea come un fanciullo.
Ed allora per tutto il parlamento
Trascorse quasi un fremito di belve.
Da le porte le donne e da i veroni,
Pallide, scarmigliate, con le braccia
Tese e gli occhi sbarrati al parlamento.
Urlavano — Uccidete il Barbarossa — .
XIII.
" Or ecco, „ dice Alberto di Giussano,
" Ecco, io non piango più. Venne il di nostro,
O milanesi^ e vincere bisogna.
Ecco: io m' asciugo gli occhi, e a te guardando,
O bel sole di Dio, fo sacramento:
Diman da sera i nostri morti avranno
Una dolce novella in purgatorio:
E la rechi pur io! „ Ma il popol dice:
" Pia meglio i messi imperiali. „ Il sole
Ridea calando dietro il Resegone.
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EV^vrebbe essere inutile il dichiarare, che io, ripigliando in
poesia l'ai^omento della battaglia di Legnano, non intesi ve-
nire pur da lontano a contrasta o a paragone con Giovanni
Berchet e Terenzio Mamianì, poeti e scrittori nobilissimi che
io stimo ed ammiro, e a' cui alti ideali letterari la patria deve
assai pili che non mostri accorgersi o ricordare la nuova ge-
neratone. Di questo breve poema, che presi a scrivere tre
anni fa per amore del vero storico e della epopea medievale,
pubblico ora una parte, almeno come protesta contro certe
teoriche, le quali in nome della verità e della libertà vorreb-
bero condannare la poesia ai lavori forzati della descrizione a
vita del reale odierno e chiuderle i territori della storia, della
leggenda, del mito. Ma al poeta è lecito, se vuole e può, an-
dare in Persia e in India non che in Grecia e nel medio
evo: gl'ignoranti e gli svogliati hanno il diritto dì non se-
guitarlo [ I8T9].
ATOH
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APPENDICE
A GIULIO PERTICARI
Cantato nel Teatro del Rubicone in Savignano di Romiigna la
sera del giamo 15 agosto 18^1, anniversario della naidta.
o,
' se tu genio presente
Qui fra' tuoi respiri e vivi,
O se cerchi ombra silente
Il gran Tebro e i sette clivi
Dei tuo nido Compitano
Salve, o Giulio, eterno amor,
O del bel nome romano
Salve pio restitutori
Quando a terra come armenti
Ci premea 1' estrania soma.
Quando favola a le genti
II retaggio era di Roma,
Tu gridasti — Odio ed oblio,
Popol mio —, ti separar:
Ma un sol nome Italia bella
Tuona e appella — fra i due mar.
Dal Simeto sino al Varo
Solo un nome ti saluta
Ne 1' eloquio altero e caro
Che passò per 1' età muta,
Ctie de i padri su gli avelli
L' alma Roma ci lasciò :
Sacra Italia 1 Siam fratelli
Sovra r Arno e sovra il Po! -
Tu gridasti: ed or non tanto
Il tuo bel nido natio,
Ma, cessato il lungo pianto,
Ma raccolta in un desio,
Tutta Italia rediviva, "V
D'un affetto e d'un pensier
Te saluta anima diva
Co 'I Petrarca e l' Alighier.
APPENDICE 1053
DAI CARMINA
DI LUDOVICO ARIOSTO
{Delle poesie latine edite e inedite di Ludovico Ariosto^ Studi
e ricerche di ó. C Bologna, Zanichelli, 1875, p. 138).
V,
a, rea vecchia, con questi carezzevoli
susurri tuoi, va, ingorda vecchia, al diavolo.
Assai la vostra fede, oh assai, m' è cognita,
se ben tardi. Ma tal non son che illudere
a la lunga mi lasci a le ree femmine
impunemente. Oh come, oh come increscemi
de le fallacie dove mi ritennero
pur tanto tempo; ed io credeva, misero,
r amore concedesse a me sol unico
quei dolci frutti eh' io poi con grandissima
vergogna mia compresi che si davano
a questo e a quello e a quello ed a qual siasi
vuol comprar con dannoso prezzo i fetidi
accoppiamenti di coteste adultere.
Or vedi tu come sfacciata pregami,
APPENDICE
quasi che tutto il suo nefando vìvere
io non sapessi. In dietro, o sporca femmina
ruffiana, venditrice di libidini,
de gli amor miei prostitutrice lurida.
Oh come l'ira l'ugne mi sollecita
contro quella facciaccia! Oh come t' impeto
in quei bianchi cernecchi la man spingemr!
Impunita or ne andrà questa venefica?
No, che uno sfogo almen mi vo' concedere;
e pria le scaverò quegli occhi torbidi,
poi mieterò quella lingua pettegola,
quella che m' ha perduto e fatto misero
e ruinato ed a nulla ridottomi.
E voi mi ritenete, o amici perfidi?
Lasciatemi, per Dio! largo al giustissimo
furor! paghi costei le pene debite 1
Ah, voi la favorite ! e di commettere
non sapete un peccato inespiabile
aiutando quell'empia. Io stesso, io vidila
sovente a l'ombra di notte oscurissima
dissotterrar le benedette ceneri
ed evocar con diro canile l'anime
pallide da i silenzi interminabili.
EU' è che gitta a 1 fanciullini il fascino
Or su, le paghi tutte, e voi partitevi.
Ma, se per nulla i miei preghi vi movono,
vada la scellerata a tutti i diavoli:
non sempre avrà voi soccorrenti e prossimi.
oiBsd iBsbi 'b elogiai nii ni H
,iteU ^xxv'^'^ iéb ib ongoe nu smoD
otevoii ,oim ottdlfb ,oi *eew» *l liO
.il «oofms jeasys *:^ oi oigvoil rtO
• ' DA friedr: holderun
t
0-^i^n iJ^i^'iot*^ r''^':''7.'.n '-M-!^no* JhA] )'
' ( Cronaca Bùtaritinà, Romk, US settehibf e 1883)
jifioióo foh foif^ifri rtij s ofììm lì 3vob ,bJ
Inig'ov ÙI5 b1 ,o*rjfA j 3tno9'iOBnA
BffoiBiÉM ih ùf^ iù itrma i no3
Ir rivessi a le molli Poiffbf è de' platani
Ove ^(»tf^e)l^4MÌ90Bti^ìÉilÙ^ bJ
(^^ <l0lce,4ittra^ {Sbà'alfef^^ó^ bsìa
Ove Aspasia incedea bianca tra i mirti,
Ove de le fraterne gioie il tuon
Rimbombava da V agora, e a gli spirti
Paradisi creava il mio Platon,
Ove d' inni fioria la primavera,
Ove de* canti la gentil virtù
Dal colle sacro a Pallade severa
Come piena d'aprii scendeva giù
1056 APPENDICE
E in un fulgore d' ideal beato
Come un sogno di dèi venia l'età,
Oh V avess* io, diletto mio, trovato
Oh trovato io t'avessi, am'ico, là.
Là, dove il mirto e un miglior sol corona
Anacreonte e Alceo, là giù vo'gir!
Con i santi là giù di Maratona
Ne Pesil casa d'Hade io vo* dormir!
La mia lacrima estrema, Eliade bella,
Scorra e risuoni il canto ultimo a te!
Alza le forci ornai, fatai sorella,
Perché tutto co' morti il mio cuor è.
APPENDICE 1057
PER LA SOSPENSIONE DEL DON CHISCIOTTE
{Don Chisciotte, Bologna, 12 luglio 1881)
E,
fbre di sole strillan le cicale,
Arse muse del luglio impolverato:
Tace Montecitorio e su '1 piazzale
Giace come un onagro addormentato.
Agostin di Stradella, in su '1 confino,
Guard'fan de la bestia, a 1' ombra sta.
Pensando a la sua barba, a lo scrutino
Di lista e al fresco che ritornerà.
Cavalier de V idea, su la cui fronte
Vaga il riso de' sogni intimi e fieri.
Torna a gli errori su pe '1 verde monte
Fra r ombre de' poeti e de' guerrieri.
Fresco t' incontri il vin di qualche ostessa;
Quaggiù fa troppo caldo per l'onor:
Dulcinea non sa d' esser principessa.
Ma il vii Sancio è, per Dio, governator.
Carducci. 67
Quando la rondin parta e il merlo torni,
Torni fischiando a farsi istidionare,
Potrai vèr" 1' Asinella a i freschi giorni
Ronzinante e la lancia indirizzare.
Vedrai Ceri ingegnere e la facciata
Di san Petronio Jn ciel crqiuscùlar,
Di manette aiutarti a scavaloir.
KiliiJà 3,lo>? ih -
(•i\-!n\ Ì3t e^itrr
APPENDICE 1G59
DA GIULIO CESARE CORDARA
IL GRECIZZANTE
<G. C. Storia del Giorno, Bologna, ZanicheHi, 1892, cap. IV,
pag. 172).
i-jgregiamente
Tu parlerai se ad ogni passo ne le
Favole conte un ellenismo piova,
Ed una doppia e pur di greca stirpe
Vocetta nuova. Né oggimai più tonda
Ma ciclica per te sia la padella
Ed elliptico V uovo e microcosmo
V uomo ; e a' ruscelli ed a gli uccelli e a' nembi
De' poeti e a le selve de' pittori
Titolo affiggerai sacro, parorgon.
Oh se Pindaro in bocca alcuna volta
E Tucidide a te suoni e le pure
Néfele d' Aristofane o d' Omero
La rapsodia divina! Quali rughe
Mirabonde vedrai, quali udirai
Voci di sofi — Oh greco dal ciel messo!
Meno s'affigge con aperta bocca
La contadina, quando a lei pensosa
De la quartana del marito apprende
Affetto lui di lento emitriteo
Il medico verboso e con ambage
Lungi filata attonita 1' avvolge.
INDICE DEI CAPOVERSI
<'
Agile e solo vien di colle in colle „ loio
Agitatrice de le forti selve „ 66
Ah per te Orazio prèdica al vento „ 3
A i campi che verdeggiano. „ 380
A i di mesti d'autunno il prete canta „ 431
A la materia T anima s'appiglia ' „ 938
Al calpestio de' barbari cavalli „ 734
Al mattin da la pioggia ecco deterso „ 565
A* lor cantori diano i re fulgente „ 929^
Al sorriso d' aprii che da la tarda „ 972
Al suon che lieto pe '1 diverso lido „ 219.
Ancor dal monte, che di foschi ondeggia ... „ 801
Ancor mi ride ne la fantasia „ 277
A pie del monte la cui neve è rosa „ roiS
A questi di prima io la vidi. Uscia „ 21
A te, de V essere „ 377
A te, porgente su V argenteo Sile ...... „ 985
A te, sciolto da' languidi „ 287
Avanti, avanti, o sauro destrier de la canzone! . „ 445
Ave, o rima ! con beli' arte „ 539
B,
'atte a la tua finestra, e dice, il sole: . . .
Batto a la chiusa imposta con un ramicello di
fiori
614
957
v\
1064 INDICE DEI CAPOVERSI
Bella è la donna mia se volge i neri Pag. ao
Benigno è il sol ; de gli uomini al lavoro ... i, 668
6en vì^^ o beQ' astro d'argento , 933
Beviam^ se non d arridano « ^
Bianchi verni, estati ardenti ^ 1005
Bionde Valchirie, a voi diletta sferzar de'cavaUii ^ 1003
Breve e amplissima carmci o lievemente. • . . , 545
Breve ne Tonda placida avanzasi « 847
<roT . . 'ilU-i ni olluj ib iìtùf of<>g -» !^Ib^
^alvi^ aggrpndati, ricurvi, s! cov^^^iff^ ^ ^hiBii:.
E fossa .. . . . . .-onio^ {ti É'ììbé-i^ ftis^O M»i9q W
4^ ^didi soU e. riso di tramonti, ,,,,^^^^.,5,^., ^^^ ^^^^., , ^
Potano i miti - Fusi^^m^j»?. jj ,,,„j,i^^.j, ^5^^^ ,j, -9^8
fy^ b«ida che in van mi c<|p^|?^. ^^.^^^ -^ ^^^^^^^ ^j Jf7
l^lo, su 1 risonante adriaco ^i^,^, H^dh^d '>13 f.ii^{fi^«59
/Clw"o a le vergini d'Asci» e. itJi, belle «..f,;,^ ^;« ««, r J^h . 37
Cavalca sir Òluf la notte lontano , „ 741
Cercate pur se il pio siero che stagna .... „ 428
Che giovinezza nova, che lucidi giorni di gioia . „ 1016
Che prega il vate, il libero „ 160
Che ti giovò su le fallaci carte „ 86
Chi del German di doppia oste maggiore ... „ 220
Chi me de' canti ornai memore in vano .... , 279
Chi mi rimembra la speranza altera „ 105
Colli toscani e voi pacifiche selve d' olivi ... „ git
Co '1 raggio de V aprii nuovo che inonda ... . 664
Come basti virtù, perché suprema „ 97
Come bella, o argentea Croce, „ 228
Come, quando su' campi arsi la pia „ 553
Come tra '1 gelo antico „ 269
Conca in vivo smeraldo tra foschi passaggi di-
schiusa „ 861
Corri, tra' rosei fuochi del vespero, „ 827
Corron tra '1 Celio fosche e V Aventino , . . . „ 795
INDICE DEI CAPOVERSI
1065
Credo — dìceasi; e, come fiere in lustre.
Cuore, a che uccelli ne' miei versi, come.
Cupi a notte canti suonano
Cupo e solo, nel bosco, a la capanna . .
Pag.
D,
a i gradi alti del circo ammantellati
Da i monti sorridenti nel sole mattutino
Da i verdi umidi margini
Da la foce de TAmo e de le spente .
Da le ree Tuglieri di Caterina. . . .
Da le tombe del pian che aprile infiora
Da le vette de TEtna fumanti. . . .
Dal Libano trema e rosseggia ....
Da r oriente palpita
Dante il mover gli die del cherubino .
Dante, il vicin mio grande, allor che errava
Dante, onde avvien che i vóti e la favella
Da quel verde, mestamente pertinace tra le foglie
Date al vento le chiome, isfavillanti
Deh balii de la lingua, affeddiddio .
Deh, chi mi torna a voi, cime tirrene
Deh come grige pesano le brume .
De la prona stagion ne i di più tardi
De la quadriga eterea
Dicea Furio — Facciam largo a i Camilli
Di Maro il fiume e '1 verde pian, che tanta
Dimmi, triangoluzzo mio squadrato .
Di sereno adamantino su '1 vasto
Disse, e movea. Come ne' turbin torti
Divinatrice d' altre genti indaghe . .
Dolce paese, onde portai conforme .
Dormi, avvolto nel tuo mantel di gloria
Due nemici ebbe, e 1' uno e V altro vinse.
Due voglie, anzi due furie, entro il cor mio
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n
n
n
n
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513
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422
244
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581
546
560
559
1025
363
176
25
988
989
50
466
362
167
591
361
128
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Stipqudfl* EnKOfMi iMltaafvìlidieBlÌDoaia') ^ ji'mmo^'Bm^^bmi
9ipqueMpr«8eiite.iiiinet4MiQ0r^YÌi|IÌ(ft *:fMi iJlep:i«i arH f «'^iiagg
S^rDiuxii marcìwte, •Hot- che de tanvilKfe ilfifiP i^iiof r. n^
'X3jI]«« ^ s€de striBan le dealer . »
1^, e tra i pel<M o»ie roHjfarch^^,^^;^,^ jj^^^ ^^
|;pjo il ridotto. Ancor npf^^ i;p;i)^ ofnATfsft »3«yl «1^
1^: la v<tfde Sinnio nel lucU^j^i|;|^jS5|yr|4j||^^^ ^^ ^^j%|
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f|u#» K»I»Pe tfAmpdo a ra^^f^^,,V^^3PI i^^i^f^, ^i^
l^#«no è ben, però diTm te p^tgr^vétoi -^ %m^t oitàiU \^
%!*»> i «dvagfi Urati a 1^ . . ^,j^,^ 9iif#i(»n^
|g^ chiamata da,.l^..^^!PI|^, $e^ .^ijr.Ti^' oJm-flnrr M ,,li#3
IHIn ove incurva ì1,ì?ìié^ pi4raltO:lfai«o.f.,.^.,;,^f .r -, ,36»
£ molti e armati e di ferocia immani „ 214
È notte^ e il nembo urla più sempre e il vento . „ 761
Era il giugno maturo, era un bel giorno . . . . , 657
Era un giorno di festa e luglio ardea „ 674
Ero r amata muore, nei flutti cercando la mort : e „ 937
E sempre a te co 1 sole e la feconda „ 549
E tu pendevi tralcio da i retici „ 852
£ tu pur di viltà scuola e d'inganni , 235
E tu pur riedi, amore; e tu T irosa „ 23
E tu, se d* echeggianti . , 346
E tu, venuto sl* belli anni rìdenti , 28
E verde e fosca Talpe e limpido e fresco è il mattino „ 1002
Evoe, Lieo: tu gli animi „ 230
E voi, se fia che l'imminente possa „ 30
ama è che allor Prometeo, fuggendo. ... „ no
Fedel sino a l'avello , „ 744
INDICE DEI CAPOVERSI
1067
— Fermi, fermi, cavalieri Pag. 750
Ferrara, su le strade che Ercole primo lanciava . « 993
Fior tricolore „ 1007
Forse avverrà, se destro il fato assente .... „ 11
Forti sembianze di novella vita „ 119
Fortuna e vita girano il lor vario „ 986
Frate Francesco, quanto d* aere abbraccia ... „ 558
Fra terra e ciel su TAventin famoso „ 327
Fuggendo „ 107
Fuggono, ahi fuggon rapidi „ 340
Fu tempo, ed in VersagUa un proclamava ... „ 468
G,
elido il vento pe' lunghi e candidi
Gemono i rivi e mormorano i venti. .
Già levata ne gli spaldi
Gino, che fai sotto i felsinei portici? .
Giove ha Cesare in cura. Ei dal delitto
Gli amici a cui dissi d'amor parole
Gli attese al passo; poi di nubi avvolta
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JL cipressi che a Bòlgheri alti e schietti .... „ 67^ 4
I fratelli a i fratelli e i padri a i figli „ 234
II dittatore, solo, a la lugubre „ 844
11 poeta, o vulgo sciocco „ 773
Il soldan de gli accenti a solatio „ 185
Il sole tardo ne V invernale „ 630
Il Turco miete. Eran le teste armene „ 1009
In Brusselle, a V ostel, sola soletta „ 713
Innanzi, innanzi. Per le foscheggianti „ 555
Io di poveri fior ghirlanda sono „ 253
Io d' Italia dal cuor tra impeti d' inni balzai . . „ 821
Io 1 vidi. Su r avello iscoverchiato „ 359
rOOB IHSiGEDEI GKPGrenn
tOi;iioii 16! di»n a. voi, vìgìfi. stelle .ji-^l-wt.* .i.!« .ìBag. éa^ 1^
Im^mm, Dafii^ la^tnsi grecai séreBM .^< >•> ibii;!'-. >?. "''^; k.:I^ ||
ì^btim, U.grcgge de'tudi re, .stcaiiien> « « ^ . «.^ -o^ - «9 |i
I tinmiii cui Nemesi ditrettei. . nt !;. o^>ji» .k^..iU > /j^s ^3bi |i
(t>r! ri-/ r!'-^'/! -i 'b :ji,<!/ijdìn.j*t ;.;*
fìHo . ...... ■! . ' "lOf il '"^fìTUri h?i/ •• li'"-"
"/alage^ 10 so qua! sogno ti 90ixe qal cuòre
profondo , . . . ^ gl'I
L albero a cui tendevi ^ . , S9S
j.t.;' .... ;.•'(.!.- >it>yi-tii triti ^*Hl:■•^;^Èi''
1 luminosa testa ...;... , tai^
L nebbia a gr irti colli « 604
l4i stagion lieta e l'abito gentile g 601
L'avvoltoio, o frateHoy il cuor mi lama .... « tt
lacerto l'alba che affirtitta; roseiÉ : . l'jq vUuìvAl t^>i'>^ci6
Inetta fiocca la neve pe 1 ;cielo dnsn»!: ^nd» ivii. (i^^ìì.ì^ss
Jbe^^stelle die viaggiano su 1 mare « iklii^p.H^^ 'hi g^^^-H ésa
Lieta le. tende,. e -stimola^.' «-!."^. •: fc>ni>«v i. f>iifv i^'t ':^f ,C'fl87
Lieto su i colli di Borg^ogna splende „ 725
Lievi e bianche a la plaga occidentale .... „ 564
Lina, brumaio torbido inclina „ 638
L* olmo e la verde sposa „ 67
U un dopo r altro i messi di sventura „ 728
Lungi, lungi, su V ali del canto „ 602
M,
a ci fu dunque un giorno „ 599
Maggio, idillio di Dante e Beatrice,, „ 660
Maggio risveglia i nidi „ 610
Manda a Cuosa in vai di Serchio „ 704
Ma non cosi, quando superbo apriva „ 405
Ma non sotto la stridula . „ 990
Marciate, o de la patria incliti figli „ 736
Me da la turba, che d' ossequio avaro „ 283
Ménte chi dice eh' ove il core avvampa .... „ 420
INDICE DEI CAPOVERSI
1069
Messer Francesco, a voi per pace io v^no
Mi levai per San Giovanni
Mio^adre era un balordo astemio Cesare
Molosso ringhia, o antichi versi italici, .
Molto mi meravigUo, o messer Gante, . .
Pag. 561
759
764
850
484
N,
arra la fama, e ancor n' ha orrore il popolo
Narran le istorie e cantano i poeti.
Nascesti dentro d' un secchion da latte,
Ne la stagion che il ciel co' le feconde
Ne r aula immensa di Lussor, su '1 capo
Nel bel mese di maggio ......
Nel gran cerchio de Talpi, su '1 granito
Nel solitario verno de T anima. . . .
Né mai levò si neri occhi lucenti. . .
Né vi riveggo mai, toscani colli , . .
Nitido il cielo come in adamante. . .
No, forme non eran d'aer colorato né piante
No, le luci non ha di Maddalena
Non carmi, non ghirlande, e non concento .
Non han ne gli sbarrati occhi una lacrima.
Non io pe 'ì verso onde sentia lo stuolo . .
Non mai da '1 cielo eh' io spirai pargolo . .
Non mai seren di più tranquilla notte . . .
No, non morranno, in fin che tempra umana
No, non son morto. Dietro me cadavere . .
Non perché da* Sabaudi a la marina . . .
Non più di frodi la codarda rabbia ....
Non più riso d'iddei la nebulosa
Non sempre aquario verna, né assidue . .
Non son, barbaro, qui le inermi genti . . .
Non son queir io che già d' amiche cene . .
Non sotto ferrea punta che strida solcando maligna
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Nén vif^à' io, no. Dtcm quiete «tancn <u r- .i'^^^^'^rPàG; k»
How Vanni Fucd in focda a. Dio nilMva ì^KnH^f .< >-i» >~ - ^it
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Ce}'- - u:*' ■•'•• • hi'tin;? o ,«»rt:*ìrfn «i---.;!:- <..
'. . ■': > ■' .' • M" ' . j'iui ffii3{fi km >>: ■'
albergo di tiranni, o prìgion fella .... , 336
O arcadi e romantici fratelli , « 171
O arcadi o romantici fratelli ^ Tif3
0'iara al pérói'tì' inio tejrra gentile, 'j ' .' f«l -' .* * 5' '- ' 3Ì
Oche tra faggi e abeti erma su i éàwtpii >. >«7>i«^ j '^ '«^
Ode» cognati e de i dìépérsl mitì ' : . 1* .'' V M- ■'',^' É35
O de l'italo agon suprétttò Atleia . ^ ^ /^ ?'* : f^P'^W^^- pa
O desiata venie solittXiSne . . \ . . 'k *.^' ;???»«' bUì.. Ig.^
€tìo l'usata poesia: concede . . . ^-;'*f': f;> -^.^^^'f", ^ 'i ^
Oggimai che ritornati . . . . . ■ . ./>.€'/-^r j^.->y ^
€ini anno allor che lugubre . . . . . ". " . .'^^ *«^' '* \4^
O grandi, o nati a le stagiori Mtì . . ' . ^r^ J"- /■'' i ''^'"' ^
Oh bella a' suoi be' di Rocca Paolina . '. . . ' . „ 495
Oh caro a quelli che escon da le bianche e tacite case „ 823
Oh non mai re di Francia al suo levare .... „ 733
Oh quei fanali come s* inseguono „ 877
Oh t* avessi a le fresche ombre de' platani ... „ 1055
Oltre la siepe, o antico paziente, „ 570
O Miramare, a le tue bianche torri „ 854
O monna tu, ch'io non so qual tu sia „ 178
O nata quando su la mia povera „ 914
Onde venisti? Quali a noi secoU. ...... „ 858
O ne* giorni tuoi mesti e lagrimanti „ 572
O nova angela mia senz' ala a fianco „ 17
O piccola Maria, „ 943
Ora — : e la mano il giovine nizzardo „ 576
Or eh* a i silenzi di cerulea sera „ 567
Or che le nevi premono, . . / „ 921
Or che soave è il cielo e i di son belli .... „ 583
Or che un agii di vite innovatore „ ago
INDICE DEI CAPOVERSI
1071
Or sono i di che zefiro . . . • Pag. 70
O scrutator del sotterraneo mondo, „ 397
O se tu genio presente „ 1051
O Severino, de' tuoi canti il nido, „ 685
O Terenzio de l'Adria, al cui pennello . , . . „ 91
O tra i placidi olivi, tra i cedri e le palme sedente „ 950
O tu che dormi là su la fiorita „ 554
Ove sei, che di Delfo in van ti chieggo .... „ 156
Ove sei ? de* sereni occhi ridenti „ 566
O Villagloria, da Cremerà, quando „ 433
p
A. assa la nave mia con vele nere, „ 606
Passa la nave mia, sola, tra il pianto „ 85
Perché sdegno di fati . * „ 135
Peregrino del ciel, garrulo a volo „ 13
Pe* verdi colli, da* cieli splendidi, „ 901
Pietro Fanfani sta ne le postille „ 183
Poi che 1* itale sorti e la vergogna „ ioa
Poi che mal questa sonnacchiosa etade . . . . „ 88
Poi che un sereno vapor d* ambrosia „ 785
Profonda, solitaria, immensa notte; „ 18
Pur da queste serene erme pendici „ 391
Pur ne 1* ombra de* tuoi lati velami „ 550
Vy^ual da gli aridi scogli erma su *1 mare . . „ 475
Qual da la madre battuto pargolo „ 892
Quale una incinta, su cui scende languida ... „ 899
Quali, quali, al tuonar de* feri accenti „ 213
Qual sovra la profonda „ 41
Qual tra le ingiurie di Fortuna e i danni . . . „ 96
Qual voce da i fatali „ 338
Quando a i piaceri in mezzo od a i tormenti . . „ 478
I
10^ tVOHGB OSI CAPaVBRSI
«it>wmian<i^<>iHMH««WMVM»Mf
Quando^.li le nostre. case. la .xfiva. seve» fitticafeée^:. Pàm^M»
Quando ..cadono le fogUe^^quandoi.^nigraaor'^'h'ìtrJtrna ()
irOTaUgèlli ......-.-. •iJJ.Iì^^iq. 0».?.»J|»tJ.i* j^
gelando..— Egli è morto —,'diaselto^-.,'» j..f<t *dfi«/.fT#?r/-M|^
Qaando .fuor de la pnnita. anima sdussa. ylìA'l*.A^ '^iMr-it^Isgi
Qaando.il trnndo sf^eìnloré de la-ltmat. /ifo.^h^uìfK^ ; c-M|)
Quando .la Donna Sabauda il fulgido .^ . ni Ur* i> -mh til^
Quando l'aspro fratel di CiAegira /. <•. i\ M ;h ^rf .a,ÌM;> «501
Quando ^mirava Omero le fulgide *'d«rdani(ea«fd>!> ^h^. 9^
Qipndo ..parto da voi, dolce ' sigaiora . >. ) . r. ; » , .^ -^ !#: i^Uf VM
Quando porge la man Cesare a Piero, .... , 40k
Quando ritto il doge antico « 41»
Quando su l' dei nere : » T0k
Quattro al dio Giiuio, o dio Trionfo, infrena, . . , ' 4ZI
Qudla cura che ogn or dentro mi piagne . . . j, jé^
Questa che a voi, donna gentil, ne viene
Questa è l'altera giovinetta bella
Questo la inconscia zagaglia barbara . . ... „ 841
Qui dove arride i fortunati clivi „ 73
Qui, dove irato a gli anni tuoi novelli „ 32
iene . .. .. , jfe
K
aggia di luce un riso „ 364
Re Sifrido tien corte — Arpeggiatori, .... „ 746
Ricordo. Fulvo il sole tra i rossi vapori e le nubi „ 882
Roma, ne V aer tuo lancio 1' anima altera volante : „ 808
Rompendo il sole tra i nuvoli bianchi a 1* azzurro „ 898
Rompeste voi *1 Tevere a nuoto, Clelia, come. . „ 890
Q
W^abato sera in fin di settimana „ 757
Sai tu r isola bella, a le cui rive „ 641
Sbarrate la soglia, chiudete ogni varco .... „ 395
Scuotesti, vergin divina, Y auspice „ 798
Se affetto altro mortai per te si cura „ loi
F
INDICE DEI CAPOVERSI
Se Dio ti guardi sino a bermia Pag. iga
Se già sotto r ale ,.«6
aei grande. Eterno co .'I aule l' iri ije,, ,.,„,, ,.„ i^^^ L.rbi, ^fi
Se, porto de'pensier torbidi e f6schf„..^..,, ^^.....,^.„. ìH^
Se sant'Antonio vi inuntenga sano »6i)
Se te già tolsi con incerta mano 35
Si come lìocchi dì fumo candido ....,,,. „ g]\
Si. crudelmeote fero è quel flagello „ 15
Siede novembre su le vi# festanti „ 557
S' indraga Messcrin contro i pedaliti 187
Sol di Settembre, tu uel cielo stai " 45b
Solenni in vetta a Monte Mario, stanne ,.r,...,,^ . , r,„, 993
Son de la terra faticosa i figli. . ,. , ^.^^ ^^^^ (j ,„„ iffi
Sorgono e in agili file dilungani?. „^ .n.j.iort ih '■ll^li^'M S*S
Sparsa la faccia bianca ,.-...,,.,..,.. 390
Spezzato il pugno die vibrò rau4ace „ 1003
Spirto genti), che chiedi? Ornai l'altero :o4
Sta Federico imperatore in Como , , 1039
Stanno nel grjgiq verfio pur d' edru e di lauro
vestite , 895
Svbito scosso de le membra sue 1007
Su i campi di Marengo batte la l^in^; fosco. . . , 7or
Su i colli de le Argoune alza il niattino . .. - . , 735
Su la parvola tua fiera persona ,. „ „ 57'
Su l'arce onde mirò Fiesole al baBSp;. ...,:. ., ^i,, ., ... , ,556
Su 1 castello dì Verona . . . . ., \, oniyjiva'f uwn .fiti
Su 'I cavai de la Morte Ajnor cavilloso,. ,1 >b ,« .litui, fitl
Su le cime de la Tenca „,,(,» r,^u -. t.,- ,9f6
Su le dentate scintillanti vette gSi
Su r ostel di città stendardo nero 730
- Superbo e luì non tocca. .
Wgejiel chiaro inverno la fósc.
I074 INDICE DEI CAPOVERSI
X al fui qual fVciDO in questa imagin viva . . Pau. 578
Tal mormoravi possente e rapido » 839
T* amo, o pio bove ; e mite un sentimento ... » 55»
Te, certo, te, quando la veglia bruna ,^671
Te che solinghe balze -e mesti piani . . . ; . „ 551
Te, fratel, piango, e piango de la bruna .... „ 143
Te gridi vii quei che~piegò la scema ..... „ 29
Te là di Roma su i fumanti spaldi „ 215
Tempo verrà che questa madre antica .... „ 95
Te non il canto che di tenue vena ' „ 81
Te non il sacro verso e non la resa ....'. „ 94
Te redimito di fior purpurei „ 792
Timor, pudore, o de 1' avito orgoglio „ 337
Tirreno, anche il mio petto è un mar profondo . „ 569
Togliete, umana gente; . „ 140
Torpido fra la nebbia ed increscioso „ 412
Tra le battaglie, Omero, nel carme tuo sempre
sonanti „ 909
Tra le morti e l'alte „ 112
Tra le nubi ecco il turchino „ 597
Tre fra i ricordi e le speranze e il pianto ... „ 243
Trionfa il sole, e inonda , 619
Tu cui reina il cieco Èrebo tiene „ 60
Tu, mesta peregrina, il dolce nido „ 14
Tu parli ; e, de la voce a la molle aura . . - . „ 873
Tu sali e baci, o dea, co '1 roseo fiato le nubi . „ 787
T T.
\^_J dite, udite il molto reverendo „
Udite, udite, o cittadini. Ieri „
Ugo il poeta, allor che Italia in forse „
Una bieca druidica visione .
189
729
427
731
INDICE DF,I CAPOVERSI
Una pallida faccia'e
Urlate, saUale, men,
- V aghe le n
Va, rea v
Viva, o p
Voce di E
^jilte, 7ittel Che e questo frasluono
aghe le nostre donne e i giovine
Va, rea vecchia, con questi carrezievoli .
Viva, o prode corsiero! A le ta palma ,
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